Il Gioco

di Drizzit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Iskra si trascinava per le vie di Volgograd rese scivolose dalla neve, mentre le luci della sera emanavano un bagliore reso sinistro dall'umidità nell'aria. Il pesante mantello di lana la teneva al caldo, ma l'umiliazione di camminare sotto la neve la riempiva di amaro risentimento.
Solo un anno prima sarebbe stata su una carrozza, circondata da servitori. Certo, un anno prima i creditori non avevano ancora iniziato ad arrivare alla sua porta sventolando debiti e conti non pagati, tutti a nome del marito. Boris in fondo era un uomo buono, si disse. Ma il gioco d'azzardo e il vizio del bere avevano abbattuto uomini molto più forti. E ora era sparito chissà dove, portando con sé ciò che restava del tesoro di famiglia. Iskra non riusciva a fargli una colpa della sua debolezza, ma quando finì con i piedi in una pozzanghera piena di neve gialliccia, sentì lo stomaco contorcersi.
Si diresse verso una strada residenziale costeggiata da alberi secolari ed eleganti case signorili, e pensò alle tante feste in costume a cui aveva accompagnato Sofya proprio in quel viale... quando ancora c'era abbastanza denaro per comprare nuovi abiti. La strada le era sembrata signorile allora, vista dal finestrino di una carrozza. Ma la carrozza se n'era andata subito dopo gli abiti e ora gli alberi sembravano neri e malevoli, i loro vecchi rami come arti che si contorcevano in mezzo alla nebbia.
Iskra aveva mantenuto i cavalli il più a lungo possibile. Erano un simbolo evidente della condizione economica della sua famiglia: dopo averli venduti, non poteva più nemmeno fingere di avere qualche proprietà. Passeggiando per le strade bagnate come una cittadina qualsiasi, in silenzio maledisse il suo destino e desiderò ancora una volta che Boris tornasse, con il suo patrimonio intatto, vincitore sulla propria debolezza. Non che fosse una donna portata a fantasticare, ma aveva poco altro per consolarsi. Avrebbe trovato una soluzione, si disse. Non avrebbe permesso che sua sorella morisse come una povera zitella. Il pensiero fu sufficiente a rafforzare la sua volontà. Qualunque cosa fosse successa, a qualsiasi prezzo, lei avrebbe trovato una soluzione.
Svoltando in una stradina laterale, vide la sua destinazione stagliarsi davanti a lei come una rupe brulla e rocciosa. In realtà era solo la casa relativamente modesta di Vasilyev Olegovich, un mercante ricco e un usuraio volgare, ma nella sua immaginazione l'edificio torreggiava alto, minaccioso e ostile. Iskra guardò la porta d'ingresso con apprensione. Un anno prima avrebbe inviato un valletto con un messaggio, restandosene in carrozza a sorseggiare un buon vino. Quella sera, invece, camminò a lunghi passi verso la porta, temendo la vergogna di chiedere, anzi implorare, un po' di pazienza da parte di quel creditore.
Iskra raggiunse l'ingresso e alzò la mano sul battente. Si aggrappò al freddo metallo con tutta la risolutezza che aveva e lo lasciò cadere contro la porta di quercia, che quasi subito si aprì sui cardini ben oliati.
«Sì?» chiese lo spiacevole cameriere che aveva aperto. Iskra ebbe l'impressione che alzasse un sopracciglio in modo insolente, ma controllò la propria ira: dopo tutto, era giunta fin lì per mendicare, e la sua disperazione doveva essere evidente anche ai servi di casa. Quando aveva scoperto che Boris aveva preso in prestito. Dei soldi dando in garanzia la loro casa, ne era rimasta sconvolta. Iskra non aveva mai saputo cosa significasse essere in debito con qualcun altro, non aveva mai patito l'insicurezza nauseante dei conti non pagati, degli impegni presi e non rispettati. Ma la casa... la casa era qualcosa di completamente diverso. Perdere la casa avrebbe significato perdere il loro rifugio, la loro ultima speranza di tornare a far parte dell'alta società di Volgograd
Era la sua ultima speranza di potersi tirar fuori, un giorno, dalla fossa che Boris le aveva scavato. La sua ultima speranza di trovare un marito per Sofya.
Raccogliendo tutta la propria dignità, con fermezza ma educatamente informò l'uomo: «Vorrei parlare con Olegovich». Ebbe poi un ripensamento e si ricordò di non essersi presentata, quindi aggiunse: «Sono Iskra Sorokin»
Il domestico rimase in silenzio un istante più a lungo di quanto Iskra pensava fosse accettabile e quindi, con suo grande sgomento, rispose in fretta, «Vedo se il padrone è in casa,» e chiuse la porta.
Era davvero troppo. Essere lasciata in piedi sulla soglia di casa come un venditore ambulante o un mercante qualsiasi era un insulto che Iskra non riusciva a sopportare. Decise che avrebbe parlato a Olegovich della maleducazione dei suoi servi.
Nel frattempo, ripensò a come era uscita quella sera, a quanto Sofya l'avesse supplicata di restare a casa con lei a giocare a carte e a come le aveva sorriso mestamente. Anche in mezzo a una casa in fiamme, quella ragazza avrebbe pensato solo ai balli e al divertimento. In un certo senso, Casa Sorokin le stava davvero bruciando intorno, e Sofya avrebbe sofferto più di tutti: era giovane e bella, ma non c'erano speranze che la sua dote potesse in qualche modo essere ripristinata.
Iskra si costrinse a non immaginare i bordelli e le bische in cui i diritti di nascita di sua sorella erano stati sperperati, ma sentì comunque una stretta allo stomaco. Boris in fondo era un uomo buono, si disse.
La porta si aprì di nuovo e mentre Iskra si apprestava a entrare, il cameriere la fermò con un tono che certo non poteva essere scambiato per deferenza: «Il signore non riceve».
Iskra si bloccò, il piede pronto a varcare la soglia.
Aveva sentito bene?
Questo insulso mercante da quattro soldi si rifiutava di riceverla?
Le andò il sangue alla testa, ma sapeva che doveva controllarsi.
Una scenata ora avrebbe solo accresciuto la già cocente umiliazione. Sua madre le aveva detto spesso che una gentildonna si distingueva dal modo in cui reagiva a un insulto, e Iskra non avrebbe dato a questo servo insolente, o al suo maleducato padrone, la soddisfazione di comportarsi in modo non signorile.
Si ricompose e disse semplicemente «Molto bene,» voltandosi con eleganza.
I ciottoli delle strade erano coperti di ghiaccio e neve, ora che Iskra camminava verso casa, e la neve cadeva sempre più forte, mentre i riflessi della luce delle candele e delle lanterne ballavano in modo irregolare nei cristalli ghiacciati del manto nevoso.
Quando la rabbia cominciò a scemare, la paura e la disperazione presero il suo posto.
Nel turbamento dell'offesa di Olegovich, aveva perso di vista che cosa avesse significato quell'affronto: le era stata negata anche solo la possibilità di discutere di un ulteriore ritardo sul pagamento di un debito, la possibilità di implorare pietà per la sua casa, sua e di Sofya. Per quanto la situazione le fosse sembrata infelice lungo la strada all'andata, in quel momento si rese conto di quanto fosse in realtà disperata.
Persa nei suoi pensieri, fu sorpresa da un improvviso nitrito.
Alzò lo sguardo, la neve fredda le batté sul viso, e si rese conto di non riconoscere la strada che stava percorrendo.
Era un vicolo stretto, buio e contorto, come un sentiero in una foresta umida, con creature invisibili in agguato dietro ogni angolo. Iskra conosceva bene le più belle vie e i viali di Volgograd, ma quel vicolo storto le sembrò minaccioso nella sua estraneità.
Si voltò, cercando di trovare la fonte del nitrito, e lo sentì di nuovo insieme al rumore delle ruote di una carrozza. Maledicendo il buio, la nebbia e la neve, Iskra si guardò intorno, non sapendo bene nemmeno lei se fosse più innervosita dalla carrozza invisibile o dallo squallore della strada. Con un sussulto, un cavallo nero come il carbone s'impennò davanti a lei per le redini tirate bruscamente indietro. Iskra quasi cadde in ginocchio, ma improvvisamente la bestia si calmò e il conduttore guardò giù verso di lei, come se nulla fosse accaduto.
Iskra non riconobbe la livrea del conduttore, ma il taglio era fuori moda da almeno una generazione. Vergognandosi della propria posizione, ancora più bruciante di fronte alla signorilità un tempo frequentata, chinò di nuovo la testa, ma solo per voltarsi di scatto quando sentì il proprio nome.
«Iskra.»
La voce era giovane, morbida e gentile, ma completamente sconosciuta.
Iskra si avvicinò al finestrino della carrozza, aperto da una mano affusolata, e cercò di distinguere il volto del passeggero nella penombra.
«Sì?»
«Non state lì così, mia cara. Riparatevi dalla neve. Dovete essere fradicia. Andriy, aprile la portiera.»
Il conduttore saltò giù con grazia deferente e le aprì silenziosamente la portiera della carrozza. Iskra lo ringraziò con un cenno del capo, con aria di superiorità, ed entrò nella carrozza, troppo perplessa per sentire alcuna vergogna e altrettanto grata di potersi mettere al riparo dalla neve.
Mentre si accomodava sulla panca di legno, gli occhi cominciarono ad abituarsi al buio e Iskra vide un volto pallido con dei lineamenti perfetti che incorniciavano una massa di riccioli biondi, sopra un corpo di una sedicenne. Cercò nella memoria il nome della sua ospite, ma non le sovvenne nulla.
Non riusciva proprio a identificare quella ragazzina che evidentemente però conosceva lei e che, a differenza di porzioni sempre più significative della società di Volgograd, era disponibile a dimostrarle un po' di gentilezza.
«Sono terribilmente dispiaciuta…» Balbettò infine mentre la ragazza la guardava con benevolenza. «Ma sembra che voi sappiate più di quanto sappia io. Mi rincresce dirvi che non riesco davvero a ricordare dove ci siamo incontrate.»
La ragazza sorrise con indulgenza e accarezzò il braccio di Iskra con una mano morbida e tremendamente gelida. «Non preoccupatevi, cara. Non ci siamo mai incontrate, quindi la vostra sorpresa di certo non mi sorprende.» Sorrise in modo più ampio quando lo sconcerto si dipinse sul viso di Iskra, poi continuò. «Sono una… amica della vostra famiglia, e vi osservo da un po' di tempo.»
Le aveva fatto l'occhiolino? Iskra non poteva esserne sicura. Ma trattenne il fiato quando improvvisamente immaginò che la ragazza potesse essere una sua nipote.
Rimase sgomenta nel formulare questo pensiero, ma con il disastro che incombeva dietro l'angolo, qualcuno che poteva anche solo lontanamente essere un salvatore doveva essere trattato con la massima attenzione.
«Mi avete osservata? Allora... Allora sapete...» Iskra fece un gesto veloce con la mano, imitando la spirale della sua famiglia verso la miseria, lasciandola inespressa per educazione verso la sua ospite. La ragazza rispose con un risolino seguito da un impercettibile gesto d'assenso.
«Sì. Purtroppo, sì. E per quanto strano possa sembrare...» Guardò fuori dal finestrino la neve battente e fece una pausa, prima di finire la frase con una fissità sconcertante nello sguardo. «Potrei avere una soluzione alla vostra, diciamo, situazione.»
Iskra lottò per mantenere un'espressione educatamente neutra, ma il cuore le balzò in gola. Era ancora confusa dalla misteriosa identità della giovane, ma ora la prospettiva che fosse per lei una salvatrice era tanto reale quanto immediata. Scelse con cura le parole.
«Una soluzione?»
«Una possibile soluzione, cara. È come, be'... Voi giocate a carte?»
Iskra pensò che quella domanda non avesse molto senso, ma annuì affermativamente. In realtà, era piuttosto nota in tutta Volgograd come una delle giocatrici più abili della città. Non aveva mai ceduto alla febbre del gioco d'azzardo come Boris, ma aveva svuotato più di un borsellino in partite “amichevoli” di Durak. Forse la ragazza lo sapeva? La stava sfidando a fare una partita? Iskra non sapeva cosa pensare. Boris aveva scommesso le loro proprietà familiari e aveva perso tutto... Forse Iskra avrebbe potuto rivincerle nello stesso modo? Aveva quasi le vertigini pensando a questa possibilità, ma si limitò a sorridere e disse: «Sì. Sì, gioco a carte».
Scendendo dalla carrozza davanti al proprio cancello, Iskra notò che per fortuna aveva smesso di piovere. In realtà, le nuvole stesse erano scomparse dal cielo e migliaia di stelle splendevano sulla città immersa nella notte. Si voltò all'improvviso, fermando la portiera prima che si chiudesse.
«Sono terribilmente spiacente, ma ancora non so il vostro nome.»
«Oh, che sciocca che sono. Non ve l'ho detto. Il mio nome è Luda…»
«Molto bene Luda. Vi aspetto domani sera. Siete certa di non voler cenare con noi prima di giocare?»
«Sono certa. Preferisco cenare da sola.» E con questo chiuse la porta, accostò il pannello di legno del finestrino e la carrozza barcollò via lungo la strada.
Con la testa che le girava, Iskra salì i gradini fino alla porta d'ingresso. La ragazza della carrozza probabilmente era seduta su una piccola fortuna e stava solo cercando una scusa per condividerla con Iskra e Sofya. Naturalmente, il gioco era solo un'educata finzione, una finezza sociale per evitare che sembrasse carità. O forse Luda faceva sul serio, ed era più interessata al gioco d'azzardo pesante piuttosto che al benessere di Iskra. E sia, allora. Di sicuro lei aveva sentito parlare, e visto di persona, tanti comportamenti eccentrici tra i nobili di Volgograd. Se Luda voleva giocare, Iskra sarebbe stata più che felice di accontentarla.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La sera dopo, mentre la malinconia del crepuscolo ammantava la casa, Iskra si agitava ansiosa nella sua camera. E se Luda fosse stata davvero svampita come sembrava, e si fosse dimenticata dell'appuntamento? E se fosse stato tutto solo uno scherzo crudele? E se...?
Iskra irrigidì la schiena e costrinse i propri nervi a rilassarsi. Si guardò intorno nella stanza: i mobili migliori erano rimasti, così come una coppia di lampade a olio che bruciavano vivaci, un carrello con l'ultima bottiglia di vino pregiato rimasta e due bicchieri. E naturalmente, sul tavolo scuro e lucido, un mazzo di carte.
Iskra aveva scelto quel mazzo di carte di proposito, perché erano adornate con lo stemma della sua famiglia. Le piaceva pensare che, se si trattava di mettere in gioco il futuro di Casa Sorokin, allora lo avrebbe dovuto fare con delle carte che rappresentassero la posta in gioco.
La posta in gioco. Iskra guardò di nuovo lo scrigno ricoperto di velluto che aveva posto accanto alle carte. All'interno c'erano tutti gli oggetti preziosi che ancora possedeva, una fortuna per un cittadino comune della strada, eppure solo una piccola posta per tentare di riconquistare le ricchezze della sua famiglia. Iskra sapeva che avrebbe dovuto vincere, e vincere più di una volta, per rimettere in sesto la propria famiglia. Ma non poteva permettersi di vincere troppo in fretta, perché avrebbe spaventato la sua giovane salvatrice. No, era una questione da trattare con finezza, delicatezza e cura.
«Iskra! Guarda!»
I suoi pensieri andarono in frantumi ed ebbe uno scatto nervoso, quando la sorella raggiante piombò nella stanza. Sofya era ricoperta dalla testa ai piedi in quelle che sembravano essere grandi foglie svolazzanti rosse, marroni e arancioni. Alla sua vista, Iskra indietreggiò, ma fece anche un lieve sorriso per accompagnare la gioia entusiastica del viso luminoso di Sofya. Anche se di tanto in tanto le riusciva difficile accettare la superficialità apparente con cui Sofya sembrava affrontare la loro situazione, Iskra non poteva non essere estasiata dalla bellezza e dalla sincera vivacità di sua sorella. Sarebbe stata la sposa perfetta per qualsiasi gentiluomo di Volgograd e anche per alcuni membri della nobiltà minore, se solo avesse avuto una dote sufficiente. Ma la dote era stata spesa per pagare i debiti di Boris e ora Sofya avrebbe dovuto affrontare una lunga vita solitaria, o peggio, finire insieme a qualche ambizioso plebeo che avrebbe così comprato il proprio posto nella famiglia Sorokin. Iskra rabbrividì a quel pensiero e cercò di mantenere il sorriso mentre Sofya saltellava in giro per la stanza in una danza festosa.
«Riesci a capire che cosa sono?»
Iskra si morse la lingua per non dare la risposta acida che le venne in mente, quindi si limitò a un indifferente «Non lo so... Un buffone di corte?»
Sofya interruppe a metà un balzo per guardare con sconcerto sua sorella. «Un buffone? Mi prendi in giro, sorella?» Cercò di sembrare offesa, ma si aprì in un sorriso e ridacchiò in un accattivante arpeggio di risate, girando intorno a Iskra fin quasi a farle perdere l'equilibrio. «Il ballo in maschera dai Vasilyev è tra due settimane e finalmente potrò andarci.»
Afferrò Iskra per le spalle con la gioia sincera di una bambina, sperando di far capire il suo stato d'animo a quella sorella maggiore noiosa e priva di fantasia. «Dici sempre che non posso andare perché non possiamo permetterci abiti nuovi. Ma la signora Vasilyev ha detto che questa volta ciascuno dovrà creare il proprio costume! Quindi ci andrò!»
Balzò di lato e si mise in posa. Iskra si ricompose e si assicurò che la disposizione delle carte e del vino non fosse stata modificata.
«Il tema del ballo è la natura,» continuò Sofya con finta serietà. «Ora riesci a indovinare che cosa sono?»
Iskra spostò la propria attenzione sulla ragazza e la guardò. Dopo un'attenta ispezione, notò che Sofya era per metà ricoperta di brandelli di carta e stoffa appuntati con cura a un vecchio abito marrone. Avrebbe voluto assecondarla, ma quello non era il momento giusto per gli indovinelli. «Un albero?»
Sofya lasciò andare la sua posa con un sospiro d'esasperazione e scosse i riccioli. «No, cervellona. Sono una fata. Non si capisce dalle foglie?» Per un secondo, Iskra vide un accenno di sincera preoccupazione nei grandi occhi castani della sorella, la lieve insicurezza di una ragazza che, dopo tutto, indossava un abito della scorsa stagione frettolosamente adornato con pezzi di carta e cenci di stoffa. Iskra sentì il suo cuore sciogliersi e gettò le braccia al collo di Sofya.
«Certo che si capisce. Sei la Fata più bella che esiste al mondo. Sarai l'argomento principale della serata.»
«Certo che lo sarò!» Sofya si sfilò dalle braccia di Iskra con un gesto imperioso, poi ridacchiò. «Oh, grazie Iskra. Ora devo proprio tornare a ritagliare le foglie. Ivan mi sta aiutando, ma ci vuole moltissimo tempo a farlo.»
E in un attimo non c'era più, svolazzata fuori dalla camera come uno spiritello. Iskra sospirò e si scoprì non più tesa né ansiosa. Prese il mazzo di carte e cominciò a mescolarle pigramente. Per quanto avesse a cuore la casa, Sofya era il peso più grande che sentisse sulle spalle. Recuperare abbastanza denaro da far sposare bene la sorella avrebbe alleviato il suo animo più di ogni altra cosa e avrebbe cancellato la vergogna che provava ogni giorno considerando le limitate prospettive di Sofya. Un buon matrimonio per Sofya pensò, digrignando i denti con impazienza. Sarebbe stato a sua disposizione quella sera, e lei aveva tutta l'intenzione di prenderselo.

 
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«Oh, no, mia cara. Non bevo nessun tipo di alcolico…» Luda rifiutò con un cenno della sua piccola mano il calice di vino offertole, e Iskra lo riappoggiò sul tavolo, un po' delusa. A volte l'alcol forniva un leggero vantaggio, ma non era su quello che contava Iskra. Era attenta, vigile, pronta, quasi ansiosa che il gioco iniziasse. «Sono troppo… giovane, be'... Certe cose semplicemente bisogna lasciarle stare al momento…» Luda sorrise in modo complice e Iskra ridacchiò educatamente in risposta, anche se in realtà non aveva idea di quanti anni potesse avere quella strana ragazza. Dimostrava sedici anni, ma i suoi occhi scuri sembravano antichi.
«Allora...» Iskra sorrise. «A cosa vogliamo giocare? Durak, forse?» Iskra sperava segretamente che accettaste la sua proposta, perché sapeva di essere particolarmente veloce nelle puntate e nelle contro puntate di quel gioco tanto diffuso nel Volgograd. Ma era pronta a giocare a qualsiasi cosa scegliesse o proponesse la sua ospite.
«Oh no, è un gioco troppo complesso per me. Preferirei qualcosa di più semplice. Molto più semplice.» Annuì con convinzione, come se fosse d'accordo con sé stessa, e Iskra aspettò che proponesse qualcosa. La tensione salì di nuovo e la obbligò a prendere un altro sorso di vino.
«Ma prima,» disse Luda con voce melodiosa, mentre incrociava le braccia su quei seni appena accennati, «la posta in gioco. Dobbiamo discutere,» e qui sembrò che i suoi occhi si accendessero di una luce soprannaturale, mentre sogghignava. “della posta in gioco.”
Iskra svuotò il bicchiere di vino e lo mise di nuovo sul tavolo. Prese lo scrigno di velluto, mostrandolo con orgoglio, e ne aprì il coperchio. Il contenuto scintillava. «Ho i miei gioielli…» rispose con tutta la dignità che poteva, «…e alcuni di questi pezzi appartengono alla mia famiglia da generazioni. Questo, per esempio…» ed estrasse un pettine di filigrana d'oro con un unico grande zaffiro «…fu regalato a mia nonna il giorno delle sue nozze. O questo…» continuò prendendo in mano con cura uno stiletto, il cui fodero era punteggiato da tre rubini. «…che fu conservato dal mio prozio quando si trovava a corte. È solo di bellezza, ma gli piaceva molto fingersi un soldato…» Rise con autoironia, ma si ritrovò addosso lo sguardo fisso e inquietante di Luda. Rimise il pugnale nel fodero e attese che la ragazza riprendesse a parlare.
«No…» sussurrò, senza mai distogliere lo sguardo da Iskra. «No, credo che dovremmo giocare per... una posta più significativa.» Allontanò le obiezioni balbettate da Iskra con un piccolo movimento della mano. «Penso che dovremmo giocare per la posta in gioco più alta di tutte. Che cosa vorreste di più al mondo?»
Il modo di fare, lo sguardo, e quella voce erano insolitamente maturi per una ragazza di quell’età.
Iskra esitò, incerta se la giovane stesse scherzando o fosse impazzita o ci fosse sotto qualcosa di completamente diverso. Che fosse il suo modo di offrirsi di pagare tutti i suoi debiti di famiglia? La testa di Iskra brancolò tra le possibilità.
«Prima di rispondere, fate attenzione a ciò che chiedete. Spesso le cose che vogliamo in qualche modo si rivoltano contro di noi… io ne sono la prova… vivente…» Luda sorrise e Iskra capì d'un tratto che si trattava di una prova. Certo. La ragazza non si stava solo offrendo di prendersi cura del debito, ma stava mettendo alla prova Iskra per scoprire cosa avrebbe detto. Quindi la padrona di casa curò meticolosamente la propria risposta, come se fosse il desiderio sincero di una moglie fedele e non una decisione basata solo su una questione economica.
«Vorrei che il mio caro marito Boris ritornasse. Sobrio, riabilitato e con tutta la sua ricchezza.» Cercò di far passare l'ultima specifica come un elemento secondario, piuttosto che il suo più disperato desiderio.
«Molto bene, cara. E in cambio? Qual è il vostro bene più prezioso? Qual è il vostro tesoro più profondo, l'unica cosa solo vostra che solo voi potreste dare via?»
Iskra, che sapeva di essere piuttosto veloce con gli indovinelli, quasi sbottò con la risposta più ovvia, «Il mio cuore». Ma il pensiero di quella ragazzina pallida che reclamava il suo cuore la fece quasi ridere ad alta voce.
Invece, guardò la strana luce negli occhi di Luda ed esitò di nuovo. Quale sarebbe stata la risposta migliore? Le venne in mente, e offrì a Luda un sorriso indulgente, come quando si accondiscende a dare a un bambino un dolcetto prima di cena.
«Lascio a voi la scelta. Contro i miei desideri più profondi, scommetterò qualsiasi cosa mi chiediate.»
«Interessante…Così sia,» rispose Luda quasi ancor prima che Iskra finisse di parlare. Quell'accordo nitido la spaventò e nella durezza dello sguardo della giovane sembrò brillare per un istante una scintilla mostruosa.
Era successo davvero? Iskra si riprese e si versò un altro bicchiere di vino. Quella ragazzina stava giocando con la sua mente. O, più probabilmente, erano lo stress e l'ansia, insieme alla prospettiva mozzafiato di ripagare i debiti della propria famiglia, che le stavano semplicemente agitando i nervi. Iskra studiò Luda ma non vide altro che un giovane volto pallido e bellissimo come quello di una bambola di porcellana.
Iskra si rimproverò per aver pensato male della ragazza. Forse non ragionava più tanto bene, ma era la sua futura salvatrice, un'innocua ed eccentrica giovane, e se voleva giocare con esorbitanti puntate immaginarie prima di donare la sua fortuna a Iskra e Sofya, che lo facesse pure. Avrebbe cantato filastrocche e giocato a battimani, se la ragazza l'avesse desiderato... almeno finché ci fossero oro e argento ad attenderla.
«Va bene, allora.» Luda prese le carte, tagliandole abilmente con una mano sola. «Sarà un gioco semplice. Io pescherò una carta, poi toccherà a voi, e continueremo così finché non ne avremo tre a testa. Poi riveleremo le nostre carte una alla volta…»  Annuì a Iskra, come a chiederle se stesse seguendo. «Alla fine, chi ha in mano la carta più alta vince.»
Che cosa? Iskra divenne ancora più certa della stupidità di quella ragazzina. Non era un gioco di abilità, ma di mera fortuna. Doveva giocarsi le ricchezze della famiglia puntando sul pescaggio di una carta? Tutto di Luda suggeriva che fosse alla ricerca di un gioco stimolante, mentre quello proposto non era altro che una stupida scommessa sulla casualità. Eppure, era lei quella che poteva dispensare o negare le sue ricchezze, e Iskra aveva intenzione di fare tutto quanto in suo potere per assecondarla.
«La carta più alta vince. Chiarissimo.» Fece un gesto a Luda affinché pescasse. La ragazza annuì dolcemente, facendo ondeggiare i riccioli biondi, e si allungò per prendere una carta. Iskra seguì il suo esempio, e presto ognuna ebbe tre carte a faccia in giù sul tavolo davanti a sé. Senza dire una parola, Luda girò la sua prima carta.
«Oh, accidenti,» mormorò, e ridacchiò come una bambina. Era il tre di picche, difficilmente una carta buona. Fissò Iskra con occhi avidi, le mani raccolte in grembo. Un po' innervosita dal suo ardore, Iskra capovolse la sua prima carta, ansiosa di terminare la partita in modo da poter arrivare al più presto alle questioni importanti, e scoprì il Re di cuori. Certo non una brutta carta.
Luda scoprì la carta successiva, il sette di fiori, e guardò di nuovo Iskra con quegli occhi ansiosi e fiammeggianti. Iskra esitò. Non c'era nulla cui pensare, nessuna strategia, eppure non le piaceva affatto l'idea di girare alla cieca delle carte fino alla fine del gioco. Rifletté sulle sue due carte rimanenti e infine girò l'otto di fiori.
Allora si rilassò leggermente. Era tutto troppo stupido. Un gioco stupido, una puntata stupida e una ragazzina stupida. Ma il gioco era vero, la posta in gioco era vera, e non poteva essere più seria. Iskra pensò a quale sarebbe stata la sua mossa dopo la fine della partita. Era sempre stata abile nel leggere i volti e giudicare il comportamento degli avversari, quindi ora scrutava Luda mentre la mano della ragazza aleggiava sulla sua ultima carta.
Iskra sussultò involontariamente quando vide la regina di cuori: sarebbe stato difficile batterla. Luda alzò gli occhi dalla carta, con un barlume da predatore nello sguardo. La padrona di casa si ritrasse, poi si ricompose. Che follia era quella? Davanti a lei c'era solo una ragazzina stupida, pronta a dare le proprie ricchezze alla sua famiglia, che trattava quel gioco come se le poste immaginarie avessero avuto importanza. Rise di sé e sorrise alla propria benefattrice. «Be', adesso siete proprio in vantaggio, mia cara.  Vediamo cosa riesco a fare...»
Quando Iskra vide l’asso di cuori, sentì una palpabile ondata di sollievo.
Luda semplicemente sorrise e subito si ricompose, alzandosi. Iskra non ebbe nemmeno il tempo di suggerire una seconda mano prima che la ragazza si scusasse e lasciasse la camera. Iskra la inseguì, chiedendosi freneticamente se in qualche modo l'aveva offesa o aveva perso la propria occasione.
«Bella partita, era da tanto che non mi divertivo così. Mi farò viva io.» Luda non si voltò nemmeno a guardarla. Iskra cercò di evitare un tono di supplica nella voce, ma non vi riuscì.
«Ancora una mano, no? Avevate quasi vinto. Forse un calice di vino? O un...”
«Ve l'ho già detto. Non bevo. Ma mi farò viva domani sera, se volete.»
«Oh, sì, certo. Sicuramente. Io...»
«Ho detto, se volete, la scelta è vostra Iskra. Quindi pensate attentamente a ciò che volete, prima di domani sera.» E con questo uscì dalla porta. Iskra scosse la testa. Quella miniera d'oro avrebbe richiesto più lusinghe del previsto, se davvero voleva persuaderla ad aiutare la propria famiglia. La ragazza sembrava un libro aperto, ma Iskra prevedeva che ci fosse ancora tanto da scoprire.
In piedi sui gradini a guardare la carrozza in partenza, Iskra si rese conto che era sceso un freddo improvviso. Un freddo amaro e secco che la ferì. E ancora quella nebbia, apparsa da terra come una cosa viva, che si raccoglieva per qualche scopo malevolo.
Si era già voltata verso il calore e la luce della casa, e forse un bicchiere di vino, quando i suoi pensieri furono interrotti da un pesante rumore, molto diverso dal cigolio morbido delle ruote della carrozza di Luda in lontananza. Iskra sforzò gli occhi per scorgere qualcosa tra i turbini mutevoli dei tentacoli di nebbia.
Alzò la testa stupita quando una grande carrozza comparve lentamente dalla nebbia e avanzò lungo la strada nel cortile, con un conduttore curvo come un troglodita. Che razza di commerciante avrebbe fatto una consegna a quell'ora di notte? E arrivando alla porta d'ingresso principale, per di più. Il fatto che fosse caduta in disgrazia permetteva di trascurare le semplici regole di correttezza ed educazione?
«Chiedo scusa, la signora Sorokin?» L'uomo corpulento scese dal carro, estraendo un documento piegato dalla cintura.
«Sì, sono la signora Sorokin. Esattamente, cosa state portando a casa mia a quest'ora?»
«Be', temo che sia vostro marito, signora.»
Iskra sentì le ginocchia piegarsi, mentre guardava la cassa di legno squadrata nella parte posteriore della carrozza. Ivan corse al suo fianco e la sostenne mentre si accasciava, con il respiro improvvisamente bloccato in gola.
«Boris? È... morto?»
L'uomo la guardò con il volto sconvolto dalla preoccupazione e dalla compassione. «Oh, accidenti, non lo sapevate? Mi dispiace tanto, signora. Non avrei voluto che lo sapesse così. Non è giusto, no che non lo è.»
Consegnò i documenti a Iskra, che li prese con le dita tremanti. Cercò qualcosa da dire, qualsiasi cosa potesse rompere l'agonia soffocante che sentiva nel petto.
«Che... Che cosa ne è delle sue proprietà? Dove sono?»
L'uomo scrostò il fango dagli stivali sui gradini d'ingresso e scosse la testa. «Be', allora, tutto ciò che possedeva è con lui, è così che si dice, no? La sua ricchezza è il suo sudario.»
Iskra si sentì impallidire e l'uomo si guardò intorno con ansia. «Mi limiterò a portarlo sul retro, allora, va bene?» Si voltò per risalire al suo posto. Iskra annuì in silenzio e guardò la carrozza tornare nel cortile e poi andare verso il retro della casa. Si rese conto che stava ancora tenendo in mano i documenti. Li aprì e cercò di leggerli attraverso le lacrime che le bruciavano gli occhi.
La scrittura contorta era difficile da leggere, ma Iskra capì di che cosa si trattava: era una bolla di consegna.
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Sofya, per la prima volta in vita sua, sembrava inconsolabile. Forse, con la notizia della morte del cognato, le era finalmente arrivata anche un po' di coscienza della loro situazione disastrosa. Boris la adorava e vedeva in lei uno spirito affine nella gaiezza e nell'accoglienza innocente della vita. Ora, singhiozzava così inconsolabilmente che Iskra fu costretta a mettere da parte la propria depressione per occuparsi di lei.
Si asciugò le lacrime e pensò a cosa avrebbe potuto allietare Sofya. «Non dimenticare il ballo dei Vasilyev, tesoro mio. Devi ancora completare il tuo costume. Perché non vai da Ivan e ti fai aiutare a ritagliare un po' di foglie?»
Sofya annuì e corse via, lasciando Iskra ai suoi pensieri cupi. Ne sapeva fin troppo di mostri e stregoneria per ascrivere tutto quello a una semplice coincidenza, ma non riusciva a spiegarsi che senso avesse. Si sentiva una sciocca nell'immaginare certe cose, eppure quelle stesse cose erano state segnalate di recente in tutta la Russia. Per un istante, il panico crebbe dentro di lei: quella ragazzina aveva ucciso suo marito. E ora anche la povera Sofya era stata trascinata nell'affare. Che miserabile destino era mai...?
Scosse la testa violentemente. L'unica cosa che importava era che la ragazzina sarebbe tornata quella sera e Iskra aveva bisogno di tutto il proprio ingegno per arrivare a mettere le mani sulla fortuna che poteva essere sua.
«Signora? Signora? Un'ospite...» Ivan era chiaramente impreparato al fatto che Luda avrebbe semplicemente attraversato la porta quando lui la aprì, e la seguì come un cucciolo confuso, torcendosi le mani e gridando più forte che poteva in direzione della propria padrona.
Iskra si alzò dalla panchina da dove aveva visto arrivare Luda e uscì sulla balaustra che si affacciava sull'ingresso e sullo scalone principale. Ivan stava ancora seguendo Luda, la quale saliva le scale con molto più vigore di quanto la sua piccola figura facesse presupporre. «Accompagnala di sopra, per favore, Ivan.» disse Iskra con tono rassicurante, sapendo per certo che Luda non aveva bisogno di alcun accompagnatore. Anzi, il vecchio domestico non l'aveva ancora raggiunta quando la ragazza entrò nella camera. Ma quella finta gentilezza era un atto dovuto, su cui si basava tutta la società di un certo livello.
Dopo brevissimi convenevoli, Luda incrociò entrambe le mani davanti ai suoi piccoli seni da ragazzina e si sporse in avanti sulla sedia. «E così, mia cara. La posta in gioco...»
Lasciò il resto della frase non espresso, come fosse una proposta indecorosa, e Iskra si preparò. Aveva pensato molto alla puntata di quella sera. Irrigidì la schiena, posò le mani con cura in grembo e parlò lentamente e con precisione, come uno scolaro prudente che recitava una lezione imparata a memoria. «Ancora una volta, scommetterò qualsiasi cosa mi chiediate.»
«Il vostro tesoro più profondo, l'unica cosa solo vostra che solo voi potreste dare via?»
Iskra si limitò ad annuire. «Per me, vorrei una dote per Sofya. Una dote sufficiente perché qualsiasi gentiluomo di Volgograd la voglia in sposa.»
«Così sia.»
Iskra fu sorpresa dalla nitidezza della voce di Luda. E quel luccichio negli occhi... Era forse fame? No, certo, ma sembrava che la rosea forza della ragazza si fosse trasformata in qualcosa di simile a una determinazione inacidita. Non le si addiceva, e Iskra si trovò infastidita da quanto il contegno di Luda fosse cambiato.
Luda silenziosamente si allungò e, con una mano, tagliò il mazzo di carte con grazia ed efficacia. Alzò lo sguardo e la luce intensa, quasi febbrile, dei suoi occhi, così incongruamente immersi in quella faccia da bambola, causò un'ondata di panico nel cuore di Iskra, che distolse lo sguardo e si morse la lingua con forza per distrarsi.
Quindi, Luda pescò una carta dalla cima del mazzo.
Iskra prese una carta e la mise di fronte a sé. Luda fece lo stesso e quindi ogni donna ripeté il gesto finché entrambe ebbero pescato tre carte. Un silenzio pesante opprimeva la stanza. Luda finalmente si decise e mostrò il dieci di cuori, poi alzò lo sguardo trepidante sull'avversaria. Iskra ebbe l'impulso momentaneo di spazzare via le carte dal tavolo, ma lo ricacciò giù. Pregando che la sua mano non tremasse, scelse una carta a caso che si rivelò il jack di cuori.
«Oh, santo cielo. Che mano fortunata.» Luda sorrise e fece schioccare la lingua in un finto fastidio, ma Iskra era certa di aver sentito un dispiacere genuino e profondo nella sua voce. Iskra era quasi sicura di vincere, in quel momento, e si rilassò. L'unica domanda che si faceva era come negoziare la dimensione esatta della dote una volta conclusasi la partita.
Luda mostrò il nove di picche e Iskra rispose subito con il re di fiori. Luda esitò per la prima volta da che Iskra potesse ricordare, la mano sospesa sopra l'ultima carta da girare.
«Potremmo dichiarare un pareggio.» suggerì inarcando un sopracciglio, con voce melliflua. «Con una posta in gioco così alta, mi sembra giusto darvi un'ultima possibilità di ripensarci.»
Iskra fu certa che la ragazza stesse tentando di spaventarla. Con quella carta, Iskra praticamente non poteva che vincere. Perché avrebbe dovuto accettare un pareggio? E chi mai si ritirava dal gioco all'ultima mano, sull'ultima carta? La colse un terrore, il pensiero che la ragazza volesse ritirare anche la propria, di posta in gioco. Forse anche lei era piena di debiti come Iskra. Forse non aveva mai avuto nemmeno una moneta da elargire alla sua famiglia e quello era solo un gioco per pazzi. Forse...
Ma forse no. Iskra sarebbe andata fino in fondo a quella farsa, se c'era anche solo la minima speranza di far sposare Sofya. Restituì il sorriso di cortesia benevola di Luda e respinse l'idea con un gesto della mano. «E privarvi così della possibilità di vincere? Mai. Potreste avere un asso lì sotto, in questo momento.»
Luda guardò la carta, con l'aria di pensare concretamente alla possibilità che ci fosse davvero un asso sotto le sue dita, poi girò la carta con tanta foga che Iskra trasalì.
Il due di picche.
Entrambe le donne risero, una risata educata, di quelle che banalizzavano i momenti difficili e rassicuravano i presenti che nessuna regola del decoro era stata irrimediabilmente violata. Ma Iskra poteva sentire la tensione scaricarsi dal suo corpo come un liquido vile, e la mano di Luda aleggiava ancora sopra la carta, come se ci fosse un modo per poterla capovolgere di nuovo e ottenere un risultato diverso.
«Oh, mia cara Luda. Mi avete quasi fatto prendere un colpo...» iniziò a dire Iskra, ma ancora una volta la ragazzina si alzò e si diresse fuori dalla stanza in tutta fretta, senza voltarsi indietro. Iskra la seguì, dubbiosa su come affrontare l'argomento del pagamento della dote. Alla fine, decise che se Luda intendeva tirarsi indietro dalla scommessa, lei non aveva niente da perdere, ma se invece aveva intenzione di onorarla, allora Iskra doveva riuscire a entrare in argomento prima che Luda uscisse dalla porta principale.
«Sì, be', allora... Luda, dovremmo parlare di...»
«No.»
Quella singola parola rimase sulla scia della donna in partenza come un soffio di vapore su un treno, e Iskra sussultò. Luda si voltò verso di lei non appena raggiunse la porta.
«No, non dovremmo parlare. Voi, signora Sorokin, dovete pensare alla posta in gioco. E se volete che io ritorni domani, lo farò. Però non dobbiamo parlare.”
E detto ciò, se ne andò.
Iskra osservò la carrozza sferragliare via nella notte con il cuore pesante. Che fosse stato tutto vano? Era forse l'ultima volta che vedeva Luda? La sua speranza si sarebbe trasformata in un'amara delusione? Iskra strinse i pugni. Una dote per Sofya: era tutto quello che voleva. Se le avessero portato via tutto il resto, avrebbe potuto comunque camminare a testa alta, sapendo di aver assicurato una vita di comodità e bellezza alla sorella. Sorella che, in realtà, poco altro aveva se non la sua bellezza, e nessuna preparazione per una vita non agiata.
Guardò verso il buio, quasi aspettandosi che una dote comparisse da sola lì davanti, come un'apparizione miracolosa, poi scosse la testa e si rimproverò per quelle sciocche fantasie. Luda era scomparsa, Boris se n'era andato, il gioco era finito e Sofya sarebbe stata costretta a sposare un volgare paesano, sempre che fosse riuscita a trovarne uno. Iskra rimuginò sulle possibilità che aveva e decise di scrivere un altro giro di lettere ai vari creditori, chiedendo loro di portar pazienza: non c'era nulla di male, e comunque a questo punto non riusciva a pensare a nessun'altra soluzione. Diede un'ultima occhiata nel buio, poi tornò dentro casa e si chiuse la porta alle spalle.
«Ivan?» chiamò, e il vecchio inserviente apparve da dietro un angolo.
«Sì, signora?»
«Porta una lampada nel mio studio. Devo scrivere delle lettere. Sentì dell'acidità nella propria voce e se ne pentì: Ivan si stava dimostrando fedele fino alla fine e lei non doveva lasciare che la sua delusione si trasformasse in rancore verso di lui. «Grazie, Ivan,» aggiunse, ed egli accolse quella rara familiarità con un cenno gentile del capo, scivolando via lungo il corridoio.
Iskra rimase un attimo ferma nell'ingresso della casa, riluttante a sedersi per portare realmente a termine il compito di elemosinare altro tempo dai creditori, quindi decise che non c'era fretta, tanto comunque non avrebbe potuto scrivere nulla finché Ivan non fosse arrivato con la lampada. Si sentiva circondata e con le spalle al muro, come un animale braccato dai cani. Si chiese se restando ferma immobile avrebbe potuto in qualche modo rimandare l'inevitabile.
I colpi alla porta furono così morbidi che Iskra in un primo momento pensò di averli immaginati. Poi li risentì, più forti e più insistenti. Il cuore le saltò in gola, ma si costrinse a restare composta. Non c'era motivo di sospettare che tutto quello avesse qualcosa a che fare con la sua fantasia infantile di ricevere una dote magica, nessuna ragione di credere che sarebbe andata a finire meglio di quando Boris era tornato. Si mosse verso la porta quando i colpi si fecero udire per la terza volta e, con uno strappo all'etichetta, decise di aprirla da sola.
Il ragazzo lì fuori non sembrava in grado di fare tutto quel baccano, ma si tolse il cappello davanti a Iskra e abbassò la testa quando la vide, estraendo una lettera sigillata dalla borsa.
«Chiedo scusa, signora, una lettera per voi.» Iskra prese la lettera che le veniva porta e notò l'elaborato sigillo pressato nella cera che, insieme a un lungo nastro di seta nera, manteneva la lettera chiusa. Offrì una moneta al ragazzo, ma egli si ritrasse.
«Perdonatemi, signora, ma non posso accettare nulla da voi. Sono già stato pagato.»
Iskra sorrise della sua serietà e gli tese di nuovo la moneta. Il ragazzo alzò le mani come per scacciarla via, e il sorriso di Iskra sbiadì. «No, signora, per favore. Ho ricevuto degli ordini.» Il ragazzo aveva chiaramente paura e indietreggiò, tenendo d'occhio la moneta come se Iskra avesse potuto in qualche modo fargliela accettare contro la sua volontà. Chi aveva mandato quel ragazzino con indicazioni così rigide? Che cosa strana. Iskra cercò di riderci sopra, ma la voce le si fermò in gola e non riuscì a uscire.
Chiudendo la porta dietro di sé, esaminò il sigillo. Era uno stemma di famiglia, ma non lo riconobbe. Qualcuno di fuori da Volgograd? Chi avrebbe potuto avere qualcosa a che fare con lei?
Un terrore le salì dalla bocca dello stomaco quando si rese conto che non aveva idea di dove Boris avesse trascorso gli ultimi mesi, e non c'era modo di sapere da chi aveva potuto prendere soldi in prestito. Forse c'erano degli altri creditori, magari con un cognome famoso, disposti a mandare una lettera a grande distanza per reclamare ciò che spettava loro...
Frustrata dalla sua fantasia troppo vivace, Iskra ruppe il sigillo e slegò il nastro. Aprì la lettera e la lesse, prima con apprensione, poi con curiosità e infine con le mani tremanti e il cuore più leggero. Non si sentiva così da mesi.
Una dote. L'impossibile era accaduto. Una dote per Sofya. Iskra benedisse Luda e l'angelo del cielo, chiunque fosse, che l'aveva mandata da lei. Quindi chiamò la sorella.
«Sofya! Vieni subito qui!»
La sua voce era fuori luogo, indecorosamente alta e quasi spaventosa nella casa silenziosa. Lesse la lettera più volte, ma non ci poteva essere alcun dubbio: il miracolo era accaduto. Aveva scommesso tutto e aveva vinto l'unica cosa cui veramente tenesse.
«Iskra, cara, cosa c'è?» Sofya corse giù dalle scale, vestita nel suo ridicolo costume d'autunno, trascinandosi dietro le foglie svolazzanti. Iskra notò che alcune foglie volavano via, staccate dai movimenti frettolosi, e ridacchiò al pensiero che Sofya alla festa avrebbe perso le foglie, proprio come un albero in autunno. Si ricompose, in qualche modo disturbata da quell'idea, e mostrò alla sorella preoccupata il suo sorriso più gentile e benevolo.
«Sofya, abbiamo ricevuto delle buone notizie. A quanto pare, il conte» e guardò di nuovo la lettera per essere certa del nome «Il conte Rostov è un nostro lontano parente. Sfortunatamente, è morto.» Cercò di fare un'espressione contrita, ma quasi non ne valeva la pena. «E prima di morire, ha stanziato dei fondi per le sue parenti più giovani ancora da maritare.»
Fece una pausa per permettere a Sofya di scoppiare di gioia, ma la ragazza semplicemente continuava a fissarla, aspettando che si spiegasse.
«Una dote, Sofya. Ti è stata donata una dote. E una anche piuttosto grande.»
Sofya strillò e batté le mani come un bambino felice che salta su e giù dalla gioia. Iskra per una volta non ritenne opportuno cercare di arginare lo sfogo di sua sorella. I lunghi mesi di fatiche, risparmi e umiliazioni erano finalmente finiti. Sofya si sarebbe sposata e tutta la buona società di Volgograd avrebbe visto Iskra camminare a testa alta, ancora una volta.
«Una dote! Mi sposerò come si conviene, a un gentiluomo.» Sofya piroettava, facendo frusciare le foglie del vestito. Iskra trattenne la voglia di rimproverare la ragazza: dopo tutto, quello era un momento di trionfo, era giusto lasciare che la ragazzina saltasse e gioisse a volontà.
«Ivan!» strillò Sofya. Iskra trasalì al volume della voce di sua sorella, ma prima che potesse dire qualcosa la ragazza le aveva afferrato le mani e la riempiva di chiacchiere, con il volto splendente di gioia.
«Sarà un soldato? Si dice che il Capitano Danisov sia in cerca di una moglie, ed è un bell'uomo. O un membro della corte, forse? Serji Zivcov ha ballato con me quasi tutta la notte, la scorsa stagione, e credo di piacergli. Sasha dice che ci saranno diversi signori al ballo in maschera dei Vasilyev, ce ne sarà sicuramente uno adatto tra di loro...»
Iskra annuì vagamente alle chiacchiere della ragazza: avrebbero avuto modo di scegliere un marito molto presto. Sorrise a Ivan da sopra la spalla di Sofya, mentre l'uomo si dirigeva il più velocemente possibile verso di loro, con la preoccupazione dipinta sul volto e portando la lampada in una mano.
«Oh, devo dirlo subito a Ivan! Devo! Ivan...» Sofya si staccò da Iskra con vigore tale da scontrarsi quasi con il vecchio servitore, il quale allungò una mano per aiutarla a restare in equilibrio. Sofya inciampò, restando con il piede incastrato nell'orlo sfilacciato dell'abito, e si afferrò disperatamente al braccio dell'uomo, facendo perdere l'equilibrio anche a lui. La lampada cadde sul pavimento di pietra, rovesciando l'olio in fiamme in mezzo a loro.
Iskra urlò e poi cercò di trattenersi. Sofya e Ivan saltarono lontano dalla pozza di fuoco, con l'atteggiamento di due bambini spaventati. Iskra cercò di pensare, ma per un lungo istante le fiamme danzanti la ipnotizzarono. Poi fece un cenno a Ivan, «Una scopa. Prendi una scopa e batti il fuoco.» Il vecchio uscì zoppicando e Iskra si guardò intorno per vedere cosa ci fosse di infiammabile vicino all'olio ardente. Tornò con lo sguardo su Sofya, che tremava di eccitazione e di paura, e si sforzò di sorriderle. «Va tutto bene, Sofya. Tutto andrà a posto...»
Si interruppe quando i suoi occhi seguirono il ricciolo di fumo che già saliva dall'orlo del costume di Sofya. Una delle foglie fatte di carta stava fumando e mentre Iskra la guardava, scoppiò in una piccola fiamma luminosa che si contorceva. Il fuoco consumò tutta la foglia di carta e saltò su un'altra, e prima che Iskra avesse modo di uscire dal suo stato di confusione, cinque o sei foglie erano già in fiamme.
 Allora urlò sul serio e corse intorno alla pozza fiammeggiante, proprio mentre Sofya abbassava lo sguardo e vedeva la fiammata sul proprio abito. Prima che Iskra riuscisse a raggiungerla, la ragazza urlò di puro terrore e saltò via dal petrolio che bruciava, alimentando le fiamme che ricoprirono l'intero vestito.
Iskra la inseguiva, ma Sofya era in preda al panico e correva lungo il corridoio scappando da sua sorella e urlando selvaggiamente. Iskra finalmente riuscì a prenderla e la trattenne, con il calore che le bruciava il visto, mentre Sofya si dimenava per liberarsi. Iskra schiaffeggiava il fuoco con le mani, ma quello continuava a crescere e le scintille vorticavano tutt'intorno. Sofya gridò di dolore quando le fiamme le raggiunsero i capelli e corse via da Iskra, la quale afferrò il vestito e lo tirò con tutte le sue forze.
Le vecchie cuciture si strapparono e l’abito lasciò Sofya, che crollò sul pavimento. Iskra saltò su di lei battendo le fiamme nei capelli, nauseata dall’odore di carne bruciata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Iskra aveva subito inviato Ivan a chiamare i medici e con sua eterna gratitudine essi erano venuti immediatamente. Avevano lavorato per ore su Sofya e le avevano salvato la vita, ma non la bellezza. Il suo volto era pieno di lividi rossi e spessi, che i medici dissero sarebbero diventate infine cicatrici. I capelli erano scomparsi e il cuoio capelluto, esposto, era ricoperto di piaghe purulente e carne carbonizzata. Un occhio era rimasto ferito e la fronte s'innalzava grottescamente sopra l'orbita vuota. Ciò che restava delle labbra si contorceva in un ghigno beffardo.
Iskra era rimasta seduta accanto al letto fino all'alba, quando gli elisir avevano permesso a Sofya di assopirsi in un sonno agitato, mentre la sorella pensava al proprio errore. Aveva preso quella ragazzina con troppa leggerezza, quello era ovvio, ma soprattutto Luda aveva sgretolato tutto ciò che Iskra avrebbe voluto realizzare. La dote sarebbe stata per sé stessa oltre che per Sofya, si rese conto, e digrignò i denti per la frustrazione. Se fosse successo solo a lei, non avrebbe mai più rivisto quella ragazzina orribile, e si sarebbe ritirata con la sua povertà a leccarsi le ferite. Ma non poteva sopportare quanto era successo a Sofya. Luda aveva usato i suoi desideri contro di lei e a pagarne il prezzo era stata Sofya, lei che avrebbe sofferto per il resto della sua vita, a meno che Iskra non fosse riuscita in qualche modo a disfare ciò che era stato fatto.
Per due volte aveva scommesso la ricchezza che disperatamente desiderava ed entrambe le volte qualcosa di terribile era successo a quelli che più amava. La strega non l'avrebbe ingannata una terza volta. Una certezza fredda e amara scese su di lei: sapeva quello che doveva fare. Quella sera, Iskra sarebbe stata pronta. Quella sera, avrebbe alzato lei la posta. E quella sera, non avrebbe avuto importanza che vincesse o perdesse.
Ivan sbirciò fuori dalle pesanti tende della camera e guardò la strada sottostante, come un vecchio falco. Si rimproverava per quanto era successo a Sofya, e nonostante Iskra avesse fatto del suo meglio per rassicurarlo, non poteva dirgli la verità che stava dietro l'orribile incidente. Così il servitore aveva preso il suo nuovo incarico con la serietà di un soldato sul campo, e cercava sulla strada la carrozza che entrambi aspettavano. Se trovava strano che Iskra s'intrattenesse con degli ospiti e giocasse a carte dopo quelle due tragedie, non lo disse.
Iskra si costrinse a non versarsi un altro bicchiere di vino e pensò, ancora una volta, all'arrivo imminente di Luda. In realtà non era affatto obbligata a giocare un'altra partita con la ragazzina. Avrebbe potuto mandarla via sulla porta. Ovviamente, però, non sarebbe stato necessario: sapeva che Luda sarebbe arrivata solo se lei l'avesse desiderato. E sapeva che quindi Luda sarebbe arrivata di certo, visto che era quello che Iskra voleva.
Sentì il rintocco lontano di un campanile lontano sopra la città e rabbrividì. Si chiese da quale contorto labirinto di vicoli la ragazza fosse strisciata fuori, e le sovvenne che quello che le era successo vincendo a carte probabilmente sarebbe sembrato nulla rispetto a quello che le sarebbe successo se avesse perso. Ripensò a racconti leggendari di cuori ancora pulsanti strappati dal petto delle vittime, ma cercò di liberarsi di quelle immagini raccapriccianti: Luda sarebbe arrivata presto e Iskra aveva bisogno di concentrarsi su di lei. La ragazzina era una specie di mostro che poteva essere evocato semplicemente enunciandone il nome. Iskra pronunciò le sillabe senza emettere alcun suono, immaginando di evocare un ripugnante spirito immondo da un pozzo infetto.
«Signora…» disse Ivan, «…La signorina Luda è arrivata.”»
Il sorriso divertito di Iskra si congelò in una smorfia fredda di determinazione. «Molto bene, Ivan. Falla entrare.» Iskra si appoggiò allo schienale della sedia e contemplò di nuovo le carte.
Per due volte l'avevano fatta vincere, eppure lei aveva perso di più con ogni scommessa. Ma quella sera sarebbe stato diverso, pensò versandosi un bicchiere di vino. Quella sera, se tutto fosse andato secondo i piani, non le sarebbe importato più nulla che quella fosse l'ultima bottiglia di vino in casa, rifletté mentre si portava la bevanda speziata alla bocca.
Naturalmente, con quella... quella strega, quel mostro o qualsiasi altra cosa fosse, non poteva essere affatto sicura che le cose sarebbero andate secondo i piani. Ma aveva deciso. Aveva fatto una promessa a se stessa e adesso era arrivato il momento di mettersi alla prova. Mettere Ivan di vedetta alla finestra era stata la sua prima mossa in quel nuovo gioco. Non aveva intenzione di essere colta di sorpresa, quella sera.
Tuttavia, invece dei colpi alla porta, Iskra udì il rumore di passi sul marmo dei gradini. Ivan sicuramente non era ancora sceso ad aprire la porta, non così in fretta, e in effetti Iskra non aveva sentito nemmeno il rumore della grande porta di quercia che si apriva. Eppure, Luda era in casa sua, era già sulle scale, e stava avvicinandosi sempre di più.
Iskra ascoltò il rumore salire i gradini e poi avvicinarsi alla stanza, con Ivan che la raggiungeva subito dopo. Luda fece irruzione nella stanza e Ivan la annunciò: «La signorina Luda.» anche se piuttosto inutilmente.
Iskra ostentatamente non si alzò per dare il benvenuto alla sua ospite. Anzi, sprofondò ancora di più nella poltrona. Intuì che Luda aveva la sua stessa voglia di giocare, e lasciò che fosse la ragazza a inseguire lei, questa volta.
Luda non diede a vedere di aver notato l'offesa, ma Iskra conosceva fin troppo bene le convenzioni sociali della buona educazione. La ragazza si sedette con uno sbuffo annoiato.
«Vino?»
Luda sorrise, mostrando a malapena i denti. «No, grazie.»
Si guardarono l'un l'altra, e Iskra notò che Luda non era più la giovane e bella ragazza di prima... il suo viso, i suoi occhi avevano un che di mostruoso, esattamente come i suoi denti, ora erano in un certo qual modo più acuminati. Una luce di disperazione, una fame vorace brillava nei suoi occhi, e Iskra cominciò a pensare che quell'antica creatura dovesse aver passato male le ultime notti.  Doveva essersi affaticata per portare tanta terribile sofferenza in casa di Iskra, senza ricevere nulla in cambio. Iskra bevve un altro sorso di vino, permettendo al silenzio di riempire l'aria. Sua madre le aveva insegnato che era un errore terribile permettere all'avversario di sapere quanto si voleva qualcosa: una necessità diventa una debolezza, le aveva detto. Molto bene, allora: quella sarebbe stata la leva con cui l'avrebbe fatta muovere.
Iskra prese lo scrigno di gioielli ricoperto di velluto e lo aprì, tenendolo in mano affinché Luda ne esaminasse il contenuto. «Abbiamo scommesso parole e promesse, ma questi cimeli sono d'oro e di diamanti. Siete sicura che non preferireste giocare puntando... beni più consistenti?»
Un bagliore di panico balenò negli occhi di Luda, che serrò un istante la mascella prima di sorridere educatamente. «No, mia cara. Nient'affatto. Se devo concedervi il vostro desiderio più caro, dovete offrirmi la vostra proprietà più importante.» La sua lingua scattò sopra le labbra con la destrezza di un rettile, e a Iskra parve che fosse biforcuta e sibilante. Ma annuì il suo accordo.
Al che, Luda si aprì in un sorriso genuino ma ancora più profondamente malvagio. «E che cosa vogliamo scommettere stasera? Qual è, questa sera, la cosa che più desiderate?”»
Iskra sorrise in silenzio, ma il cuore le batteva con forza nel petto. Non aveva alcun dubbio che quella donna l'avrebbe reclamato, se avesse vinto. Scelse con cura le parole, ammantandole di noncuranza. «Vorrei solo che Sofya tornasse di nuovo a essere bella e felice.»
Luda fece per rispondere, ma Iskra la interruppe alzando un dito.
«Ma stasera giocherò solo a condizione che Sofya sia così, felice e bella, per tutta la durata della nostra partita, fino a quando non girerò la mia ultima carta.»
Luda la fissò, perplessa. «Vorreste che la vostra scommessa venga pagata prima di averla vinta? Non ha senso.»
«Se è in vostro potere pagarmela, è in vostro potere anche portarmela via se perdo.» Iskra sorrise dolcemente. «Tutto quello che chiedo è qualche istante di felicità e bellezza per Sofya. A meno che, naturalmente, voi non preferiate accontentarvi di una puntata più bassa...» e fece un gesto vago verso lo scrigno dei gioielli ancora aperto. Luda scosse la testa, l'espressione lacerata tra la rabbia e l'ansia.
«No. Certo che no. Ma voi mi chiedete troppo. Non si può pagare una scommessa prima che sia vinta.»
Iskra si sentiva in equilibrio sulla corda tesa del decoro, da una parte la determinazione di Luda che le cose procedessero a modo suo e dall'altra l'evidente fame di giocare della folle creatura. Sorrise con allenata semplicità e misurò l'incertezza negli occhi di Luda, i nervosi spasmi delle sue dita, l'agitarsi impaziente delle spalle. Era l'immagine stessa della necessità, anche se cercava di mascherarlo.
Iskra fissò Luda per un lungo momento, poi alzò le spalle come se fosse stata sconfitta, indicando ancora una volta lo scrigno di gioielli. Piegò la testa da un lato con insolenza, invitando Luda ad accettare gioielli e gingilli.
Luda ribolliva, mostrando i denti.
«Così sia.» Batté le mani, lasciando Iskra a bocca aperta suo malgrado. Per un istante, la luce della lampada tremò, e nell'ombra gli occhi di Luda brillarono come braci. La ragazzina sorrise trionfante e predatoria, mentre Iskra dovette combattere per riconquistare la propria compostezza. Luda era ancora più consumata ed emaciata nell'aspetto di quanto non fosse sembrata un attimo prima. Eppure, non aveva mai avuto uno sguardo così mortale.
Improvvisamente si udì uno scalpiccio di piedi nudi venire dal corridoio, quasi di corsa. Luda sostenne lo sguardo di Iskra, accennando un sorriso soddisfatto agli angoli della bocca. Iskra sorrise con educazione, come bisognava fare con un ospite importante a una cena. Il suo stomaco si contrasse in un nodo doloroso, ma il suo viso rimase raggiante di buone maniere.
La porta si spalancò, ma nessuna delle due donne si mosse. Sofya corse al fianco di Iskra, con indosso solo la sottoveste, le trecce dorate sciolte sulle spalle, i lineamenti aggraziati più belli e raggianti che mai.
«Oh, Iskra, ho fatto un sogno stranissimo. Era... è... oh, accidenti.» Ridacchiò, portandosi le dita alla bocca. «Ho dimenticato che sogno era.»
Iskra finalmente la guardò, voltando la testa con disinvolta precisione. «Molto divertente, Sofya cara. Ma ho paura di essere impegnata con un'ospite piuttosto importante, al momento.»
Sofya sembrò vedere Luda per la prima volta e si ritrasse leggermente. «Oh, mi dispiace avervi interrotte. A cosa stavo pensando?» Sembrava essere sconvolta e terrorizzata da quella strana ragazzina inquietante, ma allo stesso tempo ipnotizzata e incapace di andarsene. «Dovrei... andare ora?»
La ragazzina guardò Sofya e lei si ritrasse dietro la sedia di Iskra. «Sì, Sofya.» Mormorò Luda. «Salutate vostra sorella.»
Gli occhi di Iskra si ridussero a due fessure e Luda sorrise con palese crudeltà, ogni pretesa di buona educazione ormai persa. Iskra tenne lo sguardo fisso su Luda ancora un momento, poi fece un sorriso sincero e amorevole alla propria sorella, ancora sconcertata. «Addio, Sofya.» sussurrò, e Sofya involontariamente indietreggiò.
«Addio.» rispose lei incerta, poi si voltò e quasi corse fuori dalla stanza.
«Ora.» Luda tagliò le carte e Iskra esitò, poi pescò.
Quando le sei carte furono pronte sul tavolo, Iskra sentì un dubbio attraversarla nuovamente. Lo costrinse al silenzio, determinata ad andare fino in fondo. Rivelò la sua carta più a destra e trattenne l'emozione nel vedere il Re di quadri. Luda fece un piccolo rumore di disapprovazione e mostrò il jack di picche.
Guardò Iskra con un fervore marcio negli occhi e Iskra dovette trattenersi dall'indietreggiare.  Poi allungò la mano, incerta, e capovolse la carta a sinistra, in sottofondo l'aspra risatina di Luda.
Il due di fiori non sarebbe servito a niente. Iskra guardò lo scrigno con i gioielli, mentre la mano di Luda aleggiava sulle sue due carte, scegliendone infine una.  Esultò di gioia quando apparve l’asso di cuori. Ridacchiò e cominciò a saltare sulla sedia, mentre la testa di Iskra era in preda alle vertigini.
Iskra guardò la sua ultima carta, sapendo che non avrebbe avuto alcuna importanza.
Eppure...
«Suvvia, cara.» Luda non provò nemmeno a nascondere la sua gioia maligna. «Capovolgetela. Finiamola in fretta, eh?» Il suo sorriso era famelico e Iskra si ritrovò a chiedersi in che modo quella strega prendesse il cuore delle persone. Lo succhiava dalle loro bocche? Apriva le loro casse toraciche con quelle dita, ora simili ad artigli? O semplicemente ci arrivava masticando le ossa del petto, come un orrido topo fuori misura?
Scosse la testa per scacciare quelle immagini terribili e sorrise a Luda. «Certo, non è troppo tardi per dichiarare un pareggio. O per cambiare la posta in gioco…»  Prese lo scrigno dei gioielli un'altra volta e toccò lo zaffiro sul pettine e i gioielli incastonati sulla fodera dello stiletto.
«No!» sbottò la ragazzina, sporgendosi in avanti sulla sedia. «Avete accettato e avete perso. Ora girate quella carta e finiamo la partita.»
«Sì,» rispose Iskra, con voce metallica e fredda. «Vediamo di finire la partita.» E con un movimento rapido, estrasse lo stiletto dal fodero.
Luda strillò, alzando il braccio per parare il colpo, e una fiamma innaturale balenò nei suoi occhi, ma Iskra girò la lama del coltello e la immerse nel proprio petto.
Il sangue spruzzò di cremisi le carte e Luda indietreggiò, ringhiando di rabbia animale.
Il sangue arterioso colpì il tavolo con fiotti di forza sempre più debole, fino a quando gli occhi di Iskra si chiusero e il suo cadavere si accasciò sulla sedia. Il sangue scivolava fuori lentamente ora, insozzando il corpetto di broccato. 
Luda rimase seduta in silenzio per un lungo periodo di tempo, i respiri lenti e profondi, la lingua biforcuta che leccava le labbra carnose.
Il suo sguardo si spostava dal cadavere che andava raffreddandosi alla partita non terminata sul tavolo. 
Da qualche parte in casa si sentì lo scalpiccio sordo dei piedi di Sofya e allora Luda capì, con crescente disgusto, che l'incantesimo che aveva lanciato sulla giovane donna sarebbe durato finché la partita non si fosse conclusa.
La ragazzina sibilò e si allungò per capovolgere la carta finale di Iskra, ma si fermò subito.
Sarebbe stato un gesto inutile. 
I termini della scommessa erano stati fissati in modo inequivocabile.  “Fino a quando non girerò la mia ultima carta…” aveva detto Iskra.  Con grande sforzo, Luda si alzò in piedi.  «Bella partita, mia cara. Bella partita davvero.»
Girò la schiena alle carte intrise di sangue e, con passi lenti e dolorosi, uscì fuori dalla stanza.

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