La pietra della collana

di Pol1709
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** LA PIETRA ROSSA ***
Capitolo 3: *** IL CASTELLO DELLA STREGA ***
Capitolo 4: *** DI FRONTE AL NEMICO ***
Capitolo 5: *** LA SFIDA DI OSCAR ***
Capitolo 6: *** LA SCELTA ***
Capitolo 7: *** LA PORTA DELL'INFERNO ***
Capitolo 8: *** LA NEMICA ***
Capitolo 9: *** IL SENTIERO DELLA GUERRA ***
Capitolo 10: *** LA VERITA' ***
Capitolo 11: *** PAURA E ODIO ***
Capitolo 12: *** AL CERCHIO DI PIETRA ***
Capitolo 13: *** LA LANCIA DEGLI DEI ***
Capitolo 14: *** L'ARMA DEGLI ANTICHI ***
Capitolo 15: *** IL RITORNO DEL CAVALIERE ***
Capitolo 16: *** PRIMO EPILOGO: INGHILTERRA ***
Capitolo 17: *** SECONDO EPILOGO: FRANCIA ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Glastonbury (Britannia) VI secolo d. C. circa
Il cavaliere guardò la palude che la gente chiamava, impropriamente, lago. Guardò anche la barca che avrebbe usato e il corpo steso al suo interno. Il Re era ferito gravemente e nessun medico o curatore avrebbe potuto salvarlo. C’erano solo una persona al mondo che poteva farlo in fretta e si nascondeva al di là delle acque, nell’isola di Avalon.
Si scostò una ciocca di capelli castani dal suo bel viso, sospirò e si guardò indietro, vide il suo fedele Parsifal, fermo in attesa con la spada del Re in mano. Lui gliela prese e la impugnò. Non era una bella arma, era pesante, rigida e tecnicamente non avrebbe nemmeno dovuto resistere ai colpi dell’avversario. Eppure il suo filo era tagliente come un rasoio e con la sua lama si potevano spezzare le rocce, letteralmente. Non aveva mai capito chi l’avesse costruita, ma sapeva, perché gliel’aveva detto il Re, che era uno degli oggetti sacri di Avalon, proveniva dalla terra madre dell’Antico Popolo che si era inabissata nel mare secoli e secoli prima. Ma era anche molto di più. Il Re gli aveva fatto l’onore di confidargli uno dei più grandi segreti della Britannia, un segreto che andava ben oltre la spada in sé stessa.
Il cavaliere strinse il manico e con la mano libera torse il pomolo, prima lentamente e poi con maggiore pressione, fino a che ne staccò un pezzo. Lo strinse nel pugno e lo porse a Parsifal. L’altro allungò le mani e tenne l’oggetto tra di esse come una cosa sacra. Se lo portò al cuore e trattenne a sforzo le lacrime – Non andare Lancillotto! Il tuo posto è qui con noi per difendere il Regno –
L’altro sorrise debolmente – Senza il suo Re il Regno non esiste. Non abbiamo un successore e nessuno è degno di lui – disse indicando il corpo adagiato nella barca – L’unica possibilità che abbiamo è che lui si riprenda a Avalon, con l’aiuto della Dama del Lago. Nel frattempo…Portalo da lei –
Parsifal spalancò gli occhi incredulo, ma Lancillotto annuì – Portalo dalla Regina! Lei saprà cosa fare –
Parsifal tentennò – Lei non è più la Grande Regina. Ha tradito il Re… - cominciò, ma si ricordò che l’uomo che aveva di fronte era stato parte di quel tradimento.
Lancillotto sorrise debolmente e gli mise una mano sulla spalla – Quello che hai detto è vero, amico mio, ma…Ci sono cose che non si possono spiegare…Il mio amore va a lei, ma la mia fedeltà va al Re –
L’altro socchiuse gli occhi – Lo posso capire, anch’io sono un soldato, ma perché non gli hai dato…L’oggetto…Quando vi siete visti al monastero? –
Lancillotto sospirò – Perché credevo di tornare da lei. Ma adesso so che il mio posto è accanto al Re, a Avalon – disse e gli mise entrambe le mani sulle spalle – Adesso va! – disse e andò alla barca. Prese la spada del Re e la sollevò verso l’alto – Mai nessun cavaliere, nemmeno uno come me, potrà mai attraversare le sacre nebbie per disturbare il legittimo Re di Britannia – disse solo. Spinse il natante dentro l’acqua e ci entrò con un elegante balzo. Appoggiò delicatamente la spada accanto al Re e iniziò a remare, dopo qualche colpo agitò la mano verso Parsifal – Va, amico mio, va da lei – urlò e sparì nella bianca nebbia.
Parsifal strinse il pugno fino a farsi male. Doveva veramente dare quell’oggetto, l’ultima speranza della Britannia alla donna che aveva tradito il Re davanti a tutta la Corte? Guardò il cielo, ormai si stava scurendo e dovevano passare la notte lì. Sospirò, mise l’oggetto in una tasca e dette la schiena al lago.
 
All’alba del giorno dopo Parsifal fu svegliato con degli strattoni. Si stropicciò gli occhi e vide un volto spaventato. L’uomo che lo aveva svegliato, un grosso soldato del nord, deglutì – Signore…Si sta avvicinando un gruppo di uomini armati e…Sono guidati da due donne in armatura. Una è la Regina di Lothian, ho riconosciuto il suo vessillo con il grifone rosso, ma l’altra…E’ il corvo nero della Cornovaglia: la strega! –
Parsifal si mise subito seduto e, istintivamente, controllò la tasca e respirò di sollievo. Guardò il soldato – Sono le sorelle del Re. Una di loro è la madre del traditore Mordred. Lascia che vengano, ormai il nostro Signore Lancillotto ha fatto il suo dovere e non dobbiamo temere – disse e si alzò. Vide, lontano, una donna in armatura di cuoio rosso come i suoi capelli di fiamma e, dietro di lei, la nera figura della strega di Tintagel. Inspirò a fondo e strinse le mascelle, non avrebbe mai lasciato l’oggetto che Lancillotto gli aveva affidato nelle mani di quelle due e nemmeno in quelle della vecchia regina. Doveva portarlo a Londinium (n.d.a.: l’attuale Londra), l’antica capitale romana della Provincia di Britannia, dove i nobili avrebbero scelto un nuovo grande condottiero.
Alcuni uomini correvano nella direzione opposta alla sua, fuggendo davanti alla strega, ma non lui, quando la donna dai capelli rossi lo guardò e gli disse che cercavano il Re, lui si grattò il naso – Mi chiamo Parsifal, Mia Signora, sono l’aiutante di sir Lancillotto –
La donna in nero, la Duchessa di Cornovaglia, si mise accanto a lui – Dove sono! Dov’è il Re! –
L’uomo la guardò per un attimo e poi fece due passi indietro – Mia Signora! Per favore! Io sono solo un’aiutante…Vi prego – disse e si mise in ginocchio congiungendo le mani – Vi prego…Non trasformatemi in un ratto o…In un altro animale –
Lei aggrottò la fronte, guardò l’altra e poi di nuovo Parsifal – Non intendo trasformare nessuno, per oggi. Dove sono Lancillotto e il Re? –
Parsifal indicò l’acqua e le nebbie – Hanno preso una barca e sono andati a Avalon –
La donna in nero andò sulla riva, proprio di fronte alla nebbia e alzò il braccio destro. Aggrottò la fronte e digrignò i denti e, dopo qualche istante, abbassò la mano. Mise un ginocchio a terra e la donna in rosso le fu subito accanto; la girò e vide che le stava colando del sangue dal naso.
Parsifal si alzò – Sir Lancillotto ha adagiato il corpo del sovrano sulla barca, poi ha preso la spada del Re, l’ha brandita e sollevata verso l’alto dicendo che “Mai nessun cavaliere, nemmeno uno come me, potrà mai attraversare le sacre nebbie per disturbare il legittimo Re di Britannia” –
La donna rossa guardò sua sorella e quest’ultima tossì – Non…Non riesco a vedere Avalon…Un incantesimo! Il maledetto Lancillotto ha lanciato un incantesimo e io non riesco a spezzarlo –
L’altra le accarezzò la testa e guardò la nebbia – Quindi è troppo tardi. Viviana e Artù sono a Avalon e noi non possiamo fare nulla –
La donna in nero le prese il suo braccio e lo strinse – Mai! Non lascerò che nostro fratello resti là. Lui è il Re! – disse e si alzò, avanzò barcollando verso l’acqua e vi entrò fino alle ginocchia. Si pulì il sangue dal volto con l’avambraccio e poi fece una smorfia – Mi senti Viviana?! Io verrò da te! Io verrò da te! – urlò con quanto fiato aveva in gola.
 
Poco dopo aver assistito a quella scena Parsifal e i pochi cavalieri che erano rimasti con lui abbandonarono la riva del lago di Glastonbury e si diressero verso Londinium. Dopo un paio di giorni furono assaliti lungo la strada da un gruppo di guerrieri sassoni sbandati. Uno di quei guerrieri, un uomo possente dai folti e lunghi capelli biondi, si avvicinò al cadavere di Parsifal che lui stesso aveva ucciso fracassandogli la testa con un colpo d’ascia. Si inginocchiò e cominciò a spogliarlo della sua armatura in cerca di oggetti preziosi. In una tasca trovò qualcosa, la prese e la sollevò nella mano. Sorrise contento, dopotutto non era andata male come razzia. Prese l’oggetto tra pollice e indice e lo guardò, era una grossa pietra rossa intagliata, emanava una strana luce, quasi ipnotica e, si disse, doveva essere maledettamente preziosa. Rise rumorosamente e si alzò, mise il gioiello in una piega delle sue vesti, sputò sul corpo ai suoi piedi e se ne andò.
 
Glastonbury (Britannia) VI secolo d. C. circa – Tempo dopo
L’ex Grande Regina Ginevra osservò il panorama dalla finestra del monastero di cui era ormai diventata Badessa. Dopo che Mordred li aveva fatti scoprire a letto da tutta la Corte di Camelot, lei e Lancillotto avevano dovuto fuggire. Resisi conto che non potevano avere un futuro insieme lei aveva deciso di prendere i voti e, in virtù del suo rango, era stata nominata a capo della confraternita delle suore di Glastonbury. Lancillotto, invece, aveva sempre atteso il momento il cui il Re avesse di nuovo bisogno di lui e quando a Camlann gli eserciti di Artù e del traditore Mordred si erano scontrati si era presentato al fianco del suo Re e avevano vinto. Mordred era morto, ma aveva ferito gravemente il Sovrano e, per curarlo, Lancillotto lo aveva portato a Glanstonbury, da lei che non poteva fare nulla e allora gli aveva suggerito di attraversare le acque e le nebbie per andare a Avalon, dalla Dama del Lago, Viviana, sorella maggiore del Re.
Ma Lancillotto non era mai tornato e si diceva che avesse chiuso l’accesso per Avalon con la magia. Aveva provato a mandare gruppi di suore a cercare una via di terra per l’Isola delle Mele, ma senza successo. Solo una di loro era tornata, pazza e sconvolta al punto che dovevano tenerla segregata nei sotterranei nuda e con la testa rasata.
Poi, come un fulmine in un cielo sereno, erano arrivate le altre sorelle del Re. La Regina di Lothian e delle isole Orcadi, Morgause, quella con cui Artù aveva generato Mordred e l’altra. Per la minore delle sorelle di Artù Ginevra aveva provato solo disgusto, come quasi tutta la Corte del resto. Una donna che si vestiva sempre da uomo, con abiti neri come la notte e come i suoi capelli e dalla pelle talmente pallida da sembrare di gesso, segni evidenti dell’appartenenza all’Antico Popolo: la Duchessa di Cornovaglia e Regina del Galles, Morgana, che ricordava il nome di Morrigan, la dea pagana della guerra. E invece il Re aveva sempre avuto un debole per quella sorella a cui, da piccolo, era stato tanto legato. Di certo Artù provava ancora un sentimento forte per Morgause, la madre di suo figlio, frutto della magia dell’inganno perpetrato da Viviana, la maggiore delle sorelle, che aveva preso in trappola i due per fargli generare una futura stirpe di sovrani invincibili, ma per Morgana era diverso. Forse proprio in virtù di quel grande affetto quando sir Accolon del Galles, il presunto amante di Morgana, aveva tentato di ucciderlo gridando il nome di lei, Artù era andato su tutte le furie ed era persino andato con la sua guardia personale fino in Galles per prenderla. Ma lei era sparita, scomparsa, tornata in Cornovaglia.
Le parole melliflue di Mordred avevano fatto in modo che fratello e sorella si separassero anche se lei, in fondo, non aveva mai creduto che Morgana potesse in qualche modo tradire Artù. La strega era potente, si diceva, ma era anche ligia al dovere come nessun altro, glielo doveva concedere. E a riprova di quello si era vista arrivare un convoglio dalla Cornovaglia con a capo lei, sua sorella Morgause e due strani individui, un uomo e una donna: quest’ultima indossava abiti di foggia maschile, anche se piuttosto strani, dai lunghi capelli biondi e dallo sguardo di ghiaccio e che, sorprendentemente, conosceva Virgilio. Veniva dalla Gallia e, secondo Morgana, avrebbe potuto spezzare l’incantesimo di Lancillotto per entrare a Avalon perché era una sorta di cavaliere. Con lei c’era un bel giovane, anche lui della Gallia e con gli stessi strani abiti, era lo scudiero, anche se la donna, che si chiamava Oscar, lo aveva chiamato attendente e di nome faceva André. E poi, una volta arrivati li, erano partiti per l’Isola Sacra. L’avevano raggiunta? Avevano liberato il Re? Non lo sapeva, ma attendeva trepidante l’esito di quella missione.
In quel momento la porta della stanza si aprì ed entrò una suora anziana che si inchinò e si fece il segno della croce – Vostra Grazia, la Duchessa di Cornovaglia è tornata dal lago –
Ginevra aggrottò la fronte – Solo lei? –
L’altra rimase interdetta – Lei…E una ragazza…Nessun altro –
Ginevra sospirò – Mandala da me! –
La suora deglutì e abbassò lo sguardo – Io…La strega… -
Ginevra sbuffò – Adesso! – disse quasi gridando e l’altra fece un altro inchino ed uscì.
 
Ginevra si tolse il velo dalla testa con un rapido movimento, lo gettò sul tavolo accanto a lei e si lisciò i suoi biondi capelli all’indietro. Incrociò le mani in grembo ed aspettò, ma l’attesa non durò a lungo. Sentì dei passi pesanti e, poco dopo, entrò Morgana: neri erano i suoi abiti, neri gli stivali, nera la sopraveste aperta sul davanti che svolazzava di lato come le ali di un nero uccello e neri erano i suoi capelli. La sua pelle era bianca in modo innaturale e i suoi occhi erano di un azzurro chiaro, quasi bianco. In testa portava una semplice corona di acciaio larga circa un centimetro e che sulla fronte formava un cerchio all’interno del quale vi era una croce.
Morgana avanzò con le braccia leggermente aperte e le dita delle mani piegate, seguita da una ragazza in abiti maschili di pelle marrone. La Duchessa di Cornovaglia si inchinò profondamente – Vostra Grazia – disse con la sua voce roca.
Ginevra sorrise sprezzante – Meno formalità Morgana…Lui dov’è? –
Morgana rimase interdetta, si raddrizzò e guardò Ginevra negli occhi – Lancillotto…E’ morto Mia Signora…Mi dispiace –
Ginevra si avvicinò a lei e sorrise – Parlavo del Re…Dov’è il Re, visto che sei venuta qui con tua sorella e due persone che, come hai detto tu, hai prelevato dal futuro, per aprirti la strada per Avalon e per Viviana –
Morgana alzò il mento – Il Re…Il Re non può lasciare l’isola. Sta guarendo dalle ferite e non è in grado di riprendere il comando del Regno – disse e pensò che, in fondo, era vero. Artù era stato mortalmente ferito e Viviana l’aveva portato nel luogo più sacro di tutta Avalon, dove la Sacra Coppa donata da Giuseppe d’Arimatea e che aveva raccolto il sangue del Cristo lo stava lentamente, troppo lentamente, sanando, anche se rafforzata dalla presenza della spada Excalibur che era, con il calice, una delle due magiche reliquie dell’isola.
Ginevra fece una smorfia e sospirò – Non ci voleva! Il nostro Regno senza un Re può cadere preda dei sassoni in qualunque momento –
Morgana socchiuse gli occhi – Immagino che la nobiltà di Britannia non tarderà a trovare un nuovo condottiero –
Ginevra sorrise di nuovo in modo sprezzante – E immagini male! I nostri nobili sono riuniti a Londinium, giocano a fare i romani, vanno alle thermae, ma non riescono a decidere nulla: Marco, quella nullità che tuo fratello ha mandato in Cornovaglia per sostituirti, vuole essere proclamato Grande Re quando non è stato in grado nemmeno di tenersi la sua moglie irlandese e di governare nemmeno una iarda della terra a lui assegnata. Anzi, proprio il fatto che abbia ucciso la figlia di un capoclan irlandese, che lo tradiva con il suo di figlio, peraltro, ha fatto in modo che anche dall’Irlanda ci vengano ad attaccare…E tuo nipote Galvano, il figlio di Morgause e Re Lot, è un incapace totale, buono solo a far funzionare i suoi muscoli…Lui dovrebbe essere il Re per diritto di sangue, come nipote di Artù, ma nessuno lo seguirebbe…E tutti gli altri sono solo ridicole comparse in quella che è, purtroppo, la fine della Britannia –
Morgana rimase impassibile, sapeva che ormai la fine del loro mondo era vicina, ma vide Ginevra avvicinarsi a lei – C’è una ultima speranza…Avevo chiesto a quella donna cavaliere, Oscar, di portarmi Excalibur. Hai tu la spada del Re? –
La Duchessa tentennò e l’altra fece una smorfia – L’hai vista? L’hai tenuta in mano? Hai notato se sul pomolo dell’elsa c’era qualcosa? –
Morgana tentennò di nuovo e cercò di ricordare la spada. Lei stessa l’aveva brandita, l’aveva usata per nominare cavaliere Andrè, lo scudiero di Oscar e poi l’aveva lasciata sul sarcofago che vegliava il sonno di suo fratello Artù. Era un unico pezzo di metallo fuso e lavorato dall’Antico Popolo e si, sul pomolo aveva notato uno spazio vuoto, ma non ci aveva dato peso.
Ginevra sospirò – Allora siamo perduti…Non sapevi della pietra di Excalibur? –
L’altra aggrottò la fronte e Ginevra si avvicinò ancora – E’ uno dei segreti più grandi della Britannia, me lo ha raccontato Artù e lui, a sua volta lo ha saputo da Merlino. Tuo fratello dubitava che persino Viviana, la Dama del Lago, ne fosse a conoscenza – disse e guardò la ragazza in abiti di pelle. Morgana fece un gesto con la mano e lei si inchinò ed uscì.
Quando furono sole Ginevra respirò a fondo – La spada sul pomolo aveva un gioiello, una pietra rossa molto antica. Ed è la chiave per raggiungere un’arma. Un’arma antica e potente, in grado di eliminare un intero esercito in un colpo solo –
Morgana inarcò le sopracciglia – Un’arma in grado di distruggere un esercito? Di che tipo di arma si tratta? –
L’altra tentennò – Artù non lo sapeva…E non lo sapeva nemmeno Merlino, ma se mai è arrivato un momento per usarla, temo che sia questo! Quindi, per Dio e per tutti i tuoi dei, dimmi che sai dove si trova quella gemma –
Morgana la fissò negli occhi – Non ho visto alcuna gemma sulla spada e te lo posso anche giurare –
Ginevra strinse le labbra – E allora tutto è perduto – disse e guardò l’altra; sorrise tristemente – Non mi sei mai piaciuta, Duchessa di Cornovaglia. E’ inutile negarlo! C’è un’unica persona in tutta la Britannia, oltre ad Artù che possa veramente regnare su questa terra, ma non verrà mai accettata –
Morgana aggrottò di nuovo la fronte – Di chi stai parlando? –
Ginevra sorrise – Di te! Ovviamente! Saresti una regina perfetta per la Britannia –
L’altra rimase interdetta – Non prenderti gioco di me – disse, ma Ginevra alzò una mano – Dico davvero! Tu sei forte, sei un’abile guerriera e una potente maga, hai una volontà di ferro, nelle tue vene scorre il sangue dell’Antico Popolo e quello della Britannia, sei la figliastra e la sorella di un Grande Re…Tu guideresti le nostre armate alla vittoria, lo so…Ma so anche che quegli idioti a Londinium non accetteranno mai di metterti sul trono –
Morgana sorrise con un ghigno – La Fata Morgana come Regina? E i vescovi cristiani come la prenderebbero? –
Ginevra chiuse gli occhi per un istante e abbassò la testa – Che vadano all’inferno! Non la prenderebbero affatto bene, come nessuno di quei balordi che si definiscono re…Ma non è perché sei repellente…E nemmeno perché sei una pagana…E’ la nostra maledizione, sorella, quella che ci perseguita da quando siamo nate…E’ solo ed unicamente perché siamo donne –
La Duchessa di Cornovaglia strinse le mascelle, era la prima volta che sua cognata la chiamava sorella e annuì – Lo so molto bene, sorella – disse e rimasero per qualche istante in silenzio, una di fronte all’altra. Fu Morgana la prima a parlare – Mi dispiace che non ci siamo mai conosciute bene –
Ginevra scrollò le spalle – Quello che è fatto è fatto. Addio! Che tu possa sopravvivere ai tempi bui che ci attendono – disse e allungò il braccio. Morgana mise un ginocchio a terra, prese la sua mano e la baciò – Mia Grande Regina. Possa il tuo Dio essere al tuo fianco – disse, si rialzò e andò verso la porta.
L’altra fece un gesto – Un’ultima cosa Morgana…Se vuoi dirmelo…Cosa ne hai fatto di quella Oscar e del suo scudiero? –
Morgana strinse le labbra – Ho nominato lui cavaliere di Avalon e li ho rimandati nel loro mondo –
Ginevra sorrise – Ben fatto! Addio! –
L’altra chinò la testa – Addio! – disse ed uscì.
Dopo qualche istante Ginevra congiunse le mani. Morgana non aveva motivo di mentire e quindi: chi aveva preso la pietra della spada? Lancillotto? No, lui sapeva il segreto, perché glielo aveva detto lei. Viviana? No, non era possibile, solo Merlino sapeva il suo segreto e a lei cosa mai serviva un gioiello come quello ad Avalon? Oppure…Si portò una mano sotto le labbra, Lancillotto era arrivato con Artù morente ed altri cavalieri, forse uno di loro aveva preso la pietra ignorando il suo vero valore? Quella era una strada da non accantonare. Andò al grande tavolo di legno di quercia, prese un campanello e suonò. Dopo qualche istante entrò la suora anziana e si inchinò – Cosa comandi Mia Signora? –
Ginevra la guardò – Fa preparare i miei vestiti e un convoglio per partire da qui. Andiamo a Londinium –
La suora inarcò le sopracciglia sorpresa – A…Londinium? –
L’altra sospirò, era mai possibile che le uniche persone con cui riusciva a parlare da pari a pari erano quella megera di Morgana o quella strana donna cavaliere di nome Oscar? – Si! E’ un ordine! Andremo al palazzo del governatore romano, dove si stanno incontrando i nostri nobili per decidere quando i sassoni dovranno conquistarci –
La suora sbatté le palpebre – Io credevo che decidessero chi dovrebbe essere il nuovo Grande Re –
Ginevra sbuffò e se ne andò dalla stanza a grandi passi non degnandola di una risposta. Nel corridoio cominciò a slacciarsi il cordone della sua veste monacale. In effetti, si disse, quella era troppo scomoda per cavalcare.
 
Parigi (Regno di Francia) XVIII secolo d. C. – Anno 1785
La contessa Jeanne de Saint-Rémy de Valois, moglie del conte Nicholas de la Motte, si fece di nuovo aria con il suo ventaglio e guardò bene i due uomini seduti nel divano in raso del suo salotto. Da quando aveva cominciato a spillare soldi dalle tasche del Cardinale Louis René Edouard de Rohan-Guéménée, conosciuto più brevemente come Cardinale di Rohan, aveva potuto acquisire un piccolo palazzo a Parigi e a tenere una sua personale corte di quanti, per curiosità o per necessità, volevano incontrare la Regina Maria Antonietta. Era divertente pensare a come il Cardinale aveva creduto di parlare con la Regina nel parco di Versailles ed invece aveva discusso con una prostituta, una tale di nome Nicole Leguay D’Oliva, che le somigliava come una goccia d’acqua. Da quel momento in poi un afflusso ininterrotto di denaro aveva cominciato ad arrivare nelle tasche della contessa ed erano in molti a credere che lei conoscesse davvero la Sovrana. Come quei due.
Jeanne si sedette vide che, sul basso tavolino tra di loro, c’era una scatola di velluto blu. Sul contenuto non potevano esserci malintesi, del resto Charles Boehmer e Paul Bassenge erano due stimati artigiani gioiellieri. Boehmer si sporse in avanti sorridendo – Madame…Lasciate che vi ringraziamo per averci ricevuto. Abbiamo saputo che voi siete il tramite tra il Cardinale di Rohan e la nostra amata Regina Maria Antonietta –
Jeanne sorrise debolmente – Io cerco solo di essere una buona amica per entrambi, messieurs. Ma ditemi, perché avete voluto vedermi nel cuore della notte? Spero che non vogliate propormi qualcosa di illecito –
Bassenge fece un gesto con la mano – Oh! Nulla di tutto questo – disse e guardò l’altro per un attimo, poi si rivolse di nuovo a Jeanne – Per anni io e monsieur Boehmer abbiamo raccolto pietre preziose, ma i migliori diamanti li abbiamo serbati per quello che doveva diventare il nostro capolavoro – disse, fece una pausa ad effetto con un sorriso e aprì la scatola con due mani.
Jeanne serrò la presa sul ventaglio, se lo portò davanti alla bocca al fine di non mostrare che si stava mordendo il labbro inferiore per non gridare e inarcò le sopracciglia: davanti a lei c’era quello che forse era il gioiello più grande e più bello che avesse mai visto. Era una collana. Fatta interamente di diamanti di ogni dimensione inseriti con mani abili in una maglia di oro bianco e al centro di essa, con un pendente circondato da pietre più piccole, c’era una fiammeggiante pietra rossa, l’unica di quel colore, quasi a simboleggiare una grande goccia di sangue.
I due gioiellieri si guardarono ancora e si sorrisero. Boehmer guardò Jeanne – Pensavamo di offrirla a Re Luigi XV che voleva farne dono alla sua favorita, la Contessa Du Barry, ma il lavoro è stato terminato dopo la morte del sovrano, nel 1774 e pensavamo quindi di offrirla alla nostra amata Regina Maria Antonietta per la sua incoronazione. Ma ci è stato detto che il prezzo era troppo elevato. Ma adesso che sappiamo che la Regina è in contatto con voi…E con il Cardinale di Rohan…Ecco…Siamo pronti a riproporre questo gioiello –
Jeanne annuì, incapace di staccare gli occhi dalla collana e dalla pietra rossa – E quanto volevate chiedere come prezzo? –
Bassenge strinse le labbra – Questa è la nota dolente, ma del resto immagino che sappiate anche voi che l’arte si paga: volevamo chiedere un milione e seicentomila lire –
Jeanne rimase per un attimo senza fiato. Era una cifra enormemente folle, di quelle che solo dei sovrani regnanti possedevano. Oppure gli alti prelati rampolli di nobili ed antiche famiglie. Si piegò in avanti per vedere meglio la pietra rossa e vide che aveva, al suo interno, degli strani segni bianchi. Bassenge sorrise – Lo avete notato? Non è un rubino. A dire la verità non sappiamo nemmeno che pietra sia –
Boehmer annuì – E’ impossibile lavorarla. Ci abbiamo provato anche con i diamanti, ma li rovina. E’ di un materiale che non abbiamo mai visto. E’ stata comprata da una antica e nobile famiglia danese che è andata in rovina. Secondo il suo ultimo proprietario c’è una leggenda che dice che sia fatata e che, alla luce della luna, sveli il suo segreto –
Jeanne aggrottò la fronte e lo guardò, ma l’altro scrollò le spalle – L’abbiamo guardata alla luce della luna, ma non accade nulla, è semplicemente una pietra unica nel suo genere e, proprio per questo, è la più preziosa di tutte quelle della collana –
La donna sorrise e si appoggiò allo schienale della sua poltrona. Il suo cervello contorto cominciò a funzionare rapidamente. Con una cifra come quella lei e Nicholas avrebbero potuto vivere di rendita in ogni angolo del mondo, specialmente oltre l’oceano, in quel nuovo paese che era appena nato dalla dissoluzione delle colonie inglesi, o nei vecchi possedimenti francesi del Canada, oppure al caldo, più a sud, in quella città chiamata La Nouvelle Orleans (n.d.a.: l’attuale città di New Orleans). Ma, quello che più contava, lo avrebbero fatto da ricchi. Del resto sapeva benissimo che l’imbroglio al Cardinale non poteva durare ancora per molto e quel gioiello era la giusta occasione per uscire definitivamente di scena.
Persa in quei pensieri sobbalzò quando Bassange chiuse la scatola con uno scatto. L’uomo sorrise – Possiamo allora contare sul vostro aiuto Madame? –
Jeanne sorrise amabilmente – Ma certo! Sua Maestà ama molto i gioielli e sarà mia cura particolare magnificare il vostro        lavoro –
I due uomini chinarono il capo. Boehmer sospirò – Ho sentito che voi discendete da Enrico II di Valois…Un grande Re…E molto sfortunato! (n.d.a.: nel 1559, al matrimonio della figlia con il Re di Spagna, partecipò ad un torneo e le schegge della lancia del suo avversario passarono il sottile spazio della visiera del suo elmo ferendolo gravemente alla testa; dopo dieci giorni di agonia morì; la leggenda vuole che la sua morte fosse stata predetta da Nostradamus) –
Jeanne sospirò – Purtroppo è la triste storia della mia famiglia…Ma nulla può mutare il sangue reale che io ho nelle vene – disse e si alzò, imitata dai due uomini. Li accompagnò al portone, loro fecero un elegante baciamano e poi uscirono.
Lei chiuse i battenti e rimase con le mani appoggiate al legno. Doveva ragionare rapidamente: chiamare il Cardinale, dire che la Regina voleva assolutamente quella collana e poi farsela consegnare. E poi, finalmente, i Valois sarebbero tornati di nuovo ricchi e potenti. Respirò a fondo e si raddrizzò. Come prima cosa, però, avrebbe dovuto mettere al corrente di tutto suo marito Nicholas.
 
Parigi (Regno di Francia) XVIII secolo d. C. – Anno 1786
Era passato poco più di un anno da quando i gioiellieri Boehmer e Bassange erano stati da lei per chiedere la sua intermediazione affinché la collana di diamanti, con una pietra rossa come pendente centrale, fosse acquistata dalla Regina Maria Antonietta.
E sembrava che fosse passato un secolo, invece. Il Cardinale di Rohan aveva subito pagato la somma richiesta, ma quando il gioielliere Boehmer era andato a lamentarsi con la Regina, all’oscuro di tutto, per il mancato pagamento di una rata era scoppiato lo scandalo, passato alla storia, per l’appunto, come “Scandalo della Collana”. La polizia aveva agito tempestivamente e lei, Jeanne de Saint-Rémy de Valois, Contessa de la Motte, era rimasta intrappolata nel suo stesso inganno mentre suo marito Nicholas era in Inghilterra a vendere i gioielli.
Lei era stata imprigionata, processata, giudicata colpevole, flagellata pubblicamente, marchiata a fuoco come ladra e poi rinchiusa nella prigione per prostitute e manicomio di Salpetrière. E fu una punizione terribile e crudele visto che Rétaux de Villette, l’uomo che aveva falsificato le lettere al Cardinale con la calligrafia e la firma di Maria Antonietta, fu solamente bandito; il Cardinale e la prostituta Nicole Leguay, che si era spacciata per la Regina, furono invece assolti.
Ma qualcuno non si era dimenticato di lei e l’aiutò a fuggire e a ricongiungersi con suo marito Nicholas. Dal suo rifugio segreto Jeanne scrisse e fece pubblicare dei libelli che prendevano di mira la Regina accusandola di uno stile di vita dissoluto e, in particolare, di intrattenere relazioni omosessuali con la Contessa Jolande de Polignac e con la strana donna che comandava le guardie reali: Oscar François de Jarjayes.
Quella stessa donna che si comportava come un soldato e che era stesa, svenuta, a poca distanza da lei. Quando era fuggita degli uomini misteriosi l’avevano condotta in un vecchio monastero abbandonato, nei pressi della cittadina di Saverne, a Sud Est di Parigi. Ma chi l’aveva tradita? Di certo era stata la sua sorellastra Rosalie Lamorlière che era diventa, a quanto pareva, la protetta di Oscar a palazzo Jarjayes e solo a lei aveva detto dove si trovava. Ma anche quello non aveva più importanza. La Guardia Reale, nel pieno della notte, aveva circondato l’edificio e Oscar, in un impeto di pietà, si era fatta avanti da sola per farla arrendere. Ma si era illusa inutilmente. Nicholas l’aveva assalita e sopraffatta e l’avrebbe anche strangolata, uccidendo una volta per tutte quello scherzo di natura di donna. Ma lei lo aveva impedito. Aveva pugnalato il suo stesso marito e complice e l’aveva salvata. Perché? Non se lo sapeva spiegare. Ma quella disgraziata storia era durata fin troppo. Quella donna, nonostante tutto, era stata buona con Rosalie e non meritava certo di morire in quel modo. Lasciò cadere il pugnale insanguinato, guardò per un attimo Nicholas, poi Oscar e poi mise una mano in tasca. Prese un oggetto e lo tenne tra il pollice e l’indice. Sorrise nel vedere la pietra rossa della collana. Perché non l’aveva venduta? Oh! Lei aveva visto il segreto della pietra; i due gioiellieri avevano detto di metterla alla luce della luna, ma che a loro non era apparso nulla. In effetti bisognava metterla alla luce della luna piena, che appariva una volta al mese, come lei si era accorta per caso. Non che ci avesse capito molto e nemmeno Nicholas, ma era abbastanza per tenerla presso di sé. L’aveva affidata a suo marito, ma nemmeno lui l’aveva data via e gliel’aveva restituita quando si erano rivisti. Portava forse sfortuna? Se lo era chiesta più volte e forse era così. La strinse nel pugno, guardò Oscar stesa a terra e si avvicinò cautamente. Sorrise: - Se questa pietra porta sfortuna, comandante dei miei stivali…Che tu sia sfortunata, allora – disse e si piegò su di lei, nascose la pietra in uno dei grandi risvolti delle maniche della sua uniforme e poi si rialzò.
Prese un candelabro e diede fuoco alle tende di una finestra, poi ad altre e ad altre ancora. Lasciò cadere a terra l’oggetto e poi si avvicinò al corpo esanime di Nicholas, si inginocchiò accanto a lui e gli accarezzò la testa – Riposa in pace amore mio! Tra poco sarà tutto finito – disse e si gettò su di lui abbracciandolo.
Gli uomini della Guardia Reale irruppero nell’edificio seguendo André, che, chissà come e perché, sentendo che Oscar era in pericolo si era gettato da solo al suo salvataggio. E fu una fortuna! Videro i corpi di Jeanne e Nicholas tra le fiamme e fecero appena in tempo a trascinare via il loro comandante mentre l’intera struttura andava a fuoco.
 
Il viaggio di ritorno, per Oscar, non fu lento come per i suoi soldati. Per premiarla della brillante operazione appena conclusa il Re aveva inviato al comandante delle sue guardie una berlina che l’avrebbe direttamente portata, accompagnata dal fido André, a palazzo Jarjayes per passare alcuni giorni di convalescenza.
Una volta a casa, Oscar fu accolta dal caldo abbraccio di Marie, la nonna di André. Che poi si rivolse malamente al nipote che non aveva difeso la padrona. Oscar lo salvò dall’ira della nonna sorridendo – Non preoccuparti Marie. Ha fatto il suo dovere, come tutti gli altri. Merita anche lui un encomio – disse e lo guardò negli occhi. Lo sguardo di André nei suoi confronti era cambiato da un po' di tempo. Qualche volta si voltava e vedeva che lui la stava osservando e non ne capiva il motivo. Sospirò, si passò la mano sulla giacca dell’uniforme che non si era tolta dalla morte di Jeanne e si sentì improvvisamente sporca. Marie capì subito e, con una giovane cameriera dai capelli biondi e dal viso lentigginoso, l’accompagnò alla sua stanza.
Oscar si tolse la giacca e la lasciò su un manichino di legno e poi seguì Marie per spogliarsi e fare, finalmente, un bel bagno caldo. Marie si girò verso la cameriera – Anne, per favore, sistema la giacca di Mademoiselle Oscar e fai in modo che venga subito lavata –
La ragazza annuì e prese la giacca tra le mani. Era veramente impolverata e rovinata, la scosse in aria per eliminare almeno in parte la polvere e, improvvisamente, vide volare un piccolo oggetto che emanava riflessi rossastri. Ne seguì la traiettoria e vide che andava sotto al grande letto a baldacchino della padrona. Anne si guardò attorno, non c’era nessuno, si piegò e mise una mano sotto al letto. Sentì al tatto un oggetto duro, lo prese e poi lo vide nel palmo della sua mano. Rimase senza fiato nel vedere la pietra rossa. Come mai era nascosta nell’uniforme della padrona? Si rialzò, si guardò di nuovo attorno e aprì lentamente la mano. Accarezzò la pietra a sorrise. L’uniforme di Oscar non aveva gioielli, a un militare non servivano. L’aveva presa lei a quella Jeanne Valois di cui tanto si parlava? Si parlava anche tanto della padrona e non sembrava proprio il tipo che rubava dei gioielli. Rubati ad altri, per di più! Guardò la pietra più da vicino e vide che, all’interno della struttura, c’erano degli strani segni bianchi. Non che se ne intendesse di gioielli, chiaramente, ma aveva la sensazione che quel gioiello fosse molto prezioso. Il cuore cominciò a martellargli nel petto e mise la pietra nella tasca dell’abito, prese la giacca dell’uniforme di Oscar e uscì dalla stanza.
 
Anne non dormì un solo istante quella notte, nel terrore che qualcuno venisse a prenderla per chiederle della pietra, ma nessuno arrivò. Alla mattina dopo si vestì e notò che tutto era normale: Marie sbraitava che niente era pulito, la padrona e il suo attendente si esercitavano con la spada nel giardino del palazzo e nessuno sembrava occuparsi di lei. Dopo qualche istante si congedò dalla Governante, prese i suoi pochi effetti personali, tra i quali c’era, ovviamente, la pietra rossa e trovò un passaggio su un piccolo carretto che andava a Ovest, verso casa sua, verso la Normandia.
 
Londra (Regno d’Inghilterra) XVIII secolo d. C. – Anno 1786
L’uomo si strinse nel suo nero mantello. La nebbia era riapparsa quella sera a Londra ed era molto fitta. Avvicinò la lampada al portone e poi bussò con il batacchio. Aspettò un attimo e poi diede altri tre colpi.
I battenti si aprirono e un corpulento uomo in livrea verde da cameriere lo fece entrare. L’uomo spense la lampada e la diede al cameriere, poi si diresse senza esitazione lungo il corridoio. Aprì una porta e scese delle scale malamente illuminate e si trovò in una grande sala di pietra. Dall’umidità che colava si poteva chiaramente capire che erano sotto il livello del fiume Tamigi.
C’erano altri uomini, tutti paludati di nero, ma a volto scoperto, del resto non c’era bisogno di nascondersi, per loro. Da una porta laterale entrò un’altra persona, dal volto affilato e pallido e con in testa una parrucca incipriata. L’ultimo arrivato si mise di fronte a quello che era sceso dalle scale – Quindi, Nesby, Adesso cosa sappiamo? –
L’uomo di nome Nesby sorrise debolmente – Abbiamo acquistato i diamanti della collana, come ben sapete Lord Baxter, ma non c’è traccia della pietra rossa –
Baxter strinse le labbra e soffiò dalle narici – Non è possibile! Abbiamo saputo per certo che il Conte de la Motte è venuto qui in Inghilterra a vendere i gioielli della collana e non c’era quello principale? –
Nesby scrollò le spalle – Il Conte de la Motte è morto a Saverne e con lui sua moglie Jeanne de Valois. E’ probabile che avessero ancora loro la pietra. Ho ispezionato personalmente i resti dell’edificio in cui si trovavano e, con i vostri soldi, Lord Baxter, ho comprato anche il medico che aveva in custodia i loro resti per ispezionarli, ma non c’era nulla –
Un altro uomo si piegò in avanti – E quindi cosa suggerite, Nesby? –
L’altro lo guardò – Un cambio di strategia, signori, per secoli il nostro gruppo ha atteso di rivedere la pietra e ora che siamo a un passo dall’averla, dobbiamo prendere l’iniziativa: avete agganci in tutto il continente, quindi fate in modo che il possessore del gioiello venga da noi, dite e fate dire a tutti che cerchiamo una pietra rossa come un rubino e con segni bianchi all’interno della sua struttura, offrite soldi, montagne di soldi e vedrete che tutti i ricettatori e ladri d’Europa verranno a offrircela –
Lord Baxter fece una smorfia – E quanto chiederanno? –
Nesby strinse le labbra – Ho detto di dire che offrirete un grande compenso…Non che glielo darete –
Un altro uomo sorrise – Astuto! Direi che dovremmo concentrarci sulla Francia per il momento, sappiamo chi ha trovato il Conte e la Contessa de la Motte? –
Baxter annuì – La Guardia Reale francese! Al comando di quella donna con un nome da uomo, la figlia di un mio vecchio conoscente, il generale de Jarjayes –
Nesby aggrottò la fronte – Che lei abbia la pietra? –
Baxter fece un gesto con la mano – A quanto ricordo il generale de Jarjayes era ed è disgustosamente onesto e ligio al dovere. E fedelissimo alla monarchia francese. Se ha educato sua figlia allo stesso modo direi proprio di no…Ma la vostra strategia ha un senso Nesby…Procedete pure. Che Dio e gli antichi dei veglino su di noi stavolta, che ci diano il potere di scatenare l’arma dei nostri antenati…E come sempre: la Britannia domina! –
Gli altri alzarono il braccio destro – Britannia Rules! – dissero con una sola voce.
Baxter sorrise – Morte agli usurpatori Hannover! – gridò, seguito dagli altri: - Morte agli usurpatori! – (n.d.a.: Re Giorgio III – regnante all’epoca – figlio di Giorgio II e nipote di Giorgio I della dinastia Hannover, principi tedeschi chiamati a governare l’Inghilterra dopo l’estinzione della dinastia Stuart e d’Orange-Nassau. Per prevenire l’ascesa di sovrani cattolici il Parlamento aveva promulgato l’Act of Settlement, che dava il trono solo agli eredi di fede protestante).

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Capitolo 2
*** LA PIETRA ROSSA ***


Normandia – Sainte Marie du Mont – loc. La Madeleine (Regno di Francia) XVIII secolo d. C. – Anno 1787
Oscar guardò il mare. I colori del tramonto erano splendidi in quella stagione e mettevano pace. E anche una certa malinconia.
Era passato tanto tempo e tante cose erano accadute: il caso della collana, il ritorno del Conte Von Fersen dalla guerra in America e la sciagurata vicenda del cavaliere nero.
Quando Fersen era tornato e aveva deciso di fermarsi a palazzo Jarjayes per non incontrarsi con la Regina, lei, in cuor suo, aveva gioito. C’era sempre nella sua mente la ricerca dei quella persona che rappresentava il suo e solo suo cavaliere. Aveva sempre nei suoi pensieri una visione di sé stessa in abito femminile bianco e, di fronte, una figura umana inginocchiata che gli baciava la mano. Non sapeva chi era, non riusciva a vederne il volto, ma sapeva che era l’amore della sua vita.
Quando il bel Conte svedese era tornato a Versailles per stare accanto alla sua Regina, lei si era sentita morire dentro. E allora aveva fatto quello che aveva sempre visto in quella sua fugace visione. Aveva indossato un abito da donna bianco, si era pettinata i capelli verso l’alto e si era presentata ad uno dei tanti balli che si tenevano alla reggia. Una volta arrivata nel grande Salone degli Specchi aveva provato la strana e misteriosa voglia di mangiare carne di pecora. Ma lui l’aveva vista, l’aveva invitata a ballare, l’aveva tenuta tra le braccia e gli aveva parlato, di lei. Aveva detto che era, testualmente, il suo “migliore amico” e, a quel punto era scappata via facendosi inevitabilmente riconoscere. Ma lui non era il suo cavaliere. Il suo vero cavaliere l’aveva tenuta tra le braccia e l’aveva fatta volteggiare nel cielo stellato e non ballare il minuetto sotto il soffitto stuccato e decorato di Versailles. E così aveva dovuto abbandonare ogni speranza con lui.
Poi c’era stata la disgraziata vicenda del cavaliere nero. Quel Bernard Chatelet, un giornalista che di notte si divertiva a travestirsi per rubare a casa dei nobili per poi distribuire il maltolto ai poveri. La delusione con Fersen era stata tale che lei si era messa in testa di prendere quel ladro, ovviamente con l’aiuto di André. Ma le cose non erano andate proprio per il verso giusto, André era rimasto ferito all’occhio sinistro e l’aveva irrimediabilmente perso. Una volta catturato Chatelet, poi, lo stesso André le aveva chiesto di liberarlo perché in fondo, lui donava tutta la refurtiva ai più poveri e bisognosi. Aveva anche scoperto un lato del suo amico che non conosceva: André guardava con simpatia le forze politiche che lentamente, ma inesorabilmente, stavano sorgendo in Francia e che si posizionavano dalla parte del popolo oppresso dalla nobiltà e dal clero. Il cavaliere nero, poi gli ricordava vagamente di un’altra figura nera nella sua vita, ma non un uomo: una donna. Paludata di nero da capo a piedi e con la pelle pallida come la luna, che alzava le braccia e diceva mestamente: “Mi dispiace”. Erano in cima a una collina, ma dove?
Dopo tutte quelle vicissitudini aveva deciso finalmente chi essere: Oscar François de Jarjayes, un uomo e solo un uomo. Aveva deciso di lasciare la Guardia Reale e la reggia per dimostrare quanto valeva veramente a suo padre, ma soprattutto a sé stessa. E lo aveva detto anche al suo migliore amico. La reazione di André non era stata come si sarebbe aspettata, lei si era immaginata che lui, come amico, l’avrebbe sostenuta nella sua scelta, ma invece non aveva battuto ciglio e aveva detto solo una frase: “Una rosa resta sempre una rosa…E una rosa non sarà mai un lillà”. E che voleva dire? Che una donna rimane sempre e comunque una donna qualunque cosa faccia? Che quindi lei non poteva mai essere un vero uomo nonostante fosse stata educata per anni ad esserlo? Lo aveva schiaffeggiato, con forza e con rabbia e lui…L’aveva presa per i polsi. Non si era mai sentita così debole e indifesa. L’aveva baciata. Aveva appoggiato le labbra sulle sue, in un bacio rubato e non richiesto. Lui non era il suo cavaliere, quello non era il loro bacio. Lei e il suo cavaliere si erano baciati sotto le stelle e lo avevano fatto con amore e passione, non con la violenza. L’aveva letteralmente gettata nel letto sotto il peso del suo corpo e…Aveva sentito un rumore di tessuto strappato. Era la sua camicia di seta bianca che André aveva rotto. E lei era rimasta lì, imbambolata, senza piangere, ma incapace di reagire, debole come un gattino, con la sua femminilità esposta al suo sguardo.
Aveva girato la testa, incapace persino di chiamare aiuto: - E adesso che vuoi fare? – aveva detto piano e stranamente calma. Lui aveva tentennato, aveva lasciato cadere lo scampolo di camicia strappata a terra e aveva abbassato il capo – Perdonami! Perdonami Oscar…Ma io…Io ti amo! Ti ho sempre amato –.
Da quel momento i loro rapporti non erano stati più gli stessi. Quell’amicizia, quel cameratismo che aveva sempre contraddistinto la loro relazione erano venuti meno in un istante. Quando aveva saputo il suo nuovo incarico, quello di comandante del reggimento delle Guardie Francesi di Parigi, gli aveva detto che non aveva più bisogno dei suoi servigi. Null’altro e lui aveva solamente annuito.
E lei era andata nella tenuta di famiglia in Normandia per restare tranquilla e schiarirsi le idee sulla sua nuova vita. E perché in Normandia? Non riusciva a spiegarsi quella scelta. Non le era mai pienamente piaciuta quella proprietà della sua famiglia, anche se era lì, in quelle terre, che la fortuna dei de Jarjayes era iniziata. Aveva sempre preferito la soleggiata e ridente Arras; ogni volta che arrivava alla villa sul mare era preda di incubi ricorrenti su alti muri sulle spiagge, soldati in strane uniformi grigie ed elmi a paiolo calcati sulla testa che correvano gridando “sie kommen”, arrivano, in tedesco e navi lontane che oscuravano l’orizzonte. L’ultima volta che si era recata lì era stato nel 1775, l’anno dopo l’incoronazione di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Doveva essere una vacanza e ci aveva guadagnato solo un gran mal di testa, la sensazione di un vuoto dentro con la ricerca spasmodica di una figura eterea che era, o doveva essere, il suo vero cavaliere, nella mente gli era rimasta impressa la donna in abiti scuri e un libretto nero, una sorta di diario, scritto in fretta a furia in quel periodo che, a distanza di più di un decennio, per lei non aveva alcun senso. Lo aveva trovato in un cassetto della scrivania dello studio, lo aveva riletto, ma non ci aveva capito molto. C’erano dei nomi: Tintagel, Glastonbury, nomi inglesi, uno ancora più strano, Avalon e alcuni disegni fatti dalla sua mano: il profilo di quella che doveva essere una donna dai lunghi capelli neri con una corona in testa, una collina dalla forma rotonda evidentemente artificiale, una strana spada e un complesso di pietre verticali e orizzontali disposte a cerchio. Cosa significavano? Perché li aveva disegnati? Sospirò e si guardò le punte degli stivali sulla sabbia. Dopo qualche istante sollevò lo sguardo e si voltò. Andò verso il suo cavallo, con le briglie legate al relitto di una vecchia barca, le sciolse e salì in sella con un balzo.
Nemmeno cavalcare la rilassava più e pensò che era perché lo faceva in compagnia di André e mai da sola. Cercò di pensare ad altro, ma la sua mente andò di nuovo allo strano libretto nero. Ricordava che in quel periodo aveva cominciato a leggere l’opera di un inglese, un certo Malory, che narrava le mitiche gesta di un grande e antico Re della Britannia. E ne era rimasta talmente affascinata da aver voluto mettere uno dei suoi simboli, una tavola rotonda, a palazzo Jarjayes. Essa rappresentava l’uguaglianza degli uomini e delle donne, tutti seduti e nessuno in una posizione di supremazia. La cosa aveva fatto infuriare suo padre che, malamente, le aveva ordinato di toglierla.
Era rimasta anche colpita dalle gesta nobili dei cavalieri e delle dame, dal codice della cavalleria e aveva scoperto, non senza sconcerto, che anche in Francia c’era tutta una narrativa molto prolifica dedicata a quei personaggi e risalente al Medioevo. In tutta la sua vita aveva solo letto le opere dei classici latini e dei contemporanei francesi, come pure testi di strategia militare, quelli che, secondo suo padre, erano più utili ad un soldato. Aveva divorato moltissime opere sull’amor cortese, trovando un discreto parallelismo tra la storia di Lancillotto e Ginevra e quella di Fersen e Maria Antonietta. Quel, nome, Lancillotto, poi, gli suonava stranamente familiare, come pure quello di Ginevra. Non sapeva come spiegarselo, ma nella sua mente vedeva la Regina moglie di Artù come una donna austera e volitiva, non certo passionale come veniva descritta. Ma, nonostante tutto, l’argomento che preferiva era quello originario delle Isole Britanniche: le avventure del Grande Re Artù, le gesta eroiche dei suoi cavalieri e gli scontri con il suo nemico giurato: sua sorella Morgana, detta la Fata, ma nel senso vero e proprio di strega. Aveva provato un brivido quando aveva letto la descrizione della donna: “dalla pelle bianca come la luna e i capelli neri come le piume dei corvi”. Come personaggio, lo aveva sempre trovato, pur nella sua malvagità, estremamente affascinante. La Duchessa di Cornovaglia e Regina del Galles era una donna potente, fiera e combattiva, ma soprattutto indipendente dagli uomini. Una figura non certo paragonabile a quel vampiro succhia soldi che era la Contessa di Polignac o meretrici in cerca di protezione come la Contessa Du Barry. Si era talmente immedesimata nei racconti che aveva persino versato una lacrima pensando a quanto erano ingiusti gli autori a considerare cattiva quella figura femminile.
Ma, come ogni passione giovanile, anche quella era passata. Sepolta dai mille impegni e dal lavoro spossante che era badare senza sosta alla giovane Regina Maria Antonietta. A cui poi si erano aggiunte le preoccupazioni per la sua protetta, Rosalie Lamorlière; le bassezze della Contessa di Polignac; gli intrighi del Duca D’Orleans, cugino del Re; la timidezza esasperante di Re Luigi; nobili e nobildonne che in ogni momento e in ogni luogo volevano avere visibilità; l’affare della collana con la sinistra Jeanne de Valois e poi c’era stato il ballo con Fersen; il cavaliere nero; la perdita dell’occhio di André che l’aveva sconvolta; la decisione di diventare definitivamente un uomo e alla fine…André che le diceva di amarla e la gettava sul letto strappandole i vestiti. Pensò che sarebbe stato bello, per un attimo, possedere i poteri della Fata Morgana, trasformarsi in una possente aquila e volare nel cielo azzurro, senza pensieri, senza problemi. Ma lei non era Morgana, era solamente Oscar de Jarjayes.
 
Il cavallo arrivò al passo sul sentiero che portava alla casa. Un gruppo di contadini la vide e si fece di lato. Si tolsero i loro grandi cappelli di paglia a tesa larga e si inchinarono. Lei sorrise debolmente e fece un cenno con la mano. Il cielo si stava scurendo e lei smontò dalla sella lasciando la cavalcatura a Jerome, il figlio di Roland che, con sua moglie Bertha, accudivano la casa dei de Jarjayes e che, durante le visite dei padroni, si prestavano anche nella veste di stallieri, cuochi e domestici.
Non aveva fame anche se Bertha le aveva preparato un grande vassoio di ostriche della Normandia con contorno di limone e panna acida. Si diresse subito verso il piccolo studio e si sedette dietro la scrivania, accese la lampada e aprì il libro nero. Si chiese in che occasione aveva scritto tutte quelle cose, sembravano appunti privi di senso, come scritti da una persona che cercava di non dimenticare degli avvenimenti. Si versò un abbondante calice di vino bianco fermo e ne bevve un lungo sorso. Si appoggiò allo schienale della sedia, agitò con la mano il bicchiere e osservò le onde prodotte sul liquido. Guardò fuori dalla finestra e vide che stava spuntando la luna piena: “Luna da caccia! Si vede come se fosse giorno” pensò e poi sospirò “Io con le Guardie Francesi…Sarà una bella sfida!” si disse e si chiese se non era persino una sfida troppo grande. Quando era stata convocata per congedarsi dai sovrani le era stato affidato il comando del reggimento di Parigi delle Guardie Francesi, uno dei migliori reparti dell’esercito che, a differenza della Guardia Reale, avevano la responsabilità di sorvegliare l’esterno della reggia di Versailles e aiutavano anche al mantenimento dell’ordine pubblico di Parigi affiancando la polizia. Avevano dei grandi privilegi, tra cui quello di potersi scegliere la posizione sul campo di battaglia, la conduzione dell’assalto dopo l’apertura di una breccia in una città assediata e la prima scelta delle proprie caserme e lei, in qualità di loro colonnello, avrebbe potuto assumere anche il titolo di Maresciallo di Francia. L’altro lato della medaglia era che i soldati e alcuni dei sottufficiali venivano arruolati nei ceti popolari di tutta la Nazione, ma, essendo acquartierati a Versailles, i loro rapporti, nati da matrimoni e conseguenti parentele, li avevano legati in modo indissolubile a Parigi e al suo territorio, nonché al popolo della città. Il suo predecessore aveva stabilito una dura disciplina di tipo prussiano e si vociferava che i soldati fossero alquanto risentiti; poi, come se non bastasse, aveva sentito che gli ufficiali di estrazione aristocratica, che erano la totalità, delegavano tutte le incombenze ai sottufficiali e non avevano alcune interazione con la truppa. Erano cose che doveva risolvere, specie in considerazione del momento particolare che stava vivendo la Francia, con rivolte sempre più numerose e violente contro la Monarchia. Sorrise e prese un’ostrica. Ma alla fine, si disse, il blu pesante della loro uniforme avrebbe fatto risaltare il biondo dei suoi capelli.
Aggrottò la fronte sentendo del trambusto. Piedi che correvano e porte che sbattevano. Si pulì la bocca con il tovagliolo e fece per alzarsi, quando una mano pesante bussò alla porta: – Avanti! – disse Oscar.
Entrò Roland, il marito di Bertha, un uomo basso, calvo e con un ventre prominente: - Perdonate Signor Oscar…Abbiamo cercato di fermare quel pazzo, ma non vuole sentire ragioni –
Oscar si alzò e si avvicinò a lui – Con calma Roland, di chi stai parlando? Chi viene qui di sera? –
L’uomo sospirò – E’ un giovane, potrà avere al massimo venti anni, ma insiste per parlare con voi, Signor Oscar, ha cominciato a bussare come un forsennato! Gli abbiamo detto di andarsene, ma vuole parlare con voi –
Oscar aggrottò la fronte – Sai di chi si tratta? –
L’altro tentennò – Il nome non lo so, ma dice di venire da Sainte-Mère-Eglise, qui a Nord…E…Signor Oscar…Lui dice di conoscervi –
Lei strinse le labbra e uscì dalla stanza seguita da Roland. Uscirono nel cortile della casa a forma di ferro di cavallo e vide Jerome accanto a un ragazzo dai capelli biondi che stringeva il cappello che aveva in mano in modo convulso. Non appena il giovane la vide il suo volto si illuminò – Signor Oscar…Mademoiselle Oscar… -
Lei si avvicinò con la fronte aggrottata e il giovane si inchinò profondamente – Signor Oscar…Io…Voi non mi conoscete, ma forse conoscete mia sorella minore: Anne Moreau –
Oscar sorrise debolmente – Mi dispiace, ma il nome di tua sorella non mi dice nulla – disse e si girò verso Roland. Pensò che fosse scappato di casa e stava per ordinare di sfamarlo e di dargli qualche soldo, quando lui la prese per l’avambraccio. Roland e suo figlio si irrigidirono e si mossero verso il ragazzo, ma Oscar li fermò con un gesto. Deglutì, in altre occasione ci avrebbe pensato André a difenderla, ma lui lì non c’era e doveva vedersela da sola. Mise una mano su quella del ragazzo e sorrise di nuovo – Se vuoi mangiare abbiamo tutto quello che vuoi –
Lui tentennò – Non voglio mangiare! Non so quanto tempo ho prima che mi raggiungano e devo assolutamente…Devo…Parlare con voi Signor Oscar…Anne mi ha detto che voi siete una persona importante alla reggia di Versailles –
Lei strinse le labbra e annuì – Lo sono…Lo ero…Come ti chiami? –
Il ragazzo sospirò – Il mio nome è Pierre…Pierre Moreau, Signor Oscar –
Oscar sospirò, guardò gli altri uomini e annuì. Indicò a Pierre la porta della casa – Andiamo nel mio studio –
Roland si avvicinò – Signor Oscar…Permettetemi di venire con voi –
Lei gli mise una mano sulla spalla – Io sono un soldato, Roland, non dimenticarlo e posso benissimo gestire questo ragazzo – disse solo e poi entrò con Pierre.
Il giovane si mise seduto sulla punta del sedile di fronte alla scrivania. Oscar si accomodò sulla poltrona dell’altro lato, chiuse il libretto nero e sorrise di nuovo – Dunque dimmi, Pierre Moreau, fratello di Anne, perché sei venuto qui? –
Lui deglutì – Io…Io non so davvero da dove cominciare…Ma…Ecco… - disse e mise una mano nella giacca del vestito. Lei, istintivamente, allungò la mano verso il pugnale che usava come tagliacarte, ma si rilassò vedendo che Pierre aveva in mano un piccolo sacchetto grigio. Il giovane aprì l’involucro sulla scrivania e apparve una pietra rossa, un grosso gioiello.
Oscar rimase interdetta e avvicinò lo sguardo: era un grande rubino, di un rosso brillante, anche se all’interno della struttura si potevano vedere delle linee bianche, ma non casuali, come se fossero dei disegni. Guardò Pierre – Dove lo hai trovato? –
Lui sospirò – Anne, mia sorella…E’ stata a servizio a Parigi presso una famiglia nobile fino all’anno scorso, Signore…Era stata nel vostro palazzo –
Oscar inarcò le sopracciglia, non aveva mai fatto troppo caso alla servitù di palazzo Jarjayes, dopotutto era Marie, in qualità di Governante, che si occupava delle assunzioni e degli alloggi; sapeva che c’era un grande via vai di ragazze che passavano da un servizio ad un altro, alcune addirittura si sposavano in città. Ce n’era una sola che gli era rimasta impressa: una certa Louise, una donna dai capelli rossi come fiamme che sbucavano anche al di fuori della cuffia da cameriera che, chissà perché, attirava le simpatie di André. Li aveva sentiti ogni tanto ridere assieme nella cucina e, stranamente, lei aveva provato la terribile sensazione di venire sbudellata da una lama. Ma poi Louise si era sposata e si era trasferita a Beauvais, a Nord di Parigi e André aveva continuato a vivere lo stesso. Scacciò quel pensiero dalla testa e indicò la pietra – E quindi? Mi stai dicendo che questo gioiello viene da palazzo Jarjayes? – disse intuendo quello che il giovane stava per dire.
Lui annuì – Io…Anne mi ha raccontato quello che è successo…E’ stato l’anno scorso, quando voi siete tornata da un posto chiamato Saverne –
Oscar aprì la bocca; era avvenuto alla fine dell’avventura del famoso “caso della collana”, quando erano morti Jeanne de Valois e suo marito Nicholas de la Motte. Guardò di nuovo il gioiello, in effetti aveva letto un rapporto che descriveva dettagliatamente la famosa collana al centro del complotto. Ne aveva visto anche una riproduzione in un disegno e al centro c’era un pendaglio con una grande pietra rossa. Sbatté le palpebre – E come faceva tua sorella ad avere questo rubino? –
Lui abbassò lo sguardo, come in preda alla vergogna – Ecco…Signor Oscar…Anne ha detto che, quando siete tornata, vi siete tolta la giacca e poi siete stata accompagnata dalla vostra Governante a fare un bagno caldo…Mia sorella ha preso la vostra giacca e l’ha agitata perché era impolverata e ha notato che qualcosa era volato via, cadendo a terra e rotolando sotto il letto –
Oscar aggrottò la fronte – Vuoi dire…Che questa pietra era nella mia uniforme? –
Lui deglutì – Io…E’ quello che ha detto mia sorella Anne…Ha preso la pietra ed è andata a dormire…Se qualcuno avesse parlato del gioiello le lo avrebbe immediatamente restituito…Così ha detto…Ma quando si è svegliata ha ricominciato a lavorare e nessuno è venuto a chiederle nulla…Ha preso congedo dalla Governante ed è tornata alla nostra casa, a Sainte-Mère-Eglise. Noi siamo orfani, i nostri genitori sono morti molti anni fa e ci siamo sempre aiutati. Io lavoro nei campi, ma so leggere, anche se non bene e so scrivere il mio nome…Anne ha deciso di aumentare le nostre rendite andando a servizio a palazzo Jarjayes…Era felice di andare a Versailles, di vedere Parigi e di alloggiare nel…Nel vostro palazzo, Signor Oscar –
Oscar strinse le labbra – Ma ha deciso che il gioiello era una rendita più che sufficiente per tutti e due –
Lui abbassò lo sguardo – L’idea era quella…Non lo nego…Abbiamo avuto paura…Non siamo mai stati dei criminali, mi deve credere Signor Oscar…Anne si è subito pentita di quello che aveva fatto, ma aveva troppa vergogna di tornare da voi e ha messo la pietra in una scatola e la scatola in una nicchia del pavimento, al sicuro…Così credevamo…Poi mia sorella ha cominciato a sentirsi male…Ha cominciato a tossire sangue e a perdere molto peso –
Oscar strinse le labbra – La tisi! Tua sorella si è ammalata di tubercolosi – disse e provò una strana pesantezza al petto. Lui annuì    - Conoscevamo quella malattia…Si è portata via nostro padre e poi nostra madre…Ma volevo che lei fosse curata al meglio e allora ho deciso di approfittare di quella pietra, l’ho presa dal suo nascondiglio e ho cercato di venderla –
Lei strinse i pugni, non si poteva certo vendere un gioiello di quelle dimensioni a chiunque senza possedere agganci e conoscenze nel mondo criminale e cominciava a capire il motivo della visita di quel giovane – Come sta tua sorella? – chiese improvvisamente.
Lui si passò una mano sotto il naso – E’…E’ morta, Signor Oscar, ma non di malattia. Avevo cercato dei compratori per la pietra, fino a Saint-Lo…Una notte mi accorsi che qualcuno mi stava seguendo, dapprima credetti a un errore, ma poi li vidi: erano uomini con delle lunghe cappe nere…Sono tornato a casa, ma ho trovato il corpo di Anne nel pavimento, con una ferita profonda al petto, l’avevano torturata e uccisa sicuramente per farle dire dov’era la pietra – disse e si fermò un attimo grattandosi gli occhi lucidi con il polso – Ho avuto solo il tempo di seppellirla accanto ai nostri genitori…Mi aveva detto che la vostra famiglia ha una casa qui e sono venuto…Non speravo proprio di incontrarvi, ma solo di vedere qualche dipendente dei de Jarjayes a cui dare quel maledetto gioiello che ha portato tanta sfortuna alla mia famiglia –
Oscar aprì la bocca, ma non disse nulla. Quanta ingenuità che c’era in quel ragazzo, si disse e poi aggrottò la fronte – Un momento…Hai detto che degli uomini vestiti di nero ti hanno inseguito…Che hanno ucciso tua sorella…Ma quindi…Potrebbero averti seguito anche qui –
Lui rimase a bocca aperta – Io…Io sono stato attento, Signor Oscar… Vi assicuro che… - disse, ma fu interrotto da un rumore sordo che proveniva da fuori la porta. Pierre fece per alzarsi, ma Oscar lo fermò con un gesto della mano, si portò l’indice alle labbra per dirgli di fare silenzio e prese la pietra rossa mettendosela in tasca. Afferrò il pugnale e andò vicino alla porta dello studio. Fece cenno a Pierre di abbassarsi accanto alla scrivania e lui eseguì tremando come una foglia.
Sentì dei passi pesanti nel corridoio e poi, improvvisamente, la porta si spalancò. Entrò una figura vestita di nero con una sciarpa tirata su fino agli occhi. Si guardò attorno e vide, a terra, il ragazzo. Oscar balzò su di lui e gli puntò la lama alla gola – Adesso dimmi chi sei e cosa vuoi qui! –
L’uomo emise un grugnito e prese il braccio di Oscar girando su sé stesso. Lei rimase per un attimo sorpresa, ma cercò di colpirlo. Lui bloccò ancora il suo braccio e la spinse contro il muro. In quel momento arrivarono altri due uomini che rimasero di sasso nel vedere Oscar e l’altro che lottavano. L’uomo che teneva le braccia della padrona di casa emise un ringhio – Che aspettate! Prendete quel ragazzo! – disse e avvicinò il suo volto a quello di lei.
Oscar cercava di liberarsi, ma la presa di quell’uomo era come una morsa. Poteva vedere il colore verde dei suoi occhi e la sua bocca, anche se nascosta dalla sciarpa, piegarsi in un sorriso maligno. Digrignò i denti e pensò di chiamare André, ma si rese conto, di nuovo, che lui non era lì. Doveva necessariamente cavarsela da sola, come un vero uomo, come un soldato. – Come un          soldato! – disse piano. Fece ruotare l’elsa del pugnale con le dita della mano e, con la lama, fece una ferita sulla mano dell’uomo che lanciò un grido e si ritirò. Oscar si gettò subito contro gli altri due che, intanto, avevano già preso per le braccia Pierre e lo stavano alzando. Uno di loro la fronteggiò, ma venne ferito al braccio. L’altro si mise di fronte a lei e il ragazzo, veloce come il vento, fuggì dalla stanza.
Uno degli uomini tirò fuori una pistola dalle pieghe dell’abito, ma quello con gli occhi verdi e che aveva lottato con Oscar lo bloccò – No! Non lei! Prendete quel ragazzo, svelti! – disse e gli altri obbedirono correndo fuori. Oscar si fermò un attimo – Chi siete voi! –
L’uomo con gli occhi verdi piegò leggermente la testa – Non è affare tuo comandante! Vuoi un consiglio? Dimentica subito questa storia – disse e fece qualche passo all’indietro, poi si girò e si dileguò nel corridoio. Ma l’uomo, che evidentemente conosceva la sua fama, non la conosceva di persona, perché altrimenti avrebbe saputo che Oscar non si sarebbe di certo fermata. Si gettò all’inseguimento e poi si fermò di colpo sentendo il rumore di uno sparo. Si sentì persa per un attimo, ma poi riprese a correre e uscì nel cortile della villa. C’erano molti uomini con delle torce in mano, in cerchio attorno ad un punto e guardavano a terra. I contadini dei dintorni erano arrivati, probabilmente chiamati in aiuto da Jerome. Roland la vide e si portò le mani al petto, aveva un vistoso ematoma sulla fronte, il segno evidente che anche lui aveva lottato. L’uomo piegò le labbra – Signor Oscar…Sono lieto che stiate bene…Io e la mia vecchia Bertha abbiamo provato a fermare quella gente, ma…Quei delinquenti sono fuggiti e mio figlio è corso a chiamare aiuto…Abbiamo sentito lo sparo…Io… - disse e abbassò lo sguardo.
Oscar deglutì e si avvicinò al punto in cui gli uomini si erano raccolti, loro gli fecero spazio e lei vide, steso a terra, il giovane Pierre. Dal foro nel petto stava sgorgando sangue, i suoi occhi erano spalancati verso il cielo e guardavano vuoti la luna e le stelle. Oscar si sentì sfinita, quel ragazzo era venuto da lei a chiedere protezione e invece aveva trovato la morte. Mise un ginocchio a terra, allungò una mano sul viso del giovane e gli chiuse gli occhi – Mi dispiace…Mi dispiace tante per te e tua    sorella – disse e si rialzò. Guardò il cielo terzo e la luna piena che brillava illuminando il cortile a giorno. La luna…Oscar sbattè le palpebre e toccò la tasca nella quale aveva riposto la pietra rossa. Pierre le aveva detto che esponendo il gioiello alla luce della luna piena esso rivelava il suo segreto. Deglutì e guardò Roland – Fate in modo che il corpo del ragazzo sia composto in modo decente…Io…Io devo vedere cosa mi hanno distrutto nello studio –
Roland chinò il capo – Si…Signor Oscar –
Oscar rientrò velocemente nello studio, chiuse la porta a chiave e i battenti delle finestre che davano sul cortile. Si portò all’unica finestra che dava sulla campagna circostante e dalla quale si vedeva bene la luna piena. Sospirò, prese la pietra dalla tasca, per un attimo ne guardò i riflessi rossi e poi la sollevò tenendola tra il pollice e l’indice della mano destra e la mise davanti alla luna. Per un attimo si sentì ridicola, visto che non accadeva nulla, ma poi, improvvisamente, la pietra cominciò a brillare, dapprima lentamente e poi sempre di più finché tutto lo studio fu illuminato. Oscar si sposò di lato e si fece ombra agli occhi con la mano sulla fronte. Dal gioiello emerse un unico e forte raggio che andò sul pavimento e lei, sorridendo, vide finalmente il suo segreto.
 
Il giorno dopo il Borgomastro di Sainte-Marie-Du-Mont, dalla quale dipendeva la località di La Madeleine, arrivò alla villa dei de Jarjayes per presentarsi a Oscar. L’uomo era piccolo e rotondo, con la testa pelata che grondava sudore mentre parlava con la padrona di casa. Oscar sorrise ascoltando le rassicurazioni del borgomastro sul fatto che erano state avvertite le massime autorità della zona e che i delinquenti sarebbero stati presto catturati.
Lei dubitava che quelli fossero semplici ladri, sapevano cosa e chi cercare, erano arrivati e se ne erano andati senza alcuna traccia. Di un’altra cosa era sicura: l’uomo con cui aveva lottato, quello con gli occhi verdi, aveva parlato in un francese fluente, ma su certe parole e su alcune espressioni aveva tradito l’accento della sua lingua madre, che era sicuramente l’inglese. Sospirò e mise una mano sulla spalla dell’uomo – Vi ringrazio Borgomastro, ho lasciato disposizione al custode della casa, il buon Roland, di pagare a nome della famiglia de Jarjayes le esequie per il giovane morto qui. Inoltre voglio che il corpo venga riportato a Sainte-Mère-Eglise e che sia seppellito accanto a sua sorella Anne Moreau e ai suoi genitori…Ovviamente tutto a spese della mia famiglia –
Il Borgomastro si passò, per l’ennesima volta, il fazzoletto sulla testa pelata – Come desiderate Madame…Signor Oscar…Quando…Quando tornerete a Parigi spero che vogliate dire al generale vostro padre che non lasceremo impunito questo delitto –
Lei strinse le labbra – Senza alcun dubbio! – disse e in quel momento si avvicinò Roland – Signor Oscar…La carrozza è pronta –
Lei annuì – Bene! E’ il momento di tornare a casa…Vogliate perdonarmi Borgomastro –
L’uomo si profuse in altri inchini, ma lei lo lasciò e andò alla carrozza che Roland e suo figlio avevano tirato fuori dalla rimessa della villa. Era una vecchia vettura, lasciata lì solo ed esclusivamente nel caso in cui i padroni di casa non avrebbero potuto cavalcare ed era anche di dimensioni modeste rispetto a quelle di palazzo Jarjayes. La vernice era scrostata in più punti, ma Oscar sorrise nel vedere che Roland aveva fatto quello che lei aveva chiesto: lo stemma della famiglia Jarjayes, in rilievo sulle portiere, brillava lucido alla luce del sole.
Roland congiunse le mani – Abbiamo fatto quello che avete detto, Signor Oscar, ma siete sicura di usare questa vecchia carrozza? Dentro è sporca e i sedili sono rovinati…E credo che anche le sospensioni siano da cambiare…Se ci aveste lasciato più tempo avremmo anche potuto sistemarla meglio…Non capisco perché ci avete detto di lucidare solo le portiere –
Oscar si piegò e accarezzò lo stemma sulla portiera. Si rialzò e sorrise – Oh…No Roland…Va bene così…Adesso usciamo e facciamo in modo che tutti ci vedano passare –
 
Da un’altura una figura in vesti nere abbassò un lungo cannocchiale. L’uomo dagli occhi verdi che aveva lottato con Oscar si passò una mano sotto il mento pensieroso. In quel momento arrivò un altro uomo ansimando – Il colonnello de Jarjayes sta tornando a Parigi. La sua carrozza ha lasciato la casa e si sta dirigendo a Sud –
L’altro annuì – Lo vedo – disse e indicò la carrozza lontana – Una vecchia vettura sulla quale brilla lo stemma del casato dei de Jarjayes –
L’uomo al suo fianco aggrottò la fronte – Dobbiamo seguirli? Ci prepariamo per andare a Parigi? Lo sai che sarà tutto più difficile laggiù…Hai capito quello che ho detto Nesby? –
Nesby socchiuse gli occhi – Forse…O forse no…Guarda laggiù – disse e indicò un punto dalla parte opposta porgendogli in cannocchiale.
L’altro si portò lo strumento all’occhio destro e guardò – E cosa c’è? Vedo solo un contadino intabarrato con un vecchio mantello e un cappellaccio a tesa larga che porta un carretto trainato da un asino decrepito…Cosa intendi dire? –
Nesby sospirò – Dorian…Dorian…Guarda bene i suoi abiti…Cosa indossa ai piedi quel contadino? –
Dorian aggrottò la fronte e poi capì – Ma…Non sono gli squallidi zoccoli di un contadino francese…Sono stivali…Stivali da cavalleria e di ottima fattura per di più –
Nesby sorrise – Esatto…Astuta! Ha lasciato partire una carrozza con lo stemma della sua famiglia e lei va da un’altra parte…Ma la sai la cosa più divertente? Viene proprio in braccio a noi –
Dorian lo guardò perplesso e Nesby sbuffò – Oh! Andiamo…A Sud c’è la Francia e Parigi…Ma a Nord… -
L’altro sbatté le palpebre, poi capì – A Nord non c’è nulla…Il mare…E l’Inghilterra – disse e poi comprese. Nesby annuì sorridendo  - L’Inghilterra…Quella donna sta venendo proprio da noi e ci sta portando la pietra a domicilio –
Dorian aggrottò la fronte – E come facciamo a sapere dove sbarcherà? Qualcuno dovrebbe seguirla passo a passo –
L’altro tentennò – Non serve…La guerra è finita da quattro anni, ma la situazione tra Francia e Inghilterra non è mai migliorata…L’unico porto attrezzato qui in Normandia è Cherbourg a Nord e le navi francesi, ora come ora, possono attraccare in un solo porto inglese: Plymouth (n.d.a.: le ostilità a cui si riferisce Nesby sono quelle della Guerra di Indipendenza Americana, iniziata nel 1777 per la Francia con l’invio di un corpo di spedizione terrestre e navale di appoggio alle truppe continentali di Washington e terminate, nel continente americano, con la caduta della roccaforte inglese di Yorktown nel 1781. Le battaglie continuarono in mare con la flotta francese, affiancata da quella spagnola, impegnata a contrastare la Royal Navy e si conclusero formalmente nel 1783 con la firma del Trattato di Parigi). Quella donna è importante, qui e ha amici influenti, a cominciare dalla Regina Maria Antonietta. Aspettiamo che sia in territorio inglese…E poi prendiamo quella pietra! – disse passando la mano destra sulla cicatrice di una ferita di pugnale della mano sinistra.

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Capitolo 3
*** IL CASTELLO DELLA STREGA ***


Costa settentrionale della Cornovaglia – Tintagel (Britannia) VI secolo d. C. circa
La Duchessa di Cornovaglia alzò la testa, disturbata dal verso dei gabbiani. Si era assopita sullo scranno dietro al massiccio tavolo sul quale erano appoggiate le mappe della costa. Sospirò e si piegò di nuovo sui documenti, ma poi si alzò per sgranchirsi le gambe e si mise di fronte alla finestra che dava sul grigio mare. Mise le mani dietro la schiena e inspirò profondamente l’aria salmastra con le narici. Guardò in basso e vide il promontorio e, più in basso ancora, l’ingresso della grotta nella quale si trovava il manufatto dell’Antico Popolo: una colonna in pietra con soprastante una vasca semisferica rozzamente intagliata che incanalava i poteri delle correnti terrestri. Una era lì e l’altra era ad Avalon, con le sue sorelle Viviana e Morgause.
L’entrata della grotta si vedeva completamente, segno che c’era la bassa marea. Guardò di nuovo il mare e sospirò. Il tempo passava e la Britannia non aveva ancora un Re. Cosa mai doveva fare lei, la Fata Morgana? Doveva raggiungere Londinium e unirsi agli altri re e nobili per eleggere un nuovo Sovrano? Avrebbero di sicuro tentato di ucciderla. Erano in molti a ritenerla, a torto, la vera madre del traditore Mordred e una delle fautrici della caduta di Artù. Doveva rivendicare il suo ruolo di Regina guerriera, come nei tempi antichi? Come le aveva in parte suggerito Ginevra? Era un eccellente guerriero, lo sapeva, ma sapeva anche che i nobili di Britannia, per la maggior parte cristiani, non avrebbero mai appoggiato una donna; loro, come i romani, guardavano solo alla discendenza maschile. E poi c’era sicuramente quel Marco, che si proclamava Duca di Cornovaglia senza alcun titolo, che aveva ucciso il suo stesso figlio per aver amato la sua moglie irlandese, figlia di un grande capoclan e ammazzando pure lei. Morgana si disse che la legge romana pure permetteva quelle cose, ma così facendo quello sciocco aveva attirato contro la Britannia anche le tribù irlandesi, come se non bastassero le orde sassoni.
Guardò ancora verso Nord e strinse le dita a pugno. Ma il problema più grande era appena arrivato o, meglio, era tornato. Molti villaggi costieri del Galles, che la consideravano ancora come loro Regina, avevano inviato dei messaggeri: dall’Isola di Man, al promontorio di Trearddur e persino più a Sud, a Uwchmynydd, erano state avvistate le navi-drago.
Erano navi possenti e sulla prua avevano una polena alta e lunga che terminava con una testa di drago. Non si sapeva bene chi manovrasse quelle imbarcazioni, ma non erano sassoni dato che persino loro li temevano. Britanni e sassoni erano brutali in battaglia, ma il popolo delle navi-drago, chiamato degli uomini-drago, era profondamente diverso. Assalivano i villaggi sulla costa solo di notte e il loro arrivo era preannunciato dal rullo incessante e tremendo dei tamburi che davano il ritmo ai vogatori. Quando sbarcavano non iniziavano a urlare sguaiatamente, ma si mettevano in formazione serrata, spalla a spalla, stretti nelle loro armature, protetti dai loro grandi scudi, dai loro elmi cornuti e brandendo enormi spade. E avanzavano…Senza timore e senza pietà. I villaggi del Galles che erano stati assaliti dagli uomini-drago erano stati semplicemente spazzati via e i loro abitanti, indipendentemente dal sesso e dall’età, uccisi. I pochi soldati che avevano avuto il coraggio di fronteggiarli erano stati sbaragliati in poco tempo, ma la cosa più inquietante era che non c’era mai nessun loro caduto sul campo di battaglia.
Morgana sapeva che, probabilmente, i loro comandanti avevano dato l’ordine di recuperare i morti per seppellirli in mare, com’era loro usanza e per dare l’impressione di essere invincibili. E con il popolo ci stavano riuscendo bene. Ricordava, quando era poco più di una bambina, quando suo padre, Gorlois, era rientrato a Tintagel dicendo di averli solo visti da lontano e non aver mai visto nulla di così spaventoso. E ricordava bene anche la faccia pallida e impaurita del Duca.
Si vociferava che venissero da una terra del lontano Nord, oltre l’Irlanda e il mare grigio, una terra scossa da vulcani e terremoti, un mondo di ghiaccio e fuoco che solo loro osavano abitare e, per i Britanni era proprio l’Isola del Ghiaccio e del Fuoco, per i sassoni era Thule, come il nome di una loro terra mitica. La loro presenza così a Sud stava ad indicare una sola cosa: volevano sedersi al tavolo e banchettare con il cadavere della Britannia.
Morgana si spostò dalla finestra e andò alla porta. Combattere i sassoni era una cosa, ma quei demoni erano tutt’altro. Era da giorni che le tornava in mente quanto detto da Ginevra: una potente arma esisteva in Britannia e, se mai fosse servita, sarebbe stato quello il momento opportuno. Non aveva dato molto perso alle parole della vecchia Grande Regina, quello che le aveva detto Merlino poteva essere frutto della pazzia di quell’uomo. Ma se fosse stato vero, tutto dipendeva da una pietra rossa che si trovava sul pomolo dell’elsa di Excalibur, la spada di suo fratello. Era sicura di non averla vista ad Avalon. Che l’avesse presa la donna cavaliere, Lady Oscar, oppure il suo André? Non sembrava possibile anche solo a pensarlo. Si sistemò la spada al fianco, aprì la porta, percorse un piccolo corridoio e poi uscì su una scala di pietra.
Il verso dei gabbiani fu sostituito dal rumore delle spade. Guardò verso il basso e vide i soldati che addestravano Nimue, la ragazza che era venuta con lei da Avalon. La giovane teneva la spada con due mani e lanciava fendenti a casaccio, evitati facilmente dei suoi istruttori e, inevitabilmente, cadeva a terra gemendo.
Morgana inarcò le sopracciglia, scese lentamente e poi percorse il cortile incrociando le mani dietro la schiena. I soldati si accorsero della Duchessa e si irrigidirono inchinandosi profondamente. Morgana si fermò davanti a Nimue stesa a terra. La ragazza sollevò la testa vedendo la punta di un nero stivale e provò ad alzarsi lentamente, ma non ci riuscì e si riaccasciò con un verso di dolore. Morgana sospirò e alzò il mento – Il vostro compito è addestrare questa giovane donna…Non ridere di lei… - disse e poi guardò il corpo ai suoi piedi – E il tuo compito, Nimue, è quello di imparare, anche da chi ride di te…I sassoni non si limiteranno a prenderti in giro! Volker! – aggiunse schioccando le dita.
Il vecchio ciambellano di Tintagel si avvicinò e si pulì la bocca, contornata da una barba incolta, con l’avambraccio – Vostra   Grazia – disse inchinandosi.
Morgana strinse le labbra – Seguimi! Voglio andare alla grotta! E vieni anche tu Nimue – disse e si avviò verso una porticina laterale nelle mura della corte.
Volker sospirò, ogni volta che Sua Grazia Lady Morgana andava in quella grotta ne usciva furiosa o con balzane idee per la testa. Come quella di portare quella strana coppia con abiti diversi dai loro per raggiungere Avalon e ringraziò gli dei che non c’era sua sorella Morgause a spalleggiarla. Aiutò Nimue a rialzarsi e seguirono la Duchessa.
Seguirono l’impervio sentiero che portava alla spiaggia di Tintagel. Morgana sorrise debolmente ricordando quando, da piccole, lei e Morgause correvano spensierate sulla sabbia nera. Si, sua sorella gli mancava. Gli mancava la sua voce chiara, la sua bellezza abbagliante e la sua compagnia, ma lei era con l’altra loro sorella Viviana e vegliavano su loro fratello Artù, il solo e unico Grande Re della Britannia che riposava ad Avalon. E, ad essere sinceri, gli mancava anche Oscar. Era l’unica persona che gli aveva tenuto testa e l’unica con cui aveva condiviso la mente. Aveva provato un dispiacere profondo quando aveva rimandato lei e sir André, cavaliere di Avalon, di nuovo nel loro tempo cancellandogli la memoria. Avevano scoperto di amarsi e il loro sentimento sembrava così puro e sincero che aveva riacceso persino il suo cuore. Sospirò, alzò l’avambraccio e Volker e Nimue di fermarono mentre lei entrò nella grotta. Fece qualche passo e arrivò alla colonna con la vasca, illuminata da un raggio di luce proveniente dal soffitto. Appoggiò le mani ai lati della semisfera contenente l’acqua e poi chiuse gli occhi. Sarebbe stato più efficace se sua sorella fosse stata con lei: il sangue del suo sangue aiutava quel tipo di incantesimi.
Pensò intensamente alla pietra rossa di cui gli aveva raccontato Ginevra, all’arma che avrebbe potuto sconfiggere gli uomini-drago rimandandoli nella loro terra di ghiaccio e fuoco. Poi, improvvisamente, aprì gli occhi e guardò il liquido: qualcosa stava apparendo, erano le fattezze di un volto umano, con dei lunghi capelli di un colore giallo oro. Morgana si abbassò, strabuzzò gli occhi e riconobbe quel viso: capelli biondi, un bel volto ovale, occhi azzurri come cielo. Forse aveva qualche anno in più di quando l’aveva conosciuta, ma era inequivocabilmente Oscar de Jarjayes. Le sue labbra si piegarono in una smorfia: dunque la pietra esisteva veramente ed era lei ad averla! Strinse la presa sulla vasca e sentì il suo corpo fremere di rabbia. Quella donna…Quella che lei aveva considerato anche un’amica…Il cui scudiero lei stessa aveva consacrato cavaliere della Britannia e di Avalon…Lei aveva la pietra, sicuramente rubata dall’elsa di Excalibur quando aveva trovato la spada nelle mani morte di Lancillotto. Faticò a trattenere il furore e si sentì tremendamente tradita e triste. Aprì la bocca e lanciò un urlo disumano che riecheggiò tra le pareti della grotta.
 
Nimue, accanto a Volker, aggrottò la fronte – Cosa…E’ un urlo questo? Cosa sta facendo Sua Grazia? Sta invocando gli dei? –
L’uomo sospirò e strinse le labbra – No…Direi che sta…Imprecando…Contro gli dei –
Improvvisamente videro uscire dalla grotta una figura nera con una spada sguainata nella mano. Morgana agitò l’arma verso l’alto e diede dei fendenti all’aria – Quella vipera! Quella traditrice! Quella…Maledetta gallica ingrata! – gridò e conficcò la punta della spada nella sabbia scura, poi si accasciò spossata e guardò il mare.
Nimue e Volker si guardarono di nuovo. La ragazza sospirò e si mosse in avanti verso la Duchessa di Cornovaglia. Si mise di fianco e lei e appoggiò un ginocchio a terra: – Mia Signora… - disse piano.
Morgana tirò su con il naso e sospirò – Mi ha tradito… -
L’altra aggrottò la fronte e Morgana sorrise tristemente – Lady Oscar…Oh! Ha salvato Avalon…Ma ha portato via l’unica arma che avevamo contro gli uomini-drago –
Nimue si sedette a gambe incrociate – Ne siete certa, Mia Signora? Non ho conosciuto bene quella donna, ma non mi è mai sembrata il tipo del ladro –
La Duchessa la guardò e sospirò – Ti stupiresti di quanto può essere avido l’animo umano! –
La ragazza annuì – Come è possibile che il bacile vi abbia mostrato quella donna e non dove si trova adesso la Pietra? –
L’altra sospirò – Non…Non lo so…La magia non è mai una scienza esatta…Forse gli Antichi vogliono che io mi vendichi di quella donna…Non lo so…Ma quello che so è che è in mano sua nella sua epoca –
Nimue socchiuse gli occhi – Ma voi riprenderete quell’oggetto…Non è vero, Vostra Grazia? –
Morgana aggrottò la fronte, ma la ragazza sorrise – Voi potete riportare qui quella donna –
Morgana abbassò la testa, quasi con vergogna – L’incantesimo per portare qui lei e il suo…Il suo André, mi ha debilitato più di quello che credessi, così come l’averli riportati indietro…La sacra terra di Avalon mi ha aiutato e mi ha sanato, ma mi sono indebolita troppo…E poi non ci sono le mie sorelle ad aiutarmi –
Nimue socchiuse gli occhi – Quando abbiamo lasciato Avalon e le vostre sorelle, Mia Signora, voi avete carpito da Merlino il segreto di viaggiare attraverso le nebbie, nel tempo e nello spazio…Siete l’unica, in tutta la Britannia, che può farlo –
L’altra la guardò, in effetti era vero e si diede della sciocca per non averci pensato. Sospirò di nuovo e si alzò, seguita dalla ragazza – Io verrò con voi! – disse quest’ultima con entusiasmo.
Morgana si avvicinò alla sua spada, la estrasse dalla sabbia e pulì la lama – No! E’ una cosa che posso…E devo…Fare solo io – disse e rinfoderò l’arma. Guardò il mare scuro: andare in una terra sconosciuta, in un tempo sconosciuto, per cercare quella donna maledetta che l’aveva tradita. Ce l’avrebbe fatta? Era una dura prova, lo sapeva e pensò che, forse, avrebbe dovuto lasciare quel popolo che l’aveva sempre odiata al suo destino con gli uomini-drago. Alzò la testa e si girò a guardare il castello: roccia scavata a strapiombo sul mare. “Degno di una strega” pensò, eppure era l’unico posto che aveva chiamato casa. Abbassò lo sguardo sulla sabbia “Artù! Fratello mio! Tu cosa faresti? Ti metteresti in sella al tuo cavallo verso un mondo sconosciuto per amore di questo popolo balordo…Un amore che non sarà mai ricambiato?” pensò, ma in cuor suo sapeva già la risposta. E sapeva cosa doveva fare.
Improvvisamente sentì una presenza al suo fianco e vide con la coda dell’occhio una figura dai lunghi capelli biondi: - Oscar! – chiamò con un filo di voce, ma di fronte a lei c’era solo Nimue. La ragazza aggrottò la fronte – Mia Signora? –
Morgana tentennò e si girò per non far vedere il suo volto tirato – Nulla…Nulla di nulla! Adesso andiamo! – disse solo.
 
Inghilterra – 1787 d. C.
L’uomo, corpulento, con baffi spioventi e dei capelli bianchi striati di giallo, si grattò la guancia paffuta, poi puntò il dito sulla persona di fronte a lui: - Quell’accento…Quel modo che avete di arrotare le “r”…Non siete scozzese! Quelli ringhiano quando usano quella lettera. Lo so perché mia moglie e mio cognato vengono da Glasgow. Gallese…Forse…O anche Irlandese…Ho indovinato? –
Oscar sorrise debolmente – Quasi – disse solo.
Il viaggio da Cherbourg era stato comodo, in una vecchia nave mercantile che faceva la spola con l’unico porto che accettava navi francesi: Plymouth. Aveva cercato traccia di quel marinaio che aveva conosciuto in una taverna a Carentan, nel 1775, più di dieci anni fa, ma John Bailey non c’era più. Non era morto. Lo conoscevano in molti nel porto inglese e dicevano che era partito con un suo vecchio compagno di avventure, un certo John Silver, detto Long John, un cuoco di Bristol. Silver era un uomo con una gamba sola che metteva paura secondo i marinai, sempre accompagnato da un pappagallo sulla spalla di nome Flint che urlava costantemente con la sua voce gracchiante “Pezzi da otto…Pezzi da otto” ed erano andati a Bristol (n.d.a.: Long Jonn Silver è un personaggio del libro l’Isola del Tesoro e proprio dal porto di Bristol parte la nave che lo porterà, con Jim Hawkins, verso il tesoro del capitano Flint). Oscar aveva iniziato a imparare l’inglese quando il Conte Fersen era partito per l’America con il corpo di spedizione francese. Lo aveva fatto nella speranza irrazionale di poterlo raggiungere sui campi di battaglia e di lottare fianco a fianco con lui. Ma non aveva imparato solo quella lingua, di cui peraltro tradiva l’accento francese, ma aveva letto ogni informazione, dispaccio o relazione dell’esercito francese sulle unità terrestri inglesi, sulle loro formazioni preferite sui campi di battaglia, sulle unità d’élite e su quelle meno organizzate. Secondo suo padre era una perdita di tempo, così come imparare quel loro idioma cacofonico (n.d.a.: per tutto il medioevo la lingua universale fu il latino; dal rinascimento lo divenne il francese, lingua madre di Oscar; l’inglese diventò linguaggio franco solo dopo il 1945).
L’uomo baffuto sorrise e accarezzò il cavallo baio che aveva appena venduto a Oscar per un prezzo giusto. Lei montò in sella con un abile gesto e lui fischiò di ammirazione – Che mi venga un colpo! Ho visto montare così in groppa solo i cavalleggeri dell’esercito –
Oscar sorrise di nuovo – Mi piace cavalcare! Dove avete detto che si trova Tintagel? –
L’uomo sospirò e indicò un punto in fondo alla strada – Seguite questa…Fino al Nord…E poi fermatevi quando trovate il mare…Oppure chiedete in qualche locanda…Perdonatemi, ma cosa ci andate a fare laggiù? Non c’è nulla di nulla –
Lei strinse le labbra – E’ vero che c’è il castello di una strega? –
Lui annuì – Si! C’era una strega…Così dicono le leggende…E anche una di quelle cattive per di più! Siete uno di quelli che viaggiano per il mondo in cerca di emozioni? E poi dubito che laggiù parlino un’altra lingua che non il loro dialetto, quello che chiamano cornico –
Oscar inspirò a fondo e strinse le redini, poi sorrise – Mi piace l’avventura…Good Morning, sir – disse e schiacciò delicatamente i talloni sui fianchi del cavallo facendolo muovere.
 
Dal fondo della strada una figura nera osservò Oscar avanzare con il suo nuovo cavallo. Nesby sospirò, avevano seguito quella strana donna fino a Cherbourg, si erano imbarcati con lei e, una volta in Inghilterra, avrebbero dovuto ucciderla per prenderle la pietra. Stavano organizzando la cosa quando un emissario di Lord Baxter, un colonnello dell’esercito, si era presentato nell’edificio in cui si stavano riunendo ordinandogli di non fare nulla. Il Governo inglese aveva fatto sorvegliare Oscar da più tempo di loro: quando aveva lasciato la Guardia Reale e si era ritirata in Normandia le spie inglesi l’avevano seguita e sorvegliata. Dopo il loro inutile attacco alla sua villa, la sua finta partenza non aveva ingannato nemmeno gli agenti reali ed erano arrivati tutti lì.
Gli ordini erano chiari: seguire e non interferire. E nel frattempo Lord Baxter li avrebbe raggiunti e avrebbe messo fine a quella commedia una volta per tutte. Nesby diede un’ultimo sguardo a Oscar che si allontanava, si grattò la mano sinistra e raggiunse i suoi uomini.
 
Oscar lasciò il cavallo al passo fino ai confini di Plymouth, poi passò al trotto e al galoppo attraverso la campagna inglese. Lasciò che i suoi lunghi capelli biondi si muovessero al vento seguendo il movimento dell’animale e chiuse per un attimo gli occhi. Sapeva di essere seguita. Aveva provato e depistare i suoi nemici, ma sapeva che almeno un gruppo di persone era dietro di lei dalla Normandia. Doveva essere cauta, ma quello già lo sapeva. Se non altro perché si stava muovendo in un paese straniero e, per di più, nemico della Francia. La guerra era finita nel 1783, ma, ancora dopo quattro anni, l’Inghilterra e Re Giorgio III in persona avevano giurato vendetta contro la Francia che aveva osato aiutare i coloni americani a conquistare la loro indipendenza.
Li aveva conosciuti quei coloni e uno in particolare gli era rimasto impresso, il rappresentante diplomatico della nuova nazione, Thomas Jefferson, a cui brillavano gli occhi di commozione quando parlava di quello che stava accadendo al di là dell’Oceano e della nuova Costituzione che stava nascendo (n.d.a.: Thomas Jefferson, III Presidente degli Stati Uniti d’America, fu rappresentante diplomatico in Francia – quindi a Versailles – dal 1785 al 1789). Jefferson a Versailles parlava di libertà, di potere del popolo, di diritti e di doveri con un candore che faceva tenerezza, specialmente pensando che lo faceva nel cuore di una delle più assolute monarchie d’Europa.
Quei discorsi piacevano ad André. E lui provava simpatia per tutti coloro che si battevano per i diritti del popolo. E cosa mai era il popolo? Un’entità astratta! Non si era mai sentito che il popolo decideva qualcosa. Certo…Greci e romani ci avevano provato…Ma non era durata poi molto. E cosa voleva questo popolo? Non l’aveva mai capito in verità e, chissà, una volta al comando delle Guardie Francesi, i cui ranghi erano formati da popolani, finalmente avrebbe fatto luce sul mistero. E avrebbe capito anche André. Scosse la testa e tirò le redini nervosamente rallentando l’andamento del cavallo. Il suo amico gli mancava, era inutile negarlo, ma il solo ricordo di quella notte, di quanto si era sentita debole ed umiliata, la rese risoluta come non mai. Piantò i talloni sui fianchi dell’animale che riprese a correre.
Nella tasca interna della giacca portava con sé il suo libretto nero e la pietra rossa. Manca poco meno di un mese alla nuova luna piena e quindi aveva tutto il tempo di visitare il primo dei luoghi il cui nome lei stessa aveva scritto sul volume e di cui ricordava poco e nulla: Tintagel e il suo castello.
 
Il viaggio era stato lungo, ma aveva trovato diverse locande e taverne, quelle che gli inglesi chiamavano pub. Una volta arrivata al villaggio di Tintagel, però, Oscar si era diretta subito verso il mare. Si era immaginata di vedere un vecchio e tetro castello di dura roccia a picco sulla scogliera, ma era rimasta delusa. Della costruzione non era rimasto nulla.
In sella al cavallo passò in rassegna i resti delle mura di fortificazione e del castello vero e proprio. Una volta a terra, legò il cavallo al ramo basso di un albero e avviò lungo un piccolo sentiero sterrato; passò sotto un arco di pietra e arrivò al bordo della scogliera. Guardò verso il basso e vide una spiaggia di sabbia nera e, di lato, l’ingresso di una caverna.
Si sentì un capogiro e dovette sostenersi ad una delle rovine. Sentiva che quella grotta era importante, che era stata importante per lei e per qualcun altro, anche se non sapeva per chi.
La marea era bassa e l’ingresso alla caverna era completamente scoperto, avanzò sulla nera sabbia e, improvvisamente, vide con la coda dell’occhio una figura paludata di nero, con lunghi capelli dello stesso colore e una pelle candida. Si girò di scatto mettendo mano al suo pugnale – Tu! – disse solo, ma non vide nessuno.
Sentì il cuore martellargli il petto, ma si impose di calmarsi. Si girò di nuovo verso la grotta e avanzò, Entrò sentendo un odore di alghe marce e di salsedine. Avanzò per qualche metro e vide una luce filtrare dal soffitto, abbassò lo sguardo, ma vide solo la nuda roccia. Si avvicinò, mise un ginocchio a terra e accarezzò l’area dove cadeva la luce. Aveva la sensazione che lì dovesse esserci qualcosa d’altro. Si guardò attorno, ma non vide nulla.
Uscì sulla spiaggia e si schermò gli occhi con la mano, sentì solo il rumore della risacca e dei gabbiani. Guardò verso l’alto e si immaginò un tetro castello di roccia, sorrise, il perfetto rifugio di una strega, si disse. Guardò di nuovo il mare, grigio e poco mosso. Strinse i pugni e si maledì per aver intrapreso quel viaggio assurdo, inseguita da briganti e chissà da chi altro. Eppure… C’era qualcosa che l’attirava in quella terra nemica, lo sapeva. E sentiva anche che quel posto lo conosceva perché c’era già stata. Ma quando? Ci era stata con Andrè? E chi accidenti era quel fantasma pallido che le tormentava la mente? Piegò la testa e accarezzò la fronte con la mano. Improvvisamente sentì un lento gracchiare e sollevò lo sguardo: vide un corvo volare in alto, verso la cima della scogliera. Sorrise debolmente e si incamminò di nuovo verso l’alto.
 
Oscar aveva sentito dire che la cucina inglese era pessima, come il vino, e, guardando il piatto che aveva davanti, con una poltiglia giallastra di una consistenza quasi gelatinosa, si rese conto che era vero. Sorseggiò un altro sorso di birra scura dal boccale che aveva di fronte e si appoggiò allo schienale della sedia. Il Pub era comunque carino e decoroso, il fuoco dentro il grande camino scoppiettava allegramente e sulla parete, oltre a piatti d’acciaio e tavole di legno, c’era un grande ritratto di Giorgio III che la guardava arcigno.
Quando si era seduta al tavolo si era guardata attorno, aveva visto una combriccola di uomini accanto al bancone che bevevano birra allegramente. Non capiva cosa si stavano dicendo, probabilmente parlavano quel dialetto di cui aveva parlato l’uomo chele aveva venduto il cavallo a Plymouth, ma in ogni caso erano la classica fissa compagnia di allegri ubriaconi che affollavano ogni locale in ogni angolo d’Europa. C’era una coppia a qualche tavolo da lei; indossavano abiti piuttosto costosi, non nobiliari e nemmeno ricchi, ma si vedeva che facevano parte di quella classe media inglese che, come in Francia, si stava facendo sempre più strada tra le pieghe dei vecchi ordini medioevali. Lui era un medico? Un commerciante delle colonie? La donna aveva un volto carino, piuttosto rotondo, il che tradiva la sua condizione agiata. E sorrideva felice. Lui le aveva chiesto di sposarla? Dovevano sposarsi? Socchiuse gli occhi e guardò verso il tavolo in un angolo scuro in cui due uomini in vesti scure mangiavano lentamente senza proferire parola. Erano agenti al servizio della Corona Inglese? Facevano parte di quelli che avevano ucciso il povero Roland in Normandia?
Persa nei suoi pensieri non si era accorta di una mano che gli prendeva il bicchiere vuoto. La guardò e vide che la pelle era rossa. Alzò lo sguardo e sobbalzò vedendo un volto rotondo con gli occhi scuri e allungati, dei tatuaggi sulle guance e la pelle di un rosso quasi scarlatto. La donna strinse le labbra, strinse a sé il bicchiere e se ne andò senza parlare.
Oscar sbatté le palpebre e la seguì con lo sguardo. Sentì dei colpi di tosse e vide il vecchio locandiere che si avvicinava con la pipa in bocca. Era un vecchio mingherlino con una lunga barba bianca e due occhi scuri e vispi. Si sedette e sorrise sistemandosi la pipa: - Mi dispiace per Nak’Atai…Ma non è mai stata di molte parole –
Oscar socchiuse gli occhi – La sua pelle…E’… -
L’uomo annuì – Una pellerossa! Certo! Non so di preciso a quale tribù appartiene. L’ho trovata quando combattevo nelle Americhe tanti anni fa…Era il 1758 o il 1759…Non ricordo bene…I francesi ci avevano preso a calci a Fort Carillon, quello che noi chiamavamo Fort Ticonderoga e un po' di tempo dopo lo abbiamo occupato perché loro si erano ritirati per difendere Quebec e l’Acadia…Tra quello che si sono lasciati indietro c’era una fanciulla indiana, Nak’Atai, per l’appunto – disse e si rigirò la pipa tra le mani per poi rimettersela in bocca – I francesi probabilmente l’hanno lasciata indietro credendola morta, o forse hanno tentato di ucciderla…Forse la usavano per il loro…Divertimento…Ma i suoi occhi erano spaventati a morte e non l’ho mai sentita parlare. Io e mia moglie abbiamo sempre voluto avere una bambina, ma Dio non ci ha mai ascoltato e l’ho tenuta con me fino a quando siamo tornati qui. Quando la mia vecchia Janet è morta lei mi ha aiutato molto in questa locanda –
Oscar strinse le mascelle. Era una menzogna! I soldati francesi non si comportavano in quel modo. I soldati francesi combattevano per l’onore del Re e della Patria, non razziavano e non stupravano bambine e…Ma non vide alcuna bugia negli occhi del vecchio e si limitò a deglutire.
L’uomo sorrise debolmente e appoggiò un gomito sul tavolo – I soldati inglesi hanno fatto lo stesso…Era la guerra e gli indiani, per noi come per i francesi, erano solo dei selvaggi, dico bene, monsieur? –
Oscar aggrottò la fronte e l’uomo aprì la bocca in un sorriso sdentato – Il vostro accento…Sono vecchio, ma ho già sentito quell’accento. Quando accompagnavo i miei superiori nelle ambascerie presso il nemico gli ufficiali francesi che parlavano la mia lingua avevano sempre quella parlata…Quel modo particolare di pronunciare le erre…E voi, quindi, siete francese –
Oscar strinse i pugni sul tavolo e aggrottò la fronte – Io… - cominciò, ma l’uomo fece un gesto con la mano, appoggiò un gomito sulla tavola e si piegò verso di lei – La mia guerra è finita da molto tempo…E della vostra non me ne importa nulla! Ma quelli… - disse e prese la pipa nella mano indicando un punto alle spalle di Oscar.
Lei capì subito che stava indicando i due uomini con le vesti scure. L’uomo sorrise di nuovo – Quelli vi stanno guardando come un gatto che ha intrappolato un grasso e succoso sorcio –
Oscar non si girò e mosse solo gli occhi nella loro direzione. Il vecchio annuì e si rimise la pipa in bocca – Non so cosa facciate qui, monsieur, ma questo è un piccolo villaggio e qualcuno vi ha visto circolare presso le rovine del castello della strega e persino andare alla grotta sul mare, giù alla spiaggia –
Oscar annuì sorridendo – Il castello della strega? Quelle erano le rovine di un castello…Se apparteneva ad una strega non lo so –
Il vecchio scrollò le spalle – Racconti…Leggende…Antiche già quando io ero un neonato. Di un grande re d’Inghilterra nato in quello che un tempo era un grande castello…Di un mago che lo ha allevato e, soprattutto di una strega malvagia e potente –
Lei sentì un brivido lungo la schiena e non disse nulla; lui sospirò – Ma come ho detto non è affare mio…Adesso, però, sarà meglio che andiate a dormire. I vostri amici là dietro si stanno agitando parecchio nel vederci parlare –
Oscar annuì lentamente, si alzò senza girarsi, passò accanto al gruppo dei bevitori e si infilò in una porta che dava sul vano scale per l’accesso al primo piano. Si trovò davanti la donna indiana. Nak’Atai stava pulendo il pavimento e la guardò con i suoi occhi scuri e lunghi. Oscar deglutì, fece un passo di lato, ma poi si bloccò e la guardò negli occhi, si portò una mano allo stomaco e si inchinò – Vi chiedo perdono. A nome della Francia intera. So che è poca cosa, ma non ho altro da offrirvi che la mia costernazione e la mia vergogna per quello che vi è accaduto – disse e rialzò lo sguardo. L’altra strinse le labbra e sospirò, ma si fece di lato.
Oscar fece un altro passo, ma la donna la bloccò con una mano sul braccio. Aggrottò la fronte e l’indiana indicò la stanza dalla quale era arrivata e dalla quale si sentivano dei forti rumori. Oscar deglutì e Nak’Atai indicò un’altra porticina, l’aprì e gli fece cenno di prenderla. Oscar sentì la brezza notturna sul viso e si guardò attorno. La donna indicò un punto alla sua destra e lei capì che le stava mostrando la strada per la stalla in cui si trovava il suo cavallo. Oscar sorrise debolmente e la guardò di nuovo, gli mise una mano sulla spalla – Grazie – disse solo e uscì nella notte scura.
Nak’Ataj strinse le labbra e chiuse la porta che dava sull’esterno. Si girò e andò verso la sala. Aprì la porta e vide gli uomini con le vesti scure in piedi di fonte al vecchio proprietario. Uno di loro calò un pugno sul bancone, facendo trasalire gli altri avventori – Cos’hai detto al francese! Devo ricordarti che sei un suddito di Sua Maestà Re Giorgio III d’Inghilterra? – disse piegandosi verso di lui. L’altro, più alto si mise alla sua sinistra sorridendo – Se tu sapessi chi è quello…Di cosa avete parlato? Ti ha detto perché è andato alle rovine del castello? –
Il vecchio sospirò e si mise la pipa in bocca – Non mi ha detto proprio nulla! E per quello che riguarda Sua Maestà…Ho già prestato servizio per Lui in America –
L’uomo a sinistra fece una smorfia e guardò l’indiana – E tu che vuoi? Sai qualcosa? Ah! Selvaggi! Immagino che questa serva te la sia portata dietro dalle Americhe –
Il vecchio gonfiò il petto – Nak’Ataj è più che una semplice indiana…Era una sacerdotessa…Una maga…Una strega, se vogliamo! E i suoi poteri vi lascerebbero senza fiato –
I due uomini in nero si guardarono aggrottando la fronte e poi guardarono la donna. Quello che aveva dato un pugno al bancone socchiuse gli occhi – E’ davvero una strega? E quei tatuaggi sul viso… -
Il vecchio strinse le labbra – I rituali della sua tribù non li conosco nemmeno io…Ma mi ha seguito fino a qui…E non me la sono sentita di mandarla via… - disse e si piegò verso di loro – Una volta l’ho vista parlare con un lupo…Ma sapete…Questi…Selvaggi…I loro poteri…Chi può mai conoscerli…Né noi né i francesi siamo mai riusciti a piegarli… - aggiunse piano.
Uno dei due uomini guardò nervosamente la donna e fece una smorfia – Bah! Tienitela pure! – disse e fece cenno al suo compagno. Oltrepassarono il vecchio e la donna ed andarono sul retro in cerca di Oscar.
Nak’Ataj aggrottò la fronte e mosse le dita nel linguaggio dei segni che anche il vecchio conosceva. Lui sorrise – Perché gli ho detto che sei una strega? Perché quei due babbei ti lasciassero in pace…Ecco perché! Se sapessi quante volte ha funzionato in guerra…Una volta, di fronte a un maggiore francese…Oh! Lasciamo perdere…Il nostro ospite, invece, è uscito? Come mai lo hai fatto andare via? –
La donna mosse ancora le mani velocemente. L’uomo inarcò le sopracciglia – E’ una donna? Mio Dio…Sono proprio vecchio se non sono riuscito a rendermene conto – disse e aggrottò la fronte – Ma non hai risposto alla mia domanda –
Nak’Ataj mosse ancora le mani e il vecchio si sistemò la pipa in bocca sorridendo – Perché ha chiesto scusa…Ah! Me lo ricorderò quando ti lamenterai di pulire i pavimenti di questo posto –
Lei sospirò e mosse ancora le mani. L’uomo socchiuse gli occhi – Una donna vestita come un uomo…Con un tragico destino… Lo hai…Lo hai sentito Nak’Ataj? Lo so che non sei una strega, ma hai un potere che io non ho…Hai visto il suo futuro? Verrà uccisa qui? –
La donna tentennò e fece altri gesti, poi abbassò lo sguardo. Il vecchio annuì gravemente – Che Dio l’aiuti, allora –
 
Oscar non aveva perso tempo, una volta preso il suo cavallo e i suoi bagagli si era lanciata al galoppo fuori dalla stalla nella più completa oscurità. Aveva seguito la strada per un tratto e poi aveva acceso la lampada. Si era chiesta dove andare e dove dormire. Per un attimo pensò semplicemente di cercare un’altra locanda, ma non aveva idea di dove fosse e si disse che un vero soldato non aveva paura di dormire all’aperto. Ma dove? In un bosco? In una radura? Troppo in vista. Sorrise tra sé, dopotutto c’erano delle rovine a poca distanza e di certo non l’avrebbero mai cercata laggiù. Spronò il cavallo e tornò al castello della strega.
Il cavallo si era messo a dormire e lei si era sistemata entro un rudere formato da tre pareti di pietra. Alzò le mani scaldandosele sul fuoco ormai morente e sorrise. Si stese appoggiando la testa sulla sella e si coprì. Sospirò e guardò il cielo stellato, poi di nuovo le braci del bivacco. Cosa stava facendo André in quel momento? Dov’era? Stava pensando a lei? Si chiese, ma scosse il capo cercando di togliersi dalla mente quel pensiero. Quello che faceva o pensava André non era più un problema suo, se mai lo era stato e, dopo quello che era successo tra di loro, nulla sarebbe mai stato come prima.
Si rigirò sul fianco e sentì un dolore. Aggrottò la fronte e mise la mano nella tasca interna estraendone un sacchetto di pelle. Lo aprì e la pietra rossa cadde nella sua mano. Sorrise debolmente e la guardò: da quando aveva lasciato la Francia sentiva quello strano gioiello come pulsare; lo rigirò nelle mani e poi lo strinse nel pugno, si coprì, guardò ancora una volta le braci del fuoco e poi chiuse gli occhi.

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Capitolo 4
*** DI FRONTE AL NEMICO ***


Britannia – Primo Secolo d. C.
Avevano cavalcato a lungo. Lei era rimasta indietro e poi aveva fermato il suo cavallo di fianco a quello di suo padre che, come al solito, aveva vinto quella gara. Scese dalla sella e legò la briglia allo stesso ramo sul quale era legato Bran, il nero cavallo da guerra del suo genitore: un possente animale che faceva sembrare la sua cavallina baia Aine molto più piccola di quello che era.
Si guardò attorno e lo vide, di spalle, seduto su una bassa e larga roccia che guardava il mare oltre la scogliera. Lo raggiunse cercando di non fare rumore, ma lui si girò e sorrise – Sempre così! Ti muovi come un ubriacone e non come una guerriera! Come peraltro io ti ho insegnato! – disse e allungò una mano invitandola a sedersi accanto a lui.
Si sedette e si accoccolò nell’incavo della spalla di suo padre, lo guardò e vide, da vicino, quanto era invecchiato nell’ultimo periodo. Da quando era morta sua madre lui aveva cercato di starle vicino conciliando il suo ruolo di capo della tribù. La regina Cailin era morta dando alla luce il suo fratellino, morto anch’egli. Era una donna minuta, dai capelli neri come la notte e la pelle bianca come il gesso: una delle ultime rappresentanti di quello che chiamavano l’Antico Popolo. Suo fratello maggiore Cormac, colui che avrebbe dovuto prendere il posto di suo padre alla guida del suo popolo, era morto ancora prima, sventrato da un cinghiale durante una caccia.
Ma lei non somigliava a sua madre, i suoi occhi erano verdi e i suoi capelli erano del colore del rame, come suo padre Fearghal. Lui le strinse la spalla – Guarda laggiù – disse e indicò l’orizzonte. Si vedeva il mare grigio e un orizzonte altrettanto scuro, plumbeo, pieno di nubi che preannunciavano la tempesta. Vide saettare dei lampi e si strinse ancora più al corpo saldo e forte di suo padre. Lui sorrise, poi sospirò – La tempesta sta arrivando…Sai cosa c’è laggiù? Oltre il mare? –
Lui annuì – I nostri fratelli del continente…Noi siamo qui su una grande isola, più a sud ci sono i Celta e, ancora più a sud, il Mare di Mezzo, da dove vengono i mercanti greci – disse ripetendo la lezione che il suo istitutore le aveva insegnato. L’unico contatto che avevano con il resto del mondo erano stati i Celta d’oltremare e molti erano scappati da loro in cerca di asilo e rifugio dalla guerra. Una guerra come non avevano mai visto, contro un popolo del sud, che aveva marciato oltre le montagne e che, una dopo l’altra, aveva sconfitto le loro tribù. Ed erano arrivati fino al nord, fino alla loro isola, al comando di un uomo chiamato Cesare, per punirli, così sembrava, per il loro aiuto dato ai fuggitivi.
Ma i romani, così si chiamavano gli invasori, se ne erano andati limitandosi a qualche scaramuccia sulle coste meridionali alle quali aveva partecipato, da giovane, anche suo padre. Negli ultimi anni erano arrivati solo dei mercanti greci in cerca di ferro e stagno. A lei facevano ridere, avvolti in pellicce, sempre a lamentarsi del freddo pungente che nella loro patria non sembrava esistere. Uno di loro, un veterano di quei lunghi viaggi, aveva imparato la loro lingua e raccontava storie fantastiche: di dei e dee che si comportavano come bambini capricciosi, degli eroi greci che avevano assediato una possente città espugnandola nascondendosi in un cavallo di legno e, la sua preferita, di un grande guerriero che aveva sconfitto un mostro con il corpo di serpente, la testa di donna e serpenti vivi per capelli che pietrificava le sue vittime con lo sguardo.
Sorrise ripensando alle sere passate con il greco che raccontava quelle favole davanti al fuoco a lei e agli altri giovani. Ma lui e i suoi compagni raccontavano anche di quello che accadeva nel resto del mondo. E tutte le terre che circondavano il Mare di Mezzo sembravano essere diventate parte di una città della penisola italica, la capitale dei romani, Roma per l’appunto. Ascoltava affascinata, anche se molto dubbiosa, le parole dei greci. Sapeva cos’era la guerra, il suo popolo combatteva per pascoli migliori, torrenti, zone di caccia, ma Roma sembrava guardare le cose più in grande: la Grecia, l’antica e potente Cartagine, il leggendario paese dei deserti e dei sovrani che si chiamavano faraoni e le terre dei Celta, fino al mare del nord, fino alla loro isola. Suo padre ascoltava con preoccupazione le ultime novità: dopo decenni di lotte intestine a Roma sembrava regnare l’ordine con il loro nuovo sovrano, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, che aveva sostituito un certo re pazzo chiamato Caligola. Ma con l’ordine, avevano detto i greci, per i romani era anche arrivato il momento di innalzare di nuovo i vessilli di guerra, l’insegna dell’aquila dorata portata da uomini vestiti di pelli di lupo. Aquile e lupi, pensò lei, due feroci animali predatori.
I greci erano partiti via mare dalla loro terra, erano arrivati in un porto chiamato Massalia nel Mare di Mezzo, a sud di quel territorio Celta che i romani chiamavano Gallia e si erano diretti a nord. Sulla strada avevano visto centinaia dei soldati di Roma, quelli riuniti nelle formazioni chiamate legioni, perfettamente armati ed equipaggiati. E anche loro si dirigevano a nord.
Suo padre aveva chiamato anche altri capi per parlare con i greci, non solo i suoi alleati, ma anche quelli che di solito erano suoi nemici. Alcuni avevano ascoltato quei racconti con scetticismo, altri avevano riso, alcuni avevano invocato la chiamata alle armi di tutti i guerrieri e altri ancora, molto pochi, avevano persino invocato l’invasione romana.
Guardò di nuovo suo padre, lui sospirò – La tempesta sta arrivando – ripeté piano e poi la guardò, sorrise – Andrà tutto bene, mio piccolo tesoro –
Lei deglutì – Combatterai, padre? –
Lui annuì – Devo farlo! Non posso permettere ai romani di venire qui e di prendere la nostra terra…O di prendere te – disse e la strinse ancora più forte. Lei si sentì triste e lo abbracciò, affondando la testa nel suo petto.
Inghilterra – 1787 d. C.
Oscar si svegliò di soprassalto. Socchiuse gli occhi e si fece ombra con la mano. Era giorno fatto e del fuoco rimanevano solo cenere e braci. Sentì nell’altra mano la pietra rossa e la guardò. Cos’aveva sognato? Era un sogno molto vivido e ricordava benissimo i nomi dell’Imperatore Claudio e del suo predecessore Caligola. Dai suoi studi classici sapeva che Claudio era divenuto celebre per una sola conquista militare: la Britannia, l’attuale Inghilterra. Tentennò, si rialzò, si stiracchio come un gatto, rimise la pietra nel sacchetto e lo nascose nella tasca interna della giacca.
Poco dopo montò in sella e si diresse verso est, lungo la strada che l’avrebbe portata al cerchio di pietre. E si sarebbe fermata in un altro luogo, nominato solo una volta nel suo libretto nero: Glastonbury. Guardò l’orizzonte grigio e spronò il cavallo al galoppo.
 
Quanto tempo era passato? Non lo sapeva, il cielo era sempre grigio e un fastidioso vento le soffiava dritto in faccia e gli scompigliava i suoi lunghi capelli, tanto che li aveva dovuti raccogliere in una coda con un laccio di seta marrone. “L’Inghilterra…Colline verdi…Vento…Cielo grigio…Come mi manca la Francia!” pensò e poi sospirò. Le venne in mente che in quel periodo lei e André di solito andavano a Parigi e si fermavano a mangiare un delizioso stufato in un altrettanto deliziosa locanda sulla riva destra della Senna, con vista sul tetro palazzo della Conciergerie, l’antico palazzo dei Re di Francia. Scosse la testa e cercò di concentrarsi su quello che aveva sognato. Gli abiti della ragazza e dell’uomo sembravano molto antichi, ma cosa mai poteva significare? In cuor suo sapeva di aver già visto qualcosa di simile, anni addietro, ma non riusciva a focalizzare alcuna immagine.
In quel momento alzò la testa e la piegò lievemente di lato. Tese i muscoli e tirò le redini stringendole, tanto che anche il cavallo nitrì sentendo il suo nervosismo e fermandosi. Li sentiva distintamente: rumori lungo la strada, sempre più forti e quindi vicini.  “Cavalli in formazione…Una formazione serrata! Sono in molti!” pensò e subito affondò i talloni sul fianco del cavallo che partì al galoppo.
Dopo qualche istante Oscar si girò e vide chi la stava inseguendo di gran carriera. Era in effetti una formazione di cavalieri, ma non erano i briganti che aveva visto in Normandia, o meglio, non sembravano loro. Questi indossavano delle giacche rosse e i fucili sulle loro spalle li qualificava inequivocabilmente come soldati dell’esercito inglese. Per Oscar, ovviamente, non cambiava quasi nulla visto che, tecnicamente, non doveva trovarsi in Inghilterra e quindi si abbassò sul collo del cavallo e lo spronò di nuovo.
Il capo del drappello distanziò i suoi uomini cercando di starle dietro: - Fermatevi! – urlò, ma Oscar sorrise – Ma certo, my dear… Coraggio inglese…Vienimi dietro se ci riesci! –
Lei tirò le redini e fece uscire il cavallo dalla strada, lanciandosi nella brughiera, sempre inseguita dai soldati. Sorrise quando capì che li stava distanziando, ma improvvisamente, il suo cavallo si bloccò e si impennò. Cercò di tenersi sulla sella tirando le redini, ma cadde con un tonfo, sulla schiena e per un attimo non respirò. Guardò il cielo grigio e poi si rialzò per accorgersi che il mondo girava tutto intorno a lei. Barcollando si mise di fronte ai soldati che si stavano avvicinando e mise mano alla sua pistola nella giacca – Venite! E guardate come combatte un soldato di Francia! –
L’uomo che le aveva ordinato di fermarsi, un giovane con la divisa da tenente, bloccò il cavallo e aggrottò la fronte guardandola, mentre i suoi uomini li raggiungevano. L’ufficiale, con un bel volto contornato di capelli castani, si piegò in avanti – Ma siete pazzo per caso? Vi stavamo gridando che c’é un burrone in questa direzione! E meno male che il vostro cavallo ha più discernimento di voi! –
Oscar si girò e vide che, effettivamente, il terreno scendeva in una scarpata. Si girò di nuovo – E voi cosa volete? –
Il tenente sospirò – Oh! Ma nulla! Facevamo una cavalcata…Così…Per farci un giro…Dalla vostra fuga deduco che siete il francese che ci hanno mandato a cercare –
Oscar alzò il mento – Chi e perché mi fa cercare? –
L’altro portò un pugno al fianco e aggrottò la fronte – Sentitemi bene! Per prima cosa…Se siete francese potevate portare con voi dell’ottimo cognac che avremmo potuto sequestrare…Per me e questi valorosi soldati…In secondo luogo io eseguo gli ordini! Hanno mandato diverse pattuglie a cercare un francese alto, biondo e con gli occhi azzurri…E direi che siete voi…Che veniva dalla direzione di quel buco di fogna del villaggio di Tintagel…E di nuovo siete voi! Quindi…Ne dobbiamo discutere ancora? –
Oscar strinse le labbra – Sono francese, ma sono qui per una semplice visita alla vostra meravigliosa campagna –
Il tenente inarcò un sopracciglio – La campagna inglese può essere meravigliosa, ve lo concedo, ma quella della Cornovaglia… Paludi e insetti…E poco altro – disse e si piegò in avanti guardando il cavallo di Oscar. Lei si girò e notò che parte della copertura della sella, probabilmente a seguito del brusco arresto e dell’impennata, si era spostata facendo intravedere un lungo oggetto metallico orizzontale con all’estremità un’elsa lavorata.
Il tenente si raddrizzò e sorrise – E immagino che vi siate portato lo spiedo per cucinare la selvaggina! –
Oscar lo fissò torva – Parlerò solo con un vostro superiore! –
L’altro fece un gesto con la mano – E allora siamo fortunati! E’ lì che vi devo portare. Ce la fate a montare in sella o vi dobbiamo forse aiutare? – disse e i soldati risero.
Lei sospirò, andò verso il cavallo, coprì la spada e si issò in sella, meno agilmente di quanto avrebbe voluto, ma velocemente. Il tenente annuì – Andiamo al passo adesso, dopotutto avete subito una brutta caduta. Comprendo che vi faccia male l’orgoglio, ma credetemi, lo so, fa più male il fondoschiena! –
Oscar si mise al fianco dell’ufficiale e ripresero la strada principale. Lei guardò il tenente, aveva un aspetto molto giovane, anche troppo per un graduato – Perdonatemi tenente, ma quanti anni avete? –
Lui sorrise, con un sorriso che, se mai era possibile, lo rendeva ancora più giovane – Ho già diciotto anni, sir…Oh! Scusatemi, monsieur. Ma permettete… - disse e si portò la mano destra alla fronte nel saluto – Tenente Arthur Wesley, del 4° Reggimento Cavalleria di Sua Maestà Re Giorgio III d’Inghilterra. Anche se mio fratello maggiore Richard crede che la pronuncia esatta nel cognome sia Wellesley e che dovremmo cambiarlo, ma è lui l’erede –
Oscar aggrottò la fronte – Siete nobile di nascita? –
L’altro si portò una mano al petto – Mio padre era il Conte di Mornington, di nascita sono irlandese, ma la mia famiglia è di solide origini inglesi –
Oscar strinse le labbra e guardò attentamente quel volto, come per imprimerselo bene in mente. Lui fece un gesto con la mano – La mia famiglia mi ha comprato il grado, ma non so se la vita militare farà per me – (n.d.a.: all’epoca i rampolli della nobiltà e della ricca borghesia acquistavano i gradi militari ed era una consuetudine nell’esercito inglese)
Arthur la fissò – Non ho avuto il piacere di sapere il vostro nome –
Oscar guardò in avanti – E mi scuserete se non lo avrete. Lo dirò solo a colui dal quale mi state portando…Che è…? –
Lui annuì – Il mio comandante è il generale Lord Walsingham ed è da lui che vi stiamo portando. Da lui abbiamo ricevuto gli ordini, soprattutto quello di non farvi alcun male –
Oscar aggrottò la fronte e guardò dritta davanti a sé, rimase in silenzio e pensò che quella che stava vivendo in quel momento era una strana evoluzione del suo viaggio.
 
Dopo aver preso una lunga deviazione raggiunsero, alla fine, la loro meta. Il tenente Wesley allungò una mano e indicò una bianca costruzione – Lowerfield House, siamo vicino a Lapford –
Oscar socchiuse gli occhi e vide una bianca costruzione, alta solo due piani, con un tetto spiovente, di colore bianco. Di fronte all’ingresso c’era un pennone dello stesso colore della casa ed in cima sventolava gagliardamente la bandiera inglese, quella che veniva chiamata Union Jack, dal nome di Re Giacomo che l’aveva voluta: l’unione di tre diversi stendardi, la croce rossa di Sant’Andrea in campo bianco dell’Irlanda, quella di Sant’Andrea bianca su sfondo blu della Scozia la croce di San Giorgio rossa in campo bianco dell’Inghilterra vera e propria. Attorno all’edificio principale c’erano altre costruzioni più piccole e molte tende. Dall’andirivieni di uomini in uniforme rossa Oscar capì che era una sorta di campo militare e che, finalmente, avrebbe visto chi e perché l’aveva fatta cercare. Passarono accanto ad un drappello di soldati in marcia e solo allora lei realizzò che, effettivamente, non si trovavano più in Francia. Poteva far valere il suo grado e il suo rango di nobile di Francia solo fino ad un certo punto e, cosa più importante, si trovava in un paese con cui il suo era nominalmente in pace, ma di fatto c’era una guerra ancora in corso. Pensò anche, con un leggero brivido lungo la schiena, che era completamente sola. Non c’era nemmeno André che poteva aiutarla e si chiese, ancora una volta, se lui stava pensando a lei in quel momento.
 
Da una delle finestre del primo piano una grossa figura inguainata in una uniforme bianca e rossa con spalline dorate sorseggiò da una tazza da the in porcellana bianca decorata con immagini floreali. L’uomo, anziano e corpulento, indossava anche una parrucca bianca incipriata con un codino trattenuto da un fiocco di seta nera. Appoggiò la tazza sul piattino e fece un gesto stanco con la mano – Mi dica colonnello…E’ quello il francese che stavamo aspettando? –
L’altro uomo si avvicinò – Si Mylord generale…Ma non è un uomo, è una donna, il…L’ex comandante delle Guardie Reali del Re di Francia, Oscar François de Jarjayes –
Il colonnello che aveva parlato era molto più magro del generale e non indossava una parrucca, ma portava i suoi capelli neri sciolti. Il generale sospirò – Nientemeno…La famosa donna che hanno messo al comando di quei manichini impomatati a Versailles – disse e riprese la tazza sorseggiando la bevanda – Immagino che perlomeno le avranno insegnato a servire il the –
Il generale si voltò e guardò il colonnello – E perché un nome da uomo? – aggiunse.
L’altro scrollò le spalle – Da quello che ne so suo padre, il Conte Generale de Jarjayes, ha avuto solo figlie femmine e all’ultima… Ha dato un nome da uomo e l’ha considerata suo figlio ed erede –
L’altro sbuffò – Bah! Non ho più l’età per cercare di capire i francesi…E, colonnello Harrison, nemmeno la voglia. E perché Lord Baxter, un influente membro del Parlamento, ci ha chiesto di portarla qui? –
Harrison socchiuse gli occhi – E’ una nobile francese, un militare e, per di più, un’amica personale della Regina Maria Antonietta. Non sappiamo cosa ci fa qui, nel sud dell’Inghilterra, ma sua Maestà Re Giorgio, che Dio l’abbia in gloria, ha affidato a Lord Baxter il compito di sorvegliarla –
Il generale scrollò le spalle – Che venga da me allora! –
 
Oscar scese da cavallo e guardò l’ingresso della casa. Vide uscire un’imponente figura la cui uniforme sembrava sul punto di scoppiare. Non era grasso, però, quello che vedeva in quell’uomo gigantesco con la divisa da capitano, ma muscoli possenti. Aveva una faccia rotonda contornata da una barba di un biondo rossiccio e dei lunghi capelli sciolti che gli ricadevano sulla schiena. Il gigante non la degnò di uno sguardo e il tenente Wesley si mise sull’attenti – Signore! Abbiamo trovato il francese che cercavamo –
L’uomo annuì e fece quello che sembrava un grugnito. Spostò il volto verso Oscar e lei si sentì trafiggere da due occhi grigi – E allora seguimi! – gli disse senza mezzi termini.
Oscar serrò le mascelle, ma seguì l’ufficiale all’interno della costruzione, salirono le scale e si trovarono di fronte ad una grande porta doppia in legno di quercia. L’ufficiale non bussò, ma aprì i battenti e poi si fece di lato. Lei entrò e sentì alle sue spalle richiudersi le porta. Di fronte c’era una scrivania con dietro, seduto flaccidamente, un corpulento ufficiale con l’uniforme da generale, dal viso rotondo e che teneva in mano una tazza da the in porcellana bianca decorata a motivi floreali. Accanto al tavolo c’era un altro uomo, in piedi, moto più magro, con i capelli neri sciolti, un volto affilato e due occhi piccoli e neri che la fissavano quasi con avidità.
Il generale appoggiò la tazza e sorrise – Bene! Colonnello Harrison…Ci presenti per cortesia –
L’altro uomo sorrise debolmente – Si, Mylord generale: abbiamo il piacere di avere qui con noi il comandante dimissionario delle Guardie Reali della guarnigione di Versailles, il colonnello Oscar François de Jarjayes. Colonnello de Jarjayes: le presento il generale Lord Oliver Duncan Wilkinson-Foster, Conte di Walsingham, generale dell’esercito di Sua Maestà Re Giorgio, il Terzo del suo nome e pari d’Inghilterra –
L’uomo aveva parlato con un ottimo francese e Oscar batté i tacchi e fece il saluto militare. Il generale fece un gesto in aria con la mano e sorseggiò ancora la sua bevanda – Benvenuta in Inghilterra…La vostra fama di donna al comando della Guardia Reale Francese vi precede colonnello –
Oscar batté di nuovo i tacchi – Lord Walsingham, vi prego di chiamarmi colonnello o Conte de Jarjayes, se vi aggrada –
Il generale inarcò le sopracciglia, ma il colonnello sorrise – Non credo che vi ricordiate di me, ma ero assegnato a Versailles con la nostra delegazione diplomatica molto tempo fa, all’epoca del famoso Scandalo della Collana. Ho imparato ad apprezzarvi, colonnello, e ad ammirarvi nel comando militare…In effetti…Il vostro ruolo…E il vostro sesso, hanno suscitato un profondo interesse in tutta Europa, persino nella lontana Russia –
Walsingham sorrise sommessamente – Ci credo! Una donna…Perlomeno hanno avuto il buon gusto di metterla al comando della Guardie Reali, di manichini da parata e non di una unità combattente…Certe cose le possono fare solo i francesi! – disse e sorseggiò di nuovo dalla sua tazza.
Oscar si sentì avvampare, come se fosse nuda di fronte a quei due uomini. Com’era possibile? Il suo ruolo aveva suscitato interesse persino in Russia? E perché mai in quella terra lontana dovevano pensare a lei? Non aveva dimostrato il suo valore quando aveva battuto a duello il giovane Conte Giroudel per il comando della Guardia Reale? Non aveva salvato la Regina Maria Antonietta più volte? Non era abile nel combattimento alla spada come con la pistola e il fucile? Non era brava a cavalcare come un qualsiasi ufficiale di cavalleria? E alla fine capì. Capì che una vita da uomo, comportandosi come un uomo, credendo di essere un uomo, non cancellava il suo errore più grave: era una donna. Aveva sempre creduto che il rispetto si guadagnasse con il duro lavoro e con il valore che lei aveva abbondantemente dimostrato e si rese improvvisamente conto che non era servito a nulla. Era nata donna e restava una donna. Lei non restava in piedi per fare i suoi bisogni corporali e una volta al mese era triste e frustrata come e più delle altre e questo quei cosiddetti soldati di ogni esercito d’Europa non potevano capirlo e non potevano accettarlo. Persino suo padre, che pure l’aveva addestrata alla disciplina, all’onore e al rispetto, aveva ritenuto giusto dirle che il comando delle Guardie Francesi era troppo per lei, che andava bene solo per la Guardia Reale; poteva sentire nelle sue orecchie le risate di scherno delle dame e dei nobili di Versailles, le accuse di lesbismo che le erano state rivolte durante lo Scandalo della Collana e, soprattutto, André. André con il suo sguardo triste, le braccia che bloccavano le sue, che la costringevano a baciarlo e poi…Il suono acuto della camicia strappata e la sua femminilità esposta e violata.
Lo sapeva che stava tremando, di rabbia e di dolore. Strinse i pugni e si avvicinò alla scrivania facendo sobbalzare i due uomini. Si piegò in avanti – Forse il Lord generale crede che debba dimostrare la mia perizia nel maneggiare le armi? Al Lord generale va bene la spada? La pistola? Vuole andare a Londra da Sua Maestà Re Giorgio a chiedere la licenza di sfidare questa donna francese? –
Il generale divenne rosso e strabuzzò gli occhi. Si alzò si scatto lasciando cadere la sua tazza e fece una smorfia più simile ad un ringhio – Come osi! Dannata francese! Dovrei farti impiccare! E all’inferno tu e la Francia intera! – gridò.
Harrison deglutì e alzò le mani, come per parare un colpo – Mio Signore…Non credo proprio che il colonnello de Jarjayes volesse offendervi –
L’altro lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite – Ah, no!? E cosa voleva fare? –
Oscar strinse le labbra – Volevo sfidarvi a duello! Se siete pronto! –
Lord Walsingham la fisso abbassando la testa come un toro pronto alla carica, persino sbuffando dalle sue grandi narici – Non provocarmi ancora, piccola francese, o te ne pentirai! –
Harrison sospirò – Mylord generale…Evidentemente il vostro coraggio non è conosciuto dai francesi…E’ risaputo che a Londra Sua Maestà ripete sempre che se ci foste stato voi al comando delle truppe nelle colonie americane la guerra sarebbe finita molto prima… -
Walsingham sembrò calmarsi – Mi basta il rispetto di Sua Maestà, non certo di questo…Di questa…Cosa…E adesso portatela via colonnello Harrison, che si ripresenti solo a cena –
Oscar sbatté le palpebre sorpresa, era mai possibile che il generale non si fosse reso conto della fine e alquanto perfida ironia delle parole di Harrison? Il colonnello inglese si avvicinò e le indicò la porta. Lei lo seguì e quando furono fuori, nel corridoio, ad una distanza sicura dalle orecchie del generale, si girò verso l’altro e sorrise – La guerra sarebbe finita molto prima? Immagino che non abbiate un’alta considerazione del vostro superiore…Come del resto il Re. Ma ditemi, colonnello, il Lord generale beve molto? –
Lui aggrottò la fronte e lei sorrise debolmente – Quando mi sono avvicinata ho sentito chiaramente che il profumo della bevanda nella tazza non era quello di un the, ma…Diciamo…Più alcolico…Cos’era? Cosa bevete voi inglesi? Whisky? Oppure dell’ottimo cognac francese…O addirittura un più esotico rum spagnolo? –
Harrison strinse le labbra, socchiuse gli occhi e la sua espressione si fece seria. Si avvicinò e la prese per il gomito – Lord Walsingham è un idiota! Lo so bene! Ma per qualche disgraziato motivo che sfugge alla nostra comprensione, mademoiselle, lui ha qui potere di vita e di morte su di voi…Siete una persona famosa, non lo neghiamo: siete pur sempre un alto ufficiale dell’esercito francese, siete amica della Regina Maria Antonietta e figlia di un nobile importante e potente: sappiamo che il Conte generale de Jarjayes ha appena ottenuto il titolo di responsabile degli armamenti di tutto l’esercito francese e che non si arriva in quella posizione senza essere o senza conoscere qualcuno… - disse e strinse ancora di più la presa facendo irrigidire Oscar – Ma non azzardatevi a pensare che qui siamo tutti come Walsingham…E nemmeno che la vostra fama e la vostra famiglia siano un scudo impenetrabile…I rapporti tra i nostri due paesi sono molto tesi e quando il Foreign Office, il nostro servizio informazioni, ha saputo che voi eravate qui lo Stato Maggiore e Sua Maestà Re Giorgio in persona hanno dato ordine di controllarvi e di lasciarvi stare. Ovviamente solo fino a quando il vostro resterà un viaggio di piacere –
Oscar strattonò il braccio e si liberò dalla presa – E allora perché sono qui? E come avete fatto a sapere che mi trovavo in Inghilterra? –
Harrison sorrise con un ghigno – Vi stavano sorvegliando, fino a Tintagel, poi siete scappata e siete qui per farvi intendere che non potete fare quello che vi aggrada in questo paese, mon colonel. Per quello che riguarda la seconda domanda…Credete davvero che una guerra si combatta solo sui campi di battaglia? Con belle divise e cavalli impennacchiati? Il nostro servizio di informazioni sa cosa mangia appena sveglio Re Luigi ogni mattina e immagino che il vostro servizio di informazioni sappia quante volte al giorno va a defecare Re Giorgio. In questo momento siete in quella zona d’ombra che sta tra la pace e la guerra. Noi non vogliamo un nuovo conflitto con la Francia, ma non intendiamo per questo prostrarci di fronte a voi e ai francesi…E adesso prego – disse allungando un braccio e mostrando il corridoio a Oscar.
Camminarono fino ad una porta con di lato una sentinella armata di fucile. Il soldato batté i tacchi e presentò l’arma. Oscar notò che aveva la baionetta inastata, come in battaglia. Lei sorrise – Dovrei sentirmi onorata? –
Il colonnello sospirò – Sentitevi quello che vi pare! Siamo in un campo militare, ricordatevelo se vi verrà voglia di uscire. Nella stanza troverete dell’acqua calda, degli asciugamani e quello che serve a…A una donna…Credo…Non siamo abituati ad avere ospiti femminili qui –
Oscar lo guardò andarsene e poi guardò il soldato – Riposo – disse e lui abbassò l’arma battendo i tacchi.
Sospirò ed entrò nella stanza. Era bella, pulita, con un grande letto con morbide e profumate lenzuola bianche. Di fronte vide un grande specchio e sorrise, accanto c’era un tavolino con un catino di liquido fumante e degli asciugamenti bianchi. Aggrottò la fronte. Lì vicino c’erano delle spazzole in argento, uno specchio portatile, dei pettini e dei nastri colorati. Si abbassò e vide che c’erano anche degli astucci porta trucchi femminili in argento. Alzò la testa e vide, appesi alle ante di un armadio, degli abiti di ricambio. Erano abiti femminili.
Oscar sentì un crampo allo stomaco. Era quello che vedevano gli inglesi: una donna. Si avvicinò ad uno degli abiti; era di buona fattura, non come quelli delle dame di corte, certo, ma di sicuro il colonnello Harrison si era dato da fare per trovarlo. Si chiese come avesse fatto a conoscere la sua taglia, ma poi pensò che di sicuro erano di misure diverse, per ogni evenienza. Sospirò e si mise di fronte allo specchio: “Quindi? Devo spazzolarmi i capelli, mettermi i nastrini e sorridere civettuola nascondendo le labbra dietro la mano come la Contessa Du Barry?” pensò e sorrise alzando la mano e mettendosela sulla bocca sbattendo le palpebre.
Strinse i pugni e guardò la porta. Si avviò all’uscita a grandi passi e aprì l’anta. Il soldato di fianco si irrigidì. Oscar uscì e si mise di fronte a lui sorridendo – Soldato…Avete un deposito per le uniformi qui? –
Lui deglutì e mosse gli occhi a destra e sinistra, poi la guardò – Io…Si, sir…Voglio dire…Si, Mylady…Abbiamo un magazzino per le uniformi –
Oscar annuì – Sir o Mylord vanno bene quando ti rivolgi a me…E le uniformi per gli ufficiali? –
Il soldato aggrottò la fronte – Ci sono anche quelle! Nella lavanderia vicino al deposito ovviamente –
Lei sorrise – Benissimo! Indicami la strada –
Il soldato rimase a bocca aperta – Ma…Ma io… -
Oscar sospirò – Soldato…Io andrò a cercare quel magazzino e quella lavanderia…Tu devi sorvegliarmi e quindi tanto vale che mi indichi la via…Non perdiamo tempo! –
Il soldato deglutì, imbracciò il fucile e gli fece strada.
 
Dopo la visita al magazzino delle uniformi Oscar rientrò nella stanza che gli avevano assegnato. Appoggiò gli abiti che avrebbe indossato quella sera sul letto e li guardò soddisfatta. Si levò la giacca, il gilet e la camicia; si mise di fronte allo specchio e si toccò la fascia che le stringeva il seno. Sospirò e levò i ganci. Il suo seno libero sussultò e lei si massaggiò le irritazioni sulla pelle. Si levò gli stivali, i pantaloni e la biancheria, rimanendo completamente nuda di fronte allo specchio. Piegò la testa di lato, si chiese se era una bella donna. Se non lo era non era importante, era un bravo soldato, o almeno così credeva. Ma se lo era, perché Fersen non poteva amarla? In fondo cos’avevano Maria Antonietta o le altre donne che lei non possedeva? Era intelligente e gran parte delle dame di corte che accompagnavano i mariti o gli amanti erano state scelte per la bellezza e l’arrendevolezza, non certo per il loro acume. Era coraggiosa e lo aveva dimostrato più volte e anche nelle tante feste che si svolgevano a Versailles sapeva rendersi gradevole e gentile nei discorsi con i gruppi di uomini.
Allungò una mano e toccò il riflesso del suo seno, si chiese cosa mai ci trovavano gli uomini in quella parte femminile. Ma poi si ricordò di André, di quella maledetta sera, di quella camicia strappata a forza e di una vergogna e di una debolezza che mai nella sua vita aveva provato e che, giurò, non avrebbe mai più avuto. Un brivido la scosse e si coprì il petto. Guardò di lato e vide che c’era un nuovo catino con acqua calda, come aveva richiesto. Si lavò il viso e il resto del corpo, poi si stese supina di traverso sul letto bianco. Aveva ancora un po' di tempo. Si allungò e prese la pietra rossa dal taschino interno della sua giacca, la sollevò e la guardò: “Alla fine dove mi porterai? Dove andremo? E perché mai ho la sensazione di aver già visto questa terra?”.
Portò la mano con la pietra alla fronte e chiuse gli occhi e, per un attimo, pensò a come sarebbe stato bello non essere più un soldato, non avere alcuna responsabilità, senza Francia o Inghilterra, solo lei, il suo cavallo e il mondo intero per cavalcare. Sorrise, era impossibile ovviamente, ma era bello sognare.

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Capitolo 5
*** LA SFIDA DI OSCAR ***


Britannia – Primo secolo d. C.
La tempesta era arrivata. Prima del previsto. I romani con le loro grandi navi erano arrivati in una mattina assolata sulla costa e lì erano rimasti. Una volta costruiti i loro accampamenti simili a fortezze e ad una velocità incredibile si erano allargati come una macchia d’olio nella Britannia, eliminando chiunque ponesse loro resistenza.
E tra quelli c’era stato pure suo padre. Faerghal aveva condotto i suoi guerrieri contro le legioni. E aveva perso. Aveva perduto una mano e la libertà del suo popolo, come molti altri capi. Ma ai romani non bastava, avevano le loro tradizioni e le loro consuetudini e volevano umiliare gli sconfitti. I capi delle tribù dovevano presentarsi tutti al loro campo principale e rendere omaggio, inchinandosi, al loro capo, quello che chiamavano Imperator o semplicemente Cesare Claudio.
Durante le ostilità lei aveva seguito gli ordini di suo padre e si era sposata con l’uomo che la sua famiglia aveva scelto, un nobile guerriero della tribù degli Iceni. Quando il Re Antedio, unito con gli altri contro i romani, fu sconfitto, fu scelto suo marito come nuovo sovrano ed alleato dei nuovi padroni della Britannia. Quando le ostilità cessarono lei, come tutte le altre mogli dei Re sconfitti, avrebbe dovuto presentarsi alla base dei romani per inginocchiarsi davanti al loro Imperatore in segno di sottomissione.
Quello che i soldati di Roma avevano costruito era sbalorditivo. Il loro campo principale era stato eretto in brevissimo tempo con palizzate in legno ed alte torri e quando lei passò l’ingresso principale, finalmente vide i nuovi padroni della Britannia. Non aveva mai visto prima i nemici; al suo villaggio era arrivato un drappello a cavallo di quelli che venivano chiamati auxiliarii. Non erano romani, ma erano milizie arruolate nei territori sottomessi. Sorridevano, si sforzavano di essere gentili, alcuni parlavano la loro lingua perché venivano da quel territorio che i romani chiamavano Gallia ed erano Celta. Altri venivano dalla Grecia, altri avevano la carnagione leggermente più scura e venivano dall’altra parte del Mare di Mezzo, da quel grande continente chiamato Africa e uno di loro aveva persino la pelle scura come il carbone.
Ma coloro che vedeva in quel momento erano ben diversi. Erano veri legionari romani, marciavano con lo stesso passo, tutti con le stesse armi, con un grande scudo rettangolare in una mano e una lunga lancia nell’altra. E sotto i loro elmi poteva vedere solo occhi glaciali, duri, bocche senza alcun sorriso e sentire un terribile fetore di aglio al loro passaggio. Poi anche lei guardò meravigliata il mostro. Chiuso in un recinto accanto all’immensa tenda rossa dell’Imperatore, c’era la creatura più grande e più brutta che avesse mai visto. Dalla pelle grigia e rugosa, con quattro tozze gambe e un corpo molle e rotondo, come una gigantesca palla su quattro colonne. La sua testa aveva due grandi orecchie e da sotto gli occhi spuntavano due lunghe e aguzze zanne. Un lungo tentacolo si protendeva dal centro del cranio e si muoveva saettando a destra e a sinistra. I capi tribù si fermarono sbalorditi a guardare quell’essere che il loro nuovo padrone Cesare Claudio aveva cavalcato per raggiungere la Britannia. Quando si accorse di essere osservato l’essere allargò le orecchie, sollevò la testa e il tentacolo emettendo un verso orribile.
Il mostro però, a parte muoversi aventi e indietro ed emettere quel verso stridulo, non sembrava pericoloso, a dispetto della sua mole. Dalla grande tenda uscì finalmente un romano, un ufficiale con un mantello rosso sulle spalle, una corazza finemente lavorata sul petto e un elmo crestato di piume rosse. Con l’aiuto dei legionari divise gli sconfitti in maschi e femmine e li fece entrare.
Se l’esterno della tenda evocava magnificenza, l’interno era sontuoso. Ai lati erano state sistemate delle statue di bianco marmo raffiguranti gli dei romani, intervallate da bracieri di metallo. Davanti a loro c’erano dei lunghi tavoli in cui in nuovi padroni avevano sistemato un banchetto in onore degli sconfitti, con carne, pesce e prelibato vino delle terre del sud. In fondo alla tenda lei vide, finalmente, il capo supremo di quel popolo guerriero: Claudio era assiso in un grande trono dorato, vestito con una toga di porpora bordata d’oro. Uno dei suoi piedi era in avanti, pronto per essere baciato dai capi tribù sottomessi e sulla testa portava una corona di foglie dorate. Dietro di lui c’era la statua di un uomo barbuto che brandiva quella che sembrava una saetta e accanto c’erano le insegne delle legioni vittoriose; aquile ad ali spiegate che guardavano dall’alto l’ennesimo popolo sconfitto. Lei piegò la testa di lato e aggrottò la fronte, si era immaginata l’Imperatore come un colosso muscoloso che li avrebbe accolti in armatura, ma quello che vedeva era il volto di un vecchio e nemmeno bello; era squadrato, con un occhio leggermente più basso dell’altro e aveva persino le orecchie a sventola, come il grande animale che aveva cavalcato per arrivare in Britannia e che invano i suoi capelli raccolti a boccoli cercavano di nascondere.
Guardò la donna accanto a lei, era anche lei vecchia, ma alta e con la schiena dritta e sul volto aveva dei disegni blu. Lei aggrottò la fronte, quelle che vedeva erano pitture di guerra, come mai i romani le avevano permesso di tenerle? La donna si accorse del suo sguardo e sorrise – Uno crede che i padroni del mondo abbiano come capo un vero e proprio dio…Ma quello…Bah! Per fortuna sarà mio figlio che si inginocchierà a baciargli i calzari –
Lei aggrottò di nuovo la fronte e la donna scrollò le spalle – I romani non vogliono delle donne al comando…Io sono…Ero una Regina e ho dovuto lasciare il titolo di Re al mio secondo figlio, il mio primogenito è morto in battaglia, non prima di aver mandato ai loro inferi tre legionari. Il mio secondogenito invece…Secondo loro è più degno di essere chiamato amico di Roma e quindi di regnare –
Un’altra donna, dietro di loro, si piegò in avanti – Amico di Roma vuol dire schiavo di Roma – sussurrò.
La vecchia Regina annuì – Si! Sono venuti qui, ci hanno tolto ogni libertà e adesso ci trattano…Da amici! Tu sei la moglie di Prasutago, non è vero? Gli hai dato una figlia qualche anno fa, ma vedo che il nuovo amico di Roma si è già dato da fare – disse e gli indicò il ventre che si stava già gonfiando per la gravidanza.
Lei annuì e abbassò la testa E’ la mia seconda…La mia terza gravidanza. Il nostro primogenito è nato morto –
La donna dietro di lei si avvicinò di nuovo – Un amico di Roma…Non dovresti avere problemi quindi –
Lei strinse le labbra, che diritto avevano di giudicarla? Suo marito aveva seguito sempre il suo Re, ma aveva anche sempre dichiarato che, anche se uniti, tutti i Britanni non avrebbero mai potuto sconfiggere i romani ed aveva avuto ragione. Era forse un male pensare al futuro del suo popolo e della sua famiglia cercando di venire a patti con i nuovi padroni?
La Regina guerriera sospirò – Ho sentito parlare di te. Lo sai? Io e tuo padre ci siamo combattuti…Anche aspramente, e mi mancherà il nostro vecchio mondo e mi dispiace di lasciare te e tutti gli altri in questo…Quello in cui dovrai vivere, ragazza mia – disse e gli mise una mano sulla spalla – Ti auguro di essere serena – aggiunse solo.
Quando anche l’ultimo sovrano amico si fu inchinato l’Imperatore Claudio si alzò dal suo trono e sollevò una mano pronunciando alcune parole in latino, la lingua dei romani. Lei notò che persino la sua voce aveva qualcosa di sgraziato; un uomo, vestito con quello strano abito che veniva chiamato toga, accanto a lui, tradusse le parole nella lingua Celta: era un semplice benvenuto e un invito al desco gentilmente offerto.
Al momento del pasto poté finalmente riunirsi con il suo sposo. Lo guardò, era così alto e fiero nel suo aspetto di Re degli Iceni che provò un moto d’orgoglio e sentì muovere la creatura nel suo ventre. Lui sorrise  - Cosa ti succede? –
Lei scrollò le spalle – Tuo figlio scalpita per uscire mio Re –
Prasutago appoggiò una mano sulla sua – Si Mia Signora e, vogliano gli dei, vivrà in una terra pacifica e prospera e regnerà sul nostro popolo –
Lei sorrise e annuì. Guardò verso il trono di Claudio e, più indietro, i vessilli delle legioni. Un’aquila dorata sembrava fissarla. Forse l’odore dell’incenso bruciato in onore dell’Imperatore le aveva dato alla testa, ma, alla luce dei bracieri, sembrava che gli occhi di quell’uccello inanimato brillassero di luce propria e che la trafiggessero. Rabbrividì e strinse ancora di più le mani sul ventre. Suo marito le cinse le spalle con un braccio – Hai freddo? – chiese allarmato.
Lei tentennò – Non è nulla – disse sorridendo, ma anche distogliendo lo sguardo non poté fare a meno di sentire la sgradevole sensazione di sentire su di sé degli occhi dell’aquila.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si svegliò e guardò il soffitto bianco della stanza. Si mise seduta sul letto e si accorse di essere nuda. Strinse le labbra e si alzò tenendo saldamente nella mano la pietra rossa. Guardò il suo riflesso allo specchio, il sogno era vivido e, dai nomi che aveva colto, era certa di aver anche capito a chi si riferissero quelle immagini e chi fosse la donna di cui vedeva la vita. Si chiese se anche Jeanne de Valois avesse avuto quelle visioni o anche gli altri possessori della pietra. La rigirò nella mano e la guardò socchiudendo gli occhi: “Mia cara pietra, hai ben più di un solo segreto a quanto sembra…O forse dipende dal fatto che siamo in Inghilterra…Ma non è questo il momento di perdere tempo in illazioni” pensò e poi guardò gli abiti che avrebbe indossato quella sera.
 
Il colonnello Harrison incrociò le mani dietro la schiena e se le strinse nervosamente. Gli avevano detto dove era andata quella strana donna che si credeva un uomo e anche cosa aveva trovato e preso. Sospirò, girò lo sguardo sulla sala piena di ufficiali in attesa di andare a cena e poi guardò Lord Walsingham che sorseggiava avidamente la sua tazza di the. Il generale, con le guance rosse, sorrise amabilmente – Questa particolare miscela indiana è decisamente buona e mi dicono anche che fa bene alla salute –
Harrison strinse le labbra, dall’odore che emanava la “bevanda” doveva essere proprio buona – Posso immaginare Vostra Grazia! Anche a me ogni tanto servirebbe un goccio di quel the – disse ironicamente. Fece cenno a un cameriere che si avvicinò con in mano vassoio in cui c’erano dei calici di cristallo pieni di un liquido scuro.
Lord Walsingham sbuffò leggermente – Dovevamo proprio aprire la botte di vino Bordeaux? Con le comunicazioni navali tra noi e il continente ridotte al minimo intaccare le riserve di vino pregiato lo considero uno spreco –
Il colonnello prese il calice e sorrise – In onore del colonnello de Jarjayes, Mylord, non sia mai che un francese pensi che l’esercito inglese non dispone…Di riserve di Bordeaux –
Il generale bevve un altro sorso dalla sua tazza e poi si leccò le labbra avidamente – No! Non sia mai…Una donna che viaggia da sola…Un ufficiale donna…Ma dove andremo a finire, dico io…Far entrare le femmine nell’esercito, ma ci pensate? E come comandava la Guardia Reale? In corsetto e crinoline? – disse e rise sommessamente.
Harrison lo fissò e sospirò. Anche lui aveva fatto battute del genere arrivando a Versailles con la delegazione inglese ed era stato curioso di vedere quella sorta di attrazione alla reggia francese. In breve, però, si era dovuto ricredere. Il colonnello Oscar de Jarjayes, da donna, si comportava né più né meno che come un uomo: spiegava, comandava e pure sbraitava alle sue truppe. E le addestrava con una perizia che lo aveva lasciato sconcertato. Aveva dovuto ammettere con sé stesso e con i suoi colleghi che il Conte de Jarjayes, quello che lo Stato Maggiore inglese considerava uno dei più valenti comandanti dell’esercito francese, aveva fatto uno splendido lavoro con quella femmina. Ma per il resto doveva convenire con Lord Walsingham, Oscar de Jarjayes era l’eccezione che confermava la regola e cioè che non ci sarebbero mai state donne in nessun esercito del mondo. Lei era in quella posizione essenzialmente perché era la figlia di un nobile importante e possedeva amicizie influenti, a partire da quella con la Regina Maria Antonietta.
Improvvisamente si ricordò che, di fianco al comandante della Guardia Reale francese, c’era sempre un’altra figura, sempre in disparte, come una fedele ombra: un uomo, una sorta di guardia del corpo che veniva presentato come attendente del comandante, ma di cui non riusciva a ricordarsi il nome, eppure la sua presenza discreta accanto alla de Jarjayes era costante. Si era persino chiesto se fossero amanti e, soprattutto, dove si trovava in quel momento? A quanto ne sapeva le spie inglesi avevano visto Oscar arrivare da sola in Inghilterra e quindi dove si trovava quel suo protettore? Erano domande a cui non aveva voglia di pensare per quella sera, guardò l’orologio a pendolo alla parete e notò che l’orario comunicato al colonnello francese per scendere era appena passato. Sbuffò. Evidentemente la francese era una di quei nobili che ritenevano elegante arrivare in ritardo; oppure, come donna, anche se si comportava come un uomo, doveva finire di prepararsi. Sorrise a quel pensiero e alzò il calice per bere un sorso di buon vino quando, offuscata dal vetro, vide una figura rossa all’ingresso della sala.
Tutti gli ufficiali presenti si girarono e a Harrison mancò per un attimo il respiro. Di fronte a loro c’era Oscar: indossava dei pantaloni bianchi con alti stivali neri, un lungo gilet bianco stretto in vita da un’alta fascia rossa trattenuta da una cintura e indossava una giacca rossa dell’esercito inglese con le spalline da ufficiale.
Lord Walsingham tossì nervosamente – Ma cosa diav… -
Harrison inarcò le sopracciglia e capì subito: l’uniforme rossa non era solo quella tipica dell’esercito inglese, ma era anche il colore dell’uniforme che Oscar indossava a Versailles come comandante delle Guardie Reali. Da un lato rendeva omaggio ai suoi ospiti e dall’altro rimarcava il suo essere un ufficiale “E una gentildonna” pensò lui alzando il bicchiere in un silenzioso brindisi di resa.
Oscar sorrise con l’angolo della bocca e annuì lievemente. Avanzò di due passi nella sala e sorrise – Signori! Vi ringrazio di avermi accolto in questo splendido posto – disse e fece cenno al cameriere di avvicinarsi. Lui le andò vicino e gli porse il vassoio. Lei prese un calice e lo sollevò – Lunga vita a Sua Maestà Re Giorgio III d’Inghilterra – gridò.
Tutti i presenti sollevarono i bicchieri – Lunga vita al Re! – dissero all’unisono.
Oscar restò con il calice in alto – E lunga vita a Sua Maestà Re Luigi XVI di Francia…I nostri paesi hanno conosciuto la guerra… Ora che conoscano la pace e l’amicizia –
Gli ufficiali sorrisero – Lunga vita al Re! – dissero di nuovo insieme, forse con meno enfasi, ma a Oscar non importò. Abbassò il calice e bevve un sorso di vino – Bordeaux! Vendemmia 1783…Leggermente aspra, con un retrogusto di terra…So che in quell’anno hanno avuto delle alluvioni nella zona…Io preferisco quella del 1780, ci fu un caldo estivo fino a Ottobre in quel periodo dando all’uva un delizioso sentore zuccheroso e fruttato – disse e andò di fronte a Lord Walsingham, tenendo delicatamente in equilibrio il calice allargò il braccio, mise una gamba in avanti e si inchinò profondamente – Mylord generale, vi ringrazio di avermi invitato a cena –
Il generale respirò a fondo – Una bella entrata in scena…Colonnello…Teatrale…Come solo i francesi sanno fare! Anche se ammetto e dovete ammetterlo anche voi che vi dona quel colore, ma adesso andiamo…Ho un certo languore – disse e indicò una porta laterale.
Oscar si rialzò sorridendo e guardò Harrison – Colonnello…E’ piuttosto semplice arrivare ai vostri magazzini, comunque…Ho dovuto adattare quest’uniforme sui fianchi…Spero che non ve la siate presa –
L’altro scrollò le spalle – Come ha detto Lord Walsingham, colonnello, quel colore vi dona. Se ne avete voglia possiamo offrirvi un valletto di sala che vi spiegherà le nostre regole a tavola, posso suggerirvi il tenente Perkins? Parla un ottimo francese –
Oscar si girò a vedere gli ufficiali presenti, notò subito il gigantesco capitano che la guardava con occhi torvi e poi sorrise – Il tenente Wesley andrà più che bene –
Harrison fece un cenno nella direzione del giovane e lui, nel silenzio generale, si fece avanti e chinò la testa – Signore…Signora… - disse e si avvicinò a lei – Non mi avevate detto che eravate una donna – aggiunse sottovoce.
Lei annuì e socchiuse gli occhi – Immagino che voi, da soldato, vi comporterete come tale, non è vero tenente? –
Lui aggrottò la fronte – Assolutamente! Ma…Ecco…Volevo dire che siete una donna…Una bella donna a dire il vero…E… -
Oscar strinse le labbra – Tenente! State facendo il galante con me? Sono un vostro superiore! Gli ufficiali inglesi non sanno come si sta davanti ai superiori? –
Wesley batté i tacchi – Sissignore! –
Oscar alzò il mento e passò una mano sulle spalline del tenente – Leggermente sporche e sono storte! Nella Guardia Reale di Versailles non vi farei nemmeno uscire nella piazza d’armi! Sistematevi tenente e pure il colletto non è portato come dovrebbe! Come si conviene a un ufficiale inglese! E poi mi indichi la sala –
Wesley batté di nuovo i tacchi, fece quello che le aveva ordinato Oscar e indicò la porta laterale nella quale era entrato il generale Walsingham. Oscar entrò e Harrison gli indicò il posto alla sinistra del comandante, che era seduto a capotavola con la sua solita tazza di the. Il tenente gli tenne la sedia per farla accomodare e si trovò di fronte il colonnello.
Il generale sospirò – Spero che vi piacciano i piatti inglesi! Le consiglio di non abbuffarsi visto che abbiamo tra i secondi un tipico piatto scozzese e diverse spezie esotiche…Sapete…La nostra invincibile flotta rimane ancora la padrona dei Sette Mari e rifornisce la Madrepatria di ogni tipo di prodotto –
Oscar sorrise cogliendo la sfida di Walsingham e lo guardò – Lo sappiamo benissimo che il vostro Impero è più grande del nostro…Anche senza le colonie americane –
Harrison strinse il tovagliolo nel pugno fino a farsi male; non era sua intenzione passare la serata vigilando per evitare che una donna soldato francese e un generale ubriacone inglese si insultassero, sebbene, ammise con sé stesso, con elegante ironia.
 
Le preoccupazioni di Harrison risultarono infondate. Nel corso della cena non si verificarono episodi rilevanti, nemmeno in una dotta discussione tra Oscar e Walsingham su Enrico V, Giovanna D’Arco e la Guerra dei Cento Anni (n.d.a.: La Guerra dei Cento Anni – 1337 : 1453 – segnò la cacciata dal territorio francese degli inglesi – con l’eccezione della piazzaforte di Calais – . La guerra fu favorevole agli inglesi con la vittoria ad Azincourt delle forze di Re Enrico V e la svolta a favore dei francesi venne data dalla giovane Giovanna D’Arco con la vittoria a Orleans). Il generale, anzi, forse con la complicità del liquore che ingurgitava spacciandolo per the, sembrava trovare la francese gradevole
Il cameriere mise di fronte a Oscar un piatto con uno strano cibo: aveva la forma di una grossa salsiccia rotonda, con contorno di carote lesse e una salsa bianca alle erbe. Lei lo guardò sbattendo le palpebre, ma vide che gli altri lo stavano mangiando con gusto. Wesley sorrise – Il tipico Haggis scozzese. Lo sapete come lo fanno? E’ stomaco di pecora ripieno di frattaglie tritate, farina di avena, erbe aromatiche e poi bollito –
Oscar impallidì e strinse il coltello nella mano. Come si poteva mangiare una cosa simile? Eppure…In un angolo della sua mente quella strana ricetta le sembrava familiare. Deglutì: “Coraggio Oscar! Non sarà un piatto inglese, per quanto disgustoso, a piegarti” pensò e tagliò la pietanza. Il profumo sembrava buono e pure l’interno non aveva un bruttissimo aspetto. Mise in bocca una forchettata e lo trovò strano come consistenza, ma per nulla cattivo. Dove aveva già sentito un sapore simile? Eppure era certa di averlo già provato, anni e anni prima. Ma non era da sola, c’era qualcun altro con lei, ma chi? Chiuse per un attimo gli occhi e vide una figura in ginocchio, sapeva che era di fronte a lei: “Il mio cavaliere” disse la sua voce, ma il volto dell’uomo, perché sapeva che era un uomo, era sfocato.
Wesley sorrise e si piegò verso di lei – Vi sentite bene? Non è così male! Se non ci siete abituata può essere pesante la prima volta…Dicono che fa crescere i peli sulla schiena… - disse.
Oscar riaprì gli occhi e sorrise guardandolo – E allora mangiatelo e crescete, tenente! E’ un ordine! –
Lui fece una piccola smorfia e poi ritornò al suo piatto.
 
Alla fine della cena uno degli altri ufficiali si piegò in avanti – Diteci colonnello, è vero che la reggia di Versailles è immensa? –
Oscar sorrise e giocherellò con il bicchiere vuoto – Lo è! E’ molto grande, ma i suoi giardini lo sono ancora di più –
Un altro si piegò per guardarla – E’ vero che si fanno feste e balli ogni sera? –
Lei lo guardò – Non sempre…Si fanno spesso, questo è vero, ma non sempre – disse e sospirò ricordando le notti passate a vigilare sulla vita della Regina Maria Antonietta e, soprattutto, il Conte Fersen. Improvvisamente le venne in mente anche André. Anche lui era sempre a Versailles, sempre con lei, sempre al suo fianco, un passo indietro, come un’ombra discreta e sicura. Si scosse solo quando Harrison la chiamò per nome. Lei alzò lo sguardo e lo guardò; lui sorrise – Perdonatemi colonnello de Jarjayes, ma il maggiore Simpson voleva sapere se è difficile comandare la Guardia Reale a Versailles, per uno…Una…Uno come voi… -
Oscar sospirò, sembrava impossibile, ma vedevano sempre e solo una donna in lei. Sbuffò, aprì la bocca, ma fu la voce di un altro a rispondere: - Non credo che sia difficile! Dicono che i francesi vanno all’attacco ballando il minuetto e, oltretutto, lo fanno solo quando sanno di essere in superiorità rispetto all’avversario…In sostanza, signori, sono dei vigliacchi loro e le loro donne! Anche se credono di essere soldati! –
Oscar rimase a bocca aperta nel silenzio generale e il clima conviviale che si era lentamente instaurato sparì improvvisamente. Wesley deglutì e abbassò le mani piegandosi all’indietro permettendo a Oscar di vedere chi aveva parlato. Si trattava del gigante in uniforme da capitano che l’aveva accolta in malo modo quando era arrivata. Lui si girò a fissarla con i suoi occhi grigi e freddi. Harrison inspirò a fondo – Capitano Travers, noi tutti comprendiamo la vostra situazione particolare, ma non credo che… -
L’altro sorrise malignamente – Con tutto il rispetto, signore, ma non mi importa! Io non renderò mai omaggio a un francese o alla Francia e men che meno a una donna che gioca ad essere un soldato! – disse quasi sputando le ultime parole. Poi guardò di nuovo Oscar – Volete sapere a quale situazione si riferisce il colonnello Harrison? Io ho combattuto nelle colonie, fin dal primo momento, da quando un gruppo di idioti travestito da indiani ha gettato a mare le casse di the nel porto di Boston…Ho combattuto in quasi tutte le battaglie, da Charleston fino a Yorktown…Avete sentito parlare della battaglia di Yorktown...Mademoiselle? –
Oscar aggrottò la fronte, era una delle ultime battaglie della guerra in America e a quella ci aveva combattuto anche Fersen; lui l’aveva descritta come un avvenimento di una portata storica a cui aveva partecipato l’esercito continentale dei coloni, quello francese e persino la flotta reale al comando dell’ammiraglio De Grasse che fu salutato come un eroe a Versailles. Travers, però, non aspettò la sua risposta: - Ci stavano assediando dalla terra e dal mare…Da terra c’era l’artiglieria di quel traditore di Washington affiancata dal vostro La Fayette e poi ci si è messa anche la flotta francese…Sapevamo che non c’era nulla da fare, ma non volevamo arrenderci. Molti di noi avevano le famiglie al seguito e chiedemmo che potessero essere trasferite con l’unica nave che avevamo a disposizione attraverso Chesapeake Bay…La Fayette ci diede la sua parola sul suo onore e ci fidammo! Ma quando la nave partì, in mezzo alla baia, ad essa si affiancò una fregata francese…Posso ancora vedere il suo nome a lettere dorate sulla poppa: Esperance…Speranza…E cominciarono a cannoneggiare i nostri civili…Attaccarono una nave disarmata per puro divertimento! Ci furono duecento morti, in massima parte donne e bambini…E c’erano anche mia moglie e mia figlia là – disse e si alzò facendo cadere la sedia.
Harrison strinse le labbra – Sedetevi Travers! E’ un ordine! –
Oscar rimase allibita e una miriade di pensieri si affacciò nella sua mente. Si ricordò dell’oste a Tintagel e della donna indiana, rimasta muta per le violenze subite dai soldati francesi e poi…Era mai possibile che fosse vera la storia di Travers? Si ricordò che la notizia della vittoria di La Fayette a Yorktown fu festeggiata a Versailles e con essa quella della flotta reale e Fersen…Lui le aveva raccontato per filo e per segno come si era svolta la battaglia e le era sembrata grandiosa e gloriosa per le truppe francesi. Ma se dei soldati vigliacchi potevano esserci anche nell’esercito francese, una nave da guerra francese che attaccava una nave civile inglese era davvero impossibile, sotto ogni punto di vista: - Mentite! – sentì la sua voce dire senza nemmeno rendersene conto.
Il gigantesco capitano la guardò negli occhi, pallido in volto – State dicendo che sono un bugiardo? –
L’atmosfera si fece sempre più pesante, Harrison si mosse di lato, pronto ad alzarsi, ma il generale Walsingham rimase seduto al suo posto, con un’espressione più incuriosita che altro. Sorrise e guardò Oscar – Colonnello de Jarjayes…Il capitano Travers è un buon ufficiale di Sua Maestà e non ha mai mentito. Lo state accusando ufficialmente? –
Oscar si alzò e fronteggiò il capitano – Lo accuso! L’esercito di Sua Maestà il Re di Francia non attacca i civili, non lo ha mai fatto e la nostra vittoria a Yorktown al fianco delle truppe continentali è stata un capolavoro di strategia e di coraggio! Si! Lo accuso di mentire! –
Travers strinse le labbra – Stupida cagna francese! – disse e fece un passo avanti. Harrison si alzò, imitato da tutti i presenti, ma non da Lord Walsingham, che invece sorrideva. Il colonnello inglese allungò una mano – Basta così capitano! O vi farò arrestare! –
Oscar alzò il mento – Non importa! Sono a disposizione di questo individuo…Spada o pistola per me non conta! A vostra discrezione capitano, vi ricaccerò in gola le vostre accuse ridicole –
Harrison sbuffò, si girò verso Oscar e aprì la bocca, ma fu Lord Walsingham a parlare: - Voi che ne dite capitano? La nostra ospite francese non si trova bene qui e noi, come ufficiali e quindi gentiluomini, dobbiamo mostrargli tutta la nostra ospitalità inglese –
Il capitano Travers sorrise con l’angolo della bocca – Sono c’accordo Mylord generale. Mostrerò alla nostra ospite quanto siamo gentili…Preparate una spada, se ce l’avete, colonnello e domattina, alle otto in punto, chiariremo la questione – disse e fece un lieve inchino con la testa.
Oscar annuì – Domattina alle otto…Tenente Wesley, vi chiedo di essere il mio padrino e di svegliarmi in tempo –
Il giovane rimase sbalordito, tutto si era svolto in poco tempo e si limitò ad annuire. Harrison si avvicinò al generale e si piegò parlandogli concitatamente all’orecchio. Il generale scrollò le spalle e fece un gesto con la mano – Non si preoccupi Harrison e che non si preoccupi nemmeno Lord Baxter, non permetterò certo che questa nobildonna che si crede un soldato possa venire qui, vestire la nostra uniforme e dire che mentiamo…Travers la strapazzerà un po' e lei se ne tornerà a Versailles piagnucolando di come sono cattivi questi inglesi…E adesso lasciatemi in pace! – disse e sorseggiò l’ennesimo sorso dalla tazza da the.
Harrison fece una smorfia, più simile ad un ringhio e guardò Oscar, accompagnata da Wesley, uscire dalla sala e gli altri ufficiali attorno a Travers che si congratulavano per il duello con la francese. Sospirò e guardò di nuovo Lord Walsingham – Con il vostro permesso Mylord – disse e batté i tacchi. L’altro fece di nuovo un gesto e lo congedò definitivamente.
 
Oscar salì le scale fino alla porta del suo alloggio, seguita da Wesley. Davanti alla porta si girò verso il giovane ufficiale – Vi ringrazio tenente, ora credo sia meglio che vada a dormire –
Lui aggrottò la fronte – Er…Si colonnello, ma…Se posso: il capitano Travers non è nato in Inghilterra, ma in America. Quando i coloni hanno vinto è tornato in Madrepatria con molti altri, diciamo, americani…E lui non combatte seguendo le regole militari…Io…Volevo solo dirvi questo – disse e se ne andò.
Oscar sbatté le palpebre e lo guardò andare via lungo il corridoio incrociando una guardia armata di fucile. Lei sorrise quando il soldato si fermò di fronte alla sua porta – Non preoccuparti soldato! Se qualcosa non va ci sono io a proteggerti – disse ed entrò.
Una volta dentro lei si maledisse sottovoce. Non era necessario un duello con un ufficiale inglese, ma quello che aveva detto…Non era possibile che una nave francese avesse attaccato proditoriamente una nave civile inglese. Non lo avrebbe mai creduto e di certo Fersen ne avrebbe fatto menzione nei suoi racconti e avrebbe denunciato il comandante della nave se effettivamente un tale episodio si fosse verificato. Sguainò la sua spada, appoggiata su una sedia. Passò il pollice sul filo: tagliava, ma quando la curava André era molto più affilata. Menò due fendenti all’aria e fece un affondo. Avrebbe ricacciato in bocca a quell’inglese pieno di boria le sue accuse.
Rinfoderò la lama e riappoggiò l’arma sulla sedia, poi si levò l’uniforme che indossava e la gettò a terra, avrebbe affrontato Travers con i suoi abiti, con abiti francesi.
 
Il colonnello Harrison uscì a grandi passi dall’edificio e si avviò verso uno dei magazzini con una lanterna in mano. Si guardò attorno, armeggiò con la porta e poi entrò. Richiuse l’ingresso alle sue spalle, fece qualche passo in avanti e sollevò la lanterna: - Vieni fuori Nesby! –
Un uomo in vesti scure uscì da dietro delle casse e si appoggiò ad esse con una spalla – Cosa stai facendo colonnello? E perché mai quella maledetta francese è ancora viva? Potevamo averla già in Normandia e adesso che siamo in Inghilterra perché non ci viene permesso di farla fuori e di prendere la pietra? –
L’altro strinse le labbra e lo guardò in malo modo – Lord Baxter non ti deve alcuna spiegazione. MA se proprio ci tieni: quella donna che si crede un uomo, che il diavolo se la porti, è molto importante…Pensavamo che farla venire qui e ucciderla in Inghilterra sarebbe stato meglio, ma il nostro efficientissimo servizio di informazioni l’ha subito individuata…E quindi la notizia è arrivata fino alle orecchie di Re Giorgio che ha personalmente ordinato, testualmente secondo Lord Baxter, di lasciarla stare! –
Nesby lo fissò stringendo le labbra, ma l’altro continuò – E’ politica! Una cosa che un sicario come te non può comprendere! Abbiamo perduto i territori americani e adesso ci stiamo concentrando sulla penetrazione in India, ma ci serve tempo; una buona parte della nostra flotta mercantile e militare dovrà essere trasferita dall’Europa all’Asia, come pure i nostri reggimenti e scatenare una guerra per quel…Quella…Donna in pantaloni ci attirerebbe contro non solo la Francia, anche la Spagna, l’Olanda perché tocchiamo i suoi possedimenti in Asia, la Russia perché ci vedrà come una minaccia per i suoi territori orientali e forse anche la Prussia…Perché quelli devono sempre fare la guerra a qualcuno…E già che ci siamo pure i nostri ex fratelli americani che vorranno conquistare i territori del Canada ancora in mano nostra –
Nesby sbuffò – Seee…Mettiamoci anche i piccoli regni italiani e il Papa e facciamo una guerra mondiale! E tutto per quella donna? Andiamo colonnello…Non è che voi militari esagerate sempre? –
Harrison tentennò sconsolato, come un maestro con uno scolaro troppo testardo – Un piccolo avvenimento, come un sasso lanciato in uno stagno produce una miriade di cerchi, genera altri avvenimenti…E altri ancora…Compito dei politici, come Lord Baxter, è tenerne conto. Ma non ho detto che la lasceremo viva. Sa qualcosa, questo è certo e non credo che si sia messa a gironzolare tra le rovine maledette a Tintagel solo per fare del turismo! Lord Baxter, nella sua infinita bontà e saggezza, si è offerto al Re di sorvegliarla personalmente e siamo arrivati a questo punto –
Nesby tentennò – Ed è per questo che l’avete portata qui, da quell’idiota di Walsingham? –
Il colonnello tentennò – Lord Baxter lo ha voluto per dimostrarle che il governo inglese sa che è qui e per spaventarla. Walsingham la lascerà andare e a quel punto la nostra francese avrà solo due strade: una è quella di tornarsene in Francia con la coda tra le gambe per andare a lamentarsi con Maria Antonietta di quanto sono maleducati gli inglesi e finalmente potremo inscenare un incidente in mare, solo dopo avergli preso la pietra, ovviamente. Le catastrofi navali sono meno rare di quanto comunemente si ritiene…E l’Inghilterra non verrà accusata di nulla. Ma l’altra scelta che potrebbe fare è di continuare la sua ricerca e noi, in quel caso, glielo lasceremo liberamente fare. Una volta che sapremo dov’è quello che stiamo cercando e solo allora…Agiremo! Quando avremo in mano l’arma né Re Giorgio, Luigi XVI o qualunque altro sovrano d’Europa potranno fermarci –
L’altro annuì con un sorriso maligno – E così sia! –

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Capitolo 6
*** LA SCELTA ***


Britannia – Primo secolo d. C.
Quanto tempo era passato? Molti anni da quando Roma aveva conquistato la Britannia. Aveva partorito una seconda femmina a Re Prasutago, una bellissima e sanissima bambina, ma pur sempre una donna. Purtroppo però la sfortuna si era abbattuta su di lei e sulla sua famiglia: suo marito aveva cominciato a stare male. La malattia era cominciata con una caduta da cavallo durante la caccia e poi si era tramutata in una febbre senza fine che lo aveva costretto a letto per la maggior parte del tempo.
Nella sua capanna, al capezzale del Re, erano presenti Norag, il sommo druido della tribù, un uomo alto con una folta e lunga barba nera, come i suoi capelli e come la sua tunica. Sulla sua testa campeggiava la tonsura, la rasatura dei capelli da un orecchio all’altro tipica dei druidi. C’era Gavino, il giovane e forte guerriero pretendente alla mano di sua figlia maggiore Una e altri nobili della tribù. Uno di questi, uno dei più anziani, si rivolse a lei – Mia Signora! Il Re…Dobbiamo iniziare a discutere di cosa avverrà dopo che…Che lui non sarà più tra di noi –
Lei lo guardò inorridita. Poi guardò il suo sposo nel giaciglio e le si strinse il cuore vedendo il petto che respirava affannosamente. Era sempre stato un possente guerriero, ma nell’ultimo mese era smagrito in maniera impressionante. Suo padre era morto qualche anno prima e lei non aveva altri parenti in vita. Prasutago era stato un marito buono e onesto e l’aveva sempre trattata con onore e rispetto. Ogni tanto avevano discusso di cosa sarebbe successo dopo la sua morte: le terre degli Iceni erano sottoposte alla legge di Roma per diritto di conquista ed erano amministrate da lui solo per gentile concessione dei romani. Il Re veniva visto quindi semplicemente come uno dei clintes dell’Imperatore che, alla morte del sovrano alleato, poteva disporre di loro e delle loro terre come meglio credeva. Prasutago non aveva mai dato motivo di preoccupazione ai romani e questa sua quieta sottomissione l’aveva inviso a molti altri sovrani della Britannia. In generale il Regno sarebbe stato dato ai suoi successori, nominati a loro volta clientes dall’Imperatore, ma la legge di Roma non ammetteva una discendenza diversa da quella maschile. Le sue figlie non avrebbero mai potuto regnare sugli Iceni: Una aveva sedici anni e la piccola Maeve appena dieci, cosa ne sarebbe stato di loro?
Un altro guerriero entrò oltrepassando una tenda in pelle, si avvicinò al letto del Re, si inginocchiò e si piegò verso di lui. Lei non riuscì a sentire quello che suo marito stata dicendo, ma dopo qualche istante l’uomo si alzò e si rivolse a lei inchinandosi – Mia Signora, la persona che tuo marito ha mandato a chiamare è arrivata. Il Re chiede sia tu a parlare con lui –
Lei aggrottò la fronte, guardò per un attimo Prasutago e annuì lentamente e poi seguì il guerriero sotto lo sguardo attento del druido. Uscirono allo scoperto per poi andare in un’altra capanna dove c’erano altri due guerrieri ad attenderla e una persona che non si sarebbe mai immaginata di vedere nel loro villaggio: era un romano e lo riconosceva dai corti capelli, dal volto rasato e dalla toga verde che indossava. Uno degli uomini inarcò le sopracciglia – Mia Regina, questo è l’uomo che Re Prasutago aspettava…E’…Quello che chiamano…Un avvocato e arriva direttamente da Londinium –
Lei deglutì, aveva visto una volta sola la capitale della Provincia, l’aveva visitata con suo marito; erano stati ospiti, come altri capi tribù, del Governatore romano. La città era stata costruita a immagine e somiglianza della stessa Roma, con le sue strade, i suoi templi, le sue thermae e le sue case in pietra e le sue arene e i suoi mercati degli schiavi. Guardò l’uomo – E a cosa ci serve? –
Il romano strinse le labbra e chinò la testa – Domina, sono stato contattato da tuo marito qualche mese fa per esaminare la situazione del vostro Regno…Una situazione difficile, lo ammetto, ma non insuperabile…Perlomeno con la legge attuale –
Lei fece una smorfia – La legge romana! –
L’altro sospirò – Esiste altra legge? Perdonami Domina, ma le vostre terre appartengono all’Impero e ad esso pagano le tasse, purtroppo, mi dicono, il Re non ha un discendente maschio, ma solo delle femmine –
Lei mosse un passo verso di lui, come si permetteva quel romano di parlare a quel modo delle sue figlie? Erano bellissime e volevano molto bene a loro padre, anche senza l’autorizzazione dei romani. Ma l’uomo di Londinium sorrise – Ma credo di aver trovato una soluzione accettabile – disse e si piegò su una cassa di legno prendendo delle tavolette di cera segnate con quella che i romani chiamavano scrittura.
L’uomo le porse a lei che aggrottò la fronte. Lui annuì – E’ un contratto. Con il quale il Re degli Iceni dona tutte le sue proprietà, compreso il suo Regno, all’Imperatore –
Uno dei guerrieri socchiuse gli occhi – E perché dovrebbe farlo? –
Il romano lo guardò – Le terre degli Iceni appartengono già all’Imperatore, ma con questo atto Re Prasutago sostanzialmente pone sotto la protezione dell’Imperatore non solo le sue terre, ma anche il suo popolo e la sua famiglia. Nelle mie…Nelle nostre intenzioni si vuole generare una specie di obbligo…Morale…Dell’Imperatore verso di voi nella…Speranza…Che lui e tutta la sua autorità possano proteggervi –
Lei rimase di sasso – Obbligo morale? Un obbligo morale di un tiranno a migliaia di miglia da qui è tutto quello che hai saputo fare? –
L’avvocato fece una faccia offesa e strinse a sé le tavolette – Nella vostra condizione è tutto quello che si può razionalmente fare Domina, se tu avessi avuto un figlio che si fosse dimostrato un fedele suddito di Roma, allora avremmo potuto chiedere di accettare la sua successione a Prasutago, ma così…Non posso fare altro –
Lei si sentì vacillare e fissò il romano – E l’Imperatore, razionalmente, ci proteggerà? –
L’uomo sospirò – L’Imperatore ha una serie infinita di proprietà sparse su tutto l’Impero, dalla Siria e l’Egitto all’Iberia, dall’Africa alla Germania, Gallia e Britannia, passando ovviamente per la Grecia, i Balcani e l’Italia…Non può avere il controllo o ricordarsi di tutto, ma già il fatto che siate una sua proprietà dovrebbe darvi una…Solida protezione –
Lei si sentì morire – Una sua proprietà…Questo io, le mie figlie e il mio popolo siamo per Roma? - disse piano e poi guardò di nuovo negli occhi il romano – Claudio è morto. Che tipo è il nuovo Imperatore? –
L’uomo sorrise – E’ giovane, ma dicono che sia intelligente e pronto di spirito, poi ho sentito dire che ha un temperamento da artista che lo rende molto sensibile a casi come il vostro. Senza contare che è consigliato da uno dei più grandi filosofi dei nostri tempi: Lucio Anneo Seneca, che lo guida in ogni passo. A Roma e in tutto l’Impero si pongono grandi speranze su di lui –
Lei fece un gesto con la mano, francamente non gli importava se il nuovo sovrano dei romani fosse un artista o meno, ma che fosse un tipo affidabile e generoso. Sospirò – Lui ci governa da Roma, a miglia e miglia di distanza…E noi non abbiamo nemmeno l’idea di come si chiama –
L’altro gonfiò il petto – E’ di nobilissimi natali, parente diretto di Cesare Augusto e Tiberio, nipote del defunto divo Claudio. Il suo nome è Lucio Domizio Enobarbo, ma mi dicono che è meglio conosciuto a Roma con un soprannome: Nerone –
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si svegliò e si mise seduta sul letto. Ci mise qualche istante per ricordarsi dove si trovava e toccò la tasca interna della giacca. Sospirò di sollievo nel sentire la pietra e si chiese, ancora, dove la stavano portando quei sogni. Il personaggio storico a cui si riferivano era di certo sempre più chiaro, ma le immagini erano così vivide che le sembrava di viverle in prima persona.
Guardò la finestra e vide che stava filtrando la luce del sole. Si mise seduta e sentì bussare: - Colonnello! Siamo pronti! Il capitano Travers aspetta – disse la voce del tenente Wesley.
Dopo qualche istante Oscar aprì la porta per uscire con la sua spada legata al fianco. Il tenente sorrise e si fece di lato. Lei percorse il corridoio e poi uscì all’aperto. Dei tamburi cominciarono a rullare e socchiuse gli occhi per abituarsi al riverbero del sole: I soldati erano in formazione su tre lati di fronte all’edificio, formando una sorta di arena al centro del quale spiccava l’imponente mole in uniforme rossa di Travers. Si girò e vide Walsingham con la sua onnipresente tazza da the e al suo fianco il colonnello Harrison con uno sguardo indecifrabile.
Walsingham sorseggiò dalla tazza e poi sorrise – Buongiorno colonnello! Immagino che faremo colazione dopo il duello. Mi pare che il bon ton indichi che si mangi solo dopo la tenzone –
Harrison girò gli occhi guardandolo obliquamente. L’odore dell’alcol si sentiva chiaramente e si disse che non era un bene avere un comandante ubriaco di prima mattina, specialmente con in corso un duello tra una donna in evidente crisi esistenziale e un ufficiale pieno di rancore e voglia di vendetta: “Quando troveremo quell’arma maledetta chiederò personalmente a Lord Baxter dei possedimenti in India. Almeno là dovrei stare tranquillo per il resto dei miei giorni” pensò. Aveva peraltro parlato chiaramente con Travers, dicendogli, anzi, ordinandogli che poteva umiliare e persino ferire quella donna, ma che non doveva in nessun modo ucciderla. In effetti, si disse ancora, una volta sconfitta la francese avrebbe sicuramente preso la direzione di casa e quindi quell’idiota di Nesby avrebbe potuto prendere la pietra e ucciderla senza che le autorità inglesi o francesi potessero dire qualcosa in merito. E quella, a suo avviso, era la soluzione migliore per tutti loro. Inspirò a fondo – Buongiorno colonnello de Jarjayes! E’ mio dovere chiedere se una delle parti intende rinunciare a questo duello –
Travers strinse le labbra – Mai! – disse e si levò la giacca dell’uniforme. Oscar notò che non aveva una spada al suo fianco, ma alla cintura era appesa la fodera di un pugnale e, dall’altro lato, quella che sembrava una piccola accetta, di quelle che i contadini usavano per tagliare i rami degli alberi. Rimase interdetta e guardò il suo rivale prendere il pugnale nella mano sinistra e l’accetta in quella destra. Notò che la piccola ascia aveva il manico in legno decorato a rilievo, come pure la lama.
Il tenente Wesley si avvicinò – E’ quello che le stavo cercando di dire ieri sera: il capitano Travers non combatte con la spada o con il fucile. Quello è un tomahawk, un’ascia di guerra degli indigeni americani, secondo quello che dice il capitano lui l’ha presa a un guerriero Mohawk che a sua volta l’aveva presa a un Urone durante la guerra contro francesi e indiani –
Oscar lo guardò aggrottando la fronte, non aveva capito nulla di quello che aveva detto il tenente, tranne che quella era un’ascia di guerra degli indiani americani. Sbatté le palpebre e guardò di nuovo Travers. Tutto si era immaginata, ma non di combattere contro quel tipo di armi. Aveva sentito qualche storia sulle popolazioni indigene americane, per lo più di alti ufficiali che si vantavano con le dame di Versailles raccontando terribili storie su quelle popolazioni bellicose e feroci e liquidandole come barbare e inclini alla bestiale pratica dello scuoiamento della parte superiore del cranio dei nemici con tutti i capelli per farne dei trofei. E, a quanto le avevano detto, i guerrieri indiani lo facevano quando le vittime erano ancora vive.
Come se le avesse letto nella mente, Travers le puntò contro il tomahawk – Quella bella capigliatura bionda starebbe bene sulla parete della mia stanza – disse provocando delle risate nella truppa.
Oscar sentì un brivido lungo la schiena, ma sorrise – Prima dovete avvicinarvi tanto da prenderla! –
Il capitano sorrise di nuovo, abbassò le ginocchia e allargò le braccia con in pugno le armi – E lo farò! – disse solo.
Oscar sguainò la spada, la puntò contro il capitano e poi se la portò al volto nel saluto. L’abbassò e guardò Walsingham. Il generale annuì sorridendo e fece un cenno con la mano – Fate pure –
 
Non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che Travers si gettò su di lei che lo schivò lanciando un fendente che colpì solo l’aria. Notò che l’uomo, nonostante la possente mole, era molto agile e veloce. Aveva combattuto con avversari che impugnavano un’altra spada, che osservavano le regole del combattimento all’arma bianca, ma mai contro un’ascia e un pugnale. Eppure c’era qualcosa di sinistramente pericoloso in quelle armi non convenzionali e quasi primitive. Si immaginò le immense foreste del Nord America piene di uomini dalla pelle rossa, seminudi e con il volto dipinto che massacravano le colonne dei soldati europei scuoiandone la testa urlando contro il cielo in un idioma astruso. Ma non ebbe il tempo di perdersi in quelle visioni perché Travers stava già muovendo verso di lei.
Oscar faticò a parare i colpi del tomahawk e del pugnale; la sua arma, anche se con una lama più lunga, non riusciva a colpire l’uomo che, nonostante la sua mole, si muoveva rapido e preciso. Ad un certo punto lei mancò il colpo e girò su sé stessa, sentì un forte calcio nel posteriore e cadde rivolta in avanti gemendo.
Le risate si alzarono fragorose e il capitano allargò le braccia sorridendo – Ma guarda! La nostra ospite preferisce stare a terra e non in un morbido letto profumato… -
Oscar respirò a fondo e si alzò lentamente tornando a fronteggiare l’uomo. Non poteva competere con la sua forza fisica e la sua tecnica, sebbene raffinata e precisa, frutto delle lunghe lezioni con suo padre, a poco serviva contro quelle armi. Se qualcosa doveva usare era la velocità e fu lei a scattare in avanti. Il capitano rimase sorpreso, ma parò gli assalti fino a quando Oscar lo colpì al volto con il paramano della spada.
Un eco di sorpresa si levò dalle file degli spettatori e Travers indietreggiò barcollando per un attimo. La fissò in cagnesco con un rivolo di sangue che gli colava dal naso, masticò e poi sputò del liquido rosso a terra: - Complimenti donna francese…Non sono molti quelli che possono vantarsi di avermi colpito, ma adesso facciamola finita! –
Oscar provò un senso di terrore vedendo l’enorme mole dell’uomo avvicinarsi con le armi in pugno. Era come se una montagna si muovesse e avanzasse dritta verso di lei. Si sentì improvvisamente debole e stanca e desiderò solamente essere di nuovo a casa sua, nella sua Francia e magari con Andrè: “Andrè…Cosa ho mai fatto…Credevo di essere forte abbastanza da sfidare il mondo e ora sono qui, in questo posto sperduto, con un mostro che sta per saltarmi alla gola…Cosa devo fare…Cosa devo fare…” pensò e, improvvisamente, sentì una voce parlare dentro la sua testa: - E’ troppo forte per batterlo a mani nude e sa come parare i colpi di una spada…Devi essere rapida e astuta…Non ti serve la tua arma – e somigliava tanto alla voce di Andrè. Aggrottò la fronte: non usare la spada? Che razza di consiglio era? Come poteva sconfiggere quel colosso senza la sua fedele arma?
In quel momento Travers attaccò e lei si scansò di fianco una volta, due e altre volte facendolo girare a vuoto. Quando si trovò davanti l’enorme schiena dell’uomo capì il senso del consiglio. Aprì la mano lasciando cadere la spada e, con un balzo, gli saltò alla schiena. Circondò il collo dell’avversario con il braccio destro e cominciò a stringere.
Walsingham aggrottò la fronte – Che sta facendo quella donna? Sta abbracciando il capitano? Ma cosa… -
Harrison socchiuse gli occhi – Non lo sta abbracciando Mylord…Lo sta battendo –
 
Travers agitò le braccia in modo scomposto e poi lasciò cadere il tomahawk e il pugnale cercando in tutti i modi di afferrare Oscar e di togliersela dalla schiena. Le afferrò un braccio e le tirò i capelli, ma lei non lasciò la presa e continuò a stringere, sempre di più: “Cadi! Cadi in avanti bestione!” disse e, come se le avesse letto nel pensiero, il capitano appoggiò un ginocchio a terra, seguito subito dopo dall’altro e si piegò in avanti.
Lawrence Travers sentì il fiato mancargli quando cadde a terra. Si mise carponi e, improvvisamente, sentì il peso di Oscar lasciare la sua schiena e i suoi polmoni aspirarono di nuovo l’aria. Si portò una mano al collo, ma, al posto della gola, sentì il freddo acciaio di una lama. Si voltò di lato e vide Oscar, in piedi, ansimante, che teneva la sua spada puntata sotto il suo collo.
Un mormorio si diffuse presto tra gli spettatori e Lord Walsingham, paonazzo in volto, lasciò cadere la sua tazza di the e rientrò nella villa a grandi passi. Harrison sorrise con un ghigno: dopotutto la francese era stata brava. In effetti lui aveva ordinato a Travers di non farle del male, ma non aveva minimamente pensato al fatto che lei potesse vincere. Sospirò e si disse che, dopotutto, il capitano, come ogni ingombrante e fastidioso ex coloniale, non era di certo una gran perdita.
Oscar deglutì – Guardatemi capitano –
Lui la fissò con un misto di odio e curiosità e lei annuì – Ditemi…E’ vero…E’ vero quello che è successo a vostra moglie e vostra figlia a Yorktown? –
L’uomo inspirò a fondo – Ve lo giuro! Per anni mi sono convinto che fosse successo in parte per punirmi di quello che ho fatto durante la guerra…Facevo parte dei Dragoni Verdi del colonnello Tarleton e…E abbiamo compiuto azioni…Di cui non è facile parlare…E di cui non vado fiero…Ma quello che vi ho detto è tutto vero! -
Oscar aggrottò la fronte, Fersen le aveva parlato anche dei Dragoni Verdi, un reparto di cavalleria dell’esercito inglese, ma nato in America durante la guerra. Era comandato da piccoli nobili inglesi, tra cui spiccava il colonnello Banastre Tarleton, il loro comandante ed era composto quasi interamente da coloniali lealisti alla Corona. Indossavano una giubba verde per distinguersi dagli altri reparti inglesi e, a quanto ne sapeva, il colonnello Tarleton era stato un ufficiale scaltro e geniale, ma anche feroce e spietato, soprattutto con la popolazione civile (n.d.a.: i Dragoni Verdi compaiono nel film “Il Patriota” con Mel Gibson, nella pellicola il nome del loro comandante è stato cambiato da Tarleton in Tavington, interpretato da Jason Isaacs, il Lucius Malfoy della saga di Harry Potter). Di quali crimini si fosse macchiato Travers combattendo con i Dragoni Verdi lei non poteva saperlo, ma vedere la propria famiglia bruciare era un qualcosa che non poteva augurare a nessuno, nemmeno ad un nemico. Chiuse gli occhi per un attimo e vide una nave in fiamme, distrutta dai colpi dell’artiglieria e persone urlanti divorate vive dalle fiamme. Vide anche una donna che stringeva al petto una bambina urlante dicendogli, anzi, mentendogli, che tutto sarebbe andato bene. Riaprì gli occhi di colpo e vide lo sconforto e la rabbia nello sguardo dell’uomo sconfitto, ma anche la sincerità.
Strinse le labbra e abbassò la lama. Non era così sciocca da credere che in una guerra fosse tutto uno scambio di onori sui campi di battaglia, ma aveva sempre creduto che certe regole, anche se non scritte, fossero sempre rispettate dai contendenti. Piegò leggermente la testa – Io…Perdonatemi se vi ho dato del bugiardo. E, per quello che vale, vi offro le mie più sentite condoglianze per la vostra perdita…Ma vi posso giurare che farò tutto quello che è in mio potere affinché gli ufficiali di quella nave, l’Esperance, paghino per il loro crimine…Per quello che mi riguarda nessuno ha vinto questo duello –
Il silenzio raggelò il cortile e poi si udì un battere di mani. Il tenente Wesley applaudì, subito imitato dagli altri ufficiali e dai soldati. Travers si alzò lentamente. Rimase per un lungo momento di fronte a Oscar e poi sollevò la mano nel saluto militare. Gli altri graduati si avvicinarono circondandola e facendogli i complimenti, ma poi la folla si aprì improvvisamente a ventaglio all’avanzare del colonnello Harrison che, con un lento battere di mani e un sorriso sinistro in volto, si avvicinò a lei.
Harrison portò una gamba in avanti e fece un profondo inchino – Onore a voi, mon colonel, una splendida vittoria, anche se non convenzionale, ma del resto anche le armi del capitano Travers non lo erano –
Oscar annuì – Qui non ci sono vincitori –
L’altro si avvicinò e lei vide chiaramente i suoi occhi scuri e maligni brillare: - Come dite voi colonnello de Jarjayes, ma questi valorosi ufficiali hanno visto voi trionfare, come pure Sua Grazia Lord Walsingham che, a proposito, si scusa per averci lasciati, ma evidentemente troppo the al mattino fa male…Immagino che ora, dopo aver gustato la nostra ospitalità, ve ne tornerete in Francia, alla vostra reggia, a dire quanto siamo generosi noi inglesi…Vi suggerisco di prendere la strada per Plymouth il prima possibile –
Oscar si sforzò di sorridere – Il suo sembra più un ordine che un suggerimento –
Harrison sorrise di nuovo, questa volta snudando i denti – Diciamo che è…Una forte raccomandazione…Tenente Wesley! –
Il giovane ufficiale si avvicinò e batté i tacchi. Harrison agitò la mano in aria – Il tenente Wesley vi ha portato qui e lui vi accompagnerà al bivio di Kelland Hill a sud…E si assicurerà che facciate un’abbondante e salutare colazione e che prendiate…La giusta decisione –
 
Dopo una colazione consumata davanti a due guardie armate, più simile all’ultimo pasto di un condannato, pensò Oscar, lasciò la costruzione e montò in sella al suo cavallo per abbandonare Lowerfield House, seguita dal tenente Wesley e da un drappello di soldati a cavallo. Nel lasciare quel luogo si girò e vide ad una delle finestre del primo piano una grossa figura in uniforme rossa che sorseggiava una bevanda da una tazza. Sorrise e guardò di nuovo avanti a sé. Vide il capitano Travers di fianco al sentiero che portava alla strada e, dietro di lui, un plotone di soldati schierati. Quando furono vicini l’uomo batté i tacchi e fece il saluto – Presentat-arm! – gridò e i soldati dietro di lui scattarono sull’attenti sollevando i fucili.
Oscar fermò il cavallo e sorrise – Non era necessario capitano –
Lui fece una smorfia che forse voleva essere un sorriso – Di fatto avete vinto voi colonnello, inutile negarlo e…Beh! Mia moglie diceva che non sono mai stato un granché nelle scuse o nei ringraziamenti…Ma il fatto che esistano delle persone come voi in questo mondo balordo, mi fa…Mi fa stare bene, ecco tutto –
Oscar sorrise debolmente – Un ottimo complimento capitano. Spero davvero che possiate trovare la pace e la serenità –
Lui abbassò il braccio e sospirò – Solo un cuore sofferente può riconoscerne un altro colonnello. Anche io vi auguro di trovare davvero quello che state cercando, che sia nella campagna inglese, nella vostra Francia…O in qualunque altra parte del mondo –
Oscar strinse le labbra e alzò il braccio nel saluto, poi lasciò definitivamente quel luogo. Dopo un paio di chilometri con i cavalli al passo raggiunsero il bivio. Una volta fermi Wesley affiancò la sua cavalcatura a quella di Oscar e indicò la strada a destra – Di là c’è la vostra amata Cornovaglia con il castello della strega e Plymouth e poi la Francia – disse e poi indicò la parte opposta – Di là…Il resto dell’Inghilterra –
Oscar sospirò – E immagino che voi dobbiate…Caldamente invitarmi a prendere la direzione di destra –
Il giovane la guardò e poi sorrise – Dovrei…Ma francamente lascio a voi questa decisione. Sarò sincero: ho intrapreso questa carriera solo per volontà della mia famiglia e pensavo prima o poi di togliermi l’uniforme e di dedicarmi alla vita di campagna, come ogni buon gentiluomo inglese, ma quello che ho visto… -
Lei aggrottò la fronte – E cosa avete visto? –
Lui strinse le labbra – Un magnifico ufficiale! L’esempio di tutto quello che ho letto sul fatto di essere un ufficiale ed anche un gentiluomo. Un tipo di combattente a cui spero, un giorno, di somigliare. E credo di averne tutte le qualità…Chissà…Un giorno potrei anche arrivare a comandare un’armata e sconfiggere pure l’esercito francese –
Oscar lo guardò seria e, improvvisamente, gli porse la mano. Lui la strinse con calore e lei annuì – Siate forte…Siate gentile…E combattete con onore, tenente Wesley –
 
Oscar vide il tenente e i suoi soldati allontanarsi e poi rimase ferma al bivio. Guardò alla sua destra: la via di casa, il suo nuovo incarico con le Guardie Francesi e André. Lo aveva invocato durante il duello, ne sentiva disperatamente la mancanza, ma non poteva e non voleva dimenticare quella maledetta notte. Di come si era sentita debole, fragile e alla sua mercé. E, soprattutto, non poteva dimenticare il rumore assordante di quella camicia strappata.
Guardò a sinistra: c’era l’ignoto, la sfida alla minaccia di Harrison, ma anche la soluzione al mistero della pietra e delle sue visioni. Mise una mano nella tasca interna e toccò di nuovo il sasso rosso: ritornare alla sua vita agiata o andare oltre e sfidare gli eventi? Sorrise. In cuor suo sapeva già dove andare, lo aveva sempre saputo, ancora quando aveva varcato la soglia di Lowerfield House.
 
Anni dopo la famiglia del tenente Wesley cambiò il nome in Wellesley e lui avanzò di grado acquistando le mostrine, come d’uso all’epoca, fino al grado di generale. Si distinse in numerose campagne militari che gli diedero il titolo di Primo Duca di Wellington.
Nel 1815, quando, ebbe assunto il soprannome di “Duca di Ferro”, dall’alto di una collina di un luogo dimenticato da Dio chiamato Waterloo, Arthur Wellesley poteva vedere i suoi soldati trionfare ancora una volta in quella che era già stata chiamata la Regina delle Battaglie contro la Grande Armata di Napoleone Bonaparte. Accanto a lui il comandante dei reparti alleati prussiani, il feldmaresciallo Gebhard Leberecht Von Blucher, lo sentì mormorare qualcosa. Il feldmaresciallo rimase di stucco, anche perché la frase appena sussurrata da Wellington era in francese: - Ve lo avevo detto colonnello Oscar…Ve lo avevo detto
Von Blucher non disse o chiese nulla a Wellington, ma per molto tempo si domandò chi mai potesse essere quel “colonnello Oscar”.
(n.d.r.: nella realtà Arthur Wesley – Wellesley Duca di Wellington assunse il grado di tenente nel 1788, un anno dopo il periodo nel quale è ambientato il presente racconto).

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Capitolo 7
*** LA PORTA DELL'INFERNO ***


Tintagel (Britannia) – VI secolo d. C. circa
Lady Morgana Pendragon, Duchessa di Cornovaglia e Regina del Galles finì di allacciare la sua spada al fianco, guardò per un attimo il grande camino di pietra con il fuoco acceso e il vessillo appeso alla canna fumaria: bianco come la sua pelle e raffigurante un grande corvo nero come i suoi capelli.
Si girò e Nimue le andò di fronte, infilò una mano in una ciotola, la ritrasse e la passò sulla faccia della Duchessa dipingendola con una tintura di colore blu. La giovane sorrise – Così combattevano i nostri antenati Mia Signora e così combatterai tu. Che Dagda il sommo padre degli dei vegli su di te, che Morrigan, dea invincibile della guerra sia al tuo fianco, che guidi la tua spada e che il suo grande corvo sia i tuoi occhi –
Morgana rabbrividì, l’essere che si spacciava per il corvo di Morrigan, il lato oscuro della dea, l’aveva posseduta tempo prima ad Avalon e solo con l’aiuto della donna gallica, Oscar, l’aveva sconfitto. Provò di nuovo nostalgia per lei, ma anche profondo dolore e rabbia. Aveva approfittato della loro amicizia per prendere la pietra di Excalibur e lei non l’avrebbe perdonata. Nimue sospirò – Vi prego un’ultima volta Mia Signora, portatemi con voi –
Morgana serrò le mascelle – No! E’ una cosa che devo fare solo io…E’ una cosa che solo io posso fare –
Nimue abbassò il capo – E allora andiamo –
 
Scesero le ripide scale di pietra che portavano al cortile del castello dove, ad attenderle, c’erano due file di guerrieri, una di fronte all’altra e al centro c’era Volker che teneva per le redini un grande cavallo nero e uno scudo rotondo dipinto di bianco e nero. Morgana avanzò a grandi passi verso il maggiordomo del castello e guardò il cielo. Le luci dei bracieri non riuscivano ad illuminare granché l’ambiente circostante: la nebbia era arrivata dal mare, fredda, bianca ed avvolgente. La popolazione di Tintagel si era barricata in casa, quando arrivava quel tipo di nebbia avevano paura degli spiriti malvagi che essa portava. Lei invece sapeva che quel fenomeno amplificava i suoi poteri, come quando aveva evocato a sé Oscar e André portandoli via dalla loro epoca.
Volker chinò la testa – Mia Signora…Per l’ultima volta vi scongiuro di non fare pazzie. Al popolo di Cornovaglia serve la sua Duchessa e possiamo sconfiggere gli uomini-drago con le nostre sole forze –
Lei sorrise debolmente e montò in sella con un movimento rapido, poi lo guardò – Se c’è modo di salvare la gente di Cornovaglia senza spargere sangue non devo lasciare nulla di intentato Volker – disse e si piegò verso di lui per non farsi udire da altri – Nel caso in cui non dovessi tornare Nimue sarà la nuova Duchessa, è giovane, ma è caparbia e valente, proteggila come faresti con me –
Lui sospirò – Voi non avete mai avuto bisogno di protezione dagli altri Mia Signora, ma solo da voi stessa, come quando avete fatto arrivare quella coppia di pazzi con strani abiti e strane armi. E non dovete nulla a questo popolo! Vi temono, vi odiano, ma non vi hanno mai amato e quello che avete fatto e fate per loro va ben oltre i doveri di un nobile. Ma farò il mio dovere e vi aspetteremo, come sempre abbiamo fatto e ci guiderete alla vittoria, come sempre avete fatto–
Lei annuì, guardò la vecchia faccia dell’uomo e provò un misto di nostalgia e affetto. Volker aveva servito suo padre e lei con onore e fedeltà, come pochi avrebbero fatto. Lei si piegò di nuovo e gli mise una mano sulla spalla – Grazie…Grazie…Amico mio –
Lui tirò su con il naso e annuì – Tornate da noi Vostra Grazia –
Lei annuì leggermente, si raddrizzò, imbracciò lo scudo che gli stava porgendo Volker e poi serrò le dita sulle redini. Guardò i suoi uomini che, come ad un comando, sguainarono le spade alzandole verso il cielo; - Aprite! – gridò e le ante dell’imponente cancello si aprirono spinte da due armigeri. Morgana guardò l’uscita che, illuminata da due alti bracieri che rischiaravano la nebbia, sembrava la bocca di un drago. Piantò i talloni sui fianchi dell’animale che partì al galoppo e uscì, passò il ponte levatoio e andò verso l’oscurità avvolta dalla densa foschia.
 
La Duchessa non vedeva nulla avanti a sé, il mondo era completamente avvolto nella nebbia e, ad un certo punto, dubitò persino che gli zoccoli del suo cavallo toccassero il terreno e fluttuassero nella bianca foschia. Pensò intensamente a Oscar, a lei e alla pietra rossa che faceva parte dell’elsa di Excalibur. Pensò a loro insieme e volle con tutte le sue forze raggiungerle. Il mondo attorno a lei e al suo cavallo sembrò rischiararsi e la nebbia si illuminò. In quel momento seppe che non stava più cavalcando in Cornovaglia, ma in un altro luogo, altrove. Pensò ancora a Oscar e alla pietra, sempre più intensamente e, improvvisamente, di fronte a lei, vide una linea verticale luminosa, che si allargava e diventava sempre più lucente, fino a quando dovette chiudere gli occhi. Il cavallo si bloccò e si impennò. Usò tutta la sua abilità per trattenerlo e non cadere, ma era così difficile a occhi chiusi, fino a quando si sentì improvvisamente stanca e debole e cadde in avanti sul collo dell’animale.
 
Britannia – Primo secolo d. C.
L’uomo entrò di corsa nella capanna e si fermò di fronte a lei ansimando: - Mia Signora…Sono arrivati gli esattori –
Lei aggrottò la fronte, suo marito Prasutago era morto da poco tempo e già i romani stavano arrivando a pretendere il suo Regno? Si tranquillizzò pensando che anche gli altri villaggi e gli altri Regni si erano lamentati delle esosità delle tasse romane che quell’anno erano aumentate vistosamente.
Uscì dalla capanna e li vide arrivare: due carri trainati da possenti buoi, alcuni uomini in abiti romani civili e dei legionari a piedi e a cavallo. Notò subito la grande cresta di traverso sull’elmo di uno dei cavalieri, era un centurione, un ufficiale veterano ed esperto. Suo marito le aveva detto che rappresentavano l’ossatura del potente esercito di Roma e mai ne aveva visto uno accompagnare gli esattori. Era di certo il segno che qualcuno si era ribellato e che i romani avevano risposto con il pugno di ferro dando una scorta armata a quei parassiti. Gavino l’aveva informata che il governatore romano aveva fatto accampare un’intera legione, la Nona, proveniente da una lontana Provincia chiamata Hispania, nei pressi di Londinium. Lei sospirò, non poteva certo dare ordine di attaccare quegli uomini, ma provò un brivido lungo la schiena senza nemmeno sapere il perché e desiderò che i guerrieri del villaggio non fossero andati a caccia proprio quel giorno. Sospirò e pregò gli dei che quei ladri se ne andassero velocemente.
Uno dei legionari a cavallo sbuffò – Ancora capanne di legno, fango ed escrementi di uccello…Come fanno in nome degli dei…Se Giano ascolta le mie preghiere tra qualche mese sarò nel sud della Gallia a godermi il sole e le galliche –
Il centurione si grattò la guancia solcata da una cicatrice – Io invece tra un mese finisco il servizio e dopo un altro mese sarò finalmente di nuovo a Pompei, dove aprirò un’attività per conto mio, qualcosa di onesto da lasciare ai miei figli…Un lupanare al porto, con schiave della Britannia e della Gallia…E per te ci sarà un ingresso gratuito Sesto, così almeno imparerai ad essere un uomo –
L’altro sbuffò di nuovo – La tua solita fortuna centurione. Di tutte le terre dimenticate dagli dei proprio questa in capo al mondo dovevamo venire a prendere…Ecco…Guarda…Lupus in fabula – disse e indicò la donna di fronte a loro.
Il centurione socchiuse gli occhi – E questa chi sarebbe? –
Il legionario scrollò le spalle – Non hai sentito i rapporti del tribuno? Il Re di questi pezzenti è morto e questa che viene a baciarci le caligae, è la loro Regina, l’ho vista l’anno scorso quando ho accompagnato gli esattori –
Il centurione schiacciò i talloni sul fianco del cavallo e lo spronò in avanti, fronte a lei. Si piegò sulla sella– Tu capisci quello che dico barbara? –
Lei strinse le labbra – Certo che capisco la tua lingua! – disse e indicò un recinto al limitare del cortile del villaggio con all’interno sacchi e animali vivi – Quelli sono i nostri tributi per Roma, prendeteli e andatevene –
Il centurione inarcò le sopracciglia e guardò il materiale, piegò la testa di lato e la cresta rossa del suo elmo si mosse – Mi compiace la vostra obbedienza, ma posso vedere da qui che non bastano per i tributi di quest’anno –
Lei rimase di stucco – Che vai dicendo? Sono quasi il doppio di quelli dell’anno scorso e solo quei maiali valgono ben oltre quanto vi è dovuto –
Il centurione la guardò stringendo le labbra. Colpì di nuovo i fianchi del cavallo che si mosse verso si lei. Presa alla sprovvista indietreggiò di qualche passo e fu spinta a terra da un terribile calcio sferrato con i sandali chiodati dell’ufficiale. La gente intorno a loro si ammutolì e rimase a guardare. Lei, confusa e dolorante, alzò lo sguardo, ma l’uomo sorrise e si piegò di nuovo in avanti – Non bastano…Il grande Cesare Nerone deve far divertire il popolo di Roma, ma i divertimenti costano e quindi le tasse per le Provincie devono essere aumentate…Non è un concetto difficile, nemmeno per dei barbari come voi –
Lei avvampò d’ira, aveva contato e ricontato le derrate e aveva scelto gli animali migliori per evitare discussioni con gli esattori e ancora non bastava? – Se a Nerone non basta, che venga a prendersi quello che gli serve, magari lavorando nei campi o badando alle greggi –
Urlò, ma subito si pentì di quello che aveva detto.
Il centurione alzò una gamba e scivolò dal dorso del cavallo fino a terra. Avanzò verso di lei facendo ondeggiare il suo mantello rosso e gemette quando la prese per i capelli sollevandola da terra: - La Regina dei pezzenti ha detto qualcosa sul grande Cesare? Hai forse voluto offendere l’Imperatore di Roma che nella sua infinità bontà vi permette ancora di vivere qui e di respirare? – ringhiò stringendo le mani sui capelli e piegandogli la testa all’indietro.
L’uomo sorrise sinistramente – Meriti una punizione, pezzente figlia di pezzenti…Decio…Marco! – chiamò e due legionari si avvicinarono e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, presero la donna per le braccia tenendola in piedi davanti all’ufficiale. Il legionario Sesto aggrottò la fronte, guardò confuso gli esattori e vide la sorpresa anche nei loro volti. Scese da cavallo, imitato dagli altri, si avvicinò al centurione e gli parlò all’orecchio – Che stai facendo? Prendiamo quella roba, rovistiamo le capanne per vedere se c’è qualcos’altro di valore e poi andiamocene –
L’altro lo guardò in malo modo – Volevi qualcosa di divertente in questo paese dimenticato dagli dei…Ecco! Te lo darò – disse e poi si avvicinò alla donna tenuta dai legionari. Con un movimento rapido allungò le mani e le strappò la parte superiore della veste. Lei sentì il rumore della stoffa che si strappava e si sentì morire. Alzò la testa sapendo che la sua femminilità era esposta agli occhi dei legionari e si sforzò, inutilmente, di non piangere.
Il centurione guardò Sesto – Beh! La barbara è una bella donna…Il Re di questi pezzenti era un uomo fortunato – disse e andò alla sella del suo cavallo. Prese una cosa dalla sacca e Sesto, con orrore, riconobbe il flagellum. Il legionario si avvicinò di nuovo – Ma…E’ la Regina…Pezzenti o no loro sono un’intera tribù –
Il centurione lo spinse via – Che Plutone li sprofondi nel Tartaro! Dieci colpi basteranno a rendere inoffensiva la Regina di questi barbari…Legatela a quel palo! – gridò indicando un palo accanto al recinto degli animali.
I legionari obbedirono e la girarono di spalle. Uno di loro le passò la mano sulla schiena nuda facendola rabbrividire. L’uomo sorrise e gli strinse la spalla – Un vero peccato che Tito voglia rovinare questa bella pelle! – disse e si avvicinò annusandole i capelli.
Lei serrò le mascelle. Era un incubo. Non poteva essere vero, ma si sforzò di non dare loro la soddisfazione di gridare. Avrebbe sopportato tutto come una Regina degli Iceni.
Il centurione fece roteare in aria il flagellum e sorrise – Iniziamo! – gridò e fece schioccare la frusta sulla schiena di lei. Gemette, ma non emise suono. Al secondo colpo sentì le ginocchia cedere, al terzo sentì le lacrime esplodere dagli occhi e al quarto strinse le mascelle talmente forte che pensò di rompere i denti. Poi arrivarono altri colpi e altri ancora. Sentì un calore immenso alla schiena, ma respirò a fondo: “Ancora un colpo…Ancora uno e sarà tutto finito” si disse.
Il centurione sollevò il braccio, ma, prima di lanciare l’ultima frustata, sentì qualcosa colpirgli l’elmo. Aggrottò la fronte e si girò e sentì un sasso colpirgli le medaglie civiche che portava sul petto. Piegò la testa di lato e vide due ragazze. L’uomo si disse che il termine ragazze era forse un po' troppo, la più alta era poco più di una bambina e l’altra era una vera bambina.
La più alta, con le lacrime agli occhi e stringendo a sé l’altra, alzò il braccio libero con una pietra in mano – Lascia stare mia madre! O te ne pentirai! – gridò.
Il centurione sorrise e poi rise, imitato dagli altri, con l’unica esclusione di Sesto che, anzi, impallidì. L’ufficiale gonfiò il petto – Ma tu guarda! Io credevo che una fustigazione fosse l’unico divertimento qui, ma ci sono anche le piccole ribelli…Che dobbiamo fare? –
Uno dei legionari piegò la testa all’indietro ridendo – Dovremmo insegnargli come ci si comporta con i legionari di Roma –
Il centurione sogghignò – Hai ragione – disse piano e un lampo gli balenò negli occhi. Gli altri soldati scemarono le risate, incerti su cosa il loro ufficiale volesse dire e si guardarono. Sesto si avvicinò di nuovo a lui: - Centurione…Tito…Dai l’ultimo colpo di frusta a questa barbara e poi andiamocene…Ho preso una giara di vino Falernum dal circolo dei tribuni e ce lo scoleremo tutto…Pensa a Pompei e al sole dell’Italia e non a questa cloaca di paese –
L’altro lo prese per la spalla e lo attirò a sé: - Adesso inizia il vero divertimento! Per anni ho dovuto accontentarmi delle schiave puzzolenti e vecchie di questo paese maledetto dagli dei…Qualcosa mi è dovuto! –
Sesto vide il volto del suo superiore deformato dalla pazzia e tentennò. L’ufficiale si avvicinò lentamente alle bambine – Oh! Si…Insegneremo a queste piccole barbare come ci si comporta con i legionari di Roma…Finalmente, dopo tutto questo tempo in questo lercio letamaio di paese, avremo un po' di sano divertimento…Prendetele! –
I legionari, abituati ad eseguire gli ordini alla lettera, obbedirono senza discutere e si diressero verso le bambine. Ma non Sesto; l’uomo si portò una mano alla bocca spalancata, incapace di gridare.
Lei aveva sentito la voce di sua figlia maggiore Una, poi le voci dei legionari e poi nulla. Cosa stava accadendo, dalla sua posizione girata di schiena non poteva vedere nulla, ma sentì all’improvviso le urla delle bambine. Sentì il cuore balzargli in gola, cosa stavano facendo quegli infami alle sue figlie? Stavano frustando anche loro? Cercò invano di liberarsi dai lacci ai polsi, ma desistette quando li sentì sanguinare. Le grida continuavano e lei cercò di girare la testa: quello che solo intravide la fece morire dentro, le fece salire le lacrime agli occhi. Sentì una rabbia cieca ed incontrollabile, una furia primordiale che solo una madre che vede i suoi piccoli in pericolo può concepire e urlò, urlò a pieni polmoni.
 
Glastonbury – Anno 1787 d. C.
Oscar spalancò gli occhi e la bocca, ma non proferì alcun suono. Si piegò in avanti portandosi una mano al petto. Sentiva il cuore martellargli all’interno in maniera convulsa. Provò a guardare avanti a sé e vide solo una figura in abiti neri attraverso gli occhi annebbiati dalle lacrime.
La figura si piegò verso di lei e gli mise le mani sulle spalle – Cosa vi sta accadendo? Sono andato un attimo a preparare il the e quando sono tornato vi ho trovato appisolato sulla sedia…Che razza di incubo avete mai fatto? –
Oscar provò ad inspirare lentamente, ma il suo cuore non accennava a rallentare i battiti e provò ad impegnare la mente: come era arrivata lì, in quella costruzione? Ripercorse i suoi passi da quando aveva lasciato il tenente Wesley al bivio di Kelland Hill. Si era diretta ad ovest ed era arrivata alla seconda tappa del suo viaggio: il villaggio di Glastonbury. E lì dov’era di preciso?
Guardò avanti a sé sentendo il cuore calmarsi sempre di più e riuscì a ricordare: aveva bussato a una porta e le aveva aperto un uomo di una certa età, basso e piuttosto corpulento con un abito nero da sacerdote. A lei aveva ricordato quasi subito il cardinale di Rohan, ma se l’alto prelato francese le era apparso subito viscido, il reverendo Philby, il proprietario della costruzione, aveva un rotondo viso simpatico e due occhi vispi e gentili.
All’improvviso una donna anziana e corpulenta si affacciò all’uscio della stanza asciugandosi le mani con uno straccio – Che succede? Lo straniero sta male? Possibile che tutti i pazzi senza arte né parte vengano qui? –
Il reverendo sospirò – Miss McDougall…Vi prego…Un po' di contegno con il nostro ospite – disse, guardò Oscar e indicò la tazza di the sul tavolo – Vi prego, bevete qualcosa –
Oscar allungò le mani tremanti e sollevò la tazza. Sentì il liquido caldo scenderle in gola e provò subito un immediato senso di piacere. In fondo, quando aveva riconosciuto la figura storica a cui appartenevano quelle visioni, di certo indotte della pietra rossa, sapeva che, prima o poi, si sarebbe arrivati a quel punto. Ma non aveva mai creduto che potesse essere così vivido e così coinvolgente. Aveva sentito sulla sua schiena le frustate del centurione ed era quasi impazzita dal dolore quando aveva girato la testa e visto l’orrore. Ma la cosa che l’aveva sconvolta di più era stato il rumore della veste strappata. Un rumore assordante che le conosceva bene e che non avrebbe mai voluto riprovare. Tentennò per un momento e poi abbassò la tazza. Il reverendo Philby sorrise debolmente – Se non altro avete ripreso colore. Fate pure con calma –
Oscar sentì le lacrime agli occhi e se li sciugò velocemente – Io…Mi dovete scusare reverendo…Ma il viaggio è stato lungo…E…Io… - disse, ma non riuscì ad aggiungere altro.
La signora McDougall alzò il mento e socchiuse gli occhi – Ho sempre detto al reverendo che non è un bene accogliere tutti quelli che si presentano qui…Ma c’è la fonte…C’è il pozzo… -
Philby sospirò e appoggiò una mano sul braccio di Oscar – Miss McDougall…Immagino che abbiate molte cose da fare in questa casa. Vi prego di far riposare il nostro ospite –
La donna guardò l’uomo, strinse le labbra, ma uscì. Oscar inspirò a fondo e poi guardò di nuovo la faccia rotonda del reverendo. Ricordò di essere arrivata a Glastonbury e di essere stata attratta, prima che dall’immensa collina chiamata Tor, dalle rovine di una gigantesca abbazia. In quello che doveva essere stato il giardino aveva visto quella che sembrava la delimitazione di una fossa per sepoltura con appoggiata sopra una grande croce che recava un’incisione: “Hic jacet sepultus inclitus rex Arthurus in insula Avalonia", qui giace sepolto il famoso Re Artù nell'isola di Avalon (n. d. a.: storico, nel 1191 venne scoperta la presunta tomba di Re Artù e di Ginevra e l’iscrizione).
Si era sentita improvvisamente scaldare il cuore. Era davanti alla tomba del Re di cui aveva letto avidamente le gesta. Le vennero in mente le avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda, del prode Lancillotto, del forte Galvano e provò un senso di rabbia per il traditore Mordred e, come sempre quando pensava all’opera del ciclo arturiano, le passò un brivido lungo la schiena al solo pensiero del nemico per antonomasia: la Fata Morgana. Aveva chiuso gli occhi vedendo di fronte a sé un volto femminile pallido contornato di capelli neri come la notte e due occhi chiari e gelidi. Dopo aver lasciato la tomba si era poi diretta verso il Tor e aveva trovato quella di casa con un giardino circondato da un alto muro e aveva provato l’impulso di bussare.
 
Il reverendo Philby si alzò e sorrise – Non badi a Miss McDougall…Non vengono pellegrini qui da quando Re Enrico VIII, nel 1539, promulgò la sua riforma e là… - disse indicando un punto indefinito oltre i muri – Sul Tor venne impiccato come traditore l’ultimo Abate, Richard Whiting, perché si era rifiutato di dare i tesori dell’abbazia agli emissari del Re…E dal 1541 non ci sono più né conventi né ordini monastici qui. La collina, quella che qui viene chiamata Tor, è di proprietà, dall’anno scorso di un certo Richard Colt Hoare, un banchiere di Londra – (n. d. a.: storico).
Oscar aggrottò la fronte – Ma voi… -
Lui scrollò le spalle e sorrise – Sono un fiero pastore protestante, se volete saperlo…La mia famiglia è piuttosto ricca e ho comprato questo terreno dove ho costruito questa casa e ho recintato quelli che erano i simboli più antichi di questo luogo. Ma nelle mie intenzioni c’era quella di fare di questo luogo una sorta di ostello per richiamare di nuovo i pellegrini, non solo inglesi, ma dell’intera Europa e del mondo, per vedere quello che è stato ed è tutt’ora uno dei luoghi più sacri della cristianità intera –
Oscar sbatté le palpebre perplessa, ma l’uomo sorrise e gli fece un cenno – Seguitemi per favore – disse solo.
Oscar si alzò lentamente e andò dietro all’uomo in un’altra stanza. Rimase a bocca aperta vedendo una sala lunga con alte pareti laterali in legno che formavano degli scaffali ricolmi di libri. Al centro c’era un lungo tavolo rettangolare in legno con sopra dei volumi aperti. Philby avanzò lentamente, accarezzò uno dei libri aperti e sospirò – Come vi ho detto, io sono di famiglia ricca. I miei fratelli sono morti e io, pur essendo un pastore protestante, non ho mai sentito il bisogno di sposarmi e procreare e Miss McDougall provvede ad ogni cosa per me…Come la perpetua per un prete cattolico in effetti, non ci avevo mai fatto caso…Ma, vi dicevo, io sentivo il bisogno di studiare…Alcuni di questi libri vengono dalla biblioteca dei mei genitori e dei miei nonni, altri li ho acquistati a peso d’oro e ce n’è un paio che vengono persino dalla biblioteca reale…E tutti hanno un solo argomento: Glastonbury, la sua origine e la sua storia…La leggenda vuole che sia stato nientemeno che Giuseppe di Arimatea a fondare l’abbazia e che qui abbia nascosto il sacro calice che Nostro Signore Gesù usò per l’ultima cena e che raccolse il suo sangue durante la crocifissione –
Oscar sorrise debolmente – So che questo luogo è legato anche ad un’altra storia…Ho visto la tomba vicino alle rovine dell’abbazia –
L’uomo sospirò e poi sorrise, come divertito – Quella è una favola…La tomba, come l’avete vista è stata miracolosamente trovata Gli antichi monaci hanno evidentemente inscenato il ritrovamento di quella sepoltura per ottenere ulteriori entrate dalla Corona. Ammetto però che si tratta di una storia molto bella –
Lei annuì – Il Re…La sua tavola rotonda…I suoi cavalieri…I suoi nemici…La sua nemica giurata. Arrivo da Tintagel e ho visto le rovine del castello della Fata Morgana –
Il reverendo aggrottò la fronte – Siete dunque uno studioso? Perdonatemi, ma mi sembrate più un militare o qualcosa del genere –
Oscar sospirò, la prima risposta che le salì alla bocca fu: “qualcosa del genere”, ma tentennò – Si! Sono un militare, ma, ovviamente, adesso non sono in servizio e ho sempre trovato le storie di Re Artù e della tavola rotonda molto affascinanti, per questo sono qui –
Lui strinse le labbra – Dalla Francia, non è vero? –
Lei lo guardò sorpresa e l’uomo sorrise – Quell’accento…Ho parlato con alcuni preti cattolici francesi che si sforzavano di parlare la mia lingua (n. d. a.: all’epoca di Oscar la lingua internazionale era il francese). Vogliate perdonarmi, la politica non mi interessa e so che i rapporti tra Francia e Inghilterra non sono attualmente dei migliori – disse e aggrottò la fronte.
Oscar deglutì – Si, sono francese, ma vi assicuro… -
Philby la interruppe con un gesto – Come vi ho detto, non mi interessa la politica e sono abbastanza di larghe vedute per disinteressarmi anche di una donna che viaggia in abiti da uomo –
Lei rimase a bocca aperta, ma il vecchio sacerdote sorrise di nuovo – “Ci sono più cose in cielo ed in terra Orazio di quante ne sogni la tua filosofia” –
Oscar rimase perplessa, quella del reverendo doveva essere una citazione, ma, per quanto cercasse di ricordare, non riusciva a mettere a fuoco l’autore. Philby si piegò in avanti – William Shakespeare, dall’Amleto –
Lei sospirò e lui scrollò le spalle – Immagino che nelle scuole francesi non sia di moda studiare le opere del Grande Bardo –
Oscar annuì, in effetti aveva avuto una formazione classica con Virgilio di cui, a proposito, aveva un indefinito ricordo di uno scambio di citazioni con una donna e suo padre aveva insistito per lo studio dei classici francesi, forse troppo presto sostituiti dai libri di strategia militare e di meccanica e balistica. Di Shakespeare aveva letto solo “Romeo e Giulietta”, un libro lasciato nella biblioteca di Palazzo Jarjayes da una delle sue sorelle e lo aveva trovato, all’epoca, stucchevole, melenso e alla fine troppo prevedibile.
Il reverendo le fece un cenno e lei lo seguì in fondo alla biblioteca, l’uomo aprì una grande porta vetrata e si ritrovarono in un cortile piastrellato. Alla sua destra Oscar vide una vasca con dell’acqua che scendeva dal dolce pendio di una collina, si raccoglieva in una vasca e fuoriusciva in un piccolo canale sul pavimento per infilarsi in un pozzo coperto da un coperchio in legno e metallo. Philby indicò la vasca – E’ una delle fonti che qui a Glastonbury sono piuttosto comuni: la chiamano la fonte del sangue perché ciclicamente l’acqua diventa rossa a causa di elementi ferrosi –
Oscar guardò l’acqua e, improvvisamente, sentì di aver già visto una cosa del genere, con l’acqua che diventava rossa dalla fonte e che si espandeva come una grande macchia di sangue nell’acqua cristallina. Ma quella che vagamente ricordava non di trovava nel cortile del reverendo Philby e quindi dov’era? E poi, quando mai era stato possibile che lei avesse visto una cosa del genere? Sentì un capogiro, ma guardò il reverendo che, intanto, stava indicando il pozzo: - Il Chalice Well, il Pozzo del Calice, dove, secondo la tradizione, è sepolto il Calice di Cristo –
Lei tentennò – Il Calice – disse solo e andò verso il pozzo, senza attendere il permesso di Philby si abbassò per alzare il coperchio, ma vide solo un buco nero dal quale fuoriusciva una maleodorante aria. L’uomo di avvicinò lentamente a mani giunte – Che vi aspettavate di trovare? Secoli addietro molti cavalieri hanno provato a cercare il Calice. E’ quella che gli antichi chiamano “Cerca” o missione, se vi piace di più. Un viaggio che era più mistico che fisico, per trovare sé stessi e il proprio posto nel mondo. In fondo anche voi vi state cimentando in una “Cerca”, proprio come un cavaliere d’altri tempi –
Oscar lasciò cadere il coperchio che chiuse il pozzo con un tonfo e sentì il capogiro aumentare: un cavaliere, una ricerca, una missione. Chiuse per un attimo gli occhi e vide di nuovo la scena che da anni occupava i suoi sogni, una figura indistinta che si inginocchiava di fronte a lei e la sua voce che diceva: “Il mio cavaliere”. Si mise una mano sulla faccia e guardò verso l’imponente collina del Tor. Il sole stava tramontando e la palla di fuoco stava illuminando la torre in cima alla collina. Oscar deglutì – Io…Perché sono sicura che quella torre non c’era una volta? –
Philby aggrottò la fronte – In effetti non c’era, perlomeno anticamente. Nel XIV secolo è stata eretta la chiesa dedicata a San Michele. La costruzione, ad eccezione della torre, è stata demolita per ordine di Re Enrico VIII con l’editto del 1539 –
Oscar non riuscì a distogliere lo sguardo dalla cima della collina – E perché la torre è rimasta in piedi? – disse piano.
L’uomo inarcò le sopracciglia – Non…Non lo so…Io…So che quella collina è sempre stata considerata sacra, quando tutta la zona era coperta in gran parte da paludi, non come adesso che le opere di bonifica la stanno rendendo una verde pianura, doveva apparire come un’isola e, tecnicamente, in gran parte lo è ancora visto che è circondata su tre lati dal fiume Brue –
Oscar provò un brivido lungo la schiena – Un’isola…E…E perché dedicare la chiesa a San Michele…L’Arcangelo che sconfisse l’angelo caduto, Lucifero, proprio in cima a quel monte? –
Il reverendo si avvicinò e si passò una mano sulla fronte – Immagino per mettere una sorta di sigillo a quella che loro consideravano la porta dell’inferno…Questo luogo era sacro non solo per i cristiani, ma anche per l’antico popolo di quella che era l’antica Britannia –
Oscar vacillò per un momento – L’Antico Popolo della Britannia…L’inferno…Dei dell’Annwn –
L’uomo deglutì – Signore…Signora…Madame…Mi state spaventando! Annwn è il nome dell’oltretomba degli antichi britanni e come fate voi, che venite dalla Francia, a conoscerlo? –
Lei abbassò per un attimo lo sguardo e poi fissò dritto negli occhi il reverendo facendolo sobbalzare – Devo salire la sopra –
Philby le mise una mano sul braccio – Io…Il sole sta tramontando…E’ pericoloso andare la senza una lanterna –
Oscar prese la mano del reverendo trovando la cosa stranamente confortante – Non preoccupatevi per me. Io…Io devo…Andare la – disse e superò il pozzo incamminandosi verso la collina.
Philby rimase interdetto – Ma…Ma…Lasciate che venga con voi –
Oscar girò la testa di lato continuando a camminare – No, padre! E’ una cosa che devo fare da sola. Grazie dell’aiuto – disse e tornò a fissare l’alta collina con il cerchio del sole morente che stava ormai raggiungendo la torre.
 
La salita non era stata difficile dopo tutto, c’era già un sentiero battuto, un segno che quella grande collina doveva essere ancora meta di pellegrinaggi e di visite. Quello che la sconvolgeva era che, in una parte della sua mente, sapeva che c’era già stata. Ma non aveva la minima idea di quando e con chi. Chiudeva gli occhi e vedeva di fronte a sé delle figure indistinte e colorate, indiscutibilmente umane, ma dai contorni sfocati: una era bianca, una era rossa e l’ultima era nera come la notte. E sapeva anche che c’era qualcuno accanto a lei, ma non riusciva a focalizzarlo.
Salì ancora incurante del fatto che una nebbia bianca e densa si stava lentamente sprigionando del terreno coprendo tutto dietro di lei. Arrivò alla cima e rimase estasiata a guardare la grande torre. Il sole stava calando sempre di più e, improvvisamente, si accorse della la nebbia che si era alzata improvvisamente e che l’aveva seguita durante la salita, aveva coperto l’orizzonte. Solo la cima del Tor era ancora illuminata dal sole del tramonto mentre Glastonbury e tutto il resto del mondo erano letteralmente spariti. Oscar sorrise, estasiata da quella visione, era davvero su un’isola. Era sull’isola sacra. Allargò le braccia e inspirò profondamente – In insula Avalonia… Nell’isola di Avalon…Mostrami la strada…Portami…Riportami all’isola sacra – disse piano e cadde in ginocchio tremando.
Alzò lo sguardo verso la torre e vide che, sotto l’arco della base che anticamente era stato l’ingresso della chiesa, c’era una figura umana completamente nera. Si rialzò immediatamente, si fece ombra con la mano e vide la figura avanzare. Provò un brivido e, istintivamente, mise la mano al fianco per prendere la spada per accorgersi che, scioccamente, aveva lasciato non solo la lama, ma anche la pistola da padre Philby.
Dietro la figura che avanzava ne uscirono altre cinque, tutte paludate in nero. Una di loro si avvicinò alla prima: - Nesby! Dovevamo attendere gli ordini di Lord Baxter, cosa diavolo ci facciamo qui? –
Nesby lo spinse via e continuò ad avanzare verso Oscar – Siamo al capolinea! L’arma che cerchiamo è qui, altrimenti questa donna finto uomo non sarebbe venuta fin quassù…E Lord Baxter ci ringrazierà! Adesso prendetela! –
Gli uomini circondarono Oscar; lei girò su sé stessa per vederli tutti bene: erano uomini, senza dubbio e non spiriti antichi. Sorrise e piantò lo sguardo su Nesby – Bene! Vi farò vedere come combatte un ufficiale del Re di Francia! Venite uno alla volta o tutti insieme? –
Il loro capo sorrise debolmente e alzò il braccio per dare l’ordine di attaccare quando, improvvisamente, vide la sua ombra allungarsi a causa di una luce provenire dalle sue spalle. Si girò e vide che la base della torre era completamente illuminata da una luce che si faceva più intensa. Nesby si coprì gli occhi con l’avambraccio, come i suoi uomini – Ma cosa… - disse solo mentre la luce era ormai diventata accecante.
Oscar abbassò lo sguardo per non restare abbagliata e vide che gli uomini che la circondavano si stavano muovendo nervosamente. Qualsiasi cosa stesse accadendo, si disse, non era di certo opera loro. In un istante dalla luce emerse una grande figura scura che corse verso di loro. Lei si gettò istintivamente a terra mentre poteva sentire le grida degli uomini: “E’ venuto fuori dal nulla!”, “E’ uscito da quella torre maledetta”, “E’ il diavolo!”. Nesby rimase interdetto, si girò verso gli altri, ma li vide fuggire via in disordine. Guardò Oscar stesa a terra, strinse le labbra e poi seguì i suoi uomini lungo le pendici della collina e sparì nella nebbia.
 
Oscar rimase con il volto abbassato, sentendo il fresco sapore dell’erba e poi notò che la luce si affievoliva. Alzò lentamente la testa e vide che la creatura che aveva spaventato i suoi assalitori era solamente un cavallo: un grande cavallo nero che si era fermato a pochi passi dalla torre. Nella luce crepuscolare lei si alzò e si avvicinò lentamente. Notò che sopra l’animale c’era un grande fagotto, anch’esso nero, che appariva, senza dubbio, come una figura umana. Passò una mano sul possente collo dell’animale e ne sentì fremere la pelle: – Sssst…Tranquillo bel cavallino! Nessuno ti farà del male – disse piano.
Notò che le redini e i finimenti non erano quelli che era abituata a vedere e nemmeno le staffe e la sella su cui era appoggiata la figura nera. Non sembravano lisi o consumati, ma apparivano vecchi, d’altri tempi, persino antichi, come se venissero ad un altro tempo. Poggiò un piede su qualcosa di rigido, abbassò lo sguardo e vide un oggetto rotondo, come il coperchio del pozzo del calice, ma con un umbone metallico al centro ed era bianco, con sopra un disegno di un uccello nero. Oscar aggrottò la fronte – Uno scudo? E chi mai userebbe uno scudo oggi? – disse e volse lo sguardo alla figura stesa sulla sella.
Inspirò e la prese delicatamente fino ad appoggiarla a terra. Indossava una giacca e dei pantaloni in pelle nera, come gli stivali e la sopraveste. Alla vita portava allacciato un cinturone con al fianco una spada dal fodero e dall’elsa neri, fatta eccezione per la guardia in metallo, come il pomolo che era fatto a forma di un piccolo uccello ad ali spiegate. Il cuore di Oscar cominciò a galoppare quando vide che in testa alla figura c’era una corona in metallo che si allargava sulla fronte a formare il simbolo della cosiddetta “Croce Celtica”. Scostò i lunghi capelli neri dal viso e vide un volto femminile pallido, bianco in modo innaturale con una macchia di pigmento blu sulla guancia destra.
Oscar si alzò di scatto e rimase a bocca. Nella sua mente riecheggiò una descrizione che aveva letto anni prima nelle opere del ciclo arturiano: “Ella aveva la pelle bianca come la luna e i capelli neri come le piume dei corvi”. Di nuovo mise un ginocchio a terra e la sua mente fu invasa dai ricordi, come un fiume che preme senza sosta e che finalmente ed improvvisamente rompe la barriera e inonda la vallata. Si ricordò la tempesta in Normandia, il castello, la dama rossa e la dama nera, il viaggio, la sua prima battaglia e Avalon, l’isola sacra, la lotta con la dea della guerra Morrigan e sentì gli occhi riempirsi di lacrime ricordando la tomba del Re, il suo sarcofago e il Sacro Calice. Abbassò la testa e tirò su con il naso. Si ricordò, alla fine, anche chi era realmente il suo cavaliere, colui a cui aveva dato il suo primo bacio, colui al quale aveva aperto il suo cuore e che si era inginocchiato di fronte a lei offrendole il suo, colui con il quale avrebbe voluto trascorrere il resto della vita. Strinse i pugni – Andrè… - disse piano e poi guardò la donna stesa di fronte a lei e digrignò i denti:   – Morgana! – sibilò.

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Capitolo 8
*** LA NEMICA ***


Britannia – Primo secolo d. C.
Sussultò. Era stesa con la schiena verso l’alto, nella capanna che era stata sua e di Prasutago, mentre la vecchia Briana la stava medicando. Quando aveva visto quello che i legionari stavano per fare alle sue figlie aveva urlato, urlato e urlato ancora, fino a crollare senza forze mentre le corde le sostenevano le braccia.
Poi, nel suo delirio, aveva sentito altre grida e altre voci. Ed erano state quelle di altri uomini, dei suoi guerrieri che proprio in quel momento stavano rientrando dalla caccia. E cosa era accaduto poi era stato un mistero. Era crollata chiudendo gli occhi fino a quando qualcuno si era ricordato di lei e l’avevano liberata.
Gavino, il giovane guerriero promesso sposo di sua figlia maggiore, si inginocchiò accanto a lei – Mia Regina! Non preoccuparti! Siamo arrivati in tempo. Quei cani non hanno…Non hanno avuto il tempo di… -
Una figura imponente e scura si avvicinò al giaciglio – Non le hanno stuprate. Le stavano spogliando, ma non le hanno toccate…In quel senso – disse la voce di Norag, il druido.
La Regina mosse debolmente la testa – E tu dov’eri? – disse con un filo di voce.
Il druido deglutì – Io…Ero…Ero nel bosco…A cercare delle radici –
Lei sorrise debolmente ed ebbe un altro sussulto quando Briana le passò delle erbe medicinali sulla schiena marchiata dalle frustate. Gavino strinse le labbra – Abbiamo fatto quello che andava fatto, Mia Regina. Quegli uomini sono morti ora e anche le tue figlie sono al sicuro –
Lei cercò di muovere una mano – E dove si trovano Una e Maeve adesso? –
Norag si avvicinò ancora – Devi essere orgogliosa della tua primogenita. Ha pianto, è vero, ma adesso sta giurando sugli dei che avrà la sua vendetta contro i romani e ha già ordinato di forgiargli una lama. Maeve è più piccola e sta ancora tremando dalla paura, le mie sacerdotesse vegliano su di lei – disse e si inginocchiò come Gavino – Ma l’odio in tua figlia e nei tuoi guerrieri è un dono degli dei, Mia Regina e non va sprecato –
Lei aggrottò la fronte e si sforzò di guardarlo. Il druido sorrise, con un sorriso che non le piacque affatto: - La morte dei legionari e quello che hanno fatto hanno raggiunto tutti i villaggi e anche i nostri vicini della tribù dei Trinovanti. I loro rappresentanti sono già arrivati qui e attendono di sentire dalle tue parole quello che è successo e quello che faremo –
Lei tentennò – E cosa faremo? Abbiamo ucciso degli esattori e dei legionari romani…Lo sai cosa significa? –
Gavino sospirò, ma Norag annuì – La guerra! E la libertà per il nostro popolo! Questo ti chiediamo Mia Regina –
Lei alzò lentamente la testa e vide che, dietro Norag e Gavino, c’erano altre persone e la maggior parte di loro la guardava speranzosa. Cosa volevano da lei? I loro padri e i loro fratelli si erano già battuti contro i romani. E avevano perso. Guardò Gavino che tentennò impercettibilmente – Bruciamo i corpi dei romani, restituiamo loro le tasse e uccidiamo qualche prigioniero dei nostri nemici, i Catuvellauni, per incolpare loro, e che su di loro si abbatta la vendetta di Roma…Possiamo ancora farcela –
Poi guardò verso Norag e lui sorrise di nuovo – Hai in mano un potere immenso! Racconta di come ti hanno frustata e hanno stuprato le tue figlie! Fai in modo che l’odio entri anche nei cuori della nostra gente e guidaci alla vittoria –
Gavino lo guardò – Ma non è vero! Non le hanno stuprate –
Lei strinse le labbra. Era vero: non le avevano stuprate, ma stavano per farlo e se i suoi guerrieri non fossero rientrati avrebbero portato a termine quello sconcio. Si ricordava ancora il suono orribile della sua veste strappata, delle mani di quegli uomini sulla sua pelle, i colpi alla schiena e, soprattutto, le urla delle sue bambine. Sentì di nuovo quella furia primordiale pervaderla e si sollevò, incurante del dolore e delle lamentele di Briana. Si coprì con una coperta e passò davanti agli uomini per uscire dalla capanna.
All’esterno la luce del tramonto l’abbagliò, ma quando i suoi occhi si abituarono vide che, in un lato del villaggio, le teste dei romani erano state staccate dai corpi e messe su dei pali, a perenne memoria della loro colpa. Il capo del centurione che l’aveva frustata aveva ancora addosso il grande elmo crestato e, accanto a lui, riconobbe il volto insanguinato dell’unico legionario che si era opposto a quella follia, Sesto, ma non provò alcuna pietà per lui.
L’area era gremita di persone, molte del suo villaggio, dei villaggi vicini e alcune che non aveva mai visto e che sicuramente erano Trinovanti. Guardò al suo fianco Gavino, con la faccia tesa e Norag, con la bocca deformata in un ghigno malvagio. Guardò in alto e vide, su un ramo, un grande uccello nero, un maestoso corvo che, come per salutarla, spalancò le ali e chinò il capo.
Era un segno, si disse. Si tolse la coperta e rimase a torso nudo provocando una selva di mormorii dai presenti e solo quando si fece assoluto silenzio alzò le braccia: – Mio popolo! Mio marito, il defunto Prasutago, ha sempre parlato di pace e tolleranza, ma che pace e che tolleranza ci hanno portato i romani? – disse e si girò facendo vedere i segni delle frustate.
Ci furono altri commenti e poi lei si voltò di nuovo: – Questa è la loro pace! E quei cani che vedete la…Loro hanno osato stuprare le mie figlie! Due bambine! In spregio a me e a tutta la Britannia…Che siano maledetti! Maledico loro, la loro legione e la loro insegna! –
Il silenzio si era fatto pesante e persino Gavino aveva smesso di respirare. Tutti gli occhi erano posati sulla Regina. Lei girò i palmi verso il cielo – Dicono che una lupa ha allevato i gemelli che fondarono Roma…Anch’io sarò una lupa e voi sarete i miei cuccioli, sarete il mio branco e non ci sarà latte per i romani, ma solo sangue…Sangue e vendetta! Perché mai nessuno in Britannia debba pagare le tasse a un tiranno distante mille miglia! Perché nessun uomo di Britannia sia mai schiavo! Perché nessuna donna di Britannia sia mai frustata e stuprata! E voi cosa farete mio branco…Voi seguirete la vostra lupa? –
Dopo attimi che sembravano eterni un braccio si levò al cielo dalla folla – Guerra! – urlò una voce maschile, subito imitata da altre e altre ancora che si levarono in un coro assordante. Lei sorrise e guardò di nuovo il grande corvo i cui occhi parvero brillare. Piegò le braccia verso la folla che si zittì. Alzò il mento – Da questo momento siete tutti miei figli, i miei cuccioli e guai a chi oserà toccarvi! Riprenderemo quello che è nostro e anche di più, ve lo giuro! – disse e inspirò profondamente riempiendosi i polmoni e spalancò la bocca gridando – Io sono la vostra Regina! Io sono la vostra guida! Io vi darò la vittoria contro Roma…Io…Sono…Boudicca, Regina degli Iceni! –
 
Glastonbury – Anno 1787 d. C.
Oscar aprì gli occhi, si era assopita per un attimo in piedi, appoggiata al muro della stanza, ma solo per avere conferma di quello che aveva sempre sospettato: le visioni date dalla pietra rossa erano quelle di un personaggio storico, la Regina Boudicca, che si era ribellata al dominio romano. Almeno così aveva letto negli Annales di Publio Cornelio Tacito. Poteva sentire ancora il dolore dei colpi di frusta sulla schiena, ma quello che l’aveva più provata era stato il rumore della veste strappata dal centurione. Un rumore secco, assordante e così simile a…Scrollò il capo e guardò la figura stesa nel giaciglio, illuminata dal sole che stava albeggiando.
Così come era arrivata, quella strana nebbia era sparita da Glastonbury; sorrise: “Come per magia” si disse. Aveva caricato Morgana di nuovo sul cavallo e avevano sceso la collina del Tor per tornare alla casa del reverendo Philby. L’espressione dell’uomo nel vederla tornare con un cavallo e una strana donna vestita di nero era stata di totale sconcerto. Aveva mormorato qualcosa in una lingua che non aveva mai sentito e si era fatto il segno della croce. Così come la sua governante, Miss McDougall, che aveva cominciato a segnarsi e a pregare come una vecchia cattolica e non come un’austera donna protestante.
Ma, nonostante tutto, i due non avevano fatto molte domande. Avevano preparato quella stanza con un giaciglio e vi avevano adagiato sopra Morgana, incuranti del fatto che avessero davanti la temuta Fata degli antichi racconti in carne, ossa e soprattutto magia. Oscar aveva sospirato; perlomeno, si era detta, la parte delle leggende e dell’opera letteraria che considerava la maga come un’irriducibile avversaria del Re era falsa. La Duchessa di Cornovaglia aveva fatto di tutto per salvare non solo suo fratello il Re, ma anche il suo Regno, incurante del fatto che il popolo la detestasse e la incolpasse della caduta di Artù e di averlo sedotto generando Mordred, il traditore. Con una caparbietà e una forza che Oscar non aveva mai visto.
Le aveva tolto la sopraveste, le aveva slacciato il cinturone con la spada, le aveva tolto anche la sua corona e l’aveva sdraiata. Il respiro era regolare, ma non si era mai svegliata durante tutte quelle operazioni. Quello che vedeva era un corpo snello, ben proporzionato, con meravigliosi capelli lunghi e neri come la notte e un volto cesellato. Si disse che, se non avesse avuto quel pallore spettrale, di certo i cavalieri della sua epoca avrebbero organizzato tornei e tenzoni per la sua mano. Oscar sentì di invidiarla, come sua sorella Morgause, la madre di Mordred e come sua sorella Viviana, la Dama del Lago. Lei credeva di essere libera e indipendente, ma lo era davvero? Si era arresa al suo cuore di donna con Fersen per sentirsi dire: “Lei è il migliore amico” e quando aveva deciso di essere un uomo si era trovata con André che le strappava la camicia di dosso. Provò un brivido e strinse le braccia al petto. Chiuse gli occhi per un attimo e vide il volto di André, con la stessa espressione di quella maledetta sera. Poi il suo amico si trasformò, la sua camicia di seta divenne una corazza e sulla sua testa apparve un elmo con un’alta cresta rossa di traverso. E il suo viso divenne quello di Tito, il centurione, che le strappava la camicia. Spalancò gli occhi e guardò di nuovo Morgana: si disse che, se fosse accaduta una cosa del genere alla donna che stava dormendo di fronte a lei, avrebbe sguainato la sua spada staccando via la testa dal collo di André…O di Tito…O di chiunque altro l’avesse oltraggiata in quella maniera e Dio solo sapeva quanto lei stessa aveva pensato di farlo. Persa in quei pensieri notò, con la coda dell’occhio, che il corpo di Morgana si stava muovendo.
 
Morgana aprì gli occhi di colpo, guardò il soffitto della stanza per un attimo e poi si mise in posizione seduta con una mano sul petto. Si trovava in una sorta di divano che sembrava vagamente un antico triclinio romano, guardò di lato e vide una finestra. Inarcò le sopracciglia: era vetro. Il suo castello non aveva vetri e, a dire la verità, nessuna altra costruzione della sua Britannia ne aveva, ad eccezione delle ricche case romane di Londinium. All’esterno poteva vedere che stava albeggiando, ma dov’era? Aveva davvero superato le barriere del tempo e dello spazio? Aveva raggiunto Lady Oscar? Guardò il resto della stanza nella penombra e vide una figura umana appoggiata di schiena alla parete; aveva le braccia conserte e le caviglie incrociate, ma i suoi lunghi capelli biondi non lasciavano dubbi su chi fosse:     - Ben svegliata Lady Morgana, Duchessa di Cornovaglia. E’ stata una lunga notte e te la sei presa comoda nel tuo riposo, ma alla fine anche qui a Glastonbury è arrivata l’alba – disse Oscar raddrizzandosi e mettendosi a pochi passi da lei.
Morgana si alzò lentamente dal giaciglio. La stanza cominciò a vorticare, chiuse gli occhi e poi li riaprì e le pareti si fermarono. Rimase ferma con le braccia leggermente aperte e le dita delle mani piegate come artigli. A Oscar ricordò la prima volta che l’aveva vista, come un rapace pronto a colpire la preda. La Duchessa sorrise scoprendo i suoi canini limati ed appuntiti – Ben ritrovata Lady Oscar…Noto con piacere che anche tu stai bene. Anche se…Hai fatto due errori: Il primo è che hai dimenticato che io sono anche Regina del Galles…Il secondo è, se qui siamo a Glastonbury, che hai dimenticato che i miei poteri sono attivi! – disse e allungò il braccio destro chiudendo le dita. Oscar mise istintivamente una mano alla gola, ma non sentì nulla.
Morgana sbuffò dalle narici e sollevò anche l’altro braccio, ma senza ottenere alcun risultato. Oscar sorrise divertita – Oh! Sembra che la Fata Morgana sia rimasta senza alcun potere…Tu…Tu sei una spergiura e una traditrice! – disse puntandogli un dito contro.
L’altra abbassò le braccia e sbuffò – Credi che mi serva la magia per darti ciò che meriti? E tu sei una ladra! – disse e, come ad un segnale prestabilito, le due donne si scagliarono l’una contro l’altra urlando.
 
Il reverendo Philby aggrottò la fronte e incrociò le mani dietro la schiena; guardò la porta della stanza dove Oscar aveva adagiato il corpo esanime dell’altra donna e poi guardò, alla sua sinistra, Miss McDougall che invece, con le mani giunte, tentennava stringendo le labbra.
Lei sospirò – Quella nebbia…Le antiche leggende dicono per porta il male! E poi…Due donne vestite come uomini…Una di loro ha la pelle bianca come il gesso, come l’Antico Popolo delle storie che mia madre mi raccontava per farmi paura…E quell’altra…La francese…Dice di averla trovata in cima a quella collina maledetta…Reverendo, io ammiro la vostra bontà e la vostra fiducia nel prossimo, ma questo… – disse indicando la porta dalla quale si sentivano dei forti rumori – Questo non ha alcun senso! Dovete fare qualcosa! –
Il reverendo inspirò e si avvicinò alla porta, disse una piccola preghiera e poi la spalancò. Oscar e Morgana erano a terra, avvinghiate l’una all’altra nella lotta. Dietro l’uomo arrivò anche Miss McDougall che guardò la scena e strinse le labbra – Basta! – gridò e le due donne si bloccarono e guardarono verso l’alto. Si alzarono lentamente e fissarono il reverendo e la sua governante.
Miss McDougall alzò il mento – Due donne impegnate in un qualche perverso gioco sessuale in abiti da uomo…Oh! Dio del cielo! Dovremmo chiamare le guardie e accusarvi…Di…Di Sofismo…No…Di lallismo! –
Oscar socchiuse gli occhi e tentennò – Io…Io credo che intendiate dire lesbismo…Ma no! Noi stavamo…Io…E Lady Morgana non…Non siamo… –
La donna alzò il mento – State negando forse di essere state abbracciate a terra in un sordido gioco? –
Oscar aggrottò la fronte – Non eravamo abbracciate! Noi…Stavamo…Noi – disse allargando le braccia, ma Philby inarcò le sopracciglia – Avete detto Morgana? Come la nemica giurata del grande Re Artù? –
Morgana aprì la bocca, guardò Oscar e poi di nuovo l’uomo – Cosa…Cosa stai dicendo piccolo uomo! Io nemica di… - disse, ma fu interrotta da Oscar che gli mise una mano sul braccio – Ecco…Io…Io e la mia…Amica…Abbiamo…Abbiamo in corso un certo…Dissidio che…Che non riusciamo a risolvere –
Miss McDougall sorrise con l’angolo della bocca – E le amiche, di solito, risolvono i loro problemi fornicando in maniera innaturale sul pavimento? –
Oscar strinse le labbra – Ora basta! Le vostre accuse sono ridicole oltre ogni modo! – disse alzando la voce, ma Morgana si mise di fronte alla governante – E tu chi sei? –
L’altra donna si ritrasse da quel volto pallido e da quegli occhi chiari che la scrutavano. Oscar si avvicinò, ma fu padre Philby a parlare     - Madame…Voi…Voi avete abusato non solo della mia ospitalità, ma anche delle mie buone intenzioni. Avete portato qui questa persona di cui non conosciamo nulla e che… - si avvicinò a Oscar – E’ a dir poco inquietante! Vi prego di lasciare questo posto quanto prima. Ormai è giorno fatto e vi chiedo…Vi ordino di andarvene – aggiunse e poi si rivolse a Morgana che, intanto, stava guardando le pareti intonacate e colorate e i vetri delle finestre – Posso sapere come vi chiamate veramente? –
Lei si girò e si mise di fronte a lui – Io sono Morgana Pendragon, Duchessa di Cornovaglia e Regina del Galles – disse e sollevò la sua bianca mano verso di lui per farsela baciare. L’uomo aggrottò la fronte e non si mosse; la Duchessa strinse le labbra – Non ci si inginocchia di fronte ai nobili in questo mondo? – disse e lasciò cadere il braccio.
Philby guardò Oscar – Io…Io conosco bene le leggende e le tradizioni di queste terre, quelli sono i titoli della Fata Morgana…Non voglio sapere altro…Vi prego…Andatevene da qui –
Morgana inarcò un sopracciglio – Non chiedo di meglio! Dov’è Merlino? –
Philby aggrottò di nuovo la fronte – Io…Merlino? Intendete il Mago Merlino? –
L’altra sbuffò infastidita – Intendo il mio cavallo! Merlino! –
Il reverendo, per la prima volta da quando era entrato in quella stanza, sorrise – Oh! Il cavallo…Merlino…Morgana e Merlino! Che cosa adorabile! –
Morgana sorrise mostrando i suoi denti appuntiti – Anche a me è sembrato divertente! Siamo in mezzo alla plaude? Dobbiamo prendere una barca per andare a riva? Al monastero sapranno essere più loquaci di questi bifolchi – disse guardando Oscar.
Miss McDougall si accigliò – Ma come ti permetti? –
Philby non diede peso all’insulto, ma osservò attentamente la strana donna pallida – Come dicevo a madame, è da secoli che qui non ci sono monasteri o ordini monastici. E la palude…Si è ridotta anch’essa nel corso dei secoli con tutti i lavori di bonifica che sono stati fatti. Ormai viviamo in una pianura verde e fertile –
Morgana inarcò le sopracciglia – Una pianura…Ah! – disse e schioccò le dita verso la signora McDougall – Portami al mio cavallo serva! Di corsa! E vieni anche tu Lady Oscar. Non abbiamo finito con il nostro…Dissidio –
 
Oscar balzò in sella e guardò il reverendo Philby con un’espressione dispiaciuta. L’uomo era stato buono e gentile con lei e non meritava certo di essere trattato come era stato trattato. Ma cosa avrebbe mai dovuto dirgli? Che quella era davvero la Fata Morgana? Arrivata lì letteralmente dalle nebbie del passato? E poi, si disse, cosa mai era venuta a fare proprio lì Morgana? Perché l’aveva chiamata ladra? Dopotutto era lei che doveva essere arrabbiata con la strega per averle cancellato la memoria di quello che era accaduto.
Philby si avvicinò a lei e, proprio in quel momento, dalla piccola stalla del reverendo uscì Morgana in sella al suo cavallo. Oscar inarcò le sopracciglia perché quello che aveva davanti era uno spettacolo maestoso a vedersi: la Duchessa portava lo scudo sul braccio sinistro e, tutta vestita di nero, dello stesso colore del suo destriero, con la corona in tessa sulla quale campeggiava la croce celtica e la sua faccia pallida, sembrava veramente una riproduzione della dea della guerra. Morgana si fermò di fronte a Oscar – Io e te dovremo discutere di molte cose Lady Oscar, ma non lo farò certo qui di fronte a questi! – disse e guardò il reverendo Philby e Miss McDougall dall’alto come se fossero insetti.
La donna sbuffò – E’ questo il ringraziamento per avervi aiutato? –
Morgana fece avanzare il suo cavallo, si piegò leggermente sulla sella verso la donna che, a sua volta, fece un passo indietro. La Duchessa fece una smorfia snudando i suoi denti limati, alzò l’avambraccio destro e piegò le dita della mano verso l’alto per un attimo, poi si raddrizzò, tirò le redini, il cavallo nero si girò e lei uscì dal cortile elegantemente al trotto senza proferire parola.
Oscar guardò il reverendo Philby che si avvicinò a lei con le mani al petto – Madame…Non riesco a capire chi…O cosa abbiate trovato in cima a quella collina, ma quella donna…E’ orrenda! E’ la rappresentazione esatta dei demoni della nostra terra…Ve lo chiedo un’ultima volta, non come uomo o padrone di casa, ma come sacerdote: cosa è successo lassù? –
Oscar aprì la bocca e, per un attimo, volle dirgli tutto: dalla partenza dalla sua villa in Normandia, all’assalto degli uomini in abiti neri e persino chi realmente era quella strega nera apparsa dal nulla sul Tor. Ma abbassò la testa tristemente – Io…Perdonatemi per la maleducazione, ma non posso dirvelo, reverendo. E credetemi, è molto meglio che voi non sappiate nulla. Vi prego ancora di perdonarmi e, se mai tutto questo finirà, sarò io stessa che verrò qui a dirvi tutto –
L’uomo sospirò, più deluso che arrabbiato e sorrise mestamente – La prendo come una promessa. Siate prudente figliola. Le tenebre sono sempre in agguato, anche dentro ognuno di noi –
Lei annuì, schiacciò i talloni sui fianchi del cavallo e uscì dalla casa di padre Philby.
 
Seguì Morgana per diverso tempo, fino a quando la donna fermò il suo cavallo fuori dal villaggio, in un luogo isolato, in un prato verdeggiante. La Duchessa scese dalla sella, ad essa agganciò il suo scudo e si mise a guardare la grande collina del Tor con la sua solitaria torre sulla cima che, anche a quella distanza, si poteva vedere nitidamente. Oscar aggrottò la fronte, scese anche lei da cavallo e si portò dietro di lei – Cosa sei venuta a fare qui, Fata Morgana? A tormentarmi di nuovo con le tue magie che adesso non sembrano nemmeno funzionare – disse e portò la mano verso l’interno della giacca dove portava la sua pistola.
Morgana abbassò per un attimo la testa, poi si girò verso di lei e sorrise, con un sorriso che a Osca non piacque affatto e che lasciava vedere i suoi canini appuntiti – Vuoi delle spiegazioni? Tu pretendi delle spiegazioni? Lascia che ti faccia vedere una cosa – disse e alzò l’avambraccio destro con il palmo della mano verso l’alto.
Oscar aggrottò la fronte e vide che, sulla mano, c’era un piccolo fiore azzurro reciso, ma con i petali aperti. Morgana annuì – Come ti ho già detto molte volte la magia…La magia non è una scienza esatta…E va e viene a suo piacimento –
Oscar vide che il fiore sussultò e poi cominciò velocemente a raggrinzirsi, fino a diventare scuro e appassito. In una frazione di secondo capì che i poteri di Morgana erano tornati, ma era troppo tardi. Si sentì immobilizzata e le sue braccia si allargarono, come pure le sue gambe. Con un senso di impotenza sentì il suo corpo sollevarsi lentamente in aria e galleggiare, per poi fluttuare ed avvicinarsi alla sua avversaria. La Duchessa strinse le dita schiacciando quello che restava del fiore e guardò il viso di Oscar che tremava – Ah! Mia cara Lady Oscar…Hai ragione…Ti ho cancellato la memoria e credevo che il sangue del mio sangue, le mie sorelle, mi avrebbero aiutato…Ma evidentemente hai sentito il richiamo di queste terre ed eccoti qui! Perché hanno costruito quella torre in cima al Tor? E perché interferisce con i miei poteri? E come mai è possibile che questi villici abbiamo fatto sparire il sacro lago? –
Oscar fece una smorfia – Non…Non lo so… - disse rimanendo bloccata in aria.
Morgana strinse le labbra – Mi hai chiesto perché sono qui! Perché sei una ladra, Lady Oscar. La stessa Avalon ti aveva scelta come suo campione, tu hai estratto la sacra lama dal terreno dell’isola e tu hai sconfitto Morrigan e il suo corvo. Ti abbiamo mostrato il luogo dove mio fratello il Re riposa in attesa di prendere di nuovo in mano il suo Regno, ho fatto del tuo scudiero un cavaliere, ma questo non ti bastava, dovevi prendere anche la pietra rossa di Excalibur –
Oscar aggrottò la fronte – Io…Io non sono una ladra – disse e provò una rabbia incontenibile. Come si permetteva quella strega infernale di accusarla di aver rubato…Una pietra rossa…Improvvisamente capì: la pietra della collana di Jeanne de Valois apparteneva alla spada di Re Artù. Eppure si ricordava di aver esaminato bene quella strana lama forgiata in un unico pezzo di metallo e non aveva visto nessun gioiello o pietra. E quella donna infernale era venuta dal passato con tutta la sua magia per prendersela con lei? Perché era convinta che lei avesse preso quella pietra? E si rendeva conto, la strega, di quanta sofferenza e di quanti morti era costata quella pietra rossa? Guardò Morgana negli occhi e sentì un formicolio alle braccia – Cosa…Cosa è quella pietra? – disse digrignando i denti.
La Duchessa si avvicinò a lei – E’ una mappa. La mappa per un’arma potente che potrebbe salvare la mia Britannia dal pericolo degli Uomini-Drago. E’ in mano tua, lo so bene, ridammela! –
Oscar sentì i muscoli fremere: “Cosa…Cosa devo fare? Come posso fermarla?” pensò e una voce nella sua testa, stranamente simile a quella di André le parlò: “Non è poi così difficile! Devi sono volerlo! Volerlo con tutte le tue forze!”.
E che razza di consiglio balordo era quello? Era sciocco quasi come quello di abbandonare la spada durante il duello con il capitano Travers che, però, aveva funzionato. Strinse le labbra e si concentrò su un desiderio solo: non tanto liberarsi da quella assurda posizione, ma più che altro prendere a pugni il volto bianco di Morgana.
La Duchessa si avvicinò ancora – Te lo ripeto: ridamm… - non finì la frase perché un poderoso pugno la mandò all’indietro facendola cadere sulla schiena. Oscar piegò le gambe piombando a terra una volta libera e si gettò sull’altra. Quando le fu sopra le sferrò un altro pugno e poi la prese per il collo. E strinse. Strinse forte.
Morgana, con un rivolo di sangue che le colava dal naso, annaspò e agitò le braccia, ma la presa di Oscar era ferrea. Quest’ultima, con una smorfia, avvicinò il suo volto a quello della strega – Era il mio cavaliere…Mio e solo mio…Potevamo vivere momenti di amore vero, intenso e travolgente…Ma no! Tu non hai voluto! La potente Morgana, la Dama del Lago, non ha voluto! –
La Duchessa di Cornovaglia scalciò e cercò di prendere Oscar per i capelli, ma inutilmente e, lentamente ed inesorabilmente, i suoi movimenti scemarono fino quasi a fermarsi. Ma Oscar staccò le mani dal suo collo e cadde riversa sulla schiena al suo fianco. Morgana annaspò in cerca d’aria tenendosi una mano sulla gola e tossì più volte fino a quando i suoi polmoni si riabituarono a respirare.
Oscar, invece, rimase stesa di schiena sull’erba e guardò il cielo terso sopra di lei. Sorrise tristemente – Potevamo essere felici…Io e André…Saremmo stati felici! Eppure… - disse piano e rivide nella sua mente quella maledetta notte e sentì di nuovo il rumore assordante della sua camicia strappata. Chiuse gli occhi e vide André che frustava la schiena di Boudicca legata ad un palo e il centurione Tito che, a palazzo Jarjayes, le serrava le braccia immobilizzandola. O era il contrario? Ormai non lo capiva più. Spalancò gli occhi dai quali stavano scendendo lacrime calde e copiose. Aprì la bocca e urlò con quanto fiato aveva in gola.
 
Dopo qualche istante di assoluto silenzio Morgana si alzò e si mise seduta – Ma cosa…Come hai fatto a liberarti…Io… - disse, ma sentì un piccolo oggetto che la colpiva al petto, mosse una mano e lo prese. Al tatto sembrava un sasso e vide sul suo palmo una pietra rossa. Inarcò le sopracciglia e guardò Oscar che restava ancora stesa a terra. Quest’ultima sospirò – La volevi non è vero? E’ tua Lady Morgana, ma dubito che ti sarà utile per qualcosa –
Oscar si sollevò, piegò le gambe e appoggiò le braccia sulle ginocchia rimanendo seduta. Guardò l’orizzonte e poi si girò verso l’altra       – Io non sono una ladra! Se questa pietra era stata veramente su Excalibur posso dedurre che sia arrivata a me perché sono stata, tecnicamente, l’ultimo campione di Avalon, ma immagino che io, l’isola e la spada, siamo collegati…Dopotutto sono stata io la chiave magica per spezzare l’incantesimo di Lancillotto. Ma questo non cambia quello che tu hai fatto a me! –
Morgana strinse la pietra nel pugno e la guardò pulendosi il naso sporco di sangue con l’avambraccio – Ho dovuto farlo! Tu non lo sai e non puoi capirlo, ma ho dovuto! –
Oscar sorrise tristemente – Hai dovuto? –
L’altra sospirò – Si…Lo ammetto, ti ho mentito…Tu hai potuto vedere la mia vita perché quando ho portato te e il tuo scudiero qui le nostre menti, si sono collegate. Non è stato lo stesso con André, ma credo dipenda dal fatto che siamo donne. Ti ho detto che io non potevo vedere la tua vita, ma ho mentito. Ho visto il tuo mondo e la tua storia, Lady Oscar, tutta la tua storia, fino alla tua morte –
Oscar aggrottò la fronte, ma Morgana continuò: - Io…Vi ho portato nella mia Britannia e questo ha cambiato il corso della storia. Tu e sir André non dovevate innamorarvi, non così presto perlomeno…Oh! Si! Lo avresti amato e lo amerai, con un amore, per usare parole tue, intenso e travolgente, ma… -
Oscar balzò in piedi e la guardò – Basta! Non accadrà! E lo sai perché? Perché io e André non ci ameremo in questo mondo e nemmeno in un altro –
Morgana si alzò lentamente e barcollando, guardò l’altra negli occhi – Se tu avessi amato sir André da quella linea temporale molto probabilmente, una volta tornata nella tua epoca, non avresti adempiuto al tuo destino. Che è quello di fare grande la tua Nazione. Non chiedermi come o quando, ma lo farai amando il tuo André –
Oscar si avvicinò a lei – Non è…Non è il mio André! E la storia è cambiata comunque, visto che, ora come ora, non lo amo e non lo amerò. Quindi, Lady Morgana, hai fallito nel tuo intento…E non provare a farmi innamorare con qualche stramba magia perché altrimenti ti staccherò la testa dal collo! –
Morgana aggrottò la fronte e aprì la mano guardando il sasso – L’amore è come la magia, Lady Oscar, non è una scienza esatta, ma in compenso è molto più complicato e difficile da comprendere e forse per questo ho sempre preferito le arti magiche. Ma…Perché hai detto che questa pietra non mi sarebbe stata utile? –
L’altra sospirò – So a chi probabilmente apparteneva quella pietra. Una figura storica molto famosa nella tua Britannia, Lady Morgana. Immagino che tu sappia chi era la Regina Boudicca –
Morgana sbatté le palpebre sorpresa – La Regina guerriera! Colei che si è opposta ai romani e li ha combattuti, come cantano i bardi e le leggende –
Oscar sorrise debolmente – Oh! Io, al posto di sentire le leggende…E i bardi…Ho letto Tacito, lo storico romano e so benissimo come è andata la guerra di Boudicca contro Roma –
L’altra socchiuse gli occhi – Cosa stai dicendo? La Regina guerriera ha sconfitto un’intera legione, ha distrutto le città di Camulodunum (n.d.a.: Colchester), Londinium e Verulamium (n.d.a.: St. Albans) e ha vendicato quello che ha patito lei e soprattutto l’oltraggio che hanno subito le sue figlie con il sangue degli invasori! E se hai ragione e questa pietra era sua allora ci porterà alla sua arma…All’arma che ha usato per sconfiggere i suoi nemici e che noi useremo per ricacciare in mare gli Uomini-Drago –
Oscar la guardò perplessa, la voce di Morgana tremava nel parlare di Boudicca e anche lei stessa, quando aveva letto la sua storia, aveva provato un senso di simpatia e vicinanza per la donna guerriera. E, come se non bastasse, grazie a quella pietra rossa aveva visto la sua vita e aveva provato la sua stessa sofferenza, sebbene in un piano mentale e non fisico anche se, ammise con sé stessa, molto realistico, tanto da averle fatto perdere perlomeno per un paio di volte il senso della realtà e confondendo André con il centurione Tito. Rabbrividì a quei pensieri, ma fissò i suoi occhi su quelli di Morgana: - Tu continui a non capire! Io non so a cosa porteranno le indicazioni della pietra, ma qualunque cosa sia, anche se fosse un’arma, sarebbe perfettamente inutile contro i tuoi Uomini-Drago, chiunque o qualunque cosa siano e, suppongo, contro qualsiasi altro nemico –
Morgana la guardò sconvolta – Come fai a dirlo? –
L’altra si avvicinò a lei – La storia della Regina guerriera è molto affascinante, te lo concedo Lady Morgana. E si, la Regina ha distrutto città e sconfitto legioni, ma tu sai benissimo cosa è venuto dopo…Cosa è successo alla fine della sanguinaria rivolta di Boudicca –
A Morgana tremarono le mani e distolse lo sguardo per non rispondere, ma Oscar fu implacabile: - Lo sai benissimo che, alla fine, il suo grande esercito, le sue figlie e lei stessa…Sono stati sconfitti e schiacciati dai romani –

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Capitolo 9
*** IL SENTIERO DELLA GUERRA ***


Britannia – Primo secolo d. C.
La guerra era iniziata. Improvvisa e crudele, come solo una guerra può essere. Le file dell’esercito di Boudicca si erano ingrandite e dismisura con gli Iceni, i loro alleati Trinovanti e persino i loro nemici Catuvellauni, ma anche con gli Atrebati e i Regnensi. E non avevano perso tempo: Camulodunum (n.d.a.: Colchester), fondata da veterani delle legioni che avevano conquistato la Britannia, era caduta. I pochi superstiti si erano rifugiati nel tempio eretto in onore di Claudio, ma lei aveva ordinato di mettere della legna secca tutto intorno e di bruciarla, facendoli morire soffocati.
Poi avevano affrontato la Nona Legione, quella degli uomini che l’avevano frustata e avevano tentato violenza verso le sue figlie. Su suggerimento di Gavino aveva ordinato di attaccare i legionari quando erano in marcia da un posto all’altro e non quando potevano servirsi del loro campo fortificato o potevano tranquillamente mettersi in formazione. E fu una grande vittoria! Quello che restava della legione era fuggito a nord lasciando libera la strada per Londinium, la capitale della Provincia romana. La città, senza una guarnigione, fu conquistata in breve tempo, ma quello che ne seguì fu un massacro senza limiti. Un’orgia di sangue in cui i suoi guerrieri sfogarono tutti gli anni della dominazione straniera contro i civili. E poi venne Verulamium (n.d.a.: St. Albans), un’altra roccaforte con un altro bottino e altre armi nemiche conquistate. E un altro massacro.
 
Gavino si guardò attorno, la strada alberata era stretta, ma poteva nascondere mille insidie. Avevano lasciato il grosso dell’esercito e avevano proseguito verso occidente con un piccolo gruppo armato, ma, a parte i romani in agguato c’erano anche i capi delle altre tribù che avrebbero voluto la testa della Regina, proprio adesso che Roma sembrava sconfitta definitivamente. – Smettila di comportarti come una ragazzina! – disse una voce di donna al fianco del guerriero. Una, la figlia maggiore di Boudicca, cavalcava al suo fianco anche se il loro fidanzamento era stato sciolto. La ragazza aveva giurato di dedicare la sua vita alla guerra e così aveva fatto. Si era fatta forgiare una spada e un elmo adatto alla sua testa, decorato con una grande piuma nera di corvo, si era addestrata e non si era più fermata. Era diventata una guerriera forte e feroce, tanto che anche gli uomini al suo comando la temevano.
Dietro di loro Boudicca sospirò. Era circondata dai suoi guerrieri, al sicuro, si disse, ma lo era davvero? Erano i suoi pensieri a tormentarla. Aveva perso Una, che ormai era una guerriera indomabile e come posseduta dalla dea della guerra e aveva perso anche la piccola Maeve. La sua seconda figlia era morta per suicidio. Maeve che piangeva quando vedeva i fiori recisi appassire; Maeve che raccoglieva ogni animale randagio e Maeve che era rimasta sconvolta quando i romani aveva tentato di stuprarla. Avrebbe dovuto passare del tempo con lei, aiutarla a superare il trauma, lo sapeva, ma la preparazione per la guerra l’aveva assorbita in ogni istante e poi sembrava che, dopo molti giorni, anche la sua piccola si stesse riprendendo da quella brutta esperienza. Aveva cominciato a fare lunghe passeggiate da sola al di fuori del villaggio, fino a quando, un giorno, non era rientrata e solo alla sera l’avevano trovata. Si era gettata in un fiume e si era lasciata annegare.
E lei non aveva pianto, nemmeno davanti al corpo bagnato e morto di sua figlia. Ogni suo pensiero era proiettato alla battaglia e non disse nulla persino dopo le parole di Una: “E’ sempre stata debole!”. Aveva perso il conto dei giorni da cui indossava brache, stivali e giacca in pelle e che portava la spada di suo marito al fianco. Era un’arma troppo grande per lei e aveva dovuto farla accorciare ed adattare alla sua statura, ma era pur sempre un’ottima arma. Aveva raccolto i suoi capelli ramati e aveva decorato il suo volto con le pitture blu di guerra che ormai facevano parte integrante del suo viso.
E poi c’era Gavino, quello che era diventato, con il druido Norag, il suo più fidato consigliere. Ogni tanto lo sorprendeva a guardare Una quando lei non se ne accorgeva, come un cane bastonato che brama solo una carezza dal padrone crudele. E dopo ogni vittoria lei gli aveva chiesto se avrebbero sconfitto i romani e la risposta di lui era sempre stata la stessa: “Roma non è solo una legione o una città…Roma è l’Italia, la Gallia, la Grecia e l’Egitto…Roma è il mondo e non possiamo sconfiggere il mondo, Mia Regina”. E oltre a Gavino c’era la sua mente che la faceva pensare che forse, dopotutto, la guerra non era stata la soluzione migliore per il suo popolo: a Londinium aveva visto il sangue del nemico scorrere, avrebbe dovuto essere felice, ma quando i suoi guerrieri avevano preso le donne, le ragazze e le bambine della città per fare loro quello che i legionari avrebbero voluto fare alle sue figlie, non li aveva fermati. Non aveva potuto. Non aveva voluto. E nelle sue orecchie ancora riecheggiava il pianto di una bambina, con una tunica rossa lacerata, portata via, trascinata per i capelli da un gigantesco uomo Atrebate e le urla di una vecchia in ginocchio: “Perché!? Ci siamo arresi! Che tu sia maledetta, Regina dei dannati!”.
 
Rabbrividì, ma diede la colpa al fatto che il sole era sparito per lasciare il posto alla nebbia. Ed era il segno che erano arrivati alla loro destinazione. Sulla riva della grande palude che tutte le tribù della Britannia chiamavano Lago, lei e il suo seguito trovarono una singola imbarcazione, con due figure bianche che li stavano aspettando.
Erano due sacerdotesse e, quando lei scese da cavallo, si inchinarono: - I nostri omaggi Regina degli Iceni. La Dama del Lago è impaziente di conoscerti, ma solo tu e due persone, il tuo seguito, potete venire con noi –
Un mormorio di disapprovazione si levò dai suoi uomini, ma lei li zittì alzando la mano – Una! Gavino! Voi verrete con me –
Era stata ad Avalon una sola volta, con suo padre e aveva trovato il viaggio meraviglioso. La nebbia si diradò lasciando il posto a una spiaggia sassosa illuminata dal sole, l’Isola delle Mele, come la chiamavano alcuni. Lasciarono l’imbarcazione e percorsero il sentiero del bosco, passarono davanti a una fonte d’acqua e poi arrivarono alla radura. Passarono l’arco di pietra ed entrarono nel più sacro tempio della Britannia.
In una sala bianca illuminata dal sole trovarono alcune sacerdotesse e degli uomini. Boudicca aggrottò la fronte, sapeva che i capi delle tribù occidentali la stavano aspettando in quel luogo, anche con i loro druidi, che riconosceva dalla tonsura dei capelli. Ma si aspettava anche di essere salutata come una conquistatrice o, meglio, una liberatrice della loro terra. Uno dei druidi, un vecchio dalla lunga barba bianca, seduto su uno scranno di pietra, le sorrise sprezzante – La Regina degli Iceni! Finalmente è arrivata! –
Uno dei capi tribù la guardò alzando il mento – Ce ne hai messo di tempo! –
Una mise mano all’elsa della spada, ma Boudicca la trattenne e cercò di sorridere amabilmente – Perdonate il ritardo, ma ho dovuto condurre il mio popolo alla vittoria contro i romani, mentre venivo qui –
Il vecchio druido sorrise di nuovo e tentennò. Un altro capo, anche lui con la barba bianca, la fissò – E cosa hai vinto, Mia Regina? –
Lei si irrigidì – Forse non avete sentito cosa abbiamo fatto. Il mio esercito sembra contare oltre centomila guerrieri e abbiamo preso tre città, oltre al fatto che abbiamo decimato la Nona Legione –
Il capo che le aveva parlato per primo tentennò sconsolato – Non ha la minima idea di cosa sta facendo –
Il drudo anziano la guardò e fece un gesto con la mano – Voi che descriva le tue vittorie, Mia Regina? Hai conquistato tre città che non avevano alcun difensore…E hai sconfitto una legione solo ed unicamente perché l’hai presa di sorpresa, mentre erano in marcia e non mentre erano in formazione di battaglia…E come se non bastasse hai massacrato migliaia di persone che nulla avevano a che fare con l’affronto che hai subito. Ci hanno detto che la cifra si aggira sulle ottantamila vittime, non è vero? –
Una fece un passo avanti – Come osate? –
Boudicca fermò di nuovo la figlia e sospirò – Sono…Sono molte…E’ vero – disse e provò un brivido lungo la schiena ripensando alla bambina trascinata via da uno dei suoi guerrieri – Ma è nulla rispetto a quello che hanno fatto i romani –
Il vecchio capo sospirò – Hai potuto fare quello che hai fatto solo perché il console romano Paolino era impegnato a occidente contro i druidi e, nonostante tutto, aveva tenuto a freno i suoi uomini da compiere massacri arbitrari. Quando ha saputo quello che tu e il tuo esercito avete compiuto ha ordinato ai suoi legionari di uccidere tutti i nostri sacerdoti e di stuprare le nostre sacerdotesse. Quindi ha radunato le sue unità, lo sai almeno quanti sono e il loro nome? –
Boudicca deglutì, in effetti non lo sapeva e non aveva molte informazioni sul comandante delle forze romane in Britannia. Il vecchio continuò: - Gaio Svetonio Paolino, proconsole di Roma, ha al suo comando la Quattordicesima Legione Gemina e la Ventesima Valeria Victrix. La Seconda Legione Augusta è dislocata a sud-ovest, peraltro non lontano da qui e non si sta muovendo. Secondo i nostri informatori il loro generale ha disobbedito agli ordini del console, anche se noi riteniamo che Paolino l’abbia lasciata di retroguardia per difendersi le spalle e il fianco. E mentre noi parliamo qui i resti della Nona Legione Hispana che tu e il tuo branco di lupi avete, per così dire, sconfitto, si è diretta a nord per poi virare a ovest e congiungersi con il grosso dell’esercito. E, Mia Regina, non sembra che tutta la ferocia che hai dimostrato li abbia impressionati, visto che adesso stanno marciando a tappe forzate di nuovo verso est. Verso di te! –
Boudicca sorrise – E li sconfiggeremo! Se voi vi unirete al mio esercito… -
Il vecchio druido la interruppe con una risata nervosa – Non capisci ancora!? Paolino sta avanzando con due intere legioni e una a metà i cui legionari non vedono l’ora di appenderti per il collo per vendicare il loro onore offeso, Mia Regina! E proprio tu dovresti sapere che l’odio è un’arma potente! –
Il vecchio capo deglutì – Stanno uccidendo chiunque trovino sul loro cammino! Anche mio nipote è finito inchiodato a una croce. E aveva solo cinque anni! E tutto perché hai permesso ai tuoi animali di massacrare la popolazione che aveva l’unico torto di abitare nelle città romane –
Una digrignò i denti – Quei cani meritavano la morte! Sono venuti qui come invasori! Abbiamo un esercito potente e fermeremo le legioni, come abbiamo già fatto! – gridò. Il giovane capo la guardò furioso – Hai mai affrontato un esercito romano? Io no. Ma mio padre e mio fratello si…E sono morti! Non metto in dubbio il tuo valore, Mia Regina, so che combatterai, ma non avrai davanti le guarnigioni di città, ma legionari romani –
Boudicca sorrise con l’angolo della bocca e finalmente capì – Voi state aspettando…Voi non combatterete con noi per non esporvi nel caso vincessero i romani –
Il vecchio druido si alzò lentamente dal suo scranno – Se vincerai…Se…Vincerai…Io in persona mi prostrerò ai tuoi piedi, Mia Regina, ma permettimi, ancora una volta, di illustrarti la situazione in maniera semplice: da un lato abbiamo il console romano con un esercito magnificamente addestrato, organizzato e forte…Dall’altra abbiamo la vedova di un Re al comando non di un esercito, ma di un gruppo molto numeroso, lo ammetto, formato da contadini, pastori, fabbri e vagabondi che si sono trasformati in saccheggiatori e stupratori. Quello che ci chiedi, per molti di noi, è solo un suicidio –
Il vecchio capo appoggiò la mano all’elsa della spada – Almeno sai quali sono le formazioni preferite dell’esercito romano? Sai quali sono le unità che mettono in prima linea? Lo sai perlomeno come combattono i legionari? –
Boudicca soffiò dalle narici e avanzò verso loro, facendoli irrigidire. Si fermò e li guardò negli occhi uno per uno, poi fissò lo sguardo sul vecchio druido – Si! Noi siamo un gruppo di contadini e pastori, non di guerrieri, ma siamo il popolo di Britannia e amiamo la nostra terra. Tutta la nostra terra! Anche quella abitata dalle vostre tribù. E mi dispiace per tutti i vostri conoscenti, amici e parenti che sono morti appesi ad una croce, ma se non li fermiamo ora…Quando potremo farlo? Lo so che loro sono più forti, più organizzati e meglio armati, ma, in fondo, eseguono solo gli ordini di un tiranno che se ne sta steso sotto il sole dell’Italia suonando…Come si chiama…La cetra –
Gli uomini, compreso il vecchio druido, sorrisero e lo fece anche lei: - Noi combattiamo per qualcosa che loro non possono capire, per qualcosa che non potranno mai comprendere. Noi combattiamo per la nostra terra, per il diritto di governarci da soli e non con le loro leggi scritte nel marmo e per non vedere i nostri figli uccisi e le nostre figlie oltraggiate – concluse guardando Una che annuì.
Il giovane capo strinse le labbra – Bel discorso…Anche commovente! Ma non ci hai ancora detto come intendi sconfiggerli –
In quel momento si avvicinò una sacerdotessa vestita di bianco e batté le mani – Perdonatemi! Mia Regina Boudicca, la Dama del Lago vuole riceverti adesso –
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar aprì gli occhi e sbatté le palpebre. Era seduta a terra con la schiena appoggiata ad un albero e si stiracchiò alzando le braccia. Si guardò intorno e vide Morgana che si stava lavando nel torrente. Era in piedi, di spalle e completamente nuda. Si stava passando una mano sul braccio cantando un motivetto gradevole. I suoi abiti erano piegati sulla riva e la sua spada era appoggiata in piedi ad una roccia, a poca distanza da lei. “Pronta per essere presa in qualunque momento” pensò ed era un’abitudine che, si disse, tutti i guerrieri del medioevo dovevano aver avuto. Lei si toccò l’interno della giacca e sospirò nel sentire la sua pistola e poi toccò anche la sua spada, come per assorbire la forza dell’acciaio di cui era fatta. Strinse le labbra, era André quello che si occupava della sua manutenzione e che fosse perfettamente affilata, almeno fino a quella sera…
Quando lei e Morgana avevano finito la discussione su Boudicca e sul suo fato, erano ripartite in silenzio verso est. Morgana le aveva restituito la pietra rossa, come per ripagarla per averla accusata ingiustamente. Oscar si era imbarcata in quell’avventura per sapere quale era il segreto che nascondeva e, in effetti, in parte lo aveva scoperto: l’arma di cui parlava Morgana doveva essere un qualcosa che la Regina degli Iceni doveva aver usato contro i romani. Invano. La delusione negli occhi della Duchessa era stata cocente.
Durante il tragitto aveva capito che i fantomatici Uomini-Drago, avversari peggiori dei Sassoni, che all’epoca di Morgana stavano lentamente conquistando la Britannia, dovevano essere i Vichinghi del nord che con le loro grandi navi depredavano le coste. E dovevano essere dei nemici molto forti se persino la Fata Morgana si era mossa nelle nebbie per trovare quella pietra rossa. Ma quello era stato l’unico discorso che avevano fatto, prima di addentrarsi in una foresta, di trovare un buon posto accanto ad un torrente di acqua limpida e di accamparsi lì.
Morgana uscì dall’acqua, prese la sua spada in una mano e i suoi abiti nell’altra e si avvicinò e lei – Non ti dai una rinfrescata? –
Oscar strinse le labbra, se c’era una cosa che considerava sacra, oltre a Dio e alla Francia, era la sua igiene personale. In un mondo in cui la pulizia non era certo a livelli massimi e lei, lavorando a Versailles, se ne era resa conto molto bene vedendo nobili e dame coprire l’odore sgradevole del loro corpo sporco con litri e litri di profumo e fare i propri bisogni corporali letteralmente dove capitava. A lei invece piaceva il rituale della pulizia e del bagno. Del suo bagno beninteso e non sciacquarsi in un torrente inglese in mezzo ad una foresta che nascondeva…Cosa? Un centurione romano? Una regina britannica con la faccia dipinta di blu? Una strega medioevale? Gli uomini in nero che l’avevano seguita dalla Normandia? Aveva paura di mostrare il suo corpo a un’altra donna, ma perché? Incrociò le braccia sul petto e tentennò.
Morgana inarcò le sopracciglia perplessa, si rimise i vestiti, si allacciò il cinturone con la spada e si sedette accanto a un albero, vicino a lei. Dopo attimi di silenzio la Duchessa la guardò – Sei qui da sola, senza sir André. Quindi tu e lui… -
Oscar sorrise sprezzante – Si! Hai capito bene…Io e lui…E a proposito di capire… - disse guardandola – E’ da quando siamo qui che me lo chiedo: come faccio a capire il tuo linguaggio? E come abbiamo fatto io e André a capirti quando eravamo nella tua epoca? –
Morgana appoggiò la schiena al tronco e sospirò – In effetti me lo sono chiesta anch’io. Ma immagino che faccia parte della magia del passaggio…A me non sembra di parlare la tua lingua e probabilmente tu non comprendi la mia, ma ci capiamo comunque. Così come ci siamo capiti con quegli zotici a Glastonbury. Hanno distrutto il Lago e costruito quella ridicola torre in cima al Tor! –
L’altra scrollò le spalle – La magia! Non sarà una scienza esatta, come dici tu, ma evidentemente è una materia intelligente! – disse e poi la guardò – Ma…Non hai pensato di andare…Ad Avalon! Quella era la porta per l’isola sacra –
Morgana scrollò le spalle – Quando te ne sei andata, sfruttando l’amplificazione dei miei poteri data dall’isola, l’ho relegata in una dimensione in cui non scorre il tempo, ma ho sentito che è ancora là, con le mie sorelle e…E mio fratello –
Oscar aggrottò la fronte – Quindi, dopo tanti secoli, non si è ancora svegliato –
L’altra sorrise – Il tempo non ha importanza Lady Oscar! Io so che lui si sveglierà! E nel frattempo devo fare quello che posso per salvare il suo Regno. O quello che ne resta –
Lei la guardò a bocca aperta – E’ mai possibile! Non ho mai visto tanta fedeltà a un Re, anche se tuo fratello…E a un popolo –
Morgana la guardò con occhi di ghiaccio – Lo so che mi ritengono una strega. Di quelle cattive anche…Che di me hanno detto tutto e anche di peggio e quello che ha accennato il villico a Glastonbury: è vero? Qualcuno ha scritto la storia di mio fratello e dei suoi cavalieri e io, come al solito, sono sempre e solo la cattiva? La sua nemica…Come ha detto…La sua nemica giurata? –
Oscar aprì la bocca, incapace di rispondere, ma Morgana sorrise debolmente – Lo immaginavo. L’ho detto quasi scherzando a mia sorella Viviana quando ho lasciato lei e Morgause ad Avalon, ma non importa. Come ho detto a sir André essere nobili è qualcosa di più che vivere nel lusso. E’ un modo di essere, di vivere e sacrificarsi e morire per il proprio popolo è solo una parte di tutti quei doveri che la nostra condizione ci pone. Anche se questo popolo ci odia profondamente – disse e appoggiò la testa al tronco guardando verso gli alti rami.
Oscar provò una stretta alla gola. Aveva letto e riletto le opere del ciclo arturiano e ora aveva davanti, di nuovo, la cattiva per antonomasia, la crudele e perfida Fata Morgana. Così veniva descritta. Eppure l’aveva conosciuta in un altro modo, aveva condiviso i suoi pensieri, le sue speranze, le sue delusioni e si, anche le sue paure. Morgana aggrottò la fronte sentendosi osservata e la guardò – Che hai? –
Oscar sorrise – Vorrei che anche i nobili della mia terra ti sentissero –
La Duchessa di Cornovaglia inarcò un sopracciglio e l’atra continuò: - I nobili di questo mondo…Molti di loro…Non vedono la loro condizione come un sacrificio, men che meno verso il popolo, ma come un insieme di privilegi e considerano la gente comune come loro schiavi –
Morgana strinse le labbra – Oh! E’ una cosa comune anche per molti nobili della mia epoca abusare dei loro poteri, ma il popolo può solo sopportare e aspettare un governante migliore. Se la nostra condizione è quella di privilegio e sacrificio, quella dei villici è di sottomissione e servizio e quindi, da un certo punto di vista, si possono comprendere certi atteggiamenti –
Oscar aggrottò la fronte e sospirò, quella che aveva davanti era pur sempre un prodotto dell’epoca medioevale, incapace anche solo di concepire la possibilità che un popolo potesse scegliere di ribellarsi al suo oppressore. Si ricordò il discorso sul potere che André, Morgana e Morgause avevano fatto sulla strada per Glastonbury, con la frustrazione di lui e le risate di loro. Sbuffò: - Nelle terre d’oltremare, a ovest, ci sono riusciti, lo sai? Hanno creato uno stato senza nobili –
Morgana scrollò le spalle sorridendo – Oltremare…A ovest della Britannia…In Irlanda…Non credo che quei pazzi di irlandesi se la caveranno a lungo da soli –
Oscar sospirò di nuovo – Non è l’Irlanda…Ma…Che te lo dico a fare! André ha cominciato a frequentare un…Un gruppo di persone, nobili e gente del popolo, si riuniscono e parlano…Parlano della nostra Patria come un mondo di eguali e senza più una divisione in classi –
Morgana la guardò perplessa e Oscar si alzò in piedi – Loro…E non solo loro…Anche gli irland…Voglio dire…La gente d’oltremare che tu chiami irlandesi, parlano di un mondo migliore, dove tutti sono uguali e sono liberi e dove nessuno deve rendere conto ad un Re o ad un nobile e lo stanno costruendo Morgana, lo stanno costruendo! –
Morgana si alzò lentamente mettendosi di fronte a lei – Gli dei dei miei antenati, i miei antenati stessi e la mia spada fanno di me la Duchessa di Cornovaglia e non mi ritengo e nemmeno sono di certo uguale ad un contadino o ad un pastore, se è quello che tu e i tuoi uomini d’oltremare intendete dire! Noi nobili siamo superiori! E’ nostro compito e sacro dovere sostenere e aiutare il nostro popolo che da solo non avrebbe nulla! –
Oscar sollevò i pugni al petto – Per alcuni invece è possibile che un popolo si governi senza un Re ed è possibile che un nobile ed un contadino possano parlare da pari a pari e decidere insieme del futuro della propria Nazione, per un mondo migliore! –
Morgana strinse le labbra e socchiuse i suoi occhi chiari – Mmmm…Il tuo André dice e pensa molte cose, me lo ricordo bene! Abbiamo parlato anche di questa specie di…Assemblea…Di cui parli…Ma il punto è, Lady Oscar, invece tu cosa pensi? Tu che comandi eserciti, che sei amica di Re e Regine, che hai ereditato la tua condizione dai tuoi gloriosi antenati che l’hanno forgiata non coltivando la terra con l’aratro, ma con il freddo ferro delle loro armi e con la loro possente volontà…Tu pensi davvero di essere uguale a questo…Popolo? –
Oscar la guardò a bocca aperta. Abbassò le braccia e tentennò, incapace di rispondere. Morgana inarcò un sopracciglio, aspettandosi una risposta, ma l’altra tentennò di nuovo – Io…Io non lo so! – disse piano e si spostò. Appoggiò una mano su un albero e piegò la testa: - Non lo so! Non lo so! – ripeté sconsolata. Avrebbe voluto zittire quella donna, ma come avrebbe potuto farlo? Se ci fosse stato André, si disse, l’avrebbe fatto, ma lui non c’era e non sapeva nemmeno dove fosse. A piangere per lei? A cercare un nuovo amore, possibilmente meno impossibile e più appagante? Fuggito? Scappato? Rimasto? Da quando gli aveva comunicato di non avere più bisogno dei suoi servigi non aveva più saputo, o voluto sapere di lui. Di una cosa però era certa: nonostante tutto gli mancava il suo amico. Gli mancava tanto e avrebbe voluto non essere lì, in un paese straniero, con una strega sbucata dal passato, alla ricerca di un’arma leggendaria appartenuta ad una Regina guerriera e che probabilmente non avrebbe fatto del male a nessuno.
Ma il rumore della camicia strappata…Le mani del centurione…No, si disse, erano le mani di André. Lui l’aveva oltraggiata, ma allora perché desiderava così tanto averlo al suo fianco, solo per rispondere punto per punto ai discorsi di Morgana o per qualche altro motivo che non sapeva o non voleva dire? Alla sua memoria riaffiorò il suo primo bacio, dato ad Avalon, dopo aver sconfitto la crudele dea della guerra e ricordò persino con piacere il sapore dell’Haggis. Ricordò persino lui in ginocchio di fronte a lei: “Il mio cavaliere”. – André… - disse piano.
Morgana si avvicinò lentamente a lei con una mano appoggiata all’elsa della spada: - Sei strana Lady Oscar. La tua volontà è forte: Avalon ti ha scelto come campione, hai sconfitto Morrigan e hai persino resistito alla mia magia a Glastonbury. Eppure anche tu, come Morgause o Ginevra e il suo Lancillotto, quando pensate all’amore, diventate deboli e sciocche! –
Oscar si girò velocemente, la prese per la giacca e la schiacciò contro un albero – L’amore non è stupido Lady Morgana! – disse e la lasciò ritirandosi – Ma che renda tutte noi, te compresa, deboli e sciocche te lo concedo – aggiunse pensando a come si era comportata con Fersen al ballo di Versailles e alla breve e burrascosa relazione tra Morgana e Accolon del Galles, finita con la pazzia di quest’ultimo e con il tentativo di uccidere Artù in nome di colei che amava.
Oscar sorrise debolmente e poi si avvicinò di nuovo alla Duchessa – Per rispondere alla tua domanda Lady Morgana: noi tutti siamo nati da una madre, io come te e come un pastore e o un contadino. Quindi, come vedi, noi tutti nasciamo uguali, nudi e piangenti, chi con i capelli biondi e chi con la pelle di un pallore spettrale. Alcuni nascono in un castello con tanto di fossato e ponte levatoio e altri in una misera casa ai confini di una città. Quindi qualcuno si siede su un trono a bere e mangiare e altri devono lavorare tutta la vita per avere un po' di qualunque cosa. E quando moriamo noi nobili lo facciamo alla stessa maniera di un contadino o di un pastore –
Morgana sorrise sprezzante – E’ la vita in mezzo che ci differenzia. Noi comandiamo e loro eseguono. E’ sempre stato così e, per gli dei dell’Annwn, sempre sarà così! Mio padre, il Duca Gorlois, è morto combattendo al comando di un esercito, con gloria e onore! Così come il mio patrigno Uther Pendragon, combattendo contro i Sassoni! E non di certo annegando nel fango e nei propri escrementi come un soldato qualsiasi! –
Oscar annuì – Sempre morti sono! Con la differenza che il Duca tuo padre e Re Uther lo hanno voluto! Ma il punto è, Lady Morgana, che se il popolo deve obbedire e seguire le assurde richieste dei nobili, compresa quella di morire sui campi di battaglia, ha anche il diritto di scegliere per chi morire e contro chi combattere…E quindi anche di come governarsi –
Morgana si raddrizzò e si mise a pochi centimetri da lei – Idiozie! – gridò a voce alta – Siamo noi che sacrifichiamo ogni cosa per loro! Anche l’amore! Pensi che i miei genitori si amassero? Io e le mie sorelle siamo nate perché cercavano un erede dell’Antico Popolo da mettere ad Avalon…Per questo io sono nata! E, dei dell’Annwn, ne vado fiera! – aggiunse.
Oscar sbatté le palpebre – Io sono nata perché mio padre voleva un figlio maschio e, se non mi sbaglio, questo te l’ho raccontato la prima volta che ci siamo viste, al tuo castello di Tintagel –
Morgana annuì – Si! E io ti ho anche detto che la maggior parte degli uomini sono inutili, ma alcuni riescono ad essere persino dannosi –
L’altra strinse le labbra – Mio padre mi ha educato come un uomo, più di un uomo e ora comando un esercito…E si! Ne vado fiera! –
Morgana sospirò – Bene! –
Oscar annuì – Bene! –
Dopo qualche istante ancora le due donne si sorrisero. Poi Oscar sospirò – Guarda noi due. Siamo separate da un millennio di Storia, eppure eccoci qui, una di fronte all’altra. Così diverse e così simili…Non riesco a spiegarmelo –
Morgana inspirò profondamente – Perché le nostre volontà, le nostre condizioni e il nostro essere sono collegati Lady Oscar. Siamo entrambe nobili ed entrambe guerriere ed è per questo che sir André, pur in una condizione che lo mette qualche gradino al di sopra del popolo dal quale proviene e al di sotto di noi, non riesce comunque ad essere un nostro pari, sebbene io lo abbia fatto cavaliere di Avalon. E quindi posso anche ammettere che, nel tuo prezioso popolo, ci sono delle personalità, proprio come il tuo André, che si differenziano ed emergono dalla melma e pure invocano un’uguaglianza che, nella sostanza, non c’è. Ma sono l’eccezione, non la regola e proprio per la maggioranza di loro esistiamo noi nobili…Per governarli! Che lo vogliano oppure no! –
Oscar sospirò – Lasciamo perdere! Temo che sia tempo perso. Ma adesso dovremo concentraci sulla pietra rossa e non ho la minima idea di quanto manchi da qui al grande cerchio di pietra, anche se so che la direzione è quella giusta –
Morgana aggrottò la fronte – Il grande cerchio di pietra? Intendi forse dire quello vicino a Salisbury? Quell’ammasso di rocce era già antico nella mia epoca e nessuno ha mai capito a cosa mai serva. L’arma è lì? –
Oscar mise la mano all’interno della giacca e ne estrasse la pietra. Sorrise: - Lo capirai quando ci sarà la luna piena. E ormai non manca molto –
 
A Glastonbury, dalla la residenza del reverendo Nathaniel Philby, uscì a grandi passi il colonnello William Harrison. Il militare si fermò di fronte a un gruppo di uomini a cavallo, non cavalleggeri dell’esercito inglese, ma persone vestite interamente di nero. Montò in sella con grazia e poi si rivolse all’uomo al suo fianco sorridendo – E’ incredibile cosa possa fare la visione di un’uniforme mio caro Nesby. Padre Philby non era molto loquace, ma lo era di più la sua governante, o amante, non ho capito. La francese è stata qui –
Nesby strinse le labbra – Lo sapevo anch’io! L’abbiamo seguita fino a qui e gli abbiamo teso un’imboscata sulla cima di quella gigantesca collina – disse indicando il Tor.
Harrison sospirò – Fino a quando vi siete lasciati spaventare da, cito le tue parole: un’apparizione spettrale che ci ha fatto fuggire. Notevole mio caro Nesby! Anche perché non sembra che l’arma sia qui e che quella che è apparsa là sopra sia solo una donna. Una donna dalla pelle pallida tutta vestita di nero, su un cavallo nero e con spada e scudo –
Nesby inarcò le sopracciglia – E ti sembra normale? E’ sbucata dalla base di quella maledetta torre lassù in cima. Sei mai stato là sopra? Certe volte mi sembra di sentire…Sentire qualcosa di magico –
Harrison sospirò di nuovo – La magia…Quella era una donna in carne ed ossa. E poco importa che avesse una spada e uno scudo. E’ una persona come me e te e dubito che potrà resistere ai colpi delle armi da fuoco, come la francese del resto. A causa della tua dabbenaggine Lord Baxter è dovuto partire da Londra per raggiungerci assicurando Re Giorgio che si occuperà lui di sorvegliare la de Jarjayes…Magari non come lo vuole Sua Maestà, questo è certo, ma a questo punto siamo alla fine di una ricerca che è durata oltre un millennio e non sarà certo quella donna vestita da uomo o un finto fantasma che potranno fermarci. Sia chiaro che da ora in poi sarò io al vostro comando –
Nesby annuì e si portò una mano alla fronte nell’imitazione del saluto militare – Agli ordini colonnello! Nonostante tutto i miei uomini sono ancora alle loro calcagna e sappiamo che si stanno dirigendo verso ovest…Quindi… -
Harrison sorrise debolmente – Andiamo a ovest! –

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Capitolo 10
*** LA VERITA' ***


Britannia – Primo secolo d. C.
La sacerdotessa gli fece cenno di fermarsi. Boudicca aggrottò la fronte, la donna l’aveva portata in una sorta di giardino verde. Poteva chiaramente sentire il calmante cinguettio degli uccelli e sorrise. La sacerdotessa strinse le labbra – Mia Regina, come ben sai la Dama del Lago viene solitamente scelta tra chi porta il sangue dell’Antico Popolo e hanno…Beh! Delle caratteristiche fisiche particolari ed è talmente raro vederli che molti si spaventano –
Boudicca fece un cenno con la mano – Va bene! Ho capito! Hanno la pelle bianca come il gesso e i capelli neri come la notte. Ammetto di non aver mai visto un uomo o una donna così, ma adesso basta. Voglio vedere la Dama del Lago! –
La sacerdotessa chinò la testa – E’ di la, all’ombra della sacra quercia, ha stretto amicizia con un nostro vecchio ospite, un viaggiatore. Lui e il suo gruppo sono giunti qui da lontano –
La Regina aggrottò la fronte – E’ un Re gallico in esilio? –
L’altra tentennò – No! Viene da molto più lontano…E non è certo un Re. E non sono nemmeno soldati. Sono perseguitati dai romani perché appartengono a una setta religiosa nata nella loro terra. A Est, molto a Est e quest’uomo viene da un luogo chiamato…Mi sembra Gerusalemme. Dice che è ancora più lontano della Grecia e dell’Egitto –
Boudicca sbatté le palpebre – E ne ha fatta di strada per sfuggire ai romani! Lui e la Dama del Lago sono forse… -
La sacerdotessa la guardò inorridita – No! No di certo! Lei è poco più di una ragazza e lui è…Vecchio! Riesce a malapena ad alzarsi dalla sedia, ma ha stretto un legame particolare con la nostra Signora…Più mentale ed affettivo che fisico e lui e il suo gruppo non hanno mai insidiato le sacerdotesse, anzi, si sono sempre comportati con il massimo rispetto verso le nostre tradizioni –
L’altra annuì e guardò verso un grande albero. Vide due figure ai suoi piedi, una con un abito bianco, come la sua pelle e dai serici e lunghi capelli neri seduta su uno sgabello e un’altra, di fronte, curva e con una lunga barba bianca. Si avvicinò e la figura bianca si girò mostrando un volto pallido e rotondo. Sorrise e si alzò – Boudicca, Regina degli Iceni. Stavo parlando con Giuseppe proprio di te –
Boudicca guardò l’uomo: era proprio vecchio. Dalla pelle raggrinzita e gialla, ma con due occhi gentili che ispiravano simpatie e fiducia. Sorrise e lui abbassò leggermente la testa – I miei omaggi Regina Boudicca. Mi dispiace profondamente per quello che ti è accaduto e che è accaduto alle tue figlie –
La donna abbassò la testa rispondendo al saluto – Mi hanno detto che vieni da lontano, per sfuggire ai romani, da un posto chiamato Gerusalemme –
Lui annuì debolmente – Si. Ma sono nato in un altro posto chiamato Arimatea. Per questo mi chiamano Giuseppe d’Arimatea –
Boudicca strinse le labbra – Un viaggio lungo, dovete aver fatto molti danni ai romani nella vostra terra –
Lui sospirò – In effetti io non ho mai preso in mano una spada, Mia Regina. Il mio unico torto è stato quello di credere…Credere nel Dio dei miei padri e…In… - si fermò incapace di trovare le parole, poi guardò negli occhi la Regina – Ho creduto nel figlio dell’Uomo, nel miglior Maestro che la mia terra e il mio popolo abbia mai avuto –
Boudicca aggrottò la fronte perplessa e guardò la ragazza che sorrise – Nella terra di Giuseppe venerano un solo dio. Strano, vero? Eppure dice che è da secoli che lo fanno e che hanno un tempio che supera in grandezza anche quelli di Roma –
L’altra annuì: “Un dio per pastori! Immagino che sia semplice per loro adorare un unico dio piuttosto che quelli forgiati con il ferro e con il fuoco come i nostri” si disse e guardò la ragazza – Perdonami Mia Signora, ma mi hanno detto che volevi vedermi ora –
La Dama del Lago sorrise e le indicò la strada. Boudicca si girò verso Giuseppe e chinò leggermente il capo, come lui e seguì la ragazza. Quando furono da sole, camminando nell’erba, la giovane si girò verso la Regina – Il mio nome è Ailish, Mia Regina, come sai ho da poco sostituito la vecchia Dama del Lago alla guida di Avalon –
Boudicca annuì – Da qualche mese, lo so, mentre io ero in battaglia. Come so che tu mi hai convocato qui con i capi tribù dei territori occidentali –
Ailish sospirò – E non sono nemmeno venuti tutti. A poca distanza da qui c’è il campo della Seconda Legione e l’intero esercito del console romano sta avanzando verso…Verso di te, Regina –
L’altra scrollò le spalle – Il mio esercito è forte, Ailish, ma credevo che, dopo le nostre vittorie, i capi decidessero subito di unirsi a noi –
La Dama del Lago si fermò e la guardò – Loro, come me, devono ponderare molto bene le loro scelte. I nostri padri hanno sottovalutato i romani e sono finiti per inginocchiarsi a loro e tu…Tu hai sconfitto una legione prendendola di sorpresa, perché il loro comandante aveva sottovalutato te e le città che hai conquistato, Mia Regina, erano senza guarnigione perché il grosso delle forze era impegnato con il console Paolino contro i nostri fratelli druidi e le nostre sorelle –
Boudicca sbuffò – E’ un discorso che ho già sentito! Lo hanno fatto anche quei vigliacchi nella sala! Quando il console arriverà qui troverà il popolo di Britannia riunito contro di lui e dovrà implorare il suo Imperatore per avere altre cento o mille legioni per sconfiggerci, perché noi siamo un popolo! Un popolo! E un popolo non si annienta! –
La ragazza sorrise e i suoi occhi chiari brillarono – E’ quello che volevo sentire, Mia Regina! Io non sono come colei che mi ha preceduto. Lei ha visto quello che i romani hanno fatto in Gallia ai sacerdoti e ha preferito non invischiarsi nelle faccende politiche, ma adesso…Adesso grazie a te siamo a un passo dalla vittoria – disse e si avvicinò prendendogli le mani. Boudicca sorrise e strinse le dita – Se l’isola sacra è con noi…Nulla può fermarci –
Ailish annuì – Vieni con me – disse e si avviò verso la foresta.
 
Dopo aver passato il bosco si trovarono in una grande radura con una collina artificiale al centro e nella quale si apriva un ingresso con ai lati un muro di pietra. Boudicca rimase sorpresa – Un Mound…Una tomba –
Ailish sorrise di nuovo – No. E’ una costruzione che risale all’Antico Popolo. Per loro non era una tomba, ma di certo i nostri antenati ne hanno preso spunto per seppellire i grandi re del passato. Questo, Mia Regina, è il luogo più sacro di Avalon. Seguimi –
La ragazza entrò seguita dalla Regina lungo un corridoio in pietra. Boudicca si guardò attorno cercando di capire da dove veniva la luce e poi arrivarono in una grande sala con un altare al centro. Su di esso era adagiata una spada. La Regina la guardò e notò che era formata da un unico blocco di metallo con l’elsa ricoperta di cuoio. Accanto all’arma c’era un piatto dorato con sopra una pietra rossa e, lì vicino, c’era una coppa in legno. Boudicca guardò per un attimo la Dama del Lago e poi si piegò verso la coppa. Da vicino sembrava emanare una sorta di luce viva pulsante.
Ailish strinse le labbra – Quella è un dono. Da parte di Giuseppe e del suo gruppo. E’ la coppa che il loro Maestro, nella loro terra, ha usato in quella che il mio amico chiama “Ultima Cena”. E’ uno strumento che assorbe il potere dell’isola sacra, anche se non siamo ancora sicuri delle sue vere…Potenzialità, ma di certo emana una forza che va oltre l’immaginazione –
Boudicca allungo una mano verso la coppa ed ebbe una fugace visione di una collina spazzata da un vento caldo, con soldati romani e persone in abiti strani che sembravano lamentarsi sotto tre uomini crocifissi. Scrollò la testa e si raddrizzò – E’ questo che volevi farmi vedere? –
La ragazza tentennò – No. In effetti è questo oggetto, accanto alla sacra Excalibur, la spada sacra di Avalon – disse e prese la pietra rossa, la rigirò tra le mani e la mostrò a Boudicca – Questa…Questa è il nostro più grande segreto, nemmeno le mie sacerdotesse ne sono a conoscenza. Lo sapeva solo colei che mi ha preceduto, ma non ne ha mai fatto menzione a nessuno…Secondo lei era qualcosa di troppo potente per essere scatenato. Ma ormai siamo a un punto in cui i romani stanno spazzando via non solo il nostro popolo, ma la nostra intera civiltà. Tu ci hai dato nuova forza, Mia Regina e quindi adesso io la consegno a te affinché, con essa, tu possa trovare l’arma più potente che esista su questa terra –
Boudicca la guardò di nuovo perplessa, ma prese la pietra. La osservò e notò delle strane striature bianche al suo interno: - Come… Come mai è possibile? –
Ailish sorrise e le prese una mano – Devo raccontarti una storia –
 
Dopo un po' di tempo le due donne uscirono di nuovo all’aria aperta. Boudicca, raggiante, strinse nel pugno la pietra rossa e senza più dirsi una parola, tornarono all’albero sotto il quale avevano lasciato Giuseppe a riposare.
Ailish si sedette a gambe incrociate davanti al vecchio e sorrise – Abbiamo fatto quello che dovevamo fare – disse solo.
Il vecchio guardò Boudicca e a lei sembrò che i suoi occhi si illuminassero. La donna sorrise benevolmente – Dev’essere triste per te passare i tuoi ultimi giorni in una terra straniera –
L’uomo sorrise debolmente – La mia terra è il mondo, Mia Regina. Ho vissuto a lungo, più di quanto avrei voluto e più di un uomo normale se è per questo. Presto sarò nella gloria di Dio con i miei fratelli e il mio Maestro –
Lei aggrottò la fronte – Che uomo era quello che ha fatto arrabbiare i romani al punto da esiliarti in capo al mondo? –
Giuseppe sospirò – Un uomo…Lui non era un guerriero, se è quello che vuoi sapere. Non era un nobile, anche se la sua famiglia discendeva dalla più alta stirpe della mia terra. A lui piaceva insegnare, piaceva ridere e stare con la gente…Con la povera gente. Diceva che gli ultimi saranno i primi –
Boudicca sbuffò – Bah! Gli ultimi sono ultimi! E cos’altro diceva? –
Ailish guardò Boudicca piccata – Regina! E’ un ospite dell’isola sacra! –
Giuseppe sorrise e tentennò – E’ una frase che anch’io ho capito molto dopo. Ma diceva anche molte altre cose…Una mi è sempre rimasta in mente più di tutte e l’ha detta anche quando i romani, aizzati dai sacerdoti della mia terra, lo hanno crocifisso: amatevi gli uni con gli altri –
Boudicca aggrottò la fronte incredula – E cosa mai vuole dire? Che io dovrei amare i nemici della mia tribù? I romani che hanno oltraggiato me e le mie figlie? La mia fedeltà va alla sacra dea della guerra e al suo corvo immortale –
Gli occhi di Giuseppe sembrarono cambiare e Boudicca notò che erano più brillanti, più vigili e più attenti, forse quelli dell’uomo giovane che era stato. Lui strinse le labbra – La tua dea ti darà la vendetta. Forse ti darà giustizia. Ma ti darà la pace che cerchi? Tu sei stata oltraggiata, ma quante persone sono state oltraggiate dalle tue azioni, Mia Regina? Quanti orfani a causa tua cercano vendetta? Quante vedove? E non è forse vero che i romani che ti daranno battaglia vogliono vendetta per i loro compagni caduti? L’odio genera odio, questo è l’insegnamento del mio Maestro…Se qualcuno ti offende allora tu porgi l’altra guancia e perdonalo, perché il perdono e l’amore sono più forti dell’odio –
Boudicca si sentì avvampare – Se la pensi così sei solo uno sciocco! – gridò e se ne andò senza nemmeno salutare la Dama del Lago. Si avviò a grandi passi verso la sala dove aveva lasciato sua figlia con Gavino e i capi tribù. Davvero quel vecchio esiliato credeva alle parole che aveva detto? Avrebbe dovuto dare perdono e amore a quel viscido centurione che l’aveva spogliata e aveva cercato di stuprare le sue figlie? Era a causa sua se Maeve era morta e sempre per causa sua Una era diventata una spietata guerriera. Mai! Mai avrebbe perdonato i romani e, per gli dei dell’Annwn, li avrebbe sconfitti anche senza usare l’arma che Ailish gli aveva dato. Non gli serviva. Il suo esercito era forte, magari non come quello romano, ma era motivato oltre ogni ragione. Avrebbe guidato i suoi uomini con il suo carro da battaglia e sarebbe passata sopra le insegne delle legioni, dell’Imperatore e sopra i cadaveri dei legionari. La Britannia avrebbe lanciato un urlo che si sarebbe sentito a Roma e ben oltre.
Sentì gracchiare sopra la sua testa. Alzò lo sguardo e vide un grande corvo nero su un ramo. Sorrise e si disse che la sua dea era con lei. Improvvisamente una grande ombra oscurò il corvo e planò su di lui portandolo fino a terra. Una grande e maestosa aquila era calata sul corvo bloccandolo con i suoi artigli. Il rapace spalancò le grandi ali per proteggere la sua preda e, per un attimo, guardò Boudicca, aprì il suo sinistro becco e colpì il corvo uccidendolo all’istante.
La Regina degli Iceni rabbrividì e tornò sui suoi passi più lentamente. No, si disse, quello che aveva appena visto non era un buon presagio.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
 
Oscar aprì gli occhi. Si era assopita per un attimo ed aveva avuto un’altra visione. E, come le altre, la lasciava spaesata e stanca. La vita di Morgana che aveva visto con il loro collegamento mentale era stata qualcosa di molto diverso, era stato come leggere un libro illustrato o uno spettacolo teatrale. Il coinvolgimento che provava con la Regina guerriera era invece totalmente diverso. La sua mente era quasi fusa con quella di Boudicca.
Si morse il labbro inferiore, in fondo alla sua mente, come anche in fondo al suo cuore, sapeva benissimo da cosa era dovuto o meglio, da cosa era stato creato. Quella scena era ancora impressa nella sua mente: il centurione che strappava la veste della Regina, poi le frustate e, come se non bastasse, la tentata violenza sulle bambine. E se quella sera Andrè non si fosse fermato? Se anche lui, come il romano Tito, fosse andato oltre? Lei cosa avrebbe fatto? Ma le mani di lui, quando avevano bloccato le sue braccia, erano state come acciaio. Se non avesse potuto reagire come sarebbe finita?
Chiuse di nuovo gli occhi e vide di fronte a sé una grande figura venire verso di lei, vestita di corazza, con un mantello rosso ondeggiante e una grande cresta a mezzaluna sull’elmo. Gli occhi dell’uomo, sotto il copricapo, brillavano sinistramente e la sua bocca era piegata in un sorriso che non gli piaceva per nulla: “Eccola qui! Hai paura povera barbara? E hai ragione ad averne!” disse e fece scattare le mani verso di lei.
Spalancò di nuovo gli occhi e si aggrappò al tavolo di legno. Lei e Morgana avevano lasciato la foresta per andare ancora più a est, in un silenzio imbarazzante. La Duchessa di Cornovaglia aveva le sue granitiche convinzioni sulle classi sociali e sulla loro rigida gerarchia e questo lo poteva anche comprendere, ma lei non era certo la persona più adatta per convincerla del contrario. Lei non era come Andrè, lei non faceva parte di quel popolo che Morgana difendeva offrendo anche la sua vita, ma che giudicava inferiore. Lei apparteneva alla casta dei nobili, ma non per quello si era mai sentita superiore a qualcuno in particolare. Certo, poteva guardare dall’alto in basso personaggi come la Contessa Du Barry, quella Di Polignac e anche il Cardinale di Rohan, ma quelli erano mascalzoni accertati, nobili o meno che fossero. E di certo non si era mai sentita superiore ad Andrè. Ripensò ancora con piacere alla loro notte ad Avalon, quel bacio d’amore e la sera passata sdraiati l’una accanto all’altro: “Il mio cavaliere” pensò e poi si ricordò invece di dove si trovava.
Lungo la strada avevano trovato una locanda. Morgana aveva insistito per entrare per vedere, parole sue: “Cosa mai facesse il popolo di Britannia mentre il loro legittimo sovrano giaceva immobile nell’isola sacra in attesa del risveglio che lo avrebbe riportato sul trono”. Lei aveva cercato di dissuaderla e che sarebbe stato un errore. Del resto erano braccate da quelle persone con abiti neri di cui non sapeva assolutamente nulla se non che, probabilmente, erano gli stessi che erano entrati nella sua casa in Normandia. Lei avrebbe anche potuto passare inosservata, ma una strega medioevale dalla pelle pallida con corona, spada e scudo no di certo! Ma quando la Fata Morgana ordinava qualcosa, ovviamente un diniego non era previsto.
Ed erano entrate. E per fortuna c’erano pochi avventori che, peraltro, si erano subito ammutoliti nel vedere avanzare la figura in vesti nere e dalla pelle pallida con una spada a lama larga al fianco. Poi Oscar si era seduta ad un tavolo e di nuovo guardò Morgana in piedi, con le mani incrociate dietro la schiena e la testa leggermente piegata a destra davanti al ritratto di Re Giorgio III. L’oste arrivò portando due piatti in metallo e due boccali di legno. L’uomo, un anziano come l’oste di Tintagel, si piegò verso di lei – La vostra amica…Siete sicuro che sta bene? Con quel pallore spettrale farebbe paura ad un morto! Joseph, il mio amico a quel tavolo laggiù, dice che sembra una strega delle antiche leggende…E poi perché guarda il ritratto del Re da tutto quel tempo? –
Oscar sorrise debolmente – E’…Anemica…E poi vive in un posto in cui non c’è molto sole…Ed è…Una suddita devota a Re Giorgio –
L’uomo socchiuse gli occhi – Mmmm…Gli ho messo più grasso e più cotenna nel piatto. Il grasso di cinghiale cura molte malattie e anche voi siete così magrolino….Vi ho aggiunto più carne. Sapete che voi avete uno strano accento? Siete forse del Sussex? O del Kent? –
Oscar sorrise a labbra strette – Lì vicino! Vi ringrazio per l’ottimo piatto, è una meraviglia! Vi ringrazio anche da parte della mia amica – disse e guardò Morgana. L’uomo se ne andò e lei abbassò lo sguardo sulla brodaglia di carne in umido che, in tutta sincerità, aveva un aspetto poco invitante. “Oltre al vino anche il cibo inglese lascia a desiderare…Ecco perché il loro Impero è più grande del nostro…Tutti vogliono scappare da questa terra per mangiare meglio!” pensò e sospirò: era forse il caso di andare a prendere la Duchessa? Quel suo fissare il ritratto di Re Giorgio stava innervosendo tutti. Ma non ce ne fu bisogno. Morgana si girò in quel momento e arrivò al tavolo a grandi passi facendo svolazzare le sue vesti nere. “Come un rapace all’attacco” pensò Oscar.
La donna si sedette pesantemente sulla sedia, guardò il piatto e sorrise – Se quel tizio è attualmente il Re della Britannia credo che mio fratello non avrà problemi a sbarazzarsene e riprendere il suo trono – disse a voce alta.
Oscar si piegò verso di lei – Sei impazzita? Quello è il Re d’Inghilterra! Il Re in carica! Almeno parla piano! – disse sottovoce concitatamente. L’altra la guardò perplessa – Hai qualche problema? – disse prendendo il coltello e infilzando un grosso pezzo di carne di cinghiale.
Oscar si piegò ancora di più verso di lei – Qualche problema? Entri qui come se fossi la padrona e ti metti a fissare il ritratto del Re e parli anche di detronizzarlo…Ma non ti sembra di esagerare? –
L’altra portò la carne alla bocca con il coltello e ne staccò un pezzo con i suoi canini affilati. Poi puntò la posata con il cibo ancora conficcato sopra verso di lei – Mangia! Almeno ti calmerai un po' – disse a bocca piena.
Oscar sospirò e guardò di nuovo il piatto, prese il coltello e infilzò un pezzo di carne. Sarebbe stato inutile chiedere una forchetta, del resto solo i nobili possedevano quel tipo di posate e quello le fece pensare ancora una volta, chissà perché, ad Andrè. Qualsiasi cosa, in effetti, le faceva pensare Andrè. Da quando aveva recuperato la memoria su quello che era accaduto ad Avalon vedeva il suo amico sotto due aspetti: il suo cavaliere, colui al quale aveva dato il primo bacio della sua vita e colui che l’aveva letteralmente aggredita a casa sua strappandole la camicia…La camicia…Con quel rumore tremendo. Lasciando esposto non il petto virile di un uomo, ma il suo essere femminile. Lo avrebbe mai perdonato? Poi però il corpo di Andrè mutava in un’armatura romana, con un grande elmo impennacchiato e un volto crudele: “Cagna di una barbara!”.
Fu Morgana a piegarsi verso di lei – Ehi! Si può sapere che accidenti hai!? Quando dormi sogni la Regina guerriera e quando sei sveglia hai uno sguardo trasognato come quello di un cane a cui hanno tolto l’osso…E continui a fare discorsi idioti su popoli che cercano la libertà come…Come gli irlandesi. Datti un contegno, per gli dei dell’Annwn, sei un cavaliere di Avalon anche tu! –
Oscar sospirò – Non sono irlandesi…Te l’ho detto mille volte…Ecco: chiamali americani –
Morgana si pulì la bocca con lo straccio che gli avevano lasciato come tovaglia e prese in mano un boccale – E da che regione dell’Irlanda vengono questi americani? – disse e bevve un sorso per poi risputare la bevanda dentro – E’ birra! La bevono i villici la birra! Tu! – disse all’oste scioccando le dita – Vino! Noi vogliamo vino! E che sia quello della Gallia! –
Oscar si passò una mano sulla fronte – Questa è peggio della Contessa Du Barry e della Contessa di Polignac messe insieme! – disse piano. L’oste, che stava pulendo un boccale dietro al bancone, strinse le labbra – Subito! Come Vostra Signoria comanda! – disse piano allargando le braccia inchinandosi.
Poco dopo arrivò al tavolo portando una caraffa di terracotta. Fece un mezzo inchino verso Morgana – Ecco Vostra Signoria! Il vino migliore dei migliori prati verdi della…Della Quaglia…Come avete ordinato…Schiacciato da mille piedini di cinquecento vergini in una notte di fine estate…Ma prego – disse e appoggiò due bicchieri in legno che teneva nell’altra mano con le dita dentro. Versò il contenuto della caraffa e, con un altro inchino, si ritirò.
Morgana socchiuse gli occhi guardandolo andare via – Tipo strano! E spero per lui che sia un vino buono –
Oscar sorrise debolmente, evidentemente, pur essendo nata in Britannia, a Morgana difettava quello che anche a Versailles chiamavano english humor. Prese il boccale di birra e se lo portò alla bocca: – E allora assaggialo – disse piano.
L’altra prese un bicchiere e bevve un sorso. Mandò giù il liquido e poi digrignò i denti come una belva – Ringrazi tutti i suoi dei quel bifolco se non lo passo a fil di spada, come sarebbe mio diritto fare! Credevo che con il corso degli anni il vino della Britannia fosse migliorato come qualità, ma sento che è addirittura peggiorato! –
Oscar rise sommessamente, spinse avanti a sé il piatto e guardò la Duchessa – E’ il momento di andare a dormire –
Morgana aggrottò la fronte – Devi ancora spiegarmi cosa ha a che fare il cerchio di pietra con l’arma che stiamo cercando –
Oscar si piegò verso di lei – E io ti ho detto che saprai ogni cosa a suo tempo. La camera che ci hanno preparato è al primo piano e ho fatto in modo che ci dessero quella con l’ingresso più controllabile e, ovviamente, tu farai il primo turno di guardia –
 
Poco dopo, nella loro stanza, Oscar, una volta stesa nel letto, si addormentò quasi subito. Dall’altro lato della stanza Morgana, alla luce della lampada, se ne stava in piedi a braccia conserte camminando su e giù sul pavimento in assi di quercia. Aveva accettato di fare la guardia volentieri, del resto non aveva sonno. Il suo viaggio in quel futuro strano non le stava piacendo: non aveva visto grandi novità tecnologiche, se non l’uso del vetro nelle finestre che a lei piaceva molto; gli usi e i costumi le sembravano persino più barbari della sua epoca, ma quello che l’aveva colpita era quello che percepiva come il cambiamento delle convenzioni sociali. Quando aveva conosciuto Oscar e André era lui che blaterava di uguaglianza e fraternità tra gli uomini. Che idiozia! Pure sua sorella Morgause, che aveva avuto molti slanci di parità sociale in amore con stallieri e soldati, lo aveva deriso. Si portò l’indice della mano destra sotto il mento pensierosa: era sempre stata fiera di appartenere a una casta di nobili guerrieri e aveva sacrificato tutto per un popolo che in realtà la detestava. Ma era giusto così, il suo ruolo e la sua posizione lo imponevano. Guardò la finestra e vide il suo riflesso nella penombra. Sorrise debolmente: anche come donna aveva raggiunto una posizione di potere e di indipendenza che poche possedevano, come le sue sorelle Morgause e Viviana e persino come sua cognata Ginevra. Guardò Oscar stesa nel letto. E poi davvero Oscar si poteva ritenere uguale ad un allevatore di maiali, ad un pescatore o a un contadino? Quante volte aveva invidiato le altre ragazze dalla pelle chiara, ma non cadaverica come la sua, dai capelli biondi come l’oro mossi dal vento e non neri e lisci come alghe secche. E aveva persino invidiato le figlie dei contadini che giocavano felicemente per le strade e per i campi. Si ricordò improvvisamente che aveva provato a farsele amiche, senza risultato ovviamente, se non quello di farsi rincorrere al suono di “Strega…Strega” eppure, pensò improvvisamente, in quei momenti non pensava alla sua condizione di nobile e non vedeva le altre come inferiori. Del resto, si disse, quante volte da ragazza aveva sognato di farsi stringere tra le braccia robuste dei giovani stallieri di Tintagel e di baciare i bei ragazzi che lavoravano nei campi? E di certo in quelle occasioni non pensava alla gloria sul campo di battaglia o alla sua nobile stirpe.
Scrollò la testa cercando di distogliere la mente da quei pensieri sciocchi. Eppure…Guardò di nuovo Oscar. Lei e André si erano innamorati ad Avalon in quella che sembrava una relazione senza fine. Lei nobile e lui del popolo, anche se cavaliere di Avalon. Di certo suo fratello Artù li avrebbe trovati adorabili e avrebbe ordinato ai bardi di comporre una ballata su di loro. Ma Artù era sempre stato un sognatore, di quelli che cercano sempre il buono nelle persone e si illudono di trovarlo; che voleva un mondo migliore. Un po' come André e come Oscar. Ma cosa mai poteva essere successo perché la donna non volesse più avere nulla a che fare con il suo ex scudiero? Sospirò. Per lei sarebbe stato semplice verificarne il motivo. Ma doveva farlo? In fondo, si disse, stavano cercando insieme un’arma leggendaria e conoscere ogni cosa del proprio alleato era saggio. O era solo una giustificazione? Bah! Lo avrebbe fatto comunque. Del resto era una strega oppure no?
Si avvicinò al letto, si sedette sul pavimento a gambe incrociate e chiuse gli occhi. I suoi poteri potevano funzionare solo in determinate zone, quelle dove passavano le cosiddette correnti di energia terrestre, come Tintagel, come Glastonbury e anche il cerchio di pietre. Dove si trovava in quel momento non poteva, il che voleva dire che avrebbe dovuto usare molta energia, come nell’incantesimo che aveva dovuto usare per nascondere sé stessa, Oscar e André dagli scorridori sassoni. Si disse che in fondo doveva solo entrare nella mente di Oscar e vedere cos’era successo tra lei e André. Non era difficile. Non era una cosa lunga. Sospirò e allungò la mano fino a toccare con la punta delle dita la fronte di Oscar.
 
Si guardò attorno e vide un bosco. Non verdeggiante e illuminato dal sole. Ma una tetra foresta scura con alberi rinsecchiti e senza alcun rumore e, in fondo ad un viale, un grigio palazzo. Morgana provò un brivido lungo la schiena. Che posto era mai quello? Se era la casa di Oscar doveva essere veramente spaventosa.
Il palazzo non era come il suo castello, non era robusta roccia con alte mura e merlature per resistere agli assalti nemici. Sembrava più una villa costruita sulla falsariga di quelle romane che aveva visto nei dintorni di Londinium. Morgana strinse le labbra – Nemmeno un fossato…Come fa a fare la guerra questa gente senza difese… - disse piano e salì i gradini dell’ingresso.
Sentì una folata di vento gelido e si circondò le braccia. Appoggiò le mani sui battenti che si aprirono cigolando e si trovò all’interno. Non riconobbe nessuno dei mobili, ma la stessa aria cupa dell’esterno era presente anche dentro. In più c’era una leggera nebbia che aleggiava sul pavimento, rendendo il tutto più spaventoso. “Oscar…Cosa ti è successo” pensò Morgana guardando l’ambiente circostante. Quella non era certo la mente di una persona sana. Osservò la grande scala che portava al primo piano, ma decise di esplorare anche il piano terra e arrivò in una grande sala con un camino monumentale. Si irrigidì vedendo due figure in piedi. Erano inanimate e quella che pareva un uomo se ne stava bloccato in una posizione innaturale, con un braccio in alto, ma la faccia era quella che la spaventava di più: era letteralmente contorta con la bocca aperta in diagonale a formare un urlo muto e orribile a vedersi. Al fianco portava una spada e di certo era un soldato. Accanto a lui c’era una figura decisamente femminile a giudicare dall’abito lungo. Una donna con le spalle e la testa leggermente piegate in avanti, con i capelli chiari e gli occhi spenti che fissavano il nulla. Morgana si avvicinò e piegò la testa di lato. Che fossero i genitori di Oscar? Si girò e vide un’altra figura inanimata. Era una vecchia donna, dal volto tondo e con una cuffia bianca in testa. Se ne stava in un angolo, a testa bassa e con le mani in grembo.
Il freddo in quella sala era insopportabile e decise di tornare sui suoi passi. Sentì delle voci dall’alto e salì lentamente le scale, ritrovandosi in un corridoio oscuro. Si girò e vide una luce che filtrava da dietro la porta. Si avvicinò lentamente e aprì piano la porta. All’interno del locale non c’era un’aria grigia e fredda, ma tutto era colorato e sembrava pure caldo rispetto al resto della casa.
Si sporse ancora di più dentro e si bloccò vedendo Oscar e André. Entrambi erano in pantaloni e camicia bianca. Notò che lui aveva una ciocca di capelli che gli copriva, chissà perché, l’occhio sinistro e che lei stava sorseggiando qualcosa da una tazza bianca.
Lui si girò e lei appoggiò la tazza su un piattino – Aspetta! Devo parlarti –
Lui si girò di nuovo incuriosito e lei sospirò – Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo…Volevo dirti che non intendo più continuare ad avere il tuo aiuto André… - disse e appoggiò la tazza su un tavolino lì accanto – Vedi…Io ancora non so quale sarà il mio prossimo incarico, ma appena lascerò la Guardia Reale credo che non avrò più alcun bisogno di te. Devo imparare a vivere senza appoggiarmi a nessuno…Buonanotte André – disse ed entrò in un’altra stanza.
Lui la seguì e si fermò sull’uscio. Morgana entrò ancora di più nel locale per sentire meglio. André sospirò – Anch’io ti devo dire una cosa… Una rosa è una rosa anche se essa è bianca o rossa…Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar –
Morgana aggrottò la fronte, aveva sentito anche lei la stessa frase detta da qualcuno, ma non ricordava chi fosse. Fece ancora un passo in avanti per vedere la reazione di Oscar. Lei si girò e fronteggiò André – Vorresti dire che una donna resta sempre una donna in ogni caso…Questo vuoi dire? – disse quasi urlando. Lui rimase in silenzio e lei continuò – Rispondimi! Mi devi rispondere André! – disse e lo schiaffeggiò.
Morgana rimase perplessa. Era quindi questo il motivo del loro litigio? E non sembrava nemmeno una gran cosa. Non certo quello che poteva giustificare un’ambientazione così lugubre per quel ricordo.
Oscar afferrò André per la camicia e lo attirò a sé – Rispondimi! Mi devi rispondere! E’ importante per me! –
Lui, sempre in silenzio, la prese lentamente per i polsi e spostò le sue mani. Lei rimase sorpresa – Così…Così mi fai male André – disse piano con una voce che tradiva la paura. Morgana mise mano istintivamente all’elsa della spada anche se sapeva che l’arma era, come lei stessa, solo una proiezione mentale.
Improvvisamente lui si mosse in avanti avvicinandosi a lei, le allargò le braccia e la baciò. Morgana si portò una mano alla bocca. No! Non era un bacio quello! Non era amore quello! Era solo violenza: - Cosa hai fatto sir André – disse piano. Fece qualche passo ancora verso di loro, ma si bloccò perché altro stava accadendo.
André spinse Oscar verso un grande letto restando sopra di lei. Atterrarono con un tonfo e Oscar riuscì a piegare la testa – Lasciami André! O chiamo aiuto! – gridò.
Improvvisamente Morgana sentì un rumore orribile e secco, quello di una camicia strappata. Era quella di Oscar. Dopo un lungo silenzio, Oscar piegò la testa di lato – Bene…E adesso…Adesso cosa vorresti farmi André…Che cosa vuoi provare… - disse piangendo.
Anche l’occhio visibile di lui divenne lucido e lasciò cadere a terra il pezzo della camicia di Oscar: - Ti prego perdonami Oscar… - disse e piegò la testa – Giuro su Dio che non ti farò mai più una cosa come questa – aggiunse e si avvicinò di nuovo al letto per coprirla delicatamente. Poi si girò e si avviò verso la porta e si fermò di nuovo sull’uscio dandole la schiena: - Una rosa non potrà mai essere un lillà – ripeté – Ascolta Oscar…Non potrai mai cancellare di essere nata donna…Per vent’anni ho vissuto con te…E ho provato dell’affetto per te…Solo per te…Io ti amo Oscar…Credo…Di averti sempre amato… - aggiunse ed uscì.
Morgana se lo vide passare davanti e digrignò i denti – E lo chiami amore? Quello che hai fatto non ha giustificazione! – ringhiò sapendo che lui non poteva sentirla. Eppure André si fermò facendola sobbalzare. Intorno a lei si fece buio e vide che la forma dell’uomo stava cambiando velocemente. Le calze bianche e le scarpe vennero sostituite da dei sandali di cuoio alti fino al polpaccio, pantaloni in pelle, un corto mantello rosso e, sulla testa, un elmo con una grande cresta a mezzaluna.
A Morgana mancò il respiro. Aveva sentito mille volte le descrizioni degli anziani della sua terra sui legionari di Roma e quello che aveva davanti era un centurione. Ma cosa accidenti c’entrava un centurione romano con André e Oscar? Estrasse la spada e impugnò l’elsa con due mani mettendosi in posizione di difesa – Chi sei! –
Si sentì una lenta e roca risata mentre la figura si girava lentamente. Morgana vide due occhi malefici e un ghigno nascosti parzialmente dai guanciali dell’elmo: - Ah…Ah…Ah…Ah…La barbara ha paura! Credeva di essere un uomo e si è ritrovata una debole donna…Non è riuscita nemmeno a fermare quel patetico omuncolo privo di spina dorsale…Lui avrebbe dovuto prenderla! Questo avrebbe fatto un vero uomo! – disse e avanzò verso di lei.
Morgana strinse le labbra – Gli uomini fanno molte stupidaggini…Ma questo…No! Non significa essere un uomo! Ma solo un mascalzone! Non avvicinarti! –
Il centurione estrasse il suo gladio con un rapido movimento e la disarmò facendo cadere la sua spada. Morgana rimase a bocca aperta e si sentì improvvisamente debole e spaventata. Quella non era lei, era la mente di Oscar. E stava avendo paura di quell’essere. Cadde a terra con una disperata voglia di piangere. Il centurione si avvicinò e la prese per i capelli sollevandola. Il dolore che provava in quel momento era atroce e poi fu sbattuta letteralmente sulla parete. Poteva vedere la corazza dell’uomo e sentire un insopportabile fetore di aglio. Il centurione si slacciò il cordino sotto l’elmo e se lo tolse. Il suo volto era quello di Andrè, riconoscibile dalla ciocca di capelli sull’occhio sinistro. Ma il suo sorriso…Non era certo quello della persona che aveva conosciuto. Era più sinistro, più cinico, in una parola sola: più spaventoso. L’essere si avvicinò ancora e gettò l’elmo di lato – La barbara si sforza di essere un uomo, come se gli attributi spuntassero fuori con la volontà…E’ nata donna e resta una donna! E ha paura! Ha paura di vivere come una donna…Ha paura di innamorarsi come una donna…E ha paura di questo! – disse facendo scattare in avanti le braccia.
 
Morgana cadde all’indietro sul pavimento della camera annaspando. Oscar si svegliò di soprassalto alzandosi in piedi. Vide La Duchessa a terra e strinse le mascelle – Tu…Eri tu nella mia mente! Viscida…Strega! – gridò e le fu addosso.
Alzò il pugno per colpirla, ma vide che tremava e che da una delle narici scendeva un rivolo di sangue. Le prese la testa tra le mani e avvicinò il suo volto a quello di lei – Morgana…Fata Morgana…Guardami…Guardami – disse concitatamente.
Morgana fissò il suo sguardo su quello dell’altra e rallentò il suo tremore. Allungò una mano accarezzando la guancia di Oscar che vide le sue orbite ruotare verso l’alto. Poi il suo corpo smise di tremare del tutto e si afflosciò.

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Capitolo 11
*** PAURA E ODIO ***


Britannia – Primo secolo d. C.
E il momento della battaglia era arrivato. Ed era arrivato anche il momento di dimostrare che il popolo di Britannia era davvero unito e forte contro l’invasore. Nella pianura si erano radunati gli eserciti: da una parte i britanni, numerosi, urlanti e pronti alla battaglia e dall’altra parte, proprio al limitare di una foresta, erano schierati i romani, allineati sotto le loro insegne e silenziosi, ma, si disse Boudicca, non per quello meno pericolosi.
La Regina degli Iceni aveva acquisito una buona lezione ad Avalon e aveva spedito informatori in ogni angolo della Britannia per scoprire i movimenti delle legioni. Ed erano movimenti che non erano nemmeno tanto nascosti: i resti della Nona Legione aveva raggiunto le altre e marciavano insieme, mentre la Seconda Legione non si era ancora mossa dalla sua posizione. E non aveva preso l’arma che la Dama del Lago le aveva offerto, nessun altro al di fuori di lei ne era a conoscenza, ma il loro trionfo campale sarebbe stato immenso e i bardi avrebbero scritto canzoni e canzoni sulle loro gesta portando l’intero popolo di Britannia a combattere l’invasore.
Alla sua destra sua figlia Una si sistemò l’elmo conico sulla testa e lisciò la grande piuma nera di corvo che lo ornava. Dall’altro lato Gavino guardava il nemico di fronte a loro senza alcuna espressione particolare. Boudicca sorrise – Che ne pensi ora? Li possiamo battere questi romani? –
Lui si girò a guardarla e lei vide solo tristezza nei suoi occhi – No, Mia Regina –
Boudicca aggrottò la fronte – Perché dici questo? –
Lui guardò di nuovo i romani – Non abbiamo mai combattuto contro un esercito come quello. I nostri uomini sono impreparati e loro… Loro sanno quello che fanno e anche se li facciamo ritirare hanno il loro campo fortificato dove rifugiarsi…E dietro di noi c’è ancora la Seconda Legione –
La Regina sorrise sprezzante – Quella Legione non ha obbedito agli ordini del loro console e… - disse, ma si fermò e guardò i romani a bocca aperta. Nella foga di raggiungerli non aveva nemmeno calcolato quella isolata legione. Se si fossero ritirati il loro comandante si sarebbe mosso verso di loro, se fossero avanzati si sarebbero trovati davanti il campo fortificato da assediare, con tutte le armi pesanti romane e la Seconda Legione li avrebbe potuti prendere alle spalle. Guardò di nuovo Gavino che annuì impercettibilmente. Lui aveva capito da tempo quello che lei aveva intuito solo in quel momento. Guardò i suoi uomini urlanti e sentì una stretta al cuore. I britanni non erano lupi. Erano un gregge di pecore belanti. Al contrario di loro i lupi si erano mossi in ordine, silenziosi e precisi, come solo i predatori sanno fare. I lupi li avevano circondati. I lupi li stavano per attaccare.
 
Dal lato opposto del campo, in un angolo all’ombra degli alberi, il proconsole Gaio Svetonio Paolino, comandante delle forze romane in Britannia, unico tra gli ufficiali a non indossare il pesante elmo da battaglia, si passò una mano tra i riccioli dei suoi capelli grigi. Accanto a lui un tribuno, con una fascia rossa che gli copriva l’occhio sinistro che si vedeva anche da sotto l’elmo crestato, si sistemò sulla sella: - Un rumore bestiale! Indegno di persone civili! –
Il console lo guardò e sorrise debolmente – Eppure quelle…Bestie…Vi hanno sconfitto tra Londinium e Camuludunum –
Il tribuno gonfiò il petto – Lo so console! Io in persona, su richiesta del mio generale, ho posto fine alla sua vita e alla sua onta con la mia spada…Questa stessa spada che ora è qui a servire Roma –
Paolino annuì – Il tuo generale è morto da romano. E merita il nostro rispetto. Tu, invece, cosa vuoi tribuno? –
L’altro lo guardò leccandosi le labbra – Quando le testuggini attaccheranno quella feccia voglio essere con i miei legionari –
Paolino aggrottò la fronte – Un tribuno che guida le testuggini? –
L’altro annuì – Io e i miei legionari siamo rimasti in pochi e se devo morire per Roma lascia che lo faccia sul campo di battaglia –
Paolino sospirò e annuì. Il tribuno spronò il cavallo con i talloni e si diresse al galoppo verso le prime linee. Dall’altro lato del console si avvicinò un cavallo con sopra un ufficiale che indossava una corazza pettorale vistosamente elaborata che lo indicava come il generale della Ventesima Legione Valeria Victrix: - Non mi sembra giusto sprecare così i nostri ufficiali console –
Paolino scrollò le spalle – L’odio è un’arma potente Lucio. I legionari della Nona non vedono l’ora di affondare le loro armi nelle carni del nemico…Ma sono pur sempre legionari romani e lo faranno con ordine e disciplina. Il tribuno però ha ragione, questi barbari emettono dei rumori inumani! Facciamoli smettere –
Il generale batté il pugno sul pettorale della corazza, alzò il braccio e in un attimo le buccine di guerra delle legioni cominciarono a suonare con note stridule, zittendo persino i britanni.
 
Boudicca sentì le trombe di guerra romane squillare e, in un attimo, vide i legionari riunirsi a rettangolo regolare protetti dagli scudi sia di lato che dall’alto nella formazione di cui aveva solo sentito parlare e che il nemico chiamava “testudo”, testuggine. E proprio come una testuggine avanzavano, lentamente, verso di loro. I grandi scudi convessi fornivano una formidabile protezione. Per un attimo pensò di ordinare la ritirata. I suoi uomini non avrebbero potuto fare nulla contro quelle schiere di soldati meravigliosamente addestrati che, solo ad uno squillo di tromba, cambiavano formazione. Ma non era più possibile. I britanni non erano soldati come i legionari e, quando uno di loro corse in avanti all’assalto, gli altri lo seguirono, senza ordini, senza un piano. Le venne da piangere, ma, quando vide che anche sua figlia si lanciava verso il nemico, non poté fare altro che seguirla.
 
Non era passato molto tempo, ma appariva chiaro che i romani, sebbene inferiori come numero, erano in superiorità strategica schiacciante. Le testuggini romane ormai non si muovevano, restavano ferme e circondate dai nemici, ma solo perché non potevano avanzare senza passare letteralmente sopra una montagna di cadaveri dei britanni.
Ad un altro squillo di tromba anche le linee di fanteria romane avanzarono. Una lunga linea di alti scudi con i lunghi “pilum” puntati. I britanni, incapaci di organizzare un’offensiva, attaccarono anche le linee avanzanti, con il risultato di far sfaldare le testuggini i cui legionari si misero in formazione di battaglia circondandoli. E iniziò il massacro.
 
Boudicca annaspò inciampando nel corpo a terra di uno dei suoi guerrieri. Si rialzò a fatica e si guardò attorno. Le urla erano terribili e la polvere non le permetteva di vedere bene quello che accadeva, ma poteva benissimo intuirlo. Stavano perdendo lo scontro. Avevano un esercito dieci volte superiore in numero a quello del nemico. E stavano perdendo di fronte all’organizzazione e alla disciplina romana. Per un attimo la sua mente andò ai sopravvissuti. Cosa avrebbero fatto i romani a coloro che avevano distrutto tre delle loro città? I britanni non avevano mostrato pietà per la popolazione e perché mai i vincitori avrebbero dovuto farlo? Nella sua mente immaginò centinaia di corpi crocifissi, ma non ebbe il tempo di pensare oltre perché un legionario si gettò su di lei.
Parò il colpo e si gettò di lato. Il soldato romano alzò lo scudo per attaccare, ma cadde in avanti colpito a morte. Boudicca guardò il corpo sorpresa e alzò la testa, poi sorrise nel vedere sua figlia, ancora viva e vegeta. Una sorrise sotto il suo elmo conico – Adesso mi devi la vita madre –
Boudicca alzò la sua spada per salutarla, ma, improvvisamente, la vide sobbalzare e impallidire. Abbassò lo sguardo e vide, con orrore, la punta di una spada spuntare dal suo petto e dalla sua corazza di cuoio. La ragazza sobbalzò di nuovo con un rivolo di sangue alla bocca e le lacrime agli occhi – Mamma… - disse piano. Poi la lama si ritrasse di scatto e lei cadde come un sacco di stracci.
Boudicca non poteva credere ai suoi occhi. Aveva visto morire anche la sua primogenita, eppure, stranamente non aveva lacrime per piangere. Di fronte a lei c’era il responsabile di quella morte: un romano con una corazza molto più elaborata di quelle dei legionari e un elmo crestato e decorato, non come quello dei centurioni, segno evidente che l’uomo era un ufficiale di alto rango. E poteva vedere chiaramente che chi lo indossava aveva una benda rossa che gli copriva l’occhio sinistro.
Il romano sorrise – Finalmente! Ti ho riconosciuto Regina dei pezzenti! Non eri così quando ci hai assalito sulla strada per Londinium! Quando hai guidato di persona i tuoi barbari che hanno ucciso centinaia dei miei uomini e ora io ucciderò te, vendicando l’onore della Nona Legione Hispana –
Ma Boudicca non udì quello che aveva detto l’ufficiale romano. Aprì la bocca per urlare e si gettò su di lui come una belva. Il romano parò l’assalto con il grande scudo e poi colpì con il suo gladio il fianco della Regina. Lei sentì un dolore lancinante e, immediatamente, in un colpo solo spossata e cadde in ginocchio lasciando la presa sulla sua spada. Si portò una mano al fianco colpito e sentì un liquido caldo che le inondava le dita.
Il tribuno gettò di lato lo scudo e si avvicinò a lei. Le sollevò il mento con la punta del suo gladio e la guardò sorridendo – Davvero credevi di vincere? Davvero credevi che questi barbari potessero anche solo impensierire le nostre legioni? La tua testa sarà l’ornamento giusto sotto l’aquila della nostra insegna…E lo sai perché? Perché, lurida barbara, Roma Aeterna Victrix (n.d.a.: Roma eterna vincitrice) –
L’ufficiale alzò il braccio per caricare il colpo, ma Boudicca, mentre lui parlava di onore e vendetta, aveva preso il suo pugnale nascosto in uno dei suoi stivali. Con un ultimo sforzo gli balzò addosso facendolo cadere all’indietro e colpì nel piccolo spazio tra l’elmo e la corazza, dove il collo e il petto erano nudi ed indifesi. E colpì. E colpì. Colpì anche quando ormai era chiaro che il romano era morto e lei poteva sentire il caldo sangue sul suo volto e nella bocca. Si afflosciò sul corpo del nemico per un attimo e poi, con le ultime forze che gli rimanevano, si girò e cadde di schiena.
Intorno a lei i rumori della battaglia arrivavano sempre più ovattati. Ma, sopra la polvere, poteva vedere che il cielo era azzurro e terso. Sorrise e poi cominciò a piangere. Ma non per non aver usato l’arma della Dama del Lago. Pianse ripensando alle parole di Giuseppe di Arimatea ad Avalon. Finalmente aveva capito che non era stato il centurione a uccidere Maeve, ma era stata lei che l’aveva abbandonata quando più aveva bisogno di sua madre. E alla fine aveva perso anche Una che si era trasformata in una guerriera, morendo come una guerriera, sulla punta di una spada e senza che lei potesse fare nulla.
Avrebbe potuto liberare la Britannia senza massacri arbitrari, senza distruggere popoli e città e si disse che, si, Giuseppe aveva ragione: l’odio genera solo odio. La furia dei romani aveva generato la rabbia dei britanni e, ora che la battaglia era perduta, cosa sarebbe successo al suo popolo? Vide di fronte a sé il bel volto di suo marito Prasutago che aveva veramente amato e singhiozzò – Perdonami! Perdonami! Non sono riuscita a salvare la nostra gente…Dei abbiate pietà di noi – disse piano.
Guardò il corpo accanto al suo e strinse le labbra. Forse quel romano in fondo era una brava persona, un marito devoto, un padre amorevole. Forse aveva una famiglia con dei figli che l’avrebbero odiata per sempre e sentì un nodo alla gola. Si girò in posizione fetale verso l’ufficiale romano e gli prese il braccio senza vita – Io…Ti perdono…Io…Ti chiedo perdono – disse con un filo di voce e chiuse gli occhi. E fu così che Gavino la trovò.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si ridestò. Aveva appena chiuso gli occhi e si era assopita assistendo, suo malgrado, all’epilogo della rivolta di Boudicca. La serata,a anche senza le visioni indotte dalla pietra rossa, era stata comunque molto movimentata. Morgana era svenuta e lei non riusciva a rianimarla. L’aveva messa nel letto togliendole il cinturone con la spada e l’aveva vegliata seduta al piccolo tavolo della stanza fino a quando aveva cominciato a muovere le palpebre.
Aveva fatto portare dal vecchio oste della carne di cinghiale dalla sera prima, con molto più grasso per l’”anemia” di Morgana e una bottiglia di vino. La birra della locanda aveva un sapore migliore, ma la Duchessa di Cornovaglia avrebbe dovuto accontentarsi per quell’occasione. E, proprio nel momento in cui Oscar aveva riaperto gli occhi, anche Morgana si era svegliata mettendosi seduta.
Oscar si alzò dalla sedia e sorrise – Finalmente! La carne è fredda e l’oste ha portato il vino che non ti piace…Ma… - disse, ma non finì la frase perché l’altra si alzò, prese il bicchiere e trangugiò il vino d’un fiato, poi sospirò e la guardò dritta negli occhi – Chi è quell’essere –
Oscar aggrottò la fronte – Non…Non so di…Cosa parli –
L’altra sorrise debolmente – Tu non sei una stupida Lady Oscar…Ma se vuoi passare per tale ti riformulerò la domanda: Cosa ci fa quel centurione romano nella tua mente? –
Oscar deglutì e si sedette pesantemente sulla sedia – Il…Il suo nome è Tito –
Morgana aggrottò la fronte – Ha anche un nome? –
L’altra annuì – Si! E viene da Pompei…Che è in Italia…Credo. E’ il centurione che ha frustato Boudicca e ha tentato di stuprare le sue figlie. Io…Quando ho visto la tua vita è stata come una galleria di immagini di cui ero una semplice spettatrice, ma con la Regina degli Iceni…Le nostre menti si fondono e non riesco a dividere la realtà dal sogno –
Morgana digrignò i denti – Stai mentendo! – disse piano.
Oscar la guardò e si alzò in piedi – Come osi! –
L’altra riempì di nuovo il bicchiere e bevve d’un fiato. Fece una smorfia, ma guardò di nuovo Oscar con i suoi occhi chiari e freddi – Stai mentendo. Che ti piaccia oppure no ho visto dentro la tua mente, ho visto quello che sir André ti ha fatto e l’ho visto anche trasformarsi in quella cosa. Ma quello non è il romano che ha oltraggiato la Regina guerriera e le sue figlie. Quell’essere c’era già dentro di te e ha assunto la forma del centurione perché la tua mente ha voluto così –
Oscar deglutì di nuovo – Non avevi alcun diritto di rovistare nella mia testa! –
L’altra si avvicinò a lei – E invece l’ho fatto! Perché in questa storia siamo alleate ed ero curiosa di vedere cosa mai era accaduto tra te e André e poi volevo finalmente conoscere questo mondo di uguaglianza e fraternità di cui tanto ti riempi la bocca! Ma ho solo visto una bella confusione, se proprio lo vuoi sapere! Tu non sei più la giovane che ho conosciuto e che ho portato a Tintagel e ad Avalon e ti sono accadute cose che sicuramente hanno cambiato il tuo modo di essere. L’oltraggio che sir André ti ha fatto non ha scusanti e, di certo, non sarò io a difenderlo, ma non stai confondendo la tua vita con quella della Regina guerriera, ma la figura del tuo amico con quella di quel centurione –
Oscar spalancò la bocca incapace di rispondere. Poi tentennò – Io…Io non riesco a comprendere… –
Morgana sospirò – Hai un trauma! Non c’è un modo semplice per dirlo. A parte uno strano discorso su rose e lillà…Mi sembra evidente che tu volevi vivere come un uomo e ti sei trovata ad essere debole ed indifesa proprio a causa del tuo migliore amico –
Oscar sospirò – Una rosa non sarà mai un lillà…Questo mi ha detto! E o sai cosa significa? Che una donna non potrà mai essere un uomo! Non solo nel fisico, ma anche nelle azioni. E lui, quel…Me l’ha dimostrato! E come lui anche tutti quelli che ho trovato in questa terra – disse alzandosi e mettendosi di fronte alla finestra – Non mancano mai di sottolineare come io sia una donna e poco importa che cavalchi come loro o usi la spada molto meglio di chiunque di loro. A me non cresce la barba, non devo rimanere in piedi per i miei bisogni e non mi crescono peli sulla schiena…Il mio maggior rammarico? Non aver reagito a quello che mi ha fatto André. L’essere rimasta in lacrime mentre lui… - aggiunse e abbassò la testa.
Morgana strinse le labbra e si avvicinò a lei – E’ per questo che sei venuta qui da sola, vero? Per dimostrare a tutti, ma soprattutto a te stessa che potevi farlo –
Oscar girò la testa e sorrise debolmente – Si. E’ vero. Eppure…Alle volte…Sento che mi manca…Mi manca André…Mi manca il mio amico, il mio compagno d’armi…Il mio cavaliere, colui che è stato al mio fianco per tutta la vita, lottando persino con me contro la dea della guerra. Alla persona a cui ho aperto il mio cuore e a cui ho dato il mio primo ed unico bacio d’amore. Ma penso a quello che ha fatto…A quello che mi ha fatto…E mi pento persino di provare nostalgia per lui –
Morgana si mise al suo fianco e guardò anche lei fuori dalla finestra – Io ti direi di tornare in Gallia, tagliare la testa di sir André, metterla su una lancia, farla divorare dai sacri corvi della dea e poi usare il suo cranio come una tazza –
L’altra la guardò aggrottando la fronte e Morgana annuì – Ma, Lady Oscar, questo è quello che farei io. Tu ami quell’uomo e, in fondo al tuo cuore, sai benissimo che, nonostante tutto, si sarebbe fermato e non ti avrebbe mai mancato di rispetto. Tuttavia…La paura di quello che sarebbe potuto accadere, di quello che avrebbe potuto fare, è stata molto grande ed alimenta quell’essere che ho visto. E la paura, come l’odio, è un’arma potente e a doppio taglio e la tua, purtroppo, ha la forma di quel centurione romano e credimi, è forte, molto forte. Qualunque cosa accada, se lo vorrai…Ecco…Io…Posso essere…Al tuo fianco…Se lo vorrai, certo –
Oscar sorrise commossa – La potente Fata Morgana che mi offre il suo aiuto. Sono onorata di avere la mia strega personale –
L’altra digrignò i denti – Osi prendermi in giro!? Sappi che non stavo affatto scherzando! Non hai idea di come, alle volte, sia vuota la mia vita…E tu…Accidenti di una gallica ingrata e maleducata, sei attualmente l’unica cosa vicina ad un amico che possa dire di avere – disse e abbassò la testa.
Oscar annuì seria – Perdonami. Stavo solo cercando di sdrammatizzare la situazione e ti ringrazio – disse e gli mise una mano sul braccio – Ma ora passiamo alle buone notizie, Lady Morgana: Boudicca non ha mai usato l’arma che la Dama del Lago gli ha fornito –
Morgana la guardò sgranando gli occhi e l’altra annuì di nuovo – L’ultima visione che ho avuto riguardava la sua ultima battaglia contro i romani. Ha perso, ma non ha usato l’arma perché credeva che bastasse il valore del suo esercito a liberare la Britannia –
Morgana sorrise – Quindi…Quindi è ancora integra da qualche parte…Dei dell’Annwn! Si! – disse girandosi verso la stanza alzando le bracca in segno di vittoria. Oscar la guardò pensierosa. Nella sua mente, invece, c’era non solo l’immagine di quella giovane dalla pelle candida che era la Dama del Lago mentre consegnava la pietra alla Regina, ma soprattutto quella di Giuseppe di Arimatea, colui che aveva percorso tutto il mondo conosciuto per sfuggire ai romani e che aveva trovato rifugio a Glastonbury. Il vecchio dal viso benevolo e saggio parlava di perdono. Ma davvero tutto si poteva perdonare?
Oscar si girò – Aspetta a gioire e dimmi tutto quello che sai sul cerchio di pietre di Salisbury –
Morgana abbassò le braccia e sbatté le palpebre – Il…Il cerchio di pietre? Ma cosa… -
L’altra la guardò seria – Ho detto che ti avrei spiegato il segreto della pietra. E lo farò! Ma prima devi dirmi tutto quello che sai su quel complesso –
Morgana scrollò le spalle, sospirò e la guardò – E’ vecchio! Nessuno sa chi l’ha costruito…E…Poi ci sono le leggende – disse piano.
L’altra aggrottò la fronte – Che tipo di leggende? –
Morgana si sedette piano sul letto e sospirò di nuovo – Si dice che sia stato eretto anche prima dell’arrivo dell’Antico Popolo e che i britanni, per imitarlo, ne abbiano fatti decine di altri, anche se di dimensioni più ridotte –
Oscar si sedette sulla sedia e accavallò le gambe – Quindi quello è probabilmente il primo mai costruito. Anche nel mio paese sono presenti complessi come quello, evidentemente quella sapienza è stata importata da questa terra. Ma dimmi delle leggende. So, perché l’ho visto nella tua mente, che è uno dei punti che generano, o amplificano, i tuoi poteri –
Morgana abbassò la testa e Oscar la vide per la prima volta affranta, quasi spaventata. La Duchessa la guardò – Lo è! Lì ho nascosto me e il mio seguito da mio fratello Artù e il suo esercito quando credeva che fossi stata io a mandare Accolon a sfidarlo. Ma quel posto non è Tintagel, non è Avalon che peraltro è immensamente più potente…E’…Diverso…Anche solo vedere quelle pietre ad alcuni dà un senso di pace, per altri sono opprimenti…Io le ho viste poche volte, per lo più da lontano. Da vicino solo due: una è quella di cui ti ho raccontato e che anche tu hai visto nella mia mente…E la prima…Proprio durante il solstizio d’inverno, quando ero piccola e mia madre e Re Uther vollero fare una gita in quel luogo. Io sentivo che qualcosa mi stava osservando. Quelle rocce sembravano fissarmi, sembravano pulsare come grandi cuori grigi… - disse e si strinse nelle braccia rabbrividendo.
Oscar aggrottò la fronte, vedere quella donna spaventata fece venire anche a lei un brivido lungo la schiena. Ma la Duchessa continuò: – E sembravano chiamarmi! Ho allungato una mano per toccare una delle grandi pietre centrali e ne sentivo…Il richiamo…Forte nella mia mente e non riuscivo a fermarmi. Fu una delle guardie di Uther a prendermi per il braccio e a riportarmi da mia madre che, bontà sua, voleva coricarsi con il Re nella loro tenda lasciando a me il compito di accudire il mio fratellino Artù. Ho sempre pensato che quella fu l’unica volta in cui Igraine fece qualcosa di utile per me. E poi…Ci sono altri mille racconti: viandanti, sacerdoti, guerrieri…Tutti hanno sentito più o meno come se quelle rocce fossero una cosa viva e come se sentissero il richiamo di qualcosa…Qualcosa che dorme e che vuole essere risvegliato. Ma quindi dimmi: cosa c’entra questo con la pietra rossa? –
Oscar sospirò e si avvicinò a lei – La pietra è una mappa. Non chiedermi come o perché sia stata fatta così, perché sinceramente anche nella mia epoca una tale tecnologia è sconosciuta. Esposta alla luna piena le linee bianche al suo interno si illuminano e proiettano una sorta di disegno a tre dimensioni sul terreno –
Morgana aggrottò la fronte – Un…Un disegno…In tre…Dimensioni…E che disegno è? Forse… -
L’altra annuì – Il cerchio di pietre. Io l’ho riconosciuto perché l’avevo disegnato, perché l’avevo visto in una delle visioni sulla tua vita… Anche se... –
Morgana si alzò e si avvicinò a lei – Anche se? –
Oscar tentennò. Le era venuta in mente una cosa: per secoli quella pietra era stata nascosta e, recentemente, in poco tempo, tutti i suoi ultimi possessori avevano scoperto il suo segreto, a cominciare probabilmente da Jeanne de Valois che non se ne era voluta liberare per un determinato motivo; dalla cameriera nel suo palazzo, al di lei fratello e fino a lei stessa. Lei era un militare, credeva poco alla casualità o al destino. Come diceva sempre suo padre: “ognuno di noi crea il destino che vuole” e non poteva dargli torto. Eppure in quell’occasione le sue azioni sembravano essere state guidate da quel piccolo sasso rosso che, finalmente, aveva voluto essere trovato e riportato al cerchio di pietre. Scrollò le spalle per scacciare quell’idea malsana che una cosa inanimata potesse avere una sua volontà. Anche se…Ripensò alle parole di Morgana sulle pietre di Salisbury, a come anche lei le aveva definite pervase di un’energia propria, pulsante e, forse, persino pensante. Ripensò ai poteri di Morgana, se lei li possedeva perché legati alla terra, era possibile che la stessa terra li usasse? Ma, anche in quel caso, c’era la terrificante ipotesi che degli oggetti avessero una coscienza. E poi c’era anche un’altra cosa di cui si era accorta e che riguardava quei monoliti, ma, si disse, di certo non poteva avere molta importanza.
Morgana si avvicinò ancora – E quindi l’arma è nel cerchio di pietre? –
Oscar tentennò – Oh, no! La mappa indica un punto preciso accanto al cerchio di pietre ed è lì che, probabilmente, la troveremo –
Morgana aggrottò la fronte – Ecco perché volevi la luna piena! E la Regina non ha usato l’arma contro i romani…Possiamo salvare la Britannia dagli Uomini-Drago e forse dai sassoni – disse piano.
Oscar vide una strana luce nei suoi occhi e, sempre per la prima volta, si chiese che tipo di arma poteva mai essere quella. Si era tuffata in quel viaggio soprattutto per dimenticare i suoi problemi e, nel momento in cui si stavano avvicinando alla soluzione dell’enigma, le vennero in mente tutti i dubbi che, di sicuro, avrebbe fatto meglio ad avere prima di lasciare la Normandia. Forse costruita dagli antenati di Morgana, quelli che lei chiamava l’Antico Popolo? E se era così potente e distruttiva, come mai quell’Antico Popolo non l’aveva mai usata? C’erano troppe domande nella sua testa, si disse, senza contare che c’erano anche i loro inseguitori, quelli che l’avevano assalita a Glastonbury, l’esercito inglese, gli emissari di Giorgio III e non sapeva nemmeno chi altro.
Inspirò a fondo gonfiando il petto “E, per quello che riguarda me, ho un centurione romano che mi vaga nella testa, sento la mancanza di André, ma al tempo stesso lo vorrei strangolare per quello che ha fatto, a prescindere da ogni tipo di perdono che Giuseppe di Arimatea potrebbe insegnarmi e, a proposito, ci sono anche le visioni molto vivide della vita di una Regina guerriera morta secoli fa cercando di liberare la sua terra dall’invasore! Quest’avventura sta diventando molto strana, ma del resto…Sono Oscar François, della stirpe dei de Jarjayes, ufficiale del Re di Francia…E adesso ho pure una strega medioevale per amica!” pensò.
Oscar sorrise e si avvicinò a Morgana – Bene! Con questo radioso ottimismo possiamo anche farcela –
Morgana aggrottò la fronte – Le tue…Le tue paure…Saranno un problema prima o poi, lo sai? –
L’altra annuì – Lo so! Ma la paura, come il nemico, si combatte solo affrontandola! Siamo due guerriere Lady Morgana, non dimenticarlo mai –
Morgana sorrise e annuì – Oh, si! E così sia! –

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Capitolo 12
*** AL CERCHIO DI PIETRA ***


Britannia – Primo secolo d. C.
La battaglia era stata persa. Era stato, a dire il vero, un massacro senza fine. Le legioni non si erano fermate nemmeno di fronte ai lamenti dei feriti e chi si arrendeva veniva incatenato in attesa di essere crocifisso. I resti della Nona Legione rastrellavano le campagne distruggendo villaggi e uccidendone indiscriminatamente gli abitanti. A Sud, dopo la notizia della vittoria del console Paolino, il generale comandante della Seconda Legione, che aveva disobbedito agli ordini di unirsi al resto delle truppe, si diede la morte gettandosi sul suo gladio. Il suo secondo, subito dopo aver ordinato la cremazione del corpo, diede l’ordine di muoversi verso Nord, per ricongiungersi al resto dell’esercito e prendendo, come Gavino aveva previsto, i britanni in una mortale tenaglia.
La Regina degli Iceni era morta. Gavino l’aveva trovata a terra, accanto al cadavere di Una e a quello di un ufficiale romano, ma, per non lasciare che il suo corpo venisse issato nell’accampamento nemico come un macabro trofeo, lui e un gruppo di fedelissimi l’avevano portata nel luogo, per il momento, più sicuro della Britannia: Avalon.
 
Gavino percorse il corridoio e si trovò in un’ampia sala senza tetto, vide in fondo una piccola figura in piedi attorniata da altre sacerdotesse e si avvicinò. Mise un ginocchio a terra e porse alla Dama del Lago una spada. La giovane Ailish strinse le labbra – E’ la spada della Regina? –
Lui annuì e lei, con un cenno, congedò le altre donne. Quando rimasero da soli Ailish si avvicinò e si abbassò verso di lui – Hai anche… - disse piano.
Lui la guardò e annuì, abbassò la mano e da una tasca dei pantaloni e ne estrasse la pietra rossa – La Regina me l’aveva affidata prima della battaglia, nella convinzione che avessimo trionfato mi aveva ordinato di riportarla qui dopo la vittoria –
Ailish aggrottò la fronte, poi sorrise ed annuì mettendogli una mano sulla spalla – Sei un uomo fedele, mio giovane guerriero – disse e prese la pietra. La rigirò tra le dita e sospirò – E’ un momento triste. Anche il mio amico Giuseppe ci ha lasciato, morto nel suo letto chiedendo la grazia del suo dio. Ma lui aveva ragione: l’odio genera odio, la paura accresce la paura e la vendetta chiama solo altra vendetta…Come dissi a Boudicca, quello che stanno facendo i romani non è solo una lotta di conquista, ma l’annientamento della nostra esistenza, delle nostre tradizioni e della nostra storia. Che cosa dobbiamo fare? Resistere? Combattere? Accettare il nostro destino o scatenare questa…Cosa…Quali ne siano gli effetti –
Gavino la guardò sorpreso, la Dama del Lago le stava forse chiedendo un parere? Strinse le labbra – La mia Regina ha provato a opporsi al destino, ma non ci è riuscita. Abbiamo distrutto tre città, le abbiamo assediate e abbiamo massacrato e stuprato i loro abitanti, come, se non peggio dei nostri nemici e ci dobbiamo forse stupire se ora loro ci vogliono annientare? –
Ailish socchiuse gli occhi – Le sacre leggi vietano ad Avalon di usare l’arma. Questa è una decisione che spetta agli eroi di Britannia, come Boudicca…E come te, mio giovane guerriero. Sei un uomo fedele e vedo dai tuoi occhi che sei onesto. A te la decisione! – disse e aprì il palmo della mano porgendogli la pietra.
Gavino deglutì e guardò la ragazza negli occhi, poi guardò la pietra. La tentazione di prenderla e vendicare la sua Regina, il suo popolo e Una era molto forte. Alzò una mano, ma poi si fermò a pochi centimetri da quella pietra che sembrava pulsare. Ripensò alla sua promessa sposa, Una, alla sua fresca bellezza e alla sua serenità prima di quel giorno maledetto in cui arrivarono gli esattori romani. Poi pensò a come era cambiata la dolce ragazza che amava; era diventata fredda, rabbiosa, crudele, spietata, pervasa da un odio che sembrava inestinguibile. Avrebbe potuto prendere la pietra, ma poi, cosa sarebbe accaduto? Avrebbe vinto? Se si, cosa sarebbe successo? I britanni sarebbero tornati a scannarsi tra di loro come prima dell’arrivo di Roma? Qualcuno lo avrebbe ucciso per prendergli l’arma oppure e quest’ultima opzione era la più terrificante di tutte: lui l’avrebbe usata per conquistare il potere assoluto?
Tremando allungò la mano e chiuse quella di Ailish sulla pietra. Sospirò – Non ne sono degno e non sono pronto per un simile potere –
Ailish annuì – Nessuno lo è! Nemmeno gli altri capi tribù della Britannia, alcuni consumati da impossibili vendette ed altri smaniosi di inginocchiarsi alle legioni e ai lussi di Roma…E la pietra, nostro malgrado, rimarrà qui…Hai fatto la tua scelta guerriero. Che gli dei salvino la Britannia e noi tutti –
Gavino sospirò, ma si sentì leggero come non mai – Tu sei al sicuro Mia Signora. Avalon è inattaccabile e, finché l’isola sacra esisterà, anche la nostra storia esisterà. Cercherò, per quanto mi è possibile, di salvare la Britannia intera dalla furia di Roma, ma prima…Devo chiederti un favore Mia Signora. La Mia Regina mi ha svelato il segreto della pietra e desidero onorare lei e sua figlia, colei che sarebbe stata mia sposa –
La Dama del Lago aggrottò la fronte – Cosa hai in mente? –
 
Dopo aver reso l’ultimo omaggio a Boudicca e Una, Gavino congedò i pochi guerrieri che erano rimasti con lui e rimase da solo. Aveva un’ultima missione da compiere, la più difficile. Sentì dei corvi gracchiare su un albero, alzò lo sguardo e li vide con la testa incassata al corpo, tristi e spenti. Sorrise mestamente e spronò il cavallo al passo verso la sua destinazione.
Dopo qualche giorno, dalla cima di una piccola collina, ammirò infine la sua meta: aveva sempre ammirato le capacità costruttive dei romani e si era sempre chiesto come un popolo così intelligente e laborioso potesse anche essere crudele e spietato. Passò lo sguardo sulle linee geometriche perfette delle mura in legno dell’accampamento, nelle trincee profonde e lungo le opere difensive con i legionari che incessantemente, come formiche, correvano da un posto all’altro. Il campo dove si rifugiava la legione dopo la marcia o dopo la battaglia era una delle massime opere dell’ingegno militare e lui, come guerriero, non si stancava mai di osservarlo e invidiarlo. Una cosa che stonava con quella magnifica dimostrazione di forza guerriera era la lunga fila di pali che fiancheggiava l’ingresso, quello che i romani chiamavano Porta Praetoria, formando un colonnato.
Gavino spronò il cavallo e, a mano a mano che si avvicinava, poteva sentire il fetore di carne morta e di escrementi e capì che quei pali non erano un elemento decorativo e nemmeno difensivo: si trattava di un’altra dimostrazione dell’ingegno romano, croci alle quali erano inchiodati gli sconfitti della sfortunata battaglia. Si strinse nelle spalle, la crocifissione lo aveva sempre impaurito. Essere inchiodato vivo a due assi di legno e lasciato per giorni all’aperto nudo senza cibo o acqua era terribile. E poi, quando i carnefici si sarebbero stancati, la croce sarebbe stata piegata e le sue gambe fracassate a martellate. Poi sarebbe stato rimesso al suo posto e il peso del suo corpo, privato del sostegno delle ossa dei suoi arti inferiori, lo avrebbe lentamente soffocato. Era, di certo, il metodo di esecuzione degno di coloro che si arrogavano di essere i padroni del mondo.
Sentì gli occhi diventare lucidi al solo pensiero di quanti di quelli che conosceva o con cui aveva scambiato una parola, un sorriso, con cui aveva combattuto fianco a fianco, si trovavano moribondi su quei pali. Avvicinandosi al campo vide dei legionari impegnati con una fila di prigionieri incatenati l’uno all’altro per il collo; tirò lentamente le redini, inspirò profondamente e scese dalla sella. Con rapidi movimenti tose le briglie e la sella lasciando tutto a terra e mandò via il cavallo, libro, almeno lui, si disse. Prese la spada di Boudicca e la tenne tra due mani, come per offrirla a qualcuno e si incamminò verso l’ingresso del campo con passo fermo e deciso. Ai suoi lati poteva sentire i lamenti e le urla dei suoi vecchi compagni d’arme crocifissi, ma non si girò, se avesse riconosciuto qualcuno di loro la sua forza sarebbe venuta meno. Un gruppo di legionari, finalmente, lo notò e avanzò verso di lui con facce bellicose e lo afferrarono con braccia robuste.
 
All’interno della grande tenda del Praetorium, il centro di comando del campo, era in corso una riunione dello stato maggiore romano. Il generale comandante della Ventesima Legione, più anziano del suo collega della Quattordicesima, bevve un sorso dalla coppa d’oro e soffocò una smorfia. Non era Falernum, ma vino gallico, buono anch’esso, ma non certo paragonabile all’ambrosia che bevevano a Roma. Si passò una mano sul ventre e sospirò. Si disse che era inutile, alla sua età, farsi costruire l’ennesimo pettorale nuovo per nascondere la pancia. Da giovane aveva sempre criticato chi, tra gli alti ufficiali, lasciava le legioni per andare a sedersi sui freddi gradini di marmo del Senato, ma, dopo aver visto quel letamaio pieno di pericoli che era la Britannia, gli sembrava un destino invidiabile.
Il suo collega della Quattordicesima, invece, molto più giovane, non si faceva problemi con il vino: balzò in piedi su una panca e sollevò la mano con la quale teneva il calice – E…Alla fine li abbiamo circondati! E si sono messi a pregare i loro dei del cavolo, immagino! Ma a noi che importava? Ho guardato un centurione, lui ha guardato me, ho dato l’ordine e siamo andati all’attacco! Un massacro vi dico! Erano come pecore al macello! Magari tutte le battaglie fossero state come quella…Ci…Ci hanno tolto il piacere della vittoria! – disse e scese con gli applausi dei tribuni. Ridivenne serio e guardò verso il console, seduto in un angolo mentre uno schiavo greco gli ravvivava i boccoli grigi con un ferro caldo: - Ma questo nulla toglie al tuo prossimo trionfo a Roma, console! Se Cesare ha ancora la Britannia lo deve a te! – disse e alzò il calice imitato dagli altri.
Paolino sorrise amabilmente e alzò una mano – Ti ringrazio Decimo! Antonio, per favore, riassumici di nuovo la situazione attuale –
Un giovane tribuno batté il pugno sul petto – La Nona Legione…Quello che ne resta, ovviamente, sta ancora perlustrando i dintorni, ma stanno uccidendo troppi civili…La Seconda Legione sta avanzando verso di noi, ma lentamente, stanno prendendo di mira ogni villaggio che incontrano –
Il generale della Ventesima sospirò – Dobbiamo richiamare la Nona. Se abbiamo vinto lo dobbiamo anche al loro valore, ma adesso stanno esagerando con le vendette. Devi subito ricostruire la loro unità e assegnargli un generale, console. E la Seconda Legione…Se volevano una battaglia potevano essere al nostro fianco contro la cagna degli Iceni –
Il comandante della Quattordicesima bevve un sorso e indicò il suo collega con il calice – Giusto! Che si sbrighino quei tiratardi! Se vogliono fare qualcosa ci sono le nostre latrine da pulire. Per Giove Tonante! –
Paolino sbuffò leggermente. C’erano un’infinità di problemi da gestire anche nella vittoria. I prigionieri erano troppi e le crocifissioni andavano a rilento. I suoi legionari volevano la vendetta e si scagliavano contro ogni britanno che vedevano, fossero anche donne, vecchi o bambini; c’erano tre città da riprendere e da ricostruire, una legione da rifondare e un’altra che vagava per la Britannia in cerca di riscatto per l’onore perduto. Come se tutto quello non bastasse la sua missione per stanare i druidi e le sacerdotesse di quella terra aveva dovuto essere sospesa e non poteva certo essere ripresa in quelle condizioni. Se non altro, si disse, a Roma lo aspettava un trionfo. Il Senato sarebbe stato fiero di lui anche se qualche rappresentante della plebe non avrebbe mancato di rimarcare che tra le prede di guerra non c’era la Regina degli Iceni attaccata al suo carro trionfale o nessuna parte del suo corpo a testimoniare che era morta. E per quello che riguardava Nerone, lui aveva parlato solo una decina di volte con l’Imperatore, ma quello sembrava più preoccupato delle sue doti canore e di artista che del resto dell’Impero. Dopo gli eccessi di Caligola e il governo alquanto incolore di Claudio, che aveva solo portato a compimento l’invasione della Britannia pianificata dal suo predecessore, Roma aveva bisogno di un governo saggio e forte. Sospirò e poi scrollò le spalle. Si ripeté in mente un detto che stava andando molto in voga nell’Urbe: morto un Imperatore, se ne faceva un altro.
In quel momento entrò un centurione, si mise di fronte al comandante e si batté il pugno sul petto – Console! Le nostre guardie hanno preso un britanno all’ingresso del campo. Si è consegnato a noi e chiede di parlare con te –
Il comandante della Quattordicesima sbuffò – Se facciamo parlare ogni barbaro non la finiamo più di starcene in questa latrina di paese. Che lo crocifiggano e finiamola! –
Il centurione si avvicinò a Paolino e si piegò verso di lui – Console! Ha notizie della cagna degli Iceni –
Il console fece un gesto fermando lo schiavo e si alzò in piedi – Portatelo qui! –
Poco dopo due legionari portarono Gavino e lo fecero inginocchiare davanti al console. Paolino aggrottò la fronte vedendo che parte del suo volto era tumefatta. Guardò il centurione che l’aveva avvertito che, a sua volta, scrollò le spalle – Gli uomini non sono andati per il sottile, ma, tra un grido e l’altro, ha detto di sapere che la Regina dei barbari è morta – disse e gli diede un calcio – Coraggio! Fagliela vedere! –
Gavino alzò lo sguardo e alzò le mani porgendo la spada di Boudicca al comandante romano.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Morgana piegò la testa infastidita dal rumore dello sparo. Oscar sorrise dopo aver piantato una pallottola nell’albero e si mise a ricaricare l’arma. L’ultima visione che aveva avuto non aveva riguardato Boudicca, ma il suo luogotenente il che rendeva chiaro che si stava avvicinando alla fine della storia della pietra rossa; forse anche della sua avventura in quel paese straniero.
Sospirò. Sapeva anche che, dopo le visioni, sarebbe rimasta l’immagine del centurione romano Tito e il suo ghigno crudele e sadico. Ma erano arrivate al cerchio di pietre, finalmente. Un solitario complesso di megaliti in una pianura circondata da foreste lontano da ogni centro abitato e, dovendo aspettare la notte e la luna piena avevano deciso di allestire un accampamento in un bosco poco distante e, più per noia che per altro, Oscar aveva deciso di mostrare alla Duchessa di Cornovaglia le meraviglie della tecnica moderna.
Oscar ricaricò velocemente l’arma, la puntò decisa contro l’albero e fece fuoco un’altra volta, colpendo la corteccia. Morgana strinse le labbra – Un’arma molto potente…Una piccola catapulta in miniatura e…Dimmi: non è come quella che mi hai puntato contro quando ci siamo conosciute a Tintagel? –
Oscar sorrise debolmente – Proprio come quella! Ma in quell’occasione non sono riuscita ad usarla. Vuoi provare? – disse porgendogli l’arma carica. L’altra la prese delicatamente, Oscar si mise dietro di lei e le alzò il braccio ricordando le lunghe e noiose lezioni con suo padre, ma anche quelle più piacevoli con la piccola Rosalie, la sorellastra di Jeanne de Valois. Oscar chiuse un occhio e fissò quello aperto sull’asse del braccio di Morgana – Impugnala bene…Non avere fretta…Mira con calma e respira. Esattamente come una lancia o una spada quest’arma è un’estensione ed una parte del tuo braccio, è come una delle tue dita, dove indichi…Lei punta e dove tu vuoi che colpisca…Colpisce! – disse e mosse il dito della Duchessa sul grilletto. Il cane della pistola si messe in avanti facendo scattare la pietra focaia e accendendo la polvere da sparo che, con la sua detonazione, fece partire il piccolo proiettile.
Il colpo colpì l’albero e Morgana rimase a bocca aperta – Si infila nella corteccia…E non riesco ad immaginare l’effetto che deve fare in un corpo umano! Ce ne sono molte di queste armi in quest’epoca? –
Oscar sospirò – In effetti ce ne sono anche troppe! E anche di molto più potenti, alcune possono demolire le mura di un castello –
Morgana girò la pistola tra le mani – Le mura di un castello…Colpire il nemico da lontano, come un fastidioso arciere…E dov’è l’onore di un combattimento corpo a corpo? –
L’altra sorrise – Oh! C’è ancora! Quando non puoi ricaricare l’arma nella mischia la puoi prendere per la canna e trasformarla in un randello. Le armi più lunghe, che si chiamano fucili, possono essere usate come lance se gli infili accanto alla bocca della canna una lama chiamata baionetta, poi ovviamente ci sono armi più grosse, come obici o mortai che colpiscono all’interno delle mura di una fortificazione e non dimentichiamo i pesanti cannoni che infliggono un’infinità di danni nelle battaglie campali –
Morgana aggrottò la fronte e le porse la pistola tenendola con due mani – Un’arma tremenda! Ma non degna di un guerriero come te Lady Oscar. In effetti credo che tu, come me, preferisca la spada. Uno strumento preciso ed elegante; più adatto ad epoche civili. Questa tua…Pistola…Come la chiami, non rende nessuno un guerriero, ma solo un assassino. Chiunque, anche un bambino, potrebbe impugnare quella…Cosa…E uccidere. Non mi meraviglia che in questo mondo siate regrediti ad uno stato di barbarie – disse e si indicò la spada al fianco – Questa è l’arma di un guerriero! –
Oscar sospirò piano, le convinzioni di quella donna erano un muro invalicabile. Eppure quello che diceva aveva un senso. Si, lei preferiva di gran lunga la spada. Amava stringerla in mano e sentirla parte del suo corpo. La sensazione che provava nei combattimenti gli dava una sensazione di potenza inimmaginabile, fino alla vittoria sull’avversario. E pensò, ancora una volta, ad André: ai loro duelli da bambini e da adulti nel parco di Palazzo Jarjayes. E, ancora una volta, si sentì tradita ed umiliata dal suo comportamento in quella sera maledetta. Sentì nelle orecchie il suono della camicia strappata e rabbrividì. Volse lo sguardo e vide, con la coda dell’occhio, una figura seminascosta dietro un albero. Poteva essere uno dei loro inseguitori, ma i suoi abiti, il grande elmo crestato ed un ghigno beffardo lo qualificavano come Tito, il centurione. Chiuse gli occhi per un attimo e la figura sparì. Si strinse nelle braccia come se avesse freddo e guardò Morgana che, intanto, aveva estratto la sua spada a lama larga.
La Duchessa di Cornovaglia la guardò e sorrise – La tua spada sembra più uno spiedo! Non nego che sia robusta, la mia lama l’ha assaggiata ad Avalon, ma non mi ci vedo a maneggiarla –
Oscar si rilassò e sorrise debolmente – Posso…Posso provare a tenerla in mano? –
Morgana aggrottò la fronte e poi, con un rapido movimento, gli porse la spada porse tenendola per la lama. Oscar alzò una mano e, non senza esitazione, prese l’elsa ricoperta di nero cuoio e alzò l’arma per osservarla. La lama era molto larga, a doppio taglio e anche quando si trovavano ad Avalon aveva desiderato provare ad impugnarla. Era così diversa dall’elegante spada che era abituata ad usare e notò che, stranamente, nonostante sembrasse massiccia, non pesava poi molto. Controllò il taglio e vide che era affilato alla perfezione. Provò un crampo allo stomaco pensando che la manutenzione della sua spada era sempre stata delegata ad André e che, da molto tempo, lui non la controllava. La alzò e vide che era perfettamente dritta; impugnò l’elsa a due mani e l’alzò sopra la testa.
Per un attimo si immaginò in una lucente armatura dei tempi antichi mentre combatteva contro il nemico. Si ricordò delle miniature medioevali che aveva visto nella biblioteca di Palazzo Jarjayes: guerrieri impavidi che armati di scudo e spada affrontavano ogni pericolo per l’onore, per la gloria e per l’amore. Diede due fendenti laterali immaginando di colpire l’avversario e pensò al fratello di Morgana, quel grande Re delle leggende che aveva inventato il codice della cavalleria. Pensò a quanto sarebbe stato meraviglioso far parte della cerchia della Tavola Rotonda, parlare di avventure ai limiti dell’impossibile con altri cavalieri e partire per lunghe e pericolose ricerche. Si ricordò di quello che gli aveva detto padre Philby a Glastonbury: non stava facendo anche lei una cerca come gli antichi cavalieri? Non stava forse cercando un tesoro nascosto da secoli? E alla fine di tutto…Avrebbe mai trovato davvero sé stessa e quale era il suo posto nel mondo?
Persa in quei pensieri vide di fronte a sé il centurione romano, con gli occhi luminosi ed un ghigno diabolico. La sua bocca si aprì con un orrido fetore di aglio: “Ti sto aspettando, barbara!”. Oscar lanciò un affondo con la spada di Morgana e la figura svanì. Lei scosse la testa e sentì la mano della Duchessa che toccava le sue strette all’elsa della spada.
Morgana sorrise debolmente – Avrai tempo per affrontare i tuoi demoni, Lady Oscar – disse e prese la spada rinfoderandola con un gesto elegante e rapido. Alzò una mano e Oscar sentì la sua spada uscire dal fodero e poi volare in aria per essere impugnata dall’altra. La Duchessa sorrise e guardò l’arma, più leggera della sua. Con una mano sola lanciò un fendente laterale e poi la guardò di nuovo – Com’è possibile combattere con una spada del genere. Sembra così fragile, eppure è talmente robusta che ha resistito ai colpi della mia lama – disse e guardò Oscar aspettandosi una risposta che però non arrivò.
Morgana sorrise di nuovo – I miei poteri sono attivi qui, in prossimità del cerchio di pietra ed è un bene! Non dovremo nasconderci da quei misteriosi uomini di cui parli e nemmeno dall’esercito dell’usurpatore che occupa il trono che spetta di diritto a mio fratello Artù. Sento la vicinanza delle antiche rocce, sento la sua essenza fluire dentro di me…Ed è magnifico! – disse con un ghigno che a Oscar non piacque per nulla.
Oscar strinse le labbra – Tu devi avere un’idea di cosa sia quell’arma. Hai detto che è talmente potente da distruggere un intero esercito in un colpo solo…Come mai è possibile? –
Morgana tentennò lentamente, lasciò la spada di Oscar che fluttuò in aria e volò direttamente nel fodero della sua proprietaria. Sospirò – Non ne ho la minima idea! Ma esiste! E’ questo quello che conta! E tu…Tu che vivi in quest’epoca più moderna e con più…Tecnologia…E…Uguaglianza…Della mia povera epoca…Tu che idea ti sei fatta? –
Oscar tentennò, ma in verità non gli era mai importato di cosa fosse quel misterioso marchingegno e non gli importava nemmeno in quel momento. Si era imbarcata in quell’avventura per il gusto del viaggio, dell’avventura e, perché no, anche del pericolo. Un’arma in grado di distruggere un esercito, se fosse caduta nelle mani sbagliate, sarebbe stato un disastro e non solo per la Francia. Morgana strinse le labbra e la guardò – Vuoi forse dire che non la consegneresti al tuo re? Che non la useresti? Anche contro la Britannia? – disse e piegò leggermente le dita della mano destra.
Oscar sentì un prurito al collo e cercò di non toccarselo. Sorrise nervosamente – Adesso stai diventando paranoica! E, dopotutto, nemmeno tuo fratello ha saputo o voluto usarla –
Il volto della Duchessa cambiò e divenne triste – Mio fratello…Lui…Lui è sempre stato un sognatore. Un uomo buono fondamentalmente che voleva vedere sempre il bene nelle persone…E non aveva visto il male in suo figlio Mordred. Immagino che non abbia voluto usare l’arma perché credeva, in un qualche modo, di poterlo salvare e condurre dalla sua parte…Ma sai anche tu com’è finita –
Oscar annuì “Come Boudicca, che aveva una fiducia immensa nel suo popolo e nella sua forza, del resto” pensò e guardò in cielo – Dobbiamo aspettare ancora la luna e quindi…Possiamo riposare –
Morgana aprì la bocca, come per replicare, poi annuì – Va bene – disse solo.
Oscar si sedette a terra con la schiena appoggiata ad un albero e sospirò. Alzò la testa e sorrise debolmente “La cerca sta per concludersi. Forse vedrò la fine della storia della Regina guerriera…O forse l’ho già vista e questo significa…Che resterò da sola con i miei incubi”. Sospirò e chiuse gli occhi.
 
Britannia – Primo secolo d. C.
Il console Paolino aggrottò la fronte osservando la spada che Gavino gli stava porgendo – E quest’arma che cos’è? –
Gavino sospirò – E’ la spada della Mia Regina. Voleva che la consegnassi a te una volta morta e ti chiede di liberare il suo popolo –
Decimo, il generale della Quattordicesima Legione, sorrise e poi rise sguaiatamente – Ahhhhahhahh! La cagna è morta…E vuole che noi lasciamo stare il suo popolo? – disse e tirò il calice sulla testa di Gavino che si piegò, ma non emise alcun gemito. Il comandante della Ventesima si alzò lentamente e sospirò – Come ti chiami? –
Gavino alzò lo sguardo e lo fissò – Mi chiamo Gavino e sono…Ero un amico della Regina –
Il generale avanzò di un passo – Dicono che Boudicca si sia vendicata dei romani che l’hanno frustata e hanno abusato delle sue figlie… E’ vero? – disse nel silenzio generale.
Gavino annuì – Ero a caccia con altri guerrieri e, quando siamo tornati, abbiamo visto la nostra Regina appesa ad un palo con la schiena rovinata dalle frustate e i legionari che…Stavano… - disse e piegò la testa, poi la rialzò di scatto – E li abbiamo uccisi tutti quei maiali! Perché lo meritavano! –
Il generale guardò il console – E hanno fatto bene! I nostri legionari non dovevano in alcun modo arrecare danno ad un fedele alleato di Roma che stava pagando i tributi –
Decimo socchiuse gli occhi – E allora!? Adesso puniamo i legionari perché si sono divertiti un po'? – ringhiò.
Paolino strinse le labbra – Quello che hanno fatto quei legionari era…Sbagliato! Ma quello che è successo dopo è stata una deliberata rivolta contro Roma ed anche quello merita la morte, non ne convieni, barbaro? –
Gavino sospirò e guardò il console – Siete arrivati qui con le vostre navi e con le vostre insegne del lupo e dell’aquila a pretendere la nostra terra…Avete ucciso i nostri padri, stuprato le nostre madri e le nostre sorelle e reso schiavi i nostri fratelli…Costruite in un giorno e in una notte intere città per il vostro esercito e palazzi di pietra e marmo per il vostro popolo…Vi divertite e vederci morire nelle vostre arene e ci deridete quando ci danno in pasto alle fiere…Avete sconfitto un’armata immensamente più grande della vostra…Non c’è limite alla vostra potenza e alla vostra grandezza…E non ci è permesso nemmeno di vendicarci! – disse guardando il comandante della Quattordicesima – Non ci è permesso di piangere per i nostri morti! – disse guardando il comandante della Ventesima – Non ci è permesso di vivere in pace nemmeno se eseguiamo i vostri ordini – disse guardando di nuovo Paolino.
Decimo lo guardò stralunato, poi volse lo sguardo verso uno dei suoi tribuni, sorrise e poi rise di nuovo provocando uno scoppio di ilarità generale. Anche il console sorrise, ma non il comandante della Ventesima che continuò a fissare Gavino inginocchiato a terra. Il console alzò una mano fermando le risate – Fate venire il druido! – ordinò.
Un legionario uscì e poco dopo rientrò tenendo per un braccio un uomo e mettendolo di fronte al prigioniero. Gavino riconobbe subito Norag, il druido della sua tribù. Quest’ultimo abbassò lo sguardo, ma Gavino non trovò niente di meglio da fare che sorridere. Paolino si avvicinò – Quest’uomo dice che questa è la spada della cagna degli Iceni…E’ vero? –
Norag osservò l’arma nelle mani del console e annuì – E’ la sua…E’ vero…Non se ne sarebbe mai separata, se non da morta –
Il comandante della Ventesima sospirò – Quella maledetta è morta! Che Plutone la spedisca nel Tartaro! –
Paolino annuì, estrasse di qualche centimetro la lama e poi, con un colpo secco, la rinfoderò. Ovviamente non c’era nessuna garanzia che quella maledetta donna fosse morta, ma almeno aveva qualcosa da mostrare al Senato e a Nerone. E, prima di lasciare la Britannia per godere del suo trionfo, c’erano ancora molte cosa da fare. Guardò i suoi uomini – Abbiamo vinto! La Regina dei barbari è morta e Roma, come sempre, vince! – disse e si avvicinò al tavolo – Antonio! Ho dei nuovi ordini: prima di tutto quello che resta della Nona Legio vada a sud a riunirsi con quegli idioti della Seconda e poi, invece di venire a intralciarci, che vadano a ovest e che riprendano le città di Verulamium, poi Londinium e Camulodunum. Non dovrebbero avere problemi, ma se troveranno resistenza che uccidano tutti. Che ci spianino la strada e noi li seguiremo portando doni e la pace di Roma alle tribù che si prostreranno a noi. Quindi lavatevi le terga, perché verranno baciate da dei re! – disse provocando le risate dei suoi uomini. Tossì per richiamare l’attenzione e continuò: - Per ricostruire una legione e tre città ci servirà molto denaro, ovviamente chiederemo dei nuovi tributi, ma abbiamo centinaia di prigionieri che saranno venduti come schiavi in Britannia, in Gallia, in Iberia e in Italia, uomini che serviranno nelle miniere e che saranno buoni gladiatori, si spera…Poi riprenderemo la lotta contro i loro maledetti sacerdoti e cominciate con il crocifiggere questo druido traditore –
Il volto di Norag sbiancò e allungò le mani, ma venne trattenuto dalle robuste mani di due centurioni: - Signore…Ho fatto quello che mi avete chiesto…Perché mai dovrei morire come questi…Come questo traditore – disse indicando con la testa Gavino.
Paolino strinse le labbra – Questo barbaro si è comportato come un uomo, come un guerriero e questo noi sappiamo rispettarlo. Tu invece…A quanto dicono, druido, ti sei gettato ai piedi dei miei legionari baciandoglieli e implorando pietà e dicendo che li avresti aiutati a catturare molti ribelli. Hai tradito la tua fede, il tuo popolo e ti aspetti che creda che ci servirai fedelmente? Avrai tempo di riflettere e pregare i tuoi insulsi dei inchiodato alla croce…Eseguite! –
Gavino sentì Norag farfugliare ancora qualcosa mentre gli ufficiali lo trascinavano voi. Sospirò e poi guardò di nuovo i romani. Il comandante della Ventesima si avvicinò a Paolino – Perdonami console. Se i prigionieri devono essere venduti come schiavi, allora ti chiedo di affidarmi quest’uomo: è coraggioso e sembra forte, ne farò un ottimo gladiatore e ovviamente te lo pagherò al giusto prezzo –
Paolino inspirò profondamente – Sei un buon soldato e la tua legione ha combattuto bene. Tienitelo pure! E ovviamente mi pagherai il giusto prezzo! –
Il generale batté un pugno sul petto e chinò la testa, poi fece cenno a due legionari di prendere Gavino ed uscirono dalla tenda. Fece pochi passi ed arrivarono all’alloggio del generale, non grande come quella del comandante supremo, ma egualmente bella. Due guardie drizzarono i pilum al passaggio del loro comandante e guardarono di sottecchi il prigioniero.
Una volta all’interno il romano congedò i soldati e lui e Gavino rimasero da soli. Quest’ultimo si guardò attorno, vide un manichino su cui era appoggiata la corazza lavorata con la spada e un grande elmo crestato e, lì accanto, un tavolo in legno decorato a motivi floreali con sopra delle pergamene e delle tavolette di cera, in un lato vide il busto in marmo bianco di un uomo dallo sguardo deciso e fiero. Il generale si avvicinò ad un bacile di bronzo sorretto da un tripode, vi immerse le mani e le passò sul viso: - E’ il divo Tiberio – disse indicando il busto – Ho iniziato la carriera militare al suo comando. Ero poco più di un bambino con i gradi di tribuno e me la sono fatta sotto alla prima battaglia contro i germani, guerrieri terribili e feroci…Eppure ora sono qui, al mio ultimo incarico – aggiunse girandosi a guardarlo – Capisci bene la mia lingua? –
Gavino annuì – La comprendo –
L’altro sorrise debolmente – Sono Lucio Valerio Dolabella, comandante della Ventesima Legio Valeria Victrix, il tuo nuovo padrone. Verrai a Roma con me –
Gavino aggrottò la fronte, ma l’altro sorrise – Oh! Ti piacerà! Roma è…Roma! Dai tempi di Cesare Augusto è diventata una sorta di crocevia e rifugio per ogni sorta di gruppo o credo religioso…Gli egiziani con il culto di Iside, i greci con quello di Artemide…I galli e i germani con i loro dei infernali…E poi ci sono questi cristiani…Al contrario di tutti gli altri che parlano di sangue e sacrifici, quelli parlano di perdono, amore e pace…Ci pensi? Un mondo in pace…Sarà la vecchiaia, ma credo che sia molto bello –
Gavino annuì – Si…Sarebbe davvero un bel mondo –
Lucio si sedette pesantemente sulla sedia dietro la scrivania – Una volta abbandonata la vita militare mi ritirerò nella mia villa sul colle Esquilino, con i miei figli e i miei nipoti e mi dedicherò alla vita del contadino. Ho molti terreni intorno a Roma, lo sai? Al commercio e all’importazione dei prodotti della Gallia e della Britannia e, ovviamente, a quella di lanista, addestratore di gladiatori, ho una scuola alle porte della città –
Gavino annuì – So chi sono i gladiatori e so benissimo che questa è una condanna a morte –
Lucio appoggiò i gomiti sulla scrivania, unì i polpastrelli delle mani e lo guardò attento – E’ una possibilità di sopravvivere che ti sto dando. Vedi amico mio barbaro: dopo Augusto e Tiberio abbiamo avuto un pazzo come Imperatore, a cui poi è succeduto uno scrittore scialbo e debosciato…E adesso abbiamo al governo questo Nerone, di cui non so nulla, ma spero che i posteri non parlino di lui come un pazzo o un tiranno. Perché Roma ne ha bisogno, tutto l’Impero ne ha bisogno. Perché Roma non è solo le legioni e le conquiste e gli intrighi e gli omicidi. Roma è la grandezza, è la visione di un mondo unito in pace e in armonia –
Gavino sorrise debolmente – Un mondo in pace…La vostra pace! Non certo quella dei popoli sottomessi –
Lucio strinse le labbra – Qualcuno che governi questo mondo in pace deve pur esserci! E non credo che ne siano capaci i tuoi britanni e nemmeno quei cristiani di cui ti ho parlato. Parlare di pace è una cosa, ma questa deve essere mantenuta! E solo la forza della spada può farlo: se vuoi la pace, britanno, preparati alla guerra! –
Gavino sospirò – Hai detto che potrò sopravvivere –
L’altro annuì – Non solo! Se combatterai bene, se vincerai, se ti renderai l’idolo del popolo, allora potresti anche riprendere la tua libertà. Ma dipende solo da te –
Un luccichio attraversò gli occhi di Gavino che sorrise – E allora portami a Roma –
 
Gavino lasciò la Britannia e vide la grandezza e la maestà di Roma nei suoi palazzi di marmo, nel suo foro, nel palazzo del Senato, nelle sue terme, nei suoi teatri e soprattutto nelle sue arene dove combatté come gladiatore. Vide gli eccessi e le manie perverse di Nerone che colpirono alche Lucio Valerio, colui che lo aveva portato in Italia. Vide il grande incendio di Roma e aiutò, insieme agli altri gladiatori e alle milizie cittadine, il popolo a domare le fiamme. Vide come il popolo accusò Nerone e come Nerone accusò i cristiani di aver appiccato il fuoco. Si rifiutò di ucciderli nell’arena e rimase impietrito nel vedere quelle persone che si inginocchiavano a pregare invece di combattere contro altri uomini o contro le belve.
Vide la caduta di Nerone e la nascita di una nuova dinastia. Diventò il campione di Vespasiano e il gladiatore preferito del suo successore Tito e solo poi, all’inizio del regno di Domiziano, riacquistò finalmente la sua libertà, mentre altri gladiatori e altri schiavi erano destinati a morire nel nuovo grande e mastodontico anfiteatro che sarebbe diventato il simbolo stesso di Roma; la grande struttura che il popolo della città chiamava Colosseo.
Dopo aver rinunciato a diventare a sua volta un addestratore di gladiatori, dopo aver rinunciato a onori e a ville e a denaro, dopo aver donato quello che aveva guadagnato come gladiatore al capo dei cristiani, gli unici, tra i tanti che popolavano Roma, che gli erano sempre sembrati puri e fedeli a sé stessi, lasciò la città. In un giorno di inizio primavera, con solo una sacca e il rudio, la spada di legno intarsiato che simboleggiava la sua riconquistata libertà, Gavino di Britannia prese la via Aurelia che poi si sarebbe congiunta alla via Julia Augusta in Gallia. Andava verso nord, andava verso la Britannia, tornava, finalmente, a casa.

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Capitolo 13
*** LA LANCIA DEGLI DEI ***


Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si svegliò sentendosi toccare il braccio. Aprì gli occhi e vide che il sole era calato e che la luna piena era sorta. Accanto a lei Morgana sorrise snudando i suoi canini appuntiti – Ci siamo! Hai avuto altre visioni? Hai visto qualcos’altro di utile? –
Lei si alzò e si guardò attorno, poi posò lo sguardo sulla sua compagna di avventura – Ho visto la fine della storia di Boudicca…E del suo luogotenente, se vuoi saperlo. La pietra è stata portata ad Avalon e credo che là sia rimasta fino a quando è stata incastonata nell’elsa di Excalibur per darla a tuo fratello – disse e pensò che, alla fine, nemmeno Artù aveva usato la misteriosa arma, anche se forse quello era dipesa dal fatto che, tra i tanti suoi nemici, c’era anche suo figlio. E lei? Cosa ne avrebbe fatto di quell’oggetto, qualunque cosa fosse? Lo avrebbe dato a Morgana per sconfiggere gli Uomini-Drago? Lo avrebbe portato al suo Re per la potenza della sua Patria? Oppure l’avrebbe tenuto per sé stessa? Quest’ultima opzione la fece rabbrividire e ricordò chiaramente le sensazioni di Gavino davanti alla Dama del Lago quando lei glielo le aveva proposto anche quella strada. Sollevò lo sguardo e notò che la luna piena illuminava il paesaggio circostante a giorno. Spostò lo sguardo verso la Duchessa di Cornovaglia e vide che i suoi occhi erano carichi di speranza, ma anche di cupidigia, in attesa di scoprire cos’era l’arma e soprattutto, immaginò Oscar, tutte le sue potenzialità. Sospirò: “Un problema alla volta!” pensò: – Andiamo al cerchio di pietra – disse solo.
 
Oltrepassarono il bosco ed arrivarono alla grande radura dove svettava l’antico monumento. Oscar provò un brivido lungo la schiena mano a mano che si avvicinavano. Aveva visto quelle pietre durante il giorno, ma non aveva avuto nessuna sensazione particolare, le erano sembrate solo delle vecchie rocce messe lì per un qualche strano motivo. Sapeva che era uno dei luoghi in cui confluivano quelle che Morgana chiamava “correnti di energia terrestre” che attivavano in qualche modo i suoi poteri. Sospirò: tra le tante cose da cui doveva guardarsi in quel momento c’era anche una strega medioevale in grado di ucciderla con il solo gesto della mano. Si ricordava la fatica che lei ed André, ad Avalon, avevano fatto per sconfiggere la parte cattiva della dea della guerra che si era impossessata della Duchessa di Cornovaglia. Se Morgana fosse stata di nuovo posseduta, sarebbe riuscita a sconfiggerla? E non c’era nemmeno André al suo fianco. André…Scosse la testa per scacciare il pensiero del suo amico, del suo cavaliere, dalla testa. Guardò di nuovo le pietre; nella notte, con la luna piena, quelle rocce rozzamente squadrate illuminate dalla luce lunare sembravano brillare. Che sentissero la vicinanza della pietra rossa? Si chiese Oscar, ma scacciò anche quel pensiero.
Morgana si mise di fronte a lei con uno sguardo febbricitante per l’eccitazione e alzò le mani piegando le sue bianche dita come artigli: - Avanti! La luna è alta! Fammi vedere il potere della pietra! –
Oscar mise un ginocchio a terra, prese la pietra dalla tasca interna della giacca e la sollevò in alto tenendola tra pollice e indice. Dopo qualche istante la piccola roccia sembrò brillare. La luce cominciò a pulsare, dapprima lentamente e poi sempre più luminosa e, improvvisamente un raggio si sprigionò da essa verso il basso. Morgana si abbassò a terra accanto a lei, socchiuse gli occhi e, a bocca aperta, vide che la luce si stava lentamente trasformando in qualcosa di ben definito e, dopo attimi che a loro sembrarono delle ore, i raggi rossi assunsero la forma e la figura del cerchio di pietra.
Morgana si portò le mani alla bocca – Per gli dei dell’Annwn! E’ incredibile! –
Oscar annuì, era la seconda volta che vedeva quel fenomeno, ma non poteva non rimanerne affascinata. La prima volta era accaduto per caso, nella sua casa in Normandia, aveva sollevato la pietra per vederla alla luce lunare e si era sviluppato quel fenomeno. Aveva riconosciuto quel grande cerchio di pietra perché il suo ricordo si era incastonato nella sua coscienza con i ricordi di Morgana e sapeva bene che si trovava nell’Inghilterra meridionale. In una delle sue visioni lo aveva persino disegnato nel suo quaderno nero in un’intera pagina e non ne aveva mai compreso il perché. Con il passare del tempo si era convinta che tutto quello che aveva scritto e disegnato nel libretto erano stati solo dei sogni, persino incubi e non ne aveva mai compreso appieno il significato. Lo aveva lasciato in Normandia e ne aveva conservato solo un vago ed offuscato ricordo. Fino al momento in cui aveva rivisto Morgana spuntare delle nebbie sulla cima del Tor di Glastonbury. Quando aveva visto la Duchessa a terra i ricordi erano penetrati dentro di lei come un fiume in piena: il viaggio, le nebbie, il castello di Tintagel, la battaglia con i sassoni e…André. Chiuse gli occhi di nuovo e scosse il capo; strinse le labbra - Quale tecnologia può aver prodotto una cosa del genere, Morgana? Una mappa letteralmente incastonata dentro questa piccola roccia è una cosa incredibile, anche per questo mio mondo –
La Duchessa non rispose, si abbassò verso la figura di luce e aggrottò la fronte; piegò di lato la testa e notò che l’immagine era molto diversa dal cerchio vero e proprio che si stagliava dietro di loro. Il complesso alle loro spalle aveva solo la vaga struttura di un circolo, ma i monoliti in piedi erano pressappoco la metà; le pietre orizzontali, poste sopra quelle verticali, erano rimaste solo una decina. Anche il cerchio interno era quasi completamente caduto. La figura che stava guardando, invece, era un cerchio perfetto con un’altra struttura all’interno e le altre rocce, poste orizzontalmente su quelle verticali, a formarne la circonferenza, erano tutte presenti.
Oscar sorrise debolmente – E’ il cerchio di pietra come doveva apparire appena costruito…Evidentemente chi ha fatto quest’opera ha fatto anche questa piccola roccia per…Per nascondere qualcosa –
Morgana avvicinò ancora il volto ai fasci di luce sul terreno – Per il corvo di Morrigan…Che cosa incredibile…E perché hanno costruito questo complesso di pietre? Il mio popolo ha sempre creduto che lo avessero fatto per onorare gli dei, ma mi sembra una cosa un po' troppo complicata, anche solo per nascondere qualcosa –
Oscar inspirò profondamente – Non ne ho la minima idea! Comunque guarda adesso – disse e mosse il mento in avanti. Un singolo raggio, più luminoso degli altri, si sprigionò dalla piccola pietra e andò obliquamente sul terreno, lambì un megalite sul lato di nord est e poi si spostò in avanti, fino a bloccarsi in un punto ben definito.
Morgana rimase senza fiato – L’arma…E’ lì…Da qualche parte! Andiamo! – disse e si raddrizzò per correre verso l’altro lato del complesso di pietra. Oscar aggrottò la fronte mentre la luce rossa si spegneva lentamente, accese la lanterna e raggiunse l’altra. Si fermò accanto ad uno dei megaliti e vide Morgana piegata a terra nella ricerca di qualcosa. La Duchessa di Cornovaglia la guardò – Ci deve essere un meccanismo nel terreno, il lato che aveva indicato era questo, ne sono sicura – disse e si piegò di nuovo.
Oscar sospirò. Qualunque meccanismo a livello del terreno sarebbe stato scoperto in epoche passate e lei non credeva minimamente che i costruttori del cerchio di pietra e della pietra rossa avessero realizzato quelle strutture per qualcosa di così semplice. Si girò verso la pietra verticale e la illuminò con la lanterna. Poco prima il raggio aveva lambito la roccia e poi si era piegato in avanti. Abbassò lo sguardo fino alle fondamenta della grande pietra e mise un ginocchio a terra: - Morgana! – chiamò.
L’altra si avvicinò e si inginocchiò anche lei ai piedi della roccia. Oscar strinse le labbra – Qui sotto…Dobbiamo scavare qui sotto, al centro della base – disse piano. Morgana aggrottò la fronte e poi, improvvisamente, estrasse la sua spada e la conficcò nel terreno, iniziando lentamente a scavare. Dopo qualche istante Oscar la imitò.
 
Quanto tempo era passato? Era ancora notte, quello si vedeva. Oscar aveva usato la sua arma come un attrezzo da scavo, muovendo il terreno e poi spostando la terra con le mani nude. Le dite le dolevano, sentiva il terriccio sotto le unghie e aveva una disperata voglia di fare un bagno caldo, alla luce fioca del camino della sua camera a Palazzo Jarjayes e magari con un calice colmo di buon cognac caldo in mano. Morgana, dal canto suo, sudava e non accennava a smettere di scavare e continuarono ancora per qualche istante fino a che le mani della Duchessa trovarono qualcosa sulla pietra: - Aspetta…C’è qualcosa…Un buco e…Una specie di solco –
Oscar illuminò il buco e vide un foro circolare sulla pietra, con un solco che partiva dal basso e andava verso giù, ancora più in profondità. Morgana si abbassò e aggrottò la fronte – Ma cosa… -
Oscar strinse le labbra e prese la pietra rossa tra le dita. Guardò per un attimo Morgana, che ricambiò il suo sguardo. Pulì con le dita il foro e poi mise all’interno la piccola roccia. Spinse delicatamente e, in un silenzio agghiacciante, sentì un clic metallico. Una linea luminosa rossa si sviluppò nel solco verso il basso e, dopo attimi lunghissimi sentirono il terreno tremare. Si girarono alzandosi e camminarono in linea retta dal megalite fino a quando apparve ai loro occhi una voragine che si era appena aperta.
Morgana sorrise con gli occhi lucidi – Ci siamo… - disse piano e Oscar illuminò il buco: delle scale intagliate nella pietra scendevano verso il basso. Anche lei si permise di sorridere – Qualunque cosa sia quell’arma…E’ là sotto! –
Ripresero le loro armi, le rinfoderarono e poi tornarono alla scala. Oscar fece un passo in avanti, ma Morgana la bloccò, poi allungò un braccio verso il basso, aprì le dita e, improvvisamente, qualcosa si illuminò all’interno della galleria.
Oscar aggrottò la fronte – Torce…Come lo sapevi? E come… -
L’altra sorrise – Siamo un popolo previdente, Lady Oscar…E la mia magia qui funziona. Vogliamo scendere? –
Oscar annuì – A te l’onore Lady Morgana –
La Duchessa appoggiò un piede sul primo gradino e poi scese lentamente. Oscar spense la sua lanterna, l’appoggiò sullo scalino e la seguì. Il corridoio si ampliava più sotto e ai lati, appese al muro, c’erano delle vecchie torce accese dalla magia di Morgana. Oscar ne prese una, imitata dall’altra e continuarono a scendere. Le scale terminarono e si ritrovarono in una stanza buia.
Lentamente Oscar si mosse illuminando l’ambiente e, improvvisamente, sussultò. Aveva visto un riflesso alla luce della torcia, come due occhi di qualcosa di gigantesco che la osservava. Deglutì e alzò la torcia, illuminando un alto palo in metallo dorato che terminava in alto con una scultura. Era l’effige di una grande aquila ad ali spiegate. Gli artigli del rapace erano stretti attorno a dei piccoli lampi di metallo. Più sotto, in un cartiglio rettangolare era incisa la scritta S.P.Q.R.. – Senatus Populusque Romanus…Il Senato e il Popolo Romano… - disse piano Oscar. Ancora più sotto l’insegna si allargava in un cerchio con l’immagine del profilo di un uomo. Era un uomo perché si potevano vedere dei capelli a boccoli e una barba, anch’essa a boccoli. Oscar si avvicinò e guardò le lettere all’interno del cerchio – N…E…R…O…Nero Claudius Caesar Augustus GermanicusNero…Nerone… – sussurrò e, più sotto ancora, in un cartiglio più grande con in basso un’asta orizzontale dove, probabilmente, un tempo, era attaccato un vessillo, lesse altre lettere: - Leg…IX…Legio Nona…La Nona Legione! E’ l’insegna dell’esercito che Boudicca ha sconfitto! – disse e si girò verso Morgana, ma la Duchessa si era fermata ad un altro ingresso che andava oltre la stanza, allungò di nuovo il braccio ed altre torce si accesero. Oscar si avvicinò e quello che vide la lasciò senza fiato.
Scesero alcuni gradini e si trovarono in un’altra stanza rettangolare, molto più grande, illuminata da torce appese tutt’intorno. Oscar si guardò attorno e vide resti di spade, grandi scudi romani, elmi, vasellame dorato, monili con pietre preziose e monete: - Il bottino di guerra dell’esercito di Boudicca – disse solo.
Si girò e, al centro della sala, adagiato sui resti di quello che appariva un tappeto, vide un corpo. Degli abiti in pelle rimaneva ben poco e il teschio, contornato da quelli che sembravano resti di capelli ramati, aveva la mascella caduta e spalancata in un urlo muto e spaventoso. Eppure sapeva a chi apparteneva quel cadavere. Lo sapeva perché aveva vissuto praticamente la sua vita, ne aveva condiviso la paura e la furia selvaggia quando un centurione romano l’aveva fatta legare ad un palo e frustata e nel vedere le sue figlie alla mercé degli invasori. E si era avventata con lei sul nemico come una furia per poi guardare, sempre con lei, il suo esercito e il suo stesso popolo sconfitti.
Morgana capì: - La Regina guerriera –
Oscar sorrise debolmente e annuì – Boudicca… - sussurrò il nome della Regina degli Iceni con rispetto. Si guardò di nuovo attorno e, ai piedi del muro, notò qualcosa. Si avvicinò lentamente, rimase impietrita con gli occhi lucidi e cadde in ginocchio. Morgana aggrottò la fronte e si avvicinò a lei. Guardò ai piedi del muro e rimase perplessa: Adagiato a terra c’era un altro cadavere, anch’esso con i resti di abiti in pelle addosso e un curioso elmo conico sulla testa. La gabbia toracica, o quello che ne restava, era esposta e sullo sterno si vedeva un profondo solco verticale, probabilmente dovuto ad un colpo di spada. Ma quello che attirò la sua attenzione fu un altro corpo scheletrico, proprio di fianco, bloccato in posizione fetale e con il volto quasi attaccato a quello dell’altro. Socchiuse gli occhi e vide persino che le mani scheletriche dei due cadaveri erano intrecciate, come se si tenessero per mano in un piccolo atto d’amore. Il corpo piegato indossava resti di abiti, ma lì accanto, a terra, c’erano i resti di una piccola asse di legno, quasi uno spadino, consumato dal tempo.
Oscar si passò l’avambraccio sugli occhi e sulle guance solcate dalle lacrime. Sorrise debolmente: - Lo sai chi sono? Lei è la figlia di Boudicca, morta con lei nell’ultima battaglia contro i romani, colpita alla schiena dopo aver salvato sua madre…E lui…Il corpo al suo fianco…Quello con il rudium, la spada di legno che veniva data ai gladiatori liberati…E’ Gavino…Il suo promesso sposo, che l’ha amata sempre…Che è andato ai confini del mondo e che è tornato…Solo per morire con lei –
Aveva visto nelle sue visioni la storia del giovane luogotenente di Boudicca, ma non aveva mai realmente compreso quale era stato il suo destino ultimo. Poteva solo immaginare quello che era successo: aveva sepolto la sua Regina e il suo amore in quel luogo sacro e, obbedendo agli ordini, aveva sacrificato sé stesso per chiedere pietà per il suo popolo ai romani. Era sopravvissuto combattendo nelle arene, non per volontà di vivere o per non essere crocifisso come i suoi compagni; ma solo per tornare nel paese dove era nato. Probabilmente era andato ad Avalon e aveva chiesto alla Signora del Lago di giacere con le spoglie della sua promessa sposa.
Oscar sorrise in mezzo alle lacrime. Quello, si disse, era vero amore: un sacrificio senza fine per coloro che si amano. Abbassò la testa, anche André era rimasto ferito all’occhio durante la caccia al Cavaliere Nero. Anche lui aveva sacrificato la vista solo ed unicamente per salvarla quando Bernard Chatelet, il ladro mascherato, l’aveva imprigionata nel vecchio Palazzo Reale di Parigi. Eppure…Non poteva dimenticare le sue parole in quella notte maledetta: “Una rosa non sarà mai un lillà”; come non avrebbe mai dimenticato la sua stretta d’acciaio sulle braccia e il terrore di quello che sarebbe potuto succedere dopo il rumore assordante di quella camicia strappata. Scosse il capo desolata e fu Morgana a riportarla alla realtà: - L’arma! Dov’è l’arma!? Questa è solo una tomba! Io rendo onore alla Regina guerriera, ma io devo…Devo trovare l’arma che annienterà i nemici della Britannia! –
Oscar tirò su con il naso e la guardò. L’espressione di Morgana era forte e determinata e non ammetteva tentennamenti. Sospirò e si guardò attorno nell’ambiente illuminato dalle torce. In effetti, si disse, l’arma doveva trovarsi in quel luogo. Si rialzò e guardò verso la parete opposta alla porta dalla quale erano entrate. Il muro era spoglio, ma, al centro, c’era una lunga lancia bianca.
Morgana seguì lo sguardo dell’altra e sorrise – Eccola…Ecco…Ma che cos’è!? –
Oscar si avvicinò alla parete e guardò l’oggetto: era sicuramente una lancia, la punta terminava a foglia ed era appuntita, ma era fatta di uno strano matallo completamente bianco. Lei aveva tenuto tra le mani Excalibur, la spada di Artù, forgiata con un unico blocco di metallo, ma quell’arma non sembrava fatta con lo stesso materiale. Allungò le mani e la staccò dalla parete. La trovò leggera, persino troppo per un’arma di quelle dimensioni.
Morgana gliela strappò letteralmente dalle mani e la strinse al petto – Hai avuto le visioni della vita della Regina e della pietra…Tu avevi quella dannata roccia rossa e tu sapevi dove cercare…Sai cos’è questa…Questa cosa! Come si usa! Dimmelo! Te lo ordino! – gridò digrignando i denti e facendo un passo in avanti minacciosa.
Oscar alzò il mento – Non ho mai visto cosa realmente è…Era…L’arma. Ma hai visto anche tu che la pietra indicava il cerchio e questo punto…Se l’arma esiste…Credo…Credo che sia questa –
L’altra strinse le mani sulla lancia – E…Tutto qui!? Secondo te hanno messo quelle rocce là sopra e hanno creato quella pietra con una mappa che si attiva solo con la luna piena…Per questa cosa? – disse e agitò la lancia, la rigirò tra le mani, ma non accadde nulla.
Oscar tentennò lievemente – Io…Io credo che questa, come la spada di tuo fratello, sia stata l’arma di un eroe antico e, quando è morto, forse, credevano che la sua lancia fosse dotata di chissà quali poteri…E l’hanno messa qui…Poi, con il passare del tempo, sono sorte delle leggende e quella che era ed è solo una lancia è stata trasformata in un’arma in grado di annientare un intero esercito…Ma è solo un simbolo, un simulacro di un condottiero che non c’è più –
Le braccia di Morgana tremarono di rabbia e, improvvisamente, gettò a terra la lancia. Alzò il volto e le mani verso il soffitto e chiuse gli occhi: - Maledetti! Che siano maledetti! – ruggì e cominciò a muoversi nella stanza. Alla luce delle torce, lo svolazzare delle sue vesti fece vedere a Oscar, per un attimo, le ali di un grande uccello nero. Morgana estrasse la spada, prese l’elsa con due mani e colpì i grandi scudi romani appoggiati alle pareti mandandoli in pezzi, poi, in un impeto di furia, colpì gli altri oggetti alla cieca e, infine, si mise di accanto al corpo di Boudicca – Tu…Tu…Inutile Regina… - gridò. Alzò la spada sopra la testa e calò il fendente, ma fu la lama di Oscar a bloccarla.
Morgana girò lo sguardo e soffiò come un toro, si spostò e si mise di fronte all’altra brandendo la spada. Oscar gli puntò contro la sua arma e vide, ancora una volta, che l’ombra della Duchessa sul muro aveva la forma di un nero uccello ad ali aperte.
Ma Morgana non aveva gli occhi completamente neri come ad Avalon, posseduta dal corvo della dea della guerra. I suoi occhi erano lucidi e carichi di lacrime. Dopo qualche istante la Duchessa abbassò la spada, appoggiò la punta sul pavimento e si inginocchiò. Chinò la testa sull’elsa della sua arma e cominciò a piangere. Oscar, sorpresa, si avvicinò, mise un ginocchio a terra e una mano sulla spalla di Morgana. Quest’ultima la guardò con il bianco volto rigato dalle lacrime: - Non capisci! Io…Ci avevo creduto! Quella era l’ultima speranza… - disse indicando la bianca lancia a terra con il mento – L’ultima speranza per il mio popolo! Se non saranno i sassoni a distruggerci, lo faranno gli Uomini-Drago…Tutto quello per cui abbiamo combattuto, tutto quello che hanno fatto i nostri antenati per noi e la nostra terra…I nostri stessi dei, quello che noi siamo e che eravamo…Tutto è destinato a sparire…E tutto per una…Una inutile lancia! –
Oscar sospirò – Mi dispiace. Mi dispiace molto, ma non è vero che il tuo popolo morirà –
Morgana la guardò aggrottando la fronte e l’altra sorrise debolmente – Il tuo popolo sopravvive ogni giorno anche nel mio mondo…In questo cerchio di pietre, nella memoria della Regina guerriera, nelle rovine di Glastonbury…E persino in quelle del tuo castello in Cornovaglia. Sono il segno che avete fatto qualcosa, che avete lottato per qualcosa e che avete…Avete vissuto in questa terra. Come tuo fratello e i suoi cavalieri che sono diventati immortali con le loro gesta…E anche tu stessa! –
Morgana si passò una mano sugli occhi e tirò su con il naso – Non so se ne sei al corrente…Ma ero considerata malvagia nella mia epoca e non mi pare che la cosa sia migliorata negli anni…E’…E’ che alle volte…Sempre più spesso…Sono così stanca Lady Oscar…Alle volte mi chiedo: è giusto continuare a combattere? –
Oscar si alzò – Tu sei Lady Morgana Pendragon, la Fata Morgana, figlia e sorella di Re. Sei la Duchessa di Cornovaglia e la Regina del Galles. Di fronte a te i nemici scappano –
Morgana la guardò e sospirò – Non mi hai risposto: tu cosa faresti? –
Oscar strinse le labbra e poi sorrise – Noi siamo guerriere! Noi combattiamo! Anche se sapessimo di perdere…Di morire…Noi combatteremo, perché noi siamo questo! Noi facciamo questo! E lo sai benissimo anche tu che, una volta passato questo attimo di dolore, ti alzerai e tornerai nel tuo mondo, impugnerai la tua spada e…Combatterai –
L’altra sorrise debolmente, sospirò di nuovo e si alzò appoggiandosi alla spada. Alzò la lama e la guardò – Oh! Lo farò! – disse e andò lentamente verso la lancia. Rinfoderò la spada e prese l’altra arma dal pavimento. La guardò e poi fissò Oscar – La porterò ad Avalon. Vedremo quello che dirà mia sorella Viviana e, soprattutto, quel pazzo di Merlino – disse piano – Anche se non so a cosa potrà mai servire –
Oscar sorrise, si mise accanto al corpo di Boudicca e passò lo sguardo su quel corpo immobile, che pure lei aveva visto muoversi, amare, piangere, combattere e soffrire: “Mia Regina. Hai combattuto e sofferto. E ora…Che tu possa riposare in pace” pensò. Batté i tacchi e si portò la mano alla fronte nel saluto militare – Alla Regina degli Iceni…A Boudicca…Onore! – disse a voce alta.
Morgana si batté il pugno destro sul petto – Per la Britannia! –
 
Lasciarono la sala in silenzio. Oscar si girò per un attimo e poi Morgana, con un semplice gesto della mano, spense le torce facendo tornare l’ambiente nell’oscurità. Le due donne si guardarono e poi salirono lentamente i gradini. Fu Morgana la prima ad uscire e Oscar si fermò poco più in basso, toccò la pietra rossa nella tasca interna della giacca. Aggrottò la fronte; con l’emozione di aver scoperto la tomba della Regina se ne era completamente dimenticata. Inspirò a fondo, l’avrebbe data a Morgana e così, assieme alla lancia, sarebbe tornata ad Avalon.
Salì gli ultimi gradini, fino a sbucare di nuovo in superficie e si coprì il volto con l’avambraccio, accanto a lei Morgana impugnava la lancia in posizione di difesa e, una volta che i suoi occhi si furono abituati al bagliore, vide che erano circondate da figure nere con delle lanterne in mano.
Morgana digrignò i denti – Chi siete, cani rognosi…Non sapete con… - disse, ma non finì la frase perché un colpo di arma da fuoco sibilò nell’aria e la Duchessa cadde all’indietro con un tonfo lasciando cadere a terra la lancia.
Oscar allargò gli occhi e si piegò subito sul coro di Morgana. Allungò le mani, ma senza toccare il suo corpo immobile – No…No…No…Morgana…Fata Morgana…Io… - disse e si girò verso le figure nere con la faccia stravolta – Voi…Maledetti! Cosa avete fatto! L’avete uccisa! –
Una delle figure si avvicinò, aveva il volto scoperto e Oscar vide che si trattavo di un uomo dal volto affilato e austero, con una parrucca bianca in testa e le ricordò, per un attimo, suo padre.
L’uomo sorrise – Per quel mostro non mi preoccuperei, mademoiselle. Per Dio! E’ davvero come le streghe delle antiche leggende…Ma perdonatemi per la scortesia, mi chiamo Jonathan Parceval Aloysius Walles, Conte di Baxter e voi potete chiamarmi pure Lord Baxter –
Oscar serrò i pugni e scattò in avanti per assalire Lord Baxter, ma improvvisamente, di fianco all’uomo, comparvero altre figure che impugnavano delle pistole.
Lei si fermò in attesa e Baxter strinse le labbra – Ci servite viva, per ora, mademoiselle, ma se fossi in voi non tenterei altri colpi di testa – disse e si avvicinò al corpo di Morgana, si piegò e raccolse la lancia da terra; la rigirò tra le mani e la guardò sorridendo – Oh! Finalmente! Dopo secoli e secoli siamo riusciti a trovarla. Ed era proprio qui! –
Oscar fece una smorfia – Idioti! Se cercavate un’arma temo che quella cosa…Qualunque cosa sia…Non vi serva a granché! Avete ucciso la mia amica per nulla! –
Baxter la guardò perplesso, poi sorrise – Oh! Certo! Voi non potevate saperlo. Solo alcuni conoscevano il potere della pietra, ma ancora meno persone erano a conoscenza dell’arma –
Oscar aggrottò la fronte – Ma di che arma parlate! Quella lancia, anche se fatta di un materiale che non conosco, non mi sembra possieda nessuna caratteristica particolare. Nessuna che la faccia essere un’arma in grado di annientare un esercito in un colpo solo –
Lord Baxter rise sommessamente – Oh! Voi francesi; come siete sempre così…Semplici di pensiero. Non ho mai detto che questa lancia sia l’arma che cerchiamo, mademoiselle, no…Per secoli abbiamo cercato la pietra che è la mappa, ma questa lancia…Questa è la chiave per attivare l’arma –
Lei impallidì – Ma come… -
Baxter sorrise di nuovo – I segreti si proteggono con altri segreti, mademoiselle. Alcuni sapevano che la pietra era la mappa per arrivare all’arma, ma meno persone ancora sapevano che l’arma era già in bella vista, sotto gli occhi di chiunque e che quel sasso serviva per trovare la chiave destinata ad attivarla. Di certo, se avessi saputo che era proprio qui accanto, avrei fatto dissodare questi terreni fino a trovarla. Quando abbiamo saputo che era in mano vostra e che stavate venendo in Inghilterra, vi abbiamo semplicemente seguita per scoprire dove fosse il luogo che cercavamo. Siete andata in posti legati all’antica storia della mia Patria: le rovine del castello di Tintagel, in mezzo a quei villici cornici ignoranti; anche se avrei scommesso su Glastonbury, un posto dal passato glorioso e misterioso, da dove, secondo la tradizione, si raggiungeva Avalon, l’Isola Sacra, o come quella grande collina di proprietà di un banchiere affiliato al nostro gruppo…E alcuni dei miei uomini hanno creduto di si trovasse proprio in cima al Tor… - disse e guardò verso gli altri. Uno di loro, Nesby, fece una smorfia e abbassò la testa.
Baxter guardò di nuovo Oscar – Ma qui…Proprio qui nel posto dove si trova l’arma più potente che si possa concepire…Non l’avrei mai creduto –
Oscar aggrottò la fronte – L’arma…E dove sarebbe questa fantomatica arma? Io vedo solo delle rocce –
L’uomo alzò un braccio e puntò un dito verso un punto indefinito – Quella…E’ l’arma –
Oscar deglutì e spostò lo sguardo dove Lord Baxter stava indicando: verso i megaliti. Improvvisamente lei capì; l’arma era stata sotto gli occhi di tutti per secoli e secoli senza che nessuno, britanno, romano, sassone o inglese potesse mai sospettare nulla. Si sentì la gola improvvisamente secca: - Il…Il cerchio di pietre…Il cerchio di pietre è l’arma – disse piano.

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Capitolo 14
*** L'ARMA DEGLI ANTICHI ***


Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Lord Baxter sorrise abbassando il braccio – Da quello che sappiamo l’arma è in grado di distruggere un esercito in un colpo solo…Bene! Adesso lo vedremo! –
Oscar tentennò – Come…Come è possibile che quelle pietre…Siano un’arma? –
L’uomo inspirò profondamente – Come vi ho detto, mademoiselle, lo vedremo! In effetti sono molto ansioso di usarla per togliermi dai piedi Giorgio III e la sua dinastia germanica. Poi ovviamente annienteremo Re Luigi e la sua piccola austriaca…E così via…E così via…Fino alla lontana Russia e fino a riprenderci le terre che quei traditori di Washington e Franklin ci hanno tolto con la loro ridicola rivoluzione! E quando dico che noi lo vedremo, vuol dire che voi, mademoiselle, non lo vedrete! Avete esaurito il vostro compito! Voi e questa…Questa cosa a terra, ovviamente…Cosa c’è là sotto, oltre alla chiave? –
Oscar deglutì – E’ la tomba di Boudicca! Immagino che voi, Mylord, sappiate a chi mi riferisco –
Baxter strinse le labbra – La Regina guerriera…Un’altra donna che credeva di poter vivere come un uomo…Bah! Comunque: non sia mai che non vi rendiamo l’ultimo omaggio…Seppellendovi con la Regina…Da viva ovviamente! Così impiegherete i vostri ultimi momenti pensando che si…In fondo sarebbe stato meglio restare in Francia a ballare il minuetto con Maria Antonietta! Harrison! –
Una figura si staccò dal gruppo di uomini e Oscar vide che indossava un lungo mantello nero sotto il quale si intravedevano dei pantaloni bianchi, stivali neri ed una giacca rossa. Lei fece una smorfia – Colonnello Harrison! Dovevo immaginarlo che voi eravate in combutta con questi traditori! –
Harrison sorrise – Si…Forse dovevate immaginarlo…Ma non credo che avrebbe fatto alcuna differenza. Alzate le mani per cortesia –
Oscar obbedì sotto la minaccia degli altri due uomini armati e il colonnello si avvicinò; le mise, senza troppi complimenti, le mani all’interno della giacca e lei fece un’altra smorfia. La bocca di lui si allargò in un altro sorriso: - Una fascia per coprire il seno. Ma siete indubbiamente una donna. Una bella donna – disse e abbassò lentamente il braccio per arrivare al ventre di lei.
Oscar serrò le labbra e chiuse gli occhi; strinse i pugni cercando, come meglio poteva, di sopportare l’umiliazione e preparandosi a colpirlo duramente e violentemente quando la sua mano sarebbe arrivata troppo in basso. Ma fu Lord Baxter a venirle in aiuto: - Basta, Harrison! Ha qualche arma oltre alla sua spada? –
Il colonnello alzò il meno ed estrasse dalla giacca di Oscar una pistola tenendola per la canna – Solo questa, Mylord
Baxter sospirò – Vi farò l’onore di tenere la vostra spada, mademoiselle. Siete pur sempre un nobile di Francia –
Harrison sorrise di nuovo – Avanti! Prendete quella…Cosa a terra e infilatevi là sotto – disse puntandogli contro la sua stessa pistola. Oscar, lentamente, si avvicinò a Morgana e mise un ginocchio a terra. Era mai possibile che Lady Morgana, sorella del grande Re Artù di Britannia, la terribile Fata di centinaia di racconti e di leggende, fosse morta colpita a tradimento da un branco di criminali? E come avrebbe fatto lei a salvarsi? Improvvisamente ebbe un’intuizione: - C’è oro in quella tomba. Molto oro –
Harrison e gli altri inarcarono le sopracciglia e Baxter si avvicinò stringendo al petto la lancia – Con il potere che avremo nuoteremo letteralmente nell’oro. E comunque basterà solo aspettare un mesetto per tornare qui a prendere quello che c’è là. Muovetevi! –
Oscar sospirò e prese il corpo di Morgana sotto le ascelle. Lo aveva già spostato quando era privo di sensi a Glastonbury e lo aveva visto nudo, magro e muscoloso durante il loro viaggio, ma in quell’occasione notò che era più pesante. Sotto la minaccia delle armi lo trascinò lentamente lungo le scale e si fermò guardando verso l’alto la figura di Harrison che si stagliava in cima. Il colonnello appoggiò una lampada accesa a pochi gradini dall’uscita e poi tornò fuori. Si girò un’ultima volta e fece un inchino – Adieu, mademoiselle
Baxter strinse ancora di più la lancia e guardò il colonnello – Togliete la pietra rossa e chiudete la tomba –
 
Oscar vide un’ultima volta il cielo stellato e, dopo qualche istante, sentì un rumore secco e la grande roccia che copriva l’ultimo riposo di Boudicca, la pietra che lei stessa aveva aperto, cominciò lentamente a richiudersi. Dopo poco l’ultimo sprazzo di cielo scomparve e rimase sola nel silenzio e nel buio illuminato solo dalla lanterna.
Prese la fonte di luce e l’avvicinò al volto pallido di Morgana. Sospirò: - Mi dispiace…Mi dispiace tanto Lady Morgana – disse piano e cominciò a pensare freneticamente a come uscire. Gavino era entrato e si era lasciato morire lì dentro, ma sicuramente era stato aiutato dalle sacerdotesse di Avalon, considerato che, del resto, erano loro in possesso della pietra. La luce della lanterna non poteva durare ancora a lungo e quindi doveva sbrigarsi: avrebbe esplorato le due sale alla ricerca di una via d’uscita e persino il soffitto; avrebbe potuto usare materiali della tomba per fare leva sulla lastra di pietra che portava alla superficie, ma prima c’era una cosa che doveva fare. Avrebbe composto il corpo della Duchessa di Cornovaglia accanto a quella di Boudicca, come la guerriera che era stata in vita.
Stranamente si mise a pensare anche ad André. Cosa avrebbe fatto lui non vedendola tornare in Francia? Sarebbe venuto a cercarla? E avrebbe mai trovato il suo corpo? Oh! C’erano tante cose che avrebbe dovuto fare con lui, con il suo cavaliere. Eppure…Tra di loro c’era e ci sarebbe sempre stato il suono sinistro ed assordante di quella camicia strappata…Si mise pollice ed indice della mano destra sugli occhi e tentennò: “Non ora, Oscar! Non ora! Tu devi vivere! Devi vivere! Per la Francia, per la Regina…Per André…Si…Anche per André!” pensò concitatamente.
Appoggiò una mano sul petto di Morgana ed aggrottò la fronte. Si guardò il palmo: non c’erano tracce di sangue, eppure era proprio in pieno petto che l’avevano colpita. Si avvicinò e controllò la veste, l’aprì e vide una camicia bianca con un foro di proiettile, ma nemmeno quella era sporca. Strinse le labbra e strappò il tessuto. Rimase senza parole quando vide una cotta di maglia metallica medioevale, anch’essa forata. Passò la mano sotto la veste d’acciaio e ne trovò un’altra e, questa volta, sentì anche il proiettile che era incastrato nelle maglie. Sorrise e avvicinò il volto a quello dell’altra – Io…Morgana…Morg… - disse, ma non finì la frase perché il corpo della Duchessa fu scosso da uno spasmo.
Morgana annaspò e si mise seduta tenendo una mano al petto. Cominciò a tossire piegandosi in avanti e poi, dopo attimi interminabili, guardò Oscar con gli occhi arrossati e lucidi: - Per…Gli dei dell’Annwn! Cosa…Cosa mi ha colpito!? –
Oscar sorrise e gli gettò le braccia al collo abbracciandola – Dio, ti ringrazio! E’…E’ così bello rivedere ancora la tua faccia da fantasma, dannata strega nera! La…Mia strega! – disse con la voce spezzata.
Morgana inarcò le sopracciglia, tossì leggermente e rispose lentamente al suo abbraccio. Si rilassò e gli accarezzò la schiena. Dopo qualche istante si raddrizzarono e si guardarono negli occhi sorridendo. Oscar, però, strinse le labbra – Cosa ci facevi con due maglie metalliche? –
Morgana socchiuse gli occhi – Quando vado in battaglia ne porto una sotto le vesti. Sono utili per difendersi dai colpi di lama ravvicinati e ne ho un’altra di scorta nella sella. Quando siamo arrivate qui e mi hai mostrato la tua piccola catapulta sputafuoco…Beh! Mi sono accorta che in questo mondo sono molto vulnerabile. Quando ti sei addormentata aspettando la notte, ho indossato anche l’altra in modo da essere più protetta…A ragione devo dire! – disse e si toccò il petto con una smorfia.
Oscar le sollevò lentamente anche la seconda cotta di metallo e vide, sulla pelle candida, un grande segno violaceo grande quasi quanto un pugno. Avvicinò il volto: - Incredibile! La distanza del colpo, la forza del proiettile e le due protezioni metalliche…Ti hanno salvato la vita Lady Morgana. Sei una donna fortunata. E il dolore passerà –
L’altra sorrise debolmente e appoggiò la schiena al muro di pietra – Di certo – disse e inspirò profondamente – Ma cosa è successo!? E dove accidenti siamo? –
Oscar sollevò la lanterna e illuminò il soffitto – Un gruppo di traditori della corona ci ha seppellito dentro la tomba di Boudicca e, a quanto ne so, stanno per attivare la fantomatica arma –
L’altra aggrottò la fronte – L’arma? Ma…La Lancia… -
Oscar strinse le labbra – La lancia è la chiave per attivare l’arma. Un’arma che è stata per secoli sotto gli occhi di tutta la Britannia e dell’Inghilterra, a quanto pare. Il cerchio di pietre è l’arma! –
Morgana aprì la bocca sorpresa – Come è possibile che quell’ammasso di rocce sia un’arma!? E quella lancia…Deve appartenere a Lug in persona –
Oscar sbatté le palpebre perplessa – A chi!? –
Morgana sospirò – Il dio della luce, Lug. So che i romani lo consideravano come il loro Apollo. Egli combatte con la sua rma invincibile che è, per l’appunto, una lancia. E’ uno dei quattro simboli sacri della nostra religione: il primo, la spada, è conservata ad Avalon ed è stata data a mio fratello quando è diventato Re; la lancia era nascosta qui, come abbiamo capito, la pietra del destino è andata perduta, ma immagino che si tratti della pietra rossa che era la mappa e…E non ho mai visto l’ultimo oggetto: il calderone del padre degli dei, Dagda – disse e guardò verso il soffitto – E ora… -
Oscar strinse le labbra – Lasciamo perdere le leggende, per adesso. Ora pensiamo a uscire di qui! Dobbiamo ispezionare la tomba di Boudicca finché la lanterna ha luce, anche se non credo che ci siano vie di uscita. Ci hanno lasciato le spade e possiamo provare a scalfire la roccia, ma credo sia meglio attrezzarci ad usare come leva qualche grande attrezzo che hanno lasciato lassotto…Oppure…L’insegna della Nona Legione è in metallo e andrà più che bene –
Morgana sospirò di nuovo e sorrise debolmente – Come tutti i grandi guerrieri, Lady Oscar, generalmente non riesci mai a vedere oltre il tuo naso! Ti posso garantire che usciremo di qui in modo molto semplice –
L’altra la guardò aggrottando la fronte – Siamo praticamente sepolte vive! Il meccanismo per l’apertura è all’esterno e c’è una lastra di pietra da muovere sopra le nostre teste…E siamo senza gli strumenti adeguati…Ci vorrebbe… - disse, ma non finì la frase perché aveva capito il senso delle parole di Morgana.
La Duchessa si raddrizzò, appoggiò un ginocchio su uno scalino e alzò gli avambracci – Sento il mio potere fluire ancora da questo sacro luogo. Come sento che qualcosa sta cambiando: le correnti di energia sono più forti, più vive, come se esse stesse sentissero che qualcosa sta cambiando –
Oscar si mise al suo fianco – L’arma…Stanno attivando l’arma, qualunque sia il suo potere –
Morgana sorrise a labbra strette – E adesso quei miserabili sapranno cosa significa sfidare la Fata Morgana! –
Dopo qualche istante di assoluto silenzio Oscar sentì la pietra muoversi lentamente sopra le loro teste. Vide le mani di Morgana vibrare e la lastra che le aveva sepolte muoversi lentamente e inesorabilmente. Rivide il cielo stellato e sorrise: - Siamo libere! – disse solo “Oh! André! Se ci fossi qui anche tu con me. Se avessi al mio fianco il mio cavaliere…” pensò.
Morgana soffiò dalle narici come una belva – E ora andiamo! E che gli dei sprofondino nell’Annwn quegli infami – disse alzandosi e avanzando verso l’uscita. Poco prima dell’esterno Oscar la prese per un braccio e l’abbassò – Ferma! Prima vediamo che cosa sta succedendo là fuori –
La Duchessa la guardò nervosa – Posso bloccarli tutti, qui ed ora, se lo voglio –
Oscar annuì – E lo farai! Ma non adesso. Vorrei solo sapere come accidenti fa quell’ammasso di rocce ad essere un’arma distruttiva –
Morgana strinse le labbra – Lo capirai dopo che avrò finito con loro! E adesso lasciami! –
L’altra la guardò negli occhi – E cosa intendi fare? Ucciderli tutti soffocandoli con la tua magia? –
Morgana digrignò i denti – Ti ho detto che li bloccherò! Vorrei ricordarti che volevano ucciderti seppellendoti viva! E che mi credevano morta perché mi hanno colpito con le vostre armi infami da codardi! –
Oscar tentennò – Dobbiamo agire con cautela…Non avere troppa fiducia nella tua magia! Sono in tanti –
La Duchessa – Qui la mia magia è potente! E cosa dovremmo fare, secondo te? –
Improvvisamente, furono distratte da uno strano bagliore. Si affacciarono dalla scalinata e furono investite da una luce accecante. Oscar cercò di proteggersi il volto con l’avambraccio e si alzò lentamente per osservare quello che stava accadendo. Aprì le palpebre poco a poco e vide che, dove doveva trovarsi il cerchio di pietre, c’era un globo di luce.
 
Poco prima, quando Oscar e Morgana stavano discutendo sulle scale con conducevano alla tomba di Boudicca; gli uomini di Lord Baxter si erano radunati all’interno del cerchio formato dai megaliti. Al centro dell’antica struttura alcuni di loro avevano scavato una piccola buca, mettendo alla luce un’altra roccia, posta orizzontalmente sul terreno e con al centro una fenditura orizzontale.
Baxter si mise proprio sopra la pietra appena fatta venire alla luce, si appoggiò alla lancia sorridendo, guardò la fessura sulla pietra e poi alzò il viso per osservare i suoi uomini: – Popolo di Britannia! Il momento è giunto! Quello che i nostri antenati hanno cercato per secoli e secoli è finalmente pronto! L’arma che ci darà la vittoria sui nemici della nostra Patria! E il dominio incontrastato sul mondo! –
In prima fila, tra i tanti assiepati di fronte a lui, Nesby piegò la testa verso Harrison: - Abbiamo trovato l’arma e la chiave per attivarla, ma colonnello…Da militare…Secondo te come accidenti dobbiamo usare queste vecchie pietre? – sussurrò.
Harrison strinse le labbra – Non ne ho la minima idea! E nemmeno Lord Baxter. Ma gli Antichi non hanno costruito quella pietra e quella lancia per nulla…Come non hanno costruito questo complesso senza pensare che avrebbe distrutto i nemici dell’Inghilterra! E’ una questione di fede, mio caro mercenario! Una cosa che a te, evidentemente, manca, ma non preoccuparti, quando toglieremo di mezzo Giorgio III avrai la tua parte di…Gloria e bottino –
Nesby socchiuse gli occhi e strinse le labbra in una smorfia. Aveva sempre trovato noiosi i militari. li giudicava persone dalla mente troppo ristretta e limitata. E troppo idealisti; come Oscar de Jarjayes. Si toccò la tasca della giacca: aveva tolto lui la pietra rossa dal meccanismo, imprigionando la francese nel sotterraneo e, nell’eccitazione generale, nessuno aveva voluto sapere che fine aveva fatto. Sorrise tra sé al pensiero che sicuramente, una volta visto le potenzialità e l’uso dell’arma, gli altri non se ne sarebbero più preoccupati. E, tra molti giorni, sarebbe tornato lì a prendere tutto quello che c’era di prezioso in quella tomba; forse anche la testa della de Jarjayes come ricordo. E poco importava se Baxter e Harrison sarebbero diventati i padroni del mondo; lui, in fondo, era di poche pretese.
Lord Baxter prese la lancia con una mano e la sollevò – Ora, amici miei, vedremo finalmente tutta la potenza che i nostri antenati ci hanno lasciato! Scaraventeremo giù dal trono gli Hannover, discendenti di quei sassoni che hanno profanato l’antica Britannia e le nostre armate avanzeranno come le nostre incrollabili fedi: inarrestabili! –
Gli uomini applaudirono, Harrison più convintamente di tutti. Nesby batté le mani freddamente: nessuno mai aveva visto il potere della fantomatica arma e, a lui, tutto quello che Lord Baxter diceva suonava stranamente fuori luogo. “Avanti vecchio mio! Facci vedere come funziona!” pensò stancamente.
Baxter girò la lancia con la punta verso il basso e la mise sopra la fessura sulla roccia: - E ora guardate! Guardate la potenza degli Antichi! Guardate la potenza della Britannia! – disse e abbassò l’arma.
Tutti i presenti rimasero in silenzio e, dopo lunghi attimi, si sentì un lento ridacchiare. Nesby si passò una mano sulla bocca cercando di nascondere il sorriso – Evidentemente, dopo tanti anni, anche questa strana arma ha esaurito la sua forza! Oh! E’ stata comunque una bella avventura! –
Lord Baxter strinse i pugni e lo guardò digrignando i denti – Tu! Lurido e inutile bifolco! Come osi deridere l’Antico Popolo della Britannia e la sua gloria? –
Nesby fece due passi avanti e allargò le braccia – Non accade nulla! Queste rocce sono rimaste qui per secoli, per nulla! Beh! Mylord… L’Antico Popolo della Britannia poteva usare molto prima questa terribile arma! –
Un mormorio si sollevò dal gruppo e Baxter, deglutendo, fece un passo in avanti, quando, improvvisamente, vide dei piccoli lampi di luce bianca provenire dalla fessura nella quale aveva infilato la punta della lancia. Poco dopo altre saette cominciarono a brillare tra le rocce tutte intorno a loro. Gli uomini si girarono impressionati e nervosi. Baxter guardò Nesby che si moveva guardingo e sorrise – Ecco! Hai visto piccolo e debole uomo? L’arma più potente mai costruita dall’uomo funziona! Ed è nelle nostre mani! E’ nelle mie mani! –
Dopo aver pronunciato quelle parole, una saetta di luce lo colpì facendolo cadere a terra di schiena. Subito dopo altri lampi bianchi cominciarono a colpire alcuni uomini e ben presto si generò il panico. Harrison fu preso in pieno da una saetta e Nesby lo vide scosso dalle convulsioni e diventare rosso, come incandescente, come se bruciasse dall’interno.
Si guardò di nuovo attorno, vide che anche altri stavano letteralmente bruciando e scappò da quel cerchio di pietre che era diventato una trappola mortale. Aa pochi passi dal perimetro delle rocce, anche lui fu colpito da un lampo. Sentì il suo corpo scosso dalle convulsioni e un grande calore irradiarsi dal suo petto. Si girò con la schiena a terra e aprì la bocca per gridare, ma ne uscì solo del lento fumo bianco. Il suo ultimo pensiero andò alla pietra rossa che aveva in tasca, all’oro sepolto nella tomba che lo avrebbe fatto ricco e poi vide solo una grande luce bianca mentre era ormai consapevole che i suoi abiti e la sua carne erano lentamente, ma inesorabilmente, divorati da un fuoco che si era sprigionato dall’interno del suo stesso corpo.

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Capitolo 15
*** IL RITORNO DEL CAVALIERE ***


Britannia – molto molto tempo prima
Oscar aprì gli occhi lentamente e vide che era giorno fatto. Non era sui gradini della tomba di Boudicca, ma in un prato verde, sopra una collina. Sentì una presenza dietro di sé e vide Morgana che la stava raggiungendo arrancando – Cosa è successo!? Dove siamo ora? Non vedo il cerchio di pietre – disse guardandosi intorno.
Oscar socchiuse gli occhi, il suo sguardo si posò solo su macchie di verde e boschi. Improvvisamente sentì un rombo assordante sopra la testa; alzò la testa e una scia di fuoco le passò sopra con un sibilo. Ci fu uno schianto in una pianura e, subito dopo, lei e Morgana si trovarono catapultate proprio sul luogo dell’impatto, come portate lì da una forza invisibile.
Morgana si avvicinò a Oscar e indicò il cratere, ma subito dopo la loro attenzione si posò su un altro gruppo di persone: avevano tutti il cranio rasato e la pelle di un impressionante colore grigio. Le loro teste sembravano delle pere rovesciate con degli spaventosi e grandi occhi completamente neri, senza alcun naso e con una bocca che era una fessura orizzontale. Indossavano quelle che sembravano delle corazze lucide e le loro mani avevano solo tre dita. Uno di loro impugnava la bianca lancia che avevano visto nella tomba di Boudicca e, sul pettorale, campeggiavano dei segni che sembravano tre lettere: L…U… G.
Oscar deglutì – Lug…Il dio della luce –
Morgana tentennò – No! Quello non è un dio! –
Uno degli strani esseri si inginocchiò e sollevò le braccia al cielo emettendo dei versi striduli e acuti. Un altro gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, come per consolarlo, ma Lug, quello che sembrava essere il capo, sollevò la sua lancia e urlò degli strani versi. Indicò un punto oltre i prati e si incamminarono, proprio verso Oscar e Morgana. Le due donne misero mano alle else delle spade, pronte per combattere, ma gli esseri le superarono apparentemente senza vederle e, improvvisamente, si ritrovarono in un altro luogo.
Era un villaggio. Non un villaggio come quello in cui aveva visto Boudicca, ma uno composto da capanne di legno e paglia rozzamente montate e sembrava molto più vecchio e primitivo, osservò Oscar. I suoi abitanti erano vestiti solamente con pelli malamente conciate e furono presi di sorpresa dall’arrivo degli esseri grigi. Gli invasori usarono strane armi simili a pistole che emettevano raggi bianchi che colpivano e bruciavano letteralmente i bersagli. Ci volle poco per avere ragione degli indigeni che si prostrarono ai piedi dei nuovi venuti e Lug, con la sua lancia in mano, arringò i suoi compagni.
Poco dopo Oscar si sentì di nuovo trascinare via e lei e Morgana videro gli uomini e le donne del villaggio costretti a lavorare come schiavi per gli esseri grigi. Spostavano ed intagliavano grandi pietre per poi trasportarle, su cilindri di legno, verso la pianura dove erano arrivati gli strani esseri. In un’altra scena videro Lug con un altro essere grigio, forse il suo secondo, dentro una delle capanne mentre stavano costruendo un modellino con dei piccoli sassi: era una rappresentazione del cerchio di pietre come avrebbe dovuto sorgere, completo di tutti i megaliti, sia orizzontali che verticali.
Nella visione successiva Oscar e Morgana videro quello che rimaneva del mezzo con il quale erano arrivati gli esseri grigi; una cosa mai vista che poteva persino volare, si disse Oscar e di cui rimanevano solo pochi resti. Poi videro gli invasori costringere gli abitanti a togliere i resti metallici, a coprire il buco livellando il terreno e, lì sopra, erigere quello che sarebbe diventato il primo cerchio di pietre della Britannia. Videro anche gli esseri grigi lavorare con le loro strane armi sulle grandi pietre, fondendo con tecniche impossibili per qualunque essere umano i resti del mezzo nella dura roccia.
Oscar, passando alla successiva vista, deglutì e provò un senso di rabbia: molti abitanti del villaggio si ammalarono e morirono per il duro lavoro, sotto la minaccia delle armi degli esseri grigi. Lei e Morgana videro scavare quella che sarebbe diventata la tomba di Boudicca e Lug riporre lì la sua lancia. Videro il capo degli invasori prendere un sasso rosso che, come la lancia, faceva parte del suo equipaggiamento e, con la sua strana pistola, inserirvi dentro le linee bianche che avrebbero identificato il luogo dove si trovava la cripta.
Ma tutto era destinato a terminare. Oscar e Morgana, videro come il malcontento degli indigeni si tramutò in rabbia. E la rabbia in voglia di ribellione e vendetta. Li videro attaccare gli esseri grigi con le loro rozze armi di pietra e legno. Molti caddero, ma alla fine il numero maggiore ebbe ragione degli invasori. Persino Lug, il loro capo, cadde, colpito al petto da una freccia. Osservarono i guerrieri litigare sulle spoglie degli invasori, aggirarsi nel cerchio di pietra solo in parte costruito, controllare una pietra orizzontale proprio al centro, con una fessura. Videro uno di loro prendere la lancia di Lug, alzarla per infilarla con la punta proprio in quella fessura per poi essere fermato da un altro stranamente vestito con un lungo abito e una corona, forse il re o il sacerdote di quel popolo.
Oscar e Morgana videro poi gli antichi guerrieri nascondere la lancia bianca nella cripta costruita dagli invasori; li videro bruciare i corpi di quegli esseri e distruggere le loro terribili armi demolendole con sassi e pietre e, alla fine, videro che la pietra rossa fu data ad una donna. Si trattava di una strana donna con i capelli neri e la pelle bianca come il gesso e Oscar capì che, finalmente, la chiave per l’attivazione di qualunque cosa quegli esseri stavano creando era stata portata ad Avalon.
Oscar si sentì trascinare via, come risucchiare da quel mondo e si chiese per un attimo dove fosse Morgana; poi, improvvisamente, si ritrovò di nuovo a terra.
 
Britannia – Primo secolo d. C.
Era caduta di schiena, ma provava un forte dolore al petto, come se qualcuno l’avesse colpita. Aprì gli occhi e vide sopra di sé l’azzurro cielo terso. Sollevò il capo e vide che si trovava di nuovo in un antico villaggio. Non primitivo come quello che aveva visto assalito dagli esseri grigi che avevano progettato il cerchio di pietre, ma lo riconobbe subito come quello in cui aveva vissuto Boudicca. Si mise seduta a fatica e notò che non aveva addosso i suoi abiti, ma indossava delle vesti in pelle. Il suo cuore cominciò a martellare nel petto e vide, di fronte a lei, una imponente figura a cavallo che indossava un mantello rosso e un elmo crestato.
Oscar deglutì; capì di essere proprio tornata al momento in cui erano arrivati gli esattori romani e quel maledetto centurione. “No, Oscar! Quello che stai vedendo non è reale! E’ solo nella tua mente! Solo nella tua mente!” si disse per cercare di calmarsi, ma invano: il suo cuore era sul punto di scoppiare. Strisciò all’indietro per qualche centimetro e l’uomo a cavallo rovesciò la testa all’indietro in una lugubre risata, passò la gamba sul collo del cavallo e smontò dalla sella. Con un rapido gesto si levò il grande elmo e lo gettò a terra.
Oscar rimase senza fiato: quello che stava guardando era il volto del suo amico, del suo cavaliere. Era il viso di André ed il suo corpo che indossava la corazza e il mantello del centurione: lo poteva riconoscere chiaramente dalla ciocca di capelli che gli copriva la parte sinistra del volto. Ma la luce sinistra che brillava nel suo occhio destro…Il sorriso crudele sulle sue labbra…Non era il vero André…Non era il suo cavaliere…Era…Qualcos’altro.
André la sollevò da terra prendendola per i capelli e, con un rapido gesto, le strappò la parte superiore dei vestiti lasciandola a petto nudo. Oscar, con il volto rigato dalle lacrime, mosse le braccia cercando di nascondere la sua nudità, ma lui la prese per il collo con una morsa. Lei annaspò cercando l’aria, ma quella mano e quelle dita erano come d’acciaio. “Oh! Che venga la fine allora! Che venga l’oblio! Ho vissuto una vita di menzogna fino ad ora…Come ho mai potuto credere di essere forte come un uomo? Dio…Io…Ah...” pensò e si sforzò di guardare il viso feroce del centurione. Lui sorrise di nuovo crudelmente – Ora lo hai capito, barbara! Non sarai mai come un uomo! Tu non sei un uomo! Ed è ora di insegnati qual è il tuo posto! –
Un sasso colpì la corazza del centurione che aggrottò la fronte e si girò. Oscar volse gli occhi e vide la nera figura di Morgana con la spada sguainata e in posizione di attacco: - Vieni qui adesso, viscida carogna! Non ho dimenticato quello che mi hai fatto l’altra volta! Hai davvero ragione: è ora di insegnarti qual è il tuo posto – gridò la Duchessa.
André sbuffò, con un rapido gesto gettò Oscar all’indietro facendola cadere di nuovo a terra e poi fronteggiò Morgana. Estrasse il gladio e allargò le braccia – E chi abbiamo qui? La strega nera! Colei che nessuno vuole, nemmeno da stuprare! La potente Fata Morgana! Un mostro! Un essere che non avrebbe mai dovuto nascere e che nemmeno i suoi genitori volevano! – disse sbeffeggiandola con un inchino.
Morgana barcollò per un attimo, quelle parole cattive l’avevano colpita profondamente. Nel corso della sua esistenza le avevano detto molte cose brutte e a tutte era sopravvissuta, costruendosi una corazza mentale e fisica. Ma quelle frasi…In quel momento…Si sentì come quando, da piccola, gli altri bambini la rincorrevano gridandogli: “Strega! Strega!”. Sentì le lacrime agli occhi. Scosse la testa, strinse le mascelle e partì all’attacco.
Il centurione parò l’assalto con facilità facendola inciampare e, con un calcio, la mandò a terra. Morgana rimase per un attimo stesa, incapace di capire cosa stava accadendo. Era sempre stata un’eccellente guerriera, ma si sentiva stanca, debole ed impaurita. Si sollevò a fatica e lanciò un altro fendente, subito parato facendola barcollare e cadde in ginocchio.
André sorrise ed agitò il gladio – Proprio non capisci? Allora vedrò di fartelo comprendere meglio – disse e allargò di nuovo le braccia gonfiando il petto – Avanti, strega! Colpiscimi! –
Morgana si rialzò lentamente, prese di nuovo la sua spada a due mani e lanciò un fendente sul suo petto. La lama si bloccò sulla corazza senza nemmeno scalfirla. André sorrise e poi rise – Ah! Ah! Ah! Ah! Qui non siamo nel mondo reale…Siamo nella sua mente… - disse indicando Oscar con la punta del gladio – La mente di una persona debole! Crede di essere forte, ma ha paura! Ha paura di me! Ha paura del suo André! Ha paura che non sarà in grado di essere davvero come un uomo! Ha paura di quello che sarebbe potuto succedere quella notte…Che forse…Le sarebbe piaciuto! Ha paura di essere una donna come tutte le altre! Ha paura del suo amico, del suo amore…Del suo cavaliere! – gridò colpì la Duchessa con un manrovescio facendola volare all’indietro.
Morgana barcollò lentamente, ma André si avvicinò e le assestò un pugno sullo stomaco facendola piegare in due dal dolore. Cadde con la faccia a terra gemendo. In mezzo alle lacrime alzò lo sguardo e vide l’imponente figura che troneggiava su di lei. Le sembrò per un attimo di rivedere il Duca suo padre: “Sei solo un peso per noi! Non avresti mai dovuto nascere!” sentì riecheggiare nella sua mente. Poi vide Re Uther Pendragon: “Sei solo una piccola strega! Nessuno ti vorrà mai bene!” diceva ridendo. Vide persino sua madre Igraine: “Occupati tu del piccolo!”. Morgana appoggiò le mani a terra e si rialzò lentamente restando in ginocchio. Ansimò e guardò Oscar. Chi era il piccolo a cui si riferiva sua madre? Rivide dentro di sé un bambino paffuto che le veniva incontro sorridendo, per poi diventare un bel bambino dai capelli chiari: “Ti proteggerò sempre! Ti voglio bene sorellina!” diceva e sapeva che era solo e sempre suo fratello Artù, l’unico che in fondo l’aveva veramente amata. A fatica alzò una gamba appoggiando pesantemente il piede sulla terra. Guardò André che ancora sorrideva beffardamente e poi Oscar. Sospirò: - Non…Non posso sconfiggerlo io. Devi farlo tu! Devi farlo da sola! Guardalo…Lo sai che non è il tuo André! Devi pensare all’amore! – gridò.
André strinse le mascelle e gli diede un calcio sulla spalla facendola cadere di nuovo – Ora basta! – disse e si diresse verso Oscar.
Lei cercò ancora di fuggire, ma lui la sollevò di nuovo e la tenne stretta per il collo con una mano. Avvicinò il suo volto a quello di lei e digrignò i denti. André sorrise di nuovo in modo crudele – E ora…Mia piccola nobile barbara…Hai qualcosa da dire? Vuoi forse implorare pietà? –
Oscar pensò a quello che le aveva detto Morgana: pensare all’amore? All’amore che aveva provato per Fersen che l’aveva rifiutata? O forse doveva pensare a colui che, in fondo al cuore, sapeva benissimo di amare? Strinse con entrambe le mani il polso di lui, poi sospirò e sorrise debolmente. Lui aggrottò la fronte – E adesso che hai? Che stai facendo? –
Lei lo guardò dolcemente – Non posso avere paura di te…E non perché tu non esisti…E’ perché André, il vero André, non mi farebbe alcun male –
Il centurione allentò la presa sul collo e aggrottò la fronte – Cosa…Cosa stai… - disse, ma Oscar continuò: - Povero André…E’ rimasto una vita accanto a colei che ama e protegge da tutta la sua vita senza mai avere il coraggio di dichiararsi…E non ha detto nulla nemmeno quando lei si è invaghita di un altro uomo! Quanto dev’essere stata dura per lui…Quanta tristezza e quanta rabbia deve aver avuto nel suo cuore…Ha sbagliato! Ha fatto una cosa ignobile che non avrebbe mai dovuto fare e che…Si…Non ha alcuna scusante…Ma lui è solo un essere umano…Il mio povero André…E gli uomini non sono spettri come te…Gli uomini possono sbagliare…E chiedere perdono…Come Boudicca che ebbe il coraggio di perdonare i suoi nemici in punto di morte e di chiedere il loro perdono…Io posso perdonare André…Perché sono certa…Perché sono sicura che non mi avrebbe mai fatto alcun male! Perché il mio amico, il mio cavaliere…Il mio André…Si sacrifica ogni giorno che Dio manda in terra per me! E questo per una cosa che tu non puoi concepire…Perché Lui…Lui mi ama! E Io…Io lo amo! – gridò.
Il centurione lasciò la presa e fece un passo indietro; un rivolo di sudore gli passò sulla fronte e, improvvisamente, sussultò. Un’altra figura si era avvicinata di lato. Oscar abbassò lo sguardo e vide che l’altro gli aveva piantato un gladio sul fianco. Lei lo fissò a bocca aperta: era un legionario ed aveva colpito il proprio superiore salvandola.
Oscar sorrise in mezzo alle lacrime – Sesto! – disse piano ricordando il nome dell’unico soldato che aveva provato a fermare il centurione e i suoi commilitoni in quel giorno maledetto, quando Boudicca e le sue figlie furono prese dalle spirali dell’odio e della vendetta.
André guardò il legionario e strinse le mascelle – Tu! Maledetto! – disse; allungò un braccio appoggiandosi al suo petto e poi si accasciò a terra senza vita.
Il soldato prese il mantello rosso del centurione e andò a coprire Oscar abbracciandola dolcemente. Con una mano si tolse l’elmo e lei vide, con sorpresa, di nuovo il volto di André. E non era lo sguardo freddo e crudele che tanto l’aveva spaventata. Era il viso familiare del suo amico, del suo compagno d’armi e, si, del suo cavaliere e del suo amore.
Lui la strinse a sé – Se solo avessi agito così quel disgraziato giorno! Se solo avessi fermato Tito! Sarei stato flagellato e inchiodato a una croce, ma quante morti sarebbero state evitate! Quanto dolore e quanta sofferenza non ci sarebbero stati! –
Lei sorrise piangendo e gli passò le dita sulle labbra – Oh! André! Sei di nuovo tu…Il mio cavaliere –
Lui mise un ginocchio a terra e la guardò speranzoso – Potrai mai perdonarmi? –
Lei sorrise di nuovo ed annuì – Ti ho già perdonato…Mio amato! Alzati! –
André si alzò, la prese tra le braccia e la sollevò facendola roteare. Quando si fermarono e lui la rimise a terra si baciarono. Oscar sapeva che era tutto un parto della sua mente, ma quelle labbra, quella lingua e quelle sensazioni…Erano così vere e dolci che la testa sembrò sul punto di esplodergli, tanto che fu lui che si ritirò per primo.
Rimasero a guardarsi negli occhi, quando improvvisamente sentirono dei passi strascicati; si girarono e videro Morgana arrancare lentamente verso di loro trascinando la sua spada per l’elsa. La Duchessa si fermò di fronte a loro e sospirò: - Mi fa piacere che sia tutto finito! E che voi siate di nuovo innamorati…Ma possiamo tornare nel mondo reale a vedere cosa accidenti è successo al cerchio di pietre, per tutti i maledetti dei dell’Annwn!? –
André sorrise – Oh! Lady Morgana! – disse e lasciò Oscar. Andò verso la Duchessa e l’abbracciò. Morgana rimase stupita per un attimo e poi allargò le braccia – Che stai facendo, stupido gallico cafone! Lasciami subito! – gridò.
Oscar si portò una mano alla bocca e rise di gusto, come non mai dalla sera in cui André le aveva strappato la camicia e poi sospirò. Era venuto il momento, a malincuore, di lasciare quella visione mentale per tornare nel mondo reale.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si portò una mano alla fronte per proteggersi dai raggi del sole nascente. La sera prima aveva trovato i megaliti opprimenti, ma con la luce dell’alba che spuntava le pareva di essere in un luogo bucolico e persino rilassante. Un uccellino si posò sulla cima di una delle pietre e gorgheggiò per poi volare via.
Abbassò lo sguardo e vide un riflesso rossastro in messo ad un mucchietto di cenere. Si piegò e prese la pietra rossa. La rigirò tra le mani e si rialzò guardando Morgana che, intanto, girava tra le rocce guardandosi intorno: - Cosa…Cosa accidenti è capitato a quei miserabili? –
Oscar sorrise debolmente – Guarda…Sono stati distrutti, ridotti in cenere dalla loro stessa cupidigia –
Morgana la guardò e aggrottò la fronte – Ma…L’arma…Di certo qualcosa non ha funzionato, ma se ci riproviamo noi due… -
Oscar si avvicinò a lei – Non credo che questa…Arma…Sia ancora attiva – disse e prese la lancia, ancora conficcata nella fessura e la tolse con uno strattone.
Morgana le andò vicino – Forse…Se lo faccio io… -
L’altra prese l’arma con due mani tenendola al petto – Abbiamo visto chi ha costruito questo posto e per ordine di chi –
La Duchessa sospirò – Chi…Che cosa erano quegli esseri? –
Oscar strinse le labbra – Non ne ho idea! Di certo…Venivano da lontano – disse e guardò il cielo, poi fissò di nuovo Morgana: - Forse persino un altro mondo. Indossavano quelle che sembravano delle uniformi e quindi appartenevano ad una sorta di esercito. Ragionando da soldato, se tu fossi stata al loro posto e la tua nave…Volante…Si fosse guastata facendoti cadere in un posto sconosciuto, cosa avresti fatto? –
Morgana aggrottò la fronte – Credo che sia più o meno come naufragare con una nave…Da mare…Su un’isola perduta. Cercherei di sopravvivere, di trovare un riparo… - disse e rimase a bocca aperta – Di segnalare la mia presenza e chiamare aiuto –
Oscar sorrise – E’ probabile che questo complesso non fosse un’arma, ma solo un complicato strumento di segnalazione verso… - disse e indicò il cielo.
La Duchessa alzò lo sguardo e poi la guardò di nuovo. Oscar si avvicinò a lei – Volevano tornare a casa! Ma non ci sono riusciti e quegli antichi abitanti della Britannia che abbiamo visto hanno creduto che questa fosse un’arma potente da usare contro di loro. Talmente potente da essere nascosta in attesa di essere attivata solo contro un grande nemico comune –
Morgana tentennò – Se mio fratello avesse usato quella lancia…Sarebbe finito in cenere. Quindi, secondo te, questi uomini hanno lanciato un segnale al mondo degli esseri grigi? –
Oscar si sedette su una pietra – No! Non credo! La pietra rossa mostrava l’immagine del complesso come avrebbe dovuto apparire completo in ogni sua parte e abbiamo anche visto Lug, il capo di quegli esseri, che costruiva un modello con tutte le pietre in posizione…Ma il cerchio non è mai stato realmente finito. Quindi…Ritengo che la strana reazione che abbiamo visto e che ha ridotto in cenere i nostri avversari, sia stata un grosso malfunzionamento di questa macchina naturale –
Morgana, sospirando, si sedette accanto a lei – Quindi…E’ stato tutto inutile! Per secoli la mia gente…E la tua…Hanno cercato qualcosa che non avrebbe mai potuto funzionare! E quegli esseri…Perché proprio adesso abbiamo visto come sono arrivati qui? –
Oscar socchiuse gli occhi – Hai detto che qui i tuoi poteri funzionano perché ci sono delle correnti di energia sotterranea, quelle che tu hai chiamato correnti terrestri e che ci sono pure ad Avalon. Se questo complesso doveva essere una macchina, doveva avere a disposizione energia per funzionare, come noi usiamo quella animale o quella dell’acqua o del vento. Quelle creature, evidentemente, sapevano riconoscere i flussi di queste correnti e si sono schiantati proprio qui! Perché abbiamo visto come è stato costruito il cerchio di pietre? Immagino perché si è…Attivato…In qualche modo e noi, che siamo collegate ad Avalon, sotto la quale ci sono le stesse correnti terrestri, abbiamo visto la storia di questo luogo. Il resto, come si usa dire, è storia: la pietra con l’indicazione di dove era sepolta la lancia è stata conservata per secoli ad Avalon, poi è stata presa da Boudicca, per poi tornare all’Isola Sacra e passare a tuo fratello. Da lì si è persa per poi riapparire nelle mani di Jeanne de Valois. E poi nelle nostre – disse alzando una mano e rigirando la pietra tra le dita – E da lì in poi è stato come se avesse voluto, di sua volontà, tornare qui. E forse è davvero giusto così – aggiunse e allungò le braccia porgendo la lancia e la pietra a Morgana.
La Duchessa prese i due oggetti e fissò l’altra. Oscar sorrise debolmente – Possiamo credere al destino, oppure possiamo credere che Avalon stessa ha voluto riavere i suoi due oggetti sacri e ha usato la sua Dama del Lago, Lady Morgana e…Il suo ultimo campione…Che credo di essere io. Certamente rimangono alcuni misteri, come ad esempio come è nato il gruppo di Lord Baxter e come ha fatto a sapere che l’arma è sempre stata qui sotto gli occhi di tutti…Ma credo che questo non lo sapremo mai –
Morgana strinse le labbra – Questi oggetti si riuniranno con la spada nell’Isola Sacra e poi cercheremo anche l’ultimo di loro: il calderone del padre degli dei, Dagda –
Oscar sorrise di nuovo – Forse non è un vero e proprio calderone…Forse è un contenitore più piccolo e che si trova già ad Avalon –
La Duchessa ebbe un sussulto – La coppa dei cristiani! Ma quella non appartiene ad Avalon –
L’altra si avvicinò – Ma se non ricordo male Giuseppe di Arimatea l’ha donata alla comunità dell’isola e ora gli appartiene –
Morgana si guardò le mani e strinse gli oggetti – La spada, la lancia, la pietra e la coppa…I quattro oggetti sacri sono al loro posto –
Oscar si avvicinò ancora e le mise una mano sul braccio – E…Grazie per aver provato a salvarmi da quel mostro nella mia mente –
Morgana sospirò – La tua mente, Lady Oscar, è un bel guazzabuglio! Credo che tu abbia molte cose da sistemare là dentro, ma mi fa piacere che perlomeno hai fatto chiarezza con i tuoi sentimenti verso sir André –
Oscar sorrise debolmente e la circondò con le braccia. Morgana, con ancora nelle mani la lancia e la pietra, rimase di stucco, ma poi si rilassò e rispose all’abbraccio. Dopo qualche istante si separarono e Oscar si guardò attorno – Sarà meglio andare via da qui, subito –
Morgana aggrottò la fronte e l’altra annuì – Harrison era un colonnello dell’esercito inglese e quel Lord Baxter, se non ho capito male, era una persona importante ed influente, come di certo anche qualcuno degli altri che sono morti qui. Quando Re Giorgio III capirà che sono stati inceneriti in questo cerchio di pietre e che era presente anche un alto ufficiale francese…Beh! Suppongo che si arrabbierà molto! E quando lo farà sarà molto meglio che io mi trovi al di là del mare – disse e guardò la Duchessa negli occhi – E immagino che tu dovrai cancellarmi la memoria un’altra volta –
Morgana appoggiò la lancia, mise la pietra in una tasca e la guardò – Posso cancellare la parte di memoria in cui mi hai visto qui e anche quella in cui hai visto questa fantomatica arma e farti ricordare questo viaggio in Britannia come una bella gita! Ma i tuoi sentimenti verso sir André non cambieranno, te lo assicuro –
Oscar sospirò – E sia! Che questo sia solo il ricordo di un bel viaggio. Ma…Alla fine, Lady Morgana, ci vedremo ancora? –
Morgana inspirò profondamente – Non lo so, Lady Oscar…Io…Io…E’ stato bello vederti di nuovo! Ma temo proprio che questo sia un addio –
Oscar annuì – E’ un addio…E così sia…E’ stato bello anche per me vederti ancora! Che Dio protegga gli Uomini-Drago! –
La Duchessa sorrise debolmente – Li spediremo nell’Annwn! Oppure moriremo nel farlo! E che gli dei proteggano sir André! –
Oscar sorrise e mise un ginocchio a terra, poi guardò di nuovo Morgana – Addio! Ti auguro di essere serena, Lady Morgana –
L’altra alzò il braccio destro e allungò la mano verso la sua testa – Un bellissimo augurio, amica mia e che ricambio con tutto il cuore! Addio, cavaliere e campione di Avalon –
 
Canale della Manica – Anno 1787 d. C.
Oscar si appoggiò con le mani al parapetto e guardò il mare. Tra non molto, si disse, avrebbero avvistato la costa francese. Il viaggio di piacere nel sud dell’Inghilterra era stato bello e aveva visto i luoghi dove erano ambientati i romanzi del Grande Re Artù, come il castello di Tintagel, Glastonbury, di cui conservava un caro ricordo del reverendo Nathaniel Philby e fino al grande cerchio di pietre di Salisbury.
Ma era venuto il momento di tornare al suo posto di ufficiale e pari del Regno di Francia e si sarebbe gettata con entusiasmo e con tutte le sue forze nell’addestramento delle Guardie Francesi. E, si, avrebbe parlato anche con André, quando lo avrebbe rivisto.
L’unica cosa che la lasciava perplessa era la morte del giovane Roland Moreau nella sua casa in Normandia, per colpa di quei misteriosi banditi. Cosa ci faceva il ragazzo a casa sua? Ricordava che era il fratello di una donna che era stata a servizio a Palazzo Jarjayes, ma forse quei delinquenti erano arrivati prima che potesse dirgli tutto.
Sospirò di nuovo e prese per un attimo il suo libretto nero. Lo aprì e vide le strane figure e le strane frasi che aveva scritto tempo addietro, praticamente senza senso, se non che riguardavano la materia letteraria del ciclo arturiano. Aggrottò la fronte: non ricordava di aver mai letto, però, del cerchio di pietre di Salisbury.
Non volendo tornare fino al porto di Plymouth, aveva raggiunto la costa e trovato un vascello portoghese attraccato al porto di Poole. Pagando ben oltre il lecito ed il dovuto, aveva quindi ottenuto un passaggio per attraversare il canale che separava l’Inghilterra dalla Francia. Guardò di nuovo la linea dell’orizzonte, ma fu distratta da delle urla alle sue spalle.
Sbuffò e roteò gli occhi. Insieme a lei si era imbarcato anche un ufficiale della marina inglese in borghese, per una semplice vacanza, aveva dichiarato e per vedere Parigi. Ma da quando era salito a bordo non aveva fatto altro che sbraitare contro i marinai pretendendo di insegnargli come fare il loro mestiere. Quella era l’ennesima lite e stava intervenendo anche il capitano che si era messo di fronte all’ospite gridando qualcosa nella sua lingua. Oscar non capì, ma di certo doveva essere la minaccia di gettarlo fuori bordo perché l’inglese rimase zitto e si mise di fianco a lei appoggiandosi al parapetto: - Marinai d’acqua dolce! – disse piano.
Oscar sorrise – Non dovreste pensare a questa nave, ma al vostro viaggio in Francia. In questa stagione il nord del paese è molto bello e ci sono ottimi locali in Normandia dove gustare ottimi piatti e ancor più ottimi vini –
L’uomo scrollò le spalle – Me lo hanno detto! E sono curioso di vedere la Francia, prima di riprendere il mare e andare a sposarmi. Raggiungerò le Indie Occidentali, anche se qualcuno le conosce come Caraibi –
Oscar lo fissò incuriosita, aveva un bel volto fiero e uno sguardo acuto. Lui sospirò – Voi siete francese? –
Lei annuì – Lo sono. Mi chiamo Oscar François de Jarjayes e voi siete… -
L’uomo si raddrizzò – Sono imperdonabile – disse e fece un profondo inchino – Horatio Nelson, ufficiale della marina di Sua Maestà Re Giorgio III, ma…Voi siete davvero quel…Quella…Oscar de Jarjayes di cui si parla? Davvero siete la donna che comanda la Guardia Reale a Versailles? –
Lei aggrottò la fronte – Lo sono. Ma non comando più la Guardia Reale –
Nelson si avvicinò – Un compito impegnativo, mademoiselle, e come… -
Oscar lo guardò con occhi gelidi – Mi siete simpatico Nelson, per ora, ma non abusate della mia pazienza! –
Lui deglutì – Di nuovo perdonatemi. Ecco…E’ che ho sentito tanto parlare di voi…Che comandate i soldati come un uomo e che siete una valente spadaccina e che sulla terra ferma non avete rivali –
Lei rise – Adesso mi state adulando, Nelson. Voi marinai non conoscete mai la giusta via di mezzo? –
Lui ridacchiò – Oh! Noi marinai siamo abituati a passare lungo tempo in mare. Si diventa così burberi che il più delle volte ci si dimentica le regole di una buona conversazione – disse e guardò l’orizzonte – Eppure questo elemento a noi così estraneo ci fa paura, ma anche ci affascina e sembra chiamarci sempre a nuove sfide: sono stato in India, nelle gelide acque dell’artico, nei caraibi, dove sono diventato capitano di vascello – disse e guardò in cagnesco i marinai – Un vascello militare! Non questa tinozza galleggiante! – ringhiò e poi tornò a guardare Oscar – Poi nell’America del Sud e di nuovo nelle Indie Occidentali, dove ho conosciuto la mia futura moglie, la mia adorata Frances –
Lei aggrottò la fronte – E andate da solo in vacanza in Francia? –
Lui fece un gesto con la mano – Lo so che è un paese nemico! Ma un marinaio in libera uscita, cribbio, deve pur divertirsi un’ultima volta prima di sposarsi –
Oscar annuì – Anche un soldato di terra ha diritto al suo svago. Anch’io ho voluto vedere questa fantomatica Inghilterra che ci contende il dominio dei mari e delle colonie –
Lui sorrise di nuovo – E vi è piaciuta? –
Lei annuì – Oh, si! E spero che anche a voi piaccia la mia Francia, capitano Nelson –
 
Anni dopo, precisamente il giorno 21 Ottobre 1805, all’interno della nave ammiraglia inglese, la Victory, a pochi passi dal ponte e dalle file dei cannoni che sparavano senza sosta contro la nave francese Redoutable, un gruppo di uomini stava attorno a due figure: una era il medico di bordo inginocchiato sulle assi del ponte e l’altra era un uomo colpito al petto da una fucilata. Il ferito era in posizione seduta, con la schiena appoggiata ad un cannone ed ansimava. Si poteva notare che era privo di un braccio e portava una benda nera sull’occhio destro, ma tutti lo conoscevano e tutto l’equipaggio era in ansia e pregava per lui, pur combattendo senza sosta contro il nemico. Si trattava del Lord Ammiraglio Horatio, primo Visconte Nelson e Duca di Bronte, comandante in capo della Mediterranean Fleet inglese e che, con le navi ai suoi ordini, stava letteralmente impedendo l’invasione dell’Inghilterra da parte delle armate di Napoleone Bonaparte.
Lord Nelson biascicò qualcosa, il medico aggrottò la fronte e avvicinò l’orecchio alla sua bocca: - Si! Mi è piaciuta la Francia, comandante Oscar! – disse piano e poi rise debolmente tra gli spasmi.
Un ufficiale si piegò in avanti – Cosa ha detto? Ha dato degli ordini per noi? Ditecelo, svelto! –
Il medico si raddrizzò e sbatté le palpebre, guardò l’ufficiale e tentennò – Io…Io…Non sono ordini…Credo che ormai stia delirando! –

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Capitolo 16
*** PRIMO EPILOGO: INGHILTERRA ***


Londinium (ex capitale della Britannia romana) – VI secolo d. C. circa
L’uomo alzò di nuovo il braccio con le pergamene, disse di nuovo una frase in un latino un po' stentato e poi la riabbassò. Indossava una toga, una vera toga romana di un candido bianco abbagliante che rivaleggiava con il marmo della sala che un tempo era stata sede delle udienze dei proconsoli romani.
Sir Galvano, principe di Lothian e delle Isole Orcadi, nipote del grande Re Artù, si passò una mano sul viso e ringraziò il dio cristiano e tutti gli antichi dei di non aver mai imparato a leggere, perché altrimenti, pensò, probabilmente sarebbe diventato logorroico come l’oratore che lui e tutti gli altri nobili della Britannia stavano ascoltando: Marco, colui che suo zio aveva nominato Duca di Cornovaglia e che aveva ucciso suo figlio e la sua giovane moglie irlandese Isotta perché li aveva trovati a letto insieme. Cosa mai avesse visto Artù in quell’individuo, sinceramente, Galvano non se lo sapeva spiegare: era nato in Britannia, ma aveva assunto un nome romano, si vestiva e si comportava come un romano; si rasava persino i capelli ed il viso come un romano. E lui e gli altri re e principi della Britannia erano praticamente richiusi nel vecchio palazzo ormai da settimane; avrebbero dovuto eleggere un nuovo Grande Re, ma invece stavano solo perdendo tempo. Galvano era il primo nipote del Re, che era morto senza figli maschi e quindi senza eredi e suo, per diritto di nascita, come figlio della sorella del sovrano, Lady Morgause, avrebbe dovuto essere il trono.
Ma combattere, guidare gli uomini in battaglia e gozzovigliare dopo la vittoria era una cosa; governare un paese come la Britannia era tutt’altro. Senza contare che le tribù sassoni stavano premendo in massa sulle loro coste e qualcuno doveva pur fermarli.
Invece se ne stavano tutti lì ad ascoltare interminabili dichiarazioni nella lingua dei romani. Sbuffò e guardò più indietro, accanto al grande trono di marmo dove un tempo sedevano i delegati dell’impero romano. Vide la grossa figura di un uomo in abito elegante, con un mantello di fine pelliccia, una collana d’oro molto spessa con una croce, sempre d’oro e un vistoso anello alla mano. Galvano strinse le labbra: il Vescovo si era addormentato un’altra volta; lo si capiva dal ritmico andare su e giù del suo grande stomaco, ma, del resto, come dargli torto?
In quel preciso istante le grandi porte della sala si aprirono e le guardie si fecero di lato inchinandosi, lasciando entrare una figura in un lungo abito azzurro, circondato alla vita da una cintura di metallo. I suoi capelli biondi rifulgevano di riflessi dorati e sul capo portava una semplice corona di ferro. Tutti, specialmente Galvano, la riconobbero subito come la vecchia Regina di Britannia: Ginevra, ripudiata da Artù e Badessa del convento di Glastonbury.
Ginevra, nel silenzio generale, passò davanti a Galvano guardandolo negli occhi; passò accanto all’uomo togato e si diresse direttamente verso il trono. Si girò guardando di nuovo i presenti e si sedette pesantemente. Il vescovo, ridestato da quel trambusto, si alzò e si segnò – In nome di Nostro Signore Onnipotente… -
Ginevra sospirò – Non ora, Vostra Grazia. Vi ringrazio, ma adesso credo che dovremmo prima discutere di cosa ne sarà della nostra Patria –
Marco si mise di fronte a lei – Ginevra! Tu non sei più la nostra Grande Regina. Il Grande Re ti ha ripudiato ed eravamo convinti che non avresti più lasciato Glastonbury –
Ginevra socchiuse gli occhi e cercò di ricordare quel volto squadrato, con capelli corti e viso glabro, secondo l’uso romano. Con quella toga, poi e una pergamena in mano, avrebbe potuto posare come modello per una statua di un console o di un patrizio, come quelle che si trovavano un po' dappertutto nella Britannia meridionale. Sorrise – Lord Marco! E’ da molto tempo che non ci vediamo! Concordo con te, certo…Ma una Regina resta pur sempre una Regina. E’ come una madre per il suo popolo e quando i suoi figli perdono tempo a giocare…Facendo finta di essere dei romani…Deve riprendere il suo posto! –
Marco strinse le labbra – Io sono il Duca Marco di Cornovaglia! –
Ginevra sorrise stancamente – Strano! Non molto tempo fa è arrivato a Glastonbury un convoglio guidato da Morgana Pendragon, sorella del Grande Re e Duchessa di Cornovaglia ed era accompagnato da sua sorella, Lady Morgause, Regina di Lothian e delle Isole Orcadi. La Cornovaglia ha una Duchessa, Lord Marco, non un Duca –
Lui deglutì e alzò la mano con la pergamena – Questa è la mia nomina, sigillata dal Grande Re Artù e controfirmata dal Vescovo di Britannia –
Ginevra sbuffò e si sistemò meglio sul trono appoggiando languidamente le mani sui braccioli – Capisco…E allora non avrai alcun problema a recarti a Tintagel ed assumere la tua carica. Immagino che Lady Morgana ti lascerà il suo castello e i suoi soldati senza muovere un muscolo. Sai…Dicono che è sempre stata una persona pia…Molto calma e servizievole –
Galvano si trattenne a stento dal ridere, per quel poco che conosceva sua zia Morgana, non l’avrebbe mai definita pia, oppure calma o nemmeno servizievole.
Marco abbassò il braccio e sospirò – Io…Io sono…Il Duca di Cornovaglia –
Ginevra si alzò – Tu non sei niente! Come tutti voi! Mentre state qui a ciarlare il vostro…Il nostro popolo muore! L’unica che veramente si sta muovendo e sta cercando di creare una difesa è Lady Morgana, ma da sola non può farcela – disse e alzò una mano – Vi invito a superare le diffidenze reciproche e ad eleggere un nuovo Grande Re che guidi l’esercito della Britannia unita contro l’invasore…Io, Ginevra, figlia di Laodegrance di Cameliard, come vostra Grande Regina, ve lo ordino! –
Tutti i presenti si guardarono e subito cominciarono a parlare tra di loro con un brusio assordante che poi degenerò in urla vere e proprie. Galvano vide che qualcuno stava venendo alle mani e persino che stava spuntando qualche lama. Vide Lord Marco avvicinarsi al Vescovo e poi guardò Ginevra che, con le labbra serrate, scese dal trono spostandosi in un angolo della sala. Andò verso di lei e si inchinò – Mia Regina…Io… -
Ginevra congiunse le mani in grembo, guardò il caos provocato dai nobili di Britannia e poi guardò il cavaliere di fronte a lei – Vieni con me – disse solo. Uscirono dalla sala e si fermarono sotto un portico, lontano da occhi e orecchie indiscrete. Lei sospirò – Tu dovresti essere il nuovo Grande Re, come nipote primogenito di Artù –
Galvano deglutì – Alcuni lo vorrebbero…Molti altri, tra cui quel Marco, no…E io so di non essere pronto per questo…E…Mia Signora…Posso chiederti se hai visto mia madre e se sta bene? –
Ginevra strinse le labbra – Ho visto per la prima volta Lady Morgause…E si, sta bene. So che si è trattenuta ad Avalon con sua sorella e tua zia Viviana, la Dama del Lago – disse e poi tentennò sconsolata – Nessuno di noi è mai stato pronto a regnare, nipote. Né io e nemmeno tuo zio Artù…Ma lui…Lui era il Re! Non ci sarà un’altra battaglia come a Monte Badon: i sassoni stanno arrivando a ondate sempre più pressanti, si stanno convertendo al cristianesimo e stanno occupando tutto il vuoto di potere lasciato dalla battaglia di Camlann. E non saranno questi idioti, nemmeno uniti, che li sconfiggeranno, di questo anche tua zia Morgana ne è sicura. Ma c’è solo un’ultima speranza, Galvano – disse e gli mise una mano sulla spalla – La pietra rossa che era incastonata sul pomolo dell’elsa della spada del Re è in realtà la mappa per attivare un’arma potentissima –
Galvano aggrottò la fronte e Ginevra si avvicinò a lui – Solo io, Artù e Merlino ne eravamo a conoscenza, ora anche Morgana, ma la pietra non è con Excalibur ad Avalon, è sparita, forse dispersa con i cavalieri di Lancillotto, forse presa dai sassoni: è rossa, sembra un gioiello, ma ha delle linee bianche al suo interno e, a ogni luna piena, mostra il luogo dove è sepolto l’oggetto che l’attiverà –
Galvano rimase a bocca aperta, ma Ginevra continuò – L’arma…Il cerchio di pietre vicino a Salisbury! Questo ora lo sappiamo solo io e te! Secondo le antiche leggende un popolo venuto…da lontano…L’ha costruito per scatenare una potenza senza limiti contro i nemici e una lancia bianca come il latte può attivarlo se infilata in una delle pietre al centro. E’ la lancia che secondo gli antichi apparteneva al dio Lug. Dove essa sia…Lo sa solo la mappa incastonata in quella pietra –
Lui deglutì – Ma come… -
Ginevra tentennò – Non so come sia possibile, ma è l’unica speranza che abbiamo ormai! Prometti, Sir Galvano, prometti che dedicherai il resto della tua vita a cercare la pietra per salvare la Britannia –
Galvano si batté il pugno destro sul petto – Mia Regina, nel nome del Grande Re Artù di Britannia, giuro che né io né quello che resta dei cavalieri della tavola rotonda ci fermeremo mai fino a quando troveremo quella pietra e salveremo la Britannia! E se non lo faremo noi lo faranno i nostri discendenti e i loro discendenti e ancora…E ancora…Questo io lo giuro! –
Ginevra sorrise: Galvano era un uomo semplice, fondamentalmente. Ed era un cavaliere di Camelot. Quel giuramento lui lo avrebbe mantenuto fino alla fine dei tempi. Abbassò il braccio respirò a fondo: aveva fatto il suo dovere in nome di Artù e anche di Lancillotto. Da quel momento in poi non sarebbe più stata la Regina di Britannia.
 
All’interno della sala, nella confusione generale, Lord Marco si rivolse al Vescovo – Non ne verranno mai a capo! La Britannia è persa Vostra Grazia –
Il Vescovo sorrise e strinse la croce che portava al collo – Con tutto il rispetto…Anche i sassoni si stanno convertendo al cristianesimo, Lord Marco, dovremo solo cavalcare il cambiamento e, si, restare al potere e, se fossi in voi, non mi preoccuperei nemmeno di Lady Morgana che se ne sta rintanata a Tintagel, come un ratto. Il vero problema è un altro, se quello che si dice è vero –
Marco lo fissò stringendo le labbra – Che Artù sia vivo…Ad Avalon! Quella terra empia! –
Il Vescovo strinse le labbra – Dubito che Artù sia vivo! Sir Galvano lo ha visto ferito gravemente e, molto probabilmente, è sepolto ad Avalon. Ma avete ragione, quella terra sacrilega e pagana è un problema e dovrà essere cancellata per sempre –
Marco aggrottò la fronte e il Vescovo sorrise – La Chiesa sta valutando come chiudere ogni passaggio per Avalon, i nostri…Studiosi… Stanno ricercando nella saggezza degli antichi il metodo giusto –
Marco scosse il capo – La Chiesa che usa i metodi dei pagani!? –
Il Vescovo agitò una mano in aria – Gli antichi hanno eretto i monumenti di pietra perché, si dice, lì sotto scorrono le correnti di energia della terra. Una cosa blasfema, ma non del tutto falsa. Stiamo verificando se, usando lo stesso sistema, quelle correnti possono essere chiuse e lasciare Avalon nel suo limbo…Oh! Non sarà oggi, non sarà domani, ma avverrà, Lord Marco, avverrà! Abbiate fede! –
 
Coste settentrionali della Cornovaglia – VI secolo d. C. circa
Morgana si abbassò di nuovo. Erano ormai giorni che lei e i suoi soldati stavano appostati presso alcuni villaggi sulla costa in attesa degli Uomini-Drago. E i suoi esploratori avevano avvistato le loro navi e ne avevano subito compreso la rotta. Il villaggio in cui si trovavano era stato evacuato e riempito dei suoi guerrieri che avevano lasciato accese torce e falò per dare l’idea di un posto accogliente e, soprattutto, indifeso.
Quando era tornata dalle nebbie senza null’altro che non fosse una lancia inutile e una ancor più inutile pietra rossa, la delusione dei suoi uomini e soprattutto della giovane Nimue era stata grande. L’unica cosa da fare, quindi, era combattere contro i sassoni e gli Uomini-Drago. Questi ultimi erano di certo il nemico più pericoloso e, dopo settimane di appostamenti per scoprire le loro grandi navi-drago, gli avevano teso una trappola.
Morgana, però, aveva ammesso con sé stessa che sentiva la mancanza di Oscar. Non aveva visto poi molto del mondo del futuro, se non l’esistenza di quelle potenti e poco cavalleresche armi da fuoco che, forse, avrebbero fatto la differenza se ne avesse avuta una per lei sola, ma sicuramente non per il resto della Britannia. A dire la verità nel breve periodo in cui erano state da sole aveva provato il piacere di avere un’amica, una cosa che non aveva mai sentito prima per nessuno. Certo, c’era sempre stata sua sorella Morgause e prima ancora Sir Accolon del Galles; ma il rapporto che aveva instaurato con Oscar era profondamente diverso. Si augurò che lei e Sir André potessero trovare la felicità, anche solo per quei pochi istanti che il destino aveva in serbo per loro.
Persa in quei pensieri non si accorse di Nimue che si era avvicinata. La ragazza era sbocciata improvvisamente e stava diventando una bellissima donna. Nei lunghi giorni noiosi di caccia agli Uomini-Drago si era allenata molto con l’arco, la sua arma preferita e soprattutto con spada e lancia e, secondo i suoi istruttori, era anche tremendamente abile, così diversa dalla bambina che aveva accolto nel suo castello.
Nimue strinse le labbra – Vostra Grazia, forse stasera non arriveranno, si sta alzando la nebbia ed è fitta –
Morgana scrollò le spalle – Il buio e la nebbia non sono un problema per loro, sono navigatori più che esperti che vengono da una terra ostile. Oh, Nimue, combatterai, te lo prometto, ma sta attenta! Non avrei mai voluto che la tua prima battaglia fosse proprio contro questi demoni –
La ragazza sorrise – Mi avete addestrato bene, Lady Morgana, non temete per me –
La Duchessa sospirò e guardò di nuovo verso il mare, per vedere solo una distesa bianca di nebbia avvolgente. In altri luoghi, come a Tintagel o anche a Glastonbury, avrebbe usato i suoi poteri per sconfiggere gli invasori, ma lì, in quel luogo, dove la sua magia non c’era, le restavano solo il suo coraggio e la sua spada.
 
Le ore passarono, ma nessuno si fece vivo. Morgana sospirò e guardò una sconsolata Nimue. La Duchessa sorrise debolmente – Il momento della nostra gloria verrà! Ma non oggi temo – disse, ma, improvvisamente, sentì un tonfo lontano, secco, che le face vibrare tutto il corpo. Anche i suoi soldati l’avevano sentito e si erano irrigiditi mettendo mano alle armi. Dopo un attimo di silenzio arrivò un altro tonfo, poi un altro e un altro ancora. Nimue guardò Morgana – Tamburi…Vengono da là – disse e indicò un punto verso la nebbia che copriva il mare.
Apparvero, come dal nulla, tre punti luminosi all’orizzonte, vicini, sempre più vicini e poi, all’improvviso, dalla foschia emersero tre teste mostruose con la bocca e gli occhi fiammeggianti. Uno dei soldati accanto a Morgana fu scosso dai tremiti e vomitò. La Duchessa aggrottò la fronte – Sono le prue delle navi-drago; lo sappiamo che hanno la forma di una testa di mostro; ci hanno solo messo delle torce negli occhi e nella bocca solo per spaventarci – disse “E ci stanno riuscendo molto bene!” pensò. Guardò Nimue – Che la dea sia con noi! –
La ragazza strinse le labbra ed estrasse la spada – Che ci guidi alla vittoria! –
 
Accompagnate dal ritmo incessante dei tamburi le navi arrivarono sulla riva e si incagliarono sulla costa pietrosa. Il rumore cessò e, dopo qualche istante si sentì la singola e lugubre nota di un corno; poi delle urla inumane accompagnate da ordini in una lingua gutturale e feroce. Dalle fiancate delle navi scesero nugoli di guerrieri ululanti con asce, spade e scudi; si radunarono sulla spiaggia e avanzarono verso il villaggio. Improvvisamente videro il cielo illuminarsi, alzarono lo sguardo e osservarono uno sciame di frecce fiammeggianti cadere verso di loro. Ad un secco ordine alzarono gli scudi accovacciandosi a terra. Quando tutte le frecce caddero si rialzarono urlando e ringhiando più di prima.
Morgana sospirò – Ci abbiamo provato! Arcieri! Mirate alle navi; che non se ne vadano da qui! E voi, uomini di Cornovaglia, seguitemi! Per la vittoria! –
Furono gli uomini di Morgana a urlare e poi si gettarono all’attacco.
 
Morgana si guardò attorno. Quanto tempo era passato dall’inizio della battaglia? Non ne aveva idea; come non aveva idea di quanti nemici aveva abbattuto. Gli Uomini-Drago erano guerrieri formidabili e stavano impegnando seriamente i suoi soldati. Era stanca, con i muscoli indolenziti, ma vedeva che, finalmente, anche il nemico stava lentamente ed inesorabilmente cedendo terreno. Li avevano impegnati sulla spiaggia e non li avevano fatti avanzare di un passo. Era orgogliosa dei suoi uomini: i bardi avrebbero cantato le loro gesta per generazioni. Improvvisamente sentì un urlo dietro di sé, si girò e vide un gigantesco Uomo-Drago; indossava una lunga corazza fino alle ginocchia; il suo volto era parzialmente coperto da un elmo a punta con una maschera sugli occhi; poteva vedere la sua bocca e la sua barba bionda ornata a trecce e anche i suoi lunghi capelli dello stesso colore e si stava avvicinando. Veniva verso di lei. Brandiva un’ascia nella mano destra ed una nella mano sinistra e le alzò contemporaneamente per colpirla. Morgana alzò il suo scudo che cadde in frantumi con il violento urto. Sentì il guerriero ridere e lo affrontò con la spada. L’uomo parò due colpi, lasciò cadere l’ascia della mano sinistra e le prese il braccio che impugnava la lama torcendolo e facendola inginocchiare.
L’Uomo-Drago si piegò verso di lei, come per osservare bene la sua pelle pallida; così vicino che lei sentì il suo alito pestilenziale e vide i suoi occhi azzurri dietro la celata dell’elmo. Il guerriero strinse le labbra – Pù…Ljòt norn! – (n.d.a.: “Tu…Brutta strega!” in islandese).
Morgana cercò invano di liberarsi da quella stretta d’acciaio; digrignò i denti e gli sputò addosso. L’Uomo-Drago non fece una piega, si raddrizzò e sollevò la mano destra con l’ascia per finirla.
Qualcosa colpì l’uomo di lato facendolo vacillare e lasciare la presa del braccio di Morgana. La Duchessa cadde a terra, ansimante e sfinita. Con le ultime forze vide Nimue fronteggiare l’Uomo-Drago; poi fu il buio.
 
Quando riaprì gli occhi vide il volto vecchio e rugoso di Volker, il suo ciambellano. L’uomo sorrise – Vostra Grazia! Che splendida vittoria! I bardi canteranno dell’impresa della Duchessa di Cornovaglia e dei suoi guerrieri contro gli Uomini-Drago! Abbiamo vinto! Abbiamo vinto! –
Morgana si alzò lentamente da terra tenendosi il braccio destro che le doleva e vide davanti a sé la testa mostruosa della prua di una nave-drago. Era parzialmente bruciata ed era stata abbandonata dai demoni che l’avevano condotta fino alle coste della Cornovaglia.
Barcollò di qualche passo e vide, steso a terra, l’Uomo-Drago che stava per ucciderla. Era morto, trafitto profondamente al fianco da una spada che riconobbe come quella di Nimue. Morgana sorrise e si rivolse a Volker – Oh, la nostra piccola colomba è diventata un falco! Ti rendi conto? Nemmeno mio padre il Duca può vantare una vittoria come questa! Ma dov’è Nimue? Perché non festeggia? – disse e poi divenne seria – E perché non ha la sua spada al fianco? –
Volker abbassò la testa senza rispondere. Morgana ansimò e vide che, sulla spiaggia, i suoi uomini avevano eretto delle pire funebri per i caduti. Solo una era stata fatta per un singolo corpo, distante dalle altre. La Duchessa strinse le labbra e si avvicinò alla pira. Sopra vi era adagiato un corpo coperto da un telo bianco. Allungò la mano per scoprirne il volto, ma fu fermata dalle parole di Volker: - Vostra Grazia! Lady Nimue ha combattuto come la dea! Ha ferito mortalmente l’Uomo-Drago, ma lui, prima di spirare, è riuscito a colpirla alla testa con la sua ascia…E’ morta da guerriera…Ma vi prego…Non guardate… -
Morgana strinse le labbra e scostò il velo. Quello che vide la lasciò impietrita: non era possibile che quella…Quella cosa…Fosse stata la gentile e bella Nimue, la grande guerriera che l’aveva salvata. Ricoprì di nuovo il volto della ragazza e si sentì come quando, da piccola, era sola e spaventata mentre tutti la rincorrevano insultandola e la odiavano, compresi i suoi genitori. Piegò le spalle e sentì l’insopprimibile desiderio di piangere. Ma non poteva farlo; non davanti ai suoi soldati, non lei; non la Duchessa di Cornovaglia. Lei era di nobile stirpe, doveva guidare i suoi uomini, non perdere tempo a piangersi addosso. Non era come gli altri, lei era superiore, faceva parte di una casta che non piangeva. Mai.
Sentì la mancanza di Oscar come non mai. Di sicuro lei avrebbe detto che piangere non era una vergogna; avrebbe parlato di quegli irlandesi d’oltremare, quella tribù che lei chiamava americani, che avevano deciso di vivere senza re e regine e senza nobili. Strinse le palpebre sforzandosi di trattenere le lacrime e Volker si avvicinò; piegò la testa in avanti e sussurrò: - Vostra Grazia…Piangete pure, se lo volete. Non c’è vergogna nel mostrare i propri sentimenti –
Morgana sentì le calde lacrime sulle guance e, come una liberazione, si piegò in avanti appoggiando le braccia e la fronte sulla pira. E pianse. Pianse come non aveva mai fatto in vita sua.
 
Avalon – VI secolo d. C. circa
Morgana alzò lo sguardo verso il sole. Era incredibile come a Glastonbury ci fossero delle nuvole grigie e lì, nell’Isola Sacra, ci fosse sempre il sole. Scese dalla barca aiutandosi con la lancia di Lug. Guardò per un attimo il tumulo di sassi che Oscar, tempo prima, aveva eretto come tomba per il corpo di Lancillotto, che si era sacrificato per proteggere il Grande Re e poi si incamminò verso la casa della Dama del Lago.
Dopo la morte di Nimue gli Uomini-Drago erano tornati nel loro lontano regno di ghiaccio e fuoco. Ma erano rimasti i sassoni. Ed erano troppo numerosi per essere fermati. Ogni vittoria contro le loro armate era come colpire il mare con una spada. Quando anche il suo regno stava per crollare aveva deciso di congedare i suoi soldati, di distribuire a loro le ricchezze dei duchi di Cornovaglia e dei Pendragon e, persino, di dare alle fiamme il suo castello affinché i sassoni non potessero mai utilizzarlo.
Dalla via commerciale che portava a Glastonbury si era formata a vedere la grande pira provando un senso di tristezza. Quel maniero, nel bene e nel male, era stata la sua casa, il suo rifugio, il simbolo stesso del suo potere. Aveva fatto distruggere persino il bacile di pietra nella grotta della spiaggia. Sospirando, si era rivolta ad uno dei suoi luogotenenti – Dov’è Volker? –
L’uomo deglutì e chinò il capo – Vostra Grazia…Sir Volker…Ha voluto rimanere là – disse indicando il castello in fiamme. Morgana si era piegata sul dorso del cavallo: anche lui! Il vecchio che aveva conosciuto fin da bambina aveva deciso di rimanere fino all’ultimo nel luogo dove aveva servito più che fedelmente. Guardò l’incendio con gli occhi lucidi e sorrise – Vecchio amico mio! Che gli dei ti accolgano e che ti diano la pace –
 
Lungo la strada aveva salutato i suoi uomini ed era arrivata a Glastonbury. Si era fermata al convento delle suore per lasciare là il suo cavallo e porgere l’ultimo omaggio a Ginevra. Ma anche lei non c’era più: morta per le complicazioni di una polmonite. Quindi, dopo aver salutato il sepolcro della Grande Regina e sua cognata, aveva preso una barca e si era diretta ad Avalon.
E ora stava marciando verso le sue sorelle. Non aveva dentro il corvo della dea che tentava di possederla e dal quale solo Oscar l’aveva salvata. In effetti, si disse, era riuscita a venire a patti con le varie anime della sua personalità. Al suo arrivo non ci furono festeggiamenti: abbracciò sua sorella Viviana, la dama bianca, la Dama del Lago prima che lei giungesse là con Oscar e André e l’altra sua sorella, Morgause, la dama rossa che, se mai era possibile, con il passare del tempo era diventata ancora più bella e radiosa.
Andarono subito a rendere omaggio al luogo dove il loro fratello Artù riposava e là, nel profondo di un’antica tomba a corridoio, Morgana depose infine la lancia e la pietra rossa che, assieme alla spada Excalibur e alla coppa che la comunità cristiana di Giuseppe di Arimatea aveva donato, formavano i quattro oggetti sacri di Avalon
Morgana appoggiò le mani sul sarcofago e vide che la coppa ancora brillava di luce propria, che ancora stava sanando le ferite del re affinché potesse, un giorno tornare a regnare sulla Britannia. “E quel giorno verrà! Verrà, Mio Re!” pensò “Non è all’epoca di Oscar, ma il tuo giorno verrà…Verrà e saremo di nuovo insieme…E saprai che non ti ho mai tradito! Saprai che ti ho voluto bene! Saprai che ti ho amato, fratello mio! Saprai che non sono il mostro che tutti pensano
Viviana sospirò – Come è stato possibile che la pietra sia stata trovata da quella…Oscar? E come mai è possibile che, viaggiando nelle nebbie, tu, Morgana, sia stata mandata proprio nella sua epoca? –
La Duchessa sorrise debolmente – Ci ho pensato, sorella. La pietra è stata dispersa per secoli, ma è anche vero che, per molti più secoli, è stata conservata ad Avalon e ad essa è legata indissolubilmente…E, se ti rammenti, Avalon aveva scelto come suo ultimo campione proprio Lady Oscar. E me come sua Dama del Lago…Non è stato un caso che proprio noi due abbiamo visto il suo potere e abbiamo ritrovato la lancia del dio…Di…Di Lug –
Viviana strinse le labbra – Le nostre sacerdotesse percepiscono che il mondo esterno sta cambiando. Troppo velocemente! Alcune di loro pensano di poter uscire da questo limbo e, quando fanno ritorno sono impazzite e si uccidono…Oppure non tornano…Perse nelle nebbie. Ma ora sei qui sorella! La Dama del Lago è di nuovo al suo posto –
Morgana annuì – Sono qui perché là fuori non c’è più nulla per me…Per noi…Sorelle…Il nostro mondo è ormai finito e rimaniamo solo noi…E nostro fratello…E quest’isola fuori dal tempo e dallo spazio è l’unica cosa che rimane della nostra vecchia Britannia –
Dopo un attimo di silenzio Morgana si girò verso le due donne – E Merlino? E’ ancora qui? –
Morgause inarcò le sopracciglia – E’ morto –
Morgana rimase a bocca aperta – Lui…Si diceva che aveva un’età secolare… -
Viviana sospirò di nuovo – Lo abbiamo trovato morto…Nelle sue stanze. Lo abbiamo seppellito in una quercia del Sacro Bosco, come, immagino, avrebbe voluto…Ma ha lasciato scritto uno strano messaggio. In latino, credo… –
 
Dopo aver lasciato il luogo di riposo di Artù, le tre donne tornarono verso gli alloggi delle sacerdotesse ed entrarono nelle stanze che furono del vecchio Mago Merlino. Morgana aggrottò la fronte notando la grande confusione di pergamene e libri. Viviana prese un foglio da un tavolo e glielo mostrò. L’altra piegò la testa prima da un lato e poi dall’altro – Ma è latino? –
Viviana scrollò le spalle – Una parola si…Ma l’altra…Non ho la minima idea di cosa voglia dire –
Morgana inarcò le sopracciglia – Adventus…Arrivo…Hon…Honlul…Honolulu…Honolulu arrivo! (n.d.a.: citazione) Dannato vecchio pazzo! Ma cosa hai mai scritto? –
 
Glastonbury – Anno 1539
L’emissario di Re Enrico VIII, sulla cima del Tor, guardò di nuovo i tre corpi impiccati sul retro della Chiesa di San Michele: Richard Whiting, ultimo abate di Glastonbury e due dei suoi monaci che avevano voluto seguirlo nella morte: John Thorne e Roger James. Si erano rifiutati di appoggiare la riforma religiosa del sovrano e, cosa ancora più grave, di dare alle casse reali il tesoro dell’Abbazia. Poi avrebbero dovuto sbudellarli e squartarli, come era previsto dalla pena per i traditori.
L’uomo sbadigliò e poi guardò la costruzione. Un soldato si avvicinò di corsa – Mylord…Gli ordini sono di demolire la Chiesa…Dobbiamo abbattere anche la torre? –
L’uomo alzò lo sguardo verso la lugubre torre di San Michele che era stata costruita secoli prima della Chiesa: - No! – disse quasi urlando – Il Re in persona ha dato ordine che non venga toccata! –
L’uomo era uno dei pochi a sapere che, anni e anni addietro, era stata costruita quella torre non per la gloria di Dio, ma per sigillare l’empio mondo pagano. La Chiesa aveva usato gli stessi mezzi degli antichi: se le grandi pietre verticali amplificavano il potere della terra, quella torre, eretta in un preciso punto della grande collina, aveva chiuso un intero mondo. Cosa ci fosse in quel posto lui non lo sapeva, ma Re Enrico era stato categorico, quasi spaventato da qualcosa o qualcuno, nell’ordinare che quella torre non fosse mai e poi mai abbattuta.
 
Londra – Inghilterra – Anno 1787
Re Giorgio III agitò la tazzina del thè e guardò il liquido ambrato ondeggiare. Alzò gli occhi e si concentrò su chi aveva di fronte in quella riunione riservata. Ai lati del tavolo rettangolare c’erano esponenti dell’esercito nelle loro uniformi rosse e della marina, stretti nelle giacche blu. In fondo c’erano alcune persone in abiti civili di colore nero.
Il Re sospirò – Quindi…E’ ovvio che la nostra nuova direzione di espansione è l’India: l’Oriente con le sue ricchezze –
Un generale si piegò in avanti – Vostra Maestà, rinunciamo così alle colonie americane? –
Il Re sorrise debolmente – Bah! L’espansione di quelle colonie è sempre stata dispendiosa e non dimenticatevi, Mylords, che noi controlliamo il Canada e le isole dei Caraibi. Quei pezzenti coloni torneranno dai noi strisciando quando si renderanno conto che gestire una nazione è tutt’altro che crearla –
I presenti si concessero una risata. Il Re sorseggiò il suo thè - Piuttosto…Che ne è di Lord Baxter? Gli avevamo affidato l’incarico di sorvegliare quel francese…Quel comandante della Guardia Reale a Versailles… -
Un uomo in abiti neri sospirò – Vostra Maestà, abbiamo perso le tracce di Lord Baxter nei pressi di Salisbury. Lord Baxter in persona, a un certo punto, ci ha vietato ogni intervento. Ha più volte dichiarato che avrebbe pensato lui alla donna francese –
Il Re aggrottò la fronte e poi sorrise – Oh! Adesso ricordiamo…Oscar François de Jarjayes…La donna che comanda la Guardia Reale a Versailles…Ma diciamolo…Solo i francesi possono pensare una cosa simile…Abbiamo capito cosa è venuta a fare qui? –
Il silenzio raggelò la sala; uno degli uomini in nero sorrise debolmente – Vostra Maestà…Forse…Forse era solo un viaggio di piacere…Sappiamo che è andata a Tintagel e a Glastonbury…E’ stata ospite al comando del generale Lord Walsingham vicino a Lapford…Vincendo pure un duello con un capitano…E poi…Ne abbiamo perso le tracce perché Lord Baxter ha voluto provvedere personalmente…E abbiamo anche perso le tracce di un colonnello del nostro esercito: William Harrison –
Re Giorgio si appoggiò pesantemente allo schienale della sua poltrona – Un alto ufficiale francese…Un nobile inglese influente come Lord Baxter e un alto ufficiale dell’esercito…Avete qualche idea su come siano collegate queste persone? Perché noi ce l’abbiamo, Mylords…Spionaggio –
Un ammiraglio aggrottò la fronte – Vostra Maestà…Con tutto il rispetto…I francesi potevano inviare una persona…Meno appariscente di questa donna soldato…Dicono che sia un ottimo ufficiale, addestrato nientemeno che dal generale Conte de Jarjayes, suo padre, uno dei più valenti comandanti sul campo dell’armata francese e che sta per essere nominato responsabile dell’approvvigionamento degli armamenti per tutto l’esercito…Ma è anche una sorta di attrazione, proprio per la sua…Condizione…Senza contare che è anche amica personale della Regina Maria Antonietta –
Un generale annuì – Concordo, Vostra Maestà –
Il Re fece un gesto con la mano – E allora cosa accidenti è andata a fare a Tintagel e Glastonbury? C’è qualcosa da vedere in quelle lande desolate? –
Un uomo in nero annuì – In effetti, Vostra Maestà…Antiche leggende parlano di quei due luoghi…Sono legati al grande King Arthur
Il Re strinse le labbra – Lo so! Il primo grande re inglese! Nostro padre e nostro nonno si sono prodigati per farci apprendere ogni cosa di questa terra (n.d.a.: Giorgio III è il primo Re della dinastia Hannover a essere nato in Inghilterra e non in Germania), ma credete davvero che questa…Questo…Soldato…Sia venuto qui solo per fare il…La turista? E la sparizione non solo di Lord Baxter, ma anche di altri esponenti del parlamento e della borghesia, come la spiegate? –
Un generale si strinse nelle spalle – Vostra Maestà…E’ vero, non lo sappiamo e non ne abbiamo la minima idea, ma i nostri informatori in Francia ci dicono che la de Jarjayes è tornata da sola e che Lord Baxter e gli altri non si sono visti –
Un ammiraglio annuì – Lo confermo, Vostra Maestà. Controlliamo tutti i porti, anche quelli più piccoli e tutte le coste. Se Lord Baxter avesse…Disertato…Lo avremmo saputo –
Re Giorgio digrignò i denti – Non lo sapete? Questa de Jarjayes, che sia maledetta, se non ci sbagliamo, si trova adesso in Francia, lontano da noi…Hanno usato una persona così in vista proprio per non permetterci di toccarla, perché altrimenti sarebbe stata di nuovo la guerra…Una guerra che noi, con la nostra flotta e gran parte delle nostre risorse impegnate in Oriente, non possiamo attualmente affrontare – disse e strinse i pugni – Oh! Maledetto Baxter e maledetti francesi! Chi li faceva così furbi? E voi…Chi vi faceva così stupidi? Requisite le proprietà di Baxter e quelle della sua famiglia! Che a quel traditore non rimanga nulla! –
Gli uomini abbassarono il capo. Uno di quelli vestiti di nero, l’unico, sapeva che la de Jarjayes era stata vista in una locanda vicino a Salisbury con un’altra donna, completamente paludata di nero, con una corona in testa e dalla pelle pallida e i capelli neri corvini: “Come le streghe delle vecchie leggende” pensò, ma non osò parlare.
Il Re bevve un sorso di thè – Oh! Dobbiamo calmarci! Non vediamo l’ora di mangiare il nostro piatto preferito: crauti cucinati rigorosamente in pentole di piombo tedesco! (n.d.a.: sembra che proprio questa particolare golosità di Giorgio III per cibi cucinati in pentole di piombo abbia determinato quella che passò alla storia come “La pazzia di Re Giorgio) E la faremo pagare a Luigi e a tutta la sua corte di pagliacci impomatati! A tal proposito…Sono vere le voci di profondi dissensi nella società francese? –
Un uomo in nero annuì – Si, Vostra Maestà. Lo sforzo bellico, anche se ha visto la Francia vincitrice, ha lasciato il segno nelle loro finanze. Sembra che si stiano formando diverse fazioni in seno alla nobiltà e al popolo e che chiedano…Beh! Riforme…Da quelle più blande che fanno capo al Duca d’Orleans, cugino di Re Luigi e al Marchese de La Fayette… - disse, ma il Re fece una smorfia – Non ricordateci il nome di quel viscido che ha aiutato i pezzenti coloni contro di noi! –
L’uomo in nero deglutì – Come Vostra Maestà comanda! Fino a quelli più oltranzisti che sembra facciano capo a un borghese, un avvocato di provincia, un certo Maximilien Robespierre. A quanto ne sappiamo fino a poco tempo fa c’era persino, a Parigi, un eroe mascherato chiamato il Cavaliere Nero che rubava ai nobili per donare ai poveri –
Re Giorgio si massaggiò gli occhi con pollice e indice – Donne al comando della Guardia Reale…Avvocati che fomentano movimenti di rivolta…Buffoni mascherati…Ringrazio Dio di non essere francese! – disse suscitando le risate generali.
Il sovrano si sistemò ancora sulla poltrona – Ma non c’è nulla di nuovo in quello che mi avete detto! Bah! Concentriamoci sugli sforzi del Duca d’Orleans e di quel…La Fayette…Che seminino zizzania e rallentino la politica estera francese. Anche perché crediamo che le frange più estreme non arriveranno mai a impensierire la monarchia…Specie con un avvocato di provincia…Come avete detto che si chiama? –
L’uomo in nero si piegò in avanti – Vostra Maestà: il suo nome è Maximilien Robespierre –
Il Re annuì – Ecco…Appunto…Le aspirazioni di questo avvocato andranno a sbattere contro la potenza dell’armata francese e Luigi e la sua regina austriaca non perderanno certo la testa a causa di questo…Robespierre. Tornando alla de Jarjayes…Vogliamo che gli venga recapitato un messaggio personale da parte nostra – disse snudando i denti come una belva.
 
Dunblane – Scozia – Regno Unito (oggi)
Mary pulì la tazza e l’appoggiò delicatamente sul bancone. Gli piaceva essere precisa, soprattutto nelle pulizie per il King’s Pub della Main Road. “King’s Pub Kitchen and Coffee House” si disse mentalmente e prese un’altra tazza.
Nella piccola sala c’era solo il vecchio Connor che sfogliava un giornale masticando tabacco. Era raro avere degli ospiti per la notte, ma era ancora più raro che fossero stranieri e Mary voleva che tutto fosse in ordine.
Sentì dei passi nelle scale e delle voci concitate che parlavano una lingua straniera. L’uomo, di nome Maurice, arrivò per primo sbuffando – Per l’amor del cielo, Odille, non facciamoci riconoscere anche qui…Oggi dobbiamo partire da Edimburgo e tornare a Parigi, te ne prego! –
La donna, che scendeva subito dietro di lui, alzò una mano – Non se ne parla Maurice! Mi devono sentire! – disse e andò subito al bancone. Mary appoggiò la tazza e sorrise – Posso aiutarvi? –
Odille sorrise – Bonjour…Potevate avvertirci che qui ci sarebbero state delle manovre militari…Non saremmo andati da un’altra parte, ma di certo ci saremmo messi tappi per le orecchie –
Mary rimase di stucco – Io…Non capisco…Non abito qui e chi ha fatto il turno di notte non mi ha detto nulla. Che io sappia non ci sono state manovre qui nei dintorni, men che meno militari –
Odille sorrise – Non mi prenda in giro! Abbiamo sentito per quasi tutta la sera dei rumori di un reggimento in marcia. Erano passi! Passi con la cadenza che solo un esercito in movimento può avere e non ho chiuso occhio fino all’alba! –
Maurice sospirò – Veramente dopo un’ora i rumori sono cessati di colpo…E’ che tu sei stata tutta la notte a rimuginare su cosa dire –
Odille alzò una mano – Non ora Maurice! Quindi…Se non erano dei militari…Di cosa mai si poteva trattare? Di fantasmi forse? – disse sorridendo.
Il vecchio Connor, che aveva sentito la discussione, sorrise debolmente: – Probabilmente si – disse lentamente.
Odille si girò, imitata da Maurice e Mary tentennò sconsolata – Ti prego…Non ancora con quella storia –
Odille socchiuse gli occhi – Prego? –
Connor la guardò – Sembra che da molti anni a questa parte, in alcune sere, si sentano i rumori che voi stessi avete udito…Quelli di un esercito in marcia. Conoscete la storia della Regina Boudicca? –
Odille e Maurice si guardarono e Connor sorrise di nuovo – Io ero insegnante qui alla scuola secondaria di Dunblane: l’antica Regina Boudicca, del sud dell’Inghilterra, si ribellò contro la dominazione romana durante il regno di Nerone. Lo fece perché, non avendo abbastanza beni per pagare le tasse romane, i legionari la frustarono pubblicamente e stuprarono le sue due figlie –
Odille si irrigidì, ma l’uomo continuò: - Maledì i legionari che l’avevano oltraggiata, che appartenevano alla Nona Legione dell’esercito romano e sconfisse pure quell’unità in battaglia, infliggendole dure perdite. La legione venne ricostruita e, anni dopo, mandata in esplorazione oltre il Vallo di Adriano, in Scozia…E lì sparì dalla faccia della terra –
Odille strinse le labbra – In Scozia…Vorreste dirmi che i rumori che abbiamo sentito ieri sera, quelli di un esercito in marcia…Erano quelli di una legione romana maledetta e dispersa secoli fa? –
Connor sospirò – Questo è quello che si dice, mademoiselle. Nei dintorni non ci sono basi militari e da molto tempo non si vedono parate, figurarsi parate notturne –
Maurice strinse le labbra – Affascinante –
Odille sbuffò – Per favore! Andiamocene! Non vedo l’ora di essere di nuovo a Parigi –
La coppia uscì dopo aver pagato il conto e Mary si appoggiò al bancone sconsolata. Guardò Connor – Dovevi proprio parlare di quella…Quella cosa? –
Lui scrollò le spalle – Era da molto tempo che i legionari non si facevano sentire e, piccola, se ci pensi è molto triste…Maledetti e costretti a marciare per l’eternità –
Mary tentennò – Si…Certo…Come no – disse e andò nel retro.
Connor la guardò infilare la porta e poi sospirò: “E ancora, dopo più di mille anni, la Regina non li ha perdonati! Che destino!” pensò e tornò al suo giornale.

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Capitolo 17
*** SECONDO EPILOGO: FRANCIA ***


Versailles – Regno di Francia (anno 1787)
Oscar mise un ginocchio a terra e chinò il capo. La Regina Maria Antonietta sorrise gentilmente – Mademoiselle Oscar! E’ un piacere rivedervi. E’ da quando avete lasciato la Guardia Reale che non venite qui –
Oscar alzò lo sguardo e si permise di sorridere – Vostra Maestà, vi prego di perdonare la mia assenza, ma ho approfittato di questo periodo di tempo per visitare le proprietà della mia famiglia in Normandia – disse e pensò ancora al suo libretto nero, scritto di suo pugno, ma contenente frasi e disegni sconnessi e privi di senso; come fatti da una persona che stava perdendo la memoria e si aggrappava a tutto per ricordare. Ricordare cosa? Ecco, quello era il problema. E proprio per quello aveva deciso di lasciare il taccuino nella scrivania della villa, in un cassetto segreto; con la promessa che, una volta sistematasi al comando delle Guardie Francesi, avrebbe fatto di tutto per risolvere il mistero.
Lei e la Regina si trovavano nella grande Sala delle Guardie della Regina, al primo piano dell’imponente reggia dei Re di Francia. Maria Antonietta socchiuse gli occhi – Indossate la vostra nuova divisa…Devo dire che vi dona il blu delle Guardie Francesi, ma a quanto ne so dovrete prendere servizio solo tra qualche giorno –
Oscar annuì – Vostra Maestà, lo so, ma voglio rendermi conto fin da subito del mio nuovo incarico – disse “E soprattutto non ho niente da fare in casa, visto che mio padre è impegnato nel suo nuovo incarico di responsabile degli armamenti dell’esercito e André…André non si trova e nemmeno sua nonna sa dov’è quel…Quel…” pensò ricordando bene quella sera maledetta e il rumore della sua camicia strappata. Ma, del resto, lui non aveva fatto nulla, si era scusato dicendo che era innamorato, come se l’esserlo scusasse ogni nefandezza, anche strappare i vestiti della sua amica. Lo aveva cercato non per rinfacciargli quell’episodio, ma per cercare di trovare una pacificazione tra loro, se mai era possibile. Guardò di nuovo la Regina – E poi volevo parlare con voi, Vostra Maestà. E’ per questo che ho approfittato della nostra amicizia e vi ho chiesto udienza –
 
Poco dopo Maria Antonietta e Oscar passarono davanti alla fontana del Bassin de la Pyramide e alla vasca del Bain des Nymphes e iniziarono a percorrere l’Allée d’Eau, il bel viale che separava il Bosquet des Trois Fontaines e il Bosquet del l’Arc de Triomphe e che le avrebbe condotte alla fontana del Bassin du Dragon e a quella immensa del Bassin de Neptune. Oscar alzò la testa, fortunatamente il cielo era leggermente velato e si poteva passeggiare tranquillamente nel grande parco della reggia, ovviamente sotto lo sguardo discreto e lontano di un drappello di Guardie Reali.
La Regina strinse le labbra – Siete andata in Inghilterra! Avete fatto male! Molto male! I rapporti tra i nostri due paesi sono sempre tesi! E a quanto ne so quel…Quel Re Giorgio III non fa nulla per migliorarli –
Oscar aggrottò la fronte: “Abbiamo contribuito a togliergli una buona fetta di Impero! Io al suo posto sarei come minimo inviperito” pensò e si schiarì la voce – Vostra Maestà…Mi sono recata a vedere di persona i luoghi descritti nelle opere letterarie che mi piace leggere. Sono stata a Tintagel e a Glastonbury e poi a un cerchio di antiche pietre nella campagna inglese. E’ stato molto bello…E molto tranquillo. A quanto sembra la vostra amicizia è un ottimo scudo, anche contro le ire di Giorgio III –
Maria Antonietta sorrise come una ragazzina e provocò un’immensa tenerezza in Oscar. La Regina fece un gesto con la mano – E il viaggio è collegato a…Quegli strani sogni che facevate…O che fate anche adesso? –
Oscar sospirò – Da quando sono tornata non sogno più antichi castelli o vecchi monumenti, se è questo che volete dire, Vostra Maestà. Come non sogno più spade o…O streghe dalla pelle pallida…Devo dire che ho provato sollievo a confidarmi con voi, Maestà –
La Regina si fermò – Streghe pallide…Donne dai capelli di fuoco…Spade…Cavalieri…Antiche tombe…Ricordo che mi avete detto di aver sognato tutto questo in un insieme di immagini confuse e senza senso…Prive di una qualsiasi logica, secondo le vostre parole. Ma sono lieta che ora siate più serena. Dovevate parlarmi di altro, comandante? –
Oscar inspirò profondamente – Si, Vostra Maestà. Mi duole informarvi che ho avuto delle informazioni sulla condotta disdicevole di una unità della nostra marina militare, che si è macchiata di un grave crimine anni fa, durante l’assedio di Yorktown, nelle colonie americane: la nave da battaglia Esperance ha aperto deliberatamente il fuoco su una nave di civili inglesi che stavano fuggendo –
Maria Antonietta strinse le labbra – E’ un’accusa grave, comandante. Molto grave. Abbiamo festeggiato quella vittoria come una delle più grandi della storia francese –
Oscar annuì – Vostra Maestà…Me ne rendo conto. Quello che vi chiedo, come ufficiale di Francia e…E vostra amica personale…Di far presente questo al Re e al comando della marina, sono sicura che l’ammiraglio De Grasse, che ha guidato vittoriosamente la nostra flotta all’epoca, sarà di certo desideroso di trovare e punire degli eventuali colpevoli – disse e sospirò: detestava chiedere favori personali alla Regina. Uno l’aveva richiesto quando aveva voluto abbandonare la Guardia Reale per un nuovo incarico e quello era già il secondo, sebbene, si disse, per una giusta causa.
La Regina annuì a sua volta – Informerò il Re quanto prima. Non sia mai che una nave della nostra marina si macchi di un crimine come questo. Vi assicuro che farò il possibile affinché chi di dovere se ne occupi –
Oscar sorrise, mise un ginocchio a terra e chinò la testa – Vi ringrazio, Vostra Maestà. Chiedo umilmente di congedarmi e di prendere il comando dei miei soldati –
Maria Antonietta mosse languidamente la mano verso di lei – Andate, comandante Oscar, rendete fiera me, il Re e la Francia di voi e ricordate: io vi sono amica, come spero che anche voi lo siate sempre con me –
Oscar prese la mano della Regina e ne baciò il dorso, poi la guardò negli occhi – Così sarà, Vostra Maestà –
 
Dopo aver lasciato la Regina Oscar si diresse verso la terrazza che portava al piano terreno della reggia e da lì sarebbe uscita sulla Court de Marbre, il meraviglioso ingresso principale del palazzo; avrebbe recuperato il suo cavallo e sarebbe andata di volata a presentarsi alle sue truppe. Si infilò un guanto quando, sulla porta che dava sulla terrazza, vide una figura in piedi, con accanto altri due uomini con vesti scure. Sembrava che quell’uomo la stesse aspettando, scrollò le spalle e avanzò. La figura si mosse, si mise di fronte a lei e fece un profondo inchino – Mademoiselle Oscar, è un piacere vedervi di nuovo a Versailles –
Oscar aggrottò la fronte; l’uomo di fronte a lui indossava abiti francesi, ma la sua parlata aveva un profondo accento straniero: inglese. Lui si raddrizzò e sorrise – Perdonatemi. Sono qui con la delegazione inglese e posso mostrarvi tutte le credenziali necessarie, se me lo richiedete…Il mio nome non ha molta importanza, non certo per una persona come voi. Ma ho ricevuto un incarico da Sua Maestà Giorgio III in persona –
Oscar lo fissò incuriosita – E cosa posso fare io per il Re d’Inghilterra? –
L’uomo si avvicinò ancora a lei – Sua Maestà ha saputo che voi vi siete recentemente recata nel suo regno, più precisamente in alcune zone del sud –
Lei sospirò – Lo credo bene! Sono stata ospite di uno dei suoi comandi militari, a Lapford, guidato dal generale Lord Walsingham. Anzi, a dire il vero sono stata costretta a seguire i soldati di Lord Walsingham –
L’uomo annuì – Sua Maestà ne è al corrente…E anche del duello che ne è seguito e si scusa profondamente con voi per quello che è successo. Ecco…Alla vostra…Visita sono seguite delle vicende…Diciamo…Deplorevoli per la politica inglese. Sua Maestà Re Giorgio chiede pertanto il vostro aiuto e vi domanda: sapete dove si trova un autorevole membro del Parlamento che risulta scomparso proprio in concomitanza con…Con la vostra visita…Lord Baxter? –
Oscar sbatté le palpebre: del viaggio, piuttosto piacevole, per lei, si ricordava le rovine di Tintagel con la loro storia oscura, Glastonbury e l’amorevole padre Philby e il vecchio cerchio di pietre. Oltre, naturalmente, il breve soggiorno nel comando di Lord Walsingham e del duello con il capitano Travers, risolto in maniera splendida, a suo avviso. E poi c’era, ovviamente, il viaggio di ritorno sulle coste della Normandia, allietato dalle storie di avventure marinare del capitano Nelson; – Mi dispiace, ma non ho mai incontrato o visto una persona con questo nome -
L’uomo strinse le mascelle e fece quella che sembrava una smorfia di furore, ma poi sorrise – Bene! Era l’unica domanda che Sua Maestà voleva porvi e…Poi…Ho un messaggio personale del Re, per voi soltanto – disse e si avvicinò a lei fino quasi a sfiorarla; piegò la testa e le parlò all’orecchio – Se vi farete vedere ancora una volta oltre il Canale verrete fatta a pezzi e data in pasto ai maiali! E poi, queste sono le testuali parole del Re: che vengano pure Luigi e Maria Antonietta a chiedere “Sapete dove è finita Oscar de Jarjayes?” –
Oscar deglutì e guardò l’uomo negli occhi, sorrise debolmente e chinò il capo – Sua Maestà Re Giorgio è stato…Oltremodo chiaro! Dite pure a Sua Maestà che i suoi ordini saranno eseguiti, senza alcuno sforzo –
L’uomo sorrise a sua volta e si inchinò – Mademoiselle…I migliori auguri per il vostro nuovo incarico –
 
Oscar montò in sella, ringraziò con un cenno del capo lo stalliere che aveva accudito il suo cavallo e uscì dal cancello principale della reggia. Sospirò: “Quindi, Oscar, per un semplice viaggio di piacere hai tra i tuoi nemici, oltre al Duca d’Orleans e ai suoi intrighi di potere, alla Contessa di Polignac e alla sua fame di denaro…Il Re d’Inghilterra che, a quanto ho capito, si è perso un membro del suo Parlamento, come se fosse colpa mia!” pensò e scrollò le spalle. In fondo, si disse, il Re inglese era di fatto nemico di ogni soldato e suddito francese e quindi poco importava.
Arrivò alla caserma delle Guardie Francesi e fu salutata con un impeccabile presentat arm delle sentinelle al portone. Lasciò di nuovo il suo cavallo e raggiunse il suo nuovo ufficio. Poco dopo entrò un ufficiale, un colonnello, colui che era il suo secondo in comando. L’uomo, piuttosto anziano, ma dal corpo snello e vigoroso, si mise sull’attenti facendo il saluto: - Ben arrivato comandante. Vogliate perdonarmi, credevamo che arrivaste solo tra tre giorni, altrimenti avremmo predisposto una parata di benvenuto –
Oscar sorrise benevolmente e si portò la mano alla fronte – Riposo! La parata di benvenuto verrà effettuata lo stesso tra qualche giorno, per oggi sono qui solo in via informale, per rendermi conto dell’ambiente e dei soldati che avrò al mio comando. Vi prego, colonnello, fatemi vedere le camerate –
L’uomo aggrottò la fronte, di solito i comandanti che arrivavano direttamente dal servizio di Versailles si sedevano dietro la scrivania e lì restavano, delegando a lui e agli ufficiali di rango subalterno tutto quanto. Sospirò – Seguitemi pure, signore –
Oscar seguì il colonnello e sospirò. Avrebbe finalmente conosciuto i suoi nuovi soldati, gente del popolo. In quel momento pensò ad André, si ripromise che lo avrebbe trovato; forse era disperso in qualche bettola della periferia di Parigi e lo avrebbe costretto a dire a sua nonna che stava bene. E lo avrebbe costretto a parlare con lei, a costo di minacciarlo con la spada.
Dall’esterno della camerata sentì il rumore delle suole di molti stivali che sbattevano sul pavimento; il colonnello si mise di fianco alla porta e batté i tacchi – Il colonnello Oscar François de Jarjayes, nuovo comandante del reggimento delle Guardie Francesi di Parigi –
Oscar aspettò un istante, raddrizzò la postura, incrociò le mani dietro la schiena ed entrò sulla soglia. Un uomo, alto e dai capelli scuri batté i tacchi – Signore, Sergente Maggiore Alain de Soison, cinquanta presenti nella camerata A, porgiamo il benvenuto al nuovo comandante – disse e alzò la mano nel saluto, imitato dagli altri.
Oscar avanzò, osservò i volti dei soldati, così diversi da quelli dei giovani rampolli che conosceva, così veri e sinceri, si disse. Poi, improvvisamente, si bloccò, come se una forza invisibile l’avesse colpita. Le sembrò che le fresche minacce di Re Giorgio III fossero state eseguite; si sentì come fatta a pezzi perché, di fronte a lei, a pochi passi, stretto nell’uniforme delle Guardie Francesi, c’era il suo attendente, il suo amico, il suo confidente: André Grandier.
La ciocca di capelli che gli copriva la parte sinistra del volto non lasciava alcun dubbio e quell’occhio malinconico che la osservava scrutandola e vedendo ogni più intima cosa del suo essere la costrinse a distogliere lo sguardo. Per un attimo, per una microscopica frazione di secondo, le sembrò che l’uniforme di André si trasformasse in una sorta di corazza e che sulle spalle avesse drappeggiato un mantello scarlatto. Lo fissò di nuovo in silenzio, per lunghi istanti, tanto che gli altri soldati avevano iniziato a guardarsi l’un l’altro senza sapere cosa fare. Oscar digrignò i denti, avrebbe voluto dire qualcosa, onorare i suoi nuovi uomini, onorare il Re e la Patria. Ma l’unica cosa che gli salì alle labbra fu una sola frase; un’imprecazione antica che probabilmente si era persa nella sua memoria ed era riaffiorata, chissà poi perché, proprio in quel momento: - Dei dell’Annwn! – disse quasi gridando.
 
Francia – Strada tra Versailles e Parigi (12 Luglio 1789)
Oscar piegò il collo a destra e a sinistra. André, al suo fianco sorrise – La terra è dura, vero? –
Lei si massaggiò la nuca – Lo è…Anche se…Sinceramente: non pensavo al terreno poco fa –
Lui sorrise, l’abbracciò e si alzò appoggiandosi al braccio. La guardò e sorrise di nuovo – E’ stato meraviglioso –
Lei lo guardò e sorrise a sua volta a labbra strette; alzò la mano e gli accarezzò la guancia – Si! Ti amo –
Lui strinse le labbra – Lo so! –
Lei rise e lo colpì al petto con un pugno. Per un attimo risero insieme e poi si guardarono di nuovo. Lei sospirò – Tra poco sarà l’alba! L’alba di una nuova Francia, speriamo –
Lui annuì e l’aiutò a rialzarsi – L’alba di un nuovo mondo – disse solo.
L’ordine tanto temuto era arrivato. Oscar avrebbe dovuto condurre i suoi soldati a Parigi e fronteggiare la popolazione che da mesi e mesi protestava per le ormai necessarie ed improrogabili riforme di cui la Francia aveva bisogno. Di fronte alla risolutezza delle forze che componevano l’Assemblea Nazionale il Re e i suoi ministri non avevano trovato nulla di meglio da fare che far intervenire l’esercito. L’armata francese avrebbe dovuto combattere contro il suo stesso popolo; lei stessa avrebbe dovuto combattere contro la Francia.
Aveva giurato di difendere il Re e la Patria, ma nemmeno suo padre, che pure aveva fondato tutta la sua esistenza su quel principio, avrebbe potuto prevedere una cosa del genere: cosa fare quando un Re combatte la sua stessa Patria? Con chi schierarsi? Per la nobiltà, si era detta, era stato semplice: con il Re, ovviamente, che garantiva il loro potere ed i loro privilegi.
Per lei, invece, non era stato così facile. Il suo senso del dovere, il suo amore per la Francia, uniti alla scoperta di un sentimento forte ed intenso verso André, l’avevano spinta dove era ora: all’ordine di mettersi alla testa delle sue truppe, era partita con André, aveva lasciato una lettera di commiato alla sua famiglia e si sarebbe unita alla rivolta. Strinse le labbra: non era una rivolta, si disse, era una vera e propria rivoluzione. E, una volta compiuto il suo dovere, una volta fatto della Francia un paese migliore, avrebbe dedicato ogni fibra del suo essere al suo compagno di vita.
Ad ogni modo, si era anche detta che non era iniziata nel migliore dei modi: lei e André erano partiti di sera e avevano dovuto fare un giro molto lungo per evitare gruppi di ribelli armati che imperversavano sulla strada tra Versailles e la capitale. Oscar e André si erano poi fermati in un bosco e avevano parlato. Avevano chiarito i loro sentimenti reciproci alla luce delle lucciole e…Si erano giurati eterno amore spogliandosi e amandosi proprio lì.
Oscar si rimise la fascia che le comprimeva il seno e poi la camicia. Poteva finire bene per loro? Poteva il destino, come alcune volte concedeva agli eroi, lasciarli vivere in pace per il resto dei loro giorni? Non lo poteva nemmeno immaginare, ma quello che di certo sapeva era che lei era malata di tisi e lui stava perdendo la vista dell’unico occhio che gli era rimasto.
Oscar alzò il viso abbottonandosi la giacca dell’uniforme. la luna piena si poteva intravedere tra i rami e lei la trovò, per qualche ragione, bellissima. André si sistemò il cinturone, poi la guardò e sorrise, si avvicinò, ma, invece di abbracciarla, mise un ginocchio a terra e abbassò il capo – Posso essere il vostro cavaliere, Mia Signora? –
A quelle parole Oscar barcollò e fu solo grazie alla prontezza di riflessi di André che non cadde. Quelle parole, così semplici, l’avevano colpita. Guardò l’occhio di lui che sorrise a bocca aperta e annuì – Oh! Sta tornando anche a me…Sta tornando la memoria…La Normandia…Il nostro viaggio di tanti anni fa…La tempesta…La nebbia –
Oscar sorrise con le lacrime che gli rigavano le guance – Il castello della strega nera! Morgana…E Avalon…L’Isola Sacra –
Lui annuì di nuovo – E la dea della guerra…E la tomba del Re… -
Oscar annuì – E Morgause! – disse dandogli un altro pugno sul petto. Lui tossì leggermente – E Morgause… -
Rimasero per lunghi istanti in silenzio e poi lei si strinse a lui e lo guardò negli occhi – Perché ora, André, perché ricordiamo tutto ora? –
Lui si strinse nelle spalle – Io…Non lo so! Mi viene in mente, come disse qualcuno, molto e molto tempo fa…Che la magia non è una scienza esatta –
Oscar ricordò anche il suo viaggio di qualche anno prima: Tintagel, Glastonbury con la cupa visita alla collina del Tor e l’apparizione di Morgana, fino alla scoperta della tomba di Boudicca e della lancia degli esseri venuti dal cielo presso il cerchio di pietra, come pure della morte di Baxter e del suo gruppo. Fissò lui e gli prese il volto tra le mani – Sono andata in Inghilterra, due anni fa, prima di prendere il comando delle Guardie Francesi e quando…Beh! Quando tu non eri con me. Ti racconterò poi i dettagli, ma ho rivisto Morgana. Ha scoperto come viaggiare nelle nebbie, nel tempo e nello spazio. E so che lei è là…E’ là con le sue sorelle che veglia sul corpo addormentato del Re –
André aggrottò la fronte – Là dove? –
Lei digrignò i denti – Ad Avalon! Dove sennò? – disse quasi gridando.
Lui le prese le mani dolcemente – Oscar…Avalon…Qualunque cosa sia…E’…Il passato! –
Lei aprì la bocca, ma non disse nulla – Come…E’ il passato, ma un passato glorioso: un Re che ha fatto il bene della sua terra e del suo popolo e di cui anche tu sei un suo cavaliere! –
Lui sorrise debolmente – Oh! Lo ricordo bene! E ricordo anche che ne fui orgoglioso. Ma credo che tu abbia anche bene in mente quali erano le convinzioni di Morgana sulla gestione del potere e sui rapporti con il popolo. Lei, come le sue sorelle e, probabilmente, come lo stesso Re, erano…O sono…Il prodotto di un’altra epoca. Se loro fossero qui, Oscar, sarebbero sicuramente in prima linea per difendere la tirannia che uccide il popolo. Io posso comprendere il loro orgoglio di casta, quella a cui, peraltro, anche tu appartieni, ma quello che sta nascendo in Francia, Oscar, va ben oltre. Questa non è solo una rivoluzione per la Francia, ma per il mondo intero. Finché i principi di libertà, uguaglianza e fraternità erano confinati nelle Americhe non importava a nessuno qui nel Vecchio Continente, ma ora…Ora che tutto sta cambiando in uno dei più potenti paesi d’Europa, nella Francia sede di una monarchia millenaria…Non possiamo pensare che il futuro sia la strega nera e il buon Re Artù –
Oscar deglutì e abbassò la testa, non poteva fare a meno di concordare con tutto quello che André aveva detto. Strinse le labbra e lo guardò di nuovo – Si…Andiamo… - disse solo.
 
Montarono in sella; uscirono al passo dal bosco e Oscar vide che il sole, all’orizzonte, lentamente, ma inesorabilmente, stava sorgendo. Perché avevano ricordato tutto proprio in quel momento? Perché le loro anime si erano finalmente trovate e avevano attivato qualche strano meccanismo mentale? Oppure perché André si era inginocchiato davanti a lei come aveva fatto ad Avalon? Inspirò a fondo; del resto lo sapeva, lo aveva sempre saputo: in Inghilterra, quando aveva rivisto Morgana, ai piedi della collina del Tor di Glastonbury, lei gli aveva detto che sarebbe morta combattendo per la sua Patria. Era forse quello che stavano vivendo in quell’occasione? E se era così, avrebbero dovuto scappare e lasciare la Francia e il popolo francese in balia degli eventi? Guardò André che sorrise di nuovo e lei gli rispose con un altro sorriso. No, pensò, non era stata la magia di Morgana che era scomparsa; era convinta che fosse stata proprio l’Isola Sacra, Avalon, a permettere questa scelta: dopotutto lei era il suo ultimo campione e André il suo ultimo cavaliere. L’isola, dopo più di mille anni, esisteva ancora, pulsava ancora di energia, ne era certa; indipendentemente dal fatto che Viviana, Morgause e Morgana fossero lì, vive o no. L’Isola Sacra aveva sbloccato i loro ricordi per permettergli di scegliere di cambiare il loro destino.
Chiuse gli occhi e vide la riva pietrosa, sentì nella sua mano il peso di Excalibur e l’energia che era fluita nel suo braccio quando l’aveva estratta dal terreno; rivide la Fonte del Sangue, la casa delle sacerdotesse e la tomba del Re, dove egli riposava vegliato dalla Sacra Coppa che Giuseppe di Arimatea aveva portato da Gerusalemme. Desiderò di essere là e non in una Parigi pronta per la guerra. Ma ricordò anche lei e Morgana nella tomba di Boudicca, vicino al cerchio di pietre. Quando la Duchessa di Cornovaglia, sconsolata, voleva abbandonare tutto e tutti, fu lei, Oscar, a dargli nuovo vigore e nuova sicurezza: “Si, Oscar de Jarjayes, tu combatterai! Quando verrà il momento combatterai per il tuo Paese, per il tuo popolo, per il tuo amore…E non importa anche se sapessi che sicuramente morirai, perché tu lo farai lo stesso, certa del contrario!” pensò.
Sentì le lacrime rigargli le guance, ma sorrise lo stesso. André, al suo fianco aggrottò la fronte – Cosa…Cosa ti succede? –
Lei lo guardò e sorrise di nuovo, poi tirò su con il naso: - Nulla! Ero persa nei miei pensieri…Promettimi una cosa –
Lui annuì e lei sospirò – Quando…Quando tutto questo sarà finito…Quando la Francia sarà un posto migliore…Noi cercheremo di tornare ad Avalon…Promettimelo! –
Lui strinse le labbra si portò il pugno destro al cuore – Sul mio onore di cavaliere…Te lo prometto –
Lei si asciugò velocemente gli occhi con la manica dell’uniforme e guardò il sole che ormai stava sorgendo: - Andiamo…Andiamo amico mio, mio compagno d’armi, mio cavaliere…Mio amore…Andiamo a costruire un mondo migliore! – disse e piantò i talloni sui fianchi del cavallo.
 
Francia – Parigi (14 Luglio 1789)
Era morta! Di quello ne era certa. Nei limiti, ovviamente, in cui una persona morta ne poteva esserne certa.
E quali erano quei limiti? Aveva assistito straziata e impotente alla morte di André, ferito al petto da una sentinella mentre tentavano di attraversare un ponte sorvegliato. Aveva urlato di dolore e aveva lasciato i suoi soldati soli nel momento del bisogno. Aveva girovagato senza meta per la città invocando Dio, persino la magia di Morgana e aveva anche pensato di portare il corpo del suo amato ad Avalon per farlo risanare dai poteri della Sacra Coppa, come Artù. Ma il Re era stato ferito mortalmente, non era defunto e André, invece, non c’era più. Le sue mani non l’avrebbero più toccata, le sue labbra non l’avrebbero più baciata, il battito del suo cuore non l’avrebbe più cullata e il calore del suo corpo non le avrebbe più dato la forza di vivere.
Ma c’era ancora qualcosa che doveva fare. Lo aveva giurato ad André e a sé stessa: doveva creare un mondo migliore. Vinta dalla stanchezza si era addormentata in un vicolo ed era stata trovata dal sergente de Soison che l’aveva esortata ad unirsi alla lotta e a prendere la Bastiglia. Si era alzata e si era messa di fronte a lui, voleva piangere, ma un soldato, così le era stato insegnato, non piange mai. Le venne in mente ancora una volta Morgana e il suo indomabile orgoglio di appartenere alla nobiltà; a una casta superiore per nascita e per condizione e alla sua granitica volontà che la faceva apparire d’acciaio, come la sua spada. La Duchessa di Cornovaglia non avrebbe perso tempo a piangere, ma si sarebbe gettata anima e corpo nella battaglia; ad ali spiegate, come il maestoso corvo nero della sua dea della guerra. Ma lei non era la strega nera e aveva solo voglia di piangere. Alain si avvicinò e piegò la testa verso di lei – I soldati attendono il loro comandante. Piangete…Piangete quanto volete – disse piano.
Lei sentì le lacrime agli occhi, si appoggiò al suo petto con il volto e pianse, pianse come non mai in vita sua.
 
Oscar ricordò di aver pensato: “Perché la Bastiglia?”. Era una vecchissima fortezza presso la Porte Saint-Antoine, costruita nel lontano XIV secolo e adibita, da sempre, a prigione per chi, a torto o a ragione, veniva considerato nemico della Corona e quindi dello Stato. Quella costruzione, più per la sua imponenza che per la sua funzionalità, era il simbolo del dispotismo e della tirannia, certo, era vero, ma prenderla militarmente era tutta un’altra faccenda. I muri, alti ventiquattro metri, avevano lo spessore di un metro in cima e di quasi cinque alla base e nessuno ne era mai scappato. Il suo fossato, alimentato dalla Senna, la separava dal resto della città con solo un ingresso ed un anacronistico ponte levatoio. Il suo comandante e governatore reale, il Marchese Bernard-René Jourdan de Launay, aveva fatto posizionare l’artiglieria sulle mura e, da quella angolazione, aveva giudicato Oscar, la guarnigione poteva tranquillamente demolire a cannonate l’intero Marais (n.d.a.: quartiere francese).
Il popolo si era quindi radunato sotto la sinistra ed immensa costruzione ed aveva cominciato ad assediarla. Qualcuno aveva iniziato a sparare delle fucilate a cui l’esiguo numero di soldati (circa trenta uomini per sette prigionieri) della fortezza aveva risposto con proiettili di calibro ben più grosso. Anche il popolo aveva dei cannoni, presi dal complesso Des Invalides. Ma, purtroppo, per usare quelle armi era necessario un addestramento militare che il la gente comune di Parigi non possedeva. Quello lo avevano, però, le Guardie Francesi al comando di Oscar de Jarjayes che si erano unite ai rivoluzionari.
Oscar diede gli ordini necessari e poi si mise davanti alle batterie. Come aveva visto nei quadri che immortalavano gli eroi francesi: con i capelli al vento e la spada sguainata contro il nemico. E così anche i cannoni del popolo avevano cominciato a sparare. I primi colpi, anche se andati a segno, erano stati come palle di neve contro una montagna, ma con l’andare del tempo si cominciarono a vedere delle vistose crepe nelle alte mura e nelle torri.
Oscar era lì, ferma ed impassibile davanti ai cannoni del popolo e alle mura della fortezza. Sapeva bene che i suoi capelli dorati erano un invito troppo ghiotto per i fucilieri della Bastiglia e, da quella distanza, non sarebbe servito nemmeno un tiratore scelto. E alla fine, mentre i suoi soldati stavano ricaricando, il colpo mortale arrivò.
Ricordò di essere caduta all’indietro. Di aver sentito la voce di Alain de Soison, di Rosalie la Morielle, la sua vecchia protetta, e di suo marito Bernard Chatelet, colui che era stato il Cavaliere Nero, amico degli oppressi, mentre la portavano via dalla prima linea. Ricordò di aver persino detto “Adieu” e poi più nulla.
 
Fino a quel momento.
 
Cercò di muoversi e si mise seduta. Aprì gli occhi e vide solo il bianco. Si tolse un lenzuolo dal viso e dal busto e si guardò attorno. Si trovava a terra, in un vicolo della città, ma la cosa più spaventosa era il silenzio che la circondava. Poco prima, anche mentre i suoi soldati ricaricavano i cannoni, si potevano udire urla, imprecazioni e colpi di fucile. E non c’era nessuno con lei. Né altri morti stesi al suo fianco e nemmeno vivi o feriti. Si mise una mano sul petto e toccò il tessuto dell’uniforme bucato e sporco di sangue. Si mise pollice e indice sul collo, ma non sentì alcun battito. Si. Era decisamente morta.
E quello, quindi, cos’era? Il paradiso degli eroi? Davvero era così squallido? Pensò subito ad André e si alzò. Se davvero era morta e quello era una sorta di limbo, forse anche lui era lì. Andò verso la fortezza e la trovò ancora in piedi. C’erano i cannoni dei suoi uomini e sopra si vedevano le canne dell’artiglieria reale, ma non c’era nessuno. Si avvicinò lentamente al ponte levatoio ed alzò lo sguardo verso la sommità delle mura. In quel momento sentì gracchiare ed un maestoso corvo nero; l’animale planò lentamente, si appollaiò sulla ruota di un cannone e rimase fermo a fissarla.
Oscar sorrise debolmente – Almeno ci sei tu qui con me – disse piano.
Improvvisamente il ponte levatoio si abbassò cadendo con un tonfo secco. Oscar socchiuse gli occhi e vide una nera figura sulla porta della Bastiglia. Era alta, o almeno così sembrava. Mano a mano che si avvicinava poteva vedere che non era solo alta, ma era gigantesca; almeno il doppio di lei.
Era una donna, ne era certa, indossava un lungo e lugubre abito nero che si allargava in basso coprendole i piedi. Aveva i capelli arruffati e dello stesso colore della sua veste, la sua pelle era pallida, spettrale con decorazioni blu sulle guance e nella mano destra impugnava una lunga lancia nera.
Oscar allargò le braccia – L’angelo della morte! Sono pronta! Ho dato la vita per il popolo di Francia! Permettimi di ricongiungermi con il mio amore eterno! –
L’altra strinse le labbra – Ma smettila! – disse seccamente con una voce metallica. Allungò il braccio sinistro e il corvo aprì le ali e andò subito da lei.
Oscar aggrottò la fronte – Ma come…Io…Io non sono morta? –
La donna in nero annuì – No…Per essere morta, lo sei…Oppure no…E queste sono solo visioni della tua mente che si sta spegnendo lentamente ed inesorabilmente –
Oscar socchiuse gli occhi – Chi…Chi sei tu? –
L’altra avvicinò il corvo al volto accarezzandolo con la guancia e l’animale piegò la testa apprezzando il gesto. Poi guardò di nuovo Oscar: - Mi hai già conosciuto tempo fa. O meglio, hai conosciuto il mio animale sacro che impersonava una delle mie molte personalità e identità. Puoi chiamarmi Morrigan e sono o, meglio, ero la dea della guerra dell’antica religione –
Oscar rimase a bocca aperta – Morrigan…Ma allora…Dio…Cristo…Io… -
Morrigan sospirò – Oh! Per gli dei dell’Annwn! Non è che la mia esistenza neghi quella di Dio! Semplicemente…Siamo su un altro piano! Ogni volta è la stessa storia con voialtri! Di sicuro, in un’altra occasione, avresti avuto la visita del tuo angelo della morte, ma sono io che ho dovuto venire qui…In questo mondo…Interessante! Specialmente con queste nuove armi – disse indicando i cannoni – Voi umani trovate sempre nuovi metodi per uccidervi a vicenda…Ma questi… - disse provando un fremito e il corvo gracchiò come divertito.
Oscar piegò la testa di lato – E…Quindi? Dove devo andare? Posso rivedere André? –
Morrigan si avvicinò a lei – Mmmm…Come il tuo André…Ho visto anche lui…E anche lui ha pensato subito a te! “Fatemi vedere Oscar! Fatemi vedere Oscar!” gridava… - disse e si piegò in avanti – E’ un bell’uomo, ma un po' insistente –
L’altra si avvicinò – Hai…Hai visto André…Ti prego, portami da lui –
Morrigan sospirò – La vera richiesta che dovresti farmi è un’altra, Lady Oscar. Dovresti chiedermi come mai la dea di un’antica religione è qui con te ora, nel momento della tua morte –
Dopo un lungo silenzio Oscar strinse le labbra – E allora…Perché sei qui con me ora? –
La dea si raddrizzò e sorrise – Ecco! Il problema non sei nemmeno tu, ma quel guazzabuglio con le linee temporali che una strega ha combinato secoli e secoli fa –
A Oscar caddero le braccia – Morgana…Cosa…Cosa ha fatto stavolta –
Morrigan tentennò – Quando ti ha portato nella sua epoca ha fatto una cosa che non doveva fare! Sovvertire le leggi naturali è troppo, anche per una persona con poteri come i suoi…E non può sperare che tutto possa tornare come prima, anche se vi ha cancellato la memoria. Un avvenimento, Lady Oscar, è come un sasso lanciato in uno stagno: provoca una serie di cerchi concentrici…Reazioni ed altre reazioni e più si cerca di tornare alla condizione di partenza e più si modifica qualcosa nei cerci più grandi e più esterni che rappresentano il futuro –
Oscar aggrottò la fronte – Abbiamo riacquistato la memoria solo due giorni fa…E se il mio destino era morire qui…Beh! Mi sembra di aver adempiuto al dovere! E ora voglio vedere André –
Morrigan si avvicinò ancora torreggiando su di lei – Troppo comodo, Lady Oscar! Portandoti nella sua epoca Morgana ha aperto una frattura nello spazio e nel tempo…E che ha cercato malamente di rimediare cancellando la memoria a te e ad André. Ne è la riprova che Avalon, l’Isola delle Mele, l’Isola Sacra, dove si incontrano correnti di energia dalla forza incommensurabile, ha dovuto scegliere il suo campione dopo che Artù e Lancillotto erano morti…E ha scelto te in un’epoca in cui non avresti dovuto esistere! E ovviamente tale sei rimasta fino alla tua morte, cioè adesso…Ma quello che tu e la strega nera non avete considerato è che altri uomini hanno chiuso l’accesso per Avalon limitandone i poteri –
Oscar aggrottò la fronte e poi capì – La torre sul Tor…I poteri di Morgana non funzionavano a Glastonbury –
Morrigan sorrise con l’angolo della bocca – Esatto! Quei piccoli omuncoli hanno eretto quella torre in un punto particolare del Tor e hanno chiuso tutti gli accessi ad Avalon, tranne uno, proprio alla base di quella costruzione…Non ne hanno solamente limitato i poteri in questo mondo, ma hanno provocato una sorta di…Malfunzionamento…Avalon è rimasta legata a te e a te soltanto. E ad André, che è stato consacrato cavaliere nell’Isola Sacra. Quando hai tolto Excalibur dalle mani morte di Lancillotto sei diventata il nuovo campione; hai fatto una scelta in quell’occasione, quella di estrarre la spada dalla riva e di combattere Mohrag, il grande corvo che banchetta con i cadaveri dei nemici uccisi –
Oscar sorrise debolmente – La spada nella roccia… - disse piano.
Morrigan annuì – Ma tu hai intuito anche il seguito: Avalon ti ha messo ancora una volta alla prova: quando ti ha fatto ricordare tutto quello che era successo –
L’altra rimase a bocca aperta – Io…Io e André abbiamo scelto di combattere con il popolo, ma questo non ha nulla a che vedere con Avalon –
La dea sospirò – Tra le tante scelte che potevi fare…Avresti potuto scappare con lui e vivere una vita in pace, forse saresti morta di tisi e lui sarebbe diventato un povero cieco…O forse tu saresti guarita e lui no…O il contrario…O avreste avuto dei figli…Oppure no…In ogni caso e qualunque fosse stato il vostro destino, vi sareste maledetti reciprocamente per quell’istante in cui non avete voluto combattere per il vostro Paese e avreste sognato di barattare tutto per tornare indietro e lottare al fianco dei vostri amici, anche se foste stati certi di morire, come in effetti è avvenuto. Oh, si, Lady Oscar, tu, con quella decisione, hai di nuovo estratto la spada dalla roccia e tu e André siete ancora il campione di Avalon e il suo cavaliere perché avete fatto la scelta giusta. La scelta che solo un grande eroe poteva fare –
Oscar sentì le lacrime agli occhi – Ma siamo morti! E ora siamo liberi da ogni vincolo…Sia con la Francia che con Avalon…Che almeno nell’aldilà ci sia permesso di stare insieme! –
Morrigan socchiuse gli occhi e strinse le labbra, sembrando sinceramente dispiaciuta – Avalon esaurirà il suo compito, prima o poi e quando ciò avverrà, avrà bisogno di nuovo del suo campione e del suo cavaliere…Non capisci? L’Isola Sacra e il Destino che tutto vuole e tutto può…O Dio, se preferisci, vi stanno dando un’altra occasione –
Oscar cadde in ginocchio – Io…Io…Voglio solo stare con André…Perché…Perché mi fai questo? –
L’altra sospirò – Perché è il tuo destino…O forse è solo l’ultima immagine della tua mente che sta morendo…Ma tu, Lady Oscar, tornerai; tornerai senza insegne e senza titoli, per il tuo André, per Avalon e per salvare un popolo…E ora chiudi gli occhi, amica mia, cedi le forze all’oblio e dormi…Dormi di un sonno senza sogni – disse e alzò il braccio sinistro. Il corvo spalancò le ali e volò in alto nel cielo.
 
Normandia (Agosto 1943)
L’ufficiale abbassò il binocolo: la costruzione delle linee si difesa stava procedendo molto bene e gli operai, anche sferzati dalle guardie, lavoravano con lena. Si passò una mano sulle mostrine del colletto dell’uniforme, due antichi simboli germanici, due rune, il sieg, che significava “vittoria”. La doppia runa, oltre che ad essere benaugurante, richiamava anche il nome del corpo al quale lui apparteneva: SchutzStaffel o SS, come era conosciuto in tutta Europa.
L’uomo si girò verso il sottufficiale e sbuffò – Fa caldo! Come procede la sistemazione di quella casa? –
Il sottufficiale batté i tacchi – Il personale è lì da soli due giorni, ma sembra che i francesi l’abbiano lasciata abbandonata per decenni –
Salirono sull’automobile militare e raggiunsero la località di La Madeleine, a ridosso delle spiagge, nel piccolo Comune di Sainte Marie Du Mont. Parcheggiarono di fronte a una costruzione a forma di ferro di cavallo ad un piano solo ed entrarono. I soldati che stavano sistemando il fabbricato si fermarono, si misero sull’attenti e alzarono il braccio destro nel saluto. L’ufficiale si diresse subito allo studio, seguito dal suo attendente e si fermò guardando due uomini che stavano spostando una grande scrivania.
I soldati misero a terra il tavolo e si misero sull’attenti. Il sottufficiale entrò e sorrise – E questa è la scrivania usata da Oscar de Jarjayes più di un secolo fa –
L’ufficiale strinse le labbra, personalmente non sapeva chi fosse Oscar de Jarjayes e nemmeno gli interessavano gli eroi francesi: - Continuate – disse solo.
I soldati rialzarono la scrivania e lui si guardò attorno; vide due librerie e, su una mensola, degli animali impagliati. La sua attenzione fu attirata per un attimo da un grande corvo nero, ma poi distolse lo sguardo e indicò un punto – Mettetela lì. E poi appendete alla parete di dietro il quadro del Fuhrer –
Gli uomini si spostarono e poi, improvvisamente, la scrivania cadde di lato e andò in pezzi. L’ufficiale fece una smorfia – idioti! – ruggì.
I soldati si piegarono per raccogliere i pezzi e uno di loro aggrottò la fronte. Allungò la mano e afferrò un oggetto scuro. Lo esaminò e poi si alzò rivolgendosi all’ufficiale – Signore – disse porgendo un piccolo libretto nero.
L’altro prese in mano l’oggetto e lo rigirò – E questo cos’è? –
Il soldato tentennò – Signore…Abbiamo svuotato tutti i cassetti di quella scrivania, forse c’era uno scompartimento segreto –
L’ufficiale guardò per un attimo il suo sottoposto e poi aprì il libretto, piegò la testa di lato e aggrottò la fronte.
 
CONCLUSIONI
 
Ho approfittato di questa storia per far incontrare, anche se solo idealmente, Oscar con uno dei personaggi più affascinanti della storia: la Regina Boudicca degli Iceni. Boudicca può vantarsi di essere stata tra i pochi veri nemici di Roma antica. Nella sua millenaria storia, Roma non ha mai avuto degli avversari degni, nel senso che la sua superiorità miliare era talmente schiacciante che nessuno poteva tenergli testa (la caduta dell’Impero ci fu solo quando la potenza delle legioni venne meno). Tra gli unici che, però, seppero tenere testa alle legioni ci sono ovviamente il Cartaginese Annibale, che costrinse addirittura Roma sulla difensiva e, per l’appunto, Boudicca, una donna che solo con il suo carisma e la sua presenza aveva saputo radunare un esercito imponente, distruggere una legione (la Nona) e tre città.
Dopo la conquista i romani decisero di agire come fece Cesare in Gallia e cioè colpire l’unico elemento di unione che avevano le tribù britanniche: la religione. Il console Paolino mosse metà del suo esercito verso ovest, due legioni, per cacciare e uccidere i druidi e le sacerdotesse della religione celtica. A Roma, intanto, il nuovo Imperatore, Nerone, su consiglio di Seneca e della madre Agrippina, per ingraziarsi il popolo, aveva inaugurato una serie di festeggiamenti e di banchetti gratuiti che, ovviamente, pesavano sulle casse dello Stato. Da qui l’aumento delle imposte sulle provincie. Che sia vera la fustigazione di Boudicca e lo stupro delle sue figlie o che sia stato solo un abile pretesto per incanalare la rabbia delle tribù britanniche non è molto chiaro. Vero è che in quella zona era di stanza la Nona Legione Hispana e che questa fu distrutta nel primo scontro con la Regina degli Iceni.
Non si sa che fine abbia fatto Boudicca e nemmeno il destino delle sue figlie dopo la sconfitta. Secondo la leggenda maledì la Nona Legione che, dopo la vittoria del console Paolino, venne ricostruita. Ad un certo punto della storia romana, quell’unità scompare dai registri, come se non fosse mai esistita. Verosimilmente fu annientata in Oriente, in una campagna contro i Parti, ma, secondo alcuni, fu mandata in esplorazione a nord, oltre il cosiddetto Vallo di Adriano, che segnava il confine tra l’attuale Scozia e la Britannia romana e scomparve, probabilmente attaccata dai Pitti, antenati degli odierni scozzesi (ipotesi ripresa nei film “Centurion” e “The Eagle”). Quello che avviene nel villaggio scozzese di Dunblane e cioè che ogni tanto, di notte, si ode il rumore di un esercito in marcia, è riportato, a quanto ho potuto verificare, solo in un testo di C. Berlitz (non proprio una fonte considerata attendibile) viene identificato come i fantasmi dei legionari della Nona, maledetti da Boudicca e costretti a marciare per l’eternità. Mi sembrava un peccato non inserirlo.
Nella sua trasferta inglese ho voluto far incontrare a Oscar, anche solo di sfuggita, due dei più grandi personaggi della storia di quel paese come il futuro Duca di Wellington, tenente a quell’epoca e il futuro ammiraglio Lord Horatio Nelson, in quegli anni capitano e che tanto diedero filo da torcere alle truppe francesi di Napoleone Bonaparte.
La famosa collana del “Caso della collana” non aveva, a quanto sembra, alcuna pietra rossa. La gioielleria Bohmer e Bassenge, degli artigiani che materialmente costruirono il gioiello, è tutt’ora in attività con tanto di sito internet.
E, come sempre, un grazie a Wikipedia per i nomi, le date, i luoghi e i fatti storici.
 
GRAZIE
 
A tutti coloro che hanno avuto la voglia e la pazienza di leggere questo racconto e spero che, almeno per un pochino, vi sia piaciuto leggerlo come a me è piaciuto scriverlo.

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