Our simple days

di MauraLCohen
(/viewuser.php?uid=809643)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una serata tranquilla ***
Capitolo 2: *** Sorprese in corsia ***
Capitolo 3: *** Motori e Musica ***



Capitolo 1
*** Una serata tranquilla ***



 

La raccolta partecipa alla #FlashWeekChallenge del gruppo Facebook Better than Canon.

Il prompt scelto è la parola cofanetto. 

Totale parole: 572.

––––––––––––––––––


Una serata tranquilla

 

« Guarda che ti ho portato! » La voce di Sandy la portò istintivamente ad alzare lo sguardo dal libro che aveva sulle gambe. L’uomo stava in piedi davanti al divano, senza la giacca del completo e con il nodo della cravatta allentato; teneva sospesa a mezz’aria una busta di carta marrone che profumava di fast food.

Cheeseburger con salsa barbecue e cetriolini. 

Sul viso di Kirsten si dipinse un sorriso sorpreso ed entusiasta. 
 

« Sono di quel nuovo locale giù al porto? » chiese, curiosa e il marito annuì energicamente, lasciandosi cadere accanto a lei tra i cuscini. Le diede un bacio sulla guancia, avvolgendole le spalle con un braccio per attirarla a sé. « Ho anche un’altra sorpresa! » le disse, porgendole la sua ventiquattrore nera. « Guarda dentro. » 

Kirsten sorrise ancora, sfregando le mani poco lontano dall’apertura in oro della valigetta del marito. « Deve essere la mia giornata fortunata » scherzò, frugando tra i vari compiti e le cartelle contenute al suo interno. 

« Non sai quanto! » replicò Sandy, indicando con l’indice l’ultimo separatore mentre le mani di lei si mossero rapide nella direzione indicata, notando che quella parte era leggermente più piena delle altre. Tirò fuori la custodia in plastica di un cofanetto. Sulla copertina era rappresentato un uomo stretto da capo a piedi nella morsa di un serpente. 
A Kirsten non servì nemmeno leggere la scritta a caratteri cubitali per capire di che si trattasse, aveva riconosciuto subito la serie TV. 

House M.D. 

« La prima stagione completa » le fece notare Sandy. Una nota di soddisfazione nella voce. « Non te ne perdevi un episodio. » 

« Era il 2004 » continuò lei, nostalgica. « Ryan era con noi da meno di un anno. Lui e Seth non stavano mai a casa. »

« E noi ci riappropriammo della televisione del soggiorno. Fu un grande giorno per i genitori di tutto il mondo, un trionfo senza precedenti per la nostra categoria » concluse Sandy, rubandole un lembo di coperta per portarselo sulle gambe, poi alzò lo sguardo su di lei mentre bussava con la nocca dell’indice sul cofanetto. « Allora, in memoria del vecchi tempi? » scherzò e Kirsten rise di rimando, mettendosi in piedi per inserire il primo dvd nel lettore. Armeggiò con il telecomando per qualche minuto, saltando trailers vari e le intestazioni. Nel frattempo Sandy aveva tirato fuori i cheeseburger, trasformando la busta di carta marrone in una tovaglia che aveva riposto con cura sopra il plaid che copriva lui e Kirsten. Porse uno dei due panini alla moglie, accompagnandolo con una Coca Cola maxi contenuta in un lungo bicchiere di carta bianca e rossa, da cui sbucava fuori la cannuccia di plastica. 
Sophie Rose era a dormire da un’amichetta e non sarebbe tornata fino alle dieci dell’indomani mattina, così i due genitori poterono passare il resto della serata a guardare Hugh Laurie demolire passo passo ogni legge dell’etica medica, ridendo alle battute e nascondendo il viso ad ogni scena di dolore troppo esplicita. A dire il vero, però, l’unica a farlo era Kirsten, mentre Sandy si limitava a prenderla  in giro e ad accarezzarle la spalla per confortarla. 

Andarono avanti per ore, morso dopo morso, episodio dopo episodio, finché entrambi, esausti, non si addormentarono sul divano uno tra le braccia dell’altra e con la luce del televisore che rifletteva i suoi giochi di colori sui loro corpi placidi. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sorprese in corsia ***


#2

La raccolta partecipa alla #FlashWeekChallenge del gruppo Facebook Better than Canon.
Il prompt scelto è la parola cannella. 
Totale parole: 1657.

––––––––––––––––––

 

Sorprese in corsia

 

Le corsie del supermercato erano gremite dai carrelli cigolanti colmi fino all’orlo di ogni tipo di cibaria e bevande. Davanti agli scaffali si erano formate file disordinate di persone che lanciavano distrattamente i contenitori nei cestini di metallo mentre borbottavano. 

Berkeley non era una cittadina agitata, di rado diventava complicato muoversi in un alimentare e per questo Sandy l’aveva sempre preferita a Newport, ma questo non valeva per i giorni di festa. Soprattutto per il ringraziamento. Nelle strade impazzava il traffico, furioso, scattante, sembrava di stare in una giungla; una distrazione di mezzo secondo poteva bastare a creare un tamponamento a catena, proprio come in quelle corsie straripanti di cibi in scatola: giravi il viso per controllare un’etichetta e urtavi qualche carrello. 

No, il caos delle feste proprio non piaceva a Sandy Cohen, che si torturava le mani mentre osservava la moglie piegarsi in avanti per prendere una scatola di cereali. 

Lucky Charms, i preferiti di Sophie Rose. 

La donna si voltò verso il carrello, in cui la bimba di tre anni stava seduta con le scarpette rivolte verso il padre. « Vuoi questi o quelli al cioccolato? » le domandò, scuotendo leggermente la scatola rossa con la gigantografia di un folletto sorridente. 

Sophie Rose aggrottò la fronte e si portò un dito sul mento, riflettendo attentamente sulla scelta da fare. « Mmh… Cioccolato » rispose dopo diversi secondi e Kirsten fece cadere la scatola marrone dentro al carrello. 

I Cohen ripresero a camminare lungo la corsia delimitata dalle due pareti di snacks colorati: Sandy teneva le mani strette al manico rosso facendo così muovere le quattro ruote della piattaforma d’acciaio sulle mattonelle quadrate e Sophie Rose teneva il tempo dello spostamento con l’ondeggiare delle gambine nascoste dai jeans. Kirsten camminava al loro fianco, tenendo il viso basso sul pezzo di carta in cui aveva appuntato le cose da comprare; lasciava scorrere gli occhi da un punto all’altro con attenzione, ripassando mentalmente il contenuto del carrello per assicurarsi di aver preso tutto. 
C’erano gli ingredienti per preparare il ripieno del tacchino, c’era il tacchino e anche gli antipasti; ciambelle e crema di formaggio li aveva presi Sandy e il vino non lo dovevano comprare al supermercato. 

« Mancano Coca Cola, succo e cannella. » Kirsten alzò gli occhi dalla lista e li rivolse verso Sandy, che sbuffava. Odiava fare la spesa. Odiava metterci un’eternità. Lei lo sapeva, ma l’espressione imbronciata sul viso del marito la faceva sorridere. 

« Sadica » brontolò lui, cogliendo il senso del sorriso sul viso della moglie. 

« Muoviti » rispose lei, facendo cenno con l’indice di raggiungere l’altra corsia. 

Continuarono a camminare in linea retta, superando l’intersezione dei corridoi, e svoltarono a destra, raggiungendo gli scaffali con le bevande. Afferrarono qualche bottiglietta di Coca Cola e un cartone da litro, passarono poi ai succhi e infine si dedicarono alla cannella. 

Erano quasi arrivati davanti alle spezie, quando Sandy si paralizzò di colpo, facendo spaventare Sophie Rose; Kirsten, davanti a loro, si voltò. 

« Che succede? » chiese, notando il viso di Sandy sbiancare. « Ti senti bene? » 

« Non voltarti » la supplicò. « Cammina nella mia direzione e non voltarti. »

« Sandy, stai impazzendo? » Kirsten alzò gli occhi al cielo, ipotizzando che fosse l’ennesima trovata del marito per divertire la bambina. L’espressione terrorizzata sul suo viso, però, la fece dubitare. 

« Sandy? » provò, di nuovo, ma lui si limitò a fare inversione con il carrello e imboccare la prima corsia di lato. 

« Sandy! » sbuffò allora Kirsten, lasciando crollare le braccia lungo i fianchi, chiaramente indispettita, mentre lo seguiva spedita. Voltò l’angolo, recuperando terreno. 

« Mi dici che succede? » domandò ancora e lui bloccò il carrello, prendendola per un braccio e avvicinandola il più possibile al lato dello scaffale. Sophie Rose li osservava curiosa, come tutti i presenti. 

« Guarda » sussurrò Sandy, mentre sporgeva il viso dalla fine dello scaffale sulla corsia dalla quale era appena fuggito. Kirsten fece lo stesso, seguendo con lo sguardo l’indice del marito. 

Gli occhi della donna si sgranarono di colpo, puntando una figura longilinea, ferma in mezzo al viavai di persone, intenta a flirtare con un giovane commesso, biondino e fisicamente prestante. 

« Oh no! » piagnucolò Kirsten.

« Ma cosa ci fa qui? » la seguì Sandy, tenendo la testa poco sopra la sua. 

« Non ne ho idea. » 

Sophie Rose intanto li guardava stando seduta nel carrello poco lontano da loro e ridacchiava. I suoi genitori erano davvero buffi. Un po’ strani, ma buffi. Seth l’aveva avvisata. 

« Mamma? Papà? » li chiamò, ma i due non si voltarono. 

« Ehi! Mi sentite? » continuò la bambina, muovendo le mani freneticamente sopra la testa. 

« Non ora, Sophie! » La voce di Kirsten la zittì. Dal tono sembrava agitata. 

« Dici che si sarà trasferita? » domandò Sandy rivolto alla moglie. 

« Da Newport a Berkeley? Nemmeno se la costringessero » rispose lei, senza muovere un muscolo. 

La donna che osservavano, intanto, concluse la conversazione con il ragazzetto, il quale si dileguò rapido e con un’espressione di spavento dipinta sul viso. Lei si sistemò i capelli, portando qualche ciocca dietro l’orecchio esposto in direzione di Sandy e Kirsten, poi si voltò col viso verso di loro. 

« Dici che ci ha visti? » domandò luì, tirando la moglie indietro. Lei scosse il capo. « Non credo. Spero. »

« Voi due siete matti. » Si sentì brontolare alle loro spalle. Era Sophie Rose, che teneva le braccia incrociate sul petto e guardava i genitori con fare di rimprovero. « Mi dite che succede? Avete visto la Nana? » chiese, curiosa, cercando di attirare l’attenzione dei genitori. 

« Ci manca solo lei » sbuffò Kirsten, attirandosi addosso il disappunto del marito. 

« Oh andiamo, non dicevo sul serio » si scusò, ridacchiando e facendo ridere anche lui, che intanto teneva le mani ancorate ai fianchi. 

« Dicevi sul serio inv... » – « SANDY COHEN! » La voce stridula arrivava dalle sue spalle. Sandy alzò gli occhi al cielo, simulando un oh no con le labbra, prima di girarsi e guardare la donna che lo aveva chiamato. 

« Non ci posso credere. Taryn! » disse, incontrando lo sguardo della regina delle pettegole. « Tesoro, guarda chi c’è! Taryn, non è incredibile? » aggiunse, rivolgendosi a Kirsten. 

Lei spalancò la bocca, da cui non uscì neanche un fiato, così si limitò a distenderla in un ampio sorriso, mentre Taryn le si avvicinava per abbracciarla. 

« Che ci fai a Berkeley? » le domandò Kirsten, slegandosi dalla sua presa. 

« Visita veloce a mia nipote, frequenta il college qui. » Rispose distrattamente, visto che la sua attenzione venne attirata dalla bambina annoiata che brontolava nel carrello un esplicito:ce ne andiamo?.

Taryn le rivolse un sorriso smagliante, avvicinandosi a lei per pizzicarle le guance. 

« Tu devi essere Sophie Rose… Sei la fotocopia di tua madre! »

Sophie Rose spalancò gli occhi, increspando le labbra. Provò con tutta se stessa a non sembrare infastidita, ma non ci riusciva. Sì, era proprio come sua madre. 

« Salve! » si limitò a rispondere, tendendole la mano, che, però, Traryn ignorò. Spalancò le braccia e la strinse forte, strattonandola leggermenre a destra e sinistra. La piccola guardò in direzione dei genitori: « aiuto » mormorò, così Sandy colse la palla al balzo. Si avvicinò alla donna, posandole una mano sulla spalla per farla girare verso di lui e lasciare Sophie Rose. 

« È stata una vera... sorpresa incontrarti, Taryn » disse l’uomo, cercando di non apparire ironico. « Ma dobbiamo proprio andare… Sai, i ragazzi verranno a pranzo per il ringraziamento e il cibo non si cucina da solo. »

« Oh! Verranno anche Seth e… Come si chiama il trovatello? » Taryn sorrise. Sandy e Kirsten no. 

« Come siete permalosi. Sto scherzando! Salutate Ryan da parte mia » concluse la donna, prima di salutare tutti e tre i Cohen. 

« Teniamoci in contatto, okay? E se venite a Newport, beh, fatevi sentire! » 

« Sicuramente » risposero in coro Sandy e Kirsten, guardandola allontanarsi. 

Quando la piaga Taryn fu debellata, i due si stacambiarono uno sguardo di intesa. Minaccia  scongiurata si dissero, ritornando a concentrarsi sulla lista della spesa. Sandy ricominciò a spingere il carrello e Kirsten a camminargli al fianco, mentre Sophie Rose piagnucolava per essere presa in braccio. 

« Non ti prenderemo in braccio! » disse la madre, guardandosi intorno per cercare la cannella. Sophie Rose sbattè più volte le gambe contro il carrello. 

« Sophie Rose Cohen! » intervenne Sandy. « Hai sentito tua madre? Basta capricci o niente biscotti al cioccolato quando saremo a casa. »

« La vostra amica pazza non è sufficiente come punizione? » protesrò la bimba, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto. Sandy alzò le mani in segno di resa e si rivolse alla moglie. « Tocca a te. » 

Kirsten rise, avvicinandosi al carrello per metterci dentro due barattoli in vetro di cannella. Li sistemò in un angolo per evitare che potessero urtare contro qualcosa, poi si rivolse alla figlia. « Vuoi usare contro di me quell’espressione. L’ho inventata io, furbetta!  » le disse, puntellandole il naso con l’indice. 

La bimba annuì soddisfatta. « Lo so. » 

« Lo sai? » fece da eco la donna. 

« Sì. E so anche che non puoi dire a papà come si scappa dallo sguardo. » 

Kirsten si voltò verso Sandy con la bocca aperta e gli occhi spalancati per lo stupore. 

« È al cinquanta percento Nichol, ha la manipolazione nel sangue » osservò il marito, facendo spallucce e scoppiando a ridere. 

La donna scosse il capo con fare di resa, scoppiando a ridere a sua volta.  

« E per il restante cinquanta percento è un avvocato testardo e presuntuoso » brontolò, voltandosi verso Sophie Rose, che aveva già teso le braccine paffute, pronta per essere presa in braccio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Motori e Musica ***


.

#3

La raccolta partecipa alla #FlashWeekChallenge del gruppo Facebook Better than Canon.
Il prompt scelto è la parola scelte difficili. 
Totale parole: 1742.

––––––––––––––––––

 

Motori e Muscia 

 

Sandy sedeva comodamente nella poltrona della sua scrivania all’Università di Berkeley. Si era rinchiuso nel suo ufficio da quasi un’ora ormai, cercando disperatamente di rimettersi in pari con la pila di test da correggere; davanti a lui i fogli si susseguivano uno dietro l’altro e la sua mano li marcava con decisione con delle croci rosse accanto agli errori. Come professore non poteva che essere orgoglioso dei suoi studenti e non perché fossero tutti portarti per il diritto o perché non sbagliavano mai, ma perché c’era qualcosa in quei ragazzi che gli ricordava tanto i suoi giorni da studente; rivedeva in loro lo stesso entusiasmo, la stessa voglia di fare e la capacità di andare oltre una semplice lezione. Percorrendo le righe di ogni compito con gli occhi, Sandy poteva percepire le idee vive di quei giovani, futuri avvocati; ne sentiva l’essenza. Era davvero contento di aver accettato quel lavoro: non aveva mai pensato che insegnare potesse essere la sua strada, ma era proprio così. Quelle aule erano la sua linfa vitale, il suo modo di costruire un mondo migliore, e la cosa più buffa – che ora lo faceva sorridere, mentre prendeva in mano un altro esame svolto – era che Kirsten glielo aveva sempre detto, fin dai tempi del college; lei credeva fermamente che il posto di Sandy Cohen fosse in mezzo alle menti giovani, che avevano bisogno di una guida. Vedeva come, da ragazzo, riusciva a dispensare consigli e ad ascoltare tutti i suoi amici, indirizzandoli sempre nella direzione giusta; aveva visto, poi, con Seth, Ryan e adesso con Sophie Rose che padre incredibile fosse e come i suoi figli lo guardassero con gli occhi ricolmi di ammirazione. Sandy era nato per fare l’insegnante e solo lui ebbe bisogno di quarantatré anni per capirlo. 

Seduto alla sua scrivania, però, mentre rileggeva i pensieri dei suoi studenti, il professor Cohen era sicuro di ciò che era e del fatto che non voleva trovarsi altrove. Stava per prendere un altro foglio scritto sia sul davanti che sul retro, quando il suono di una nocca che batteva contro la porta lo distrasse, obbligandolo ad alzare lo sguardo in direzione del punto da cui proveniva il rumore. 

« Avanti! » disse, riportando gli occhi sul compito che aveva tra le mani, supponendo che a bussare fosse stato uno studente o una segretaria. 

« Sandy? » La voce femminile che lo chiamò non era quella di una segretaria e neanche di una sua studentessa, ma era sicuramente più famigliare di quanto non lo sarebbe stata se fosse appartenuta a una di loro. Riportò lo sguardo verso la porta e la vide lì, bellissima come sempre, con i capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e un paio di semplici jeans e una maglia bianca a fasciarle il fisico tonico e slanciato. Stava appoggiata con una spalla allo stipite, tenendo le braccia incrociate sul petto, mentre il suo viso era illuminato da un ampio e dolce sorriso. 

« Ehi! » Sandy sorrise di rimando alla vista della moglie e si spinse all’indietro con la sedia, lasciandole lo spazio per raggiungerlo e sedersi su di lui. 

« Ehi! » rispose lei, assecondando l’invito del marito. Si sistemò meglio sulle sue ginocchia, portandogli le braccia al collo per accarezzargli la nuca, mentre si avvicinava al suo viso per baciarlo. 

Era appena passata l’ora di pranzo, ciò significava che non si erano visti per tutta la mattina. Sandy usciva appena sorgevano le prime luci dell’alba per dedicarsi al surf e quando tornava, aveva poco tempo da passare da solo con la moglie, impegnata a preparare la piccola Sophie Rose per la scuola. Così, non potendo stare insieme al mattino, si ritagliavano qualche momento durante la pausa pranzo, proprio come avevano sempre fatto anche a Newport. Fortunatamente, però, a Berkeley non rischiavano di essere interrotti: non c’era il Newport Group, non c’erano lo studio legale e i clienti invadenti, le pettegole e i drammi consueti di Orange County. Apparentemente la vita di Sandy e Kirsten non era cambiata dopo il trasferimento: stessi ritmi, stessi orari, stessa routine di sempre, eppure, se anche la forma era rimasta uguale, la sostanza era cambiata radicalmente, in meglio. 

« Ho fatto un po’ tardi, oggi. Scusa. Sono sommerso dagli esami » disse Sandy, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Kirsten. « La tua giornata, invece? » 

Lei gli sorrise, poggiando la propria testa sulla sua spalla con un lento sospiro. 

« Nulla di entusiasmante. Dovevo vedere qualche cliente, ci è voluto un po’. Hai fame? »

« Da morire. » 

Kirsten scoppiò a ridere, vedendo negli occhi del marito la sincerità di quelle ultime due parole. Gli accarezzò la fronte con l’indice, spostando di lato qualche ciocca ribelle che vi ricadeva sopra, facendogli il solletico. 

« Allora sei fortunato! » esclamò, con un filo di compiacimento nella voce. Sapeva come alleggerire la giornata di Sandy. Ruotò il busto leggermente verso la scrivania in cui aveva poggiato l’ampia borsa, armeggiò per qualche secondo per spostare alcune cose da un lato all’altro, così da poter estrarre con facilità la busta di carta su cui si leggeva chiaramente: Asador.  Lo sguardo di Sandy si illuminò appena vide la scritta dorata a caratteri cubitali che poteva significare solo una cosa: tacos ai gamberetti, i suoi preferiti. 

L’Asador era un locale carino, piccolo ma confortevole, che lui e Kirsten avevano scoperto nei primi mesi dopo il loro ritorno a Berkeley. Si ritrovarono una sera, da soli, a passeggiare nella zona del porticciolo alla ricerca del vecchio fast food in cui andavano a mangiare dopo ogni esame, quando ancora frequentavano il college. Era un’idea banale, ma erano entrambi entusiasti di passare una delle loro prime nuove serate a Berkeley celebrando i vecchi tempi, però quel piano era fallito appena trovarono un ristorante appena aperto al posto del loro locale preferito. Fu così che si imbatterono nell’Asador: vagando alla cieca cercando di trovare qualcosa che potesse ricordare loro la vecchia città in cui si erano innamorati. 

« Quanto ti amo! » disse Sandy, sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori mentre affondava le dita nella pastella del tacos per portare quella bontà fumante alla bocca, sotto gli occhi di Kirsten che lo guardava ridacchiando. Lei inarcò un sopracciglio, assumendo un’espressione dubbiosa. 

« Farò finta che tu stia parlando con me! » protestò fingendo di essere seria. 

« Ooh ma io sto parlando con te! » bofonchiò Sandy, portandosi una mano davanti alla bocca per pulirsi gli angoli, mentre  masticava con gusto quel mix di gamberetti e avocado.

Lo sguardo innocente che le rivolse rischiò di farle andare di traverso il sorso d’acqua che stava prendendo. « Uh - uhm » si limitò a rispondergli, ridendo. 

Continuarono a consumare il loro pranzo tranquillamente, aggiornandosi sul lavoro e sulle novità che riguardavano i figli; scherzavano e ridevano, ridevano tanto, come due ragazzini al loro primo appuntamento ed era esattamente così che si sentivano, da quasi trent’anni ormai. Avevano tre figli, un carico infinito di responsabilità sulle spalle con cui spesso era difficile convivere, dovevano preoccuparsi dei rispettivi lavori, dei problemi quotidiani che la vita adulta comportava, ma quando si ritrovavano solo loro due, lontani dal resto del mondo, era come se il tempo non fosse mai passato e loro fossero ancora gli stessi Sandy e Kirsten che vivevano nel furgone postale. 

« Sai a che pensavo stamattina? » La voce di lei ruppe il silenzio. 

Sandy alzò lo sguardo dagli ultimi morsi di tacos che mancavano e lo portò sulla moglie, che stava ancora comodamente seduta su di lui, con la schiena contro il suo petto. Da quella posizione, senza voltarsi, non poteva vedere l’espressione curiosa che era comparsa sul viso del marito, perciò lui dovette esortarla esplicitamente per farla continuare.  

Kirsten prese un altro sorso d’acqua, che le pulì la bocca e la gola, schiarendosi la voce. 

Allungò la mano nuovamente verso la borsa tirando fuori un catalogo grosso qualche centimetro e dal quale spuntava un piccolo pezzo di carta che fungeva da segnalibro. 

Kirsten lo aprì senza perdere tempo, mostrando così a Sandy una bellissima BMW serie sei color catrame metallizzato. 

« Seicentoquaranta cavalli, otto cilindri, benzina. La versione full optional costicchia, ma guardala! Vale ogni dollaro. » Il tono con cui lo disse suonò eccessivamente eccitato anche per una bambina a Natale e quell’entusiasmo impedì a Sandy di trovare la forza di dissentire. 

Non avevano bisogno di una macchina nuova, e ancora meno di una macchina così costosa; ma in fin dei conti i soldi a loro non mancavano e lui non aveva bisogno di comprare un set di mazze da golf nuovo ogni due mesi, ma lo faceva comunque, perché gli andava di farlo. Kirsten non comprava mazze da golf né tavole da surf, quando le andava di fare compere folli che non riguardassero scarpe e vestiti, si dava alle automobili. Secondo Sandy lei era la donna che aveva cambiato più macchine in assoluto e non perché le distruggeva. Era un’ottima guidatrice, brava nei parcheggi, anche nei più difficili e le piacevano le auto sportive. Se non avesse avuto pessimi gusti in fatto di musica, sarebbe stata lei la guidatrice designata per ogni loro viaggio, ma visto che Sandy non apprezzava particolarmente i gusti musicali della moglie, negli anni aveva sempre rivendicato il controllo sia del volante sia dello stereo. 

« Hai già parlato con il concessionario, non è vero? » le domandò, facendola ruotare di pochi gradi verso di lui. 

Lei annuì con un sorrisino colpevole dipinto sulle labbra. 

« E…? » Stavolta fu Sandy ad inarcare un sopracciglio. 

« Ed ho prenotato il test drive per domani. Vieni? » Kirsten sfoderò i suoi due occhioni azzurri a cui sapeva che il marito non riusciva a dire no. 

« Posso guidare io? » domandò lui, prima di rispondere. 

Lei lo guardò impassibile. « No » disse decisa e senza possibilità di replica. 

Sandy scoppiò a ridere. « Perfida! » 

Kirsten arricciò il naso. « Lo so » 

Entrambi risero ancora, mentre lui si avvicinava alle sue labbra per  baciarla. Sapeva che avrebbe adorato quella macchina, Kirsten non faceva mai scelte sbagliate quando si trattava di motori; erano i CD che metteva dentro il suo problema, ma della musica si sarebbe occupato lui. Quello era l’accordo che siglarono prima di tornare a mangiare. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3924075