Switch of Time

di Erica la Yaya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Switch of Time ⏳ ***
Capitolo 2: *** ⌛ Time's Switch ***
Capitolo 3: *** Switch of time ⌛ ***
Capitolo 4: *** ⏳Time's switch ***
Capitolo 5: *** Switch of Time ⏳ ***
Capitolo 6: *** ⌛Time's switch ***
Capitolo 7: *** Switch of Time ⌛ ***
Capitolo 8: *** ⏳ Time's Switch ***
Capitolo 9: *** Switch of Time ⏳ ***
Capitolo 10: *** ⌛ Time's Switch ***
Capitolo 11: *** Switch of Time ⌛ ***



Capitolo 1
*** Switch of Time ⏳ ***


 

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~🕛

La Inazuma aveva appena finito di allenarsi. Mark aveva detto che, anche se avevano vinto il FFI, dovevano comunque tenersi allenati per qualsiasi altra minaccia o questione che gli si fosse presentata davanti: tutti erano d'accordo ed avevano, in seguito, accordato le date per gli allenamenti. Erano già tutti andati via dagli spogliatoi, mentre Jude, il regista della squadra, non aveva ancora finito di cambiarsi, dato che aveva speso del tempo prima per discutere varie strategie di squadra con l'allenatore Travis. Non sapeva, però, che non era l'unico a non essere andato via.

"Giornata intensa, né Sharp?" sentì dire lui. Si girò, vedendo Caleb appoggiato allo stipite della porta, braccia incrociate sul petto, con il suo solito ghigno stampato in faccia, che lo osservava.

"Stonewall. Perché sei ancora qui?" disse, freddo, distogliendo lo sguardo e sistemandosi il mantello.

"Quanto siamo antipatici! Nessuno ti ha insegnato a rispondere alle domande, prima di farle tu?" lo sfottè l'altro. Il rasta roteò gli occhi, coperti dagli occhialini, per poi prendere il suo borsone, avviandosi verso l'uscita, ovvero la porta sulla quale Caleb era appoggiato. Appena quest'ultimo capì le intenzioni del regista, spalancò entrambe le braccia posizionandole sugli stipiti, bloccando così il passaggio. Arrivato davanti a lui, Jude si fermò.

"Spostati, devo passare."

"E il cielo è blu. Genio è ovvio che devi passare, secondo te perché mi sono messo qua davanti?" lo prese in giro nuovamente, ghignando. Jude sospirò, rassegnato, per poi voltarsi indietro, nell'intenzione di usare la porta sul retro. Caleb, intuendolo, si spostò subito, sorpassandolo velocemente, credendo che il regista volesse davvero usare l'altra uscita. Rimase piuttosto sbigottito quando, con uno scatto fulmineo degno di Nathan, Jude si girò velocemente sulle punte e corse alla porta iniziale, imboccando il corridoio di questa. Si fermò, voltandosi, mostrando al punk un sorrisetto divertito, per poi riprendere a camminare tranquillamente. Caleb sbuffò, e lo rincorse finché non gli arrivò di fianco, camminando poi al suo passo, mettendo le braccia dietro la testa.

"Sei davvero un guastafeste."

"E tu ti stai comportando da bambino." Il castano sbuffò nuovamente.

"Perfettino."

"Testardo."

"Noioso."

"Infantile."

"Ma è possibile che non ti vada mai di scherzare o fare qualcosa di divertente?"

"Divertirsi non vuol dire che devi disobbedire alle regole."

"Ma così è più elettrizzante, sai, dovresti provare ogni tanto." ghignò l'altro.

"No grazie, non ci tengo ad essere espulso dalla squadra, a differenza tua." rispose Jude, guardandolo negli occhi, continuando a camminare. Il punk strinse i denti.

"Che colpo basso. E poi sarei io lo stronzo." gli disse acido. Aveva capito che il rasta si stava riferendo a tutte quelle volte che, in passato, aveva compiuto azioni sbagliate, che avevano danneggiato lui stesso e la squadra. Non era stato cacciato via solo perché Mark lo aveva sempre difeso, dicendo che era un elemento come tutti all'interno dell'Inazuma.
Caleb non riusciva ancora a capire perché si fosse preso una sbandata per quell'irritante regista. Forse perché era intelligente e, anche se non lo ammettevano, in campo insieme lavoravano bene, praticamente in perfetta sintonia. Forse perché, in fondo, sapeva che a Jude importava qualcosa di lui, dato che il capitano gli aveva riferito che oltre a lui anche il rasta l'aveva, silenziosamente, sempre difeso. Forse perché trovava particolare il suo modo di comportarsi. Forse perché si divertiva a stuzzicarlo, ed ora che ci pensava, adorava farlo, nei più svariati modi. A questi pensieri si calmò un poco, e decise di provare il tutto per tutto.

"Jude." lo chiamò, fermandosi, con tono serio.

"Che c'è?" rispose il rasta, fermandosi a sua volta, guardandolo. Caleb si stupì della calma che c'era nel suo tono, accompagnato da un qualcosa che non riuscì a riconoscere. Stanchezza? Tristezza? No...sembrava più...quasi... preoccupazione? Era mai possibile?

"Io..." cercò di dire il punk, mordendosi poi il labbro inferiore, guardando poi in basso. Jude si allarmò un poco al comportamento così inusuale del castano, quindi gli si avvicinò.

"Caleb, va tutto bene? Cosa devi dirmi?" disse lui, ansioso. Ansioso? Ebbene sì, l'impassibile Jude Sharp era preoccupato per Caleb Stonewall, lo "stronzo" della squadra. Infondo, dopo tutto, gli piaceva tanto. Se all'inizio non lo sopportava, adesso gli stava a cuore, perché aveva capito e compreso i comportamenti del punk, aveva visto il suo vero carattere, il suo attaccamento e rispetto verso la squadra. Quando quella sua maschera di strafottenza cadeva, mostrando ciò che provava veramente, senza nasconderlo, erano momenti molto rari, che Jude, onestamente, adorava. Lo trovava tenero, ecco tutto. Niente più, niente meno. Credeva.

"Caleb, allora?" lo incitò Jude, vedendo che non rispondeva, con tono sì autoritario, ma anche dolce, cosa che non sfuggì al castano, che si trattenne dal sorridere. Non poteva cedere adesso.

"Io...ho...bisogno di un tuo consiglio." disse lui, mostrandosi a disagio.

"Oh." fu tutto quello che Jude seppe dire. Non si aspettava certo una proposta del genere, soprattutto da parte sua, che era molto, troppo, testardo.

"Certo, dimmi." disse. Caleb si trattenne, di nuovo, mordendosi l'interno della guancia; poi rispose.

"Come ti comporti quando... be', quando ti piace qualcuno?"
Jude alzò un sopracciglio, segno che non stava comprendendo appieno.

"Cosa intendi di-"

"Intendo dire che se mi confessassi senza mezzi termini alla persona che mi piace per poi sbatterla al muro e baciarla non credo sarebbe un problema, no?" chiese, innocentemente.
Jude assottigliò gli occhi: a Caleb piaceva qualcuno? E chi era? Uno della squadra? Una manager? Qualcuno che non conosceva? Troppi pensieri in testa e zero risposte: non capiva perché dovesse piacere qualcuno a Caleb. Un attimo... perché si stava facendo tutte queste paranoie? Era davvero così geloso?

"Forse è un po' troppo diretto..." riuscì a dire, borbottando. Caleb avrebbe voluto tanto, in quel momento, scoppiare a ridere: il palese disagio in cui aveva messo il rasta era, a suo parere, fantastico. Purtroppo però, non poteva.

"Be'," disse, con nonchalance "lo sai che sono più un tipo da fatti e non da parole: non mi piace girare intorno alle cose." disse, ghignando.

"Fai quello che credi sia giusto allora." rispose il regista, distogliendo lo sguardo e riprendendo a camminare. Caleb scoppiò a ridere, raggiungendo Jude, che lo guardò male.

"Sei davvero così geloso? Da te non me lo aspettavo di certo." disse.
Il rasta si fermò, nuovamente, lanciandogli un'occhiata di fuoco.

"Mi hai preso in giro? Davvero?" domandò, digrignando i denti.

"Oh scusami," disse, ridacchiando "ma dovevo capire-"

"Capire che cosa? Che sono stato un emerito imbecille solo per il fatto di averti ascoltato?" lo interruppe l'altro, furioso.
Caleb sgranò gli occhi: non si aspettava una reazione del genere.

"Stavo solo scherzando! Non pensavo che la prendessi così seriamente." cercò di giustificarsi lui.

"Avrei dovuto andarmene via subito." disse il rasta, dirigendosi verso l'uscita a passo spedito, seguito da Caleb, che cercava di capire perché si comportasse così.
Poi capì.

"Aspetta un attimo..." disse, prendendo la manica di Jude, bloccandolo.

"Lasciami andare!" disse, per poi cercare di liberarsi, lasciando a terra il borsone, invano: la presa di Caleb era ferrea.

"Tu eri seriamente preoccupato?! Per me?!" esclamò il punk, ghignando. Il regista stette in silenzio, arrossendo impercettibilmente.

"Io...non-"

"Sei arrossito."

"Cosa?"

"Non ci credo." disse, avvicinandosi pericolosamente al rasta, il quale indietreggiò un poco, colto nel segno.

"Cosa stai-" non riuscì a finire la frase che Caleb gli prese i polsi con le mani, sbattendolo al muro del corridoio, portandogli le braccia di fianco al capo. Erano solo a pochi centimetri di distanza e il rasta, inevitabilmente, arrossì di più.

"Io ti piaccio. Assurdo." disse Caleb, felice come una Pasqua, anche se non si sarebbe detto, dato che continuava a ghignare in maniera un poco inquietante.

"Ma tu-"

"Credevo di non avere nessuna possibilità con te."

"...cosa?"

Caleb sbuffò.

"Non ci sei ancora arrivato? Mi piaci, stupido regista." disse, senza mezzi termini.
Jude sgranò gli occhi, incredulo: lui ricambiava?
Stava per ribattere, quando il castano gli si avvicinò al volto: questo prese il laccio centrale degli occhialini con i denti e li tirò giù, scoprendo così gli occhi del rasta. Restò a bocca aperta quando li guardò. Erano bellissimi.

"Ehm...ecco, io..." cercò di dire qualcosa Jude, imbarazzato, mentre distoglieva lo sguardo da quello di Caleb. Quest'ultimo, senza se nè ma, si sporse in avanti, con l'intento di baciarlo, ma non ci riuscì, perché scomparve. Letteralmente.
Cosa era appena successo?

~🕐

 

 

Autrice's space:

Allora, spero che questa storia vi possa interessare.

P.s. Volevate quel bacio eh? AHAHAH INVECE NO!
Immagine ingannevole 😂
Va bene okay la smetto-
Ciaoo

 
 
 

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Capitolo 2
*** ⌛ Time's Switch ***


 
 
 
 
 
 
 

 


Futuro, 10 anni dopo

~🕑

Caleb aprì il suo appartamento, aprendo la porta ed entrando, per poi chiuderla a chiave. Con un grosso sospiro gettò malamente la giacca sull'attaccapanni, non curandosi se fosse caduta a terra o meno.

"Ciao Caleb, bentornato." sentì dire il castano. Guardò la sala: lì sul divano c'era Jude -il suo Jude- che gli sorrideva lievemente, mentre abbassava il giornale che stava leggendo per poterlo guardare.

"Ciao." rispose, stanco, tant'è vero che il rasta, preoccupandosi, mise via il giornale, poggiandolo sul comodino lì vicino, per poi alzarsi dal comodo giaciglio.

"Tutto bene? Sembri piuttosto stanco..." disse, andandogli incontro. Il castano lo liquidò con un gesto della mano e, sorpassandolo, si sdraiò scompostamente sul divano, occupandone la maggior parte.
Jude lo guardò stranito: aveva davvero fatto tutto questo solo per rubargli il divano?

"Che giornata di merda." sentì dire da Caleb.
Ah, ecco. Ora gli sembrava tutto più normale. Sospirò, non più preoccupato, e si diresse sul sofà , sedendosi su un piccolo angolo non ancora occupato dal castano.

"Cosa è successo a lavoro?" chiese per conversare e per, magari, farlo sfogare, invece che lasciarlo con un peso inutile nel petto.
Sentì come risposta vari mugulii, mentre il punk si girava a pancia in giù ed appoggiava la testa ed il braccio sulle cosce dell'ex regista che, intanto, prese ad accarezzargli i capelli.

"In pratica quello stronzo del mio capo ha minacciato di licenziarmi...solo perché ho rotto una scrivania..."
Jude sgranò gli occhi, coperti dai suoi occhiali verdi, smettendo per un attimo di coccolare la testa del castano, che in risposta lo guardò male.

"Hai rotto una scrivania? Davvero?" chiese Jude, con un tono tra il rimprovero e l'incredulità. Probabilmente doveva ancora farci l'abitudine.

"Sì, ma non è che fosse una scrivania pregiata: faceva schifo, era piena di tarli e-"

"Non è questo il punto, l'hai comunque rotta. Dovresti controllare di più la tua rabbia." disse il rasta, autoritario. Caleb in risposta sbuffò irritato, mettendo una mano a sostegno del volto, poggiando il gomito sulla gamba dell'altro.

"Cos'è, vuoi andarmi contro anche tu oggi? La giornata fa già abbastanza schifo senza te che ricalchi la dose." sputò fuori lui, infastidito.
Jude inizialmente non rispose, riprendendo ad accarezzargli i capelli, e riprese il suo discorso.

"Ma capirai anche tu che non puoi distruggere un intero edificio per colpa dei tuoi sbalzi d'umore."

"E chi me lo impedisce?"

"Caleb..."

"Che palle, va bene. Stavo scherzando." rispose, sbuffando, guardando poi Jude e facendo una smorfia.

"E togliti 'sti...'sti cosi." disse, sventolando una mano davanti alla faccia dell'ex regista, ritornando poi alla posizione iniziale, in attesa di coccole anti-stress. Il rasta sospirò, per poi togliersi gli occhiali, poggiandoli sul comodino, lasciando così scoperti i suoi occhi, i quali furono subito oggetto delle attenzioni del punk, che, pur senza essersi alzato, aveva girato la testa in modo da poterlo guardare in faccia.

"Non ho ancora capito perché te li copri: sono bellissimi."

"Lo sai già perché...se lo faccio con qualcuno con cui non sono in confidenza, mi sento a disagio."

"Allora mi posso ritenere fortunato." rispose lui, ghignando, facendo roteare gli occhi al rasta, che però sorrise, riniziando a fare le carezze a Caleb, che chiuse gli occhi; ma non la bocca.

"Sai, rimorchieresti mille volte di più se andassi in giro senza quei cosi." disse, col suo ghigno stampato in faccia.

"Vorresti che abbordassi qualcun'altro che non sia tu?" chiese l'altro, divertito.

"Tsk, ovviamente no. Ti ammazzerei. E poi ammazzerei le persone con cui ci hai provato," disse il castano, per poi continuare "vorrei solo passare più tempo insieme a te."

Jude sorrise, intenerito: la schiettezza di Caleb era una caratteristica che aveva sempre apprezzato di lui, e da quando il loro rapporto si era evoluto, la apprezzava anche di più. Tranne quando faceva esageratamente il pervertito, ma ormai non gli dava più fastidio.

"Guarda che stiamo un sacco di tempo insieme." gli rispose questo, facendo alzare un sopracciglio al ragazzo appoggiato sulle sue gambe, riprendendo poi a parlare.

"Inoltre condividiamo lo stesso tetto, quindi..." disse, facendo sbuffare il castano.

"Si, lavori diversi, posti diversi, zero tempo libero...bella merda." disse, ironicamente.

"Non mi sembrano lavori così diversi: io alleno la squadra della Royal e tu ne sei il consulente. Non credo che-"

"Cazzo Jude, siamo in due edifici completamente diversi!" disse lui, interrompendolo, alzandosi parzialmente.

"Quindi non essere stupido." riprese in seguito. Il rasta lo guardò dispiaciuto, e Caleb si pentì un poco di avergli urlato contro.

"Scusa" sussurrò poi infatti, sedendosi sulle gambe dell'ex regista e poggiando la testa nell'incavo del suo collo, "è che sono stanco." concluse.

"Hey, va tutto bene, tranquillo." disse l'altro, non smettendo di accarezzargli la testa: quella giornata doveva essere stata fin troppo terribile anche per una roccia come lui se era riuscito a ridurlo così. Dopo qualche minuto di coccole, Caleb spezzò il silenzio.

"Hey." disse, con voce stranamente calma e suadente, posizionando il proprio viso frontalmente a quello del rasta, che lo guardava incuriosito e divertito.

"Pensandoci, sai cos'altro condividiamo?" continuò lui, mentre sorrideva maliziosamente. Non diede tempo a Jude di provare a rispondere che svelò già la risposta.

"Il letto" disse, posizionando le mani sulla cravatta del ragazzo, "e, sempre pensandoci..." si fece più vicino al suo volto "...è tanto che non ne approfittiamo, non credi?"

Il rasta roteò gli occhi, anche se pure sulle sue labbra era nato un sorrisetto: labbra che Caleb non smetteva di guardare.

"Caleb, non dovremmo, tu sei stanco, io devo compilare ancora varie cose, e domani-"

"Quanto sei guastafeste, fai almeno stasera. È da troppo tempo che non-"

"Okay, va bene, ho capito" lo interruppe l'altro, alzando una mano, continuando poi il discorso, "però dovresti veramente considerare-"

"Troppo tardi." si intromise il castano, per poi fiondarsi, letteralmente, sulle labbra del rasta, coinvolgendolo in un bacio voglioso e passionale sin da subito. Tirando a sé la camicia dell'ex regista, il castano fece cadere entrambi dal divano, ribaltando velocemente le posizioni, col risultato che lui fu a cavalcioni sopra l'altro.

"Sei...davvero...un bambino." disse Jude, riprendendo fiato, mentre il punk iniziava a slacciare velocemente la cravatta del ragazzo sotto di lui e ad aprire i bottoni della camicia.

"Un bambino cresciuto," ghignò Caleb, senza smettere il suo lavoro "e soprattutto impaziente." disse, ammirando soddisfatto il suo operato: ora aveva libero accesso al petto del rasta, e prese a studiarne e fissarne i muscoli non esagerati ma ben in evidenza.

"Io sarei qui sopra." si lamentò quello, facendo ridacchiare il castano.

"Che gelosone, dammi un attimo e sono da te." rispose, mentre si avvicinava sempre di più. Jude riuscì a malapena a sussurrare uno "stupido" prima che Caleb si rifiondasse sulle sue labbra, riprendendo il bacio che avevano prima interrotto. Senza smettere di baciarlo vogliosamente, il punk setacció con le mani tutto il petto dell'altro, facendo una maggiore pressione nei punti in cui sapeva che faceva più effetto sul rasta. Questo fece lo stesso, infilando le mani sotto la maglietta del castano, esplorando il suo busto, frenetico. I sospiri sempre più frequenti e la pelle che diventava calda a quei tocchi stavano facendo diventare l'atmosfera tra i due sempre più bollente. In seguito Caleb smise di baciare l'altro solo per andare sul suo collo, mordicchiando prima la parte sotto l'orecchio, per poi scendere giù, fermandosi sempre a mordere quella pelle delicata, fino ad arrivare all'attaccatura tra collo e spalla, dove vi fece un succhiotto, dopo aver addentato anche quella. Un sospiro più profondo da parte della vittima fece mettere al castano le braccia di fianco al capo di quest'ultima: era arrossito un poco e cercava, invano, di riprendere in minima parte fiato. Probabilmente, pensò, lui era nelle sue stesse condizioni.

"Caleb..." disse Jude, facendo mordere il labbro al nominato, per poi sollevare un po' il busto facendo pressione sui gomiti. Il punk si sporse in avanti, per ricominciare a baciarlo, ma non ci riuscì, poiché scomparve. Letteralmente.
Cosa era appena successo?

~🕒




 

Autrice's space:

 
Dato che su Wattpad questa storia arriva fino al capitolo 7, vorrei pubblicare ogni capitolo con qualche giorno di distanza, giusto per mettere suspense ùwù

Comunque spero vi stia piacendo ^^

Per chi volesse su Wattpad (dove sono più attiva) sono YaraThunder :3

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Capitolo 3
*** Switch of time ⌛ ***


 
 
 
 
 
 

 


Presente

~🕓

Caleb non capiva ancora cosa fosse successo. Un attimo prima era a cavalcioni su Jude, intento a baciarlo, mentre ora si ritrovava in piedi, davanti ad un muro, con le braccia distese appoggiate ad esso. L'adrenalina che gli percorreva le vene per la situazione precedente non era per niente andata via, ma non per questo era meno confuso: anzi, probabilmente lo era ancora di più. Sentendo un sussulto di sorpresa provenire da ciò che era, a quanto pare, bloccato tra lui e il muro, abbassò lo sguardo, sgranando gli occhi e rimanendo a bocca aperta. Era Jude.
Si, Jude, ma sembrava avesse quattordici anni, che lo guardava con occhi spalancati, l'incredulità dipinta -stampata- sul suo volto, anch'esso confuso e... spaventato? Inibito? Un qualcosa che il castano non riusciva a capire. Dopo un po' di tempo che si fissarono negli occhi, Caleb constatò che quelle iridi rubine non potevano che appartenere al ragazzo per il quale aveva perso la testa: decise quindi di fare la prova del nove.

"...Jude?..." chiese, esitante. Il giovane rasta sgranò ancora di più gli occhi e fece un sussulto sommesso, cercando di appiattirsi ancora di più al muro quando parlò anche lui.

"...Caleb?...cosa?..." disse, sussurando. L'altro si staccò di scatto dal muro, arretrando di qualche passo, ancora ansimante, e si guardò intorno, cercando di capire dove fosse.

Questa non è casa mia pensò, riconoscendo il lungo corridoio della struttura, senza però riuscire a realizzare completamente l'accaduto. Guardò poi nuovamente il ragazzino appoggiato al muro: sembrava completamente spaesato e, ora che lo notava, anche lui aveva un po' di rossore sulle guance.

Cosa è successo?... si domandò infine il punk, senza però ricevere risposta.

 

Futuro

~🕟

Caleb Stonewall era una persona che non si lasciava intimorire da niente e nessuno. Verifica di matematica? Dimostrava che sapeva benissimo fare quelle scomposizioni anche senza studiare, prendendo voti eccellenti. Bisognava guidare la squadra? Nessun problema, lui era lì. Quando non capiva una cosa, lui, per una sorta di sfida interiore, doveva capirla, anche se da fuori dava l'impressione di fregarsene completamente; e, in quel preciso momento, il suo cervello si stava sforzando così tanto di capire dove fosse e cosa fosse successo che gli si stavano confondendo le idee.
Punto uno, capire il dove: la prima cosa che notò fu che...era...a cavalcioni su d'una persona con le mani poggiate sul petto scoperto di questa?...e che quella persona somigliasse a Jude in una maniera impressionante ma...da adulto?
Si sforzò poi, invano, di non dare retta al suo tatto e quindi di non guardare il busto su cui poggiava le mani. Dopo neanche mezzo secondo posò lo sguardo su di esso e sgranò gli occhi, sentendosi subito dopo le guance andare a fuoco: gli addominali e i muscoli di quel petto erano ben definiti ma proporzionati, né troppo e né troppo poco. Spostò lo sguardo sul viso di Jude adulto: lo stava guardando con un'espressione a dir poco confusa, mentre i suoi occhi sanguignei lo squadravano, cercando di comprendere se quel ragazzino crestuto fosse veramente Caleb o no; il suo respiro era accelerato e aveva le gote arrossate. Questi fattori, più il fatto del petto scoperto, fecero intuire al castano che forse forse aveva interrotto qualcosa che molto probabilmente stava andando oltre al semplice bacio.
Aprì la bocca, per parlare, ma non fece in tempo a dire niente che il rasta si spostò brutalmente all'indietro, facendo cadere Caleb sul pavimento, mentre con una mano si portava una parte della camicia sbottonata a protezione del petto fin troppo in vista.

"Caleb?..." chiese, con qualche secondo di esitazione. L'altro trattenne il respiro, annuendo lentamente in seguito.

"Tu...sei...Jude?" domandò il castano, ottenendo dal rasta un segno, seppur accennato, di conferma. Dopo qualche altro secondo, il punk esternó i pensieri, attraverso la parola, sia suoi sia di quelli del ragazzo che stava poco distante da lui.

"Cosa è successo?" chiese, non ottenendo, però, nessuna risposta.

 

Presente

~🕔

"Quindi...deve esserci stata una strana anomalia spazio-temporale per la quale ci saremmo scambiati di posto io e il Caleb del presente...è questo quello che dici tu, no?"

Il Caleb adulto e il Jude giovane, dopo quei leciti minuti di confusione totale, si erano entrambi ripresi ed avevano incominciato a chiedersi cosa fosse effettivamente successo. Alla fine di quella discussione, che era durata sui dieci minuti, erano risultati tutti e due d'accordo sul fatto che quella dello scambio fosse l'ipotesi più plausibile, anche se non riuscivano, ovviamente, a dare una spiegazione al perché fosse successo ciò.
Adesso Caleb era seduto per terra, appoggiato con la schiena al muro, e Jude gli era affianco, anche lui seduto, ed entrambi, dopo che il rasta aveva annuito alla sua domanda, erano rimasti in silenzio per un po', riflettendo da soli sulla situazione -il regista- o osservando l'altro -il castano- senza neanche nasconderlo più di tanto: gli occhi rossi, sprovvisti degli occhialini, non erano cambiati per niente ed erano bellissimi come sempre; i rasta erano legati in una coda alta, in un'abitudine che il Jude del futuro non faceva più spesso, a causa anche di Caleb che, giusto per stuzzicarlo, di tanto in tanto gli rubava l'elastico dei capelli, finendo sempre per lottare con il suo ragazzo per la possessione dell'oggetto, riuscendo a farsi perdonare in seguito grazie a...vari metodi; lo sguardo, riflessivo e concentrato, gli riusciva a dare un'immagine di una persona con i piedi per terra e la testa pure.
Jude, d'altro canto, si era accorto del fatto che l'altro lo stava fissando da ormai quelli che erano cinque minuti abbondanti e, a causa di questo, non poté fare a meno di voltare lo sguardo dall'altra parte, arrossendo leggermente, mentre le dita delle mani, nascoste dentro le gambe incrociate, si torturavano a vicenda lentamente.
Dopotutto, pensò il giovane rasta, Stonewall era pur sempre Stonewall, ragazzino o adulto che fosse; inoltre non potè fare a meno di constatare che, purtroppo per lui, era bello, probabilmente di più del Caleb del presente -senza togliere nulla a quest'ultimo, per carità-, ma si vedeva che era quella bellezza maturata negli anni la quale, a Jude, piaceva fin troppo: i capelli, leggermente più scuri rispetto al normale, erano molto più lunghi e folti ed arrivavano fin sotto le spalle circa, dando al Caleb del futuro un aspetto spavaldo, a causa anche del leggero disordine nel quale erano posti, che però non stava male nel complesso; gli occhi scrutatori, di quel verde intenso tendente al grigio, non accennavano minimamente a spostarsi dalla figura del giovane rasta; e ciò lo imbarazzava parecchio, anche perché, senza i suoi occhialini, che probabilmente erano finiti nel futuro insieme al punk giovane, non riusciva a nascondere le sue emozioni come avrebbe voluto.
Una cotta era comunque una cotta, e non avrebbe potuto cambiarla in nessun modo.
Sfortunatamente Caleb si accorse di questo suo imbarazzo e per questo ghignò divertito: perché non approfittare della situazione? Jude, in fondo, era pur sempre Jude, ed, inoltre, quella anomalia l'aveva interrotto in un momento privato, non poteva non rimediare in qualche modo.
Non ci sarebbe andato pesante, era comunque un ragazzino -con tutte le probabilità ancora puro- e non lo voleva di certo sconvolgere, ma semplicemente stuzzicare.

Solo un pochino ghignò divertito, entrando, in seguito, in azione.

"Senti..." iniziò lui, avvicinandosi un poco al giovane rasta, catturando così la sua attenzione, "ma io ti piaccio?" chiese, con tono fintamente dubbioso, mentre sapeva già benissimo la risposta e l'unico suo obbiettivo era di vedere la reazione del Jude giovane.
Il regista, che non si aspettava di certo una domanda del genere a bruciapelo, arrossì vistosamente, puntando poi lo sguardo fisso in avanti, coprendosi il volto con il braccio, in modo tale da bloccare la visuale al Caleb adulto.

"Io..." riuscì a dire, a disagio "...ecco... probabilmente..." continuò lui, abbassando il braccio e voltando lo sguardo verso il castano, ma le parole gli morirono in gola quando si ritrovò il viso dell'altro a pochissimi centimetri di distanza: sgranò leggermente gli occhi, paralizzato, mentre percepiva chiaramente che la sua temperatura corporea stava salendo come non mai. Caleb sorrise, malizioso, per poi, dopo essersi avvicinato ancora un pochino, giusto quel tanto che bastava per far sfiorare leggermente le loro labbra, soffiò sopra a quelle del rasta, facendolo arrossire ancora di più e, preso alla sprovvista, balzò indietro, allontanandosi di circa un metro dal castano. Caleb lo osservò ghignando: già il modo in cui aveva reagito alla domanda lo aveva fatto divertire e, perché no, intenerire da una parte; la sua reazione al leggero soffio sulle labbra però, fu qualcosa di impagabile: Jude era rossissimo in volto, mentre con una mano si copriva la bocca e l'altra era appoggiata a terra, per sorreggerlo; lo sguardo non osava alzarsi da terra e sembrava non avere ancora realizzato cosa era appena successo.

Farlo imbarazzare non è mai stato così facile pensò il castano.

E, mio caro regista, siamo solo all'inizio.

 

Autrice's space:

 
Altro capitoletto :3

Sentitevi liberi di segnalarmi errori di battitura o grammatica, le critiche costruttive sono sempre utili XD

Spero vi sia piaciuto, per quelli che hanno letto, e nulla, al prossimo capitolo! >//w//<
 
 
 

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Capitolo 4
*** ⏳Time's switch ***


 


Futuro

~🕟

Dopo qualche attimo di smarrimento da parte di ambe due le persone presenti nella sala, sia Caleb -quattordicenne- sia Jude -ventiquattrenne- si ripresero e cercarono di dare alla situazione una spiegazione quantomeno plausibile.
Alla fine furono entrambi d'accordo sul fatto che si fosse, nell'ipotesi più attendibile, trattato di un'anomalia, la quale, a quanto pare, aveva scambiato i due Caleb.
Ora il rasta era intento, dopo essersi alzato da terra, a sistemarsi i capelli -per quel che poteva- e soprattutto a richiudere i bottoni della camicia, i quali erano rimasti aperti fino a qualche attimo precedente.
Il giovane punk, seduto a terra con le gambe incrociate, lo osservava intanto attento e curioso e, anche se l'altro gli rivolgeva la schiena, lui riuscì comunque a capire le varie azioni che il Jude adulto stava compiendo e, soprattutto, il come le stesse facendo: le mani che erano state intente ad allacciare i bottoni della camicia -e che ora la stavano lisciando dalle pieghe- compivano gesti meccanici, come fossero abituate a situazioni del genere; i capelli, cosa incredibile, riuscivano ad avere un loro ordine nel disordine nel quale erano posti; la camicia, inoltre, grazie al tipo di tessuto, lasciava intravedere la schiena del rasta e la sua muscolatura. Si intravedevano anche strani segni, simili a graffi.
Caleb si chiese il perché, in quella stanza, la temperatura fosse all'improvviso aumentata.

"Hai finito di fissarmi?" domandò Jude, con un tono tra lo spazientito e il divertito, che risultò strano da sentire. Fatto sta che però riuscì a risvegliare il ragazzino dal suo stato di "trance".

"Eh?" fu la confusa risposta del crestuto, troppo concentrato ad esaminare il rasta per capire cosa quello gli avesse chiesto.

"Mi stavi fissando la schiena."

"Si, e quindi?"

Jude si voltò, osservando il ghigno che si era formato sul volto del ragazzo: non era cambiato da quello che il suo Caleb era solito mostrare, tuttavia, non fece nascere il sorrisetto che gli sarebbe venuto spontaneo fare, ed acquisì un tono di voce più duro, più severo, come quello di un fratello maggiore intento a rimproverare il fratellino per una cavolata dannosa.

"Sei un pervertito. Ed un maniaco, levati quel ghigno dalla faccia." gli disse, secco e conciso.

"Uhm-hm." rispose l'altro, mentre il suo sorriso angelico si espandeva sulla sua faccia.

"Senti," ripartì quindi il ragazzino alla carica, incurante dell'ammonizione dell'ex regista "ma perché hai quei segni sulla schiena?"

Il rasta, in risposta a quella domanda, era sul punto di domandare di che segni il castano stesse parlando; poi capì, ed un sorrisetto misto ad un lievissimo rossore si fecero spazio sul suo viso, illuminando un poco le iridi rosse rubino del proprietario. Con tutta la calma del mondo, il Jude adulto si andò a sedere sul divano, incrociando le gambe e spostando lo sguardo in giro per la stanza, in cerca dei suoi occhiali verdi. Il castano intuì i suoi pensieri ed, alzandosi, fece per porgerglieli -li aveva presi lui prima, mentre il rasta si stava sistemando- quando, prima che la mano dell'altro potesse raggiungerli, ritrasse il braccio, sorridendo sghembo.

"Prima la risposta alla mia domanda, poi gli occhiali."

"Ti sembra il caso di ricattarmi?" chiese il diretto interessato, non troppo sorpreso dall'atteggiamento del Caleb giovane: si era aspettato una cosa del genere, conoscendolo.

"Tutto è lecito per il proprio scopo." insistette il ragazzino, con la sua solita faccia tosta.
Dopo un sospiro di rassegnazione, Jude decise di rispondergli in modo particolare.

"Perché ti interessano?"

Il ragazzino alzò un sopracciglio, indispettito. Gli venne in mente di come, negli spogliatoi, quando aveva scoperto il regista da solo, quest'ultimo gli avesse risposto in modo identico a come gli aveva risposto il suo io futuro: una domanda per una domanda. Certo che, pensò lui, certi vizi non cambiavano proprio, andando anche, in seguito, a posare lo sguardo sugli occhiali che teneva in mano: all'altro era rimasta pure la fissa degli occhi coperti.

"Perché voglio saperlo." rispose il punk, portando le mani sui fianchi, come volesse assumere una posizione più autoritaria.L'ex regista alzò un sopracciglio,squadrandolo: aveva l'atteggiamento di un adolescente ribelle, pensò lui, esattamente quello che il Caleb giovane era in quel momento.
L'adulto della situazione incrociò le braccia sul petto.

"Non ti dovrebbe interessare saperlo." replicò, non distogliendo lo sguardo da quello dell'altro, con un tono che non ammetteva repliche. Purtroppo per lui però, le repliche non tardarono ad arrivare, seppur quel suo comportamento avesse intimidito il crestuto, e non di poco; quest'ultimo, però, non lo diede comunque a vedere, poiché voleva mostrarsi grande: voleva far vedere che poteva benissimo gestire qualsiasi argomento e situazione, volendolo dimostrare, in quel momento, più a se stesso che all'ex regista, sia per soddisfazione personale sia perché voleva calmarsi. Calmarsi per chissà cosa poi, per semplicemente un'incarnazione vivente della sua futura cotta che lo stava facendo letteralmente impazzire. Impazzire perché quegli occhi rosso sangue non accennavano minimamente a spostarsi dai suoi verdi-grigiastri, perché quella dannata camicia era troppo trasparente e perché aveva fin troppa voglia di affondare una mano nei rasta misti ai capelli sciolti dell'altro; perché voleva di nuovo -strano a dirsi- provare la sensazione delle sue mani sul suo petto; semplicemente perché era Jude e quando si parlava di lui, che fosse un ragazzino o un adulto, non poteva che lasciarsi trasportare da quella marea di emozioni che facevano fare le capriole al suo stomaco.
Nonostante queste mille considerazione passarono nella mente del punk in due secondi come dei velociraptor, egli mantenne sempre una certa compostezza, mascherando il suo disagio con qualche colpo di finta tosse per riattirare l'attenzione del rasta su di lui -e per calmare le farfalle nella sua pancia-, giocherellando poi con gli occhiali verdi e sventolandoglieli davanti al naso. Schivò il braccio dell'ex regista che tentò di riprenderseli.

"O me lo dici, o non rivedrai mai più questi." disse, ghignando.

"E va bene... cocciuto come sempre vedo." rispose oramai sconfitto Jude.

"Si vede che è un mio talento naturale." si pavoneggiò il castano, facendo roteare gli occhi all'altro.

"Me li sono procurati..." incominciò quello, lasciando un po' di suspence, ridacchiando in seguito per l'espressione di curiosità del ragazzino in piedi di fronte a lui che, in fondo, trovava davvero tenero, come un cucciolo da proteggere, perché si sentiva in dovere di farlo; anche se il Caleb giovane non l'avrebbe mai ammesso, Jude sapeva benissimo il perché del suo comportamento: aveva bisogno di affetto, di attenzioni e di coccole, e mascherava questo suo bisogno attraverso il sarcasmo ed altri comportamenti per sentirsi più a suo agio con se stesso.
Decisamente da proteggere.
Ed anche coccolare, perché no.

"... grazie al mio gatto."

"Non hai un gatto."

"Come fai a dirlo?"

"Avrebbe già miagolato da un pezzo, dato che sono uno sconosciuto che è piombato in casa all'improvviso."

"Non sei estraneo, ti avrebbe riconosciuto."

Caleb fece due più due ed il rasta si morse la lingua: si era tradito, ma, in ogni caso, il castano l'avrebbe scoperto pure in seguito che lui e il Caleb adulto convivevano ed erano effettivamente una coppia.
Iniziando a fare anche tre più tre, il punk capì un po' di cose, lasciando che una maschera di stupore ed imbarazzo prendesse il sopravvento sulla sua faccia.

"A-aspetta...ma...quindi..." incominciò, rosso in viso.
Jude annuì, cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.

"Esattamente. Complimenti Watson." riuscì a dire senza risatine.

"Quei graffi...non è stato il gatto... è stato il mio io del futuro." disse l'altro, nell'imbarazzo più totale.

"E non ha provocato solo quelli." rispose prontamente l'ex regista, sorridendo divertito.

"Cosa..."

"Forse è meglio che non te lo spieghi nei dettagli, ma quella volta è stata solo una delle tante." il suo sorriso divenne pian piano più malizioso e Caleb constatò che, visto sul volto di Jude, quel ghigno lo rendesse, in qualche modo, più interessante e intrigante.
Imbambolato nel mezzo della sala, il castano non sapeva cosa dire; si riprese qualche istante dopo, dandosi mentalmente dello stupido e scuotendo la testa, sotto lo sguardo divertito del rasta.

"Be'...me le potresti anche dire...le cose che fate." disse, più spavaldo e sicuro di sé.
L'altro, a quell'affermazione, si lasciò scappare un sorrisetto ironico.

"Non le vuoi sapere." rispose, scrollando leggermente le spalle, quasi fosse fiero di quello che stava dicendo.

"E perché mai? Credi che non sappia a cosa vado incontro?" replicò il più giovane, avvicinandosi un po' di più al divano compiendo qualche passo in avanti, precisamente verso colui che stava seduto sopra ad esso.
Jude decise di cogliere quella occasione al volo, ma prima, da bravo intellettuale qual'era, pensò alle varie azioni da compiere se il ragazzino avesse reagito o risposto in un determinato modo. Il suo obbiettivo era semplicemente uno: imbarazzarlo.
Un po' perché vedere Caleb così imbarazzato era troppo tenero da guardare, secondo perché... perché sì.

"Se mettessi in pratica quello che io e Caleb facciamo con te..." disse, sporgendosi verso il punk "non resisteresti neanche cinque secondi." gli riferì, ad un soffio dalle labbra.

"E poi," continuò quello, approfittando del momento di smarrimento dell'altro "c'è troppa differenza di età." concluse, senza però allontanarsi dalla sua posizione ma anzi, avvicinandosi di più.
Il Caleb giovane fece solo in tempo a capire l'ultima frase -ma non a realizzarla- che sentì due labbra morbide contro le sue.

~🕔



 

Autrice's space:

:D

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Capitolo 5
*** Switch of Time ⏳ ***


 
 

 

 

Presente

~🕠

 

Jude non aveva la minima idea di come fosse finito in quella situazione. Il Caleb adulto era disteso a mo' di sardina sul povero ex-regista e lo stava abbracciando con una stretta d'acciaio, cosicché il più piccolo non riuscisse a liberarsi ed in più, qualche volta, il ventiquattrenne prendeva a strofinare la sua guancia contro quella dell'altro, come fosse un gatto capriccioso in cerca di coccole.
Inutile dire che il rasta era più rosso di un peperone, anche se, rispetto a quando gli aveva soffiato sulle labbra, il rossore sulle gote era leggermente diminuito.

Leggermente.

D'altro canto il moro non aveva nessuna intenzione di staccarsi, volendo assolutamente continuare a percepire il calore e l'odore della versione giovanile del suo attuale compagno -che chissà quest'ultimo adesso, nel futuro, cosa stava facendo-.

"Uhm," cercò di iniziare il discorso il regista, sforzandosi di rimanere lucido e razionale, pur sapendo che, probabilmente, avrebbe fallito miseramente, beccandosi di conseguenza le risate di scherno del più grande "potresti toglierti? Mi stai soffocando." riuscì a dire senza balbettare. In risposta il chiamato in causa, giusto per fargli un dispetto, ghignò senza vergogna e strinse ancora di più la presa sul corpo del ragazzino, nascondendo divertito il viso nell'incavo del suo collo.

"Caleb!" si sentì rimproverare il punk. Percepì, in seguito, che un braccio del rasta era riuscito a sfuggire alla sua stretta d'acciaio.

"Embè? Non ti va bene se ti abbraccio?" lo sbeffeggiò lui, ghignando ancora di più, mentre andava a tastare, senza ovviamente esagerare, la base del collo di Jude con la bocca, delicatamente.
Subito dopo sentì che qualcosa l'avevo preso per i capelli e che ora lo stava trascinando all'indietro, facendogli reclinare la testa, cosicché perdette il contatto con la pelle del collo dell'altro. La mano del rasta era proprio quella che lo teneva, saldamente, lontano dal suo viso, facendo sì che il più piccolo ebbe un attimo di respiro.
Jude sospirò, esasperato ed imbarazzato.

"Non cambi mai, eri e sei impossibile." gli disse, con tono seccato, anche se il rossore delle sue guance tradiva quelle parole.

"Immagino sia una delle mie molteplici qualità." riuscì a dire Caleb, al che ricevette un'ulteriore tirata di capelli ad opera del rasta, facendogli così reclinare tanto il collo che ora guardava il soffitto. Velocemente il ragazzino, mantenendo sempre la presa, alzò un braccio di Caleb che gli bloccava il passaggio e, grazie alla posizione sfavorevole dell'altro, riuscì tranquillamente a spostarlo con l'altra mano e rotolare di lato, scampando così al pericolo di un nuovo possibile abbraccio mortale. Lasciò la presa sui capelli dell'adulto e si alzò in piedi, togliendosi la polvere dai vestiti, cercando di contenere e non far trapelare le emozioni che gli scombussolavano l'animo in quel momento.

Con gli occhialini  pensò lui  sarebbe tutto molto più semplice.


Intanto che questi pensieri gli riempivano la testa, sentì uno sbuffo provenire dall'unica persona presente, oltre a lui, in quel corridoio. Si girò, con un'espressione seccata, e si stupì un pochino nel vedere il ragazzo più grande imbronciato, seduto a gambe incrociate sul pavimento, che lo scrutava con un misto di divertimento e quasi tenerezza.
Jude alzò un sopracciglio, come a voler chiedere per quale motivo lo stesse fissando così. La risposta, per sua sfortuna-fortuna, non tardò ad a arrivare.

"Hai dei bei lineamenti," sputò fuori il moro, sorridendo serafico "i miei complimenti." disse infine, ghignando, se possibile, ancora di più. L'effetto che queste parole ebbero sul ragazzino fu esattamente quello che il punk aveva pensato: l'altro distolse lo sguardo, imbarazzato, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, per calmarsi. Dopodiché li riaprì, per incrociare le iridi verdi-grigiastre dell'adulto.

"Smettila." disse, con quello che sembrava più un ordine che un'ammonizione o una minaccia.

"E perché mai? È divertente." rispose il ragazzo ancora seduto per terra, portando i gomiti sulle ginocchia e i palmi delle mani a sorreggere il volto. In questa posizione, pensò Jude, sembrava un gattino, e, anche se avrebbe tanto voluto, riuscì a trattenere un sorriso, scuotendo la testa, ricordando a se stesso il motivo per cui lo aveva rimproverato.

"Perché è fastidioso e mi irrita." riuscì a dire, con tono severo, tanto che Caleb sgranò leggermente gli occhi a quella che, per lui, sembrava a tutti gli effetti una presa di posizione nei suoi confronti. Il ragazzino, pensò il punk, non aveva intenzione di cedere. Bene, si ritrovò a pensare, poiché non voleva cedere nemmeno lui e non si tirava mai indietro di fronte ad una sfida.
Forse il giovane rasta lo aveva provocato apposta.
O forse -probabilmente- era solo il suo cervello malato che aveva formulato questa ipotesi. Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì la voce del più piccolo parlargli.

"Cambiando discorso," iniziò lui "sai che ore sono?" chiese.
Caleb si ritrovò, a quella richiesta, impreparato: non era lui, infatti, quello che girava sempre con un orologio svizzero legato al polso.

"Non ne ho idea," rispose quindi, schiettamente "devi tornare a casa?" chiese, intuendo che, con tutta probabilità, fosse ormai già calato il sole. Jude annuì, esprimendo a parola le intuizioni del moro, a cui era arrivato anche lui.

"Sicuramente si è già fatto buio, considerando che oggi ho finito tardi gli allenamenti." spiegò lui.
Il più grande sorrise sinceramente, contento di come il ragazzino, nonostante tutto, riuscisse ancora ad usare la testa. Si alzò dal pavimento, si tolse la polvere dai vestiti e propose, allora, a Jude di tornare assieme a casa, perché per uno giovane della sua età era pericoloso andare in giro da solo a quest'ora.

Non ci credo che l'abbia detto  pensò il regista, capendo chiaramente, anche dal ghigno provocatorio che si era lasciato sfuggire l'adulto, che quest'ultimo aveva preso la situazione come una vera e propria sfida psicologica.
Cosa gli passasse per la testa, al più grande, Jude non era sicuro di volerlo sapere.
Passato qualche secondo, il quattordicene si sentì d'improvviso senza energie: la stanchezza della lunga giornata si fece sentire proprio in quel momento ed il ragazzino si incamminò verso l'uscita dell'edificio per tornare il più presto possibile a casa, improvvisamente stanco ed assonnato e con zero voglia di ricominciare una discussione col ventiquattrenne. Quest'ultimo, stupito dall'atteggiamento dello Sharp, nonostante stette immobile per un attimo, spaesato, lo affiancò subito dopo, camminando assieme a lui, mettendogli un braccio intorno al collo. Dato che non ottenne resistenza o dissenso dal rasta, Stonewall si chiese cosa prendesse al più piccolo tutto d'un tratto, per lasciar correre quel contatto fisico così facilmente.

"Ohi." iniziò lui.

Il ragazzino sospirò, non sapendo se lasciar notare la sua spossatezza o meno al più grande.

"Che cosa vuoi adesso? Ah, e leva quel braccio dalle mie spalle." disse, senza mezzi termini, optando per nascondere le sue emozioni e la sua stanchezza ancora per un po'.

Oh, ecco. Adesso ti riconosco di più,  pensò il moro, compiaciuto  ma, caro il mio Jude, non mi inganni. So che c'è qualcosa che non va.

Il punk, alle parole dell'altro, obbedì e sciolse il semi-abbraccio, mettendosi ambedue le mani nelle tasche dei pantaloni.
I due non se ne accorsero, ma avevano percorso tutto il corridoio della struttura e adesso stavano uscendo dal portone principale: fuori era già notte e varie stelle e la costellazione dell'orsa maggiore decoravano il cielo oramai scuro; una luna piena e molto radiosa, infine, illuminava con la sua luce bianca e lattea quella notte blu e nera.

"Che cos'hai?" chiese Caleb al regista, rispondendo alla sua domanda con un'altra domanda.
Jude si fermò e lo guardò con un'espressione interrogativa sul volto. O, almeno, era quello che voleva dare a vedere.

"Che cosa intendi dire?" domandò infatti, iniziando a percorrere il cammino verso casa. Il più grande lo seguì, intenzionato a non lasciarlo solo.

"Sai benissimo a cosa mi riferisco." disse soltanto. Jude si morse l'interno della guancia.

"Non ho niente, davvero." si ostinò a ripetere, svoltando l'angolo di una via.

"Lo sai che non devi nasconderti con me, ti conosco troppo bene." replicò l'altro, come fosse la cosa più normale del mondo. Il rasta avrebbe voluto rispondergli che no, non era vero, non lo conosceva, ma si dovette ricredere subito poiché, facendo i suoi ragionamenti e seguendo la logica, se il punk si era permesso di comportarsi così con lui fino a quel momento voleva dire che il Caleb adulto aveva un legame speciale con il Jude del futuro che, probabilmente, andava ben oltre la semplice amicizia. Era anche vero, però, che non voleva mostrarsi debole o stanco, poiché troppo orgoglioso e severo con se stesso per darlo a vedere sia a sè sia agli altri. D'altronde, sin da piccolo gli era stato insegnato che mostrare le proprie debolezze ed emozioni al nemico era una mossa fatale, che ti segnava per una sicura futura sconfitta. Ma il più giovane non vedeva affatto una minaccia nel Caleb più grande; allora si disse di lasciar perdere le sue paranoie inutili e decise, per una volta, di lasciarsi andare e soprattutto di sfogarsi con la persona che gli camminava affianco, poiché, dopotutto, era anche lui un essere umano. Sospirò, prendendo un respiro profondo.

"Sono stanco, ecco tutto." gli disse, fermandosi e guardando la porta davanti a lui -erano arrivati a casa sua-.
Caleb stette in silenzio, incitandolo così, implicitamente, a continuare. Il regista accettò tacitamente quella richiesta e riprese il suo discorso.

"A dir la verità sono molto stanco. Stanco e confuso, e non voglio darlo a vedere." concluse, con lo sguardo basso; strinse i pugni e guardò il moro-castano dritto negli occhi.

"Non voglio farmi vedere debole da te." soffiò infine, quasi in un sussurro. Dalle sue iridi rubinee si capiva che stava dicendo la verità. Il ventiquattrenne sgranò gli occhi, colpito da quell'affermazione. Sentì il cuore accellerargli un poco, il viso e il petto farsi più caldi. Senza se né ma, quindi, il più grande decise di seguire l'istinto e, una volta avvicinatosi al rasta, senza dire niente si inginocchiò e lo abbracciò stretto, cercando di trasmettergli tutto l'affetto e la comprensione che provava per lui in quel momento. Jude, sorpreso, ricambiò l'abbraccio sinceramente e fu lì che tutte le sue emozioni più profonde, tutte le sensazioni che aveva tenuto dentro per troppo tempo vennero fuori: emozioni che risalivano ai tempi di quando ancora lavorava con Dark, ai tempi della Royal Academy; di quando si erano allenati per il Football Frontier; di tutte quelle volte in cui non si era mostrato se stesso e si era imposto di mostrarsi freddo e distaccato; addirittura gli vennero in mente quei pochi e sbiaditi ricordi che conservava dei suoi veri genitori. Gli occhi gli si fecero lucidi e strinse di più la presa sul corpo di Caleb, come a volergli dire di restare, di non lasciarlo. L'altro, in risposta, lo abbracciò più stretto e gli disse queste parole: "Tu non sei affatto debole, sei forte, ricordatelo. Mostrare le proprie emozioni non è simbolo di vigliaccheria o chissà che cosa, ma è semplicemente un promemoria che ci ricorda la nostra umanità." si staccò da Jude, mantenendo la presa sulle sue spalle, guardandolo negli occhi: il ragazzino sembrava molto preso dalle sue parole e mise le sue mani su quelle del castano, il quale proseguì il discorso.

"Sai Jude, il percorso di un uomo è difficile e pieno di ostacoli. Ma io voglio che tu sappia questa cosa: è difficile fermare un uomo quando inizia a camminare e tu, mio futuro compagno, hai appena iniziato a correre."

~🕕



 

Autrice's space:

Scusate il ritardo, riesco a non aggiornare anche quando ho i capitoli già pronti-

Aiuto-

( da notare, comunque, come nella frase finale di Caleb il primo periodo sia stato gentilmente preso da un concorrente di Masterchef, Samuele :D)

 
 
 

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Capitolo 6
*** ⌛Time's switch ***


 
 

 

 

Futuro

~🕡
 

Caleb si ritrasse indietro, scioccato, portandosi la mano a coprire la bocca e sentendo chiaramente la sua temperatura corporea alzarsi. Volse la schiena all'altro e non osò, seppur girato di schiena, alzare gli occhi da terra, trovando, improvvisamente,  molto interessanti i suoi piedi rispetto alla faccia di colui che aveva osato compiere un gesto tanto avventato. Dopo quelli che furono i secondi più imbarazzanti della sua vita, il giovane punk si riscosse, scuotendo la testa, senza però togliere la mano dalla bocca, ancora troppo scosso per l'esperienza appena vissuta. Scosse, per la seconda volta, la testa, portando questa volta ambe due le mani sui fianchi, sbuffando sonoramente, cercando in qualche modo di trovare il suo equilibrio interiore o un qualsiasi cosa che riuscisse a fermare il battito fin troppo accelerato del suo cuore. Stava dando ancora la schiena al ventiquattrenne, quando, senza preavviso, una risata gli echeggiò nelle orecchie; e non una risata flebile, constatò il moro, ma una risata vera e propria, rumorosa e fastidiosamente piacevole alle sue orecchie. Il ragazzino  voltò il capo, giusto per capire un attimo quello che stava succedendo -come se fosse riuscito a capire quello che era successo poco prima- ma lo spettacolo che gli si parò davanti era a dir poco incredibile: Jude, il grande coach della nuova Royal, era piegato in due sul divano a ridere di gusto -oltre al fatto che era riuscito a riprendersi gli occhiali ed ora stavano appoggiati sul comodino lì vicino-. Il motivo, intuì Caleb, doveva essere il suo palese imbarazzo al bacio -e qui le orecchie del quattordicenne avamparono, di nuovo- che l'affascinante rasta gli aveva dato qualche minuto fa. Rosso come un peperone, il moro distolse lo sguardo e incrociò le braccia al petto, piegando le labbra in modo da formare un broncio.

"Non è divertente." bofonchiò, sedendosi sul pavimento, non osando voltarsi nella direzione dell'adulto. Il punk era così intento a rimuginare e a insultare sottovoce l'ex-regista che non si accorse del silenzio improvvisamente calato nella dimora, né si accorse della presenza che, a passi lenti e studiati, si stava avvicinando sempre di più a lui, il quale, sorprendentemente, stava riuscendo a calmare il suo battito cardiaco; e ci sarebbe anche riuscito, se solo Jude non lo avesse abbracciato da dietro stile piovra, andando a circondargli tutto il petto, intrappolando le sue braccia tra le proprie. La differenza di stazza, dopotutto, era piuttosto evidente. Non che lo Sharp di quel tempo fosse un energumeno, fosse ben chiaro, ma sicuramente era molto più alto del suo se stesso di quattordici anni e la lunghezza delle braccia era tale che il ragazzo poteva tranquillamente "inglobare" l'altro ragazzino. Cosa che, per l'appunto, non aveva esitato a fare; e se Caleb per un momento era riuscito a riacquistare il controllo delle sue facoltà mentali, be', con l'abbraccio a sorpresa del più grande era completamente andato in error 404. Arrossì vistosamente per l'ennesima volta in quella giornata, non sapendo cosa avesse fatto nella sua vita di così grave da essersi meritato una punizione, seppur non così spiacevole, del genere, e strinse i denti, cercando di non rendere fin troppo evidente il suo imbarazzo. Il più piccolo si sentiva così fragile, in quel momento, che se gli avessero preannunciato di come gli eventi si sarebbero svolti, avrebbe sputato in faccia ai suoi interlocutori. Purtroppo per lui, quella situazione era così assurda e così reale allo stesso tempo che non poteva non sentirsi impotente. Si rattristò un poco a questi pensieri e subito si  arrabbiò con se stesso, rimproverandosi per quanto stupido e patetico fosse a lasciarsi andare in quel modo. Succube delle sue emozioni? Giammai.

Stupido, stupido Caleb pensò il castano, è solo uno stupido abbraccio. Ora riprenditi e fai vedere a 'sto qui di che pasta sei fatto.

"Sei rigidissimo. A che cosa stai pensando?"

Il quattordicene sussultò. Non si aspettava di sentire la voce del rasta così vicino al suo orecchio. Fin troppo vicino; era stato immerso nel suo flusso di pensieri talmente tanto che non si era reso conto di come l'ex-regista lo avesse stretto di più a sé e di come avesse appoggiato il viso sulla sua spalla. Gli sembrò solo in quel momento, infatti, di percepire le labbra dell'altro sulla sua pelle. Per questa sua mancanza, il punk si rimproverò mentalmente per la millesima volta: se quello Sharp voleva giocare al gatto e al topo, poteva stare certo che non sarebbe caduto nella sua trappola.

"Non sto pensando a niente e, anche se lo stessi facendo, non sono affari tuoi." sputò fuori acido il ragazzino, con un tono talmente tagliente che il ventiquattrenne si stupì di quanta cattiveria il più giovane avesse inserito in quella frase.

"E lasciami andare! Mi stai stritolando, sei insopportabile!" proseguì quello, iniziando, per quel poco che riusciva, a dimenarsi, per cercare di liberarsi dalla stretta del più grande. Quest'ultimo, d'altrocanto, era esterefatto: non si sarebbe mai aspettato un atteggiamento così meschino da parte dell'altro, anche se, a mente fredda, avrebbe dovuto. Caleb era sempre Caleb, e certi atteggiamenti stronzi non cambiavano mai. In secondo luogo, inoltre, all'ex-regista non era sembrato che al castano stessero dispiacendo le sue attenzioni ma, a detta delle sue parole, a quanto pare sì; e non solo, lo stavano pure irritando. Quelle parole, decisamente, avevano ferito il rasta; e anche se quest'ultimo era consapevole del fatto che non erano vere, che erano solo uno scudo con il quale il punk si stava proteggendo -da cosa poi, dalla persona che lo amava?- perché non voleva mostrarsi fragile, il maggiore non poté fare a meno di sentirsi umiliato. Questi decise dunque di assecondare le richieste dell'altro e, senza troppe cerimonie, sciolse l'abbraccio, per poi alzarsi in piedi. Stonewall, con lo sguardo rivolto sul pavimento, non si era mosso dal suo posto, esattamente come aveva previsto lo Sharp: Caleb si stava chiudendo a riccio, come era solito fare quando non riusciva a gestire una situazione; e nonostante tutto il bene che gli voleva, l'adulto non poteva lasciar passare l'offesa arrecatagli dall'altro così facilmente. Aveva pur sempre un orgoglio e un amor proprio, e per quanto potesse suonare poco maturo, Jude non si sarebbe abbassato al livello del ragazzino: se era l'indifferenza che voleva, bene, l'indifferenza avrebbe avuto. Certe cose, d'altronde, o si imparavano da soli o non si imparavano affatto; e l'ex-regista non avrebbe assecondato un bambino capriccioso che non riusciva a gestirsi da sé, non avrebbe fatto la mamma della situazione, anche perché era convinto che il quattordicene, da lì a poco, si sarebbe pentito delle sue parole. Ma il rasta voleva fargli imparare a sue spese la lezione, così si allontanò da lui di qualche passo.

"Bene allora. Se vuoi che me ne vada, me ne andrò," disse, con tono così severo e distaccato che Caleb sussultò, puntando lo sguardo su quello del ragazzo, freddo come il ghiaccio "ma sappi che finché questa situazione non si sarà risolta, in quanto sei a casa mia rispetterai le mie regole. E, se non lo farai, puoi benissimo andartene."
Al castano salì un groppo in gola. Non era così che voleva andassero le cose, ma non poté dire mezza parola che Jude riprese a parlare.

"Innanzitutto ora vai a farti una doccia, dato che sei sudato e sporco. Se devi cenare, troverai il cibo sul tavolo della cucina. I vestiti te li lascio in bagno, ma vedi di non fare guai. Se provi a cercarmi per chiedermi qualsiasi altra cosa oltre a quelle che ti ho appena detto, non ti risponderò e ti ignorerò, esattamente come hai chiesto; e se non hai intenzione di seguire i miei ordini," si interruppe un attimo, indicando con il braccio l'uscita della casa "quella è la porta. Buonanotte Stonewall." concluse il rasta, per poi dargli le spalle e incamminarsi su per le scale, senza voltarsi indietro.
Impietrito da quel discorso, al punk venne da piangere. Si mise le mani nei capelli, si chinò verso il basso e, neanche cercando più di trattenersi, si insultò mentalmente così tanto che una lacrima non poté non sfuggire al suo controllo.

Perché è andata così? pensò il moro, io non volevo, non volevo che se ne andasse. Maledizione a me e al mio carattere di merda, maledizione a me e alla mia cocciutaggine. Maledizione...

Il quattordicene aveva visto l'apatia negli occhi rubino del più grande. Quegli occhi così belli, che amava così tanto, erano diventati in pochissimi secondi un muro insormontabile, completamente privo di calore. Il ragazzino si maledisse ancora una volta, ma poi pensò che era inutile piangere sul latte versato, così si alzò, si asciugò gli occhi lucidi, e si guardò intorno in cerca del bagno. Nell'ispezionare la sala, però, notò gli occhiali verdi di Jude ancora appoggiati sul comodino e vide, sul pavimento, vicino al punto in cui era iniziato tutto, gli occhialini del suo Jude, del suo compagno di squadra quattordicenne. Mosso dall'istinto, prese quegli occhialini e li mise di fianco a quelli del maggiore, con delicatezza. In seguito, con una stanchezza e una tristezza immensa addosso, si avviò in direzione della doccia.

~🕖

 


 

Autrice's space

Come si fa ad aggiornare in ritardo anche con i capitoli già scritti?

Davvero, a volte mi stupisco di me

E non in meglio

Scusate :D

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Capitolo 7
*** Switch of Time ⌛ ***


 

 

Presente

~🕢

"Però, niente male come casetta. Un po' diversa da come me la ricordavo, ma carina."

A quelle parole il regista scosse la testa, lasciando che sul suo viso nascesse un sorrisetto. I due, dopo il discorso del più grande al più piccolo e lo sfogo di quest'ultimo, erano entrati in casa del quattordicene, dal momento che fuori era diventato buio pesto e il freddo aveva iniziato a farsi sentire. Jude prima di entrare si era tolto le scarpe, imitato dal maggiore, e in seguito si era anche slegato il mantello, avendolo poi appoggiato sull'appendiabiti lì vicino.

"Diversa da come te la ricordavi dici? La casa del mio futuro io è più accogliente?" chiese all'altro il ragazzino, con velato tono ironico. Caleb in risposta ghignò e, posizionate le mani sopra i fianchi e spostato leggermente il bacino, si guardò in giro una seconda volta, quasi fosse stato un critico d'interni intento a scrivere una recensione sul luogo che stava visitando.

"Hm si, non è male," disse, con tono saccente "ma la casa del Jude del futuro è molto più bella." concluse, sorridendo sornione al rasta. Questi alzò un sopracciglio e, divertito, prese lui parola.

"Oh, me ne compiaccio. E cosa ci sarebbe di così interessante nella casa del Jude futuro?" domandò, sospettando che la risposta del punk sarebbe stata molto più stupida di quanto in realtà il ventiquattrenne volesse fargli credere. L'altro sbuffò divertito e, poggiandosi una mano sul petto, voltò lo sguardo nella direzione del più piccolo, assumendo un'espressione maliziosa.

"Ovviamente ci sono io." esordì lui, facendo l'occhiolino al regista e ghignando. Il ragazzino in seguito a quelle azioni arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo e scuotendo la testa, imbarazzato ma allo stesso tempo divertito; la sua supposizione, alla fine, si era rivelata esatta: l'adulto stava scherzando, senza che avesse nulla di serio da dirgli -non che la cosa gli fosse dispiaciuta più di tanto in realtà-. Ottenuta la reazione desiderata, Caleb si concesse il lusso di spaparanzarsi sul divano, producendo un lungo e sonoro sospiro; al che, senza esitazioni, il rasta posò gli occhi rubino su di lui, improvvisamente circondati da un'aura severa.

"Stonewall. Alzati subito da quel divano," gli ordinò, quasi minaccioso "immediatamente." concluse lui la sentenza, non distogliendo mai il suo sguardo da quello dell'accusato. Il moro sgranò gli occhi, impressionato sia da quell'inaspettato rimprovero sia dalla risolutezza con il quale il quattordicene glielo stava riferendo. Senza interrompere il contatto visivo, dunque, sorrise un poco, divertito.

"E perchè mai dovrei farlo? Questo divano è così comodo..." gli rispose, reclinando il collo verso destra e strusciando un poco la guancia contro un cuscino lì presente, ad occhi chiusi. Il ragazzino, a quella scena, lo guardò accigliato.

Manca solo che si metta a fare le fusa pensò il Jude del presente non gli verrà un torcicollo così? si chiese, notando come il collo dell'adulto, rispetto al busto e al resto del corpo, fosse piegato in modo fin troppo esagerato -almeno secondo lo Sharp- di lato.

"Dovresti perchè sei sporco, sudato, e non voglio che contamini i miei arredi," ribattè il più piccolo, stizzito "e stai dritto, per favore. Se continui così ti spaccherai il collo." aggiunse, incamminandosi verso il bagno con l'intento di farsi una doccia. L'altro aprì gli occhi e lasciò che un sorrisetto malizioso spuntasse sulle sue labbra.

"Aw che carino, ti preoccupi per me" disse teatralmente, portandosi entrambe le mani al petto, sbattendo le ciglia, "e va bene signor Sharp, mi alzo. Riesci ad essere scassapalle anche da giovane, dannazione." si arrese il ventiquattrene, alzandosi dal comodo giaciglio e stiracchiandosi, portando in alto le braccia e inarcando la schiena, trattenendo un poco il fiato per poi rilasciarlo tutto in una volta. Con la coda nell'occhio notò come il ragazzino lo stesse guardando e, con nonchalance, finito di stiracchiarsi rimase in quella posizione, ossia con le braccia alzate e piegate verso la schiena, giusto per il gusto di stuzzicare il rasta.

"Ti piace quello che vedi? Mi duole informarti che è un po' tardi per il servizio fotografico." lo provocò il maggiore, ghignando. L'altro arrossì, colto in flagrante, e, distolto lo sguardo, entrò definitivamente in bagno, non proferendo parola, troppo imbarazzato a causa della figuraccia appena fatta.

Dannazione pensò Jude devo controllarmi di più, altrimenti finirò per impazzire

Il più grande a quella scena rise, raggiungendo subito il ragazzino all'interno del bagno, e, nel mentre del percorso, non si risparmiò di esprimere i suoi pensieri ad alta voce.

"Ahhh Judino aspettami vengo con te!" gridò quello, con tono di voce fin troppo alto e assurdamente melenfluo, cosa che non aiutò il ragazzino, il quale, già imbarazzato di suo, divenne rosso fino alle orecchie.

"Non ci provare!" esclamò l'altro, chiudendo subito la porta; peccato però che il moro fosse riuscito ad intercettarla col piede e così, senza troppi indugi, la spalancò, sorridendo serafico.

"Jude-chan, sei proprio cattivo, per bloccare la porta mi sono fatto male al piede" disse lui, mettendo su un broncio piuttosto infantile,"per sdebitarti faremo la doccia insieme." concluse allora.

"Esci immediatamente razza di depravato!" urlò il ragazzino, al massimo dell'imbarazzo, tanto che iniziò a lanciare addosso al più grande le ciabatte che aveva lasciato il giorno prima nel bagno; e, senza neanche farlo apposta, una di queste riuscì a colpire perfettamente un occhio, aperto, dell'adulto.

"Ahi-!, porcatroia Jude che male-!"

"Ti sta bene e ora esci!" gli urlò contro il regista un'ultima volta, e Caleb a quel punto era talmente impreparato ad un altro assalto del quattordicene che, senza pensarci due volte, dolorante uscì dal bagno, così che Jude riuscì a sbattere la porta con forza e chiuderla a chiave.

"Cazzo che male..." piagnucolò il punk, massaggiandosi l'occhio colpito con il palmo della mano "...certo che si vede proprio che è Jude, ha un tale carattere..." riflettè ad alta voce, ghignando, pentendosene subito dopo a causa del dolore all'occhio. Il moro si guardò intorno e, individuata la cucina, si diresse verso essa, con l'intento di prendere del ghiaccio al fine di alleviare sia il male che il gonfiore. Caleb era in procinto di aprire il frezeer quando gli passò per la testa che forse si stava atteggiando in modo fin troppo drammatico; in fondo, si disse, nella sua vita aveva ricevuto botte molto più gravi di quella, senza mai essersi lamentato troppo per il dolore o simili. Ragionando poi su una possibile vendetta nei confronti del rasta, giunse alla conclusione che non doveva essere lui a curarsi, ma sarebbe dovuto essere il Jude del presente a pentirsi dell'accaduto e a offrirsi di curarlo. Sorrise, diabolico, e si alzò, andando a sdraiarsi sul divano e incrociando le braccia dietro alla testa. Quando sentì lo scroscio dell'acqua provenire dal bagno, egli intuì che il quattordicenne avesse iniziato la doccia.

Dovrei farmela anch'io pensò lui ma non credo che questo Jude abbia dei vestiti della mia taglia. Pazienza, userò gli stessi che ho addosso.

Dopo questi pensieri chiuse gli occhi, nel tentativo di rilassarsi e anche meditare sull'intera faccenda. Seppur infatti si stesse comportando come suo solito, Caleb era fin troppo nervoso: quanto sarebbe durata quella situazione? Sarebbero riusciti a trovare un modo per tornare alla normalità? Come stava il suo Jude e come si stava comportando con il Caleb più giovane? A questi dubbi, a cui purtroppo non aveva risposta, sospirò pesantemente, assalito dalla preoccupazione e dall'ansia: la possibilità di non poter più tornare a casa sua, nella sua epoca, gli faceva contorcere lo stomaco. Cercò di sistemarsi meglio sul divano e di darsi una calmata, in quanto, si disse, la situazione non sarebbe cambiata se si fosse agitato; e in più non poteva dimostrarsi di certo fragile in presenza del rasta più giovane, in quel momento era lui l'adulto e non poteva assolutamente permettersi di farsi vedere debole. Il moro era talmente immerso nei suoi pensieri che non udì nè il getto dell'acqua fermarsi, nè la porta del bagno aprirsi. Il regista, in accapatoio, esitò un momento, prese un bel respiro profondo e si avviò in direzione del ventiquattrenne.

"Ti avevo già detto che non puoi stare sul divano," disse lui, facendo sobbalzare, letteralmente, l'adulto che era lì sdraiato "e poi sei troppo silenzioso. A cosa stai pensando?" gli chiese, severo ma preoccupato. L'adulto si mise a sedere, colto sul fatto, sorpreso di come non si fosse minimamente accorto della presenza dell'altro; nonostante ciò, però, il punk non aveva alcuna intenzione di far pesare le sue preoccupazioni anche sul ragazzino, quindi ghignò e fece finta di nulla.

"Dannazione Jude, mi hai fatto prendere un infarto! E no, non sto pensando a nulla di particolare e sì, sono sul divano. Problemi?" rispose, strafottente. Il rasta, per nulla impressionato, assottigliò gli occhi, fissandoli in quelli dell'altro. Dopo qualche secondo, il quattordicene fece qualche passo in direzione della sua camera.

"Hm. Come vuoi," ribattè "se vuoi fare la doccia ora puoi. Devi sapere che purtroppo però non ho vestiti della tua taglia." gli fece notare, un po' dispiaciuto.

"Non ti preoccupare Jude-chan, me la caverò, dopotutto sono pur sempre uno Stonewall." gli rispose l'altro, indicandosi fiero.

"Smettila di chiamarmi Jude-chan, è terribile."

"Mai."

"Ma perchè sei così fissato?"

"Perchè non esserlo?"

Dopo quella risposta da parte del moro Jude sospirò, arrendendosi alla cocciutaggine dell'altro e riprendendo il suo cammino verso la camera.

"Io vado a letto, sono stanco. Se vuoi mangiare in cucina dovrebbe esserci ancora qualche avanzo," gli disse il rasta, sulla soglia della sua stanza "se hai bisogno di qualcosa..."

"Che dolce che sei ma non ti preoccupare Judino, so badare a me stesso." gli rispose il più grande dal divano, facendogli l'occhiolino. Il regista scosse la testa e, sorridendo, entrò nella sua camera, chiudendo la porta. Caleb allora si alzò e si diresse in bagno, con l'intento di lavarsi, mentre alla sfacciataggine si sostituirono i pensieri di poco prima.
 

Caleb aveva finito da poco di lavarsi e rimettersi i vestiti. Si legò i capelli ancora bagnati in uno chignon, in modo che si asciugassero di notte, e si diresse a passo spedito nella camera del suo, ormai, ragazzino preferito. Senza neanche bussare aprì la porta ed osservò la scena: Jude era sul letto, con i capelli ancora legati, che stava dormendo. A quella visione Caleb sorrise e, attento a non far rumore, in punta di piedi si avvicinò all'altro per poi, una volta affianco al letto, abbassarsi fino a far incontrare le sue labbra con la tempia del più piccolo, sussurando un "buonanotte Jude". Il moro si incamminò verso l'uscita quando sentì le lenzuola venire spostate e il quattordicenne chiamare il suo nome. Si voltò e vide che il ragazzino a cui aveva appena dato il bacio della buonanotte si era messo a sedere, avendo appoggiato la schiena alla spalliera.

"Non ti ho chiesto dell'occhio, come va?" gli chiese, stroppicciandosi i suoi. Caleb fu sorpreso: con tutti i pensieri che aveva avuto si era completamente dimenticato delle condizioni del suo bulbo oculare.

"Ah, l'occhio...non ti preoccupare, sta bene. Piuttosto dormi, sei stanco morto." gli rispose, con una dolcezza che il rasta, nel punk, non aveva mai avuto occasione di vedere, se non in rarissime e quasi inesistenti volte.

"Volevo chiederti una cosa e...dormi sul divano?" ribattè il quattordicene, un poco assonnato. Il moro colse l'occasione al volo e, senza ritegno, ghignò.

"Se vuoi che venga nel tuo letto non devi far altro che chiedere Judino." lo provocò, facendo arrossire -lievemente- ma anche sorridere il più piccolo.

"Idiota. Ti avrei mandato comunque sul divano; e guarda che sono serio." A quelle parole il maggiore si sedette ai piedi del letto, guardando il Jude più giovane negli occhi.

"Dimmi." gli disse. L'altro esitò un poco a formulare la domanda e poi procedette.

"Secondo te...quanto durerà questa situazione? Stavi pensando a questo prima, non è vero?" domandò, diretto. Caleb sgranò gli occhi, scoperto, e, prima che potesse aprir bocca, il rasta lo bloccò.

"In questa faccenda ci sono dentro quanto te, quindi non dovresti farti alcun problema a dirmi ciò che pensi, non sono più un bambino. Non devi tenerti tutto dentro, l'hai detto tu stesso, non ricordi? Far vedere le proprie emozioni non significa essere deboli...ma umani." concluse lui, senza troppe pause. Al punk scappò un sorrisetto e, passatosi una mano sul volto, proferì parola.

"Mannaggia a te Jude...anche a quattordici anni mi dai del filo da torcere," disse l'adulto, quasi sussurando "perchè devi essere sempre così dannatamente intelligente?" domandò il punk, incastrando i suoi occhi con quelli del più giovane. L'altro non rispose, limitandosi a sorridere, segno che attendeva che fosse Caleb a parlare.

"La verità..." iniziò il ventiquattrenne, dopo aver inspirato a fondo, "...è che ho paura. Paura di non riuscire più a tornare nella mia epoca, paura di non poter più rivedere e parlare con il mio Jude, abbracciarlo, toccarlo, cazzo, pure insultarlo!" fece una pausa, sospirando. Il regista, colpito, stette in silenzio, ansioso di sapere cosa altro aveva da dire il moro.

"Il fatto è," riprese l'adulto "che vorrei trovare una soluzione a tutto questo, ma ci penso e più mi sembra così fottutamente illogico che non mi sembra reale. Poi ti guardo e penso cazzo, è fin troppo reale." concluse lui, distogliendo lo sguardo. Tutti i suoi muri erano stati abbassati e, in quel momento, seppur gli stesse costando fatica mostrarsi così turbato all'altro, era grato che ci fosse Jude, perchè piccolo o grande che fosse sempre di lui si trattava, lì presente ad ascoltarlo. Passò qualche instante di silenzio, poi il rasta gli rispose.

"Non devi per forza fare tutto da solo e subito," disse "e sicuramente adesso non è il momento più adatto per struggersi. Pensiamoci domani, con calma, a mente lucida. Il Jude del futuro farebbe lo stesso, non credi?" gli domandò retorico, sorridendo. A Caleb sfuggì un sorriso divertito e alzò lo sguardo fino ad incrociare quello del compagno.

"Un adulto che si fa tranquillizare da un ragazzino non è molto dignitoso," rispose, e sospirò "ma immagino tu abbia -per l'ennesima volta- ragione. Pensarci adesso è inutile." concluse e, alzatosi, fece qualche passo verso la sala.

"Be', sarà meglio che vada, dobbiamo dormire tutti e due. Buonanotte Jude-chan." esordì, sorridendo sornione in direzione del più piccolo, il quale scosse la testa. Il moro stava per uscire definitivamente dalla stanza quando Jude lo richiamò ancora una volta; allora l'adulto si voltò verso di lui e aspettò che parlasse.

"Se vuoi, ecco..." iniziò il regista, impacciato "puoi dormire qui." propose, facendo alzare un sopracciglio al maggiore, che lo guardò interrogativo.

"Si insomma," riprese quello, un po' imbarazzato "basta che stai dalla tua parte del letto e va bene." concluse, evitando di incrociare i suoi occhi con quelli grigio-verdi del moro. A quest'ultimo scappò uno sbuffo divertito.

"Va bene che sono stronzo, ma non voglio approffitarne. Tu-"

"Ti ho detto che va bene" lo interruppe il più piccolo, questa volta arrossendo "il letto è abbastanza grande per tutti e due..." concluse, sdraiandosi e coprendosi con le lenzuola. Caleb sorrise e, divertito, si avviò verso il letto.

"Se proprio insisti..." disse, ghignando e infilandosi sotto le coperte, distando dall'altro solo di pochi centimetri. In seguito si sistemò più comodo e gli diede la schiena; il quattordicene fece lo stesso.

"Buonanotte Jude."

"Buonanotte Caleb."

~🕗

 

 

Autrice's space:

Su Wattpad è uscito un nuovo capitolo :D

Sono tentata di metterli tutti subito così vado a pari passo-

Spero vi sia piaciuto comunque u//w//u
 
 
 

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Capitolo 8
*** ⏳ Time's Switch ***


 
 
 
 
 

 

 

Futuro

~🕣

Dopo la discussione che il Caleb giovane aveva avuto con il Jude più grande, il più piccolo era andato a farsi una doccia e, nonostante in quella giornata non avesse mangiato molto, egli non sentiva per nulla i morsi della fame che era solito provare quando, dopo una giornata di allenamenti, tornava a casa sfiancato. Il litigio avvenuto poco prima gli aveva serrato le pareti dello stomaco e il ragazzino sentiva che se avesse provato anche solo a masticare qualcosa, l'avrebbe rigurgitato pochi minuti dopo; e se, cocciuto com'era, Stonewall volesse tentare di non capire il motivo di quel suo malessere, in cuor suo si era già dato una risposta, e doveva porvi rimedio velocemente, in qualche modo. In fondo il crestuto odiava essere in debito con qualcuno, lo faceva sentire in una sorta di trappola, dato che quel qualcuno avrebbe sempre avuto una carta con cui potergli mettere le spalle al muro; e questo pensiero lo trovava profondamente fastidioso. Finito di vestirsi allora iniziò a rimuginare su tutto quello che era successo e prese a camminare avanti e indietro per il salotto in modo circolare, inquieto: se da una parte voleva andare a scusarsi con l'adulto per essersi comportato in modo stronzo, dall'altra il suo orgoglio gli diceva di non fare cretinate e di fregarsene. Fermatosi dal suo girovagare, Caleb cercò di analizzare le varie possibilità, ma più ci ragionava e più finiva solo con l'innervosirsi, forse a causa della stanchezza o dei sensi di colpa. Il ragazzino sperò vivamente che fosse la prima opzione, seppur, ormai, si disse che non aveva più senso autogiustificarsi.

"...fanculo." borbottò da solo a denti stretti, prima di andare a cercare la camera del Jude più grande. Dopo pochi minuti riuscì a trovarla e, in piedi davanti alla porta, il castano prese un profondo respiro.

Andiamo Caleb, adesso o mai più. Tanto la tua dignità è già andata a farsi fottere, non fare l'idiota e apri questa maledetta porta! pensò tra sè e sè, accorgendosi solo in quel momento di come fosse agitato. Il motivo preciso per il suo stato d'animo, in realtà, non riusciva bene a spiegarselo: forse era colpa della freddezza con la quale il rasta gli aveva parlato poco fa, oppure per il fatto che, da arrabbiato, Sharp risultasse ancora più autoritario di quanto non lo fosse normalmente; e da adulto, pensò il punk, la situazione non migliorava, in quanto l'altro sembrava acquisire un'aura decisamente minacciosa se lo si prendeva dal verso sbagliato, cosa nella quale Caleb era clamorosamente riuscito standoci assieme per pochi minuti. Buttando fuori velocemente il fiato, il più giovane aprì la porta, senza neanche bussare, ed osservò la situazione al suo interno: il ventiquattrenne era sdraiato sul suo letto mentre leggeva, aveva i capelli agghindati allo stesso modo di prima e il più giovane non lo aveva visto minimamente spostarsi quando aveva oltrepassato il tanto temuto varco, nè tantomeno riuscì a intravedere alcun movimento dei suoi occhi, fermamente impegnati a leggere il libro che sorreggeva con ambe due le mani. Irritato dal fatto che lo stesse palesemente ignorando, Caleb fu tentato di andarsene, ma fu fermato dal suo buon senso che gli suggerì di non farlo e di risolvere prima la faccenda.

Via il dente via il dolore, pensò, e iniziò dunque a parlare.

"Hey uhm," incominciò il crestuto, nel mentre che cercava le parole giuste "senti, so che stai leggendo e tutto, ma volevo dirti una cosa..." disse, portandosi una mano dietro alla testa, imbarazzato. Perchè al'improvviso si sentiva così a disagio? Il punk aspettò una qualsiasi reazione da parte del più grande, ma quando lo vide girare pagina iniziò seriamente a spazientirsi, stringendo i pugni. Se c'era una cosa che Caleb non sopportava, quella era di essere ignorato.

Calmati, ci perde lui, non tu. Se tu sei venuto a scusarti e a lui non gliene frega un cazzo poco male, ma tu avrai un peso in meno. Calmo...

Il ragazzino prese un profondo respiro, portandosi i palmi delle mani congiunti al mento e, tentando di reprimere il suo istinto omicida verso il rasta, continuò il suo discorso, cercando anche, nel frattempo, di ignorare la totale indifferenza dell'adulto nei suoi confronti e il suono delle pagine che continuavano ad essere girate -non avrebbe mai pensato che, un giorno, sarebbe riuscito ad odiare il rumore della carta-.

"Senti, sarò chiaro e veloce, volevo... ugh... volevo sc-, dannazione, scusarmi!, ecco, per come mi sono comportato prima." proclamò, completamente a disagio. Al sentire la parola "scusa" Jude alzò gli occhi dal suo libro andandoli ad incrociare con quelli del più piccolo e, senza chiuderlo, poggiò il fascicolo sulle gambe, posandoci sopra le mani unite, segno che stesse aspettando che l'altro continuasse. Caleb deglutì, in soggezione: lo sguardo del rasta era talmente indifferente ma allo stesso tempo così autoritario che il castano si chiese per quanti minuti sarebbe riuscito a sostenerlo; ma lui era uno Stonewall e, come tale, non poteva permettersi di farsi umiliare ancora di più dall'adulto di quanto non avesse già fatto, no di certo. Al massimo si sarebbe aperto una via di fuga correndo al piano di sotto, quello era plausibile, seppur restasse sempre come piano b.

"Mi sono comportato da, uhm... stronzo, non lo nego, e, ecco... mi dispiace, sì, non... non intendevo comportarmi in... in quel modo..." concluse lui, sbuffando e portandosi per una seconda volta una mano dietro alla testa, mentre i suoi occhi andarono a scivolare sul pavimento in legno. Vide però con la coda nell'occhio Jude alzare un sopracciglio, scettico, e proferire parola.

"Quindi?" chiese lui, volendo continuare a sentire le scuse da parte del più piccolo; era innegabile quanto, sotto la sua faccia assolutamente indifferente, il rasta si stesse divertendo. Il crestuto spalancò gli occhi, preso alla sprovvista, e la rabbia iniziò a circolargli per tutto il corpo.

"Come quindi?! Non hai sentito il mio discorso di prima??" sbottò lui, allargando un poco le gambe e piegandosi leggermente in avanti, come se il suo corpo stesse accusando il più grande.

"Certo che ti ho sentito, ma pretendo un po' di più per come mi hai trattato. Basterà che mi dirai ancora una volta scusa, e allora sarai perdonato." disse l'ex regista, resistendo alla tentazione di ghignare e imponendosi un tono di voce serio. Il ventiquattrenne vide il più giovane aprire la bocca per controribattere, richiuderla, assottigliare gli occhi e guardare dall'altra parte, indignato. In seguito lo vide raddrizzare la schiena ed incrociare le braccia al petto, e Jude dovette mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere a quella scena: vedere Caleb frustrato era troppo esilerante.

"Non te lo dirò una seconda volta, per cui accontentati!" sputò lui velenoso, guardandolo sempre negli occhi seppur la sua faccia fosse di profilo. Sharp non si scompose e come segno di sfida incrociò anche lui le braccia al petto, senza interrompere il contatto visivo.

"In questo caso allora puoi anche andartene, non voglio avere un maleducato in casa. Scegli tu, o la strada o la scusa." ribattè, più autoritario di quello che in realtà si sentiva in quel momento, e si gustò con divertimento il volto del quattordicenne quando esso fu contratto in una smorfia, seguita da uno spostamento della sua testa crestuta dalla parte opposta e accompagnato da un sonoro "tks".

"E possibilmente la gradirei mentre mi guardi negli occhi, grazie." lo provocò, sornione, questa volta permettendosi di ghignare un poco. Caleb a quella frase arrossì di vergogna e, incatenate le sue iridi con quelle dell'altro, passarono vari secondi prima che il più piccolo riuscisse a formulare quella magica quanto irritante parola -almeno per quel che pensava il quattordicenne-

"Sc...ugh, scu...scusa." gli disse infine, e vide Jude annuire soddisfatto e sorridere, andando a rilassare la schiena sul capostipite del letto.

"Visto? Non era così difficile." gli disse, provocatorio, andando a riprendere il suo libro e ritornando a leggerlo.

"Fottiti, sei un bastardo approfittatore! La tua versione adulta è ancora più infida di quella che conosco io!" gli urlò dietro il ragazzino, puntandogli il dito contro, rosso in volto di un mix di rabbia, vergogna e imbarazzo. Sharp allora decise di ignorare i suoi insulti e di focalizzarsi sul rossore delle sue guance, giungendo a constatare come, quando arrossiva, Caleb, adulto o piccolo che fosse, risultasse sempre carino.

"Smettila di dire baggianate e vieni qui: non vorrai mica dormire sul divano." gli rispose, chiudendo il libro e poggiandolo sul comodino affianco al letto. A quelle parole Caleb corrugò la fronte e, se possibile, si indispettì ancora di più, a causa dell'imbarazzo precedentemente provato. Il quattordicenne mise allora le mani sui fianchi e gli scoccò un'occhiataccia, seguita dalla sua risposta.

"E anche se fosse? Che problema ci sarebbe?" domandò, stizzito.

"La tua schiena ne risentirebbe e non voglio avere sulla coscienza la tua spina dorsale rotta. Forza, muoviti e vieni." gli disse, con tono più addolcito rispetto a quello che aveva usato prima. In risposta Caleb gli fece la linguaccia e subito dopo gli diede la schiena, sia perchè era ancora arrabbiato per l'umiliazione di prima, sia perchè l'idea di essere nello stesso letto dell'altro gli faceva ribollire il sangue alle guance, e il castano non voleva mostrarsi ancora più imbarazzato di quanto già non fosse. Egli sentì il rasta sospirare e il letto cigolare e così, di riflesso, si voltò, preoccupato che il maggiore avrebbe potuto colpirlo alle spalle.

"Non ti faccio nulla, tranquillo; ma per favore, vieni a letto che è tardi. Solo perchè sei più piccolo non vuol dire che devi essere più scomodo." gli disse, e il ragazzino notò come l'adulto si fosse semplicemente seduto sul bordo del letto. Caleb riflettè su quella proposta e alla fine, mentalmente, si disse che avrebbe accettatto più che volentieri, sia perchè la stanchezza si stava iniziando a far sentire e sia perchè, ora che lo guardava meglio, il letto era matrimoniale: non ci sarebbero stati molti problemi di spazio, se si fosse sdraiato accanto a lui.

"Va bene, va bene," sbuffò infine, iniziando ad avviarsi verso il comodo giaciglio "ma non lo faccio perchè me lo stai dicendo tu." sottolineò, puntandogli il dito contro. Dopotutto, si disse, aveva ancora un briciolo di dignità da mantenere. Il rasta sorrise divertito e rispose con un lieve: "come vuoi", per poi andare a stendersi meglio sul letto, posizionando una mano dietro alla testa e l'altra sullo stomaco, chiudendo le palpebre; e Caleb non potè fare a meno di notare come il rasta fosse bello anche con gli occhi chiusi. 

"Allora?" lo incitò l'adulto, aprendo le palpebre e tornando a guardarlo. Il punk sbuffò sonoramente e si sdraiò sul letto con un tonfo.

"Eccomi, eccomi... Kami, quanto sei apprensivo." gli disse, incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi. Jude sorrise e non perse tempo a rispondergli.

"Me lo dice spesso anche il Caleb adulto...ma io mi preoccupo solo per la tua -e sua- salute. Qualcuno dovrà pur farlo, no?"

Caleb spalancò gli occhi, incredulo, e girò la testa in direzione dell'altro.

"Porco pinguino Jude, ho fatto letteralmente due metri! E stiamo parlando della camera da letto! E poi cosa sei, mia madre?!"

L'accusato sbattè le palpebre un paio di volte, come se stesse metabolizzando le parole riferitegli dallo Stonewall più giovane, cercando di capire cosa avesse detto di male, e si girò su un fianco, così da poterlo osservare meglio.

"Guarda che ogni ambiente è pericoloso, anche una camera da letto. E se inciampassi in un comodino? Cadendo male potresti romperti qualcosa e-"

"Oh Kami Sharp, ti prego! Finiscila di dire assurdità!" lo interruppe il più giovane, coprendosi il viso con le mani e andando, successivamente, a guardarlo negli occhi, per poi continuare il discorso.

"Sono grato che tu ti preoccupi per me, e in una situazione normale ti sfotterei, ma la cosa è talmente ridicola che non ci riesco neanche!" sbottò lui, esasperato ma, in fondo, contento di tanta premura sincera da parte dell'adulto. Questi stette in silenzio per qualche secondo e poi, lentamente, riprese parola.

"Situazione normale dici?" gli chiese, con tono più dolce e comprensivo. Caleb a quelle parole si rattristò un poco ma non lo fece vedere, mascherandolo con una smorfia.

"Non possiamo certo dire che questa sia una situazione normale. Insomma, guarda con chi sto parlando..." e qui si mise a sedere "...con un Jude di dieci anni più grande di quello che sono abituato a vedere." concluse, quasi sussurando, portandosi le ginocchia al petto. Il ventiquattrenne si mise seduto a sua volta e, avvicinatoglisi un poco, proseguì il discorso.

"Hai paura?" gli chiese, senza giri di parole, ma non in modo rude. Caleb si strofinò un poco le gambe con le mani, guardando un punto indefinito davanti a sè, e, preso un profondo respiro, si disse che non aveva senso mentire con lui, non più ormai, quindi si espose e lasciò che i suoi veri sentimenti si mostrassero.

"Sincero? Onestamente ho un sacco paura. Io," si bloccò un attimo, e Jude gli poggiò una mano sulla spalla, dolcemente "...io ho paura di non riuscire più a tornare. Se rimanessi bloccato qui, non ho idea di cosa farei, non voglio neanche pensarci," e si voltò a guardare quegli occhi cremisi che gli piacevano tanto "certo, avrei te, ma... io non appartengo a questa linea temporale." concluse, con un'espressione che fece stringere al più grande il cuore. D'istinto quest'ultimo lo abbracciò e, carezzandogli un poco la schiena, percepì come il più piccolo si stesse aggrappando profondamente a quel contatto, ricambiandolo e stringendo il corpo dell'adulto a sua volta.

"Non possiamo farci niente," gli disse, piano "almeno non ora, possiamo solo aspettare. Ragioniamoci domani, a mente lucida," e qui si staccò dall'abbraccio -senza tuttavia togliere le mani dalle sue spalle- "sappi che voglio risolvere questo mistero tanto quanto te; ma non qui, non adesso, perchè non avrebbe senso, siamo stanchi tutti e due."

Il più grande lasciò allora la presa e si sdraiò su un fianco, imitato dal più giovane, che non rispose alle sue parole e, vinto dalla stanchezza, semplicemente chiuse gli occhi, addormentandosi quasi subito e cullato dalle carezze del Jude più grande sulla sua guancia.

"Dormi Caleb...te lo meriti." sussurrò l'ex regista, andando a posare un casto bacio sulla fronte del ragazzino per poi, presolo per mano, addormentarsi con lui.

~🕘




 

Autrice's space:

Nice, sto recuperando terreno

Ancora uno e potrò fare ritardo come al solito XD

No dai, scherzo

Alla prossimaaaa >W<

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Capitolo 9
*** Switch of Time ⏳ ***


 
 
 
 
 

 


Futuro

~🕤

Quando il Caleb giovane si svegliò, la prima cosa che percepì fu un odore di bruciato. Subito il ragazzino scattò in piedi, allarmato, e si chiese se la casa non stesse andando a fuoco. Si girò verso il letto per avvertire l'adulto, ma di questo non v'era nessuna traccia sul giaciglio; confuso, allora, Stonewall si accinse a seguire l'acre e affumicato profumo fino al piano di sotto, arrivando fino alla cucina. Con un colpo secco spalancò la porta e proferì -urlò- parola.

"Jude c'è qualcosa che sta andando-!... a... fuoco..." le parole gli morirono in gola quando vide il rasta più grande intento a cucinare -torturare- dei pancake, i quali, più che pancake, assomigliavano ad un'immensa frittata bruciata. Il ventiquattrenne si voltò verso di lui e, imbarazzato, si mise una mano dietro la nuca, in un gesto involontario, mentre con l'altra provò a girare il contenuto d'impasto dentro la padella, ottenendo solo il risultato di spezzarlo a metà; l'ex regista si disse, tra sè e sè, che era stata una buona idea indossare i suoi occhiali, altrimenti il più giovane avrebbe visto la vergogna che giaceva, inerme, nei suoi occhi rubino.

"Buongiorno Caleb, uhm," lo salutò, cercando di non far trasparire troppo il suo disagio in quel momento "hai fame?" gli chiese, cordiale, con un sorriso appena accennato. Il crestuto, ancora con il braccio appoggiato allo stipite della porta, non rispose in quanto la sua espressione parlava da sè: completo e assoluto shock, e si mise a fissare il più grande di conseguenza. Quest'ultimo sbuffò, borbottando qualcosa e spegnendo il gas sotto la padella; tanto ormai, si disse, la colazione era più che rovinata.

"Oh. Santi. Kami." disse il quattordicenne, ripresosi -in parte- dallo spavento "ma cosa diamine stai facendo?!" urlò, procedendo a passo di carica in direzione del rasta.

"Volevo solo preparare la colazione..." cercò di giustificarsi l'adulto, imbarazzato "anche se di solito non facc-"

"Ah ta-ta-ta-ta! Zitto! Non. Dire. Una. Parola.  Il modo in cui stavi trattando quel... quell'aborto di cibo, ma comunque sempre cibo, era davvero terribile!" lo interruppe l'altro, togliendogli brutalmente il mestolo dalle mani e guardandolo storto. Jude inizialmente si stupì di quanto serio fosse, ma si ricordò che anche il Caleb adulto faceva sempre così, ogni volta che combinava disastri in cucina; e, puntualmente, il moro gli toglieva di mano qualsiasi cosa avrebbe potuto danneggiare la casa o la sua salute. L'ex regista pensò che sarebbe potuto essere anche un gesto carino da parte del più piccolo comportarsi in quel modo, se solo il ragazzino non fosse stato intento ad urlargli contro.

"...e per diamine, la prossima volta che hai intenzione di avvelenarmi o mandare la casa a fuoco, avvisami prima!" concluse la sua sfuriata il punk, mentre armeggiava con il mestolo per aria, quasi volesse colpirlo -cosa che aveva fatto, effettivamente, due volte-

"E ora, per l'amor di non so chi, stai seduto e non fare casini. Ci penso io adesso, così potrai assaggiare dei veri pancake."

"Ma-"

"Niente! Casini!"

Il rasta, allo sguardo truce dell'altro, non potè che arrendersi, sospirando e sedendosi su una delle sedie del tavolo della cucina, mortificato e imbarazzato, ma, al contempo stesso, lievemente divertito.

~🕙

 

Presente

~🕥

Il regista si svegliò dal suo sonno percependo, nell'aria, un'odore di caffè, farina e, se il suo olfatto non lo ingannava, cioccolato fondente. Il suo stomaco a quei profumi brontolò, con l'intenzione di ricordare al suo padrone che il giorno precedente, causa anomalie temporali, aveva saltato la cena. Jude si mise seduto, stiracchiandosi per bene e, in seguito, si stropicciò gli occhi, per poi alzarsi. Resistette alla tentazione di fiondarsi subito in cucina e passò prima dal bagno; dopodichè, ancora in pigiama, si avviò verso essa e, una volta raggiunta, vide il Caleb adulto intento a fischiettare e cucinare quelli che sembravano degli ottimi pancake.

La giornata sembra iniziare molto bene pensò il ragazzino, sorridendo.

"Buongiorno." esordì il rasta.

"Oh, buongiorno Judino!, dormito bene?" gli rispose il moro, mentre, agilmente, faceva ruotare per aria l'impasto, ormai cotto, della colazione.

"Devo dire meglio del solito. Perlomeno meglio di quanto mi aspettassi." gli rispose, andandosi a sedere, a gambe incrociate, sul cuscino che fungeva da sedia per il tavolino lì presente.

"Più di quanto ti aspettassi?"

"Be', sai, l'anomalia temporale..."

"Oh, giusto, quel piccolo dettaglio..."

Il rasta ridacchiò, facendo ghignare l'adulto che, portando quattro piatti alla volta, dispose la colazione sul tavolino, facendo sbarrare gli occhi al quattordicenne per l'assurda abbondanza di cibo che gli si stava parando davanti agli occhi.

"La colazione è servita!" esclamò molto orgogliosamente il moro, portando le mani sui fianchi. Jude fece per parlare ed aprire la bocca, ma fu interrotto dal maggiore che, non così delicatamente, gli pose un dito sulle labbra, zittendolo.

"Ta-ta-ta, fermo un secondo," gli disse, sghignazzando appena e beccandosi un'occhiata interrogativa e scettica da parte del più piccolo.

"Caleb, io ho fam-"

"Lasciami almeno spiegare questo trionfo! Dopo potrai abbuffarti quanto vuoi." gli disse, euforico, e in quel momento il regista si chiese come fosse possibile che un adulto fosse più infantile di un adolescente; ma non si soffermò troppo a pensarci e decise di accontentare il maggiore, stando in silenzio e attesa. Il ventiquattrenne, allora, si schiarì la voce piuttosto teatralmente ed iniziò a parlare.

"Dunque, la nostra portata principale sono delle gustose crepes cucinate dal sottoscritto, che sono poste al centro, mentre-"

"Aspetta, crepes? Non erano pancake?" chiese Jude, confuso. Il viso di Caleb assunse un'espressione sull'orlo dell'indignazione e, sospirando, posò due dita sulla radice del naso.

"Jude caro, hai idea di quale sia la differenza tra crepes e pancake?" chiese, serio in volto, tanto che il più piccolo iniziò a sentirsi a disagio.

"Ecco..." provò a dire il rasta "sono...uhm...ehm..."

Caleb alzò un sopracciglio, squadrandolo.

"Sono... la stessa cosa-"

"No Jude no!, non sono la stessa cosa!" esclamò Stonewall, interrompendolo "si vede che sei proprio Jude, tale e quale a quello del futuro, sei! Quello, e be', tu, non riuscirebbe a distinguere la differenza tra un sugo al pomodoro e un sugo al ragù!" disse lui. Il regista, incredibilmente sorpreso che Caleb fosse così attaccato alla cucina, non disse nulla per non rischiare di peggiorare la situazione, ma poi, ovviamente, testardo com'era non riuscì a trattenersi, divertito nel vedere la reazione oltremodo esagerata del moro.

"Ma... sono...la stessa cosa-"

"Santi Kami Jude no!"

~🕚

 

Futuro

~🕦

La colazione alla fine era stata salvata dall'intervento del Caleb più giovane che, rimediando al pasticcio causato dell'adulto, aveva cucinato degli ottimi pancake, e i due avevano mangiato tra i grugniti del crestuto e le risatine del rasta.

"Grazie," disse infine quest'ultimo, posando elegantemente la forchetta nel piatto in cui aveva mangiato "ti devo un favore." concluse, sorridendo. In risposta il quattordicenne stortò il viso in una smorfia e grugnì, infilzando con foga il suo ultimo pancake.

"Non ringraziarmi," borbottò il punk "ho salvato la vita ad entrambi. Se fosse stato per te, a quest'ora mi sarei potuto vantare di aver mangiato per la prima volta delle specie di pancake di colore." concluse lui, addentando un pezzo del suo impasto dorato. In risposta l'ex regista scoppiò a ridere, e il più giovane, oltre ad incantarsi al suono della sua risata, fu stupito di quanto composto ed elegante il maggiore risultasse; si chiese se lo facesse apposta o se gli venisse naturale, atteggiarsi in quel modo.

"Be', almeno erano semi pancake, concedimelo." disse l'adulto una volta finito di ridere, sorridendo. Caleb storse la bocca e soffiò fuori un sonoro "tsk", addentando l'ultimo boccone della sua colazione.

"Quelli non erano pancake, erano obbrobi." replicò il minore, finendo di masticare la sua colazione. Jude a quell'affermazione alzò un sopracciglio e ghignò un poco, divertito.

"Non credi suonerebbe un po' razzista dire che fossero degli obbrobi di colore? E mastica prima di parlare, potresti strozzarti." gli disse, sghignazzando e preoccupandosi contemporaneamente. Questa volta fu il turno del quattordicenne a ridere, e seppur avesse trovato fastidioso il suo eccessivo essere pignolo, il ragazzino riuscì a capire perchè il suo io futuro avesse intrapreso una relazione con il rasta: a differenza del Jude più giovane, infatti, quello del futuro sembrava più sciolto e rilassato, in qualche modo. Il suo coetaneo, invece, era ancora troppo politicaly correct per fare battute di quel genere; o forse, si disse Caleb, ne era in grado, solo che era troppo poco in confidenza con lui per potergli mostrare quel lato di sè. A questi pensieri si fece un poco più serio e cupo, tanto che il ventiquattrenne, accorgendosene, si sporse un poco nella sua direzione, aggrottando leggermente la fronte.

"Hey, tutto okay?" gli chiese, premuroso. Il crestuto, a quelle parole, si riscosse dai suoi pensieri e, scuotendo la testa, gli rispose di sì. Finita così la colazione i due iniziarono a sparecchiare e a sistemare il tavolo e la cucina, non mancando l'occasione -soprattutto il Jude adulto- di punzecchiarsi e provocarsi a vicenda.

"Ma ti dico di sì," gli disse l'adulto, intento ad asciugare un piatto "non sono mica l'unico che ti sfotte, sai?" concluse lui, ghignando un poco.

"Ah sì?" domandò di risposta il minore, che aveva insistito nel lavare i piatti "e chi altri è così stupido da farlo?"

"Be'," replicò l'adulto "David, ad esempio."

"Ah, è ancora vivo?"

"Caleb!"

"Oh scusami, credevo che la sua passione da pinguinomane lo avesse portato a congelare nei meandri più oscuri del polo sud."gli  rispose lui, passandogli l'ultimo piatto da asciugare, ghignando senza pudore. Jude prese la stoviglie e roteò gli occhi al cielo, non trattenendosi dal sorridere un poco al sarcasmo del ragazzino; lo trovava divertente, in fondo. Di questo Caleb se ne accorse e, senza aspettare, girò il coltello nella piaga.

"Ah-ah, quindi lo trovi anche tu divertente!"

"Il fatto che io lo trovi divertente non implica che debba essere per forza giusto."

"Uff, su una cosa non sei proprio cambiato... così guastafeste..." lo prese in giro il minore, voltandosi e appoggiandosi al ripiano della cucina, le mani appoggiate su esso. Il rasta sorrise e asciugò l'ultimo piatto, rimettendolo a posto.

"Be', c'è anche Joe che ti sfotte in continuazione."

"Come io sfotto lui immagino, quel cretino," disse il crestuto, sogghignando al pensiero dell'amico "c'è qualcun'altro?" chiese infine, curioso nel saperlo. Il maggiore esitò prima di rispondere facendo così insospettire il più piccolo, il quale però non disse nulla e aspettò che fosse l'altro a parlare.

"Non so se la conosci..." iniziò il ventiquattrenne, prudente "...vorrei evitare di alterare il passato." A queste parole Caleb fece una smorfia, contrariato.

"Tanto ormai sarà già alterato," gli disse "non credere che questo incontro non porterà conseguenze, quattrocchi." concluse, puntandogli il dito contro.

"Proprio per questo non voglio peggiorarlo. Dai, andiamo di là, ho del lavoro da fare." ribattè il più grande, con un tono di voce che non ammetteva repliche. Caleb sbuffò, deluso, e seguì, con le braccia incrociate dietro alla nuca, l'ex regista.

Almeno aveva delle sedie pensò il ragazzino, odio stare per terra

~🕛

 

Presente

~🕧

"Ugh, odio stare per terra!"

Jude roteò gli occhi al cielo, divertito ed esasperato allo stesso tempo: da quando il maggiore aveva concluso di esporre ogni singola portata della colazione, delle quali il regista aveva capito poco o niente, limitandosi a mangiare ed annuire, Stonewall non aveva fatto altro che lamentarsi per la scomodità del cuscino e del pavimento.

"Ti ricordo che siamo in Giappone Caleb," si intromise il ragazzino "solitamente non si usano sedie." Il ragazzo chiamato in causa fece una smorfia, quasi disgustato.

"Si, purtroppo lo so," disse, cambiando posizione per cercare di essere più comodo "ma da dove vengo io le sedie ce le abbiamo." concluse, serio in volto. Il rasta lasciò a mezz'aria le bacchette cinesi che avevano preso i noodles per guardare l'adulto interrogativamente.

"E come mai?"

"Perchè le ho pretese," disse il ventiquattrenne, guardando il pavimento a sè stante e borbottando maledizioni "sono così comode! Potresti anche evolverti un attimo, mai pensato?" chiese, ironicamente. Jude alzò un sopracciglio, confuso se sentirsi preso in giro o divertito. Alla fine optò per la seconda in quanto, dopo qualche minuto ad osservarlo, si accorse come il suo sarcasmo servisse come sfogo per il suo stress e disagio, non come insulto rivolto a lui. Il più piccolo fu preso dalla curiosità e, dopo aver finito la sua zuppa di miso, non resistette dal domandargli una cruciale quanto assillante domanda.

"Senti ma... perchè ti dà così fastidio il pavimento?" 

Caleb a quelle parole si fermò dal lanciare maledizioni contro il pavimento, guardò il minore negli occhi -sprovvisti di occhialini- e dopo qualche secondo sospirò, lasciando intravedere, per un millisecondo, una profonda tristezza. Jude se ne accorse e sbarrò gli occhi, stupito e mortificato. Mentalmente si diede dello stupido imbecille e subito, posando le bacchette nella ciotola, si accinse a scusarsi.

"Caleb io-"

"Oh non fa niente piccolo, nulla di che," disse lui, agitando la mano in aria "è una storia lunga, non vorresti stare qui le ore a sentirla." concluse, ghignando un poco. Il rasta, preoccupato, sospirò, ma non disse nulla; quando Stonewall assumeva quell'atteggiamento, per quel poco che ne sapeva, Jude era consapevole del fatto che quella da raccontare fosse una storia che l'adulto non si sentiva pronto a condividere. O, almeno, non in quel momento. Decise di non insistere oltre e, dopo aver sussurrato un flebile "scusa" e aver visto il ghigno del moro trasformarsi in un sorriso, si alzò per sparecchiare e mettere in ordine la fin troppo abbondante quantità di stoviglie presenti. Caleb si alzò in piedi e si mise al suo fianco per aiutarlo, rubandogli di mano un piatto e guadagnandosi, così, un'occhiataccia dal più piccolo.

"Allora, com'era la colazione?" chiese l'adulto con nonchalance, iniziando a sciacquare il piatto. Il regista espirò sonoramente fuori aria, così da sottolineare il suo disappunto.

"Caleb, non dovresti lavare i piatti, hai già fatto tanto e-"

"Pf, finchè posso stare in tua compagnia non me ne frega niente dei piatti," lo interruppe, facendogli l'occhiolino e sorridendo serafico "e poi voglio aiutarti, mica puoi fare tutto da solo." concluse, fiero. Jude all'ammiccamento arrossì e, dopo aver borbottato un "idiota", si mise a sistemare la cucina assieme all'adulto. I due sistemarono e lavarono tutte le stoviglie in un'atmosfera scherzosa, con principalmente il più grande che faceva battute contro o pro al più piccolo, ottenendo la reazione di o disappunto o imbarazzo dal parte del quattordicenne.

"Guarda che anch'io posso fare battute, lo sai?" gli disse ad un certo punto Sharp, lavando un bicchiere. Il moro scoppiò a ridere, asciugando una forchetta e mettendola al suo posto.

"Nel futuro, forse," gli rispose "ma riesci ad essere sarcastico anche adesso? Non me lo ricordo bene, mi aiuteresti?" lo stuzzicò, ghignando. Il rasta raccolse appieno la provocazione e, dopo averci pensato qualche minuto, sorrise, vittorioso. Caleb, osservandolo, si chiese se dovesse preoccuparsi.

"Lo sai qual è il colmo per un mango?" gli chiese, sorridendo. L'adulto aggrottò le sopracciglia e, esitante, rispose.

"Uhm no?..."

"...mango io."

Caleb sgranò gli occhi; e, dopo qualche secondo, iniziò a ridere per la seconda volta, contagiando anche il più piccolo.

"Oh Kami, questa era davvero pessima!"

"Sei tu che mi hai istigato, ti ricordo." replicò il più giovane, sghignazzando.

"Davvero, i miei complimenti. Era pessima praticamente come quelle di Thunder!" esclamò sovrappensiero l'adulto, ma si morse la lingua quando vide l'espressione interrogativa del più piccolo.

Merda pensò tra sè e sè ho parlato troppo. Si vede che non la conosce ancora

"Uh...Thunder chi?"

"Nulla nulla, fai finta che non abbia detto niente."

"Ma-"

"Tranquillo, è solo una cavolata. Fidati." disse, ghignando. Jude, perplesso, rispose con un semplice "okay", seppur, in realtà, aveva un sacco di domande per l'adulto, poichè si era reso conto di sapere davvero poco sul conto di Caleb. Non sapeva che cibi prediligesse, che cosa facesse nel tempo libero, che cosa gli interessasse e neanche quello che aveva passato, escludendo il periodo con Dark e la Royal Academy. Alla fine il regista non lasciò vedere questo suo turbamento e fu trascinato di peso dal moro in sala, in quanto, a detta sua, voleva sdraiarsi su un vero divano. Una volta arrivati iniziarono a parlare del più e del meno, facendo anche qualche partita a briscola, giusto per passare il tempo, quando il più giovane si scusò perchè doveva andare in bagno.

"Vai vai, adempi ai tuoi bisogni fiseologici, io aspetto qui." lo prese in giro Caleb, ricevendo, come risposta, un sonoro "idiota" da parte del più piccolo. Allora il moro si stiracchiò e si sdraiò meglio sul divano, quando, ad un certo punto, il cellulare del più piccolo suonò. Preso dalla curiosità, e controllando che il rasta fosse ancora in bagno, lo prese e vide chi fosse, aspettandosi di trovare David o qualcuno della squadra; ma era un numero sconosciuto. Caleb si morse lievemente il labbro, indeciso: rispondere o non rispondere? Alla fine scelse la prima opzione in quanto troppo indiscreto di sapere chi fosse. Accettò dunque la chiamata e si portò lo smartphone all'orecchio, trepidante.

"Pronto?"

"Pronto Jude? Sei tu?"

Caleb spalancò gli occhi, impallidendo. Aveva sentito bene o se lo era solo immaginato?

"Pronto Jude, ci sei? Rispondimi, è urgente." disse la voce, con enfasi.

Non ci posso credere... pensò l'adulto, preso totalmente alla sprovvista.

"Ma c'è qualcuno? Rispondete!"

Caleb esitò un momento prima di parlare, indeciso nel sapere se fosse quello reale o no; ma, alla fine, il dubbio si fece troppo grande per non essere schiarito. Prese fiato e...

"Joe?"

~🕐



 

Autrice's space:
 

Sono ufficialmente in pari con i capitoli su Wattpad XD

Nice

Vediamo se ora ho costanza-

Spero comunque che vi stia piacendo uwu
 

 


 

 
 
 

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Capitolo 10
*** ⌛ Time's Switch ***


 
 
 
 

 


Presente

~🕜
 

"Joe?"

"Caleb? Sei tu?"

"Certo che sono io! Piuttosto, come fai ad avere il numero del Jude di questo tempo?"

"Di questo tempo? Frena frena frena amico, di cosa diamine stai parlando?"

Caleb sospirò, il che fece preoccupare un poco l'arancio all'altro capo del telefono.

"Raccontami cosa ti è successo, così dopo posso spiegarti.

Questa volta fu il turno di Joe a sospirare.

"Be', che dire... stavo tornando a casa dal lavoro, in quanto oggi avrei dovuto fare solo mezza giornata, e di punto in bianco mi sono ritrovato sul campo della vecchia Royal Academy, in porta, con uno spara-palloni che andava a manetta. Per fortuna ero in tuta, altrimenti avrei potuto dire addio allo smoking." spiegò l'amico, accentuando l'ironia sull'ultima frase. Caleb a ciò rise di gusto, e si disse che non si era sbagliato: il Joe con cui stava parlando proveniva sicuramente dal futuro, come lui.

"Figurati. La lavanderia ne sarebbe stata molto felice," scherzò il moro, strappando una risatina anche all'altro ragazzo "e quindi dopo cosa è accaduto?" riprese lui, più serio.

"Una figuraccia. Un paio di ragazzini mi hanno visto e se ne sono andati via sconcertati, mentre io ero lì a parare palloni che non finivano più e non capivo un'accidenti; però posso vantarmi di non aver perso il mio tocco, ne ho parati più di quanti mi aspettassi."  ridacchiò lui, facendo sorridere l'altro.

"E così hai avuto la brillante idea di chiamare Jude?" chiese Stonewall, curioso.

"Dopo che finalmente sono uscito dal campo mi sono guardato in giro e ho riconosciuto le vie. Poi mi sono ricordato che il più vicino era Jude e ho provato a chiamarlo per capire cosa stesse succedendo; e invece ho trovato te."

Caleb sghignazzò.

"Mi sembri abbastanza deluso o sbaglio?" lo prese in giro il moro, sistemandosi meglio sul divano.

"Ma finiscila babbeo; e no, sarò onesto, sono stato abbastanza contento di aver ricevuto una tua risposta. Ma ora mi dici che succede? Sono in un vicolo e la gente che passa non fa altro che guardarmi storto."

Caleb si morse appena il labbro, riusciva a capire la situazione in cui il suo amico si trovava -l'aveva provata anche lui il giorno prima-, ma il fattore che faceva esitare il moro era il come avrebbe potuto illustrare la situazione all'altro. Alla fine, pensò l'adulto, non v'era altra maniera se non la verità dura e cruda; così Caleb scelse di essere senza filtri, come suo solito.

"Vedi..." iniziò, comunque incerto sulle parole da usare "...può darsi che un'anomalia temporale ti abbia fatto retrocedere nel tempo di circa dieci anni, finendo per scambiarti con il Joe di questo tempo..."

Caleb non ricevette risposta, tanto che si allontanò dal cellulare per controllare se l'arancio fosse ancora in linea.

"Joe?" provò a chiamare, per conferma.

"Mi stai prendendo per il culo? Perchè se questo è uno scherzo mi sta facendo incazzare."

Caleb sospirò, aveva immaginato una reazione del genere; d'altronde sarebbe stato arduo realizzare una notizia del genere per chiunque, e il moro di sicuro non lo biasimava.

"So che è difficile da credere, ma pensaci: stavi tornando a casa  quando ti sei ritrovato sul campo all'improvviso, a parare palloni; ed inoltre c'erano pure dei ragazzini, quindi, a rigor di logica, il tuo io passato che si è scambiato con te si stava allenando." concluse, sperando in una reazione positiva da parte del suo amico. Il moro, dopo qualche secondo, sentì l'arancio sospirare pesantemente, e Stonewall si potè immaginare il coetaneo coprirsi gli occhi con una mano, segno che era solito fare quando stava ragionando.

"D'accordo, ascolta... dimmi dove sei che così ti raggiungo. A stare qui mi scoppia la testa e quello che mi hai detto non aiuta." rispose infine, con una sorta di rassegnazione che fece un po' intristire l'ospite di Sharp; ma nel tono di voce che usò in seguito, ovviamente, non lo diede a vedere.

"Ti ricordi l'indirizzo della casa di Jude? Quello vecchio?"

Joe ci pensò su e sforzò il cervello a riandare indietro di dieci anni; in seguito riuscì a ricordarsi ed iniziò subito a camminare, a passo svelto, verso la sua meta.

"Sarò lì tra poco."

"Va bene, a dopo amico."

"Ciao." e chiuse la chiamata.

Caleb si lasciò andare sul divano, combattuto: da una parte era felice che il Joe del suo tempo fosse lì, in quanto avrebbe potuto confrontarsi sia con il suo migliore amico sia con una persona nella sua stessa situazione; d'altra parte ne era spaventato, perchè se pure l'arancio era stato vittima dell'anomalia temporale, ciò avrebbe voluto dire che anche tutti gli altri lo sarebbero stati? E quanto sarebbe durato? Il moro si stropicciò gli occhi, esausto di pensare a domande alle quali non aveva risposta. Guardò in direzione del bagno e, oltre a non sentire alcun rumore provenire dall'interno, notò la porta socchiusa.

"Stai per caso origliando, Judino?" disse con voce di scherno, dimenticandosi per un attimo il problema che si era appena palesato "non è educato." concluse, ridacchiando. Dopo qualche secondo vide Jude, senza occhialini nè mantello -perchè mai avrebbe dovuto tenerlo in casa?- aprire la porta e raggiungerlo sul divano, sedendosi alla sua destra.

"Ho sentito che stavi parlando al telefono e non volevo disturbarti. Tutto qui."

Caleb lo guardò e alzò un sopracciglio, scettico; allora Jude roteò gli occhi ed interruppe il contatto visivo, leggermente imbarazzato di essere stato colto sul fatto.

"Va bene, stavo ascoltando... ma mi è parsa una cosa piuttosto seria. Dunque il Joe del tuo tempo è in questa linea temporale?"

Caleb annuì, per poi rivolgere lo sguardo verso il pavimento.

"Purtroppo sì," iniziò lui "ha detto che tra poco sarà qui, così potremmo chiarire la questione; e probabilmente anche ospitarlo, non credo possa andarsene in giro prima che le acque si siano calmate. Lo riconoscerebbero." concluse lui, rammaricato.

Il rasta capì, facendo un cenno con il capo, e proferì parola.

"Come te d'altronde."

"Sì, esatto." disse il moro, e per un po' entrambi stettero in silenzio, fino a quando il regista non riprese a parlare.

"Senti... com'è il Joe del tuo tempo?"

Caleb sorrise, voltando lo sguardo verso il suo interlocutore.

"Non diverso da quello che conosci tu, fortunatamente," rispose ridacchiando "caratterialmente s'intende. Per quanto riguarda l'aspetto fisico, ovviamente è cambiato; ma lo vedrai tu stesso." concluse, sogghignando. Jude sorrise e roteò gli occhi al cielo, quando, ad un certo punto, il campanello della casa suonò.

~🕑
 

Futuro

~🕝

Joe non aveva la minima idea di cosa fosse successo: un attimo prima era sul campo ad allenarsi, mentre adesso si trovava dinanzi la porta di una casa. Si guardò in giro, confuso, e non riuscì a riconoscere la città dove si trovava, e ciò lo spaventò più del necessario.

Okay Joe, calmati, non andare in panico, sei forte, un passo alla volta. Se non riesco a riconoscere la città, deve essere successo qualcosa di grosso

Il ragazzino fece un respiro profondo, per calmarsi, e si diede un paio di schiaffetti, al fine di  riprendere lucidità. Si guardò meglio in giro, sforzando di riconoscere le strade, e dopo qualche minuto notò una certa somiglianza con la sua città; ma, si disse, non sarebbe riuscito ad orientarsi, in quanto gli pareva tutto troppo... nuovo. Inspirò ed espirò un paio di volte e si voltò ad esaminare la casa -una villa con giardino- e la porta. Quest'ultima gli sembrò familiare, seppur non ne riuscì a comprendere il motivo. Istintivamente allora incominciò a cercare qualcosa per entrare, un fil di ferro o una forcina abbandonata per terra con la quale scassinare la serratura; in seguito a Joe venne in mente che il proprietario o proprietaria avrebbe potuto nascondere una chiave di riserva per le situazioni di emergenza; dunque gli venne istintivo cercare in mezzo ai cespugli del giardino e, incredibilmente, al primo colpo trovò ciò di cui aveva bisogno. Con naturalezza l'arancio infilò la chiave nella serratura e girò la toppa, aprendo la porta. Joe si portò appresso la chiave e si addentrò in casa, guardingo: controllò le stanze del pian terreno e provò a far rumore al fine di captare qualche reazione dal piano superiore, ma non ne ottenne; allora il ragazzino concluse che in casa non ci fosse nessuno e, tirando un sospiro di sollievo, iniziò ad indagare e a cercare qualcosa che lo potesse aiutare ad orientarsi in quella situazione assurda. Entrò in una camera senza letto -appariva come uno studio- e, dopo aver frugato un po' in giro, trovò, in un cassetto, un calendario con segnati in rosso vari eventi. Joe vide che esso era impostato sul mese giusto, ma quando vide l'anno sbiancò: perchè segnava una data maggiore a quella che sapeva di dieci anni?

"C'è qualcuno?"

Merda

Il ragazzino, in fretta e furia, cercò di sistemare meglio che potè lo studio, per poi, come una lepre, correre dall'altra parte della casa dove aveva notato una finestra che dava sul retro del giardino, senza farsi vedere; una volta raggiunta la destinazione con successo l'arancio si acquattò alla parete, cercando di riprendere fiato facendo il minimo rumore indispensabile. L'adrenalina gli stava scorrendo in tutto il corpo a mille e il cuore gli batteva all'impazzata; il rumore dei passi si fece più vicino e l'ansia del ragazzino salì a picco, tanto che Joe dovette lottare per trattenere il fiato nonostante i suoi polmoni richiedessero disperatamente aria.

Se mi scopre pensò lui come minimo mi consegna alle autorità. Non posso farmi scoprire

"Vieni fuori, tanto so che ci sei!" esclamò la voce, con tono intimidatorio. Rimanendola ad ascoltare Joe capì che fosse un uomo, a quanto udiva non troppo vecchio, forse sulla ventina. Il timbro gli sembrò vagamente familiare, ma non ebbe il tempo di provare a capire a chi appartenesse che l'ombra del proprietario apparve di fianco alla parete dietro la quale era nascosto, facendo sì che il suo cuore pompasse il sangue mille volte più velocemente; Joe obbligò con una volontà di ferro il suo corpo a stare immobile, senza neanche respirare. L'ombra si guardò in giro e tornò indietro, e il ragazzino lo sentì parlare al telefono. Il portiere non si preoccupò di ascoltare la conversazione in quanto, velocemente, si diresse verso la finestra e tentò di aprirla.

Maledizione, è chiusa dall'esterno

Joe percepì di nuovo i passi avvicinarsi e, preso dal panico, si mosse in modo completamente istintivo e, serrando le dita della mano sinistra, diede un pugno alla finestra con tutte le sue forze, spaccandola. Rapidamente la scavalcò, incurante dei graffi che il vetro tagliato gli provocò, e con un ultimo scatto mosso dalla paura si nascose dentro un cespuglio, il primo raggiungibile; si accorse solo in seguito che era un cespuglio di rose spinate, ma in quel momento l'adrenalina era talmente elevata che sovrastava il dolore.

"Senti... ti richiamo, mi hanno appena sfondato la finestra. No, non hanno preso nulla. Tranquillo, non ce n'è bisogno. Finiscila di fare l'apprensivo, sei insopportabile! Si, si, a dopo. Si sto bene, basta dai. Ciao, ciao."

Questo fu quello che Joe riuscì a sentire, ancora nascosto nel cespuglio, probabilmente perchè il proprietario della casa era intento a rimirare il danno alla finestra. Aspettò un po', anche per calmarsi, e quando, grazie al suo udito, fu sicuro che l'uomo se ne fu andato, sbucò fuori dal cespuglio e corse via fino a raggiungere un vicolo. Si addentrò al suo interno e fu quando si sedette che il dolore arrivò tutto in una volta.

"Ahi-! Maledizione, che male!" sibillò il quattordicenne a denti stretti, strizzando gli occhi per cercare di distrarsi dal dolore. Dopo qualche minuto si riprese e, potendo respirare normalmente, esaminò bene le sue ferite: la mano sinistra con la quale aveva sfondato la finestra pulsava, era indolenzita ed era ricoperta di graffi e sangue; si toccò il viso, appurando che ci fossero graffi anche lì, e notò che i suoi vestiti erano stracciati in alcuni punti, accompagnati da perdite di sangue non ingenti, fortunatamente; inoltre era sudato sia a causa dell'allenamento sia a causa del sudore freddo per l'ansia che aveva provato nella casa, sicuramente non era presentabile. Si riposò per qualche minuto e si mise a ragionare: come scoprire il mistero del calendario? Possibile che si fosse spostato nel tempo? O era solo l'uomo della casa che aveva fatto acquisti in anticipo? Joe sperò con tutto se stesso che la risposta fosse la seconda, e non la prima, altrimenti non avrebbe avuto la minima idea di cosa fare. A dire la verità, in quel momento, il ragazzino non aveva effettivamente idea di cosa fare. Le lacrime, causate dallo stress e dal nervosismo, minacciarono di uscire, ma Joe, troppo orgoglioso per permetterlo, si strofinò gli occhi con il palmo della mano sana, trattenendosi.

Devo cercare aiuto pensò lui devo cercare qualcuno che conosco.

L'arancio, a questi pensieri, si alzò da terra e si guardò in giro, ben attento a ogni particolare. Ad un certo punto riconobbe un negozio di dolci sulla strada opposta alla sua e, mettendo insieme i pezzi, riuscì a capire dove si trovasse.

Sono lontanissimo da casa mia  pensò lui se non ricordo male, quella più vicino è la casa di Jude; ma è tutto così nuovo qui... le strade non sono più le stesse. Se riesco ad arrivare al campo della Royal, però, potrei andare a casa sua senza problemi. Lui sicuramente capirà.

Non potendo contare sull'aiuto del cellulare, in quanto al momento ne era sprovvisto, Joe si trovò costretto a chiedere informazioni per il campo. Si avvolse la mano sinistra con la destra, per evitare di far vedere troppo il sangue, e fermò due donne sulla trentina che stavano passeggiando, parlando animatamente.

"Scusate signore, potrei avere un'informazione?" chiese lui, con tono gentile. Le donne, alla vista del ragazzino, sussultarono spaventate.

"Oh cielo," esclamò una di loro "stai sanguinando! E-, oh Kami, la tua mano!"

"Dobbiamo chiamare un'ambulanza!" concluse l'altra, cercando il cellulare nella borsa.

Joe iniziò ad agitarsi: se avessero chiamato l'ambulanza, dopo le cure gli avrebbero chiesto informazioni sue personali, tra cui la residenza e il numero dei genitori; e, in quella situazione, non poteva permetterselo.

"Signore, davvero, non ce n'è bisogno! Non è nulla di grave, sono solo graffi." cercò di fermarla lui, invano.

"Non dire scemenze, sei un disastro! Deve farti un male cane!" rispose quella, nel frattanto che si portò il cellulare all'orecchio.

"Clory, forse sei troppo apprensiva. Ora che lo guardo non ha ferite gravi, non credo si sia rotto nulla." si intromise l'amica, riuscendo a fermare l'altra. Joe tirò un sospiro di sollievo nel vedere la cosiddetta Clory abbassare il cellulare e chiudere la chiamata.

"Mi fido di te Asami, ma se ce ne sarà bisogno io chiamo!"

"Non si preoccupi, non ce ne sarà bisogno. Ciò che mi serve è un'informazione stradale; mi sono perso e non so come tornare indietro." disse Joe, nel modo più realistico in cui potè, anche se non ci credette molto; l'arancio era pessimo a recitare.

"Tranquillo, ti ascoltiamo," le disse Asami "ma devi dirmi chi sei e come ti sei fatto male."

"Si, mi chiamo...uhm... Tyler, e, be', ecco... mi stavo allenando a... a rugby, ecco, rugby americano, e sono scivolato. Il terreno era terroso, quindi mi sono un po' sfregiato." inventò lui, con tanto di sorriso -non molto convinto- finale. La donna alzò un sopracciglio, scettica, ma decise di lasciar correre.

"Va bene Tyler e...di che informazione avevi bisogno?"

"Volevo sapere come raggiungere il campo della Royal. Se vado lì poi riesco ad andare a casa." disse Joe, in modo più naturale e rilassato.

"Ti daremo un passaggio," si intromise l'altra donna a nome Clory "mi rifiuto di lasciar andare a piedi per un lungo tragitto un ragazzino così malconcio! Cielo, potresti essere mio nipote! O un mio fratellino!" concluse lei con enfasi, con un tono che non ammetteva repliche. L'amica sorrise e, guardando Joe, gli chiese: "A te va bene, Tyler?" In risposta l'arancio sorrise.

"Va benissimo," disse lui "vi ringrazio molto." e si inchinò un poco, per poi incamminarsi con le due donne verso la loro macchina.

~🕒



 

Autrice's space:

Mi sono OBBLIGATA a scrivere il capitolo oggi perchè era da davvero troppo tempo che dovevo aggiornare; e finalmente un po' d'azione!, è il genere che prediligo da scrivere e leggere. Dopo il fantasy s'intende, ovvio XD

Sarei super curiosa di sapere i vostri pareri. Il capitolo è un po' diverso dal solito e vorrei tanto sapere cosa ne pensate. Mi fareste un immenso piacere!

Detto questo vi ringrazio per aver letto fin qui e che altro, al prossimo capitolo! >//w//<
 

 
 
 

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Capitolo 11
*** Switch of Time ⌛ ***


 
 
 
 
 
 
 
 

 


Futuro

~🕞

La macchina contenente le donne e Joe -conosciuto dalle due come Tyler- stava procedendo da quasi cinque minuti, i quali erano trascorsi in silenzio, con l'apprensiva Clory alla guida e Asami alla sua destra. Joe si limitava ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino dai sedili posteriori, sempre tenendo avvolta con la destra la mano sinistra; ma questa continuava a perdere sangue così come tutte le altre ferite del ragazzino, seppur esse fossero molto meno ingenti della prima. I sedili sopra i quali era seduto, constatò lui, erano sporchi, e l'arancio si sentì in colpa per aver rovinato l'interno di una macchina così carina. Una nota positiva fu il fatto che Joe si fosse abituato rapidamente al dolore, per il quale, alla fine, non soffriva. Passò qualche altro minuto, in silenzio, quando, fermi ad un semaforo, Asami spezzò il silenzio.

"Ascolta Tyler, se non sono indiscreta...oh, perdona la mia curiosità, ma le persone mi incuriosiscono," ridacchiò lei, genuina "ti dispiacerebbe dire qualcosa su di te? Non so, cosa ti piace fare o studiare e cose così." concluse lei sorridendo, voltando lo sguardo su quello del quattordicenne che, a sua volta, sorrise, contagiato dall'allegria pacata della donna.

"Si, va bene. Vediamo..."

"Siamo tutte orecchi!" esclamò Clory, la quale, scattato il semaforo, imboccò il viale di destra; vedendo l'euforia dell'altra donna, a Joe scappò una risatina.

"In realtà non so bene cosa dire. Se faceste delle domande preferirei." disse il portiere, cercando di non risultare sgarbato.

"Oh cielo," ridacchiò Asami "così mi fai passare per una... com'è che dite voi giovani? Stalker?"

Clory ridacchiò, prendendo lei la parola.

"Se ce l'ha chiesto lui allora vuol dire che va bene! Dunque Tyler...qual è il tuo gusto di gelato preferito?"

"Clory!" la riprese l'amica, ridendo.

"Che c'è?," chiese lei "è una domanda lecita. Tutti hanno un gusto prediletto di gelato." concluse lei, sghignazzando tra sè e sè. Joe ridacchiò e si rilassò, a suo agio.

"Domanda più che giusta. In realtà non ne ho uno preferito, mi piacciono tutti. Sono un buongustaio." rispose lui, divertito.

"Oh andiamo, tutti hanno un gusto prediletto! Ma non solo per il sapore, anche per altro, come la consistenza, la fragranza, la freschezza...io, ad esempio, vado assolutamente pazza per la mandorla; e Asami ha un attaccamento per quello alla fragola." riprese Clory, bonariamente. L'amica scosse la testa e roteò gli occhi al cielo, divertita. Joe, invece, si fece più serio: pensando a quei concetti, l'unica cosa che la sua mente riuscì ad elaborare fu l'immagine di un certo ragazzo dai capelli azzurri con la benda e l'iride arancione. Joe provò un po' di nostalgia e si chiese come stesse David: anche lui si era trovato nella sua stessa situazione o stava vivendo la sua vita normalmente? Questa domanda scaturì un flusso di pensieri nella sua testa che, per qualche attimo, fece dimenticare al ragazzino la presenza delle due signore.

"Tyler? Tutto bene?"

Joe a quelle parole si riscosse, sollevando lo sguardo verso Asami, la quale era voltata verso di lui, che lo guardava con fare materno; e, nel constatare ciò, Joe si chiuse ancora di più in se stesso.

"Uh sì...certo. Stavo solo... pensando." rispose, con tono di voce rasente all'apatia. Le due donne si guardarono, preoccupate, e Clory si riconcentrò sulla guida, lasciando la situazione in mano ad Asami, la quale riprese parola.

"Scusaci Tyler."

Queste parole fecero sollevare la testa al ragazzino, che guardò la donna interrogativamente.

"Non dovete scusar-"

"E invece sì," lo interruppe Asami, gentilmente "in qualche modo ti abbiamo fatto venire in mente qualcosa che ti ha tolto il sorriso. Quindi ti chiediamo scusa." concluse lei, sorridendo dolcemente. Joe scosse la testa, deciso a chiarire quell'equivoco.

"No, lei non c'entra nulla, e la sua amica neppure. Lei-"

"Dammi pure del tu, Tyler. Non serve essere così formali."

"Va bene. Lei, cioè, tu...insomma, non hai fatto nulla. Solo che..." si interruppe, esitante se esternare i suoi pensieri o no; ma tanto, si disse, cosa aveva da perdere?

"... è che lei mi ha fatto venire in mente mia madre."

Asami sbarrò gli occhi, incredula, mentre Clory si concentrò più sull'ascoltare la conversazione che sulla guida vera e propria. Joe si morse la lingua, arrossendo un poco; dire ad un'estranea che assomigliasse alla propria madre avrebbe messo in imbarazzo chiunque. Asami stette comunque in silenzio, per permettere a Joe di spiegarsi.

"Il fatto è.." riprese l'arancio "che in realtà non so bene cosa voglia dire avere una madre. Sono cresciuto in una casa per orfani, e ho pochissimi ricordi di lei." disse lui, senza più riuscire a trattenersi dal parlare. Egli aveva tenuto così sigillati quei pensieri dentro di lui, senza mai esporli a nessuno, che a quel punto lo sfogo era inevitabile. Aveva sempre pensato che sarebbe risultato ridicolo, se si fosse saputo che il feroce portiere della Royal Academy si faceva prendere dall'emozioni. Joe si tratteneva persino con i suoi amici, persone con le quali in teoria avrebbe dovuto essere se stesso, ma ormai non riusciva più a scomporsi molto, in quanto ci aveva fatto l'abitudine, l'arancio, a segregare in sè i suoi pensieri e problemi. Le uniche persone alle quali avesse mai accennato qualcosa erano state Jude e Caleb, ma neanche loro sapevano molto; e non voleva che David ne venisse a conoscenza, in quanto l'azzurro, gli aveva confessato, era vissuto con i suoi genitori fino alla loro morte, e Joe non voleva causargli ulteriore dolore esponendogli i suoi ricordi. Al pensiero di David il flusso di pensieri ritornò più forte che mai; solo che, questa volta, Joe era intenzionato a tirarli fuori. Scosse la testa un paio di volte, per riprendersi. Si era bloccato ancora e, nonostante ciò, Asami l'aveva aspettato, paziente; fu per questo, forse, che il ragazzino sentì calore al petto.

"Quello che stavo dicendo è che sei dolce; e gentile, e paziente, e forse è per questo che ti vedo un po' come una figura materna. Sembra ridicolo detto così, ci conosciamo da pochissimo, eppure... non riesco ad evitarlo." disse il quattordicenne, tutto d'un fiato. Asami si commosse e non osò dire nulla, aspettando che continuasse; Clory cercò, in qualche modo, di non singhiozzare per la gioia e concentrarsi a guidare.

"Anche la tua amica è molto gentile," riprese il portiere "e se devo essere sincero, è simpatica, esuberante. Sembra quasi una sorella maggiore." concluse lui, intenzionato a dire la verità. Clory stava per dire qualcosa quando fu interrotta da un gesto della mano dell'amica; se l'avesse interrotto, infatti, l'arancio non avrebbe più continuato il suo discorso.

"E a dirla tutta non mi chiamo neanche Tyler, sono Joe; ma ho mentito perchè, essendo estranee, non sapevo se fidarmi di voi. Ora credo di non avere nulla da perdere," disse lui, guardando negli occhi Asami e sorridendo "ho finito." La donna gli sorrise calorosamente e Clory singhiozzò, con qualche lacrima che sfuggì al suo controllo.

"Sei un ragazzino così dolce-!," esclamò lei, asciugandosi le lacrime con una mano "un ragazzino d'oro-!" riuscì a dire, prendendo con entrambe le mani un fazzoletto al fine di soffiarsi rumorosamente il naso.

"Clory il volante! Metti le mani sul volante!" esclamò Asami, prendendo lei, in un gesto istintivo, il controllo del veicolo, facendo sì che evitassero di schiantarsi contro un palo.

"Scalmanata, invece di piangere guida!" la sgridò Asami, severa. Clory riprese il volante e, con gli occhi lucidi e il naso leggermente umido, ubbedì, limitandosi a versare lacrime di coccodrillo, in silenzio, per ciò che aveva detto Joe.

"Un ragazzino così d'oro-!" sussurrò, emozionata. Asami sospirò e l'arancio, a quella scena, non potè fare altro che scoppiare a ridere.




 

"Siamo arrivati."

Joe annuì e si inchinò, seppur da seduto, ringraziandole di cuore; nonostante la guida leggermente spericolata di Clory, infatti, erano arrivati a destinazione senza problemi.

"Vi ringrazio davvero molto." disse Joe, inchinandosi.

"Joe, è la terza volta che ti inchini; stai esagerando," ridacchiò Asami, mettendogli una mano tra i capelli e arruffandoglieli "siamo noi a doverti ringraziare, hai reso questa giornata indimenticabile. Ora va', a casa dovranno essere molto preoccupati." concluse lei, sorridendo.

"Mi raccomando," si intromise Clory "se mai dovessi andare da qualche parte, chiamaci! Tieni il numero, ecco." e gli passò un bigliettino di carta con su scritto i rispettivi numeri.

"Clory!"

"Che c'è? Anche solo se vuole chiamarci può farlo!"

L'amica scosse la testa, borbottando qualcosa; la scenetta fece ridacchiare l'arancio che, con la mano sana, prese il biglietto.

"Non me ne dimenticherò." disse, sorridendo a Clory che, per risposta, sghignazzò. Il ragazzino allora scese dalla macchina e si incamminò verso la porta con insolito buonumore. Schiacciò il campanello tre volte ed aspettò. In seguito King sentì dei passi avvicinarsi e una voce incredibilmente familiare lamentarsi da dietro la porta; seppur ovattata, Joe la riconobbe e sbarrò gli occhi, incredulo. Come era possibile?

"Arrivo, arrivo! Kami, che rottura."

La porta si aprì e, alla vista di chi ci fosse dall'altra parte, Joe non riuscì a modificare la sua faccia sorpresa. Caleb sgranò a sua volta gli occhi, interrompendo il suo sproloquio.

"Non ci credo. Joe, sei veramente tu? Ma che ci fai qui?!," esclamò il ragazzino, sorpreso, e si prese qualche secondo per squadrarlo "e perchè sei sporco di san-

"É una storia lunga," lo interruppe l'arancio "ma credo sia meglio se entriamo." concluse lui. Caleb era ancora intento a realizzare la situazione che si accorse solo in seguito della macchina a qualche metro da loro.

"Intendi per quella macchina che sembra ti stia pedinando? E- oh Kami, ma quella al volante sta piangendo?"

Joe a quelle parole si voltò per guardare e vide, attraverso il finestrino dell'auto, Clory che si soffiava il naso e Asami che le dava qualche pacca sulla spalla, probabilmente per rincuorarla; in seguito la donna si girò nella sua direzione e gli fece il pollice in su, sorridendo. Joe sorrise a sua volta e gli rispose con lo stesso segno, mimando anche con le labbra un "okay". Allora Asami annuì e disse qualcosa all'amica che, voltatasi, lo salutò con enfasi frattanto che accendeva il motore. In seguito la macchina partì, e Joe, tranquillo, si volse verso l'amico, intento a guardarlo stranito.

"E quello cos'era?," gli chiese, facendo una smorfia "non dirmi che ti metti a corteggiare le donne adulte ora." lo prese in giro, ghignando. Joe scosse la testa, divertito.

"Finiscila," gli rispose "te l'ho detto, è una storia lunga. Ora-"

"Caleb, qualcosa non va?"

Il dialogo tra i due fu interrotto da un uomo sui vent'anni che, incredibilmente, constatò Joe, somigliava molto a Jude. Questi, una volta visto l'ospite, sgranò gli occhi rubino e guardò il crestuto, come a chiedergli spiegazioni, ma il preso in causa scosse la spalle, alzando le braccia.

"Ah no, non mi guardare così, io non c'entro nulla." gli disse, discolpandosi. Senza dire una parola di più Jude prese per il braccio il punk e lo spinse dentro casa, ignorando le proteste che quello esclamò -sbraitò- e fece la stessa cosa con Joe, borbottando maledizioni. Dire che l'arancio non stesse capendo la situazione, in quel momento, era un eufemismo.

 

° mezz'ora prima °

 

Il Caleb quattordicenne sbuffò, stanco di quella situazione: dopo la colazione e l'aver sparecchiato il rasta l'aveva trascinato in sala -non che avesse avuto altra scelta- e aveva iniziato a lavorare al portatile, sotto lo sguardo confuso del ragazzino che, di tutti quei numeri presenti sullo schermo, ne capiva sì e no la metà. L'ex-regista ovviamente gli teneva compagnia dialogando, ma il quattordicenne avrebbe voluto uscire per fare un giro e godersi quella giornata; invece doveva rimanere a casa in quanto, nel caso qualcuno dei loro amici o conoscenti lo avesse visto, avrebbe sollevato domande alle quali i due non avrebbero potuto rispondere, per il semplice fatto che neppure loro conoscevano le risposte. Caleb allora pensò che quella situazione non fosse molto diversa da una condizione di prigionia e quando, in un moto di noia, lo aveva riferito al ventiquattrenne, questi gli aveva risposto che stava esagerando.

"Se fossi davvero mio prigioniero, dovrei tenerti legato da qualche parte," gli disse l'adulto, prendendolo in giro "forse sotto il tavolo?"

Il crestuto fece una smorfia, sdraiandosi sul divano a pancia in giù; Jude era seduto su una sedia lì vicino con il portatile poggiato sul tavolino.

"I tuoi tentativi di fare battute sono pessimi," lo riprese, schernendolo "non ne hai l'umorismo, quattrocchi."

Jude scosse la testa e non rispose, ignorandolo e continuando a lavorare. Il ragazzino roteò gli occhi al cielo e cacciò fuori un verso di lamento, girandosi nuovamente sul divano e posizionandosi a pancia in su, le braccia distese.

"Mi sto annoiando."

"Ho quasi finito."

"Guarda che mi annoierei anche se tu non stessi lavorando." replicò il punk ghignando, sperando che quell'affermazione avrebbe innescato una serie di risposte taglienti; in quel modo, almeno, il quattordicenne si sarebbe potuto divertire; ma Jude non gli diede quella soddisfazione. Corruciando la fronte Caleb reclinò il collo per poterlo guardare anche da sdraiato e, seppur lo vedesse al contrario, egli si stupì di come l'altro risultasse praticamente perfetto. Il ragazzino, in seguito, focalizzò lo sguardo su un particolare, assottigliando gli occhi: Jude li aveva indossati prima di iniziare a lavorare e Caleb già non ne poteva più sopportare la vista. Allungò un braccio nel tentativo di prenderglieli, ma il ventiquattrenne si spostò quel poco che bastò per non farglielo fare. Il crestuto sospirò, frustrato.

"Mi spieghi a cosa ti servono? Sono utili solo perchè ti nascondono gli occhi e, diamine, sono verdi! Davvero, spiegami cosa c'è di così interessante nell'indossare degli occhiali verdi, perchè io non lo trovo! Hai intenzione di diventare un vegetale?" gli disse, girandosi nuovamente a pancia in giù e guardandolo male. Jude si girò e, sospirando, chiuse il portatile, per poi, sotto lo sguardo sorpreso del più piccolo, togliersi con delicatezza le lenti e poggiarle sul dispositivo elettronico.

"Ah," esclamò il ragazzino "molto meglio. Adesso sì che va bene."

Jude sorrise enigmatico.

"Ti piacciono così tanto?" gli chiese, lievemente ironico.

"E perchè mai non dovrebbero? Sono così-" Caleb si arrestò; stava per fargli un complimento?

"Continua, prego." lo incalzò l'adulto, sorridendo bonariamente. Una volta capita la presa in giro attuata con successo da parte del ventiquattrenne, il punk distolse lo sguardo e arrossì un poco, borbottando insulti.

"Andiamo, ti stavo prendendo in giro. Ti ringrazio comunque, ma ora devo chiamare una persona."

Il crestuto lo trucidò con lo sguardo.

"Ancora? Ma non avevi mica finito di lavorare?"

"Infatti non è lavoro," rispose il rasta, prendendo il cellulare e cercando tra i contatti "è un amico." concluse lui, aspettando a cliccare sul tasto della chiamata. Caleb ragionò su chi potesse essere e provò ad indovinare.

"É David?"

Jude annuì, sorridendo.

"Indovinato. Lo sto invitando per pranzo."

"Tu cosa?!" esclamò il crestuto, sollevandosi dal divano con entrambe le braccia "sei forse impazzito? Non mi può vedere così! Lo dirà in giro!"

Sharp assottigliò gli occhi, rimproverandolo.

"Bada a come parli, è il mio migliore amico; e se ho deciso di farlo venire qui è perchè so che di lui mi posso fidare. Forse, poi, troveremo una soluzione." disse l'ex regista con convinzione. A quell'affermazione l'espressione di Caleb si tramutò in una smorfia e, con un gesto di stizza, si mise a sedere sul divano a gambe e braccia incrociate, voltando il capo dall'altra parte e borbottando tra sè e sè. Al sentire quei lamenti, Jude sollevò un sopracciglio e si girò verso di lui, cercando contatto visivo.

"Cosa c'è?"

"Niente." rispose il crestuto, secco.

"Dimmi cosa c'è e finiamo questa sceneggiata. Ti stai comportando in modo infantile." replicò l'adulto, severo. Vedendo che non funzionava, Jude roteò gli occhi e, delicatamente, preso il mento del più piccolo con due dita, lo obbligò a guardarlo negli occhi.

"Per favore." aggiunse Sharp, ottenendo, alla fine, l'effetto desiderato. Caleb sbuffò e cacciò con una mano le dita del rasta sotto il suo mento, voltandosi di nuovo col capo.

"Mi dà fastidio."

Jude corrugò la fronte. "Che cosa?"

"Il fatto che lo nomini sempre! Prima a colazione, poi per lavoro e adesso lo vuoi pure invitare qui!" sbottò il ragazzino, sussurrando in seguito un: "Grazie della considerazione."

Il rasta a quella scena sgranò leggermente gli occhi, per poi, divertito, ghignare.

"Sei geloso?" gli chiese, sedendosi di fianco a lui sul divano. Caleb arrossì e distolse lo sguardo.

"Non sono geloso! Sono- infastidito!"

"Da lui?"

"Si!"

"Sai che si chiama esser gelosi, vero?" lo schernì l'adulto, frattanto che, piano piano, gli si avvicinava. Il punk allora sbuffò e, buttando le mani al cielo, lo ammise.

"Sono geloso!, Va bene?, sono geloso! Non è strano che lo sia!" disse infine, praticamente urlando, ma non riuscì ad aggiungere altro che il rasta lo abbracciò stretto a sè, senza dire niente, lasciando che fossero le azioni a parlare per lui. Caleb si addolcì e, dopo un po' di resistenza, lo abbracciò a sua volta, senza lasciarlo andare. Sciolto l'abbraccio i due battibeccarono ancora un po' e, fatta pace, Jude chiamò David, anche se la conversazione non andò come si era immaginato.

"Senti... ti richiamo, mi hanno appena sfondato la finestra."

"Hanno preso qualcosa?" chiese Jude, apprensivo, mentre Caleb ascoltava attentamente la conversazione.

"No, non hanno preso nulla."

"Devo chiamare la polizia, i carabinieri o qualcuno?"

"Tranquillo, non ce n'è bisogno."

"Ma sei sicuro? Guarda che potrebbe essere pericoloso se ritornano e-"

"Finiscila di fare l'apprensivo, sei insopportabile!"

"Guarda che devi venire qui il prima possibile."

"Si, si, a dopo."

"Ma tu stai bene, vero?"

"Si, sto bene, basta dai."

"Va bene, allora a dopo."

"Ciao, ciao."

Jude sospirò e chiuse la chiamata, venendo subito dopo preso in giro da Caleb per quanto fosse stato esageratamente apprensivo con il pinguino. I due allora iniziarono a battibeccare e cucinare e David, dopo aver rimirato per bene il danno alla finestra, si chiese chi mai avrebbe potuto essere così forte da rompere una finestra a doppio strato di vetro.

~🕓


 

Autrice's space:

Scusate per il capitolo di passaggio, mi rendo conto che sia davvero lungo e che ci sia un sacco di roba dentro -forse anche troppa-

Vabbè, spero comunque che vi sia piaciuto! Onestamente ho trovato molto interessante scrivere la parte introspettica di Joe, ma tant'è. Ci vediamo al prossimo capitolo!

 
 
 

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