Notte dopo notte

di Mirty_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nel buio di una cucina ***
Capitolo 2: *** 2. Ubriaco sì, ma quei complimenti? ***
Capitolo 3: *** 3. Che tipo, quel Patrick Jane! ***



Capitolo 1
*** 1. Nel buio di una cucina ***


l

Angolo Mirty_92

Buonsalve a tutti!
Solo poche parole.
Questo è l’esperimento: una raccolta (con un numero di capitoli indefinito e senza alcun ordine cronologico ma solo dettate dalla mia ispirazione personale) di OS, drabble, Flashfic, ambientate  nelle serate che Jane e Lisbon trascorrono, o non trascorrono, insieme.
Pensieri e piccoli momenti mancanti.

Buona lettura!

Mirty_92

 

Dall’episodio 05x09 Bolide Rosso

 

Nel buio di una cucina

LISBON

Furto, violazione di proprietà e ora questo. Succede sempre così ad assecondare i piani di Jane.
Sono seduta con lui sul pavimento della cucina di una casa in vendita, nascosta dietro l’isola centrale. E tutto quello che Jane sa dirmi è: “Siamo nascosti” ghignando come un ebete appoggiato comodamente ad un armadietto.
Il mio è di rassegnazione mentre trattengo a malapena uno sbuffo e cerco di mettermi comoda a gambe incrociate.
“Che hai, Lisbon? Mai giocato a nascondino da bambina?”

“Sì, certo.” Tanto vale parlare un po’, per ingannare il tempo. Inutile intestardirsi con Jane, tanto ormai sono coinvolta nel piano. Aspettiamo l’assassino.
“E scommetto che eri la più brava a trovare gli altri.”

Guardo Jane nella penombra della stanza. Mi sfugge un sorriso. Non solo sa sempre tutto, ma sa anche molto bene come aggirare le situazioni scomode come questa. Lo sa che sono un po’ irritata con lui perché ancora una volta mi ha coinvolta in uno dei suoi giochetti al limite dell’illegalità.
“Non ero la più brava. Ero la migliore!” Se devo assecondarlo tanto vale chiarire le cose.

Un fischio basso di approvazione esce dalle labbra di Jane e io, senza sapere bene perché, arrossisco.
“Agente Lisbon: unica e sola campionessa indiscussa di nascondino. È sorprendente!”

“Andiamo, Jane. Non fare l’idiota!” Lo colpisco al braccio e lui finge di provare dolore.
“Il mio era un complimento” si finge offeso.

“No, Jane. Il tuo era uno sfottò bello e buono.”
“Non è vero!” Cerca di protestare ma stavolta non mi sfugge. È poco convincente. Mi nasconde qualcosa.

Cala un silenzio strano fra di noi e gli unici rumori che ci fanno compagnia sono quelli del traffico lontano.
“Pensavo solo che mi sarebbe piaciuto vederti da piccola giocare a nascondino. Non fraintendermi…”

Devo avere un’espressione stupefatta perché Jane si affretta a continuare.
“È solo curiosità la mia. Nulla di più.” Alza appena le spalle e appoggia la testa all’anta dell’armadietto sorridendo beato.

Decido anche io di mettermi comoda e mi appoggio come lui, sistemandomi quasi di fronte e chiudendo gli occhi. Ci vorrà del tempo.


JANE

Non riesco a smettere di guardarla mentre se ne sta lì, seduta a terra di fronte a me, un po’ impettita. Ha chiuso gli occhi forse perché non sa come comportarsi in questo momento. O forse perché è semplicemente stanca. Il fatto che sia sera tardi gioca a favore della seconda ipotesi. Ma quale altro modo divertente avrei potuto escogitare per prendere l’assassino? E poi, da un po’ di tempo a questa parte, trascorriamo troppo poco tempo insieme, io e Lisbon. E la colpa è solo mia. Sono ad un passo dal prendere John il Rosso e non posso lasciarmi distrarre da nulla. E così la sto allontanando. Con l’indizio che Lorelai mi ha dato, ho quasi finito di compilare la lista delle persone a cui ho stretto la mano. Mai indizio concreto è stato più importante per me, devo ammetterlo questa volta. Io conosco John il Rosso e John il Rosso sarà mio.
La testa di Lisbon ciondola un attimo e poi si adagia appena sulla sua spalla sinistra. Sento il suo respiro più chiaro e più cadenzato: si è addormentata. Continuo ad osservarla incuriosito e non so nemmeno perché. Fa un leggero movimento, come un sussulto involontario, ma non apre gli occhi. Schiude appena le labbra e un sussurro arriva alle mie orecchie nel silenzio ovattato della cucina.
“J-Jane… Jane… a-a-aspettami…”

Sono sorpreso. Lisbon mi sta sognando. Ok, forse non troppo sorpreso visto la frequenza con cui siamo a contatto praticamente ogni giorno, ma il fatto che il suo subconscio mi rievochi anche di notte mi fa piacere. Sorrido e decido di svegliarla anche se un po’ mi dispiace. Il mio orologio segna l’ora X. L’assassino sta per arrivare.
Vorrei toccarle una mano ma mi limito a tirarle la giacchetta, è un gesto più scherzoso, più da me.

 

LISBON 

Sento qualcosa che mi tira la manica sinistra. Mi sveglio e mi riscuoto un attimo, preoccupata. Jane mi rasserena e mi dice che è tutto apposto. Stavo solo parlando nel sonno.
“Davvero?”
“Sì, e sbavavi un pochino” la sua voce, come la mia, è solo un sussurro accennato.

Grandioso! Sbavavo un pochino! Grazie, Jane, per avermelo fatto notare con molta grazia. Ma cos’altro ha detto? Che parlavo nel sonno? Dannazione!
“Che cosa ho detto?” Sono un attimo sconvolta.

“Beh, stavi… arriva qualcuno.”
Non c’è tempo per altro. Non c’è tempo per le confessioni tra me e Jane. Il dovere ci chiama. Come sempre.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 2. Ubriaco sì, ma quei complimenti? ***


JJJ

Dall’episodio 03x10 L’elfo Rosso

 

Ubriaco sì, ma quei complimenti?

LISBON


Inutile fingere. Sono preoccupata. La Roche ha chiesto di parlare con Jane ora, adesso, in questo preciso momento. E decisamente non è una buona cosa, per niente. Lo sapevo che Jane si sarebbe messo nei guai continuando ad evitare La Roche. E adesso sarà un casino. Mi allontano lasciando il mio consulente alla mercé del capo degli affari interni ma il problema è questo: Jane è ubriaco. Non ubriaco poco, è ubriaco tanto. Il suo brillante piano per prendere l’assassina l’ha portato un po’ troppo oltre. E noi, questa volta, siamo arrivati appena in tempo. Ok, questa clinica è davvero un labirinto e mi sono già scusata con Jane del nostro ritardo nell’intervenire ma, come se non bastasse, mi sento in colpa per averlo abbandonato con La Roche. Anche se, ovviamente, me l’ha chiesto lui.
“Oh, va tutto bene, Lisbon. Tranquilla. Ci penso io” così mi ha detto Jane. Anzi, così mi ha alitato praticamente in faccia. Accidenti, sapeva di alcol da qui a Chicago. Ho avuto quasi un conato di vomito, trattenuto solo dal fatto che Jane non ha bevuto di sua spontanea volontà ma l’ha fatto solo per incastrare la colpevole. Jane non è mio padre.
Sono vicina alle auto della polizia e la mia squadra sta sistemando per bene Leila, l’infermiera assassina. Dalla mia postazione cerco di sbirciare il colloquio per tenere sotto controllo la situazione. Jane a mala pena si reggeva in piedi tanto è ubriaco e si era appoggiato a me per sostenersi. Ora si sono seduti, almeno così non rischia di sfracellarsi a terra. Ma sono comunque inquieta. Spero solo che Jane non faccia o dica cazzate a La Roche.

“Aspetta, Jane. Ti apro la portiera e ti aiuto.” Siamo al parcheggio del CBI. Jane sembra uscito incolume dal colloquio con La Roche anche se non saprei dirlo con certezza dato che in macchina era mezzo addormentato e non mi ha detto nulla, ma almeno non è stato ammanettato o altro. La Roche mi ha permesso di ricondurlo a casa. Gli apro la portiera e faccio in modo che si appoggi a me lasciandogli mettere un braccio attorno alle mie spalle. Mi sento un po’ un bastone da passeggio in questo momento.
“Oh, Lisbon. Come sei gentile… ehm… come sei carina… no, aspetta. Come si dice? Premurosa forse?” Jane è decisamente ubriaco. Strascica le parole e poi non mi ha mai fatto così tanti complimenti come adesso. Sembra quasi sincero. Arrossisco involontariamente quando, preso forse da un capogiro più forte degli altri, si aggrappa meglio a me e la sua mano scivola un po’ troppo oltre la mia spalla, finendo pericolosamente vicino alla scollatura del mio maglioncino.
Lo guardo seccata. O almeno è quello che cerco di essere nonostante il mio cuore, per un motivo a me sconosciuto, abbia iniziato ad accelerare il suo battito. Lui ha quello sguardo vacuo di chi è già andato oltre. È uno sguardo che riconosco ma che allo stesso tempo mi è estraneo. Anche mio padre, quando beveva, aveva quello sguardo ma poi diventava piuttosto irascibile e allora i tratti del volto gli si indurivano mentre gli occhi diventavano due fessure iniettate di sangue. Jane invece sembra che mi stia chiedendo aiuto. I suoi occhi azzurri sono velati e i tratti del volto sono fin troppo rilassati.
“Lisbon, mi gira la testa…”

“Lo so, Jane. Ancora un piccolo sforzo e ci siamo.” Usciamo dall’ascensore e con un passo decisamente poco stabile riesco a condurlo sul suo divano malconcio. Lo faccio sedere e cerco di togliere il suo braccio dalla mia spalla ma, improvvisamente, lui mi trattiene la mano.

“Non hai risposto alla mia domanda.” Mi osserva con un sorriso così ebete che non riesco a non sorridere di rimando.

“Non mi hai fatto nessuna domanda. Sei ubriaco, Jane. Sdraiati e dormi. Domattina sarai devastato ma almeno abbiamo risolto il caso.”
“Certo che ti ho fatto una domanda. Ti ho chiesto se si può definire premuroso il tuo comportamento di ora nei miei confronti.”

Mi ha colto alla sprovvista e purtroppo non riesco a fingere perché sgrano gli occhi e questa volta il suo sorriso non è più ebete ma quasi malizioso. Non so cosa rispondere.
“Suvvia, Lisbon. Non ti ho mica chiesto di rilasciare un assassino per me” ha un singhiozzo lieve.

Mi indispettisco e gli pizzico il braccio, lo stesso che ancora mi tiene vicina a lui. Mi libero e sono decisa ad andarmene senza rispondergli. Se lo merita. Perché deve sempre comportarsi da bambino in ogni momento?
“Comunque grazie, Lisbon. Sei stata davvero gentile, carina e premurosa a prenderti cura di me. Anche se non lo vuoi ammettere.”

Sono arrivata all’ascensore ma è come se lo vedessi sorridere mentre mi ripete tutto quello che già mi ha detto. So che è lì, sdraiato sul divano con le braccia dietro la testa, gli occhi chiusi e quel sorriso impertinente sul volto serafico.
Va bene, Jane. Anche questa volta hai vinto tu: mi hai fatto imbarazzare.

 

JANE  


Sono ubriaco, sì. Ma non abbastanza da non volermi divertire un po’mettendo Lisbon in imbarazzo. Che poi mi sfugge ancora il motivo per cui si imbarazza così facilmente, a volte persino per un nonnulla. Mi gira la testa e mi sento leggero. Lisbon sarà andata via da dieci minuti buoni ormai e io ancora non solo non riesco a dormire, anche se sono praticamente in uno stato di dormiveglia catartico, ma non riesco nemmeno a smettere di pensare a lei. Non so perché. L’ho già detto che mi gira la testa? Sì, forse sì. Ogni tanto vedo la figura ingombrante di La Roche che, nella mia mente, tenta di scacciare l’esile figura di Lisbon. Ma la mia Lisbon è combattiva. Eccola, ora è di nuovo davanti a me. Indossa quel maglioncino bordeaux scuro con lo scollo a V e la collana con la croce che oscilla leggermente sulla sua scollatura. Mi sta porgendo la mia tazza azzurra ricolma di thè fumante e mi sorride. Ha un sorriso stranamente dolce e i suoi occhi verdi brillano di una luce nuova, intensa. Eppure mi sta solo offrendo una tazza di thè. Perché quello sguardo? Non capisco.
Faccio per sporgermi verso di lei quando un altro capogiro mi prende alla sprovvista e mi ricostringe a stendermi sul divano e Lisbon scompare. Ok, sono davvero ubriaco. Inizio a contare alla rovescia. 100… 99… 98… inspiro ed espiro. Con calma. 95…94…93… le mie palpebre si fanno sempre più pesanti. L’alcol sta facendo effetto. Forse riuscirò a dormire e forse sognerò Lisbon. Sono più tranquillo ora. Non so perché. So solo che domani non mi ricorderò più nulla e forse sarà meglio così.

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Capitolo 3
*** 3. Che tipo, quel Patrick Jane! ***


4

Dall’episodio 05x05 Alba Rossa

 

Che tipo, quel Patrick Jane!

 
LISBON

Non ci posso ancora credere. Ho trovato un tesoro!
Chiudo la porta di casa e mi lascio cadere sul divano del salotto, stanca ma soddisfatta.
Oggi abbiamo chiuso il caso Dellinger con estremo successo, oserei dire, e in più ho scovato davvero un prezioso tesoro. Un uomo che è un dono e che ha un dono per quanto lui, a causa di quanto gli è accaduto, non lo ritenga tale. Eppure gli è bastato fare un semplice giochetto di carte con dei finti tarocchi, due domande in croce e un’occhiata ai sospettati e voilà… ha trovato il nostro assassino. 
Sorrido ripensando al volto incredulo di Minelli quando ha visto la confessione del colpevole detective Kim e del corrotto giudice Dellinger. Ha detto qualcosa sul fatto che Jane è un eroe. Mi è sembrato un po’ eccessivo considerarlo un eroe, lì per lì, ma non ho voluto soffocare l’entusiasmo del mio capo. Era letteralmente su di giri e ha subito proposto a Jane di lavorare con noi. E, sorpresa delle sorprese, lui ha accettato. Lo so perché lo ha fatto, naturalmente. Vuole sapere tutto sul caso di John il Rosso e lavorando al CBI potrà avere tutte le informazioni di cui ha bisogno ma, ad essere sinceri, mi importa poco. 
Sento uno strano nodo allo stomaco mentre rivedo davanti ai miei occhi il volto di Patrick Jane. È un uomo che ha un profondo dolore dentro di sé ma che riesce a mascherarlo bene. John gli ha ucciso la moglie e la figlia perché lui si fingeva un sensitivo e lo ha provocato davanti ai media. Deve sentirsi più che in colpa. Se fosse accaduta a me una cosa del genere, non so cosa avrei fatto. Eppure lui ora è qui. Pronto a scovare ogni più piccolo dettaglio per trovare il serial killer che gli ha massacrato la famiglia.
Chiudo gli occhi e mi sistemo meglio sul divano. Che tipo, quel Patrick Jane!
Ha un aspetto accattivante eppure sembrava così indifeso quando si è beccato quel pugno sul naso da Hannigan. Vederlo a terra con il sangue che gli colava dal naso mi ha fatto una gran pena. E poi mi ha detto che ho un bel nome.
Mi ritrovo a toccarmi il volto con le mani: sono avvampata. È stato un complimento così ingenuo e tenero che il solo ricordarlo mi ha fatto arrossire. Per fortuna sono sola in casa. Non saprei come spiegare una stranezza simile. Il mio stomaco protesta e il nodo che poco prima lo occludeva mentre pensavo a Jane, ora si è trasformato in una voragine. Ho fame. Sarà meglio che mi prepari qualcosa per cena e domani, al lavoro, rivedrò Patrick Jane.  

 

 

JANE

Scendo dalla mia Citroen parcheggiata fuori dal motel dove ho deciso di alloggiare fintanto che non avrò il coraggio di rientrare a casa mia. Mi sistemo la giacca e guardo il cielo pensando a loro. So esattamente che non sono lì e non sono altrove. Angela e Charlotte non ci sono più. Persino la mia psichiatra, per quanto brava, non è riuscita a convincermi del contrario. Loro sono morte e tutto è finito. Non le vedrò mai più. Dire che vivranno per sempre nei miei ricordi è una bugia. Quando anche io non ci sarò più, sarà come se loro fossero morte due volte. Ma prima, almeno, mi sarò vendicato e l’avrò fatto per loro. Penso al lavoro che mi è stato offerto, al contratto che ho appena firmato con il CBI, mentre salgo le scale e raggiungo la mia camera. Un Jane che lavora con la polizia. Mi fa strano pensarlo. Ma di truffe ne ho abbastanza. Ho puntato fino all’ultimo come un giocatore incallito in una mano di poker; ho messo sul tappetto verde, senza nemmeno accorgermene, il mio più grande tesoro: la mia famiglia e la mia intera esistenza, convinto che avrei vinto l’ennesima mano grazie alle mie innate capacità di capire bene le persone ma, alla fine, non ho smesso in tempo. E l’ho pagata cara, molto, molto cara. 
La stanza è spoglia, ma d’altra parte, da quando sono uscito dalla casa di cura, mi sono accorto che non mi serve poi molto per vivere. Tutto quello di cui avevo bisogno, John il Rosso me l’ha già portato via. Ora quello che mi fa andare avanti è il pensiero della vendetta che aspetto e che avrò anche grazie alla collaborazione con l’agente Teresa Lisbon.
Steso sul letto, guardo il soffitto e mi accorgo a mala pena di sorridere pensando a quella minuta poliziotta dall’aria da dura. Ha un passato difficile alle spalle ma, nonostante questo, sento che ha un cuore buono. Il suo modo di agire trasuda onestà in ogni sua piccola sfaccettatura. È integerrima. L’opposto di come sono io. E questa cosa mi piace. Penso che sarà interessante lavorare con una donna come lei. Teresa Lisbon. È proprio un bel nome.

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