Blood Brothers - Missing moments

di Mnemosine__
(/viewuser.php?uid=821473)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meraviglioso ***
Capitolo 2: *** Di babysitter inadatti e padri incapaci pt.1 ***
Capitolo 3: *** Babysitter pt.2 ***
Capitolo 4: *** Babysitter pt.3 ***
Capitolo 5: *** Tilt ***
Capitolo 6: *** home sweet home ***



Capitolo 1
*** Meraviglioso ***


Meraviglioso


La luna risplendeva nel cielo illuminando con una tenue luce i tetti delle regge e dei templi della città degli dei. 
Ipno aveva già provveduto a far addormentare gli Olimpi che riposavano sotto la protezione di Morfeo, unico dio sveglio. 
La tranquillità e il silenzio erano le uniche cose che si potevano percepire a quell'ora della notte.
Anche tutti gli dei, creature potenti e immortali, stavano dormendo profondamente. 
Tutti tranne uno. 
Quest'unica personalità rimasta sveglia stava camminando avanti e indietro per il grande terrazzo della sua reggia dorata. 
Il silenzio era rotto dal rumore delle scarpe sul duro marmo, la calma rovinata dalla sua espressione di pura ansia. 
Il dio del Sole si fermò e si appoggiò alla ringhiera per guardare l'orizzonte e fare un respiro profondo, cercando di mantenere la calma e non avere un attacco di panico. 
Anche perché, essendo lui il medico, nessuno avrebbe potuto aiutarlo in modo perfetto, come solo lui stesso sapeva fare. 
Il suo sguardo si fermò su un piccolo giardinetto appartato compreso nel grande parco della sua reggia, vicino a dove aveva piantato il suo bel Giacinto.
Proprio lì alcuni mesi prima gli era stata data la notizia.

Apollo camminava per gli immensi corridoi del suo palazzo, aveva passato la sua classica giornata tipo: giro sulla sua Maserati per il cielo, pausa pranzo in un Paese a caso e ritorno in tempo per la cena con la moglie. 
Già, la moglie, la figlia di Poseidone dai capelli corvini di cui era segretamente innamorato da millenni. 
Erano passati tre mesi dal matrimonio e i due erano tornati da poco dalla luna di miele in Grecia. 
Avevano fatto una crociera per tutte le isole, in particolare sulle coste dell'Asia minore, un lungo viaggio per tutti i santuari del dio del sole, i musei e i luoghi dove un tempo sorgevano le città che avevano ospitato alcune delle loro avventure. 
Da quando erano tornati la ragazza si era subito trasferita nella reggia del dio e, più precisamente, nella sua stanza, cosa che implicava anche il letto. 
Apollo aveva visto piano piano la sua casa trasformarsi nella loro; gli scaffali erano ormai pieni di loro foto, alcune stanze avevano subito delle trasformazioni non da poco perché qui ci vuole un tocco femminile, ma soprattutto era stato ingrandito l'armadietto del bagno che i due condividevano. Tutti i prodotti per i capelli del giovane nume erano stati soppiantati da quelli della ragazza, dalle creme e dai trucchi che si era portata dalla cabina 3, perciò il dio aveva pensato bene di ingrandire il tutto per fare spazio anche ai prodotti della moglie. 
Un altro tasto dolente per Apollo è stato dover creare un altro armadio, perché per il bagno ancora ancora poteva chiudere un occhio, ma dover dimezzare o addirittura condividere i suoi preziosissimi vestiti (da intendere le orribili camicie che indossava anche Will) non era nemmeno pensabile; Elisabeth però trovava sempre il modo di rubargli qualche maglietta o felpa che fosse, usando per scusa il fatto che fossero più comode delle sue.

Adesso però Apollo la stava cercando ormai da un po' , aveva setacciato tutte le stanze del palazzo senza però trovarla. Passando però davanti ad una finestra che dava sul giardino si fermò a guardare fuori. E lì la vide. Seduta sull'erba, con i capelli leggermente mossi dalla debole brezza della sera, stava sua moglie. 
Vestita di una morbida tunica blu notte, i capelli lasciati sciolti, l'unico gioiello che indossava era la piccola collanina regalatale dalla Pulce; la ragazza fissava distrattamente il fiore viola. 
Apollo rimase a fissarla a mo' di stalker  per una buona decina di minuti, finché non si riscosse e, schioccando le dita, si materializzò sull'erba esattamente dietro alla ragazza, cingendole il corpo con le braccia. 
"Ciao Dolcezza." Le sussurrò piano all'orecchio facendole venire i brividi.
Lei si appoggiò sul suo petto e chiuse gli occhi. 
"Ti ho cercato ovunque." Disse mordendole leggermente il lobo dell'orecchio. 
"Sono stata qui tutto il giorno." Rispose Elisabeth sottovoce. "Pensavo." 
"A quanto potremmo stare bene nel nostro letto?" Le chiese con voce provocante baciandole il collo. 
Lei sorrise "Ti ricordi la tua ultima uscita con i tuoi figli, al matrimonio?" 
"Certo che no. Ma se fossimo nella nostra stanza..." disse scendendo verso la clavicola "... e se tu mi dessi un incentivo..." continuò tra un bacio e l'altro "... forse potrei ricordare..." 
Elisabeth rise leggermente e si strinse a lui. 
"Non credo che sia una buona idea, almeno per un po'." 
"E perché mai? Ti sei già stancata di me?" Chiede con la voce da cucciolo ferito. 
"Certo che no." Disse lei avvicinandoglisi per baciarlo. "Ma... dovresti sapere una... " 
"Signore?" Gridò una terza voce. Un satiro correva veloce verso di loro e si fermò ansimando davanti alla coppia. 
"Porco me." Imprecò il dio "Che cosa vuoi?" 
"Mi... mi dispiace interrompervi mio signore ma... ma vostra sorella Calliope richiede urgentemente la vostra presenza". Disse tra gli affanni il satiro.
Apollo sbuffò e con fatica si alzò in piedi.
"Farò il prima possibile." Disse alla figlia di Poseidone "Dovevi dirmi una cosa importante?" Chiese distrattamente. 
Lei abbassò lo sguardo e giocherellò con un filo d'erba. "Io... no." Disse secca alzandosi in piedi. "Ma per una volta non potresti rimanere qui con..." 
"Allora può aspettare. Sarò qui in poco tempo e poi potremmo parlare di quella cosa a letto, quindi aspettami sveglia." La interruppe lui sparendo in un lampo di luce. 
Elisabeth fissò il punto in cui era sparito il marito, basita e il satiro ebbe la buona idea di scappare. 
"Idiota" Disse all'aria, prima di incamminarsi a passo spedito verso l'uscita del giardino. "Te lo faccio vedere io come resto sveglia."

Un grido di dolore squarciò la calma che regnava nelle strade dell'Olimpo. Apollo strizzò gli occhi, completamente nel panico. Non era la prima volta che gli succedeva, ormai doveva esserci abituato. 
Ma come sempre tutte le volte andava nel pallone completo, senza sapere che cosa fare o da che parte girarsi. E questa volta più di tutte. 
Per questo aveva chiamato subito Will, Ilizia e Artemide. E sempre per questo aveva sbattuto la porta in faccia ad Era e suo padre appena si erano presentati all'ingresso.

Trovò Elisabeth nel soggiorno, mentre faceva zapping sulla televisione divina, accompagnata da una coperta di pile.
Apollo si fermò sulla porta del soggiorno a guardare il profilo della ragazza, presa dal programma appena iniziato. Lei non lo sapeva, ma tutte le volte che gli occhi del dio le si posavano addosso gli facevano provare un desiderio e una brama che molte volte faticava a controllare, proprio come stava succedendo in quel momento. 
L'unica cosa che voleva era stringere a sé il corpo esile della semidea. 
Decise così di interrompere il silenzio per affrettare le cose. "Cosa guardi?" 
Lei sussultò "Non ti avevo sentito rientrare." Disse spegnendo il televisore, segno che il programma in realtà non era poi così importante. 
Il dio si strinse nelle spalle e le apparse vicino, seduto sul divano e avvolto anche lui nella coperta. 
"Che ne dici di cambiare stanza?" Le chiese provocatorio portandole le mani sui fianchi,  avvicinandosela fino ad avere il corpo di Elisabeth stretto tra le braccia. Lei gli portò le mani tra i capelli e iniziò a giocarci distrattamente. 
"Oggi, quando sei corso da Calliope volevo parlarti..." sospirò incrociando le iridi dorate del dio con le sue. 
"Non possiamo aspettare e parlare domani? È da due settimane che non riesco ad averti tutta per me per più di qualche minuto." Piagnucolò Apollo. 
"Sei un dio impegnato." Commentò lei facendogli capire con uno sguardo di rimprovero che voleva veramente parlare. 
Apollo sbuffò, sconfitto e si allontanò leggermente da lei per metterlesi di fronte e guardarla negli occhi. 
"Di cosa vuoi parlare?" Chiese accondiscendente mentre la moglie si concedeva un sorriso di vittoria.
"Sei arrabbiata che vada al Campo a trovare i miei figli nel weekend? Che abbia rotto i tuoi occhiali preferiti..."
"Hai fatto cosa?" Elisabeth scandì lentamente ogni parola della domanda. 
Il dio non batté ciglio "Li ho già fatti apparire uguali." 
"Ma..." balbettò Elisabeth prima di fare un respiro profondo. 
"Non importa. Dobbiamo parlare di cose importanti, dei tuoi figli, in effetti." 
"I miei figli? E cosa c'entrano loro?" Chiese Apollo sporgendosi in avanti. 
"C'entrano i tuoi figli in generale, non quelli al campo. Quelli che per esempio devono ancora andarci." 
"Beh quelli che non sono in nessuno dei due campi sono ancora troppo piccoli per arrivarci ma ti prometto che ce li porterò personalmente, se è questo che ti preoccupa." 
"No, io voglio dire... se dovesse arrivare un tuo figlio qui a casa servirebbero passeggini, culle, e tutte le cose adatte ad un bambino."
"Sono le mortali che si occupano di loro quando sono così piccoli, io non li porterei mai qui, si potrebbero fare male e non credo che possano trarre un qualche vantaggio a venire a trovarmi a quell'età." 
"Si... ma... se uno dovesse ancora nascere? Se dovesse venire a vivere..." 
"Quella è stata l'ultima botta e via prima di te, lo giuro." 
Lei chiuse gli occhi e sbuffò sonoramente. "Mi lasci finire?" 
"Dolcezza non capisco il problema. I miei figli sono meravigliosi."
"Dei." Imprecò la figlia di Poseidone. "Ok, se provo a dirtelo così non capisci un tubo, cambiamo tattica."
Lui aggrottò le sopracciglia, confuso. 
Elisabeth alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia. 
"D'accordo, cercherò di fartelo capire nel modo più semplice possibile; giustamente ti sei accorto che non facciamo sesso da due settimane."
"Si e invece di stare qui a parlare vorrei poter rimediare alla cosa." 
"Beh, e io ti dico che d'ora in poi non potremo più farlo." Disse lei aspettando una qualunque reazione da  parte del marito, il quale si portò una mano tra i capelli "Cosa? Perché? È una sorta di punizione? Ti ha convinto Arti?" 
Ovviamente questa non era la reazione che si era aspettata. 
"Non è una punizione." Sorrise lei con gli occhi leggermente lucidi "Anzi." 
"Io la vedo come una punizione." Borbottò Apollo offeso alzandosi in piedi. "Se dovevi dirmi solo questo io me ne andrei a dormire." 
"Davvero non capisci? La prima volta ho provato a dirtelo in modo romantico e non hai capito, ho provato a semplificare la cosa al massimo la seconda..." 
"Senti, ho capito che non vuoi più venire a letto con me anche se non ne capisco il motivo, va bene? Adesso sono stanco. Vista l'ora, dato che l'alternativa al fare sesso è dormire, me ne vado a dormire." Iniziò lui alzando la voce. "Domani ne riparliamo." Disse incamminandosi verso la porta.
Elisabeth pensò che suo marito non solo era un cretino di prima categoria, ma anche un asino biondo. 
"Aspetta un secondo! Non ne riparliamo domani io volevo dirtelo oggi pomeriggio!" 
Cercò di alzarsi a fatica annaspando nella coperta che le si era aggrovigliata intorno alle gambe. 
"Liz, ho detto che ne riparliamo domani." 
La ragazza finalmente libera dal pile strinse i pugni. 
Ormai aveva le lacrime agli occhi, sia per la stizza che per l'emozione che quello che voleva dire al dio del sole comportava. 
"Sono incinta, idiota!"
Ecco. Bomba sganciata. 
La figlia di Poseidone guardava il dio aspettando una risposta, che stranamente non avvenne. 
Non un suono, non un qualsiasi movimento provenivano dal dio. 
Passarono i minuti, la ragazza ancora spettava una risposta. L'ansia iniziava a salire, e se fosse stato troppo presto?
"Cosa?" Un verso strozzato. 
"Sono incinta." Ripeté più piano lei. "Lo so che non era una cosa premeditata ma siamo sposati, e dopo tutto il tempo che abbiamo passato a letto senza protezioni credo che dovessimo aspett..." 
La ragazza non si era accorta che il dio aveva iniziato a camminare a grandi falcate verso di lei con un sorriso idiota stampato sul viso e gli occhi lucidi. 
Apollo non la fece finire di parlare che le prese il viso tra le mani e la baciò. 
"Scusami." Disse a pochi centimetri dalle sue labbra "Scusa se non l'ho capito." 
"Non ti ho sposato per la tua intelligenza." Rispose lei punzecchiandolo.
"È una notizia meravigliosa." Continuò lui. "Non vedo l'ora che lo sappiano tutti." Disse stringendola tra le braccia bloccandosi però, all'improvviso. 
"Tuo padre mi ammazza." 
Disse terrorizzato inducendola a sorridere. "No che non ti ammazza. Sa che dopo il matrimonio ci sono i bambini." 
"Tu non lo sai, ma quel dio è peggio di Ade." Disse lui strizzando gli occhi. "È il più pauroso di tutto il pantheon." 
Terminò con voce strozzata il biondo prima di tornare ad assaltare le labbra della moglie.

Apollo sorrise. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto occuparsi di questo figlio diversamente dagli altri. Questo bambino sarebbe vissuto con lui dalla nascita. 
Diversamente da come aveva fatto con Will e tutti gli altri, che andava regolarmente a trovare ormai, questo bambino sarebbe stato sempre con lui.
Buttò la testa all'indietro, tornando a pensare ad una delle più belle visite che aveva fatto ai suoi figli, nove mesi prima.

Apollo spalancò la porta della cabina che aveva costruito (fatto apparire) per i suoi figli inondando la stanza di luce. 
"Sveglia!" Gridò gioioso lanciandosi sul letto di Sun.
"Cos..." Chiese Austin alzando la testa dal cuscino e guardandosi intorno stranito.
"Il sole è alto. Voi siete i miei figli e dovete svegliarvi!" Cantilenò il dio.
"Papà sono le..." Kyla guardò la sveglia "... cinque... torna a mezzogiorno." Brontolò.
"Giammai. Dovete saperlo per primi." Disse Apollo sedendosi composto sul letto della più piccola.
"Sapere che cosa?" Chiese la bambina.
"Beh..." Apollo sfregò le mani. "Liz è incinta!" Disse gioioso. Per sottolineare il concetto si mise a brillare stile enorme faro.
"Papà! È meraviglioso! Vai via!" Gridò Austin lanciandogli un cuscino. 
"Che rompiscatole che siete!" Apollo si spense. 
"Io vi dico che arriverà un altro fratellino e voi cosa fate? Mi mandate via?" 
"È presto." Ringhiò Kyla. "Io ho finito il turno in infermeria venti minuti fa." 
"Papà?" Sun lo tirò per la maglietta.
"Si? Tu si che mi ascolti, vero tesoro?"
"Ehm... forse anche gli altri ti ascolterebbero se tornassi tra cinque o sei ore..." Disse lei mordendosi un labbro. 
"Oh... forse hai ragione..." 
"Lo so, papà. Buonanotte." Gongolò lei prima di rimettersi a letto.
"Giusto. Tornare più tardi e... Sun?" La chiamò Apollo.
"Dimmi..." sbuffò lei.
"Dov'è Will?" 
"Ehm..."

Il dio ticchettò le dita sulla ringhiera di marmo e scosse la testa, ancora conscio della figuraccia.

La cabina della casa di Ade era il ritratto della pace. Non un rumore scalfiva la quiete che si era creata.
Un leggero cigolio della porta era l'unica cosa che si poteva sentire, ma durò giusto un attimo. 
"Per le mutande di Ade!" Sussurrò la voce baritonale del dio. 
Nico di Angelo era sdraiato in diagonale sul letto e Will, che lo abbracciava da dietro, era l'immagine della scompostezza fatta a persona. Le gambe da una parte e la faccia dall'altra. 
Ma i due erano vicini, abbracciati e nello stesso letto.
"Solangelo is real!" Gridò Apollo. 
Nico si svegliò di soprassalto portando la mano sotto il letto e afferrando la sua spada nera. Will, che era appoggiato sulla sua schiena, venne ribaltato per terra. 
"Ma che diavolo...!" Gridò il biondo massaggiandosi la testa. 
Nico urlò vedendo chi aveva davanti e lanciò lontano la spada. "A-apollo..." Disse diventando rosso come un pomodoro.
"Papà?" 
"Will! Nico! Che carini!" Gridò il dio a sua volta. 
"Divino Apollo... sono le cinque di mattina." Sussurrò il figlio di Ade tirando le coperte fino al mento. 
"E... noi... noi non ci..."
"Un momento..." lo fermò Apollo. "Voi siete..." disse indicando i due che cercavano di coprirsi il più possibile con le lenzuola. 
"Voi avete..." 
"Ci dovevi avvertire!" Gridò Will. 
"Beh... io... credo che me ne andrò..."  disse il dio passandosi una mano tra i capelli, doveva dirlo subito ad Ade.
"Sarebbe meglio..." Disse Will mentre tornava sotto le coperte portando un braccio sulle spalle del più piccolo. 
Doveva decisamente dirlo ad Ade.
"Lasciate... lasciate solo che vi dica una cosa."  Tentennò, ricordandosi perché era lì.
I due lo guardarono male. 
"LizéincintaetuWilllaaiuteraiapartorire!" Disse tutto d'un fiato per poi sparire.
I due si guardarono, poi Will scoppiò in un acuto:
"Cosa?!"

Un altro Gridò squarciò l'aria. Apollo strinse i denti. 
Non ce la faceva più. 
Schioccò le dita e si trasportò nella sua reggia, si guardò intorno e corse verso la sua stanza. 
Nel corridoio vide con la coda dell'occhio i suoi figli, Percy e Poseidone. Il dio del mare aveva pesanti rughe di preoccupazione sul viso. 
Davanti alla porta venne bloccato da sua sorella, che si era affacciata un momento proprio per cercarlo. 
"Dove credi di andare?" 
"Arti... voglio entrare." Disse lui ansimando, gli dei non erano fatti per correre. 
"Lo hai detto tu stesso che in situazioni come queste vai nel panico più totale, o sbaglio? C'è Will con lei, e anche Ilizia. Tuo figlio è solo una testa calda come te che non vuole uscire..." Disse lei cercando di tranquillizzarlo, quando un altro urlo provenne dalla stanza. 
"Io svengo..." disse Percy appoggiandosi al muro. "E tra poco toccherà pure a Annie..." 
"Stai qui." Chiuse il discorso Artemide sbattendogli la porta in faccia. 
"Ma..." 
Apollo era turbato, Elisabeth era entrata in travaglio da ore, e il bambino ancora non si decideva a uscire. 
"Questo è di sicuro colpa della madre e dei suoi geni." Borbottò Apollo pensando al parto avvenuto quasi due millenni prima. 
"Io ti ammazzo." Sussurrò Poseidone rivolto ad Apollo, ma sapevano entrambi che quella frase era dettata solo dalla situazione del momento... forse.
Ad un tratto ci fu un attimo di silenzio, rotto poi dal leggero (si fa per dire) pianto di un bambino. 
Apollo alzò la testa di scatto e senza dire niente si catapultò nella stanza. 
Elisabeth lo guardava raggiante, era esausta e completamente sudata, ma negli occhi il dio vide solo gioia. 
Si girò di scatto verso sua sorella e Ilizia, che gli sorrisero, ma il bambino non c'era. 
Un gahh lo fece voltare verso Will. 
Suo figlio maggiore aveva in braccio un piccolo bozzolo, un voltolo di coperte dorate, e stava asciugando dal sangue qualcosa con un asciugamano.
Will alzò lo sguardo verso il padre. 
"Per essere il mio secondo parto... direi che è andato bene." Disse porgendogli il fagottino. 
"Tuo figlio. Mio fratello." 
Apollo aveva gli occhi che gli bruciavano, ma prese sicuro l'involtolo tra le braccia. Scostò la copertina per vedere un piccolo visino che sorrideva. 
Gli sorrise di rimando mentre si avvicinava alla moglie. 
"Sei stata bravissima." Le Disse baciandola in fronte e porgendole il bambino. 
"Nostro figlio..." 
"E il primo dalla vostra relazione immortale!" Disse Poseidone spalancando le porte. 
"Dov'è mio nipote?" 
Il dio si avvicinò alla figlia per poter vedere il bambino, seguito da Percy "Lo zio Percy sarà il suo zio preferito!" 
"No, sarà zio Will. Ho contribuito alla nascita!"
Piano piano, tutti si avvicinarono per vedere il piccolo, dopo aver saputo della nascita arrivarono anche Zeus ed Era, Ade e Persefone insieme a Nico.
"Sarò io il nonno preferito." Disse Zeus. Poseidone e Ade lo guardarono, si guardarono e poi iniziarono a ridere. 
"Credo che avremo babysitter gratuiti a vita, dolcezza." Sussurrò Apollo all'orecchio della moglie.

"Come lo volete chiamare?" Chiese ad un certo punto Sun, che si era arrampicata sul letto per poter vedere il fratellino. 
"Beh... a dire la verità non ci abbiamo ancora pensato..." Disse la ragazza rendendosi conto della gravità della cosa.
"Troilo." Rispose Apollo. 
La figlia di Poseidone lo guardò a bocca aperta. 
"D-davvero?"
In risposta il dio la baciò e annunciò a gran voce "Date il benvenuto al piccolo Troilo!"

Angolo me: Ciao a tutti, non so se qualcuno di voi si ricorda questa storia che ho scritto credo quattro o cinque anni fa, ma i personaggi e la nuova coppia che avevo creato mi mancava molto. Ho deciso quindi di cancellare l'unico capitolo che avevo scritto e di creare una storia a sè, visto che in questo periodo ne ho preparati altri. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di babysitter inadatti e padri incapaci pt.1 ***


Di babysitter inadatti e padri incapaci


"Io te lo avevo detto." 
"A prima vista mi era sembrata una buona idea." 
Apollo si grattò la testa, imbarazzato, mentre portava gli occhi verso il basso per non dover incrociare lo sguardo seccato della moglie.
"Anche a prima vista era palese che fosse una gran cazzata, la tua idea." Lo bloccò lei.
Elisabeth incrociò le braccia, e sua immagine sfavillò leggermente. 
"Dico io, passi lasciarlo ad Ade, ma lui?" Si portò una mano alla testa, prendendosi il naso tra due dita e strizzando gli occhi. 
"Si è offerto volontario e io dovevo occuparmi del sole..." biascicò il dio. "Mica posso portare un bambino sul mio carro."

Apollo strinse le redini con più forza, mentre guardava la moglie attraverso il messaggio-iride "Vedi forse lo spazio per un seggiolino?" 
"Sei su un carro. Potevi trasformarlo in una macchina." 
"Ma il carro è molto più cool, mia cara." Disse lui, mellifluo. 
"Andava bene anche una delle ninfe che ti fanno la corte." Sbuffò lei. 
"Nessuno mi fa più la corte, mi sono accasato." Alzò gli occhi al cielo.
"È proprio per questo sei ancora più appetibile, lo ha detto una naiade l'altro giorno." 
La figlia di Poseidone scosse la testa e gli puntò un dito contro "Se vengo a sapere che il mio bambino è anche solo minimamente inciampato perché lui lo ha perso di vista ti riterrò completamente responsabile."

Apollo fece segno di sì con la testa "Non gli succederà niente, dolcezza." Anche se iniziava ad avere dubbi pure lui sulla sua scelta del babysitter per quella giornata "E tra qualche ora tornerò a casa e mi occuperò io del nostro bambino." Le assicurò.
"Questo dovrebbe rassicurarmi?"

Apollo guardò la piccola fontanella che Efesto gli aveva applicato sul carro, su richiesta della figlia di Poseidone, 'per le emergenze' come aveva detto lei. Apollo non avrebbe mai immaginato che le 'emergenze' fossero continue chiamate ogni cinque minuti per sapere se suo figlio fosse ancora vivo.
Si sentiva offeso dalla poca fiducia che la ragazza riponeva in lui, perché nessuno credeva che potesse essere un padre responsabile?
Aveva anche fatto pratica con le bambole di Sun, mentre Elisabeth era ancora incinta. 
La figlia gli aveva insegnato come tenerle in braccio, fargli fare il ruttino e cambiare i pannolini. 
Cosa c'era di tanto diverso tra un bambolotto a forma di bambino un bambino vero? Mah.
Chissà perché quando lo aveva chiesto a Will e Austin mentre teneva in braccio la bambola vomitosa di Sun i due gli erano scoppiati a ridere in faccia.
Kyla gli aveva pure registrato qualche ninnananna, e funzionavano così bene che quando le aveva fatte sentire lui si era addormentato sul letto di Angel. 
Lui si che aveva una progenie intelligente e meravigliosa, altro che Atena.

Troilo era nato da ormai quasi un anno e Apollo ancora faticava a credere di aver avuto una vita completamente diversa prima di avere lui. 
Quel bambino gli aveva invaso cuore, testa e casa. Soprattutto casa. 
La reggia del dio del sole era diventata un grande parco giochi: peluche , orsacchiotti, seggioloni invadevano ogni stanza.
La cucina (mai usata) era stata invasa da vasetti colorati con dentro Apollo-non-voleva-nemmeno-sapere-cosa di molliccio e frullato, biberon, cucchiaini colorati e un grande seggiolone giallo canarino accecante perché 'qui ci vuole un po' di allegria, tesoro'.
L'entrata delle scale, così come quella di qualunque porta, era stata bloccata da cancelletti bianchi per sicurezza.
La moglie lo aveva costretto a montarli da quando Troilo aveva scoperto che con le sue gambette poteva correre ovunque volesse come un piccolo razzo e Apollo era passato in pochi giorni da 'Oh dei Liz guarda come corre' a 'Oh dei Liz dove diavolo è quella peste'

Aveva anche imparato a cambiare i pannolini e a preparare i biberon con il latte alla temperatura giusta (con un semplice schiocco di dita tutto diventa semplice).

Insomma, era diventato un papà con i contro fiocchi.
Altro che sua moglie. 
A detta sua, la maternità l'aveva fatta impazzire. 
Nessuna delle madri dei suoi innumerevoli figli lo aveva mai sfiancato così tanto. 
Anche se era difficile fare paragoni, visto che con le madri degli altri figli non ci aveva passato così tanto tempo.
Ma era sicuro che un comportamento del genere non fosse normale. Nossignore.
Da quando aveva scoperto di essere incinta Elisabeth aveva iniziato a correre da un negozio all'altro, accompagnata da Annabeth, tornando a casa ogni volta con almeno due tutine nuove. 
L'ultima volta che aveva fatto delle compere in un negozio per bambini si era fatta accompagnare da Artemide. 
Quelle pazze erano tornate a casa con tre, tre seggioloni e una tutina argentata. 
E le scarpette. Oh dei, le scarpette.
Le scarpette per bambini erano diventate il nuovo amore della figlia di Poseidone.
Che ci voleva fare, poi, con una trentina di scarpette per un bambino che aveva iniziato a camminare solo da poco? 
Niente, ecco cosa. 
Stava là e le guardava, con una preoccupante espressione alienata, mente gli mostrava quanto erano piccole e adorabili.
Bah. 
A volte Apollo aveva pensato di farle sparire. 
Erano solo piccole scarpe, come quelle da adulti ma più piccole di una spanna. Cosa avevano di tanto speciale?
Magari durante la gravidanza Ermes le aveva somministrato di nascosto qualche droga, si... non c'era nessun'altra soluzione possibile per spiegare quel comportamento.

Dopo il parto, poi, Apollo aveva sperato che quella pazza di sua moglie si sarebbe calmata, almeno in parte.
Ma ovviamente no. Ormai era posseduta. Senza speranze.
Non lasciava mai il bambino da solo nemmeno per un minuto e gli parlava sempre con vocine strane, faceva i versi (soprattutto quando gli dava da mangiare) e le smorfie.
Si, doveva per forza essere posseduta se ogni volta che imboccava il bambino faceva cose tipo 'Aaaaam'.

Senza parlare del fatto che non si fidava minimamente di suo marito. 
Lui non poteva nemmeno prendere in braccio suo figlio che la ragazza lo fissava, apprensiva e preoccupata, finché non lo metteva giù.
Di cosa aveva paura, che lo mollasse all'improvviso? 
Se anche fosse successo era il dio della medicina, quindi dov'era il problema?

"Certo che si. Sono un super papà, io." Assicurò lui.
"Percy è un super papà." Disse lei lanciandogli un'occhiataccia. 
"Ma come? Stamattina ho anche provato a cambiargli il pannolino senza magia!" Protestò.
Lei lo fissò, per nulla impressionata "E ci sei riuscito?"
"Beh..." Apollo fece segno ai cavalli del sole di rallentare, mentre il paesaggio sotto di lui si era fatto improvvisamente interessante.
"L'importante è che ci abbia provato." 
"Senti." Lo riprese lei "Torno domani sera. Tu assicurati che tuo padre non uccida mio figlio nel frattempo." Disse secca prima di chiudere la connessione.
Apollo sospirò. 
Elisabeth era tornata al Campo Mezzosangue per chiedere non sapeva cosa a Will. 
Così, di punto in bianco.
Lo aveva lasciato da solo a badare al loro bambino, il problema era che il carro del sole non si trascinava in giro per il cielo da solo. 
Così quando, quando quella mattina lui era già in ritardo di un'ora e suo padre si era presentato alla porta della sua reggia offrendosi di tenere il bambino per quella giornata, Apollo aveva colto al volo la proposta. 
Aveva schioccato le dita e Zeus si era ritrovato in braccio Troilo e in mano la lista che Elisabeth gli aveva lasciato.
Più che lista di cose da fare con il bambino quel foglio era pieno di non scritti in maiuscolo e sottolineati più volte. Alcune cose erano addirittura cerchiate.
Come se lui non sapesse che NON poteva lasciare Troilo giocare con le prese elettriche. 
Suo padre era anche il dio dell'elettricità, anche se suo figlio avesse giocato con le prese elettriche il dio non lo avrebbe fatto morire fulminato, vero?
Chiuse gli occhi.
Già, forse affidare suo figlio a nonno Zeus non era stata proprio una buona idea ma, ehi, mica era lui il dio della saggezza. 
E poi, ormai erano quasi le sei di sera. In poco tempo sarebbe tornato a casa, avrebbe trovato suo padre e suo figlio sul divano a guardare la TV e avrebbe sbattuto in faccia a sua moglie che era un super papà anche nella scelta dei babysitter.
 

Elisabeth strinse gli occhi, cercando di non avere un crollo nervoso e precipitarsi a casa per togliere suo figlio dalle grinfie di quel dio incapace.
"Come sta il mio fratellino?" Chiese Will affacciandosi alla porta. 
"Prega per quell'idiota di tuo padre che stia bene." Disse lei mentre con un gesto della mano spegneva il rubinetto dell'infermeria.
Will ridacchiò facendole segno di raggiungerlo.
"Dove mi metto?" Chiese lei.
Il figlio di Apollo le indicò un lettino.

"Devo sapere!" Gridò una voce fuori dall'infermeria. 
"Percy, ti ho già detto che non puoi entrare!" Ringhiò Nico dalla porta.
"Ma sono suo fratello! Ho diritto di sapere se Luke avrà un cuginetto o una cuginetta." 
"Jackson non mi interessa se sei padre. Se entri ti uccido."

Elisabeth si concesse una risata, mentre si distendeva sul letto e Will le alzava leggermente la maglietta.
"Sicura di volerlo sapere? L'altra volta avete aspettato fino al parto." Chiese.
"Ti sei accorto prima di me che ero incinta di nuovo, direi che è un tuo diritto sapere se sarà una sorellina o un altro fratellino." 
Will sorrise e le passò le mani sulla pancia.
"Beh la tua faccia è stata epica." 
Ripensando all'espressione delle figlia di Poseidone, quando nemmeno due settimane prima Apollo ed Elisabeth erano passati al Campo per una festa in onore del piccolo nuovo arrivato della cabina 7, un bambino di 9 anni di nome Jake che Apollo aveva portato personalmente al campo.
Kyla e Austin avevano provveduto a fargli fare un fantastico giro di cabine, infermeria, mensa e soprattutto spiaggia.
Mentre Jake veniva scarrozzato dai fratelli per tutto il campo Sun si era appropriata di Troilo, garantendo che se ne sarebbe occupata lei. 
E, con grande sorpresa di Apollo, Elisabeth glielo aveva lasciato senza battere ciglio. 
La bambina aveva portato il fratellino sul prato a giocare a rincorrere la palla.
Ecco, lei sarebbe stata una fantastica babysitter. 
Il dio del sole era rimasto a bocca aperta, mentre la moglie se la rideva sotto i baffi. 
Will si era avvicinato al padre indicandogli una direzione dicendogli che Jake era caduto e si era sbucciato il ginocchio e Apollo, che ovviamente non era apprensivo come la moglie, nossignore, gridando disperato si era messo a correre come un forsennato verso l'infermeria. 
E lì, con Apollo lontano, con un tono tranquillo come se le avesse chiesto il tempo, Will si era rivolto alla figlia di Poseidone. 
"Da quanto sei incinta?"

Elisabeth scosse la testa, ricordandosi che lo aveva guardato come un pesce lesso per almeno una manciata di secondi, per poi scattare come una molla e spingere Will dietro un albero, chiedendogli se stesse scherzando.

Will sorrise, e le fece segno di alzarsi. 
"Già fatto?" Chiese lei mettendosi in piedi.
Lui annuì e scarabocchiò qualcosa su un foglietto, per poi porgerglielo. 
Lei spalancò gli occhi "Tu scherzi." 
Will rise e aprí la porta dell'infermeria.
Non si sorprese quando fuori vide una trentina di ragazzi: tutti i suoi fratelli, i 7 della profezia, Calypso e il suo bellissimo ragazzo imbronciato. 
Non si chiese nemmeno perché Percy fosse ai piedi di Nico in posizione fetale mentre si teneva lo stomaco o i genitali, non riusciva a capirlo, e il suo ragazzo lo guardava soddisfatto.
Annabeth, vicino a loro con in braccio un bebè dagli occhi grigi, guardava Percy come a dire 'te lo sei cercato, Testa d'Alghe.' 
Elisabeth lo affiancò e spostò lo sguardo dal fratello a Nico, borbottando un "Sono circondata da idioti."
Trenta paia di occhi la fissarono, in attesa "Allora?" 
 

Apollo aprí la porta di casa e ci si fiondò in un lampo
e si guardò intorno, cercando qualcosa di rotto o macchie di omogeneizzati in giro.
Poteva aspettarsi anche la cacca sulle pareti, ma non quello.
Un brivido gli percorse la schiena.
Troppo silenzio. 
Troppo ordine. 
Troppo pulito.
Si fiondò in cucina trovando quella stanza linda, pulita, luccicante. Male, molto male.
Corse per le scale, cercò in giardino, nelle camere e in bagno. 
Tutto pulito, ordinato e vuoto.
Dove diamine erano suo figlio e quel padre degenerato a cui lo aveva lasciato?
Come diavolo lo diceva a sua moglie di aver perso il bambino? 
No, non lo avrebbe detto a sua moglie. Come minimo lo avrebbe spedito nel tartaro.

"Stai cercando il bambino?" Una voce lo fece sussultare. 
"Lo hai visto?" Annuí il dio del sole al consuocero. 
Ade indossava una giacca di pelle, anfibi e un grosso cinturone con tanto di teschi.
"Già." Alzò gli occhi al cielo "Se avevi bisogno di un babysitter perché non hai chiesto a uno dei tuoi figli più grandi, invece che a quel cretino di mio fratello?"
Apollo non ascoltò nemmeno la domanda, corse verso Ade e gli prese le spalle, scuotendolo 
"Dove?" 
Il dio degli Inferi lo squadrò completamente, staccò le mani di Apollo dalle sue spalle e schioccò le dita.
In un secondo i due si trovavano nella sala del trono. Apollo si girò da una parte all'altra, in cerca del figlio.
"Dove...?"
"Gaaaah!" Sentì da dietro il trono di Zeus. Subito il dio corse verso il suono, in preda al panico. 
Ade lo seguì tranquillamente, facendosi apparire una macchina fotografica in mano.
Apollo si fermò di colpo, spalancando la bocca in una grande O.
Suo padre, Zeus, aveva una mano in aria e con muoveva l'indice come se stesse scrivendo qualcosa. 
Poseidone invece correva da una parte all'altra con le braccia aperte mentre guardava preoccupato un alto, mentre suo figlio era sostenuto in aria dai venti che lo muovevano nel vuoto. 
Ade fece alcune foto, sghignazzando, e accecò con il flash il padre degli dei. 
Il suddetto nonno/babysitter/dio del cielo mosse le mani per coprirsi gli occhi e Apollo si lasciò sfuggire un grido molto poco mascolino mentre Troilo cadeva nel vuoto, atterrando fortunatamente tra le braccia del nonno Poseidone che stava correndo sotto il bambino da una buona mezz'ora proprio per evitare una frittata di nipotino.
"Ti avevo detto che era un gioco pericoloso!" Gridò il dio del mare al fratello.
"É colpa di Ade!" Disse il re degli dei stropicciandosi gli occhi.
"Mia?" Ringhiò il signore dei morti "Io ti avevo detto che bastava mettergli davanti la tv, idiota! Tu lo hai fatto volare per tutta la stanza!" 
"Per giocare!" 
"Tanto valeva portarlo negli inferi!" Ribatté Ade.
"Gli Inferi per il mio nipotino? Mai!"
"Sei proprio un cretino." 
"Cretino sarai tu." 
I due continuarono a battibeccare l'uno con l'altro dimenticandosi del bambino mentre Poseidone cullava Troilo, del tutto ignaro di cosa era appena successo.
"Il nonno Zeus è tutto matto piccolino ora il nonno Poseidone ti porta a giocare con gli Ippocampi facendo molta attenzione a non farti affogare." 
Apollo, ancora pietrificato, si riscosse tutto in un colpo.
"Si può sapere che sta succedendo qui?" Gridò con un tono molto acuto che avrebbe fatto invidia pure alle muse.
I tre smisero di parlare e gridarsi contro, per guardare il dio del sole. 
"Ciao." Disse Zeus.
"Ciao? Mio figlio... tu... ma voi tre..." Apollo diventò rosso, ringhiò e si sbatté una mano in faccia.
"Ho chiesto aiuto." Disse Zeus. "A degli esperti." 
"E-Esperti?" Balbettò Apollo. 
"Certo. Sono i genitori divini migliori, loro." Annuí Zeus.
Di nuovo, Apollo rimase con la bocca spalancata, non sapendo cosa dire. 
Si girò verso Poseidone per farsi restituire il bambino e portarlo in salvo lontano da quei parenti pazzi.
"Forza piccolino andiamo a trovare Arcobaleno." Disse Poseidone prima di sparire in un plop. 
Apollo rimase lì, fermo, con le braccia spalancate, a fissare il punto vuoto dove fino a un attimo prima c'erano suo figlio e suo zio.
"Beh... chiamami la prossima volta che avrai bisogno di un babysitter." Sentì dire da Zeus prima di sparire anche lui con un sonoro puf.
"Tua moglie sa che hai lasciato il bambino a loro?" Chiese Ade.
No. E non avrebbe dovuto mai saperlo.
Scosse la testa. 
"Allora ti preparo un posto agli inferi per quando lo verrà a sapere." 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Babysitter pt.2 ***



"Dimmi sorellona, diventerò lo zio di un principino o una principessina?" 
Percy stava camminando sulla spiaggia insieme ad Annabeth e Elisabeth, che teneva in braccio il nipotino facendo varie smorfie per farlo ridere.
"Percy lascia stare, lo scoprirai quando nascerà." Disse Annabeth.
Il figlio di Poseidone scosse la testa. Incrociò le braccia e si fermò, puntando i piedi.
Le due ragazze lo guardarono, scambiandosi un'occhiata molto simile a 'che bambino'.
"Will lo sa." Continuò Percy, che da quando la sorella aveva messo le mani sul piccolo Luke per farlo giocare non aveva smesso di chiederle il sesso del nascituro.
"E se Will lo sa, lo avrà detto a Nico. E Nico lo dirà a Jason e Hazel, Jason lo dirà a Piper e Hazel a Frank e Leo, Leo lo dirà a Calypso e io sarò l'unico che non saprà niente." Si lamentò lui.
Elisabeth si mise a ridere. "Sai che anche se Will se lo lascerà scappare con Nico, Nico non lo dirà a nessuno." Disse continuando a camminare, mentre Luke giocava con i suoi capelli.
Annabeth prese il marito per le spalle e lo spinse avanti.
"Ma sono tuo fratello!" 
"Non pensi che dovrebbe saperlo prima il padre dello zio, Testa d'Alghe?" Gli chiese Annabeth prendendolo a braccetto. 
"Ma uffa." 
"Senti Percy se proprio ci tieni..." la figlia di Poseidone si bloccò di colpo, sentendo la risata di un bambino. E non un bambino qualsiasi, ma proprio il suo.
Si guardò intorno, sulla sabbia, verso gli alberi, cercando Troilo con lo sguardo. Niente, magari se lo era immaginata.
"Voi non avete sentito un bambino?" Chiese Annabeth.
Oh. Allora non era la nostalgia dal figlio che la stava facendo impazzire. 
Percy e Annabeth si guardarono intorno. 
"Sicura che non fosse Luke?" Percy guardò il figlio.
"Certo Percy, nostro figlio è capacissimo di emettere suoni da lontano stando qui di fianco a noi." Sbuffò Annabeth.
"Gaaah!" Sentirono di nuovo.
"Ma dove..." Elisabeth si bloccò sul posto, mentre guardava il mare.
"Oh dei." Annabeth spalancò gli occhi. 
"Ma quello non è Troilo?" Chiese Percy.
Davanti a loro un piccolo bambino biondo stava cavalcando un enorme ippocampo arcobaleno, che correva e si fermava provocando degli alti spruzzi e facendolo ridere. 
Di fianco a loro, un uomo con la camicia hawaiana li guardava sorridendo e facendo delle fotografie con una macchina fotografica molto simile a quella di Ade.

"Cazzo!" La figlia di Poseidone scattò mollando il nipote tra le braccia del fratello e si tuffò in acqua. 
"Papà!" Gli gridò Percy. 
L'uomo alzò gli occhi verso di loro e si rese conto solo allora di avere un pubblico. Schioccò le dita e si materializzò sulla spiaggia davanti al figlio, con Troilo in braccio.
Elisabeth riemerse due secondi dopo, per correre con grandi falcate verso il dio del mare e strappargli il bambino dalle braccia.
"Piccolo della mamma, stai bene? Sei tutto bagnato, forza che andiamo ad asciugarci. Si si. Adesso prendiamo un bell'asciugamano e ci asciughiamo il visino." Disse toccandogli il naso e facendolo ridere. 
Guardò suo padre, in attesa. 
Il dio aveva tra le braccia l'altro nipotino e stava facendo facce e smorfie strane, cercando di far ridere il piccolo Luke.
"Papà?" Lo chiamò Percy.
"Oh sisi." Poseidone fece un gesto con la mano e nelle mani della figlia apparve un asciugamano azzurro.

"Ecco qui che asciughiamo la testolina, mio pesciolino." Facendo la voce grossa e ondeggiando mentre delicatamente passava l'asciugamano sul figlio.
Annabeth allungò le mani verso Troilo ed Elisabeth glielo passò, così mentre la figlia di Atena teneva il bambino lei poteva asciugarlo per bene usando entrambe le mani.
Ad un tratto si bloccò. 
"Aspetta." Disse alternando lo sguardo tra il figlio e il padre.
"Perché eri con lui?" 
Poseidone alzò il mento e smise di fare le smorfie.
Luke grugnì, tirandogli la barba e cercando di far tornare lo sguardo del nonno su di lui.

"Beh... Zeus ha chiamato me e Ade in suo soccorso." Disse il dio "Visto che siamo i genitori migliori tra gli dei." 
"Migliori. Voi?" Chiese lei alzando un sopracciglio.
"Certo." Annuí Poseidone. Alzò le braccia facendo fare su e giù a Luke, che sorrise, soddisfatto delle attenzioni. 
"Quindi... voi tre vi siete occupati di mio figlio." 
Disse lei mentre guardava suo padre giocare con il nipotino.
"Beh... Zeus mi ha chiamato due ore fa, più o meno." 
Elisabeth e Annabeth impallidirono.
"Divino Poseidone, Zeus ha tenuto il bambino per tutto il giorno?" Chiese Annabeth.

"Quanti porno gli ha mostrato?" 
Tre paia di occhi guardarono male Percy. 
"Che ho detto?" Fece il broncio e riprese in braccio il figlio.
"È così piccolo che non sa nemmeno cosa sia un porno, a quest'età, non vi preoccupate." Minimizzò Poseidone.
Elisabeth era impallidita. 
"Vuoi dire che gliene ha fatto vedere?"
Poseidone si grattò il mento "Beh, Ade gli ha suggerito di guardare un po' di tv... forse avrebbe dovuto essere più specifico." 
"Oh dei..."

Poseidone fece marameo a Troilo, che rise tra le braccia di Annabeth. 
Elisabeth scosse la testa, cercando di reprimere gli istinti omicidi.
"Hanno fatto qualcos'altro di cui dovrei essere informata?"
Poseidone smise di fare le facce al nipote e alzò gli occhi al cielo, pensieroso. 
"Non so... non sono stato con loro tutto il giorno. Ma sono arrivato appena in tempo per supervisionare quando hanno giocato a Superman."

La figlia assottigliò gli occhi "Superman?" Chiese.
Non era sicura di voler sapere cosa fosse esattamente quel gioco, anche se ne aveva una vaga idea e un centinaio di campanelli d'allarme le erano risuonati in testa.
"Io avevo detto che era un gioco pericoloso. Anche Ade." Si giustificò Poseidone.
"Zeus lo ha fatto volare. E poi cadere, per sbaglio." Disse.
Sua figlia smise di respirare, così come Annabeth. 
"Ca-cadere?" Chiese Percy.
"Si. Ma l'ho preso in tempo. Ho corso sotto di lui per mezz'ora." Disse Poseidone sorridente. 
Elisabeth fece un profondo respiro, prima di inginocchiarsi sulla sabbia.
"Ricapitolando... Zeus ha fatto vedere a mio figlio video indecenti invece dei cartoni e al posto di giocare con qualche peluche lo ha fatto volare in giro, e tu lo hai piazzato su Arcobaleno sapendo benissimo che non sa nuotare?" 
Poseidone dondolò sul posto, con un espressione vagamente colpevole.
"Cosa?" Chiese lei, sospettosa.
"Beh, prima di tutto il mio nipotino non ha bisogno di saper nuotare, io l'ho controllato a differenza di mio fratello." Sottolineò Poseidone.
Lei lo guardò, aspettando che continuasse.
"Ade lo ha fatto giocare con Cerbero. Dice che adora i bambini." 
Elisabeth rimase in silenzio per alcuni minuti, prima di alzarsi e riprendere Troilo dalle braccia di Annabeth.
"E mio marito in tutto questo cosa ha fatto?" Chiese, tremendamente calma.
"Beh è arrivato un'ora fa nella sala del trono, sull'Olimpo, e ha gridato come una ragazza per alcuni minuti. Io ho portato via Troilo per sicurezza. C'erano troppi matti in quella stanza." 
Disse Poseidone, porgendo una mano a entrambi i nipotini, così che ci potessero giocare.

"Si è fatto tardi, sarebbe meglio tornare verso il campo." Disse Percy
"Sono le nove di sera." Annuí Annabeth. "Forse è l'ora della nann..." 
"L'ora perfetta per farlo morire di spavento." Elisabeth lasciò un bacio sulla testa del figlio.
"Stasera dormiamo qui, tutti e due." Disse riferendosi a se stessa e a Troilo. "Domani sera torneremo a casa come da programma."
"Bene, allora lo dico a Apollo." Si offrì Poseidone.
"Oh no." Lo bloccò lei. 
"Voglio proprio vedere cosa farà quell'irresponsabile quando Troilo non tornerà a casa, stasera."
Le si illuminarono gli occhi "Anzi." Disse passando il figlio a suo padre. "Mi è venuta un'idea."

Apollo era nel panico. 
No, non nel panico, nel terrore puro.
Era tornato a casa e aveva perso dieci anni di vita non trovando suo padre (degenere) e suo figlio.
Aveva perso altri dieci, che dico, trenta anni di vita vedendo suo figlio cadere nel vuoto. 
E ora era sicuro di aver perso un secolo. 
Dove diamine era quel piccolo se stesso? 
Erano le nove di sera. Poseidone se l'era portato via per andare chissà dove a giocare con Arcobaleno e non era ancora tornato.
"Porco me." Imprecò. Elisabeth lo avrebbe ucciso. Anche se era immortale, avrebbe trovato il modo.
Ed era sicuro che Ade lo avrebbe riportato in vita solo per permettere alla ragazza di ammazzarlo di nuovo.
"Amore?" La voce di sua moglie lo fece saltare dallo spavento. 
Porco porco porchissimo me.
Fece dei respiri profondi, cercando di darsi un contegno. 
Si girò verso l'immagine della moglie con un sorriso smagliante.
"Dolcezza!" 
Lei gli sorrise, guardandosi intorno. 
"Volevo dare la buonanotte al mio bambino." Disse, cercandolo con lo sguardo. "Zeus non lo ha ammazzato, vero?"
Lui scosse la testa. "Certo che no, li so scegliere i baby sitter, io." 
In cuor suo iniziò a tremare. E adesso?
"Dov'è Troilo?" Chiese lei, con una voce del tutto innocente.
"Lui..." 
Ritirata. Ora. Scappa! 
"Sta già dormendo!" Annuí per dare più enfasi alle sue parole "Si, era stanco dopo tutti i giochi che lui e Zeus hanno fatto. È crollato." 
Codardo. 
"Davvero? Allora dovremo chiamare Zeus più spesso, così lo sfinisce e abbiamo un po' di tempo per noi." Disse lei.
"Si, si, esatto." Apollo si mise una mano tra i capelli.
Se l'era bevuta. Grande!
"Dagli un bacio da parte mia, anche se dorme." Elisabeth gli sorrise di nuovo. 
"Certo! Ci vediamo domani sera?" Disse lui, ormai perfettamente calato nella parte.
Allora le lezioni di Ermes su come dire le bugie servivano a qualcosa. 
"Se non ti dispiace torno domani mattina, prima di pranzo. Il tempo di salutare tutti." 
Ah. Quello poteva essere un problema. Pensa Apollo, pensa.
"Perfetto! Domani porterò Troilo con me a fare il giro con il sole, così gli mostro il mestiere di famiglia." 
Apollo sorrise, più per il fatto che la sua bugia era del tutto credibile che per far finta di essere felice di portare suo figlio in auto.
Così avrebbe avuto più tempo per cercarlo.
Era dannatamente bravo a trovare scuse intelligenti.
Stava andando così bene che, cioè, Ermes e Atena, levatevi.
"Vai in macchina e metti il seggiolino." Gli raccomandò lei. 
"Ci vediamo domani sera allora." 
Lui annuì "Macchina e seggiolino. Perfetto. Domani sera... certo! Ti amo." 
"Anche io, tesoro." Lo salutò lei prima di sparire.
Apollo tornò a respirare. 
Doveva trovare suo figlio e quel matto di suo padre.
E sapeva perfettamente a chi chiedere aiuto. 

Elisabeth chiuse la chiamata, scuotendo la testa.
"Cretino." 
Si alzò dalla fontanella da cui aveva inviato il messaggio-iride e entrò nella cabina 3.
Annabeth stava muovendo le due culle avanti e indietro, anche se entrambi i bambini erano già caduti tra le braccia di Morfeo.
Così come Percy, che stava lasciando un lago di bava nel nuovo letto matrimoniale che Poseidone aveva provveduto a installare.
"Allora?" Sussurrò la figlia di Atena facendole segno di fare piano.
"Ha fatto finta di niente e si è inventato una scusa, ovviamente." Disse lei avvicinandosi a suo figlio.
"Entro poche ore gli verrà un infarto." Guardò suo figlio compiaciuta.
Le due guardarono i bambini per un po'.
Troilo dormiva in modo scomposto e a pancia in su, con le braccia e le gambe spalancate, mentre Luke era a pancia in giù, con un rivolo di bava che gli scendeva dalla bocca aperta.
"Gemelli." Elisabeth ruppe il silenzio. 
Annabeth alzò la testa di scatto "Scherzi?" 
La figlia di Poseidone fece segno di no. "Un maschio e una femmina." 
Annabeth rimase in silenzio per un po'.
"Beh, congratulazioni!" Disse dandole un abbraccio.
Elisabeth annuì, sorridente. 
"Come farò con tre bambini in un colpo solo quando mio marito non riesce a badare neanche ad uno solo?"
Sbuffò guardando il figlio. Si sporse per fargli una carezza.
"Potresti affidarli ai figli maggiori di Apollo, o a Nico, Hazel e Frank... anche tuo padre mi è sembrato molto più responsabile di Zeus."
Annabeth sorrise, asciugando con un fazzoletto la bocca e la guancia di Luke. 
"Beh a Zeus non lo lascerò di certo. E Apollo non avrà più la facoltà di poter decidere niente sui babysitter." 
Disse la figlia di Poseidone camminando verso il proprio letto. 
"Domani sera spero gli venga un attacco di cuore, come minimo." 

"Dimmi ancora cosa ci faccio qui, papà." Disse Sun mentre guardava fuori dal finestrino della macchina del Sole, mentre Apollo guidava e guardava sotto di loro in cerca di qualcosa.
"Cerchiamo tuo fratello, ovviamente." 
Sun trattenne una risata. Will l'aveva avvertita che Troilo era nella cabina 3 con sua madre, e che se Apollo gli avesse chiesto qualcosa nessuno di loro avrebbe dovuto aprire bocca.
Se lo meritava, a detta di Will. E anche di Austin e Kyla e Angel e tutti gli altri.
"Vedi qualcosa?" Chiese il dio.
"No."
Passarono alcuni minuti.
"E adesso?"
"No." 
"Ora?"
"No, papà." 
"Sei sicura?"
"Si, papà "
"Quindi l'hai visto?" 
"No!" Sun scattò verso il padre. Ma perché diamine aveva chiesto a lei. Austin era molto più bravo a dire le bugie.
"Non c'è papà e tu non saresti in questa situazione se non avessi lasciato Troilo a Zeus!" 
Apollo rimase in silenzio, colpito e affondato.
"Scusa, papà... ma è vero. Avresti potuto portare la macchina con il seggiolino, invece di ostinarti a usare il carro solo perché era più figo." 
Disse lei guardando il cruscotto. "Cioè... adesso io sono su un seggiolino." Batté la mano sul rialzo per bambini grandi che Apollo le aveva piazzato sotto il sedere prima di partire.
"Beh... all'inizio mi sembrava una scelta saggia." Biascicò lui.
"E adesso non so dove sia mio figlio!" Gridò frenando di colpo e sbattendo la testa sul volante.
Fortuna che la bambina aveva seggiolino e cintura. 
Con quel dio in crisi rischia a di volare fuori dalla macchina.
Tutti a me i suoi problemi pensò Sun.
Poteva venirci Will, qui
"Credevo di aver fatto un bel lavoro come papà nell'ultimo anno!" Borbottò iniziando a sbattere ripetutamente la testa sul clacson.
"Ehm.. papà?" Lo chiamò lei. 
Peeeek, peeeeek, peeeeek
"Stai spaventando i gabbiani." Lo avvertí lei.
Apollo smise di schiacciare la faccia sul volante. 
"Io sono spaventato, mica loro. Loro sanno dove sono le uova con i piccoli." 
Sun alzò gli occhi al cielo. 
"È tardi, tra poco è ora di cena." Disse "Il sole dovrebbe essere già tramontato da un pezzo."
Il padre la guardò, gli occhi lucidi. 
"E io come diamine faccio?"
"Torna a casa, papà. Parlale." Suggerì lei.
Lui annuì, tirando su col naso.
"Mi porteresti al campo?"
"Certo." Disse lui spegnendo il sole e facendo un'inversione a U. 
"Sun" la chiamò dopo un po'.
"Mhmm."
"Vedi qualcosa?"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Babysitter pt.3 ***


Apollo parcheggiò la macchina del sole nel suo garage privato e si avviò verso la porta della sua reggia.
Sulla porta un'ondata di panico lo travolse.
Suo figlio era chissà dove, con Poseidone o qualche creatura marina -ti prego fa che non sia Tritone- lontano da lui.
Sua moglie credeva che sarebbe rientrato insieme al bambino, proprio da quella porta, entro pochi secondi.
E lui era solo.
In ansia.
E probabilmente si stava avvicinando a morte certa. 
Perché Poseidone non glielo aveva riportato? 
Magari Ade lo ha rapito. Pensò, oppure Zeus.
Gli scese un brivido lungo la schiena.
E se Cerbero se lo fosse mangiato? Magari a furia di leccarlo una delle teste lo aveva scambiato per una crocchetta.

Sconsolato, entrò in casa.
"Sbaglio o hai tenuto il sole nel cielo per due ore di troppo?" Chiese la voce di sua moglie, facendolo gelare sul posto.
"Davvero? Non... non me ne sono accorto."
Disse lui schioccando le dita e trasformando i suoi jeans e camicia in una comoda tuta da ginnastica.
Elisabeth era appoggiata a una colonna con una spalla, le braccia incrociate, e lo guardava torva.
Apollo deglutì sonoramente.
"E Troilo si è divertito?"
Ecco. Ora che doveva fare?
"Tu... sai che ti amo?" Chiese lui con un tono quasi supplicante.
Lei alzò un sopracciglio, indurendo l'espressione.
"Lo hai dimenticato in macchina?" Chiese.
Come mai Apollo aveva l'impressione che sua moglie sapesse perfettamente dove fosse il loro bambino?
"Io..." balbettò lui.
"Ti renderò le cose più semplici." Disse secca lei per poi camminare spedita verso le scale.
Apollo boccheggiò e la segui, quasi di corsa.
Si fermarono davanti alla cameretta del bambino.
Lei aprí la porta e Apollo spalancò gli occhi.
Di nuovo, in due giorni, gli uscì dalla bocca un suono alto qualche ottava più del normale.

Suo figlio era per terra, sul tappeto, intento a giocare con il suo preziosissimo Valdezinador, edizione unica.

Elisabeth aveva un'espressione soddisfatta, mentre guardava suo marito alternare lo sguardo tra lei, il bambino e il suo ormai non più strumento musicale.
Dopo un momento di indecisione (se salvare il suo Valdezinador o abbracciare suo figlio) Apollo pensò fosse più decoroso, visto che era un super papà, buttarsi sul bambino.

Lo abbracciò e baciò, stringendolo a più non posso.
Certo che perdere i figli faceva venire uno spavento assurdo, anche se ora una strana sensazione di calore gli si stava diffondendo per il petto, mentre ricominciava a respirare in modo consono a un dio quasi tranquillo.
Mai più. Mai più avrebbe dovuto provare uno spavento simile. 
Gli avrebbe rovinato la pelle, un altro episodio del genere, ne era sicuro.

"Si chiama sollievo, quello che stai provando, se te lo chiedessi e, si, sei un padre degenere." Disse lei interrompendo il silenzio.
Apollo si voltò a guardarla, stringendo il bambino e continuando a baciarlo sulla testa, mentre lui rideva deliziato di tutte quelle coccole. 
Accidenti, era decisamente sollevato.
"Lo hai perso di vista, ieri, giusto?" 
"Già."
"E non me lo hai detto." 
"Già." 
Gli occhi del dio si inumidirono, ma lei non batté ciglio. Troilo gli fece una carezza sulla guancia, non rendendosi conto della situazione.
"Hai preso abbastanza paura?" Chiese lei prendendo il bambino in braccio.
Apollo rimase per terra, a gambe incrociate, e annuì.
Non era paura quella, era terrore, ansia pura, mancanza di fiato, perdita di lucidità. Paura? Puah. Se quella era pura, allora lui era solamente carino, invece che meraviglioso.

Elisabeth lasciò un bacio sulla guancia del bambino e fece retrofront.

Apollo incespicò nelle sue stesse gambe, cercando di alzarsi e correrle dietro. 
Cadde anche per le scale, rotolando fino ai piedi della semidea.
"Ho preso tanta di quella paura che non hai idea. Non darò mai più nostro figlio a Zeus. Non lo darò più a nessuno!" Piagnucolò lui. "Credevo di morire." 
"Lo spero bene." Disse lei andando verso il divano.

Apollo la seguì, aspettando che lei gli facesse cenno di potersi sedere vicino a loro.
"Dove... dove lo hai trovato?" Chiese lui a bassa voce, con gli occhi sui piedini del suo bambino.
Come mai ora il 'sollievo' gli faceva pizzicare gli occhi così tanto?
Ma non avrebbe pianto davanti a loro, oh no.

"Era con mio padre. Ha detto che lo ha salvato dalla gabbia di matti dove lo avevi lasciato." 
Apollo si fece piccolo piccolo.
"Io..."
"Sai che tuo padre gli ha fatto vedere video indecenti?" Sbottò lei. "Robaccia." 
"Oh." Apollo tremò.
"Ade lo ha fatto giocare con Cerbero." Continuò lei.
"Zeus lo ha sparato in aria. E mio padre lo ha piazzato su Arcobaleno." 
Apollo aveva paura di alzare lo sguardo. 
Ok, forse davvero lasciare Troilo a nonno Zeus era stata una cattiva, cattivissima idea.
Ma non era colpa sua se evidentemente non sapeva scegliere i babysitter, mica era il dio della scelta, lui.
"E non mi hai detto di averlo perso, ieri sera." 
Ahi. 
"Se può farti piacere, ieri sera sono saltato sul carro di Arti per cercarlo durante la notte. E lei mi ha picchiato." Borbottò lui. "Forte."

Lei lo guardò a lungo, impassibile. 
Troilo era l'unico che rideva non rendendosi conto del discorso, mentre giocava con quello che era rimasto dei pezzi del Valdezinador.
"Se non vuoi occuparti dei figli che avrai da me basta dirlo." Sbottó a un certo punto.
"Cosa?" Chiese lui, sbattendo le palpebre più volte.
"Dico sul serio. Posso chiedere una mano a Will e agli altri, nei momenti di bisogno. Ma devo sapere se posso contare su di te o no."
Apollo rimase bloccato, con la faccia da stoccafisso, senza sapere cosa dire.
"Non sto dicendo che tu non possa vederli. Ma per stare con loro, occuparsene, magari quando sono via, in quei momenti mi serve sapere a chi chiedere aiuto. Non posso crescere da sola tre bambini." 
"Ho sbagliato a affidare a Zeus nostro figlio, ma ho imparato la lezione, giuro." Disse Apollo "Certo che voglio occuparmi..." si bloccò di scatto.
"Aspetta." Alzò una mano il dio. 
"Aspetta, aspetta un momento." Si guardò intorno.
Ma vide solo Troilo che gli sorrise, ancora senza dentini.
"Tre?" 
Lei annuì. "Secondo te perché sono andata a parlare con Will? Lui se n'è accorto prima di te." 
Apollo boccheggiò "Aspetta." Ripeté di nuovo.
Effettivamente, era più gonfia rispetto al mese scorso. Ma poteva anche essere stato per la quantità di cibo che si era mangiata alla festa per Jake.
"Sei incinta? Gemelli?" 
Lei annuì.
Apollo la baciò di slancio, travolgendo sia lei che il bambino tra loro. 
Li abbracciò entrambi. 
"Niente più Zeus. Riempirò la macchina del sole di seggiolini, promesso." Biascicò lui sulla bocca della moglie. 
Lei sorrise. "Nel senso che mi aiuterai?"
"Nel senso che farò la mamma apprensiva. Mamma chioccia ecco. Dopo oggi, non staccherò mai più gli occhi da nessuno di loro. Sono onnisciente. Posso guardarli tutti. Anche Will e Austin, anche se sono grandi."
La ragazza gli mise una mano su una spalla "Tesoro, lascia stare Will e Austin, fatti gli affaracci tuoi."
Lui scosse la testa, deciso "Devo controllare soprattutto Will e Austin. Austin si vede con una ragazza e Will e Nico... beh devono essere controllati anche loro." 
Guardò il suo bambino gli fece le smorfie, per farlo ridere "Mica possiamo lasciare ad Ade, tuo fratello e quel Jason Grace tutto lo spettacolo della Solangelo." 
Fece una pernacchia sulla manina di Troilo "Dico bene?"
Lei scosse la testa e si mise a ridere "Spero tanto che Sun non si trovi un ragazzo molto presto, se sei così stalker." 
Apollo prese un peluche e lo porse al figlio.
"Sun? Ma lei non avrà mai un fidanzato. Lì incenerirò tutti prima che possano anche solo guardarla."

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tilt ***


La reggia del dio del sole era avvolta dal silenzio. La luce della luna ne illuminava l'interno mentre una leggera brezza muoveva le tende della camera matrimoniale.
L'unico suono era il respiro irregolare della ragazza addormentata. 
Continuava a muoversi, cercando una posizione comoda, mentre stringeva il cuscino a serpente che il marito le aveva fatto comparire quella sera. 
Teoricamente avrebbe dovuto aiutarla, ma abbracciare quel coso le faceva solamente avere più caldo di prima.
Al suo fianco un giovane dai capelli dorati dormiva a pancia in giù con un braccio a penzoloni dal materasso e un'espressione serena.
Ad un certo punto gli occhi di lei si aprirono e, sbuffando, si alzò a sedere. 
Elisabeth si guardò intorno, accaldata, mentre teneva il proprio corpo in alto con i gomiti per non pesare sulla schiena.
Voltò la testa verso Apollo e fece una smorfia, perché lui dormiva sempre bene in qualsiasi posizione e lei non riusciva nemmeno a trovare un attimo di riposo a causa dello scomodo pancione? 
E poi lui si lamentava di dormire poco. 
Vorrei proprio vederlo incinto di due gemelli. 
Non durerebbe due minuti.
La figlia di Poseidone pensò per alcuni secondi di prendere il cuscino e sbatterglielo in faccia ma difficilmente quell'orso si sarebbe svegliato, così decise di andare a vedere se il figlio stesse dormendo.
Elisabeth strisciò verso il bordo del letto, per poi camminare oltre la porta della loro camera e infilarsi in quella di Troilo.
Sorrise, suo figlio era come il padre.
A pancia in giù e con un'espressione serena e soddisfatta della nanna. 
Lei scosse la testa e uscì dalla cameretta.
Si accarezzò la pancia, ormai ben visibile, sbuffando.
Guardò l'orologio in corridoio e si accorse che non era poi così tardi, e che quindi avrebbe potuto fare a meno di cercare di riaddormentarsi.
Erano solo le cinque, avrebbe potuto aspettare sul divano che Apollo si svegliasse. 
Non con poca fatica tornò in camera, prese la felpa che Apollo aveva lasciato sulla poltrona prima di andare a dormire e si incamminò verso il salotto.

Due ore dopo il dio del sole aprí gli occhi e tastò al suo fianco, ma toccò solamente il cuscino gigante giallo a forma di salsiccia che Elisabeth gli aveva chiesto.
Si guardò intorno sbadigliando, ma della moglie nessuna traccia. 
Alzò gli occhi al cielo, alzandosi dal letto e cercando la felpa che aveva lasciato appositamente sulla poltrona davanti al letto la sera prima. 
Ovviamente non la trovò.
Sbuffando inforcò le sue infradito e uscì dalla stanza. 
Annusò l'aria e sentí un odore strano, che mai avrebbe potuto sopportare alle... sette di mattina.
Reprimendo un conato di vomito si diresse in cucina, verso quella strana ragazza che, era sicuro, stava mangiando qualche schifezza. 
Alle sette di mattina.
Di sabato.
Il dio si passò una mano tra i capelli quando, scese le scale e fermatosi sulla porta della cucina, vide sua moglie con la sua felpa seduta a tavola, mentre mangiava... cos'era quella roba nauseabonda? 
"Formaggio?" Chiese strizzando gli occhi.
Vide Elisabeth sobbalzare sulla sedia, mentre gli puntava contro la forchetta come arma.
"È un involtino di carne al formaggio." Precisò lei infilandosi un altro pezzo in bocca.
"Vuoi?" Chiese mentre masticava.
Apollo sospirò e scosse la testa. 
Sua moglie era una ragazza bellissima, a suo parere, una dea.
Quando l'aveva conosciuta e per tutti gli anni della loro lunga amicizia l'aveva sempre vista come il ritratto dell'eleganza e della compostezza, ma da quando si erano sposati aveva dovuto leggermente ricredersi. 
Dalla prima gravidanza era impazzita, e ora si metteva pure a parlare con la bocca piena e mangiare quelle cose alle sette di mattina.
Chissà dove Ermes le mette la droga... forse nelle torte di Anfitrite.
"Dolcezza, sai che ore sono?" Chiese facendo dei passi verso di lei.
"Le sette. Sono sveglia da due ore e mi è venuta fame." Disse lei noncurante continuando a mangiare.
"Sei sveglia da due ore?" Apollo le si inginocchiò davanti, mentre lei poggiava la forchetta nel piatto. 
"E mangi formaggio per colazione?" 
Elisabeth annuì. "Avevo voglia. E non riesco a dormire." 
"Perché non mi hai svegliato?" Lui le prese la mano. 
"Non volevo disturbarti." Disse lei stringendola a sua volta.
Apollo sospirò e si alzò in piedi, spostando la moglie dalla sedia. Lui si sedette e posizionó la ragazza sulle proprie ginocchia.
"Sai che non disturbi." 
Lei rise. "Davvero? E il tuo sonno di bellezza?" 
Apollo le baciò la spalla, sorridendo "Sono sempre bello e un dio. Posso semplicemente schioccare le dita e far sparire le occhiaie."
Lei annuì, facendo finta di non sapere quanto a suo marito piacesse dormire. 
Rimasero così alcuni minuti, in silenzio, respirando uno il profumo dell'altro.
Beh, Apollo più che altro cercava di non sentire quella puzza di formaggio nauseante e concentrarsi sull'odore salmastro della pelle della ragazza. 
Ma si, se chiudeva una narice e infilava la faccia tra i capelli corvini di lei riusciva quasi a cancellare la puzza.
Quando sfiorò la sua pelle con il naso, la sentì trattenere il respiro.
"Sono diventata una balena." Disse lei poco dopo. "Più grossa di prima." 
Apollo rise per il tono che la figlia di Poseidone aveva usato, simile a quello che usava Troilo per fare i capricci o quello di Sun quando voleva estorcergli qualcosa e faceva il labbruccio.
"Sai che sei bellissima lo stesso." 
"Sono grassa." 
"Hai due bambini nella pancia, tesoro." Obbiettò lui "Sarebbe strano se non lo fossi." 
Lei mugugnò qualcosa in risposta, strofinando il naso sul collo del dio.
"Non dovresti essere già fuori?" Chiese lei dopo qualche secondo. 
Lui scosse la testa. "Sei al nono mese, ho chiesto ad Elio di sostituirmi." 
Elisabeth sbuffò mentre si massaggiava la pancia.
"Manca poco." Cercò di tirarle su il morale lui. 
Apollo si sistemò meglio la moglie tra le braccia e le scoccò un bacio sulla guancia. 
La sentì rabbrividire quando decise di mantenere il contatto qualche secondo in più.
"Poi potremo darci dentro per avere il quarto." Sussurrò all'orecchio della figlia di Poseidone sfiorando la pelle con le labbra e facendole venire i brividi. Di nuovo.
"Il quarto aspetta." Disse lei cercando di mantenere un contegno. 
Dalla prima gravidanza aveva capito che più era incinta, più il comportamento poco casto del dio la faceva andare in estasi per ogni minima cosa, anche un sussurro del genere. E anche Apollo lo sapeva.
E ne approfittava per mandarla in tilt come anche per darle fastidio.
Non che i flirt e le coccole del dio non le facessero effetto normalmente, solo che in quella situazione era molto più difficile resistergli.
"Perché?" Continuò infatti lui.
Un brivido la fece sussultare per la terza volta. 
Lei scosse la testa, rossa in viso.
Sgusciò dalla presa del dio cercando di rialzarsi da sola, anche se non era una cosa molto facile vista la pancia sporgente.
"Dobbiamo andare al Campo." Cercò di cambiare discorso senza farsi tradire dalla voce tramante.
Camminò spedita verso la porta senza degnarlo di uno sguardo per non dargli la soddisfazione di averle fatto perdere la testa solamente parlando.
Apollo si sistemò meglio sulla sedia e sorrise vittorioso, dei, quanto gli piaceva farle quell'effetto.

Ecco, questo è un qualcosa di piccolo e corto, un momentino tra i due alle sette di mattina. 
Non so cosa sia uscito esattamente... boh spero vi piaccia ahaha.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** home sweet home ***


Home sweet home


"San!" Gridò Troilo alla vista della sorellona che gli correva incontro.
I tre erano appena apparsi davanti alla cabina 7 del campo Mezzosangue.
Troilo indossava una piccola maglietta arancione fatta appositamente per lui.
Apollo strinse il figlio per non farlo cadere, anche se con un po' di difficoltà. 
Il bambino si dimenò tra le braccia del padre, impaziente di scendere e giocare con la sua sorella preferita.
La bambina sorrise al padre e alzò le braccia, chiedendogli tacitamente di passarle il bambino.
"Ciao Troilo." Lo salutò facendo una pernacchia sulla sua testolina quando Apollo glielo mise tra le braccia.
Il bambino rise "Ochiamo, ochiamo!" 
La bionda annuì, mentre salutava Elisabeth e Apollo e si dirigeva verso Austin e Kyla per giocare con il fratellino.
Apollo fece una smorfia.
Nessuno dei suoi figli lo aveva salutato o comunque sorriso verso di lui, tutti erano presi dal fratellino. 
"Incredibile." Sbuffò io dio del sole. "Messo in secondo piano da un bambino."
Apollo sentí la moglie ridere al suo fianco, mentre le passava un braccio intorno alle spalle.
"Beh, il nostro bambino ha il suo fascino, non credi?"
"Tutti i miei figli hanno fascino, dolcezza. Come il sottoscritto." 
Affermò lui orgoglioso.
"Non ti è ancora andata giù che la sua seconda parola sia stata Sun e non papà, vero?" Lo punzecchiò lei. 
Il dio sbuffò. 
La ragazza prese quel silenzio come risposta affermativa e gli fece una carezza, sogghignando.
"Sun deve avergli ripetuto il proprio nome all'infinito, non c'è nessun'altra spiegazione." Borbottò lui.
"Come se tu non l'avessi fatto." 
Elisabeth adocchiò Will Solace farle un saluto dalla porta della cabina di Apollo e gli andò incontro.
Apollo la seguí dopo pochi secondi, troppo preso a fissare i suoi figli più grandi giocare con il piccolo. 
Jake si era ambientato bene, visto come sorrideva con gli altri.
Troilo rideva e batteva le mani felice, mentre i fratelli si passavano la palla cercando di prenderla in modo strano per far divertire il fratellino.
Austin provò a prenderla in bocca, ma il pallone gli rimbalzò sulla fronte, finendo tra le mani di Glimmer.

"Come sta andando?" Chiese Will alla figlia di Poseidone. 
"Quando usciranno da qui?" Chiese lei mugugnando.
"Manca poco dolcezza, te l'ho detto io." Disse Apollo appoggiandosi al muro della casa, tra il figlio e la moglie. 
Lei gli scoccò un'occhiataccia.
"Io volevo una risposta qualificata."
Will rise, mentre il padre li guardava rosso in viso.
"E la mia non è una risposta qualificata? Sono il dio della medicina, tra le altre cose!" 
Disse indicandosi con i pollici.
"Fatto sta che Will se ne intenda molto più di te." Rispose lei sorridendogli a trentadue denti.
"Ma..." 
"Beh, se vuoi farla partorire tu..." disse Will.
Con la coda dell'occhio Apollo vide Jake cadere a terra e ridere, seduto sull'erba.
"Ehm... tu sei il mio figlio più in gamba, puoi farlo benissimo! Jake, papà arriva!" Disse il dio per poi scappare dagli altri figli.
"Fifone." Rise Elisabeth guardando il dio precipitarsi a controllare il figlioletto mentre gli altri gli cercavano di spiegare che non si era fatto niente di grave.
"Entro due settimane dovresti aver partorito, come ti avevo detto il mese scorso. Ma potrebbero uscire anche adesso." Disse Will alzando un sopracciglio mentre guardava il padre fare il giro intorno a Jake per controllare e curare eventuali ferite mortali
"Dovremmo fermarlo o lasciamo che faccia la mamma isterica tutto il giorno?" Chiese lei scuotendo la testa. 
Will rise, chiudendosi la porta della cabina 7 alle spalle.
"Magari prima o poi si calmerà."

"Will!" 
Nico di Angelo stava correndo verso di loro.
"Raggio di sole!" Lo accolse il figlio di Apollo con un sorriso splendente.
Il figlio di Ade alzò una mano per salutare Elisabeth mentre riprendeva fiato.
"Ho sentito... e poi Jason ha gridato... e Percy rideva..." balbettò il più piccolo.
"Con parole tue, tesoro."
"Dovete venire a vedere." Disse Nico rosso in viso per la corsa, prendendo Will per mano e tirandolo verso l'arena.
Nico gridò anche ad Austin e gli altri di correre con lui, che era urgente.
Sun passò Troilo a Kyla e insieme seguirono il figlio di Ade all'arena.
Elisabeth fu raggiunta da Apollo che schioccò le dita e i due apparvero un secondo dopo sugli spalti.
A causa del pancione faceva molta fatica a camminare, ultimamente.
La figlia di Poseidone si guardò intorno, per capire cosa stesse succedendo.
I semidei erano riuniti sui gradini dell'arena, molti ridevano e altri applaudivano.
C'era una gran confusione.
Con la coda dell'occhio vide Kyla e Austin sedersi un piano più in alto di lei con Troilo e Luke in braccio. 
Gli altri  figli di Apollo si sedettero vicino.
La ragazza vide il fratello al centro dell'arena con Annabeth, Jason e Piper intorno ad una persona.
Alle loro spalle un grande drago dorato si guardava intorno quasi felice, mentre sbatteva la coda di bronzo  celeste sulla sabbia.
Apollo guardò il gruppetto sorridendo e scuotendo la testa. "E bravo Valdez."
I figli di Efesto corsero al centro dell'arena verso la figura che Percy e gli altri avevano appena lasciato libera e la placcarono, abbracciandola tutti insieme.
"Ma cosa...?" Chiese la ragazza non capendo cosa stesse succedendo, quando vide un volto a lei familiare.
Un viso che non vedeva ormai da millenni, proprio lì vicino al drago di bronzo.
Percy l'aveva appena abbracciata, mentre Annabeth le stringeva la mano.
Ma com'era possibile?
"Ti porto laggiù." Le disse il marito battendo le mani.
Elisabeth si appoggiò al dio mentre veniva trasportata vicino al drago di bronzo.
Tutt'intorno, intanto, i ragazzi avevano iniziato a gridare "Valdez" a più non posso.
"Chi è che non è morto ed è tornato con una meravigliosa ragazza?" Gridava quast'ultimo, il ragazzo riccio che sembrava un folletto, sorridendo tra i fratelli.
"Il grande Leo ecco chi!" Gridò Jason ridendo con Piper.

Elisabeth si avvicinò camminando lentamente verso la figura rimasta a parlare con Percy e Annabeth leggermente in disparte rispetto al gruppo intorno a Leo Valdez.
"Calypso?" Chiamò la semidea. 
La ragazza con i capelli color caramello alzò lo sguardo verso di lei, sbigottita.
"Lissandra?" 
Le ragazze si sorrisero reciprocamente, per poi abbracciarsi con forza, pancione permettendo.
"Ma sei incinta?" Chiese la figlia di Atlante.
"Come sei riuscita a lasciare Ogigia?" Chiese l'altra dopo aver annuito accarezzandosi io ventre.
"Oh beh, grazie a quel disgraziato." Disse l'ex dea indicando con il mento il figlio di Efesto. 
"Voi vi conoscete?" Chiese Percy stringendo la mano di Annabeth. 
Elisabeth sorrise, felice "È stata la mia prima amica, prima che Zeus la rinchiudesse ad Ogigia." 
Raccontò.
"Chicos, chi è questa rotonda donzella?" Chiese una voce alle sue spalle mentre Calypso si copriva gli occhi con una mano cercando di non guardare il fidanzato fare lo scemo.
"Leo Valdez il Magnifico, piacere." Disse il figlio di Efesto facendole l'occhiolino.
"Leo lei è una mia vecchia amica, Lissandra." La presentò Calypso.
"E mia sorella." Aggiunse Percy. 
Leo fischiò "Sorella? Fighissimo!" 
Annabeth lanciò un mezzo urlo guardando alle spalle di Leo ed Elisabeth, al che tutti si girarono a guardare.
Luke era pericolosamente in piedi sulle spalle di Austin, che lo teneva per le mani. 
"Austin! Metti subito giù il mio bambino!" Gridò Annabeth. 
Il figlio di Apollo sussultò e ridendo si portò il piccolo Luke sul fianco, sussurrandogli qualcosa che a quella distanza non riuscirono a sentire. 
"Aspettate." Disse Leo. "Il tuo bambino? Cioè il vostro bambino?" 
Percy rise, annuendo. "Luke." Lo presentò guardando Austin e suo figlio ridere insieme.
"E quel bambino biondo..." chiese Leo.
"Quello è mio." Disse Apollo che fino a quel momento era rimasto zitto. 
"Bellissimo vero? Come me." Gongolò.
Leo alternò lo sguardo tra i due bambini, cercando negli occhi di Jason una conferma.
Il figlio di Giove annuì, ridendo per la faccia da pesce lesso del suo migliore amico.
Leo scosse la testa, per la prima volta senza parole
"Sei mancato per quasi tre anni, Valdez. È normale che siano successe delle cose." Rise Piper scoccandogli un bacio sulla guancia. 
Leo annuì, certo aveva senso. 
Poi guardò la panciona prominente della ragazza vicino a lui "E qui chi c'è?" Chiese.
"I miei bambini." Disse Apollo apparendo dietro a Leo con in braccio figlio e nipote, che passò prontamente ad Annabeth.
"Sei stato bravo ad usare la cura di mio figlio, Leo Valdez. Ma c'è un'importante questione della massima urgenza di cui dobbiamo parlare, visto che sei vivo." Disse indicando suo figlio, mentre Leo boccheggiava in direzione di Luke, Annabeth e Percy.
Quel bambino era identico a loro. Occhi grigi e capelli scuri. 
"Vedi, mio figlio Troilo qui presente" Apollo gli mise davanti agli occhi il bambino. 
"Salve Calypso." Interruppe il suo discorso per salutare l'ex dea mentre lei gli faceva un cenno di saluto con la mano.
"Stavo dicendo che Troilo ha giocato con il mio Valdezinador e lo ha distrutto. Avrei bisogno di un altro strumento." 
Elisabeth, come gli altri, era rimasta a bocca aperta.
"Questo ragazzo è appena tornato e tu gli rompi le scatole perché vuoi una nuova cosa con cui rovinarmi le orecchie?" 
"Quella era musica, tesoro." Rispose lui. 
"Allora?" Tornò a guardare Leo, in attesa.
Il figlio di Efesto era ancora scombussolato da tutte le novità, Annabeth e Percy avevano un bambino? Da quando?
Apollo aveva una relazione stabile?
Dov'erano Hazel e Frank? 
Ma soprattutto, il dio che aveva davanti stava scherzando o era serio?
"Ehm... dovrei ricordarmi come era fatto, ma si, se lei mi darà una mano potrei riuscire a..." Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che Apollo sorrise soddisfatto facendo andare su e giù il bambino con le braccia "Si! Il mio Valdezinador!" 
"Io non lo conosco." Disse la foglia di Poseidone guardando male il marito.
Leo fissò tutti, felice, mentre prendeva la mano di Calypso e chiedeva a nessuno in particolare "Quindi... che altre novità mi sono perso?"

Il resto della giornata passò; Percy e Annabeth fecero giocare Luke con Leo e Calypso, mentre insieme a Jason, Piper e Nico si raccontavano a vicenda le novità di quei tre anni. 
Nico mandò anche un messaggio-iride ad Hazel, avvertendola che era successa una cosa e che lei è Frank sarebbero dovuti andare al Campo Mezzosangue per scoprirla.
Will fece gli ultimi controlli ai gemelli di Elisabeth, mentre Kyla gli faceva da assistente.
Apollo rimase con Sun e Troilo a giocare a prendere il tè, perché ora che sarebbe arrivata una nuova bambina avrebbe dovuto imparare a prendere il tè come un vero gentleman, gli aveva spiegato Sun.
Troilo rideva giocando con le tazzine mentre il padre si era ritrovato con una coroncina di bronzo celeste in testa e un grembiulino rosa addosso a far finta di bere il tè da tazzine minuscole. 
Sun annuiva soddisfatta.

Quando arrivò la sera tutti i semidei si riunirono attorno ad un falò eccezionale, ridendo alle battute di Leo e scherzando con i figli di Ermes, mangiando marshmallows e parlando fino a notte fonda.
Anche se Annabeth e Elisabeth li lasciarono alle nove di sera, per mettere a dormire i bambini nelle rispettive cabine 3 e 7.

Elisabeth era riuscita finalmente a dormire per ben cinque ore filate, quando un forte dolore la svegliò.
Si guardò intorno, sudata, vedendo Apollo che riposava sereno in una posizione a prima vista molto scomoda e gli altri ragazzi addormentati nei letti attorno al loro, fatto apparire quella sera appositamente per l coppia. 
Anche Troilo dormiva sereno nella sua culla nuova di zecca con i soli e le nuvolette.
"Apollo." 
Un'altra fitta le fece fare una smorfia.
"Will." Ansimò la figlia di Poseidone. 
Esattamente come suo padre, il ragazzo non diede segno di averla sentita.
Così, la ragazza prese un cuscino e lo tirò contro il diretto interessato, che boccheggiò tirandosi a sedere di scatto.
"Will." Ripeté lei prendendo un bel respiro profondo.
"Cosa? Oh, oh... Ci siamo!" Gridò il ragazzo facendo svegliare tutti i fratelli.
Apollo sussultò, spalancando gli occhi e guardando la moglie.
"Dolcezza?"
"Stai con Troilo." Disse lei, mentre Will e Kyla la aiutavano ad alzarsi.
"Portiamola in infermeria." Ordinò Will.
Apollo si alzò in piedi, scattante e nervoso.
"Hai davvero svegliato Will e non me?" Chiese sorreggendola.
Lei fece una smorfia e gli strinse un braccio.
"Non ti svegliavi." 
"Ma..."
"Papà." Lo interruppe Will, con un tono di voce che non ammetteva repliche. Come un vero capo reparto.
Il mio bravissimo bambino
"Infermeria. Adesso." Ordinó.
Apollo annuì e schioccò le dita, teletrasportando i suoi figli più grandi e la moglie dove Will gli aveva detto.
Sun e Jake, i più piccoli, gli si avvicinarono, mentre la piccola aveva già preso Troilo in braccio, che continuava a dormire indisturbato.
"Papà." Lo chiamò.
"Eh?"
"Non dovremmo andare anche noi? O almeno avvertire zio Percy." 
Apollo annuì, facendo su e giù con la testa. 
"Giusto, noi... Si, andiamo da Percy." 
Disse incamminandosi a passo spedito verso il bagno, in completa agitazione.
"Papà?" Chiamò Jake.
"Andiamo da zio Percy." Disse Apollo.
"Ehm... quello è il bagno."
"Lo sapevo!" Gridò forte il dio cambiano direzione, mentre i due fratelli si guardavano scuotendo la testa in direzione del genitore. 
"Marsh!"

Ecco qui. 
Faccio un piccolo appunto che non credo di aver specificato prima.
Gli avvenimenti di Blood Brothers sono di circa un anno dopo la caduta di Gea, quelli di questa storia quindi sono quasi due anni dopo Gea. 
Di conseguenza Percy e Annabeth, per esempio, hanno Luke non a 18/19 anni (perché ok essere semidei ma mi sembra leggermente presto) ma a 21/22 (già meglio direi). 
Siccome non tengo conto di the Trials, Leo per me si è fatto un lungo giro con Calypso per il modo in questi tre annetti. 
Grazie per continuare a leggere questi sprazzi di storia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3924476