Lindòrea - Piccole Storie Smarrite

di JeanGenie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Torrente ***
Capitolo 2: *** Di un'altra pasta ***
Capitolo 3: *** Alba binaria ***
Capitolo 4: *** Emozioni ***
Capitolo 5: *** Dovremmo farlo anche noi ***
Capitolo 6: *** Acqua ***
Capitolo 7: *** Autunno su Ahch-To ***
Capitolo 8: *** Come mio padre prima di me ***



Capitolo 1
*** Torrente ***


Note:


Mentre scrivevo Lindòrea ero decisa a completarla prima che The Rise of Skywalker uscisse.
Mi dicevo che c'era il rischio che il film potesse inconsciamente influenzare il finale che avevo scelto.
E che, comunque, anche se la vera storia sarebbe stata quella del film, avrei fatto del mio meglio per dare a Rey e Ben il finale che meritavano.
Sappiamo tutti come è finita.
Ho intenzione di toccare TroS. Ho intenzione di sistemare le cose . Ho intenzione di portare i "miei" Rey e Ben in quel mondo, anche solo per un istante perché smettano di avere rimpianti per le scelte mai fatte.
Ma non subito.
Adesso voglio solo tornare dove la Luce e l'Oscurità si incontrano e aprire altre piccole finestre per chiunque abbia amato la mia storia.



 

 

Universo: Lindòrea

Setting: Naboo. La foresta.

Timing: Rey continua il suo processo di guarigione fisica e mentale dopo avere rischiato la vita su Tatooine.

In scena: Rey e Ben

- - -


Segui l’istinto. Lasciati guidare dalla Forza.

Lo scorrere dell’acqua l’aiuta. L’aria sul viso la calma. È tutto perfetto. Naboo è  un posto magnifico per meditare, potenziare i propri sensi, comprendere e capire. Per guarire.

Non dovrebbe distrarsi. Eppure i patti sono stati chiari da subito. Quello è il suo spazio. Lui non ha il diritto di invaderlo. Un’ora per sé. Senza seccature. Prima o poi ricominceranno il loro infinito duello, anche se ormai lo stallo si sta protraendo da talmente tanto tempo che Rey non crede più  all’ipotesi di una fine.

Ma questo non vuol dire che debba trascurare il proprio addestramento. Non ha più un maestro e deve pensarci da sola perché Ben Solo sembra preferire il suo nuovo allievo, così giovane e adorante.

E senza ferite invalidanti.

Però sarebbe un gesto gentile da parte sua lasciarla stare almeno per un po’. Invece ha deciso che quel punto del fiume è ideale per le sue abluzioni. Ogni scusa è buona per darle fastidio. Deve temere davvero tanto l’idea che lei diventi la più forte tra loro due. E quella è la sua spada laser, abbandonata con incuria tra l’erba.

Le ci vorrebbe un attimo per prenderla e farla finita. Ma perché disturbarlo mentre scuote la testa per liberare i capelli dall’acqua? Le gocce che le arrivano addosso sono perfino piacevoli.

E non è male vederlo sorridere quel tanto che basta per vedergli sparire quell’espressione corrucciata dalla faccia.

Quindi va bene. Che se ne stia lì, disarmato e con la guardia abbassata. Lui, che crede di poter controllare tutto.

“Il primo che finisce a terra prepara la cena” dice lanciandogli un’occhiata.

“Cos…” è l’unica sillaba che lui riesce a pronunciare prima di ritrovarsela addosso.

Ed è magnifico vederlo perdere il controllo, sbilanciarsi e finire a terra.

“Ho vinto” gli fa notare pesandogli addosso  e afferrandogli le braccia.

“Quanti anni hai? Tre?”

“La prossima volta rispetta i miei spazi.”

Ogni tanto dimentica quanto siano belli i suoi occhi. In quel momento non è così fortunata. E perché è così serio, adesso? Non le piace quell’espressione. Sembra quasi che provi fastidio. Si rimette in piedi lasciandolo andare. Finisce sempre nello stesso modo, con il silenzio e l’incomprensione.

Se solo…

“Va bene, bambina di tre anni. Cosa vuoi per cena?”

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Capitolo 2
*** Di un'altra pasta ***


Universo: Lindòrea


Setting: Tatooine. La Cantina di Chalmun.


Timing: Siamo subito dopo il catastrofico bacio tra Rey e Kylo. Indecisa se andarsene o no, Rey decide che l’opzione “porto il mio allievo a prendersi una sbronza” non è poi così male.


In scena: Rey e Han Kirstis (sì, il ragazzino ha un cognome). Ma Kylo Ren aleggia nell'aria.


Note: Ispirata in modo malsano a QUESTO DISEGNO

 

 

Di un’altra pasta

 

“Ed ella si perse fra le sue forti braccia mentre la luce del tramonto faceva da cornice al vortice di passione che li afferrò senza scampo trascinandosi in un folle turbinio d’amore.”

“Oh, ti prego. Leggi ancora! Non lasciarci così!”


“Sì, vai avanti! Arriva al punto in cui si baciano!”


Le tre ragazze al tavolo accanto al loro iperventilano come imbecilli e sbavano su un libercolo di quart’ordine che scorrono su un datapad scassato.


In dodici anni di vita Han Kirstis non ha mai visto delle tali cretine. E stonano davvero tanto con l’atmosfera da uomini duri di quella bettola su Tatooine.


Per fortuna Rey è di un’altra pasta.


“Ma le senti?” le dice versandole da bere. “Sono davvero stupide, vero Rey? Rey? Che c’è, ti sei incantata?”


“Eh?” La ragazza di Jakku vuota il boccale. “No, niente. Pensavo.”

 

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Capitolo 3
*** Alba binaria ***


Universo: Lindòrea

Setting: Tatooine

Timing: Tra l’ultimo capitolo e l’epilogo. Qualche mese dopo la battaglia di Garel

In scena: Rey e R2-D2

Note: Questa l’ho scritta a giugno. Il fatto che ricordi in modo inquietante il finale di TroS è solo una brutta coincidenza. Ma qui Rey sta cercando Ben. Che è vivo e vegeto. E lei non ha nessuna intenzione di farsi chiamare Rey Skywalker. Non ne ha bisogno. 

---

Rey depone delicatamente la bestiola tra le rocce ruvide e roventi e la vede zampettare via, grata,  sulle otto zampe snodate e irsute.

Ha dovuto fermare R2, prima che la riducesse in poltiglia di aracnide, schiacciandola involontariamente con suoi arti tozzi, mentre era in cucina.


È strano come ogni forma di vita le appaia imprescindibile, ora. 


Si volta prima di rientrare nell’abitazione  abbandonata dei Lars ad osservare i due soli gemelli che sorgono. 


Sono perfetti solo perché mantengono da sempre lo stesso percorso parallelo ed equidistante. Esistono, pulsano e si muovono solo perché sono stati generati da una volontà che li ha voluti uniti. Rey sorride preparandosi ad attendere ancora.


Lei e i droidi resteranno su Tatooine finché non cambia la stagione, poi partiranno verso una nuova meta e attenderanno ancora che lui li raggiunga.


Non ha bisogno che qualcuno le dica che le sue sono solo illusioni. Che lui è morto dopo l’ultimo scontro. Che non si possono violare le leggi che regolano l’esistenza umana.


Lei sente il suo respiro, le sue parole, a volte perfino le sue dita gentili sulla pelle. 

Lei lo ha sentito combattere all'unisono con la sua anima.

Per questo,  ogni vita è preziosa. Perché ogni vita potrebbe portare con sé una particella di Forza proveniente da lui.


Lui che, da qualche parte esiste ancora.

Perché lei è come uno dei due soli di Tatooine. Non potrebbe esistere se l’altro non viaggiasse al suo fianco.


Ma lei vive e respira, quindi per lui deve essere lo stesso e presto si ritroveranno.


Ha viaggiato a lungo, ha visitato i posti che a lui sono più cari, ha raccolto informazioni, testardamente, caparbiamente, senza arrendersi mai. “Sì, un uomo alto, con i capelli neri e una cicatrice sul viso…” ha chiesto e ripetuto dozzine di volte. Ma ha sempre saputo di dover semplicemente aspettare il momento più giusto. La prossima tappa vedrà sorgere altri due soli gemelli e lì lei aspetterà ancora. Aspetterà il tempo necessario perché lui la trovi. E sarà così, perché sente la sua vita pulsare forte e tenace, lassù, da qualche parte. Forse lui sta osservando un’altra alba binaria. Forse lui sta aspettando il suo arrivo.


Va tutto bene. Sono su un’orbita perfetta. Insieme.  Presto potranno di nuovo sorgere mano nella mano come due soli. 


Con un’assoluta calma nel cuore, Rey si prepara ad andare incontro a un nuovo giorno. 

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Capitolo 4
*** Emozioni ***


Universo: Lindòrea
Setting: Garel. Il settore minerario.
Timing: L'ultimo capitolo. La battaglia finale. Quella in cui l’eroico Dameron distrugge il suo caccia, schiantandosi.
In scena: Poe Dameron e Ben Solo. Rey viene citata e ci sono accenni a Kes Dameron e Shara Bey.


Emozioni 

Quando Poe Dameron vola quella che sente è calma. Non sa se per i suoi compagni sia lo stesso.  Troppe volte ha sentito parlare di adrenalina. Per lui, invece, là fuori, tutto si mette a scorrere al rallentatore e i secondi si dilatano permettendogli un controllo della situazione che altri possono solo sognare. La maggior parte della gente lo considera un pazzo spericolato. Poe Dameron sa bene che non è così. Lui vola semplicemente a un altro ritmo.


Quando, inaspettatamente, Poe Dameron perde il controllo, allora scopre cosa sia l’agitazione. Mai paura. La paura ti tiene vivo, ma a volte è nociva, soprattutto se si trasforma in panico. Calcoli rapidi si accavallano nella sua mente finché  tutto si riduce a un impatto violento e a una scarica di dolore fisico. È un’esperienza che si ripete fin troppo spesso. E Poe Dameron sa di essere estremamente fortunato. Un altro, al suo posto, sarebbe già morto una decina di volte.


Quando sente due braccia forti che lo tirano fuori dal suo caccia in fiamme, mentre la battaglia continua a imperversare su Garel, Poe Dameron prova nostalgia. Sa bene che si tratta di un’emozione assurda, in un momento come quello. Che dovrebbe pensare al fatto che non riesce a muovere il braccio, che ha una scheggia metallica piantata nella spalla e ad altre cose poco piacevoli. Invece si ritrova a pensare a Yavin 4. Al suo albero preferito, nel cortile di casa. A suo padre, a sua madre. E a Rey. All’improvviso e senza alcun motivo. A Rey che lo salva da un altro schianto, mesi prima, su Concord Dawn. Rey, così enigmatica e sola. 


E l’uomo che lo ha salvato gli ricorda lei. Il che è assurdo. Non si somigliano. È un tizio fin troppo alto, con la faccia da canaglia e una giacca di pelle. E lui è sicuro di conoscerlo. Ne è davvero sicuro. Eppure non ricorda, per quanto si sforzi. Come se… come se fosse sotto una sorta di incantesimo che gli impedisce di collegare la sua faccia a una qualunque memoria. Ma non importa. Perché Poe Dameron ora prova una sensazione di pace. La stessa che gli trasmetteva Rey. E non gli interessa davvero scoprire se abbia già incontrato quell’uomo, prima di allora. Perché sa che tutto andrà bene. Lo guarda allontanarsi e sparire nei fumi della battaglia, così come un giorno è scomparsa Rey.  Tutto andrà bene. Non può essere altrimenti. Sorride nonostante il dolore. Guarirà. Ricominceranno. Ricostruiranno. E non saranno soli. Mai più.


“Che la Forza sia con noi…” dice ridendo e continuando a ripeterselo. Tutto andrà bene.

E quella che sente è serenità.

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Capitolo 5
*** Dovremmo farlo anche noi ***


Universo: Lindòrea. Ma, volendo, e con un po’ di ottimismo, si può piazzare nel canone. Perché Rey lo farà tornare, giusto?


Setting: Orondia. 


Timing: Qualche mese dopo l’epilogo.


In scena: Ben e Rey. Qualche personaggio pittoresco che fa cose pittoresche. E zia Sola Naberrie citata a più riprese .
___

 

Dovremmo farlo anche noi

 

Rey ha detto “Primo o poi dovremmo farlo anche noi.” Con leggerezza. Come se non avesse importanza. E poi ha aggiunto. “Andiamo fuori. Voglio vedere il cielo.”
Perché Rey riesce a entusiasmarsi anche per un posto orribile come Orondia, per il suo cielo viola, per i quattro gatti che bazzicano intorno alla stazione di rifornimento, per il matrimonio improvvisato a cui hanno assistito mentre cenavano nell’unico punto di ristoro.
“Una cacciatrice di taglie e un meccanico. Guardali. Due duri come loro. E sembrano due bambini. Guarda come si tengono le mani. Sembra una cosa bella. Prima o poi dovremmo farlo anche noi.”
Non c’è niente di bello in quella cerimonia improvvisata, nelle facce da galera scelte come testimoni, nel vecchio ufficiale con più anni che denti che ha officiato come se fosse ancora a bordo della sua corazzata, nella tovaglia che la donna si è messa addosso per simulare un mantello, nei tentativi dell’uomo di pettinarsi con le dita. 
Eppure ha ragione Rey. È tutto perfetto. Anche lei che dice “Prima o poi dovremmo farlo anche noi.”
Prima o poi.
Ben Solo si è chiesto se quello non fosse il momento giusto per dirle che da due settimane standard tiene  in tasca due anelli. Due anelli in aurodium. Semplici ma preziosi quanto basta. 
Si è sentito abbastanza ridicolo. Lui e Rey ne hanno  passate troppe. Hanno sconfitto perfino le leggi  della vita e della morte, sono gli ultimi di una stirpe millenaria e spetta a loro trovare altri Force Users per tramandare il sapere dei Jedi. Per questo sono finiti su Orondia. Rey è sicurissima di avere sentito una vibrazione che li condurrà a  un nuovo potenziale allievo.
Ma, per il momento, non hanno trovato nulla di simile a un apprendista. Solo due tizi un po’ strani che hanno  deciso di sposarsi.
Gli servirebbe  un po’ di coraggio per chiedere a Rey “Eri seria? Pensi davvero che dovremmo?”
Ma non sa esattamente dove trovarlo.
Lei canticchia mentre sistema le coperte sul suolo pietroso, incurante del freddo. Se ha deciso che vuole guardare il cielo per tutta la notte, niente potrà farle cambiare idea. 
Ben la raggiunge sotto la stoffa termica e la attira a sé circondandole la vita con le braccia. 
“È pazzesco. Ha delle sfumature bellissime. E guarda quante stelle…”
È sorprendente come riesca a entusiasmarsi ancora alla vista delle stelle. Nella loro vita sono uno spettacolo più che frequente. Ma lei è fatta così. È come se dialogasse con ogni elemento che la circonda. Ben solleva gli occhi verso il cielo, provando un improvviso senso di nostalgia. Se fossero in un bel posto come Naboo sarebbe più facile. Ora che ci pensa, dovrebbero proprio tornare su Naboo. Dopo la loro unica visita hanno  promesso di non restarne lontani a lungo. Sorride pensando alla sua prozia. Sola Naberrie, sorella maggiore di Padmé Amidala. Una donna minuscola e rugosa, con una tempra d’acciaio. Che ha detto loro che uno dei suoi più grandi rimpianti è di non aver potuto organizzare il matrimonio di Padme. Che sua sorella avrebbe meritato di meglio di una cerimonia segreta. E di affidarsi a lei nel momento in cui avessero deciso che era ora di mettere la testa a posto, facendo sprofondare Rey nell’imbarazzo. 
“Eri seria?” le chiede alla fine. Perché dovrebbe esitare? Sono passati attraverso esperienze più spaventose.
“Riguardo a cosa?” chiede lei.
Con lei diventa sempre tutto complicato. Forse davvero era una frase senza importanza. “Al fatto che dovremmo sposarci.”
Rey non risponde, ma la Forza intorno a lei vibra come una pioggia di scintille. Ben lascia che la sua mente le offra l’immagine dei due anelli di aurodium, di Naboo, di zia Sola che le dice “Torna a trovarmi, bambina.”
“Vuoi… davvero?” Rey esita, come se avesse paura. Percepisce la sua incredulità. Eppure quello che sta succedendo è la semplice conseguenza del loro vissuto.
“Penso di sì. Penso proprio di volerlo.  Penso che dovremmo tornare a Theed e lasciare che zia Sola si diverta a organizzare per te un matrimonio degno di una principessa.”
Lei ride. Non sa se lo stia prendendo sul serio. Forse preferirebbe davvero una bettola da due soldi, come scenario. 
“Non ti crederò finché non me lo chiederai in modo diretto” gli risponde.
“Va bene.” Ben cerca una frase efficace. Qualcosa di profondo come “Ti amo da sempre e voglio passare il resto della mia vita con te.” Qualcosa di serio. Qualcosa di molto romantico.
“Rey… vuoi sposarmi e rendere la mia prozia la donna più felice della galassia?”

 

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Capitolo 6
*** Acqua ***


Universo: Lindòrea

Setting: Il Millennium Falcon.

Timing: Un mese dopo l'epilogo 

In scena: Rey e Ben

Note: Scritta per il Writober 2022. Prompt: Doccia

La doccia sonica pulisce i pori in profondità. Rey se lo è ripetuta per anni. È comoda e funzionale e quella che aveva installato nell’AT-AT che le faceva da casa su Jakku aveva anche degli extra niente male che aveva costruito con le proprie mani come il diffusore di musica.

Ma l’acqua…

Su Jakku un vero bagno era un lusso. Lei risparmiava almeno due anni per potersene permettere uno. Era uno svago. Lo svago più grande, per i mercanti cercarottami del deserto come lei, la classe sociale più infima e povera. 

Quando ha scoperto la doccia del Falcon si è sentita in paradiso. Ricorda ancora la sensazione inebriante del primo getto d’acqua sulla pelle.  Quando, un anno dopo, si è infilata nella vasca da bagno degli alloggi di Ben, sulla Finalizer,  ha pensato che non avrebbe più voluto uscirne.

L’acqua era pura. Non riciclata. Limpida. Preziosa, magnifica acqua. E quel profumo…

Lo stesso profumo che sente ora, mentre il getto le scivola addosso. In quel momento esatto. 

Di nuovo il Falcon, naturalmente. Di nuovo in viaggio, solo loro due.  E una pausa dovuta in un porto lontano. 

Magnifico. Lui è magnifico mentre la schiuma ricopre il suo corpo statuario. 

Lei si gode le sue dita fra i capelli, sul collo, lungo la schiena. La temperatura  dell’acqua è perfetta quanto quella dei loro corpi che fremono di risate, baci, carezze. Acqua tiepida. Ancora acqua nella sua vita. 

Ogni volta che lui dice “Vado a fare la doccia” lei non resiste ed aggiunge “Vengo con te”. Perché, insieme, formano due tentazioni irresistibili. Perché lui, il suo corpo, il suo profumo, la schiuma che scorre sulla sua pelle rendono più preziosa anche l’acqua. 

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Capitolo 7
*** Autunno su Ahch-To ***


Scritta per la "To Do List - Fall" di "Fondi di Caffè" e per la Halloweek 2023 di "Siate Curiosi Sempre" (https://siatecuriosisempre.forumcommunity.net/)

Prompt:
1. Passeggiare in una foresta di aceri rossi
2. Lo scricchiolio delle foglie secche sotto la suola delle scarpe.

Ci sono riferimenti all'unico episodio decente di "Ahsoka". Più che altro perché voglio bene ad Anakin.

Universo: Lindòrea, ma si svicola su "La via per Endelaan"

Setting: Ahch-To

Timing: Sei anni dopo il finale 

In scena: Ben e Rey

 

 

Non sarebbe bastata tutta la loro vita per esplorare ciascuna delle isole che puntellavano l'oceano infinito che ricopriva la superficie di Ahch-To.

Quella piana ricoperta di vegetazione era solo uno dei luoghi in cui la Forza li aveva condotti. Avevano tempo. Stavano semplicemente aspettando. Presto sarebbe venuto il momento di combattere di nuovo, ma sarebbe stata una guerra diversa da tutte le altre a cui avevano assistito e partecipato.

Le loro menti dovevano essere limpide e serene.  I passi di Rey erano lenti e quieti, mentre si incamminava nel fitto sottobosco, facendosi strada fra i tronchi resinosi e i rami carichi di foglie rosse e provocando un rumore confortante mentre avanzava sul tappeto di foglie secche. Ben era indietro di qualche passo.  Forse, lui aveva già visitato quel luogo, prima che lei lo raggiungesse.

“Non credevo che su Ahch-to esistesse una simile foresta.” Il suono della sua voce provocò la fuga agitata di piccoli animali e un fruscio di ali mentre uno stormo di uccelli si staccava dalle fronde per raggiungere il cielo che prometteva pioggia.

“Ne ho vista una simile” le rispose Ben raggiungendola.  “Credo fosse una visione… Un pianeta chiamato Seatos…”

Rey gli strinse la mano. Seatos… raccolse gentilmente le immagini dalla sua mente. Sapevano entrambi che, in quel preciso momento, ogni parola, ogni immagine e ogni frammento di memoria poteva essere importante.

Poi gli aveva sorriso, tornando a rilassarsi. “Di solito, sono io quella che si perde nelle vite altrui.”

Ben le tolse una foglia rossa dai capelli. “Non pensarci” le sussurrò. “Ascolta.”

“Seatos…” sussurrò Rey, chiudendo gli occhi. Vide una foresta simile a quella in cui si trovavano. Vide le rovine di un vecchio tempio. E un oceano vasto come quello di Ahch-To. E percepì… “Una vergenza.”

Sentì pulsare due luci limpide nella Forza. Quanto tempo prima era accaduto? Sentì di nuovo la mano di Ben stretta nella sua. Entrambi stavano viaggiando di nuovo su sentieri dimensionali perduti.

Anakin…

Nella sua mente, vide il suo antico mentore duellare con un’allieva che rischiava di perdersi, lo vide impartirle l’ultima e fondamentale lezione, lo vide  sorriderle e ricondurla alla vita.

“È strano.” Rey si scosse riaprendo gli occhi. “È come se mille storie convergessero sul nostro pianeta. È sempre stato così. Ma ora sta diventando…”

“Più concreto” concluse Ben per lei. “Sapevamo che sarebbe successo.”

“Ma fa comunque paura” asserì Rey. Presto avrebbero dovuto addentrarsi in luoghi mai visitati prima, in mondi che esistevano solo oltre le dimensioni. E avrebbero dovuto raggiungere qualcuno che aveva il suo volto e che si era caricata sulle spalle la responsabilità della sopravvivenza di ogni strato dell’esistenza.

Rey si chiese se e quando sarebbero tornati da quel viaggio. Non voleva dire addio ad Ahch-To. Aveva il privilegio di esserne la custode. Era la sua casa. Non aveva mai dubitato di poter tornare, ogni volta che si era messa in viaggio.

“Questa è la stagione in cui le voci si fanno più forti” le disse Ben raccogliendo una manciata di foglie rosse dal terreno.  “Ora vorrei che facessero silenzio.”

Era una richiesta. Rey lo aveva capito immediatamente. Annui verso di lui. Raggiunse la sua presenza nella Forza e sussurrarono entrambi alla foresta di placarsi insieme ai loro pensieri.

Rimase intorno a loro solo il lieve fruscio dei rami mentre l’aria si trasformava nella quiete che precede la pioggia.

Si sedettero contro il tronco scuro di un albero. I loro pensieri non avevano bisogno di voce.

Non resta che attendere… mormorò Rey nella sua mente.

Torneremo, La rassicurò Ben.

Poi chiesero al bosco di cullarli e aiutarli a raggiungere uno stato di assoluta consapevolezza.

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Capitolo 8
*** Come mio padre prima di me ***


Come mio padre prima di me

Universo: Lindòrea

Setting: Lessu

Timing: Molto prima dell’inizio della storia

In scena: Jacen Syndulla, Hera Syndulla, Ben Solo, Ranea

Note: Scritta per “Fondi di Caffè”, Prompt: autostima-disistima

_ _ _
La pesante bardatura nera, le armi e l’elmo erano abbandonate in un angolo dello spogliatoio. 

Jacen Syndulla si guardò allo specchio minuscolo sulla parete, cercando un viso che non riconosceva più come il proprio. 

Sono già passati sei anni…

Era già grande e in grado di prendere le proprie decisioni quando Luke Skywalker era arrivato. Un adolescente che aveva combattuto al fianco di sua madre e nel ricordo di suo padre. Un padre che non aveva mai conosciuto, ma che, come non aveva mai smesso di sperare, avrebbe dovuto parlargli attraverso  la Forza. Perché suo padre era stato un Jedi, uno degli ultimi, sopravvissuto alla Purga imperiale. Morto prima che lui nascesse. Ma non era mai accaduto.

Come sono finito qui?

Quando Luke gli aveva proposto di addestrarlo, dandogli la possibilità di diventare come quel padre leggendario e rimpianto, Jacen aveva esitato. Aveva sogni e desideri. Ma non era mai stato lontano troppo a lungo da sua madre.

Era stata lei a spronarlo, a spingerlo ad accettare.

“Non è un addio, Jacen. Tornerai a trovarmi. Nessun maestro potrebbe impedirtelo. Sono fiera di te, Jacen.”

Fiera di me…

Erano trascorsi più di vent’anni e Jacen mentiva a sua madre da sei. Da quando il tempio era bruciato e lui aveva seguito Kylo Ren nella sua crociata oscura.

Il Lato Oscuro era giusto. Ma lui cercava di non pensare al silenzio di suo padre. 

Luke ha cercato di uccidere suo nipote… Snoke è crudele ma non finge di essere altro.

Se lo era ripetuto per molto tempo, ma ultimamente il dubbio era tornato a farsi sentire. 

Controllò i propri abiti, comuni, anonimi, quelli di un qualunque pilota. Perché Jacen non era mai stato un Jedi all’altezza di suo padre. E non era mai stato neppure un pilota abile come sua madre. Ma era diventato qualcosa di più grande.

E ho scelto la via di fuga dei mediocri…

Scese dalla nave lasciandosi dietro la sua identità oscura.

***

La cosa che ricordava più chiaramente del suo primo incontro con Luke Skywalker erano le sue mani sporche di grasso e la voce di sua madre che gli diceva “Jacen, passami la chiave idraulica più piccola.”

Ma lui non si era mosso ed era rimasto in piedi davanti al portellone aperto della Ghost, ignorando il braccio teso di sua madre e tenendo gli occhi fissi sulla figura avvolta nel mantello scuro nonostante il caldo che faceva quel giorno a Lessu. L’uomo si era fermato all’ingresso dell’hangar e lo stava guardando. 

“Mamma…” aveva detto Jacen. Aveva i brividi e non capiva perché. 

Sua madre si era finalmente voltata e aveva detto semplicemente “Oh. Luke Skywalker. Quale onore.”

Luke Skywalker. La leggenda. Nella loro officina. E sua madre la prendeva tanto alla leggera. 

Certo, per lei era più facile. Avevano combattuto dalla stessa parte nella battaglia di Endor. Ed era comunque abituata ad avere a che fare con lo spaventoso concetto di… Jedi. 

Mio padre era un Jedi, aveva riflettuto Jacen. Dovrei ricordarmene più spesso.

“Buonasera, Hera. E perdona l’intrusione” la voce dell’uomo era calma e serena. Solo in quel momento Jacen aveva notato il ragazzo allampanato che gironzolava per l’hangar osservando tutto con estremo interesse.

E questo chi è?

I suoi abiti sembravano quelli di un qualche tipo di santone e aveva una notevole massa di capelli neri e disordinati che sormontavano un  viso dai lineamenti lunghi ed esagerati.

Sua madre era saltata giù dalla rampa ed era andata incontro al loro straordinario  ospite.

“Nessun disturbo. È un onore.” Jacen percepiva la preoccupazione nella sua voce nonostante l’apparente serenità. “È successo qualcosa o è solo una visita di cortesia?”

Luke Skywalker aveva sorriso sotto il cappuccio del mantello. “È una visita di cortesia.” Poi aveva sollevato l’indice nella sua direzione. “Sono venuto a trovare lui.”

***

“Così è  tuo zio.” Jacen continuava a guardare quello strano ragazzino estremamente serio. Non riusciva a credere che avesse solo dieci anni e fosse già più alto di lui. E non era l’unica cosa che non riusciva a credere.

Luke Skywlker voleva che Jacen andasse via con lui.

Sua madre era rimasta allibita davanti alla sua proposta. Jacen aveva sempre saputo che le donne twi’lek erano le più belle della galassia. Ma vedere la sua pelle verde farsi più chiara e i suoi lekku vibrare quasi impercettibilmente l’aveva resa magnifica ai suoi occhi. Jacen non l’aveva mai vista tanto turbata. 

“Jacen non ha mai manifestato alcuna propensione per la Forza” poi si era voltata verso di lui. “Vero, caro?”

“Non consapevolmente ” le aveva risposto Jacen. E poi aveva ribadito: “No.”

“Il pranzo è ottimo, Hera”. Luke Skywalker aveva repentinamente cambiato discorso, finendo il contenuto del suo piatto. Ma Jacen sapeva che non sarebbe finita lì. Perché, per la prima volta, in quattordici anni di vita, si stava domandando se avesse ereditato da suo padre qualcosa di più, oltre al coraggio. 

E soprattutto, avrebbe voluto che sua madre gli avesse chiesto cosa voleva lui. Il problema era che non lo sapeva. 

Continuava a guardare il ragazzino troppo alto. Era un allievo Jedi. E non sembrava felice. Ma Jacen non sapeva nulla di lui, solo che sembrava molto interessato alla loro officina, quando era arrivato.

“Ehi” Jacen aveva richiamato la sua attenzione schioccando le dita.

“Non chiamarmi in quel modo. Non sono il tuo animale domestico” gli aveva risposto il ragazzo.

Jacen era rimasto immobile, raggelato sotto uno sguardo che sembrava volerlo incenerire. Non aveva mai visto occhi simili. L’unico modo che aveva trovato per definirli era potenti.

“Scusa” gli aveva detto, provando una strana forma di paura e rispetto. “Volevo solo chiederti se avevi voglia di vedere il mio speeder nuovo.”

I lineamenti del ragazzo si erano distesi e anche il  suo modo di guardare si era rasserenato. “Certo!” aveva sorriso ed era tornato ad essere semplicemente un bambino. Era bastato un istante e Jacen non ricordava più perché aveva avuto paura di lui.

***

Si chiamava Ben. Ben Solo. Il che faceva di lui il figlio di Han Solo. E sarebbe bastato quel semplice fatto a renderglielo simpatico. Ma il ragazzino aveva anche altre doti oltre alle parentele illustri. Per esempio era un patito di motori. I suoi occhi si erano accesi quando Jacen gli aveva mostrato il suo speeder. “Possiamo fare un giro?” gli aveva chiesto speranzoso.

“Certo” Jacen aveva acconsentito immediatamente. Ma prima aveva bisogno di porgli delle domande. Domande urgenti. “Però… posso chiederti perché siete venuti qui? Io non sono un Jedi. Mio padre era un Jedi. Io sono una persona comune, senza alcuna connessione con la Forza.”

Ben gli aveva rivolto un sorriso scettico. “Forse ce l’hai e non l’hai ancora scoperto. Luke è sicuro. E anch’io.”

“Come funziona?” aveva insistito Jacen. “Sentite la gente? Quella sensibile alla Forza? E poi andate a stanarla?” Poi aveva posato gli occhi sulla spada che il ragazzino portava alla cintura. “Posso vederla?”

Ben aveva esitato un istante, poi gli aveva mostrato quello strano oggetto tenendolo sul palmo di entrambe le mani ma rimanendo a debita distanza. Jacen aveva capito immediatamente che non avrebbe lasciato che lui la toccasse.

Era un semplice cilindro di metallo, con un pulsante di accensione. Niente di epico o sconvolgente. Ma Jacen sapeva cosa era in grado di fare. 

“La spada di mio padre è andata perduta” gli aveva spiegato mentre un nodo di commozione gli si formava in gola. Era una sensazione strana. Aveva sempre pensato a suo padre come a una figura leggendaria a cui ispirarsi. Ma non aveva mai pianto per lui. Non l’aveva conosciuto. Viveva solo nei racconti di sua madre.

“Potrai costruirne una nuova” lo aveva incoraggiato Ben. “Luke ha trovato un posto ricco di kyber. Va bene… forse non avrei dovuto dirtelo, ma…”

“Io non ho i poteri dei Jedi…” aveva insistito Jacen. 

“Eppure io sento la Forza intorno a te anche ora.” Ben aveva riposto la spada, poi aveva chiuso gli occhi e si era concentrato. Jacen era rimasto senza fiato quando lo aveva visto alzare una mano e uno dei panni che aveva usato per lucidare lo speeder si era sollevato dal pavimento, ripiegandosi accuratamente in aria come se un aiutante invisibile volesse riporlo e fare ordine nella rimessa. Poi aveva fluttuato verso il piano di lavoro ed era scivolato in un cassetto semiaperto. 

“Wow.” Non gli era venuto fuori altro. Solo “Wow”.

“Questo è nulla” aveva proseguito Ben. “In guerra i Jedi potevano dimostrare tutto il loro valore. Ora siamo in pace. E ci limitiamo a questo.”

“Ci sono molti modi di dimostrare il proprio valore in guerra.” Jacen aveva scoperto di sentirsi stizzito. Sua madre aveva combattuto per la Ribellione. E non valeva meno di un cavaliere mistico con una spada laser. “E comunque… io preferisco che ci sia la pace. Tu no?”

“A volte.” Ben si era morso le labbra. “Ma poi penso a mio nonno. Lui era il più grande guerriero Jedi che sia mai esistito. E…”

“La guerra è costata la vita a mio padre. E a tanti altri.”

Ben lo aveva fissato per un istante poi aveva abbassato leggermente lo sguardo. “Ti chiedo scusa. Sono stato arrogante.”

“Non fa niente. Capisco il tuo punto di vista.” Non era del tutto sincero. Certo, i genitori di Ben erano diventati due icone grazie alla guerra. Era più che normale che lui volesse seguirne la scia.

“Luke dice sempre che la guerra non rende grande nessuno.” Ben aveva accennato un sorriso. “Forse ha ragione. Da un certo punto di vista. Ma…”

“Ma se i nostri genitori non avessero combattuto, ora saremmo ancora sotto il giogo imperiale” aveva concluso Jacen.

“Se dovesse  succedere di nuovo, venendo con noi potrai fare qualcosa di fondamentale.”

Jacen avrebbe voluto replicare che chiunque poteva dimostrarsi fondamentale anche combattendo come pilota. Ma si era limitato a scuotere la testa. “Non succederà di nuovo. È impossibile.” 

***

 

Alle tre standard del mattino, Jacen era scivolato silenziosamente verso la stanza di sua madre. I loro ospiti dormivano, meditavano, o qualunque cosa facessero i Jedi nelle ore destinate al sonno. Ma sua madre era sveglia e stava leggendo sul suo holopad l’ennesimo testo storico su Ryloth e la sua gente. Lei andava matta per la storia, soprattutto quella del loro pianeta di origine. Jacen preferiva i romanzi di avventura. Le gesta epiche di grandi eroi del passato.

E ora gli era stato proposto di diventare uno di loro. 

“Ti disturbo?” le aveva chiesto facendo capolino. Aveva un gran bisogno di parlarle. E di abbracciarla. 

Lei gli aveva fatto cenno di sedersi sul suo letto, accanto a lei. Poi gli aveva sorriso e gli aveva detto semplicemente “Ci stai pensando, vero?”

Non sembrava preoccupata e neppure sorpresa. Non quanto lo era Jacen stesso. Sentiva una strana inquietudine crescere in lui e non riusciva a controllarla. Era come se qualcosa di ignoto lo attirasse con una potenza spaventosa. Ma non aveva  paura. Aveva solo molti dubbi. Suo padre era stato un Jedi. Lui sapeva che il rischio di non essere alla sua altezza era troppo grande. E poi…

“Non andrò. Non posso lasciarti sola.”

Lei gli aveva accarezzato i capelli come faceva sempre quando era bambino. Era un gesto che adorava. I twi’lek erano completamente glabri ma lui aveva ereditato quella caratteristica umana da suo padre. Anche se il colore verde dei suoi capelli di umano non aveva nulla. 

“Se sarà dura potrai sempre tornare.” Si era concessa un sospiro.   “Ho chiesto a Luke se dovremo essere separati per sempre. Io ho le mie idee in proposito.  Quella storia degli affetti preclusi ai Jedi… tu esisti perché tuo padre sapeva amare. E lui era un magnifico Jedi. Non dimenticarlo mai.” 

“È per lui che voglio farlo” aveva confessato Jacen.

E sua madre aveva annuito. Comprendendo perfettamente che la scelta era stata fatta non appena Luke Skywalker aveva aperto bocca. 

***

“Non è un addio, Jacen. Tornerai a trovarmi. Nessun maestro potrebbe impedirtelo. Sono fiera di te, Jacen.”

Sua madre glielo aveva sussurrato all’orecchio, ma sapeva benissimo che Luke Skywalker poteva sentirla. Tuttavia il Jedi si era limitato a sorridere.

Forse sarebbe davvero andato tutto bene. Eppure Jacen continuava a tremare e ad avere voglia di piangere. Era una sensazione nuova. Era sempre stato allegro e ottimista, anche da bambino, ma il suo futuro gli sembrava un’incognita troppo grossa.

Se non fosse stato all’altezza di suo padre, alla fine non se lo sarebbe mai perdonato.

E soprattutto…

“Mi mancherai, mamma. Tanto. Troppo.”

Ma si era fatto forza e si era sciolto dal suo abbraccio. Aveva deciso. Era la cosa giusta per onorare quella figura che non aveva avuto la fortuna di conoscere.

Il momento in cui era salito sulla nave di quei due sconosciuti si era perso nella nebbia dei suoi pensieri, così come quello in cui aveva poggiato a terra lo zaino con le sue cose e si era allacciato le cinture su uno dei sedili posteriori.

“Non è piacevole, all’inizio ” Ben gli si era seduto accanto. “Ma ricordati che tu avrai sempre una scelta.”

Ben lo aveva detto come se per lui non fosse così. Jacen si era ripromesso di approfondire la sua storia e soprattutto, la sua amicizia. Quel ragazzino aveva in sé qualcosa di misterioso e affascinante. Ma per il momento, voleva essere triste anche solo per un altro po’. Le cose sarebbero andate meglio quando fossero decollati. 

“Uff… ce l’ho fatta. Non stavate mica partendo senza di me, vero?”

Jacen si era scosso quando una ragazza era entrata dal portellone ancora aperto seguita da un droide che trasportava due casse di rifornimenti. Indossava abiti simili a quelli di Ben, ma Jacen era reso conto subito che era più grande. 

Forse abbiamo la stessa età.

Dunque ce n’erano già altri. E non sarebbe stato l’unico adolescente in mezzo a un gruppo di bambini.

Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, mentre lei dava ordini al droide di portare tutto nella stiva e si sedeva di fronte a lui.

“Ok” aveva detto Ben alzandosi. “Possiamo decollare.” Poi era sparito a prua per assistere Skywalker come copilota.

Jacen lo aveva notato appena. “Ciao…” aveva detto alla ragazza. Anche lei lo stava fissando chiaramente incuriosita.

“Ciao a te. Quindi tu… sei il figlio di Caleb Dume…”

“Sono Jacen” aveva risposto lui, quasi indispettito che lei conoscesse il vero nome di suo padre. Per sua madre, nei suoi ricordi, e nei racconti dei giorni trascorsi insieme era sempre stato Kanan. Kanan Jarrus. “Jacen Syndulla Jarrus” aveva specificato, anche se non aveva mai usato prima quel finto cognome che aveva protetto suo padre dalla mannaia imperiale per tanti anni.

“Ra’nea Te’aryl” aveva risposto lei. “Solo Ranea, per gli amici” aveva aggiunto con un sorriso. 

E Jacen aveva sentito la propria frustrazione sciogliersi come un sorbetto  in una giornata torrida. 

Forse sarebbe davvero andato tutto bene.

***

La guardava invecchiare. La sentiva distante.

Se sospettava qualcosa, sua madre non ne aveva mai fatto parola.

Si incontravano  sempre in zone neutrali. Lei aveva smesso di chiedergli perché non volesse unirsi alla Resistenza.

“Mi basta che tu sia vivo.” Lo aveva creduto morto per più di un anno quando il tempio Jedi di Skywalker era andato distrutto. Il sollievo di rivederlo aveva oscurato tutto il resto.

Ma Jacen sapeva cosa stava rischiando ogni volta che la incontrava. Sapeva cosa stavano rischiando entrambi. 

Eppure non poteva farne a meno e avrebbe dovuto farselo bastare fino alla prossima volta. 

Doveva tornare. Il suo tempo era scaduto. Doveva indossare di nuovo quelle vesti nere. Era una scelta che aveva compiuto consapevolmente e dalla quale non poteva tornare indietro. 

“Sei impazzito, Jacen?”

I suoi sensi e la sua connessione con la Forza si stavano facendo deboli. La voce di Ranea lo fece sobbalzare.

Si voltò e lei era lì, vicino al portellone d’imbarco. Con le braccia conserte e l’aria accusatrice. Neppure lei indossava il casco. Probabilmente ci teneva a mostrargli i suoi occhi accusatori.

“Clandestina?” gli chiese lui.

“Se Kylo Ren lo scopre ti stacca la testa. Da quanto va avanti?” lei gli si avvicinò con il passo di chi avrebbe voluto calpestarlo.

“Kylo Ren…” Jacen le sorrise amaramente. “Kylo Ren è più legato al passato di quanto non voglia ammettere. E… va avanti da un po’. Non mi ha scoperto Snoke. Non vedo quindi perché dovrebbe farlo Ben.”

“Non…” Sapeva che Ranea avrebbe voluto dirgli di non chiamarlo in quel modo, ma si interruppe e gli domandò semplicemente “Perché?”

Lui esitò. Non poteva dirle nulla di banale come “È pur sempre mia madre.”

“Perché lo fai, Jacen? È tradimento. Lei è una ribelle. Hai cambiato idea? Vuoi lasciarci?”

No. Rivoglio quello che ho perso per avere in cambio… nulla, avrebbe voluto dirle.

Potere. Ambizione. All’inizio era tutto magnifico. Ed era un bluff. 

“Kylo Ren ci sta lasciando, non io. Per chi abbiamo fatto tutto questo, Nee? Non lo senti? È cambiato. No… non è così. Lui sta tornando quello che era. Se lui ci sta abbandonando, perché io dovrei restare dove sono?”

“Ben non ci abbandonerà mai!” Sembrava furiosa. La sua adorazione per Ben Solo o comunque si facesse chiamare ora era perfino più forte di… qualunque cosa provasse per lui. 

“Tu vedi il futuro, ma ti sfugge il presente. È già andato. Con la mente, non è più con noi, Nee. E tu lo sai.”

Lei scosse la testa. “Sei bravo a sviare il discorso Jace.” Era ricorsa anche lei al nomignolo che usava solo quando erano soli. “Ma questa storia deve finire. C’è la pena di morte per chi tradisce. E io ti voglio vivo.”

“Quindi non farai la spia?”

Lo schiaffo di Ranea  calò sulla sua faccia, freddo e duro. Jacen lo incassò, quasi divertito. 

“Torniamocene a casa. Non voglio più parlarne. Per quanto mi riguarda, siamo andati entrambi a verificare una soffiata su una base ribelle. E non abbiamo trovato niente.” Per Ranea il discorso era chiuso. Indossò di nuovo il suo casco e si diresse verso la cabina di pilotaggio. “Cambiati. Non puoi tornare da Kylo conciato così.”

Tornare da Kylo. Tornare a casa. Mentre abbandonava se stesso e tornava ad essere un Cavaliere di Ren, Jacen si rese conto che non c’era più una casa a cui tornare. Avrebbe voluto costruirne una. Con Ranea, magari.

Sperava quasi di avere ragione. Che Kylo Ren stesse per tradirli, richiamato dalla Luce. Se così fosse stato quella parentesi oscura avrebbe potuto dirsi chiusa. Ma per ora era il casco a chiudersi di nuovo intorno al suo volto come una gabbia.

“Ho fallito, papà” sussurrò. “Ho fallito da ogni punto di vista.”

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