Il figlio del generale Jarjayes

di Myriru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maurice ***
Capitolo 2: *** Ma pauvre madame! ***
Capitolo 3: *** Il cavaliere nero ***
Capitolo 4: *** Burattino ***
Capitolo 5: *** Spade e rose ***
Capitolo 6: *** Anelli ***
Capitolo 7: *** Cognac e cristalli ***
Capitolo 8: *** Novità ***
Capitolo 9: *** Lui ***
Capitolo 10: *** Sorelle ***
Capitolo 11: *** Prima ***
Capitolo 12: *** Matrimonio ***
Capitolo 13: *** Consenso ***
Capitolo 14: *** Mi sei mancato ***
Capitolo 15: *** Tienimi, non lasciarmi ***
Capitolo 16: *** Amore e spade ***
Capitolo 17: *** Vittorie e sconfitte ***
Capitolo 18: *** L’amore della mia vita ***
Capitolo 19: *** Calore ***
Capitolo 20: *** Sfogo ***
Capitolo 21: *** Lacrime ***
Capitolo 22: *** Versailles pt. 1 ***
Capitolo 23: *** Versailles pt. 2 ***
Capitolo 24: *** Ritorno ***
Capitolo 25: *** Insieme ***
Capitolo 26: *** Situazioni ***
Capitolo 27: *** Sguardi ***
Capitolo 28: *** Caos ***
Capitolo 29: *** Partenze ***
Capitolo 30: *** Domani mattina ***
Capitolo 31: *** Fuoco ***
Capitolo 32: *** Il figlio del generale Jarjayes ***



Capitolo 1
*** Maurice ***


«Caspita... quanto ti dai da fare, nonna! Per una nanerottola grassottella come te, dev'essere faticoso andare avanti e indietro in quel modo... »

André rise guardando dolcemente la donna, sinceramente meravigliato dalla sua forza nell'impartire gli ordini alle cameriere e nel muoversi rapida. Rosalie sorrise, scuotendo il capo e prendendo alcuni piatti dal tavolo della cucina mentre la piccola LouLou stringeva tra le braccia alcuni asciugamani.

Era primavera, le giornate stavano migliorando, nel cielo il sole splendeva alto e nei giardini iniziavano a nascere i primi boccioli. 

La settimana prima avevano trascorso intere notti a cercare di acciuffare il famigerato Cavaliere Nero e André si era travestito, ogni notte, da falso Cavaliere Nero per cercare di portarlo nella loro trappola, invano. Era pericoloso, ma stava iniziando a prendere gusto nel rubare e Oscar l'aveva preso in giro per i suoi "colpi precisi".

"Ridi pure! Ah Oscar... e chi farebbe una cosa simile se non per te!"

André posò lo sguardo sulla nipotina di Oscar.

Loulou de la Loréncie era la figlia di Ortense, una delle sorelle di Oscar, l'esatto opposto della madre e della zia. Aveva un viso delicato, dei grandi occhi ambrati e i capelli biondi e riccissimi, sempre raccolti con dei fiocchi rossi. Ortense l'aveva mandata dai nonni e dalla sua adorata zia per farle insegnare le buone maniere, o almeno questa era il suo intento.

Loulou aveva un carattere molto particolare e un'intelligenza spiccata eppure aveva l'incredibile abilità di cacciarsi nei guai, anche pericolosi e di coinvolgerli, ogni volta. 

Sia lui che Oscar temevano un po' quella bambina per ovvi motivi1 e sapevano entrambi che lei avrebbe portato solo problemi a casa, anche se con la sua allegria portava un po' di felicità in quel palazzo vuoto e freddo. 

In più, Loulou sembrava adorare Rosalie e la ragazza era sinceramente affezionata a quella bizzarra bambina di 10 anni.

«Invece di perdere tempo a guardarmi fila a tagliare un po' di legna André! »

Urlò la donna al nipote minacciandolo con il mestolo e lui, alzando le mani in segno di resa, indietreggiò lentamente sempre con il sorriso stampato sulla faccia fino a quando non scomparì dietro la porta del retro.

«Ai suoi ordini comandante! »

Rosalie si girò verso la governante e la guardò incuriosita.

«Come mai così tanta agitazione? Che succede oggi? »

«Oggi, mia cara Rosalie, è il compleanno di madame! »

Disse la governante sorridendo dolcemente mentre stringeva tra le braccia un mazzo di rose bianche, le preferite della sua padrona, per poi avviarsi insieme a Rosalie e Loulou nella sala in cui si sarebbe svolto il ballo per il suo compleanno. Nella villa c'era un'aria allegra e di festa, assai rara quando il generale era in casa.

Oscar aveva preso un piccolo congedo, solo qualche giorno, per restare accanto alla madre che, nonostante fosse una delle dame di compagnia di sua altezza, incontrava raramente.

«Oh, qualcuno ha bussato... majordome! A quanto pare abbiamo un ospite »

«Impossibile! – disse l'uomo avviandosi verso il portone, borbottando tra sé e sé – gli invitati non arriveranno prima di stasera... »

«Oh smettila di borbottare e vai ad aprire quella porta! »

Disse la donna irritandosi per poi allontanarsi dall'ingresso. Rosalie si voltò, prima di entrare nel salone principale e guardò il maggiordomo, un uomo sulla cinquantina con ampi baffi che gli coprivano quasi del tutto le labbra, aprire la porta principale.

«Rosalie, cara! Vieni qui ti prego! »

«S-Sì arrivo subito! »

 

Oscar stava suonando il violino, la rilassava. Oramai non aveva neppure bisogno più degli spartiti, li conosceva tutti a memoria.

Le bastava semplicemente chiudere gli occhi, i movimenti erano naturali e le note venivano da sé. Il violino era l'unico passatempo "femminile" che il padre le aveva concesso da ragazza oltre le poche lezioni di disegno che le aveva impartito la stessa madre, nipote di uno dei pittori della reggia di Versailles ai tempi della sua costruzione.

Sentì la porta della propria camera aprirsi ma lei continuò a suonare per alcuni istanti, terminando il brano con poche battute.

«Ti prego, continua, non smettere a causa mia »

Sua madre era entrata nella sua stanza più bella che mai. Aveva sempre amato la dolcezza del suo viso e di come, abbigliata con semplici abiti e con i capelli raccolti, sembrasse sempre così elegante e unica. 

Le sorrise, annuì piano e tornò a suonare un nuovo pezzo per lei, madame si sedette su un divano poco distante e la ascoltò beata, chiudendo gli occhi come la figlia e si lasciò trasportare dalla melodia delle corde. 

«Madre... »

Oscar si sedette al suo fianco e le sorrise, la donna le accarezzò il viso dolcemente.

«Sei sempre stata bravissima a suonare il violino, le tue sorelle non hanno mai amato particolarmente la musica »

«Vi sbagliate, Ortense è sempre stata una brava cantante e Josephine aveva del vero talento nel suonare il liuto2 »

«È vero, ma tu hai sempre avuto la capacità di trasmettere forti emozioni quando suoni »

Oscar abbassò il capo sorridendo, godendosi il tocco della madre sul viso. Non avevano mai passato tanto tempo insieme e ogni momento lo riteneva speciale: lei l'aveva sempre consolata quando il padre la puniva e si era sempre presa cura di lei quando non stava bene. 

Era diversa dalle madri cortigiane, le sue sorelle non avevano abbandonato casa per formarsi in convento e madame si era occupata personalmente della loro istruzione mentre Oscar fu costretta a lasciare la casa per l'accademia militare.

«Buon compleanno madre... credo che posso darvi anche ora il mio regalo »

«Non dovevi disturbarti »

«L'ho fatto con piacere »

Disse Oscar stringendo le mani della madre tra le sue con un dolce sorriso sulle labbra e si alzò, raggiungendo lo scrittoio dove, nascosto in un cassetto, c'era una scatola intagliata in legno scuro.

Lo porse alla donna e lei lo raccolse emozionata, aprì la scatoletta e vi trovò all'interno delle piccole boccette con polveri colorate e tutto quello che era necessario per poter dipingere.

Oscar sapeva della sua passione mai assopita per l'arte, tant'è che molte volte, durante l'infanzia, ricordava di aver visto sua madre con dei fogli in mano e del carboncino pronta a ritrarre lei e le sue sorelle.

«Oscar... è meraviglioso! »

All'improvviso sentirono le grida del generale Jarjayes provenire dall'ingresso principale.

«François...! »

Oscar corse fuori dalla sua stanza, seguita dalla madre e si precipitarono giù per le scale. 

«Padre cosa sta succedendo? »

Chiese Oscar allarmata guardando prima il padre, poi il bambino che si trovava davanti a lui. Aveva forse 10 o 11 anni, era molto magro e alto con dei grandi occhi color ghiaccio e i capelli biondo scuro. 

Tornò a guardare il padre.

«Il mio nome è Maurice. La mamma mi ha detto di venire qui da voi, padre, e di chiedervi se potete prendervi cura di me. Ha detto che voi avreste capito... sono state le sue ultime parole prima di morire »

Il generale si girò rapidamente verso la consorte che, pallida, non aveva distolto lo sguardo dal viso del bambino. 

«Non ho la benché minima idea di quello che sta dicendo! Questo ragazzino non è mio figlio! »

Disse l'uomo a disagio, sotto lo sguardo minaccioso della governante.

«Ma padre... la mamma è morta e io »

«Padrone! Allora questo significa che avete un figlio illegittimo!  »

 

1= Loulou è la protagonista, oltre Oscar e André delle storie gotiche. Appare per la prima volta nella storia breve "La contessa dal vestito nero", riportata sempre nell'ultimo volumetto della manga.

 

2= il liuto è uno strumento dalle antiche origini che vede il suo approdo in Europa nel medioevo. L'etimologia sembra derivi dall'arabo al ud e in tutte le lingue europee le differenze sono minime, dal gotico liuth al celtico lauda. Probabilmente questo strumento deriva da un analogo strumento arabo arrivato in Sicilia verso l'anno mille ed in spagna nel periodo di occupazione araba. Nel rinascimento questo strumento incrementa la sua popolarità sia a corte che nei paesi diventando un indispensabile strumento di accompagnamento. È un antesignano della chitarra ma ne diverge sensibilmente sia per le peculiarità costruttive sia per il suono e l'uso.

 

 

Buona serata a tutti!

“Lady Oscar - Le storie gotiche: il figlio illegittimo del generale Jarjayes?!” 

Trama originale: 

Maurice, un bambino poco più grande di Loulou, bussa alla porta di casa Jarjayes. Esso dice di essere figlio illegittimo del generale. Tra vari malintesi, alla fine si scopre che un caro amico del generale, nonché padre biologico di Maurice, si è spacciato per lui alla giovane donna per fare bella figura (secondo lui).

Nel rileggere questo spin-off, mi sono chiesta cosa sarebbe successo se Maurice fosse stato veramente il figlio illegittimo del caro vecchio generale e, di conseguenza, cosa sarebbe successo a Oscar. 
Non so se una trama del genere è stata già proposta, nel caso io vi propongo una mia versione, nella speranza di non offendere nessuno.

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Capitolo 2
*** Ma pauvre madame! ***


«Mai! Mai! Non lo perdonerò MAI! Quel che è troppo è troppo! Come se non bastasse, madame, proprio nel giorno del vostro compleanno! »
« Cerca di stare calma, nonna… altrimenti ti va di nuovo il sangue alla testa… »
Disse placido André seduto accanto alla nonna insieme a Madame Jarjayes. Per la sorpresa e la rabbia sua nonna si era sentita male e l’aveva portata, di peso, subito nella sua stanza per farla riprendere.
«André ha ragione, devi tranquillizzarti »
Aveva detto madame sorridendole, seduta al suo fianco.
«Oh, ma pauvre madame… in questo momento dovrei essere io a cercare di calmare voi, e non l’opposto! »
Disse la governante agitandosi nel letto, ancora furiosa con il generale. Tutti erano rimasti sconvolti dall’arrivo di quel bambino e le sue parole avevano creato non pochi dubbi.
Era davvero il figlio del generale? Chi era sua madre? Cosa sarebbe successo ad Oscar se il bambino si fosse rivelato l’erede che il generale aveva aspettato per tutta la vita?
Madame non si era scomposta, aveva preferito non credere alle parole del bambino e fidarsi del marito, anche se il dubbio le scombussolava l’animo. Era rimasta incinta otto volte, partorito sei ma tutte femmine. L’unico erede maschio era morto pochi giorni dopo il parto, un anno prima della nascita di Oscar.
«Mi chiedo che cosa monsieur abbia intenzione di fare con quel bambino… »
Sospirò la governante, cercando lo sguardo del nipote.
André sperò, egoisticamente, che quel bambino fosse veramente il figlio del generale e un po’ lo sperava anche sua nonna, così da “liberare” Oscar da quella pazzia che la costringeva, da 28 anni, a vivere come un uomo.
«A proposito… poco fa quel bambino è svenuto dalla fame! »
Disse madame portando una mano al petto, ricordando il viso pallido e magro del bambino. Si alzò lentamente e, seguita dalla governante ormai ripresa del tutto, si avviò fuori dalla porta alla ricerca del bambino.
«Madame »
Una cameriera fece un rapido inchino appena le due donne furono vicino la porta del salone.
«Avete dato da mangiare al bambino, spero! »
Disse la governante guardando seria la cameriera e lei sorrise, annuendo.
«Ha bevuto tre bicchieri di latte caldo e ha divorato la sua brioche »
«Bene, è qui? »
Chiese madame indicando la porta del salotto e la cameriera annuì rapida, aprendo poi le grandi porte. Appena le porte si aprirono, le due donne notarono, seduti sul divano, Oscar e Maurice. Maurice dormiva tranquillo, con il capo poggiato sulle gambe di Oscar e lei, dolcemente, gli accarezzava i capelli e lei quando notò sua madre e la sua balia, poggiò l’indice sulle labbra, in segno di silenzio e sorrise, tornando a guardare il piccolo.
«Poverino… chissà come si sentirà tutto triste, tutto solo?! Guarda come dorme sereno, con la testa sulle gambe di Oscar… »
Sussurrò madame con le lacrime agli occhi, stringendo un fazzoletto tra le mani; la governante poggiò i pugni sui fianchi, in modo quasi autoritario.
«Madame! Non dobbiamo avere compassione di lui finché non avremo chiarito il mistero delle sue origini! Anche se è così piccolo e indifeso, dobbiamo restare indifferenti! »
Poi il suo sguardo si posò di nuovo su Oscar e il piccolo Maurice e si commosse, e pianse anche lei insieme a madame. Oscar le guardò da lontano, alzando un sopracciglio con un piccolo sorriso ad incurvarle le labbra.
 
«Madame Jarjayes è davvero incredibile… oramai siete sposata col generale da qualche decennio… eppure continuate ad amarlo come il primo giorno! »
«Dopotutto siete una contessa, madame Jarjayes! È proprio démodé frequentare soltanto il proprio marito senza farsi neanche un amante! »
«Una condotta davvero inadeguata a una dama di corte! »
«Per non parlare di vostro marito… è un tale bacchettone… un’autentica vergogna per gli uomini francesi, famosi nel mondo per eleganza e infedeltà! »
«Naturalmente rispetto la vostra scelta madame… ma onestamente, mi sembrate una coppia di sposi plebei! »
Madame Jarjayes, circondata dalle dame di corte, si sentì a disagio e si limitò a sorridere, senza rispondere a quelle provocazioni dettate, sicuramente, da una gelosia nei suoi confronti. Il suo matrimonio era uno dei pochi che poteva vantarsi di essere un matrimonio d’amore e non di affari e lei, da sempre innamorata di suo marito, non aveva mai guardato gli altri uomini.
Le illusioni all’infedeltà l’avevano ferita e aveva pensato a quel bambino. Si voltò verso il marito che, in disparte, era affiancato dalla nipotina più giovane. Loulou lo guardò con un sorriso strano e lui sussultò.
«Cosa significa quello sguardo, Loulou? Vuoi dirmi forse qualcosa? »
«Avete perso la faccia, eh nonno? »
Disse la ragazzina trattenendo le risate ma dovette scappare prima che l’uomo, irritato, portò la mano all’elsa della spada, spaventandola.
«Ecco perché non mi piacciono i militari attempati. Non sanno stare allo scherzo! »
Il generale, vedendola lasciare la sala, allontanò la mano dalla spada con un sorriso divertito e si avvicinò alla consorte.
Nel frattempo, Loulou nello scappare dalla stanza si era scontrata con Maurice e nel giro di mezzo secondo si erano trovati entrambi a terra, con la testa dolente.
«Ahi… che botta! Va tutto bene? Scusa, ma io ho la testa dura… »
Disse Maurice portandosi una mano dietro la testa guardando Loulou fare lo stesso.
«Niente paura… non sono certo da meno! »
Loulou sorrise prendendo la sua bambola che portava sempre con sé, rimettendosi subito in piedi. Lo aiutò ad alzarsi e i due risero, scusandosi a vicenda.
«Maurice! Mau… ah allora sei qui! »
Oscar scese rapida le scale, con indosso la sua divisa e si avvicinò al bambino sollevata. Era andata a controllare come stesse nella sua stanza e, trovandola vuota, si era preoccupata per lui. Lo aveva cercato dappertutto e fu felice di vederlo insieme a Loulou.
«Ho visto che eri scomparto dal tuo letto e mi sono preoccupato! Ma… perché hai indossato la giacca? Cosa significa quell’abbigliamento? »
Il bimbo si mise dritto con la schiena, abbassando lo sguardo, strinse la giacca blu che indossava tra le dita imbarazzato.
«Beh, ecco… vedete io… »
Lo sguardo di Oscar si addolcì subito, si inginocchiò davanti a lui per guardarlo meglio in faccia e gli lasciò una tenera carezza sul viso.
«Senti piccolo… voi bambini dovete cercare di non disturbare gli adulti. Su, ora fila in camera tua, da bravo! Oggi… è il compleanno di mia madre. Stasera avremo moltissimi ospiti… quindi ti chiedo di non farti vedere nel salone, solo per oggi. Hai capito? »
Gli aveva parlato piano per paura di spaventarlo e lui la guardò incantato, annuendo rapidamente e gli sorrise, abbracciandola poi d’improvviso.
«Va bene Oscar…! Grazie! »
Oscar in un primo momento si irrigidì, poi posò una mano sulla schiena del bambino, ricambiando l’abbraccio. Loulou li guardò in disparte e quando i suoi occhi incontrarono quelli della zia, lei le mostro il pollice alzato facendole anche l’occhiolino. Oscar alzò gli occhi al cielo.
«Su, torna della tua camera insieme a Loulou e cerca di riposare… domani potremo parlare con calma »
I due bambini annuirono e si allontanarono, tenendosi per mano, in pochi istanti salendo le scale. Oscar sospirò e si avviò verso la sala e, poco prima dell’ingresso, incontrò André. Le porse il vassoio con lo champagne e lei accettò con grande piacere.
 
«Sa, io e la mamma vivevamo a Parigi… le si chiamava Fleur ed era molto bella e gentile, dico davvero! »
Loulou e Maurice erano stesi sul tappeto, nella stanza del ragazzino e lui gli raccontò della madre.
«Mi portava ogni sera dalla vicina e mi lasciava lì per andare a lavoro. Poi tornavamo a casa insieme, mano nella mano, sotto il cielo di Parigi in cui splendevano mille stelle… a volte facevo i capricci perché avevo sonno e allora la mamma mi prendeva in braccio con un sorriso »
Maurice si fermò con il viso imbronciato e gli occhi pieni di lacrime, le asciugò rapido ma non sarebbe riuscito a fermarle subito.
«Maurice… »
Lui scosse il capo e sorrise. Prese il medaglione che teneva nascosto sotto i vestiti e lo mostrò alla sua nuova amica. All’interno c’era un piccolo ritratto della madre: era sorridente e dei lunghi capelli biondi le incorniciavano il viso roseo, i suoi occhi erano scuri e Loulou, nel guardare quelli di Maurice, gli venne in mente il colore degli occhi che aveva suo nonno, sua madre e sua zia.
«È davvero bella! »
Disse Loulou prendendo il gioiello tra le mani e sorrise. Poi, realizzando meglio quello che aveva scoperto alzò un sopracciglio e fece un sorriso forzato guardando i cari lettori di questo capitolo.
“Questo bambino ha la mia età ed è mio zio… vi rendete conto? ”

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Capitolo 3
*** Il cavaliere nero ***


«Ehi, ragazzino! Quel secchio è troppo pesante. Ti farai male alle mani! »
Maurice poggiò il secchio d’acqua pieno a terra affaticato poi si girò a guardare André sorridendo imbarazzato. Lui gli sorrise, poggiato con la schiena ad una delle travi di legno della soffitta. L’uomo si passò una mano tra i capelli corti e si avvicinò al ragazzo prendendo il secchio d’acqua al posto suo e Maurice si meravigliò di come l’avesse preso senza alcuno sforzo.
«Stai cercando di renderti utile, eh? Guarda che non ce n’è alcun bisogno, non devi sentirti in debito! »
«Ma io… »
Cercò di giustificarsi il ragazzo guardando in viso André. Sapeva di essere arrivato d’improvviso e che la sua presenza aveva creato numerosi problemi in villa e stava cercando in tutti i modi di rendersi utile, per scusarsi anche per essere entrato nelle loro vite.
«E sia. Allora vai a prendere dei ferri di cavallo, più tardi ti faccio vedere come si cambiano »
Gli occhi di Maurice si illuminarono e annuì felice.
«D’accordo! Grazie mille André! »
André gli scompigliò i ricci biondi e lo lasciò correre via.
«Ah Caesar… ci sono grandi cambiamenti all’orizzonte »
Disse André girandosi verso il cavallo bianco. Il cavallo nitrì.
«Ben detto amico mio…»
 Gli accarezzò il muso, poi da una tasca fece uscire una carota e gliela fece mangiare.
 
 
«Ma cosa…?! Fermo, basta! Non c’è bisogno che tu faccia cose del genere! Ti rovinerai le mani… su, lascia perdere, e vai piuttosto a mangiare dei biscotti! »
Maurice si fermò un attimo a guardare, con una patata e un coltello in mano, a governante mentre lo sgridava: nonostante l’idea di mangiare dei biscotti lo allettava molto, avrebbe preferito prima finire di pelare le patate. Non gli piaceva lasciare un lavoro incompiuto e aveva già rinunciato ad aiutare André.
Rosalie gli passò accanto e posò una mano sulla spalla del bambino e gli sorrise, complimentandosi con lui, per poi avvicinarsi alla governante.
«Poverino… un bambino che si sente debitore, ti rendi conto? Mi fa una pena… guardalo come pela le patate! »
«Ed è anche piuttosto bravo… significa che ha sempre lavorato sodo, povero piccolo! »
«Vorrei proprio sapere cosa diavolo ha in mente quel disgraziato del padrone! È davvero imperdonabile! »
«Maurice!! »
Loulou entrò nella cucina correndo alla ricerca del suo amico e appena lo vide si avvicinò a lui felice, tirandogli la manica per attirare la sua attenzione.
«Perché non andiamo fuori? È una bella giornata! »
«Va bene, io qui ho finito madame! »
Disse Maurice rivolgendosi alla governante con un dolce sorriso e la donna notò che il piccolo aveva fatto un ottimo lavoro, da fare invidia al cuoco del palazzo. Gli lasciò una carezza sul viso e si complimentò con lui, per un attimo quel bambino le ricordò suo figlio e il André quando erano bambini.
Erano identici: stesso sorriso, stessa voglia di aiutare il prossimo, stessa espressione birichina. Sorrise, ricacciando i ricordi del passato. Rosalie sorrise ad entrambi i bambini notando la governante un po’ in difficoltà.
«Loulou ha ragione, è una bella giornata ed è un vero peccato sprecarla restando dentro. Perché non andate a giocare? Più tardi vi porto un piatto di biscotti, va bene? »
I due bambini annuirono entusiasti dall’idea di Rosalie e Loulou corse, seguita da Maurice, fuori il giardino a giocare. Quando uscirono fuori videro il generale apprestarsi ad uscire. In quei due giorni che erano passati dalla festa della consorte, era sempre fuori casa. La cosa infastidiva molto la sua consorte, che vedeva queste sue uscite come un pretesto per non parlare di quello che stava succedendo.
«Ah, nonno! Uscite anche oggi? Allora siete proprio nei guai! »
Loulou rise divertita, scappando per l’ennesima volta dal nonno che poco sopportava la sua sfacciataggine.
«Loulou in assetto di fugaaa! »
Oscar guardò la scena dalla finestra della sua stanza scostando leggermente la tenda. Poggiò una mano sul petto e strinse tra le dita la tenda di seta. Il suo sguardo si soffermò sul bambino.
“Un fratello… se quel bambino fosse davvero il mio fratellino… la mia vita cambierebbe radicalmente… non avrei più bisogno d’indossare l’uniforme…”
«È spaventoso, vero? Il destino è una cosa terribile… nessuno è in grado di prevederlo »
Oscar sussultò, girò appena il capo e vide André poco distante da lei che guardava nello stesso punto. Lo guardò con la coda dell’occhio, lui poggiò una mano sulla sua spalla.
«Se davvero quel Maurice fosse tuo fratello… penso che madame ne sarebbe afflitta oltre ogni dire »
Restarono per alcuni istanti in silenzio a guardare i due bambini ridere e giocare. Nella mente di entrambi ricomparvero i ricordi della loro spensierata infanzia insieme e di come, nel giro di pochi anni, tutto fosse cambiato.
«André… in quel caso tu mi resterai accanto, vero? »
L’uomo abbassò lo sguardo verso di lei, intenerito da quella improvvisa domanda e capendo i suoi dubbi e le sue incertezze. Fino a quel momento era stata lei l’erede del casato Jarjayes, l’arrivo di un ipotetico figlio maschio non aveva mai sfiorato l’immaginazione di nessuno.
«Ma certo… non ti abbandonerei per nessuna ragione al mondo »
Oscar posò la mano sulla sua, grata per quella risposta così rassicurante. Per un attimo la paura di non averlo più al suo fianco le aveva tolto il respiro, non voleva separarsi da lui. Non sapeva esattamente cosa le sarebbe successo se Maurice si fosse veramente rivelato suo fratello, ma non aveva calcolato che con molta probabilità lui non sarebbe stato più insieme a lei. Ne avrebbe sentito terribilmente la mancanza, solo ora se ne rendeva conto.
Si voltò completamente verso di lui e si sorrisero, lui prese la sua mano e la strinse alla sua per qualche istante. Oscar non abbassò lo sguardo e neanche lui lo fece, le sorrise dolcemente.
«Ora vado, tra poco arriverà il maniscalco e ho promesso a Maurice di farglielo conoscere »
Le fece l’occhiolino e poi se ne andò, con il cuore leggero e un sorriso ebete stampato sul viso. Oscar restò ferma dove l’aveva lasciata per qualche secondo, posò una mano sulla guancia e si girò per guardare la sua immagine riflessa nello specchio poco distante… era arrossita?  
 
«Ho la sensazione che stasera lo prenderemo, sai? »
André si guardò allo specchio per indossare la maschera da cavaliere nero soddisfatto. Oscar lo guardò, seduta sulla poltrona poco distante e rise.
«Sì? Stavo proprio iniziando ad abituarmi a vederti conciato così, hai un non so che di affascinante e misterioso »
«Sono un ladro gentiluomo io »
Disse André voltandosi facendo l’inchinò, lei alzò gli occhi al cielo ma non trattenne le risate. André guardò l’orologio a pendolo vicino la porta del salone principale.
«Oscar, dobbiamo andare »
«Sì, muoviamoci. Spero che la tua sensazione sia giusta, non vedo l’ora che questa storia finisca »
 
«Cavaliere nero…! Se non ti fai vivo domani dovrò assalire la famiglia Jarjayes! »
Sussurrò tra sé e sé André mentre correva tra i boschi con il bottino tra le mani. La situazione si stava facendo complicata: anche se nessuno era riuscito a prenderlo fino ad ora, i controlli intorno ogni palazzo si stavano rafforzando ed entrare di nascosto stava diventando sempre più difficile.
Sentì le foglie muoversi e si bloccò, a pochi metri da lui c’era una figura fasciata di nero. Era lui!
«Imbroglione! Approfitti del mio nome per il tuo interesse! Non te lo perdonerò »
André portò una mano al petto, fingendo indignazione alle sue parole. Il vero cavaliere nero stava fermo davanti a lui, con la spada stretta tra le mani e con lo sguardo pieno di rabbia.
«Non mi perdoni? Oh ma che peccato… non lo faccio per divertimento! »
Il ladro lo attaccò rapido ma lui riuscì a difendersi senza problemi, non era abile e questo lo rendeva un avversario assai facile da battere. Il rumore delle loro spade spezzava il silenzio del bosco e d’improvviso, durante un attimo di distrazione, il ladro gli sfuggì e scappò a cavallo.
“Maledizione!”
«Io e te abbiamo un conto in sospeso! »
Urlò André salendo in groppa al suo cavallo per rincorrerlo e quando gli fu abbastanza vicino fece un fischio. L’uomo si voltò a guardarlo, credendolo pazzo, ma appena si voltò a guardare la strada vide la canna di una pistola puntata contro il suo petto. Oscar li aveva raggiunti a cavallo e ora lo stava puntando con un sorriso sul viso.
«Obbedisci se non vuoi morire… cavaliere nero »
«Scherzi? »
Anche André li raggiunse e lo affiancò, oramai era in trappola.
“Era una trappola… non lo avevo previsto!”
L’uomo prese la frusta e la scagliò contro il suo sosia, ferendolo al viso. André portò la mano al volto, continuando a tenere le redini del cavallo con l’altra mano. Sentì un dolore lancinante ma strinse i denti, dovevano catturarlo.
«Non sai fare di meglio? »
Un lungo solco gli marchiava il lato sinistro del viso, dal sopracciglio allo zigomo. Aveva notato la mano dell’uomo sulla frusta ed aveva cercato in tutti i modi di poterla evitare ma non era riuscito a muoversi in tempo.
«Maledetti! »
Il ladro costrinse il cavallo ad aumentare la propria velocità ma Oscar gli sparò. Non avrebbe dovuto sparargli alle spalle, andava contro ogni suo codice d’onore ma aveva temuto per André. Il cavallo si fermò dopo poco e l’uomo, privo di sensi, si era accasciato al suolo. Anche loro scesero dal cavallo e Oscar si avvicinò subito all’amico guardando il suo viso.
«Che cosa ti ha fatto? André rispondi! »
André scese lentamente dal cavallo e portò una mano al viso; teneva l’occhio sinistro ancora chiuso e decise si aprirlo lentamente e si sentì sollevato quando notò che l’occhio non aveva avuto danni1. Sentì l’odore  metallico del sangue e ne fu quasi nauseato, l’occhio gli lacrimava per il bruciore e si voltò a guardare il corpo del ladro.
«Va tutto bene… mi ha solo tagliato. Occupiamoci di lui, ora che è incosciente! »
 
1= avete presente la cicatrice che ha Scar nel film de “Il re leone”? Ecco, André ha una cicatrice uguale!

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Capitolo 4
*** Burattino ***


«Vedo che ti sei ripreso. Tu sei Bernard Chatelet, ci siamo già incontrati noi1. Mi hai chiamato “cane della regina”… mi chiedo se anche Robespierre sia complice di voi ladri »
Oscar aveva la schiena poggiata contro la parete, dall’altra parte del letto. L’uomo, del tutto ripreso, la guardava indignato e pieno di rabbia. Rosalie, che si era occupata di lui per la medicazione della ferita, era seduta al fianco del ladro e temeva una sua reazione violenta, che non tardò ad arrivare. Lanciò verso Oscar il primo oggetto che gli capitò tra le mani, la lampada ad olio la sfiorò appena e si frantumò contro la parete.
«Come puoi insultare Robespierre senza sapere nulla?! Se io sono ladro, voi nobili cosa siete?! Mangiate e vestite quello che producono gli altri, vivete come parassiti addosso la povera gente. Vuoi dire che voi nobili siete meglio dei ladri?! »
Oscar assottigliò lo sguardo, non gli rispose. André era corso nella stanza dove avevano portato il ladro non appena aveva sentito il rumore della lampada frantumarsi. Guardò prima Oscar e poi l’uomo, cosa diavolo era successo? Rosalie, dall’altra parte della stanza, era pietrificata.
«Essere nobili è vergognoso »
Disse semplicemente lei abbassando lo sguardo, incontrando quello di André prima, poi quello del piccolo Maurice che, spaventato, aveva seguito André insieme a Loulou. André e Rosalie guardarono Oscar con occhi sgranati. Lei sospirò, si tolse alcuni frantumi della lampada dalla camicia bianca e passò una mano tra i capelli.
«Signor Oscar, c’è un messaggero da Versailles. Vi si chiede di condurre il principe al castello di Moudon »
Oscar si girò verso la cameriera e annuì. Fece qualche passo verso la porta.
«Il principe… se non sbaglio, è affetto da carie vertebrale. Quante storie, un moccioso nobile! »
«Hai ragione. Però non esiste differenza tra un nobile e un plebeo quando i genitori pensano ai propri figli! »
«Burattino della corte! »
 
«Cos’è tutto questo trambusto? »
Oscar stava leggendo un libro nella sua stanza, o almeno ci stava provando, e un improvviso trambusto che arrivava dal piano inferiore la fece preoccupare. Scese rapida le scale e notò che alcune cameriere, il maggiordomo e la governante erano riuniti davanti il portone principale.
«Allora? Cosa sta succedendo? »
«Oh, monsieur Oscar! »
«Beh… ecco… »
«Per la verità… »
Il maggiordomo tossì, tutti si girarono verso di lui.
«È appena arrivato questo panciotto ricamato, indirizzato al padrone da parte di Fleur Rochelle. All’interno è ricamata una frase “Par Fleur à son cher François” »
«Fleur? »
Loulou si voltò verso Maurice e lo vide pallido in viso. Oscar si voltò verso il bambino, quella Fleur era forse sua madre? Oscar prese il panciotto tra le mani e lo osservò attentamente, era stato cucito alla perfezione ed era riccamente ricamato.
Si girò di nuovo verso Maurice ma lo vide andare via e, senza pensarci due volte, lasciò il panciotto tra le mani del maggiordomo e lo seguì senza dare ascolto ai pettegolezzi nati.
Il bambino si era rifugiato nel grande salotto e si era seduto sulla poltroncina accanto al camino, silenzioso e con un’espressione triste ad imbronciargli il viso. Oscar aprì lentamente la porta e lo guardò per alcuni istanti, sembrava sul punto di piangere ma si tratteneva. Sentì la manina di Loulou stringersi alla sua, Oscar le sorrise e la bambina la incitò ad andare verso il bambino.
«Maurice… »
Maurice girò appena il capo e la seguì con lo sguardo, sapeva che l’aveva seguito, fin quando Oscar non si sedette sul bracciolo della poltrona.
«Vorrei farti una domanda. Fleur era tua madre, vero? Quel panciotto… »
«Sì. La mamma ha continuato a ricamarlo fino al giorno della sua morte. Probabilmente, a quel punto è stata la nostra vicina a prendersi il panciotto… e ora l’ha fatto portare qui »
Maurice si asciugò le lacrime con l’orlo della camicia e Oscar lo strinse a sé, lasciando che si sfogasse.
“Allora… forse Maurice è davvero mio fratello…”
Pensò con una punta di felicità e lo abbracciò forte.
 
«Allora Bernard? Qual è il tuo scopo? »
«Pensi davvero che te lo dirò? Non ci pensare neanche! Sarà meglio che mi consegni subito alla corte! Così risparmierai la fatica! Anzi… una cosa te la dico: un giorno la vostra corrotta aristocrazia verrà distrutta dalle mani del popolo! Vedrai! »
«Lo sai che stavi iniziando a diventare simpatico? »
Disse Oscar stuzzicandolo e fu felice che quella sua risposta l’aveva fatto innervosire. Rosalie lo conosceva: quando la sua madre adottiva morì, Bernard le era stato accanto e l’aveva aiutata spesso e volentieri. Infatti, l’unica presenza che sopportava era la sua, non aveva mai alzato la voce con lei né l’aveva trattata in malo modo, come invece faceva con Oscar e il resto della servitù.
Oscar si alzò dalla sedia e lasciò la sua stanza pensierosa. Le parole di Bernard risuonavano nella sua testa, se il popolo avesse preso il sopravvento… scosse il capo. Non volle pensarci più. Almeno per il momento. Sentì le porte dell’ingresso principale aprirsi, girò appena il capo e si fermò.
«È vero che Oscar ha preso il cavaliere nero?! –  il generale alzò lo sguardo verso le scale e vide Oscar e le si avvicinò correndo –   È una splendida notizia! Finalmente sarai promosso a generale di divisione! »
«Mi dispiace frenare il vostro entusiasmo ma… non ho catturato il cavaliere nero »
«Cosa?! Mi stai forse mentendo?! Stai proteggendo quel ladro?! »
«Non sto proteggendo nessuno! Io ho visto il vero cavaliere nero e quello che abbiamo catturato non è l’uomo che ho visto  »
Oscar lo guardò con aria di sfida, già stanca di quella conversazione ma l’uomo si infuriò di fronte la sua sfacciataggine.
«Fammi passare! Mi basta vederlo per capire se è il cavaliere nero o meno! »
L’uomo si avvicinò minaccioso alla porta della stanza dove alloggiava Bernard ma Oscar lo anticipò: si fermò davanti la porta allargando le braccia, impedendo al genitore di entrare nella stanza.
«Non ci sono prove »
«Oscar ma… disubbidiresti a tuo padre? »
«Allontanatevi da questa porta immediatamente. Non sono io quello che deve dare spiegazioni delle proprie azioni in questa famiglia »
 
Il generale sospirò stringendo il panciotto tra le mani, accarezzandone con la punta delle dita i dettagli color oro. Madame Jarjayes stava seduta di fronte la scrivania del marito, muovendo nervosamente il ventaglio che aveva tra le mani, in attesa delle sue parole. Oscar stava qualche passo dietro la madre, in piedi, e non aveva tolto lo sguardo dal padre per tutto il tempo.
«È arrivato solo questo? »
Disse l’uomo senza alzare lo sguardo verso la sua famiglia, Oscar sussurrò un semplice no.
«Capisco »
«Come l’hai conosciuta? Come… hai… ? »
Chiese madame fingendo tranquillità, dentro di lei in realtà si agitavano sentimenti molto più forti che si mischiavano tra di loro senza che lei potesse fare nulla. Provava odio, tristezza, delusione, indignazione, vergogna… non avrebbe più avuto il coraggio di guardarlo in faccia nello stesso modo. Credeva che il loro rapporto fosse diverso, che in fondo fossero speciali rispetto il resto della classe nobiliare francese ma non era vero. Era tutta una menzogna.
«Era una cameriera di Versailles, non sapevo fosse incinta »
Fu la sua giustificazione e madame si alzò di scatto, piena di rabbia che aveva represso per troppo tempo dentro di sé e iniziò a camminare lungo tutto il perimetro dello studio del marito. Oscar guardò lo scambio di parole che si susseguirono tra i due come uno spettatore lontano, come se lei non fosse veramente in quella stanza. Gridavano tra di loro, non li aveva mai visti o sentiti litigare. Oscar si sedette lentamente su una poltrona poco distante, tenendo la testa tra le mani esausta.
«E ora cosa pensi di fare con quel bambino? »
«È un bastardo, non avrà niente »
«Oh no… questo non te lo permetto! Hai già rovinato la vita alla nostra figlia più piccola e non ti permetterò di giocare con lei ancora! Ora hai il tuo erede maschio! Un vero uomo! Fallo diventare come te ma lascia stare Oscar! »
«Georgette come osi »
«Oso eccome! Per più di venti anni ho accettato questa tua assurdità perché mi sentivo in colpa per la morte di Auguste2 e ti ho lasciato fare tutto quello che volevi con Oscar ma ora mi sono stancata! Hai il tuo erede, goditelo! Io ora voglio solo avere in cambio quella bambina che mi hai strappato dalle braccia poco dopo averla partorita! »
«Io non sono un burattino! »
 
1= Oscar e Bernard si sono incontrati già in un’osteria, nell’anime infatti si può notare spesso il giornalista accanto Robespierre durante le prime apparizioni di quest’ultimo;
2= vedi capitolo 2. Auguste è il primo figlio maschio dei Jarjayes, morto pochi giorni dopo il parto, un anno prima di Oscar. Ovviamente è un personaggio inventato.

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Capitolo 5
*** Spade e rose ***


Oscar si stese sul letto esausta; erano stati giorni lunghi e pesanti, il suo fisico era provato e la sua testa era sul punto di esplodere. Si girò tra le lenzuola, stringendo al petto uno dei numerosi cuscini e vi nascose il viso.
Burattino dei nobili.
Era vero.
Lei lo era, lo era sempre stato.
Si era lasciata manovrare da suo padre, dalle imposizioni nobiliari, dal suo stesso lavoro. Non era libera come credeva di essere rispetto le altre donne, al contrario lei era la più plagiata, la più corrotta. Bernard aveva completamente ragione su di lei ma ora cosa le sarebbe successo? Maurice… era realmente suo fratello. Come avrebbero reagito le sue sorelle? Come avrebbe reagito tutta Versailles? Ma soprattutto… perché all’improvviso tutto questo le sembrava così importante? Non aveva mai dato peso ai pettegolezzi, alle varie dicerie ma in quel momento si sentiva fragile, forse troppo, ed era sicura che sarebbe bastato poco per ferirla.
Pianse quasi tutta la notte, non si sarebbe presentata a Versailles il giorno dopo, non in quello stato. Uscì dalla sua stanza alle prime luci dell’alba, pallida e con gli occhi rossi e lucidi, per prendere un po’ di aria fresca, sentiva di averne il disperato bisogno.
Doveva mettere in ordine le idee, ora non aveva la più pallida idea di cosa fare. Suo padre… era convinta che lui in realtà sapesse dell’esistenza del bambino e che l’avesse tenuto nascosto per evitare il disonore. Onore…
Si sedette su una delle panchine di marmo, abbracciando le ginocchia al petto, e guardò i primi raggi del sole che rischiarivano il cielo notturno oltre le grandi siepi e alberi che abbellivano il giardino del palazzo.
«Cosa ci fai sveglia a quest’ora? »
Oscar sussultò e si girò di scatto, trovandosi André poco lontano da lei.
«Oh, sei tu »
«Non volevo spaventarti, mi dispiace… »
Oscar scosse il capo sorridendogli appena poi poggiò la mano sulla parte vuota della panchina, invitandolo a sedersi al suo fianco.
«Potrei dire lo stesso anche di te, André… »
«Notte insonne… credo lo stesso anche per te »
Lei annuì lentamente senza voltarsi a guardarlo. Lui la osservò con la coda dell’occhio, senza farle domande. Aveva pianto, forse per Fersen pensò lui. Dalla notte del ballo lei sembrava non parlarne più, né lo cercava tra la folla, non sapeva esattamente cosa fosse accaduto alla festa ma visto il risvolto avuto fu felice.
«Maurice è davvero mio fratello »
André si girò verso di lei e le notò le lacrime scendere lente sulle sue guance.
«Oh… capisco »
«E ora… non so davvero cosa fare… o come comportarmi »
«Oscar »
«Mi sento così male perché sono felicissima che lui sia mio fratello, da quando l’ho visto entrare ho sperato sempre che lui lo fosse ma ora… oh mi sento così stupida ora »
Oscar rise amaramente, coprendosi gli occhi con la mano. André chinò il viso verso di lei sorridendole.
«Non sei stupida, sei un essere umano. Tutte le tue certezze sono crollate come castelli di carta, è una reazione normale. Maurice ti vuole un bene dell’anima, non lasciare che la paura del futuro distrugga il tuo rapporto con lui. E non avercela neppure con tuo padre, è un uomo d’onore ma non un mostro, non ti abbandonerà mai solo perché ha trovato un altro giocattolo con cui passare il tempo »
«Sei così caro, André »
Oscar poggiò il capo sulla spalla dell’amico, asciugandosi rapidamente le lacrime. Lui si girò a guardarla con un sorriso.
«Sono davvero fortunata ad averti accanto »
«Addirittura…! »
André rise, poggiando la mano sulla spalla della donna per avvicinarla di più a sé e restarono così, a vedere il sole sorgere.
 
«Maurice, il padrone ti vuole nel suo studio »
Il bambino si girò verso la porta della cucina dove, insieme a Loulou, stava facendo colazione. Oscar abbassò lo sguardo, continuando a bere la tazza di cioccolata calda che aveva fatto la governante.
«Ti senti meglio? »
Aveva sussurrato André senza farsi vedere da nessuno e lei annuì, sorridendo appena.
«Devo preparare i cavalli? »
Chiese lui a voce più alta questa volta, con tutta naturalezza mentre posava sulla tavola un piatto di biscotti per farli mangiare ai bambini.
«No, oggi non andremo a Versailles »
«Come vuoi »
«Oscar! Oscar! »
Maurice tornò nella cucina correndo, felice come una Pasqua urlando il nome della donna. Oscar si alzò di scatto preoccupata ma quando vide il piccolo davanti la porta della cucina non riuscì a dire una singola parola che Maurice si era buttato tra le sue braccia, ridendo e piangendo allo stesso tempo.
«Mi ha accolto! Sono tuo fratello! Mi ha accolto! »
Continuava a ripetere emozionato e lei lo strinse a sé, sotto gli occhi di tutta la servitù, commossa.
 
«Quello che ha fatto tuo padre… non ha nulla a che vedere con Maurice. Quel bambino è così dolce che non riuscirei ad essere arrabbiata con lui per più di due secondi! Si vede che non ha preso dal padre… »
Madame Jarjayes guardò fuori la finestra della sua stanza per alcuni istanti per poi tornare a guardare la figlia. Oscar stava seduta su una piccola ottomana ai piedi del letto, con il capo poggiato su una delle colonne del baldacchino e con lo sguardo perso nei suoi pensieri.
«Non so se lo perdonerò mai »
«Lo farete invece perché lo amate madre, più di ogni altra cosa al mondo »
Disse Oscar sfogliando il libro posato poco distante da lei, senza leggerne neppure il titolo. Madame si girò verso la figlia e sospirò amaramente, sapeva che in fondo la figlia aveva ragione.
«Dobbiamo dirlo alle tue sorelle… domani invieremo una lettera a tutte e le diremo di venire qui per una questione urgente »
«Credo che Loulou abbia già informato Ortence di tutto »
«Probabile, ma dobbiamo informare anche le altre… Oscar? »
Oscar alzò il capo verso la madre e  la vide sedersi al suo fianco, prendere le sue mani e stringerle tra le sue dolcemente.
«Tesoro… tu cosa hai intenzione di fare? »
«Non lo so, forse dovrei abbandonare la guardia reale ma non so se sono pronto a lasciare tutto, così, d’improvviso… »
«Vorresti sposarti? Formare una famiglia? »
Oscar si alzò rapidamente, allontanandosi dalla madre come se la sua vicinanza l’avesse bruciata, ed uscì dalla stanza.
 
«Cosa vuoi proporgli? »
«Di comprare i fucili che ha rubato, ad una modica cifra. Sono sicura che accetterà »
André alzò le spalle, non era convinto che il piano di Oscar avrebbe funzionato ma decise di non opporsi, sapeva quello che faceva e forse quel patto avrebbe giovato sia a lei che a Bernard.
Arrivati davanti la porta della stanza di Bernard, Oscar si fermò: sentiva Bernard e Rosalie parlare a bassa voce. Aprì appena la porta, loro non se ne resero conto. Sentirono il racconto di Bernard, figlio illegittimo di un nobile, prima accolto da quest’ultimo con amore insieme alla madre, poi cacciati via perché il padre aveva trovato un’altra donna. Lei, per la disperazione, si buttò nella Senna, con lui piccolo ancora tra le braccia.
«Invece tua madre fu investita dalla carrozza di un nobile… eri una ragazzina magra che gridava tra le lacrime “ammazzerò, ammazzerò tutti i nobili”… dopo una decina d’anni, non posso ancora dimenticare come eri allora… »
Anche André, qualche passo dietro Oscar, stava guardando la scena: Bernard stringeva la mano di Rosalie, con le lacrime agli occhi, ancora steso sul letto per via della ferita e Rosalie era seduta accanto a lui.
«Posso… innamorarmi di te? »
Oscar sgranò gli occhi e socchiuse appena le labbra, Rosalie sorrise rossa in viso e annuì lentamente. Bernard allora le prese delicatamente i polsi, avvicinandola a sé e la baciò dolcemente.
André chiuse la porta lentamente, cercando poi lo sguardo di Oscar. Entrambi sorrisero. La loro piccola Rosalie era innamorata.

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Capitolo 6
*** Anelli ***


«Quel bambino… è tuo fratello »
«A quanto pare sì »
Bernard alzò le sopracciglia e guardò il bambino da fuori la finestra giocare con Loulou spensierato, come solo quando si è bambini si può essere.
«E tu sei una donna »
«Fino a qualche settimana fa per mio padre non lo ero »
Disse schietta Oscar, pentendosi un secondo dopo di aver espresso quel pensiero ad alta voce, soprattutto davanti uno sconosciuto, si morse il labbro. Bernard rise, posò una mano sulla benda che gli stringeva il petto e fece una smorfia.
«Ti fa ancora male? »
«Solo se mi muovo troppo, forse non si è ancora rimarginata del tutto la ferita… sei brava a sparare »
«Non ho nulla di cui potermi vantare, ti ho sparato alle spalle. Va contro ogni mia morale »
«Ho pensato all’offerta che mi hai proposto. Non pagherò per quei fucili »
Oscar si voltò a guardare l’uomo con disappunto. Aveva sperato fino all’ultimo una risposta positiva da parte dell’uomo ma ne era rimasta lo stesso delusa. Bernard fece una smorfia, infastidito.
«Allora domani tornerai a Parigi »
«Cosa?! »
Bernard si mosse rapido dal letto ma una fitta lo colpì al petto e si dovette fermare. Alzò lo sguardo verso la donna, era seria in viso.
«Non mi hai sentito? Ho detto che domani sera ti preparo la carrozza, per cui torni a Parigi »
Disse Oscar scandendo le parole, come se stesse parlando ad un bimbo di tre anni. Bernard la guardava sconvolto, era questo il suo piano? Era per questo che lei non l’aveva consegnato?
«Tu… mi vuoi far fuggire… »
«Ci sono delle condizioni: non farai più il ladro. Non so quali sono i vostri piani, e non mi interessano, ma pensate ad un altro modo »
La donna alzò le spalle con un sorriso, lui si infuriò.
«Mi vuoi dare degli ordini?! Sono affari nostri! Stiamo solo recuperando quello che i nobili ci hanno rubato! »
«Capisco il tuo ragionamento e lo comprendo, devi credermi. Però… se tu continui a rubare, io dovrò darti la caccia e non mi va tanto, ti sono sincera »
Sentirono la porta aprirsi, Oscar girò appena il capo e guardò Bernard. La rabbia sul suo viso sparì subito e un piccolo sorriso comparve sul suo viso. Colse l’occasione al volo.
«E poi… non voglio che la mia cara Rosalie sposi un ladro »
Entrambi si voltarono di scatto verso di Oscar, stupiti. La donna sorrise dolcemente, alzandosi dalla sedia per guardare Rosalie rossa in viso che, per la sorpresa, aveva fatto cadere il vassoio che aveva tra le mani
«O-Oscar… »
«Colonnello… »
Bernard si alzò lentamente dal letto, non con poca fatica, e raggiunse Rosalie posando le mani sulle spalle della ragazza.
«Allora è deciso! Domani sera si parte… sempre che Rosalie sia d’accordo »
Rosalie si voltò a guardare l’uomo alle sue spalle emozionata, non avrebbe mai immaginato che Oscar avrebbe acconsentito alla loro unione. Era stata una sorpresa anche per Bernard, non avrebbe mai immaginato che tra i nobili potessero nascondersi delle persone buone e oneste. Lei aveva capito, aveva compreso e accettato le sue idee, pur non condividendole appieno. Allora c’era ancora qualche possibilità per la Francia intera? Se solo esistessero più persone come voi, Oscar François! Pensò Bernard.
«Vuoi venire con me? Come sposa del giornalista Bernard Chatelet? »
«Sì! Saremo felici! »
 
«Così Rosalie partirà con Bernard… sono una bella coppia »
André rise appena, sedendosi accanto ai bambini mentre mangiavano alcuni biscotti nella cucina del palazzo. Oscar sorrise, le sarebbe mancata tantissimo.
«Mi mancherà quella povera ragazza, era così dolce! Sempre con un bel sorriso sulle labbra e pronta a dare una mano! »
La governante sospirò, lasciandosi andare ai bei momenti vissuti insieme. Loulou si girò verso André, poi verso la zia sconvolta.
«Cosa?! Rosalie va via? Ma lei è la mia migliore amica!... senza offesa eh! »
Disse Loulou guardando la sua bambola sotto lo sguardo divertito di Oscar, André e Maurice.
 
«Zia Oscar, posso farti una domanda? »
«Certo, entra pure »
Loulou era comparsa d’improvviso dietro la porta della sua stanza, con quei suoi capelli riccissimi e quei grandi occhi azzurri che la scrutavano attentamente. Fece qualche passo verso di lei, stringendo la bambola che aveva sempre con sé al petto e senza mai allontanare lo sguardo da quello della zia. Oscar spostò appena la sedia dallo scrittoio, intenta a scrivere alcune lettere e la guardò attentamente, aspettando che prendesse parola.
«Ora che Maurice fa parte della famiglia… cosa ti accadrà? »
«È una domanda che si pongono molti vedo »
Disse con finto stupore, storcendo il naso.
«Forse anche troppi »
Rispose la nipote, sedendosi sulla poltroncina poco distante. In quel momento Oscar non vide più la bambina monella che era solita essere la piccola Loulou: forse erano quei raggi sottili che penetravano il tessuto della tenda che, posati sul viso delicato e sulle vesti della piccola, la facevano sembrare un piccolo angelo. Anche il suo viso non aveva più la sua solita malizia, quella dei bambini, ma al contrario le sembrò matura tutto ad un tratto.
Non sapeva se esserne felice o spaventarsi.
«Io sono felice che Maurice sia qui, almeno gioco con qualcuno e non sono sola tutto il tempo però… è strano. Potrebbe essere mio fratello, invece che il tuo, ma è mio zio. Conoscendo il  nonno… non vorrà lui come erede? E se sceglierà lui… cosa farai? Tu sei sempre stata la mia zia preferita proprio perché sei diversa dalle altre e non voglio che tu cambi! »
«Oh Loulou… »
«Lo pensano tutti! Anche André è d’accordo con me! »
Oscar sussultò, André la pensava come lei? Temeva che sarebbe cambiata con l’arrivo di Maurice? No, non l’avrebbe permesso. Sentì una stretta al petto, perché si sentiva così? Non voleva cambiare la sua vita ma sapeva che, alla fine invece tutto sarebbe cambiato, a partire dal suo rapporto con il suo… migliore amico?
«Loulou io… non so cosa accadrà in futuro, né se Maurice sarà effettivamente l’erede dei Jarjayes »
«Ma il nonno »
«Mio padre l’ha riconosciuto, è vero, ma non è detto che lui prenderà… ecco “il mio posto”. E poi, anche se fosse… perché dovrei cambiare? Non posso continuare ad essere un soldato? Non posso continuare la mia vita come ho sempre fatto? »
«Zia ma… »
«Ascolta Loulou non »
«Ascoltami tu! Ti sono venuta a chiedere questa cosa perché ho sentito il nonno e la nonna discutere del tuo matrimonio! »

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Capitolo 7
*** Cognac e cristalli ***


Oscar guardò l’orologio a dondolo, erano le cinque del pomeriggio. Stava facendo compagnia al fratello, rispondendo a tutte le domande che le faceva riguardo Versailles, era molto curioso!
Il generale aveva deciso che l’avrebbe presentato a corte il prima possibile, lasciando però il compito di educarlo al precettore che aveva seguito Oscar e André anni prima. Oscar l’aveva licenziato in tronco, non voleva che gli insegnamenti di quell’uomo all’antica influenzassero il pensiero del fratello e aveva deciso, di sua spontanea volontà, di occuparsi lei stessa della sua formazione.
A tavola gli aveva insegnato come usare le posate, nei pomeriggi liberi invece gli insegnava come usare la spada oppure gli insegnava a leggere. Maurice apprendeva in fretta ed era avido di conoscenza, quindi non le pesava affatto e le rendeva facile il suo “lavoro”.
Ora riposavano nel grande soggiorno in compagnia di Loulou e André: l’uomo stava leggendo un libro alla contessina che, rapita, non osava interromperlo mentre lei insegnava al fratello a giocare a scacchi.
«Allora Loulou? Ti è piaciuta la storia? »
«Tantissimo André! Tu sembri tanto il principe della storia! E a guardarti meglio… sei proprio un bellimbusto! »
André alzo un sopracciglio ridendo, Maurice si girò ridendo, Oscar restò con la pedina del cavallo nero in mano e si girò a guardare anche lei i due.
«Non c’è bisogno di guardarmi meglio per capirlo »
Disse lui fingendosi offeso e Loulou nascose il viso, ridendo entusiasta. Oscar si fermò ad osservare il profilo dell’amico e sorrise, senza neppure rendersene conto.
«Sai André io non bado alle differenze di ceto in amore! »
«Loulou »
André la guardò come se volesse rimproverarla ma non riuscì a non sorridere, anche se quella frase lo fece sentire un po’ a disagio. In più, aveva notato con la coda dell’occhio che Oscar lo stava guardando, forse già da un po’, e si sentì lusingato da tanta attenzione da parte delle donne Jarjayes/Loréncie.
Entrò una cameriera, Oscar non diede peso alle sue parole e acconsentì solo, poi si decise ad allontanare lo sguardo da André. Era forse impazzita? Eppure aveva trovato così piacevole l’armonia del suo viso.
«Oscar! Come state? »
Oscar sussultò, fece cadere la pedina che aveva ancora tra le mani e si girò di scatto verso la porta, sorpresa.
«Fersen ma… che piacere avervi qui… »
Forzò un sorriso, perché non aveva dato ascolto alla cameriera? André la guardò e la gioia che aveva provato fino a quell’istante svanì nel nulla. Per qualche istante aveva preferito illudersi riguardo lo sguardo sereno di Oscar ma ora… lei era scattata al sentire la voce del conte svedese, felicemente sorpresa della sua visita.
Loulou guardò André, poi Maurice.
«Chi sono questi bambini, vostri nipoti? »
Chiese lo svedese guardando i due bambini con un sorriso. Oscar, che nel frattempo si era alzata e si era avvicinata a lui, deglutì a vuoto. Doveva dirglielo subito? L’avrebbe scoperto prima o poi.
«Lei è Loulou De la Loréncie, figlia di mia sorella Ortence mentre lui… »
Fece un istante di pausa, Maurice si alzò dalla sedia e fece un piccolo inchino, come gli aveva insegnato Oscar.
«Oscar… »
«Lui invece è mio fratello, Maurice Auguste De Jarjayes »
Fersen sgranò gli occhi, guardando il viso di entrambi, sconvolto. André rise, aveva un’espressione ebete in viso.
«Vostro… fratello? »
«Sì »
«Vi… somigliate molto, è incredibile… si direbbe quasi che sia »
«No, non è mio figlio »
«Ne sono certo, ma non potete negare l’evidenza! »
Disse lui ridendo, mettendo però in imbarazzo Maurice.
«Conte a cosa dobbiamo questa piacevole visita? »
Intervenne André sorridendo al conte, cercando di cancellare l’imbarazzo che aveva creato con quella frase.
«Era da un po’ di tempo che non incontravo Oscar e mi stavo sinceramente preoccupando, pensavo che mi stavate ignorando deliberatamente! »
“Oh non sai quanto hai ragione”
Pensò Oscar ma preferì tenerselo per sé.
«Poi stamattina mi sono detto perché non vado a farle visita? Ed eccomi qui »
«Come avete potuto anche solo pensare che io vi abbia voluto ignorare? Le ultime settimane sono state un po’, come dire, movimentate, non so se mi spiego »
«A corte non si fa che parlare del cavaliere nero, sapete ultimamente non sta rubando più nulla »
Oscar e André si scambiarono uno sguardo rapido d’intesa, nessuno aveva sospetti. Loulou tirò Maurice per la manica, costringendolo a seguirla fuori dal salone.
«Andiamocene, io i discorsi dei grandi sono troppo complicati! »
«Loulou fa attenzione! »
Le urlò contro Oscar ma non era sicura che l’avesse effettivamente sentita. Sbuffò, portandosi la mano al viso e rise appena, tornò a guardare il conte.
«Perché non ci delizia della vostra compagnia a cena? »
 
«Come sta vostra sorella? Spero bene »
«Benissimo, è partita per la Svezia qualche giorno fa. Ha trovato questo paese incantevole ma era troppo per lei. Noi svedesi non siamo abituati a tutto questo lusso che invece qui in Francia abbonda »
«Non per altro siamo la corte più scandalosa di Europa »
Ironizzò Oscar, versando un po’ di cognac in due bicchieri di cristallo. A cena avevano parlato del più e del meno, il generale fu felice di incontrare lo svedese anche se Oscar sapeva bene che il padre in realtà sopportava poco la sua presenza. Il conte sorrise, guardandola di nascosto.
Erano soli nel grande salone – André non li aveva seguiti, aveva preferito aiutare la nonna nelle cucine insieme a Loulou e Maurice –  Oscar porse a Fersen il bicchiere di cognac e lui la ringraziò, invitandola ad un brindisi.
«Alla nostra felicità! »
«Alla nostra felicità… »
La donna mandò giù in un sorso il cognac, sospirando. Aveva creduto che la sua presenza l’avrebbe turbata e che si sarebbe sentita a disagio per tutto il tempo e fu sollevata e allo stesso momento stupita che, al contrario, si sentiva tranquilla. La notte del ballo le sembrava in quel momento così lontana eppure il ricordo riusciva in qualche modo a destabilizzarla. Guardò con sguardo perso il liquido ambrato rimasto sul fondo del bicchiere.
«Oscar… »
«Sì? »
Il conte si alzò dalla poltrona lentamente, avvicinandosi a lei con altrettanta lentezza. Oscar drizzò le spalle,
sorpresa. Aspetto con pazienza che l’uomo prendesse parola, eliminando quel silenzio imbarazzante che si era creato tra di loro, ma lui la raggiunse, inginocchiandosi accanto la sua poltrona.
Fersen la guardava intensamente ma il tremore delle sue mani tradivano la sua sicurezza, cosa voleva fare?
«Fersen voi… vi sentite bene? »
Chiese sinceramente preoccupata . L’uomo allungò la mano verso il suo viso, allontanando alcune ciocche di capelli per poi raccoglierli dietro la sua testa. Sgranò gli occhi, allontanò rapida il viso e si alzò con tanto furore che la poltrona si ribaltò, producendo un forte tonfo. Indietreggio appena, lui nel frattempo si era alzato ed era in piedi davanti a lei.
«Ma allora… eravate voi? »
«Cosa diavolo avete intenzione di fare? »
Cercò di restare ferma, l’aveva capito? Aveva intuito che era lei la donna con cui aveva ballato quella sera? Corrugò appena la fronte, sentiva il cuore batterle con violenza nel petto.
«Quella sera… sono stato uno stupido… non lo sapevo… »
«Non vi seguo, cosa non sapevate? »
«Eravate voi quella donna vero? Al ballo della principessa di Condé? »
Oscar si irrigidì ma sentì il proprio viso imporporarsi leggermente. Finalmente ci era arrivato, ma oramai non aveva più importanza. Sospirò.
«Sì »
«Voi provate qualcosa per me? »
Restò in silenzio, come avrebbe potuto rispondergli? Non lo sapeva neanche lei: forse sì, forse no ma di una cosa era certa, il sentimento che aveva provato per lui era svanito, poco a poco, dopo il ballo. Scosse appena il capo.
«Siate sincera con me… »
«Lo sono, per voi provo solo un grande affetto »
Ed era vero! Come poteva non sentire più le farfalle nello stomaco quando era vicina a lui? Dov’erano finite quelle palpitazioni, quell’imbarazzo…
Non seppe come ma si ritrovò spalle al muro e l’uomo l’aveva bloccata, impedendole di scappare, stringendo i polsi della donna contro la parete.
«Allontanatevi… mi state spaventando »
«Ho bisogno di capire Oscar »
«Capire cosa? Mi sono vestita da donna per partecipare ad un ballo per sentirmi per una volta sola nella mia vita tale. Ecco cos’è successo. Voi eravate… disponibile e… ho approfittato della nostra amicizia, perché sapevo di potermi fidare di voi ma ero troppo imbarazzata per poter anche solo parlare! Ora lasciatemi andare o chiamo aiuto! »
«Oscar voi »
«Lasciatemi! »
La porta del salone si spalancò d’improvviso, André entrò nella sala spaventato dal rumore provocato dalla poltrona che giaceva a terra di fronte a lui. Girò il capo e appena vide il conte bloccare Oscar contro la parete la rabbia gli annebbiò i sensi e, senza pensarci due volte, si avvicinò al conte tirandogli un pugno in pieno viso, facendolo cadere rovinosamente a terra.
«André! Fermati! »
Oscar si posizionò di fronte all’amico e gli prese le mani, permettendo al conte di alzarsi e impedendo ad André di picchiarlo ulteriormente. André sembrò quasi non voler dar peso ad Oscar e la tentazione di pestarlo a morte era molto forte.
«André! »
«Ti ha bloccato contro la parete! »
«Me lo meritavo, non vi preoccupate Oscar »
«Non è successo nulla! Calmati, il conte se ne sta andando »
Oscar si girò appena verso Fersen e lo gelò con lo sguardo e lui, in silenzio, annuì.
Con un fazzoletto si ripulì il labbro rotto e sentì dolore alla mascella ma non si lamentò, si alzò piano da terra e con un leggero cenno del capo si congedò, lasciandoli soli, sotto lo sguardo di fuoco di André.
«Lo hai protetto! »
«Non ho protetto nessuno! Non è successo nulla, te lo giuro »
«Ho temuto che ti avesse fatto del male o che lui… diamine, Oscar cosa ci facevi contro il muro?! »
«Sto bene… »
André sospirò, le sue mani continuarono a tremare e Oscar le strinse di più alle sue. L’uomo abbassò il capo mortificato, realizzando il fatto che colpire un nobile non era mai una cosa saggia.
«Se lui ti avesse fatto qualcosa contro la tua volontà io non me lo sarei mai perdonato… sarei dovuto restare con voi, non avrei dovuto lasciarti sola »
«Non è successo nulla, come te lo devo dire –  gli disse sorridendo –?  Puoi tranquillizzarti. Ti ringrazio per essere intervenuto… e per avergli dato un pungo. Se lo meritava »
Oscar rise appena e lui, finalmente tranquillo, rise con lei.
“Oscar… quando vorrai capire che per me vali più di ogni altra cosa al mondo?”

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Capitolo 8
*** Novità ***


«Maurice domani andremo a Versailles, spero che tu sia pronto »
Il generale parlò duramente al bambino, il quale però non fu intimorito dal tono usato dal padre, al contrario Maurice annuì rapido e gli rispose con altrettanta durezza. Oscar sorrise.
«Sono pronto padre, non vi deluderò »
Oscar guardò fuori dalla finestra dello studio del padre e sospirò appena. Le sue sorelle avevano risposto tutte alle lettere che la madre aveva loro inviato e, se non vi fossero stati intoppi, tra qualche giorno tutte sarebbero state presenti a villa Jarjayes. Non aveva voglia di incontrare le sue sorelle, non aveva avuto con loro un grande rapporto se non con Ortence e Josephine, le più grandi della famiglia.
Non riusciva ad immaginare come avrebbero reagito alla notizia di Maurice. Forse ne sarebbero state felici oppure la notizia non le avrebbe toccate minimamente. Tutto poteva essere.
«Ora potete andare »
Oscar raggiunse il fratello e, posando le mani sulle sue spalle, lo invitò a seguirlo fuori dallo studio. Maurice abbassò il capo e seguì silenzioso la sorella.
 
«Generale è un piacere per noi rivedervi qui a corte. Era da un po’ che non vi si vedeva, spero che non sia successo nulla di grave »
Marie Antoniette guardò con un sorriso il generale, scambiando prima uno sguardo con la sua dama di compagnia. La sovrana si alzò dalla poltrona con estrema eleganza, avvolta nel suo vestito avorio ricco di fiorellini sia sul corpetto che le stringeva eccessivamente il seno sia sulla gonna. Maurice guardò con occhi sgranati la sovrana, non era così che l’aveva immaginata.
Tutto il popolo diceva cose orribili su di lei e ora che si trovava davanti a lei non sapeva se fidarsi del popolo o di quella sconosciuta che regnava il suo paese.
«Vostra maestà, vi ringrazio per aver accettato di incontrarmi »
Oscar e Maurice stavano pochi passi dietro il genitore. Maurice si guardava in giro stupito, il palazzo sembrava ricoperto d’oro tanto che luccicava sotto la luce del sole. Oscar sorrideva nel vedere il fratello così emozionato anche se temeva la reazione della corte che, vedendolo insieme a lei e al genitore, urlava già lo scandalo.
Non sarebbe riuscita a proteggere suo fratello dalle malelingue, era impossibile.
«Non capisco però come mai abbiate chiesto un udienza privata »
Il concetto di privato, forse, era estraneo a Marie Antoniette, pensò Oscar guardando la stanza piena di cortigiani.
«Vostra maestà vorrei presentarvi mio figlio, Maurice Auguste de Jarjayes »
Il mormorio si zittì d’improvviso e tutti i cortigiani si voltarono verso i tre Jarjayes. Marie Antoniette per la sorpresa fece cadere il ventaglio che aveva tra le mani e guardò rapida Oscar in viso che, seria, non lasciava trasparire alcuna emozione.
Il Generale si voltò verso Maurice e con un cenno del capo lo invitò a fare qualche passo avanti. Maurice si avvicinò alla sovrana e con grazia si inchinò, presentandosi ufficialmente alla corte di Versailles.
«Vostro figlio…? »
«Sì vostra maestà. Io e la mia consorte abbiamo tenuto nascosto nostro figlio per troppo tempo e abbiamo deciso di presentarlo ufficialmente alla corte e a voi, vostra maestà »
Oscar assottigliò lo sguardo, il padre avrebbe fatto di tutto per nascondere ai nobili che Maurice era in realtà  un figlio illegittimo e gli fece pena.
Lo sguardo di Oscar si incontrò con quello di Fersen che fino a quell’istante non aveva notato e l’uomo le sorrise appena, ma lei allontanò lo sguardo.
«Inoltre… »
Continuò il padre e Oscar drizzò le spalle, non aveva finito? Avrebbe voluto tanto tornare in caserma per l’addestramento giornaliero, allontanarsi per un istante dalla realtà e pensare solo ai suoi soldati. Probabilmete suo padre voleva organizzare un ballo in suo onore, alzò gli occhi al cielo solo al pensarci.
La sovrana alzò lo sguardo verso il generale e curiosa, aspettò che l’uomo riprendesse parola.
«Sono qui per annunciarvi il fidanzamento della mia sesta e ultima figlia con il duca  Adrien Joseph de Bourbon-Condé1»
Oscar impallidì di colpo e per un istante credette di non avere più la terra sotto i piedi. Restò pietrificata, sotto lo sguardo stupito degli altri presenti in sala e di Maurice che, sconvolto, si era girato subito verso di lei. Iniziò a tremare, suo padre l’aveva colta di sorpresa davanti alla corte per impedirle di annullare in qualche modo il fidanzamento. Si voltò di scatto verso il padre, cercando il suo sguardo ma lui sembrò ignorare la figlia.
«Oh… quante sorprese ci portate oggi generale »
Disse Marie Antoniette notando l’espressione dell’amica e si sentì davvero triste per lei. Oscar non era stata educata per essere una moglie ma per essere un soldato, per dare ordini non riceverli. Oscar dall’altra parte stava cercando tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a Versailles, per non dare la soddisfazione a suo padre di vederla crollare.
«Quando sarà il matrimonio Generale? »
La voce viscida della contessa di Polignac la fece rabbrividire. Girò appena il viso per guardarla e notò la sua gioia trasparire da quell’espressione soddisfatta che aveva in volto. Sentì lo stomaco distorcersi per il disgusto, allora Loulou aveva ragione? Si sentiva pugnalata alle spalle. Oscar allargò il colletto della giacca della divisa, non riusciva quasi a respirare dalla rabbia e si sentiva la febbre.
«La data è ancora da stabilire ma sarà entro il mese prossimo. Sempre che le vostre maestà approvino l’unione »
Un mese? Aveva solo un mese per impedire quel dannato matrimonio? Voleva uscire da quella stanza, il prima possibile. Avrebbe voluto André al suo fianco ma lui, sotto ordine del generale, era rimasto alla villa, e ora aveva capito il motivo. Avrebbe voluto piangere.
Non appena Marie Antoniette li congedò, lei uscì rapida dalla stanza.
 
«Dove stai andando Oscar? »
«Dai miei soldati padre »
Disse senza voltarsi a guardarlo, la sua presenza la disgustava. Il generale la precedette, fermandola prima che facesse il suo ingresso nella caserma della guardia Reale e Oscar lo guardò con odio. L’uomo non si lasciò intimidire e, serio, parlò.
«Dobbiamo tornare alla villa. Oggi conoscerai il tuo futuro marito »
«Oh vi sbagliate, io non mi sposerò »
«Invece lo farai, come hanno fatto le tue sorelle e tutte le donne di Francia »
«Io non sono come le mie sorelle o come tutte le donne di Francia. Sono stata educata per diventare un soldato non per indossare corsetti o suonare il clavicembalo. Mi sono sempre ritenuta fortunata ad essere cresciuta come un uomo perché mi sono sentita libera e VIVA. Perché voi… perché io non posso continuare la mia vita come se non fosse successo nulla? »
«Perché ora c’è Maurice a prendere il tuo posto »
«Maurice è troppo piccolo per prendere il mio posto! »
«Maurice è un uomo, quello che tu non potrai mai essere »
Detto questo, il generale si avviò verso la vettura e Oscar abbassò il capo, sconfitta. Non sapeva come rispondergli. Avrebbe tanto voluto odiare anche lui ma Maurice, al contrario del padre, sembrava capire quello che la sua venuta aveva portato con sé. Lui teneva il capo basso e lei posò la mano sulla sua spalla
«Oscar io... mi dispiace »
«Non è colpa tua Maurice, non preoccuparti »
 Ma le lacrime le bagnavano le gote.
 

1= È ispirato a Louis V Joseph de Bourbon-Condé (1736-1818), generale e nobile francese. Ottavo e penultimo dei Principi di Condé (discendono direttamente dal re Luigi IX il Santo) era figlio di Louis IV Henri de Bourbon-Condé e della principessa Caroline de Hesse-Rheinfels-Rotenbourg. Fu anche duca di Borbone, duca d’Enghiem, duca di Guisa, duca di Bellegarde, gran maestro di Francia e pari di Francia.
Il "mio" Adrien Joseph è stato adottato dalla principessa di Condé nel 1753 quando lui aveva tre anni, ha avuto la stessa educazione del “fratellastro”, tra i quali c’è una differenza di 14 anni.

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Capitolo 9
*** Lui ***


Una volta a casa Oscar si recò subito nelle sue camere, evitando chiunque le si ponesse davanti. Non aveva voglia di vedere nessuno, voleva stare sola. Quando finalmente sentì le porte della sua stanza chiudersi dietro di lei, portò una mano alla bocca e scivolò contro il legno della porta, liberando lacrime di frustrazione.
Avrebbe voluto scappare lontano, anche a costo di non vedere più nessuno ma ne sarebbe davvero valsa la pena? Lei non sarebbe scappata, non avrebbe avuto senso. Sperava nel buon senso della regina e del re, se loro avessero approvato la loro unione lei non avrebbe potuto fare più nulla per impedire il matrimonio.
Sentì qualcuno bussare alla porta e le voci di alcune cameriere chiamarla, sbuffò. Avrebbe voluto urlare contro quelle cameriere di andare via e di lasciarla in pace ma si rese conto di non averne neppure la forza.
Sospirò, posando la fronte sulle ginocchia.
«Oscar… apri »
Portò la testa all’indietro, poggiandola alla porta e chiuse gli occhi. Il chiacchiericcio delle cameriere si zittì all’istante. Sorrise. Avrebbe voluto non farsi vedere con gli occhi rossi. Si alzò lentamente da terra e, coprendosi il volto con la mano, aprì la porta per poi allontanarsi subito.  André rimase ancora qualche istante fuori dalla sua stanza a guardarla, gli dava le spalle e stava togliendo lentamente la giacca della divisa, lanciandola poi a terra con rabbia. Chiuse la porta alle sue spalle.
«Oscar… »
«Mi devo sposare »
«Lo so »
«Non lo conosco neppure »
«E lui non conosce te… quel poveretto non sa cosa gli aspetta »
André alzò le spalle, fingendosi seriamente preoccupato per quel “poveretto”, Oscar si girò a guardarlo e non trattenne un sorriso. Si passò una mano sulle guance, eliminando le ultime tracce di lacrime e André le si fece vicino, lasciando una leggera carezza sul viso. 
«André… »
«Oggi a pranzo incontrerai tuo marito… così mi ha riferito mia nonna »
«È assurdo. Quando le mie sorelle si sono fidanzate avevano… quindici? Sedici anni e hanno accettato tutto come se fosse la cosa più naturale di questo mondo »
«Ti sembra surreale solo perché fino ad ora tu hai avuto una vita libera, sei stata cresciuta in modo diverso dalle tue sorelle. Non paragonarti a loro, non ne hai motivo »
«Tu sei l’unico che mi dice di non farlo »
André le sorrise appena, Oscar si allontanò da lui e raccolse la giacca rossa da terra, passando la mano sopra il tessuto ruvido e sulle medaglie. Sentì le lacrime pungerle gli occhi un'altra volta ma le ricacciò via subito, non voleva piangere ancora, non avrebbe risolto niente. Fece qualche passo verso il letto e notò poggiato con cura sul materasso, un abito semplice sui toni del verde pastello, nulla a confronto degli abiti che erano solite indossare sua madre o la regina. Era estremamente… semplice.
«Dovrei indossare questo? »
Oscar posò la giacca sul letto e prese il vestito tra le mani, sfiorando il tessuto morbido della veste, così diverso dalla divisa che fino a qualche istante prima aveva toccato. Doveva ammettere che il colore le piaceva molto, ma questo non significava che lei lo avrebbe indossato.
«Mia nonna mi ha chiesto di convincerti »
«E lo farai? »
«No, sarebbe inutile »
«Grazie… »
Oscar gli sorrise e André si sentì come sciogliere dallo sguardo dolce della donna. André la osservò mentre lei, curiosa, poggiò il vestito sul petto e, davanti allo specchio, si guardava con una buffa smorfia sul viso, come se stesse indossando l’abito più ridicolo al mondo. Nella sua mente però riusciva ad immaginarsela con quell’abito verde chiaro e i capelli raccolti, bellissima, mentre rideva dannatamente felice.
«È-È un suo regalo »
Disse cercando di allontanare l’immagine di lei nella sua mente con scarsi risultati.
«Capisco, inventerò una scusa »
«Sei… davvero sicura di non volerlo indossare? »
Oscar lo guardò attraverso il riflesso dello specchio e lo guardò incuriosita. André la guardava con aria triste.
«Cosa c’è? Vuoi davvero provare a convincermi? Non lo farò André »
«Neanche per… me? »
Le guance di Oscar si imporporarono leggermente, trovandosi senza parole. Oscar si voltò lentamente verso di lui cercando il suo occhi verdi e lui, quasi pentito di aver aperto bocca, fece un passo verso di lei.
«Oscar io »
«Signor Oscar, gli ospiti sono arrivati »
La voce della cameriera interruppe André che, mentalmente, maledisse la sfortunata cameriera e, senza aggiungere nulla, uscì rapido dalla stanza senza che Oscar potesse fermarlo.
 
«Spero che vostra figlia abbia accettato il dono che le ho fatto »
«Ne sono più che sicuro principessa, è un piacere avervi qui con noi oggi »
Oscar si fermò davanti la porta del salone dove i suoi genitori e la famiglia del suo futuro marito sedevano e parlavano vivacemente. Non era pronta a conoscere quell’uomo e nel profondo un po’ lo temeva. Si fece coraggio, non poteva avere paura di un avversario che non aveva mai visto. Aprì lentamente le porte del salone e tutti si girarono verso di lei.
Riconobbe Caroline de Hesse-Rheinfels-Rotenbourg, principessa di Condé, la stessa che aveva organizzato il ballo al quale aveva partecipato vestita da donna. Sperò con tutto il cuore che lei non la riconoscesse, anche se ora indossava la divisa. Era una donna meravigliosa, dal viso dolce e i lineamenti delicati. I capelli castani erano intrecciati in un’acconciatura semplice, cosa che però non si poteva dire del suo vestito. Aveva dei gusti davvero discutibili.
L’uomo al suo fianco doveva essere il figlio maggiore avuto con il duca Louis IV Henri de Bourbon-Condé, Louis V Joseph de Bourbon-Condé. Il suo sguardo la pietrificò, i suoi occhi scuri la fecero sentire a disagio. Lo aveva incontrato un paio di volte alla reggia, mai incontri piacevoli. Sì sentì terribilmente a disagio ma cercò di non farlo notare.
Di spalle, l’unico che ancora non si era voltato, era proprio il suo caro futuro maritino. L’uomo si alzò dalla poltrona e, con estrema grazia, si girò verso la donna, mostrando finalmente il suo volto.
«Madamigella… »
Oscar alzò il sopracciglio e lui, ora vicino alla donna, prese la mano di lei e la portò alle labbra, sfiorandone appena le nocche. In quel frangente, il duca non aveva distolto lo sguardo dal suo.
Non aveva gli occhi scuri come il fratello, di un marrone così scuro da sembrare quasi nero, i suoi occhi erano grigio chiaro e il suo sguardo era penetrante, magnetico. Il suo viso era armonico: gli zigomi erano pieni e ben marcati, le labbra carnose, il naso sottile. Ad incorniciargli il viso c’erano ciocche ribelli corvine che, con la pelle del viso leggermente olivastra, creavano un dolce contrasto con i suoi occhi color ghiaccio.
Avvertì un brivido.
«Duca »
Disse fredda ma questo non tolse al duca il sorriso.
«Vedo con rammarico che non indossate l’abito che mia madre aveva scelto per voi ma devo ammettere che la divisa da colonnello vi sta d’incanto »
Oscar assottigliò lo sguardo e fece un leggero sorriso, evitando di rispondere a quel… complimento?
«Siete un ufficiale… »
Notò lei guardando la divisa che indossava e solo in quel momento si rese conto di quanto il duca la sovrastasse in altezza.
«Sous-Lieutenant des armées du roi »
Puntualizzò lui con un sorriso e con una punta d’orgoglio nella voce, drizzando la schiena. Oscar deglutì a vuoto e si sentì nuovamente a disagio – cosa le prendeva? – davanti a lui ma non abbassò lo sguardo. Intorno a loro regnava il silenzio, sentiva addosso lo sguardo di tutti e soprattutto quello del padre. Si sarebbe aspettata di incontrare un babbeo, un donnaiolo che voleva conquistare rango e potere ma il solo nominare il cognome della famiglia la spaventava. I Condé discendendo dal re Luigi IX erano principi di sangue reale ed avevano una grande influenza non solo nell’esercito ma anche nella politica, secondi per importanza solo al casato D’Orléans.
Quindi non erano lì per arricchirsi, al contrario sembravano proprio loro i “babbei che volevano conquistare rango e potere”.
«Il matrimonio verrà celebrato tra un mese esatto qui, a Palazzo Jarjayes. Il nostro caro sovrano ha appoggiato la vostra unione ed è lieto di accogliere te, Oscar, nella sua famiglia, accanto a suo cugino »
Oscar si irrigidì, era davvero la fine? Poco dopo, alcune cameriere servirono il pranzo ma Oscar non riuscì a toccare cibo.

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Capitolo 10
*** Sorelle ***


«E il matrimonio non si può annullare in qualche modo? »
«Questo non lo so ma se dovessero annullarlo credo che per la zia sarà la fine. Tra i nobili, qualsiasi sia la causa dell’annullamento del matrimonio è sempre colpa della donna, quindi non so se convenga alla zia »
Maurice incrociò le braccia al petto pensando alle parole di Loulou.
«Quindi anche a noi verrà imposto un matrimonio? »
«Io so già chi sarà mio marito. Lo sposerò quando avrò compiuto quindici anni »
«Davvero?! »
Maurice si girò a guardarla stupito, non ne aveva idea! La bambina annuì, continuando a giocare con la sua bambola, pettinandole i capelli ricci, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Mio marito ha dieci anni più di me, è un conte della mia zona. Ed è anche molto carino! »
«Ma tu non lo ami! »
«Ancora lo devi capire zuccone? Tra i nobili non esiste il matrimonio d’amore. Anche mia madre e tutte le mie zie si sono sposate giovani, tranne la zia Oscar ovviamente. Nessuna ama il proprio marito ma con il tempo si impara a volergli bene… suppongo, o almeno così è successo con mia madre »
«Oh… capisco… è triste però »
«Lo so, cosa possiamo farci? Sono le regole »
«E non si possono rompere? »
Loulou restò in silenzio per qualche istante, alzando poi le spalle. In effetti non ci aveva mai pensato.
«Non lo so… è arrivata mia madre! »
Urlò la bambina notando dalla finestra la madre scendere da una carrozza appena arrivata, nel cortile della villa.
 
«Oscar! Sorella cara! »
Ortece de Jarjayes era la primogenita della famiglia Jarjayes, promessa in sposa al conte Grégorie Marie de la Loréncie. Era, insieme alla seconda Josephine, l’unica sorella con la quale aveva mantenuto un rapporto dopo che quest’ultima aveva lasciato la casa paterna per la vita coniugale.
Assomigliava molto alla madre Ortence, sia nei lineamenti sia nel carattere. Non era molto alta ma era formosa, le sue guance erano sempre colorate di un tenue rosa e i suoi occhi azzurri splendevano come zaffiri alla luce del sole. Sembrava felice di tornare a casa, anche se Oscar notava, nel suo sguardo, un po’ di timore.
Josephine, seconda figlia, era vedova. Non ricordava neppure il cognome del marito perché lei, dal giorno in cui suo marito morì, decise di non usare più il suo cognome. Oscar aveva sempre avuto il sospetto che la morte del cognato non fosse del tutto naturale ma non aveva mai osato chiedere alla sorella. Sapeva però che il loro matrimonio era stato terribile, dovuto anche al fatto che Josephine non era mai rimasta incinta.
Il suo viso era dolce, gli occhi azzurro cielo erano tristi come quelli di Ortence, e i suoi capelli biondi erano costretti in un delicato chignon.
Oscar sorrise, ad entrambe a pochi passi dalla porta d’ingresso, e le sorelle, avvolte una in un abito color pesca l’altra in un abito color blu, si affrettarono ad avvicinarsi a lei per abbracciarla.
«Come stai? Sei così pallida, hai riposato bene? »
«Sarai stanchissima, guarda cos’ha sotto gli occhi! »
«Sto bene, non vi preoccupare. Grazie Josephine per la tua delicatezza »
Disse Oscar sforzando un sorriso ma la sorella fece finta di non sentirla.
«A proposito… tu sai perché nostra madre ci ha scritto quella lettera? Siamo le prime o sono già arrivate le altre? E dov’è mia figlia? »
«Con calma Ortence… sì, so perché il motivo della vostra venuta, sì siete le prime, Loulou sta arrivando »
«Maman! »
Loulou, dall’alto della scalinata, urlò dalla felicità e, come un lampo, corse dal genitore, abbracciandola entusiasta. Ortence, che poco amava quel carattere estroverso, troppo estroverso, della figlia, la abbracciò felice dopo tanto tempo che non vedeva.
«Allora? Hai imparato qualcosa dai nonni oppure hai solo dato fastidio? »
«Sono stata brava! Sto diventando una signorina »
Ortence, ricomponendosi dopo aver lasciato una tenera carezza sul viso della figlia, guardò la sorella seria, ponendole la stessa domanda.
«È stata brava? »
«Non ha dato fastidio, anzi ha portato un po’ di allegria in questa casa »
I pensieri di Oscar corsero subito a Rosalie. Anche lei si sarebbe sposata ma, a differenza sua, lei amava il suo sposo. Ripensò alla notte in cui se ne andò, questa volta definitivamente da palazzo Jarjayes e la tristezza le oscurò il cuore.
«Oscar? »
Oscar girò appena il capo verso la sorella e notò che altre due sorelle erano arrivate.
«Siamo in ritardo? »
Chiese Catherine aggiustandosi il cappellino sulla testa, sorridendo, mentre Clothilde e Marie Anne le raggiungevano al centro dell’ingresso principale.
Catherine, Clothilde e Marie Anne, rispettivamente la terza, quarta e quinta sorella. Oscar alzò gli occhi al cielo. Le aveva sempre considerate un trio di pettegole e di disperate romantiche, era strano vederle da sole e non si stupì di vederle arrivare insieme. Catherine era la più dolce del gruppo, amava profondamente la lettura di romanzi cavallereschi e aveva sempre sperato di trovare l’amore. Clothilde e Marie Anne, invece, condividevano la passione per la moda e non si lasciavano sfuggire nessuna tendenza. Catherine, con il suo incarnato pallido era avvolta in un abito lilla e i capelli color grano erano intrecciati amabilmente; Clothilde invece indossava un abito verde, pieno di pizzi e fiocchi rossi con ricami in oro, la facevano sembrare più grande; Marie Anne indossava un abito simile, di color panna con ricami color verde.
«Noi siamo appena arrivate »
«Vi siete organizzate? Siete arrivate insieme e tutte prima del previsto »
Fece notare Oscar con un sorriso e, un po’ commossa di vedere le sue sorelle a casa sussurrò:
«Bentornate a casa »
 
«Madre come mai ci avete fatto chiamare? Quando ho letto la lettera che mi avete inviato sono rimasta senza parole! »
Disse Catherine guardando la madre, sinceramente preoccupata. Lo erano tutte in realtà, era raro che si scambiassero lettere con la propria famiglia se non per eventi di rilevante importanza come la nascita di un nipote o la morte di un parente.
Erano tutte riunite nello studio del generale: l’uomo era seduto alla scrivania, con le braccia incrociate al petto e la consorte era a pochi passi da lui, in piedi. Oscar aveva la schiena poggiata alla libreria e guardava prima il padre, poi le sorelle sedute chi sulle poltrone chi sul divano.
«Spero non sia successo nulla di grave »
Ortence si voltò a guardare Oscar ma lei distolse lo sguardo.
«Dobbiamo presentarvi una persona »
«Chi è di così importante da farci venire tutte qui? »
Chiese curiosa Catherine, incrociando lo sguardo con Ortence che, curiosa quanto lei, alzò le spalle.
«Puoi entrare »
Disse ad alta voce il generale e la porta del suo studio si aprì piano. Tutte le sorelle Jarjayes si voltarono verso la porta e restarono in silenzio quando Maurice, lentamente, entrò nella stanza con un piccolo sorriso sul viso, notevolmente imbarazzato.
«Padre… lui chi è? »
Chiese Marie Anne indicando il bambino con il ventaglio, cercando lo sguardo del padre.
«Lui è Maurice Auguste de Jarjayes, vostro fratello »
Il silenzio cadde nella stanza, le cinque sorelle si guardarono stupite e sconvolte allo stesso tempo. Clothilde si voltò, dopo alcuni istanti di sgomento, verso Oscar.
«Tu lo sapevi? »
La donna annuì.
«È… tuo figlio? »
«No. È mio figlio »
Intervenne il genitore, impedendo ad Oscar di parlare.
«Che cosa significa? Madre…! »
«Quello che dice vostro padre è vero, Maurice è vostro fratello. L’ho accolto in casa come se fosse figlio mio »
«È un bastardo…? »
«Non chiamarlo così Marie Anne! Anche se… non capisco. Avete avuto un amante? »
«La madre di Maurice è morta ed è venuto qui in cerca di aiuto e io l’ho accolto, rendendolo parte della nostra famiglia »
«Ma se Maurice è nostro figlio… cosa ne sarà di Oscar? »
«Oscar si sposerà con il duca di Bourbon-Condé »
«Che cosa?! »
Ortence si alzò di scatto dalla poltrona piena di rabbia, spaventando tutti.
«Come potete fare questo a Oscar?! È davvero assurdo! L’avete educata come un uomo, come uno stupido soldato per un vostro capriccio e ora che avete trovato l’erede la buttate via costringendola ad un matrimonio! »
«Abbassa la voce con me Ortence »
«No padre! Forse nostra madre acconsentirà pure a questa vostra ennesima follia ma io non lo accetterò mai! Credete davvero di poter usare Oscar come se fosse un burattino? »
«Oscar ha accettato di sposarsi e il re ha acconsentito al matrimonio »
«Tu cosa?! »
Disse urlando rivolgendosi alla sorella che, con la morte nel cuore, la guardava come arresa al suo destino.
Le altre sorelle assistevano alla scenata della sorella maggiore in silenzio anche se condividevano appieno i suoi pensieri. Josephine si alzò lentamente dal divano e, mentre la sorella maggiore e il padre litigavano, si avvicinò alla sorella più piccola. Le accarezzò dolcemente il viso e la guardò negli occhi.
«È vero, Oscar? Ti sposerai? »
Oscar annuì lentamente con un sorriso falso.
«Sono costretta. Il re ha accettato. Il giorno del matrimonio dovrò consegnare le mie medaglie e… sarà davvero umiliante »
«Mi dispiace tantissimo tesoro… »
«Doveva andare così… è inutile piangersi addosso »
Oscar abbassò il capo, mordendosi il labbro e chiudendo gli occhi.

 

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Capitolo 11
*** Prima ***


«Perché avete chiesto a mio padre la mia mano? »

Oscar posò lentamente la tazza di porcellana sul piattino, guardando il futuro marito sorseggiare elegantemente il proprio tè. Erano seduti in giardino, il tempo gli permetteva ancora di godere dell'aria fresca della natura e il giardino, in quel periodo dell'anno, era il posto meno frequentato della casa, quindi non sarebbero stati disturbati da nessuno. In realtà era stata la stessa Oscar a proporre al duca di fermarsi nel giardino proprio per restare sola con lui e per poter parlare con tranquillità senza che le sue sorelle o peggio suo padre si intromettesse tra di loro.

«Preferivate qualcun altro al mio posto? »

«Non è quello che ho detto duca »

«Chiamatemi Adrien... e poi possiamo darci anche del tu, siamo fidanzati »

Oscar abbassò lo sguardo sull'anello che portava all'anulare sinistro. Era un gioiello della famiglia del duca, lo aveva scelto lui. Era un anello in argento, con un grande diamante a taglio radiant1. Il duca glielo aveva regalato il giorno in cui si erano conosciuti ma aveva evitato di darlo davanti alle loro famiglie e lei, seppur avesse gradito non poco questa sua accortezza, lo indossava solo quando lui le faceva visita, un paio di ore al giorno.

«Non è quello che ho detto... Adrien »

«Ho chiesto la mano a tuo padre perché mi ritenevo alla tua altezza. E anche perché tra militari ci intendiamo »

«Hai un'autostima davvero elevata »

«Preferiresti uno di quei damerini che ci sono a corte? Tutto soldi e sesso? »

Oscar rabbrividì solo al pensiero.

«Come pensavo... sarò anche egoista ai tuoi occhi Oscar ma io non ti vedo con nessun altro se non con me »

«Apprezzo la tua sincerità »

«Ma... »

«Io non ti renderò la vita facile »

«Non volevo che lo fosse »

Oscar alzò lo sguardo verso l'uomo sorpresa, non si aspettava una risposta del genere. L'uomo drizzò le spalle e la guardò sorridendo.

«Lo so che non volevi sposarti, che non era questo quello che ti saresti aspettata dalla tua vita »

«Ma non avete intenzione di farmi tornare al mio lavoro »

«È l'unica condizione che mi ha imposto tuo padre »

«Capisco... »

Tornò a bere il suo tè, senza sapere come continuare la conversazione. Ripensò al colloquio che aveva avuto con la sovrana quella stessa mattina e il suo umore peggiorò.

«Mi dispiace Oscar, non sono riuscita a convincere sua maestà. Nonostante gli abbia non so quante volte della necessità di avervi nell'esercito, lui non ha voluto cedere. Crede che la famiglia reale stia perdendo popolarità e che sia meglio tenerci il più vicino possibile le famiglie nobiliari. Inoltre... il duca d'Orleans ha spinto il re ad accettarvi in famiglia. Ed è cosa nota che mio marito pende dalle sue labbra. Mi dispiace molto mia cara.... »

 

«Non capisco perché continui a togliere e mettere quell'anello »

«Non lo sopporto, non sono abituata a portarli »

Disse Oscar guardando la sorella maggiore. Ortence sospirò e si avvicinò a lei, prendendo le mani della sorella tra le sue e osservò l'anello attentamente, notando come fosse elegante la sua mano con quel gioiello. Oscar restò in silenzio, guardando anche lei l'anello che portava al dito ma si sentì in imbarazzo. 

«La governante mi ha detto che domani verrà la sarta per prendere le tue misure »

«Capisco »

«Tesoro sembra che tu stia andando al patibolo e non all'altare! »

«Almeno il patibolo avrebbe messo fine a questa pazzia »

Oscar si allontanò dalla sorella sfilandosi l'anello dal dito, riponendolo poi nel portagioielli. Sospirò amaramente, spostando i capelli dalla fronte. 

«Non dire così... »

«Ortence io non sono stata educata come voi, a servire e riverire un marito. Nostro padre mi ha insegnato a usare la spada e la pistola, non a ballare il valzer e sventolare il ventaglio! »

Lo disse con rabbia e stringendo i pugni, ma Ortence, nonostante l'ira della sorella, non si mosse d'un centimetro. 

«Scusami non volevo offenderti »

«Non mi hai offesa, hai semplicemente detto la verità. Nobili o contadine... noi donne siamo serve di nostro marito. È il nostro destino purtroppo. Forse in futuro le cose cambieranno ma per il momento... è così »

Bussarono appena alla porta e, quando Oscar diede il permesso di entrare, André aprì lentamente la porta, facendo un piccolo inchino.

«Madame de la Loréncie, vostra madre vi attende nel salone »

«Ti ringrazio caro, arrivo subito – disse la donna sorridendo all'uomo, poi si girò verso la sorella – io e te continuiamo il discorso dopo »

Detto questo, Ortence uscì lentamente dalla stanza della sorella, sotto lo sguardo pieno di sconforto di lei e preoccupato di André.

«Oscar... ti senti bene? »

«Non hai idea... di quanto vorrei che tutto questo fosse solo un sogno... »

Mormorò Oscar scandendo ogni parola, nascondendo il viso tra le mani. André la guardò triste, non sapendo come risponderle ma Oscar alzò lo sguardo verso di lui, tremando.

«Ti prego abbracciami »

Non se lo fece ripetere due volte, eliminò la distanza che c'era tra di loro e la strinse a sé. Oscar lo abbracciò con altrettanta foga e sentì le farfalle nello stomaco a quel contatto.

 

«Bene tesoro, adesso alza le braccia... sì proprio così brava! »

La sarta passò il metro intorno al busto di Oscar. Si sentiva terribilmente in imbarazzo, soprattutto perché si trovava in veste intima alla mercé di chiunque entrasse nella sua stanza. La governante le aveva raccolto i capelli sulla nuca, così non le avrebbero dato fastidio durante le misure e notò che la sarta aveva portato con sé già alcuni modelli da farle provare.

Alzò gli occhi al cielo, non vedeva l'ora che quella tortura finisse.

«Seno 87... vita 63... fianchi 902... che misure perfette! Sarai una sposa meravigliosa! »

Oscar abbassò le braccia esausta e con la testa che le scoppiava: la voce stridula della sarta e delle sue aiutanti la stavano facendo impazzire e le sue sorelle non erano da meno.

«Bene tesoro, ora ti faremo vedere come sarà il tuo abito. Ho portato con me qualcosina così potrai avere un'idea più chiara dell'abito, va bene? Sarà di un bel broccato argento3 e ti aggiungeremo qui, all'altezza del petto, dei bei punti luce con alcune gemme e tanto... tanto pizzo! Sono sicura che ti piacerà da impazzire! »

Non riusciva neppure a fingere entusiasmo, la sua espressione era di disappunto per qualsiasi cosa le proponessero.

«Non si può... fare meno? »

Chiese lei spostando un bel po' del pizzo che le avevano posizionato sul petto, mostrando alla sarta come preferiva la scollatura.

"L'abito è mio e lo decido io!"

Pensava Oscar, dato che era l'unica cosa sulla quale il padre non avrebbe avuto nulla da ridire.

«Questo sì che è strano! Nessuna sposa mi ha mai chiesto di togliere qualcosa dal proprio abito! »

«C'è una prima volta per tutto »

Disse Oscar sorridendole forzatamente, sotto lo sguardo divertito delle sorelle.

 

1= il Radiant è un taglio unico ibrido composto da 70 sfaccettature e bordi rifiniti e distintivi, Il suo design combina la brillantezza e la profondità dei ragli rotondi, smeraldo e principessa, rendendolo una scelta popolare per tutti i gioielli. Grazie alle sue sfaccettature extra, il taglio Radiant può disperdere più luce; il risultato è più brillante di tutte le forme quadrate e rettangolari.

 

2= le misure ufficiali di Oscar, tratte dall'artbook di Lady Oscar pubblicato dalla Shueisha nel 1976.

 

3= La sposa non vestiva di bianco, come oggi vuole la tradizione, ma generalmente indossava un abito di broccato, color argento, con pizzi e gioielli posizionati in prossimità del petto..

 

 

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Capitolo 12
*** Matrimonio ***


Era arrivata la sera del lieto evento. Lieto? Non era dello stesso avviso Oscar che, guardando il vestito pronto, appeso davanti al suo armadio, si era chiusa in camera, senza voler vedere nessuno, godendosi quelle ultime ore di libertà.
Guardò la sua mano sinistra, notando quanto fosse bella senza alcun anello al dito, nessun vincolo che la legasse ad un uomo. Sospirò, sarebbe stata una giornata terribile. Si asciugò le lacrime che, copiose, le bagnavano le gote senza che lei riuscisse a fermarle.
Era davvero diventata così debole? E perché stava lasciando che tutti prendessero decisioni al suo posto? Si innervosì al ripensare all'ennesima litigata che aveva avuto con suo padre riguardo la questione del matrimonio. Non riusciva a perdonarlo per averla venduta (perché era così che si sentiva) ma né sua madre né le sue sorelle, alla fine, avevano cercato di aiutarla.
Le parole erano parole, i fatti erano fatti.
L'unica persona che invece le era rimasto affianco e l'aveva sempre supportata era stata André. Come avrebbe fatto senza di lui? Nascose il viso tra le mani, cercando di reprimere il dolore che provava al petto. 
Avrebbe rinunciato a tante cose e cos'avrebbe guadagnato? Nulla.  
Solo catene invisibili che l'avrebbero incatenata a suo marito "fino alla morte" e che l'avrebbero costretta a mandare avanti la stirpe di suo marito.
Non l'avrebbe permesso, lei non era fatta per essere madre. 
Guardò l'ora, era l'una di notte. La sua mente immaginò quello che sarebbe successo la notte successiva e le venne la nausea.
Sarebbe voluta scappare lontano da Parigi, andare in un paese lontano dove nessuno la conosceva ma questo avrebbe compromesso la sua famiglia. Adrien Joseph de Bourbon-Condé era un duca, un soldato, e se era anche lontanamente come suo padre, avrebbe interpretato la sua fuga come un affronto al suo onore e avrebbe distrutto la sua famiglia.
Non poteva fare questo ai suoi genitori, compromettere le sue sorelle o i suoi nipoti, non poteva fare questo a Maurice.
Era il suo destino? Non ne era sicura ma tutto, intorno a lei, sembrava dirle sì.
 

«Oscar... cara... sei stupenda... »
Oscar non si guardò allo specchio, preferì dargli le spalle. Nella sua stanza c'era un via vai continuo, tutto il palazzo era in fermento per il matrimonio dell'ultima delle sorelle Jarjayes. Sfiorò appena il tessuto della gonna, le era scomoda ma per fortuna non era molto ingombrante, segno che la sarta aveva ceduto alle sue richieste. Sospirò, per fortuna il corsetto non era troppo stretto ma sentiva lo stesso il seno forzato; ed era una sensazione sgradevole, anche più di portare le fasce.
In più, il colore dell'abito era davvero orrendo. Perché mai l'abito da sposa doveva essere argento? In più la collana che portava era davvero pesante e sentiva terribilmente caldo con tutto quel tessuto addosso. Per fortuna, o sfortuna, le forcine in testa le facevano terribilmente male, aveva i capelli alzati, con l'eccezione di una ciocca che scendeva sul petto e che le dava abbastanza fastidio.
«Quest'abito ti sta d'incanto... la sarta è stata davvero bravissima »
«Perché non ti guardi allo specchio? Sei davvero bellissima tesoro »
«No madre, mi sento uno spaventapasseri »
«Non dire stupidaggini! »
Oscar portò una mano al viso ma le sorelle emisero contemporaneamente un grido, sconvolte. Sussultò.
«Non ti toccare il viso! Altrimenti il trucco »
«Non sono truccata...per fortuna »
Aggiunse a bassa voce, sperando di non essere sentita. Notò il ventaglio di una delle sue sorelle poggiato sul comodino del suo letto e finalmente capì perché tutte le donne lo portavano con sé, stava soffocando! Quando aveva indossato l'abito per quel ballo... non ricordava di aver quasi rischiato di soffocare.
«Posso... stare un po' da sola? »
«Ma Oscar...! »
«Certo tesoro, tutto il tempo che vuoi.- Josephine posò le mani sulle sue spalle, sorridendole dolcemente cercando di confortarla – Ma non scappare »
«Non ci riuscirei con questo vestito addosso »
Costatò lei facendo sorridere la sorella e, in men che non si dica, si ritrovò sola, in una stanza troppo grande e fredda. Non voleva guardarsi allo specchio, si sarebbe sentita più ridicola dell'altra volta e il pensiero che lei avrebbe  dovuto indossare più spesso quel genere di abiti la angosciò ancor di più. 
Fece un sospiro, ripetendosi continuamente che oramai era fatta, cercando di autoconvincersi, ma con scarsi risultati.
«Sei bellissima... »
Girò il capo verso la porta della sua stanza e sentì il cuore esplodere di gioia nel vedere André, abbigliato a festa come tutta la servitù, guardarla dolcemente, come solo lui poteva fare.
«Lo dici solo perché mi vuoi bene »
«Lo dico perché lo penso. Sei davvero stupenda... ma dico, ti sei vista allo specchio? »
Oscar scosse il capo e André la guardò tra lo sconvolto e il divertito.
«Beh... c'era da aspettarselo da te »
André si avvicinò lentamente a lei e, con un dolce sorriso sul viso, la fece girare finalmente allo specchio, permettendole di guardarsi.
«Sembro un pagliaccio »
Disse Oscar sorridendo, sfiorando la gonna ricamata non molto ampia e votando appena il capo per guardarsi di profilo allo specchio. Con tutti quei pizzi addosso, si sentiva abbastanza ridicola.
«Oscar... »
André rise, posando le mani sulle braccia di lei e Oscar si irrigidì.
«Se solo tu potessi vederti come ti vedo io... »
L'uomo aveva avvicinato il viso al suo, stringendo appena la presa attorno le sue braccia. Oscar sussultò, la sua voce era arrivata roca e vicina all'orecchio, e girò appena il capo verso di lui, incrociando il suo sguardo. 
Erano vicini, troppo vicini. André la guardò rapito, sorridendole appena. Avvertì un brivido lungo la schiena quando lui aveva allontanato una mano dalle sue braccia per avvicinarla al viso. 
Le sue dita le accarezzarono lente la pelle della guancia, ora rosea per l’imbarazzo, e con un'estrema lentezza aveva fatto una leggera pressione sotto il suo mento, portandola ad avvicinarsi a suo viso.
Le labbra di André sfiorarono appena le sue, timorose di un rifiuto da parte sua ma Oscar non riuscì a muoversi per la sorpresa, e dopo un attimo di esitazione aveva risposto a quel bacio timido, girandosi completamente verso di lui e posando le mani sul suo viso. 
Avvertì le mani di lui accarezzarle la schiena e stringerla di più al suo corpo e le girò la testa. 
Era un bacio così dolce e lento, al quale si era arresa totalmente, lasciandosi avvolgere dal calore che poteva emanare il suo corpo.
«Non ti sposare... ti prego »
Sussurrò lui una volta che si allontanarono, posando la fronte sulla sua.
«André io... »
«Ti prego »
Oscar gli accarezzò la nuca, sentiva un nodo alla gola che le impediva di parlare ma dentro di sé voleva solo urlare e piangere.
«Io ti amo... ti amo così tanto... »
Sgranò gli occhi sorpresa. Lo sapeva, sapeva che c'era sempre stato altro oltre l'amicizia da parte del suo amico ma sentirselo dire, in un contesto simile... le si spezzò il cuore a vederlo così triste.
Lei ricambiava? Non lo sapeva, ma aveva sfiorato le porte del paradiso con quel bacio.
Si baciarono di nuovo, più sicuri entrambi, ma fu breve.
«Oscar! È arrivata l'ora... sei pronta? »
Trasalirono entrambi ma non sciolsero il loro abbraccio.
«Non andare... non aprire quella porta »
«André... »
«Oscar? Va tutto bene? Sto entrando! »
André si allontanò da lei, tenendole le mani fino a quando la porta della stanza non si aprì.
«Oh... tesoro dobbiamo andare. Ti senti bene? Stai tremando! »
Oscar non aveva distolto lo sguardo da André fino a quando lui non uscì dalla sua stanza. Non si era neppure resa conto di Ortence che, preoccupata, aveva posato la mano sulla sua fronte per controllare che si sentisse bene.
«Oscar? Mi senti? »
«O-Ortence... »
«Forse il corsetto è troppo stretto... vuoi che te lo allenti un po' »
«N-No... va bene così... io... »
Le lacrime le bagnarono le gote e lei non volle bloccarle.
 

«Prego »
Oscar guardò il maestro della cerimonia1 ma sembrò non vederlo davvero. Deglutì a vuoto, nella sua mente era impresso con il fuoco il ricordo di André. L'uomo, che le aveva porto la mano, fece un piccolo sorriso quando lei posò la sua di mano sulla sua. Scesero lentamente le scale, e sentì lo sguardo di tutta la sua famiglia e della futura suocera addosso e se ne vergognò, ma non abbassò la testa.
Nonostante tutto, lei sarebbe rimasta il colonnello Osar François de Jarjayes matrimonio o no!
Arrivati alla fine della scalinata, la principessa di Condé le si era avvicinata con grazia, stringendo tra le mani un cofanetto in velluto nero.
«Questo, mia cara, è un regalo per te. Un vezzo di perle, non toglierle prima di un anno dal matrimonio »
Oscar schiuse le labbra nel vedere quella semplice e sottile collana di perle e guardò la principessa piacevolmente sorpresa.
«Non so cosa dire... »
«Non dire nulla, la tua espressione mi dà tanta gioia »
Sorrise appena la principessa e, con l'aiuto di uno dei seguaci, aiutò Oscar ad indossarla. Quando ebbe finito, Oscar sfiorò appena con la punta delle dita le perle e fece un piccolo inchino alla principessa. Poi si girò verso la sua famiglia, lì che la guardavano.
Vide le sue sorelle forzare un sorriso, consce del suo stato, e poi guardò Maurice che la guardava triste.
Per tutti quegli anni aveva visto le sue sorelle inginocchiarsi davanti al proprio padre per ricevere la benedizione al matrimonio ma non aveva mai pensato che quel giorno sarebbe arrivato anche per lei. Si inginocchiò lentamente, sul cuscino di velluto posato di fronte al padre e abbassò il capo. 

 

1= il maestro di cerimonia è l'ospite ufficiale di una cerimonia. Presenta artisti, parla al pubblico, intrattiene la gente e fa in modo che nulla, durante la cerimonia, possa andare storto.

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Capitolo 13
*** Consenso ***


«Carissimi, siete venuti nella casa del Signore, davanti al ministro della Chiesa e davanti alla comunità, perché la vostra decisione di unirvi in matrimonio riceva il sigillo dello Spirito Santo, sorgente dell'amore fedele e inesauribile. Ora Cristo vi rende partecipi dello stesso amore Con cui egli ha amato la sua Chiesa, fino a dare se stesso per lei.  Se dunque è vostra intenzione unirvi in Matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete davanti a Dio e alla sua Chiesa il vostro consenso »
Erano l’uno di fronte all’altro, si stringevano le mani e si guardavano negli occhi, Oscar e il duca. Aveva tirato un sospiro di sollievo quando, prima che il parroco iniziasse la messa, entrambi furono coperti da un velo sottile che, visti da fuori, avrebbe celato un po’ i loro visi.
Il duca le sorrideva,  muovendo appena i pollici sul dorso della mano di lei come per accarezzarla.
«Oscar François de Jarjayes vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti?»
Esitò, fece un respiro profondo. 
“André perdonami”
«Sì, con la grazia di Dio, lo voglio »
Deglutì a vuoto quando vide la mano del duca infilarle la fede al dito. Ora toccava a lei.
«Adrien Joseph de Bourbon-Condé.... vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti? »
La sua voce era uscita strozzata, bassa, come se fosse sul punto di scoppiare in lacrime. Era lontanamente lontana dalla voce forte e sicura del duca, pensò che non fosse neppure sua.
«Sì, nella grazia di Dio, lo voglio »
Con mano tremante, maledicendo il duca per aver detto di sì, infilò la fede al dito dell’uomo.
«Ora, in comunione con la Chiesa del cielo, invochiamo l'intercessione dei santi... effondi, Signore, su Adrien e Oscar lo Spirito del tuo amore, perché diventino un cuore solo e un'anima sola; nulla separi questi sposi che tu hai unito e, ricolmati della tua benedizione, nulla li affligga. Per Cristo nostro Signore »
«Amen »
«Amen... »
 

Non si era voluta trattenere più del necessario alla festa che avevano organizzato le loro famiglie per il matrimonio. E non voleva neanche pensare a quello che, di lì a poco, sarebbe stato inevitabile. Passando tra i corridoi del palazzo dei Bourbon-Condé, che con il matrimonio era diventata casa sua, evitò di guardare il suo riflesso nei grandi specchi che decoravano le pareti.
La governante del palazzo l’aveva accompagnata nella sua stanza da sola, informandola che il duca suo marito l’avrebbe raggiunta più tardi per darle il tempo di cambiarsi e di adattarsi.
E anche se fu grata per questa sua piccola premura, non riuscì a rasserenarsi. Sussultò quando sentì la porta della camera da letto chiudersi dietro di lei.
Si guardò in giro, lo stile di palazzo Bourbon-Condé era più lussuoso rispetto quello di palazzo Jarjayes e sulle pareti di color blu imperiale i dettagli in oro risaltavano come stelle nel cielo notturno. I soffitti alti erano bianchi, a contrasto con quelli delle pareti e da esso scendevano due enormi candelabri in oro e cristalli. Si tolse le scarpe lentamente, lasciando che il freddo marmo del pavimento allietasse il dolore dei piedi. Quando sentì la porta riaprirsi, pensò che suo marito fosse già arrivato ma al suo posto trovò due cameriere, arrivate in suo soccorso per togliere l’abito e per prepararle il bagno.
Una volta che si ritrovò in intimo, davanti lo specchio della loro camera, riuscì a malapena a guardarsi allo specchio. Si sciolse i capelli da sola, posando lentamente le forcine sulla toeletta poco distante e, quando la vasca fu pronta, ordinò alle cameriere di lasciarla sola.
Quando anche l’ultimo drappo cade a terra e si ritrovò nuda nella vasca da bagno, affondò la testa nell’acqua tiepida e piena di bolle, sperando nel fondo di non risalire più.
Risalita in superficie, si portò le ginocchia al petto, pensierosa.
Il matrimonio era avvenuto, era diventata duchessa. Era successo tutto così in fretta che non le sembrava neppure vero, ma l’anello d’oro al dito, così come la collana di perle regalatole dalla suocera, non facevano che ricordarle che era tutto vero.
Portò le dita alle labbra, accarezzandole appena, e chiuse gli occhi, ricordando l’unico attimo di felicità della giornata. Il peso di quella giornata si era cancellato in un istante e sorrise appena. Cosa sarebbe stato di loro? Di lui? Preferì non pensarci. Con un panno, iniziò a pulirsi lentamente le braccia e le gambe e pensò che il giorno dopo avrebbe chiesto un nuovo bagno.
Quando ebbe finito, si avvolse in una vestaglia di cotone e si sedette accanto alla toeletta per tamponarsi i capelli umidi che, con il calore proveniente dal camino appena acceso dalle cameriere, sembravano essere già asciutti. Non seppe quanto tempo fosse passato, si passò la mano tra i capelli e si sistemò per la notte e, lentamente, fece scivolare i polpastrelli sulla pelle del collo.
Ora sarebbe venuto a reclamare i suoi diritti.
Ma lei diritti ne aveva verso suo marito? Non riuscì a trovare il tempo per rispondere alla sua domanda che sentì la porta della stanza aprirsi e vide, attraverso il riflesso dello specchio, suo marito.
Non indossava più l’alta uniforme bianca, la camicia era slacciata appena sul petto e sul suo viso non c’era più quel sorrisetto canzonatorio che lei aveva sempre odiato. Aveva l’aria stanca, lo notava dal suo sguardo spento
Non si girò ancora ma si alzò, aspettò che lui si avvicinasse a lei e così fece, con poche falcate la raggiunse e posò la mano sulla sua spalla, massaggiandola appena.
«Quell’abito ti stava d’incanto »
Mormorò un flebile grazie, girando appena la testa per guardarlo negli occhi.
Lui l’abbracciò da dietro, un abbraccio caldo e tenero come non pensava mai potesse essere con lui  e inclinò il capo sulla sua spalla, mostrandogli il collo pallido senza volerlo. Il duca posò un piccolo bacio sulla base del collo, per poi posare la guancia nello stesso punto.
«Permettetemi... datemi il vostro consenso, in caso contrario me ne andrò da questa stanza e vi lascerò dormire tranquilla. Garantirò io per voi domani mattina1 »
Oscar cercò lo sguardo del duca ma lui girò il viso, posando la fronte sulla sua spalla.
«Adrien... »
«Ditemi solo sì o no »
«Sì »
Seppur l’idea di fingere di aver consumato il matrimonio l’allettasse non poco, questo non avrebbe fatto altro che rimandare la notte in cui, prima o poi, l’avrebbe resa sua, forse anche con violenza. E pensò, perché non approfittare anche di quell’attimo di tenerezza di suo marito? Sarebbe stato inevitabile.
Lui non disse nulla, posò di nuovo le labbra sul suo collo, tracciando una piccola scia di baci che partivano alla base dell’orecchio fino alla spalla, mentre con le mani le slacciava lentamente il nodo della vestaglia .
Oscar si girò verso di lui prima che il nodo si sciogliesse del tutto e lui catturò le sue labbra un dolce bacio, ricambiato, e le sfilò la vestaglia dalle spalle, denudandole. Lei si lasciò sollevare dall’uomo, trovandosi poi stesa sul letto morbido che odorava di lavanda.

Le prime luci dell’alba oltrepassavano a malapena le pesanti tende blu della camera da letto creando un’atmosfera quasi surreale. Oscar strinse la vestaglia al petto e si risistemò nel letto guardando con la coda dell’occhio l’uomo che riposava tranquillo al suo fianco. Faceva fatica a credere che il soldato che si era presentato, fiero e orgoglioso, per un mese intero a casa sua e l’uomo che l’aveva posseduta con tanta dolcezza quella notte fossero la stessa persona. Aveva provato quasi piacere nello stare tra le sue braccia, anche se non poteva negare di aver pensato di passare la notte con un altro uomo, provando vergogna.
Il duca l’aveva sfiorata con carezze leggere sulla pelle, aveva baciato una cicatrice che aveva trovato sul suo fianco e si era fatto strada in lei cauto, quasi come se non volesse farle provare dolore.
Si passò una mano sul viso, le immagini della notte appena trascorsa erano ancora nitide nella sua mente e si sentiva indolenzita tra le gambe. 
Tornò a guardare il duca, sdraiato di pancia e con il viso rivolto verso di lei, la schiena nuda e il lenzuolo a coprirlo dai fianchi in giù. Sembrava dormire tranquillo e lo invidiò perché lei, quella notte, non era riuscita a prendere sonno.

1= il giorno dopo il matrimonio, per accertarsi che il matrimonio fosse stato consumato, la sposa riceveva i parenti a letto. In alcune occasioni, invece, i parenti assistevano alla prima notte di nozze.

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Capitolo 14
*** Mi sei mancato ***


«I tuoi genitori ci hanno gentilmente invitati a cena questa sera »
Oscar girò il capo verso il duca, poggiato allo stipite della porta della biblioteca. La donna chiuse il libro che stava leggendo, posandolo gentilmente sulle gambe. Non riuscì a decifrare il suo sguardo, quei occhi color ghiaccio le facevano solo venire i brividi. Però le sembrava annoiato, o forse infastidito da qualcosa, lo capì dal suo incrociare le braccia al petto. In quel mese di fidanzamento, aveva capito il significato di alcuni dei suoi atteggiamenti e, di conseguenza lui aveva capito i suoi.
«Bene »
Si limitò a rispondere, abbassando le spalle.
«Per i prossimi giorni sarò fuori per una missione, se vuoi puoi tornare a casa dei tuoi »
Oscar sgranò gli occhi, stupita dalle parole dell’uomo. Lui si avvicinò a lei, sedendosi sulla poltrona accanto alla sua e la guardò serio.
«Dove devi andare »
Fece finta di non aver sentito la seconda parte della frase, portando una mano al viso per sposare una ciocca di capelli.
«Nel nord, mi informeranno meglio in giornata »
«Capisco...  »
«Perfetto, sii pronta per le 7 »
Il duca si alzò lentamente, apparentemente calmo, e si avviò verso la porta della biblioteca. Strinse il libro che aveva tra le mani.
«Adrien »
L’uomo si girò appena per guardarla, con la mano posata sulla maniglia della porta.
«Vorrei mettere in chiaro un paio di punti con “voi” - marcò volontariamente il voi, assottigliando lo sguardo -. Quello che è accaduto la scorsa notte... non si ripeterà. Ho adempito ai miei doveri come moglie. Non mi sfiorerete neanche con un dito in quel modo se non sarò io a permettervelo. Se sperate di avere un figlio, mi dispiace deludervi ma non accadrà, non sono nata per essere madre. In fine, non indosserò abiti, ne mi comporterò come una dama come vostra cognata. Non dimenticate che fino a qualche tempo fa occupavo il ruolo di colonnello nella guardia reale»
Oscar alzò appena il mento, con sguardo glaciale, ma le mani le tremavano appena e strinse tra di esse il libro che teneva poggiato ancora sulle gambe. Aveva parlato rapida, quasi timorosa di essere interrotta da lui.
«Se avessi voluto sposare una dama avrei scelto una donna come mia cognata »
Furono le sue uniche parole.
 

«Benvenuti figlia mia, genero...»
Madame Jarjayes faceva quell’effetto, riusciva a rasserenare tutti. Con la sua calma e la sua dolcezza aveva il potere di calmare ogni anima inquieta. Forse per quello il generale, sempre nervoso, l’aveva sposata, si ritrovò a pensare Oscar.
I suoi pensieri volarono immediatamente al suo migliore amico, l’uomo per cui aveva pianto una notte intera per la sua mancanza. Anche lui era come madame, sempre tranquillo e pacato, al contrario di lei.
«Grazie mille per l’invito madame »
Disse il duca con un sorriso accattivante, lei si limitò a sorridere appena alla madre.
«La cena sarà servita tra poco, vi prego di accomodarvi con me nel salotto »
Oscar lasciò che il marito le sfilasse il mantello, senza risparmiare un uno sguardo scocciato e notò che la madre si intristì nel vedere che lei non aveva indossato un abito, ma aveva prediletto un semplice ma elegante completo di pantaloni e camicia bianca e che aveva solo raccolto i capelli in uno chignon basso.
Per la prima volta si sentì a disagio in quelle vesti a casa sua, sentiva lo sguardo di tutta la servitù addosso.
«Oscar! »
Maurice le era corsa incontro, abbracciandola forte e lei ricambiò l’abbraccio, accarezzandogli i capelli e il viso.
«Ciao Maurice »
«Sei felice...!»
Sussurrò il fratello, un po’ turbato. Lei annuì, in fondo poteva andarle peggio.
 

Strinse con la mano destra quella sinistra, iniziando poi a giocare con la fede nuziale per poi abbandonarla per fare la stessa cosa con la collana che le aveva regalato la suocera.
«Con permesso...»
Aveva detto ad un certo punto, alzandosi dalla poltrona del salotto, interrompendo il discorso di suo padre e di suo marito.
«Dove vai?»
Aveva tuonato il padre ma non si lasciò intimorire. 
«Questa notte dormirò qui, mio marito partirà questa notte e non voglio restare sola a palazzo. Volevo informare la servitù di prepararmi la mia vecchia stanza »
Il generale guardò il duca che, con un piccolo cenno del capo confermava le parole di Oscar e, senza rispondere alla figlia, tornò sul discorso interrotto. Oscar alzò lo sguardo al cielo e uscì dal salone, chiudendo la porta alle sue spalle. Fece un sospiro, per poi avviarsi lentamente verso la sua vecchia stanza. Le sembrò così strano definirla “la sua vecchia stanza”, infondo era lì che aveva abitato per 29 lunghi anni.
Notò che tutto era rimasto come la mattina del suo matrimonio, fatta eccezione del caos che quel giorno regnava nella sua stanza e che in quel momento sembrava non essere mai giunto. Si avvicinò al suo letto e poggiò la spalla contro la colonna del baldacchino.
«Sei tornata...»
Oscar girò appena il capo, stringendo la mano intorno alle tende del letto. 
«André...»
«Sono stupito... tuo marito è ancora vivo? Pensavo che non avreste superato un giorno di nozze »
Risero entrambi, come riusciva a ironizzare sul suo matrimonio? Aveva sognato il suo bacio? Il suo “non ti sposare”? Il suo “ti amo”? No, non poteva essere frutto della sua immaginazione.
«Mi sei mancato...»
«Non ci vediamo da tre giorni Oscar...»
Disse con tono triste e un sorriso altrettanto malinconico. Oscar fece un respiro profondo, facendo qualche passo verso di lui.
«È come se fossero passati 3 anni »
«Esagerata...!»
«Non pensavo di soffrire così tanto la tua mancanza...»
Le lacrime le bagnarono le guance, lui le accarezzò dolcemente il viso e asciugò le sue lacrime.
«Anche tu mi sei mancata tanto...»
«Mi dispiace »
«Di cosa?»
«Per essermene resa conto così tardi...»
Oscar posò le mani sul suo petto, risalendo lentamente fino al suo collo. I loro visi erano vicini, tanto che le loro labbra si sfioravano appena.Tenevano entrambi gli occhi chiusi.
«Va bene così... va bene così...»
«No, non va bene così... non doveva andare così »
«Lo so »
Si baciarono dolcemente, senza alcuna fretta e si strinsero come se avessero paura che l’altro potesse sfuggirgli. Quando si allontanarono, André accarezzò il viso di Oscar con lentezza, asciugando le lacrime che avevano ripreso a bagnarle le gote rosee.
«Quando potrò rivederti?»
Un po’ temeva la sua risposta, non sapeva se sarebbe riuscito a sopportare l’idea di saperla lontana e soprattutto con lui.
«Resterò qui per un paio di giorni...»
«Avete già litigato?»
Oscar rise appena accarezzandogli la nuca.
«Parte per una missione e... non voglio stare lì »
«Allora ti faccio preparare la tua stanza»
«André...»
«Sì?»
«Resta con me stanotte»

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Capitolo 15
*** Tienimi, non lasciarmi ***


«È giunto il momento che vada, verrò a prenderti tra un paio di giorni »
«Fai con calma »
«Non mi tratterrò più dello stretto necessario, cara »
Alzò un sopracciglio, lui rise appena. Indossò rapido il mantello e posò il tricorno sul capo ma lei lo bloccò prima che uscisse, posando una mano sul  suo braccio. Lui si girò a guardarla, un po’ stupito dal suo tocco, Oscar incurante del suo sguardo su di lei gli aggiustò il mantello sul petto, allacciato male.
Appena finì allontanò le mani da lui, incrociandole dietro la schiena.
«L’avresti perso allacciato così male »
«Grazie mille »
Disse con un sorriso. Fece un passo verso di lei e le baciò la fronte, allontanandosi lentamente.
«Lo so che non vuoi»
«Vattene prima che cambi idea... »
Disse con un falso sorrisetto stampato sulle labbra e lui ubbidì, allontanandosi da poi palazzo in groppa al suo cavallo pochi istanti dopo. Incrociò le braccia al petto, percossa da un brivido di freddo.
«Sembrate andare d’accordo »
Madame Jarjayes si avvicinò cauta alla figlia, guardando la figura del duca allontanarsi sempre di più nella notte. 
«Abbiamo fatto un patto, ora se volete scusarmi madre vorrei ritirarmi nella mia stanza »«Certo cara, vai...»
Chinò appena il capo con un sorriso timido e, lentamente, si avviò verso la sua camera. 
Quando arrivò chiuse la porta alle sue spalle e sospirò amaramente, portandosi poi la mano al viso per scostare qualche ciocca ribelle dal viso. 
Finalmente sola.
Era quasi eccitata all’idea di poter restare sola in quella stanza, senza suo marito, a casa sua. Oscar si avvicinò alla toeletta e iniziò a spogliarsi, sbottonando la camicia con estrema cura e lentezza. Posò la camicia sullo schienale della sedia e, dopo essersi sfilata i pantaloni, era rimasta con la veste intima e si era subito coperta con la vestaglia. Si sedette di fronte allo specchio e sospirò stanca, prendendo la spazzola e iniziando poi a passarla sui capelli, finalmente sciolti, pensierosa.
Poco a poco il suo sguardo si abbassò sul suo collo sino al filo di perle e posò la spazzola sul mobiletto. Sganciò la collana con decisione, posandola accanto alla spazzola e, nervosa, iniziò morderei le unghie, accavallando le gambe.
Una parte di lei sperava di non vedere più il duca, l’altra invece si vergogna di quello stesso pensiero.
Non riusciva a decifrare il suo sguardo, a capire cosa volesse, come si sentisse, cosa pensasse e questo la irritava. Per lui, si sentiva un libro aperto. Non aveva ancora capito se avesse accettato le sue condizioni o se l’avesse solo presa in giro.
Oscar alzò lo sguardo verso l’orologio, erano le dieci di sera.


«Avanti »
Oscar si alzò rapida, sistemandosi la vestaglia e guardando Rapids la sua immagine riflessa nello specchio. Finalmente era arrivato. Probabilmente sua nonna lo aveva trattenuto o lui aveva preferito aiutarla e non lasciarla sola. Il suo cuore sembrava impazzire nel petto, era possibile provare sensazioni così forti solo pensando ad una persona? La porta si aprì piano e lei si voltò, stringendo la vestaglia tra le mani, ma la sua gioia si spense quando, al posto di André, trovò Maurice.
«Maurice... cosa ci fai sveglio a quest’ora? »
«Non riesco a dormire... e poi... volevo stare un po’ con te. Posso? »
Maurice teneva il capo basso e parlava dolcemente, un po’ imbarazzato forse e lei, davanti a tanta tenerezza, non riuscì a sgridarlo. 
Lo fece entrare e lui, finalmente con la testa alzata, la abbracciò dolcemente, stringendosi alla sua vita con tutta la forza che aveva nel corpo e lei, commossa da tanta dolcezza - era stato l’unico, insieme ad André, ad averle mostrato affetto, la governante non era neppure riuscita a salutarla da lontano -, lo abbracciò con altrettanta forza.
«Cosa mi racconti Maurice? Stai studiando »
«Sì! Spero di poter diventare come te un giorno, un grande e valoroso soldato! »
Lo sguardo di Oscar si intristì appena e accarezzò il viso del fratello dolcemente.  
Quanto avrebbe voluto poter essere ancora il soldato che era stata fino a un mese prima. 


«A quanto pare un altro uomo ha preso il mio posto »
Oscar portò una mano al viso e guardò in direzione della porta e sorrise quando vide la figura di André vicino la porta della sua stanza. Si era appisolata, insieme a Maurice, sul suo letto, dopo aver parlato e riso insieme, allevando il peso che portava nel cuore. Oscar si alzò a sedere sul materasso, guardando il fratello che dormiva con un dolce sorriso sulle labbra. André si avvicinò a letto con passi lenti, Oscar dedusse che la giornata di lavoro per lui fosse stata pesante, e prese il ragazzino tra le braccia per portarlo nella sua camera per dormire. Lo guardò in silenzio, intenerita dalla dolcezza con cui André aveva preso suo fratello in braccio e con quanta cura lo aveva riportato nella camera accanto. Quando si ritrovo sola, anche se per pochi istanti, sentì freddo. Si alzò dal letto ancora assonnata, portando le mani al viso e poi lungo il collo, guardando il mondo immerso nella notte fuori dalla finestra.
«Oscar... »
Sussultò, non lo aveva sentito arrivare. André posò una mano sulla sua spalla e aspettò che lei si voltasse verso di lui. Oscar chinò appena la testa all’indietro, posandola sulla spalla dell’uomo. 
«André... sono così felice di essere qui, con te »
André sorrise, posando le labbra sulla sua tempia, lasciando un piccolo bacio. 
Finalmente lei si girò verso di lui, gli occhi erano lucidi.
«A quanto vedo il matrimonio ti ha addolcita »
Disse con una nota d’ironia asciugandole una lacrima.
«Mi sento così... debole... »
«Non lo sei... sei la donna più forte che io conosca »
André avvicinò il viso al suo, sfiorando appena le labbra di lei con le sue. Oscar chiuse gli occhi, prendendo il viso dell’uomo tra le mani e sentì le mani di lui posarsi una sui suoi fianchi, l’altra sulla sua guancia. Si baciarono piano, stringendosi e cercandoti con le mani.
«Mi sei mancata... - sussurrò lui tra un bacio e l’altro, scendendo poi a baciarle il collo - mi sei mancata da impazzire »
Oscar sospirò lievemente, slacciando lo jabot di André e facendolo cadere sul pavimento di marmo. 
«Tienimi André... non lasciarmi »

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Capitolo 16
*** Amore e spade ***


La luce fioca del mattino la fece risvegliare. Portò una mano al viso, impedendo al sole riflesso sul tavolo in marmo di accecarla. D’istinto strinse il lenzuolo al petto, sentiva il freddo tessuto accarezzarle le cosce nude e si girò nel letto, trovandolo vuoto. 
Che fosse stato solo un sogno?
Le bastò sentire l’essenza della lavanda mista al profumo del legno per farle capire che lui era stato lì. Sorrise, stringendo uno dei cuscini al petto e ispirò il suo profumo che tanto le ricordava casa e che la faceva sentire bene.
Chiuse appena gli occhi, era stato così bello, così... diverso. 
Spesso, fare l’amore e fare sesso le erano sembrate due cose totalmente opposte quando, in realtà, si trattava solo di due facce della stessa medaglia. Lo aveva appena capito. 
Suo marito, per quanto fosse stato dolce nei modi... non le aveva trasmesso tutto quello che invece André era riuscita a darle.
Ora comprendeva anche perché la maggior parte delle dame avesse un amante, anche se in realtà aveva sempre provato pena per loro. Capí anche perché la stessa regina aveva voluto sciogliersi tra le braccia di Fersen.
Si alzò dal letto, recuperando la vestaglia sul pavimento e si coprì in fretta. Si avvicinò al lavabo, con un po’ di acqua fresca si sciacquò il viso e il collo e guardò il suo riflesso allo specchio.
Sorrideva.
 

«Spero tu abbia riposato bene questa notte »
Oscar portò la tazzina di porcellana alle labbra, godendosi il sole caldo penetrare dalla finestra che la riscaldava. 
«Sì, ho dormito bene padre »
Per tutta la serata, non le aveva rivolto la parola neanche una volta, solo per richiamarla quando lei si era alzata per tornare nella sua stanza. Non aveva grande voglia di parlare con lui, soprattutto con lui. L’uomo si sedette al suo fianco, in silenzio, e lei continuò la sua colazione, intingendo appena nel tè caldo una madeleine1 per poi morderla. 
«So che Marcel è venuto da te, ieri notte »
«È stato di ottima compagnia, ha fatto molti progressi »
«È un ragazzo intelligente »
Oscar bevve un nuovo sorso di tè, questa volta con alcune briciole del dolcetto, e sorrise appena.
«Questo non lo metto in dubbio... padre »
Oscar guardò il padre con la coda dell’occhio, ma lo distolse subito, tornando a guardare il giardino al di fuori della finestra.
«Quando avete intenzione di farlo entrare nella guardia? »
Chiese senza interesse, in realtà non voleva sapere nulla riguardo la futura carriera del fratello ma quel silenzio aveva iniziato a pesarle.
«Tra un anno, forse meno. È molto capace, non mi stupirei se fosse già pronto tra qualche mese »
Oscar chiuse gli occhi, ricordò tutto quello che aveva passato lei, a 11 anni, per diventare comandante della guardia reale. Sorseggiò ancora un po’ di tè, per calmarsi e interrompere il flusso dei ricordi.
La porta del soggiorno si aprì, entrambi si voltarono e la figura di André si mostrò a loro. 
«Generale, duchessa...  - sentirsi chiamare in quel modo le fece male all’anima - il maresciallo d'Affry è arrivato »
«Bene... »
Il generale si alzò rapidamente e uscì, con altrettanta rapidità, dalla stanza, passando accanto all’uomo. Oscar fece un sospiro di sollievo e guardò André in viso. Lui le sorrise appena, chiudendo la porta e si avvicinò a lei. Oscar si alzò dalla sedia e si guardarono negli occhi, a separarli solo pochi centimetri. 
Si strinsero le mani, lui le portò alle labbra e ne baciò il dorso, guardandola negli occhi.
«Questa mattina... ho pensato che fosse stato tutto un sogno... »
«Me ne sono andato alle prime luci dell’alba, non volevo crearti noie »
Non rispose, gli accarezzò il viso, spostando una ciocca di capelli che le celava l’occhio sinistro ed ebbe un sussulto. Se non si fosse spostato in tempo... cosa gli sarebbe successo? 
«Hai freddo? Stai tremando »
«Sto bene, non ti preoccupare »
Gli sorrise dolcemente, lui notò sul tavolo la tazza di tè e le petit madeleine e sorrise.
«Che ricordi... le madeleine nel tè o nel latte caldo... sai, anche Maurice a iniziato a farlo: inzuppare il dolcetto nel latte la mattina. Mi ricorda quando eravamo piccoli... »
Oscar sorrise, incrociando le braccia al petto e lo guardò dolcemente. 
«Vorrei tornare a quei tempi... quando tutto non era così complicato »
André si voltò verso di lei con sguardo malinconico e sorrise.
«Io no, posso definirmi una persona felice »
«André tu... per me non sarà in mai un ama »
«Non lo dire, non lo voglio sentire »
«André ma »
André posò l’indice sulle sue labbra, zittendola. Oscar sgranò gli occhi sorpresa.
«Dimmi solo che mi ami... il resto per me non ha importanza »
«Ti amo André... ti amo tanto »
 

Oscar sfogliò l’ennesimo libero svogliatamente, guardava le pagine senza leggere il contenuto, non sapeva neanche che libro fosse. Lo posò sul tavolino poco distante e sbuffò, annoiata. 
Il matrimonio le aveva dato tanto, forse troppo, tempo libero e non sapeva cosa fare per non abbandonarsi alla noia. Reclinò il capo all’indietro, guardando il soffitto pesantemente affrescato della sua stanza. No, neanche quello stuzzicava il suo interesse. Quando aveva lavorato nella guardia, non aveva mai avuto molto tempo per sé e rimpiangeva i giorni in cui non era ancora entrata a far parte della guardia. Ora, forse per uno scherzo del destino ( molto crudele ), rimpiangeva i suoi giorni di lavoro a corte.
Sentì il rumore di passi concitati venire dal corridoio e tese l’orecchio, curiosa. La porta della sua porta si aprì di scatto e lei sussultò sorpresa. Maurice entrò nella sua stanza con tutta la sua forza e allegria che aveva in corpo, con le guance arrossate e un sorriso meraviglioso sul volto, seguito da André, la governante che in ansia pregava il fratello di non disturbarla e delle cameriere.
«Oscar! Ti prego... mi aiuti ad esercitarmi con la spada?»
Maurice non aveva dato ascolto ai consigli della governante e stringendo due spade in mano gliele mostrò fiero.
Quella domanda la spiazzò come non si sarebbe mai immaginata. Maurice aveva il respiro affannato per la corsa e aspettava impaziente una sua risposta. 
«Madame... non siete costretta! Se vostro marito... »
Disse una delle cameriere con le mani giunte, guardandola.
«Ne sarei onorata »
Oscar sorrise dolcemente e si alzò, avvicinandosi al fratello e prese, emozionata, una delle due spade. La sguainò lentamente, lasciando che la luce del sole riflettesse sulla lama lucida e affilata. Alzò lo sguardo e incontrò quelli di André.
«Ti senti pronto a combattere con lei, Maurice? Guarda che è un osso duro »
Maurice si voltò verso l’uomo sorridendo, Oscar alzò gli occhi al cielo.
«Dice così solo perché non ha mai vinto contro di me...»
«Nessuno ha mai vinto contro di te »
«Touché »
«Vorrà dire che sarò io il primo a farlo! »

 

1: una delle versioni della nascita della  Madeleine attribuirebbe la creazione di questo dolce in Francia nel 1700 ad opera di Madeleine Paulmier, pasticciera alle dipendenze del duca di LeszczyÅ„ski, nonché suocero di Luigi XV. La leggenda narra che sia il re che la sua sposa, dopo aver assaggiato questi dolcetti si innamorarono a tal punto che li battezzarono con il nome della loro creatrice e li portarono alla corte di Versailles. 

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Capitolo 17
*** Vittorie e sconfitte ***


«Maurice... sembra che tu stia impugnando un bastone »
«Oscar, a me sembra che tu la stia impugnando male!»
Oscar sgranò gli occhi piacevolmente sorpresa e sorrise divertita, rimaneggiando la spada. André, poco distante, rise.
La spada si impugna come un tagliacarte e non come un bastone. Il pollice si distende sul ricasso in corrispondenza del filo falso della spada e in opposizione all'indice e al medio che si avvolgono in corrispondenza del filo dritto; anulare e mignolo avvolgono l'impugnatura”
Maurice la guardò birichino e Oscar notò una scintilla nel suo sguardo. 
Quel pomeriggio il cielo era limpido, neanche una nuvola decorava il cielo è un leggero vento faceva muovere lentamente le foglie degli alberi. 
Non seppe di preciso quando iniziò il loro incontro, ma il rumore delle spade che si scontravano riempì il silenzio che regnava nel giardino. Doveva ammettere che suo fratello non era affatto male; la su tecnica ,nonostante fosse molto giovane e ancora inesperto, era perfetta: i suoi affondi erano ben pensato e sicuri ma sembrava ancora spaventato quando era lui a subirli. Sarebbe stata una vittoria semplice, pensò Oscar. 
André guardava il loro allenamento seduto su una panchina poco distante, sorridendo. Entrambi si muovevano con eleganza, il tocco delle spade - finte, per evitare brutte ferite - era diventato quasi piacevole. Maurice sembrava un po’ in difficoltà ma nel suo sguardo leggeva determinazione, la stessa che trovava negli occhi di Oscar. 
Ci sarebbe stato da divertirsi. Sua nonna invece non sembrava pensare lo stesso, dato che non aveva smesso per un secondo di pregare e di urlare ogni volta che uno dei due attaccava.
«Nonna tranquillizzati! Sanno cosa fanno! »
«Io mi preoccupo per Madame! Che cosa direbbe suo marito il Duca se lo venisse a sapere?! »
«Perché dovrebbe venirlo a sapere? »
Disse Oscar senza distrarsi, indietreggiando appena dopo l’ennesimo attacco di Maurice che era quasi andato a segno. 
«E poi... vi prego non chiamatemi Madame! »
Passo falso, Maurice approfittò della distrazione di Oscar e lei inciampò, trovandosi subito disarmata dal fratello.
«Ho vinto! »
Disse orgoglioso puntando la spada contro il viso, facendole poi una smorfia divertita. Oscar sgranò gli occhi sorpresa.
«Che farabutto... pensavo fossi più onesto! »
«Mada... Oscar! »
«Questa sì che è bella... complimenti Maurice! »
Disse André aiutando Oscar a rialzarsi da terra.
«Gli fai anche i complimenti? È stato solo fortunato! Ha approfittato della mia distrazione »
Disse Oscar fingendosi offesa dalla sconfitta ma allo stesso tempo sorridendo al fratello. Maurice invece si sentiva soddisfatto della sua bravura e raccolse la  spada della sorella per dargliela.
«Sei molto migliorato Maurice, si vede che ti sei allenato. Anche se ho notato che hai alcune incertezze nel difenderti... »
«È vero, devo ancora migliorare ma sono sicuro che riuscirò senza dubbio a  superarti! Senza dover... fare brutti scherzi!»
Oscar sgranò gli occhi ridendo.

La sua permanenza, che doveva durare solo un paio di giorni, si allungò a una, poi due settimane. Il timore che fosse successo successo qualcosa al marito la incupì negli ultimi giorni e non aveva fatto nulla per nasconderlo. Nonostante tutto, il non sapere dove fosse quell’uomo è dove fosse la inquietava.
«Che cosa succede?»
Oscar sussultò, voltandosi verso André. Il ticchettio costante della pioggia sui vetri delle finestre e il rumore di un tuono la fecero tornare alla realtà. André le sorrise appena, accarezzandole il viso dolcemente. 
«Stavo pensando...»
Lei abbassò lo sguardo, giocando con la fede che portava al dito e lui comprese.
«Non ti ho sentito entrare...»
«Sono molto silenzioso »
Risero appena, un nuovo lampo di luce lo abbagliò quasi. André scostò appena le tende, celando al mondo esterno la stanza di Oscar. Lei lo guardò in silenzio, mentre tirava le tende della sua stanza e lo seguì con lo sguardo quando lui si avvicinò al camino per accendere il fuoco. Alcune volte i loro occhi si erano incontrati e lui gli aveva regalato ogni volta dei dolcissimi sorrisi. 
Lui, dopo un po’, la invitò a raggiungerlo vicino al fuoco scoppiettante e lei lo fece, stringendosi poi all’uomo, cercando conforto.
«A cosa stai pensando? »
Le chiese ancora in un sussurro, stringendola a sé e accarezzandole la schiena e i capelli dolcemente. Aveva bisogno di sentirglielo dire. Anche se lui non era presente fisicamente, lui lo avvertiva come un ombra su di loro che lei tentava sempre di allontanare. Oscar non lo aveva mai nominato, non sapeva se lei lo temesse o se semplicemente volesse dimenticarlo. 
Avrebbe voluto anche lui dimenticarsi di quell’uomo ma quel cerchietto che Oscar portava al dito e il filo di perle che decorava il suo collo glielo ricordavano ogni volta che la guardava.
«Stavo pensando a... mio marito»
André non mutò espressione, continuò ad accarezzarle la schiena e le baciò la tempia. 
«Non fraintendermi, sono felicissima di essere qui e di sentirti  accanto ma... temo sia successo qualcosa, ma forse è solo una brutta sensazione »
«È normale, è pur sempre tuo marito.... »
«Lo so che a te da fastidio »
Disse in un sussurro, stringendosi ancora di più a lui, posando il capo sulla sua spalla. 
«Io non conto nulla Oscar, nel tuo matrimonio... sono solo il tuo amante»
«Non è vero, per me conti molto.... più di quanto tu creda e ti prego... tu non sarai mai solo un amante »
Oscar si allontanò appena per guardarlo meglio e prese il viso tra le sue mani. André le sorrise appena, rafforzando la presa sui suoi fianchi e posò la fronte sulla sua. Restarono in silenzio, avvolti nel calore del loro abbraccio e del fuoco scoppiettante poco distante, scambiandosi sguardi e sorrisi. 
«Oscar... quando tornerà tuo ma»
Posò un dito sulle sue labbra, zittendolo. André mugugnò qualcosa di incomprensibile e lei rise appena, scuotendo appena il capo. Sfiorò appena le sue labbra con le proprie e André dimenticò completamente quello che voleva dirle. 
Si baciarono languidamente, cadendo con lentezza sul tappeto rosso poco lontano dal camino. Oscar si lasciò scappare un sospiro quando sentì le labbra di André sfiorarle il collo e la sua mano sfiorarle la coscia. Non gli aveva mentito quando gli aveva detto che, per lei, lui non era “il suo amante”, lui non lo sarebbe mai stato. Durante tutto il suo soggiorno a palazzo aveva scoperto con lui una intimità tutta nuova, che le aveva mostrato il lato più romantico di André e un po’ anche del suo. Una intimità che non era fatta solo di baci e di amore, ma anche di semplici sguardi, di sorrisi, abbracci e carezze. 
André le sbottonò la camicia e iniziò a baciarle il petto e lei incurvò la schiena, avvicinandosi a lui ma d’improvviso sentirono bussare alla porta. Entrambi sussultarono, guardando verso la porta e sperando che non si aprisse.
«Madame, vostro marito è tornato »
La voce delicata di una delle cameriere li raggiunse come un secchio d’acqua fredda, si guardarono negli occhi.
«A-Arrivo »
Disse poco convinta e, quando sentirono i passi della cameriera farsi sempre più lontani, André accarezzò la guancia della donna, sospirando frustrato.
«È tornato »
Disse in un soffio e si allontanò appena ma Oscar lo avvicinò a sé tirandolo per il bavero della camicia, a pochi millimetri di distanza dal viso. André le si ritrovò di nuovo addosso e rise, stringendo appena la mano intorno al polso.
«Ti prego... »
Una lacrima tradì le sue emozioni, André la raccolse e la baciò, senza più la passione che aveva travolto entrambi, ma con tanta dolcezza e tenerezza che solo lui riusciva a dare.
«Ora è meglio che tu vada da tuo marito »
Sussurrò André e lei annuì rapida, con gli occhi chiusi. La aiutò a rialzarsi e si sistemarono i vestiti lentamente. André, prima di uscire, cercò il suo sguardo ma lei gli diede le spalle. 

Oscar scese lentamente le scale, poggiandosi al corrimano. Una delle cameriere la informò che suo padre e suo marito la attendevano nel salotto, sospirò. L’arrivo del marito l’aveva turbata più di quanto immaginasse, ma sentiva una stretta al cuore alla quale non sapeva dare spiegazione. Si avvicinò alla porta del salone e indugiò ancora, posando la fronte sul legno bianco della porta. Entrò a capo basso, la testa le iniziò a far male, regnava il silenzio nella stanza. Appena girò il capo verso il i divani posti al centro del salone, sussultò.
«A-Adrien... »
Sussurrò stupita. Suo marito, nonostante il sorriso sornione, aveva il braccio destro fasciato e la divisa strappata in più punti, più alcuni lividi sul viso che sicuramente macchiavano anche il petto e la schiena. 
«Sono felice anch’io di rivederti mia cara »
«Cosa ti è successo? »
Oscar si avvicinò al marito e si sedette al suo fianco sul divano, sfiorò appena la fasciatura del braccio ma lui fece una smorfia di dolore.
«Ti hanno sparato... »
Mormorò e Adrien le sorrise appena, sinceramente stupito dalla preoccupazione della moglie.
«Mi hanno colto di sorpresa, erano dei briganti »
«Armati? »
Notò il generale guardando anche lui la fasciatura del braccio. 
«Ti ha visitato un medico?»
«Certo, ci vorranno un paio di giorni per rimarginare la ferita, per il resto me la sono cavata con pochi lividi e qualche taglio »
I due si scambiarono uno sguardo, preoccupato quello di lei, tranquillo quello di lui. Avvertì un brivido, ecco cosa lo aveva tenuto lontano così tanto tempo.
«Generale, perdonatemi, ma è meglio per me è mia moglie tornare a casa »
«Certo, Duca, darò ordine alle cameriere di preparare i bagagli »
Oscar guardò il padre con la coda dell’occhio e sospirò frustrata quando lui uscì dal salone e li lasciò soli.
«Che cosa ti è successo? Non mi avevi detto che la tua “missione segreta” fosse pericolosa »
Disse acida alzandosi in piedi davanti a lui, incrociando le braccia al petto. Il duca rise, sistemandosi meglio sul divano e guardandola dritto negli occhi.
«Non faceva parte della mia missione, è stato... un incidente di percorso, in tutti i sensi »
«Perché ti hanno attaccato»
«Non lo so, forse volevano derubarmi. Il popolo si è incattivito»
«Parli del popolo come se stessi parlando di bestie »
Oscar assottigliò lo sguardo, innervosita. Lui non sembrò dar peso al suo fastidio.
«Oscar... quando la gente ha fame... cede agli istinti animali. E quelli che mi hanno aggredito, non solo erano affamati, ma erano arrabbiati e armati. Mi avrebbero ucciso senza alcuna pietà sperando di cambiare qualcosa »
«Adrien... »
«Il nostro paese sta cadendo in rovina, ed è tutta colpa nostra. Te ne sei accorta anche tu, vero? Il cavaliere nero... se tu l’avessi catturato non so cosa sarebbe successo, ma posso solo lontanamente immaginarlo»
«E di chi è la colpa, Adrien?»
Chiese, non più arrabbiata. Lui sospirò e si alzò, avvicinandosi poi a lei«Di tutti, di nessuno... non lo so. Forse dei sovrani, forse del popolo. Ma lo sappiamo tutti che mio cugino non è adatto al ruolo di re»
«Nessuno vuole essere re »
«Louis Philippe sì... »
Oscar alzò gli occhi al cielo,  solo il nominare il duca l’aveva fatta imbestialire e di questo il marito se ne accorse.
«Il duca D’Orleans ha aperto le porte del suo palazzo al popolo, e dai suoi salotti stanno uscendo personalità davvero interessanti. Ti dicono niente nomi come Robespierre, Marat, Danton ,Desmoulins... ?»
«Adrien dove vuoi arrivare, parla chiaro »
«Ma come, non te ne sei accorta? »
Il duca sgranò gli occhi sorpreso ma con un sorrisetto poco convincente sulle labbra.
«Di cosa? Che il tuo caro cuginetto spera che il popolo prenda il sopravvento e che, dopo aver deposto Louis XVI, scelga lui come nuovo re?»
«Non mi deludi mai... »
Oscar alzò un sopracciglio.
«È un povero illuso. Il popolo non rinnegherebbero mai re per metterne un altro»
Costatò allontanandosi dal marito, dandogli le spalle. Il duca aveva ragione, da Parigi stavano iniziando ad arrivare notizie preoccupanti e il Cavaliere nero era solo la punta dell’iceberg. A corte aveva dato scandalo il salotto del duca D’Orleans per i suoi dibattiti filosofici contro la monarchia, tra le cui letture andava in voga Voltaire e Rousseau.
«Sono felice di sapere che tu condividi la mia stessa opinione su di lui »
«Se dovesse accadere qualcosa... tu cosa vorresti fare? »
Il duca non rispose, si guardarono solo per un lungo istante, in silenzio.

 

Note d’autrice:

Salve a tutti!
Purtroppo non credo che i prossimi aggiornamenti saranno più settimanali. Gli impegni universitari sono tanti e, anche se non si può uscire nella mia amatissima Campania, il tempo sembra non essere dalla mia parte. Spero, ovviamente, di riuscire a mantenere la mia cadenza settimanale.
Ne approfitto per ringraziare tutte voi che state leggendo in silenzio e che recensite le mie storie ♡︎♡︎

Un abbraccio virtuale a tutti, Myriru ♡︎

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Capitolo 18
*** L’amore della mia vita ***


«Devi proprio andare via?»
Oscar, impegnata a recuperare le poche cose che si era portata per la sua permanenza a Villa Jarjayes, non aveva fatto caso a Maurice che, con il capo basso, era rimasto fermo vicino la porta della sua camera. Oscar forzò un sorriso e, allontanandosi dalla cameriera che la stava aiutando, raggiunse il fratello. Gli accarezzò appena il viso, costringendolo quasi a guardarla in viso.
«Purtroppo sì Maurice, ma se vuoi puoi venirmi a trovare. Sono sicuro che nostro padre non avrà nulla da ridire »
«Davvero? Posso? »
«Ma certo... »
Oscar sorrise al fratello sincera, annuendo. Maurice sembrò rasserenarsi un po’ e si avvicinò alla sorella cercando un suo abbraccio. Lei lo strinse a sé con dolcezza, accarezzandogli i riccioli biondo scuro, ispirando il suo profumo di pulito.
«Ora dovresti andare, vero? Non vorrai far arrabbiare il precettore... »
«Hai ragione, promettimi però che non te ne andrai senza salutarmi! »
«Va bene, ora vai! »
Maurice schioccò un bacio sulla guancia della sorella e corse via, urtando quasi il povero André. 
«Perdonami André! »
André rise, facendo un sorriso al ragazzino ed entrò nella stanza della donna e rimase interdetto nel vedere le cameriere ordinare i vestiti di Oscar nei bauli. Cercò il suo sguardo per avere delle risposte ma lei si avvicinò alla ragazza, interrompendo il suo lavoro.
«Grazie Marianne puoi andare, finisco io »
Disse rivolgendosi alla cameriera che, con un rapido inchino, uscì dalla sua stanza, lasciandoli soli.
«Cosa è successo? »
«È stato aggredito, per fortuna non è grave ma è stato ferito al braccio. Ha espresso il desiderio di tornare a casa »
André fece una smorfia e guardò il piccolo baule ancora aperto. Lei mosse qualche passo verso di lui 
«Dovete andare via così in fretta? Non puoi... »
«Devo prendermi cura di mio marito »
Disse in un sussurro, scandendo ogni parola, con voce atona. André si irrigidì e le diede le spalle, coprendosi il viso con la mano. Non riconobbe la sua stessa voce, in realtà era dal suo fidanzamento che non riusciva a riconoscerla più. Oscar si avvicinò a lui, posando le mani sulle sue braccia, posando la fronte sulla schiena, tra le scapole.
«Non c’è bisogno di ricordarmelo... che non sei mia... mi basta guardare la tua mano... »
André prese la mano sinistra della donna e la portò alle labbra e vi indugiò, con la mano libera cercò la sua e le loro dita si intrecciano. 
«La notte prima del tuo matrimonio, ammetto, di aver pensato di rapirti - André rise appena, un po’ imbarazzato, Oscar invece sussultò - e di portarti lontano da qui, da lui... ma la paura di un tuo rifiuto ha distrutto ogni mio piano sul nascere. Sarei stata l’ennesima persona a decidere della tua vita e non volevo che mi odiassi per questo. Quando poi ti ho visto in abito da sposa... eri talmente bella da togliere il fiato e mi sono sentito spaesato. Dovevo confessarti i miei sentimenti per te oppure continuare a restare al tuo fianco ma come amico e confidente? Sarebbero bastate le parole? Ho agito d’istinto e ti ho baciato e, mio Dio, quando ti ho sentita ricambiare il mio bacio la voglia di portarti lontano è tornata ad infiammare la mia anima. Ma siamo stati interrotti... e ora sei legata a lui. Vorrei poter dire al mondo che sei mia, perché così ti sento, ma questo anello urla altro... »
«André... ti prego »
Oscar rafforzò la presa e sentì gli occhi riempirsi di lacrime nel sentire le parole dell’amato. La sua voce era arrivata bassa, triste, sentì un dolore sordo al cuore. André alzò gli occhi al cielo.
«Quando... potrò rivederti? »
André si girò verso di lei sciogliendo l’intreccio delle loro dita e prendendo il suo viso tra le mani. Le accarezzò le guance e asciugò le sue lacrime, baciando le palpebre.
«Presto, amore mio, presto... »
Oscar sussurrò con un sorriso triste e strinse la camicia tra le mani, le loro labbra si sfiorarono ma non si incontrarono. Si strinsero con dolcezza, anche se quell’intimità aveva un sapore d’addio, più che un arrivederci. 
André le baciò la fronte.
«Non dimenticare... che sei l’amore della mia vita »
 

«Finalmente... »
Il duca si sdraiò sul letto distrutto, sollevato dalla morbidezza del materasso. Oscar congedò le cameriere, ordinando prima ad una di esse di portare l’occorrente per disinfettare la ferita del consorte. 
«Non ho mai desiderato così tanto di potermi sdraiare sul letto di casa »
Oscar sorrise appena, immaginando e capendo soprattutto l’uomo. Si avvicinò alla sua toeletta e inumidì un panno nell’acqua fresca appena portata dalla servitù e lo tamponò sul viso e sul collo, rinfrescandosi. Le parole di André risuonavano nella sua mente. 
Non dimenticare... che sei l’amore della mia vita.
Oscar sospirò, posando la mani vicino al grembo, pensierosa, commossa. Sentì il cuore battere all’impazzata, quasi le veniva da piangere.  Era diventata così emotiva, ma il solo nominarlo le provocava brividi lungo tutta la schiena.
Sentì la mano del marito sfiorarle la spalla e trasalì appena, sorpresa. Alzò il viso verso di lui e notò che le stava sorridendo. Una cameriera disturbò la loro quiete, posando su di un mobile quello che la sua padrona le aveva chiesto.
«Devo disinfettanti la ferita »
«Non c’è n’è bisogno »
«Adrien... so cosa significa avere una ferita d’arma da fuoco »
«Lo so mia cara, ma se ci tieni tanto... »
Oscar girò appena il viso quando suo marito iniziò a spogliarsi della giacca e della camicia, imbarazzata. Appena finì, l’uomo si sedette sul bordo del letto, posò la mano sul braccio ferito e aspettò la consorte che lo raggiungesse. Non dovette aspettare molto, Oscar si avvicinò a lui con passi lenti e iniziò a sciogliere le bende con cura. 
Sentiva lo sguardo dell’uomo addosso ma lei tentò di evitarlo in ogni modo, cercò di non farsi distrarre e gli pulì la ferita che, con grande sollievo, non si era infettata e che stava iniziando a guarire, seppur lentamente. Aveva più volte sentito il suo braccio irrigidirsi sotto le dita, doveva dargli ancora fastidio e non lo biasimava. 
«Perdonami... »
Aveva ritirato il braccio di scatto e aveva paura di essere stata indelicata.
«Non... preoccuparti »
Quando finì di bendare il braccio alzò il viso verso l’uomo e i loro occhi si incontrarono. Si irrigidì, arrossì leggermente, sentì la mano dell’uomo posarsi sul fianco. Oscar lo guardò incerta, cos’avrebbe dovuto fare? Prendersi cura di suo marito, come aveva detto ad André solo poche ore prima, oppure seguire il suo cuore?
Lui non si mosse, al contrario aspettò un suo cenno, come lei gli aveva chiesto: non avrebbe fatto nulla senza il suo consenso, non l’avrebbe cercata se lei fosse allontanata. Lei si sedette sulle sue cosce e abbassò appena lo sguardo sul suo petto, posando le mani sulle sue spalle. La sentì, la sua virilità, tra le gambe e sospirò, chiudendo gli occhi e posando la fronte sulla sua. Avvertì la mano di lui, posata sulla sua coscia, risalire lungo il fianco e oltrepassare la camicia, sfiorando la pelle della schiena. 
Adrien sorrise, sfiorò la sua guancia e fece scivolare la mano sulla sua nuca, come a volerla avvicinare a sé ma senza forzarla e ci riuscì; le loro labbra, che fino a quell’istante si erano solo sfiorate, si unirono in un bacio lento, carico di passione, mentre le loro mani si cercavano e si spogliavano - era più lui a denudare lei - e i loro sospiri riempirono la quiete che regnava nella stanza. 
Perdonami André... anche tu sei l’amore della mia vita!”

 

“Assurdo”
Oscar nascose il viso nel cuscino, soffocando un urlo di frustrazione. Girò il capo verso il lato vuoto del talamo nuziale e sospirò esasperata. Fu felice di non trovarlo al suo fianco una volta sveglia, avrebbe avuto il tempo di pensare e di restare sola.
“Mi sento in colpa... per aver passato la notte con mio marito... come se avessi tradito André”
Coprì il petto nudo con il lenzuolo e si coprì il viso con la mano, cercando di placare il mal di testa che l’aveva tormentata da quando aveva aperto gli occhi. Le tende del baldacchino impedivano alla maggior parte dei raggi del sole il passaggio, non sapeva neppure che ore fossero. Scostò le pesanti tende e coprì il suo corpo con una vestaglia di seta, si avvicinò a uno dei bauli che non aveva ancora disfatto - solo ricordare il perché la turbava più del dovuto - e iniziò a disfarli.
“Di cosa mi lamento? Sono stata io, dopotutto, a cedere... che vergogna! Devo essere davvero impazzita. Mi sono sentita... in dovere? Costretta a concedermi a lui? O forse... ho cercato in lui quello che André non potrà più darmi? Mio Dio, mi sento così confusa... ma questo?”
Oscar raccolse, nascosto tra i vestiti, un foglietto di carta: era piegato più volte, sporco appena d’inchiostro in un angolo. Lo aprì appena, curiosa di sapere cosa ci fosse scritto in quel piccolo foglio di carta e riconobbe subito la calligrafia.

Cos’è una poesia? Mi chiedi mentre pianti
nei miei occhi i tuoi occhi blu
Cos’è una poesia, mi chiedi!
Poesia... sei tu1

Oscar portò una mano alle labbra, commossa. Lacrime calde iniziarono a bagnarle le guance copiose.
«Amore mio... »

 

1= Gustavo Adolfo Bécquer, Rima XXI ( 1867-68 )

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Capitolo 19
*** Calore ***


Oscar chiuse il libro sulle gambe, sbuffando annoiata. Non aveva mai avuto molto tempo per sé, nemmeno durante le rare e brevi licenze che le erano state concesse durante tutti gli anni di servizio a Versailles. E ora, che di tempo a disposizione ne aveva anche troppo, finiva sempre con l’annoiarsi: leggeva qualche libro, suonava il suo amato violino e rifletteva. Suo marito era sempre impegnato a corte - beato lui! Invidiava molto il suo lavoro - e la lasciava per giornate intere da sola, già alle prime luci dell’alba per poi tornare la sera tardi, dopo cena. Oramai era diventato il suo quotidiano da ben cinque mesi.
Si guardò intorno, nella grande biblioteca posta nell’ala est del palazzo, ricca di volumi rari e pregiati, con una vastità notevole di autori e di generi. Il legno quercia degli scaffali creava, insieme al blu delle pareti, un luogo caldo, vissuto e, quando regnava il silenzio totale, a tratti religioso in quella grande stanza. In più, il particolare profumo della carta - alcuni libri non erano stati mai aperti - rendeva quel luogo magico per lei, dove poteva sentirsi al sicuro.
«Madame, la vostra cioccolata »
«Grazie mille Lucille »
Oscar sorrise alla giovane cameriera che, elegantemente, aveva posato il vassoio con la cioccolata calda ancora fumante sul tavolino posto vicino alla poltrona dove lei era seduta. 
Poi la ragazza si spostò verso il caminetto per ravvivare il fuoco, alimentandolo con un pezzo di legno e sistemando accuratamente le braci. Con un inchino rapido, si congedò.  Sorrise appena, nascondendo le labbra dietro la mano.
Oscar prese la tazza e la portò lentamente alle labbra e, con la coda dell’occhio, osservò la lettera che le era arrivata quella stessa mattina: il suo caro fratello le avrebbe fatto visita il giorno successivo. Sorrise, quella casa non le sembrò più fredda e ostile.
 

«Oscar! »
Oscar sorrise nel vedere il fratello correrle incontro nel grande ingresso di palazzo Bourbon-Condé. Maurice la raggiunse subito, abbracciandola forte sotto lo sguardo divertito del duca che, per l’occasione, aveva ritardato la sua partenza per Versailles di un paio di ore.
«Duca - disse  rivolgendosi immediatamente al cognato, drizzandosi con la schiena e guardando il duca negli occhi fiero - grazie per aver accettato di ospitarmi qui, oggi »
«Grazie a te, per fare compagnia a mia moglie. Ma spero che tu non sia venuto solo »
Oscar si voltò appena in direzione del marito, sinceramente sorpresa dal tono dolce che aveva usato con il fratello.
«Affatto signore, sono accompagnato dal mio attendente »
Disse fiero voltandosi verso il portone d’ingresso dove, silenzioso, André fece la sua comparsa. Oscar trattenne un sorriso di felicità misto a un brivido lungo la schiena, cercando di contenere le proprie emozioni davanti al marito.  La prima volta che lo aveva visto accompagnare il fratello aveva sentito un tonfo al cuore e ringraziò il cielo che suo padre ( finalmente aveva fatto una cosa giusta!) aveva permesso a Maurice di farle visita più spesso, almeno un giorno ogni due settimane. E ogni volta, le sembrava la prima. 
Anche se erano poche le ore che passavano insieme, soprattutto senza poter parlare da soli, le riscaldavano l’animo.  
«Bene, per me è arrivato il momento di andare - il duca aveva posato una mano sulla schiena della moglie, lasciandole un rapido sorriso -. Vi lascio alle vostre incombenze!  »
«Passate una buona giornata Duca »
Aveva risposto Maurice chinando appena il capo e lui lo ringraziò. Quando il duca si allontanò a cavallo verso Versailles, Oscar abbassò lo sguardo verso il fratello con un dolce sorriso.
«Congratulazioni Maurice, vedo che le lezioni di Madame Tupin stanno dando i propri frutti »
Madame Tupin era un’anziana signora che, tanti anni prima, aveva dato sia a lei che a André lezioni di etichetta. Oscar la ricordava con il suo chignon basso e i suoi capelli bianchi, bianchissimi, che le incorniciavano il viso duro, con il naso aquilino, le labbra sottili e gli occhi piccoli e vispi. Quando Maurice le disse che Madame Tupin gli avrebbe dato lezione... pregò per lui, dopo una grossa risata. 
Nonostante l’aria dura e severa, la voce dell’istitutrice era molto acuta e questo non aveva fatto altro che alimentare le prese in giro da parte di André e di Oscar.
«Sì... a suon di bacchettate sì! »
Oscar alzò gli occhi al cielo, ricordando il dolore alle mani quando sbagliavano a prendere la posata a tavola. Scosse il capo, invitando il fratello nel giardino per il loro duello.
Era diventata quasi una tradizione. Ogni volta che si incontravano, che fosse Palazzo Jarjayes o Palazzo Bourbon-Condé, dovevano sfidarsi a duello con le spade. Ancora non gli aveva perdonato la vittoria sleale della prima volta e si era proposta di aiutarlo a migliorare la tecnica, senza che suo padre o suo marito lo sapessero.
Era il loro piccolo segreto.
 

«Complimenti Maurice, sei migliorato molto dalla settimana scorsa! »
«Mi sono allenato molto, non è vero André? »
André rise, poggiato ad un albero poco distante.
«Confermo, anche l’istruttore ha notato il suo miglioramento. Sta lavorando davvero sodo »
Oscar sorrise, posando una mano sul capo del fratello scompigliandogli i capelli e lui sorrise imbarazzato e si avviarono all’interno per rinfrescarsi e riposarsi dopo l’allenamento. La governante, appena li vide rientrare nel palazzo, si avvicinò alla padrona con un sorriso radioso.
«Madame, abbiamo preparato la merenda, come avete richiesto »
«Grazie mille, Geneviève. Maurice, seguila nelle cucine. Io e André dobbiamo parlare, ti raggiungeremo subito »
«Certo »
La governante sorrise, invitando il bambino a seguirla mentre gli chiedeva, con voce dolce e materna, quale dolce preferisse tra quelli che erano stati preparati. Oscar fece cenno ad André di seguirla verso la biblioteca, dove sicuramente non sarebbero stati disturbati. Il sentire di nuovo, dietro di lei, i passi e la presenza di André la calmò, facendole ricordare i tempi passati, così lontani che alcune volte le sembravano dei sogni sbiaditi. Oscar, una volta arrivati nella biblioteca, chiuse le porte lentamente, indugiando poi sulla maniglia della porta, posando a fronte sul legno laccato di bianco.
«Questa biblioteca è grandissima... »
Notò André guardandosi in giro e, notando che Oscar ancora non si era mossa dalla porta. Si avvicinò a lei cauto e l’abbracciò da dietro; allungò le mani facendole scivolare verso le sue per allontanarle dalle maniglie e avvicinandole al petto, per abbracciarla. 
«Cosa c’è che non va? »
Lo sussurrò piano al suo orecchio, stringendo la presa attorno alla vita e baciandole la tempia dolcemente.
«Mi sembra così surreale poterti sentire così vicino »
Oscar voltò appena il viso verso l’uomo con un piccolo sorriso, posando il capo sulla sua spalla e socchiuse appena gli occhi. 
«Passiamo molte ore insieme »
«Ma ti sento sempre così lontano »
Oscar allontanò la mano dalle sue e l’avvicinò al viso dell’uomo, lasciando una leggera carezza sul viso e lui si avvicinò appena a lei, sfiorando le sue labbra con le proprie. 
«Amore... tu non hai idea di quanto autocontrollo mi devo armare prima di vederti »
Lei rise appena e si voltò completamente verso di lui.
«Perché il tuo solo profumo riesce a stordirmi... »
André prese il suo viso tra le mani e lei gli strinse appena i polsi, chiudendo gli occhi. Le sfiorò le labbra con la punta delle dita e sorrise, baciandole la fronte.
«Ma mi basta sentirti così vicino e il mio animo si calma »
«André io... »
Non la lasciò finire e si baciarono dolcemente, stringendosi quasi per non perdersi ancora, per l’ennesima volta senza potersi godere a pieno le piccole gioie di quel sentimento che era nato tra di loro troppo tardi. 
«André noi... dobbiamo andare... Maurice... »
«Hai ragione ma... di cosa dovevamo parlare? »
André le sorrise malizioso, guardandola dritto negli occhi. Oscar rise e gli morse lievemente il labbro inferiore.
«L’ho scordato »
Risero insieme, scambiandosi poi un ultimo bacio.
«Ti amo »
«Ti amo anch’io André... tantissimo »
 

Oscar bussò lievemente alla porta dell’ufficio del marito. Fece un sospiro stanca, quella notte non era riuscita a riposare bene e si sentiva completamente a pezzi. Attese in silenzio il permesso per entrare ma la porta si aprì da sola, o meglio era stato uno dei colleghi del marito ad aprirle e la invitò ad entrare con un cenno del capo. Oscar corrugò appena la fronte ma cercò di non dargli peso e si voltò alla ricerca del marito che, come si aspettava, era seduto alla scrivania con dei fogli in mano e a fronte corrugata, preso dal loro contenuto.
«Dimmi Oscar, hai bisogno di qualcosa? »
«Sì, vorrei parlarti... in privato »
L’uomo alzò gli occhi dal foglio e li poggiò su di lei e si raddrizzò sulla sedia, sospirando stancamente. Oscar si guardò intorno, molte delle persone presenti in quella stanza ( in totale erano una decina ) le conosceva e aveva addirittura lavorato con loro e ora... si scambiavano soffuse parole senza allontanare lo sguardo da lei ma non se ne curò. 
«Allora?! - sbottò  infastidito il marito e tutti nella stanza si girarono verso di lui - Cosa state aspettando, un invito reale?! Fuori! »
Oscar sgranò gli occhi ma provò una certa soddisfazione nel vedere quelle persone allontanarsi dalla stanza. Il duca si portò le mani al viso, allontanando i capelli che erano ricaduti. Sospirò di nuovo e alzò di scatto il capo, guardandola quasi senza emozioni.
«Cosa dovevi dirmi? Spero sia importante perché stavo facendo una riunione davvero importante e »
«Aspetto un bambino »

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Capitolo 20
*** Sfogo ***


Il duca si alzò di scatto dalla sedia, che per poco non cadde per l’improvviso movimento dell’uomo, e la fissò incredulo. Non seppe decifrare il suo sguardo di ghiaccio ma notò che aveva le mani chiuse in un pugno e aveva la mascella contratta. Oscar rilassò le spalle, senza abbassare lo sguardo e incrociò le mani sul ventre, in attesa delle sue parole. Il silenzio di quella stanza, che fino a qualche istante prima era gremita di persone, sembrò rimbombarle nelle orecchie. Fece un sospiro. L’uomo aggirò la scrivania e con poche e lente falcate la raggiunse, al centro dell’ufficio. Dovette alzare di poco il mento per poterlo guardare dritto negli occhi.
«È la verità? »
«Perché dovrei mentirti... »
Lo sussurrò quasi, inclinando appena il capo e alzando le spalle, con un debole sorriso. Lui abbassò lo sguardo sul suo ventre, coperto dalla camicia larga che nascondeva ogni possibile sospetto.
«Quanto... da quanto? »
Alzò un sopracciglio.
«Da quanto lo so? Una settimana, o poco meno »
«Perché non me l’hai detto subito? »
Fece spallucce. In realtà lo sapeva benissimo: dopo la partenza del fratello, era stata male, tanto male che sia la governante che il maggiordomo avevano insistito a chiamare un medico. Lei non ricordava molto, doveva essere poi svenuta ma aveva sentito un forte dolore al bassoventre che l’aveva quasi piegata in due. L’esito della visita era chiaro, così come le parole del dottore: aveva rischiato un aborto, ma che per fortuna questo non aveva inciso gravemente né sulla sua salute né su quella del bambino. Aveva ordinato al medico di non dire nulla a nessuno, neppure alla servitù del resoconto della visita e di mentire su un semplice capogiro dovuto ad un doloroso periodo mensile, che avrebbe spiegato anche il dolore al ventre.  
La notte, l’aveva passata pensando, stringendo le mani su quel ventre che le sembrava comunque vuoto e sentì, da quell’esatto momento, un peso fermarsi sul cuore, troppo pesante da sopportare ma troppo crudele di cui liberarsi: sarebbe stata più felice sapendo di aver abortito? Il solo chiederselo la faceva sentire peggio. 
Non aveva neanche ascoltato il consiglio del dottore di restare tranquilla e di riposare, la settimana successiva, quella stessa mattina, aveva duellato di nuovo con il fratello. 
«Il medico... ti ha detto di quanti mesi »
«Tre »
Mosse appena la mano verso il ventre della moglie ma si fermò subito. Si morse appena il labbro e cercò il suo sguardo.
«Tu... hai detto di non volere figli »
«Ricordo quello che ho detto, ma ormai... quello che è fatto, è fatto... no? Tu avrai un erede e... tutte le persone che conosco non continueranno più a chiedermi quando avrò un figlio. Sarà una liberazione »
Notò una lieve nota di sarcasmo nella sua voce e non trattenne una risata. Già da un po’ sia la suocera, che la cognata e sua madre, avevano iniziato a domandarle, quasi con insistenza, dove fosse il famoso erede e lei si sentiva frustata, perché figli lei non ne voleva ma al tempo stesso non voleva dar loro alcun dispiacere dicendo che lei avrebbe fatto anche a meno di quel particolare. 
«Non avevo bisogno di un erede »
Le disse posando finalmente la mano sul ventre magro. Lei posò la mano sulla sua.
«E io non avevo bisogno di un marito, eppure qualcuno non sembrava pienamente d’accordo con me »
Adrien sgranò appena gli occhi, forse un po’ offeso dalle sue parole ma non si lasciò intimorire.
«Il generale non ha rifiutato la mia proposta - puntualizzò e Oscar non potè non dargli torto - , in realtà mi ha rivelato che un’altra persona, poco tempo prima, gli aveva fatto la stessa ed identica proposta »
«Che cosa? »
Oscar sgranò gli occhi e si irrigidì, il duca lo notò subito. Chi poteva aver mai chiesto la sua mano? Perché suo padre non le aveva dato, allora, la possibilità di scegliere tra i due pretendenti come aveva fatto fare alle sue sorelle? Chi aveva avuto il coraggio di chiedere in sposa, oltre al duca di Bourbon-Condé, il comandante Oscar François de Jarjayes?!
«Vostro padre non vi ha detto nulla, a quanto vedo »
«Oh... no. Chi? Vi ha detto il nome? »
«Cambierebbe qualcosa? »
«Voglio sapere se mio padre ha fatto una buona scelta »
Disse acida, senza volerlo sul serio. Il duca sforzò un sorriso, non capì se per il suo commento o per il nome del suo, come dire, avversario in amore.
«Il... conte Fersen »
Oscar sgranò gli occhi, aveva capito bene?
«Il conte... oh mio Dio, devo sedermi »
Portò le mani al viso e allontanò la frangia dalla fronte, sconvolta dalla notizia. Adrien alzò un sopracciglio  e la seguì con lo sguardo mentre lei si sedeva su una delle poltrone poste di fronte la scrivania. 
«Avresti preferito lui? »
Oscar alzò lo sguardo verso il duca che, tranquillo, si era inginocchiato davanti a lei per poter essere alla stessa altezza del suo viso. Aveva avvertito un po’ di tremore nella sua voce, o era stata solo un’illusione?
«No »
Lo disse con sicurezza e lo vide quasi rilassarsi. Le sembrò strano: un anno prima avrebbe forse fatto qualsiasi cosa pur di ricevere quel genere di attenzioni da parte sua e ora... quel “fuoco” si era come spento d’improvviso, così com’era nato.
«Ne sono felice »
«E poi... non cambierebbe nulla, ora. Nel grembo porto tuo figlio »
Non aveva avuto alcun dubbio sulla paternità del figlio. Lei e André...  non avevano avuto più quell’intimità da molto, troppo tempo: anche se, grazie a un’inconsapevole Maurice, si vedevano spesso, i loro gesti non andavano mai oltre carezze e qualche bacio. 
André... come avrebbe reagito alla “lieta notizia”? Era stata tentata di rivelargli tutto, anche della visita del medico ma le parole le erano morte in bocca.
«Oscar... »
La voce del marito la portò alla realtà, alzò appena lo sguardo su di lui. Le prese le mani e le strinse, baciandone poi il dorso senza toglierle gli occhi da dosso. 
«È... una bella notizia dopotutto »
“Non per me” avrebbe voluto aggiungere ma restò in silenzio, accarezzando il capo del duca poggiato sulle sue cosce.

Non te lo chiederei in una “situazione normale” ma, per il bene del bambino, potresti indossare degli abiti? Almeno durante la gravidanza? Non chiederò altro.
Erano arrivati ad un accordo, ancora una volta. Finché avrebbe potuto, avrebbe indossato i suoi comodissimi e amatissimi pantaloni e avrebbe indossato abiti semplici, solo per il bene del bambino. 
Per l’occasione, avevano invitato il giorno dopo, a cena, le rispettive famiglie ( alle sorelle Oscar aveva scritto una lettera, che avrebbe inviato il giorno seguente ) per comunicare la lieta notizia. 
Lieta. 
Doveva abituarsi. 
Lo avrebbe amato, era pur sempre sangue del suo sangue, e forse avrebbe anche rimpianto di aver trascorso la gravidanza come una pena dell’inferno ma al momento ancora non riusciva ad esserne felice. 
Quella sera, al grande tavolo, c’erano tutti. Sua madre e suo padre sedevano, rispettivamente, alla destra del marito, seduto a capotavola mentre alla sua sinistra vi erano la madre e il cognato suo fratello; dall’altro lato, a capo tavola, vi era lei, alla sua sinistra aveva Maurice, mentre alla sua destra vi era sua cognata. Si parlava con leggerezza di un po’ di tutto mentre veniva servita la cena e il suo sguardo più volte si era posato su André che, avendo fatto da cocchiere alla carrozza, era poi rimasto in qualità di attendente ( si dava molto da fare, o probabilmente il cocchiere di palazzo Jarjayes aveva avuto un malanno, data la sua avanzata età. Sperò che stesse bene).
Lei e il marito si erano scambiati più di uno sguardo durante tutta la cena. Avevano deciso di dare la notizia dopo la cena, nel salotto dove poi si sarebbero riuniti per continuare la conversazione. Quando gli ultimi piatti furono portati via, Oscar chiuse gli occhi per un istante e fece un sospiro.
«Va tutto bene, cognata? »
«Oh sì, va tutto bene. Ho solo un leggero mal di testa  »
Charlotte Godefride Élisabeth era di una dolcezza unica. Il suo viso era delicato e un po’ paffuto e gli occhi marroni e i capelli castani  mettevano in risalto l’incarnato chiaro. Vestiva sempre colori tenui e spesso aveva notato portasse fiori nelle acconciature. Era una figura così solare a confronto del marito che, freddo con la maggior parte delle persone, non rispecchiava affatto i canoni estetici della corte di Versailles. 
«Bene signori - il duca si era alzato lentamente e l’aveva raggiunta, dall’altro capo della tavola, posando poi le mani sulla spalliera della sedia - , se gradite, possiamo spostarci nel salone »
Tutti gli ospiti sembravano aver accolto con piacere l’invito e, in pochi minuti, erano già tutti nel salone: i tre uomini tenevano in mano un bicchiere con il cognac mentre le donne, esclusa Oscar, sventolavano i loro ventagli vicino il viso. Oscar si era seduta su una poltrona, poco distante dal marito che, in piedi, stava per invitare le signore a prendere da bere per un brindisi. 
Era arrivato il momento. 
Adrien la invitò ad alzarsi, tendendole la mano e lei accettò il suo aiuto, posizionandosi al suo fianco, mentre lui posava la mano sulla sua spalla.
«Signore... signori... un brindisi! Per noi noi tutti, che la salute non ci abbandoni mai e soprattutto per mia moglie...»
Fece una pausa, voltandosi verso di lei con un sorriso, mentre lo sguardo di tutti si posava su di loro. Lei sforzò un sorriso, posando la mano sul ventre.
«… che è in attesa di mio figlio! »
Un’esplosione di gioia li travolse in un’attimo: sua madre l’aveva stretta in un dolce abbraccio commossa; sua cognata le aveva fatto le più vive congratulazioni; sua suocera l’aveva abbracciata come se fosse una figlia e si congratulò con lei; Maurice, invece, era rimasto in disparte, con un piccolo sorriso sulle labbra e abbracciò anch’egli la sorella, senza però dire nulla.
«Ti sei dato da fare, fratello! »
Fu l’unico commento del cognato, le fece voltare lo stomaco.


«Madame... c’è un signore che vuole parlarvi! Dice che si tratta di una questione importante! »
Oscar smise di suonare il violino e fissò la cameriera per alcuni istanti, stupita. Era la prima volta che qualcuno in quella casa chiedesse di lei.
«Va bene... fallo accomodare nello studio del duca »
Con molta probabilità, pensò Oscar, si trattava di qualche messo che doveva consegnare una lettera di grande importanza per il duca. O forse c’erano stati dei problemi a corte? Con sua madre? Posò il violino sul tavolo poco distante nella camera da letto e si avviò a passi svelti nello studio del marito, sperando di tornare presto a continuare il suo spartito, lasciato a metà.
Quando entrò nello studio l’ospite ancora non era arrivato, aspettò un paio di secondi e subito le porte si aprirono, svelando i suoi passi, e si richiusero subito, dietro di lui.
«Oscar... »
Si voltò di scatto, sorpresa. Tutto si sarebbe aspettato, tranne di vederlo lì davanti a sé. 
«André ma tu... cosa... cosa ci fai qui? »
«È vero Oscar? È vero che aspetti un bambino? »
Il suo respiro era corto, le mani gli tremavano e gli occhi... mostravano una tristezza infinita. Aveva sentito la sera stessa i genitori di Oscar e Maurice parlare della notizia mentre tornavano a casa. All’inizio si era sentito stordito, come se il mondo gli fosse crollato addosso e, una volta tornati a palazzo, fu lui stesso a dare alla servitù la notizia, sotto ordine del generale.  
«André... »
«Non mentirmi... ti prego »
Oscar annuì lievemente, chinando appena il capo.
«Perché... non me l’hai detto? Io... non ti capisco Oscar! Non ti riconosco più! Fino a... qualche tempo fa mi avevi detto che non ti saresti fatta sfiorare con un dito da quell’uomo e ora... aspetti suo figlio, maledizione! »
Portò le mani al viso, allontanando i capelli dalla fronte e tornò a guardarla. Avrebbe voluto urlare per sfogare la sua frustrazione ma doveva contenersi in quel palazzo. Lei non gli rispondeva.
«Tu... dove è finito il comandante Jarjayes? Dov’è finito il figlio maschio, l’orgoglio della famiglia Jarjayes? Dov’è... la Oscar di cui mi sono follemente innamorato da ragazzo? »
«Ti sbagli... io ora non sono più un comandante... sono solo la sesta figlia del generale Jarjayes. Punto. Ho fatto... quello che tutti si aspettavano da me, come un dannato burattino. Credevo... credevo di essere libera rispetto tutte le donne della mia età ma non era vero. Loro... loro sì che erano libere! Loro non... erano costrette a fingere di essere qualcun altro per rendere felice il proprio padre. Io... non sono neanche sicura che questa - disse allargando le braccia - sia la vera me. O che la Oscar di cui ti sei innamorato esista realmente. Da quando... mi sono sposata ho sentito il dovere di dover essere una buona moglie, perché ancora una volta era questo che si aspettavano da me. Era il mio nuovo compito, la mia nuova missione! Loro... non hanno avuto la perenne paura di essere ripudiate dal proprio marito perché appunto diverse. Tu non sai... cosa significa perché sei un uomo. Non lo saprai mai. Perché anche se.... apparteniamo a diverse classi sociali tu avrai sempre più diritti di me solo perché sei un uomo. È vero... aspetto un bambino »
Ammise con voce rotta, asciugandosi una lacrima con la manica della camicia mentre André la fissava ammutolito, con gli occhi sgranati. Lei respirò profondamente, tremava tutta, aveva schiarito la voce più volte e si era presa lunghe pause per non crollare.
«Aspetto un bambino. E io bambini non ne volevo. Non solo... ho rischiato anche di perderlo... »
André fece un passo verso di lei ma Oscar allungò il braccio nella sua direzione, fermandolo.
«Oscar io... »
«Non dire nulla non...  cambierebbe niente....»
André prese la mano di Oscar che gli tendeva contro e la tirò verso di sé, circondandola con le sue braccia. Posò una mano sulla sua nuca e l’altra le circondò la schiena, reggendola quasi per paura di non farla cadere.
«Perdonami amore mio... perdonami... »
«Non volevo… non volevo… »
Scoppiò in lacrime tra le sue braccia, si aggrappò a lui con tutte le sue forze e pianse finché non le rimase più fiato. André rimase al suo fianco, aspettando che si calmasse e le accarezzò i capelli, le baciò la fronte.
«Ho pensato... che se fossi riuscita a dargli un figlio, forse sarebbe cambiato qualcosa »
Disse asciugandosi poi il viso arrossato, posando una mano sulla fronte sospirando, cercando di placare il mal di testa atroce. André le baciò la guancia, tenendo ancora le mani sui suoi fianchi.  Lei strinse le spalle, come percossa da un brivido, e scosse il capo.
«Oscar è... io... non so che dire »
«Non fa niente io... mi sento meglio, davvero. Avevo solo... bisogno di sfogarmi. Grazie »
Gli accarezzò la guancia dolcemente, accennando un sorriso sincero.
«Ti ho ferita con le mie parole mi... mi dispiace »
«Non mi hai ferita, siamo entrambi arrabbiati con noi stessi e con la vita e... spero che tutto questo possa finire il più presto possibile. Sono stanca, André... lo sono molto. Di dover rispettare le aspettative che hanno di me ma... sono felice che mio padre abbia scelto lui e non... »
Si fermò e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto non toccare quell’argomento con lui.
«Chi... ha chiesto la tua mano? »
Chiese senza mutare espressione. Oscar alzò lo sguardo verso di lui.
«Fersen »
Corrugò lo fronte ma non commentò la scoperta. Si lasciarono poco dopo, lui partì in groppa al cavallo verso palazzo Jarjayes e rimase ferma vicino la finestra aperta, con una leggera brezza a muoverle i capelli, finché non vide la sua sagoma scomparire all’orizzonte.

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Capitolo 21
*** Lacrime ***


«La regina mi ha chiesto di portarti a Versailles »
Oscar girò il viso verso la porta d’ingresso della loro camera da letto, suo marito era lì fermo, con le braccia incrociate dietro la schiena e la osservava da lontano mentre lei, insieme a due cameriere, si preparava per il bagno. La ragazza, appena finì di legare i capelli della donna per evitare che si bagnassero, si allontanò e raggiunse l’altra, la più grande tra le cameriere, per terminare di riempire la vasca. 
«Le hai detto »
Lo disse piano, voltandosi di nuovo verso la toeletta ma guardandolo attraverso il riflesso dello specchio. Non gli diede fastidio, prima o poi la corte sarebbe venuta a conoscenza della sua gravidanza ma qualcosa, nel profondo, la turbò.
«Sì. Sua maestà vorrebbe passare del tempo con te. Le manchi molto. Sono mesi che non ti vede e non ha tue notizie »
«Ci penserò »
«In realtà... »
Oscar corrugò la fronte, il duca si schiarì la voce, drizzandosi le spalle.
«Siamo stati invitati ad un ballo, domani sera »
«No »
«Hai detto che ci avresti pensato »
«Ho detto “ci penserò” riguardo al andare a far visita alla regina non per rendermi ridicola ad uno stupido ballo a Versailles »
Il duca trattenne una risata e scosse piano il capo.
«Ora va via. Non hai altro da fare? Eppure sei un militare. Io non avevo mai tempo libero »
Disse con tono acido, sforzando un sorriso, calcando la parola “mai”.
«Se ti manca così tanto posso anche passarti qualche carta o farti creare una “strategia di guerra” »
«Per poi far credere a tutti che è tutta farina del tuo sacco? Puoi scordartelo »
«La gravidanza, di solito, addolcisce le donne... »
Commentò l’uomo con un sorriso malizioso guardando le due cameriere che, in silenzio, erano rimaste lì.
«A quanto pare non è il mio caso »
Lui rise, senza aggiungere più una parola, e uscì dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. Oscar fece un sospiro, portando poi una mano alla fronte, chiuse gli occhi.
«Madame, il bagno è pronto »
«Eccomi... Louise tu puoi andare, grazie mille »
La ragazza sorrise, fece un piccolo inchino sussurrando un debole grazie e uscì rapida, sotto lo sguardo severo dell’altra cameriera.
«Quella disgraziata... che mancanza di rispetto! »
«Non siate così... è ancora giovane. Lasciatela libera, lei che può! »
Disse Oscar sfilandosi la vestaglia di dosso e immergendosi rapida nella vasca. L’acqua era tiepida, l’essenza di rosa la stordiva quasi. 
«Mi sono permessa, madame, di aggiungere un’essenza di rosa. Dovete sapere che, nel vostro stato, è miracolosa! »
«Sono tante le cose che non so sulla gravidanza... non era nei miei piani un matrimonio, immaginatevi questo »
La donna, di nome Aurore, si sedette al fianco della vasca, alla sua stessa altezza del viso. Aveva 40 anni, da quello che aveva capito, ed era insieme alla governante la più anziana tra la servitù. Lei e il marito, che altri non era se non il maggiordomo, avevano avuto 5 figli e la più grande, Jeannette, aveva iniziato a lavorare a palazzo già all’età di 6 anni, come piccola apprendista.
«Lo posso immaginare, madame, ma posso assicurarvi che la gravidanza è una delle cose più belle che possa capitare ad una donna. Io ho cinque figli e sono la mia gioia »
«Forse non tutte le donne sono nate per essere madri »
«Io sono sicura che voi sarete una madre meravigliosa. Vi sembrerà tutto naturale!  »
Oscar rise appena. Lo aveva notato con le sue sorelle, con la sua stessa servitù a Palazzo Jarjayes e perfino con la regina. Aveva sempre amato vedere tutte quelle donne stringere tra le loro braccia i propri figli ancora in fasce ma allo stesso tempo tremava solo al ricordo delle urla della regina durante i parti che riempivano la reggia.
«Sono spaventata... soprattutto per il parto »
«Oddio! Siete in attesa di soli tre mesi e pensate già al parto? Dovete tranquillizzarvi, arriverà il momento in cui dovrete iniziare a pensare al parto ma non è ancora il tempo »
«Voi avete avuto 5 figli... come avete fatto? »
«Voi avete 5 sorelle e un fratello... come ha fatto vostra madre? »
“In realtà io e mio fratello non abbiamo la stessa madre” avrebbe voluto dire, ma restò in silenzio.
«Non sopporterei un parto »
«Dicono tutte così, poi vedrete cortigiane che, poco dopo un parto, già annunciano una nuova gravidanza! »
Rise, era vero! Molte donne a corte se non tutte, pochi mesi dopo aver dato alla luce un figlio, già poggiavano la mano sul ventre pieno. 
«Avete sofferto molto? »
Chiese e la donna, sospirando, la guardò in viso, regalandole un dolce sorriso.
«È  diverso. Ogni parto è unico, mi meravigliavo ogni volta. La mia prima bambina è nata subito, poche ore dopo la rottura delle acque avevo già la mia piccola tra le braccia. Avevo diciotto anni. Il secondogenito... ho dovuto sopportare i dolori per un giorno e una notte intera. Come vedete... non c’è una regola o un limite. Ogni donna reagisce in un modo diverso e ogni bambino nasce in modo diverso. Il mio ultimo figlio... il dottore mi ha tagliato la pancia, perché nonostante tutto non ci riuscivo. Non voleva uscire. Dio solo sa quanto ho pregato di poter vedere mio figlio almeno una volta quella notte e ora siamo qui, lui sta giocando con i figli delle altre cameriere. Ha tre anni ed è sano come un pesce. E io sono qui, a raccontarvi com’è bello, nonostante tutte le difficoltà che esistano in questo modo, avere un figlio. Quanto siamo fortunate noi donne e come siamo speciali, perché dal nulla riusciamo a creare la vita. Non importa quanto voi possiate soffrire, o quanto tempo possiate passare in travaglio. Tutto il dolore svanirà quando sentirete i suoi primi vagiti e quando lo stringerete tra le braccia »
Gli occhi della donna si inumidirono di lacrime e, con un rapido movimento del braccio si asciugò gli occhi con la manica del vestito. 
Oscar abbassò il capo, sorridendo appena. La voce di Aurore si era incrinata quando aveva parlato della sua ultima gravidanza e i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. Ne sembrava così orgogliosa e felice. 
Aveva sempre creduto di essere una persona forte ma, davanti alle sue parole, si era sentita quasi una nullità.
«Prima che mi dimentichi...  madame, oggi il dottore verrà a visitarvi nel primo pomeriggio »
«Bene... grazie mille Aurore, puoi andare »
«Con permesso »
Oscar sorrise alla cameriera e quest’ultima fece un piccolo e rapido inchino, scomparendo poi dietro il paravento. 
Ora il silenzio regnava nella stanza, Oscar scivolò un po’ in più nella vasca, fino ad immergere il mento nell’acqua. Restò così, ad osservare le dita dei piedi che sbucavano dall’altra parte della vasca, pensierosa. 
Avrebbe voluto tanto incontrare la regina ma allo stesso tempo voleva stare il più lontano possibile dalla reggia. Avrebbe voluto parlarle, chiederle consiglio e pareri su quella nuova situazione ma non voleva che ci fossero altri a sentire. Solo loro.
Il ballo sarebbe stata una scusa perfetta per presentarsi ufficialmente a Versailles come moglie del cugino del re e si chiese perché, dopo più di cinque mesi, ancora non l’avessero fatto. 
Posò istintivamente la mano sul ventre appena pronunciato. Le doleva maledettamente la schiena e i suoi risvegli erano stati spesso accompagnati da una forte nausea che, per fortuna, stava già diminuendo. Erano giorni in cui stava male, forse anche troppo, ma il medico le aveva già detto che il suo malessere doveva essere collegato al rischio dell’aborto, ancora non scampato del tutto. 
Si alzò dalla vasca lentamente, sentì l’acqua scorrere lungo tutta la schiena come una carezza, poi prese il telo poco distante e si circondò il corpo con essa, uscendo dalla vasca con lentezza e attenzione al non scivolare.
Sentì una fitta al basso ventre  e la nausea colpirla di nuovo. Portò una mano al viso, stanca. 
“Quando finirà tutto questo?”
 

«Ho saputo che oggi ti sei fatta visitare dal medico. Come mai? »
«Nulla di grave. Solo qualche rimedio per dei dolori alla schiena »
Oscar portò lentamente la forchetta alle labbra, guardando il marito, seduto al suo fianco e a capo tavola, bere l’ultimo sorso di vino rimasto nel calice.
Era stata una visita rapida, il medico l’aveva rassicurata riguardo i continui dolori alla schiena e, per precauzione, le aveva consigliato di allargare, se non eliminare del tutto, i suoi pantaloni, dati i continui fastidi che continuava ad avere al bassoventre. Lei aveva accettato, non senza alcun tentennamento, e aveva chiesto alla governante di preparare un abito per il mattino seguente. Si morse appena il labbro inferiore, avrebbe voluto tanto bere qualcosa di forte, che la stordisse per qualche ora ma il medico le aveva raccomandato di non toccare nemmeno una goccia, neanche per sbaglio.   
«Hai pensato a quello che ti ho detto questa mattina »
Girò appena il capo verso il marito, adagiando la posata accanto al piatto. 
«Non verrò al ballo e... incontrerò la regina prima della fine del mese »
Prese il fazzoletto di tessuto e lo portò alle labbra, il duca annuì piano con un piccolo sorriso ad increspargli le labbra.
«Bene, una seccatura in meno »
«Siamo una coppia strana - disse Oscar con un sorriso - probabilmente siamo gli unici aristocratici al mondo che non sopportano i balli, le feste... »
«Devo darti ragione... »
Rise anche lui, stringendo la mano sinistra della consorte portandola poi alle labbra con un bacio leggero. 
«Forse è meglio così »
 

«Maurice... cosa ci fai qui a quest’ora? Non dovresti essere a letto? »
André posò la spazzola che stava usando per strigliare uno dei cavalli nella stalla buia. Maurice strinse le spalle, posando la bugia con la candela appena accesa su una seduta poco distante. 
«Non avevo sonno... e poi non è tardi anche per te? »
Chiese il ragazzo sedendosi di fronte all’uomo, accanto alla candela. André rise appena, posò la spazzola e accarezzò il muso del cavallo con movimenti lenti e leggeri. L’animale rispose a quelle tenere carezze con un movimento del capo e uno sbuffo dalle narici.
«Anch’io non riuscivo a prendere sonno - disse André sedendosi al fianco del ragazzo - e ho deciso di rifugiarmi qui. È silenzioso la notte... e i cavalli sono sempre molto tranquilli »
«André... »
L’uomo girò il capo verso Maurice. Lui teneva il capo basso e stringeva le mani in un pugno sulle cosce magre.
«Perché... Oscar è dovuta andare via? Perché... ha dovuto lasciare la guardia reale e sposarsi? »
Non rispose, abbassò anche lui il capo, incrociando le braccia al petto.  
«È colpa mia, vero? È colpa mia se ora Oscar è infelice! »
«Non è vero, Maurice! Perché dici queste cose?  »
«È così! Se non fossi mai nato... tutto questo non sarebbe successo! »
«Maurice! »
Il ragazzo sussultò, voltandosi verso André con gli occhi pieni di lacrime. André posò le mani sulle sue spalle, parlò piano.
«Non è colpa tua. Oscar non ha lasciato la divisa né si è sposata per colpa tua. Il generale, tuo padre, ha deciso che sarebbe stato meglio per lei sposarsi e sistemarsi. Togliti quest’idea dalla testa »
André gli accarezzò il capo con un sorriso e Maurice annuì piano, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia.
«Però... se io non fossi mai arrivato... lei... lei ora sarebbe ancora comandante »
«Forse hai ragione, forse no. Chi può dirlo? Con molte probabilità avrebbe seguito la carriera militare, fino a diventare generale oppure... avrebbe stupito tutti, lasciando la guardia. Nessuno può saperlo. Non si vive di “se” o di “ma”, Maurice... non dimenticarlo »
Lui annuì piano, tirando sù con il naso. 
«Tu... la ami, vero? »
André accennò un sorriso, posando i gomiti sulle cosce. Maurice lo guardò in silenzio, notò le sue mani tremare.
«Cambierebbe qualcosa? »
«Anche lei... ti ama. Si vede dal modo in cui ti guarda »
André posò una mano sugli occhi, senza smettere di sorridere. Non rispose, ma il suo cuore esplose di gioia nel sentire le parole del ragazzo. 
«Siete anime gemelle... dovreste stare insieme, non separati »
Maurice sussurrò appena quelle parole, sicuro che André non l’avesse sentito, ma lui si voltò di nuovo verso di lui.
«Le anime gemelle non sono sempre destinate a stare insieme... »
«Ma »
«Niente ma... è meglio tornare dentro, non trovi? È tardi, e domani hai lezione con il precettore presto. Tu avviati, ti raggiungo subito, devo prima riordinare alcune cose »
Disse indicando la spazzola e altri  oggetti che non riconosceva, nel buio. Maurice non rispose, si limitò ad annuire piano e uscì dalla stalla con passo lento, chiudendo poi la porta dietro di sé. André rimase immobile, in piedi nel mezzo della stalla, per un paio di secondi. Si asciugò una lacrima, sfuggita al suo controllo, e tornò verso l’animale che, fino a qualche minuto prima, stava spazzolando e riordinò tutte le spazzole al proprio posto, in un piccolo armadietto poco distante, insieme a delle coperte e i ferri. D’improvviso, diede un pugno contro la parete in legno massiccio, poi un altro e un altro ancora, fin quando non sentì il sangue scorrere lungo le nocche rotte e sbucciate. Crollò in ginocchio, guardando le mani rovinate ma le lacrime gli offuscavano la vista. 
«Maledizione...! »
Si piegò in due, singhiozzando e stringendo la camicia con le mani tremanti quasi a volersela strappare, tremava per la rabbia e per la frustrazione.
«Non è giusto... non è giusto... »

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Capitolo 22
*** Versailles pt. 1 ***


«André ma.... cosa diavolo ci fai qui? »
André alzò piano il capo, passandosi una mano sul viso soffocando uno sbadiglio. Si alzò lentamente, reggendosi ad un’asse poco distante e si passò una mano sui vestiti e tra i capelli, per togliere i fili di paglia rimasti incastrati. 
«Devo essermi appisolato ieri sera, dopo aver messo in ordine... perdonami nonna, non capiterà mai più »
Portò una mano alla testa, gli doleva terribilmente. Non ricordava esattamente quando avesse preso sonno, ma sentiva gli occhi bruciare e le palpebre pesanti. L’anziana signora poggiò le mani sui fianchi, rabbia e preoccupazione le scuotevano l’animo. Quasi non aveva creduto al povero Jean Pierre, il giardinaio, quando le aveva riferito che, nel prendere alcuni strumenti dalla stalla, lo aveva visto addormentato in un angolo della struttura. 
«Hai dormito qui? E allora come me le spieghi quelle mani rotte?! Sicuro che non sei uscito a fare baldoria? »
«Non avrei qualche livido da qualche parte, nonna? E poi... ieri sera, prima di coricarsi, Maurice è venuto qui »
«Lasciamo perdere! Andiamo a disinfettare queste ferite! Mio Dio... ma cosa hai fatto?! Guarda un po’... speriamo che non si siano rotte. Il generale vuole che tu lo accompagni alla reggia, visto che il suo attendente non può! »
Si appoggiò al suo braccio e insieme si diressero verso l’ala del palazzo riservata ai domestici. Prese una ciotola e la riempì di acqua fresca mentre André si sedeva al tavolo, sotto gli occhi curiosi delle cameriere.
«Perché? Cos’è successo a Cyril? »
«Da quello che ho capito sua madre è in fin di vita, povera donna, e ha chiesto al generale una licenza per restarle accanto e lui, ha un grande cuore, ha accettato! »
“Grande cuore? Ma se da quando è arrivato Maurice vorresti incenerirlo con lo sguardo?”
La donna, appena ebbe preso tutto l’occorrente per medicare le ferite del nipote, si sedette al suo fianco, prese le sue mani e iniziò a passare un panno umido su di queste.
«Fa piano... »
«La prossima volta impari a non prendere a pugni persone o oggetti! »
«Nonna, non stringere così forte! Non riesco a muovere le dita! »
«Ma non riesci a stare neanche un secondo fermo? Eppure hai 40 anni! »
«Ma se non ne ho neppure 34! Sicura di non star perdendo colpi? »
«Mi stai dando della vecchia, André? »
«Smemorata... nonna... ti prego basta! Va bene così! La prossima volta chiedo a Yvette di cambiarmi le bende »
André allontanò le mani divertito, sentendo però un forte prurito alle nocche e si passò dolcemente le dita sulle bende ancora bianche cercando di placare il fastidio. La governante si sistemò gli occhiali sul naso, cercando lo sguardo del nipote.
«Va tutto bene? Stai sorridendo ma i tuoi occhi sono di una tristezza unica »
Lo disse a bassa voce, sperando che gli altri intorno a loro non la sentissero. Il sorriso di André morì all’istante e lui scosse appena il capo, sperando di rassicurare la donna.
«Non ti preoccupare, sono solo stanco e indolenzito. Ora è meglio che vada dal generale »
«Ma André...! »
«Va tutto bene, nonna! Non pensare a me »
Le sorrise dolcemente e le diede un bacio sulla guancia prima di uscire dalla cucina.
“Ah...! Scellerato di un nipote! Come posso non preoccuparmi di te!”
 

«Ne sei sicura? »
«Sì. Mi sento molto meglio e il medico mi ha incoraggiato a farlo. Spero solo che sua Maestà accetti di incontrarmi »
Il duca la guardò da capo a piedi, esterrefatto. Oscar, indossava un vestito semplicissimo, di linea diritta, con qualche piega sul di dietro, trattenuto in vita da una cinta. Era di taglio inglese, molto in voga tra le cortigiane in quel periodo che stavano iniziando ad abbandonare i volumi e a preferire abiti più semplici. Aveva le spalle appena scoperte, il bordo del vestito era decorato con un leggero pizzo, il busto era di un bianco panna, in contrasto con il blu cobalto che le fasciavano le braccia e la gonna. La cintura, che in realtà erano due semplici lembi di tessuto cobalto, le circondavano la vita dolcemente, celando al mondo la curva appena visibile del ventre. I capelli erano raccolti alla base del collo scoperto, il viso privo di trucco.
«À la Lévite1... Aurore ha detto che è di moda »
«Sei meravigliosa »
Le disse con un sorriso e lei fece un lieve inchino.
«Ti ho convinto? Posso venire con te a Versailles? »
«Se mi prometti che se dovessi sentirti male tornerai immediatamente a palazzo, puoi venire »
«Certo »
Restò un paio di istanti in silenzio, scrutandola. Oscar rilassò le spalle, posando una mano appena sotto il seno - dovette ringraziare la gravidanza, nessuno l’avrebbe costretta ad indossare un corsetto -. Lui le prese dolcemente la mano sinistra, baciandone il dorso, senza allontanare lo sguardo dal suo viso. Nel lasciare la sua mano sfiorò gli anelli di lei, quello di fidanzamento e la fede nuziale, che adornavano il suo anulare sinistro. Erano, insieme al filo di perle, gli unici gioielli che indossava. 
«Antoine! Prepara la carrozza! »
Urlò d’improvviso, facendola sussultare. Le porse il braccio, senza esprimere alcuna emozione, e lei si appoggiò a lui, in silenzio. La carrozza fu pronta in pochi minuti, l’attendente del duca la aiutò a salire nella vettura e aspettò il marito, che non tardò ad arrivare. La vettura partì subito dopo, loro restarono in silenzio, lanciandosi qualche sguardo ogni tanto. 
Quando finalmente il viaggio terminò, Oscar fece un sospiro di sollievo, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il cocchiere l’aiutò a scendere dalla vettura e, appena posò piede a terra, sentì l’irrefrenabile voglia di tornare indietro. 
“È passato troppo tempo... devo solo riabituarmi... andrà tutto bene”
«Sono sicuro che sua Maestà sarà molto felice di rivederti »
Le disse il duca raggiungendola, posando poi una mano sulla sua spalla. Se avesse potuto decidere, lei non avrebbe messo mai più piede alla reggia ma non voleva deludere sua maestà. Si sentiva già in ridicolo, come avrebbe dovuto comportarsi? Cosa avrebbe dovuto indossare, se il medico non le avesse imposto un abito? 
Smarrita.
Non si era neppure resa conto di aver iniziato a camminare, al fianco del marito, per l’ingresso della reggia e, in meno di un’istante, si erano già ritrovati nella sala degli specchi. Quando furono annunciati, il borbottio delle dame si placò, lo sguardo di tutti era rivolto all’ingresso, in attesa. Involontariamente, strinse la presa attorno al braccio del marito.
«Rilassati - le sussurrò all’orecchio prima di varcare la soglia della sala - andrà tutto bene »
Lei annuì piano, drizzando la schiena. 
Avanzò piano, sicura, seguendo il consorte, a testa alta. Ignorò i volti degli uomini e le voci soffuse delle dame, ignorò il rumore dei ventagli che si muovevano e ignorò il tintinnio delle spade che si sfioravano. 
«Cugino! »
La voce del re spezzò quel silenzio assordante, la risvegliò quasi. Il re si avvicinò a loro, con un sorriso sincero con le braccia allargate.
«Dopo mesi, finalmente portate la vostra sposa! Sono davvero lieto di vedervi di nuovo, madame! »
«L’onore è mio, vostra altezza »
Fece un lieve inchino, sorridendo anch’ella. Louis XVI era un uomo buono, il suo unico difetto era che non sapeva scorgere nelle persone che lo circondavano i veri amici e i traditori. 
«Oh! Cosa vedono i miei occhi! Siete qui! »
«Oscar! »
Il piccolo Louis Charles le corse incontro, aggrappandosi alla gonna e posando il viso sul ventre, abbracciandola. 
«Siete tornata, finalmente! Sono così felice di rivedervi! »
«Siete un angelo, vostra altezza. Sono felice anch’io di rivedervi »
Marie Antoniette si avvicinò all’amica lentamente, commossa. 
«Oscar... amica mia.... che gioia vederti qui! »
Louis Charles si allontanò, raggiungendo il padre, lasciando che la madre potesse avvicinarsi ad Oscar. Marie Antoniette posò le mani sulle spalle dell’amica, guardandola dalla testa ai piedi e gli occhi le brillarono.
«Non avrei mai immaginato di vedervi in un abito, sposata e in attesa di un figlio! Sono così felice di rivederti amica mia! Seguimi nelle mie stanze, ho così tanta voglia di parlarti! »
Le prese il polsi dolcemente e la condusse con sé verso i suoi appartamenti, lasciando il duca al fianco del re con un sorriso sulle labbra.
«Cosa fate, cugino? Sorridete? In tutta la mia vita, credo di non avervi mai visto un  sorriso del genere! »
 

«Oh Oscar, non sapete come mi avete reso felice! È passato troppo tempo dall’ultima volta in cui ci siamo viste! »
«Avete ragione maestà, mi sono assentata molto da Versailles per volontà mia »
Una cameriera posò il vassoio con la teiera e le tazze di porcellana sul tavolo tra i divani del salottino privato e, dopo un inchino, le lasciò sole. Marie Antoniette aveva voluto parlarle in privato, anche la contessa di Polignac era stata allontanata per ordine della regina, aumentando forse l’odio che provava verso di Oscar.
«Credo di capirne anche il motivo... ma ditemi, come state? »
Oscar alzò il capo verso la regina, posando la tazza di ceramica con il tè caldo sulle gambe. 
«Sto bene. Mio marito mi rispetta, questo mi basta »
«Quando Adrien mi ha detto che aspettavate un bambino... mi sono venute le lacrime agli occhi! È stata un’emozione forte, ero così felice per voi ma allo stesso tempo molto preoccupata. Mi ha detto, in privato, che non siete stata molto bene »
«Non vi nascondo che la mia è una gravidanza sofferta. Ho... rischiato un aborto e il pericolo non è ancora del tutto scampato »
«Cosa mi state dicendo? Non posso crederci! È terribile... »
«Ma vi prego, non voglio rattristarvi »
Oscar le sorrise, posando la tazza sul tavolino poco distante. La regina prese le mani tra le sue, sedendosi al suo fianco. 
«Posso? »
Annuì piano e vide la mano pallida ed elegante della regina sfiorare appena il ventre. La regina sorrise, tremando appena. Oscar posò una mano sulla sua e risero insieme, commosse entrambe.
 

«Avete parlato molto »
«È vero, avevamo molte cose da dirci. Ci augura il meglio, soprattutto al nostro bambino »
Il duca si fermò un istante, guardandola. Oscar lo guardò confusa, lui avvicinò appena la mano al suo ventre, accarezzandolo lentamente. Sorrideva appena, senza accorgersene e Oscar posò una mano sul suo viso, sulla sua guancia.
«Duca, figlia, che piacere vedervi a Versailles »
Si voltarono in direzione della voce e Oscar sgranò gli occhi. 
«Generale Jarjayes, sono felice di rivedervi  »
Il duca si allontanò da Oscar, lasciandola indietro, per andare in contro al suocero.
«André... »
Sussurrò appena Oscar, avvicinandosi ai tre uomini. André le sorrise appena, salutandola con un cenno del capo pochi passi dopo il generale. Iniziò a tremare, ma cercò di contenersi di fronte al marito e al padre. 
«A cosa devo la tua visita qui, Oscar? »
«La regina aveva chiesto di me e, appena ho potuto, ho accontentato la sua richiesta. Ma come mai André vi accompagna? Cos’è accaduto al vostro attendente Cyrill? »
«Ha avuto un problema di famiglia e gli ho dato un permesso. Per il momento, sarà André a farmi da attendente »
«Capisco »
«Generale, è una fortuna esserci incontrati ora. Sarei venuto a cercarvi più tardi, vi prego di seguirmi »
«Certo duca »
«Ma avrei una richiesta da farvi - guardò per un attimo André - vorrei che il vostro attendente segua mia moglie. Il mio attendente è occupato in varie commissioni per conto mio e non voglio che mia moglie sia sola »
Oscar si voltò di scatto verso suo marito, sorpresa. André non si mosse, senza allontanare lo sguardo dal duca.  
«Ma... »
«Generale »
Il generale guardò prima Oscar, poi André, sorpreso. Annuì piano, non del tutto convinto.
«Perfetto. Ora seguitemi, generale... »
Il duca posò una mano sulla spalla del generale, convincendolo a seguirlo e si allontanò con lui lungo il corridoio della reggia. Oscar e André si guardarono per alcuni istanti, poi finalmente lui si avvicinò a lei, prendendole la mano.
«Cosa diavolo... è appena successo? »
Chiese lei con un sorriso, guardandolo dritto negli occhi. Lui scosse il capo, anche lui senza smettere di sorridere.
«Come stai? »
«Sto bene, ho solo mal di schiena ma è sopportabile. Tu... come stai? »
«Meglio, ora che ti ho visto »
«Cosa hai fatto alle mani? »
Oscar prese le mani rosse e screpolate dell’uomo tra le sue preoccupata, incurante degli sguardi delle dame che passavano loro accanto.
«Avevo un po’ di rabbia repressa... ora sto bene »
«Non sono rotte, spero! »
«No no, le ferite stanno guarendo. Riesco a muovere bene le dita »
«Grazie a Dio...»
Oscar abbassò il capo, stringendo ancora la mano dell’uomo. 
«Da quando... segui mio padre? »
«Un paio di settimane, in realtà. La madre di Cyrill, purtroppo, non sta bene e ha chiesto al generale di starle accanto fino »
«Oscar... François de Jarjayes? »
Oscar girò il viso, sentendosi chiamare e sorrise quando trovò tra tanti volti ostili, uno familiare.
«Girodelle... »
L’uomo si avvicinò alla coppia con un sorriso e Oscar allontanò le mani da André per salutare il suo, di una volta, sottoposto. Girodelle portò la mano di Oscar alle labbra, sfiorandone appena il dorso e le sorrise, guardandola negli occhi.
«Siete davvero voi? È così bello potervi vedere di nuovo co... duchesse »
«Vi prego, non chiamatemi duchesse, mi sentirei a disagio. Potete chiamarmi Oscar »
«Non mi abituerò mai a chiamarvi per nome »
«Sono sicura che voi ci riuscirete »
«Ma cosa vi porta qui? Siete mancata per mesi »
«La regina voleva vedermi »
Oscar sorrise, realmente felice di poter vedere di nuovo un volto amico, di rivedere in particolare il conte Girodelle. 
«Ho saputo che... siete in stato interessante. Volevo farvi le mie congratulazioni e i miei auguri più sinceri »
«Siete molto caro Girodelle, vi ringrazio »
«Spero di rivedervi più spesso a Versailles »
«Se le mie condizioni me lo permetteranno, lo farò senz’altro »
Oscar sorrise appena, irrigidendosi poi di colpo. 
«Oscar...? »
André si avvicinò rapido alla donna, ma lei gli sorrise, scuotendo il capo.
«Va tutto bene, non ti preoccupare »
«Siete pallida e tremate... voi non state bene »
Oscar scosse ancora il capo ma questa volta non riuscì più a reggersi in piedi. 
«OSCAR?! »
«CHIAMATE UN MEDICO! PRESTO! »

 

 

1= Sul finire degli anni '70 del XVIII secolo, si affermò l'abito à la lévite di ispirazione orientale, nato dalla scenografia per la rappresentazione dell'Athalie di Racine al Théatre Français. La foggia si ispirava al costume sacerdotale ebraico. Lo stile fu subito preso a modello dalle signore che indossarono la "robe à la Lévite" in casa come veste da camera. Maria Antonietta lo adottò nell'estate del 1778, al fine di mascherare le rotondità della sua prima gravidanza ma anche perché questa foggia, ampia e leggera, era ideale per sentirsi libere e senza costrizioni.

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Capitolo 23
*** Versailles pt. 2 ***


        !WARNING! Il capitolo tratta di tematiche delicate

 

«È ASSURDO! È MIA FIGLIA, HO IL DIRITTO DI SAPERE COME STA! »
Le urla del generale Jarjayes riecheggiavano per il corridoio della reggia. L’attendente del duca lo guardava impassibile, posto davanti alla porta dell’appartamento privato del duca dove Oscar era stata portata e visitata. Il generale e il duca erano stati avvisati prima dell’inizio di una riunione e, in men che non si dica, la notizia si era sparsa per tutta Versailles. Oramai erano passate due ore dall’arrivo del medico e di Oscar non si aveva alcuna notizia, solo il duca era potuto entrare. 
«Generale... »
L’uomo si girò verso di lui, livido. A nulla servivano le parole della moglie per calmarlo, era arrabbiato e frustrato.
«La salute della duchesse è a cuore dell’intera famiglia reale, alla quale ora fa parte, e sarà fatto di tutto per evitarle qualsiasi noia e dolore »
La voce calma dell’uomo irritò, se possibile, ancora di più il generale. Si avvicinò minacciosamente a lui ma l’attendente non si scompose affatto, rimase fermo al suo posto con un sorriso enigmatico.
«Volete per caso disubbidire ad un ordine del duca... conte? »
Il generale fece un passo indietro, stringendo entrambe le mani in un pugno. André guardava la scena da lontano, dal lato opposto del lungo e largo corridoio, in silenzio pregando che non le fosse successo nulla e che sia lei che il bambino che portava in grembo stessero entrambi bene. 
«Non si hanno ancora notizie? »
André scosse il capo volgendosi poi verso il suo interlocutore. Il conte Girodelle guardava in direzione della porta senza nascondere la preoccupazione.
«Non sappiamo neppure se si sia svegliata. Il duca ha vietato a tutti l’ingresso, non ci resta che aspettare, conte »
«Capisco... »
“Maledizione... Signore, vi prego, salvatela da ogni sofferenza e dolore. Non potrei sopportarlo... il mio amore...” 
 

Le tende di un baldacchino furono la prima cosa che vide, appena riaprì gli occhi.  
Deglutì a vuoto, portando una mano al viso gelida a confronto della sua fronte sudata e bollente. Tutto, attorno a lei, appariva distante, confuso.  Dovette sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza in cui si trovava, probabilmente era ancora a Versailles.
Avvertì una fitta al bassoventre, non più forte non più lieve di quelle che l’avevano colpita dall’inizio della gravidanza, ma che le spezzò il fiato. Trattenne un gemito di dolore mentre provava a sedersi sul materasso e sospirò pesantemente, avvertendo in lontananza una voce e sentendo la propria mano sollevarsi. Girò il capo, era suo marito, era sempre stato lì? 
C’era qualcosa che non andava. Lo percepiva nell’aria.
Era tutto così... leggero.
«Come ti senti? »
Annuì piano. Si sentiva stranamente bene, ma percepiva come un pugno allo stomaco e le sue viscere si contorcevano dal dolore. Portò una mano al ventre e chiuse gli occhi.
«Oscar...  »
«L’ho perso »
Sussurrò piano, senza aprire gli occhi, trattenendo il respiro. Non era una domanda, lo sapeva da sé, non aveva bisogno di conferme. 
Adrien abbassò il capo, stringendo la mano di lei tra le sue, baciandone il dorso. Calò il silenzio, aprì gli occhi. Davanti a lei, dall’altro capo della stanza, c’era un medico, con le braccia incrociate al petto e uno sguardo indescrivibile. 
«Lo sa qualcuno? »
«No, ho ordinato al medico di non farne parola con nessuno fino al tuo risveglio »
Annuì piano, curvando la schiena in avanti, dondolandosi appena. 
«Potete riferire quello che mi avete detto, monsieur »
Il medico, avrà avuto la sua età, si schiarì la voce. 
«Duchesse, avrei prima delle domande da farvi, se è possibile »
Oscar annuì, stringendo le spalle per il freddo. Rapido, vide suo marito sfilarsi la giubba della divisa per posarla sulle sue spalle. Ne sfiorò con le dita il tessuto ruvido e sorrise al ricordo della sua di divisa.
«Vostro marito, le duc, mi ha riferito che avete sofferto molti dolori alla schiena e al ventre »
«È vero »
«Da quanto ne soffrivate? »
«Da quando ho scoperto di essere in attesa »
«Avete quindi già rischiato un aborto, deduco »
Annuì di nuovo, si voltò verso suo marito, la guardava preoccupato ma non disse nulla.
«Purtroppo i primi mesi della gravidanza possono essere molto pericolosi per la salute del bambino. Molte gravidanze terminano proprio in questo periodo, senza che la madre se ne renda conto in tempo, purtroppo »
«Perché... è successo...? »
Non lo aveva chiesto al dottore quel giorno di un mese prima. Aveva creduto che la causa fossero stati gli allenamenti con il fratello ma aveva smesso già da tempo. Si era abbandonata all’ozio totale eppure... non era bastato.
«Lo sforzo eccessivo, un evento traumatico... sono molte le cause e alcune sono ancora sconosciute alla medicina »
«Capisco »
«Vi consiglio di restare in assoluto riposo. Il vostro corpo è debole, anche se non avete perso molto sangue. Per i prossimi giorni, potreste avere perdite, è del tutto naturale e vi raccomando quindi di nutrirvi a dovere »
Oscar sospirò portando la mano al viso, spostando la frangetta dalla fronte.
«Potete andare, monsieur... vi prego di continuare a restare in silenzio, riguardo... le mie reali condizioni. È stato un semplice malore. La ringrazio »
Sorrise appena Oscar, sforzandosi di sembrare il più naturale possibile. L’uomo annuì piano, congedandosi con un inchino, uscendo dalla camera. Pochi istanti dopo, sentirono delle voci al di fuori della porta: riconobbe il tono alto del padre, le voci preoccupate del conte Girodelle e di sua madre. Non riuscì a capire le loro parole, non volle neanche provarci. 
Sospirò.
Oscar strinse la giacca tra le dita, cercando calore. Mosse le gambe verso  il bordo del letto ma dovette fermarsi per il dolore.
«Aspetta! »
Adrien si avvicinò a lei, bloccandola prima che potesse scendere dal letto. Oscar fece una smorfia 
«Devi riposare... non sei in forze »
«Voglio solo tornare a casa, mi sento soffocare qui. Ho bisogno di alzarmi »
Lo sussurrò, senza riuscire a guardarlo in viso.  Lui le sfiorò il viso, spostando una ciocca di capelli dal viso.
«Va bene... ti aiuto ad alzarti »
Si alzò dalla poltrona posta al fianco del letto tendendole poi le mani e lei si aggrappò a lui, alzandosi non senza provare dolore. Appena fu in piedi Adrien la strinse a sé per evitare che cadesse e lei posò la guancia sul suo petto, sorpresa, irrigidendosi di colpo. Lo abbracciò anche lei, incerta,  facendo scivolare le mani lungo la sua schiena, stringendo poi la camicia tra le dita e i suoi occhi si riempirono di lacrime. All’inizio, soffocò il pianto, nascondendo il suo viso contro il suo petto. Non avrebbe mai creduto che quella notizia l’avrebbe sconvolta in modo così devastante: si sentì indegna, incapace di prendersi cura di una creatura così piccola che contava solo ed esclusivamente su di lei, sulla sua forza e il suo amore. Era stata proprio lei ad avvelenarsi il ventre , pensò, vivendo la sua gravidanza in modo così tossico. 
«Va tutto bene... non è colpa tua »
Disse lui piano all’orecchio, baciandole la tempia sinistra.
La sentì tremare tra le sue braccia e singhiozzare, la lasciò sfogare e piangere, contro ogni sua previsione. In quei sei mesi di matrimonio non l’aveva mai vista piangere o mostrarsi debole ai suoi occhi, in realtà in quei sei mesi non si erano mai neppure conosciuti appieno.
Le baciò la fronte, accarezzandole i capelli lentamente fin quando lei non riuscì a calmare, almeno in una piccola parte, il suo pianto.
«Devo... - tirò su con il naso, asciugandosi gli occhi rapidamente con il dorso della mano, coprendosi poi il viso - sdraiarmi... io... »
«Riposa ancora un po’, appena ti sarai almeno un po’ ristabilita torneremo a casa »
Oscar annuì piano, girandosi verso il letto e si sdraiò lentamente lasciandosi però poi cadere sul materasso, mordendosi il labbro inferiore per soffocare un gemito di dolore. 

 

 

Nota d’autrice: è stato un capitolo molto difficile da scrivere. Non è la prima volta che mi capita di trattare questo argomento, ma ogni volta diventa sempre più difficile. Spero di non aver offeso nessuno o di essere stata indelicata, nel caso porgo le mie più sincere scuse.
Ho fatto varie ricerche, perdonate quindi alcune lacune in campo medico.

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Capitolo 24
*** Ritorno ***


«Trascorrerò un po’ di tempo a palazzo Jarjayes. Ho bisogno di... tornare a casa mia, dai miei affetti più cari »
«Lo capisco, forse è meglio così »
Oscar strinse lo scialle al petto, rabbrividendo nonostante fosse vicina la fuoco. Non aveva voluto vedere nessuno, preferiva la calma e la quiete di palazzo Condé ma anche quello, dopo due settimane, l’aveva sopraffatta. Chiuse gli occhi portando una mano alla fronte, sospirando.
Sentiva il bisogno di liberare la mente.
Suo marito, contro ogni sua previsione, le era rimasto accanto, supportandola in silenzio. Lo apprezzava molto, ma non avrebbe voluto farlo preoccupare ulteriormente. L’uomo si avvicinò a lei a passo lento, ravvivando il fuoco che stava iniziando a spegnersi.
«Non hai toccato cibo anche questa sera»
Socchiuse gli occhi, stringendo la tazza di tè caldo tra le mani. Aveva mangiato poco e nulla, ma non ne sentiva il bisogno e non ne aveva voglia. 
«Non avevo appetito »
«Dovresti mangiare, per rimetterti in forze »
«Sto bene Adrien, ho solo bisogno di riposare - il suo tono alterato non avrebbe di certo migliorato la situazione, pensò. Si schiarì la voce, posando la tazza sul tavolino poco distante -. Partirò domani... nel pomeriggio. Ho già fatto preparare i bagagli da Aurore »
Oscar posò lo sguardo sul fuoco, incrociò le gambe al petto e posò la guancia sulle ginocchia e si rilassò, finalmente al caldo. Ebbe un piccolo colpo di tosse, aveva preso freddo durante le lunghe passeggiate che si era concessa negli ultimi giorni nel freddo di gennaio. Era stato liberatorio poter camminare senza quel vestito, anche se il medico le aveva consigliato di non affaticarsi troppo. Sentì la mano calda del marito poggiarsi sulla sua, voltandosi verso l’uomo. 
Si era chiesta spesso se tutte le cure che le aveva riservato da quando si erano sposati dipendessero da una sorta di “obbligo morale” che lui aveva nei suoi confronti.   Forse aveva ragione, forse aveva torto, ma alla fine non le interessava più di tanto. Sbadigliò. 
Sentiva le palpebre pesanti, probabilmente non aveva mai dormito così tanto prima di allora. 
«Oscar... »
Socchiuse gli occhi quando si sentì sollevare, lasciandosi andare tra le braccia del marito e avvertì freddo quando incontrò le lenzuola fredde del letto. Rabbrividì e si accovacciò sotto le coperte, stringendo gli occhi. Avvertì a malapena il fruscio delle lenzuola e il cigolio del materasso che le annunciavano l’arrivo del marito. Trattenne il respiro quando sentì le braccia del marito stringerla a sé e le sue labbra sfiorare in un leggero bacio la pelle appena scoperta della spalla. 
Chiuse gli occhi. 

 

«Bentornata cara... eravamo tutti in pensiero per te! » 
Madame Jarjayes era accorsa all’entrata del palazzo quando aveva saputo dell’arrivo della figlia, stringendo tra le mani le gonne ampie incurante della sua acconciatura che, per via dei rapidi movimenti, si stava sciogliendo facendo cadere delle ciocche sulle spalle. Oscar sorrise appena, stringendo le spalle. Si guardò intorno, buona parte della servitù era giunta per lei. 
Cercò lui. 
Dov’era? 
Perché non era lì?
«Grazie madre ma... non c’era bisogno, sto bene »
La donna sorrise tristemente, allungando la mano verso il viso della figlia per regalarle una tenera carezza sulla guancia. 
«Seguimi, ti faccio preparare una buona tazza di tè. Portate anche i suoi bagagli nella sua stanza... duca! Vi fermate anche voi con noi? »
Oscar girò appena il capo, il duca era pochi passi dietro di lei. Aveva voluto accompagnarla a tutti i costi, sostenendo che in quel periodo le strade non erano sicure. Quando mai lo sono state? aveva detto lei, ma lui non aveva voluto sentire ragioni. 
«No madame, ho solamente scortato mia moglie qui. Ora sono atteso a Versailles, con permesso...»
«Capisco, spero allora possiate venire a trovarci qualche volta »
«Ve lo prometto madame »
Oscar abbassò il capo, evitando lo sguardo dell’uomo. Appena fu congedato, la madre le prese delicatamente il braccio.
«Andiamo cara, c’è anche tua sorella Hortence con la piccola Loulou »
«Perché Hortence è qui? »
«Voleva venirti a trovare ma... dopo il tuo malore... ha aspettato che tu ti riprendessi »
«Ah capisco »
Oscar deglutì a vuoto, voltandosi ancora una volta in direzione della servitù alla ricerca di André, in vano. Corrugò la fronte, preoccupata, ma si lasciò condurre dalla madre nel soggiorno, senza parlare.
«Oscar! »
Hortence scattò in piedi muovendosi rapida verso la sorella e l’abbracciò forte, accarezzandole i capelli. Oscar rimase ferma, stupita dalla reazione della sorella e, seppur titubante, rispose a quell’abbraccio. Socchiuse gli occhi, cercando di trattene le emozioni che scuotevano l’animo. Fece un respiro profondo, stringendo la stoffa lilla dell’abito della sorella.
«Tesoro... come stai? Quando nostra madre mi ha detto quello che è successo io »
«Sto bene Hortence. Purtroppo... non era destino. Non possiamo farci nulla »
«Oscar... »
Sorrise appena, stringendo le mani della sorella tra le sue. Hortence sospirò e la invitò a sedersi sul divano, accanto a lei. Nello stesso istante una delle cameriere entrò nel salone con il vassoio per il tè, Oscar sospirò amaramente. 
«Dimmi... come è potuto accadere? »
“Com’è successo? Non ho ascoltato subito il medico e invece di riposare allenavo Maurice, sono stata male sia fisicamente sia nell’animo per questa gravidanza e qualsiasi cosa facessi non faceva altro che peggiorare la mia condizione”
«Non lo so, il medico ha detto che è molto alto il rischio di... aborto... nei primi mesi »
Oscar portò una mano al viso mentre con l’altra prendeva una delle tazze piena di tè, portandola poi alle labbra. 
«Ma vi prego...  non ne voglio parlare »
«Certo cara, non volevamo offenderti o altro noi »
«Va tutto bene, madre »
Hortence posò la mano sulla coscia della sorella e le sorrise. Oscar posò la tazza vuota sul vassoio e si alzò, stringendo la mano della sorella.
«Non me ne vogliate ma... vorrei andare nella mia stanza. Ho bisogno di un bagno caldo »
«Come vuoi tesoro, ti faremo chiamare quando la cena verrà servita »
Oscar mormorò un leggero grazie, lasciò la mano di Hortence e si avviò verso la sua vecchi stanza, chiedendo ad una delle cameriere di prepararle il bagno. Sospirò, aveva mal di testa. Avrebbe preferito rintanarsi subito nella sua stanza, ma allora che senso avrebbe avuto tornare a casa? In più... non aveva visto neanche per un istante André. 
Aprì la porta della sua stanza lentamente e una volta dentro iniziò a spogliarsi, slacciando il gilet nero e sfilando gli stivali, cercando poi nei bauli una vestaglia per coprirsi. Nel raggiungere il secondo baule, con indosso solo la camicia, incrociò il suo riflesso nello specchio e si fermò di colpo.  Rilassò le spalle e sospirò. Si posizionò di lato, alzando appena la camicia per scoprire il ventre. Era appena pronunciato, lo sfiorò con le dita ma fece cadere subito la camicia per nasconderlo alla sua vista. Distolse subito lo sguardo. 
Fece un respiro profondo, tornò alla ricerca della vestaglia.

 

«Cos’è tutto questo trambusto? »
André entrò nella cucina affamato, rubando una mela nella cesta della dispensa.
«Ah André sei tornato finalmente! Ma dove sei stato? »
«A Parigi, nonna. Il generale mi ha ordinato alcune commissioni e - si avvicinò alla nonna, abbassando la voce per non farsi sentire da altri - sono stato da Rosalie »
«La mia piccola Rosalie! Come sta? La sta trattando bene quel disgraziato di Bernard?»
Disse la donna anche lei a bassa voce guardando il nipote. 
«Si sono sposati! E… Rosalie mi sembrava davvero felice »
André sorrise, dando un bacio sulla guancia alla nonna. 
«Allora? C’è qualche ospite? »
André lasciò la mela sul tavolo e si mosse ad aiutare una delle ragazze a sollevare un sacco con le patate.
«Ti sei già dimenticato? »
André si voltò verso la nonna con sguardo interrogativo.
«È tornata Oscar... starà qui per un po’ »
Sgranò gli occhi, sorpreso. Perché nessuno gli aveva detto nulla? Quando era arrivata? Come stava? Avrebbe dovuto raggiungerla?
«Cosa...? Quando? »
«È arrivata oggi pomeriggio, era pallidissima! Sono convinta che in quel palazzaccio non la facciano mangiare a dovere! Dopo tutto quello che ha dovuto subire la mia bambina... sono felice che sia tornata qui! »
La governante sospirò amareggiata, nelle cucine calò il silenzio. Tutti erano a conoscenza del malore di Oscar, ma non avevano saputo ulteriori dettagli. Nessuno aveva osato chiedere nulla, né i padroni si erano lasciati scappare qualche confidenza a riguardo. 
«Madame de la Loréncie! Come possiamo esserle utile? Cosa la porta in quest’ala del palazzo? »
Chiese il maggiordomo avvicinandosi rapido alla contessa. Madame Hortence gli  sorrise e si voltò verso la cucina, dove la maggior parte della servitù era riunita.
«Avrei delle raccomandazioni per voi e ho pensato che sarebbe stato meglio farle di persona, a tutti voi. Come tutti ben sapete mia sorella è tornata a palazzo: esigo il massimo rispetto e la massima discrezione nei suoi confronti. E abbondante la sua porzione di pasto, ne ha bisogno »
«Ma certo madame, come preferite madame... »
Risposero prontamente la governante e il maggiordomo con un inchino, Hortence sorrise soddisfatta. 
«Perfetto »
Detto ciò la contessa alzò appena la gonna del vestito e si diresse verso l’uscita della cucina, lasciando tutti confusi.
«Secondo te cosa voleva dire la contessa? »
«Non ne ho la più pallida idea! Forse... si riferiva al malore della duchessa? »
«Ancora mi devo abituare a doverla chiamare in quel modo! Per me, resterà sempre il signor Oscar! »
André restò fermo, incurante delle chiacchiere del resto della servitù. Oscar stava male? Era successo qualcosa al bambino?
«Non dovrei dirtelo ma... se vuoi, puoi andare a salutarla »
Aveva sussurrato sua nonna all’orecchio e lui si riscosse, guardandola stupito.
«Dovrebbe essere in camera sua, Jeannette ha appena finito di svuotare la vasca quindi avrà finito con il bagno. Muoviti, prima che cambi idea! »
«Nonna... grazie »
André corse fuori dalla cucina come un fulmine, raggiungendo poi a passo svelto la stanza della sua amata. Quando fu davanti alla porta si fermò, emozionato di rivederla. Bussò.
«Avanti! »
La mano, nell’appoggiarsi sulla maniglia della porta, tremò. Aprì la porta lentamente, trattenendo il respiro. Le tende erano quasi del tutto chiuse, le finestre aperte in uno spiraglio. Lei stava seduta, avvolta nella vestaglia, su una poltrona, stringendo un libro tra le mani senza leggerlo, sfogliando soltanto le pagine.
«Oscar... »
Lei sobbalzò, girandosi di scatto verso di lui. André chiuse la porta alle sue spalle e lei si alzò dalla poltrona avvicinandosi a lui con passo prima lento, poi sempre più rapido fino a saltargli quasi addosso, cingendogli il collo con le braccia. La strinse forte a sé, ispirando il profumo dei suoi capelli e baciandogli il capo.
«Quanto mi sei mancata... amore
mio »
André l’allontanò appena per poterla guardare in viso e scoprì i suoi occhi colmi di lacrime. Posò la fronte sulla sua, asciugando le lacrime con le dita e baciandole appena il naso. 
«André... »
Si baciarono dolcemente, senza alcuna fretta. Oscar strinse la giacca di lui tra le mani, facendole poi scivolare verso il collo e poi verso il viso di André.
 «L’ho perso... »
Mormorò Oscar tenendo ancora gli occhi chiusi, André sussultò.
«Ho perso il bambino... »
I suoi occhi tornarono a lacrimare e si aggrappò a lui disperata e lui l’abbracciò forte per non farla cadere.
«Ti prego... tienimi André... perché da sola non ce la faccio...  ti prego »

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Capitolo 25
*** Insieme ***


«È stato a Versailles, vero? Quando ti sei sentita male... »
Oscar annuì piano stropicciando la coperta che aveva poggiato sulle gambe, alzando poi lo sguardo verso André che, a pochi passi da lei, le dava le spalle con le mani nei capelli. Sentiva ancora gli occhi bruciare e le guance in fiamme, la testa le pulsava per via del pianto. Si era aggrappata a lui con tutte le sue forze, stringendolo la giacca verde scuro tra le mani mentre, in ginocchio, era scoppiata in un pianto che aveva trattenuto per settimane. André l’aveva cullata tra le sue braccia in silenzio, aspettando che placasse i singhiozzi, trattenendo lui stesso lacrime di dolore nel vederla in quello stato. 
«Sono stata male. Ma credo che la maggior parte del mio malessere me lo sia procurata da sola. Mi spaventa il non - si bloccò cercando le parole giuste, ma dovette riformulare la frase - io ho accettato il fatto di aver perso un bambino ma... allo stesso tempo mi sento così tremendamente in colpa. Per quel poco tempo, non sono riuscita a proteggere un’essere minuscolo. Ho fatto cose che la maggior parte delle donne non può fare ma non sono riuscita nella cosa più naturale del mondo. È ironico. E tragico allo stesso tempo »
«Lo sapevo che ti era successo qualcosa... Dio... »
Si voltò verso di lei, era pallida in viso e aveva un’espressione stanca, come se non dormisse a sufficienza o non dormisse affatto, gli occhi gonfi e rossi. Le si avvicinò e si inginocchiò davanti alla poltrona in velluto rosso, prendendo le mani di lei tra le sue e baciandone le nocche. Oscar accennò un sorriso.
«Mi dispiace io... non so cosa dire... è orribile, è »
«Non dire niente. Ho solo bisogno di... sentirmi amata, di circondarmi di persone che amo e che mi vogliono bene...  e di te, soprattutto di te »
Oscar liberò la mano dalla stretta di André e gli diede una leggera carezza sul viso, spostando una ciocca corvina dalla sua fronte. André posò la mano sulla sua, baciandole il palmo senza staccare lo sguardo dal suo, intrecciando le dita con le sue.
«Ti amo tanto... »
Le sussurrò piano avvicinando il viso al suo, poggiando la fronte contro la sua e lei sorrise, chiudendo gli occhi. 
«Ti amo anch’io, anche se... vorrei tanto risparmiarti così tanto dolore »
«Se tu sei felice lo sono anch’io, se soffri soffro anch’io »
«André... »
Sfiorò le sue labbra in un leggero bacio chiudendo gli occhi. Avrebbe voluto dimenticare quello che era accaduto negli ultimi due mesi con un semplicissimo schiocco di dita o, anche meglio, tornare indietro, il giorno del suo matrimonio, per scappare via. Ora dove si troverebbe? Cosa starebbe facendo in quel preciso istante? Ma con i “se” e con i “ma” la storia non si fa.  
«Dovrei vestirmi, sono ancora in vestaglia e tra poco verrà servita anche la cena »
«Se non te la senti, posso farti portare la cena in camera »
«No, scenderò. Non sono venuta qui per rintanarmi in camera altrimenti sarei rimasta a palazzo Condé »
«Dovrò chiamarti duchessa davanti gli altri... penso che non riuscirò mai ad abituarmi »
Disse André giocando con una ciocca bionda intrecciandola tra le dita con sguardo perso.
«Ma resterò sempre la tua Oscar »
«È vero... »
Oscar sciolse la stretta delle loro mani e si alzò dalla poltrona lasciandolo in ginocchio sul tappeto rosso, nascondendosi dietro il paravento iniziando a sciogliere il nodo della vestaglia. André si alzò lentamente raggiungendo il paravento senza però raggiungerla, aspettando pazientemente che lei terminasse di vestirsi. La sentì mormorare qualcosa e poco dopo se la ritrovò di fronte, con la camicia bianca che le copriva appena le cosce, nascondendo i fianchi, e i pantaloni neri. Oscar spostò una ciocca dietro l’orecchio e cercò il suo sguardo. 
Il lieve bussare alla porta di una cameriera ruppe il silenzio, annunciando la cena. Oscar abbassò lo sguardo allungando la mano verso quella dell’uomo e lui mosse un passo verso di lei, posando la mano libera sulla sua guancia, per un bacio, l’ultimo prima che scendesse per la cena.
«Vieni da me più tardi »
Sussurrò sfiorando le sue labbra, tenendo ancora gli occhi chiusi. André le sorrise. Si allontanò con malavoglia,  muovendosi lentamente verso la porta stringendo ancora la mano di André e lui la seguì. Quando furono entrambi fuori avevano già allentato la presa e si allontanarono, in direzioni diverse. 

«Hai un’espressione molto stanca »
«Grazie per il complimento Hortence »
Hortence sorrise guardando la sorella bere un bicchiere di vino, seduta tra Loulou e Maurice che in tutti i modi possibili cercavano di attirare la sua attenzione e distoglierla dai brutti pensieri. 
«Sapete che ho iniziato a studiare il clavicembalo? »
Disse la ragazzina con un sorriso soddisfatto e Oscar si voltò verso di lei, curiosa.
«Davvero? Da quanto? »
«Saranno... due mesi. Il maestro dice che sono molto brava e che ho un talento naturale! »
«Finalmente mia figlia si degna di avere un passatempo normale, come tutte le damigelle rispettabili! »
Oscar lanciò uno sguardo alla sorella, alzando un sopracciglio, ma la donna si corresse subito.
«Oh ma tu sei un caso a parte! »
«Io infatti vorrei tanto essere come la zia Oscar! Solo che io sono più bella, anche se ho i capelli più ricci dei suoi »
Oscar rise, dando una carezza alla nipote e lei sorrise. Maurice alzò gli occhi al cielo sempre con il sorriso sulle labbra.
«Tu invece? Stai continuando ad allenarti con la spada? E i tuoi studi? »
«Potete chiedere anche a nostro padre se non mi credi, sto migliorando tantissimo! Sono sicuro che tra poco sarò pronto per entrare nella guardia reale! »
Maurice era cresciuto tantissimo, solo ora se ne rendeva conto. Era diventato molto più alto, gli arrivava alla spalla, e la sua voce si era fatta più bassa. Stessa cosa per Loulou, anche lei si era allungata ma non arrivava ancora a Maurice e il suo carattere si era calmato. Erano cambiati così tanto nel giro di pochi mesi, non riusciva a crederci. 
«È questo quello che vuoi fare quindi? »
I genitori non avevano cenato insieme a loro, il generale non era tornato ancora e Madame era stata chiamata urgentemente a Versailles per volere della sovrana. Avevano cenato loro quattro, in pace e Oscar non poteva essere più felice.
«Io... sì, credo di sì »
«In che senso credo di sì? Non vuoi essere un soldato? »
«Certo che voglio esserlo! È solo che... no, nulla »
«Essere soldato non significa prestare servizio solo alla guardia reale, Loulou. Probabilmente Maurice è ancora incerto in quale reggimento arruolarsi, giusto? »
Chiese Hortence al fratello e lui annuì senza però commentare. Oscar corrugò la fronte ma non disse nulla. La cena terminò in tranquillità, parlando del più e del meno e subito dopo si spostarono nel salone per ascoltare Loulou suonare una piccola melodia da lei composta. Durante il piccolo spettacolo improvvisato Oscar aveva posato più volte lo sguardo sul fratello e la sua mente sembrava altrove, come se fosse presente solo fisicamente in quella stanza.  Rilassò le spalle, tornando ad ascoltare la nipote suonare e iniziò a sorridere. 
Si sentiva davvero tranquilla e felice, finalmente.
Hortence si era commossa nel sentire la figlia suonare e aveva un’espressione soddisfatta e orgogliosa per la figlia. Rimasero a parlare ancora un po’, davanti al camino, prima di ritirarsi ognuno nelle proprie stanze e, mentre Oscar si apprestava a salire le scale notò André in compagnia della nonna e, sicura del fatto che l’avesse notata, gli fece cenno con il capo ricevendo come risposta un sorriso.

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Capitolo 26
*** Situazioni ***


Il vociare delle cameriere e della governante nel corridoio, davanti alla sua camera, la svegliarono. Aprì gli occhi lentamente, sbattendo più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza. Strinse la vestaglia al petto, coprendosi le labbra per sbadigliare. 
Che ore erano?
Aveva dormito molto, sentiva la testa pesante e il corpo intorpidito. Si voltò verso il lato vuoto del letto e strinse la stoffa della camicia da notte tra le dita, socchiudendo gli occhi. La notte precedente, quando André l’aveva raggiunta nella tarda serata in camera sua, aveva chiesto all’uomo di riposare nel suo letto, insieme a lei e lui l’aveva stretta forte tra le lenzuola, baciandole la fronte e le guance fin quando lei non si fu addormentata con un’espressione serena.
Si mise a sedere sul letto sbadigliando appena e raggiunse la porta a piedi nudi con piccoli passi, ancora assonnata.
«È successo qualcosa? »
Chiese al piccolo gruppo di donne dopo aver aperto la porta e tutte si spaventarono, non l’avevano sentita.
«Oh cara ben sveglia! Eravamo preoccupate, non vi siete mai svegliata così tardi! »
La governante si avvicinò rapida ad Oscar e sembrava sollevata e felice di rivederla.
«Che ore sono? »
«È quasi mezzogiorno, tra non molto verrà servito il pranzo »
«Oh »
Corrugò la fronte, perché nessuno era venuto a svegliarla?
«Scenderò il prima possibile allora »
«Vi preparo un bagno? »
«Sì, devo rinfrescarmi, grazie. Potete andare »
Oscar chiuse la porta e sospirò cercando nella sua stanza un orologio. Era davvero tardi, possibile che avesse dormito così tanto?
“Tutto questo riposo deve avermi intorpidito troppo, dovrei muovermi di più”
Pensò con una smorfia sul viso.
 

«Maurice! »
«Eh? Buongiorno Oscar! Sei sveglia finalmente »
Oscar abbozzò un sorriso avvicinandosi al fratello.
«Non sei sceso per pranzare »
«Avevo molto da studiare, non voglio perdere troppo tempo e ho chiesto ad Amelie di portarmi il pranzo qui, in camera »
Oscar guardò il tavolo su cui il fratello aveva poggiato innumerevoli libri e fogli in modo un po’ disordinato, notando il vassoio d’argento con i piatti oramai vuoti posti sopra.
«Però... sei disordinato »
«È solo un’illusione, in realtà seguono una linea precisa di pensiero »
Maurice sorrideva soddisfatto mentre prendeva uno dei tanti fogli sparsi sul tavolo e appuntava qualcosa con la piuma.
«Riguardo ieri sera... »
Il sorriso sul volto del ragazzo scomparì e abbassò lo sguardo evitando quello della sorella maggiore.
«So già quello che vuoi chiedermi. Sono sicuro di voler diventare un soldato, l’idea di poter proteggere nel mio piccolo il mio paese mi riempie di gioia »
«Ma? »
«Ma da quale parte devo schierarmi? Devo proteggere la città che mi ha cresciuto, che mi ha amato nonostante tutto o chi invece per anni mi ha tolto il pane dai denti solo perché mi ha dato un titolo? Uno... stupido pezzo di carta non può farmi dimenticare tutto il dolore, la sofferenza e la fame che la povertà mi ha fatto provare ma non posso rinnegare tutto quello che mi ha dato nostro padre da quando sono arrivato qui. Dimmelo tu, Oscar, chi dovrei servire? »
«Maurice... »
«Io lo so... che non tutti i nobili sono meschini e crudeli. Sarò eternamente grato a nostro padre per avermi dato tutto questo. Ma so anche cosa significa non mangiare per giorni, non avere le coperte o un giaciglio su cui dormire e ripararsi. Non avere soldi perché tutto ormai è diventato troppo caro per tutti noi mentre qui il cibo abbonda così tanto che potrebbe sfamare un’intero quartiere parigino! »
«L’unico consiglio che posso darti è quello di seguire il tuo cuore, Maurice. È ancora presto, i tempi stanno cambiando. Quando arriverà il giorno, tutto ti sarà più chiaro »
Maurice non disse nulla, guardava la sorella con uno sguardo troppo triste per essere quello di un adolescente. Quanto dolore aveva dovuto sopportare? Era davvero possibile che persino dei bambini dovessero soffrire così tanto, fin da subito? Le si strinse il cuore, non sapeva più cosa dire. 
«Tra un paio di mesi ci saranno gli Stati Generali, io spero che tutto questo possa finalmente cambiare la nostra nazione. Credo che tu abbia ragione, Oscar, i tempi stanno davvero cambiando »
“In meglio si spera”
Pensò Oscar ma preferì non dirlo ad alta voce. Posò una mano sulla spalla del fratello e abbozzò un sorriso.
Gli Stati Generali si sarebbero svolti il 5 maggio ( mancavano ancora due mesi ) e, nonostante fossero stati accolti con grande entusiasmo, mettevano per iscritto quella che ormai, da anni, era la crisi del governo francese e il fallimento dei sovrani in quanto tali. Oscar sapeva già che sarebbe stato un fallimento, una inutile perdita di tempo e di denaro, che già scarseggiava anche a Versailles - i reali avevano venduto alcune delle loro porcellane e le cure per il piccolo Joseph erano una spesa che non poteva essere evitata -, perché le votazioni sin dall’alba dei tempi sarebbero state per ceto sociale e non per testa. Se il popolo avesse voluto anche solo proporre qualcosa che limitasse il potere dei ricchi il ceto nobiliare e quello ecclesiastico li avrebbero bloccati: due contro uno, il popolo perde.
Suo marito, da quello che aveva capito, avrebbe partecipato alle riunioni ma sembrava preoccupato all’idea di dover prendere una posizione e anche lei stava iniziando ad avere dubbi al riguardo. 
"Tutto questo non porterà a nulla di buono... non mi sarei mai immaginata di dover dire questa cosa ma..."

«Vuoi parlare con Bernard? E di cosa? »
«Ho bisogno di capire delle cose e sono sicura che lui avrà tutte le risposte che sto cercando »
André incrociò le braccia al petto e un’espressione confusa gli dipingeva il viso, non sembrava per nulla convinto. Oscar trattenne il respiro per alcuni istanti, senza allontanare lo sguardo dal suo.
«Lo sai che Parigi è diventata una città molto pericolosa, vero? »
«Stai cercando di persuadermi a non andare? »
«Sto cercando di farti capire che ormai nulla è più come prima »
Rilassò le spalle e allontanò lo sguardo.
«Proprio per questo... voglio capire »
«Non c’è molto da capire  »
«Adrien è uno dei rappresentati del ceto nobiliare »
«Capisco... »
Si guardarono per alcuni istanti, sotto l’ombra di un’albero a pochi metri dalle stalle. André sospirò, incamminandosi verso la struttura in legno.
«Sei sicura di poter cavalcare? Non è meglio chiedere il parere del medico? »
«Posso farlo. Mi sono riposata abbastanza e... »
L’uomo si girò verso di lei.
«Grazie »
Non rispose, le sorrise soltanto e camminò a passo svelto verso le stalle per preparare il più veloce possibile i cavalli. Dovevano approfittare delle poche ore di luce rimaste per poter raggiungere e lasciare la città senza alcun problema e ogni secondo era prezioso. Quando Oscar rivide finalmente André uscire con i due stalloni non riuscì a trattenere l’emozione.
«César... »
Si avvicinò piano al suo antico destriero e il cavallo parve riconoscerla avvicinando il muso alla padrona. Gli accarezzò la criniera bianca e il muso sorridendo e l’animale sembrava apprezzare molto le sue carezze.
«Anche tu mi sei mancato tantissimo... il mio grande César... »
André le porse le redini del cavallo e lei le prese con mani tremanti. Era emozionata, era la prima volta dopo tanti mesi che finalmente riusciva a cavalcare e il solo stringere le redini tra le mani la fece sentire libera. Salì in groppa al cavallo con qualche difficoltà, provava un leggero fastidio al bassoventre, ma appena fu pronta spronò il cavallo a correre.
«Oh Dio mio! Oscar! André cosa diavolo hai fatto! »
Sua nonna era uscita di corsa dalle cucine appena aveva sentito il nitrito e i suoi timori si avverarono quando videro la donna partire come il vento.
«Nonna! Lasciala libera, ne ha bisogno! Torneremo presto, non ti preoccupare! »
Disse André facendo un cenno con la mano alla nonna per poi spronare anch’egli il cavallo, sperando di raggiungerla presto.
Oscar era da tanto, troppo tempo che non si sentiva più così. I capelli al vento, l’aria fredda sul viso, la velocità. Le veniva da piangere per quanto si sentisse libera. Avrebbe voluto urlare di gioia e riempì i polmoni di aria fresca e per qualche istante chiuse gli occhi, godendosi il rumore degli zoccoli contro la terra.
Era questa la libertà che cercava.
Si fermò non molto lontano dal cancello di palazzo Jarjayes per attendere l’arrivo di André.
«Sono ancora più veloce di te »
Disse soddisfatta incrociando lo sguardo con quello verde di lui.
«Senza di me però non sapresti dove andare! Rosalie sarà felicissima di rivederti »
«Loro sanno del mio »
«Sì, mia nonna e Rosalie sono rimaste in contatto e nelle sue lettere le ha scritto tutto »
«Bene. Allora possiamo andare »
Fecero ripartire i cavalli e André la precedette un po’ per farle strada. Il viaggio non durò molto, in realtà per Oscar fu fin troppo breve, e dovettero fare parte del percorso nella città a piedi. 
Appena misero piede nella città l’umore di Oscar cambiò radicalmente: Parigi non era più la città che ricordava, sembrava lo spettro di sé stessa. Ovunque si girasse c’erano mendicanti, zingari, ladri, armi ed edifici in rovina e più di un ratto le passò tra le gambe dopo soli pochi minuti che aveva messo piede a terra. 
«È... orribile »
«Non ti allontanare da me, dobbiamo andare in quel vicolo »
“Sicuro che non ruberanno i cavalli?” 
Pensò Oscar notando lo sguardo insistente che alcuni uomini le rivolgevano sperando fossero rivolti all’animale e non a lei.
«Dove abitano Rosalie e Bernard c’è una stalla, Bernard tiene lì il suo cavallo ed è sicuro »
Disse lui quasi a leggerle nel pensiero con voce dura e lei sussurrò un lieve “sì” e cercò il suo sguardo ma lui sembrava contrariato. Quando furono finalmente arrivati e posarono i due cavalli nella stalla André le prese la mano e la costrinse a guardalo in viso. Oscar corrugò la fronte preoccupata e André l’abbracciò forte. 
«André mi stai facendo preoccupare... va tutto bene? »
«Riesco a malapena sopportare lo sguardo che tuo marito ti rivolge ma loro... Dio se avessero potuto ti avrebbero strappato i vestiti da dosso. Se fossi stata sola...»
«Non sarebbe successo nulla, non l’avrei permesso. Stai tremando »
«Non posso non pensarci, mi fa salire il sangue al cervello »
«Sei troppo nervoso, va tutto bene. Sono qui, con te, non è successo niente »
André sembrò rilassarsi tra le sue braccia e ne fu sollevata. Gli cinse la vita con le braccia e baciò la tempia destra.
«Andiamo o faremo troppo tardi »
«André... »
«Sono calmo, seguimi »
Annuì. L’appartamento, se così si poteva chiamare, dove risiedevano Rosalie e Bernard si trovava al primo piano e affacciava nel piccolo vicolo dove erano passati per entrare nel cortile del palazzo. Le scale scricchiolavano e una lieve ma persistente puzza di muffa impregnava l’aria. André bussò alla porta con tre tocchi e la voce soave di Rosalie li raggiunse.
«Chi è? »
«Rosalie sono André »
Ci fu per un istante il silenzio, poi il rumore di una piccola serratura che cedeva e la porta si aprì lentamente. André la spinse appena e lei lo guardò sorpresa ma lui gli indicò di nascondersi, per fare una sorpresa alla donna. Oscar si avvicinò alla parete, senza però toccarla, e osservò la scena. Rosalie non era cambiata affatto, indossava un semplice vestito azzurro, un fazzoletto che le copriva le spalle e un grembiule bianco. Sembrava davvero felice.
«André! Non mi aspettavo una tua visita così presto! Dai entra, posso prepararti un po’ di caffè se vuoi »
«Sei molto gentile Rosalie, Bernard è in casa? »
«Sì, è tornato da poco, sei fortunato. Su, entra! »
«Prima avrei una piccola sorpresa per te »
Lo sguardo di André si posò su di Oscar, Rosalie lo guardò curiosa poi si voltò in direzione del suo sguardo e sussultò per la sorpresa.
«Oh! Oscar... oh mio Dio... non posso crederci! »
Oscar sorrise allargando le braccia e Rosalie l’abbracciò con foga, felicissima.
«Oh Rosalie... mi erano mancate le tue lacrime! »
«Non prendetemi in giro, sono così felice di rivedervi! »
«Rosalie ti prego dammi del tu, ci conosciamo da così tanto! »
«Rosalie? Chi è alla porta? »
«Sono Oscar e André, Bernard! »
Disse Rosalie sporgendosi appena in casa e, prendendo le mani di entrambi, li tirò dentro, chiudendo rapida la porta.
«Perdonate i modi bruschi - disse Rosalie passandosi le mani sul grembiule come a voler stirare qualche piega inesistente - ma in questo palazzo... non si è mai troppo sicuri »
«Oscar, André! Che sorpresa... André noi ci siamo visti ieri è vero ma Oscar... non mi sarei mai aspettato di rivedervi ancora »
Avvertì un tono leggermente sarcastico ( dovuto al suo nuovo ruolo sociale? ) ma preferì non dargli peso. Casa Chatelet era molto piccola: la cucina e il piccolo soggiorno condividevano il piccolo ma ben disposto spazio dato a loro disposizione e, al lato opposto all’ingresso, c’erano due porte di cui una semi chiusa rispettivamente della camera da letto e il piccolo studio di Bernard. 
«Neanch’io credevo che sarei riuscita più a vedervi insieme »
Disse voltando il capo verso Rosalie.
«A cosa dobbiamo quindi la vostra visita, duchessa? »
«Bernard! »
Lo richiamò Rosalie ma Oscar posò una mano sulla sua spalla, scuotendo appena il capo. D’altronde era pur sempre il suo titolo e lui era pur sempre un criminale che aveva graziato. Sperò ne fosse valsa la pena.
«So che tuo marito sarà uno dei rappresentati dei nobili »
Non diede peso al tono informale che aveva usato d’improvviso, non le importava più di tanto.
«È vero »
«Come mai una persona appartenente alla famiglia reale ha onorato un semplice giornalista e sua moglie della propria presenza? »
«Bernard smettila! »
«Cosa dovrebbe fare mio marito per farsi accettare da voi? »
Bernard sgranò gli occhi e un piccolo sorriso gli increspò le labbra. Si accomodarono tutti a tavolo, Bernard e Oscar sedevano a capo tavola.
«Ti ha mandato lui o stai agendo per conto tuo? »
«Bernard i nostri interessi sono gli stessi, vogliamo entrambi il bene per la Francia. Però se non collaboriamo, non andremo mai da nessuna parte. Ma non è per questo che sono venuta. Bernard... è davvero questa la situazione in cui ci troviamo? È vero quello che ho visto per strada? »
Lo sguardo di Bernard si rattristò e poggiò i gomiti sul tavolo, guardando per un istante Rosalie.
«Sì e se qualcosa non cambierà subito peggiorerà ancora di più »
«E cosa possiamo fare? Sì potrà cambiare con gli Stati Generali? »
«Non lo so »
Le sue parole l’angosciarono. Ripensò a Maurice.
«Ma di una cosa sono sicuro, Oscar. Per il tuo bene, lascia la Francia e vai all’estero. Prima che puoi »
Sbiancò, portò la tazzina di caffè che Rosalie le aveva porto Rosalie con mano tremante.
«Che... vuoi dire? »
«Quello che ho detto. Per ora posso rivelarti solo questo »

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Capitolo 27
*** Sguardi ***


«Perché mi dici queste cose, Bernard? »
«Perché nonostante tutto credo che tra i nobili ci siano persone che non meritato tutto questo odio. Te, per esempio, non sei la persona che mi aspettavo di incontrare, ti sei rivelata completamente l’opposto. Se non fosse stato per la tua benevolenza, sarei morto da mesi o a marcire in una prigione marchiato. E grazie a te ho conosciuto la mia piccola Rosalie... non potrei odiarti »
Oscar sorrise appena notando lo sguardo innamorato che Bernard aveva rivolto a Rosalie che, di spalle, non aveva sentito le parole dell’amato. 
“Si sono scelti”
Pensò con un po’ d’amaro in bocca, e per un’istante il suo sguardo si posò su di André. Cercò la sua mano, sotto al tavolo e lui gliela strinse forte, sorridendole dolcemente. 
«André mi ha detto che vi siete sposati »
«Sì, non molto tempo fa. Siamo molto felici »
«Si vede, Bernard, da come ne parli. I tuoi occhi brillano »
André guardò sia Bernard che Rosalie arrossire e scambiò uno sguardo d’intesa con Oscar che sorrideva anche lei. 
«Anche tu sei sposata Oscar »
«Da sette mesi »
Disse tranquillamente, Rosalie la guardò seria.
«La governante mi ha detto che sei in dolce attesa »
Bernard corrugò la fronte, sorpreso. Rosalie non gli aveva detto nulla, allora. Si irrigidì appena, scosse il capo.
«Non... è stato un falso allarme. Non aspettavo davvero un bambino, anche se i sintomi erano molto simili. Ma ora sto bene, quindi questo conferma che non ero in “stato interessante” »
Sentì lo sguardo dei tre addosso ma cercò di non farselo pesare troppo. André sembrava confuso, sicuramente le avrebbe chiesto spiegazioni, pensò Oscar, mentre Rosalie e Bernard sembravano credere alle sue parole.
«Per noi è arrivato il momento di andare via, tra non molto ci sarà il tramonto ed è meglio non viaggiare al buio »
«Fate bene. È diventato pericoloso camminare alla luce del sole, immaginatevi al buio. Fate attenzione, entrambi, soprattutto in campagna »
Il tono di Rosalie era preoccupato e si era avvicinata rapida a Bernard, posando entrambe le mani sulle sue spalle. 
«Non ti preoccupare Rosalie, nel caso sapremo come difenderci »
Esclamò Oscar e Bernard rise.
«Ne sono certo, Oscar »
 

«Perché hai detto quelle cose a Rosalie? »
Galoppavano a passo lento, l’uno di fianco all’altro, con il sole che tramontava davanti a loro abbagliandoli quasi.
«Perché non volevo si sentisse in colpa nell’avermi fatto quella domanda. Mentire... mi è sembrata la cosa migliore »
«Lo sai che mia nonna e Rosalie si scambiano lettere, vero? »
«Chiederemo a tua nonna di tacere la mia gravidanza... a proposito, lo sa? »
«Sì, l’ho informata io stesso. È stata molto male per te, per questo stamattina non voleva disturbarti, dice che hai bisogno di riposo e di tranquillità »
«Ho riposato anche troppo in questi mesi, sono felice di aver fatto una passeggiata a cavallo con il mio Cesar e di aver rivisto Rosalie »
«Quindi non sei felice di aver passato del tempo con me? »
Chiese fintamente offeso mentre i cancelli di palazzo Jarjayes venivano aperti e Oscar si voltò verso di lui seria.
«No... il solo vederti mi riempie di gioia »
Sussurrò lei e facendo ripartire il cavallo senza aspettare una sua risposta verso le stalle del palazzo.
“Maledetta...”
Disse tra sé e sé scuotendo appena il capo e ripartì anche lui, raggiungendola nelle stalle a passo lento, pensieroso. 
Quando anche lui entrò nella struttura trovò Oscar intenta a togliere le redini di Cesar  e, una volta libero il cavallo, gli accarezzò il muso lentamente, in religioso silenzio. Avrebbe voluto immortalare per sempre quell’immagine nel proprio cuore e nella propria mente di una Oscar libera, felice, senza alcuna costrizione. 
«Lascia fare a me, Oscar »
Si limitò ad annuire lievemente, André sistemò i due cavalli nel giro di pochi minuti e Oscar lo guardava in silenzio, seduta su una piccola panchina sul lato opposto.
«Cosa credi intendesse dire Bernard con “lascia la Francia”? »
«Quello che ha detto. Ormai nessun punto della Francia è più sicuro, tutte queste rivolte non si limitano a Parigi, ma stanno sconvolgendo anche paesini piccolissimi. Forse dovremmo seguire il suo consiglio, Oscar »
La donna fece una smorfia e chinò il capo. Non voleva lasciare il paese, abbandonare tutto e tutti. Che cosa avrebbero fatto? André, non appena ebbe finito, si sedette al suo fianco e cercò il suo sguardo ma lei lo mantenne basso.
«È la scelta migliore »
«Vorrei ci fosse più di una soluzione »
«Purtroppo è tardi per poter cambiare qualcosa, se ne sono resi conto troppo tardi che la situazione sta precipitando »
Oscar posò il capo sulla spalla dell’uomo, chiudendo gli occhi e sospirando stancamente. Avrebbe voluto davvero un’altra soluzione, non voleva allontanarsi dalla sua famiglia e non voleva rifarsi una nuova vita in un paese straniero.
«È meglio rientrare, sta iniziando a fare freddo »
Annuì lentamente e aprì gli occhi, cercando lo sguardo di André.
«Andrà tutto bene amore, non devi preoccuparti »
Le sussurrò lui con una lieve carezza sul viso.

«Mi hanno detto che sei uscita a fare una passeggiata »
«È un piacere anche per me rivedervi padre »
Oscar prese posto a tavola accanto alla sorella maggiore e in men che non si dica le fu servita la cena e versato il vino. Erano tutti presenti quella sera a cena, avevano aspettato solo lei. Sua madre e sua sorella l’avevano salutata con un sorriso, mentre Maurice e Loulou le avevano dato un caloroso benvenuto. Prese il bicchiere di cristallo e fece un lungo sorso, contenendo la felicità di sentire di nuovo il sapore del vino sulle labbra.
«Dovresti prima mangiare qualcosa prima di bere »
Le sussurrò la sorella facendo cenno con il capo al piatto ancora integro.
«Avevo sete »
Le rispose con un sorriso, portando il cucchiaio colmo di zuppa alle labbra. La cena si rivelò tranquilla, forse perché suo padre aveva preferito non aprire bocca neppure per sbaglio. Quando realizzò quel dettaglio, si ricordò di una domanda che aveva voluto fargli già da un bel po’ di tempo.
«Padre... mio marito mi ha detto, non molto tempo fa, che quando vi ha chiesto la mia mano voi gli avevate rivelato che non era stato il primo a farvi tale richiesta »
Tutti gli occhi, anche quelli della servitù presente, furono puntati sul generale.
Lui portò il fazzoletto alla bocca e bevve un sorso di vino, tranquillo.
«È vero »
«Chi è stato? »
Lui iniziò a ridere appena e guardò Oscar negli occhi.
«Molti... esseri... mi hanno chiesto la tua mano, Oscar. Pensavo che fosse stata Clothilde la più richiesta, ma credo di aver ricevuto innumerevoli richieste di matrimonio per te »
Oscar sgranò gli occhi e cercò lo sguardo della sorella che sembrava sconvolta quanto lei. Madame invece ridacchiava, continuando la cena in silenzio.
«Madre voi lo sapevate?! »
Esclamò Hortence guardando stupita la madre e lei annuì appena, senza però dir nulla.
«Perché non me ne avete mai fatto parola, padre? Temevate che avrei scelto il matrimonio al posto della divisa? »
Il suo sguardo si posò per un’attimo su Maurice.
«Sapevo che non avresti mai scelto tra loro e la vita militare. Erano solo maiali, illusi di poterti avere in cambio di qualche privilegio da parte della nostra famiglia! »
«E allora cos’è cambiato con il duca? »
Chiese Loulou al nonno indispettita, Hortence l’ammonì ma il generale fece cenno con la mano alla figlia maggiore di tranquillizzarsi.
«La Francia sta cambiando, tutto sembra essere fuori controllo. Ho voluto preservare tua zia, Loulou, da una guerra che l’avrebbe portata via da noi »
«Per questo... avete scelto lui e non il conte Fersen »
Disse Oscar portando di nuovo il calice di vino alle labbra e aveva allontanato lo sguardo da quello del padre.
«Tuo marito ti dice molte cose » 
«Non credo siano affari che vi riguardino cosa mi dice o no mio marito »
Rispose acida, non era sua intenzione ma non era riuscita a controllarsi.
«Avresti preferito lui, Oscar? Il famoso “amante della regina”? »
Suo padre sembrava irritato, dalla sua risposta o per il suo “odio” nei confronti dello svedese? Forse per entrambi.
«Forse, almeno lo conoscevo »
Rise appena nervosamente, effettivamente se avesse dovuto scegliere tra il marito e il conte - senza che fosse successo nulla quella sera - probabilmente avrebbe scelto il conte. Fece una smorfia. 
Versarono altro vino, bevve ancora.
«Ma devo dirvelo padre... forse Adrien è stata l’unica scelta buona che voi 
abbiate mai fatto nei miei confronti »
Escludendo André mi sembra ovvio”
Commentò tra sé e sé. 
Appena terminò la cena Oscar camminò verso la propria camera da letto, rubando prima la bottiglia di vino ancora piena posata sul tavolo e bevve un lungo sorso mentre saliva le scale. Si scontrò con qualcuno e sembrò dirgli qualcosa, non volle dargli attenzione.
“Ti prego almeno per stasera non voglio pensare a niente e non voglio sapere nulla da nessuno”
Chiuse la porta a chiave e poggiò la schiena contro di essa, lasciandosi scivolare contro il legno bianco della porta. 
Raccolse le gambe al petto e posò la fronte sulle ginocchia, sospirando amaramente. 
«Sono stanca... davvero stanca... molto stanca »
«Forse non dovresti bere così tanto »
Alzò il capo di scatto e si guardò in giro spaventata. Si alzò rapida ma le gambe le tremavano, sia per l’alcol che per il movimento rapido e si voltò verso il letto a baldacchino, non c’era nessuno.
«Questa sì che è bella... ora sento le voci - portò per un secondo la bottiglia all’altezza degli occhi - eppure non mi sembra di aver bevuto molto »
«Forse è meglio posare questa »
Sentì la bottiglia scivolare dalle sue dita e si girò rapida, trovandosi il duca alle sue spalle.
«Dio santissimo cosa ci fai qui?! »
Disse spaventata portando una mano alla fronte e l’altra al petto. Lui rise, poggiando la bottiglia sul tavolo posto al centro della stanza e la guardò divertito. 
«Non ti hanno riferito il mio arrivo? »
«Sono stata fuori e... forse me l’hanno detto per le scale ma... ero un po’ distratta »
Oscar portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sai che sei più divertente da brilla? »
«Come mai sei qui? »
Sviò l’argomento, aveva uno sguardo strano.
«Volevo sapere come ti sentivi »
«Sto bene »
Allargò appena le braccia, abbassando lo sguardo stanca.
«Ascolta... »
«Grazie per le belle parole, l’ho apprezzato molto »
«Oddio... hai origliato? »
Oscar sbuffò sedendosi sul tavolo, urtando appena la bottiglia, e nascose il viso tra le mani. 
«Non pensavo stesse ancora cenando, ho chiesto di informarti del mio arrivo e ti ho aspettata in stanza »
Rialzò lo sguardo verso il marito e sorrise.
«Sai... lo penso davvero. Sono felice di essere tua moglie »
Lo sussurrò appena guardandolo accennare un sorriso. 
«Non lo dimostri molto »
«Mi dispiace »
Lo sussurrò appena e socchiuse gli occhi. Avvertì appena la mano di lui sfiorargli la guancia e posò la mano sulla sua, chiuse gli occhi.
«Forse dovremmo andare via di qui »
Il duca corrugò la fronte, posò anche l’altra mano sul suo viso e la costrinse quasi a guardarlo.
«È troppo pericoloso qui. Non porterà a nulla di buono e... lo ammetto ho paura »
«Lo so, è una situazione terribile ma non posso allontanarmi, non possiamo andare via da Versailles e Parigi. Se è ancora possibile salvare qualcosa io devo provarci. Lo capisci, vero? »
«E se dovesse accaderti qualcosa? Adrien a Parigi stanno aspettando un passo falso del re per far scoppiare una rivoluzione! »
«Chi ti ha detto una cosa del genere? »
«Fai un giro a Parigi e avrai tutte le risposte che cerchi »
L’uomo spostò una ciocca di capelli dal viso di Oscar e sospirò amaramente. Sapeva perfettamente che lei aveva ragione, che la situazione era ingestibile, ma fuggire sarebbe davvero servito a qualcosa? Avrebbe aiutato la loro causa? E se invece fossero rimasti? Cosa ne sarebbe stato di loro? 
Oscar posò una mano sul suo petto e lo spinse via lievemente, scese dal tavolo e si avviò verso la toeletta, iniziando a sbottonare il gilet scuro.
«Resti qui? »
Chiese voltandosi verso il marito che era rimasto fermo, lì dove lo aveva lasciato e lo vide annuire lentamente. 
«Per quanto riguarda... quello... »
«Sì? »
Oscar strinse le spalle, indossando la camicia da notte rapidamente. Sentì i passi del marito farsi più vicini e le mani di lui posarsi sulle sue braccia.
«Non voglio... che accada di nuovo. Io.... non voglio un altro bambino »
Una piccola lacrima le rigò la guancia sinistra e posò la mano sul ventre. Le braccia del duca l’avvolsero in un dolce abbraccio e si rilassò, girando appena il capo verso di lui.
«Vuol dire che faremo attenzione »
Sussurrò un debole sì, posando il capo sulla sua spalla e lui le baciò la fronte.


 

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Capitolo 28
*** Caos ***


«C’è un tale... Robespierre, Maximilien se non erro, rappresentante dell’Artois. È troppo giovane. Non ha coerenza nel suo discorso ma... è terribilmente pungente »

«Robespierre è il nostro orgoglio, ma tu lo sai già. Durante l’assemblea ha dichiarato che il terzo stato, essendo il 96% di tutta la popolazione francese, è il vero rappresentante della Francia e che spera in una unione dei tre ceti. Molti nobili, Mirabeau compreso, lo appoggiano. Ne siamo molto entusiasti  »


«Quell’idiota di mio cugino all’improvviso se n’è andato perché “gli era rimasta una serratura incompiuta”. Io mi chiedo come sia possibile essere così... così... non so neanche io come definirlo! »
 

«Non abbiamo idea di quello che deciderà il re. Ma le basi al momento sembrano buone, speriamo in una durevole coalizione »


«I rappresentanti del terzo stato hanno voluto cambiare il nome degli stati generali. Assurdo, invece di pensare a cose più importanti si perdono in queste sciocchezze »
 

«È ufficiale: l’Assemblea Nazionale! Molti rappresentati del clero e della nobiltà stanno passando dalla nostra parte. Tuo marito non si è ancora sbilanciato »


«Il re ha ordinato ai soldati della guardia nazionale di chiudere le porte dell’assemblea. Stanno provando ad ostacolare i rappresentati del terzo stato, è un brutto segno »
 

«Anche se è stato impedito ai nostri rappresentanti di radunarsi in Assemblea, le loro voci continueranno a farsi sentire. Si sono radunati allo jeu de paume. Hanno fatto un passo falso, hanno disonorato i legittimi rappresentati eletti dal popolo francese! Per quanto ci provino con la forza, non riusciranno mai a sciogliere la nostra Assemblea Nazionale! »


«Oggi è accaduto qualcosa di strano. Mi sono scontrato con un soldato, Napoleone Bonaparte sottotenente della brigata di La Fere. Quella brigata doveva trovarsi in Ausonia... temo che il re stia richiamando tutte le truppe a Parigi »
 

«È scandaloso. Oggi i rappresentati del popolo sono dovuti entrare dal retro, ad aspettare il proprio turno per entrare sotto la pioggia come se fossero cani. È così che vengono trattati i veri francesi, Oscar? Inoltre, il re ha sciolto gli stati generali... i nostri rappresentanti non sono ancora usciti dall’aula »


Oscar strinse la lettera tra le mani e incrociò le braccia al petto, guardando fuori alla finestra.
Pioveva a dirotto.
Sentiva una rabbia furente crescere dentro di sé e rilesse di nuovo le poche righe che le aveva scritto Bernard. Da quando erano iniziati gli Stati Generali aveva iniziato una fitta corrispondenza con Bernard il quale, ogni giorno, la informava di quello che era successo. 
Un fulmine la spaventò.
Più volte Bernard aveva sottolineato l’indecisione del marito, come a volerle dire di guidarlo nella scelta. Sospirò, avrebbe voluto partecipare anche lei a quelle dannate riunioni, ascoltare con le sue orecchie quello che si dicevano e non doversi affidare ai due uomini per avere poche e vaghe informazioni.
«Perché non è ancora tornato...? »
Guardò l’orologio d’oro posto sul camino nel soggiorno e fece una smorfia. Posò la lettera di Bernard sul tavolino, chiude le pesanti tende blu e fece un respiro profondo. Che fosse accaduto qualcosa di grave? Bernard le aveva scritto che i rappresentanti del terzo stato non erano usciti dall’aula nonostante gli ordini del re. Impallidì e portò le mani al viso tremante.
«Dio mio... ti prego fa che non sia successo quello che sto pensando... »
Si coprì la bocca ma per la rabbia diede un calcio al tavolo poco distante, in legno di mogano finemente intagliato, facendolo cadere rovinosamente a terra e afferrò il primo vaso che si trovava nelle vicinanze, colmo di peonie fresche, e lo gettò a terra.  Accorsero presto il maggiordomo e due cameriere, allarmati dal rumore e Oscar si ricompose, ancora tremante.
«Madame! State bene? »
Chiese il maggiordomo avvicinandosi subito a lei mentre le due cameriere riponevano a posto il tavolo. Oscar annuì portando una mano alla fronte.
«Avete notizie di mio marito? »
«Purtroppo non ancora, madame. Sembra che ci siano stati dei disordini a Parigi, sarà stato trattenuto dal re per contenere la folla »
«Come temevo... appena avrete notizie voglio essere informata immediatamente »
«Sarà fatto madame »
Il maggiordomo fece un lieve inchino e appena fu sicuro che tutto fosse in ordine e che la sua padrona non avesse più bisogno di loro, uscì insieme alle cameriere, lasciandola sola.
Fece un respiro profondo e incurvò le spalle stanca. Aveva davvero una brutta sensazione e stava iniziando davvero a preoccuparsi.  
“Maledizione...”
Portò una mano alle labbra, mordendosi nervosamente le unghie e spostò con l’altra la tenda scura, sperando di intravedere in lontananza la sagoma del duca ma la fitta pioggia sembrava oscurare l’intero paesaggio. Le sembrò però di vedere qualcosa, una... tre sagome in groppa ai cavalli correre nella direzione del palazzo e drizzò la schiena. Si allontanò di scatto, urtando uno dei mobili del salone, per raggiungere il prima possibile la porta d’ingresso ma nulla, l’unico rumore che proveniva da fuori era l’incessante rumore della pioggia.
Possibile che se lo fosse immaginato?
Accorsero due giovani ad aprire il portone d’ingresso e Oscar si irrigidì. Rivedere il duca, scortato da due soldati, non le era mai sembrato più bello. Si sentì sollevata, almeno non gli era successo nulla di grave.
«Adrien cosa... »
Chiese Oscar avvicinandosi al marito e lui sorrise, voltandosi verso i due soldati.
«Il vostro nome e la vostra posizione? »
Il soldato più alto alzò un sopracciglio, voltandosi appena verso il suo compagno.
«Alain de Soisson e François Armand, Guardia Nazionale. Vostro marito è in arresto per aver disubbidito agli ordini del generale Bouillé »
Si voltò di scatto verso il marito ma lui alzò le spalle, quasi non curandosi della gravità del suo gesto.
«Anche se permettetemi avete fatto benissimo a non sparare sui rappresentanti del terzo stato »
«Alain! Smettila! »
Il compagno gli aveva dato una gomitata al fianco e lui gli aveva risposto malamente. 
Cosa diavolo era successo?!
«Te lo spiegherò più tardi, cara. Ora potete andare, tanto con questo tempaccio non credo che potrei andare da qualche parte »
I due soldati fecero il saluto militare e andarono via di fretta così com’erano arrivati, quasi a voler restare il meno possibile in quel palazzo.
«Hai disobbedito... al generale Bouillé? »
La voce le tremava appena ma lui non le rispose. Le prese la mano dolcemente e la condusse verso le scale salendo lentamente i gradini ed entrarono nel suo studio. Il temporale sembrava calmarsi un po’.
Aspettò che lui le parlasse e l’osservò versarsi del cognac in un bicchiere di cristallo che però le porse e lei lo prese.
«Voleva sparare ai rappresentati del terzo stato per farli uscire dall’assemblea. Mi sono rifiutato di eseguire un ordine del genere. Non potevo permettere che venisse sparso sangue inutilmente, dovevano passare sul mo cadavere »
Finì di versare il cognac nel suo bicchiere e lo bevve tutto d’un fiato, riempiendolo di nuovo.
«Hai consegnato i gradi »
«In attesa di un provvedimento da parte del re »
Oscar portò il bicchiere alle labbra e si bagnò appena le labbra e lo guardò.
«Non mi importa quello che deciderà il re... anzi che vada al diavolo! »
«Io... »
Si schiarì la voce, trovandosi improvvisamente senza parole. Lui la guardò per un istante e i suoi occhi color ghiaccio la spaventarono e distolse lo sguardo.
«So già quello che vuoi dirmi e mi dispiace che tutto questo coinvolgerà anche te »
«Sono davvero... orgogliosa di te »
Il duca sgranò gli occhi e drizzò la schiena, stupito.
«Cosa? »
«Duca! Duca! »
Si voltarono entrambi verso la porta e l’attendente del duca comparve d’improvviso agitato.
«Cosa succede Valentin? »
«È un messo da Versailles duca »
«Fallo venire qui immediatamente »
«Certo, subito duca »
Oscar tornò a voltarsi verso il duca che, nonostante i suoi tentativi di sembrare calmo, sembrava tremendamente agitato. Non seppe cosa fare. Lui aveva fatto appena qualche passo verso di lei senza dire una parola e lei aveva rafforzato la presa del bicchiere che aveva ancora tra le mani, pieno.
Dopo pochi istanti la porta si riaprì e Valentin era accompagnato da un uomo, completamente bagnato e dall’aria stanca. 
«Prego, parlate »
L’uomo prese, nascosto sotto al mantello, una pergamena incredibilmente asciutta e la lesse con voce ferma.
«Per decisione di sua maestà la regina Marie Antoinette non verrà preso alcun provvedimento nei confronti di Adrien Joseph de Bourbon-Condé e della sua famiglia. Si auspica soltanto una maggiore lealtà da parte della famiglia Bourbon-Condé nei confronti della famiglia reale »
Fece un sospiro di sollievo e cercò lo sguardo del marito, visibilmente sollevato anche lui.
«Grazie buon uomo per il messaggio, potete andare e portare a sua maestà i miei ringraziamenti»
«Come desidera,duca »
Furono le uniche parole dell’uomo prima di abbandonare la stanza insieme a Valentin. Oscar posò il bicchiere su di un mobile e portò una mano al viso sollevata.
«Assurdo... il mondo sta davvero cambiando... »
«È una notizia meravigliosa. Forse il re si è reso conto che »
«Non ci spererei. Ti ricordo che è stata la regina a graziarmi, e con grande probabilità l’ha fatto solo per te »
Si irrigidì, quello che aveva detto purtroppo era vero. Era grazie all’amicizia con la regina se non avevano perso né gradi né titoli? Tutto questo sarebbe poi potuto ricadere anche alla sua famiglia? Non riuscì ad immaginare la reazione del padre. 
«Domani... andrò a Versailles a ringraziare la regina di persona »
«No, domani dovrai essere in assemblea. Parlerò io con lei »
«Ma »
«Nessun “ma”. E poi... sono sicura che dovrai dare delle spiegazioni a tua madre e a tuo fratello »
Il solo ricordare il cognato le fece venire la nausea.

«Oscar! Oh Oscar... è da tanto che non di vediamo! Vi prego seguitemi, stavo per fare una passeggiata »
L’allegria di Marie Antoinette le sembrò fuori posto anche se il suo viso sempre perfettamente truccato ed incipriato le sembrò più magro, così come la sua figura nonostante l’ampio vestito. La seguì in silenzio, facendole prima un piccolo inchino e passeggiarono per i giardini in silenzio.
Il parco era vuoto, a palazzo aveva visto pochissime persone e la stessa assenza della contessa de Polignac le fece storcere il naso. Strinse la gonna che aveva indossato - se n’era subito pentita di aver indossato un abito, ma il ritorno del suo periodo mensile ancora doloroso l’avevano costretta ad un abbigliamento meno soffocante - e drizzò la schiena, guardando la sovrana che la precedeva di qualche passo.
«Ultimamente i nobili che vengono a corte sono assai pochi. D’altronde non avevamo nemmeno i fondi per il funerale del mio Joseph »
Si fermò, nascondendo il viso dietro il ventaglio per asciugarsi una lacrima. Oscar curvò le spalle.
«D’ora in avanti... che ne sarà della Francia? »
«Purtroppo non ci è dato sapere i piani del Signore »
«Allora qui rappresentati plebei volgari e violenti... che tradiscono gli ordini del re... e istigano il popolo benevolo a ribellarsi... volete dire che anche questo fa parte dei piani del Signore? »
Oscar strinse le mani in un pugno e cercò di non far notare quanto quella frase l’avesse ferita.
«Permettetemi maestà ma loro non mi sembrano affatto così »
Marie Antoinette si era voltata di scatto verso di lei ma la sua espressione stupita si tramutò subito in un sorriso.
«Oh Oscar, capisco bene la vostra commiserazione nei loro confronti »
“Commiserazione? Oh non penso proprio... credo che dovremmo essere noi nobili da commiserare”
«Oscar... sapete perché abbiamo graziato vostro marito? »
«Eh? »
Sgranò gli occhi, lo sguardo della regina sembrava tranquillo.
«Ascoltatemi bene. Ora stanno arrivando da tutta la Francia, le truppe della famiglia reale verso Parigi, verso Versailles. Il reggimento della cavalleria leggera, Royal Cravate, il Salice Samade e il Royal Allemande... anche quella di vostro marito verrà mobilitata »
Impallidì di colpo.
«Faremo dimettere i rappresentanti plebei e ci prepareremo alla rivolta delle masse. Arriverà il momento di combattere in armi »
«V-voi... non... »
“Non è possibile... non può essere vero...!”
«Ormai vivo soltanto per i miei amati figli, per il mio orgoglio da regina e... per i cortigiani che mi sono ancora fedeli, come voi »
«E... per Fersen » 
Le sfuggì ad alta voce ma la regina la sentì ugualmente. Lei distolse lo sguardo immediatamente.
«Vivete solo per l’amore che avete per lui »
«Avete mai amato qualcuno con una forza tale dal voler andare avanti solo per vederlo, per sentirlo accanto a voi? - Oscar distolse lo sguardo e Marie Antoinette comprese - Io l’amo con tutta la mia anima però come posso dirgli una cosa simile? Come posso chiedere a lui che è rimpatriato su ordine del re svedese di tornare qui da me? Che non ho più soldi né potere? »
«Tornerà da voi anche senza una vostra richiesta, perché lui vi ama nonostante tutto »
Marie Antoinette sorrise, ricacciando indietro le lacrime e tornò a guardarla, prendendo le mani di Oscar tra le sue.
«Spero tanto che il vostro amore non sia impossibile come il mio, amica mia »

«Ha chiamato le truppe a Parigi? »
André portò una mano al viso sconvolto. Oscar mormorò un semplice sì, avvicinandosi a lui. Lo aveva fatto chiamare non appena era arrivata a Palazzo e lui l’aveva raggiunta il prima possibile. 
«Dov’è tuo marito? »
«In Assemblea per decidere sul da farsi, starà via per un altro paio d’ore »
«Dobbiamo avvisare Bernard, ora »
Annuì piano, ancora scossa dalla notizia. Purtroppo non sarebbe servito più a nulla dialogare, dubitava addirittura l’utilità della stessa Assemblea in quel momento. Il re stava abbandonando e tradendo il suo stesso paese per poter mantenere il proprio potere intatto, distruggendo però il suo popolo. Le mani iniziarono a tremarle, forse Bernard aveva avuto ragione a chiederle di scappare via? Di allontanarsi per sempre da quell’inferno? 
«Oscar... »
«Non so cosa pensare...  »
André le prese la mano e le baciò il dorso.
«Promettimi che non andrai da nessuna parte... che non mi lascerai sola »
Lo sussurrò piano con la voce rotta per l’emozione e con gli occhi umidi di lacrime. Lui sorrise semplicemente premendo due dita sotto al suo mento per poterla guardare in viso.
«E dove dovrei andare, secondo te? Sarò con te fino alla morte »
Si abbracciarono e Oscar si sentì piccola tra le sue braccia e a casa; le sue sue preoccupazioni sembravano svanite d’improvviso e il calore del suo corpo la fece rilassare. Prese dolcemente il viso dell’uomo tra le mani e lo avvicinò al suo, sfiorandogli le labbra in un bacio.

“Ti amo come non riesci a immaginare!”

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Capitolo 29
*** Partenze ***


«Questa davvero non ci voleva »
Bernard nascose il viso tra le mani, puntando i gomiti sul tavolo, pensieroso. Oscar cercò lo sguardo di Rosalie e la donna le sorrise appena, facendo segno di non preoccuparsi.
«E... sai quando potrebbero arrivare? Quanti sono? Ho bisogno di più informazioni possibili »
«Il Royale Allemand è formato principalmente da svizzeri e tedeschi, non si farebbero alcuno scrupolo a fare fuoco sulla popolazione in caso di rivolte. È il più pericoloso e il comandante, Charles Eugene, non è famoso per la sua gentilezza d’animo » 
«Maledizione...! »
Bernard si alzò di scatto innervosito, facendo cadere rovinosamente la sedia su cui era seduto a terra. Si spaventò, presa di sorpresa. Bernard aveva sempre avuto dei problemi nel gestire la rabbia e Oscar non potette non comprendere i suoi sentimenti in quel momento. Tutto era sembrato andare nel verso giusto, o almeno per il terzo stato, ma la revoca di Necker e la tragedia sfiorata all’Assemblea aveva surriscaldato gli animi ulteriormente. 
«Bernard, tranquillizzati ti prego »
«Rosalie... come posso tranquillizzarmi se il mio stesso re punta la pistola alla mia testa?! »
Ironico.
Bernard non aveva mai considerato Louis XVI suo re.
«E davvero credi che in questo modo tu possa cambiare le cose? Non ragioni, la tua mente è annebbiata dalla rabbia e potresti fare una pazzia! Quindi ti prego... calmati »
Oscar accennò un lieve sorriso, Rosalie riusciva davvero a tranquillizzarlo e lui, dopo aver baciato le mani alla moglie, si voltò verso di loro.
«Oscar, André... perdonatemi. Tutta questa situazione mi sta facendo perdere la testa »
«Non ti devi preoccupare Bernard, ti capiamo benissimo »
«Quali sono le tue intenzioni, ora? »
André se ne stava in piedi, dietro di lei che invece aveva preferito sedersi e teneva le mani sulle sue spalle, accarezzandole e massaggiandole appena.
«È complicato. Il popolo non è armato, non ha fucili o spade e il più forte di noi è bravo con il pugnale »
«Perché non usi la tua di spada? »
«L’ho venduta »
Oscar corrugò la fronte, anche Rosalie sembrava sorpresa.
«Bernard tu... »
«I soldi del giornale non sono molti e... i prezzi stanno aumentando troppo, per tutto. Ieri notte hanno assaltato il forno che si trova dietro l’angolo perché il panettiere aveva nascosto la farina per fare meno pane e venderlo più caro. È assurdo »    
«Bernard se dovessi avere qualsiasi tipo di problema non esitare a chiedere aiuto, non permettere al tuo orgoglio di »
«No, Oscar. Non ti devi preoccupare ma apprezzo molto le tue parole, davvero. In più... volevo ringraziare tuo marito per non aver sparato ai rappresentanti. Spero che questo però non vi abbia causato molti problemi »
Accennò un sorriso, scuotendo appena il capo. 
«Davvero io... non so come ringraziarti per tutto quello che stai facendo per noi, per la nostra causa »
«Non c’è bisogno, lo faccio con piacere. Sono consapevole che gli ultimi anni sono stati disastrosi e... io voglio solo il bene per la Francia »
«Quindi non seguirai il mio consiglio »
Scosse il capo, posando la mano su quella di André. 
«Adrien è stato obbligato a condurre le sue truppe qui, a Parigi, e io non me la sento di abbandonarlo dal nulla. Se la situazione dovesse precipitare allora... agiremo di conseguenza »
«È un peccato averti perso come soldato »
Oscar rise guardando Bernard dritto negli occhi. 
«Sai... se mio padre non avesse combinato il matrimonio, probabilmente avrei lasciato la guardia reale. Ho saputo che i soldati della guardia metropolitana non hanno un comandante da un bel po’, sicuramente mi avrebbero affidato il comando »
Rosalie corrugò la fronte confusa, perché avrebbe voluto lasciare ugualmente la guardia reale?
«Ora è meglio andare, si sta facendo buio fuori »
Disse André guardando fuori alla finestra e Oscar si alzò dalla sedia lentamente, rilassando le spalle e la schiena.
«Spero di rivedervi entrambi presto, per liete notizie »
Bernard le tese la mano e lei la strinse con piacere, accennando un piccolo sorriso.
«Lo spero anch’io Bernard, lo spero anch’io »

«Sei pensierosa, c’è qualcosa che non va? »
Oscar voltò appena il capo verso il marito, stringendo il calice di vino tra le mani. 
Appena era tornata a casa aveva ordinato alle cameriere di prepararle un bagno caldo e così avevano fatto. Avrebbe voluto che l’acqua calda potesse togliere da lei anche tutte le sue preoccupazioni, oltre che la sporcizia e il sudore. 
«Sono preoccupata, è vero. Domani dovrai partire presto, non è vero? »
«All’alba »
Rispose lui senza tono, sedendosi accanto alla vasca per guardarla meglio in viso. Oscar aveva gli occhi rossi e la mano che stringeva il calice di vino tremava lievemente. 
«Hai pianto »
Non era una domanda, pensò Oscar e lo guardò in viso.
«Questa potrebbe essere l’ultima notte che trascorriamo insieme »
«Non essere così drammatico, ti prego »
Disse lei alzando gli occhi al cielo bevendo un sorso di vino.
«È la pura realtà, non possiamo negare l’evidenza »
«Vorrei non pensarci mentre cerco di rilassarmi in vasca, grazie »
Oscar lanciò qualche schizzo d’acqua verso il marito, sperando di allontanarlo ma lui le bloccò il polso, stringendolo dolcemente.
«Non potresti essere più dolce nei miei riguardi? »
«No »
«Sei odiosa »
«Lo so »
Risero entrambi, lui lasciò andare il suo polso e si allontanò, permettendole di uscire dalla vasca e di coprirsi con un telo bianco. Quando lo raggiunse, lo abbracciò da dietro, posando la fronte tra le sue scapole.
«Oscar...? »
«Sei molto dolce, credo davvero di non meritare tanto affetto da parte tua ma ti prego, ho solo una richiesta da farti... torna a casa, sano e salvo »
Socchiuse gli occhi, stringendo la camicia che lui indossava tra le mani.
«Dovresti smetterla di sminuirti così tanto »
Rideva appena e Oscar nascose completamente il viso, anche se lui non poteva vederla.
«Te lo prometto. Tornerò da te »
«Io credo di... non provare i tuoi stessi sentimenti »
«Lo so, ma va bene così »
«Però voglio che tu sappia che... sono davvero felice di essere tua moglie »
Adrien sciolse il suo abbraccio e si voltò verso di lei, prendendo il suo viso tra le mani e sorridendole.
«Non hai idea di quanto le tue parole mi abbiano reso felice »
Sorrise appena, donandogli una leggera carezza sul viso e lui posò la fronte sulla sua.
«Posso baciarti? »
Lo sussurrò appena, senza avvicinarsi di più a lei o costringendola e Oscar disse un lieve sì, sentendo poi le labbra di lui premere caste sulle sue.
Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì era l’alba, l’aveva svegliata il cigolio della porta della loro camera che si apriva. Si alzò di fretta, senza preoccuparsi di coprirsi con una vestaglia e con la sola camicia da notte lo raggiunse, ai piedi della scala di marmo e lo fermò, prendendogli il polso.
«Non volevo svegliarti »
Sussurrò lui guardandola in viso dispiaciuto ma lei scosse il capo.
«Me l’hai promesso »
«Mantengo le mie promesse »

 

Note d’autrice
Ci stiamo avviando verso la fine di questa storia, mancano forse un paio di capitoli, e mi ritengo molto soddisfatta del mio lavoro.
Mi scuso per il capitolo breve, i prossimi dovrebbero essere più lunghi!
Colgo l’occasione per ringraziare tutti voi che leggete e recensite questo mio racconto, vale molto per me!

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Capitolo 30
*** Domani mattina ***


Oscar tossì un po’, coprendosi la bocca con la mano. Un brivido le percosse la schiena facendola rabbrividire nonostante il caldo. Quella notte aveva dormito malissimo e quelle poche volte che era riuscita a prendere sonno gli incubi la svegliavano in preda all’ansia e al sudore. 
«Avete una brutta cera Madame, siete sicura di sentirvi bene? »
«Non preoccuparti per me Aurore, sto bene. Ho dormito solo male questa notte »
«Siete in pensiero per il duca? Non abbiate timore, tornerà molto prima di quando possiate immaginare! »
Accennò un sorriso, congedando poi la cameriera. In realtà non aveva pensato molto al duca in quei  giorni ma le notizie che le arrivavano da Parigi erano preoccupanti. Bernard non aveva tralasciato alcun dettaglio e più volte le aveva scritto che tutto quello che stava accadendo non era che l’inizio. Se da un lato apprezzava questa sua franchezza, da un lato ne era anche disgustata quando si perdeva in macabre descrizioni.

È la rivoluzione, Oscar. Non possiamo fare nulla se non assecondarla. Un re che reprime il proprio popolo non è un re. 
Il vecchio regime sta per crollare, sorgerà una nuova epoca.

Era l’ultimo biglietto arrivato da Parigi quella stessa mattina. Lo aveva letto e riletto, sfiorando con le dita l’inchiostro nero come a voler cancellare quelle parole perché le facevano male al cuore. Solo quattro semplici frasi, che la colpirono come un proiettile in pieno petto. 
«È davvero la cosa migliore, Bernard? Una rivoluzione.... mi sembra assurdo che tu possa parlare di questo, tu che avevi finalmente trovato un’arma migliore della spada per ferire le persone »
Sospirò stropicciando il piccolo pezzo di carta tra le mani.
«Non va bene, non va affatto bene »
Passò una mano sulla fronte per allontanare i capelli dal viso e guardò fuori la finestra, notando in lontananza un uomo a cavallo. 
«Oh, è già arrivato »
Sorrise, sentendosi subito rincuorata e si avviò verso l’entrata del Palazzo per accogliere l’ospite. Quando fu in fondo alle scale il portone d’ingresso si aprì, svelando l’uomo.
«Conte Girodelle! Che piacere rivedervi! »

«Sono lieto di vedervi di nuovo in buona salute, duchesse »
«Credevo di avervi già chiesto di chiamarmi per nome »
Rise appena mentre versava in due bicchieri del cognac e ne porgeva uno al conte.
«E credo di aver già detto che non potrei mai chiamarvi per nome »
«Volevo ringraziarvi per accettato di venire qui. Sono sicura che... sarete molto impegnato a Versailles »
«È così, ma i sovrani mi hanno concesso un giorno di riposo solo grazie a voi quindi credo di esservi debitore »
Girodelle aveva sempre avuto un sorriso dolce e un carattere calmo, totalmente opposto al suo. Lo aveva sempre ritenuto un uomo affascinante, ma forse un po’ troppo impostato per i suoi gusti.
«La situazione sembra essere molto più grave di quanto non sia già, o sbaglio? »
«Non sbagliate affatto. Dalla dimissione di Necker è tutto precipitato. L’unico consiglio che posso darvi, e ve lo dico con il cuore in mano, è di lasciare il paese. O almeno fin quando la situazione non si sarà ristabilita un po’ »
«Non siete il primo a consigliarmi questa soluzione »
Sorrise sarcasticamente, bevendo d’un fiato il liquido color oro e posò il bicchiere accanto la bottiglia, curvando le spalle, sotto lo sguardo preoccupato del conte. 
«Se non sono il primo... perché non lo avete fatto? »
Oscar fece spallucce guardando la punta delle sue scarpe. 
«Forse perché non voglio lasciare i miei cari, forse perché credo e spero che tutto possa risolversi in fretta, forse perché voglio vedere con i miei stessi occhi quello che accadrà »
«La famiglia Condé... »
Si irrigidì.
«Vi prego! Non nominatela mai in mia presenza! Non ci sono mai stati per noi, non hanno mai mostrato alcun interesse se non quello finanziario nei miei confronti! Persino quando ho perso il bambino, non mi hanno mai degnato di una visita o di una lettera. Nulla! Quando Adrien è stato arrestato... mio cognato ne sembrava quasi felice, mentre mia suocera aveva dato la colpa a me per quello che era successo, come se lo avessi spinto io ad andare contro i reali! »
«Mi dispiace, non volevo importunarvi »
Oscar rilassò le spalle e alzò lo sguardo verso il conte mortificata.
«Perdonatemi voi, ho riversato la mia rabbia su di voi senza alcun motivo »
«Comprendo perfettamente la vostra rabbia e la condivido. Anche se non dovrei dirvelo, molte famiglie, compresa quella di vostro marito, ha preferito abbandonare Versailles senza preavviso. Per questo ve l’ho nominata. Al dire il vero, ero sorpreso di sapervi ancora qui e sono tutt’ora molto in pensiero per voi. Siete completamente sola »
«Sono stata per molti anni sola, conte »
«I tempi sono cambiati, stanno assalendo dei Palazzi e dopo aver fatto razzia li bruciano. Vostro marito... »
«Credete che non sappia più difendermi? Mi sono sposata, non sono malata »
Disse ironicamente sedendosi su una delle poltrone del salotto, incrociando le gambe. Lo sapeva benissimo però a cosa si stesse riferendo, le notizie circolavano veloci. 
«Non lo metto in dubbio, ma loro sono come belve. Non hanno più un lato umano, sembrano come pazzi »
Non rispose. Il conte aveva totalmente ragione. 
Sospirò coprendosi il viso con le mani, rassegnata. Cos’avrebbe dovuto fare? Lasciare davvero tutto? Abbandonare sia André che il duca e far perdere le sue tracce?
No, non poteva abbandonare André. Ma se fosse scappata con lui, non avrebbe potuto sposarlo perché era ancora legata al marito. Guardò la fede nuziale e fu tentata di toglierla, lanciarla via e urlare.
«Duche... Oscar? Va tutto bene? »
«Ah? Sì, sto bene. Solo... non pensavo che fossero andati via. Sono parte della famiglia reale e... »
«Anche la Polignac è andata via »
«Cosa?! »
Aveva alzato la testa di scatto stupita, l’espressione del conte era davvero seria. L’uomo si accomodò sulla poltrona di fronte alla sua, guardandola.
«Mio Dio... perché me ne stupisco, era così ovvio, no? Appena la regina ha iniziato ad ignorarla, lei se n’è andata! Le ha rubato così tanto... soprattutto denaro... ma era così ingenua dannazione! Credo che la maggior parte della colpa sia sua, se è successo tutto questo! »
«Non posso darvi torto, purtroppo, e anche sua maestà si è accorta del grande sbaglio che ha fatto. Ora... ne sta pagando tutte le conseguenze »
«Come vorrei... tornare indietro nel tempo per poter cambiare le cose »
«Purtroppo non ci è concesso »
«Fatemi vivere la mia utopia »
Disse quasi in un lamento soffocando una leggera risata e anche il conte sorrise, scuotendo il capo. Ci furono alcuni istanti di silenzio che però non le pesarono affatto. Aveva quasi dimenticato quanto le fosse mancata la sua compagnia e quanto fosse dannatamente perfezionista nel suo modo d’essere. 
«Da quanto vostro marito è partito, se posso? »
«È partito... il 4 luglio, otto giorni fa »
«Avete avuto notizie di lui? »
«Sì, ieri pomeriggio è arrivato un soldato del suo reggimento. È riuscito a scrivere poche righe e - fece una pausa, prendendo fiato - sono un po’ preoccupata, non lo nascondo »
Bussarono lievemente alla porta, Oscar diede il permesso di entrare e una ragazza entrò nel salone, facendo un inchino e arrossendo appena incrociò lo sguardo del conte Girodelle.
«Madame, è arrivato un soldato e chiede di parlare con voi. Ha detto che è molto importante »
Oscar corrugò la fronte cercando lo sguardo del conte. Per un attimo si spaventò, che fosse successo qualcosa di grave?
«Andate, Oscar. Se è davvero urgente, non dovete preoccuparvi per me. Al contrario, è meglio che vada anch’io. Le strade sono pericolose dopo il tramonto »
«Attendete ancora un po’. Farò subito ritorno »
Oscar si alzò senza attendere una risposta dal conte e si fece condurre dalla giovane cameriera dal soldato. Lo riconobbe subito quando lo vide in piedi nell’entrata del palazzo, era lo stesso che le aveva portato il messaggio di Adrien il giorno prima.
«Buona sera madame, questo è per lei. Ve lo manda vostro marito, è urgente »
L’uomo le consegnò una nuova lettera e dopo aver fatto il saluto militare andò via. Oscar, stranita e ancor più confusa di prima, guardò il viso della ragazza ma lei sembrò stupita quanto lei. Scosse il capo e iniziò ad aprire la lettera mentre ritornava nel salone dove l’attendeva il conte Girodelle. 
Lo ritrovò esattamente dove lo aveva lasciato, seduto elegantemente sulla poltrona e riprese il suo posto, leggendo rapidamente le righe che le aveva scritto il marito.

Il popolo è in fermento. Credono che ci sarà una nuova San Bartolomeo1. Mettiti al sicuro, scappa lontano.
Credo che non potrò mantenere la mia promessa.
Mi dispiace e ti amo.
Non ho avuto il coraggio di dirtelo a voce, ma forse su questa carta avrà un significato più grande.
Tuo, Adrien

«Una... nuova San Bartolomeo? »
Le tremò la voce, sperò che il conte non notasse quanto le sue parole l’avessero turbata. Gli passò la lettera e lui la lesse attentamente, soffermandosi sulle ultime parole che le aveva scritto.
«Sarà stato quel maledetto del figlio del luogotenente, Desmoulins. È anti monarchico fino al midollo, farebbe di tutto pur di ottenere quello che vuole. Quel maledetto ingrato... »
Costatò irritato ridandole la lettera e Oscar nascose il volto di nuovo, reggendosi la testa con le mani.
«Maledizione... »
«Cosa vi... aveva promesso? »
«Che sarebbe tornato sano e salvo. Assurdo, no? Lo sapevo fin da subito che sarebbe stato impossibile, ma cosa ci posso fare? Un po’ volevo credere che avesse ragione lui »
Lo disse a voce bassa ma il conte la capì comunque. Oscar si lasciò scappare un sospiro amaro e strinse i capelli tra le mani delusa.
«Dunque... lo amate anche voi? »
Sgranò gli occhi, scosse il capo.
«Gli voglio bene, mi sono affezionata a lui - rise appena, alzando la testa di nuovo - ma anche se ho sempre odiato questo matrimonio... non volevo che finisse così »
«Allora seguite il suo consiglio. Prendete le vostre cose e andate via. Posso accompagnarvi io stesso, se volete »
«Ci penserò... »
«Purtroppo è una decisione che dovete prendere adesso »
«Domani mattina, vi farò sapere. Viaggiare di notte è troppo pericoloso, lo avete detto voi stesso pochi minuti fa »
Il conte annuì piano e le prese le mani, Oscar sgranò appena gli occhi sorpresa.
«Promettetemelo. Verrò io stesso domani se non riceverò un vostro messaggio »
Oscar annuì piano quasi divertita. 
«Ve lo prometto »
«Grazie »
Il conte sorrise rincuorato dalla sua promessa. Lasciò andare le sue mani e si alzò, Oscar lo imitò in silenzio.
«Ora è meglio che vada via. Aspetterò un vostro messaggio »
Oscar lo accompagnò alla porta d’ingresso e subito fu preparato dalla servitù il cavallo del conte.
«Fate attenzione »
Furono le sue uniche parole e lui la salutò con un elegante baciamano. 
Quando fu abbastanza lontano, Oscar si ritirò nelle sue stanze. Dopo pochi minuti, chiamò una delle cameriere che passava per il corridoio, davanti alla sua porta e le consegnò un biglietto.
«Dev’essere consegnato a Palazzo Jarjayes, a Grandier. Ora »

 

 

 

1= la notte di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572 ( giorno di San Bartolomeo ) dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a Parigi. 
Secondo François-Auguste Mignet ( 1796-1884, scrittore, storico, giornalista e consigliere di Stato francese ), Camille Desmoulins aizzò la folla salendo su un tavolo con la pistola in mano ed esclamando : «Cittadini, non c’è tempo da perdere; la dimissione di Necker è l’avvisaglia di un San Bartolomeo per i patrioti! Proprio questa notte i battaglioni svizzeri e tedeschi lasceranno il Campo di Marte per massacrarci tutti; una sola cosa ci rimane, prendere le armi! ». 
Ricordiamo che la figura di Desmoulins inspirò la Ikeda per la realizzazione del personaggio di Bernard.

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Capitolo 31
*** Fuoco ***


Il cavallo correva veloce nella notte, il vento freddo contro il viso e nella mente un solo pensiero: arrivare in tempo.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Quando aveva avuto tra le mani quel pezzo di carta era rimasto per un attimo confuso da quelle parole e lo aveva riletto più volte, ma quando aveva ricevuto la notizia era corso a prendere il suo cavallo con il cuore che batteva come un forsennato nel petto, così tano da fargli male.
Ti prego… fa che non sia troppo tardi
Una lacrima gli rigò il viso ma fu subito raccolta dal vento, incitò ulteriormente il cavallo a correre il più veloce possibile.
Eccolo in lontananza Palazzo Condè e si sentì sollevato. Quando si trovò in vicinanza del cancello, però, lo trovò sfondato, e i due uomini che ne facevano da guardia pestati a sangue, uno di loro aveva un coltello conficcato nella gola.
Impallidì di colpo, spaventato da quella violenza e scese dal cavallo, legando le redini accanto ad un albero del giardino antistante l’ingresso del palazzo. Anche quella porta era stata forzata, un’atmosfera tetra regnava l’intero edificio e sperò di essere solo. Si girò più volte alla ricerca di qualcuno ma la luce della luna non era sufficiente e camminò verso il piano superiore, alla ricerca di lei.
«Oscar?! Oscar! »
Era tutto sottosopra, avevano preso tutto? Com’era possibile? Non si sentiva nessun rumore se non i suoi passi sul marmo del pavimento e la sua voce chiamare disperatamente qualcuno. Non rispondeva nessuno. Arrivato davanti alla camera da letto padronale, anche quella forzata, gli bastò una piccola spinta per farla quasi cadere a terra e una polvere si alzò per tutta l’aria, facendolo tossire.
«Oscar! »
La chiamò di nuovo ma nulla, ancora il silenzio. I vetri delle finestre erano quasi del tutto rotti, in alcuni poteva vedere chiaramente il foro dei proiettili e il panico iniziò ad invaderlo tutto, le mani iniziarono a tremargli e la fronte a sudare freddo.
C’era un’aria fredda che invadeva tutto il palazzo.
«Va tutto bene… dev’esserci una spiegazione… non possono… essere arrivati prima di me… lei è salva… »
Fece ancora qualche passo, sentiva il rumore dei vetri rompersi sotto i suoi piedi e si guardò in giro alla ricerca di qualcosa, di qualche segno di vita, ma nulla. Ancora nulla.
Calpestò qualcosa di duro, non vetro, allontanò il piede e si chinò a raccogliere qualcosa che quei maledetti ladri si erano lasciati scappare, era una collana di perle. La sua, quella che le era stata regalata il giorno delle nozze. La strinse tra le mani e continuò a cercare tra le tende strappate e accasciate a terra, i mobili spostati e distrutti a terra, i libri, i materassi ma niente. Corse anche nelle cucine e le trovò anche quelle vuote e in disordine, non si erano lasciati scappare nulla. I cadaveri di alcune cameriere, del cuoco e del maggiordomo gli si palesarono davanti non appena provò ad andare verso l’ala della servitù.  
Niente.
Non c’era più nulla.
Notò fuori al giardino un falò e dei libri mantenerlo vivo, forse qualche stoffa ma da lontano non vedeva di più.
Tornò di nuovo sopra, nello studio e trovò difficile aprire la porta, forse era stata bloccata da dentro, ma con qualche piccolo sforzo riuscì ad aprirla, anche lì tutto in disordine, altri cadaveri.
Con le spalle curve e il viso provato uscì nel giardino, passando davanti le stalle vuote, e osservò il fuoco che illuminava dannato il retro del palazzo, c’era puzza di bruciato, puzza di carne bruciata.
Ed eccoli i quadri della famiglia Condé bruciare, insieme ai vestiti di seta e i merletti, cuffie e tutto quello che poteva prendere fuoco.
Cadde in ginocchio, con gli occhi sgranati. Riconobbe una stoffa, poco lontana dal focolare e la raccolse tremante. Ancora lei, una camicia di seta bianca, macchiata di sangue e strappata sul petto.
«No… non può essere… non è p-possibile io… »
La strinse al petto e questa volta non trattenne le lacrime.
«Le stalle. Erano vuote… qualcuno si è salvato… deve essere per forza così. Devo - deglutì, passandosi una mano sulla fronte - devo andare a palazzo Jarjayes… forse… è andata lì mentre la raggiungevo »
Si alzò barcollando, confuso e per un attimo speranzoso e corse verso il cavallo, liberandolo dal ramo dell’albero e salì in groppa, con destinazione palazzo Jarjayes.
Non aveva mai avuto così tanta paura come in quel momento, era sicuro che prima o poi il suo cuore sarebbe esploso o che avrebbe perso il senno. Di nuovo il pizzicore agli occhi, non poteva lasciarsi andare alla disperazione ora, c’era ancora un briciolo di speranza.
La sagoma del palazzo in lontananza, sembrava tutto tranquillo avvolto nel cuore della notte. Pensò a quello che aveva visto fino a pochi minuti prima e scosse il capo. Il cancello era chiuso e fu aperto appena lo notarono e accelero il galoppo, cadde quasi da cavallo per poter entrare nel palazzo e crollò di nuovo in ginocchio, distrutto per la fatica e le forti emozioni che gli avevano reso le gambe molli e il respiro affannoso.
«Dov’è? »
Chiesi al maggiordomo che, svegliato dal trambusto che aveva creato, si era recato subito insieme alla governante all’ingresso accanto all’uomo.
«Ho detto… DOV’È?! »
«Cos’è tutto questo baccano? »
La figura del generale Jarjayes comparve da sopra le scale, pochi passi più dietro la moglie. Deglutì e i suoi occhi incontrarono quelli del generale.
«Dov’è Oscar? »
«Prego? »
«Non me lo fate ripetere, generale »
Il suo sguardo ora era freddo, tutto d’un tratto la disperazione aveva lasciato il suo posto dando spazio alla rabbia. Strinse le mani in un pugno e trattenne il fiato, guardò il generale dritto negli occhi e lui fece lo stesso, avevano gli stessi dannatissimi occhi.
«Come osate venire a casa mia in piena notte? »
«Voi rispondete alla mia domanda »
«Non so dove sia Oscar, duca. Perché siete qui? Non dovreste essere a Parigi? »
«Hanno saccheggiato il mio palazzo e ucciso la mia servitù, ho bisogno di sapere che mia moglie è viva e al sicuro da voi, perché le stalle del mio palazzo sono vuote e quindi deduco che qualcuno si sia potuto salvare »
Il volto del generale impallidì, così come madame che, invecee, svenne quasi tra le braccia del marito e la servitù ormai sveglia si mobilitò per aiutarla. Il duca rimase in silenzio fermo dove era rimasto per parlare al generale e capì, senza forse neanche più respirare. Lo capì subito dall’espressione del generale che non stava mentendo. Chiuse gli occhi.
Ora era tutto ovattato intorno a lui, non voleva sentire più nulla e non sentiva più nulla, ne voleva guardare quello che accadeva intorno a lui. Si sentì scuotere e aprì gli occhi, quasi come risvegliato da un sogno e rivide il cognato Maurice scuoterlo, sconvolto e con le lacrime agli occhi.
«Non è vero. Quello che avete detto non è vero! Mia sorella non è morta! Lei non lo avrebbe mai permesso! Lei non- »
Il duca cacciò dalla tasca della sua divisa la collana che aveva raccolto nella loro camera da letto e Maurice sgranò gli occhi, fermando le mani a mezz’aria.
«Questa… dove? »
«A palazzo »
Rispose lui con voce atona e il ragazzo la prese, guardandola sconvolto. Altre lacrime rigarono il viso del ragazzo e anche lui, un po’, si lasciò andare.

«Come sta madame? »
«È ancora addormentata, la notizia l’ha sconvolta parecchio, ha sconvolto tutti in realtà »
«Il nipote della governante ieri sera ha raggiunto il palazzo del duca perché la duchessa l’aveva chiamato. Ho paura che anche lui sia stato coinvolto »
«Sempre se non è stato lui a condurli a quel palazzo, vi ricordo che André ha sempre amato quella donna, forse era geloso »
«Così tanto da ucciderla?! Spero tu stia scherzando! Povera donna, comunque, Marron. Dopo il figlio e la nuora ha perso anche il nipote… che destino crudele »
Maurice abbassò il capo e continuò a camminare per i corridoi del palazzo cercando di evitare le cameriere in lacrime, i dottori che si occupavano di madame e le malelingue che, nonostante tutto, non mancavano mai. Guardò la collana che il cognato gli aveva dato e ricordò il momento in cui, qualche ora prima, il duca era andato via senza neppure avvertire il generale e comprese che forse, quello, sarebbe stato l’ultimo momento in cui lo avrebbe rivisto, vivo.
Sospirò.
Incrociò lo sguardo della governante per le scale e sentì un nodo alla gola. Forse anche lei, quella notte, aveva perso un caro come era capitato a lui e se ne dispiacque. Quando lei lo notò gli sorrise, posando una mano sulla sua spalla e Maurice accennò un piccolo sorriso, confortato dalla figura quasi materna della governante.
Poi, d’improvviso, si avvicinò al suo orecchio e Maurice rimase fermo, stupito e il viso impallidì.
«Oscar e André sono salvi »

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Capitolo 32
*** Il figlio del generale Jarjayes ***


Se aveva imparato qualcosa in quei ultimi dieci anni era che il potere poteva far perdere la testa.
Letteralmente.
Era strano, sentiva una sensazione di vuoto nel petto che non provava da molto, da quando sua sorella era... scosse il capo. Fece un respiro profondo e strinse le redini del cavallo tra le mani, costringendo il cavallo a riprendere il suo cammino per le strade della città.
Parigi era completamente diversa, o forse era solo la sua mente che cercava di nascondere ai suoi occhi l'orrore che quella città aveva ancora, quello stesso orrore che c'era durante il regno di Louis XVI e che Robespierre aveva rovinosamente fatto accrescere invece di distruggere.
Fece una smorfia.
Aveva sempre creduto in quell'uomo, ancora non si capacitava di come fosse davvero cambiato, ma lo era davvero? O era sempre stato così e aveva celato al mondo la sua vera natura?
Scosse di nuovo il capo, controllando che nella tasca interna della divisa ci fosse la lettera, l'ultima, che il padre gli aveva dato prima di morire. 
Trovala. Lei non è morta, lo sappiamo bene entrambi, vero? 
Quando la governate, dieci anni prima, gli aveva confessato che Oscar era ancora viva non volle crederle, ma fu una questione di secondi. Perché se n'era andata? Perché non gli aveva detto addio o lasciato una lettera? Perché era riuscita a scappare e come?
Erano troppi gli interrogativi.
Maurice alzò il capo, era una bella giornata di sole, non dovrebbe avere pensieri così cupi, pensò tra se e se. Eppure non ci riusciva, ci pensava giorno e notte, anche quando era di ronda e si allenava con i suoi compagni. Era diventato anche lui un soldato, come lo era stato anche lei e ora faceva parte della Guardia Nazionale Francese. Era stato proprio uno dei soldati che aveva attaccato la Bastiglia il 14 luglio, un certo Alain De Soisson, a convincerlo ad entrare nella milizia, dopo aver ovviamente raggiunto l'età giusta per potervi entrare. Era stato un'incontro assurdo il loro, quasi come se fosse stato il destino a scegliere per loro. In più, per assurdo, il suo arruolarsi in quel reggimento gli permetteva sì di proteggere il proprio paese e quindi il governo, ma anche di essere dalla parte del popolo.
Solo pochi anni prima gli sembrava un sogno, era bello che tutto questo fosse cambiato.
Ora non era più un giovane adolescente, aveva 23 anni. Era un uomo e il mondo stava cambiando con lui.
«Se solo tu potessi vederlo... cosa sono diventato... se tu fossi al mio fianco... troverei la forza necessaria... »
Mormorò guardando le persone felici camminare per le strade della città. Sospirò di nuovo.
«Sempre pensieroso vero Jarjayes? »
Disse Alain guardando il ragazzo e Maurice accennò un piccolo sorriso.
«Lo immaginavo, dovresti trovarti una donna »
«Ho già una donna, Alain »
Era vero, aveva incontrato la giovane Estelle durante una ronda, nel mercato che si teneva ogni giorno alla bancarella della frutta. Era minuta, occhi color nocciola e capelli scuri, dai lineamenti delicati e la pelle leggermente ambrata e aveva fatto subito battere il suo cuore. Si erano visti spesso, Maurice cercava sempre una buona scusa per potersi avvicinare a lei e il padre di lei gli aveva concesso subito la sua mano, per la gioia di entrambi. Si sarebbero sposati tra poco, nella sua prossima licenza.
«Allora dovresti passare più tempo con lei! »
Risero insieme, fermandosi poi nei pressi della caserma e scesero dai propri cavalli.
«Sono distrutto »
«Eppure non hai fatto nulla! »
«Lo so, un po' mi manca il casino dei realisti! Quelli sì che mi prosciugavano tutte le energie! »
I realisti erano i congiuratori della repubblica e auspicavano sempre il ritorno dei Borbone sul trono di Francia. Inutile dire che ogni loro complotto finiva sempre in un buco nell'acqua.
«Quei palloni gonfiati... »
«Mm? Guarda Alain, quello non è il tuo amico giornalista? »
«Che? Oh! Salve giornalista! Cosa ci fai qui? »
Maurice fece qualche passo indietro. L'uomo si avvicinò a loro due con passo svelto, sembrava davvero agitato.
«Alain! Sono felice di averti incontrato prima che tornassi in caserma! »
«Ehi ehi... è successo qualcosa? Cos'è quest'affanno? »
«Sono tornati! »
«Chi... OH! Davvero?! »
«Sì! Sono a casa mia. Se vuoi puoi venirli a salutare »
«Con molto piacere! Maurice, ti ricordi di quei due miei amici di cui ti avevo parlato? »
Alain ora stava guardando Maurice. Eccome se li ricordava, Alain gli parlava spesso di loro, se non sempre, e poteva dire di conoscere quei due sconosciuti da sempre e ricordava anche lo sconforto di Alain quando loro erano dovuti andare via dalla Francia durante il Terrore senza dirgli nulla. Ci era rimasto malissimo, non aveva mai visto Alain così giù di morale.
«C-Certo Alain, me li ricordo bene »
«Credo sia arrivato il momento delle presentazioni allora! Andiamo? »
«Con piacere! »
I due soldati sistemarono i loro cavalli nella stalla e Alain avvisò il colonnello che quel pomeriggio sarebbe stato occupato per faccende familiari - era il comandante, non poteva abbandonare senza dire nulla il proprio reggimento - e si avviarono verso la casa del giornalista che, sorprendente, non era molto lontano dalla caserma. Maurice osservò il quartiere, sembrava tutto così tranquillo e gli mise il buonumore.
«Sono felice che siano tornati! Diamine... quand'è stata l'ultima volta che li abbiamo visti, Bernard? »
«Tre anni fa, quando iniziarono a perseguitare i nobili. Era troppo pericoloso restare per loro »
«Ringraziando il signore, o chiunque ci sia lì sopra, la situazione è migliorata! »
Maurice non disse nulla, un po' si sentì in imbarazzo e di troppo.
Quando furono arrivati davanti alla porta della casa del giornalista, Maurice sentì in sottofondo il parlottare di tre persone, forse anche di più: riconobbe la voce di due donne e una maschile.
"Perché il cuore mi batte così forte in petto?"
Pensò il giovane quando finalmente i tre entrarono nel piccolo appartamento.
«Alain! Che bello, sei riuscito a trovarlo Bernard! »
«Come potevo non venire a trovare i miei cari amici?! Anche se non dimentico certo il vostro abbandono! Almeno una lettera potevate lasciarla! »
«Hai ragione Alain e credimi, ci dispiace davvero tanto! Ma è stato tutto cos- »
«Sto scherzando André! Non potrei mai avercela con voi! »
Maurice alzò il capo quasi di stacco, nessuno sembrava aver notato la sua presenza. Alain ora stava abbracciando un uomo e le loro risate gli riempivano le orecchie.
«È così bello rivederti Alain, ci sei mancato tantissimo »
«Mi siete mancati anche voi amici. Ma vorrei presentarvi una persona! »
Ora lo sguardo di tutti si posò su di lui. Gli occhi di Maurice incontrarono quelli della donna seduta al tavolo con un bambino accanto a lei, con il capo posato sulle gambe. Quegli occhi, gli stessi che aveva ereditato anche lui da suo padre. Gli stessi che ora si riempivano di lacrime nel poter rivedere qualcuno che ormai credeva perso. I capelli biondi, lunghi e mossi legati sulla nuca, l'abbigliamento maschile.
«O-Oscar... A-André... voi... »
Il bambino alzò il capo dalle cosce della madre e lei si alzò lentamente, raggiungendo il fratello che, senza parole, non riusciva a muovere un muscolo. Le sue guance erano inondate di lacrime e Oscar gliele asciugò con una carezza, sorridendogli anche lei commossa.
«Ciao... »
Spostò una ciocca di capelli dal suo viso, le sue mani tremavano.
«Perché... sei andata via? Perché non... ci hai fatto sapere più nulla? T-Ti ho... cercato per tutto questo tempo e... ora sei qui... come se non fosse successo nulla »
«Lo so... mi dispiace... mi dispiace così tanto... »
Oscar lo abbracciò forte e lui fece lo stesso con le lacrime che gli offuscavano la vista. Aveva quasi dimenticato il suo profumo di rosa, negli anni non era cambiato affatto e il calore del suo abbraccio gli stava riscaldando il cuore. Aveva sognato innumerevoli volte di poterla riabbracciare e ora era realtà. Come diavolo era possibile? Stava forse solo sognando? No, era troppo reale per essere vero, il suo cuore non avrebbe retto un dolore simile.
«Ho avuto... così tanta paura... di averti persa davvero... nostro padre è »
«Mi dispiace Maurice... mi dispiace... »
«Credo di... aver perso un piccolo passaggio »
Il tono confuso di Alain fece ridere tutti, strappò un sorriso anche a Maurice.
«Alain, Maurice è mio fratello! Davvero non lo sapevi? »
Disse Oscar abbracciando ancora il ragazzo e Alain sembrò realizzare la cosa solo dopo pochi istanti.
«Oh... OH! MA OVVIO! TU NON PORTI IL COGNOME CONDÉ1! Idiota Alain, sei un'idiota! »
«Oh Mio Dio Alain! »
Lo rimproverò Rosalie trattenendo una risata e Alain posò la mano sulla faccia e Oscar alzò gli occhi al cielo. Anche André si avvicinò a loro e neppure lui era cambiato, solo i segni del tempo sui loro visi gli facevano capire che erano passati tanti anni dal loro ultimo incontro.
«Sono felice che tu stia bene, Maurice »
«André... sono felice anche io di vedervi. Non sapete quanto questo significhi per me. Vi ho creduti morti! Ma la governante... aveva detto che voi eravate salvi e io... non sapevo cosa pensare! »
«È vero, mia nonna è stata l'unica persona a sapere della nostra fuga »
Disse André guardando Oscar e lei annuì. Lo sguardo di lei si incupì, notò Maurice.
«Io... il palazzo era andato a fuoco e... la servitù... »
«È stato André ad avvertirci dell'arrivo dei rivoluzionari, purtroppo non tutti sono riusciti a scappare in tempo e, alcune volte penso a cosa sarebbe successo se quella sera non avessi chiesto ad André di venire a palazzo »
Fece una pausa scrollando le spalle, il ricordo di quella sera la sconvolgeva ancora.
«Per fortuna... sono riuscita a raccogliere del denaro e dei vestiti prima di partire e quando noi eravamo lontani ho visto il cancello del palazzo cadere come se fosse fatto di carta. Siamo tornati a palazzo Jarjayes solo per prendere la roba di André e abbiamo raggiunto subito Parigi. Rosalie e Bernard ci hanno accolto e non vi saremo mai grati abbastanza »
«Non dirlo neanche per scherzo, Oscar. Lo abbiamo fatto con piacere »
La voce di Rosalie arrivò come un sussurro alle sue orecchie, Maurice guardò prima Oscar poi André.
«Ci siamo nascosti a Parigi per qualche mese, sperando di passare inosservati e quando finalmente potevamo ritenerci fuori pericolo, è iniziata di nuovo la caccia ai nobili e... siamo andati via. Ora che siamo di nuovo qui, non andremo più via »
Il loro racconto spiegava perché non era stata trovata traccia di Oscar nel palazzo ma la collana? E i suoi vestiti sporchi di sangue?
«M-Ma... perché il duca ha trovato la tua collana? »
Oscar aggrottò le sopracciglia.
«Oh... ecco allora dov'era finita... si sarà sganciata nella fretta »
«E i tuoi vestiti... erano sporchi di sangue... »
«A questo non so darti alcuna spiegazione... »
«Eravamo tutti così... preoccupati per te... il duca era quasi impazzito! »
«Lo so... Alain mi ha detto tutto »
André circondò con il braccio le sue spalle e le baciò la tempia sinistra, per consolarla ma l'espressione di Oscar non cambiò, un piccolo sorriso amaro le incurvava le labbra.
Il duca era morto il giorno dopo l'incendio del Palazzo Condé, lo avevano scoperto grazie ad un soldato che aveva bussato alla porta di Palazzo Jarjayes.
«Come fate a conoscervi? »
Chiese finalmente Maurice guardando Alain in viso e l'uomo sorrise.
«Il caro "duca" si è fatto arrestare una volta, è stata quella la prima volta in cui l'ho vista. Se ti riferisci ad André, beh... eravamo compagni di bevute per un periodo! »
André alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo mentre Oscar si avvicinò di nuovo al bambino e lo prese tra le braccia. All'inizio lui sembrava dimenarsi tra le braccia della donna ma rideva egli cingeva il collo con le braccia.
«Tesoro... voglio farti conoscere una persona »
Bisbigliò Oscar al piccolo che ora stava guardando Maurice con occhi curiosi. Grandi occhi verdi, come...
«Ma... voi... »
«Quando Alain ci ha informati della morte del duca, Oscar era a pezzi. Ma, allo stesso tempo quella notizia ci rendeva liberi da qualsiasi ostacolo per noi. Quando finalmente fu firmata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino... ci sposammo »
Spiegò André con un sorriso sulle labbra e i suoi occhi non si staccarono dal bambino che Oscar aveva in braccio, timido e forse impaurito.
«Quindi lui... è »
La voce di Maurice si spezzò, non sapeva cosa dire.
«Saluta tuo zio, Nicolas.... »
«C-Ciao... »
La vocina debole del bambino gli fece sciogliere il cuore, si era fatto piccolo tra le braccia della madre e Oscar lo guardò con amore.
«Cosa c'è? Sei timido oggi? È il fratello della mamma »
Disse André facendogli una carezza sul capo, spostandogli i capelli biondi dalla fronte.
«Quanti anni ha? »
«Quatto »
«Quatto? »
Ripeté Maurice con un sorriso e d'improvviso si ricordò della lettera.
«Oscar io... devo darti una cosa »
Oscar guardò incuriosita il fratello e fece scendere il bambino che, in men che non si dica, corse vicino a François, il figlioletto di Rosalie e Bernard suo coetaneo.
Maurice aprì appena la giacca della divisa e cacciò la lettera, nascosta in una tasca interna, con mano tremante.
«L'ho sempre avuta con me, non me ne sono mai liberato perché ho sempre sperato di poterti incontrare davvero un giorno. Mi sembra ancora assurdo che oggi sia accaduto ma... questa è... per te. L'ha scritta nostro padre, prima di morire »
Oscar si irrigidì appena e prese la lettera dalle mani del fratello, esitò però ad aprirla.
«Gli ho promesso che ti avrei trovata »
Sussurrò Maurice e Oscar fece un sospiro. Era un semplice foglio, con poche righe.

" Cara Oscar,

Credo di non avere scuse per quello che ti ho fatto, per come ti ho trattato in tutti questi anni. Forse lo so perché sei voluta andare via da noi e lo comprendo, lo accetto. 
Probabilmente queste parole non cambieranno nulla, i miei peccati sono troppi per essere espiati. Ma vorrei che tu sapessi che mi hai reso l'uomo più felice su questa terra, e che non
potrei essere più orgoglioso di te per le scelte che hai fatto in questi ultimi anni, che vanno contro i miei ideali di una vita.

Ti sei dimostrata più uomo di me, ma non mi meraviglio affatto.
Spero che la tua nuova vita sia meravigliosa e libera, perché è quello che meriti.

Con amore,
Tuo padre "

«Ahahah... assurdo, vero? Non avrei mai creduto che potesse scrivere una cosa simile »
Disse Oscar chiudendo la lettera e guardando il fratello negli occhi ma una lacrima tradì la sua compostezza. La mano di André si posò sulla sua spalla e Oscar posò il capo nell'incavo del suo collo e sorrise, nascondendo il viso ai suoi amici.
«Alla fine... sei sempre stata tu... il figlio del generale Jarjayes »
Mormorò André baciandole il capo e Oscar rise, guardando poi Maurice negli occhi.

____

Salve a tutti.
Siamo arrivati alla fine di questa storia. Che strano, ogni volta che termino una storia mi sembra che sia finita un'epoca. È una sensazione molto strana, bella ma allo stesso tempo provo un po' di nostalgia.
Non so quando tornerò a scrivere su questo fandom, al momento non ho alcuna idea per una futura storia, ma conto di poterlo fare presto.
Spero che questo racconto vi sia piaciuto, e che il finale non abbia deluso nessuno ♡
Alla prossima,
Myriru 

 

1= il primo incontro di Oscar e Alain, in questa storia ovviamente, avviene durante o scioglimento degli Stati Generali, quando il duca venne arrestato per aver disubbidito al re nel capitolo 28. Ovviamente per il "bene" della storia ho fatto in modo che Alain non conoscesse il vero cognome di Oscar.

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