folklore - swanqueen

di storyteller3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the 1 ***
Capitolo 2: *** cardigan ***



Capitolo 1
*** the 1 ***


the 1

A Seattle piove sempre. Ogni mattina, Regina si sveglia sentendo le gocce di pioggia picchiettare sul vetro della finestra. Quella mattina però fu diversa. Regina si svegliò di soprassalto, preoccupata: aveva avuto un incubo. Cercò di sforzarsi per ricordare cosa avesse sognato, ma all’inizio non ci riuscì. “Probabilmente era Henry”, pensò. Da quando aveva ricordato di essere Regina, Henry era il suo pensiero fisso: se il sortilegio si fosse spezzato, Henry sarebbe morto. Era un pensiero costante che la tormentava tutto il giorno, soprattutto quando si trovava faccia a faccia con il ragazzo, che a causa della maledizione era ignaro di trovarsi di fronte a sua madre. Sommersa da questi pensieri, Regina iniziò a stiracchiarsi, dimenticandosi del sogno appena fatto.

Tuttavia, ad un tratto, mentre era ancora con gli occhi chiusi, ricordò tutto. Il sogno le tornò in mente come un lampo. Realizzò di non aver sognato Henry, ma un’altra persona. Realizzò di aver sognato lei. Pian piano le tornarono in mente tutte le immagini che aveva visto in sogno: era a Storybrooke, seduta su una panchina al porto, Emma era in piedi, di fronte a lei, con la solita giacca di pelle rossa e i capelli raccolti in una coda. Le sorrideva, facendole cenno di alzarsi e seguirla. Regina si era alzata per tenderle la mano, ma appena la sua mano sfiorò quella di Emma questa scomparve, dissolvendosi. Regina era disorientata, non capiva cosa stesse succedendo. Solo in seguito, guardando in lontananza, la vide di nuovo. Ma stavolta era con Uncino, e si stavano dirigendo verso la nave del pirata. Regina provò ad urlare, ma non riuscì ad emettere nemmeno un filo di voce. Quella era l’ultima immagine che ricordava, probabilmente dopo si era svegliata.

Regina rimase per qualche momento a pensare al sogno e ad Emma. Si domandava cosa stesse facendo in quel momento, lì a Storybrooke. Probabilmente stava combattendo contro qualche nuovo nemico, stava vivendo qualche nuova avventura. A Storybrooke era passato solo poco più di un anno da quando Regina era andata a salvare Henry. Tuttavia, per lei erano passati più di nove anni: nella Nuova Foresta Incantata il tempo scorreva molto più velocemente rispetto a Storybrooke. In quei nove anni, Regina era tornata qualche volta nella cittadina del Maine, con la scusa di voler aggiornare Emma riguardo Henry e la sua nuova famiglia. Ma la verità era un’altra: Regina tornava a Storybrooke per rivedere Emma. Ogni volta, però, faceva sempre più male. Vedere Emma prima col pancione e poi con la piccola Hope in braccio, da un lato la faceva sorridere, ma dall’altro le provocava parecchio dolore. Tant’è che negli ultimi anni era tornata raramente in città, avendo cercato di focalizzare le sue attenzioni sulla piccola Lucy, la sua nipotina. Storybrooke però le mancava parecchio. Emma, le mancava parecchio.

Regina fece colazione e si vestì per andare a lavoro. Spesso ridacchiava pensando a cosa avrebbe detto Emma, se l’avesse vista con questo stile un po’ punk che il sortilegio le aveva dato. Uscita di casa, ebbe di nuovo un sussulto: alla fermata dell’autobus, vide una donna bionda, con dei jeans attillati e una giacca rossa. Era di spalle, non si riusciva a vederle il viso, ma Regina pensò subito ad Emma. “E’ lei, è venuta a salvarci” pensò sorridendo, piena di speranza. Si avvicinò alla donna ma quando quest’ultima si girò con uno scatto, Regina rimase delusa nel vedere che non si trattava di Emma, ma di una sconosciuta. Non era la prima volta che accadeva qualcosa del genere. Negli ultimi giorni, da quando aveva riacquistato la memoria, aveva già immaginato di incontrare Emma in altre occasioni: al cinema, nei negozi, persino nel suo bar. Ma era sempre qualcun’altra.

Ogni volta che succedeva una cosa del genere, Regina iniziava a riflettere. Su cosa sarebbe successo se avesse seguito il suo cuore, per una volta. Se avesse avuto un po’ più di fiducia in se stessa. Se avesse confessato ad Emma ciò che sentiva. Aveva provato a togliersela dalla testa, stando con Robin. Lui la faceva sicuramente sentire bene, ma non era la stessa cosa. Quel brivido, solo Emma riusciva a darglielo. Quante ne avevano passate insieme, e quante volte avevano unito i loro poteri per superare ostacoli, sconfiggere draghi, demoni e tanti altri nemici. Le mancavano quei momenti. Si sentiva viva, accanto a lei. Si sentiva sicura, protetta. Sapeva che Emma avrebbe dato la vita per salvarla, e lei avrebbe fatto altrettanto. “E allora”, pensava Regina, “perché non gliel’ho mai detto? Perché non le ho mai fatto capire cosa provavo?”. Forse ora le cose sarebbero state diverse. Forse Regina non si sarebbe più svegliata da sola, come accadeva tutte le mattine. Forse Emma sarebbe stata la persona giusta, quella con cui vivere il grande amore che aveva sempre sognato. Tanti forse, ma nessuna certezza. “Non lo saprò mai”, pensò Regina, “e probabilmente è meglio così.”. Aveva altro a cui pensare adesso. Arrivata al bar, iniziò a mettere a posto il locale e, quando entrarono i primi clienti, il pensiero di Emma si fece sempre più minuscolo nella sua testa. Impegnata tra gli affari e il cercare un modo per rompere la maledizione senza nuocere ad Henry, la giornata passò e Regina non pensò più ad Emma.

Ma la mattina seguente, il pensiero tornò. E così la mattina dopo ancora.

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Capitolo 2
*** cardigan ***


cardigan

Emma si svegliò di buon’ora. Doveva ancora ambientarsi al suo nuovo letto, nella stanza al primo piano del loft di Mary Margaret, la simpatica maestra che l’aveva accolta in casa sua accettandola come coinquilina. La vita di Emma era stata completamente stravolta. Fino a qualche settimana fa, le sue giornate erano tutte uguali: lavorava tutto il giorno, a caccia di criminali, e di sera tornava a casa esausta, crollando nel letto a volte senza nemmeno cenare. Ora, invece, era tutto cambiato: non si trovava più a Boston, bensì nel Maine, in una pittoresca cittadina chiamata Storybrooke. Anche se non riusciva ad ammetterlo ad alta voce, Emma sapeva benissimo dentro di sé il vero motivo per cui aveva deciso di rimanere in città: suo figlio Henry. Un ragazzino di dieci anni dalla mente vivace, da cui ormai Emma non riusciva più a staccarsi, anche se era consapevole che non sarebbe mai stata sua madre, avendo perso questo diritto dieci anni fa, quando aveva abbandonato Henry appena nato per dargli un’occasione migliore. Arrivata a Storybrooke, aveva finalmente dato un volto all’occasione migliore di Henry: Regina Mills, sindaca della città. Una donna potente, che sembrava avere come obiettivo principale quello di mettere ad Emma i bastoni tra le ruote. Nonostante ciò, però, c’era qualcosa di quella donna che la attraeva: forse il suo essere una donna di successo, o forse gli sguardi di sfida che spesso le lanciava. Emma era curiosa di sapere cosa ci fosse dietro quegli sguardi, cosa avesse reso Regina così dura. Henry spesso la definiva cattiva, ma Emma non era d’accordo. “Non è cattiva”, pensava, “a volte un po’ stronza. Ma non cattiva”. Emma sapeva che sotto doveva esserci qualcosa, che dietro quello sguardo minaccioso si nascondeva tanta sofferenza. Per certi versi, Emma riteneva che loro due fossero molto simili.

Dopo aver bevuto il caffè preparato da Mary Margaret, rigorosamente con cannella, Emma tornò in camera sua per vestirsi, anche se non sapeva ancora cosa avrebbe fatto durante la giornata. “Forse”, pensò, “se voglio rimanere qui, devo trovarmi un lavoro”. Aveva già chiamato il suo capo per dirgli che si sarebbe presa un periodo sabbatico, e fortunatamente quello non aveva fatto storie. Aveva inoltre chiamato la proprietaria del suo appartamento a Boston, un’anziana signora che alle volte andava a farle visita. Le aveva detto di aver avuto un contrattempo urgente e di essere stata costretta a trasferirsi con pochissimo preavviso. Con quelle due telefonate aveva messo definitivamente fine alla sua vita a Boston. Tuttavia, le sue cose erano ancora lì, ed Emma ancora non aveva avuto il tempo di andarle a recuperare. Fortunatamente, Mary Margaret le aveva prestato alcuni vestiti, e anche Henry le aveva portato alcuni abiti che Regina non indossava più. Frugando nell’armadio, Emma trovò un cardigan di color grigio argento. Emanava un profumo particolare, che Emma aveva già sentito da qualche parte, ma in quel momento proprio non ricordava dove. Chiamò Mary Margaret, che si trovava a pochi passi dalla stanza. “E’ tuo questo?”, le chiese. “No, non l’ho mai visto”, rispose l’amica. Andando ad esclusione, Emma capì che era uno dei capi d’abbigliamento di Regina che Henry le aveva portato. Ne fu stupita, un cardigan non era proprio qualcosa che aveva immaginato Regina Mills indossare. Proprio in quel momento, realizzò dove aveva sentito quell’odore: era il profumo che Regina portava addosso il giorno prima. Si fermò per qualche secondo ad osservare il cardigan: pur non essendo un classico indumento da Regina Mills, il tessuto era certamente di qualità. Emma si trovò a sorridere. Immaginò Regina con il cardigan addosso, seduta davanti al camino nella sua enorme dimora di Miflin Street, al numero 108, a bere un tè con Henry, in una giornata autunnale. Emma finì per inserire anche se stessa in quella scena: aveva raggiunto i due davanti al camino, e si era messa a bere del tè con loro, come una piccola famiglia. Per un momento, Emma si chiese se in futuro questa scena sarebbe potuta diventare realtà, se prima o poi Regina avrebbe accettato la sua presenza e sarebbero diventati una famiglia, allargata e stravagante. “Impossibile”, si disse Emma tra sé e sé. Immersa tra questi pensieri, Emma ripose il cardigan di Regina nell’armadio e scelse un altro indumento.

Due anni dopo

Storybrooke era piuttosto movimentata, quella notte. I suoi genitori avevano organizzato una festa per accogliere la popolazione di Camelot, che era arrivata in città col sortilegio. Emma non era stata invitata, non faceva più parte della famiglia, ormai. Era la Signora Oscura. Il cigno nero, come le piaceva essere chiamata. Era rimasta a casa, seduta sul divano a pensare a com’era cambiata la sua vita nelle ultime settimane. La sua nuova casa non le piaceva molto, non riusciva a sentirsi davvero a casa lì dentro. D’altronde, non era stata lei a sceglierla, bensì Uncino. Proprio lui, la causa di tutti i suoi guai. Se aveva accettato l’oscurità era solo per salvarlo, ma lui ora non lo sapeva. Nessuno lo sapeva. Se l’avesse confessato, tutti l’avrebbero giudicata, ancora più di come stavano facendo in quel momento. Emma era convinta della sua scelta: non poteva rischiare che Uncino morisse, non poteva perderlo. Non poteva perdere un’altra persona che la amava. Uncino non aveva occhi che per lei, e ad Emma questo piaceva. In cuor suo però, Emma sapeva di non ricambiare il sentimento di Uncino, sapeva di non amarlo realmente. Più che amare Uncino, infatti, Emma amava l’idea di avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che la mettesse al primo posto. In passato, non era stata al primo posto per nessuno. La voce nella sua testa, sottoforma di Tremotino, continuava a ripeterglielo. Proprio come aveva fatto a Camelot, quando Uncino stava morendo. Ricordava esattamente cosa le aveva detto: “C’è solo un modo per salvarlo. Se non lo farai, sarai di nuovo sola. E pian piano tutti inizieranno ad avere paura di te e dell’oscurità che porti con te”. Emma aveva avuto paura. Non voleva tornare ad essere sola, come lo era stata per ventotto lunghi anni. E così, aveva deciso di dar retta alla voce e salvare Uncino.

Stanca di questi pensieri, Emma si alzò e raggiunse la sua camera da letto. Le sue cose erano ancora dentro alcuni scatoloni che aveva teletrasportato da casa di Mary Margaret. Avrebbe potuto usare di nuovo la magia per mettere i vestiti a posto, ma decise di non farlo. Almeno avrebbe avuto la sensazione di un briciolo di normalità. Iniziò a tirar fuori i vestiti dagli scatoloni, consapevole però che almeno per ora non li avrebbe indossati: si stava abituando ai suoi outfit da Signora Oscura, e pian piano iniziavano a piacerle. In fondo allo scatolone, trovò un capo di cui aveva completamente dimenticato l’esistenza: un cardigan di color grigio argento. Era di Regina. Henry gliel’aveva portato quando, appena trasferitasi a Storybrooke, ancora non aveva con sé i suoi vestiti. Rimase ad osservarlo per qualche minuto, e cercò di immaginarlo addosso a Regina, come aveva fatto la prima volta. Stavolta, però, non ci riuscì. Anche il suo profumo era svanito. Emma si sentì a un certo punto vuota, come se le mancasse qualcosa. Voleva vederla, voleva risentire quel profumo.

Henry ce l’aveva ancora con lei per via di Violet, la ragazzina per cui suo figlio aveva una cotta, a cui Emma aveva strappato il cuore quando erano a Camelot. Probabilmente stava già dormendo, a quell’ora. Emma bussò alla porta numero 108 di Miflin Street. Un secondo dopo, la porta si aprì e Regina era davanti a lei, vestita con un tailleur rosso e nero. “Signorina Swan. Non è tardi?”, le disse. “Lo fai apposta a chiamarmi così?”, rispose Emma. “Te l’ho detto, ti chiamerò di nuovo Emma quando inizierai a comportarti come lei”. A queste parole, Emma trattenne le lacrime. Quante cose voleva dirle, ma non poteva. Non doveva. Cercò di sviare il discorso: “ti ho riportato questo”, disse facendo apparire con la magia il cardigan grigio. Regina prese l’oggetto e lo guardò stupita: “sei venuta qui… per portarmi questo? Non ricordavo nemmeno di averlo”. “Beh, ho cambiato look ormai, non mi serve più”, fu l’unica cosa che Emma riuscì a dire. Regina percepì la sua incertezza, e la guardò con dispiacere misto a delusione. “C’è altro che… volevi dirmi?”, disse alla bionda, sperando di poter intrattenere una conversazione come ai vecchi tempi. “Io…”, cercò di articolare Emma, “…devo andare”. Sconfitta dai suoi demoni, Emma si teletrasportò a casa sua.

“EMMA!”, gridò Regina, cercando di fermarla dall’andare via. Ma fu inutile. Di Emma non c’era più traccia, vi era rimasto solo un po’ di fumo nero, residuo della magia di teletrasporto. “L’ho persa di nuovo”, pensò Regina. Erano svariate notti che non dormiva, che pensava solo a lei. Pensava alla vecchia Emma, con i suoi jeans Levi’s e la sua giacca di pelle rossa. Pensava ai momenti passati insieme a lei, nel suo maggiolino giallo o da Granny’s, a brindare per la riuscita dell’Operazione Mangusta. Momenti che forse non sarebbero più tornati. Regina guardò il cardigan che aveva in mano: tempo fa si era chiesta dove fosse finito. Tornò a sedersi davanti al camino, dove stava sorseggiando un tè. Ancora col cardigan in mano, una lacrima le scese sulla guancia.

Si diresse in camera sua, facendo piano per non svegliare Henry che dormiva. Aprì l’armadio e ripose il cardigan in cima ad altri indumenti. Si domandò se Emma l’avesse mai indossato e, se avesse pensato a lei, indossandolo. Si affacciò alla finestra, e osservò le deserte strade di Storybrooke: la festa era terminata e tutti erano tornati nelle loro case, eccetto gli abitanti di Camelot, la maggior parte dei quali si era rifugiata nei boschi e solo in pochi avevano deciso di rimanere da Granny’s. Casa di Emma non era lontana, ma Regina non riusciva a scorgerla dalla sua finestra. La sua attenzione si focalizzò allora sulla sua veranda, e pensò a tutte le volte in cui aveva discusso con Emma proprio lì davanti. La prima volta era stata quando Emma era arrivata a Storybrooke, e Regina ricordava di averla minacciata dicendo “ti distruggerò, dovesse essere l’ultima cosa che faccio”, le stesse parole usate al matrimonio di Biancaneve. Regina si vergognava per quella frase, ma dentro di sé sapeva che erano state proprio quelle parole a convincere Emma a rimanere a Storybrooke. La volta successiva era stata quando Regina era stata incastrata da sua madre Cora per il finto omicidio di Archie. Quella era stata la prima volta che si era sentita tradita da Emma, e ricordava di aveva attaccata con tutte le sue forze, rafforzando ulteriormente il loro conflitto. Ma ora Regina era cambiata, non era più quella di una volta, aveva finalmente scelto il bene, l’amore anziché l’odio. E questo grazie ad Henry, certo, ma soprattutto grazie ad Emma, che mai aveva smesso di credere in lei. Regina si sentiva sempre inadeguata, fuori posto, tranne quando era con Emma: con lei si sentiva a suo agio, a casa. Ricordava ancora le parole che Emma le aveva rivolto, quando Marian era tornata dal passato, “non smetterò di lottare per il tuo lieto fine”. Nessuno le aveva mai detto qualcosa del genere, a nessuno era mai importato così tanto di lei. Ed era per questo che ora Regina si rifiutava di credere che Emma fosse totalmente cambiata. In cuor suo, sapeva che la sua Emma era ancora lì, e che il sentimento che le univa era ancora presente. Dopotutto, se così non fosse, non sarebbe tornata più volte da lei, a discutere in veranda. Emma non si era mai arresa, aveva sempre combattuto per dare a Regina un lieto fine. E Regina capì che ora era il suo turno: avrebbe salvato Emma dall’oscurità, proprio come la Salvatrice aveva fatto con lei. Aprì di nuovo l’armadio e tirò fuori il cardigan. Usò la magia per far apparire un biglietto e una piuma ricoperta di inchiostro. Scrisse solo qualche parola, nulla di più, “Ti salverò. Te lo prometto”. In seguito, appoggiò il biglietto sul cardigan e usò la magia per farlo apparire a casa di Emma.

Emma era a letto, piangeva. L’incontro con Regina le aveva fatto male. Voleva dirle tante cose, ma non era riuscita ad accennare nemmeno una parola. Ad un tratto, sentì prima un rumore e poi vide del fumo viola: qualcosa era apparso nella sua stanza, sul letto. Si alzò, e vide l’oggetto misterioso: era il cardigan di Regina, quello che le aveva riportato nemmeno un’ora fa. Su di esso era appoggiato un bigliettino, con su scritto “Ti salverò. Te lo prometto”. Avrebbe riconosciuto quella calligrafia tra migliaia, era quella di Regina. Emma sorrise, rassicurata che in fondo c’era ancora qualcuno che credeva in lei. E che quel qualcuno fosse proprio Regina. Per la prima volta da settimane, Emma si addormentò con un leggero sorriso sulle labbra.

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