La follia di Ethan

di H0sh1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La follia di Ethan

Prologo

 

«Tesoro, che fai lì impalato?»

Per quanto la donna si sforzasse di richiamare l'attenzione del marito, la sua voce sembrò non riuscire a raggiungerlo. L'uomo se ne stava fermo di fronte la grande portafinestra che dava sul giardino, con lo sguardo scuro perso nel vuoto e chiuso nei suoi pensieri, a bisbigliare.

Da quella distanza, Allison non riuscì a comprendere cosa l'uomo stesse farneticando, anche se non le risultava difficile immaginarlo.

La donna fece per avvicinarsi, schermando uno sbadiglio e cercando di fare meno rumore possibile per non farlo spaventare.

«È qui, è venuto a prendermi.» lo sentì sussurrare quando ormai la distanza tra di loro fu minima.

Ethan teneva le braccia abbandonate lungo i fianchi e sembrò che qualcosa, al di fuori, avesse attirato la sua attenzione.

Allison si voltò per vedere cosa stesse guardando, ma non vi era nulla se non una siepe ben curata e un grande porticato, illuminati dalla luce lunare che filtrava attraverso le nuvole scure.

«Ethan, lì non c'è nessuno.» disse la donna in un nuovo sbadiglio, strofinandosi gli occhi bruni pieni di sonno con una mano. «Ti prego, torna a letto.»

Sembrava che la terapia con il dottor Johnson stesse procedendo bene e, per un breve periodo, sembrò essere tornato stabile, ma da qualche settimana a quella parte, in Ethan, si erano presentati nuovi peggioramenti: i suoi deliri e allucinazioni erano tornati a dargli tormento, più forti e insistenti che mai.

«È lì, ci sta fissando.» insistette Ethan, strascicandosi dietro le parole.

Allorché la moglie gli prese con delicatezza il viso tra le mani, provocandogli un sussulto e quello si voltò verso di lei.

«Tesoro, stai delirando, è solo un'allucinazione.» tentò di rassicurarlo lei con tono dolce, accarezzandogli le guance con i pollici, ma tutto ciò che la donna provò a dire fu vano.

«È lì di fronte alla siepe, come fai a non vederlo?» esclamò l'uomo sempre più agitato, ormai preda di una paura cieca che la donna non poteva comprendere appieno.

La spinse con veemenza lontano da sé e prese a grattarsi la testa convulsamente, un gesto dettato dal nervosismo. Allison guardò impotente la sua figura che, voltatasi di nuovo verso la sua visione, prese a tremare.

Era doloroso vederlo ridotto in quello stato. Le si stringeva sempre il cuore vedere come quella sporca malattia lo avesse trasformato, una lurida bestia che lo aveva ridotto a un guscio vuoto e che amava nutrirsi della sua agonia.

La donna sobbalzò e iniziò a sentire la paura serpeggiarle sottopelle quando lo vide sgranare gli occhi, indietreggiando senza smettere di guardare all'esterno.

«Oddio, ha una pistola!» gridò impaurito, preda inerme e senza speranza di una belva di cui non riusciva a sentire la presenza incombente su di sé.

Sotto lo sguardo attonito di Allison, corse verso uno degli sportelli sotto il piano cottura della cucina ed estrasse un coltello da filettatura, impugnandolo con mano tremante.

«Ethan, cosa fai? Ti prego, posalo.» esclamò la donna allarmata, portandosi le mani davanti alla bocca per mascherare lo sconcerto e il timore che dipingeva il suo viso. Si sentì gelare sul posto, non riuscì a imporre alle sue gambe di smettere di tremare.

L'uomo non era mai arrivato a livelli così estremi e stava cominciando seriamente ad averne paura. Sapeva di dover fare qualcosa, ma non riusciva a pensare lucidamente, ne tanto meno a muoversi.

«Vuole uccidermi!» continuò ad urlare lui, il terrore aveva ormai preso pieno controllo del suo corpo e delle sue azioni.

Sferzò l'aria di fronte a sé con il coltello, in un disperato tentativo di difesa contro la minaccia invisibile. Il sudore iniziava a imperlargli la fronte e gli occhi castani, iniettati di sangue, scattavano a destra e sinistra senza sosta. «No, stai indietro!»

«Ethan, ti prego, fermati!» singhiozzò la donna, incapace di controllarsi.

Qualcosa di ignoto la portò a schiodarsi finalmente dalla sua posizione e spingerla incontro al marito. Sembrò aver trovato la forza di abbattere la barriera che voleva fermarla e cercò in tutti i modi di calmarlo, di richiamare disperatamente l'attenzione su di sé.

Non era semplice, non lo era mai stato.

Ethan non poteva essere forte per sé stesso, per cui lei avrebbe dovuto esserlo per entrambi.

Riuscì in qualche modo a cingergli la mano destra che brandiva l'utensile, ma Ethan era più forte di lei.

Con un gran spintone, la fece cadere al suolo ed ella finì col battere con forza la testa sul pavimento.

Riuscì distintamente a sentire il sangue colarle lungo il collo; gli arti smisero di rispondere ai suoi comandi e iniziò a sentire il sapore del ferro scenderle giù per la gola.

Anche con la vista appannata, riuscì a vedere Ethan avventarsi su di lei. Urlò come un ossesso, pugnalandola con furia nel ventre al ritmo delle sue urla agonizzanti. Sempre più debole, cercò di sottrarsi allo scempio a cui la stava sottoponendo, ma la fiacca glielo impedì.

Sentiva ogni singolo colpo infertole penetrarle la carne, lacerarla. Sentiva il sangue copioso che colava lungo i suoi fianchi, depositandosi in una pozza cremisi sul pavimento della cucina, tingendo di rosso la sua camicia da notte.

Lo sentiva salirle su per la gola, fuoriuscire dalla bocca e occluderle le vie respiratorie.

E, anche quando il cuore della povera donna smise di battere, Ethan continuò imperterrito a trafiggerla, urlando tra le lacrime.

Era incurante della bestia che lo teneva prigioniero e che aveva riportato un'altra vittoria. Aveva giocato d'astuzia come solo lei sapeva fare, la donna e l'intruso mossi come marionette guidati dai suoi fili invisibili fino a diventare un tutt'uno.

Allison annessa allo stesso persecutore che, poco prima, stava avanzando verso di lui con una pistola puntata alla sua testa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La follia di Ethan

Capitolo 1


«Ma cosa diavolo fissi?» chiese l'infermiere che stava seduto di guardia di fronte a Ethan.

L'iracondo gatto che si stava divertendo a fissare con ardita crudeltà la sua vittima era vestito di soli abiti bianchi, candidi come la neve, e il medesimo colore tingeva le pareti della stanza, donando così una finta parvenza di pace che, con il suo fulgido splendore, nascondeva qualcosa di profondamente più oscuro.

No, il motivo della sua permanenza lì gli era ignoto. Sapeva di non aver fatto nulla di male, aveva solo voluto proteggere se stesso e sua moglie da colui che minacciava le loro vite. Era stata la cosa giusta da fare.

«Dov'è Allison? Dov'è mia moglie?» esclamò Ethan nervoso quando si rese conto della sua mancanza accanto a sé. Continuava ad agitare le mani che, con il loro movimento, facevano cigolare le catene che lo inchiodavano al tavolo.

«L'hai uccisa, quando ti deciderai a ficcartelo in quella tua fottuta testa malata?» proruppe l'uomo di fronte a lui, sbattendo con forza le mani sul tavolo e facendolo così tremare, scuotendogli l'animo sopito.

«No, io ho ucciso uno degli uomini che voleva ammazzarci!» insistette quello alzando la voce, come se, facendolo, lo sconosciuto potesse prendere per buone le sue parole. «Sì, sono stati loro, l'hanno presa! Sì, è così. La uccideranno, per Dio, la uccideranno!» Si prese la testa tra le mani, ormai arrivato sull'orlo del baratro che minacciava di inghiottirlo nelle sue spire.

«Smettila, piccolo stronzo.» soffiò alterato il paramedico. «Ma sì, ti sarai finto malato per scampartela, vero? Non saresti né il primo né l'ultimo, magari ci hai provato anche gusto.»

«Lui è malato sul serio, Mitch.»

Quella voce così familiare arrivò alle orecchie di Ethan, spingendolo lontano dal bordo dell'abisso in cui stava per cadere. Quando egli sollevò la testa, vide il dottor Johnson fare capolino nella stanza: era un uomo alto e allampanato, vestito con un completo spezzato e i capelli, ormai ingrigiti dal tempo, erano tirati ordinatamente all'indietro. «Grazie, ma adesso ci penso io.»

Così facendo, lo psichiatra congedò il suo predatore – che non mancò di lanciare uno sguardo sprezzante al suo topolino indifeso. Si sbatté violento la porta alle spalle prima di uscire, rumore che si propagò poi nella stanza e nei corridoi all'esterno.

Johnson prese il suo posto, accomodandosi di fronte a lui e incrociando le mani di fronte a sé con aria assorta.

«Dimmi, Ethan,» prese a dire con voce calda, cercando di distogliere l'attenzione del suo paziente dal punto fisso che si ostinava a guardare sul tavolo. «sai perché sei qui?»

Ma quello non accennò a rispondere, rimanendo nel più completo silenzio. Allora lo psichiatra provò a scuotergli il braccio ma anche così non riuscì a sortire alcun effetto. Sembrò che l'uomo si fosse di nuovo segregato in quella dimensione accessibile a lui solo, chiudendolo fuori senza lasciargli possibilità alcuna di entrare.

«Ti va di dirmi cosa ricordi? Lo faresti per me?» riprovò ancora, nella speranza di raggiungerlo, e, per la prima volta, sembrò suscitare una reazione. Ethan alzò lo sguardo, inchiodando i suoi occhi castani in quelli di ghiaccio dello psicoterapeuta.

«L'ho ucciso, l'ho fatto. Ma loro hanno preso Allison.» mormorò lui con tono piatto. Johnson, a quelle parole, si lasciò andare ad un sospiro afflitto. Aveva sperato davvero che l'uomo non si fosse lasciato agguantare nuovamente dal mostro che da anni cercava di combattere.

Quello che per lui era importante era far capire a Ethan la gravità delle sue azioni, guidarlo alla ricerca della verità messa in ombra dall'oscurità che si beffava di lui, con i suoi giochi perversi e le sue illusioni.

Non importava a quante terapie Johnson lo sottoponesse, lui era sempre accecato da quella bestia affamata, credendola stupidamente amica.

«Nessuno ha Allison.» disse Johnson piano, in modo che Ethan potesse recepire quelle parole e comprenderle. «Perché tu l'hai uccisa.»

«Allison è in pericolo, va aiutata!» Ethan iniziò ad agitarsi, a tremare, scacciando quelle parole lontano da lui.

«È difficile da accettare, lo so.» riprese lo psichiatra, apprensivo. «Ma io sono qui per questo, per aiutarti.»

«Non sono io quello che ha bisogno di aiuto!» esclamò lui, sempre più preda dell'irrequietezza.

L'ennesimo rifiuto.

Ethan si trovava in quella struttura già da un paio di mesi e, in ogni seduta, lo psichiatra aveva cercato di ripercorrere con lui le vicende di quella orrenda notte, ma lui era sempre irremovibile, convinto di essere già in possesso della verità.

Il dottor Johnson aveva un asso nella manica, qualcosa che si era sempre rifiutato di usare perché ritenuto troppo crudele. Pensò che arrivati a quel punto, a quel livello di ostentazione, ci sarebbe stato comunque poco da fare.

Usando quel pretesto come convinzione per se stesso, sotto gli occhi vigili di Ethan, il dottore prese a frugare nel portadocumenti in pelle, che aveva posato di fronte a sé, dal quale estrasse fuori una fotografia che gli sottopose.

«Non volevo la vedessi,» mormorò Johnson con voce ferma, spingendo la foto che ritraeva la povera Allison – priva di vita e immersa in una pozza di sangue – di fronte a Ethan. «ma credo possa aiutarti.»

L'uomo la squadrò attonito, la prese e se la portò vicino al viso, come se quel gesto potesse rendere più nitida la foto e permettergli di comprendere. Quando si rese conto di chi vi era ritratto, le sue mani presero a tremare visibilmente e gli occhi divennero lucidi.

«Allison...»

L'uomo passò il pollice lungo la linea del viso della donna, lasciando che le lacrime gli rigassero il volto e leggeri singhiozzi lo scombussolassero. «Che cosa ti hanno fatto?»

«Sei stato tu, Ethan.» ripeté lo psichiatra, senza distogliere lo sguardo dall'uomo che gli era di fronte. Era un duro colpo, quello che stava incassando, non avrebbe mai voluto arrivare a tanto. «Tu l'hai ridotta così.»

«Stronzate!»

L'urlo di Ethan proruppe inesorabile, propagandosi nel candore della stanza e rendendo quella finta pace donata dal bianco più sporca, rivelando pian piano la sua vera e scura natura. «Bastardi, vi ammazzo! Vi ammazzo tutti!»

Fece per alzarsi, ma le catene che lo tenevano prigioniero gli impedirono di fare alcunché.

«Ethan, cerca di calmarti.» disse Johnson che, intanto, era rimasto composto al proprio posto, studiandolo.

«Non mi dica di calmarmi!» continuò ad urlare l'altro senza sosta, la voce venata di rabbia e dolore. «L'hanno uccisa. Questi animali hanno ucciso mia moglie!»

A nulla valsero i tentativi dello psicoterapeuta di quietarlo: sperava che, rivedendo la scena, qualcosa nella mente di Ethan scattasse e gli avrebbe permesso di vedere quale fosse la realtà, quella nascosta abilmente dal mostro che si nutriva di lui.

Sapeva che sarebbe potuta andare a finire in quel modo, ma era un tentativo come un altro che andava fatto. Un altro da aggiungere alla lista dei fallimenti.

Il grido disperato dell'uomo richiamò due infermieri che irruppero nella stanza e si diressero a passo svelto verso di lui.

Alla vista di quelli, Ethan prese ad agitarsi ancora di più e le sue grida si fecero più acute quando uno dei due lo afferrò sotto le braccia per bloccarlo.

L'altro, invece, gli fece un'iniezione che aveva come obiettivo quello di lasciarlo cadere in un profondo sonno.

Il dottor Johnson, che non si era scomposto minimamente, guardò con una punta di tristezza quella scena.

Non fu più così sicuro di poter aiutarlo. Per anni aveva provato qualsiasi cosa, ogni terapia conosciuta, ogni tipo di farmaco, ma la situazione non aveva mai accennato a migliorare del tutto.

Sentì come se il vero Ethan fosse già morto e sepolto, preda dell'oscurità che lo aveva fatto suo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


La follia di Ethan

Capitolo 2


Quando gli occhi scuri di Ethan si riapirono, si rese conto di ritrovarsi in una stanza spoglia, grigia, privata del candore che ricordava negli ultimi attimi fugaci prima di sprofondare.

Si mosse circospetto su un letto sfatto, con le lenzuola rovinate dal tempo e sgualcite. Era l'unico pezzo d'arredamento insieme a una finestrella sbarrata posta in alto e una sola lampadina come fonte di luce.

«Ethan.»

Una voce familiare all'uomo, femminile e calda, attrasse la sua attenzione.

Proveniva da un angolino buio della stanza, dove vi era una bellissima donna appoggiata al muro, con indosso un leggero vestito nero, impalpabile; i lunghi capelli, ricci e castani, le ricadevano sulle spalle, incorniciandole il delicato viso scuro. Stava lì quieta, fissandolo con i suoi occhi marroni e intensi.

Ethan si raggomitolò sul letto in preda alla paura, guardandola attonito.

«Non è possibile...» disse con voce spaventata e tremante, nell'angolo del materasso dove aveva trovato rifugio. «ho visto la foto, tu sei morta.»

L'uomo si impose di calmarsi, di prendere un lungo respiro, ma lo sconcerto gli impedì di pensare lucidamente. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo e questo lo terrorizzava. Quella presenza sembrava così reale.

«Allison?» mormorò ancora, trattenendo il fiato.

«Sono qui per te, caro.» rispose lei raggiante, muovendosi verso di lui, accompagnata dal frusciare quasi impercettibile della sua veste. Quando ella prese posto sul bordo del materasso, Ethan si avvicinò a lei, circospetto.

Superato lo shock iniziale, si sentì rincuorato della sua presenza. Continuò a studiare i tratti somatici della donna, come se volesse accertarsi che ciò che stesse vedendo non fosse il frutto di qualche scherzo giocato dalla sua mente, e, quando sentì il sottile tessuto scivolargli tra le dita, seppe qual era la verità.

«Che cosa ti hanno fatto?» singhiozzò, aggrappandosi alle sue vesti e affondando il viso nel suo seno, ed ella lo accolse nel suo abbraccio.

«È stato orribile, ho sofferto così tanto.» mormorò lei tra i suoi capelli, stringendolo più forte a sé. «Mi manchi, vorrei tu fossi con me.»

«Io lo sapevo, ne ero certo!» esclamò l'uomo tra i denti, colmo d'ira per l'orribile destino toccatole. «Quei bastardi pagheranno caro.»

«No, non voglio questo.» rispose quella, scostandosi un po' da lui per vederlo in pieno viso. «Non sarebbe più bello se potessimo essere di nuovo insieme?»

Ethan percepì all'istante il sangue ghiacciarsi nelle vene. Sentì una gran confusione mista alla paura, tornate a cibarsi della sua carne come un animale affamato e accanito.

No, non era possibile, la sua Allison non gli avrebbe mai chiesto una cosa del genere, doveva essere tutto frutto di un insano scherzo partorito dalla sua mentre annebbiata. Però... lei era lì, di fronte a lui: poteva sentire la sua voce melliflua sfiorargli l'anima, il suo profumo di rose invadergli le narici e la pelle morbida scorrere sotto i polpastrelli.

«Mi stai davvero chiedendo...» riprese l'uomo tremulo, ma non ebbe la forza necessaria per finire l'enunciato. Allorché, la donna gli rivolse uno sguardo triste, quasi al limite della delusione.

«Non vuoi riunirti a me?» gli chiese, inclinando leggermente il capo. «Non ti manco?»

«Sì che mi manchi.» si affrettò a rispondere. «È solo che... non credevo mi avresti chiesto una cosa simile.»

«Hai paura, lo capisco, ma pensa che potremo di nuovo stare insieme, al sicuro, come avevamo sempre sognato.» Lei gli pose una nuova carezza sul viso e Ethan sentì un brivido corrergli lungo tutta la spina dorsale. «Nessuno che ci perseguita, nessuno che voglia farci del male. Solo tu e io.»

«Solo tu e io.» ripeté l'uomo, ancora poco convinto della veridicità di quel momento.

«Non lo desideri?»

Prima che potesse rispondere, il rumore sordo della porta si propagò in tutta la stanza vuota, facendo trasalire le due figure completamente immerse uno negli occhi dell'altra.

Fece capolino un altro predatore dallo sguardo affilato, un'infermiera sulla cinquantina, bassa e corpulenta.

Quella lo squadrò da capo a piedi con il disgusto celato dietro le spesse lenti degli occhiali tondi, e Ethan non riuscì a capacitarsi perché gli venne riservato così tanto odio e orrore.

Senza dire nulla, gli allungò un piccolo bicchiere contenente alcune pillole e l'uomo ne guardò stranito il contenuto, chiedendosi il perché di quel gesto.

«Che cosa diavolo aspetti? Non farmi perdere tempo.» esclamò quella, nervosa, agitandolo sotto il suo naso per intimarlo a prenderlo.

Ethan lo afferrò e lo studiò a lungo prima che l'infermiera in bianco lo costrinse con veemenza a ingollarne il contenuto. Le pasticche minacciarono di togliergli l'aria e fu preso alla sprovvista da forti colpi di tosse.

Prima di lasciare la stanza, la donna gli prese il mento tra le mani e, con forza, lo costrinse ad aprire la bocca, volendosi sincerare che avesse davvero buttato giù le pillole.

Quando se ne fu accertata, lo lasciò andare e si sbatté la porta alle spalle, dirigendosi così verso la stanza di fianco e lasciandolo solo e ansante sul pavimento ghiacciato.

«Non posso credere che tutti siano così brutali, in questo posto.» mormorò Allison che, nel frattempo, era rimasta seduta sul letto in perfetto silenzio, accigliata.

Non riusciva a capire nemmeno lui la ferocia con cui lo aggredivano in continuazione. Sembrava come se avessero di fronte una belva ripugnante che avrebbero solo voluto eliminare, a qualunque costo.

Sì, aveva ucciso un uomo, ma perché lo avevano sbattuto lì dentro, dandogli dell'infermo, dell'assassino? Chiunque avrebbe fatto lo stesso, e allora perché?

Erano i compagni di quell'uomo che avrebbero dovuto marcire in una stanza come quella: loro erano i veri mostri.

«Non è giusto.» mormorò, dando voce a quei pensieri che da mesi gli turbinavano nella mente. Si inginocchiò a terra e si prese la testa tra le mani, adirato. «Non ho fatto niente di male!»

«Lo so, tesoro,» convenne la donna, alzandosi. Gli andò vicino e si acquattò di fronte a lui, posandogli una mano sulla spalla. «non meriti di stare qui.» Ethan alzò piano la testa e incontrò il suo sguardo. «Ma se farai come ti dico, sarai libero.»

No, non era quello il prezzo che sarebbe stato disposto a pagare, non poteva.

Se la scrollò di dosso in malo modo, urlandole il suo profondo disaccordo, ma lei continuò ad insistere, cercando di ammaliarlo in tutti i modi possibili e smise solo quando Ethan le urlò a pieni polmoni di averne abbastanza, implorando la pace, il silenzio, e, infine, la sua sparizione.

Ma, per quanto fortemente l'avesse scongiurata, rimase lì: una presenza ingombrante in quella piccola stanza.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


La follia di Ethan

Capitolo 3


Il cigolio della pesante porta lo risvegliò da un sonno popolato da incubi. Non importava quanto veloce corresse via dallo scenario in cui cadeva preda, il corpo senza vita dell'unica donna che avesse mai amato era sempre lì. Un orrendo monito di un'altra persona cara strappatagli crudelmente dalla vita.

Due infermieri lo presero con sé di peso tirandolo giù dal letto, portandolo fuori dalla sua camera e verso una meta a lui sconosciuta.

Ethan provò con tutte le sue forze a dimenarsi e scalciare per liberarsi, ma tutto fu inutile in quanto i due infermieri erano molto più forti di lui. La loro presa sulle braccia quasi gli bloccarono la circolazione del sangue.

Lo portarono in una stanza dove un grande lampadario illuminava un lettino, al centro dell'ambiente. Ad attenderlo c'era del personale in camice bianco e in Ethan si manifestò il panico quando non fu in grado di vedere nessuna faccia conosciuta. Tutti predatori che fissavano affamati la propria preda, pregustandosi il lauto pasto.

«Che sta succedendo? Lasciatemi!» Continuò ad urlare e ad agitarsi mentre venne spinto verso quel lettino attorniato da demoni di bianco vestiti.

Lo fecero stendere in malo modo, legandogli sia i polsi che le caviglie con spesse cinghie di cuoio, facendo in modo di evitare che lui potesse muoversi.

Ethan, profondamente spaventato, cominciò a percuotere gli spessi cinturini violentemente, pregando di essere liberato. Il suo animo sembrò quietarsi soltanto quando vide il viso del dottor Johnson che, dai piedi della branda, lo guardava, scuro in viso.

«Non sarei mai voluto arrivare a questo, Ethan.» gli disse con voce ferma e decisa, sinceramente risentito.

«Che significa?» inveì la preda di rimando, scuotendo nuovamente le cinghie ornate di catene il quale rumore metallico si disperse nella stanza.

«Ho deciso di apportare un cambiamento alla tua cura.» Mentre Johnson parlava, Ethan percepì uno dei medici premergli sul viso una mascherina.

«Toglietemi questa roba di dosso!»

«È solo per il tuo bene.» continuò lo psichiatra, cercando, con un tono pacato della voce, di farlo tornare alla calma.

«Non sono io quello malato, sono loro!» continuò a urlare Ethan da sotto la maschera. Vagò con gli occhi per la stanza, fino a vederla: Allison era acquattata in un angolo a braccia conserte, attonita. «Allison, diglielo tu! Digli quello che è successo!» gridò poi alla donna che però non fece altro che protrarre il suo silenzio.

«Lo vedi? È questo il problema.» Lo psichiatra si spostò dai piedi del letto per avvicinarsi al suo fianco, a passo lento. «Sei peggiorato, le tue allucinazioni continuano ad aggravarsi e tu non fai nulla per cambiare le cose.»

«Ma cosa dice, è proprio lì, non vede! Allison, ti prego, dì qualcosa.»

L'uomo prese a dimenarsi con maggiore foga tanto che il medico che teneva la maschera dovette rafforzare la presa.

«Ethan,» lo richiamò lo psicoterapeuta spazientito, con un tono di voce molto più freddo di quanto avrebbe realmente voluto usare. «non c'è nessuno lì. Ma stai tranquillo, presto ti guariremo.»

Mentre l'uomo continuava a dimenarsi per sottrarsi alla presa ferrea delle cinghie, il medico che lo stava tenendo fermo per la testa enunciò la sua sentenza: «Siamo pronti, dottore.»

«Bene. Iniziamo.»

Ethan, nel suo agitarsi, vide lo psicoterapeuta avvicinarsi ad una macchina bianca che, lentamente, avvicinò al centro della stanza, verso di lui.

Senza preavviso, il medico che poco prima gli aveva tenuto la mascherina premuta sul viso lo costrinse ad aprire la bocca con forza, inserendovi un apribocca che Ethan fece per sputare, ma l'infermiere provvide a riportarlo al suo posto.

Subito dopo sentì qualcosa di freddo venirgli applicato sulle tempie e qualcos'altro di morbido vi veniva adagiato.

«Basta, lasciatemi stare!» biascicò l'uomo, cercando di sottrarsi alla presa dei cuscinetti che gli ghermirono le tempie nella loro dolce morsa.

«Non voglio mentirti,» disse Johnson poco prima di girare una manopola del macchinario. «sarà doloroso.»

Quelle furono le parole che aprirono le porte dell'inferno.

Una scarica elettrica trapassò il capo di Ethan e sentì un fortissimo dolore pervadergli tutto il corpo. Gli arti si irrigidirono, quasi non li sentì più; il respiro gli si bloccò, invano fu il tentativo disperato di introdurre aria nei polmoni, gli era impossibile.

Avrebbe voluto urlare, dimenarsi, ma i muscoli non risposero a nessun comando, costringendolo a subire quella tortura immonda.

La scossa durò solo una decina di secondi che parvero interminabili. Quando quella cessò, i muscoli tornarono a rilassarsi e lui sentì le lacrime far capolino e inumidirgli le gote.

Sentì Johnson dire qualcosa, ma non riuscì bene a capire perché tutti i suoni erano ovattati, lontani. Fece solo in tempo a riprendere un po' di fiato, il corpo scosso da spasmi incontrollati, prima che una nuova scossa – un po' più forte della precedente – tornasse a colpirlo.

E allora il corpo tornò rigido, guardò fisso il soffitto ad occhi spalancati, pervaso da un dolore indicibile.

Ne contò tre, quattro, tra le lacrime e futili suppliche di smetterla di dargli tormento, ma dopo la quinta, man mano che le scariche si fecero più forti insieme al dolore, smise di contarle e ogni speranza per un briciolo di pietà svanì insieme all'elettricità che si propagò inesorabile in tutto il corpo.

Tra una pausa e l'altra, nell'angolo, Allison si lasciò andare ad uno sfogo che solo un uomo in quella stanza riusciva a vedere, rannicchiata a terra con le mani tra i capelli e urlando disperata per un'agonia che non poteva fermare.

* * *

Un grandissimo mal di testa lo costrinse a destarsi dal suo sonno. Era di nuovo nella sua stanza, disteso a letto e scosso ogni tanto da spasmi involontari causati dalla terapia elettroconvulsiva di poche ore prima.

Non ricordava molto, solo le ultime parole di Johnson.

E una figura.

Non era chiara, tutti i ricordi sembravano essere annebbiati, e per quanto si sforzasse di pensare a chi potesse essere non riusciva a capirlo. Una donna piangente che prima c'era e poi non più.

Il dolore martellante alle tempie non gli diede pace, era come se avesse la testa incastrata in una grande morsa che, pian piano, si stava restringendo fino a togliergli il respiro.

L'infermiera del giorno prima, quella in carne, gli portò un paio di antidolorifici da prendere, ma quelli sembrarono non sortire alcun effetto. Il dolore continuava ad essere il suo unico e vero compagno in quella stanza buia.

Si sentiva confuso, assetato e affamato. Prima che l'infermiera potesse uscire, la supplicò per avere un po' d'acqua, magari del cibo. L'altra se l'era scrollato di dosso, facendolo retrocedere di qualche passo. Aspetta la cena, gli aveva detto indifferente prima di lasciarlo di nuovo in quella stanza oscura, da solo con la sua agonia.

Dalla sera precedente fino al primo pomeriggio non gli fu somministrato né cibo né acqua, lasciandolo a digiuno in vista del trattamento.

Ethan non capì perché tanto dolore gli veniva inferto, ed era in una di quelle notti che l'oscurità decise di tornare a giocare ancora con lui.

Un complotto.

Sì, doveva essere così, che altra spiegazione poteva esserci? Volevano vederlo morto, ma non gli avrebbero concesso un trapasso rapido. Era evidente che loro, sadicamente, volevano gustarsi ogni momento di agonia, vedendolo implorare pietà.

Gli infermieri, ma certo! Dovevano essere loro il braccio degli uomini in nero, operavano per volere loro!

E la bestia, nell'angolo della stanza e fiera del suo operato, rise sguaiatamente nella sua veste scura, gustandosi il dolce nettare di tanta sofferenza.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


La follia di Ethan

Capitolo 4


Quella storia andava avanti oramai da giorni, forse mesi, Ethan non poteva saperlo con certezza visto che, per la maggior parte del tempo, si trovava in stato confusionale.

Erano pochi i ricordi limpidi che popolavano la sua mente: i due soliti infermieri che lo venivano a prendere a cadenza regolare, il tragitto fino a quella sala degli orrori che tanto detestava, le sue suppliche a un Dio che sembrava ignorarlo, il dolore, alcune parole di Johnson.

Il resto era tutto confuso, come se guardasse una foto sfuocata.

A volte però questi ricordi tornavano magicamente a fuoco, ma solo per un istante: quando durante la seduta, involontariamente, si era bagnato, un'altra volta ricordò una gran nausea e dei forti conati di vomito.

I demoni dicevano che quella terapia gli avrebbe giovato, che lo avrebbe guarito, ma lui si sentì solo peggio. I sintomi post terapia andavano ad aggredirlo con sempre più foga, privandolo a volte anche di un dolce riposo che sarebbe stato comunque rovinato dai tanti incubi che, ciclicamente, tornavano a fargli visita.

E anche quella voce, quella strana figura che per un po' sembrava essere scomparsa, tornò di nuovo. A volte quando la vedeva la riconosceva, ma in altre sembrò essere una completa estranea.

La donna stava ai piedi del suo letto a gambe incrociate nel suo solito vestito nero, i gomiti posati sopra le ginocchia e le mani a reggersi il viso. Calde lacrime le solcavano le gote, donandole un'aria triste e stanca, a giudicare dai cerchi neri che le contornavano gli occhi.

Ethan si mise a sedere sul materasso. Quel giorno si sentiva un po' meglio, aveva solo un po' di nausea e un mal di testa nella norma.

«Sono stanco.» confessò, poggiando la testa al muro. Le lacrime, copiose, cadderò lungo le guance in un fiume malinconico, unendosi a quelle di Allison. «Non ce la faccio più, voglio che finisca.» aggiunse prendendosi forte la testa tra le mani, scuotendola.

La bestia si trascinò carponi verso di lui, sedendoglisi di fianco e posandogli la testa sulla spalla.

«Sai cosa fare.» gli disse in un sussurrò che Ethan riuscì a malapena a sentire.

«Non posso...» mormorò quello in risposta. «Non ce la faccio...»

«Preferisci restare qui, continuare a soffrire?» rispose la donna a denti stretti, quasi furiosa tanto da far insorgere in lui un moto di paura. Ethan si scansò da quel fantasma, guardandola con tanto d'occhi.

Ethan prese a darsi forti pugni sulla testa come se, in quel modo, potesse mandarla via, ma la visione, estensione di quella belva famelica, aveva altri piani.

«No, non voglio...»

«Fallo, Ethan. È l'unica via di fuga che ti è concessa.» Sembrò che la rabbia che le aveva sentito poco prima nella voce fosse svanita, rimpiazzata ora da una suadente, tentatrice. «Poni fine alle tue sofferenze, una volta per tutte.»

E se fosse stato davvero così, se quella fosse stata l'unica via di fuga da quell'inferno? Lui non ne poteva più: era stanco di essere perseguitato, seviziato.

Era stanco di soffrire.

Forse quella figura, quella voce che gli ronzava in testa anche quando Allison non era presente, non aveva tutti i torti. Era da ormai un po' che ci pensava, ma non aveva mai avuto coraggio di reagire.

I suoi pensieri furono bloccati dalla venuta dei due energumeni che erano venuti a prelevarlo per trascinarlo nel suo personale girone infernale.

* * *

Quella volta le scosse furono più forti che mai e gli effetti collaterali quasi lo fecero impazzire. Si sentiva debole, la nausea gli prese la bocca dello stomaco, le tempie bruciavano e il mal di testa martellante non gli permise di lasciarsi andare all'oblio del sonno.

Sì, doveva farla finita.

Quando arrivò l'infermiera con le pasticche, Ethan le guardò stanco. Si sentiva troppo debole per far alcunché, così la donna fu costretta a fargliele ingoiare con la forza.

Dopo il consueto controllo, uscì da lì e fu quel giorno che gli venne in mente.

A partire dal giorno seguente, quando gli venivano somministrati gli antidolorifici o gli antideliranti, Ethan fece sempre in modo di nasconderli per bene sotto la lingua, lì dove mai nessuno guardava.

Così per una settimana intera fino a quando pensò potesse bastare e, dopo aver preso la sua dose giornaliera per davvero, aspettò con impazienza che l'infermiera uscisse.

Quando la porta si richiuse, Ethan corse verso il letto e, da sotto il cuscino, tirò fuori tutte le pastiglie che aveva accumulato. Le guardò con diffidenza, quasi con paura.

Ne prese una con mani tremanti e se la portò davanti agli occhi per osservarla, una piccola pillola blu e bianca. Sconfortato, la lasciò ricadere tra il mucchio.

Era giunto fin lì, così vicino alla libertà da poterne quasi saggiarne il sapore. Eppure lasciò che la sua debolezza gli privasse di quella pace che tanto agoniava raggiungere.

Ripose al suo posto il cuscino, nascondendo di nuovo il suo biglietto d'uscita da quella bolgia. Non aveva abbastanza coraggio, non n'era capace.

In preda all'isteria cominciò a battere forte i pugni a terra, a sbattere la testa al muro. Perché non ci riusciva? Era così semplice, bastava ingoiarle tutte.

«Cosa ti prende, tesoro?» Sentì ad un tratto il tocco familiare della moglie sulle spalle.

Ella fece il giro e si spostò verso il letto, lì dove i farmaci erano andati ad accumularsi. Prese una delle pastiglie e la mandò giù. «Visto? Non è difficile. Dai, fallo con me.»

L'uomo, allora, sentendosi rincuorato dalla presenza della moglie, si avvicinò al letto, inginocchiandosi di fronte a lei.

La figura gli posò sul palmo della mano una pillola bianca e fece cenno di mettersela in bocca ed ingoiarla. Dopo la prima, sembrò essere diventato più semplice.

Ne mandò giù un'altra, poi un'altra e un'altra ancora. Arrivato alla sedicesima, però, il suo rito fu bloccato dall'entrata di un paramedico, forse richiamato dal grande frastuono che aveva sentito poco prima.

Vide Ethan seduto a terra a fissare il vuoto di fronte a sé, ingoiando una dopo l'altra le pillole che aveva di fronte. L'infermiere, capendo le intenzioni dell'uomo, si precipitò e lo bloccò a terra. Quello prese a dimenarsi come una pazzo, cercando di scrollarselo di dosso.

«Togliti, stronzo!»

Ma quello non accennò a lasciarlo andare. Mentre chiamava aiuto, lo prese di peso e gli ficcò due dita in gola.

Quel gesto, misto ai conati rimasti dalla terapia di poche ore prima, lo portarono a rigurgitare tutto ciò che aveva appena buttato giù, rendendo vano il suo tentativo di fuga.

L'infermiere in bianco lo lasciò al suolo mentre due nuovi uomini lo bloccarono nuovamente a terra. Ricordò solo un pizzico all'altezza del collo prima che il buio tornasse a ghermirlo tra le proprie gelide spire.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


La follia di Ethan

Capitolo 5


Quando Ethan aprì gli occhi si ritrovò in una stanza completamente bianca, quel candore tornato ad avvolgerlo con la sua luce rassicurante. Nella poca lucidità che aveva, percepì un tepore che non provava da tempo, la morbidezza delle pareti e subito si allarmò. Com'era possibile che le pareti fossero soffici?

Fece per alzarsi, ma nel tentativo cadde con il viso a terra. Tentò di muovere le braccia per cercare di tirarsi su, ma non riuscì a fare neanche quello.

Provò allora a voltarsi su un fianco per capire cosa stesse succedendo. Fu allora che realizzò.

Era in una stanza imbottita, avvolto in una candida camicia di forza, le cinghie stringevano a tal punto da provocargli dolore.

L'uomo provò a mettersi seduto, cercando di scavare nella sua mente per trovare qualsiasi cosa che potesse giustificare la sua presenza lì, ma tutto ciò che c'era era solo una densa nebbia.

«Guarda come sei ridotto, caro.» disse una voce proveniente dall'altro capo della stanza. L'uomo, preso dall'agitazione, cominciò a guardarsi intorno spaesato e impaurito, finché non la vide.

Ancora una volta, la figura della moglie era accanto a lui, seduta in un angolo della stanza bianca con le gambe incrociate. Ethan, in preda ad una crisi, iniziò a sbattere la testa contro il muro, forte e ripetutamente. «No, basta! Ti prego!»

«Tesoro, perché ti stai facendo questo?» pronunciò Allison dolcemente, alzandosi per potergli andare vicino. Ethan cercò di indietreggiare, incespicando nel tentativo e finendo con le spalle al muro, pressato ancora una volta da quel crudele mostro vestito di beltà.

«No, lasciami stare! Non ti avvicinare!» strillò quello in preda al panico, appiattendosi contro la parete. Come sempre più spesso accadeva, col passare del tempo e con la terapia, sembrò non averla riconosciuta.

«Caro, sono io, Allie.» pianse affranta, tendendo la sua mano come volesse toccarlo e quello si scansò di lato, cadendo nuovamente a terra.

«No, non è vero!» gridò quello rialzandosi, con il sudore freddo che gli imperlava il viso. «Non è possibile, tu sei morta!»

«Sì, ma sono qui, no?»

L'uomo si mise a sedere, imponendosi di calmarsi. Quella figura, sua moglie, sembrava così reale.

«Allison?» mormorò l'uomo, trattenendo il fiato.

«Quegli schifosi hanno fatto in modo che ti dimenticassi di me.» singhiozzò la bestia. «Ma tu non lo farai, vero? Non ti dimenticherai mai di me.»

«Come potrei?» Ethan strisciò verso di lei con gran fatica fino a trovare rifugio nel suo caldo grembo e quella lo cullò come fosse un bambino.

«Te lo ricordi quanto eravamo felici, prima di tutto questo?» gli chiese, passandogli la mano tra i capelli castani.

«Certo che lo ricordo.» rispose quello, stanco. «Quanto vorrei tornare indietro.»

«Ci hai provato, ricordi?» gli sussurrò melliflua, ma quando le lanciò uno sguardo perplesso, aggiunse: «Ti stavo aiutando, ma loro ci hanno fermato.»

Il ricordo esplose come una bomba: si rivide in ginocchio di fronte al letto, l'uomo che l'aveva aggredito e la grande montagna di pastiglie.

«Sì, ora ricordo.»

«Che ne dici di riprendere da dove ci eravamo lasciati?» fece lei, sorridendogli.

«Ma io ho paura.» piagnucolò, iniziando a tremare leggermente.

«Ma ci sono qui io.» prese a rassicurarlo Allison. «Vuoi che lo facciamo insieme? Come prima?» Gli prese il viso tra le mani, carezzandogli le guance con i pollici e lui le regalò uno sguardo spaventato. «Possiamo prenderci la lingua a morsi, vuoi?» aggiunse poi e l'uomo sbarrò gli occhi dallo sconcerto.

«Non farà male?»

«Ma pensa a dopo!» esclamò lei, raggiante come non l'aveva mai vista. «Alla pace e alla gioia che ti pervaderà anima e corpo. Pensa che, finalmente, potremo essere di nuovo insieme.»

Ethan la guardò fisso, attonito. «Non posso...»

«Sì che puoi.» insistette lei. Tirò fuori la lingua e la mise tra i denti. «Fai come me.» biascicò poi con un sorriso.

Come se niente fosse, ammaliato dalla promessa di pace, Ethan fece lo stesso. «Al mio tre diamo un bel morso, pronto?»

«No...»

«Dai, sii forte.» Allison racchiuse le mani di Ethan nelle sue, stringendole forte. «Uno... due... tre.»

Fu un attimo.

Il sapore ferroso del sangue gli invase la bocca e un forte dolore lo pervase da capo a piedi. Tirò fuori un grande urlo mentre, di fronte a sé, vide la famelica bestia con il sangue uscirle dalla bocca, ghignando e crogiolandosi nella sua vittoria.

Diede un morso ancora più forte e il sangue iniziò a scendere copioso lungo la laringe e la faringe, raggiungendo così lo stomaco e i polmoni. Sentiva il respiro farsi sempre più affannoso; le lacrime, salate, si andavano a mischiare con il sapore ancora più forte del sangue.

Si accasciò a terra, mentre la figura di fronte a se rideva di gusto, il sangue che le colava sul collo e sulla veste. «Ci sei quasi!» gli gridò con forza e lui urlò più forte di lei.

Si morse fino a che, con grande sconcerto, vide la sua lingua recisa cadere al suolo, tingendo di rosso l'immacolato pavimento bianco. Allora alle urla di dolore si mischiarono quelle di terrore, in netto contrasto con le risate sguaiate e gioiose dell'oscurità piegata in due a deriderlo.

Cercò di guardarsi e vide che la camicia di forza, che lo limitava nei movimenti, era imbrattata di cremisi. Il respiro si fece sempre più affannoso e lui si sentì sempre più debole.

Vagava con lo sguardo in giro per la stanza, in cerca di quella figura che lo aveva convinto ad attuare un gesto tanto estremo, ma lì non c'era nessuno a parte lui.

La bestia aveva ottenuto finalmente ciò che agognava da tempo.

I polmoni, ormai, erano pieni di sangue e anche il solo tentativo di respirare si faceva difficile, doloroso; continuava ad uscire copioso dalla sua bocca.

La debolezza si fece sempre più forte.

Poi il suo corpo cedette e crollò al suolo, soffocando nel suo stesso icore.

Prima di chiudere gli occhi per sempre, però, gli parve di sentire per l'ultima volta quella maledetta voce sussurrargli all'orecchio.

Ci vediamo dall'altra parte.

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