The Keys Bearers

di yopsbrain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** The Legend Begins ***
Capitolo 3: *** Four Keys ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


C'era solo una scarna barriera di legno a dividere i due sfidanti.
Si trovavano uno all'opposto dell'altro a qualche metro di distanza, ondeggiavano lentamente a causa del movimento dei loro cavalli.
Uno dei due cavalieri, un giovane che indossava una bellissima armatura dorata e un mantello rosso sulle spalle, si guardò intorno con una certa soddisfazione, sorridendo da sotto l'elmo: come sempre, c'era un sacco di pubblico nell'arena che gridava il suo nome. 
A dirla tutta qualcuno gridava anche il nome dell'avversario, ma ormai c'era talmente tanto chiasso che comprendere ciò che realmente dicevano era impossibile. 
Erano sempre in visibilio quando c'era la Giostra, sopratutto se a combattere c'era lui.
Afferrò la sua lancia con una mano e con l'altra tenne strette le briglie del cavallo, poi si concentrò sul suo avversario.
Lo osservò attentamente, analizzò la sua armatura nera, la sua lancia e il suo scudo. 
Non sapeva chi si celasse sotto l'elmo, ma sapeva bene che era riuscito a sbaragliare la concorrenza fino a quel momento: proprio per quel motivo la folla aveva cominciato a gridare il suo nome.
Eppure a giudicare dalla sua tecnica doveva essere la sua prima Giostra, giurò il cavaliere in armatura dorata, e di certo lui non poteva perdere contro un novellino.
L'avversario era chiaramente spossato; forse il pubblico non l'aveva notato, ma lui aveva combattuto in fin troppe Giostre per non sapere quando un combattente era allo stremo.
Il suono della tromba rimbombò nell'aria, interrompendo i suoi pensieri e i cavalli iniziarono la loro corsa sfrenata.
Lui puntò dritto alla scapola sinistra dell'avversario e la sua lancia si frantumò al contatto con l'armatura.
Anche la lancia dell'avversario si frantumò contro la sua, ma il cavaliere dall'armatura dorata riuscì a mantenere l'equilibrio.
Frenò la corsa del cavallo e si voltò a guardare l'avversario a terra e il polverone da lui provocato che lo avvolgeva.
Il pubblico scoppiò in grida e fischi di giubilo, iniziarono ad agitare le mani, ad applaudire e a sventolare stendardi.
Il cavaliere, incurante dell'avversario a terra, portò il suo cavallo sotto le tribune e si tolse l'elmo mettendolo sotto il braccio, poi alzò la sua lancia spezzata in cielo.
Alcune dame si alzarono in piedi ed applaudirono più forte, mentre all'interno dell'arena risuonava il suo nome. 
Il cavaliere sorrise e osservò ognuno di loro, soffermandosi su alcune ragazze del pubblico che stavano sventolando il loro fazzolettino.
Era bello sentirsi apprezzati e acclamati, dopotutto.

Quella sera stessa entrò in taverna tra gli applausi degli altri partecipanti al torneo e degli altri presenti.
«Sapevo che avreste vinto, ho scommesso su di voi Sir Jones!» esclamò un uomo.
Lui gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla e poi con uno improvviso impulso salì sulla prima sedia vuota che gli capitò, attirando l'attenzione dei presenti.
«Stasera, messeri, offro io per tutti!» esclamò a gran voce.
Gli altri alzarono il loro calice in aria, gridando gioiosi e battendo le mani sui grandi tavoli di legno per fare ancora più baccano.
Il cavaliere sapeva che adoravano quando faceva così, non c'era miglior modo di conquistare le persone con della birra gratis.
Le ore passavano e i bicchieri si triplicavano, tutti stavano bevendo, ma non lui. 
Nonostante la soddisfazione che provava nel vedere gli altri acclamarlo e approvarlo, lui non aveva voglia di festeggiare.
Un tonfo sordo lo fece trasalire e girare di scatto: era scattata una rissa tra due ubriachi mentre altri avevano cominciato ad intonare -per modo di dire, visto che non azzeccavano un nota- una canzona da taverna.
Il cavaliere disturbato dal trambusto e dallo stridore provocato dagli stonati cantanti, si allontanò per trovare un posto più tranquillo.
Addocchiò un tavolo in un angolo rimasto libero e decise di sedervisi per cercare di evitare che il fracasso della rissa lo raggiungesse.
Ben presto, però, una voce interruppe la sua solitudine.
«Buonasera, Sir Jones.».
Lui alzò lo sguardo e incontrò quello di una donna dai capelli rossi e gli occhi neri sorridergli maliziosamente.
«Buonasera a voi.» rispose lui ricambiando il sorriso.
«A quanto pare anche questa volta sarete voi a vincere il torneo.» osservò lei, sedendosi di fronte a lui.
«Già, sembra proprio così.- rispose con finta modestia -Non ricordo l'ultima volta che ho perso!».
Qualcosa nel suo fare scherzoso, però, dava l'impressione che non stesse molto bene.
«Avrete voglia di festeggiare suppongo, che ne dite di--» la ragazza, che si era sporta verso di lui, si bloccò improvvisamente quando Sir Jones si portò le mani sulle tempie. 
Da un momento all'altro la testa aveva cominciato a dolergli e nel giro di pochi secondi, le orecchie gli fischiarono.
«Che c'è, siete già ubriaco?» rise la donna.
Lui scosse la testa. Aveva bevuto solo un bicchiere, non era ubriaco.
«Non che non mi vada bene, Sir Jones...» aggiunse lei, prendendogli la mano.
Lui la ritirò immediatamente, corrugando le sopracciglia sotto lo stupore di quell'affermazione e il dolore sempre in aumento.
«Approfittereste di un ubriaco?!» disse, indignato.
Un'altra fitta, più forte delle precedenti lo obbligò a scattare in piedi e prendersi la testa tra le mani.
Si chiedeva perché gli facesse così male da esplodere, non poteva permettersi di stare male il giorno prima della gara decisiva del torneo. Doveva essere forte, doveva vincere anche quella sfida.
«Vi raggiungo nelle vostre stanze?» domandò la donna.
«No!- esclamò lui -Andatevi a cercare qualcun'altro!».
Sir Jones, si allontanò tentennando sotto gli occhi perplessi degli altri. 
Arrancò persino nel salire le scale che portavano alle camere da letto della locanda.
Riuscì a resistere fino alla sua stanza e con un grande sforzo si tolse l'armatura per poi gettarla a terra dopo qualche imprecazione, dopodiché cadde a peso morto sul letto.
Non appena entrò in contatto con il materasso, sentì il suo corpo rilassarsi e gli occhi chiudersi.
Il soffitto che stava fissando scomparì gradualmente e si convinse che una bella dormita gli avrebbe fatto bene.

Ma si risvegliò.
Si guardò, indossava di nuovo la sua armatura dorata e il mantello rosso, era persino armato con ascia e spada.
Eppure aveva giurato di essersela appena tolto.
Si guardò allora intorno per capire dove si trovasse, scoprendo che non era più nella sua stanza.
Era immerso nel bianco, ogni singola area di quel luogo era bianca e provocava in lui un senso di stordimento nauseante.
«Che diavolo...?- mormorò -Sto sognando? Sto sognando.».
«Amsterdam.».
Lui trasalì, si voltò e non poté fare a meno di sgranare gli occhi.
Udiva una voce cristallina e rassicurante, ma non c'era nessuno con lui. 
C'era solo il nulla, nient'altro che il nulla più assoluto.
«Amsterdam!» esclamò la voce.
Girò su se stesso, ma di nuovo non vide nessuno. 
«Chi diavolo sei? Cosa vuoi?» gridò lui con fare minaccioso, stringendo la sua mano intorno all'elsa della sua spada.
«Amsterdam!».
Quando la voce pronunciò di nuovo il suo nome, gli apparì più vicina e sentì una strana sensazione, un brivido percorrergli la schiena.
Attese un attimo e poi si voltò di scatto, sfoderando la sua spada e puntandola in avanti.
C'era una figura che sembrava lontana eppure così vicina di cui non riusciva a distinguere il volto.
«Chi sei?» chiese di nuovo, scadendo bene le parole e tenendo la spada saldamente.
«Io so chi sei davvero, Amsterdam Jones.».
Lui esitò, poi strinse le sue dita attorno all'elsa ancora più forte di prima e digrignò i denti.
«Non mi conosci affatto!- esclamò -E non hai ancora risposto alle mie domande! Non ho voglia di giocare.».
«Ti conosco più di quanto credi. Vuoi sistemare tutto, una volta per tutte? Desideri rimediare?» domandò la voce.
«Non rispondermi alla mia domanda con altre domande! Dimmi dove mi trovo e chi sei o non esiterò ad attaccare, questo è l'ultimo avvertimento!» gridò di rimando lui.
«Chi sono non è importante, così come la nostra locazione.- rispose in tono estremamente calmo la voce -Calma i tuoi spiriti, giovane cavaliere, e rispondi alla mia domanda. Desideri rimediare ai tuoi errori?».
Lui esitò e per non poco mollò la presa sulla spada.
«È troppo tardi per rimediare.» la sua voce si ruppe, ma il suo viso rimase freddo.
«Non è mai troppo tardi.- la voce fece una pausa -Lutzsburg.».
«Lutzsburg, la capitale del Regno Bianco?- domandò lui, confuso. -Che c'entra con tutto questo? Stai vaneggiando. Anzi, io sto vaneggiando. Questo non è altro che uno stupido sogno.».
La figura avanzò lentamente e il cavaliere riuscì a notar brillare qualcosa sul capo di quella che doveva essere una donna dai capelli biondi. Eppure, continuava a non distinguerne i lineamenti del viso.
«Questo non è un sogno, Amsterdam, e tanto meno un vaneggiamento. È tutto reale, ma non posso rivelarti niente, è contro le regole. Non è così che vanno le cose, non dovrei nemmeno essere qui!- la voce si alzò, ma senza alcuna traccia di rimprovero -Il tuo destino è a Lutzsburg, Amsterdam Jones, è tutto quello che posso dirti a riguardo.».
«Ma... perché dovrei darti ascolto, anche se fosse tutto reale? Qui sto bene, sto per vincere un torneo. Mi acclamano, mi vogliono.» lui la guardò con aria di sfida.
«Ti acclameranno finché non troveranno qualcuno migliore di te, le donne saranno ai tuoi piedi fino a che non troveranno qualcuno più affascinante e alla locanda ti applaudiranno fino a che qualcuno regalerà loro tutto il cibo che vogliono. Questa gloria è estremamente effimera.- spiegò lei -Giovane cavaliere, non sai quello che ti aspetta. Tu puoi scrivere la storia, puoi modificarla. Puoi redimerti, diventare migliore, riparare tutti gli errori. Ti aspetta un destino glorioso e di gran lunga migliore di quello che hai qui, ma solo se andrai a Lutzsburg.».
La figura gli diede le spalle e si allontanò, cominciando a poco a poco a svanire nel bianco.
Lui decise di rimettere la spada nel fodero.
Qualcosa gli diceva che la prospettiva di vincere quel torneo l'indomani sarebbe svanita, e qualcosa gli diceva anche che si sarebbe pentito della sua prossima azione.
«No, aspetta!- gridò lui per bloccarla -Cosa devo fare a Lutzsburg? Dove devo andare?».
La figura si fermò di colpo, poi si voltò mostrandogli finalmente il suo viso.
Si rivelò essere una bellissima donna bionda sui venticinque anni, portava una corona sulla nuca ed era avvolta in un pregiato e ingombrante abito bianco.
Lui aprì la bocca, sbigottito. 
La conosceva, l'aveva vista nei libri e nei dipinti. 
Ma come poteva essere proprio lei? Era morta anni prima.
«Quando vedrai la ragazza, saprai cosa fare.» gli disse semplicemente la donna.
Lo congedò con un sorriso appena accennato, poi sparì avvolta da una luce bianca.

Lui si svegliò di colpo, ansimando.
Chiuse gli occhi e strinse tra le mani la coperta, cercando di riprendere fiato.
No, quello non era affatto un sogno. Lo sapeva, lo aveva percepito.
Sentì qualcosa di caldo sulla sua pelle e abbassò lo sguardo sul suo petto, dove adesso c'era una collana impreziosita da un ciondolo a forma di chiave con una pietra blu incastonata al centro.
Quella collana non era sua, non l'aveva mai vista prima di allora... eppure c'era qualcosa in quella chiave di familiare.
Era tutto troppo strano: la visione, la donna, la chiave.
Non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo e questo lo mandava in bestia.
Pensò al torneo... poi pensò ai suoi errori e a quello che gli aveva detto la donna misteriosa.
Strinse più forte la coperta, fino a gettarla via con rabbia.
Si alzò con violenza dal letto e raccolse la sua armatura da terra.
La mise velocemente e con un gesto impulsivo raccolse tutte le sue cose.
Corse fuori dalla camera e aprì la porta sul retro per dirigersi alle stalle e sellare il suo cavallo.
Dopo avervi caricato le sue cose, salì sul cavallo.
Esitò ancora, guardando la locanda dietro di sé.
Cosa avrebbero pensato gli altri il giorno successivo, vedendo che se l'era svignata prima della finale del torneo?
Cosa ne sarebbe stato della sua fama?
Ma ancora una volta, le parole della donna misteriosa risuonarono nella sua mente. 
Un destino glorioso lo aspettava.
Diede una decisa scossa alle briglie e il cavallo cominciò a correre più veloce del vento.
Il suo cavaliere, Amsterdam Jones, aveva un'unica destinazione da raggiungere: Lutzsburg.

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Capitolo 2
*** The Legend Begins ***


Una freccia appena scoccata vibrò nell'aria e si andò a piantare in un albero su cui era dipinto un pallino rosso. Poco più lontano, una ragazza dai capelli corvini, abbassò l'arco e osservò l'albero e la freccia: aveva fatto centro.
Ellys Arwëlèth era nata arciera: sin da piccola l'arco era stata la sua passione e il che era strano per una come lei, umile figlia di contadini.
L'arco era usato per svago dai nobili oppure dagli arcieri dell'Ordine del Regno, non di certo dai contadini di Lutzsburg. Ellys Arwëlèth era nata e cresciuta a Lutzsburg, il grande paese che faceva da capitale al regno dello Stregone Bianco.
Non aveva fratelli né sorelle, solo i suoi genitori che aiutava nei campi che possedevano anche se a dir la verità, non vi lavorava tutto il tempo: di tanto in tanto scappava nei boschi al confine del paese. Amava passeggiare per i boschi e fermarsi a esercitarsi con il suo arco. A volte dietro si portava qualche libro e qualche fetta di pane e non tornava per tutto il giorno. Una volta che ritornava in casa, però, le toccava ascoltare i rimproveri dai toni pacati dei genitori. Erano soliti dirle che non poteva andarsene a scorrazzare qua e là per boschi e passare pomeriggi interi alla bottega del fabbro, doveva aiutarli... d'altronde quando si sarebbe sposata avrebbe dovuto lavorare anche lei per mantenere suo marito e i suoi figli.
Ellys annuiva svogliatamente per evitare di litigare. I suoi genitori, per quanto bene gli volesse, guardavano sempre troppo avanti e la vedevano in una sola maniera: sposata. Ellys rabbrividiva all'idea di sposarsi così giovane: sebbene fosse già in età da matrimonio, non aveva ancora raggiunto la maggiore età, che era prefissata per i 21 anni. Lei ne aveva 18.
Era una ragazza qualunque, anonima, e non le dispiaceva affatto esserlo. Aveva gli occhi marroni e dei lunghi capelli ricci e corvini che lasciava sempre al vento ed erano il suo unico vanto. Le guance paffute erano rosee e la carnagione non era abbronzata come quella dei genitori.
L'essere anonima le permetteva di essere quasi invisibile e non attirare nessuno con cui i genitori avrebbero fatto sposare all'istante, pur di vederla accasata.
Dicevano che era l'unico modo per condurre una vita decente e non di stenti, ma si dovevano sempre trovare a fare i conti con la testardaggine che aveva sempre caratterizzato la figlia ostinata a non voler dare loro ascolto.
Ellys aveva solo un amico, vista la sua propensione per la solitudine dei boschi.
Lì si sentiva libera e sognava di poter esplorare ancora di più di quello che poteva a Lutzsburg, ma quello non era altro che un lontanissimo sogno irrealizzabile.
In quel momento, nel bosco, quasi si mimetizzava: indossava un lungo vestito un po' logoro con le maniche corte, dello stesso verde delle chiome degli alberi.
Alle braccia aveva delle protezioni in cuoio, che partivano da appena sotto il gomito e arrivavano fino al polso, mentre ai piedi un grande paio di stivali marroni.
Ellys scoccò un'altra freccia poi alzò lo sguardo verso il cielo, coperto in parte dalle frasche degli alberi. Il sole era levato in cielo e picchiava più del solito, doveva essere mezzodì.
Ellys allora andò a raccogliere le frecce scoccate e le rimise nella faretra, dopodiché, s'incamminò con tranquillità verso il paese.
Nessuno era a passeggiare, tutti erano chiusi in casa o nelle taverne a pranzare.
Ellys si disse che i suoi genitori potevano anche aspettare un altro po'. Ormai era in piazza, come faceva a non passare dalla sua bottega preferita?
Ellys mise le mani sulla doppia porta della bottega e la spinse, entrando. Il forno era acceso e faceva un caldo terribile, come al solito. Sentiva il tipico rumore del ferro contro altro ferro. Si avvicinò ad una delle colonne che sostenevano la struttura della bottega e vi si appoggiò.
Osservò di nascosto un ragazzo mentre batteva il martello sul ferro appena uscito dal forno con energia. Si vedeva da lontano il sudore colargli dalla fronte, i primi tre bottoni del gilet e della sua camicia erano sbottonati e le maniche alzate.
I suoi capelli mori, lunghi fin sopra le spalle erano raccolti in un piccolo codino, che faceva risaltare la mascella scolpita. Per un attimo smise di battere il ferro e con il braccio si asciugò il sudore sulla fronte. Quando alzò lo sguardo, vide Ellys con la schiena contro la colonna.
«Ecco la mia arciera preferita.» disse posando il martello sull'incudine e sorridendole.
«Il mio fabbro preferito!» esclamò lei.
Paris Crawford, il fabbro del paese, era il migliore e unico amico di Ellys.
Paris era un ragazzo paziente e tranquillo, onesto e simpatico, ma anche lui si trovava in difficoltà con gli sconosciuti e socializzare non era il suo forte, sebbene fosse ben voluto da tutto il paese.
In Ellys aveva trovato l'unica persona con cui fosse capace a parlare, ridere e scherzare.
Si erano conosciuti dieci anni prima mentre Ellys praticava con il suo primo arco, nello stesso bosco di sempre.
Stava per scoccare una freccia quando un rumore la spaventò e le fece tirare a vuoto, mancando di poco Paris.
Sebbene non fosse iniziata nei migliori dei modi, i due fecero amicizia; un'amicizia sincera rafforzatasi ogni giorno di più.
«Che ci fai qui? Dovresti essere a casa a pranzare.» le chiese Paris.
«Sono tornata ora dal bosco. Mi sono esercitata un po' con l'arco.- rispose Ellys -Tu, piuttosto, hai intenzione di riposarti?».
Paris invitò Ellys a sedersi su una delle tre sedie accostate al muro.
«Lo farò ora.- disse Paris, sedendosi accanto a lei -Sai chi è venuto oggi a ritirare la sua nuova ascia?».
«No.» Ellys scosse la testa.
«Sir. Amsterdam. Jones.» disse scandendo bene le parole. Ellys roteò gli occhi, sbuffando.
Sir Amsterdam Jones era da appena una settimana a Lutzsburg e già non si parlava d'altro che del cavaliere più conosciuto di tutto il Regno.
Eppure sembrava che nessuno lo conoscesse sul serio e nonostante questo in molti lo invidiavano o parlavano di quanto fosse forte e coraggioso.
Le ragazze -e persino qualche ragazzo, avrebbe giurato Ellys- del posto facevano scommesse su chi di loro avrebbe riservato l'onore di posare gli occhi.
Si vociferava che fosse davvero bellissimo, che avesse il corpo come quello delle statue. Senza parlare del fatto che era un valoroso cavaliere!
Eppure, di fatto, Ellys lo detestava già.
Sapeva che non avrebbe dovuto dare peso ai pregiudizi e giudizi troppo affrettati, ma non sopportava il fatto che desse corda a tutte le dame, anche quelle sposate, e che si vantasse sempre con tutti gli altri.
«Mi ha detto che si fermerà per un bel po' in città, a quanto pare ha una missione importante da queste parti. Ma non mi ha raccontato molto altro.» le riferì Paris.
«Vorrà dire che andrò più spesso al bosco. Non voglio avere assolutamente niente a che fare con lui!» asserì Ellys.
«Io non lo conosco bene, ma non credo che sia una cattiva persona. È stato gentile con me... e con la mia paga. Ho tentato di restituirgli il resto, ma ha rifiutato.» replicò Paris.
Ellys si morse un labbro. Si sentiva inferiore a Paris sotto questo punto di vista: lui aveva sempre una parola gentile per tutti. Era davvero buono, forse anche troppo a volte, ma era anche vero che a differenza dell'amica non si faceva accecare da giudizi affrettati.
I due stavano per continuare la discussione, quando un frastuono sopraggiunse da fuori: stava succedendo qualcosa di strano e lo capirono solo dalle urla che sentirono dopo pochi secondi.
Ellys e Paris si precipitarono ad una delle piccole finestrelle della bottega, alla quale si affacciarono. Con orrore, notarono una dozzina di persone in armatura che stavano aggredendo i loro compaesani. Erano armati di spade ed asce e gridavano rabbiosi, provocando il panico in tutta la piazza.
Ad Ellys si mozzò il fiato in gola, e sussurrò:«Non saranno...?».
«I Deformi!» esclamò Paris.
Il fabbro chiuse la finestra di colpo e fece lo stesso con la porta, mettendovi addirittura il pontello.
Ellys adesso sapeva bene quello che stava accadendo: non era mai successo nel Regno Bianco, ma negli altri sì. I discendenti degli Uomini e delle Donne geneticamente modificati, ora chiamati da tutti Deformi, stavano attaccando il paese.
Erano da mesi che i Deformi attaccavano paesi e città dei Sei Regni, ma nessuno era a conoscenza dei reali motivi dietro a quegli attacchi.
Erano già morte parecchie persone, eppure gli Stregoni non riuscivano a decidere una linea d'azione e una soluzione ben precisa che risolvesse il problema. Credevano che fosse impossibile parlare e soprattutto ragionare con i Deformi. Erano bestie, abominazioni. A volte ci si chiedeva se di fatto sapessero parlare, o se si esprimessero solo a gesti e urla.
«Quanti erano?» chiese Ellys.
«Forse una dozzina, ma chissà quanti sono sfuggiti alla mia vista!» Paris, per sentirsi più sicuro, prese una delle spade forgiate da lui stesso.
Ellys ci pensò su qualche secondo, il suo sguardo balzò dalla finestra a Paris alla porta.
«Apri la finestra.» disse Ellys con decisione.
«Cosa?» chiese perplesso Paris senza muoversi.
Ellys soffocò un'imprecazione e corse ad aprire la finestra.
I Deformi avevano ferito un cittadino, che adesso stava cercando disperatamente di fuggire insieme ad un suo amico. Altri Deformi si buttavano contro le porte nel tentativo di sfondarle, senza molto successo.
Ellys prese una freccia dalla faretra e con una velocità impressionante tese l'arco, prese la mira e colpì sulla nuca un Deforme, che cadde a terra esanime.
Paris la guardò terrorizzato e immobile al centro della stanza. «Ellys, chiudi quella finestra! Ti prego!» provò a dissuaderla con tono preoccupato.
Ma la ragazza rispose prendendo un'altra freccia, tendendo l'arco e scoccando. Questa volta ne centrò uno proprio in mezzo al petto.
I Deformi si accorsero presto di lei e uno di loro, robusto e con il viso deturpato, corse verso la finestra e la prese per le braccia, trascinandola con violenza fuori dalla bottega.
Ellys soffocò un grido quando il Deforme la trascinò via, gli torse le braccia e venne spinta a terra.
Si rialzò in piedi velocemente e prima che il nemico potesse riattaccarla, scoccò una freccia.
Bersaglio mancato. Sgranò gli occhi, non le era mai successo. Paris era uscito dalla bottega per raggiungere Ellys, ma era stato bloccato da un altro Deforme, che l'aveva costretto a difendersi.
Ellys lo vide di sfuggita e si rese conto che gli altri paesani erano riusciti a fuggire.
Era un traguardo positivo, ma ora solo lui e l'amico stavano difendendo la piazza e il paese.
Dov'erano i cavalieri, gli arcieri e le guardie del Regno? Perché nessuno era andato a chiamarli?
Ellys si adirò al solo pensiero, distraendosi dal Deforme che adesso era pochi centimetri da lei.
Quando se ne accorse, si disse di prendere una freccia e scoccarla o al massimo piantarla nella gamba del Deforme.
L'aveva già fatto una volta. Non con un Deforme, però.
Quando fu a millimetri da lei, si rese conto di non aver preso nessuna freccia. Era paralizzata e il suo corpo si rifiutava di collaborare. Il Deforme le prese violentemente il mento, brandendo la sua ascia in aria.
La fissò e lei fissò lui, contorcendo l'espressione in una di disgusto e dolore. Quel volto dai grandi occhi, uno più su ed un altro più calante e dalla bocca storta, la stava terrorizzando a morte.
Ma cosa le era venuto in mente quando li aveva attaccati da sola? Pensava di poter vincere contro una dozzina di Deformi con un solo arco e qualche freccia?
Ellys era impotente, immobilizzata dalla paura.
Com'era già successo, d'altronde. Quella era la sua debolezza. Il Deforme avvicinò l'ascia al suo collo, premendo leggermente la lama contro il lato del suo collo.
Ellys gridò più forte e cercò di reagire, riuscendo solo mettere le mani su quelle callose del Deforme per cercare di smorzare la sua presa.
Ormai era troppo tardi, stava per essere uccisa dal Deforme. Qualcosa brillò dietro di lui, producendo un rumore metallico. La testa Deforme era stata mozzata e il sangue era appena schizzato in faccia a Ellys, che sentì la presa abbandonarla e l'ascia cadere a terra sonoramente.
Dovette riprendere fiato per un attimo prima di alzare lo sguardo e vedere quello che era appena successo: di fronte a lei c'era un cavaliere in un'armatura che non era quella del Regno Bianco. Non era di nessun Regno, a dir la verità.
Il suo volto era coperto dal un elmo, ma Ellys riusciva a vedere i suoi occhi dalla feritoia.
Anche la sua armatura lucente era macchiata di sangue. Ellys era rimasta a fissarlo mentre da dietro bloccava un Deforme e gli mozzava la testa senza pietà.
Era impressionata dalla sua coordinazione dei movimenti e dalla sua forza.
Qualcuno l'afferrò per un braccio e lei si dimenò di riflesso, quando la voce di Paris la rassicurò.
«Presto, torniamo dentro la bottega, sono troppi!».
Ellys fu sollevata nel vederlo sano e salvo, e fu subito d'accordo con lui.
Corsero insieme e dalla finestra da cui erano usciti rientrarono nella bottega, sbarrandola per bene. Si rannicchiarono accanto ad uno dei tavoli con sopra le incudini, cercando di riprendere fiato.
«Sei ferito?» chiese Ellys.
«No.- rispose Paris -E tu? Sei sporca di sangue!».
«Non è il mio. Sto bene.» mentì, nascondendo la sua ferita al collo.
I due si strinsero l'uno all'altro senza volerlo, mentre Paris rimproverò l'amica placidamente:«Mi hai spaventato a morte. Quel Deforme ti stava per uccidere!».
«Non so cos'è successo, Paris. Mi sono bloccata. Non riuscivo ad attaccare.» mormorò lei.
«L'importante è che siamo qua sani e salvi.» la rincuorò lui.
Ellys si voltò verso la porta. Le grida erano cessate e adesso fuori regnava il silenzio.
Qualcosa le disse di uscire, di andare a vedere.
Quando Paris la vide alzarsi, sospirò. Ellys era davvero testarda e incorreggibile.
Avrebbe voluto bloccarla, ma ormai lei aveva già spalancato la porta.
Paris si avvicinò, sempre tenendo stretta la sua spada.
Ellys osservava silenziosa la scena di fronte a lei, il suo arco già teso con una freccia pronta ad essere scoccata.
Le persone cominciavano timidamente ad affacciarsi.
Per terra c'erano scie, schizzi e pozze di sangue nelle quali i Deformi -o meglio, quello che rimaneva di loro- giacevano privi di vita.
Al centro, circondato da cadaveri e teste di Deformi mozzate da lui stesso, il cavaliere osservava soddisfatto il suo lavoro.
La sua ascia adesso era abbassata.
Si voltò lentamente verso Paris ed Ellys e li fissò, mentre la ragazza continuava a puntargli contro la sua freccia.
«State attenta con quell'arco, milady.» disse ad alta voce.
Ellys arrossì, accorgendosi di stare puntando la freccia contro il cavaliere che le aveva salvato la vita.
Lo abbassò riponendo la freccia nella faretra e l'arco dietro la schiena.
«Vi prego di scusarmi.» rispose.
Il cavaliere si tolse l'elmo e lo mise sotto il braccio, suscitando lo stupore di Ellys ma non quello di Paris che aveva già capito di chi si trattasse.
Sotto quell'elmo dorato, si celava un uomo dall'espressione scura e seria; aveva qualche riccio moro sugli occhi turchesi e i capelli leggermente spettinati.
Stava ancora ansimando, passò qualche secondo prima che si ricomponesse e la sua espressione mutò in una più gioviale.
«Scuse accettate.- disse avvicinandosi ai due amici -Mastro Paris, non vi facevo un combattente.».
Da lui non ottenne alcuna risposta, perciò una volta raggiunti, estese una mano verso Ellys.
«Non credo di avere l'onore di conoscervi, milady. Sir Amsterdam Jones, al vostro servizio.» si presentò.
Ellys osservò la sua mano e decise di non stringerla.
«Ellys. Ti ha salvato la vita.- le sussurrò Paris -Stringigli almeno la mano... niente di più.».
Ellys scosse la testa, tenendo le mani lungo i fianchi.
Amsterdam abbassò la mano con riluttanza, ma non smise di guardarla.
«Siete ferita.» affermò poco dopo.
Paris sgranò gli occhi, notando solo in quel momento la ferita di Ellys e si maledì per non averla notata prima.
«Non è niente.» ripeté Ellys, con freddezza.
«Sanguini ancora, Ellys. Lascia fare a me.» replicò Paris, tirando fuori dalla tasca uno dei suoi grandi fazzoletti.
Ellys si lasciò medicare alla meglio da Paris, mentre Amsterdam dava un'occhiata dietro di lui.
«È la prima volta che succede a Lutzsburg?» domandò.
«Sì.- rispose Paris -E ci siamo fatti trovare impreparati.».
Paris strinse il fazzoletto con delicatezza attorno al collo dell'amica, in modo da fermare almeno l'uscita del sangue.
«Per fortuna sono arrivato in tempo.- osservò Amsterdam -Devo ringraziare anche voi, siete stati essenziali e non c'è stato nessun morto. Esclusi i Deformi, s'intende. Dovrò subito andare a riferire l'avvenuto, volete accompagnarmi?».
I cittadini avevano cominciato ad avvicinarsi per congratularsi con il cavaliere.
Paris scosse timidamente la testa, mentre Ellys disse ad alta voce:«Devo tornare a casa. I miei genitori si staranno chiedendo dove sono. Passerò più tardi da te, Paris. Grazie per la medicazione.».
Ellys sentiva il bisogno di andarsene da lì il prima possibile, la folla cominciava ad irritarla.
Sorpassò il cavaliere, che però la raggiunse all'istante porgendole il braccio.
«Vi accompagno io, ci potrebbero essere dei disordini.» propose Amsterdam.
«So bene la strada di casa mia ed ho con me l'arco. Non mi servite. Andate dalla vostra folla adorante.» replicò Ellys, proseguendo per la sua strada.
Sgattaiolò via tra i paesani che stavano ormai inghiottendo Amsterdam.
Lui però non diede loro attenzioni e continuò ad osservare la ragazza dalla quale non era ancora riuscito a staccare lo sguardo.
Dovette sparire dal suo campo visivo prima che lo facesse. Lui scambiò qualche sorriso timido con i paesani, cercando però allo stesso tempo di farsi spazio per passare.
Avrebbe voluto seguire la ragazza della quale non sapeva nemmeno il nome... ma poi il suo piede urtò contro qualcosa. Abbassando lo sguardo vide il cadavere di un Deforme riverso a terra.
Doveva andare a parlare con il Capo delle Guardie del Regno Bianco , seduta stante.
Sospirò e ignorando gli altri, si diresse verso la locanda presso la quale alloggiava per sellare il suo cavallo e dirigersi alla volta del castello dello Stregone Bianco.

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Capitolo 3
*** Four Keys ***


La piazza principale di Lutzsburg era gremita di persone e c'era una gran confusione, questo perché lo Stregone Bianco aveva indetto una riunione d'emergenza per l'attacco avvenuto il giorno precedente. Quello che aveva reso i paesani impazienti di parteciparvi era che non succedeva da moltissimi anni e non ce n'era mai stato bisogno, dato che i Regni avevano buoni rapporti l'uno con l'altro, eccetto quello dello Stregone Nero.
Tutti sapevano che nel Regno Nero vi abitavano i Deformi e che lo Stregone Nero, il sovrano, era quello che di più vicino c'era ad un tiranno. Da tempo ormai si viveva nel terrore che un'armata di Deformi spazzasse via quelle degli altri Regni, ma questa paura non aveva ancora raggiunto il Regno Bianco, il più lontano da quello Nero.
Davanti all'oratorio era stata allestita una pedana in legno e le persone se ne stavano ammassate ovunque per vedere meglio, persino davanti alla bottega di Paris non si riusciva a passare.
Lui ed Ellys si trovavano davanti alla porta della bottega insieme ai signori Arwëléth, i quali erano quasi morti d'infarto nel vedere la figlia tornare a casa con il volto insanguinato.
Ellys si guardò intorno con curiosità: il sangue era stato ripulito da ogni superficie, ma questo non cancellava di certo l'attacco.
Alcune porte erano rimaste danneggiate, c'erano ancora dei barili distrutti qua e là e delle casse di frutta del fruttivendolo riverse a terra.
A sedere su una sedia a ridosso della locanda c'era l'uomo che era stato ferito, la sua testa bassa.
Volgendosi verso la pedana, Ellys notò tra la folla una scintillante armatura dorata.
Capì subito di chi si trattasse e distolse lo sguardo sbuffando.
«Perché i Deformi ci attaccano?» chiese allora a Paris, voltandosi verso di lui.
«Li hanno esiliati quando anni fa erano venuti a cercar rifugio qui, lo sai bene. Credo che gli Stregoni temessero che il loro brutto aspetto potesse turbare la quiete dei Regni. C'erano già stati dei disordini a causa dei Deformi e del loro aspetto. Gli Stregoni hanno deciso di usare il pugno di ferro.» disse Paris.
Ellys aggrottò le sopracciglia: quello che le aveva detto Paris l'aveva turbata. Non riusciva a capire come fosse possibile allontanare qualcuno per il proprio aspetto.
Doveva ammettere che alcuni di loro erano davvero terrificanti, come lei stessa aveva constato il giorno precedente, ma questo non faceva di loro persone malvagie.
Ciò che li rendeva nemici era il fatto che venissero nelle loro città con l'intento di ucciderli. Uccidere.
Ellys quella notte non aveva chiuso occhio, non tanto per la paura, quanto per un pensiero che l'aveva tormentata: aveva ucciso anche lei, quel giorno.
Era rimasta nel buio e nel silenzio della sua cameretta a guardare il soffitto stesa sul letto a rifletterci.
Provava qualcosa di strano al pensiero di aver tolto la vita a qualcun altro, era qualcosa di orribile da fare... eppure non si sentiva in colpa quanto avrebbe dovuto.
I Deformi avevano cercato di ucciderla e lei si era difesa, non aveva altra scelta: o lei, o loro.
Pensò che lo stesso poteva essere accaduto a qualche paesano, ma sentiva che non sarebbe stato uguale per lei.
Eppure, si vergognò di pensare qualcosa del genere.
Anche i Deformi erano persone con una vita, un passato, una famiglia. Eppure la loro visione era demonizzata da tutti.
I pensieri di Ellys furono interrotti di colpo dalla fanfara che annunciava l'arrivo dello Stregone Bianco.
Si voltarono tutti verso la pedana in legno e alcuni paesani cominciarono a spingersi l'un l'altro per avvicinarsi, mentre una guardia aiutava lo Stregone Bianco a salire.
Il suo aspetto era sempre stato regale e austero, come si addiceva ad un re: indossava un vestito e un lungo mantello ricoperto di pelliccia di un bianco candido.
La sua corona argentata era splendidamente ricoperta da brillanti e pregiati diamanti -gli stessi che aveva negli anelli che portava-, ed era posata sulla sua cascata di lunghi e lischi capelli bianchi. La sua barba era lunga quasi quanto essi.
Insieme a lui salirono anche i suoi due consiglieri e la sua unica figlia, l'erede al trono.
Evelie Nèriagoth -cognome preso dalla defunta madre-, era una ragazza dalla belezza eterea, non si poteva dire il contrario.
Anche lei, quel giorno, indossava un vestito bianco molto pomposo e dalle larghe maniche. Sulla nuca, dalla quale scendevano lunghi capelli biondi che erano stati lasciati sciolti, era posta una tiara argentea.
La sua carnagione era molto pallida, visto che non usciva così spesso dal castello e i suoi occhi di un azzurro cristallino. Sembrava quasi fatta di porcellana.
Era davvero bellissima, pensò Ellys, ritraendosi un poco in se stessa; in confronto lei era un Deforme.
Osservava i lineamenti delicati del volto della principessa del Regno Bianco e poi pensava a se, sempre sgraziata e a volte anche un po' rozza.
Pensò poi che Evelie, più grande di lei di due anni, aiutava già suo padre nella gestione del Regno. Ellys era una contadina, che invece di aiutare i poveri genitori fuggiva a farsi i fatti suoi nel bosco.
«Miei cari sudditi,- rimbombò la voce dello Stregone Bianco, mettendo a tacere il brusio di sottofondo -sono terribilmente desolato e amareggiato per i fatti avvenuti ieri in paese. I Deformi non ci avevano mai attaccati prima e pensavo che mai avessero osato farlo, ma ammetto di aver peccato di ingenuità e mi scuso per questo. Per fortuna e grazie al pronto intervento di Sir Amsterdam Jones, nessuno ha perso la vita e questa è la cosa più importante. Ho preso provvedimenti in materia di sicurezza e ho mandato i miei cavalieri di pattuglia al confine per controllare che nessun Deforme si avvicini più qua. Ma per la vostra incolumità, ho dovuto inoltre fissare un coprifuoco: nessuno dovrà uscire di casa passate le dieci di sera. Non potrei mai perdonarmi che i miei sudditi vengano attaccati di sorpresa al buio e disarmati. Chi esce da solo per boschi o luoghi isolati si porti sempre un'arma e anzi, meglio non andare mai soli, ma almeno in due. Questi sono i provvedimenti presi fino ad adesso, ma io sono qui per eventuali chiarimenti e suggerimenti. Chi vuole si faccia avanti senza timore, ne discuteremo con tranquillità insieme ai miei consiglieri.».
Mentre i paesani cominciavano a mettersi in fila indiana per andare a parlare con il re, Ellys abbassò lo sguardo a terra.
«Non potrò più andare nel bosco a divertirmi...» mormorò.
«Posso accompagnarti io qualche volta. Tanto per me cambia poco o nulla, sto chiuso tutto il giorno in bottega.» disse Paris con un'alzata di spalle.
«Hai pensato al lavoro che dovrai fare in questi giorni?- gli domandò Ellys -Quante richieste di spade ed altre armi ci saranno?».
Paris sorrise, replicando:«Almeno avrò più soldi e potrò comprarmi delle scarpe nuove».
I due abbassarono lo sguardo sulle scarpe che stava indossando Paris, sporche e logore.
Nel mentre, Evelie Nèriagoth, annoiata a morte dalle discussioni nelle quali suo padre non la stava includendo, discese dalla pedana seguita da una guardia.
Durante il monologo dello Stregone Bianco aveva notato nelle prime file il giovane cavaliere che aveva difeso la città, adesso anch'egli in fila per avere un'udienza col sovrano.
Evelie gli si avvicinò, sorridendo, e lui la notò.
«Finalmente ho l'onore di conoscervi, Sir Amsterdam Jones, salvatore del Regno.» disse Evelie, con le mani incrociate sul grembo.
«Mi lusingate troppo, mia principessa.- disse prendendole la mano e baciandogliela -È un onore conoscere voi, ma dovrete scusarmi. Devo parlare con vostro padre ed è il mio turno.
Avrò piacere di parlare con voi più tardi, se lo desiderate.». Evelie guardò Amsterdam rivolgerle un inchino per poi sorpassarla e raggiungere lo Stregone Bianco.
Evelie sbuffò, ancora più irritata di prima: doveva trovare un altro ragazzo carino con cui parlare.
La principessa ed Amsterdam sembravano fatti della stessa pasta, entrambi amavano stare al centro dell'attenzione e ne soffrivano se non lo erano.
Evelie, era in effetti molto diversa da come se la immaginavano tutti: la principessa non era per niente responsabile e se anche fosse stata almeno saggia, questa qualità non si notava nei suoi atteggiamenti. Suo padre l'avrebbe descritta con due semplici aggettivi: viziata ed egoista.
Ma sistematicamente, lo Stregone Bianco soddisfaceva ogni suo vizio.
E se c'era una cosa che a Evelie piaceva fare, era creare false speranze nei contadini e nei poveracci quando parlava con loro.
Era un modo come un altro per attirare gli sguardi su di se, d'altronde.
Evelie adocchiò un ragazzo vicino alla bottega del fabbro e decise che sarebbe stata la sua prossima vittima.
Si diresse verso di lui, poi si fermò ad osservare la bottega con finto interesse. Fece finta di notarlo dopo essersi voltata nella sua direzione.
«Scusate, non vi avevo visto! Salve.» gli disse, stendendo le sue labbra in sorriso gioviale.
Il ragazzo, che stava parlando con un'amica vicino a lui, si girò e non appena vide chi aveva di fronte le rivolse una goffa riverenza.
«Vostra Altezza reale.».
«Voi siete...?» chiese Evelie.
«Paris Crawford, il fabbro del paese» rispose lui, tenendo la testa bassa.
«Io sono Ellys-» la ragazza si bloccò subito, non appena si accorse che la principessa Evelie non le stava rivolgendo la minima attenzione.
Stava ricoprendo Paris di complimenti, alla sua bottega e al lavoro che svolgeva, mentre lui l'ascoltava senza guardarla negli occhi.
Ellys capì di essere di troppo, perciò con la schiena leggermente ricurva, si allontanò per raggiungere i genitori che avevano preso la strada di casa qualche minuto prima.
La sua attenzione fu attirata da un mormorio proveniente dalla pedana e quando Ellys si voltò, vide lo Stregone Bianco prendere per un braccio Amsterdam Jones e farlo salire in carrozza con lui.
Ellys si bloccò ad osservare curiosa la scena, mentre uno dei consiglieri annunciava a gran voce che l'assemblea era terminata.
Lo Stregone Bianco sembrava avere fretta ed Ellys non comprendeva come avesse permesso ad un estraneo di salire sulla sua carrozza, quando nessuno lo aveva mai fatto -ad eccezione della figlia e i due consiglieri-.
Ellys alzò le spalle e si disse che quelli non erano affari suoi, decise quindi di proseguire per la sua strada.
Nel frattempo, Paris si era voltato e aveva notato che Ellys non era più al suo fianco.
La principessa gli stava ancora parlando, quando lui la bloccò dicendole:«Scusate, Vostra Altezza, ma adesso devo proprio andare. Perdonatemi.».
Senza troppe cerimonie, Paris si allontanò da lei piantandola in asso e lasciandola impietrita.
Questo per Evelie era inaccettabile: come poteva essere stata trattata con così tanta noncuranza?
Si ripromise di tornare alla bottega non appena ne avesse avuto il tempo, mentre la guardia che l'aveva seguita la informava che suo padre stava per partire con la carrozza.
Anche il resto della piazza si stava gradualmente svuotando e ognuno si preparava a tornare alle proprie mansioni giornaliere.
Vicino ad Ellys passarono due guardie che chiacchieravano tra di loro.
«Tu sai perché ha preso quel cavaliere? È così strano...» chiese una all'altra.
«Possiede la Chiave Blu, non hai visto? Ti rendi conto di quanto sia importante?» rispose l'altra.
Ellys era incuriosita dalla conversazione e decise di seguirli con discrezione per udire il seguito.
«La Chiave Blu? E che diamine è?» chiese l'altra guardia.
«Ma dove sei stato finora, idiota? È una semplice chiave argentata, con al centro una piccola pietra di colore blu. Sembra una gioiello da nulla, ma in realtà ha una grande importanza- Ellys cercò di avvicinarsi di più per capire meglio -Serve a...».
«Ellys! Dove stai andando?» qualcuno la bloccò di colpo.
Lei si voltò spaventata, ma come al solito era solo Paris.
«Non stavi parlando con Vostra Altezza Reale, la principessa Evelie Nèriagoth?» chiese Ellys, quasi in tono di scherno.
Era delusa dal fatto che non fosse riuscita a capire a cosa servisse quella chiave.
A cosa poteva mai servire una chiave? Ad aprire una porta, un forziere, che altro sennò?
Ciò che la incuriosiva di più però era il perché questa importantissima chiave ce l'avesse Amsterdam Jones.
«Veramente era lei a parlare con me. Però non ti ho più vista ed ho interrotto la conversazione.» disse Paris con naturalezza.
«Così dal nulla, con la principessa? Tu sei pazzo.» asserì Ellys bloccandosi di colpo.
«Tu, piuttosto, perchè seguivi quelle guardie? Cos'hai in mente questa volta?» le chiese Paris, sperando che Ellys non avesse avuto una di quelle idee geniali... che per quello che riguardava Paris, di geniale non avevano nulla, servivano solo a metterli nei guai.
«Niente. Ma ho visto lo Stregone Bianco prendere Sir Amsterdam Jones con se. Quelle guardie stavano dicendo la ragione è che possiede una chiave, con una piccola pietra...» Ellys smise di parlare di colpo.
Mise la mano sulla catenella della collana che portava ormai da anni, rivelandone il ciondolo che solitamente teneva nascosto sotto il vestito: una chiave, con al centro una piccola pietra luccicante verde.
«Di una chiave così? Ma questa ce l'abbiamo tutti e due...» disse Paris tirando fuori dalla tasca dei pantaloni la sua, la cui pietra era azzurra.
Ellys non capiva cosa ci fosse di speciale in quelle chiavi.
Lei e Paris le avevano trovate a terra nel bosco e l'avevano preso come un segno del destino: era un simbolo della loro forte amicizia, perciò ne avevano presa una ciascuno.
Ellys la portava sempre al collo, mentre Paris nella tasca dei pantaloni per evitare di rovinarla lavorando.
Le tenevano nascoste perché convinti che se altri le avessero viste, avrebbero pensato che in realtà i due avessero una relazione e l'ultima cosa che volevano era essere le persone più chiacchierate del paese.
«Da come l'ha descritta quella guardia sembrava proprio uguale alle nostre, ma con una pietra blu» osservò Ellys.
«E il Re avrebbe preso Sir Amsterdam Jones... perché ha una chiave?» chiese Paris, con un velo di sarcasmo.
Ellys alzò le spalle, senza rispondere.
Non aveva la minima idea di cosa pensare riguardo all'intera situazione.

Quella sera stessa, Ellys decise di uscire per una passeggiata notturna.
Aveva promesso e giurato ai genitori che sarebbe tornata prima del coprifuoco imposto dal sovrano, ma ben presto si era accorta di star facendo tardi.
Per le vie del paese non vi era anima viva, lei era l'unica che rischiava di non rispettare il coprifuoco.
Camminò il più velocemente possibile per rientrare al più presto in casa. Non voleva far preoccupare inutilmente i suoi genitori, non dopo quello che le era successo il giorno precedente.
Ellys sentì dietro di lei il rumore di zoccoli di cavalli e si voltò. Un uomo a cavallo stava dirigendosi nella sua stessa direzione.
Ellys si disse che doveva camminare ancora più veloce, se non correre a quel punto; udì il suo cavaliere discendere con grande fracasso.
Ormai, però, Ellys era al sicuro: svoltò l'angolo e rientrò in casa.
Ebbe appena il tempo sedersi al tavolo in cucina, poi suo padre e sua madre cominciarono ad esprimere la loro gioia nel vederla sana e salva: stavano cominciando a preoccuparsi seriamente.
Anche Ellys aveva tirato un sospiro di sollievo, ma la quiete era stata interrotta da un rumore alla porta.
Avevano appena bussato e il signor Arwëlèth si era già fatto avanti per aprire la porta.
La moglie lo raggiunse e i due signori si trovarono davanti ad un uomo che Ellys riconobbe anche da lontano.
«Buonasera, voi dovreste essere i signori Arwëlèth, se non erro.- li salutò lui -Sono Sir Amsterdam Jones e sono stato inviato qui dallo Stregone Bianco.».
«Ma... per quale motivo?» domandò il padre, con un certo timore.
«Il vostro re ha domandato di poter parlare con vostra figlia.» asserì Amsterdam.
I due coniugi si scambiarono un'occhiata carica di pensieri e parole. Lo sapevano, gli era stato detto diciotto anni prima.
Ma prima che potessero replicare, Ellys si fece avanti.
«Come fate a sapere il nostro indirizzo?» domandò con tono inquisitorio.
«Ho chiesto in giro e mi è stato riferito che voi, milady, foste la figlia degli Arwëlèth. L'indirizzo mi è stato dato dallo Stregone Bianco, insieme a l'ordine di condurvi al castello.» replicò Amsterdam, fissandola negli occhi.
«Ellys, devi andare.» udì ordinarle la madre.
Lei si voltò e le mandò un'occhiataccia.
«Non crederete mica che io ci caschi? Non sono stupida. Condurmi al castello non è di certo le sue intenzioni, madre!» protestò.
«Ti è stato ordinato dal Re, Ellys. Devi andare immediatamente.» ribatté il padre con tono severo.
Ellys scosse la testa energicamente, puntando i piedi.
«Non potete obbligarmi!» esclamò.
«Sì, invece. Siamo i tuoi genitori e tu non hai ancora raggiunto la maggiore età. Sir Jones, scortatela al castello e non badate alla sua testardaggine.» sentenziò il padre.
Ellys rimase impietrita dalla decisione dei genitori che la fecero uscire fuori di casa chiudendo la porta alle sue spalle.
Non comprendeva come avessero potuto sbatterla letteralmente fuori. Non potevano seriamente credere alla parola di un cavaliere sconosciuto.
«Vi ho ritrovata, finalmente.- disse Amsterdam -Ellys, eh? È un nome molto particolare.».
Ellys incrociò le braccia al petto e lo guardò in cagnesco.
«Cosa volete da me?- domandò -Perchè so bene che non mi porterete dallo Stregone Bianco.».
«Vi assicuro che tutto quello che sto facendo è eseguire gli ordini che mi sono stati dati.» le assicurò Amsterdam.
«Io non vi credo e non verrò con voi.» concluse Ellys, indietreggiando.
Infondo a lei, iniziava a crescere una certa ansia e preoccupazione. Il ricordo di quattro anni prima era ancora vivido.
«Miss Ellys, non vi sto mentendo ma voi state complicando le cose. Dovete credermi, si tratta di una questione urgente e di estrema importanza!» esclamò Amsterdam tendendo la mano verso di lei.
«Smettetela d'importunarmi.- disse con fermezza Ellys -E non cercatemi più.».
Gli diede le spalle e s'incamminò verso casa, ma qualche secondo dopo Amsterdam la sollevò dai fianchi sbuffando infastidito e portandola su una spalla con estrema facilità.
«Cosa credete di fare?- esclamò Ellys strabuzzando gli occhi -Mettetemi immediatamente giù!».
Provò a divincolarsi dalla sua presa battendo dei pugni sulla sua schiena, senza però alcun successo.
«Vi prego, potete cercare di non svegliare l'intero paese? Mi state irritando e non mi state lasciando fare il mio lavoro.» replicò Amsterdam con fermezza.
La mise sul cavallo e prima che lei potesse riscendere, lui salì e fece partire il cavallo.
«Come vi siete permesso! Fatemi scendere!» esclamò Ellys.
«Sentite miss Ellys, ho già abbastanza problemi e non vorrei aggiungere alla lista "essere decapitato dallo Stregone Bianco per non aver eseguito i suoi ordini" quindi vi chiedo per favore, nonostante nutra gran simpatia per voi, di chiudere la bocca.» Amsterdam era irremovibile, mentre Ellys era ormai disperata nel trovare una via d'uscita.
Come potevano i suoi genitori averla mandata via con quell'uomo?
«Se non fermate immediatamente il cavallo e non mi fate scendere, sarò io che vi farò decapitare. Vi giuro che griderò più forte che posso, attirerò l'attenzione di tutti e vi farò arrestare!» sibilò Ellys.
«Oh, mi farete arrestare! E come? Dicendo che stavo solo facendo il mio lavoro?» rispose lui sarcasticamente.
Lei aprì la bocca e minacciò di urlare sul serio, ma prima che potesse farlo, lui le mise una mano sulla bocca.
Questo per Ellys era davvero troppo: adesso la preoccupazione era sparita per lasciar spazio alla rabbia e decise che mordergli un dito fosse la scelta più razionale di tutte.
Amsterdam tolse immediatamente la mano, imprecando.
«Siete impazzita!?» esclamó lui sorpreso.
«Io no, ma voi sì!».
Dopo qualche altro minuto di cavalcata, durante il quale Ellys si era ormai arresa al suo destino, Amsterdam guidò il cavallo lungo uno stretto sentiero che finiva davanti ad un portone.
«...Siamo seriamente dallo Stregone Bianco?» sussurrò Ellys. Ormai era notte inoltrata e il grande castello dello Stregone Bianco incuteva timore.
«Ve l'avevo detto, Miss Ellys. Sono un uomo d'onore, al contrario di quello che pensate.» disse Amsterdam, facendo rallentare il passo del cavallo.
Ellys osservò il castello che man mano che il destriero andava avanti si avvicinava. Si trattava di un'imponente costruzione in pietra dalla quale partivano ben quattro torri e altrettanti bastioni.
Un immenso giardino faceva da contorno al castello.
Ellys non avrebbe nemmeno saputo dire per quanto si estendesse, ma da quel poco che aveva potuto osservare, aveva notato una gran varietà di fiori.
Ma l'oscurità circostante e la fioca luce della luna davano al castello un profilo sinistro, Ellys avrebbe preferito starsene in camera sua in quel momento, senza alcun ombra di dubbio.
«Dal modo in cui mi avete messa sul cavallo, non sembravate molto onesto nelle vostre intenzioni.» ribattè con fare polemico Ellys, scendendo finalmente da cavallo.
Anche Amsterdam scese e si mise a legare il cavallo ad una piccola staccionata composta da una dozzina di paletti.
«Così mi offendete.- protestò lui con tono da finto offeso -Siete stata voi, che testarda come un mulo, non mi volevate dare ascolto. Anzi, non scomodiamo il mulo. Non vorrei insultarlo paragonandolo alla vostra testardaggine.»
Ellys spalancò la bocca. «Che cafone!» sussurrò a denti stretti.
«Vi ho sentita... ma visto che oggi mi sento particolarmente magnanimo farò finta di niente.- disse Amsterdam finendo di legare il cavallo alla staccionata -Seguitemi, adesso.».
Amsterdam condusse Ellys davanti all'entrata del castello. Quando un inserviente aprì il portone, spalancò gli occhi dalla meraviglia.
Davanti a lei, si estendeva un grande salone illuminato dalla luce di moltissime candele.
In fondo al salone, in posizione centrale, c'era una grande scalinata che portava al piano superiore.
Il salore era decorato con vari scudi e stendardi, dei quali Ellys non aveva la minima idea della provenienza.
Era collegato a altre due stanze, una a destra ed un'altra a sinistra.
«Il Re ci sta aspettando nel suo studio al piano superiore.» disse Amsterdam, mettendo una mano dietro la schiena di Ellys, esortandola ad andare avanti.
«Ma... Io non sono presentabile.» mormorò Ellys facendo qualche passo in avanti incerta.
«Credo che con quello che vi dovrà dire, non starà a guardare se siete presentabile o meno...- le fece notare Amsterdam -E poi mentite. Siete solo un po' spettinata, ma andate benissimo così.».
Ellys si domandava cosa volesse lo Stregone Bianco da una semplice contadina come lei.
I due salirono lungo la scalinata ed arrivarono al piano superiore.
Il salone era uguale a quello di sotto, con l'unica differenza che vi erano molte più porte che portavano ad altre stanze. Amsterdam condusse Ellys davanti ad una delle porte davanti a loro e bussò.
«Chi è?» chiese una voce da dentro.
«Sono Sir Amsterdam Jones, Vostra Altezza.» rispose lui.
«Entrate, presto!» lo esortò la voce.
Amsterdam aprì la porta ed Ellys ammirò la stanza.
Di fronte a lei c'era lo Stregone Bianco, seduto dietro alla scrivania e dietro di lui c'era una grande libreria e scaffali sui quali erano posti strani oggetti di cui lei non capiva l'utilità.
Lo Stregone Bianco indossava una vestaglia bianca, senza alcun ricamo e sulla sua testa non vi era nessuna corona, solo i capelli bianchi e lunghi.
Ellys fece un'impacciata riverenza, mentre osservava di sottecchi Amsterdam che ne fece una molto più aggraziata e composta.
«Benvenuta, Dama...» fece per dire lo Stregone Bianco.
«Ellys Arwëlèth. Non sono una dama, ma una semplice paesana.» precisò Ellys, incrociando le mani dietro la schiena. «Certo... Sir Amsterdam vi ha già accennato qualcosa?» chiese lo Stregone Bianco alzandosi in piedi.
Ellys aprì la bocca per rispondere, ma fu preceduta dal cavaliere.
«Non ce n'è stata alcuna possibilità, sire. La ragazza non mi dava alcuna fiducia, credeva che avessi intenzioni disoneste.» riferì Amsterdam.
Ellys lo guardò con un velo di sarcasmo sugli occhi e lui ricambiò lo sguardo, sorridendogli beffardamente.
«Di questo tempo è bene non fidarsi degli sconosciuti...- disse il Re, mettendosi quindi davanti ai due ragazzi -Amsterdam mi ha detto che voi avete una chiave che usate come ciondolo di una collana.».
Ellys annuì, tirando il ciondolo fuori da sotto lo scollo del suo vestito.
Il Re alzò la mano stretta in un pugno, mettendola davanti agli occhi di Ellys.
Quando l'aprì rivelò due chiavi color argento.
«È uguale a queste due, non è vero?».
Ellys guardò la sua chiave. Erano identiche.
L'unica differenza tra le tre chiavi era il colore delle piccole pietre al centro di esse: la sua era verde e le altre due erano una bianca e l'altra blu.
«Aspettate... anche il mio amico ha una chiave identica alla mia, con la pietra azzurra» disse Ellys, passando le dita sulla sua chiave.
Gli occhi dello Stregone Bianco s'illuminarono di gioia e sorrise.
«Ma è magnifico!- esclamò -Ebbene, viste le circostanze mi sento in dovere di rimandare la nostra discussione a domani. Devo discuterne con tutti voi, perciò Sir Amsterdam, Miss Ellys e il vostro amico, siete invitati qua domani a pranzo.».
«C-Che?» balbettò Ellys incredula.
«Avrei voluto parlarvene stasera, in tutta segretezza, ma ora non vi è tempo di andar a prendere anche questo vostro amico, quindi lo farò domani con molta calma e con tutti presenti. Adesso vi prego, Sir Amstedam, di riaccompagnare Miss Ellys a casa. Non vorrei che le accadesse qualcosa.».
Ellys ancora non credeva a quello che aveva sentito.
Lei e Paris a castello? Erano solo due poveracci.
E le chiavi? Cosa c'era dietro a queste chiavi di così tanto importante, da parlarne in segretezza?
Amsterdam ed Ellys ridiscesero le scale dopo essersi congedati dal sovrano e uscirono dal castello per tornare al destriero del cavaliere.
«Quindi avevate anche voi quella chiave? Dove l'avete trovata?» chiese Ellys, mentre Amsterdam aggiustava la sella del cavallo.
«La storia è abbastanza complessa e ve la risparmio.» rispose.
«Ma aspettate un momento... come avete fatto a vedere la mia?- chiese Ellys picchiettando un dito sul mento -La tengo sempre sotto la camicia...».
«Mentre lottavate con il Deforme vi si devono essere sbottonati un paio di bottoni...» rispose Amsterdam con nonchalance.
Un rumore sordo vibrò nell'aria.
Amsterdam si voltò lentamente, portandosi una mano sulla guancia che pizzicava.
Ellys teneva ancora la mano in aria e lo stava fulminando con gli occhi.
«Provateci solo un'altra volta e non avrete né occhi per vedere né lingua per parlare.» lo minacciò a denti stretti.
Si voltò e salì sul cavallo senza aggiungere altro.
«E adesso portatemi immediatamente in centro, da Paris Crawford.» ordinò.
«Come desiderate...» rispose Amsterdam diventato paonazzo dall'imbarazzo mentre saliva sul cavallo.

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