La Storia mia con Te.

di Lady Aquaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per te, qualcosa ancora. ***
Capitolo 2: *** Come away with me. ***
Capitolo 3: *** Per il futuro di Lixue, per il nostro futuro. ***
Capitolo 4: *** Nothing can keep me from you. ***
Capitolo 5: *** I'll follow you. ***
Capitolo 6: *** Ossigeno. ***
Capitolo 7: *** Ancora qui. ***
Capitolo 8: *** Ritrovando vecchi amici. ***
Capitolo 9: *** Could i have this kiss forever? ***
Capitolo 10: *** If you don't know me by now. ***
Capitolo 11: *** If i could turn back time. ***
Capitolo 12: *** Non ho mai smesso ***
Capitolo 13: *** Tramonto parigino. ***
Capitolo 14: *** Così ti amo. ***
Capitolo 15: *** Nient'altro che noi. ***
Capitolo 16: *** Written in our destiny. ***
Capitolo 17: *** The things you are to me. ***
Capitolo 18: *** Enough is enough. ***
Capitolo 19: *** Le cose non vanno mai come credi. ***
Capitolo 20: *** Grazie e... disgrazie. ***
Capitolo 21: *** Only time. ***
Capitolo 22: *** Ladies' night. ***
Capitolo 23: *** What you won't do for love. ***
Capitolo 24: *** Un anno in più che non hai. ***
Capitolo 25: *** Da adesso in poi. ***
Capitolo 26: *** Wishin' and hopin'. ***
Capitolo 27: *** Christmas time is here (again). ***
Capitolo 28: *** Love turns you upside down. ***
Capitolo 29: *** Fear (of the unknown). ***
Capitolo 30: *** Embraces the Sky. ***
Capitolo 31: *** Everything. ***
Capitolo 32: *** Love isn’t easy (but it sure is hard enough). ***
Capitolo 33: *** Don't worry, be happy. ***
Capitolo 34: *** Hell is living without you ***
Capitolo 35: *** The way it ends. ***
Capitolo 36: *** How would it be? ***
Capitolo 37: *** It's not right (but it's okay). ***
Capitolo 38: *** Waterloo. ***
Capitolo 39: *** Voulez-vous? ***
Capitolo 40: *** Into the fire. ***
Capitolo 41: *** Memories. ***
Capitolo 42: *** Io che amo solo te. ***
Capitolo 43: *** Forever ***



Capitolo 1
*** Per te, qualcosa ancora. ***


primo capitolo Disclaimer:
-Shiryu, Shunrei e Camus appartengono a Masami Kurumada così come tutti i personaggi facenti parte di Saint Seiya.

Tuttavia Mei-Yin, Lixue e i personaggi non inclusi nell'opera originale sono miei (salvo diversamente indicato).
Ovviamente questa fic non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento. 
-La canzone che da' il titolo alla storia e che è citata nell'intro è di Gianni Morandi.

Lady Aquaria.

˜ La Storia mia con Te ˜

[...ma c’è una storia che non trova pace, la storia mia con te tra buio e luce, che vive di ogni cosa che fai, è una storia che ci divide e poi ci prende con sé…

La storia mia con te – Gianni Morandi]

1.
Per te, qualcosa ancora.

Tra il lavoro, la casa e una bambina di sette anni alla quale badare, di tempo libero Mei ne aveva poco.
Molto poco.
Appoggiata pigramente al davanzale, si godeva una tazza di oolong e il silenzio –raro, in quella casa- dei minuti immediatamente prima di cena. Momenti rari, quindi preziosi, quando poteva rimanere sola con sé stessa, quando poteva pensare un po’ senza il cicaleccio tipico di  una famiglia, e tirare un sospiro di sollievo: di solito a quell'ora , Shiryu doveva ancora tornare dai campi, dove amava tenersi in forma nei pomeriggi dopo gli studi universitari, e Lixue si faceva il bagno reduce dalla scuola materna e i giochi. Shunrei, invece, la maggior parte del tempo lo trascorreva in giardino, a vegliare su Shiryu. Anche su di lei gli avvenimenti accaduti sei anni prima avevano avuto un brutto effetto: la costante preoccupazione per Shiryu non solo non si era placata, era persino aumentata.
"Shiryu! E' tardi, non dovresti rientrare?" la sentì. Appunto.
C'erano giorni in cui non aveva quasi tempo per respirare, giorni in cui rimpiangeva quei lunghi nove mesi di gestazione nei quali anche Shiryu stranamente si era rimboccato le maniche e aveva collaborato al ménage familiare, quando le aveva vietato anche solo di alzarsi dal letto –salvo poi tornare a salvare il mondo come sempre, -a suo avviso una mera scusa per non alzare un dito-:
"Per tutti gli Dèi, Shiryu sono solo incinta, non sono moribonda!"
"Aspetti un bambino!"
"Ma sai che non ci avevo fatto caso?" aveva protestato, e più di una volta, non essendo abituata a essere servita e trattata come una bambolina di vetro, men che meno dal fratello minore.
"Non puoi fare sforzi!" aggiungeva di solito Shunrei, spalleggiando Shiryu.
"…ma…volevo solo farmi un tè!"
"Non fare di testa tua, siediti e lascia fare a noi."
Lasciare la casa in mano a due ragazzini per tutto quel tempo era stata una pessima idea, e Mei se n'era accorta troppo tardi.
Quella parentesi era comunque durata troppo poco, ed era tornata ad occuparsi di tutto non appena si era ripresa dal parto.
"Vado a chiamare Shiryu." la distrasse Shunrei, lasciando gli attrezzi da giardinaggio a terra.
A proposito di Shiryu.
A ripensarci, aveva il lavoro, la casa, la figlia e due piccioncini cui badare: da quando il fratello era tornato dalla guerra contro Hades, i due ragazzi facevano un tutt'uno, non si separavano quasi mai.
Non c'erano più Shiryu e Shunrei, due entità separate, c'era Shirei.
"Fate con calma, la cena non è ancora pronta." le disse, controllando l'ora e corrugando la fronte: aveva perso tempo, doveva ancora asciugare Lixue e vestirla per la notte.
 
Lixue intravide Shunrei e Shiryu tornare in casa, abbracciati e sorridenti.
"Mamma, perché zio e zia sono strani?"
Alzò lo sguardo sulla figlia, mentre le abbottonava la casacca del pigiama.
"Strani?" ripeté. "Cosa vuoi dire?"
D'accordo, Shunrei e Shiryu non erano proprio due zii come tanti, ma non erano così strani. Non troppo, almeno.
"La zia lo è, guarda zio in un modo strano." Lixue le indicò i due con un cenno.
Sì, capiva bene che cosa intendeva sua figlia, conosceva lo sguardo col quale Shunrei guardava suo fratello.
"Sono strani perché sono innamorati." rispose Mei.
"E cosa vuol dire?"
Le appuntò i capelli con il suo fermacapelli preferito, uno spillone intarsiato a motivi di farfalle che Camus le aveva portato da uno degli innumerevoli viaggi per conto del Grande Sacerdote, e sospirò.
"Vuol dire che si vogliono tanto bene." rispose. "Vuol dire che non possono fare a meno l'una dell'altro."
"Anche tu e papà?"
"…." disse Mei-Yin.
Voler bene era riduttivo, però.
"Come gli zii?" la distrasse Lixue.
"Non proprio. Ci sono diversi modi per volersi bene, tesoro, e io e tuo padre…" tentò di spiegarle, non sapendo come spiegare a sua figlia qualcosa che non riusciva a spiegarsi nemmeno lei. Le infilò le calze antiscivolo quindi aiutandola a scendere dal piano del bagno. Non era proprio necessario farle capire che lei e suo padre avevano condiviso qualcosa di molto bello, ma che era terminato bruscamente, e che la loro famiglia non era esattamente come quelle delle riviste patinate, perfette e senza problemi.
Lixue la guardò per un tempo che le parve infinito; di sottecchi Mei si accorse dello sguardo.
Sua figlia aveva inclinato la testa di lato e continuava a guardarla con occhi curiosi, con lo stesso sguardo penetrante di suo padre… ma stava anche pensando, e a Mei la cosa, in quel momento, non piaceva particolarmente. Da quando Lixue frequentava la scuola, più di una volta era scesa in argomenti che lei non voleva e non poteva affrontare.
Si ritrovò quindi a sperare che la figlia non andasse a parare su un certo argomento. Per quello, se lo sentiva, non era ancora pronta.
"Ma allora, se non vi volete bene, io come sono nata?"
Appunto.
"Volevo un figlio, ma senza troppi coinvolgimenti sentimentali. Tuo padre faceva al caso mio e…puff! Eccoti!"
No. Certo non poteva risponderle così, anche perché non era affatto vero.
Esortò Lixue a sedersi a tavola, schiarendosi la voce.
"Non è proprio vero, io e papà ci vogliamo ancora bene…"
"Devi sapere, Lixue, che i bambini non nascono sotto i cavoli …" interloquì Shiryu che aveva seguito l'ultimo scambio di battute fermo sulla porta della cucina. "… e altresì, non li porta la cicogna."
Mei trasse un lungo sospiro.
"Shiryu…" l'ammonì. Ci mancava solo che fosse suo fratello a spiegare a sua figlia le origini della sua nascita.
"Non inizierai con la storia dell'ape e del fiore, vero? Era una storia poco credibile già ai tempi di Dokho." disse Shiryu. "Non ci crede più nessuno, figurati se ci casca Lixue."
Anche fosse, non erano affari suoi.
"Fossi Dokho, ti fulminerei sul posto."disse Mei, schiarendosi la voce e sperando vivamente che Shiryu si decidesse a tacere.
"Hahaha, non può. Vive ad Atene." ribatté Shiryu.
"E bè, ti invierei un Rozanhyakuryūha via intercontinentale." replicò Mei. "Ne meriteresti uno."
Distratta dalle parole degli adulti, Lixue lasciò cadere l'argomento, ma si sa, i bambini hanno un'ottima memoria, e Mei sapeva benissimo che prima o poi sarebbe tornata sulla questione; come il padre, era nella sua natura insistere, trovare le risposte a quel che cercava in un modo o nell'altro.
Dopo cena, infilò i piatti nel lavello e mise Lixue a letto.
"Wănān." sorrise, rimboccandole le lenzuola.
Era arrivata alla porta, quando Lixue la chiamò indietro.
"Mamma…?"
"Sì?" rispose, fermandosi.
"Allora tu e papà vi volete ancora bene, o no? "
Socchiuse gli occhi.
Oh accidenti, ecco il discorso di quella sera, anche se sapeva benissimo che non se la sarebbe cavata con poco.
Si sedette sulla sponda del letto, carezzandole i capelli.
"Tesoro… le faccende dei grandi sono tanto difficili …" iniziò, non sapendo come spiegare. Tra lei e Camus erano state decisamente difficili.
"… e quindi? " continuò Lixue, pressante. "Perché non potete stare insieme come i genitori dei miei compagni? Non vuoi più papà?"
Sospirò, sedendosi più comodamente.
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto; anche se a sé stessa lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo." iniziò, cercando le parole più adatte. "Amare, Lixue, capisci? È qualcosa di molto più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne a rivolgere fredde parole cariche di rancore all'altro. Un sentimento così intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono, tanto potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva proposto di abortire.
"Molto forte." rispose. "Non puoi capire quanto, sei ancora piccola."
"Tanto forte da farmi nascere?"
Mei si schiarì la voce.
"Sì… tanto forte da farti nascere." rispose. "Lixue, è tardi, dormi ora."
Spense la luce e uscì dalla stanza.
Troppe domande, accidenti, troppi ricordi risvegliati di colpo.
"Tutto bene?"
Sobbalzò spaventata, trovandosi Shiryu di fronte.
"Stavo meglio prima!" sbottò, accendendo la luce del corridoio. "Santi numi, la smetti di comparirmi alle spalle o no?"
"Qualcosa non va con Lixue?" domandò Shiryu, dopo aver ridacchiato.
No, andava tutto bene, se si escludeva la mancanza che Lixue avvertiva nei confronti di suo padre e i ricordi che ciò aveva risvegliato in lei.
"A parte la mancanza di suo padre, va tutto bene." rispose, asciutta. "Tutto bene."
Shiryu sbuffò, levando gli occhi al cielo.
"Ancora con questa storia, Mei?"
"Lasciami passare."
"Non ne avevamo già parlato?"
"Lasciami passare, non te lo chiederò ancora." replicò, scocciata. Camus era un nervo scoperto, parlare di lui, soprattutto il modo in cui Shiryu ne parlava, le faceva male.
Shiryu alzò le mani in segno di resa.
"Non ti sopporto più, credimi. Ogni volta sempre la stessa storia!"
"Avevamo già affrontato l'argomento Camus, ricordi?"
"Sì? Non direi." replicò Mei, mentre il fratello incrociava le braccia sul petto.
"Non voglio vedere Camus qui." disse Shiryu, facendola bloccare sulla porta della sua stanza.
"Ah ma davvero? Sai che non sei tu a decidere qua dentro, e soprattutto non sei tu a decidere se mia figlia può vedere o no suo padre?" sibilò Mei.
"Non farmi perdere la pazienza, Mei, fino a prova contraria sono io l'uomo di casa."
"Sì? Non farmi ridere. L'unico che può definirsi uomo qui è il Maestro, non tu. Fila a dormire, hai già detto abbastanza sciocchezze per oggi."replicò, chiudendosi la porta della sua stanza alle spalle.
 
*
 
Atene, cinque ore indietro.
Camus posò la brocca del caffè, corrugando la fronte nel sentire il tipico rumore del vibracall del suo cellulare e chiedendosi dove accidenti l'avesse messo.
"Prova a guardare accanto alla tv." suggerì Milo, bussando alla porta che separava gli appartamenti privati dal resto del tempio.
"Uhm… ottima idea." replicò, trovando il telefonino dove aveva suggerito l'amico.
"Hehe, visto? Ti conosco troppo bene." ridacchiò Milo. "Problemi?"
Camus corrugò la fronte, guardando il display.
"… è Mei." sussurrò, posando la tazza sul tavolino.
"Oh." sorrise Milo. "Rispondi no?"
Chissà perché lo stava chiamando, non capitava spesso. Era forse successo qualcosa a Lixue?
"… Mei?" rispose, cauto.
Dall'altra parte, un attimo di silenzio.
"Papà?"
 
*
 
Non parlò a Shiryu per tutto il giorno, l'amarezza e la rabbia era troppa, e non era affatto capace di dissimulare ciò che sentiva: aveva un carattere atroce forse, ma non riusciva a tenersi tutto dentro.
Chi si credeva di essere Shiryu, per parlarle a quel modo? Ma ancora peggio, per credersi in diritto di poter decidere della vita di sua figlia?
Lixue aveva bisogno di suo padre allo stesso modo in cui Camus aveva bisogno di lei, non potevano fare a meno l'uno dell'altra, il loro legame era molto forte.
Già lo sapeva, ma ne ebbe conferma quando, il pomeriggio dopo, Camus apparve in cucina grazie al teletrasporto.
"Mei." s'annunciò Camus.
Fece un balzo, spargendo zucchero sul ripiano della cucina.
"Per tutti gli Dei, Camus, che ci fai qui?" esclamò Mei, girandosi mentre la solita strana sensazione che l'assaliva ogni volta che le era vicino si ripresentava. "Non ti aspettavo così presto!"
Di solito quando arrivava, l'avvertiva per tempo.
"Tu mi aspettavi?!" fece Camus, inarcando un sopracciglio.
Mei si girò di nuovo, per posare il barattolo e per nascondere il rossore.
"No." rispose, frettolosa. Se lui era lì, era per Lixue, non certo per lei.
"Bugiarda." le sussurrò, improvvisamente troppo vicino.
Non gli permetteva di darle della bugiarda, né di definirla in alcun altro modo.
Chi, tra loro due, aveva deciso di troncare sul nascere qualsiasi cosa stesse nascendo tra loro? Chi aveva deciso che no, non possiamo stare insieme, sono un cavaliere d'oro…?
Nonostante avesse da tempo perdonato Camus per quello, sapeva che non avrebbe mai dimenticato quei momenti.
"Oh, sta' zitto." replicò, indispettita. "Bugiarda io? Non ti permettere, non ho mai nascosto ciò che provo nei tuoi confronti."
Camus sorrise appena, per l'unica donna che era entrata nella sua corazza di ghiaccio, Lixue a parte: era vero, non gli aveva mai nascosto nulla, tante volte Mei aveva provato a parlargli e s'era interrotta prima di dire qualunque cosa.
"Lo so." rispose, facendosi di colpo serio. "Lo so bene perché è la stessa cosa per me. Sono qui anche per questo."
Che cosa intendeva dire??!
Chiuse il rubinetto, voltandosi interrogativa.
"Come, scusa?"
"Papà!"
Mei sobbalzò, non sapeva se per via di Camus o dell'interruzione improvvisa di sua figlia.
Lixue saltò in mezzo alla stanza con le braccia spalancate, aspettando l'abbraccio del papà, che non si fece attendere.
"Salut, ma petite. Ça va?"
Mei ascoltò padre e figlia parlare tra loro, in francese -non era gelosa, era un bene, per lei, che parlasse anche la lingua di suo padre- Lixue che spiegava in dettaglio tutta la sua giornata scolastica e, soprattutto, che aveva imparato a leggere e scrivere nuovi ideogrammi, mentre Camus l'ascoltava con attenzione.
"Posso farteli vedere?"
Camus le posò un bacio in fronte, mentre gli occhi gli luccicavano, quindi annuì.
"Certo." annuì. "Frequenta ancora la solita scuola?" domandò poi, quando la bambina si assentò un attimo per andare a prendere il quaderno con i compiti di cinese.
Mei gli mise davanti la tazza di caffè.
"La solita scuola materna, a Pechino." rispose. "Sì. Dista solo quaranta minuti di auto da qui, e Shiryu l'accompagna e la riporta a casa ogni giorno, quando lui va e torna dalla facoltà."
Camus sorseggiò il suo caffè.
"Shiryu frequenta l'università? Davvero?!" commentò Camus, piccato. "Non l'avrei mai detto."
Mei socchiuse gli occhi.
"Va bene. Battuta stupida." concesse lui. "Mi spiace."
"Ah-hem … filosofia. All'Università di Pechino." aggiunse Mei.
Gli sfuggì una risatina ironica. Shiryu era sempre stato il più saccente tra i Bronze Saint, quello che più si soddisfaceva sciorinando frasi di Sun Tzu, Confucio o le parole di Dohko.
Aveva di sicuro trovato la sua strada ideale.
"Che c'è da ridere?!" domandò Mei.
"Ehm … nulla, davvero." rispose, ricomponendosi. Si riavviò i capelli, tentando di darsi un contegno. "Mi sembra la scelta più ovvia per tuo fratello."
"Ah, di sicuro." annuì Mei. "Insieme alla squadra di arti marziali dell'ateneo. Già si credeva Bruce Lee, da quando gareggia si crede un Dio del karate. Comunque … che cosa intendevi, poco fa?"
Uh, allora l'aveva incuriosita.
Si rialzò, sorridendo, e si appoggiò al piano cucina, poco distante da lei.
"Riguarda noi, e per la precisione, noi tre. Visto che la guerra contro Hades è finita da un bel pezzo e che Atena e Dokho non prevedono altre guerre per i prossimi anni, ho deciso di tornare a Parigi." annunciò.
Mei fece per rispondere, ma Lixue irruppe nella stanza brandendo un quaderno, interrompendo i due.
"Visto, papà? Guarda!"
Camus si lasciò prendere per mano dalla figlia, che lo scortò al divano.
"Riguarda noi tre?!" ripeté Mei, corrugando la fronte.
"Une minute, chérie. Mei, vorrei che tu e Lixue veniste a Parigi con me."
 
***
Lady Aquaria's corner.
(Ri-ricontrollato il 18 settembre 2014)
Finora non l'ho mai specificato, ma essendomi tramutata da lettrice a autrice/lettrice da poco, devo ancora capire bene come funziona la cosa....a parte questo…
Ebbene sì. È successo. Camus è OOC. [schiva per un pelo un'Aurora Execution] e credo che sarà OOC per tutta la durata della fic. (e io ti tumulerò nel ghiaccio, prima o poi… Nd.Camus
Massì, tanto mi vuoi bene lo stesso… n.d Lady Aquaria)
Poi…essendo trascorsi anni dal diploma, nonostante debba essere esperta di bambini dato il mio titolo di studi, non ricordo perfettamente le varie tappe delle età evolutive…perciò spero di non aver dato a Lixue comportamenti troppo in là per i suoi sette anni.
-Rozanhyakuryūha, o Colpo dei Cento Draghi Nascenti, tecnica di Dokho.
P.S. Non volevo cancellare le vecchie postille, quindi avverto qui che i capitoli sono in fase di riscrittura. Questo capitolo, invero, era stato pubblicato la prima volta in data 3 aprile 2011, e a distanza di un anno e più, ho deciso di ampliarla e correggerla. Spero vi piaccia! :)
Vale^^
Edit aggiunto il 10 febbraio 2016: dopo un incredibile pastrocchio col titolo, causato da problemini vari, il titolo è tornato il suo originale :D
Lady Aquaria

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Capitolo 2
*** Come away with me. ***


capitolo 2 revisionato

2.

Come away with me.

And i want to wake up with the rain
falling on a tin roof
while i'm safe there in your arms
So all i ask is for you
to come away with me in the night
come away with me
[Norah Jones – Come away with me]

 
Mei, vorrei che tu e Lixue veniste a Parigi con me.

Non poteva crederci. Cos'era quella fretta?
Doveva essere rimasta ferma per un'eternità a guardarlo con occhi sbarrati e bocca aperta per la sorpresa.
Sette anni prima, innamorata com'era stata, l'avrebbe seguito ovunque.
Beh, non l'aveva già fatto?
Sette anni prima, avrebbe dato qualsiasi cosa, persa com'era per lui, per sentirsi dire quelle parole.
"Sei serio?" gli chiese, quando s'accorse di poter muovere di nuovo la mascella.
"Bien sur." ribatté Camus, alzando lo sguardo dal quaderno di Lixue. "Non scherzo mai su certe cose. Vi vorrei a Parigi, vorrei avervi vicino e creare una famiglia. C'est tout."
Mei posò la tazza nel lavello con più forza del solito.
No, non era tutto. Non poteva presentarsi lì di colpo e avanzare pretese assurde che coinvolgevano lei e sua figlia.
Camus sbirciò il quaderno e un ideogramma particolarmente articolato.
"Uhm… questo è piuttosto difficile, vero?"
Lixue annuì, sorridendogli.
"Sì."
Si schiarì la voce, per ottenere la sua attenzione.
"Vuoi averci vicino o vuoi averla vicina?" gli chiese, incapace di trattenersi.
Camus sollevò lo sguardo, interrogativo.
"Come, scusa?" le domandò. "Cosa vorresti dire?"
Tirò un sospiro.
Non dovevano certo parlarne davanti alla bambina; dallo sguardo di Camus capì che aveva appena toccato un brutto tasto.
"Lixue, tesoro, vorresti per favore… lasciarci soli? Io e papà dobbiamo parlare." disse Mei.
La bambina guardò prima lei poi il padre, quindi richiuse il quaderno.
"Lo ritireremo dopo." la esortò Mei. "Coraggio, vai."
Lixue, obbediente, lasciò soli i due adulti in un'atmosfera carica di tensione, senza fare domande.
"Spero che tu stia scherzando." sibilò Camus.
"Su mia figlia non scherzo mai."
"Che cosa intendi dire, eh, Mei? Coraggio, sii più chiara, non parlare per mezze frasi e non obbligare me a cavarti le parole di bocca."
D'accordo, allora avrebbe giocato a carte scoperte.
"E sia, parliamoci chiaro, Camus. Sette anni fa non ti interessava né di me, né di Lixue." protestò Mei. "E adesso…? Io non capisco."
"Forse perché di Lixue non ne sapevo niente, finché non l'ho saputo per caso, da Shiryu e Mu." obiettò Camus, acido. "Per caso, Mei. Avevo almeno il diritto di saperlo. Da te, e non da tuo fratello."
Mei non cedette pur ricordando la sfuriata che le aveva fatto quando era andato al Goro-Ho a conoscere sua figlia.
"Touchè." disse. "Ma ciò non cambia il fatto che di me non ti interessa niente, sono solo la madre di tua figlia. Ricordi? Mi dicesti che non potevamo stare insieme, sono un cavaliere d'oro, Atena prima di tutto."
Parole che gli erano costate care, che non avrebbe mai voluto dire. Quando Saga aveva annunciato dell'imminente scalata al Santuario era stato costretto a decidere rapidamente per entrambi; soprattutto per lei, visto che era presa tra lui e Shiryu.
"Mei… trattarti in quel modo non è stato facile per me. Potrei giustificarmi in mille modi, potrei anche darti la colpa di tutto …" s'interruppe, non appena Mei l'ebbe fulminato con lo sguardo. "… cosa che non farò…"
"E vorrei ben vedere!"
"Ero giovane, avevo vent'anni, e … avevo paura." confessò Camus.
Mei alzò gli occhi al cielo.
"Paura? Hai vissuto in luoghi così freddi dove dovresti aver paura di addormentarti e non svegliarti più, hai affrontato divinità malvagie e sei … morto due volte …" cosa questa che le costava troppo dire ad alta voce "… e hai avuto paura di me?"
Paura di lei?
No, non di lei. Dei suoi sentimenti, di sé stesso. Paura di qualcosa che non aveva mai provato e che aveva perso da bambino, quando era stato strappato dalle sue radici e trapiantato in un luogo ostile e privo di vita.
"Non è mai stata colpa tua. Solo mia." aggiunse Camus.
Frase tipica di chi, nonostante le parole, voleva scrollarsi di dosso ogni responsabilità, oppure di chi celava qualcosa.
Cominciò improvvisamente a sgranare gli occhi, il cuore che batteva forte.
Aveva sbagliato tutto quel tempo, forse? Aveva ragione DeathMask? Per anni aveva perso tempo a pensare a un uomo che in verità… stava con un altro uomo? Con Milo, magari?
"Oh, aspetta. Ho capito tutto."
Camus inarcò un sopracciglio, interrogativo.
"Capito tutto cosa?" domandò, confuso.
Le erano chiari molti comportamenti, iniziava a capire perché Camus si era comportato in quel modo.
"… Milo."
Che cosa c'entrava ora, il suo migliore amico?
"Milo… cosa?"
Mei lo guardò, stranita.
"… tu e Milo… " disse, intrecciando i due indici delle mani come per dire state insieme. "Voi due…"
Camus le riservò uno sguardo gelido, uno di quegli sguardi penetranti, che le mise i brividi addosso.
"Io e Milo che cosa?"
Mei si pentì di aver tirato in ballo l'argomento. Ci erano voluti mesi per digerire la notizia, e lui adesso mandava all'aria tutto quanto?
"Le notizie corrono veloci. Mi era giunta voce che tu e Milo… insomma… stavate insieme."
Camus la guardò un attimo.
Non ne voleva parlare, ed era anche piuttosto comprensibile. Insomma, non doveva certo darle spiegazioni di alcun genere.
Poi, di colpo, mentre era persa a pensare, Camus scoppiò a ridere: una risata di cuore, di quelle che partono dal profondo e che, in qualche modo, scuotono tutto il corpo.
"Oh bè, le mie preoccupazioni ti fanno ridere, sono contenta." ribatté Mei, stizzita.
Prese ad apparecchiare la tavola per cena, continuando a sentire la risata di Camus dietro di sé; non rideva mai, e quando lo faceva la prendeva anche in giro.
"Continua a ridere tranquillamente, così, come se io non ci fossi."
"… Mei … a Milo piacciono le donne." disse, quando la risata scemò.
"Buon per lui." disse Mei. Stimava Milo come amico ma sinceramente le importava poco delle sue abitudini sessuali.
"A me piacciono le donne." proseguì Camus.
"Sono contenta per te." buttò lì, come se non le importasse.
"E sai anche a chi mi riferisco. Sai, non ti facevo tipo da credere a delle voci stupide. Tornavamo da Atene una sera, ubriachi fradici, e rifiutammo la compagnia di un paio di… ehm …"
"…donnine allegre?" l'aiutò Mei.
Un paio di passeggiatrici che lavoravano in periferia, tra le quali due vecchie conoscenze di Mu.
"Già. Qualcuno mise in giro queste voci." concluse.
Facile pensare chi avesse messo in giro quelle voci.
"Immagino anche chi. Quel becchino di DeathMask." disse Mei.
"Non lo so, ma la cosa non mi interessa." disse Camus. "Io sono sicuro di quel che sono e quel che faccio, e le critiche mi scivolano addosso."
DeathMask, sempre lui.
"Razza di… scavafosse che non è altro. Ho giurato di fargliela pagare, quando per poco non uccise Shunrei e Shiryu. Devo ancora pensare a come farlo fuori."
Camus la guardò, divertito.
"Tu? Far fuori DeathMask? E come pensi di fare?"
"Non preoccuparti, in un modo o nell'altro lo farò."
"Tu vorresti sconfiggere un cavaliere d'oro?"
Mei lo guardò, indulgente.
"Non c'è veleno peggiore del veleno di un serpente, non c'è ira peggiore dell'ira di una donna." ribatté Mei.
Lui s'appoggiò allo schienale del divano.
"Mei. Non arrampicarti sugli specchi." disse. "Non sei brava a cambiar discorso."
Fu lei a ridacchiare.
"Ci ho provato." ammise.
"Oh sì. E t'è andata male."
Lei si schiarì la voce.
"Dunque... parlavamo di te e Milo."
"No. Parlavamo di noi." la corresse Camus.
Noi.
Gli diede le spalle, iniziando a trafficare con piatti e ciotole varie, dalla credenza.
"Ah, perché, c'è mai stato un noi? E quando? Non me ne sono accorta." disse Mei.
D'un tratto, le sue mani sui fianchi.
O meglio … i fianchi tra le sue mani -Camus si stupì di quanto fosse rimasta snella e nervosa nonostante la gravidanza-, e il respiro, il suo respiro, sul collo.
"C'è sempre stato un noi." le sussurrò contro l'orecchio. "Sei lontana, ti vedo solo quando vengo a trovare Lixue, ma tu ci sei sempre stata."
Sensazioni che pensava di aver dimenticato, o addirittura mai provato, l'assalirono prepotenti.
Camus era molto più alto di lei, la superava di quasi tutta la testa. Abbracciarlo significava trovare l'incastro perfetto; aveva sempre adorato stare tra le sue braccia, le era piaciuto sentire il suo mento appoggiarsi alla sua testa. Nel suo abbraccio, riusciva sempre a dimenticare ogni cosa.
Sei lontana, ma tu ci sei sempre stata.
Deglutì, sospirando pesantemente e schiarendosi la voce, pur sentendosi bene, tra le sue braccia.
"…Cam…sono immune al tuo fascino." disse, per stemperare la tensione creatasi.
"Bugiarda." mormorò lui. "Adesso chi ha paura di chi?"
"Non ho paura di te, solo di quello che provo per te."
Ci stava ricascando e non andava affatto bene.
Camus le sfiorò gli orecchini che portava, degli chandelier con perline di lapislazzuli che le aveva portato dall'Egitto, e sorrise. Quegli orecchini li portava spesso, li aveva visti più e più volte.
"Allora mi pensi." continuò, sempre a bassa voce. "Posso ancora sperare."
Si staccò da lei quando sentì passi infantili in corridoio, seguiti da passi più adulti.
"Mei … on va en parler." le disse poi, cercando di calmarsi un po’.
"Ecco dov'eri, peste!! Torna qui, dove pensi di andare?"
Shiryu, che stava giocando con Lixue; sentire le risa di sua figlia lo fece sorridere.
Per lo meno Shiryu non odiava la nipotina anche se era sua figlia, pensò Camus.
"Donna! È pronta la cena?" scherzò Shiryu, entrando in cucina e perdendo subito il sorriso.
"Ciao." disse Camus, per educazione più che per reale voglia di salutarlo.
"Ciao." ribatté Shiryu, freddo. Il suo sguardo andò da Mei a lui, e viceversa.
"Wèntí?" Problemi?
"No."
" Tā wèihé zài zhè'er?" Perché lui è qui?
Lixue saltò ancora in braccio al padre, fornendo una risposta a Shiryu prima che potesse fornirgliela Mei.
"Parce qu'il ést mon papa."  Perché lui è il mio papà.
"Ah ecco. Dobbiamo a Lixue il grande onore di averlo qui?" commentò Shiryu, tornando al greco. Assottigliò lo sguardo, nel cogliere nello sguardo di Camus un certo orgoglio dopo le parole di Lixue. Continuò a fissarlo con un atteggiamento di sfida, ma alla fine non fu Camus a cedere.
"Smettila." sibilò Mei.
"Allora papà, dimmi… tu e mamma vi volete bene?"
Camus sorrise, scostando un ciuffo di capelli dalla fronte di Lixue.
"Era questa la domanda che mi volevi fare, quando mi hai chiamato?"
Ma allora era davvero stata Lixue a chiamarlo.
"Certo che ci vogliamo bene." le rispose Camus. "Che domande. Perché me lo chiedi?"
"È per questo che sono nata?"
Shiryu, dalla parte opposta dell'isola di cottura in mezzo alla cucina, guardò Mei.
"Silenzio. " l'ammonì Mei. "Non darmi un altro motivo per detestarti."
"No. Lungi da me scatenare la tua ira." disse Shiryu.
Mei sentiva le occhiate di Camus dritte nella schiena, stava sicuramente aspettando che lei si voltasse.
"… anche per questo, sì." rispose Camus.
"Almeno non ha detto frasi stucchevoli come: sei nata per amore, tesoro." lo prese in giro Shiryu, parlando in cinese alla sorella. "Visto che lui nemmeno sa cos'è l'amore."
"Perché tu sai che cos'è? Non parlare di cose che non conosci, quello che c'è stato fra me e Camus e i dettagli riguardanti la nascita di nostra figlia non li conosci e non ti riguardano. Resta al tuo posto, Shiryu." rispose Mei, piuttosto scocciata dalla situazione. "Pensa agli affari tuoi."
Finì di sgocciolare la frittura mentre Camus continuava a parlare con Lixue.
"A tavola. È pronto." annunciò.
"Bene, avevo fame! Papà, rimani a mangiare?" chiese Lixue. "Mamma fa delle cose buonissime!"
Shiryu la falciò con uno sguardo di fuoco.
"No. Papà ha da fare. Hai da fare, giusto?" domandò.
Mei sbuffò, mentre Camus riduceva gli occhi a due fessure.
"Veramente, no." rispose. "Non ho niente da fare, sono libero come l'aria."
Ah davvero? Strinse i pugni intorno alle posate, sbuffando come un drago furioso.
"…bè. Comunque a papà non piace la cucina cinese." continuò.
Camus si sedette a tavola, prese le bacchette e scoccò a Mei un sorriso da mozzare il fiato e a Shiryu un ghigno ironico.
"Io adoro la cucina cinese."
 

***

Lady Aquaria's corner.
Sembra ostrogoto, ma è cinese.^^
Non faccio uso del traduttore di Google, sbaglia o dà risultati … anche imbarazzanti, due volte su tre, ergo, lo ritengo inaffidabile. A parte il francese, che conosco in parte grazie agli studi svolti al liceo (quindi francese scolastico e non perfetto, ma me la cavo), per il cinese mi avvalgo di un dizionario e un frasario. Spero solo che sia giusto e ciò che ho scritto significhi quello che avevo in mente, altrimenti, che figuraccia…

Shiryu è protettivo verso la sorella, e lei lo è verso Shiryu. Ecco spiegato il risentimento verso DeathMask ed ecco perché Shiryu è tanto, ma davvero tanto odioso verso Camus.
Se qualche frase di Camus vi suonasse familiare … sì, avete ragione. Ho scritto il capitolo in piena fase "Ligabuesca", in particolar modo mentre ascoltavo "Ci sei sempre stata."
E l'ho riascoltata anche mentre lo riscrivevo.
Ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite, e a Dew_Drop, miloxcamus e MaikoxMilo per le recensioni e l'incoraggiamento!
Devo aggiungere ai ringraziamenti anche i nuovi lettori/recensori, grazie :)
Alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 3
*** Per il futuro di Lixue, per il nostro futuro. ***


capitolo 3 revisionato

3.

Per il futuro di Lixue, per il nostro futuro.

I’ve got you now and
I’m not letting go of you
Never be together long enough
‘Cause every moment I’m with you
It’s like I’m holding on to heaven
[Nickelback – Holding on to heaven]

 
Aiutata da Shunrei, Mei portò in tavola la cena. Non voleva essere polemica, ma la vicinanza di Camus, a cena e in casa propria oltretutto, la metteva in subbuglio.
Adori la cucina cinese, eh?
Chissà se dopo quell'esperienza con la sua cucina avrebbe pensato la stessa cosa.
Con aria perfida mise proprio davanti a lui il piatto con la sua famosa salsa rossa, quella che Shiryu chiamava Lavanda Gastrica: non per il sapore, ma per l'effetto che faceva.
"Davvero ti piace la cucina cinese?" chiese Shunrei, a Camus.
"Sì." disse Camus, sincero. "Viaggiando parecchio in genere sono aperto alle cucine straniere, a quelle orientali in particolare … in giro per il mondo per conto del Santuario e grazie ad alcuni colleghi, ho imparato ad apprezzare e sperimentare nuovi piatti… la cucina indiana grazie a Shaka, la cucina giapponese, la cucina cinese grazie a Dokho…"
"Dohko che cucina lo immagino benissimo, ma Shaka no. Questa è nuova." commentò Mei. "Davvero nuova."
Dokho riusciva a immaginarlo mentre cucinava, l'aveva fatto più volte quando, appena arrivati al Goro Ho, aveva dovuto cucinare per sé e per loro tre; le aveva anche insegnato. Ma Shaka no, assolutamente no. Quello non era capace di far nulla senza qualcuno al seguito.
Camus sorrise.
"Bè, è la sua attendente che cucina per lui." rispose, facendola annuire.
"Ah, ecco spiegato l'arcano." commentò. Si ricordava abbastanza bene dell'inquilino della sesta casa e nelle tre settimane e mezzo trascorse in Grecia anni prima, non l'aveva mai visto alzare un dito: sicuramente si faceva aiutare anche per lavarsi, proprio come i principi dei tempi andati.
"Cosa sai della nostra cucina?" domandò quindi Shunrei, riprendendo il filo del discorso.
Camus chiamò a raccolta tutta la sua esperienza in merito.
"So che è variegata, ad esempio. So che a seconda delle cucine ci sono sapori molto forti e un forte uso di aglio oppure sapori dolci e consistenze croccanti, carni brasate o affumicate." rispose Camus. "La mia pronuncia non è per niente corretta ma credo che i nomi delle quattro cucine siano Shandong, Su, Yue e Sichuan."
Shunrei annuì, mentre Mei sorrideva sorpresa.
"E questo dove l'hai letto, su internet o la tua esperienza nel settore deriva da qualche scialbo ristorante pseudo-cinese parigino?" sbottò Shiryu.
Camus inarcò un sopracciglio.
"Solo una piccola parte di ristoranti asiatici propone autentica cucina cinese di qualità come quella che si può mangiare qui in Cina. Spesso i piatti sono prodotti insipidi e standardizzati e spesso associati ad altri tipi di cucine, come quella vietnamita o tailandese che sono anch'esse molto buone, se gustate da sole." rispose Camus. "Nei miei frequenti viaggi in Oriente per conto del Santuario, come ho detto, ho avuto modo di assaggiarle tutte."
Mei si schiarì la voce.
"E… quali sono i tuoi piatti preferiti?"
"Preferiti è una parola grossa… diciamo che li ho apprezzati particolarmente… riso fritto, spezzatino di capra piccante, ran mian e budino di riso." elencò Camus. "Si dice ran mian, giusto?"
Mei annuì.
"Sì. Se avessi saputo del tuo arrivo avrei preparato quello, per cena." disse. "Purtroppo ti devi accontentare di quello che c'è."
"Ma no, mi accontento." rispose Camus.
Shiryu si alzò da tavola, per andare a rispondere al telefono che aveva preso a squillare.
"Chiedo scusa per il suo comportamento." si scusò Shunrei. "Temo sia irrecuperabile, ormai."
"Lo conosco da una vita intera, Rei. Shiryu è sicuramente irrecuperabile." la corresse Mei. "Per un attimo ho temuto una risposta salace, da parte tua."
Camus sorrise.
"Non è mia abitudine dire parolacce, o comunque rispondere in malo modo." rispose. "Preferisco di gran lunga rispondere educatamente a tono e sorridere."
Meglio così. In effetti Camus non lo ricordava affatto come una persona volgare o dalla parolaccia pronta, ed era un bene.
"Si mangia, mamma? Ho fame." protestò Lixue, distraendo gli adulti.
"Quanta fretta!" sorrise Mei. "Abbiamo ospiti, lascia che sia papà a servirsi per primo."
Shiryu tornò in cucina mentre Camus, presa la ciotola dal piano girevole in mezzo al tavolo, si stava servendo pollo e peperoni; gli lanciò un'occhiataccia, quindi si accomodò al solito posto.
Farabutto.
Comodo comportarsi così, comodo per lui, abbandonare donna e figlia nel momento meno opportuno e tornare a reclamare assurdi diritti dopo anni.
Per lui, Camus era indegno di definirsi padre, quel diritto l'aveva perso nello stesso momento in cui aveva voltato le spalle a sua sorella e alla nipotina che aveva portato in grembo.
"Hai detto che conosci tutto?" chiese Lixue.
"Quasi tutto tesoro, è impossibile conoscere ogni cosa. Ma tu a che cosa ti riferisci?" chiese Camus.
"Alla cucina."
"Oh. No, so solo qualcosa." si schermì.
Lixue sorrise, poi afferrò una nuvola di drago.
"Allora cos'è questa?" gli domandò.
Camus sorrise a sua volta.
"Questa è facile. È una nuvola di drago."
"E questo?"
"Uhm… ehm… Wonton fritti." rispose Camus, spezzandone uno e intingendolo nella salsa rossa.
Di riflesso Shiryu si portò una mano alla gola. La malefica salsa di Mei aveva un modo subdolo di agire: di primo acchito, grazie al pomodoro, sembrava una salsa dolce e gradevole, dal vago retrogusto agrodolce. Una volta bruciate definitivamente le papille gustative, scendeva come lava lungo l'esofago, liquefacendolo e arrivata allo stomaco, bastava un minimo movimento ed esplodeva come un santabarbara.
Camus masticò il boccone con gusto, assaporandolo.
"Buona questa salsa. Forse un pochino speziata, ma molto buona. Mi ricorda qualcosa che …" si accorse che Shiryu e Shunrei lo stavano guardando con tanto d'occhi, e s'interruppe. "…ho fatto qualcosa di sbagliato?"
A parte presentarsi a casa loro, niente, pensò Shiryu alzandosi e andando a prendere una bottiglia.
"Sei sopravvissuto alla lavanda gastrica, ti meriti la Wei kwei lo." disse. "Ne offro un bicchierino a tutti quelli che hanno il fegato di resisterle. E credimi, non sono tanti."
"Tu sei il secondo, dopo Dokho." disse Shunrei.
"Lavanda gastrica?  Magari Mei non sarà all'altezza di Alain Ducasse, ma addirittura definirla così…" disse Camus. "Assaggiai una salsa simile, durante una missione, in Malesia…"
"Ti riferisci alla Sambal Oelek?" chiese Mei. "La mia salsa ne è una variazione … alla ricetta base ci ho aggiunto diversi ingredienti."
"Tra i quali, un peperoncino che la gente del luogo ritiene afrodisiaco." commentò Shunrei.
Ancora un sorriso mozzafiato, con tanto d'occhiolino in sua direzione.
"A quanto pare, non mi aspettava solo Lixue, chérie."
Mei strappò con stizza un pezzo di involtino primavera.
La sua intenzione era stata quella di bruciargli il senso del gusto, non di risvegliargli la libido.

La cena, a dispetto delle previsioni di Mei, si rivelò piacevole; come ricordava, Camus era un ottimo intrattenitore -non si sapeva se per dono naturale o per colpa del liquore di Shiryu- e Mei riuscì anche a rilassarsi. Per un momento le parve di tornare al breve periodo trascorso alle Dodici Case, alle cene a due sul terrazzino dietro la casa dell'acquario.
Ma la sua mente tornò anche al dopo di quelle cene, alle sere di fine primavera trascorse dietro ai cespugli del piccolo giardino dell'undicesima casa.
Non era stato un periodo da romanzetto rosa tutto sospiri e languide carezze, anzi, a causa di Saga avevano anche litigato -e quella lite se la ricordava anche troppo bene- ma tutto sommato, era stato un bel periodo.
"…tutto bene, Mei?"
Si riscosse di colpo, alla domanda di suo fratello.
"Come?"
"Ti ho chiesto se va tutto bene." ripeté Shiryu.
"Sì, mi sono solo distratta." sorrise Mei, incrociando lo sguardo di Camus.
A volte quello sguardo le faceva paura: era come se riuscisse a leggerle l'anima.
"A-hem… beh, penso che mi ritirerò. Comunque era tutto ottimo Mei, grazie." disse poi Camus, alzandosi da tavola.
Lixue sbadigliò vistosamente, quindi guardò suo padre, che si chinò e le baciò la testa.
"Bonne nuit, ma petite."
"Okay signorina, a letto. Per stasera hai già fatto tardi." disse Mei, alzandosi da tavola.
"Mamma, papà può stare qui stanotte?" chiese Lixue.
Camus si schiarì la voce, captando lo sguardo truce di Shiryu e quello confuso di Mei.
"Non mi sembra il caso, Lixue." disse. "Posso tornare domani, se vuoi."
Lixue abbracciò il padre, piangendo.
"Ma… ma c'è una stanza in più!" esclamò. "Ti prego! Ti lascio il mio letto e dormo con la mamma!" aggiunse, facendolo ridere.
"Ma che sciocchina." sussurrò Camus.
Mei non esitò.
"Rimani." mormorò a Camus, sfiorandogli un braccio. "Mi farebbe piacere."
"Davvero?"
"Davvero Cam. Sono seria." rispose Mei. "Tesoro, và a infilarti il pigiama e a lavarti i denti, papà arriva subito."
Appena Lixue lasciò la cucina, Shiryu riprese a far polemica.
"Come, resta qui?"
"Non c'è alcun problema, c'è una stanza in più." precisò Mei, decidendo di ignorare Shiryu. "Stai tranquillo."
"La camera degli ospiti è occupata." commentò Shiryu.
Essere sciocco e infantile. Stentava a credere che il ragazzo che aveva di fronte e che si comportava in quel modo stupido fosse lo stesso che aveva sconfitto DeathMask anni prima.
Come aveva fatto Death a lasciarsi sconfiggere da uno come Shiryu?
"Mi adatto a dormire anche sul divano." disse Camus, incrociando le braccia sul petto.
"È un divano a due posti, è troppo piccolo per te."
Mei assottigliò lo sguardo, furiosa.
"Allora dormirà con me, nel mio letto." sibilò. "Quello non è troppo piccolo né occupato. O hai qualche obiezione da fare anche su questo?"
Shiryu si schiarì la voce, le sopracciglia inarcate.
"La stanza degli ospiti andrà benissimo." rispose, dopo un paio di minuti.
"Bene." disse Mei.
Camus si chinò leggermente verso Mei, sorridendo.
"Mi andava bene anche la tua stanza." precisò.
Non aveva dubbi a riguardo.
"… non… non tentarmi." rispose lei.
Lixue ritornò in cucina in pochissimo tempo, con i capelli sciolti, in pigiama, con Mushu –il suo peluche preferito- sottobraccio e un libro di favole in mano, insistendo per essere messa a letto dal padre.
"Ti… ti sei lavata bene i denti?"
Lixue annuì vigorosamente, prima di prendere la mano di Camus.
"Vai pure, parliamo dopo." rispose Mei, sorridendo. "Buonanotte, amore."
Li seguì silenziosamente poco dopo, intravedendoli da uno spiraglio lasciato dalla porta socchiusa: padre e figlia erano molto affezionati, Lixue parlava spesso di suo padre e di quanto le mancasse durante tutti i giorni e Camus… beh… lui l'adorava, era palese.
Chi era lei per impedire loro di frequentarsi, o di interrompere il loro rapporto?
Assolutamente nessuno, non sarebbe stato giusto per nessuno di loro tre e se il trasferimento a Parigi era necessario… ebbene, per loro si sarebbe trasferita.

Tornata in cucina, ignorò le occhiatacce di Shiryu addosso e iniziò a scrivere qualche appunto sulla lavagnetta magnetica del frigorifero: per prima cosa avrebbe chiamato Wenyan e si sarebbe dimessa chiedendogli, se possibile, una lettera di referenze per un altro posto di lavoro, poi, avrebbe dovuto pensare ai documenti e tante altre cose, ritirare l'iscrizione di Lixue alla scuola primaria…
"Perché devi parlare con Wenyan?" domandò Shiryu, di punto in bianco.
Mei richiuse il pennarello e lo ripose accanto alla lavagnetta, incrociando le braccia sul petto.
"Si tratta del mio capo, del mio lavoro… devo parlargli per questioni private." rispose, tagliando corto.
"Dormirà con me, nel mio letto. Ahahah. Ma che spiritosa." borbottò Shiryu, cambiando discorso.
"Non scherzo mai su queste cose." ribatté Mei. "Si tratta del padre di mia figlia e anche se la nostra situazione è complicata, si tratta pur sempre del mio compagno. E poi se voglio dormire con lui, personalmente a te che cosa importa?"
"Beh, Mei ha ragione." intervenne Shunrei. "Io metterei alla prova la resistenza del materasso con un fusto del genere."
"Shunrei!" esclamò Shiryu, scandalizzato.
"Oh scusa, mi sono dimenticata che sei gelosa." ridacchiò Shunrei.
E non immaginava nemmeno quanto.
"Appunto, vedi di ricordarlo." scherzò Mei. "Hai Shiryu, và a testar materassi con lui."
Shiryu puntò le mani sui fianchi, oltraggiato.
"Per chi mi avete preso, per un bambolotto?" protestò. "Troppo Sex and the City, ragazze."
"È tipico degli uomini. Loro possono parlare di qualsiasi cosa, ma se provi a scendere al loro livello, ti trovano da dire." disse Shunrei, prima di lasciar soli i due fratelli.
"Che cavolo le è preso?… è stata posseduta da Samantha?" domandò quindi Shiryu.
"No, Shiryu. Si sta emancipando, non è la fine del mondo…"

Camus uscì dalla stanza di Lixue più tardi; sua figlia, evidentemente su di giri per la sua presenza, si era addormentata solo dopo la seconda favola e dopo avergli strappato alcune promesse, come fare colazione insieme, andare in giro per Parigi come avevano già fatto una volta e un altro paio di cose che avrebbero richiesto un po’ di tempo: beh, il giro per Parigi poteva farlo anche da solo, un fratellino invece era una richiesta più complessa.
Nel tornare al piano di sotto, intravide Mei dirigersi in giardino e decise di seguirla.
"MEI, ASPETTA!" gridò, prima di raggiungerla.
"Cos'hai da gridare? Vuoi svegliare tutto il villaggio? Ci sento benissimo!" rispose lei, voltandosi.
Ci sentiva benissimo? E come diamine faceva, con la cascata che emetteva un fragore terribile?
"So a cosa pensi. Ma ci siamo abituati." disse Mei, indicando la cascata. Si sedette su un masso liscio e batté più volte la mano accanto a sé, in un invito a sedersi accanto a lei. "Vengo qui ogni volta che devo pensare o voglio stare tranquilla… una volta c'era quella specie di anfratto dietro la cascata ma ci sono troppi ricordi legati a quel luogo."
Le sorrise; sapeva bene a che cosa si riferiva.
"…già."
"Già. Prima che tutto andasse a rotoli." disse Mei.
Ma a dire il vero, nulla era andato a rotoli, anzi. Quegli anni erano serviti a entrambi per conoscersi meglio.
"Rotoli? Perché dici così? Nulla è andato a rotoli, scherzi?" domandò Camus. "Diciamo che ci siamo conosciuti meglio."
Mei sorrise.
"In effetti anni fa è stato tutto così veloce…" ammise.
"Appunto." convenne Camus. "Questi anni ci sono serviti comunque, adesso sappiamo più cose l'uno dell'altra. Posso dire che è stata una sorta di lungo corteggiamento."
"Beh, corteggiamento un po’ particolare, visto che abbiamo bruciato delle tappe." ridacchiò Mei, appoggiando la testa alla sua spalla. "Comunque sì, come termine può andar bene."
Shiryu ridusse gli occhi a due fessure, sbuffando sonoramente quando intravide la sorella e l'uomo dalla finestra.
Finché si limitava ad arrivare per vedere la figlia poteva ancora andargli bene, ma se pretendeva davvero di prendere entrambe e portarsele via, si sbagliava di grosso.
"Che ci fai lì alla finestra, Shiryu? Sei diventato un guardone?!" l'apostrofò Dohko, comparendo nel corridoio all'improvviso e facendogli prendere un colpo.
"Naturalmente no." rispose Shiryu, dopo aver richiuso la finestra, ignorando l'eccesso di adrenalina scaturito dallo spavento. "Non facevo niente di che."
"Spiavi tua sorella e Camus, come il solito. Se non sbaglio hai una ragazza che ti aspetta, pensa a lei."

"Un kimono?" domandò Camus, guardando l'indumento che lei indossava. "L'ho notato solo ora. Una cinese con un costume giapponese?"
"Mai visto Memorie di una Geisha? Ci sono tre attrici cinesi che interpretano tre geishe giapponesi, non è così insolito sai. Comunque è un regalo di Shiryu di un paio d'anni fa, di ritorno da Tokyo." spiegò Mei. "Ti aspettavi qualcosa kitsch? Qualcosa che mi facesse assomigliare a una bambola cinese?"
Lui sorrise.
"No. Non sarebbe da te." rispose. "È per questo che mi piaci."
"Perché non indosso solo abiti cinesi?!"
"Ma no. Perché non sei come molte delle donne che ho visto transitare al santuario o a Rodorio. Perché sei indipendente, fiera e forte. Perché hai tirato su nostra figlia da sola e non ti sei lasciata travolgere dagli eventi…"
A dire il vero non aveva avuto granché scelta all'epoca: o si rimboccava le maniche o chissà che fine avrebbero fatto, lei e sua figlia.
"Cos'altro avrei dovuto fare, Camus? Non potevo fare diversamente, ti ricordo che sei stato tu a lasciarmi, non il contrario." disse Mei. "Ma poi non ero sola, c'erano Shiryu e Shunrei con me."
Camus annuì.
Immaginava che genere di aiuto Shiryu aveva dato a lei e Lixue: parole dure e cattive nei suoi confronti e polemiche a non finire.
"A proposito di Lixue, ci sono ancora delle cose che non so e che in questi anni, in presenza di Shiryu, non ho mai avuto il coraggio di chiederti… "
"Spara."
"So che ci sono stati dei problemi con tuo fratello, quando hai scoperto di essere incinta." iniziò Camus, ricordandosi le parole di Mu.
"Uhm… sì. Ci sono stati alcuni problemi. Non era contento di sapermi incinta di un Gold Saint… "
"Soprattutto se quel Gold Saint ero io."
Mei gli strofinò la mano.
"…per farla breve, mi disse di abortire." disse Mei. "Perché diceva che un bambino mi avrebbe rovinato la vita e tu non avresti fatto niente per noi, ci avresti abbandonato."
Camus trattenne il fiato, arrabbiato.
"Che gran bastardo." sbottò. "Per Athena che bastardo!"
"Lascia perdere, ci ho pensato personalmente con un pugno ben assestato in faccia, stai tranquillo." lo distrasse Mei. "Non pensarci."
Sì, forse era meglio per tutti non pensare a Shiryu, era meglio soprattutto per l'interessato, altrimenti gli avrebbe sfasciato la testa.
"Okay, pensiamo ad altro… ad esempio… com'è andato il parto?"
Sulle prime lo guardò confusa poi scoppiò a ridere, tappandosi subito la bocca.
"Ma guarda che domanda…" scosse la testa. "…un delirio. Si ruppero le acque in piena notte e il travaglio durò tutto il giorno finché Lixue non si decise a uscire, la sera dopo." spiegò, non riuscendo a trattenere una smorfia.
"Tutto qui?"
"Bè, ti sembra poco? Cosa ti aspettavi?" chiese Mei. "Il travaglio è durato trentasei ore, mi pare più che sufficiente."
"Non so… in tv se ne vedono di tutti i colori…"
Mei ridacchiò, di nuovo.
"…oh, so che cosa intendi… donne isteriche, urlanti e sbuffanti come treni a vapore?" domandò. "Ma tu pensi che in quei momenti, una donna vera possa perdere tempo in cavolate simili?"
"No, vero?" sorrise lui.
Mei scosse la testa, divertita al ricordo.
"Shiryu sembrava una cavalletta impazzita… andava avanti e indietro in corridoio… abbiamo quasi cambiato il parquet per questo motivo, sai? E Aiolia… fu strepitoso… è stato lui a far nascere Lixue. La levatrice che aveva chiamato rimase imbottigliata nel traffico di Pechino, a causa della Festa delle Lanterne. Ho sofferto parecchio, però per me non è stato affatto terribile come dicono gli altri."
"Per molte donne il parto è un evento traumatico e orrendo…" disse Camus.
"Dare alla luce un essere umano è forse orrendo?" fece Mei. "Per me far nascere Lixue è stato bellissimo."
Camus sorrise, sornione.
"Più bello che… crearla?"
"No, certo che no. Mi sono divertita." disse Mei. "E parecchio, anche."
Silenzio.
"Sai… Lixue mi ha chiesto un paio di cose, prima di dormire."
"Ah sì? Tipo?"
"Ehm… fare colazione insieme domattina, portarla a Parigi e…"
"… e?"
"Avere un fratellino, ma questa è una cosa che da solo non posso fare e sicuramente non è ancora il caso…" disse Camus.
"Oh."

"Mei?"
Lei si girò, distogliendo lo sguardo dalla volta stellata sopra di loro.
"Mmh?"
"Posso avere ancora un po’ di salsa rossa?"
"…che stupido." sorrise, dandogli una gomitata.

***

Lady Aquaria's corner.
Oddeì……ho creato un mostro!! Anche Shunrei è OOC!
Muahahahahah!!
Colpa della funzione random del mio mp3, che ieri sera mi ha "sparato", nell'ordine: Just can't get enough (Depeche Mode), Heartache every moment (HIM), Get outta my way (Kylie Minogue), Mamma Mia, 
Gimme Gimme Gimme, Head over heels (ABBA)
e Our truth (Lacuna Coil), colpa del mio telefilm preferito e di Samantha Jones che s'è impossessata di Shunrei. Già. ù_ù
-I wonton......nel ristorante cinese dove sono cliente abituale, i wonton sono pezzi di pasta fritta, tirata come se fossero bugie di carnevale, ma salate anzichè dolci...almeno, mi hanno spiegato così…
-I Ran mian sono tagliolini fritti serviti con cipolle, peperoncino, arachidi, erba cipollina e salsa piccante
-Santabarbara…probabilmente tutti sapete cos'è…ma in ogni caso, è un deposito adibito a stivaggio di armi, munizioni e similia all'interno di una zona militare. Chiamasi così dal nome della Santa deputata alla protezione della Marina, dei Vigili del fuoco, delle armi di Artiglieria e Genio e in generale di chi fa mestieri a contatto con fuoco e/o esplosivi…
-Wei kwei lo…(spero che si scriva così)…grappa di rosa cinese
-Alain Ducasse
…è un famoso cuoco parigino
-Sambal Oelek….piccantissima salsa malese ottenuta tritando e pestando i peperoncini piccanti.

Come sempre, grazie di cuore a: chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite e chi ha recensito.

Lady Aquaria

 

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Capitolo 4
*** Nothing can keep me from you. ***


capitolo 4 rivisto

4.

Nothing can keep me from you.

No mountain could ever stand between us
No ocean could ever be that wide
No river to deep to keep your love from me
 
I swear it's the truth
 
Nothing Can Keep Me From You
There's no race I would not go to
 
No distance would ever be too far
To keep me away I'd always find a way to show
 
you it's true

Nothing Can Keep Me
 
No, Nothing Can Keep Me from You
[Kiss – Nothing can keep me from you]

 

"So che Lixue vorrebbe una sorella, le sole occasioni che ha per parlare e giocare con i bambini della sua età si riducono all'asilo o al parco giochi, quando ce la porto, sai… la pagoda è piuttosto lontana dal villaggio." Mei riprese il discorso di poco prima. "Sinceramente anche io vorrei altri figli, ho l'età giusta, sono più preparata… e poi, sono dell'idea che tra due fratelli non ci debba essere troppa differenza d'età."
Camus annuì.
"Quindi vorresti altri figli?"
"Oh sì, mi piacerebbe moltissimo."
"E… il tuo compagno, che ne pensa?" domandò Camus pur sapendo benissimo che Mei, in verità non aveva alcun compagno... era ancora sua.
Per qualche strana ragione però, voleva sentirlo direttamente da lei, voleva avere una seconda conferma.
"Il mio… cosa?" ripeté Mei.
"Il tuo compagno."
"Sai molto bene che l'ultima volta che ho avuto un uomo è stata durante quell'ultima notte ad Atene." replicò Mei, ridacchiando nervosa. "Lo sai bene, visto che quell'uomo sei tu. Non ho mai avuto altre relazioni."
"Uhm." annuì Camus.
"Ti stupirà saperlo, immagino." disse Mei. "In questi anni qualcuno ci ha provato, non lo nego. Perlopiù gente che non conosce affatto il mio carattere…"
"…e come dargli torto?" scherzò Camus.
"Beh… in effetti…" ridacchiò velocemente lei. "…però li ho sempre rifiutati tutti. Non accettavo neanche un caffè con loro."
"Perché?" domandò, di getto.
"Semplicemente perché nessuno di loro era te. Perché segretamente speravo in un tuo ripensamento, speravo di vederti tornare, un giorno, per chiedermi di ricominciare."
"Buffo. Pensavo non volessi vedermi più."
Mei corrugò la fronte.
"Pensavi che cosa?"
Camus invece si schiarì la voce, un filo insicuro dopo il tono di Mei.
"Sì, insomma. Dopo quello che è successo fra noi…"
Scattò in piedi, guardandolo contrariata.
"Perché? Che cosa diamine ti ha fatto pensare che… sì, all'inizio ero furiosa con te, ma poi… quando ti ho visto con nostra figlia quella volta, tutta la rabbia che provavo se n'è andata." spiegò Mei. "Insomma… dopo tutto quello che ho vissuto con te pensi forse che avrei potuto rifarmi una vita come niente fosse? Che avrei potuto permettere a qualcun altro di occuparsi di Lixue?"
"Mei…"
"Oppure pensi che esista davvero qualcun altro al mondo in grado di reggere il confronto con te? O che potessi permettermi di cedere tra le braccia di un altro uomo dopo essere stata tra le tue?"
"Tesoro, tu mi sopravvaluti un po' troppo…"
Lo fulminò con un'occhiata.
"Okay okay, non arrabbiarti…!"
"Mi arrabbio perché… se solo fossimo stati meno orgogliosi, se io lo fossi stata di meno, avremmo potuto crescerla insieme nostra figlia, essere una famiglia unita già da tempo, ecco perché." disse Mei. "Lixue avrebbe avuto suo padre accanto, e io…"
La guardò.
"… e tu?"
"E' tardi, rientro." rispose Mei, schiarendosi la voce.
"Aspetta." Camus le afferrò la mano e la trasse a sé. "… e tu? Avanti, finisci la frase."
"Io avrei riavuto il Camus che amavo. Ma non possiedo un giratempo, perciò non posso tornare indietro e rimediare a tutto."
Camus sorrise.
"Sì, è vero, non possiamo tornare indietro, ma possiamo ancora rimediare. Possiamo sempre costruire la nostra famiglia, per questo ti ho proposto di venire a Parigi con me. Pensaci: una casa nostra, la scuola per Li… Parigi è piena di palestre, un lavoro lo troveresti di certo, ne son sicuro. E se così non fosse, provvederei io per tutti e tre."
"Quest'ultimo punto scordatelo, ho faticato per avere l'indipendenza economica, da giovane vivevo sulle spalle di Dohko e mi è bastato."
"Che io sappia non si è mai lamentato di questo."
"Lo so e l'ho sempre ringraziato per l'aiuto che mi ha dato, ma non mi piace vivere sulle spalle altrui."
La stretta sui fianchi aumentò, così come l'intensità del suo sguardo.
"Allora è un sì, questo?" le domandò, affondando il volto nel suo petto.
"Stai giocando sporco, mascalzone." ridacchiò Mei, afferrandogli i capelli e tirandogli indietro la testa con dolcezza. "Vuoi farmi cedere e usi questi mezzi."
"Direi che questi mezzi stanno funzionando." le fece notare, avvertendo chiaramente i suoi brividi.
Sospirò.
"Non hai idea di quanto autocontrollo ho sviluppato in anni di arti marziali. Chi ti dice che avrai successo?"
"Lo so, lo so." le rispose Camus, a voce bassissima. "Ah, lo sai che non riuscirai a dirmi di no." 
"Possiamo parlarne domani? Ora non riesco a ragionare come dovrei." rispose, tentando di scostarsi.
"Perché siamo così vicini?"
"… beh, la tua vicinanza potrebbe portarmi a commettere gesti strani."
"Ah sì? Che tipo di gesti?"

Lixue s'era arrampicata sulla panchetta sotto la finestra del corridoio e da lì guardava i genitori parlare.
Da quella distanza ovviamente non poteva sentirli, ma erano vicini come spesso accadeva agli zii e tanto le bastava, significava che si volevano bene.
"Piccola birbante." mormorò Dohko, a bassa voce per non farla spaventare. "Non si spiano i grandi, lo sai."
"Lo so." rispose la piccola, abbassando colpevole lo sguardo.
"Non importa." disse Dohko, guardando fuori e vedendo i due ragazzi baciarsi e scompigliandole affettuosamente i capelli. "Avevi le tue buone ragioni."  
"Visto? Mamma e papà si vogliono bene." disse Lixue, soddisfatta.
"Ma certo. Lo sapevo già." disse Dohko. "Ora a dormire, signorina. E' tardi e i tuoi genitori devono parlare."
Parlare… beh, non era il termine esatto, i gesti dei due giovani erano diventati piuttosto eloquenti.
"A nanna, su."

"…quella caverna, dietro la cascata… c'è sempre?"
Mei riaprì gli occhi, guardandolo qualche istante col fiato corto.
"Uhm… s-sì. Certo che sì."
"Bene." rispose Camus, la voce spezzata. Sinceramente non sapeva per quanto ancora avrebbe resistito.
"Preferirei comunque la mia camera, è più comoda, non trovi?"
Camus annuì.
"Penso proprio di sì."
Dalla pagoda, Dohko si schiarì la voce.
"… e più calda, oserei aggiungere." s'intromise, facendoli sobbalzare; istintivamente Mei serrò i lembi del kimono.
Entrambi rimasero zitti per qualche istante, imbarazzati.
"Coraggio ragazzi! Meglio su un letto caldo che su un sottile futon sulla nuda roccia dietro la cascata."
"Direi di sì." rispose Camus, ad alta voce, mentre Mei scendeva dalle sue gambe –chiedendosi a che punto della serata v'era salita- e si sistemava alla bell'e meglio.
"Bene, Camus. Anche perché una certa bambina, qui, potrebbe alzarsi di nuovo e vedere cose che vanno al di là di un semplice bacio." replicò Dohko. "E' ancora troppo piccola per certe cose."
"Oh accidenti. Sapeva della grotta?" mormorò Camus, mentre Mei si stringeva nel kimono.
"La usavo prima di voi, miei cari." disse Dokho, sornione. "Buonanotte. E cercate di non fare troppo rumore."
"Oddei." fece Mei. "Direi di rientrare, mi sento già abbastanza imbarazzata."
Camus scosse la testa.
"Inizia a rientrare, mi servirà ancora qualche minuto." disse, incrociando le gambe.
Quando comprese il perché di quella richiesta, avvampò e iniziò a ridere sommessamente.
"Meglio, sì. Ehm… vado a controllare Lixue, magari le leggo un altro capitolo… sai, dopo il Voto Infrangibile non sta più nella pelle per sapere cosa succede." continuò Mei.
"Oh... tu leggi Harry Potter?" domandò Camus, grato per quel diversivo che gli stava consentendo di recuperare un briciolo di presentabilità.
"Lo leggo a Lixue. Lei lo trova bello e divertente, io lo trovo anche molto educativo." precisò Mei. "Amicizia, coraggio, amore. Poche saghe sono così avvincenti."
"Dimentichi il Signore degli Anelli."
"Non la dimentico affatto. Una saga per volta, finito Harry Potter la incoraggerò a leggere del prode Aragorn. E di Elrond." rispose Mei, aggiungendo una particolare inflessione sul suo personaggio preferito.
"Draco, Severus, Elrond… hai mai provato una volta sola a stare dalla parte dei buoni?" scherzò Camus. "Credo di potermi alzare adesso."
"Hai citato tre personaggi che non sono assolutamente cattivi." replicò Mei, incamminandosi con Camus verso la pagoda. "E comunque hai dimenticato Loki."
"Oh no, dici sul serio? Ma dai! Loki? Sei seria?"
"Eh, in questo io e Lixue siamo diverse, lei adora Thor. Dice che le ricorda Hyoga." spiegò Mei. "Comunque dì al tuo allievo che può anche farsi vivo ogni tanto, se vuol venire qui a trovare Shiryu o magari Lixue. Non nutro costantemente istinti omicidi nei suoi confronti."
"Glielo farò presente, anche se sulla storia degli istinti omicidi tenuti a bada non ci credo nemmeno un po'."

Parlando, erano arrivati alla porta della stanza degli ospiti e dopo qualche istante di silenzio, Mei si schiarì la voce.
"… sei deluso o arrabbiato?"
"Scusami?" domandò Camus, corrugando di nuovo la fronte.
"Per poco fa. Cerchi di dissimulare ma sei ancora parecchio… come dire… su di giri."
"Non sono arrabbiato." le rispose, abbassando la voce di un paio d'ottave. "Certo non ce l'ho con te perché tanto prima o poi succederà e riprenderemo il discorso di poco fa, visto che lo vogliamo entrambi. E tu?"
"Irritata per l'interruzione." rispose Mei, ricevendo un bacio. "Parecchio irritata."
Camus le baciò la fronte.
"Pazienza, è andata così. Buonanotte chérie."
"Sì, sempre se riesco a dormire." bofonchiò Mei, tra sé e sé, facendolo ridere.

Controllò Lixue, accorgendosi che si era finalmente messa a dormire, quindi, dopo vari infruttuosi tentativi di prender sonno, decise di scendere in cucina e farsi un infuso: erano le due di mattina e ancora non riusciva a chiudere occhio.
Sabaka si mosse appena, sollevando la testa e sbadigliando.
"Minou ti ha di nuovo cacciata dalla cesta, vero?" le disse Mei, chinandosi ad accarezzarle la testa. "E' prepotente, non dargli retta."
Shiryu rimase qualche secondo in attesa sulla porta della cucina, quindi si schiarì la voce mentre Mei accarezzava il samoiedo di Lixue.
"Mei."
"Eh?"
"Cosa ci fai alzata?"
"Non ho sonno." rispose, evasiva.
"Non è da te."
"Beh, a volte capita." replicò, allungando un biscotto per cani a Sabaka. "Tu, piuttosto? Perché sei in piedi?"
"Per il tuo stesso motivo."
Preferì sorvolare su questo, sicuramente Shiryu si era alzato dopo averla sentita scendere in cucina.
"Ho visto che sei sola."
"Dì un po', che cosa speravi di vedere una volta entrato? Io e Camus avvinghiati sul piano cucina?" sbottò Mei, afferrando un barattolo dalla credenza.
"Speravo proprio di no."
"Anche fosse non sarebbero affari tuoi."
Shiryu vide le mani di Mei tremare e le aprì il barattolo con l'infuso.
"Cos'hai?"
"Niente, Shiryu, niente. Sono un po’ stanca."
Il fratello posò una mano sulla sua.
"Siediti, dai. Ci penso io."
Lo vide prendere un altro barattolo.
"Posa subito quel barattolo. Con tutto il bene che le voglio, preferisco tenermi l'insonnia che trangugiare un infuso con le erbe di Shunrei."
"Una bella camomilla?" propose Shiryu.
"La camomilla m'innervosisce."
Le si sedette di fronte, mentre l'acqua scaldava nel microonde.
"È successo qualcosa?"
"No, nulla di particolare." rispose Mei. Anche fosse, non l'avrebbe certo reso partecipe di ciò che faceva con Camus.
Shiryu annuì.
"D'accordo." rispose. "Ascolta, mi spiace essermi comportato male oggi. Scusami."
"Non devi chiedere scusa solo a me, ma a Camus e Lixue. Io sono abituata al tuo comportamento anche se mi irrita spesso e per quanto ti voglio bene ti prenderei volentieri a sberle. Ma Camus non ti ha fatto nulla per meritare la tua avversione. Quello che c'è stato tra me e lui anni fa riguarda solo noi due, non te, né nessun altro." rispose Mei. "E Lixue è piccola e non capisce perché detesti suo padre."
"Io non lo odio."
"Oh. Pensa se lo odiavi." disse Mei. "Che avresti fatto in quel caso? L'avresti ucciso?"
"Io mi preoccupo per te, Mei, come ho sempre fatto, anche se sono più piccolo di te. Mi dispiace averti ferita."
Oh, non l'aveva ferita in quel momento. L'aveva ferita nel momento in cui le aveva chiesto di abortire. Tutte le altre ferite che le aveva inferto erano superficiali rispetto a quella ferita profonda e ancora aperta.
"No, non mi hai ferita oggi." rispose Mei, alzandosi e preparandosi la tisana. "Lascia perdere Shiryu, davvero. Torna da Shunrei a collaudare materassi." aggiunse, lasciandolo solo.
Tornò in camera, ma non le riuscì di prender sonno nemmeno dopo la sua tisana. D'un tratto capì che la causa della sua insonnia era solo una: l'uomo che dormiva nella stanza degli ospiti, lo stesso uomo che quella sera aveva baciato in giardino, l'uomo che amava da anni.
Chissà, forse nemmeno lui riusciva a dormire, magari anche lui stava pensando a quanto successo poche ore prima.
Posò la tazza sul comodino, s'infilò il kimono e uscì di corsa, diretta alla stanza degli ospiti. Forse anche Camus era sveglio, forse anche lui stava ripensando a quei baci, forse anche lui provava lo stesso desiderio.
Bussò appena e aprì la porta, muovendo qualche passo verso il letto.
"Mei?!" mormorò Camus, girandosi appena.
"… il discorso di prima. Vorrei riprenderlo ora." disse Mei.
"… Mei…"
"Fammi finire. Non riesco a dormire per quello che è successo in giardino, continuo a pensarci."
Camus ridacchiò appena.
"Desidero riprendere quel discorso quanto te, ma… non siamo da soli."
"Come?!"
Lui si girò sulla schiena, rivelando Lixue che dormiva placida accanto a lui, stringendo Mushu tra le braccia.
"Oh." Cavolo. Lixue s'era svegliata di nuovo, evidentemente troppo su di giri per la presenza di Camus; decisamente una cosa non prevista.
"Ehm… niente, non importa." rispose, arretrando.
"Ma aspetta…"
"Credo che andrò a farmi una doccia fredda." disse Mei. "Ci vediamo a colazione."
Camus si scostò da Lixue facendo attenzione a non svegliarla e la rincorse in corridoio.
"Perché diamine non hai detto niente prima?"
"E quando parlavo? Quando c'era Dohko alla finestra?" ribatté Mei. "Per me è già stato imbarazzante."
Camus sorrise.
"Se può esserti d'aiuto, è stato difficile anche per me cercare di dormire, sai?"
"Oh, bene. Senti, credo che andrò a dormire o almeno, ci proverò." disse Mei. "Buonanotte."
Ci sarebbero state altre occasioni per riprendere il loro discorso.

***

Lady Aquaria's corner.
Orbene, quest'oggi -23/05/2013- nuova versione del capitolo 4, a distanza di due anni :)
Cos'è cambiato? Beh, anzitutto è ampliato e, spero più maturo della prima stesura. Nella prima versione c'era una curiosa e simpatica scenetta di Camus che, sotto effetto della salsa piccante, immaginava sé stesso e Mei in una certa situazione un po' piccante.
Anche le note sono cambiate, qui. Comunque, passo a spiegare qualcosa qua e là.
-Giratempo, Voto Infrangibile, Draco, Severus, Elrond, Loki: beh, immagino sappiate tutti a che cosa mi riferisco, giusto?
-Mushu: il pupazzo di Lixue è il drago di Mulan (capitan ovvio…)
-Minou e Sabaka: il primo è il Maine Coon Blue Tabby di Shiryu (un maschio con un nome da femminuccia, dato da Lixue) e la seconda è la cucciola di Samoiedo di Lixue (citata nella drabble n°19, Bianco della mia raccolta "Memories").
Credo sia tutto :)
Alla prossima!
Vale^^

Lady Aquaria

 

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Capitolo 5
*** I'll follow you. ***


capitolo 5 rivisto

5.

I'll follow you.

I’ll follow you down to where forever lies

Without a doubt I’m on your side

There’s nowhere else that I would rather be

I’m not about to compromise, give you up to say goodbye

I’ll guide you through the deep I’ll keep you close to me.

[Shinedown - I'll follow you]

 

Scendere in cucina quella mattina fu parecchio imbarazzante.
Shiryu e Shunrei non dovevano essersi accorti di nulla –anche perché avevano avuto ben altro cui pensare- mentre Dohko s'era accorto eccome.
"Zǎo ān." Buongiorno.
"Buongiorno cara." la salutò Dohko; quest'ultimo non proferì parola sull'accaduto e lei fece altrettanto, tenendo accuratamente la conversazione su un piano neutro: il tempo di quella mattina –maledetta pioggia!-, la colazione –Mei, saresti così gentile da prepararmi del tè bianco?-, i prezzi del mercato –impossibili, ormai siamo arrivati a dei livelli che…-
"…dovremmo provare a cambiare banco, il solito ha aumentato i prezzi di frutta e verdura a livelli incredibili!" stava dicendo Shunrei, prendendo appunti per la prossima spesa sulla lavagnetta appesa al frigo.
Mei non aveva molta voglia di parlare, tuttavia era grata alla ragazza che con le sue chiacchiere distraeva Dohko e Shiryu.
"Basterà far spesa altrove per qualche tempo: quando perderà abbastanza clienti, riabbasserà i prezzi." convenne Shiryu, pratico, allungando la mano a un contenitore di vimini. "Che abbiamo qui? Taiyang Bing e Yuebing. Ottimo!"
Mei gli tolse il cestino di mano, indicandogli l'abbondante colazione che aveva messo in tavola: riso congee dolce, riso fritto, latte di soia e ravioli misti.
"Hai già abbastanza cibo col quale fare colazione, questi non li ho preparati per te." disse, ancora arrabbiata per il giorno prima.
"Volevo qualcosa di dolce." si giustificò Shiryu, corrugando la fronte.
"C'è il congee. Fattelo bastare." replicò Mei, acida.
"Ma come sei acida stamattina." la riprese l'altro, inarcando un sopracciglio e servendosi una tazza del tè bianco che Mei aveva preparato per Dohko.

Lo ignorò, preferendo troncare sul nascere ogni possibile discussione, per evitare a Camus e Lixue un'altra sequela d'improperi: era acida? Beh, era il minimo, con tutto ciò che aveva sempre sopportato e aveva
dovuto ingoiare grazie a lui.
"Ciao mamma!"esclamò Lixue, lasciando la mano di Camus e andando a salutarla.
Non si stupì di vederli arrivare insieme; Cam era sempre stato un padre presente e attento, e Lixue dimostrava ogni giorno di più il suo attaccamento a lui.
"Ciao, tesoro. Siediti, è pronta la colazione." la salutò con un abbraccio e un bacio in fronte e le scostò la sedia, quindi andò a spegnere il fornello sotto la moka, incrociando lo sguardo penetrante di Camus, che si era avvicinato.
"Come stai?" le domandò, a voce bassa.
"Insomma…" gli rispose, reprimendo uno sbadiglio. "Non ho praticamente chiuso occhio e stamani mi sono alzata presto per scendere in paese e cucinare."
"Scendi sempre così presto? Sono appena le nove, a che ora ti sei alzata?"
Stavolta non riuscì a reprimere lo sbadiglio.
"Alle sei." rispose Mei. "Come facevamo in Grecia, ricordi? Non sai quanto mi mancano le nostre colazioni in giardino con vista Porto. A Rodorio c'è ancora quel fornaio che faceva le… ehm… come si chiamavano… quei biscotti di pasta frolla con le mandorle, quelli che sanno di rosa?"
Camus annuì.
"I Kourabiedes?"
"Sì! E il frappè… quanto mi manca la Grecia, e quanto mi manca una cena con i ragazzi."
"Potremmo organizzare una sera, che dici?" domandò Camus.
"Mi piacerebbe molto, mi mancano."
"Ti mancano." ripeté Camus.
"Milo in particolar modo. Mi mancano le sue battute e il suo modo di fare."
Lui sorrise.
"Non farti sentire da Milo o il suo ego crescerà ancora." rispose Camus. "Comunque vorresti farmi credere che ti mancano tutti?"
Tutti proprio no. DeathMask le stava simpaticamente sullo stomaco, Shaka non era mai stato uno di gran compagnia e Saga… beh, in un certo senso anche lui aveva contribuito alla loro rottura, anni prima, e certo non le stava simpatico. Anzi.
"Non proprio." si corresse.
"Ah, ecco. Mi pareva strano." 

Camus si sedette tra Mei e Lixue, l'attenzione tutta reclamata da quest'ultima che continuava a parlare della scuola materna, degli ideogrammi del cinese tradizionale più complicato di quello semplificato -che preferiva-, fino ad arrivare agli argomenti più disparati, come la mensa scolastica -che spesso non era buona- e la cucina.
Nel giro di qualche minuto Camus scoprì che Mei era una discreta cuoca con una predilezione particolare per i cibi piccanti e le spezie -ne aveva avuto una prova la sera prima- e che amava preparare e mangiare dolci come moji e fengli su. A tal proposito, gli mise davanti la tazza col caffè e il piatto con i dolcetti preparati per lui.
"Sciacquato e senza zucchero, come piace a te." disse, posandogli una mano sulla spalla, sulla quale Camus posò un bacio dopo averla presa nella propria.
Lixue guardò la scena, felice. Scese dalla sedia, prese tra le proprie manine la mano destra del padre e la sinistra della madre e se le portò al viso, lasciando i due genitori di stucco.
"Vorrei che fosse sempre così. Non andare via, papà, non andare via." disse poi, al padre. "Ti prego papà, rimani."
"Tuo padre ha da fare." commentò Shiryu piccato, guardando Camus in cagnesco, con un tono che fece intristire la nipote.
"Ho parlato con papà." rispose Lixue, un po' sgarbata.
"Ti ho risposto io, è lo stesso." replicò Shiryu.
"Gòule. Tíngzhǐ." Basta, smettila, interloquì Mei. "Non parlare così a mia figlia."
"Sta parlando con me e nessuno ti ha interpellato." aggiunse Camus, iniziando a perdere le staffe
mentre Mei partiva in quarta col cinese, come faceva spesso quando era arrabbiata; un paio di volte era successo anche anni prima, ad Atene. Per certi versi era un bene non conoscere ancora bene la sua lingua, Mei parlava troppo svelta per permettergli di comprendere che cosa, in quel momento, stesse dicendo a Shiryu: livido di rabbia, il ragazzo lasciò la tavola sbattendo stizzito il tovagliolo sul tavolo e afferrando un raviolo di carne.
"Va' fuori a mangiare, non voglio raccogliere in giro il cibo che semini per casa!" gli ordinò Shunrei.
Guardando sua figlia sul punto di piangere aggrappata alla camicia di Camus, la decisione che doveva prendere le venne spontanea.
"Lixue, tesoro… d'ora in poi sarà sempre così…" iniziò Mei. Come previsto, Camus la fissò, a metà tra l'interrogativo e lo speranzoso. "…la mia risposta è ."
Camus si alzò, con la bambina stretta a sé.
"Sì?"
"Decisamente sì."
"… sì a cosa?" chiese Lixue.
"Andiamo a Parigi con papà."
"… per le vacanze?"
"Se tuo padre sarà capace di sopportarci, resteremo con lui per un bel po’ di tempo." disse Mei.
"…per sempre?" propose Lixue. 

Più tardi, Mei decise di approfittare della presenza di Camus in casa per andare in città a sbrigare alcune commissioni mentre padre e figlia trascorrevano altro tempo insieme: aveva così tante cose da sbrigare prima della partenza…
"Dov'è Parigi?" chiese Lixue, prendendo il mappamondo dalla sua stanza e portandolo fuori.
Camus si sedette a terra e incrociò le gambe come aveva fatto la figlia.
"Noi siamo qui." disse, indicando un punto sulla Cina. Indicò un altro punto. "E qui c'è Parigi."
"È lontanissimo!" esclamò Lixue. "Prenderemo l'aereo?"
Camus sorrise.
"Più o meno." rispose.
"Allora inizierò la scuola a Parigi?"
"Sì."
"… così prenderò la laura come te?"
"… sì, tra una quindicina d'anni o giù di lì."
"E non dovrò più studiare il cinese difficile?"
"Mi piacerebbe che continuassi a studiare cinese, chérie." disse Camus. "Il legame con la terra di mamma, dove sei nata, è molto importante."
"Ma devo studiare anche quello difficile?"
Shunrei seguì la scena, divertita.
"Forse Lixue intende il cinese tradizionale, che è più difficile di quello semplificato." spiegò, sperando che Shiryu, che aveva insistito per accompagnare Mei, non ne combinasse una delle sue.
"Pensi di parlarmi e dirmi almeno qualcosa o hai intenzione di restare in silenzio tutto il tragitto?" disse Shiryu. 
"…"
"Okay. Inizio io." disse Shiryu. "Come va oggi?"
Un sospiro.
Sii superiore, sii superiore.
"Bene."
"E… lui e Lixue?"
"Bene."
Shiryu sbuffò.
"Bene. Possibile che non riesci a rispondermi con altro?"
"Stronzo." sbottò Mei. "Contento adesso?"
"Preferivo bene. Dai Mei… per quanto tempo ancora pensi di non parlarmi?"
"Dipende."
"Da cosa?"
"Dipende se mi va o no di parlarti."
"Mi stai già parlando." obiettò Shiryu.
"No. Ti sto rispondendo, è diverso." rispose Mei. "Perché mi hanno insegnato che è educazione rispondere. Ma non chiedermi di fare conversazione perché non ne ho voglia."
Shiryu tamburellò le dita sul volante, nervoso, iniziando a canticchiare un motivetto che Mei trovò irritante.
"Uh, menomale, ci siam lasciati alle spalle il traffico… non sopporto le ore di punta…"
"Se prendevi la statale invece della tangenziale, a quest'ora eravamo già alla palestra." rispose Mei, acida.
Shiryu sbuffò.
"A proposito di palestra, se non ricordo male oggi non avevi lezione."
"Non sbagli. Anzi, credo che qui non avrò più alcuna lezione da dare." rispose Mei, criptica.
"Lasci la palestra?"
"Sì e no."
Shiryu scalò in quarta con un gesto secco.
"Potresti essere più chiara? Non sono dell'umore adatto per gli indovinelli."
"Sì, lascio la palestra qui e no, non lascio l'insegnamento dell'Aikido." spiegò Mei.
Shiryu frenò all'ultimo momento a un semaforo nei pressi di Piazza Tien En Men.
"E dove vai?!"
La vide aprire e chiudere il cassetto del cruscotto, poi cercare qualcosa tra i piedi.
"Cosa cerchi?"
"… il mio cuore. Devo averlo vomitato poco fa, durante la frenata." rispose Mei.
"Ma… te ne vai? Hai ricevuto un'altra offerta di lavoro?" proseguì Shiryu, incredulo.
"No, nessuna offerta. Seguirò Camus a Parigi."
Shiryu svoltò di scatto.
"Oddèi… Shiryu al volante, pericolo costante. Voglio scendere." disse Mei, alzando la voce per farsi sentire dal fratello sopra il coro di clacson che Shiryu aveva scatenato.
"… Mei… non penso sia una buona idea."
"Lasciarti la patente, dici? Nemmeno io penso sia una buona idea, bisognerebbe ricoverare chi te l'ha data! Io ho una figlia a casa!"
"Non penso sia una buona idea andare a Parigi." puntualizzò Shiryu ignorando la battuta ironica della sorella.
"Ho preso la mia decisione."
"E io la rispetto, Mei."
"Ah sì? Non mi sembra."
"Mi ricordo benissimo come stavi, sette anni fa. Soffrivi, anche se sei così orgogliosa che non lo ammetterai mai. Soffrivi, quando hai sentito il suo cosmo spegnersi, alle Dodici Case." rispose Shiryu. "Lui non merita tutto questo."
"Ah no, non rivangare il passato, non ti conviene. Ho visto Shunrei soffrire come e più di me, in quel periodo. Camus è l'ultima persona cui puoi far la predica." ribatté Mei, più aspra di quanto volesse. "E tutto per cosa? Per salvare una… ragazzina con più vizi che anni."
Shiryu fece per aprire bocca.
"…ti ricordo che ho ragione." lo interruppe Mei.
"Senti, non è mia intenzione fare il polemico o fare il geloso. Ma…ci hai pensato bene? È per questo che è venuto qui? Per portarvi via?"
"Non ci sta portando via. Lo sto seguendo di mia iniziativa, perché sono io a volerlo. E poi per Lixue.  Hai visto com'è affezionata a suo padre?" sbottò Mei. "Lo faccio per lei e per me. Perché voglio riprendere da dove abbiamo interrotto."
Lui sbuffò ancora.
"Ne vale la pena, almeno?"
"Sì. Non ho mai avuto dubbi in merito. Mi trasferirei anche in Siberia, se me lo chiedesse." asserì Mei.
"Addirittura."
"Ma taci, pensa a guidare."
"Credo davvero che non sia una buona idea, altrimenti non starei qui a metterti in guardia."
"Shiryu, faresti bene a non elargire le tue perle di saggezza se non sono espressamente richieste."
"Ti stai licenziando da un posto di lavoro sicuro, stai lasciando la tua casa e il tuo Paese per trasferirti in Francia, a fare la casalinga? Pensavo avessi più amor proprio."
"Intanto non farò la casalinga. Ed è appunto per preservare il mio amor proprio che seguo il mio compagno e fare la vita che merito di fare con lui e nostra figlia piuttosto che rimanere a casa a fare la zitella impegnata a servirti e riverirti. Mia figlia merita un padre e io merito la mia fetta di felicità: non voglio morire con il rimpianto di aver gettato all'aria l'amore della mia vita e Parigi per stare ad ascoltare uno sciocco ragazzino geloso e arrogante."
"E sia! Allora sappi che al contrario della volta precedente non sarò qui pronto a consolarti se qualcosa va storto!"
"Preferirei morire piuttosto che chiederti ancora aiuto."
Mei afferrò la borsa, sganciò la cintura di sicurezza e scese dall'auto approfittando del fatto che Shiryu fosse fermo al semaforo.
"CHE DIAVOLO FAI?!" sentì il fratello dall'auto. Lo ignorò, infilandosi in uno dei tanti Starbucks che stavano nascendo come funghi.
Il tempio delle mega calorie e dell'ipercolesterolemia, fantastico. Poteva almeno scegliere una caffetteria meno calorica.
Sentì un coro di clacson e infine vide l'auto di Shiryu ripartire; quella via era un senso unico e avrebbe dovuto fare un gran girotondo per tornare indietro, cosa che, sapeva, non avrebbe fatto.
Ignorò la coda chilometrica e il bancone con le invitanti fotografie dei dessert in vendita e si mise un po' in disparte, prendendo il cellulare per chiamare il suo capo.

Quando Camus e Shunrei videro Shiryu rientrare a casa dopo nemmeno un'ora e senza Mei, si guardarono contrariati e curiosi, curiosità accentuata dal fatto che il ragazzo, oltretutto, parlava da solo.
"Shiryu? Non dovevi accompagnare Mei alla palestra?" domandò Shunrei, dando voce ai dubbi di entrambi.
"Quella è fuori di testa! E' scesa dalla macchina e s'è messa a correre in un bar come se avesse avuto il diavolo alle calcagna!" sbraitò Shiryu rispondendole volutamente in cinese così da escludere Camus dalla conversazione.
"Di sicuro stavate litigando… me lo sentivo, io!" esclamò Shunrei.
Nello stesso tempo squillò il suo cellulare.
"Allô?"
"Ti supplico, portami via da qui prima che faccia strage di calorie."
"Iniziavo a preoccuparmi. Dove sei?" rispose, sentendo in sottofondo il tipico cicaleccio di un locale seguito da rumore di stoviglie.
"In un luogo di perdizione dove l'ipercolesterolemia sguazza felice e indisturbata. Ho avuto la bella idea di infilarmi in uno Starbucks."
"Brava." non poté fare a meno di sorridere.
"Dal mega finestrone riesco a vedere la Città Proibita. Buffo. Mi sento una turista a casa mia."
Camus adocchiò dei mazzi di chiavi appesi nell'ingresso e guardò l'orologio.
"Dammi venti minuti e vengo a prenderti."

Impossibile non notare l'edificio dove la popolare catena americana si era insediata: un tripudio di lacca rossa, vernice verde, tetti spioventi e il tipico kitsch locale; Camus prestò attenzione a dove parcheggiare per non prendere multe con il fuoristrada di Mei e la raggiunse nel locale.
Anche in quel caso impossibile non notare Mei, almeno per lui, in mezzo agli altri avventori: capelli intrecciati e portati di lato, trucco appena accennato che esaltava gli occhi.
Riuscì a scorgere un lampo di sollievo nel suo sguardo non appena lo vide, seguito a ruota da un paio d'occhiate di brace in direzione di un paio di ragazze al bancone che si erano voltate a guardarlo.
"Eccoti." le disse, accomodandosi di fronte a lei.
"Grazie agli Dèi sei arrivato. Stavo per cedere al richiamo dei dolci che ho preso per te." commentò Mei, riprendendo a spiluccare la frutta fresca che aveva ordinato per sé.
Camus guardò la brocca di tè verde e la frutta a pezzettoni davanti a Mei e sbirciò nella scatola di cartone take away che gli aveva riservato: un Cinnamon Roll, un Brownie al caramello e un pain au chocolat. Nel bicchierone da mezzo litro in polistirolo accanto, un tè alla menta.
"Ancora non hanno l'Assam." spiegò Mei, ricordandosi del suo tè preferito. "Ho optato per uno Zen… se non ti piace, puoi prendere il mio tè verde. Per il dolce mi ricordavo che apprezzi la cannella ma non ne ero certa… puoi sempre fare a cambio con la mia frutta, comunque."
L'attenzione di Camus, però, fu tutta per il dolce alla cannella.
"…non contarci." replicò lui.
"Peccato, almeno ci ho provato." ridacchiò Mei, facendolo ridere a sua volta. Camus le allungò il dolce e, dopo averne preso un morso, Mei lanciò una lunga occhiata al bancone. "Mah sì, cosa m'importa della linea, vale la pena fare la coda per questo."
"Prendine metà del mio." rispose lui. "Quel che è mio è anche tuo. Shiryu è arrivato a casa imprecando come una furia. Non ho capito un accidenti di quel che è successo, ma non ti ho vista e ho iniziato a preoccuparmi."
Mei gli raccontò l'accaduto, evitando di scendere nei particolari che lo riguardavano.
"…finché non ha toccato me e non hai più ragionato." concluse Camus per lei.
"Finché non ha toccato te e non ho più ragionato." ripeté Mei.
Ci fu un attimo di silenzio.
"Non m'interessa cosa può o non può dire di me, purché lasci stare te." mormorò Mei. "Portami via."
Lui si schiarì la voce.
"Da qui o da casa? Perché nel primo caso preferirei prendere un frappuccino stracarico di panna prima di uscire." scherzò Camus, per sdrammatizzare. "Dai, fammi un sorriso. Non vale la pena arrabbiarsi."
"Vai a prendere il tuo beverone, dai. Ho ancora molte cose da fare prima di partire." rispose Mei, sorridendo nonostante tutto.
Lo seguì con lo sguardo, soffermandosi sul suo posteriore –e sentendosi come una ragazzina che sbava sulle fotografie dei suoi attori preferiti su internet per questo- fasciato dai jeans neri; sopra, una maglia grigio antracite a maniche lunghe arrotolate al gomito.
Distolse lo sguardo, accorgendosi di non essere l'unica ad apprezzare Camus: non passava ovviamente inosservato con i suoi capelli rossi e l'altezza più elevata rispetto alla media dei giovani locali; per quanto non gradisse certe attenzioni, poteva anche sorvolare sulle occhiatine fugaci, ma su certi commenti no.
La ragazza che poco prima era stata al bancone , una turista che identificò come italiana –erano anni che non parlava italiano ed era un tantino arrugginita, ma capiva perfettamente che cosa stesse dicendo la giovane morettina-, seduta a un paio di tavoli rispetto a loro insieme a un gruppo di amiche, dopo aver commentato un turista –russo o svedese, probabilmente- era passata al bel rosso e alle sue grazie: il suo sguardo si era incollato al didietro di Camus dal momento in cui si era alzato.  
"Ti va di dividere anche questo? Non ti lascerò uscire da qui se prima non avrai assaggiato questa cosa libidinosa." scherzò Camus, tornando a sedersi di fronte a lei con un gran sorriso sulle labbra. Corrugò la fronte quando la vide sporgersi per guardare oltre le sue spalle, negli occhi uno sguardo assassino. "Mei, qīn'ài de, yīqiè dōu hǎo ma??" Tesoro, va tutto bene?
Sgranò gli occhi nel sentirlo parlare in cinese, quindi si rivolse a qualcuno dietro di lui.
"Scusa, quando hai finito di fare la radiografia a mio marito potresti gentilmente farmi avere i risultati?" domandò Mei, in italiano.
Non poté trattenere una risatina, che mascherò dietro il bicchiere.
"Mei!"
"Cosa, Mei? Il commento meno volgare che ha fatto nei tuoi confronti dopo averti squadrato come un manzo è stato: con un sedere così, chissà il resto." sussurrò Mei. Camus si girò discretamente, adocchiando la ragazza e captando le occhiatacce che stava lanciando a Mei.
"Potesse, ti fulminerebbe con lo sguardo."
"Tsk… tutti arroganti finché non si accorgono di quel che può fare una judoka yodan." rispose Mei, allegra. "Yǒu duōjiǔ nǐ shuō zhōngguó huà?" Da quanto tempo sai parlare cinese?
"Come, scusami?"
"Wǒ shuō…nín jiǎngle wǒ yòng zhōngwén, yīncǐ wǒ rènwéi nín hěn hǎo dǒng wǒ de yǔyán." vedendo che continuava a non risponderle, tornò al francese. "Ho detto… dato che mi hai parlato in cinese, credo tu sia in grado anche di capirlo molto bene."
Camus frugò nel chiodo di pelle che aveva appeso alla sedia, tirandone fuori un libriccino, che posò sul tavolo per spingerlo verso di lei: un frasario Lonely Planet -
Guides de conversation Mandarin dall'aspetto estremamente vissuto; la copertina era rattoppata con lo scotch in più punti. Certo, sicuramente l'aveva usato in passato, ma la costruzione e la pronuncia della frase non derivavano solo da quel frasario.
"Uhm. Affronteremo quest'argomento più avanti, sappilo. Ora ti va di fortuna che devo passare dal mio capo." rispose Mei.
"Non sei in ritardo, vero?"
"No, no. Prima di chiamare te l'ho avvisato che sarei passata più tardi per questioni legate al lavoro… gli avevo già mandato una mail, comunque."
Uscirono dallo Starbucks mano nella mano, diretti all'auto di Mei: era strano, pensò lei, andare a parlare con Wenyan insieme a Camus, ma quel giorno segnava la fine della sua vita a Pechino in favore della sua nuova vita a Parigi, e la sua presenza aveva un che di rassicurante.
"Andiamo."  

***

 

Lady Aquaria's corner.
-Cinese tradizionale e semplificato: dunque… la differenza tra cinese tradizionale e semplificato sta nella forma grafica, che nel primo caso è estremamente articolato. Il cinese semplificato fu introdotto da Mao per poter permettere a tutti di imparare a scrivere, ed è graficamente meno impegnativo.
-Sciacquato e con poco zucchero….che papà non me ne voglia, ma per il caffè di Camus mi sono ispirata alla sciacquatura di piatti che si ostina a chiamare caffè e che consuma regolarmente.

Lady Aquaria.

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Capitolo 6
*** Ossigeno. ***


capitolo 6 rivisto

6.

Ossigeno.

E' per te, per te, perdutamente, 
che farei dell'impossibile, e dei sogni la realtà,
 
e dei miei pensieri, sei tu il punto fermo,
 
sei nel cuore oppio, fuoco e ossigeno. 
[Raf - Ossigeno]

 

Dopo quello che a Camus parve un fin troppo breve giro per Pechino, Mei costeggiò un lungo muro di cinta e, preso un badge dal cruscotto, lo infilò in un lettore che le consentì di aprire un cancello.
"Tu lavori qui?" domandò Camus, affascinato dal luogo: superato il muro di cinta, Mei aveva imboccato un lungo viale costeggiato da un laghetto artificiale costruito secondo i dettami della moda Han, diretta verso un secondo muro dal caratteristico portone rotondo.
"Sì. C'è pace e tranquillità. Ovviamente, c'è anche lo spettro dello smog della città, ma che vuoi farci?" rispose Mei. Parcheggiò sotto una pensilina in bambù poco distante dal portone e si guardò intorno.
"Mi mancherà questo posto." sussurrò. "Wenyan è stato uno dei pochi che mi ha trattata alla pari e mi ha sempre fatto sentire bene al lavoro. In altre palestre volevano relegarmi a fare quelli che ritenevano lavori scomodi, come insegnare alle donne o ai bambini o, peggio, a fare le pulizie. Questo è un tempio piuttosto antico, secondo le leggende che ama raccontare Wenyan qui si è fatta la storia del Taijiquan."
Superato un breve tratto a piedi in mezzo a un giardino in stile cinese che Camus trovò stupendo, entrarono finalmente nel tempio, dove vennero accolti direttamente da Wenyan.
Sulla cinquantina, un po' più alto rispetto alla media nazionale e secco come un'acciuga; la tenuta tradizionale dalla casacca senza maniche metteva in evidenza una fibra muscolare che lasciava ampiamente intuire una potenza non indifferente.
In ultimo, cosa che lo fece sorridere, una certa somiglianza con Jackie Chan.
"Maestro, vi presento Camus, mio marito. Ma vi devo avvertire… parla molto poco cinese."

I due uomini si strinsero la mano con una vigorosa stretta, quindi Wenyan li invitò a entrare nel proprio ufficio. Mei si disse estremamente rammaricata nel dover lasciare quel lavoro che le piaceva moltissimo e che le aveva permesso di conoscere persone straordinarie, le dispiaceva anche doverlo lasciare senza preavviso, ma Wenyan si dimostrò comprensivo: si commosse quando vide Mei piangere dispiaciuta, e le disse che era felice per la sua nuova opportunità e che avrebbe sentito la sua mancanza in quanto in lei aveva sempre trovato un'ottima collaboratrice e una buona amica. Prima di lasciarla andare le disse di aspettare qualche minuto per dargli modo di scrivere una lettera di referenze.

"Tutto a posto?" le domandò Camus, porgendole il fazzoletto che teneva sempre in tasca.
"Più o meno, adesso passa."
"Posso guidare io, se ti va."
Annuì, lasciando che Camus le aprisse la portiera e guidasse al posto suo.
"E' curioso… sai che Wenyan assomiglia a quell'attore…?"
"Chéng Lóng…? Sì, gliel'han detto spesso." gli rispose, soprapensiero.
Camus corrugò la fronte.
"Chi? Io parlavo dell'attore di Rush Hour, il cinese… Jackie Chan."
"Sì beh, l'avevo appunto intuito… l'altro attore è di colore." fece Mei. "Chéng Lóng è il nome d'arte con il quale Jackie Chan è conosciuto da noi."
"Comunque mi è sembrato giovane per essere già un decimo dan di cintura nera ed essere a capo di un tempio del genere."
"Perché, quanti anni credi che abbia?"
"Quarantacinque, massimo quarantasei? "
Mei sorrise.
"Ne ha cinquantasette."
"Li porta benissimo!"
"Beh, le arti marziali ti tengono giovane."

*

"…bellissima città, non lo metto in dubbio, ma la prossima volta ti lascerò ben volentieri il volante." stava dicendo Camus, allegro, entrando in casa.
"Sfido io, gli abitanti di Pechino sono dieci volte tanto quelli di Parigi… il traffico è atroce." 
Mei entrò in casa subito dopo, perdendo il sorriso non appena ebbe posato lo sguardo sul fratello.
"…sembri arrabbiata." osservò Shunrei, andandole incontro in corridoio.
"…sono arrabbiata." precisò Mei, in risposta. Cambiò espressione quando vide la figlia correre verso di loro. "Tesoro, perché non vai di sopra a preparare le tue cose? Il tempo di prendere il necessario e andiamo a Parigi… si? Shunrei, potresti per favore aiutarla? So già che metterà a soqquadro l'intera stanza…"
Quando la vide saltare in braccio a suo padre, e soprattutto vide le loro espressioni felici, seppe più che mai di aver preso la decisione giusta.
"Tu viens avec moi?" Vieni con me? domandò poi a Camus, prendendogli la mano.
"Temo di no, Mei. Vorrei scambiare quattro chiacchiere con Camus, da buoni vecchi amici. Non vi dispiace, vero?"
"No, no. Ci mancherebbe." annuì Camus, dopo aver scambiato un'occhiata con Mei.
"Tranquilla mia cara, avrai ancora il tuo fidanzato intero, quando avremo finito di parlare." sorrise Dohko, aprendo la porta che dava sul giardino in un muto invito a seguirlo. "Guarda che faccia! Stavo scherzando."
Shiryu mosse un paio di passi per seguirli e Mei gli arpionò la spalla.
"Stanne fuori o questa volta nemmeno Athena in persona riuscirà a restituirti la vista."

"È arrabbiata."
"Sai, credo di averlo notato anche io." rispose Shiryu, ironico.
"Non mi hai raccontato la verità. Cosa le hai detto davvero per farla arrabbiare così?" sbottò Shunrei.
"…io?!" fece Shiryu. "E' lei che ha frainteso le mie parole!"
"…imbecille! " tuonò Mei, dal piano di sopra.
"Ho solo espresso la mia opinione!" si difese Shiryu.
"E non t'è venuto in mente che forse non era richiesta?"
Richiesta oppure no, anche lui aveva il sacrosanto diritto di esprimerla e di dire a gran voce che quel trasferimento gli sembrava un'enorme sciocchezza.
"Ha lasciato il suo lavoro per trasferirsi dall'altra parte del mondo, potevo dire la mia o no?"
Shunrei posò le mani sui fianchi in un gesto di stizza.
"E allora? È con l'uomo che ama, con la loro bambina, potresti almeno far finta di essere contento per lei!"
"Lo sono!"
"Ah sì? Non si direbbe."
Shiryu ignorò il commento ironico.
"Questa storia non mi convince!"
"Ma cosa c'è che non ti convince? Preferivi rimanesse zitella?"
"Certo che no, ma…"
"…ma basta!" lo zittì Shunrei. "È giusto che quei due stiano insieme e che Lixue stia con suo padre e sua madre e che abbia una famiglia felice come tutte le bambine della sua età."
"Era felice anche qui, aveva già due figure maschili di riferimento." ribatté Shiryu, riferendosi a sé stesso e a Dohko.
"C'è solo un piccolo particolare, Shiryu… Lixue non è nostra figlia e non è con noi che deve stare." interloquì Dohko, uscendo e raggiungendo Camus in giardino.
"Appunto. Shiryu, ti avverto. Se per colpa tua cambia idea…"
"Che mi fai, sentiamo?" Shiryu incrociò le braccia sul petto.
"Ti mando a dormire sul divano."

*

Da quando aveva detto a Lixue di preparare le sue cose per la partenza, sua figlia s'era letteralmente messa l'argento vivo addosso, diventando più iperattiva di prima, incapace di star ferma anche solo per un minuto, tutta impegnata a correre avanti e indietro per casa a raccogliere le sue cose. Dal canto suo, sulle prime aveva avuto la tentazione di appostarsi alla finestra per spiare Dohko e Camus in giardino, ma poi aveva desistito, preferendo di gran lunga fare le valigie. Di tanto in tanto le arrivavano le risate di Dohko e la voce di Camus, e fu contenta di non sentire, per una volta, la voce di suo fratello.
"Fai con calma o finirai per dimenticare qualcosa." sorrise Shunrei, ferma sulla sua porta.
"Oh, sicuramente dimenticherò qualcosa." Mei sorrise in risposta. "Calma o no."
La ragazza l'aiutò a piegare i vestiti che aveva sistemato sul letto.
"Sei felice."
"Sì. Non succedeva da troppo tempo." ammise Mei. L'ultimo slancio di vera felicità, di quel tipo di felicità che nasce nel cuore per irradiarsi in tutto il corpo, l'aveva avuto anni prima, quando aveva rivisto Camus, sano e salvo, dopo la guerra contro Hades.
"E' un bravo ragazzo e un buon padre." disse Shunrei. "Vi siete ritrovati e sono felice per voi… anche se mi dispiacerà non avere più te e Lixue intorno."
"Mi mancherai parecchio anche tu, sai?" mormorò Mei, abbracciandola.
"Mei, posso?"
"Se sei tu, Shiryu, voltati e sfracellati giù per le scale!" sbraitò Mei, scostandosi da Shunrei.
Camus si sporse appena, sventolando un fazzoletto.
"Sono io… vengo in pace."
"Oh! Avanti. Non devi nemmeno chiederlo, il permesso per entrare nella mia stanza." Mei spense lo stereo e spostò un mucchio di panni dalla poltrona per permettergli di sedersi, mentre Shunrei usciva dalla stanza per lasciarli soli.
"Sbaglio o stavi ascoltando gli Aerosmith?"
Mei sorrise.
"Ehm… sì. Questa è una delle tante canzoni che adoro."
"Love in a elevator piace anche a me."
"Camus dell'Acquario ha un'anima rock? La cosa si fa sempre più interessante, perché se non ricordo male prendevi in giro me e Milo quando parlavamo di musica!"
"Solo perché su certi punti Milo è un tantino… esaltato."
"Solo un tantino?" sorrise lei. "Di cos'avete parlato tu e Dohko?"
Lui fece spallucce.
"Di… varie cose. L'università, il lavoro…" le rispose, evasivo.
"Ho capito." annuì Mei. "Non ti va di parlarne... ti andrebbe di darmi una mano?"
"Sì. Dimmi cosa devo fare." rispose lui, rimboccandosi le maniche.
"Sai, per il momento mi porto via solo i vestiti e le cose strettamente necessarie… non vorrei che all'aeroporto ci facciano pagare una fortuna per l'eccedenza di peso."
"Non ho mai menzionato un aereo." la informò.
"… oh, giusto… il teletrasporto. Non me lo ricordavo." Mei si diresse a quello che Camus immaginò come un enorme armadio a muro. "Sentito, piccine mie? Posso portarvi via subito!"
Aprì le ante, scoprendo scaffali e scaffali di…
"…scarpe! " esclamò Camus, rimanendo imbambolato a guardare l'assortimento di scarpe più vasto che avesse mai visto. "...è una scarpiera?!"
"Perbacco Cam, che intuito!" lo prese in giro Mei.
"…e sono tutte tue?"
"Certo non sono di Shiryu…" ridacchiò lei. "Anche se sarebbe interessante vederlo con quipao e un tacco dodici ai piedi." aggiunse ricevendo uno sguardo disgustato in risposta. "Ripensandoci, forse no."
Camus prese una décolletée a stiletto e la guardò con aria interrogativa.
"Mon dieu." commentò. "Sono tutte Louboutin originali?"
Mei sospirò.
"No, magari. Dovrei essere milionaria per avere tutte Loubie autentiche. Ne ho solo due paia originali, appartenevano a mia madre e le custodisco come un tesssssoro." rispose, imitando Gollum sull'ultima parola.
"Oh, capisco."
"Per le rimanenti… siamo in Cina, no? Sono tutte perfette –o quasi- imitazioni create da una famiglia di artigiani che ha un negozio in città. Ogni tanto me ne concedo un paio, nell'attesa di accumulare abbastanza denaro per regalarmene un paio che sogno da tempo."
"Allora devo ricordarmi di tenerti lontana da Rue du Faubourg Saint-Honoré quando usciremo insieme." rispose Camus. "Non vorrei invecchiare mentre ti provi ogni tipo di paio possibile."
"In realtà non devo cercare per chissà quanto: una volta nel negozio mi basterà chiedere quello specifico paio sul quale sbavo da anni."
"…ovvero?"
"Un paio di classicissime Pigalle nere di vernice, tacco nove." rispose Mei.
Camus sorrise.
"Annuisco anche se non ho la più pallida idea di che cosa tu stia parlando." rispose.
"Ma come? Conosci l'indirizzo dell'atelier e non sai di che cosa parlo?"
"Ci passo davanti spesso per recarmi al lavoro, ma non mi fermo a guardare le vetrine. Sarebbe strano, no?" domandò Camus.
"Perché? I passanti vedrebbero un uomo intento a… che so… scegliere un ipotetico regalo per la fidanzata."
"Ah no, mi sentirei più a mio agio in un negozio di lingerie."
Mei ridacchiò.
"Non credo proprio, Cam, non tu."
"E perché no?"
"…perché tu diventeresti rosso fino alle punte dei tuoi già rossi capelli."

Trascorsero le successive due ore a riempire valigie e borsoni, finché tutto non fu pronto da portar via, sistemato ordinatamente ai piedi del letto.
"Saranno necessari più viaggi per portar via tutto, e poi dovremo passare prima da Atene, devo prendere ancora qualche cosa." disse Camus.
"Certo." rispose Mei. "Ancora non mi hai detto cosa fai in quel di Parigi."
"Sono un traduttore." rispose Camus.
"Simultaneo?"
"No. Traduco libri e testi dall'italiano, dall'inglese, dal greco e dal russo in francese e viceversa." rispose lui. "Non appena comincerà il nuovo anno accademico inizierò a frequentare nuovi corsi di lingue per ampliare il mio campo di lavoro."
"E così ti sei laureato in lingue, come avevi detto."
"Già. Un lavoro che unisce l'utile al dilettevole: di solito, insieme all'assegno, ricevo anche i libri che ho tradotto prima che vengano distribuiti nelle librerie."
"Già solo per questo potrei sposarti qui sul momento."
Lixue li interruppe prima che Camus potesse risponderle.
"MAMMA!!"
"… andiamo a controllare cosa sta combinando." propose Mei. "Prima che devasti casa. Non sembra, ma sarebbe capacissima di farlo."
Camus la prese per un braccio.
"Aspetta… a proposito di Lixue... grazie per aver accettato il trasferimento con così poco preavviso e per avermi dato questa possibilità… non sai cosa significhi per me sapere che potrò avervi accanto tutto il giorno, ogni giorno."
"Posso immaginarlo. Lixue è una bambina adorabile, sa farsi amare subito… in questo ha preso da te." ridacchiò Mei. "E credimi, visti gli sviluppi delle ultime ore, mi dispiace davvero tanto non averti detto che l'aspettavo e averti costretto a vederla così poco, senza vivere appieno la tua condizione di padre."
Camus ricambiò l'abbraccio.
"Ho intenzione di recuperare il tempo perso, sia per Lixue, che per noi." le prese il viso tra le mani. "Je t'aime, Mei."
Il bacio che seguì quelle parole fu Mei a cercarlo.
"Wo ie ai ni, Camus."

 ***

 

Lady Aquaria's corner.
*capitolo rivisto e corretto in data 07 ottobre 2013*
E anche questa sera, buonasera, ragassuole!! ^^
Wo ie ai ni: anche io ti amo

 

Lady Aquaria

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Capitolo 7
*** Ancora qui. ***


capitolo 7 rivisto

7.

Ancora qui.

Non è mai facile un ritorno
Non è impresa da niente
Ma finalmente arriva il giorno che tu fai pace con te
Capire il vento, la ragione, il momento
Spogliarsi di ogni incertezza, inseguire un canto
Anche se per gli altri sarà follia
[Renato Zero – Ancora qui]

Nel giro di pochi secondi, Camus accompagnò Mei e Lixue ad Atene, dalla parte opposta del loro mondo: avrebbe lasciato loro del tempo per riposare e nel mentre sarebbe andato a prendere anche i loro bagagli.
"Bello!!!" esclamò Lixue.
Mei barcollò un attimo.
"Non ricordavo fosse così." disse, un po’ sottosopra per il teletrasporto. "Ma come fate a non sentirvi il cuore rimbalzare in gola?"
"Abitudine?" scherzò Camus.
Lixue invece, iniziò a saltellare, contenta.
"Lo rifacciamo?"
"Magari un'altra volta, tesoro. La mamma non ha più l'età per questo genere di cose…" rispose Mei, guardandosi intorno: il Santuario risplendeva della luce quasi magica che l'aveva sempre caratterizzato, nonostante più d'una volta fosse stato teatro di guerre e morte.
"Mamma, posso fare un giro?" domandò Lixue, incuriosita.
"Sì, ma non ti allontanare." rispose Mei. "E soprattutto sta' lontana dalla terza e dalla quarta casa." aggiunse, soprapensiero.
"Perché?"
Perché erano le case di DeathMask e di Saga; il primo aveva quasi ucciso due volte suo fratello, il secondo, beh… la sola e ultima volta che aveva messo piede in quel luogo, era stata accusata di essere una spia e in un certo senso processata come tale.
"Perché te l'ho detto io." replicò ferma, corredando la risposta con un'occhiata ammonitrice. "Se ti avvicini a quei due posti, stasera andrai a letto senza aver guardato la tua solita mezz'ora di tv, intese?"
"…ma…"
"Niente ma, Lixue."
Non aveva mai trattato sua figlia in quel modo e l'indomani, con calma, le avrebbe spiegato la ragione di quell'ordine: si sentiva in colpa ma era necessario che Lixue si tenesse il più possibile lontana da quei due.
"Sì, mamma." capitolò Lixue, lasciandola sola.
Probabilmente avrebbe girovagato per la prima casa; non conoscendo ancora il luogo non avrebbe percorso tutte le dodici case da sola… in un secondo momento pensò che, forse, aveva fatto male a parlarle in quel modo, riversando su di lei tutta la sua agitazione.
Ormai è fatta.
S'avvicinò al parapetto del cortile, che si affacciava sul Pireo e regalava un'incantevole scorcio della città e cercò di rilassarsi almeno un poco: non c'era alcun pericolo, si disse, sentiva anche la presenza di Mu, quindi era tutto a posto.
Cercò quindi di concentrarsi su ciò che la vista le offriva: l'odore del mare, il sole -più intenso di quello cui era abituata a Pechino-, il profumo di salmastro e anice che permeava il luogo e l'accecante bagliore dei marmi del Santuario… d'improvviso le pareva d'esser tornata indietro nel tempo, a quelle pochissime settimane e a come s'era sentita bene, all'undicesima casa, quando tutto le sembrava perfetto, almeno finché qualcuno non aveva presentato il conto di quella felicità e… ho sbagliato a portarti qui, non avrei dovuto… sono un guerriero, la mia fedeltà ad Athena viene prima di tutto… anche prima di te.
Parole che le avevano scavato l'anima, lasciando ferite apparentemente non rimarginabili.
Tentò di scacciare quei pensieri cercando di ricacciarli indietro, al passato al quale appartenevano: stavano insieme ora, no? Non era quello che contava?
Camus la raggiunse e le cinse la vita, abbracciandola da dietro e facendola sobbalzare.
"Hey, tutto bene?" le domandò, strappandola ai suoi pensieri.
Annuì, esibendo un sorriso tirato –e sperando che Camus non se ne accorgesse-.
"Benone." rispose, nel suo miglior tono allegro.
Lui assottigliò lo sguardo, mentre cercava di capire che cosa, rispetto a quella mattina, fosse cambiato.
"Qualcosa non va? A cosa pensi?"
Mei sospirò.
Decise di non sciupare la bella giornata raccontandogli dei pensieri che aveva avuto non appena aveva rimesso piede in quel luogo, di Saga e le sue azioni e le conseguenze che esse avevano avuto sulla loro vita, decise di non raccontargli che era tornata a pensare ai giorni successivi al suo ritorno in Cina, di come s'era sentita svuotata e di quanto intensamente aveva provato a odiarlo, senza mai riuscirci.
"… a un periodo felice della mia vita, dove tutto ciò che amavo e amo, aveva questo profumo." rispose invece, lottando con sé stessa per chiudere quel cassetto della memoria che si era aperto poco prima e che ora pareva divertirsi a restare in sospeso così, un po' aperto e un po' chiuso.
Date tempo al tempo, quello guarisce ogni cosa…
Voltò lo sguardo all'undicesima casa, che s'intravedeva in mezzo alle altre case, chiedendosi se Degél fosse ancora lì o avesse trovato, finalmente, pace.

Nel frattempo Lixue stava proseguendo il suo giro per il Santuario, dopo aver visto l'arena degli allenamenti e parte della spiaggia, quando si era fermata davanti la prima casa, mentre scrutava curiosa un giovane dai capelli rossicci che la guardava a sua volta.
"Ma tu da dove spunti?" esclamò, di punto in bianco.
Kiki le girò intorno.
"Tu da dove spunti!" domandò a sua volta, usando la telecinesi per sollevare la bambina fino alla sua altezza. "Mi ricordi una persona, ma… non ricordo di averti mai visto da queste parti, come hai fatto ad arrivare fin qui?"
"Sono arrivata con mio padre." spiegò Lixue, pratica, mettendosi poi a fissare i due puntini sulla fronte di Kiki. "Come sei buffo!" aggiunse ridendo.
"Anche tu sei buffa, sei appesa come un sacco di patate." ribatté Kiki, rigirandola sottosopra. "Allora, ti ha portato qui tuo padre?"
"Sì."
"E chi sarebbe tuo padre?"
Mu uscì di casa, attirato dalle risa di Lixue.
"Cosa succede, Kiki?"
"L'ho scovata mentre si aggirava per il Santuario…" iniziò a spiegare il fratello.
"…e hai pensato bene di appenderla come uno straccio." concluse Mu, facendo scendere Lixue da quella posizione scomoda. "È la figlia di Camus."
Kiki corrugò la fronte.
"…ecco chi mi ricordava."
Mu si chinò verso Lixue.
Il taglio degli occhi, il colore dei capelli, il modo che aveva per guardare una persona, non potevano che ricordargli suo padre.
"Ciao!" sorrise con dolcezza.
"Ciao." rispose Lixue, guardando anche Mu con attenzione.
"Tu devi essere Lixue."
"Come sai il mio nome?"
"Conosco il tuo papà, che mi ha parlato tanto di te." disse Mu. Le porse la mano. "Piacere di conoscerti, io sono Mu."

"… rilassati, magari è andata già all'undicesima casa, le ho mostrato la strada."
"Non credo, le ho detto espressamente di aspettare, prima che si cacci in qualche guaio." rispose Mei.
"E in che guaio potrebbe mai cacciarsi? Siamo al Santuario, uno dei posti più sicuri del mondo." asserì Camus, guadagnandosi un'occhiataccia.
"Permettimi di dissentire in merito." la terza e la quarta casa non sono per niente sicure." rispose Mei, guardandosi intorno.
"Mei, molte cose sono cambiate dall'ultima volta che sei stata qui." disse Camus, seguendola verso la prima casa.
Ne dubitava seriamente. Persone come DeathMask difficilmente cambiavano.
"Chi nasce Satana non muore Madre Teresa, ricordalo. In ogni caso, quando dico a Lixue no, rimane un no. Deve rimanere alla larga da certe case." ribadì, ostinata. "Punto."
Camus la intravide in lontananza, davanti la prima casa.
"Visto? Non s'è cacciata nei guai, è con Mu. LIXUE!" la chiamò Camus.
Mu si rialzò.
"Ciao, Camus." disse. "Stai tranquillo, tua figlia è qui."
Intravide Mei.
"Dopo tanto tempo, rivedo una vecchia amica." aprì le braccia in un abbraccio cui Mei rispose. "Sono contento di rivederti."
"Anche io " sorrise Mei "l'ultima volta che ci siamo visti, Lixue a malapena si reggeva in piedi…"
"Lo ricordo bene." rispose Mu, con affetto. "Entrate se vi va, ho appena preparato il tè."

La notizia del ritorno di Mei al santuario si sparse a macchia d'olio, e in breve la prima casa divenne affollata.
"Mei!" la prima ad abbracciarla fu Marin. "Quanto tempo! Ci mancava una presenza femminile al Santuario!"
"Anche voi mi siete mancati, ragazz-…argh! "
"…Mei!" esclamò Aldebaran, corredando il saluto con un abbraccio spaccaossa.
"…i tuoi abbracci non mi mancavano affatto, Ald…" disse Mei.
"E' un segno d'affetto." asserì Aldebaran.
"Ah bè, pensa se mi volevi male." ridacchiò Mei.
Shura si chinò appena verso Lixue.
"Certo che non si capisce proprio che è tua figlia." scherzò, guardando i capelli rosso scuro della bambina e il suo sguardo tanto simile a quello di Camus. "Occhi a parte è la tua copia."
"Ma anche no, povera creatura." intervenne Milo. "Ciao Mei! E ciao anche a te, dolcezza."
Lixue gli regalò un sorrisone da trentadue denti, facendosi poi prendere in braccio.
"… yasou thio!" rispose, passando al greco. "L'altra volta mi hai promesso un giro ad Atene, andiamo?"
"Tesoro, siamo appena arrivati, non sarebbe il caso di riposare?" intervenne Camus.
"Ha tutto il tempo del mondo per riposarsi, dopo." disse Milo. "Posso portarla con me in moto?"
"In moto?" ripeté Mei.
"Hai il seggiolino?"
"Ehm… no."
"Allora prendi la mia." sospirò Camus, frugando in una tasca del chiodo e lanciando a Milo le chiavi della moto. "Se le fai un solo graffio…"
"Oh ma rilassati, non è la prima volta che guido una moto."
"Non parlavo della moto. Visto che è la prima volta che ci porti mia figlia, attento a quello che fai."
Un intenso puzzo di fumo anticipò l'arrivo di DeathMask.
"Cos'abbiamo qui? Toh, la nipote del lucertolone… salve, mostriciattolo."
"DeathMask…" lo redarguì Aphrodite.
Mei lo fulminò con lo sguardo, ma a sorpresa, fu Lixue a parlare, usando una parola che aveva tanto sentito usare da lei.
"…becchino! "
DeathMask inarcò un sopracciglio.
"…che fa la gagna? Sfotte?" berciò. "Ma guarda, c'è anche mammina."
"Ma guarda, c'è anche il beccamorti." ribatté Mei.
"Come sta il fratellino?"
"Meglio, da quando alla quarta casa ti ha spedito all'inferno." ribatté Mei.
Certo era che la lingua lunga non le mancava, in quello non era affatto cambiata.
"Niente che non abbia già visto, all'inferno sono uno di casa."
"E allora perché sei di nuovo sulla terra? Potevi rimanerci."
"Noto che non hai perso la linguaccia biforcuta e velenosa." osservò DeathMask.
"No, e non immagini neanche quanto può esserlo."
DeathMask proruppe nella sua solita agghiacciante risata.
"Ora ridi, ma mi son giunte voci secondo le quali di fronte all'abisso dell'Ade eri ridotto a una gelatina piagnucolosa." disse Mei. "Quanto avrei voluto esserci, per divertirmi un po'."
Prima che DeathMask avesse tempo per rispondere, Aphrodite l'afferrò e lo trascinò verso la propria auto.
"Okay gente, abbiamo un paio di cose da fare prima di cena… a dopo!"
"Cena?" ripeté Camus.
Aldebaran riapparve come per magia, armato di grembiule e mestolo.
"Sì. Voi vi fermerete a cena." disse.
"Mah, noi avevamo intenzione di…" iniziò Camus.
"…di fermarvi a cena. Ragazzi, stasera cena alla seconda casa!" annunciò Aldebaran.
"Athena, ti ringrazio, stasera niente surgelati." Aiolia alzò le braccia in direzione della statua di Atena Nike dietro il tredicesimo tempio.
"Cosa vorresti insinuare?" sbraitò Marin.
"Io? Niente!"

 *

L'ultima volta che aveva visto l'undicesima casa si era sentita afflitta e tremendamente arrabbiata, e in quel momento, rientrarci, era stranissimo: eppure pareva la stessa, nulla sembrava mutato, nemmeno il ritratto di Degél che col suo sguardo serio vigilava sul corridoio e sull'intera casa.
"…il ritratto c'è ancora." sorrise.
"Certo" fece Camus dietro di lei "non è cambiato nulla da allora… la casa è così come te la ricordi."
Mei s'avvicinò al ritratto di Degél e sfiorò la cornice istoriata.
"Bon après-midi, monsieur." sussurrò.
"Non l'ho mai più… sentito qui, da quando te ne sei andata." le disse Camus, oltrepassandola per portare le valigie in camera.
"A dire il vero Cam, tu non l'hai mai sentito realmente, perché non hai mai creduto negli spiriti. Sotto sotto credo che in tal senso mi consideri ancora una sottospecie di svitata che parla con cose che non esistono." sorrise Mei. "Un po' come i bambini col loro amico immaginario."
"… io non…"
"Cam, guarda che non me la prendo… non ho mai detto di essere del tutto normale." aggiunse Mei, ridacchiando. "Beh, io vado a macerare un po' sotto la doccia… casomai avessi bisogno sai dove trovarmi."
Camus restò a guardare la porta del bagno per qualche istante, pensoso, quindi s'avviò in camera appena prima di sentire un assolo di chitarra elettrica provenire dal bagno, seguito dalla voce non proprio –per niente- intonata di Mei che cantava sopra la voce di Paul Stanley:
"…she looked good, she looked hotter than hell, all dressed in satins and lace!!!"
"… a quel pover'uomo staranno fischiando le orecchie…" pensò ad alta voce, prendendo il beauty di Mei e dirigendosi in bagno. "Mei! MEI!"
Lei aprì la porta della doccia e sporse la testa fuori.
"…sì?"
"Ho pensato potessi aver bisogno di questo…" le disse, posando il beauty accanto al lavandino.
"Ah, grazie. In effetti non mi entusiasmava troppo l'idea di dovermi lavare con lo shampoo al sandalo." rispose Mei, storcendo il naso. "Puoi aprirlo, sai? Non corri il rischio di finire in un'altra dimensione…"
"Sicura? Non c'è da fidarsi di questi aggeggi infernali…" replicò Camus, aprendo la valigetta e trovandoci una maglietta, la sua maglietta, accuratamente piegata e stirata. "Ecco dov'era finita! L'ho cercata come un matto."
Mei si voltò, guardando Camus dispiegare la maglietta dell'Hard Rock Cafè blu notte e posarsela addosso.
"Non pensarci nemmeno, Cam, è mia adesso."
"Ladra di magliette."
"Cam, ti taglio le mani se non la rimetti a posto."
"Okay, okay… tanto a me basta quella dei Kiss." rispose Camus, aprendo la porta della doccia e posando i flaconi di Mei sul ripiano.
"Quale maglietta?"
Camus sogghignò.
"Nera, scritta gialla Alive 35…" la descrisse. "Te la ricordi?"
Sgranò gli occhi.
"Ridammela!"
"Vieni a prenderla, se ci riesci."
"Ti sei appena cacciato nei guai, Camus, questa è una dichiarazione di guerra!"
Camus alzò il volume del lettore mp3.
"You better watch out, 'cause i'm a war machine!" le rispose, prima di uscire dal bagno.

*

Nel tardo pomeriggio Dohko andò a prendere Shiryu e Shunrei, che arrivarono alla cena per Mei e Lixue poco dopo l'arrivo degli altri Bronze Saint.
"Mia sorella?" chiese Shiryu, a Mu.
"È su con Camus, a cambiarsi per cena."
"E mia nipote?"
"Ah, lei è in gironzolo per Atene con Milo, sono fuori da tutto il pomeriggio." spiegò Mu.
"Ah." fece Shiryu.
"Guarda che è con Milo, non con DeathMask." s'intromise Hyoga.
Shiryu sogghignò.
"E ci mancherebbe solo. Quello deve solo provarci ad avvicinarsi a Lixue."
"A proposito di Lixue e Mei… ehm… vi è sembrata tranquilla?" chiese Hyoga.
"In che senso?" lo interrogò Shiryu.
"Con tua sorella non c'è mai da star tranquilli… sto all'erta da quando mi ha minacciato di rifarmi i connotati…" disse Hyoga.
"Peccato che non te li abbia rifatti, magari ti avrebbe rifatto meglio di come sei…" intervenne Ikki.
"Dovrebbe essersi sfogata abbastanza per oggi, stamattina ha battibeccato con DeathMask." l'informò Mu, facendo sbuffare Shiryu.
"Ma perché non ci sono mai quando c'è da divertirsi?!"
Hyoga guardò in tralice l'amico.
"Se per te vedere tua sorella che s'arrabbia è un divertimento, significa che non l'hai mai vista arrabbiata. E intendo sul serio." disse, interrompendosi non appena ebbe intravisto l'interessata arrivare.
"Mei!!!!" esclamò Shaina, quando vide l'amica arrivare. Le due donne s'abbracciarono. "Come stai? Direi bene, ti vedo in forma…!"
"Eeeh…" commentò Hyoga, sarcastico.
Mei gli rivolse un'occhiataccia.
"Rispetto a qualche anno fa sono ingrassata Hyoga, è vero. Ma io ho partorito… la tua scusa qual è?"
"Hai partorito sette anni fa, tesoro, la tua scusa non regge."
"Invece tu sei esattamente come sempre, il solito." fece Mei.
"Attraente, provocante, piacevole e tremendamente sexy?" fece Hyoga.
"…odioso."
Hyoga sogghignò.
"… ammettilo, ti piaccio proprio perché sono odioso."
Mei si tolse la sua mano dalla spalla.
"Puah, nemmeno fossi l'ultimo uomo rimasto sulla terra!"
Poco distanti da loro, Ikki e Shun si scambiarono un'occhiata interrogativa.
"Scusa Shiryu, da quando in qua quei due vanno d'accordo? Non fraintendermi, è una bella cosa, solo… è un tantino strano, non trovi?" domandò Shun.
"Si vede che l'apocalisse è vicina." replicò Ikki, con un'alzata di spalle.

***

 

Lady Aquaria's corner.
Okay, nuova stesura del capitolo (in data 10 novembre 2013), nuove note.
Rispetto a quell'inutile perdita di tempo che sono stati gli ultimi 30 mesi, all'incirca, questa nuova stesura non tiene conto del vecchio bashing, ovvero, niente più bashing su Hyoga (non troppo almeno), né su Saori, né su Seiya. Per il resto, buona lettura.
-La canzone che Mei "canta" si intitola "Hotter than Hell" e quella che invece menziona Camus è "War Machine". Entrambe, sono dei Kiss.

Lady Aquaria

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Capitolo 8
*** Ritrovando vecchi amici. ***


capitolo 8 rivisto
8.
Ritrovando vecchi amici.
 
"All'inizio la faccenda ha sconvolto anche me, devo ammetterlo." convenne Shiryu, mentre Mei e Hyoga continuavano simpaticamente a prendersi in giro. "Sapete, quando hanno iniziato a vedersi per quelle lezioni, ho pensato fosse uno stratagemma di Mei per avvicinarlo e trucidarlo con le sue stesse mani, e invece…"
"Quali lezioni?" volle sapere Seiya, incuriosito.
"Uno… scambio d'arti marziali." spiegò Mei, ignorando Shiryu. "Lui mi ha insegnato qualcosa di systema, e io in cambio qualcosa di judo. Alla fine dei conti ho capito che poteva tornarmi più utile da vivo che da morto, anche se mi son presa qualche rivincita contando sul fatto che non poteva usare il cosmo per difendersi."
Hyoga d'istinto portò le mani a schermarsi la zona intima.
"Sì, ehm… rivincite che come effetto avevano interi pomeriggi trascorsi piegati in posizione fetale piangendo per il dolore, ma sono meri dettagli, no, Mei?" rispose Hyoga, ironico.
"Esagerato, ti avrò centrato un paio di volte al massimo, dai." rispose Mei. "Non ti ho mica tolto la capacità riproduttiva…"
"Questo ancora non lo so." obiettò Hyoga.
"Beh, dai. Mi spiace per Freya ma alla fine il mondo mi sarà grato per averti impedito di avere una discendenza. Vi immaginate altre teste di rapa come lui, in giro? Questa povera Terra ha già avuto troppe catastrofi." proseguì Mei.
"In effetti poteva anche andarti peggio." interloquì Ikki. "Un mio compagno di corso è diventato impotente a causa dei ripetuti colpi subiti col krav maga."
Hyoga fece una smorfia.
"Ahia. Fortunatamente non ho questi problemi, funziona ancora tutto a dovere."
"Puah! Avrei preferito non saperlo."
Shiryu indicò entrambi.
"Mi fate paura voi due. Credetemi. Paura." ripeté.  
"A proposito di Freya… devo andare a prenderla e sono anche in ritardo." fece Hyoga consultando l'orologio.
"Povera ragazza."
"Ti ho sentita!"
"L'ho fatto apposta!" replicò Mei, intravedendo Milo e Lixue rientrare in quel momento, sulla Norton di Camus. "Oh, ecco che rientra la mia ragazza."
"Mei, possiamo parlare?"
"Quale parte di lasciami in pace non ti è chiara, Shiryu? Quando avrò sbollito la rabbia forse potrai parlarmi."
Lixue le corse incontro brandendo un paio di sacchetti che Milo aveva preso dalle sacche laterali della moto.
"Questi sono per te!" le disse, piazzandole in mano un sacchetto e correndo poi di gran fretta su per le scale, diretta all'undicesima casa.
"…potevi almeno darmi un bacio!" protestò Mei.
"Ha saltato tutto il pomeriggio e ha ancora forza per correre? Come la invidio." commentò Milo, il chiodo posato con nonchalance su una spalla e il solito gran sorriso sulle labbra. "Dovresti ringraziarmi, ve l'ho cotta per benino: son sicuro che dopo cena crollerà tra le braccia di Morfeo fino a mezzogiorno di domani… if you know what i mean…"
Mei trattenne uno sbadiglio.
"Mi sa che non sarà la sola a crollare…" commentò, aprendo poi il sacchetto di carta. "Kourabiedes! Se inizio con questi non finisco più di mangiarli!"
"Non farti vedere da Alde, si offende da morire se poi non mangi perché hai perso appetito." disse Milo.
"Oh, allora sarà meglio chiuderli in alto nella credenza."
Tornò all'undicesima casa trovando Lixue nella sua stanza intenta a pescare qualcosa dalla propria valigia ancora da disfare e Camus, scalzo e in accappatoio, tutto concentrato a sgranocchiare biscotti a suon di musica appoggiato al piano cucina. Non appena la vide, fece per abbassare il volume.
"No, lasciala… è una delle mie canzoni preferite…" disse Mei.
Ingoiò un biscotto.
"Ti piacciono i Simply Red?!"
"Sì. A quanto pare, sono attratta dagli uomini con i capelli rossi, che ci vuoi fare?" commentò Mei, guardandolo mangiare un ennesimo biscotto. "Sai, mi han detto che Alde s'offende da morire se a cena non abbiamo fame…"
Camus sorrise, scostandosi un ciuffo bagnato dagli occhi.
"Sai bene che non saranno certo due biscotti a togliermi l'appetito."
Mei posò il proprio sacchettino sul piano.
"Ah già, dimenticavo che sei un pozzo senza fondo come il tuo compare." rispose.
"Fai male a dimenticartene. Se non stai attenta mi finisco anche i tuoi." replicò Camus indicandole il sacchetto con uno sguardo.
"Ti taglio le mani se ci provi."
"Allora levali da lì o mi faranno cadere in tentazione… e sai, come diceva Oscar Wilde, il solo modo di liberarsi di una tentazione è cedervi…"
Osservò i suoi capelli ancora bagnati e sciolti sulle spalle e l'accappatoio allentato sul petto, quindi prese un gran respiro.
"In questa stanza ci sono tante cose che mi tentano, ma se dovessi cedervi, Alde avrebbe da ridire."
"Oh. E parli di me o dei biscotti?"
"A te la scelta." rispose Mei.
"Volendo manca ancora un po' alla cena di Alde…" disse Camus, sottintendendo qualcosa.
Un altro gran respiro.
"Dopo tutto questo tempo preferirei qualcosa di più di… cinque minuti sul piano cucina." rispose Mei. "Mi pareva d'avertelo fatto capire, ieri sera."
"Non intendevo certo una volgare sveltina, ma comunque okay. Ci penseremo dopo." promise Camus.
Mei s'incamminò verso la camera da letto, ma tornò indietro subito dopo afferrando i biscotti.
"E comunque mettiti le pantofole, vuoi mica…"
"…prender freddo?" completò Camus. "… dì un po', ci conosciamo?"
"… deformazione professionale da mamma, chiedo scusa." mormorò Mei. "Io… ehm… vado a prepararmi."
In camera, Mei accese il lettore mp3 e trascinò sul letto una delle sue valigie –maledicendosi per il peso… come diamine aveva fatto a caricarla così tanto, poi…- e vi frugò alla ricerca di qualcosa da indossare: un semplice vestito estivo di cotone poteva andar bene, decise, dopo una rapida occhiata.
"…e ora dove accidenti avrò messo le scarpe??"
 
*
 
"Mei?"
Camus sentì ancora il vago -e molto stonato- canticchiare dal bagno; inarcò un sopracciglio e si fermò sulla porta, guardando Mei ancora svestita che ancheggiava.
Si accorse di Camus solo quando Jennifer Lopez smise di cantare dai suoi auricolari.
"Uh?"
"E' mezz'ora che ti chiamo." fece Camus.
"Se ti avessi sentito, avrei risposto. Vedi questi? Si chiamano auricolari e servono per ascoltare la musica." rispose Mei, ironica.
"Dovresti smetterla di cantare, i randagi di Atene potrebbero non apprezzare gli infrasuoni che produci. Comunque tra dieci minuti a casa di Alde."
"Tra dieci minuti saremo già lì, ci metto poco a prepararmi."
O almeno sperava: posò l'eyeliner sulla mensola, senza capire perché stesse tremando a quel modo, di solito aveva la mano molto ferma… ma di solito non c'è Camus in casa con te, le ricordò una vocina.
"Molto carini i tuoi slip." la prese in giro.
"Malefica ha sempre il suo fascino. Trovate in un Disney Store, qualche tempo fa… graziose, vero?"
"Assolutamente."
"Spiritoso." replicò Mei. "Bello mio, se ti aspetti lingerie di pizzo, hai sbagliato indirizzo con me."
"Nah, non sono quel genere di uomo."
"Lieta di saperlo."
Camus rimase fermo sulla porta del bagno.
"Ho come l'impressione che ci sia qualcosa di diverso in te…"
Mei rise nervosamente.
"Sì, si chiamano pancetta e smagliature. A differenza della bellona che stavo ascoltando, ne ho in abbondanza." rispose, urtando la pochette sul lavandino e spargendo tubetti ovunque.
"Inizi a sparpagliare le tue cose in giro, mi piace." sorrise Camus, raccogliendo un paio di tubetti da terra. "Extra Volume Black Intense. Come fate a sopportare certe torture, mi domando…"
"Cerco di farmi bella con qualche piccolo aiutino."
"Non ne hai bisogno." rispose Camus, facendola arrossire appena.
"Dovresti farti controllare la vista, secondo me. Ma comunque… grazie."
L'arrivo di un messaggino riscosse Camus.
"Andrà a finire che per colpa tua arriveremo tardi." lo provocò Mei.
Lui s'avvicinò alla cassettiera liberandosi dell'accappatoio, quindi si chinò per prendere qualcosa.
"Ascolta… hai visto Hyoga?"
"Sì." rispose Mei distogliendo lo sguardo dalla sua schiena e dal suo posteriore.
"… ed è ancora vivo?"
"…non comprendo lo stupore nelle tue parole ma sì, tranquillo… non l'ho ancora freddato."
"Benone. Mi dispiacerebbe povero ragazzo, è come un figlio per me, gli voglio un gran bene." Pur avendo imparato a provare affetto per Hyoga, ancora non riusciva a perdonargli certe cose. Una tra tutte, l'esito dello scontro in quella stessa casa.
"So a cosa stai pensando."
"Ne dubito."
"A-ha Mei, no. Temo che tu dimentichi troppo spesso e troppo in fretta che a differenza di tanti altri ti conosco troppo bene. Hai iniziato a pensare al passato non appena ho accennato a Hyoga."
Annuì, posando definitivamente l'eye-liner nel beauty, incapace di frenare il tremito.
"E' un argomento ancora troppo delicato per me."
"Suvvia, Mei. Sono qui. Siamo insieme, e Hyoga ha solo fatto il suo dovere."
"…okay…" rispose Mei. "Ehm… ho impiegato anni per vedere Hyoga con i tuoi stessi occhi dopo aver provato per lui sentimenti contraddittori… tuttavia ci sono ancora momenti nei quali lo strozzerei con le mie stesse mani, perciò al posto tuo ne parlerei ben poco, soprattutto con me…"
Camus le carezzò una guancia.
"Non diventare cattiva, Mei. Il rancore non porta mai a niente di buono."
 
Hyoga tornò insieme a Freya dopo circa venti minuti, durante i quali aveva, come sempre, sopportato le raccomandazioni più che materne della sorella maggiore.
"Stiamo insieme da un paio d'anni e ancora adesso Hilda mi ripete di fare attenzione e… riportarla a casa sana e salva." sospirò, facendo un tiro dalla sigaretta di Ikki.
"Dalle tempo, prima o poi smetterà di essere così apprensiva per sua sorella." interloquì Mu.
"Spero." replicò Hyoga, lanciando un'occhiata alla fidanzata che si stava avvicinando curiosa a Shiryu, sicuramente attirata da Lixue, che l'amico teneva in braccio. A Freya piacevano molto i bambini e pur essendo molto legata alla figlia di sua sorella, sapeva che ne voleva di propri.
"Che bella bambina! Ma… è tua? Sinceramente Hyoga non mi ha mai detto che…" la sentì chiedere, come aveva previsto, a Shiryu.
"Ma no, è mia nipote." sorrise Shiryu in risposta. "E' la figlia di mia sorella, si chiama Lixue e una volta rotto il ghiaccio, non smette più di parlare."
"Io adoro i bambini!"
"Anche tu adori i bambini o ricordo male?"
Hyoga si riscosse di colpo, guardando Camus che si era accomodato accanto a lui.
"Quando diavolo sei arrivato? Non ti ho sentito."
"Molto bene, significa che il mio addestramento ninja ha raggiunto ottimi livelli." scherzò Camus. "Tornando seri, quando hai intenzione di chiederglielo?"
"Chiederle cosa? Dalle mie parti prima ci si sposa, poi si fanno figli. Mamma si rivolterebbe nella tomba se facessi il contrario, le ho promesso di non deluderla per nessuna ragione al mondo."
"Parlavo appunto di chiederle la mano, i figli arriveranno col tempo, anche se io forse sono il meno indicato per dei consigli… alla tua età ero padre già da due anni. Comunque, due anni di fidanzamento mi sembrano abbastanza, non credi?"
Hyoga annuì, poco convinto.
"E' che non ho abbastanza denaro per darle la vita che merita… prima di chiederle la mano volevo sistemarmi... continuo a cercare un posto di lavoro migliore, spero in bene."
"Per sistemarti come tu meriti e trovare un lavoro degno di te, devi prima finire l'università, ne avevamo già parlato."
"Sì… e io sono stanco di gravare sulle tue spalle. Anche di questo avevamo già parlato." ribatté Hyoga.
"Hai ragione, ma ti avevo detto che non avremmo più discusso di quest'ultimo argomento, perciò discorso chiuso." concluse Camus. "Occhi aperti comunque, ricordati che c'è anche Mei nei paraggi."
"A proposito di Mei… anche per voi sette anni sono sufficienti, quand'è che farete il grande passo?"
"Bella domanda." convenne Camus. "Quando entrambi saremo pronti, suppongo."
 
Mei decise di non disturbare i due uomini che stavano parlando tra loro, quindi si accomodò contro la balaustra della prima casa con qualcosa di fresco mentre i profumi delle opere culinarie di Aldebaran cominciavano a farsi sentire nell'aria.
"Posso assicurarti che non è avvelenato."
Distolse l'attenzione dalla bevanda che stava annusando e la dedicò all'uomo che le aveva appena rivolto la parola.
"Come?"
Shaka le indicò il bicchiere.
"Asha non è abituata a drogare o avvelenare ciò che offro ai miei ospiti."
"Asha magari no." rispose Mei.
"Mei, puoi rilassarti, non l'ho preparato io." proseguì Shaka. "Se devo uccidere una persona lo faccio direttamente senza mezzucci simili e poco affidabili."
"Il latte allo zafferano di Asha! A questo non posso dire no. Sentirai, ti piacerà un sacco." interloquì Aphrodite, raggiungendo Mei. "Ho interrotto qualcosa?"
"No, assolutamente niente." rispose Mei, rivolgendosi poi a Shaka. "E comunque non mi pare di avere così tanta confidenza con te da autorizzarti a parlarmi come se fossimo amici. Non lo siamo e non lo saremo."
Anni prima l'aveva considerata una volgare ragazzetta stupida e qualunque -e l'aveva trattata come tale-, e ora voleva fare l'amico? Eh no, non funzionava così con lei.
"E così Hyoga ce l'ha fatta, a conquistare la bella principessa." la distrasse Aphrodite.
"Così pare. Povera ragazza, non sa in che guaio s'è cacciata." commentò Mei, assaggiando il latte allo zafferano e decidendo che sì, Aphrodite aveva ragione: le piaceva.
"Ma smettila, che in fondo anche tu gli vuoi bene." la riprese l'amico.
"In fondo." precisò Mei. "Ma molto, molto in fondo."
 
Dopo aver parlato ancora qualche minuto con Hyoga, Camus lo lasciò con gli amici e decise di cercare Mei; non l'aveva ancora vista scendere e magari, pensò, aveva cambiato idea.
"...scusa la curiosità, ma sei incinta?"
"Direi di no." sentì Mei rispondere, appena fuori dalla prima casa. "Perché?"
"E' che questo vestito…"
Mei si schiarì la voce.
"E'… è un vestito premaman, infatti, ma no, non sono incinta."
Doveva ammettere con sé stessa che le sarebbe piaciuto parecchio avere altri bambini, ma non era ancora il momento adatto.
"Non ancora." commentò Aphrodite, sibillino.
"Beh, probabilmente succederà… ehm… in futuro…" balbettò Mei. "Ehm… più a-avanti… quando… ci saremo sistemati e…"
"Ehi, guarda che faccia…! Guarda che non ti ho mica detto di farlo qui, seduta stante!" esclamò Aphrodite, ridacchiando. "Amico, una tazza di latte e zafferano anche per te?"
Sobbalzò e arrossì come una ragazzina non appena incrociò lo sguardo di Camus: quanto aveva udito di quella conversazione?
"Perché no? Senza pistacchi però, li detesto."
Mei cercò di controllare il rossore che continuava ad avvertire sulle guance e continuò a bere.
"Per un attimo ho pensato avessi cambiato idea e che preferissi rimanere su a casa."
Scosse la testa.
"No, no. Mi sento bene." rispose Mei.
"Okay, è che mi sembravi un po' strana." proseguì Camus, sfiorandole una guancia. "Mi sembri un po' calda. Influenza?"
"Avanti, sappiamo benissimo entrambi che mi hai visto arrossire, altro che febbre. E diciamo che hai anche sentito tutto."
"Il necessario." replicò Camus.
"…"
"Come mai indossi un vestito premaman se non sei incinta?"
"Come mai il mio modesto vestito di cotone scatena tutta questa curiosità?" domandò di rimando Mei. "Ho comprato questo vestito quando ero incinta di Lixue, ma non ho mai potuto indossarlo, visto che pare essere stato progettato su una stangona nordica e senza zeppe mi finisce sotto i piedi. Non ho mai messo scarpe troppo alte col pancione, perciò ecco che l'ho riadattato per poterlo indossare quando ho voglia." aggiunse, scoprendo i piedi infilati in due zeppe vertiginose. "E con queste zeppe."
"Cosa… sono quelle?" domandò Camus con la stessa espressione dell'Ade di Hercules, guardando i due sandali rosso fuoco.
"Scarpe, Cam. Sai, quelle cose che indossi per non dover camminare a piedi nudi…"
"Sono trampoli. Prevedi di lavorare nel Cirque du Soleil, in futuro? Ti stai allenando per questo?"
"Cam, se vuoi andare d'accordo con me, non criticare mai le mie scarpe o i miei gusti letterari o musicali. Mai." borbottò Mei, scendendo dalla balaustra sulla quale era seduta. "Voilà, possiamo andare."
 
A cena, Mei ritrovò quel senso di amicizia e relax che al Goro Ho non provava da tantissimo tempo: come anni prima c'era chi era più amichevole e chi totalmente indifferente alla sua presenza o chi cercava in tutti i modi di provocarla sperando di scatenare una qualche reazione; tuttavia sembrava prospettarsi piacevole.
Camus prese Lixue sulle proprie ginocchia e iniziò a tagliarle a pezzettini il petto di pollo che Aldebaran le aveva riservato; tuttavia quest'ultima pareva preferire la carne speziata del suo piatto.
"Mei, tua figlia cosa mangia? Il pollo può andar bene?"
"Di tutto, è una buona forchetta." rispose Mei. "Perché?"
"Anche il piccante? Perché credo di aver calcato un po' troppo la mano con la paprika, nelle fajitas." spiegò Aldebaran. "E visto che preferisce il manzo piccante al pollo che le avevo dato…"
"Mia nipote mangia soprattutto il piccante. Mei ha mangiato così tanta roba del genere quand'era incinta, che mi stupisce il fatto che Lixue non sia venuta su indemoniata." commentò Shiryu.
"Non c'è problema, a casa cucino spesso il pollo kung pao e Lixue spazzola anche la pentola." rispose Mei. "Come suo padre, è un pozzo senza fondo."
Lixue allungò la forchetta alla fajitas nel piatto di Camus e prese un pezzo di peperone.
"La tengo io mentre mangi?" disse Mei, offrendosi di prendere in braccio Lixue.
Lui diniegò, avvicinando il proprio piatto alla figlia.
"Prendi quello che vuoi." propose a Lixue, sorridendole.
 
Sì. Le era mancato tutto quello: le risa, la compagnia, gli amici.
Un po' meno i pettegolezzi a suo carico, ma faceva in un certo senso parte del gioco.
"Camus ci ha detto che siete di partenza per la Francia." asserì Shura.
"Già." sorrise Mei.
"Un bel salto di qualità dal Goro Ho a Parigi." commentò Saga, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
"Come sarebbe a dire, salto di qualità? Il Goro Ho non è mica una topaia!" protestò Dohko, ridacchiando. "Mei, ti sei mai sentita a disagio alla pagoda?"
"A dire il vero, Maestro" iniziò, rispondendo a Dohko e soppesando bene le parole per evitare di trasformare in uno schifo quella serata cominciata così bene "…è il solo posto in cui ho vissuto fin'ora nel quale mi sono sentita a mio agio e al sicuro. Parigi devo ancora visitarla, più avanti potrò esprimere anche un giudizio a riguardo."
Saga ascoltò la risposta quindi continuò a guardare Mei.
"Hai vissuto anche qui per un certo tempo, non ti sei mai sentita al sicuro tra le mura del Santuario?"
Avrebbe desiderato tanto rispondergli per le rime ora che Saga non era più il Grande Sacerdote e che non era lui a governare sul Santuario, ma il lieve colpetto di tosse di Camus e il cenno di Hyoga, seduto davanti a lei, la fecero desistere.
"Beh, come rispondere… ora che sento la presenza della vostra Dea posso anche evitare di dormire con il pugnale sotto il cuscino." rispose con uno strano sorriso, facendo ridacchiare i presenti.
"Ti senti a disagio anche adesso, quindi?" proseguì Saga.
"Un pugnale sotto il cuscino?!" domandò Milo, nello stesso momento.
Il colpetto di tosse si trasformò in una leggera stretta sul suo braccio, e Mei preferì rispondere a Milo piuttosto che a Saga.
"Un kubikiri giapponese appartenuto a mio padre." spiegò Mei, alludendo alla specie di spada corta a lama leggermente curva che Shiryu le aveva dato per difendersi.
"Questa non la sapevo." Milo corrugò la fronte.
Hyoga si portò una mano alla gola.
"Io sì." interloquì, deglutendo.
Camus arricciò il naso.
"Non voglio nemmeno sapere perché lo sai." disse, facendo ridacchiare l'allievo.
"Perché quando si parla di certe cose ci sei sempre tu di mezzo?" domandò Freya, guardando Hyoga.
"Che colpa ho io se mi trovo spesso nel posto sbagliato, nel momento sbagliato?"
Entrambi si ricordavano bene cos'era successo; appena dopo Hades, Mei aveva iniziato ad avere degli incubi particolarmente strani e delle notti piuttosto agitate. Durante una di queste, lui s'era precipitato a vedere se stesse bene o meno, per ritrovarsi quasi sgozzato da Mei che l'aveva guardato fuori di sé qualche istante convinta di trovarsi di fronte chissà quale nemico,  prima di rendersi conto di essere solo ruzzolata giù da letto con le gambe incastrate nelle lenzuola aggrovigliate. L'avrebbe ucciso se solo fosse stato meno veloce nel tirarsi indietro: la lama l'aveva graffiato appena e una volta resasi conto dell'accaduto, a Mei quasi era preso un colpo.
Anche a distanza di anni, riusciva a sentire la lama a diretto contatto con la gola.
"Va beh. Vi sposerete?" chiese poi Freya, decidendo di cambiare totalmente discorso.
"Ogni cosa a suo tempo." rispose Camus. "Se ci sarà l'occasione, vi assicuro che sarete i primi a saperlo."
Mei corrugò la fronte.
"Voglio farti notare che non me l'hai ancora chiesto..." sussurrò per non farsi sentire da nessun altro.
"Ogni cosa a suo tempo." ripeté lui, sorridendo.
"Comunque avvertimi, che ho già in mente l'addio al celibato perfetto." disse Milo. "Un bel viaggio on the road sulle nostre moto costellato qua e là da esperienze estreme."
Mei si sporse verso Milo, seduto accanto a Camus.
"Esperienze di che tipo?"
"Non posso parlartene adesso, c'è un paio d'orecchie di troppo, qui."
Camus li guardò.
"Lorsignori desiderano parlare da soli senza l'ingombrante presenza del sottoscritto?"
"Si grazie." replicò Milo.
Camus inarcò un sopracciglio e si alzò da tavola.
"Bene, dunque ne approfitto per mettere a letto Lixue, mentre voi progettate il mio omicidio."
"Esagerato."
 
Spossata dalla giornata ricca di avvenimenti, Lixue si era addormentata subito dopo aver toccato il letto, tanto che Camus era riuscito a metterla a dormire senza troppe storie; la cena intanto era praticamente finita e tutti parlottavano tra loro a gruppetti, come succedeva spesso.
Mei era ancora al suo posto, a chiacchierare con Milo e Hyoga –che ascoltava, più che parlare-.
"…la prima volta a dire il vero non è stata granché. Ho sentito solo un leggero fastidio ma questione di pochi minuti ed era finita… niente di così eclatante come mi avevano detto." stava dicendo, mentre con una matita che Lixue aveva lasciato sul tavolo si sistemava i capelli in uno chignon improvvisato.
"E poi tutto liscio come l'olio vero? Che ti avevo detto?" interloquì Milo.
Rimase qualche istante ad ascoltare a pochi passi da loro, la fronte corrugata: Mei aveva bevuto? E quanto, se raccontava al suo migliore amico cose di natura troppo intima per esser divulgate?
La vide sfilarsi un sandalo e mostrare a Milo il piede sinistro.
"…poi c'è stato quello sulle costole e questo sul piede, per i quali ho visto letteralmente le stelle. Per quello sul fianco ho pianto anche se è una frase su due righe scritta sottile."
"Confermo." interloquì Hyoga. "Mi ha quasi rotto la mano a furia di stringerla."
"Esagerato."
"Coraggiosa. Sulle ossa fa sempre un po' male, anche se dipende da quanto riesci a reggere il dolore." commentò Milo.
Mei piegò la testa di lato.
"Ho superato dolori peggiori di un tatuaggio, credimi."
Tatuaggi. Ecco di che cosa stavano parlando: gli era parso strano che Mei si sciogliesse in discorsi privati.
Le arrivò alle spalle, posandole addosso lo scialle che aveva lasciato a casa.
"Ho pensato potesse servirti." le disse.
"In effetti cominciavo a sentire un po' freddino." sorrise Mei. "Grazie."
Milo si raddrizzò dopo aver esaminato il piede dell'amica.
"Per Aspera ad Astra." ripeté. "Carino è carino, ma perché all'interno del piede e non verso l'esterno? Oh, ciao Cam, ben tornato!"
"Quasi tutti i tatuaggi che ho sono piccoli e in posti nascosti ai più, non li ho fatti per esibirli, credo siano… come dire… privati." spiegò Mei, mentre Camus si sedeva dietro di lei, scambiando qualche rapida parola in russo con Hyoga e iniziando a seguire la conversazione.
"E al mare come fai, t'infili un burqa per non farteli vedere?" scherzò Camus.
"No, basta un bel costume intero."
"Sono curioso di vedere quello sulle costole. Prima o poi mi farai dare un'occhiata?" domandò Milo.
"Purché sia alla luce del sole e fuori dall'ottava casa, ho sentito dire che il thunder claw di Shaina è piuttosto doloroso." ridacchiò Mei.
"Anche l'aurora execution, fidati." tossicchiò Hyoga, alzandosi. "Io raggiungo la mia bella, ci vediamo domani."
"Vado anche io. A domani, ragazzi." li salutò Milo.
"Non fate troppo casino, c'è anche mia figlia in casa." l'ammonì Camus, prima di chinarsi verso Mei. "Tu hai sonno?"
"No."
"Bien. Ti va di passeggiare un po’ con me?"
"Hai intenzione di portarmi giù alla spiaggia per sedurmi?" mormorò Mei.
"Uhm… prima sì, ma ora che hai scoperto le mie intenzioni, ci accontenteremo della passeggiata."
"Okay, anche se fossi in te, sarei estremamente preoccupato per la tua virtù."
Camus attese pazientemente che Mei si sfilasse anche l'altra zeppa –sospirando di sollievo- e la scortò fino alla baia nascosta del Santuario.
 
"A saperlo, non ti avrei disturbata."
"Mh?"
"Fino a poco fa parlavi molto e ora sei silenziosa."
"A dire il vero pensavo e... mi stavo godendo l'atmosfera." rispose Mei, semplicemente.
"Quindi non stavi ripensando sulla scelta di venire a Parigi?"
"No, no. Rilassati. Non è stata una decisione presa di fretta, ci ho riflettuto bene e non mi tirerò certo indietro." disse Mei. "Del resto, non potrei fare questo a Lixue."
Camus si fermò.
"E se Lixue non ci fosse stata? Ti saresti tirata indietro?"
"Se Lixue non ci fosse stata, ci sarebbe stato tutto questo? Ci sarebbe stato un noi?" ribatté Mei. "Ti sei offeso quando ti ho chiesto se era lei che volevi vicina o noi. Eppure… perdonami, ma il dubbio c'era, date le basi del nostro… come definirlo? …rapporto? Ho sbagliato a portarti qui, non avrei dovuto. Sono un guerriero, la mia fedeltà ad Athena viene prima di tutto… soprattutto viene prima di una ragazzina che al suo confronto è insignificante."
Capì d'aver toccato un tasto molto dolente quando notò l'espressione ferita di Camus, ma decise ugualmente di proseguire.
"…parole tue, non mie. Parole che sono scolpite nella mia mente, vive come se le avessi appena pronunciate."
"Le ricordo bene."
"Bene." disse Mei. "Le parole sono spade, possono uccidere. Non ho mai preteso d'essere bella perché non lo sono né lo sarò mai, ma… insignificante, no. Quella è stata la goccia finale. Ma ho fatto di tutto per rimettermi in piedi e recuperare la mia vita… poi arrivi tu e me la sconvolgi. Domando scusa, ma il dubbio era più che legittimo."
"E se ti dicessi che lasciarti andare è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto?"
Stavolta fu Mei a fermarsi.
"Se questo fosse un film melenso, ora io avrei le lacrime agli occhi e tu staresti per baciarmi." ribatté Mei. "Non so… quanti film romantici hai guardato, in mia assenza? Non ti facevo tipo da commedie romantiche visto che per convincerti a portarmi al cinema per guardare The Lakehouse ho dovuto sudare sette camicie..."
Ancora ricordava le storie che aveva fatto per andare a vedere quel film.
"So perché vuoi vedere quel film, è solo per Keanu Reeves…"
"Veramente, no. Ho visto il film coreano dal quale è stato tratto e sono curiosa."

A quelle parole erano seguite un paio d'occhiate dubbiose.
"Eddai. Vorrai mica dirmi che hai visto Tomb Raider per l'Archeologia e non per il fisico della Jolie…"
Camus la riscosse.
"Dai, Mei, sono serio. Credi sia stato facile per me dirti quelle cose e lasciarti andar via? Ero in giardino quando stavi preparando le tue cose e quando Milo ti ha riportato a casa, non hai idea di quanto mi sia costato ignorarti e lasciarti andar via come nulla fosse successo."
"Se è stato così difficile, perché non ci hai ripensato e non mi hai fermata?"
"Non potevo. E in tutta sincerità, saresti rimasta dopo le mie parole?"
"…io…"
"No, perché eri e sei troppo orgogliosa. C'è che ho dovuto scegliere e ho dovuto farlo alla svelta per proteggerti."
"Beh, non avresti dovuto scegliere al posto mio! Se avessi avuto la possibilità di decidere della mia vita, avrei scelto te, avrei scelto l'undicesima casa!"
"…e saresti morta anche tu."
"Questo non puoi saperlo."
"Oh no, credimi quando ti dico che saresti morta. Assiderata, come minimo." la corresse Camus. "E poi come avresti fatto con tuo fratello?"
"Shiryu alla fine avrebbe capito la mia scelta, non avrebbe potuto odiarmi nemmeno se ci avesse provato." replicò Mei, sollevando l'orlo del vestito e affondando le dita dei piedi nella sabbia bagnata della battigia. "Magari l'esito di quella battaglia sarebbe stato diverso."
"Sì, sarei morto subito continuando a pensare a te invece che a Hyoga. Avresti sentito in diretta tutto e avresti sofferto."
Mei strinse i pugni.
"Perché così non ho sofferto vero? Non ho sofferto nel sentire il tuo cosmo spegnersi, non ho sofferto quando ti ho sentito morire, vero? Tu forse non lo sai, ma ho urlato così forte quel giorno da rimanere senza voce per giorni interi. Ogni notte ho avuto incubi dove tu morivi e mi svegliavo di colpo gridando il tuo nome! Quando sono venuta qui al Santuario a vedere il tuo corpo così gelato da sembrare uno Jötunn, sono stata così male che ho ardentemente desiderato raggiungerti! Se Lixue non ci fosse stata, io mi sarei lasciata andare fino a morire per te!" prese un gran respiro mentre lui la fissava con uno strano sguardo negli occhi, quindi proseguì. "Dèi, a volte detesto me stessa per il patetico modo in cui mi permetto di espormi… ehm… fa' come se non avessi detto nulla okay?"
"..."
"Eccola qui, la tua piagnucolosa donna cinese." sorrise Mei, pochi istanti dopo. Si strinse nello scialle, ma non sapeva se per il freddo o per qualche altro motivo. "Ti prego, di' qualcosa, mi sento patetica in questo momento."
"Non so cosa dire." mormorò Camus, improvvisamente a corto di parole.
"Per una volta sono riuscita a zittirti." ridacchiò Mei, nervosa. Raccolse le scarpe e guardò il sentiero che conduceva alle Dodici Case. "Dovresti farmi strada, non vorrei infilarmi qualcosa nei piedi."
Le si avvicinò, silenzioso, e la strinse a sé mentre si avviavano all'undicesima casa.
 
*
 
Uscì dal bagno dopo un tempo che le era parso infinito; dopo essersi lavata via il trucco e un po' della tensione accumulata durante la sera con una veloce doccia, si era infine decisa ad andare in camera, trovando Camus che armeggiava nell'armadio.
"Beh? Dove vai?" gli chiese, quando vide un lenzuolo e il suo cuscino posati sul letto.
"Ti lascio il letto e vado a dormire sul divano."
"Questo lo vedo. Ma perché?" domandò Mei.
"Perché c'è un letto solo."
"Ho notato anche questo. Non mi sembra il caso, però, il letto è grande abbastanza per dormirci comodamente in due."
"…non scherzare, Mei. Se rimango a dormire qui potrei non rispondere di me." disse Camus. "E tu non mi sembri nella disposizione d'animo adatta."
"Non sono… cosa? Ieri sera per poco non facevamo l'amore all'addiaccio col rischio di essere visti da chiunque al Goro-Ho e adesso fai così?"
Che cos'era successo, così d'improvviso? Durante la sera appena trascorsa erano stati bene insieme, perché ora…?
Lo seguì in salotto, incapace di capire perché si stesse preparando un giaciglio sul divano quando potevano dormire entrambi nel letto.
"Ieri sera." ripeté lui.
"Oh no, non dirmi che è per quello che è successo prima in spiaggia. Ho detto qualcosa che ti ha offeso, non è così? Maledizione, parlo sempre troppo. E' successo qualcosa di particolare che non ho compreso? In tal caso ti chiedo scusa, davvero."
"Non hai fatto nulla per cui scusarti. Perciò tranquilla, è tutto a posto."
"Allora vieni a dormire."
"Santi numi, Mei! O sei davvero così ingenua da non capire o mi stai deliberatamente provocando." le rispose. "Padroneggio il ghiaccio e forse davvero sono fatto della stessa materia, ma fino a un certo limite, dopodiché prendo fuoco anche io."
"Avevamo un discorso in sospeso noi due, se ben ricordo. Ma se sei così codardo da non volerlo riprendere, beh… non è affar mio. Buonanotte, allora."
 
***
 
Lady Aquaria's corner:
-Capitolo revisionato in data 4 febbraio 2014-
-Systema: è un'arte marziale russa, così come la Krav Maga è israeliana.
-Kourabiedes: buonissimi biscotti greci fatti con pasta frolla e mandorle;
-Asha: non ricordo se l'ho già o no specificato, ma Asha è l'attendente femminile che si occupa della sesta casa e di Shaka, in un certo senso;
-Kubikiri: è un'arma giapponese a lama appena ricurva usata anticamente per… ehm… sgozzare, come dimensioni è lunga più o meno una trentina di centimetri;
-Per Aspera ad Astra: aforisma attribuito al filosofo Ferdinando Arcà, letteralmente: attraverso le asperità alle stelle;
-Le parole sono spade, possono uccidere: è un bell'aforisma di Hegel;
-The LakeHouse: film del 2006 con Sandra Bullock e Keanu Reeves remake di un film coreano del 2000 circa. Lo consiglio, è davvero bello;
-Jötunn: nella mitologia nordica, sono i giganti, i quali si dividono in due categorie, i giganti di brina (gli Hrímþursar) e i giganti di fuoco (i Múspellsmegir). Ovviamente Mei si riferisce alla prima categoria.
 
"Suvvia, Mei. Sono qui. Siamo insieme, e Hyoga ha solo fatto il suo dovere."
….non ci credevo nemmeno io, mentre lo scrivevo. Hyoga per certi versi continuerà a starmi simpaticamente sullo stomaco. XD
 
Grazie come sempre a chi legge e quant'altro, al prossimo capitolo :)
Vale^^
Lady Aquaria

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Capitolo 9
*** Could i have this kiss forever? ***


capitolo 9 rivisto
9.
Could i have this kiss forever?
 
Could I hold you for a lifetime?
Could I look into your eyes?
Could I have this night to share this night together?
Could I hold you close beside me?
Could I hold you for all time?
Could I, could I have this kiss forever?
(Could I have this kiss forever,
Enrique Iglesias & Whitney Houston)
 
"Buonanotte?" la fermò, voltandola verso di sé. "Eh no. Nessuna buonanotte adesso, dove pensi di andare?"
"A dormire. Quando poi inizierai a lanciarmi dei segnali che mi faranno capire che cosa vuoi esattamente da me, allora potremo parlarne. Ma fino ad allora…"
"Te lo dico un'ultima volta, per farti capire che cosa intendo dirti visto che la cosa non ti è chiara." la interruppe Camus, il cuscino che si frapponeva come un muro tra loro. "Con te vicina, a pochi centimetri da me, io non riuscirei a dormire, non riuscirei a dominarmi. Quando succederà qualcosa tra noi stanotte, o domani, o dopodomani, o quando sarai in condizioni di farlo, Mei, perché so che succederà, io non mi fermerò per nessuna ragione al mondo. Potrebbe accadere qualunque cosa, non ci sarà niente che potrà fermarmi. Ti è chiaro questo?"
Le diede le spalle e ritornò in salotto.
"Nessuno ti ha chiesto di farlo." asserì Mei. "E' assurdo come tu mi faccia sentire una ragazzina in piena tempesta ormonale quando questa è una cosa che vogliamo fare entrambi! Ecco perché ti ho definito codardo."
Lui gettò il cuscino sul divano, emettendo un sospiro. Le si avvicinò fino a intrappolarla fra sé e il muro togliendole ogni possibile via di fuga.
"…perché lo vogliamo entrambi, vero?" mormorò Mei.
"Regarde moi." le impose, sollevandole gentilmente il volto.
Le prese una mano e se la posò sul petto; Mei lo sentì tremare a quel contatto: sotto la sua mano il cuore di Camus batteva furiosamente e per qualche istante furono i loro sguardi a parlare.
"Selon toi?"
Il respiro affrettato, l'adrenalina che scorreva nelle vene…
Nessun'altra parola, non ce n'era bisogno.
"Secondo me sì." sorrise, tirandolo verso di sé e affondando le mani nei suoi capelli, prima di baciarlo.
Dal canto suo Camus strinse la presa sui suoi fianchi, rispondendo al bacio.
Quei gesti le erano così mancati... le erano mancate le mani di Camus addosso, l'odore della sua pelle, il suo respiro... come aveva fatto a rimanergli lontana per così tanto tempo?
Percorse la sua schiena con due lunghe carezze che terminarono sui suoi glutei.
Camus si bloccò, riaprendo gli occhi e guardandola.
"Forse sono troppo audace?" sussurrò Mei, sulle sue labbra, stringendo le mani e facendolo gemere appena. "Preferisci altro? Non hai che da dirlo..."
"..."
Incoraggiata dal suo silenzio, spostò le mani davanti, slacciandogli i pantaloni e iniziando lentamente a calarli giù per i fianchi.
"La mia disposizione d'animo è abbastanza adatta per te?"
Piacevolmente colpito da quel gesto, Camus si era abbandonato alle sensazioni che stava provando, lasciando da parte la lucidità; le mani di Mei vagavano possessive sul suo corpo, e ad ogni carezza, un pezzettino di ragione andava a farsi benedire.
Prima di lasciarsi andare del tutto a quel momento, usò un poco di ragione rimasta per afferrare Mei e spingerla in camera.
Qui è molto meglio pensò, togliendole il kimono e facendoglielo scivolare giù dalle spalle. Appena iniziò ad armeggiare con la giacca del pigiama, la sentì tremare e si fermò.
"Se devi, fermami adesso." sussurrò.
"Niente da fare. Perché dovrei fermarti?"
Perchè l'intimità che avevano condiviso tempo prima non c'era più, ad esempio. Perchè i loro corpi, nel frattempo, erano cambiati e perchè la spensieratezza dei vent'anni era svanita col tempo.
"Perché stai tremando."
Lo guardò, confusa. Certo che tremava, ma per il nervosismo, non per altro, perché le sembrava di essere tornata ai suoi diciassette anni e alla sua prima volta.
"Non pensarci, va tutto bene." sorrise, incoraggiante. Si levò i pantaloni e li scalciò via, quindi restò in attesa della mossa successiva. "Devo ammettere che siamo stati più audaci e pieni d'iniziativa quella famosa volta dietro la cascata…" aggiunse, liberandosi del restante pigiama e abbracciandolo. "Wǒ yào ràng ài nǐ."
Rispose all'abbraccio, stringendole i fianchi e godendosi la sensazione del suo corpo nudo contro il proprio: da quanto tempo non si sentiva in pace con sé stesso come in quel momento?
Lei iniziò a indietreggiare e lo tirò con sé fino al letto, sedendosi poi sul bordo, le mani ancora strette nelle sue.
"Wǒ yěshì."
Mei ridacchiò sommessamente.
"...anche questa l'hai letta sul frasario?"
Non ottenne altre risposte.
 
*
 
La guardò dormire, del sonno rilassato che segue l'amore: il lenzuolo appena sopra il fondoschiena, il volto sereno, sulle labbra un sorriso.
Camus passò le dita sulla guancia e fra i suoi capelli, scendendo pian piano lungo la spina dorsale e soffermandosi sui tatuaggi che durante le ultime ore aveva solo intravisto.
E Mei commise l'errore di rabbrividire.
"Ma allora sei sveglia."
Ridacchiò.
"…accidenti, mi hai scoperta." mormorò.
Di nuovo una risata bassa che Mei trovò incredibilmente sexy.
"…le tue labbra possono concludere quanto le dita hanno iniziato." disse Mei, aprendo gli occhi.
"…questa l'ho già sentita, da qualche parte." le fece notare Camus, facendola sorridere.
"La regina Gorgo la sapeva lunga."
"Noto che ci stai prendendo gusto, ma belle."
"Perché devo aver letto da qualche parte che il sesso apporta benefici all'organismo."
"Sì, eh?" ribatté Camus, divertito. "Non sarà invece il mio corpo perfetto e libidinoso la causa di tanto interesse?"
"Anche."
"Lusingato." sussurrò, allungandosi verso di lei e baciandola, a lungo.
"È stato bello, stanotte." sussurrò Mei, dopo qualche istante di silenzio.
"Così mi stai davvero lusingando."
Mei rise.
"Sciocco. Se mi ricordavo che era così, t'avrei chiamato io al posto di Lixue. E molto prima, anche."
"Se continui facciamo il secondo round."
Lei si alzò sui gomiti.
"Ah sì? Perché, ci riusciresti di nuovo?"
"Tu mettiti comoda."
"Ma smettila." ridacchiò, colpendolo con un cuscino.
 
*
 
Hyoga si svegliò per primo, anche se non si trattava proprio di svegliarsi, essendo rimasto sveglio gran parte della notte appena trascorsa.
Un caffè, decise. Per non soccombere al sonno e dedicarsi ai libri, gli ci voleva una tazza di caffè forte e almeno due ciambelle.
"Accidenti a voi, la prossima volta fate insonorizzare la stanza prima di ripassare il kamasutra." sbottò, a bassa voce, passando davanti alla camera di Camus.
I due erano andati avanti per un bel po' prima di cedere alla stanchezza.
Per un po' aveva fatto finta di non ascoltare, gli auricolari nelle orecchie con gli Abba a tutto volume mentre invidiava Freya e il suo sonno pesante, poi aveva seriamente iniziato a innervosirsi, pensando con sgomento all'esame imminente.
Poi erano lui e Freya quelli che avrebbero dovuto far piano per non svegliare tutti, giusto?
Sentì Mei ridere, avvertì un tonfo sordo e infine la risata di Camus attutita da qualcosa e levò gli occhi al cielo.
"Vai col terzo round. Evviva. Ma beati voi, vorrei averla io tutta questa resistenza." commentò, funereo, prima di finire a terra lungo e disteso, in corridoio: nella penombra che aleggiava in casa intravide che era inciampato in un paio di pantaloni, che sul pavimento facevano compagnia a un paio di boxer.
Almeno hanno avuto la decenza di chiudersi in camera.
"'fanculo." aggiunse, tastandosi il naso dolorante.
"Hai detto una parolaccia."
Levò gli occhi su Lixue, accovacciata accanto a lui, e fece una smorfia.
"Lo so." ammise, rialzandosi. "Non le dirò più. Tu però fai finta di non aver sentito."
"Però l'ho sentita. E per ogni parolaccia devi mettere una moneta nel tuo barattolo in cucina." asserì.
Hyoga corrugò la fronte.
"Come, scusa?"
Lixue lo precedette in cucina e gl'indicò una grossa scatola di latta dietro l'anta intagliata di un pensile, dentro la quale erano sistemate diverse scatoline, ognuna recante un'etichetta scritta in cinese.
"Hai davvero un barattolo per le parolacce? Pensavo scherzassi."
"Ti faccio vedere."
Hyoga la sollevò e la sedette sul tavolo, accanto alla latta che le aveva tirato giù; guardando meglio vide un foglietto plastificato e iniziò a leggerlo incuriosito.
"Quello l'ha scritto papà."
Una specie di tariffario: cinquanta centesimi per parole di "poco" conto come cretino, imbecille e idiota, uno, due e cinque euro per le altre, a seconda della gravità della parolaccia, fino ad arrivare a ben dieci euro per le cose irripetibili.
"Posso guardare?" domandò, prima di curiosare nelle varie scatoline. Ne prese una praticamente vuota, con una sola monetina da cinquanta centesimi. "Di chi è questa?"
"Papà."
Hyoga ridacchiò.
"E che ha detto di così grave per meritarsi ben cinquanta centesimi di punizione?"
"La parola che inizia per emme."
"Ah. Toglimi una curiosità, cosa fai con questi soldi, poi?"
"Alla fine dell'anno chi ha più soldi nella sua scatolina e ha detto più parolacce è costretto a darmi il doppio così che nel nuovo anno non ne dice più."
"Ingegnoso. E come li usi?"
"Mamma li raccoglie e li mette via per quando sarò grande." spiegò Lixue.
"Sai che se conti di arricchirti con le parolacce che dice tuo padre sei destinata a diventare povera, sì?" Hyoga posò la scatolina di Camus e ne prese una che conteneva anche delle banconote. "Quattrocento yuan? Sono tanti!"
Lixue fece spallucce.
"Non lo so."
Chissà che improperi aveva udito per guadagnarsi quasi cinquanta euro.
"Chi te li ha dati?"
"Zio Shiryu."
"Davvero? E cos'ha detto?"
"Non posso dirlo!" esclamò la bambina. "Però mi aveva detto che era molto arrabbiato perchè a scuola il suo maestro non l'aveva interrogato e lui era uscito di casa per niente."
"E questo quand'è successo?"
"Al mio compleanno."
Se si riferiva all'esame che Shiryu non aveva dato perchè il professore non si era presentato in facoltà, allora poteva capirlo.
"Vedi, sei ancora piccola per capirlo, ma a volte si dicono le parolacce perchè si è così arrabbiati che non puoi fare altro e il solo modo che hai per sfogarti è dire una cosa che non dovresti dire."
"Mamma e papà dicono che le parolacce non si devono mai dire."
"Lo so. Ma se l'alternativa a una brutta parola è un pugno in faccia?"
Lixue ci pensò su.
"Allora è meglio la parolaccia."
Mei entrò in cucina poco dopo.
"Rispetto a cosa è meglio la parolaccia?"
"Lixue dice che è meglio una brutta parola rispetto a un pugno in faccia."
"Mah, non ne sono così sicura, spesso è più esplicativo un bel pugno rispetto a un insulto." disse Mei. "Ma comunque è una mia opinione. Ciao tesoro." aggiunse, sbadigliando.
"Sonno?"
"Sì, un po'."
"Immaginavo." rispose Hyoga, acido. "Fare le ore piccole stancherebbe chiunque."
"Noto una puntina di acidità nella tua soave e gentilissima voce." Mei inarcò un sopracciglio. "C'è qualche problema relativo alle mie attività notturne col mio compagno?"
"Da vero signore non volevo affrontare direttamente l'argomento ma sì, qualche problema ci sarebbe. E' da un po' che la notte non chiudo occhio, e a breve avrei un esame."
Mei si schiarì la voce.
"Peccato che sono qui solo da una notte, non potevo disturbarti prima. Potevi infilarti due tappi d'ovatta nelle orecchie e studiare, anziché origliare quello che abbiam fatto io e Camus in camera nostra." disse. "Lixue, va' a infilarti la vestaglia, andiamo dall'inquilino del piano superiore a chiedere un po' di latte."
"Sì." disse subito Lixue.
"Guarda, sarà mia premura esternare di meno i miei sentimenti d'ora in poi, ma… ti sfido a trascorrere una notte intera alla pagoda con mio fratello e mia cognata nella stanza accanto. Allora che avresti di che lamentarti."
Hyoga spillò una tazza d'acqua dal samovar e v'immerse l'infusore con le foglie di assam.
"Ho già trascorso varie notti alla pagoda, se ricordi."
"Ma all'epoca Shunrei aveva tredici anni e Shiryu appena un anno in più. Se solo avesse provato a pensare a Shunrei in quel modo Dohko non gli avrebbe permesso di arrivare alla maggiore età. E credimi, tu non hai mai visto Dohko arrabbiato, minimo gli avrebbe spezzato le ossa una per una."
"Dev'essere una prerogativa dei maestri. Camus mi disse la stessa cosa."
"Sì eh?"
"Anche se sono sicuro che non mi avrebbe mai intenzionalmente colpito… ma la sola minaccia verbale è bastata a tenermi buono finché non ho compiuto diciotto anni."
Mei sorrise, stavolta di un sorriso triste.
"Sì, Camus non è capace di far male fisicamente alle persone. Ma a parole… con quelle ha un talento naturale. Riesce a uccidere l'animo di una persona con poche semplici frasi se vuole." scosse la testa, come per scacciare quelle ultime parole. "Bene, vediamo di preparare la colazione."
"Mi sa che non prepari proprio nulla, la dispensa è vuota." disse Hyoga. "Colpa mia, devo ammetterlo. Avrei dovuto fare la spesa e invece ho trascorso il pomeriggio con Freya."
Mei guardò sconsolata il solitario pacchetto di gallette di riso che aveva portato con sé la sera prima, mentre il suo stomaco reagiva con forza.
"Non c'è niente?"
"No."
"Oh, bene. Vorrà dire che andrò a tediare l'inquilino della dodicesima per vedere se ha da prestarmi del latte e qualche fetta biscottata."
Hyoga aprì il frigorifero e le porse un involto.
"C'è ancora la tua porzione del dolce di ieri sera." le disse.
Mei serrò il kimono prima di uscire.
"C'è una ragione se ieri non l'ho nemmeno guardato."
"Fammi indovinare… sei a dieta?" la prese in giro.
"No, testa vuota… se non contenesse i pinoli avrei mangiato anche la tua parte."
Hyoga fece un mezzo ghigno.
"E così… sei allergica ai pinoli." disse, strofinandosi le mani. "Beeeene, ora so come farti fuori e farlo passare come un incidente domestico."
Stavolta fu Mei a ghignare.
"Bravo. Sei divertente e simpatico. Per questo ti ammazzerò per ultimo."
"Schwarzenegger." riconobbe Hyoga. "Complimenti per la battuta. Non è tra le più carine dei suoi film ma… caruccia."
Mei gli scoccò un occhiolino.
"Ne ho un paio di MrFreeze che potrebbero raggelarti."
"Oh, avanti, puoi fare di meglio."
"Lo so. Prepara le tue battute migliori mentre vado a procacciarmi la colazione, che dopo ti stendo come un cencio."
Hyoga si accomodò, allungando i piedi sulla sedia accanto.
"Ne rimarrà solo uno."
 
***
Lady Aquaria's corner.
-Capitolo modificato in data 15 marzo 2014-
Quando tre anni fa ho iniziato a scrivere la mia fic, avevo difficoltà nel descrivere scene come quelle del capitolo, cioè avevo idea di come si svolgeva la scena nella mia mente ma al momento di trascriverlo, puff! spariva. Nel corso del tempo, ho provato a sviluppare le scene d'amore in modo da farle sembrare romantiche e veritiere e comunque il meno descrittive e  volgari possibili. Rimane comunque il rating arancione. :)
Spero di esserci riuscita XD
By the way, parto con le note.
-Regarde moi / Selon toi = secondo il francese che ricordo: guardami e secondo te?
-"Wǒ yào ràng ài nǐ" e "Wǒ yěshì" secondo il traduttore Babylon del mio pc (e il mio frasario), si traducono con: "Voglio amarti" (anche se la mia idea era quella di far dire a Mei una cosa esplicita tipo: "Voglio fare l'amore con te" ma va beh, prendo per buona questa) e "anche io".
-Le tue labbra possono concludere quanto le dita hanno iniziato: come non capire la bella Gorgo di fronte a uno come Gerard Butler Leonida?
-Bravo, sei divertente e simpatico. Per questo ti ammazzerò per ultimo. (Schwarzenegger, Commando)
-Ne rimarrà solo uno. (Lambert, Highlander)
Alla prossima!!!! ^^
Lady Aquaria

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Capitolo 10
*** If you don't know me by now. ***


decimo capitolo rivisto
10.
If you don't know me by now.
We've all got our
Own funny moods
I've got mine,
Woman you've got yours too
Just trust in me like I trust in you
As long as we've been together
It should be so easy to do
[If you don't know me by now - Simply Red]

"Come sarebbe a dire che a colazione Freya mangia aringhe affumicate e pomodori?" domandò Mei, sgranando gli occhi e guardando Hyoga che, seduto a tavola, frugava tra le cose che Aphrodite le aveva prestato per colazione.
"Esattamente ciò che ho detto." rispose, assaggiando la marmellata di pompelmo rosa e storcendo il naso.
"Speravo scherzassi."
"No no. Anzi, quando siamo ad Asgard, la cuoca di corte prepara appositamente un dolce tipico che lei adora e che gli asgardiani ritengono una prelibatezza da offrire solo agli ospiti di riguardo." spiegò Hyoga, affondando il cucchiaino nella monoporzione di Nutella e sospirando deliziato. "Cioccolato fondente, frutta secca, un paio di ingredienti che nessun asgardiano rivelerebbe mai nemmeno sotto tortura e… sangue di maiale."
Mei proruppe in una smorfia di disgusto.
"So che non si deve dire che schifo riguardo il cibo, ma… che schifo!!! Insomma, mangia queste cose a colazione?? E a pranzo o a cena che cosa mangia?"
"Guarda che all'isba Camus ci faceva mangiare più o meno le stesse cose... la colazione come la intendi tu, dolce, era rara. Solo ai compleanni e a Natale ci faceva trovare la cioccolata, come regalo."
Mei si grattò la testa, pensierosa.
"…e Camus continua a fare colazione in questo modo?"
"No, di solito solo in Siberia. C'è stato anche un periodo... beh, più di uno, a dire il vero... nel quale io e Isaak abbiam fatto colazione con tè e trota."
"Oddèi."
"Sì, perché a causa di una slavina la via principale che collegava Kobotec con la città più vicina si era interrotta. Abbiamo mangiato trota a pranzo e cena per un buon quindici giorni e per un paio di giorni anche a colazione, quando le scorte alimentari all'isba erano finite." ricordò Hyoga. "Gallette e trota in tutti i modi possibili e immaginabili: al cartoccio, alla griglia, scottata in padella, all'alloro… credimi, ogni volta che Camus dice che cucina trota mi vengono i brividi."
"…miei Déi, lo credo bene." replicò, guardando Hyoga spazzolarsi la seconda monoporzione di Nutella. "Quelle erano mie."
"Erano tue." puntualizzò Hyoga. "Chi tardi arriva…"
Mei assottigliò lo sguardo.
"Questa me la paghi."
"Beh, ti staccherò un assegno."
"Hyoga, tu non capisci. Potrei uccidere, in nome della Nutella."

Camus si risvegliò insolitamente più tardi quella mattina, sentendosi quasi stanco dal troppo dormire; si levò a sedere stropicciandosi gli occhi e guardando un po' frastornato i bolli rossi che aveva un po' dappertutto sul corpo, ricordandosi subito dopo della notte appena trascorsa, sorridendo.
Mei doveva essersi alzata da un po', visto che il letto dalla sua parte era freddo; sentì la sua voce in cucina mentre parlava con Hyoga e decise che era ora di alzarsi.
"Hyoga, tu non capisci. Potrei uccidere, in nome della Nutella."
Sì, era decisamente l'ora di alzarsi.
Lixue tornò dalla propria stanza dopo essersi cambiata e iniziò a parlare con Hyoga, in russo, come faceva quando il ragazzo la portava con sé e Freya in giro.
"Potresti parlare in una lingua che posso comprendere anche io?" disse Mei, strapazzando le uova. "E' da maleducati escludere una persona da una conversazione parlando in una lingua che non comprende. E non ti ho insegnato a essere maleducata."
"Scusa mamma. Adesso posso andare a svegliare papà?"
Mei guardò l'ora. Le nove.
"…sì." concesse. "Ma prima di entrare bussa alla porta."
Se si ricordava bene, Camus non usava pigiami, non ne aveva mai usati salvo rare eccezioni.
Lixue saltò giù dallo sgabello e saltellando allegra corse verso l'unica porta chiusa, bussando come le era stato detto.
"Non sarai un po' troppo severa con lei? In fondo è ancora piccola."
Mei si schiarì la voce.
"Hyoga, ti considero un buon amico e un bravo ragazzo, davvero. Apprezzo le nostre chiacchierate e le battute, gli scherzi e i momenti allegri dove andiamo d'accordo. Ma non venirmi a dire come trattare o educare mia figlia." replicò. "Perché non lo permetto nemmeno a Shiryu."

"…niente terzo round, Mei, sono stanco morto." disse Camus, distendendosi prono. Ma non era Mei, quella che stava facendo capolino in attesa del permesso di entrare. Si tirò le lenzuola fino al mento, quindi si schiarì la voce. "Ah… tesoro, puoi aspettarmi un attimo fuori? Arrivo subito."
Si gettò alla ricerca della biancheria e del pigiama, certo non poteva andare nudo in cucina. Tastò il letto finché non afferrò i boxer e, a terra, intravide i pantaloni.
"A-arrivo." disse in direzione della porta, dietro la quale Lixue l'aspettava.
Mei si sporse dalla cucina.
"Li, se non risponde lascialo dormire ancora un po'."
Camus s'infilò boxer e pantaloni alla velocità della luce, quindi aprì la porta.
"Salut! Scusa se ti ho fatto aspettare." disse, scompigliando i capelli della figlia. "Ça va?"
Mei lo vide arrivare poco dopo, Lixue abbarbicata sulla sua schiena mentre rideva allegra.
"Arriva l'uomo del ghiaccio!" esclamò Mei, lanciando un'occhiata d'intesa a Hyoga, che colse al volo la citazione.
"Oh, eccolo, e io che pensavo si fosse sciolto."
"Nah, era solo in ibernazione." disse Mei, mentre Camus continuava a guardare lei e Hyoga, a turno, la fronte corrugata. "Si è sciolto solo stanotte."
"Sai, tuo fratello aveva ragione. Voi due mi fate paura."
Hyoga scoppiò a ridere.
Si si, ridi pure, ridi finché riesci, pensò Mei, versando le uova strapazzate in un piatto e posandolo sul tavolo insieme al tè.
"Come hai fatto a metter su una colazione? Avevo lasciato il frigo vuoto e una certa persona qui s'è anche dimenticata di far spesa…!" disse Camus.
"Non è stata chissà quale fatica... un pacchetto di gallette in un pensile, qualche fetta biscottata in un altro… io sarei capace di trovare cibo anche a casa di Gandhi." ribatté Mei. "Ero qui che pensavo a cosa cucinare con le poche cose a disposizione, finché dal mezzo di queste tenebre una luce improvvisa mi illuminò, una luce così brillante e portentosa, eppure così semplice: cambiare la mattina da negativa a positiva… io sola sono riuscita a scoprire il segreto di infondere la vita, macchè… anche di più: io, proprio io, sono divenuta capace di rianimare nuovamente una colazione apparentemente morta!! e ho pensato: ... SI... PUÒ… FARE!!"
Hyoga si coprì il volto con le mani, scuotendo la testa mentre Camus, entrambe le sopracciglia inarcate, guardava la compagna con un'espressione interrogativa in volto.
"Oddio no. No!!! Non puoi citarmi Gene Wilder in questo modo atroce e rimanere impunita! Non puoi, mi rifiuto!" esclamò Hyoga.
"Mei… stai bene, sì?" domandò invece Camus.
"Ma sì! Ho chiesto latte e marmellata all'inquilino del piano di sopra ed ecco la colazione. Dopo scenderò a fare spesa e restituirò quanto prestato."
Camus arricciò il naso in un gesto di disgusto.
"Ah. Marmellata e latte da Aphrodite?" ripeté, ricordando che Aphrodite beveva solo latte scremato -che del latte aveva solo il nome e basta-, e consumava marmellata di pompelmo rosa.
"Anche a te ha sciorinato tutta la filippica sulle proprietà del pompelmo?"
"Sì…" sorrise Mei.
"Prende sul serio il suo lavoro, è un bene. No?" disse Freya.
"No, non è il suo lavoro… ringraziando il cielo non si sta specializzando in dietologia." la corresse Hyoga.
"Ah no? E che cosa sta studiando?"
"Chirurgia d'emergenza." rispose Camus, al posto di Hyoga, spiluccando una galletta di riso.
"Come Owen Hunt." commentò Mei trasognata.
"Come chi?"
"Owen Hunt, il traumatologo di Grey's Anatomy. Camus, non dirmi che non sai di che cosa sto parlando."
"Non ne ho la più pallida idea."
"Ah, bene. Peccato che tu non lo conosca, l'ho subito associato a te."
"…?"
"Ma Camus non ha problemi di sonnambulismo o legati all'Iraq come Owen." la corresse Freya. "Insomma, che io sappia non ha mai tentato di strozzarti nel sonno."
"No, si è limitato a strapparmi il cuore dal petto e farlo in tanti piccoli pezzettini." replicò Mei. "In ogni caso io parlavo del suo carattere, capelli rossicci e gnoccaggine a parte, di come si muove in ospedale, di come affronta le situazioni. Perché Camus l'avrei visto bene in sala operatoria, con i suoi nervi d'acciaio e la sua faccia gelida e inespressiva a comunicare ai parenti in sala d'attesa: Sono–desolato-signora-suo-marito-è-deceduto-durante-l'operazione." rispose Mei, imitando la voce senza intonazione di un robot sulle ultime parole.
"Io non sono inespressivo." obiettò Camus. "E nemmeno insensibile."
Mei gli si avvicinò, scompigliandogli i capelli.
"Sto scherzando, permalosone." sorrise. "Prova a mettere un po' più di zucchero nel tè, sei un poco acido stamani."
Le rispose con una linguaccia, prima di prendere uno dei vasetti sul tavolo.
"Ho imparato a essere acido da quando ho conosciuto una certa cinese rompiscatole e ho ingoiato il suo cuore a pezzettini con un contorno di cipolle glassate e un buon Chianti." rispose Camus.
"Un Chianti? Oh no. Per un cuore forte come il mio, minimo ci vorrebbe una bottiglia di ottima Barbera d'annata. E per la cronaca, Hannibal Lecter il Chianti lo beveva con fegato e fave."
"Sì, ma io sono allergico alle fave." replicò Camus, prendendo un vasetto dalla tavola e posandolo subito dopo come se scottasse. "Fantastico. Pompelmi e pistacchi. Mancavano solo finocchi e anacardi e avrei fatto l'en plein stamattina. No, credo che per oggi prenderò uova e salsiccia."
"Okay, detesti pompelmi e pistacchi ma che hai contro finocchi e anacardi?" domandò Mei.
"Sono intollerante. Ne bastano pochi per farmi lacrimare e riempirmi di chiazze rosse come i miei capelli."
"Oh, non lo sapevo."
"Neanche a me piace il pompelmo." interloquì Lixue.
"C'era anche la Nutella, tesoro, ma è finita dritta nello stomaco di Hyoga." commentò Mei, servendosi una tazza di caffèlatte e qualche biscotto. "A proposito, Camus… io e Hyoga stavamo parlando dei bei vecchi tempi trascorsi in Siberia e… mi ha confessato che gli manca tantissimo fare colazione come all'epoca." aggiunse, guadagnandosi l'occhiata di fuoco di Hyoga. "Soprattutto gallette e trota."
"Oh." fece Camus, compiaciuto. "Sono contento, all'epoca non sembravi gradire, ma evidentemente pensavo male io."
"…già." Hyoga si costrinse a sorridere, meditando vendetta. "Brutta strega." bisbigliò, a beneficio di Mei.
Mei gli puntò contro l'indice.
"Hey, modera i termini, ragazzino. Strega sì, brutta no."
Hyoga si sporse fino a parlarle nell'orecchio.
"Conosci quel detto che dice: la vendetta è un piatto che va servito freddo?"
"Sì, è un proverbio che gira parecchio dalle mie parti."
"Bene. Preparati mentalmente a un ghiacciaio siberiano, Mei, perché questa te la farò pagare, parola mia."
"Sto tremando dalla paura."
"Dovresti averne. Quando ti accorgerai della mia vendetta, sarà troppo tardi."

Terminata la colazione, Lixue ottenne il permesso di giocare con un videogioco e Mei spostò i piatti nel lavello.
"Quando torno dal mercato… noi due dovremmo… insomma, dovremmo parlare."
Camus la guardò.
"Uhm… devo iniziare a preoccuparmi?"
"Per cosa?"
"Dovremmo parlare. Ho combinato qualcosa e non me ne sono accorto?"
"Come? Uh, no. Intendevo parlare, di noi due. Sai… di noi. Andremo a vivere insieme come una famiglia…"
"Noi siamo già una famiglia." la corresse.
"… lo so. Ma dato che mi prenderò cura anche di te oltre che di me e Lixue, devo conoscerti al meglio, visto che siamo entrambi molto cambiati rispetto a quando avevamo diciotto anni."
"Certo. Cosa vuoi sapere che non conosci già?"
"Tutto." replicò Mei. "Conta che conosco le tue zone erogene e non le tue abitudini… mi pare strano no?"
Camus arrossì fino alle punte dei capelli.
"Oh… ehm… strano, sì."
"Ma anche questo è un discorso che approfondiremo più tardi."
"Non vedo l'ora."
Mei sorrise, aprendo il rubinetto.
"Lasciali pure i piatti, me ne occuperò io." si offrì Camus. "Esci pure tranquilla."
"Posso lavarli prima di uscire, non ho fretta."
Le posò un bacio sul naso.
"Insisto."
"Oh bè, quand'è così ne approfitto." replicò Mei, alzandosi sulle punte per ovviare alla palese differenza d'altezza e stampandogli un gran bacio sulle labbra. "Scendo da mio fratello e poi vado al mercato, cercherò di fare in fretta così da poter riprendere un certo discorso…"
"D'accordo." rispose lui, rispondendo al bacio. "Vuoi recuperare il tempo perduto tutto in un colpo?"
"Hai qualche lamentela in merito?"
"No, no."
Mei ridacchiò nel sentire le sue mani sotto la maglietta.
"Dai, lasciami andare, è già tardi." protestò, prima di correre a cambiarsi, lasciando Camus solo in cucina a sistemare i piatti sporchi e i resti della colazione: messi da parte biscotti e fette biscottate, decise che la marmellata di pompelmo l'avrebbe restituita ben volentieri al suo proprietario originale.
"Maestro, lasciate stare i piatti, li laverò io."
Camus si voltò verso la porta della cucina, sorridendo poco dopo.
"Cora!" la salutò, asciugandosi le mani in uno strofinaccio. "Non pensavo trovassi tempo per passare di qua, sarei venuto io a farti visita."
"Vi avevo detto che ogni tanto sarei passata per sistemarvi casa."
"Non avresti dovuto però, viste le tue condizioni."
"Ho partorito da un bel pezzo e mi sto rimettendo in forma, non c'è problema." rispose Cora, posando la borsa su una sedia e iniziando a rassettare. "Quante tazze avete accumulato! Da quanto tempo non vi occupate della cucina?"
"Ehm… in verità non sono solo, Cora." iniziò Camus.
"C'è anche il vostro allievo? Vado a rassettare la sua stanza allora." rispose Cora, partendo in quarta verso la camera di Hyoga.

Mei si legò i capelli in una coda e s'applicò un velo di rossetto prima di uscire dal bagno con un gran sorriso sulle labbra.
"Scendi a Rodorio?" le domandò Hyoga, dalla propria stanza.
"Hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, dei diples della bancarella dei dolci."
"Hai già mangiato abbastanza dolci per oggi, mi pare, ladro di Nutella."
"Dai, sono in carenza d'affetto, ho bisogno di dolcezza." le rispose, facendole gli occhioni.
"Okay, okay. Oh che diavolo…?" esclamò, scontrandosi con una… ragazza? "E tu chi saresti?"
"Voi, chi siete?" ripeté la ragazza.
"Oh-oh." mormorò Hyoga, intravedendo la scena.
"Che c'è?" fece Freya.
"Hanno appena sganciato una bomba su Pechino, sta' a vedere."
"Non dovreste trovarvi qui, questa casa è…"
Hyoga s'intromise, distraendo Cora.
"Cora, ciao… ehm…"
"Non ho fatto attenzione e sono stata seguita, mi dispiace."
Mei la stava squadrando da capo a piedi, un sopracciglio inarcato e uno sguardo tagliente negli occhi, sguardo che Hyoga conosceva fin troppo bene.
"No! Nessuno ti ha seguita, lei è…"
"Voi chi siete?" ripeté Mei, interrompendo Hyoga. "Gioia, sono io che lo chiedo a te."
Hyoga si schiarì la voce.
"Ehm… Cora, lei è Mei-Yin, la moglie del Maestro." spiegò, guardando Mei.
"Non ancora." lo corresse Mei, stizzita. "Date queste nuove circostanze, forse mai."
"Oddio Mei, ti prego non iniziare, non conosci la situazione." fece Hyoga, sperando nell'intervento di Camus che, però, era rimasto in cucina ed aveva appena acceso la radio.
"Oh!" esclamò Cora dopo qualche istante. "Ora capisco! Siete la donna della foto! Chiedo venia kyría."
"…sì." fece Mei, passando lo sguardo da lei a Hyoga. "Beh, io vado. Ci vediamo eh."
"Aspetta dai…"
"E' questo il tuo modo di vendicarti per quella sciocchezza di stamattina? Che delusione sei, Hyoga." sbottò Mei, passando poi al cinese, che Hyoga non comprendeva; la vide camminare a passo spedito fuori dall'undicesima casa, prima che Camus facesse capolino dalla cucina.
"Mei, ci sono dei soldi nel mio portafogli, li hai presi?" corrugando la fronte, la vide uscire di corsa e la raggiunse. "Ferma un secondo. Tutto bene?"
Tutto bene? La ragazza nella loro casa poteva rientrare nella categoria tutto bene?
"Pessima domanda." bisbigliò Hyoga, in russo.
"Fatti gli affari tuoi, bimbo, non immischiarti nelle cose dei grandi." replicò Mei.
Camus si grattò la testa.
"Riformulo la domanda… è tutto a posto?"
"Camus, di me conosci il mio corpo, conosci qualche lato del mio carattere e mi conosci quando sono tranquilla, cioè come sono di solito. Ma dimmi, mi hai mai vista così arrabbiata da non essere in me?"
Camus ci pensò un attimo.
"Posso dirti che non ho mai assistito a una disgrazia di tale portata."
"Spiritoso." ribatté Mei. "Ti avverto che sta per accadere."
"Perché?"
"Già, perché. Guardati intorno, in casa noterai sicuramente un paio di cose che possono rispondere facilmente alla tua domanda." rispose Mei, criptica, lasciandolo pensieroso in mezzo all'undicesima casa. "Avvertimi quando le tue sinapsi hanno costruito i dovuti collegamenti."
"Ti spiacerebbe spiegarmi?"
"Proprio non ci arrivi, vedo. No, ne parliamo dopo." rispose, intravedendo Cora poco distante, a portata d'orecchio. "Quando torno non voglio più vedere quel paio di cose. Intesi, Cam?"
"Signorsì, sissignora." disse Camus, accompagnando la risposta con un saluto militare.
"Un saluto romano sarebbe stato più indicato." commentò Hyoga, poco dopo.
"Hyoga." l'ammonì Camus. "Mei fa parte di quei limiti che non ti è concesso superare."
"Come vuoi. In ogni caso, ti stai chiedendo che cos'hai fatto o sbaglio?" tirò a indovinare Hyoga.
"Sì."
Hyoga ridacchiò, mimando due seni con le mani.
"Suppongo ti sia dimenticato della ragazza che a intervalli regolari frequenta questa casa da circa sette anni."
Camus si schiaffò una mano in fronte.
"Caspita, mi son dimenticato di parlarle di Cora!"
"Eccolo, il problema." annuì Hyoga, sogghignando.
"Accidenti. Quando torna le parlerò."
"Avresti dovuto farlo prima."
"Lo so." replicò Camus. "Anche se non la vedo tanto brutta, mi è sembrata tranquilla."
Hyoga scosse la testa.
"Gli scoppi d'ira di Mei non sono mai stati come te l'immagini, con urla, strepiti e porte sbattute, capita raramente e di solito quando litiga con Shiryu. Lei reagisce così, e quando ti accorgi che è arrabbiata è troppo tardi."
"E data la tua vasta esperienza in merito, cosa succede di solito?"
Hyoga scrollò le spalle.
"Beh… personalmente mi son trovato spesso piegato in due o con cinque dita stampate su una guancia. Ma non sono suo marito, perciò non so che cosa riserverà a te." rispose.
"… confortante."
"Escludo i colpi bassi perché ci rimetterebbe anche lei. Quindi tranquillo."
"Ecco, ora sì che sono tranquillo."
"Felice d'esserti stato d'aiuto." replicò Hyoga, guadagnandosi un'occhiataccia. "Lasciala sbollire."
"E' che quella testa calda non ha un euro con sé, e a Rodorio non accettano yuan."
"Forse se la rincorri sei ancora in tempo per fermarla." suggerì Hyoga. "Non può essere tanto lontana."
Corse fuori dall'undicesima casa brandendo il portafogli, fermandosi quando vide Mu.
"Hai visto…?"
"Mei? L'hai mancata per poco, è scesa a Rodorio con DeathMask." spiegò Mu.
"Ho sentito bene?"
"L'ho vista scendere a Rodorio con DeathMask." ripeté l'altro, paziente.
Camus sbiancò.
"O-o-o… fermi tutti. Fermi tutti per l'amore di Athena. Mei è scesa a Rodorio… con DeathMask???!"
"E' quello che ho appena detto."
"E non hai pensato di fermarla?"
"No, non avevano intenzioni bellicose, Death non aveva nemmeno il cosmo attivo."
E ci mancava pure.
"L'ho sentito mentre ordinava a Mei di fargli la spesa e lei gli ha risposto col dito medio dicendo di alzare le chiappe e farsi la spesa da solo." interloquì Kiki, divertito.
"Lo trovi divertente?" lo riprese Camus.
"Sì, perché Death ha riso come un forsennato e poi l'ha seguita dopo averle dato una pacca amichevole sulla spalla."
"Quando il sole nascerà a occidente e tramonterà a oriente e quando le montagne voleranno come foglie, solo allora ti farò la spesa, cafone maschilista e retrogrado." aveva replicato Mei, mostrandogli il medio. "Fino ad allora alzerai quel tuo sedere flaccido e andrai al mercato da solo."
DeathMask l'aveva guardata per un lungo istante, sbalordito, quindi era scoppiato a ridere con la sua solita risata satanica che sicuramente le aveva messo i brividi addosso.
"Minchia donna, ti ha morso una vipera?"
"No, fanno attenzione a starmi ben lontane adesso, fidati. Velenosa come sono adesso sarebbe lei ad avere la peggio."
DeathMask aveva fischiato, quindi l'aveva seguita dopo averle elargito una generosa pacca su una spalla.
"Oddio, ma quelli si ammazzano a vicenda!"
"Oh cielo, non essere così drammatico, cosa vuoi che succeda?"

In effetti ancora non era successo niente: DeathMask si limitava a camminare, fischiettando allegro mentre Mei camminava ad ampie falcate.
"U buongiornu si viri ri matina."
Mei si voltò, guardandolo.
"Come, scusa?"
"Ho detto che il buongiorno si vede dalla mattina. Visto come fai, Camus non avrà affatto un buon giorno."
"Dì un po', non hai una bella attendente ventenne e con due seni grossi come meloni disponibile a farti la spesa?" domandò Mei. "Devi per forza seguire me?"
"Ah! Ecco perché sei così arrabbiata. Per la picciotta che hanno piazzato al tuo zito tra capo e collo." ridacchiò DeathMask.
"Arrabbiata è un eufemismo." replicò Mei. "E voi chi siete? A me? E' una fortuna che il mio cosmo non si sia mai manifestato, altrimenti l'avrei incenerita sul posto."
Per certi versi gli ricordava moltissimo Shaina, il carattere delle due donne era pressoché simile, entrambi difficili e insopportabili.
"Dì un po', piaga. Non hai fatto questa scenata di fronte al tuo moroso, vero?"
Mei si fermò alla fontana nel centro della piazza principale di Rodorio, allungandosi per bere qualche sorso d'acqua.
"…e dargli una soddisfazione del genere? Certo che no."
"No, perché al posto suo avrei reagito male." disse DeathMask.
"Ringraziando gli Dèi non sei tu il mio moroso, perciò la tua opinione è irrilevante."
"Ringraziali davvero, Mei, perché se fossi il tuo moroso non ti permetterei di parlarmi così. Guarda che Camus nemmeno la voleva, era stata assegnata a me ma la ragazza ha fatto di tutto per non finire alla quarta casa."
Mei inarcò un sopracciglio.
"Puoi darle torto?" suo malgrado pensò che nessuno meritava di finire i suoi giorni alla quarta casa.
"Non sa che cosa si è persa."
"Nulla. Direi che si è salvata la vita. Anzi no, che dico. Camus ha provveduto a salvarle la vita. Che moroso galantuomo, il mio." Mei si avvicinò a una bancarella di aromi e spezie dopo aver adocchiato un cesto di peperoncini dal rosso intenso.
"Hai intenzione di farla pagare a Camus infilandogli peperoncini dappertutto?"
Mei prese un Red Savina dal cesto e l'annusò, sospirando soddisfatta subito dopo, decidendo di acquistarne un po'.
"Scherzi? Sprecare una simile meraviglia per farla pagare a qualcuno? Io sono per la vecchia scuola: qualche goccia di lassativo nella zuppa basta e avanza." aprì il portafogli per pagare, esclamando qualcosa in cinese. "Accidenti."
"…hai lasciato i soldi a casa?"
"Sì e no. Ho solo yuan, dovevo passare dal bancomat."
DeathMask frugò nel portafogli e porse una banconota al commerciante, porgendole poco dopo il sacchetto di carta marrone con i peperoncini.
"Non avresti dovuto, non ti ho chiesto niente."
"Ti ho fatto una gentilezza, accettarla e basta no, eh? Devi essere sempre così acida?"
"Acida? Così è quando sono simpatica."
"Solo uno come Monsieur Ghiacciolo e il suo carattere gelido può sopportarti, al suo posto t'avrei già appeso al muro insieme alle altre teste."
"Non credo proprio, impazziresti nel giro di pochi minuti." rispose Mei, addentando con soddisfazione un peperoncino e offrendone a DeathMask.
"Questi sono afrodisiaci… lo sai che è pericoloso offrire certe cose a un maschio italiano dal sangue caldo come me, vero?" fece DeathMask, allungando una mano nel sacchetto.
Mei lo squadrò dall'alto in basso.
"Ma non farmi ridere."
DeathMask pareva divertito da quella specie di passeggiata, ma Mei non si sentiva del tutto a proprio agio in sua compagnia; comprò il necessario in modo da restituire ad Aphrodite quanto prestato ripromettendosi di rendere immediatamente a DeathMask gli euro spesi.
"Avresti avuto il cosmo color pece."
"Come?"
"Se avessi sviluppato il tuo cosmo, l'avresti avuto color pece come quello di Hades."
"No. Rosso." lo corresse Mei. "Rosso sangue. E avrei avuto il malefico potere di provocare dolori atroci con la sola forza del pensiero."
"Peggio, avresti avuto il Tocco Mortale: ti sta antipatico qualcuno in particolare? Lo tocchi e questo schiatta sul colpo." aggiunse DeathMask.
"In questo caso l'avrei usato volentieri per ucciderti anni fa."
"Picciridda, non saresti riuscita ad avvicinarti così tanto a me." le rispose, ridendo.
Mei assottigliò lo sguardo.
"Tu non hai idea di quel che sono capace di fare se ci sono di mezzo le persone che amo." sibilò.
"Sono sicuro che se avessi avuto la possibilità di sviluppare il tuo cosmo saresti diventata una Silver temibile, altro che quel minchione di tuo fratello." le disse, dopo qualche minuto.
"Minchione o meno, rimane comunque mio fratello, e come tale rientra nelle persone che amo." disse Mei, a mo' di ammonimento. "Di' un po'… se qualcuno minacciasse di morte… che so, tua sorella, se ne avessi una… tu non faresti di tutto per proteggerla? Anche usare la forza, se necessario?"
DeathMask perse il sorriso.
"L'ho fatto."
"Era una cosa ipotetica."
"La mia risposta non lo è, e comunque credo che il mio concetto di usare la forza sia molto diverso dal tuo. E per la cronaca avevo davvero una sorella."
"… e?"
"Fine della storia." DeathMask troncò il discorso, mostrandole poi il retro della quarta casa. "Prendi la strada sul retro, la quarta casa non è posto per te."
"Oh, stai tranquillo. Non ho alcuna intenzione di metterci piede e puzzare di carogna come te."
"Bene."
"Bene."
"Devi per forza avere l'ultima parola, donna?"
"Sempre." replicò Mei, incamminandosi verso la dodicesima casa senza voltarsi.

Dopo aver quasi litigato con Aphrodite riguardo la restituzione della spesa, Mei tornò a casa intenzionata a rendere al più presto gli euro a DeathMask: non amava avere debiti in giro, men che meno con uno come lui.
"Sbaglio o sento profumo di cedri?"
"Non sbagli." Mei rispose a Camus, posando le borse di carta sul tavolo della cucina: si guardò intorno constatando che della ragazza, Cora, non c'era nemmeno l'ombra.
Camus ne prese uno dal sacchetto e ne aspirò il profumo.
"Adesso possiamo parlare?"
Mei gli mostrò il bancomat.
"Devo prima fare una cosa, poi parleremo."
Camus sospirò e le indicò il proprio portafogli sulla mensola dell'ingresso.
"Restituisci ciò che devi, poi torna subito che dobbiamo parlare." rispose, guadagnandosi una strana occhiataccia. "E non è una richiesta."
"Vuoi parlare? Ebbene, parliamo di stamattina, dai. Parliamone adesso. Iniziamo con una domandina semplice semplice: che genere di rapporto è il nostro? Monogamo ed esclusivo o monogamo ma aperto a ogni possibilità? Perché io pensavo d'avere l'esclusiva ma nel secondo caso beh… per par condicio così come tu hai Cora, non mi spiacerebbe avere un paio d'amanti, qui."
Camus aveva ascoltato tutto con entrambe le sopracciglia inarcate, quindi era scoppiato a ridere.
"Lo trovi divertente?" sbottò Mei.
"Sì."
"Ridi, ridi."
"Dai, Mei. Lasciami spiegare! Intanto scusami per averti riso in faccia ma non ho potuto farne a meno. Dunque… per prima cosa Cora è la mia attendente, è sposata con Kimon, ricordi il garzone del panettiere giù a Rodorio? e ha il seno grosso perché ha partorito Paris… o Paride, ora non ricordo, due settimane fa ed è in pieno allattamento. Se mi avessi lasciato spiegare, zuccona…"
"Ah." mormorò Mei, sgranando gli occhi.
"Ah." le fece il verso, avviandosi al frigo.
Mei si schiarì la voce.
"Io… credo di doverti delle scuse."
"Credi?" le rispose dopo qualche secondo, non riuscendo a trattenere il fastidio. "Hai la pessima abitudine di partire in quarta e saltare subito alle conclusioni. Pensi che potrei mai tradirti?"
"Mi dispiace davvero tanto."
Tornò indietro, chinandosi leggermente per arrivare alla sua altezza.
"Però ora sono curioso di vederti all'opera con qualcuno qui, sì."
"Non sfidarmi." l'ammonì, avvertendo l'imbarazzo di poco prima scemare man mano.
"No, avanti. Dimmi su chi ricadrebbe la tua scelta."
Mei incrociò le braccia sul petto.
"…Mi-…!"
"Milo non vale, so già come reagirebbe alla prospettiva."
"No, vale eccome. Ha uno sguardo e un modo di fare che ti promettono fuoco e scintille." obiettò Mei. "E ha anche un bel didietro, cosa che non guasta affatto."
"Pure."
"Certo."
"E la seconda scelta?"
"Se ti piacciono i biondini io posso sacrificarmi per quest'atto di carità, basta che Freya non lo venga a sapere." interloquì Hyoga, dalla porta della cucina.
"Preferirei rasarmi a zero e andare a vivere sui Monti Wudang, piuttosto." replicò Mei.
Bastò uno sguardo di Camus a zittirlo.
"Ehm… ho un paio di cose da fare prima di partire."
"Sarà meglio."
"Anche io ho qualcosina da fare." disse Mei. "Andare da DeathMask, soprattutto."
"Puoi fare con calma, non partiamo subito. Ti va bene domani?"
"Certo."

Shiryu la vide passare per la settima casa avvolta nella sua tenuta da lavoro, aikodoji e hakama, e la fermò.
"Mei, hai qualche minuto per me?"
"Oddèi, devi parlarmi anche tu? Svelto, devo andare alla quarta casa e poi ho gli esercizi quotidiani."
"Aspetto. Un momento, perché vai alla quarta casa?"
Sbuffò appena.
"Ho una tresca segreta con DeathMask. Mi raccomando, non dirlo a nessuno." replicò, ironica. "Sto scherzando Shiryu. Dimmi, cosa c'è?"
"Volevo parlare di questa cosa del trasferimento…"
"Immagino. Tra cinque minuti nell'arena." replicò Mei. "Infilati il karateji."

***

Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 19 giugno 2014)
Dunque, nella nuova stesura ho aggiunto qualche nuova citazione qua e la', da buona cinefila.

-Arriva l'uomo del ghiaccio! (MrFreeze, Batman & Robin)
-... e io che pensavo si fosse sciolto / No, era solo ibernato (ancora Batman & Robin, ma parafrasata :))
-"Ero qui che pensavo a cosa cucinare con le poche cose a disposizione, finché dal mezzo di queste tenebre una luce improvvisa mi illuminò, una luce così brillante e portentosa, eppure così semplice: cambiare la mattina da negativa a positiva… io sola sono riuscita a scoprire il segreto di infondere la vita, macchè… anche di più: io, proprio io, sono divenuta capace di rianimare nuovamente una colazione apparentemente morta!! e ho pensato: ... SI... PUÒ… FARE!!" (non riporto il dialogo originale, ma dovrebbe essere chiaro che si tratta di Frankenstein Jr, vero?)
-Quando il sole nascerà a occidente e tramonterà a oriente e quando le montagne voleranno come foglie, solo allora ti farò la spesa, cafone maschilista e retrogrado! (a parte le ultime parole, la frase originale compare in GoT, pronunciata dalla maegi Mirri Maz Duur a Daenerys)

-"Preferirei rasarmi a zero e andare a vivere sui Monti Wudang"
I Monti Wudang sono i monti sacri dei Taoisti, dove i monaci si ritirano in preghiera, un po' come i monaci buddhisti nei loro monasteri.

Lady Aquaria

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Capitolo 11
*** If i could turn back time. ***


Capitolo 11 rivisto
11.
If i could turn back time.
 
You walk out that door I swore that I didn't care
but I lost everything darling then and there
Too strong to tell you I was sorry
Too proud to tell you I was wrong
 
if I could turn back time
If I could find a way,
I'd take back those words that hurt you
and you'd stay
[Cher, If i could turn back time]
 
 
"Spero tu non voglia farmi cambiare idea." iniziò Mei, eseguendo l'inchino rituale. "Perché in questo caso puoi anche smetterla qui e lasciarmi riprendere gli allenamenti."
"No, no." Shiryu rispose all'inchino, quindi si mise in posizione d'attacco. "Non voglio farti cambiare idea, anche perché non ci riuscirei."
"Bene, perché la mia rabbia non è del tutto svanita. Allora cosa devi dirmi che io non sappia già?" Mei scansò un calcio circolare e atterrò il fratello dopo averlo colpito al ginocchio, una mano ben premuta sulla sua testa.
Shiryu si vide costretto a battere la mano a terra in segno di resa dopo qualche secondo.
"…aspetta un minuto, pensavo fosse un allenamento."
"Appunto."
"Mi hai colto alla sprovvista." disse Shiryu. "Non mi aspettavo una reazione del genere."
Mei ridacchiò.
"Avessi voluto farti del male, a quest'ora non respireresti più. Vedi che cosa significa snobbare l'Aikido?" rispose, attaccando di sorpresa e riuscendo a mettere a segno una gomitata, che però fermò prima che arrivasse a toccarlo. "Stavo per colpirti l'artiglio del drago, ancora qualche millimetro e puf! saresti morto."
Nell'arena in parecchi assistevano alla scena: sacerdotesse allieve di Shaina, ancelle che si erano soffermate incuriosite di ritorno dal mercato, giovani reclute che osservavano da lontano.
"Per essere una femmina è piuttosto veloce." commentò DeathMask, tirando una lunga boccata dalla sigaretta.
"Certo che è veloce, l'ho addestrata io." interloquì Dohko, incrociando le braccia sul petto con fare orgoglioso.
"Anche se basterebbe una manata delle mie per farla volare fino a casa." tenne a precisare DeathMask.
"Non puoi usare Cosmo e Armatura su un avversario che non li possiede." lo redarguì Shura.
"E comunque al posto tuo non farei affidamento sulla tua armatura, dati i precedenti ho come l'impressione che tu le stia antipatico." commentò Milo.
Camus sorrise appena, tutto concentrato a seguire in attento silenzio il combattimento; non appena Lixue l'aveva avvertito, era sceso all'arena e ora non perdeva un solo colpo: Mei era svelta, certo, altrimenti non avrebbe conseguito il quarto dan né avrebbe insegnato, ma anche lei aveva i suoi punti deboli, che nascondeva abilmente dietro l'atteggiamento calmo e ponderato.
La vide rialzarsi dopo essere stata atterrata da Shiryu e schivare un altro calcio piegandosi all'indietro come una canna al vento.
"Però, che flessibilità." commentò Milo, sedendosi accanto all'amico. "Qualità decisamente apprezzabile in certi frangenti."
"Oh sì." rispose Camus. "Non posso che darti ragione."
Anche Milo iniziò a seguire lo scontro, con Shiryu che spesso si lanciava contro la sorella attaccando a più non posso, e Mei che rispondeva con abili mosse di Aikido o con colpi presi in prestito da diverse arti marziali creando una sorta di stile personale.
"L'avevi mai vista combattere, prima d'ora?"
"A parte quell'unica volta anni fa, sinceramente no."
"Beh, non è male, fidati. Mi sembra ancora di sentire il suo calcio addosso."
"Uhm…" Mei teneva la guardia bassa, tipica del judo, ma aveva il vizio di tenere il braccio sinistro come in continua tensione, sempre all'erta. Dati i suoi atteggiamenti, doveva essere il fianco sinistro il suo punto debole.
"Allora? Di che cosa volevi parlarmi?" riprese Mei. "Ho molto da fare."
Shiryu schivò un colpo di taglio e la respinse dandole un'amichevole pacca sul sedere.
"Niente, volevo dirti che mi dispiace sapere che ti trasferisci." le disse, tirandola a sé e abbracciandola. "Mi farà uno strano effetto non averti più intorno."
"Lo so, ma ti ho già spiegato le mie ragioni." disse Mei. "Magari torneremo ad andare d'accordo come quando eravamo bambini, grazie a questo distacco. Io ho bisogno dei miei spazi così come tu hai bisogno dei tuoi. Hai bisogno di creare la tua famiglia."
"STO PER VOMITARE." berciò DeathMask dai gradoni, assistendo alla scena.
"OH, MA PERCHE' NON VAI A FARTI F-…"
Camus tappò fulmineo le orecchie di Lixue.
"Tu non hai sentito, vero?"
"No, ma mamma mi deve lo stesso due euro." replicò.
"TRA UN PO' CREPO DI DIABETE." riprese DeathMask.
"Tais-toi!" sbottò Camus in sua direzione.
DeathMask lo fulminò.
"Farò finta di non aver sentito." replicò.
"Spero di non dovertelo ripetere."
"Che ti prende? Tu odi Shiryu." fece Milo, poco dopo.
"Io non lo odio, semplicemente non lo sopporto. Non ci sopportiamo a vicenda e a me va bene così. In ogni caso rimane suo fratello, la sua famiglia, e se riesce a farci pace io sono contento per lei. Perché so che cosa vuol dire crescere senza fratelli, da solo. Mei ha un fratello ed è bene che se lo tenga stretto." spiegò Camus. "Beh, a dire il vero sono cresciuto con te, ma… ehm… il sugo del discorso l'hai capito, no?"
Milo lo guardò, sulle labbra un gran sorriso.
"Il mio migliore amico è tornato!" mormorò.
"Mi mancherà soprattutto la tua cucina." mormorò Shiryu.
"Sì, come no. Farò finta di crederti." disse Mei. "Allora, vogliamo continuare o rimaniamo abbracciati sotto questo sole cocente a farci prendere in giro da quel buffone?"
"Prima o poi gli taglierò la lingua."
Mei rise e gli diede un leggero spintone, attaccandolo di nuovo.
"Ah, comunque… dovrei dirti qualcos'altro." disse Shiryu. "Riguardo la faccenda del farmi la famiglia."
"Si?"
"Dunque… Shunrei e io aspettiamo un bambino."
Mei si accorse di essere rimasta scioccata da quella notizia solo quando si ritrovò lunga e distesa a terra.
 
Camus si precipitò giù dai gradoni, falciando Shiryu con uno sguardo di fuoco.
"Maledizione." borbottò Shiryu.
"Ti sei bevuto il cervello?" sbottò Camus nello stesso momento. "Quando ti sei accorto che non reagiva avresti dovuto fermarti!" continuò, voltando la compagna su un fianco. "Mei?"
"Credi l'abbia fatto apposta?"
Aphrodite si avvicinò a Mei e fece scostare i due uomini.
"Largo, largo. Non consumatele l'ossigeno."
"L'ho vista battere la testa." disse Shiryu, preoccupato.
"Mei, mi senti? Niente scherzi, su. Rispondimi." le tastò il capo a lungo, senza trovare nulla di particolare. "La testa è a posto, credo abbia una lieve commozione cerebrale, Cam, ma nulla di grave, i parametri vitali sembrano nella norma. Mei, mi senti?"
Camus borbottò qualcosa in francese, mentre Mei corrugava la fronte.
"Ahi." sussurrò Mei, aprendo gli occhi lentamente e tentando di mettersi seduta.
"No no no. Rimani distesa. Hai preso una bella botta, sai?"
"Sì?"
"Non ti ricordi? Ti stavi allenando con Shiryu e non hai schivato un colpo."
Mei pareva confusa: sbatté le palpebre un paio di volte e si girò verso il fratello.
"Appena mi capiti a tiro giuro su nostro padre che ti trasformo in donna!" lo minacciò.
"Mica l'ho fatto apposta!"
"Senti, Camus… io la porterei in ospedale per una tac, non si sa mai." propose Aphrodite. "Magari non è niente di che, ma è meglio controllare."
"Ma sto bene, mi sento bene." protestò Mei.
"Insisto." disse Aphrodite. "L'ultima volta che una paziente ha rifiutato la tac, è morta di emorragia cerebrale dopo un paio di giorni."

Camus alzò lo sguardo di scatto.
"Così non ci sei d'aiuto." lo riprese.
"Wow, questa storia sarà il nuovo pettegolezzo preferito delle ancelle, dopo il matrimonio di Aiolia e Marin." ridacchiò Milo.
"Gliel'ha chiesto?! Davvero?" Mei sgranò gli occhi.
"Ancora no ma è questione di tempo. Sai com'è Aiolia. Non ci pensa due volte quando si tratta di affrontare il nemico, ma quando si tratta di fare alla sua bella una semplice domanda, allora…" rispose Aphrodite, mentre aiutava Camus a farla rialzare.
"Beh, ma non è una domanda. E' la domanda." fece Mei. "Sa bene anche lui che se la pone nella maniera sbagliata manda tutto a farsi benedire."
"E quale sarebbe la maniera giusta?" Aphrodite scambiò un'occhiata con Camus.
"Qualunque modo preveda sincerità, buona volontà e un pizzico di romanticismo."
Camus tirò un sospiro di sollievo.
"Oh Athena, per un attimo ho temuto sciorinassi il solito cliché di lui inginocchiato con i lucciconi agli occhi."
"Ho detto pizzico di romanticismo." lo corresse Mei. "Ma anche volendo, non riesco proprio a immaginare te in lacrime inginocchiato a chiedere la mia mano. Primo perché sarei la prima a non volerlo, secondo perché te e il romanticismo siete due cose letteralmente agli antipodi."
"Non è vero, in fondo anche io sono romantico."
"Molto in fondo." lo corresse Mei. Intravide Cora avvicinarsi e sbuffò.
"State bene?" le domandò. "Ho assistito alla scena e sono preoccupata."
"Oh, sto benissimo." rispose Mei, sorridendo melliflua. "Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco e per levarmi di mezzo."
"Tutto bene Cora, grazie." interloquì Camus.
Aphrodite sorrise appena, seguendola.
"Dalle tregua, su."  
"Sono gelosa e non posso farci niente, è nel mio sangue. Sono metà italiana e sai, gli italiani sono sanguigni." replicò Mei a mo' di spiegazione. "E poco m'importa sapere che è sposata e ha un figlio, ronza troppo intorno al mio uomo. E a me non va." salì in auto mentre Camus salutava Cora.
"Mei, fammi subito sapere come va." si raccomandò Shiryu, chinandosi all'altezza del finestrino. "Non sai quanto mi dispiace."
"Tranquillo. Piuttosto, dovremmo parlare di questa faccenda del bambino non appena torno dall'ospedale, intesi?"
"Ospedale?" interloquì Shunrei. "Che è successo?"
Shiryu si schiarì la voce, imbarazzato.
"Le ho detto del bambino mentre ci stavamo allenando." spiegò. "E' rimasta di stucco e non ha schivato il mio calcio."
"Oh cavolo. E adesso?" domandò Shunrei, preoccupata.
"Adesso sta andando a fare una tac." le rispose, mentre l'auto di Aphrodite si allontanava. "Dèi che imbecille, come ho fatto a non fermarmi?"
 
"Io propongo anche una bella visita ai riflessi." commentò Camus. "Mi sa che sono un tantinello allentati."
"Non stai parlando con una pivellina, sai? Comunque no, non è questo. Quel dannato calcio l'ho visto arrivare, te lo garantisco."
"Allora come hai fatto a non schivarlo?"
Mei fece mente locale, ancora frastornata.
"E' per una cosa che mi ha detto Shiryu." rispose. "Hai presente quando ricevi una notizia sconcertante che ti lascia a bocca aperta e non ti fa pensare a nient'altro?"
Aphrodite la guardò fugacemente attraverso lo specchietto retrovisore.
"Quanto sconcertante?" le chiese.
"A quanto pare diventerò zia."
Camus sgranò gli occhi.
"Cosa?!" esclamò. "Di già? Ma sono due ragazzini!"
Mei incrociò le braccia sul petto.
"Ah sì? Tu sei diventato padre a diciotto anni e io li avevo appena compiuti… e dici a loro ragazzini? "
Stava per dirle che non riusciva a vedere Shiryu nel suo stesso modo, che per lui era ancora mentalmente un ragazzino e che la sua maturità da diciottenne era stata ben diversa da quella di suo fratello, ma preferì tacere per evitare inutili discussioni mentre entravano in ospedale.
Alla fine della fiera, tutto si risolse con una tac e nessun danno, spavento a parte.
 
Più tardi quella sera, Camus e Milo attesero pazientemente che Mei ritornasse dalla settima casa per iniziare a trasferire i bagagli su a Parigi.
"A quanto pare è incinta di due mesi." gli disse, mentre controllava le ultime cose. "Due mesi, ci crederesti? Non ha perso tempo, caspiterina."
"Direi proprio di no. Staremo a vedere." commentò Camus. "Direi di muoverci prima che si faccia notte."
La portò per prima, per darle il tempo di abituarsi allo spostamento repentino –dopo anni ancora non si era abituata agli spostamenti alla velocità della luce, a quanto pareva- e iniziò a fare la spola tra l'appartamento e l'undicesima casa.
Mei iniziò a guardarsi intorno mentre Milo aiutava Camus a portare i bagagli.
"Attento a quella, ci sono i vinili di mia madre." disse, adocchiando la vecchia valigia di pelle blu che Milo aveva appena posato nell'ingresso, sopra un enorme baule laccato rosso.
"Vinili rock?"
"No, di opere liriche."
"Oh cielo. Che lagna." commentò Milo.
"Hey, mia madre era una cantante lirica." ribatté Mei. "E posso assicurarti che ascoltarla cantare è tutto fuorchè una lagna."
Milo si schiarì la voce.
"Ehm… scusa."
"I vinili rock sono nel baule." rispose distratta. "Guarda pure se vuoi."
Da ciò che poteva vedere, non era un appartamento da scapolo, né, ringraziando gli Dèi, sembrava uscito da una rivista d'arredamento: tutto, lì dentro, aveva un aspetto vissuto che Mei trovò confortante.
Camus tornò con Lixue e le ultime due valigie, riprendendo fiato.
"Ecco dov'eri." disse, in direzione di Milo. "Qui a curiosare tra i dischi mentre io mi spaccavo la schiena."
"E smettila di lagnarti, sei ancora intero, no?" rispose Milo, prendendo un vinile e sgranando gli occhi quando vide Gene Simmons in copertina. "Questo mi manca! Cosa succederebbe se per puro caso questo dovesse scomparire dal tuo baule?"
"So dove abiti." replicò, prima di contare le valigie. "Dovrebbero essere le ultime, per ora. Dobbiamo ancora svuotare la mia stanza, al Goro Ho, e prendere Sabaka e le ultime cose di Lixue."
"Avvertitemi, verrò a darvi una mano." disse Milo, prima di tornare a casa.
"Quando andiamo a prendere Sabaka, papà?"
"Ehm… domani, tesoro. Domani mattina sicuramente." le rispose Camus, sorridendo. "Intanto ti va di andare a vedere la tua stanza?"
Lixue gli rispose con un sorrisone da trentadue denti.
"Sì!!"
"Bene, è l'ultima in fondo al corridoio, dove c'è quella lucina verde. Vedi?" le indicò. Lixue scattò subito in direzione della propria stanza, tutta allegra.
"Non si corre in casa!" la riprese Mei. "Non devi disturbare i vicini! Che diamine, siamo appena arrivati…"
"Oh, non preoccuparti per i vicini. Abbiamo tutto il piano e gli inquilini del piano di sotto sono due facoltosi pensionati che vivono gran parte del tempo a Martinica e trascorrono qui solo un paio di mesi all'anno, di solito quelli a cavallo tra inverno e primavera."
Mei sospirò.
"Aspetta, fammi capire… in questa scala abbiamo tutto il piano, sopra di noi c'è il tetto e l'appartamento sotto è praticamente inabitato? Cos'è, sono morta e finita in paradiso?"
Camus ridacchiò.
"I miei avevano comprato due appartamenti su quattro, grazie ai soldi lasciati da mio zio ho comprato il terzo quando Lixue aveva poco più di un anno e Freya ha preso il quarto appartamento l'anno scorso, non appena s'è liberato." spiegò.
"Freya e Hyoga… abitano con noi?"
"Non esattamente. Il loro appartamento comunica con il nostro grazie a una porta che dopo ti farò vedere, ma sono indipendenti."
Mei annuì.  
"A quanto pare mi toccherà sopportare il biondino anche a Parigi. Come mai Lixue ha una stanza per sé, qui?"
Lui si schiarì la voce, spostando la valigia con i vinili di Letizia nel soggiorno.
"Quando ho saputo della sua nascita avevo sistemato la stanza in più all'undicesima casa per lei… ma poi, con tutto quello che è successo… l'ho spostata qui." spiegò Camus.
Preferì non rivangare ricordi dolorosi.
"Quando le hai detto di andare a vedere la stanza, ho pensato per un attimo stessi parlando con me." ridacchiò Mei.
"No, no. Non c'è pericolo, guarda."
"Lieta di saperlo. Allora mi fai vedere dove dormo, e magari anche la casa?"
"Certo, vieni."
La precedette in cucina, che prima della terza e ultima aggiunta era stata la stanza più grande dell'appartamento: gran parte dei pensili e dei mobiletti erano ancora quelli dei suoi genitori, in lucidissimo legno di ciliegio. Davanti all'isola di cottura con almeno il triplo dei fornelli che aveva avuto a disposizione al Goro Ho, faceva bella mostra di sé una serie di mensole e di ganci che reggevano così tanti utensili che le occorsero dieci minuti buoni a passarli tutti in rassegna.
"Cos'è quella strana pentola?"
"Quella verde smaltata? Una tajine, si usa nella cucina araba e funziona a grandi linee come una pentola a pressione, naturalmente senza il pericolo che esploda." spiegò Camus. "Mio padre era cuoco, aveva un ristorante e mi ha trasmesso l'amore per le varie cucine. Sparsi per i pensili troverai sicuramente molte altre pentole straniere frutto dei miei viaggi."
"Oh. Beh, avrò bisogno di una wok, di una teppanyaki e di una vaporiera di bambù." commentò Mei. "Soprattutto la vaporiera."
"Ne parleremo al momento adatto." la interruppe Camus.
La scortò poi in salotto, nel locale biblioteca interamente rivestito di scaffali e nella sala da pranzo; saltò un paio di stanze e la stanza di Lixue.
"Cosa c'è dietro quelle porte?"
"Un microscopico bagno di servizio e lo sgabuzzino-lavanderia."
"E qui cosa c'è?" chiese Mei. "Si può sapere o è proibita come l'ala ovest del castello della Bestia?"
"C'è il mio studio." rispose Camus. "La stanza dove lavoro e dove trascorro parte della mia giornata."
"Mh… mi devo aspettare cose strane?" chiese Mei.
"No, figurati."
"Non me la mostri perché mi nascondi qualcosa? Magari qualche bella francesina che non ha fatto in tempo a uscire dalla porta principale?"
"Sciocca. Devo mostrarti un paio di cose prima."
La stanza di Lixue, ad esempio: niente rosa confetto –che Lixue odiava- ma un bel verde giada, colore che, tra le cose, era stato usato su gran parte dell'arredamento.
"Una volta era la mia stanza, questa." spiegò Camus. "Solo che all'epoca era rivestita da una carta da parati blu notte con i personaggi di Babàr."
"Davvero?" domandò Lixue, incuriosita, mentre Mei guardava il resto della stanza.
"Una barca cinese!" esclamò Mei.
"Dokho mi ha aiutato a cercarne una in buone condizioni e dopo averla disinfettata e messa a posto, mi ha aiutato ad arredare il resto." confessò Camus. "Mi ha dato una mano nei mercati e nei negozi di Shanghai a cercare tutti gli elementi orientali. E' così che ho trovato la lanterna che fa da lampadario… io ho tinteggiato e fatto il resto. Anche se adesso abiterà qui, voglio comunque che mantenga le radici del suo paese natale."
"Un angolo di Cina nella bella Parigi." disse Mei.
Nello spazio di barca non occupato dal materasso, Camus aveva sistemato dei libri in diverse lingue e delle foto.
"Ma siete voi!" esclamò Lixue, prendendo un portafoto rivestito di gommapiuma colorata che conteneva una foto di Camus e Mei.
"Aspetta, fa' un po’ vedere…" disse Mei, domandandosi quale foto stesse guardando.
Una foto che come minimo aveva sette anni, quando lo spettro del male era ancora lontano e loro due sembravano una normale coppia di giovani innamorati. Due diciottenni nel pieno della vita, senza preoccupazioni o problemi, solo innamorati. Era stata scattata, ora se lo ricordava, quella sera al bowling: lei rideva per qualcosa che aveva detto Milo, lui, che la teneva tra le braccia, la stava guardando. Nemmeno a farlo apposta chi aveva scattato la foto aveva colto tutto l'amore espresso in quell'abbraccio, aveva colto l'intensità con la quale i suoi occhi brillavano.
E Camus…
Camus aveva quello sguardo… quello sguardo innamorato, che purtroppo gli aveva visto negli occhi solo poche volte.
"…è…" un nodo alla gola "… è una foto bellissima."
"Ma piangi, mamma?" domandò Lixue, prendendo la foto che Mei le stava restituendo.
"Sì… ehm…" sorrise Mei. "…ma non è niente, tesoro. Sono solo felice."
"E ti pare poco?" Camus le strinse tutt'e due in un abbraccio. "Ah, le mie donne… la mia famiglia!"
Un grugnito di fame molto poco poetico.
"Mi spiace rovinare l'atmosfera ma credo sia il mio stomaco." mormorò Mei.
 
*
 
Camus aprì il frigorifero estraendo diversi involti e posandoli sul tavolo che Mei stava apparecchiando.
"Non c'è neanche bisogno di cucinare stasera." sorrise, annusando allegro il contenuto di una vaschetta d'alluminio. "Ma di scaldare sì, temo. Bella idea quella di passare prima al take away cinese."
"Li ha cucinati zia Shunrei, a dire il vero." lo corresse Lixue, porgendo un post-it che aveva trovato tra una vaschetta e l'altra.
Mei lesse il messaggio che la cognata aveva scritto e se lo rigirò tra le dita.
"Quella benedetta ragazza non sta mai ferma… quando accidenti ha trovato il tempo di cucinare tutta questa roba?"
"C'era questa borsa termica insieme al resto." spiegò Camus. "E pensavo fosse cibo preso in qualche ristorante."
"No, no." replicò Mei. "Al Goro Ho, pizza a parte, era ben raro vedere cibo già pronto, soprattutto cibo cinese. Beh, ci penso io qui, và pure a sederti."
Aprì  le vaschette d'alluminio scoprendo che Shunrei aveva cucinato le sue pietanze preferite e che, insieme a una bottiglia di mei kwei lu, le aveva dato una bottiglia della sua salsa.
"… hey Cam, Shunrei mi ha dato una bottiglia della mia salsa… che dici, la metto in tavola?" scherzò, versando il manzo fritto con le verdure in una padella sufficientemente larga. "…hey …! Com'è che non vi sento più?"
Andò in salotto trovando Lixue in braccio a Camus, intenti a guardare degli album fotografici.
"…oh." mormorò. "Ehm… la cena sta scaldando, qualche minuto e si mangia."
"Hai visto le mie foto, mamma?"
Foto? Camus aveva delle foto di Lixue?
"Quali foto?" domandò. E quando le aveva scattato delle foto?
La invitò a sedersi accanto a loro e vide diversi album fotografici, dove un'etichetta scritta nella calligrafia ordinata ed elegante di Camus, indicava il contenuto delle foto: alcuni album contenevano foto scattate qua e là al Goro Ho, o durante i viaggi che Camus aveva effettuato per conto del Santuario –molte foto erano particolarmente belle, come quella che ritraeva padre e figlia su un cavallo ocra a Kobotec, a giudicare dal bianco che li circondava e dai cappotti pesanti che indossavano-.
"Sai che Kirill ce l'ha scattata lo stesso giorno in cui ho trovato Sabaka?" domandò Lixue, tutta contenta. "Lo ricordi, papà?"
"Sì." rispose Camus, con uno strano tono di voce mentre guadava Mei intenta a sfogliare gli album. Lixue da piccola, insieme a Sabaka in mezzo alla neve, addormentata davanti al camino dell'isba abbracciata al suo cucciolo, davanti alle sue torte di compleanno -Camus non ne aveva mai perso uno, neanche dopo la guerra contro Hades- e in tante altre bellissime foto che lui aveva scattato quando le aveva fatto visita.
"Alcune sono davvero molto belle." commentò Mei dopo quella che a Camus parve un'eternità. "Ce ne sono un paio che mi piacerebbe ristampare e incorniciare."
Camus si schiarì la voce.
"A proposito. Mi dispiace aver scattato le foto a tua insaputa… non sapevo come l'avresti presa, se ti avessi chiesto il permesso di…"
Mei lo zittì, accarezzandogli una guancia.
"Se c'è una persona che deve dispiacersi, quella sono io, non tu. Non hai fatto nulla di male, Cam." disse, non riuscendo a trattenere le lacrime. Sentì odore di bruciato e si riscosse di colpo. "Oddèi, il manzo!!"
In verità non aveva sentito nessun odore di bruciato, voleva solo evitare di far sentire Camus in colpa e di farsi vedere piangere, visto che i propri sensi di colpa erano esplosi di colpo e all'improvviso.
 
*
 
Dopo cena Lixue andò subito a lavarsi i denti e a dormire, spossata, lasciando i due genitori in cucina, liberi di parlare.
"Ecco, adesso posso farti vedere quelle stanze."
"…arrivo." rispose Mei, cercando di capire come azionare la lavastoviglie.
"Cos'hai?"
"Niente, arrivo." tentò di sviare il discorso. "Lixue s'è addormentata?"
"Sì, praticamente subito. Non c'è stato nemmeno bisogno di leggerle qualcosa."
"Bene."
Le posò le mani sulle spalle costringendola a lasciar perdere l'elettrodomestico.
"Sei strana da quando hai visto quelle foto e a cena non hai detto nemmeno una parola. Mei, il passato è passato. Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà. C'è un detto: ieri è storia, domani è un mistero…"
"…ma oggi  è un dono, per questo si chiama presente?" concluse Mei al suo posto.
"…sì …"
"Altro che detto, quello è un aforisma di Kung Fu Panda."
"Beccato."
"Cammina, mostrami la casa."
Passando davanti alla porta dello studio, Mei bussò discretamente un paio di volte.
"Hai ancora qualche minuto di tempo per uscire, tesoro."
"Ma con chi parli?"
"Con la francesina nascosta nello studio, no?"
Le rifilò una pacca sul sedere.
"Smettila."
Corse avanti e aprì la porta della camera.
"Questa la vediamo dopo." le disse Camus, inducendola a proseguire. "Prima devo parlarti di altro. So che al Goro-Ho hai una stanza dove pregare."
"Sì."
"Ho lasciato una stanza vuota per permetterti di arredarla come meglio credi per pregare."
Si guardò intorno.
"Secondo le regole del feng shui è anche orientata bene… intendevi farci qualcos'altro, qui?"
"Beh, la stanza degli ospiti e altre due stanze per i nostri figli già ci sono, non pensavo di usarla."
Mei annuì.
"Potrei usarla, sì. Ma prima dovrei chiamare un monaco taoista per farla benedire e per prepararla. E una volta che avrà accolto le tavolette e le anime dei defunti non ci sarà modo di usarla per altri scopi." l'avvisò. "Perché secondo quanto diceva la trisnonna Jian Shu, se fai sloggiare le anime dalla loro casa, diventano spettri maligni e ti perseguitano."
Camus inarcò il sopracciglio sinistro: fu un movimento impercettibile, ma Mei lo colse ugualmente.
"Ti ho visto." l'ammonì. "Non mi piace quell'espressione che metti su quando parlo di Avi e Spiriti. Tu credi in Athena e negli Dèi olimpici, ma non ti derido per questo."
"Mi dispiace… è che sono un uomo pratico, che crede in ciò che riesce a vedere…"
"… disse quello che lotta per Athena e che crea ghiaccio dalle mani."
"Beh, Athena esiste davvero, è Lady Kido. E anche il ghiaccio che creo esiste davvero." rispose, Camus, creando un cristallo di neve. "Esiste, visto?"
"Wow. Anche gli spiriti che vedo esistono." ribatté Mei. "Anche la sensazione di freddo intenso e la pelle d'oca che ho quando per errore li attraverso sono reali, esistono. Anche le sensazioni che senza volerlo loro mi lasciano addosso sono reali, le sento. Ma è inutile che ne parliamo, avremo sempre opinioni e credenze differenti a riguardo. Tornando alla Stanza, preferirei tenere questo spazio per eventuali ospiti o bambini e avere uno spazietto più intimo su in mansarda, se non ci sono problemi."
Lui sorrise.
"D'accordo. E dimmi, esattamente quanti bambini intendi avere? Così, giusto per rimettermi sotto allenamento."
"Smettila, sei in formissima, altrochè."
 
La camera era tutta sui toni del blu, colore che Camus amava particolarmente e che a Mei non dispiaceva: dopo una vita trascorsa in una casa in cui il rosso era il colore predominante, era più che felice di quella scelta.
"Uhm… il letto sembra comodo…" osservò, tastando il materasso con una mano.
"Lo è."
"Dopo averla vista quasi tutta, devo ammettere che sono molto colpita dalla casa, Cam. Mi piace."
"Ne sono felice."
"Solo… mi spiace, ma quelle tende a losanghe devono sparire, gli anni settanta rivogliono indietro le loro orribili fantasie." scherzò Mei, muovendosi verso la finestra e le tende incriminate. Intravide qualcosa seminascosto tra l'armadio e il muro e s'avvicinò: qualsiasi cosa fosse, era coperta da un lenzuolo che tolse prima che Camus potesse fermarla.
"No, quella…" tentò di dirle "…no."
Una culla come quelle che aveva visto nei cataloghi di articoli per neonati o nelle vetrine dei negozi alla moda di Wangfujing, a Pechino: legno di ciliegio intagliato, zanzariera di chiffon e lenzuolino immacolato.
"È una… culla."
"Già." commentò Camus, a bassa voce.
"Tu avevi… tu avevi comprato una culla?!" fece Mei, la voce strozzata.
Sì, dopo la sua prima visita alla bambina. Non le disse che si era sentito un'imbecille subito dopo e che la sola vista di quell'oggetto, all'epoca, bastava per farlo sentire male. Non le disse che era per quel motivo che l'aveva relegato nell'angolo più remoto della stanza e l'aveva coperto.
Allargò le braccia come per dire: lo vedi, no?
"Oddèi." si bloccò, portandosi le mani al volto. "Oddèi."
"No, no, no… non piangere." disse Camus. "Non mi piace vederti piangere. Andiamo a dormire, Mei. È stata una lunga giornata… avremo tempo per parlare."
"Un minuto Camus, aspetta. Voglio controllare Lixue. Lo faccio sempre, prima di andare a dormire." disse Mei, aprendo la porta della cameretta. Entrò per spegnere la luce dell'abat-jour, che Lixue aveva lasciato accesa, scoprendo così che la bambina si era addormentata abbracciata alla loro foto.
"Wănān, māmā."mugolò Lixue, quando Mei le tolse la foto di mano per evitare che si facesse male.
Con i sensi di colpa che provava, dubitava seriamente di riuscire a chiudere occhio.
"Buonanotte, tesoro."
"…mi piace la stanza." disse Lixue, mezza addormentata.
"Piace molto anche a me. Dormi, Li, è stata una lunga giornata. Buonanotte."
 
***
 
Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 16 luglio 2014)
-Sabaka è il cane di Lixue, che introdussi tempo fa nella drabble "Bianco" della mia raccolta di drabble.
-Babàr è l'elefante protagonista del libro e del cartone animato omonimo nato in Francia negli anni 30.
-Wangfujing è l'equivalente di Via Roma a Torino o Via Montenapoleone a Milano, è infatti la via dello shopping di Pechino.
 
Come sempre ringrazio chi segue/legge-e-basta/chi la preferisce e naturalmente, chi recensisce.
Alla prossima!!
Lady Aquaria

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Capitolo 12
*** Non ho mai smesso ***


CAPITOLO 12 rivisto

12.

Non ho mai smesso.

 [Stare lontani è stata una esperienza,
comunque sia
Non ho mai smesso di amare te
Non ho mai tolto un pensiero a te
Non ho mai smesso
Io sono così
Mi hai chiesto "torna", mentre ero già qui.
[Laura Pausini - Non ho mai smesso]

 
A dispetto delle sue speranze, l'incubo ricorrente che l'aveva tormentata a lungo negli anni passati, -soprattutto nel periodo successivo alla scalata del Santuario- era tornato di nuovo a tormentarla dopo un lungo periodo di sonni tranquilli; non riusciva a spiegarsi il perché di tanto in tanto sentisse il bisogno di riaffacciarsi alla sua mente, anche in periodi positivi e come quello che stava vivendo, dove tutto pareva andare bene: insomma, l'ombra della guerra era lontanissima, tutti alle dodici case erano in procinto di costruirsi una vita normale così come lei e Camus stavano facendo, il solo elemento stressante pareva essere quel trasloco e il nuovo lavoro ma nulla di così grave da giustificare il ritorno di quei fenomeni onirici che iniziavano in modi del tutto casuali per poi terminare sempre con la stessa scena che la faceva scattare terrorizzata nel letto: la morte di Camus.
"Mannaggia." sussurrò, voltandosi verso il compagno sperando di non averlo svegliato. Si alzò lentamente dal letto e uscì dalla camera, diretta… dove? si ricordò solo in quel momento, ancora un po' stordita dal brusco risveglio, di trovarsi a Parigi e non più al Goro-Ho.
S'incamminò lungo il corridoio buio cercando di trovare un posto dove stare un po' da sola e tranquilla e s'avventurò sulla stretta scala che costeggiava la parete del corridoio.
Beh, a giudicare dallo scricchiolio d'ordinanza del parquet, dubitava fortemente di poter trovare tranquillità, tuttavia s'avviò ugualmente oltre la porta che separava il sottotetto dall'appartamento.
Varcata quella soglia, le si aprì un mondo.
"Oh cavolo." sussurrò tra sé e sé quando si accorse che l'ordine quasi maniacale di Camus era giunto perfino in un luogo dove proverbialmente sarebbe dovuto mancare.
Grazie a due finestre che lasciavano entrare una discreta quantità di luce, poté vedere che, a parte un ampio divano ad angolo e una lampada sistemati contro il muro, l'intero perimetro del locale era occupato da scaffali e scaffali stipati di libri di ogni genere.
"Da non crederci… a parte le biblioteche a chi mai verrebbe in mente di sistemarli in ordine alfabetico??" guardò meglio accorgendosi che non solo i libri erano ordinati alfabeticamente per autore, ma anche per ogni singolo titolo di ogni singolo autore. Si domandò quanto cavolo di tempo avesse impiegato per catalogare tutti quei libri in quel modo.
"A me." proruppe Camus, sulla porta, facendola sobbalzare spaventata.
"Sii fiero della tua silenziosità, sono poche le persone capaci di sorprendermi in questo modo." replicò Mei, massaggiandosi la testa che aveva sbattuto contro un ripiano.
"Ho seguito un corso di addestramento ninja."
"…"
"Ho sentito rumore di passi, sai che ho il sonno leggero." spiegò Camus. "Vedo che hai fatto conoscenza con una parte della mia collezione di libri."
"Impressionante, oserei dire… nemmeno da Bookworm c'è un assortimento tale." lo prese in giro. "Tanto per la cronaca, comunque, nella saga di John Rain Macao Blues si colloca cronologicamente dopo Tokyo Blues."
"Sì, ma alfabeticamente viene prima."
Mei lo fissò.
"Non capisco se mi stai deridendo o fai sul serio."

"Sono serissimo, altrochè. Potrà sembrarti strano ma…"
"Non è esattamente questo ciò che mi stupisce, trovo meraviglioso il fatto che leggi così tanto… è la cura maniacale con la quale sono sistemati che mi preoccupa non poco."
"Già. Ciao, mi chiamo Camus e sono un maniaco dell'ordine."
"Ecco, appunto."
Camus posò un libro che aveva distrattamente preso da uno scaffale.
"Non pensavo t'interessassi anche di thriller."
"Che dire… mi piace la figura di John Rain."
Lui ci pensò su un istante.
"Ah. Scommetto che quell'attore per il quale sbavi tanto ci sta lavorando su per farne un film."
"Magari!" gli rispose, facendolo sorridere.
"E… come mai sei venuta quassù?"
"Non riuscivo a dormire." rispose Mei. "Forse perché è la prima notte qui e non sono abituata ai rumori di città."
Del resto era abituata al familiare rumore della cascata e quei rumori acuti, quelli delle sirene dei mezzi di soccorso e del traffico, per lei erano ancora troppo forti per riuscire a dormire senza farci caso.
"O forse è per me."
"Per te? Che sciocchezza, non mi sarei nemmeno mossa di casa se avessi avuto paura o solo-gli-Dei-sanno-cosa nei tuoi confronti." replicò Mei. "Parlando con franchezza credo piuttosto siano i sensi di colpa quelli che non mi fanno dormire. La camera di Lixue, la sua culla mai usata… le foto che hai scattato in segreto per paura di chissà quale mia reazione… ecco che cosa non mi fa chiudere occhio."
"L'ultima cosa che volevo fare quando ti ho mostrato casa era questa." commentò Camus. "Ti va di scendere e uscire sul balcone? Qui sopra si muore di caldo."
La precedette nel soggiorno e scostò le tende che celavano una portafinestra che si affacciava su un balcone e sulla Torre Eiffel.
"…oh!" esclamò Mei, incantata.
"Avrei voluto mostrarti questa vista domani con calma, ma penso che vada bene anche adesso…" le disse, invitandola ad uscire.
"Scherzi?" fece Mei, lo sguardo fisso sul monumento. "E' la prima volta che la vedo dal vivo!"
Dopo qualche minuto Camus controllò l'orologio e fece una smorfia.
"Uhm. Tra poco dovrebbe illuminarsi come un albero di natale." l'avvisò.
"Cos'è questo tono dispregiativo? Io adoro la Tour Eiffel, sogno di salirci da una vita!"
"... sacrebleu!" ridacchiò Camus, suo malgrado. "Non la disprezzo di certo, è che ce l'ho davanti agli occhi tutto il giorno, tutti i giorni, non riesco più a vederla come tu la stai vedendo adesso… ecco che s'illumina."
Gli occhi di Mei si sgranarono di più, se possibile, quando il monumento iniziò a brillare di migliaia di lucine intermittenti.
"Ti ho già detto che mi piacerebbe da morire salirci?"
"Ti ho già detto che costa quasi quindici euro a testa?"
Mei corrugò la fronte.
"Oddèi. No, come non detto." disse. "Non è il caso."
"Dai, per una volta si può fare." concesse. "E' l'attrazione turistica parigina per eccellenza e negli ultimi anni il prezzo del biglietto è aumentato vertiginosamente. Io non ci trovo nulla di così speciale, ma se ti fa brillare gli occhi in questo modo, allora ne vale la pena."
Mei distolse lo sguardo dalla torre per posarlo su di lui.
"Forse non te ne accorgi, ma ho lo stesso sguardo quando guardo te." gli rispose, accarezzandogli la testa e facendolo sorridere. "Sai, a volte mi domando che cosa mi ha spinto a innamorarmi del testone che sei."
Camus si girò di scatto.
"Come?"
"Ho detto che a volte mi chiedo qual è stata la cosa che mi ha spinto a innamorarmi di te."
"E riesci anche a trovare una risposta?"
"Trovo sempre una risposta, solo che ogni volta è diversa. Alcune sono banali: gli occhi ad esempio, li ho sempre trovati troppo blu per essere veri, troppo belli. Oppure i capelli rossi, sai, all'inizio pensavo fossero tinti, poi ho potuto constatare che è il tuo colore naturale, e allora... ecco che arrossisci… questa è una cosa che mi fa impazzire davvero. Una volta ho anche pensato alle efelidi, che ho sempre considerato sexy. Poi penso a cose più serie. La tua lealtà e la tua fedeltà, che non vacillano mai. La tua pazienza, che ha permesso tutto questo. Il fatto che non hai mai smesso di credere in me, in noi. E ti sono infinitamente grata per questo." rispose Mei. "Comunque avevi ragione, ero nervosa ieri, per questo tremavo. Avevo paura di non riuscire a ritrovare quella sintonia, quell'affinità che avevo provato anni fa, quella sensazione di… completezza. Come Yin e Yang."
"E invece?"
"Invece mi sono accorta che non è mai cambiato niente, che pur essendo entrambi cambiati sotto molti aspetti, quell'affinità che lega i nostri corpi non è mai sparita, come se non ci fossimo mai separati. E durante la nostra lontananza mi sei mancato così tanto… ecco a cosa ci ha condotto il mio orgoglio: ha ferito entrambi."
Finalmente Camus parve smettere di parlare per monosillabi.
"Quando succede qualcosa del genere, Mei, raramente la colpa è solo di uno dei due." rispose. "Hai tanta colpa quanta ne ho io. Forse avrei potuto agire diversamente, non lo so. In ogni caso non voglio pensare a un'alternativa, perché se avessi agito in un altro modo forse non saremmo nemmeno qui, ora, e la cosa mi ucciderebbe."
"Questa cosa l'ho capita col tempo, soprattutto dopo le lettere che ho trovato all'undicesima casa dopo la scalata del Santuario." mormorò Mei. "Mi ha aiutato a smaltire il rancore che provavo nei miei e nei tuoi confronti. Ho smesso di essere furiosa con te nel momento in cui ti ho visto disteso su quel tavolo. Ma non ho mai, mai davvero provato odio per te."
Camus annuì, quindi prese fiato.
"Io sì. E la cosa non mi fa onore né mi fa piacere ricordarlo, ma c'è stato un momento… più di uno a dire il vero, nel quale ti ho odiata." confessò. "Un odio profondo. Ti odiavo con la stessa intensità con la quale ti desideravo, perché… eh, perché. Perché eri testarda e non capivi il motivo del mio comportamento, perché ero l'ultimo a sapere di mia figlia. Credimi quando ti dico che in certi momenti avrei voluto averti per le mani per strozzarti."
Mei incassò il colpo.
"Però. Beh, credo di essermelo meritato." disse, in un soffio, tornando a guardare Parigi. "Finalmente si gioca a carte scoperte, ma devo ammettere che la tua sincerità è troppa anche per una come me."
"Senti… facciamo un patto? Lasciamo il passato dove si trova e pensiamo unicamente al futuro, ti va? Ci siamo abbondantemente feriti a vicenda, basta così."
"D'accordo, è sicuramente un'ottima idea, visto che abbiamo tutta la vita davanti e l'idea di trascorrere i prossimi ottant'anni a rinfacciarci il passato non mi piace nemmeno un po'." rispose Mei, con un sorriso strano in volto. "Ora credo che andrò a dormire, sono davvero stanca."
E piuttosto demoralizzata, ma questo non lo disse ad alta voce.

*

Lixue fu la prima a svegliarsi quella mattina, iperattiva per via della nuova casa e della nuova città e perché finalmente i genitori erano insieme come aveva sempre sperato: andò ad aprire con estrema cautela la porta della loro stanza trovandoli ancora addormentati e la richiuse subito dopo per non svegliarli, sorridendo birichina.

Mei allungò una mano al cellulare sul comodino e sgranò gli occhi.
"Oddéi, è tardissimo!!" biascicò, ancora mezza addormentata. Vuoi per il cambio di fuso orario, vuoi per il sonno agitato della notte appena trascorsa, non aveva dormito un granché. Le parole di Camus, poi, non erano state d'aiuto, anzi.
"Che ore sono?"
"Le nove ed è tardissimo." replicò Mei, alzandosi e infilandosi il kimono. A quell'ora, al Goro-Ho era già in piedi da almeno due ore.
Camus si stropicciò gli occhi e poi sbadigliò.
"Torna qui, che fretta c'è?"
"Cam… a quest'ora Lixue è già sveglia da un po’, potrebbe aver già combinato guai enormi!"
"Ma no… che esagerata… è una bambina!"
"Esagerata? Una ne fa e centomila ne pensa!"
Camus ridacchiò.
"In questo, ha preso da te."
Mei fece per andare in bagno, ma Camus la trattenne per il braccio e la tirò a sé.
"Sei strana."
"E' solo una tua impressione, davvero. Va tutto bene."
"D'accordo, farò finta di crederti. Posso avere il bacio del buongiorno?"
Gli posò un bacetto sulla guancia.
"Ti pare questo il bacio da dare al tuo uomo?"
"Tesoro, altro che bacio. Ci sono cose che vorrei fare con te che richiederebbero troppo tempo… e di là c'è una bambina che, volendo, può rivoltarti casa come un calzino." rispose Mei.
"Opzione non valida." replicò Camus, allungandosi verso di lei. Dopo un bacio che pareva infinito, la lasciò andare. "Oh. Questo è quello che io chiamo bacio."

Arrivati in cucina trovarono la tavola imbandita alla bell'e meglio da Lixue, che aveva sistemato posate e bicchieri su delle tovagliette.
"Ciao!" esclamò la bambina, appena li vide entrare. "Non sapevo come accendere i fornelli per scaldare il latte."
"Ciao tesoro. Meglio così, quelli non puoi ancora toccarli." disse Camus, aprendo il frigo e prendendo il latte. "Mei, pensavo di portarvi in giro per Parigi, così da farti ambientare meglio."
"Sì!" esclamò Lixue.
"Bene! Mi piace quest'entusiasmo! Dove ti piacerebbe andare?"
"Là." Lixue indicò la Torre Eiffel che si intravedeva dalla porta della loro stanza.
"Tale madre, tale figlia." ridacchiò Camus. "Très bien. E allora che Tour Eiffel sia. Ma questa sera al tramonto, perché c'è meno gente e l'atmosfera è migliore. "

*

Camus si calò nella parte del cicerone non appena usciti di casa, accompagnando il tragitto con aneddoti e spiegazioni varie legate a monumenti e quant'altro.
A modo suo, però.

"Che stai facendo?"
Mei guardò la foto che aveva appena scattato e sorrise soddisfatta.
"Una foto?" gli rispose, ironica.
"Oh no… ti prego, no. Gli unici che qui vedo con i cellulari a scattare a ripetizione sono gli asiatici in ferie."
Ripose il cellulare in tasca.
"Perché, io cosa sono?"
"Non sei in ferie, tu abiti qui."
"Oh. E quindi non posso fotografare."
"Ma non la torre, santo cielo, i veri parigini non lo fanno."
Per poco non scoppiò a ridere.
"Mais non la torrè, santo cielò, le vrai parisiens non lo fannò." lo scimmiottò, divertita. "Miei Dei, ma ti sei sentito?"
"Divertente, Mei." replicò lui. "Sali in auto, simpaticona."
Mei finse un colpo di tosse.
"Snobbone." 

"La vera Parigi non è quella delle guide di viaggio che ti dipingono la città come un gioiellino splendente... sì, ovviamente ha il suo lato luccicante e bello fatto di musei, monumenti, negozi di lusso dove anche respirare è costoso… ma la vera Parigi comprende anche le banlieue, i ritardi -o peggio- gli scioperi dei trasporti, la peripherique che all'ora di punta è invivibile, i turisti che vengono qui e hanno pretese che non stanno in cielo nè in terra. Non so, quando vedo o leggo dei cliché assurdi con i quali Parigi e noi parigini siamo descritti..." la guardò fugacemente, rallentando in prossimità di Place de la Concorde. "Che c'è?"
"Beh…" Mei si schiarì la voce. "Mi stai smontando l'idea che mi ero fatta prima di partire... sai, siti internet, guide, dvd… sognavo di visitare la città come fanno tutti…"
"Ma la visiteremo." la contraddisse Camus. "Solo che te la farò visitare dal punto di vista di un vero parigino e non dal punto di vista di un turista qualunque."
"O-okay."

"A tal proposito ti sei messa scarpe comode? D'accordo che Carrie Bradshaw girava per la città con le sue Manolo, ma quello era un telefilm e posso assicurarti che si fatica parecchio."
"Che ne sai?"
"Uh?"
"Come puoi assicurarmi che si fatica a girare sui tacchi? Se hai qualche vizietto particolare, come ad esempio travestirti e metterti in tacchi e reggicalze per divertimento, questo è il momento adatto per dirmelo."
"Sciocca." ridacchiò Camus.
"In ogni caso sì." sorrise Mei. "Basse e comode, i tacchi sono troppo preziosi per consumarli così."
"Propongo un lungo giro per Le marchè des enfant rouges, ovvero il mio mercato alimentare preferito dove, per inciso, pranzeremo, quindi un po' di riposo a Parc Monceau e per finire il Disney Store dove Lixue potrà avere un anticipo di quel che l'aspetta più avanti a Disneyland. Che ne dici, Mei?"
"Sei tu che conosci il posto, Cam, a me va bene qualsiasi cosa… sarei capace di vedere tutto oggi."
"Qualsiasi cosa? Sicura?"
"No. Mi correggo. Quasi qualsiasi cosa. C'è una certa zona che non intendo affatto visitare." si corresse Mei. "Pigalle."
Camus ridacchiò.
"Il posto preferito di Milo. S'è girato tutti i sexy shop della zona. Museo dell'Erotismo compreso." disse, abbassando la voce per non farsi sentire dalla figlia che, in verità, era più attenta alla città fuori del finestrino che non alle chiacchiere dei due adulti. "No, scherzo. Ma sicuramente il luogo esercita una certa attrazione su di lui. E su Shura, anche se non l'ammetterebbe nemmeno sotto tortura."
"E a te non è piaciuto?"
"Cosa?"
"Il museo dell'erotismo."
"Non saprei, non ci sono mai entrato."
"Bè, non ne hai bisogno, conosci già bene la materia senza dover visitare un museo del genere." disse Mei.
Camus arrossì, senza rispondere.

 

***

Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 5 settembre 2014)
E qui scoprite la mia seconda passione, dopo Cammy: Parigi.
Sebbene siano trascorsi nove anni da quando, diciottenne, mi trovai a Parigi in gita scolastica, ricordo ancora perfettamente tutti i colori, gli odori, i rumori di quella bellissima città, come se non fossi mai andata via da lì. Amo pensare che, sebbene io sia a Torino, il mio cuore continui a trovarsi là.
Comunque…
-Bookworm è una fantastica libreria di Pechino, dall'atmosfera tutta particolare. Cercatela su Google, vi stupirà.
-"Tokyo Blues" e "Macao Blues" sono i titoli francesi dei romanzi "Hard Rain" e "Rain Storm" (tradotti in italiano con i titoli "Alba nera su Tokyo" e "Hard Rain-Pagato per uccidere") dello scrittore Barry Eisler. E, effettivamente, Keanu Reeves ne farà (fooorse, si spera) una serie tv entro il prossimo anno.
-Marché des enfants rouges: è un mercato alimentare sito nel Marais. Molto curioso, devo ammettere.
-Pigalle, come immagino sappiate, è un po’ l'equivalente del quartiere a luci rosse di Amsterdam, è zeppo di sexy shop, strip club e quant'altro, ed è anche sede del Museo dell'erotismo.
A presto!

Lady Aquaria

 

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Capitolo 13
*** Tramonto parigino. ***


capitolo 13 revisionato

13.

Tramonto Parigino.

Smiling at the rain 'cause you hold me close
My best dress on underneath this old coat
Walking down Bleecker, no one is awake yet
(...)
And we danced while the band played, 'She's not there'
Kissed me in the rain by the Rue Voltaire
It's a perfectly good way to ruin those silk shoes

[Corinne Bailey Rae - Paris Nights And New York Mornings]

"Fa troppo caldo, qui? Vuoi spostarti?" chiese Camus.
"No. Sto bene." disse Mei, seduta accanto a lui in una zona tranquilla di Parc Monceau. "Mi sento a casa." posò la testa sulla sua spalla, beandosi del sole e del senso di pace che avvertiva in sé.
"È una fortuna che sia ancora venerdì… posso ancora godermi te e Lixue senza i ritmi forsennati della vita di tutti i giorni." disse Camus.
"Aspetta a dire che è una fortuna." ridacchiò Mei. "Questo piatto è ottimo… cos'hai detto che è?"
"Cous cous di verdura." rispose Camus, dividendo i resti nel cartoccio d'alluminio con Lixue. "Come dico sempre non assomiglia nemmeno per idea a quello che mangiai in Tunisia anni fa, ma può andare."
"Uffa, ma che polemico sei." protestò Mei.
"E' che in Tunisia ci mettono meno olio." spiegò Camus.
"Sicuramente ti va di lusso rispetto a quello che mi è successo nel periodo delle olimpiadi di Pechino. Per colpa di mio fratello ho assaggiato uno scorpione fritto."
Camus proruppe in una smorfia.
"Shiryu aveva comprato un po' di schifezze fritte dai chioschetti accanto piazza Tiān'ānmén e… beh, scema io che ho accettato la sfida, a essere sincera… dopo l'inevitabile conseguenza non ho mangiato per tre giorni di seguito. Lui invece ha superato tutto con nonchalance. Ma è mio fratello, che pretendo?"
"E io che stavo per lamentarmi delle rane mangiate a Milos."
"Appunto, vedi? Ti è andata di lusso."

Mei s'appoggiò all'albero dietro di sé; Lixue era affaccendata su un album di immagini da colorare e tutto era tranquillo, come doveva essere.
"Mi spiace dover rispondere ma è il mio capo… questa non posso rifiutarla. " disse Camus, alzandosi per rispondere al cellulare. "Allô?"
Beh, almeno lui aveva ancora un lavoro. Una volta ricominciata la settimana, decise che si sarebbe messa d'impegno a cercarne uno: per nulla al mondo avrebbe rinunciato alla sua indipendenza economica, nemmeno per Camus.
"Tutto bene?"
"Prima di tornare a casa devo passare in ufficio a prendere due assegni e un nuovo tomo da tradurre." spiegò Camus, tornando a sedersi. "Direi molto più che bene."
"Bene. Dato che siamo in argomento… quale lingua trovi più difficile da tradurre?"
"Uhm… il greco. A volte, quando magari sono già troppe ore che lavoro, sembra che le lettere si incrocino tra loro e devo smettere."
"E del cinese che mi dici?"
Camus ridacchiò.
"Se mi metto d'impegno, forse, nella prossima vita riuscirò a tradurre qualcosa dal cinese."
"Non fare il falso modesto, so che sai molto più di quel che dai a vedere. Io non me la bevo." disse Mei. "Avanti… da quanto tempo conosci la mia lingua?"
"Ehm…" lui si schiarì la voce. "Sto studiando Mandarino da quasi quattro anni."
Aveva immaginato qualcosa, in base a quando due notti prima le aveva risposto in cinese, ma non pensava da così tanto: quattro anni di studio, specie per uno come Camus che s'impegnava moltissimo quando aveva a che fare con libri ed esami, erano un lasso di tempo enorme.
"E' parecchio tempo." gli disse.
Magari non era abbastanza per sostenere una conversazione lunga e complicata con un pechinese doc, ma era sicuramente abbastanza per comprendere, e anche bene, quanto Shiryu lo disprezzasse.
"Insomma… me la cavo." rispose Camus. "Stai… pensando alle cose che tu e Shiryu dicevate nei miei riguardi?"
"Vorrei precisare che io non ho mai detto nulla di male." lo corresse Mei, stizzita. "Non mi piace parlare alle spalle, cerco sempre di dire tutto in faccia, anche le cose più dirette."
"Lo so, mi hai sempre difeso e ti ringrazio per questo."
"Non permetto a nessuno di sparlare di te." disse Mei. "Solo io posso farlo."
"Oh, ora posso stare tranquillo allora." scherzò Camus. "Il mio onore è ben custodito."
"Guardate!" disse Lixue, interrompendoli e mostrando loro un disegno che aveva fatto su una pagina vuota.
"Che bello!" sorrise Camus, guardando il disegno in cui compariva un bel cielo blu, una specie di Torre Eiffel, una casa e quattro persone.
Lui, Mei, Lixue e un bambino.
"Oh. Veramente bello, tesoro. E… chi è lui?" le domandò indicandole la quarta figura.
"Mio fratello o mia sorella." gli rispose Lixue, senza fare una piega.
I due adulti si guardarono in faccia.
"Ehm…" fece Camus.
"Li, tesoro… ne abbiamo già parlato, ricordi? Quando sarà il momento, arriverà anche tuo fratello o tua sorella. Non è una cosa che posso decidere solo io, o posso fare da sola. Adesso andiamo, dai, che è tardi."
Mei si alzò e raccolse il sacchetto con le carte e le bottigliette vuote.
"Sei così rossa che sulla tua guancia potrei cuocere un uovo." mormorò Camus. Quindi alzò la voce. "Chi viene al negozio Disney con me?"
"IO!!!" gridò Lixue, contenta.
"Prima però aiutiamo mamma a raccogliere i rifiuti e poi andiamo." disse Camus. "Chissà che non troviamo il tempo per cercare anche scarpe."
"Andrò a caccia di scarpe quando avrò uno stipendio, Cam." puntualizzò Mei. "Comunque, che Disney sia."
Le posò un bacio in testa.
"Sei sempre la solita."

*

Stretta a Stitch, il suo nuovo peluche, Lixue era al settimo cielo mentre Camus prendeva in giro Mei per il cerchietto con le corna di Maleficent che aveva acquistato."Non trovi che mi si addicano?" Mei finse di pavoneggiarsi.
"Credimi, mai avrei pensato di trovare qualcuno con una passione smodata per gli antagonisti dei film."
"E ancora non mi hai vista quando inneggio a Loki."
Camus inarcò le sopracciglia, quindi prese un gran respiro.
"…perché io sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli la notte?  Beh, fatti una domanda e datti anche una risposta, non sei uno stinco di santo. La sola cosa sensata che ha fatto durante il film è stata suicidarsi nel vuoto cosmico."
"Apprendo con rammarico che non sei stato seduto in poltrona oltre ai titoli di coda…" Mei scosse la testa. "… disonore su di te, disonore sulla tua mucca!"
"Giuro che se adesso mi dici che adori anche Shan Yu, ti faccio scendere e a casa ci torni a piedi!"
Mei stava per rispondere, ma Camus aveva imboccato il Pont d'Iena, e si vide la Tour Eiffel farsi sempre più imponente man mano che s'avvicinavano.
"Ora ti prego, non fare la turista."
Camus parcheggiò, quindi scesero.
"Wow." sussurrò Mei, gli occhi sgranati.
"Appunto."
"Ma si può sapere che cos'avete voi parigini snobboni contro i turisti? I turisti contribuiscono a far girare l'economia!"
"Nulla in contrario per l'economia, ma la maggioranza dei turisti sono rozzi e arroganti." disse Camus. "Cambiando discorso… possiamo prendere gli ascensori o le scale fino al secondo livello e l'ascensore per la cima…"
"Quoto gli ascensori." disse Mei.

Arrivati in cima, Camus prese in braccio Lixue.
"Andiamo a cercare la bandiera della Cina?" le propose.
Mei intanto s'avvicinò alla grata a rombi che proteggeva i visitatori e si guardò intorno. La Senna tagliava Parigi in due, e Camus aveva ragione: la città al tramonto era stupenda.
"Mamma! Ma sai quanto è lontana Pechino?!" le chiese Lixue. "È lontanissima!!"
Camus abbracciò Mei da dietro con il braccio libero, guardando la città sottostante con lei.
"Quell'edificio rotondo sulla sinistra è la Maison de Radio France dove partono le trasmissioni dell'emittente radiofonica, l'edificio davanti a noi è Palais Chaillot con i giardini del Trocadero, e a destra invece ci sono l'Arco di Trionfo e… più indietro, il palazzo degli Invalidi, anticamente ospedale per i feriti di guerra e oggi sede di musei a tematica militare. Tutte cose che vedremo con molta, molta calma." disse Camus.
"C'è un tramonto bellissimo stasera." disse Mei.
"E vedrai che bellezza la città di notte." disse Camus. "Già si stanno accendendo le prime luci."

*

"Allora stasera cucino io." disse Camus. "Così le mie donnine possono stare tranquille."
"E Sabaka?"
Camus guardò l'orologio; a quell'ora al Goro-Ho erano le due del mattino, sicuramente Shiryu non avrebbe gradito una visita nel cuore della notte.
"Beh. Ti avevo detto che ti avrei accompagnata stamattina a prendere Sabaka e mi dispiace non averlo fatto… domattina, però, appena ti sveglierai, accompagnerò te e mamma a prendere Sabaka e le altre cose che avete lasciato al Goro-Ho, d'accordo?"
Lixue si rabbuiò.
"Non la vedo da quando siamo partiti e mi manca."
Mei sospirò.
"Lixue…"
"Tesoro, porta i sacchetti nella tua stanza, poi vediamo che cosa fare, d'accordo?" propose Camus. La vide allontanarsi e sospirò. "Colpa mia. Le ho fatto una promessa che oggi, con tutto il nostro giro, mi sono dimenticato di mantenere."
"Non fa così perché capricciosa, è che è molto legata a Sabaka, che di solito dorme in fondo al suo letto. Un proverbio italiano dice: non promettere ai bambini e non far voto ai santi." rispose Mei. "Non abbatterti, non sei un cattivo padre solo per questa sciocchezza. Andremo a prendere Sabaka e al diavolo mio fratello."
Le valigie le avrebbero prese l'indomani.

Come previsto, Shiryu non si dimostrò contento di quella visita, ma dopo il rapido intervento di Mei, tornò nella sua stanza senza creare particolare problemi.
Sabaka, la cagnolina che Lixue aveva trovato a Kobotec quattro anni prima si dimostrò contentissima di vedere la padroncina: non smise di scodinzolare e di leccare la faccia di Lixue neanche una volta arrivata nella sua nuova casa.

Mei si dedicò a sistemare le poche cose che si era portata dietro partendo mentre Camus cucinava e Lixue giocava con Sabaka.
Lui le aveva lasciato metà armadio, così da poterci mettere le proprie cose; metà armadio era pochissimo rispetto a quello della sua stanza, ma si sarebbe adattata in qualche modo così come si era adattata al cambiamento totale portato da quel trasferimento.
Certo, le dispiaceva aver lasciato il Goro-Ho e i suoi ritmi lenti, l'alzarsi la mattina con gli esercizi di Tai-Chi mentre Shiryu portava sua figlia a scuola, andare a fare spesa al mercato del villaggio vicino e vivere a contatto con la natura… ma aveva bisogno dei suoi spazi così come Shiryu aveva bisogno di poter vivere la sua vita con Shunrei da solo.
In fondo era con l'uomo che amava e con la loro bambina, cosa poteva chiedere di più?
Era così intenta a sistemare che non si era accorta che Camus l'aveva chiamata più volte dalla cucina.
"…Mei… è pronto." le sorrise, sulla porta della camera.
"Oh! Arrivo." rispose, infilando un paio di caricabatterie del cassetto del comodino. "Non avevo sentito, scusami."
"Sai che ho aiutato papà a preparare tavola e preparare la cena?" interloquì Lixue.
"Ooh… fantastico." disse Mei. "Hai del digestivo a portata di mano?"
"Tutto quello che vuoi. Io ho mangiato la tua salsa rossa e tu mangerai quel che cucino io." disse Camus. "E' tutto."
"Ho già assaggiato la tua cucina." obiettò Mei. "Anni fa."
"Sì ma nel frattempo sono molto, molto migliorato."
"Anche la modestia è migliorata, noto. Okay, se proprio devo…"
"Devi."

"Sì. Devo ammettere, e mi spiace doverlo fare perché così ingigantisco il tuo ego, che sì, sei migliorato." ammise Mei. "Il pesce era ottimo."
"Sei un cuoco papà?"
"No, tesoro. Tuo nonno lo era."
"Allora tu cosa fai?"
"Cosa faccio durante il giorno?" ripeté Camus.
"Sì. Io vado all'asilo, mamma insegna alle persone come picchiare e gli zii studiano. E tu?" spiegò Lixue.
"Li… io non insegno a picchiare, ma a difendersi. Da come dici tu sembra che anziché in un dojo io lavori al Fight Club." disse Mei.
"Uhm… sarebbe interessante… " disse Camus.
"Ma anche no." fece Mei. "Preferisco di gran lunga insegnare a difendersi dalla violenza anziché praticarla."
"Lo so, stavo scherzando. Io comunque leggo i libri stranieri e li traduco in francese." rispose Camus.
"E che cavolo di lavoro è?"
"Lixue Aimée, non essere maleducata." la riprese Mei. Era una cosa, quella, che Lixue doveva aver sentito da Shiryu e che, innocentemente, aveva appena ripetuto. Per quanto si fosse sforzata di far capire a Shiryu di non sparlare di Camus di fronte a sua figlia, il vizio non l'aveva mai perso. A differenza di qualche anno prima, però, ora non era più disposta a tollerare niente nei confronti del suo compagno, e Shiryu l'avrebbe sentita per quella frase.
"Lo faccio perché così chi parla la nostra lingua può leggere libri che sono stati scritti in altre lingue." spiegò Camus, paziente. "E tu cosa vuoi fare da grande?"
"Voglio mangiare dolci e fare quello che fa mamma." rispose la bambina prima di mangiare l'ultimo boccone della torta al cioccolato che Camus aveva acquistato prima di tornare a casa.
"Beh, almeno il secondo compensa il primo." ci scherzò su Mei.
Soddisfatta da tutta quella giornata, Lixue sbadigliò vistosamente dietro un tovagliolo.
"Lixue, da brava. A lavare i denti e poi a nanna." disse Mei. "Aspettami qui, vado a metterla a dormire e torno subito."
Come ogni sera aiutò Lixue a lavarsi bene i denti e le spazzolò i capelli, quindi la incoraggiò ad andare ad augurare la buonanotte al padre: al Goro-Ho l'aveva sempre fatto tramite Skype o cellulare e quella era un'abitudine preziosa che non doveva assolutamente perdere.
Poco dopo sentì la voce di Camus, seguita dallo schiocco di un bacio.
"Spokoynoy nochi, lyubov' moya." Buonanotte, amore mio.
Lixue trotterellò in camera tutta allegra, infilandosi a letto senza fare storie.
"Sei contenta di essere qui?"
"Sì." annuì la figlia, com'era ovvio. "E tu mamma?"
"Non lo immagini neanche." le rispose Mei. "Buonanotte amore, dormi bene. Buonanotte Sabaka."

"Perché non mi hai aspettata? Avrei dovuto darti una mano."
Camus la guardò da sopra la spalla, sorridendo.
"Non ce n'era bisogno, tranquilla." si chinò per programmare la lavastoviglie quindi si girò, slacciandosi il grembiule.
"Non è Gaston quello che ho visto, vero?" Mei s'avvicinò e dispiegò il grembiule di Camus, sul quale campeggiava una scena del crimine con tanto di nastro giallo crime scene do not cross, una sagoma di gesso e il celebre cattivo Disney negli improbabili panni di cuoco con tanto di scritta: serial griller. "Oddèi. Ti sei appena guadagnato dieci punti di demerito."
"Che c'è? L'ho visto a Disneyland e mi è piaciuto." si giustificò Camus.
"…"
"C'era anche con Frollo, ma quello mi sta davvero antipatico."
"… okay, per oggi ne ho viste abbastanza… buonanotte, Camus."
"Oh, ma dai… cos'hai contro il mio grembiule??"
"Buonanotte."

***

 
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 18 settembre 2014)
La visita alla Torre Eiffel qui descritta ha un punto di vista completamente personale, cioè come io l'ho vissuta.Sul terzo livello della Torre Eiffel, c'è tutta una serie di bandiere che stanno a indicare la distanza di Parigi dalle varie capitali del mondo, ecco perché Camus propone alla figlia di andare a vedere dov'è la bandiera della Cina.
Alla prossima!!

Lady Aquaria

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Capitolo 14
*** Così ti amo. ***


capitolo 14 rivisto
14.
Così ti amo.
C'è la pace che volevi tu,
nessuno tra di noi,
ed io mi sento ricco,
e tu sei bella come nessuna.
Ed il tuo viso
che ho davanti a me
mi parla e mi sorride
e splende il sole
così ti amo
così ti amo.
[Pooh – Così ti amo]
Mei accese l'abat-jour, si girò sulla pancia e lo guardò.
"Ancora non posso crederci. Il grembiule di Gaston."
Suo malgrado, scoppiò a ridere.
"Per l'amor di Athena, Mei, sono le quattro del mattino e pensi al mio grembiule?"
"Come si fa ad avere in casa quell'orrida faccia da idiota che non è giusto che una donna legga, si fa strane idee e comincia a pensare. Puah."
"Ma senti chi parla, quella che prende le difese di una fattucchiera da strapazzo che maledice una bambina in virtù di un mancato invito!!" si difese Camus. "No, dico… per un mancato invito!! Posso ancora capire Loki, che o bene o male si prende quel che gli è stato promesso da piccolo, ma Malefica…"
"Da una che si chiama Malefica che ti aspettavi? Che prendesse Re Stefano e consorte e li invitasse per tè e pasticcini?"
"…"
"Io non maledirei mai una bambina, ma sono vendicativa quanto Malefica."
Camus si allungò sul materasso, incrociando le braccia dietro la testa.
"Ma sai che non me ne sono mai accorto?"
"Spiritoso." ribatté Mei. "Sai che per quanto cerchi di dimostrare il contrario, sono ben pochi i lati del mio carattere che tu conosci?"
"Ah, non credo proprio… sei tu quella che continua a ripeterselo per non esporsi troppo. Dici che non ti conosco? Vediamo. Sei vendicativa e questo già lo so." iniziò Camus. "Sei possessiva…"
"Io preferisco di gran lunga gelosa."
"Aspetta, ancora dovevo arrivarci a quello."
"Ah sì?"
"Sì. E posso garantirti che non hai alcun motivo per essere possessiva e gelosa. Non ho occhi per nessun'altra."
"Il problema è che le ho viste, le donne di qui. Truccatissime, bellissime, sicure di loro stesse. Oggi avrei voluto strozzare un paio di loro che ti hanno guardato."
Lui si sollevò sui gomiti mentre Mei si metteva a cavalcioni su di lui.
"Gli occhi son fatti per guardare, che guardino pure, se vogliono. Da me non otterranno mai niente."
"Quindi, se ti rigirassi la domanda che tu mi hai fatto al Goro-Ho, come risponderesti?"
"Comment, excuse-moi? "
"Hai sentito bene." disse Mei, posando entrambe le mani vicine al suo collo. "Per me sei stato il primo e sarai sempre il solo. Non offenderti, ma io? Cosa sono io per te?"
Si levò a sedere, circondandole la vita in uno stretto abbraccio.
"Tu? Tu sei l'amore della mia vita."
"Ti sembra questo il momento di citarmi i Queen?"
"Sono serio."
"Sono l'amore della tua vita anche quando sono ostinata, orgogliosa, lunatica, aspra e anche a volte insopportabile?"
"Solo a volte?" Camus inarcò un sopracciglio e per tutta risposta Mei gli rifilò una pacca su una spalla. "Quando si ama una persona come io amo te, si impara a sopportare anche quei tratti di carattere… insopportabili e ad amare i tratti belli. Si impara a sopportare gli scatti di rabbia e ad apprezzare i gesti teneri…"
"Non sono capace di essere dolce come vorresti."
"Sì, invece. Lo sei già." la corresse. "Più di quanto immagini. Lo sento, anche se non lo vuoi mostrare. Lo sei con Lixue…"
"Ovvio che lo sono, è mia figlia. Per lei posso essere dolce come posso diventare una bestia per difenderla." disse Mei.
"…lo sei anche con me."
Da quando ho conosciuto il vero Camus, per me non è stato difficile esserlo.
"Oh accidenti… allora significa che mi sto rammollendo…"
"No, non preoccuparti. Sei sempre l'ostinata, orgogliosa, lunatica, aspra e insopportabile Mei che amo." disse Camus.
"Bè… come dite voi occidentali? Dio li fa e poi li accoppia."
"Io non sono insopportabile."
"No? Magari negli ultimi tempi, no, ma lo sei stato… eccome se lo sei stato."
"Non avevamo detto… basta rivangare il passato?"
Mei annuì.
"Camus, io… lo sai, non ti ho mai chiesto niente. Ora però sento il bisogno di farlo."
"Dimmi."
"Se tutto va bene trascorreremo i prossimi settant'anni insieme. Purtroppo, e lo sappiamo entrambi, non sarà sempre tutto facile, anzi… ci saranno alti e bassi, avremo qualche problema, litigheremo e non ci parleremo per ore. E in tutto questo ti chiedo una cosa sola. Entrambi faremo arrabbiare l'altro, proverai l'insano desiderio di volermi congelare pur di non sentirmi più… ecco… fallo, se devi. Gridami addosso, piuttosto, ma non cacciarmi più via. Ti prego."
"Che Hades si prenda la mia anima se oso farlo di nuovo."
 
*
 
A svegliarla fu un paradisiaco profumo di burro e mele che, nonostante la stanchezza, la indusse ad alzarsi.
"Buongiorno."
"Oh, ciao. Ben svegliata." le sorrise Camus.
"Ho sentito questo meraviglioso profumo e mi sono domandata se, per caso, fossi finita in paradiso."
"Io ci sono stato mezz'ora fa, quando sono sceso per andare nella panetteria dietro l'angolo intenzionato a comprare il pane e sono erroneamente entrato anche in pasticceria."
"Per errore, eh?"
"Assolutamente. Subito ho cercato di resistere, ma poi dopo le prime brioche al burro, le girelle all'uvetta mi han guardato come per dirmi: non lasciarci qui! Gli eclair della teglia vicina sono antipatici! e così ho preso anche quelle, gli strudel di mela e i saccottini alle mandorle. E un sacchetto di madeleine che piacciono tanto a Hyoga." spiegò Camus, notando all'ultimo lo sguardo di Mei sulle sue ultime parole. "Ma questo forse, non avrei dovuto dirtelo."
"Lui ha rubato la mia Nutella, l'altro giorno… praticamente mi ha dichiarato guerra!" replicò Mei, chinandosi ad annusare il cestino in cui Camus aveva sistemato le brioche. "E i famosi macaron?"
"Quelli non si mangiano a colazione, si godono con calma, di pomeriggio. E sono costretto ad avvisarti che quelli creano assuefazione. Una volta che sei nel giro, è impossibile uscirne. E' come questa tavoletta di fondente nero con le nocciole delle Langhe: un quadretto tira l'altro."
"Io ti avverto, a breve avrò bisogno di una bacinella per contenere la bava." l'ammonì, afferrando una madeleine. "Vado a chiamare Lixue. Se ingrasso sarà solo colpa tua!"
Tornando in cucina con la figlia, in cucina trovò Hyoga –chiamato da Camus-, ancora in pigiama.
"Ho preferito venire qui di corsa prima che potessi finirmi le madeleine." spiegò Hyoga. "Cose che qui, lo sanno tutti, sono di mia esclusiva proprietà."
"Tu hai rubato la mia Nutella, razza di disgraziato."
"Sbaglio o c'è un telefonino che squilla?" fece Hyoga.
"Non cambiare discorso, sai?"
Camus le porse il cellulare.
"Per una volta, ha ragione."
Mei puntò l'indice contro Hyoga.
"E va bene, ma non finisce qui!"
"Sto tremando di paura."
 
"Allô. Shì de, zhè jiùshì wǒ." Pronto. Sì, sono io.
Non appena Camus la sentì rispondere in cinese iniziò a seguire la conversazione, per quel poco che riusciva a comprendere dalla velocità con la quale Mei parlava: sbirciò anche sulla lavagnetta sulla quale stava scarabocchiando, notando che si era improvvisamente tesa.
"Buongiorno, signor Hu. No, non avevo idea che Lǎoshī Wenyan avesse contattato voi, il solo  favore che ho richiesto a vostro fratello è stata una lettera di referenze, non un nuovo posto di lavoro presso di voi."
Avvicinandosi, sentì dall'altra parte del telefono la voce calma e autoritaria di un uomo, senza tuttavia riuscire a capire granché dato il tono piuttosto basso.
"Certo. Non ho alcun problema, anche subito se volete."  Mei gettò il pennarello nero della lavagnetta sul tavolo, con un gesto frustrato, e Camus le fece segno di respirare e di calmarsi pur non comprendendo il motivo di quel gesto. "Capisco benissimo. Come vi ho detto, posso essere al dojo anche oggi. No, non sono abituata a prendere scorciatoie di nessun genere né ad accettare alcun favoritismo."
Mei recuperò veloce il pennarello, scrivendo svelta sulla lavagna un indirizzo. 
"D'accordo. Vi ringrazio per l'opportunità e per avermi chiamato, signor Hu. E' stato molto gentile da parte vostra. Ci vediamo più tardi. Buongiorno."
Ci mise un attimo a posare il telefonino sul bancone, provando a tenere la rabbia sotto controllo.
"Cos'è successo?"
Dopo cinque interminabili minuti nei quali Mei era rimasta a testa china, appoggiata al bancone, finalmente ebbe risposta.
"Il fratello di Wenyan ha una palestra qui a Parigi. Ieri ha ricevuto una chiamata da suo fratello, da Pechino, che gli ha parlato di me e mi ha raccomandato per un posto di lavoro. Per farla breve, oggi ho un incontro con lui, per dimostrare che sono davvero una professionista come ha detto Wenyan e non una sempliciotta senz'arte né parte che ha ricevuto una mera raccomandazione."
"E tu gli dimostrerai che sei una dannata professionista. Perché ti ho vista in azione e so di che cosa sei capace."
Suo malgrado Mei sorrise.
"Tu sei poco obiettivo, ma grazie."
"Posso?" Camus prese la lavagnetta e sbirciò l'indirizzo. "Come immaginavo, è un indirizzo del tredicesimo arrondissement, in piena Chinatown. Ti accompagno."
Hyoga le allungò il sacchetto con le madeleine.
"Non pensarci, andrà tutto bene."
 
Qualche ora più tardi, quel pomeriggio dopo aver parcheggiato Lixue all'ottava casa, Camus accompagnò Mei alla palestra prima di andare a ritirare gli assegni e il nuovo libro da tradurre.
"Vado e torno subito qui, impiegherò sì e no mezz'ora." disse Camus, sporgendosi verso il finestrino del passeggero.
"Stai tranquillo, mi sa che ci metterò un po'." gli rispose, prima di dirigersi a passo sicuro verso l'elegante portone laccato rosso.
"Nin-hao." Mei salutò la ragazza cinese alla reception del dojo. "Sono ShuFang Mei-Yin e ho un appuntamento con il signor Hu."
La giovane annuì, chiedendole di aspettare qualche minuto nella hall mentre faceva una telefonata.
A una prima occhiata l'ambiente era molto diverso dal dojo immerso nella natura nel quale si era abituata a lavorare; tuttavia le parve molto pulito e accogliente. Un incenso stava bruciando in un apposito incensiere intagliato e al di sopra della modanatura di ciliegio, sul muro intonacato con un brillante bianco, facevano bella mostra di loro una serie di fotografie incorniciate che rappresentavano mosse -di judo e karate, soprattutto- scattate durante vari incontri.
"Campionati europei di due anni fa." esordì una voce alle sue spalle. "L'inglese che ho affrontato era un vero osso duro."
Mei spostò subito lo sguardo sul nuovo arrivato per poi riposarlo velocemente sulla foto: poteva solo immaginare i danni che il mawashi geri avrebbe inflitto se avesse colpito veramente l'avversario anziché fermarsi come era d'obbligo in una gara sportiva.
"Impressionante." convenne, tornando a dare la giusta attenzione all'uomo.
"ShuFang Mei-Yin, giusto?" si sentì domandare. "Sono Hu Sheng, il proprietario di questo dojo."
"Lieta di fare la vostra conoscenza, signor Hu." disse Mei, rispondendo alla morbida stretta di mano di Sheng, un omone alto poco meno di Camus, ben piazzato e con occhi e capelli neri. Aveva un'impressionante somiglianza con Jet Li, e la cosa la colpì particolarmente: d'aspetto era diverso dal fratello maggiore, che nei confronti dei dipendenti e degli amici aveva un atteggiamento paterno e simpatico. Sheng appariva al contrario più compito e ruvido.
La precedette dentro il dojo, scortandola nel suo ufficio.
"Posso darti del tu?"
"Certo, non c'è problema. Mei andrà benissimo." rispose Mei, con un largo sorriso.
"Prego allora, accomodati." le indicò l'elegante e minimalista poltrona di pelle rossa dietro la scrivania. "Oltre alla lettera di referenze che Wenyan mi ha inviato, abbiamo parlato a lungo di te, al telefono. Ha detto che insegni Aikido."
"Principalmente sì. Per un breve periodo ho anche insegnato Taijiquan  come ginnastica pre e post parto." disse Mei. "E Judo ai bambini."
Sheng digitò qualcosa sul computer, annuendo subito dopo.
"Mio fratello scrive che sei un'ottima insegnante. Puntuale e precisa, molto apprezzata. Paziente con i bambini."
"Molto umilmente ringrazio." arrossì Mei. "La pazienza nei confronti delle classi infantili l'ho maturata insegnando a mia figlia."
"Dice che sei al secondo dan in Aikido …" continuò a leggere l'e-mail "…e… sei una judoka livello yodan…e che ti intendi anche di Wing Chun."
"Sì, ma il Wing Chun l'ho praticato solo durante l'università. Una volta laureata ho preferito rinunciarvi in favore dell'aikido e del judo."
Sheng appuntò qualcosa su un notes.
"Esperta di Judo e Aikido, con un breve insegnamento del Taijiquan e qualche nozione di Wing Chun, dico bene?"
"Sì."
Annuì ancora, quindi sembrò mettere da parte il monitor per qualche minuto.
"Mia moglie Yukiko ha intenzione di introdurre un nuovo corso, visto il grande afflusso di iscrizioni che abbiamo di solito in vista del nuovo anno scolastico: aikido e judo a parte, saresti disposta a insegnare di nuovo anche Taijiquan?"
"Nessun problema." rispose Mei.
"Il nostro è un dojo di discipline miste, qui si insegnano in egual misura discipline cinesi e giapponesi. Alle prime mi occupo io, mentre Yukiko si occupa delle seconde, di solito. E' raro trovare lăoshī cinesi che insegnano discipline nipponiche."
"Mio padre, ShuFang Wei-He, era cinese da intere generazioni ed era un judoka ed un karateka." rispose Mei. "E' stato lui a iniziarmi alle discipline marziali: studio Judo da quando avevo sei anni."
"Quindi da parecchio tempo. Ottimo." disse Sheng. Lo sguardo gli cadde sulla mano sinistra di Mei e sorrise quando vide l'anello che portava. "Sposata?"
"Fidanzata." lo corresse Mei, guardando di riflesso la fascia d'argento sulla quale era stato montato il lapislazzuli ovale che Camus le aveva regalato pochissimi anni prima in occasione del compleanno di Lixue, e che, secondo quanto le aveva detto, aveva personalmente trovato nelle vicinanze del lago Baikal in compagnia di Kirill e altri giovani minatori della locale miniera di lapislazzuli.
"Prima hai menzionato una figlia." disse Sheng. "Se sono troppo curioso sei liberissima di interrompermi."  
"Non c'è problema… la mia bambina si chiama Lixue Aimée, ha sette anni e come da tradizione di famiglia, sta studiando arti marziali anche lei."
"Neve graziosa. Bellissimo nome." disse Sheng. Corrugò la fronte, ricontrollando il computer. "Perdonami, sarò un po' cafone adesso. Sei nata nell'85."
"Sì, compirò ventisei anni a novembre." rispose Mei.
"Credevo fossi più giovane!"
 
Camus parcheggiò fuori dal dojo e guardò l'ora: in tutto, per sbrigare le sue faccende, aveva impiegato quasi tre quarti d'ora, ma non aveva ricevuto alcun sms, quindi Mei doveva ancora essere a colloquio.
Chiamò Milo per domandare di Lixue, quindi scese dall'auto e vi si appoggiò, in attesa.
"Siamo in giro per shopping, rilassati!"
"Shopping??"
"Sì. Shaina ha avuto la brillante idea di fare un'uscita a tre e di iniziarla al magico mondo dello shopping."
"Mon dieu."
"Oh, non preoccuparti, è tutto a posto!" gli rispose Milo. Sentì sua figlia in sottofondo, parlare in greco con Milo riguardo due maglie. "Mi piace di più quella con i gattini, tesoro. Vai a provarla con Shaina, poi ti dico."
"Resta sottinteso, Milo, che ti restituisco quanto speso."
"Mh? Non ho capito… cos'hai detto?"
"Hai sentito benissimo."
"Posso mandarti al diavolo a rate o preferisci in un'unica soluzione?"
Camus sospirò.
"Non dovrebbe, ma se ti fa spendere tanto…"
"Stai tranquillo." sorrise Milo. "Oh, se koitáxei! Eísai polý ómorfi̱!"Oh, ma guardati! Sei bellissima!
Vide Mei fare capolino dal portone del dojo e la guardò.
"Milo, aspetta un minuto." si sentì dire Milo mentre Lixue, insieme a Shaina, stava guardando un grazioso vestitino a pois. "Tutto bene?"
"Ancora dieci minuti, dobbiamo discutere sugli orari e arrivo."
"Tu as obtenu l'emploi?" Hai avuto il lavoro?
"Shì de!" Sì!
"Bravo ma chérie! Milo?"
Sorrise, mentre Lixue si avviava ai camerini di prova.
"Mei ha avuto il lavoro?"
"Sì. Se non ricordo male ti piaceva la cucina marocchina, giusto?" domandò Camus.
"Ricordi bene."
"Allora domani sera porta le tue chiappe qui insieme a Shaina, abbiamo un paio di cose da festeggiare."
 
Quando Camus tornò alle dodici case per riprendersi la figlia, la trovò mentre giocava a scacchi con Milo.
"Me voilà, petite." si annunciò. "Si torna a casa."
"Tua figlia sa giocare a scacchi!" disse Milo, stupito. "Mi ha battuto già due volte!"
"Le ho insegnato a giocare l'anno scorso e migliora di giorno in giorno."
"Ho visto."
"Non è che mi hai fatto vincere apposta, zio Milo?"
"Non mi permetterei mai, dolcezza."
"Alors, chérie?  Torniamo a casa?"
"E se te la riportassi io, più tardi?" propose Milo. "Giochiamo ancora un po’, poi magari la porto a fare un giro a Rodorio…"
"Rodorio?" chiese Camus. "Milo… ci siamo capiti,vero? "
"Stai tranquillo…"
"Quando ci sei tu di mezzo, io non sto tranquillo."
"Diffidente."
"Quando poi avrai dei figli tu, ne riparleremo." disse Camus. "Allora ci rivediamo dopo, tesoro."
"Ciao, papà."
 
"…e Lixue?" chiese Mei.
"Milo mi ha chiesto di lasciargliela ancora un po’, stanno giocando a scacchi." spiegò Camus. "Come vi siete accordati per il lavoro?"
"Inizierò a settembre. Taijiquan tre volte a settimana come corso pre-parto, Judo ai bambini e aikido alle donne ogni pomeriggio, con circa sei ore di lavoro al giorno."
"Ottimo."
"E tu?"
"Io ho ritirato gli assegni e il nuovo romanzo da tradurre." disse Camus. "Ma non è di questo che volevo parlarti."
 
***
 
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 30 settembre 2014)
-Wenyan e Sheng sono fratelli; il primo è il datore di lavoro che Mei aveva in Cina, e il secondo è quello che Mei ha a Parigi. Come per ogni altro personaggio che tratto, anche per loro due mi sono divertita a immaginarli con le sembianze di certi attori. Per Wenyan, Jackie Chan mentre per il fratello minore, Sheng, Jet Li, uno straordinario attore di Pechino, famoso in occidente per i suoi ruoli d'azione, oltre a essere un ottimo artista marziale. Tra i suoi film più famosi figurano Hero, Fearless e La mummia - La tomba dell'Imperatore Dragone. Ma se non siete fan dei drammoni cinesi come invece lo sono io, sicuramente l'avrete visto solo in quest'ultimo.
Correggendo questo m'è venuto in mente che è l'ultimo capitolo a subire un restyling leggerissimo, dato che i prossimi subiranno un cambiamento radicale. Non so come diamine ho fatto a lasciarmi convincere a stravolgere i miei personaggi e, soprattutto, a creare quel bashing incontrollato su Saori, Seiya e Hyoga.
Help. Ma poi… su Freya. Dico… Freya. Dopo Shunrei una dei personaggi più dolci dell'anime! Come ho potuto? XD
Alla prossima!
Lady Aquaria

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Capitolo 15
*** Nient'altro che noi. ***


capitolo 15 principale
15.
Nient'altro che noi.
 
"Stai guardando il mio piatto di pasta come se fosse un T-Rex pronto a divorarti senza pietà."
Mei sollevò lo sguardo dal piatto, schiarendosi la voce e guardandosi velocemente intorno nel riservato e piuttosto elegante ristorante italiano del primo arrondissement.
"Quando hai ordinato le speciali linguine marinare della casa, non avevo idea fossero… nere." rispose, tornando a mangiare le proprie lasagne. "A questo punto, sono contenta di non aver risposto al cameriere con un per me, la stessa cosa."
Camus sorrise.
"Sono al nero di seppia." le rispose. "Mai mangiate?"
"A dire il vero, no."
"Io le ho scoperte con Death e una cena italiana al Santuario. Superato l'impatto iniziale, sono piuttosto buone. Assaggia." le propose, girando una forchettata e avvicinando la forchetta a Mei.
Preso coraggio, le annusò, prima di decidersi ad assaggiarle.
"Sono un po'… come dire… forti." rispose Mei. "Ma tutto sommato, non male. La mia metà italiana del nord apprezza questi sapori del sud."
"Non sapevo che la tua metà italiana fosse originaria del nord." rispose Camus, stupito. "Ero convinto fossi conterranea di DeathMask."
"Siciliana, intendi? No. Ho visitato Palermo una volta sola, seguendo mia madre in teatro, e purtroppo non ci sono mai più tornata. Sappi che tua suocera era astigiana, e che la cosa più italiana che abbia mai mangiato è stato un ottimo risotto al Barolo. Delizioso." rispose Mei. "Cucinato da mia madre, tra l'altro, non consumato in qualche locale. Prima o poi ti parlerò della mia famiglia d'origine."
Camus riprese il filo del discorso.
"Dovremmo parlare di un po' di cose, a dire il vero." annuì. "Ti ho portata qui sia per festeggiare questa nuova vita qui e il tuo lavoro, sia per parlarti di una cosa un po' particolare."
"Dimmi."
"Ricordi quando anni fa ti portai all'isba, ma arrivò Hyoga a rovinare l'atmosfera che avevo con tanta fatica cercato di creare?"
Mei ridacchiò appena.
"Lo ricordo eccome. Soprattutto la tua espressione quando arrivò Hyoga."
"Appunto. Oggi Hyoga e Freya mi hanno chiesto il permesso di portare Lixue a Disneyland… Freya ha prenotato un soggiorno all'incirca per ferragosto e stavo pensando, sempre se tu hai voglia, di trascorrere qualche giorno da soli, noi due, mentre nostra figlia sta con loro due." propose Camus. "Non appena tornano, noi faremmo ritorno qui o ad Atene per proseguire le vacanze."
"Come hanno fatto a trovare una stanza dentro il parco con così poco preavviso? Siamo in alta stagione."
"Beh, non credo siano in molti a potersi permettere un soggiorno in una super-suite da 180 metri quadri dove anche respirare ha un costo." rispose Camus. "Ancora non l'ho detto a Lixue, ma sono sicuro che non starà nella pelle all'idea di dormire nella suite della Bella Addormentata, con tanto di giornata da principessa delle fiabe."
Mei sospirò.
"E in tutto questo mi stai dicendo che potremmo davvero trascorrere qualche giorno da soli, isolati dal resto del mondo, mentre nostra figlia si diverte a Disneyland?"
"Sì."
"Ma è fantastico! Quando si parte?"
"Bisognerà procurarti dei vestiti molto pesanti allora, perchè ti porto all'isba. È tanto tempo che desidero farlo, non dirmi di no."
"D'accordo."
"Ti va davvero?"
Si sporse verso di lui, intrecciando la mano alla sua. "Certo che mi va."
Proprio come aveva previsto, Lixue si dimostrò incredibilmente su di giri all'idea di quella vacanza: nei giorni che avevano preceduto la partenza, per lui e Mei fu complicato tenerla tranquilla. Non lo diede a vedere, ma anche lui, esattamente come la figlia, si era scoperto impaziente di partire per quella piccola parentesi all'isba.
 
** 
Prima di partire Mei ricontrollò per l'ennesima volta la casella sms del telefono, in attesa di notizie di Lixue: stava bene? Le aveva dato abbastanza ricambi dietro? Era contenta di trovarsi in vacanza con Hyoga e Freya? Aveva già fatto delle foto con le principesse dei cartoni animati?
"Rilassati, è in buone mani, stai tranquilla!" le disse Camus, facendo il giro per la cucina controllando se avesse chiuso il gas e l'acqua.
"Lo so che è in buone mani, ma è la prima volta che siamo così lontane e sono un po' preoccupata."
"Eri preoccupata anche quando era con me?"
"Ma che c'entra, tu sei suo padre..."
"Posa quel telefono, è un ordine." scherzò lui, cingendole la vita con un braccio.
"C'è solo un posto dove prendo ordini dal mio uomo. E non è questo." replicò Mei, sussultando subito dopo; superato il solito sconquassamento allo stomaco dovuto allo spostamento alla velocità della luce e non appena ebbe avvertito un intenso profumo di resina e quello acre e caratteristico della legna che ardeva, aprì gli occhi nella sobria casetta russa, trovandola quasi esattamente come si ricordava: l'enorme camino di pietra protagonista indiscusso della stanza non era cambiato di una virgola, il tappeto a fantasia blu e rosso era sempre più smorto, il divano blu e i suoi cuscini erano ancora lì insieme al tavolo con le sedie, alle cassepanche e agli armadietti di betulla grezza, agli attrezzi e il porta ciocchi accanto al camino.
"Non so perché, ma sento che qualcosa è cambiato qui, da quell'unica volta." constatò Mei, guardandosi intorno mentre Camus controllava il fuocherello che Kirill, su sua richiesta, aveva acceso prima del loro arrivo. "Per cominciare non è una ghiacciaia."
"Kirill e suo padre sono venuti qui circa un paio d'ore fa per sistemare la legna e accendere il camino, e per fare un paio di cose affinché la casa fosse il più accogliente possibile." le spiegò Camus, notando in un angolo una bombola di gas e le altre cose richieste a Kirill in anticipo.
"Missione compiuta." sorrise Mei, togliendosi di dosso l'enorme mantello blu notte che Freya aveva insistito nel prestarle insieme a una valigiona con i suoi abiti più pesanti, quelli che di solito usava ad Asgard dalla sorella Hilda.
"Domattina andremo all'emporio così da prendere provviste per questi giorni e così da farti vedere questi posti e farti capire perché li amo tanto."
"Sì, mi piacerebbe." come aveva previsto anni prima, la stanza collegata al salone principale era una sorta di cucina; sui fornelli alimentati da una bombola di metano nascosta dietro uno dei pensili in betulla –nemmeno a dirlo- faceva bella mostra di sé una grande pentola di coccio e, su un ripiano, un cesto di vimini con delle vettovaglie. Intinse un mestolo nella zuppa contenuta nella pentola di coccio e l'assaggiò. "Accidenti, chi ha cucinato questa meraviglia?"
"Vorrei prendermi il merito, ma stavolta la soljanka non l'ho cucinata io. Credo sia opera di Zoya, la quasi moglie di Kirill."
"Quasi moglie? Fidanzata è un termine ormai caduto in disuso?"
"Quasi moglie perché hanno dovuto rimandare il matrimonio per ben due volte." le rispose Camus, dal piano di sopra.
"Una bella seccatura." commentò Mei. "Ripensamenti?"
Sentì una risatina.
"No, motivi vari. Uno di questi motivi ha tredici mesi e si chiama Ivan e l'altro motivo si chiama Valentyna, che invece ha solo ventuno giorni. Con ogni probabilità li conoscerai domani, ormai Zoya trascorre più tempo con Kirill e l'emporio piuttosto che nella bottega da sarti della sua famiglia." le spiegò, tornando di sotto.
"Chissà che pandemonio è scoppiato quando la ragazza è rimasta incinta."
"Pandemonio? Fu uno scandalo!" rispose Camus. "Era dai tempi dell'affondamento del peschereccio che la gente non parlava così tanto."
"Addirittura!"
"Kobotec è un paesino di mille anime o poco più… e come in tutti i paesini, le voci corrono piuttosto rapidamente, così come le cattiverie."
Se una ragazza del luogo rimasta incinta prima del matrimonio destava così tanto scalpore, dunque che cos'era successo quando avevano scoperto che il loro Maestro aveva messo incinta una ragazza straniera senza sposarla?
Minimo, l'avevano etichettata come una donnaccia dai bassi valori, per usare un eufemismo.
"Dunque… non oso immaginare che cos'abbiano potuto dire rispetto a me e Lixue…"
"Anche fosse fanno bene attenzione a non parlarne in mia presenza."
"E che cosa devo aspettarmi domani? Occhiate di traverso? Parole velenose sussurrate al mio passaggio? Acqua benedetta addosso?"
"Niente di tutto ciò." rispose lui, non cogliendo l'ironia sull'ultima domanda. "Queste persone sanno che di cosa sono capace. Sarebbe sciocco da parte loro criticarti in mia presenza. Dohko una volta mi raccontò di una leggenda legata al Sacro Dragone del Goro-Ho, secondo il quale egli va su tutte le furie con lo scellerato che abbia l'ardire di toccare la sua scaglia più preziosa e che lo uccida senza nessuna pietà. Beh, per natura sono poco incline a uccidere, ma sanno perfettamente, a Kobotec, che se voglio posso scatenare una tempesta di neve e ghiaccio di dimensioni epiche."
Mei arrossì e sorrise.
 
Dopo l'ottima cena preparata dalla nuora di Nazar, Mei lesse un po', lasciando stare le incombenze domestiche su insistenza di Camus.
"Cosa stai leggendo?" Mei alzò appena lo sguardo dal libro, e Camus capì di averla interrotta in un punto cruciale.
"La Psichiatra." rispose lei.
"L'ho finito in un giorno." le disse. "Ti assicuro che non crederai ai tuoi occhi."
"Prova a farmi spoiler e ti mando in bianco, parola mia."
"A proposito… dove preferisci dormire? Qui o di sopra, dove in teoria dovrebbe fare meno freddo?"
Avvolta nel pesante plaid di lana grezza, sotto al quale indossava un pigiama di flanella e un paio di calzettoni di ciniglia, Mei rabbrividì appena.
"Secondo me, sei troppo vestita. Disperdi il calore in troppi strati di stoffa."
"Sto bene così. Quando sei qui, di solito dove dormi?"
"Ma dipende. A volte scavo un igloo fuori, nella neve, e mi ci sdraio nudo."
Mei inarcò un sopracciglio.
"…scherzavo. Potrei scavare un igloo nelle coperte e sdraiarmi nudo là dentro."
"Ecco, questo suona molto meglio."
Sistemò il frangifiamma davanti al camino dopo aver aggiunto un altro ciocco, e la raggiunse.
"Di solito dormo sopra, perché il caldo tende a salire: qui staremmo bene per qualche ora, ma domattina sentiresti freddo."
"Vada per il piano di sopra, dunque."
La scaletta che portava al piano di sopra era stretta e un po' ripida, ma non era affatto un problema; una volta su, si trovò in un locale buio, illuminato dalla fioca luce che proveniva da sotto.
"Intimo e tranquillo. Mi piace!"
"Adesso. Dovevi essere qui anni fa, con due marmocchi sotto gli otto anni come allievi… altro che tranquillo." rispose Camus, accendendo una lampada a paraffina e diffondendo una gradevole luce nella stanza, che permise a Mei di guardarsi intorno.
Ampia quasi quanto la stanza inferiore, le dava però l'impressione che fosse più piccola per via del tetto spiovente; allineati a una parete, due letti piuttosto spartani coperti da un telo, ai piedi di questi due cassepanche contenenti coperte e pellicce, una cassettiera ampia a dividere i letti, una scrivania dall'aria pesante e parecchie mensole. Su una intravide qualcosa, ma la luce era troppo fioca per distinguere l'oggetto.
"E qui dormo io." le indicò un rustico letto da una piazza e mezza, la cui base fungeva da contenitore con diversi cassetti.
"Posso scegliere in quale letto dormire?" scherzò Mei, indicando i due letti gemelli.
"Come?"
"Hai detto che qui dormi tu, quindi io dove dovrei dormire?"
"Vuoi davvero una risposta?"
"No, credo di no."
"Se proprio hai freddo, ci sono delle pellicce, là dentro… mal che vada, ho ancora le vecchie, care borse per l'acqua calda, in bagno." le disse, vedendo Mei rabbrividire a contatto con le lenzuola fredde. "Come dietro la cascata, ricordi? C'era umidità anche allora."
"Sì." convenne Mei, tirando le lenzuola e le pesanti coperte di lana fin quasi al naso; sentì Camus distendersi e stringersi a lei, circondandole la vita con un braccio. "Ammettilo che ti stai stringendo perché hai freddo."
"No, sto seguendo le istruzioni del corso di sopravvivenza: mantenere il calore corporeo il più possibile addosso senza disperderlo inutilmente."
"Perciò io dovrei spogliarmi così da non sprecare calore ma, anzi, condividerlo con te?"
"Impari in fretta."
Mei sorrise.
"Bel tentativo, ma no. Notte!"
 
*
 
L'oggetto che aveva a malapena intravisto la sera prima su una delle mensole era un vecchio giocattolo in legno, composto da più pezzi. Corrugò la fronte nel notare quanto fosse consumato, e di come la vernice della locomotiva fosse scrostata in più punti. Girandolo sottosopra, scoprì una scritta, nell'inconfondibile calligrafia di un bambino.
"Isaac." lesse. "Chi era Isaac?"
Dal piano di sotto Camus si schiarì la voce.
"Il mio primo allievo."
"Ah. Abita tanto lontano? Lo vorrei conoscere."
Per qualche attimo non ricevette alcuna risposta, tanto che, preoccupata, si sporse per le scale guardando in direzione della cucina.
"…tutto bene?"
"Isaac non c'è più." spiegò Camus, in un soffio. "Da parecchi anni."
Sentendosi come un elefante imbizzarrito dentro una cristalleria di Boemia, Mei tornò a posare il trenino sulla mensola, prima di scendere da basso.
"Scomparve nel lago ghiacciato nel tentativo di salvare Hyoga." le raccontò. "Poi Hyoga mi disse che non era morto, era stato arruolato nell'esercito di Poseidone."
All'epoca, non senza una buona dose di rimorso, aveva pensato che sarebbe stato mille volte meglio saperlo morto che tra le fila nemiche.
Si schiarì la voce, serrando poi gli occhi per non piangere.
"Non lo sapevo, nessuno mi ha mai detto niente a riguardo. Non volevo risvegliare brutti ricordi. Ti chiedo scusa." disse Mei. "Credo che ora sia il caso di andarmi a vestire, prima di combinare altri guai."
Preso il valigione di Freya, un trolley gigantesco di pelle verniciata fuxia scuro, iniziò a trascinarlo un gradino alla volta su per la scaletta.
"Pensa te… una valigia simile l'ho vista in un negozio a Hong Kong, tempo fa…" esordì, cercando di stemperare la tensione di poco prima. "Dovresti vedere, sembra una Vuitton originale."
Da basso, lui sorrise.
"E' una Vuitton originale." rispose. "Non riesco a immaginare Freya o sua sorella fare acquisti di valigie tarocche in un negozio a Kowloon."
"…"
Dieci minuti dopo, sentì la zip della valigia richiudersi e Mei scendere.
"Finalmente, stavo diventando vecchio." la prese in giro. "Ti sei truccata per una visita al villaggio?"
"Non per vanto, ovviamente. Freya mi ha consigliato di proteggere gli occhi dai raggi solari perché il riverbero sulla neve gioca brutti scherzi. Non sto bene così truccata?"
"Sei più bella senza." le rispose semplicemente.
"Grazie." sussurrò Mei. "Temo ti ci vorrà tutta la sera per spogliarmi di questi abiti." aggiunse poco dopo con una punta di malizia, mentre si calcava il pesante cappello sulla testa. Sorrise nel vedere il lungo cappottone nero inchiostro di Freya. "Non assomiglio a Trinity?"
Senza farsi vedere, Camus alzò gli occhi al cielo.
"So di essere pignolo ma Trinity se non sbaglio vestiva latex nero, non bunad norvegesi di panno blu."
"Questo è vero." convenne Mei. "Beh, in fondo nemmeno tu sei Keanu Reeves, quindi…"
"Eh già. Anziché Neo, ti toccherà sopportare me." le disse, prima di aprire la porta. "Coraggio, andiamo."
Varcata la porta di casa, il bianco più totale.
"Oddéi." mormorò Mei, ignorando lo scricchiolio delle travi della stretta veranda che dava sull'esterno.
"Quest'esclamazione è dovuta al freddo o al panorama?"
Ovunque posasse lo sguardo vedeva solo neve. Quella sulle catene montuose lontanissime all'orizzonte, quella che copriva il mancorrente della veranda, quella che, a terra, minimo arrivava alle ginocchia.
"Entrambe le cose." rispose, mentre il fiato disegnava una nuvoletta di vapore.
"Tirati su la sciarpa e copriti bene le orecchie." disse Camus, muovendo un paio di passi e affondando nella neve fresca fino alle ginocchia, esattamente come aveva previsto. "Gelarsi qui è questione di pochi attimi."
"A casa nevicava, sì, faceva anche freddo, ma non così… quanti gradi ci saranno?" Camus la prese in braccio. "So ancora camminare, sai?" protestò Mei.
"Accettare un gesto romantico, ogni tanto? No?" le sorrise, camminando senza difficoltà nella neve alta fino ad arrivare a una trojka. "La vostra carrozza, madame."
"Salgo solo se posso sedere a cassetta, però." disse Mei. "Indosso i vestiti di una principessa, ma ti ricordo che non lo sono. Né mi piacerebbe esserlo."
"Come desideri, mia signora." le rispose, aiutandola a salire e girando intorno ai cavalli per salire dall'altra parte. "Come si suol dire: ogni vostro desiderio è un ordine."
"Stai attento a che cosa dici, Cam. Potresti non avere forze sufficienti per esaudire tutti i miei desideri." gli rispose, prima di tirarsi la sciarpa fin sul naso.
Durante tutto il tragitto fino al villaggio, Camus ne approfittò per raccontarle aneddoti e curiosità legate a certi posti o certe case, assicurandosi di tanto in tanto che fosse abbastanza coperta.
"Se mi accorgo che hai freddo, ti siedi dietro."
"Se sento freddo, te lo dico." rispose Mei, paziente. Si accoccolò contro di lui, godendosi il paesaggio.
Una volta arrivati a destinazione, Mei si accorse di come il tempo, in quel luogo, si fosse quasi cristallizzato in una bolla dove il tempo scorreva molto più lentamente del normale.
Camus fermò la trojka davanti a un edificio piuttosto pittoresco, scese e dopo aver assicurato i cavalli a una trave, le si avvicinò.
"Ecco l'emporio, così potrai scaldarti un po'. Aspetta, ti aiuto a scendere." disse Camus. Allungò le braccia afferrandola saldamente per i fianchi e la sollevò come se non avesse peso, posandola a terra.
"In questo momento mi sento parecchio Scarlett O'Hara."
"Pensavo di più a Lara, a dire il vero." rispose Camus, allegro, ricevendo in risposta uno sguardo torvo.
"Lara è la donnaccia che ruba il marito a Tonja. Scarlett, testa di rapa o meno, non ha mai portato via un uomo sposato a sua moglie."
"In effetti in quanto a caratteraccio assomigli di più a Scarlett che a Lara." convenne Camus, divertito. Di colpo, però, il suo sguardo si fece gelido, nel guardare qualcosa, o qualcuno, dietro di lei.
"Cosa c'è?"
"Nulla. Nulla, vieni." le tenne aperta la porta dell'emporio quindi, dopo un altro sguardo di ghiaccio, la seguì nel locale. "Nazar, amico mio!" 
Si avvicinò discretamente alla vetrina scostando appena un lembo della pesante tenda rossa e vide, dall'altra parte della strada, un uomo sulla sessantina ricurvo su un bastone, con uno sguardo malevolo che le mise i brividi addosso.
"Chi è quell'uomo?" domandò a bassa voce, quando Camus l'aiutò a sfilarsi mantello e cappotto per appenderli insieme al suo a un attaccapanni dietro al bancone dove Nazar stava versando dei bicchierini di vodka.
"Oleg Sergeevič Rybakov: il più grande figlio di buona donna della Siberia Occidentale." le rispose, sempre a bassa voce.
"Mi sentivo i suoi sguardi addosso, prima di entrare qui."
"Mi segue come uno stalker ogni volta che metto piede a Kobotec. Non ce l'ha con te, stai tranquilla."
"Esattamente quale parte della tua risposta dovrebbe farmi stare tranquilla?" domandò Mei.
"E' un dannato bastardo con la faccia arcigna, ma è del tutto innocuo." rispose Camus, circondandole le spalle e sospingendola gentilmente verso il bancone. "Scusaci se ti sentirai esclusa dalla conversazione, ma Nazar parla un francese pessimo e tu non parli russo. Farò da traduttore."
Camus fece le dovute presentazioni e Mei rispose pazientemente alle domande che Nazar le fece mosso a curiosità, finché poi non iniziarono a parlare tra di loro di cose riguardanti il villaggio e lei si fece da parte lasciando i due uomini tranquilli a parlare e bere.
"Voi siete la moglie del Maestro?" le domandò una ragazza, cogliendola di sorpresa. "Perdonatemi, non volevo spaventarvi. Mi chiamo Zoya, sono la nuora di Nazar."
"Mei." si presentò, sorridendo alla giovane.
"Sono felice di conoscervi! Venite vicino al fuoco, vi scalderete mentre Kirill provvede alle provviste che vi servono." continuò Zoya, parlando in un francese pressoché perfetto, accompagnandola sul retro dell'emporio, dove Mei vide la trojka con la quale erano arrivati lì e un ragazzo dell'età di Hyoga tutto impegnato a caricare legna e vari generi alimentari; poco distanti dal piccolo caminetto acceso vide un bimbo seduto in un seggiolone e una neonata in una culla.
"Sono i vostri figli?" domandò Mei, pur conoscendo la risposta. "Posso?"
"Ivan e Valentyna." annuì Zoya, prendendo in braccio la neonata e posandola tra le braccia di Mei. "Anche voi avete figli."
Non era una domanda, e ciò significava che sicuramente anche Zoya ne sapeva abbastanza, tuttavia Mei sorrise colma d'orgoglio quando pensò alla sua Lixue.
"Una bambina di sette anni, di nome Lixue… che in cinese significa neve graziosa. La chiamai così perché nacque durante una notte particolarmente nevosa." spiegò Mei, guardando la ragazza filtrare una bevanda calda in due tazze. "Avete due figli bellissimi."
"Vi ringrazio. E vostra figlia è qui a Kobotec con voi?"
"No, in questo momento si trova con Hyoga e con la sua fidanzata." rispose Mei, richiamando l'attenzione di Kirill, che si fermò un istante nel sentire il nome dell'amico.
"Oh. Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscere anche vostra figlia. Quando il Maestro tornava in paese con la bambina non veniva certo a far visita alla bottega di mia madre. Sapete, è una sarta." spiegò Zoya, porgendole una tazza colma di un liquido scuro e dal forte profumo di ciliegia.
 
Camus nel frattempo si era aggiornato sulle ultime notizie del villaggio, gentilmente messe a disposizione da Nazar che, grazie a quell'emporio che fungeva anche da bar e luogo di ritrovo, ne conosceva davvero una più del diavolo.
"Hyoga come sta? Vive ancora con te o ha preso il volo?"
"In un certo senso, entrambe le cose. La sua fidanzata ha comprato casa accanto a me, ci separa solo una porta." rispose Camus. "Ma a me va bene così."
"E' sempre insieme a quella Freya, giusto? La sorella della regina Hilda di Asgard?"
"Sì."
"Sento un ma in sospeso."
"Non ti sfugge niente, eh?" gli disse, senza tuttavia rispondere alla domanda. Non avrebbe sicuramente detto a Nazar dei dubbi che aveva nei confronti dell'ingombrante cognata di Hyoga. Quando aveva scoperto che Freya aveva comprato casa a Parigi per iniziare una vita autonoma, non aveva reagito granché bene.
"Pensano di mettere su famiglia? Hyoga è già abbastanza vecchio."
Camus sorrise: per gli standard di Kobotec avere quasi ventun anni e non essere ancora sposati era impensabile, si era già vecchi.
"Se Hyoga è vecchio alla soglia dei ventun anni, io allora cosa sono?" ridacchiò.
"Ma tu sei già sistemato, e anche bene, vedo." rispose Nazar, diplomatico. "A proposito… e la tua bambina?"
Dal portafogli Camus prese una foto che ritraeva Mei e Lixue insieme, scattata ad Atene la sera in cui erano partite da Pechino e gliela porse.
"Hey! Ma è già così grande? Cresce a vista d'occhio!"
"Oh già. Ha sette anni."
"Parola mia, questa ragazzina ti ha rubato la faccia!" esclamò Nazar, guardando Lixue. "E' la tua goccia d'acqua! Vero, Kirill? Guarda un po'."
Il ragazzo s'avvicinò e sbirciò la foto.
"Non per gli occhi però."
"Ringraziando il cielo, gli occhi di sua madre sono più belli dei miei." rispose Camus, accendendosi la sigaretta che Nazar gli aveva offerto poco prima. "A proposito di Mei…"
"E' sul retro con Zoya e i miei nipoti." lo informò Nazar, anticipando la sua domanda. "Pare una brava ragazza."
"Non per vantarmi, ma è una bambina dolce e studiosa e io sono profondamente fiero di lei." rispose Camus, con una luce particolare negli occhi. "Soprattutto quando mi batte a scacchi. Succede poche volte, ma succede."
"Ovviamente, perché suo padre ha avuto un ottimo maestro." commentò Nazar.
"Questo è vero." convenne Camus. "Anche se, a essere sincero, ti ho superato e già da un pezzo."
"Hey, chi credi di essere? Aleksandr Alechin? Potrei batterti anche bendato, ragazzo mio." replicò Nazar, fingendosi offeso. "Deve ancora nascere colui che può superare il vecchio Nazar Fyodorovič Kasparev!"
"La prossima volta che vengo in visita a Kobotec porto anche mia figlia, e ti dimostrerò che quella persona è già nata!"
Nazar scoppiò a ridere divertito e per niente offeso dallo scambio di battute, e Camus lo seguì pochi secondi dopo.
"Comprendo bene la venerazione che hai nei confronti di tua figlia, ma io parlavo della tua fidanzata." precisò. "Sono sicuro che è la brava ragazza che sembra a prima vista."
"Lo è." rispose Camus. Se a fare quell'affermazione fosse stato qualcun altro, avrebbe risposto a tono, con un filo di rabbia malcelata. Ma conosceva Nazar da tantissimo tempo, e sapeva che il tono della sua voce era paterno, non critico.
Nazar rabboccò i bicchierini di vodka.
"E anche lei, ti rende fiero?"
"Di più. Mi rende felice, ogni giorno." rispose Camus, vuotando il proprio bicchierino e posandolo girato sul bancone, segno che non intendeva bere più.
Nazar si sporse verso di lui e, preso il volto tra le sue vecchie mani rugose, gli posò un paterno bacio sulla fronte.
"Sono contento per te, te lo meriti." mormorò. "Posso tenere la foto?"
Camus prese una seconda foto dal portafogli, dove tutti e tre erano ritratti seduti sugli Champs de Mars, e gliela porse, appuntandosi mentalmente di stamparle di nuovo una volta tornati a casa.
"Certo." rispose, guardando il vecchio amico, tutto contento, prendere delle puntine da disegno e appuntare le foto sul grande tabellone di sughero dietro il bancone.
Poco dopo Kirill lo informò che le provviste richieste erano tutte caricate sulla trojka, e Camus spense il mozzicone su un posacenere, scendendo dallo sgabello. "Mei?" non ottenendo risposta, si diresse verso il retro. "Posso?"
"Non devi nemmeno chiederlo." sorrise Nazar, mentre qualcuno entrava nell'emporio.
La trovò seduta accanto al camino, mentre beveva mors e parlava con Zoya; in braccio teneva ancora la neonata, e in quel momento gli parve di trovarsi dentro il dipinto nel quale James Sant, pittore di corte della regina Vittoria, aveva ritratto moglie e figlia.
"Ciao, ometto!" esordì in russo, salutando Ivan con una paterna carezza sulla testolina prima di avvicinarsi a Mei e la piccola.
"Mi hai chiamato? Non ti ho sentito, scusami."
"Stai tranquilla." le sorrise. "Ciao principessina."
"Vuoi prenderla un attimo?" mormorò Mei.
Annuì, girandosi verso Zoya.
"Zoya, posso…?"
Mei gli passò la bambina di modo che poggiasse la testolina contro il suo cuore.
"Non girarla, tienila così. Quando sentono il battito cardiaco si calmano."
Sorrise con dolcezza alla neonata che gli aveva afferrato due dita, con lo stesso sguardo intenerito che gli aveva visto quel lontano giorno di sette anni prima al Goro-Ho, con Lixue.
"I vostri figli sono bellissimi, ragazzi."
Mei avrebbe giurato di aver visto gli occhi del fidanzato inumidirsi.
"Vieni Mei, dovrei darti un paio di cose." disse Zoya, invitandola a seguirla.
"Avete solo una figlia, Maestro?" domandò Kirill.
"Per adesso sì." rispose Camus, senza distogliere l'attenzione da Valentyna.
"E non ne volete altri?"
"Sì, è tanto tempo che desidero altri figli."
"E che cosa aspettate allora?"
"Beh, non dipende solo da me." rispose, allungandosi per prendere il bicchiere di mors che Mei aveva lasciato sul tavolino.
Kirill incrociò le braccia sul petto.
"Come no?"
Nazar interloquì regalando al figlio uno schiaffo sulla nuca.
"Non può mica montarla come una puledra e costringerla con la forza!"
Quasi gli andò di traverso il sorso; era una fortuna che Mei non avesse sentito –più fortunato ancora era il fatto che non comprendesse una sola parola di russo-, conoscendola avrebbe risposto a modo suo, indignata.
"Ma non intendevo dire questo!" Kirill arrossì finché il suo viso non divenne bordeaux come il maglione che indossava. "Io… io volevo dire che… cioè… okay, torno alle mie faccende."
Camus alzò la mano in un gesto appena accennato.
"Ho capito che cosa intendi dire… ma certe cose si decidono in due. Non posso mettere incinta mia moglie senza avvertirla delle mie intenzioni." rispose. Primo, perché non era quel genere d'uomo e perché rispettava troppo Mei per farle una cosa del genere; secondo, perché Mei, come minimo, l'avrebbe evirato.
La neonata si mosse inquieta e decise di posarla nella sua culla, augurandole un buon riposo, proprio mentre Mei e Zoya facevano ritorno.
"Torniamo a casa, tesoro?"
 
"Hai visto? Siamo sul Kobotec Wall of Fame." scherzò Camus, dispiegandole il cappotto per aiutarla a infilarlo. Le indicò con un cenno del capo il tabellone di sughero dietro il bancone, dove poco prima Nazar aveva affisso le loro foto, insieme a tantissime altre, per lo più in bianco e nero rovinate dal tempo. Molte di queste ritraevano giovani in divisa militare o intere famiglie composte da più generazioni ritratte insieme, qualcuna ritraeva giovani coppie o ragazze del luogo, altre donne più mature.
"Quella donna con il colbacco bianco, vedete…" le indicò Nazar in un francese stentato senza muoversi dal bancone al quale era seduto "… quella era mia moglie, la mia bella Katin'ka."
Una donna carina, che al momento dello scatto non doveva essere poi tanto più vecchia di lei.
"Qui doveva essere molto giovane. Era molto bella." rispose a Nazar, sorridendo.
"Ha detto che era molto giovane e bella." tradusse Camus, notando Nazar in difficoltà col francese di Mei.
"Vi ringrazio, madam. Quando se n'è andata ha lasciato un vuoto incolmabile in me…"
"Si conoscevano da quando erano bambini: sposati giovani e separati troppo presto." sussurrò Camus.
D'un tratto, nella miriade di volti e sorrisi, incrociò uno sguardo che conosceva molto bene, ritratto in due foto distinte: un primo piano e una foto di coppia.
Il primo piano ritraeva una bellissima donna bionda con i capelli lasciati sciolti sulle spalle vestita con un abito molto pesante, del tutto priva di trucco e, da quanto s'intravedeva, con una collana come unico ornamento. La seconda foto ritraeva la stessa ragazza in abiti più eleganti, insieme a quello che Mei avrebbe giurato essere… Hyoga.
"Credo d'avere le traveggole: ho visto Hyoga in questa foto ma… ovviamente non può essere lui."
Camus chiamò Nazar, parlando in un russo molto fitto, indicando le due foto e nominando Hyoga un paio di volte.
"Dice che quello era suo padre, come avevo immaginato… ho chiesto se potevo prendere le due foto per poterle copiare, mi ha risposto che posso tenere le originali perché è giusto che sia Hyoga ad averle." rispose, staccando le due foto dal muro con grande attenzione. Dietro, due date: la foto di Natassia recava la data Gennaio 1986, la seconda, con entrambi i genitori di Hyoga, Settembre 1990, pochi mesi prima della nascita di Hyoga. Il pancione di Natassia era decisamente visibile sotto i colorati abiti tradizionali.
Nazar riprese a parlare, e Mei attese pazientemente che Camus le traducesse il tutto.
"Dice che il padre di Hyoga è morto a fine novembre, due mesi dopo questa fotografia, e che la famiglia si è totalmente disinteressata della sorte di Natassia e del loro nipotino, grazie anche a un vespaio creato da Oleg."
"Però. Proprio brave persone." mormorò Mei, sottovoce.
"Dei maledetti figli di buona donna, Oleg per primo." sbottò Camus, arrabbiato. "Natassia avrebbe potuto salvarsi."
"…per poi morire di crepacuore vedendo gli uomini di Mitsumasa Kido portarsi via suo figlio. Non crucciarti per qualcosa che comunque non può essere cambiato… in un certo senso meglio così, annegata per aver ceduto il posto a Hyoga, piuttosto che nell'altro modo: il pensiero che qualcuno possa portarsi via tuo figlio è un pensiero troppo devastante per una madre. E' così che se n'è andata Joséphine, il cuore non ha retto all'idea di averti perso per sempre. Fidati, sono una madre, certe cose le capisco meglio di te."
 
*
 
"Sei silenzioso da quando abbiamo lasciato l'emporio. La vodka di Nazar ti ha annodato la lingua?"
Camus si schiarì la voce.
"Stavo pensando."
"Alle foto di Hyoga?"
"No, stavolta non c'entra lui. Pensavo a quando ti ho visto nel retro, con la piccola in braccio."
Mei sorrise intenerita, stringendosi a lui.
"Che meraviglia, tenere in braccio una neonata così piccola. Era così morbida, hai sentito?"
"Appunto." la interruppe lui, serio. "Solo che per quanto adorabile, a me non basta tenere in braccio la figlia di qualcun altro. Mei, vorrei un altro figlio."
 
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo modificato in data 10 ottobre 2014)
Dunque, questo è il primo capitolo a subire un cambiamento massiccio: dalle prossime revisioni spariranno anche i vari bashing in favore di capitoli e situazioni più, diciamo così, mature.
 
-"C'è solo un posto dove prendo ordini dal mio uomo. E non è questo." Chi di voi ha guardato Grey's Anatomy si ricorderà di questa battuta di Catherine Avery, alla quale l'ho indegnamente rubata presa in prestito;
-Soljanka: una zuppa diciamo "mista" tipica della cucina russa;
-La Psichiatra: un gran bel thriller di Wulf Dorn;
-Kowloon: un'area di Hong Kong;
-Bunad: costume tipico norvegese;
-Lara, Tonja: le due protagoniste femminili del Dottor Zivago;
-Aleksandr Alechin è considerato il più grande campione di scacchi del mondo, il cognome di Nazar, Kasparev, deriva da Kasparov, altro grande campione di scacchi;
-Mors: bevanda tipica russa composta da succo di frutta, di solito frutti di bosco o mirtilli rossi;
 
Noto con piacere che nonostante il ritardo nella pubblicazione c'è ancora chi recensisce. Il mio grazie più sincero.
 
Lady Aquaria
 

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Capitolo 16
*** Written in our destiny. ***


capitolo 16 rivisto  
Lo guardò, restando in silenzio qualche secondo incapace di profferire parola.
"…niente di più… fattibile in breve tempo?"
"Non scherzare, dai. Sono serio." sospirò Camus. "Non riesco a pensare ad altro che a te con la bimba in braccio, lì, vicina al camino. Pensavo che questa vita potrei viverla sempre senza alcun problema perché comunque avrei te al mio fianco. Facciamo un altro bambino."
"Non ho mica detto no." rispose Mei.
Camus spronò i cavalli.
"… so che hai appena avuto il lavoro e che con un eventuale bambino potresti avere problemi…"
"Il lavoro non è un problema." rispose, pensando alla donna incinta che aveva visto al dojo e che, come spiegato da Sheng, si occupava del corso di Qi Gong e Medicina Tradizionale. "La gravidanza non è un motivo valido per il licenziamento, ringraziando gli Dèi."
"E allora…? Se il problema è lo spazio in casa, potremmo anche trasferirci altrove… a nord di Parigi, vicino al Bois de Boulogne, ci sono bellissime villette su più piani che…"
"Non voglio lasciare quell'appartamento… è troppo importante per te." rispose Mei. A dire il vero, non trovava obiezioni valide per non prendere in considerazione quella richiesta: entrambi avevano un lavoro, guadagnavano abbastanza per mantenere un altro bambino e per vivere decorosamente. I problemi ai quali pensava Mei erano di diversa natura: sarebbe rimasta a casa fino a un certo punto, dopodiché avrebbe ripreso a lavorare e Camus avrebbe dovuto badare al bambino mentre lei lavorava. "Come farai col bambino quando riprenderò a lavorare? Un neonato prosciuga le energie."
Camus sentì un barlume di speranza scaldargli il petto.
"Ci sarebbe Freya a darmi una mano, lei non andrà a lavorare." rispose subito. "E comunque ci so fare con i bambini, lo sai."
"Su questo non nutro alcun dubbio." rispose Mei. "Ma hai idea di che cosa significa svegliarsi ogni tre ore per la poppata e dormire nei ritagli di tempo?"
"Imparerò."
Sorrise nel vedere la sua espressione.
"Hai idea di quanto mi stai rendendo felice?"
"E tu hai idea di che cosa significherà, per te, avere a che fare con me, incinta?"
Le cinse le spalle con un braccio, tirandola maggiormente a sé.
"Sarà una passeggiata." asserì, scoccandole un sorriso.
"No, non ne hai idea." sospirò Mei, capitolando. "Ti verranno i capelli bianchi."
"Li tingerò."
 
Fermò i cavalli davanti all'isba, per permettere a Mei di entrare più agilmente in casa senza prendere troppo freddo, sul volto ancora il sorriso a trentadue denti di poco prima.
"Vai dentro, qui ci penso io."
Mei si alzò, scrollando via il leggero nevischio che era rimasto attaccato alle gonne.
"In due si fa più in fretta." rispose, sporgendosi verso l'interno della trojka con l'intenzione di aiutarlo a portar dentro le provviste.
"Proprio non ti riesce di ascoltarmi, eh?" Camus scosse la testa, rassegnato, sentendo l'aria abbassarsi di un paio di gradi. "Sta per arrivare brutto tempo."
"Nevicherà?"
"Spero di no, sarebbe ancora troppo presto. Le prime nevicate di solito arrivano intorno al 30, 31 agosto, non prima… tuttavia sta arrivando il vento e non è proprio il caso, per te, di rimanere qui fuori col rischio di beccarti una polmonite."
Mei puntò le braccia sui fianchi.
"Perché, fin'ora non ho rischiato?" domandò, inarcando un sopracciglio. "Lo sentivo, il freddo, sai?"
Camus scese dalla trojka con un balzo.
"Ne hai percepito una minima parte." la corresse. "Perché c'era il mio Cosmo a proteggerti."
Sgranò gli occhi incredula.
"Ah… quella era la minima parte?"
Come prima a Kobotec, Camus l'aiutò a scendere dalla trojka.
"Agosto è il mese meno freddo dell'anno, ci sono settimane dove le temperature sono così basse che raggiungono i meno quaranta gradi."
"Accidenti."
"Pensa che in pieno inverno il latte è venduto in forme, come il formaggio."
"Adesso mi stai prendendo in giro."
"Ti assicuro che è la verità." le disse, sospingendola all'interno dell'isba. "Sistemo i cavalli e arrivo. Resta qui."
Nel mentre Mei ravvivò il fuoco nel camino, pensando alle parole di Camus: una richiesta più che legittima, considerando anche che entrambi si sentivano più che pronti per avere un altro figlio.
Lo sentì trafficare oltre la porta che dava sul locale che fungeva da stalla e si alzò dirigendosi in cucina maledicendo il nervosismo che, non sapeva perché, l'aveva colta appena entrata in casa. Camus entrò fischiettando qualcosa e sistemando le provviste al loro posto.
"Allora, ti piace qui?"
Come luogo dove staccare la spina qualche giorno sicuramente sì. Viverci in pianta stabile, sicuramente no.
"E' come vivere all'epoca della mia trisnonna. Bisogna esserci abituati." rispose, vaga.
Era una vita ovviamente diversa da quella che conduceva da quand'era nata: persino al Goro-Ho c'era acqua calda corrente, elettricità e gas costanti.
"Questo è sicuro. Però come ti ho detto prima, sarebbe una vita che personalmente sarei disposto a vivere. Entrando in casa ti ho sentita trafficare in cucina e ti ho guardata. Vestita così mi sei sembrata una di quelle donne dei dipinti del diciannovesimo secolo e… oh, prendimi per stupido, pensavo d'essere tornato indietro nel tempo. Ed è stata una bella sensazione." le spiegò. "Mi rendo anche conto, però, che non è una cosa possibile, intendo l'idea di vivere qui."
"Per brevi vacanze è fattibile, ma a dirla tutta non credo di potermi adattare alla mentalità maschilista del luogo. Da dove provengo ce n'è già abbastanza."
Sorrise.
"Beh, in effetti le donne del luogo non ricoprono certo incarichi come insegnanti di arti marziali…"
"No, non è solo per questo. E' che la mentalità pare essere rimasta all'epoca vittoriana, capisci? Donnine timorate, silenziose, miti… assoggettate totalmente ai loro uomini. Io non sarò mai niente di tutto ciò. Ho studiato e sudato parecchio per essere ciò che sono e per godere dei diritti che mi sono guadagnata. Per entrare in un certo argomento, sarei capacissima di farmi trovare nuda in casa, quando rientri dal villaggio o dalla stalla… anzi, avrei voluto farlo poco fa ma sei rientrato troppo in fretta e queste sono cose che richiedono una certa preparazione."
Camus sorrise sornione, afferrando il cappotto pesante.
"Quanto tempo ti occorre, esattamente?" le domandò, facendola ridere.
"Lascia stare quel cappotto, sciocco."
 
"Non avrei mai pensato di trovare fotografie del genere da Nazar. Non ci avevo mai fatto caso, eppure quel tabellone è sempre stato lì." Camus posò le foto sul tavolo badando a non sgualcirle. "Non… non dire a Hyoga che i suoi nonni si sono disinteressati di lui e di Natassia. Soffrirebbe per delle persone che valgono meno di niente."
Mei gli porse la tazza con il mors -che Kirill, su ordine di Zoya, aveva dato loro in un fiasco- a mo' d'accompagnamento per i biscotti rustici che stavano mangiando come dessert.
"Non c'era nemmeno bisogno di dirmelo, sai? Non ho l'abitudine di ferire le persone in questo modo. Neanche Hyoga."
"A proposito… andate davvero d'accordo voi due, vero? Cioè… non è una mera finzione messa in atto per mettermi a tacere, dico bene?" domandò Camus.
"Nessuna finzione." ribatté Mei, piccata.
"Non te la prendere. Per me è una cosa molto importante altrimenti non insisterei su quest'argomento." Camus le prese una mano tra le proprie. Sospirò. "Proverò a raccontarti una cosa: fa un po' male ricordare certe cose, ma farò uno sforzo. Quando ho visto Hyoga la prima volta aveva circa l'età di Lixue e io avevo a malapena tredici anni. Avevo finito l'addestramento già da tempo e lui era il secondo allievo affidatomi…"
"Bambini affidati ad altri bambini."

Camus annuì, quindi continuò.
"Quelli come noi smettono di essere bambini nel momento in cui vengono strappati alle madri. Comunque, tornando a Hyoga… quando lo portarono qui era scarno, pallido e con un febbrone da cavallo: all'orfanotrofio dove aveva vissuto dopo la morte della madre l'avevano trattato alla stregua di un animale, abituandolo al peggio della vita: parlava poco, non si fidava di nessuno. Nazar, il sant'uomo che hai conosciuto oggi, andò fino al paese vicino in piena notte e con una tormenta pazzesca, a chiamare un medico." Camus si fermò un istante per bere, perso nei ricordi. "Ora so per certo che non era esattamente un medico, ma un ciarlatano da fiera di paese, quello che qui definiscono sciamano... per molti versi, te ne sei già accorta, Kobotec è ancora piuttosto retrograda. All'epoca però mi mise una paura tale addosso, che ancora la rammento: entrò qui, diede un'occhiata a Hyoga e mi disse di non farmi illusioni, che difficilmente avrebbe superato la settimana perché la sua febbre era troppo alta e qualcosa gli impediva di guarire... i suoi astri sono oscuri, Maestro. Liberatevi di lui o la sua sventura ricadrà anche su di voi!  Non dormii per due notti, nella costante paura che Hyoga potesse morire sotto il mio naso mentre dormivo. Fortuna volle che il figlio maggiore di Nazar, quello emigrato in Canada per studiare, tornasse a casa in quel periodo per visitare i genitori e su richiesta di suo padre venne a visitare Hyoga. Mi disse che era messo parecchio male, debilitato da una forma di bronchite acuta causata dal freddo e da un'influenza mai curata, ma che non era in pericolo di vita… non ancora almeno."
Mei ascoltò tutto in silenzio, mogia.
"E come hai fatto a curarlo?"
Quel posto all'apparenza dimenticato dagli Dèi non era di certo come Parigi, dove c'era una farmacia ad ogni angolo.
"E' stata una bella sfida." convenne Camus. "Maksim, cioè il figlio di Nazar, non aveva granché con sè, mi diede un flacone di antipiretici che migliorarono appena un po' la situazione. La guarigione fu lunga, ricordo che mi disse di preparargli degli infusi di aglio, timo, artiglio del diavolo e non-ricordo-cos'altro nel latte."
"Aglio? Nel latte? Mia madre ci metteva il miele, nel latte." Mei fece una smorfia. "Se la tosse era particolarmente brutta ci metteva quello di castagno, ma l'aglio, mai. Bleah."
"Beh, non fu piacevole avere nell'aria più allicina che ossigeno, ma gli intrugli servirono allo scopo." rispose lui, ridacchiando. "Non ti ho raccontato tutto questo per tediarti, quanto per provare a farti capire anche solo minimamente quanto bene voglio a quel ragazzo, e quanto ne ho voluto anche a Isaak. Per me sono come figli, capisci?"
Annuì ma non replicò, preferendo tacere piuttosto che evocare il passato e con esso i brutti ricordi. Si schiarì la voce, iniziando a rassettare casa per tenersi occupata.
"Se il tempo tornerà tranquillo ti porterò al Bajkal, prima di tornare a Parigi." promise Camus, di punto in bianco. "Anche se non so quanto conviene sperarci, pare essere peggiorato nelle ultime due ore."
Il tempo, esattamente come pronosticato, verso sera cambiò in peggio: il cielo non era ancora carico di neve, ma le temperature si erano abbassate ancora e soffiava un vento gelido che Mei sentiva sibilare anche attraverso i doppi vetri delle imposte.
Chiuse il libro dopo essersi resa conto di aver riletto la stessa riga per la quinta volta.
L'agitazione di quel pomeriggio era svanita ma qualcosa le impediva di concentrarsi. Al contrario, Camus pareva piuttosto preso dalla propria lettura; seduto sul divano –le aveva lasciato la poltrona, più vicina al fuoco-, girava regolarmente le pagine, l'espressione rilassata, ma concentrata sul libro.
Si concesse qualche minuto per osservarlo, soffermandosi su quei tratti eleganti che tanto amava, finché lo sguardo di Camus si spostò dal libro per posarsi su di lei con curiosità proprio mentre lei scattava una foto.
"Ti sei girato… peccato, avevi una bella espressione assorta…" sospirò Mei, spegnendo la reflex di Camus e posandola con attenzione sul tavolo, insieme al libro.
"Vai già a dormire? E' presto!"
Mei gli posò un bacio sul collo dopo avergli scostato i capelli.
"Non proprio." rispose, vaga. "Non fare tardi."
"N-no, finisco il capitolo e arrivo." rispose, rabbrividendo.
"Fa' con calma." si sentì rispondere; corrugò la fronte, guardando Mei avviarsi alla scaletta con uno strano luccichio negli occhi.
"…Mei." sussurrò a mo' d'ammonimento, la voce roca.
"Sali tra cinque minuti, Cam. Non uno di più, non uno di meno." lo fermò lei. "Voltati, finisci il tuo capitolo, per adesso. Voltati, ho detto."
Fece come richiesto e rimase in assoluto silenzio, ascoltando i passi di Mei prima sulla scaletta, quindi sulle assi del piano superiore.
Finisci il tuo capitolo, gli aveva detto.
Sì, come no. E chi andava a pensare al libro, dopo quello scambio di battute e dopo una certa, inevitabile reazione fisica?
Per qualche minuto non avvertì nient'altro che il respiro affrettato e il battito accelerato del proprio cuore, quindi, ancora la voce di Mei.
"I cinque minuti stanno per scadere."
Si alzò dal divano teso e con una certa difficoltà a muoversi, notando una serie di oggetti –indumenti- a terra e sulla scaletta: i vestiti che Mei aveva indossato quel giorno.
"Dammi qualche secondo, sono in condizioni un po' particolari." le rispose, salendo al piano superiore: lo stava aspettando distesa prona sul letto, svestita nonostante la temperatura non proprio ideale della stanza.
"Alla fine ho impiegato solo cinque minuti, visto?"
"Sono costretto ad avvisarti che io non sarò così veloce."
 
*
 
Avevano trascorso parte della notte l'uno tra le braccia dell'altra, provando a mettere in cantiere quel bambino che entrambi desideravano e tutto era andato bene fino a quel momento, finché quel dannato incubo che sapeva perseguitare Mei –senza conoscerne il contenuto- non si era presentato così, di colpo.
Camus se ne accorse subito, non appena sentì il respiro di Mei farsi affannoso nel cuore della notte: sarebbero presto arrivati anche i tremiti e le urla, testimonianza che qualcosa a lui incomprensibile la stava ancora tormentando.
Scostò la tenda dalla piccola finestrella giusto in tempo per vederla gesticolare nel sonno, lamentandosi come se quel che stava vedendo lo stesse vivendo sul serio, proprio in quel momento.
"Mei?" sussurrò. Lei iniziò a piangere, lasciandolo indeciso sul da farsi. Lo chiamò più volte, nel sonno, con la voce sempre più carica di angoscia. "Mei, sono qui!"
Si accorse di non avere la più pallida idea di cosa fare. Svegliarla o lasciarla dormire aspettando che l'incubo scemasse?
Lo invocò ancora una volta, terrorizzata da qualcosa, e stavolta la vide posarsi una mano sul cuore, il respiro sempre più affannato, come se stesse rantolando.
A quel punto, pensò a un infarto. Quante probabilità c'erano che si manifestasse anche in soggetti sani come Mei?
"Mei, svegliati. Va tutto bene, sono qui!" le disse. "So che mi senti, svegliati!"
Blaterò qualcosa che non riuscì a capire e spalancò gli occhi, vitrei. Stavolta, l'afferrò per le spalle, scuotendola per strapparla al sonno.
"MEI!" gridò, emanando involontariamente il Cosmo.
Si svegliò, finalmente, dopo vari interminabili secondi, con un rantolo che gli ricordò quello di una persona rimasta troppo a lungo sott'acqua che riemerge pochi attimi prima della fine: gli occhi tornarono svegli e brillanti, il battito cardiaco quasi regolare.
"Cam?"
Pieno di sollievo, Camus affondò il volto nel petto di Mei.
"Pour Athéna, quelle frayeur. Quelle peur tu m'a fait essayer, bon sang!" Per Athena che spavento. Che paura mi hai fatto provare, dannazione!
"Non avevamo stabilito che in questi giorni avremmo parlato cinese per aiutarti con la pronuncia?" scherzò, sentendolo agitato come raramente accadeva.
Gli accarezzò la testa, tentando di capire che cosa fosse successo e perché fosse così sconvolto: avvertiva il suo cuore battere furioso senza capirne il motivo.
"Cos'è successo?" gli domandò, mentre le tornavano in mente frammenti del solito incubo. "Oh no. Ho di nuovo avuto l'incubo."
"Oui."
"Ho parlato nel sonno?"
"Parlato  non è il termine più appropriato." obiettò Camus.
Si coprì il volto con le mani.
"Quando ti deciderai a trovar pace? Quando, benedetta ragazza?"
"Di chi stai parlando?"
Mei si alzò, infilandosi la vestaglia di velluto pesante di Freya che durante la notte era scivolata giù dal letto.
"Un secondo, Camus, ho bisogno di qualcosa di forte." gli rispose, avviandosi alla scaletta.
"Semmai sono io ad averne bisogno, credevo stessi avendo un infarto!" la seguì lui.
La vide premersi le mani sulla testa, con una smorfia di dolore.
"Ah, quanto rimpiango la tisana di Shunrei in momenti come questo…" disse. "Quanto la rimpiango… ti rivolta lo stomaco, ma ti scaccia via qualunque problema, dal mal di testa all'influenza."
"Addirittura?" Camus frugò in un pensile. "Dovrei avere dei fiori di malva da qualche parte, ma non ne sono sicuro…"
"No, lascia stare… fossi a casa mi farei un bagno, ma qui non c'è l'acqua calda. Pazienza, passerà."
"Un bagno? Potevi dirlo, scaldo subito l'acqua."
"Ma no, lascia stare, davvero. Prima che si scalda, il mal di testa è bello che andato." rispose Mei. "Facciamolo dopo, ti va?"
"Dopo? Insieme?"
Mei sorrise divertita.
"Che cosa scandalosa, nevvero? Io e te in una tinozza, insieme." lo prese in giro. "Che domande, ovviamente intendevo insieme."
Le rispose con un gran sorriso, spillando acqua dal samovar.
 
Mei tenne la tazza bollente tra le mani per scaldarle, prima di dare una lunga sorsata al tè, lo sguardo fisso su un punto imprecisato della stanza mentre i pensieri tornavano all'incubo.
"Degél?" azzardò Camus, dopo un po'.
"No." rispose Mei, riscuotendosi. Alzò lo sguardo posandolo casualmente su di lui. "Per l'amor del cielo, mettiti qualcosa addosso, mi distrai."
Camus afferrò i jeans da una pila di vestiti sul divano, si sedette e l'invitò a sedersi accanto a sé.
"No, Degél non c'entra, povera anima." riprese Mei. "La natura di quegli incubi è strettamente personale. Al Goro-Ho, come in qualunque altro posto al mondo, circolano delle particolari credenze tipicamente locali alle quali uno è liberissimo di non credere… nel tuo caso, so per certo che sarà così, ma tieni presente che ogni leggenda ha sempre, al suo interno, un fondo di verità…"
"Mettimi alla prova."
"La prima volta che feci questo sogno, se così lo vogliamo chiamare, fu il giorno immediatamente successivo alla scalata del Santuario, dopo la mia visita, quando tu e gli altri Saint…" si interruppe; le era sempre difficile pronunciare ad alta voce certe cose.
"…eravamo morti?"
"I miei complimenti per il tuo tatto." sbottò Mei.
"Scusami, non t'interromperò più."
"Sulle prime lo attribuii allo shock e al dolore infinito provato nel vederti freddo e disteso su quel tavolo e non ci feci caso. Poi però, l'incubo divenne ricorrente: ogni notte la stessa scena…  stesso inizio, stessa fine... finché tempo dopo rifeci lo stesso sogno, ma… sognando una diversa versione dell'accaduto."
Camus corrugò la fronte, ma non la interruppe, lasciandola libera di proseguire.
"Ne parlai con Dohko, ero molto spaventata e non sapevo che cosa pensare a riguardo. Lui mi ascoltò pazientemente e mi fece raccontare esattamente tutto ciò che avevo visto sperando che, parlandone, l'incubo in qualche modo non tornasse più a tormentarmi. In effetti non fu più ricorrente, tuttavia continua a ripresentarsi di tanto in tanto."
"Prova a raccontarlo anche a me."
Si prese il volto tra le mani.
"Oddéi, come faccio a raccontartelo…?"
"Levando le mani dalla faccia, tanto per iniziare. Su, racconta. Che cosa vedi in questo incubo?"
Mei si schiarì la voce, quindi chiuse gli occhi, riportando alla mente immagini che conosceva anche fin troppo bene.
"Nella prima versione dell'incubo mi sveglio in un posto che tutt'ora non so riconoscere, addirittura non so nemmeno se esiste. Avverto chiaramente il mio corpo intorpidito, e ci metto un po' a tirarmi su. Scendendo delle scale mi accorgo che sono totalmente incrostate di ghiaccio e istintivamente mi aggrappo alla ringhiera per non scivolare. Solo dopo aver imboccato un corridoio a me familiare mi accorgo di trovarmi all'undicesima casa: stavolta corro senza curarmi di scivolare, sento il respiro accelerare ogni volta, sapendo con inquietante certezza che cosa troverò nella sala principale." spiegò Mei, riaprendo poi gli occhi, lucidi. "E trovo te, a terra."
"…"
"Poi di questo stesso incubo c'è anche il finale alternativo, quello che di solito mi fa svegliare di colpo, gridando come se mi stessero aprendo in due, almeno, a detta di Shiryu: arrivo nella sala principale, e il freddo è così intenso che persino i pensieri paiono sul punto di cristallizzarsi. Solo che una volta arrivata in sala, tu… sei ancora vivo! Sei pallido e freddo come un blocco di ghiaccio e io tento con ogni mezzo di salvarti la vita ma non ci riesco perché… muori tra le mie braccia!" spiegò ancora Mei, asciugandosi gli occhi con il dorso di una mano. "Allora grido e… di solito, mi sveglio a quel punto."
"Oh, Mei."
"Aspetta, aspetta… la seconda versione dell'incubo è ancora più strana, sai? Non è facile da spiegare o da capire perché in verità nemmeno io la capisco: a differenza dell'altro, stavolta mi sveglio in sala. Intorno a me c'è solo ghiaccio, di sicuro molto freddo, ma… stranamente non lo avverto. Mi accorgo di fluttuare sulla sala, come Degél, come se fossi uno spirito. Ti rialzi a fatica, ti vedo arrancare su per le scale con molta difficoltà, fino a trascinarti a forza in questa stanza dove vedo il mio cadavere a terra, piegato in posizione fetale… e tu…" si bloccò, notando un luccicone solcare la guancia di Camus. "Cosa c'è?"
"… io cerco di gridare, ma per qualche ragione non posso farlo." concluse per lei. "Questa era la cosa che temevo potesse succedere se fossi rimasta con me, quella volta. La stanza che vedi è in realtà la soffitta dell'undicesima casa. Io ci avevo anche pensato, sai, a nasconderti da qualche parte, ma poi? Sarebbe finita esattamente così… quest'incubo l'ho avuto per diverso tempo…" Camus si soffiò il naso, gli occhi rossi. "E ogni volta era una stilettata. Non capisco come abbiamo fatto ad avere lo stesso incubo."
"Ecco, secondo le leggende del Goro-Ho che mi ha raccontato Dohko, ognuno di noi nasce con otto anime: la nostra, quella che cioè abita il nostro corpo, e altre sette sparse in giro per lo Spazio e il Tempo, che abitano altrettanti corpi."
"Perché otto?"
"Beh, l'otto è un numero fortunato, da noi. Comunque queste anime vivono… come dire… "
"In dimensioni parallele?"
"All'incirca. Ma dato che non ci è possibile incontrare fisicamente questi alter ego, non possiamo sapere se vivono nella nostra stessa epoca o in altri secoli o anche in altre ere, non ci è dato sapere se sono tutt'ora viventi o no, non possiamo conoscere niente di quel che le riguarda. Tuttavia, a soggetti particolarmente sensibili, può capitare di entrare in connessione con una o più di loro. Dohko mi disse che, poiché sono capace di interagire con gli spiriti, probabilmente questo incubo era un'eco di vita vissuta da una di quelle anime che, ha percepito il nostro stato d'animo e ha voluto condividere quanto vissuto."
Camus parve pensarci su un istante.
"Cioè… correggimi se sbaglio: altri noi, in altre dimensioni temporali, hanno vissuto le nostre stesse situazioni e hanno condiviso con te le loro esperienze tramite contatto mentale?"
"Così è spiegato molto alla buona ma sì, diciamo che il succo del discorso è quello." rispose Mei. "Comunque l'hanno condiviso anche con te, visto che abbiamo avuto lo stesso incubo."
Dal canto suo Camus non era d'accordo, gli incubi o i sogni altro non erano che il parto del subconscio; tuttavia quel discorso faceva parte della rete di credenze di Mei, e le rispettava pur non condividendole.
"…magari attraverso il settimo o l'ottavo senso, o tramite il Cosmo, no?"
Si riscosse, accorgendosi improvvisamente di aver perso l'ultima parte del discorso di Mei.
"Non ti seguivo, scusami."
"Ho detto che, magari, il tuo alter ego ha condiviso con te quel che ha visto tramite il settimo o l'ottavo senso o proprio attraverso il Cosmo."
"Attraverso il Cosmo, magari. L'ottavo senso lo escludo a priori, non c'entra niente con tutto questo."
"So che non credi in niente di quanto ho appena detto, ma grazie per avermi ascoltato."
"Sono cose nelle quali tu credi e le rispetto per questo anche se non le condivido." rispose Camus, con diplomazia. "Ci siamo dunque incontrati anche in altre vite e in altre dimensioni, se una delle tue anime ha vissuto la tua stessa esperienza."
Mei ridacchiò nervosamente.
"Eh, pensa che gran fortuna hai avuto a incontrarmi anche in altre dimensioni temporali."
La trasse a sé, stringendola forte.
"Non dire così. Io mi sento davvero fortunato, ad averti incontrato."
 
**
 
Camus rientrò a casa con le braccia cariche, faticando a chiudere la porta d'ingresso.
"Non facciamo in tempo a staccare la spina che la buca delle lettere è già piena." sospirò, posando la posta e il sacchetto della panetteria sul tavolo in cucina.
"Ti sei ricordato le girelle all'uvetta?" domandò Mei, dal bagno.
"Sì, ne mancano un paio all'appello ma tu non farci caso." commentò Camus, smistando la posta. "Pubblicità, volantino di un nuovo messicano, ancora pubblicità… oh, la bolletta della luce. Che carini, cominciavo a preoccuparmi sai, da quanto tempo non avevo loro notizie…"
Separò conti e bollette in un cassetto della sua scrivania e gettò la pubblicità nel cestino della carta, quindi dedicò attenzione a due buste di diversa fattura.
Una color carta da zucchero con il mittente scritto in greco, l'altra di pregiata carta pergamenata con il mittente in giapponese. Corrugò la fronte e telefonò a Milo.
"…Milo hai ricevuto anche tu la busta azzur-… ah, arriva da parte di Lady Saori…" 
Mei si fermò sulla soglia dello studio in accappatoio, mentre con una mano si tamponava i capelli umidi con un asciugamano e con l'altra reggeva una brioche.
"Sia benedetto chi ha inventato le girelle all'uvetta… inzuppate nel caffèlatte sono la fine del mondo… comunque per quanto mi sia goduta il nostro bollente bagno a due in quella tinozza piccina di legno che, considerando cosa ha preceduto, ripeto, è stato romanticissimo, per carità… ma vuoi mettere una bella doccia con l'acqua calda corrente? Ti rimette al mondo!" scherzò, sorridendogli. Si accorse del telefono e si zittì. "Oddèi! Chi c'è al telefono?"
"Milo." rispose Camus.
"Bollente bagno a due?"
"Possibile che tu abbia captato solo quelle parole su tutto il discorso?" domandò Mei.
"Ma allora è per questo che siete andati a Kobotec?"
"Certo che sì." rispose Mei, precedendo Camus. "Non siamo nemmeno usciti di casa, l'abbiamo fatto giorno e notte ininterrottamente su ogni superficie disponibile."
"Beh non proprio, ci siamo fermati anche per mangiare, ogni tanto." interloquì Camus.
"Bravi ragazzi!"
"Milo, ti richiamo più tardi, ciao." lo salutò. "Una domandina al volo: greco o giapponese?"
"…calcolando che del Giappone mi piace solo il sushi… direi greco."
Camus aprì la prima busta: si trattava di un invito nuziale.
"Marin e Aiolia." esordì, sventolandolo.
"Visto che parlavi con Milo, per un attimo ho sperato che la tua risposta fosse Milo e Shaina." rispose Mei. "Non che non sia contenta per Marin e Aiolia, ma…"
Camus sorrise, porgendole l'invito.
"Oh, non temere. Arriverà anche quel momento." le rispose. "Milo corteggia Shaina da anni, da prima che ti conoscessi, pensa."
"E ancora non ha ceduto? Al suo posto non direi no a Milo."
"Ah sì?"
"Sì, ma non pensare male, ho specificato al suo posto, intendendo dire che se fossi in Shaina, uno come Milo me lo terrei ben stretto." rispose Mei. "Ma io sono Mei, ho te e ringrazio gli Déi ogni giorno per questo. Oh, Marin ci tiene a precisare che sarà un matrimonio greco tradizionale. Ma lei non è giapponese?"
"Sì, ma è una lunga storia. Matrimonio greco tradizionale con conseguente festa superkitsch: fonti certe mi assicurano che sarà un'esperienza molto divertente."
"Per superkitsch che cosa intendi? Che cosa mi devo aspettare?"
"Tu, una cinefila accanita, non hai mai visto Il mio grosso grasso matrimonio greco ?"
"… no, al momento è ancora segnato nella lista dei film da vedere."
"Allora credo sia giunto il momento, ti pare?"
"Dici?"
"Eccome. Non so che cosa accade durante un matrimonio cinese, ma in Grecia ci sono tante curiose usanze che a occhi poco abituati possono sembrare strane a dir poco."
Mei ci pensò su.
"Più strane dell'uso di legare i piedi della sposa per evitare che fugga prima della cerimonia?" domandò. "Sì, anticamente la sposa, nella portantina, aveva i piedi legati per evitare ogni possibile fuga. Sai com'è, non a tutte andava sempre bene. O aspetta, fammi pensare… più strana ancora del rutto libero durante il ricevimento?"
Camus storse la bocca in una smorfia.
"Stai scherzando."
"Magari. Avresti dovuto essere al matrimonio di mia cugina: nemmeno all'Oktoberfest un concerto del genere…" rispose Mei, rabbrividendo. "Quando saremo noi a sposarci impedirò questa cosa a dir poco schifosa. E l'altra busta?"
"Anche l'altra busta contiene un invito, ma è sicuramente più noioso. Ci sarà un ballo, il primo settembre, in occasione del compleanno di Lady Saori. Sarà la tua occasione per conoscerla."
"L'ho già conosciuta."
"E quando?!"
"Al Santuario, anni fa, al vostro fu-… in una certa occasione." rispose. "E dove si terrà questa festa?"
"A villa Kido, a Tokyo."
Mei fece finta di pensarci su.
"Oh, no che peccato: per l'epoca sarò su un volo per il Canada… non fare quella faccia, non posso certo disdire la mia presenza a casa di Keanu per andare al compleanno di Saori." disse Mei, fingendosi dispiaciuta. "Okay. Ritorno seria."
"Sarà un ballo e cito testualmente, in bianco e nero."
"Oh beh… non sembra tanto male." rifletté Mei.
"Aspetta a dirlo." Camus lesse le postille scritte dietro l'invito. "Lady Saori è sempre piuttosto eccentrica quando si tratta di dare feste: una volta, mi dissero, ne diede una a tema Star Wars."
"E come mai tu non c'eri?"
"Perché ero a Pechino, mentre la mia fidanzata si laureava."
Mei gli rispose con un gran sorriso.
"Oh, ecco qual era l'impegno che avevi disertato." arrossì. "Però devo ammettere che mi sarebbe piaciuto vederti nei panni di Maestro Jedi… o meglio ancora, di un Sith: Darth Camus. La Forza è potente in te. Un potente Sith tu diventerai."
Camus la guardò torvo.
"Mei, giuro che chiedo il divorzio."
"E come? Non siamo nemmeno sposati."
"Lo chiedo lo stesso, come misura preventiva." rispose Camus. 
"Come to the dark side: villains do it better!" ridacchiò Mei. "Dai, come sarebbe questo ballo?"
"Uno in bianco, l'altro in nero."
"Cioè… uno dei due dovrà vestirsi di bianco e l'altro di nero?"
"Esattamente."
Ci fu un secondo di silenzio, dopodiché entrambi parlarono quasi nello stesso istante.
"Nero!"
"Io prendo il nero!"
"No, l'ho detto prima io!" esclamò Camus, trionfante.
"Bugiardo mascalzone!"
"Papà ha ragione, l'ha detto prima lui!" interloquì Lixue, dalla sua stanza.
"Ma… oh, cielo. Io non posso vestirmi di bianco, lo indosso solo ai funerali." spiegò Mei. "E poi… il bianco ti starebbe bene, esalta il rosso dei capelli."
Camus si alzò e, fischiettando un valzer, le girò intorno atteggiando qualche passo insieme a Lixue.
"Niente da fare. Io in nero, tu in bianco."
Mei sorrise, quindi gli prese il volto tra le mani, stampandogli un gran bacio sul naso.
"Tesoro, non preoccuparti. Saremo in due ad andare in bianco."
 
***
Lady Aquaria's corner
(capitolo riguardato e corretto in data 22 ottobre 2014)
-Allicina: il principio attivo dell'aglio, ovvero il principale responsabile del cattivo odore che l'aglio lascia in bocca.
-L'incubo che perseguita Mei è spuntato fuori durante l'ennesima visione del maledetto episodio 67. Che sia dannato quell'episodio.
-Le leggende del Goro-Ho le ho inventate di sana pianta. Vedete che significa mangiare parmigiana di melanzane a cena? Non dormi e t'inventi ste cose :P
-Sì, avete letto bene. Il rutto durante un ricevimento nuziale, a quanto ho letto su questo sito è d'obbligo in un matrimonio cinese (così come gli sputi allontana-diavolo per i greci).
 
Note piccine come mi capita ultimamente, ma i ringraziamenti rimangono invariati.
Alla prossima.
Lady Aquaria
 

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Capitolo 17
*** The things you are to me. ***


capitolo 17
17.
The things you are to me.
[(No one, but you and I, can know that) you are, and will always be, the joy of my life.]
Ôishi Kuranosuke, 47 Ronin
 
Le foto dei suoi genitori sortirono, comprensibilmente, un certo effetto su Hyoga: a parte sua madre, quella fu la prima volta che vide il viso di suo padre e ciò lo colpì nell'animo molto più a fondo di quanto volesse dare a vedere. Camus però se ne accorse ugualmente: non era da Hyoga rimanere chiuso in camera per giorni interi.
"Nazar mi ha detto che tuo padre passò a miglior vita due mesi dopo lo scatto di questa foto. E… che della famiglia di Jurij, tuo padre, nessuno sa più niente da anni."
Lui era un bravo ragazzo: serio, giudizioso e con una grande voglia di fare: chissà chi sarebbe diventato se avesse vissuto abbastanza da potersi trasferire a San Pietroburgo come avrebbe desiderato fare con Natassia. La sua famiglia d'origine invece era pessima, credimi sulla parola, Camus: qui, il nonno di Hyoga, se lo ricordano tutti. Peggio di Oleg. Molto peggio.
Il che era tutto un dire, conoscendo la pessima reputazione di Oleg. Non se la sentì di rivelargli anche quella parte della storia, però, perché sarebbe stato il classico colpo di grazia.
"Che bella coppia." osservò Freya. "Sembrano felici qui."
Hyoga s'appoggiò allo schienale della sedia, lo sguardo fisso sul sorriso di sua madre.
"Suppongo lo fossero, quando parlava di mio padre aveva sempre un gran sorriso, gli occhi le si illuminavano e di solito, arrossiva appena sulle guance. Poi mi stringeva a sé, persa nei suoi ricordi." si fermò, premendosi due dita alla radice del naso. "Non devo pensarci troppo o finisce che allago casa."
Mei sorrise intenerita, quindi si schiarì la voce, cercando un modo per spazzare via la drammaticità di quel momento.
"Cerchiamo di capirci, Hyoga. Ora, guardando le foto che ho trovato da Nazar, ho notato qualcosa che mi sfugge."
"Sarebbe?"
"Ho trascorso un paio d'ore a cercare un nesso tra te e i tuoi genitori."
"E…?"
"…Mei." interloquì Camus, iniziando a capire dove Mei volesse andare a parare.
"Sarebbe a dire che… tua mamma era bella, su questo non c'è dubbio." proseguì Mei. "E… beh, pure tuo padre non era certo da buttar via…"
"... dai, non essere così stronza." fece Camus.
"Rimane da capire come sia potuto succedere che da due bei ragazzi come loro, sia uscita una piaga con la faccia da scemo come te. Credimi, me lo sto chiedendo da giorni."
"Beh, che devo dirti? Non tutti i buchi vengono con le ciambelle intorno." ridacchiò Hyoga.
 
Mei salì in soffitta qualche ora più tardi, per la consueta mezz'ora quotidiana dedicata al culto dei suoi defunti: a volte si fermava e parlava con loro, a volte si dedicava a rassettare la stanza, altre volte rimaneva in religioso silenzio. Si tolse le pantofole nell'anticamera prima della stanzina vera e propria –per non disturbare gli Avi, ovviamente- e si accorse di non essere sola:  scovare qualcuno in quel luogo era già di per sé strano ma trovarci Hyoga era una sorpresa. Vederlo lì, inginocchiato su uno dei due enormi cuscini posti davanti all'altare, con le mani giunte in preghiera, le fece corrugare la fronte; e non perché gli fosse proibito entrare, semplicemente perché, a parte lei e sua figlia, nessuno utilizzava quella stanza.
Hyoga s'accorse di lei e si voltò appena.
"Perdonami se sono entrato qui senza chiederti il permesso, ma volevo aggiungere anche le foto dei miei genitori a tutte le altre."
"Per quale motivo ti stai scusando? Non hai fatto niente di male, almeno a me. Ma se hai mancato in qualche modo di rispetto ai miei avi, sappi che la mia trisnonna aveva il mio stesso carattere e se ti perseguita… ahi ahi, saranno dolori."
Hyoga sgranò gli occhi.
"Ehm… io… mi son tolto le scarpe prima di entrare, mi sono inchinato e ho cercato di non offendere nessuno…"
"Oh mamma, guarda che faccia. Stavo scherzando." ridacchiò Mei, cambiando i fiori nel vaso e posando la ciotola di riso sull'altare, accanto alla statua della dea Kwan Yin e dell'Imperatore di Giada. Si accosciò sul cuscino accanto a quello occupato da Hyoga sedendosi sui talloni, quindi si sporse in avanti appoggiando le mani a terra –prima la sinistra, quindi la destra- ed eseguì un profondo inchino in avanti, senza sollevare i fianchi: un inchino rituale che, praticato chissà quante migliaia di volte, lo affascinò come raramente succedeva. Dopo qualche istante e qualche frase sussurrata che non comprese, Mei si raddrizzò di nuovo posando entrambe le mani sulle cosce, in posizione rilassata. Non riuscì a distogliere lo sguardo in tempo però, perché Mei se ne accorse.
"Esattamente, in me, che cosa ti suscita tanto interesse?"
"Il mio interesse non era nei tuoi confronti, ma nei confronti della tua posizione." specificò Hyoga.
"Oh, e vorrei ben dire." replicò Mei. "Pratichi arti marziali anche tu, non hai mai eseguito un inchino rituale di fronte al tuo insegnante o al tuo avversario?"
"Non ho mai salutato nessuno in questo modo."
"In poche discipline si usa la zarei, spesso prima degl'incontri si usa il classico inchino formale che usano quotidianamente i giapponesi. Ma questo non è il momento, né il luogo per parlarne."
"Per essere una che detesta il Giappone, sai parecchie cose."
"Intanto non detesto il Giappone, Hyoga, non sono affatto nippofoba. Pratico arti marziali giapponesi, mastico qualche parola della loro lingua, ne apprezzo il cibo e la cultura."spiegò Mei, un po' scocciata. "E' che l'ultimo ricordo che ho del Giappone è legato a una stazione di polizia, all'arrivo degli zii da Nanjing e di un membro dell'ambasciata cinese che spiega a me e mio fratello che siamo diventati orfani perché lo scoppio di uno pneumatico ha messo fuori gioco i nostri genitori facendoli schiantare giù dal viadotto sul quale stavano viaggiando. Credimi quando ti dico che per una ragazzina undicenne è un colpo atroce: lo è tutt'ora, dopo quindici anni, figurati."
Hyoga tacque qualche istante, guardando Mei prendere un gran respiro.
"Tornando al discorso di prima, le scarpe le tolgo, sì, ma per non sporcare la moquette." riprese, ricacciando indietro le lacrime. "Devo però ammettere che non stavo esattamente scherzando sulla persecuzione. I defunti, se offesi, possono davvero trasformarsi in spiriti maligni e perseguitarti… ma questo solo se credi nella loro presenza."
Hyoga si schiarì la voce.
"Non credo nei fantasmi intesi come quelli del cinema, quelli col lenzuolo bianco che trascorrono l'eternità spaventando i viventi, ma credo che parte di noi sopravviva alla morte del corpo e rimanga sulla Terra a confortare chi ha amato in vita. Io sento mia madre." disse, in un soffio, posandosi una mano sul petto. "La sento qui, dentro di me, pronta a darmi una mano, un sostegno ogni volta che la cerco. La sento sin da quando è morta su quel peschereccio, e la sento anche ora, in questo momento."
"Allora ci credi, bene." sorrise Mei. "Che cosa ricordi di lei?"
"Beh, ricordo che era molto dolce con me. Era una donna mite, molto paziente, che non perdeva mai la calma e non serbava mai rancore per nessuno. Sarà per questo che a Kobotec ne hanno approfittato. Oleg ci rubò il posto in scialuppa e lei riuscì a lanciarmi sulla barca prima che si allontanasse troppo dal relitto. Al contrario suo però non riesco a non provare rancore nei confronti di chi le ha fatto del male: non meritava di morire in quel modo, Oleg è ancora vivo e questo mi disturba."
"Ho visto questo Oleg quando eravamo a Kobotec. Sprizza cattiveria da ogni poro."
"E' mille volte peggio di quel che hai visto, ma puoi star certa che non correrà mai il rischio di farti del male, o farne a Lixue."
"Io non sottovaluto mai le persone, Hyoga. Mai. E' un grave errore tattico."
"Sai che cosa mi da' tanta sicurezza a riguardo? Il fatto che per quanto possa fare lo sbruffone con una donna inerme e suo figlio o con un ragazzino di dieci anni, non sarà mai tanto stupido da sfidare Camus facendo qualcosa contro di te, sa che potrebbe finire all'altro mondo nel più atroce dei modi."
"Camus non sarebbe capace di arrivare a tanto." mormorò Mei.
"Per te, e per vostra figlia, sarebbe capace di qualunque cosa." la contraddisse Hyoga. "Non c'è niente che non farebbe per te."
Mei non seppe che cosa rispondere; aprì invece un cofanetto e ne trasse diverse tavolette e un nuovo incensiere. Hyoga la guardò sistemare le foto dei suoi parenti accanto quella dei genitori di Camus e a una fotografia del ritratto di Degél.
"Cosa sono quelli?"
"Gli specchi? Si chiamano Ba Gua, servono a tener lontano energie e spiriti maligni insieme alle bestie guardiane: al centro il dragone giallo, a est dragone azzurro che protegge gli uomini, a sud la fenice che protegge le donne, a ovest la tigre bianca e a nord la tartaruga nera. Loro, insieme ai Ba Gua, respingono la negatività e il Male, assicurando pace e protezione agli Avi e all'intera casa. Vuoi sistemarla tu?" si offrì Mei, prendendo con cautela la tavoletta incisa col nome di Natassia e porgendogliela. "Attento, non deve cadere. Secondo il mio credo, in queste tavolette risiede parte dell'anima del defunto, se cade potrebbe uscire e diventare uno spettro maligno."
"Sicuramente con mamma non succede, non avrebbe mai fatto del male nemmeno a una mosca."
"A una zia materna di Zhi-Ying è successo con la tavoletta del bisnonno, mentre la spostava."
"Suppongo le siano accadute le peggio cose."
Mei accese degli incensi.
"Due mesi dopo è rimasta vedova, ha successivamente scoperto di avere un brutto male al fegato e come se non bastasse il suo unico figlio maschio s'è suicidato."
Hyoga deglutì.
"Però…"
"Ma in effetti una spiegazione c'è: questo parente di mia cugina era già una persona orrenda e cattiva da vivo, figurarsi da morto." rispose Mei. "Dai, prepariamoci o faremo tardi… ci stanno aspettando all'ottava casa."
S'inchinò ancora una volta in segno di commiato, quindi si alzò.
"Ah, così, giusto per avvertirti… Lixue sta facendo vedere le foto scattate a Disneyland a tutti."
"Oh mamma." rispose Hyoga. "Spero non le faccia vedere proprio tutte."
"No, tranquillo, quelle compromettenti le ho chiuse in cassaforte, così da poterti ricattare quando voglio. Soprattutto quella in calzamaglia. Bellissima."
"Quanto ti odio."
"No, non è vero. In fondo mi vuoi bene."


Ottava casa.
"Oh, ecco l'interessato. Ma sei tu quello là dietro?"
"Buon cielo Milo, dammi almeno il tempo di arrivare." si lagnò Hyoga.
Milo squadrò più volte la foto in formato A4 che Lixue, tutta contenta, gli stava mostrando: la foto più bella dell'intera mini vacanza, secondo lei -scattata in un negozio interno al parco dove ci si poteva far fotografare nei panni dei personaggi Disney- quando aveva convinto Hyoga e Freya a travestirsi insieme a lei. Davanti uno sfondo che riproduceva un bosco fatato, Lixue era abbarbicata in braccio su un fianco di Freya, mentre Hyoga sorrideva –non senza parecchio imbarazzo- dietro le due: la principessa vestiva i panni di Lady Marian, Hyoga quelli di Robin Hood e Lixue, con le lacrime agli occhi a furia di ridere, vestiva i panni di Lady Cocca.
"Tanto per la cronaca, sappi che quella foto ha fatto il giro di tutto il Santuario." commentò Camus. "L'ha mostrata a tutti."
"Oh, fantastico. Il peggio è che questo sadico vuole farne un poster." aggiunse Hyoga indicando Camus. "Mi pareva d'essere un ballerino del Bolshoi con quella dannata calzamaglia marrone. Un paio di minuti in più addosso e ora sarei alla Sistina a cantare con le voci bianche."
Freya ridacchiò.
"Era aderentissima, ricordi? Dovrebbero vietare certe cose, così fanno prendere un infarto alla gente!"
"Oh, ti prego." Mei si coprì gli occhi con una mano, posando la tiropita nel piatto. "Che brutta visione. Stavo mangiando… e che cavolo!"
"Perché hai scelto un fuorilegge? Potevi sempre calarti nei panni di qualche principe. I principi azzurri sono sempre biondi." disse Milo. "…no?"
Lixue si girò di scatto a guardare Milo.
"Nel tuo mondo immaginario forse…!" lo riprese Camus, scuotendo la testa. "La maggior parte dei principi Disney sono mori. Qualcuno è castano e un paio sono fulvi. Ma biondi, non che io ricordi."
"Thor è biondo!" esclamò Lixue.
"Ma non è un principe Disney." obiettò Camus.
"E qui ti sbagli: la Marvel è stata assorbita dalla Disney, un paio d'anni fa. Quindi teoricamente Thor può essere annoverato nelle schiere dei principi azzurri." lo corresse Hyoga.
"Ha! Parli sempre troppo presto, Cammy." disse Milo, trionfante.
"Oh, ma non c'è più religione!" esclamò Camus.
"Ma dove andremo a finire?!" lo scimmiottò Milo.
"Eh, sì. Prendimi in giro. Di questo passo anche Star Wars prima o poi diventerà della Disney."
"Oddio no, non dirlo nemmeno per scherzo, sei matto??"
 
**
 
Si spostarono a Tokyo in modo da trovarsi a Villa Kido poco dopo colazione, così da avere sufficiente tempo per prepararsi per il ballo.
"Chi non muore si rivede." bisbigliò Shiryu, intravedendo Tatsumi, il braccio destro di Lady Saori, accogliere gli ospiti e indirizzarli alle loro camere grazie all'ausilio della servitù.
"Già, così sembrerebbe." sibilò Mei, seguendo lo sguardo di Shiryu. Erano trascorsi anni dal giorno dello, se così si poteva definire, smistamento ma ancora ricordava i rumori secchi delle sberle che Tatsumi aveva gratuitamente elargito ai poveri malcapitati smistati nelle varie zone d'allenamento. Istintivamente prese Lixue per mano, avvicinandola a sé.
Forse anch'egli memore delle proprie azioni, Tatsumi le rivolse uno strano ghigno, che si spense non appena vide Camus.
"Nobile Aquarius." esordì l'uomo. "Prego, vogliate seguire Yuki, vi accompagnerà alla vostra sistemazione."
Camus rispose all'inchino dell'uomo con un freddo e composto accenno del capo, prima di seguire la cameriera.
"Ho sentito dire che c'è una nursery per i bambini." bisbigliò Hyoga.
"E' vero." commentò Freya, laconica: sua sorella ne aveva ampiamente usufruito.
"Ringraziando gli Dèi non ha proposto di accompagnare Lixue da nessuna parte. Avrei risposto male, davvero molto male." disse Mei.
Arrivati nelle loro stanze, scoprirono che era un grande appartamento con quattro camere da letto, comunicanti tra loro attraverso un ampio salotto in comune.
"Due stanze le occupiamo noi e Li, in una stanza ci siete voi… e nella quarta?" domandò Camus. Sperò ardentemente che non gli toccasse Shiryu come "coinquilino", non era sicuro di poterlo gestire per più di otto ore di fila.
Milo proruppe nel salotto, eseguendo un inchino.
"Ta daaah!"
"Yeeeeh!" esclamò Lixue, tutta contenta.
"Se non ti vado a genio, puoi sempre chiedere se al posto mio e di Shaina infilano Shiryu e Shunrei." propose Milo, dopo aver visto l'espressione dell'amico.
Camus si accertò che Mei non sentisse.
"Scherzi? Era sollievo il mio: preferisco convivere sotto lo stesso tetto con due scorpioni che con una serpe." bisbigliò, trovando una busta sigillata con la ceralacca indirizzata a lui e Mei sul tavolino.
"Mamma, hai visto il bagno della mia stanza? C'è una vasca enorme!" esclamò Lixue, tutta eccitata. "Sembra una piscina! Solo che non mi piace il colore."
Mattonelle di marmo rosa antico, una vasca a forma di conchiglia grande quanto due vasche da bagno e un assortimento di articoli tali da far invidia a un hotel a cinque stelle; il resto delle camere non era da meno: raso, seta e cuscini di piume ovunque, soprattutto sui letti a baldacchino.
"Sai che cosa diceva tua nonna Letizia, tesoro? Chi si accontenta, gode." rispose Mei. "Non siamo a casa, siamo ospiti."
La camera dove avrebbe dormito con Camus, manteneva la stessa opulenza.
"Un lusso del genere l'ho visto solo una volta, durante un viaggio di lavoro. Ero al Mandarin Oriental di Hong Kong, albergo straordinariamente bello, devo ammetterlo, ma fuori dalla mia portata… per fortuna il soggiorno era pagato dal dojo. Qui avrei giurato di vedere uno stile più giapponese. Sai, con le porte scorrevoli in carta di riso, tatami a terra, futon e bagni in comune." disse Mei, un po' delusa.
"La villetta appena fuori Tokyo è in stile giapponese, ma data la quantità di ospiti vip presenti al ballo, Lady Saori ha preferito usare questa." spiegò Milo, sulla porta della loro stanza. "Non ti spiace, vero, se più tardi rapisco Camus per un goccetto?"
"Camus non deve mica chiedermi il permesso, è liberissimo di fare ciò che vuole, sai? Io ne approfitterò per stare un po' tranquilla a mollo."
"Il che, in gergo femminile, significa che lei, Shaina e Freya impiegheranno almeno tre ore a restaurarsi." tradusse Hyoga. "Dai Lixue, vieni con me, ti porto un po' in giro a caccia di manga e action figures. Mentre tua madre e le tue… zie si fanno belle, o almeno ci provano, per questa sera."
"A te non basterebbe una vita intera per farti apparire decente, fai tu." replicò Mei, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
 
*
 
Rimasta assolutamente sola nella stanza, tirò fuori dalla custodia l'abito di sua madre che Yuki, la cameriera assegnata all'appartamento, aveva infilato nell'armadio, lo indossò e si fermò davanti allo specchio, indecisa se indossarlo così com'era o se sdrammatizzarlo con qualcosa di nero.
"Il vestito che indosserai sarà quello?" domandò Freya, ferma sulla porta. "Scusa il disturbo, ma la porta era socchiusa e quando ho visto il vestito mi sono fermata incuriosita. E' un Lanvin vintage, giusto?"
Mei corrugò la fronte.
"Non ne ho la benché minima idea, non c'è nessuna etichetta all'interno, era di mia madre e come minimo è un vestito di sedici anni fa." spiegò. "Ma ho fatto un errore a portarmi dietro questo, mi va un po' largo e non ho sufficiente seno per riempirlo."
Freya le indicò la porta della sua stanza.
"Di là ci sono le mie cameriere, puoi approfittarne."
Ci pensò su un attimo: non aveva altri abiti con sé e uscire per negozi a quell'ora era impensabile.  
"Sono anche brave con il restauro?"
"Prego?"
"Sono anche brave con trucco e parrucco?" ripeté, facendola poi sorridere.
"Diamine sì. Se ci riescono con me, con te sarà una passeggiata."
 
Quando Camus rientrò dopo il giro con Milo, al posto suo trovò un biglietto nel quale gli spiegava che si stava preparando per la festa nella stanza di Freya insieme al suo entourage; sul letto, insieme al suo smoking, Camus trovò anche una seconda custodia, una scatola con delle scarpe decisamente non sue e altri accessori che non aveva mai visto prima.
"Non capisco." borbottò.
"Quella dev'essere la mia fascia." disse Hyoga, bussando discretamente sulla porta aperta e annunciandosi. "Mi hanno dirottato qui, per usare un eufemismo."
"In verità ti hanno sbattuto fuori dalla stanza senza tanti complimenti." tradusse Camus. "Carina la tua fascia da miss." lo prese bonariamente in giro, posando la fascia azzurro ghiaccio e la relativa spilla con attenzione sul letto.
"La fascia che mi marchia come futuro appartenente alla Casa Reale di Asgard." rispose Hyoga. "Ma non credo la indosserò."
"Perché no?"
"Hilda ha insistito affinché la portassi con me, ma in verità dovrei indossarla solo a fidanzamento annunciato." proseguì Hyoga.
"Dopo tutto questo tempo direi che ormai tutto il mondo è a conoscenza del vostro fidanzamento." disse Camus. "Mi prenderà un infarto quando ti vedrò all'altare vestito come un vero principe."
L'altro arrossì.
"No, per carità, l'infarto riservalo alla tua bella, stasera." rispose Hyoga, schiarendosi poi la voce. "L'ho intravista poco fa, in camera e beh, la sua bellezza ridarebbe la vista a un cieco."
Camus sorrise con orgoglio.
"Per me è bellissima sempre, anche di prima mattina, struccata e spettinata."
"De gustibus…" commentò quindi Hyoga, ricevendo in risposta un'occhiataccia del maestro.
 
**
 
"Dov'è Mei?" domandò Camus, vedendo Hyoga e Freya arrivare da soli. "La festa non è ancora iniziata, ma non mi piace fare ritardo e son già le diciannove e trenta."
Hyoga guardò oltre Freya.
"Ero sicuro ci stesse seguendo, era dietro di noi." rispose, corrugando la fronte. "Forse ha dimenticato qualcosa."
"Oh, sicuramente." s'aggiunse Hilda, arrivando insieme a Saori. "Credo sia normale dimenticarsi qualcosa in occasioni come queste, dico bene?"
Camus eseguì un lieve ed educato inchino in favore della regina e di Lady Saori, ricevendo in risposta un gran sorriso da entrambe.
No, nessuna dimenticanza; era rimasta indietro apposta: prese un gran respiro e sbirciò nell'anticamera della sala da ballo dove Camus la stava aspettando insieme a Hyoga e gli altri, pronto per entrare in sala con lei, e si scoprì nervosa come una scolaretta prima del ballo scolastico. Si strofinò le mani dalle unghie smaltate di nero e per una qualche strana ragione tornò indietro di qualche passo, scontrandosi con qualcuno.
"Go… ehm… gomen'nasai." balbettò a mo' di scuse, sperando di aver usato il termine giusto, sollevando lo sguardo su… DeathMask.
"Mei?!" domandò quest'ultimo, sgranando gli occhi incredulo.
"Beccata."
"Mi prenda un colpo, quasi non ti riconoscevo." disse DeathMask. "Ti avevo scambiata per Shaina."
Shaina era già in sala, lo corresse Mei mentalmente, una silfide inguainata in un elegante abito aderente come una seconda pelle.
"E invece no."
Lo sguardo di Death la percorse da capo a piedi,
"Infatti, come ho potuto scambiarti con Shaina? Lei non è piatta come una tavola. Mah, diciamo che sei quasi guardabile stasera, anche se hai lasciato il petto a casa."
"Questo perché quando Kwan Yin distribuiva le tette, io facevo la fila per il cervello. Vorrei poterti dire lo stesso, sai, ma rimani uno zotico inguainato in uno smoking." replicò lei, ergendosi in tutta la sua altezza, ringraziando i tacchi da dodici centimetri che indossava.
"Uno zotico che si è annodato il papillon alla cieca, oltretutto. Eppure è mio fratello quello che ha costantemente problemi alla vista."
"Bella questa. Non sono pratico di feste dell'alta società." rispose DeathMask, lasciandole fare il nodo al papillon.
"Eh, io invece sono espertissima." fece Mei, alzando gli occhi al cielo. "La festa più in alla quale ho partecipato è stata la mia festa di laurea."
"Sei pure laureata? Oggigiorno lasciano laureare anche le donne? Ma pensa te." scherzò DeathMask.
"Eh già, pensa che posso guidare l'auto! E… udite udite, anche uscire da sola!"
"Questo mondo finisce sempre più a schifio. Sei qui da un po' e il tuo moroso ti sta aspettando. Intendi restare qui a fare da tappezzeria o pensi di portare le tue chiappe in sala?"
"Mi sento ridicola."
"Ho appena visto una specie di contessa con un cilindro rivestito di marabù in testa, tu almeno sei decente. Farai di sicuro la tua figura."
"Immagino quale."
DeathMask si schiarì la voce.
"Sto per dirti una cosa che da me non sentirai mai più." iniziò, mentre Aphrodite, passandogli dietro, gli elargiva una pacca in testa.
"Smettila d'importunare le signore, vecchio porco. Stia attenta signorina, al momento meno opportuno potrebbe trascinarla in qualche toilette." ridacchiò, non riconoscendo Mei.
"Gli piacerebbe. Ma mai, nemmeno in un milione di vite." replicò Mei, stringendo il nodo del cravattino quasi con cattiveria. "Ciao, Phro."
Aphrodite la squadrò da capo a piedi.
"Mei??!"
"In carne e vintage." rispose lei. "Buonasera."
"Che mi venga un accidente!"
"Stavo per dirle beddazza quando mi hai interrotto."
"Non esageriamo, su." si schermì Mei.
"A Camus verrà un infarto." commentò DeathMask, a voce bassa.
Mei rise.
"Spero di no, per stanotte ho altri programmi."
DeathMask si mise poi a parlare con Aphrodite, e Mei si decise a scendere al piano di sotto, raggiungendo Camus.
"… non è che si è di nuovo sentita male?" stava dicendo Shunrei. "Io andrei a controllare."
"Vogliate scusarmi." disse quindi Camus, corrugando la fronte. Da qualche giorno Mei avvertiva fastidi di varia natura, ma non aveva pensato a niente di serio, altrimenti sarebbero rimasti a Parigi.
"Prego." sorrise Hilda.
Stava tornando in camera, quando la vide in cima alla rampa di scale: abito bianco a maniche lunghe sdrammatizzato da vistosi orecchini d'onice e scarpe alte anch'esse nere che s'intravedevano appena a ogni passo e spiccavano sul candore del semplice vestito in jersey di seta. Unico particolare, la scollatura molto audace velata appena dai ricami di cristalli su uno strato leggerissimo di chiffon.
"Tutto bene, avevo dimenticato il cellulare in camera." esordì, a mo' di scusa, rivolgendosi ai presenti e sistemandosi i capelli, portati di lato. "Visto? Nemmeno tra mille vite sarei riuscita a stendere così bene il rossetto e farlo rimanere nei margini, l'entourage che Freya si porta appresso opera miracoli!"
Compreso un abile lavoro di cucito sul davanti dell'abito per adattarlo alla mia seconda scarsa, ma non lo disse ad alta voce.
"Tutto bene?" domandò quindi a bassa voce, quando incrociò lo sguardo di Camus.
"Sei… sei… magnifica."
"Concordo." interloquì Milo.
"Uh, esagerato. Tu sei moralmente obbligato a farmi sentire bella, ma tu, Milo… se solo avessi visto mia madre, con questo stesso abito… credimi, la penseresti diversamente."
"Beh. Sei una donna diversa da tua madre, quindi ogni confronto sarebbe sciocco e inutile." sorrise Milo.
"Sei in ritardo come il solito." la rimbeccò Hyoga.
"Non essere villano!" mormorò Freya.
Doveva aver tirato fuori l'abito delle grandi occasioni: stringate di vernice, pantaloni con la riga laterale lucida, gilet e papillon neri, camicia e giacca bianche e una fascia color ghiaccio che gli attraversava il torace dalla spalla destra al fianco sinistro.
"Stai benissimo!" disse Mei, ammirata, dopo averlo squadrato da capo a piedi.
"Non sei in ritardo." si corresse Hyoga, divertito. 
"Hey, non va bene elogiare un uomo quando ne hai già uno così elegante al braccio." ridacchiò Freya, fingendosi gelosa.
"Per una volta che parla bene di me, lasciala fare!" esclamò Hyoga.
"Beh, sarebbe superfluo da parte mia elogiare il mio uomo: Camus sa già che cosa penso di lui. Potrebbe essere vestito del solo perizoma di Tarzan e farebbe comunque il suo figurone." rispose Mei, consapevole del fatto che Camus sarebbe arrossito nel giro di pochi istanti.
"Mei, ti prego…" bisbigliò lui, imbarazzato.
"Scusami, scusami. Niente più battute, te lo prometto."
Camus sorrise appena.
"Dove hai lasciato Lixue?"
"Nella sua stanza, dopo la cena e il giro turistico per Tokyo è crollata." spiegò Mei. "Sta dormendo."
"Finalmente conosco la tua fidanzata." sorrise Hilda, poco dopo.
"Mei-Yin." la presentò Camus.
"Maestà." salutò Mei, inchinandosi rispettosamente.
"Hilda, per favore." la corresse lei. "I titoli pomposi e altisonanti li lascio volentieri alle altre regine. Sono felice di fare la tua conoscenza, Freya mi ha parlato di te ed ero curiosa."
"Lusingata." rispose Mei, un po' imbarazzata.
Saori tornò da loro, in mano una piccola cartelletta.
"Chiedo venia, ma devo allontanarmi." esordì, accorgendosi poi di Mei. "Sei la sorella di Shiryu, giusto? Ci siamo già viste, se non ricordo male."
"Ci siamo incrociate anni fa, al Santuario." rispose Mei, senza scendere nei dettagli.
Saori fece mente locale.
"Ma certo, ora ricordo. Sono di fretta, ma spero di poter scambiare due chiacchiere con te più tardi. All'epoca non fosti molto incline a parlarmi."
Mei si schiarì la voce, cercando le parole più adatte.
"All'epoca non fui molto incline a parlare con nessuno, a essere sincera." rispose. "Niente di personale."
"Vero, non parlò neanche con me, era troppo affranta e persa nel suo immenso dolore." esordì Shiryu, alludendo al periodo immediatamente successivo alla scalata del Santuario.
Si voltò di scatto come punta da una tarantola, rispondendo al fratello con uno sguardo che, avesse potuto, l'avrebbe fritto all'istante. Tuttavia tacque, ricordandosi degli ammonimenti materni sul comportamento adatto a una signora.
"Suppongo sia normale chiudersi in sé stessi quando si perde la persona amata, non trovi?"   
"Ho fatto e non fatto tante cose all'epoca, ma non è il luogo né il momento adatto per parlarne." rispose Mei, sorridendo con gratitudine a Shun per averla difesa.
"Hyoga mi ha detto che qui disponete di un giardino con fiori esotici." interloquì Freya, prendendo Mei a braccetto e cavandola d'impiccio.
"Davvero? Mi piacerebbe vederlo!" esclamò Hilda. "Con il freddo che fa a palazzo persino le piante finte muoiono."
"Che esagerata!" esclamò Saori, divertita. "Più tardi vi accompagnerò personalmente, alcune rare specie di fiori sbocciano solo di notte. Così da lasciare voi gentiluomini liberi di gustare dell'ottimo Rémy Martin in santa pace. Mi han detto che lo preferisci al tuo omonimo e al ben più noto Courvoisier."
Camus soffocò una risatina.
"Touchè." ammise. "Ma apprezzo comunque anche gli altri."
"Non ne dubito, sarebbe da sciocchi non apprezzare un ottimo Courvoisier invecchiato ventun anni."
Shiryu attese finché Hilda e Saori non si furono allontanate.
"Che roba è il Rémy Martin?" domandò, a Hyoga.
"Cognac, lucertolone." rispose DeathMask al suo posto. "Qualcosa che dei bifolchi grezzi e maleducati come te non riuscirebbero ad apprezzare."
"Sai, Shiryu… a volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio." disse Camus, scoccando al cognato un sorrisino ironico, prima di porgere il braccio a Mei.
Entrarono nel salone delle feste gremito di gente: eleganti smoking, scintillanti monili d'alta gioielleria, impalpabili abiti da sera… di fronte a quell'opulenza si pentì di non aver accettato l'aiuto di Freya, che si era offerta di prestarle una parure di una ben nota maison francese.
E se dovessi malauguratamente perdere qualcosa, quanti anni di lavoro impiegherei per rifondarle la perdita? aveva pensato, rifiutando con molto tatto la gentilezza della principessa. Una valigia di abiti invernali poteva ancora accettarla, una parure di diamanti che costava quanto una villa a Montecarlo, no.
Solo che in quel momento, di fronte a tanta ricchezza, si sentì fuori posto.
"Ora c'è il discorso di Lady Saori." la distrasse Camus, a bassa voce, mentre l'elegante notturno di Chopin che aveva intrattenuto gli ospiti fino a quel momento volgeva al termine.
"Buonasera a tutti e benvenuti. Molti di voi sono ormai frequentatori veterani delle mie feste e, sono certa, anche un po' stanchi di questo mio discorso d'apertura" esordì Saori, scatenando qualche risatina tra gli ospiti "ma intravedo molti volti nuovi stasera ed è per loro che parlo."  Come previsto da Camus, spiegò a beneficio dei nuovi arrivati che aveva preso spunto per quella festa dalle feste che aveva avuto modo di frequentare durante il suo periodo di studio a Vienna, dei balli della Wiener Philharmoniker ai quali aveva partecipato e che aveva a tutti i costi voluto organizzare per il suo debutto in società e, in seguito, per i compleanni.
Intenta a seguire il discorso –in inglese, vista la stragrande maggioranza di ospiti famosi-, Mei non si accorse del fratello, che le era ricomparso di fianco quasi all'improvviso.
"Tranquillizzati, Saori non è così tremenda come pensi."
"Ci pensi già tu ad agitarmi, razza di stupido arrogante e borioso: affranta per il mio immenso dolore? Avrei voluto vedere te al mio posto come avresti reagito, se quella volta non fosse intervenuto Dohko a salvare Shunrei. Guarda che non è per lei che sono a disagio, e neppure per i vip presenti. E' quest'abito che mi crea fastidio."
"Perché? Il vestito di mamma ti sta bene."
"E' bianco e stava molto meglio a lei." rispose Mei. "Saori è giapponese, giusto? Possibile che con un nonno nipponico fino al midollo non sappia che in Cina, India e zona asiatica in generale il bianco è associato al lutto? Persino Shaka è vestito di nero."
Difficile non notare l'inquilino della sesta casa, nel tipico sherwani indiano, che cercava di attirare meno attenzione possibile.
"Lady Saori non bada a queste cose, ha vissuto parecchio all'estero e ha leggermente abbracciato uno stile di vita più… occidentale." rispose Shiryu.
Il concetto di leggermente era un eufemismo, a giudicare dagli enormi affreschi alle pareti, dai marmi e dai lampadari di cristallo che illuminavano a giorno la sala; partendo da Parigi aveva immaginato la dimora di Saori in maniera molto diversa: qualcosa più somigliante al ben noto Castello Himeji, ad esempio. Quell'enorme villa invece pareva la fedele copia di Schönbrunn.
"E comunque mamma vestiva sovente di nero, pur essendo tipico colore da funerale, in Occidente… nemmeno lei badava a queste cose." riprese Shiryu.
A dire il vero lui non se lo ricordava, ma anche la loro madre faceva bene attenzione a certi colori: per Letizia era impensabile vestire viola a teatro o rosso a un matrimonio.
Anche in quel caso decise di tacere a riguardo, per non sollevare polveroni inutili.
Persa com'era nei propri pensieri, non seguì il discorso di Saori né tantomeno sentì il cerimoniere dare l'avvio alla festa.
"Mi dispiace averti quasi obbligata a vestire di bianco."
Si riscosse, guardando Camus.
"Come? Oh, ormai è fatta, non preoccuparti." rispose, soprapensiero.
"Scusa, posso?" Camus indicò con un cenno l'elegante libricino –non più grande d'un passaporto- che Mei, come tutte le altre invitate aveva ricevuto all'ingresso in sala. "Puoi ballare con chi vuoi, ma l'ultimo ballo spetta solo a me." le disse, segnando il nome di Mei sulla copertina e il proprio nome in cima e in calce al foglio piegato a fisarmonica all'interno, con la piccola matita in dotazione al carnet.
"Oh, dunque è un vero e proprio ballo in stile ottocentesco, come ai tempi dell'imperatrice Sissi." commentò Mei. "Spero solo di non incrociare qualche Franz Joseph, fonti certe mi dicono che la vita dell'imperatrice non fu proprio rose e fiori. Già è imbarazzante trovarsi a una festa piena di gente quasi del tutto sconosciuta, figurati ballare con questi perfetti sconosciuti."
"Beh, ma la padrona di casa, gli amici di tuo fratello e gli altri Gold li conosci." obiettò Camus.
"Restano comunque un po' poche persone rispetto al numero degli invitati che vedo, non trovi?"
"Cerchiamo di rimediare subito allora, anche se sinceramente non so quanto possano esserti d'aiuto le mie informazioni… per cominciare, l'uomo che sta parlando con Lady Saori in questo momento si chiama Julian Solo. Anche lui proviene da una ricca famiglia di armatori e petrolieri, si vocifera che i suoi interessi verso Lady Saori non siano puramente commerciali, ma anche personali: più di una volta ha chiesto la sua mano, ma senza alcun successo."
Mei guardò con discrezione l'uomo: alto, biondo scuro, modi aristocratici.
"Visto da qui mi sembra piuttosto belloccio e gradevole. Perché mai Saori avrebbe rifiutato un buon partito? Suo nonno avrebbe senz'altro acconsentito."
"Beh, per prima cosa Saori nutre parecchi sentimenti, ricambiati, nei confronti di Seiya. In secondo luogo, Julian Solo è la reincarnazione di Poseidone."
Lei sgranò gli occhi.
"Quel Poseidone? Quello che ha scatenato quella guerra anni fa minacciando di affogare il mondo in un secondo diluvio biblico? Sfido io che lo rifiuta, chi andrebbe mai a sposare il proprio rapitore?" disse, collegando quel volto all'apparenza gentile al dio dei mari. "Santi numi, è proprio vero che spesso l'apparenza inganna."
"Buona e incline al perdono sì, sciocca e avventata no." commentò Camus. Da un cameriere di passaggio prese due calici e gliene porse uno.
"Preferirei mangiare qualcosa prima di bere, dopo pranzo non ho mangiato nulla per via del teletrasporto, sai, ancora non mi sono abituata: per fortuna la nausea è passata prima della festa o adesso sarei su in camera a far compagnia a Lixue."
Camus sospirò.
"Perché non ne sapevo nulla?"
"Di cosa, scusa?"
"Di questo malore."
"Déi del cielo Cam, era solo un po' di nausea, non preoccuparti." gli rispose, seguendolo verso il tavolino al quale erano già seduti Shaina e Milo. "Sto benone, altrimenti ti avrei informato del contrario. Stai tranquillo. Amici miei, buonasera."
"Mei, posso chiederti un favore?" domandò Milo.
"Dammi almeno il tempo di sedermi." protestò Mei, adocchiando l'alzatina straripante di dolcetti al centro del tavolo. "Se è nelle mie possibilità, ben volentieri."
"Prima o poi, nel corso di questa serata, annunceranno la scelta alle dame. Tu sai cos'è, giusto?"
La facoltà, concessa ben poche volte, di permettere a una donna di invitare a ballare un uomo anziché viceversa.
"… ebbene?" volle sapere Mei, mentre Camus inarcava un sopracciglio.
"Siccome sarò richiestissimo, ti chiedo di far ricadere la tua scelta su di me, per evitare di farmi finire nelle grinfie di qualche signora che nonostante l'età non cede al tempo che passa: ne ho vista una fasciata in un abito zebrato che…" Milo s'interruppe, facendo una smorfia di disgusto. "Insomma, si tratterebbe di un'azione caritatevole nei confronti di un amico. Faresti questo per me?"
"Richiestissimo?" fece eco Camus. "Ho sentito bene? Hai detto proprio richiestissimo? Non per smontare il tuo gigantesco ego, ma al momento quello più gettonato è Shaka."
"Per via del fascino esotico, Cam." commentò Mei. "Si fermano al vestito tradizionale e ai capelli d'angelo, perché se lo conoscessero davvero…"
Milo le prese una mano, lo sguardo da cucciolo.
"Allora posso contare sul tuo aiuto?" insistè, mentre Mei addentava un dolcetto.
Scambiò una rapida occhiata con Camus, che annuì divertito, e annuì a sua volta.
"Va… va bene."
"Oh grazie, ti adoro! Sappi che ti sono debitore."
Mei sospirò.
"Se non fosse che sono felicemente impegnata, ti prenderei in parola e la tua virtù sarebbe in pericolo."
In quel mentre davanti al loro tavolo passarono Aphrodite e la sua compagna di danze.
"Noto che Aphrodite è ancora insieme alla sua ragazza storica." commentò Camus, distogliendo subito lo sguardo dalla bella ragazza che volteggiava tra le braccia dell'amico.
"Iris? Certo che sì. So che convivono a Stoccolma da anni, ormai." rispose Milo; era una cosa che aveva sentito al Santuario, dato che Aphrodite teneva ben riservati i dettagli della sua vita privata, ma l'intimità che traspariva da quei due non lasciava spazio a dubbi.
Shaina si schiarì la voce.
"Mei, tuo fratello sarebbe disposto a insegnare a Milo come si muove e si comporta un non vedente?"
Mei lanciò un'occhiata a Milo, quindi tornò a guardare l'amica.
"Come, scusa?"
"Shiryu dovrebbe spiegare a Milo che cosa significa essere cieco e dargli consigli su come muoversi una volta che non avrà più uno dei suoi otto sensi." disse Shaina, facendo corrugare la fronte sia a Camus che a Milo, mentre DeathMask, che era appena arrivato e aveva seguito l'ultimo scambio di battute, sogghignava divertito.
"Credo di non capire." disse Milo.
"Io ho capito." interloquì DeathMask.
"Io no." risposero Milo e Mei, nello stesso momento.
"Mei fa finta di niente e perciò a lui va anche bene, ma se ti becco ancora una volta a piazzare gli occhi sul posteriore di quella stangona nordica, te li cavo e li uso come pendenti. Sono stata abbastanza chiara adesso, tesoro mio?"
Milo si schiarì la voce.
"Sai, a volte mi fai paura."
"Prevedo scintille." mormorò Mei.
"Scintille? Shaina sarebbe capace di distruggere il palazzo intero." rispose Camus.
"Mizzica Shaina, dagli tregua, gli occhi son fatti per guardare." intervenne DeathMask. "State attenti, belli miei: le femmine italiane sono molto pericolose, soprattutto quando sono gelose." aggiunse rivolgendosi ai due colleghi mentre con un braccio circondava le spalle di Shaina, che sgusciò subito via dalla sua presa.
"Tutte le donne lo sono, di qualunque etnia siano. Anche se alcune insistono a negarlo." lo corresse Mei.
"Uomini: appena vedono un bel sedere taglia 36, perdono la testa. Bada Milo, che non stavo scherzando prima." l'ammonì Shaina. "Bene bene, vorrà dire che mentre voi due vi lustrate gli occhi con quella, io e Mei andremo a prendere qualcosa da bere con questo… come definirti?"
Scherzando, DeathMask gonfiò i muscoli tendendoli per bene sotto la camicia.
"… bel manzo?" suggerì.
"Beh, insomma, non esageriamo… ho visto di meglio, posso assicurartelo." replicò Mei.
"Noi andremo a prendere qualcosa da bere con DeathMask. Qualcosa in contrario?"
Milo parve basito, mentre Camus, avesse potuto, l'avrebbe congelato con lo sguardo.
"Ma hai sentito?" domandò Milo, guardando i tre allontanarsi verso il bancone bar nella saletta attigua.
"Tu hai fatto i commenti sulla ragazza di Phro e io becco la ramanzina??!" gli rispose Camus.
"Hey, anche tu hai guardato Iris!" protestò l'altro.
"Le ho dato un'occhiata, certo." precisò Camus. "Ha una scollatura abissale che arriva a pochi millimetri dal didietro, uno dovrebbe essere cieco per non notarla. Ma a differenza tua ho tenuto gli occhi ben piantati nelle orbite."
"Si è notato tanto, eh?"
"Fai un po' tu, sembravi Jim Carrey in The Mask."
"Shaina mi ucciderà, prima o poi."
"Farebbe solo bene."
 
 
La serata si rivelò piuttosto gradevole a dispetto delle solite prospettive; discorse di università e lavoro, di quella che era la vita a Parigi ora che aveva una famiglia con la quale condividerla, della possibilità di ampliare la suddetta famiglia e di quanto, per la prima volta dopo tantissimo tempo, si sentisse finalmente in pace con sé stesso. Di tanto in tanto lasciava vagare lo sguardo sulla sala, tenendo d'occhio Mei e gli uomini che l'invitavano a ballare.
"Se uno sguardo potesse tagliare, quell'armatore sarebbe già bell'e morto." scherzò Freya, distraendolo. Si schiarì la voce, imbarazzato per essere stato colto in fallo. "Devo aspettare la scelta alle dame o m'inviti a ballare?"
"No, no." si alzò e porse il braccio a Freya.
"Ma tu guarda, sei richiesto stasera eh." commentò Milo. "Prima la regina, ora sua sorella… saranno quei dannati capelli rossi. Dovrei tingermeli anche io."
"Tanto per la cronaca, sono rosso naturale. E secondo, si chiama charme. Se uno non ce l'ha, c'è poco da fare." scherzò Camus.
 
"Dèi del cielo, menomale che sei arrivato. Ancora un minuto in compagnia di quel pallone gonfiato e sarei impazzita." Mei sorrise grata a Hyoga. "Ma forse preferivi ballare con la morosa di Aphrodite."
"In effetti non so se ho fatto un buon affare, dicono tu abbia schiacciato un gran numero di piedi stasera."
"Sono una judoka, non una ballerina." si difese Mei. "A malapena so ballare un lento. E forse neanche quello, figurati."
"Basta che segui i miei passi, nessuno si accorgerà che col valzer fai pena."
"Grazie." ribatté Mei. "Basta che non inizi con le sceneggiate da film di quinta categoria e la famosa formula e un due tre, un due tre, perché giuro, ti pianto qui in mezzo alla sala come un cretino qualunque."
Suo malgrado, Hyoga ridacchiò.
"Ah, è per questo che hai finto un malore, prima, durante il valzer con Julian Solo?"
"Mi sono difesa come ho potuto." rispose Mei. "L'ego di quell'uomo è smisurato come l'universo. Mi ha parlato dei suoi affari a Macao e Hong Kong e si è detto un profondo conoscitore della cultura del mio paese, salvo poi iniziare a parlarmi in cantonese."
"E' stata una buona conversazione, almeno?"
"…avessi capito una sola parola. Il cinese mandarino parlato a Pechino è diverso da quello cantonese parlato a Hong Kong."
"E non è la stessa cosa."
"Ovviamente no, sarebbe come pretendere che un italiano che parla il solo dialetto di Aosta comprenda un connazionale che si esprime solo in palermitano stretto." obiettò Mei. "Si è dichiarato un così grande cultore della mia terra che si è anche detto stupito del fatto che non porto il velo. Eppure c'è una grande differenza tra gli hui, musulmani, e gli han, etnia alla quale appartiene la mia famiglia. Cultore un accidenti."
"Secondo me ha solo cercato di fare il piacione." rispose Hyoga. "Ottima strategia comunque, quella del malore."
"Non ho propriamente finto, mi mancava davvero l'aria. Ma non dirlo a Camus, inizierebbe a preoccuparsi."
"Non credo sia una buona idea tenerglielo nascosto, visto e considerato che sei già stata male prima della festa." rispose Hyoga. "Forse a Kobotec non hai fatto sufficiente attenzione a coprirti e hai preso l'influenza."
"Si sarebbe già manifestata." obiettò Mei. "Credo invece la ragione sia di diversa natura, ci sono già passata una volta e riesco a riconoscere i sintomi."
Istintivamente le guardò la pancia.
"Sei incinta?"
"Forse, non ne sono del tutto sicura."
"Anche questa è una sorpresa?" domandò quindi Hyoga, alludendo alla possibile gravidanza.
"No, questa è stata cercata." rispose Mei. Dopo qualche istante, sorrise. "Chi l'avrebbe mai detto che sei un discreto ballerino?"
Hyoga sorrise in risposta.
"Frequentando una corte reale a lungo andare impari anche il valzer. Conosco solo quello però, non mi cimento in altro."
"A parte la carinissima danza classica che esegui prima della Diamond Dust."
Le rifilò una pacca sulla schiena.
"Cosa credi? Occorrono anni e anni d'allenamento per imparare quei movimenti."
"Uh, immagino. Anni di allenamenti sfibranti, non per fracassare ghiacciai eterni ma per ballare nel lago dei cigni."
"No tesoro. Qui c'è un solo cigno, gli altri son tutte volgari imitazioni."
Sentendo Mei scoppiare a ridere per qualcosa che Hyoga le aveva detto, lo fece sospirare contento, sulle labbra un gran sorriso.
"A questo punto direi che ce l'abbiamo fatta e che possiamo brindare al nostro successo."
Camus alzò lo sguardo su Freya e sulla sua aria cospiratrice, accettando la flûte che gli stava porgendo.
"Soltanto chi ha pazienza può ottenere ciò che vuole, mia cara."
"Al nostro successo, socio." Freya alzò la flûte e la fece tintinnare contro quella di Camus.
"Quale successo?" volle sapere Hilda.
"Siamo riusciti ad avvicinare Mei a Hyoga." spiegò Freya, prima che potesse farlo Camus.
La regina seguì i due con lo sguardo. "C'era qualche difficoltà di comunicazione tra loro?"
Camus non avrebbe definito difficoltà di comunicazione l'astio che aveva governato Mei per molto tempo dopo la scalata del Santuario, il termine più appropriato era istinto omicida, ma evitò di parlarne davanti alla regina.
"Se così vogliamo definirla…" concesse.
"E queste divergenze si sono appianate?"
A giudicare da come parlavano fitto quei due, sì.
"Spero di sì."
Saga s'avvicinò loro e s'annunciò schiarendosi discretamente la gola.
"Maestà." s'inchinò in favore di Hilda. "Chiedo venia per il disturbo… posso chiedervi di onorarmi con il prossimo ballo?"
Hilda si stampò un sorriso sul volto, alzandosi e porgendo a Saga il proprio carnet.
"Certo."
"Ah Camus, posso chiederti il permesso di ballare con Mei, dopo?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"Buon cielo, per un attimo ho temuto stesse per invitare te." ridacchiò Freya, incapace di comprendere la tensione che s'era creata sull'ultima domanda di Saga.
"Se vuoi ballare con lei, non hai che da domandarglielo, Mei sa benissimo decidere da sola senza aver bisogno del mio permesso." rispose Camus, con diplomazia.
"Molto bene, grazie."
"Bonne chance, alors." sorrise Camus, mellifluo, guardandolo allontanarsi in direzione di Mei e Hyoga.
"… la colonna sonora di Last Samurai comunque è una delle più belle che abbia mai ascoltato."  
Mei annuì.
"Quel film è magistrale, davvero. L'ultima scena… la trovo molto intensa: non parlano, non pronunciano una sola parola eppure quante cose si dicono con il loro sguardo."
"Uno sguardo può essere più eloquente di mille parole." disse Hyoga.
In quel mentre Mei vide Saga avvicinarsi.
"A proposito di sguardi eloquenti, cerca di rivolgerne uno a Saga dal significato: togliti dalla mia vista."
"Sei già bravissima a farlo da sola." le rispose Hyoga.
"Madame LaRochelle, ho qualche chance per il prossimo ballo?"
"Con Hades in persona, piuttosto." replicò Mei, con un sorriso mefistofelico.
Saga ridacchiò.
"Temo che il signore dell'oltretomba non possa accontentarvi, al momento è fuori sede e lo rimarrà per altri duecento anni almeno. Nel frattempo potreste anche farmi contento e concedermi un valzer, uno solo."
"Altrimenti mi fai rinchiudere a Capo Sounio? Ti piacerebbe." rispose Mei.
"…" Hyoga si schiarì la voce, quando Saga si fu allontanato.
"Non una parola."
"E chi ha parlato?"
"T'avverto. Hyoga, se provi a cedermi a quella mummia, giuro che ti infilo tanto di quel peperoncino nella zuppa che ti faccio trottare come Varenne."
Hyoga deglutì.
"Però, sai come essere convincente."
"Lo so."
Il valzer che stavano ballando scemò in favore di un pezzo più moderno: il piccolo ensemble attaccò un motivetto diverso dai valzer che aveva suonato tutta la sera, e Mei corrugò la fronte quando si accorse che una di loro si era distaccata dal gruppo pronta a cantare.
"Credo sia arrivato il mio turno." esordì Camus, interrompendoli.
"Oh, ma certo." Hyoga sorrise, facendosi da parte e lasciandogli il posto.
"Salve. Mi stavo appunto chiedendo quando ti saresti fatto avanti." scherzò Mei. "Sai, dopo quel pallone gonfiato di Julian Solo, Milo e altri sei temerari prima di Hyoga, cominciavo a sentire la tua mancanza."
"Bene. Perché da adesso fino alla fine della serata non ti lascerò più ballare con nessun altro." disse Camus.
"Per correttezza, così come ho fatto con Hyoga e con gli altri galantuomini che fin'ora hanno avuto il coraggio di ballare con me, ti avviso che non sono capace." disse Mei. "E che, molto probabilmente, nei prossimi giorni avrai lividi grandi quanto l'Asia intera sul dorso dei piedi."
"E' per questo che, contravvenendo all'etichetta, ho chiesto a Saori il permesso di far suonare dei lenti prima dell'ultimo ballo." la informò Camus. "Potevo mica correre il rischio di trovarmi i piedi schiacciati sotto un paio di plateau da cinque centimetri: per quanto negati, almeno un lento siamo capaci a ballarlo, no?"
"Sì, credo di sì." sorrise Mei. A parte qualcuno rimasto seduto poiché senza accompagnatore, quasi tutte le coppie in sala stavano ballando il lento; intravide Shiryu e Shunrei e non riuscì a trattenere un sorriso. Per quanto fosse arrogante e insopportabile come fratello, come fidanzato era tenero: sperò vivamente potesse anche essere un buon padre.
Quella serata aveva un non-sapeva-cosa di surreale. Scosse la testa, sorridendo.
"Hai mai sentito parlare del jítǐ hūnlǐ, cioè il rito dei matrimoni di gruppo?" domandò, di punto in bianco.
"No."
"Beh, un'agenzia di wedding planner organizza il matrimonio di un certo numero di coppie scegliendo luoghi tipici e spazi ampi per celebrare questi matrimoni di gruppo, dove una volta gli sposi si vestivano con gli abiti tradizionali, mentre ora si vestono all'occidentale. Ecco… io sono vestita di bianco, tu di nero, le coppie che ci circondano sono anch'esse in bianco e nero… sembra un grande matrimonio di gruppo. Se Shion si fosse presentato vestito della tradizionale palandrana da Grande Sacerdote, avremmo avuto anche l'officiante, adesso." ridacchiò Mei. "Ma non è un genere di matrimonio che fa per me: io sogno un matrimonio tradizionale, con l'hanfu rosso. Al Goro-Ho, magari, dove c'è l'usanza di legare le mani dei due sposi con un drappo porpora e la sposa offre una tazza di tè zuccherato allo sposo augurando a entrambi un futuro senza asperità. Le tradizioni da seguire sono tante, ma quando e se verrà il momento, mi piacerebbe poterle seguire così come ha fatto mia nonna, sua madre prima di lei e così via. Anche mia madre, pur non essendo cinese, le seguì per amore di mio padre."
"E io farò lo stesso per te. Ma avrò un sacco di cose da imparare, per allora." rispose Camus.
"Sì, ma forse tu preferisci una cerimonia più occidentale, in municipio, ad esempio."
Camus smise di ballare e discretamente l'accompagnò fuori dalla grande sala, su un piccolo terrazzo che si affacciava sui giardini all'italiana.
"In municipio ci andremo comunque, per firmare gli atti. Nel frattempo, prima di allora e prima della cerimonia che ti piacerebbe avere, c'è un'altra cosa che vorrei fare. Tu mi ami, dico bene?"
Mei inarcò un sopracciglio.
"Che razza di domanda è? Conosci già bene la risposta."
"Io ti amo, no?"
"Sì…?"
"Abbiamo una bellissima bambina e… se Athena, Kwan Yin o l'Imperatore di non-ricordo-cosa vorranno, ne avremo altri."
Mei avvertì il cuore accelerare.
"…sì." sussurrò.
Lasciò che il contenuto del sacchettino che aveva tenuto in tasca tutta la sera gli scivolasse nel palmo, prima di prenderle la mano sinistra.
"Vuoi sposarmi…" le chiese, infilandoglielo al dito.
"Oddèi, Cam…" disse, il cuore impazzito nel petto. "…sì…!"
"…stasera?"
Lo fissò incredula.
"Cosa?"
"Sposiamoci adesso."
"Intendi proprio questa sera? Sei serio?"
"Sì. Stasera, subito. Chiamiamo Dohko e gli chiediamo se può benedire la nostra unione unendoci spiritualmente con il Legame delle Anime."
Mei sgranò gli occhi.
"Chi ti ha raccontato di questa pratica?"
Al Goro-Ho, al matrimonio già di per sé ricchissimo di tradizioni e usi, col trascorrere dei secoli s'erano aggiunte anche diverse altre usanze, -frutto forse di contaminazioni straniere-. Una di queste consisteva nel curare la parte spirituale del matrimonio in una cerimonia separata dal resto: questa sorta di legame si officiava a cospetto degli Avi, con lo scopo di legare le anime dei due sposi in un vincolo che sarebbe durato anche nell'aldilà, dopo la morte fisica. E proprio per questo, proprio perché non era finché morte non ci separi ma sarebbe durato davvero per sempre, non c'era promessa più sacra.
"Shunrei mi accennò qualcosa, tempo fa."
Mei si domandò quanto Shunrei avesse narrato di quell'usanza: probabilmente sapeva che, come si usava nella cerimonia vera e propria, ci si legava l'un l'altra con un nastro rosso annodato ai fianchi di entrambi gli sposi, sapeva che l'officiante avrebbe legato le loro mani… ma gli aveva raccontato tutto?
"La profonda sacralità di questo atto è dovuto principalmente a un giuramento solenne preso di fronte agli Antenati e agli Dèi." spiegò Mei. "Un giuramento fatto col sangue."
Camus corrugò la fronte.
"Santi numi, niente di così tragico e soprattutto nulla di maligno: prima che le mani vengano legate, i due sposi si fanno un piccolo taglietto sul palmo della mano. Alla fine sarà un fastidio momentaneo, come per gli esami della glicemia."
Dopo qualche istante, Camus sorrise.
"Direi che reggo bene la vista del sangue."
"Sei davvero disposto a sopportarmi per l'eternità? Coraggioso."
"E tu?"
"Continui a fare domande delle quali conosci le risposte." ribatté Mei. "Devo però avvertirti che il Legame delle Anime non avrà alcun valore legale."
"Avrà valore per noi, ed è questo che conta."
"Per noi, per gli Antenati e per gli Dèi." spiegò Mei. "Ed è un vincolo che non potrà essere spezzato per nessuna ragione al mondo. Per me ha un valore… inspiegabile a parole."
"Allora cosa stiamo aspettando?" insistè Camus. "Facciamolo."
Sopraffatta da un'emozione incredibile e con le lacrime agli occhi, Mei gli prese la mano destra e ne baciò il palmo, quindi lo guardò dritto negli occhi.
"Facciamolo."
Ebbe bisogno di qualche secondo per asciugarsi gli occhi senza sciupare il trucco.
"Ci sarà bisogno di due testimoni; di solito i parenti più intimi… genitori, fratelli… ma i primi mancano e… l'unico fratello che ho non capirebbe la nostra scelta. E' un'usanza taoista e Shiryu ha abbracciato un'altra filosofia di vita già da tempo."
Camus annuì.
"Mi dispiace."
"Anche a me, ma preferisco non coinvolgerlo."
"Se dovessi cambiare idea lo capirei."
"Non cambierò mai idea su di noi." Mei gli accarezzò una guancia. "Ricordi che cosa ti dissi quella sera, in spiaggia?"
Se avessi avuto la possibilità di decidere della mia vita, avrei scelto te, avrei scelto l'undicesima casa!
"Sì." mormorò Camus, in risposta.
"Non erano parole dette a vanvera. Non ho avuto e non avrò mai altra scelta: io sceglierei sempre te. Ti ho scelto in questa vita e ti sceglierò nelle prossime diecimila. Ti sceglierei adesso, ora, nonostante tutti i dolori, gli sbagli, i pianti. Sceglierei te perchè quando mi guardi mi fai perdere ogni certezza e mi fai tremare il petto. Ti sceglierei per tutti i tuoi sorrisi silenziosi, per tutte le volte che amandomi mi fai sentire viva o quando ti addormenti con gli occhi stanchi crollando sui libri che leggi a Lixue. Ti sceglierei per ogni volta che apri le braccia e mi fai sentire a casa. Tu sei e resterai sempre la gioia della mia vita." sussurrò Mei. "Nǐ shì wǒ de shēngmìng. Méiyǒu nǐ, wǒ wúfǎ shēngcún." Sei la mia vita. Senza di te, non posso sopravvivere.

Rientrarono in sala: Milo e Shaina stavano ancora ballando sulle note di un altro lento, e mentre Mei si affrettava a chiamare Dohko, lui richiamò l'amico con un cenno.
"Questa canzone è la mia preferita, spero tu abbia un ottimo motivo per averci interrotti." scherzò Shaina.
Camus si schiarì la voce.
"Mi scuso per averlo fatto." le rispose, serio. "Ragazzi, avrei bisogno di un favore da voi."
Milo avvertì il suo tono serio e perse il sorriso.
"Tutto bene?"
"Sì. Dovreste seguirci." rispose, mentre Dohko e Mei arrivavano.
Milo sgranò gli occhi, intravedendo un bagliore sulla mano sinistra dell'amica.
"Perdiana, è quello che penso io?" sussurrò, ricevendo in risposta un sorriso radioso.
"Abbiamo bisogno di voi." spiegò quindi Camus.
"…adesso?"
"Adesso."
"Manca una persona, lui non può certo restare qui." disse Mei. "Tu intanto vai a prendere Lixue."
"Chi?"
"Hyoga, ovviamente."
"Mei, Camus… tutto ciò in sé sarebbe molto bello, ma a dire il vero ci sarebbe bisogno di un parente." li fermò Dohko a bassa voce. "Mei, tuo fratello…"
"Shiryu non capirebbe e comunque cercherebbe di metterci i bastoni tra le ruote. Mi assumerò qualunque rischio, se la sua esclusione ne comporterà qualcuno."
"No, beh… il solo rischio è che si arrabbi per essere stato escluso." capitolò Dohko, di fronte a tanta determinazione.
"Comunque c'è Lixue. Più parente di così…" disse Mei.
"Io ho Milo." interloquì Camus, mentre Dohko e l'interessato si voltavano quasi in simultanea a guardarlo. "Sai che ti considero mio fratello. Non c'è nessun altro che vorrei accanto a me per una cosa di grande importanza come questa."
"Mi rendi un grande onore." mormorò Milo, commosso.
Dohko li precedette fuori dalla sala.
"Avanti, allora. Forse riusciremo a tornare prima della fine della festa."
 
***
 
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo modificato in data 11 novembre 2014)
 
-Kwan Yin e L'Imperatore di Giada: per i taoisti la prima è la dea della misericordia, protettrice delle donne, dei bambini e delle donne che desiderano avere figli, ha una personalità che può vagamente ricordare quella della Madonna cristiana. Il secondo, figlio del sole e della luna e quindi dell'unione di Yin e Yang, è il sovrano del paradiso della mitologia cinese e una delle maggiori divinità del pantheon della religione taoista.
 
-L'inchino eseguito da Mei nella stanza degli Antenati è praticato in prevalenza dagli aikidoka e si tratta dello zarei.
 
-Nanjing: Nanchino.
 
-Lady Cocca: la dama di compagnia di Lady Marian nel film Disney Robin Hood.
 
-Tiropita: è una specie di torta di pasta fillo e formaggio tipica della tradizione greca.
 
-La Disney e la questione Marvel e Star Wars: dunque, la fic è ambientata a cavallo tra i due avvenimenti. Il franchise Star Wars, ad esempio, ancora non era proprietà Disney a differenza della Marvel.
 
-Rémy Martin, Camus e Courvoisier: tre marche di Cognac.
 
-Castello Himeji e Schönbrunn: il primo è uno stupendo castello in stile puramente giapponese dell'epoca Sengoku. Il secondo fu la residenza degli imperatori d'Austria.
 
-Vestire viola a teatro e rosso ai matrimoni: secondo santa Wikipedia, durante i quaranta giorni quaresimali, nel Medioevo furono vietati tutti i tipi di rappresentazioni teatrali e di spettacoli pubblici che si tenevano per le vie o le piazze delle città. Questo comportò notevoli disagi economici per gli attori e per tutti coloro che vivevano di solo teatro. Non potendo lavorare, infatti, le compagnie teatrali non avevano guadagni e di conseguenza anche procurarsi il pane quotidiano era ardua impresa: per questo motivo in teatro e in televisione abiti e oggetti di colore viola sono tuttora considerati di cattivo augurio e, nei limiti del possibile, accuratamente evitati. È uso che anche gli spettatori, più o meno partecipi della superstizione, evitino di indossarlo.
Il rosso ai matrimoni, secondo alcuni manuali di galateo in mio possesso, è da evitare in quanto potrebbe distogliere troppo l'attenzione dalla sposa, vera protagonista della giornata.
 
-Il Legame delle Anime e il piccolo patto di sangue durante la cerimonia… dunque. Il patto di sangue mi è stato ispirato dal romanzo della Gabaldon, ergo non ha alcun riferimento di natura maligna, per carità. D:
Mi è sembrata una cosa romantica e parecchio profonda, qualcosa che, riguardando la puntata di Outlander, ho deciso di inserire in un contesto che, per le credenze di Mei è già parecchio profondo. Per quanto riguarda il legame delle anime è una cosa da me totalmente inventata sulla base di una particolare scena del film 47 Ronin, ovvero la scena nella quale Kai giura solennemente a Mika che non importa che cosa può o non può succedere nella vita che stanno vivendo (nella quale non possono stare insieme), lui continuerà a cercarla "attraverso mille mondi e diecimila vite". Ecco. La mia intenzione è quella di legare Mei e Camus e le loro anime in un legame che vivrà oltre la morte fisica.
Oh dio, ditemi che avete capito che cosa intendo dire, il mio discorso non poteva essere più articolato di così. D: D:
 
-Sempre ispirato a 47 Ronin è il sottotitolo del capitolo e una frase del discorso di Mei (riadattato da una nota su Tumblr): la frase in originale, tradotta con "…nessuno, a parte te e me deve sapere che sei, e rimarrai sempre la gioia della mia vita" è una stupenda dimostrazione d'amore che Kuranosuke fa nei confronti di Riku, sua moglie. Il film è meraviglioso, ve lo consiglio.
Comunque, grazie per il sostegno, sempre apprezzato. Alla prossima!


Lady Aquaria
 

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Capitolo 18
*** Enough is enough. ***


Capitolo 18 rivisto
18.
Enough is enough.
[Amare qualcuno non è solo un forte sentimento. È una scelta, una promessa, un impegno.]
Erich Fromm
 
If you've reached the end,
don't pretend that is right when it's over,
If you've had enough,
don't put up with his stuff,
don't you do it.
[No more tears - B.Streisand & Donna Summer]
 
Primi giorni di novembre, Parigi.
Camus si accorse di avere i pensieri rivolti altrove dopo aver riletto per la quinta volta la stessa riga; salvò il lavoro sulla pendrive e chiuse il volume che stava traducendo, quindi aprì internet e il motore di ricerca e iniziò a cercare le risposte a quei dubbi che l'assillavano da settimane.
Almeno finché l'icona di Skype non s'illuminò di colpo, seguita dal trillare tipico di una chiamata e del volto di Milo nel riquadro in alto a destra dello schermo.
"Yasas, Milo."
"Ti disturbo? Stavi lavorando?"
"Sì, ma ho smesso poco fa, non riesco a concentrarmi su niente." rispose Camus, premendosi due dita alla radice del naso. "Sto allegramente perdendo tempo su internet."
"Allora dopo mi raccomando, cancella la cronologia o Mei vedrà i collegamenti a youporn."
Camus inarcò un sopracciglio, riuscendo a gelarlo con lo sguardo anche attraverso la webcam.
"Diversamente da te, amico mio, non ho bisogno di youporn e del fai-da-te-, la mia vita di coppia mi soddisfa pienamente." ribatté. Si raddrizzò sulla poltrona e tornò alla ricerca. "Mi soddisfa così tanto che credo di essere entrato in una certa fase."
"Cos'è, funziona come un videogioco? In tal caso dammi i codici segreti così da evitare il problema."
"Una soluzione per te ce l'ho. Astieniti dal fare sesso e vedrai che non correrai alcun rischio." rispose Camus.
"Spiritoso. Posso astenermi da tutto, ma non da quello."
"E allora quella fase mettila sempre in conto, il preservativo si può sempre rompere e la pillola può sempre essere rigettata prima che faccia effetto. Mai dire mai."
"A voi è successo questo?"
"No. Se c'è, l'abbiamo cercata. Vogliamo entrambi un altro bambino."

"Non mi dire… Mei è incinta?" tirò a indovinare Milo.
"Non lo so con certezza, ma lo sospetto. Più tardi andrò a parlare con mia cognata, sicuramente ne saprà di più rispetto a certi siti internet."
"Ah, ovviamente."
"Alcuni si contraddicono tra loro o scrivono assurdità, non so a chi credere. Senti qua: i sintomi qui elencati possono presentarsi in situazioni che variano di caso in caso e da donna a donna, così come possono essere del tutto assenti o presentarsi solo alcuni di questi. Molte donne avvertono i primi sintomi già a quindici giorni dal concepimento, altre a partire dal terzo mese…" Camus smise di leggere preferendo saltare tutta la parte anatomica relativa al concepimento e all'impianto della gravidanza, iniziando a leggere tutta la sintomatologia con attenzione. "I primissimi sono quelli relativi al seno, che aumenta e diventa sensibile, segue la stanchezza, la sensibilità agli odori e la nausea, anche di fronte a cibi che di solito sono apprezzati e consumati, fino ad arrivare al poco appetito… Mei mangia come un bue. Direi che quest'ultimo proprio non è il suo caso. Poi, vediamo… mal di testa, vertigini, cambiamenti d'umore, crisi di pianto, malinconia, depressione… oh, andiamo bene."
I primi dubbi erano sorti qualche tempo prima, durante una noiosissima sessione di shopping per Parigi durante la quale lui e Hyoga erano stati costretti a partecipare in qualità di facchini: costretti dalle circostanze a chiedere una pausa tra un negozio e l'altro, si erano fermati a un cafè dove Mei, di solito caffeinomane all'ultimo stadio, quasi aveva dato di stomaco al lieve sentore di caffè del locale. Indizio di poco conto, sulle prime: ma nella piccola schermaglia che era seguita, erano arrivati altri indizi.
"Mei, qui c'era qualcosa." le aveva detto, indicando il dolce nel piatto.
"Dove? Cosa?"
"La mela. Proprio al centro della fetta."
"Oh. Quella cosina caramellosa? Buona!"
"…aspettati una punizione esemplare." aveva scherzato, prima di attirarla a sé. Nel farlo, si ricordò, le aveva inavvertitamente toccato il seno e Mei era scattata come una molla sulla sedia.
"Sai, mi stai togliendo la voglia di avere figli." commentò Milo, dall'altra parte della webcam. "Già non so se ho davvero voglia di diventare padre, figurati."
"Smettila, saresti un bravo papà."
"E tu che ne sai?"
"Sei divertente, li faresti giocare e... ridere."
"In poche parole mi stai dicendo che più che un padre, sarei un buffone."
Camus levò gli occhi al cielo.
"Stupido. Vorrei farti notare, inoltre, che non saresti tu a doverli portare in grembo."
"Ringraziando il cielo, Cam, ho come l'impressione che morirei dal dolore alla prima contrazione."
"No, tu moriresti al concepimento, il che è diverso."
"Morire no, ma diciamo che il modo in cui dovrei concepire mi preoccuperebbe non poco." obiettò Milo.
Camus scoppiò a ridere.
"Sarà meglio che vada, altrimenti si fa troppo tardi e non ho alcuna intenzione di dover sopportare altre lamentele del mio simpatico cognatino." spiegò, dando un'occhiata all'orologio.
"Perché non lo porti alla quarta casa? Death sarebbe più che felice di occuparsene." scherzò Milo.
"E obbligare DeathMask a sopportare la sua parlantina da saccente in casa tutto il giorno, tutti i giorni? Suvvia, non sono così crudele." replicò Camus, sistemando ordinatamente i fogli e gli appunti sulla scrivania. "Ci sentiamo, dai."
Si salutarono e Camus chiuse Skype, avviò un programmino per pulire il disco fisso dai file spazzatura e spense il portatile; Shunrei stava riassettando casa quando lo vide comparire nella cucina della pagoda.
"Ciao! Qual buon vento?" l'accolse, sorridendo.
"Ciao, Shunrei. So che è tardi, ma ho bisogno di chiederti qualcosa a proposito di Mei."
 
La giornata di lavoro, finalmente, era finita.
Mei amava il suo lavoro, eppure da giorni provava una stanchezza a dir poco insolita per chi, come lei, era abituata a lavorare sodo e non avvertirne neanche un cenno. Uscì dallo spogliatoio infilandosi il borsone a tracolla e passò il badge sotto il lettore ottico.
"A domani signorina ShuFang."
"A domani, Genji." rispose Mei, sorridendo alla ragazza in reception. Ancora qualche passo prima di raggiungere il portone, e si trovò costretta ad appoggiarsi al muro, con la nausea e la stanza che le ruotava intorno impazzita. "Oddèi… fermate la stanza…"
Genji oltrepassò il bancone e la soccorse.
"Si sieda qui, ora chiamo subito un'ambulanza."
"Per un giramento di testa, non è il caso." disse Mei, sedendosi sulla poltroncina più vicina.
"Mei!" arrivò Sheng, dalla sala attigua. "Mei, cos'è successo?"
"Un capogiro, ma è passato." disse Mei, tentando di rialzarsi senza alcun successo, vedendo tutto nero davanti agli occhi.
"Mei… preferisco portarti in ospedale… forse hai fatto troppi sforzi?"
Mei sorrise.
"Sheng, sono una judoka… credo sia normale fare sforzi, no? Credo semplicemente di essere incinta."
"Sarei più tranquillo se ti facessi visitare."
"No, davvero. Preferisco andare a casa, Sheng, grazie. Domani consulterò il mio ginecologo."
"Posso accompagnarti a casa, allora?"
"No, non ce n'è bisogno, davvero. Devo passare a prendere mia figlia. Posso avere un po’ d'acqua?" chiese, mentre la vista le tornava lentamente a posto.
Cinque minuti dopo, quand'era certa di essere in condizioni di poter guidare, si alzò e si avviò all'auto, impaziente di raggiungere casa quanto prima, colta da un'ondata di nausea.
"Credo proprio sia arrivato il momento di fare un'ecografia." biascicò, rivolta al suo riflesso nello specchio.
A maggior ragione se il test di gravidanza era positivo.
"Parlavi con me, mamma?" Lixue entrò nel bagno dei genitori e trovò la madre piegata in due sul water. "Mamma?!"
Mei tirò lo sciacquone e afferrò un asciugamano.
"Non è niente di grave, non preoccuparti. Adesso mi farò una doccia e passerà tutto." le rispose. "Spero. Torna a fare i compiti tesoro, se ho bisogno ti chiamo, sì?"
Lixue annuì, quindi tornò nella sua stanza.
 
"In effetti Mei ha sofferto quei disturbi quando era incinta." ricordò Shunrei. "Appetito superiore al normale, parecchia nausea nei momenti meno opportuni, sonnolenza e stanchezza generalizzata, giramenti di testa e poi sporadici episodi di… come definirli… fame d'aria com'è successo a Tokyo."
"Quindi se il mio istinto non sbaglia e se non ho calcolato male, doveva già essere incinta, alla festa."
Shunrei annuì.
"Da almeno quindici giorni." rispose. "Molte donne iniziano ad avvertire disturbi già durante le prime tre settimane."
Perciò dovevano aver concepito il bambino all'isba.
"Però a parte questi pochi sintomi la gravidanza di Lixue è stata piuttosto tranquilla." riprese Shunrei. "Nessuna crisi di pianto o depressione. Per quello puoi star tranquillo, non ti darà noie di questo genere."
"Anche perché ha già pianto abbastanza lacrime per un idiota come te." commentò Shiryu, in cinese. Tornò al greco. "Vi siete rimessi insieme da quanto? Quattro mesi o poco più? Noto che non avete perso tempo…"
"Non ci siamo mai lasciati."
"Fatti gli affari tuoi." lo ammonì Shunrei.
"Con tutto il rispetto che non meriteresti ma che da persona educata quale sono continuo a concederti, Shiryu" Camus si alzò in piedi "…faresti meglio a seguire il consiglio di Shunrei: niente di ciò che io e Mei facciamo ti riguarda. Da quel che vedo non mi risulta che voi due nell'intimità della vostra camera da letto, giochiate a carte. Perciò tieni per te le tue constatazioni fuori luogo."
Shiryu inarcò un sopracciglio.
"Fino a prova contraria questa è casa mia, e dico quel che voglio per proteggere mia sorella."
Camus rise, d'una risata colma di rancore.
"Il tuo concetto di protezione presenta diverse falle."
"Pensa come vuoi, il mio primo interesse è sempre stata la sicurezza di mia sorella."
"Ed è stato per proteggerla che le parlasti di aborto quando era incinta di mia figlia?" sibilò. "Mia. Figlia." ripeté. "Tua nipote, quella stessa bambina che ti vuole bene e che ti chiama zio. Quella stessa bambina che non sa che quello zio ha cercato di impedire la sua nascita. E' una bambina straordinaria e tu non meriti il suo affetto! Stento a credere che mia moglie abbia un fratello così stronzo!"
"Intanto non è ancora tua moglie." precisò Shiryu.
Pur consapevole che così facendo sarebbe sceso al suo stesso livello infantile, Camus sollevò la mano, mostrandogli la cicatrice sul palmo, silente testimone, insieme alla fede d'oro, della piccola e veloce cerimonia nella quale Dohko li aveva simbolicamente uniti in matrimonio in presenza di Shaina e Milo. Mei l'avrebbe rimproverato non poco per averlo detto a Shiryu, ma quello era un problema al quale avrebbe pensato più tardi.
"Aggiornati, hai perso un episodio." rispose, gelido.
"Quella cosa non ha valore legale."
"Neanche i documenti in municipio? Io credo proprio di sì."
"Fantastico." commentò Shiryu, piatto. "Io dico solo che Mei…"
"…che Mei cosa? Che si meriterebbe chiunque tranne me?"
"L'hai detto tu." specificò Shiryu.
"Shiryu, adesso basta." intervenne Shunrei. "Basta! Mei ha scelto la sua vita e sei pregato di rispettare la sua scelta! Ha scelto Camus? Bene, l'unica cosa che devi fare è essere felice per lei e basta!"
"E lasciarla con un… essere capace di abbandonare una donna incinta? Mei s'è ritrovata incinta e sola da un giorno all'altro per colpa sua." sibilò Shiryu.
"Non avevo idea che fosse incinta quando l'ho lasciata! Non è a te che devo spiegare i motivi della mia scelta, solo Mei sa, e solo lei può giudicarmi, tu no. Non sei tanto diverso da me, anche tu hai lasciato la tua donna al suo destino, e per il mio stesso motivo." aggiunse Camus. rimettendo la sedia a posto. "Grazie per l'aiuto, Shunrei."
 
*
 
Tornato a casa, si vide costretto ad appoggiarsi al muro, mentre l'adrenalina che aveva accumulato poco prima andava esaurendosi con lentezza esasperante.
Concentrati. Respira e concentrati, non è difficile. Devi solo calmarti.
Calmarsi, come se fosse facile.
"Papà?"
Calmati, calmati, calmati. Respirò a fondo e si discostò dal muro, scoprendo di avervi lasciato un velo di ghiaccio.
"Oh, fantastico." blaterò.  Non era da lui perdere il lume della ragione, ma diamine, quel ragazzo riusciva dove anni d'allenamento prima e anni d'insegnamento dopo, con due allievi a tratti discoli come tutti i bambini, non erano mai arrivati; quell'insolita e ringraziando Athena, rara manifestazione incontrollata dei suoi poteri era segno che Shiryu possedeva la dannata capacità di farlo uscire dai gangheri, e non era affatto un bene.
"Bàba?"
"Sono io, tesoro. Arrivo subito." rispose, cercando un modo per porre rimedio a quel che aveva combinato.
Sì, porre rimedio.
Quella casa sarebbe potuta crollare sotto i loro piedi, polverizzarsi, ma quel pezzo di muro e la sua dannatissima crosta di ghiaccio sarebbero rimaste intatte.
Sentì i passi di sua figlia dirigersi verso il salotto e decise che a quel disastro avrebbe pensato con calma, più tardi, insieme a Hyoga.
"Li?" chiamò, in corridoio.
"Papà! Sono qui!" Lixue tornò di corsa dalla sua stanza e l'abbracciò, affondando il viso nel suo addome, le braccia a circondargli i fianchi. "Ciao!"
Camus posò la giacca sullo schienale di una sedia e ricambiò l'abbraccio della figlia, prendendola in braccio.
Ed è stato per proteggerla che le parlasti di aborto quando era incinta di mia figlia?
Per quanto capace di farlo uscire di senno, Shiryu non aveva mai avuto un particolare ascendente su Mei, di nessun genere, ringraziando Athena: se solo Mei fosse stata una ragazza meno forte, se solo gli avesse dato ascolto, ora non avrebbe avuto nulla di quanto guadagnato come ricompensa per un'infanzia e un'adolescenza non proprio normali. Se Mei non avesse lottato, ma avesse ascoltato Shiryu, la bambina che in quel momento stringeva tra le braccia e che ogni giorno da quando era venuta al mondo amava con un'intensità inspiegabile a parole, non ci sarebbe stata.
Al solo pensiero gli salirono le lacrime agli occhi senza che potesse trattenerle in alcun modo; s'impose di non perdere il controllo come poco prima, però, altrimenti avrebbe spaventato o peggio, fatto del male a sua figlia.
"La mia bambina." mormorò, stringendola a sé e accarezzandole la testa. "La mia adorata bambina."
"Cosa c'è papà?" chiese Lixue.
"Niente. Mi hai abbracciato, e sono felice."
"Papà, sono piccola ma non sono stupida. Non stai bene. Ti batte forte il cuore."
"Je le sais, mais je vais bien, ne t'inquiète pas." Lo so, ma sto bene, non preoccuparti.
Lixue si scostò dal padre, gli prese il viso tra le mani e lo guardò, il visetto serio mentre gli asciugava le lacrime con i polpastrelli: proprio come sua madre, le bastava pochissimo per capire quando qualcosa non andava per il verso giusto.
"Wǒ ài nǐ, bàba." Ti voglio bene, papà.
"Wǒ yěshì, qīn'ài de. Nǎlǐ shì māmā?" Anche io, tesoro. Dov'è mamma?
"In bagno, si sta lavando." rispose Lixue. "Oggi non stava bene."
"Ah, ora ci penso io alla mamma. Stavi facendo i compiti?"
"Sì… quelli di matematica." rispose, con poco entusiasmo.
"Molto bene. Continua a farli, tesoro, più tardi verrò a darci un'occhiata e vedremo insieme come migliorarli." propose Camus. La riaccompagnò nella sua stanza e si avviò al bagno padronale, dove Mei, in vestaglia, stava spazzolandosi i capelli umidi mentre canticchiava a bassa voce paradise city.
"Take me down to the paradise city, where the grass is green and the boys are pretty, take me home, yeah!"
"Sono quasi sicuro che Axl cantasse: where the grass is green and the girls are pretty…" esordì, fermandosi sulla porta.
"Ciao!!" gli sorrise Mei, intravedendolo dallo specchio. Posò la spazzola e si alzò. "Dov'eri finito? Ti cerco da quando sono... scusa!"
Camus stava per abbracciarla, quando Mei gli sgusciò via dalle mani correndo in bagno; la sentì dare di stomaco poco dopo e storse il naso, seguendola e tenendole i capelli lontano dal viso.
"Messaggio recepito: non ti piace il mio nuovo dopobarba al sandalo." scherzò, guadagnandosi un'occhiataccia in tralice prima di una nuova ondata.
"Fa schifo."
"Milo mi ha rifilato la boccetta nuova, dice che Shaina gli ha dato un ultimatum: o lui, o il dopobarba."
"Chiediti il perché." commentò Mei, afferrando l'asciugamani usato prima e asciugandosi la bocca. "Dèi del cielo, mio padre adorava il vecchio profumo Opium eppure non mi ha mai fatto schifo quanto il sandalo."
"Non lo userò più, promesso."
L'aiutò a rialzarsi, tirò lo sciacquone e tornarono in camera.
"Ho una fame che mangerei tutto il contenuto del frigo." si lamentò Mei. "Ehi! Tutto bene?"
Come aveva fatto con Lixue, Camus la strinse a sè; ma a differenza di pochi minuti prima, non riuscì a tenere a bada quanto provava dopo l'accesa discussione con Shiryu: dopo poco, Mei iniziò a sentire parecchio freddo, proprio da lui.
"Oddio, scusa." bisbigliò Camus, la voce tremula, scostandola da sé di scatto ma tenendo ben salde le mani sulle sue braccia. "Scusami."
"Cam, tutto bene?" gli domandò, iniziando a preoccuparsi.
"No." ammise Camus, dopo qualche istante. Appoggiò la testa sulla spalla di Mei, sentendo il cuore accelerare ancora. "Non sto bene per niente."
"Eh, me ne sono accorta… non controlli i tuoi poteri." rispose Mei. "Che cos'è successo?"
"Ma niente, stai tranquilla."
Gli posò una mano sul petto e quasi sbiancò.
"Tesoro, il cuore ti batte fortissimo! Cam! Ti porto in ospedale."
"NO!"
"No?"
"Sono solo molto agitato." tentò di spiegare Camus.
L'obbligò a sedersi e si accovacciò di fronte a lui, accorgendosi che oltre alle palpitazioni, stava anche sudando freddo.
"Chiamo il medico." decise Mei.
"Accidenti se sei testona." disse, togliendole il telefono di mano. "E' solo stress, adesso passa."
"Non parlarmi come se fossi una bambina. Mi spieghi che cosa è successo? Mi stai agitando e in questo momento non mi fa bene, sai?" d'un tratto, improvvisamente, comprese tutto. Shiryu. "Portami in Cina. Subito."
"Lascia perdere dai, non è il caso."
"Camus, quale parte di subito non ti è chiara?"
 
*
 
"Mei? Come mai a quest'ora? E' successo qualcosa?" le sorrise Shiryu, prima di beccarsi un sonoro ceffone che gli fece voltare la faccia.
"Mei!" esclamò Shunrei.
"Ma…? Che diamine, ti ha dato di volta il cervello?"
"Hai oltrepassato ogni limite, ora basta. Non voglio più ripetermi, basta!" disse Mei, la voce che iniziava a incrinarsi e la mano che le doleva oltre ogni limite.
Shiryu guardò Camus.
"Era proprio necessario che sapesse del nostro scambio d'opinioni?"
Scambio d'opinioni? Trattarlo in quel modo –da anni- e minimizzare il loro legame era diventato uno scambio d'opinioni?
"Sono io che ti parlo, Shiryu, non guardare lui. Ho insistito io per farmi portare qui e per farmi confessare tutto, lui nemmeno voleva." gli disse Mei, afferrandogli il mento con poca grazia e voltandolo verso di sé. "Non voglio più discutere con te di questa faccenda, perciò fa' che sia l'ultima volta che ne parliamo. E intendo davvero l'ultima."
"Non voglio discutere davanti alla bambina." disse Shiryu.
"Lixue è rimasta a casa." interloquì Camus. Aveva preferito lasciarla con Hyoga e Freya, in previsione di eventuali liti e, come sempre, il suo istinto non si era sbagliato.
"Porta le tue chiappe fuori da qui." sibilò Mei di punto in bianco.
"Mei, non è necessario che…" intervenne Camus.
"No." replicò lei, alzando la mano a mo' d'ammonimento.
"Okay, c'est bon. Ne te fâche pas." Okay, va bene, non arrabbiarti.
"Sono già arrabbiata." precisò Mei. Sospinse Shiryu fuori, in giardino. "E tu? Sei ancora qui, eh? Cammina! Sono stanca delle tue stronzate!"
Doveva vedersela da sola, senza l'intervento di nessuno.
"Mei, sei in vestaglia, scalza e con i capelli umidi. Rientriamo, prima che ti venga un accidente, su." disse Shiryu.
"L'accidente te lo faccio venire io." ribatté Mei.
Camus sospirò.
"Ha capito tutto da sola, come sempre." disse a mò di spiegazione. "Non volevo neanche venire qui a fare… questo."
"Lo so, Mei è fatta così, non puoi cambiarla. Ad ogni modo, se è davvero incinta come crediamo, questa rabbia non le fa affatto bene: quando aspettava Lixue e Shiryu le disse di abortire, era così furibonda che il medico del pronto soccorso le somministrò un calmante e la tenne in osservazione tutta la notte." disse Shunrei. "Non avevo mai visto il Maestro così arrabbiato verso Shiryu."
Camus sospirò.
Spera di non vedere mai me arrabbiato nei confronti di Shiryu.
"Ho provato, davvero, a fare in modo che non litigassero, sperare che non succedesse niente di così grave tra di loro da provocare una spaccatura irreparabile. So che cosa vuol dire crescere da solo senza fratelli e per questo volevo evitare ogni discussione."
"Vorresti davvero evitare ogni discussione tra quei due? Beh, tanti auguri allora." esclamò Shunrei. "Vieni, lasciali discutere… tanto c'è ben poco da fare."
Lo scortò in cucina e gli versò una tazza di tè, dopo aver preso una scatola di latta con dei biscotti mandorle e uvetta che aveva cucinato quella mattina.
"Alla fine è incinta o no?"
"Non ne ho ancora idea, Rei, non mi ha detto niente. È più una mia sensazione, in base a tanti piccoli indizi….ma aspetto che sia lei a dirmelo, quando sarà pronta."
Shunrei sorrise, esitando un attimo prima di rispondere.
"Beh, c'è poco da fare: se non avete usato protezioni c'è un'alta probabilità che sia incinta davvero."
Camus reagì diversamente da come s'era aspettata: arrossì anziché indignarsi per la confidenza che si era presa nei suoi confronti.
"Siamo stati da soli qualche giorno mentre Lixue era via con Hyoga e fidanzata e beh… no, direi che non ne abbiamo usate… stiamo cercando di avere un altro bambino, sai."
"Camus, per me Mei è come e più di una sorella, e ci tengo a dirti che sono contenta che abbia qualcuno come te con il quale condividere la vita. Ti ho sempre considerato una brava persona, e penso che tu sia un buon padre e un buon compagno; se gli dèi decideranno di farvi mettere al mondo un altro bambino, sarò ancora più felice per voi, vi meritate la felicità che state avendo."
"Ti ringrazio, sei molto gentile." ringraziò Camus.
"Non lo dico così per dire, lo penso davvero. Non dar retta a Shiryu, è solo un cretino." disse Shunrei. "E' agitato per la faccenda del bambino in arrivo e del matrimonio da organizzare… a proposito… vedo che hai un anello. Posso vederlo?"
Camus sorrise e si sfilò la fede dall'anulare sinistro, porgendola a Shunrei.
"Che anello strano." osservò la ragazza.
"L'anello d'oro rosa simboleggia l'amore, quello giallo la fedeltà, il bianco l'amicizia." rispose Camus. "O almeno, questo è quello che ho letto su internet riguardo questi particolari anelli trilogy. Sono sicuro che è per questo motivo che sono state scelte queste particolari fedi."
"Alexandre et Joséphine – 24 juin 1984" lesse Shunrei. "Chi erano?"
"Mes parents…" rispose, di getto, ricordandosi solo dopo che Shunrei non parlava francese. "Tāmen shì wǒ de fùmǔ." aggiunse in cinese, sovrapensiero. Tornò subito al greco. "Erano le fedi dei miei genitori… quando la sera del compleanno di Lady Saori ho proposto a Mei di farci unire simbolicamente in matrimonio, ho pensato subito a queste, un modo per unire entrambe le usanze. Da noi si porta un anello all'anulare sinistro."
"Oh. Legalmente non ha valore, ma sai che da noi, secondo le nostre credenze, ha più valore il legame spirituale di questo gesto? E' indissolubile, nemmeno l'Imperatore di Giada o Buddha stesso possono infrangere un legame di questo genere."
"Ne ero ben consapevole quando gliel'ho proposto."
"Siete dunque legati per l'eternità. Bada, non è cosa da poco."
"So anche questo. E so che non vorrei nessun'altra donna al posto suo."
Sbirciò fuori dalla finestra, guardando Mei e il fratello litigare: la vedeva gesticolare, arrabbiata, mentre Shiryu, le braccia conserte, non sembrava nemmeno ascoltare la sorella.
 
"…non costringermi a escluderti dalla mia vita, Shiryu, sei mio fratello. Ti voglio bene e lo sai, ma Camus è tutto, per me."
"Tu hai già scelto, Mei!"
"Oh no, altrimenti non sarei qui, ma ti avrei già escluso dalla mia vita e da quella della mia famiglia." ribatté Mei.

"Mi escluderesti anche dalla vita di Lixue?"
"Ti ricordo che quando rimasi incinta tu volevi farmi abortire!" sbottò Mei. "E questo perché non solo era figlia di un laowai, ma perché figlia di un Gold Saint! Perché figlia di Camus! Sono certa che se a mettermi incinta fosse stato Ōko o uno dei tuoi amici Bronze o uno qualunque dei Silver, tu non avresti fiatato."

"Avevamo tredici anni all'epoca!" replicò Shiryu, scandalizzato.
"Dannazione, hai capito benissimo che cosa intendo dire. Se fosse stato Ōko, il padre? Ti saresti opposto? Oppure quel Silver, quello che credeva d'aver ucciso Seiya… Misty. Con lui non avresti fatto storie. Chiunque, purché non Camus."
Shiryu sbuffò.
"Dèi, l'avrei ucciso." le rispose.
"E perché non hai tentato di uccidere Camus?"
"Quale idiota proverebbe a uccidere un Gold Saint che può contare sull'aiuto di colleghi potenti quanto lui?"
Mei serrò i pugni, sentendo la rabbia rimontarle dentro.
"Non riusciresti neanche ad avvicinarti a Camus con certe intenzioni, figurarsi ucciderlo." sibilò.
"Hyoga c'è riuscito."
La rabbia esondò del tutto.
"Ah certo! Ha assorbito l'Aurora Execution che Camus gli aveva appena lanciato contro e gliel'ha rispedita indietro insieme al suo cosmo, sfido io! Altrimenti col cavolo l'avrebbe fatto." berciò. "Senti, ma perché cavolo sto qui a tentare di recuperare un rapporto quando è ovvio che non esiste più niente da recuperare?"
"Dèi del cielo, Mei! Hai già deciso da che lato della barricata stare, mi sembra."
"Barricata? E che cos'è, una guerra?"
"Hai scelto di escludermi, volontariamente, da una cosa come il legame delle anime, hai già deciso da che parte stare!"
"Beh, prova a darmi torto, coraggio. E non venirmi a dire che al posto mio tu avresti scelto me, perché sappiamo benissimo entrambi che avresti scelto Shunrei." rispose Mei. "Ma al contrario tuo non sono offesa, so che cosa provi per lei e ne sono felice… ma almeno, santi numi, non farmi la morale quando tu per primo non ne hai una. Per me è finita, Shiryu. Finita."
Shiryu sorrise.
"Non puoi lasciarmi! Siamo fratelli!"
"Ah, potessi recidere quel legame lo farei." replicò Mei, irata, rientrando nella pagoda. "Adesso possiamo tornare a casa."
Camus alzò lo sguardo su di lei.
"Poffo almeno finire i bifcotti? " le rispose, schermando con una mano la bocca piena mentre parlava.
Shunrei s'avvicinò svelta a Shiryu, come per controllare che stesse bene, e Mei se ne accorse: nel guardare la scena gli occhi quasi le uscirono dalle orbite.
"Oh, ma guardati. Sembri l'eroina romantica di qualche stucchevole produzione cantonese. Strano, non ti ho visto fuori sul tuo picco, a pregare per la salvezza del tuo ragazzo." le sfuggì di bocca, prima che potesse fermarsi. "Si può sapere di che cosa avevi paura, Rei?"
Shunrei guardò prima Shiryu, poi la cognata.
"I-io…"
"No, Camus, dico… hai visto? Che diavolo, volevo solo parlare, non commettere fratricidio!"
"Non dovevamo tornare a casa?" suggerì Camus.
"No, torneremo a casa quando Shunrei mi avrà risposto. Tu lo ami?" domandò quindi Mei, di punto in bianco. "Mio fratello, dico. Lo ami?"
Si conoscevano da quando avevano più o meno cinque anni, si erano innamorati e col tempo erano diventati inseparabili. Utilizzare il termine amore per descrivere il loro rapporto era un mero eufemismo: ovviamente l'amava.
"Sì." rispose Shunrei, confusa.
"Allora forse puoi comprendere l'intensità di quel che provo nei confronti di Camus. Lo stesso uomo, Shiryu, che nonostante tutta la merda che continui a gettargli addosso, stasera e in altre occasioni ha cercato in tutti i modi di mettere pace tra di noi. Non è il caso, Mei, lascia perdere perché non è successo niente di grave; non litigare con lui per me, tieni conto di tuo fratello, perché so che cosa significa crescere da solo. Sai quante volte avrei voluto venire qui a riempirti la faccia di schiaffi? Tante. E ogni maledetta volta Camus riusciva a dissuadermi, riuscendo persino a farmi sentire in colpa perché volevo difenderlo contro di te. Siamo umani, abbiamo commesso i nostri sbagli e abbiamo tanti difetti che cerchiamo di sopportare per amore dell'altro e… non siamo perfetti come le coppie dei film, ma io lo amo con la stessa intensità con la quale Shunrei ama te. Possibile che tu proprio non riesca a comprenderlo? Sei cieco fino a questo punto? Non fai altro che metterci i bastoni tra le ruote!" disse Mei, piangendo silente sulle ultime parole. "Siamo fratelli, Shiryu. Io ti voglio bene e te ne vorrò sempre… ma lui è la mia vita, e non posso rinunciarvi. Questo non è più un ultimatum, dato che sono costretta a scegliere davvero, adesso, allora sc-…"
"No."
"No? Osi ancora dirmi che cosa posso e non posso fare? Non hai capito un accidenti di quello che ho appena detto?"
"No, non sei costretta a scegliere." spiegò Shiryu. "Obbligarti a farlo mi farebbe solo star male perché so chi sceglieresti. Ma okay, va bene, in fondo ti ama ed è questo che dovrebbe importare."
Camus si schiarì la voce.

"Sia resa lode ad Athena." mormorò.
"Cos'è, ci stai prendendo in giro?" fece Mei.
"No. Sto cercando di porgervi le mie scuse."
"Questa è proprio bella." commentò Camus. "Aspetta che me la segno."
"Sono sincero."
"Ebbene, lascia che anche io sia sincero. Senza alcun rammarico ti rispondo che non ho alcuna intenzione di accettare le tue scuse." rispose Camus, incrociando le braccia sul petto. "Troppo comodo fare volontariamente del male alle persone che si giura di amare e poi pretendere di essere scusati in questo modo. No che non ti scuso. A causa tua ho rischiato di non essere padre e di non poter stare con Mei. E non ti dico dove puoi infilarti le tue scuse perché potrebbe non piacerti." vide che stava per interromperlo e lo precedette. "Prima che tu possa paragonare la mia situazione alla tua, permettimi di dirti che sì, è vero. Ho ferito Mei volontariamente con il più turpe dei peccati che potessi mai commettere: le ho salvato la vita cacciandola da un posto che si sarebbe trasformato nella sua tomba. Ho offerto a Hyoga una chance di arrivare ad Ares. Ho finto di tradire Athena e subito l'umiliazione di indossare una surplice, di essere definito infame per aiutarla nella sua lotta contro Hades e di essere quasi strozzato dal mio migliore amico. Mi sono sacrificato insieme ai miei undici compagni per liberarvi la via verso l'Elisio. E tutto per permettere a te, all'umanità e alla mia famiglia di poter vivere, per dare a mia figlia un futuro. Ho ampiamente fatto ammenda per le mie azioni." disse, tenendo a bada il fervore che sentiva ribollire dentro. "Avrei potuto comprendere il tuo astio verso di me se fossi uno di quei mariti violenti e nullafacenti che vivono della fatica delle loro mogli e le ricompensano riempiendole di lividi e di continui soggiorni in traumatologia, o se avessi usato violenza su tua sorella, prendendola contro la sua volontà e fregandomi altamente della bambina. Come vedi, non sono così. Io morirei ancora una volta per tua sorella, sarei felice di darle la mia vita se le servisse. E adesso tu pensi che per lavarti la coscienza basti una misera frase preconfezionata gettata lì per suscitare chissà quale effetto? No, mio caro. Mei può fare ciò che desidera, sicuramente non devo dirle che cosa può o non può fare, ma scordati le mie scuse."
Mei gli strinse la mano, gli occhi lucidi.
"Ti aspetto fuori, quando hai finito avvertimi."
Uscì dalla pagoda e si sedette sui gradini antistanti il piccolo patio, quindi si frugò nelle tasche alla ricerca del pacchetto di caramelle che avrebbe dovuto dare a Lixue, cercando di calmarsi.
Le sue scuse. Questa sì che era davvero bella.
"J'en ai marre de toi, guignol." sbuffò, prima di sputare con aria schifata la caramella che stava mangiando. "Dai, esistono davvero??"
Lixue si sarebbe divertita un mondo a sapere che aveva appena beccato uno dei gusti rivoltanti delle mitiche Gelatine TuttiGusti + 1 di Harry Potter che Shura aveva portato da Londra. A giudicare dal colore, doveva aver appena assaggiato quella fegato e trippa.
"La ciliegina sulla torta di questa magnifica serata." borbottò, sentendo armeggiare alla porta.
"Tutto bene qui?" domandò Shunrei.
Camus si rialzò, ingoiando quasi intera l'ennesima caramella che s'era cacciato in bocca –al cioccolato, stavolta-, e guardò la ragazza, che era appena uscita dalla pagoda; dentro, sentì Mei discutere con Shiryu a voce piuttosto alta.
"Mi dispiace sapere che ti sei sentito preso in giro, ma credo che stavolta sia davvero sincero: Shiryu raramente ammette di aver commesso errori, ma quando lo fa…"
"Shunrei, senti… ho imparato a volerti bene come avrei potuto volerne a mia sorella, se solo ne avessi avuta una. Sei una cara ragazza e Mei ti vuole un gran bene; sono felice per te e per il tuo bambino ma a parte questo, non chiedermi di fare a tutti i costi pace con Shiryu perché non sarei sincero e comunque non m'interessa in alcun modo avere un rapporto di qualsivoglia tipo con lui. E' mio cognato, è lo zio di mia figlia ed è uno dei migliori amici di Hyoga ma la cosa finisce qui." rispose Camus, troncando la discussione sul nascere. "Per quanto riguarda Mei e Lixue facciano pure ciò che desiderano, del resto è loro consanguineo, se vogliono mantenere dei rapporti sono assolutamente libere di farlo, ma con me ha chiuso."
"Capisco." mormorò Shunrei.
"Ne dubito."
Sinceramente Shunrei non aveva idea dei rospi che aveva dovuto ingoiare grazie al suo gentilissimo fidanzato, di tutte le volte che aveva dovuto fingere di non capire le parole di disprezzo che Shiryu gli aveva sempre rivolto –in cinese, ovviamente, non avendo abbastanza coraggio per insultarlo in greco-, di tutte le occhiate di traverso dal chiaro significato di: che diavolo ci fai ancora qui? Non sei il benvenuto! che aveva sempre sopportato per amore di Mei e Lixue.
"Come?"
"Hai sentito." disse Camus, secco. "Sai, nel corso della mia…diciamo carriera, come ambasciatore del Santuario, ho visitato quasi tutto il mondo. Sud est asiatico, Africa mediterranea, Europa… sono pochi i paesi che non ho ancora visitato. Nel corso di queste visite mi è capitato di avere a che fare con persone che pur non conoscendomi, mi hanno fatto sentire come a casa e hanno condiviso con me i loro pasti, le loro abitazioni, persino i loro vestiti. Gente straordinaria che mi è dispiaciuto lasciare dopo solo pochi giorni dal mio arrivo e con la quale ho mantenuto dei bellissimi rapporti d'amicizia. Al contrario, frequento questa casa da quasi un decennio e mai, mai una volta mi sono sentito a mio agio: amato dal Maestro e da Mei e accettato da te, magari, tutti bei sentimenti che Shiryu ha contribuito a rendere vani."
"Io sono sempre stata ben disposta verso di te." obiettò Shunrei.
"Infatti, e ti ringrazio per questo, ma come ho detto, è bastato l'astio ingiustificato del tuo fidanzato a rendere tutto inutile." ripeté Camus. "Ti porto un esempio di qualcosa accaduta non molto tempo fa: ero in Tunisia, in visita a un aggancio nordafricano di Shion; non avevo mai visto quest'uomo né la sua famiglia prima di allora, eppure la gentilezza e l'accoglienza ricevuta sono state tali da farmi nutrire sentimenti di profonda nostalgia verso quel luogo. In Algeria ho quasi litigato con il capo di una tribù berbera affiliata al Santuario che ha voluto a tutti i costi lasciarmi usare la sua tenda e regalato il suo burnus, il suo mantello. Vengo qui e quasi mi viene negato il diritto di dormire, per una notte, sotto lo stesso tetto di mia figlia. Non pretendo nulla di quanto ho ricevuto dall'altra parte del mondo, non voglio tappeti rossi al mio arrivo o squisitezze da città proibita come pasto, pretendo il giusto: un minimo di rispetto."
 
Quando Mei uscì dalla pagoda per tornare a casa, percepì la strana tensione tra Camus e Shunrei senza ovviamente comprenderne il motivo.
"Qualcosa non va?"
"No, tutto bene. Mi andava di chiarire un paio di cose e l'ho fatto."

"…hai chiarito con Shunrei?!"
"Naturalmente, dovessi mai chiarire con tuo fratello, minimo la renderei vedova, per questo preferisco starci lontano." replicò Camus. "Torniamo a casa, ho da fare."
Mei salutò Shunrei, raccomandandosi di riposare e non fare troppi sforzi vista la gravidanza, e tornò a casa con Camus, senza tuttavia domandare nient'altro.
"Ti sei calmata?"
"Io sì, tu piuttosto. La tensione tra te e Shunrei si poteva tagliare a fette."
"Non era mia intenzione farti litigare con tuo fratello, ecco perché ero restio a parlarti della nostra conversazione."
"Non me ne hai parlato, infatti, me ne sono accorta da sola." obiettò Mei. "Shiryu deve imparare a stare al suo posto. So che è mio fratello, so che a modo suo mi ama, so che si preoccupa per me e non gli rimprovero questo… io non mi sono mai intromessa nella sua vita con Shunrei, e gradirei facesse lo stesso con la nostra, perciò è stato meglio così, chiarire prima che potesse farci qualcosa. Perché non potrei mai perdonarmi di avergli permesso di farci del male."
"Io non gli permetterò di fare qualsiasi cosa contro di noi, contro la nostra piccola famiglia, in nome di niente e di nessuno. Adesso che ho te, che ho Lixue, non permetterò a nessuno di portarvi via, vi difenderò con le unghie e con i denti, se sarà necessario."
"È anche per questo che ti amo."
 
**
 
"Non so più che fare."
Hyoga guardò il muro, dove il ghiaccio era ancora perfettamente integro.
"Hai provato a usare l'acqua bollente?"
"Che domande fai? Se ho chiamato te significa che le ho già provate tutte. Ho usato anche la pulitrice a vapore."
"…e?"
"Ha ceduto lei." disse Camus. "Quando Mei scoprirà che le ho fuso la vaporella, mi uccide."
"Quella serve a eliminare gli acari, non ghiaccio allo zero assoluto."
"Quindi?"
"Uhm…" Hyoga allungò una mano a sfiorare la crosta, ritraendola subito dopo. "Dubito che martello e scalpello possano tornare utili, ma con un po' d'impegno… dimmi solo una cosa, Cam."

"…?"
"A meno di mezz'ora da qui c'è un'Ikea. Comprare un quadro, un poster o che ne so… uno specchio dal nome impronunciabile come fanno tutti gli altri, no eh?"
 
***
 
Lady Aquaria's corner
(Capitolo modificato in data 27 novembre 2014)
-Paradise City è una bellissima canzone dei Gun's 'N Roses;
-"J'en ai marre de toi, guignol."Ne ho abbastanza di te, pagliaccio.
-Lo scambio degli anelli è una cosa tipicamente occidentale, ed è una cosa, però, che ho deciso di inserire in favore di Camus.
Grazie come sempre a chi segue nonostante ritardi e stop vari. Alla prossima.
 
Lady Aquaria

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Capitolo 19
*** Le cose non vanno mai come credi. ***


capitolo 19 rivisto

19.

Le cose non vanno mai come credi.


…per questo viaggio ci vuole coraggio
per questo amore pieghiamo il destino
ti resto accanto su questo cammino
però ti prego tu dammi la mano
[Giorgia - Marzo]
 
Ferma al semaforo, Mei gettò una veloce occhiata all'ecografia che giaceva fuori dalla cartelletta dell'ospedale ostetrico-ginecologico dal quale era appena uscita: era entrata quella mattina per una semplice visita, e ne era uscita a pomeriggio inoltrato con una serie di buste, prenotazioni di nuovi esami e una cartelletta di cartoncino celeste contenente le foto ricordo del suo viaggio nell'utero.
"Santi numi."
La ginecologa che aveva scelto tra i medici disponibili dell'ospedale, una donna sulla quarantina che aveva associato alla mitica -per quanto odiosa- Addison Montgomery del suo serial preferito, l'aveva subito messa a suo agio, facendo le domande per l'anamnesi con tatto e cordialità e, dopo la visita, era passata molto rapidamente da un rassicurante:
"Signora, dai sintomi che mi ha descritto e a seconda di quanto leggo dagli esami e dalla dimensione dell'utero, maggiore rispetto all'età gestazionale, ho ragione di credere che sia una gravidanza gemellare."
...a uno sconcertante:
"Dall'ecografia risultano essere gemelli come le avevo detto, ma si tenga forte: potrebbero esserci più di due feti là dentro."
Rassicurante perché nella storia del ramo paterno della sua famiglia non era raro trovare, nel corso dei decenni, almeno una gravidanza doppia quasi ogni generazione; sapeva per certo che almeno una trisnonna e un paio di antenate avevano partorito gemelli.
Sconcertante perché aveva avuto sospetti che non fosse una gravidanza normale, ma addirittura più di due, no, non l'aveva proprio messo in conto.
A quella ridda di emozioni s'aggiunse anche un filo di ansia -terrore, si corresse-: se non ricordava male, sua nonna le aveva detto che parte di quelle antenate erano morte durante il parto, spesso portando con loro anche i bambini.
"Oddèi." mormorò, ripartendo e pigiando il tasto del bluetooth sulla plancia in risposta alla telefonata di Camus. "Sto tornando, ho ancora sei isolati da attraversare e arrivo."
"Cominciavo a preoccuparmi, sei uscita prima di me e torni dopo di me... stai bene? Sei ancora al lavoro?"
"A dire il vero oggi avevo il turno di riposo… e l'ho trascorso interamente al Port Royal." ammise, sicura che Camus si sarebbe preoccupato nel giro di qualche secondo: le parve quasi di vederlo corrugare la fronte.
"...tutto il giorno in ospedale?"
"Si, poi ti spiego. Cam, ho un paio di commissioni da fare, ci vediamo tra mezz'ora."
 
Camus riagganciò, appoggiandosi allo schienale della sedia e sospirando. Avviò Skype e contattò Milo, che sicuramente a quell'ora aveva il pc acceso.
"Non posso stare davanti allo schermo ma... parla, ti ascolto." rispose Milo, collegando le casse al portatile e alzando il volume per sentire meglio l'amico. Camus intravide, attraverso la webcam, uno scorcio della cucina dell'ottava casa e Milo affaccendato davanti ai pezzi di un mobile. "Proprio vero, trovi le istruzioni in tutte le lingue tranne quella che ti serve. Camus, t'intendi anche di svedese, per caso?"
"No, mi spiace."
"... rumeno?"
"No."
"Ma parli russo, non dovrebbero assomigliarsi?"
"Anche no. Il rumeno è una lingua romanza, mentre il russo è slavo. Due ceppi diversi." spiegò Camus.
"Sei sicuro?"
"Milo, sono un linguista. Parlo fluentemente cinque lingue e ne sto studiando altre quattro… certo che sono sicuro di quel che dico." obiettò Camus. "Potrei stare qui per ore a parlarti della differenza tra le lingue romanze e le lingue slave."
"Ma non lo farai, vero?" disse Milo, tentando di unire due pezzi.
"…credo tu abbia bisogno di una chiave a brugola per montare quei due pezzi: vedi quelle viti con la testa esagonale?" indicò Camus.
L'altro cercò tra i pezzi sul tavolo.
"Brugola?"
"Verrei volentieri a darti una mano, ma c'è Lixue che sta facendo i compiti e non intendo disturbarla."
"Pazienza. Di cosa volevi parlarmi?"
"Mei è incinta." spiegò Camus.
"Oh!! Il sospetto è diventato certezza?"
"Aspetto solo la sua conferma ma dato che ha trascorso tutto il giorno in ospedale e che ho trovato un test di gravidanza nel cestino del bagno, ormai sono sicuro."
"Ma che schifo, frughi nel cestino del bagno? Potevi aspettare il suo rientro, no?"
"Difficile non notare lo stick nel cestino, visto che era in alto su una pila di dischetti di cotone zuppi di eyeliner. Non ho trovato un nuovo hobby, stai tranquillo."
"Oh, menomale. Sai, per un attimo ho temuto di dover nascondere il cestino del mio bagno tutte le volte che vieni qui a cena."
"Non c'è pericolo, guarda."
"Bene. Potresti vedere cose che potrebbero spaventarti, come i miei preservativi, ad esempio." sghignazzò Milo. "Comunque, dov'è Mei? Vorrei farle i miei complimenti."
"Sto aspettando il suo rientro." spiegò Camus. "Ti farò richiamare quando torna."
"Ci conto." sorrise Milo, allegro. "Comunque, in bocca al lupo!"
 
Acido folico, vitamine di ogni tipo insieme ad altri tipi di integratori e diverse altre cose che, rammentò, per Lixue non aveva mai preso: uscì dalla farmacia con un sacchetto così grosso che le pareva d'aver appena fatto spesa.
"E ora a casa, finalmente." sospirò, infilandosi in auto, nelle orecchie ancora le parole della dottoressa.
"Non le ho ancora chiesto qual è il suo lavoro, madame."
"Ehm…" Mei si era ritrovata a ridacchiare. "Sono una judoka e... insegno aikido e taijiquan." Con serietà, Addison aveva richiuso tutte le cartellette.
"Credo che per almeno un anno dovrà rinunciare ad aikido e judo, senza dubbio. Per quanto riguarda il taijiquan invece potrà continuare ma sempre senza esagerare."
La dottoressa poteva stare tranquilla in tal senso: ci avrebbe pensato Camus a ricordarglielo.
 
Non appena la serratura scattò nella porta, sentì Camus precipitarsi in corridoio mentre rimestava qualcosa dentro una grande boule: se lo trovò davanti con un ampio sorriso sulle labbra e il solito odioso grembiule di Gaston addosso.
"Te l'avevo detto, Cam: mezz'ora e arrivo. Ho fatto un po' di spesa in farmacia." spiegò. "Ho pensato: perché comprare pane e latte quando al loro posto posso comprare acido folico per tutta la mia famiglia?"
"Nǐ hǎo, māmā!"
"Ciao tesoro!" rispose alla figlia, guardando il contenuto della boule che Camus teneva sottobraccio. "Davvero buffo."
"Cosa?"
"Dico, non dovrebbe essere il contrario? Tu che rientri la sera mentre io cucino?" replicò, divertita. "Sono proprio una pessima moglie, chiedo venia."
"Ma smettila."
"A proposito, cos'è?" gli prese il cucchiaio dalle mani e al primo assaggio, seguì una cucchiaiata più corposa. "Caspita!"
"Ridammi quel cucchiaio o andrà a finire che non avrò più crema per la torta." fece Camus, seguendola poi in camera.
"Torta? Abbiamo qualcosa da festeggiare?"
Dopo qualche istante, Camus si schiarì la voce.
"Non saprei, questo dovresti dirmelo tu. C'è qualcosa che finalmente puoi dirmi? Perché sto facendo congetture da giorni e anche se mi vedi tranquillo, non sto più nella pelle."
Mei posò il sacchetto sul mobiletto del bagno e gli porse la cartella dell'ospedale.
"Ti devi sedere, però. Perché se svieni, non posso certo tirare su da sola settanta e rotti chili d'uomo."
Camus posò la boule sulla cassettiera e prese la cartellina.
"Addirittura? Credo di poter sopportare certe notizie." replicò, sfilando dalla sua custodia le ecografie e guardandole.
"Ti metto subito alla prova allora." fece Mei. "Avrai già capito da te che sono incinta..."
"Direi proprio di sì." rispose Camus divertito e su di giri, continuando a fissare le ecografie. "Non credo di capirci granché… questo cosa sarebbe, il tuo bacino?"
"Si vede proprio che non sei in te." ridacchiò Mei, indicandogli qualcosa sull'istantanea. "Non è il mio bacino. Sono due."
Come previsto la reazione di Camus non si fece attendere: occhi sgranati, respiro accelerato e pallore.
"...due?"
"La dottoressa dice che sicuramente sono due, ma che c'è qualcosa che le fa pensare che qui dentro possano anche essere più di due e che qualcuno qui faccia il furbo e si nasconda per farci uno scherzo."
Camus arretrò di un paio di passi e si sedette sul bordo del letto.
"Avevi ragione, ho bisogno di sedermi." le disse. "Ehm... come sarebbe, più di due?"
"Non è detto, magari era solo un'ombra dell'ecografia." rispose Mei. "Hey, ma non avevi detto di desiderare un altro figlio? Su con la vita, abbiamo aderito all'offerta due al prezzo di uno, non sei contento?"
Ovviamente era contento.
Come aveva spesso sognato, durante la loro lontananza, desiderava anche una bella famiglia numerosa –quella che lui non aveva mai avuto-. Certo, non aveva mai immaginato di averla, per così dire, in blocco.
"Credo che sottosopra sia il termine più adatto per descrivere come mi sento in questo momento: sai, mi sento come dopo una sbronza. Felicissimo, ma frastornato." le rispose, tirandola a sé. Affondò il volto nel suo addome, ringraziando il fatto d'essere seduto: si sentiva le gambe come gelatina, sul punto di svenire.
 
**
 
Ottava casa, più tardi.
"Mi raccomando, non alzare troppo il volume o ti faranno male le orecchie." ammonì Milo, posando una tazza di cioccolata di fronte a Lixue, che guardava un film sul pc di quest'ultimo mentre i due uomini si affaccendavano in cucina.
"Buon cielo, sei più pallido del solito." disse Milo, infilando i piatti sporchi in lavastoviglie e avviando il programma di lavaggio.
Camus si sporse in direzione dell'altra stanza, dove Mei e Shaina stavano parlottando tra loro davanti a un film.
"Sì, beh… sono successe un paio di cosette…" spiegò Camus. Intravide il mobile ancora mezzo smontato. "…vorresti davvero farmi credere che non sei stato capace di montare un elementare mobiletto da cucina? Stai scherzando?"
"Non tutti sono dei geni del fai-da-te, sai?"
Camus scosse la testa, prendendo il depliant con le istruzioni e dispiegandolo alla ricerca di una lingua a lui congeniale.
"Ci sarà pur qualcosa che sei capace a fare, a parte il sesso." commentò Camus, afferrando una coppia di pezzi e iniziando ad armeggiare con viti e brugola.
"Chiedilo a Shaina."
"Era una domanda retorica."
Sentirono le due donne ridacchiare e Milo sorrise a sua volta.
"A proposito, non è contagioso, vero?"
"Uh?"
Milo mimò un pancione con le mani.
"La gravidanza, dico. Non è contagiosa, dico bene?"
"Ma smettila, tonto. L'ho già detto che saresti un buon padre."
"E io dico che dovresti smetterla di dire bugie."
"Ma hai visto come ti comporti con Lixue? Sei premuroso, attento."
"Sono qualità che non bastano per diventare padre." rispose Milo. "E poi… tua figlia è un caso a parte, è una bambina tranquilla che non da' particolari grattacapi e non ce l'ho davanti tutto il giorno, tutti i giorni. Non è mica facile crescere un figlio."
"Non ho mai detto che è facile." disse Camus. "Ci vuole impegno costante, dedizione totale, amore infinito. Anteporre i suoi desideri e i suoi bisogni ai tuoi. Essere pronto a dare la vita, per lei."
Milo corrugò la fronte.
"Scusa, ma questo non è il matrimonio?"
Camus ridacchiò.
"Anche. Ma con un figlio è diverso."
"Certo che è diverso: pannolini da cambiare, biberon da sterilizzare, vaccini, pediatri… scarlattina, varicella, morbillo…" elencò Milo. "Riunioni di donne che parlano di cacche brutte e pustole…"
"Guardi troppi telefilm americani, secondo me." Camus levò gli occhi al cielo "Essere genitori significa… avere delle responsabilità, è vero. Significa modificare le tue abitudini e crearne di nuove e sulle prime è destabilizzante, ma… significa anche avere qualcuno che ti accoglie con un abbraccio e un bacio quando torni a casa, che ti regala un disegno per la festa del papà… qualcuno che ti regala dei biscotti fatti in casa per il tuo compleanno. Significa guardare tua figlia e pensare che non esiste niente di più bello al mondo."
"Dire addio alla propria vita sociale…"
"Non dire sciocchezze. Mica ho smesso di frequentare questa casa o di andare al pub con te, no?"
"No, ma… non fa per me. Proprio no. Beh? Che hai da guardare?"
"Niente." sorrise Camus.
"Non si ride delle idiosincrasie altrui."
"Idiozie, semmai." replicò Camus. "La verità è una e una soltanto: hai paura."
Milo assottigliò lo sguardo.
"Non sei venuto qui per aiutarmi col mobiletto, dì la verità." lo riprese, sviando il discorso.
"Va bene, riprenderemo il discorso in un altro momento."
"Oh no."
"Oh sì invece. Diciamo che il mobiletto è solo una parte della ragione." spiegò Camus. "Avevo bisogno di parlarti a quattr'occhi senza una webcam di mezzo."
"Finché durano biscotti e film, hai tutto il tempo che vuoi."
"Guarda la posizione."
"A proposito, che film ha portato Mei?" domandò Milo, lanciando un'occhiata nel piccolo salottino, dal quale arrivava, smozzicato, l'audio del film.
"…dev'essere rigido."
"…?!" Milo sgranò gli occhi, mentre Camus corrugava la fronte, concentrandosi sulle parole.
"Questo è il mio spazio e questo invece è il tuo: io non entro nel tuo e tu non entri nel mio."
"Dirty Dancing." spiegò poco dopo, alzando gli occhi al cielo.
"Ah!! Per un attimo ho temuto chissà che cosa…"
"Ma ti pare? Che film poteva mai portare Mei?" commentò. "Anzi, mi stupisce il fatto che non abbia portato il super-mega-iper cofanetto da collezione con tutti i film conosciuti e non di Keanu Reeves. Ma in effetti quello lo conserva come una reliquia su una mensola del salotto tra l'action figure di Neo e quella di John Constantine e guai a chi osa avvicinarsi."
"Noto una punta di gelosia nella tua voce."
"Irritazione." lo corresse Camus. "Pura e semplice irritazione, credimi."
"Ma dai, un attore di Hollywood riesce a irritarti? Buon cielo, ha una differenza d'età enorme, potrebbe essere suo padre." ridacchiò Milo.
"Le ho detto la stessa cosa, una volta. Sai che mi ha risposto? Sarà, ma se l'avessi davanti tutto farei tranne che vederlo come una figura paterna."
"Ha fatto una battuta, dai." ridacchiò Milo.
"Quando lo vede, si scioglie. Letteralmente. Come Nutella su una crêpe calda, capisci? Il suo personaggio può essere il classico eroe buono o l'emerita carogna di turno che picchia la moglie e minaccia una vedova o strangola le vittime con le corde di violino, e Mei è lì che sbava. Poi la sera, in camera, guarda me e… niente. Al contrario, se si trovasse quello là, nudo, nel letto, minimo le piglierebbe un infarto secco."
"…ovviamente dopo aver dato fondo alle sue fantasie."
"Grazie, Shaina." borbottò Camus.
"Oh, quanto rompi. Potrei capire se ti avesse chiamato Keanu anziché Camus quando siete a letto, ma che male c'è ad avere fantasie sugli attori?" fece Milo. "Anche io le ho. E sicuramente anche tu."
"Non proprio." ribatté Camus. "Io mi eccito con lei, solo con lei. Con nessun'altra, neanche con la Jolie che, comunque, ha un fondoschiena di tutto rispetto."
"Ha! Vedi?"
"Ha! Cosa?" Camus gli fece il verso "Ho occhi ben funzionanti anche io, ma non significa avere fantasie. Mei ne ha fin troppe: guarda Troy e sbava su Achille, guarda Thor e sbava su Loki... guarda Matrix e sbava su Neo."
"Beh, la panoramica del fondoschiena di Neo nel secondo capitolo è tutto un programma!" proseguì Shaina.
"Potrei vomitare."
"Ma anche tu ti difendi benissimo in tal senso, fidati." interloquì Mei.
"Lo dici solo per indorarmi la pillola. Che diamine, la mia autostima ne risente."
"Esagerato." ridacchiò Milo.
"Cerca di capire: un tizio qualunque a confronto con tre attori di Hollywood... ovvio che sono destinato a perdere in partenza."
"Stai parlando del mio migliore amico, attento a quello che dici." scherzò Milo. "Quelli sono solo attori, tu sei il suo uomo."
Camus afferrò una delle guide a scorrimento e lo posizionò su un cassetto.
"Il suo uomo con i capelli rossi, le efelidi e la tendenza a diventare color aragosta. Uhm. Non c'è che dire, Mei ha fatto un affarone."
"Il mio uomo sta dicendo troppe sciocchezze!" esclamò Mei.
"Visto?"
"Lo dice solo perché altrimenti sa che la manderei in bianco." borbottò Camus.
"Ah, guarda che il dispetto non lo faresti a me, ma a te stesso." ridacchiò Mei. "Perché so che se avessi voglia di fare sesso potrei sempre venire qui all'ottava casa e riuscirei comunque a rimediare qualcosa. A te non spiacerebbe prestarmi Milo, vero Shaina?"
"Figurati."
"Che c'è? Io non c'entro." rise Milo, captando lo sguardo dell'amico. "Lixue, una domandina al volo: chi è più bello, tuo padre o Thor?"
Lixue distolse lo sguardo dal computer, sul quale stava guardando il film con Chris Hemsworth, e rispose a Milo dopo essersi tolta le cuffie.
"Papà."
"Visto?"
"Ha sette anni ed è mia figlia, non è obiettiva abbastanza." protestò Camus.
"Scommettiamo?" fece Milo. Tornò a parlare a Lixue. "E tra me e Thor, chi è più bello?"
"Thor!" rispose la bambina, rimettendosi le cuffie.
"…"
"No, mi sbagliavo. Ha sette anni, è mia figlia, ed è obiettiva esattamente come suo padre." si corresse Camus, orgoglioso. "Grazie amico, mi hai proprio risollevato il morale. "
"Prego, non c'è di che."
   
**
 
L'indomani, di ritorno dal lavoro, Mei si chiuse nella Stanza degli Avi, per pregare e riflettere: aveva ricevuto una telefonata dalla cugina residente a Nanchino e pensava a quello scambio di battute da quand'era tornata a casa.
"…e dove potevo trovarti, se non qui?" domandò Camus, facendo capolino dalla porta. "A proposito, ciao!"
"Ciao, Cam."
"Chi ha portato quel pacco? Non c'è timbro postale e…"
"Credo l'abbia portato Hyoga, c'è un biglietto ma è scritto in russo."
"Oh. Allora devono essere gli abiti per il matrimonio di Kirill e Zoya." ragionò Camus. "Beh, la cena è quasi pronta."

Mei si voltò e gli sorrise nervosa.
"Cena? Miei Dèi quant'è tardi… non mi sono accorta del tempo che passava, ti chiedo scusa. Che pessima moglie sono... tu a spignattare e io qui a pregare." mormorò, con un tono di voce che a Camus non piacque affatto.
Entrò, si chiuse la porta alle spalle e si tolse le scarpe prima di raggiungere il piccolo altare, dinanzi al quale si inchinò rispettosamente.
"Adesso mi dici che cosa c'è che non va." le disse sedendosi sul cuscino accanto al suo, a gambe incrociate.
"Non c'è niente che non va. Va tutto bene, loro qui stanno bene." rispose lei, posando istintivamente una mano sul ventre.
"E tu?" le domandò, accarezzandole una guancia. "Spesso ti rigiri nel letto, dormi poco e mi stai facendo preoccupare. Anche adesso."
"Non devi, stai tranquillo. Sono solo brutti pensieri."
"Di che genere, se ti va di parlarne?"
Mei si schiarì la voce, prendendo la mano che Camus teneva ancora sulla sua guancia e stringendola tra le proprie, in grembo.

"Mi ha telefonato Zhi, mia cugina, dicendomi che durante il trasloco sua madre ha trovato due grossi bauli che a quanto pare appartenevano ai miei genitori."
"E come mai li ha lei?"
Mei sorrise nervosa.

"Ufficialmente nella confusione che seguì l'incidente di Tokyo gli averi dei miei sono rimasti a Nanchino, dove abbiamo soggiornato quel breve periodo prima dello smistamento di Shiryu. Ufficiosamente, è un modo meno crudo di dire furto. Alcuni parenti acquisiti, in famiglia, hanno sempre avuto un certo… come dire… passatempo: ma che bell'anello indossi, attento a non perderlo di vista! Ops, adesso è mio! "
"Sono un pochino… ladri?"
"Un pochino? Se li lasci avvicinare troppo son capaci di sfilarti anche gli slip di dosso e nemmeno te ne accorgeresti." disse Mei. "Mia cugina non è come sua madre o i suoi nonni materni, ma ho imparato a mie spese che di certi parenti è meglio non fidarsi: di solito quando Liling si mette in contatto con qualcuno raramente lo fa per affetto. Sono certa che la storia dei bauli è solo una scusa. C'è altro sotto."
"Mh. Diciamo che te li restituisce perché ha già avuto modo di controllarne il contenuto e ciò che ha trovato non è stato di suo gradimento." ragionò Camus.
"Ah, sicuramente." annuì Mei. "Immagino che contengano… o meglio, contenessero i trofei e le medaglie mancanti di mio padre e i gioielli di mia madre. A quest'ora saranno finiti su qualche bancarella o in mano a ricettatori."
Argomento, quello, che per Mei e Shiryu era ancora un tasto dolente.
"Ma c'è altro sotto."
"Conoscendo mia zia, sì."
"Non parlavo di lei, ma di te. C'è altro che non vuoi dirmi."

"Perché tanto sono cose nelle quali non credi, quindi che te le racconto a fare?" sospirò Mei.
Spiriti, maledizioni e affini: chissà che cosa doveva averle raccontato sua cugina per farla preoccupare in quel modo.
"Uhm, okay." rispose lui, capitolando. "A proposito, tornando a casa dal mercato, stamattina, ho fatto una piccola deviazione per Boulevard Haussmann e… ricordi quella bella torta di cioccolato e marzapane che abbiamo mangiato al compleanno di Freya?" aggiunse, ottenendo la sua totale attenzione.
"Quella russa?"
"C'era una fetta in frigo pronta per essere divorata ma a quanto pare, dovrò sacrificarmi al posto tuo."

"Dannato." disse Mei.
"Lo so, lo so. E' un colpo basso da rifilare, specie a una golosona che deve mangiare per tre. Ma sai, il fine giustifica i mezzi, diceva qualcuno. Allora, dimmi tutto."
Parlando con sua cugina, le aveva parlato inavvertitamente della gravidanza e Zhi si era lanciata in tutta una serie di aneddoti poco simpatici rispetto le gravidanze gemellari nelle loro famiglie: antenate uccise da strane infezioni, da complicazioni dovute al parto, bambini nati morti, strozzati dal cordone ombelicale…
"…in poche parole, gran parte di quelle antenate sono morte di parto e… con loro anche i bambini."
Camus sbuffò.
"Dèi del cielo, Mei, perché mai hai parlato con tua cugina di certe cose? Ti ha solo suggestionato e basta."
"Non è suggestione! Ha detto che centocinquant'anni fa è successo anche a una parente nel ramo materno della sua famiglia e persino una mia prozia è morta per questo motivo ed è successo appena ottant'anni fa. Non è tantissimo tempo, è abbastanza da farmi preoccupare."
Sbuffò di nuovo, posando lo sguardo prima sulla fotografia di Letizia, quindi su quello di Joséphine e infine, su quello di Natassia.
"Quello che mi sto chiedendo in questo momento, Mei…" iniziò "…è: come fa una donna intelligente come te, che si è laureata con l'ottimo voto di 104, che riesce a tener testa a chiunque…"
"Cam…"
"…a farsi suggestionare in questo modo da disgrazie avvenute più di un secolo fa?" concluse Camus, ignorando le sue proteste. "Proviamo a ragionarci su. Quante di queste vostre antenate si sono affidate alle cure di medici o strutture ospedaliere?"

Mei lo guardò corrugando la fronte.
"Scherzi? Secondo te le mie antenate conoscevano il significato del termine struttura ospedaliera? Si partoriva rigorosamente in casa con la levatrice, le donne della famiglia e, in casi eccezionali, con l'aiuto della sciamana del villaggio: si nasceva e si moriva in casa e anche con l'avvento dei primi grandi ospedali, si ricorreva a quelle strutture solo in casi molto estremi."
Camus annuì.
"Appunto. " le rispose. "Le vostre ave hanno vissuto in epoche nelle quali non conoscevano né medici né ospedali, nelle quali era facile morire perfino per un banale raffreddore, dove le medicine erano poco più che inutili intrugli d'erbe. Mei, tu vivi nel ventunesimo secolo... per partorire non devi affidarti a sciamani o guaritrici che usano strumenti di fortuna ed erbe trovate chissà dove. Sicuramente ci saranno anche stati dei casi in cui si sono salvati sia la mamma che i bambini, ti pare? Casi che non possiamo conoscere perchè non sono stati documentati. A differenza loro, hai a disposizione medici, ospedali e medicinali... nessuno di voi, tu o i bambini, rischiate di morire. E se ci saranno complicanze, allora le affronteremo e torneremo a casa vincitori."
"Zhi ha anche aggiunto che forse dipende da una maledizione e... se dovessi morire e lasciare te e Lixue? Se dovessi lasciarti solo?"
Le prese il volto tra le mani, fissandola dritta negli occhi.
"Io non credo nelle maledizioni. Non l'ho mai fatto, non inizierò certo a farlo ora. Quelle donne sono state sfortunate, d'accordo? Ai loro tempi era difficile portare avanti anche una gravidanza singola, semplicemente non avevano adeguate conoscenze in materia. Non vi succederà nulla, capito? Fidati di me e non ascoltare tua cugina." le disse. Le indicò le fotografie votive con un cenno. "Pensa a chi c'è, qui, pronto a proteggervi: le nostre madri, i nostri padri... monsieur Degél. Natassia, persino... era una madre anche lei e sono certo che ti sta proteggendo. Erano tutte persone straordinarie che ci vogliono bene e impediranno a chiunque, vivente o no, di farci del male. Io impedirò a chiunque di farvene. Lo giuro."
Gli sorrise, un poco rincuorata.
"Anche se tu non credi negli spiriti e hai detto quelle cose solo per rincuorarmi... grazie." sussurrò. "Ha quasi funzionato."
"Solo quasi?" domandò, fingendosi offeso.

"Credo che solo quella torta riuscirà a rincuorarmi del tutto."
Che gusto ci provava, certa gente, a spaventare il prossimo a quel modo? Alla prima occasione avrebbe scambiato un paio di paroline con la cugina di Mei, invitandola a smetterla di gettare ansia su una donna incinta e impressionabile.
"Posso chiederti un favore?" chiese Mei, distraendolo.
"Qualunque cosa."

"Verresti con me a Pǔtúoshān a pregare Kwan Yin?" domandò Mei. "Per me significherebbe molto."
"Oui."
"Io verrò da Athena, se tu lo desideri."
"Se pregare la tua dea o la mia ti farà sentire meglio e scaccerà via i cattivi pensieri, verrò dovunque vorrai."
 
***

Lady Aquaria's corner:
[Capitolo modificato in data 18 febbraio 2015]
-Addison Montgomery: chi ha seguito Grey's Anatomy sa che Addison è l'odiosa prima moglie di Derek Shepherd, donna a mio avviso insopportabile ma professionista (ginecologa) straordinariamente capace.
-Il sistema sanitario francese, da quanto ho letto su vari siti (che ahimè non ricordo, poichè la lista consultata era nei preferiti di chrome prima della formattazione del pc) è diverso dal nostro (e forse anche migliore) e, se non ricordo male, dà la possibilità di scegliere un certo medico rispetto a un altro durante certe visite specialistiche.
-"...l'emerita carogna di turno che picchia la moglie e minaccia una vedova o strangola le vittime con le corde di violino..." sì, Keanu Reeves nel corso della sua carriera ha interpretato anche ruoli da antagonista (che, a dirla tutta, spesso lo rendono più sexy di quel che già è).
Nel primo caso, Camus si riferisce all'antagonista di The Gift, dove Keanu interpreta Donnie Barksdale, un arrogante bifolco manesco accusato di omicidio e nel secondo, al film The Watcher, dove interpreta David Allen Griffin, un killer psicopatico che uccide le proprie vittime con, appunto, una corda di violino.
-Pǔtúoshān e Kwan Yin: vi rimando a questa pagina, altrimenti non saprei bene come spiegarvi.
 
Come sempre, mi scuso per il ritardo col quale rispondo alle recensioni e vi ringrazio.
Alla prossima.
Lady Aquaria

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Capitolo 20
*** Grazie e... disgrazie. ***


capitolo 20 rivisto
20.
Grazie e… disgrazie.
[Ovvero: Se le cose sembrano andar meglio, c'è qualcosa di cui non stiamo tenendo conto.]
Legge di Crisholm, Leggi di Murphy

 

…dimmi come stai e nei tuoi giorni cosa fai
parlare è facile sotto questa finta luna.
Ed io ti ascolterò e se cadrai ti prenderò:
sei meno fragile dentro questa notte scura
[Nek - Instabile]

Santuario, Atene.
"Non sono sicura di riuscire ad arrivare viva al mio compleanno."
Freya corrugò la fronte.
"Che stai dicendo? Perché mai?!"
Mancava meno di una settimana al suo compleanno, il 16 novembre, e in quel lasso di tempo avrebbe partecipato a due matrimoni e, cosa peggiore, prima di andare in Russia sarebbe passata a Nanjing per prendere i bauli dei suoi genitori.
La cosa peggiore di tutte sarebbe stata la ferita che si sarebbe riaperta di nuovo, dopo anni.
"...oh, é per i matrimoni?" indovinó Freya. "Ma non ti preoccupare, la cosa più imprevedibile che può succedere é una bella sbronza generale... se non qui ad Atene, sicuramente a Kobotec."
Ridacchiò.
"Camus? Ubriacarsi? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi con i miei occhi." rispose Mei. "No, è che prima dei matrimoni abbiamo in programma una visita brevissima a Nanjing da alcuni parenti ed è una cosa che non vorrei fare."
"Allora non la fare, nessuno ti obbliga."
"Non è una visita di cortesia, si tratta di questioni legate ai miei genitori: non ho alcun interesse a mantenere dei legami con quelle persone."
"Allora è un altro discorso."
"Già. Spero si risolva tutto in fretta, meno rimango in contatto con la vedova di mio zio, meglio è per il mio sistema nervoso."
"Le questioni legate ai parenti non sono mai facili. Sappi però che se dovessi aver bisogno d'assistenza legale o di qualunque altra cosa, puoi contare su di me."
Mei arrossì, imbarazzata.
"Oh, ti ringrazio."
Camus le interruppe.
"Mei? Possiamo andare."
"Ti lascio, vedo che è arrivato il tuo saint dalla scintillante armatura." scherzò Freya. "Così scintillante che devo mettermi gli occhiali da sole per non rimanere abbagliata. Ah ma aspetta! Non è l'armatura, sei tu che abbagli!"
"Ti consiglio un'accurata visita oculistica, credo tu ne abbia un disperato bisogno." replicò Camus, imbarazzato.
"Resta sottinteso, Mei, che sto scherzando." spiegò Freya.
"Lo so."
"Sempre meglio spiegarlo, non vorrei fare la fine di Oberyn Martell."
"Che sciocchezza, non sono così sanguinaria." sorrise Mei. "Sai che cosa mi piace di quell'armatura?"
"Il contenuto?" ridacchiò Freya.                                              
"Beh, quello ovviamente, senza dubbio. Mi piace il dopo, quando finalmente potrò levargliela di dosso." replicò Mei, facendolo arrossire. "Sarà meglio andare prima che diventi color aragosta dall'imbarazzo."
 
"Siamo qui da mezz'ora! E' normale aspettare così tanto? Neanche alla Città Proibita è così difficile entrare."
"Di solito è più complicato. Per giungere fino al Tempio di Athena e al suo Altare, posto ai piedi della statua, dovresti avere l'autorizzazione del Grande Sacerdote ed essere accompagnata da un Gold Saint."
Camus guardò oltre le ampie sale del Tempio di Athena –dopo il tredicesimo tempio- e vide le ancelle affaccendate intorno all'Altare.
"Sei proprio sicuro che mi sia concesso?"
Lo sguardo di Mei si unì al suo, ma si posò sull'imponente statua della Dea: la Nike nella mano destra e lo scudo nella mano sinistra, posato a terra ma pronto per essere afferrato all'occorrenza. Lo sguardo fiero, battagliero, orgoglioso.
Ovviamente non era la prima volta che vedeva la statua, visibile da ogni parte del Santuario, ma era la primissima volta che superava il tredicesimo Tempio per giungere fino all'Altare.
"Certo che sì." rispose Camus.
"Perché sono la moglie di uno dei dodici eletti?"
Camus la guardò.
"Diciamo che il fatto che sei mia moglie è un valore aggiunto che ti permette di saltare il primo passaggio." le spiegò.
"Oooh. E perché, di grazia?"
"Perché si presume che in quanto tuo marito, io ti conosca come le mie tasche e quindi sappia con certezza che non costituisci alcun pericolo per il Santuario." rispose Camus.
"…e chi ti dice che non sia una spia o una sacerdotessa di Tien Mu giunta fin qui per rubare l'armatura di Athena e conquistare il Santuario?"
"Mei…"
"Potrei avervi ingannato, tutti voi, ed essere davvero una spia."
"Nessuno è capace di dissimulare così bene per anni: prima o poi si finisce col fare un passo falso. Succede sempre." replicò Camus, a bassa voce.
"Potrei essere più brava di quel che immagini."
"Non scherzare mai su queste cose. Mai." l'ammoní, con una serietà che la lasció di stucco.
"Buon cielo, non si può nemmeno scherzare?"
"Non su queste cose. Spie e traditori hanno vita breve qui al Santuario."
"Beh, da come mi disse Dohko, Capo Sounio non è il massimo della vita, specie con l'alta marea."
"Capo Sounio sarebbe un piacevole soggiorno, al confronto. La pena per certi reati, qui, è una sola." la contraddisse.
"Gogna? Marchiatura a fuoco? Flagelli di vimini sulle chiappe nude?"
"La morte."
Mei si schiarí la voce, improvvisamente a corto di parole.
"Quella specie di rialzo circolare che vedi giù nell'arena, circondata da quelle che a una prima occhiata sembrano rovine di un tempietto, in realtà era un patibolo."
"Potevi dirmelo anni fa, prima che iniziassi a usarla come piattaforma per i miei esercizi di Taijiquan…" ribatté Mei.
"Non è esattamente un buon argomento di conversazione da usare durante il corteggiamento, non credi?" fece Camus. "Ecco, questa è la prima casa, laggiù c'è l'arena e… a proposito, su quel rialzo laggiù una volta si eliminavano i condannati a morte!"
"Miei Dèi, mi sono allenata dove decapitavate la gente!"
Quante volte si era fermata per ore ad allenarsi là sopra? Si era allenata anche con Lixue, accidenti. S'appuntò mentalmente di non avvicinarsi mai più a quel luogo per nessun motivo, specie ora che era incinta.
"Dovrò far benedire Lixue da un monaco taoista, accidenti. Se l'avessi saputo prima, non mi sarei avvicinata a quel luogo di morte neanche col pensiero."
"Per la cronaca, comunque, la pena capitale era l'impiccagione, almeno finché non si decise che era meglio affidare questo compito a un Saint, scelto a seconda della gravità del crimine commesso."
Due ancelle li informarono che era possibile, finalmente, avvicinarsi all'Altare.
"Resta comunque un luogo di morte, violenta o meno." Mei scosse la testa, prima di sollevare lo scialle sul capo a mo' di velo, come si usava nell'antica Grecia.
"Roba da matti." borbottò, avviandosi all'Altare, pronta a porgere le proprie preghiere alla Dea: in un braciere infilò alcuni bastoncini d'incenso e, ai piedi dell'enorme statua, Camus la vide posare un rametto d'ulivo –sacro alla Dea- e un ciuccio. Poco dopo, Mei scribacchiò qualcosa su un blocchetto che si era portata appresso, strappò il foglio e lo gettò nel braciere, iniziando a pregare a voce così bassa che non riuscì ad ascoltarla.
Dal canto suo, Camus fece lo stesso: s'inginocchiò accanto a Mei –che era rimasta in piedi-, si tolse l'elmo e lo posò alla sua sinistra, iniziando a cantilenare qualcosa in greco antico. Alla fine delle proprie preghiere, prese lo stesso blocchetto, scribacchiò qualcosa e, come aveva fatto Mei, gettò il foglio nel braciere.
"Ragazzi!" esclamò Shion, uscendo dalle proprie stanze private e sorprendendoli ancora in preghiera. "Mi avevano avvertito della vostra presenza qui all'Altare… va tutto bene?"
Camus si rialzò e gli dedicò subito attenzione, permettendo a Mei di terminare le sue preghiere con calma.
"Sì, va tutto bene… siamo qui per i bambini che stiamo aspettando. Mei si è lasciata suggestionare dalle parole di sua cugina riguardo maledizioni e disgrazie varie accadute secoli fa alle loro antenate morte di parto e l'ho accompagnata qui all'Altare per permetterle di pregare Athena." mormorò.
Shion annuì.
"Noto dello scetticismo nelle tue parole."
"Io e Mei abbiamo idee divergenti per quanto riguarda certe cose."
"Questo l'avevo capito, ma fa parte del suo bagaglio culturale e del suo carattere, Camus." rispose Shion, guardando Mei. "Se si sente a suo agio pregando Athena o i suoi Dèi affinché proteggano le vostre creature, credo che dovresti assecondarla e rispettare i suoi usi."
"E' quello che sto facendo e che ho sempre fatto da quando la conosco." rispose Camus. "L'accompagnerò a visitare il Tempio di Kwan Yin a Pǔtúoshān nel giorno in cui ricorre il compleanno della Dea, a febbraio. Non ho mai ostacolato le sue usanze."
"Molto bene." annuì Shion, notando che Mei si stava avvicinando loro. "Mei, mia cara... Camus mi ha parlato della tua decisione di visitare alcuni templi in vista della nascita dei bambini..."
"Sì."
"Potrei suggerirti di visitare il Tempio di Demetra a Eleusi, nell'antica Grecia le madri che cercavano protezione per i propri figli si rivolgevano soprattutto a lei."
"Pensavo che pregare Athena fosse già sufficiente."
"La prudenza non è mai troppa, non credi?"
"Certo." rispose, stringata. "Ma non credo si possa fare, non ho intenzione di annoiare nessuno con le mie sciocche richieste, obbligando poi Camus a perdere tempo dietro ciò che, e ciò lo sappiamo tutti, ritiene una sciocchezza. Quindi non disturbatevi, nessuno di voi due: ho sposato un Saint di Athena, nostra figlia maggiore è cresciuta abbracciando la fede nella vostra Dea e credo che la sua benevolenza basti e avanzi."
Camus sgranò gli occhi.
"Ti ho già detto che-…"
"Non rechi alcun disturbo, te lo garantisco: è giusto seguire le proprie credenze, e sono sicuro che Athena non si offenderà se decidi di chiedere l'intervento della sua nobile zia. Invierò subito un messaggio ad Anesidora, il mio contatto ad Eleusi. So che non ci saranno problemi nell'accogliervi con così poco preavviso, tuttavia è bene avvertire così che possa preparare a dovere il Tempio." disse Shion, interrompendo Camus; consultò la Meridiana e sospirò. "Fareste meglio a prepararvi, con ogni probabilità vi accoglierà subito."
 
Come previsto da Shion, Anesidora si dimostrò disponibile ad accogliere gli ospiti inattesi quello stesso pomeriggio senza alcun problema.
Ma, a dire il vero, un problema c'era eccome: quello che Mei aveva detto davanti a Shion non gli piaceva. Era Taoista e quindi aveva fede in altre divinità diverse da Athena, ma ciò non aveva mai costituito problema per lui, anzi. Solo, considerava sciocche certe sue credenze e certi suoi usi, pensava che era assurdo spaventarsi e lasciarsi condizionare da presunte maledizioni, dal malocchio, dalle fatture e da tante altre superstizioni, ma a parte l'incoraggiarla a pensare positivamente e a non lasciarsi scoraggiare, non l'aveva mai ostacolata.
Soprattutto in quel momento delicato nel quale si sentiva palesemente vulnerabile e aveva bisogno di sentirsi protetta.
"…un fen per i tuoi pensieri." sussurrò Mei mentre attendevano il permesso per entrare nel Tempio di Demetra.
Un solo fen non sarebbe sicuramente bastato.
"In questo caso ti conviene accendere un mutuo, perché un fen non basta per tutto ciò che ho in mente adesso."
Senza comprendere il motivo di quel cambiamento d'umore, provò a cambiare approccio.
"Perché hai di nuovo indossato l'armatura? Non siamo al Santuario."
"Appunto. Quando sono in visita presso i templi di altre divinità greche, che sia per via ufficiale o ufficiosa come in questo caso, indosso gli emblemi della mia dea per essere riconoscibile e per onorarla anche fuori dal suolo del Santuario." rispose Camus. "Sarebbe considerato un gesto estremamente offensivo se un Saint in visita non indossasse la propria armatura. Nei secoli passati quasi si sono sfiorate guerre per questo motivo. O almeno questo è quanto mi è stato raccontato dal mio Maestro."
Lixue guardava il padre con ammirazione, schermandosi a tratti gli occhi quando il sole si rifletteva sull'oro dell'armatura, facendola brillare.
"Sei così bello, dovresti metterla più spesso."
Mei sospirò appena: prega solo di non vederlo troppo spesso con quella cosa addosso pensò, guardandosi bene dall'esprimerlo ad alta voce.
"Ti ringrazio, ma per il bene della pace, tesoro mio, è meglio se questa rimane chiusa nel suo scrigno." rispose Camus, accigliandosi dopo aver intravisto l'espressione di Mei.
Ancora in braccio a suo padre, Lixue ne approfittò per togliergli l'elmo e indossarlo, un'espressione soddisfatta in viso.
"…come sto?"
"Sei… sei molto carina, tesoro. Dovresti rendermelo però, prima che arrivi qualcuno a farci entrare."
Lixue si pavoneggiò ancora qualche istante prima di rimettere l'elmo in testa a Camus.
"Il tuo è più leggero, zio Milo mi ha fatto provare il suo e mi schiacciava un po' sulla testa." ammise Lixue.
"Milo ti ha fatto provare il suo elmo?"
"Sì sì. Ha detto che una volta abituati, il peso della coda non lo senti più e che se se dovessi sviluppare il Cosmo anche io, gli piacerebbe essere il mio maestro."
Mei sobbalzò come punta da una tarantola e Camus sgranò gli occhi, colto alla sprovvista dalla notizia e dalla serietà con la quale Lixue aveva parlato.
"Come hai detto, scusa?" esclamò Mei.

"Lixue, non c'è niente di male in quello che ti ha detto Milo, stai tranquilla, parlane pure liberamente."
Spazientita dalla piega che stava prendendo quella faccenda, Mei fulminò entrambi con lo sguardo.
"No, non credo proprio." sibilò.
Roba da matti. Come diamine aveva potuto Milo parlare di certe cose a Lixue?
"Ne parleremo a casa, Lixue, okay?" sorrise Camus, incoraggiante, mettendola a terra.
"Lo ammazzo." sibilò Mei tra sé e sé. "Gli spacco la testa, parola mia."
Camus la prese gentilmente per il gomito.
"La stai spaventando." mormorò.
"Dobbiamo parlare, Camus. Se tu o Milo pensate di potermi portar via uno dei miei figli per trasformarlo in Saint, vi sbagliate di grosso." replicò Mei. "E' già tutto deciso? Da quanto tempo state organizzando questa cosa?"
"Organizzare?? Dico, sei matta?" rispose Camus, indignato. "Credi che potrei davvero farti una cosa del genere?"
"Bada, Camus. Se succede qualcosa a lei o a uno di loro, giuro sui miei Dèi che né tu né Milo avrete possibilità di raggiungere i cinquant'anni di vita. Forse non raggiungerete nemmeno il vostro prossimo compleanno, parola mia."
"Parlerò con Milo, d'accordo?"
"Questo è poco ma sicuro, mio caro. E' mia figlia, la mia bambina, una delle ragioni per la quale mi alzo la mattina! Ho passato le pene dell'inferno per proteggerla e ho sofferto quasi due giorni prima che venisse al mondo e né tu, né quel…traditore riuscirete a portarmela via!" sbraitò Mei. "Parla con Milo, o lo farò io. E potrebbe non piacerti."
"Calmati, agitarti non ti farà bene." le disse, calmo, strofinandole la schiena.
"Un accidenti! Non mi parlare come se fossi una bambina!"
"Senti, intanto non ti agitare per qualcosa che ha il 99% di possibilità di non accadere, secondo, se Lixue dovesse davvero sviluppare il Cosmo e i relativi poteri, il suo addestramento sarebbe compito mio poiché è nata sotto il mio segno e…"
"…allora perché Milo ha detto che…?"
"Sarei io… saremmo noi a decidere se occuparmene di persona o affidare la situazione a un parigrado di fiducia." le spiegò, usando impropriamente il plurale: non le avrebbe mai detto che la sua opinione in merito non avrebbe avuto alcun peso; se Lixue o uno dei piccoli avesse sviluppato il Cosmo, Mei non avrebbe potuto impedire l'addestramento in nessun caso né, tantomeno, avanzare pretesa alcuna.
Alcuni movimenti interni al Tempio lo indussero a tacere. Poco dopo l'enorme portone venne aperto e vennero invitati ad entrare.
"Il nobile Aquarius e la sua sposa, suppongo. Mi chiamo Anesidora e presiedo questo Tempio." li accolse. "Devo ammettere che il messaggio del nobile Shion mi ha incuriosita non poco. Prego, siete i benvenuti."
Camus si tolse l'elmo in segno di rispetto e insieme a Mei seguì la melissa che li aveva accolti.
"E' una questione strettamente personale, non ufficiale." spiegò Camus. "Il Grande Sacerdote ci ha indirizzati qui affinché Mei, mia moglie, possa rivolgere delle preghiere alla Dea."
Anesidora annuì.
"Affinché Demetra protegga i vostri bambini." concluse, per lui. "Certo, il nobile Shion mi ha spiegato anche questo. Venite dunque, mentre Cloe si occupa di vostra figlia."
"Preferirei tenerla con me." rispose Camus, sorridendo, ma con fare fermo.
"Come preferite." replicò Anesidora, congedando la ragazza che era appena arrivata.
Come quella mattina davanti l'Altare di Athena, Mei sollevò lo scialle sulla testa e s'apprestò a seguire Anesidora.
"Sono spiacente, ma a voi non è concesso proseguire oltre. Agli uomini è riservato l'andron." Anesidora bloccò Camus indicandogli le due navate laterali del Tempio, collegate tra loro da un'ampia balconata che si affacciava sull'atrio e sulla grande statua della Dea e delimitate da alti parapetti intarsiati e traforati.
"Oh. Non immaginavo che quest'usanza fosse ancora osservata." commentó Camus. Annuì e sorrise incoraggiante alla moglie. "Ne t'inquiete pas, nous serons juste derrière là-bas." [Non preoccuparti, noi saremo laggiù.]
Lixue guardò la madre allontanarsi in direzione della statua e del suo Altare mentre seguiva il padre lungo il corridoio riservato.
"Dove andiamo?"
"Stiamo andando nell'andron, cioè la parte riservata agli uomini."
"E perché non possiamo seguire mamma?"
Quelle regole, che al Santuario erano state applicate solo all'epoca dei miti e nel diciottesimo secolo e che non erano mai più state applicate da allora, a quanto pareva, erano ancora vigenti a Eleusi e al suo Tempio: era bene seguirle però, per rispetto verso Demetra e per evitare scontri con il Santuario.
"Perché mamma deve poter pregare con calma."
"Non possiamo nemmeno se stiamo zitti?"
Camus scosse la testa.
"Tu sei ancora piccola e a me non è permesso." le spiegò, a bassa voce. "Per prima cosa perché la mia Dea è una e una soltanto. Secondo perché sono un uomo e qui uomini e donne devono pregare separati."
"Che sciocchezza." borbottò Lixue. In Cina era capitato spesso che sua madre e suo zio pregassero gli Avi insieme, addirittura una volta aveva assistito a una funzione in onore di Odino insieme a Hyoga e Freya, e anche loro erano rimasti insieme.
"Non dire così, non è rispettoso verso la Dea. Ricordi quando quella volta abbiamo visitato quel bellissimo edificio con le cupole blu?" le domandò.
"Quando ci siamo tolti le scarpe?"
"Sì, esatto." le sorrise. "Ogni Tempio e quindi ogni religione ha le sue regole ed è giusto che vengano rispettate, per quanto possano apparirci strane. Sii sempre rispettosa verso il prossimo, Lixue. Facciamo silenzio, ora."
Dopo aver posato le offerte sull'Altare –spighe di grano, papaveri e frutta-, Anesidora esortò Mei ad avvicinarsi all'imponente statua, quindi si voltò verso l'andron.
"So che a voi non è concesso, ma vostra figlia può unirsi alla preghiera, se lo desidera." esordì rivolgendosi a Camus, che seguiva tutto dalla balconata.
"Posso, papà?"
"Certo, vai."
Il rito aveva radici antichissime e si tramandava di melissa in melissa attraverso le generazioni; Camus lo seguì con interesse, affascinato come ogni volta che aveva occasione di vedere cose a lui sconosciute, e rimase in religioso silenzio così come d'abitudine. Nel corso degli anni aveva avuto occasione di visitare sinagoghe, moschee, chiese cattoliche e ortodosse, presenziare a riti pagani e popolari e, se c'era occasione di imparare qualcosa, tanto meglio.
Dopo le offerte, Anesidora esortò Mei a ripetere, frase dopo frase, la preghiera con la quale avrebbe attirato la benevolenza della Dea nei confronti dei figli e della famiglia e, come ultima cosa, le chiese di scrivere le richieste su un foglio così da gettarlo nel braciere affinché arrivassero, sotto forma di fumo, a Demetra stessa.
"Chiedete protezione per i vostri figli e per il vostro sposo... per voi non chiedete niente?"
Mei scosse la testa e, sorridendo, guardò Camus prima di rispondere ad Anesidora.
"Ciò che mi preme di più è il loro benessere, nient'altro: se loro stanno bene, allora sto bene anche io."
 
Parigi.
"Sei silenziosa da quando siamo tornati da Eleusi. Va tutto bene?"
Andava più che bene, si sentiva in pace con sé stessa, almeno in quel momento: sapeva che di ritorno da Nanjing quella pace sarebbe andata via.
"Sì, stavo pensando a tutta questa lunghissima giornata. Cos'hai chiesto ad Athena, quando hai infilato il foglio nel braciere?"
Camus richiuse la valigia che avrebbero portato a Kobotec per il matrimonio di Kirill e la posò nell'ingresso, pronta per essere presa.
"Ti rigiro la domanda, se non ti spiace." le rispose.
"In effetti, mi spiace."
"Ti dico che cos'ho scritto, se tu mi dici che cos'hai scritto. E intendo a entrambe le Dee."
Mei ridacchiò appena.
"Ho chiesto a entrambe la stessa cosa. E tu hai chiesto qualcosa a Demetra?"
Lui scosse la testa.
"Le mie richieste possono essere indirizzate solo ad Athena, a nessun'altra Dea al mondo."
"Ah già, giusto." convenne Mei.
"Dunque? Non tergiversare, rispondi."
Cosa aveva chiesto?
Che cosa poteva mai chiedere una madre, una moglie? Il benessere dei figli e della persona amata. Sapere che le persone che più ama al mondo sono al sicuro senza chiedere nulla per sé stessa.
"Sono una madre, che cosa posso aver chiesto, secondo te?"
 
**
 
Hua Liling non era cambiata di una virgola in quasi sedici anni; Shiryu e Mei se la ricordavano anche troppo bene: il breve periodo trascorso a Nanjing prima dell'arrivo di Dohko era stato un vero incubo che entrambi cercavano di dimenticare.
"Quella non mi piace." mormorò Hyoga. "Sotto l'aspetto curato sento lo stesso viscidume che sento addosso ad Oleg."
Erano lì già da mezz'ora abbondante; Liling aveva accolto Mei con un sacco di melensi convenevoli e tante futili chiacchiere che non facevano che aumentare la sua insofferenza.
Camus lanciò una breve occhiata alla donna seduta insieme a Mei nella stanza attigua.  Non piaceva neanche a lui.
"Questa è l'ennesima prova che l'apparenza spesso inganna. C'è chi lo mostra apertamente e chi invece lo nasconde con modi affabili."
Shiryu invece era attento a quel che stava succedendo in salotto, senza curarsi troppo delle chiacchiere dei due accanto a lui.
"Ora che ci penso, lei e Oleg starebbero benissimo insieme. Sai come si dice, no? Dio li fa e poi li accoppia."
"Di certo, non in questo caso: operai e contadini non rientrano nei suoi interessi." interloquì Shiryu. "Se non sei un industriale o uno con un portafoglio azioni gigantesco, neanche ti prende in considerazione."
"Lieto di non far parte di nessuna delle due categorie." commentò Camus.
Liling posò sul tavolo due tazze di tè insieme ad un piatto colmo di dolcetti.
"Quelli insieme a Shiryu chi sono? Le tue guardie del corpo?"
Mei sogghignò.
"Non ho bisogno di guardie del corpo, sono in grado di difendermi da sola sotto ogni punto di vista." replicò, ignorando il tè.
La donna la guardò qualche istante, mentre sorseggiava.
"Dunque perché rimangono laggiù tutti seri e impettiti?"
"Non curarti della loro presenza, stai parlando con me."
Lo sguardo di ghiaccio dei due accompagnatori nella stanza accanto la inquietavano non poco: uno di loro era il marito di Mei, l'altro invece le era totalmente sconosciuto.
"Dunque le voci che sentivo erano vere… ti sei sposata."
"Sì."
Le notizie in quella famiglia si diffondevano come pidocchi in una scolaresca di bambini.
"Immaginavo, i tuoi anelli si notano lontano chilometri. Posso?"
"No."
"Oh, ma quanto sei prevenuta. Ascolta, Mei, possiamo lasciarci il passato alle spalle? Le nostre incomprensioni sono nate da sciocchi equivoci del tutto infondati."
"Equivoci infondati? Zio Shen-Tao e mio padre avrebbero qualcosa da ridire in merito." replicò Mei. "A proposito di mio padre, non sono qui per fare conversazione. Il motivo della mia visita è uno solo: voglio i bauli dei miei genitori e basta, ho già perso troppo tempo."
"Ah, certo. I bauli. Non ci vediamo da anni e la sola cosa che hai in mente sono i bauli." Liling si alzò e raccolse dal tavolo le due tazzine: la sua, vuota, e quella di Mei, ancora piena e ormai fredda.
"Non ci vediamo da anni… ringraziando il cielo! Visto il trattamento che hai riservato a me e Shiryu durante la nostra, per fortuna breve, permanenza a casa tua. Neanche un cane sarebbe stato trattato così male."
"Credo che tu stia esagerando."
"Per tua sfortuna, no. Relegati su in soffitta, con il solo permesso di scendere giù in casa per mangiare e lavarsi. Forse mio fratello era troppo piccolo per ricordare, ma io ricordo benissimo."
Non stava affatto esagerando, neanche Harry Potter era stato trattato così male dagli zii. Solo che lui era un personaggio inventato, loro due, no. La loro condizione era cambiata come dal giorno alla notte solo dopo l'arrivo di Dohko, e per l'amore che aveva riservato loro, per aver fatto l'impossibile per lei pur non avendo alcun obbligo nei suoi confronti, non l'avrebbe mai ringraziato abbastanza.
Com'era tipico di Liling, glissò su quell'ultima affermazione.
"Non era il caso di sobbarcarsi questo viaggio, nelle tue condizioni. Te li avrei fatti recapitare direttamente a Parigi."
Certo, come no.
"Dubito fortemente che avresti spedito le mie cose fino a Montreuil." la corresse Mei, sviandola. Si alzò, ponendo fine all'incontro. "E ora, voglio i miei bauli. Subito."
Liling la squadrò da capo a piedi.
"Nonostante il tuo aspetto ricordi molto quello di Wei-He, sei in tutto e per tutto uguale a tua madre." replicò, con una nota di disprezzo. "Tale e quale a lei, carina d'aspetto ma velenosa."
"Lo so. E ne vado fiera."
A Camus non piacque quell'ultimo scambio di battute: Wei-He e Letizia erano dei veri nervi scoperti per i due fratelli e, nonostante Mei stesse ribattendo battuta su battuta, sentiva la sua agitazione crescere di minuto in minuto.
"Possibile che debba tirarla così tanto per le lunghe?" sbuffò Hyoga.
Shiryu lanciò un'occhiataccia alla zia.
"Si è sempre comportata così. Smetterà appena capirà che Mei sta per esaurire la scorta di pazienza. E succederà tra poco."
"E allora perché non intervieni tu? Tua sorella è incinta e non dovrebbe agitarsi."
"Ah no, non ci tengo a gettarmi di proposito nella tana delle vipere." replicò Shiryu. "Mei conosce meglio di me le dinamiche interne tra la nostra famiglia e quella di nostro zio, ed è meglio che sia lei a parlare piuttosto che il sottoscritto, così come mi ha detto prima di venire qui: tra vipere ci s'intende meglio."
"Sbagli, Mei non è una vipera. E' Milo."
Shiryu guardò il cognato, che se ne stava tranquillo a seguire il discorso tra le due donne.
"…?"
"Sono entrambi pericolosi." gli fece notare Hyoga.
"Non proprio: con una vipera hai ancora una chance di salvezza." rispose Camus. "Con Milo, no."
"Questo è vero."
Liling lanciò loro un'occhiata, prendendo un mazzo di chiavi.
"Seguitemi." disse loro, funerea, anticipandoli verso la soffitta.
 
"Toglimi una curiosità Mei... perchè le hai detto che abitiamo a Montreuil?" le domandò in francese, una volta che la donna si fu allontanata.
"Perchè se scopre che abitiamo nel sedicesimo arrondissement, minimo ce la ritroviamo davanti alla porta di casa un mese sì e l'altro pure. E che Athena ci scampi da questo."
Camus esaminò il primo baule.
"Hanno tentato di forzarlo."
Shiryu fece un mezzo sogghigno in direzione del cognato.
"Mi sarei stupito del contrario." replicò, notando la saldatura su una delle cerniere del coperchio. "Ma non sono stati aperti, il lucchetto e le altre due cerniere sono ancora intatte."
"Sì, perché avrebbero dovuto usare una fiamma ossidrica: senti il rumore che fa? Il baule è solo esternamente di legno, dentro è sicuramente rivestito con uno strato d'acciaio… sottile, altrimenti peserebbe il triplo."
"Cosa credi ci sia dentro?" domandò Hyoga tentando di distrarre Mei.
"Trofei o medaglie di mio padre, forse qualche abito di scena di mia madre… ricordo che gran parte degli oggetti dei miei genitori me li restituì zio Shen-Tao dopo la loro morte, ma evidentemente doveva essersi dimenticato qualcosa."
"Ammesso che si tratti di una dimenticanza." commentò Shiryu.
"Su Liling avrei di certo dei dubbi, ma su zio no. Era il fratello di nostro padre ed entrambi erano due persone tra le più oneste che abbia mai conosciuto: se mi ha restituito i bauli con i vestiti e le scarpe firmate di mamma, i suoi vinili e parte degli oggetti vinti da papà, non vedo per quale motivo tenere questi."
"Perché magari questi bauli sono quelli più succulenti. Vestiti e scarpe finiscono per diventare fuori moda e i vinili… a chi vuoi che interessino vinili di opere liriche, qui? Non parliamo di Maria Callas."
"Non parlare di nostra madre a questo modo, Shiryu, non te lo permetto!" sbottò Mei.
Camus congelò i lucchetti e li ruppe con una martellata secca.
"Calmiamo gli animi, okay?" interloquì Hyoga.
"Calmati lo dici a qualcun altro, bello mio." protestò Mei. "Perché se avesse offeso tua madre, Shiryu non starebbe più respirando adesso."
Dopo una rapida occhiata, Camus chiamò il cognato.
"Detesto dirlo, ma avevi ragione. Guarda qui. A quanto pare dopo aver tentato di aprire il primo, hanno pensato che non valesse troppo la pena e questo non hanno neanche cercato di scalfirlo."
Sotto diversi strati di vestiti, accuratamente piegati e riposti in apposite sacche trasparenti, erano nascoste delle cassette portavalori.
"Che ti avevo detto?"
"Sono certa che zio non c'entri nulla, è stata Liling l'artefice di tutto." disse Mei, sporgendosi per guardare all'interno. "Maledetta arrivista: venderebbe anche sua madre se potesse."
"Non dobbiamo disperare, da anni aspetto di vedere il suo cadavere passare nel fiume. E prima o poi succederà, vedrai." fece Shiryu.
"Beh, mettiti in fila."
Liling si presentò di nuovo sulla porta della soffitta.
"Ne avete ancora per molto? Ho un appuntamento importante tra mezz'ora."
"No, abbiamo finito, ce ne stiamo andando." rispose Shiryu, alzandosi.
"Oh, bene."
Mei richiuse di scatto il baule che stava esaminando, quindi la fulminò con lo sguardo.
"Farai tardi se non ti sbrighi." rispose.
"Trovato qualcosa d'interessante?"
"Andrai al tuo appuntamento in quattro assi di mogano se non sparisci dalla mia vista."
"Brutale."commentò Hyoga, poco dopo.
"Camus, sento il tuo sguardo dritto sulla nuca e sappi che non mi piace."
"Non ho aperto bocca, mi pare."
"Bene."
"Sappi che stavolta non disapprovo. Al tuo posto, se qualcuno offendesse mia madre come tua zia ha fatto con la tua, beh… farei la stessa identica cosa."
Mei lo guardò, prima di guardare Shiryu.
"…giuro, è la prima volta che sento il diplomatico del Santuario parlare in questo modo!"
"Coraggio, signorina. Prendiamo questi dannati bauli e torniamo a casa prima che la situazione peggiori." disse Camus, raccogliendo qualcosa che era caduta dall'album di fotografie che aveva sfogliato fino a quel momento.
Si corresse poco dopo, rendendosi conto di ciò che aveva raccolto.

***

Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 1 aprile 2015]
Dunque, anche questo capitolo ha subito un radicale restyling. Spero sia tutto comprensibile :)
-Tien Mu: Dea minore del tuoni nel pantheon cinese. E' assistente di Lei Kung, supremo dio del tuono e del male.
-L'Andron è l'equivalente maschile del Gineceo.
-Il fen equivale a 1/100 di yuan o renmimbi, la moneta cinese.
-Melisse: così erano chiamate le sacerdotesse di Demetra.
-"Bellissimo edificio con le cupole blu": Camus si riferisce alla Moschea Blu di Istanbul.
Come sempre grazie a chi segue nonostante i ritardi, non smetterò mai di ringraziarvi.

Lady Aquaria

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Capitolo 21
*** Only time. ***


capitolo 21 principale rivisto
21.
Only time.
 
Il dolore può essere una cosa che abbiamo tutti in comune: ha una faccia diversa per ognuno di noi.
Ma la cosa più insopportabile, la cosa peggiore del cordoglio, è che non lo puoi controllare.
La cosa peggiore è che quando pensi di averlo superato, ricomincia tutto da capo.
E sempre, ogni volta, ti lascia senza fiato.
[Grey's Anatomy, stagione VI, episodio II]
 
Kobotec, Siberia.
Raggomitolata sotto diversi strati di pesanti coperte di lana, udiva a malapena il chiacchiericcio che la circondava sulla trojka: seduti a cassetta, Freya e Hyoga parlottavano di matrimoni, fiori e promesse, mentre Lixue, avvolta in un pesante cappotto nero e seduta sulle gambe del padre, leggeva a bassa voce un libro, parlando in russo.
Socchiuse appena gli occhi e li richiuse poco dopo, sospirando dietro la sciarpa che le copriva quasi tutto il volto: neve, montagne, neve, montagne. Un freddo che definire atroce era un eufemismo, quindi ancora montagne e neve a perdita d'occhio.
Che novità, Mei, sei in Siberia… cosa ti aspettavi, acque cristalline e cocktail di cocco?
"Come vanno le cose là sotto?"
Guardò Camus e si sforzò di sorridere.
"Suppongo sia superfluo dire che ho freddo."
"In effetti da queste parti è un ritornello che si sente piuttosto spesso, come lamentarsi del caldo in Kenya."
"Okay, allora vedrò di non esternare mai questo disagio a voce alta."
Lixue chiuse il libro e lo ripose nella sacca che si era portata appresso.
"Posso sedermi vicino a Freya?"
"Purché tu faccia attenzione, tesoro." le rispose Camus.
Hyoga aiutò la bambina a montare con lui e Freya a cassetta e Mei sbuffò.
"…ehm… io non credo sia il caso, Cam. Fa troppo freddo per lei."
"Ti sembrerà strano eppure non hai idea di quanto sia capace a sopportare queste temperature!" le rispose Camus, soprapensiero. "E' stupefacente!"
"Già, non ne ho idea." rispose, guardando a lungo sua figlia.
E se si fosse sbagliata, in tutti quegli anni? E se fosse sul serio nata con il Cosmo e lei, ostinatamente, si fosse rifiutata di accettarlo fino a non sentirlo? Del resto, suo zio e suo padre erano due Saint di Athena, il che aumentava ogni possibilità.
Non mia figlia, venerabile Kwan Yin. Non mia figlia. Non permettete che ciò avvenga.
 
Nazar accolse gli ospiti con una gioia ben visibile sul volto: alla vista della figlia del Maestro il sorriso sul suo faccione s'allargò da un orecchio all'altro.
"L'hai portata davvero!" esclamò in direzione di Camus.
"Certo, te l'avevo promesso!" gli rispose quest'ultimo, aiutando Freya e Mei a scendere dalla trojka. "Per quella famosa partita di scacchi, ricordi? Lixue, ti ricordi di Nazar, vero?"
"Bentornata madame! Venite, non è saggio stare troppo fuori con questo freddo." interloquì Zoya.
"Grazie. Non so se vi conoscete già ma lei è Freya, la fidanzata di Hyoga. Lei invece è Zoya, la sposa." le presentò Mei.
"Sì, a dire il vero già ci conosciamo." sorrise Freya.
"Oh, perfetto. Come non detto."
"Ho ritenuto opportuno sistemarvi qui nell'appartamento sopra l'emporio per evitarvi il freddo eccessivo di questo periodo: è fuori discussione far dormire una bambina piccola e una donna incinta laggiù all'isba. Ragion per cui i signori uomini sono invitati a tornare all'isba e raccogliere le loro cose prima di questa sera."
"Agli ordini, signora." scherzò Camus.
"Queste sono stanzette piccole ma calde, sicuramente più calde di quella ghiacciaia."
"E' casa vostra?" interloquì Freya.
"Sì."
"E non rechiamo disturbo, vero?"

"No, no. Io e i miei figli dormiremo da mia madre stanotte e Kirill dormirà nella nostra camera, in fondo al corridoio. Non preoccupatevi, siete i benvenuti!"
Camus lasciò Lixue con Nazar, sapendo che gli scacchi li avrebbero tenuti occupati per un po' di tempo e salì nella stanza al piano di sopra dopo aver aiutato Hyoga e Kirill a sistemare la trojka e i cavalli.
"Ha ripreso a nevicare, hai visto?" esordì, togliendosi il cappotto nero e scrollandosi i capelli. "Lixue è giù con Nazar a giocare a scacchi, conoscendoli, ne avranno per un po'."
Mei era in piedi accanto alla finestra, con lo stesso fare assorto che aveva messo su il giorno prima e che sembrava non voler andare via.
Pur essendo vicina, gli sembrava distante anni luce: forse non l'aveva neanche sentito. Gli cadde l'occhio sul letto e sulle ecografie che aveva trovato in mezzo all'album di foto nel baule di sua madre, e capì.

Dopo essere tornati da Nanjing aveva pianto fino allo sfinimento, fino a scivolare in un sonno profondo; la sola nota positiva di quel pomeriggio colmo di pessime notizie e ancora più pessimi ricordi, era stato il riavvicinamento tra lei e il fratello.
"Era un'asciutta giornata di gelo del principio di novembre, con un cielo calmo, d'un grigio plumbeo: radi fiocchi di neve, da poterli contare, volteggiavano a lungo ed evasivamente prima di toccare il suolo e d'annidarsi poi, polvere grigia e lanuginosa, nelle buche della strada." sussurrò, cingendole la vita. Non ottenendo risposta a parte un leggero sospiro, serrò l'abbraccio. "…e così lontana, fredda e attraente era colei alla quale egli aveva dato tutto, colei che aveva preferito a tutto e a confronto con la quale tutto era inferiore e privo di valore!"
"…Il Maestro e Margherita?" tirò a indovinare Mei, soffiandosi il naso congestionato.
"Il Dottor Živago!" esclamò Camus, fingendosi offeso.
"Oh."
"Tesoro, parlami… dimmi qualcosa. Se vuoi dico a Zoya che non ti senti bene e che rimarrai qui stasera."
Certo, così avrebbe finito col diventare l'attrazione principale della serata: quando il paese è piccolo, la gente mormora e lei sicuramente non voleva dare spunti per altri pettegolezzi sul proprio conto o su quello di sua figlia. Come se già non fossero abbastanza le occhiate che le rivolgevano certe persone.
"Così sarei al centro dell'attenzione e rovinerei la festa a tutti. No, va tutto bene, metterò su il mio sorriso migliore e uscirò con le ragazze."
"E se invece il sorriso fosse autentico?" domandò Camus.
"Per quello ci vuole tempo."
Per certe cose, non basta una vita intera.
Corrugò la fronte: forse era stato un errore andare a Kobotec.
"Ascoltami: possiamo riprendere le nostre cose e tornare a casa. Kirill capirà."
"Sto bene! Se così non fosse sarei rimasta a casa. Ho solo bisogno di un po' di tempo per digerire quelle notizie."
Camus le posò un lungo bacio sulla testa e le sorrise.
"Dunque, mentre noi fanciulle andremo a casa di Zoya, voi maschietti che farete?"
 
*
 
"Il numero del mio satellitare è tra i primi sulla rubrica."
"...okay." annuì Freya, prendendo il telefono satellitare di Hyoga che Camus le stava porgendo.
"In caso Mei ne avesse bisogno mi chiami immediatamente."
"Sì ma rilassati, siamo tra ragazze, in una casa, che cosa ci potrebbe mai succedere?"
Camus sbuffò.
"Sono serio, sai?"
"Ma che novità." lo prese in giro lei, pasticciando con il menù dell'apparecchio fino a trovare la rubrica.
"E' come usare un normale cellulare, per chiamare-…"
"Lasciami indovinare… scorro la rubrica fino al tuo numero, lo seleziono e quindi pigio il tasto verde? Buon cielo, Camus, sembri mia sorella! So usare un satellitare, so cosa fare in caso d'emergenza, se la cosa può farti star tranquillo ho seguito un corso di primo soccorso… so anche fare la rianimazione cardiopolmonare, d'accordo? Stai tranquillo! Piuttosto, come sta?"
"Come ieri, le cose non sono cambiate."
"Certe cose non sono facili da assimilare." lo riprese Freya. "A maggior ragione se riguardavano i tuoi genitori."
"E' il suo stato che mi preoccupa, è ancora nel primo trimestre e Athena sola sa che cosa potrebbe succedere se non si calma. La tensione potrebbe fare danni irreparabili."
"Non è stupida, sa che cosa fare o non fare. Lascia che si rilassi da sola."
"…appunto." interloquì Mei, uscendo dalla stanza. S'avvicinò a Camus e gl'infilò, nella cinta, il suo tantō. "Credo tu abbia dimenticato qualcosa."
"Serve più a te che a me."
"Sciocchezze." Mei gli mostrò un paio di pugnali di fattura orientale che, ricordò, spesso utilizzava Shiryu. "Sono ben armata, non preoccuparti."
"Anche io so come difendermi, non essere sciocca."
"Non puoi usare il tuo Cosmo su chi non lo possiede, quindi prendilo, è un ordine."
"Fossi in te non contraddirei una donna che si preoccupa per la tua incolumità. Specialmente se è incinta e, permettimi di dirtelo, Mei, parecchio lunatica." interloquì Freya.
"Va bene, se ti fa star tranquilla lo porterò con me." capitolò Camus.
"Oleg è sicuramente in giro, quindi occhi bene aperti." interloquì Hyoga, arrivando.
Mei sollevò un poco le gonne, estraendo un sai dal fodero che aveva incastrato nello stivale.
"E' lui quello che deve fare attenzione." rispose, seria.
"Bella, armata e pericolosa. Non le manca niente." scherzò Camus. "Andate o farete tardi."
Insieme a Hyoga le accompagnò alla piccola carrozza di Nazar e si assicurò che tutt'e tre fossero sufficientemente coperte.
"Copriti bene, Lixue. Bene, Freya conosce la strada. In ogni caso, sai che cosa fare."
"Oui Monsieur!" rispose Freya, facendogli un saluto militare. [Sissignore!]
 
La casa di Zoya era addobbata con grandi drappi blu intenso ed era già piena di donne: molte di loro si rivelarono incuriosite e ben disposte nei confronti della compagna e della figlia del Maestro Camus, altre erano del tutto indifferenti, ma tutto sommato, tutte erano quantomeno educate.
Nell'atrio della bottega era stato esposto l'abito da sposa e Mei fu sorpresa di scoprire che era blu.
"Pensavo ci si sposasse in bianco, qui." sussurrò, a Freya.
"Nelle grandi città, forse. Ma ricorda che qui siamo in un paesino di quante? Duemila anime, forse? Le tradizioni hanno radici molto molto profonde: un tempo le spose vestivano di blu e quest'uso è rimasto. La madre della sposa è una sarta, è stata lei a cucire i vestiti per le invitate e a riadattare quest'abito." le spiegò Freya. "E' un sarafan, un abito tradizionale molto particolare che spesso è tramandato di generazione in generazione: il broccato è piuttosto antico e… vedi quelle decorazioni con le perle e la pelliccia? Chissà quante spose l'hanno indossato in questa famiglia."
"Anche il mio abito da sposa è antico: è stato indossato per la prima volta dalla mia trisnonna e tutte le donne della mia famiglia l'hanno indossato, compresa mia madre. Un domani lo indosserà anche Lixue e così via." rispose Mei, affascinata dalle decorazioni del sarafan. "O meglio… sempre se vorrà sposarsi con una cerimonia tradizionale. Ma crescendo a Parigi, temo che finirà con l'accostarsi alle tradizioni occidentali, abbandonando quelle della famiglia. Pazienza, ci penserò quando arriverà quel momento."
Pur non comprendendo gran parte dei discorsi tra Zoya e le altre invitate, Mei fu contenta d'essere rimasta a Kobotec: quando mai le sarebbe ricapitato, pensò, di presenziare a un matrimonio russo tradizionale?
Freya le portò un piatto colmo di vari dolcetti, sedendosi accanto a lei.
"In questo momento stanno parlando del riscatto della sposa, che è una specie di gioco che tiene occupati gli sposi prima della cerimonia: domani mattina Kirill verrà qui accompagnato dagli amici e da Hyoga, che è il suo testimone, con una specie di processione, quindi, una volta a casa dei suoceri, Hyoga dovrà darsi da fare per negoziare con i genitori di Zoya a nome dell'amico. Una volta pattuito il prezzo, che di solito si tratta di dolci e vino, a Kirill sarà richiesto di riconoscere la sua sposa tra le invitate, ovviamente velate, affinché si dimostri degno di lei." spiegò. "In realtà la trafila è più lunga e prevede anche una giornata dedicata al fidanzamento, con riti specifici, ma dato che sono passaggi già compiuti in precedenza, Kirill e Zoya hanno deciso di passare direttamente al riscatto e alla cerimonia in chiesa."
Le tradizioni straniere l'affascinavano moltissimo, e si scoprì impaziente di vedere sia il matrimonio di Zoya che quello greco di Marin. I soli matrimoni ai quali aveva partecipato erano stati quelli di amiche e colleghe che però, di tradizionale, non avevano avuto granché: le spose avevano quasi tutte optato per ricchissimi abiti da sposa in stile occidentale che personalmente non apprezzava.
"Anche tu e Hyoga vi sposerete così?"
La principessa scosse la testa.
"No, mi piacerebbe molto, ma Hilda insiste affinché mi sposi secondo i riti asgardiani; ci saranno alcuni elementi presi dal matrimonio russo, come il riscatto e il rito del pane e del sale, ma sarà tutto molto regale e formale." le rispose. "Hyoga non è molto d'accordo, ma Hilda non lo fa con cattiveria, credo che in un certo senso voglia farmi vivere quel giorno così come lei avrebbe voluto viverlo con Siegfried."
"E tu che cosa vuoi? Come vorresti vivere quel giorno?"
Freya si strinse nelle spalle.
"Per me ciò che conta è Hyoga, il resto passa tutto in secondo piano. La cerimonia, il ballo, il vestito… non m'interessano poi tanto. So che ci sarà lui ad aspettarmi e tanto mi basta." rispose semplicemente. "Mi piacerebbe chiedere a Camus di farmi l'onore di accompagnarmi all'altare… e vorrei chiedere a te di farmi da testimone, se vuoi."
"Oh…" sorrise Mei, commossa.
"So che ovviamente non seguite il culto di Odino, ma… beh, Hilda non avrà da ridire sulla mia scelta!" insisté Freya. "Non dirmi di no!"
"Ehm… va bene, lo farò volentieri! Siete due bravi ragazzi e… vi auguro di essere felici."
Freya stava per rispondere quando, d'un tratto, sentirono uno strano cicaleccio in strada che indusse Zoya e le amiche ad infilarsi i pastrani e uscire sul ballatoio.
"Vieni, andiamo a vedere!"
In strada, sotto il balcone, si erano fermate le due trojke con a bordo Kirill e tutta la cricca; il giovane si era alzato in piedi e aveva iniziato a parlare con la fidanzata, incitato dai compagni.
"Le sta ricordando l'appuntamento di domani." sussurrò Freya. "Mentre gli altri ragazzi, compresi i nostri uomini, lo stanno bonariamente prendendo in giro ricordandogli, per così dire, che ha certi doveri coniugali da rispettare."
"Direi che li ha già ampiamente rispettati." ridacchiò Mei.
A un certo punto, fu Camus a parlare, rispondendo a Zoya; la sola parola che Mei comprese, nella marea di frasi a lei totalmente sconosciute, fu vodka.
"Zoya ha chiesto a Camus di controllare Kirill e di non farlo ubriacare troppo."
"L'avevo intuito dopo aver sentito vodka." mormorò Mei.
"…anche perché altrimenti mia moglie mi manda a dormire sul balcone!" replicò Camus, in francese, spostando l'attenzione su di lei, facendola imbarazzare.
Dopo un altro scambio di battute con Zoya, Kirill iniziò a strimpellare uno strumento a corde, intonando una canzone e finendo con l'essere seguito a ruota anche dagli altri.
"Le sta facendo una serenata dopo averle augurato la buona notte." le spiegò Freya.
Mei però non la stava più ascoltando, perdendosi nel sorriso che Camus aveva messo su mentre, insieme agli altri, cantava d'amore e di belle ragazze: lo vide spensierato, allegro, in pace con sé stesso, totalmente a suo agio in quel luogo e tra quella gente.
"…ti porto all'isba. È tanto tempo che desidero farlo, non dirmi di no. (…) Sarebbe una vita che personalmente sarei disposto a vivere: entrando in casa ti ho sentita trafficare in cucina e ti ho guardata. Vestita così mi sei sembrata una di quelle donne dei dipinti del diciannovesimo secolo e… oh, prendimi per stupido, pensavo d'essere tornato indietro nel tempo. Ed è stata una bella sensazione."
Pensò che era stata piuttosto egoista, mesi prima, nel rispondergli che non avrebbe mai potuto vivere in quel posto dimenticato dagli Dèi: era evidente l'amore che Camus nutriva per quel posto. Come evocato, lui alzò lo sguardo e le rivolse il più luminoso dei sorrisi.
E si rese conto che avrebbe fatto qualunque cosa per poter vedere ogni giorno quel sorriso.
 
**
 
"Siamo usciti con Kirill e tutta la compagnia, non dovremmo fare troppo tardi. Non aspettarmi sveglia, dormi. A più tardi. Camus."
Mei guardò l'ora: le ventitrè.
Avevano lasciato la casa paterna di Zoya a festa finita a un orario che, secondo la mentalità del luogo, per una donna era già troppo indecoroso e, a quanto pareva, Camus e tutta la cricca dovevano essere usciti già da un po', dopo la serenata.
"Tutto bene?"
"Sì. Lixue dorme e qui dentro loro stanno bene." le rispose, incerta se spiegarle della stranissima sensazione che aveva sentito durante il breve scambio di battute con Oleg: una sorta di calore che l'aveva pervasa, donandole una strana energia. Sulle prime l'aveva scambiata per adrenalina, ma in qualche modo sapeva che c'era altro sotto. "Ehm… Hyoga ti ha lasciato scritto qualcosa, per caso?"
Freya le mostrò un post-it.
"Sì, so che sono usciti insieme allo sposo e ai suoi amici per seguire delle antiche tradizioni prematrimoniali in uso qui a Kobotec." spiegò, accompagnando il tutto con il gesto delle virgolette. "Il che significa che probabilmente sono usciti per fare il giro nelle taverne dei villaggi vicini a ubriacarsi."
"Ubriacarsi nei villaggi vicini?" ripeté, preoccupata. Le strade erano scarsamente –se non per nulla- illuminate, e se già era difficile guidare i cavalli durante la notte in condizioni normali, figurarsi da ubriachi. "E se si perdono?"
"Figurati! I cavalli hanno un senso dell'orientamento straordinario, riporteranno sicuramente gli uomini a casa sani e salvi."
"Rassicurante."
"Vuoi compagnia o preferisci rimanere sola?"
"Resta, ho bisogno di distrarmi."
Freya annuì.
"Benone, vado a prendere qualcosa da bere e arrivo subito."
Pur essendo rientrata stanchissima, quel bigliettino e il diverbio di poco prima le avevano scrollato di dosso tutto il sonno: la stanchezza, lo sapeva, l'avrebbe colta solo per sfinimento.
La principessa tornò pochi minuti dopo, mostrandole una caraffa di latte caldo e un piccolo cestino di vimini colmo di biscotti.
"Dove hai imparato quelle mosse?" le domandò quindi, incapace di tenere a freno la curiosità: Freya si era mossa così rapidamente e in modo così esperto che l'aveva colta di sorpresa.
L'altra sorrise.
"Da ragazzina ho ricevuto un'infarinatura di autodifesa da Hagen e dalle guardie di palazzo, ma è stato Camus a insegnarmi, e non solo qualche mossa." le spiegò. "Non senza una buona dose di proteste da parte di mia sorella."
"Immagino."
"Perdonate la mia sfrontatezza, Maestà, ma è bene che una ragazza sappia come difendersi in caso di bisogno. Hilda, alla fine, ha capitolato."
"Da quel che ho visto, è stato un buon insegnante."
"No, Camus è stato un ottimo insegnante." la corresse, ripensando ai pomeriggi trascorsi insieme a lui, imparando mosse e tecniche che Hilda aveva definito inadatte a una principessa.
"Che buffo. Camus ha insegnato a te e Hyoga a me, anche se insegnare è un termine inesatto in quanto mi ha mostrato solo alcune mosse di Systema. Quando Camus l'ha scoperto, si è un po' offeso perché non l'ho chiesto a lui, ma preferisco averlo come compagno, che come maestro."
"È severo, questo non posso negarlo, ma non ti mette soggezione. Spiega molto bene e ripete con pazienza se non capisci qualcosa."
E chi meglio di lei poteva capire fino a che punto poteva arrivare la pazienza di Camus?
Di nuovo, com'era già accaduto durante la serata, lo sguardo di Mei si fece lontano, distante: ancora una volta, la scoprì guardare qualcosa nascosto tra le pagine di un libro.
"Stai pensando a lei, vero?"
Mei distolse lo sguardo dalle ecografie e richiuse il libro.
"Non sentirti in colpa, è che questa sera c'eri, ma in qualche modo non eri con noi." spiegò Freya.
Come aveva detto a Camus, aveva messo su il migliore dei suoi sorrisi ed era andata alla festicciola cercando di comportarsi il più normalmente possibile. A quanto pareva però, non si era impegnata abbastanza.
"Ti ho sentita piangere, l'altra sera."
"Mi sentirai piangere ancora, fidati." replicò Mei.
"Hyoga mi ha spiegato a grandi linee che dai tuoi parenti hai trovato qualcosa che riguarda tua madre."
Album di foto, abiti, abiti di scena e tante altre cose, alcune delle quali agghiaccianti.
"Ho perso i miei genitori in un incidente stradale quando avevo circa dodici anni. Nei bauli presi da mia cugina ho trovato dossier della polizia giapponese e dell'ambasciata cinese, documenti cimiteriali e materiale di questo genere e… beh, la cosa sulle prime non mi ha fatto effetto. Sì, la ferita si è riaperta e fa male, ma era un dolore al quale ero abituata… e poi Camus ha trovato queste." rispose Mei, porgendole le ecografie.
Freya le studiò qualche istante, poi sgranò gli occhi.
"28 agosto 1997…"
"Mia madre era incinta di quattro mesi e mezzo, quando è morta." sussurrò Mei, la voce rotta. "Quattro mesi e mezzo. E in tutto questo tempo, io… non ho fatto altro che pensare a lei, a quel fratello mai nato, a che cosa avrà provato mentre stava precipitando, mi chiedo che cos'ha pensato in quei secondi. Quanta paura avrà provato, pensando al bambino. E mio padre?"
La principessa si sedette accanto a lei sul piccolo divano e l'abbracciò.
"Non sai quanto mi dispiace."
"Penso a mia madre, poi penso ai miei bambini e provo a mettermi nei suoi panni… Déi, doveva essere… terrorizzata!"
"Calmati, ti prego. Quest'agitazione non fa bene ai bambini e se Camus ti trova così al suo ritorno, come minimo mi stacca la testa."
Singhiozzò ancora qualche minuto, finché la sensazione avvertita durante lo scontro con Oleg non ritornò ancora una volta, inducendola a calmarsi.
"…perché mai dovrebbe?"
"Beh, mi ha chiesto di vegliare su di te." replicò Freya, semplicemente.
Vegliare? Addirittura?
Il solito esagerato.
 
Quel non dovremmo fare troppo tardi si trasformò in un'ora, l'ora in tre ore e le tre ore in notte fonda; finito lo spuntino, lei e Freya avevano parlato fino alle due, finché la quiete dell'emporio non era stata interrotta da un uomo che aveva iniziato a suonare spasmodicamente il campanello in cerca d'aiuto: a quanto pareva, appena fuori dal paese un incidente aveva coinvolto due carrozze.
Freya aveva aperto discretamente la porta, origliando quanto stava succedendo al piano inferiore.
"Sembra che ci sia stato un incidente. I cavalli di una trojka si sono imbizzarriti e questa si è scontrata con un'altra trojka che stava rientrando in paese." ripeté a beneficio di Mei. "Sta chiedendo aiuto perché un uomo si è rotto una gamba e l'altro è rimasto incastrato."
Avvertendo un sottile filo d'ansia farsi largo dallo stomaco, Mei andò alla finestra, scostando le pesanti tende.
"Non ti agitare, se fosse successo ai nostri uomini ci avrebbero già avvertito." le sorrise Freya, incoraggiante.
Nazar le avvisò che avrebbe seguito l'uomo per aiutarlo e disse loro di chiudersi dentro l'emporio.
"Io e il Maestro abbiamo delle chiavi di riserva, perciò non aprite a nessuno."
Con quel che è successo poche ore fa, non aprirei neanche a Brad Pitt in persona, pensò, mentre Freya chiudeva a doppia mandata.
"Non ho più sonno." borbottò Mei.
"Si chiama ansia. Vai pure a dormire, li aspetto io."
"Sto bene qui. Non riuscirei comunque a chiudere occhio, non finché non ritorna Camus, almeno." le rispose. "Suonerò melodrammatica, ma non starò tranquilla finché non lo sentirò dormire accanto a me."
Afferrò il romanzo che si era portata dietro e s'impose di rimanere sveglia a tutti i costi.
 
"Ach, krasavica, duša-devica, poljubi že ty menja!"
"Ecco i nostri eroi di ritorno." sospirò Freya, stanca. "Ubriachi, a quanto pare…"
Sentirono armeggiare con la serratura, perciò uscirono dalla camera ed entrambe si fermarono in cima alle scale, attendendo la comparsa dei loro uomini.
"Aj-ljuli, ljuli, aj-ljuli, poljubi že ty menja!"
"…decisamente ubriachi." aggiunse Freya, guardando Kirill rovinare a terra ridendo come un ebete mentre Hyoga cercava di tirarlo di nuovo in piedi. "Spero che Kirill si riprenda in tempo per il matrimonio o stavolta finirà nei guai sul serio."
"Sto bene!! Va tutto bene!! Domani mi sposo!!" gridò lo sposo, parecchio alticcio. "Lasciami andare Hyoga, sto bene!" aggiunse, prima di finire di nuovo lungo e disteso a terra, incapace di reggersi in piedi. "STO BENE!!!"
Camus si tolse il colbacco con un gesto teatrale.
"Ragazzi, grazie per questa bellissima serata! Ora tutti a dormire, che il tempo vola!!" li ringraziò, prima di intravedere Mei sul ballatoio, lo sguardo indecifrabile. "Tesoro!"
Mei fece dietrofront senza rispondere, sentendo Camus affrettare il passo.
"Hey!"
"Sono le quattro del mattino, ti sembra questa l'ora di rientrare?" sibilò Mei, mettendosi tra lui e la camera. "E sei pure ubriaco fradicio, grandioso!"
"No, ubriaco fradicio no, non esagerare… senti, non possiamo parlarne dentro?" le domandò, indicando con un cenno gli uomini che, giù al piano terra, li stavano osservando. "Dai, fammi entrare."
"Scordatelo."
"Non farmi perdere la faccia."
"Essere sbattuto fuori dalla stanza è oltraggioso e ubriacarsi fino a questo punto non lo è?"
"Sono brillo." puntualizzò Camus. "Brillo, non ubriaco."
"Sarà, ma tu dormi sul pianerottolo, stanotte, parola mia."
Dal piano di sotto arrivarono dei commenti che, ovviamente, Mei non comprese: alcuni molto salaci, altri più soft.
"Si è arrabbiata, eh?"
"Vi aspetta una notte in bianco, vecchio mio!"
"Ma che arrabbiata, entrate e fatele vedere chi comanda!"
Camus si voltò in loro direzione e sorrise a Kirill.
"Visto, Kirill? Adesso sai a che cosa stai andando incontro!" esclamò, in russo, facendo scoppiare tutti a ridere. "Non hai idea del guaio nel quale ti stai cacciando!"
"Che cosa state dicendo?"
"Credimi, meglio che tu non lo sappia. Dai, ho un sonno terribile, fammi entrare."
Esasperata, si fece da parte e gli permise di entrare in camera, sentendo subito dopo un coro di fischi e applausi da basso.
"Non credere di poter dormire sul letto, caro mio. Questa notte la passi in poltrona. E spera che Lixue non si svegli e ti veda in questo stato." disse Mei.
La prospettiva di dormire sulla sgangherata e consumata poltrona accanto alla finestra non lo allettava neanche un po', tuttavia Mei era già parecchio arrabbiata –per quale motivo, poi? L'aveva avvertita, dopotutto!- e non era il caso di farla agitare ancora: preso un cuscino e un paio di coperte dalla cassapanca, si diresse in bagno intenzionato a dormire nella vasca.
"… non capisco perché sei tanto arrabbiata…"
"Lascia perdere."
 
D'accordo, forse aveva un pochino esagerato e aveva fatto male a reagire in quel modo, ma durante le ore spese ad aspettarlo aveva pensato di tutto e quando quell'uomo era entrato nell'emporio chiedendo aiuto per un incidente avvenuto fuori dal paese, la sua ansia era cresciuta a dismisura.
Non assillarlo, in fondo è tornato tutto intero, no?
"Sciocca rompiscatole." si rimproverò, alzandosi e stringendosi nella vestaglia.
Camus si era disteso alla bell'e meglio nella vasca, con una coperta a 'mo di materasso e i piedi che sporgevano fuori: si era sistemato in un modo tale che l'indomani si sarebbe svegliato pieno di dolori.
"Stai bene?" le domandò, quando la vide entrare nel piccolo bagno.
"Stai davvero provando a dormire, nudo, in una vasca da bagno striminzita?"
"Sì, perché l'alternativa è una poltrona mezza sfondata."
"E se al posto mio fosse entrata Freya?"
Non ci aveva pensato.
"Il bagno è comune a entrambe le camere?" domandò, attestando l'ovvio: si accorse solo in quel momento che il bagno aveva due porte. "Beh, sarebbe stato imbarazzante ma non credo che Freya sia tipo da scandalizzarsi alla vista di un uomo nudo."
"…e se fosse entrata Lixue?"
"Ecco, a questo proprio non avevo pensato."
"No, eh? Dai, vieni a dormire." sospirò Mei. "Sono arrabbiata ma non mi piace l'idea di farti passare la notte qui."
Le sorrise divertito.
"Ho dormito in posti peggiori."
"D'accordo. Sono troppo stanca per discutere anche di questo, sicché fai ciò che credi. Buonanotte."
Si era appena sistemata sotto gli strati di coperte, i piedi a stretto contatto con la borsa dell'acqua calda ancora piacevolmente tiepida, quando avvertì le mani gelide di Camus addosso, mentre la stringeva in un abbraccio.
"Ti chiedo scusa per averti fatto preoccupare. Non succederà più."
"Sei tornato e sei tutto intero, l'importante è questo."
 
*
 
"Dobrji djen, Camus." lo salutò Nazar, posando latte e biscotti sul vassoio che stava componendo sul bancone. "So che tua moglie adora i biscotti di Zoya, ieri sera lei e la principessa ne hanno spazzolato un cestino intero, mentre vi aspettavano. Quindi eccoli qui."
L'altro sorrise.
"Immagino… ha sempre amato i dolci, ma da quando è incinta ne mangia molti di più."
Nazar tacque un attimo, incerto se parlargli o meno di quanto successo la sera prima.
"A proposito… come sta? Ieri sera era piuttosto scossa dopo la faccenda di Oleg." si decise infine, catturando totalmente l'attenzione di Camus.
"Quale faccenda?"
"Oh, no, pensavo te l'avesse detto. Sarà lei a parlartene, allora."
Camus assottigliò lo sguardo.
"Quale faccenda?"
 
Rientrato in camera intenzionato a parlare con Mei di quanto accaduto, si era imbattuto in qualcosa, a terra: il suo sai, sporco di sangue.
"Che mal di testa, vecchio mio." scherzò Hyoga, imbattendosi in lui sul pianerottolo.
"Spero che Kirill si sia ripreso o vedrai Zoya come lo concia per le feste…" ridacchiò Freya.
Camus non era in vena di scherzi, però.
"Sbaglio o ti avevo detto: chiamami immediatamente in caso d'emergenza?"
"Che cosa succede?" domandò Hyoga, allarmato dal suo tono di voce.
Camus gli mostrò il sai.
"Buon cielo!"
"Succede che Oleg ha aggredito mia figlia e le nostre donne, ieri sera." rispose Camus. "Mei sta ancora dormendo e aspetterò che sia sveglia per parlarle, quindi, Freya, mi piacerebbe sapere che cosa è successo esattamente."
La principessa sospirò.
Stavano rientrando all'emporio quando Lixue aveva gridato, gli spiegò, e quando aveva riconosciuto Oleg, l'aveva immobilizzato torcendogli il braccio dietro la schiena.
"Allora di chi è questo sangue? Tu o Mei vi siete ferite?"
"No, è di Oleg. Mei l'ha minacciato con il sai e ha premuto un po' troppo sul collo. Era furibonda, non l'avevo mai vista così."
Si appuntò mentalmente di sistemare la faccenda col diretto interessato.
"E in tutto questo, Nazar dov'era?"
Nazar era sbucato di corsa dal retrobottega, allarmato dalla voce di Mei e dall'urlo spaventato che Lixue aveva emesso quando era stata afferrata, trovandosi di fronte a una scena che forse non si era aspettato di vedere: due donne che tenevano sotto scacco un uomo era qualcosa di mai visto a Kobotec.
"Tocca un'altra volta mia figlia e non vivrai abbastanza per vedere l'alba di domani!" aveva sibilato Mei, furibonda, premendo appena il sai finché un sottile rivoletto di sangue non era sceso lungo il collo di Oleg. 
"State indietro, madam." Nazar era intervenuto brandendo un forcone contro Oleg che Freya, con uno spintone, aveva mandato lungo e disteso a terra.
"Giuro sui miei avi che la prossima volta finisci all'inferno! "
Oleg non aveva più reagito, ma il ghigno che aveva rivolto a Mei e a Lixue le aveva messo i brividi addosso.
Camus era una maschera di ghiaccio: per esperienza Hyoga sapeva che quell'apparente non-reazione era il preludio di una tempesta di proporzioni immense.
"Che cosa le ha detto?"
"Shlyukha." ripeté Freya a bassa voce.
Puttana.
"Che Athena mi perdoni: appena quel verme riuscirà a capitarmi tra le mani, gl'infilerò questo nell'ombelico e lo aprirò fino alla gola." sbottò Camus.
"Non mi piace sentirti parlare in questo modo." obiettò Hyoga.
"Allora ti suggerisco di procurarti dei tappi per le orecchie."
Lixue richiuse la porta della loro stanza e scese al piano di sotto, interrompendo i tre adulti.
"Ciao, bella. Dove vai così di fretta?" la salutò Hyoga.
"La mamma di Zoya deve pettinarmi e io sono in ritardo!" esclamò Lixue, accorgendosi poi del padre. "Bàba!"
"Privjet, lyubov' moya." sorrise Camus, ricambiando l'abbraccio della figlia. La scostò poi da sé, osservandola vestita con un vestito tradizionale russo. "Za Athena, kak ty prekrasna!" [Ciao, amore mio. Per Athena, come sei bella!]
"Tuo padre ha ragione, sei davvero bella." interloquì Freya. "Se sei pronta, direi che possiamo andare!"
"Mancano ancora diverse ore al matrimonio, rilassatevi." sospirò Camus.
"Zoya mi ha promesso le bliny con la marmellata di ribes." spiegò Lixue, tutta allegra, facendo ridacchiare il padre.
"Ah, ecco."
"Tale e quale i suoi genitori, vedo: mangiano di tutto e non mettono su neanche un grammo." si lamentò Freya.
"Questione di metabolismo." rispose Camus.
"Ma dai? Com'è che certe fortune capitano sempre agli altri e mai, dico mai, a me?"
"Tu non vieni, papà?"
"Vi raggiungerò più tardi tesoro. Adesso devo parlare con mamma."
 
D'un tratto, Paul Stanley smise di cantare dal lettore mp3 posato sul lavandino.
"Stupide batterie al litio." sbuffò Mei, aprendo gli occhi e trovandosi faccia a faccia con il suo sai. "Porca miseria!"
Camus aveva scostato di scatto la tenda da doccia, l'arma della sera prima in mano, ancora sporca di sangue.
"Sbaglio o devi dirmi qualcosa?" le domandò, agitandole l'arma davanti agli occhi.
"Sei impazzito? Mi hai fatto perdere vent'anni! Fai parte di qualche strana associazione, per caso? Tipo: aiuta un cardiologo, distruggi delle coronarie innocenti o che so io?" gli domandò, gettandogli addosso la spugna zuppa d'acqua.
"Cos'è successo ieri sera?"
Mei chiuse il rubinetto, scrollandosi i capelli.
"Sicuramente sai già tutto, dunque perché me lo chiedi?"
"Perché avrei preferito saperlo da te anziché scoprire tutto per caso."
"Se ti avessi raccontato tutto stanotte saresti uscito alla ricerca di quell'idiota alle quattro del mattino."
"Alle quattro del mattino no, ma puoi scommetterci che Oleg non la passerà liscia stavolta."
"…appunto."
Oleg aveva oltrepassato il limite, non poteva assolutamente permettergli di farla franca, in nessun modo.
Aiutò Mei a uscire dalla vasca e l'avvolse nell'accappatoio con fare protettivo.
"Perché non sei tornato un po' prima? Avremmo potuto fare una doccia insieme…" tentò di distrarlo.
"Saremmo arrivati in ritardo." obiettò lui, ridacchiando. "E poi, chi l'avrebbe sentita Zoya?"
La strinse a sé prima di baciarla, quindi cercò di cambiare discorso per non preoccuparla ulteriormente.
"Sarà una bella cerimonia, ti piacerà, vedrai."
Avrebbe aspettato la fine di quella giornata di festa, ma Oleg l'avrebbe pagata cara.
 
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 19 maggio 2015)
N.B: ho deciso, con grandisssssimo ritardo, di cambiare, finalmente, anche il nome di Flare, usando quello originale, ovvero, Freya. Ergo, andando a rileggere i precedenti capitoli, troverete già la modifica. Non so perché ho aspettato così tanto a modificarlo… o.O
-Il titolo rimanda a una canzone di Enya, mentre le righe sotto di esso, sono state riadattate da un dialogo su più voci presente nell'episodio di G.A. indicato.
-Tantō: come già specificato altrove, si tratta di un'arma bianca giapponese, con una lama di circa 30 cm.
-Sai: anche questa è un'arma bianca, usata però anche in zone come la Cina (col nome Tiechi) e in Indocina. Avete presente le armi che nei film Marvel Daredevil ed Elektra utilizza la protagonista? Eroina a parte, è utilizzata anche in certe arti marziali.
-Sarafan: abito tradizionale russo, utilizzato dapprima come abito quotidiano, quindi diventato abito per le feste o certe ricorrenze.
-Riscatto e Rito del pane e del sale: nei matrimoni russi sono due tradizioni (spesso dimenticate o ritenute obsolete). Il rito del pane e del sale si svolge poco dopo la cerimonia, prima del banchetto: una delle due suocere attende gli sposi tenendo in mano un vassoio con pane e sale e la tradizione vuole che chi tra i due sposi prenderà il pezzo di pane più grande avrà diritto a comandare in casa.
-La canzone che i baldi giovani cantano di ritorno all'emporio è un classico della musica tradizionale russa ed è la super-famosa "Kalinka".
Thanks, as always.

Lady Aquaria

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Capitolo 22
*** Ladies' night. ***


capitolo 22 principale
22.
Ladies' night.
 
"Questa è proprio bella."
Camus mandò in stampa le ultime fotografie scattate a Kobotec, quindi ritirò in una custodia apposita due cd e una schedina di memoria. Gettò infine un'occhiata allo schermo del pc e sorrise: ritraeva Kirill e Zoya, lei nel suo sarafan blu, lui con una kosovorotka chiara riccamente decorata; sullo sfondo, la piccola chiesetta ortodossa del paesino, bianca, con le guglie dorate.
"Sì. Ma vai a vedere quelle con i bambini, erano un amore." commentò Camus. "Ne ho scattata una dove li ho ritratti tutti e quattro. Sai, conosco uno studio fotografico dove stampano queste foto su tela, potrei farne stampare una da portar loro alla prossima visita, che ne pensi?"
"Non male come idea." rispose Hyoga, sistemandosi sulla poltrona e scorrendo le varie foto mentre Camus sistemava ordinatamente le varie stampe man mano che uscivano dalla stampante.
La piccola Valentyna in braccio a Nazar; il fratellino più grande, Ivan, mentre sgambettava allegro in giro per il sagrato rincorso dalla nonna materna; Kirill con suo padre e, poi, con i suoceri; una grande foto di gruppo che ritraeva gli sposi e gli invitati… Hyoga scorse quasi un centinaio di foto, poi vide una cartella intitolata: "Da controllare".
"Posso?"
Non le aveva ancora guardate attentamente, ma se non ricordava male erano foto che ritraevano lui, Freya, Lixue e Mei.
"Certo."
Il sorriso di Lixue incorniciato da una complicata treccia fu la prima foto che gli capitò: sarafan rosso, stivaletti neri e calzamaglia bianca, le gote rosse per il freddo.
"Est-ce que tu veux dire quelque chose à la couple?" [Vuoi dire qualcosa agli sposi?]
"Zhùhè, yuàn nǐmen xìngfú kuàilè, tiānchángdìjiǔ!"
Sentì Camus ridacchiare, nel video.
"Mais non! Ils ne parlent pas le chinois, ma chérie. Dis-le en russe." [Ma no! Non parlano cinese, tesoro. Dillo in russo.]
"Pozdravlyayu, zhelayu vam schast'ya, navsegda!" [entrambe le frasi significano: congratulazioni, vi auguro di essere sempre felici!]
"A sentirla parlare, non diresti nemmeno che Lixue è metà cinese." osservò Hyoga. "In effetti, a parte il nome, sembra una di noi."
"Una di noi?" ripeté Camus.
"Sì, una di noi. Una figlia del ghiaccio." spiegò Hyoga. "Resistenza al freddo, pelle e occhi chiari…"
L'altro sbirciò fuori dalla porta.
"Beh, se ha la pelle chiara, i capelli rossi e le efelidi che le spuntano ovunque quando prende il sole è solo questione di genetica." rispose Camus. "Sfortunatamente, ha preso i miei geni. In ogni caso, non farti sentire da Mei: è già abbastanza terrorizzata per via di una battuta stupida che ha fatto Milo, e non intendo farla agitare più del dovuto. Anzi, a proposito di Milo, spero proprio che non sia scesa all'ottava casa o saranno guai."
Hyoga proseguì con le foto.
"Non starai esagerando un pochino? Giusto un po'."
"Per niente. Non oso immaginare quel che succederebbe se Mei andasse davvero a parlare con Milo come ha minacciato." rispose Camus, prima di raccontargli quanto accaduto a Eleusi. "… come vedi, non sarebbe una visita di cortesia."
"Il Cosmo si sarebbe già manifestato, non credi? Ha sette anni, è già troppo tardi."
Camus annuì, ripensando, però, a quei due strani fenomeni che aveva avvertito in Siberia, nei giorni precedenti: due piccolissime schegge di un Cosmo a lui sconosciuto, mai sentito prima, ma in qualche modo amico.
"Staremo a vedere." rispose, criptico.
 
Mei bussò sulla porta aperta, distraendo i due.
"Bonjour. Io scendo al mercato… serve qualcosa?"
Camus la salutò con un bacio e una carezza sul ventre.
"Bonjour… et bonjour à vous aussi. No, a dire il vero non mi serve niente, solo che tu faccia attenzione." [Buongiorno e… buongiorno anche a voi.]
"Okay." sorrise Mei.
"Anzi, no. Passa dal negozietto di kebab del villaggio, quello vicino al pescivendolo, e prendi dei dolci tunisini, sono fantastici."
"Bravo, poi così ingrassi."
"Tanto so come smaltire i chili di troppo."
"Sciocco." rispose Mei, prima di uscire.
 
"Accidenti, che faccia!"
"Buongiorno anche a te, splendore."
DeathMask si affiancò a lei appena fuori dalla quarta casa, seguendola.
"Hai dormito poco, mh?"
Sì, ma non per il motivo al quale stava pensando lui.
"…avete fatto le ore piccole?" ammiccò Death.
"Succede, se sei incinta di due bambini." rispose Mei. "Ti piacerebbe provare?"
Aldebaran sghignazzò.
"Sarebbe interessante vederti incinto, Death. Pensa al parto."
"No, grazie." rabbrividì l'interessato.
"Dove siete diretti?"
"Io al mercato, lui non lo so." rispose Mei, intravedendo Lixue e Milo correre in direzione della palestra riservata ai Gold Saint.
Shiryu si schiarì la voce, attirando la sua attenzione.
"… non è saggio uscire in compagnia di DeathMask. Dovresti evitare."
"Il fatto che ci siamo riconciliati per via della faccenda di mamma non ti autorizza a ritornare l'essere sgradevole che eri prima." replicò Mei, continuando a parlare greco.
"Questa cosa non mi va. Non devi uscire con lui."
"Hey lucertolone, se devi dire qualcosa dimmela in una lingua che possa comprendere." interloquì DeathMask, finendo con l'essere interrotto da Mei.
"Hai presente l'uomo con i capelli rossi col quale divido casa? Non do' conto a lui delle mie compagnie, perché dovrei dar conto a te?" rispose Mei. "Oh, Camus, giusto te cercavamo. A te da' fastidio se esco con DeathMask?"
Camus osservò i tre: Shiryu e DeathMask sul piede di guerra, intenti a lanciarsi occhiate minacciose. In teoria non gradiva molto che Mei frequentasse gente come DeathMask, ma, si disse, mai e poi mai e per nessuna ragione l'avrebbe data vinta a Shiryu.
"No." rispose, scrollando le spalle e riuscendo anche a essere convincente.
Mei ridacchiò.
"Visto? A dopo, adesso ho da fare."
DeathMask scoccò un ghigno sarcastico a Shiryu, seguendo Mei poco dopo.
"…se Camus avesse risposto saresti rimasta a casa?"
"No. Camus è mio marito, non il mio carceriere. Il solo uomo che poteva dirmi che cosa potevo o non potevo fare era mio padre." gli rispose lei. "Non concedo a nessuno questo potere. A nessuno."
Le rivolse uno strano sorriso, quindi frugò nella sacca di tela che fungeva da borsa della spesa e le porse un sacchetto.
"Ho sentito l'attendente di Shaka friggere a più non posso alla sesta casa, immagino qualcosa per l'allegro ricevimento."
Mei ebbe la visione di montagne di samosa  e dolci lassi al mango.
"Asha sta già cucinando?"
"Cucinerà anche stanotte e domani. E sicuramente questi sono più indicati per una donna nelle tue condizioni."
Mei accettò il sacchetto con un misto di curiosità e diffidenza; al suo interno, due grosse mezzelune e della frutta dai colori troppo vivaci per essere vera.
"… cassatedde, cucciddatu e frutta marturana." specificò. "La vera ambrosia degli Dèi."
Il profumo era davvero divino. Decise di fidarsi.
"…miferiaccia!" esclamò Mei, assaporando una delle due mezzelune. "Quesfa cofè?"
"Un cucciddatu."
"E' meraviliofo."
"Lo so. Fichi secchi, mandorle , cioccolato, uvetta e diverse altre cose che non ricordo. Mia madre li cucinava spesso." precisò, pentendosi subito dopo per essersi lasciato sfuggire quella confidenza.
Non parlava spesso dei suoi genitori, né, soprattutto, di sua madre. Sperò che Mei non si avventurasse per quel discorso.
 
*

Camus si legò i capelli, guardando Milo che saltellava sul posto, scaldando i muscoli.
"Lixue, ci pensi tu ad arbitrare?"
"Come può farlo? E' piccola!" protestò Milo. "Se devo metterti al tappeto, voglio farlo seriamente!"
"E' cresciuta con una leggenda vivente come Dohko e sua madre insegna in un dojo, io modestamente sono cintura nera di karate e ha anche qualche nozione di Systema. Praticamente respira le arti marziali da quand'è nata... certo che sa arbitrare. E' mia figlia, cosa credi?"
Lixue ridacchiò, dall'alto del cavallo ginnico sul quale era seduta.
"Quando avrò un figlio ne riparleremo, sappilo."
Si fermò un istante, sorpreso.
"…un figlio? Hai detto… figlio?" domandò Camus.
"Non correre con la fantasia, ho detto se avrò un figlio."
"Hai detto quando."
Milo si sistemò la cintura sul karategi.
"No bello mio, ho detto se."
"Hai detto quando." interloquì Lixue.
"Tu quoque!" gemette Milo, verso la bambina.
"Shaina è incinta?"
"No!"
"D'accordo, ho capito. Guarda che faccia… neanche ti avessi detto chissà che…"
Milo lo zittì.
"Zitto zitto zitto. Sta iniziando una delle mie preferite." lo interruppe, iniziando ad agitare le braccia su un'immaginaria chitarra.
Lixue scoppiò a ridere divertita.
"Papà, vero che sembra Dean?"
La sessione di air guitar  s'interruppe di colpo.
"…Dean? Come… Dean Winchester? Lixue guarda Supernatural?"
"Sì."
"Non è un po' troppo piccola per guardare un telefilm del genere?"
Camus guardò la figlia.
"Non le ho fatto vedere un film per adulti, è un telefilm sui fenomeni paranormali e lo guarda con me. Ovviamente se ci sono scene strane le censuro, ma non ha mai detto di avere paura, quindi perché no? E poi, è degna figlia di sua madre, non ha paura dei fantasmi."
Lixue non capiva perché Milo sembrasse così sorpreso.
"Vedo fantasmi anche qui ma non ho paura." gli rispose.
"Tu cosa?"
La musica cessò d'improvviso, lasciando il posto alla voce di Shiryu.
"La ricreazione è finita, e noi due dobbiamo parlare." disse, rivolgendosi a Camus.
"Un'altra volta, ora mi sto allenando." replicò l'interpellato, mentre Milo andava a recuperare il suo lettore.
"Azzardati un'altra volta a spegnere l'I-Pod sui Survivor e te lo faccio ingoiare." minacciò Milo, tornando poi da Lixue. "Allora, dolcezza… cos'ascoltiamo adesso? Uh! Aspetta, ti faccio ascoltare quella nuova dei Kasabian! Sai chi sono, sì? No?! Allora rimediamo subito."
"Hey, niente roba strana." lo ammonì Camus.
"Va bene, allora… gli Abba! Ti piacciono gli Abba?"
Camus corrugò la fronte, con stupore, ma non disse niente in merito; scese dal tatami e s'avviò scalzo, verso l'ingresso della palestra.
"Cosa c'è?"
"E me lo chiedi? Le hai permesso di uscire con Cancer!!"
Inarcò un sopracciglio e guardò il cognato.
"Dunque?"
"Non posso crederci! Avresti dovuto importi e impedirle di frequentare certa gentaglia."
Sogghignò appena, lanciando una rapida occhiata a Shunrei, ferma qualche metro dietro il compagno, in attesa.
"Quel ragazzo è una piaga umana. Cam, dovessi mai sposarti o andare a convivere con lei, per il suo bene, portala il più lontano possibile dal fratello. Non importa dove, purché a mille miglia lontana da lui!"
Adesso capiva perché Milo, anni prima, gli aveva detto quelle parole: Shiryu era una vera piaga, roba che al confronto le piaghe d'Egitto erano una gioia. Aveva assimilato del tutto la mentalità ristretta di quell'angolo sperduto di mondo e l'aveva fatta sua.
E Shunrei… povera. Cominciava davvero a fargli pena. Costretta per tutta la vita a sottostare a un ragazzo così giovane eppure dalla mente così ristretta.
Per sua fortuna Mei non era così, era l'esatto opposto di sua cognata: non aveva affatto esagerato nel definirla come Milo. Sotto l'aspetto dolce e delicato, c'era uno scorpione.
Pericoloso e letale. Ma non l'avrebbe cambiata con nessun'altra al mondo, non gli erano mai piaciute le timorate di dio.
"Forse tu sei abituato a trattare le donne che ti circondano con un atteggiamento da padre –padrone e col pugno di ferro. Io no. E' mia moglie, sa ragionare benissimo da sola e non devo di certo dirle io se può o no uscire con chicchessia."
"Come fai a fidarti di uno come quello?"
"Mi fido di mia moglie e tanto mi basta." gli rispose, tornando dentro e lasciandolo solo.


Mei e DeathMask ritornarono a ora di pranzo, dopo una mattinata trascorsa a Rodorio.
Camus li vide passeggiare lungo il sentiero che portava al Santuario, chiacchierando come se fossero grandi amici.
"Tutto bene?" le domandò, mentre DeathMask si allontanava in direzione della quarta casa.
"Sì. Perché, non dovrebbe? Abbiamo spiluccato dolci siciliani mentre parlavamo. E' tutto." rispose Mei, corrugando la fronte. "Piuttosto… Lixue dov'è?"
"E' ancora con Milo."
"A proposito…" iniziò, interrompendosi alla vista di un cestino zeppo di ogni ben di dio. "Oddéi!"
"Un anticipo di domani." Aldebaran le fece un occhiolino.
"Diavolo tentatore." commentò Mei, facendolo ridere.
"Tutto tuo, mangia quanto vuoi."
"Non esageriamo."
"Sai, mi hanno detto che sei stata poco bene negli ultimi giorni." si preoccupò Aldebaran.
"Sì, diciamo che sono stata meglio." replicò Mei, studiando il contenuto del cestino. Nonostante i dolci siciliani già mangiati, aveva una fame da lupi. Vide degli strani dolcetti a forma di spirale e ne prese uno. "Che cosa sono?"
"Una variante dei Chhena Jalebi, li ha fatti Asha non più di quaranta minuti fa." rispose Shaka. "Sono tipici della mia terra."
Camus invece addentò uno dei dolcetti tunisini che aveva chiesto a Mei, grato all'amico per averla interrotta.
"Mei! Dolcezza, come stai? Anzi, come state?"
Ricordandosi di quanto Mei gli aveva detto a Eleusi, Camus guardò prima Milo, poi la compagna.
"…"
Ricambiando il suo sguardo, Mei si schiarì la voce.
"Stiamo tutti bene, grazie." rispose, ricacciando indietro tutto ciò che avrebbe voluto dirgli; accidenti a Camus e alla sua diplomazia, che l'avevano influenzata fino a quel punto. Una volta non avrebbe taciuto, non avrebbe fatto finta di niente riguardo una cosa che coinvolgeva direttamente sua figlia.
Quando accidenti aveva permesso a Camus di avere quel controllo su di lei?
"Giù le mani da quel cestino, ragazzi."
"Non vorrai mica dirmi che questa roba è davvero tutta per Mei! Nessun essere umano è in grado di mangiare da solo tutto questo!" esclamò Milo.
"Parla per te." lo riprese Aldebaran. "Mei deve mangiare per due, quindi prima si serve lei, poi toccherà a voi. Forse."
"Per tre." lo corresse Camus.
"Come, scusa?!" chiese Aldebaran.
"Razione tripla perché ne aspettiamo due."
"Oh! Non lo sapevo, complimenti!" esclamò Aldebaran.
"No, niente abbracci, Ald, per favore…!" sorrise Mei. "E comunque non fa bene ingozzarsi in gravidanza. Così come ho fatto per Lixue, seguirò una dieta bilanciata senza esagerare: ci ho messo un'eternità a perdere quei quindici chili, non voglio diventare una balena e soprattutto non voglio far navigare i miei figli nel grasso."
Se quello era un anticipo della cena, non osava immaginare che cosa l'attendeva.
Shaina li raggiunse.
"Brava Mei, fa' scorta di zuccheri, ti serviranno per questa sera."
"Perché? Dove si va?" volle sapere Camus.
"In un posto dove tu e tutti voi uomini non siete invitati." rispose Shaina.
"E gli zuccheri a cosa le servirebbero?"
"A tenere su la pressione, che domande. Andremo in un locale specializzato in feste d'addio al nubilato, fai tu."
"…pieno di spogliarellisti, suppongo."
Shaina roteò gli occhi.
"No, pieno di frati!"
"Quante storie per un paio di manzi che si spogliano." commentò DeathMask. "Potevamo farlo noi, avreste risparmiato tempo e denaro, dico bene, Phro?"
L'interpellato ridacchiò.
"Avremmo fatto faville!" convenne Aphrodite. "…e ora, per la gioia dei vostri occhi, vi presentiamo le punte di diamante del nostro strip club! Signore e signorine, ecco a voi Mister Poison & Cassatella Kid!"
Mei quasi si strozzò, colta da un'irrefrenabile risata.
"Stai ridendo per il Mister Poison o per il Cassatella Kid?"
"Cassatella Kid non è male." disse Shaina. "Saresti l'attrazione del club."
"…per Athena, hai il succo d'arancia anche nel naso! Ma è disgustoso!" osservò Hyoga, passando un tovagliolo a Mei. "Davvero avete intenzione di andarci? Per me è una cosa squallida."
"Oh, taglia corto Hyoga." interloquì Freya. "E' un modo per stare insieme noi ragazze, nessuna di noi si scandalizza per un uomo nudo."
"Non so, io la trovo una cosa squallida, andare a vedere un manipolo di uomini muscolosi che si spogliano."
"Ma non ti scandalizzeresti se a spogliarsi fossero donne." lo riprese Shaina.
"Non è vero, mi dà comunque fastidio. Io sono cresciuto così, non posso farci niente. Lo trovo squallido e basta."
"Sottoscrivo ogni parola." disse quindi Camus, annuendo alle parole dell'allievo.
"Punto primo, per me vige la regola del guardare e non toccare, punto secondo, Cam, tu non sei l'unico uomo che abbia visto nudo, ergo, rilassati." disse Mei.
"Come, prego?"
"Dai, Cam… non iniziare a farti filmini mentali, è successo quando Shiryu e la sua compagnia sono stati da me in Cina qualche tempo dopo  la guerra… per sbaglio ho visto Hyoga senza vestiti, ma niente di che, tranquillo…" rispose Mei, con leggerezza.
Hyoga la guardò inarcando un sopracciglio.
"Niente di che? " ripeté. "Lyubov, c'è una persona qui che potrebbe smentirti."
Shaina scoppiò a ridere.
"Ma finiscila!" Mei finì il suo succo. "Nemmeno in India tanta miseria."
Hyoga sgranò prima gli occhi poi la guardò malevolo.
"Stavo scherzando, cosacco." disse Mei, scompigliandogli affettuosamente i capelli.
"Prima di stasera hai qualche momento per me? C'è qualcosa che vorrei farti vedere." sussurrò Camus.
 
*
 
"Perché non hai partecipato al giochino con le amiche della sposa?"
"Chi te l'ha detto?"
"Freya."
Il giochino nel quale lo sposo doveva riconoscere la propria amata tra tante altre donne e che lei aveva evitato come la peste.
"Sai che queste cose mi imbarazzano. Essere al centro dell'attenzione, a maggior ragione se si è in mezzo a un branco di ragazze che strillano in una lingua a te incomprensibile…" rispose Mei.

Camus corrugò la fronte.
"Sei un'insegnante di Arti Marziali, sei praticamente sempre al centro dell'attenzione!"
"Ma i miei allievi sono concentrati a guardare le mosse che faccio, non sono attenti a me." obiettò Mei.
"Beh, se io fossi un tuo allievo, farei attenzione a te, non solo alle mosse."
"E secondo te per quale motivo ho preferito farmi insegnare Systema da Hyoga e non da te?" gli rispose.
"Perché… perché secondo me hai avuto paura."
Mei scoppiò a ridere divertita.
"Io? Paura di te? Non credo proprio."
"Sì, altrimenti ti saresti rivolta a me."

Si mise a cavalcioni su di lui.
"Ammettilo che sei sollevato perché non hai dovuto affrontarmi." lo provocò.
La sola cosa che poteva ammettere in quel momento, in quegli ultimi barlumi di lucidità prima dell'oblio, era che era contento di come si erano sistemate le cose. Nonostante i bauli dei suoi genitori, gli inevitabili brutti ricordi e com'era stata male, mentalmente, a Kobotec, Mei stava cercando di non lasciarsi sopraffare e reagire. Sperò che quel buonumore durasse anche una volta tornati a casa, alle prese per davvero con i bauli che aveva appena guardicchiato in quei giorni frenetici.
Preso com'era, non s'accorse praticamente più di nulla, come se il resto di quella stanza, di quel santuario, fosse sparito.
"…je te prie, n'arrete pas!"[ti prego, non fermarti]
Mei però si era fermata. La fronte corrugata, attenta a chissà che.
"Hein? Quoi?" [Eh? Cosa?]
"Shht!"
Talmente preso da Mei che non si era accorto neanche dei colpi contro la porta che lei aveva sentito. 
"Ma non avevi detto che Degél rimaneva confinato nello studio, di solito?"
"Infatti. Gli spiriti non bussano, Cam." obiettò Mei, dopo gli ennesimi colpi. "E Degél non è un voyeur."
"Buon cielo, menomale. Si scandalizzerebbe troppo." ridacchiò lui. "Hey, quando accidenti mi hai spogliato? Non me ne sono accorto!"
Lei sogghignò appena.
"Hai mai provato a infilare un pigiama a una bambina che dorme e che non vuoi svegliare? Ho le manine d'oro, caro mio."
I rumori si fecero insistenti.
"Non è Milo anche questa volta… vero?" borbottò Mei.
Dèi, sperava proprio di no.
"Uffa… ma proprio adesso?" Camus gettò la testa indietro sulla testiera del divano, frustrato. "A questo punto ci vorrebbe una proverbiale doccia fredda, peccato che su di me non avrebbe effetto."
"CAM!! CI SEI?!"
"Fine della questione." capitolò Mei. "Quella doccia andrò a farmela io, perché ne ho davvero bisogno."
"…adesso ho capito!" Camus sbatté un pugno sul divano. "E' il divano. Dev'essere per forza di cose questo dannatissimo divano. Si vede che è maledetto o che so io, perché ogni singola volta che proviamo a pomiciare qui, arriva lui. Adesso basta. Anzi, secondo me è stato Degél a maledirlo."
"Degél è un uomo per bene." replicò Mei, alzandosi controvoglia dalle sue ginocchia e infilandosi il kimono.
"Senti, lasciamolo bussare, se ne andrà. Dai, torna qui."
"Sai bene anche tu che non lo farà. Tra poco entrerà comunque."
"No… dai… la bambina è fuori casa, Hyoga e fidanzata sono al cinema..."
"Spiacente, non ci tengo a farmi vedere nuda da Milo. Mi troverai in bagno per la prossima mezz'ora, magari riuscirai a raggiungermi per insaponarmi la schiena."
Con un gemito di frustrazione, Camus si decise ad alzarsi dal divano e infilarsi i pantaloni, seppure con fatica.
"Quelli sono miei!!" esclamò Mei, ferma sulla porta del bagno, vedendo i propri pantaloncini –corti, oltretutto- addosso al compagno.
"Se preferisci, vado nudo ad aprire la porta."
"Non farlo, ti prego." implorò Milo. Era lui. Esattamente come aveva previsto.
"Mi auguro che tu abbia un'ottima motivazione." sbraitò, aprendo la porta a Milo. "Abbiamo spedito Lixue alla settima casa, Hyoga e fidanzata sono fuori e io e Mei eravamo tranquilli a farci i fatti nostri. Dammi un buon motivo per non congelarti le chiappe qui e ora."
"Vi ho disturbato?"
"Che intuito!"
Camus sbuffò, incrociando le braccia sul petto.
"A Kobotec dormivamo tutti e tre nella stessa stanza: io, Camus e Lixue. E beh, capirai anche tu che non potevamo correre il rischio. Hai idea di quanto siano rari i momenti in cui siamo da soli come ai bei vecchi tempi?" interloquì Mei, serrata nel suo kimono.
"Non è controindicato il sesso, nelle tue condizioni?" le domandò. "Okay, okay, sto zitto."
"Appena scopro che tu e Shaina siete in piena attività, giuro, verrò a interrompervi proprio sul più bello. Così capirai che cosa vuol dire!"
Milo le rivolse un sorriso sornione.
"Quando vuoi, dolcezza. Sono sempre aperto a nuove esperienze, anche ai… come dite voi in Francia? Ménage à trois?"
"Il solo ménage à trois che vivrai sarà quello con un chirurgo maxillo-facciale e un'infermiera di sala operatoria, se non la smetti."
Milo stava per rispondere, quando qualcosa dal salotto attirò la sua attenzione.
"Vedi, Toula… prima della mia notte di nozze mia madre mi disse: noi donne greche possiamo essere agnellini in cucina, ma siamo tigri in camera da letto!"
Milo corrugò la fronte.
"Oh, ma per favore! Stavate davvero guardando quel film?"
"…stavamo per fare…" s'interruppe Mei.
"Camus, le hai davvero fatto vedere Gámos alá Elli̱niká? "
Vedere la sua espressione sconvolta gli fece passare l'arrabbiatura.
"Giusto per farle capire che cosa l'aspetta domani." ridacchiò Camus, facendolo rabbrividire.

"Per Athena, è così pieno di cliché assurdi! Noi greci non siamo così! Non siamo mica così rumorosi, o…"
"No, certo che no! Che onta imperdonabile!" Camus scosse la testa.
"…o mangioni."
"No, assolutamente. No."

"O così impiccioni!"
"Infatti, che assurdità! Quant'è falso e bugiardo chi ha scritto la sceneggiatura di quel film!"
Milo lo guardò di traverso.
"Comincio a pensare che tu mi stia prendendo per i fondelli."
L'altro si finse serio.
"Chi, io? Non ho mai conosciuto in tutta la mia vita un greco che sia casinista, mangione o rumoroso! No, mai. Ma proprio mai!" esclamò Camus, con un piglio che fece scoppiare Mei a ridere.
"Sarebbe come dire che i francesi sono orgogliosi, freddi, presuntuosi e con la puzza sotto il naso."
"Ti sembro presuntuoso e con la puzza sotto il naso, io?"
"O come dire che i Parigini sono i peggiori francesi esistenti: tanto a loro agio con la propria lingua che non ci provano nemmeno a parlarne un’altra, boriosi blocchi di ghiaccio super orgogliosi della loro città che credono essere il centro del mondo." Milo calcò la mano. "Parbleu mais quanto detestò la Torrè Eiffel! Porta solo turisti! Mon diè, la butterei giù!! "
Camus assottigliò lo sguardo.
"Questo però è vero." lo precedette Mei. "Detesta la Torre Eiffel, o l'asparago di ferro, come la chiamano i nostri concittadini, ma ha la scrivania sotto la finestra, con vista torre."
"Quello è il secretaire di mia madre!" protestò Camus.
"Pensa che ho un fermacarte a forma di Tour Eiffel sul comodino… quando l'ha scoperto, ha dato di matto!"
"Ovviamente. Già me l'immagino." ghignò Milo. "E… dove vai?!"
"Vado a infilarmi beret e maglietta a righe e vado a comprarmi una baguette da infilarmi sotto l'ascella!" rispose Camus, incamminandosi a passo di marcia verso la camera.
"E ci vai con i miei pantaloncini a fiori? Farai faville!" esclamò Mei. "Aggiungi anche permalosi alla tua lista."
"Oh ma dai, stavamo scherzando! Cam!"
"Non preoccuparti, so io come fargli passare l'arrabbiatura. Di che cosa volevi parlargli, comunque?"
 
*
 
"Mei! Coraggio, la limousine è arrivata!"
Camus aprì la porta trovandosi Shaina di fronte, tutta allegra, mentre Mei si controllava il rossetto nello specchio.
"La limousine? Addirittura?!"
"Aiolia fa le cose per bene, cosa credi?" scherzò Camus.
"Aiolia? No, bello mio. L'addio al nubilato l'ho organizzato io." lo corresse Shaina, con un'occhiataccia.
Lui alzò le mani in segno di resa.
"Okay, d'accordo!"
"Ci vediamo più tardi!" salutò Mei
"Non tanto tardi, spero."
"No, sicuramente non farò le quattro del mattino." gli rispose, lanciandogli una frecciatina.
"Va bene, questa me la sono cercata." ridacchiò allegro, aiutandola a infilare il cappotto. "Mi raccomando, fai attenzione."
Sorrise.
"Come sempre. Stai tranquillo." rispose Mei. "Ti ripeto la domanda che ti ho fatto a Kobotec… voi uomini farete qualcosa?"
"Abbiamo convinto Alde a riposarsi e divertirsi con noi, e Kanon è già partito a prendere qualcosa da KFC, quindi… hamburger, patate, pollo fritto… qualche birra davanti a un paio di film, le solite battute da uomini… niente di particolare."
…che tradotto, diventava: battutacce zozze su qualche film per adulti, puzzo di fritto e ketchup e qualche rutto volante.
Decisamente, non un posto per una bambina di sette anni.
"Okay, porto Lixue con me."
"Dove, in un locale per donne adulte? Un po' troppo presto non credi?"
"Guarda che sa che maschietti e femminucce sono un pochino diversi."
Camus rise.
"Dai, è al Santuario, tranquilla. Starà con Kiki. Guarderanno dei film di supereroi e una volta finita la serata la metterò a letto." la tranquillizzò.
"Sì, ragazze, andate tranquille." sorrise Mu, incoraggiante. "Ci pensa Kiki."
Il ragazzino si schiarì la voce.
"Ehm… s-sì…"
Mei si decise ad abbottonare il cappotto e seguire Shaina.
"Kiki, guardami attentamente: hai quattordici anni, ragion per cui sei abbastanza grande per portare a termine una cosa del genere. " rispose Mei.
"Spero di sì. Non ho mai avuto a che fare con una bambina."
"Oh, andiamo. Mio fratello e i suoi amici, alla tua età, hanno fatto ben altro che fare il babysitter per due ore. Stai attento, ti tengo d'occhio." replicò Mei, prima di seguire Shaina.
"Camus… tua moglie mi fa paura."
"A volte fa paura anche a me, Kiki."
 
**
 
Il locale che Shaina aveva prenotato dopo la cena era piuttosto sofisticato e in una zona poco turistica sul lungomare di Atene.
"Non ha affatto l'aria di uno strip club." osservò Freya.
"Fuori sicuramente no." rispose Shaina. "Dentro è tutta un'altra storia."
"Se Shiryu sapesse che sono qui, mi ucciderebbe." sospirò Shunrei.
Mei levò gli occhi al cielo.
"Come sarebbe, non gli hai detto dove saremmo andate?" domandò Marin.
"Sapeva della cena, non del locale."
"A Shiryu ci penserò io, rilassati. Non stai facendo niente di scandaloso, è un'uscita tra amiche." interloquì Mei.
"Anche Milo è geloso, eppure quando ha scoperto che saremmo venute qui è scoppiato a ridere, augurandoci una buona serata. E comunque non preoccuparti, ci sono già stata per l'addio al nubilato di una mia collega di lavoro, per essere un locale di quel genere non è affatto volgare come si vede in certi film americani. Di solito è un lounge bar, tranquilla, niente trash."
Tuttavia, all'interno l'atmosfera era ardente, e non solo per il riscaldamento.
Ai tavoli sistemati ordinatamente intorno al palcoscenico, diversi gruppi di donne festeggiavano compleanni o addii al nubilato, chi in maniera più normale e chi, al contrario, più rumorosa.
"Guardate quella laggiù quanto chiasso fa: sembra che non abbia mai visto un uomo in vita sua." ridacchiò Marin.
Dal canto suo Mei non aveva mai visto una massa di femmine così eccitate alla vista di un corpo maschile.
"Beh, ma solitamente gli uomini con i quali abbiamo a che fare non sono proprio così." intervenne Mei.
"Mei, hai visto quello sul palco? Non ti ricorda il biondino di Sex and The City?" domandò Shaina, indicandole con un discreto cenno del capo lo spogliarellista in questione: addome a blocchetti, senza un filo di grasso e con una gran massa di capelli ondulati. Il resto, meglio non commentarlo.
"…carino." le rispose, facendo spallucce.
"Solo carino? Dì, ma ci vedi bene?"
"Ci vedo benissimo, ma preferisco i rossi con le efelidi, che posso farci?"
"Frena un attimo. Ti ho detto che assomiglia a Smith e tu mi rispondi solo carino?"
"…non mi è mai particolarmente piaciuto Smith, sai? Preferivo Steve."
"Certo che hai dei gusti strani eh." la riprese Shaina, seguendo il suo sguardo e sorridendo poco dopo. "Beh, non proprio, dai. Sì, il barista non è affatto male, ti sei salvata in corner. Uh, tra l'altro ti sta guardando. Ed è proprio carino!"
L'altra arrossì appena.
"Me ne sono accorta." rispose, domandandosi perché, al posto di quel vestito scampanato e forse un po' scollato, non avesse indossato un più castigato abito premaman.
 
 
Qualche ora dopo, alle due meno venti del mattino, al Santuario la festa era finita già da un po': terminato il cibo e i film, le chiacchiere erano pian piano evaporate insieme alla birra e qualcuno era già andato a dormire.
Camus aveva già messo a letto Lixue, trovando lei e Kiki addormentati ai lati opposti del salotto, lei sul divano, lui in poltrona, mentre il lettore dvd riproduceva il secondo Iron Man.
"Niente. Freya non risponde." sospirò Hyoga, guardando il maestro che raccoglieva i bicchieri di carta distribuiti quasi ovunque nella seconda casa.
"Allo strip club difficilmente sentirà il cellulare con la musica alta. Chiamerà lei più tardi." rispose Camus.  
"Più tardi? Sono quasi le due!!"
Aiolia si alzò dal divano e circondò le spalle di Hyoga scuotendolo vigorosamente.
"Metti giù quel cellulare!!! Lasciale stare, a quest'ora staranno bevendo, ballando… insomma, cose da donne a un addio al nubilato, no? Fatti un goccetto!" disse a voce alta, barcollando.
Aldebaran, forse uno dei pochi rimasti sobri, gli tolse di mano l'ennesima bottiglia di birra e sospirò.
"…e tu invece dovresti andare a dormire, domani ti sposi."
"Lo sa, lo sa. Secondo te perché si è ubriacato?" interloquì DeathMask, uscendo per tornare alla sua casa.
Aiolia si scostò da Hyoga tentando di riprendersi la bottiglia, ovviamente senza avere successo.
"Ma quanto siete noiosi! E tu Camus? Ti fai ancora un goccetto con me?"
"Desolato, devo rifiutare. Sul serio Aiolia, se Marin ti vede in questo stato, sono dolori. Và a dormire."
Sbuffando, l'amico si rialzò dal divano.
"Ma quali dolori… adesso vado a casa e appena Marin tornerà faremo sesso tutta la notte e anche tutta la mattina!"
Camus scosse la testa, divertito.
"Macché, andrai a casa a vomitare." gli rispose.
"E' divertente anche quello, no?"
Aldebaran decise di riaccompagnare Aiolia a casa, per evitare di fargli passare la notte all'addiaccio, tra una casa e l'altra.
 
"Il barista comunque non ti ha levato gli occhi di dosso per tutta la sera." commentò Marin.
"Lo so, sentivo le sue occhiate."
"Tra l'altro assomigliava davvero tanto al tuo attore preferito."
"Insomma… diciamo che ricordava a grandi linee il Keanu Reeves dei tardi anni 90, ma…" concesse Mei. "Era carino, senza dubbio, però…"
"Potevi flirtarci un po', flirtare non fa male a nessuno." continuò Marin.
"Tu parli da sposa ubriaca, per questo farò finta di non aver sentito." Mei sollevò la mano destra e mostrò la cicatrice. "Certe promesse le prendo parecchio sul serio, io. Non avrei flirtato neanche col vero attore, figuriamoci con il suo pseudo sosia."
Shaina inarcò un sopracciglio.
"Sì, dai. A chi la vuoi raccontare? Se fosse stato quello vero, ci avresti flirtato eccome. Vorresti farci credere che avresti detto no, grazie all'attore in carne e ossa?"
"Sì." rispose Mei, senza esitazione.
"Non ci credo neanche un po'." si aggiunse Marin.
"Per me potete credere a quel che vi pare. Sentite, un conto è fare battute sciocche in presenza di Camus per irritarlo, un altro conto è parlare seriamente. Volete la risposta seria o quella fantasiosa?"
"Prova a darcele entrambe."
"In ogni caso avrei detto di no."
Rispose al cellulare con un gran sorriso, pensando al proprio imperfetto rosso che l'aspettava a casa e che non avrebbe scambiato con nessun altro uomo al mondo.
"Sto tornando, tesoro."
 

***

Lady Aquaria's corner.
[Capitolo modificato in data 30 maggio 2015]
Kosovorotka: tipo di camicia maschile alla russa, abbottonata di lato.
Samosa, Lassi e Chhena Jalebi: il primo è un antipasto, il secondo è una bevanda dolce il terzo è una sorta di "bretzel" dolce, fritto. Tre meraviglie.
Cassatedde, cucciddatu e frutta marturana: tre meravigliose specialità pasticciere sicule.
Gámos alá Elli̱niká è il titolo greco del film: Il mio grosso grasso matrimonio greco.
Beret: il classico basco alla francese. A proposito di luoghi comuni, ecco dove ho tratto i miei spunti.
KFC è una popolarissima catena americana di fast food –qui in Italia ci sono due punti vendita a Roma e uno qui a Torino. Il puzzo di fritto che aleggia nell'ala dell'8Gallery dov'è sito è incredibile :S -
Last but not least, qualche frase utilizzata nei dialoghi provengono dai film "Il mio grosso grasso matrimonio greco" e "Speed".
Come sempre, grazie mille.

Lady Aquaria

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Capitolo 23
*** What you won't do for love. ***


capitolo23 principale
23.
What you won't do for love.
Some people go around the world for love
But they may never find what they dream of
What you won't do, do for love
You've tried everything but you don't give up
In my world only you
Make me do for love what I would not do
[Bobby Caldwell – What you won't do for love]
 
"Ma allora il tuo è un vizio!" borbottò Camus, andando ad aprire la porta. "Oh, siete voi, pensavo fosse quella piaga. Venite, entrate."
Shun entrò timidamente nell'undicesima casa seguito da Seiya, dopo aver ringraziato Camus.
"Hyoga, son venuti a prenderti." li annunciò.
"Ti han beccato eh? Oh, era anche ora, finalmente." esclamò Mei dalla loro stanza. "Camus, se gli mettono la camicia di forza scattagli una foto!"
Hyoga uscì dalla sua stanza, scoccandole un gestaccio.
"Hey, tra qualche mese entrerai a far parte di una famiglia reale, comportati da signore." lo redarguì Camus.
"Ha cominciato lei, perché te la prendi sempre con me?" protestò Hyoga.
"Comportati da uomo." ripeté, prima che questi uscisse diretto al tredicesimo tempio.
Mei sistemò l'occorrente per ritoccare il trucco nella pochette, guardandolo poi con un'espressione stranita.
"Indossi l'armatura."
"Sì, ma solo per la funzione, poi la riporrò nel suo scrigno."
"Cosa ci fate ancora qui?" Shaina irruppe all'undicesima casa dopo aver fatto il giro di tutto il Santuario, con un'espressione truce dipinta sul volto. "Dovreste già essere al tredicesimo tempio! Parlerete dopo, muovetevi!"
"Tredicesimo…? Non ci sposteremo dal Santuario?"
Forse aveva avuto ragione Milo quando lo aveva rimproverato per averle fatto vedere Il mio grosso grasso matrimonio greco: "Si farà un'idea sbagliata di tutta la faccenda!"
E in effetti, tutto si era aspettata, tranne l'armatura.
"Pensavo che si svolgesse tutto secondo la cerimonia greco ortodossa, con una sfilza di testimoni e damigelle vestite nei modi più improbabili, invece a quanto pare non ci saranno né chiese ortodosse né cerimonie greche."
Intanto, di testimoni ce ne sarebbero stati solo due: Shaina e, ovviamente, Aiolos. Al posto del prete, Shion avrebbe celebrato un matrimonio che aveva tantissime cose prese in prestito da una cerimonia tradizionale, ma che in verità non lo era.
"Se non ho capito male si scambieranno gli anelli, ci sarà l'incoronazione con le stefana e i tradizionali tre giri intorno all'altare e i due sposi saranno consacrati e benedetti di fronte ad Athena." rispose Camus. "Noi non possiamo praticare altre religioni, quindi parlare di cerimonia tradizionale è improprio."
"Ma Hyoga è cristiano, porta una croce al collo."
"Parlavo di noi Gold Saint. A differenza nostra, Hyoga e amici non hanno certe severe limitazioni."
Le venne in mente in quel momento che lui, diversamente da Hyoga, al matrimonio di Kirill non aveva mai né fatto il segno della croce, né pregato, limitandosi a seguire in silenzio.
"Coraggio, andiamo o quell'arpia tornerà indietro a prenderci." le sorrise Camus, incoraggiante.
"Ti ho sentito!"
Camus alzò gli occhi al cielo, infilandosi l'elmo.
"L'ho fatto apposta, sapevo che saresti tornata indietro."
"Cianciate di meno e sbrigatevi, Marin è già uscita dalla quinta casa!"
"Abbiamo capito, calmati."
Shaina guardò nervosamente alle loro spalle.
"…non oso immaginare che cosa combinerà il giorno in cui sarà lei a sposarsi: probabilmente darà ordini a tutti quanti armata di frusta e mazza chiodata."
"Probabile." rispose Mei.
"No, è sicuro." la corresse Shaina.
 
*
Non si erano accorti del mostruoso ritardo che avevano accumulato; una volta raggiunti gli altri, non dovettero attendere molto per l'arrivo di Marin: dopo pochi minuti fece il suo ingresso nel tredicesimo tempio.
"Papà, guarda com'è bella!"
L'abito era color avorio, in stile belle epoque: ricordava vagamente quello indossato da Rose alla fine di Titanic, con un'allure retrò tutto particolare che poche donne riuscivano a portare con eleganza e che Marin sapeva portare benissimo.
A completare il tutto, un fermaglio a motivi floreali che le appuntava i capelli ramati in un morbido raccolto.
"Sì, hai proprio ragione tesoro."
Shion e Aiolia la stavano aspettando davanti all'altare ai piedi della statua di Athena, il primo in una ricca e solenne palandrana nera intessuta con motivi d'oro, lo sguardo a metà tra il bonario e il severo accentuato dall'elmo che riprendeva i colori della palandrana, il secondo, con un gran sorriso stampato sulle labbra, maestoso nella sua armatura.
"Tipico, come sempre la gente guarda la sposa." sussurrò Milo.
Due poltrone più in là, Camus si sporse oltre Aiolos e Shura.
"E chi dovrebbero guardare, scusa?"
"Personalmente io guardo lo sposo."
Shura ridacchiò.
"Ah beh. De gustibus."
Milo fece per replicare, ma Aiolos lo zittì.
"Ci sono orecchie innocenti all'ascolto, badate a moderare il linguaggio." apostrofò entrambi, riferendosi a Lixue, in piedi davanti a suo padre.
"Guardo lo sposo perché di solito ha un bellissimo sguardo innamorato negli occhi. Sapete, come se in quel momento non esistesse nient'altro che la sua donna."
"Abbiamo un poeta tra di noi." lo prese in giro Shura.
"Poeta proprio per niente, quella è la battuta di un film."
"Ah ecco, mi pareva strano."
"Phro, ma farti un pochino gli affari tuoi ogni tanto?" ribatté Milo.
"Silenzio." li interruppe Aiolos.
"Tesoro, credo sia il momento di tornare dalla mamma." sussurrò Camus, sospingendo con dolcezza la figlia in direzione di Mei, seduta insieme alle altre ragazze.
Freya incrociò lo sguardo di Hyoga, seduto con i suoi amici dall'altra parte della passatoia rossa, e sorrise al suo occhiolino prima di vedere l'espressione raggiante della sposa.
"…beh, almeno non le stanno sputando addosso." commentò Shaina.
La principessa si voltò scandalizzata.
"Perché mai dovrebbero farlo?"
"E' un'usanza greca che serve a tenere la sposa lontana dal diavolo e dalle malelingue."
"Oddèi!"
"Sì, lo so. Usanza alquanto discutibile, ma purtroppo è così radicata che è difficile da estirpare…"
"E io che pensavo che legare i piedi alla sposa e obbligarla al silenzio fosse già abbastanza…" commentò Mei.
"Quando mi sposerò, la prima che oserà farlo volerà giù dagli scogli." sibilò Shaina. "Siete avvertite."
Mei sgranò gli occhi, sorpresa.
"Ti sposi?!"
Camus si sporse verso Milo.
"Sbaglio o ho perso una puntata?" sussurrò.
"Eh?"
"Vi sposate?!"
"Chi?!"
Aiolos levò gli occhi al cielo: proprio come anni prima, quei due non erano affatto cambiati. Da bambini parlottavano tra loro nonostante le lezioni, ora, da adulti, lo facevano durante le cerimonie. Tali e quali, non erano cambiati.
Posò una mano sulle loro teste e li rimise ai loro posti con un'occhiata di fuoco.
"Ne parliamo dopo."
"State zitti!"
E, come allora, Aiolos vide i due amici scambiarsi un'occhiata e ridacchiare alle sue spalle.
Incurante di quanto stava accadendo in sala, Shion parlò a lungo, spiegando ai due sposi e ai presenti come Athena, e gli Dèi tutti, avrebbero benedetto la loro unione e la nascita dei loro figli, e che la loro benevolenza li avrebbe protetti da ogni male.
D'un tratto prese le due coroncine – due ampi cerchi formati da rametti d'ulivo intrecciati insieme a dei lunghi nastri bianchi-, le sistemò in testa ai due sposi dopo aver invocato ancora una volta la benedizione di Athena, quindi legò i nastri tra loro.
Mei seguì tutta la cerimonia con estrema attenzione, affascinata da tutto quello che succedeva: le invocazioni erano state pronunciate in greco antico e non le aveva comprese, ma nonostante tutto l'insieme era molto suggestivo. Ancora una volta si scoprì intenta a guardare di sottecchi il compagno: aveva dato per scontato che anche a Camus andasse bene una cerimonia taoista tradizionale con l'hanfu, la cerimonia del tè, le mani legate col drappo porpora…
Guardò i due neosposi e al posto di Aiolia e Marin immaginò sé stessa –ovviamente non vestita di bianco- e Camus, regale nella sua bella armatura. Forse era questo ciò che lui desiderava: l'aveva capito dal modo in cui osservava i due amici sull'altare.
Ancora una volta, si scoprì, in qualche modo, egoista.
"…perché quei giri?" chiese Freya, distraendola dai suoi pensieri: Marin e Aiolia preceduti da Shion, stavano facendo i rituali tre giri intorno all'altare.
"Sono i primi passi che compiono come marito e moglie." le rispose Shaina.
"È tutto così bello… in alcune cerimonie cinesi la sposa deve stare digiuna." sussurrò Mei.
"Davvero?" fece Shaina.
"Già."
"Che cosa triste e retrograda!"
"Cosa che non seguirò mai." precisò Mei. "Devono solo provarci a farmi tacere."
"…na zisete! "
Mei e Freya si zittirono.
Ecco che cosa significava parlottare durante i matrimoni: si perdevano punti salienti.
"Cos'hanno detto? Che significa?"
"Letteralmente significa lunga vita, ma si usa come augurio di felicità e buona vita coniugale, come il riso e le monetine che si lanceranno loro una volta fuori dal tempio."
"Com'è che sai tutte queste cose sul matrimonio? Non ti facevo così romantica."
Shaina la ignorò con un colpetto di tosse, prima di unirsi al coro degli auguri.
"Na zisete!" gridò anche Mei. "Dunque? Devi dirci qualcosa?"
"Non sempre mostro il mio romanticismo. C'è ma rimane nascosto in attesa di uscire allo scoperto."
"Usalo con Milo."
"Con Milo?"
"Sì, perché no? Insomma, anche lui ha un cuore. Secondo me sotto sotto è un gran romanticone." rispose Mei, ripensando a certe canzoni dei Kiss che Milo amava riascoltare praticamente all'infinito.
Shaina guardò il compagno.
"Beh, dai. Staremo a vedere. Vorrà dire che la prossima volta anziché concentrarmi solo sul suo bel sedere mi concentrerò anche sul suo potenziale romanticismo." rispose Shaina. "E ora andiamo, c'è una strepitosa festa greca che ci attende."
 
**
 
Mei si alzò dal letto con un mal di schiena atroce, rendendosi conto che non era stata una buona idea quella di indossare i tacchi per tutto il giorno, soprattutto in occasioni come quelle.
Era stata una vera festa alla greca, con tutti gli annessi e i connessi: cibo in grandi quantità, ouzo , danze tradizionali e piatti rotti. Per certi versi il film non era stato poi così esagerato.
"Stin ighià sas!"
Era stato Saga a dare il via al delirio: dopo un breve discorso col quale si era congratulato con entrambi con un "Ben fatto ragazzi! Ah, Aiolia, ormai sei fregato, vecchio mio!" aveva tracannato un bicchierino di ouzo e, dopo aver afferrato un piatto da una pila sul tavolo, l'aveva fracassato a terra. "Opa!!"
"Saga è già ubriaco?"
"Rompere i piatti porta fortuna, il rumore allontana gli spiriti maligni. Sai, come si fa da noi con i giochi pirotecnici durante i festival."  le aveva risposto Dohko, divertito.
"Manca solo l'agnello allo spiedo e la famiglia Portokalos e per il resto, c'è tutto."
"L'agnello c'è davvero."
Un autentico delirio.
A un certo punto si era trovata costretta a riposare sul divano, preda di tremendi crampi alle gambe mentre tutti, o quasi, ballavano e si divertivano. Persino Camus, camicia appena sbottonata e maniche arrotolate, si era unito agli altri, lasciandosi trascinare in pista per danzare.
"Non hai più l'età, vecchia mia." aveva scherzato Camus, allegro.
Chissà, magari aveva anche ragione.
Si trascinò lentamente in cucina, da dove sentiva arrivare delle risate.
"…I have nothing, nothing, nothing…. if I don't have youuuuuu…"
"Spegni quell'affare!!"
"…santi numi, che cos'è?!" si lamentò Shura.
"A quanto pare le nostre donne ieri sera hanno scoperto un locale karaoke qui vicino e si sono date alla pazza gioia." spiegò Camus.
Shura pigiò un tasto e tolse l'audio al video.
"Madre de Dios, tua moglie ha una voce che stacca l'intonaco dai muri."
"Lo so." sospirò Camus. "Prova a immaginarla quando canta su Paul Simmons. C'è da piangere."
"Gene Simmons." lo corresse Milo, indignato. "E Mei non canta così male."
"Non l'hai mai sentita cantare per davvero. Ti sei mai chiesto perché a Rodorio e ad Atene non ci sono più cani randagi?"
"…?"
"Li ha fatti fuggire tutti lei, con i suoi ultrasuoni."
Ma che fidanzato simpatico.
"I video delle nostre prodezze hanno già fatto il giro del Santuario?"
"Temo di sì." rispose Camus.
Freya rabbrividì.
"Oh, fantastico. Spero solo che quel video rimanga qui e non finisca nelle mani di mia sorella o dovrò subirmi l'ennesima ramanzina su come si comporta una vera signora." sbuffò la principessa, divertita. Ascoltò la voce di qualcuna di loro –in quel momento non ricordava chi- stonare su una canzone di Whitney Houston. "Non ricordo chi ha cantato ieri sera. In un certo senso quella voce mette i brividi!"
Mei si palesò, finalmente, in cucina.
"Cantavo io. Quella voce è la mia." disse, serafica.
Freya si schiarì la voce, imbarazzata.
"Non farci caso, dolcezza. Per me canti benissimo." interloquì Milo.
"Opportunista."
"Perché opportunista? Do' a Cesare quel che è di Cesare. Mei non è così stonata."
Shura scambiò un'occhiata con Camus e sogghignò.
"Infatti, basta prenderla in giro, su. Siamo seri. O Mei, casomai avessi bisogno di ridare il bianco alla decima casa, passeresti prima per levarmi l'intonaco vecchio? A te ci vuole poco, no?"
Marin scosse la testa.
"Ma quanto sono simpatici i nostri uomini." si lamentò.
"Sì, come la sabbia che al mare ti si infila ovunque, anche in posti dove non dovrebbe mai infilarsi." interloquì Shaina. "Un consiglio, ragazze: non fatelo mai sulla battigia. Anche se il tramonto è meraviglioso e l'atmosfera romantica. Mai."
"Lo terrò a mente per il viaggio di nozze, grazie."
"A proposito, dove andrete?" chiese Mei.
"A Rio, l'avevo già detto ieri sera."
"Dipende quando l'hai detto, però. Non sono stata sempre in sala."
"Già, è vero. Sei sparita prima del lancio del bouquet."
"Oh cavolo, me lo sono perso… alla fine chi l'ha preso?"
Shaina ci pensò su un attimo.
"Stava per prenderlo quell'ancella, Cora… ma poi tua figlia l'ha battuta sul tempo." rispose.
Doveva essere successo quando lei e Camus si erano appartati qualche minuto fuori dal tredicesimo tempio.
"Volevamo coinvolgerti insieme alle altre disperate ma eri sparita… dov'eri finita?"
Dalla cucina, Milo si schiarì la voce.
"Dov'erano finiti. Pure Camus era sparito."
L'interessato continuò a guardare lo schermo del pc, dove stavano guardando le foto del giorno prima.
"E poi hai avuto la faccia tosta di dire ad Aphrodite di farsi gli affari propri?" lo riprese. "Ero uscito a prendere una boccata d'aria."
"Con Mei."
"Abbiamo preso una boccata d'aria a testa."
Milo annuì con aria sorniona.
"Beh, siete stati fuori circa venti minuti, altro che aria. So io che avete fatto." insinuò, guadagnandosi un'occhiataccia.
"Pensi male." rispose Camus. "Anche perché a me piace fare le cose bene… e soprattutto con calma. Lentamente."
"Discorsi ad alta temperatura qui." commentò Hyoga. "La bambina ancora non si è alzata ma non credo sia appropriato farsi sentire."
"A proposito di Lixue, ha detto che da grande vorrà sposarsi con questo cretino." ridacchiò Shura.
"Dovrà passare sul mio cadavere." rispose Camus. "E lo impedirò anche da morto."
"Guarda che sono un ottimo partito!"
"Smettila di dire sciocchezze o rendo Shaina vedova prima ancora che tu possa sposarla."
Mei ridacchiò.
"Ancora non gliel'hai chiesto?"
"Figurati, se aspetto lui divento vecchia. Sai che? Prenderò spunto da quell'antica usanza irlandese: il prossimo 29 febbraio sarò io a chiedergli la mano." decise Shaina.
"Sei fortunata, il prossimo febbraio avrà davvero 29 giorni." rise Marin.
"Lo so. Milo ha i giorni contati."
"Beh, è già qualcosa. Noi però ci siamo già portati avanti: abbiamo finalmente deciso la data." sussurrò Mei, abbassando parecchio la voce.
"Oh, era ora! Aspettiamo questo momento da quanto? Otto anni o giù di lì."
L'atmosfera romantica della sera prima aveva dato il suo contributo, a dire il vero: a un certo punto, dopo i piatti rotti e le danze frenetiche, era anche arrivato il momento di un bel lento, con tanto di lucine soffuse. Era stato allora che si era decisa a parlargli.
"È stato così romantico, oggi. M'è piaciuto molto il matrimonio, è stato molto suggestivo."
"Sì."
"…ti piacerebbe una cerimonia simile?"
Si era scostato da lei con uno sguardo interrogativo negli occhi: avevano già parlato di cerimonie e se non ricordava male avevano deciso per un matrimonio taoista.
"Che ne è stato della cerimonia al Goro-Ho con Dohko e l'hanfu?"
Quella c'era e ci sarebbe stata sempre, nei suoi sogni: c'era l'hanfu rosso che nella sua famiglia avevano indossato diverse generazioni di spose, i decori d'oro nei capelli, la cerimonia del tè e dello zucchero e tutto il corollario di tradizioni, c'era Camus che indossava l'hanfu di suo padre, ma… erano cose legate alla sua terra natia, facevano parte dei suoi sogni, non di quelli di Camus.
"Che Shion non ne abbia a male, ma preferirei fosse Dohko l'officiante. Non chiedermi il vestito bianco però, sai come la penso in merito."
"Aspetta un attimo… che storia è questa? So che ci tenevi a sposarti come i tuoi genitori… ti brillavano gli occhi quando ne parlavi."
"Appunto. Io."
"Non capisco."
"E' una cosa che
io volevo e che abbiamo deciso di fare perché piaceva a me. Ma non ho mai chiesto che cosa vuoi tu. Non ho mai chiesto quali sono i tuoi desideri in merito, ma poi ti ho visto a Kobotec, e ti ho visto oggi. Non posso obbligarti a indossare l'hanfu di mio padre e seguire tradizioni che non ti appartengono e che seguiresti pur non comprendendole appieno."
"Ascolta, io voglio saperti felice, non pensare a me. Se ciò significa indossare l'abito di tuo padre e seguire quelle che per te sono tradizioni importanti, sarò onorato di farlo."
"Ma tu che cosa vuoi? Sarà il nostro giorno, voglio che anche tu sia felice. Non è giusto rinunciare ai tuoi desideri per assecondare i miei… ho riflettuto a lungo in questi giorni, sono stata un'egoista e non è giusto. Quindi… se vorrai sposarti a Kobotec o… dovunque vorrai, per me andrà benissimo."
L'aveva ascoltata, commosso.
"A Kobotec, con il tuo leggero hanfu di seta, congeleresti in pochi minuti."  aveva ridacchiato, nervoso. "Ehm… faremo così: firmeremo i documenti in comune, a Parigi. Poi verremo qui e Shion ci sposerà così come ha fatto oggi con Marin e Aiolos. Subito dopo, ci metteremo i nostri bellissimi hanfu e Dohko ci sposerà con le tradizioni che tanto ami e che imparerò a comprendere. Che ne dici?"
Che altro avrebbe potuto dire, se non sì?
"Ci sposeremo il due settembre." annunciò quindi, con un gran sorriso.
Un anno dopo il Legame delle Anime, come le aveva proposto Camus.
Milo corse ad abbracciare l'amico.
"Sarò onorato di farti da testimone!" esclamò. "Posso finalmente iniziare a organizzare l'addio al celibato!"
Camus levò gli occhi al cielo, ignorando il brivido che l'aveva colto: che diavolo aveva in mente Milo?
 
**
 
Sedici novembre, mattina.
Il fine settimana appena trascorso, pesante sotto diversi punti di vista, era finalmente alle loro spalle e si profilava un bel periodo tranquillo –o almeno, Camus lo sperava-.
Cambiò marcia, immettendosi nella rotonda dell'Arc de Triomphe diretto sugli Champs Élysées, fischiettando a ritmo della canzone diffusa dall'autoradio.
"…non ricordo di averla mai sentita questa." commentò Freya, prendendo la custodia del cd dal cruscotto. "Sei sicuro che sia degli Spandau Ballet?"
"Sicurissimo. Non è famosa come le più note Gold o True, forse è per questo che non l'hai mai sentita." rispose Camus. "Piuttosto, mi spiace averti disturbata."
"Non avevo nulla da fare. Esattamente dove mi stai portando?"
"Da Louboutin."
"Wow!"
"Ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano, non saprei come muovermi là dentro."
La principessa rise, alla sua espressione.
"Oh miei Dei che faccia! Una volta in negozio basterà chiedere il modello che desidera Mei e il gioco è fatto!"
Freya la faceva facile.
Una volta nell'atelier, Camus si scoprì sopraffatto di fronte a tanta scelta.
"Sono solo scarpe, non ti mangiano mica." ridacchiò Freya.
"No, è che… trovo assurdo spendere tanto per un paio di scarpe." bisbigliò Camus, facendo ben attenzione a non farsi sentire dalla commessa poco distante. Guardò un paio di scarpe gialle profilate di rosso e viola, con un gran medaglione sulla caviglia raffigurante un veliero. "Queste quanto costeranno? Otto, novecento euro?"
Freya si schiarì la voce, con un sorriso nervoso.
"A dire il vero, seimiladuecento e qualcosa." lo corresse, facendogli sgranare gli occhi.
"Quoi?"
"Hilda le ha ricevute in dono lo scorso compleanno, dal principe Harald. Ma erano quelle di seta azzurra." spiegò Freya. "I ricami sono d'oro e la seta è tra le più preziose che esista."
Era comunque uno sproposito per un po' di legno, cuoio e stoffa.
"Con quei soldi ho pagato l'anticipo per l'auto nuova! E sono persino avanzati!" s'indignò Camus.
La solerte commessa si avvicinò loro, squadrando Freya e il suo Chanel.
"Le Marie Antoinette, uno dei nostri pezzi migliori. Sono in edizione limitata. Che numero vi occorre? Le preferisce in azzurro, giallo o rosa?"
Era una fortuna, pensò Camus, essere già abbastanza pallido di carnagione, più di così non poteva impallidire. Dedicò attenzione alla giovane brunetta e mantenne il proprio solito aplomb.
"No, grazie. Cercavo un paio di Pigalle di vernice, tacco nove. Numero 39."
Già quell'unico, semplice paio sarebbe costato un salasso; controllò l'orologio, sperando di avere abbastanza tempo per poter anche cucinare.
"Mei è al lavoro?"
"Come sempre."
"Stasera avevo in programma di portare Lixue al McDonald e al cinema. Posso? Così almeno tu e Mei avreste la serata libera per festeggiare il suo compleanno."
Una sera da solo con sua moglie? Non chiedeva di meglio.
"Certo che puoi."
 
***
 
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 22 luglio 2015)
Un altro pesante restyling, senza il bashing precedente.
Dunque… è un po' corto rispetto agli altri, ma pazienza >.>, con questo caldo è già un miracolo aver scritto 8 pagine…
By the way:
Stefana: le coroncine con i quali gli sposi ortodossi vengono incoronati durante la cerimonia.
29 febbraio: Secondo un'antica leggenda irlandese il 29 febbraio sono le donne a fare la proposta di matrimonio ai loro fidanzati, evitando così di dover aspettare che sia l’uomo a decidersi.
Louboutin: beh, suppongo sappiate chi sia. Le Marie Antoinette e le Pigalle sono tra le sue scarpe più famose.
Spero di non aver dimenticato niente :)

Alla prossima!


Lady Aquaria

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Capitolo 24
*** Un anno in più che non hai. ***


capitolo 24 principale
24.
Un anno in più che non hai.

 

Buon compleanno a un anno in più che non hai
non diventare mai diversa da te
l’isola al centro della terra sei tu
credici anche tu credici di più.
Sei il vento che scompiglia le campane
e il cuore non sbaglia mai con te
sei il fuoco e la farina per il pane
e io mi chiedo che ci fai con me.

[Pooh - Un anno in più che non hai]


 
Attorniata da un nugolo di sarte che prendevano attentamente le sue misure, Freya sospirò, cercando Mei con lo sguardo.
"…e così finalmente vi siete decisi."
Resistendo all'impulso di sbirciare nello specchio per l'ennesima volta alla ricerca di un capello fuori posto, Mei sorrise nervosa, augurandosi di essere vestita abbastanza a tono con l'ambiente che la circondava, un tripudio di marmi, stucchi dorati, tappeti persiani e cristalli.
"Sì. Il due settembre." rispose.
"E hai già scelto l'abito?"
"Diciamo di sì."
"Davvero? Perché non mi hai detto niente?!"

L'altra bevve un sorso del drink analcolico che le era stato offerto da un'ossequiosa commessa.
"…è un vestito che ci tramandiamo da almeno quattro generazioni, lo userò per la cerimonia religiosa."
"Ah, quindi per la cerimonia civile non hai ancora deciso niente?"
"Freya, abbiamo appena scelto la data!" protestò Mei, ridacchiando.
La principessa scese dalla pedana posta al centro della stanza, indossando l'accappatoio di seta che le avevano appena porto.
"Vostra sorella ha scelto circa trenta abiti dalla nostra collezione d'haute couture." le spiegò la responsabile dell'atelier, scortandola verso la rastrelliera che copriva tutta la parete. "E mi ha incaricata di consegnarvi questo."
Freya aprì la busta col sigillo di Asgard e sospirò ancora una volta: al suo interno, con la calligrafia un po' troppo arzigogolata di Hilda, un semplice biglietto con poche righe.
"Se nessun abito della mia selezione incontra il tuo gusto, sentiti libera di scegliere come preferisci. Ma mi raccomando, che il vestito sia bianco, non avorio. Spalle coperte. Maniche lunghe. Strascico lungo. Velo lungo. Assolutamente non corto. Non troppo luccicante: non siamo a Las Vegas. Evita le scollature e le trasparenze (al massimo, solo sulle maniche). Evita lo stile a sirena. Evita quelli con troppo tulle: non devi danzare al Bolshoi."
Alla faccia della libertà.
"E questo lei lo definisce libertà di scelta?" sbuffò, posando la busta sul tavolino poco distante. "Mei, verresti ad aiutarmi?"
"Non sono granché esperta di abiti da sposa…" incominciò l'interpellata, beccandosi poco dopo l'occhiata supplice della principessa. "…okay, d'accordo. Vediamo che posso fare."
Freya separò con decisione i vestiti sulle loro grucce in due distinte categorie: aderenti e morbidi.
"Dato che sei incinta, tu proverai quelli, io proverò questi qui più aderenti."
"…cos-? No." replicò Mei. Un conto era accompagnare e dare qualche educato commento su un abito o un velo, un altro conto era indossare abiti e colori contrari al suo pensiero. "Non mi sentirei a mio agio."
"Oh, ti prego!"
"Dimmi un po', quell'espressione da gatto con gli stivali funziona sempre?" domandò Mei.
L'altra ridacchiò.
"Di solito sì. Oh perfavore… in fondo non dovrai indossarlo ufficialmente davanti a milleduecentocinquanta invitati."
"Milleduecento…?!"
"Figurati, quando l'ho scoperto sono rimasta di sale anche io. Hilda ha invitato tutte le famiglie regnanti conosciute e non di mezza Europa, più tutti i nobili del regno. Non hai idea delle facce che hanno fatto i cuochi di corte: il capo pasticciere, un franco-austriaco di Vienna, ha sbraitato per giorni interi. E ancora non ha idea di che cosa l'aspetta se Hilda dovesse cedere alle avances di Harald…"
Le sembrava di essere improvvisamente scivolata in un sonnellino e di vivere in un sogno popolato dai personaggi delle fiabe che Camus era solito leggere a Lixue quand'era più piccola, popolate di fate, principesse, regine, castelli incantati e biondissimi principi.
"E dimmi, ad Asgard ci sono anche fate e unicorni?"
"Gli unicorni magari no, ma abbiamo i mitici Nibelunghi, gli Gnomi e i Troll. In quanto alle fate, noi abbiamo le Norne e gli Elfi, sai, come quelli di Tolkien. Una leggenda asgardiana narra che una nostra antenata, vissuta nel dodicesimo secolo, fosse una Liósálfar, una mezz'elfa della luce, che discendeva direttamente dalla dea Freyja." rispose Freya, allegramente. "E per finire, il biondissimo principe arriverà a breve, quindi sì, non abbiamo niente da invidiare alle favole per bambini. Anzi. Se non ci sbrighiamo a scegliere un vestito, a breve avremo anche una strega cattiva seduta sul millenario trono di Asgard."
Non le fu difficile immaginare Hilda che, come Maleficent, si ergeva rabbiosa assumendo le spoglie di un malvagio dragone sputafuoco.
Freya lanciò quindi la stoccata finale.
"…quando avremo finito qui potremmo passare da Ladurée a rimpinzarci di macarons ed éclair."
"Vergogna, prendere per la gola una donna incinta."
L'altra batté le mani, trionfante.
"Ha! Lo sapevo!"
E, per la seconda volta nel giro di mezz'ora, Mei capitolò.
 
"Trasferite il composto su di una spianatoia spolverizzata con zucchero a velo e continuate a lavorare il composto fino a che sarà liscio ed omogeneo e non si appiccicherà più alle mani."
Hyoga guardò il maestro mentre, tutto concentrato, lavorava energicamente il composto appiccicaticcio nel tentativo di trasformarlo in un panetto di pasta di zucchero.
"Secondo me facevi prima a ordinarne una in pasticceria." disse, prendendo l'immagine che Camus aveva stampato, una torta rotonda decorata con perline di zucchero argentate, rose di marzapane e la pasta di zucchero metà bianca e metà nera che formava un tao.
Lixue aprì il barattolino col colorante in polvere, pronta ad aiutare il padre.
"…adesso?"
"Non ancora." rispose Camus. "Perché mai dovrei ordinare una torta quando posso farla io?"

Forse perché non era semplice come pensava. Perché, a dispetto dei filmati postati sui blog culinari o ai programmi sulla pasticceria che spuntavano come funghi in televisione, fare una torta non era un gioco.
"Forse perché non sei un pasticciere?" suggerì, rubando un quadrato di cioccolato alla menta.
"Sono figlio di un cuoco, ho tirato su due allievi da solo e posso farcela." sbottò. Non gliel'avrebbe data vinta, a costo di impiegare il resto della mattina e tutto il pomeriggio nell'impresa. "Anzi, invece di fare il bastian contrario, guarda se il pan di Spagna si è raffreddato. E smettila di mangiare le decorazioni!"
"Ma se ne ho presa una!" si difese Hyoga.
"Papà, posso prendere ancora un po' di cioccolato?"
"Tesoro, hai mangiato così tanto cioccolato da finire in ospedale." obiettò Camus.
"Ma perché zio Hyoga può mangiarlo e io no?"
"Perché io sono grande."
"Anche io sono grande! Non sono così piccola come pensi!"
"Hey, lascialo subito!"
"No! E' mio!"
"E' mio e tu sei ingordo."
"Sono più grande di te, quindi è mio."
"Non dire cavolate, sono più grande io: sono nato il 23 gennaio e tu il 17 febbraio, è mio!"
"Maestro!!"
"Papà!!"
Proprio vero che la storia spesso aveva il vizio di ripetersi: anni prima Hyoga aveva litigato con Isaak per un marron glacé, in quel momento, litigava con Lixue per il cioccolato alla menta.
"Quando sarai alta come me allora potrai fare quel che vuoi."
"Quel che puoi." lo corresse Camus. "Magari si potesse davvero fare tutto ciò che si desidera. E questo vale anche per te, signorino."
L'altro si stampò sulle labbra la stessa espressione con la quale, da piccolo, faceva i dispetti al compagno d'addestramento.
"Presto sarò re e potrò fare quel che voglio!" cantilenò, con finta arroganza.
"Principe consorte, come il marito della regina Elisabetta." interloquì Lixue. "Come dice mamma, sarà Freya a portare i pantaloni e comandare!"
Camus ridacchiò: più di una volta Mei aveva punzecchiato Hyoga riguardo quella faccenda.
"Ecco, la regina Hilda è più furba di quel che pensavo. Spero comunque che non abdichi tanto presto o poveri asgardiani, con un principe immaturo come te."
Il ragazzo gli rispose con una linguaccia, afferrando una cucchiaiata di glassa di zucchero dalla boule lì vicino.
"Ma basta! Andrà a finire che ti si glasseranno le vene!" protestò Camus. "Mi stai facendo perdere tempo, e devo finirla prima del ritorno delle ragazze."
"A proposito, dove sono andate? Freya non mi ha detto niente."
Camus si schiarì la voce, incerto se parlare o no.
"…credo siano andate in Avenue George V per l'abito da sposa. Ma non ti ho detto niente quindi tu non sai niente." rispose, mentre il suo cellulare emetteva un trillo. "Piuttosto, leggimi il messaggino che è arrivato."
Il ragazzo prese il cellulare di Camus, accorgendosi che il messaggino era di Freya e conteneva la foto di un abito da sposa. O meglio: di una donna in abito da sposa, fotografata probabilmente a sua insaputa, ritratta di in piedi e a tre quarti.
Conoscendo la reticenza di Mei nei confronti del bianco e di tutte le sfumature ad esso connesse, Hyoga si domandò che mezzo avesse usato Freya per convincerla a indossare un abito bianco.
"Ah però." commentò Hyoga. "Credo dovresti vederla, è per te."
Camus si pulì le mani con uno strofinaccio umido, ammirando il risultato del suo lavoro: un bel panetto di pasta di zucchero, simile a quelli visti nelle vetrine dei negozi specializzati.
"…visto, razza d'un miscredente? Mio padre sarebbe orgoglioso di me." esclamò, tutto contento, prima di prendere in mano il cellulare. "Oh."
Mei, in un abito stile impero, bianco, con un lungo velo di pizzo che scendeva morbido fino a terra.
"Bozhe moj…" sussurrò, guardando come incantato la foto. "Eto tak krasivo…" [Mio dio. E' così bella…]
Era passato al russo, segno che quella foto l'aveva colpito davvero molto.
"Fammi vedere, papà." interloquì Lixue, lasciando un attimo da parte il colorante alimentare.
"Credo che dovresti dirle che cosa vorresti. In fondo è anche il tuo giorno." disse Hyoga. "Ci si sposa una volta sola nella vita. Tu che cosa vorresti per i tuoi genitori, Lixue?"
"Non vale, fosse per lei ci dovremmo sposare come nelle fiabe che le leggiamo prima di dormire."
 
"Io continuo a dirti che dovresti vergognarti, sul serio, per aver corrotto una donna incinta con queste cose peccaminose."
Freya ridacchiò divertita, affondando la forchettina nel suo Paris Brest.
"Diciamo che conosco bene i tasti da pigiare." replicò, guardando l'amica assaporare la sua Tarte Tatin. "A dire il vero, Mei, avrei una confessione da farti."
"Dimmi."
"Quando prima ti ho fatto provare quel vestito, sai quello con il velo di pizzo? Ecco, ti ho fotografata e… ho inviato la foto a Camus. Non arrabbiarti, non volevo farti un torto."
A dirla tutta il torto non l'aveva fatto a lei, ma a Camus. Conoscendolo, quella foto doveva averlo scosso, e parecchio. Gli aveva proposto un matrimonio come quello di Aiolia e Marin e l'aveva fatto con tutto l'amore possibile, ma mai, neanche per Camus, si sarebbe infilata di nuovo in un vestito bianco.
"…beh… Camus dovrà accontentarsi di vedermi in rosso, quando ci sposeremo."
 
 
Con la scusa dello shopping e delle varie pause disseminate in diverse pasticcerie, Freya l'aveva tenuta occupata per quasi tutto il pomeriggio: con i piedi doloranti e con la stanchezza post-lavoro che le appesantiva le membra, in quel momento Mei desiderava un bel bagno caldo e la cena che Camus le aveva promesso quel pomeriggio, tramite sms.
Appena varcata la soglia di casa, il primo profumo che l'accolse fu quello intenso della salsa di soia e del manzo in agrodolce.
La serata promette bene.
Chiuse a chiave la porta dietro di sé, quindi s'infilò le ciabatte, pronta a godersi il tanto agognato riposo: all'estratto conto e al lavoro avrebbe pensato l'indomani.
"Sono a casa!" si annunciò, posando il borsone da lavoro, i sacchetti e la busta con il regalo che Sheng e i colleghi di lavoro le avevano fatto. Si chinò a fare i grattini a Sabaka, che come sempre era arrivata di corsa dalla stanza di Lixue per accoglierla, e solo allora vide il post-it.
"…segui Sabaka."
"Oh. Vediamo quali sorprese hai in serbo per me." disse, seguendo il cane.
Un bel bagno caldo, per iniziare.
"Cominciamo bene direi."
Quando vide tornare Sabaka, Camus sorrise soddisfatto.
"Hai fatto come ti ho mostrato? Brava socia!" disse, accarezzandole la testolina ed elargendole un biscotto per cani.
La cena era pronta, sperando che Mei apprezzasse la cena cinese che aveva preparato.
Il bilancio di quell'ultimo periodo -a partire dal trasferimento- era piuttosto positivo, a parte qualche basso: entrambi lavoravano, la bambina andava a scuola e si era ben integrata e tutto procedeva per il meglio.
Si augurò che tutto continuasse ad andare bene in quel modo.
Mei entrò in cucina dopo una buona mezz'ora, avvolta nel suo solito kimono, i capelli sciolti sulle spalle e un'espressione rilassata sul volto.
"Che meraviglia tornare a casa dopo una dura giornata e ricevere questo trattamento."
"Ciao!" le sorrise, voltandosi.
"Nihao." gli rispose, allegra, sollevando i coperchi dalle pirofile e scoprendo Hong Shao Rou, Xiaolongbao e Baozi caldi e profumati,  esattamente come aveva sentito entrando in casa. "Ma che meraviglie hai combinato!"
Le porse un cestino con i wonton e si tolse il grembiule.
"Beh, sai, non è stato poi così tanto impegnativo: pasta fillo, spaghettini di soia, verdure, le giuste spezie et voilà." iniziò a dire, prima di vedere l'espressione di Mei. "D'accordo, d'accordo… oggi ho fatto un paio di commissioni al quartiere cinese."
"Ah ecco, mi pareva di riconoscere la salsa del mio ristorante shanghainese preferito." ridacchiò Mei. "I miei piatti preferiti, il bagno caldo, assoluto riposo… quasi quasi vorrei che ogni giorno fosse il mio compleanno…"
"Ma così invecchieresti ogni ventiquattro ore."
"Bè, bisogna invecchiare comunque, no?"
"Oh, certo, è l'inevitabile destino di ogni essere umano. Però tu invecchi bene: diventi più bella ad ogni compleanno."
Mei sorrise, arrossendo.
"Uh, magari. Cerco di cavarmela come tutti."
 
**
 
L'indomani, ottava casa.
"Fammi un po' vedere!"
Mei alzò la gamba, mostrando una delle sue Louboutin nuove di zecca. La sera prima, quando Camus dopo cena le aveva dato i regali dopo il dolce, dopo i primi istanti di pura felicità per quel paio di scarpe tanto inseguite e tanto desiderate, si era parecchio irritata: le attenzioni che le aveva riservato quel giorno, la bellissima torta e l'album di fotografie che Lixue aveva composto per lei con le loro foto, insieme al braccialetto –un semplice braccialetto con tre ciondoli, uno per ogni figlio- le erano più che bastati. Rispetto ai compleanni trascorsi al Goro-Ho, quel compleanno in famiglia, nella sua nuova casa, le era sembrato un piccolo paradiso.
"Sono molto felice, ma allo stesso tempo l'ho sgridato per aver speso questi soldi per me." spiegò all'amica.
Shaina si schiarì la voce.
"L'avessi io un uomo che mi fa di questi regali." commentò, sospirando.
"Lo so, ma con quello che le ha pagate… invece di spenderli per me avrebbe potuto spenderli per Lixue o i bambini in arrivo…"
L'altra guardò le scarpe con desiderio.
"Milo, il mio compleanno è dietro l'angolo…"
"…siamo ancora a novembre, tu invecchi a marzo, se non ricordo male." replicò l'interessato.
Camus sorrise.
"Invecchi? Mi stupisce che Shaina non ti abbia già trucidato per questo."
"Figurati, ha bisogno di me." disse Milo, abbassando di parecchio la voce. "Dove trova un altro poveraccio in grado di sopportare il suo carattere?"
"Te l'ha ricordato affinché tu inizi a mettere da parte i soldi necessari per acquistarle un paio di quelle scarpe." precisò Camus. "Se inizi ora, per il 24 marzo forse ce la farai."
"Forse." Milo fece una smorfia. "Ma dire il vero dovrò già mettere da parte dei soldi, e non per un paio di scarpe."
 
***
 
 
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 23 agosto 2015)
Capitolo un pochettino succinto questo, che sostituisce un capitolo sciocco e zuppo di bashing gratuito (del quale mi vergogno tantissimo D:).
(Abbiate pietà, sono in ferie, con una connessione traballante e vorrei finire la revisione il prima possibile, visto che la storia è ferma da tantissimo).
Nibelunghi, Gnomi, Troll, Norne ed Elfi fanno tutti parte della mitologia nordica;  
Paris Brest: è un dolce di origine francese composto da una ciambellina di pasta choux farcita (di solito, con panna);
Hong Shao Rou, Xiaolongbao e Baozi: vi rimando alla pagina nel link per le spiegazioni; nel caso abbia dimenticato qualcosa, sistemerò al mio ritorno.
Alla prossima volta e buon proseguimento di vacanze.

Lady Aquaria

 

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Capitolo 25
*** Da adesso in poi. ***


capitolo 25 principale rivisto
25.
Da adesso in poi.

da adesso in poi ti aspetto qua
(...)non so se sarò pronto mai
prova a esser pronto tu per noi
ascolto:
mi insegnerai
[Ligabue – Da adesso in poi]

"La tua segreteria telefonica contiene due nuovi messaggi. Premi il tasto uno per ascoltare i messaggi o premi il tasto due per richiamare il mittente."
Milo appese la giacca e pigiò, svelto, il tasto uno.
"Messaggio numero uno."
"Ciao Milo, sono Mei. Scusa il disturbo, è che non so chi chiamare: Freya è da sua sorella per i preparativi, Hyoga è all'università a dare un esame importante e non ho intenzione di chiamare mio fratello. Ti sarei veramente grata se potessi venire qui e darmi una mano, non mi sento bene e non ho alcuna voglia di guidare."
Lasciò che la voce metallica gli comunicasse data e ora e passò al secondo messaggio.
"Sono ancora io, mi sono dimenticata di dirti dove siamo. Prendi carta e penna: quando arrivi a casa, scendi e prendi la linea 6 della metro da Passy in direzione Nation, conta otto fermate e scendi alla nona, la fermata Raspail, una volta sceso prendi l'uscita numero due in direzione Rue Campagne…"
Afferrò il bloc notes vicino al telefono e cercò la penna che Shaina doveva aver posato chissà dove: come sempre, ogni volta che gli serviva una penna, non si trovava mai.
Chissà, forse finivano nello stesso buco nero che risucchiava anche elastici e forcine.
"…frena, frena un attimo!" esclamò, mettendo in pausa il nastro. "6 Passi, Nat, 9 ferm, Rasp. Fin qui ci sono."
"……Raspail, una volta sceso prendi l'uscita numero due in direzione Rue Campagne Première, prendi Rue Campagne Première, al fondo svolti a destra e prendi Boulevard du Montparnasse, giri ancora a destra e prendi Avenue de l'Observatoire. Lungo il cammino dovresti poi incrociare un ristorante, un negozio, una rivenditore di scooter, un paio di brasserie e dovresti trovarti in Avenue de l'Observatoire, dove c'è l'ospedale Port Royal dove mi trovo ora. So che il tuo francese è pessimo e che sicuramente mi chiamerai per avere lo spelling dei nomi francesi e davvero, sono mortificata, ma non ti disturberei se stessi bene. Ah...ripensandoci, credo che ti invierò la mappa di google maps attraverso whatsapp."
I messaggi erano stati registrati appena un quarto d'ora prima. Pigiò il tasto due e mise il vivavoce, sperando di fare ancora in tempo.
"Allô?"
"Mei? Ho sentito adesso i messaggi… ti chiedo scusa per il ritardo."
"Milo! Oddéi grazie!" gli rispose, la voce colma di sollievo. "Mi dispiace averti disturbato ma…"
"Non dirlo neanche per idea, nessun disturbo. Cos'è successo?!"
Un'ora dopo circa, Milo finalmente arrivò in ospedale: Mei lo stava aspettando da un po', seduta su una delle scomode sedie della sala d'attesa; era un po' più pallida e sofferente del solito, e la cosa lo preoccupò.
"Hey, ciao! Credo di essermi perso a un certo punto, fortuna che una ragazza mi ha dato un paio di indicazioni, altrimenti sarei ancora in giro per Parigi… mi sbagliavo sai? Non tutti i parigini hanno la puzza sotto il naso! Per Athena come sei stremata, che cos'è successo? Stai bene?"
Mei si alzò con una smorfia, rispondendo con gratitudine al suo abbraccio.
"Adesso sì, agitazione e stomaco vuoto non vanno d'accordo con il mio organismo gravido. Come ti ho spiegato, non sapevo chi chiamare: Freya è da sua sorella per gli ultimi preparativi, Hyoga è all'università e io non me la sento di guidare… l'auto è parcheggiata davanti all'ospedale e non avevo nessuna intenzione di prendere un taxi e lasciarla qui."
"Oh, non ti preoccupare, nessun disturbo. Pensavo ci fosse Camus con te, mi aveva detto che non avrebbe perso le ecografie per niente al mondo."
Mei annuì.
"Appunto, non se l'è persa. Stamattina avevo la gamba bloccata per colpa della sciatica e sono caduta. Mi ha portata qui di corsa emulando Jean-Éric Vergne e una volta qui, dopo i dovuti controlli, mi hanno anche fatto un'ecografia per sicurezza. Ed è per questo che Camus adesso si trova nella saletta accanto con una flebo al braccio."
Milo corrugò la fronte.
"Co…?"
"Avresti dovuto vederlo, pensavo di essere in uno di quei film americani, sai, dove il neo papà sviene per l'emozione. Quando il medico ci ha detto: State tranquilli, messieurs La-Rochelle, tutti e tre i vostri figli stanno benone, non hanno risentito della caduta, non ha retto allo choc ed è caduto lungo e disteso a terra, mancando per un soffio uno spigolo… non oso immaginare che cosa succederà al momento del parto." spiegò Mei. "Oddéi guarda che faccia. Per favore, non svenire anche tu o ritorno al punto di partenza."
"…tre?! Oh santi numi! Non sapevo neanche che fosse possibile!"
Mei sorrise.
"Certo che è possibile: durante la prima visita, mesi fa, nello studio della mia ginecologa c'era una donna con gravidanza pentagemellare frutto della fecondazione in vitro. Era incinta di almeno quattro mesi, ma pareva già al nono."
"Cinque bambini in un colpo solo…" mormorò Milo, con uno strano tono di voce.
"Sì, ma le probabilità che succeda senza aiuti clinici è pressoché impossibile. In effetti il medico che mi ha visitata ha detto che sono una delle poche pazienti con gravidanza trigemina naturale, perché di solito sono appunto il risultato di inseminazione artificiale, che non è il mio caso."
La porta della sala attigua si aprì, e Camus si fermò sull'uscio, reggendo l'asta porta flebo.
"Yasas, amico. Accidenti che faccia!"
Più pallido del solito, la camicia slacciata con le maniche arrotolate e una flebo infilata nella piega del gomito. Stravolto come se avesse corso a piedi la 24 ore di Le Mans.
"…sbaglio o la dottoressa ti aveva detto di rimanere disteso finché non fosse finita la sacca?"
"Cominciavo a innervosirmi." replicò Camus. "Vi ho sentito parlare."
Mei gli andò incontro, circondandogli la vita con un braccio.
"…uomini." sospirò. "Quella che deve portare in grembo e partorire tre bambini sono io e quello che sviene è lui. Sesso forte un accidenti! Povera me."
"Certo che però è una bella botta, per forza che è svenuto."
"Ho avuto un leggero malore." specificò Camus. "Niente di che."
"Sembravi Sad Mac, ti mancavano solo gli occhi a x e la lingua penzoloni. Coraggio, avverto la dottoressa che la sacca è finita, ritiro i documenti e andiamo a prendere Lixue che sta per uscire da scuola. E allacciati la camicia, altrimenti dovrò cavare gli occhi alle infermiere."
 
*
 
Lixue si dimostrò sorpresa e al tempo stesso parecchio felice di trovare Milo all'uscita da scuola; decisero di passare il resto del pomeriggio in giro, intenzionati a comprare del cibo da asporto da consumare con Milo e Shaina, a cena.
"Mamma e papà ti hanno detto dei fratellini?" domandò Milo.
Lixue sorseggiò il frappé che lui, a insaputa di Camus e Mei, le aveva comprato in un fast food del centro commerciale.
"Sì."
"E sei contenta?"
La bambina rispose con un vigoroso accenno del capo, gli occhi che le brillavano.
"Vorrei che fossero femmine tutt'e tre." aggiunse, facendolo sorridere.
"Beh, immagino. Però non credo che tuo padre sia della stessa idea, amore."
"Io vorrei tre sorelline perché voglio giocare. I miei compagni di classe parlano solo di calcio, sono noiosi come Kiki."
In effetti Kiki, da ragazzino pestifero e sempre pronto agli scherzi e alle battute di spirito, col tempo si era trasformato in un giovane assennato, in una sorta di copia adolescenziale di suo fratello. A volte gli sembrava di vedere di nuovo Mu quindicenne.
"Maschi e femmine hanno interessi diversi, dolcezza. Non puoi pretendere di giocare con le bambole con i tuoi compagni maschi."
Lixue lo guardò in tralice, in una perfetta imitazione dello sguardo paterno.
"Guarda che sono una femmina ma non gioco con le bambole. Quando cerco di parlare di arti marziali con i miei compagni loro preferiscono parlare di calcio. I maschi sono tutti sciocchi e noiosi, non so cosa farmene."
"Hey, quindi io sarei noioso?"
"Ma tu non c'entri niente! Tu sei simpatico e sei mio zio, non sei noioso."
"Ah grazie. Anche papà è un maschio. E' noioso anche lui?"
"No, lui no. Lui è il mio papà."
Milo le carezzò i capelli.
"Immaginavo. Lixue, stellina, capirai col tempo che ehm… noi maschi non siamo tutti noiosi."
Col tempo, e con la maturità necessaria, avrebbe rivalutato quel giudizio. Si appuntò mentalmente di riparlarle di quella conversazione, un domani, quando avrebbe avuto un ragazzo.
Ma evitò accuratamente di scendere in certi particolari, o Camus gli avrebbe fatto lo scalpo.
"Sì, lo so, gli altri maschi servono per fare i bambini, ma altrimenti non servono poi a granché."
Accidenti, quant'erano svegli i ragazzini delle nuove generazioni. Lui, l'argomento sesso l'aveva affrontato superati i quindici anni con le sue prime esperienze, Lixue era decisamente troppo troppo giovane per quello.
"…come, scusa?"
"Beh, le femmine non possono fare bambini da sole, i maschi servono a questo, no? Anche zia Shaina l'ha detto."
Grazie mille, tesoro, per avermi cacciato in questa situazione. Quella sera avrebbe scambiato un paio di paroline con l'interessata.
"…ah."
"A proposito, tu e Shaina quando farete dei bambini?"
Avvampò, iniziando a guardarsi intorno alla ricerca dei due amici.
"Ehm… non è così facile, tesoro." le rispose, facendo attenzione a cosa dirle, quasi intimidito da quegli occhietti verdi e vispi che non si perdevano neanche un'espressione del suo volto.
"Sì che lo è. Sei tu che non mi vuoi rispondere." rispose Lixue.
Sì. Parecchio sveglia.
"Io e Shaina faremo bambini quando entrambi saremo pronti." provò a spiegarle, suonando poco convincente anche alle proprie orecchie. Quando mai lui e Shaina sarebbero stati pronti per dei figli? Probabilmente, mai. Forse nessuno era mai davvero pronto per avere figli.
"E' perché non siete sposati? Zio Shiryu dice che è vergognoso fare bambini se non si è sposati."
"Tuo zio dice un sacco di str...anezze." le rispose. Ma che problemi aveva quel benedetto ragazzo?
Lixue terminò il suo frappé.
"Io ho la soluzione: sposatevi!"
"Dolcezza, tu viaggi troppo con la fantasia."
"Guarda che è facile! Fate come mamma e papà: vi sposate e fate bambini così giochiamo insieme."
Era proprio figlia di Camus. Testarda come lui, non c'era nulla da fare.
"…e se andassimo a pattinare?"
Con sua grande sorpresa, Milo scoprì che il centro aveva davvero una pista di ghiaccio installata per il periodo natalizio nella piazza più grande, la stessa che d'estate, come gli spiegò una delle addette, ospitava una piscina.
"…questi sono i tuoi pattini."
"Dovrei pattinare anche io? No, non se ne parla."
 
*
 
"Allora, passato lo shock?"
Camus sorrise imbarazzato.
"Insomma… e il tuo malore?"
"Oh, niente di che, mentre aspettavo Milo ho fatto un salto a un bistrot poco distante dall'ospedale e ho messo a tacere il problema con una demi-baguette crema e nutella."
Lo stomaco di Camus reagì con un grugnito poco fine a quelle parole.
"…"
"Quando avremo finito qui, potremmo fare un salto a mangiare qualcosa da Ladurée."
"Non tentarmi, o andrà a finire che da una quarantotto divento una botte."
Mei frugò in borsa alla ricerca di qualcosa: una volta trovata, porse a Camus un involto da pasticceria.
"Allora faremo così: considerato che metterò su altro peso nel corso dei prossimi mesi e che non si tratterà sicuramente di un paio di etti ma qualche chilo, possiamo approfittarne per mangiare un po' di cioccolato in più e perdere il peso in eccesso, dopo il parto, con tante sane sessioni di ginnastica da camera, se capisci che cosa intendo dire."
Lui aprì il pacchetto scoprendovi, all'interno, delle tavolette di cioccolato.
"Mezzo chilo di nocciolata direttamente da Alba, tutto tuo." disse Mei, indicando con lo sguardo le cinque tavolette di cioccolato con le nocciole.
I suoi punti deboli, il cioccolato e le nocciole italiane.
"Strega, ti odio."
"No, non è vero, mi ami."
"…"
"Dunque, che cosa volevi farmi vedere?"
Le accennò con il capo l'esposizione di articoli neonatali dietro di lei.
"La culla di Lixue l'avevo comprata qui. Ne avevo ordinata una appena scoperta la gravidanza gemellare, e oggi dovrò ordinarne una seconda, altrimenti dovranno fare a rotazione per usarla." scherzò Camus.
"No, non è il caso. Santi numi, Camus… saremo una coppia con quattro figli! Immagina la mattina di Natale quando ci sveglieranno quattro ragazzini urlanti."
"Festeggi il Natale?!"
"Non come lo festeggiava mia madre, sai che non sono cristiana. Da quando c'è Lixue, ci siamo limitati alle lucine colorate in giro per la pagoda e i regali la mattina di Natale." spiegò Mei. "Piuttosto dovremmo pensare a una bella carrozzina trigemellare."
"Possiamo prenderne una doppia e usare quella di Lixue."
Mei tastò la consistenza della testiera di una carrozzina "a trenino" con tre posti.
"Il fatto è che non l'ho usata, l'ho sempre tenuta nella fascia prima e nel marsupio dopo." spiegò Mei.
"Allora mi sa che le cose da comprare per il loro arrivo sono più di quel che pensavo."
Lei sorrise.
"Caro mio, le cose non vanno mai come credi." il trillo del cellulare le annunciò un messaggino di Milo che, spiegava, avrebbe portato Lixue a pattinare. "A quanto pare abbiamo ancora un paio d'ore tutte per noi."
Camus corrugò la fronte.
"A dirla tutta non è proprio una bella notizia: immagina i guai che possono combinare Lixue e Milo insieme. Potrebbero demolire l'intero centro commerciale."
"Esagerato."
"Ah dici? Poi non mi dire che non te l'avevo detto."
"Ho fiducia nella maturità di Milo, impedirà a nostra figlia di combinare guai."
"Oh, allora che sono tranquillo!"
Mei rise, infilando nel carrello uno sterilizzatore per i biberon.
"Suvvia, concedigli un po' di fiducia! Avevo uno di questi al Goro-Ho, ma è quello che sterilizza con le apposite cialde effervescenti." spiegò. "Ho sempre desiderato averne uno che sterilizza a caldo, mi fa sentire più sicura. Ah no, non è il caso di comprare altri bavaglini, a casa ne ho per un esercito intero."
Camus le mostrò la scatola di un altro apparecchio.
"Non sono pratico, ma l'aspetto di quest'affare non è per niente rassicurante."
"E' un tiralatte." rispose Mei, con un brivido. "Direi di passare al reparto successivo, se non hai niente in contrario."
"Sicura? Potrebbe servir-… no, okay. No, mi sa proprio di no."
"Decisamente no." replicò Mei. "Scherzi a parte, ci serviranno dei vestiti per bambini prematuri. E, temo, qualche vestito premaman un po' particolare: tempo un paio di mesi e sarò grossa come una botte."
"Ma smettila di dire stupidaggini, sarai bellissima."
Come no, con le caviglie gonfie, le smagliature, la ritenzione idrica e i pit-stop obbligatori in bagno venti volte al giorno. Tuttavia, preferì non dirgli nulla in merito.
"Vedremo se alla prima occasione buona, con una donna incinta in preda ai propri ormoni non te la svignerai a gambe levate."
"Non succederà, te lo giuro."
"Rassicurante."
Si concessero ancora qualche minuto da soli, decidendo poi di tornare dalla figlia e dall'amico, per evitare le catastrofi tanto paventate da Camus; arrivati alla pista, intravidero Lixue mentre cercava di convincere Milo a salire sul ghiaccio.
"Dovrei venire lì?"
"E dove altrimenti?" ridacchiò Lixue.
"Ma nemmeno per sogno."
"Fifone!" esclamò, guadagnandosi un'occhiataccia in tralice.
"Nessuno può chiamarmi fifone!"
Camus si sedette per infilarsi i pattini che aveva noleggiato.
"Dovrò dargli qualche delucidazione su come non farsi fregare da una bambina di sette anni, temo." sospirò. "Non ti dà fastidio aspettare qui, vero?"
"Figurati, almeno mi riposo un po'."
Milo si avvicinò tentennando alla pista, mettendo sul ghiaccio un piede per volta.
"…ma chi me l'ha fatto fare?!" si lamentò, guardando Lixue volteggiare con sicurezza. "Mi sembri decisamente a tuo agio su questa trappola infern-aaaaaaaah!"
"Io non strillo come una donnetta!" lo prese in giro Camus, sfrecciandogli accanto.
"Bravo, prendimi pure in giro. Ci sarà qualcosa in cui sei una schiappa, non appena lo scopro avrai finito di vivere!" minacciò Milo. "Ma tu sai pattinare?!"
"Ricordati dove mi sono allenato. So anche sciare e usare le racchette da neve." rispose Camus.
"Ah già, dimentico troppo spesso che tu sei mister Paraflu."
"Staccati dalla staccionata, è più facile di quel che credi!"
Milo scivolò indietro, battendo il posteriore sul ghiaccio.
"Spiacenti, io cedo le armi." berciò, rialzandosi a fatica. "No, Lixue, non spingere!!"
"Sì tesoro, lascialo stare prima che scoppi in lacrime."
"Sai Camus, sei simpatico come la sabbia bagnata che si infiltra nel costume e ti gratta il sedere!"
"Perbacco Milo, quanta finezza."
Milo lo ignorò, preferendo uscire dalla pista, consegnare i pattini e andare da Mei.
"Preferisco sedermi qui con te che rimanere ancora là sopra col rischio di cadere di nuovo ed ammazzarmi." commentò Milo, sedendosi accanto a Mei. "Ahia! Accidenti, mi verranno dei lividoni tremendi sul sedere, me lo sento."
"Beh, ottimo motivo per farti spalmare un unguento da Shaina." ridacchiò Mei. "Comunque è in un posto in cui non si vedono, perciò…"
"Chi ti dice che non si vedono?" replicò lui, sornione. "Chi ti dice che per arrotondare lo stipendio non faccia lavori in cui si vedono le mie grazie?"
Mei gli rivolse un'occhiata sorpresa.
"Ma và? Davvero? Dammi l'indirizzo del locale, mi hai incuriosita."
"Ottava casa, Santuario di Athena, Atene."
"Ah, fai tutto in proprio?"
Lui scoppiò a ridere.
"Mi spoglio solo per Shaina, per nessun'altra." le rispose. "Non lo farei nemmeno per te, anche se ti voglio un bene che non t'immagini."
"Tanto per la cronaca, comunque… sei l'amico più caro che ho, e non ci tengo a vederti sotto altri aspetti. Un uomo già ce l'ho ed è magnifico. E in costume da bagno è anche più bello di te, quindi…"
"Hey bellezza, parliamone."
"No, non è il caso di parlare delle tue grazie. Parliamo di te e Shaina, piuttosto. Io voglio dei nipotini, sai?"
Assottigliò lo sguardo.
"Scusa se te lo faccio notare ma è Shiryu che deve darti nipotini."
"Infatti mio fratello diventerà padre a breve: Shunrei è incinta di sette mesi." rispose Mei. "Ma io voglio nipotini anche da te. Insomma, riesco a immaginare noi quattro insieme, a cena, con i nostri figli che giocano insieme."
"Noi sei. Tuo fratello non lo conti?"
Mei sospirò, scuotendo la testa.
"Mio fratello… paradossalmente siamo più uniti quando siamo lontani migliaia di chilometri. Da quando mi sono trasferita non è mai venuto qui a Parigi a farmi visita, quando ci vediamo succede solo ed esclusivamente ad Atene." spiegò. "Ma per certi versi è meglio così, tutte le volte finiamo per litigare: sa esattamente quali tasti toccare per farmi arrabbiare."
"Il tasto, vorrai dire. Sappiamo entrambi a cosa, o meglio chi ti riferisci."
Già.
"Però, sei bravo."
"A far cosa, scusa?!" le domandò quindi Milo, confuso.
"A cambiare discorso. Meno di un secondo per spostare l'attenzione su di me quando invece stavamo parlando di te. Dunque… tu e Shaina. Quando, quando vi deciderete, benedetti ragazzi?"
 
"Rallenta Lixue, stai andando troppo veloce." Camus richiamò la figlia, che aveva iniziato a pattinare più veloce di prima: quando pattinava a Kobotec o ad Atene era da sola e, con un po' più di attenzione poteva anche permetterle di farlo, ma su una pista affollata era meglio di no, soprattutto da quando era arrivato un gruppo di adolescenti che, facendo le sciocche tra loro, avrebbero potuto urtarla e farla cadere. "Ci sono troppe persone."
"Sì papà." obbedì Lixue, rallentando per aspettarlo. "A Kobotec potrò andare più veloce?"
"Ne riparleremo quando saremo a Kobotec, tesoro."
"Pensi che la mamma si arrabbierebbe se decidessi di non fare più judo come lei?"
Camus corrugò la fronte.
"…perché mai dovrebbe arrabbiarsi?"
"Perché so che per lei è importante. E se poi mamma si offende?"
"Tesoro, per me e la mamma tu sei importante. Perché vorresti lasciare il judo? Non ti piace più?"
"No, però mi piacerebbe provare a fare anche altro."
Arrabbiarsi non si sarebbe sicuramente arrabbiata, conoscendola. Forse sì, si sarebbe un po' offesa, avrebbe scioccamente avuto un calo dell'autostima, pensando che, magari, come insegnante non era così brava se persino sua figlia non voleva proseguire con la pratica del judo. Aveva imparato presto che una donna con gli ormoni in subbuglio era più suscettibile del normale.
"Beh, è bello avere tanti interessi, Lixue. Secondo me dovresti prima provare il pattinaggio, con calma, e decidere più avanti che cosa fare seriamente."
La bambina parve pensarci su qualche istante.
"…e a mamma non dispiacerà?"
"La pratica di uno sport è una cosa personale, sei tu che devi decidere cosa fare o no." rispose Camus, con attenzione. "Io e mamma possiamo solo limitarci a darti dei consigli senza importi qualcosa che non riesci a sentire come tuo: non è bello fare qualcosa quando si è costretti."
Lixue guardò verso sua madre, seduta al di là del parapetto che delimitava la pista di ghiaccio, mentre parlava e rideva insieme a Milo. Negli occhi, una strana malinconia.
"Ascoltami." le disse, accucciandosi di fronte a lei. "Noi ti sosterremo sempre, qualunque cosa tu decida di fare: judo o quello che vuoi, a noi andrà bene comunque."
La figlia annuì.
"Okay, allora. Andiamo, mamma è parecchio stanca."
La conversazione con Milo, notò Mei con una punta di curiosità, si concentrò soprattutto sulla gravidanza, sui suoi sintomi e su diverse cose strettamente collegate ad essa. Sulle prime la prese per semplice conversazione, ma proseguendo col discorso e con le domande dell'amico, Mei capì che quelle domande non erano per pura e semplice informazione, ma c'era dell'altro sotto.
Tuttavia, preferì non indagare.
"…sfido io che eri agitata: scoprire che l'utero ti ha fatto l'offerta tre per due non dev'essere stato facile."
"No, a dire il vero sono agitata per ben altri motivi, escludendo il parto. A gennaio, con l'inizio del nuovo anno solare, il dojo dove lavoro darà come ogni anno una festa durante la quale ci saranno le presentazioni del corpo docente e le dimostrazioni per i nuovi iscritti."
"E perché sei agitata?"
"Perché queste dimostrazioni le devono dare gli insegnanti: ogni disciplina ha un'insegnante e stanno già tutti pensando che cosa fare… il problema è che io sarò di cinque mesi e non posso fare movimenti troppo bruschi o strani."
"Oh. E questa festa è aperta a tutti?"
"Sì, di solito è organizzata in un piccolo palazzetto dello sport vicino al dojo, abbastanza capiente."
Milo le circondò le spalle, allegro.
"Allora verrò sicuramente a vederti."
"…vedere cosa?"
Alzarono lo sguardo su Camus, che, consegnati i pattini, era tornato da loro.
"La festa del dojo del prossimo mese." spiegò Mei.
"Lavoro, lavoro… quando pensi a divertirti un po'?"
"Magari potessi permettermi di divertirmi e basta. Bisogna pur lavorare, non campiamo d'aria, sai Milo? Mi divertirò quando sarò in maternità."
"Ma come siete noiosi! E tu invece? Ti sei divertita?"
Lixue guardò Milo e gli regalò un gran sorriso.
"Sì." rispose la bambina."Anche perché c'eri tu!"
Le stampò un bacione sulla fronte.
"Grazie, gioia."
 
**
 
"…sai che questa sera Milo mi ha fatto un sacco di domande strane?"
"Domande di che genere?" le rispose Camus, infilando un segnalibro tra le pagine che aveva smesso di leggere.
"Shulla gravidansha." replicò Mei, la bocca impastata dal dentifricio. "Shecondo me, gatta shi cova."
"Figurati, se fosse successo qualcosa non sarebbe stato così tranquillo." conoscendolo, anzi, si sarebbe dimostrato molto agitato.
"Perché?! Sono sicura che sarebbe un ottimo padre."
"Questo lo so, sai quante volte gliel'ho detto? Dice che non si sente pronto ad affrontare una cosa del genere."
Mei roteò gli occhi.
"Nessuno è mai davvero pronto per affrontare l'arrivo di un neonato: io non ero pronta quando è nata Lixue e sinceramente, lo devo ammettere, non sono pronta neanche ora che sono più matura e preparata rispetto a sette anni fa. Ho una paura tremenda. Mio fratello sicuramente non è pronto per diventare padre e beh, ammettilo, neanche tu."
"Io sono pronto." obiettò Camus, incrociando le braccia sul petto.
"Oh, ma dai. Sei svenuto a un'ecografia! No che non sei pronto."
Per forza: da un figlio che avevano pianificato, erano passati parto gemellare per arrivare a ben tre bambini in un colpo solo. Lei e Milo lo prendevano in giro, eppure lo choc era la reazione minima a una botta del genere.
"…ti lascio immaginare! E comunque mi sa che neanche Shunrei sia pronta: l'ultima volta che l'ho sentita al telefono era arciconvinta di voler partorire a casa, senza alcun medicinale di sorta ma solo con la levatrice." stava dicendo Mei. "Pazza scriteriata, non sa né che cosa dice né a che cosa andrebbe incontro, altrimenti col cavolo direbbe sciocchezze di quella portata!"
"Ah no." rispose soprappensiero, cercando di ritrovare il filo del discorso di Mei.
"Quando inizieranno i dolori del travaglio e quelli peggiori del parto sarà la prima a gridare: l'epidurale! Datemi l'epidurale!!! ci scommetto quel che vuoi."
"Probabile."
"No, è sicuro. Quella pazza non sa a che cosa andrà incontro, pensa che partorire sia tutto rose e fiori: Jung-Sook ha partorito diciannove figli eppure sua madre ha detto che non ha praticamente mai sofferto!"
Camus impallidì.
"Diciannove… figli?!"
"Sì, tra gravidanze gemellari e non… era una delle nipoti dell'anziana del villaggio confinante, che morì ventott'enne quando io ero incinta di Lixue: ai funerali parteciparono anche gli abitanti del villaggio sotto il Goro-Ho. Dohko la conosceva, e ci raccontò che aveva iniziato a far figli molto presto e aveva trascorso gran parte della sua esistenza col pancione. Era considerata una specie di essere ultraterreno appunto perché non sentiva né fatica né dolore, la levatrice del villaggio racconta spesso che in tutta la sua vita non aveva mai visto una donna tanto insensibile ai dolori del parto. Io invece penso che fosse malata, sai, esiste una rara malattia neurologica che ti rende insensibile a caldo, freddo, dolore… non è documentato perché Jung-Sook non vide mai un medico in vita sua, ma una spiegazione ci deve pur essere. Insomma, Shunrei mi ha detto che se c'è riuscita Jung, ci riuscirà anche lei." spiegò Mei. "Alla fine che faccia ciò che desidera, in ogni caso rimarrà un'esperienza indimenticabile."
Senza epidurale, altro che indimenticabile.
Camus riprese in mano il libro e lo sfogliò.
"Dovremmo pensare ai nomi, che dici? Siamo nel secondo trimestre, possiamo tirare un sospiro di sollievo e scegliere."
Beh, il pericolo che la gravidanza s'interrompesse, in effetti, era parecchio lontano, e nella sua famiglia non si usava scegliere i nomi prima della nascita, ma sorrise al compagno e l'assecondò.
"Ma… è quasi mezzanotte ed è stata una lunga giornata, siamo stanchi… sicuro di voler scegliere proprio stasera? Insomma, la stanchezza è una cattiva consigliera."
"Non ho detto di scegliere, ma di pensare, ai nomi." specificò Camus.
"…d'accordo." capitolò Mei.
"Oh, bene!" Camus sorrise contento. "Ecco, nella famiglia di mio padre si è sempre usato dare il doppio nome, quindi pensavo che se per te andava bene, potremmo farlo anche con loro: Lixue stessa ha due nomi, no?"
"…sì."
"Allora possiamo sceglierne uno francese e uno cinese. Immagino che tu ci abbia già pensato."
"In realtà prima dobbiamo vedere se il bambino di Shiryu e Shunrei è maschio o femmina: perché nel primo caso, il nome di nostro padre lo userebbe lui. Se invece capitasse una femmina, come credo, Wei-He potrò usarlo io." spiegò Mei.
"Come fai ad essere sicura che sarà una femmina?"
"Perché tutti i figli primogeniti dei ShuFang sono sempre state femmine." rispose Mei.
Camus fece mente locale.
"Aspetta… i tuoi nonni hanno avuto due maschi o sbaglio?"
"La primogenita era una femmina, ZhenZhen, che però nacque morta. Perciò tu conta Wei-He nella rosa dei nomi."
"D'accordo. Allora io pensavo: Arielle, Athenaïs, Bérengère… o Céline… Céline è bello, significa celeste, celestiale." Camus partì in quarta, sfogliando il libro nei punti in cui aveva appiccicato del post-it a mo' di segnalibro. "Jacqueline? Séraphine? Sophie? Sophie mi piace moltissimo e… che c'è?!"
"Bére…che?!"
"Bérengère, è un nome di origine germanica composto da bern e gar, e il significato del nome può essere interpretato come lancia dell'orso o valoroso guerriero."
"Sei serio?"
"Assolutamente."
"Possiamo ancora discutere riguardo Séraphine o Sophie, ma gli altri scordateli."
Camus tolse il segnalibro da una pagina.
"C'est bon. Allora se sono femmine Séraphine, Sophie e…"
"Joséphine." interloquì Mei, attirando immediatamente la sua attenzione.
"Non pensavo ti piacesse." replicò lui dopo qualche istante, i lucciconi agli occhi.
"Ti ho mai fatto pensare il contrario? Così in un sol colpo otterremo la benevolenza di Degél, di tua mamma e… beh, di chi? Hayao Miyazaki?" disse, ridacchiando sull'ultima frase. "E… se fossero –povera me- tre maschi, invece?"
"Oh, quelli sono facili: Mikhail, Thomas e Mathieu."
Stavolta Mei sgranò gli occhi.
"…credo di non aver capito bene, c'era il rubinetto aperto e non ho sentito."
"Mikhail, Thomas e Mathieu." ripeté lui, paziente, ignorando il sarcasmo nelle parole di Mei. "Mikhail è un nome che adoro."
"Oh. E in questo caso, otterremmo la benevolenza di Baryshnikov ed Edison?!"
"Converrai con me che sono due uomini che han fatto la storia, nelle loro arti."
"…"
"Sei libera di dare suggerimenti, sai, se le mie scelte non ti piacciono."
Mei lanciò un'occhiata al dizionario dei nomi che Camus teneva aperto sulle ginocchia e sospirò: anche lei ne aveva in mente alcuni, ed era chiaro che ne sarebbe nata una discussione piuttosto lunga.
"Dimmi, non era tua madre quella fissata con i nomi strani?" sorrise, mettendosi a letto. "Ascolta, abbiamo ancora tanto tempo prima che vengano al mondo, possiamo pensarci con calma senza litigare."
Camus ripose il libro sul comodino e si distese accanto a Mei, allungando poi la mano per posargliela sul ventre.
"…è troppo presto per sentire i loro movimenti."
"Se ti dà fastidio, tolgo la mano."
Mei gli strofinò una guancia, sorridendogli e posando una mano su quella di Camus.
"Ma no, sciocco."
La sua espressione era cambiata repentinamente, diventando pensierosa, e Mei non seppe come interpretarla.
"Qualcosa non va?"
Si fece più vicino, posando la testa sul suo seno, la mano sempre ferma dov'era prima.
"Niet."
"Oh, siamo passati al russo?" ridacchiò Mei, scompigliandogli i capelli. "Quanto sei sconvolto da uno a dieci?"
"Cento, almeno a giudicare dalla pessima figura di stamattina in ospedale."
A ripensarci a pericolo scampato, quella scena la faceva ancora ridere: la faccia di Camus alla notizia era stata impagabile.
"Perdonami, vorrei tanto non ridere, eppure è più forte di me. Oddèi Camus, dì qualcosa, mi stai facendo preoccupare."
"Credo di essermi appena reso conto di quel che sta succedendo."
Alla buon'ora.
"Benvenuto nel club allora, io me ne son resa conto già da qualche settimana."
"Smettila di prendermi in giro, ho davvero paura."
"E di che?!"
"Di sbagliare, ad esempio. E soprattutto, di non essere un buon padre."
Ma che sciocchezza. Gli strofinò la schiena cercando di tranquillizzarlo.
"Sbaglieremo entrambi, Camus, siamo umani. E per quanto cercheremo di non commettere errori, purtroppo, qualcuno lo commetteremo e la sola cosa che possiamo sperare è che siano bazzecole e non danni irreparabili. E per quanto riguarda la paternità, tu sei già un ottimo padre, guarda com'è Lixue! Non ce l'avrei mai fatta senza di te, il tuo supporto è stato indispensabile! Oh, dai, non fare quella faccia. Andrà tutto bene, siamo una famiglia, non ci serve nient'altro."
Dopo quella che le sembrò un'eternità, Camus annuì.
"Joséphine e Alexandre ti piacciono, dunque? Non so perché, qualcosa mi dice che saranno di buon auspicio."
"E sia. Spero davvero che il tuo intuito non sbagli."

 
***

Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 13 settembre 2015)
-Jean-Éric Vergne è un pilota F1 che corre per la Francia.
-La 24 ore di Le Mans è invece un  è una famosa gara di durata di automobilismo che si svolge annualmente nei pressi di Le Mans, in Francia.
-Sad Mac è o meglio, era, era un simbolo che veniva utilizzato sui computer Macintosh per indicare problemi a livello hardware durante l'avvio del computer (grazie a Wikipedia e a una puntata di Sex and The City per l'informazione).
-Nessuno può chiamarmi fifone è, ovviamente una delle battute più famose di Marty McFly di Ritorno al Futuro.
-Io non strillo come una donnetta è l'esilarante battuta di Chi-Fu (soprattutto perché seguita da uno strillo parecchio femmineo), nel film Disney Mulan.
-Sophie è la protagonista del Castello Errante di Howl di Hayao Miyazaki.
-Mikhail Baryshnikov è… vi rimando alla pagina Wiki (o cercatelo su Google), non saprei come descrivere con la dovuta giustizia questo grande artista.
Dopo aver allegramente emulato capitan ovvio, lascio i dovuti ringraziamenti!

Lady Aquaria

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Capitolo 26
*** Wishin' and hopin'. ***


capitolo 26 principale
26.
Wishin' and hopin'.
 
...piano piano te ne vai
e non so raggiungerti
cosa chiedono i figli (...)
la liberta' di essere diversi
[Pooh - Figli]
 
21 dicembre.
Ma chi me l'ha fatto fare? La prossima volta chiamo dei professionisti e faccio prima.
"Quindi tu sei proprio sicuro sicuro che il commesso ti ha dato il colore giusto?"
Camus guardò interrogativo la striscia di parete appena tinteggiata, confrontandone il colore con il tester allegato al buono d'ordine.
"A questo punto, no." sospirò. Avevano trascorso parecchio tempo al Leroy Merlin per scegliere il colore giusto da dare alle pareti della cameretta dei gemelli e per cosa?
"Va beh, a me sembra uguale a quello che aveva scelto Mei, magari non se ne accorge." Shura fece spallucce.
"E' una donna, è geneticamente programmata per riconoscere a colpo d'occhio la differenza tra l'azzurro polvere che aveva scelto e il fiordaliso che invece gli hanno rifilato." rispose Milo. "A questo punto tanto vale continuare, no? Altrimenti che fai, riporti la latta iniziata in negozio? Lasci la parete grezza per tre quarti?"
Lo sguardo interrogativo lasciò il posto a uno sconsolato.
"No, la prossima volta lascio la stanza così com'è, con la carta da parati che avevano scelto i miei genitori: è stato più facile addestrare due allievi." commentò infine.
"Era una carta orrenda." interloquì Milo, ricordando la carta da parati viola e lilla a motivi cachemire.
"Sentite, io mi prendo una pausa. Vi va una birra?"
Era appena entrato in cucina quando sentì la voce di Mei dal corridoio.
"...ah però. Si batte la fiacca qui, mh?"                                             
"Ci stiamo riposando."
Mei fece capolino nella stanza e corrugò la fronte.
"...avete si e no imbiancato due metri quadri di parete e già vi riposate?!"
Camus le comparve alle spalle, con una confezione di lattine in mano.
"Intanto siamo io e Shura quelli che stanno lavorando, perché Milo sta lucidando la sedia a dondolo col suo sedere."
"...hey, e quella cartaccia orrenda chi l'ha tolta?"
Shura roteò gli occhi.
"Questo, ieri. Oggi non hai mosso un dito. E poi, capirai che gran lavoro, strappare un po' di carta dal muro..."
"Il lavoro c'è e non si vede: non hai notato lo stucco qua e là e l'impregnante." asserì Camus, con fare orgoglioso.
"...dimentichi il fasciatoio, amigo. E quella dannatissima giostrina che girava al contrario."
Mei alzò le mani in segno di resa.
"Oh, scusate tanto." replicò, avvicinandosi alla parete, puntellata qua e là delle chiazze bianche di stucco. "Ma... sbaglio, o questo non è il colore che avevo scelto?!"
Milo ridacchiò.
"Però, non ti sfugge niente!"
"Io non sono Shiryu, la mia vista funziona ancora bene."
"Come puoi vedere, avevo fatto delle prove aggiungendo un po' di bianco alla tinta originale, ma i risultati erano del tutto insoddisfacenti." le spiegò Camus. "Così alla fine ho deciso di stenderlo così com'è."
Un luminoso color fiordaliso che non era neanche così male, a dirla tutta, anche se avrebbe preferito la sfumatura di azzurro che aveva scelto.
"Non sembra malaccio però, quindi se per te va bene possiamo tenere questo colore."
Camus emise un sospiro di sollievo.
"Speravo me lo dicessi."
"..."
"Che c'è? Avresti voluto una parete bicolore?"
"Oddèi no." rispose Mei, squadrandolo poi da capo a piedi, soffermandosi sulla salopette di tela che stava usando per lavorare. "Mentre voi siete impegnati a fare i sexy addetti alla cameretta, io vado di là a sbrigare due o tre cose per Lixue."
"quoi...?!"
"Non farmi dire cose che non posso pronunciare ad alta voce, per favore."
"Ah, io non mi scandalizzo." interloquì Shura.
"Tu no, ma lui diventa color carminio se insisto."
Milo scoppiò a ridere.
"Eh, io so che cosa pensi: sotto la tuta, niente."
"Ma cos'è, mi leggi nel pensiero?"
"Le grandi menti pensano allo stesso modo."
Camus guardò entrambi prima di rivolgersi a Shura.
"Qualcosa me lo diceva, che prendermi una donna dello scorpione mi avrebbe cacciato nei guai." sospirò.
"Perché sono troppo dirette?"
"No, perché gli ricordo che anche lui ha dei sentimenti." replicò Mei prima di sparire in cucina.
Bando alle ciance, si disse, mettiti all'opera: doveva ancora preparare i biscotti che Lixue avrebbe dovuto portare a scuola per la festa prenatalizia della sua classe.
"Ho visto che avete addobbato casa per le feste." proseguì Milo dopo qualche istante, mentre Mei, in cucina, spignattava con un lp in sottofondo.
"Sì. Ma non festeggiamo il Natale in senso proprio, diciamo che è più una cosa consumistica." rispose Camus, con una smorfia. "Credo che Lixue ami le lucine, le arance candite, le candele e i regali la mattina del venticinque, tutto qui."
"Un po' come la cena che organizziamo noi al Santuario."
"Un po', sì, ma con l'aggiunta dei regali. Ah, tra le righe, Lixue festeggia anche il Natale russo e il capodanno cinese, quindi tripli regali."
"Furba lei." ridacchiò Milo.
"Mah sì, è anche giusto che si goda quest'età. Quando io avevo la sua età altro che regali." commentò Camus. "Avevo già un'armatura addosso."
"Tutti noi l'avevamo. Hai ragione, sai... meglio lasciarla tranquilla, non sarà per sempre una bambina e... "
"Non me lo ricordare. Temo già il momento in cui farà armi e bagagli per andare via di casa..."
"Accidenti Camus, ha solo sette anni, calmati un po', mica si sposa domani!"
"Figurati, il giorno in cui si sposeranno i figli minimo gli prende un infarto secco." rise Shura.
"Poco ma sicuro, soprattutto con le figlie femmine."
"...sì, e Mei per i maschi."
"Ti sembrerà strano ma a differenza di tante mamme cinesi e non, Mei non è così apprensiva. Sono certo che darà loro i soliti buoni consigli che in certi casi le mamme non possono non dare e poi aspetterà i nipoti." replicò Camus. "E allora sì che diventerà apprensiva."
"Iniziamo col diventare ancora genitori, poi, fra trent'anni o giù di lì discuteremo anche di questo." interloquì l'interessata, portando loro caffè e biscotti.
"Trent'anni? Così tanto?!"
 
La mattina dopo, con la luce naturale che filtrava dalle finestre, Camus decise che avrebbe dato una seconda passata di pittura al muro, grato al fatto che Mei non gli avesse imposto di cambiare colore.
"Siamo a buon punto, mancano gli ultimi dettagli e poi la camera è a posto."
"Ne sono felice." commentò Mei, sbadigliando. "Ho già incaricato mio fratello di portare i Ba Gua al tempio taoista per farli benedire, sinceramente mi sento troppo spossata per affrontare una salita di quel genere."
"A tal proposito, penso che faresti meglio a prenderti una pausa."
"Manca ancora un bel po' alla maternità." gli rispose. "Anzi, grazie per avermelo ricordato, mi sono informata giusto in questi giorni."
La guardò alzarsi e andare in camera, per poi tornare con una bustona gialla.
"Sono serio."
"Anche io. Non posso prendermi una pausa così lunga, non posso permettermi di perdere il lavoro, soprattutto in questo momento."
"Con il mio stipendio possiamo..."
Lo zittì, determinata.
"Abbiamo affrontato questa conversazione già una volta, e come allora la mia risposta è no. Non intendo lasciare il lavoro, non intendo stravaccarmi sul divano fino alla loro nascita. Conosco i miei limiti, saprò da me quando sarà il momento di staccare la spina e rilassarmi. Fino ad allora, lavorerò e contribuirò a mandare avanti questa casa e la nostra famiglia. Punto."
Camus proruppe in un sospiro, appoggiandosi al frigo.
"Accidenti quanto sei testarda."
"...è la mia natura. Mi ameresti, se non fossi così? Mi ameresti ugualmente?" gli rispose, ottenendo in risposta un'occhiata. "Dai... Tia Dalma, Davy Jones... non ricordi?"
"Sì. Un altro elemento da aggiungere alla tua lista dei difetti: faccia da polpo. Tornando seri... hai più saputo niente riguardo il nome di tuo padre? Insomma, a sette mesi Shunrei dovrebbe già sapere se aspettano un maschio o una femmina."
Mei ripose i sacchettini con i biscotti cucinati la sera prima in un grosso sacchetto di carta, facendo attenzione.
"Secondo l'anziana del villaggio Shunrei aspetterebbe un maschio, quindi per evitare altre scenate di mio fratello ho deciso che aspetterò la nascita di mio nipote per sapere se possiamo o no utilizzare quel nome."
"...oh mia dea." sospirò Camus. "Non dirmi che credono davvero a quella donna."
"Ha detto che la mia pancia è a punta, quindi sarà maschio!" Mei ripeté le stesse parole sentite da Shunrei al telefono, pochi giorni prima.
"Eh?"
"Sai, narra una leggenda metropolitana che se il ventre di una donna incinta è tondo il feto è femmina, se è puntuto, è maschio. Tutte stupidaggini, per Lixue avevo il ventre a punta, figurati. Io e Dohko invece siamo seriamente convinti che sarà una femmina."
"Basterebbe un'ecografia per confermare."
"Dimentichi che in Cina ai medici è proibito rivelare il sesso del nascituro. Poi ovviamente c'è chi pagando in nero riesce a saperlo, ma per legge, per evitare aborti selettivi, le madri restano col fiato sospeso fino al momento del parto." rispose Mei.
"Oh, già... dimenticavo."
"Siamo quasi nel 2012 santi numi, possibile che sia ancora così ingenua da credere a sciamani e guaritori?!"
"Non per essere sgradevole, ma tu credi ancora negli spiriti."
Mei alzò gli occhi al cielo, posando a tavola il piatto con la colazione calda di forno.
"Un uomo stava posando dei fiori sulla tomba della moglie, quando vide un uomo cinese mettere un piatto di riso sulla tomba accanto: mi scusi, lei pensa davvero che sua moglie verrà a mangiare il riso? gli domandò con aperto sarcasmo. Sì. rispose il cinese, quando la sua verrà ad odorare i fiori."
Morale della favola: rispetta il prossimo.
"Lixue, la colazione è pronta!"
Non rispose, preferendo troncare sul nascere l'ennesima discussione sulle reciproche credenze; si dedicò al suo pain aux raisins e seguì con lo sguardo ciò che stava facendo, armata di calendario, agenda e diversi opuscoli informativi.
"...c'è qualcosa che non va?"
"Nulla, stavo prendendo alcuni appunti riguardo il congedo di maternità, che qui, a quanto pare, ho il diritto di prendere." gli rispose. "Lixue!! La colazione! Stavo pensando che con tre pargoli in arrivo, la cosa migliore sarebbe suddividere le sedici settimane che mi spettano in sei prima del parto e dieci dopo..."
"E se facessi il contrario?"
"Apprezzo la tua preoccupazione, ma credimi, è meglio dopo. Già con un neonato in casa c'è da impazzire, immagina tre. Soprattutto, immagina tre neonati e una bambina di sette anni."
"Ti avevo già detto che ci sarò io a casa, a prendermene cura."
Lixue seguì la discussione con interesse.
"Aiuterei io papà."
"Ne sono sicura, tesoro." le sorrise Mei, prima di abbassare la voce per non farsi sentire da Lixue, occupata a consumare la sua colazione. "Ti ho già detto che da solo, per quanto armato di buoni propositi, non ce la faresti. E, permettimi di dirlo, men che meno con l'aiuto di una ragazza che di neonati ne sa quanto io ne so di fisica quantistica."
"Freya sarebbe un ottimo aiuto, invece."
Quanto accidenti era testardo.
"Ascolta, le voglio bene, davvero. La reputo una buona amica e una brava, bravissima ragazza ma... non credo ci sappia fare con i neonati."
Camus accantonò la tazza vuota, continuando a fissarla.
"Nessuno nasce già istruito."
Certo che no, ovviamente, solo le divinità nascevano già onniscienti e onnipotenti. Ma era sinceramente restia ad affidare i suoi figli a chi di neonati non capiva niente.
"...e sono certo che quando hai avuto Lixue, non sapevi né che fare né come comportarti con lei."
"Per una donna che sta per diventare madre è decisamente diverso, e non parlo dell'istinto materno, che può anche non esserci: io ho avuto e ho nove mesi per prepararmi. Freya, quando diventerà madre... perché succederà anche a lei, non si prenderà personalmente cura dei figli. Come la sorella, li affiderà alle cure di una bambinaia."
"Dunque visto che io, come uomo, sono fisiologicamente impossibilitato a concepire e portare avanti una gravidanza, sono considerato alla stregua di un inetto."
"Camus, tu hai cresciuto due allievi, direi che la preparazione ce l'hai eccome."
"Dopo i primi giorni di panico imparerà anche Freya a prendersi cura di un bambino, servirà a noi per prendere un po' di fiato e a lei per imparare." rispose Camus. "Ho commesso errori anche io, sai?"
Lei sospirò.
"...Hyoga è cresciuto benissimo, direi: è un ragazzone di un metro e ottanta sano come un pesce." replicò, sparecchiando. "...se poi è affetto da qualche turba psichica che riesce magistralmente a nascondere al mondo, allora, è un altro discorso."
"Continuo a ripeterti che sei ostinata."
"Lo so." sorrise Mei. "E' una delle mie migliori qualità."
"Migliori? A volte mi sembra di parlare con tuo fratello."
"Sai che basterebbe una sola parola e potrei davvero iniziare a comportarmi come Shiryu? Non c'è problema, chiedi e ti sarà dato."
"Per l'amore di Athena non farlo, ti prego." interloquì Hyoga, arrivando dalle sue stanze. "Per favore no, non diventare saccente come Shiryu."
"Saccente sarebbe il minimo. Potrei diventare sgradevole come lui."
Hyoga si servì una tazza di tè dalla teiera tenuta in caldo sul samovar e l'allungò con l'acqua calda che spillò da esso.
"Ah perché, fin'ora come sei stata?"
"Silenzio." sibilò Camus.
"Si, maestro." rispose Hyoga, cercando di non scoppiare a ridere.
"Ti riempio la minestra di lassativo, stai attento."
"Vladeyet frantsuzskim, pozhaluysta." [Parlate francese, per favore.]
Si girarono entrambi di scatto, confusi.
"...co-?"
"Non eccitarti troppo, è una delle pochissime frasi che conosco." rispose Mei. "Insieme a: menya zovut Mei e qualcos'altro non so dire bene." [Mi chiamo Mei]
Inarcò un sopracciglio: gli ricordava sé stesso ai primi appelli orali di tedesco.
"Le mie orecchie!! Hai stuprato le mie orecchie!!" esclamò Hyoga, accasciandosi a terra con un gesto teatrale. "Oh Athena, ha stuprato le mie orecchie! Aiutami, mia dea, ti imploro!"
Ancora sorpreso per ciò che aveva detto Mei, Camus si schiarì la voce.
"...e dove... come ti son saltate in mente certe cose?"
"Freya e un frasario di russo a volte fanno miracoli."
"Non proprio, la tua pronuncia è da rivedere."
"Che cosa sarebbe, un eufemismo per dirle che la sua pronuncia fa pena?"
"Hyoga, ti avverto, non arriverai vivo al prossimo compleanno." lo minacciò Camus. Non sortì l'effetto sperato però, perché Hyoga cominciò a ridere dietro la sua brioche. "Diciamo che... eh... bisognerà lavorare un po'..."
"Un po' tanto... ahia!"
"...sulla pronuncia."
Mei si voltò dopo aver sistemato i piatti sporchi in lavastoviglie.
"No, tranquillo, non è il caso. Non so come facciate voi due a parlare una lingua tanto dura... non fa per me." rispose. "Beh, farò meglio a sbrigarmi o arriverò tardi. Buona giornata! Lixue, sei pronta?"
"Hai sentito anche tu quello che ho sentito io?"
"Sì, ma so io come farle cambiare idea."
 
*
 
Santuario, ottava casa.
Mei impiegò qualche istante, come sempre, a riprendersi dal teletrasporto.
"...tutto bene?"
"Insomma... tu vai più veloce di Camus."
"Hey, il mio ego potrebbe risentirne! A proposito di Camus... mica sospetta qualcosa?"
"No, direi proprio di no." rispose Mei, appendendo il cappotto all'appendiabiti. "Ho accompagnato Lixue a scuola e crede che sia al lavoro, come sempre."
"Il dojo è aperto anche se mancano due giorni a Natale?"
"Sì, ma solo per funzioni amministrative e di contabilità. Abbiamo almeno due ore tranquille."
Milo sorrise, togliendosi la felpa.
"Bene, anche Shaina non c'è, quindi..."
Mei si accomodò sul divano, guardando Milo prendere qualcosa da un cassettone.
"All'agenzia di viaggi che ho consultato ho trovato diverse soluzioni interessanti e ne ho prese in considerazione due, una della durata di circa otto giorni e l'altra di circa quattordici." le spiegò, porgendole due grossi plichi. "Entrambe hanno a che vedere con la mitica Route 66."
Un viaggio molto interessante, a giudicare dall'opuscolo: non aveva mai visitato gli Stati Uniti e in un certo senso invidiava Camus, che in un modo o nell'altro si sarebbe goduto quel viaggio particolare.
"Pensare che la mia idea, inizialmente, era quella di prenotare un viaggio sulla Transiberiana, considerando che ama quei posti. Ma... come sempre succede con Camus, ho scoperto che aveva già affrontato quel viaggio. Due volte. Così sto accarezzando l'idea della Transmongolica o in alternativa della Transmanciuriana, che al contrario, non ha mai fatto."
"Sarebbe una bella idea per il viaggio di nozze." suggerì Milo.
Mei arrossì, schiarendosi la voce.
"Mi imbarazza un po', ma volevo chiederti in prestito la casetta a Milos, per il viaggio di nozze. Non si tratterebbe di chissà quanto tempo, solo qualche giorno, ma... insomma, Milos mi è rimasta nel cuore."
"Considerati già lì." sorrise Milo.
"...ti ringrazio." Mei rispose al sorriso. Riprese a guardare le foto del viaggio in moto e scosse la testa. "Allora non scherzavi quando dicevi che per l'addio al celibato avevi pensato a un viaggio in moto!"
"Certo che no! Ma tutto dipende da quanto tempo decidiamo di investire. L'itinerario più lungo ha come punto di partenza Chicago e termina a Los Angeles, quello più corto, parte da Los Angeles e termina a Las Vegas, ma è più interessante perché passa per Palm Springs, la Monument Valley e il Grand Canyon. E forse per te è il meno impegnativo perché così rimarresti meno tempo lontana dai bambini."
Tolse lo sguardo da una foto che aveva catturato la sua attenzione, un meraviglioso tramonto sul Grand Canyon, e lo posò sull'amico.
"...cosa?!"
"Beh, cosa credevi, di rimanere a casa?"
"Tecnicamente è l'addio al celibato di Camus, io che c'entro?"
"Dai, quando ci ricapiterà un on the road sulle Harley, noi quattro insieme? E poi, vorrai mica dirmi che preferiresti un noiosissimo addio al nubilato alla spa a farti le unghie e gli impacchi ai capelli."
Aveva pensato più a un'isola esotica, sotto un gazebo in riva all'oceano, niente pensieri e niente problemi...
"...unghie e capelli no, ma l'idea di un bel massaggio non mi dispiace. Vorrei infine farti notare che non ho la patente per le moto."
"Tu no, ma noi tre sì. Ma tranquilla, esistono le moto a due posti, sai." Milo si allungò verso di lei, con fare sornione. "E se ti dicessi che un paio di tappe potrai farle insieme a me?"
Posò il plico sul tavolino, sorridendo.
"Sulla tua moto?"
"Beh, e dove altrimenti?"
"Stretta stretta a te?"
"Direi proprio di sì."
"Ah, avevo capito bene. E dimmi, esattamente in che modo questo dovrebbe incentivarmi?"
"Già il solo fatto di poterti stringere a questo bellissimo esemplare di maschio greco dovrebbe essere un validissimo incentivo."
Gli rispose con un ghigno divertito che si trasformò in una risata.
 
 
"Posso disturbarti?"
Camus levò lo sguardo dallo schermo del pc e, togliendosi gli occhiali da riposo, dedicò la sua attenzione al ragazzo.
"Non mi disturbi, a dire il vero." gli rispose, strofinandosi gli occhi. "A maggior ragione se porti tè e dolci. Dimmi."
Hyoga posò una tazza e un sacchettino sulla scrivania; sottobraccio, un quaderno ad anelli.
"...è per la bozza della tesi: l'ho controllata più volte, eppure credo ci sia ancora qualcosa che mi sfugge." rispose, porgendo un plico a Camus che nel frattempo aveva allungato la mano.
Un fascicolo di circa cinquanta pagine, stampato alla bell'e meglio con la stampante di casa, che Hyoga aveva rilegato con dello spago e che aveva già, effettivamente, ricontrollato, almeno a giudicare dai segni e dai cerchi rossi sparsi qua e là.
"...per fortuna è scritto al computer." commentò Camus.
"Perché?"
"Beh, parlo e scrivo in russo da quando ero un tenero virgulto, ma il tuo russo corsivo è atroce anche per me."
Hyoga sorrise.
"...scrivo male mh? In effetti non sei il primo che me lo fa notare."
"Male? Che sciocchezza è mai questa? Scrivi anche fin troppo bene, la tua calligrafia è sbalorditiva."
"Ho avuto un ottimo maestro."
"Ah no, non attribuirmi meriti che non ho. Va bene, dai. Lo controllerò sicuramente, appena avrò terminato questo capitolo: mancano ancora sei pagine e poi, per quest'oggi, basta lavoro." gli spiegò.
Un discreto bussare li distrasse.
"E dove potevo trovarti, se non qui?" sorrise Mei, facendogli la stessa battuta che le aveva fatto tempo prima. "Vedo che avete da fare, vi lascio tranquilli mentre io vado a farmi una doccia prima di andare a occuparmi della cena: sono passata dal tuo ristorante preferito, mentre tornavo a casa."
"Quale dei tanti?" le domandò, facendole cenno di avvicinarsi.
"Uhm... vediamo se indovini da solo: briouat di pollo, tajine vegetariana e couscous seffa."
Le circondò la vita, appoggiando il capo contro il suo ventre.
"Ora capisci perché l'ho sposata?"
Hyoga corrugò la fronte.
"Per una cena marocchina?!" domandò. "Ti sei sposato questa palla al piede per una sciocchezza del genere? Potevi semplicemente chiamare il ristorante e farti consegnare l'ordinazione a domicilio: insieme alla cena ti avrebbero portato anche il tè alla menta e i kaab el ghzal."
Mei gli rispose con un sorriso che Hyoga trovò inquietante, enfatizzato dal suo totale silenzio.
"...conosci la storia di Giovanni Senzaterra, Hyoga?"
"...ehm... vagamente, mai stato bravo in Storia."
"Au dessous du pire, on l'appellera messire, le roi de mauvais aloi." canticchiò Camus. "Il fratello di Riccardo Cuor di Leone."
Il ragazzo fece mente locale.
"Ah! Adesso ho capito. Perché me lo chiedi?"
"Perché prima o poi porrò fine alla tua esistenza nello stesso modo in cui il fato ha messo fine alla sua."
"...mi conficcherai una lancia nell'occhio?"
Camus si prese il volto tra le mani, sospirando.
"Intanto si trattava di Enrico II di Francia e non era una lancia ma bensì una scheggia, partita da un avversario durante una giostra... Giovanni Senzaterra è morto di dissenteria."
"..."
"Sì, appartengo alla vecchia scuola del lassativo nella zuppa."
"Smettila Mei. Se mi accorgo che rovini i miei capolavori culinari, per te saranno guai." Camus la minacciò scherzosamente.
"Uh, guarda quanta paura sto provando." gli rispose. "Pensa al tuo allievo ignorante, non pensare ai miei metodi."
"Già, tornando sul discorso... buon cielo, Hyoga, e tu davvero vorresti insegnare?"
"Anche fosse insegnerei lingue straniere. Ma hai ragione, andrò a ripassare quanto prima."
Mei finse un colpo di tosse.
"Ignorante."
"Hey, una svista può capitare a chiunque!" protestò Hyoga, prima di rivolgersi a Camus. "Fammi sapere che cosa ne pensi, okay?"
"Certo."
"Puoi rimanere, Hyoga, stavo andando a farmi una doccia, parlate pure con calma." sorrise Mei, sciogliendosi dall'abbraccio di Camus.
"A dire il vero avevamo finito, gli ho solo chiesto un favore."
Camus guardò la busta con i documenti relativi all'iscrizione di Lixue al centro sportivo dove avrebbe iniziato a praticare pattinaggio su ghiaccio e sospirò.
"Entro domani ti darò il mio verdetto." rispose a Hyoga, ridacchiando. "Mei... ehm... ti dovrei parlare."
Lixue gli aveva detto che non sapeva come dire a sua madre che non intendeva più seguire gli allenamenti di judo, ma voleva, al contrario, dedicarsi al pattinaggio; ci aveva provato, ma aveva una gran paura di deluderla: quando quel pomeriggio l'aveva accompagnata a comprare i primi pattini da ghiaccio, le aveva visto una particolare luce negli occhi, la stessa che aveva quando a Kobotec, o più raramente a Parigi, la portava a pattinare.
Seguì Mei in bagno e si sedette sulla sedia di vimini dove lei aveva sistemato l'accappatoio e la biancheria pulita.
"Io e Lixue abbiamo fatto diverse commissioni, oggi. Una di queste prevedeva la visita a un certo centro sportivo che in questi ultimi giorni a partire dall'ultima visita al centro commerciale, ha più volte frequentato per... valutare determinate cose." iniziò a spiegarle, restando sul vago.
Mei sospirò.
"Per l'amor del cielo, Camus, non tergiversare. Vai dritto al punto: credo di avere già capito che cosa stai per dirmi."
"...d'accordo. Non sa come dirti che non ha più intenzione di praticare judo. Si è innamorata del pattinaggio fin dalle prime volte in cui a Kobotec ha pattinato insieme ai bambini del villaggio. Se la vedessi... è molto brava, secondo me potrebbe arrivare davvero in alto. Le si illuminano gli occhi quando ne parla o in tv guarda le gare."
Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal rumore della spugna con la quale Mei si stava sfregando.
Sapeva già come si illuminavano gli occhi di sua figlia quando parlava del pattinaggio, e aveva ampiamente intuito che aveva perduto già da tempo ogni intenzione di praticare judo in favore di quello sport che aveva imparato ad amare a Kobotec: l'aveva capito dalle gare che seguiva in tv, dai ritagli di giornale che raffiguravano giovani atlete nei loro bei costumi variopinti, dalla copertina ormai consunta di Pattini d'Argento che Hyoga le aveva regalato non appena aveva imparato a leggere.
"Praticare uno sport richiede impegno, determinazione, dedizione: se devi fare qualcosa controvoglia è meglio non farla perché potresti farti seriamente male. Quindi, se Lixue ha deciso così non posso certo ostacolarla, sono felice che abbia intrapreso qualcosa che le piace sul serio."
"Sento un ma in arrivo."
"Tuttavia questo vostro atteggiamento mi offende: il suo perché credevo di avere un certo tipo di rapporto con lei ed è evidente che mi sbagliavo. Il tuo per come mi hai introdotto la faccenda. Vorrei solo precisare che non ho mai obbligato nessuno a seguire le mie orme e intraprendere le arti marziali, la mia intenzione era quella di darle un'infarinatura di autodifesa, Lixue è libera di fare ciò che desidera." replicò, prima di infilarsi sotto il getto della doccia per sciacquare via il sapone. "Vuole praticare pattinaggio?  Va bene, ottimo. Dimmi dove devo firmare i documenti."
L'aiutò a indossare l'accappatoio e la seguì in camera.
"Non mi sembra affatto che vada bene."
"Le ho sempre detto che con me avrebbe potuto parlare di qualunque cosa perché non l'avrei giudicata in alcun modo e l'avrei aiutata e supportata. E adesso salta fuori che non sapeva come parlarmi. Se ora che non ha nemmeno dieci anni fa fatica a parlare con me, figurarsi nel pieno dell'adolescenza. Ah sì, ne vedrò delle belle." borbottò Mei. "Del resto... chi la fa l'aspetti, giusto? Però credo di aver già ampiamente fatto ammenda per quella storia."
"Sai che ho ancora difficoltà a capire il cinese, specie quando sei arrabbiata."
"Ma io non sono arrabbiata. Se lo fossi, lo capiresti." rispose lei. "Andiamo a mangiare, prima che quel cous cous diventi colla da parati."
"Non prenderla sul personale."
"NON LO STO FACENDO!" sbottò Mei. "Sarò sempre dalla sua parte, la supporterò sempre e sarò orgogliosa di lei in ogni caso, dovesse anche decidere di praticare il wrestling! Non è il judo, o il pattinaggio, il problema. Quello che mi irrita è che una volta io e lei avevamo un dialogo. E ora non riesco a capire che cosa sta succedendo tra noi due."
Camus sorrise, accarezzandole una guancia.
"Sta semplicemente crescendo. Sta cercando di rendersi autonoma e di cercare la sua strada: ha sette anni, è normale, si comporta diversamente anche con me: ma non ha smesso di amarti come prima... non ha detto niente perché aveva paura di offenderti e, soprattutto, aveva paura che tu la obbligassi a seguire judo contro la sua volontà."
A dire il vero non le sembrava proprio: vedeva chiaramente come Lixue si comportava con lei e come si comportava con Camus, e sicuramente erano due modi differenti.
"No, non è così." non poté fare a meno di rispondergli. "Tu sei la luce dei suoi occhi, Hyoga è diventato il suo migliore compagno di film e giochi e io sono la madre ingombrante alla quale non riesce o non vuole più parlare: la sto per-..." s'interruppe. "Ehm... pattinaggio, d'accordo. L'importante è che pratichi con costanza e con voglia di fare, per il resto pazienza, visti i risultati vorrà dire che m'impegnerò per essere una buona supporter. Andiamo a cenare, a quest'ora si sarà freddato tutto."
Non era stata una buona insegnante, quantomeno poteva essere una buona sostenitrice; prese un gran respiro e, prima di seguire Camus in cucina, accantonò quel senso d'inadeguatezza che si stava facendo largo in lei. Dopotutto anche lei aveva scelto la sua strada, per quale motivo Lixue non avrebbe dovuto fare lo stesso? Che motivo aveva di abbattersi a quel modo? Andava tutto bene.
 
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo rivisto in data 28 ottobre 2015]
La ri-stesura di questo capitolo è un po' particolare; come avrete capito è un capitolo quasi interamente dedicato ai figli e ai rapporti genitori/figli.
Quello di Hyoga e Camus, ad esempio. O quello che Camus e Mei hanno nei confronti dei tre bambini che ancora devono nascere, ma a maggior ragione è dedicato al rapporto che hanno con Lixue, che sta maturando.
-In Cina è vietato a un medico rivelare in fase d'ecografia il sesso del nascituro. Qui la pagina per l'approfondimento.
-Briouat di pollo, tajine vegetariana, couscous seffa e kaab el ghzal sono piatti della cucina marocchina.
-"Au dessous du pire, on l'appellera messire, le roi de mauvais aloi" è una frase tratta dalle versione francese della canzoncina "Il re fasullo d'Inghilterra" del film Robin Hood.
-Il titolo del capitolo rimanda all'omonima canzone di Dusty Springfield.
Il numero dei capitoli da revisionare si sta pian piano assottigliando, ringraziando Athena!
Alla prossima!
 
Lady Aquaria

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Capitolo 27
*** Christmas time is here (again). ***


capitolo 27 principale
27.
Christmas time is here (again).
 
Vigilia di Natale, in una Parigi pregna della magia natalizia.
Dopo aver trascorso l'intero giorno a cucinare per l'indomani e a sistemare casa per gli ospiti in arrivo, Camus e famiglia si erano concessi una sera fuori casa, alla pista di ghiaccio che come ogni anno era stata allestita al Trocadéro insieme a uno dei tanti mercatini di Natale.
Erano riusciti a organizzare una splendida giornata, invitando Milo e Shaina e, con una certa dose di malcontento di Camus –ottimamente celato-, anche Shiryu e Shunrei; in quel momento, mentre Mei era seduta insieme al fratello e alla cognata, Lixue e suo padre stavano pattinando sulla pista, talvolta girando in tondo, talvolta seguendo i valzer viennesi suonati dagli altoparlanti, Hyoga e Freya accennavano dei passi di valzer poco distanti da loro e Milo e Shaina invece passeggiavano lungo il mercatino con le bancarelle dei dolci tipici.
"Grazie per l'invito." sorrise Shunrei, che continuava a guardarsi intorno con lo stesso sguardo incantato di un bambina. A parte le sporadiche volte in cui si era recata al Santuario con Shiryu, non si era mai praticamente mossa dal Goro-Ho, e la sua emozione, nel trovarsi in una metropoli come Parigi, era palpabile.
"Non devi ringraziarmi, era ovvio che vi volessi qui con me durante queste feste." rispose Mei. "Ed è anche una buona occasione, per me, per rivedere quei luoghi che Camus definisce turistici."
"Come ad esempio?" domandò Shunrei.
Con un cenno le indicò la Tour Eiffel, svettante e splendida contro il cielo scuro della sera.
"...un parigino che detesta il suo monumento principale? Roba da matti." rispose Shiryu. "Come se io detestassi la Città Proibita. Assurdo."
Mei sbuffò.
"No, il tuo paragone è assurdo. Comunque sì, esistono anche parigini che detestano il loro monumento più famoso: Camus dice che la Tour non esercita alcun fascino su di lui, dato che è abituato a vederla da sempre, quando apre le finestre di casa. Ed è vero, da casa nostra la vediamo vicinissima. Solo che per me è e continuerà a essere uno spettacolo meraviglioso, per lui invece non è così."
"Non ci ho fatto caso."
"Lo sapresti, se non fossi stato così idiota da decidere di andare a dormire da Hyoga anziché dormire nel nostro appartamento, dato che sei mio ospite."
"Tuo marito non è contento di avermi tra i piedi, immagina come sarebbe stato contento di condividere lo stesso tetto con me." continuò Shiryu.
"Non meriti risposta, davvero."
Shunrei sbuffò, sistemandosi sulla sedia con una smorfia.
"Per favore, non ricominciate a litigare. Vi prego." disse loro, inducendo Mei ad alzare gli occhi al cielo.
"Io non ho neanche iniziato." protestò quest'ultima.
"D'accordo, allora parliamo d'altro." interloquì Shiryu. "Non ti ho detto niente per non farti preoccupare ma... l'altro giorno Rei è stata male e..."
"Oddèi, e il bambino?"
"Stiamo bene, non agitarti."
"L'ho portata in ospedale, le hanno fatto alcune analisi e... abbiamo la data del parto." riprese Shiryu, con uno strano tono di voce.
Mei li guardò entrambi.
"...e?"
"Febbraio. L'otto."
Quasi non gli scoppiò a ridere in faccia.
"Il che significa che tua figlia..."
"Mio figlio."
"...come vuoi... nascerà sotto il segno dell'acquario." concluse Mei, avvertendo immediatamente uno sbuffo da parte di Shiryu. "Questo è il karma, mio caro fratello."
"Spero solo che non sviluppi mai il Cosmo." blaterò Shiryu. Poi, parve pensare a qualcosa e il suo volto tornò a illuminarsi. "Perché preoccuparsi? Ho sentito dire che secondo una nuova legge, quando un Saint diventa padre, è a sua discrezione scegliere a quale Saint affidare il proprio figlio per l'addestramento."
"Allora sarà bene che inizi a pregare per davvero, Shiryu, perché le voci che hai sentito sono vere, sì. Ma valgono solo ed esclusivamente per i Gold Saints, non per i ranghi inferiori." rispose Mei.
"...oh miei dei."
"A meno che lui non rifiuti l'incarico."
La prospettiva di affidare suo figlio nelle mani del cognato non l'allettava per niente.
"Beh, mettiamola in questo modo... anziché febbraio, poteva nascere a luglio."
"A luglio... leone. Aiolia non mi sembra malaccio come Maestro."
"...cancro. A inizio luglio c'è il cancro, non il leone."
"...oh miei dei, no!"
"E ricordati che DeathMask accetterebbe l'incarico giusto per farti dispetto."
Ebbe un brivido d'orrore lungo la spina dorsale: non ci aveva affatto pensato. Suo cognato aveva già avuto due allievi, e sicuramente -o meglio sperava- non ne avrebbe accettati altri: troppo impegnativo, troppa responsabilità, troppi anni da trascorrere in Siberia per l'allenamento, lontano dalla famiglia.
E, conoscendo sua sorella, non avrebbe lasciato tutto per trasferirsi a Kobotec.
Presa da ben altri pensieri, Mei prese la fotocamera di Camus e guardò nel mirino, sistemando con pochi movimenti la messa a fuoco manuale, e la puntò sulla pista di ghiaccio. Ancora non riusciva a digerire quella scelta, in qualche modo sentiva di aver fallito.
"E così a quanto pare, avremo una Chen Lu in famiglia."
"A quanto pare." ripeté Mei. "Ma avrei già dovuto capirlo tempo fa: non era motivata. Non era entusiasta. Quando mette i pattini ai piedi, ha una luce negli occhi... la stessa che hai tu quando stringi l'obi sul tuo karategi."
"Non vivere questa decisione come se fosse un tradimento: in fondo il Judo è una cosa seria, e bisogna praticarlo con una certa attenzione e tanta volontà. Non puoi obbligare Lixue a fare qualcosa che non vuole e soprattutto non puoi subito pensare che tu non sia una buona insegnante." le disse Shiryu, come se le avesse letto nel pensiero.
Ma per l'ennesima volta nell'arco di trentasei ore, alzò lo sguardo al cielo: possibile che nessuno comprendesse quali fossero, esattamente, i suoi problemi riguardo quella questione?
Sorbì un lungo sorso di cioccolata calda e sbuffò.
"Il problema, Shiryu, non è che cosa ha scelto di fare mia figlia. Il problema è come sono venuta a conoscenza di questa cosa. Ma non ha più alcuna importanza, voglio solo che mia figlia sia felice e voglio godermi questa bella sera."
"Beh, sono sicuro che almeno uno di loro tre là dentro sarà destinato a diventare il tuo successore."
"Lo spero." le sfuggì in un soffio. "Ti accorgerai presto anche tu di quanto i figli siano un dono degli déi e soprattutto una gioia immensa. Ma a volte... " s'interruppe quando Milo tornò al doppio tavolino al quale era seduta insieme alla combriccola, reggendo un piatto di carta e una forchetta.
"Ah, il dolce già ce l'hai." disse, accennando alla torta zuppa di cioccolato che Mei aveva davanti a sé.
"Dà qua, un posto in più lo trovo." gli rispose, allungando la mano verso quella che aveva tutta l'aria di essere una crepes suzette. "Se non io, sicuramente uno di loro tre."
Milo ridacchiò, sedendosi accanto all'amica e battendo un po' i piedi per scaldarsi.
"Solo se posso avere metà della tua fetta di torta."
Valutò appena il da farsi, quindi annuì.
"Si può fare, dai."
Milo prese un gran boccone di torta dal piatto di Mei, quindi si strinse nel giaccone pesante.
"Come diamine fate a sopportare questo freddo?" si lagnò. "Per fortuna che dopodomani saremo tutti al Santuario, al calduccio del tredicesimo tempio..."
"Ma smettila di lamentarti! Siamo a Parigi ed è la vigilia di Natale, stiamo mangiando dolci al cioccolato e davanti a noi c'è la Torre Eiffel... insomma, che cosa vuoi ancora?" lo riprese Shaina.
Un letto caldo, ad esempio.
"Se pensa ciò che credo stia pensando, allora sono certa che la risposta alla tua domanda sia un letto e te, possibilmente svestita." rispose Mei. "Dico bene?"
"Buon cielo, cominci a preoccuparmi: mi hai letto nel pensiero!"
Mei proruppe in un largo sorriso sornione.
"Siamo scorpioni entrambi, ricordi? Passionali e con il sangue caldo nelle vene. No scherzi a parte, è che a dire il vero è la stessa cosa che desidero io. Solo che... avrò il letto caldo, avrò la mia dolce metà svestita nel summenzionato letto ma... non avrò il seguito di questo bel quadretto."
Shiryu sospirò.
"Oddèi, non dirmi che stai per parlare di sesso... non ci tengo affatto a sentirti parlare di certe cose!"
"Per l'amor del cielo, io ho dovuto sentire tu e Shunrei fare sesso quando vivevo ancora alla pagoda... direi che quel limite l'abbiamo già superato, che dici?"
Shaina sgranò gli occhi.
"Un momento... come sarebbe? Ha già smesso di...?"
"Sì. Da quando abbiamo scoperto che sono tre. E al cesareo mancano ancora quattro mesi e mezzo!"
Milo le restituì la torta.
"Credo che questa serva di più a te, che non a me."
"Ah, ma che gentile. Non è che... saresti così gentile da fare un atto di carità verso una povera donna incinta?"
Shiryu per poco non si strozzò con la cioccolata calda, mentre Milo arrossiva appena.
"Lu-lusingato, dolcezza, ma... no. Non te la prendere, sei una bellissima ragazza ma... sei anche una mia carissima amica e io non vado a letto con i miei amici."
Senza ovviamente comprendere il senso di quella conversazione captata per caso, Hyoga inarcò un sopracciglio.
"Ringraziando gli Dèi." interloquì.
"Che cosa ti fa pensare che stessi per chiederti una cosa del genere? Io speravo che tu potessi parlare con Camus, non so, spronarlo in qualche modo." Mei sbuffò. "E va bene, dunque vorrà dire che andrò a prendermi un'altra fetta di torta. Roba da matti."
"Lascia, vado io." si offrì Shiryu, alzandosi. "Qualunque cosa pur di non sentirti parlare di sesso."
"Smettila di comportarti come un fanciullino innocente." lo rimbeccò Mei. "Che al Goro-Ho ne ho sentite di peggio, io."
"Sesso? Perché accidenti non ci sono mai quando si tratta di discussioni interessanti?" si lamentò Hyoga.
"Perché tu sei ancora troppo piccolo per parlarne." lo punzecchiò Milo.
"Ah non credo proprio. Mi sa che Hyoga fa più sesso di noi, altroché." rispose Mei.
"Qua devo darti ragione." ridacchiò Hyoga, guadagnandosi l'occhiataccia dell'interessata.
"Avrei dovuto ucciderti quando ne ho avuto l'occasione."
 
"Sei strano da ieri."
Camus si diede una spinta per raggiungere la figlia, quindi corrugò la fronte.
"Non sono strano." obiettò, pensando al lavoro e a tutto il resto. "Sono stanco."
"Sono piccola ma non scema. Non sei contento di avere zio Shiryu a casa con noi."
In effetti no, ma come aveva sempre fatto per amore della pace, aveva fatto finta di niente di fronte all'invito di Mei.  
"E chi ti avrebbe detto questa sciocchezza?"
"Zio Shiryu dice che è venuto qui a Parigi per stare un po' con la mamma e che tu non sei d'accordo, per questo l'hai mandato a dormire da Hyoga e Freya, perché non vuoi idioti tra i piedi."
D'istinto guardò in direzione di Mei e del cognato, impegnati a parlare tra loro: a che gioco stava giocando Shiryu? Aveva fallito nel mettergli contro Mei e ora cercava di mettergli contro sua figlia?
"Da dove salta fuori questo linguaggio?" la riprese. "Tuo zio non ha neanche preso in considerazione l'idea di dormire da noi, quando è arrivato è andato direttamente da Hyoga. Shiryu dovrebbe imparare a tacere di quando in quando e smetterla di coinvolgerti."
"Quindi è vero."
"Sai che non devi intrometterti nelle faccende degli adulti. Non sta bene e non mi piace."
"Ma..."
"Niente ma." concluse, guardando infine l'ora. "Dirigiti all'uscita, è ora di tornare a casa."
Una volta rimessi i piedi a terra, Camus l'aiutò a togliersi i pattini, quindi la esortò a raggiungere Mei, seguendola.
 
"...guardate che quei programmi televisivi non sono esagerati come pensate. C'è davvero gente che in valigia infila di tutto pensando –a torto- di poterla fare franca e di prenderci in giro come meglio credono." stava dicendo Milo. "In cinque anni ne ho viste di tutti i colori: c'è chi occulta intere bottiglie di sabbia in mezzo alla biancheria sporca nella speranza di evitare i controlli, o chi nasconde armi o, peggio, animali vivi che nella maggior parte dei casi è destinata a morire durante la tratta... mi è capitato anche di requisire tarantole e scorpioni." Camus arrivò mentre stava mostrando a Mei alcune foto sul cellulare. "Uno di questi era chiuso in un sacchettino di plastica forato alla bell'e meglio e mi ha punto, pieno di rabbia."
Shaina iniziò a ridacchiare.
"Me lo ricordo... un suo collega mi chiamò tutto agitato dicendomi di andare di corsa in ospedale e per poco non gli ho anche riso in faccia."
"...certo non potevo dirgli nah, niente di grave, sono Milo di Scorpio e sono immune al veleno degli scorpioni perché sono un Gold Saint al servizio di Athena... minimo, mi rinchiudevano nel reparto psichiatrico."
"Che è un po' il sogno di tutti, al Santuario." interloquì Camus, sedendosi tra Mei e Shunrei.
"Ti piacerebbe." gli rispose Milo, facendolo ridacchiare. "Tieni, mangia un po’ di torta, magari ti addolcisci un po'."
Shiryu sogghignò appena.
"...non basterebbero tutti i dolci del mondo." mormorò, ricevendo in risposta il totale disinteresse del cognato e lo sguardo di fuoco della sorella.
"Se hai in programma di comportarti in questo modo per tutto il giorno, puoi anche tornare a casa." intervenne Mei, nella stessa lingua. "Sono stanca delle tue frecciatine."
Camus si schiarì la voce, continuando a ignorare il cognato.
"Signori, nel frigo di casa mia c'è una torta al cioccolato cucinata dal sottoscritto che, modestamente parlando, è diecimila volte meglio di questa." disse quindi. "Propongo di spazzolarla insieme a una flûte di champagne o nel caso di due certe signore, una tazza di latte."
"Champagne. Perdindirindina." lo prese in giro Milo. "Mi hai convinto."
 
 
Più tardi quella notte, nell'assoluta quiete che permeava l'appartamento nonostante il traffico parigino, Milo sgattaiolò rapido verso la stanza degli ospiti dove Camus l'aveva sistemato, reggendo qualcosa tra le braccia; senza fare il minimo rumore, si risistemò a letto.
"...ti ricordo che non sta bene vagabondare in piena notte in una casa in cui sei ospite." mormorò Shaina.
"Avevo sete." replicò lui, prontamente. Con altrettanta rapidità cambiò discorso. "Ieri mattina hai notato anche tu gli strani movimenti nella sesta casa? Dev'essere successo qualcosa, e sicuramente non è Kiki che si diverte a fare scherzi a Shaka."
Shaina rise.
"Beh, credo che faccia ben attenzione a non irritarlo più come una volta."
"Ci credo, anche perché una volta era un bambino e Shaka lo compativa, ora credo che non avrebbe più pietà." convenne Milo. "Oddèi, ti ricordi quando si è messo a rincorrerlo per tutto il Santuario quando Kiki si era intrufolato al suo tempio per tagliargli i capelli?"
"Se non ricordo male però, gli aveva comunque tagliato una ciocca."
Milo ridacchiò.
"Pazzo suicida." disse, scuotendo la testa. "Comunque secondo me Shaka sta architettando qualcosa."
"...e cosa?"
"Ah non ne ho idea. Ma come ti ho detto, ho percepito qualcosa di strano, al sesto tempio." concluse Milo, scartando un involucro colorato.
Shaina sorrise, guardando l'involto e il suo contenuto.
"Ancora? Non ne hai abbastanza di mangiare dolci? Non hai fatto altro tutta la sera!"
"Non è assolutamente vero: ho fatto a metà con Mei."
"Cosa c'è là dentro?"
"Credo sia pan di zenzero." disse Milo ingoiandone un altro pezzo. "Non ne sono certo, ma credo ci sia un po' di tutto qua dentro. La dispensa di Camus potrebbe far concorrenza a quella pasticceria famosa... com'è che si chiama?!"
"Hai fatto un raid nella dispensa di Camus?"
"Beh, lui ha detto fai come se fossi a casa tua! e io l'ho fatto. C'era un cesto stracolmo di dolci nella dispensa, ho pensato che fosse un peccato lasciarlo lì a prendere polvere." le rispose, spiegandole poi del cesto natalizio che la casa editrice per la quale Camus lavorava aveva donato a tutti i dipendenti, almeno a giudicare dal bigliettino che aveva trovato poco distante. "Uh, guarda qui! C'è una stecca di torrone con i pistacchi!"
"Vedrai quando se ne accorgerà..."
"Nah, a lui nemmeno piacciono i pistacchi."
"Quelli no, ma il resto sì." obiettò Shaina. "Ma insomma, sei un pozzo senza fondo! Finirai con l'ingrassare, e io non voglio un marito flaccido."
Milo sgranò gli occhi, ingoiando un torroncino per intero.
"Co-….?"
Shaina lo zittì con un bacio, prima di mettersi a cavalcioni su di lui.
"Hai mai sentito parlare di una tradizione irlandese secondo la quale durante il leap day, cioè il 29 febbraio, la proposta di matrimonio può anche essere fatta dalla donna?"
"Ehm... no."
"Ebbene, ora ne hai sentito parlare." replicò Shaina, aprendo una scatolina e mostrandogli il contenuto. "Dunque? Devo aspettare ancora due mesi?"
Milo pensò alla sua scatolina nascosta tra gli slip nel suo borsone, che aveva acquistato tempo prima e che aveva avuto in programma di darle a Natale. Pensò a quanto tempo aveva impiegato a pianificare quella proposta, al tempo speso a immaginare e programmare il momento, il luogo, le parole. Per scoprire che Shaina aveva avuto la stessa idea e l'aveva battuto sul tempo. Si coprì il volto con le mani, a metà tra il sorpreso e il divertito.
"Oddio."
Shaina si raddrizzò di scatto, la scatolina ancora in mano.
"Oddio?! Non mi aspettavo questa reazione. Certo, non mi aspettavo la ola e i fuochi d'artificio, ma nemmeno oddio." replicò, contrariata.
Milo si sporse verso il borsone, che aveva sistemato sotto il letto,  e vi frugò dentro.
"Cosa stai cercando?"
"Questa." le rispose, porgendole a sua volta una scatolina. "E mi hai rovinato la sorpresa."
"Oddio."
"Te l'avrei dato domattina, prima di andare a fare colazione con Camus e gli altri. Anzi... ti avrei svegliata, avremmo fatto l'amore e allora ti avrei fatto la domanda. E poi, con calma, saremmo andati a fare colazione."
"Diciamo pranzo."
Milo ci pensò su.
"No, diciamo direttamente cena."
"Sempre il solito esagerato." sorrise Shaina, rifilandogli un pugno sulla spalla.
"Hey, vacci piano o al matrimonio arriverò a pezzi."
Shaina prese l'anello che aveva acquistato per lui e gliel'infilò all'anulare.
"Allora che dici, ci sposiamo?"
"Ci sposiamo." annuì Milo, facendo la stessa cosa con lei.
 
*
 
Camus si guardò intorno nella dispensa, controllando qua e là.
"... eppure ero sicuro che qui ci fosse il pan di zenzero..." brontolò tra sé e sé, aprendo un paio di ante. "Oh, andiamo...  era qui, lo so."
"Che fai, parli da solo?"
"Parlo con me stesso."
"Oh, dialogo proficuo, spero." rispose Mei, circondandogli la vita.
"A dire il vero no. C'è più di una cosa che non quadra qui... ad esempio, dove accidenti ho messo la ghirlanda di pan di zenzero che ho comprato l'altro giorno?"
Mei corrugò la fronte, aprendo un pensile e mostrandogli una scatola gialla.
"Parli di questa?"
"Quello è panforte. Parlo della ghirlanda di pan di zenzero che avevo comprato da mettere nel cesto." Camus le indicò il cesto di vimini che aveva accuratamente preparato. Aperto. "L'hai aperto tu?"
"Sicuramente no, dato che ho già la mia scorta di cioccolato nel cassetto del comodino." rispose Mei. "Insieme ad altre cose che è bene mantenere private."
"Ah ecco dunque chi è che ruba le tavolette."
"Beccata. Allora... mi dici che cosa c'è di tua spontanea volontà oppure devo cavarti le parole di bocca?"
Lui si girò, corrugando la fronte.
"Niente, tutto a posto. Sto solo cercando di capire cos'è successo qui..." s'interruppe, quindi sbuffò. "Un momento! Come ho fatto a non pensarci prima? So di chi è la colpa."
"Oddéi dove vai? Camus! Torna qui!"
"Gli avevo detto di fare come se fosse a casa propria, ma questo è troppo."
Si diresse ad ampie falcate verso la stanza degli ospiti, bussando appena e spalancando la porta.
"...ma che diavolo...! Camus, potresti almeno bussare prima di aprire!"
Mei sospirò, afferrando un abbraccio dalla biscottiera che Camus aveva posto al centro del tavolo.
"Si prospetta una mattinata tranquilla." ridacchiò Hyoga, entrando in cucina. "Cos'è successo?"
"Milo ha razziato la dispensa." spiegò, con un'alzata di spalle. "E a giudicare dalle sue urla, Camus deve averlo disturbato mentre stavano..." s'interruppe, guardando Lixue arrivare dalla propria stanza "...colorando."
"Beh, anch'io mi arrabbierei se succedesse a me, considerando quanto poco riesca a colorare in questo periodo, tra esami e preparativi."
"Sì, ma quando Freya tornerà a Parigi, tutto riprenderà come prima. Alla fin fine l'unica che non colora sono io."
"Stai tentando di farmi sentire in colpa?"
"Ci sto riuscendo?"
Hyoga ridacchiò.
"No." rispose, guadagnandosi una pacca non proprio amichevole sul fondoschiena.
"Avevo ragione, avrei dovuto eliminarti con quel sai, quando ne ho avuto occasione. Ora è troppo tardi." borbottò, facendolo ridere di gusto poco dopo.
"Mai rimandare ciò che puoi fare subito." interloquì Shaina. "Mei? Potresti venire un attimo?"
Rimasto solo con Lixue, Hyoga sospirò.
"Dunque, pronta per aprire i regali?"
 
Milo raggiunse Camus in dispensa, in pantaloncini e con la maglietta infilata al rovescio.
"Comunque buongiorno e buon Natale! Cosa mi hai regalato? Un po' del tuo tempismo spero, dato che io sono un ritardatario cronico mentre tu arrivi quando meno te l'aspetti."
Camus inarcò un sopracciglio.
"Spiritoso. Eccoti il regalo e tanti auguri di buon Natale." disse, piazzandogli tra le braccia il cesto che aveva accuratamente preparato per lui negli ultimi tre giorni e che Milo aveva razziato nel giro di una notte. "Ti costava tanto tenere quella fogna chiusa per altre sette ore?"
Milo notò che era il cesto che aveva aperto quella sera.
"Pensavo fosse tuo, avevo visto il bigliettino della tua casa editrice..."
"Hai pensato male. Ecco perché ti dico sempre di tenere le mani a posto quando sei a casa mia." lo rimproverò.
Posò il cesto a terra, scartando un torroncino.
"Le sorprese non sono finite dunque." mormorò, allungando la mano destra verso Camus e mostrandogli l'anello che spiccava all'anulare, una fascia semplice in oro brunito attraversata da una sottilissima fascia più chiara.
"E' quello che credo?"
Milo si sfilò l'anello e glielo porse.
"Settimane intere a pianificare tutto nei minimi dettagli, a creare l'atmosfera giusta e lei mi rovina la sorpresa così, di botto." si lamentò.
"...quindi quest'anello te l'ha dato Shaina?"
"Sì. Siamo a Parigi, l'atmosfera ieri sera era parecchio suggestiva, l'aria tra noi è diventata rovente appena messo piede in camera e ho pensato che meglio di così non potesse andare. Poi succede che di punto in bianco, lei tira fuori quest'anello."
"...non riesco a capire se sei scocciato perché ti sei fidanzato o per chissà quale motivo." domandò Camus, corrugando la fronte.
"Perché mi ha rovinato la sorpresa, ecco perché. Certo che sono felice di questo fidanzamento, sogno di trascorrere la vita con lei da anni!"
Camus annuì, prima di leggere l'incisione dentro l'anello.
"Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul, ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul." enunciò, catturando immediatamente l'attenzione di Milo.
"...cosa cavolo...?!"
"Dai, stavo scherzando."
"Che diavolo era?!"
"Il linguaggio nero di Sauron, e più precisamente la scritta in tengwar incisa sull'Unico Anello, che tradotta diventa un Anello per domarli, un Anello per trovarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli. Sai, non sarebbe male una cosa del genere sulla tua fede nuziale, ovviamente riadattandola al singolare e... che c'è?"
"..."
"Sauron... il Signore degli Anelli... Tolkien...? Ti dice niente tutto questo? Oddio, guarda che ti disconosco come amico!" esclamò Camus, decidendosi poi a leggere le esatte parole dell'incisione. "Due corpi, una sola anima. Aristotele. Molto molto poetico."
"Non prendermi in giro. A proposito di due corpi... c'è tua moglie, di là, che sta mangiando Nutella. Tanta. Troppa."
Camus sgranò gli occhi.
"Oh Athena! Ho comprato due giorni fa il vaso da tre chili, non le farà bene!"
"Ah sicuramente no. La mangia per compensare la mancanza di sesso. La mangia perché tu non vuoi più fare sesso con lei." rispose Milo, facendolo arrossire. "Perché tu non vuoi più farlo?"
"Eh... i-io... perché è incinta."
"Il medico vi ha detto che è pericoloso per i bambini?"
"No." sussurrò, imbarazzato. Le esatte parole della ginecologa erano state basterà fare attenzione a non fare movimenti troppo bruschi o a non scegliere posizioni che potrebbero stancarla.
"...l'attrezzatura funziona?"
"Non credo che siano esattamente affari tuoi, questi." ribatté, sentendosi il volto in fiamme.
"Lo prendo per un sì. Dunque, perché cavolo ti comporti così? Sai benissimo quanto me che è un comportamento stupido. E' forse per il suo aspetto fisico?"
"Stai scherzando, vero? Per me è meravigliosa, e lo sarebbe con qualunque taglia. Ho paura di danneggiarla e... questa conversazione è imbarazzante."
Milo levò gli occhi al cielo.
"Sei un uomo adulto, come fai a imbarazzarti come quando eri un ragazzino alle prime armi?"
"...imbarazzo? Di che state parlando?!" interloquì Hyoga, accorgendosi del rossore sulle guance di Camus. "Ah no, non dirmelo. Lo immagino già da solo. Comunque di là c'è una bambina che aspetta di fare colazione per aprire i regali..."
Camus si riscosse.
"Oh già! Bene, vai a chiamare Mei e Shaina, io finisco di preparare la colazione."
In quel mentre si levò un urlo dalla stanza degli ospiti, e Milo fece una smorfia.
"Avevo due timpani una volta." si lamentò.
"Sicuramente Shaina l'ha appena messa al corrente del matrimonio. Ebbene, sappi che ti aspetta un abbraccio spaccaossa e un oddèi sparato a volumi interstellari in un orecchio."
Hyoga corrugò la fronte.
"E invece perché è rimasta indifferente quando abbiamo annunciato il nostro matrimonio?"
"Perché io sono io. E tu... beh..." sogghignò Milo, guardandolo dall'alto in basso.
"Io diventerò nobile!" protestò l'altro.
"Oh, per me potresti anche diventare re, sai come la penso." interloquì Mei, facendo sobbalzare Milo.
"Perfavore, non uccidere le mie orecchie." la pregò quest'ultimo, prima di essere stretto in un abbraccio stritolante. "...aaargh. Allenta la presa ti prego...! Hey, dovresti aiutarmi!"
Camus fece spallucce, sorseggiando il suo succo d'arancia, divertito.
"Fossi matto. Questo non è il primo e non sarà l'ultimo abbraccio spaccaossa che riceverai, quindi inizia ad abituarti." ridacchiò Camus.
"Questo non era previsto nel nostro contratto di fratellanza. Mei ti supplico, lasciami andare."
Dopo qualche istante, Mei sciolse l'abbraccio, e Milo si stiracchiò.
"Ahia! Accidenti, sei piccolina ma stritoli come una tenaglia!"
"Benvenuto nel club, fratellino."
"Tu non hai idea di quanto sono felice per voi due!!" esclamò Mei.
Lixue, che fino a quel momento aveva osservato gli adulti con un misto di curiosità e divertimento, corrugò la fronte.
"Papà, tu e zio Milo siete fratelli?"
"Beh, non proprio." rispose Milo, anticipando Camus. "Io e tuo padre siamo così amici e... da così tanto tempo..."
"Da quando avevamo la tua età."
"...e ne abbiamo passate così tante insieme che... ci consideriamo molto più che migliori amici, ci consideriamo fratelli." rispose Milo. "A volte, anche più di questo."
Camus sorrise: Milo aveva ragione, anche se c'erano delle volte nelle quali l'avrebbe volentieri preso a calci. Con simpatia e tanto affetto, ovviamente.
"Vi siete già scambiati i regali?"
"Diciamo che lui se l'è già preso da solo." commentò Camus, ripensando al cesto che Milo aveva razziato.
Lixue scambiò un'occhiata con sua madre, che annuì, e corse nella sua camera, tornando qualche istante dopo con una busta bianca, che consegnò al padre e sulla quale aveva scritto i loro nomi. Al suo interno, due voucher e la stampa di uno strano ideogramma.
"...che cosa significa?"
"Quei due voucher sono per te e Milo, e sono spendibili da un tatuatore che ho accuratamente selezionato. L'ideogramma in realtà è una runa e proviene dal mondo degli Shadowhunters, la saga che al momento sto leggendo a Lixue, e rappresenta il legame dei parabatai, che in gergo sono dei compagni di battaglia che lottano insieme, fianco a fianco, guardandosi a vicenda le spalle e che sono uniti da un giuramento. Nel romanzo ciò prevede che i due abbiano tatuata addosso questa runa, come segno visibile di questo legame. Ecco, dato che vi ho sempre visto sotto questa luce e che... beh, a me e Lixue ci è sembrata una bellissima iniziativa, eccovi il nostro regalo." spiegò Mei. "E buon Natale."
 
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 18 gennaio 2016]
-Il titolo rimanda a una canzone dei Beatles.
-La "legge" che cita Shiryu è di mia invenzione e non ha nulla a che vedere con la serie, anche perché queste povere anime vanno all'altro mondo ancora prima di poter pensare di metter su famiglia, quindi... tornando alla legge, è una delle nuove leggi introdotte da Shion, insieme a quella che elimina la maschera obbligatoria per le guerriere.
-Chen Lu è una famosa pattinatrice cinese.
-Il Leap day corrisponde al 29 febbraio e in tale data, in alcuni paesi, è possibile per le donne chiedere la mano all'uomo che amano.
-Runa, Parabatai e Shadowhunters.
Un'altra revisione radicale, ma necessaria. Hope you like it!


Lady Aquaria
 

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Capitolo 28
*** Love turns you upside down. ***


capitolo 28 revisionato
28.
Love Turns You Upside Down
 
Milo inspirò a pieni polmoni l'aria mite del Santuario, inondato dal sole.
"Quanto mi è mancato questo bel calduccio!" esclamò, allargando le braccia e sospirando deliziato.
"A me manca la neve di Parigi." replicò Shaina, superandolo, la valigia in mano. "E le tazze di caffè davanti agli scacchi e al caminetto."
"Parigi? Ma se faceva un freddo atroce!"
Camus levò gli occhi al cielo.
"Manca anche a me. Che feste sono senza neve? Dovrò impegnarmi un po', venti gradi il giorno di Santo Stefano mi sembrano eccessivi." rispose, affiancandosi a Shaina e sfilandole di mano la valigia. "Lascia che la porti io."
"Mei! A te non mancava il sole della Grecia?"

L'interpellata si tolse cappello e sciarpa.
"Insomma... siamo passati dai 4 gradi di Parigi per arrivare a questo caldo insolito..."
"Ma che cos'avete tutti quanti contro il caldo? Sentite che meravigliosa brezza! Posso prendere un respiro profondo senza correre il rischio di congelarmi naso e cervello!"

Sbottonandosi il cappotto, Camus inarcò un sopracciglio.
"Se tu l'avessi, il cervello."
"Hey! Ti ho sentito!"
"Lo so, era quello che volevo."
"Ma insomma!" protestò Milo. "Nessuno mi capisce? Lixue, tu mi capisci vero?"
La bambina fece spallucce.
"Se fa caldo non posso pattinare!" gli rispose, lasciandolo a bocca aperta.
"Vi odio. Tutti quanti."
A dirla tutta, Mei preferiva le temperature parigine alle quali si era abituata: il vestito pesante e gli stivali imbottiti che indossava si erano rapidamente trasformati in una tortura non appena avevano messo piede ad Atene.
"Mi piacevano così tanto questi stivali, in vetrina... adesso li sto odiando, credimi." si lagnò con Milo, sospirando.
"Peccato, sono sexy. Sono di quello stilista che insegui da tanto?"
"Eh magari, li ho comprati in un negozio di connazionali accanto al dojo." rispose Mei.
Stava pensando di toglierli per proseguire scalza, quando d'un tratto qualcos'altro attirò la sua attenzione: una bambina che, correndo, si infilò nella terza casa.
"Hai visto anche tu quel che ho visto io?" le domandò Camus.
"Credo proprio di sì. Qualcuno dei vostri colleghi non la conta giusta." ridacchiò Mei, sporgendosi verso la terza casa e sentendo le risa della bambina dall'interno.
"...vuoi vedere che...?" disse Milo, voltandosi verso Camus, che fece spallucce.
"Non ho confidenza con Saga, ma dubito sia figlia sua." rispose, a bassa voce.
"Anche perché in tal caso, povera creatura." commentò Mei, proprio mentre l'interessato usciva dalla terza casa, con la bambina in spalla.
"...presa!" stava dicendo Saga. "E adesso ti riporto a casa prima che... oh, guarda chi c'è."
"Mi pare un po' troppo piccola per essere una delle tue... ancelle: aspetta almeno che diventi maggiorenne."
"Divertente, Mei. Molto divertente."
Lei lo superò, squadrandolo da capo a piedi.
"Non siamo amici, non chiamarmi Mei."
"E come dovrei chiamarti?"
"Come vuoi, ma non con il mio nome."

"D'accordo, allora ti chiamerò Madame Gauthier-LaRochelle, anche se in caso d'emergenza è troppo lungo: metti che stia per soffocare? Ma...da...me... nnngghhhh..."
"Se stai per soffocare non chiami me, a meno che tu non voglia farmi divertire." ribatté Mei.
"Ha! Bella questa!" esclamò Kanon, raggiungendo il fratello. "Mei."
"Kanon."
Saga posò giù la bambina.
"Hey, perché lui può chiamarti Mei?" le domandò, indicando Kanon con un cenno.
"Perché lui mi piace."

"Ah. E io non ti piaccio."
"Proprio no."

Ridacchiando, Kanon si affiancò al gemello e gli circondò le spalle con un braccio.
"Temo che dovrò darti qualche lezione su come ci si comporta con una signora, fratello, o andrà a finire che morirai vecchio e solo."
"Tempo perso, Kanon. Ma se ti può far star meglio, Saga... c'è stato un momento nel quale mi sei piaciuto."
"Ma non mi dire."
"Sì. Al tredicesimo tempio, il giorno dopo la battaglia qui al Santuario."
L'altro ci pensò su.
"Ma... a quell'epoca ero morto."
"Appunto."
"Mei!" intervenne Camus.
"Lascia stare, non mi sono offeso. Dunque non ti dispiacerà se d'ora in poi inizierò a chiamarti Medusa, come fanno le attendenti."
Camus lo fulminò con lo sguardo, prima di scuotere la testa e schiaffarsi una mano in fronte, mentre Mei, ferma diversi gradini avanti a lui, lo guardava pensierosa.
"...Medusa?" ripeté Mei. "Mi chiamano Medusa?"
"Sei un uomo morto." sibilò Camus a Saga, mentre la moglie era intenta a rimuginare sulle sue parole.
"Bravo, è proprio così che si lavora sulle amicizie." lo prese in giro Kanon.
"Io e tuo fratello non siamo amici." lo riprese Mei. "...fammi capire... che cavolo di soprannome è? Speravo in qualcosa di più mostruoso, come...Megera."
Shaina ridacchiò.

"Ah no, bisogna lavorarci parecchio prima di meritarselo."
"Oh. Dunque dovrò dannare di più quelle pie attendenti." convenne Mei, prima di allontanarsi verso l'undicesima casa insieme a Shaina.
Camus riprese a seguire la moglie.
"Medusa, come fanno le attendenti. Ma riesci a tenere la bocca chiusa ogni tanto?!"
"Mi dispiace. Pensavo lo sapesse."
"No."
"Oops."
 
"Sai qualcosa di quella bambina?"
Shaina scosse la testa.
"Nessuno sa niente, almeno per il momento. Anche se Milo ha le sue idee a riguardo."
La bimba intravista prima aveva, almeno da quel poco che aveva visto, occhi e capelli scuri, e a parte Shura e pochi altri, non ricordava nessuno con quelle caratteristiche.
"...potrebbe essere la figlia di qualche Silver?"
"Ne dubito."

"Allora la figlia di qualche attendente?"
"Non sarebbe libera di circolare liberamente per il Santuario." rispose Shaina. "Le famiglie delle attendenti abitano a Rodorio e necessitano di un permesso per entrare."
Arrivarono nei pressi della sesta casa, dove la bambina in questione stava giocando insieme ad Asha, l'attendente di Shaka.
"Ecco dov'eri finita!" le sorrise Mei. "Beata te che puoi correre come vuoi, io tra poco inizierò a rotolare anziché correre."
"Chiedo scusa se vi ha arrecato fastidio." disse Asha, costernata.
"Nessun fastidio." la tranquillizzò Mei. La bimba la guardò rapidamente, tornando con altrettanta rapidità ai suoi giochi. Una bella bambina, con occhi e capelli neri come l'ebano e, se ne accorse in quel momento, una certa somiglianza con... "E' una bella bambina. E' vostra nipote?"
"Non proprio." interloquì Shaka, uscendo dal proprio tempio. "Ma è come se lo fosse. Dico bene, Asha?"
Mei si sporse verso Shaina, stupita quanto lei.
"Giuro che se quella bambina è sua figlia, permetterò a Camus di chiamare Albert uno dei bambini." le sussurrò.
"...eeeew." Shaina storse la bocca in una smorfia. "Che gusti barbari."
"Poteva andarmi peggio, credimi. Anziché Albert, avrei corso il rischio di chiamarlo Fëdor."
Shaka sorrise alla piccola, che si era precipitata tra le sue braccia, e le stampò un gran bacio in fronte.
Per un attimo sgranò gli occhi, la sorpresa celata a stento.
"...che?!"
"Tutto bene qui? Che c'è?!" domandò quindi Camus, arrivando.
"Che sguardo truce. Non so perché, ma credo tu sia nei guai, amico."
Camus ignorò Milo, guardando Mei interrogativo.
"Quoi?"
"C'è che stavolta hai vinto tu." gli rispose lei. "Albert. Va bene anche questo nome, se ti fa piacere. Però spero proprio che nostro figlio non faccia la fine dell'uomo che vuoi omaggiare e non muoia a quarantasette anni contro un platano."
"Ti hanno mai detto che hai una macabra immaginazione?" le gridò dietro Milo, mentre l'amica si allontanava dalla sesta casa.
"Non è immaginazione. Lo scrittore dal quale prendo il nome è davvero morto in quel modo." sospirò, prima di accorgersi, finalmente, dei due. "Ah però."
"Ah però cosa?" replicò Shaka, posando a terra la figlia. "Entra in casa, la mamma ti sta cercando. A dispetto di quanto tutti quanti voi pensate, non conduco vita monacale."
"Sì, l'abbiamo notato."
Shaka guardò Milo con accondiscendenza.
"Tengo la mia vita privata molto privata." spiegò semplicemente.
"Forse anche troppo privata, non credi?" rispose Camus. "Fa una strana impressione vederti con una bambina in braccio."
"In casa ho anche una moglie, se è per questo. Non è strano, fa parte della vita: Aiolia si sposa e per voi è normale. Milo si fidanza e per voi è normale, tu ti sposerai a settembre e nel frattempo incrementi la popolazione parigina ed è normale... perché il mio matrimonio e la mia paternità per voi non sono normali?"
Dall'interno della sesta casa una voce femminile sconosciuta –la misteriosa moglie di Shaka, sicuramente- li interruppe, e Shaka rispose, in hindi.
"Ad ogni modo, stasera renderò pubblica parte della mia vita privata e vi presenterò la famiglia, così da dimostrarvi che anche io sono normale esattamente come voi."
Camus corrugò la fronte: quando mai aveva detto il contrario?
"Okay. Ho già a che fare tutto il giorno con una persona in preda agli ormoni impazziti, e preferirei evitarne altre. Sicchè... i miei auguri, Shaka." disse, prima di avviarsi lungo le scale che portavano alla settima casa. La persona appena citata rispuntò d'improvviso: aveva deciso di trascorrere un paio d'ore in compagnia di Dohko, fratello e cognata. "Okay. Ne te fâche pas, d'accord?" [Okay, ma non arrabbiarti, d'accordo?]
"Ne t'inquiète pas."  [Non preoccuparti.]
Milo sorrise quando li vide scambiarsi un bacio, quindi seguì l'amico dopo aver salutato Mei.
"Parlate troppo velocemente per i miei gusti, più veloci dell'insegnante."
Camus ridacchiò.
"Prova a starmi dietro quando sono arrabbiato." gli rispose. "Quindi alla fine ti sei iscritto a quel corso?"
"Più che altro per questioni di lavoro: a quanto pare l'inglese non bastava. Così volente o no, eccomi a studiare una lingua che non mi è congeniale." si lamentò Milo.
"Ti lagni troppo, non stai studiando cinese mandarino, è solo francese. E al mio posto che faresti, allora, a studiare cinese avanzato, giapponese intermedio e corso base di arabo?" Camus posò la valigia in corridoio, sotto il ritratto di Degél, e si stiracchiò. "Con tutte le intonazioni che devo studiare e praticare, le mie corde vocali prima o poi faranno armi e bagagli e mi abbandoneranno."
"Accidenti. Come fai a non impazzire?!"
L'altro ridacchiò ancora.
"Sono ambidestro, ed è risaputo che noi siamo di intelligenza superiore alla media. Ergo, mio buon amico, ho un cervello più sviluppato del tuo, in grado di poter assimilare più lingue di te."
Milo assottigliò lo sguardo.
"Beh, a chi il cervello, a chi qualcos'altro."
"Cretino."
 
Il Santo Stefano al Santuario era come le altre feste, solo più chiassoso ed esagerato: dopo i regali, il pranzo abbondante e le foto di rito, Mei era tornata all'undicesima in seguito a un malore dovuto forse alla gravidanza –o al troppo cibo-.
"...non avrei scommesso neanche uno yuan su Shaka, giuro. Hai visto sua moglie che bella ragazza? Con il trambusto che c'era non ricordo il nome... Sati-...?"
"Saraswati." la corresse Camus. "Come la dea omonima."
"Ah già. Avevo colto l'allusione. E la bambina... Rani, giusto? Regina."
"...esatto."
"Non fare quella faccia da saputello, non guardo solo i film di Keanu Reeves, sai, io leggo anche, e parecchio: mai sentito parlare di Salgari e della sua tigre della Malesia?" sorrise Mei. "Sono colpita, quel nome dice tantissimo di Shaka e di ciò che prova per quella bambina. Ha decisamente guadagnato dei punti."
Durante tutta la sera, infatti, non l'aveva persa di vista un solo istante, attento sia a lei che a sua moglie, una bellissima ragazza che, a quanto pareva, proveniva dalla sua stessa città natale e che presentava caratteristiche più esotiche di lui: occhi e capelli nerissimi, carnagione olivastra e un fascino tutto particolare esaltato dalle trecce elaborate con le quali Saraswati teneva legati i capelli e i sari che indossava. Si conoscevano da parecchio tempo e Rani era nata dopo qualche tempo dal matrimonio.
Il resto, rimaneva avvolto nel mistero: per Shaka aver presentato moglie e figlia ed essersi esposto in quel modo, pensò Camus, era già tanto.

"Per questa sera Kanon aveva in mente di andare in un locale ad Atene a bere qualcosa."
Mei aprì appena gli occhi.
"Vai pure e divertiti, non c'è problema."
"Ma certo, io vado a divertirmi mentre tu stai male."
"Per l'amor del cielo, è nausea. Ho solo tanta nausea, non sto per partorire." rispose, a bassa voce. "Io starò qui tranquilla, al buio, finché non starò bene. Mi è già successo altre volte, non è niente di preoccupante. Vai e divertiti, o inizieranno a dire che il matrimonio, i figli e la sottoscritta ti hanno rammollito al punto da farti comandare a bacchetta."
Camus si sedette sul bordo del letto e posò una mano sulla sua fronte.
"Non mi interessa un accidenti ciò che pensano gli altri." le rispose. "Ehi...sei calda."
Mei sorrise appena.
"Ringraziando il cielo, altrimenti sarei morta."
"Non scherzare in questo modo." la riprese Camus.
"Che gelida manina, se la lasci riscaldar...non ho la febbre, sei tu che hai la mano gelida." rispose Mei. "Esci e divertiti, io mangerò biscotti secchi e guarderò qualche puntata del mio serial preferito prima di mettermi a dormire in attesa di andare al lavoro."
Camus scrisse rapidamente un sms di risposta a Kanon.
"...oppure approfitterai della mia assenza per sbavare sul tuo attore preferito."
"Può essere." aggiunse Mei, con un sorriso. "Anzi, saresti così gentile da consigliarmi? My Own Private Idaho o Matrix Reloaded?"
"Beh, io seguirei il filone fantascientifico e ti consiglierei il secondo." l'assecondò Camus, dopo aver letto la replica di Kanon.
"Sono più interessata al Canada e i suoi panorami mozzafiato che alla fantascienza vera e propria."
Distratto, Camus impiegò qualche istante a capire la battuta di Mei, che scoppiò a ridere.
"Dai, dammi un bacio e raggiungi i tuoi amici." lo esortò.
"Eh no, chiedilo a Keanu Reeves il bacio." le scoccò infine, alzandosi e ridacchiando non appena sentì le sue proteste.
 
 
"Posso?"
Mei sollevò lo sguardo dal film e lo posò su Shaina, ferma sulla porta della cucina; i ragazzi si erano allontanati da circa un'ora e da altrettanto tempo lei era seduta a mangiucchiare qualcosa davanti a uno dei suoi film preferiti.
"Certo, che domande."
Shaina si sedette di fronte a lei, rubando un biscotto dal sacchetto e sorridendo non appena in scena comparve Keanu Reeves.
"Lo sapevo." ridacchiò. "Point Break?"
L'altra ridacchiò.
"No, Speed. Sono prevedibile, lo so."
Shaina gettò uno sguardo alla custodia del dvd, dove il volto dell'attore campeggiava in primo piano, sullo sfondo di un autobus avvolto dalle fiamme.
"Qui era ancora un ragazzino. Quanti anni aveva in questo film?"
"Trenta." rispose Mei.
"Sì, beh… devo ammettere che non era poi così male, era un bel bocconcino."
Mei prese la custodia di un altro dvd e lo posò davanti a Shaina: ancora un bel primo piano, ma di diversi anni dopo.
"E' ancora un bel bocconcino. Ha quarantasette anni ma ne dimostra parecchi di meno."
"E' stato il mio orologio a portarti da me, vero? Sì, lo ammetto, sono stato un po' gigione a costruire la bomba con il mio prezioso regalo di pensionamento, ma ho pensato che un cartellino con su scritto Howard Payne sarebbe stato un po' esagerato."
"Se riesco a prenderti, ti strappo le palle, lo giuro su Dio!"
Mei ridacchiò.
"Nella versione originale Jack lo minaccia di strappargli di dosso la spina dorsale, ma anche così rende bene l'idea di quanto è infuriato... comunque, come stavo per dirti: è uno di quei rari esemplari maschili che invecchiando migliorano, come Robert Downey Jr o... Sean Connery, per dirne due."
Shaina annuì.
"E Richard Gere, Pierce Brosnan e Kevin Costner li hai dimenticati?" le chiese, provocandole un'altra risatina.
"Scherzi? Io ero innamorata persa di Kevin Costner da ragazzina, piaceva tanto a mia madre. Se iniziamo questo discorso potremmo finire domattina, e i ragazzi ci troverebbero ancora qui a parlare alle prime luci dell'alba."
"A proposito, stavo pensando che, se stai meglio, potremmo raggiungerli."
Mei spense il dvd e ritirò i biscotti.
"Perché no? Solo, non posso fare tardi, domattina lavoro. Come mai non sei andata via prima insieme a Milo?"
Shaina prese qualcosa dalla tasca interna del suo giubbotto e glielo porse.
"Perché nemmeno io stavo bene."
Mei guardò sorpresa l'ecografia, gli occhi sgranati e increduli.
"Milo ancora non lo sa."
"...oddèi."
 
*
 
"It's the terror of knowing what this world is about, watching some good friends screaming: let me out!"
Mei corrugò la fronte mentre assicurava il bloccasterzo al volante.
"Qualcuno là dentro sta violentando una delle mie canzoni preferite... non so se me la sento di entrare." commentò, facendo ridere Shaina. "Oh dai. Devo proprio?"
"Sì."
Sospirando, inserì l'antifurto e si apprestò a seguire l'amica, mentre all'interno uno dei due cantanti improvvisati storpiava dolorosamente Freddie Mercury.

"Sai, esiste un girone dell'inferno per quelli che rovinano in questo modo le canzoni." disse Shaina, tenendole aperta la porta del locale.
"Ah lo spero proprio." replicò in risposta. La sole luci offerte dal locale, a parte le caratteristiche lampade a fungo poste su ogni tavolino, consistevano in lunghe file di lanterne colorate e due strobo.
Sul palco, Saga e Aiolos.

"Oddèi."
"Io vado a ordinare da bere, tu vuoi qualcosa?"
Dei tappi per le orecchie.

"Un fucile a canne mozze e uno Shirley Temple. Non necessariamente in quest'ordine." le rispose, prima di raggiungere i ragazzi, seduti a due tavoli, intenti a prendere in giro i due compagni sul palco. "Chi ha avuto la brillante idea di far cantare quei due?"
Camus si girò per primo, spostandosi per farle posto.
"Come stai?"
"Va meglio. Beh, andava, visto che il mio cuore sta sanguinando in questo momento. Non perdonerò mai Aiolos per questa pugnalata."
Kanon si sporse verso di lei, sogghignando.
"Non è colpa sua, diciamo che è mia."
"Ti odio."
"Perché? La canzone non l'ho scelta io, ha fatto tutto Saga."
"Oh. A tuo fratello piacciono i Queen?"
"Li adora."
Di male in peggio.
Camus le strofinò la schiena, attirando la sua attenzione.
"Mi sentivo in colpa a pensarti a casa mentre invece io ero qui."
"Ma no, avevo solo nausea e la pressione un po' bassa. Ho mangiato qualcosa e siamo venute qui." spiegò Mei. "Ah, ho preso in prestito una tua giacca: l'idea di mettere il piumino mi faceva sudare."
L'aveva trovata in una delle due cassepanche del suo studio, gli spiegò, e aveva deciso di prenderla in prestito.
Camus la osservò –per quanto possibile, data la scarsità di luce-: blu, o nera, dal vago sapore settecentesco con due lunghe file di bottoni argentati, alamari e polsini decorati.
"Non è mia."
"Come, no?"
"No, ti dico, non è nel mio stile."
"Ah perché, hai uno stile, tu?" interloquì Milo.
"...disse quello che va in giro con i jeans strappati." lo riprese Camus. "Ne ho una simile, ma fa parte del mio costume da D'Artagnan, insieme a un cappello con delle grandi piume rosse, parrucca e pizzetto posticcio e una mantella nera. Amo quel costume: se Lady Saori organizza qualcosa per carnevale, lo indosserò."
"...come ogni volta..."
"Senti chi parla, col suo costume da Kiss..."
"E allora di chi accidenti è questa giacca?!" li interruppe lei. Effettivamente le era parso strano che potesse essere di Camus, soprattutto dopo aver visto, nella stessa cassapanca, anche un paio di calzoni al ginocchio, un panciotto e un cappello dalla foggia strana.
"Se li hai trovati dove penso io, allora sono di Degél." le rispose, mentre Saga e Aiolos, terminata la canzone, ritornavano alla tavolata tra uno scrosciare di applausi. "Un suo abito da ballo, suppongo: l'ho indossato una volta per un carnevale a tema e mi sono dimenticato di riporlo in soffitta, dove l'avevo preso."
"...è di Degél... e me lo dici così?"
"Beh, e come avrei dovuto dirtelo?"
Kanon, dall'altra parte del tavolo, sogghignò in direzione del fratello.
"Come cantante fai schifo."
"Sono un uomo di lettere, io. Non so cantare ma so fare tante altre cose." replicò Saga.

Sì, sappiamo anche bene quali cose sai fare.
Mei inarcò un sopracciglio tuttavia non disse nulla, preferendo sorbire un sorso del drink analcolico che Shaina le aveva portato.
"Devi dirmi qualcosa?" le domandò Saga, sedendosi accanto a Camus.
"Dici a me? No. Altrimenti mi avresti sentito forte e chiara. Hai forse la coda di paglia?"
Milo li sentì, entrambi sul piede di guerra, e intervenne.
"Ehm... Mei, che ne dici, un duetto io e te? Kiss? Magari ci alterniamo?"
L'amico li guardò divertito.
"Sì, se vuoi far fuggire tutti i randagi di Atene questa è l'occasione giusta." la prese in giro, facendo ridere Saga.
"E tu chi pensi di essere, Tony Hadley? Dai Milo, sai che mi vergogno."
Kanon arrivò in soccorso di Milo.
"Se la cosa può farti stare tranquilla, i riflettori sotto il palco oscurano la visuale di tutto il locale, quindi è come se cantassi nella privacy del tuo salotto." le disse, facendo spallucce.
Ci pensò su un attimo, mentre i due avventori sul palco cantavano Last Christmas.
"...dipende da cosa vuoi cantare, perché certe canzoni non le canterei neanche se arrivasse qui Paul a implorarmi in ginocchio." capitolò Mei.
"..perché?"
"Già, perché. Niente di eccessivamente volgare, Milo, sono una madre di famiglia e sono anche incinta."

Milo annuì.
"Tranquilla." le rispose, alzandosi e tendendole la mano. "Coraggio!"
"E va bene..."
Camus iniziò a ridacchiare, sporgendosi verso Hyoga, seduto dall'altra parte del tavolo con Shiryu, Seiya e Ikki.
"Hyoga, l'hai presa tu la fotocamera? Ti prego, dimmi che non l'hai lasciata a casa..."
L'interpellato gli porse la borsa dopo qualche minuto.
"Bravo ragazzo, ecco perché ti ho scelto come allievo."
"E io che credevo di essere tuo allievo perché sono bravo a rompere ghiacciai..."
Ikki sghignazzò.

"Sei bravo a rompere, e non solo i ghiacciai."
"Adesso capisci perchè mi piace, il tuo amico?" scherzò Mei, guardando Shiryu.
"Don't wanna wait till you know me better, let's just be glad for the time together…" canticchiò Saga, in sua direzione.
Mei lo guardò, un sopracciglio inarcato e un'espressione indecifrabile sul volto.
"Perché non torni alla terza casa e non la canti a una delle tue ancelle? Sono certa che, chiunque sia, apprezzerebbe."
Saga si abbandonò allo schienale della sedia, cercando di assumere la stessa aria strafottente di suo fratello.
"Pensi che abbia bisogno di cantare, per avere compagnia?"
"Nah. Basta solo essere tanto, tanto disperate." gli rispose, prima di allontanarsi con Milo.
"Vipera." sibilò Saga.
Kanon sbuffò.
"A cuccia, tu." lo riprese. Sul palco, una volta terminata la canzone precedente, Milo e Mei stavano scegliendo la canzone, ridacchiando complici. "Okay, chi si fa un altro giro di birra?"
"Io sono di reperibilità." rispose Aphrodite.
"Per me niente, credo che andrò a vomitare." aggiunse Camus, la mano sullo stomaco.
"Tua moglie non ha nemmeno iniziato a cantare e già vomiti?" domandò Aiolia.
Hyoga si sporse e ridacchiò.
"...te l'avevo detto, di non mangiare i peperoni a cena... alla tua età non li digerisci più."
DeathMask scosse la testa.
"No, è che il suo stomaco è troppo delicato per la mia peperonata. Pappamolla."
 
Uscirono dal locale dopo un paio d'ore -dopotutto l'indomani sarebbe stato un giorno lavorativo e non tutti avevano preso le ferie-, dopo quella che, a dispetto di qualche voce stonata e qualche battutina pungente, si era rivelata una bella serata tra amici.
Vista la presenza di un'auto in più, Shura, Camus e Milo decisero che sarebbero tornati al Santuario insieme a Mei per evitare come la peste l'auto di Aphrodite –Amigo, con tutto il rispetto, ma quel deodorante al pompelmo è rivoltante-.
"Che ti avevo detto? Fai cantare Mei e vedrai come spariscono tutti i randagi di Atene." scherzò Camus.
"Spiritoso."
"Beh, vedi in giro cani randagi per caso? Appunto, visto? Grazie a te sono spariti tutti."
"Dai, sali in macchina, domani lavoro." fu la risposta di sua moglie.

Nel raggiungere l'auto, Camus si appoggiò frettolosamente al cofano dell'auto di Aphrodite, la mano puntata alla piega della gamba destra.
"...Death, se devi vomitare fallo adesso, perché altrimenti torni a piedi." minacciò Aphrodite.
"Auto nuova?" domandò Mei.

"Sì, e non intendo portarla a lavare e disinfettare."
"Anche io ho una Sportage, ma è il modello precedente al tuo. Posso darci un'occhiata?"
"Accomodati."
"Sì, dacci un'occhiata prima che la battezzi." ridacchiò DeathMask.
Aphrodite assottigliò lo sguardo.
"Finiscila, o potrei decidere di battezzare il mio nuovo bisturi sul tuo cranio."
Milo seguì Shaina e si accomodò nei sedili posteriori.
"Dai Camus, muoviti."
"Piaciuto il tour?" scherzò Aphrodite, quando vide Mei tornare alla propria auto.
"Sì e no, non sopporto il cambio automatico. Mi piace avere il controllo del mezzo che guido."
"A proposito di mezzi, io farei attenzione agli interni del tuo." le disse Aphrodite, indicandole Milo con un cenno.

"Anche fosse, dopo se la vedrebbe con Dohko, quindi... Cam? Tutto bene?!"
"Sì, adesso passa, mi sa che si è addormentata la gamba."
"Questo è il karma." biascicò Milo.
"...e perché, scusami?"
"Perché tu ci hai presi in giro mentre cantavamo."
"Sei insopportabile quando sei ubriaco." lo riprese Camus.
"Tu lo sei anche da sobrio."
 
*
 
Se Camus e Lixue erano in vacanza, lo stesso non si poteva dire di Mei; aveva preparato loro la colazione, rapida come sempre, e aveva chiesto a Milo di accompagnarla col teletrasporto a Parigi preferendo non svegliare nessuno.
"C'è stato un imprevisto con la scaletta per l'inaugurazione del nuovo anno di lezioni."
"Beh, buongiorno capo." rispose Mei. "Definisci imprevisto."
"Niente di grave, il tuo intervento è anticipato. So che non ti piace parlare in pubblico e avresti preferito parlare per ultima o non parlare affatto, ma Koichi non può più partecipare e al posto del suo intervento ho dovuto improvvisare qualcosa: io allungherò la dimostrazione di karate e tu... dovresti parlare un poco di più del taijiquan. Che so, impressioni personali, esperienze..."
"Dovrò cambiare il mio discorso..."
"Pensi di poterci riuscire?"
Inspirò profondamente e mise su un bel sorriso.
"Ovviamente sì."
"Perfetto, grazie. Ah, i documenti per la maternità sono pronti, prima di firmarli puoi farli leggere al tuo avvocato." rispose Sheng, lasciandola entrare nello spogliatoio femminile.
Ripose tutto nel borsone, appuntandosi mentalmente di far leggere le carte a Shura –ancora una volta- e apprestandosi ad affrontare la giornata di lavoro.
 
"Mei?"
Si fermò a metà del quinto movimento e si girò verso Sheng.
"Si?!"
"Tua figlia ti aspetta al telefono."
Guardò l'orologio sul cellulare, posto su una mensola accanto agli attrezzi, e sbuffò appena.
"Non potresti chiederle di telefonarmi fra mezz'ora? Manca ancora un po' alla fine della lezione."
"Credo sia urgente, stava piangendo. Ho cercato di tranquillizzarla ma è davvero disperata."
Mei si scusò con le sue allieve e le invitò a tornare nella posizione iniziale per non stancarsi, quindi si avvicinò al suo capo.
"Sono spiacente, le avevo detto di telefonare al dojo solo se strettamente necessario."
"Stai tranquilla, ti sostituisco io."
"Riprendi dal quinto movimento e non le stressare troppo, un paio di loro sono vicine al termine." sussurrò Mei, prima di voltarsi verso le allieve facendo il saluto rituale. "Mi scuso con voi, ci vediamo alla prossima lezione. Grazie, Sheng."
Uscì dalla sua sala e si diresse al bancone, prendendo la telefonata.
"...dimmi, tesoro. Se piangi non capisco nulla... prendi un bel respiro e calmati." la esortò, cercando di tenere a bada l'agitazione. "Che cos'è successo, ti sei fatta male? Dove...? Come sarebbe a dire che hai mandato papà in ospedale?"
 
Quando Milo la sentì armeggiare con la serratura, si affrettò ad aprirle la porta di casa trovandosela davanti agitata, come aveva previsto.
"Certo che tua figlia è proprio una gran zuccona: le avevo detto di aspettare e di non telefonarti subito, che era una cosa da niente... un momento...come accidenti fai ad essere già qui?!" le domandò, sgranando gli occhi prima di guardare l'orologio. "Dimmi che non hai guidato come una furia nelle tue condizioni..."
"Allora non te lo dirò. Che cos'è successo? Come stanno?"
"Aspetta, faccio io." le tolse le chiavi di mano, chiuse la porta a doppia mandata e la seguì verso la camera. "Stai tranquilla, niente di grave. Camus e Hyoga volevano portare Lixue alla pista di pattinaggio del centro commerciale, ma l'hanno trovata chiusa per manutenzione. Così ne hanno creata una fuori dalla palestra e... nulla, hanno iniziato a fare i cretini con Lixue, tutti impegnati a fare saltelli e giravolte. Non ho visto esattamente cos'è successo ma ho visto Camus andare lungo e disteso sul ghiaccio."
"...lascio soli quei due un paio d'ore ed ecco che succede. Ma perché in ospedale? Ha battuto la testa?"
"No, la testa non ha niente, credo si sia dislocato la spalla cercando di frenare la caduta. Prima che venissi qui Aphrodite mi ha sommariamente spiegato che si trattava di appendicite e Lixue è convinta che sia stata lei a far finire Camus in ospedale."
"Che sciocchezza." esclamò Mei dalla camera, infilando la divisa nel cesto dei panni sporchi "Dov'è adesso?"
"L'ho lasciata con Dohko alla settima casa."
"E Camus?"
"Stavo per mandare un messaggio ad Aphrodite quando sei arrivata. Camus è ancora in sala operatoria, quindi hai tutto il tempo di farti una doccia. E Mei? Fai con calma, che se ti fai male Camus mi fa lo scalpo."

"Voi due dovreste smetterla di trattarmi come una bambolina di porcellana." si lagnò Mei, chiudendosi nel box doccia. Che giornata. Prima la richiesta di Sheng, poi i due ragazzini che si erano accapigliati durante la lezione, quindi la telefonata di Lixue.

"Non ti ho sentita, prima hai detto qualcosa?"
"Sì, che dovreste smetterla di trattarmi come un oggetto pronto a rompersi al minimo alito di vento." gli rispose, assicurando con un elastico la treccia con la quale aveva raccolto i capelli umidi. "Sono più resistente di quel che pensate."
Nel frattempo, Camus era uscito dalla sala operatoria e, secondo la risposta di Aphrodite, era già stato sistemato in una stanza privata, dove avrebbe trascorso la degenza.
"Phro dice che è appena uscito dalla sala di risveglio e che è stato portato in camera... dice anche che possiamo entrare, lui ci raggiunge subito."
Una stanza singola, piccola e luminosa; superato il fastidio per il tipico puzzo di disinfettante, Mei entrò e si avvicinò al letto facendo attenzione ai monitor e le apparecchiature, mentre Milo chiedeva informazioni all'infermiera dietro il bancone.
Semidisteso nel letto e coperto fino allo stomaco, Camus aveva ancora indosso la cuffia e la mascherina dell'ossigeno; un tutore fermava la sua spalla attraversando il petto e al braccio sinistro erano collegate una serie di sacche.
Il solo rumore nella stanza, a parte il respiro regolare di Camus, erano le pulsazioni del segnale ecg.
"L'ultima volta che l'ho visto così inerme è stata..." iniziò Mei a bassa voce, interrompendosi e scacciando dalla mente le immagini di anni prima, dopo la scalata del Santuario "...miei dèi, questi cosi mi mettono i brividi." aggiunse, indicando con un cenno i monitor.
"...perché mai? Finché senti questi rumori significa che tutto va bene." interloquì Aphrodite, arrivando. "Camus è stato assegnato a me, ma se vuoi stare più tranquilla puoi comunque rivolgerti al mio responsabile. Dunque... non c'è niente di cui aver paura, guarda: qui e qui pressione e frequenza cardiaca, qui c'è il settore riguardante il sangue e qui c'è la saturazione. Da quel che vedo i parametri di Camus sono ottimi e se non sbaglio dovrebbe essere vicino al risveglio. Hai domande da farmi?"
"Sì, una. Cosa diavolo è successo? Stamattina mi ha accompagnata al lavoro ed era ancora tutto intero."
Prima che potesse risponderle, Camus si mosse e socchiuse appena gli occhi.
"...mia."
Mei si chinò immediatamente verso il compagno mentre Aphrodite gli toglieva la mascherina dell'ossigeno.
"Cosa? Ma che accidenti combini? Non posso lasciarti solo che ti ficchi nei guai. Cos'è successo?" gli domandò, carezzandogli una guancia.
"E' colpa mia. Temo di aver sottovalutato un certo problemino per troppo tempo." le spiegò sommariamente, con voce rauca.
"Ah, un'appendice infiammata tu lo chiami problemino?" replicò Mei. "E quanto tempo hai taciuto questo dettaglio?"
"Ricordi quando il mese scorso sono tornato tardi? Io e Milo non abbiamo aspettato mezz'ora in autostrada perché pioveva, ma perché non riuscivo a muovere la gamba."
"Che stupido."
"Mi è successo anche l'altro giorno. E in più… ho dato di stomaco e ho liquidato il tutto senza dargli troppa importanza: credevo fosse colpa della cena thai."

"E se si fosse perforata?"
Camus represse un colpo di tosse, con una smorfia.
"Non fare la pessimista, non è successo: sarò fuori di qui prima del 31 dicembre."
"Questo lo lasci decidere a me, Monsieur La-Rochelle." lo prese in giro Aphrodite, compilando qualcosa nella sua cartella. "Allora, come va?"
Camus inarcò un sopracciglio, mentre Aphrodite scribacchiava.
"Mi brucia la gola, continuo a tossire –cosa che mi fa un male cane- e ho un tubo infilato in un posto dove un uomo non dovrebbe mai avere un tubo."
"Uhm... paziente ben orientato, risponde in modo appropriato, anzi risponde nel suo solito modo irritante. Sì, direi che stai bene." annuì l'altro. "La tosse è piuttosto comune dopo un intervento, è un meccanismo di difesa. La gola ti brucia per via dell'intubazione e... beh, se ti fa piacere posso toglierti il catetere e chiedere in prestito un pacco di pannoloni da geriatria. Oh, non fare quel gesto volgare, non è da te."
Così come non era da lui finire in ospedale per una cosa di quel genere.
"Mi spieghi come accidenti hai fatto a scivolare sul ghiaccio e fracassarti?" domandò Mei, di punto in bianco. "Proprio tu? E' come se Ikki finisse in ospedale con delle ustioni di terzo grado."
"E' colpa mia." intervenne Lixue, ferma sulla porta insieme a Shaina. "Ho sfidato papà a fare un salto."
"Bravi, tutti e due. Che ti è saltato in mente?! Chi pensavi di essere, Plushenko?"
Un'altra smorfia.
"Per Athena. Non so se soffro di più per la spalla, per la ferita o per la tua pessima pronuncia." finse di lagnarsi Camus.
Inarcando un sopracciglio, Mei socchiuse gli occhi.
"Bada, potrei inavvertitamente strattonare il catetere."
"Non strapazzarlo, è ancora debole." la riprese Aphrodite. "Anzi, seguimi un minuto, ci sono alcune scartoffie da firmare. E tu, signorina, corri ad abbracciare tuo padre, ne ha bisogno. Ma attenta ai tubicini!"
Mei sbuffò, ripiegando il cappotto sullo schienale della sedia e frugando in borsa alla ricerca del telefonino prima di seguire l'amico.
"E va bene. Come ha fatto a passare da una dislocazione all'appendice?!"
"Direi piuttosto che è stato il contrario. Ma non ha importanza, la spalla adesso è a posto e l'appendice è imbarattolata e pronta per i rifiuti organici."
"Davvero?"
"Davvero."
"Cioè... è come si vede nei telefilm? Un barattolo ermetico zuppo di formaldeide nella quale fluttua l'organo tolto?"
"Tu guardi troppi serial medici, Mei. Non è proprio così. Non qui almeno." le rispose, divertito.
"Oh, dai. Non fare il guastafeste, so che da qualche parte avete uno stanzino con queste cose nascoste."
"E va bene. Alcune cose le teniamo sotto conservante per ragioni di studio."
"Quindi hai anche l'appendice di Camus? Posso vederla? Dai!!"
Aphrodite corrugò la fronte.
"...tu non vuoi davvero vedere l'appendice infiammata di tuo marito."
"Te l'ho appena chiesto."
Lui ridacchiò.
"Influirebbe sulla vostra vita sessuale e sulla tua psiche, dammi retta."
"Sulla mia psiche?" ripeté Mei, esterrefatta. "A undici anni ho visto i resti dei miei genitori su un tavolo dell'obitorio, a diciotto ho visto i cadaveri di cinque persone –una delle quali sta parlando con me e l'altra è nel letto di là- e a ventisei ho scoperto di aver perso un fratello. Dimmi, esattamente come potrebbe, un'appendice, influire sulla mia psiche?"
"Beh, se la metti così... sono comunque spiacente, non posso farti entrare nella saletta dove custodiamo certe cose." le rispose. "Dovrai aspettare finché non la farò vedere a Camus. Se non ci saranno complicazioni lo dimetteremo tra un paio di giorni."
Mei annuì, stanca.
"D'accordo."
"Sicuramente passerà anche il mio responsabile, ma se mi concedi ancora cinque minuti ti parlerò della terapia da seguire a casa, sia per la spalla che per il resto. Torna da Camus, vi raggiungo subito."

Lixue scese dal letto non appena vide la madre rientrare, sedendosi sulla sedia dalla parte opposta della stanza e lasciando i due genitori liberi di parlare.
"Che giornata." commentò Camus. "Era partita così bene... ed è finita con un'operazione in anestesia totale e un'accidenti di infermiera che col rasoio mi ha fatto letteralmente vedere le stelle."
Corrugando la fronte, Mei sollevò il lenzuolo e sgranò gli occhi.
"Oddèi!" esclamò. "In effetti ti ha tagliato."
"Pure. Mi sento nudo." si lagnò Camus, tirandosi il lenzuolo al petto con il braccio sano. "Mi sento un pulcino spelacchiato."
"Non per sottolineare l'ovvio, ma sei nudo."
"Lo so. E avrei preferito non farmi vedere in questo stato."
"Oh, andiamo... a casa non fai il vergognoso."
"...a casa non ho un tubo infilato dove non batte il sole." sussurrò lui, per non farsi sentire dalla figlia.
"Allora vorrà dire che ti darò il permesso di sbirciare nel mio addome quando sarò sul tavolo operatorio." ridacchiò Mei, sistemando il lenzuolo senza sbirciare ulteriormente.
Aphrodite rientrò con una nuova sacca per la flebo e un barattolino.
"Ho sentito che assisterai al parto. Coraggioso." commentò. "E un po' incosciente anche, dato che sei svenuto a una semplice ecografia."
Camus roteò gli occhi.
"Oddèi, l'hai detto proprio a tutti eh?"
"Certo, gli eventi memorabili vanno condivisi."
"A proposito di eventi memorabili, la tua appendice stava per diventarlo." interloquì Aphrodite, posando davanti a Camus un barattolino. "Mancava davvero poco e si sarebbe perforata."
Camus prese il barattolo e lo guardò con un misto di curiosità e... disgusto.
"Figo!! Sembra una salsiccia alla brace che si è cotta troppo!" esclamò Mei, provvedendo a fare un paio di foto al contenuto del barattolo. "Oddèi, la tua espressione in questa foto è impagabile!"
"Figo?"ripeté Camus. "...grazie per l'immagine che mi hai regalato, Mei. D'ora in poi non mangerò mai più una salsiccia in vita mia."
"Noioso." borbottò Mei.
"Buoni, voi due. Vado a chiamare il mio responsabile."
Mei si avvicinò un po' di più al barattolo, osservando con attenzione.
"Peccato non poterla portare a casa!"
"Ti prego, sto per mettermi a vomitare... a proposito di casa, mi raccomando stasera chiudi bene la porta: non sono tranquillo a sapervi da sole."
"Perché, scusa, credi forse che io e Lixue torneremo a Parigi? Neanche per sogno." replicò Mei. "Io trascorrerò la notte qui e Li dormirà da Dohko, o da Milo."
Uno sbuffo da parte di Camus.
"No. Prima di tutto perché sei incinta, secondo perché domani lavori. Non ho sei anni e non ho subito un intervento a cuore aperto, quindi non è necessario che tu rimanga qui. E poi, Phro ha detto che è di turno stanotte, in caso di problemi sarà lui a chiamarti." fu la sua ferma replica. "Questa cosa non è negoziabile quindi non provarci nemmeno a protestare, d'accordo?"
"Sì, va bene."
"Bon. Dai, vai a casa... ti vedo molto stanca. Vai a dormire, ci vedremo domani quando avrai finito di lavorare. Ricordati che devi anche finire il tuo discorso."
La festa del dojo... per un attimo l'aveva dimenticata.
"No. Devo rivedere e forse riscrivere il mio discorso." annuì. "Ma comunque hai ragione, ci vediamo domani."
"À demain." le rispose, facendole cenno di avvicinarsi. "Non prendertela con Lixue, è colpa mia se ho la spalla fasciata, avrei dovuto comportarmi da adulto."

"Perché, l'ho forse incolpata di qualcosa?"
"Adesso no, ma sei fredda con lei da giorni, da quando ti ho parlato del pattinaggio."
Levò ancora una volta gli occhi al cielo.
"Miei Dèi." sbuffò. "Avete macchinato tutto alle mie spalle, è questo che mi ha dato fastidio. Non sono fredda con nessuno: ve ne accorgereste, tutti e due, se fossi fredda con lei."
Aphrodite entrò nella stanza, interrompendoli.
"L'orario di visita sta per terminare, Mei."
"Esco subito. Lixue, prendi le tue cose."

"Salvata in corner." commentò Camus, inarcando un sopracciglio.
"A domani, allora."
"D'accord.
On va en parler demain." [D'accordo, ne parleremo domani.]
"Sai, ti porterei una girella all'uvetta ma per ovvi motivi non potresti mangiarla, quindi niente. Vorrei tanto, ma niente. La mangeremo noi al posto tuo."
"Va t'en, sorcière." [Vai via, strega]
 
Poche ore più tardi, mentre Lixue e suo padre parlavano tramite videochiamata, Mei, nello studio di Camus, correggeva il proprio discorso.
"Che giornatina, mh?"
Sollevò lo sguardo su Milo, fermo sulla porta.
"Non mi dire che Camus ti ha chiesto di farmi da balia."
"Non proprio. Ma non si sentiva tranquillo a sapervi qui da sole, quindi eccomi qua." rispose Milo. "La stanza degli ospiti la conosco, quindi..."
"Ah beh, per un attimo ho temuto volessi dormire insieme a me."
"Ti piacerebbe."
Mei scosse la testa, divertita.
"Muoviti, casanova, ho del lavoro da terminare."
Fuori dallo studio, Milo incrociò Hyoga.
"Che ci fai qui?"
"Camus mi ha assunto come guardia del corpo." scherzò Milo, facendo spallucce e indicando Mei con un cenno.
"Che testone, che motivo aveva di disturbarti se in casa ci sono già io..."
"Uh, allora sì che sono in una botte di ferro." replicò Mei.
Hyoga si finse offeso.
"Guarda che sono valido tanto quanto lui!"
"Insomma, Mei, non ti accontenti mai... hai ben due Saints pronti a difenderti e non ti bastano?"
"Ma davvero? E dov'erano questi due Saints quando mi sono piombati tre specter in casa e ho dovuto ricorrere alle mie arti marziali per difendere me, mia figlia e Shunrei?"
"Quante storie, erano tre banalissimi soldati semplici!" la corresse Hyoga.
"Sai, non ho avuto tempo di chiedergli il grado, ero impegnata a salvarmi la pelle!"
Milo corrugò la fronte.
"Oh, beh... io ero insieme a Mu e Aiolia a fare pelo e contropelo a Rhadamanthis."
Hyoga proruppe in un colpo di tosse.
"Eri lì a farti massacrare, vorrai dire."
"Questione di punti di vista."
"Ragazzi... per me potete fare quel che vi pare, basta che mi lasciate lavorare."

E riflettere. Aveva parecchio da fare su entrambi i fronti.
 
***
 
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 7 aprile 2016]
-Il titolo è un riferimento all'episodio n°8 della nona stagione di Grey's Anatomy.
"Giuro che se quella bambina è sua figlia, permetterò a Camus di chiamare Albert uno dei bambini." le sussurrò.
"...eeeew." Shaina storse la bocca in una smorfia. "Che gusti barbari."
"Poteva andarmi peggio, credimi. Anziché Albert, avrei corso il rischio di chiamarlo Fëdor." -- questa parte fa riferimento al loro primo incontro, quando, dopo essersi presentati, Camus le disse che, per sua fortuna, sua madre non apprezzava Dostoevskij, ma Albert Camus.
-"C'è che stavolta hai vinto tu." gli rispose lei. "Albert. Va bene anche questo nome, se ti fa piacere. Però spero proprio che nostro figlio non faccia la fine dell'uomo che vuoi omaggiare e non muoia a quarantasette anni contro un platano." -
- stessa cosa qui: Mei si riferisce ad Albert Camus, che morì nel 1960 a soli quarantasette anni, in un incidente stradale.
-Camus, esattamente come l'attore al quale faccio riferimento quando lo "immagino" nei miei film mentali, è nato mancino ma, crescendo, ha imparato grazie al suo Maestro a usare entrambe le mani per scrivere e svolgere le azioni quotidiane. Tuttavia, pur dichiarandosi impropriamente ambidestro (non lo è), Camus preferisce usare la mano sinistra.
-I Panorami mozzafiato ai quali Mei scherzosamente si riferisce sono le grazie del suo attore preferito, che nei film che ho citato si vedono in qualche scena.

-La scena nel karaoke è tratta da una mia oneshot pubblicata qualche mese fa, questa.
-Tony Hadley è il leader degli Spandau Ballet e Pljuščenko (che Mei pronuncia malissimo) è un grandissimo pattinatore russo.
-La reticenza di Mei nel cantare certe canzoni dei Kiss è dovuta al fatto che questi ultimi, oltre ad aver cantato splendide rock ballad dense di romanticismo, hanno anche cantato parecchie canzoni piuttosto... come dire... allusive. La canzone che Saga intona per scherzo e che fa scattare Mei, ad esempio, è uno di quei brani.
-Per la scena all'ospedale e le spiegazioni di Aphrodite ho consultato diversi siti medici. Spero sia tutto esatto.
 
Capitolo un po'... filler, diciamo, in attesa di quelli nuovi. Grazie a chi continua a leggere e chi recensisce (rispondo in ritardo, ahimè, ma è sempre, sempre una cosa apprezzata!)
 
Lady Aquaria


 

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Capitolo 29
*** Fear (of the unknown). ***


29.
Fear (of the unknown)
 
"Stai ancora scrivendo?"
"Sì."
"E sei ancora nello studio?"
"Sì, ma sto per andare a letto."
Camus attese qualche istante per scriverle la risposta.
"Nel cassetto centrale c'è un libro nel quale ho appiccicato un post-it; segui le indicazioni."
Mei chiuse il quaderno infilando la penna nel mezzo per non farlo chiudere, quindi aprì il cassetto e il libro che Camus le aveva indicato.
Khalil Gibran, Il Profeta: una copia tenuta come sempre in ottimo stato e rivestita con una sovracopertina trasparente; dalle pagine spuntava un adesivo giallo fluorescente a forma di freccia che le indicava un certo paragrafo.
"...e una donna che aveva al seno un bambino disse: parlaci dei figli, ed Egli rispose: i vostri figli non sono figli vostri, sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri..."
Richiuse il libro e lo ripose dove l'aveva trovato, appoggiandosi poi allo schienale della poltrona e avviando una videochiamata dal cellulare.
"C'è forse qualcosa che intendi dirmi?"
Dall'altra parte dello schermo, Camus parve cadere dalle nuvole.
"Non lo so, a dire la verità sei tu quella che ha chiamato per prima."
"Giusto." convenne Mei. Riprese il libro e glielo mostrò attraverso la videocamera. "Éditions Gallimard. E dimmi, rientra nei benefit concessi ai dipendenti o acquisti apposta libri della tua casa editrice per tenere alto il fatturato aziendale?"
"Quel libro lo acquistai prima della mia assunzione."
"Ah ecco. Sai, riesco a immaginare la faccia del tuo datore di lavoro quando ha letto il tuo nome sul curriculum: Camus. Chissà perché mi suona familiare... ah! Certo! Abbiamo già avuto un Camus in azienda!"
Da parte sua, Camus scoppiò a ridere.
"Il mio nome completo lo conoscono solo alle risorse umane, per tutti sono Alexandre."
"Ti stavo prendendo in giro."
"L'avevo capito, per questo ho ignorato il sarcasmo e ti ho risposto. Lo fai sempre quando sei arrabbiata per qualcosa. Sputa il rospo."
"Parlo del libro e del passaggio evidenziato. Dunque, permettimi di riformulare la domanda che ti ho fatto poco fa: vuoi dirmi qualcosa?"
"Sono certo che tu abbia già capito da sola che cosa intendevo dirti con quel passaggio in particolare."
Sospirò appena, massaggiandosi lo sterno con una smorfia.
"Reflusso? Dovresti riposarti di più ed essere meno ansiosa."
"A-ha. Carina questa." ridacchiò Mei. "Come se potessi sul serio calmarmi, incinta e con un marito in ospedale e una bambina iperattiva."
"Oh, ti prego, sii meno melodrammatica. Prendi una camomilla e rilassati."
"La camomilla mi fa innervosire."
"Credo tu sia l'unico essere umano al mondo al quale faccia tale effetto."
Non era solo la camomilla a farla innervosire.
Parlò ancora qualche minuto con Camus, quindi spense telefono e pc e andò in camera, incrociando Milo sulla porta della stanza degli ospiti.
"Tutto bene?"
"Magnificamente bene." replicò, con una punta di ironia. "Kaliniktà."
 
"Posso dormire con te, mamma?"
Senza dire una parola, Mei scostò le lenzuola dalla sua parte, permettendo alla figlia di distendersi accanto a lei.
"Stai ancora facendo i compiti per il tuo lavoro?"
"Si."
"Posso leggere?"
Sospirò appena.
"Non sto scrivendo in russo, Lixue."
"Lo so, tu non lo parli."
"Dunque riesci ancora a leggere in cinese. Pensavo che oltre al judo avessi abbandonato anche la lingua dei tuoi antenati in favore di qualcos'altro." la riprese, maledicendo la sua impulsività. Non doveva sfogare la sua frustrazione su sua figlia, lo sapeva benissimo. Ma iniziare un discorso di quel genere con Camus equivaleva a scatenare una polemica lunghissima e pressoché sterile.
Il visetto di Lixue si scurì.
"Allora è vero che sei ancora arrabbiata."
"No, non lo sono. Sai che cos'è una delusione, Lixue?" quando la bambina le rispose con un cenno negativo del capo proseguì "Succede quando una persona si aspetta certe cose e queste cose non accadono più: è come se tu chiedessi a tuo padre una tavoletta di cioccolato e lui, invece, ti portasse una melanzana. Quante volte ti ho detto che con me avresti potuto parlare di qualunque cosa? Non ti ho mai obbligata a praticare judo. Se non volevi più seguirlo, se volevi abbandonarlo per il pattinaggio perché lo preferivi, avresti potuto dirmelo, e io avrei capito. Pensavo fosse giusto iniziarti alle arti marziali per trasmetterti i loro valori e per permetterti di difenderti in caso di pericolo: là fuori il mondo non è come quello delle fiabe che tuo padre ti legge la sera, figlia mia. Il mondo è bello, ma non ci sono solo persone buone, esistono anche i cattivi, ed è da loro che io cercavo di proteggerti. Sei libera di fare quel che vuoi, tesoro, solo avrei preferito che tu me ne parlassi, come avresti fatto una volta. Non è mai bello fare qualcosa di nascosto."
 
*
 
Quando Milo entrò nella stanza d'ospedale, trovò l'amico sveglio, intento a fare zapping.
"Se la peperonata di DeathMask ha questi effetti, giuro che non toccherò mai più niente cucinato da lui." ridacchiò, ottenendo la sua attenzione.
"In effetti quella ha aiutato." rispose Camus, mentre l'amico, con indosso ancora l'uniforme, si disinfettava le mani con il gel apposito posto sul lavandino. "Trascorri la tua pausa con me anziché con i tuoi colleghi? Sono commosso."
"Visto che bravo amico sono?" scherzò Milo, stringendogli la mano sinistra. "Appena finisco il turno andrò a prendere Mei e Lixue e le porterò qui."
"A proposito, tutto bene?"
"Sì, ho dormito nella stanza degli ospiti e le ho lasciate stamattina dopo colazione. Lixue ha raggiunto sua madre prima che andassi a dormire e le ho sentite parlare, ma non chiedermi che cosa si sono dette perché parlavano in cinese. Da quanto ne so ha dormito in camera vostra. E tu?"
"Io... beh, come vedi sono pieno di flebo, la spalla destra mi fa un male cane e in più ho una fame tale che potrei mangiare un bue e... Aphrodite fa il poliziotto cattivo impedendomi anche solo di bere un sorso d'acqua. Non mi piace la vita da malato."
"Oh, non fare il lagnoso, c'è chi sta peggio di te: entrando qui ho visto scendere da un'ambulanza un tizio praticamente ricoperto di sangue."
"So perfettamente che sono fortunato rispetto a tanti altri. Ma non mi piace stare qui." replicò Camus: sentiva il bisogno di farsi una doccia e, soprattutto, mangiare. Peccato che Aphrodite era stato chiaro in merito: durante la degenza –avrebbe dovuto sopportare altri due giorni là dentro- avrebbe osservato il totale digiuno, interrotto solo sotto parere medico e solo attraverso alcuni tipi di cibo solido, a casa invece avrebbe seguito una dieta specifica che per almeno una settimana gli avrebbe impedito di consumare gran parte dei suoi cibi preferiti.  
Un inferno, in parole povere:
"Cibi in bianco e con pochi condimenti, quindi la salsa di tua moglie la puoi anche scordare. Per il momento ti sconsiglio pomodori, peperoni e carne rossa, perché irritano. Il mio consiglio da medico è di mantenere una dieta leggera per almeno un mese per consentire al tuo intestino un completo recupero. I punti provvederò io stesso a levarteli, tra circa una settimana. Ci sono domande?"

Aveva preferito non farne.
Milo ridacchiò appena, quindi guardò incuriosito il depliant sul comodino: una specie di questionario relativo alle impressioni sulla degenza ospedaliera.
"Pensa un po'. Un sondaggio relativo alla tua degenza..."
"Sì, per il momento preferisco ignorarlo." rispose Camus, mentre Milo leggicchiava, a voce bassa, le domande, ridendo qua e là.

"E' anonimo, perciò se vuoi polemizzare puoi farlo tranquillamente."
Camus si finse pensieroso.
"Vediamo... potrei scrivere che è una bella struttura e che le camere sono perfettamente pulite, che il personale medico è molto competente e che il bagno annesso alla stanza è ineccepibile..."
"Guarda che è un sondaggio interno, non una valutazione per TripAdvisor."
"...aspetta, dovevo ancora arrivare ai ma."
"Ah ecco, mi pareva."

"...e le saponette monodose all'olio d'oliva hanno un buon profumo. In generale il soggiorno presso quest'ospedale è discreto, e se siete fortunati abbastanza, in omaggio con le saponette anche una depilazione integrale che ti causerà irritazioni nei giorni successivi all'operazione." concluse Camus, caustico.
Milo gli scoccò un'occhiata.
"Meno dettagli, Cam."
"Perché non ci sta tutto sul foglietto?"
"No, con me meno dettagli, grazie."
"..."
  
*
 
"Cosa ci fai qui?"
"Ciao anche a te." Shiryu si avvicinò alla sorella e le posò un bacio sulla guancia, prima di elargirne uno alla nipote. "Tutto bene? Sono passato per vedere come state."
"Tutto bene, grazie." rispose Mei, evasiva, tornando a prestare attenzione a Camus, dall'altra parte del telefono. "Sì. . D'accordo... à plus tard. Moi aussi."  
Shiryu si guardò intorno in cucina, adocchiando un cestello di bambù pieno di jiaozi; preso un paio di bacchette, ne prese uno e iniziò a mangiarlo a piccoli morsi.
"Camus come sta?"
"Si sta riprendendo." replicò Mei sulla difensiva, infilando nel borsone aperto sul tavolo un tablet, due caricabatterie e dei vestiti di ricambio.
"...e la crema per le irritazioni da pannolino a che cosa gli serve?" ridacchiò Shiryu. "Mi sembra un po' grandicello."
"Dato che l'hanno operato quasi d'urgenza, durante la preparazione chirurgica l'hanno praticamente rasato a secco."
Di riflesso Shiryu strinse le gambe, prorompendo in una smorfia.
"Ahia."
"Shunrei sta meglio? L'altro giorno l'ho vista piuttosto stanca." Mei preferì cambiare discorso. "Si sta riposando abbastanza o la fai sgobbare come sempre?"
"Shunrei fa il giusto, non sta esagerando."
Mei scosse la testa.
"La fai sgobbare come sempre." sospirò. "Perché mai te l'ho chiesto, visto che so già la risposta? Una gravidanza come la sua non è da sottovalutare, a maggior ragione se il bambino è più grande del normale."
"Non si sta stancando, te l'assicuro."
"Non si stancherebbe se tu l'aiutassi. In fondo alle braccia hai due mani, puoi usarle, ti assicuro che non si rompono facilmente."
Shiryu prese un piatto dalla credenza e si servì di un altro paio di jiaozi, quindi richiuse il cestello e posò sul tavolo una busta rossa.
"Che cos'è?" domandò Mei, prendendola. Una bella busta, di carta pesante e intagliata a formare un ricco decoro in stile cinese al cui interno un cartoncino con due sposini stilizzati e abbigliati nei ricchi abiti nuziali annunciava il matrimonio di suo fratello.
Con tre mesi di anticipo sulle previsioni precedenti.
"...il diciotto marzo? Non avevate deciso per l'otto giugno?" domandò Mei, incredula.
"Abbiamo calcolato le date più propizie e marzo era la più favorevole. Altrimenti ci sarebbe stato l'otto o il diciotto maggio, ma dubito ci saresti stata."
"Per allora sarò in ospedale, e comunque conoscendo Camus non mi farà alzare un dito in quei giorni, figurarsi viaggiare."
Shiryu si alzò da tavola e posò il piatto sporco nel lavello.
"...hey, niente piatti sporchi nel lavandino. Lo lavi e lo riponi."
"Come?!"
"Hai sentito. Prendi quella spugna, ci versi su un goccio di detersivo, lavi e sciacqui il piatto e lo riponi su quel gocciolatoio." lo riprese Mei. "E fai attenzione, è uno dei piatti russi di mio suocero."
"Oh, perdindirindina." le fece il verso, seguendo le direttive e posando il piatto dove Mei gli aveva ordinato.
"E niente prese in giro, è un servizio di piatti che per Camus ha un valore inestimabile."
Shiryu si soffermò davanti al pensile con le ante di vetro dove Camus -e precedentemente  suo padre Alexandre- custodiva le sue suppellettili preferite.
"Quante storie per un piatto, con trenta euro ti ricompro il set completo."
Hyoga, appena rientrato dall'università, entrò in cucina in quel momento posando un sacchetto davanti a Mei.
"Con trenta euro ci comperi l'imballo." ridacchiò. "E forse nemmeno quello, considerando quanto costa un servizio di San Pietroburgo. Uno stipendio, se basta."
L'altro per poco non rimase a bocca aperta.
"Che sciocchezza."
"Privjet." Hyoga salutò Mei. "Passando davanti alla pasticceria ho visto questi macaron ai Fiori di Ciliegio e ho pensato subito a te."
Mei scartò l'involucro di velina con la contentezza di una bambina.
"C'è chi si eccita di fronte al sacchetto di Cartier, e chi di fronte a quello di Ladurée. Perfortuna Mei si accontenta del secondo." scherzò Hyoga.
"I diamanti non si mangiano, i macarons sì."
Shiryu inarcò un sopracciglio ma non aggiunse nulla.
"Io torno alle mie incombenze, devo studiare. A presto." disse loro, prima di dare un secondo bacio a Mei e tornare a casa.
"...ancora non ha finito?" domandò Hyoga, poco dopo.
"Cosa, gli studi? No."
"Ma... sbaglio o anche il suo è un corso triennale?"
Mei sospirò.
"Non sbagli, è che è fuori corso di un anno perché due anni fa ha partecipato a un campionato molto importante." spiegò.
Un'assurdità bell'e buona, pensò Hyoga, guardandosi bene dall'esprimere la sua opinione ad alta voce.
"E tu? Come va l'università? So che ti manca poco alla Laurea."
Il ragazzo le mise davanti un libretto rilegato, quindi si servì una tazza di tè dalla teiera sopra il samovar, sbuffando.
"Oggi mi sono liberato di un esame piuttosto importante e complicato ma... anche se non sono soddisfatto del voto, non me la sono sentita di rifiutarlo per ripresentarmi al prossimo appello."
Mei corrugò la fronte, sfogliando il libretto universitario di Hyoga e scoprendo con sorpresa che il voto che lo dispiaceva era un quindici.
"Hai preso un quindici e non sei contento?"
"No."
"..."
"Che c'è? Mi rovina la media."
"La maggior parte dei tuoi compagni ucciderebbe per avere i voti di questo libretto e tu osi lamentarti di un quindici? Ma smettila, buon cielo."
"Spero che non mi rovini troppo la media. Dovrò impegnarmi di più con la tesi per poter raggiungere il massimo." sospirò Hyoga. "Ma non parliamo troppo della mia Laurea, sono superstizioso. Piuttosto...come sta l'ammalato?"
"E' polemico e anche da un letto d'ospedale riesce a fare il simpaticone." rispose Mei, notando poi lo sguardo interrogativo del ragazzo. "Niente, lascia perdere. Si sta riprendendo."
"Ah bene, magari più tardi verrò con te in ospedale."
Così avrebbe potuto discutere con Camus della sua tesi e di quell'esame insoddisfacente che lo faceva preoccupare; una volta arrivati, attese con calma il proprio turno dopo Lixue e Mei, quindi, senza profferire parola, gli allungò il proprio libretto. Hyoga vide il maestro scrutarlo con interesse, soffermandosi su ogni voto.
"Diciassette sull'esame dedicato al grande Tolstoj." esordì Camus, dopo qualche minuto di religioso silenzio. "Perché non me l'hai detto? Sono colpito e anche molto fiero di te."
Mei ridacchiò mentre sistemava le cose di Camus sul comodino.
"Se è la sera che ricordo io, aveva ben altro da fare che non avvertire te." gli rispose.
Hyoga sorrise appena, ricordandosi che la sera dell'esame aveva raggiunto Freya e aveva festeggiato quel voto con lei e in quei momenti l'idea di avvertirlo non l'aveva nemmeno sfiorato.
"Aïe." esclamò quindi Camus, di punto in bianco.
"Ecco, lo sapevo."
"Suvvia, un quindici non è la fine del mondo, e sicuramente non ti rovinerà la media." sospirò Camus.
"Stupidaggini, certo che me la rovinerà. Tu non puoi capirmi dato che sicuramente non avrai mai preso un quindici in tutta la tua carriera."
Camus si fece pensieroso.
"In effetti... il voto più basso mai preso è stato un sedici, a un appello di tedesco. Un esame atroce, a essere sincero." rispose, accorgendosi poi delle occhiate dei due. "Uh?!"
"Come sarebbe a dire, il sedici come voto più basso?"
"Con la media del diciotto, per me sedici era basso... che cosa ti devo dire?"
Hyoga fece per replicare, poi ci ripensò.
"Bah... ti odio."
"Non vedi che ti sta prendendo in giro? Dai, diglielo che stai cercando di spronarlo." gli disse Mei, ricevendo in risposta un'occhiata poco amichevole.
"Ho plastificato e incorniciato l'intero pieghevole con la mia carriera universitaria, lo puoi vedere nel mio studio. Non dico sciocchezze quando dico che la mia media era tra le poche più alte della mia facoltà." replicò Camus, stizzito.
"Camus, stavolta il catetere te lo strappo sul serio." replicò Mei, con un sopracciglio inarcato.
A salvarlo fu il telefonino di Hyoga.
"E' il mio relatore, non posso riagganciare." si scusò, uscendo dalla stanza e lasciandoli soli.
"Dovrei parlarti di un paio di cose."
"Volevo dirti..." iniziò Mei, nello stesso momento. "Okay, hai iniziato tu."
Camus gettò una rapida occhiata a Hyoga che, in corridoio, parlava al cellulare.
"Stavo pensando a cosa regalare a Hyoga per la sua Laurea." le rispose. "Pensavo a un orologio, ma ho come l'impressione che sia...scontato."
Distogliendo lo sguardo dal suo libro, Lixue interruppe i due adulti.
"Zia Freya gliel'ha già comprato." interloquì. "Sono andata con lei in un grande negozio tutto dorato con le finestre verdi e una corona enorme!"
Di rimando, Camus sospirò.
"Se è il negozio che penso io, tratta orologi che io non posso neanche permettermi di guardare in vetrina." borbottò, tornando a guardare la moglie e abbassando sensibilmente la voce. "Minimo, sarà un cronografo che costa il triplo di quanto ho pagato la mia Mégane."
Lei ridacchiò appena.
"Non possiamo permetterci un Rolex, ma sono felice così: preferisco sudarmi lo stipendio ed essere una libera cittadina che una principessa piena di soldi, ma schiacciata da obblighi ed apparenze." replicò Mei. "Tornando al punto della situazione: e se gli regalassimo uno di quei pacchetti esperienze nei quali puoi scegliere se fare bunjee jumping, o che ne so, rafting, rally... oppure un pomeriggio trascorso in un circuito famoso a guidare a trecento all'ora una Ferrari o una Lamborghini? Sarebbe un ottimo modo per scaricare la tensione accumulata in anni di esami. E per evitare di dispiacere Freya, potremmo aggiungerne un altro con un'attività per due persone."
Gli sfuggì una risata.
"E dove mandare una principessa? Un weekend romantico in un castello? Una degustazione di vini raffinati? Un soggiorno in una Spa? Suvvia, Mei. Sono esperienze di ordinaria amministrazione per lei. Se esistesse un pacchetto: indimenticabile weekend a tema vivi per due giorni come un comune cittadino, ecco che cosa le regalerei."
Mei corrugò la fronte.
"Quante flebo ti hanno già iniettato?"
Camus cadde dalle nuvole.
"Cosa?!"
"Flebo di cinismo. Quante te ne hanno fatte?"
"Ah ah ah. Di cosa dovevi parlarmi?"
"No, seriamente. Parli della stessa persona alla quale intendi affidare i nostri figli quando sarò a lavoro?"
"Quelle sono due discussioni diverse. Di che cosa volevi parlarmi?"
Ripensò a quanto le aveva detto Shaina la sera di Santo Stefano e d'un tratto decise di lasciare ai diretti interessati il piacere di divulgare la notizia.
"No, nulla di così urgente, ne parleremo poi con calma a casa."
Hyoga rientrò nella stanza, gli occhi sgranati e un'espressione strana dipinta in volto.
"Oh no. Non dirmi che ti ha rifiutato la tesi."
Guardò il maestro con i lucciconi agli occhi.
"Non prendere impegni per il 20 aprile."
Probabilmente fuori di sé per la notizia, Camus partì in quarta a parlare russo con Hyoga, come faceva di solito quando era troppo emozionato per parlare nella sua lingua natia.
Mei intravide Milo in corridoio e decise di raggiungerlo lasciando i due da soli.
"Buon cielo che faccia." lo salutò, allegra. "Quel caffè è per me?"
"E' un latte macchiato decaffeinato." le spiegò, allungandole il bicchiere di polistirolo. "E ho questa faccia perché... thèos mou. Non riesco a parlarne con te, devo parlare prima con Camus."
Pensò subito al Santuario: era successo qualcosa. Un nuovo nemico? Sarebbero stati richiamati tutti per una nuova guerra? Avrebbe di nuovo corso il rischio di perdere Camus?
"...è per il Santuario? Cosa c'è che non va? Siete stati richiamati?"
Accorgendosi della sua faccia improvvisamente impallidita, Milo si affrettò a rassicurarla.
"Cielo, no! No, stai tranquilla. Riguarda me. Ma devo tassativamente parlarne con Camus, prima che con chiunque altro."
"Beh allora puoi entrare e parlargli, è di buon umore oggi: Hyoga ha annunciato la data della laurea. Povero, era così felice che non ho avuto il coraggio di ricordargli che l'attendono altri tre anni di specialistica."
Milo le sorrise, guardando con uno sguardo particolare il suo pancione.
"Una volta non ci avresti pensato due volte: la gravidanza ti sta ammorbidendo."
"Solo temporaneamente però: dopo tornerò a essere la solita Mei."
"Non era una critica, ti preferisco così." le rispose, prima di raggiungere Camus.
Nei minuti che seguirono, durante i quali rimase da sola, seduta fuori dalla stanza d'ospedale, incrociò Aphrodite.
"Se devi andare da Camus, prendi il numerino e aspetta il tuo turno, è un po' affollato là dentro." scherzò.
"Vedo." sospirò Aphrodite. "Ho buone notizie, gli tolgo il catetere."
"Ne sarà felice, stava diventando insopportabile."
"Perché, di solito non lo è?" le rispose, sedendosi accanto a lei. "E voi quattro? Come state?"
"Insomma. Ho la morfologica la settimana prossima e sono in ansia."
"Ma no, stai tranquilla. E' di routine, serve a escludere malformazioni o altre problematiche. Probabilmente dato che la tua è una gestazione multipla, la tua dottoressa vuole giocare d'anticipo."
"Dovrei essere preparata, eppure mi sento agitata come se questa fosse la prima gravidanza: ha anche aggiunto che dobbiamo parlare del ricovero e del cesareo. Altro che ansia."
"Ma sono tre, è normale." le rispose, sbirciando all'interno della stanza prima di guardare l'orologio. "Devo sbrigarmi o il mio responsabile mi farà lo scalpo. Manderò via un po' di chiasso così potrete stare tranquilli per qualche altro minuto: l'orario di visita sta per terminare."
Una volta dentro, Aphrodite mandò fuori Lixue, Milo e Hyoga e dopo averlo visitato, decise di liberare Camus del catetere con l'assoluta raccomandazione di evitare movimenti bruschi.
"Forse potrò dimetterti già domani sera. Comunque niente corse e nessun allenamento per un po' di tempo finché non ti toglierò i punti. E ovviamente niente sesso."
"Che fai, giri il coltello nella piaga?" sbottò Mei, facendolo ridacchiare.
"Hai ancora dieci minuti. Quando torno Camus dovrà essere da solo, d'accordo? Vai a casa e riposati. No, niente proteste. Ordine del medico." le disse Aphrodite, chiudendo la porta dietro di sé e mettendo fine alle sue proteste.
"Va bene, d'accordo. Ascolta tesoro, il cellulare te l'ho già messo in carica e i vestiti puliti li ho appesi nell'armadietto. Ti ho portato un unguento... sì, so che è la crema per il cambio dei pannolini, ma se funziona sul sederino di un neonato, dovrebbe funzionare anche sulle parti intime di un adulto, che dici? Oh, vuoi una mano a metterti i boxer? Sempre meglio che girare nudo per la stanza..."
Camus le afferrò una mano, per fermarla.
"Diventeremo zii." le annunciò con un sorrisone da trentadue denti.
"Te ne sei accorto solo ora? Un applauso alla tua perspicacia." gli rispose allegra, facendogli corrugare la fronte.
"Lo sapevi già?"
"Ma che cosa ti mettono nelle flebo, marijuana?! Shunrei sta per entrare nel nono mese, lo sapevo già da un po' che saremmo diventati zii."
Camus si accorse tardi della gaffe: pieno di felicità prima per Hyoga, poi per Milo, si era totalmente dimenticato di Shunrei.
"...cavolo."
"Ma non stavi parlando di mia cognata."
"No, mi dispiace. L'avevo dimenticata."
"Il fatto che tu e mio fratello vi detestate, non significa per estensione detestare anche mia nipote perché figlia di Shiryu, perché così facendo ti abbassi al suo stesso livello." sbottò Mei. "Ad esempio, il fatto che io prenderei Saga a badilate da mattina a sera, se solo potessi, non mi impedisce di apprezzare suo fratello."
"Io non detesto nessuno, e men che meno una creatura che ancora deve nascere. E' che Shaina è incinta, gliel'ha detto da poco e sinceramente non pensavo a Shunrei." le rispose Camus. "Suvvia, vuoi davvero litigare per questo?"
Sospirò, prendendogli il volto tra le mani e piazzandogli un bacio sulle labbra.
"Non voglio litigare. Solo che a volte ti prenderei a schiaffi."
 
**
 
9 Gennaio.
In un'atmosfera che gli ricordava parecchio alcuni film orientali –tatami a terra, drappi ecrù e rossi qua e là, e ideogrammi- Milo distolse lo sguardo da due atleti impegnati a scaldarsi con delle mosse di karate, posandolo sull'amico che stava rientrando dagli spogliatoi per sedersi a bordo pista accanto a lui.
"...sei proprio sicuro che io possa stare qui?" mormorò Milo, indicando con un cenno il badge che aveva pinzato sul taschino della polo e sul quale Camus aveva barrato due volte il nome del cognato per aggiungere il suo.
"Certo. E' il vantaggio di avere un piantagrane come cognato e soprattutto, di avere delle conoscenze come le mie." scherzò Camus. Conoscenza che in quel momento stava ripassando il proprio discorso in preda all'agitazione, prima di entrare in scena insieme ai colleghi.
"Così, giusto per avvertirti... Alde è arrabbiato con noi perché abbiamo disertato la cena del primo gennaio."
Camus sorrise.
"Anche con te e Shaina?"
"Sì. Un ultimo viaggio da soli prima dell'arrivo del bambino."
Ah giusto, il bambino: lui e Mei ne avevano parlato a lungo, fantasticando su future feste di compleanno, su lunghe giornate in spiaggia con i loro bambini che giocavano tutti insieme.
"Già, tuo figlio. Avrei voluto vederti quando Shaina te l'ha detto."
Milo si schiarì la voce, imbarazzato.
"Ho vomitato."
"Tu cosa?!"
"Me l'ha detto e... sono corso in bagno. Giuro. Ma per lo shock, credimi. Non per la notizia in sé." spiegò Milo.
"E...?"
"Ho dato la colpa al guacamole del burrito che stavamo mangiando."
"E ci ha creduto?!"
"Sì, anche perché il guacamole era andato a male sul serio. Non tornerò mai più in quel take away vicino all'aeroporto."
"Oh ti prego, sei davvero andato in quel locale? Puzza di olio rancido a metri di distanza, che schifo!!"
"Avevo saltato il pranzo durante il mio turno perché c'era una marea di gente e avevo fame, il puzzo d'olio non l'ho proprio sentito." rispose Milo, risentito. Si prese la testa tra le mani, pensieroso. "Oh Athena, Camus. Un figlio. Non ci credo... io... un figlio? Dai, riesci davvero a vedermi come padre? Tu non sei agitato? Non hai paura di sbagliare? No, certo che no, hai avuto due allievi e hai esperienza con i bambini."
L'altro sorrise. Non si definiva certo un buon esempio, dato che su due allievi ne aveva portato solo uno all'obiettivo, e che la sua esperienza in materia non era così vasta come credeva.
"Io non sono perfetto: ho costantemente paura di sbagliare. E sono agitato perché il parto si avvicina giorno dopo giorno e presto avrò la casa piena di lacrime, pianti, pannolini sporchi e crisi adolescenziali e a volte non so se sarò all'altezza di tutto questo, non so se sarò il padre che mi sono prefissato di essere." rispose Camus. "Poi però guardo mia figlia e le mie paure passano in secondo piano. Saranno sempre là in agguato, ma non permetterò loro di condizionarmi. Siamo una famiglia no? Ci aiuteremo a vicenda. Sai? Ero così felice di questa notizia che per poco non ho litigato con Mei."
"Perché?!"
"Ero sotto antidolorifici, ero euforico per Hyoga, e per voi... l'ho interrotta e le ho detto diventeremo zii! E lei mi ha guardato come se fossi improvvisamente diventato un alieno e mi ha detto Shunrei sta per entrare nel nono mese, sapevo già da un po' che saremmo diventati zii! "
"Cavolo." disse Milo. "E come ne sei uscito?"
"Ho messo su la mia migliore faccia stanca, ho mugolato un po' lamentandomi dei punti e ho fatto leva sul suo senso materno." rispose Camus. "E ha funzionato, perché mi ha baciato e non abbiamo litigato. E il vostro viaggio? Com'è stato?"
Milo fece spallucce.
"Ci toccherà tornare temo, non abbiamo visto granché di Venezia, giusto l'albergo."
"Okay, non aggiungere altro. Siete scandalosi."
"E voi due?"
"Avevamo bisogno di staccare la spina un po' e di accumulare energie per quando arriveranno i bambini. Ci siamo svegliati e dopo aver salutato Lixue siamo andati all'isba... ma non era programmato, l'abbiamo deciso e basta, quando Dohko si è offerto di tenerci la bambina."
"Avete fatto attenzione alla ferita? Si sono staccati i punti?" scherzò Milo.
"No, anche se ho corso questo rischio. Non ti dirò come, ma grazie per l'interessamento." rispose Camus.
"Eh no, non puoi avviare l'argomento e poi evitare i punti salienti quando ti fa comodo!"
D'un tratto tutte le luci si abbassarono a eccezione dei due fari che illuminavano l'ingresso riservato agli atleti, e il brusio venne sostituito da un brano che Milo riconobbe come parte della colonna sonora di un film con Jet Li.
"Spero non faccia movimenti bruschi." si lasciò sfuggire Camus cambiando totalmente discorso, intravedendo Mei in terza fila insieme a una sua collega. "So che farà attenzione, ma io non sono tranquillo."
Dopo le presentazioni e l'intervento di Sheng, costellato di mosse spettacolari e di particolari tecnici e storici, arrivò il turno di Mei: pur parlando con fluidità e sicurezza, era agitata, e Camus se ne accorse.
"...la prima reazione che la stragrande maggioranza delle persone ha quando rispondo loro che pratico arti marziali, è di incredulità: una donna che pratica arti marziali? "
"Ma soprattutto: una donna che insegna arti marziali?" interloquì una donna castana, che Camus riconobbe come Yu-Jie, una delle insegnanti di Kung-Fu che Mei gli aveva presentato tempo prima.
"Esattamente." concordò Mei. "Reazione che di solito si trasforma in stupore quando dico che per piacere personale pratico judo e aikido dalla tenera età di cinque anni e stupore che si trasforma in occhiate sarcastiche quando aggiungo che per mestiere, oltre al judo e all'aikido, insegno anche taijiquan. C'è chi ridacchia, chi ti guarda e sotto sotto ti deride e chi invece sminuisce un'arte millenaria: ma non è quella cosa che praticano gli anziani la mattina al parco? Dai, non è mica un'arte marziale, serve solo a tenersi in forma! " Mei s'interruppe un istante e ridacchiò, contagiata dalle risa dei presenti.
"Per essere una che si vergogna a parlare in pubblico sta andando parecchio bene." mormorò Milo.
"Sì. Le serve solo qualche attimo per rompere il ghiaccio, poi va spedita come un TGV."
"Di solito ascolto le vocine interne dei miei illustri lǎoshī e rispondo in modo molto pacato. Ma ci sono anche quelle volte nelle quali ignoro le voci pacifiche e difendo ciò che amo: sì, è vero, i vecchietti che vedi al parco, con le loro mosse fluide e calme, con i sorrisi e la pace sul volto, sembrano inoffensivi e spesso suscitano anche tenerezza e ammirazione: ma prova ad attaccarli e uscirne indenne, se riesci."
Camus si unì al nuovo coro di risate.
"E' la stessa reazione che ha avuto mio marito, il giorno in cui ci siamo conosciuti: judo? Avrei giurato taijiquan!  ignorando che, a dirla tutta, anche con il taijiquan ci si può difendere. Gli ho fatto una dimostrazione pratica e da allora non me l'ha mai più detto."
Al ricordo, Camus fece una smorfia: ricordava anche troppo bene quel momento di diversi anni prima, quando gli aveva dato la dimostrazione pratica che aveva appena accennato.
"L'avrai traumatizzato." interloquì Sheng, divertito.
Mei gli scoccò una rapida occhiata, prima di guardare il suo capo.
"E' difficile traumatizzare un nidan di karate. Comunque, in un certo senso hanno ragione, il taijiquan serve anche a mantenere il fisico allenato -di solito porto l'esempio di una mia antenata, Jian Shu, che praticava taijiquan e si è spenta alla veneranda età di centodue anni con tutte le giunture e i legamenti elastici e sani come quelli di mia figlia che di anni ne ha solo sette- ma non è solo questo, è molto di più. Dire che il taijiquan è solo ginnastica equivale a degradarlo, è una disciplina molto più complessa..."
"Magari è una mia impressione, ma la vedo stanca." sussurrò Milo.
"Perché lo è." rispose Camus. "E non è neanche di venti settimane, pensa. E pur essendo provata da una gravidanza come la sua, continua a dire che intende andare in maternità solo ad aprile, e cioè durante le feste pasquali quando Lixue sarà a casa per le vacanze."
"Credo che sappia bene cosa fare."
"E' una follia lavorare fin quasi alla soglia del cesareo, santi numi. Ma se entro in quel discorso si mette sulla difensiva e si finisce col litigare."
"E allora non entrarci, lasciala tranquilla."
"Non posso!!"
Iniziò quindi a parlare dei fondamenti del taijiquan, di yin e yang, del Qi e di tutto l'affascinante mondo che circondava quelle discipline prima di passare, come Camus temeva, all'aikido.
"...quando mio padre mi iniziò alle arti marziali, il suo primo consiglio in caso di pericolo imminente fu: Fuggi. Se hai il tempo e lo spazio per farlo, non pensarci due volte. Ma spesso, capita di trovarci in situazioni nelle quali un attacco avviene così in fretta che non si ha il tempo di fuggire. Se ti trovi in una situazione nella quale sei costretta a utilizzare quanto ti sto insegnando, mi disse, non pensare di comportarti come Bruce Lee: grandissimo attore e magistrale maestro di arti marziali, ma le mosse che eseguiva nei suoi film, beh, non sono facilmente utilizzabili nella vita di tutti i giorni. E seguendo i suoi consigli, tra i tanti altri benefici che trasmetto con l'insegnamento dell'aikido, insegno a evitare situazioni di pericolo e in caso si renda necessario, a gestirle. Ora, per ovvi motivi non posso praticare come vorrei, ma posso mostrarvi alcune prese che in taluni casi, se ben eseguite, si rivelano estremamente utili." s'interruppe e guardò Camus e Milo, sorridendo poco dopo. "Avrei chiamato mio marito o mio fratello qui sul tatami, ma entrambi sono indisposti. Milo, vuoi avere tu l'onore?"
Si appiattì allo schienale della sedia, mentre Camus, accanto a lui, ridacchiava appena.
"Cos'è? Hai paura? Tranquillo, sarai ancora tutto intero quando avrà finito."
"Tu sapevi che avrebbe scelto me." sibilò. "Bastardo."
 
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 4 maggio 2016)
Penultimo capitolo da revisionare, sono quasi vicina a pubblicare quelli nuovi di pacca!
Comunque, ringraziamenti doverosi a chi legge e continua a farlo nonostante gli eoni trascorsi dall'inizio di quest'avventura, passo alle varie postille:
-Il titolo ricorda una canzone degli Heathen. Riprende solo il titolo però, riferito soprattutto al dialogo di Camus e Milo sulle rispettive paternità, sulla paura dell'ignoto che un po' tutti proviamo.  
-Il passaggio riportato si trova nel testo de Il profeta e in tale passaggio Gibran parla della relazione tra genitori e figli.
-Il padre di Camus era un cuoco e amava collezionare stoviglie –come già specificato qualche capitolo fa-; in questo caso, il servizio che usa Shiryu è un servizio prodotto da una famosa e antica manifattura russa che nel corso dei secoli ha assunto vari nomi e servito anche varie famiglie imperiali. Qui la scheda.
-Il sistema universitario francese, complicato quanto quello italiano, prevede i voti in ventesimi e non in trentesimi. Dopo diverse ricerche su internet, sono approdata su questo sito e questa tabella: il massimo per ogni esame da noi è 30 e lode, da loro è16, poiché i punti che vanno dal 17 al 20 sono molto rari e concessi a pochi studenti l'anno.
-Lǎoshī è l'equivalente mandarino del giapponese sensei e ha come significato maestro.
-Nidan: secondo dan di cintura nera, nelle arti marziali.
Manca solo più un capitolo alla fine della revisione. Miei Dèi, non vedo l'ora \*O*/
Lady Aquaria

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Capitolo 30
*** Embraces the Sky. ***


capitolo 30 revisionato
30.
Embraces the Sky
Siamo gocce di un passato
che non può più tornare
questo tempo ci ha tradito
è inafferrabile
[Giorgia - Gocce di Memoria]
"Sei più mattiniero del solito."
Hyoga si voltò in direzione di Camus, che stava rientrando in quel momento dopo aver portato Sabaka a fare il suo solito giro del mattino.
"Se così si può definire uno che ha trascorso una notte totalmente insonne allora sì, sono mattiniero."
"Non stai bene?"
Hyoga fece spallucce.
"Ho lo stomaco in fiamme." gli rispose, facendolo ridacchiare.
"Te l'ho detto mille volte di non toccare la salsa di mia moglie."
"Fosse quello il problema." sospirò l'altro.
"Ah già. Il tuo compleanno si avvicina e senti la decadenza delle carni."
"Il mio matrimonio si avvicina e sento la decadenza della mia libertà personale." lo corresse Hyoga, tutto d'un fiato.
"Perché? Che cosa sta succedendo?" domandò quindi Camus, perdendo il sorriso.
"...doveva essere un matrimonio intimo. O meglio, io l'avrei voluto così: poche persone, luogo intimo, cerimonia semplice: un po' come te e Mei che vi siete sposati in municipio alla presenza di sole quattro persone. E invece siamo passati a una cerimonia maestosa, l'intero Paese in festa e duemiladuecento invitati. Duemiladuecento." spiegò Hyoga. "E in tutto questo, ci sono di mezzo anche i miei studi, la mia carriera, quello stramaledetto titolo nobiliare che non voglio. Potessi, prenderei Freya e la porterei a Las Vegas per sposarla lì."
Camus proruppe in una smorfia.
"Non nella cappella con il sosia di Elvis, vorrei sperare, sarebbe davvero volgare." rispose. "Ascolta, se non punti i piedi adesso ti ritroverai a essere l'ultimo anello della catena alimentare comandata da Hilda: se non fai nulla, mangerà anche te. Vuoi studiare e insegnare? Ebbene, impuntati, perché non voglio assolutamente vederti imbalsamato come un damerino, è chiaro?"
"Chiarissimo."
"Fà che lo sia sul serio, perché altrimenti ciò che ti ho fatto alla settima casa quella volta sarà niente al confronto: stavolta, giuro, nemmeno la spada di Libra e il tuo amico strambo potranno salvarti."
"...va bene."
"Rimarrai congelato per l'eternità al centro della sala principale, a mo' di monito per il futuro, come Han Solo imprigionato nella grafite. E mi accerterò personalmente che nessuna Leia di turno possa tirarti fuori, intesi? Sono serio."
Due minacce nel giro di cinque minuti. Sorprendente.
"Lo so. Ah, c'è un'altra cosa." Hyoga si schiarì la voce "Hilda ha stabilito che, data la natura del nostro rapporto e che sembriamo più padre/figlio piuttosto che maestro/allievo, farà dono a te, Mei e i bambini, di un titolo nobiliare."
Camus, voltato di spalle mentre trafficava con il samovar, rise di gusto.
"E quale? Re di Gondor? Principe di Narnia? Guarda, dì a tua cognata che posso anche accontentarmi di un titolo come... Generale Supremo dell'Ordine Jedi, non mi offendo, davvero. Oppure potrei passare al lato oscuro per l'immensa gioia di Mei e diventare Imperatore di tutte le Galassie. Non accetterò un titolo di minore importanza, io te lo dico. Tenderei a evitare Westeros però: ho come l'impressione che morirei di morte violenta in poco tempo."
"Vorrei tanto prenderti in giro, ma ti assicuro che questo non è uno scherzo."
"Neanche io sto scherzando." ribatté Camus. "Anche se, ora che ci penso, ai Jedi non è concesso né sposarsi né avere figli, quindi mi sa che mi toccherà prendere il posto di Palpatine che Darth Vader ha tanto generosamente tolto di mezzo. Vediamo... con che nome potrei ascendere al trono?"
"Camus il Simpatico, che è ovviamente un ossimoro dato che tu e la simpatia non vi siete mai presentati."
"Dai Hyoga, per l'amor di Athena. Mi dà già fastidio quando a Kobotec mi trattano come se fossi uno zar o qualcosa di simile, figurati avere sul groppone un titolo nobiliare. Non mi troverei a mio agio."
"Dovrai fartelo piacere, perché se in Francia i titoli non hanno valore, ad Asgard sì. E ad Asgard sarai un marchese, a partire dalla vigilia del mio matrimonio."
Stava per ridere ancora, ma vide la sua espressione mortalmente seria e decise di evitare altre battute.
"Buon cielo, non stai scherzando allora."
"No."
Camus guardò il calendario, notando che alla data del matrimonio di Hyoga mancava poco.
"Sacrè bleu." sospirò, prima di guardare le caselline gialle che erano state tracciate su alcune date del mese in corso e del mese successivo. "Ma chi diamine...?!"
"Sono stata io." interloquì Mei, entrando in cucina. "Sono i giorni del capodanno cinese."
Camus proruppe in un pomposo ed esagerato inchino.
"Bonjour, madame la marquise!"
"...cosa?!"
"Nulla, te lo spiegherò con calma." minimizzò Hyoga. "Perché hai bisogno di tutti quei giorni?"
"Perché il capodanno cinese dura un po' più di quelli occidentali. In famiglia l'abbiamo sempre festeggiato come vuole la tradizione, ecco il perché di quelle caselle. Nei giorni che precedono l'arrivo del nuovo anno ci si dedica alla pulizia radicale di casa per spazzare via la sfortuna insieme alla polvere e lo sporco, quindi una volta pulita, la addobbiamo con dei nastri rossi. E' una delle poche cose sulle quali io e Shiryu concordiamo, quindi ci tengo particolarmente. Alla vigilia si usa fare un po' come si fa in occidente, si organizza un cenone e si mangia tutti insieme. Quest'anno si aprirà sotto il segno del drago e..."
Camus roteò gli occhi.
"Fantastico." mormorò. Mei assottigliò lo sguardo.
"Il Drago è un essere mitologico che nel mio Paese fa parte delle bestie guardiane ed è l'emblema per eccellenza dell'Imperatore, del maschile e dello yang. E' simbolo di forza, salute, armonia e fortuna e viene posto a difesa delle case come deterrente contro demoni e gli spiriti maligni."
"Lo so." rispose Camus, corrugando la fronte.
"Tanto per la cronaca, sappi che la forza vitale di questo segno non risiede nella stella più importante della costellazione guida di mio fratello, ma nella stella alfa del tuo." gli rispose, piccata. "Perché la stella che rappresenta l'Imperatore e per estensione anche il sacro dragone azzurro non è Eltanin, ma Antares."
Hyoga ridacchiò pacatamente.
"Ahia."
Altri tre scorpioni in giro per casa. Era circondato e senza via di scampo.
"In ogni caso i festeggiamenti partiranno il 23 gennaio, cioè la data del primo novilunio dell'anno, per terminare il 7 febbraio. I giorni per me particolarmente importanti e sui quali non intendo trattare sono il primo, durante il quale si va a far visita a parenti e amici stretti, il secondo, il terzo e il quarto perché si osserva il culto degli antenati, si accendono incensi e si pregano i defunti e non si fa visita a nessuno in quanto i più scaramantici ritengono che siano giorni propizi per i litigi...quindi tranquillo, non visiteremo Shiryu in quei giorni... il nono e il decimo giorno, dedicati all'Imperatore di Giada, il tredicesimo giorno dedicato a Guan Yu, dio della guerra: è una ricorrenza importante perché visse davvero, era un generale vissuto in epoca Han che fu catturato grazie a un'imboscata e in seguito fu giustiziato perché non si arrese al nemico. Il suo nome è comunemente associato a lealtà e giustizia e pur essendo il dio della guerra e delle arti marziali è una divinità amante della pace. Infine, il quindicesimo e ultimo giorno, perché ha luogo la festa delle lanterne, fuori casa si accendono delle candele per guidare in essa i spiriti beneauguranti che la proteggeranno, si mangia il tangyuan, che è un ricco dolce di riso, e si passeggia per le vie della città tenendo in mano una lanterna accesa." spiegò Mei. "Festeggiamenti multipli quest'anno, tenendo in conto che iniziano e finiscono in corrispondenza dei vostri compleanni e nel mezzo ci sono anche quelli di Degél e Lixue."
Hyoga ridacchiò.
"...e alla fine di tutto, sali sulla bilancia e ti accorgi di aver messo su sei chili."
"Ah, ma al momento non me ne preoccupo affatto, devo mangiare per quattro." replicò lei, allegra. "Perché voi ortodossi come festeggiate il nuovo anno?"
"La vigilia la festeggiamo in famiglia con una cena intima che si conclude a mezzanotte in chiesa, dove ci si scambia gli auguri. Il 14 gennaio che è il capodanno vero e proprio lo trascorriamo in famiglia, scambiandoci piccoli doni e festeggiando."
"Oh. Tutto qui? Una festicciola sobria e basta?"
"Nel frattempo si mangia e si beve." interloquì Camus.
"Beh, quello l'avevo capito già da me. E voi di solito cosa fate?"
"Lo trascorriamo a Kobotec." le rispose Camus, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
"Immaginavo. Per un millesimo di secondo ho sperato rispondessi con: lo festeggiamo a Guadaloupe, spaparanzati in spiaggia con un Sex on the Beach in mano! Ma era chiedere troppo, in effetti."
"Invece ci spaparanziamo davanti al camino con una tazza di cioccolata dopo aver giocato con la neve."
"...quello lo facevamo quando avevi dieci anni, ora sei un po' troppo cresciuto per costruire pupazzi di neve, non trovi?" lo prese in giro Camus.
"Ad ogni modo, sono disposta a condividere e rispettare le vostre tradizioni se siete disposti a fare altrettanto nei miei confronti."
"Per me va bene." rispose Hyoga.
"Infatti, dicevo al signorino accanto a te che ha alzato gli occhi al cielo quando ho accennato a spiriti e antenati. Ti ho visto, non negarlo." sospirò Mei. "In ogni caso, pur osservando le regole tutti gli anni, non sono così inflessibile sui festeggiamenti, ma sappiate che per me certi giorni sono sacri e non voglio sentire ragioni."
Ovvero i giorni dedicati agli antenati e alle maggiori divinità nelle quali credeva Mei, che aveva evidenziato con grandi tratti di evidenziatore sul calendario appeso in cucina.
"D'accordo."
"Anche se io prenderei comunque in considerazione le Antille sai? Pensaci: rigogliose palme, sabbia bianchissima, acqua cristallina..."
"Bolle alte quattro dita sulle spalle, insolazione, chili di unguenti anti ustione..."
"Il solito guastafeste."
 
**

Primo giorno.
Shion alzò lo sguardo da alcuni documenti antichi per posarlo su Fedra, la sua ancella personale, che aspettava rispettosamente sull'uscio.
"Sì?"
"La sposa del nobile Aquarius desidera vedervi, signore."
"Lasciala passare." ordinò, alzandosi dalla propria scrivania per andare incontro alla giovane.
"Non era mia intenzione disturbarvi, Maestro, ma mi è stato detto che avrei dovuto chiedervi il permesso per visitare certe aree del Santuario, perciò eccomi qui." rispose Mei, entrando nelle sale private del tredicesimo tempio, preceduta da Fedra.
"Ma non è affatto vero, sei libera di girare per il Santuario come meglio credi." le rispose, posandole una mano sulla spalla. "Dunque, Camus ha mantenuto la sua parola riguardo la visita al tempio di Kwan Yin? Me ne aveva parlato tempo fa."
"Non ancora, le celebrazioni per la mia dea quest'anno cadranno più avanti, c'è ancora tempo per parlarne. O litigare, nel qual caso il mio accompagnatore sarà Shiryu. Ad ogni modo mi era stato detto che per visitare certi luoghi avrei dovuto ottenere il vostro permesso o essere accompagnata da un Gold Saint. O entrambe le cose, non ricordo."
Shion corrugò la fronte.
"Puoi andare Fedra, grazie." disse, congedando la sua ancella. "Quella regola vale per l'Altare di Athena, non per tutto il Santuario. Dove sei diretta?"
"Oggi è il primo giorno del capodanno cinese e di norma si fa visita a parenti o amici."
"Oh già. Quasi l'avevo scordato." annuì Shion, che comprese finalmente anche l'abbigliamento di Mei: capelli raccolti un una crocchia fermata da spilloni d'oro e un ampio mantello antracite su un abito tradizionale verde scuro con ricami dorati.
"Come vi stavo dicendo, a parte Shiryu e Shunrei non ho parenti stretti e quei pochi che mi son rimasti sono delle serpi, gli amici li vedo già tutti i giorni... ho quindi deciso di porgere i miei omaggi a una differente categoria di amici. Vorrei visitare il cimitero, se possibile, per onorare monsieur Degél e i vostri compagni."
Lui annuì, con una strana espressione che Mei fraintese.
"Non inizierete anche voi a considerarmi una pazza visionaria che parla con l'aria, spero. Durante quelle poche settimane trascorse al Santuario e, più sporadicamente al Goro Ho, monsieur mi è stato molto vicino, come solo un grande amico è in grado di fare. L'ho visto, ho parlato con lui, l'ho persino attraversato. Posso assicurarvi che non è frutto della mia immaginazione né di qualche pianta allucinogena."
"Non lo penserei mai."
"Mi stupirei del contrario, Maestro."
"Mi permetti di accompagnarti?"
"Non voglio rubarvi altro tempo, so già dove andare."
Invece, no. Dopo che Hades aveva iniziato a sottrarre i corpi dei Saint deceduti, Shaina aveva dato ordine di dare alle fiamme tutto il cimitero, di distruggere ogni cosa per ostacolarlo: lei non poteva saperlo, ma nei mesi successivi alla fine della guerra santa, il terreno sul quale sorgeva il vecchio camposanto era stato dismesso e bonificato e i resti dei vari Saint erano stati spostati altrove, separati per grado.
Superati quindi i due edifici che ospitavano le categorie inferiori e mediane, Shion la scortò fino a un edificio più piccolo, sormontato da una cupola e un lucernario.
"Il vecchio osservatorio." le spiegò Shion. "Un tempo era in questo luogo che Degél interpretava le stelle e le carte celesti, ovviamente, quando non era rintanato nel suo studio all'undicesima casa o non era sullo Star Hill insieme al Maestro Sage."
Al centro della sala troneggiava un tavolo che riprendeva la pianta tetradecagonale dell'edificio: su di esso, un astrolabio sferico dal quale partivano dodici spicchi, uno per ogni segno zodiacale.
"Cosa sai di loro?"
"Uhm... so che parte dei loro Cosmi e delle loro anime albergano nei loro successori, ma in fin dei conti so poco, il Maestro Dohko mi ha parlato dei suoi compagni d'armi, ma quello deputato a diventare Saint era Shiryu, non io, perciò non so quanto vorrei." gli rispose, liberandosi del mantello prima di accendere degli incensi da sistemare nel braciere.
Shion annuì, quindi si avvicinò al muro recante il glifo dell'Ariete.
"Un giorno finirò qui dentro, ma non ho ancora intenzione di parlarne." sorrise, accarezzando in punta di dita il bassorilievo che, sotto il glifo, rappresentava la sua costellazione. Passò man mano ai successivi segni, raccontandole alcuni aneddoti. "Rasgado del Toro: una forza della natura in tutti i sensi, possedeva una forza sovrumana anche senza usare il proprio Cosmo. Quando era arrabbiato era meglio togliersi dal suo cammino. Perse un occhio durante un combattimento contro uno specter chiamato Kagaho ed ecco spiegata quella cicatrice. Aspros e Deuteros, Gemelli."
"Eventi triti e ritriti quelli che riguardano la terza casa: lotta per il potere, violenza e omicidi. Sentii il Maestro parlare a Shiryu di un fratricidio."
Shion annuì ancora.
"Deuteros uccise suo fratello Aspros quando quest'ultimo cercò di assassinare il Maestro Sage, per prenderne il posto." le spiegò.
"...doppia personalità, uhm? La Storia si ripete, dato che sappiamo bene entrambi che cos'è successo nella nostra epoca, e sempre grazie ai Saint della terza casa." proseguì Mei.
"Le due storie che riguardano Aspros e Deuteros e Saga e Kanon sono simili tra loro ma allo stesso tempo differenti." la interruppe Shion.
"Non era mia intenzione mancare di rispetto. Ma a volte, sapendo che cos'è successo due secoli fa, mi domando che cosa sarebbe successo se fosse stato Saga a perdere la vita per mano di Kanon."
"Probabilmente non saremmo qui a parlarne, figlia mia." sospirò Shion. "Perché provi tutto questo odio nei confronti di Saga?"
Mei corrugò la fronte.
"Non provo affatto odio. Mi è del tutto indifferente."
"Avverto anche del disprezzo."
"Ciò che avvertite si chiama istinto omicida, ma non mi è concesso esternare ad alta voce che cosa provo realmente per Saga. Nonostante la sua egemonia sia finita da anni, ho sempre il timore di mettere Camus nei guai. Ed è l'ultima cosa che voglio, ve l'assicuro." rispose Mei. Si spostò di fronte al quarto lato, invitando silenziosamente Shion a proseguire con le sue spiegazioni.
"Manigoldo, il predecessore di DeathMask. Un tantinello arrogante, ma mai sadico. Lo ricordo come un ragazzo sempre sorridente e... beh, impulsivo. Tanto impulsivo. Possedeva una potenza non indifferente che ha dato parecchio filo da torcere alle linee nemiche. Poi c'è Regulus, giovane Saint del Leone. Uno che oggi definiremmo enfant prodige, aveva un talento innato nell'apprendere: per far sua una tecnica gli bastava osservarla una volta sola. Forse Dohko non ti ha detto che sapeva usare l'Athena Exclamation da solo e che riusciva a far defluire tutte le tecniche più potenti dei Gold Saint in una sola terribile tecnica."
"Per tutti gli dèi...!"
"Mai nessuno è riuscito ad eguagliarlo. In un certo senso è una buona cosa, se l'Athena Exclamation è capace di sprigionare una forza simile al Big Bang, immagina cosa può fare una tecnica che prevede dodici Gold Saints uniti in un colpo solo."
"Probabilmente darebbe uno scossone all'intero Universo."
Shion si soffermò sul sesto muro.
"Asmita. Non vedente dalla nascita, uno tra i Saint più potenti che abbia mai conosciuto. Personalmente non l'ho mai, mai visto perdere le staffe una volta. Mai. Un po' come Shaka. In tal senso credo che Shaka abbia preso molto dal suo predecessore: una calma quasi terrificante, letale."
"La classica acqua cheta che rode i ponti."
"Più o meno." Shion oltrepassò il settimo muro per soffermarsi davanti all'ottavo.
"Kardia." l'anticipò Mei, guardando il ragazzo che le sorrideva dal ritratto posto al di sopra del glifo. Gli altri Saints erano stati ritratti con espressioni più serie, ma lui, no. "Più impulsivo e spericolato di Milo, non temeva la morte: diceva spesso che non avrebbe voluto vivere una vita lunghissima, ma vivere appieno quella che gli era stata concessa. Amava le mele e soprattutto amava punzecchiare e testare la pazienza di Degél."
"Dohko ti ha parlato molto di lui."
"Secondo lo zodiaco occidentale appartengo all'ottava casa, quindi direi di sì. A differenza di Degél non si è mai manifestato apertamente, però, e mi dispiace."
"A dire il vero l'ha fatto. E più di una volta." le rispose, ricevendo in risposta uno sguardo interrogativo. "Ma sono cose, queste, che devi comprendere da te. Pensaci bene e capirai che cosa intendo dire."
"Se è come dite, Maestro, non me ne sono accorta. Ed è un peccato perché vorrei poterlo conoscere come ho conosciuto monsieur."
"Sei sicura di saper gestire uno come Kardia?" ridacchiò Shion.
"Ehm... no, probabilmente no." convenne Mei, dopo qualche istante, tornando a guardare Kardia e il suo ghigno. "E voi siete certo che Kardia sarebbe in grado di gestire una come me?"
Lui la squadrò un attimo.
"Non lo so, molto probabilmente vi prendereste a pugni da mattina a sera, giacché dicono di te che hai un carattere...forte."
"Retaggio di mia madre. Forte non è esattamente ciò che ho sentito io, ma ve lo concedo."
"Qui invece troviamo Sisyphus, zio di Regulus del Leone." proseguì Shion. "Su di lui ci sono così tante cose da dire che... non mi basterebbe una giornata. Aveva coraggio e dedizione da vendere: si sottopose volontariamente al rito della pesatura del cuore dello spectre Pharaoh, dimostrando così la sua fedeltà alla Dea. Accanto a lui giace El Cid. Uomo introverso e spesso giudicato freddo, ma... integerrimo. Un suo fendente poteva tagliare l'aria in due."
"Si amputò parte del braccio destro con il suo stesso colpo in seguito all'illusione operata dal suo nemico." interloquì Mei. "O almeno così mi disse il Maestro."
"Sì, anche se è una storia più complicata di come te l'ha spiegata Dohko. Giunti a questo punto, mia cara, proseguo con ordine o preferisci tenere Degél per la fine di questa visita?"
Lei si schiarì la voce, imbarazzata.
"Come volete. "
"Molto bene. Dunque, al dodicesimo e ultimo posto troviamo Albafica. La calma fatta persona, un ragazzo generoso e suo malgrado, solitario."
"Per via del suo sangue velenoso."
"Sì." annuì Shion. "Come per tutti i miei compagni d'armi, ho diversi ricordi legati a lui, uno dei quali mi rattrista ogni volta che ritorna alla luce: un giorno, tornando da una missione, mi accorsi che era ferito. Lo fermai, preoccupato, e gli afferrai il polso destro per fermarlo. Quasi mi fulminò con lo sguardo: quante altre volte devo ripetertelo affinché tu capisca? Non devi toccarmi! "
"Temeva di nuocervi."
"Lo so, non agiva con cattiveria, anzi. Se sapevi come prenderlo, era capace di donarti anche l'anima." Shion deglutì, scacciando dei pensieri improvvisi con un gesto della mano. "Al contrario, volevi farlo arrabbiare? Bastava complimentarsi con lui per la sua bellezza. Sapeva di esercitare un certo fascino, ma era un tratto, quello, che non gli importava granché. Ricordo come se fosse ieri il suo ultimo scontro, contro Minosse. Quest'ultimo gli aveva già frantumato tutte le ossa del corpo e io intervenni in soccorso del mio amico. In quel momento doveva avere dentro un dolore atroce e inspiegabile a parole, eppure mi guardò e mi chiese di farmi da parte, voleva concludere quanto aveva iniziato. Minosse lo invitò invece ad arrendersi, per evitare ulteriori colpi e quindi un possibile sfregio."
"E Albafica gli rispose di andare al diavolo."
"Oh sì. E riuscì a colpirlo con una bloody rose pregna del proprio sangue, riuscendo a ucciderlo. Però..." Shion si bloccò un istante. "...dopo aver sconfitto Minosse, si spense di fronte ai miei occhi."
E in quanto unico sopravvissuto, come Dohko, di quel conflitto, aveva sentito morire i compagni, gli amici, uno dopo l'altro senza poter fare nulla a riguardo. Conosceva bene quella atroce sensazione d'impotenza, il desiderio di far qualunque cosa per fermare o quantomeno cambiare il corso degli eventi ma non avere alcuna possibilità di farlo.
Shion si schiarì la voce, serrando gli occhi per non scomporsi.
"Proseguiamo." mormorò quindi lui. Dulcis in fundo, come la prese in giro poco dopo, Degél.
"Al momento della sua morte aveva solo ventidue anni, eppure è tutt'ora la persona più saggia che io o il Santuario abbiamo mai conosciuto, e forse anche il più sapiente. La biblioteca che Camus ha ricevuto in eredità è forse una delle tante prove di quel che dico. Possedeva una conoscenza enciclopedica ed era un discreto astronomo: era il solo al quale era permesso salire allo Star Hill insieme al Maestro Sage, per leggere e interpretare le stelle. Ma questo già lo sai. Quando lo cercavi per qualche motivo, lo trovavi sempre con il naso immerso in un libro o, come spesso succedeva, in biblioteca, circondato dagli oggetti che amava di più."
Mei sorrise.
"Sì, me l'ha detto." annuì, decidendo di non parlare a Shion dei diari di Degél che aveva trovato in una cassapanca nella soffitta dell'undicesima casa e che non aveva mai avuto l'ardire di leggere.
"Perdona la mia domanda... come si manifesta?"
"Intendete dire il modo o l'aspetto che ha quando lo fa? E' una sorta di ologramma, capite? Io lo vedo, posso parlargli, interagire con lui come se fosse ancora vivo, ma Camus no. Ha l'aspetto di un uomo più... maturo dei suoi eterni ventidue anni; mi supera in altezza di quasi tutta la testa, in vita doveva essere un giovane di media corporatura e ha quest'atteggiamento elegante, nobile... e nonostante sia uno spirito, vedo i suoi occhi brillare, a volte. Mi ritengo molto fortunata a conoscere una persona come lui. La prima volta si manifestò nel corridoio dell'undicesima casa, durante quel breve periodo antecedente la scalata del Santuario nel quale io ero ospite di Camus. Saga mi aveva convocata al tredicesimo tempio, per accertarsi che non fossi una spia di qualche divinità nemica di Athena, e dopo avermi chiesto di fare il doppio gioco per suo conto ai danni del Maestro, cosa che non avrei mai accettato di fare, ricordo che finii con il litigare proprio con Camus, accusandolo di avermi manipolata e usata. Sulle prime l'avevo scambiato per un'ombra, finendo poi con l'attraversarlo un paio di volte, e lui ha... attaccato bottone con una sorta di rimprovero: è così che è iniziata. Qualsiasi cosa ci sia tra di noi, perché non so come definirla."
Si poteva definire amicizia, la loro? Degél faceva parte della Storia del santuario, per lei era quasi una figura mitologica più che un amico.
"Suggerirei amicizia. Al di sotto dell'aspetto algido e del carattere introverso, Degél sapeva essere un grande amico. Trattava tutti alla pari, era una persona alla mano."
"Immagino. Non mi ha mai dato l'impressione di essere un uomo altezzoso. Dev'essere una caratteristica tipica dei prescelti alla carica di undicesimo Gold Saint, quella di essere freddi e schivi all'apparenza, con la differenza che monsieur sembrava freddo, Camus a volte lo è davvero. Con me almeno, dato che con la bambina si comporta normalmente."
"Non mi dà affatto l'impressione di essere freddo come dici."
Mei sospirò, continuando a guardare il ritratto di Degél.
"Voi conoscete il guerriero, il difensore di Athena. Io conosco anche l'uomo dentro l'armatura. E fidatevi quando vi dico che a volte sono la stessa persona. Ma a me va bene così, del resto quando ci siamo scelti, entrambi sapevamo com'era l'altro." rispose Mei. Si accorse che gli incensi che aveva acceso erano quasi esauriti e sospirò. "Vi ringrazio degli aneddoti e di questa visita, spero di non avervi fatto perdere troppo tempo."
Shion le sorrise, tornando a darle attenzione dopo aver guardato fugacemente in direzione del matroneo.
"E' stato un piacere ricordare i miei vecchi amici." le rispose infine, con uno sguardo strano negli occhi. "Ti riaccompagno."
"Vi ringrazio ma non ce n'è bisogno, conosco la strada."
Accennò un inchino, quindi si drappeggiò addosso il mantello pesante prima di uscire nell'aria fredda del Santuario.
"Duìyú yǎdiǎn nà, nǐ shì rúcǐ měilì. Nǐ kàn qǐlái xiàng gè gōngzhǔ."
Si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con Camus.
"...cosa?"
"Ti ho detto che sembri una principessa, sei molto bella."
"Questo l'ho capito."
"Peccato non poter indossare questa mise anche su a Parigi, ti stanno bene gli abiti tradizionali."
"A casa mi guarderebbero come un'aliena." gli rispose. "Non avevo bisogno della guardia del corpo, comunque."
"Cosa vuoi dire?"
"Sapevo che eri su nel matroneo. Non ti conoscessi..."
"...non avevo il Cosmo attivo."
"Percepisco la presenza di Degél che non ha più il Cosmo attivo da più di due secoli e credi che non riesca a percepire il tuo? Andiamo, su." replicò Mei. "Sei arrivato quando Shion mi stava parlando di Aspros e Deuteros, praticamente hai seguito tutto il nostro discorso. Volevi sapere che cosa avrei detto una volta arrivata a monsieur, dì la verità. Ebbene, sono affascinata, è vero, ma a parte questo, non provo che ammirazione e rispetto per il tuo predecessore. Volevi sapere questo, no? Se è per questo sono affascinata anche da Vincent Cassel, da Albert Camus, da un sacco di altre personalità. Ma il fascino è una cosa, attrazione e amore sono ben altro, e sono cose che provo per un uomo soltanto, il rosso zuccone che ho sposato di fronte a quattro soli testimoni in comune e che aspetto di sposare come Dèi comandano di fronte a tutti i nostri amici, lo stesso testone che mi tratta freddamente. A volte non so che cosa pensare... forse non ti fidi abbastanza di me?"
"Che sciocchezze stai dicendo? Non mi fido? Sono freddo? Io non sono freddo con te."
"Allora non te ne rendi conto, perché comunque lo sei, a volte. E preferisco imputare la causa di tale freddezza al tuo carattere introverso da parigino snobbone e non a quanto successo anni fa perché non posso pagare lo scotto di certi errori per tutta la vita. Non me lo merito." replicò Mei. "E ora scusami, devo passare da Dohko."
 
*
 
Secondo giorno.
Camus si svegliò avvolto dal penetrante odore d'incenso che proveniva dal sottotetto e, più precisamente, dalla Stanza degli Avi dove Mei doveva essersi ritirata a pregare: un odore talmente forte da riempire tutta casa.
"Di già?" commentò tra sé e sé, mettendosi a sedere e afferrando l'orologio dal comodino. "Le otto. Coraggio, alziamoci."
Sulla panca ai piedi del letto, degli indumenti e un biglietto: un pantalone morbido e ampio color antracite, una sorta di camicia grigio chiaro e una casacca nera di cotone pesante, profilata dello stesso colore dei pantaloni, insieme a una cintura; a terra, un paio di scarpe di tela nera.
"Non sentirti in obbligo."
Non era obbligato, ma se gli aveva riservato quei vestiti, significava che ci teneva: avevano quasi litigato il giorno prima, non aveva intenzione di farlo sul serio.
In cucina Mei stava parlando con Shiryu: attraverso il vivavoce sentiva la voce nasale del cognato, che già da sola bastava a dargli sui nervi.
"So bene quali sono i tuoi piani, sono gli stessi di ogni anno. Ma adesso ho altri defunti da onorare a parte i nostri: il cimitero dove riposano i miei suoceri è poco distante da casa, quindi prima andremo a far visita a Passy, poi domani mattina, con calma, verremo al Goro-Ho."
"Sono solo i tuoi suoceri."
"Senza Joséphine e Alexandre, così si chiamavano, non ci sarebbe Camus, non ci sarebbe mia figlia. Non sarei qui, in questo momento. Probabilmente sarei accasata a quel porco schifoso che abita al villaggio e che allunga le mani su chiunque. Sono morti e meritano lo stesso rispetto dei nostri genitori. Quindi, io andrò a Passy e pregherò sulle loro tombe com'è giusto che sia. Fine della questione."
"Ma di solito..."
"Di solito si visitavano solo i nostri avi perché non abitavo a ottomila chilometri di distanza! Oggi o domani non fa alcuna differenza, non posso fare due cose del genere nello stesso giorno, ti ricordo che la mia è una gravidanza particolare."
"Lo so."
"Senti, faremo così: domani mattina verrò insieme a Camus e Lixue così da poter andare al cimitero. Non posso davvero fare due giri nello stesso giorno, il carico emotivo è enorme e non posso sopportarlo tutto insieme. Ti invio un messaggio più tardi per farti sapere."
"D'accordo."
"Bene. A più tardi."
La vide spegnere il tablet con il quale aveva appena finito di parlare in videochiamata con il fratello e guardare verso il cielo.
"Spero mi comprendiate, non voglio offendervi."
Camus si schiarì la voce prima di entrare in cucina.
"Bonjour!" esordì allegro, inducendola a voltarsi. Indossava le sue stesse cose, solo, ovviamente, con una gonna al posto dei pantaloni e con la casacca che sfiorava il pavimento.
"Ciao! Oh!" esclamò Mei in risposta, sorpresa nel trovarlo nei vestiti che gli aveva lasciato ai piedi del letto. Non era del tutto sicura che li avrebbe indossati. "Non... non eri obbligato, sai. Se ti senti ridicolo, puoi andare a cambiarti, purché siano indumenti totalmente neri."
"E' tutto a posto, non mi sento ridicolo." le rispose, avvicinandosi a lei.
"...bene. Sappi che questo completo apparteneva a mio padre e... beh, scarpe e camicia sono nuove. E che ho dovuto scucire l'orlo dei pantaloni perché sai, sei un po' più alto di com'era lui." Mei gli sistemò meglio la cintura, lisciando delle pieghette sul petto, quindi, lo guardò. "Ti ringrazio davvero tanto."
Le rispose con un lungo bacio e un abbraccio.
"E io ti ringrazio per questa notte: è stato bello. Tranne forse per quella tua arpionata alla spalla destra." ridacchiò piano lui. "Mi fa ancora male."
"Oddèi, mi dispiace davvero tanto."
"Non fa niente. Ho sentito che parlavi con Shiryu, del fatto che non possiamo andare adesso al Goro-Ho perché abbiamo altro da fare oggi."
"Direi proprio di sì. Quando ci siamo conosciuti mi hai detto che i tuoi sono tumulati nel cimitero di Passy."
"Te lo ricordi…" commentò Camus, stupito.
"Certo che sì. Ricordo tutto di quel periodo, non ho l'Alzheimer."
"Sono nel cimitero di zona, Passy è poco distante da casa nostra, ma non sono ancora mai andato a visitarli."
"Mai?!" si stupì Mei.
"Non riesco ad andarci da solo, crollerei sulle loro tombe come un bambino."
"E' per questo che ci sono io: per sostenerti. Faremo così, dopo aver pregato per le anime dei nostri cari, andremo al cimitero a portar loro dei fiori. Tu non ci credi, ma loro sono ancora qui con noi, hanno solo assunto un'altra forma." gli rispose.
"Peccato che i miei ricordi legati a loro siano frammentati e del tutto sfocati."
"Non parlavo di ricordi." gli rispose, mentre lui si sedeva al tavolo. "Comunque, giacché stiamo ripercorrendo il viale dei bei tempi andati, voglio proprio vedere se rammenti anche questo."Camus guardò a lungo il piatto con le frittelle guarnite di panna e salsa di lamponi.
"Ehm... credo di averle cucinate per te, una volta."
"Sì, infatti. Quella volta all'isba, dove avevi cucinato per me e dove avevi intenzione di portarmi a letto, quando poi Hyoga ci ha interrotti."
"Non era quella la mia intenzione primaria." rispose Camus.
"Certo che no, infatti la tua maglietta sparì per magia."
"Fosti tu a togliermela."
"Sì, e non solo quella." ridacchiò Mei. "A distanza di tanto tempo ancora mi stupisco per l'intraprendenza dimostrata, e pensare che avevo appena diciassette anni. Avessi avuto all'epoca la testa che ho adesso, ti avrei portato dietro la cascata molto prima. Che c'è? Sono troppo sfacciata per i tuoi gusti?"
"No, è che all'epoca non ero quel granché."
"Scherzi, vero?"
"Ero ancora un ragazzino con le efelidi e poca esperienza."
"Direi che quella è arrivata con l'età e fidati, sei molto migliorato." lo riprese Mei, circondandogli le spalle in un abbraccio. "E io impazzisco per le tue efelidi, perciò ti toccherà tenerle."
Camus ingoiò un boccone e corrugò la fronte.
"Lo so, non sono buone come le tue, sul ricettario hai aggiunto anche un +15 grammi di un ingrediente che non è specificato."
Lui annuì.
"Certo che non è specificato. Sono figlio di mio padre, e lui diceva sempre che un buon cuoco non rivela mai gli ingredienti segreti delle proprie ricette. Perciò spiacente, quei +15 grammi per te rimarranno sempre un mistero."
 
Camus, Hyoga e Lixue la seguirono nella Stanza degli Avi, pregando e onorando i propri defunti prima di recarsi, come stabilito, al cimitero di Passy, a pochi isolati da casa loro.
"Non c'è che dire, la vista è ottima anche da qui."
Camus voltò lo sguardo all'imponente figura della Tour Eiffel dietro di loro.
"..."
"Cosa? Perché sei così polemico contro la Tour Eiffel?"
"Tu e mia madre sareste andate d'accordo, anche lei l'adorava."
"E scommetto che tuo padre invece la detestava, mh?"
"Già." le rispose, prima di scambiare brevemente due parole con il custode, per avere informazioni su come raggiungere la tomba di famiglia. "A quanto pare non c'è molto da camminare, vieni."
"Non ci sono fotografie."
Camus si guardò intorno dopo aver controllato la mappa del cimitero.
"No, da noi non si usa."
"Ma è così triste..." sospirò Mei, soffermandosi a guardare le file di tombe ai lati del vialetto: le lapidi riportavano solo il nome e talvolta un breve epitaffio, molte erano ravvivate da colorati mazzi di fiori e amorevolmente curate ma... scure e tristi. "Oh caspita. Debussy? Quel Debussy?"
"Sì, quanti altri Debussy conosci che di mestiere erano musicisti?"
"In effetti... e Chopin dov'è sepolto?"
"Ehm..." Camus si fermò a un bivio, seguendo poi le indicazioni del custode annotate su un post it appiccicato sulla mappa. "Il buon vecchio Frédéric riposa al Père Lachaise, nel XX arrondissement. Nel cimitero dei vip dove certi turisti si recano per fumare uno spinello sulla tomba di Jim Morrison."
"Oh. Abito a Parigi da quasi un anno e ancora non ho visto tutto."
Lui inarcò un sopracciglio.
"In questo caso ritorniamo sul discorso del patibolo giù all'arena del Santuario: ho intenzione di portarti a Parigi con me, un giorno, per farti fare un bel giro: Montmartre, Les Invalides, La citè des morts! Ottimo metodo per far colpo, sì." le rispose.
"Che sciocchezza, Camus. Avresti potuto parlarmi di qualunque cosa, avevi già fatto colpo su di me da tempo." sorrise Mei. "Soprattutto con la tua conturbante battuta: resta vicina a me e non ti succederà niente!"
"Ah, mi prendi in giro adesso, mh?" Camus rispose al sorriso, perdendolo subito dopo quando si accorse che erano arrivati. "Aspetta, Mei. Ci siamo."
Lei tornò indietro, sollevando lo sguardo sul piccolo tempietto davanti al quale si era fermato: sotto il timpano e una croce cristiana, campeggiava in lettere dorate il loro cognome. Camus frugò nella tasca interna del cappotto e ne trasse un mazzo di chiavi, con le quali aprì il cancello di ferro battuto che dava su una porta a due battenti; una volta dentro, accese la luce rimanendo in religioso e assoluto silenzio, lo sguardo fisso su un punto davanti a sé.
"Vuoi restare un po' da solo?" 
"Certo che no."
All'interno, al centro della tomba a pianta rettangolare, campeggiava un tavolino ovale sul quale era riposto un crocefisso, una Bibbia e un portacandele di ottone.
"Dissacrerei questo posto se ora affiancassi un brucia incensi alla Bibbia?" gli domandò dopo qualche minuto, posando sul tavolino un oggetto metallico.
"Stai tranquilla. Se c'è qualcosa o qualcuno in grado di dissacrare questo luogo sono io." le rispose. Al che, proseguì, dopo aver captato l'espressione stranita di Mei: "Sono apostata."
"Dunque tu non avresti nemmeno diritto di stare qui o... che so, entrare in una chiesa."
"Ah scherzi? Mi getterebbero acqua santa addosso gridando: a morte il traditore!!" le rispose. "Dai, torniamo seri. E' la prima volta che vengo qui e sono spiazzato."

Tra le tante lapidi, trovò quelle che cercava.
"Chi era Gabrielle Lemaire?"
Camus si voltò verso la figlia, che era appena arrivata insieme a Hyoga.
"La tua bisnonna, tesoro." le rispose, allungando la mano verso di lei in un muto invito. "La mamma di nonno Alexandre. Ricordi il nonno? Ti ho mostrato la sua fotografia più volte."
Lixue annuì. "Mio padre era parigino fino al midollo come tutta la famiglia Gauthier-LaRochelle: parigini da almeno nove generazioni. Mia madre, invece, era un miscuglio pazzesco: nacque ad Auxerre in Borgogna, da padre normanno nato e cresciuto a Caen e da madre nata ad Annecy, in Alta Savoia. Quando sono tornato a vivere a Parigi, dopo la guerra contro Hades e grazie ai documenti che Lady Kido ci procurò –non chiedermi come perché non lo so- la prima cosa che feci fu andare in comune a chiedere tutti i documenti relativi alla mia famiglia. Così scoprii che i miei morirono nel giro di due mesi dopo la mia partenza e che mio zio aveva venduto il ristorante di famiglia perché totalmente incapace di gestire un'attività. Ringraziando il cielo non ha venduto anche la casa, perché mi sarebbe davvero dispiaciuto… sai, io sono cresciuto in quell'appartamento. La stanza di Lixue era la mia... vorrei poter avere più ricordi di quelli che ho."
"Per essere un uomo che cerca di non pensare al passato, sei totalmente legato al tuo."
Camus accarezzò la lapide dei suoi genitori.
"Sono le mie radici, Mei. Per quanto cerco di non pensare al passato perché per me è un argomento doloroso, non posso e non voglio dimenticare."
"E io non ti sto chiedendo di farlo, anzi." rispose Mei. "Significa che non sei un bastardo senza cuore come dicono le ancelle del Santuario."
A sentire il vecchio –ma ancora attuale, a quanto pareva- soprannome che le ancelle gli avevano affibbiato, Camus sorrise.
"Ah, il mio caro, vecchio soprannome. Non il mio preferito, ma può ancora andare. A volte penso a come sarebbe stata la mia vita se il mio Cosmo non si fosse mai manifestato. Chissà dove sarei, dove saremmo adesso."
"Forse non ci sarebbe un noi, ed è anche grazie ad Athena se siamo qui, ora."
"Se come dici spesso i nostri destini erano già incrociati, in un modo o nell'altro saremmo comunque stati insieme." le rispose. "Faremmo meglio a tornare a casa, abbiamo ancora altro da fare."
 
 
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 20 giugno 2016]
Credo di essermi fatta prendere un po' troppo la mano nella rivisitazione di questo capitolo, praticamente è lungo seimila seicento parole!!
-Il titolo riprende un brano strumentale di Mattia Cupelli, un pezzo che io trovo magnifico e che mi ha aiutata molto nella stesura di alcune parti del capitolo. La canzone citata è di Giorgia. Il perché è facilmente comprensibile, dato che gran parte del capitolo è dedicata a quei personaggi che sono lontani nel tempo (e nello spazio, ecco anche spiegato il titolo e l'allusione al cielo) rispetto ai protagonisti ma che, nonostante tutto, sono ancora molto presenti nelle loro vite.
-Mi tocca ancora una volta fare la capitan ovvio di turno: nella sua risposta Camus cita diverse saghe letterarie: Il Signore degli Anelli, Le Cronache di Narnia, Il Trono di Spade e ovviamente, Star Wars.
-L'ultimo anno del Drago secondo il calendario cinese è caduto nel 2012, anno che, nella mia storia, è appena iniziato.
-Imperatore cinese, Drago e Antares
-Il lungo pezzo dedicato ai guerrieri del LC spero sia quantomeno il più veritiero possibile, dato che proviene dalla mia lettura del manga in questione e di una lunga ricerca online.
-Il cimitero di Passy si trova nel XVI arrondissement, ed è uno dei cimiteri più visitati di Parigi dopo il fratello maggiore Père Lachaise. Qui vi riposano, oltre Debussy, personaggi famosi come Fernandel, un imperatore del Vietnam e una delle figlie dello Scià di Persia.
Si tratta dell'ultimo capitolo revisionato, i prossimi saranno nuovi di zecca.
Alla prossima!


Lady Aquaria
 

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Capitolo 31
*** Everything. ***


31 storia principale
31.
Everything

in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing.
You're every line, you're every word, you're everything.
[Michael Bublè - Everything]

Giorno del Festival delle Lanterne, 7 febbraio. Goro-Ho.
Nonostante gli screzi della sera precedente, dovuti principalmente alla condivisione dello stesso tetto, tutti parevano essersi svegliati col piede giusto.
Forse.
Shiryu scese dabbasso con passi pesanti, segno che era irritato: entrò in cucina brandendo un asciugamani, diretto al lavello.
"Da quando in qua ci si lava nel lavandino della cucina? Abbiamo un bagno al piano di sopra, lo sai?" lo riprese la sorella.
"Ci pensa già la tua dolce metà a farmi saltare i nervi, non ti ci mettere pure tu."
"A proposito, la prossima volta evita di fare il ragazzino petulante. Dopo un po' anche la pazienza di Camus si esaurisce." interloquì Hyoga. "E ieri sera era pericolosamente vicina al limite."
"Quando imparerà a chiudere il becco io eviterò di rispondere."
"Ti ho già detto una volta di moderare i termini: alla terza volta ti arriva un manrovescio che te lo ricordi." replicò Mei, rimestando il riso.
Shiryu inarcò un sopracciglio.
"Non sono più un bambino."
"A parte che il tuo comportamento dice il contrario, ma ti ricordo che ti ho cambiato i pannolini fino ai due anni, signorino, perciò se devo servirti una sberla te la servo anche ora che ne hai ventuno."
"E ti assicuro che tua sorella tira delle belle sberle." proseguì Hyoga. "Ti prendono tutta la guancia dal mento all'occhio e... diamine, sembra quasi che l'occhio ti stia per schizzare via dall'orbita! Hai seguito dei corsi per imparare a dar bene gli schiaffi?"
"No, naturale predisposizione. Che diamine, a momenti diventerai padre e sei più immaturo di tua figlia che deve ancora vedere la luce."
"Povera creatura." commentò Hyoga sovrappensiero, in russo.
"Uh?"
"Nulla, nulla."
Hyoga si versò in silenzio una tazza d'acqua bollente nella quale immerse l'infusore di tè, riprendendo poi a parlare una volta rimasto da solo con Mei.
"Con l'età è diventato scorbutico." riprese. Non che una volta fosse più malleabile, ma durante le varie battaglie, pur essendo solo saccente, non era così irritante.
"Già. Neanche tu mi hai irritata tanto, a parte una certa volta..."
"Beh, è già un passo avanti."
"..."
"...che c'è? Viste le tue continue minacce di morte..."
"Finiscila. Sai, avrei dovuto immaginare che sarebbe finita così, spero solo che Lixue non si sia accorta di loro due e delle loro frecciatine. A questo punto mi pento di non essere rimasta a Parigi. Al quartiere cinese organizzano una festa bellissima, ho visto le foto dello scorso anno scattate da una mia collega: c'era anche una gara di danza del leone, le lanterne di carta da far volare, le suonatrici di guzheng..." sospirò Mei.
"E perché dunque non siamo rimasti a casa?"
"Credimi, me lo sto chiedendo anche io." sospirò Mei. Ma con Shunrei prossima al parto non aveva potuto chiederle di affrontare spostamenti fisicamente pesanti.
"Forse dovresti pensare un po' di più a te stessa e a cosa ti fa stare bene prima di pensare solo agli altri." le suggerì, come se le avesse letto nel pensiero.
"Sì, ci ho pensato, e più di una volta. Ma poi puntualmente mi tornano in mente gli insegnamenti dei miei genitori... quando penso che potrei essere un poco più egoista, mi sembra di sentire mio padre che mi elenca i principi del Bushidō."
"Non prenderla a male, ma è un po' strano sentire di un cinese che amava e apprezzava la cultura giapponese."
"Non sei il primo che me lo fa notare, ma la nippofoba di famiglia era una zia materna di mio padre, che nel massacro di Nanchino perse un figlio piccolo e beh, subì anche uno stupro...da un lato si può facilmente capire perché detestasse tanto i giapponesi, ma erano altri tempi e altre situazioni." rispose Mei. "Papà ammirava la figura dei samurai e nel corso della sua vita cercò di mantenere un rigore morale il più simile al loro. Diciamo che questo, insieme a Degél e beh, anche Camus che a lungo andare mi ha contagiata con la sua diplomazia, è uno di quegli elementi che mi frenano in certe situazioni. Non hai motivo per comportarti in maniera crudele, non hai bisogno di mostrare la tua forza. Sii gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale."
"Direi che i tuoi freni hanno fatto cilecca, qualche anno fa."
"Se ti riferisci a quella famosa volta, mi tocca darti ragione. Ma dire che sono stata crudele con te mi sembra esagerato: in fondo ti ho sfamato, curato e ti ho dato un posto dove riposare come i tuoi amici e non dimentichiamoci che hai ancora l'uso di entrambi gli occhi."
"Ah beh, allora scusami se ho osato insinuare qualcosa..." la prese in giro Hyoga.
"Se fossi davvero stata crudele, a quest'ora il tuo scheletro starebbe ancora penzolando da qualche ponte." replicò Mei, con un sorriso che Hyoga trovò inquietante. "E se non è successo è solo grazie alla tua buona stella."
"...quanto amore in poche, semplici parole." s'intromise Camus, entrando in cucina. "Quel genere di amore che un uomo vuole sentire ogni giorno intorno a sé."
"Specie se è il giorno del suo millesimo compleanno." ridacchiò Hyoga, ricevendo in risposta qualcosa in russo che lo fece scoppiare a ridere. Guardò Camus salutare Mei e il suo pancione con un gran bacio e sorrise. "Buongiorno anche a te ma niente baci, grazie."
"Non avevo alcuna intenzione di darti alcunché, pulcino. Allora, che cosa c'è per colazione?"

*

"Mi trovo costretto a ripeterti che in abiti tradizionali sei una visione."
Ferma sulla soglia di casa, Mei, avvolta da un hanfu nero e dorato, prese un gran respiro.
"Altresì mi trovo costretta a dirti di rivolgerti a un bravo oculista. Ascolta, sinceramente non so se è il caso che venga anche io. Insomma, posso stare qui a casa a cucinare mentre voi vi divertite: anzi, perché non mi portate qualche dolcetto?"
Camus la fissò, un sopracciglio inarcato.
"Stai scherzando."
"Affatto." rispose Mei.
"Vorresti davvero farmi credere che sei in grado di tenere testa a uno come Saga ma non sei in grado di fare lo stesso con una manica di bifolchi? Non ci credo."
"I palloni gonfiati sono facili da gestire: basta trovare la giusta valvola e li sgonfi. Ma l'ignoranza... quella è difficile da battere. A ripensarci avremmo potuto seguire il festival delle lanterne a Parigi, alla comunità cinese. Insomma, lì nessuno additerebbe te e Lixue."
"Sicuramente no, ma hey, guardami. Sono adulto e capace di difendermi, volendo potrei mandare al diavolo quei villici in otto lingue diverse." la interruppe lui ."E va bene. Allora mi gioco un'altra carta. E' il mio compleanno, quindi desidero trascorrerlo con te e non con tuo fratello, d'accordo?"
Mei si decise e si sistemò il cappuccio sulla testa badando a non sgualcire l'acconciatura, tenuta su da un innumerevole numero di forcine e pettinini.
"..."
"Madame, la vostra mano, prego." Camus allungò la propria mano verso di lei in un invito.

Nel corso degli anni il villaggio non era affatto cambiato, era rimasto tutto immutato, esattamente come l'ultima volta in cui l'aveva visto: le stesse terrazze adibite a risaie, gli stessi spiazzi erbosi, le stesse casette lungo il fiume.
Gli stessi sguardi.
"Passano gli anni, ma l'erba cattiva resiste a ogni intemperie." commentò Mei.
"Ignorali, non ne vale la pena." le rispose Camus, spostandosi davanti a lei lungo un punto un po' troppo ripido del sentiero.
"C'è un tempo per ignorare e un tempo per reagire, e il primo è già passato. Hai insistito tu per farmi scendere al villaggio, no? Non scendo da anni, giusto per evitare certi idioti." spiegò Mei, a disagio. "Dal giorno in cui sei venuto qui a conoscere Lixue, per la precisione."
"Per evitare le malelingue."
"Per evitare di sottoporre Lixue alle loro lingue biforcute." lo corresse. "Quante cattiverie ho sentito quel giorno: sgualdrina, fallita, scarto della società... di me possono dire quello che vogliono, non m'interessa, mia madre mi ha insegnato a ignorare le cattiverie. Ma non quelle su mia figlia, o su di te. Io sarò anche la sgualdrina che si è fatta fregare da un laowai, ma a differenza di tante qui, non sto marcendo in questo inferno maschilista che ritiene una bambina una disgrazia da sopprimere."
Shiryu sobbalzò quando sentì Mei ripetere le parole che le aveva rivolto anni prima, tuttavia non si scompose e continuò ad ascoltare la nipote, che gli stava raccontando di Parigi, della scuola e dei progressi fatti con il pattinaggio.
"Non mi piace sentirti parlare così." sussurrò Camus, circondandole le spalle.
"Ti toccherà farci l'abitudine." replicò Mei, ricambiando l'abbraccio e stringendosi a lui.
"Stai bene? Hai freddo?"
"Sotto l'hanfu ho dei leggings felpati e una maglia di micropile, stai tranquillo."
"Mmh, molto sexy, non c'è che dire." ridacchiò Hyoga, dietro di loro.
"Eh, non riuscivo a infilarmi la guepiere, che vuoi farci?" replicò Mei, serrando il bavero del mantello. "Lixue, tesoro, copriti bene altrimenti ti prenderai un malanno."
C'era una folla a dir poco enorme per gli standard del villaggio sotto il Goro-Ho: la via principale era infatti ingorgata, zeppa di bancarelle cariche di dolciumi e ninnoli porta fortuna, e le viuzze laterali non erano da meno.
Camus, Hyoga e Freya erano forse le sole persone a vestire all'occidentale in tutta quella fiumana di gente e nonostante il cicaleccio, la confusione e i bambini che giocavano, a Hyoga pareva di essere al centro dell'attenzione, cosa che non gli piaceva granché.
"Non hai anche tu la sensazione di essere osservato? Continuano a guardarmi come se fossi una bestia rara." mormorò, calcandosi il berretto sulla fronte e nascondendosi dietro la sciarpa.
"Non guardano te, guardano me." borbottò Mei, fulminando con lo sguardo una delle tante persone che anni prima l'avevano insultata. "Non fate più battute adesso, mh?"
"Siamo gli unici tre stranieri in mezzo a una marea di autoctoni, è normale." rispose Camus, con diplomazia. "E poi due biondi e un rosso in mezzo a un mare di capelli neri..."
"Devo dunque dedurre che non esistono cinesi biondi?"
Mei ridacchiò.
"Se sono tinti sì."
"Ah beh..."
"Non correre Lixue, stai stancando la zia." interloquì Camus, captando lo sguardo stanco di Shunrei.
"Va bene." obbediente, la bambina si fermò permettendo alla zia di riprendere fiato. "Papà, questa sera, prima dei fuochi d'artificio, mi porti a vedere le sculture di ghiaccio?"
"Sculture di ghiaccio? Dove?"
"Lo Yanqing Ice Festival, a Pechino. E' un'esposizione di enormi sculture di neve e ghiaccio illuminate con un gioco di luci colorate ed è molto suggestivo." spiegò Shunrei.
"Oh, sembra interessante. D'accordo, andremo a vedere le sculture allora." concordò Camus.
"E posso anche andare a comprare un dolce di riso?"
La guardò, sorridendo.
"Sì, ma poi, per oggi basta dolci: ne hai mangiati troppi negli ultimi giorni." concesse, prendendo una banconota dal portafogli e apprestandosi a seguirla.
"Lascia stare, ci penso io." si offrì Shunrei. "Ne approfitterò per mangiare qualcosa."
"Non sono d'accordo, ma... Lixue, il resto lo puoi tenere ma non spendere tutti i soldi in dolci, ci siamo capiti? E vai piano. Ricordati che cosa ti ho detto e soprattutto non farmelo ripetere." disse Camus, seguendo con lo sguardo figlia e cognata dirette a una bancarella piena di dolcetti colorati.

Poco più avanti, tra ninnoli e cibarie, sedeva una vecchina avvolta in un abito tradizionale; dinanzi a sé, un tavolino coperto da un drappo rosso.
"Ed ecco anche l'indovina che pratica il calcolo del destino, ovvero la risposta cinese ai chiaroveggenti occidentali." mormorò Shiryu, a beneficio di Hyoga e Freya. "Qualcuno vuole conoscere il proprio futuro?"
"L'ultima volta in cui ho provato a farlo mi sono beccata una strigliata da Degél, quindi no, grazie." rispose Mei.
"Sant'uomo, ha fatto bene." interloquì Camus. "Lo dovrei ringraziare, ricordami di farlo, una volta tornati a casa."
La risposta di Mei sarebbe arrivata in pochi istanti, ma venne interrotta.
"Nǐ! " [Tu!]
Si bloccarono tutti, come impietriti, accorgendosi che era stata la vecchina a parlare e che la stessa stava indicando Hyoga.
"...oddio, sta dicendo a me?"
"Shì de." annuì la donna, facendogli cenno di avvicinarsi e sedersi sullo sgabello di fronte a lei.
"Hyoga, hai paura di una vecchina? Eppure non mi sembra armata!"
Controvoglia, si sedette di fronte alla donna, che prese a fissarlo intensamente negli occhi, facendogli poi segno di abbassarsi la sciarpa per poterlo guardare meglio.
"Rilassati, sono certo che sia inoffensiva." disse Shiryu.
"Ma che simpatico." borbottò Hyoga.
La donna iniziò a parlare in cinese, lingua che Hyoga non comprendeva affatto, e Shiryu iniziò a tradurre a suo beneficio.
"Hai viaggiato parecchio, e la tua vita non è mai stata felice…"
"No, mai." concordò.
"…hai perso tua madre quand'eri molto giovane, ragazzo."
Hyoga deglutì. Era poco più che un bambino. Annuì, di nuovo, mentre le iridi della donna lo sondavano nel profondo.
"La croce che porti al collo è l'unico ricordo che hai di lei."
Di riflesso, Hyoga portò la mano all'altezza del petto dove, sotto gli strati di indumenti, si trovava la croce d'oro. In effetti, della bellissima Natassia, non aveva che un paio di foto e i suoi ricordi.
"…ma la ruota gira sempre, e chi prima piange, dopo è destinato a gioire."
"Lo spero"
La vecchina prese tre monete e gliele porse, spiegandogli in quale modo e quante volte avrebbe dovuto lanciarle.
"Servono a delineare l'esagramma dell'I-Ching." interloquì Mei.
Hyoga fece quanto richiesto e la vecchina trascorse i successivi minuti a tracciare linee intere e spezzate sul suo foglietto. Gli chiese di lanciare le monete per diverse altre volte, per poter tracciare i tre esagrammi necessari.
"Chieh e Chun." iniziò la vecchina, d'improvviso. "Così come il lago che straripa ha bisogno di dighe per evitare l'inondazione, tu hai bisogno di porre dei limiti per evitare di perdere il controllo della tua vita. Le difficoltà sembrano insuperabili ma occorre lottare con una grande forza di volontà fino alla fine."
Hyoga guardò la vecchina, poi Shiryu.
"A cosa si riferisce?"
Appena Shiryu ebbe tradotto la domanda di Hyoga, la vecchina sorrise.
"Rimanendo fermo corri il rischio di gettare all'aria un'occasione favorevole: prima porrai dei limiti, meglio sarà."
D'istinto, pensò a Hilda.
"Ta C'hu. L'esperienza acquisita col tempo ti sarà molto utile per valutare il passato e affrontare il presente: stai affrontando un momento particolare e solo l'esperienza ti potrà aiutare. L'energia che hai accumulato da tempo si trasformerà in una forza domatrice che ti guiderà verso gli obiettivi desiderati."
"Se non ci riesce la forza domatrice, ci penserò io." interloquì Camus, a bassa voce.
Prima di congedare Hyoga, la vecchina chiuse il blocco di carta e, senza guardare nessuno in particolare, parlò ancora.
"Tua figlia, la bambina che hai in grembo… ti darà tanto dolore e tanto orgoglio."
Camus assottigliò lo sguardo.
"Sono certa che stia parlando con te, io ancora non so di che sesso sono i miei." disse Mei.
"Nemmeno noi sappiamo che cos'è." protestò Shiryu.
"Finiscila, sai bene anche tu che sarà una femmina."
"Vogliamo andare?" interloquì Camus, sospingendo delicatamente Mei lontana da quella donna. "Sai che non credo in queste sciocchezze e soprattutto sai che non mi piacciono certe cose: poi va a finire che ti suggestioni."
"Soffrirò sicuramente, hai una vaga idea di quanto faccia male partorire?"
"....subirai un cesareo."
"Ancora peggio, quella è una vera e propria operazione."

"Sarai sedata."
"Puoi prendere il mio posto, se vuoi."
"Rifiuto l'offerta, se non ti spiace."

Tuttavia, pur continuando a sorridere e scherzare, Mei si scoprì inquieta. Si voltò istintivamente verso la vecchina, constatando che, però, quest'ultima si era come dileguata nel nulla.
"...cosa c'è?"
"Uh? Niente."


Il resto della giornata scivolò tranquillo a dispetto delle solite sciocche polemiche delle ore precedenti: dal Goro-Ho si spostarono a Pechino, dove furono raggiunti da Dohko, continuando a passeggiare in attesa dei fuochi d'artificio previsti per la sera, che avrebbero guardato in tranquillità seduti nel verde di un parco nei pressi della città proibita."Cavolo, manca un quarto a mezzanotte." sorrise Mei, prendendo qualcosa dalla borsa. Camus la guardò trafficare nella penombra, poi, la flebile lucina di un accendino. Infine, una yuebing, una tortina, con tanto di candelina. "Non hai avuto la torta come si conviene a ogni compleanno, ma sono ancora in tempo per farti gli auguri. I passaggi seguenti li conosci: esprimi un desiderio e soffia."
"Solo uno?!"
"La candelina non dura in eterno, sotto con il tuo desiderio."
"Ho già tutto ciò che desidero."
"Allora lo esprimo io, se non ti spiace: che tutto rimanga perfetto come questo momento."
Camus soffiò, spegnendo la candelina; prese il dolce e lo spezzò, porgendone metà a Mei.
"Tutto sommato è stata una bella giornata, non credi?"
A parte qualche solita battutina di troppo, ovviamente.
"Sì." convenne Mei, appoggiandosi a lui. "Uh, quasi mi dimenticavo di questo, e sì che aspetto di dartelo da mesi."
Un pacchetto di spessa carta rossa, con un fiocco dorato e un nodo portafortuna.
"Buon compleanno!"
"Mei, non avresti dovuto." sospirò Camus, accettando il dono.
"Aspetta a dirlo, sono certa che ti farà piacere."
Aprì con cura ogni pezzetto di nastro adesivo finché non estrasse il contenuto, boccheggiando sorpreso qualche secondo, gli occhi sgranati.
"Oh, Mei..."
"Avevo intenzione di dartelo come dono di nozze, ma mi son detta che sarebbe stato troppo poco per un'occasione di quel genere, ma come regalo di compleanno ho pensato fosse perfetto. Insomma, che cosa potevo regalare a un bibliofilo se non un libro?"
Camus distolse lo sguardo dalla copertina per posarlo di nuovo su Mei.
"...tu sei matta."
"Tesoro, questa è una cosa che abbiamo appurato già da tempo."
La prima edizione mondiale del Dottor Živago, edita in Italia nel novembre 1957, con la sovracopertina recante la fotografia dello scrittore. Aveva girato mezzo Piemonte per trovarlo, ma alla fine ne era valsa la pena: Camus possedeva una prima edizione russa edita nell'88, ma sapeva che non era esattamente la stessa cosa.
"La storia che c'è dietro questa edizione è avvincente quasi quanto il romanzo stesso: Pasternak affidò il manoscritto all'editore sfidando la censura e le ritorsioni del governo russo e quando vinse il Nobel per la letteratura non poté nemmeno ritirarlo per via delle pressioni dei servizi segreti russi che lo minacciarono di confisca ed espulsione dal Paese... miei Dèi, ho corteggiato a lungo questo libro su ebay senza riuscire ad accaparrarmelo... come hai fatto?" le domandò, a corto di fiato. "Davvero, non avresti dovuto farlo, dev'esserti costato una fortuna."
Un terzo del suo stipendio di novembre, ma erano stati soldi ben spesi.
"Questo dettaglio non deve interessarti, goditi il tuo regalo."
Lui avvolse di nuovo la carta intorno al libro, con cura maniacale.
"Non so come ringraziarti."
"In cambio voglio solo un abbraccio: i fuochi stanno per iniziare."
Hyoga si voltò verso di loro non appena avvertì un sibilo.
"Hey, iniziano i fuochi d'artifi-... okay. Come non detto." si corresse, guardando i due impegnati in un bacio appassionato.
Lixue si avvicinò ai genitori, circondando le spalle di suo padre in un abbraccio mentre il cielo si tingeva di infinite sfumature di colore.
"Che ti dicevo? Ho già tutto ciò che desidero."
"Parli di noi o del libro?"
"...sciocca."

"Pensi ancora alla veggente?"
Hyoga distolse lo sguardo dal cielo, dedicando attenzione a Freya.
"In un certo senso, sì."
"Per via di quel che ti ha detto riguardo tua madre?"
Sì e no, più che altro pensava alla strana sensazione che aveva avvertito quando la vecchina l'aveva guardato, come se avesse scavato nella sua anima e alle parole che gli aveva rivolto, come per avvertirlo di un pericolo imminente. La donna non aveva fatto nomi, eppure sapeva in qualche modo che c'entrava Hilda: i limiti che avrebbe dovuto imporre erano legati proprio alla sua ingerenza e sapeva anche troppo bene che sarebbe stato necessario imporli, o a lungo andare avrebbe perso anche Freya.
Ma ovviamente decise per quieto vivere di non dire niente di tutto ciò alla fidanzata.
"Ogni volta si risvegliano ricordi agrodolci, è come ricevere una stilettata." le rispose invece.
Freya si fece più vicina.
"Posso capirti, succede la stessa cosa anche a me quando ripenso ai miei genitori." sussurrò la principessa.
"Già. Ma hey, è un giorno di festa, via quella faccia triste!" avvertì dei lamenti alle proprie spalle e si accorse che era stata Shunrei a lamentarsi. "Oh cavolo."
Shiryu balzò in piedi come morso da una tarantola, aiutando Shunrei ad alzarsi.
"Mei!! Ci siamo! La porto in ospedale, raggiungeteci là."
"Cosa credi di fare, guidare? Assolutamente no, agitato come sei finiresti per schiantarti da qualche parte." rispose Mei, prendendogli le chiavi dell'auto dalle mani e sedendosi al posto di guida, non senza proteste del fratello. "Posa le tue chiappe sul sedile e fallo subito."
Shiryu si sedette a denti stretti sul sedile passeggero della propria auto, mentre Shunrei era stata sistemata sul sedile posteriore dell'auto di Mei, accanto a Freya. Mei scambiò un paio di parole con Camus, dicendogli di seguirla, quindi partì in direzione dell'ospedale.
"Al posto tuo eviterei di entrare in sala parto, non resisteresti due minuti, dammi retta. Lascia che partorisca in santa pace."
Sulle prime aveva deciso di assistere, ma col passare del tempo, complici anche alcuni video su youtube che stupidamente aveva guardato, aveva deciso che non sarebbe mai entrato in sala parto.
"Ho paura." confessò, abbandonandosi completamente contro lo schienale.
"Lo so."
Mei lo guardò fugacemente: aveva il volto imperlato di sudore e il respiro accelerato.
"Shiryu calmati o finirai con il farti venire qualcosa."
"Non mi sento bene."
"...appunto." sospirò Mei. "Tieni duro, manca poco."
La clinica dove stava portando Shunrei era la stessa nella quale avrebbe voluto partorire Lixue come si era riprogrammata di fare, ma poi, quella notte, tutto era accaduto in fretta. Sorrise a quel ricordo, ora che stava tornando in quella clinica non per sé, ma per la cognata.
"...Shiryu? Oddio."

*

"Come va?"
Uscita dalla saletta dove stavano visitando Shunrei, Mei si sedette, l'aria stanca.
"Insomma. Shiryu ha avuto una specie di attacco di panico e l'hanno sistemato di là con un sacchetto di carta e un tranquillante. Sembrava di essere in una scena di E.R, lei che mugugnava dal dolore e lui pallido come un cencio e in piena iperventilazione." spiegò Mei.
"Uomini. Grandi e grossi solo dove gli conviene. Se la natura avesse dato a loro il compito di procreare e popolare il mondo, la Terra sarebbe disabitata dai tempi del Mito." osservò Freya.
"Ah, puoi giurarci."
"Sì, ma Shunrei sta bene?" s'intromise Camus.
"La portano su per un controllo fetale, o almeno così ho capito. Per il momento è una roccia e si sente abbastanza coraggiosa da rifiutare l'anestesia. Non appena inizieranno i dolori, quelli veri, lo sarà di meno. Ad ogni modo non sono io quella che deve partorire, perciò..."
"A te manca una manciata di mesi, giusto per ricordartelo."
"Certo, lo so. Ma a differenza di Shunrei so che cosa vuol dire partorire senza epidurale e posso assicurarti che è un'esperienza che non intendo ripetere. Anzi, ho già stretto amicizia con l'anestesista, che oltretutto è anche un bell'uomo: assomiglia al Paul Newman da giovane. A ripensarci ha anche lo stesso pizzetto."
"Allora credo che quando toccherà a me, andrò a partorire nella tua stessa clinica. Se barba e pizzetto sono ben curati sono elementi che mi piacciono molto, in un uomo." commentò Freya.
"Come darti torto, piacciono moltissimo anche a me." annuì Mei, sbirciando di tanto in tanto verso le porte dell'ascensore in attesa di rivedere Shunrei.
"Ci risiamo, so già dove andrà a parare Mei." mormorò Camus, sporgendosi verso Hyoga mentre le due donne parlavano allegramente. Quando Mei accennò al suo attore preferito, Camus guardò Hyoga con un'espressione che significava: che ti avevo detto?
Freya osservò a lungo la foto che Mei le aveva porto.
"...uao."
"E guarda quest'altra.... dèi, in questa ha uno sguardo che mi fa impazzire."
"E' una rivista recente? Riesco ancora a trovarla da qualche parte?" domandò Freya.
"Non credo. E'Vogue Hommes International di luglio 2009. Me lo ricordo ancora bene perché non mi ha dato tregua finché non le ho avute per le mani: due copie trovate in un'edicola sugli Champs Elysées. Quando le ha viste si è messa a saltellare come una bambina la mattina di Natale, nemmeno le avessi regalato il diadema nuziale di Grace Kelly." commentò Camus.
"E che cosa se ne fa di due copie della stessa rivista?"
"Una è ancora intera e custodita come una reliquia, l'altra l'ho sezionata nei punti giusti e ho fatto plastificare le pagine, che per inciso ha appiccicato all'interno delle ante dell'armadio. Venera quelle foto come fa un cristiano con i suoi santi: San Keanu da Toronto."
"Da Beirut, semmai, dato che è nato in Libano." lo corresse Mei, sopportando le battutine ironiche del compagno.
Camus alzò le mani in segno di resa, scatenando le risatine di Mei, che si avvicinò, cingendogli la vita.
"...e adesso arriva anche la sviolinata nei riguardi delle mie doti, che fa giusto per farsi perdonare di preferire un attore a suo marito."
Shiryu riemerse da una stanzina attigua: ancora pallido come un cencio, ma tutto sommato con un aspetto migliore di quel che aveva avuto prima. Disse loro di tornare a casa, che sarebbe rimasto lui accanto a Shunrei e che li avrebbe chiamati alla prima novità.
"Che dici? C'è da fidarsi?" mormorò Hyoga.
Mei sospirò.
"Mal che vada mi chiameranno per tornare qui a raccattarlo." disse. "Adesso non faccio che sognare una doccia calda e il mio letto, quindi se non avete nulla in contrario, tornerei a casa."
"Ottima idea."


"Non dirmi che ti ho svegliato."
"Figurati, qui sono solo le ventitré meno qualcosa. Ma da te sono quasi le quattro. Tutto bene?"
"Benino, non riesco a dormire."
"E come mai?"
Camus tirò una boccata dalla Gauloises Blonde e guardò Milo attraverso l'obiettivo della webcam.
"Non dovresti fumare, sai bene che fa male."
"Lo so. Mi capita di fumare quando sono nervoso."
"Perfortuna non ti capita spesso o finiresti con l'avere i polmoni a pois come il tuo omonimo."
Abbozzò un sorriso.
"Il caro vecchio Albert aveva i polmoni danneggiati dalla tubercolosi, il fumo era l'ultimo dei suoi problemi." gli rispose, espirando il fumo in una nuvoletta dai contorni sfocati. "Stavamo assistendo ai fuochi d'artificio e Shunrei ha rotto le acque. Ho istintivamente pensato..."
"A Mei."
"Già. Cerco di non farle capire quanto sono agitato ogni volta che penso al cesareo ma la verità è che ho una paura tremenda."
"Direi che è comprensibile, anche se irrazionale. Voglio dire, la medicina ha fatto passi da gigante e la percentuale di chi muore di parto è molto, molto bassa."
"Mi rincresce farti notare che non mi stai affatto aiutando."
"Oh accidenti. Hai ricevuto il libro?"
"Il libro?"
"Živago."
"Oh sì. Ho come l'impressione che tu c'entri qualcosa."
"Ovviamente c'entro, ti ho tenuto impegnato mentre Mei, Hyoga e Compare Turiddu giravano mezza Italia alla sua ricerca."
"Ha! Lo sapevo."
"E ti è piaciuto?"
"Conosci già la risposta. Le sono molto grato, non immagini la sorpresa e lo stordimento che ho provato. Ma non avrebbe dovuto, dev'esserle costato caro e sa che non è il caso di spendere tanto per me."
"Le persone fanno sempre cose pazze quando sono innamorate."
Spense la sigaretta nel posacenere, ridacchiando.
"Oh, una citazione da Hercules. Vedo che ti stai portando avanti con il lavoro e che studi i film Disney per l'arrivo del tuo pargolo. Sono orgoglioso di te."
"Smettila."
Camus iniziò a fischiettare Circle of Life e Milo sbuffò.
"D'accordo, Cam. Buonanotte."

*

"Come sei silenzioso."
Accanto a lei, Camus sorrise appena, a mo' di risposta.
"Sei qui per vedere tua nipote, non per vedere mio fratello."
Un altro sorriso, stavolta forzato.
"Oh, avanti. So che non è la figlia di Milo, però..."
"Non dire sciocchezze, sai che la bambina non c'entra niente." si decise a risponderle. La piccola non aveva alcuna colpa e sicuramente non era il caso di piazzargliene un paio sul groppone a poche ore di vita. Era Shiryu il problema: era una cosa più forte di lui, non poteva farci niente se non poteva soffrire il cognato dopo tutto quello che aveva dovuto ingoiare per amore della sua famiglia. Diplomatico e paziente fino a un certo punto.
"...la prossima volta chiederò a Hyoga di accompagnarmi" sospirò Mei, prima di bussare.
"Vado a fumare una sigaretta, torno subito." le disse Camus, indicandole il balcone in fondo al corridoio.
"Sai che è una cosa che non mi piace."
"Lo so. Ma sono nervoso, che posso farci? O fumo, o inizio a litigare con tuo fratello: cosa preferisci?"
Alzò le mani in segno di resa.
"Fai come vuoi."
"Dieci minuti e arrivo."
"D'accordo." rispose Mei, prima di entrare nella stanza dove Shunrei era ricoverata: una camera singola, un po' buia ma tutto sommato tranquilla, dal rassicurante profumo di pulito.
Shunrei era sveglia e decisamente provata dal parto; di suo fratello, neanche l'ombra.
"Ciao." sussurrò Mei, per non svegliare la bimba che riposava nella culla accanto a sua madre.
"Ciao." ripeté Shunrei, flebile.
"Alla fine niente epidurale, mi hanno detto. Continuo a pensare che tu sia matta... a ripensarci ora col cavolo avrei fatto nascere Lixue a casa e senza anestesia! Com'è andato il parto? Tutto bene spero, mi spiace non essere rimasta, ma a un certo punto sono crollata."
Shunrei proruppe in una smorfia mentre tentava di mettersi semiseduta.
"Porti tre bambini in grembo, crollare è il minimo. Io sto bene, la bambina era più grande del previsto e così mi hanno rattoppata un po', con una quindicina di punti."
"Oddèi."
"Il peggio è passato." sorrise Shunrei. "Avresti dovuto vederci qualche ora fa."
"Immagino. E Shiryu dov'è? Non si sarà ancora sentito male?"
"No, l'ho mandato a mangiare qualcosa."
"Conoscendolo, sarà ancora scosso. Ma vedrai, il meglio deve ancora venire: un paio di giorni e potrai portarla a casa e allora sì che inizierà il vero divertimento! Posso...?"
"Ma certo."
Mei si avvicinò piano alla culla, scoprendo che la bimba era sveglia.
"Birbantella, allora sei sveglia. Nihao, piccola."
Shunrei sorrise, guardando la cognata.
"Che fai, piangi?"
"E' che... miei dèi, sono zia. Zia. Ancora non ci credo!" mormorò Mei, con i lucciconi agli occhi. "Mia madre sarebbe impazzita per la gioia, adorava i bambini e adesso sarebbe diventata nonna per la seconda volta, se fosse qui piangerebbe anche lei."
Non fece caso ai leggeri colpetti dati alla porta, né a Camus che entrò poco dopo, presa com'era dalla nipote.
"Puoi prenderla in braccio se vuoi." le suggerì Shunrei, prima di dedicare attenzione a Camus e rispondere alle sue domande.
"E' una gran capellona, vedo." sorrise Camus, guardando di sfuggita la bambina che Mei aveva preso in braccio. "Secondo alcune mie foto da neonato, io ero completamente calvo."
"Poi, per fortuna quest'aspetto è decisamente migliorato. Dèi, guarda quant'è bella! Ah, io sapevo che saresti stata femmina, l'avevo detto!" gongolò Mei. "Tutti i primogeniti dei ShuFang sono femmine e nessuno fa eccezione: io, zia ZhenZhen, le prozie Fèng, Shan e Jian-Shu, tua cugina Lixue... e adesso tu..."
"Yian-Mei." interloquì Shiryu, dopo essere silenziosamente entrato nella stanza e aver attirato la sua attenzione.
"...come, scusa?"
"Beh, di Mei-Yin ShuFang ce n'è già una in circolazione, perciò ho dovuto modificarlo un po'." le rispose. "Sei la sua unica zia, direi che merita il tuo nome."
Restò come impietrita, incapace di nascondere la sorpresa: tutto si era aspettata, tranne che una cosa di quella portata.

***

Lady Aquaria's corner
Oddéi, un capitolo inedito (permettetemi di usare un linguaggio professionale, anche se impropriamente!), dopo anni!
Anni, santi numi. Quasi mi vien da piangere (se non fosse che ho esaurito le lacrime a disposizione per oggi a causa del trailer di Io prima di te). Beh, che dire? Questa fan fiction ne ha passate davvero tante. Ripensamenti, revisioni, un cancro e un lutto, ma in fondo, come la sottoscritta, è ancora in piedi.
Mi sono accorta di non essere brava con i discorsi, perciò passo alle postille, e ringrazio ancora quei pochi che seguono: sono lenta come Syd il Bradipo a rispondere ma lo farò, promesso.
-Bushidō: letteralmente «la via [o la morale] del guerriero») è un codice di condotta e un modo di vita adottato dai samurai, cioè la casta guerriera in Giappone.
-Massacro di Nanchino: crimini di guerra perpetrati dai giapponesi ai danni del popolo cinese durante la seconda guerra sino-giapponese.
-"...disgrazia da sopprimere" avete mai letto lo spietato e crudo saggio dell'autrice cinese Xinran, dal titolo Le figlie perdute della Cina? Io l'ho fatto, ben sapendo che non sarebbe stata una passeggiata leggere le testimonianze di tante mamme costrette ad abbandonare o, nel peggiore dei casi sopprimere le proprie figlie neonate perché considerate delle sciagure. Non è questo il luogo per parlare del contenuto del libro, ma se avete possibilità di leggerlo, fatelo. Non sarà una passeggiata, ma vale la pena.
-Yanqing Ice Festival
-L' I-Ching, credo di averlo già spiegato, è un antichissimo metodo di divinazione. L'interpretazione in questo capitolo è del tutto personale, grazie anche ad alcuni siti consultati online.
-Compare Turiddu è l'appellativo che Milo affibbia di quando in quando a DeathMask.
-La storia del romanzo di Pasternak è davvero avvincente quasi quanto il romanzo stesso. Qui il sunto della faccenda.
-Il caro vecchio Albert al quale si riferiscono è, ovviamente, Albert Camus.
Alla prossima!


Lady Aquaria

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Capitolo 32
*** Love isn’t easy (but it sure is hard enough). ***


capitolo 32 principale
32.
Love isn’t easy (but it sure is hard enough).
[A volte non lo sopporti, non lo capisci. Ci discuti, ci litighi, ci fai persino a botte. Ma poi ti rendi conto di quanto sia stato stupido e ridicolo tutto ciò. Perché per quanto rancore puoi provare, in fondo sai che senza di lui non puoi stare e che nessuna incomprensione potrà mai separartene. Perché l’amore per tuo fratello è un legame troppo forte per essere spezzato. Perché l’affetto che nutri nei suoi confronti non può essere esaurito.
-Anonimo-]

 

Undicesima casa, quattordici marzo.
"Accidenti che confusione c'è su in casa... hai svaligiato un negozio di chinatown?"
Camus ridacchiò in risposta all'amico, mentre metteva ad asciugare una foto.
"Ma no, è uno di quei famosi bauli dei miei suoceri, sai, quelli che siamo andati a prendere a Nanjing mesi fa, se non ricordo male ti avevo parlato di quella faccenda." rispose a Milo, mentre questi, chiusa la porta antipanico dietro di sé, scostava il pesante tendone nero che contribuiva a tenere fuori dalla stanza qualunque fonte di luce.
"Accidenti, non vedo niente." si lagnò Shura, poco dietro di lui, inciampando in qualcosa.
"Certo che no, se è una camera oscura, dev'essere per forza buia, testa di rapa." sbuffò Milo, scuotendo la testa. "Mei è già in Cina?"
Camus annuì.

"Shiryu si sposa tra quattro giorni, il parto si avvicina sempre di più e io ero fortemente contrario a questo spostamento, ma sai già bene com'è andata. Vuole stare vicino alla nipote e alla cognata per aiutarla con la bimba, non ha voluto sentire ragioni."
"Immagino. Con le donne raramente riesci ad averla vinta, se poi hanno la tempra forte di Shaina o quella di Mei, un uomo non può che chinare la testa e abbandonarsi alla loro volontà." sospirò Milo.
"Parole sante, fratello. Se poi dalla loro parte hanno il mio predecessore, il tuo predecessore, sua madre e una caterva di spiriti, l'insieme diventa più che ingestibile."
"Cosa c'entra Kardia?"  
Gli raccontò brevemente di quanto udito nel matroneo durante la visita di Mei al tempio dove riposavano i loro predecessori.
"...cavolo. Sei fregato, amico."
"Hai un'empatia ammirevole, Milo." lo prese in giro Shura.
"Grazie."
"Semmai dovessi avere problemi, tu saresti l'ultimo che verrei a cercare."
Camus ricontrollò le ultime stampe messe ad asciugare, quindi sgomberò il tavolo dai barattoli che non gli servivano più per prendere altri oggetti da alcuni scaffali.
"Lei e i bambini stanno bene?"
"Si affatica facilmente e ha la pressione più alta del normale, ma secondo l'ultima visita tutto procede bene, visto e considerato che secondo la ginecologa il superamento delle trenta settimane è un buon segno. Ha detto che ha personalmente seguito donne che hanno portato una trigemina anche alla trentasettesima settimana e che date le buone condizioni di salute di Mei, spera di portarla avanti il più possibile."
"Per questo stamani eri all'Altare?" domandò Shura.
"Mei ha i suoi Dèi, io ho Athena, non credo in nessun altro. Per me non ho mai domandato nulla, perciò spero che questa volta accolga le mie preghiere e faccia arrivare Mei e i nostri figli sani e salvi al termine della gravidanza. Non voglio altro. Okay, sto per aprire questo rullino e ho bisogno di buio completo per i prossimi minuti." annunciò poco dopo, mostrando loro un piccolo contenitore nero. "Perché è uno dei rullini dei miei suoceri e se si danneggia, Mei verrà personalmente a farvi visita, avvisati. Quindi dentro o fuori, a voi la scelta."
"Io resto, sono curioso di vedere cosa fai." rispose Shura, adocchiando uno sgabello in fondo alla stanza e sedendosi poi in silenzio.
"D'accordo. Lixue, passami il rompi rullino."
Nei successivi minuti non udirono altro che rumori, immersi nel buio completo della stanza.
"...colori o bianco e nero?" domandò quindi Shura.
"Bianco e nero. Lo sviluppo di una pellicola a colori richiede un kit particolare di bagni chimici portati a una certa temperatura e richiede più tempo." spiegò Camus. "Soprattutto richiede precisione e tantissima pazienza, visto che basta un nonnulla per rovinare l'intera pellicola."
"Posso accendere la lucina rossa?" interloquì Lixue, abbarbicata su uno sgabello poco distante.
"Non ancora."
Affascinato quasi quanto Lixue, Shura si sporse per cercare di guardare meglio, ora che gli occhi si erano abituati all'oscurità, i gesti che Camus stava compiendo secondo un preciso ordine.
"Posso farlo anche io?"
"Non con i rullini dei nonni, tesoro."
Dopo aver sciacquato con cura il contenitore con la pellicola e averla srotolata e appesa, Camus riordinò il piano di lavoro in attesa che quest'ultima asciugasse.
"Dove hai imparato a fare tutto questo?"
"Per qualche tempo ho lavorato in un laboratorio fotografico." rispose Camus, controllando la pellicola. "Mentre studiavo sodo per laurearmi, tra l'altro. Okay, signori. Per abusare di una frase super collaudata, che le danze abbiano inizio."
A un cenno di suo padre, Lixue accese l'apposita lucina rossa, illuminando un secondo piano di lavoro occupato da un macchinario e tre bacinelle. Camus si mise di nuovo all'opera, tagliando a misura la carta per la stampa; Shura si avvicinò all'amico, badando a non intralciarlo.
"Papà, la prossima volta posso provare anche io?"
"Facciamo così: io ti compro una macchina fotografica tutta tua, se mi prometti ovviamente di trattarla bene e usarla con cura e ti permetterò di compiere qualche passaggio da sola finché non sarai totalmente capace di farlo da te. Potrai iniziare con le foto che scatterai al matrimonio di tuo zio. D'accordo?"
"Un evento a caso." sghignazzò Milo.
"Perché è il primo disponibile." rispose Camus, con finta innocenza.
I primi scatti ritraevano persone abbigliate in abiti tradizionali, all'interno di una tipica dimora cinese agghindata a festa: un matrimonio, probabilmente, dati gli ideogrammi beneauguranti e i drappi –sicuramente rossi- che ornavano l'enorme salone.
Poi, un volto vagamente familiare: un giovane che all'apparenza non arrivava nemmeno ai trent'anni, dai folti capelli scuri e un ampio sorriso. A parte qualche dettaglio, sembrava la versione più matura di Shiryu.

"Appendila là in basso, Lixue."
"A occhio e croce direi che questo è tuo suocero." osservò Milo, aiutando Lixue.
"Se sono le fotografie che credo, ho trovato il regalo perfetto per le nozze."
"Stai facendo tutta questa fatica per tuo cognato?"
"Ma che hai capito? Queste foto sono per Mei." replicò Camus, un sopracciglio inarcato. "Che domande. Mei non sa dell'esistenza di queste foto, perciò, a parte il mio regalo vero e proprio, gliele consegnerò il giorno del nostro matrimonio. A proposito, Lixue: acqua in bocca con tua madre, non deve sapere niente o mi rovinerai la sorpresa."

Le ultime due fotografie del rullino, ritraevano invece una sposa; il volto ripreso a tre quarti, pettinini e perline tra i capelli superbamente acconciati, una peonia e il bavero di un hanfu nuziale, lo sguardo perso chissà dove. La seconda ritraeva la stessa donna, ma in questa i suoi occhi guardavano direttamente nell'obiettivo, sulle labbra un sorriso che gli ricordava fin troppo bene una certa persona. Praticamente, la versione occidentalizzata di Mei.
"Per Athena" sussurrò Milo, alle sue spalle.
"Mia suocera."
"Sì, l'avevamo intuito."
"Com'era bella la nonna." interloquì Lixue, guardando con insistenza la fotografia. "Da grande vorrei essere bella come lei."
Camus le baciò la testa, stringendola in un abbraccio.
"Ma, amore mio... tu sei già bella."
 
Quella sera, mentre Lixue era a cena insieme a Hyoga e Freya, Camus ne approfittò per godersi una serata tranquilla. Almeno, finché l'icona di Skype non iniziò a trillare sul portatile con una musichetta orientaleggiante, segno che a chiamarlo era Mei.
"Non posso stare fermo davanti alla webcam, sto cucinando. Però ti ascolto... tutto bene? Come stai? Come state?"
Mei lo vide trafficare con pentole e padelle e sorrise.
"Bene, dai. Ho provato più volte a chiamarti oggi ma rispondeva sempre la segreteria telefonica."
"Ero in cantina a sistemare due cose." rispose Camus. "E il cellulare non prendeva. Tutto bene? Era qualcosa di urgente?"

"Ma no, è che ero in pronto soccorso e volevo parlarti, tutto qui."
"Pronto soccorso? Eri tu la paziente o hai accompagnato qualcuno? Non stai bene?"
"Miei Dèi, stai tranquillo, sono uscita subito... mi hanno fatto un'eco e nulla di che."
"...e me lo dici così?!"
"Come avrei dovuto dirtelo, scusa? Erano solo banali contrazioni di Braxton-Hicks e Shiryu ha insistito per portarmi in ospedale ma nulla di così allarmante: non è la mia prima gravidanza, so che cosa succede al mio corpo, stai tranquillo. Comunque, se la cosa può farti stare meglio, questa era causata dai signorini qui dentro che cominciano a risentire dello spazio sempre più ristretto."
"Buon cielo, per un attimo ho pensato di essere io la causa, secondo una rivista che ho letto tempo fa, possono anche essere causate dal sesso."
Dall'altra parte dello schermo, Mei mascherò una risatina con un colpetto di tosse.
"E come, se l'ultima volta che l'abbiamo fatto è stato il 24 gennaio?"
Camus arrossì appena.
"...cavolo, davvero? E' già passato così tanto?"
"Quarantotto giorni... che però sono molti di meno rispetto ai sei anni di qualche tempo fa."

"Cercherò di rimediare."
"Sarà meglio." replicò Mei, divertita, prima di udire il trillo del timer. "Uh! Che cos'è?"
Camus si alzò dal tavolo, diretto al forno; Mei lo intravide mentre trafficava con guantoni da cucina e presine di silicone, quindi pochi minuti dopo, le mostrò una teglia attraverso la webcam.
"Salmone e asparagi in cartoccio." le rispose. "Una delle ricette di mio padre: ho solo sostituito il finocchietto però, perché non mi piace granché, e ho aggiunto il rosmarino e... quel rumore proveniva dal tuo stomaco?!"
"Sto per leccare lo schermo, ti avverto." disse Mei.
Camus controllò l'orologio: al Goro-Ho dovevano essere circa le due del mattino.
"Ce n'è per un esercito, Hyoga mi ha dato buca per uscire con un paio di amici dell'Università. Vengo a prenderti e ce lo spazzoliamo."
Lei parve pensarci su.
"Dunque state per venirmi a prendere nel cuore della notte, monsieur. E ditemi, cos'avete in mente per il dopo cena? Avete intenzioni serie, spero."
Camus posò la teglia fumante su un poggia pentole, quindi si appoggiò al piano cucina, fissando Mei attraverso la webcam.
"Dopo cena c'è il dolce."
"Interessante, continuate."
"Dipende da cosa volete voi, mademoiselle. Bravo ragazzo o qualcos'altro, basta chiedere."
Mei sostenne il suo sguardo, finché non sospirò platealmente.
"Tesoro, ti farei tante cose se potessi, ma in questo momento peso più di te e se ti salto addosso, minimo ti fratturo un paio di costole."
"Peccato, questa cosa cominciava a intrigarmi seriamente. D'accordo dai, ti vengo a prendere così ripuliamo la teglia."
Quaranta minuti più tardi, dopo una generosa porzione di tiramisù alla nutella, Mei si appoggiò soddisfatta allo schienale della sedia.
"Questa sì che era una cena." sorrise.
"Stai mangiando abbastanza in questi giorni?" le domandò preoccupato.
"Sì, stai tranquillo. E' che Shunrei ha cucinato spaghetti di soia vegetariani per cena ed erano buoni, certo, ma avevo ancora parecchia fame."
Camus finì di pulire la teglia dai residui del tiramisù.
"Ho notato." le rispose, ridacchiando. "Alla fine per Hyoga ho comprato quel pacchetto esperienza, sai quello che mi avevi suggerito."

"Quello mozzafiato con il paracadutismo?"
"No, Hyoga detesta volare, figurarsi fare cose di quel genere. Ho scelto brivido estremo, dove può scegliere quale auto da corsa guidare su uno dei circuiti disponibili. Anche se mi sembra sciocco regalare una cosa del genere per una laurea, voglio dire... per quanto possa incartarlo con affetto e una ricca carta da regalo, scomparirà a confronto con un cronografo da ventunmila euro."
"Ma il tuo rapporto con Hyoga è diverso da quello con Freya, quindi lui stesso sarà in grado di comprendere il valore del tuo dono. Anzi, vuoi fare scambio col mio?"
Camus posò il bicchiere di Pinot e la guardò.
"Tu hai acquistato un regalo di laurea per Hyoga?"
"Perché la cosa ti stupisce?!"
"...vediamo, da dove posso iniziare..."
"Oh, smettila."
"E dove sarebbe questo regalo?"
"Qui a casa, l'ho comprato mesi fa: aspetta, te lo faccio vedere." rispose Mei, alzandosi a fatica dal tavolo. "Dovrei aggiungere un paio di cuscini sulla sedia, o andrà a finire che per alzarmi ci vorrà un argano."
"Perché ti sei alzata dunque? Stavo scherzando."
"Non posso mica restare seduta qui finché nascono!" rispose Mei, avviandosi verso la camera da letto. "Anche se l'idea non sarebbe male, dato che i signorini qui cominciano a stare un pochino stretti e tendono a lamentarsi con la sottoscritta con tanti amorevoli calci."
Quando tornò in cucina, gli mostrò un cofanetto blu chiuso da un nastro di raso, contenente un tubo d'argento, intarsiato con importanti decori e un medaglione centrale sul quale aveva fatto incidere il nome, il tutto rifinito con un cordoncino e due nappe rosse.
"E' un porta laurea, ho pensato fosse una cosa non troppo sciocca né troppo complicata. Nome e cognome sono giusti, vero? Ho fotografato il passaporto di Hyoga e spero proprio che i caratteri in russo siano esatti."
"Sì, sono giusti." sorrise Camus, dopo un'occhiata.
Sorrise di rimando, accarezzandosi quasi automaticamente il pancione e ricevendo un colpetto, l'ennesimo, sotto la mano.
"Stavo anche pensando a un'altra cosa: ricordi quando abbiamo discusso riguardo i nomi? Se qui c'è almeno un maschietto, come secondo nome sarebbe carino chiamarlo Jurij, sai, per Hyoga e suo padre. Uno di loro, però, deve portare il nome di mio padre, e questa non è una cosa sulla quale intendo negoziare." precisò, portandosi poi entrambe le mani al pancione. "Basta giocare con la vescica di mamma!"
"Dici davvero?"
"Cosa, per il nome? Ovviamente." spostò la mano fino a un certo punto, poi iniziò a premere delicatamente. "Porta pazienza tesoro, tra qualche settimana sarai fuori di qui."
Ripose con cura il porta laurea nella custodia, quindi spostò la sedia, sedendosi davanti a Mei.
"Posso?" le domandò, indicandole il pancione.
"Certo, che domande." gli sorrise, slacciandosi il kimono. "Ah, però devo avvertirti di una cosa: indosso il mio pigiama super-sexy e non vorrei provocarti un infarto."
Camus ci pensò su.
"Aspetta... quel famoso pigiama con le mucchine stilizzate?"
"Non erano mucche, era Pucca! E no, chi riesce a entrare più in quello?" ridacchiò Mei. Con fare teatrale spalancò il kimono, rivelando un pigiama di flanella a fantasia. "Ta-daaan!"

"...wow. Beh, anche io devo avvertirti di una cosa: ho le mani fredde."
"Sai che novità." rispose, scostando la maglia e sobbalzando non appena Camus posò le mani sul suo ventre.
Forse troppo emozionato per profferire parola, Camus non parlò per qualche minuto, limitandosi a guardare.
"Qui, sotto la mano sinistra c'è il più tranquillo: sembra apprezzare particolarmente questo posto perché tende a spostarsi il meno possibile. Ero preoccupata perché si muove poco rispetto ai fratelli, ma la ginecologa mi ha detto di stare tranquilla... spesso sento la sua testolina sotto la mia mano, quando la appoggio in questo punto." spiegò Mei, spostando la mano di Camus di modo che anche lui potesse sentire il bambino. "Al centro c'è un peperino dal carattere complicato: calmo il più delle volte, ma prova a disturbarlo... lo avverto spesso muoversi verso il fratello più calmo, come per cercare tranquillità. E infine il più pestifero, quello che di solito disturba il fratello di mezzo. Ho come la vaga impressione che sia femmina, però, perché Lixue si comportava allo stesso modo. Noi donne ShuFang siamo così, del resto."
"...spine nel fianco?"
"Ah ah ah, divertente." ridacchiò Mei, prima di diventare seria. "Cam, sono sottopeso."
"Tu o i bambini?"
"Ho preso venti chili abbondanti, non pensare a me. E' che il medico oggi mi ha detto che sono tutti e tre al di sotto dei due chili e duecento e... non so cosa fare."

Camus si alzò lentamente in piedi, interrompendo il contatto con i piccoli.
"...mi sono ricordata che Lixue quando è nata superava i tre chili e seicento e so perfettamente che essendo in tre saranno sottopeso, ma non pensavo così tanto. Cerco di stare tranquilla per tenere a bada la pressione e per non agitarli, ma in verità ho una paura tremenda."
La tirò a sé, stringendola.
"Domani mattina ti porto dalla dottoressa e vedremo il da farsi. Ti fai un bel bagno caldo e ti metti a letto, okay? Vado a prendere le tue cose al Goro-Ho, torno subito." le disse, cercando di rimanere calmo.
"...ma mio fratello si sposa tra quattro giorni."
"Dipende da cosa dirà la dottoressa. In caso contrario, andremo io e Lixue."
"Non scherzare, non posso disertare il matrimonio di Shiryu e Shunrei, sogno di vedere quel giorno da anni."
"Allora penso che dovrebbero quantomeno spostarlo."
"Sprecheresti fiato, ti risponderebbe di no: dovrebbero ricalcolare le date propizie." rispose Mei.
"Hyoga, che con te non ha in comune nemmeno una goccia di sangue, ha rimandato il matrimonio e lui che è tuo fratello, non lo fa?!" le domandò, esterrefatto. "Insomma, Hyoga ha letteralmente puntato i piedi per posticipare un matrimonio principesco con in ballo migliaia di invitati coronati e lui...? Oh, tutto ciò è assurdo. Se ti vuole bene anche solo la metà di quanto afferma, dovrebbe rimandarlo."
"Lo so, ma non lo farà. Ascolta, ti giuro che farò più attenzione del normale. Una volta superato anche questo, starò in assoluto riposo e non ti farò più preoccupare."
Con le donne raramente riesci ad averla vinta, se poi hanno la tempra forte di Shaina o quella di Mei, un uomo non può che chinare la testa e abbandonarsi alla loro volontà.
Sospirò, appoggiando la fronte contro la sua, le mani sulle sue guance.
"Mi spieghi come faccio a non preoccuparmi?"
"So badare a me stessa."
"Se dovesse accaderti qualcosa, non so cosa farei." le mormorò, poco dopo, abbracciandola.
Mei gli strofinò la schiena, sorridendogli.
"Stiamo bene. Staremo benissimo! Solo che devi promettermi una cosa: comunque vada, assicurati che i nostri ragazzi stiano sempre bene."
"Lo faremo insieme, perché non ti permetterò di andare da nessuna parte."
Come se dipendesse da te.
"Ma certo, lo so. Però è bene stabilire comunque delle regole da seguire, come lavarsi bene i denti almeno due volte al giorno, mantenere una corretta igiene e soprattutto una corretta alimentazione: le schifezze solo una tantum."
"Ti prego, basta. Non voglio ascoltare certe cose. Parlavi di regole? Eccone un paio: non dovrai sforzarti. E se mi accorgo che non ti senti bene, torneremo subito a casa, senza troppi ripensamenti. E so che non ti piace prendere ordini, ma questo lo è e non intendo discuterne."
 
*
 
"...lo so, Shunrei, e mi spiace non averti avvisato prima ma la dottoressa mi ha imposto il riposo assoluto dandomi a malapena l'okay per il matrimonio... Camus mi sorveglia come un lǐngshìwèi e quasi non mi fa alzare un dito. Chiedi a Lixue di darti una mano con Yian-Mei, le ho mostrato ieri come cambiarle il pannolino e come cullarla... diamine, alla sua età io cambiavo i pannolini di Shiryu! Stai tranquilla, ha preso da me. Io cosa faccio? Al momento sto guardando la tv on demand, ma non ho intenzione di rimanere ferma in panciolle a lungo, sai che non mi piace. D'accordo, ti avviso quando stiamo per arrivare. Ciao."
"Temo invece che dovrai rimanerci."
"Cosa?"
"Ferma e in panciolle, dico. Ti piaccia o no, dovrai farlo."
"Come no. Ti ricordo che manca un mese alle vacanze di Lixue e sicuramente non..."
"Sicuramente ci penserò io: ricorda..."
"...che hai cresciuto due allievi, lo so, Dèi del cielo me lo ripeti ogni volta."

Fermo sulla porta del salotto, Camus inclinò la testa e la guardò.
"Ti preparo qualcosa di dolce, magari ti addolcisci un po'." le sorrise.
"Se ci riesci..."
"Sfida accettata."
Lo sentì spignattare in cucina, tornando dieci minuti dopo con una fetta di torta.
"Se hai bisogno, sai dove trovarmi." le disse infine, prima di sparire in corridoio.
 
Tuttavia, circa quaranta minuti dopo, la vide ferma sulla porta della cucina.
"...che c'è? Non ti senti bene?"
Mei si soffiò il naso, cercando di smettere di piangere.
"No." gli rispose. "Pensavo fosse tutto a posto e invece va tutto a scatafascio."
"Non capisco se parli mentre piangi. Siediti e raccontami, dai." la fece sedere e le porse un fazzoletto. "Calmati e parla."
"...ecco... non bastava il marito fedifrago che la tradisce con la migliore amica e la ragazza che la lascia di punto in bianco, non bastava nemmeno l'incidente nel quale è quasi morta insieme alla figlia, ci voleva anche quella schifosa omofoba di sua madre!"
Camus mise da parte la cipolla e prese un pentolino.
"Oh Athena, per un attimo mi hai fatto preoccupare. Fammi indovinare... finale di stagione?"
"Sì." rispose Mei, singhiozzando. "Ma ti rendi conto? Il matrimonio con Arizona è una farsa e Sofia è nata nel peccato quindi per me non esisti più! Come può una madre ragionare così?"
Lui annuì, spezzettando una tavoletta di cioccolato nel pentolino.

"...ti va un po' di cannella?"
"No, preferisco la vaniglia." gli rispose, tirando su col naso.  
"Vaniglia, d'accordo." annuì Camus, addolcendo il fuoco sotto il pentolino per prendere una stecca dalla credenza. "Avanti, continua."
"...e Cristina? Diamine, io l'adoro ma quando ha deciso di abortire comunque pur sapendo che Owen desiderava con tutto il cuore un figlio, credimi, l'ho odiata. Tantissimo. Capisco il suo punto di vista ma come può fare questo a uno come Owen? Insomma, al posto suo gli darei tutto ciò che desidera, dato che ha passato l'inferno..."
"Owen è quello di traumatologia, giusto?"
"Sì. Dovresti vederlo, è un uomo meraviglioso!"
"Ed è quello rossiccio."
Sul viso di Mei comparve un sorrisone sognante.
"...."
"Immaginavo."
"Ho una predilezione per i rossi, che cosa ci vuoi fare?" Mei fece spallucce. "Ma la cosa peggiore sono stati Mark e Lexie... si sono lasciati!! Ah ma io ho un brutto presentimento su di loro. Bruttissimo. Come se non fossero destinati ad essere felici."
"Dici?"
"Beh, con una sceneggiatrice del genere, minimo succederà qualcosa. Un uragano che distrugge il Seattle Grace o perché no, un meteorite che distrugge l'intera Seattle."
Camus le porse la tazza colma di cioccolata calda, alla quale aveva aggiunto una spruzzata di panna montata.
"Esagerata."
"Ah, io sono esagerata? Quel serial è pieno di disgrazie... alla fine della prima stagione arriva l'ex moglie di Derek e complica l'esistenza di Meredith, poi c'è la morte di Danny, e Burke che lascia Cristina all'altare... ah, e non dimentichiamoci di George che finisce sotto un bus per salvare una donna. Ma la peggiore, ti giuro, è il pistolero impazzito che decide di mettere a ferro e fuoco l'ospedale e uccidere Derek perché convinto che abbia ucciso sua moglie! E l'ha quasi ucciso sul serio!!"
"Bevi." le sorrise, riprendendo a tritare la cipolla.
"... povera, avresti dovuto vedere con che disperazione Meredith lo implorava di non morire." concluse Mei, prima di bere un lungo sorso.
Hyoga entrò in cucina, dopo aver bussato sulla porta aperta come per annunciarsi.
"Cos'è successo?!"
Camus scosse la testa.
"Niente, Mei mi stava parlando di Grey's Anatomy."
"Quale stagione?"
"...stavo parlando del finale della sesta."

Hyoga sistemò qualcosa in frigo e posò un sacchetto sul tavolo.
"Ovvero quella del signor Clarke che decima i medici del Seattle Grace. Caspita che finale, quello." convenne, sospingendo il sacchetto verso Camus. "Basta che non mi fai spoiler della settima stagione, sono rimasto parecchio indietro."
"Cos'è?"
"Guarda tu stesso. Quando le ho riviste in vetrina ho pensato subito a te." gli rispose Hyoga, servendosi una tazza di cioccolata e sedendosi accanto a Mei.
"A me non hai portato nulla?"
"Beh, stavolta no. In compenso però ho comprato dei dolci per stasera, e prima che tu possa rimproverarmi, Camus, ti dico solo che arrivano da una certa pasticceria davanti al Cafè de Flore."
Mei corrugò la fronte quando vide Camus illuminarsi felice.
"...cosa c'è davanti al Cafè de Flore?"
"Un famoso café-ristorante moscovita." rispose Hyoga. "E' un tantino caro, ma fa dei dolci spettacolari."
"Dovremmo andarci tutti insieme, un giorno, a rimpinzarci di Napoléon e Rozovaya , la mia preferita." disse quindi Camus. "Con una teiera di assam bollente."
"Concordo su tutto, tranne sul tuo discutibile tè nero." replicò Mei. "Ah Hyoga, aspetta, devo parlarti."
Lui la precedette verso la porta che separava gli appartamenti di Camus da quello che divideva con Freya.
"Dimmi."
"Hai veramente spostato la data del tuo matrimonio?"
"Sì." rispose Hyoga, corrugando la fronte.
"...per me?!"
"Sarebbe stato indelicato e sciocco farti sopportare uno spostamento fino ad Asgard e soprattutto una cerimonia di quella portata. Sarebbe pesante per chiunque, figurarsi per te. E non l'ho fatto per posticipare il mio... cito le parole di mia cognata ingresso nell'antica famiglia reale dei Seierstad, perché sapevo fin dall'inizio a cosa sarei andato incontro, ma è stato un semplice atto di cortesia nei tuoi confronti."
"Non me l'aspettavo." mormorò Mei. "Voglio dire, a mio fratello non è nemmeno passato per l'anticamera del cervello un ragionamento simile..."
Hyoga le sorrise, quindi le diede un bacio sulla fronte.
"Ma io non sono Shiryu."
Già.
Tornò in cucina per far compagnia a Camus mentre cucinava; quest'ultimo, dopo aver sistemato in forno una torta –il profumo di mela e cannella non lasciava spazio a dubbi- e aver preparato la teglia con la trota, era già impegnato con qualcos'altro.
"Hai mai pensato di seguire le orme di tuo padre?"
Camus alzò rapidamente lo sguardo dalla ciotola, sorridendole.
"Una volta forse, appena tornato in Francia. Ma avrebbe avuto un senso se mio zio non avesse venduto il ristorante di famiglia: allora avrei seguito le orme di mio padre, frequentando il cosiddetto Grande Diplôme del Cordon Bleu e prendendo il suo posto, un giorno. Era un ristorante con due stelle Michelin, sai? O almeno, così è riportato sui documenti in mio possesso."
"Wow."

"Esiste ancora, ovviamente con un altro nome, e si trova poco distante da qui nell'ottavo arrondissement, in Rue du Faubourg Saint-Honorè."
"Una viuzza anonima, proprio. Come si chiamava prima?"
"Lutetia Parisiorum, ovvero il nome romano della città antenata della nostra bella Parigi." rispose Camus.
"Fammi indovinare...il nome fu scelto da tua madre."
Camus ridacchiò.
"...perdiana, come hai fatto?" scherzò. "Uh, quasi dimenticavo: abbiamo ospiti a cena."
Mei si raddrizzò dopo aver sbirciato nel forno.
"E cosa aspettavi a dirmelo?" controllò l'orologio appeso sulla porta della cucina e sbiancò. "Diamine, è tardi e devo ancora farmi una doccia e rendermi presentabile! Chi hai invitato?!"
"A parte Hyoga che ieri mi ha dato buca, Shura, Milo e Shaina, Aphrodite... nessun collega di lavoro, stai tranquilla."
"Menomale, perché non mi piacerebbe avere a cena certe persone."
Un'altra risatina.
"Dai, che colpa ne ha Eugène se ha lo stesso cognome dei locandieri di Hugo?"
"Mi è antipatico a prescindere."
 
*
 
Nelle trentasei ore successive Camus badò bene a farsi vedere il meno possibile al Goro-Ho, per non essere invischiato in rituali o tradizioni alle quali non voleva partecipare, essendoci di mezzo il cognato. Anche quel pomeriggio, a poche ore dal matrimonio, era riuscito con una scusa a sgattaiolare a Parigi per stare un po' tranquillo.
"Mei?"
Dall'altra parte della webcam, vide Camus ancora in accappatoio, scalzo e con i capelli umidi.

"Devi ancora vestirti?!" esclamò. "Hai detto vado a prendere due cose che ho dimenticato a casa e sei ancora svestito?! Manca meno di un'ora!!"
"Lo so, scusami, farò in tempo." le rispose.
Camus alzò a tutto volume le casse del portatile e si allontanò di qualche metro dal computer, sorreggendo due grucce.

"Quale dei due?" le domandò, intravedendo l'espressione di Mei dall'altra parte. "Non fare quella faccia, non indosserò abiti tradizionali per lui. Allora? Antracite o blu di Prussia?"
"...d'accordo. Quello a sinistra, si abbina meglio con la cravatta bordeaux. O meglio, perché non indossi quello della custodia nera in fondo al tuo armadio?"
"Il completo che ho indossato per la laurea e per il nostro matrimonio civile? Opzione non valida: è di Armani, mi è costato un occhio della testa e lo uso solo in casi eccezionali. E per anticiparti, ti dico che anche lo smoking e lo spezzato sono fuori discussione."
Mei sospirò.
"Ma che spiritoso. Quello antracite andrà benissimo, ricordati qualcosa di rosso."
"Me l'hai già detto."
"E' tardi e... Dèi, mi stanno chiamando."
Camus allentò la cintura.
"Di già? Peccato per te, non sai che ti perdi."
"Qualcosa che in questo momento non posso avere, quindi smettila di torturarmi e vèstiti."
Tuttavia si concesse qualche altro secondo davanti alla webcam, sospirando quando dall'altra parte vide Camus, di spalle, gettare a terra l'accappatoio diretto al cassettone.
"Noto che nonostante la tua fretta, sei ancora lì."
Distolse lo sguardo dalla sua schiena e da tutto il resto, schiarendosi la voce.
"Non appena ti avrò per le mani, saranno fattacci tuoi."
"M-mh."
"Ti voglio qui tra dieci minuti."
"Agli ordini, mia signora."
Spense il notebook, sentendo le guance in fiamme.
"Mei?"
"...sì?" rispose, cercando di darsi un contegno. "Arrivo."

Shiryu tuttavia aprì la porta, corrugando poi la fronte.
"Stai bene?"
"Sì! Benissimo!" replicò, la voce più acuta del solito. "Dimmi, che c'è?"
"Ho bisogno di una mano con i capelli." le rispose, mostrandole dei fermagli.
Annuì, alzandosi e seguendo il fratello nella sua stanza.
"Di sotto c'è un chiasso tremendo, non so come farò ad arrivare a fine giornata." si lamentò Shiryu, attraversando il corridoio.
"Povero caro." lo prese bonariamente in giro, prima di fermarsi sulla porta, gli occhi sgranati. "Oh, miseria."
"I bambini?" impallidì Shiryu, guardandole la pancia.
"No. Tu." si portò entrambe le mani alla bocca; vestito con l'hanfu nuziale trovato nei bauli portati da Nanjing, assomigliava più che mai al loro padre, che per primo aveva indossato quell'abito. "Mi ricordi papà."
Shiryu sorrise imbarazzato.
"Non volevo farti piangere, scusami."
 
Camus arrivò al Goro-Ho dieci minuti più tardi, puntuale.
"Che diamine è successo qui?!" si domandò, guardandosi intorno nel salone principale della casa.
"Ah bravo, arrivi adesso a lavori terminati, eh?" lo riprese Hyoga. "Ci siamo spaccati la schiena a spostare tutti i mobili e montare quel palco e tu eri su a Parigi tutto tranquillo!"
Il salone era infatti stato spogliato di tutti i mobili –spostati nel solaio- e, in un tripudio di drappi rossi e nodi beneauguranti, sorgeva un baldacchino rialzato rispetto al resto della sala, circondato da sedie e tavolini. A completare il tutto, oltre a Seiya, Ikki e Shun e una manciata di altri Gold Saint, tanti volti sconosciuti o quasi.
"Certe facce non sono nuove." commentò a bassa voce.
Hyoga ridacchiò, sorseggiando una tazza di tè.
"A parte una parente, il resto sono abitanti del villaggio sotto al Goro-Ho. Sai com'è, quando si tratta di scroccare..."
"Beh, certo." replicò Camus. Nel mentre, qualcuno iniziò a suonare delle musiche tradizionali, con flauti e degli strumenti a corda che non seppe riconoscere. "...okay, prima che inizi tutto ho bisogno di parlare con Mei. Sai dov'è?"
"Dev'essere ancora di sopra." rispose Hyoga. "Ma stai tranquillo, manca ancora un po' alla cerimonia."
"E Lixue?"
"Ah, lei è sicuramente con Yian-Mei, non fa che stare con la cuginetta."
"Immagino, non vede l'ora di diventare sorella maggiore." sorrise.
Superò la porta tonda che dava sul corridoio e le stanze private della casa, quindi si avviò sulle scale, avvertendo con un certo sollievo il trambusto scemare pian piano.

Tutto il ballatoio del piano superiore era immerso nel buio, eccezion fatta per una lucina d'emergenza e per la luce proveniente dall'unica porta aperta, quella che, immaginò, doveva essere la stanza di Shiryu.
"Stasera quando tutti se ne saranno andati, ci sposteremo nella stanza degli Avi per il Legame delle Anime. Vuoi essere la mia testimone?"
Si fermò sul ballatoio, guardando Mei che, all'interno della stanza insieme al fratello, stava acconciando i capelli di quest'ultimo.
"Io cosa?"
Shiryu guardò Mei attraverso lo specchio.
"La mia testimone."
"Sì, ho sentito. Ma non credevo che... al mio, tu non..."
"Non c'ero, lo so. Ed è colpa mia, non posso biasimarti."
  rispose Shiryu, voltandosi. "Non sono stato un buon fratello in questi anni, non ho fatto che remarti contro."
Mei infilò uno spillone nel nodo che aveva fatto in cima alla testa del fratello e sospirò, incapace di profferire parola. 
"Sarei dovuto stare dalla tua parte sin dall’inizio, come tu hai fatto con me e Shunrei, invece di farti dannare per anni. Da quando è nata mia figlia non faccio che pensare a noi due, a come mi sentirei se lei e i suoi fratelli, un domani, litigassero fino al punto di non parlarsi più e ho pensato che non ne sarei affatto contento. Immagino quindi che nemmeno mamma e papà lo sarebbero: è il giorno più importante della mia vita e non voglio avere questioni in sospeso." le prese le mani tra le proprie, inchinandosi fino a sfiorarle il pancione con la testa. "Duìbùqĭ." 
Mi dispiace. 
Vide Mei commuoversi, inducendo Shiryu a rialzarsi. 
"Scuse accettate." mormorò Mei, abbracciando Shiryu poco dopo. "Sappi però che se me ne combini un'altra delle tue, ti trasformo in Farinelli. Intesi?"

Ahia. Camus arretrò di qualche passo, sorridendo, prima di tornare al piano di sotto.

"Non l'hai trovata?"
Ingoiò il raviolo brasato che aveva sottratto da un vassoio gigantesco, e si voltò verso Hyoga.
"...sì, ma stava parlando con Shiryu di faccende loro e ho preferito non intromettermi." rispose.   
"Spero abbiano fatto pace quei due, non è bello avere faccende in sospeso con un familiare così stretto." commentò Hyoga.
"E secondo te perché ho sempre insistito tanto affinché quei due si chiarissero?"
"Ah, ecco dov'eravate finiti!! Dovete spostarvi nel salone, gli sposi stanno per scendere!" li riprese Mei, spuntando d'improvviso sulla porta della cucina. "Vite, vite!! Mangerete dopo!!"
"Io non ho ancora mangiato niente!" protestò Hyoga, mentre Camus si avvicinava, sguardo sornione, alla moglie.
"Ecco, continua così. In quanto a te, più tardi faremo i conti." sorrise Mei, in risposta, baciando velocemente Camus ed elargendogli una pacca sul fondoschiena. "E adesso fuori di qui!"
"Che cosa hai combinato?"
"Mi spiace, ma sono discorsi vietati ai minorenni." ridacchiò Camus, infilandosi nel salone pieno di gente.
Le luci divennero più forti, illuminando ogni angolo della sala, e gli ospiti si disposero ai lati della passatoia rossa.
"Ho guardato diversi filmati su Youtube per farmi un'idea di quel che succede di solito, ma è tutto diverso." mormorò Hyoga che, accanto a Camus, occupava il tavolo a loro riservato, a ridosso del baldacchino.
"Non è mai come ci si aspetta. E per fortuna, perché un paio di quei video li ho guardati anche io e alcune cerimonie le ho trovate pacchiane e volgari." rispose Camus, ammutolendo quando Shunrei, abbigliata nel tradizionale hanfu rosso, fece il suo ingresso in sala.
"...dì la verità, stai immaginando Mei al posto suo."
"Sì." sussurrò Camus. "Ma sarà molto più bella."
Come evocata, l'interessata guardò in loro direzione, scoccandogli un gran sorriso; dietro di lei, Shiryu e Dohko.
"Non so perché, ma al solo immaginarti vestito come Shiryu, mi vien da ridere."
"Vedremo poi al tuo matrimonio, principino dei miei stivali." fu la replica di Camus, mentre metteva a fuoco la fotocamera.
"Quindi hai intenzione di vestirti alla cinese?" interloquì Freya.
Era un'intenzione di Mei, a dirla tutta.
"Diciamo di sì, anche se non di quel rosso squillante." guardò la foto appena scattata e sorrise compiaciuto. "Magnifica."
"Mei-Yin è una donna molto fortunata, anche io vorrei avere accanto a me un uomo che mi guarda con la stessa intensità con la quale guardi lei."
Camus si voltò di scatto, sgranando gli occhi quando, accanto a Lady Saori, vide Hilda.
"Teoricamente non dovrei nemmeno essere qui, sono una... come si dice? Imbucata, ma ero troppo curiosa di assistere a un autentico matrimonio cinese." proseguì Hilda, ricevendo un baciamano da Camus, a mo' di saluto.
"Ma se non sbaglio anche Camus si sposerà con una cerimonia tradizionale, dico bene?"
Erano dettagli quelli, che doveva ancora perfezionare insieme a Mei, tuttavia sorrise educatamente.
"In un certo senso, sì." rispose. Trascorse i successivi minuti a spiegare discretamente ogni passaggio della cerimonia che si stava svolgendo sotto i loro occhi così come Mei l'aveva spiegato a lui, affascinando le due sorelle con i suoi racconti.
"La cerimonia del tè è uno degli eventi più significativi, comprende rituali molto formali da parte di entrambi gli sposi per mostrare rispetto alle loro famiglie e si svolge dopo lo scambio dei voti. Di norma gli sposi servono il tè ai rispettivi suoceri e ai genitori per mostrare rispetto e gratitudine per tutti gli anni di amore e cura ricevuti: dato però che entrambi hanno perso i genitori, ecco che Shunrei offrirà il tè a Mei e Shiryu lo offrirà a Dohko."
Hilda si sporse per vedere meglio, appoggiandosi involontariamente al braccio di Camus.
"Comunque il tè è carico di simboli: purezza, stabilità, fertilità, l'augurio per un matrimonio felice, ricco d'amore e di figli..."
"Ecco, non ne avevo idea!"
Accanto a Dohko, Mei assottigliò lo sguardo, sporgendosi appena verso il Maestro.
"...il delitto di lesa maestà è ancora applicabile o è in disuso?" bisbigliò.
"Come dici?!" Dohko seguì il suo sguardo e adocchiò Hilda, ancora appoggiata al braccio di Camus. "Oh, Mei, ti prego."
"Mei cosa? Sono una fornace di ormoni pronta a esplodere e quella fa la civetta!"
Shiryu versò il tè in due tazze, prorompendo in un largo sorriso.
"Cerca di non esplodere al mio matrimonio, per favore." la redarguì a bassissima voce, offrendo la tazza a Dohko e chinandosi con rispetto.
"...ecco, adesso Shunrei offre il tè a Mei e dopo lo offriranno ai rispettivi cari." concluse Camus.
"Ci sarà una cerimonia del genere anche al vostro matrimonio?" lo punzecchiò Hyoga.
"Vedremo."
"Ha ancora la mano sul suo braccio?" mormorò Shiryu, sporgendosi verso la sorella con la sua tazza di tè.
"No." rispose Mei.
"Okay. Sappi comunque che potremmo occultare il suo cadavere sotto il salice in giardino, non se ne accorgerebbe nessuno."
Mei scoppiò a ridere, mentre Dohko fulminava entrambi con lo sguardo.
Camus non comprese il motivo di quella risata, tuttavia riuscì a cogliere un istante di quel momento con la sua fotocamera, continuando a guardare sua moglie con un certo sorriso dipinto sulle labbra.
"Eh sì. Mei è molto fortunata."
 
Un paio d'ore più tardi, terminati i festeggiamenti, mentre gli ospiti tornavano al villaggio e gli sposi si dirigevano verso la stanza degli Avi, Mei afferrò il braccio di Hyoga, fermandolo.
"Tu vai avanti, ti raggiungiamo subito." disse in direzione di Camus, che si era fermato a metà corridoio, lo sguardo interrogativo. "Avanti, ci vorrà un minuto, arriverò in un batter d'occhio. Stai tranquillo, non devo appartarmi per pomiciare con Hyoga, non sono come una certa regina che flirta con uomini sposati. Vai, ho detto!"
"Comunque, non ci crederei nemmeno se vi vedessi con questi occhi." ridacchiò Camus, prima di lasciarli soli.
"Okay, ehm... che cosa posso fare per te? Nessun omicidio di stato, perché ho come la vaga idea che Freya mi farebbe lo scalpo se facessi del male alla sorella."
"Ma và, sciocco. Ho bisogno del tuo aiuto e del tuo silenzio, altrimenti addio sorpresa." bisbigliò Mei.
"D'accordo, se non è nulla di illegale...ahia! Che cosa ti serve?"
Prese un grosso respiro prima di rispondergli.
"Un sarafan rosso e un matrimonio a Kobotec."

***

 

Lady Aquaria's corner
Dunque, premetto una cosa: le varie citazioni di Grey's Anatomy sono tratte dalle stagioni 1-6 che La7 e La7d continuano a trasmettere sia di pomeriggio che di sera, ragion per cui ho evitato accuratamente di fare riferimenti a qualunque altra stagione e di conseguenza spoilerare a destra e a manca, poiché credo che tutti gli amanti di Grey's sappiano già chi è il signor Clarke e che ha fatto. Fidatevi, sono la prima a detestare gli spoiler, figurarsi se mi permetto di farne riguardo le ultime stagioni!!
La canzone citata nel titolo è degli Abba;
La citazione appena sotto il titolo, nonostante diverse ricerche su internet, al momento è stata etichettata come "di anonimo"; l'ho trovata su questo blog Tumblr e l'ho trovata perfetta per questo capitolo. Se doveste conoscere la fonte originale, fatemelo sapere e provvederò a correggere.
Contrazioni di Braxton-Hicks: sono contrazioni muscolari uterine fisiologiche che a differenza delle contrazioni vere e proprie non sono dolorose, sono sporadiche e talvolta possono essere così lievi da non venire nemmeno avvertite dalla gestante;
Lǐngshìwèi: ai tempi degli imperatori manciù, erano le guardie del corpo della famiglia imperiale;
Cordon Bleu: famosa e importante scuola di alta cucina di Parigi;
Farinelli: era forse il più famoso cantante lirico castrato dei suoi tempi (XVIII secolo);
Sarafan: come già spiegato in precedenza, è un abito tradizionale russo.
I miei ringraziamenti come sempre a chi segue ancora la storia dopo eoni, alla prossima!
 

Lady Aquaria

 

 

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Capitolo 33
*** Don't worry, be happy. ***


capitolo 33 principale
33.
Don't worry, be happy.
 
Grand Amphithéâtre de la Sorbonne, 20 aprile.
"Ti sei ricordata di ritirare i confetti?"
"Sì, li avevo nascosti dietro il latte in polvere, te l'avevo anche detto."
"E le scatoline?"
"Ritirate ieri mattina insieme ai confetti e nascoste in salone quando Hyoga è uscito di casa."
Camus annuì, spuntando delle voci su una lista creata sul cellulare.
"Le ha spostate Konrad stamattina presto, stai tranquillo." interloquì Freya, in soccorso di Mei.
"E chi sarebbe Konrad?"
"Il mio maggiordomo. Rilassati, sa perfettamente che cosa fare, ha studiato per questo sai? I confetti sono già stati sistemati insieme alle bomboniere e al rinfresco mancano gli ultimi dettagli: i miei cuochi sono abituati a gestire le feste a palazzo, sanno il fatto loro."
L'altro ripose il telefonino, annuendo per l'ennesima volta.
"D'accordo. Vogliate scusarmi, dovrei scambiare un paio di parole con Hyoga."
"Prego, prego." ridacchiò Freya. "Uh, scusami Mei, è mia sorella. Sì, pronto?!"
"Da quando sei diventata ricca al punto da farti il maggiordomo?" esordì Milo poco dopo, guardando la principessa allontanarsi e parlare al telefono.
"Anche fosse, per nessuna ragione al mondo permetterei a qualcuno di ficcare il naso in casa mia e tra le mie cose." replicò Mei. "Nemmeno in queste condizioni."
"Per Athena, ti sei fatta male? Sei caduta?!"
Mei sbuffò, guardando Milo.
"Secondo te, se mi fossi fatta male, sarei qui adesso?" gli rispose, inducendolo a guardare Camus che, a pochi metri di distanza, parlottava con Hyoga.
"No, credo di no."
"Ecco, appunto."
"Allora perché sei su una carrozzina?"
"Perché Camus ha deciso che è meno faticoso per me. Io invece mi vergogno come una ladra a star seduta qui sopra: in giro per Parigi c'è sicuramente qualcuno che ha più bisogno di me di usare questa carrozzina. Sono solo incinta, per fortuna." si lamentò Mei, a bassa voce. "La scorsa settimana torna a casa e mi dice che ha una cosa per me e si presenta con questa: l'ho noleggiata in quel negozio di articoli ortopedici vicino alla clinica, così non devi affaticarti!!"
"Io trovo che sia un gesto carino, anche se non è romantico come speravi." interloquì Shun. "So che magari avresti preferito dei fiori, però dopo un paio di giorni sarebbero appassiti e non ti sarebbero stati utili, invece la carrozzella ti aiuta a non sforzare troppo le articolazioni, soprattutto adesso che manca poco al parto, no?"
"Sì, però..."
Shiryu ridacchiò appena.
"Sì, però avrebbe preferito qualcosa da mangiare."
"Voi donne vi lamentate di continuo e per ogni cosa: se per sbaglio vi trascuriamo vi lagnate, ci preoccupiamo per voi e trovate da ridire... non ve ne va mai bene una." intervenne Seiya.
Ikki circondò le spalle dell'amico, sogghignando divertito.
"Ma sentitelo, l'uomo di mondo."
Aphrodite li interruppe qualche secondo dopo.
"Ciao a tutti. Sono ancora in tempo?"
"Sono un po' in ritardo col programma, a dire il vero." rispose Mei. "Se cerchi Camus, è in piena raccomandazione genitoriale, fossi in te resterei qui."
L'altro si sporse verso l'interessato, notando che Camus, oltre a parlottare con Hyoga, gli stava anche sistemando il nodo della cravatta.
"Ah. Cavolo, volevo chiedergli una cosa... ho portato dei fiori per il laureando, ma non so se ho fatto bene."
Shun gli mostrò una scatola da fioraio contenente una corona d'alloro intrecciata con un nastro verde.
"Eravamo indecisi anche noi. Spero che il colore del nastro sia giusto, secondo le mie ricerche su internet per lingue e letterature straniere qui si usa un nastro sui toni del verde." spiegò.
Mei sgranò gli occhi.
"A proposito di verde, ho lasciato la piantina in macchina!"
"...per fortuna non fa ancora caldo o gli avresti regalato poltiglia lessa." commentò Shiryu, allungando la mano. "Dammi le chiavi, vado a prenderla."
Mei si alzò dalla carrozzina, con una smorfia.
"Dannato mal di schiena." mormorò. "Shiryu, riponila nel bagagliaio per favore, mi sento a disagio. Anzi, aspetta. Vengo con te."
Shiryu adocchiò Hilda con la coda dell'occhio e scosse la testa.
"Ma che problemi hai con quella donna?!"
"Zitto e cammina."
"Sei gelosa." sogghignò lui.
"Io lo chiamo istinto omicida." replicò lei a bassa voce, destreggiandosi tra i corridoi della Sorbona pieni di laureandi e genitori. "Cambiando discorso, quanto mi toccherà aspettare?"
Shiryu corrugò la fronte.

"Aspettare cosa?"
"La tua laurea, che domande. Ora che ti ho portato all'altare e che ho una nipote, voglio anche un fratello laureato."
"Un fratello laureato fuori corso, vorrai dire."
"E dunque? L'importante è terminare quanto hai iniziato. Anche io voglio sorriderti orgogliosa, portarti dei fiori o la corona d'alloro, farti delle fotografie e festeggiarti!! Festeggiare Hyoga non è la stessa cosa, è un mio amico, non mio fratello."
Un trillo dal cellulare.
"A proposito, com'è andato l'esame? Ne avevi uno la scorsa settimana, giusto?"
Lui ripose la carrozzina nel bagagliaio, richiudendolo subito dopo.
"Non come speravo, ho preso un voto che non mi ha soddisfatto, ma non avevo alcuna intenzione di ripetere l'esame quindi l'ho tenuto così com'è."
Due trilli.
"Mi spiace." rispose Mei, costernata. "Che argomento hai portato?"
Shiryu si schiarì la voce.
"L'esistenzialismo."
"Cioè... Nietzsche, Sartre, Camus?"
"...sì."
"Ho un marito che si chiama esattamente come il Nobel che ho citato poco fa e che sul suo omonimo ne sa sicuramente più di chiunque conosca, e non hai pensato di chiedere una mano?"
"Correggimi se sbaglio, ma non è laureato in lingue?"
"Ha studiato filosofia al liceo e ha ancora tutti i libri e i quaderni con gli appunti e credimi, appunti magistrali. Saresti stato come Harry con il libro di pozioni di Severus: un passo molto più avanti degli altri!"
"Uh?!"
Tre trilli.
"Nulla, andiamo o Camus verrà a prendermi di persona."
Tornarono dentro giusto in tempo per prendere i posti a loro riservati.
"Dov'eri finita? E la carrozzella?" mormorò Camus.
"In auto, naturalmente. Qui si fa fatica a passare già così, figurati con una sedia a rotelle. Sto bene, non ti preoccupare."
Il rettore iniziò a parlare dopo qualche minuto, introducendo i laureandi di quel giorno, e a Mei parve di tornare indietro nel tempo a qualche anno prima, quando si era seduta in quello stesso, gigantesco anfiteatro per la laurea di Camus.
"...eccolo!" bisbigliò quest'ultimo accanto a lei, indicandole con un cenno Hyoga in mezzo agli altri ragazzi che stavano sfilando al centro dell'anfiteatro, diretti verso il palcoscenico.
"Lo vedo."
"Sento la sua agitazione da qui." sussurrò Milo, sporgendosi per vedere l'amico che trafficava con la fotocamera.
"Figurati che non ha quasi chiuso occhio stanotte."
"L'avevo immaginato dalla portata delle sue occhiaie."
"Ho provato a far qualcosa, ma nemmeno il mio correttore più chiaro ha potuto far miracoli: avessi aggiunto un altro strato, sarebbe diventato il quinto Kiss."
Camus si spostò sul bordo della poltroncina, scattando foto a ripetizione, ignorando le chiacchiere sommesse dei due.
"E quando si laureeranno o si sposeranno i vostri figli che farà?"
"Ah, minimo gli prenderà un infarto secco: pam! via tutte le coronarie!"

"Ammesso che sopravviva al parto."
"Poco ma sicuro."
"Silenzio, voi due." bisbigliò Camus.
"Un fascio di nervi." ridacchiò sommessamente Milo. "Scommetto cento euro che al tuo parto dovranno soccorrerlo e riempirlo di flebo per farlo riprendere."
"Andata."
"Avete finito?!"
 
*
L'enorme sala da pranzo di Hyoga e Freya era stata tirata a lucido per una ricca festa: tovaglie di fiandra bianca con runner di organza rossa ornavano i tavoli sui quali erano stati minuziosamente ordinati pile di piatti di porcellana e file di bicchieri di Boemia, a contorno di magnifici centrotavola di Anthurium rossi. In un tavolo d'angolo facevano bella mostra di loro le bomboniere che Hyoga aveva scelto e i confetti in enormi boule di cristallo e infine, nell'angolo opposto, tanti pacchetti dono.
"...però." commentò Shiryu, porgendole un ampio bicchiere decorato con uno spicchio d'ananas e una cannuccia a righine rosse. "Niente Bollinger per te, solo cocco e ananas."
"Grazie. Bollinger hai detto?"
"A-ha."
"E dunque perché insieme all'analcolico non è arrivato anche James Bond?"
"Ha declinato l'invito, sai... ha dei brutti grattacapi con Vesper, in questo periodo." rispose Shiryu, facendola sciogliere in un sorriso. "Avanti, adesso mi dici che cosa non va?"
Mei scosse la testa, sorseggiando il cocktail.
"Troppi pensieri per la testa, uno più ingarbugliato dell'altro."
"Per i bambini?"
"No, questa volta non c'entrano. È questo." spiegò a bassa voce, indicando il salone e gli invitati con un cenno della testa. "Mi sento a disagio. Penso che avrei potuto sforzarmi un po' di più per passare il test di Medicina, a quest'ora sarei stata una specializzanda ed entro i trentacinque anni sarei diventata una discreta neonatologa, invece di arrendermi e prendere Scienze Motorie e Fisiche. Sai, si fa più bella figura a presentare una moglie primario di neonatologia anziché insegnante di arti marziali."
"Ma perché pensi a queste cose? Sono stupidaggini e lo sai."
"No, non lo sono." protestò Mei. "Hilda ad esempio è laureata in Scienze Politiche."
"Ovviamente, è una regnante." la interruppe Shiryu. "E la futura signora Alexeyev?"

"Economia."
"Solo? Pensavo chissà che cosa." minimizzò Shiryu, facendo spallucce.
"...ad Harvard."
"E quindi?"
"Quello che voglio dire è che sono dei partiti decisamente migliori di un'insegnante laureata alla Beijing Sport University. Immagina la scena: Mia moglie? È primario al Necker, specializzata in chirurgia pediatrica e neuropsichiatria infantile!  che paragonato a Mia moglie? È insegnante di Aikido e Judo al Dojo Hu al XIII arrondissement, è tutta un'altra cosa, se permetti."
Shiryu restò in silenzio qualche secondo prima di risponderle.
"Tu insegni anche ai bambini, giusto?"
"Sì. Judo, tutti i pomeriggi."
"E come si rivolgono nei tuoi confronti?"
"...sensei."
"Ecco. Chiunque può essere uno statista o un economista, son tutti capaci a far di conto. Ma poche persone possono definirsi maestro."
"Shiryu..."

"Non insegni solo leve e kata, insegni loro nozioni e regole che li accompagneranno tutta la vita. Come nostro padre e Dohko hanno fatto con noi."  
Mei lo guardò, voltandosi di scatto.
"Non bestemmiare! Devo farne di strada, prima di poter essere anche solo lontanamente paragonata a loro due..."
Shiryu sospirò.
"Peccato non aver avuto la prontezza di spirito di registrare questa conversazione. Perché avrei potuto fartela riascoltare tra qualche mese, col 90% di ormoni in circolo in meno e con la mente più lucida: ti saresti presa a calci da sola per questo tuo vertiginoso calo di autostima, credimi."
"Anche io ho delle debolezze, cosa credi? Non sono così forte come credete tutti quanti." mormorò Mei, flebilmente.
"Tu? Tu sei il pilastro che ha portato avanti un'intera famiglia per anni, ti sei presa cura di me fino a qualche tempo fa."
"Ve la sareste cavata benissimo anche senza di me."
"No, non è vero. Forse non sarei neanche qui, o forse non sarei quel che sono ora, se tu non ci fossi stata."
"Non attribuirmi meriti che non ho, se sei qui e se sei così è grazie a Shunrei."
"Sto per prenderti a calci, bada."
"Okay, ma fallo dopo il parto, per ora mi basta già il dolore lancinante alla schiena." rispose Mei. "Vado a sedermi un po'."
 
"Mi sembri parecchio a tuo agio in mezzo a questa gente."
"Si chiama capacità d'adattamento, Shiryu."
"Buon per te, io non ci riesco."
"Ecco perché l'ambasciatore del Santuario sono io."
"Ovviamente, non tutti sono così snob da sopportare certi ambienti."
"Essere un parigino della media borghesia non fa di me uno snobbone a proprio agio solo con certe categorie di persone. Riesco a trovarmi bene anche in una tenda berbera in mezzo al Sahara o in un'isba in Siberia, cose che, tra l'altro, ho già fatto."
"Okay, d'accordo. Giusto per informarti... Mei è preda degli ormoni e sta pensando e dicendo un sacco di sciocchezze infondate."
"Di che genere?" chiese Camus, prendendo dello champagne.

Gli spiegò brevemente la loro conversazione, indugiando sul senso di insicurezza che Mei stava provando e che non gli piaceva affatto.
"Certe cose Mei non me le dice, però non ci vuole un genio per comprenderle: le stai dando dei motivi per sentirsi insicura o meno amata?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"Come, scusa? C'era rumore e credo di non aver udito bene."
"Sì, come no." replicò Shiryu.
Prese un bicchiere di mors e il suo calice, quindi si allontanò.
"...e poi hai ancora il coraggio di chiederti perché mi stai antipatico?" concluse Camus.
"Se ancora non l'avessi capito, la cosa è reciproca."
"Bravo."
 
Seduta in disparte con la scusa del mal di schiena, Mei si guardava intorno, aspettando il momento di tornare a casa propria e mettersi comoda: la fascia elastica dei leggings le stava comprimendo la pancia e come se ciò non fosse già abbastanza sufficiente, il disagio aumentava esponenzialmente a ogni regalo che Hyoga apriva.
Si ricordò che per la laurea di Camus, a parte il mazzo di rose rosso scuro, aveva speso una cospicua parte dei suoi risparmi per l'orologio che lui portava al polso tutti i giorni e per portarlo fuori a cena nel ristorante più costoso di Pechino: all'epoca le era sembrato un evento straordinario e irripetibile che l'aveva elettrizzata per giorni, ma a ripensarci in quel momento, con lo sfarzo che la circondava, le parve una cosa del tutto ordinaria e sciocca.
"Ti inviterei a ballare, se non fossi stanca."
Sollevò lo sguardo su Camus, corrugando la fronte.
"Non sono stanca." obiettò, accettando la bevanda che le stava porgendo.
"Molto bene, perché questo è uno dei miei pezzi preferiti."
"...ma è jazz. Si può ballare sul jazz?!"
"Chi ha detto che non si può fare?"
Si guardò brevemente intorno: nessuno tra i presenti stava ballando, erano tutti impegnati a parlottare tra loro, quasi ignorando l'accompagnamento musicale in sottofondo nel salone.
"Dai, ci guarderebbero tutti." protestò flebilmente Mei.
Camus la portò nel corridoio, posando su un tavolino la flûte di champagne e il bicchiere.
"Qui siamo soli."
"Sì, lo vedo, ma ho un pancione enorme, è difficile ballare un lento in queste condizioni."
Senza aggiungere nemmeno una parola, l'abbracciò da dietro, un braccio a circondarle le spalle e l'altro sul pancione, muovendo qualche passo di tanto in tanto, lateralmente.
"Visto? Difficile, ma non impossibile." ridacchiò lui. "Ti ho trascurata tutto il giorno, mi spiace."
"Avevi le tue buone ragioni, non ti crucciare." rispose Mei, strofinandogli la mano.
"M-mh. Non ti senti bene?"
Fece spallucce, incerta se spiegargli tutto o no.
"Vorrei poterti offrire di più." mormorò di punto in bianco, la voce stranamente colma di rammarico.
"Che cosa dici?!"
Gli invitati, nel salone accanto, stavano ancora parlando e ridendo, festeggiando Hyoga; a parte Shun e gli amici in comune, molti di loro facevano parte delle cerchie di Freya e non li conosceva. Di tanto in tanto, si udiva il tintinnio dei calici e delle porcellane.
Camus sciolse l'abbraccio, spostandosi di fronte a lei.
"...?"
"Non è niente, lascia stare." tagliò corto Mei, appoggiando la fronte al suo petto, chiudendo gli occhi. "Torniamo di là."
"Non così in fretta." rispose Camus. "Che cosa c'è?"
"Quest'orologio, le rose che ti avevo donato, la cena... avrei voluto fare di più per te, ma all'epoca non ho potuto. Spero di poterlo fare quando prenderai la magistrale, darti ciò che meriti."
"Ma... Mei, tesoro... non mi devi nulla." mormorò lui in risposta. "E quel giorno per me è stato perfetto, non cambierei un solo istante."
Annuì, pur non essendo del tutto convinta.
"...io preferisco restare a casa stasera, non mi va di uscire. Scusati con Hyoga per me, per favore: farò un bagno, mi metterò a letto e domattina sarò come nuova." si schiarì la voce. "Vai con loro e stai tranquillo, d'accordo?"
 
Pur essendo poco convinto dalle sue parole, si lasciò convincere ad andare con Freya e Hyoga, lasciandola tornare nel loro appartamento. Disse ai due che Mei si sentiva poco bene e che aveva preferito rimanere a casa, quindi li seguì, dopo la fine del piccolo ricevimento.
La trovò semisdraiata a letto, addormentata, con un libro aperto accanto a sé e il cellulare ancora acceso. Con assoluta delicatezza, le sfilò il kimono e le calze e la coprì, prima di spogliarsi e andare in bagno.
Fu lo scrosciare dell'acqua nella doccia a svegliarla; sulle prime pensò di essersi dimenticata il rubinetto aperto, poi si accorse dell'anta socchiusa dell'armadio, dell'abat-jour di Camus accesa sul suo comodino e, attutito dalla porta chiusa, il jingle di Radio Nostalgie seguito da un successo dei Toto.  
Dulcis in fundo, il penetrante e odioso profumo del suo bagnoschiuma al sandalo.
"Bleah." borbottò, cercando di attutire quell'odore con una generosa dose di crema per le mani alla violetta.
Sbirciò sul cellulare, scoprendo che erano solo le ventidue e trentacinque.
"Sei tornato presto." esordì a voce alta.
Lo sentì armeggiare con la porta scorrevole della doccia e con quella del bagno, prima di tornare sotto il getto d'acqua.
"Mi spiace averti svegliata, non avrei dovuto accendere la radio." si scusò Camus.
"La radio nemmeno l'ho sentita, è stato quel tuo orrendo bagnoschiuma... e la tua stecca pazzesca su A hard day's night."
"Argh. Te ne sei accorta eh?"
"Difficile non sentire quella specie di miagolio indecifrabile a metà canzone." lo prese in giro, ricevendo in risposta una mezza risata. "Comunque, dicevo, sei tornato presto."  
"Ho bevuto solo un drink prima di venire via." le spiegò.
"Ma... hai rinunciato a una cena al Meurice?! Perché?"
Impiegò qualche secondo a risponderle.
"Intanto perché avrei retto il moccolo a Freya e Hyoga e non mi piaceva l'idea di fare il terzo incomodo e poi... non mi andava di cenare come nulla fosse sapendoti qui da sola." concluse lui, chiudendo il rubinetto.
"Che sciocchezza." rispose lei, mettendo il segnalibro tra le pagine che aveva iniziato a leggere prima di addormentarsi.
"Comunque sappiamo entrambi che cucino meglio io di quel cuoco famoso, giusto?"
"Senza dubbio." l'accontentò, sbadigliando. Ripose il libro, spense il cellulare e si rintanò sotto le coperte, cercando una posizione sufficientemente comoda.
"Sei ancora sveglia?"
"Ti concedo qualche secondo prima di cedere a Morfeo."
"Pensavo, dato che Lixue ha le vacanze e che tu sei in maternità, che potremmo ritagliarci qualche giorno ad Atene, riposarci un po'... che dici?"
"...ne parliamo domani." biascicò Mei, chiudendo gli occhi.
"Dai, una decina di giorni. Le settimane che seguiranno saranno frenetiche e riusciremo a malapena a dormire qualche ora per notte..."
"A dire il vero i bambini staranno dentro un'incubatrice per diverso tempo, ricordi che ha detto la dottoressa? Ma se proprio ci tieni, ci posso pensare."
 
**
 
"Amico!! Che bello vederti, avevo quasi scordato la tua faccia!!"
Camus quasi perse l'equilibrio, colto di sorpresa dall'abbraccio di Milo.
"Ci siamo visti appena l'altroieri." biascicò a corto di fiato. "Mi stai soffocando."
Shaina li raggiunse poco dopo, scuotendo la testa.
"...e dove potevo trovarti, se non all'undicesima?" sorrise poi.
"Non dovresti neanche portele, certe domande." ridacchiò Mei. "Ciao, compagna di pancia."
Impossibilitate a scambiarsi un abbraccio per via dei pancioni, le due donne si strinsero gli avambracci in un reciproco saluto.
"A che mese sei?"
"Entrerò nell'ottavo la settimana prossima. Credimi se ti dico che non vedo l'ora che nasca così da smettere di avere mal di schiena."
Mei s'indicò la pancia, ridacchiando.
"A me lo dici? Sto contando i giorni che mi separano dal cesareo."
"...scusa." sorrise Shaina, imbarazzata.
"Sapete già cos'è o volete l'effetto sorpresa?"
Milo parve quasi saltellare sul posto dalla felicità.
"L'abbiamo scoperto questa mattina."
"E da come saltelli suppongo sia un maschio." interloquì Camus.
"Kosta." annuì Milo, tutto contento.
"Nikos." lo corresse Shaina.
"Ah già. Nikos."
"Poi sono io quello fissato con i nomi strani eh?"
"Non è strano." obiettò Milo. "Spero che tu non ti offenda, ma non intendo chiamarlo Camus."
"Per Athena, no! Ci mancherebbe soltanto questo, povera creatura!" esclamò l'interessato.
"Comunque, vorrei farvi notare che il mio primo figlio sarà maschio. Un maschio. C'è chi può e chi non può." scherzò Milo, prendendo in giro l'amico.
"E io vorrei farti notare che..." si difese Camus, mostrando il numero tre con le dita. "Tre."
"Hey!" protestò Mei, rifilandogli un pugno sulla spalla. "Ma insomma!"
"Vieni Mei, devo farti vedere due cose mentre questi due imbecilli giocano a chi ce l'ha più lungo." sospirò Shaina, circondando le spalle dell'amica e lasciando soli i due uomini.
"Ah, e per onor di cronaca non sono svenuto, io."
"La vogliamo smettere, con questa accidenti di storia?!"
Ridendo, Milo lo scortò all'ottava casa, dove Shaina stava mostrando a Mei la stanza che avrebbe accolto Nikos, già quasi totalmente arredata.
"Lo scalda biberon... ti consiglio anche quello con la presa accendisigari, sai, da usare in auto per ogni evenienza." osservò Mei, studiando la scatola. "Camus ne ha scovato uno che può scaldarne quattro in un colpo solo... il che, considerando le bocche da sfamare quasi in contemporanea, è stato il regalo più bello degli ultimi tempi."
"Ovviamente, prima rose e cioccolatini, dopo prodotti per il bimbo... e i fiori restano un lontano ricordo." sospirò Shaina. "Comunque, manca solo la cameretta a ponte, ma per quella c'è tempo."
"Il letto vi servirà parecchio più avanti, ma hai già pensato alla sdraietta?"
"...a dire il vero, no."
"Scherzi? La sdraietta ti salva la vita!! Lixue ha trascorso tantissimo tempo là dentro mentre studiavo... è stata una manna dal cielo!"
"Siamo andati in quel nuovo centro per l'infanzia, hai presente quello su tre piani, vicino all'autostrada? Per fortuna c'era lo sconto del 30% in quanto nuova apertura o avrei dovuto accendere un mutuo." spiegò Milo. "Anche a Mei capita di avere reazioni esagerate per delle sciocchezze?"
"Assolutamente no! Quando mai, figurati." ribatté Camus, ironico.
"Guarda che ti sento." lo redarguì Mei, continuando a guardarsi intorno nella cameretta.
"Che cosa le hai combinato?"
"Ero lì col volantino in mano, a un certo punto infilo nel carrello un tiralatte e per poco non mi lancia addosso un thunder claw lì, di fronte a tutti."
"Gli ho detto che quell'arnese l'avrei inaugurato con lui e che non l'avrei usato sulle sue mammelle." interloquì Shaina.
"Ben detto!" si complimentò Mei.
"Non voglio sapere altro, grazie." precisò quindi Camus.
"Perché mai devono sempre colpire punti vitali, mi chiedo." sbottò Milo. "Andiamo, vieni a bere con me."
Offrì a Camus una birra, lasciando le due donne parlare tra loro di pappe, sdraiette, pannolini e tecniche di rilassamento per controllare il dolore.
"...che ti avevo detto? Riunioni di donne che parlano di cacche brutte e di pustole."
"Non ancora, quelle cose arriveranno col tempo." lo corresse Camus. "E questa volta aspettano al varco anche me."
"A-ha!! Anche monsieur sono-un-esperto-di-bambini ha paura di fronte a certe cose."
"Ho sempre detto di saperci fare con i bambini, non con i neonati." ribadì Camus. "I miei allievi erano perfettamente in grado di usare il bagno."
"Vorresti dirmi che non hai mai cambiato il pannolino di Lixue?"
Non senza una certa dose di imbarazzo, Camus scosse la testa.
"Quando Mei mi concedeva di portarla all'isba o da qualche parte, mia figlia non li usava già più."
"Che vergogna."
"Ma cosa parli, tu? Nikos sarà il primo bambino col quale avrai a che fare, non atteggiarti a esperto."
"Per questo concederò a Milo l'onore di cambiare il primo pannolino." esclamò Mei, dal salone.
"Ma che carina, grazie." rispose l'interessato, ironico.
"Beh, essere un padrino ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, caro mio."
L'altro sgranò gli occhi, sorpreso.
"Padrino?"
"Avrei voluto parlartene con calma, però sì, pensavamo di chiedertelo: Hyoga e Shiryu lo faranno a loro volta, non potevo non chiederlo anche a te."
Milo ammutolì, commosso.
"...uh, un'altra cosa... Hyoga si è già prenotato per un'eventuale femmina, perciò ti toccherà un maschio."
"Maschio o femmina, non importa." mormorò Milo. "Lo farò molto volentieri."
"Sarà più o meno come nella religione cristiana, solo che al posto di iniziare mio figlio alla fede in Cristo, lo inizierai a quella in Athena." proseguì Camus. "Usciamo qualche istante, ti va? A tal proposito, Shion mi ha parlato di un rito in uso nell'antica Grecia che intende riportare in auge con delle opportune modifiche, al quale intende far partecipare tutti i figli di noi Gold Saints. Shaka presenterà Rani, io presenterò i gemelli e Lixue. Ha aggiunto che questo rito sarà ripetuto per ogni bambino nato sotto l'ala protettrice di Athena."
Milo annuì.
"Forse ho capito di quale rito parli. E Mei è d'accordo?"
"Beh, i bambini potranno seguire tutte le tradizioni che lei vorrà mostrare loro, Shion mi ha assicurato che il Taoismo, che Mei segue, è più una dottrina filosofica che una religione vera e propria, ragion per cui Lixue e i fratelli potranno continuare a osservare il culto degli antenati e le celebrazioni legate a certe ricorrenze, ma io sono un Gold Saint di Athena, e in quanto tale, non può che essere lei la loro Dea." rispose Camus. "Per quanto riguarda certe cose, d'accordo o meno, Mei non può opporsi."
"In ogni caso, fai attenzione a come e quando  glielo dirai. Le donne dello scorpione vanno prese nei loro momenti buoni, o altrimenti diventa un bagno di sangue."
"...ma piantala."
 
*
 
Nell'enorme biblioteca del Santuario, Shion posò alcuni tomi antichi sul grande tavolo di amaranto posto al centro dell'edificio, sotto il lucernario e i bagliori dorati del sole morente.
"Le Anfidromie." esordì, distraendo Camus dalla sua ricerca. "Ecco il rito di cui ti parlavo: nei tempi antichi, avevano luogo cinque giorni dopo la nascita di un bambino, ma chiaramente all'epoca la mortalità infantile era così alta che era necessaria tanta premura, si svolgeva nella casa paterna, di sera, e amici e invitati recavano doni. La casa era decorata con rami di ulivo se il nascituro era maschio o ghirlande di lana se femmina, beh, a quanto pare decoreremo l'undicesima casa con entrambe le cose... il bambino veniva poi fatto girare attorno al focolare portato in braccia dalle levatrici, e presentato agli dèi della casa e alla famiglia; poco dopo egli veniva preso in braccio dal padre e riceveva il nome proprio, evento del quale gli ospiti erano testimoni. La corsa attorno al focolare col bambino era il punto chiave delle Anfidromie, poiché proprio dalla corsa ne derivava il nome, ma a quanto pare Aristofane attribuì l'origine a un altro avvenimento... tornando a noi, mi hai detto che i tuoi figli dovranno rimanere in ospedale per un certo tempo, dico bene?"
"Sì."
"Allora ho ancora tempo per cambiare due o tre cosette e adattare questa festa ai giorni nostri. Tu e tua moglie avete scelto i padrini come vi ho detto di fare?"
"Shiryu e Shunrei, Hyoga e Freya, Milo e Shaina." elencò Camus.
"Molto bene. Sostituiremo le levatrici con le figure dei padrini. Dopotutto, non possiamo certo mostrare il nostro mondo ai medici che avranno in cura Mei." sorrise Shion. "Quando avrò finito, vi manderò a chiamare per definire i dettagli. A tal proposito, hai già provveduto a informarla?"
Camus fece una smorfia.
"Non proprio."
"E che cosa aspetti, benedetto ragazzo? Il parto si avvicina."
Ancora una smorfia, peggiore della precedente.
"...lo so."
Shion lo guardò con intensità, scrutando ogni minimo particolare.
"Credo che sia la prima volta che ti sento in questo stato."
"Agitato?" suggerì Camus.
"Terrorizzato." lo corresse Shion. "Come sempre nascondi abilmente i tuoi sentimenti, ma ai miei sensi non sfugge nulla: il tuo cuore ha iniziato a martellare come un tamburo non appena ho accennato una certa parola."
Come poteva non esserlo, dato che quello era la sua prima esperienza con un parto? Non aveva idea di quel che sarebbe successo, una volta in quella sala e su quel tavolo operatorio, come Mei avrebbe affrontato tutto. Serrò gli occhi, sentendo le tempie pulsare.
"Diamine, guarda che faccia. Pregherò personalmente Athena affinché protegga Mei e i bambini, d'accordo?" sorrise Shion incoraggiante, posandogli una mano sulla parte di braccio lasciata scoperta dall'armatura. "E tu cerca di calmarti, ora più che mai ha bisogno della tua forza. E ora torna pure a quel che stavi facendo: se indossi l'armatura era sicuramente qualcosa di importante."
Lo ringraziò, prima di recarsi all'Altare e inginocchiarsi come aveva fatto tempo prima, implorando la benevolenza della sua dea per sua moglie e i suoi figli.
 
**
 
Si svegliò di soprassalto nello stesso modo in cui ci si sveglia da un brutto incubo che compare nel cuore della notte: levandosi a sedere sul letto, impiegò qualche istante per riprendersi dallo stordimento, e nonostante tutto, com'era già successo tempo prima, non riuscì a scrollarsi di dosso l'orribile sensazione di trovarsi in un dejà-vu. Aveva la netta impressione di trovarsi -ancora- in un periodo della sua vita che lei e Camus cercavano di dimenticare: i loro errori, la rabbia, la delusione, le parole dapprima inespresse e poi, di colpo, esplose.
L'altra metà del letto era intatta e fredda, e la sensazione peggiorò.
"Camus? Lixue?"
Non le rispose nessuno.
Scese dal letto di corsa, attraversando il corridoio col cuore in gola: la casa era deserta e del tutto sconosciuta. Quella sicuramente non era la casa dell'Acquario.
"Cam?!"
Decise di uscire seguendo uno strano impulso e si accorse di aver trascorso la notte all'ottava casa, come testimoniava il glifo dello Scorpione ben visibile sul timpano della facciata. Si guardò intorno spaesata e sgattaiolò all'undicesima casa facendo attenzione a non incrociare nessuno, e una volta all'interno, si accorse che semplicemente, non esisteva più una casa dell'Acquario: le maestose colonne dell'atrio sembravano pericolanti, il marmo del pavimento era scheggiato in più punti, le stanze private polverose e abbandonate da tempo.
Trovò inquietante il silenzio irreale che pervadeva l'intera struttura e la sensazione si amplificò non appena ebbe varcato la soglia degli appartamenti privati.
Per prima cosa notò che non c'era traccia del ritratto di Degél, né della sottile consolle del corridoio con le fotografie e lo svuota tasche, nella stanza da letto un piccolo armadio di legno grezzo sostituiva la cassettiera sulla quale Camus teneva in bella mostra la fotografia dei suoi genitori e qualche ninnolo. In quello che ricordava essere lo studio, non c'era nulla. Il vuoto assoluto.
Che cosa mi sta succedendo?!
Tornata in camera, si sedette sul bordo del letto e aprì il cassetto di un comodino, trovando al suo interno una scatola larga e piatta che decise di aprire pur continuando a prestare attenzione a qualunque rumore esterno. Biglietti d'ingresso ad alcuni musei locali, un carnet di biglietti per l'autobus, il libretto d'istruzioni per un mobile e infine, un album di fotografie e dei documenti chiusi dentro una busta: un passaporto francese –scaduto-, un atto di nascita appartenente a un certo Fabien Larousse, classe 1985 e un secondo atto di nascita –redatto però in greco- che riportava il nome Charles Larousse, classe 2005.
Per essere un incubo, è fin troppo reale.
Non ebbe sufficiente tempo per leggerne i particolari; non appena udì dei rumori, s'infilò istintivamente la busta nella tasca del pigiama e  sgattaiolò via alla svelta, correndo il più lontano possibile e finendo dritta in quello che era il cimitero.
Non può essere.
Una volta, a Praga, durante uno dei viaggi di lavoro di sua madre, aveva visitato il vecchio cimitero ebraico e, ricordò, era rimasta colpita dal modo in cui erano sistemate le lapidi: sembravano tutte piazzate alla rinfusa, gran parte di esse erano vicine al punto che si toccavano tra loro, come se una mano enorme le avesse sradicate tutte insieme e poi ricacciate nel terreno così, alla cieca.
In quello stesso modo le apparve quell'angolo sul retro del Santuario: spettrale, sinistro, tetro nonostante il sole splendesse alto nel cielo. Le lapidi giacevano alla rinfusa, all'ombra degli ulivi, spoglie e in qualche modo macabre con le loro scarne incisioni.
"Che scherzo orrendo." commentò, oltrepassando rapida quella che apparteneva a Saga, cercando con il cuore in gola quella che in verità sperava di non trovare.
Invece, eccola lì, proprio davanti a lei.
La stele di marmo recava il glifo dell'Acquario, il nome di Camus e, infine, la data di sette anni prima quando era caduto durante la battaglia del Santuario; lo stesso valeva per le tombe di DeathMask, di Shura e di Aphrodite. Corrugando la fronte si disse che era parecchio strano che nessuno le avesse mai tolte: insomma, erano tutti lì, aveva parlato con loro quella stessa mattina, le braccia che l'avevano stretta durante la notte erano vive, che motivo c'era di tenere in piedi quei macabri ricordi? Shaina non aveva forse dato l'ordine di dar fuoco all'intero cimitero quando Hades aveva iniziato a recuperare i corpi dei Saint per usarli come burattini personali?
Allungò una mano alla lapide e sfiorò con due dita le lettere incise sulla pietra, rabbrividendo.
Che cosa sta succedendo?
"Dopo tanti anni, é la prima volta che ti trovo qui."
Era stato Mu a parlare, Mei ne riconobbe la voce pacata e dolce, ma in qualche modo lo sentiva estraneo, come se non fosse la stessa persona che conosceva da tanti anni.
Annuì appena, senza alzare lo sguardo dalla lapide.
"Come ti senti oggi? Mi... ehm... hanno detto che la notte scorsa é stata molto movimentata."
A cosa si stava riferendo?
"Bene." rispose, sentendo lo strano impulso di mettersi in guardia e non abbassarla per nessun motivo.
Mal interpretando il suo tono di voce, Mu proseguì, più pacato di prima.
"Perdona la mia invadenza, è che Milo scende al cimitero ogni sera per portare il suo saluto a Camus e… di solito lo fa da solo, ecco il perché della mia curiosità."
Che cosa diamine significava Milo scende al cimitero ogni sera per portare il suo saluto a Camus?
"E perché non dovrei fare lo stesso?"
"Una volta mi dicesti che per te era troppo doloroso venire in questo luogo, perché la vista delle lapidi ti faceva male."
"Beh, come vedi oggi è diverso. Perché queste lapidi sono ancora qui?"
Mu si chinò alla sua altezza, abbassando e addolcendo il tono di voce come se stesse parlando a una bambina piccola.
"Certo che sono ancora qui. Resteranno qui fino alla fine dei tempi… dove dovrebbero essere altrimenti?" le rispose. "Torna a riposare, Mei."
"Quel tono di voce usalo con qualcun altro. Ti sei bevuto il cervello forse? Dopo Hades, Athena e suo padre hanno riportato in vita tutti i Gold Saint, dunque questa lapide non ha alcuna ragione per esistere!" gli spiegò, ricevendo in risposta uno sguardo compassionevole. Capì in quel momento che si era sbagliata: non le stava parlando come si parla a una bambina, ma come si parla a una persona mentalmente inferma.
"Hades? Dohko sorveglia ancora la torre degli Specter e dall'ultima guerra sacra il signore dell'oltretomba non ha ancora manifestato la volontà di tornare sulla Terra. Non abbiamo mai combattuto contro di lui, che Athena ce ne scampi, il Santuario è ancora troppo sguarnito per poter affrontare una nuova guerra sacra. Ma tu… sai qualcosa che non sappiamo? Perché hai parlato di Hades e degli Specter?"
Mei si rialzò, nervosa, con l'orrenda sensazione di essersi appena cacciata in un guaio enorme.
"Stai agendo per conto di Hades? Parla!"
Al sentire il Cosmo di Mu agitarsi e crescere, decise scioccamente di voltarsi e correre –come se questo potesse bastare!-, cercando disperata una via di fuga. Udì Mu dare l'allarme e impartire ordini, dietro il martellare incessante dentro il petto.
"Serrate i cancelli, allertate tutte le guardie e chiamate immediatamente il Grande Sacerdote!"
Nel correre inciampò –oddèi, nemmeno nei peggiori film di cassetta succedeva più...-, finendo lunga e distesa, urtando contro un gradino.
"Dèi, no! I miei bambini no!" mugolò, portandosi una mano al ventre.
Ma si rese conto solo in quel momento che non c'era alcun pancione di cui preoccuparsi.

 
***
 
Lady Aquaria's corner
Anche questa volta, ringraziamenti a parte, le note si riducono alle spiegazioni e basta. :)
Il titolo è riferito alla canzone di Bobby McFerrin.
Bollinger e Vesper: entrambi fanno parte del mondo di James Bond; il primo è un pregiato champagne e la seconda è una bond-girl. Ecco perché Mei accenna al famoso agente segreto.
Necker: è un ospedale infantile di Parigi.

Mors: bevanda russa composta, di solito, da succo di mirtillo.
Meurice: famosissimo e alquanto costoso ristorante parigino.
Anfidromie: festa che nell'antica Grecia era organizzata in onore della nascita di un bambino.
Alla prossima!


Lady Aquaria

 

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Capitolo 34
*** Hell is living without you ***


Capitolo 34
34.
Hell is living without you.
[Soltanto un giocatore disperato tenta il tutto per tutto.]
Friedrich Schiller
Si svegliò in un bagno di sudore, la pelle d'oca su tutto il corpo e un'orrenda sensazione di pericolo imminente addosso: qualcosa che non provava dai tempi della scalata al Santuario di otto anni prima.
Ancora immersi nel buio, gli occhi impiegarono qualche secondo per riuscire a mettere a fuoco l'ambiente circostante e per vederla, china su di lui.
"Mei?!" la chiamò, allungando a tentoni una mano in direzione dell'abat-jour del comodino senza tuttavia riuscire a raggiungerla.
Brillavano di una luce sinistra i suoi occhi, nella penombra della stanza. Gli parve di scorgere anche una strana espressione sul suo volto, ma in quel momento tutto era scivolato in secondo piano: la cosa più importante e di vitale importanza in quel momento era la lama del tantō che Mei, ancora fortunatamente immobile, aveva appoggiato sulla sua gola.
"Mei." ripeté, rauco, cercando alla svelta un modo per toglierle di mano quella maledettissima lama senza farle del male: sarebbe bastato un minimo movimento per rimanere seriamente ferito –sgozzato, si corresse-. "Tesoro, che cosa succede?!"
"Non sono una spia!"
"…cosa?!" sgranò gli occhi, comprendendo in quel momento che Mei non era in sé. Come a Kobotec, capì che stava rivivendo quel maledetto incubo e che, questa volta, era peggiore. Come accidenti aveva potuto non accorgersi di quello che stava succedendo?
Allungò cauto una mano, posandola sul pancione.
"Ascolta, qualunque cosa stia succedendo, lascia che ti aiuti."
"Non toccarmi!!"
"D'accordo, d'accordo! Non ti tocco, va bene."
Ci fu un momento di stallo nel quale il tempo sembrò congelarsi."Mei, lascia che ti aiuti." continuò, con un tono di voce il più calmo possibile, prendendole delicatamente il polso.  
"Non ho più niente da perdere."
Mei calcò la mano e lui, d'istinto, espanse il Cosmo.
"MEI!" gridò, riuscendo a fatica a bloccarle entrambe le braccia: il bruciore lancinante sul fianco era segno che in qualche modo era riuscita a colpirlo, anche se, si augurava, di striscio. "Non di nuovo, ti prego! HYOGA!" gridò infine, non riuscendo ad avere la meglio. Questa volta era diverso da quella notte all'isba: stava lottando a viva forza contro qualcosa, lanciando delle urla atroci che gli stavano trapassando i timpani e che, naturalmente, avevano svegliato l'intera undicesima casa.
"Bozhe moj." [Dio mio]
Si sentì sollevato non appena udì la voce di Hyoga appena fuori dalla loro stanza.  
"Aiutami, non so più che fare."
"Mamma!!!"
Hyoga fermò Lixue prima che potesse entrare nella stanza dei genitori: era molto spaventata, ma in quel momento era l'ultimo dei problemi.
"No, no. No, è meglio che tu non veda nulla. Mamma starà bene, vai a cercare aiuto con Freya."
"Oh mio Dio."
"Portala via, subito!"
"Vieni con me, tesoro." sussurrò Freya.
Lixue era ancora ferma davanti alla porta della camera dei genitori, lo sguardo spaurito mentre stringeva tra le braccia Mushu, il suo peluche.
"Che cosa succede alla mamma?"
La principessa la prese in braccio, allontanandosi rapidamente dalla camera.
"Non lo so." ammise. "Ma il tuo papà e Hyoga faranno di tutto per farla stare bene."
"Mai sentite urla di questo genere, sembra la stiano scuoiando viva." commentò Hyoga, aumentando il Cosmo e unendolo a quello di Camus.
"L'ultima volta si è svegliata dopo le urla, però. Ho aspettato troppo, avrei dovuto fare qualcosa già allora. Non osare farmi una cosa del genere Mei, te lo proibisco!" aumentò la stretta, portando il Cosmo a livelli di guardia. "Mi senti? Te lo proibisco!"
"Vuoi farti venire un infarto?" Hyoga guardò il maestro "Per l'amore di Athena, calmati!!"
Allertato dai Cosmi di Hyoga e Camus, Dohko entrò di gran corsa all'undicesima casa.
"Vai a chiamare Shion, digli da parte mia che è necessaria una riunione urgente." ordinò a Freya, prima di entrare nella camera da letto.
La principessa e Lixue corsero di gran lena fuori dalla casa dell'Acquario, una diretta al tredicesimo tempio, l'altra verso l'ottavo.
 
**
 
L'intervento di Dohko in qualche modo riuscì a riportare in piedi la situazione, aiutando Camus e Hyoga a far ritornare Mei in sé.
"Lascia la presa." ordinò a Camus. "Dovrebbe riprendersi tra poco."
"Cos'avete fatto?" domandò Hyoga, esterrefatto.
Dohko si allontanò qualche passo mentre Camus faceva lo stesso, scendendo dal letto.
"Ho agito su uno dei meridiani principali del capo." rispose. "Quello che, come mi ha ricordato Shaka, corrisponde a grandi linee al sesto chakra."
Aphrodite, ancora mezzo assonnato, si svegliò definitivamente quando vide i calzoni del pigiama di Camus macchiati di sangue.
"...quel sangue è di Mei?" gli domandò, avvicinandosi.
L'altro scosse la testa.
"No, per fortuna. È mio, mi ha colpito di striscio con il tantō." rispose soprapensiero, rimuginando sulle parole di Dohko: meridiani, punti di energia, flussi vitali... aveva letto qualcosa a proposito, su un opuscolo informativo sul Qi Gong che aveva letto al dojo, una volta, mentre aspettava che Mei uscisse da lavoro.
"Ecco perché non amo le armi, ci vuole un nanosecondo a ferirsi seriamente." commentò Aphrodite, raccogliendo il pugnale e posandolo sul davanzale. "Vado a prendere la mia borsa e torno subito. Non ti spiace se ci do' un'occhiata, dico bene?"
Camus scosse la testa e si chiuse nel suo solito contegno algido, mentre dentro sentiva il sangue ribollire, preoccupato come non mai.
Avrei dovuto fare qualcosa già allora, si ripeté, incapace di darsi pace, quando eravamo all'isba.
Perché non aveva chiesto aiuto? Avrebbe dovuto parlarne con Dohko e Shion quando Mei era ancora nel pieno delle forze, quando non era così vulnerabile. E invece, stupidamente, aveva abbassato la guardia proprio nel momento meno opportuno.
Athena, non ho mai chiesto niente per me stesso, ma ti prego, fa' che non sia troppo tardi, ti supplico.
Insieme ad Aphrodite arrivò anche Mu; quest'ultimo si affiancò a Dohko, che stava esaminando Mei già da un po'.
"Come sta? E i bambini?"
"Sono agitati, ma Aphrodite dice che è un bene, sono reattivi."
"Camus, in cucina per favore."
"Preferisco restare qui."
"E io preferisco lavorare con la luce. Ci metterò pochi minuti, stai tranquillo."
Controvoglia, Camus si alzò e lo seguì. In cucina, Aphrodite aveva dispiegato un lenzuolo usa e getta da ospedale e sistemato i ferri del mestiere sul piano cucina.
"Sul tavolo, avanti. Sembra che ti piaccia farmi da cavia." commentò Aphrodite, scostando con delicatezza il tessuto dalla ferita, corrugando la fronte subito dopo. "Non è ampia, ma è profonda: ci vorrà più di qualche punto."
"...visto? Ora hai anche la tua ferita lacero-contusa, dovresti ringraziarmi."
"Ne vedo fin troppe. È una ferita da taglio, e tu sei sotto choc."
"Non è vero."
"Hey, chi è il medico tra noi due?"
"A proposito di medici, al posto tuo andrei in pronto soccorso per un controllo, sei pallido e-..." interloquì Aiolia, entrando in cucina.
"Sono sempre così."
"Così... color mozzarella?"
"Ah. Ah. Ah. Divertente. Che battuta originale da fare a un rosso." sbottò Camus.
"Va bene, cercavo di sdrammatizzare." si arrese Aiolia. Gli sfiorò un piede e rabbrividì. "Però insisto sul pronto soccorso, senti? Hai le estremità ghiacciate, come fai a dire che va tutto bene?"
"...sono sempre così." puntualizzò Camus.
"Dovresti sentirgli le mani, sembrano iceberg." commentò quindi Aphrodite. "Ma del resto, con una temperatura corporea naturalmente stazionaria intorno ai 36°C, è normale che abbia le estremità un po' fredde."
Aiolia sgranò gli occhi, stupito.
"36°C? Chissà Mei quanto sarà contenta quando la tocchi."
Già, Mei.
"In certi frangenti non si è mai lamentata di quanto son fredde le mie mani." rispose Camus.
"A proposito. Che cos'è successo là dentro?"
"Non lo so con certezza. So solo che mi sono svegliato di colpo con la lama sulla gola e che ho provato a fermarla per evitare che si facesse male. Non so neanche come abbia fatto a colpirmi, la tenevo stretta e pensavo di averla sotto controllo." spiegò Camus.
"In casi come questi purtroppo niente è prevedibile." interloquì Mu, sulla porta della cucina.
"Stanno tutti bene?"
"I bambini sì, a Mei ci stanno pensando Dohko e Shaka, a quanto pare torna ad agitarsi non appena sente la mia voce. È in buone mani, fidati."
Aphrodite fu più veloce di quanto si aspettasse: anni prima, quando aveva fracassato il vetro dello studio con un pugno e si era ferito l'avambraccio, aveva impiegato molto più tempo a ricucire la ferita.
"Se dovessero riaprirsi i punti sai dove trovarmi, ma ho fatto un lavoro eccellente... non rovinare tutto facendo il John Rambo della situazione, intesi?" si raccomandò Aphrodite. "Niente cuciture di fortuna e fatte a casaccio. Ah, e togli quel maledetto coltello da sotto il cuscino, adesso ti è andata bene, la prossima volta potrebbe sgozzarti."
"Non era sotto il cuscino, quella di Mei era una battuta. Lo tiene nel cassetto del comodino."
Aphrodite sospirò.
"Sai, nel cassetto del comodino di solito tengo i caricabatterie, i preservativi, il collirio... ma niente armi letali. Se quella roba la prendesse tua figlia, sai come potrebbe finire? Sei adulto e vaccinato, non devo dirtele io queste cose." lo riprese. "Ascolta, prendi queste per almeno due giorni, per scongiurare un'infezione."
"Lo farò, grazie."
Tornò in camera mentre Aphrodite sgomberava la cucina.
Shaka si avvicinò a Mei, alzando con delicatezza una palpebra e guardando l'occhio.
"Vedo la pupilla: qualunque cosa tu e Mu abbiate fatto, ha funzionato per il rotto della cuffia. Ma non avremo lo stesso successo la prossima volta."
"Lo so." rispose l'interpellato, pensieroso. "Anche perché non ci sarà una prossima volta."
Athena, ti supplico.
"Come sta?"
"Sta per riprendersi, ma..." rispose Dohko. "Ho avvertito Shion dell'accaduto, dobbiamo in qualche modo porre rimedio a questa situazione prima che ci sfugga totalmente dalle mani."
Annuì senza replicare, lo sguardo fisso su Mei, ancora inerme e distesa sul letto; preso un pigiama pulito, si cambiò rapidamente in bagno e d'un tratto la vide muovere le mani, agitata. Riaprì gli occhi un istante dopo, con uno strano lamento.
"Bentornata tra noi, cara." sorrise Dohko, seduto sul bordo del letto.
Dopo un attimo di smarrimento, Mei riuscì a metterlo a fuoco, sobbalzando subito dopo.
"I bambini!! Dove sono i miei bambini?"
"Va tutto bene!" le disse Dohko, prendendo la sua mano e posandola sul pancione. Sotto, i piccoli scalciavano, sicuramente contagiati dall'agitazione della madre. "Eccoli, li senti? Sono ancora qui, dove devono essere: va tutto bene, rilassati."
Si levò a sedere con fatica.
"No. Non va tutto bene… io... non c'erano più!" gli spiegò, singhiozzando. Si guardò intorno, accorgendosi solo in quel momento di Aiolia, Shaka e Mu in fondo alla stanza. "Che cosa è successo? Oh no. Oddèi, no."
Camus tornò a sedersi accanto a Mei, strofinandole la schiena.
"So che sei davvero agitata adesso però... dovresti calmarti." le disse.
"Camus ha ragione. Prova a rilassarti un poco, non fa bene né a te, né ai bambini. Intanto cercheremo di capire che cosa ti turba così tanto."
Rilassarsi era un eufemismo in quel momento.
"Non capisci... non hai visto quel che ho visto io."
Mu le porse del lassi che Shaka aveva appena portato.
"Intanto bevi questo, ti farà bene."
"Aiuta a distendere i nervi." spiegò Shaka.
"Rimettiti in forze e calmati, ti aspettiamo al tredicesimo Tempio per parlare di questo problema, d'accordo?" concluse Dohko.
"...miei Dèi, subito?" si lamentò Camus.
"Prima si risolverà la questione, meglio sarà."
Mei annuì appena, decidendo di prendere qualche sorsata di lassi.
"Credo sia meglio lasciarle un po' di tempo per sistemarsi." suggerì Mu. "Tutti quanti, usciamo e lasciamola respirare."
"Io resto qui." rispose Camus. Non appena i compagni furono usciti, si accovacciò davanti a Mei. "Va meglio?!"
Lei scosse la testa, ancora troppo agitata per parlare.
"Ascoltami, non sei obbligata ad andare adesso alla tredicesima casa. Rimandiamo a domattina."
"No." rispose Mei in un sussurro rauco. "Se mi addormento lei ritorna ancora."
"D'accordo. Prenditi tutto il tempo che vuoi, non c'è fretta. Di cosa hai bisogno in questo momento?"
Con un braccio circondò il pancione, con una smorfia che lo preoccupò, e con l'altro lo tirò a sé.
"Sono qui, non me ne vado."
Per un lunghissimo lasso di tempo invece, l'aveva perduto di nuovo; si era sentita come anni prima, quando, tornata a casa dopo i funerali dei Saints caduti, la sua corazza si era incrinata e rotta in mille pezzi lasciandola totalmente esposta al dolore.
Ricominciò a piangere senza quasi accorgersene, rendendosi conto che era stata a un soffio dal perdere tutto ciò che amava.
"Devi credermi, non c'erano più."  
"Ti credo, lo vedo da quanto sei spaventata." le rispose, allungando una mano al suo viso.
Serrò gli occhi, posando una mano su quella di Camus e trattenendola:
"...povero te, che male hai fatto nelle tue precedenti vite per meritarmi in questa?"
"In questa e nelle prossime." la corresse, sorridendo.
Ridacchiò appena, nervosamente, ma il lassi che aveva bevuto non le aveva fatto per niente bene: appena avvertì l'acido farsi strada in gola, si alzò in tutta fretta e corse in bagno.
"...stavo per chiederle come stava, ma a quanto vedo, non bene."
Camus si voltò verso Milo.
"Per niente. L'abbiamo riportata di qua per un soffio." gli rispose, seguendo Mei in bagno. "Che sia dannata quella stramaledettissima bastarda che sta dall'altra parte."
Sorpreso per le parole dell'amico, Milo si mosse nella loro stessa direzione.
"Non parlare così." gli disse.
L'altro aiutò la compagna, sorreggendole la fronte con una mano e scostandole i capelli con l'altra.
"Che cosa maledizione crede di poter ottenere, una volta qui? Il mio incondizionato, smisurato amore? Non otterrebbe niente, forse un biglietto di sola andata per l'inferno." sbottò Camus. "Ha sofferto, non lo metto in dubbio. Ha amato e sperato che tutto andasse per il meglio e non è accaduto, e posso capire anche questo. Ma non posso e non voglio capire ciò che da anni sta facendo: non può vivere una vita che non le appartiene, non può essere così egoista da mettere a repentaglio la vita di una donna e dei suoi bambini per un miraggio. Da me non otterrebbe che odio, non è lei il mio destino."
I conati si fermarono dopo diversi minuti; Mei allungò una mano e tirò lo sciacquone, sedendosi, infine, per terra. Accettò la salvietta bagnata che Camus le stava porgendo e si rese presentabile.
"Ora come va?"
"Ho male dappertutto. Mi fa malissimo questa spalla, credo di averci dormito su." rispose lei, massaggiandosi la spalla e il braccio sul quale Camus aveva praticato la leva. "E questa posizione è scomoda... aiutami ad alzarmi."
"...e qui viene il bello." commentò Camus, cercando di alleggerire la situazione. "Come faccio a tirarti su? Pesi più di me."
Lei ridacchiò sommessamente, le mani sul pancione.
"Ti prego non farmi ridere o va a finire che faccio pipì qui per terra." sorrise, esausta. "Milo! Tu sì che sei un vero amico: non scappi a gambe levate nemmeno dopo avermi vista nel peggior modo possibile."
"Sciocca." sorrise Milo a sua volta, aiutando Camus a tirarla su dal pavimento.
"...Lixue, dov'è?"
"Shaina l'ha portata alla settima casa, da tua cognata, non appena Shion ha richiamato tutti al tredicesimo tempio."
"Perché non è nella sua stanza?!"
Seguirono diversi secondi di silenzio a quella domanda.
"Uno di voi due sarebbe così gentile da rispondermi?"
"Ha sentito cose che non avrebbe dovuto ascoltare." spiegò Camus.
"...ad esempio?"
Preferì omettere i dettagli, decidendo di raccontarle il minimo indispensabile: aveva iniziato a urlare e agitarsi e la figlia, dopo averla sentita, aveva provato a entrare in camera, preoccupata. Tutto lì.
"Coraggio, siamo attesi al tredicesimo tempio." la spronò, prima che potesse chiedere altro.
Ancora un po' debole, Mei si recò in camera, per cambiarsi il pigiama sporco.
"Non avresti dovuto mentirle." Milo lo seguì in corridoio, diretti alla sala principale dell'undicesimo tempio dove l'armatura dell'Acquario faceva bella mostra di sé.
"Lo so. Ma hai visto anche tu com'è agitata."
"Se ne accorgerà comunque e sarà peggio."

"E che cosa avrei dovuto dirle? Niente di che, dai. Durante l'incubo per poco non mi hai sgozzato e sventrato con il tuo tantō ma beh, a chi non capita? Ma che cosa ti passa per la testa, mh?"
"Per me non è una buona idea."
Nascondeva le sue paure sotto l'autocontrollo e la solita corazza di ghiaccio, ma era spaventato quanto sua moglie in quel momento: temeva per i bambini, temeva per Mei, temeva per le loro esistenze. La loro bella famiglia, per la quale si era anche letteralmente sacrificato, poteva dissolversi tutto nel giro di poche ore ed era terrorizzato.
Un minimo di comprensione sarebbe stata più che gradita.
"Grazie mille Milo, mai e dico mai una parola di conforto nei miei riguardi eh."
"Stai fraintendendo le mie intenzioni: non ti sto rimproverando, ti sto dicendo di essere chiaro con lei: può scoprirti in qualunque momento. Facendo la doccia, o quando siete a letto. A meno che tu non intenda condurre vita monacale comportandoti da verginello impaurito anche dopo che quel taglio sarà guarito: insomma, rimarrà una bella cicatrice, e se dovesse vederla, ti chiederebbe spiegazioni. Perché la sottovaluti? È più forte di quel che pensi!" rispose Milo, ripensando ai tragici giorni successivi alla scalata del Santuario. "Dopo otto anni insieme e quasi quattro creature, ci sono cose di lei che ancora non conosci."
Stava per rispondergli, quando sentì un fruscio dall'interno.
"...chiedo scusa, ma ho visto che ero in uno stato molto più pietoso del previsto." li interruppe Mei, uscendo dalle stanze private. Si era rassettata un poco, giusto per andare da Shion e porre fine alla svelta a quel dannato problema. "Che cosa succede ancora?"
Camus le sorrise incoraggiante, circondandole la vita con un braccio e chinandosi appena per tirarla su.
"Non azzardarti a prendermi in braccio, ti faresti male." lo minacciò, invano. "Cam! Maledizione, mi ascolti quando parlo?"
"Non quando dici sciocchezze." replicò lui, avviandosi fuori dall'undicesima casa con passo svelto, come se stesse portando in braccio una piuma anziché una donna incinta.
"Oddèi, ho la brutta impressione che stanotte saremo in cinque a finire in ospedale." sospirò Mei. "Odio sentirmi una povera fanciulla indifesa che ha bisogno dell'aiuto del bellimbusto di turno."
Milo ridacchiò.
"Meglio così, dolcezza, altrimenti al tredicesimo tempio arriveremmo il prossimo secolo." le disse, scoccandole un occhiolino. "Io vado avanti ad avvisare gli altri del nostro arrivo."
"Già che ci sei, avverti il traumatologico del prossimo arrivo di un paziente con una bella serie di ernie nelle zone L1-L5."
"La prolungata esposizione a Grey's Anatomy da' i suoi frutti, a quanto pare."
"Non prendermi in giro, non sono un medico ma per lavoro ho dovuto studiare anche io certe cose."
Superata la dodicesima casa, Camus rallentò il passo.
"...a-ha, sapevo che avresti ceduto prima o poi: vedessi come ti si è gonfiata la carotide! Neanche il delta dello Yangtze ha tutti questi rami!"
Sospirò, stanco; non per il peso che stava portando, ma per tutta la situazione.
"Mei. Non sono stanco. Ho paura."
Serrò la stretta intorno alle sue spalle, affondando il volto nell'incavo del suo collo.
"Scusami." sussurrò. A volte dimenticava che in certe situazioni lui tendeva a chiudersi a riccio, a differenza sua che invece sfoderava sarcasmo e ironia. "Mi dispiace."
Dalla sommità dell'ultima rampa di scale, Milo li squadrò, le mani sui fianchi.
"Dai, che forse facciamo in tempo a preparare i fuochi d'artificio per capodanno!"
Cretino.
"Dai, mettimi giù adesso." non voleva farsi vedere in braccio al suo compagno, dopotutto non era una di quelle sciocche donnette da romanzi rosa: Camus si chinò, posandola a terra con delicatezza, quindi tentò di raddrizzarsi.
"Ehm... avviatevi al tredicesimo tempio, io arrivo subito. Forse. Spero."
"Aveva ragione Mei, bisognerà avvisare il traumatologico." scherzò Milo.
"Odio dovertelo dire, ma... te l'avevo detto." sospirò Mei, cercando di aiutarlo: gli circondò la vita con un braccio, decisa a sorreggerlo fino al tredicesimo tempio.
"Non so se ridere o piangere." ridacchiò Camus, con una smorfia.
"Ho preso venticinque abbondanti chili e ho superato il tuo peso, come potevi riuscire a portarmi su? Che rottame testardo mi son presa per marito!"
"Ah, sono anche un rottame, adesso? Tra i tuoi doveri di moglie c'è quello di curarmi quando sono malato!"
"Aspetta, aspetta... ricordo di aver detto prometto di amarti e sostenerti fedelmente ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte durante tutta la nostra vita, non ricordo altro!"
"No no, c'era anche in salute e in malattia."
Milo vide l'amica stringersi il compagno al petto prima di baciarne la testa; stavano ridendo entrambi e Camus, dopo un paio di secondi, riuscì a raddrizzarsi a fatica.
"Alla buon'ora, stavamo diventando vecchi." sorrise loro, quando l'ebbero raggiunto. "Coraggio, vi stiamo aspettando."
E, esattamente come svariati anni prima quando era stata convocata al cospetto del Sacerdote impostore, si sentì a disagio all'idea di tornare al centro dell'attenzione, come una formica sul vetrino di un entomologo; cercò la mano di Camus e trovò quanto cercava: una stretta forte, capace di infonderle il coraggio che le serviva.
"Dans le bonheur et dans les èpreuves." [nella buona e nella cattiva sorte]
"Shi de." [sì]
 
**
 
"Questo posto mi ha sempre messo i brividi. A maggior ragione se sei al centro della scena e sono le sette del mattino." sussurrò Mei, attraversando il tredicesimo tempio accanto a Camus. "No, non darmi il mantello, va bene così."
Giunti agli scranni riservati ai Gold Saint, già tutti occupati, Camus insisté per farla sedere al posto suo, restando in piedi dietro di lei.
"Mi rendo conto che avresti preferito riposare, dopotutto sta albeggiando e sarai esausta." le spiegò Shion. "Ma Dohko mi ha spiegato a grandi linee la situazione e credo sia il caso di porre fine a tutto ciò con una certa urgenza. Riesci a spiegarci cos'hai visto questa volta?"
Ancora troppo sconvolta per parlare in greco, in un cinese fin troppo rapido -per praticamente tutti i presenti a ovvia eccezione di Shion, Dohko e Mu-, Mei spiegò che dopo il solito incubo, si era trovata a vagare in un Santuario che non riconosceva, in un corpo che non era il suo e in una realtà che non le apparteneva: Hades non si era ancora risvegliato, i soli Saint vivi erano i sopravvissuti della scalata al Santuario e lei viveva all'ottava casa, Milo la trattava come una pazzoide fuori di testa e soprattutto non era incinta: il suo destino e quello del suo alter ego avevano preso strade completamente diverse a partire dalla fine di Ares.
"...Mu stesso mi trattava come se fossi stata una squilibrata pronta a fare gesti inconsulti da un momento all'altro. Da quel poco che ho capito credo addirittura che sia tenuta costantemente d'occhio, che le sia quasi impedito di uscire di casa. L'ultima cosa che ricordo è che mi stavo difendendo: non ho più niente da perdere... sì, credo di aver detto qualcosa del genere."
"Ed ecco spiegato perché la mia voce ti agitava tanto."
Dohko tradusse a beneficio degli altri Saint, mentre Mei cercava di calmarsi.
"È stato in quel momento che sono intervenuto." annuì Camus, quando la traduzione terminò.
"Non è stato il solito incubo, sei stata lei per qualche istante: è stata abbastanza forte da farti vedere come vive senza però riuscire a prendere il tuo posto." ragionò Mu.
Qualche istante... Camus inarcò un sopracciglio. Per lui quei minuti erano stati lunghi come ore.
"Non è stato un suo errore, credo piuttosto che l'alter ego si sia volutamente limitata: ha testato le resistenze di Mei e ora che ha capito come usarla per raggiungere i suoi scopi, farà di tutto per avere successo."
"Oddio, quando finirà quest'incubo? Perché le sta facendo questo? La sta torturando da anni!"
"Proprio non lo capisci Camus? Mei ha tutto: ha te, ha i tuoi figli, trascorrerà la sua intera esistenza con te. L'altra non ha niente. Vive con un uomo che non ama e che la considera pazza."
"É solo disperata, non pazza." sussurrò Mei.
"Non la giustificare."
"Ma non la sto giustificando! Io la compatisco, è diverso. Ho provato sulla mia pelle la stessa disperazione." disse Mei. "Sentire l'uomo che ami mentre si spegne, vedere il suo corpo su un tavolo, sapere che non lo rivedrai mai più... solo chi l'ha provata può capire fino a che punto può arrivare la disperazione. Sei inerme e del tutto in balìa del dolore e in quei momenti orribili sei disposta a fare qualunque cosa per non sentirlo più."
Camus le strinse la spalla, comprensivo.
"L'altro me ti considera pazza? Sicuramente é un imbecille." interloquì Milo, facendola sorridere.
"Giunti a questo punto temo non ci sia altra soluzione." commentò Shion, guardando Dohko. "Anche perché non abbiamo altro tempo per pensare a un'alternativa."
Dohko annuì, con aria grave.
"Temo proprio di sì.
"Che cos'avete in mente di fare?" interloquì Camus.
"Bloccare l'altra anima."
Camus inarcò un sopracciglio.
"Ah, tutto qui. Bloccare l'anima..."
"Senti un po', ragazzino, non mi piace la punta nemmeno troppo velata di sarcasmo che hai appena usato: io non derido le tue capacità, tu non deridere le mie."
"E se dovesse far resistenza?" intervenne Shiryu.
"La mia intenzione primaria è bloccarla e impedirle ogni accesso futuro. Ma se si renderanno necessarie le maniere forti, allora la elimineremo."
"Potrebbe aver ripercussioni negative sui bambini?"
Dohko le sorrise, con fare paterno.
"No, non preoccuparti."
"E su Mei?" interloquì Camus.
"Scusate se disturbo le signorie vostre, ma giacché sono stato costretto ad alzarmi dal letto per venire qua, vorrei almeno capirci qualcosa." esclamò DeathMask.
"Nessuno ti obbliga a rimanere." intervenne Shiryu.
"Non ho parlato con te."
"Dunque, prima dell'intervento di questi due fanciulli, stavamo dicendo che qualunque cosa decideremo di fare, non danneggerà in alcun modo i bambini né Mei, in quanto le anime e le dimensioni cui appartengono sono del tutto scollegate tra loro." Dohko pose fine alla questione, lanciando un'eloquente occhiata a entrambi.
"E intervenendo, in qualche modo riusciremo a sistemare la faccenda una volta per tutte? Questa volta c'è mancato davvero poco, non riuscivo a svegliarla."
"Come sarebbe a dire?"
Come quell'ultima volta all'isba, aveva iniziato a scuoterla usando il Cosmo per svegliarla, ma senza successo; senza l'intervento di Hyoga e del suo Cosmo probabilmente Mei non si sarebbe più ripresa.
"Non è merito mio, ho sentito la presenza di altre persone nella stanza." si schermì Hyoga, avvertendo subito dopo l'occhiata di Camus. "Una di loro era sicuramente mia madre."
"Magari mi sbaglio ma... credo d'aver percepito un terzo Cosmo, che si è affievolito quando Mei si è ripresa." spiegò Milo. "Lo stesso che ho avvertito qualche mese fa mentre voi due eravate a Kobotec."
Mei rabbrividì: dunque mesi prima non si era sbagliata, quella sensazione, provata durante l'aggressione di Oleg, non era dovuta all'adrenalina.
"Potrebbe trattarsi di Degél?" domandò Camus. "So che è stato molto vicino a Mei negli anni passati."
"Non ha mai smesso di starmi vicino." puntualizzò lei.
"Lo avverto anche io, ma sfortunatamente gli spiriti non possiedono Cosmo." disse Dohko. "Quindi, per quanto ciò sia poetico e in qualche modo mi conferma ciò che già sapevo sul conto del mio compianto compagno d'armi, Degél non ha potuto né potrà in futuro aiutarti in questo senso."
"Eppure l'ho avvertito anche io." interloquì Shiryu. "Un Cosmo mai sentito prima ma familiare."
"Io credevo fossi tu."
Milo guardò Hyoga.
"Io? Quando sono arrivato Mei si era già ripresa, tu e Camus avevate già sistemato tutto."
"Eppure quel Cosmo assomigliava molto al tuo e l'ho sentito proprio in casa, molto vicino." insisté Hyoga. "Per questo ho pensato fossi intervenuto tu."
"Beh, io non c'ero o avrei assestato un bel calcio nel sedere a quei dannati bastardi."
Mu si schiarì la voce, riflettendo su quello scambio d'informazioni: i soli spiriti, per quanto potenti, non erano del tutto in grado di intervenire efficacemente contro minacce di quel genere. Dohko aveva ragione. Degél, per quanto capace di interagire con i vivi, non possedeva certe capacità. Doveva esserci altro sotto: a quel punto il Cosmo sconosciuto non era solo dentro la stanza.
"Mei, a quale segno zodiacale appartengono i feti?" esordì, di punto in bianco, interrompendo Milo.
"Drago."
"Ma no. Parlo dello zodiaco occidentale."
"In teoria il cesareo é previsto per la prima metà di maggio, quindi nasceranno sotto il segno del Toro." rispose Camus.
Shiryu corrugò la fronte.
"Il Cosmo che ho sentito prima però non aveva nulla in comune con quello di Aldebaran." disse.
"E tu, Mei?"
"...Scorpione." rispose dopo qualche attimo, quasi all'unisono con Camus.
Mu tacque qualche minuto.
"A cosa stai pensando?" gli domandò Shaka.
"Nulla di che, sarebbe una teoria troppo azzardata e priva di precedenti." rispose, scuotendo la testa come per scacciare quei pensieri.
"Spiegati, magari non è così assurda come credi." insisté Shaka.
"D'accordo. Dunque sappiamo che, a differenza di tuo fratello, non hai sviluppato il Cosmo e quindi questo è rimasto latente e nascosto da qualche parte dentro di te come succede alla stragrande maggioranza degli esseri umani." spiegò Mu. "Le cose però sono cambiate: da quando i tuoi incubi hanno iniziato a farsi più pressanti, il Cosmo è uscito allo scoperto e si è manifestato, attivando dei meccanismi di difesa."
Camus corrugò la fronte.
"Non ho mai sentito niente."
"Questo perché non è attivo direttamente su di lei, ma dentro di lei."
"...no." sussurrò Mei, serrando gli occhi.
"Forse uno dei feti ha avvertito il pericolo e ha in qualche modo assorbito il Cosmo per difendere la madre. Come se l'avesse ereditato."
L'intera sala divenne sinistramente silenziosa dopo quelle parole.
Poteva mai essere? Certe cose potevano davvero essere ereditate come il colore degli occhi o dei capelli?
"Beh, a dire il vero tua figlia ha ereditato qualcosa. Resiste piuttosto bene al freddo, ma il suo Cosmo è un discorso a parte, è acerbo e rimarrà tale, temo." rispose Dohko. Pensò ai suoi antichi compagni d'arme e a chi li aveva preceduti: quanti di loro avevano vissuto abbastanza a lungo da poter mettere su famiglia? Pochissimi, si potevano contare sulle dita di una mano. "Pochi Gold Saint finora hanno vissuto a lungo, quel tanto che basta, cioè, a mettere al mondo dei figli."
"A parte te e Ilias." interloquì Shion, in cinese.
"A parte Ilias." lo corresse Dohko, sbrigativo. "Ilias e basta, Shion, non ne parlo da più di cent'anni e non voglio parlarne ora. Esiste la remota possibilità che la teoria di Mu sia esatta, in qual caso potrebbe non solo possedere caratteristiche affini a Milo, che governa il segno di Mei, ma anche affini a te."

Milo proruppe in un largo sorriso. 
"Ci pensi, Mei? Potresti dar vita a un Saint in grado di paralizzare il sistema nervoso e congelare l'avversario nello stesso momento!"
"Non è il momento più adatto per parlarne." lo interruppe Camus, notando lo sguardo di fuoco della compagna.
"Come Hagen ad Asgard potrebbe quindi manipolare più poteri?"
"Molto probabile, Hyoga. Ma finché non saranno al mondo, non lo sapremo con certezza anche se spiegherebbe l'autodifesa operata dal bambino o dai bambini, a questo punto tutto è possibile."
"Oppure, se mi è concesso parlare, azzarderei l'ipotesi che sia stato Kardia, in qualche modo, a intervenire. La stessa sensazione l'ho vissuta anni fa, durante il periodo della guerra contro Hades, e all'epoca avevo già ampiamente partorito." spiegò Mei. "È successo a me, so che cosa ho provato."
"Ipotesi più ragionevole, la tua." interloquì finalmente Shion. "Ricorda che cosa ti ho detto nel vecchio osservatorio."
"Scusa Shion, ma come Degél, Kardia è uno spirito e non può..."
"...perdonatemi se vi interrompo, Maestro, ma Degél non ha alcun potere su di me per il semplice motivo che non appartengo al suo segno. Al contrario, Kardia può influenzarmi. Siete stato voi a dirmelo, ricordate?"
"Kardia o no, Mei, resta comunque una difesa debole, inadatta a reggere la situazione. Spero che la soluzione proposta da Shion sia semplice come dice... bisogna creare un collegamento con la tua mente, entrare nel tuo inconscio e raggiungere il tuo alter ego." spiegò Dohko.
"Quanti tentativi abbiamo?" domandò Shaka.
"Uno solo."
Shaka scosse la testa.
"Lascio volentieri a qualcun altro il compito di aiutarti, non sono sicuro di poterlo fare."
"Death potrebbe." intervenne Aphrodite.
Camus si schiarì la voce, ignorando DeathMask e guardando poi Saga.
"Tu potresti riuscirci."
L'altro annuì, osservando Mei voltarsi di scatto, inviperita, verso il compagno.
"Una volta che io e Shion raggiungiamo l'alter ego attraverso l'inconscio di tua moglie, potrei usare un colpo psichico e rimuovere i suoi ricordi, obbligandola a dimenticarsi di lei. Se opporrà resistenza, la obbligherò a uccidersi." spiegò Saga, annuendo. "Sì, non sarà così difficile. Credo di potercela fare."
"Che mostruosità." interloquì Shiryu.
"Sono contrario alla violenza, eppure non c'è molta scelta: l'altra Mei ha intravisto in tua sorella una possibilità di vivere la vita che lei sta vivendo e sfuggire a una situazione insostenibile. Se dovesse succedere, la cosa migliore che potrebbe capitarle è finire al posto suo: ne ha avuto un assaggio durante l'ultimo incubo, perderebbe ogni cosa."
"Contrario alla violenza? Tu, contrario alla violenza?! Siamo in questa situazione perché sicuramente le tue manie di dominio hanno contagiato le tue anime anche nelle altre dimensioni scatenando catene di episodi violenti e tu saresti contrario alla violenza? In tredici anni ne hai combinate più tu che Gengis Khan in tutta la sua vita e hai ancora il coraggio di sparare certe affermazioni? Tua madre non avrebbe mai dovuto partorirti, né in questa dimensione né in nessun'altra!!" sbottò Mei, furibonda.
Dohko indicò Mei a Shion: l'aura che la circondava era la stessa che, ai loro tempi, aveva circondato Kardia.
"Avevi ragione." mormorò.
"Come sempre." sorrise Shion.
"Mei-Yin." intervenne Aiolos, a bassa voce.
"Dopo quello che vi ha fatto insistete a difenderlo?"
"Erano altri tempi e altre situazioni, tu non puoi capire."
"No, e nemmeno voglio provare a farlo. Non ho l'Alzheimer, mi ricordo benissimo quel pomeriggio, in questo stesso tempio, quando questo sant'uomo del vostro amico mi chiese di tradire Dohko e la mia famiglia per diventare una spia al suo servizio. Voi volete dimenticare? Fatelo, le vostre coscienze non sono affare mio. Ma non venite a parlarmi, nessuno di voi, che erano altri tempi e altre situazioni come se ciò potesse giustificarlo." replicò Mei. "Mi ricordi i psicopatici che sterminano la famiglia o intere classi di studenti e se la cavano con la scusa dell'incapacità di intendere e di volere facendola franca a dispetto di tutti."
"Il passato va lasciato dov'è, credimi, è meglio così." riprese Aiolos.
Dopo qualche istante, Camus si schiarì la voce.
"Vogliamo tornare, per favore, al perché di questa riunione? Mei, è mattina e abbiamo dormito poco, che ne diresti di procedere?"
"Certo. Tanto qui è come cozzare contro un muro di gomma, non si va da nessuna parte." sospirò quindi Mei.
"Merci beaucoup."
"Dunque è deciso?" intervenne Dohko, rapido.
"DeathMask." rispose Mei.
"Saga." disse Camus, nello stesso momento.
"Hey, cosa? Saga?" sbottò Mei, scattando in piedi, gli occhi ridotti a due fessure. "Tu as perdu la tête ou quoi? Non! Pas question! " [No, neanche per sogno.]
Anche Camus, a sua volta, assottigliò lo sguardo.
"Ceci n'est pas le moment meilleur pour blaguer, Mei." [Non è il momento migliore per scherzare, Mei.]
"Est-ce que j'ai la face de quelqu'un qui blague?" [Ho la faccia di una che scherza?]
"J'ai pas l'intention de considérer l'alternative!" [Non ho alcuna intenzione di prendere in considerazione l'alternativa!]
Anche perché l'alternativa era DeathMask, e a parte il rispetto dovuto come parigrado, non nutriva alcuna fiducia nel Saint della quarta casa: affidare Mei nelle sue mani? Neanche per idea.
Mei guardò per un attimo DeathMask prima di tornare a posare lo sguardo, fermo, su Shion, indicando con un ampio gesto del braccio i Saint presenti.
"Mi è concesso decidere o han deciso già lorsignori?"
Shion sorrise benevolo.
"Nessuno ti costringe a compiere qualcosa che va contro la tua volontà." rispose, ricevendo in risposta l'occhiata tagliente di Camus.
"Grazie." rispose Mei, ironica. Puntò l'indice contro DeathMask. "Se devo per forza fidarmi di uno di voi due, allora preferisco dovermi fidare di te."
DeathMask, vuoi per lo stupore o per l'improvvisa tensione che aleggiava nell'aria, non profferì parola, limitandosi ad annuire brevemente.
"Non te lo permetto!" sibilò Camus, a voce così bassa che poté udirlo solo lei e, sicuramente, anche Shiryu, poco distante.
"Parafrasando una certa frase, Cam… la mente è mia e la gestisco io." replicò. "Quando sei pronto, DeathMask."
La presa sul suo braccio si fece più forte.
"Gradirei parlarti in privato." sibilò, senza lasciarla andare. "Domando scusa, signori. Ci assentiamo qualche minuto."
La scortò fuori dal tredicesimo Tempio, seguito da Shiryu, fermandosi davanti all'altare di Athena.
"Mi stai facendo male." mormorò Mei, inducendo Camus a lasciarle il braccio. "Che ti succede?"
"Cosa succede a te, piuttosto! Non hai idea dell'entità del guaio nel quale stai per cacciarti."
"Forse no, ma non voglio l'aiuto di Saga."
"E vorresti quello di DeathMask? Questo vuol dire proprio andare a cercarsi le disgrazie!" interloquì Shiryu.
"Appunto. Tu non lo conosci come lo conosciamo noi."
Mei fulminò entrambi con lo sguardo.
"Ma guardatevi, fino a mezz'ora fa vi sareste scannati a vicenda alla prima occasione disponibile e ora fate comunella." sbottò Mei. "È proprio vero che le persone non sempre sono come ci appaiono."
Camus si premette due dita alla radice del naso, come tutte le volte che avvertiva l'arrivo dell'emicrania.
"Ascolta. Il fatto che siete conterranei e che hai parlato e passeggiato con lui un paio di volte condividendo del cibo non significa né che lo conosci, né che puoi fidarti."
"E dunque dovrei fidarmi di Saga?" rispose Mei. "Dammi un valido motivo!"
"Saga non tappezzava i muri di casa sua con i volti delle sue vittime per trarne gloria e piacere. Non si vantava di trarre forza dal loro odio, nutrendosi del dolore che si lasciava alle spalle. Non si divertiva a schiacciare con crudeltà i suoi macabri trofei vantandosi delle torture inflitte a quei poveri disgraziati, ecco perché." disse Shiryu, stavolta incapace di trattenere il tono di voce. "Io ho visto che cosa c'era alla quarta casa: non ha ucciso solo uomini, ha massacrato anche donne e bambini. Anime innocenti dell'età di Lixue o dell'età di mia figlia, o peggio... tra le sue vittime c'è stata anche una donna incinta! E non lo so per sentito dire, ma perché ho visto lo spirito di quella donna e del suo bambino tra le tante anime martoriate. Una donna come te, santi numi, svegliati!!"  
"Aspetta un attimo, perciò a starvi a sentire, io dovrei evitare la quarta casa ma recarmi con fiducia da uno psicopatico che soffre di disturbi dell'identità e che durante la sua egemonia organizzava e partecipava a vere e proprie orge in luoghi sacri. Ah beh, il vostro discorso non fa una piega."
"A dire il vero le cose non stavano proprio così..."
"Ah no? Ma se Cora stessa ti era stata offerta in dono dall'allora Ares. Non fare quella faccia, sono meno stupida di quanto pensi."
"Non ho mai pensato che tu sia stupida anche se in questo momento nutro dei seri dubbi sulle tua facoltà mentali: io non capisco, hai già avuto modo di vedere come si comporta con il prossimo, hai visto cosa stava facendo a tuo fratello non appena l'ha avuto tra le mani e sai che Shiryu ne è uscito per puro miracolo, dunque perché ti getti volontariamente tra le sue grinfie? Ha provato a uccidere Shunrei, l'hai scordato?"
"Io ricordo benissimo. Non pensarci nemmeno, Mei."
"Tu fatti da parte. L'unico ShuFang che poteva comandarmi rispondeva al nome di Wei-He." rispose Mei. "Nessuno di voi due ha il potere di darmi ordini."
"Oh no, sbagli, razza di scellerata. Ho tutto il diritto di fermarti se stai per commettere una stronzata che potrebbe costare la tua vita e quella dei nostri figli." sbottò Camus. "Non ti permetterò di farlo."
Quello era davvero il colmo.
"Ho battuto la testa e ho perso la facoltà d'intendere e di volere? Non sta a te decidere: sei mio marito, non il mio tutore legale. Non ho alcuna intenzione di affidarmi a uno come Saga."
"E allora preferisci affidarti nelle mani di un assassino?" gridò Shiryu.
"Odio dirlo, ma tuo fratello ha effettivamente ragione."
"Smettila, accidenti a te! Quanto mi dai fastidio quando fai il voltagabbana in questo modo!! DeathMask è un assassino? E perché, Saga che cos'è?" sbottò Mei. "Un meschino e volgare cialtrone che vi ha tenuti sotto i piedi per tredici anni, usurpando un trono che non era e non sarebbe mai stato suo, un vigliacco che ha eliminato il suo avversario diretto dichiarandolo traditore! Uno psicopatico che ha quasi ucciso la vostra Dea e ha mandato a morte te, DeathMask, Shura e Aphrodite in un gioco al massacro facendo i propri interessi e lasciando i rimanenti Saint con nient'altro che un pugno di macerie e osate ancora dirmi che preferireste sapermi nelle mani di un verme del genere anziché in quelle di DeathMask? ...sì, so che cos'ha fatto, so come ha agito e so che cosa stava per portarmi via, ma ha sempre avuto la decenza di mostrarsi per quello che è, senza recitare la parte del sant'uomo buono, caritatevole e amato dalle genti! È un essere umano, ha sbagliato e ha già ampiamente fatto ammenda dei suoi errori pagando con la propria vita, più volte oltretutto."
"Anche Saga." precisò quindi Camus.
All'interno del tredicesimo Tempio, dove le parole dei tre si sentivano fin troppo chiaramente tra l'ansia e l'imbarazzo generale, Hyoga si alzò dirigendosi verso l'esterno.
"Hyoga, Mei deve già difendersi da due persone, non ti ci mettere anche tu." disse Milo.
"A dire il vero esco proprio per darle una mano."
"Per fare una citazione Disneyana...che situazione imbarazzante."
Aiolos si voltò verso Saga.
"Sì, mi pare proprio il momento di fare lo spiritoso."
"Ma guardatevi, due uomini grandi e grossi contro una gentil-... contro una donna. Dentro hanno sentito tutto." esordì Hyoga, raggiungendoli.
"Benone, almeno non dovrò ripetere."
"Cosa sei venuto a fare?" fece Camus.
"...a darti manforte, e cosa altrimenti?"
Hyoga si accostò a Mei.
"Rinfodera la lingua biforcuta, tu. Mei è in svantaggio numerico, quindi sono qui per darle sostegno."
Lo guardò sorpresa, squadrandolo da capo a piedi.
"...grazie!"
"Fantastico." commentò Camus.
"Il punto è, Camus, che Mei preferisce riporre la sua fiducia in DeathMask e imporle la tua decisione non è giusto."
"Credo proprio che questi non siano affari tuoi." fece Shiryu, cercando di rimettere Hyoga al suo posto.
"Beh, nemmeno tuoi." ribatté Mei. "Tra i presenti tu sei l'ultimo a poter ficcare il naso nei miei affari, figuriamoci prendere decisioni al posto mio."
"Stiamo cercando di farti ragionare!"
Hyoga si schiarì la voce e incrociò le braccia sul petto.
"No, le state imponendo di fare una scelta che non vuole fare." disse. "Da te mi aspettavo qualcosa di meglio."
"Se al posto suo ci fosse Freya, cosa faresti?" domandò quindi Camus.
"Che cosa mi hai sempre detto? Rispetta il prossimo, Hyoga. Rispetta le opinioni di chi la pensa diversamente da te anche se non le condividi. Non limitare mai la libertà di chi ti circonda, sii rispettoso verso il prossimo e sarai rispettato. Parole tue, le stesse che mi hai insegnato e che stai trasmettendo a tua figlia: dovresti quantomeno dare il buon esempio e rispettare per primo chi non la pensa come te, non puoi darle delle regole se poi tu per primo le infrangi. A questo punto però mi sa che le tue regole valgono solo per gli altri e non per te."
"Te lo chiederò di nuovo. Se al posto suo ci fosse Freya, cosa faresti? Se ci fosse la tua donna, fisicamente e mentalmente vulnerabile e per di più incinta dei tuoi figli, al suo posto, che cosa faresti?"
Mei sbuffò, mentre Shiryu guardava a turno i due.
"Che si cali il sipario, signori e signore, la commedia è finita. Camus ha iniziato a sproloquiare in russo."
"...ma che razza di lingua è? Per fortuna che siamo noi cinesi quelli che parlano in maniera incomprensibile..."
"La lascerei libera di prendere la decisione che preferisce." rispose Hyoga, senza esitare.
Camus assottigliò lo sguardo, furioso, la voce tagliente e fredda.
"Oh, quant'è facile parlare quando non si é direttamente coinvolti in una faccenda."
"Bene, quando poi ha sbollito la rabbia e tornerà a parlare una maledettissima lingua che posso capire, avvertimi." Mei interruppe Hyoga.
"Ferma lì." le ordinò Camus, tagliente.
"Non azzardarti a usare ancora questo tono con me." sibilò lei in risposta. "Con chi credi di parlare, con la tua attendente?"
"É adulta e capace di decidere per il meglio. Sei preoccupato per i bambini e davvero, ti capisco, però..."
"Sarei contrario a questa decisione anche se non fosse incinta!"
Hyoga sospirò, fermandolo.
"D'accordo, d'accordo. Mettiamola in questo modo allora: immagina di avere un certo grave problema che non ti fa stare bene. Immagina che la tua unica soluzione sia Shiryu che, lo sappiamo tutti, sopporti come riesci a sopportare il caldo estivo, e immagina qualcuno che ti costringe ad affidarti a lui per risolverlo. Accetteresti la decisione o faresti di tutto per cercare una soluzione alternativa?" domandò Hyoga.
"Sì."
"cosa?" ripeté Mei.
"Sì, mi farei aiutare."
Mei alzò le mani.
"Ragazzi, scusate, ma la mia intelligenza non tollera stupidaggini di questa portata. Per oggi ne ho sentite troppe, basta." disse, prima di tornare nel Tempio. "DeathMask, quando sei pronto."
L'interessato si alzò e annuì.
"Arrivo. Da te o da me?" le domandò.
"… ti piacerebbe." ghignò Kanon.
"Voglio dire, preferisci la quarta casa o l'undicesima?"
"L'undicesima a breve diventerà una ghiacciaia." gli rispose. "Credo che la quarta casa sia più indicata."
Shiryu, Camus e Hyoga rientrarono subito dopo.
"Fermi un attimo, qui nessuno va da nessuna parte."
"Figliolo, non ti intromettere. Non è affar tuo." interloquì Dohko.
"Perciò la mia opinione non conta niente per te?" protestò Camus. "Il fatto che sia assolutamente contrario a questa… follia non ha alcuna importanza?"
"Ho ascoltato la tua opinione e la rispetto, so che sei incredibilmente preoccupato per me, ma… non sei tu quello che si deve sottoporre a questa cosa. Si tratta della mia mente, io decido che cosa fare."
"Miei Dèi." mormorò Camus. "Ti prego rifletti e per una volta metti da parte il tuo orgoglio... se non per me, almeno per i nostri figli! Non sei più una ragazzina, sei una donna adulta con delle precise responsabilità, non puoi più pensare solo a te stessa, hai una figlia alla quale pensare, sei incinta, pensa anche a loro! Lascia che sia Saga ad aiutarti, ha più esperienza!"
Ah, quello sicuramente, dati i precedenti.
"Non usare questi ricatti morali con me. Ho già detto che non ho intenzione di permettere a quella persona di avere libero accesso alla mia mente."
"Quella persona è già meglio di verme." commentò Saga.
"In effetti il verme è un animale fin troppo decoroso."
"Senti… ho sempre appoggiato ogni tua decisione, sempre, perché mi fido di te e perché non posso e non voglio importi di fare qualcosa che non vuoi." disse Camus in un ultimo tentativo di farle cambiare idea. "Ma questa volta non posso lasciartelo fare."
"Quello che faccio non lo decidi tu."
"Dunque a me non pensi. Conto così poco per te?"
"Ma che cosa stai dicendo?!"
"Non tieni conto di quanto questo mi faccia male? Di quanto sono preoccupato? La mia opinione non conta niente?"
Mei trasse un gran sospiro.
"Molto bene, vorrà dire che imparerò a convivere con quei dannati incubi. Signori, mi dispiace aver causato tanto trambusto: vogliate scusarmi e tornare nelle vostre case, come se nulla fosse successo."
Dohko si alzò, per tentare di calmare entrambi.
"Il problema è, Mei, che la gravidanza ti ha resa più vulnerabile e la tua mente non è più in grado di reagire tempestivamente a quella minaccia. La prossima volta il tuo alter ego potrebbe riuscire a possedere il tuo corpo scalzandoti del tutto e tu smetteresti di essere Mei." spiegò Dohko. "Se dovesse succedere, non ci sarebbe modo di tornare indietro: la tua anima potrebbe morire definitivamente o vagare come spirito."
Kanon ridacchiò.
"Diventeresti uno spirito maligno." disse, squadrandola da capo a piedi: con i capelli sciolti, il suo kimono rosso sangue e il suo sguardo profondo –seppur segnato da due paurosi cerchi neri dovuti alla stanchezza- aveva un qualcosa di… inquietante. "The Crimson Demoness."
"Ah no!" lo corresse Milo. "The Scarlet Demoness. Mei appartiene al mio segno."
"Che disdetta, fratello. Quelle belle e pericolose sono sempre occupate."
"Non sarei comunque alla tua portata." replicò Mei, con arroganza.
Dohko si schiarì la voce.
"Smettetela. Torniamo a cose più serie."
"Appunto. DeathMask, io sono pronta."
Quest'ultimo annuì, sempre in silenzio, e si avviò a passo svelto alla quarta casa, a prepararsi.
"Con permesso."
"Ah no, un accidenti."
Sotto lo sguardo attonito di Dohko e degli altri, Camus afferrò Mei e la riportò all'undicesima casa.

***

Lady Aquaria's corner
Questo è uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto, ed era pronto già da diverso tempo, peccato per l'empasse dei due capitoli precedenti che mi hanno bloccata per un po'.
Comunque... se siete giunti fino a queste note, avrete notato che, ahilui, ci sono un paio di cattiverie sul Saint della Terza Casa: per quanto possa sforzarmi personalmente di apprezzarlo, la mia Oc non riuscirebbe a fare altrettanto nemmeno in seimila vite. Ma se può consolarvi, apprezza Kanon.... :D
-Qi-Gong e Chakra: il primo è collegato in parte alla medicina tradizionale cinese e a diversi aspetti delle arti marziali, il secondo e in particolare il sesto che Dohko, su suggerimento di Shaka, "aziona" per aiutare Mei, è presente (tra le altre cose) nella medicina ayurvedica. Dohko utilizza questi due elementi per far sì che la Mei che fa parte del suo mondo possa riprendere la coscienza di sé e contrastare l'altra sé stessa.
-Lassi: fa parte della cucina indiana ed è una bevanda tradizionale a base di yogurt. Con l'aggiunta di spezie varie (ad esempio la curcuma) è utilizzato come rimedio per diversi problemi.
-Yangtze: il fiume più lungo dell'Asia.
-La canzone che da' il titolo al capitolo è di Alice Cooper ed è riferito a ciò che prova la Mei dell'altra dimensione (e che prova a far capire alla sua alter ego fortunata)
Spero di non aver saltato altre note, alla prossima.

Lady Aquaria

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Capitolo 35
*** The way it ends. ***


capitolo 35
35.
The way it ends.
 
This is the way it ends
Don't tell me its meaningless
There'll be no compromise
We fall, and we too, shall rise
You held me and taught me how
I think I am ready now
If this is the way it ends,
Then this is the way its meant to be
[The way it ends – Landon Pigg]
 
"Mi stai facendo male!!" gridò, inducendolo a lasciarle il braccio. "Ma sei impazzito?!"
"Ah, io? Senti chi parla. Non so più come dirtelo che non intendo lasciarti nelle mani di DeathMask."
"Beh, lo dovrai accettare." gli rispose, cercando di uscire.
Gli ultimi barlumi di pazienza evaporarono come d'incanto.
"Non ti azzardare!" sibilò, bloccandole ancora la strada.
Ben lungi dall'essere impaurita da quello scatto rabbioso, Mei sostenne il suo sguardo.
"Se ti metto le mani addosso ti faccio male, lo giuro su mia madre."
"Tu non andrai alla quarta casa. Mei, te lo proibisco."
Scoppiò a ridergli in faccia, cosa che lo mandò letteralmente in bestia.
"Hey, hey. Calmiamoci, tutti quanti." interloquì Milo, guadagnandosi l'occhiataccia dell'amico. "Tu, perché sei incinta, e tu perché non si urla in questo modo contro una donna. Che diamine, non ti riconosco."
"Ora sei anche tu contro di me?"
"Non sono né contro né a favore." precisò Milo. "Potessi, vi spaccherei la faccia, a tutti e due. Calmatevi prima che finisce male."
"Io sono calma." obiettò Mei. "Se cercavi una fragile, placida, sottomessa ragazza cinese, ebbene, quel giorno avresti dovuto guardarti intorno al Goro-Ho, quante ragazze corrispondono a quella descrizione! Ragazze che si annullano per compiacere il loro uomo, che smettono di pensare, che venerano la terra sulla quale il loro venerabile sposo poggia i piedi. Io non sarò mai così, ficcatelo bene in testa! Hai sempre saputo com'è il mio carattere, come sono, sai che non permetto a nessuno di decidere al posto mio!"
Stupida, dannatissima testarda.
"Allora dai! Coraggio, vai pure alla quarta casa. Fai pure quello che ti pare, dato che la mia opinione non conta. Ma ci andrai da sola." sbottò. "E tu tornatene a casa, non ho voglia di parlare con nessuno!"
Lo guardarono allontanarsi in direzione dello studio, il Cosmo contenuto a malapena, palesemente furioso.
"Mi dispiace." mormorò Mei.
"Posso parlarci."
"No, per favore. Peggioreresti il suo umore ed è già parecchio insopportabile in questo momento. Staremo bene, non preoccuparti...torna da Shaina, non pensare a me."
Restò qualche istante in corridoio, appoggiandosi al muro: le ci volle tutto l'autocontrollo appreso in anni di arti marziali per non rispondergli a tono e rinfacciargli cose che, lo sapeva, avrebbero rovinato il loro rapporto, forse per sempre. Ma se da un lato doveva tenere a freno la lingua, dall'altra aveva ogni diritto di dire la sua.
"So che siete adirata, ma non fatelo, ve ne prego."
Riaprì gli occhi dopo qualche istante, mettendo a fuoco Degél, in piedi davanti a lei. S'incupì, guardando quel volto eternamente giovane che dopo anni tornava a confortarla ed alleviare le sue pene nonostante lui stesso ne avesse bisogno.
"È così difficile."
"Lo so, Mei."
Si asciugò rabbiosamente gli occhi con il dorso della mano e tirò su col naso. Era stanca, aveva un sonno tremendo e i bambini nel suo grembo continuavano ad agitarsi e giocare con la sua vescica.
"Sapete cosa mi fa davvero male? Io gli ho dato tutto di me. Ho lasciato la mia casa, il mio lavoro, il mio Paese... ho cambiato continente, persino... e mi sono messa nelle sue mani. Letteralmente, nelle sue mani. Gli ho dato la mia totale fiducia, gli ho dato tutta me stessa e l'ho fatto volentieri perché lo amavo e lo amo, e non ho mai preteso niente in cambio. E lui…? Lui si rifiuta di accettare e assecondare la mia volontà e di starmi vicino in un momento che per me è sfibrante." gemette Mei, sorreggendosi poi la pancia. "Perché io sono costretta ad ascoltarlo, ma lui non ricambia il favore."
"Non si tratta di questo, sapete anche voi che è preoccupato. Non potete fargliene una colpa."
E della sua preoccupazione non si curava nessuno? I patemi d'animo che aveva avuto da quando aveva scoperto di essere incinta, non erano importanti? "Temo dobbiate scendere entrambi a dei compromessi. Per amore, mia cara, bisogna saper scendere anche ad accordi che facciamo fatica ad accettare."
Proruppe in una risatina nervosa.
"Accordi, dite? Voi non avete idea di quanti compromessi abbia già dovuto accettare, monsieur. Di quanti rospi abbia dovuto ingoiare. O meglio, lo sapete, ma fate finta di niente. Parlate di amore, ma voi che cosa ne sapete?" rispose di getto, pentendosi immediatamente di quanto detto.
Degél proruppe in un sorriso triste e dolce al tempo stesso.
"Ho amato anch'io, sapete." rispose, con un velo di rimpianto. "Una volta soltanto, ed è stata la cosa più dolorosa e bella che mi sia mai accaduta."
Si sentì mortificata per essersi permessa di rivolgersi in quel modo proprio a lui.
"Mi dispiace." mormorò. "Perdonatemi."
"Vi dispiacerà davvero se gli permettete di rimanere seduto là dentro. La Mei che conoscevo io non era così arrendevole."
"Quella Mei non esiste più."
"Ebbene, in questo momento occorre che la tiriate fuori, o ci penserà vostra madre, e vi assicuro che non è una donna che minaccia a vanvera."
Lo sapeva bene, del resto aveva ereditato la sua stessa tempra.
"...darei qualunque cosa per poter trascorrere una sola ora con lei, chiederle consiglio. È in momenti come questi che sento così intensamente la sua mancanza."
"Lo so."
"Proprio non è possibile parlare con lei nello stesso modo nel quale stiamo parlando noi, adesso?"
"Temo di no."
"Ma può sentirmi?"
"Certo."
"Allora...che cosa devo fare, mamma?"
Un discreto bussare alla porta li interruppe.
"Mei? Ti sto aspettando."
Dallo studio, Camus sbuffò dopo aver sentito la voce di DeathMask fuori dall'undicesima casa.
"Ah, sei ancora qui, dunque?" le domandò, facendo capolino in corridoio.
"Arrivo subito DeathMask, scusami."
"Va bene, ti aspetto qui fuori."
"Per rispondere alla vostra domanda, Mei, vostra madre ha risposto che voi per prima sapete bene che cosa fare. Qualunque decisione prenderete, vi rimarrà accanto."
Decise di provare ancora una volta a fargli cambiare idea; si diresse allo studio, trovandolo seduto alla scrivania.
"Te lo chiederò una volta soltanto, sai che non sono quel tipo di donna che implora."
Camus non le rispose, limitandosi a guardarla con la sua solita espressione.
"Se davvero dici di amarmi, se davvero dici di fidarti di me, allora seguimi alla quarta casa perché ho davvero bisogno della tua presenza. Perché piuttosto che fidarmi di Saga, preferisco tenermi gli incubi. E se dovessi mai diventare uno spirito maligno, Camus, tu sarai il primo che verrò a cercare e perseguitare, dovessi attraversare tutte le dimensioni temporali esistenti." non ottenendo ancora risposta, sospirò stanca. Però poi ripensò alle parole di Degél e alle non proprio velate minacce di sua madre e ritornò sui suoi passi, piazzando due pugni sulla scrivania e facendolo sobbalzare dalla sorpresa. "Sai quanti rospi ho dovuto ingoiare e quante volte ho dovuto tacere per amor tuo? Tante. Prima le frecciatine di certe persone qui al Santuario, poi le malelingue al Goro-Ho, poi sei maledetti anni trascorsi agli antipodi, durante i quali mi sono rosa il fegato a immaginarti con chissà chi mentre aspettavo una tua mossa. Ho lasciato la mia casa, il mio lavoro, il mio Paese per te: ho anche cambiato continente, per te. Ti ho dato tutto e per una maledetta volta che sono io a chiedere tu mi volti le spalle? Come osi farmi questo? Ne ho abbastanza di questa faccenda, quindi alzati da quella sedia e vieni a darmi il sostegno che merito, maledetto egoista!"
 
Raggiunse DeathMask fuori dall'undicesima casa, in un misto tra terrore cieco perché totalmente impreparata su quanto sarebbe successo alla quarta casa, e sollievo al pensiero che tutta quella storia avrebbe avuto presto una fine, in un modo o nell'altro.
"Tutto bene?" le domandò, ricevendo in risposta un qualcosa d'incomprensibile. "Okay, capito. Che cos'ha fatto Monsieur Ghiacciolò? Aspetta, che diavolo hai addosso, l'argento vivo? Frena un po'."
La raggiunse e le afferrò un braccio, fermandola.
"Sai, io sono una brava persona. Non buonissima, ma sono una brava persona. Sono stata e sono una figlia devota per i miei genitori e sono un'allieva riconoscente per Dohko. Sono una buona sorella maggiore e sono una buona madre. Sono una brava persona. E le brave persone si meriterebbero delle belle cose in cambio ma la maggior parte delle volte ricevono solo..."
"...merda." le suggerì DeathMask.
"Esatto. E allora credo che a volte questa eccessiva bontà d'animo non ti porta a niente, solo a tanta immeritata merda e quindi basta. Basta essere buoni."
"Questo è esattamente il mio credo di vita."
"Perciò basta essere buoni con chi non lo merita. Sono stata buona tutta la mia vita e che cosa ho ottenuto? Ho perso i miei genitori, mio fratello è... beh, è mio fratello e quel che è peggio, l'uomo al quale ho deciso di dare la mia vita futura è un dannato egoista e quindi... che cos'ho ottenuto dalla mia gentilezza? Niente. Dove vai? La quarta casa è di là."
"Siamo diretti alla tredicesima."
"Speravo nella privacy della quarta casa."
"Disposizioni di Shion." replicò DeathMask, facendo spallucce.
"Se scopro che è tutta una macchinazione per far intervenire anche Saga, facciamo i conti."
"Saga non c'è, rilassati."
Altro che rilassarsi, sentiva il cuore sul punto di esplodere.
"Le cose brutte succedono sempre alle persone buone, è la vita." commentò DeathMask. "Prima ci farai l'abitudine, prima ti sentirai meglio."
"Parli come se sapessi."
"Parlo perché lo so."
"...e?"
"E non sono affari tuoi."
Sentirono un fruscio alle loro spalle e si voltarono.
"Ah, adesso mi segui? Adesso che sto bollendo dalla rabbia?" berciò Mei, furiosa. "Vai a farti f-"
"Hey." interloquì DeathMask.
"Non hai idea della rabbia repressa che ho dentro!"
"E vuoi farla scoppiare proprio ora?"
"Sta già scoppiando!" tuonò Mei, sentendosi avvampare, preda di una forza incontrollabile che pareva sgorgarle direttamente dalle viscere. "Vedi? Vedi? Io sono qui, a gridare come un'indemoniata, e guarda lui com'è tranquillo e imperturbabile."
Imperturbabile un'accidenti, come faceva a non sentire il suo Cosmo?
"Mei..."
"Guardalo! Sempre la stessa espressione! Miei Dèi, ti prenderei a schiaffi fino a farti liquefare la faccia!"
"Okay, ma stai calma."
"Di che hai paura, non ce l'ho con te, non ti succederà niente."
"Questo lo so. Ma se non ti calmi succederà qualcosa ai tuoi picciriddi."
 
Arrivati al tredicesimo tempio, Mei si accorse, con sollievo, che tutto si sarebbe svolto nelle stanze private di Shion, col minor numero di spettatori possibile: è la casa più vicina all'undicesima, le spiegò quest'ultimo, sorridendole incoraggiante.
"E sia." sospirò Mei, arrendendosi. "Se possibile, desidero qualche minuto per pensare."
Dohko e Shion si guardarono un attimo.
"Sarebbe meglio non perdere troppo tempo in chiacchiere."
"Ho bisogno di scambiare qualche parola con DeathMask. Da sola."
Shiryu si schiarì la voce.
"Penso che tu stia per commettere un grave errore."
Prima che lei potesse aprir bocca, intervenne DeathMask.
"Perché? Sai anche pensare? Ma che bravo."
Dohko intervenne per calmare gli animi.
"Pochi minuti, Mei, davvero. Tempus fugit."
"Sì, Maestro."
Rimasti soli, DeathMask le rivolse un sorrisetto sardonico.
"Per i pagamenti come restiamo?"
"Restiamo che ti accontenti della mia riconoscenza, perché se aspetti un pagamento in natura, fai in tempo a diventare vecchio." ribatté Mei.
"Mi discrimini perché sono albino o per quale altro motivo? Fidati, a sentire le gentili pulzelle che si sono concesse, sono piuttosto bravo."
Mei roteò gli occhi.
"A prescindere dal tuo aspetto, la sola idea mi fa vomitare. Senti, ho pochi minuti e non voglio sprecarli in stupidaggini. È vero quello che ha detto mio fratello? Delle teste sui muri, delle anime dei bambini, delle donne che hai ucciso?" disse quindi, diventando seria.
A volte Shiryu aveva il pessimo vizio di ingigantire le cose: DeathMask era un tipo strano e questo l'aveva capito già da un po', ma quanto corrispondeva a verità?
DeathMask lasciò vagare il suo sguardo su Mei, soffermandosi sul ventre rigonfio.
"Ogni singola parola." le rispose, mortalmente serio, con un agghiacciante sguardo nelle iridi rosse. "Buffo. Per una volta che quel lucertolone dice la verità, non viene neanche ascoltato. Non sempre quello che dice tuo fratello sono stronzate: a volte, come in questo caso, dice anche la verità. Ho ucciso tante persone, e molti di loro erano nemici. Ho appeso le loro teste sui muri di casa. E sui pavimenti. E sul soffitto."
"Non m'importa dei tuoi nemici. Hai davvero ucciso donne e bambini?"
"Sì."
"Anche donne nelle mie condizioni?"
"È capitato una volta sola."
E si era sentito uno straccio per giorni, dopo quell'episodio: non l'aveva mai detto a nessuno e probabilmente era un segreto, quello, che si sarebbe portato nella tomba.

"...perché?"
"Eseguivo gli ordini."
Non ottenne altre risposte, se non uno sguardo strano.
"Senti, Mei. Faresti bene ad ascoltare quel rugnusu e soprattutto tuo marito. Non sono l'uomo più adatto per aiutarti."

"Non permetto a nessuno di decidere della mia vita. Io mi fido di te."
"Fai male."
"Forse. Ma a differenza dell'altra opzione, non hai mai nascosto la tua natura. Se devo affidare la mia mente e il mio futuro nelle mani di qualcuno, preferisco che siano le tue, piuttosto che quelle di Saga."
"Anche Kanon è in grado di farlo."
"Non ti ho chiesto questo. Ti ho chiesto di aiutarmi."
DeathMask sbuffò.
"Va bene. Ma giusto perché sei tu e non è Shiryu ad aver bisogno di aiuto." le rispose. Andò ad aprire la porta con un gesto teatrale, rivolgendosi a Dohko e gli altri fuori in attesa. "...che squillino le trombe signori spettatori, inizia la commedia, che parlino gli attori."
"..."
"Beh? Che c'è?"
"Nulla, nulla." rispose Mei, distendendosi. Aphrodite si avvicinò, scoccando un'occhiataccia a DeathMask.
"Sempre teatrale tu eh?"
"Sono così, che vuoi farci?" replicò l'interessato, sistemando una sedia accanto al divano dove Mei si era distesa.
"Va meglio adesso?" domandò Aphrodite, accovacciandosi.
"Diciamo di sì. Quindi è questo quel che vedono i tuoi pazienti." mormorò Mei, rauca, riferendosi ai suoi occhi. "Allora non tutti i mali vengono per nuocere."
Aphrodite ridacchiò sommesso, continuando a contare le sue pulsazioni.
"Beh, qualora dovessi capitare nel mio ospedale, e ti auguro di non averne mai bisogno, io sono l'ultimo medico che vorresti vedere."
"Perché il tuo sguardo killer decima tutti?"
"Non c'è bisogno del mio sguardo, di norma i pazienti che tratto hanno già un piede nella fossa, quindi..."
"Rassicurante."
"Beh, sono un chirurgo d'emergenza, ricordi? Adesso cerca di rilassarti e addormentarti." le disse, intravedendo Camus all'ingresso del tredicesimo tempio. "Dai, come insegni alla tua classe di taijiquan: respirazione profonda. Sei capace a farla anche da distesa vero?" la vide annuire e annuì a sua volta. "D'accordo, ci vediamo dopo."
"Peut-être." mormorò Camus, a bassa voce. […forse.]
"Ah, sei qui, dunque. Potevi restare all'undicesima."
"Hey voi due. Basta. Tu smettila di agitarla e tu smettila di agitarti perché altrimenti qui non ne usciamo più."
"Se sei qui per i bambini non preoccuparti, c'è un medico qui che sono certa che in caso di necessità, sia perfettamente in grado di praticare un cesareo per salvarli."
"Sì, ma preferirei evitare." interloquì l'interessato. "Ora da brava, chiudi gli occhi e rilassati."
"Qualunque cosa succeda, non pensare a me, pensa ai miei bambini."
"Sei sempre così melodrammatica, donna?" intervenne DeathMask.
"Penserò a tutti e quattro, d'accordo?" sorrise Aphrodite. "Ora su, prova a..."
Incapace di tenere a freno la lingua, grazie alla rabbia che ancora covava dentro, Mei si voltò verso Camus, scoccandogli un'ultima frecciatina.
"...e comunque tranquillo: farò le valigie non appena tutto questo sarà finito."
Aphrodite interruppe la risposta di Camus sul nascere.
"Se voi due emeriti imbecilli non smettete di dirvi stupidaggini, giuro sulla memoria di mia madre che prenderò le vostre graziose testoline e le sbatterò contro il muro finché non vedrò i vostri cervelli colare sul pavimento. Sono stato chiaro?"
"Se qualcuno qui l'avesse, un cervello." sbottò Camus, allontanandosi da Mei.
"E adesso dove vai?" sospirò Aphrodite.
"Voleva che tornassi all'undicesima, giusto? Eccola servita."
"Uno di voi due sta per diventare lo sfortunato vincitore di una bloody rose, vi avverto."
"Miei Dèi, quanti anni avete? Cinque?" sbottò Dohko. "Un po' di maturità, per favore. E sì, sto dicendo anche a te, Mei."
"Ora silenzio, per favore, vorrei essere ancora giovane e bello quando avremo finito. Sei pronta?"
No.
"Sì." annuì, ricacciando indietro le lacrime. Avvertì le mani di DeathMask ai lati del viso, poi, più nulla.
 
**
 
Riusciva a percepire il gelo intenso proveniente dall'undicesima casa anche a quattro case di distanza: chissà quanto dovevano essere contenti Aphrodite e Shura.
Voltò le spalle alle ultime case, decidendo di scendere pian piano dabbasso.
"Va meglio?" si sentì domandare poco dopo aver superato Virgo. "Dohko mi ha detto che hai dormito tutto il giorno."
In effetti, dopo essersi risvegliata al tredicesimo tempio preda di un pianto incontrollato, Shiryu l'aveva portata con sé alla settima casa, decidendo che avrebbe necessitato di tranquillità. E ne aveva avuta a sufficienza, dato che si era svegliata alle nove della mattina successiva, dopo quasi ventiquattro ore ininterrotte di sonno: Lixue l'aveva stretta a lungo, felice di sapere che stava bene e non le era successo nulla di male.
"Avevo del sonno arretrato da smaltire, ma grazie per l'interessamento." rispose a Shaka, incapace di credere a tanta premura nei suoi confronti da parte sua.
"Stai scendendo al mercato? Io e Saraswati stiamo per andarci, se hai bisogno di qualcosa non hai che da dirlo, ti risparmiamo una faticata."
Sempre più incredula, scosse la testa, prima di voltarsi fugacemente.
"No, grazie, non sono diretta al mercato. Piuttosto, noto che ti sei lasciato infinocchiare da Camus... eppure non credevo fosse possibile."
"Semplice cortesia personale, Camus non è in grado di ordinarmi nulla. Ho avuto anche io a che fare con una donna in stato interessante e so che non deve fare sforzi."
"Oh. Terrò a mente la tua offerta, grazie. Buona passeggiata." tagliò corto Mei, affrontando le ultime rampe di scale prima di giungere a destinazione.
 
Dopo un po' di corsa e la doccia, DeathMask andò in cucina e si accomodò sul suo sgabello preferito, armeggiando col pc e col sacchetto delle cassatelle che lo attendevano insieme al pani c'a mieusa e alle crocchè. Premette il tasto play deciso a godersi la puntata della serie tv che aveva registrato la sera prima, quando era andato allo stadio per la partita Palermo-Catania.
O almeno, così aveva sperato di fare: quando i colpi alla porta erano diventati insistenti, aveva posato il panino sul sacchetto e, imprecando nel dialetto natale, era andato ad aprire.
"...rispondi sempre in questo modo a chi bussa alla tua porta? Oh porca miseria!" esclamò Mei, comprendendo tardi di averlo interrotto nel bel mezzo di qualcosa: aveva i capelli umidi e non indossava che un asciugamani intorno ai fianchi.
DeathMask inarcò un sopracciglio.
"Di solito non ricevo visite."
"Già, chissà perché." convenne Mei. "Mi fai entrare o mi fai rimanere qua fuori in piedi con questo tempaccio?"
Rabbrividì all'improvvisa corrente d'aria che si era levata in casa e guardò Mei.
"Sarei più propenso a prendere in considerazione la seconda scelta ma ho come la vaga sensazione che non mi lasceresti in pace. Dico bene?"
"Perbacco, mi conosci."
Sbuffò, facendo due passi indietro.
"...entra."
"Grazie." mormorò Mei, entrando e spostandosi di lato, nel corridoio. DeathMask la osservò guardarsi intorno, evitando accuratamente di posare lo sguardo su di lui.
"Accomodati, vado a mettermi qualcosa addosso prima che ti saltino le coronarie."
"C'è di meglio in circolazione, fidati. E comunque sono immune, perciò tranquillo che la tua virtù è sana e salva. Ma ti ringrazio del pensiero." gli rispose, entrando in quello che doveva essere il salotto: un po' spartano per i suoi gusti –a parte il mobile porta tv, un divano e una poltrona e una libreria quasi del tutto colma di dvd e videogiochi, non c'era granché- ma quantomeno pulito e in ordine.
Si avvicinò all'unico scaffale sgombro dai film e guardò i pochi oggetti personali che vi erano sistemati: un carretto siciliano in miniatura –giallo acceso con sgargianti disegni geometrici-, un soprammobile in rilievo raffigurante la Sicilia intera con i monumenti più famosi delle varie zone e infine delle foto. Saltò quella che ritraeva i genitori di DeathMask per soffermarsi sulla seconda, dalla quale le sorrideva una bimba dallo sguardo vispo.
Posò la foto e si accomodò sulla poltrona prima che DeathMask tornasse dalla sua stanza.
"Vieni in cucina, stavo pranzando." la chiamò lui dall'altra stanza, inducendola ad alzarsi e raggiungerlo.
"Oh cavolo, mi dispiace. No, ho già mangiato a sufficienza a colazione, ma grazie comunque." lo fermò, notando che DeathMask aveva aggiunto un piatto sul tavolo. "Un bicchiere d'acqua andrà benissimo."
Con un'alzata di spalle, ripose il piatto e le porse quanto chiesto.
"Hai eluso il piantone di guardia e sei riuscita a fuggire? Lui sa che sei qui?"
"Anche se fosse, non è di certo lui che può dirmi che cosa posso o non posso fare, e di certo non basta un suo no per impedirmi di fare qualcosa, se voglio farla."
"È un concetto questo, che hai ripetuto più volte, ieri mattina. Gli hai tenuto testa, ed io che credevo che fossi tutto fumo e niente arrosto, cazzuta a parole ma mammoletta al momento dell'azione..."
"...ma che carino, grazie." sbottò Mei.
"Accidenti se mi sei piaciuta, Camus sbuffava inferocito come non l'avevo mai visto. Ha già congelato l'undicesima?"
E secondo te per quale motivo sono ospite di Dohko? avrebbe voluto rispondergli, decidendo di scivolare su argomenti diversi. Si sporse verso il pc, adocchiando una scena lasciata in sospeso.
"...cosa stavi guardando? The Walking Dead?"
"Game of Thrones." la corresse, sorvolando sulla battuta.
"Uhm... più che appropriato per un sanguinario."
"Lo prendo come un complimento."
"È la nuova puntata della seconda stagione? Io sono rimasta indietro ma poco importa, avendo già letto il romanzo so che cosa succede. Beh, che c'è?" gli domandò, captando per caso lo sguardo di DeathMask che aveva ripreso a mangiare il suo pranzo.
"Niente, niente." l'assicurò lui. "Piuttosto, non credo che tu sia venuta fin qui per parlare di serie tv, giusto?"
"Sì, giusto."
"Ebbene, non perdiamoci in stupidaggini. Tornando al discorso dell'altra mattina,non ho mai negato, a differenza di ciò che dice quell'esempio di virtù che è tuo fratello, di aver causato la morte di donne e bambini. L'ho fatto. Nego di averlo fatto di proposito, è diverso." spiegò DeathMask. "I bambini sono stati vittime collaterali."
"Avresti potuto evitarli." rispose Mei.
"Non è stato sempre possibile."
"Allora avresti ucciso anche me, quella volta."
DeathMask ridacchiò divertito. Stava per accendersi una sigaretta ma si fermò, ricordandosi della gravidanza.
"Con Monsieur Ghiacciolò che ti sorvegliava come una guardia imperiale della Città Proibita? Uno capace di scatenare una tempesta di ghiaccio sull'intero Santuario? Sarebbe stato capace di congelarmi l'intestino, dopo." replicò lui. "Il tuo maritino è uno di quelli che tendo a evitare, se possibile. E comunque sarei stato tre contro uno. Non sono mai stato così idiota da affrontare tre parigrado in un colpo solo."

"Stavi per uccidere Shunrei però. E questo non me l'ha raccontato nessuno, ero lì quando l'ho vista fluttuare nel vuoto e quando è precipitata nell'alveo della cascata."
"Ah no, volevo solo spaventarla, sapevo che il vecchio stava all'erta e che l'avrebbe salvata."
"Avevi paura della sua reazione?"
DeathMask assottigliò lo sguardo.
"Non ho paura di niente e di nessuno."
Bugiardo. Tutti gli esseri umani possedevano delle paure. La sua, era quella di perdere Camus e i loro figli. E anche DeathMask ne aveva.
O quantomeno, ne ha avute, pensò Mei. Mentre era stato impegnato a ricacciare il suo alter-ego nella dimensione alla quale apparteneva, c'era stato un momento nel quale aveva potuto vedere nella mente di DeathMask, e ciò che aveva visto l'aveva spaventata e rattristata al tempo stesso.

"Che cosa ti ha ridotto così? Non raccontarmi la solita sciocchezza del sono nato così perché non ci credo." gli domandò.
"È una storia lunga, non ti andrebbe di ascoltarla." cercò di liquidarla.
Spari, tanti spari. Rumori secchi e atroci che le avevano messo i brividi addosso. Delle caramelle che rotolavano sulla terra battuta di un parco giochi. Due corpi senza vita in un lago di sangue. Gli occhi spenti di una bambina.

"È per la bambina che ho visto?" azzardò Mei, sperando di indurlo a parlare.
Lo sguardo di DeathMask cambiò radicalmente. Da canzonatorio, divenne mortalmente serio.
"Quale bambina?"
"Mora, occhi neri. Una bambina di circa sei anni."
A ripensarci, le si spezzava il cuore: era stato inevitabile, per lei, pensare a sua figlia.
"Quale bambina?" berciò DeathMask, in italiano, non gradendo quell'intrusione nella sua vita privata.
"Io ti ho permesso di leggere nei miei pensieri e di farti gli affari miei, il minimo che tu possa fare è rispondere alla mia domanda."
"Hey, non l'ho fatto per divertimento, me l'hai imposto."
Mei sogghignò.
"Come se fosse possibile obbligare uno come te a fare qualcosa contro la sua volontà. Credi davvero di potermi prendere in giro come ti pare?" replicò. "Quella bambina è la ragione per la quale sei diventato così? Per quelle povere anime che ho visto morire?"
Che ne sapeva, Mei, dei suoi genitori e di Annarita, sua sorella, trucidati da quel maiale che quella maledetta mattina di tanti anni prima, a Palermo, li aveva freddati?
Che ne sapeva di come si era sentito, quando aveva capito di essere rimasto solo, ad appena sette anni?
Gettò i resti del panino nel lavello, battendo i pugni sul gocciolatoio accanto ad esso facendola sobbalzare; per l'urto, le stoviglie che aveva messo ad asciugare a colazione tintinnarono.
"Quel maledetto cornuto! Lo scanno vivo, parola mia." sbraitò DeathMask, inveendo contro Aphrodite. "Non puoi raccontare una cosa che subito la vanno a spifferare in giro. Io lo scanno, quello."
"Non me l'ha raccontato nessuno, l'ho visto nei tuoi ricordi: ti piaccia o no, ci siamo trasmessi qualcosa a vicenda. Sicuramente tu avrai visto, o vedrai, qualche mio ricordo."
DeathMask sbuffò ancora.
"Oh, ma che meraviglia. Spero almeno non siano ricordi melensi di notti trascorse avvinghiata al tuo tenero maritino perché potrei vomitare violentemente." berciò. Recuperato un po' di autocontrollo, si schiarì la voce. "Non sono nato così, credo che tu abbia ragione, almeno in questo. Prima di quel giorno, la sola azione che a detta di mio padre fu cattiva e irresponsabile fu far saltare qualche dente a un ragazzino che al parco giochi aveva spinto mia sorella giù dalla scaletta dello scivolo, rompendole un piede: un destro dritto alla sua bocca. Non dimenticherò mai la faccia sanguinante di quel bulletto e tutte le moine che fece a suo padre, subito dopo... mio padre cercò di obbligarmi a chiedere scusa e mi mise in punizione quando capì che non l'avrei mai fatto. In fondo, avevo difeso mia sorella, perché mai avrei dovuto scusarmi? Non è quello che hai fatto, figliolo, che mi ha fatto arrabbiare, ma è il modo in cui l'hai fatto. Con la violenza non si ottiene niente, mi disse. Ma lui, era fatto così: gli rubavano il parcheggio? Pazienza, ne troverò un altro... i vicini di casa si lamentavano per ogni minima cosa? Pazienza, smetteranno. Gli stessi vicini provocavano danni alla sua auto mentre parcheggiavano la loro? Pazienza, la carrozzeria si può ribattere."
"Sembra di sentir parlare mio padre."
"Quelle erano sciocchezze, ma ci sono cose, situazioni o torti che non si possono semplicemente dimenticare o lasciarsi alle spalle: non si può vivere l'intera esistenza ingoiando sempre tutti i rospi che ci capitano a tiro. Ho ucciso per la prima volta il giorno del mio settimo compleanno, un malavitoso locale che aveva appena massacrato la mia famiglia. Non puoi immaginare che cosa passa per la testa di un bambino che vede i genitori immersi in una pozza di sangue."
"Forse no, ma non credere che non capisca cosa hai provato in quel momento."
"La rabbia è stata solo la millesima parte del groviglio di sentimenti provati quel giorno, perché la prima cosa che mi ha posseduto è stata la sete di sangue. Un istinto omicida feroce, che si è placato solo quando l'ho assecondato. La bambina che hai visto è mia sorella, Annarita, ed è morta tra le mie braccia: aveva solo sei anni."
"Mi dispiace tanto." sussurrò Mei.
Lui fece spallucce, cercando come sempre di lasciarsi scivolare addosso quella storia come se appartenesse a qualcun altro.
"Il mio Cosmo si è risvegliato quando Rita ha smesso di vivere, ed è stato come se il Demonio in persona fosse entrato nel mio corpo: sentivo che dovevo vendicarli, sentivo che dovevo far iettare sangue al loro assassino. E così ho fatto. Gli ho sfondato il cranio a sassate fino a spargere il suo cervello sulla strada." concluse DeathMask. "Ho pensato a lui quando è stato il momento di decidere se tenere il mio nome o sceglierne uno da usare in battaglia: è morto con la faccia così deformata in una smorfia che per me è venuto naturale soprannominarmi DeathMask."
"...ah, però."
"Ma non sono discorsi adatti a una donna incinta, perciò... cambiamo argomento."
"Mi risulta che un tempo amassi vantarti dell'odio che andavi disseminando in giro."
Lui ridacchiò.
"Dentro di me continuo a farlo, soprattutto se quell'odio arriva dai nemici. Questa casa era molto diversa anni fa..."
"Non ne ho idea, non ci sono mai entrata prima d'ora."
"Lo so, ma non dirmi che non hai mai sentito l'aura di morte che la circondava."
"Sì, quella l'ho sentita chiaramente."
"Proveniva dalle teste che avevo sistemato qua e là: come ti ho già detto, non era una diceria, le teste appese c'erano sul serio. Solo che Saori Kido, o forse Athena stessa, devono aver deciso che non era umanamente corretto tenerle lì, e prima del mio ritorno hanno ripulito l'intero edificio."
Mei inarcò un sopracciglio.
"Chissà i pianti che hai fatto quando ti sei accorto della sparizione dei tuoi feticci." commentò ironica.
"Mi è dispiaciuto un po', in fondo mi tenevano compagnia." rispose DeathMask, allungandole il sacchetto con i dolci.
Incapace di diniegare di fronte a un dolce, a maggior ragione proveniente dal sud Italia, Mei cercò una posizione più comoda sullo sgabello.
"E non hai mai pensato di farti degli amici, o che so io, avere un cane, provare a farti una famiglia? Sono cose più vive rispetto a qualche testa qua e là."
DeathMask parve pensarci su.
"No. Amici ne ho pochi e mi bastano. Non mi piace l'idea di avere un animale in casa e no, niente famiglia perché non provo amore né compassione." rispose. "Non sono più capace di amare nessuno, a parte il Palermo che spesso e volentieri mi dà soddisfazione."
"E perciò la tua vita è tutta qui? Lavoro, partite di calcio, videogiochi e avventure di un paio d'ore?"
"Un paio d'ore? Non offendere le mie capacità, due ore sono poche. Non ti hanno mai spiegato che non siamo tutti uguali? C'è chi è programmato per avere figli e una famiglia e chi no. Anche fosse, non sono pronto."    
Mei terminò la cassatella che le aveva offerto, masticando lentamente e riflettendo sulle sue parole.
"Se per farti una famiglia aspetti l'illuminazione divina o aspetti di esser pronto, allora non lo farai mai."
"Sbaglio o a breve sfornerai le creature di quella palla al piede che ti sta aspettando qualche casa più in su?" le domandò, prima di avventarsi sul sacchetto dei dolci.
Trasse un grosso respiro prima di rispondere.
"Non me lo ricordare, al parto manca poco e sono terrorizzata. E no, non ero pronta ad avere altri figli. Non fraintendermi, sono felice di questa gravidanza, amo i miei bambini, ma... per me era troppo presto: mi ero appena trasferita, avevo recuperato il mio lavoro e poi, con una bambina piccola, la scuola e tutto quanto... non so, non ero pronta. Non lo sono tuttora, a dire il vero."
"Ma sei incinta."
"...già. Sono bastati dieci minuti in compagnia del suo amico russo e i suoi due bambini per fargli venire un'irrefrenabile voglia di paternità." rispose Mei.
"Quindi ti ha obbligata."
Mei assottigliò lo sguardo.
"Credi forse che se Camus mi avesse usato violenza, starebbe ancora respirando, adesso?"
Conoscendola, molto probabilmente no.
"Immagino di no." rispose, schiarendosi la voce.
"Immagini bene." tagliò corto Mei, sorbendo un sorso d'acqua. "Ci penserò io, tesoro, mentre tu andrai al lavoro io sarò lì a badare a loro e Freya mi darà una mano!"
DeathMask ridacchiò ironico.
"Sì, so già che aiuto ti darà la principessina."
"È la stessa cosa che ho pensato anch'io."
"Ma allora perché non hai detto di no?"
"DeathMask, DeathMask... che devo dirti? Non so neanche io perché non ho detto di no."
"Salvatore. Ma puoi chiamarmi Turi."
"Ah beh, allora... io continuo a essere Mei, ma se preferisci c'è anche Medusa. Usalo pure, non mi offendo."
La meridiana batté due rintocchi.
All'ombra della quarta casa, Milo intravide l'amica avventurarsi su per le scale in tutta fretta, dopo aver scambiato qualche parola con DeathMask.
La seguì a distanza, decidendo poi di fermarla prima che scomparisse dentro Libra.
"Arrivi dalla quarta casa?"
Mei si fermò, poi guardò Milo, fermo tra la sesta e la settima casa.
"Me lo chiedi, eppure lo sai già dove ho trascorso le ultime due ore. E lo sa anche lui." rispose. "Torna a casa da Shaina, non ho bisogno della scorta."
"Non ho mai pensato il contrario, è che a dirla tutta questa specie di...amicizia con DeathMask è... strana."
Lui e Camus dovevano aver trascorso il pomeriggio a parlarne, a quanto pareva: Milo indossava un cardigan decisamente troppo pesante per quella stagione, segno che con ogni probabilità era stato all'undicesima casa.
"Parlando di amicizia sai perché ti ho sempre apprezzato come amico e perché ti considero il migliore tra quelli che ho? Perché ti sei sempre mantenuto al di sopra di certe questioni: sarebbe carino se continuassi a farlo." sbottò Mei. "O quantomeno, se proprio vuoi prendere le sue parti, e credimi, posso capirlo, evita di essere il suo galoppino."
"...Mei..."
"Senti...ti chiedo scusa, davvero. Non è stato un bel periodo e sicuramente quello che seguirà non sarà migliore, perciò..."
"L'undicesima casa è una ghiacciaia."
"Lo so. Per questo io e mia figlia resteremo alla settima finché non tornerà a ragionare come un uomo adulto."
"Sai quand'è stata l'ultima volta in cui si è comportato così? Ares aveva scoperto dell'esistenza di Lixue e voleva prendere provvedimenti, ecco quando. Non è arrabbiato, è preoccupato. È terrorizzato all'idea che possa accaderti qualcosa."
"Ed è per questo che mi ha fatta infuriare quando a tutti i costi voleva decidere al posto mio e mi ha fatto salire la pressione? Dohko ha dovuto disturbare Aphrodite in piena notte perché avevo la minima alle stelle e mi sentivo sul punto di morire, ho tre creature qui dentro e loro rischiano più di me in questa storia! Se non vuole pensare a me, pensi almeno a loro. È terrorizzato? Bene. Che provi anche lui che cosa vuol dire." sibilò, arrabbiata.
"Uno di voi due dovrebbe comportarsi di conseguenza e smetterla."
"Ti rispondo citando un'illustre conterraneo di mia madre: dite a Torino che da qui noi non ci muoviamo." replicò Mei, lasciandolo basito. "Se mi cerchi, sai dove trovarmi."
 
"Io dico che fai bene, lascialo cuocere un po' nel suo brodo." le sorrise Shunrei, una volta entrata in casa.
Sospirò stanca.
"Mah, non so. Non ci parliamo da due giorni e non risponde né ai miei sms né ai miei messaggi vocali. Quella che sta cuocendo a fuoco lento nel proprio brodo sono io, non lui, perché vedo che a lui non importa un fico secco."
"Non dire così..."
Mei liquidò l'argomento con un gesto della mano.
"Non importa. Il Maestro è ancora in casa?"
"È nella sua stanza."
Si diresse a fatica su per le scale, e una volta arrivata davanti alla porta della camera di Dohko, impiegò qualche istante per bussare.
"Maestro, posso?"
Distogliendo lo sguardo da ciò che stava facendo, Dohko si discostò dalla scrivania, sorridendole.
"Certo, entra." le fece posto su una poltrona e l'invitò a sedersi. "Qualcosa non va?"
"Mi stavo chiedendo, riguardo l'altro giorno..."
"Credo che dovresti stare tranquilla, l'altra te non tornerà più a disturbarti."
"Sì, lo so. Ma la mia domanda non riguarda l'esito di quell'intervento, quanto ciò che c'è stato dietro. Anche voi siete dell'idea che abbia fatto male a insistere per DeathMask? Cosa avrei dovuto fare?"
Dohko si sistemò meglio sulla sedia.
"Io ho sempre avuto una grande considerazione di te, questo lo sai: per me tu e Shunrei siete come sorelle, vi ho amato e vi amerò sempre come se fossi vostro padre. Non potevo dirti che cosa fare, perché mi fido del tuo giudizio e perché nessuno può decidere per te ed io men che meno. Mi fido della donna che sei diventata, della donna che ho guidato attraverso questi anni: ho guidato te e Shunrei fin'ora e probabilmente lo farò fino alla fine."
"Sento un ma in arrivo."
Dohko ridacchiò appena, prendendole le mani.
"Sai chi mi ricordi? Kardia."
"Ed è un pregio o un difetto?"
"Entrambi." rispose Dohko, criptico. "Sai, lui era un guerriero eccezionale e instancabile, un ragazzo pronto ad aiutare il prossimo, un bravo ragazzo con tanti pregi e tanti difetti, tutto sommato. E parlando di questi ultimi, era arrogante, pungente, sarcastico al limite del caustico, irruento e impulsivo. Probabilmente vi sareste scannati a vicenda, forse è per questo che con te evita di manifestarsi."
"Sono così insopportabile da intimidire anche uno spirito... beh, grandioso."
"No, non sei insopportabile, ragazza mia. Sei impulsiva, orgogliosa e testarda. A volte getti la ragione alle ortiche e ragioni di puro istinto: pur avendoti sostenuta a modo suo in più di un'occasione instillandoti la sua forza d'animo, Kardia ha percepito questo tuo lato ed è per questo che in questi anni ha mandato Degél a darti consigli, per stemperare il tuo carattere."
"Non ha funzionato granché." Mei si asciugò la guancia. "Sto allontanando tutte le persone che amo: Lixue è diversa con me e Camus non mi parla."
"Tua figlia sta crescendo e sta scegliendo la sua strada, è normale che stia cambiando. In quanto a Camus... beh... come te, non ama perdere il controllo delle situazioni, la tua decisione di farti aiutare da DeathMask e la tua ferrea volontà l'hanno come dire... destabilizzato un po'. Avete dei caratteri molto forti e usa il silenzio come reazione."
"È arrabbiato con me al punto di mandare sottozero l'undicesima casa e torturarmi togliendomi la parola."
"È preoccupato, nulla di più. Voleva sistemare le cose a modo suo e quando tu hai puntato i piedi si è sentito spiazzato: le cose si aggiusteranno come sempre, stai tranquilla."
Mei si soffiò il naso.
"Lo spero... ne abbiamo passate di peggio, dopotutto."

 

***
 
Lady Aquaria's corner
Altro capitolo parecchio lungo, ma ultimamente è così :)
Parto con le note (anche se alcune di queste mi faranno sembrare Capitan Ovvio):
-Picciriddi: in siciliano, bambini
-Tempus Fugit: tradotta un po' alla buona, significa il tempo corre, e qui Dohko lo usa per redarguire Mei sul fatto che c'è poco tempo per correre ai ripari
-Rugnusu: letteralmente indica una persona sporca, affetta dalla rogna, ma in questo caso, ovviamente, DeathMask utilizza tale appellativo nei confronti di Shiryu riguardo il suo carattere difficile. Conosciamo tutti, vero, i trascorsi dei due? :)
-"...che squillino le trombe signori spettatori, inizia la commedia, che parlino gli attori." vogliano perdonarmi Aldo Giovanni & Giacomo, questa è una citazione tratta da Chiedimi se sono felice.
-Pani c'a mieusa, crocchè e cassatelle: il primo fa parte del cosiddetto street food  tipico di Palermo, e si tratta in parole povere di un panino con straccetti di milza e polmone di vitello. Le seconde sono delle specie di crocchette e le terze sono, a grandissime linee, dei ravioli dolci.
-Il carretto siciliano: come spesso succede, scrivo pezzi di capitolo anche con larghissimo anticipo rispetto alla data di pubblicazione e la lunga conversazione tra Mei e DeathMask risale ad agosto scorso, quando mi sono imbattuta in un meraviglioso festival siciliano organizzato su, in una cittadina in Valsesia. Tra le tante meraviglie, ho anche fotografato un carretto siciliano che, come mi è stato spiegato, proveniva da Catania in quanto dipinto di un bel rosso "...come la lava dell'Etna! ". Secondo mie ricerche ho quindi scoperto che a Palermo i carretti sono dipinti di giallo sgargiante. Essendo il "mio" DeathMask palermitano, ecco che il carrettu souvenir che ha in casa è giallo.
- dite a Torino che da qui noi non ci muoviamo: mannaggia, questa è particolare.
Dunque, avete mai sentito il termine bugianen , solitamente riferito a noi piemontesi? Se no, vi rimando a questa pagina wikipedia e a quest'altra pagina d'approfondimento, perché è un concetto molto interessante.
Qui, Mei (per metà cinese e per metà polentona, da madre astigiana), prende in prestito le parole del Conte di San Sebastiano per dire indirettamente a Camus che lei, dalla settima casa, non si muove nemmeno per idea. Testarda come pochi.
-Il titolo e la citazione poco sotto prendono spunto da una canzone di Landon Pigg, che ho avuto modo di scoprire e apprezzare grazie a Grey's Anatomy (sì, ancora lui ù_ù). Nonostante il titolo, no, questo non è l'ultimo capitolo. ;)
-Last but not least.... l'idea della donna incinta uccisa da DM non è farina del mio sacco. Quelle due righe le scrissi dopo aver letto "E non m'importa dov'è il potere, finchè continua a darmi da bere", di GiòTanner. Spero non le dispiaccia, in tal caso provvedo subito a togliere la citazione.

Bon, credo sia tutto per questo capitolo.
Alla prossima!



Lady Aquaria

 

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Capitolo 36
*** How would it be? ***


capitolo 36
36.
How would it be?
What have I done?
What if it's too late now?
Did I do all I could, did I?
Did I make it all good, did I?
Somehow it doesn't feel right
Is it really all over?
Did I think it through, did I?
What if all I want is you?
[How would it be? – Lene Marlin]
 
Nell'aria fredda le nuvolette di fumo impiegano più tempo a dissolversi, rimanendo sospese nel vuoto per qualche secondo prima di disperdersi con tutta calma, un po' come il fiato che si condensa e si intravede con chiarezza durante una giornata d'inverno con le sue temperature rigide.
In effetti, a dirla tutta, all'undicesima casa sembrava di essere in pieno inverno nonostante all'esterno il Santuario fosse ad aprile inoltrato.
Camus assaporò il gusto pieno e deciso della Gauloises Blonde e il suo retrogusto amarognolo, guardando il pacchetto blu posato sul tavolino di fronte a sé, indeciso se fumarne una seconda oppure no. Lo faceva tutte le volte in cui era nervoso o arrabbiato, quando era sul punto di perdere il controllo, per evitare di commettere sciocchezze come quella di qualche ora prima quando aveva mandato sottozero Aquarius.
Milo lo osservava silenzioso da qualche minuto, incerto se palesarsi ed entrare nel salotto dove Camus, con indolenza, era sprofondato nella sua poltrona, o tornare indietro lasciandolo solo con i suoi pensieri: armato di un pesante cardigan, aveva trovato il coraggio di entrare in quella che lui definiva ghiacciaia, ma si sentiva stranamente a disagio.
"Sei lì da dieci minuti, o ti manifesti o esci." lo redarguì Camus, di malumore. "Detesto essere spiato."
"Non ti stavo spiando." rispose Milo, avvertendo il disagio crescere di un altro po'. "Volevo dirti che Mei si è ripresa una decina di minuti dopo che te ne sei andato e che ora è alla settima casa. Shunrei mi ha incaricato di portare qui i suoi vestiti sporchi e prenderne altri."
Sbuffando, Camus spense il mozzicone nel posacenere.
"Serviti pure."
"Il problema è, Camus, che mi sento a disagio all'idea di mettere le mani tra la biancheria intima di una donna che non è la mia." proseguì Milo. "Se mi facessi la cortesia di darmi quanto richiesto, esco e ti lascio in pace, promesso."
Un altro sbuffo seguì quelle parole, quindi Camus si alzò e lo precedette; i piedi nudi, i capelli legati alla bell'e meglio in una crocchia all'altezza della nuca, una vecchia e ormai informe tuta blu col logo del Paris Saint-Germain e lo slogan Ici c'est Paris! quasi sbiadito.
"Ma si può sapere che ti prende? Lei e i bambini stanno bene e quell'altra è stata rimessa a posto, non è questo che conta?"
Prese un astuccio dalla tasca della giacca e si ficcò in bocca un chewing-gum, per evitare di accendersi una seconda sigaretta.
"Il fatto è che io non sto bene. Conta anche questo oppure è irrilevante? E non intendo male fisicamente, ma per quello che mi ha detto e per come l'ha detto. E pensare che proprio lei, per ciò che le avevo detto quella volta, mi aveva rinfacciato le sue sofferenze citandomi Hegel: le parole sono spade, possono uccidere. Da che pulpito è arrivata la predica."
"Beh, quella volta fosti piuttosto brutale."
"Davvero paragoni queste due situazioni? La mia fu una bugia a fin di bene, una menzogna per salvarle la vita. Lei invece mi ha gettato addosso quelle parole per ferirmi, è diverso. E, dannazione, ci è riuscita anche parecchio bene."
"Sei rimasto male perché lei ha ribadito che decide di testa sua e che tu non sei suo padre e di conseguenza non puoi decidere per lei? Sei in questo stato solo per questo? Shaina la pensa allo stesso modo eppure non mi butto giù così."
"Non per quello, per l'altra cosa."
Milo fece mente locale.
"Oh. Ma dai, non l'ha detto con l'intenzione di ferirti, era sottosopra, era arrabbiata, era agitata per quanto stava succedendo..."
Non gli rispose. Impilò ordinatamente i vestiti e gli oggetti che avrebbero potuto servirle e glieli consegnò insieme a dei cambi per Lixue.
"Devo dirle qualcosa da parte tua?"
"No." arrabbiato com'era, non sarebbe stato un bel messaggio.
Ascoltò i passi di Milo allontanarsi, quindi una volta rimasto solo, decise di uscire dalla bolla d'indolenza e darsi da fare.
Ripose il pacchetto di sigarette nel suo astuccio d'alluminio e le nascose nel solito posto, nello studio, quindi si spogliò, decidendo di farsi una doccia.
"Credo sia giunta l'ora di sostituirti, vecchia mia." pensò a voce alta, guardando i pantaloni della tuta sformati e lisi all'altezza delle ginocchia. Tuttavia, la ficcò in lavatrice insieme ai vestiti sporchi di Mei, dopo aver rivoltato tutte le tasche. Si stupì un poco nel trovare quella strana busta ingiallita nella tasca del pigiama; avviò il ciclo a freddo e si sedette sullo sgabello del bagno, incuriosito, estraendone dei fogli accuratamente piegati e due libriccini.
"Ufficio di Stato Civile - 10eme Arr., Atto di Nascita di Fabien Larousse, nato a Parigi il 7 febbraio 1985 da Yves e Nicole Larousse."  lesse a voce bassa, tra sé e sé. Un uomo della sua età o quantomeno, un uomo che avrebbe dovuto avere la sua età, dato che il foglio seguente –strappato da un volume piuttosto vecchio dato il giallo della carta- e redatto in greco, riportava la sua morte all'Undicesima Casa, avvenuta a poco più di vent'anni d'età, nella primavera del 2005 in seguito alla scalata del Santuario.
Li ripose ordinatamente così come li aveva trovati e prese uno dei libriccini, scoprendo che si trattava di un passaporto francese vecchio modello con le pagine quasi tutte piene di timbri: l'ultimo risaliva al febbraio 2005, quando Fabien aveva varcato la frontiera greca di ritorno dal Canada. A quanto pareva avevano visitato entrambi gli stessi luoghi, eccezion fatta per qualche Stato –in Argentina o in Belize, ad esempio, non c'era mai andato-. A colpirlo maggiormente fu, però, la fotografia apposta sul passaporto.
"Miei Dèi..."
 
*
 
"Posso entrare?"
Quando Mei sentì la voce di Hyoga nell'ingresso, fece capolino dalla cucina.
"Qualcuno dovrebbe somministrare un calmante alla tua fidanzata, è il decimo messaggio whatsapp che mi manda... quante volte le devo rispondere che per me le peonie vanno benissimo purché non siano bianche? Se lo ricorda che detesto il bianco, vero?"
Lui corrugò la fronte.
"Peonie?!"
"Quelle per l'acconciatura e da mettere al polso. Non è per questo che sei qui? Non ha ricevuto la mia risposta?"
Capelli ancora sciolti come la mattina precedente, un hanfu verde smeraldo indossato sopra il pigiama, scarpe di tela ai piedi, Mei aveva sì l'aspetto di una nobildonna cinese dei tempi andati, ma anche due grandi occhiaie grigie sotto gli occhi.
"Assomiglio a Chien Po, lo so... non farci caso."
"A chi?"
"Non conosci Mulan? Ahi ahi ahi. Pazienza, che cosa volevi dirmi del matrimonio?"
"Ah. No, no, non sono qui per i dettagli del matrimonio. È che ho saputo che non sei stata bene. Sono qui di mia iniziativa, non mi ha mandato nessuno."
Mei sorrise stanca.
"Avevo la pressione un po' alta e Shiryu nel panico ha chiamato Aphrodite."
"Un po' alta, dice lei. Novantacinque su centoquarantadue e lei la definisce un po' alta." interloquì Shunrei.
Hyoga intercettò la boccetta prima che Mei potesse nasconderla nelle tasche della vestaglia.
"...e ti ha dato degli ansiolitici? Non dev'essere stata una cosa piacevole, me ne rendo conto, ma non va bene assumere certe cose in gravidanza... non sono un medico però..."
"Non dev'essere stata piacevole? Tu credi? La testa mi scoppiava, il cuore pompava forsennato e loro tre qui dentro scalciavano peggio di Beckham ai mondiali, secondo te com'è stato? Aphrodite ha detto che il rischio è minimo, e che comunque l'intero mondo potrebbe costituire un pericolo per loro. Tante cose non sono piacevoli eppure accadono, che vuoi farci? Quando riuscirai a sentire la futura sposa, dille che le peonie vanno benone, che le misure che le ho dato si riferiscono alla mia taglia abituale e che non ho bisogno di un insegnante di balli da sala."
"Oh sì che ne hai bisogno. Quando avrai partorito, tu e Camus imparerete il valzer, a costo di insegnarvi io stesso."
Mei scosse la testa, a metà tra il divertito e l'arrabbiato.
"Come si vede che non avete un accidenti da fare, voialtri ricconi." sospirò. "Ci sono altre belle notizie?"
 
"Ti chiedo scusa per come mi sono comportato l'altro giorno, non ce l'avevo con te. Ahem... ti andrebbe un kebab per pranzo? L'ho preso giù ad Atene, nel tuo locale preferito. Ce n'è anche per Shaina, se le va di venire."
Milo riascoltò il messaggio vocale tre volte prima di decidersi ad accettare il suo invito; Shaina al contrario diniegò, preferendo scendere a Rodorio insieme a Marin per mangiare qualcosa al volo prima di fare due compere per il bambino. Indossò sciarpa e cardigan e si recò all'undicesima casa munito di birre.
La tuta sformata era sparita, così come il puzzo di sigaretta, grazie anche a un gradevole incenso acceso da qualche parte.
"Posso entrare o corro qualche rischio mortale? Anch'io dovrò morire, ma preferirei non morire congelato, possibilmente."
"Entra." sospirò Camus. "Vai in cucina, è la stanza più calda di casa."
Milo prese l'apribottiglie e stappò due birre, prima di sedersi a tavola.
"Dov'eri finito? Dohko mi ha detto che Mei ti ha cercato più volte, ma non le hai risposto."
"Non potevo risponderle, ieri ho dato un esame e quindi sono tornato qualche ora a Parigi."
"Hai studiato con tutto il trambusto degli ultimi giorni? Come diavolo hai fatto?"
"Abitudine. Ho avuto accesso al livello HSK6 di Cinese Mandarino." rispose Camus, tutto contento. "Al termine del quale sarò in grado di parlare quasi in maniera fluente, come un madrelingua."
"Mei come la pensa a riguardo della tua ultima affermazione?"
"Non lo so, ancora non le ho detto niente. Ma ci vorranno anni di pratica per parlare come un nativo." rispose, disfacendo il cartoccio a portar via con il kebab. "È l'arabo che mi preoccupa, credo che lo lascerò stare per poter studiare meglio il giapponese. E tu? Come procede il tuo francese?"
Milo spizzicò una patata fritta.
"Abbiamo cambiato insegnante, adesso c'è un tuo concittadino tutto altezzoso che parla solo ed esclusivamente in lingua senza concederci un minuto di tregua."
"Ovvio, altrimenti come faresti a imparare? Potrei aiutarti con la pronuncia, che ne dici? A quale livello Delf sei arrivato? A2? B1?"
"Dico che vai troppo veloce, rallenta. Sono ancora all'A2, comunque." rispose Milo, rimboccandosi la sciarpa. "Ultimamente non vi parlate molto, voi due. Avete intenzione di fare qualcosa a riguardo o no? Perché a quanto pare preferisce parlare con DeathMask piuttosto che farlo con te. È alla quarta casa in questo momento, sai?"
Camus azzannò il proprio panino.
"Je le sais."
"E quindi?"
"E quindi, quando sarà il momento torneremo a parlare. Nelle tasche del suo pigiama ho trovato delle cose."
"Di che genere?"
"Dei documenti e un album fotografico, di un uomo che non sono io. Un souvenir dell'altra dimensione. Uscito dall'università ho provato a seguire un paio di tracce trovate su un paio di foto, ma entrambe hanno portato a delle piste morte." spiegò Camus, armeggiando con lo smartphone.
"In che senso?"
Mentre cercava una foto tra le cartelle salvate sul cellulare, gli mise davanti una fotografia, che gli fece sgranare gli occhi.
"Ma...!"
"...già. Dovrei essere io, ma fatico a riconoscermi in quei tratti... comunque, ho attraversato in lungo e in largo la via indicata nel passaporto, e l'edificio di questa fotografia non esiste."
"Magari è stato demolito."
"No, in quel preciso punto c'è un ristorante algerino aperto negli anni '50 che non ha mai chiuso battenti: tra le fotografie appese su un muro del locale ce n'è addirittura una che ritrae il proprietario con Dalida, che per inciso è passata a miglior vita nell'87. Vedi? Questo qua. L'edificio della foto, nella mia città, non è mai esistito." proseguì Camus, mostrandogli una foto che ritraeva Lixue sul marciapiede di fronte al ristorante in questione, con in mano un cartoccio contenente del cibo. "Buon ristorante, tra l'altro, la tajine di tonno era superba, Lixue ne ha spazzolata più della metà, ed era una tajine da 32 cm di diametro, non so se mi spiego. Ma a parte questo, c'è qualcosa che stranamente mi affascina di tutto questo: mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più dell'altro me, ma ovviamente non sarà più possibile. Mi domando com'è stata la sua vita da quando ho trovato queste foto. I luoghi che ha visitato, dove ha abitato, cosa ha studiato... come ha conosciuto la sua donna."
Gliene mostrò un'altra. Una giovane Mei, familiare e sconosciuta al tempo stesso: i capelli sempre neri, ma tagliati alle spalle, gli occhi gentili e pieni d'amore. Dietro di lei, l'altro Camus.
"Perdiana, sembrate davvero voi due." commentò Milo.
"Già. È stata scattata a casa, ma non riesco a capire... qui, nella prospettiva tra gli Invalides e il Sacrè Coeur, c'è una costruzione che non esiste da noi. E qui, ad esempio... in fondo a questo infinito asse dovrebbe esserci il Grande Arche, ma... non c'è! E ti assicuro che conosco molto bene la mia città."
"O semplicemente non compare in foto..."
"Non è possibile. Louvre – Concorde - Triomphe - Defénse." elencò Camus. "In prospettiva sono infilati tutti uno dietro l'altro, non puoi sbagliare. Questa foto è stata scattata dalla terrazza panoramica dell'Arc de Triomphe, alle loro spalle non ci sono gli Champs Elysées, quindi dovrebbe esserci il quartiere finanziario e di conseguenza l'arco ben visibile. Ma sto tergiversando... non è questo il vero problema."
"M-mh. Chissà che cosa è successo nella loro dimensione: a volte conosciamo a malapena la nostra storia, come possiamo conoscere anche quella di altri mondi?"
Camus annuì ancora, alle parole di Milo.
"Sapevo di questi sogni e ne conoscevo la veridicità perché Mei ne descrisse alla lettera uno in particolare che io avevo avuto e del quale non avevo mai fatto parola con nessuno. Sapevo che anche la faccenda delle anime affini nelle altre dimensioni era vera, ma qualcosa nel profondo mi ha sempre spinto a dubitarne. Però di fronte a questo, credo di non avere più dubbi."
Gli porse il passaporto e le altre foto, tenendo da parte i documenti privati.
"Beh, alla buon'ora." fu il commento di Milo.
Foto scattate ad Atene, al Santuario, in Russia. Primi piani di una donna molto bella che però non riusciva proprio ad associare all'amica. Un bacio. Una foto un po' troppo privata.
"Come fanno certe persone a fotografarsi in certe situazioni? Bada, non mi imbarazzo facilmente, ma..."
"Me lo son chiesto anche io... non so te, ma in quei momenti non riesco neanche a ricordare il mio nome, figuriamoci se riesco a scattare foto o posizionare la videocamera da qualche parte." convenne Camus. "Preferisco tenere per me certe cose."
Milo ridacchiò.
"Foto non ne faccio, ma video, qualche volta mi è capitato."
"E fammi capire, dopo che cosa ne fate? Li rivendete come porno di terza categoria o li riguardate per...non so, migliorare?" gli domandò Camus.
"Ciò che è già ottimo non si può migliorare."
"Cala le arie."
 
*
 
Dopo un pomeriggio trascorso in compagnia di Google Maps puntato su Parigi e le fotografie del suo omonimo, Camus scese fino a Libra subito dopo cena.
"Mei è in casa?"
Senza permettergli di entrare, Dohko lo fissò con un'aria a metà tra il serio e il sarcastico.
"Sai che è in casa, dove credi che possa andare una donna nelle sue condizioni? In giro per locali?"
"Non volevo mancarvi di rispetto, Maestro." Camus si affrettò a chiedere scusa.
"Lo so."
"...e non voglio farlo neanche nei confronti di mia moglie, non le ho mai fatto del male e non intendo certo iniziare."
"Lo credo bene ragazzo, anche perché torneresti a casa con qualche dente in meno." precisò Dohko, stavolta completamente serio.
"Diciamo pure senza denti."
Camus levò mentalmente gli occhi al cielo, mentre Shiryu, dietro Dohko, aveva preso a guardarlo con uno sguardo di fuoco.
"Shiryu, stavolta ti faccio male, lo giuro." sibilò, aumentando involontariamente il Cosmo fino a lasciare un sottile strato di ghiaccio ai suoi piedi.
"Ah, ma davvero? Ascoltami un po', razza di pallone gonfiato: questi trucchetti forse funzionano con gli altri, non con me. Lo sai che l'hai fatta incazzare così tanto che le è salita la pressione alle stelle e Aphrodite le ha dovuto somministrare un calmante? Ha dormito quasi ventiquattr'ore ininterrotte e quando si è ripresa, stamattina, era ancora inebetita! Un calmante a una donna incinta, ma ti rendi conto? Mia sorella è qui per..."
"Tra moglie e marito non mettere il dito." lo redarguì Dohko. "Se c'è qualcuno qui che deve fare la ramanzina, sono io, visto che ho più anni ed esperienza di te. Dai, torna dentro."
Attese che Shiryu li lasciasse soli, quindi tornò a dedicare attenzione a Camus.
"Vorrei solo parlarle. Posso entrare?"
Dohko uscì, accostando la porta dietro di sé.
"Questa volta dovrò farti quel famoso discorso da padre preoccupato, quello che non ti feci anni fa, ricordi?" al cenno affermativo di Camus, Dohko si schiarì la voce. "Per onestà devo ammettere che al tredicesimo tempio ero dalla parte di Mei. Non mi interrompere, ho appena iniziato. Spero tu abbia tempo, devo raccontarti qualcosa."
"Non ho nulla da fare."
"Bene, perché è una faccenda un po' lunga. Quando la precedente guerra sacra si concluse del tutto e finalmente il suo... chiamiamolo regista, Yōma, fu sconfitto, io e Shion ci separammo per condurre il resto delle nostre esistenze secondo gli ordini impartiti da Athena: Shion a capo del Santuario, io come guardia delle Stelle Malefiche. Questo dovresti saperlo, però, Volya dovrebbe averti insegnato anche la storia del santuario e delle precedenti guerre sacre."
"L'ha fatto, in effetti."
"Bene. Correva l'anno 1755, avevo superato la tua età da un bel pezzo e in un certo senso mi ero preparato a trascorrere i successivi anni in solitudine: avevo un amico che di tanto in tanto mi dava una mano e ciò mi bastava. Finché un giorno non arrivò lei. Non fare quella faccia, ho condotto un'esistenza solitaria, non monacale." 
"Ed era dunque con questa lei che utilizzavate l'antro dietro la cascata." sorrise Camus.
"Questa tua insolita e pacata insolenza deriva da Mei, so che non è farina del tuo sacco. Ma tant'è, si dice che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, no? Rispondendo alla tua domanda, sì." replicò Dohko, a metà tra il serio e il faceto. "Poco più che sedicenne, mi disse che vagava da giorni attraverso i boschi e che era scappata da un corteo di giovani fanciulle destinate all'harem imperiale: dato che già una delle sorelle maggiori era diventata una moglie di terzo rango sopravvivendo ai rigidi e spietati meccanismi di corte, lei era finita in mezzo a una trentina di altre fanciulle aspiranti concubine. Una vita che non desiderava affatto fare, ma del resto, come darle torto? Il mio amico mi mise in guardia credendola una volgare ladruncola, ma guardandola meglio, osservando i suoi modi di fare e i vestiti che indossava -sporchi ma ricamati e di ottima fattura- decisi che quanto mi aveva raccontato corrispondeva a verità e acconsentii ad aiutarla."
"E diceva sul serio il vero?"
Dohko sorrise, perso in qualche ricordo.
"Le giovani fanciulle destinate all'harem erano accuratamente selezionate tra le giovani più belle dei villaggi e ti posso assicurare che lei lo era. Diamine, se lo era. Capelli lunghi e neri, due occhi cosí profondi che ti ci potevi perdere e, cosa per me importante, stranamente non era stata ancora sottoposta alla barbarie dei piedi fasciati. Non ho nemmeno un ritratto, ed è un peccato perché avresti dovuto vederla, era bellissima. Ti risparmio il racconto del tempo che ci è voluto per superare la differenza d'età e arrendermi a ciò che provavo per lei e arrivo fino al punto cruciale." raccontò Dohko. Presa la sua mano destra, gl'indicò la cicatrice con lo sguardo. "Ne avevo una uguale, purtroppo col tempo è sbiadita fino a scomparire. Il tempo trascorso insieme fu indescrivibile ma destinato a durare poco: morì a ventidue anni, pochi giorni dopo il parto."
"E vostro figlio?"

"Weizhe nacque morto, probabilmente strozzato dal proprio cordone. Lei invece è stata sopraffatta dal dolore provato quel giorno."
Camus si schiarì la voce, colpito dal racconto.
"Non oso nemmeno immaginare che cosa avete provato."
"Non puoi, e ti auguro di non doverlo mai provare. Rimpiango quel tempo da duecentocinquantun anni, ma so che quando arriverà la mia ora, saremo insieme, tutti e tre."
"Sono desolato, Maestro."
"Mingxia era per me ciò che Mei è per te. Considero lei e Shunrei alla stregua di figlie di sangue, come se le avessi avute dalla mia defunta sposa. Tutto ciò per dirti che sebbene sia dalla sua parte perché per me lei e Shunrei sono le figlie che non ho mai avuto, sono anche dalla tua parte perché comprendo il tuo punto di vista e la tua preoccupazione. So che cosa vuol dire struggersi per chi ami e tentare in ogni modo di proteggere quella persona: le tue intenzioni erano buone e normali, per un uomo che ama la sua donna, perciò non ti biasimo. Ma non trattarla più come se fosse una stupida incapace: quando ha preso quella decisione sapeva bene che cosa stava facendo, altrimenti son sicuro che avrebbe cambiato idea. L'anello che porti al dito e la cicatrice sul palmo della tua mano testimoniano che Mei è tua moglie, non una tua proprietà. È di sopra, terza porta, l'ultima in fondo al corridoio. Vai prima che ti prenda a calci nel sedere."
"Xièxiè." ringraziò Camus, entrando. Salì svelto le scale e raggiunse la porta indicata da Dohko, quindi bussò dopo qualche secondo.
"Avanti."
"Eccoti. Sei qui, dunque."
Seduta al centro di un letto a baldacchino di foggia tipicamente cinese, Mei abbassò il volume della tv e gli dedicò attenzione.
"A quanto pare."
"Posso entrare?"
Mei fece spallucce, spiluccando un biscotto.
"Prego. Me ne sono andata da sola prima che tu potessi cacciarmi di nuovo. Sai, dati i precedenti..." gli rispose, stringendosi nell'hanfu. "Mi spiace per il tuo smisurato ego, non ti darò mai più una soddisfazione del genere."
"Mei, la mia pazienza ha un limite oltre il quale è meglio non andare e tu l'hai già messa a dura prova."
"Oh ma davvero? La mia invece l'hai già esaurita. Sei venuto a esercitare i tuoi presunti diritti su di me? Okay, posso tornare all'undicesima in tutta discrezione o hai intenzione di mettermi i ceppi? In effetti potrei sempre scappare...o meglio, rotolare."
Dall'altra parte della stanza, Degél scosse la testa con disapprovazione, e Camus sospirò, premendosi due dita alla radice del naso.
"Non ti sopporto quando dici certe stupidaggini." sbottò.
"Sono desolato, Mei, ma ha ragione." interloquì Degél.
"Ci sono tante cose che io non sopporto ma che sono costretta ad accettare, mio caro: un po' per uno non fa male a nessuno." replicò lei, avvertendo poco dopo gli sforzi che Camus stava facendo per non perdere la pazienza.
Per amore, mia cara, bisogna saper scendere anche ad accordi che facciamo fatica ad accettare.
"E va bene, scusami." aggiunse poco dopo. "Avevo bisogno di stare un po' da sola, dopo il trambusto di questi giorni. A dire il vero avrei voluto parlarti ma non ho trovato che le tue spalle e un muro di silenzio."
"Ero arrabbiato."
"Ma davvero? Tu mi tratti come una povera mentecatta incapace di decidere per sé stessa e osi anche essere furioso?"
"Cercavo di scegliere la soluzione migliore."
"Già una volta hai deciso al posto mio e sappiamo com'è andata. Bado a me stessa da quando avevo dodici anni, ho praticamente cresciuto mio fratello e una figlia, e rispondevo agli ordini di due soli uomini, Dohko e mio padre. Tu, mi spiace ricordartelo, non sei né l'uno né l'altro: a maggior ragione se il tuo concetto di nella buona e nella cattiva sorte  prevede il lasciare tua moglie e i tuoi figli da soli in un momento critico: l'ultimo ricordo che ho prima che DeathMask iniziasse tutto sei tu che ti allontani!"
Camus corrugò la fronte.
"...è questo che ti hanno detto? DeathMask ti ha informata male, dunque, perché sono tornato subito indietro e ti sono stato accanto tutto il tempo."
"Ah, ecco. Sei rimasto con me e sei tornato all'undicesima prima che mi risvegliassi, ora capisco. Molto, molto maturo da parte tua. E tanto per la cronaca, DeathMask non ha detto proprio nulla."
Aveva esternato un paio di cosette che non era il caso di ripetere.
Camus si appoggiò all'intelaiatura di ciliegio del letto e ne seguì con le dita i complicati intarsi.
"Tornate a casa?"
"Dipende. Che temperatura ha raggiunto l'undicesima?"
Lui si schiarì la voce.
"Ehm... è salita a un paio di gradi sopra lo zero."
"E allora Lixue e io rimarremo qui finché non torna ad essere vivibile. Sabaka è abituata ai freddi siberiani, noi due no."
"Non mi piace dormire da solo."
Mei indicò con un cenno l'altra parte del letto.
"A me nemmeno."
"...d'accordo, vado a prendere due cose e torno subito." capitolò Camus.
"Ho sentito che Shiryu è sul piede di guerra... ignoralo, non dargli corda." disse infine Mei, porgendogli un mazzo di chiavi. "Quella blu apre la porta sul retro, entra da lì."
Camus accettò le chiavi, ma ignorò l'avvertimento.
"Entrerò dalla porta principale perché non sono un amante clandestino, ma tuo marito. E per quanto riguarda Shiryu, è giunto il tempo di smettere di ignorare le sue provocazioni, ne ho le tasche piene. Sono stufo di questa-..." s'interruppe.
Mei assottigliò lo sguardo.
"Sei stufo di cosa?" mormorò. "Di questa famiglia? Era questo che stavi per dire? Sei stufo di questa famiglia, o di me?"
Avvertì la prima fitta farsi largo tra le tempie.
"Vuoi davvero una risposta? Perché potrebbe non piacerti."
"Rispondi."
"Sono stufo marcio di questa situazione, e del fatto che qualunque cosa accade, tuo fratello cerca di metterti contro di me. E odio quando riesce a farlo." sbottò lui. "Torno subito."
Quando tornò circa dieci minuti dopo, aveva già spento la tv ed era già sistemata a letto, pronta a dormire –o quantomeno, provarci-. Lo guardò spogliarsi per infilarsi il pigiama, resistendo all'impulso di allungare una mano alla sua schiena.
"Hai mangiato abbastanza in questi giorni?"
"M-mh."
"Mi sembri un po' sciupato."
"È una tua impressione." rispose stringato, prima di distendersi accanto a lei, dandole la schiena. "Buonanotte."
Nei successivi minuti, la tensione non accennò a diminuire; Mei si girò a fatica su un fianco e lo indusse a girarsi a sua volta.
"Quoi?" [Che c'è?]
Cercò la sua mano e se la portò al volto, baciandone il palmo più volte.
"Mi sei mancato." ammise Mei infine.
"Abbiamo già dormito separati, non è la fine del mondo."
"Sì, ma non dopo aver litigato. Mi dispiace moltissimo averti detto quelle cose."
"Per quanto tu possa essere dispiaciuta, le hai comunque dette." rispose Camus. "E hanno anche colto nel segno. Come te, neanche io merito di pagare lo scotto di quella decisione per il resto della mia esistenza."
"Mi dispiace."
"L'hai già detto."
Lasciò la sua mano, girandosi di nuovo.
"Allora buonanotte."
Un'altra fitta alle tempie, stavolta forte.
"...vogliamo andare avanti così? Io dirò una cosa, tu ne dirai un'altra e ci arrabbieremo a vicenda?"
"Non so cosa dirti. Ti ho chiesto scusa, ho riconosciuto i miei errori... più di così non so che cosa devo fare. Devo inginocchiarmi supplice ai tuoi piedi e implorare la tua clemenza? Sono stata sgradevole, ho rivangato un passato che deve restare dov'è e ho detto cose che non avrei dovuto dire, lo so. Ero sottosopra, stanca e agitata. Neanche tu hai tenuto la lingua al suo posto, se non sbaglio." sbottò Mei. "Anzi no, la lingua l'hai tenuta a posto eccome, ti ho mandato tanti di quei messaggi ieri, avessi ricevuto una risposta, dannazione."
Lui sbuffò.
"Miei Dèi, ero a Parigi per un esame! Non potevo risponderti perché ero all'Università."
"Ah."
Mei spense la luce, decidendo di tacere.
Camus sentì il suo respiro farsi regolare col passare del tempo. Incapace di prender sonno in quel catafalco mascherato da letto, si mise lentamente a sedere e le sistemò i cuscini dietro la schiena, soffermandosi a pensare. Com'era stato il rapporto tra i loro... doppi, nella loro dimensione? Anche loro avevano riso, scherzato, litigato, nella loro quotidianità? E quanto doveva essere orrenda la vita dell'altra Mei, per tentare di appropriarsi di una vita che non le apparteneva?
"Non riesci a dormire?"
Camus tentò di metterla a fuoco nel buio della stanza.
"Questo letto è claustrofobico, mi sembra di soffocare." borbottò, schiarendosi la voce. "E tu perché non dormi?"
"Charles." rispose Mei, con uno strano tono di voce.
"Chi?"
"La ragione per la quale il mio alter ego ha perso il senno e ha provato a prendere il mio posto."
"L'altro me non si chiamava Fabien?!"
"Sì, ma non parlavo di lui. Charles è un bambino di sette anni, il loro unico figlio."
Camus corrugò la fronte.
"Come fai a saperlo?"
"Ho letto un atto di nascita e poi... prima che Turi... DeathMask, la..." s'interruppe, cercando di non pensare al destino riservato all'altra Mei "...lei ha condiviso qualcosa con me, dei ricordi. Da quel che ho potuto vedere, pare essere un bambino acuto e promettente, affettuoso e molto affezionato a sua madre, il solo genitore che abbia mai conosciuto. Ho percepito lo stesso potente sentimento che mi lega a te e a Lixue, un legame molto forte. Ma Charles ha anche sviluppato lo stesso Cosmo di suo padre e dato che nella dimensione temporale della mia alter ego Hades si deve ancora risvegliare e il Santuario è sguarnito, è stato strappato alle braccia di sua madre per l'addestramento. È in quel momento che lei ha iniziato seriamente a cercare un... come dire...posto alternativo nel quale vivere: perdere il suo uomo l'aveva gettata nella disperazione e perdere suo figlio è stato troppo."
Per qualche istante Mei non udì altro che il suo respiro regolare.
"...ti sei addormentato?!"
"No. Posso comprendere il suo stato d'animo ma... non dovresti difenderla, ha cercato di toglierti di mezzo. Te l'ho già detto, ha sperato fino all'ultimo e le cose non sono andate come desiderava, ma non è una buona sc-..."
Mei accese una luce –una sorta di lampadina d'emergenza più che una lampada vera e propria, avvitata in quello che era il soffitto del baldacchino- e lo guardò, seria.
"Tu parli così perché non hai idea di come ci si sente. Sei mai stato così disperato da non riuscire a pensare? O hai mai provato un dolore così atroce da mozzarti il respiro? Io sì. Non hai idea di come ci si senta mentre cerchi di impedire con tutte le tue forze qualcosa anche se sai perfettamente che non puoi fare nulla. Ti senti come se ci fosse qualcosa che ti stringe la gola e il cuore nello stesso tempo, è qualcosa che non auguro a nessuno, l'essere inerme, impotente e del tutto alla mercé del dolore." gli rispose. "Non riesco ad essere arrabbiata con lei, abbiamo patito entrambe lo stesso strazio, abbiamo entrambe provato quella sensazione di soffocamento, ci siamo entrambe sentite inermi e disperate. A me è andata bene, tu sei qui e posso parlarti e toccarti, lei invece ha seppellito il suo Camus e nessuna divinità è più intervenuta. E ora la loro creatura è completamente sola, senza più neanche sua madre. Come farà d'ora in poi?"
"Supererà anche questa, come abbiamo fatto tutti, qui. O ti arrendi e ti lasci sopraffare o tiri fuori le unghie e reagisci."
"...sì, certo. Come se fossimo tutti uguali."
"In questo luogo, lo siamo." la contraddisse. "Tutti noi qui al Santuario non ci siamo arresi ai nostri destini, tutti noi abbiamo tirato fuori le unghie e preso di petto la vita, o saremmo morti il primo mese d'addestramento. Se mi fossi arreso, sarei morto di polmonite... se Aphrodite, o Milo, si fossero arresi, sarebbero morti avvelenati. Persino DeathMask ha lottato. O sarebbe morto come la sua famiglia, quel lontano giorno. Charles dovrà tirare fuori i denti e le unghie se vorrà sopravvivere, non ha altra scelta: lottare o arrendersi, vivere o morire."
"È solo un bambino, ha la stessa età di Lixue, potrebbe essere nostro figlio, ci hai pensato? Ho subito pensato a lei e a loro, qui dentro: non oso nemmeno immaginare come potrei reagire se qualcuno provasse a portar via uno dei miei figli, la rabbia e la disperazione sarebbero così potenti che potrei uccidere senza alcuna pietà." mormorò Mei. "E non fare quella faccia: per onestà devo avvertirti che sarei capace di uccidere anche te se solo provassi a farmi una cosa del genere, sarebbe un tradimento troppo profondo da perdonarti."
"..."
"E ricordati che per me sarebbe facile avere la meglio su di te e farti assaggiare il pugnale di mio padre, perché lo farei quando meno te l'aspetti e in un momento nel quale non saresti in te. Ti costringerei a vivere sempre all'erta."
"Lo so bene, ti conosco."
Mei sogghignò.
"Oh no. Tu pensi di conoscermi bene. Se come dicono l'anima di una donna è come un iceberg, tu sei ancora alla punta della parte emersa."
"Confortante." commentò quindi Camus.
Tacque un attimo prima di scoppiare a ridere.
"Stai tranquillo, conosco mille altri modi per mettere fuori uso una persona senza l'uso di armi da taglio. Un colpo al collo e via, pronto per l'altro mondo."
"Ciò dovrebbe rincuorarmi?"
"Direi di sì, perché non ho intenzione di tagliuzzarti ancora, hai abbastanza cicatrici addosso."
"...come...?!"
Mei allungò la mano ai suoi pantaloni, tirandoli giù fino a scoprirgli il fianco ferito.
"Punto primo: a differenza di mio fratello, la mia vista è perfetta e quel cerottone non è invisibile. E poi beh, non è da te dormire vestito né darmi le spalle quando ti svesti. Punto secondo: ci sento ottimamente, e ieri ho sentito Dohko chiedere informazioni ad Aphrodite circa la ferita che ti avrei inferto l'altra notte. Punto terzo: perché diavolo non mi hai detto niente?"
Sorpreso da quanto ascoltato –pensare che aveva fatto di tutto per non farle sapere niente- Camus si scostò dal cuscino e si levò la maglietta.
"Okay, allora questa non serve più. Un po' d'aria, per la miseria, qui dentro si soffoca."
"Lo so, è un letto antico, se non ci sei abituato fa quest'effetto." disse Mei. "E allora?"
"Non ti ho detto niente per non farti preoccupare."
"Ma davvero? E secondo te non mi sono agitata comunque? Ti ho quasi sventrato, secondo te non mi sono preoccupata?"
"Cerco sempre di proteggerti, lo sai."
"E su questa cosa arrivo al quarto punto: domani mi porterai a casa e lascerò il tantō nella stanza degli avi. Non posso correre di nuovo rischi del genere. Ti sei fatto vedere da un medico?"
"Aphrodite basta e avanza, non trovi? Stai tranquilla, sto bene, sto prendendo gli antibiotici."
Mei annuì.
"D'accordo. Fai qualcosa per riportare casa a una temperatura decente, perché mi manca il nostro materasso, questo è troppo morbido per i miei gusti."
"Quindi torni a casa?"
"Se vuoi resto qui, così sarai costretto a convivere anche con Shiryu."
Camus sgranò gli occhi.
"Vedrò che cosa posso fare."
 
**
 
"Bentornata a casa."
Mei alzò lo sguardo dal libro e si strinse nella felpa dei Kiss ricevuta in dono anni prima, per proteggersi dall'aria ancora freddina che aleggiava in casa.
"Vi ringrazio, monsieur." rispose, prima di terminare la tazza di tè.
Degél sorrise.
"Bach."
"Come, prego?"
"La musica che state ascoltando, l'aria della Suite n°3 in re maggiore... è di Johann Sebastian Bach."
"Sì, lo so."
"Anche se preferisco il preludio della Suite n°1 in sol maggiore... sapete, quella suonata al violoncello. Non immaginavo vi piacesse anche Bach."
Mei sciacquò la tazza e la ripose.
"La musica barocca non è tra le mie preferite, a dire il vero. È che ho impostato una playlist di musica classica su Youtube perché pare sia il solo modo di tenerli tranquilli tutti e tre e... oh, non importa." spiegò, imbarazzata. "Ma adoro le opere liriche."
"Sì, lo sapevo. Comunque, per quanto sia interessante discorrere di musica con voi, non è per questo che sono qui. Posso rubare un po' del vostro tempo?"
"Ma certo." gli sorrise in risposta.
"Allora, vogliate seguirmi, prego. Oh, prendete le chiavi della biblioteca, per favore."
Lo vide raggiungere la doppia porta che conduceva alla biblioteca dietro gli appartamenti privati. Richiuse la porta alle proprie spalle, restando come sempre affascinata dagli scaffali alti diversi metri, zeppi di libri, e dall'odore che emanavano, mischiato al profumo della cera d'api.  
"E adesso?"
"Continuate a seguirmi."

Facile per lui, essendo incorporeo non doveva faticare poi tanto. Sospirò prima di decidersi a salire la scala a chiocciola che saliva sinuosa lungo la parete, fermandosi a un passo da Degél che l'aveva condotta fino all'ultimo piano, a circa dodici metri da terra.
"Dove mi state portando?" gli domandò. Degél era intento a cercare qualcosa lungo una porzione di parete priva di scaffali. "Non mi direte che state cercando un passaggio segreto?"
"Qualcosa di simile: ho tratto ispirazione da Versailles. Avete mai visitato la reggia? Si narra che i re, soprattutto Luigi XIV e il bisnipote Luigi XV li utilizzassero per far visita alle amanti: Madame de Pompadour e Madame Du Barry, per citare le più famose."

"La reggia è visitabile solo in parte, e sicuramente i passaggi segreti non sono inclusi negli itinerari turistici. Comunque voi utilizzavate da solo questa stanza?"
Degél sollevò un sopracciglio.
"Stavo scherzando." ribatté Mei. "Non avete l'aria di esser stato un libertino."
"Sacrebleu, non direi proprio."
"Lo so. Eppure dal ritratto giù in casa, eravate un bel giovane."
"Dite? Potrei sbagliarmi, ma se non vi conoscessi, direi che siete infatuata di me." le sorrise, scoccandole un'occhiata allegra.
"Affascinata semmai, è diverso." lo corresse. "Amo un solo uomo, monsieur, e non siete voi."
"Ne sono lieto." rispose Degél. "Anche perché la differenza d'età è ragguardevole –duecentosessantaquattro anni sono un po' troppi, avete idea dello scandalo che seguirebbe?- e perché ho amato una sola donna e quel sentimento l'ho riservato solo a lei. Ma poi... che sorta di relazione sarebbe la nostra...vediamo...platonica? Dopotutto sono uno spirito senza corpo." 
Mei scoppiò a ridere.
"Noto che la vostra audacia ha fatto passi da gigante. Dunque, oltre a essere di bell'aspetto siete anche audace."
"Come oggi, anche all'epoca esistevano artifizi per migliorare l'aspetto di una persona: quel ritratto non è del tutto veritiero."
"Questo lasciatelo giudicare a me, se non vi dispiace. Certo, se potessi vedervi meglio di come posso vedervi ora, vi darei un giudizio più accurato."
Lui corrugò la fronte, fermando le dita a un certo punto.
"L'assunzione di una forma più materiale è un aspetto al quale sto lavorando da tempo, Mei. Oh, eccoli qui." rispose lui. "Li vedete?"
Due chiavistelli abilmente celati nella modanatura della parete: faticando un po', Mei riuscì a sbloccarli e ad accedere al locale dietro il pannello girevole. Un locale grande quanto la camera da letto di Camus, che a una prima occhiata aveva bisogno d'una gran pulita.
"È tutto come l'avevo lasciato prima di partire per Blugrad, nessuno ha mai più messo piede qui dentro." le spiegò. "Oh, guardate. C'è persino l'ultimo libro che lessi qui. Questo era... come dire... il mio posto privato."
"Catullo. Scelta interessante." commentò Mei, sbirciando la copertina del libro dopo aver rimosso la polvere con una passata di mano.
"Chiedo venia, perché interessante?"
"Non so. Voi custodi delle energie fredde non vi abbandonate ai sentimenti, eppure Camus adora i grandi classici russi zuppi d'amore e sentimenti, mentre voi leggete Catullo."
"Rammentate quanto vi dissi anni fa, sulle due facce che noi guerrieri siamo obbligati a mantenere. Qui dentro potevo permettermi di essere solo Frédéric e nessun altro."
Scostato un telo, Mei si sedette su una poltroncina, stanca.

"Vi chiamate Frédéric?"
Degél annuì, quindi trovato ciò che stava cercando, lo indicò a Mei.
"Riguardo ciò che mi avete detto l'altro giorno..."
"Vogliate perdonarmi, non ero in me ed ero arrabbiata."
"Non importa, non sono in collera con voi. Posso chiedervi una gentilezza? Nel cassetto più piccolo di quel secretaire c'è una chiave, prendetela. Lo farei io stesso, se potessi."
Fece quanto chiesto, quindi, seguendo le sue indicazioni, aprì il baule accanto a lui: al suo interno, sotto uno strato di mussola, intravide degli abiti.
"Posso?" gli domandò: pur essendo uno spirito erano comunque oggetti di sua proprietà.
"Prego."
Un sontuoso abito di broccato azzurro chiaro a decori d'argento, dal bustino stretto e le maniche aderenti che si aprivano in un tripudio di pizzi all'altezza del gomito. Mei se lo drappeggiò addosso, constatando quanto fosse stretto.
"D'accordo, al momento sono incinta e perciò ho le misure un po' allargate, ma miei Dèi, come facevano le donne della vostra epoca a indossare bustini tanto stretti?"
"Come facevano le donne del vostro Paese a sopportare la fasciatura dei piedi?" ribatté Degél.
"Giusto." convenne Mei. "Paese che vai, tortura che trovi."
Mise da parte l'abito femminile, passando per un elegante completo da uomo in velluto blu notte, dalla giacca rifinita di volute e ricchi ricami dorati.
"Ammetto che preferisco la moda maschile a quella femminile: corsetti e panieri non hanno mai attirato le mie simpatie. Ma le giacche da uomo, come questa... e questi? Un tantino trasparenti per un galantuomo come voi: riesco a vederci attraverso." gli disse, sollevando un paio di braghe bianche, dal tessuto leggero.
"...per essere onesti, Mei, li indossavo, ma... come la camicia, c'era e non si vedevano."
Arrossì violentemente.
"Volete dirmi che erano le vostre... mutande?" mormorò Mei, imbarazzata.
"E voi volete dirmi che non avete mai toccato biancheria da uomo?"
"Sì, quella di mio fratello o di mio marito quando faccio il bucato, ma..." s'interruppe e si schiarì la voce. "D'accordo, lasciamo da parte i vestiti e passiamo a qualcosa di più neutrale... questa, ad esempio." prese la scatola intagliata sul fondo del baule, scoprendo un medaglione portafoto, una collana di perle e un cofanetto.  "Beh, non proprio neutrale. Non ne faccio una giusta a quanto pare."
"Apritelo."
Ancora sottosopra per vari motivi, in primis per il modo in cui aveva trattato Degél, Mei aprì lentamente la scatolina di velluto rovinata dal tempo. Al suo interno, un anello.
"Oh."
"Si chiamava Seraphina e quell'anello di fidanzamento era destinato a lei."
A distanza di due secoli ricordava ancora le sensazioni provate quando aveva acquistato quel gioiello, a come aveva fantasticato sul momento della proposta... tutte cose perdute in un istante.
"E quegli abiti... li avevo acquistati per noi, per il nostro matrimonio, prima che... beh, non ha più importanza, comunque. Il Destino ha voluto diversamente. Ho riflettuto a lungo sulle vostre parole e sono giunto alla conclusione che in parte avevate ragione. Sono scomparso all'età di ventidue anni senza aver provato l'ebbrezza della passione, senza aver conosciuto il calore delle braccia di una donna, senza aver...amato nel senso puramente carnale del termine. Ma vi ho detto che ho amato anche io, ed è vero. Un'amica d'infanzia, sorella di un mio grande amico: ci è voluto un po' di tempo per farmi comprendere la vera portata dei miei sentimenti e non c'è stato che un solo bacio tra di noi, ma fu sufficiente. Avrei fatto qualunque cosa, avrei dato la mia vita per lei. Non ho raggiunto la vostra età e rispetto a voi sono inesperto, forse non so che cosa voglia dire vivere a stretto contatto con una persona, dormire o fare l'amore con essa e avere dei figli, ma posso comprendere, anche troppo bene, che cosa voglia dire soffrire e disperarsi per chi si ama."
La perdita della persona amata era un dolore inimmaginabile e Mei sentì qualcosa spezzarsi dentro, pensando a quanto dolore Degél aveva dovuto sopportare.
"Oh, Dèi." mormorò, con la voce tremula. "Non potevo immaginarlo, ho parlato senza pensare a ciò che dicevo. Mi dispiace veramente tanto aver risvegliato il vostro dolore con la mia mancanza di tatto. Vi prego di perdonarmi, monsieur."
Un altro sospiro triste.
"Non avete risvegliato nulla, mia cara, perché quel dolore non si è mai sopito." mormorò Degél.

Si domandò come facesse a convivere con quel dolore tutto il giorno, tutti i giorni, da decenni: lei l'aveva provato per poco tempo ed era stato terribile, atroce, incredibilmente difficile.
"Un giorno vi parlerò di lei, ma... in questo momento non mi è proprio possibile."
"Non ve l'avrei chiesto, a dire il vero." rispose, iniziando poi a riporre pian piano ciò che aveva tirato fuori dal baule. Piegò con estrema cura il velo e la sua acconciatura di perline, sfiorandole con le dita, pensando a quant'era stata fortunata Seraphina ad aver avuto accanto un ragazzo come Degél.
"L'avevo detto, eravate un bel giovane." proruppe diversi minuti dopo, cercando di stemperare la tensione. "Questo ritratto è diverso da quello appeso in corridoio."
"Voi mi lusingate. Potete tenerlo, se vi fa piacere."
"Non posso accettare, è troppo prezioso per voi."
"Allora diciamo che lo terrete in custodia finché non tornerò a riprenderlo, che ne dite?"
"D'accordo." annuì Mei, sorridendo. Il ritratto sull'altra metà del medaglione ritraeva una splendida ragazza: facile indovinarne il nome. "In quanto a Seraphina, i miei complimenti, monsieur. Era davvero molto bella."
Gli occhi di Degél s'illuminarono, le labbra piegate in un caldo sorriso melanconico.
"Oh no. Lei non era solo bella, lei era il Sole."

***

Lady Aquaria's corner:
Riguardo la lunghezza del capitolo, lo ammetto, la cosa mi è sfuggita un tantinello di mano, ma non volevo spezzarlo in due.
I personaggi accennati qui –Mingxia, Weizhe, Volya, Fabien e Charles- sono miei OC, ma non compariranno mai, se non nei ricordi dei loro cari.
Proseguo con le note:

-Gauloises Blondes: sigarette francesi (non scelte a caso, lo devo ammettere: queste sigarette erano le preferite di Albert Camus, a quanto pare dalla sua biografia).
-Ici c'est Paris!: è uno degli slogan della più famose squadre di calcio di Parigi, il Paris Saint Germain, della quale Camus è tifoso.
-HSK6, Delf e livelli A2-B1: riguarda la conoscenza delle lingue cinese mandarino e francese; qui una spiegazione più accurata.
-Dalida: meravigliosa cantante franco-italiana, famosissima soprattutto in Francia: a Parigi ha persino una piazzetta intitolata a suo nome.
-Tajine: particolare pentola di terracotta in uso soprattutto nei paesi della fascia nordafricana.
-Grande Arche: il moderno "arco" costruito nel quartiere finanziario di Parigi.
-Louvre – Concorde - Triomphe – Defénse: Camus si riferisce all'asse che unisce (asse non esattamente allineato, a dire la verità) questi quattro punti a partire dalla piramide di vetro del Louvre fino al moderno arco della Defénse attraverso l'obelisco di Place de la Concorde e l'Arco di Trionfo in Place de l'Ètoile.
-Harem imperiale cinese: gli imperatori potevano contare su centinaia di concubine, separate per "gradi" secondo un complesso sistema di caste interne; molte imperatrici passate alla storia per la loro crudeltà o per il loro potere si fecero strada nello spietato mondo dell'harem. Tra loro, ad esempio, Cixi.
-Nell'antica Cina era in uso un particolare tipo di letto a baldacchino dalla struttura chiusa: Camus lo definisce catafalco (feretro) appunto perché a differenza dei letti ai quali siamo abituati, non è aperto. Nel collegamento troverete un esempio.
-Infine... per me Degél e Seraphina avevano una storia. Voglio dire, so che non è scritto da nessuna parte, ma a me personalmente piace pensare che tra loro ci fosse qualcosa. Ad ogni modo Degél nacque nel 1721 (per morire poi ventidue anni dopo, nel 1743), quando in Francia regnava Luigi XV, bisnipote del Re Sole, che reintrodusse nella moda dell'epoca la sobrietà che in qualche modo era mancata durante il regno del suo predecessore; alcuni elementi, ad esempio, persero lo sfarzo amato da Luigi XIV. Degél (pur avendo trascorso la stragrande maggioranza della vita in Grecia o in Russia) lo vediamo, soprattutto nel Gaiden a lui dedicato, indossare splendidi completi alla francese in stile rococo, e gli abiti che ho descritto ricalcano quello stile. Pur avendo fatto diverse ricerche, anche su libri cartacei, non sono del tutto sicura dell'uso della biancheria intima (reintrodotta nel 19° secolo), ma preferisco pensare che Degél ne facesse uso, insieme alla camicia da notte lunga e la classica camicia bianca indossata sotto il panciotto. Non riesco a immaginare monsieur Degél in una situazione alla "sotto il vestito, niente". Proprio no.Vorrei ringraziare chi continua a leggere e quelle poche anime pie che ancora recensiscono. Mille fois merci.
 

Lady Aquaria

 

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Capitolo 37
*** It's not right (but it's okay). ***


Capitolo 37 principale
37.
It's not right (but it's okay)
 
 
14 maggio.
"Sei sicura di aver preso tutto? Calzini, vestaglia, camicia da notte?" Camus scalò in terza dopo aver svoltato sul lungosenna. Cercò di mascherare il tremore delle mani continuando a stringere il pomello del cambio.
Dal canto suo, Mei fece finta di non notare il suo nervosismo e continuò a frugare nella borsa da viaggio che aveva preparato tempo prima.
"Sì, sì e ancora sì. Ma credo di aver dimenticato qualcosa."
"Oddèi, cosa?! Possiamo ancora tornare indietro, arrivo alla rotonda e..."

"La voglia di entrare in sala operatoria: quella manca, mi spiace." rispose Mei.
La guardò fugacemente.
"Mei!!" la riprese.
"Oh, dai. Quanto sei noioso, permettimi una battuta."
Camus grattò la frizione, attirando su di sé lo sguardo di Mei.
"Hai idea di quanto costa ripararla? Pigialo quel pedale, non gli fai male sai?"
"Carta d'identità? Tessera sanitaria? Stato di famiglia? Il piano per il parto? Le cartelle cliniche e gli esami? Il caricabatterie del cellulare?"
"Miei Dèi, mi stai agitando!" sbottò Mei. Gli mostrò due portadocumenti. "Esami e cartelle sono in questo rosso, se dovessero servirti: ho preso anche il passaporto, in prefettura mi hanno consigliato di portarlo. I documenti per l'anagrafe invece, sono in quello blu, intesi?"
"D'accordo. Mi sembri stanca."
"Lo sono, non ho dormito tutta la notte."
"Così avrai poche energie per il parto."
"Quali energie mi servirebbero, dato che è un cesareo e non devo spingere?"

Stranamente c'era poco traffico quella mattina. Da un lato era una benedizione, dall'altro era strano. Camus tuttavia ci fece poco caso.
"Io invece ho dormito come un sasso stanotte, ed è strano..."
Mei si schiarì la voce, torcendosi le mani poco dopo.
"Ah-hem. Cam, non ti arrabbi, vero, se ti confesso una cosa?"
"Dimmi."
"...hai dormito perché nella tua tazza di assam ho messo la valeriana."
"Tu...cosa?!"
"Hai detto che non ti saresti arrabbiato."
"Sì, ma questo prima di sapere che mi hai drogato!"
"Hey che esagerato, non ti ho drogato, è solo valeriana, mica ti ho riempito di sonnifero! Ieri eri così nervoso che avresti trascorso la notte a rigirarti nel letto... è solo una pianta, non ti preoccupare. Tra l'altro ha avuto effetto, con me non funziona nemmeno più."
"Non mi piacciono certe cose, soprattutto se agisci alle mie spalle."
"Hai recuperato sonno e forze, e oggi sei tu quello che ne ha bisogno. Ti prego, non ti arrabbiare con me. Non oggi."
"La prossima volta avvertimi prima di fare certe cose. Se avessi avuto bisogno d'aiuto, come avrei potuto darti una mano? Pensaci, prima di prendere certe iniziative." Camus posteggiò nel parcheggio riservato dell'ospedale. "Avrei dovuto prendere la tua auto, faresti meno fatica a scendere."
"No, perché fai troppi spostamenti e mi dà fastidio dover risistemare sedile e specchietti prima di usarla."
"Ah sì? Scusa ma non è colpa mia se hai le gambe corte e se devo spostare il sedile per poterla usare: non è comodo guidare abbracciati allo sterzo."
"...ricordati che nella botte piccola c'è il vino buono!"
"Nel tuo caso c'è aceto. Aspetta qui, vado a prendere una sedia a rotelle." le disse, prima di dirigersi all'accettazione della clinica e tornare pochi minuti più tardi senza la cartellina di plastica. "Ti aspettano per un autografo sul foglio di ricovero e poi possiamo salire alla tua stanza. Che c'è?"
Ancora sprofondata nel sedile, Mei guardò l'edificio e deglutì.
"Niente, niente."
"Hai paura?"
"Su quel tavolo operatorio mi apriranno in due come una trota al cartoccio, certo che ho paura." gli rispose, mentre Camus spingeva la carrozzella il più vicino possibile all'auto, per permetterle di sedersi con comodità.
"Esagerata! È solo un taglio." sorrise lui.
"Oh, okay, allora la prossima volta lo farai tu." rispose, facendolo ridacchiare.
"Sai, portare a termine una gravidanza dentro una prostata è un po' difficile, dovrei avere un utero."
Mei sgranò gli occhi.
"Oddèi no."
"Cosa?"
"Ho appena avuto un flash di te in piena crisi mestruale. Oddèi no, già sei insopportabile così, figurati con un utero." replicò. "E poi non si potrebbe fare, a me piace ciò che hai."

Si schiarì la voce, avvampando.
"Dai, tra qualche ora tutto questo sarà finito."
"Ah no amore, tra qualche ora inizierà il bello." lo corresse. "Andiamo, prima che ci ripensi."
 
In camera, rimasta sola qualche istante mentre Camus scambiava qualche parola con i medici, Mei aprì il sottile portafoto che portava sempre con sé e guardò sua madre, che accanto a suo padre, le sorrideva dalla fotografia. La strinse al petto, cercando di trarne forza.
"Restami vicina, mamma. Ti prego."
"Dunque, tra qualche minuto arriverà la tua dottoressa e ti visiterà, quindi ti faranno un'ecografia e il monitoraggio dei bambini. Qui c'è la chiave dell'armadietto e adesso ti darò una mano a spogliarti." Camus la interruppe, posando la camiciola dell'ospedale sul letto, quindi tirò fuori i calzini dalla borsa che Mei si era portata appresso e l'aiutò a spogliarsi. "Le ciabatte ancora non ti servono, ma te le sistemo qui, okay? Ho già consegnato in nursery la borsa con i vestiti richiesti per i bambini e non appena arriverà l'anestesista, ti porteranno in sala operatoria. Oh guarda: si vede l'Osservatorio dalla tua finestra: camera con vista, non sei contenta? Certo, non è la Tour Eiffel che ami tanto ma... che c'è?"
Mei sembrava sul punto di piangere.
"Non sono pronta. Una volta fuori non saranno più al sicuro." mormorò.
"Tesoro, il mondo non è tutto rose e fiori, ma non possono certo rimanere qui dentro per sempre. Andrà tutto bene, coraggio, ancora qualche piccolo sforzo e presto stringeremo i nostri bambini."
"Ho paura."
Camus si chinò per abbracciarla.
"Ne avrei anch'io al posto tuo." le rispose. "Ma sei la donna più forte che conosco, supereremo anche questo. Pensa ai lati positivi: la pancia sparirà insieme al mal di schiena, alle corse in bagno, agli ormoni impazziti... potrai tornare al lavoro che ti piace tanto..."
Mei si guardò fugacemente intorno.

"...potremo tornare a fare sesso, perché insieme al sushi, al Roquefort e al prosciutto crudo è la cosa che mi manca di più." sussurrò. "Sono a digiuno da gennaio e la bestia ha fame."
"Come, prego?"
"...sai, gli animali, quando escono dal letargo invernale, escono dalla tana e si mettono alla ricerca di cibo perché le scorte fatte in vista del lungo sonno sono esaurite e d'improvviso sentono un ruggito provenire dallo stomaco. La mia bestia..."
"Aspetta, è un termine astruso per indicare la tua... oddio."
"Ma no, che ti salta in mente...? È un discorso più ampio! Si sta risvegliando e presto avrà fame: ma non ha più bisogno della sola verdura o dello yogurt magro con i quali si è nutrita da gennaio in poi, ha voglia d'altro."
"Mei-Yin ShuFang. Siamo in un ospedale, potrebbero sentirci!"

"Oh, suvvia, saresti l'unico qui dentro a scandalizzarti: ma capisco anche il tuo punto di vista, del resto una volta fuori queste tre piccole canaglie, il mio corpo flaccido impiegherà un po' a rimettersi in forma."
Le rivolse uno sguardo serio.

"Il tuo corpo mi piace anche così, smettila di dire sciocchezze. Il fatto è che la ferita del cesareo impiegherà un po' a rimarginarsi e non possiamo fare tutto di fretta."
"Il fatto è che noi scorpioni siamo passionali, abbiamo bisogno di fare sesso. E sia, allora vorrà dire che ti concederò il privilegio di stare sopra e fare tutto il lavoro."
"Oh, grazie mille."
Sorrise, prendendogli una mano.
"Dai, sto cercando di essere meno dura e acida, dammi una mano."
"Lo so e lo apprezzo, questa Mei meno dura mi sta piacendo ma... non mi rendi le cose facili, non sono fatto di granito, sai?"
"Sia resa lode ad Athena!"
"Vuoi una coperta? Hai le gambe gelide." cambiò discorso Camus, cercando di tenere a bada l'imbarazzo.
"A dire il vero loro sono a posto, sono le tue mani ad essere fredde: ma ti sarei grata se mi infilassi i calzini. Uh, prima che mi dimentico: nell'armadio, nascosto sotto i karategi, c'è un pacchetto blu."
Annuì, mentre faceva quanto gli aveva appena chiesto.
"Ti serve con urgenza? Te lo devo portare?"
"No, stavo per dirti che è per te."
Corrugò la fronte, scoccandole un'occhiata interrogativa.
"Il mio compleanno è già passato e non festeggio l'onomastico, che per inciso è stato il 26 aprile."
"Deve per forza esserci un'occasione in particolare per ricevere un dono? Beh, se proprio vogliamo trovarne una... ecco, ci siamo conosciuti a maggio, nove anni fa." lo interruppe.
"Era di maggio? Sicura? Io ricordo giugno."
Mei inarcò un sopracciglio, a metà tra il sorpreso e il contrariato.

"....mi stai deludendo, Monsieur LaRochelle." borbottò, interrompendo il discorso all'arrivo dell'infermiere.
Durante il monitoraggio Camus rimase fuori dalla stanza per firmare qualche documento e permetterle di tranquillizzarsi un po' in vista dell'operazione.
"Buongiorno, paparino."
"Non sono ancora nati." sorrise, in risposta a Milo. "La opereranno a breve e intanto la stanno visitando e mi han chiesto di uscire dalla stanza. Non ti disturbo,vero?"
"Figurati, qui abbiamo beccato due buontemponi con dei documenti falsi e stiamo aspettando che la polizia li venga a prendere: ho ancora qualche minuto libero. Mei come sta?"

"Ha paura, ma se la caverà benone come ha sempre fatto."
"Dici così perché non sei tu a dover subire un cesareo. E tu invece? Come stai?"
"Ho una paura pazzesca addosso, mi tremano le mani, ma cerco di non darlo a vedere a Mei o va a finire che si agita. Ascolta, ti darebbe fastidio tenere Lixue per un paio di giorni? Io trascorrerò la notte qui in ospedale e preferisco affidarla a te piuttosto che a mio cognato: ti ho lasciato una delega sul tavolo della cucina, ti servirà per prenderla all'uscita da scuola."
"Nessun problema, sai che l'adoro. Uh, devo lasciarti, è arrivata la polizia. Avvertimi quando sono nati, okay? Ciao."
Milo chiuse la chiamata in fretta, senza dargli il tempo di rispondere, ma Camus non se la prese. Quando vide l'infermiera spingere il lettino di Mei fuori dalla stanza per portarla in sala preoperatoria, spense il cellulare e lo ripose senza altri indugi.
"Quasi mi dimenticavo... Lixue dopodomani avrà una verifica, perciò dovrà ripassare per bene. E mi raccomando i denti, li deve strofinare almeno tre minuti per ogni arcata, intesi? C'è una clessidra sulla mensolina del bagno, di solito usiamo quella. I suoi denti sono quasi tutti definitivi, se non li strofina bene saranno dolori."

"Lo so."
"Ah, farà un po' di storie per il collutorio, ma lo deve usare ogni volta che si lava i denti, soprattutto la sera prima di dormire: è quello ai frutti rossi, mi raccomando, non ti confondere con il nostro, non è indicato per i bambini della sua età."
"Sì, lo so."
"Domattina, prima di accompagnarla a scuola, dalle una mano con i capelli: è capace di intrecciarli e si arrabbia se l'aiuto, ma..."
"Mei, so prendermi cura di nostra figlia, stai tranquilla!"
"So che sei capace, ma è più forte di me. Uno di questi giorni potresti portarla al cinema, so che voleva andare a vedere John Carter. E per una volta hai il permesso di portarla al McDonald, non deve sentirsi trascurata o messa in secondo piano."
"Non preoccuparti di noi a casa, pensa a te stessa e ai bambini." concluse Camus. "Ci vediamo tra poco."
"Come sarebbe? Non vorrai mica assistere al parto?!"
"Sì, e niente di ciò che mi dirai potrà farmi cambiare idea."
"Ma all'ecografia..."
"Niente storie."

"E va bene." capitolò Mei, infine.
 
**
 
"Auguri, paparino!"
Camus rispose all'abbraccio di Milo, sulle labbra un sorriso da trentadue denti.
"Allora, come state?"
"Adesso molto meglio."
Milo ridacchiò appena, facendo corrugare la fronte dell'amico.
"Non l'avrei mai detto, ma siete proprio dei genitori calmi... avete chiamato e avete annunciato la nascita dei bimbi senza tutto il dramma del dietro le quinte..."

"Oh. A dirla tutta il dramma c'è stato, beh... diciamo mezzo dramma. Uscita dalla sala operatoria Mei era sedata e ha dormito tranquilla tutta la notte, io invece, come puoi vedere, avrò dormito sì e no un paio d'ore per paura di una seconda emorragia."
"E ora come sta?"

"Conta che oggi per pranzo ha preteso una demi baguette con fichi, crudo e Roquefort e che sta già scalpitando per essere dimessa. Per fortuna qui i medici sono inflessibili: hanno detto quattro giorni di degenza, e quattro saranno."
"Allora sta benone." ridacchiò Milo. "E i cuccioli?"
"Per loro è diverso, la degenza durerà molto più a lungo: sono dentro le incubatrici e uno di loro ha un po' d'ittero neonatale però tutto sommato, va bene. Sono un po' sottopeso, ma sono vivi e sani."
"Ottimo. Si possono già vedere?"
"Sì, Mei è in nursery, si è appropriata della sedia a rotelle e protesta quando il medico insiste affinché si rimetta a letto. La conosci, è una combattente nata."

"Mi sarei stupito del contrario, a dire il vero." sorrise Milo.
Camus lo accompagnò in terapia intensiva neonatale dove, dietro un vetro, erano allineate diverse incubatrici. Accanto a due di esse, videro Mei in camicia da notte e vestaglia, seduta sulla sedia a rotelle.
"Sono tutt'e tre femmine?"
"Due maschi, quelli accanto a Mei, e la femmina che però è là in fondo, dentro quell'incubatrice con le lampade verdi: se ha ereditato anche un solo centesimo della tempra di sua madre, ne uscirà presto." sorrise Camus, con orgoglio. Bussò delicatamente sul vetro richiamando l'attenzione della moglie, che uscì poco dopo.
"Vedrai che bicipiti mi verranno, a furia di spingere questa dannata carrozzella. Milo! Come stai?"
"Kalimera, orea mou." la salutò Milo, chinandosi per abbracciarla.
"Bella non direi, sono in uno stato pietoso e puzzo di ospedale e del suo orrendo shampoo al sandalo."
"Ho confuso i flaconi: errore mio, chiedo venia." si scusò Camus.
"Ti trovo benissimo, invece: non hai affatto l'aria di una donna che ha appena partorito."
"Avessi partorito naturalmente sarei stata in condizioni decisamente peggiori." replicò Mei, soprapensiero. Notando il repentino cambio d'espressione di Milo, si affrettò a correggere il tiro. "Non che prima fossi meglio di adesso. A casa tutto bene?"
"Tra poco tocca a noi e... per Athena, preferisco non pensarci." replicò Milo, atterrito.
"Se la sta facendo addosso." bisbigliò Camus, divertito, attirando l'occhiataccia dell'amico.
"Ti risparmio solo perché sei appena diventato papà."
"No, lo risparmi perché altrimenti dovresti vedertela con me." lo corresse Mei.

"In qualche modo riesci sempre a salvare le penne... quindi ora che sapete il sesso dei pargoli, non vi rimane che scegliere il terzo nome, dopo Joséphine e Alexandre." osservò Milo.
"In verità l'abbiamo già scelto: li ho registrati stamattina perché non potevamo tirarla troppo per le lunghe."
"Nome francese o cinese?"
Scambiando un'occhiata con Mei, che annuì, Camus sorrise.
"Milo."
"Sì?"
"Dicevo... Milo."
"Riesco ad ascoltarti anche se non ti guardo, sai?"
"Il bambino si chiama Milo. Josie porta i nomi delle nonne, Alex porta il nome di mio padre e il secondo nome di Hyoga e il terzo porta il tuo nome e quello di suo nonno materno. L'abbiamo chiamato così in tuo onore." spiegò Camus. "Come ti ho già detto la femminuccia è prenotata, Hyoga se n'è innamorato al primo sguardo, perciò, magari, pensavamo che potresti essere il padrino del tuo omonimo. Lo presenterai alle Anfidromie insieme a Shaina."
Milo parve metterci un istante per comprendere la portata di quella risposta: passò rapido lo sguardo da loro due ai bambini, gli occhi sgranati.
"Voi… cosa…?"
Camus indicò le tre incubatrici con un cenno.
"Joséphine Letizia, Alexandre Jurij e Milo Wei-He."
L'altro si portò le mani alla bocca, lo sguardo fisso sui tre bambini.
"Avete chiamato vostro figlio come me?" sussurrò.
"Naturalmente, che domande. Essendo figlio unico, a chi altri avrei potuto prendere il nome in prestito? Certo non potevo chiamarlo Shiryu." ribatté Camus. "Senza offesa, tesoro."
"Figurati..."
"Ma siete pazzi? "
Si guardarono, colti di sorpresa.
"E adesso?" mormorò Mei, mentre Milo li ignorava in favore dei bambini.
Milo la interruppe.
"No... non pensate che non sia contento del vostro omaggio, per me è un onore... è che questo vi crescerà su indemoniato!"
Camus tornò a guardare Mei.
"Accidenti, a questo non avevo proprio pensato."
"Oh, ma finitela, tutti e due. Crescerà come deve crescere, il nome c'entra poco."   
"I bambini frutto di etnie diverse sono bellissimi. I vostri mi ricordano quelli di Bruce Lee e sua moglie."
"Sperando non facciano la stessa fine." commentò Camus, allontanandosi dal vetro della nursery.
"A dire il vero dei due figli di Bruce Lee, solo il maggiore è morto." precisò Mei.
"Brandon, se non sbaglio." annuì Milo.
"Sì. Quant'era bello quel ragazzo, mamma mia..."
"Coraggio, torniamo in camera, è finito l'orario di visita." interloquì Camus.
"Comunque parola mia, il mio omonimo ti ha rubato la faccia! E quei capelli neri, poi... ha preso i tuoi caratteri!"
"Shiryu, dopo averlo visto, dice che assomiglia parecchio a una sua vecchia foto da neonato... quindi credo abbia preso i caratteri e i geni di mio padre e di mio fratello, più che i miei." si schermì Mei.
"Povero figlio mio." brontolò Camus. "Per i suoi diciotto anni gli regalerò una plastica facciale."
"Hai detto qualcosa?" Mei si voltò e inarcò un sopracciglio mentre Milo, dietro di lei, soffocava una risatina.
"No."
"Ecco, bravo. Continua così."
"Poteva andare peggio, avrebbe potuto ereditare il tuo naso." interloquì Milo.
"Il mio naso è perfetto."
"Oh ma dai. Quando svolti un angolo arriva prima il naso di te."
Mei si rigirò verso Milo.
"Questa era carina!" si complimentò, battendo il cinque con l'amico.

"Ah sì? Vogliamo ridere ancora un po', che dici? D'accordo. Milo, tu non hai idea della risata che ci ha fatto fare ieri. L'infermiera mi fa preparare tutto quanto con camice, sovrascarpe, mascherina e cuffietta, entro in sala operatoria per starle vicino, e lei mi scambia per un medico: oh, salve, dottore!! Che occhi, mi ricordano moltissimo quelli di mio marito! Le dispiacerebbe sedersi accanto a me?"
Stavolta Milo non soffocò la risata.
"Al che mi siedo accanto a lei, abbasso la mascherina e le dico: forse perché sono proprio quelli di tuo marito, dato che il chirurgo è dietro il telo. Pure il dottore ha riso."
"Sei ingiusto, ero sotto anestesia." protestò Mei. "La prossima volta che ci finirai tu, ti prenderò in giro a vita. Parla quello che in ospedale per una banale appendicectomia ha fatto il lagnoso per due giorni: mi sento come un pulcino spiumato e l'infermiera mi ha tagliato col rasoio, bu-uuuh."
Di fronte a quelle schermaglie, Milo si trovò a sorridere, pensando ai momenti di tensione che avevano vissuto poche settimane prima, al Santuario. Quell'ansia, in quel momento, pareva essere del tutto sparita.

 
Le settimane che seguirono la dimissione di Mei dall'ospedale servirono loro per sistemare casa in attesa dei bimbi, ancora in incubatrice, e per abituarsi all'idea di averli tutti insieme, di colpo, nelle loro vite.
O meglio.
Per permettere a Camus di abituarsi, perché per quanto a parole fosse supersicuro di sapersi destreggiare, Mei era del parere che avrebbe faticato ad abituarsi ai ritmi dei neonati.

Che fosse un ottimo padre lo sapeva, che sapesse come tirar su dei bambini era ovvio, ma sarebbe stato capace di avere a che fare con tre neonati?
Tempo una settimana e gli verranno i capelli bianchi, aveva pronosticato Shiryu.

Ferma sulla porta del bagno mentre l'interessato era sotto la doccia inconsapevole della sua presenza, Mei scosse la testa.
Staremo a vedere....
"...io vado, ci vediamo dopo." esordì.
Camus allentò la pressione dell'acqua e si sporse dal box doccia.
"Oppure, potresti unirti a me." le rispose, inducendola ad avvicinarsi.

"Non mi accontento di una cosa veloce." rispose, lanciando un'occhiata all'interno. "E comunque, ho un appuntamento."
Camus fece spallucce.
"Mal per te, non sai che ti perdi!"
"Non ho detto no a priori, quando la dottoressa mi darà l'ok, recupererò tutto con gli interessi."
Lui sorrise.
"Prima o poi dovrai dirmi che cosa vai a fare al Santuario senza di me."
"...quando sarà il momento, Camus." rispose, criptica.
"No, seriamente. Va tutto bene?"
"Certo. Te lo direi se fosse il contrario."
"Sei sicura?"
"Per tutti gli Dèi, Camus, non ho una storia segreta con Shion." rispose Mei, maledicendosi per essersi fatta sfuggire quell'informazione. Camus avrebbe dovuto sapere tutto a tempo debito.
"Il tuo appuntamento è con Shion?!" Camus sgranò gli occhi. "E perché ti vedi con lui?"
"...per le Anfidromie. Ricordi, me ne avevi parlato in ospedale, dopo il parto." fu la svelta replica di Mei. "È arrivato Hyoga, vado davvero."
"...ma..." protestò, uscendo di corsa dalla doccia. "Hey! Non te la caverai così facilmente, ne parleremo a cena!"
 
"Benvenuta, Mei. Entra pure." la accolse Shion, intravedendola sulla porta della biblioteca.
"Senza volerlo ho rivelato a Camus che i miei ultimi appuntamenti al Santuario sono stati con voi." esordì Mei, ridacchiando. "Spero non gli salti in testa la brillante idea di seguirmi come fece durante il capodanno cinese o rovinerà i piani che sto imbastendo per il due settembre."
"Dovesse chiedermi qualcosa, lo depisterò con le Anfidromie." sorrise Shion di rimando.
"A tal proposito... in teoria dovrei parlarvi anche di questo. Camus me ne ha parlato durante la degenza, mi ha spiegato in cosa consistono e l'importanza che alcuni riti ricalcano in questo ambiente."

Shion mise un segnalibro al tomo aperto sul grande tavolo sotto il lucernario.
"Il rito più importante in uso qui al Santuario è la Consacrazione, a onor del vero. E sono solo una parte delle Anfidromie: così come per un cristiano è importante battezzare i propri figli, qui al Santuario è importante che i figli dei Saints crescano abbracciando il culto della nostra Dea."
"Sì, Camus ha più volte insistito su questo aspetto, con la sola differenza che un cristiano può scegliere se battezzare o no, non è obbligatorio per legge. Chi vi dice che io, o Shunrei, oppure... Saraswati non preferiremmo crescere i nostri figli con il culto di altre divinità? Lixue è cresciuta abbracciando le idee di entrambi, è abituata a rivolgersi ad Athena come a Kwan-Yin: una volta consacrata dovrà abbandonare quest'abitudine?"

"Affatto. Se le divinità alle quali tu o la consorte di Shaka vi rivolgete sono inoffensive e non hanno propositi bellicosi nei confronti di Athena, potete proseguire nel vostro credo religioso, e i vostri figli ugualmente. Gold Saints a parte, tanti qui osservano religioni diverse, purché non interferiscano in alcun modo con Athena."
Mei trasse un lungo sospiro prima di proseguire.
"Se io dovessi...come dire... passare dalla vostra parte e, per usare le parole di Camus, pormi sotto l'ala protettrice di Athena, sarei costretta a rinunciare al taoismo? E come funzionerebbe il passaggio?"

Shion la guardò qualche istante, per capire se era una domanda seria o una domanda posta con ironia: a dispetto dei suoi pensieri, Mei era seria.
"Per quanto mi riguarda, considero taoismo, buddismo e confucianesimo dottrine mistico - filosofiche, perciò non andresti incontro a particolari rinunce. Chi si accinge a essere consacrato deve seguire una sorta di preparazione, quindi una volta istruito a dovere, termina il suo percorso formativo con un bagno rituale. Permettimi una domanda, Mei. Per quale motivo mi hai posto una domanda simile?"
"Desolata, non posso e non voglio farne parola." rispose Mei.
"Riguarda il probabile Cosmo che i tuoi figli potrebbero sviluppare?"
Mei non rispose, preferendo tacere.
"Oh, d'accordo. Avrai sicuramente le tue ragioni. Confido nel fatto che, essendo cresciuta con Dohko, nel quale ripongo una fiducia non quantificabile a parole, ed essendo sposata con Camus, per il quale nutro una profonda stima, la tua conoscenza del Santuario sia di gran lunga superiore a quella di un neofito che si accinge ad essere formato." convenne Shion. "Tuttavia, devo metterti a conoscenza di alcuni altri dettagli. Le leggi che regolano questo mondo vanno al di là della comune cortesia o dell'educazione impartita e agli occhi della gente comune, sono molto severe... gli abitanti di Rodorio le conoscono, per questo affermo che ai loro occhi sono inflessibili. E beh, non hanno tutti i torti, perché lo sono: molte le ho stilate io stesso, nel corso degli anni. Nel caso specifico dei Gold Saints sono molto più restrittive rispetto ai Saints di rango inferiore, e vanno a toccare anche la sfera privata."
Mei lo guardò sfogliare il libro e aprirlo a una certa pagina.
"Fino a che punto?"
"Se la tua domanda riguarda quel che credo io, puoi star certa che non si sfocia nella sfera intima, non esistono leggi che regolano quante volte un Saint può congiungersi con una donna o con chiunque egli o ella voglia, ma alcune regolano la scelta del coniuge e l'educazione religiosa dei figli."
"Come, prego?"
Shion girò il libro verso di lei, invitandola a leggere.
Il primo paragrafo era dedicato soprattutto alle leggi che regolavano la vita al Santuario, i comportamenti che un Saint doveva adottare in pubblico e con i parigrado, e nello specifico dei ranghi inferiori, come ci si doveva porre nei confronti dei ranghi superiori. Molte le conosceva già, Camus, negli anni, le aveva più volte raccontato delle norme severe alle quali doveva sottostare. Saltò un paio di paragrafi, decidendo di leggere subito ciò che le interessava.
"...è concesso prendere moglie, a patto però che la Sposa non faccia parte, direttamente o indirettamente, di una schiera palesemente nemica. Le unioni tra Saints –di qualsivoglia grado- e membri appartenenti a classi nemiche sono proibite per legge... alle Spose dei Gold Saints è concesso il libero passaggio in tutte le aree comuni del Santuario, a eccezione dell'Altare di Athena, alla Statua dietro di esso e alla Sala d'Oro, luoghi per i quali esse necessitano di un accompagnatore."
"...tempo fa era proibito anche l'unione tra Saints di diverso rango, ma poi decisi di abrogare quella legge classista. Altrimenti, Milo e Aiolia non potrebbero stare con le loro dolci metà."
"E Freya?"
"Cosa?"
"Freya, dico. Vi ricordo che sua sorella maggiore ha fatto parte dei nemici di Athena, anche se indirettamente, a causa di Poseidone."
"Indirettamente, appunto. Hilda era stata plagiata, Odino e il popolo di Asgard hanno sempre mantenuto una certa amicizia con Athena e il Santuario. Camus ha comunque garantito per lei." 
"Oh. Ed è così che si stabilisce se una donna è idonea o no?" 

"Vengono avviate accurate indagini sul suo conto." rispose Shion, pratico. "Saraswati, prima di poter sposare Shaka e prima di poter accedere al Santuario, è stata esaminata con cura, e la stessa cosa avverrà con Iris, la fidanzata di Aphrodite. Tu e Shunrei, data la natura della vostra stretta relazione con tre Saints, avete subito un controllo decisamente meno invasivo della moglie di Shaka."
"Devo ritenermi fortunata?"
"Quando ben tre Gold Saints garantiscono per una persona giurando sul proprio onore, ogni indagine risulta superflua." replicò Shion. "Tornando alla questione dei figli, tutti coloro nati sotto l'ala protettiva di Athena hanno l'obbligo di seguirne il culto, devono essere presentati alla Dea per ricevere la sua benedizione ed essere a lei consacrati, senza eccezioni. Insieme ai vostri figli, saranno presentati anche tua nipote, la figlia di Shaka e il figlio di Milo: le Anfidromie sono eventi più unici che rari qui al Santuario, dato che in passato le occasioni per festeggiare la nascita di una nuova vita erano sporadiche. All'epoca si usava festeggiare i neonati a pochi giorni dalla nascita, come sai la mortalità infantile allora era altissima. Ma direi che al giorno d'oggi non ci sono particolari problemi e che quindi possiamo essere più generosi col tempo. Aspetteremo la nascita di Nikos e poi procederemo con i festeggiamenti. Per quanto riguarda la tua ipotetica consacrazione, sappi che lo farà anche Saraswati. Tu pensaci, poi mi dirai."
Nel frattempo, in palestra, Hyoga stava facendo passare il tempo con l'arrampicata. Non era uno dei suoi sport preferiti, a volte le vertigini gli giocavano brutti scherzi, ma, aveva notato, era un ottimo modo per scaricare la tensione.         
"Come sarebbe, ha incaricato te di dargli una mano?"
Shiryu inarcò un sopracciglio, con disappunto.
"Potrei dire la stessa cosa su te e mia sorella." replicò.
Hyoga prese altra magnesite dal sacchetto legato in vita e mugugnò nel raggiungere una presa difficile.
"Nel nostro caso è diverso."
"Non proprio." lo corresse Shiryu. "Ti devo ricordare che quella volta, a casa, il suo sai ti ha mancato per un soffio?"

"Le divergenze tra me e tua sorella si sono appianate, quelle tra Camus e te, no." Hyoga sorvolò sull'ultima affermazione.
"Diciamo che sono stato interpellato per via delle mie conoscenze."
"E quali conoscenze avrebbero indotto Camus a ricorrere a te?" domandò Hyoga, spostandosi di mezzo metro sulla parete.
"Beh, io parlo cinese e conosco i dettagli di un matrimonio tradizionale... lui, no."
Hyoga perse il sorrisetto sardonico che aveva mantenuto fino al minuto precedente.
"Aspetta un minuto: Camus vuole organizzare una cerimonia cinese?!"
Shiryu ridacchiò.
"Sì."
"Ma... tradizionale nel vero e proprio senso della parola?"

"Con gli hanfu e tutto il resto...sarà uno spettacolo vederlo abbigliato come me... con quei capelli rossi, poi..."
"Oh mannaggia. Questo potrebbe essere un problema."
"Ma no, basterà evitare il colore rosso e tutto filerà liscio..." minimizzò Shiryu.
"Il problema è che Mei sta organizzando un matrimonio russo, a Kobotec, per la mattina del due settembre!" scandì bene Hyoga.
Shiryu ci rifletté su un istante.
"Sì, potrebbe essere un bel problema." convenne. "Vedrò di inventarmi qualcosa."
Tre metri e mezzo più in basso, Seiya sbuffò.
"Hey, voi due, intendete darvi da fare o preferite restare sospesi a mezz'aria mentre chiacchierate? Shiryu, non sei una piuma." protestò.
"Ma quanto sei cafone." lo rimproverò Shun, che, dal canto suo, stava assicurando Hyoga, in bilico come Shiryu sulla parete. "Tranquilli ragazzi, fate con calma, non c'è fretta."
"Macché..." sospirò Hyoga. "Shun, sto per scendere."
Salutati gli amici, Hyoga e Shiryu si diressero all'undicesima casa, certi di trovare Mei di ritorno dall'incontro con Shion.
"A proposito, essendo in argomento... mancano appena due settimane al tuo matrimonio... come ti senti?"
Nel panico.

"Stanco." preferì rispondere. "È già tutto organizzato, ogni dettaglio è al suo posto e sono pronto, ma..."
"Vorresti scappare."
"Sì. Vorrei prendere Freya e fuggire via, sposarmi senza teste coronate, stupide bomboniere,  castelli, cena da quindici portate e gran balli." ammise Hyoga. "Sarei disposto a sposarmi a Las Vegas con il sosia di Presley come officiante, piuttosto."

"E allora fallo." commentò Shiryu, serio. "Torna a casa e partite, subito, senza pensarci troppo su."
"Come se potessi farlo..."
"Puoi, non sei loro prigioniero. Se permetti a Hilda ti tenerti testa adesso, finirai col permetterle di metter bocca a tutto ciò che potrebbe riservarti il futuro. Finirai con il trasferirti a palazzo, a diventare un bamboccio alla completa mercé di sua maestà."

"Mi sembra di sentir parlare Camus."
"Perché abbiamo ragione." disse Shiryu, senza fare battute di alcun genere ai danni del cognato. "E Freya come la pensa? Lei è contenta del circo mediatico imbastito da sua sorella?"
Hyoga scosse la testa.
"No." rispose in un soffio. "Ma credo voglia vivere quel giorno al posto di Hilda, farle vivere una cerimonia come quella che avrebbe voluto con il suo defunto fidanzato."

"Ma il matrimonio è il vostro, non il suo." obiettò Shiryu.
"Non... non so cosa dire, o cosa fare."
"Sei ancora in tempo a fermare tutto. Meglio adesso che il fatidico giorno, magari in chiesa, davanti a tutti gli invitati." commentò Shiryu, pratico. "Sembra che tu stia per andare al patibolo. Non puoi certo sposarti in questo stato."
"Shhhh." lo zittì Hyoga, prima di entrare all'undicesima casa. "Ne parleremo più avanti."
 
*

"Non ricordavo fossero così enormi le pizze." commentò Camus, guardando la propria capricciosa sul piatto, più piccolo rispetto alla pizza.
"Da quanto tempo non ne mangi una?"
"Da troppo."

"Questo perché non hai mai mangiato una pizza napoletana, a Napoli, in una pizzeria locale che si affaccia sulla costiera." ridacchiò Mei, divertita. "Comunque se non riesci a finirla, ti do' volentieri una mano: ho una fame tale che potrei mangiarne tre di queste."
"Esagerata." replicò lui, guardandola addentare, famelica, un quarto della sua. Qualche minuto dopo, Mei iniziò a canticchiare a bassa voce, seguendo una famosa canzone italiana trasmessa nel locale, con un sorriso che si estendeva agli occhi. "Dovremmo venire più spesso qui."
"Mh?"
"Questo posto ti mette allegria, da quando siamo qui hai una luce particolarmente bella negli occhi."

"Tutto questo mi ricorda mia madre, le nostre giornate italiane durante le stagioni teatrali, i suoi vinili..." spiegò lei, riprendendo poi il filo della canzone. D'un tratto prese la sua mano, stringendola. "Nel blu degli occhi tuoi blu, felice di stare quaggiù, con te."
"..." Camus sorrise, arrossendo appena.
"Modugno... nel blu dipinto di blu, mai sentita? Dai, è famosissima, la conoscono persino in Antartide..."
"Sì che la conosco. Pensavo che mi mancheranno un po' questi momenti, perché da domani  saremo invasi da pannolini sporchi e bavaglini pieni di pappa."
"Per la pappa è ancora presto, ma i pannolini, quelli ce ne saranno in grande abbondanza."

"Però non vedo l'ora di stringerli, non posso più sopportare di vederli solo attraverso un vetro."
"E lo dici a me?" domandò Mei. "Da quando sono nati ho visto solo incubatrici e macchinari... sono impaziente di avere i miei bimbi a casa!"
"Anche Hyoga è impaziente, ha già mostrato la foto di Josie a tutti e acquistato una montagna di giochini."

"A proposito, ho come la sensazione che stia nascondendo qualcosa."
"In che senso?"

Mei sospirò.
"So che è sbagliato impicciarmi dei fatti altrui, ma l'altra mattina mi ha chiesto di fare un paio di commissioni per lui e una volta a casa, nel portare nella sua stanza i vestiti ritirati dalla lavanderia, ho visto una cartella medica e dei farmaci strani che, stando a quanto letto su internet e a quanto mi ha confermato Aphrodite, servono nella cura di alcune serie patologie a carico dell'apparato digerente." spiegò, facendogli vedere alcune foto sul cellulare. "Cinque giorni fa ha anche subito una gastroscopia... suppongo con esito positivo dato che il referto allegato non indica ulcerazioni in atto."
Camus fece scorrere le foto, sul viso un'espressione di ghiaccio.
"Non so... lo vedo molto deperito, deve anche aver perso peso perché mio fratello dice che si vedono le costole." proseguì Mei. "Insomma, posso capire avere un po' d'ansia o agitazione, ma così è troppo, non credi? Dovremmo pensare a che cosa fare per..."
"No." la interruppe Camus. "Non voglio pensarci adesso. Voglio solo godermi questa pizza, insieme a mia moglie, la sera prima delle dimissioni dei nostri figli dalla terapia intensiva. Punto. E non guardarmi così, per cortesia, ho già in mente la strigliata che dovrò fargli."
"Ecco, ora ti riconosco. Cominciavo a preoccuparmi."
Lui seguitò a mangiare, silenzioso.
"Dai, non fare così. Troveremo un modo per aiutarlo." sorrise Mei, cercando di essere positiva. "Credo che prenderò il dolce al limone, la descrizione sul menù mi ispira parecchio. Oppure questo, ha un nome che promette bene: trionfo all'arancia. "
Mentre Mei consultava il menù dei dolci, la sua mente cominciò a elaborare un piano.

"Il solo modo per aiutare Hyoga consiste nel cancellare quel matrimonio."
 
***
 
Lady Aquaria's corner
'sera! Mi rendo perfettamente conto del ritardo col quale pubblico, ma tempo e salute non sono stati per niente clementi con me nelle ultime settimane.

Il titolo fa riferimento a una canzone di Whitney Houston.
Al di là di tutto, come sempre, ringrazio quelle poche anime pie che leggono e recensiscono, alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 38
*** Waterloo. ***


38 principale

38.
Waterloo

My, my, I tried to hold you back
but you were stronger
oh yeah, and now it seems
my only chance is giving up the fight
and how could I ever refuse
I feel like I win when I lose
[Abba - Waterloo]
 
Quasi gli rise in faccia.
"E chi credi di essere, Don Rodrigo?"

Che diavolo aveva in mente? Annullare tutto, mandare all'aria un matrimonio di quella portata?
Camus inarcò un sopracciglio.
"Pensavo che Freya ti piacesse. Insomma, mi è stato detto che hai garantito per lei, e adesso questo repentino cambio d'idea..."

"Ma no, che hai capito? Non voglio impedire a Hyoga di sposare Freya, voglio annullare la cerimonia. Non fraintendermi, la apprezzo, è una brava ragazza e come tutti ha pregi e difetti ma il suo difetto più grande è che continua a lasciarsi influenzare troppo dalla sorella maggiore. Le voglio bene, ma ne voglio di più a Hyoga e non posso vederlo distruggersi l'anima per qualcosa e voltare lo sguardo altrove come se non mi importasse nulla. Sta rischiando l'ulcera! Per uno stupidissimo matrimonio, ti rendi conto?"
Lei sospirò, scuotendo la testa.
"Dovremmo pensare bene a come agire, non siamo in un film dove basta alzarsi e interrompere tutto sul più bello davanti agli invitati."

"Certo che no, anche perché quella cerimonia principesca non avrà luogo. Se lo ama e vuole davvero sposarlo, non dovrebbe importarle il luogo, no? Insomma, se mi svegliassi il due settembre e ti portassi via di soppiatto per sposarti... che so... a Kobotec, tu cosa faresti? Lo so che siamo già legalmente sposati, ma se ti dicessi che l'organizzazione della nostra cerimonia mi sta uccidendo e che voglio qualcosa di più piccolo e confortevole, tu come mi risponderesti?"
"Prendo un plaid e ti seguo anche in capo al mondo."
"Sono serio."
"E la mia era una risposta seria. Qualsiasi cosa ci attenderà il due settembre, la più importante sei tu, non è un hanfu, non è la musica, non è la torta... beh, a dire il vero mi dispiacerebbe per la torta, pensavo di ordinare la millefoglie con la panna al caffè."

Camus sgranò gli occhi.
"Davvero? Allora sì, decisamente sì. La millefoglie vale sicuramente la pena."

 
Hyoga abbassò il volume della tv quando udì dei passi attutiti in corridoio; ridacchiò appena, controllando l'ora: le tre erano passate da un pezzo.
"...attento a dove metti i piedi, altrimenti finirai col fratturarlo sul serio, quel mignolo."
"Ci mancherebbe anche questo."
Quando li vide passare, accese la luce.
"Siete andati a far bisboccia? Ma non sarete un po' troppo in là con l'età per fare così tardi?" li riprese.
"E tu invece, che fai ancora in piedi a quest'ora?" Mei restituì la domanda.
"Giusta osservazione." convenne Hyoga. "Non riesco ad addormentarmi."
"Hai un peso sullo stomaco?" buttò lì Camus, guadagnandosi una gomitata da Mei.
"...come?" domandò Hyoga.
"Lascia stare, ha bevuto troppo Gragnano ed è stanco."
"Sfido io, sono le tre e mezza del mattino."
"Sono perfettamente lucido e so quel che dico." sbottò Camus, irritato. "Adesso andrò a dormire ma oggi pomeriggio, mio caro, noi due parleremo."
"Eh no. Nel pomeriggio porteremo i bambini a casa. O vi chiarite prima del loro arrivo o uscite e andate altrove. Non m'interessa dove, ma non voglio tensione in casa." interloquì Mei, seria. "Punto. O facciamo i conti, Camus, mi hai capito? Vai a dormire, avanti. E tu metti a posto prima di tornare nella tua stanza."
"Signorsì."

 
**
"E tutto questo da dove salta fuori?!" si domandò Mei, guardando il tavolo della cucina invaso da pacchetti e pacchettini.
"Da parte di Shura e compagnia, hanno preferito portarli oggi anziché aspettare le Anfidromie." rispose Hyoga, distratto dal porte enfant che Mei stava reggendo. "È la mia Josie?"

"No, mi spiace, lui è Alex. La rossa che cerchi è nell'altro ovetto."
"Oh, bene." Hyoga carezzò appena la testolina del neonato addormentato, senza svegliarlo, quindi, raggiunto Camus, liberò la bambina dalle cinture e la prese in braccio, iniziando a mormorarle qualcosa in russo.
"Hyoga." esordì Camus di punto in bianco. "In auto. Subito."
"Miei Dèi, siamo appena arrivati, non potresti aspettare un po'?" sospirò Mei.
"No. Non starò via molto, forse un'oretta. Riesci a fare a meno di me?"

"Perché me lo chiedi, se tanto non mi lasci altra scelta?"
"Duìbùqi."
"Sì, dispiace anche a me. Avevo cucinato italiano... sicuramente troverò qualcuno che apprezzerà i miei sforzi." replicò Mei, vaga.

Una volta in auto, Camus iniziò a guidare con gesti secchi, l'espressione indecifrabile. 
"Dove stiamo andando?" Hyoga lanciò un'occhiata fuori dal finestrino: avevano oltrepassato Parc Monceau e stavano per imboccare Boulevard de Clichy. "Uh! Hai organizzato il mio addio al celibato? La prossima traversa è quella per il Moulin Rouge!"
Camus superò la traversa indicata da Hyoga per imboccare Rue Caulaincourt, che tagliava in due il celeberrimo Cimitero di Montmartre.
"Stiamo andando al cimitero? Un po' inquietante, non trovi?"
"Niente Moulin Rouge né cimitero. Vedrai quando arriveremo."

"Ma siamo a Pigalle, direi che..."
Camus tamburellò sul volante, nervoso.
"Smettila di dire sciocchezze. Credi forse che ti abbia fatto salire in auto, alle otto di sera, per girovagare per Parigi come se non avessi nulla di meglio da fare? Oggi ho portato a casa i miei figli, dovrei essere con mia moglie a darle una mano, mentre invece sono qui, a quasi sei chilometri da casa, perché tu sei un emerito cretino."
"Io non ti ho chiesto niente..."
"Appunto."
Disorientato da quella strana risposta, Hyoga tacque finché Camus non parcheggiò davanti a un pub, sito a Montmartre, ma sicuramente lontano dai soliti posti frequentati da turisti. Gli rivolse la parola solo per dirgli di sedersi a un tavolino libero nell'area fumatori mentre lui prendeva qualcosa da bere.
Stava ancora cercando di capire perché si stesse comportando in quello strano modo, quando lo vide posare un vassoio tondo sul tavolo e sedersi a sua volta.
"...mi hai preso l'aranciata? Sul serio? Quanti anni ho, cinque?!" protestò, quando Camus gli porse il bicchiere.
"Le ultime settimane mi hanno portato a dubitare profondamente sulla tua maturità, quindi sì, per te solo aranciata stasera." fu la replica di Camus, che invece, dinanzi a sé, aveva posato un piatto con un panino e un liquore che, a giudicare dall'aroma, doveva essere Grand Marnier.
"Cognac e sigarette? Quando Mei lo scoprirà, ti farà lo scalpo."
"Probabilmente sì, ma lei non è qui e tu stai cambiando discorso." replicò Camus, senza lasciarsi distrarre.
"A proposito, perché siamo qui? Mi devi dire qualcosa?" domandò Hyoga, strappando un pezzo di croque monsieur dal piatto.
"Ah, io? Mi prendi in giro?" Camus bevve un sorso di cognac e gli mostrò le foto che Mei gli aveva passato tramite Whatsapp.
Riconobbe subito la propria gastroscopia e le foto dello scomparto nel suo armadio, dove riponeva le medicine. Perse il sorriso, quindi guardò il maestro dritto negli occhi.
"Chi te l'ha detto?"
"Non ha importanza, ciò che conta è che mi hai taciuto tutto: con certe cose non si scherza!"
Hyoga si ricordò delle commissioni che aveva affidato a Mei e scosse la testa: sicuramente era
 stata lei a trovare medicine e referti e a riferire tutto al marito.
"Mei proprio non riesce a farsi gli affari propri, a quanto vedo."
"Avrebbe potuto ignorare e passare oltre, è vero. Ma se l'ha fatto, è perché, come me, si preoccupa." lo corresse. "Te lo ripeto da quando eri un bambino, se hai un problema, non tenerlo dentro, parlane. Se non vuoi parlarne con me, hai degli amici, parlane con loro!"
"E con chi? Shun ha i suoi problemi, Shiryu ha una figlia piccola, Seiya e io non abbiamo mai avuto tanta confidenza, lui va d'accordo soprattutto con tuo cognato."
"Ci sono io. Io per te ci sarò sempre."
"Lo so, ma hai la tua famiglia, i tuoi figli... dopo la faccenda di Isaak ti ho sentito più volte star male per la sua perdita e mi sono ripromesso di non esserti mai di peso, di non aggiungere problemi su problemi."
"MA CHE ACCIDENTI..." sbottò Camus, ricordandosi solo dopo di non essere a casa, ma in un locale pubblico. "...ma che accidenti ti salta in mente?! Ho moglie e figli dei quali occuparmi, d'accordo, ma questo non mi distoglie dall'occuparmi anche di te! Un maestro non smette di essere tale solo perché il suo allievo è cresciuto e non ha più bisogno dei suoi insegnamenti! Non posso smettere di occuparmi e preoccuparmi per te, non lo capisci?"
Hyoga allungò la mano al cognac e ne bevve un sorso.
"Quant'è grave la situazione? Non è niente di brutto, vero? Miei Dèi, non dirmi che hai un... per Athena, non riesco nemmeno a dirlo."
"Un tumore? Dio, no." inorridì Hyoga, facendosi il segno della croce. "Ho una gastrite pazzesca e il medico del pronto soccorso mi ha consigliato una gastroscopia per essere sicuri dell'assenza di ulcere, almeno, per quanto ne so non ne ho, ma chi può dirlo? Oddio, che c'è? Perché mi guardi così?"
"Ti ho cresciuto da quando avevi poco meno di sette anni, ho trascorso notti insonni tenendoti tra le braccia quando avevi la febbre alta e temevo di perderti, ti ho guidato dall'aldilà quando dovevi affrontare entità più forti di qualunque essere umano e..." si bloccò, espirando, arrabbiato. "Ma che cosa ti frulla in testa, posso saperlo?"

Cosa gli frullava per la testa? Tante cose.
L'indecisione sulla laurea magistrale, sul matrimonio, sul suo futuro, che ora vedeva più incerto e nebbioso che mai.

Camus ingoiò d'un fiato ciò che restava del suo cognac e andò a prenderne un secondo.
"D'accordo che per farti ubriacare servirebbe mezza distilleria Moskovskaya, ma dovesse fermarci una pattuglia, sarebbero dolori: difficilmente crederebbero alla faccenda del Saint di Athena che resiste agli alcolici come e meglio di un settantenne moscovita."
"È per il matrimonio. Non eri sotto pressione nemmeno per il tuo esame più difficile, e adesso rischi l'ulcera? È della tua salute che stiamo parlando, della tua vita! Diamine!"
"Lo so, lo so. Penso a quello che mi aspetta e sudo freddo, se mangio un po' più del dovuto corro in bagno a dare di stomaco e... spesso mi sveglio nel cuore della notte col cuore che batte a mille." mormorò Hyoga. "Stavo uscendo per andare al centro commerciale l'altro giorno, sai. Prima di partire controllo sempre che ci sia il libretto di circolazione infilato nell'aletta parasole e quando non l'ho trovato, ho cercato nel vano cruscotto... e insieme alla cartellina è scivolata giù una rivista per spose che ha dimenticato Freya e non ho più mosso un dito: sono stato seduto in garage per due ore con il batticuore, ansimando come se avessi scalato l'Everest correndo a perdifiato fino in cima."
"Mi basta una tua parola e annullo tutto."
"Non scherzare."
"Potrei portarvi a Las Vegas, anche domattina. Saremmo lì in un batter d'occhio."
"Camus, non scherzare, ti prego."

"Ti pare la faccia di uno che scherza? Questa storia ti sta uccidendo! Senti, se è davvero ciò che vuoi, allora verrò con te ad Asgard, m'infilerò in quel frac e brinderò alla tua felicità, ma devo avere la certezza che tu stai bene. Mi hai capito?"
"Starò bene, anche se non so come. Non posso farle questo. Tu lo faresti, a Mei?"
"Le nostre situazioni sono diverse... Mei non è una principessa e non è assoggettata a nessuno, se le chiedessi di lasciar perdere la cerimonia che desidera per qualcosa di più intimo, lei lo farebbe. Pensaci bene, me la sbrigherei io con Hilda."
L'altro ridacchiò nervoso.
"Tu piaci a Hilda, e parecchio. Ma per quanto tu possa piacerle, non hai idea della rabbia che ti riverserebbe addosso."
"È una rabbia che sarei in grado di gestire. Ma poi... che significa che le piaccio?!"
"Hai un ottimo ascendente su di lei, in effetti hai ragione, puoi gestire la situazione. Ma non dirmi che non te ne sei accorto."
"No, perché la cosa non m'interessa."
"Credo che tu sia la persona più navigata e al tempo stesso ingenua che conosca."
"Fedele, dico io. Fedele e onesta. Regnante o no, tua cognata mi è del tutto indifferente: cerca di farglielo capire, prima che ci pensi mia moglie." rispose, mortalmente serio. "E adesso faremmo meglio ad andare, voglio stare un po' con i miei figli."
 
Hyoga e Camus si separarono sul pianerottolo che divideva i rispettivi appartamenti, dopo aver guidato con cautela dal pub verso casa.
"...e vedi di non fare sciocchezze e parlare di certe cose nei momenti sbagliati, non voglio saperne nulla, né di Hilda né delle sue fisime, è chiaro?"

"Certo, stai tranquillo. Anzi, mi scuso per avertene parlato." gli rispose. Lo vide entrare in casa, quindi sentì la chiave girare nella serratura e il rumore secco del limitatore di apertura scattare dalla porta blindata dritta nel suo alloggiamento.
Camus si sfilò le scarpe, cercando di non fare rumore nella casa immersa nel silenzio: la luce della cucina era spenta così come quella del salone, forse Mei aveva già messo a letto tutti i bambini.
Cose da pazzi, mancava soltanto Hilda e le sue assurde idee a minare la loro tranquillità.
Si era sbagliato, Mei non era a letto e non aveva ancora messo a nanna tutti i bambini: un rapido sguardo nella stanza dei bambini e in quella di Lixue gli confermò che Joséphine era ancora sveglia.
"Papà?"
Riaprì la porta, guardando la figlia maggiore nel suo letto, illuminata dall'abat jour che aveva acceso.
"Sì?" le sorrise. Lixue aprì bocca per rispondere, ma decise di non farlo, scuotendo poi la testa.
"...no, niente." mormorò.
"Non mi sembra sia niente." obiettò Camus, corrugando la fronte. "È per i tuoi fratelli?"

La figlia abbassò lo sguardo, stringendosi al petto il peluche di Mushu, quindi si distese di nuovo e spense la luce.
"Buonanotte papà."

"Per ora buonanotte, comunque ne riparleremo domani." le disse, prima di chiudere la porta.
Vide la luce filtrare dalla porta del sottotetto e salì piano gli scalini, sentendo Mei canticchiare –intervallando le parole a lunghi sbadigli- qualcosa seguendo uno dei tanti canali musicali in tv, nel tentativo di far addormentare la bambina. Restò a guardarla qualche minuto, appoggiandosi al muro e sorridendo.

"...because the night è una bella canzone, ma in questo caso, forse, sarebbe più indicata don't cry, non credi?" esordì a bassa voce per non spaventarla.
"In effetti la canterei a te, piuttosto che a Josie. Ma a quanto pare c'è la notte del rock in tv, e passano un po' di tutto, che vuoi farci?" ridacchiò Mei, voltandosi. "Che ore sono?"
"Le ventidue passate."
"Accidenti, quant'è tardi. Allora, signorina, quando ti deciderai ad addormentarti come i tuoi fratelli?"
"Mi spiace averti lasciata sola proprio la prima sera con i bambini."
"Lixue mi ha dato una mano, comunque non preoccuparti." rispose Mei. Josie, tra le sue braccia, riprese ad agitarsi. "Hai risolto qualcosa con Hyoga?"
"Si e no, nel senso che non ho risolto come avrei voluto."
"Mi spiace. Quindi tutto procederà come previsto?"

Si distese sul divano, la testa reclinata all'indietro sul bracciolo, massaggiandosi le tempie doloranti.
"Temo di sì, e non so più che fare."
"Troveremo una soluzione, vedrai." lo incoraggiò, un poco distratta dalla bambina che, aveva notato negli ultimi minuti, smetteva di agitarsi non appena sentiva la voce di Camus. "Continua a parlare."
"Di cosa?"
"Non so, qualunque cosa. Sembra che la tua voce abbia effetti calmanti su Josie."
Tornò a sedersi mentre Mei, con la bambina appoggiata alla spalla, camminava avanti e indietro, ondeggiando lentamente.
"Ehm... Boulevard de Clichy era stranamente poco trafficato, stasera, e sì che di solito c'è un gran viavai di gente..."
"...che diavolo stavate facendo voi due in quel quartiere schifoso?"

"A dire la verità eravamo solo di passaggio, siamo stati a Montmartre."
"Detesto quella zona, è piena di prostitute!"
"Suvvia, ci sono prostitute ovunque, non solo a Pigalle."
"Mh." sbuffò Mei. "E dove siete andati?"
"In un pub, fuori dai giri turistici. Abbiamo parlato due ore, ma nonostante le paure di Hyoga, tutto è finito con un non posso farle questo."

"E quindi si farà mettere i piedi in testa." sospirò Mei, decidendo di sedersi un po'. Si avvicinò a Camus e gli porse la neonata. "Ecco, vai dal tuo papà, che non vede l'ora di spupazzarti un po'."
E proprio come otto anni prima, per Lixue, e più tardi in Siberia con i figli di Kirill e Zoya, Mei lo vide sciogliersi, stringendo la neonata al petto. Non comprese il significato delle parole in russo che stava rivolgendo a Joséphine, ma Camus era felice, e tanto le bastava.
"Questa tutina è un po' grande per lei o sbaglio?" le domandò, distraendola dai suoi pensieri.
"No, purtroppo, non sbagli. È una tutina per prematuri e le sta comunque larga... il pediatra in ospedale ha provato a tranquillizzarmi dicendo che acquisterà peso col tempo, ma..."
"Beh, ha il sangue delle donne ShuFang nelle vene, perciò si rimetterà in sesto in un baleno, vedrai." le sorrise.
"Lo spero, lo spero davvero tanto." Mei si abbandonò contro lo schienale del divano. "Devono rimettersi in sesto, le mie preghiere rivolte agli Dèi non possono essere state vane."
"Andrà tutto bene, Athena è una dea buona, non può succedere niente di male." la rassicurò, stringendole la mano. "A proposito di figli, sono stato da Lixue, appena tornato. Ho ragione di credere che ci sia qualcosa che non va."

Un altro sospiro.
"Lo temo anche io, è da una settimana che si comporta in modo insolito." convenne Mei. "Ho notato che ha ripreso a dormire abbracciata al suo peluche e oggi ho visto che guardava in uno strano modo i fratelli mentre li cambiavo: non come guardava Yian-Mei, aveva un'espressione troppo seria. Volevo rassicurarla, ma è una cosa che devo fare tête a tête con lei, con calma."
"È gelosa. Eppure l'abbiamo preparata all'arrivo dei bambini fin dall'inizio."
Mei si alzò, andando a controllare il corridoio per accertarsi che Lixue non li stesse spiando.
"Cam, tu sei figlio unico, non sai cosa significa essere fratello maggiore, la gelosia è comune a tutti i bambini ed è una cosa da non sottovalutare. Spero che non abbia ereditato la mia stessa gelosia o sì che siamo nei guai."
"Dobbiamo bilanciare le attenzioni sui neonati e su di lei, per evitare dispetti."

"Dovesse limitarsi ai dispetti saremmo, diciamo così, fortunati." rispose Mei. "L'importante è che non segua le mie orme e non chiuda uno dei bambini sul balcone."
Camus sollevò immediatamente lo sguardo su di lei, gli occhi sgranati.
"Hai chiuso tuo fratello sul balcone?!"
"Sì, e giusto per chiarire, non ne vado assolutamente fiera, anzi. A mia discolpa potrei dire che avevo sei anni e che ero gelosa e arrabbiata, ma era comunque una cosa che non avrei dovuto fare, e per la quale mi sono sentita in colpa a lungo."
"Beh... non sarà stato piacevole per lui, ma le temperature ottobrine sono miti."
"Macché ottobre, è successo a gennaio e Shiryu aveva circa tre mesi." spiegò Mei. "Oltretutto è successo di notte, ed eravamo in montagna per le vacanze natalizie. A Sestriere, duemila metri di altitudine, non so se mi spiego."
"...e come si rese conto del fattaccio?"
"Il balcone era comune con la loro stanza, per fortuna se ne accorse quasi subito." ricordò Mei. "Mia madre, che non gridava mai per non sforzare la voce da soprano, quella notte lanciò uno strillo che nemmeno durante il vissi d'arte."

"Ci credo." commentò Camus. "Avrei voluto sentirla."
"Aveva una voce capace di rompere i bicchieri, non ti sarebbe piaciuto sentire uno dei suoi strilli rabbiosi."
"Sono abituato a sentire i tuoi, i suoi non mi avrebbero fatto né caldo né freddo..." le rispose, allegro, ricevendo in risposta uno sguardo in tralice. "Scherzo. Niente solletico quando non posso difendermi! Ho la bambina in braccio, carogna!"
Bambina che, tra le cose, si era addormentata del tutto beatamente.
"Finalmente! Abbiamo due ore di sonno, approfittiamone." esclamò Mei, a bassa voce.

"Ah, sonno. Speravo in altro."
 
**

Freya aveva avuto un malore: nulla di che, l'aveva rassicurato Hilda, semplice ansia prematrimoniale, il medico le aveva prescritto un blando calmante e un po' di riposo in vista del grande giorno.
Già, il grande giorno. Hyoga avvertì una fitta allo stomaco e sperò di non rigettare la colazione come faceva quasi tutti i giorni da un mese a quella parte: sapeva che non avrebbe dovuto pensarci troppo, eppure si sentiva come Damocle, con la sua mitologica spada pronta a cascargli addosso con tutto il suo peso.
"E perché non sono stato avvertito?" aveva domandato alla futura cognata, sentendo la rabbia farsi largo e mandare al diavolo la diplomazia. "Freya è stata male e non hai nemmeno pensato di telefonarmi?"
Camus e Shiryu avevano ragione, dopotutto. Quel matrimonio e ciò che sarebbe venuto dopo lo stavano mettendo alla prova anche troppo, doveva sul serio puntare i piedi, prima di esser trascinato via dalla volontà di Hilda.
Oltrepassò la porta che divideva i due appartamenti e si diresse, cercando di fare meno rumore possibile, in cucina, sicuro di trovarci il maestro.

"Faceva parte delle sei persone più anziane d'Europa la signora Marie-Thérèse Bardet che era nata in Borgogna, pensate, il due giugno di centoquattordici anni fa. Si è spenta questa mattina a Pontchâteau
lasciando due figli, sette nipoti, quindici bisnipoti e sei trisnipoti..."
"Ah, però." commentò tra sé e sé, mentre lo speaker di Radio France continuava a parlare. "Qui va a finire che non arrivo nemmeno ai ventidue, figurati ai centoquattordici."

" ...dunque il primato europeo, adesso, è in mano all'italiana Maria Redaelli Granoli, di centotredici anni, residente in Lombardia, Italia. Ma non posso fare a meno di notare che, secondo il Gerontology Research Group, dei quarantadue ultracentenari in vita, ben quarantuno sono donne e ventuno di loro sono giapponesi. A questo punto propongo di trasferirci in Giappone..."
"Evidentemente in Giappone non si arrabbiano come noi." commentò quindi ad alta voce, entrando in cucina. "Et voilà, pain aux raisins ancora caldi di forno!"
Vicino al samovar, Camus non lo degnò di uno sguardo.
"Se il buongiorno si vede dal mattino, prevedo una giornata niente male..." sospirò Hyoga, avvicinandosi. "Avanti, che c'è?"
Camus stava ronfando alla grande, la fronte appoggiata a un pensile e tra le mani un biberon vuoto e sporco, destinato sicuramente allo sterilizzatore accanto al samovar, il cui led stava lampeggiando.
"Ma come fai a dormire in piedi?!" ridacchiò. "Dobroye utro, vecchio mio."
L'altro si riscosse, riaprendo a fatica gli occhi.
"...lo sterilizzatore?!" biascicò Camus.
"Ha terminato il ciclo e l'ho spento." rispose Hyoga. "Devi spiegarmi come fai a dormire in piedi come i cavalli."
"Ho bisogno di un'endovena di caffè forte." sbadigliò Camus, sedendosi e afferrando le brioches. "Anzi, facciamo due."
"Nottataccia?"
"Ho un sonno pazzesco. Si sono svegliati tutti insieme."
"Ahia." commentò Hyoga. "Tre neonati urlanti in un colpo solo? Altro che sonno."
"Tutti e quattro, Lixue ha pure bagnato il letto." precisò Camus, a bassa voce.
"Oh no."
"Ed è solo la prima notte. Sento che impazzirò."
"No, una volta abituato ai loro ritmi, sarà tutto più facile." interloquì Mei, entrando in cucina. "Vado a fare spesa, devo prenderti qualcosa in particolare?"
"Di già? Vai così presto a far spesa?"

"Come, di già?! Sono le dieci, quando dovrei andare?!"
"Le dieci?!"
"Sono in piedi dalle sette, anche se avrei dovuto alzarmi prima. Ho già portato Lixue a scuola e Sabaka a fare il suo giro, i bambini hanno già mangiato e stanno dormendo, io passo in farmacia e poi vado al Carrefour. Chiama se hai bisogno di qualcosa, non fare di testa tua come sempre."
Hyoga aveva bisogno di parlare con Camus, ma preferì aspettare finché non sentì Mei richiudere la porta dietro di sé.
Gli raccontò della telefonata, del malore di Freya e del fatto che Hilda non avesse speso nemmeno un minuto ad avvertirlo a tempo debito. Dire che era frustrato era un eufemismo.
"Non la vedo da tre settimane, ci sentiamo solo tramite messaggi e non mi ha detto niente di niente. Accidenti."
"La mia offerta è sempre valida." fu il commento di Camus.

"Anche la mia risposta."
"Ebbene, allora inizia a puntare i piedi. All'undicesima casa li puntasti, se ben ricordo."
"Questione di sopravvivenza." obiettò Hyoga.
"Sciocco, non ti avrei torto nemmeno un capello. Ma Hilda potrebbe, se non impari a farti rispettare. Pensaci, prima che sia troppo tardi."


Dopo pranzo, Camus restò in cucina, alle prese con alcuni documenti di lavoro.
"Cosa c'è di tanto interessante in tv?" domandò Mei, impegnata con la lavastoviglie, sbirciando lo schermo dove intravide il logo di France 5, un canale culturale.
"Un documentario sulla corte asburgica." rispose distrattamente Camus, ancora abbarbicato sullo sgabello, il tablet e una pila di fogli davanti a sé, sul tavolo.
"...a differenza di quanto mostrato nei leziosi film di produzione austriaca degli anni 50, tuttavia, il rapporto tra Sofia ed Elisabetta non era governato dall'odio. Donna intelligente e sveglia dal temperamento forte, mal sopportava il carattere ribelle della giovane imperatrice ma la corrispondenza tra le due donne denota un affetto materno dell'arciduchessa nei confronti della nipote/nuora..."
"...ah. Affetto? Tolse i figli alla nuora per educarli al posto suo e lo chiamano affetto?"
"Perché riteneva troppo giovane e inesperta la giovane imperatrice per lasciarle educare i figli." replicò Camus, sempre distratto. "All'epoca era d'uso fare così, soprattutto tra i regnanti."
"Sissi aveva diciotto anni."
"Appunto."
"E perché, io quanti anni avevo?"
"Mh." mugolò lui, mordicchiando la matita, gli occhi fissi su un block-notes.

"Quindi al posto loro, tu avresti permesso a tua madre di portarmi via i figli?"
Fiutato il pericolo, Camus si riscosse di colpo.
"Mia madre era un pezzo di pane, non ti avrebbe mai fatto una cosa del genere."

"Lo credo bene, perché mia madre ti avrebbe rotto le ossa una per una." ridacchiò Mei, sporgendosi a guardarlo e frapponendosi tra lui e il foglio. "E senza anestesia."
"Mei, non sono dell'umore adatto."
"L'avevo capito, per questo cercavo di distrarti un po'."
"Te ne sono grato, tesoro, ma bastasse ciò a distrarmi. È in momenti come questo che ringrazio Athena di non essere un regnante o un membro della famiglia reale."
"Non posso che darti ragione. Per quanti danni possa avermi provocato il mio lavoro, tra i quali un paio di dita e un braccio fratturati, sono fiera di alzarmi la mattina e guadagnarmi da vivere, senza dovermi piegare a nessuno." sorrise. "Ti lascio solo, vedo che sei occupato."

Si versò un bicchiere d'acqua, quindi sentì un valzer provenire dal salotto.
"Avevo davanti agli occhi tutta la mia vita, come se l'avessi già vissuta. Un'infinita processione di feste, balli di società, yacht, partite di polo... sempre la stessa gente gretta, lo stesso stupido cicaleccio. Mi sentivo sempre come sull'orlo di un precipizio, e non c'era nessuno a trattenermi, nessuno a cui la cosa importasse o che se ne rendesse almeno conto."
Camus levò gli occhi al cielo.
"Buon cielo, ancora?!" borbottò.
"Da quanto tempo sta guardando Titanic?"
"Da quando hai messo a dormire Milo, ma non lo sta guardando tutto, si concentra solo sul tentato suicidio."
Una quarantina di minuti abbondanti, trascorsi a fare rewind sulla stessa scena.
"Cavolo."
"Cosa sta cercando di farmi capire? Che vorrebbe fare come Rose, gettarsi giù da qualche parte?"
Stavolta fu Mei a roteare gli occhi.
"Miei Dèi, frena la fantasia, ti prego. È troppo intelligente per fare una cosa del genere."
"Rende stupidi anche i saggi, l'amore, amore mio."
"Questa l'ho già sentita. Non ricordo dove, ma l'ho già sentita... boh, prima o poi mi verrà in mente. Ascolta, occupati dei biberon sporchi mentre io mi occupo di lui. E niente ma, l'hai già strapazzato abbastanza."
Hyoga era in salotto, stravaccato sul divano con un'espressione quasi assente.
"Negli ultimi quaranta minuti ho dato da mangiare alle tre pesti più piccole, preparato la merenda per la più grande, ho caricato la lavatrice e steso il bucato e... nel frattempo, Rose ha tentato il suicidio... quante volte? Una decina?"
"Sto consumando il dvd eh?"
Mei si sedette accanto a lui.
"Che m'importa del dvd... quello si ricompra. Ma ci sono cose che non si possono riacquistare." rispose. "Continui a riguardare in loop questa scena... c'è un motivo o semplicemente è un tentativo per guardare e riguardare gli occhioni azzurri di Leonardo Di Caprio?"
"Oh, ti prego."
"Okay, okay, era per dire. Dunque il motivo quale sarebbe?"
Hyoga mise il film in pausa.
"Se è un subdolo tentativo per sapere se sto pensando al suicidio, lo metto subito a tacere: non mi ha neanche sfiorato l'anticamera del cervello."
"Lieta di saperlo, perché Camus è seriamente preoccupato. Siamo tutti in pensiero per te."
Lui annuì.
"Ed è per questo che sei andata a spifferare la storia delle mie analisi a Camus?"
"Intanto spifferare è inesatto. L'ho informato di qualcosa che, a ragione, ho ritenuto importante."
"Era qualcosa che avevo sotto controllo, nessuno ti ha autorizzata a cacciare il naso nei miei problemi né tantomeno ti è stato chiesto di porvi rimedio. Smettila di comportarti come se fossimo parte di una grande famiglia felice, sappiamo entrambi che hai agito così per Camus, non perché provi chissà quali sentimenti nei miei confronti. Non sei mia madre, anzi, a tutti gli effetti non sei n-..." si bloccò, conscio di aver parlato male e di aver detto fin troppo. Per quanto odiosa e cattiva fosse stata con lui in passato, non meritava quanto le aveva appena vomitato addosso.
Mei cambiò radicalmente espressione, gli occhi che fino a pochi istanti prima erano stati gentili e comprensivi, erano velati di gelo.
"Che idiota sono stata in questi anni, che stupida. Ecco che cosa ho guadagnato. Ma sai che avete tutti ragione? La maternità mi ha ammorbidita. Dovrei tornare a essere la Mei che ero una volta e preoccuparmi solo delle persone che realmente amo, ad esempio la mia grande famiglia felice alla quale tu non appartieni. Quindi d'accordo, d'ora in avanti smetterò di essere civile nei tuoi confronti e di preoccuparmi anche per te, del resto per te non sono nessuno, giusto? Era questo che mi stavi gentilmente facendo notare. E per te questo è un bene, perché se fossi tua madre, ti avrei già preso a calci nel sedere!"
Lui parve riscuotersi.
"Mi dispiace, so di averti offeso, non so come abbia potuto dirti certe cose. Ti chiedo scusa, non è un bel periodo."
"Sì che lo sai, covavi rancore dai tempi della scalata del santuario e me l'hai riversato addosso dopo otto anni. Otto anni! Io ci avevo messo una pietra sopra nonostante in quella storia fossi una vittima, ti ho trattato da amico e questo è tutto ciò che sai dire? La prossima volta la pietra te la lancio direttamente in faccia! Sai che cosa puoi farci, con le tue scuse?" ribatté Mei. "Sei intelligente, dovresti arrivarci da te."
Attirato dai toni concitati, Camus si diresse in salotto.
"Che cosa sta succedendo qui?" domandò, non ricevendo risposta.
"Sai, è incredibile il modo in cui ti sei arreso. Non posso nemmeno definirti perdente, perché almeno ci avresti provato. Tu invece, accettando tutto passivamente, sei protagonista di qualcosa di peggiore della sconfitta." proseguì Mei, ignorando gli sguardi del marito. "Ti definisci adulto, ma in effetti sei solo uno sciocco ragazzino senza nerbo né spina dorsale! E tu saresti morto per lui? Bravo, i miei complimenti. Ne è proprio valsa la pena."
"Mei, dai. Non fare così. È un periodo strano per tutti."
"Per me no! Per me è un periodo felice perché ho potuto portare i miei figli a casa! E non me lo faccio certo rovinare da quella testa vuota! Quindi, mio caro, da oggi in poi farò come il buon vecchio Ponzio Pilato: me ne laverò le mani!"
Aveva preso a parlare nella sua lingua madre, segno che era inferocita.
"Qualunque cosa abbia detto, lascia stare, ha ragione." interloquì Hyoga.
Camus tornò a guardarlo.
"Certo che ha ragione. Ma è mai possibile che non si possa mai stare tranquilli in questa casa? Parla con te e litiga col fratello, parla col fratello e litiga con te. Mai una volta che si possa andare tutti d'accordo." borbottò Camus. "E comunque, problemi personali o no, non trattare come zerbini le persone che cercano di aiutarti, a maggior ragione se tra queste c'è mia moglie."
"Ho già detto che mi dispiace."
"Senti, io ti conosco bene e so che sei sincero, ma lei no."

Hyoga sospirò.
"Me la sono giocata, eh?"
"Molto probabilmente sì." rispose Camus, sincero. "Cercherò di mediare per te."
"Grazie."
"Non ti prometto niente, però. Ora scusami, ho dei documenti da ricontrollare." concluse, raccogliendo i fogli sul tavolo. Mezz'ora dopo si alzò dirigendosi al suo studio. In corridoio, però, si bloccò, dopo aver sentito qualcosa dal bagno.

"Tutto bene? Ti sentivo singhiozzare da fuori."
Immersa nella vasca da bagno mentre i bambini, finalmente, dormivano, Mei mise in pausa lo streaming con il telecomando posato accanto al bagnoschiuma.
"Oh mamma, davvero?" rispose, afferrando un asciugamani e asciugandosi gli occhi.
"Hyoga è veramente dispiaciuto per ciò che ti ha detto, non voleva farti reagire così."
Inarcò un sopracciglio, voltandosi a guardarlo.
"Come, scusami?"

"Hyoga mi ha chiesto di porgerti di nuovo le sue scuse. Non avevo idea che stessi così male."
"Ehi, ehi, frena. Pensi che sia così fragile da piangere per come mi ha trattata quello stupido? Assolutamente no, sei fuori strada." sbottò Mei, indicando il pc sistemato sulla cassettiera del bagno tra trucchi e flaconi, sul quale stava guardando una puntata del suo serial preferito. "Piango per il telefilm, è il finale dell'ottava stagione e sta morendo uno dei miei personaggi preferiti."
Sospirando, Camus spostò la pila di asciugamani dietro la testa di Mei e si sedette sull'ampio bordo della vasca, appoggiandosi poi al muro.
"...dì a Meredith che le voglio bene e che è stata una buona sorella...dì a mio padre..."
"Tu non stai morendo."
"Dammi... la mano."
"No. Non ti do la mano, perché tu non stai morendo."
Dei rottami, una ragazza intrappolata sotto l'ala di un aereo e un uomo, probabilmente il suo fidanzato, che gridando a pieni polmoni cercava invano di sollevare il rottame e liberare la sua donna. I singhiozzi di Mei aumentavano di secondo in secondo.
"Io ti amo. Ti amo. Sono sempre stato innamorato di te, e ti amerò sempre, perciò tu devi vivere. Noi... noi ci dobbiamo sposare e tu diventerai un grande chirurgo e avremo due o tre figli..."
"Stranamore?" domandò Camus, a bassa voce.
"No, quello è Derek. Questo è Mark Sloan."
"Ah."
"...siamo fatti per stare insieme."
"È la seconda volta che guardo l'episodio e speravo di averlo guardato male, e invece..."
"Quella sotto l'ala è... Meredith?"
"Ma no, è Lexie, sua sorella. Te l'avevo detto, che non prevedevo nulla di buono per lei e Mark. Odio la sceneggiatrice, se non fa morire qualcuno non sta bene."
"Mi spiace..." commentò Camus. "Tornando a Hyoga..."
"Ti ha sicuramente raccontato la sua versione dei fatti, ma come saprai anche tu, ogni campana ha due rintocchi." sbottò Mei, senza distogliere l'attenzione dallo schermo del pc. "In passato ho commesso errori come chiunque, ero furiosa e ferita e ho cercato più volte di fargli la pelle, ma poi basta, ho compreso il tuo punto di vista, l'ho accettato e accolto in famiglia e messo una pietra sopra quel brutto periodo."
"Lo sa, ha reagito in malo modo."
Mei uscì dalla vasca, sbuffando appena.
"Sarà ansioso, sotto pressione, agitato o quello che vuoi e posso comprenderlo, ma trattare la gente in questo modo, no, in fondo cercavo solo di aiutarlo. E poi, non ho mai permesso nemmeno a Shiryu di rivolgersi a me in questo modo, figurati se lo permetto al tuo allievo, che oltretutto con me –e con te, per quanto ti piaccia pensare il contrario- non condivide nemmeno una goccia di sangue." puntualizzò, infilandosi l'accappatoio e spegnendo il pc. "Per quanto mi riguarda, può anche arrangiarsi, da me non avrà più nemmeno una parola."

"Ah, dunque ora è di nuovo il mio allievo? Ricominciamo da capo?"
Dal ricevitore del baby monitor posato accanto al pc sentirono dei mugolii, segno che uno dei tre gemellini –Mei sperò non tutti e tre insieme- si stava svegliando.
"Scusa, ma ho cose più importanti alle quali pensare." gli disse, indicando l'apparecchio con un cenno.

"E per quanto riguarda il matrimonio? Mancano pochi giorni, sai." le ricordò Camus.
"Come ti ho già detto, ho cose più importanti alle quali pensare."
"Hai dato la tua parola."
"Non intendo rimangiarmela, ma non farò più dello stretto necessario: m'infilerò in quel vestito, farò dei luminosissimi sorrisi di circostanza e poserò per le foto ufficiali. Stop."
"Te lo chiedo per favore... potreste smetterla, tutti e due?"
"No. No, basta. E stavolta non riuscirai a farmi cambiare idea, non lo farò né per te né per Freya, la mia pazienza non è un interruttore che potete accendere e spegnere come vi pare." concluse Mei. "Per me questa faccenda si chiude qui."

Rimasto solo, Camus alzò per l'ennesima volta in quel giorno, gli occhi al cielo.
"Athena, ti prego, dammi di nuovo tanta pazienza, perché quella che mi hai dato ieri sta per finire."


***

Lady Aquaria's corner
-Il titolo riprende l'omonima, famosissima canzone degli ABBA. Perché? Diciamo che Camus vive la lite tra Hyoga e Mei e la situazione che si è creata tra lo stesso e Freya come due grandi sconfitte personali.
-"Vissi d'arte" è una struggente aria tratta dalla Tosca.
-Dobroye utro: secondo il mio frasario, buongiorno, ovviamente in russo.
-"Rende stupidi anche i saggi, l'amore, amore mio" è un verso tratto da "Il mare calmo della sera", di Andrea Bocelli.
-La frase che Mei dice a Hyoga, sulla resa, è tratta da "Appunti di un venditore di donne" del compianto Giorgio Faletti. L'originale è questa: "
È incredibile come certa gente si arrenda subito. Non sono perdenti, sono quelli che non ci provano nemmeno. E questo li rende protagonisti di qualcosa che è molto peggio di qualunque sconfitta."
-La puntata che Mei sta guardando è il finale dell'ottava stagione di Grey's Anatomy. Do' per scontato che, essendo il web pieno di frasi, immagini e meme riguardanti Mark e Lexie, quanto descritto non sia spoiler. Come già detto, non amo fare spoiler e questo non lo è.
Non mi resta che ringraziare come sempre, alla prossima.

 

Lady Aquaria

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Capitolo 39
*** Voulez-vous? ***


capitolo 39
39.
Voulez-vous?
 
Voulez-vous
Ain't no big decision
You know what to do
La question c'est voulez-vous?
[Abba – Voulez-vous]
 
Tredici giorni.
Non gli rivolgeva la parola da due settimane ininterrotte, e non era mai successo prima, nemmeno durante la convivenza forzata al Goro-Ho quando era stata così furibonda con lui da attentare alla sua vita. 
Erano bastate quattro parole sputate involontariamente durante una giornata storta a rovinare il fragile equilibrio che si era creato tra loro.
"Ti spiace se questi li sistemo nel tuo studio?" esordì Hyoga, portando tra le braccia un mazzo di fiori.
"Privjet, Hyoga. Gigli e tulipani, che fiori meravigliosi. A cosa li devo?"
[ciao]
Gli rispose posando sul tavolo il biglietto che aveva accompagnato i fiori, sul quale Mei aveva aggiunto qualcosa in rosso.
"Erano per Mei." spiegò. "Volevo scusarmi, le ho messo i fiori su, nella stanza degli Avi, e per tutta risposta li ho ritrovati da me, sul tavolo in salone."
Sopra il "mi dispiace" scritto da Hyoga, Mei aveva aggiunto "porta i tuoi fiori a Natassia, io non so che cosa farmene!" nella sua lingua madre.
"Quante maledizioni mi ha scritto?"
Camus si schiarì la voce, infilando il biglietto nella tasca posteriore dei jeans.
"Ehm... dice che non è disposta ad accettare alcun omaggio floreale, scuse o non scuse." rispose, diplomaticamente. "In Cina i gigli sono considerati fiori da cimitero, i tulipani li odia e l'arancione non lo sopporta."
Hyoga si sedette, sospirando dispiaciuto.
"Ne facessi una giusta."
"Ma no, semplicemente non lo sapevi." commentò Camus, pratico. "Ma se ha rifiutato anche i macarons significa che è ancora arrabbiata.
Per esperienza ti dico che il modo migliore per affrontare la situazione è lasciarle spazio e darle tempo. Gli scorpioni sono così, c'è poco da fare. Lascia che la rabbia evapori da sola."
"Immaginavo."
"Io però non lo sono, quindi questi li mangerò io. Nulla in contrario, spero."

"Figurati."
Camus scartò la confezione, quindi ne prese uno viola.
"Hanno rimesso in produzione quelli al cassis? Chissà che non mi addolcisca la giornata." sospirò.

"Lixue è ancora da Shiryu, mh?"
"Stamane si è negata al telefono. Shiryu ha cercato di indorarmi la pillola dicendomi che era uscita con Shunrei, ma l'ho sentita in sottofondo, dire allo zio che non voleva parlarmi."
"Hai provato con Whatsapp, o chiamandola direttamente sul suo cellulare?"

"Ha solo otto anni e sono totalmente contrario all'uso del cellulare alla sua età." precisò Camus. "Vorrei solo farle capire che l'amore che provo -che proviamo- per lei, non è diminuito ora che ci sono i piccoli."
"Prova a dirle che non è cambiato niente."
"Ma è proprio questo il problema. Non posso dirglielo, perché non è vero e oltretutto la prenderei in giro. Certo che le cose sono cambiate, ci sono tre neonati in casa che assorbono tutte le nostre energie e monopolizzano l'attenzione... Lixue queste cose le sente, non posso dirle il contrario."
"E quindi permetti a Shiryu di tenerla con sé a migliaia di chilometri di distanza? Così non si sentirà davvero abbandonata da voi?"
"Non l'abbiamo spedita noi in Cina, c'è voluta andare."

"E tu gliel'hai permesso?"
"Mei voleva impedirle di andare, io ho preferito assecondarla. E alla fine abbiamo anche litigato perché dice che sono troppo permissivo."

Hyoga sbocconcellò un macaron.
"Troppo, no. Forse un po'." convenne. "Pensare che con noi non lo sei mai stato."

"Oh sì, invece." protestò Camus. "Non ho mai alzato un dito su di voi e vi permettevo di uscire dall'isba e andare a zonzo, quando invece avrei potuto comportarmi come il maestro del tuo amico Ikki e percuotervi a ogni piè sospinto. Mi avresti preferito così?"
"No, direi proprio di no." rispose in fretta. "Al posto tuo, io..."
"Non sai cosa faresti al posto mio." lo interruppe Camus. "Puoi fare tutte le congetture che vuoi, ma la realtà dei fatti è un'altra. Quando diventerai padre -perché lo diventerai- capirai che nulla sarà più come prima, che tu stesso non sarai più la stessa persona. Del resto, come potresti? Un figlio è un pezzo di anima che vive fuori da te. Io ne ho quattro, e per me sono tutti uguali, non ce n'è uno più importante degli altri: ho quattro pezzi d'anima che vivono e respirano fuori da me, e come la loro madre, hanno il potere di rendermi fiero, farmi ridere, farmi arrabbiare e farmi sentire la loro mancanza nel giro di poche ore... ma va tutto bene, del resto questa donna, questi figli, questa famiglia... li ho voluti con tutto me stesso. Solo che a volte mi sento impotente, vorrei avere più esperienza di quella che ho, sapere cosa fare e quando farla. Lixue mi manca da morire. "
Hyoga giocherellò con il nastrino di raso della confezione.
"Posso solo immaginare quanto la cosa ti faccia star male."
"Mi sta distruggendo." ammise Camus, la voce incrinata.

Mosse qualche passo indietro, prima di voltarsi e chiudersi nello studio.
"Ciao, tutto okay?"
"Ciao, Shiryu. Passami Lixue." rispose Mei. Dall'altra parte sentì uno strano silenzio, quindi il fratello si schiarì la voce.
"A dire il vero, è fuori casa con Shunrei."
"Non prendermi per stupida, so che è lì vicino a te. Non mi farò mettere i piedi in testa da nessuno di voi due, perciò passamela subito."
"Va bene." Shiryu passò il cellulare alla nipote, non ottenendo alcuna reazione. "Non vuole, Mei. Mi spiace." dall'altra parte avvertì la sorella trattenere a stento la rabbia. "Ascolta, posso venire a prenderti, anche subito. Non è una cosa che dovete discutere per telefono."
"Non puoi, devi." replicò Mei. Chiusa la telefonata, tornò in cucina lasciando Milo in braccio a Camus.
"Che succede?!" le domandò, preoccupato dalla sua agitazione.

"Te lo spiego dopo. Ha già mangiato, devi solo fargli fare il ruttino." gli rispose, sistemandogli uno strofinaccio su una spalla. "Attento, Milo ha la tendenza a rigurgitare più spesso rispetto ai fratelli."
"Certo che suona strano sentire che devi far fare il ruttino a Milo... penso che trascorrerò il resto del pomeriggio a immaginarmi l'altro Milo abbarbicato sulla tua spalla, col bavaglino e il pagliaccetto color menta." sorrise Hyoga, divertito.

Suo malgrado, Camus ridacchiò a sua volta.
"Per Athena, no. Ottanta e più chili d'uomo sulla spalla, no. Milo pesa più di me." replicò, avvertendo in corridoio il Cosmo del cognato comparire d'improvviso e sparire con altrettanta velocità. "Mei?!"
Arrivati alla pagoda, Mei scoprì che la figlia era in salotto, a giocare come se nulla fosse, come se non le importasse un accidenti del disagio che aveva creato a suo padre. Non appena la vide, tentò di sgattaiolare fuori.
"Dove credi di andare? Questa storia deve finire." borbottò Mei, afferrandola per un braccio. "Su, prendi le tue cose e andiamo."
"Non voglio tornare a casa."
"Ti comporti così da quando abbiamo portato i bambini a casa e non capisco perché lo fai. Sbaglio o volevi dei fratelli con i quali giocare? Tuo padre si sta dannando l'anima per te, quindi, se vuoi essere arrabbiata con qualcuno, d'accordo, va bene, non posso certo impedirtelo: ma fallo con me, non con tuo padre... hai già torturato abbastanza quel pover'uomo."
"Voglio restare qui!"
"La mia pazienza ha un limite oltre il quale faresti bene a non andare. Hai dieci minuti per prendere tutte le tue cose e tornare in cucina." ordinò, perentoria. "Dieci, non un secondo di più. Bada che non scherzo, Lixue: se tra dieci minuti non sei di ritorno, saranno guai."
Lixue sostenne lo sguardo della madre per diversi secondi, decidendo poi di averne abbastanza e abbassarlo, prima di salire rapida alla sua stanza.
"Shiryu, permettimi di darti un consiglio: se volete altri figli, non aspettate troppo tempo. Troppa differenza d'età causa di questi problemi."
"Noi abbiamo circa la stessa differenza eppure non è stata una tragedia."
Mei sospirò.

"Dici? Ti ho chiuso sul balcone in pieno inverno e dici che non c'è mai stato niente di tragico?"
"..."
"Dai, non fare quella faccia, in fondo mica sei morto, sei un ragazzone grande e grosso."

"Che amore di sorella maggiore, sei."
Consultò l'orologio: Lixue aveva ancora cinque minuti.
"Ha mangiato?"
"Potevo mica lasciare digiuna mia nipote."
"I denti li ha lavati? E i compiti li ha fatti? Ah, non ha bagnato il letto, vero?"
"Sì alla prima, sì alla seconda e no alla terza." rispose pazientemente Shiryu.

"Oh, bene." annuì Mei. "Dicevo sul serio, poco fa. Se tu e Shunrei volete altri figli, non lasciate che trascorrano troppi anni. Otto sono troppi."
"E perché tu e Camus avete aspettato così tanto?"
Bella domanda.
"Perché siamo stati due idioti." ammise. "Potevamo già essere sposati da anni, e invece ci siamo comportati da cretini. Yian-Mei come sta?"
Interpellata, l'interessata iniziò a piangere dalla carrozzina.
"Beh, a giudicare dalla capacità polmonare, direi ottimamente." osservò Mei. "Posso portarla con me mentre ci riaccompagni a casa? A Camus farebbe piacere vederla."

"..."
"Che ti piaccia o no, è pur sempre suo zio."
"Acquisito."
Mei si sporse verso di lui, bisbigliando.

"Anche Shunrei è zia acquisita per i miei figli, eppure non ne ho mai fatto un problema."
Shiryu si schiarì la voce.

"Messaggio recepito."
"Ecco, bravo. Su, Lixue, andiamo."
Scomparvero dalla pagoda per finire in corridoio; dalla cucina, le note di una famosa canzone degli ABBA.
"...certo che ci vuole una bella dose di coraggio per infilarsi in quelle tutine."
"Perché? Meryl Streep è ancora una bellissima donna."
Camus bevve un sorso di tè.

"Ma no, io intendevo Pierce Brosnan e gli altri due. Non mi infilerei in una cosa del genere nemmeno sotto tortura." rispose. Avvertì ancora il Cosmo del cognato e decise di andare a vedere, trovandosi davanti Shiryu e Mei, di ritorno dal Goro-Ho con Lixue e la piccola Yian-Mei.
"Shiryu." esordì, a mò di saluto. "Che succede?"
"Nulla, la piccola scampagnata cinese è finita, giusto, Lixue? Saluta tuo padre e corri dritta in camera tua, a pensare a come chiedergli scusa." gli rispose, posando Yian-Mei tra le sue braccia. "Tieni, qualcuno qui voleva vedere suo zio."
Hyoga indugiò qualche istante, guardando Camus spupazzarsi la nipote. Scambiò qualche parola con Shiryu e decise di ritirarsi presto, in vista di quanto l'avrebbe atteso l'indomani.
"Per domani è tutto a posto?"
"Sì, ho preparato le valigie stamattina."
"Oh bene. Hyoga viaggerà con noi?"

"No, partirà domani mattina presto, viaggeremo con Milo e Shaina."
"Oddèi, menomale." sospirò Mei.
"Davay..." [Dai...]
Mei corrugò la fronte.
"Stai parlando russo... avanti, cosa c'è che non va?!"
Si sedette sul letto, passandosi una mano tra i capelli, con fare nervoso.
"Non... non era il caso di intercedere per me, così ora ce l'ha anche con te."
"Ah, Lixue. Posso sopportarlo." rispose Mei. "Tra qualche anno sarà un'adolescente, e questa faccenda sarà soltanto una sciocca baruffa al confronto. E poi, ho la tendenza a difenderti, non posso smettere."
Camus sospirò appena, sorridendo divertito alle ultime parole di Mei.
"Ascolta, è arrabbiata con me? Va bene, so gestire la situazione, del resto al dojo ho a che fare con due classi da venti bambini che a volte si azzuffano tra loro, la mia pazienza ha raggiunto livelli di sopportazione tale che nemmeno Saga riuscirebbe a farmi saltare i nervi, ma il modo in cui si permette di trattare te, mi spiace, non posso digerirlo. Ti ho visto piangere ed è una cosa che non riesco a sopportare. Non avrei nemmeno dovuto permetterle di scappare da Shiryu, a dire il vero... non so, forse sono stata troppo permissiva con lei."
"Tu non eri d'accordo, sono stato io a insistere e sbagliare. È una situazione passeggera, vedrò di parlarne con lei, da soli."
"Se io avessi trattato così mio padre, mia madre non me l'avrebbe mai perdonato... e nemmeno permesso, mi avrebbe fatto passare la voglia già in partenza. La gelosia fraterna è naturale, lo so, ma direi che così è anche troppo. Odio sapere che questa situazione ti fa stare male, non meriti tutto questo."
"Abbiamo superato cose peggiori."
"Lo so. Ma ho la sensazione di aver sbagliato qualcosa con lei, ultimamente qualunque cosa io faccia, lei riesce a trovare il modo per remarmi contro. Ha solo otto anni, non voglio immaginare cosa farà quando sarà adolescente: non manca poi tanto, sai?"
"Non è colpa di nessuno, è un periodo un po' così per tutti, e questo è il suo modo di reagire."
"Ancora non ho capito cosa intendi dire con é un periodo un po' così... così come? Avere tre figli in più in casa non è solo per un periodo, è per una vita! Lixue per prima, per tanto tempo, mi ha chiesto un fratello o una sorella con cui giocare e adesso che li ha, mi punisce per averli messi al mondo? È ovvio che tra l'idea di avere un fratello e la realtà dei fatti in cui quell'ipotetico fratello nasce e arriva nella tua vita c'è un abisso di mezzo, ma accidenti, non possiamo dargliele tutte vinte, non sempre è possibile fuggire di fronte a qualcosa che non ci piace: bisogna trovare il coraggio di affrontare tutto, anche le situazioni spiacevoli. Solo gli struzzi possono permettersi di nascondere la testa sotto la sabbia."
 
**
 
20 giugno, vigilia del matrimonio.
Visto da lontano, il palazzo reale di Asgard sembrava una fortezza militare più che un'abitazione: come ogni castello degno di questo nome, era stato costruito sul picco più alto della vallata, protetto da muri di cinta molto alti, torri e torrette disseminate –senza una logica apparente, ma chissà- qua e là, lunghi camminamenti orlati da merli e infine, l'imponente statua di Odino, che troneggiava sul maniero e sull'intera valle sottostante.

Nonostante il riscaldamento dentro il fuoristrada fosse al massimo –naturalmente, era impossibile usare il teletrasporto per spostarsi-, i numerosi strati di tessuto tecnico e non ultimo un pesante cappotto lungo a coronare il tutto, Mei rabbrividì.

Freddo o nervosismo, non sapeva spiegarselo.

"Bon sang, il fait un froid de canard!"
le sfuggì, battendo i denti.

"Come a Kobotec, del resto." le fece notare Camus, perfettamente a suo agio.

"Preferirei essere là."
"Fa un freddo d'anatra?!" ripeté Milo, voltandosi. "Ho sentito bene?!"
"Fa un freddo da anatre." lo corresse Camus. "È un'espressione tipicamente francese che descrive un freddo molto rigido e che riprende il periodo della caccia alle anatre, di solito in inverno, durante il quale i cacciatori dovevano restare immobili per molto tempo per poterne prendere una e quindi sopportare completamente il freddo intenso. Da qui, il froid de canard."
"...ah."
"Questa esaustiva spiegazione vi è stata offerta dalla Grand Larousse, consultabile anche al sito www.." interloquì Mei, prendendolo in giro.
"E dai, smettila." ridacchiò Camus.
"Avete sentito che pronuncia, ragazzi? Sembra la classica voce delle pubblicità dei profumi di lusso, sapete, di quelle voci suadenti e profonde, capaci di convincerti a spogliarti nel giro di tre secondi." osservò Shaina.
"Quando usa quell'inflessione impiega anche meno di tre secondi per farmi spogliare." le rispose Mei. "Su di me ha lo stesso effetto di Morticia che parla francese a Gomez."

"...perchè, di solito in quale lingua parlate?" interloquì Milo.
"Beh, quell'inflessione in particolare non la usa sempre, ma quando la usa... altro che Serge Gainsbourg e la sua canzoncina."
"Hé, ne te moque pas de moi!" [Ehi, non prendermi in giro!]
"Tu sais que je ne le ferais jamais."  [Sai che non lo farei mai.]
"No, ma ti diverti a vedermi imbarazzato."
"Sì, questo è vero." ridacchiò Mei, stringendo la sua mano nella propria.
Superate le mura di cinta, scoprirono che l'intero castello era in fermento per la cerimonia dell'indomani: fioristi alle prese con enormi corbeilles di fiori, furgoncini ovunque.
"Forse abbiamo evitato il picchetto d'onore." commentò Camus, a bassa voce.
"Lo spero, anche perché sono del tutto impresentabile." replicò Shaina, controllandosi nello specchietto. "E perché non mi sentirei a mio agio."
"Vuoi incipriarti un po'?" Mei le allungò un astuccio.
"No, grazie, non mi sarebbe d'aiuto. L'unico in grado di fare qualcosa sarebbe Michelangelo con il suo stucco."
Con sollievo di tutti –o quasi-, ad attenderli c'era lo sposo.
"Eccovi, finalmente." li accolse, sorridendo sollevato. "Com'è andato il viaggio?"
"L'avrei preferito più caldo." commentò Milo, facendolo ridacchiare.
"Dentro troverete calore in abbondanza. Konrad vi accompagnerà agli appartamenti, ovviamente i vostri due sono comunicanti." aggiunse Hyoga, guardando Milo e Camus. "E... so che non ti piacerà, Camus, ma il vostro è confinante con quello di Shiryu."

L'interpellato accennò a un sorriso di circostanza, mentre Mei si limitò a uno sguardo glaciale, dietro la sciarpa che le copriva quasi l'intero volto.
"Ti credi divertente?" commentò di punto in bianco, la voce tagliente. "A me va benissimo dormire accanto a mio fratello, non è un problema. La mia maggiore seccatura sarebbe scoprire che anche qui, come a Parigi, mi toccherebbe avere a che fare con te costantemente, 24/7. E ora, vostra altezza, gradirei riprendermi dal viaggio, se non avete nulla in contrario."

Si schiarì la voce, cercando di attenuarne il tremolio. 
"Prego." annuì, indicandole il portone.
"Bene. Con permesso."
Hyoga la vide cambiare espressione con una velocità disarmante, prima di rivolgersi al maggiordomo, che attendeva in disparte con il suo solito aplomb professionale.
"Herr Larsen, buongiorno, che piacere rivederla."  
"Avevi ragione quando dicevi che è come Milo." mormorò Hyoga, improvvisamente a corto di parole.
"Mne ochen' zhal'." rispose Camus. [Mi dispiace tanto.]
"Le passerà." Hyoga fece spallucce, prima di salutare Shaina e Milo e seguirli nel castello.
"Per un attimo ho temuto un'accoglienza in grande stile." sorrise Camus, circondandogli le spalle con un braccio mentre salivano un'imponente scalone.
"No, quello l'ha riservato ad Harald."

Milo s'intromise nel discorso.
"Scusa la curiosità, ma chi è?"
"Uno spasimante di vecchia data di mia cognata, un principe di stirpe reale: dicono sia un pronipote di Giovanni I di Sassonia." rispose Hyoga, prendendo una busta dalla tasca interna della giacca. "Harald Franz Ludwig Karlheinz Amalrich Xaver von Württemberg, per la precisione."
"Niente di meno." fece Milo, fermandosi a metà rampa.
"Perdindirindina." esclamò Camus nello stesso momento. "Camus Alexandre Gauthier-LaRochelle, discendente da un'antica stirpe di cuochi e pianisti, e ricordo a lorsignori di rivolgersi a me con il mio nome completo, pena l'esecuzione capitale. Naturalmente, per voi farò un'eccezione, madame."
Shaina proruppe in un inchino volutamente esagerato, sollevando delle immaginarie gonne.
"Troppo gentile, monsieur."
Divertito dal teatrino, Hyoga suo malgrado ridacchiò, contagiando i presenti.
"Temo che dovrete tutti accontentarvi di un modesto traduttore, non scorre sangue blu nelle mie vene."
"Ringraziando il cielo." sospirò Milo.
"Attenti a non farvi sentire, dicono sia anche piuttosto suscettibile." li ammonì Hyoga. "Se inizia a sbraitare in tedesco, chi lo capisce?!"
"Beh, in tal caso sarei lieto di migliorare la pronuncia della sua lingua in uno scontro verbale."

"Cerchiamo di evitare, d'accordo?" continuò l'altro. "La cena di gala è prevista per le ore venti e la cerimonia domani sera alle diciotto."

"Non credo che mi piacerebbe vivere in un posto come questo. Troppo sfarzoso, troppo esagerato... preferisco il nostro appartamento, è intimo e non disperde troppo calore." sorrise Mei, quando lo vide sulla porta del salottino. Allungò le mani verso il fuoco nel caminetto, lieta di potersi, finalmente, scaldare. "Spero che in sala ci sia sufficiente riscaldamento, o sopportare questo freddo per tutta la sera sarà una tortura... beato te che hai camicia e giacca, perché per me Freya ha scelto un abito che lascia le spalle nude: è di velluto, d'accordo, ma..."

Camus rimase in silenzio un attimo, indeciso se parlarle o no; nel frattempo guardò Mei spogliarsi: stivali, calzettoni, leggings termici, collant, maglione, maglietta a maniche lunghe, maglietta di micropile e body oltre, naturalmente, al cappotto –il suo, per inciso- e sciarpa.
"Come hai fatto a camminare con tutta questa roba addosso? Dico, non ti sembra di esagerare?!" le domandò esterrefatto, spogliandosi a sua volta e posando i vestiti sul letto.
"A differenza tua, non ho il Paraflu nelle vene." ridacchiò lei, seguendolo nella doccia. "Quanto tempo abbiamo, prima della cena?"
"Quattro ore."
"Direi che sono abbastanza. Ti ho già detto che la dottoressa ha dato l'okay?"
"Sì. Ma prima devo dirti una cosa, e dubito che, dopo, tu sarai ancora in vena."
"Mettimi alla prova: se sono disposta a sopportare il tuo orrendo shampoo al sandalo, sono disposta a sopportare quasi tutto." replicò Mei, infilandosi sotto il getto caldo.
"Très bien. Dovresti smetterla di essere così vendicativa e permalosa. Non fa bene alla salute e non ti fa onore. E a dirla tutta, non mi piace."
"A me non è piaciuta la sua battutina, guarda un po'."
"Crescete, una volta per tutte. E dico a tutti e due." sospirò Camus. "Sono preso tra incudine e martello, non ne posso più."
"Ascolta. Tu sei cresciuto figlio unico, giusto? Mi spiace girare il dito nella piaga, ma non sai che cosa significa crescere con un fratello. Shiryu e io litighiamo spesso, a volte non ci parliamo per settimane, ma è la stessa persona con la quale ho giocato, scherzato, riso e pianto. Se qualcuno ha diritto a parlarne male, quella persona sono io, non è Hyoga. Perché Shiryu è insopportabile a volte, ma è pur sempre mio fratello, e se devo scegliere tra lui e Hyoga, scelgo il mio sangue." rispose Mei, piccata. "E avevi ragione. Mi è passata la voglia."
"Te l'ho già detto che sei permalosa?"
 
*
 
Al ricevimento erano presenti così tante persone che la sola galleria principale non bastava a contenerle tutte, obbligando il personale di servizio a tirare a lustro anche le due gallerie laterali, di poco più piccole. Ad ascoltare Freya, il capocuoco era così nervoso che non dormiva da giorni, tirando avanti solo ed esclusivamente a caffè.
"Cucinare per più di duemila invitati metterebbe in soggezione anche uno stellato Michelin." commentò Camus, sistemando i gemelli ai polsini. "Anche mio padre sarebbe d'accordo. Mei, sei pronta?!"
"Io sono la sposa ed è più nervoso il cuoco di me." ridacchiò Freya. "A tal proposito, volevo parlarti di un certo locale in Rue du Faubourg Saint-Honoré."
A Camus sfuggì un sorriso nervoso.
"Non Louboutin, spero." rispose, ricordando l'ultima volta.
"No, parlo del ristorante nei pressi di Palais Borghese."
Lui corrugò la fronte.
"Ce ne sono diversi, uno dei quali è puntualmente scelto dal mio capo per le cene di lavoro. Un locale fusion piuttosto moderno, dalla cucina discreta, ma che non apprezzo."
"Camus... parlo del Madeleinettes." tagliò corto Freya.

"...sì?"
"Che secondo i miei documenti, a partire dalla primavera del 1991 ha sostituito il-..."
"...il ristorante di mio padre."

"Esatto. L'ho rilevato." rispose, ottenendo la sua totale attenzione. "E dato che non vi ho ancora fatto un dono di nozze degno di questo nome, volevo proporti di entrare in società con me."
Impiegò qualche istante a comprendere la portata di quell'ultima frase.
"Tu cosa?" domandò, gli occhi sgranati, mentre la pendola batteva sette rintocchi e tre quarti.

"Adesso non c'è tempo per parlarne, manca poco alla cena."
"Aspetta, aspetta un attimo. Non puoi sganciare una bomba di questa portata e poi ritirare la mano. Che significa, entrare in società?"

"Soci alla pari: 50/50."
"Io... non ho i mezzi per una cosa di questa portata."

"A quelli penso io, come ti ho detto, è un dono di nozze." insisté Freya.
"Non posso accettare."
"Ne parleremo con calma."
Mei uscì, finalmente, dal bagno.
"Possiamo andare..." s'interruppe, guardando i due: Freya a suo agio nel suo abito principesco, Camus accanto alla finestra con una sigaretta tra le labbra, alla ricerca dell'accendino, chiaramente nervoso. "Ho interrotto qualcosa?"
Freya si alzò, sorridendole.
"Assolutamente nulla." le rispose Camus, in fretta.
"Stavo dicendo a Camus che entro un mese io e Hyoga traslocheremo." interloquì Freya nello stesso momento, inducendo lui a voltarsi in sua direzione.
"Come? Dove?"
"I coniugi Montboissier si sono trasferiti definitivamente in Martinica e hanno messo in vendita l'appartamento, ma tranquilla, non faremo molta strada: ci sposteremo di un solo piano. Quello sotto il vostro, a essere precisi."
Camus assottigliò lo sguardo: era brava la principessa a rimescolare le carte in tavola.
"Io e Hyoga abbiamo concordato che, con quattro bambini, avrete bisogno di tutto lo spazio disponibile e come regalo di nozze, vi lasceremo il nostro appartamento. I miei avvocati hanno già disposto ogni cosa."
"Qualcuno qui si è dato alle spese pazze, a quanto pare." commentò Camus.
Mei corrugò la fronte nel sentire la nemmeno troppo leggera inflessione russa nelle sue parole: capitava di rado, e solo quando era così sottosopra da controllarsi a malapena.
"Non me la contate giusta, voi due."
"Oh, non preoccuparti, solo cose belle. Animo, Camus. Infilati quella giacca, siamo in ritardo. Non disturbarti, la strada la conosco molto bene." sorrise Freya, lasciandoli soli.
"Posso sapere anche io o è un segreto di stato?"
"Per favore, possiamo parlarne più tardi?"
"Certo." commentò Mei, atona. Il più tardi di Camus, conoscendolo, sarebbe diventato un mai, ma in qualche modo, avrebbe scoperto tutto.

Durante la cena cercò di captare qualunque cosa a riguardo, ma entrambi, si accorse, evitavano volutamente l'argomento.
"...come può Hyoga decidere di vivere il resto della sua esistenza in questo modo? Avere qualcuno che ti organizza le giornate, che ti dice cosa e quando farlo, qualcuno che ti impone un determinato abbigliamento perché altrimenti, sai che scandalo?" mormorò Shiryu, parlandole in cinese. "Insomma, posso capire se uno nasce reale e ci è abituato, ma lui..."
Mei si guardò intorno, abbagliata dallo sfarzo degli altri invitati.
"L'ultima volta in cui Camus ha tirato in ballo l'argomento, ha risposto che per nessun motivo avrebbe permesso alla cognata di decidere per lui e la sua famiglia, ma sai... tra il dire e il fare c'è un abisso di mezzo. Comunque, in ogni caso non è affar mio, perciò..."
Shiryu lanciò una fugace occhiata a Hyoga, seduto dal lato opposto del tavolo ovale.
"Cos'è successo stavolta?"
"È una faccenda troppo lunga da spiegare e non è questo il luogo adatto per parlarne."
"Credo di aver capito, ne parliamo un'altra volta."
"Meglio, perché se ci ripenso mi arrabbio di nuovo."
Freya si alzò, avvicinandosi a Mei e chinandosi per parlarle.
"So che in questi giorni tu e Hyoga avete avuto dei battibecchi, ho provato a togliere dal programma il ballo degli sposi con i loro accompagnatori, ma non ho proprio potuto."
Alzando lo sguardo, Mei si accorse che Hyoga la stava guardando a sua volta.
"Ti ringrazio per la premura, ma non ce n'era alcun bisogno, te lo garantisco." le rispose, corrugando la fronte.

"Bene, sono felice di sentirlo. Tra poco verrà servito il dolce, poi ci sposteremo nel salone. Il primo ballo è proprio quello che ti ho citato, mi spiace."
"Ripeto, non preoccuparti, non c'è problema."
Hyoga le parve piuttosto imbarazzato quando si trovarono faccia a faccia al centro della sala, insieme a Camus e Freya, ma non lo dava troppo a vedere.
Nonostante quanto ripetuto a Freya, però, non le andava a genio trovarsi lì in quel momento.

"Domani mi sposo, possiamo evitare di scannarci, almeno per le prossime trentasei ore? Non chiedo molto, solo di mettere l'odio da parte."
Lo guardò, interrogativa.
"Come scusa?"

"So che preferiresti essere altrove, ma domani mi sposo. Cerca di mettere il tuo astio da parte, per una volta."
"Non ho aperto bocca, mi pare. Hai voglia di litigare?"

"Hai una faccia che sprizza odio da tutti i pori. Durante la cena hai a malapena detto due parole e ora guardati."
Mei corrugò la fronte, cercando di capire a cosa si stesse riferendo Hyoga; era preoccupata da prima della cena, da quando aveva interrotto Camus e Freya e percepito la tensione che si era creata tra di loro. Quasi scoppiò a ridere.
"Oh, adesso ho capito. La mia faccia non ha nulla a che vedere con te, sono preoccupata per i fatti miei e comunque tranquillo, l'odio è un sentimento forte sotto molti punti di vista, e non lo spreco con te. Non preoccuparti per domani, andrà tutto bene, ci saranno sorrisi e belle espressioni, fotografie e balli, come previsto: non ho intenzione di rovinare il giorno di Freya."

Hyoga si schiarì la voce.
"Se è ancora per quella storia, mi sono scusato, se non vado errato."  
"Se? Eh no, mio caro. Non puoi maltrattare il prossimo come ti pare e piace e poi pretendere che tutto torni come prima con due biscottini e un mazzo di fiori, sarebbe troppo comodo! Non sono un interruttore che puoi accendere e spegnere come vuoi!" sibilò Mei. "E ora scusami, torno a sedermi perché sono stanca."
La seguì attraverso la sala da ballo, sospirando e sedendosi al posto che il cerimoniere aveva riservato loro.
Mei giocherellò un po' con il cellulare, cercando di far passare il tempo il più velocemente possibile, iniziando a essere insofferente a quello sfarzo, quella gente, quella stessa sera.
"Ehilà."
"Ehi." rispose.
"La serata è agli sgoccioli, sto per invitarti a ballare e non puoi dirmi di no: facciamo fruttare quelle noiose lezioni di ballo da sala."
Hyoga si sporse verso di loro.
"Noiose, ma necessarie." commentò. "I miei piedi non fanno più male come l'ultima volta, ma se la sono vista brutta. Tu comunque cerca di fare attenzione al sinistro."

"I miei sono abituati, ma grazie del consiglio."
Seduta dalla parte opposta del grande divano, Hilda vide Camus e attirò la sua attenzione.
"Sono ancora in tempo per un ballo? Naturalmente se Mei-Yin è d'accordo." sorrise.
Mei sorrise in risposta, un sorriso che Hyoga come sempre trovò inquietante, ma prima che potesse risponderle, interloquì Camus.
"Sicuramente il prossimo, per questo sono già impegnato."
Hilda annuì.
"Ci conto." lo redarguì.
"Se aspetta la mia approvazione, con te non ballerà mai." commentò Mei poco dopo.
"Mei, ti prego."

"Comunque sono colpita. Rifiutare una regina per me."
"È solo una regina." fece spallucce lui. "Tu sei mia moglie."

"Vedi di non dimenticarlo."
"Sei arrabbiata con me?"
Mei sorrise.
"No, stai tranquillo."
"Ottimo. Sai, dato che oggi pomeriggio mi hai mandato in bianco..."
"Oh, smettila."
"Perdonami, sono stato distante tutta la sera." si scusò. La guardò, prima di chinarsi e baciarla nel bel mezzo del valzer. "Sei bella da mozzare il respiro."
"È un tentativo per tenermi buona in vista del prossimo ballo?"
"Uhm... e funziona?"
"Chissà. Tu comunque continua a tentare."

 
 
"Hai notato anche tu che strana cera aveva Hyoga stasera?"
Mei continuò a strofinare le mani per far assorbire la crema.
"La sua solita cera, direi."
"E dai. Non sta bene, lo so."
"Io lo dico da un bel po' che quel ragazzo non sta bene, eppure non mi ascolta nessuno."
Preferì sorvolare sull'ultima affermazione, preferendo limitarsi a sbuffare e girarsi su un lato.

"Cosa c'è adesso?"
"Ho caldo." si lagnò Camus, rigirandosi nel letto.

"Fuori fa meno diciotto e tu hai caldo?"
Per niente abituato a dormire vestito, Camus si sentiva imprigionato dalla semplice maglietta bianca e dai pantaloni grigi che indossava a mo' di pigiama.

"Miei Dèi, mi strapperei tutto di dosso, odio soffrire il caldo."
"L'idea è buona."
"Se rovinassi la maglietta degli AC/DC, Milo mi ucciderebbe: è sua." sospirò Camus.
"Posso suggerirti una soluzione per alleviare le tue sofferenze?" proruppe Mei, scostando le coperte e sedendo a cavalcioni su di lui.

"Sono tutt'orecchi."
"Intanto inizierei col togliere questa, che dici? Ma sappi che ho bisogno della tua collaborazione." ridacchiò, iniziando con il sollevare la maglietta e scoprirgli l'addome.
Dal canto suo, Camus se la sfilò in un batter d'occhio.
"Fatto. E adesso?"

"Adesso... " Mei si chinò a lasciargli dei baci sul collo. "Uh, prima che mi dimentico... devo parlarti di una cosa."
"La dottoressa ti ha dato l'okay, lo so."
"Non devo parlarti solo di questo."
"È tanto urgente?"
"No, ma..."
"Allora parliamone più tardi." propose Camus. "Piuttosto, madame... sbaglio o in ospedale mi hai fatto una certa promessa?"

Mei fece finta di non capire.
"Quale promessa?"

"Non ci provare." l'ammonì, afferrandola saldamente per la vita e ribaltando i ruoli. "Sai benissimo di che cosa parlo, furbacchiona."
"Ah, adesso ricordo." ridacchiò Mei.
Ci vollero tre serie di squilli prima che Camus si accorgesse del trillo.
"Hai lasciato il telefonino acceso?"
Mei fece mente locale, per quanto consentito dalla situazione.
"Ho la batteria a secco, dovrei metterlo in ricarica." rispose. "Oh, ma chi se ne importa... dove eravamo rimasti?"
"Questa non è la mia suoneria." continuò Camus.
"Ma che ti importa?! Magari è quello di Milo."
"Milo dorme tre stanze più in là, non può essere il suo."
Il trillo ricominciò di nuovo, per la quarta volta, e Camus si sollevò sulle braccia.
"Il telefono interno."
"Cos'è, sua maestà vuol darti il bacio della buonanotte?!" borbottò Mei, incrociando le braccia sul petto. "Non le è bastato il valzer?"
"Smettila. Chiunque sia, lo liquiderò in un istante. Non muoverti, stai ferma esattamente dove sei."
"Agli ordini, mio signore."
"Attenta, potrei abituarmi." ridacchiò, rispondendo poco dopo. "...allô?  Parla un po' più forte, altrimenti non capisco... come?! Stai tranquillo, arrivo subito."
 
"Ma dai, stai scherzando?"
"È un'emergenza!"
"Oddèi, allora fai sul serio."
Milo posò il cellulare sul comodino, s'infilò un cardigan e uscì dalle sue stanze, entrando nel salottino comune all'appartamento adiacente, quello di Camus, giusto in tempo per vedere quest'ultimo uscire e Mei, incredula, inveire contro la porta.
"Ma non ci credo!!"
"Cosa succede?" le domandò.
Mei si strinse nella vestaglietta di seta, sospirando.
"Dammi qualche minuto, mi tolgo questa roba di dosso e torno." rispose, contrariata.
Milo si accomodò sul divano, versandosi un bicchiere d'acqua nell'attesa. L'amica tornò non più di due minuti dopo, avvolta in un pigiama e nel suo solito kimono rosso.

"Come fai a camminare là dentro? Sembra una di quelle mute da sub che usa Shura."
"Shura fa immersioni?"
"Ogni tanto, dice che lo rilassano."
"Ah. Sai, fino a poco fa non indossavo questo pigiamone. L'altro ieri ho stoicamente superato l'imbarazzo e mi sono avventurata da Victoria's Secret: non ci vado volentieri, soprattutto perché non è il mio genere, non sono una femme fatale. Ma mi son fatta forza e ho investito quasi cento euro in una vestaglietta leziosa, un baby doll e un pezzettino di stoffa che non lasciano niente all'immaginazione. Ottantadue euro, per essere precisi, pensa che stupida." rispose Mei. "E lui che fa? Mi lascia mezza nuda sul letto per andare in soccorso dello sposo con l'attacco di panico. È un matrimonio d'amore, mica un contratto combinato stile vecchi tempi, santi numi."
Milo scoppiò a ridere, una risata che Mei provò ad attutire pigiandogli un cuscino in faccia.
"Scusa, ma è troppo divertente."
"...hai idea di quanto sia scomodo un perizoma di pizzo? D'accordo, non ho il sedere di Adriana Lima e me ne rendo conto, ma..."

L'altro continuò a ridere, premendosi una mano sullo stomaco.
"Mi spiace, davvero. Non mi piace prenderti in giro, ma è così surreale che non posso farne a meno."

"È così frustrante."
"Ah, lo credo." sorrise Milo, comprensivo. "E comunque, quando ti prendono certe voglie, babydoll o pigiamone, non conta. Sarà per domani sera, dai. E niente sciopero del sesso per dispetto."
"Macché." sospirò Mei. "Il dispetto lo farei a me, non a lui."
 
**
 
21 giugno, giorno del matrimonio.
Meno due ore alla cerimonia.

Hyoga si presentò alla porta di Camus, bussando con una certa veemenza.
"Avanti."

"Camus non c'è?"
"Non lo vedo da un po'." rispose Mei. "Pensavo fosse con te."

"Hai per caso visto Freya? Avrebbe dovuto iniziare a prepararsi."
In effetti non vedeva nemmeno Freya da un po', forse dalla sera prima.

"Quando sono andata nelle sue stanze per trucco e parrucco lei non c'era." convenne. "Ti chiedo scusa, ma ora dovrei vestirmi."
Hyoga richiuse la porta dietro di sé, preoccupato.

"Sei sparito dopo pranzo, ma dove sei finito?"
"Freya è con te? Dimmi che è con te, perché sua maestà comincia a dare segni di nervosismo."
"Camus, per favore, quando senti questo messaggio mi richiami con urgenza? Non trovo Freya e mancano due ore al matrimonio."
"Sono di nuovo io... qui si è scatenato il panico. Hilda sta continuando a farmi domande e... assolutamente no, non le do' il numero di Camus!!"
Camus si schiarì la voce, dopo aver ascoltato i vocali arrivati su Whatsapp. I primi due e l'ultimo di Mei, il terzo, di Hyoga.
Quindici, le chiamate perse.
Ripose gli auricolari nella tasca della giacca e guardò Freya, seduta accanto a sé sulla panca, di fronte alla Zattera di Medusa.
"...a che grado è arrivato il panico che ho scatenato?" mormorò Freya, di punto in bianco.
"Se fosse un terremoto, direi un magnitudo 6 della scala Richter." rispose Camus. "Allarmante, ma non ancora devastante."
La sentì sospirare, quindi rivolgere ancora lo sguardo all'enorme dipinto che campeggiava sulla parete bordeaux.
"Siamo seduti qui da quasi tre quarti d'ora." le fece notare.
"Lo so. Devo dedurre che non ti piace il Romanticismo?"
"No, sicuramente lo preferisco all'Impressionismo. Ma vorrei farti presente che mancano due ore al matrimonio."
"Questo dipinto è straordinariamente bello." esordì Freya, poco dopo. "Una sorprendente testimonianza di una tragedia. Per quanto sia atroce, sotto molti punti di vista, è come una minuziosa fotografia di quel che successe su quella zattera di fortuna in balia delle acque. Rimango basita ogni volta che lo guardo, come se fosse la prima. La sua crudezza mi ricorda Il Massacro di Scio, una prova sconvolgente dei crimini turchi ai danni dei greci, che però venne fraintesa più volte."
"Freya... starei qui ore a parlare di Delacroix o di Géricault, ma qualche chilometro più in su c'è una persona che ti attende con ansia."
"Credi che non lo sappia?" rispose lei. "Quando ho messo piede in sala, ieri sera, mi son sentita sopraffare dalla marea di invitati. Stamani non ho fatto colazione perché mi sentivo soffocare. Hilda ha fatto le cose in grande come sempre, come quando per consentirmi di studiare a dovere, obbligava i musei a concedermi visite private, o quando per non farmi stare in mezzo alla folla, pretendeva e otteneva i film direttamente a palazzo, prima che fossero trasmessi nei cinema. La cerimonia, e il ricevimento, dovrebbero usarli lei e Harald, perché non è questo il modo in cui mi volevo sposare, io e Hyoga avevamo altro in mente."

"E lo dici solo adesso?" sbottò Camus, con più fervore di quanto volesse. "Hyoga sta male da tempo per questo, eppure per amor tuo si è tenuto tutto dentro e nonostante i disturbi che ne ha ricavato, adesso è lì in quella stanza a preoccuparsi per te e a cercare di capire che cosa diavolo stia succedendo. O torniamo a palazzo e parli chiaramente con tua sorella, oppure decidi di stringere i denti e affrontare le prossime ore, perché io non mi presterò a questo giochetto. Non posso e non voglio fargli questo. Vado a fare una telefonata, ti aspetto fuori."
Freya lo vide allontanarsi verso l'uscita della sala, chiaramente nervoso, e sospirò.
A Palazzo, intanto, il panico si era diffuso a macchia d'olio; Hilda continuava a camminare nervosamente da una parte all'altra del salotto di Camus e Mei, rendendo difficile la vita alla pazienza di quest'ultima.
"...cosa le è preso? Tu ne sai qualcosa? Avete litigato? Che cosa hai fatto?"
"Inizio a capire perché le stai il più lontano possibile." mormorò Mei, massaggiandosi le tempie. "Ho a che fare con lei da meno di trenta ore e già non la sopporto più."
Ignorando le occhiatacce della cognata, Hyoga si abbandonò allo schienale del divano.
"Mi sta scoppiando la testa." biascicò, dolorante. "Perché non chiamano? Cosa è successo?"
"Magari ha avuto un ripensamento." interloquì Ikki, attirando le ire del fratello.
"Smettila!! Non dargli ascolto, sicuramente ha una spiegazione."
"Le hai parlato delle ultime settimane?" domandò Shiryu.
"Certo che no."

"Sicuro? Non ti è sfuggita nemmeno una parola? Forse vuole risparmiarti tutto il circo che ti aspetta giù."

"E ci pensa adesso?" sbottò Mei. "A meno di due ore dal matrimonio? Non è modo di comportarsi, questo, non si può mollare una persona all'altare così, di punto in bianco. Non siamo in un film!"
"...almeno ho ancora le sopracciglia al loro posto." commentò Hyoga, citando Grey's Anatomy.
"Si, mi pare proprio il momento di fare lo spiritoso."
"Vuoi dirmi che forse non torna? Freya è biologicamente una donna, eppure ha più attributi di te." ridacchiò Ikki.
"Ikki, giuro che ti mollo un calcio nel sedere così forte che ti faccio tornare a Tokyo con le chiappe in mano." sibilò Shun. "Poi vediamo chi ride."
Quando il cellulare di Mei squillò, tutti i presenti tacquero di colpo.
"...sì?"

"Per rispondere ai tuoi messaggi, siamo a Parigi. Tutti e due."
"Immaginavo. Stai bene? Dove sei?"
"Alla Cour Napoléon, sto aspettando che Freya esca dal Louvre."
"Proprio la giornata ideale per fare una capatina al museo, mh?"
A Camus non sfuggì il tono ansioso dietro il cambio repentino di lingua.
"Non puoi parlare, ho capito. Ascolta, dì a Hyoga che saremo di ritorno nei prossimi minuti."
"D'accordo. Ehi, no. Con tutto il rispetto, ma no!"
"Cosa succede?" domandò Camus, sentendo Mei tornare al francese e Hilda in sottofondo, pretendere il cellulare col quale stavano parlando. "Mei, attenta a come rispondi o mi toccherà fare gli straordinari con la diplomazia asgardiana."
Quando chiuse la chiamata, Mei si schiarì la voce.
"Ha detto che stanno tornando." annunciò. "Saranno qui a minuti."
"...e con ottime ragioni per comportarsi in tal modo, mi auguro." ribatté Hilda, riprendendo a camminare avanti e indietro. "Camus mi deve qualche spiegazione."
"Credo invece che le spiegazioni le debba Freya." interloquì Mei. "Non trova?"

Come evocata, Freya comparve insieme a Camus in quel momento.
"Ha ragione, sono io a dover dare spiegazioni. Hyoga, possiamo parlare un momento, per cortesia?" esordì, guardando prima la sorella, poi il fidanzato. "Non posso fare questa cosa se prima non ho la certezza che sia tutto a posto e che lo vogliamo entrambi."
"Ma che vai blaterando, certo che lo vuole. Chi non vorrebbe essere al suo posto?!" ribatté Hilda, sbigottita. "Stai cercando di disonorare il nostro buon nome? Come osi prendere in giro mia sorella in questo modo?"
"Il punto non è questo. Hyoga non vuole prendersi gioco di nessuno è che..." intervenne Camus.
"Oh, basta diplomazia, per favore, adesso non serve." lo interruppe Freya. "Sai quante volte io e Hyoga abbiamo immaginato il nostro matrimonio, in questi mesi? Nessuno di noi due voleva tutto questo, non è ciò che avevamo in mente. Stiamo vivendo il tuo sogno e sprecando il nostro. Adesso basta, voglio parlarne con Hyoga, da sola."

***

Lady Aquaria's corner
-In realtà gli struzzi non nascondono davvero la testa sotto la sabbia, come da modo di dire. In vista di un predatore, lo struzzo si accuccia al suolo appiattendosi il più possibile per ingannare il nemico e finendo così per assomigliare a un cespuglio e per alimentare, involontariamente, il modo di dire che lo riguarda.
-La canzone di Serge Gainsbourg citata da Mei è la famosissima Je t'aime... moi non plus, cantata con Jane Birkin. Ora, sarò controcorrente, la canzone non mi piace. Ma il francese è uno dei miei punti deboli, e la sua pronuncia mi piace da morire.
-Hyoga cita un episodio di Grey's Anatomy, nel quale Cristina, prima del mancato matrimonio con Preston, subisce la rasatura delle sopracciglia da parte della futura suocera.
-La zattera di Medusa e il Massacro di Scio sono due opere del romanticismo francese, appartenenti rispettivamente a Géricault e a Delacroix.

Per oggi le note sono così, corte.
Non mi resta che ringraziare chi ancora legge, rimandarvi al prossimo capitolo e augurarvi Buone Feste.


Lady Aquaria

 

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** Into the fire. ***


40 principale
40.
Into the fire.

 
Primo luglio.
"Fonti sicure mi hanno detto che ho perso il colpo di scena del secolo."
Chino sul sedile posteriore, Milo si rialzò qualche istante dopo.
"Ciao, Aiolia. In effetti sì, te lo sei perso: la sposa ha dato forfait all'ultimo, a meno di due ore al matrimonio."

Aiolia fischiò, sorpreso: com'era possibile che quei due avessero rotto così d'improvviso e in un modo così brutale? Erano sembrati così innamorati...
"E Hyoga come l'ha presa? Abbandonato all'altare come nei classici cliché hollywoodiani, minimo dev'essere furioso." osservò.
All'inizio la maggior parte dei presenti aveva pensato la stessa cosa. Però poi, Freya aveva tenuto un discorso di fronte a tutti gli invitati spiegando che no, non stava rifiutando il futuro marito, stava solo rifiutando quella cerimonia.
La confusione che era seguita, beh... quella era un'altra storia.
"No, i due piccioncini si sono poi sposati al municipio di Parigi." spiegò Milo. "La cerimonia da sogno se la son goduta la regina e il suo regale corteggiatore. Così le tonnellate di cibo cucinate dai cuochi di corte non sono andate sprecate e il regno ha un nuovo principe consorte. Un po' anzianotto per lei, ma chi sono io per giudicare?!" 
Ridacchiò appena, avvertendo il cellulare vibrare in tasca.
"Ricordati di porgere loro i miei auguri non appena ti capita l'occasione." tagliò corto, avvertendo una seconda vibrazione.

"Lo farò sicuramente oggi, tornano da Bali."
"Ah, quasi dimenticavo..." Aiolia si sporse nella propria auto, emergendo poi con una scatola rettangolare infiocchettata. "Questo è per Nikos, so che dovrà nascere a breve."
Milo pensò a Shaina, ricoverata dalla mattina precedente.
"Sì." sorrise di rimando, accettando il dono. "Come sta Marin?"
L'altro si schiarì la voce.

"Ha deciso di trascorrere qualche tempo in Giappone, l'ho accompagnata il giorno dopo le dimissioni dall'ospedale e vi manda i migliori auguri per il bambino. Sto andando da Shion affinché la dispensi dalle Anfidromie... sai, penso che non reggerebbe la vista di troppi bambini: il tuo, i figli di Camus, la figlia di Shaka."
"Shion capirà." annuì Milo. "Non sai quanto mi dispiace."
"Lo so, e ti ringrazio." rispose Aiolia, prima di guardare l'orologio. "Beh, io vado. Ancora auguri per il piccolo."

Milo lo guardò avviarsi alle scale, con un misto di costernazione e preoccupazione: Aiolia pareva invecchiato di vent'anni, ma una batosta come quella che era capitata loro tra capo e collo avrebbe messo a dura prova chiunque.
A proposito di figli, si accorse che qualcuno era in ritardo.

Fermo davanti allo specchio della stanza di Mei, Camus guardò per l'ennesima volta la sua figura riflessa e avvolta nell'hanfu nuziale di suo suocero: un abito notevole, cucito a mano per un'occasione altrettanto importante.
Mei gli aveva spiegato, tempo prima, che la cerimonia dei suoi genitori era stata super tradizionale, e che si erano cambiati d'abito per ben tre volte, nell'arco della giornata.
Calcolando che uno dei tre hanfu era andato perso e quello rosso l'aveva indossato Shiryu –contando anche che il rosso acceso di quell'abito avrebbe fatto a pugni con i suoi capelli-, a lui non restava che quello, che Mei aveva riservato a lui fin dall'inizio, da quando avevano recuperato i bauli dei suoi suoceri: un bel punto di blu indaco molto bello, certo non poteva dire il contrario. La piccola crocchia sulla sommità del capo in cui Shunrei aveva raccolto qualche ciocca di capelli, lasciando sciolti gli altri nello stesso modo in cui Mei aveva acconciato i capelli di Shiryu per il suo matrimonio, completavano l'insieme.
Solo una cosa lo faceva apparire ridicolo, mettendolo a disagio.
"Shiryu, una domanda, prego." esordì di punto in bianco. Forse era il nervosismo insolito e nel sottile disagio che provava nel trovarsi lì, ma il vestito pareva tirare un po', in certi punti.
"Puzza di canfora, lo so: una volta portato in lavanderia tornerà come nuovo." minimizzò suo cognato.
"La canfora è l'ultimo dei miei problemi. Quanto era alto tuo padre?"
"Quanto Mei, perché?"
Già, perché.
"Se osservi meglio troverai da te la risposta." ribatté Camus, puntando le mani sui fianchi.
"Forse sono state cucite delle pinces, qui dietro." interloquì Shunrei, indicando due punti sulle cuciture delle spalle. "Bisognerà scucirle."
"Senza dubbio." sospirò Shiryu, comprendendo il problema vero e proprio: anziché toccare terra, l'abito sfiorava le caviglie lasciando totalmente scoperti i piedi. Sembrava un accappatoio piuttosto che un abito nuziale. "No, questo non va bene."
"Non mi dire."
"Bisognerà ordinare delle scarpe nuove." Shunrei prese appunti, dopo aver riposto le scarpe di tela ricamata del suocero, decisamente piccole per i piedi di Camus. "Che misura porti?"
"Quarantacinque."
"Tre numeri più di me." osservò Shiryu. Girò intorno al cognato, notando che la veste tradizionale di suo padre, che su di lui era rimasta più morbida, su Camus era più aderente, soprattutto sul girovita.
"Chiamerò la sarta, bisognerà scucire anche qui." proseguì Shunrei. "Potremmo aggiungere della stoffa e..."
"Strano... cosa porti, una cinquantadue? Forse per questo l'hanfu ti fa difetto sulle spalle, io porto una quarantaquattro e quello rosso mi andava un po' largo."
"Porto una quarantotto." rispose Camus, con una lieve inflessione stizzita nella voce. "E qui c'è ben poco da fare: cucire, scucire... ne prenderò uno nuovo e non se ne parla più."
"Se Mei te l'ha riservato, significa che ci tiene." sbottò Shiryu, scattando qualche foto con il cellulare. "Anche acquistandone uno nuovo nello stesso colore, non sarebbe la stessa cosa e non so nemmeno se faremmo in tempo. Modificheremo questo."

"Non ho alcuna intenzione di rendermi ridicolo il giorno delle mie nozze. Ne acquisterò uno nuovo, con buona pace di Wei-He buon'anima e se non dovessi fare in tempo, indosserò la mia armatura, discorso chiuso." sbottò Camus, dirigendosi in bagno per spogliarsi. "E cancella le foto."
"Mei non sarà contenta..."
"Nemmeno Shunrei lo sarà, se non cancelli quelle foto."

Il cellulare iniziò a vibrare sul lavandino, e rispose al primo squillo.
"Milo...non immagini quanto sia felice di sentirti."
"Addirittura? Stavo per rimproverarti per il ritardo, ma farò finta di niente."
ridacchiò Milo, dall'altra parte. "Dove sei? Ho bisogno di averti vicino sai, nel caso dovessi svenire e battere la testa da qualche parte nella caduta."
"Non scherzare, devi sostenere Shaina. Io sarò lì tra un po'."
"Ti sento lontano, dove diamine sei?"

"Al Goro-Ho, a provare il vestito da sposo. Non farmi domande in merito perché non risponderò."

Milo controllò il cellulare, scoprendo un messaggio whatsapp inoltrato da Hyoga che conteneva le foto scattate da Shiryu.
"Non preoccuparti, quella vestaglia blu parla da sé." gli sfuggì.
"...vestaglia?" replicò Camus, realizzando poco dopo. "Cosa..? Lo uccido, lo giuro."
"Ma no, perché? Stavi molto bene." Milo non riuscì a trattenere le risatine.
"Molto divertente, Milo. Hai mangiato pane e simpatia a colazione?"

Si rivestì e restituì il vestito prima di tornare a casa a svolgere due commissioni.
"Peccato, niente vestaglia." lo accolse Milo, nel vedere la polo e i jeans che stava indossando Camus.
"Lascia perdere, credo che indosserò la mia armatura e basta." rispose quest'ultimo, glissando sulla battuta. "Oh cavolo! Cos'hai  combinato alla mano?!"  
Milo scosse le spalle.

"Niente di che, un piccolo incidente in sala parto." minimizzò. "Shaina mi ha stretto un po' la mano."
"Un po'? Hai le unghie viola."
"Ho già ricevuto delle cure in merito." disse Milo. "Ora vieni a vedere mio figlio."
I ruoli si erano invertiti: ora era Milo il padre orgoglioso che mostrava il figlio e Camus quello che guardava dietro il vetro della nursery: un neonato paffuto con una zazzera di capelli neri.
"I capelli sono di Shaina, ovviamente. Ma gli occhi, li ha presi da me."
Sorrise, evitando di ricordargli che molti neonati nascevano con gli occhi chiari, salvo poi scurirsi nella stragrande maggioranza dei casi quando la melanina si stabilizzava.

"...e... beh, tu non puoi saperlo, ma ha preso da me anche in altre cose..." sghignazzò Milo.
"Spero non il tuo stesso cervello, altrimenti è fregato."
"Appena l'infermiera me l'ha porto, ho dato una sbirciata per controllare se fosse tutto a posto e... non ti immagini nemmeno."
"È un gonfiore fisiologico, si stabilizzerà presto, non darti arie."

Milo rise alla battuta, quindi gli circondò le spalle.
"Torniamo da Shaina, tra poco lo porteranno in camera per la poppata."

"Dobbiamo andare a festeggiare, e non accetto un no come risposta." riprese Camus. "Ah, tra l'altro, ho portato un paio di cosine per Nikos."
In camera, trovarono le compagne ancora intente a parlare tra loro di parti, figli e dolorosissimi punti interni; Milo non menzionò il breve dialogo avuto con Aiolia, preferendo riportare a Shaina solo gli auguri dei due amici e il loro dono, consistente in un completino da culla.
"Neanche a farlo apposta, abbiamo scelto la stessa fantasia." sorrise Camus, indicando con un cenno il set a Mei: blu, con delle stelline gialle in pigiama e cuffietta.
"Beh, te l'avevo detto, a tinta unita era triste."

Nei loro sacchetti, Shaina trovò un marsupio e una maglietta con la scritta Bello io? Dovreste vedere mio zio!
"Questa l'ha scelta lui." Mei scosse la testa, divertita.

"Non c'era nemmeno bisogno di spiegarlo." rispose Milo, guardando Camus che, sorrisone a trentadue denti, stava cullando suo figlio. "Sono ancora sottosopra, non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno."
"Io sì, l'ho sempre saputo." lo interruppe l'altro, senza distogliere lo sguardo dal bambino. Prese poi a mormorare qualcosa a Nikos, che gli altri non riuscirono a sentire.

Shaina si schiarì la voce, notando che Mei aveva cambiato radicalmente espressione negli ultimi cinque minuti.
"Tutto bene? I bambini come stanno?" le domandò.

"Molto bene, grazie. Ogni tanto sembrano concedere qualche ora di tregua durante la notte." rispose Mei, con un sorriso tirato. "Però sono costantemente stanca, quindi non fate caso ai miei sbadigli."
La natura del suo malumore era un'altra, ma ovviamente non ne avrebbe mai parlato con i due neogenitori. Si alzò, coccolò qualche istante il piccolo Nikos –che Camus non pareva intenzionato a lasciar andare- e uscì dalla stanza con la scusa di andare a prendere un caffè.
"Non vorrai davvero bere questo schifo."
Sobbalzò, colta di sorpresa mentre passava in rassegna le possibilità offerte dal distributore automatico.
"Vedi altre soluzioni?" domandò, dopo aver riconosciuto la voce di DeathMask. Si voltò e quasi le caddero di mano portafogli e cellulare.
"Che c'è, hai visto un fantasma?"
"Fischierei se potessi, ma siamo in un ospedale." gli rispose, lo sguardo che andava dai capelli, più corti rispetto a un tempo e di un bel castano, agli occhi, che in qualche modo sembravano più scuri, per finire sulla linea della mandibola, coperta da un velo di barba. "Che cosa hai combinato? Sembri un altro."

"Lenti a contatto e tinta per capelli."
"Ancora non ci credo che sei tu... accidenti quanto stai bene!"
"Con questo ti sei guadagnata un caffè. Lascia stare questa brodaglia, vieni con me."

"Chiedo venia messere, ma sareste così cortese da rendermi il pargolo?"
Seppur con riluttanza, Camus restituì il bambino a Milo, quindi, si affacciò alla finestra.
"Con chi sta uscendo Mei?" domandò Milo, seguendo il suo sguardo.  
"...vorrei saperlo anche io."
Soprattutto avrebbe voluto conoscere la natura di tanta confidenza, dal momento che lo sconosciuto circondava le spalle di Mei con un braccio.

"Sento puzza di gelosia." commentò Shaina, dal letto.
"Nient'affatto."
In corridoio, un'infermiera iniziò ad invitare i visitatori ad avviarsi all'uscita del reparto, e Camus si apprestò a prendere le cose che Mei aveva lasciato sulla sedia prima di uscire.
"Di qualunque cosa tu abbia bisogno, non farti scrupoli e chiama, okay?" disse a Shaina. "Riposati finché hai la possibilità di farlo."
"D'accordo... ringrazia Mei da parte mia." rispose Shaina.

"Milo, mi tocca uscire o quella giunonica infermiera verrà a prendermi di peso." scherzò. Milo, però, non rispose: probabilmente non l'aveva nemmeno ascoltato, troppo preso da Nikos. Sorridendo, gli posò un bacio sulla testa.
"Hai detto qualcosa?" si riscosse Milo.
"Nulla d'importante." si congedò Camus, uscendo poco dopo dalla stanza. Raggiunta l'auto, sistemò le cose di Mei sul sedile posteriore e s'appoggiò alla portiera, accendendosi una sigaretta: lei era ancora nel bar, mentre sorseggiava qualcosa al bancone insieme al tizio intravisto dalla finestra.

"Perché non entri?"
La guardò dietro le lenti fumé degli occhiali da sole; era ferma sulla porta del locale.

"L'ho appena accesa." le rispose. "Ma tu vai tranquilla, ti aspetto qui fuori."
"Ora cos'hai?"
"Io? Niente." replicò, esalando una nuvoletta di fumo in sua direzione.

"D'accordo, farò finta di crederti. E comunque, quella con la sindrome premestruale sono io, potrei farti passare cinque giorni d'inferno e allora sì che avresti ragione di lamentarti."
 
Scoprire che lo sconosciuto altri non era che DeathMask –o Turi, come insisteva a chiamarlo Mei- l'aveva sorpreso non poco, ma col suo solito aplomb, non l'aveva dato a vedere.
"Avevi paura che fosse un certo attore, vero? In quel caso a quest'ora sarei già stata in volo per il Canada."
Camus inarcò un sopracciglio, prima di salire in auto.
"Tempo una settimana e poi già immagino la cronaca internazionale: il popolare attore della trilogia di Matrix è morto suicida a causa della giovane fiamma, un'italo-cinese che l'ha fatto uscire di senno. Passeresti alla storia come colei che ha ucciso l'Eletto."
Mei scosse la testa, ridacchiando.
"Sciocco. Che ne diresti se facessi uscire te, di senno?"
"Perché, scusa, che cosa stai già facendo da nove anni a questa parte?"
Per tutta risposta, lei allungò una mano al suo ginocchio, risalendo piano, finché Camus la fermò.
"Mi farai uscire di strada." l'ammonì. "E Aphrodite sarebbe capace di trasformarmi in una fioriera per le sue rose bianche se succedesse qualcosa alla sua auto. Riprenderemo il discorso a casa, più tardi."
"Con quattro bambini che dormono a due porte di distanza? Ti ricordo che la camera dell'undicesima casa non è insonorizzata come quella su a Parigi: basterebbe un grido dei tuoi a svegliarli." gli rispose, facendolo avvampare e voltare di scatto verso di lei.
"..."
"È scattato il verde." proseguì Mei, fingendo di non notare la sua espressione e canticchiando seguendo le parole del cantante in radio. Rise, quando lo udì borbottare uno svergognata! tra i denti, con fare divertito.
"Cambiando discorso... posso sapere perché sei uscita dall'ospedale? Qualcosa non andava?"
"Avevo bisogno di prendere un caffè, ho incrociato DeathMask e me ne ha offerto uno al bar. Dev'esserci per forza qualcosa che non va?"
"Non saprei, a un certo punto hai cambiato espressione."
Rimettere in mezzo sua nipote e la non-reazione che lui aveva avuto a febbraio, quando Yian-Mei era nata, avrebbe riacceso una polemica che preferiva evitare, soprattutto a ridosso delle Anfidromie. Mise su il proverbiale buon viso al cattivo gioco e sorrise.
"Come ho già detto a Shaina, sono solo stanca, tutto qui."
Camus annuì, tamburellando le dita sul volante.
"Ascolta..." riprese, dopo qualche minuto. "...so che ultimamente ti ho trascurata, ma quando ti dicevo che non mi piace questa sorta di amicizia con DeathMask, non lo dicevo per egoismo, ma perché sono preoccupato."
"Non capisco dove tu voglia arrivare, abbiamo preso un caffè... il suo cambiamento non ha nulla a che vedere con me." rispose Mei. "Oddèi, ti prego. Non mi sento trascurata, ma anche fosse certo non cercherei un contatto in quel senso con uno come lui. È per una donna che ha conosciuto in Italia, a una sorta di festa a tema: ha detto che prima di mostrarsi per quel che è, preferisce vedere come si sviluppano le cose con lei."
"E si è tinto i capelli? Al posto suo avrei più paura a far trapelare il mio passato piuttosto che un difetto congenito." rispose. "Il sicario più spietato del Santuario che teme di mostrare i capelli grigi e gli occhi rossastri. Questa sì che è bella."

"Perché devi essere così sgarbato? Questo sarcasmo non è da te."
"Può sembrare una persona normale, ma a conti fatti è tutt'altro e speravo che avessi imparato a capirlo."
"Ne abbiamo già parlato, sai bene che non sono mai stata dalla sua parte, però..."
"Però è una persona orribile, a volte penso che non sia nemmeno umano. In guerra è normale fare vittime. Le atomiche che gli USA hanno sganciato sul Giappone non hanno selezionato chi uccidere, hanno ucciso tutti: donne, bambini, anziani. Per me è lo stesso. Cos'è una manciata di vite di fronte all'umanità intera? Ecco chi è DeathMask."

"Una volta la pensava così, non lo metto in dubbio. Però, se l'armatura stessa è tornata da lui durante la guerra contro Hades, significa che l'ha ritenuto degno, che in qualche modo ha riconosciuto le atrocità commesse. Sbagliare è umano, Cam. È stata una persona orribile che ha subito cose orribili e che sta cercando di rifarsi una vita."
"Anche le sue vittime avrebbero voluto fare altrettanto, e quanto successo alla sua famiglia non è una scusa valida per i massacri che ha compiuto dopo. Io non credo alla storiella di DeathMask che si redime per una donna."
"Permettimi di farti notare che un uomo può sempre cambiare."

"Quindi anche Saga."
Mei roteò gli occhi, sbuffando.
"Fai comunella anche con Saga, adesso? Giusto per sapere, perché a malapena sopporto te e mio fratello quando vi alleate contro di me, ma con Saga no."
Rallentò in prossimità di Piazza Syntagma, evitando per un pelo il conducente che lo precedeva, che aveva frenato di scatto: dopo un lungo colpo di clacson, Camus sterzò a sinistra, prendendo una via laterale.
"È successo qualcosa? Come mai c'è tutta questa gente?!" domandò Mei, voltandosi indietro per cercare di capirci qualcosa.
"Nulla, è solo il cambio della guardia." le rispose. "E io non faccio comunella con Saga, non l'ho mai digerito."
"Al tredicesimo tempio mi è sembrato il contrario." obiettò Mei.
"Gli devo lo stesso rispetto che devo a un parigrado, ma a parte quello, non gli devo altro, l'ho sempre trovato insopportabile. Ho sentito dire che ha seri problemi a relazionarsi e che probabilmente è autistico o cose così, non puoi provare simpatia per qualcuno che dice di te cose del genere dopo cinque minuti dal tuo arrivo al Santuario."
"Ti ha detto questo?"
"Era convinto avessi l'Asperger. Non è qualcosa del quale vergognarsi, beninteso, ma..."
"Beh certo, lui è un esperto di patologie mentali. Ma che imbecille!" sbottò Mei. "Però è vero che hai problemi a relazionarti."
"Sono selettivo e non concedo la mia fiducia tanto facilmente. Non è un difetto."

Lei parve pensarci un po' su.
"Ah. E dopo quanto tempo hai iniziato a fidarti di me? Prima o dopo aver fatto sesso dietro la cascata?"
Stranamente Camus le sembrò offeso.
"Amore, non sesso. Per me non è mai stato solo sesso."
"...Cam, lo so. Non volevo offenderti, la mia era una battuta. Sgradevole, me ne rendo conto... reagisco così quando sono sottosopra."
Non le rispose, continuando a guidare per le trafficate strade di Atene. Quando arrivarono al Santuario, Camus restituì le chiavi dell'auto al legittimo proprietario, rassicurandolo sulle condizioni del suo prezioso suv.
 
"Tutto bene?"
"Sì." rispose al fratello, prendendo i porte enfant. Certo non poteva dire a Shiryu che cosa aveva causato il suo malumore. "Sono stanca, ma sto bene. I bambini ti hanno dato problemi?"
"No, nessuno dei quattro." sorrise Shiryu. "Lascia che ti dia una mano, tutti e tre insieme pesano un po'."
La seguì sulle scale, poi riprese a parlare.
"Shion ha stabilito il giorno per le Anfidromie: mercoledì, quando Shaina uscirà dall'ospedale."
"Grandioso." fu il commento laconico di Mei.
Ansia su ansia, non c'era scampo; il resto del pomeriggio trascorse lentamente, tra un'incombenza e l'altra, e Camus pareva ancora offeso per il loro scambio di battute.
Lo vide rientrare all'undicesima sul tardi dopo le ore trascorse nell'arena, mentre lei cucinava qualcosa: sentì il rollio della lavatrice in fase di lavaggio e lo scroscio dell'acqua nella doccia.
"Lixue, fai attenzione ai tuoi fratelli, io torno subito." disse, spegnendo il fornello sotto la padella.
"Le darò una mano." si offrì Hyoga, che stava rientrando in quel momento.
"Non sareste dovuti rientrare stasera?!"
Hyoga quasi ruzzolò in corridoio, sotto il peso delle valigie.
"Abbiamo anticipato il volo, Freya non si è sentita bene."
Raggiunto il bagno, Mei chiuse la porta a chiave, sedendosi sulla vasca.
"Mi stai evitando."
"No."
"Non era una domanda."

"La mia risposta non cambia." replicò lui. "Ricordi quando ti raccontai dei miei genitori?" le domandò d'improvviso.
"Sì." replicò Mei, confusa.
"Non te ne avrei mai parlato, se non avessi avuto fiducia in te." continuò Camus. "E soprattutto, non ti avrei portata all'isba -dove avrei voluto toglierti i vestiti- e non avrei fatto l'amore con te in seguito, non credi?"  

"Ah! Dunque l'hai ammesso, era quella la tua intenzione primaria!" esclamò, immaginando il suo sorriso dietro l'anta satinata della doccia.
Si appoggiò alla parete, giocherellando con la sottile catenina d'argento che Camus aveva appoggiato accanto al lavabo insieme all'orologio e che portava sempre, con il ciondolo che gli aveva messo al collo anni prima durante le esequie dei Gold Saints caduti -la metà bianca del Tao-.
"Ne avete ancora per molto? Anche io ho bisogno del bagno." protestò Hyoga, bussando.
"Cinque minuti e ho finito." gli rispose Camus, socchiudendo un'anta.
"Vai dai vicini." replicò Mei, quasi nello stesso momento.
"Stai scherzando, spero."
"Allora vai in giardino!"
Camus cacciò la testa fuori dal box doccia.

"Hey! Ci sono le mie erbe aromatiche in giardino!" protestò. "Hyoga, scendi all'ottava casa, Milo capirà. Forse."
"Tutto ciò è assurdo!" borbottò Hyoga, arrendendosi.

Mei ebbe un brivido quando intravide la cicatrice sul fianco, silente testimone di quanto accaduto appena un paio di mesi prima, quella dannata notte.
"...stavo guardando la cicatrice." precisò, accorgendosi del suo sguardo obliquo che la fissava di rimando.
Camus scrollò le spalle.
"È un tuo diritto guardare, a me non da' fastidio." le rispose, con un sorriso affettato. "Preferisci il lato b o il lato a?" proseguì, prima di girarsi verso di lei.
"...e adesso chi è lo svergognato?"
La risata che seguì scacciò via la sua ansia, inducendola a ridere a sua volta; Camus era davvero la parte bianca del Tao -quella luminosa-, capace di completarla.
"Chi c'è con i bambini?"
"Hyoga, quando tornerà dall'ottava casa."

"Bene." le rispose. "Potresti passarmi il flacone verde che ho dimenticato sul lavandino?"
Il suo orrendo shampoo al sandalo. Scuotendo divertita la testa gli porse quanto richiesto, avvertendo troppo tardi la presa sul suo polso e Camus che l'attirava verso sé.
 
**
 
"Sei pronta? Gli altri sono già arrivati."
Incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio, notando il riverbero del sole sull'armatura d'oro.

"Mi serve ancora qualche minuto." gli rispose, applicando con mani ferme l'eyeliner.
Camus annuì, adocchiando il vestito che Cora aveva portato quella mattina appoggiato al letto, ancora nella sua custodia.
"Perché l'hanfu?" le domandò, indicando con un cenno l'abito tradizionale che aveva preferito indossare, un aderente hanfu in un delicato chiffon verde menta, a dispetto dell'abito stile peplo azzurrino che Cora aveva scelto per lei.
"È una cerimonia importante e merita un certo abbigliamento." rispose Mei con diplomazia, omettendo di dirgli che per niente al mondo avrebbe indossato qualcosa scelto da Cora. "E non sarò l'unica, sai. Ho intravisto la moglie di Shaka, indossava un sari stupendo, anche se devo ammettere che quella donna farebbe un figurone anche con un sacco di juta addosso, tanto è bella."
"Non ha niente più di te." asserì, preferendo accantonare il discorso vestito. Pur sorridendo, sentiva che era, letteralmente, un fascio di nervi. "Non agitarti, andrà tutto bene."
Lo sbuffo arrivò poco dopo.
"Cam, ti amo, lo sai. Ma sento che potrei prenderti a scudisciate le terga, per quanto queste ultime mi piacciano. Non dirmi di stare tranquilla, perché è come gettare benzina sul fuoco."   
Uscendo accanto a lui, si accorse che l'ingresso dell'undicesima casa era stata decorata così come la sesta e l'ottava: due rami d'ulivo e due ghirlande di lana, una decorazione per ognuno dei loro figli.
"Dovrò vivere quest'incubo per ogni figlio che avremo?" domandò quindi, nei paraggi della dodicesima casa, spostando il porte-enfant nell'altra mano.
"Come? Quattro non ti bastano?" ridacchiò lui, cercando di stemperare la tensione, ma senza successo.
"Hai capito bene che cosa voglio dire."
Camus si schiarì la voce.
"E allora la risposta è . Ogni nuovo nato, e non parlo solo dei nostri, porterà a una nuova cerimonia."
Non riuscì ad ascoltare il discorso di Shion, improvvisamente un fischio nelle orecchie l'aveva come isolata da tutto, ma la vista, quella non cedeva, per fortuna. Aveva gli occhi fissi sui suoi figli, già in braccio ai loro padrini e madrine, incapace di guardare altrove.
Nei paramenti sacri delle grandi occasioni, Shion porse la mano a Lixue, che tra tutti i discendenti dei Saints presenti era la più grande d'età, e scambiò qualche parola con lei prima dell'immersione rituale con la quale si ufficializzava la sua appartenenza ad Athena.
Mamma, per favore, aiutami.
Si ricordò di una volta, quando all'incirca aveva avuto dieci, forse undici anni e sua madre aveva fatto da madrina alla figlia di una sua collega di teatro. Il compito dei padrini, aveva detto il parroco, è quello di curarsi dell'educazione spirituale della creatura che si sta portando al fonte battesimale, essere guide, maestri, amici.
Forse il ruolo dei padrini era simile, se non uguale a com'era inteso nella religione cristiana, ma, pensò, il significato di maestro differiva non poco. E comunque, il Dio cristiano non spediva in addestramento quei figli che mostravano una fede più marcata del normale: certo, c'era chi in tal caso si faceva prete, ma era una scelta adulta e consapevole.
Camus guardò fugacemente in direzione di Mei, in piedi al suo fianco: aveva il volto inespressivo e il corpo teso, ma era facile comprendere il motivo di tanta tensione. Dietro quell'apparente freddezza si nascondeva il terrore cieco che i loro figli potessero possedere il Cosmo.
"Ça va?" le sussurrò, strofinandole una mano sulla schiena.
Si mosse di scatto come colpita da una scossa, guardandolo di rimando, seria.
"Secondo te?"
Come facesse a essere così tranquillo, non lo capiva.
Camus non lo sapeva, ma lei aveva dato di stomaco dalla tensione, incapace di ingoiare anche solo una tazzina d'acqua, e nemmeno il tranquillante che aveva assunto aveva potuto niente contro il nervosismo: si sentiva una bomba pronta a esplodere al momento meno opportuno.
Pensare che c'era chi, al Santuario, considerava un onore avere figli pronti ad entrare nelle schiere dei Saints, mentre per lei era motivo di angoscia. Cercò di non pensare a quell'eventualità.
Per sua figlia e Rani non ci fu bisogno di provare l'esistenza del Cosmo: era chiaro che nessuna delle due bambine l'avesse attivo, nonostante alcune caratteristiche peculiari.
"Vostra figlia mostra una certa resistenza al freddo e una moderata attività extrasensoriale" esordì Shion, parlando direttamente a loro "mentre quella di Rani, più marcata, andrà tenuta attentamente sotto controllo, ma come ho già avuto modo di osservare, nessuna delle due presenta un Cosmo attivo, quindi non ci sarà bisogno di alcun addestramento. Ora, andando in ordine cronologico, la prossima è Yian-Mei. Chi sono i padrini?"
"Seiya e Mei, Maestro." interloquì Shiryu.

Accanto a Camus, Milo corrugò la fronte.
"Come mai non fai da padrino a tua nipote?" sussurrò.
"Intanto non mi è stato chiesto, poi avrei comunque rifiutato."
"Sempre ai ferri corti, eh?"
"Non per mia iniziativa, sia ben chiaro." precisò Camus.
"Però tuo cognato farà da padrino a tuo figlio."
"Perché l'ha voluto Mei."
Il cerimoniale, su bambini piccoli come Yian-Mei, era diverso: Shion impose le mani sulla piccola, sciorinando una litania in greco antico e concentrando il proprio Cosmo alla ricerca di una scintilla della stessa energia.
Mei scoprì sul volto del fratello la sua stessa espressione; quando Shion, la fronte corrugata, si era avvicinato a Lady Saori che sedeva sul suo trono, parecchi metri più indietro, l'espressione di Shiryu si era fatta più scura, soprattutto mentre i due parlottavano fitto senza far trapelare nulla.
"Camus." chiamò Shion, d'improvviso, invitando l'interpellato a raggiungerli. "Abbiamo bisogno della tua esperienza."
 
*
 
Non riusciva a concentrarsi sul cicaleccio intorno a sé. Riusciva a sentire le voci, distingueva la lieve inflessione italiana di Shaina da quella hindi più marcata di Saraswati, la vocetta allegra di Rani dal tono nasale di Shunrei, ma non riusciva a concentrarsi sulle parole, ancora troppo scossa.
Alexandre, Milo e Nikos non avrebbero mai sviluppato il Cosmo.
Joséphine, come Lixue e Rani, possedeva una vaga scintilla che la rendeva forse un po' più speciali degli altri bambini, ma nulla di che: Shion aveva impiegato pochi minuti prima di liquidare la faccenda, indicando come unica bambina idonea all'addestramento proprio sua nipote, Yian-Mei.
Sulle prime, aveva avvertito il cuore accelerare i battiti e il corpo teso e pronto a fuggire. Poi, una volta passato l'effetto dell'adrenalina, era subentrato un sollievo inspiegabile a parole, come se il peso che aveva sentito sullo stomaco per mesi fosse evaporato in un colpo solo.
Temprato da anni di arti marziali, Shiryu aveva mantenuto un autocontrollo encomiabile, mentre Shunrei non aveva potuto trattenere la preoccupazione e le lacrime.
E proprio per lei erano lì, in quel momento, riunite alla settima casa.
"Vogliate scusarmi, signore." interloquì Camus, interrompendo le donne che stavano parlando di quanto successo al tredicesimo tempio: Shunrei pareva sul punto di avere una crisi di nervi, e le altre cercavano di tirarle su il morale. Posò le mani sulle spalle di Mei e la sentì trasalire, riprendendosi di scatto al contatto con le sue mani.
Si chinò e iniziò a parlarle in francese, a bassa voce.
"Il synagein è già finito?"
"Non è nemmeno iniziato, a dire il vero. Dovresti seguirmi con una certa urgenza."
Mei annuì e si alzò, incrociando lo sguardo di Shunrei e sorridendole appena.
"Torno subito." si congedò, seguendo Camus fino all'ottava casa senza ulteriori domande. Quando si accorse che erano diretti alla Torre della Meridiana, assottigliò lo sguardo.
"Dove mi stai portando?"
"In cima, alla Sala d'Oro. Coraggio, ci sono parecchi scalini da salire." le rispose, sospingendola gentilmente su per le scale.
"È per Yian-Mei?"
"Sì." le rispose senza mezzi termini. "Essendo nata sotto il mio segno, spetta a me l'ultima parola sul suo addestramento."

Si fermò, guardandolo seria.
"La decisione è solo tua, non posso dirti ciò che devi fare."
"Credi?" le rispose, con una certa ironia, che Mei trovò fuori luogo. Corrugò la fronte, senza tuttavia insistere.
Arrivati alla Sala d'Oro, l'anticipò entrando prima di lei –come per valutare l'eventuale presenza di pericoli- quindi richiuse il portone, nel pesante silenzio che seguì.
"Lo sapevo." sospirò Shaka. "Chissà perché qualcosa mi diceva che c'era lei di mezzo. In altri tempi avresti potuto passare dei guai per questo."

Camus gli scoccò un sorriso sardonico.
"La tua preoccupazione nei miei riguardi mi commuove nel profondo, Shaka, e ti ringrazio per cotanta premura. Tuttavia non ho chiesto né la tua protezione, né il tuo consiglio."
"Cerchiamo di non iniziare, ragazzi." interloquì Shion. "Prendete posto, stiamo per iniziare."
Le fece cenno di sedersi al suo posto, tra Shura e Aphrodite, ma Mei scosse prontamente la testa, preferendo rimanere in piedi dietro di lui.

"La faccenda potrebbe andare per le lunghe, dovresti sederti."
"Qui dentro non sono una tua pari, non posso sedermi al tuo posto!" bisbigliò Mei. Intravide degli sgabelli addossati al muro e glieli indicò con un cenno.
"Andrò a sedermi laggiù."

Seguendo il suo sguardo, Camus sbuffò appena.
"Non sei qui per assistere, ma per darmi consiglio." rispose.
"Mei, non vorrai stare in piedi tutto il tempo, mia cara." interloquì Shion, interrompendoli.
Prima che potesse invitarla a sedere accanto a lui, Camus afferrò uno sgabello e lo posizionò alla sua destra, tra il proprio scranno e quello di Shura.

"Non era il caso, potevo anche sedermi a terra."
"Non farlo mai. Non sei un'ancella."
Le stelle avevano predetto la pace: i tempi di guerra erano lontani e, a parte qualche rara disgrazia abilmente celata anche alle sue capacità, la tanto agognata pace avrebbe regnato anche negli anni a venire, disse Shion, tuttavia, si affrettò ad aggiungere, nonostante il Santuario fosse ben guarnito, era impensabile lasciare un futuro Saint senza addestramento.

"Ripeteremo le Anfidromie per ogni nuovo nato, nessuno escluso. Oggi abbiamo scoperto che nelle nostre file, di qui entro pochi anni, avremo una nuova Saint e chissà, magari sarà proprio tua nipote a ereditare l'armatura della grande Yuzuriha. Tuo fratello cosa pensa di quanto successo?"
Interpellata, Mei si schiarì la voce.

"Non ho ancora avuto modo di parlare con lui, Maestro."
"Ma lo conosci meglio di chiunque altro qui dentro, eccetto forse Dohko." continuò Shion.
"Io e Shiryu siamo fratelli di sangue, ma ciò non significa che io sappia che cosa si nasconda nella parte più intima del suo essere: non ho la più pallida idea di che cosa stia pensando a riguardo, e in ogni caso non potrei rispondere per lui."
E in parte era vero: avevano parlato una sola volta dell'eventualità di un figlio Saint, i dubbi che aveva avuto Shiryu riguardavano Camus come ipotetico Maestro, ma non avevano parlato d'altro.
"Credo che per Shiryu sia un onore avere una figlia Saint." intervenne Dohko, cavandola d'impiccio. "E il fatto che sarà suo zio ad addestrarla, non può che tranquillizzarlo."
Ma sbagliava o tempo prima Camus le aveva detto che avrebbe potuto rifiutare l'incarico?
Avvertì il primo capogiro farsi strada d'improvviso, inducendola ad appoggiarsi di scatto al bracciolo più vicino.
"Siamo qui per questo, dopotutto." rispose Shion. "La mia era una semplice curiosità, più tardi parlerò con Shiryu proprio di questo. Ma ora, è con Camus che dobbiamo parlare: Yian-Mei è nata sotto il suo segno, quindi spetta a lui l'addestramento."
"Chiedo venia, Maestro, riguardo questo punto..." interloquì l'interessato.
"Scusate." biascicò Mei, alzandosi improvvisamente e correndo fuori.
"Vi prego di concederci qualche minuto." le fece eco Camus, seguendola poco dopo.
La trovò china su una delle diverse piante in vaso che ornavano il portico.
"Posso fare qualcosa per aiutarvi?" domandò Milo, richiudendo il portone dietro di sé.
"No, ti ringrazio." sorrise Camus.
"Adesso passa." mormorò Mei.
Milo rientrò, poco convinto.
"Mi sentivo soffocare là dentro, avevo bisogno d'aria." spiegò Mei, rialzandosi e appoggiandosi a una delle tante colonne che sorreggeva le meridiane e il complicato meccanismo interno.
A quell'altezza ce n'era anche troppa, pensò Camus.
"Da qui la vista è bellissima." cambiò discorso d'improvviso, guardando verso l'orizzonte. Una vista che comprendeva tutta Atene, arrivando a toccare, in giornate di sole come quella, anche una vasta parte della periferia. "L'Acropoli... quand'è stata l'ultima volta che l'abbiamo visitata?"
"Durante quelle famose tre settimane." le rispose.
"Uhm... è trascorso così tanto tempo? D'accordo che non ti piace comportarti da turista, però ogni tanto sarebbe bello poter visitare qualcosa di diverso oltre a queste quattro colonne, no? Voglio dire, la Vieille Dame pretende 25 euro per salire fino in cima, l'Acropoli non costerà così tanto."

"Venti euro."
"...davvero? È aumentato?!"
Camus mosse un passo avanti, gettando un'occhiata verso il basso: la settima e l'ottava casa sembravano così piccole da la' sopra. Borbottò qualcosa in risposta, avvertendo un brivido corrergli lungo la schiena.
"...cosa?"
Si rese conto di averle parlato in russo, e si schiarì la voce.
"Ho detto che questa torre è alta cinquanta metri e quel parapetto è dannatamente troppo basso per i miei gusti. Torna qui, Mei, mi innervosisce saperti lì."

Mei arretrò appena, rivolgendogli un'occhiata interrogativa.
"Non voglio affacciarmi, voglio solo un po' d'aria fresca..."
"Non sto scherzando, vieni via da lì." prese un gran respiro e si avvicinò, interponendo un braccio tra lei e la ringhiera, la mano sul suo fianco. "Un'ancella cadde di sotto, anni fa."

"..."
"La nipote di Fedra. Ti risparmio i particolari perché potrei dare di stomaco come feci quando trovammo il corpo. Anche se ora c'è la ringhiera, resta comunque un salto nel vuoto non indifferente."

"Che intendi dire, quando è successo non c'era?"
"Nove anni fa, no."

"Oh, capisco. È caduta o è stata gettata?" inquisì Mei, prima di scuotere la testa. "Nove anni fa c'era Saga al potere... non rispondermi, non ce n'è bisogno. Ora capisci perché dormo col mio pugnale a portata di mano?"
"Sì, ricordo ancora troppo bene quell'arnese." sbottò Camus. "Ad ogni modo, cerchiamo di non tergiversare, là dentro aspettano solo noi."
"Come se avessi molta scelta." sospirò Mei, stanca. "Hai un compito da portare a termine, non abbiamo chissà quanto margine di movimento."
"Non esattamente. Addestrare un Saint richiede impegno, dedizione e soprattutto tanti sacrifici. Certo, potrei anche lasciare te e i bambini a Parigi e trasferirmi per addestrare Yian-Mei in solitudine..."
"Non voglio nemmeno sentirne parlare." borbottò Mei, interrompendolo. "Siamo stati lontani sei anni, in nessuna dimensione temporale permetterò che accada di nuovo."
"...oppure potremmo trasferirci tutti: ma una volta intrapresa quella strada non potremmo tornare indietro per nessun motivo al mondo. Significherebbe trasferirsi in Siberia per almeno cinque anni, far crescere i nostri figli in un villaggio sperduto e costringerti a lasciare tutto ciò che abbiamo costruito a Parigi."
"...se è ciò che devo fare, lo farò. Certo, all'inizio sarà dura, ma col tempo ci abitueremo."
"No! Non posso e non voglio farlo, non è giusto per i bambini e non è giusto per te."
"Cam, sapevo a cosa andavo incontro quando ti ho detto . Ho scelto di essere la moglie di un Gold Saint, qualunque sia il tuo dovere è anche il mio."
Seppur colpito da quelle parole, scosse la testa.
"Dovere al quale ho già adempiuto per ben due volte. È ora di lasciare il testimone a qualcun altro. Che ne pensi? Io non intendo più insegnare. Non posso fare questo alla nostra famiglia."
In tutta franchezza, aveva sperato di sentire quelle parole.
"Non sapevo che qui la mia opinione avesse importanza."
"Qui o altrove, per me è fondamentale. Non posso prendere questa decisione senza di te."

Mei annuì con aria grave, espirando nervosamente.
"Se puoi rifiutare, fallo. Hai già in mente chi può sostituirti?"
"Sì." le rispose, osservando la sua espressione cambiare di nuovo nel giro di pochi minuti. "Cosa c'è di tanto divertente?"
"La prima cosa che diranno sarà che il matrimonio e la sottoscritta ti hanno rammollito al punto di non saperti più imporre e di non saper più prendere alcuna decisione."
"Come se fosse facile imporsi su di te."

"Infatti, è impossibile." lo corresse Mei. "Senti, davanti a loro non dire che sei arrivato a questa conclusione tenendo conto delle mie opinioni."
"Ebbene, ciò che loro pensano di me o di noi sul versante matrimonio è per me rilevante quanto il Titanic per l'iceberg che lo affondò."
"Però, quanta poesia. Seriamente, mi dici a chi intendi affidare mia nipote?"
"Una persona nella quale ripongo estrema fiducia, naturalmente: Hyoga."
Lei si bloccò un attimo.
"Come scusa? Io pensavo scegliessi qualcun altro."
"E chi, ad esempio? Lui è perfetto e ha le capacità per portare a termine questa missione."
"Ha anche una moglie, però. Pensavo scegliessi uno scapolo, qualcuno che non ha una famiglia alla quale pensare! Hai detto che rifiuti l'incarico per noi e te ne sono immensamente grata, ma così..."
"Se Hyoga dovesse rifiutare vedrò il da farsi, ma per ora è l'opzione migliore ed è la più probabile che Shion appoggi. Yian-Mei potrebbe finire nelle mani sbagliate, capisci?"
Il portone si riaprì, questa volta a causa di Dohko.
"Ragazzi, non possiamo aspettare a lungo." li interruppe, sollecitandoli.
"Da quando in qua certe decisioni si prendono seguendo i consigli di una donna?" interloquì Shaka, guardando prima Mei, poi Camus, con un sorrisetto che la prima trovò irritante.
"Da dove provengo io, Shaka, siamo abituati a trattare le donne con rispetto. Ne abbiamo parlato, abbiamo riflettuto sul da farsi e siamo giunti alla nostra decisione. Nostra, non tua. Tempo fa ho giurato che non avrei mai più accettato allievi e non intendo tornare sui miei passi. Sei anni in Siberia sono troppi e non credo di avere ancora la stessa forza d'animo che possedevo quand'ero tredicenne, quindi sono davvero onorato del compito che volete affidarmi, per me è stato e sarebbe un onore addestrare un futuro Saint, ma rifiuto fermamente di rimettermi nei panni di Maestro: in tal senso ho già ampiamente fatto il mio dovere."

Negli attimi seguenti, Shion rifletté sul da farsi, mentre in sala si era levato un certo vociare.
"Avresti già in mente il candidato che potrebbe sostituirti?"
"Hyoga." rispose Camus, senza esitazione.

"Non diciamo eresie, un Bronze Saint come maestro..." continuò Shaka.
"Come sempre tendi a sottovalutare le caste inferiori." interloquì Mu.
"Soprattutto quando è stato qualcuno appartenente proprio a quella casta a farti passare un brutto quarto d'ora, anni fa." sogghignò Kanon. "Il Saint della Fenice, se non ricordo male. La stima che ho sempre avuto di Ikki ha avuto un'impennata dopo quella faccenda."
Saga fulminò il fratello con un'occhiata di brace.
"Kanon!"
Shaka lo ignorò volutamente, rivolgendosi a Shion.
"Io potrei..." iniziò.
"Tu non rientri nemmeno tra gli ultimi possibili candidati." lo bloccò Camus. "Ho addestrato bene quel ragazzo, ha raggiunto lo zero assoluto assimilando in toto i miei insegnamenti e indossato le vestigia di Aquarius con onore. Conosco il valore di Hyoga e so che è all'altezza del compito."
"Camus, non ti agitare. Nessuno mette in dubbio le capacità di Hyoga." interloquì Aiolos.

"Beh, Aiolos, diciamo che non ha granché scelta: un probabile allievo è passato a miglior vita dopo due giorni e almeno tre disertori se la sono data a gambe prima che l'addestramento iniziasse. E non dimentichiamoci il migliore di loro, che è passato alle fila nemiche... logico che si sia tenuto stretto il solo rimasto."
Camus strinse i pugni, negli occhi uno sguardo di ghiaccio: Isaak era uno dei suoi nervi scoperti; la sua perdita, anni prima, l'aveva segnato nel profondo in modo tale che lo faceva soffrire anche solo parlarne e nonostante gli anni trascorsi, non riusciva a darsi pace per aver fallito con lui.
Milo si coprì gli occhi con una mano: non aveva bisogno di guardare Camus in faccia, conosceva già la sua reazione.
"Qui va a finire male." mormorò.
L'aria si abbassò drasticamente di diversi gradi, al punto che il fiato iniziò a condensarsi a ogni respiro. Di norma, quello era il preludio di una tempesta di dimensioni colossali; tutti si ricordavano ancora bene l'ultima volta che al Santuario aveva nevicato in piena estate: la neve di quel giorno si era sciolta solo a ottobre inoltrato, e Camus aveva praticamente costretto tutti a una sorta di lunghissimo e gelido inverno.
"Quantomeno nessuno dei suoi allievi se l'è mai presa con un anziano e una ragazzina inerme al fine di uccidere un Saint di rango inferiore." sbottò Mei a voce alta, incapace di stare zitta e anticipando Camus.
Nel silenzio sbigottito che seguì le sue parole, Shaka le puntò addosso uno sguardo carico di rabbia malcelata.
"Cos'hai detto?!" sibilò.
Seppur memore di quanto Milo le aveva detto anni prima, Mei non cedette di un millimetro, sostenendo lo sguardo di Shaka senza muovere un muscolo.
"Posso suggerirti uno spray per ovviare al tuo problema uditivo, se gradisci."

Lui tacque un attimo, allibito: Mei vide le sue pupille prima dilatarsi dallo shock, poi restringersi fin quasi a scomparire.
"Come osi rivolgerti a me in questo modo?" sibilò, rabbioso.
"Critichi l'operato degli altri, cercando di gettare fango sugli allievi altrui, quando né Shiryu, né Hyoga e sono sicura, nemmeno Isaak, hanno mai osato alzare un dito contro una donna o contro un uomo incapace di difendersi! Questo è ciò che distingue un Maestro degno di questo nome da uno che vale meno di niente: quando insegna a vivere e comportarsi civilmente senza credersi superiori e senza calpestare nessuno!" replicò Mei. "Oh, se oso!!"  
Nella foga della rabbia, nessuno dei due sembrava accorgersi di chi cercava di farli smettere o quantomeno di rabbonirli.

"Posso rammentarti che il caro Isaak ha quasi spezzato la schiena di Kiki, per sottrargli l'armatura di Libra?"
"Kiki è un apprendista, è fratello di un Gold Saint e seppur limitate in quel preciso momento, possedeva le capacità per reagire a una minaccia. Un civile, no." rispose Mei a tono. "Del resto è più facile notare la pagliuzza nell'occhio dell'altro piuttosto che la trave dentro il proprio."
A qualcuno sfuggì una risatina, che ebbe l'effetto di distrarre Shaka, e Mei finalmente avvertì la presa –gelida- di Camus sul proprio braccio.
"Shaka, abbiamo finito?" intervenne Shion, spazientito.
"Maestro Shion." proseguì Mei. "Che sia chiaro che sarò io e io soltanto a rispondere delle mie parole, nessun altro deve essere coinvolto."
"Ma che rispondere e rispondere... questo è il segreto di Pulcinella, lo sanno tutti che cosa hanno combinato i suoi allievi." intervenne DeathMask. "Ma fatemi il piacere di finire 'sta pagliacciata, che ho altro da fare!"
Però, punto sul vivo, Shaka non intendeva mollare l'osso.
"Basta!" tuonò Shion, zittendo tutti. "Fate silenzio."
Controvoglia, Shaka tornò a sedersi al suo scranno, continuando a gettare lampi di rabbia nei confronti di Mei.
"Non avresti dovuto rispondere!" bisbigliò Camus, preoccupato.

"Sono tua moglie, ho il dovere di difenderti."
"Tornando a noi, per me va bene, Camus." tornò a parlare Shion, con un tono di voce normale. "Bisognerà vedere che cosa ne pensa l'interessato, poi potremo procedere. La riunione si aggiorna."
Shaka fu uno dei primi a lasciare la sala; Mei attese finché non rimasero che lei, Camus e Shion.
"Maestro Shion, una parola per favore." disse, avvicinandosi e lasciando Camus indietro. "Sono spiacente di quanto successo prima, ma sono abituata a difendere ciò che amo e non mi scuserò per questo."
"Lo so, Mei."
"Perciò se ci saranno conseguenze, vi prego di non coinvolgere né Camus né la mia famiglia."

Camus mosse un passo avanti nel sentire il proprio nome, e Shion lo fermò con un cenno della mano.
"Hai reagito a una provocazione e difeso il tuo sposo, non hai colpe da espiare." le rispose dopo qualche secondo. "Un uomo non può che ritenersi fortunato nell'avere accanto una sposa tanto forte. Ora coraggio, vorrei uscire da qui prima di prendermi un malanno."
Mei sorrise appena, quindi gli rivolse il saluto taoista e uscì dalla sala insieme a Camus.

"Posso sapere che cosa vi siete detti?"
"Perché mi cammini davanti?!"
"Le scale sono ripide, qualora inciampassi, sarei pronto ad afferrarti. E non cambiare discorso, sai che non ci casco. Dunque?!"

"Quanto accidenti sei ficcanaso."
"Mei, questo non è un gioco. In altri tempi saresti potuta incorrere in conseguenze serie." le rispose, voltandosi.
"Credi che stia giocando? C'è la vita di mia nipote in ballo! Toccherà a me dire a Shiryu che cosa ne sarà di sua figlia, scusami se sto cercando di non mandare in frantumi un pezzo della mia famiglia mentre cerco di proteggere quello più importante." rispose Mei, superandolo.
"Stai di nuovo tergiversando. Cos'hai detto a Shion? Ho sentito il mio nome." la raggiunse e la fermò.
Mei sbuffò, cedendo.
"Gli ho detto che quanto successo in sala è di mia esclusiva responsabilità e che non avrebbe dovuto coinvolgerti per nessun motivo, che qualunque cosa fosse successa, sarei stata io a pagarne le conseguenze. Lui ha aggiunto che non ho colpe da espiare, ho reagito di fronte a una provocazione."
Hyoga corrugò la fronte, senza ovviamente comprendere quanto detto da Mei, in cinese, e rimase in disparte.
"Tu sei..." iniziò Camus, prima di trarla a sé e stringerla "...tu sei matta. Non conosci le conseguenze di certi gesti."
"Che cos'è successo?!" domandò Hyoga, qualche secondo dopo. "Ho sentito l'emanazione del tuo Cosmo. State bene?"
"Noi sì. L'ego di Shaka, no." rispose Mei, vaga. "Nessuno può toccare in quel modo la mia famiglia e sperare di uscirne indenne."
"Gli ha risposto per le rime prima che potessi farlo io." spiegò Camus, sommariamente.
"...cosa?!"
"Risponderei in quel modo anche all'Imperatore di Giada." precisò Mei, prima di intravedere il fratello che la chiamava dalla settima casa. "Torno subito."
"Mei mi ha difeso?!" si stupì Hyoga, quando Camus ebbe finito di raccontare.
"Sì, perché la cosa ti stupisce?"
"Perché non si sa mai cosa aspettarsi da tua moglie, ecco perché." replicò Hyoga. "Fate attenzione a Shaka, per qualche tempo: quello è capace di ritorsioni."
"Anche io. E se lui è un minimo intelligente, si guarderà bene dal farne: come me, anche lui ha molto da perdere. Se c'è una cosa che ho imparato da Mei, è quella di difendere la mia famiglia ad ogni costo, anche con modi poco ortodossi: potrei diventare molto violento." Camus tagliò corto. "Comunque, Hyoga... devo parlarti."

Rimase come impietrito, gli occhi sgranati.
"Animo, non ho tutto il giorno."
"Qualunque cosa abbia fatto, ormai io e Freya siamo sposati, sai."
"Cosa vuoi che mi importi delle tue performances con tua moglie, in questo momento?! Io parlavo della riunione."
"E cosa c'entro io?!"

Camus appoggiò l'elmo sul tavolo, premendosi due dita alla radice del naso come faceva ogni volta che avvertiva il mal di testa arrivare: Dimitri, Ilya, Pavel, Roman e Isaak.
Aveva già mandato in malora le vite di cinque ragazzi, come avrebbe potuto a chiedere a Hyoga di prendere il suo posto?
Non dubitava delle sue capacità, anzi, sapeva che avrebbe svolto un lavoro egregio, i suoi dubbi riguardavano ben altro: i suoi studi, la sua vita, Freya.

"Inizi a preoccuparmi." lo distrasse l'interessato. "Riguarda il synagein?"
"Sì." rispose stringato, prendendo un gran respiro. "La figlia di Shiryu è nata sotto il mio segno e teoricamente sarei io a dover curare il suo addestramento."
"Lo so." replicò Hyoga, corrugando la fronte.

"Ho rifiutato." proseguì Camus. "E, perdona la brutalità, ho fatto il tuo nome. Mi rendo conto dell'entità di quanto vorrei affidarti, ma io non posso riprendere l'insegnamento. Ho già avuto i miei allievi, è ora di passare il testimone e tu sei il primo e il solo che mi sia venuto in mente. Capisco che è abominevole chiederti una risposta così su due piedi e capirei un tuo rifiuto... tu e Freya siete sposati da così poco..."
"Freya conosce i miei doveri, sapeva a cosa poteva andare incontro." rispose Hyoga. "Non mi sono mai tirato indietro di fronte a nessun ostacolo, di certo non inizierò adesso. Per me sarà un'ottima occasione per staccare la spina, soprattutto da Hilda: nemmeno lei può mettere il naso nelle beghe ufficiali del Santuario."
"Quello è un territorio difficile per una donna, anche se è abituata a certe temperature." osservò Camus, stanco. "Forse ha ragione Mei, quando dice che dovrei scegliere uno scapolo. E prima o poi arriveranno i figli... crescerli in quell'ambiente ostile è terribile..."
Hyoga ridacchiò appena.
"Più prima che poi." lo corresse, senza aggiungere altro e guardandolo mentre analizzava la frase e ne comprendeva le implicazioni.
"...cosa...?!"
"Un mese, più o meno. Era già incinta prima del matrimonio, ecco il perché dei suoi malori." rispose, notando il suo pallore.

"E me lo dici così?!"
"Come avrei dovuto dirtelo, con una fanfara? L'ho scoperto stamattina, non potevo certo dirtelo poco prima delle Anfidromie."
"Sciocco, avresti dovuto invece, perché al posto tuo avrei scelto qualcun altro!" sospirò Camus. "E bada, non perché non ti ritengo all'altezza, ma per salvaguardare la tua neonata famiglia!"
Sorrise, scuotendo la testa.
"Quando smetterai di volermi proteggere a tutti i costi? Non sono più quel bambino malaticcio che arrivò all'isba anni fa." gli domandò. "Accetto il compito che mi affidi e lo porterò a termine con onore."
 
Shiryu non le diede nemmeno il tempo di entrare nella casa di Libra che iniziò a subissarla di domande: chi si sarebbe occupato dell'addestramento? E chi avrebbe pensato all'educazione di sua figlia? Camus avrebbe continuato a farle studiare la sua lingua natia o le avrebbe insegnato una lingua assurda che nessuno di loro avrebbe mai compreso?
"Intanto il russo non è assurdo, e se tu espandessi i tuoi orizzonti al di là delle sole arti marziali capiresti di che cosa parlo. Poi, è stato scelto Hyoga." riuscì finalmente a rispondere Mei. "Camus ha scelto Hyoga come Maestro."

"Hyoga?"
"Per quanto mi dia fastidio ammetterlo, ha le capacità per farlo. Camus ha già dato, in tal senso." proseguì Mei. "Quando sarà il momento, Yian-Mei si trasferirà a Kobotec con Hyoga e Freya per l'addestramento. O avresti preferito qualcun altro? Shaka ad esempio, che si era offerto. O che so, DeathMask?"

"Non dire eresie." rispose Shiryu.
"Saprò dirti di più quando torneranno, ma sappi che mi dispiace tantissimo." aggiunse Mei prima di congedarsi.
La situazione sarebbe potuta essere molto diversa: avrebbe potuto esserci lei, al posto di Shunrei, avrebbe potuto essere lei quella in preda alle lacrime, quella che malediceva tutti gli Dèi per non aver impedito una cosa di quel genere.
Anziché salire all'undicesima casa, inforcò rapida il passaggio secondario dietro le Case, diretta al sentiero che portava alla spiaggia, intenzionata a riflettere un po'; nel passare dietro la sesta casa, strinse istintivamente la mano attorno all'elsa del pugnale di suo padre, infilato nella cinta dell'hanfu: qualcosa in lei le diceva che per un bel po' sarebbe stato meglio mantenere alta la guardia, nonostante il codice d'onore rigidamente osservato al Santuario. Non poteva andare a Eleusi da sola per ringraziare Demetra e non sapeva nemmeno se fosse il caso di disturbare Shion per così poco. Poteva ringraziare Athena, però, e l'indomani, decise, l'avrebbe fatto.
"Eccoti, finalmente, ti cerco da un po'. Pensavo fossi da tuo fratello."
"No, con Shiryu ci siamo già chiariti." sospirò Mei, mentre Camus si distendeva accanto a lei sulla sabbia.
"Volevo dirti che i bambini hanno già mangiato e li ho messi a dormire, dovessero esserci problemi, Hyoga mi invierà un messaggio." l'avvisò. "Riguardo oggi..."
"Cosa c'è ancora?"
"Hyoga ha accettato l'incarico e Shion ha dato il suo benestare." sintetizzò Camus.
"Siamo liberi?"
"..."
"Dèi, vi ringrazio."

"...sii meno melodrammatica."
"Tu non hai idea di che sollievo sia per me sapere che i miei figli non dovranno subire alcun addestramento."

"Mei, il fatto che non li ho portati in grembo e non li ho partoriti non significa che non sia in grado di comprenderti. Sono sollevato anche io, cosa credi?"
"Per una madre è diverso." insisté lei. "Domani avrò un lungo giro di visite da fare dopo il lavoro."
Camus roteò gli occhi, senza tuttavia dire nulla.
"Va meglio?" gli domandò poco dopo. "Oggi eri fuori di te."
"Nel corpo umano esistono miliardi di nervi e Shaka è stato capace di farmeli saltare tutti insieme. Io non ho educato allievi capaci di comportarsi peggio degli animali: i miei non hanno nessun civile sulla coscienza." le rispose, con una punta d'orgoglio. "E lui lo sa benissimo, ecco perché quando sei intervenuta si è infuriato. Isaak non è come l'ha descritto."
"Non parlarmene se poi devi star male." lo interruppe Mei.
"Shaka ha tanto gentilmente rivangato questa faccenda e prima o poi lo verresti a sapere comunque, che mi piaccia o no. È meglio che tu sappia tutto da me, piuttosto che da chissà chi e con chissà quante fantasiose aggiunte. Dimitri aveva sette anni quando arrivò all'isba: doveva essere malato da tempo, perché morì dopo pochi giorni. Encefalite, mi dissero. Io invece avevo creduto si trattasse di influenza, ma ero un ragazzino, non avevo idea di cosa stesse succedendo. A ripensarci ora, se fossi stato meno superficiale forse avrei potuto salvarlo." iniziò Camus. "Dopo di lui arrivò Isaak, che come sai è stato il mio primo allievo: su di lui ho così tante cose da dire che dovrei aprire una parentesi molto lunga. Nonostante qualche errore di percorso, sono sempre stato orgoglioso di lui, e sento la sua mancanza ogni giorno. Dopo Isaak, ci sono stati Ilya, Pavel e Roman. Tutti e tre hanno sopportato l'addestramento per una manciata di giorni prima di fuggire nei modi più disparati. Dal Santuario Saga mi ordinò di giustiziarli."
"E l'hai fatto?"

"No." rispose in un soffio. "Certi ordini li ha sempre eseguiti Milo al mio posto."
"Hai un rigore morale inattaccabile e sono fiera di te."
"Se conoscessi tutti i particolari di quegli anni, saresti molto meno fiera di me, temo."
"Per me potresti essere qualunque cosa, anche un serial killer in incognito, io comunque sarei dalla tua parte. Sono stata dalla tua parte anche quando eri uno specter, niente mi convincerà mai a guardarti in maniera diversa."
Le prese una mano, portandosela al cuore.
"Ti ringrazio molto per aver difeso i miei allievi."
"Se c'è qualcuno in diritto di dire o ridire contro Isaak e Hyoga sei tu, non è quella sottospecie di santone." s'infervorò Mei. "Oltretutto nemmeno l'ha conosciuto."
Camus sorrise, ricordando qualche episodio legato all'addestramento. Isaak non era mai stato un cattivo ragazzo, e qualunque azione brutale commessa a danno del prossimo, l'aveva commessa sotto l'infido consiglio di qualcuno interessato a seminare discordia. 
"Se Isaak ha fatto ciò che ha fatto a Kiki, l'ha fatto sicuramente perché plagiato dalle parole di qualcuno,  perché non è così che l'ho cresciuto, non avrebbe mai attaccato in quel modo un ragazzino. A dire il vero, non avrebbe mai attaccato nessuno così brutalmente. Lo conoscevo bene, aveva un animo buono."
Si voltò verso di lui, osservando il suo profilo elegante.
"Da come parli di lui, penso che fosse –e che sia ancora- Isaak il tuo preferito."
Continuò a guardare il cielo sopra di loro senza risponderle subito.
"Isaak era diverso da Hyoga, ci sono cose che mi piacevano e cose che non mi piacevano di lui." rispose dopo qualche minuto, con la solita diplomazia. "E per Hyoga è lo stesso. Non ho preferenze, per me sono entrambi sullo stesso piano, entrambi importanti. Non posso rispondere alla tua domanda, sarebbe come farmi scegliere il preferito tra i nostri figli."
"D'accordo. Non ne vuoi parlare." sospirò Mei, mettendosi a sedere e scrollando la sabbia dai capelli.
"Isaak era concentrato, impegnato sul suo addestramento, aveva una volontà ferrea ed era generoso e gentile. Era il migliore. Quando ho scoperto che non era morto in seguito all'incidente ma era diventato parte delle schiere nemiche, ho pensato, non senza una pesante dose di rimorso, che avrei preferito saperlo morto. Ma continuo ad essere orgoglioso e fiero del ragazzo che ho cresciuto, continuo a pensare che fosse il migliore."
Non le aveva risposto apertamente, ma l'aveva comunque fatto.
Mei sorrise, senza insistere.
"A proposito, mi devo aspettare delle ritorsioni? Giusto per chiarire, io so come difendermi e non ho paura di lui, ma i bambini no."
"Shaka mi conosce abbastanza da sapere che è meglio non sfidare la mia pazienza. Non è così avventato da farvi qualcosa. E se dovesse essere così stupido da commettere errori, ne subirà le conseguenze."
"Comunque stai attento anche tu."
"Me la so cavare, non preoccuparti." sorrise Camus di rimando.
Si chinò verso di lui, baciandolo, ma quello che doveva essere un bacio, stava per trasformarsi in altro.
"Mei, aspetta. Qualcuno potrebbe vederci." la fermò, col fiato corto, alzando lo sguardo verso la prima casa, una trentina di metri più in su, e sul sentiero che da essa portava alla spiaggia: ma sia lo spiazzo antistante la casa dell'Ariete che il sentiero, parevano deserti.
"...il sole è tramontato da un po', quindi, a meno che qualcuno da lassù non usi un binocolo a infrarossi, non c'è pericolo. E poi, non ricordo di aver letto qualcosa a proposito di eventuali atti osceni in luogo pubblico, sul codice del Santuario."
"Qui no, ma al di fuori ci sono leggi precise a riguardo."
"Sbaglio o questo posto è protetto da uno scudo che impedisce alla gente di vederlo? Anni fa non ti sei posto tutti questi problemi."
"Appunto, parliamo di anni fa... non siamo più due ragazzini, dai." sospirò Camus, alzandosi.
Mei si alzò a sua volta, slacciando la cintura che chiudeva la giacca dell'hanfu e lasciando cadere anche quest'ultima a terra.
"Cosa fai?" le domandò, mentre la gonna seguiva a ruota il resto e Mei rimaneva con la sola casacca addosso.
"È una pazzia, lo so. Ma siamo ancora giovani, per tutti gli Dèi. Facciamone una finché possiamo... sciogliti un po'."
Lanciò un'altra occhiata alla prima casa, sospirando.
"È che non mi va di essere colto in flagrante come un ragazzino eccit-." s'interruppe, trovandosi di colpo la casacca di Mei in faccia.
"Dimmi, vuoi arrenderti o preferisci cercare altre obiezioni?" ridacchiò Mei, indietreggiando lenta in acqua.
 

***

 

Lady Aquaria's corner
-Anfidromie: festa che nell'antica Grecia era organizzata in onore della nascita di un bambino.
-Imperatore di Giada: una delle maggiori divinità del pantheon taoista.

-La faccenda di Camus e degli allievi fuggiti: ho preso spunto da quel che nel manga Isaak dice a Hyoga quando quest'ultimo arriva in Siberia per l'addestramento.
Oggi non ho nient'altro da aggiungere: ringrazio chi ancora recensisce e segue la storia.
Alla prossima,

Lady Aquaria

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Capitolo 41
*** Memories. ***


capitolo 41
41.
Memories.
 
 
"Ho saputo che hai preso le mie difese."
Hyoga si sedette al tavolo, mentre Mei, al lavandino, era intenta a trafficare con i biberon e il latte in polvere, attenta alle dosi per ogni singolo contenitore; accanto al piano cucina, i tre neonati aspettavano più o meno pazientemente di ricevere la poppata del mattino.
"A-ha." gli rispose, senza dedicargli troppa attenzione.

"Non eri tenuta a farlo, voglio dire... non dopo quel che ti ho detto."
"Non c'è di che." tagliò corto lei, addolcendo lo sguardo poco dopo, prendendo in braccio Joséphine e rivolgendo ad Alex e Milo qualche parola in cinese.
"Non allatti?"
"Ho smesso di produrre latte ancora prima di uscire dall'ospedale." rispose Mei, soprapensiero. "Ma poi, scusa... a te cosa importa?"

"Sei di nuovo arrabbiata per quel motivo?"
Finalmente alzò lo sguardo su di lui, mentre la piccola si attaccava vorace al biberon.

"Hai sbagliato avverbio, tesoro. Sono ancora arrabbiata per quel motivo." lo corresse. "È diverso. Posso sapere per quale motivo vuoi a tutti i costi ricucire con me? Non sono nessuno per te, non si ricuce con un estraneo."
Hyoga roteò gli occhi, in una perfetta imitazione di Camus.

"Senti, capita a chiunque di dire spropositi quando non si riesce a ragionare. Avrai sicuramente litigato anche con Shiryu nel corso degli anni, no?"
"Certo." gli concesse. "Ma Shiryu è mio fratello. Condividiamo la stessa famiglia e lo stesso sangue, non siamo estranei. E se devo regolare i conti con lui, posso farlo tranquillamente, prendendolo a ceffoni o torturandolo con un silenzio senza fine. Dovessi mai mettere le mani addosso a te, non arriveresti al prossimo compleanno, calcolando che ho anni di rancore represso dentro che ho accantonato per amore del tuo angelo custode."
Hyoga non replicò all'ultimo affondo. Si limitò a sorbire un sorso di tè, cercando di riprendere il discorso: Camus gli aveva raccontato tutto nei minimi particolari e si era scoperto stupito dalla mancanza di freni che Mei aveva dimostrato contro Shaka. Non era la prima volta che l'affrontava verbalmente, del resto.
"Avrei voluto esserci e vedere la sua faccia. Shaka, intendo dire." disse poi, vedendola ridacchiare con soddisfazione.

"Aveva gli occhi fuori dalle orbite." convenne Mei, poco dopo. "Sibilava come una serpe, furioso: ancora non ha capito che posso diventare peggio di una vipera se qualcuno tocca le persone che mi sono care. Dohko e Camus hanno addestrato allievi degni di questo nome, non animali come lui. Con tutto il rispetto per gli animali, s'intende."
Si schiarì la voce, cercando con cura le parole da adoperare.
"Su una cosa, però, Shaka aveva ragione. Tu non puoi sapere com'era Isaak, ma non era proprio un sant'uomo. Ha davvero fatto a Kiki ciò che ti ha raccontato."
"So com'è Camus." precisò. "So che non ha mai dato certi insegnamenti e tanto per la cronaca, se Kanon è abile anche solo la metà di suo fratello nel distorcere la realtà e manipolare la gente, allora possiamo anche dare una risposta al comportamento di Isaak durante la battaglia contro Poseidone."
"Per certi versi Saga è un agnellino in confronto. Tu non lo conosci così come non conosci Isaak."
"Sai, è difficile conoscere a fondo una persona, anche se con lei ci trascorri la vita, o sei costretta ad averla tra i piedi di continuo. Ne ho avuto prova non molto tempo fa."
"Come vuoi. Comunque, Kanon ha solo riportato alla luce certi atteggiamenti di Isaak, non ha dovuto faticare molto." osservò Hyoga.

"Che ci piaccia ammetterlo o no, tutti abbiamo una vena di cattiveria nascosta in noi, senza alcuna eccezione. Io ne ho una bella grossa e non ne ho mai fatto mistero, Camus ha la sua e beh, è dannatamente bravo a usarla, quando vuole. Anche tu... per quanto ti piaccia recitare la parte dell'allievo perfetto e senza macchia –e non lo sei - ne possiedi una. Hai ampiamente dimostrato che come il tuo Maestro, quando vuoi, sei abile nell'usarla."
 
*
 
Tre cimiteri in un pomeriggio: Camus si sentiva emotivamente e fisicamente stanco, soprattutto dopo la visita obbligata alla tomba di famiglia. Dopo Beijing e Parigi, eccoli infine a Kobotec, dove Mei l'aveva costretto ad accompagnarla.
"Come mai hai insistito tanto per venire qui?"
"Jurji rientra in quella rosa di persone che ho pregato per le Anfidromie, e ti ricordo che Alexandre porta anche il suo nome. Una pianta e una visita alla sua tomba mi sembrano il minimo, non ti pare? Andrei anche da Natassia, se sapessi dove si trova."

Camus si schiarì la voce.
"Non tocchiamo quest'argomento, per favore. Vado dal guardiano a chiedere dov'è sepolto Jurji."
Mei scosse la testa, intravedendo Hyoga una ventina di metri a est, distratto da qualcosa: un corteo funebre, proveniente dalla piccola chiesetta ortodossa a fianco del camposanto. A giudicare dalla bara bianca e piccola, doveva essere un bambino.
"Era qualcuno che conoscevi?" domandò a Hyoga.
"Conosco la sua famiglia. Ma le mie maledizioni hanno colpito la persona sbagliata." le rispose. "Irina. Una nipote di Oleg." aggiunse dopo qualche secondo, quando notò il suo sguardo interrogativo. "Il mio bersaglio era lui, non la bambina."

"Mi sarei stupita del contrario."
Hyoga assottigliò lo sguardo, notando il vecchio Oleg in fondo al camposanto, dietro il figlio e la nuora distrutti dal dolore.
"Adesso sai che cosa si prova." borbottò, in russo.
"No, Hyoga. Questo no. Per quanto quell'uomo meriti di soffrire per il male che vi ha fatto, non dovresti neanche pensare certe cose. Porta male, soprattutto ora che Freya è incinta." Mei s'interruppe guardando, con un groppo in gola, la nuora di Oleg prostrarsi sulla bara della figlia. "Nessun genitore dovrebbe piangere suo figlio, è ingiusto e contro natura e sono certa che preferirebbero esserci loro là dentro, al posto della figlia. E poi, pensa a questo: se al posto di quei due genitori ci fossi tu?"

"Cosa succede?" Camus spuntò alle loro spalle, parlando a bassa voce.
"La nipote di Oleg." Hyoga gli indicò il gruppetto di persone riunite intorno a una fossa.
"Svetlana?"

"Irina."
"Oh. Il Karma gira, Oleg."

Mei inarcò un sopracciglio, guardando prima l'uno, poi l'altro.
"Adesso ho capito da chi hai preso, certo non da quella santa donna di Natassia."
"Riguardo cosa?"
"Porta male, malissimo, pensare certe cose. Soprattutto quando lui sta per avere un figlio e noi ne abbiamo quattro, tre dei quali di poche settimane: quel Karma potrebbe ritorcersi contro di noi! Ricordatevelo, prima di vomitare certe cattiverie. Vogliamo andare, adesso? Per quanto mi riguarda abbiamo già ampiamente sfidato gli Dèi. Vergognatevi, tutti e due."

Tornati all'ingresso laterale del cimitero, Camus spiegò una cartina.
"Il guardiano ha preferito indicarmi la tomba sulla mappa piuttosto che accompagnarci." borbottò, seguendo le indicazioni. "Sciocco superstizioso: dice che nessuno vuole più seppellire i parenti accanto alla tomba di Jurij perché sentono energie negative provenienti da quel posto."
A Mei non piacque il tono usato da Camus, ma preferì lasciar correre. Posò lo sguardo sulla tomba, sola in un piccolo appezzamento di terra dimenticato da tutti, circondata da altri appezzamenti pieni di lapidi e rigogliosi sempreverdi.
"Io sento solo molta tristezza. E tanta, troppa ignoranza." sospirò, infilando dei guanti da giardinaggio e iniziando a strappare le erbacce incolte.

"Anche questo, povero papà." mugugnò Hyoga.
"Certa gente non ha rispetto per i vivi, figuriamoci per chi non lo è più." aggiunse Mei. "C'è bisogno di ricalcare le lettere, alcune sono così sbiadite che si fatica a leggerle: la prossima volta vedrò di portare dell'inchiostro apposito."
"Grazie."
Appesa alla croce sulla sommità della lapide, una specie di lungo rosario ripiegato in più giri: Mei lo toccò con delicatezza, rigirando la medaglietta appesa insieme a una nappina e una croce ortodossa.
Chiuse gli occhi, mentre iniziavano a balenarle in testa scene che dovevano essere avvenute in quello stesso cimitero almeno due decenni prima: una valigia posata accanto alla lapide, una donna palesemente incinta mentre si inginocchiava e pronunciava qualche parola, prima di sfilarsi dal polso quello stesso rosario e appenderlo alla croce.
"Una corda da preghiera." commentò Camus, adocchiando il monile, che una volta doveva esser stato completamente nero, ma che ora, nei punti esposti al sole, virava verso il grigio. "Un chotki ortodosso. Chissà chi l'ha lasciato qui..." si voltò cercando con lo sguardo le altre lapidi, ma erano tutte spoglie. Ben curate, ma spoglie.
"Natassia." commentò Mei, leggendo le incisioni sulla medaglietta. "Questo rosario è stato creato per tuo padre, da parte di tua madre. L'ho vista quando ho toccato il rosario."
Hyoga si chinò verso la lapide di suo padre, sfiorando le incisioni con le dita e pronunciando qualcosa in russo.

"Può averlo lasciato chiunque." minimizzò Camus.
"Dici? Evitano come la peste quest'angolo di cimitero ma si scomodano per lasciare un rosario? Un po' contraddittorio, non trovi? L'ho vista appoggiare una valigia proprio qui accanto, fare tre volte il segno della croce e inginocchiarsi in questo punto nonostante il pancione. Parlava di Yura, Leningrado e di qualcos'altro che non saprei ripeterti."

"Hai anche le visioni, adesso?!"
"Non usare quel tono con me. Da qualche tempo ho delle percezioni, soprattutto quando sento qualcosa vicino che non posso vedere. Natassia dev'essere qui, perché mi ha trasmesso dei ricordi attraverso quel rosario."

"Com'era fatta la valigia?" domandò Hyoga di punto in bianco, sorprendendo entrambi.
Mei riportò alla memoria i dettagli di quanto aveva appena visto.
"Azzurra, con gli angoli rinforzati e due spesse cinghie marroni." rispose senza esitazione.
"Oh, ma dai." sbuffò Camus.
"Non ti azzardare! Posso sorvolare sul fatto che tu non creda a certe cose, ma non osare darmi della bugiarda." sbottò Mei, inalberandosi. "Credi che abbia sputato le prime cose che mi sono balenate in mente?" liberò con stizza dal cellophane la piantina che aveva portato con sé e si rialzò, brusca.
"Mia madre possedeva una valigia di quel colore. La ricordo bene, anche perché al momento del naufragio, in quella valigia, c'era il mio gioco preferito. Beh... era il solo che avesse potuto permettersi di comprarmi ed era il mio unico gioco, per forza di cose lo consideravo il mio preferito."
Ancora se lo ricordava, quel giorno: aveva desiderato così tanto quel robottino, che aveva chiesto a Natassia di tenerlo in valigia per paura che si sciupasse durante il viaggio.
Che idea grandiosa.
"E Yura è il vezzeggiativo di Jurij quindi sì, è qui che ha detto addio a Kobotec, prima della sua fantastica decisione di tornare, quando ero bambino."

"Tua madre ha preso la decisione che in quel momento riteneva più giusta, non sta a te decidere se sia stata una buona idea o no. E in secondo luogo, sono certa che, se avesse potuto, ti avrebbe acquistato tanti di quei giochi da riempire una casa. Ti ha dato la vita e te l'ha salvata, direi che sono doni ben più preziosi di un robottino." lo riprese Mei con severità, estraendo da un portaoggetti una serie di strumenti da giardinaggio per piantare, vicino alla tomba di Jurij, un sempreverde.
"È un abete?" Camus si schiarì la voce.
"Un cipresso. Le radici si sviluppano in verticale e non c'è rischio che queste vadano a intaccare la sepoltura." replicò, secca.
"Dai, Mei..."
"Dai un accidenti. Non sai quanto mi fa arrabbiare questo tuo atteggiamento. Prima o poi chiederò a mia madre di venire a tirarti i piedi mentre dormi."

"Perché non Degél?"
"Perché lui non lo farebbe mai."

"Lo sai che mi dispiace..."
"Lascia perdere." replicò lei, afferrando un bagna fiori che qualcuno aveva abbandonato tra le lapidi. "Vado a prendere un po' d'acqua."
"Aspetta, vado io." interloquì Hyoga. "La pompa dell'acqua è arrugginita e dura da manovrare."
"E io ho forza nelle braccia e l'antitetano." rispose Mei, prima di avviarsi.

"...un passo avanti e due indietro." commentò Hyoga. "Perché semplicemente non accetti questa sua capacità?"
"Intanto nessun passo indietro." puntualizzò Camus, stizzito. "Secondo, è un tasto che non mi piace toccare."
"Io penso che tu sia geloso. O spaventato. Oppure entrambe le cose." Hyoga abbassò la voce per non farsi sentire da Lixue, pochi metri avanti a loro, intenta a trafficare con la piantina.
"Sarei geloso...dello spirito del mio predecessore? Ti ascolti, quando parli?"
Negli ultimi tempi Mei spariva anche per ore da qualche parte al Santuario, in un luogo in cui lui non aveva accesso. Erano certi segreti a disturbarlo, le cose che Mei non gli diceva e che preferiva dire a Degél, quelle cose di sua moglie che l'altro si prendeva, a scapito suo. Quella sensazione di... tradimento emotivo che avvertiva da un po' e che, per quanto irrazionale fosse, non riusciva a cacciare via.

"Allora la tua è paura. Di cosa? È dei vivi che bisogna aver paura, non dei morti. E soprattutto non di mia madre, che Dio l'abbia in gloria." aggiunse Hyoga, facendosi il segno della croce.
"Tu non capisci."
"Prova a spiegare."

Mei tornò indietro con il bagna fiori colmo d'acqua, e senza profferire parola iniziò ad armeggiare intorno alla tomba con i suoi strumenti.
"Hai detto che questi fenomeni sono apparsi da poco tempo?" domandò Camus, dopo qualche minuto di silenzio insostenibile.
"Da quando i miei incubi hanno avuto termine."
"Cioè da quel pomeriggio al tredicesimo tempio?"
"Sì."

Camus rimuginò sulle sue parole, facendo attenzione a come risponderle per evitare altri battibecchi.
"Perciò... vuoi dirmi che nei pochi istanti in cui la tua mente e quella di DeathMask sono entrate in contatto, lui ti ha trasmesso un suo potere?"

"Non proprio, non esagerare." obiettò Mei. "La sola cosa che ho notato di diverso in me è che ora posso vedere parte della vita di una certa persona, quando tocco qualcosa che è appartenuto allo spirito. Ti ricordo che DeathMask può evocare gli spiriti e usarli a suo piacimento, io no."
"So perfettamente di cosa è capace, e Athena sola sa che cosa potrebbe succedere se quello squilibrato evocasse lo spirito sbagliato."

"Quindi, avresti preferito qualcos'altro? Che so, una doppia personalità? Non sei capace di gestirmi con una, figurati due." sogghignò Mei. "Pensaci, prima di dire sciocchezze."
Sistemò il terriccio intorno alla base del cipresso e si pulì le mani con il residuo d'acqua del bagna fiori, prima di rivolgere il saluto taoista alla lapide di Jurji.
"Spasibo, spasibo bol'shoye, Jurji." mormorò, ringraziandolo per l'aiuto ricevuto.


*
 
"Perché siamo venuti qui d'improvviso?"
Hyoga si schiarì la voce.
"Perché Camus è fuori casa. Se ci avesse visto andare via insieme, avrebbe iniziato a fare domande, e mi pare di capire che tu non voglia sollevare certe questioni prima di settembre."

obiettò Hyoga, seguendola dentro il negozio di Zoya e sua madre, dove li stavano aspettando per la prova dell'abito da sposa: abito che, tra le cose, era esposto su un manichino in attesa di essere indossato.
Zoya e sua madre erano su di giri: avevano lavorato a lungo su quell'abito e non vedevano l'ora di mostrarle ogni ricamo.

"Odnu minutu, pozhaluysta. Un minuto, per favore." sorrise loro, nascondendo, per quanto possibile, il disappunto.
Hyoga sgranò gli occhi, sorpreso, ma non fece in tempo a chiederle delucidazioni che squillò il suo cellulare.
"Scusami tanto, ho dimenticato di spegnere il telefono... è Camus. " precisò corrugando la fronte quando si accorse del nome comparso sul display del cellulare.
"Ignoralo." borbottò Mei, passando rapida al greco.

"Come, scusa?"
Avrebbe dovuto scambiare due parole con Freya, che mesi prima aveva insistito per offrirle in dono l'abito facendole scegliere la stoffa e mostrandole un modello di abito tradizionale che le era piaciuto, certo, ma che aveva immaginato in un altro colore. Se non rosso, un bel punto di blu che in Russia era considerato di buon auspicio per una sposa.

"Quando dico che ho seri problemi a indossare il bianco, non è per colpa di un'idiosincrasia, è per una seria questione culturale. Possibile che non ci sia una, dico una sola persona disposta a rispettare la mia religione, a parte Shiryu? Eppure non è così difficile."
Il telefono riprese a squillare, e Mei sbuffò, prima di tornare da Zoya.
Camus l'avvertì che sarebbe tornato di lì a poco, il tempo di uscire dalla tangenziale; Hyoga si trovò a sperare nel traffico congestionato di Atene affinché lo trattenesse il tempo necessario a riportare Mei a casa senza destare sospetti.
"Sta tornando a casa. Camus, voglio dire... sta tornando a casa."
"Beh, mi spiace per lui ma spero che resti imbottigliato nel traffico."
"...è in moto."
Mei sbuffò.
"Accidenti." borbottò, dietro il paravento dietro il quale, aiutata da Zoya, si stava infilando il vestito. "Mal che vada, diremo che siamo passati a lasciare qualche fiore a Natassia."

"Certo, così è la volta buona che mi fa lo scalpo."
"Perché?"
"Camus si arrabbierebbe moltissimo anche solo a pensarti sul luogo del relitto e inoltre mia madre è in un posto difficile da raggiungere, non vado da lei da anni perché non posso spingermi alla profondità in cui è stata spin-... in cui è scivolata."

Dopo qualche secondo di silenzio, Mei riprese.
"Come sarebbe? Vorresti dirmi che tempo fa ti tuffavi in quelle acque gelide per raggiungere tua madre? Voi guerrieri dei ghiacci siete matti da legare."

"A quanto pare..."
"E perché ora non puoi più?"
Perché è stato Camus a impedirmelo, avrebbe voluto risponderle. Non lo fece naturalmente, preferendo metterci una pietra sopra per quanto quella ferita, nonostante gli anni, non si fosse mai rimarginata del tutto.
"Le correnti, sai. Sono molto potenti e spesso, troppo spesso, combinano solo problemi." le rispose invece.

Mei uscì finalmente da dietro il paravento, avvolta dal suo vestito da sposa: ricordava molto un abito tradizionale che aveva visto in un'antica foto della famiglia imperiale russa, anche se le maniche e il tessuto utilizzato, meno elaborato rispetto agli abiti delle nobildonne Romanov, lo rendevano più semplice ed elegante.
"Faccio pena, eh?" gli domandò, in greco.
"Affatto." le rispose ammirato, mentre Zoya le sistemava il velo in testa.
"...ho quattro figli, Hyoga, il velo non sarà un tantino eccessivo?"
"Si chiama kokoshnik, e fa parte del sarafan."

"...è che non vorrei sembrare ridicola, insomma, una cinese in un vestito russo..."
"Ti assicuro che non lo sei."
Zoya corrugò la fronte, non comprendendo il discorso tra i due.
"C'è qualche problema?" domandò.

Mei si scusò, spiegandole che sperava di apparire al meglio e che sarebbero dovuti scappare quanto prima perché Camus altrimenti avrebbe potuto scoprire tutto prima del matrimonio. Prima di togliersi con cautela il vestito, intravide un secondo manichino, di foggia maschile, sul quale facevano bella mostra di sé un paio di morbidi pantaloni neri e una camicia tradizionale, cucita con la stessa stoffa del suo abito.
"Gli stivali arriveranno più avanti, li stiamo confezionando seguendo il modello di quelli che ci hai fornito un paio di settimane fa, ma come vedi, il resto c'è tutto." spiegò Zoya, infilando in un sacchetto la camicia e il paio di pantaloni che Mei le aveva portato per prendere le misure. "Spero sia tutto giusto."
"Cercherò di attirarlo qui con qualche scusa, non preoccuparti."
"Conoscendolo, farà troppe domande." lo interruppe Mei.
"Potremmo usare mio figlio. Come scusa, intendo dire." disse quindi Zoya. "Nascerà il prossimo mese e potrei dire che sono i vestiti che indosserà al battesimo."

Mei sperò che quella scusa reggesse, dal momento che Camus aveva già ampiamente notato la scomparsa di una delle sue camicie preferite; tornati al Santuario, ebbe il tempo di infilare la camicia nell'armadio come niente fosse, prima del suo ritorno.


"DeathMask, cercavo giusto te." esordì Camus, giunto davanti alla quarta casa.
"Cosa vuoi?"
Per niente colpito dal tono di DeathMask, si accese una sigaretta, apparentemente tranquillo.

"Lixue, raggiungi tua madre." disse alla figlia, porgendole i due caschi. "Fai attenzione a non farli cadere."
"Ciao Tore." salutò Lixue, prima di prendere di corsa le scale.
"Ciao, Memè." le rispose DeathMask, sempre chino sul cofano della propria auto.

"Tua moglie non è da me, tanto per la cronaca. L'ho vista salire al vecchio osservatorio. Cos'è, stai per vietarmi di parlare con tua figlia o con Mei? Che hai paura, che possa farci qualcosa?"
"No." Camus scosse la testa, con un ghigno. "Conosci le conseguenze. Piuttosto... tu puoi evocare qualunque spirito in qualunque momento, dico bene?"
L'altro estrasse l'asta dell'olio motore e ne controllò il livello, prendendosi tutto il tempo del mondo per rispondergli, sapendo quanto Camus detestasse quel comportamento.

"E allora?" rispose. "Chi dovrei evocare, mammina?"
Camus socchiuse gli occhi, malevolo.
"Prova a evocare tua sorella, se ti riesce." rispose, gelido. Toccato nel suo unico tasto dolente, DeathMask strinse la presa sul cofano, finché le nocche non diventarono bianche.
"Cosa cazzo vuoi?" berciò, richiudendo il cofano con rabbia. "Sì. Posso evocare chi voglio, quando voglio, e allora?"
"Puoi anche avere delle visioni quando tocchi un oggetto appartenuto a un defunto?"

"Si chiama psicoscopia. Per rispondere alla tua domanda, sì. E allora?" ripeté per la terza volta.
"E allora, Mei ha iniziato a manifestare una specie di capacità simile da quando l'hai aiutata con il suo alter ego."
"Non credo sia possibile."
Camus raccontò velocemente quanto accaduto a Kobotec, e DeathMask sogghignò.
"Beh, significa che Mei possedeva già quella capacità, io l'ho solo attivata, ma comunque resterà sempre limitata: non può evocare chi vuole, può vedere solo chi decide di mostrarsi. Sembra che tu non voglia accettare il fatto di avere a che fare con una donna che possiede poteri straordinari, per quanto questi, purtroppo, siano dormienti. Se avesse sviluppato il Cosmo, tua moglie sarebbe stata una formidabile Silver. Ma comprendo la tua paura, del resto, se ne ha sempre riguardo quel che non si conosce e non si riesce a capire."
"Risparmiami la tua psicologia spiccia, per cortesia." sbottò Camus.

"Chiamala come vuoi, sai quanto m'importa?" berciò DeathMask. "Ma sappi che non la aiuti, quando mortifichi queste sue caratteristiche. Sei cresciuto in un mondo popolato da gente che è tutto fuorché normale. Tu crei ghiaccio con le mani... non dovresti deriderla, ma sostenerla."
Camus corrugò la fronte.
"Curioso. Pare che anche Mei ti abbia trasmesso qualcosa: cos'è questa improvvisa manifestazione di umanità?"

"Perché non vai a farti fottere?"
"Certe cose le lascio fare ai professionisti, sai: non mi permetterei mai di prendere il tuo posto." replicò Camus, schiacciando il mozzicone sotto il tacco prima di lasciarlo lì, con un palmo di naso.
Nel vecchio osservatorio, Mei si guardò intorno, controllando che la balconata del matroneo fosse vuota. Non le piaceva avere intorno gente mentre pregava e parlava con i defunti, a maggior ragione se era Camus a osservarla.
Sistemò con cura un mazzo di fiori sul tavolinetto e dispiegò l'involto con gli incensi, accendendone poi un paio, prima di prostrarsi in un inchino rituale in segno di rispetto.
"I fiori sono per tutti, ma la mela è per uno soltanto, mi spiace." disse ad alta voce, rialzandosi.
Estrasse una mela dalla tasca dell'aikidoji e la posò sulla mensolina sotto il ritratto di Kardia, sorridendo.
"Non sapete quanto vi sono grata, per quanto avete fatto per me e soprattutto per il vostro sostegno. Mi piacerebbe potervi ringraziare di persona e non solo guardando il vostro ritratto. Che Athena vi abbia in gloria." giunta dinnanzi al ritratto di Degél, baciò la rosa bianca che aveva portato insieme al mazzo di fiori prima di posarla sotto il suo ritratto. "Sapete già che cosa penso di voi, monsieur. Ciò che provo va molto oltre la gratitudine, ma temo di dovervi scomodare di nuovo, grazie a quei due sciocchi irresponsabili..."


Più tardi, anziché tornare subito a casa, decise di fare una piccola deviazione.

"Disturbo?"
"Certo che no, entra." le sorrise, notando in quel momento la reflex che Mei aveva appesa al collo. "Sei fortunata, Shaina è in giro per commissioni e abbiamo un paio d'ore."
Mei corrugò la fronte.
"Mi bastano pochi minuti, non voglio disturbare troppo."

"Nessun disturbo, anzi. Mi spoglio e sono subito da te... preferisci sul divano o in piedi?"
Se fosse stata single e non felicemente sposata, avrebbe persino preso in considerazione quell'invito.

"Per fare cosa, scusami?"
"Le foto... che cosa avevi capito? Non è per questo motivo che sei qui?"

"Sì ma... spiacente, la foto non devo farla a te."
"Peccato. Però per un attimo ci hai pensato, ammettilo."
"Che scemo." rise Mei, rilassandosi. "Non è colpa mia se in questo Santuario siete tutti dei bei ragazzoni." aggiunse, tornando poi seria. "Avrei bisogno di vedere il ritratto di Kardia."

Non comprendeva il motivo di quella richiesta, tuttavia le sorrise e le indicò la porta che separava la zona notte dal resto dell'ottava casa: il ritratto di Kardia era appeso proprio di fronte alla stanza di Nikos.
"L'avete spostato." notò Mei. "Lo ricordavo nel corridoio."
"Sì, ehm... per Nikos, sai." le rispose, un pochino imbarazzato.
Gli strofinò un braccio, sorridendo.
"Non ti imbarazzare: credo sia un bel gesto. La sua personalità forte non può che giovare a Nikos, e poi si tratta di Kardia, non di uno spirito guardiano qualunque. Pensa che a casa ho appeso la copia del ritratto di Degél in diversi punti, affinché possa proteggerci ovunque."
Nella Stanza degli Avi, nella parte di corridoio accanto alle stanze da letto, nel suo piccolo studio, ricavato nel sottotetto accanto alla stanza per lei più importante di tutta la casa. Lo portava persino addosso, nel medaglione portafoto che Degél le aveva affidato tempo prima.
Quest'ultimo dettaglio, però, preferì tenerlo per sé.

Accese la fotocamera e iniziò ad armeggiare con le varie ghiere sull'obiettivo, cercando la messa a fuoco perfetta, quando sentì Camus appena fuori dagli appartamenti privati di Scorpio.
"Mei? Sei qui?"
"Ti prego, fa che non si siano svegliati tutti e tre contemporaneamente." sospirò l'interpellata, controllando il display della reflex. "Oui, me voilà. J'arrive tout de suite."
Quando Camus l'ebbe raggiunta, Milo fece capolino dalla camera.
"Cielo, tuo marito!"
"Ma smettila." lo riprese Mei, ridacchiando.
"Non ci crederei nemmeno se vi vedessi con questi occhi." rispose Camus.
"Un'altra al posto di Mei avrebbe già ceduto." lo riprese Milo, divertito. "Ma ti è andata benone, è fedele come poche ed è immune al mio smisurato fascino."
"Non scherzare ti prego, o andrà a finire che mi manda in bianco: già basta un nonnulla per fargli passare la voglia, non ti ci mettere pure tu."
"Ah, perciò tra voi due è lui quello che usa la scusa del mal di testa."
"Oh già. E secondo te perché ho il cassetto del comodino pieno di aspirine?"
Mascherando l'imbarazzo con un colpo di tosse, Camus mosse un passo avanti.
"Vogliamo andare?"

 
*
 
Mei ritornò a letto, stanca: Alexandre e i suoi problemi al pancino avevano svegliato anche gli altri due, con risultati catastrofici per il suo sonno.
"Si sono addormentati, finalmente." bisbigliò, adocchiando l'ora sul comodino di Camus: le tre meno un quarto. "Alla mancanza di sonno ci sono abituata, al mal di testa lancinante no."

Camus si voltò verso di lei, sorridendole.
"C'è qualcosa che posso fare per voi, mia signora?"

"Mah, dipende. State bene o avete il mal di testa anche voi, messere?"
Lui parve pensarci un po' su, prima di scostare le lenzuola e rotolare su di lei.
"Dalla regia mi dicono che la testa è completamente operativa."

"Molto bene. E in cosa consisterebbe il vostro rimedio?"
"Sapete, recenti studi affermano che le endorfine rilasciate in determinati momenti siano di grande aiuto."

"Oh. D'accordo allora, datevi da fare."
Nonostante le schermaglie, però, Camus era distante. Pur essendo con lei, sentiva che qualcosa non andava bene: cos'era successo? Non aveva niente a che vedere con il battibecco a Kobotec, che avevano ampiamente chiarito, ma qualcosa lo impensieriva già dal pomeriggio appena trascorso e non riusciva a capire cosa.
"Cosa c'è?" gli domandò, mentre lui gemeva contrariato, sollevandosi su un gomito. Lo vide aprir bocca sul punto di dirle qualcosa, ma anziché parlarle, si limitò a scivolare nel suo lato del letto, lo sguardo fisso al soffitto.
"Cosa c'è che non va?" ripeté, accendendo l'abat-jour e accorgendosi del problema. "Oh. Tesoro, può succedere, non è niente di grave."
Camus si alzò, infilandosi in fretta i pantaloni della tuta.
"Tutto bene."

Lo seguì poco dopo, giusto il tempo di mettersi qualcosa addosso, e lo trovò in cucina, a trafficare col samovar, le mani tremanti.
"Lascia, faccio io." mormorò, togliendogli dalle mani la tazza.
"Mi dispiace." le disse dopo qualche minuto.
"Non hai nulla per cui dispiacerti, rilassati: il mal di testa mi è del tutto passato." scherzò Mei strofinandogli la schiena, incoraggiante. "Ti va di dirmi cosa c'è che non va?"

Non sapeva come parlarle, ad essere sincero. Non sapeva come spiegarle che lo infastidiva il fatto che preferisse farlo con Degél anziché con lui. Non sapeva nemmeno se fosse il caso di catalogare quel comportamento sotto la voce tradimento emotivo: insomma, poteva davvero definirlo tradimento?
"Preferisci restare solo?" proseguì Mei, fraintendendo il suo silenzio. 
Camus si schiarì la voce.
"No." le rispose. 
"Allora cosa c'è?" proseguì lei, scostando l'orlo dei pantaloni e gettandovi un'occhiata.
"Per favore Mei, così non mi aiuti!" sbottò lui.

Lo strinse a sé: il suo cuore batteva regolare sotto il suo orecchio, ma il suo corpo tradiva una certa tensione.
"Sai che ti amo." esordì lui d'improvviso. "Sempre, anche quando sei cocciuta e insopportabile. Ti amerò anche nelle prossime vite, e so che per te farei qualunque cosa. Ma sento che in qualche modo ti sto perdendo. Tu sei mia moglie, la mia amante e la mia migliore amica e ti amo come non ho mai amato nessuno. Ma forse non ti ho amato abbastanza e ti ho trascurata, al punto che preferisci confidarti con altri e non con me. Voglio che tu sappia che io ci sarò sempre per te e che qualsiasi cosa tu voglia dirmi, io sarò qui ad ascoltarti."
Mei si scostò e lo guardò, interrogativa.
"Non mi hai mai trascurata." sussurrò. "E se è per quelle rare serate Game of Thrones alla quarta casa, o le mie visite all'ottava, le diminuirò, se ti recano fastidio. Per quanto riguarda Degél..."
"No, no. Ascoltami non voglio limitarti, non voglio che tu smetta di frequentare le tue amicizie, per quanto qualcuna sia piuttosto discutibile e dopotutto Milo è mio fratello, ho affidato la tua vita nelle sue mani e affiderei la mia... su Degél sono contento per te, per questa tua, chiamiamola così, amicizia. Ma il fatto che tu preferisca confidarti solo con lui, questo tuo tenermi fuori da ciò che ti riguarda, mi rende infelice. Ho notato che a volte sparisci per interi pomeriggi e so che sei qui, ti sento, ma sei in un luogo a me inaccessibile e non so più cosa pensare: lo vedi di continuo, a lui dici cose che non dici a me."
Fu tentata di rivelargli l'esistenza della stanza segreta al terzo livello della biblioteca, ma doveva chiedere il permesso al diretto interessato per farlo: quel luogo  era troppo intimo, e per Degél aveva lo stesso significato che aveva per lei la Stanza degli Avi.
"C'è un luogo, in effetti, qui al Santuario, ma... senza il suo permesso non posso dirti nulla." disse Mei. "Torno a dormire, non fare tardi."
Quando si decise a tornare in camera, Camus notò che erano le quasi le quattro, e che Mei dormiva. Logico, pensò, con le energie costantemente prosciugate dai bambini era normale addormentarsi appena si sfiorava il cuscino. Si strinse a lei, scivolando nel sonno poco dopo.
Sonno che, tuttavia, non si rivelò tranquillo come avrebbe desiderato; oltre a rigirarsi più volte, ricevette anche una certa visita che al risveglio lo lasciò scosso.

 
Qualche ora più tardi, settima casa.
"Maestro, posso disturbarvi per qualche minuto?"
Dohko sollevò lo sguardo dal pentolino sui fornelli e annuì.
"Certo Camus, dimmi." sorrise, prendendo una terza tazza dal pensile e sistemandola sul tavolo, insieme a dei baozi dolci. "Spero ti piaccia, è un tè tibetano con zenzero e..." scorse rapidamente l'etichetta variopinta sulla busta "...bacche di goji. Tipico di Shion, sai, perdersi tra le bancarelle di Lhasa e tornare a casa con soprammobili, tappeti e tè di dubbio gusto, che puntualmente cede al sottoscritto dicendomi ho visto questo e ho pensato possa piacerti. Una scusa bella e buona, diciamo che cede quel che non gli piace. Perché quando si tratta dei momo con le patate, non li cede neanche sotto tortura." aggiunse, abbassando la voce sulle ultime parole.
"Ti ho sentito." interloquì l'interessato, dalla stanza a fianco.

"Lo so, l'ho fatto apposta. Allora, Camus, cosa c'è che non va?"
"Posso passare più tardi, se ora avete altri impegni."
"Oh, non ti preoccupare. È giorno delle grandi pulizie al tredicesimo, e Fedra non ama avere intorno gente quando rassetta. Diciamo pure che tanto qualcuno sarebbe comunque sceso dal suo scranno d'oro per scroccare la colazione."   

Strinse le mani intorno alla tazza di tè, prima di decidersi a parlare.
"Mi domandavo se... è possibile per un fantasma entrare nei sogni di qualcuno."
"Uno spirito, intendi dire?" rispose Dohko. "Sono incorporei, possono oltrepassare i limiti delle dimensioni e del tempo, hanno poteri che noi possiamo solo immaginare. Le leggi del mondo paranormale sono a noi incomprensibili, quindi sì, direi che è possibile. Lasciami indovinare: Degél?"
"Sì." annuì Camus.
"È per questo che sei turbato."

Non era l'aggettivo più adatto, ma lo prese per buono.
"Non proprio, io..."
"La mia non era una domanda." obiettò Dohko. "Non dovresti, Degél era un pezzo di pane e sicuramente ha altro cui pensare che riempirti di incubi. Era fatto a modo suo, era introverso e tanto, tanto noioso a volte, ma era una bravissima persona."

"Non ho mai pensato il contrario..." rispose Camus.
"Suvvia, non ti offendere, sai che lo dico bonariamente."
"Prego?!"
"Non sta parlando con te." Shion, di ritorno dallo studio di Dohko, si accomodò al tavolo.
"...ci sono solo io, qui." obiettò Camus, inarcando un sopracciglio.

"Non esattamente."
"Oh ma dai. Quando iniziavi a parlare di astronomia e fisica non ti fermava più nessuno. Pensa, Camus, che quando dal Regno Unito gli giunse la notizia della morte di Halley, uno dei suoi astronomi preferiti, restò a lutto per due settimane buone e per giorni non parlò d'altro. Giuro. Se poi il discorso era riferito a Bluegrado era capace di parlare per ore, anche perché a dire il vero non era esattamente della città che volevi parlare, ma della sua bellissima signora. Smettila, sai che non puoi colpirmi, sei incorporeo. Incubi, dici? Conoscendoti, anche i tuoi incubi sarebbero noiosi."

Camus si schiarì la voce: era sceso alla settima casa per avere delucidazioni e non aveva risolto assolutamente niente.
"Grazie del tempo che mi avete dedicato, ora devo proprio andare." disse, sospingendo in avanti sul tavolo la tazza vuota.
"Ecco fatto, ora mi crede uno svitato, Deg, ti ringrazio."

"Hai sempre avuto le rotelle fuori posto, non incolpare Degél." osservò Shion.
"Grazie, Shion." Dohko levò gli occhi al cielo, poi fermò Camus sulla porta. "Degél mi sta dicendo che il luogo che stai cercando si trova nella vostra biblioteca, ed è protetto da due chiavistelli nascosti nella modanatura: te li mostrerebbe, ma sarebbe inutile dal momento che non lo vedi."
"...sì. D'accordo. Arrivederci, Maestro."
"Ha anche aggiunto di guardare dentro una cassapanca blu, nella quale ha riposto i suoi diari. Dice che puoi sentirti autorizzato a leggerli."
Proruppe in un sorrisino di circostanza e annuì.
"Certo."
Dohko lo seguì fuori dagli appartamenti privati, guardandolo con cipiglio severo.
"Un'ultima cosa, Camus. Questo tuo tono condiscendente, a lungo andare, finisce col dare sui nervi e ti posso assicurare che Degél non è facile da gestire quando è irritato. E neanche io."

"Tu sei sempre ingestibile, ma del resto sei della Bilancia..."
"Vecchio caprone brontolone." borbottò Dohko, ai danni dell'amico.

 
Approfittando del bel tempo, Mei portò i bambini in spiaggia, concedendosi un po' di tranquillità mentre Camus, con la scusa più gettonata in quel caso –le efelidi e la sua facile inclinazione a diventare color aragosta- ne approfittò per restare in casa.
Non era per niente convinto del suo scambio di parole con Dohko, che non aveva fatto altro che confonderlo, a dire la verità. Ma qualcosa, dentro, lo aveva convinto a fidarsi.
Si chiuse alle spalle la porta a doppio battente che separava gli appartamenti dalla biblioteca ed eccola lì, la preziosa eredità del suo predecessore: migliaia di volumi, accuratamente ordinati secondo un criterio che lui non aveva osato modificare e che aveva, anzi, adottato a sua volta.
Oltrepassò la ricca sezione di astronomia che Degél aveva arricchito con cura maniacale grazie anche alle infinite notti insonni trascorse in compagnia di telescopio e carte celesti e andò alla ricerca dei chiavistelli citati da Dohko.
"Ancora mi domando perché ti affanni tanto per lui."
Degél sospirò, senza distogliere lo sguardo dal suo successore, intento nella sua ricerca.
"Non lo sto facendo solo per lui." obiettò, rispondendo a Kardia. "Loro hanno possibilità che io e Seraphina non abbiamo avuto, e non posso restare inerte a guardarli allontanarsi l'uno dall'altra a causa mia."

Guardarono entrambi Camus corrugare la fronte, afferrare un libro e borbottare tra sé e sé qualcosa riguardo ai libri rimessi nei posti sbagliati.
"In questo ha ereditato molto da te." notò Kardia. "E secondo me, sarebbe meglio dargli qualche indicazione, o andrà a finire che vagherà ore qui dentro. Sai che non amo le biblioteche..."

In effetti aveva ragione, pensò Degél, prima di decidersi a dirigere il successore verso la scala a chiocciola e il terzo piano.
Dohko aveva parlato di due chiavistelli; Camus si diresse titubante verso una parte di parete spoglia.
Ma che sto facendo? si domandò, osservando con cura il pannello intarsiato di ciliegio, cercando qualcosa che non era neanche sicuro di trovare.
Ma eccoli lì, invece: uno in alto e uno in basso, che aprì con uno scatto del piede. Oltre il pannello girevole, qualcosa che non aveva mai immaginato potesse esistere.
Una stanza grande quanto la camera da letto, arredata con mobilio secolare: due bauli, un secretaire, una poltroncina e una chaise longue, un tavolinetto basso e un cassettone a sette cassetti. Il resto dello spazio era occupato da una libreria piena di volumi, un telescopio, diversi strumenti astronomici; il tutto era stato ripulito dalla coltre di polvere accumulata dai secoli.

"Per Athena..." mormorò. Avvicinatosi al secretaire, sfiorò appena la piuma accanto al suo elegante calamaio di vetro, l'attenzione rivolta a un diario di pelle fulva, sulla cui copertina spiccava una rosa dei venti. Non osò aprirlo, nonostante le parole di Dohko.
Mi sembrava di averti autorizzato a leggere i miei diari, se non vado errato. La voce gli arrivò nitida nella sua mente, come se lì con lui ci fosse davvero un interlocutore.
La calligrafia di Degél era molto elegante, tipica della sua epoca. Certo, non era tutta ghirigori e svolazzi, ma era ordinata e comprensibile, anche se gran parte del lessico utilizzato comprendeva termini aulici e quasi del tutto caduti in disuso; gran parte delle pagine di quel volumetto conteneva racconti di viaggi, impressioni, scarabocchi e disegni: doveva essere un grande osservatore e un ragazzo particolarmente attento ai dettagli.

Su una pagina, ad esempio, campeggiava un bel disegno del Colosseo, datato maggio 1738, su un'altra, la facciata del palazzo reale di Könisberg, disegnato quella stessa estate. Un ritratto di donna invece occupava due pagine: una ragazza poco più che maggiorenne, dai tratti delicati e grandi occhi espressivi. Dal vivo, pensò, doveva essere stata molto bella.
"Seraphina" sussurrò, leggendo il nome vergato in calce, accanto alla data febbraio 1739. Tra le pagine, su un foglio a sé, un messaggio privato per Degél, dalla ragazza del ritratto: un carme di Catullo, se non ricordava male. Adocchiato un libro sul cassettone, lo aprì all'altezza del segnalibro, trovando un secondo messaggio, questa volta vergato da Degél.
"Soles occidere et redire possunt: nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda." lesse.   
"I soli possono cadere e tornare; per noi, quando la breve luce cade, c'è il sonno di una notte senza fine." tradusse qualcuno, accanto a lui. 
Lo sguardo fisso sulle pagine ingiallite di quella raccolta decisamente antica di Catullo, affascinato come sempre da tutto ciò che riguardava i libri, impiegò qualche istante prima di voltarsi. Qualcosa nel profondo aveva riconosciuto quella voce, ma non ricordava né come, né dove l'avesse già sentita.
"Miei Dèi, dunque è tutto vero."
"Sei un uomo molto difficile da persuadere."
Degél si avvicinò, sbirciando il suo libro preferito nelle mani del suo successore, mentre Camus lo osservava sbigottito. Alto quasi quanto lui, vestito con un elegante ma sobrio habit à la française verde scuro e i capelli legati in una morbida coda bassa, modi di fare signorili, un vago sentore di una colonia alla lavanda.
"Certo che è tutto vero. Ricordo bene quel libro... l'ho riletto fin quasi a consumarlo. Sai, questo libro ha avuto padroni che tu non puoi immaginare: lo ricevetti in dono insieme all'Eneide da Luigi XV in persona, direttamente dalla sua biblioteca personale. Stratega mediocre, poco interessato alla politica ma... possessore di una cultura squisita. Ricordo che era piacevole conversare con lui. Buon cielo, Camus, siediti. Sembra che tu sia sul punto di perdere i sensi da un momento all'altro."

Incredulo, Camus seguì il suo consiglio e si sedette, continuando a fissare con occhi sgranati il suo predecessore accarezzare in punta di dita i dorsi delle varie copertine, fino a prendere un libro tra i tanti, aprirlo e affondare il naso tra le pagine.
"Non sai quanto mi sia mancato poter tenere un libro tra le mani e sentire l'odore della carta. Custodisci come un tesoro i tuoi, i nostri libri, Camus: una biblioteca ben custodita è l'eredità più preziosa che un uomo possa lasciare ai posteri." continuò Degél. Alzato il naso dal volume, guardò Camus diretto negli occhi. "Sapevo che sei un uomo di poche parole, ma non credevo così poche."

 
***
Lady Aquaria's corner
-Il titolo fa riferimento all'omonimo brano dei Within Temptation
-Il Chotki ortodosso, conosciuto anche come corda da preghiera, assomiglia in minima parte a un rosario cattolico, ma presenta differenze culturali non indifferenti. È formato da un cordone di lana annodata con una successione di nodi molto particolari (solitamente 100, ma alcuni arrivano anche a 300) che vengono tessuti attraverso la preghiera e la meditazione. Durante la tessitura, vengono recitate delle invocazioni e delle preghiere per una specifica intenzione  indicata dalla persona che utilizzerà e indosserà il chotki. Ogni 10 o 225 nodi si trova una perlina, per aiutare nel conteggio delle preghiere e indicare il punto in cui eseguire una prostrazione o un gesto di adorazione. il cordone termina con una croce, anch'essa fatta di nodi, e con una nappa, che rappresenta il regno dei cieli, a cui si può arrivare passando dalla croce, e che viene usata per asciugare le lacrime dell'orante.
-A questo punto della storia, Mei ha imparato a parlare un po' di russo. Lo specificherà prossimamente, quando dirà a Hyoga del corso di lingue che sta frequentando in vista della cerimonia.
-Memè, il diminutivo che DeathMask usa nei confronti di Lixue, deriva dal nome europeo di quest'ultima, Aimée.
-Baozi, sono panini al vapore solitamente dolci, e i Momo, tibetani, assomigliano ai ravioli della tradizione cinese, e presentano vagamente lo stesso tipo di ripieno.
-Per me Shion e Dohko condividono un'amicizia secolare forte, se non di più, come quella che lega Degél a Kardia e Camus a Milo.
-Edmond Halley, astronomo inglese vissuto a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, è morto nel 1742, un anno prima della morte di Degél.
-Könisberg (l'attuale Kaliningrad) era una fiorente capitale baltica della Prussia. Il suo palazzo reale, edificato nel tredicesimo secolo, subì radicali restauri nel corso dei secoli per finire demolito nel 1968 sotto il governo di Brèžnev. Era la residenza secondaria di Federico Guglielmo I di Prussia.
Nei miei personali headcanon riguardanti Degél, in virtù del suo ruolo di ambasciatore e diplomatico del Santuario (ruolo che in qualche modo ricopre anche Camus) ha potuto viaggiare parecchio per il mondo, conoscendo personalità importanti per l'epoca, da Luigi XV di Francia, passando per Federico di Prussia. Più volte ho insistito, anche in altre drabble/one shot, delle sue frequentazioni nelle corti europee.
-Infine, il verso citato da Degél è di Catullo, estrapolato da uno dei suoi carmi più celebri.
Per questo capitolo le note si chiudono qui. Grazie per aver letto fino qui, alla prossima!

 

Lady Aquaria
 
 

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Capitolo 42
*** Io che amo solo te. ***


capitolo 42
42.
Io che amo solo te.
 
"Sapevo che sei un uomo di poche parole, ma non credevo così poche."
Restò qualche istante in silenzio, ancora sorpreso dalla sua presenza e dalla naturalezza con la quale si muoveva in quella stanza, dalle sue espressioni mentre apriva cassetti e cassettini e ritrovava appunti, libri, i suoi oggetti.
"Dimmi, Camus. Cosa, in me, suscita tanto stupore?"
Alla domanda, Camus parve riscuotersi dai suoi pensieri.
"Ci siamo già incontrati." asserì. Non una domanda, non un balbettio, ma un'affermazione decisa. Degél corrugò la fronte: com'era possibile che avesse dei ricordi -seppur vaghi- dei loro precedenti incontri, avvenuti anni prima, dopo la scalata alle dodici case? Com'era possibile che avesse ricordi dell'oltretomba? Eppure era sicuro che lui, una volta tornato alla sua vita, non avrebbe ricordato nulla. Non avrebbe dovuto ricordare nulla.

"Dici?" replicò, cercando di mostrare indifferenza verso quell'affermazione.
"Difetto in tante cose, ma ho una buona memoria. Io e voi abbiamo già parlato. Forse in questo momento non ricordo quando, né dove, ma ricordo di avervi già visto."

Touchè. Meglio comunque non intavolare certi discorsi.
"Avremo tempo per discuterne." tagliò corto Degél, decidendo che avrebbe approfondito la faccenda.
"No, non ne avremo, perché non avete alcuna intenzione di parlarne. Allora ditemi, sto ancora sognando?!"
"A differenza della scorsa notte sei sveglio e cosciente: ho deciso di manifestarmi per diverse ragioni."

Per certi suoi irritanti modi di fare, tanto per dirne una. Perché sì, in certi momenti era capace di far perdere la pazienza anche a lui, e certo non era cosa facile. 
"Non conoscevo l'esistenza di questo luogo."
"Non potevi, del resto c'è un motivo se era una stanza segreta. Questo è il mio sancta sanctorum, nessuno ne conosceva l'esistenza. A parte Kardia dopo la nostra morte e... beh, tua moglie. È qui che si rifugia Mei, di tanto in tanto, è questo il luogo inaccessibile che ti reca tanto fastidio."

"Mei può andare ovunque voglia, non è il luogo a infastidirmi." lo interruppe, stizzito.
"Certo, questo lo so: così come esigi il rispetto per la tua libertà personale, così hai a riguardo quella altrui. Sono io a tediarti. Per rispondere ai tuoi pensieri, comunque, non proviamo niente di quel che credi nei confronti l'uno dell'altra, i miei sentimenti per lei sono puramente fraterni, dal momento che apparteniamo a epoche e a persone diverse. Domandale di Seraphina, saprà risponderti."
La nota severa dietro il tono calmo non sfuggì a Camus, che tuttavia cercò di spiegarsi.
"...chiedo venia, ma non ho ancora concluso. Io e lei parliamo a lungo, devo darti ragione:  discorriamo di tante cose: del mio passato, di come vivevamo qui al Santuario quando Athena si chiamava Sasha, talvolta sono il tramite attraverso il quale riesce a comunicare con sua madre. Spesso cerca il mio consiglio e qualche volta , discorriamo anche di te: non sempre, ma succede. La sola cosa che mi permetto di fare è mitigare l'influenza che Kardia esercita su di lei, cerco di addolcire certe sue reazioni senza interferire troppo, mi permetto di volerle bene come farebbe un fratello maggiore. Certi desideri li ho sempre provati per un'altra donna, la stessa al quale appartiene il mio cuore. Mei non si abbandonerebbe tra le tue braccia a quel modo se per lei tu non contassi nulla, non credi? Semplicemente ognuno ha diritto ad avere dei segreti, di avere un angolo privato inaccessibile agli altri. Tu hai i tuoi, Mei ha i suoi."
"Io non ho segreti per la mia famiglia."
"Ne sei proprio certo? Eppure ci sono cose di te che nessuno conosce, neanche le persone a te più care, cose che hai rimosso per non dover soffrire e che hai chiuso nella parte più intima e nascosta di te."

"Cosa intendete dire?"
 
*
 
"Mamma posso giocare con Kiki?"
Mei sollevò lo sguardo dallo sterilizzatore, posandolo sulla figlia.
"Siamo tornate a casa da poco, hai trascorso tutto il pomeriggio in spiaggia, non vorrai prendere un'insolazione."

"Non scenderemmo in spiaggia, ma a casa, ho dei nuovi videogiochi." interloquì Kiki, salito all'undicesima casa insieme alla bambina.
"E va bene." acconsentì Mei. "Purché non siano giochi violenti. Ah, Kiki? Ti ricordo che sei più grande, fai attenzione."
Shiryu ridacchiò, annunciandosi, mentre Kiki usciva svelto da Aquarius con la bambina alle calcagna.
"Con i tuoi modi lo terrorizzi, quel povero ragazzo."
"Beh, meglio mettere subito le cose in chiaro. E poi ha quattordici anni, a quell'età tu e i tuoi compari avevate compiti ben più gravosi che giocare ai videogame con una bambina."
"Si, ma erano altri tempi e altre situazioni, e sono sicuro che anche Kiki si ricorda bene. Tu dovresti rilassarti un po'." sorrise Shiryu, circondandole le spalle in un abbraccio, prima di elargirle un bacio sulla testa.
"Ho tre neonati al di sotto dei quattro mesi e una bambina di otto anni cui badare, non conosco neanche più il significato del termine relax." sospirò Mei.
"Con tutto quello che è successo, mi sono dimenticato di una cosa: durante l'ultimo giro a Wangfujing ho preso questo per te."
Mei sorrise, accettando il sacchettino che Shiryu le aveva porto: all'interno, avvolto dal pluriball, l'ultimo cd di una delle sue cantanti preferite.
"Ti ringrazio molto, anche se sai che non avresti dovuto."

Fece spallucce, prima di aiutare la sorella a dare i biberon ai nipotini.
"Direi che la loro capacità polmonare è ottima."
"Oh sì, non ne hai idea. Lixue al confronto era più tranquilla, i secondi sono sempre un po' più rumorosi dei primogeniti... a maggior ragione se sono tre." rispose Mei, guardando verso la porta della camera alla ricerca di Camus.
"Sei da sola?"
"A quanto pare." sospirò Mei. Camus doveva essere uscito quando lei era ancora in spiaggia con i bambini.
Shiryu rimase qualche minuto in silenzio, perso nei suoi pensieri mentre cullava Joséphine. "Sei silenzioso... qualcosa non va?"
Esitò qualche secondo prima di decidersi a parlarle.

"Shunrei ha avuto un ritardo il mese scorso, pensavamo fosse incinta. Tredici giorni da incubo, vissuti col costante terrore che qualcuno arrivasse e la portasse via con la forza." esordì, osservando poi la sorella sgranare gli occhi.
"Perché diavolo non me ne hai parlato?!"  
"C'erano le Anfidromie di mezzo, tu eri preoccupata e io non volevo darti altri pensieri. E poi, che cosa avrei potuto dirti? Che eravamo talmente presi da esserci strappati i vestiti di dosso senza pensare alle conseguenze? Dai."
"Non con questi termini, ma se succede qualcosa voglio saperlo. Ma come ragioni? Avrei potuto aiutarvi, darvi il denaro necessario per pagare la tassa, aiutarvi a espatriare! Dannazione, Shiryu, sei mio fratello! Non ho smesso di preoccuparmi per te solo perché adesso ho la mia famiglia! Quindi? Cos'è successo?"
"Alla fine era solo un ritardo, ma non hai idea di quanto mi sia spaventato."
In tutta onestà, anche lei iniziava ad esserlo: il pensiero della cognata prelevata con la forza e obbligata a disfarsi di un'eventuale seconda gravidanza le metteva i brividi.
"Davvero? O mi stai nascondendo qualcos'altro? Dèi, non dirmi che vi siete messi nelle mani di qualche macellaio, ti prego."

"No, te lo giuro."
"Lasciate tutto e venite via di lì. Dico sul serio." mormorò Mei, cercando di non perdere la calma. "In Europa o dove ti pare, ma andate via."
"Ci avevamo pensato, sai. Dobbiamo solo tenere duro fino alla Laurea: ho studiato tanto per questo, non voglio rinunciarci a un passo dalla fine. Una volta ottenuta, noi..."

L'arrivo di Milo interruppe i due.
"Non ti hanno insegnato a bussare?" sbottò Shiryu.
"E a te non hanno insegnato a non rispondere in questo modo a un superiore?"

Prevedendo tempesta, Mei si schiarì rumorosamente la voce.
"Niente baruffe, bambini. La mamma non è dell'umore adatto."
Milo scoccò un'occhiataccia all'altro, prima di mostrare un plico all'amica.
"Volevo dirti che è tutto a posto, tutto prenotato. Le moto sono stupende e ho trovato un camper fantastico così risparmiamo sui motel. I vostri passaporti sono in regola, dico bene?"
"Passaporti?" Shiryu corrugò la fronte.
"Partiremo per un tour sulla Route 66, due settimane on the road con destinazione Santa Monica."
"...dove speri di incontrare il tuo idolo, dì la verità." insinuò Milo.
Malgrado la preoccupazione, Mei sorrise.
"No, purtroppo. Sta girando il suo primo film da regista, e ironia della sorte, si trova a Pechino in questi mesi. Lui là, io qua. Quando sarò io ad essere in Cina, lui sarà di nuovo in occidente. Si vede che non sono destinata a incontrarlo."

"Che vuoi farci, neanche io sono destinato a incontrare Angelina Jolie." Milo fece spallucce. "Beh, dovrai accontentarti di me."
"Andata." sorrise Mei, ricambiando l'abbraccio dell'amico. "Ti voglio bene."
"Ma tu non hai la patente per le moto." li interruppe Shiryu, ignorando lo scambio di battute.
"Ergo, il camper." ribatté Mei. "Loro tre in moto, io su quattro ruote."

"Tutti insieme?"
"Oh sì, insieme. Immagina le notti, stretti in quattro su un letto solo." interloquì Milo.
"Non vedo l'ora." ridacchiò Mei, divertita.
Shiryu alzò gli occhi al cielo.
"Ma per favore..."

"Camus non sarà d'accordo, ma a tre è sempre meglio di niente, alla fine ci guadagno io!" Milo continuò a prendere in giro Shiryu. "Tornando alle cose serie, col lavoro di Camus come la mettiamo?"
"Ci ho pensato io, non preoccuparti. Ho tutto sotto controllo, manca solo la partenza."
"Okay, volevo solo esserne sicuro." sorrise Milo. "Oh, una cosa: portati un vestito nero, possibilmente lungo, e porta qualcosa di scuro anche a Cam."
Pur non comprendendo il motivo di quella richiesta, Mei rispose al sorriso.
"Abbiamo qualche incontro importante in agenda, per caso?"

"Non si sa mai, ma tu fai come ti dico." concluse Milo, criptico.
 
*

Quando Camus tornò ad Atene nel tardo pomeriggio, trovò Mei in giardino, intenta a rammendare una tutina.
Le spuntò alle spalle, prima di porgerle un mazzo di peonie e una scatolina da pasticceria.
"Bonsoir." mormorò, facendola sobbalzare. "Oh, ti chiedo scusa."

"Scusa? Vuoi scherzare? Dov'eri finito? Ti ho cercato tutto il pomeriggio!"
Camus si appoggiò alla struttura del gazebo, schiarendosi la voce.
"A Parigi, ho avuto degli impegni dell'ultimo minuto."
"Così urgenti da impedirti di lasciarmi un messaggio?" protestò Mei. "Torno dalla spiaggia e non ti trovo, ti cerco al cellulare e scopro che l'hai lasciato sul tavolo della cucina... non voglio limitare la tua libertà personale, ma sarebbe carino da parte tua se mi avvertissi, quando decidi di allontanarti per così tanto tempo. Vorrei ricordarti che badare a tre neonati, specie quando sono affamati tutti e tre nello stesso momento, è difficile, soprattutto se hai solo due mani e non sei la dea Kalì."
"Scusami. Se mi lasciassi spiegare..."

Presa la scatoletta, la aprì, scoprendo dei macarons all'interno.
"I nuovi gusti stagionali: cocco e ananas." le spiegò.
"C'è qualcosa che devi farti perdonare."
"Io? Dev'esserci per forza un motivo dietro dei dolcetti?"
Lo guardò di sottecchi.
"Sei troppo zuccheroso, che cos'è successo?"
Si sedette di fronte a lei.

"Temo di doverti delle scuse."
"Questa sì che è bella. Ed è la prima volta che accade... aspetta che mi metto comoda. Scuse in merito a cosa?" replicò, posando il lavoro di cucito accanto a sé e dedicandogli attenzione.
Ignorò il non proprio velato sarcasmo di Mei, prima di proseguire.

"Dovrai ascoltare la premessa, prima della risposta."
"Ti ascolto."
"Sai cos'è la SIDS?"
Corrugò la fronte, spiazzata dal repentino cambio di discorso.

"Sì, ma cerco di non pensare a quello che è uno dei peggiori incubi di un genitore. Perché me lo chiedi?"
Camus aprì una cartellina che fino a quel momento Mei aveva ignorato. Al suo interno documenti, atti ufficiali e una sorta di quadernetto con la copertina di velluto blu recante lo stemma della Repubblica Francese.
"Cosa c'entra il nostro livret de famille?"
"Questo è quello della mia famiglia d'origine. L'ho trovato in una valigetta, in quello che anticamente era lo studio di mio padre."
Mei sfogliò il libretto, ripercorrendo la storia famigliare dei suoi suoceri: nascita, matrimonio, prole, morte. Lesse l'estratto dell'atto di nascita di Camus pur conoscendo bene il documento integrale, restando di stucco nel leggere la pagina successiva. Lo guardò, cercando una risposta che non si fece attendere.
"Nel settembre del 1989 mia madre diede alla luce una bambina." si schiarì nuovamente la voce, mentre sentiva un groppo in gola. "Clothilde."

"Deceduta a inizio febbraio 1990." lesse Mei. "Non lo sapevo."
"E come avresti potuto? Morì in culla pochi giorni prima del mio quinto compleanno, a quanto pare. Non ricordavo nulla di lei, almeno fino a oggi."

Mei accantonò immediatamente la discussione, posando una mano sulla sua guancia.
"Tesoro, eri troppo piccolo per ricordare, e considerando quel che è seguito, non puoi fartene una colpa."
"Hyoga si ricorda bene sua madre, perché io non ho ricordi di mia sorella? Eppure avevamo entrambi quattro anni quando abbiamo perso i nostri cari."
"Stai confrontando due situazioni diverse tra loro: il rapporto che si ha con un fratello, per quanto sia importante e sacro, non avrà mai la stessa intensità di quello che si ha con la propria madre." rispose Mei, cercando di scegliere con cura le parole. "Come hai scoperto tutto questo?"
Ed ecco che il discorso stava per ricollegarsi alle scuse citate poco prima.
"Degél" le rispose, dopo qualche secondo.
"Sì?"
Le raccontò di Degél che gli era apparso in sogno e della strana conversazione che aveva avuto con Dohko, quindi del suo strano incontro in biblioteca, quando Degél si era materializzato di fronte ai suoi occhi.
"No, aspetta, fammi capire bene perché forse ho sentito male. Hai visto Degél."
"È quello che ho appena detto."
"Tu. L'hai visto." Mei spostò la mano sulla sua fronte. "Strano, non mi sembri febbricitante."
"Per tutti gli Dèi, sono serio." sbottò Camus.
"Bè, non sei affatto spiritoso."

"Non voglio esserlo."
"Ascolta, sono aperta alle prese in giro e alle battute di spirito, ma non su questo argomento."
"Degél mi aveva avvertito della tua eventuale reticenza in merito, ma ti sarei grato se mi lasciassi parlare..."
Posò sul tavolino il diario fulvo che aveva letto nella stanza segreta in biblioteca e lo spinse verso di lei; Mei lo prese con fare interrogativo, sfogliando le pagine e scoprendo che una delle ultime note riportava una data della tarda primavera del 1743.
"Questo è il suo ultimo diario. Come puoi averlo tu?"
"È stato lui ad autorizzarmi a leggerlo. Lo giuro su quanto ho di più caro al mondo, non ti sto prendendo in giro. Potrei descrivertelo in dettaglio, ma conosciamo entrambi il ritratto in corridoio e sarebbe del tutto inutile, anche se manca la cicatrice sul sopracciglio sinistro"

Mei strinse il diario al petto, asciugandosi gli occhi col dorso di una mano.
"Stava tirando di scherma con El Cid e quest'ultimo calcò la mano su un affondo." mormorò, interrompendolo. Il ritratto nel medaglione, più veritiero di quello di rappresentanza in corridoio, mostrava chiaramente anche quella ferita. Camus non stava mentendo, aveva davvero incontrato Degél, perché il ritratto del medaglione, lui, non l'aveva mai visto. "Santi numi, non posso credere che si sia mostrato a te. Tra tutti, proprio a te. È assurdo, io parlo con lui da anni, per me è un essere mitologico, lo prego e lo venero come se fosse uno dei miei Dèi, e lui si materializza con te? Nessun alone blu, dunque? Non vedevi gli oggetti nella stanza attraverso la sua figura?"

"Era reale tanto quanto lo sei tu, ma quel che ha fatto dev'essergli costata tanta energia."
Per notare la sua cicatrice, doveva essergli stato molto vicino: si scoprì profondamente invidiosa ma allo stesso tempo furiosa per quanto accaduto.
"Sì, me l'aveva detto che già da tempo stava provando ad assumere una forma meno eterea, ma non pensavo che l'avrebbe fatto con te per primo. Insomma, è come se Dio, anziché manifestarsi al suo più fedele seguace, lo avesse fatto con il più incallito degli atei. Questa è cattiveria, monsieur." aggiunse, in direzione di Degél, che sicuramente era in ascolto, da qualche parte. "Beh, a quanto pare abbiamo qualcosa di cui parlare, quando avrete il coraggio di farvi rivedere."

"Credo che sia successo perché aveva necessità di dirmi qualcosa mentre io avevo bisogno di ascoltare ciò che aveva da dirmi."
E che cosa aveva avuto bisogno di ascoltare, di sapere? Quali conferme voleva?
"Sarebbe a dire?" gli domandò.

"Mi ha parlato di Seraphina, per questo quel diario è qui: lui stesso ha detto di portartelo come prova, conosceva la tua reazione."
"Continua." lo esortò, posando sul tavolo l'oggetto in questione.

Aveva i brividi nel ripensare allo sguardo di Degél fisso sul ritratto di Seraphina, alla dolcezza nei suoi occhi, alla delicatezza con la quale aveva sfiorato l'adorato volto con le dita,
In quel sorriso c'era tutto il mio mondo, gli aveva detto a un certo punto, non amo che lei.

"Non aveva molto tempo, perciò ha parlato in modo piuttosto conciso. Ma il discorso verteva su Seraphina, sull'amore che prova per lei, su quel legame che non si è spezzato neanche dopo la loro morte. Sull'anima della sua donna che è chissà dove, schiacciata da quella di Poseidone..."

"Seraphina non è soltanto la sua donna, la sua più cara amica e il suo grande amore, è la sua questione in sospeso." lo corresse Mei. "Tutti coloro che direttamente o no hanno avuto a che fare col Santuario o con Athena, ne hanno una: io, Shiryu e nostro fratello mai nato siamo la questione in sospeso dei nostri genitori, non ci hanno visto crescere, laurearci e sposarci, non hanno conosciuto i nostri figli. Per Natassia, è Hyoga. L'ha salvato, si è battuta fino alla fine per suo figlio, ma non ha potuto prendersene cura e non conoscerà mai la gioia di sentirsi chiamare nonna. Kardia è nato con una patologia cardiaca che oggi è del tutto curabile e anche se non fosse morto durante la precedente guerra sacra, non avrebbe potuto comunque raggiungere la mezza età, figurarsi la vecchiaia... e via dicendo, potrei stare ore a parlarne. Seraphina è la questione di Degél e finché non la risolverà –e la vedo difficile- lui è bloccato in un limbo: non appartiene più al mondo dei vivi, ma neanche a quello dei defunti. È costretto a guardare le vite degli altri –e cosa peggiore, a dar retta a me- quando non ha potuto vivere la sua nel modo in cui avrebbe desiderato. Aveva ragione il maestro Dohko quando diceva che al mondo esistono cose peggiori della morte. Vorrei poter fare qualcosa per lui, riuscire a dar loro una seconda possibilità, risolvere la sua questione in sospeso, ma non so come. Ti ha parlato di Seraphina per farti capire che è lei la donna che ha amato e che amerà fino alla fine del Tempo... e in tutto questo, mi chiedo... era proprio necessario? Dovevi per forza scomodare uno spirito per avere la conferma che certi giuramenti li prendo seriamente? Io amo solo te."
"Ero geloso, d'accordo? Lo ammetto. Tu parli con lui, lo vedi di continuo, a lui dici cose che non dici a me."
"Perché ci sono cose che lui comprende e tu no. Perché lui fa parte di ciò che ai tuoi occhi mi dipinge come pazza."
"No, ti ho detto che gli spiriti e questo vostro modo di credere non fanno per me, ma io ti sostengo!"

"Davvero? È un modo insolito, il tuo. E ti avverto: ci vorrà ben altro che qualche biscotto per farti perdonare."
"Tutto quello che vuoi." sorrise Camus.
Impiegò qualche istante prima di rispondergli, incerta se parlarne o meno.
"Forse una cosa ci sarebbe. La moglie del tuo collega, quel bretone che mi sta antipatico, ehm... Gìrard... lavora sempre in Prefettura, sì?"

"Renard. Sì, perché? I tuoi documenti sono tutti in regola, non hai niente di cui preoccuparti."
Mei si schiarì la voce prima di aggiungere il dettaglio più importante.
"È per Shiryu."
"Ah." il sorriso di Camus si spense nel giro di pochi istanti, mentre inarcava un sopracciglio con malcelato disappunto.

"Poco fa hai detto tutto quello che voglio, se non sbaglio."
"Sì." proseguì Camus, atono.
"Allora mi servirebbe una sorta di elenco di documenti e cose da fare per un eventuale trasferimento qui in Francia."
"Tuo fratello vuole trasferirsi qui?"
"Non proprio, non ne ha nemmeno parlato. In Francia o in un qualunque altro paese europeo, purché lascino la Cina. Lui e Shunrei stanno uscendo da una situazione particolare e se quella situazione dovesse ripetersi, potrebbero trovarsi in guai molto seri. Ti ricordi, vero, che dalle mie parti c'è una legge che impone alle donne di abortire in caso di una seconda gravidanza? Ti rendi conto che se per me è già difficile accettare una barbarie di questo genere sulle mie connazionali, diventa inaccettabile pensare a mia cognata obbligata a disfarsi di mio nipote?"
Camus decise di andarci molto cauto.
"È una legge destinata a cadere, che io sappia è sulla strada verso l'abrogazione."
"È ancora valida." insisté Mei. "Non posso permettere che una cosa di questa portata accada alla mia famiglia, quindi farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarli, che sia con o senza il tuo aiuto. Solo che senza ci metterò molto di più."
"Farò quel che posso." rispose Camus.
"Farai del tuo meglio." obiettò Mei, risoluta. "Perché se hai garantito per far entrare al Santuario una principessa asgardiana, prendendoti responsabilità enormi per affetto verso il tuo allievo, puoi anche cercare ogni minimo cavillo valido per far espatriare mio fratello, e lo farai per amor mio. Il che significa anche aiutarmi a cercare una casa..."

Camus prese il cellulare dalla tasca con un gesto teatrale.
"Aspetta che prendo nota: documenti, una casa... la scuola... e magari un lavoro, altrimenti di cosa vivono, d'aria?"

Mei proruppe in un largo sorriso, riprendendo in mano il rammendo.
"Sei adorabile quando cerchi di fare il sarcastico. Ma hai ragione, ti sto caricando di troppe responsabilità... Yian-Mei è ancora piccina per andare a scuola, e dopotutto il resto non è una priorità: abbiamo spazio a sufficienza e due stanze per gli ospiti, la casa può aspettare." ribatté. "Uh, guarda! È tornata come nuova!"

Si schiarì nervosamente la voce, incrociando le braccia sul petto.
"Okay. Vedrò cosa riesco a trovare a Lille, o Valenciennes..."
"Nanterre, Saint-Denis o Montreuil." lo corresse. "So che per te è troppo vicino, ma ti faccio notare che io sono costretta a vivere a stretto contatto con il tuo allievo che vive dall'altra parte del pianerottolo e che spesso e volentieri –per non dire sempre - mi sta tra i piedi anche quando vorrei stare da sola con la mia famiglia dopo una dura giornata di lavoro."
"Non ho neanche aperto bocca, mi pare, stai dicendo tutto tu."
"La tua faccia parlava già da sola."
"Comunque Hyoga traslocherà a breve."
"Sì, al piano inferiore. E per la cronaca, mio fratello non si sognerebbe mai di venire ad abitare con noi o accanto a noi, dal momento che l'antipatia che provi per lui è reciproca, e uso il termine antipatia tanto per usare l'eufemismo del secolo." sbottò Mei, raccogliendo le sue cose e avvertendo improvvisamente addosso tutta la stanchezza accumulata durante il giorno. "Anzi, fai finta che non ti abbia chiesto niente. Ce la caveremo da soli come abbiamo sempre fatto."

Camus si lasciò andare contro lo schienale.
"Miei Dèi, non iniziare col melodramma!"

L'arrivo di Hyoga interruppe la sua risposta sul nascere.
"...ecco, appunto, come volevasi dimostrare."

"Vi ho interrotto, scusate."
"Oh, sai dove puoi infilartele le tue scuse?" sbottò Mei, con malagrazia.

"Ne parleremo più tardi." propose Camus.
"No. Non ne parleremo più, discorso chiuso." concluse, diretta in casa. "Comunque, quando è stato il momento di fare una scelta, la mia è stata chiara fin dal principio."
 
"Mei? Tutto bene?"
"Perdonate l'ora tarda, Maestro. Shiryu è in casa?"

"Certo, entra. È in salone." si scostò Dohko, facendola entrare. "È successo qualcosa?"
Mei sospirò, stanca.
"È successo che ho quattro figli, un marito testardo come un mulo e sono stanca. Credo sia abbastanza esaustiva come risposta, che dite?"

Dohko le sorrise, accarezzandole una guancia.
"Porta pazienza con Camus, è un uomo, noi uomini siamo tutti un po' così."
"Già." mormorò. "Ma anche la pazienza è destinata a terminare. Con permesso, Maestro."
 
"Shiryu...?" Mei si fermò sulla porta del salone della settima casa, quando si accorse che il fratello non era da solo: muniti dei loro rispettivi joystick, Seiya, Shun e Ikki erano impegnati con un videogioco. "Ah, scusa, vedo che non sei da solo. Buonasera, ragazzi. O dovrei dire buonanotte, data l'ora."
"Ciao, Mei."
"Hai un momento per me?"

Shiryu mise in pausa il gioco, alzandosi poi dal divano.
"Non provateci neanche a barare, conosco i punteggi." sogghignò, prima di seguire la sorella in corridoio. "Tutto bene? È successo qualcosa?"
Lo abbracciò, senza profferire parola.
"...tesoro, tutto bene?!"
"Grazie... grazie per non essere morto."

Shiryu corrugò la fronte, ricambiando l'abbraccio.
"Non c'è di che." le rispose, continuando a non capire il motivo di quella strana affermazione. "Mi devo preoccupare?"

"No, ma tu pensa a quel che ti ho detto. Non ti volevo disturbare, torna dai tuoi amici... io credo che andrò a dormire perché sono davvero stanca."

*

 
Si girò nel letto per l'ennesima volta, incapace di prendere sonno: un paradosso bello e buono, data la stanchezza. A quanto pareva, non era la sola.
"Quindi Shunrei ha...?"
Mei guardò l'ora: le tre del mattino. Sbuffò, prima di rispondergli.
"No, almeno così mi ha risposto Shiryu. Ma conoscendolo so che davvero non è successo niente di irreparabile."

Camus sospirò.
"Mi piacerebbe parlarti senza dover fissare la tua nuca."
Mei affondò il volto nel cuscino.
"Sono le tre del mattino, dormi!"
"D'accordo..."
Lo sentì alzarsi e fare il giro del letto, per poi scostare le lenzuola e infilarsi nella sua parte, costringendola a spostarsi verso il centro.

"... sei soddisfatto adesso? Dai, Cam... non ho voglia di fare conversazione, sono stanca e arrabbiata."
"Se non vuoi rispondermi va bene, in cambio però vorrei che mi ascoltassi."
Doveva ascoltare il suo monologo, in poche parole.
"Ti ascolto."
"Mi dispiace per oggi. Divento irritabile quando c'è tuo fratello di mezzo."
"Ma dai, non l'avevo notato." replicò Mei. "Nonostante tutti i nostri trascorsi, è comunque mio fratello, della mia famiglia d'origine non ho che lui. Non posso voltarmi dall'altra parte e continuare a vivere come se niente fosse."
"Lo so e mi stupirei del contrario. Mi dispiace davvero averti fatto arrabbiare, sono stato sgradevole." le rispose. Corrugò la fronte, nell'udire il suo respiro regolare. "...Mei?"
"Ho sentito, e a me spiace aver reagito così. Ma mi tocca dirti che su Hyoga, però, non intendo ritrattare: sono stata brusca, ma ci sono delle volte nelle quali, dopo ore di lavoro, la sola cosa che vorrei è trascorrere del tempo da sola con te e i bambini. Insomma, capisco tutto, anche io ho un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Dohko, ma non vado sempre alla settima casa a disturbare, che diamine."

"Ero convinto che voi due andavate d'accordo."
"Per un periodo siamo andati d'accordo, infatti, ma è passato. Le cose cambiano, Camus, ci piaccia o no: mi dispiace per te, perché ci stai male, ma non si può sempre tornare sui propri passi come se non fosse successo niente. Dopotutto aveva anche ragione, da estranea ho frugato nelle sue cartelle cliniche e ti ho avvertito perché sapevo che eri preoccupato, è solo per te che l'ho fatto, su questo ci aveva preso. A parte la cortesia che si deve a un estraneo, a lui non devo più niente."  

Camus si trovò a ripensare alle ultime parole che Mei aveva pronunciato prima di rientrare in casa, quella sera, le stesse che l'avevano tenuto sveglio.
"Siete tutti importanti per me. Tu e i bambini siete al di sopra di chiunque altro, ma tengo moltissimo anche a Milo, e a Hyoga. E a Isaak. Siete tutti pezzi di me, e io non posso..."
Lo interruppe, comprendendo fin troppo bene dove volesse andare a parare.

"Non dire niente, non ce n'è bisogno. Non avrei nemmeno dovuto dirti quella cosa."
   
**
 
Mei scese di nuovo alla settima casa, per parlare con Dohko e Shunrei riguardo ai figli, che durante il viaggio negli USA avrebbe lasciato loro.
"Suggerisco l'aiuto di Fedra, se sei d'accordo. Di quando in quando verrà qui a dar loro una mano, dal momento che con Lixue e i gemelli, in questa casa ci saranno ben cinque bambini al di sotto dei dieci anni e non è un compito facile per nessuno. Ricordo ancora quando al Santuario tutti i gold saints erano bambini: un delirio." commentò Shion.
"Sarà solo per pochi giorni, Maestro, ma se la cosa vi reca disturbo..." mormorò Mei, in direzione di Dohko.
Shion le sorrise benevolo.
"Non stavo proponendo l'aiuto di Fedra per questo motivo. Vai e goditi questi giorni tranquilli prima di tornare nell'arena."

"Sì Mei, vai tranquilla: sai che mi piacciono i bambini." interloquì Dohko.
"Vi ringrazio moltissimo." annuì Mei, inchinandosi appena in direzione dei due uomini. "Ho solo una richiesta, e pretendo che sia rispettata: Cora. Deve stare lontana dai miei bambini."
Shion corrugò la fronte, tuttavia non si espresse a sfavore di Mei.

"Se è questo che vuoi, personalmente non ho alcun problema. Ordinerò a Fedra di ricollocarla altrove... al gineceo, magari." le rispose.
"Così da trasformarla in una vittima di Medusa? No, grazie. Voglio solo che stia lontana dai miei figli. E da Camus, ma questo è già un altro discorso."

"Sei gelosa?" domandò Dohko, ottenendo in risposta uno sguardo piuttosto eloquente. "Ah."
"Posso sopportare le frecciatine che lei e le sue comari lanciano alle mie spalle, porto con onore il soprannome che mi hanno affibbiato, ma se dovessi scoprire che si è avvicinata ai miei figli, da Medusa potrei diventare Megera. Bene, signori. Torno all'undicesima." rivolse loro il saluto taoista, prima di uscire.

"Non ero a conoscenza di questo problema, da quanto va avanti?" domandò Shion, in direzione dell'amico.
"Dalla notte dei tempi, Shion. Abbiamo tutti un soprannome qui dentro... l'unico a non saperlo sei tu." ribatté Dohko.

"Quindi anche io ne ho uno."
"Sì."
"E sarebbe?"
Dohko ridacchiò.
"Non te lo dirò mai."

Approfittando dei giorni di ferie prima del loro viaggio, Mei si mise al lavoro per ottenere quante più informazioni potesse per aiutare il fratello. Certo, non era assolutamente sicura che Shiryu volesse trasferirsi, e a maggior ragione che scegliesse proprio la Francia, ma si trovò a sperare con tutta sé stessa per un'eventualità di quel genere.
Camus la notò più volte sia impegnata al pc, soprattutto chiusa in biblioteca alla ricerca di tranquillità, sia al telefono con qualcuno, mentre prendeva appunti.

"È necessario conoscere la lingua: studiate il francese, prova all'Institut Français o chiedi in Ambasciata, di solito organizzano dei corsi; non sottovalutare il fattore lingua, su sono piuttosto mal disposti verso gli stranieri che non capiscono una parola di francese.
Sto ancora cercando di capire che tipo di permesso di soggiorno è quello più adatto a voi, ma conto di andare in Prefettura a chiedere informazioni il prima possibile.
Per i primi tempi verrete a stare da me. NIENTE STORIE, non voglio sentire ragioni: ti serve un domicilio per poter aprire un conto corrente e di conseguenza poter prendere casa. A questo proposito sto iniziando a guardare qualcosa nelle città appena fuori Parigi. Chiederò al mio capo se può assumerti e quando casa e lavoro saranno a posto, chiederemo il ricongiungimento familiare."

"Perché frughi nelle mie cose?"
Alzò lo sguardo su Mei, ferma sulla porta dello studio in accappatoio con fare contrariato.
"Avevo bisogno del computer per stampare due mail e ho notato i tuoi appunti." le spiegò. "Qualche appunto è esatto ma hai sottovalutato diversi aspetti, e se sei disposta ad ascoltarmi e non fare di testa tua come il solito, forse, sarai in grado di aiutare al meglio tuo fratello."
"Dimmi."
"Il discorso primario è uno soltanto: il lavoro. Non puoi dirgli di venire in Europa se prima non ha un posto sicuro col quale guadagnare, è una follia. Punto secondo, secondo mio modesto parere sarebbe più opportuno per i primi tempi che lui da solo venga in Francia o dove vuole, inizi a ingranare col lavoro e solo in seguito chiedere il ricongiungimento familiare. Punto terzo, se dovesse optare per l'acquisto di una casa, dovrà chiedere un mutuo: difficilmente una famiglia monoreddito ne ottiene uno, a meno che non sia anche Shunrei a lavorare. Non ci avevi pensato?" il sospiro che esalò Mei gli confermò che no, sull'onda dell'entusiasmo, aveva del tutto ignorato certi aspetti. "No, direi proprio di no."
"Pensavo a come portarli via da lì nel più breve tempo possibile..."

"Capisco, ma un trasferimento non è una cosa da prendere alla leggera, qui si tratta di cambiare vita, cambiare lavoro, casa, tutto. Eppure ci sei passata anche tu, non molto tempo fa..."
"Con la differenza che io ho avuto un valido aiuto nel mio trasferimento..."
"Vogliamo riprendere quel discorso? Ancora? Te l'ho offerto, il mio aiuto."
"No, tu mi hai presa in giro."
"E ti ho chiesto scusa. Ad ogni modo, che titoli di studio hanno?"
"Shiryu sta per laurearsi in filosofia, Shunrei sta studiando per diventare infermiera."
"E come al solito mi tocca dire che tua cognata è stata più lungimirante di tuo fratello." osservò Camus. "Quantomeno è stato coerente con l'immagine che ha sempre dato di sé. E sai che ho ragione."

"Con una magistrale potrebbe lavorare nelle risorse umane, o in un'azienda. Poi comunque una laurea in filosofia non è inutile, sai. Bruce Lee era laureato in filosofia ad esempio. O Umberto Eco. Molti amministratori delegati di importanti industrie sono filosofi."
"Una laurea non è mai inutile, non l'ho mai detto né pensato." ribatté Camus. "Le mail che aspettavo erano del mio collega, sua moglie ha stilato l'elenco dei documenti necessari: ora sta a Shiryu decidere."
 
***
 
Lady Aquaria's corner
-La canzone del titolo fa riferimento alla canzone di Sergio Endrigo.
-Il discorso tra Mei e Shiryu riguarda la politica del figlio unico che, in Cina, è stata in vigore dal 1979 al 2013 circa. Tale politica prevedeva un certosino controllo delle nascite e l'assoluto divieto per le donne di avere più figli; ufficialmente è stata abolita, ma ufficiosamente c'è chi dice che in verità non è mai stata abbandonata sul serio.
Le parole dei due possono suonare melodrammatiche, ma molti autori cinesi hanno portato alla luce il problema nei loro scritti, narrando di aborti forzati, pestaggi e spesso sterilizzazioni dei trasgressori nonché di veri e propri omicidi ai danni di bambini appena nati. Uno degli ultimi casi resi noti di aborto forzato risale al 2012, sette anni fa, ed è atroce pensare come una simile violazione dei diritti umani sia stata resa possibile.
Al di là di questo, i trasgressori potevano anche tenere il bambino, ma a fronte del pagamento di una tassa (quella che accenna Mei) così onerosa da risultare spesso impossibile da pagare per un comune cinese. È quantomeno ovvio che l'esistenza stessa di Shiryu, nella mia storia, è subordinata al pagamento della tassa in questione: ecco perché Mei lo "ringrazia" di essere vivo (sia per la tassa, che per la morte in culla della cognata).

-Il viaggio cui si riferisce Milo, l'avevo accennato in un precedente capitolo, riguardo l'addio al celibato di Camus gentilmente offerto da Milo stesso.
-La SIDS è la sindrome della morte in culla.
-Il Livret de famille è una sorta di libriccino raccoglitore rilasciato a una coppia di neosposi in occasione del matrimonio o a una coppia non sposata quando nasce il loro primo figlio, e contiene gli estratti dei documenti più importanti che riguardano, appunto, la famiglia: atti di nascita e morte, documenti relativi al matrimonio o al divorzio, atti di nascita dei figli ecc ecc.

Come sempre grazie a chi ancora segue: giuro, non manca molto alla fine.
 
Lady Aquaria
 
 

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Capitolo 43
*** Forever ***


nuovo capitolo principale
43.
Forever
Girl I'm out of my head over you
And I lived so long believing all love is blind
But everything about you is telling me this time
It's forever, this time I know
And there's no doubt in my mind
Forever, until my life is through
Girl I'll be loving you forever
[Forever – Kiss]
 
25 luglio 2012, Las Vegas
L'espressione di Camus non prometteva niente di buono: lo sguardo improvvisamente assottigliato, gli occhi che saettavano rapidamente da lei a Milo, la voce più bassa di un paio d'ottave come faceva sempre, quando era sottosopra.
"No. Ti prego, dimmi che non è vero. Non dirmi che tu sapevi."

 
*

Il giorno precedente...
"Hai visto il bagno? Solo la vasca è grande quanto il nostro letto."
Camus gettò un'occhiata oltre l'enorme parete di vetro, che dava su un panorama mozzafiato di Las Vegas. Più che New York, Las Vegas meritava l'appellativo della città che non dorme mai.

"Sì, ed è carente di privacy." borbottò.
"Siamo al ventiduesimo piano e non siamo i Brangelina, a chi vuoi che interessi una coppia di francesi di passaggio?" ridacchiò Mei, mettendo in carica il cellulare sul comodino. "Io sto per mettermi un po' in ammollo nella vasca che ti ho accennato poco fa. Ti unisci a me o preferisci continuare a lamentarti? E dai, siamo soli, godiamoci questa fortunata situazione finché possiamo... i bambini sono a casa, siamo nel tuo... beh, nel vostro addio al celibato, siamo negli USA... sciogliti un po', Mr Freeze."
A essere del tutto onesti, l'addio al celibato era di Milo, dal momento che lui non era più celibe da un bel pezzo.
"Però le tende le voglio chiuse."
In corridoio, Milo e Shaina erano appostati fuori dalla porta della stanza di Camus e Mei, esattamente accanto alla loro.
"Senti qualcosa?!"
Shaina sospirò.
"Per l'amor del cielo Milo, siamo atterrati da poche ore, saranno stanchi morti, no? Lasciali stare."

Non udendo alcun rumore provenire dall'interno, Milo decise di scribacchiare qualcosa su un biglietto, prima di infilarlo sotto la loro porta.
"Vedrai che risate, domani. Ceniamo? E magari torniamo anche noi a... riprenderci dal jet-lag in camera? E niente scuse, ho comprato le aspirine in aeroporto."

 
*
 
"C'è un caldo asfissiante qui... sei assolutamente certa che il luogo dell'appuntamento sia questo?"
Mei ricontrollò il biglietto che quella mattina aveva trovato sotto la porta della loro camera, mentre Camus parcheggiava l'auto presa a noleggio; avevano, con suo sollievo, superato il lunghissimo boulevard sul quale si affacciavano le famose wedding chapels, per finire davanti a un altro edificio pregno del kitsch tipico di Las Vegas.

"Assolutamente è un parolone, Cam. Non sono pratica del posto." obiettò Mei, guardandosi intorno.
"Miei Dèi, tutti questi neon mi fanno rimpiangere Pigalle." borbottò Camus, pigiando qualche tasto sul display del navigatore satellitare e scoprendo che sì, l'indirizzo era proprio quello. "Hai un'aspirina, o qualcosa del genere? Sento arrivare il mal di testa."
Mei frugò nella borsetta, porgendogli una bustina orosolubile.
"È surreale ascoltare Puccini a Las Vegas." commentò poi Camus, massaggiandosi le tempie: dalle casse a lato della plancia, le note del valzer di Musetta.

"Certo non è come essere al Metropolitan."
"Sì, beh. Quale versione è? Quella con Maria Callas?"
"No. Non credo tu abbia mai ascoltato questa versione."
"Allora è quella soprano russa, come si chiama...?"
Mei alzò un sopracciglio, guardandolo in tralice e interrompendolo con un gesto secco della mano.
"Come no: le piacerebbe, a quella, cantare come cantava mia madre." replicò, stizzita.

Camus sgranò gli occhi.
"Stiamo ascoltando tua madre?!"
"Sì. Mia madre non ha mai, e ripeto mai, sbagliato verso. E soprattutto quando interpretava Tosca non ha mai rovinato l'eroina pucciniana facendola fluttuare nell'aria. Aveva la testa ben concentrata su quel che faceva, e lo faceva bene." puntualizzò, con un moto d'orgoglio.

"Impressionante." convenne Camus, poco dopo. Si guardò intorno, cercando un minimo segno dei due amici. "Ancora non capisco perché siamo qui, a essere sincero, Chicago è molto più a est di Las Vegas."
"Lo scopriremo quando arriveranno Milo e Shaina." replicò pratica, guardando fuori dal finestrino seguita da Camus, che si era sporto verso di lei.

"E pensare che ho suggerito a Hyoga di venire qui a sposarsi... ma che bella idea Camus, complimenti."
Francamente non capiva come aveva potuto anche solo pensare di mandare Hyoga e Freya a sposarsi in un posto del genere. Un paio di coppie in abiti nuziali stava posando per le foto, più in là un figurante vestito da Elvis posava con un'altra coppia e non molto distante, un altro figurante stava fumando.

Assottigliò lo sguardo, riconoscendo nel costume di quest'ultimo la figura di un componente di una certa band.
"Tesoro, quando Milo ti ha chiesto di infilare in valigia un certo tipo di abbigliamento, ti ha anche spiegato il motivo dietro quella richiesta?"

"No, perché?"
"Perché ho un brutto presentimento." le rispose, componendo il numero di Milo sul cellulare.

"Occupato, ovviamente. Putain."
"Ti stai lasciando andare a un certo linguaggio, ultimamente, o sbaglio?"
"M'è sfuggito, scusami. Milo riesce a mandarmi il sangue al cervello, a volte."
"Beh, io frequento la quarta casa eppure non parlo come uno scaricatore di porto..." ribatté Mei, spegnendo la radio non appena il cellulare di Camus iniziò a squillare. "...la cavalcata delle Valkirie?!"
"È una lunga storia." abbozzò Camus, prima di rispondere. "Dove siete finiti?"
Dall'altra parte, Milo rispose dopo pochi squilli: in sottofondo Mei riconobbe una canzone dei Kiss e iniziò a canticchiare a bassa voce seguendo le parole del frontman.
"Voi, dove siete? Vi stiamo aspettando da un po'!" fu la replica di Milo. Camus gli ripeté l'indirizzo del bigliettino e lui annuì, richiamando Shaina. "Aspettateci, usciamo noi: qui dentro c'è il rischio di perdersi!"
"Il posto è questo, loro sono già arrivati, hanno detto di aspettarli perché ci vengono incontro." la informò Camus, riponendo il cellulare nella tasca interna della giacca. "Che c'è?"
"Che c'entra Wagner con Milo?"

"Alcuni contatti hanno una suoneria personalizzata, così riconosco subito chi mi sta chiamando."
"Sì, ma cosa c'entra un compositore tedesco con un greco?"
"La danza di Zorba sarebbe stata troppo scontata, non credi?" glissò Camus.
"Per non contare il fatto che Milo ti avrebbe fatto lo scalpo senza alcuna pietà. Ne deduco quindi che ne ho una anche io?"
"Certo. Il tema di Darth Vader." le rispose, prima di scendere dall'auto per aprirle la portiera.
"...e beh, sono soddisfazioni." sospirò Mei, provvedendo poi a controllare il trucco nello specchietto dell'auto. "Non pensavo che questo vestito fosse così scollato quando l'ho visto online. Non che ci sia molto da mostrare, a dir la verità... mamma mi ha lasciato in eredità molte cose, ma non il petto."
"Beh, a me piace così com'è." la osservò Camus, gettando una lunga occhiata nella scollatura in questione. "Sei bellissima, e ti sta molto bene."

Gli sorrise in risposta, prima di intravedere una coppia appena dentro l'edificio: lui camicia rosso sangue sotto un completo scuro, lei in un abito a sirena rosso e nero, i capelli raccolti e un cerchietto con veletta davanti al volto.
"Oh guarda quei due! Mi ricordano quella cantante italiana e il marito tennista, anche lei era vestita di rosso!"
"Chi, Loredana Bertè? No, aveva solo il velo, era Borg quello vestito completamente di rosso."

"Milo, li ho trovati, eccoli là!"
Camus sgranò gli occhi, riconoscendo Milo e Shaina nei due in abito scuro.
"No. Ti prego, dimmi che non è vero. Non dirmi che tu sapevi."
"Cosa?!"
Le mostrò un cartello, con le indicazioni per la Kiss Wedding Chapel, all'interno dell'edificio.

"Ma dai, è un posto così…volgare per sposarsi!"
Mei parve realizzare in quel momento.
"Sposarsi?" ripeté. "Aspetta un attimo... Milo e Shaina si sposano oggi?"
"Sorpresa!" esclamò Milo, alle sue spalle.
"Oddèi, allora è vero! Perché non mi hai detto niente?"
"Perché altrimenti non sarebbe stata una sorpresa, ti pare?"

"Ma se avessi detto qualcosa avremmo potuto organizzarci in maniera diversa, fare qualcos'altro... se avessi immaginato..."
"Mei, lo apprezzo tantissimo, ma per noi è già tutto perfetto così, voi due e basta. Avevo anche pensato di truccarmi come Gene ai bei vecchi tempi della band, ma ho pensato che forse sarebbe stato un po' esagerato." ammise Milo.
"Ah, dici?" interloquì Camus. "È già una bella sorpresa così, fidati."

"Beh, perché anche tu, in quanto testimone, avresti dovuto truccarti. Per il bene tuo e di Tommy Thayer, ho preferito evitare."
"E io te ne sarò eternamente grato." Camus inarcò un sopracciglio, prima di
guardare Shaina, che in quel momento pareva totalmente diversa da ciò che era abituato a vedere. "Sì, tu ridi perché non hai idea del guaio nel quale ti stai cacciando."
Milo si schiarì la voce, per attirare la loro attenzione.
"A dire il vero le sorprese non sono finite affatto. Il dieci agosto, alla fine di questo viaggio, ritorneremo a Las Vegas per quello che è un mio personale dono di nozze per Mei: te l'avevo promesso anni fa, ricordi? Io e te saremmo andati a un concerto."
"Dimmi che scherzi." disse Mei, portandosi le mani alla bocca, incredula.
Milo estrasse una busta dalla tasca interna della giacca, all'interno della quale quattro biglietti aspettavano solo di essere usati.
"L'undici agosto noi quattro assisteremo alla tappa lasvegassiana dei Kiss, baby."
"Oh miei Dèi! Miei dèi!!" Mei iniziò a saltellare sul posto, come una bambina la mattina di Natale, prima di gettare le braccia al collo dell'amico. "Dici davvero? È da una vita che sogno di andare a un loro concerto!!"   

"Quindi dovrò venire anche io? Accidenti, mi toccherà ripassare il loro repertorio." commentò Camus.
"Come mai mi sembri più entusiasta del concerto piuttosto che del matrimonio?" domandò Milo.
"Ma smettila, scemo." ridacchiò Mei.    

"Shaina, posso scambiare un paio di parole con te, per favore?"
Milo ridacchiò.
"Non riuscirai a farle cambiare idea!"
"Certo che no, sarebbe una battaglia persa in partenza, dato che ormai è irrecuperabile."

Si allontanarono di qualche metro prima di parlare.
"Ti devo delle scuse."
Shaina corrugò la fronte.
"Non capisco."
"Io credo di sì." rispose Camus. "Per quello che ti dissi a Monastiraki, qualche mese fa."

Fece mente locale.
"Oh, quello. L'avevo già dimenticato."
"Io no, quando sbaglio lo riconosco." Camus allungò la mano verso di lei, serio.
Shaina guardò la mano, quindi di nuovo Camus.
"Diciamo che sei protettivo verso le persone cui vuoi bene e che sotto quell'apparenza altera e impassibile c'è comunque un uomo che sa amare, anche se ti da fastidio darlo a vedere." sorrise. "Milo è fortunato ad averti come amico."

Milo e Mei guardavano i due, diversi metri più in là, con aria interrogativa.
"Sai qualcosa che non so? Mi devo preoccupare?" chiese Milo.
"Conosci Camus, no? Qualunque cosa sia successa, a me non l'ha detta." replicò Mei. "È più testardo di un mulo."

Milo sospirò: lo conosceva eccome, non per niente erano migliori amici.
"Sì, anche Shaina è cocciuta. Anche se si sopportano a malapena, quei due hanno qualcosa in comune, che a loro piaccia o no. Vorrà dire che se dovesse riuscire a farle cambiare idea, potremmo sempre scappare insieme. Che dici?"
Mei ridacchiò.
"Non credo funzionerebbe."
"Perché no? Siamo scorpioni entrambi, sotto molti aspetti noi due ci capiamo al volo, e poi tra due scorpioni c'è una chimica molto forte."
"Il che è senza dubbio positivo, ma fuori dal letto, ci scontreremmo di continuo nel tentativo di far capitolare l'altro." obiettò Mei. "Anche se probabilmente, o diciamo sicuramente, saresti tu a cedere."
Milo le circondò le spalle, sogghignando.
"Continua a ripetertelo, cara." asserì. "Deve ancora nascere la persona in grado di sottomettermi."

Inspiegabilmente, guardarono entrambi Shaina.
"Shaina è ariete ascendente leone, giusto?"
"..."
"Beh, ci sarà un motivo se al Santuario è soprannominata Tisifone, come una delle Erinni. Deve ancora nascere, dicevi?" ridacchiò Mei, scoccandogli un'occhiata divertita. "Continua a ripetertelo, caro."

"Ti odio quando fai così."
"Perché sai che ho ragione."
Camus e Shaina tornarono da loro, il primo con uno sguardo interrogativo negli occhi.
"Tutto bene?"
"Oh sì. Io e Mei stavamo progettando di fuggire insieme." spiegò Milo.
"Tsk... me la riporteresti indietro dopo dieci minuti. Quindici, se vogliamo essere ottimisti."
"Perché senza di me ti sentiresti perso."
 
La cerimonia, decisamente atipica, fu officiata da un figurante che impersonava Gene Simmons, in un'atmosfera profondamente rock: drappi neri sulle sedie, luci da palcoscenico e numerosi altoparlanti a riprodurre le ballate romantiche dei Kiss.
"...avrei dovuto immaginarmelo, quando ha parlato di Las Vegas. In effetti tutto questo è da Milo." mormorò Camus, a bassissima voce. "Non riesco a immaginarmi questi due idioti a sposarsi come fanno tutti."

Sarebbe stato strano, a dirla tutta, vedere Shaina in abito bianco, in una cerimonia come quella di Marin e Aiolia.
"Noi scorpioni siamo anticonvenzionali, ormai dovresti saperlo."

"...a proposito, mi devo aspettare sorprese di questo genere a settembre?"
Mei proruppe in un sorriso obliquo.

"No, stai tranquillo."
"Con voialtri c'è ben poco da star sereni." obiettò Camus.
L'officiante partì con le formule di rito, sciorinate imitando il tono di voce del cantante, quindi invitò i due sposi a proseguire con i voti nuziali.
"Cavolo, non sono bravo con i discorsi..." balbettò Milo, sgranando gli occhi. "Cam, hai qualche suggerimento?!"
"Bravo, proprio la persona giusta." commentò Mei.
"Direi che forever è già di per sé un ottimo spunto." rispose l'interpellato, accennando alla canzone in sottofondo in quel momento.
"Hai ragione, Cam. Grazie."
"Ma ti pare." abbassò di nuovo la voce quando Milo tornò a guardare Shaina. "Lo conosco da una vita ma è la prima volta che non sa cosa dire. E così osi insinuare che non sono bravo con le parole."
"Sì, ma è una mancanza che compensi con altri talenti." replicò Mei, interrompendosi, distratta dalla voce di Milo, che stava canticchiando seguendo le parole del cantante.
Camus inarcò un sopracciglio.
"Sta cantando."

"È romantico, dai."
"Oddio."
"Smettila!!"
"Per onestà devo ammettere che mai, per nessuna ragione, mi vedrai fare una cosa del genere."
"No, figurati. E chi si aspetta gesti romantici così, da te?" scherzò Mei.
Poco dopo, istintivamente, Camus cercò la sua mano per stringerla nella propria.
"Stai piangendo, monsieur non faccio romanticherie." sussurrò Mei.
"...scusami." sospirò, tamponandosi gli occhi con il fazzoletto.
"Il tuo migliore amico si sta sposando, non puoi non commuoverti."
 
*
 
"Milo, quando hai scelto il mezzo, hai controllato che fosse adatto alla patente di Mei?" domandò Camus, guardando l'enorme camper che li aspettava nel parcheggio.
"Certo, perché?"

"A me sembra un bestione troppo difficile da manovrare."
"Grazie della fiducia, Cam." borbottò Mei. "Ho guidato anche furgoni in vita mia, sai?"
"Converrai con me che camper e furgoni sono due mezzi totalmente diversi tra loro, eh. E beninteso, non sto mettendo in dubbio le tue capacità..."
"...qualunque ma stia per arrivare, tienilo per te, per favore. Mi stai mettendo ansia, e alla soglia di un viaggio da millemila chilometri, non va bene!"
Milo s'interpose tra i due.
"Cerchiamo di calmarci tutti quanti per goderci questi giorni. Quando mai ci ricapiterà un'avventura del genere, noi quattro insieme senza figli, senza obblighi e senza pensieri? Io dico di portare le chiappe su quel camper e partire, senza dire nient'altro: un domani, a Nikos, vorrò raccontare bei ricordi, non litigi. Coraggio, che se tutto va come prevede la tabella di marcia, dovremmo arrivare a St.Louis entro domani. "

 
"Non riuscirò mai a capire come facciano gli statunitensi a definire pizza questa cosa immangiabile." disse Shaina, quella sera, davanti alla deep dish pizza che lei e Milo avevano preso a portar via. "Non so se avete mai mangiato una pizza in Italia, ma è tutt'altra cosa."
"A Napoli insieme a mia madre, quand'ero ragazzina." rispose Mei, che alla pizza aveva preferito un kebab. "Quanto mi mancano quei giorni.  Una sera dovremmo organizzarci per una cena in un vero locale italiano. Ne vale davvero la pena."

"Secondo te perché certe cose le evito come la peste?" sorrise Camus. "Uh, prima che mi dimentichi, dato che per le prossime due settimane vivremo tutti e quattro in stretto contatto, credo sia giusto stabilire un paio di regole per la buona convivenza."
Milo roteò gli occhi.
"Oh Dèi, non è possibile, nemmeno in vacanza riesce a rilassarsi..."
"Non iniziare a protestare, che l'ultima volta a New York è stato un incubo." rispose Camus, nello stesso momento.

"Esagerato."
"Esagerato un corno, se raccontassi tutto, trascorreremmo i prossimi cinque giorni fermi in quest'area a parlarne."
Mei guardò i due, quindi ridacchiò.
"A proposito di voi due, qualcuno dovrà spiegarmi cosa c'entra Wagner con te."
Shaina corrugò la fronte, mentre Milo iniziava a ridere.
"Hai mai visto apocalypse now?" domandò poco dopo, a Mei. Quando lei annuì, continuò. "Quella scena pazzesca con gli elicotteri che attaccano il villaggio dei vietcong, dove il colonnello ordina ai suoi uomini di sparare a tutto volume la cavalcata delle Valkirie? L'ho fatto talmente arrabbiare durante quel viaggio a New York, che una sera mi disse vorrei essere su quegli elicotteri per spararti addosso."
Camus continuò a mangiare, ignorando le occhiate delle due donne.
"Ma che perfido!" esclamò Mei. "Ma ti sembrano cose da dire?"
"Ah, stai tranquilla, sono sicuro che l'ha detto solo perché arrabbiato. In realtà non lo pensa sul serio. Vero?" domandò Milo. "…Cam, non lo pensi davvero, eh?"
L'interpellato gli lanciò un'occhiata da dietro il suo kebab, senza muovere un muscolo.

"Camus, ma perché non mi vuoi bene?"
 
Più tardi, Camus rientrò in tutta fretta dal bagno, chiudendo rapidamente la porta a scomparsa che divideva la stanza da letto dal resto del camper: erano partiti appena quel pomeriggio e un paio di regole erano già state infrante.
"Cosa c'è ancora?" domandò Mei, sentendolo sbuffare appena, senza alzare lo sguardo dal messaggino che stava inviando. Aveva già fatto abbastanza polemiche quel pomeriggio, quando si erano fermati in un Walmart per fare spesa e aveva commentato –del tutto a ragione– sulla presenza di una corsia sulle armi da fuoco quasi accanto alla corsia con l'abbigliamento infantile, per non parlare della critica alla corsia con il pane e una scelta di ciambelle e muffins di ogni genere.
Sinceramente non era sicura di poter sopportare altre lamentele.
"Devi usare il bagno?" volle invece sapere Camus.
"No, non ancora, perché?"
"Perché ti toccherà trattenerla, temo. Il resto del camper sarà off-limits per almeno mezz'ora."
Mei corrugò la fronte, quindi si accostò alla porta, origliando quanto stava accadendo.
"Oh. Questo addio al celibato ha preso una piega inaspettata."

"Già. Adesso siamo nella loro luna di miele."
"Shh! Se noi sentiamo loro, sicuramente loro possono sentire noi. Lamentati a voce molto bassa."
"Figurati, Milo disconnette udito e cervello quando gli fa comodo."
Restarono in silenzio qualche secondo, decidendo poi di accendere la tv incassata nella parete.
"Che situazione imbarazzante." mormorò Camus, a bassa voce.

"Devono festeggiare, dai."
"Beh, dovrebbero avere la maturità necessaria per tenere a bada gli istinti, soprattutto quando siamo in quattro a condividere uno spazio così ristretto e ci sono altre due persone a meno di dieci metri che potrebbero sentire. Anzi, no, eliminiamo il condizionale." borbottò Camus. "Certe voglie le ho anche io ma le tengo a bada."

Stava per rispondergli con una battuta delle sue, ma preferì tacere, limitandosi a inarcare le sopracciglia.
"È questione di rispetto, che diamine. E non fare quella faccia, quelle voglie le ho anche io, sebbene di solito non sia io a prendere l'iniziativa, su questo devo darti ragione."
"Eh, un po' d'intraprendenza e lascivia non ti farebbero male, sai, come all'isba lo scorso agosto, tanto per dire."

"..."
"Su, cerca qualcosa da guardare."
Si schiarì la voce, imbarazzato.
"Vediamo cosa offre la tv stasera. America's Got Talent oppure... Hell's Kitchen... o il telefilm con Carrie Bradshaw."
Mei diede una rapida occhiata, sbuffando.
"Che fai, giri il coltello nella piaga?"

"Vada per Hell's Kitchen, allora." Camus fece spallucce.
Mei si mise a sedere sul letto, scostando le tende dell'ampia finestra e notando un diner al di là della superstrada che costeggiava l'area attrezzata in cui avevano deciso di fermarsi per trascorrere la notte.
"Lo so che ti piace vedere Gordon Ramsay che s'imbestialisce con i malcapitati di turno, ma potremmo andare a bere qualcosa in attesa che la situazione... come dire... si sgonfi."

"Ottima scelta di parole, la tua." Camus si allungò verso la finestra, guardando il locale in lontananza: a occhio e croce una specie di ristorante italiano, a giudicare dal nome. Beh, sempre meglio di un fast food. "Siamo appena in Illinois, hai idea di quanto manca alla California? Se saremo costretti a scendere ogni volta che quei due di là daranno sfogo ai loro istinti, o torniamo a casa obesi o con la cirrosi epatica."
"...esagerato. Vuoi mica che succeda tutte le sere, no?"
"Dici? Io non ne sarei così sicura, fossi in te. D'accordo, fammi mettere qualcosa addosso." capitolò Camus. "Ah, per sapere, come intendi scendere da qui? Sgattaioliamo di là come se niente fosse o usciamo dalla finestra?"

"Beh, se riesci a strizzarti in venti centimetri..." ribatté Mei, chiudendo per sicurezza la finestra in questione.
Si vestirono in fretta, cercando di raggiungere la porta del camper nel più breve tempo possibile.
"Non preoccuparti, le chiavi di riserva sono sul bancone, l'area è video sorvegliata e secondo google maps c'è una stazione di polizia a mezzo chilometro da qui." sussurrò Mei, chiudendo a chiave e raggiungendolo, qualche metro più in là. "Gli lascio un messaggio whatsapp? Che c'è?"

"Neanche su National Geographic ho ascoltato grida di quel genere." rispose Camus, lanciando un'ultima occhiata al camper. Si guardarono un attimo, prima di scoppiare a ridere, correndo insieme verso la sopraelevata che li avrebbe portati al diner.
 
"Chissà quando ci capiterà di nuovo, di cenare noi due soli in un locale che non sia ad Atene o a Parigi." sospirò Mei. "Ammettilo, che comunque sei contento di essere qui."
"Sì, beh. Sai che a volte sono polemico, certe cose ho bisogno di carburarle." le rispose. "E così avevate in mente questo, quando mesi fa avete iniziato a organizzare l'addio al celibato... cioè mi correggo, la luna di miele?"
Mei rubò una cucchiaiata di tiramisù dal piatto di Camus, spingendo verso di lui la propria torta di ricotta in un invito ad assaggiarla.
"Non proprio. Il matrimonio a Las Vegas e ciò che ne consegue non erano nei miei piani." ridacchiò. "Sai com'è, imprevisti non calcolati. Avevo anche pensato a un viaggio in transiberiana, ma ho scoperto che l'hai già affrontato due volte, quindi eccoci qui, quindici giorni attraverso gli States."

Camus sorrise, mentre i ricordi di quei due viaggi tornavano a galla, evocati dalla memoria: del primo, insieme al maestro Volya, ricordava poco, il secondo, affrontato insieme a Hyoga e Isaak poche settimane prima dell'incidente, aveva ricordi dai contorni più nitidi.
"Quello lascialo organizzare a me, per favore." sorrise, richiudendo i ricordi al sicuro. "Ho più esperienza di te in merito."
"Cosa, la transiberiana?"
Annuì.

"Sì. Voglio rifarla con te, e quando i bambini saranno grandi, porteremo anche loro. Novemiladuecentottantotto chilometri da Mosca a Vladivostok o potremmo anche pensare alla transmongolica e arrivare a Pechino via Ulan Bator. Adesso che esistono anche cabine con il letto da una piazza e mezza e il bagno privato, è un viaggio più confortevole di quelli che ho già vissuto."
"Ci vuole poco, a giudicare dai treni che ho visto in certi documentari." sorrise Mei.
"Non farti condizionare dai racconti di viaggio di estranei. Chissà che non riesca ad organizzarlo già per le ferie del prossimo anno."

Per lei erano già tanti quindici giorni negli States, figurarsi venti giorni per un viaggio di quel genere; Camus però aveva parlato dell'anno successivo, e i bambini sarebbero stati più grandi e già svezzati per l'epoca. Non lo interruppe né lo disilluse, preferendo sorridergli di rimando e spiluccare la torta che aveva nel piatto.
Un trillo sul cellulare di Camus, un messaggio di Milo che domandava loro dove accidenti fossero finiti.
"Forse dovremmo lasciare la camera da letto a loro e noi prendere il letto sulla cabina di guida." propose Mei, attirando immediatamente la sua attenzione.
"A parte le mie vertigini, dovremmo dormire nelle lenzuola in cui si sono appena rotolati? Nemmeno per sogno."

"Va bene, era solo un suggerimento. Comunque una volta Lixue ha bagnato il letto, quando eravamo ancora al Goro-Ho, ma ho pulito tutto e dopo ci ho dormito tranquillamente." iniziò Mei, finendo con l'essere interrotta.
"Ascolta, un conto è la pipì di nostra figlia, un altro sono quei due. Per quanto voglia bene a Milo, ci sono limiti che non si possono valicare per nessun motivo." obiettò Camus. "Neanche per amicizia."

Mei sorrise.
"Come si vede che non hai mai trascorso una notte al Goro-Ho durante la maturità sessuale di Shiryu."

La guardò, con un'occhiata disgustata.
"Per favore, vorrei evitare di avere incubi stanotte." le rispose, facendola ridere. "Dai, prendiamo qualcosa per la colazione di domani e torniamo dai due sposini."
"Non abbiamo già abbastanza cibo per il viaggio?"
"Quelle schifezze che Milo ha insistito per comprare da Walmart, io, non le mangio." puntualizzò Camus, alzandosi. "Ci tengo alle mie arterie."
Inarcò le sopracciglia, guardandolo di traverso e allungando una mano –a tradimento- alla sua tasca dei jeans sottraendogli qualcosa.
"Giusto, allora iniziamo col gettare via queste." disse, mentre lui di riflesso toccava la tasca vuota, protestando. "Se cerchi il portafogli ti ricordo che l'hai dato a me prima di uscire. Dunque, frolla o riccia, la sfogliatella?"

Milo guardò ancora una volta fuori, scostando le tende dal parabrezza senza vedere neanche l'ombra dei due amici.
"...secondo me sono usciti per colpa nostra." esordì Shaina porgendogli una tazza di caffè. Nella piccola camera aveva trovato il pigiama di Mei gettato in maniera disordinata sul letto disfatto, insieme a un libro e quella che sembrava una confezione di tappi per le orecchie: dovevano essere usciti d'improvviso, forse mentre loro due erano nel pieno dell'azione.  

"Ma no, figurati." minimizzò Milo. Beh, conoscendo Camus poteva anche darsi, in effetti.
"Okay, ma la prossima volta cerchiamo di non fare troppo rumore."
Le rivolse un sorrisino obliquo, prima di bere qualche sorso.
"Tu cerca di non fare troppo rumore."

"Scemo."
"L'astuccio, Mei."
"Di quale astuccio parli?"
Corrugò la fronte, riconoscendo poi i due amici nei due che, fuori dal camper, stavano parlando in un francese per lui ancora troppo fitto.
"Ridammelo, dai."
"Costringimi."
"Sono loro?" mormorò Shaina.
"No, non è in borsa, mi spiace. Perquisiscimi se vuoi e ti prego, fai un lavoro accurato."
Milo aprì la porta, sorprendendoli: lui impegnato a farle il solletico mentre la bloccava a sé, lei in preda alla ridarella con un involto in equilibrio precario in mano.
"Mi farai cadere le sfogliatelle!"
"Ah no, queste bisogna salvarle." annuì Milo, afferrando l'involto e lasciandoli alle loro beghe.
"Come sarebbe a dire, vedi una donzella in difficoltà e non l'aiuti?"
"Donzelle? Io non vedo donzelle." rispose Milo.
"Traditore. Mi arrendo! Basta, mi arrendo!"
"Ci dispiace se vi siete sentiti obbligati a uscire, se succederà di nuovo cercheremo di fare molto meno rumore." si scusò Shaina, una volta saliti a bordo anche Camus e Mei.
Quest'ultima fece finta di non capire.
"La mia Lonely Planet indicava quel locale italiano come il migliore della zona, ho convinto Camus a uscire per provare il loro tiramisù." spiegò, allegra. "Perché?"

Shaina e Milo si scambiarono un'occhiata.
"Ah, okay. Allora niente, come non detto. A domattina, buonanotte!"
"A voi." replicò Camus.
"Le tue capacità diplomatiche stanno facendo passi da gigante, i miei complimenti." sussurrò poco dopo, rigirandosi l'astuccio porta sigarette tra le dita. "Che c'è?"
"Lo capisci da te, vero, che è un controsenso pensare al colesterolo di un paio di ciambelle glassate ma allo stesso tempo fumare?"
"Parli come se fumassi venti sigarette al giorno, ne fumo una ogni tanto."

"Ecco, questa è una delle classiche scuse che usate voi fumatori. Sono seria. Una ogni tanto o venti al giorno, non fa differenza: ogni sigaretta è un chiodo per la bara."
"...Mei..."
"Cosa credi? Che prima o poi arrivi Lucifero e si porti via tutto il catrame dai tuoi polmoni dopo averti ficcato le mani nel petto?"
"Che cosa?!" le rispose, sbigottito, non afferrando la citazione.
"Ti ricordo che a casa ci sono quattro bambini che hanno bisogno di te. Io ho bisogno di te. Se non vuoi pensare a me, okay, d'accordo, ma a loro quattro dovresti pensarci. Non sprecare la vita che ti ha ridato Zeus, perché non ce ne sarà un'altra. Buonanotte, Camus."
 
Poche ore dopo, Milo scese dal letto con i vestiti in mano, trovando Mei già sveglia.
"Sapevo che oggi ci sarebbe stata la luna piena, ma non mi aspettavo di vederla già di prima mattina..."
"Ehm... ciao, Mei. Già in piedi?" 
"Ciao Milo. Come sarebbe? Sono le otto, per me è già tardi." sorrise quest'ultima, apparecchiando il tavolo per colazione e concedendo all'amico il tempo necessario per coprirsi.
Saltellando su un piede in equilibrio precario, Milo s'affrettò a infilarsi slip e jeans.
"In quanto a buone maniere faccio pena, ma là sopra è tanto difficile rivestirsi quanto è facile spogliarsi." abbozzò a mò di scusa. "È già tanto aver preso le cose giuste anziché il tanga di Shaina..."

"Ah, non preoccuparti, ci vorrebbe ben altro per mettermi in imbarazzo, certo non è la prima volta che vedo un uomo. Anche se in tanga no, non mi è ancora successo." ridacchiò Mei.
"Potrei vomitare." commentò Camus, uscendo dalla camera e infilandosi in bagno.
"Certo, c'è chi può permetterselo e chi no. Io posso." Milo alzò la voce per farsi sentire, quindi la riabbassò di nuovo. "Per quel che può servire, credo che tu abbia ragione su tutta la linea."
Mei corrugò la fronte.
"Di che parli?"
Milo si grattò la testa, imbarazzato.

"Vi ho inavvertitamente ascoltati, ieri sera."
"Ci vuole poco ad ascoltarci a vicenda, dal momento che le pareti tra un locale e l'altro non sono di mattoni."

"Te l'avevo detto che ieri sera sono usciti per colpa nostra..." interloquì Shaina.
"Guarda che avevo davvero intenzione di provare quel locale." mentì abilmente, stupendosi di quanto fosse diventata brava, con le bugie, seppur a fin di bene. "E il loro tiramisù, detto tra noi, era squisito, con i savoiardi intinti nel caffè e non nel rhum o in chissà quale schifezza estrapolata dalle ricette made in Usa. Se proprio devo trovare qualcosa che mi ha dato fastidio ieri sera, è l'aver ordinato una torta al posto del tiramisù in questione."

"Perciò non ci avete sentito mentre...?" insisté Shaina.
Mei ci pensò su un attimo, indecisa se mentire o no. Ma in tal caso, neanche la sua più riuscita bugia sarebbe servita a qualcosa.
"...a tal proposito dovresti insegnarmi qualche trucchetto perché il mio non ha mai urlato in quel modo." le sfuggì, obbligando Milo a schiarirsi la voce, la mano a coprirsi gli occhi.

"Athiná mou..."
"Dai, siamo tutti adulti e vaccinati qui." ridacchiò Mei. "E poi, se non posso fare le battutacce oscene con voi, con chi dovrei farle, con Shunrei? Per carità del cielo, l'ultima cosa che voglio è sentir parlare mia cognata di come si comporta mio fratello a letto."
"Perché, è già successo?" intervenne Camus, sedendosi accanto a lei. La vide rabbrividire, ricordando certe frasi della cognata. "Lo prendo per un sì."
"Ma non pretenderai mica che si comporti da monaco, no?"
Mei roteò gli occhi.

"Non ho detto questo, ma è mio fratello, a nessuno piace ascoltare certe cose riguardo il ragazzo al quale hai persino cambiato i pannolini e dato il biberon."
"Beh, ma dovresti pensare al fatto che adesso è un uomo, Mei, non è più il bambino al quale davi la pappa. È cresciuto e ha certe esigenze, come tutti." continuò Milo.

"Una parte di lui per me sarà sempre il bambino col quale ho giocato e il ragazzo che con me ha condiviso tante cose. Non capisci che non è la sua maturità che mi dà fastidio, ma i dettagli intimi. L'ultima volta ho impiegato settimane a non pensare alla sua posizione preferita quando parlavo con lui. Fa sesso? Ottimo, buon per lui, tutti lo facciamo, ma un conto è ascoltare dettagli su un amico, un altro è sul sangue del tuo sangue: se andassi da lui e gli parlassi della mia vita sessuale, Shiryu mi direbbe ma che schifo! e ti dirò, non avrebbe tutti i torti."
Milo ci pensò su un attimo, mentre beveva il suo caffè.

"A te da fastidio quando parlo di certi argomenti?" domandò quindi a Camus.
"Andiamo, Milo, non puoi paragonare le due situazioni, non siete fratelli." sospirò Shaina.
"Lascialo rispondere."
L'interessato impiegò più tempo del normale per vuotare la sua tazza di tè, nel tentativo di evitare la domanda.

"D'accordo, io ne parlo più spesso di te e spesso devo cavarti le parole di bocca, ma..."
"Io non scendo mai nei dettagli perché sono cose troppo private." rispose infine Camus.  
"...e perché conoscendoti, diventeresti rosso pomodoro." sghignazzò Milo.

"Vogliamo rimetterci in movimento, visto che dobbiamo arrivare in Kansas e in Oklahoma oggi?" ribatté l'altro punto sul vivo, alzandosi da tavola.
"Ecco, appunto."

 
Più tardi quella sera, Hyoga sistemò il tablet sul supporto, prima di avviare Skype e attendere una risposta; dall'altra parte, dopo circa un paio di minuti d'attesa, rispose Mei.
"Ciao. Camus non può rispondere, sta aiutando Milo a ritirare le moto. Se ti da fastidio aspettare, ti consiglio di richiamare più tardi."
"Aspetto, non ho fretta. Volevo dirti che per la sorpresa è tutto a posto, Kirill e gli altri sono stati informati e sono tutti lieti di aiutarti. Anche il vestito è pronto e volevo sapere se va tutto bene, dove siete..."
Shaina, con i capelli umidi raccolti in un mollettone, le andò in aiuto rispondendo a Hyoga.
"Ciao, Hyoga, tutto bene, siamo partiti da poche ore ma siamo fermi in Kansas e ci siamo lasciati l'Illinois e il Missouri alle spalle. Praticamente abbiamo incontrato l'unico giorno di pioggia di questo periodo e i due baldi uomini che ci accompagnano stanno ritirando le moto perché l'acquazzone è pazzesco, senti? Roba da non crederci."

Sentiva chiaramente il rumore della pioggia battente sul tetto del camper, accompagnato dalle voci attutite di Milo e Camus.
"La solita sfortuna eh?" ridacchiò, intravedendo dei movimenti alle spalle di Shaina.
"Che tempo del cavolo. Non piove mai, e quando decide di farlo? Quando noi siamo qui." si stava lagnando Milo.

"Guarda che in Kansas piove regolarmente, siamo solo stati sfortunati." sentì Camus subito dopo. Entrò nel suo campo visivo pochi secondi dopo: bagnato fino alle ossa con i capelli appiccicati alla testa e i vestiti che grondavano acqua.
"Ehilà." li salutò, agitando le mani.
Camus si avvicinò subito al computer, con un gran sorriso sulle labbra, mentre Mei dispiegava sulle loro teste fradice due asciugamani.

"Privjet! Come state? E i bambini?"
"Shunrei ha messo a dormire i piccoli, Lixue invece è più testarda e insiste per stare ancora un po' sveglia, qui sono le ventuno e trenta e per ora va tutto bene. La sedia a dondolo entrata nel Guinness dei primati l'avete vista?"
"Vista e fotografata, ovviamente." s'intromise Milo. "Che ti stai perdendo! Adoro questo viaggio, anche se, ad essere sincero, a furia di stare su quella sella ho un gran male al culo."

Hyoga scoppiò a ridere, accorgendosi tardi della presenza di Lixue alle sue spalle; presenza che invece non sfuggì a Camus, che rivolse all'amico uno sguardo di brace.
"Scusatelo, il premio Nobel per la Finezza oggi è un tantino su di giri."

"Oddio quanto mi mancate." rise Hyoga poco dopo.
A parte poche altre manifestazioni climatiche avverse, il foro di una gomma e una mezza indigestione di Milo, il resto del viaggio proseguì quasi senza intoppi: riuscirono ad arrivare a Santa Monica con un giorno d'anticipo, approfittando di quelle ore in più per girare un po'.
Persino il concerto, nonostante i brutti presentimenti di Camus, filò liscio come l'olio.

**
 
"Finalmente! Quasi dimenticavo le vostre facce." sorrise Shura, incrociandoli davanti alla prima casa, intenti a scaricare le valigie dall'auto di Milo. "Com'è andato il viaggio?"
Camus rispose alla stretta dell'amico, prima di rispondergli.

"Prova tu a farti Milano – Atene in economica, con le ginocchia che quasi toccano la gola, dopo Los Angeles – Milano in premium." borbottò. "Fortuna che è durato solo due ore e mezza."
"Shura! Ciao, amico!" interloquì Milo, con la voce roca.
"Come mai questa voce? Che vi è successo?"
"Concerto dei Kiss, tre sere fa... la voce ancora non ci è tornata." spiegò Mei.

"E avete portato anche Camus? Ah sì, avrei proprio voluto vederlo!"
"Non ho mai detto che i Kiss non mi piacciono, solo che non sono un pazzo esaltato come quei tre." rispose l'interessato. "La nota positiva è che almeno hanno un buon motivo per stare un po' zitti."
"Nota più che positiva, direi." convenne Shura. "Vi fermerete ancora o partirete?"
"Prendiamo i bambini e torniamo a casa, a parte la licenza matrimoniale del mese prossimo, io ho esaurito le ferie e Mei ha alcune faccende da portare a termine." rispose Camus, seguendolo poi lungo le scale, fino ad arrivare a destinazione.

Più tardi, mentre Lixue era intenta a guardare le foto del viaggio, Mei si precipitò in bagno.
"Non vedevo l'ora di farmi una doccia." sospirò Camus, stiracchiandosi. "Ho ancora male alle gambe, non hai idea. Che c'è?"
"Dovresti portarmi all'ottava casa con una certa urgenza."

"Okay, lasciami indossare qualcosa, prima. Cos'è successo?!"
Mei indicò il neonato che portava in braccio.
"Fedra ha scambiato i bambini, questo è Nikos, non Milo."
Camus s'avvicinò, allungando le braccia per prendere il bambino.
"Ma guarda chi c'è!" sorrise.
"Eh no, adesso è il mio turno, in ospedale non mi ci hai neanche fatto avvicinare." protestò Mei. "Noto con piacere che delle ancelle del santuario c'è proprio da fidarsi, se non riescono a distinguere un bambino occidentale da uno con evidenti tratti orientali. Passi una delle ragazze giovani, ma Fedra dovrebbe essere in grado di notare la differenza."
"…con gli occhi chiusi si somigliano molto però." disse Camus.
"Se non fosse per la carnagione color mozzarella di mio figlio rispetto a quella caffelatte di Nikos."
"…beh un errore capita a tutti, dai."
Mei inarcò un sopracciglio.
"Per fortuna quelle ragazze non lavorano in ostetricia o scambierebbero neonati e genitori di continuo."

Quando comparvero all'ottava casa, Milo andò loro incontro.
"Stavamo per venire da voi, Fedra ci ha dato il vostro Milo al posto di Nikos."
"Da cosa te ne sei accorto, dal vago aspetto orientale di mio figlio?" scherzò Camus.
"No. Dal suo appetito, s'è scolato un intero biberon nel giro di pochi minuti: in questo assomiglia molto a me." rispose Milo, allungando le mani verso il figlio.
"Uhm, devo proprio?" protestò Mei, stringendo al petto Nikos e lasciandogli un lungo bacio sulla fronte prima di restituirlo agli amici. "Ringraziando il cielo Milo ha un buon appetito, a quasi tre mesi ha la costituzione di un bambino di uno e mezzo. Vieni amore mio, saluta gli zii, torniamo a casa."
 
***

Lady Aquaria's corner:
–Il titolo si riferisce all'omonimo brano dei Kiss.
–Mr.Freeze è un nomignolo scelto non a caso: deriva dal personaggio omonimo della DC Comics, interpretato da Arnold Schwarzenegger in Batman & Robin (quello con Clooney, per intenderci).

–Tommy Thayer è il chitarrista dei Kiss (ruolo "ereditato" da Ace Frehley); la sua maschera è quella de The Spaceman, l'uomo dello spazio.
–No, la pessima performance della soprano che ha inaugurato la stagione teatrale 2019/2020 alla Scala lo scorso dicembre, non l'ho digerita.
–Le scuse di Camus si riferiscono a questa drabble, della raccolta "Love her all i can".
–La citazione di Mei riguardo Lucifero e il catrame nei polmoni è tratta dal film Constantine (del 2005).
 
 
 

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