Dulce et decorum est

di Star_Rover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ragazzo del rancio ***
Capitolo 2: *** Una missione pericolosa ***
Capitolo 3: *** Il grande attacco ***
Capitolo 4: *** Nouex-les-Mines ***
Capitolo 5: *** Aprile di sangue ***
Capitolo 6: *** Il fortino dei dannati ***
Capitolo 7: *** Macerie e fantasmi ***
Capitolo 8: *** Ritorno al fronte ***
Capitolo 9: *** Dove danzano i papaveri ***
Capitolo 10: *** Preludio alla battaglia di Passchendaele ***
Capitolo 11: *** Autunno fiammingo ***
Capitolo 12: *** Spiriti della notte ***
Capitolo 13: *** Scorreva sangue la scura terra ***
Capitolo 14: *** Luce tra le tenebre ***
Capitolo 15: *** Il risveglio ***
Capitolo 16: *** Esecuzione all'alba ***
Capitolo 17: *** Il disertore ***
Capitolo 18: *** Croce sul cuore ***
Capitolo 19: *** Nel fuoco e nella tormenta ***
Capitolo 20: *** Compagni d'armi ***
Capitolo 21: *** L'ultima speranza ***
Capitolo 22: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 23: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 24: *** Natale 1917 ***
Capitolo 25: *** Sulle rive della Scarpe ***
Capitolo 26: *** Truppe d'assalto ***
Capitolo 27: *** Il volto del nemico ***
Capitolo 28: *** La questione del prigioniero ***
Capitolo 29: *** Dulce et decorum est ***
Capitolo 30: *** Oltre il confine ***
Capitolo 31: *** Il destino dei vivi e la sorte dei morti ***
Capitolo 32: *** Quo fas et gloria ducunt ***
Capitolo 33: *** Il buon soldato ***
Capitolo 34: *** Lettere dal fronte ***
Capitolo 35: *** L'ultima battaglia - Parte I ***
Capitolo 36: *** L'ultima battaglia - Parte II ***
Capitolo 37: *** L'ultima battaglia - Parte III ***
Capitolo 38: *** La Pace ***
Capitolo 39: *** Il ritorno ***
Capitolo 40: *** Dopo la guerra ***



Capitolo 1
*** Il ragazzo del rancio ***


I. Il ragazzo del rancio
 
Il maggiore Farrell bevve un lungo sorso dalla sua fiaschetta di whiskey, poi estrasse due sigarette dal taschino della giacca offrendone una al suo compagno.
Il tenente Green accettò, l’accese con un fiammifero e la portò con calma alle labbra.
«Sai Richard, questa potrebbe essere una grande occasione per vincere la guerra» disse Farrell con cieca convinzione.
Il tenente espirò una nuvola di fumo: «è dall’inizio del conflitto che stiamo combattendo la nostra ultima battaglia»
«Dovresti avere fiducia nell’Esercito britannico» lo rimproverò.
L’altro alzò le spalle: «in ogni caso temo che la fine non sia così vicina»
Il maggiore sbuffò, ormai era abituato alle sue ciniche risposte.
Green osservò con aria assorta la cartina aperta sul tavolo, spostò qualche segnale rosso e blu e tracciò alcune linee a matita.
I due ufficiali stavano attendendo da almeno un’ora la corvée di cucina dalle retrovie, i trasporti in prima linea erano sempre rischiosi, a volte insieme alla merce giungeva anche un cadavere da seppellire.
Finalmente sentirono delle voci, poco dopo una giovane recluta entrò nel rifugio portando la cena.
Il tenente Green riconobbe il soldato che da un po’ di tempo riforniva i suoi uomini, la sua era una presenza benvoluta, ormai tutti provavano una certa simpatia per il ragazzo del rancio.
L’ufficiale osservò il suo aspetto malandato, aveva la divisa strappata, il viso sporco di terra e gli occhi spalancati dal terrore. A stento si reggeva sulle gambe tremanti. Probabilmente lui e i suoi compagni erano appena sfuggiti alle pallottole tedesche.
«Ei, ragazzo! Che è successo? Ti sei perso per strada?» domandò il maggiore con aria irrisoria.
«Mi scusi signore, hanno bombardato il settore est e ci sono stati problemi con le provviste» rispose lui con sincero rammarico.
Richard lo ringraziò con educazione, ma rimase alquanto deluso nel ritrovarsi davanti alla solita pietanza insipida. Erano giorni che le truppe tiravano avanti ingurgitando solo brodaglia.
Il tenente sospirò, se il sergente Redmond avesse avuto una mira migliore in quel momento avrebbero potuto gustare della saporita carne di lepre.
Green consumò la cena in silenzio ascoltando senza troppa attenzione i discorsi di Farrell, i suoi argomenti di conversazione erano alquanto limitati, parlava solo di guerra e donne. Il tenente non riteneva particolarmente brillanti le opinioni del maggiore a riguardo del conflitto e non era affatto interessato alle sue assurde avventure amorose. Non trovava nemmeno eccitanti i suoi racconti più osceni che erotici, ma questo probabilmente era dovuto al fatto che non era attratto dal gentil sesso.
Nonostante ciò attese pazientemente la fine del suo discorso, limitandosi a interagire con lievi cenni e aiutandosi a sopportare la noia con frequenti sorsi di vino francese.
Più tardi il tenente uscì dal rifugio per fumare un’altra sigaretta e fare una breve passeggiata. Lo attendeva una lunga notte, era certo che non sarebbe riuscito a riposare nemmeno durante le poche ore concesse.
Camminò lungo la trincea e si fermò a un punto di guardia, tutto pareva tranquillo, la terra di nessuno era inghiottita dall’oscurità e il filo spinato rifletteva i raggi argentei della luna.
Green sospirò, lasciò vagare liberamente i pensieri, nella sua mente comparve la figura del ragazzo del rancio. In lui aveva notato qualcosa di diverso, ma non sapeva ancora di che potesse trattarsi esattamente. Forse gradiva solo la sua presenza, si sentiva rassicurato dalla sua aria pura e innocente. L’ufficiale si rattristò, quel soldato non poteva avere più di vent’anni e già lo attendeva un triste destino.
Green gettò via il mozzicone, diede un ultimo sguardo al cielo stellato, poi si incamminò nuovamente verso il rifugio.
 
Quella notte sognò un episodio della battaglia delle Fiandre.
 
Pioveva ormai da settimane, il cielo era sempre grigio come le divise del nemico e l’umore dei suoi compagni. Green, appena promosso a sottufficiale, avanzava arrancando negli abiti zuppi d’acqua, trascinando i pesanti stivali nel fango.
Sembrava tutto tranquillo, lui e il soldato semplice Davis erano soli in un sentiero di collegamento tra il settore C e la prima linea. All’improvviso il suo compagno cadde disteso, nessuno dei due aveva sentito l’eco dello sparo. La pallottola aveva raggiunto la gamba di Davis, trapassando la coscia e conficcandosi nel femore. Green si chinò immediatamente per soccorrere il suo amico, il quale gemeva contorcendosi per il dolore.
Il sottufficiale provò a calmarlo e tentò di fermare l’emorragia. Era nervoso, dovevano lasciare al più presto quella zona pericolosa.
Senza esitazione Richard si caricò il ferito sulle spalle ed iniziò una disperata corsa tra esplosioni e proiettili.
I due caddero in trincea e a fatica raggiunsero un riparo. Si riposarono qualche istante in una buca lasciata da una granata, la ferita continuava a sanguinare, il liquido viscoso scivolava dai pantaloni strappati, macchiando anche la divisa di Richard.
Il ferito era ormai disposto ad accettare il suo destino: «fermati, lasciami qui. Almeno tu pensa a salvarti!»
«Non potrei mai abbandonarti, avanti, vedrai che andrà tutto bene»
«Oh, Richard…sono contento di morire al tuo fianco, sei sempre stato un amico così caro…»
«No, non dire così. Vedrai, presto potrai tornare a casa»
Egli pronunciava quelle frasi con la piena consapevolezza di star mentendo, ma quelle bugie erano necessarie per entrambi.
Green sentì di essere ormai privo di forze, eppure non voleva arrendersi, doveva portare in salvo il compagno ferito. Sfinito e stremato, con i polmoni in fiamme e le lacrime agli occhi, attraversò l’intera trincea.
Alla fine giunse davanti all’infermeria, si accasciò al suolo mentre un suo commilitone corse in suo aiuto.
«No, io sto bene. Pensate a lui» ansimò.
Lo sconosciuto gli rivolse uno sguardo affranto: «mi spiace…non possiamo fare più nulla»
Richard non capì: «è stato ferito alla gamba, deve essere operato!»
Il soldato girò leggermente la testa del suo compagno mostrando il volto cereo e gli occhi vitrei.
«Purtroppo è troppo tardi, è morto dissanguato. La pallottola deve aver reciso l’arteria» concluse con freddezza.
Green non riuscì a realizzare ciò che era accaduto, si gettò sul corpo ormai inerme dell’amico, abbandonandosi al suo dolore.

 
Richard si risvegliò con un urlo di terrore, tremava ed era ancora scosso dal terribile incubo. Rimase a lungo immobile nell’oscurità, ripensò al soldato Davis e prendendosi il volto tra le mani scoppiò in lacrime.
 
***

Poco prima dell’alba il tenente Green si rialzò dal suo giaciglio, si sciacquò il viso con l’acqua gelida che aveva raccolto nell’elmetto e, come di usanza nell’Esercito britannico, dedicò il giusto tempo a radersi.
Il ragazzo del rancio 
si presentò puntuale con la colazione e la posta. Il soldato sembrava essersi ripreso dallo spavento della serata precedente, qualche ora di sonno aveva ridonato colore e vivacità a quel volto scarno, ma dai lineamenti armoniosi e delicati.
Green fu rincuorato nel vederlo così allegro, era uno di quei giovani ancora pieni di ideali e di speranze, che sapevano affrontare la vita di trincea con la loro tipica spensieratezza.
La sua visita riportò l’ufficiale di buon umore, egli caricò la pistola e si preparò al suo primo pellegrinaggio per le trincee.
 
In quegli anni Green aveva avuto modo di constatare che i momenti di tranquillità erano particolarmente pericolosi al fronte, gli uomini si rilassavano e abbassavano la guardia, ma dopo la calma giungeva sempre un’improvvisa e violenta tempesta.
Anche quel giorno la precaria condizione di quiete durò soltanto poche ore. Al tramonto la tacita tregua tra i due schieramenti si interruppe bruscamente.
Il tenente era appena tornato dal suo giro di ricognizione quando un’esplosione fece pericolosamente tremare le pareti del suo rifugio, le spesse travi di legno tremarono e un consistente tumulo di terra cadde dal soffitto. Il fragore assordante lasciò Green confuso e stordito.
L’ufficiale tossì nella polvere, all’esterno intravide una minacciosa nube verde, a tentoni cercò la maschera antigas, la indossò e freneticamente si diresse verso l’uscita.
Appena giunse all’aperto si ritrovò davanti ad uno spettacolo tanto orribile quanto affascinante, decine di razzi esplosero nel cielo rossastro del crepuscolo, erano le segnalazioni nemiche per indirizzare il fuoco. Green proseguì lungo i camminamenti, avvicinandosi alla prima linea venne circondato da una fitta nebbia.
Egli iniziò a correre per tentare di sfuggire ai vapori mortali, così facendo però presto fu costretto a togliersi la maschera, i vetri erano sporchi di fango e cenere, inoltre il suo respiro era diventato affannoso e la valvola non gli permetteva di aspirare abbastanza ossigeno.
Il tenente riuscì a gettarsi appena in tempo in una buca lasciata da una granata, evitando così di essere colpito da una bomba che cadde proprio davanti alla trincea. Una parete franò ed un’intensa pioggia di scaglie metalliche si abbatté violentemente contro la linea inglese.
Green riemerse dalla sua fossa scavando con le unghie nella terra argillosa, la prima cosa che vide davanti a sé fu il cadavere di un suo commilitone. Il cranio dell’uomo era stato fracassato da una lastra metallica.
L’ufficiale si rialzò barcollando, a stento trattenne un conato di vomito. Lentamente riprese la sua avanzata tra i camminamenti bruciati, dovette fermarsi qualche istante prima di raggiungere la sua postazione, per riprendere fiato e calmare i nervi.
La situazione sembrava sotto controllo, ogni soldato si era dimostrato rapido ed efficiente nel preparare il contrattacco. Soltanto i barellieri erano in difficoltà poiché si ritrovarono a dover raccogliere un buon numero di feriti gementi e sofferenti.
Green non ebbe molto tempo per organizzare l’azione, dopo la breve pausa il fronte tedesco riaprì il fuoco. Il tenente strisciò fino al bordo della trincea, rapidamente posizionò il fucile e puntò l’arma.
Ogni tanto qualche elmetto risplendeva al chiarore della sera, l’inglese non perse l’occasione di sparare a quegli incauti soldati. Una strana esaltazione iniziò a scorrere nelle sue vene, si sentì come un cacciatore nelle radure dell'Essex, ogni tedesco che camminava al di sopra della copertura era una preda ambita.
In quel momento individuò un altro luccichio nell’oscurità, stavolta il colpo fu preciso e sicuro.
La sentinella al suo fianco assistette alla scena attraverso il binocolo: «complimenti tenente! L’ha preso!»
Le sue parole risvegliarono Green da quella sorta di allucinazione.
«Ei ragazzi! Il tenente Green ha fatto saltare le cervella a un crucco!» gridò la sentinella rivolgendosi ai suoi compagni, i quali esultarono con eccitazione. Erano tutti stremati e spaventati, l’idea di un nemico in meno poteva essere una misera consolazione, ma per loro era una grande speranza.
Dopo quell’episodio l’ufficiale abbandonò la sua postazione per controllare i nidi delle mitragliatrici.
Vickers Lewis 
scoppiettavano incessantemente, il tenente provò una gradevole soddisfazione nel notare i manicotti fumanti e incandescenti. Le squadre erano ben addestrate e maneggiavano attrezzature e munizioni con estrema precisione e rapidità. Un sottufficiale fu ferito dal metallo rovente, prova che aveva sparato fino all’ultimo proiettile.
Green si allontanò, stava per raggiungere un punto di osservazione quando l’ennesima esplosione lo scaraventò violentemente contro il muro di terra. Si rialzò imprecando, recuperò il fucile e nuovamente immerso nel furore della battaglia corse nel mezzo dell’azione.
 
Tutto accadde molto rapidamente, senza rendersene conto il tenente Green si ritrovò coinvolto in un violento scontro a fuoco in un cratere fangoso. Alla fine i tedeschi erano usciti all’assalto e alcuni di loro, coperti dal fuoco dell’artiglieria, erano riusciti a superare il filo spianto.
Il tenente avvertì i proiettili fendere l’aria sopra alla sua testa, l’inconfondibile botto delle bombe a mano indicava che il nemico era sempre più vicino.
Il sergente Redmond sparava come un dannato, anche le sue urla di frustrazione sembravano provenire dagli inferi.
Green adottò una tecnica più prudente, sparava con rapidità e si ritirava in alternanza al nemico, quello scontro prese il ritmo di una danza infuocata.
 
Lentamente gli spari si diradarono, poi all’improvviso la campagna tornò avvolta nel silenzio, il nemico si era ritirato scomparendo nell’oscurità.
Green passò la manica sulla fronte impregnata di sudore, sembrava che lo scontro fosse giunto al termine. Era ormai deciso a rientrare in trincea quando ad un tratto avvertì un debole lamento. Cautamente si avvicinò al bordo di un fosso, sul fondo trovò un soldato ferito, un proiettile l’aveva colpito al fianco destro, dal quale fuoriusciva un rivolo di sangue. Il giovane era immobile, ansimava e gemeva dal dolore.
Il tenente riconobbe il suo volto sporco di fango, era il ragazzo del rancio. Senza esitazione si gettò nella buca per soccorrerlo. Il ferito era sveglio, ma pareva incosciente.
Green cercò di bloccare l’emorragia, poi trascinò il giovane in superficie. Provò a comunicare con lui, ma le sue risposte furono soltanto insensati mugolii e spasmi di sofferenza.
Il tenente si rassegnò, non avendo altra scelta si caricò la recluta sulle spalle e con quel fardello insanguinato tornò in trincea.
«Forza ragazzo, resisti!» disse a denti stretti, continuando a sostenerlo facendosi carico del suo peso.
Poiché i collegamenti con l’ospedale da campo erano stati colpiti di recente dall’aviazione nemica e l’infermeria era gremita di soldati Green trovò come soluzione più semplice quella di portare il ferito nel suo rifugio, almeno per quella notte.
Così trasportò il ragazzo in fondo al cunicolo e con delicatezza adagiò il suo corpo sulla branda di legno.
 
L’ufficiale medico Jones era ormai esausto, le sue maniche erano ancora sporche di sangue per i numerosi interventi delle ultime ore. Quando giunse all’entrata del rifugio non pose domande e non si intrattenne con inutili conversazioni.
Il medico si occupò immediatamente del ferito, il quale era ancora privo di sensi. Richard si avvicinò con esitazione, il ragazzo giaceva inerme e ansante, aveva la fronte bagnata di sudore, spesso il suo corpo veniva scosso da intensi brividi a causa della febbre.
«Che ne sarà di lui?» chiese con apprensione.
«Se riuscirà a guarire dalla febbre potrebbe avere qualche possibilità di riprendersi. Non posso affermare nulla con certezza, il soggetto è ancora molto debole» disse Jones.
«Non può fare altro per aiutarlo?»
L’uomo scosse la testa: «al momento possiamo soltanto aspettare e pregare»
Richard ringraziò il medico offrendogli del vino rosso in una tazza metallica.
Jones aveva salvato la vita al tenente Green quando sulle rive della Somme una scheggia di granata gli si era conficcata nello stomaco, da allora i due avevano mantenuto un buon rapporto. Entrambi avevano sofferto profondamente a causa della guerra, ormai sapevano comunicare il proprio dolore senza dire una parola.
Gli ufficiali avvertirono uno strepito di mitragliatrice, poi ancora silenzio. Probabilmente una sentinella aveva ancora i nervi tesi per la battaglia.
Jones rivolse un ultimo sguardo al ferito, il suo volto rimase inespressivo, poi sgusciò fuori dal rifugio salutando il tenente con un semplice cenno.
L’ufficiale rimase accanto all’infermo per l’intera nottata riflettendo sulla situazione. Razionalmente quel ragazzo era solo uno dei tanti, ma Green provò un’intensa pietà nei suoi confronti. Non si sentì pronto ad abbandonarlo al proprio destino.
 
***

Nel periodo seguente le attività al fronte tornarono alla regolarità, dopo il cruento attacco il nemico si ritirò nelle sue trincee tornando a diventare una presenza di pericolo costante, ma invisibile.
Il tenente Green trascorse quelle giornate fungendo da infermiere per il ferito, in attesa del suo risveglio.
 
Richard si era addormentato sulla sua sedia accanto al giaciglio del malato, alla fine aveva ceduto alla stanchezza. Nel momento in cui la sua mano cadde sulle coperte avvertì un anomalo movimento, con uno spasmo il ferito afferrò il suo polso stringendolo con forza e decisione, come se quell’arto fosse il suo unico appiglio alla vita.
Il tenente, dopo il primo istante di spavento, esternò la sua felicità per quel risveglio.
«Bentornato ragazzo» disse osservando con sollievo e speranza i suoi occhi aperti, che finalmente mostravano le iridi celesti.
Il giovane tentò di parlare, ma non emise altro che un lamento strozzato.
Richard versò dell’acqua in un bicchiere e lo portò alle sue labbra secche, il ragazzo deglutì a fatica, ma poco dopo parve star meglio.
In quel momento il tenente si rese conto di non conoscere nemmeno il suo nome.
«Come ti chiami?» chiese con tono benevolo.
Il giovane rispose con un filo di voce: «Fionn, ma tutti mi chiamano Finn»
Green sorrise: «bene Finn, il dottore ha detto che ti riprenderai, ma avrai bisogno di un po’ di tempo»
Il ferito si guardò intorno con aria confusa e smarrita: «dove sono?»
«Nel mio rifugio» rivelò il tenente.
Egli parve allarmarsi.
«Non preoccuparti, potrai restare finché non recupererai le forze»
«No signore, non posso…» si oppose Finn provando a muoversi.
Green lo trattenne e tentò di rassicurarlo: «calmati, va tutto bene. Questo buco non è una reggia, ma c’è spazio per entrambi»
«Non voglio disturbarla, e poi devo tornare insieme ai miei compagni»
Richard manifestò il suo dissenso: «hai bisogno di riposare, qui potrai stare tranquillo. E poi non mi dispiace avere un po’ di compagnia»
Finn si arrese distendendosi nuovamente sul suo giaciglio.
«Adesso devo andare, chiederò al dottor Jones di passare a visitarti» concluse il tenente rialzandosi.
Il giovane sussultò: «aspetti…»
Green rimase a fissarlo in attesa delle sue parole.
«Volevo ringraziarla per avermi salvato» disse ansimando.
L’ufficiale si limitò ad una frase di circostanza: «ho solo fatto il mio dovere»
Detto ciò recuperò la sua pistola e uscì per la solita ronda nelle trincee di collegamento.
 
Quella notte, durante un’uscita di ricognizione, la squadra del tenente Green riuscì a catturare un ufficiale nemico. Un gruppo di tre tedeschi aveva avventatamente attraversato la terra di nessuno, Richard aveva proposto di lanciare una granata e catturare i soldati quando essi si sarebbero gettati in una buca per ripararsi. Purtroppo questo piano era saltato per colpa dell’irruenza del soldato Lane, che in preda al desiderio di vendetta per la recente perdita del fratello aveva sparato senza esitazione al nemico.
Fortunatamente Green era riuscito a fermarlo in tempo per evitare che anche il terzo uomo, il più importante, diventasse un suo bersaglio.
Il tenente Schmidt non ebbe altra scelta che arrendersi e seguire gli inglesi.
Green rimase particolarmente impressionato dal prigioniero, il quale, ferito e umiliato dalla sconfitta, pareva ancora pronto a sfidare il suo avversario.
La divisa grigia era macchiata di fango e sangue, eppure l’ufficiale manteneva con orgoglio la propria dignità. Il suo petto era decorato con una croce di ferro, dunque si trattava di un eroe di guerra.
Anche il suo volto era segnato dalla fame e dalla fatica, ma negli occhi lucidi brillava ancora il suo desiderio di rivalsa. Era evidente che non si fosse ancora arreso al suo destino.
Durante l’interrogatorio Richard ebbe modo di valutare l’integrità e la fedeltà del tedesco, nonostante la rivalità ammirò la determinazione del nemico.
Quando abbandonò la cella non poté evitare di interrogarsi sul destino del detenuto, probabilmente sarebbe stato deportato insieme ad altri suoi commilitoni nei campi di internamento per prigionieri di guerra in Galles o in Irlanda.
Richard si incupì, in fondo era triste pensare ad un uomo così forte e orgoglioso ridotto in catene come un comune criminale.
 
***

Finn era ancora debole e febbricitante, ma le sue condizioni miglioravano rapidamente anche grazie alle cure e alle attenzioni del tenente.
Il giovane osservò l’ufficiale, il quale era seduto al tavolo a leggere accanto alla luce della lanterna.
Si sentì stranito da quella situazione, aveva sempre stimato il tenente Green, dal primo momento quell’uomo aveva esercitato un certo fascino su di lui. Ben presto aveva avuto la prova che non si trattava soltanto di semplice ammirazione. Indubbiamente il giovane ufficiale era un uomo di bell’aspetto, con un fisico da soldato, alto e atletico. Il suo volto indurito dalla guerra e il suo sguardo intenso gli conferivano un’aria intrigante.
Finn sospirò, nelle sue condizioni avrebbe potuto incolpare la febbre per quei pensieri impuri riguardanti il suo comandante, ma la verità era che quelle fantasie giacevano già da tempo nella sua mente.
Il ragazzo si riprese avvertendo la voce di Green.
«Sai, stavo pensando ad una cosa…»
Egli attese con curiosità.
«Se vuoi puoi restare qui, avrei davvero bisogno di un assistente»
Lo sguardo del giovane si illuminò: «sta dicendo sul serio?»
Green annuì: «suppongo che quando ti sarai ripreso non avrai voglia di tornare a pelare patate»
Finn sorrise: «signore, per me sarebbe un onore!»
Il tenente tornò a rivolgere la sua attenzione alle poesie di Baudelaire: «bene, allora considera concluso il nostro accordo»
 
***

Si trattò di una battaglia rapida, ma intensa. Le truppe britanniche affrontarono il nemico a campo aperto sferrando un violento attacco. L’assalto non fu definitivo, ma costrinse i tedeschi ad arretrare e ad abbandonare un buon numero di postazioni.
Per tutta la durata dell’azione Finn rimase nel rifugio, aspettando con ansia il termine dello scontro e il ritorno del tenente. Quell’attesa si rivelò snervante, il ragazzo non sopportava l’idea di essere costretto a restare rintanato come un vigliacco mentre i suoi commilitoni stavano affrontando i pericoli della battaglia. Purtroppo il dolore al fianco era ancora troppo intenso e in ogni caso non avrebbe potuto rendersi utile.
Quando vide la figura del tenente sbucare dal cunicolo quasi sobbalzò per l’emozione, il suo superiore era stanco e malconcio, ma ancora tutto intero.
«Signore, è ferito!» notò con apprensione indicando la benda sul suo braccio.
«Non è nulla di grave, si tratta soltanto di un graffio» lo rassicurò lui.
Durante la cena l’ufficiale raccontò al giovane soldato gli avvenimenti cruciali della battaglia, istruendolo sulle tecniche di combattimento, sulle strategie belliche e sul corretto utilizzo delle armi.
Finn ascoltò tutto con estrema attenzione, il suo battesimo di fuoco era stato particolarmente cruento, ma già ferveva all’idea di affiancare il suo valoroso comandante sul campo di battaglia.
Richard non si lasciò trasportare dalle emozioni, narrò le sue esperienze con tono freddo e distaccato. Egli conosceva ormai bene la dura realtà della guerra ed era consapevole che in quel cruento massacro non restava più nulla di eroico o romantico.
 
In lontananza avvertirono le grida e i canti dei soldati, alcuni di loro erano già ubriachi, qualche ufficiale doveva aver dato fondo alle riserve di alcolici per festeggiare la recente vittoria.
«Dovrebbe unirsi agli altri, sembrano tutti felici per questa conquista» commentò Finn.
L’ufficiale alzò le spalle: «ho smesso di festeggiare da tanto tempo ormai…»
Il giovane provò una certa inquietudine nel sentire quelle parole e si rattristò per la condizione del suo commilitone.
Il tenente Green si avvicinò al suo giaciglio per controllare la sua ferita, la quale non si era ancora rimarginata. Quella volta l’ufficiale non attese il ritorno di Jones e pensò da solo a sistemare la fasciatura. Con calma e pazienza aiutò il suo compagno a svestirsi, lentamente tolse le bende impregnate di sangue e disinfettò le ferite.
Finn sussultò leggermente avvertendo il suo tocco sulla pelle, poi digrignò i denti trattenendo una smorfia di dolore.
Richard passò un panno umido su quel corpo esile e denutrito, l’ardua vita del fronte aveva provato duramente il suo fisico. 
Quando ebbe terminato la medicazione Richard non si allontanò, restò a fianco del suo assistente, perdendosi nei suoi pensieri con uno sguardo triste e malinconico.
Dopo un po’ Finn prese coraggio e si decise ad interrompere il silenzio.
«Oggi ho avuto paura, ho temuto di non rivederla più» rivelò con voce tremante.
Green fu colpito da quelle parole, nessuno si era mai preoccupato in quel modo per lui.
Senza dire altro Finn allungò una mano verso il viso dell’ufficiale sfiorando la sua pelle con una lieve carezza. Richard rimase immobile, non ricordava l’ultima volta in cui aveva trovato un simile conforto nel calore umano. I due si guardarono a lungo negli occhi, alla fine Finn cedette all’istinto e si protese in avanti, le loro labbra si unirono in un leggero bacio. Il ragazzo era convinto che il suo superiore l’avrebbe respinto, invece ciò non accadde. Quando si distaccarono Green indugiò qualche istante, poi si riavvicinò con più decisione. Ben presto l’esitazione iniziale lasciò spazio alla bramosia e alla passione.

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Capitolo 2
*** Una missione pericolosa ***


 
II. Una missione pericolosa


Il tenente Green riprese a camminare avanti e indietro lungo la trincea con aria preoccupata ed evidente nervosismo.
Inevitabilmente ripensò a ciò che era appena accaduto e si rimproverò per aver ceduto alla sua debolezza.
Quel giovane era riuscito a far cedere ogni sua difesa. Era rimasto sorpreso dal suo primo bacio, sapeva che avrebbe dovuto respingerlo, invece aveva ricambiato con ardore, lasciandosi travolgere da quell’inaspettata passione. Aveva ripreso il controllo di sé ritrovandosi con il respiro affannato e il cuore che batteva all’impazzata nel suo petto, in quell’attimo di lucidità si era distaccato e senza dire nulla era fuggito via.
Green non si era mai sentito così vulnerabile, quel ragazzo aveva risvegliato in lui emozioni e sentimenti che aveva cercato di reprimere per molto tempo.
Era consapevole della gravità della situazione, tutto ciò era decisamente pericoloso, la soluzione migliore per entrambi sarebbe stata dimenticare l’accaduto.
«Signor tenente! Signor tenente!»
Green tornò alla realtà avvertendo le grida di una staffetta affannata.
«Che cosa succede?»
«Il colonnello Harrison vuole vederla»
Il tenente non gradiva particolarmente quelle riunioni, anche perché di solito non portavano a nulla di buono. In quell’occasione però fu grato al suo superiore, almeno per il resto della nottata fu costretto a mettere in secondo piano i suoi tormenti.
 
Il quartier generale era una casa in pietra dal tetto crollato e un lato squarciato, soltanto le mura e le stanze del primo piano erano sopravvissute ai bombardamenti. Richard trovò il colonnello già pronto ad attenderlo nel suo ufficio.
«Tenente Green, prego, si accomodi»
Egli obbedì meccanicamente sistemandosi sulla sedia davanti alla sua scrivania.
«Gradisce un po’ di whiskey?»
Richard scosse la testa.
«Dalla sua espressione non sembra particolarmente felice di vedermi» commentò il colonnello notando il suo volto cupo e preoccupato. 
«Se ha deciso di convocarmi con tanta urgenza devo supporre che lei non abbia buone notizie»
Harrison riempì il suo bicchiere: «in effetti mi hanno riferito che i rinforzi dalle retrovie non giungeranno tanto presto, i suoi uomini dovranno resistere ancora per un po’»
Egli rimase impassibile: «nient’altro signore?»
Il colonnello bevve un lungo sorso: «sì, riguarda l’ufficiale tedesco che ha catturato l’altra notte. Quell’uomo non ha detto una parola, eppure noi sappiamo che il nemico sta organizzando un attacco, abbiamo bisogno di altri prigionieri»
«Vuole organizzare un’incursione nelle trincee nemiche?»
«Domani, poco prima del tramonto» affermò Harrison.
«Non credo che ci saranno molti volontari»
«I suoi uomini la seguirebbero anche all’Inferno! Si fidano di lei e questo è molto importante. Questa volta dovrà solamente convincerli a uscire dalle trincee, per il resto ci penserà il sottotenente Wilkins»
Green non capì: «credevo che volesse assegnarmi il comando della missione»
«No, Wilkins saprà gestire la situazione. Lei si occuperà del fuoco di copertura, d’altra parte è un esperto con i mortai, giusto?»
«Sì, signore. Il mio primo incarico nell’Esercito è stato quello di bombardiere. Nonostante ciò preferirei restare con i miei uomini»
Il colonnello poggiò una mano sulla sua spalla: «questo le fa onore tenente, ma stavolta non posso proprio lasciarla andare»
Green provò ad insistere: «il sottotenente Wilkins avrà bisogno di qualcun altro per poter coordinare l’azione»
«Scelga lei un sottufficiale, un buon sergente che possa assisterlo»
«D’accordo signore» rispose il tenente con evidente rassegnazione.
Il colonnello parve soddisfatto: «bene, può andare adesso»
Richard si rialzò congedandosi con freddezza.
«Buonanotte tenente» concluse Harrison.
Green uscì dalla porta, a fatica riuscì a reprimere la rabbia e la frustrazione, mantenere la calma in quei momenti era sempre più difficile.
La sentinella all’ingresso lo vide allontanarsi con aria afflitta e scomparire nell’oscurità. 
 
Quando tornò nel rifugio il tenente Green trovò Finn ancora sveglio, il giovane sembrava consapevole dell’errore commesso.
«Signore, io…»
L’ufficiale lo interruppe bruscamente: «adesso non è il momento, pensa a riposare. Domani sarà una giornata impegnativa»
Il ragazzo non osò rispondere, in qualche modo si sentì colpevole per ciò che era accaduto.
Green si ritirò nel suo giaciglio senza più rivolgergli la parola.
 
***

Il mattino seguente Finn si risvegliò ritrovandosi solo, il tenente era uscito prima del solito senza preoccuparsi di svegliarlo per informarlo sui piani della giornata.
Il ragazzo si rassegnò, si rialzò e per prima cosa controllò lo stato della sua ferita. Doveva ancora muoversi con cautela, ma le sue condizioni erano notevolmente migliorate.
Non potendo far altro che aspettare Finn addentò un pezzo di pane raffermo e si sedette al tavolo rimuginando sui recenti avvenimenti.
Ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi, qualcuno scese freneticamente nel cunicolo ed irruppe nel rifugio. Si trattava del caporale Speller.
L’uomo squadrò il giovane con una rapida occhiata: «sei tu l’attendente del tenente Green?»
Egli annuì: «mi chiamo Finn Coogan»
«Bene, soldato Coogan. Datti una mossa, siamo già in ritardo!»
Il ragazzo restò immobile mostrando un’espressione stranita. 
«Il tenente Green ti ha assegnato a me per tutta la giornata, forza, abbiamo molto lavoro da fare!»
Non avendo altra scelta Finn seguì il caporale fuori dal rifugio, i due si intrufolarono nell’intricato groviglio di trincee. I recenti bombardamenti avevano bloccato numerosi passaggi, a causa dei detriti furono costretti ad allungare il già complesso percorso. Alla fine raggiunsero un’ampia galleria che fungeva da deposito, il ragazzo si ritrovò così ad accompagnare Speller durante un meticoloso inventario degli armamenti. Si trattava di un compito estremamente noioso, ma di importanza fondamentale.
Speller aprì l’ennesima cassa, poi scosse la testa con sconforto e delusione.
«Sono rimaste solo cinquecento Mills, dannazione, e sono anche in pessimo stato!»                                            
Finn prese in mano una granata esaminandola con curiosità.
Il caporale lo rimproverò: «stai attento con quella roba! A voi novellini piace un po’ troppo giocare con gli esplosivi, un idiota dell’Hertfordshire ha perso tre dita in quel modo!»
«Mi scusi signore»
Speller comprese la sua curiosità e si avvicinò per mostrargli una breve lezione.
«Vedi? L’esplosivo viene inserito nella parte superiore da questo piccolo tappo circolare, il detonatore invece si trova nel tubo centrale e attraversa il corpo della granata fino al secondo tappo, quello della base. L’innesco e la molla sono in tensione grazie a questa leva sulle orecchie»
Finn l’ascoltò con attenzione, cercando di memorizzare tutte quelle informazioni.
«Questa linea verde indica che si tratta di una bomba ad amatolo»
Il ragazzo l’osservò con un’espressione interrogativa.
«L’amatolo è un esplosivo composto da nitrato d’ammonio e tritolo, lo utilizzano anche i crucchi. I francesi invece chiamano questa miscela Schneiderite»
Finn rimase impressionato: «lei sa davvero moltissime cose»
«In guerra ogni informazione può rivelarsi utile»
Il giovane annuì con vivo interesse.
«Ricorda: la miccia agisce in sette secondi, ma è sempre meglio essere prudenti» concluse Speller confiscando l’ordigno dalle sue mani e riponendolo al suo posto.
I due tornarono al lavoro, ma poco dopo il caporale riprese a lamentarsi.
«Diamine! Siamo rimasti anche a corto di munizioni! Il tenente Green non sarà affatto contento di scoprire tutto ciò…»
Il ragazzo decise di approfittare di quell’occasione.
«Lei conosce Green da molto tempo?»
«Mi sono unito al suo plotone due anni fa, abbiamo combattuto insieme sulle rive della Somme. Credimi, sei fortunato ad essere in prima linea con un ufficiale come lui»
«Lo so, il tenente mi ha salvato la vita»
Il caporale si prese una pausa sedendosi su una cassa di legno, la sua disinvoltura fu sorprendente considerando che sotto di lui si trovavano una ventina di bombe a mano cariche.
 «Green è un buon comandante, ha sempre anteposto il bene dei suoi commilitoni ad ogni cosa. Però mi spiace per lui, in fondo è un uomo molto triste e solo…»
«Il tenente ha un’ottima reputazione tra i soldati» replicò Finn.
«E’ vero, egli è senza dubbio un ufficiale competente e responsabile, per questo è stimato e apprezzato dai suoi uomini. Nonostante ciò al suo fianco non ha mai avuto un vero amico»
In quel momento Finn si rese conto di non conoscere praticamente nulla sul passato del suo comandante.
Il caporale sospirò: «è tutta colpa della guerra, all’inizio il tenente non era affatto così»
Coogan alzò lo sguardo: «davvero?»
«Già, Green è stato costretto a compiere grandi sacrifici e ha sofferto molto in questi anni. Quando l’ho conosciuto era un giovane ufficiale ambizioso e determinato. Credeva fortemente negli ideali patriottici che l’avevano portato ad arruolarsi nell’Esercito. Purtroppo nel corso del tempo anch’egli ha dovuto fare i conti con la dura realtà»
Il giovane attendente rifletté su quelle parole e provò ad immaginare il suo superiore prima della guerra, quando era un semplice ragazzo come lui.
Dopo qualche istante di silenzio Speller si rimise in piedi.
«Adesso basta perder tempo! Vieni, abbiamo ancora molto lavoro da fare!»
Finn si riprese da quei pensieri e seguì il caporale in fondo alla galleria.
 
***

Il tenente Green fu sorpreso nel trovare ben sei volontari disposti ad affrontare quella pericolosa missione, gli altri due furono estratti a sorte.
«Bene ragazzi, il sottotenente Wilkins avrà il comando, quindi sarà a lui a discutere i particolari. Sarà un’azione rapida e decisiva, ma anche pericolosa. L’obiettivo è quello di catturare prigionieri…tutto chiaro?»
I soldati annuirono all’unisono: «sì, signore»
Green prese un profondo respiro: «ricordatevi ragazzi, non sarete soli là fuori. Io e i vostri compagni penseremo a proteggervi con il fumo e il fuoco di copertura»
Gli uomini parvero apprezzare le sue parole di incoraggiamento.
L’ufficiale avvertì una profonda inquietudine, il suo compito non era terminato, doveva ancora avvertire il sergente Redmond.
Lo trovò in un posto di guardia, stanco e annoiato, con il fucile puntato contro un piccolo foro nel muro di terra.
«Che cosa sta facendo?» chiese il tenente con curiosità.
«Signore, non l’avevo sentita arrivare…oh, sto cercando di dare la caccia a quel dannato topo che mi ha rosicchiato la colazione!»
Green sorrise: «i topi sono animali notturni, poiché quell’esemplare è ormai sazio non uscirà da lì fino al calar del sole»
Il sergente sbuffò: «odio quelle bestie ripugnanti, portano solo morte e malattie!»
«Mi piacerebbe continuare questa conversazione, ma purtroppo non sono venuto da lei per fare due chiacchiere»
Redmond si rialzò rimettendosi il fucile in spalla: «certo signore. Dunque, cosa deve dirmi?»
«Ci sarà un’incursione nelle trincee nemiche, l’azione è programmata per le sei del pomeriggio. Il sottotenente Wilkins ha bisogno di un supporto…»
«Vuole che esca anche io con i ragazzi?»
Il tenente annuì: «ho pensato che lei potesse essere la scelta migliore»
Redmond parve particolarmente eccitato all’idea di affrontare nuovamente il nemico.
«Qualsiasi cosa è meglio che restare qui a marcire nel fango! Può contare su di me signore!»
Green non aveva dubbi: «bene, informerò Wilkins a riguardo»
 
***

Finn rivide il tenente Green quando egli tornò nel rifugio per il pranzo. L’ufficiale era pallido e nervoso, il ragazzo intuì che la sua tensione non fosse dovuta solamente a ciò che era accaduto quella notte.
«Signore, qualcosa non va?» chiese con titubanza.
Richard esitò prima di rivelare la verità: «il colonnello Harrison ha deciso di mettere in atto una missione suicida, ed io non ho potuto fare nulla per impedirlo»
Il giovane si allarmò: «parteciperà anche lei?»
Egli scosse la testa: «no, resterò in trincea per occuparmi dei mortai»
Finn si sentì sollevato da quella notizia. 
«Chi comanderà l’azione?»
«Il sottotenente Wilkins con il supporto del sergente Redmond»
Il ragazzo esitò prima di azzardare la sua richiesta: «ora che mi sento meglio anche io vorrei rendermi utile…»
Green gli rivolse uno sguardo severo: «tu resterai qui, devi ancora occuparti di razionare le provviste»
Egli tentò di protestare.
«Finn, questo è un ordine» dichiarò l'ufficiale con decisione.
Il ragazzo, seppur con riluttanza, fu costretto a rispettare la volontà del suo comandante.
 
***

Il sottotenente Wilkins era un giovane studente che, infervorato dalla propaganda patriottica, aveva abbandonato Oxford per fare il suo dovere per la Patria.
Il tenente Green lo riteneva meritevole di fiducia, ma temeva che egli non fosse ancora pronto per un simile incarico. Nonostante ciò quando lo vide arrivare gli mostrò tutto il suo supporto.
«Buona fortuna Wilkins»
Il giovane ufficiale tentò di mascherare il suo nervosismo: «farò del mio meglio per non deluderla signor tenente»
Green salutò il suo sottoposto incoraggiandolo con una vigorosa pacca sulla spalla, poi lo aiutò a uscire dalla trincea.
Il sergente Redmond era sempre borioso e ottimista: «non si preoccupi signore, le porteremo un po’ di elmetti appuntiti per la sua collezione!»
Richard si sforzò di sorridere.
Uno ad uno i soldati passarono davanti al tenente.
«Non fermatevi e tenete giù la testa. Forza, fatevi valere ragazzi!»
Il soldato Clifford si avvicinò alla scaletta con esitazione, tremava dalla paura e aveva gli occhi lucidi.
Green l’afferrò per la giubba e lo trattenne in trincea ancora per qualche istante. Con premura gli sistemò l'elmetto in testa assicurandosi che fosse ben stretto.
«Terrò da parte un po' di cioccolata e tabacco per te»
Il ragazzo parve apprezzare quel generoso pensiero: «grazie signore»
«Coraggio, i tuoi compagni hanno bisogno di te»
Green osservò l’ultimo soldato sparire nella nebbia, poi tornò alla sua postazione.
 
L’azione fu più lenta del previsto, i soldati britannici strisciarono nella terra di nessuno e faticosamente attraversarono i reticolati.
Green scrutò con attenzione la linea di confine coordinando il lancio delle bombe fumogene. Ciò impedì al nemico di individuare con precisione i fori nel filo spinato, dove gli inglesi poterono intrufolarsi.
All’improvviso una tempesta di frammenti e detriti si abbatté sul campo di battaglia, l’enorme boato fu seguito dal fragore delle granate e dallo strepito delle mitragliatrici.
Il tenente si rannicchiò contro il muro di terra, il contrattacco tedesco fu violento ed intenso, bombe e granate caddero a tappeto nell’intera area di combattimento.
Green continuò a dirigere il fuoco attendendo con impazienza di rivedere i suoi compagni sbucare dalla nebbia.
«Eccoli signore! Stanno tornando!» gridò qualcuno dal punto d’osservazione.
«Bene, voi state pronti!» replicò l’ufficiale.
Nella confusione i superstiti si gettarono nelle trincee cadendo goffamente sui loro compagni. Il primo ad arrivare fu il sergente Redmond con un prigioniero, il quale fu prontamente prelevato per essere interrogato.
Green non diede troppa importanza alla questione preoccupandosi di riportare in salvo i suoi uomini.
«Forza ragazzi, via…al riparo, svelti!»
Il tenente cercò di mantenere il controllo della situazione, ma ben presto non riuscì ad avvertire altro che l’eco delle esplosioni e i botti degli spari.
L’ufficiale si sporse pericolosamente dal parapetto per afferrare la manica di un soldato e trascinarlo a forza all’interno della fossa. Il giovane cadde di peso sopra al tenente, il quale ignorò il dolore per assicurarsi che l'uomo fosse ancora tutto intero.
«Clifford! Sta tornando qualcun altro?»
«Il soldato Lane signore, era dietro di me!» rispose ansimando e tremando.
Ad un tratto una sentinella urlò tra le esplosioni: «c’è ancora un uomo là fuori, credo che sia ferito»
«E’ Lane, devono averlo colpito!» piagnucolò Clifford ancora sopraffatto dal terrore.
Green si affrettò a raggiungere la scala, ma qualcuno lo trattenne per il braccio, era il sergente Redmond.
«Signore, non può uscire adesso!»
Il tenente non gli diede ascolto e con una spinta si liberò dalla sua presa. L’ufficiale scivolò fuori dalla trincea e strisciò nel fango tra il fumo e la polvere, intorno a lui avvertì gli spari delle mitragliatrici e il tremore delle esplosioni.
Il soldato Lane era disteso davanti a un cratere fumante. Le sue grida di terrore e sofferenza sovrastavano il fragore delle bombe. Immediatamente Green comprese la gravità della situazione, il suo corpo era cosparso di ustioni, il braccio sinistro era stato tranciato via dall’esplosione.
Richard strinse un pezzo di stoffa intorno al moncone sanguinante e a fatica trasportò il ferito lungo i pochi metri che lo separavano dalla trincea. I suoi commilitoni si sporsero per recuperare il compagno mutilato e riportare al sicuro il loro comandante.
Due soldati caricarono frettolosamente Lane su una barella improvvisata e lo trasportarono in infermeria mentre le ultime bombe cadevano ai lati dei camminamenti.
Green rimase alla sua postazione finché il fuoco non cessò e la terra di nessuno tornò avvolta dal silenzio.
Quando il fumo e la nebbia si furono diradati il tenente si avvicinò ad un punto di osservazione. Due corpi giacevano riversi nel fango, uno accanto all’altro, poco distanti dal reticolato. Richard riconobbe la divisa del sottotenente Wilkins, l’ufficiale era stato colpito dal nemico nel tentativo di portare in salvo un compagno ferito, che poi era morto al suo fianco.
«Signor tenente»
Green si voltò ritrovandosi davanti a una staffetta dall’aria triste e sconvolta.
«Si tratta del soldato Lane, il dottore ha detto che ormai non gli rimane più molto tempo…»
L’ufficiale non indugiò a seguire il soldato in infermeria, si sentì responsabile e ritenne che fosse suo dovere presenziare al suo capezzale. Il ferito era in pessime condizioni, il volto praticamente irriconoscibile era pallido e fradicio di sudore. Il moribondo si agitava in preda ai deliri tra le lenzuola insanguinate, le sue urla erano strazianti.
Green si chinò su di lui, Lane lo fissò con uno sguardo allucinato senza nemmeno riconoscerlo.
«John…dov’è John? Voglio vederlo…devo andare da lui!»
Il tenente provò un’intensa fitta al petto, in quegli ultimi istanti il soldato cercava disperatamente la presenza del fratello.
Green tentò di tenerlo fermo mentre il medico gli iniettò un’ultima dose di analgesico per alleviare la sua sofferenza, pur essendo consapevole che presto quell’agonia sarebbe giunta al termine.
Pian piano Lane si calmò, il movimento affannoso del suo petto rallentò e le sue grida si tramutarono in sussurri quasi impercettibili. Il suo sguardo spento rimase perso nel vuoto, con le poche forze rimaste continuò a invocare il nome del fratello.
Richard assistette inerme al suo ultimo respiro.
 
***

Il tenente Green tornò nel suo rifugio tremando per il dolore e la rabbia. Nonostante tutto provò un profondo sollievo nel trovare il suo attendente ad accoglierlo.
Finn si rialzò in piedi, rimase in silenzio, restando ad osservare la figura dell’ufficiale immobile davanti a sé.
«Otto soldati, un sottufficiale e un ufficiale...sono tornati quattro soldati e un sottufficiale» riportò Green con voce atona. 
Il ragazzo avvertì un nodo alla gola: «il sottotenente Wilkins…»
«E’ morto con onore, come un vero comandante non ha abbandonato i suoi uomini nel pericolo»
Finn abbassò tristemente lo sguardo.  
«Il soldato Lane è morto poco fa in infermeria. Delirava in preda alla febbre e al dolore, chiamava il nome del fratello, se ne è andato pensando a lui…» continuò Green con la voce spezzata.
Finn tentò di fare del suo meglio per sostenere il suo comandante in quel momento di sconforto.
«Lei non ha alcuna colpa per ciò che è successo»
Richard non aveva mai mostrato a nessuno la sua debolezza, ma quella volta sentì di aver superato il limite, sapeva che quel giovane era l’unico con cui avrebbe potuto sfogarsi. Così si abbandonò tra le sue braccia, poggiò la testa al suo petto e lasciò che le calde lacrime scendessero sul suo viso. Inizialmente tentò di trattenere i singhiozzi, alla fine però scoppiò in un disperato pianto.
Finn poté ben comprendere il suo dolore. Il ragazzo lo strinse a sé, accarezzò con delicatezza la sua nuca e cercò di consolarlo sussurrando dolcemente al suo orecchio. Lentamente l’ufficiale si lasciò calmare dal tono della sua voce, dal battito del suo cuore e dal ritmo del suo respiro.
Richard alzò lo sguardo osservando il suo volto puro e innocente, soltanto la consapevolezza di averlo ancora al suo fianco riuscì a rassicurarlo, il sincero affetto di quel ragazzo era il suo unico conforto.     

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Capitolo 3
*** Il grande attacco ***


 
III. Il grande attacco
 
Il prigioniero era un ragazzino timoroso e spaventato. Indossava una divisa di una misura troppo grande, sembrava la buffa imitazione di un soldato. Il suo volto conservava ancora un aspetto infantile mentre il suo fisico era stremato dalla fame e dalla fatica. Sul viso pallido risaltavano gli occhi arrossati dal pianto.
Richard riempì una tazza di tè caldo e gliela porse, il tedesco accettò con titubanza prendendo l’oggetto tra le mani tremanti.
L’ufficiale rimase ad osservarlo con aria severa, ma in fondo provò una profonda tristezza. Pensò al nemico che aveva ucciso pochi giorni prima, dal mirino del suo fucile aveva visto solamente il riflesso di un elmetto, ma la vita che aveva spezzato avrebbe potuto essere quella di quel ragazzino.
Green avvertì un’intensa rabbia, anche se non fu in grado di comprendere il reale motivo di quella sua reazione.
Il prigioniero aveva parlato senza esitazione, ma purtroppo non sapeva molto. Il suo plotone era arrivato al fronte solo da poche settimane, dunque i nemici si erano procurati nuovi rinforzi per quell’attacco.
Il tenente abbandonò la cella con aria afflitta, appena uscì all'esterno una sentinella lo interpellò.
«Signore, che ne sarà di quel crucco?»
«Probabilmente verrà trasferito in qualche campo di prigionia. Fino a quel momento resterà qui e dovrà essere trattato con rispetto»
«Quel figlio di puttana ci è costato la vita di cinque uomini, tra cui anche un ufficiale!» protestò il soldato infervorato dalla collera.
Green riconobbe un intenso odore di whiskey, quell’uomo era sicuramente ubriaco. L’ufficiale decise comunque di tralasciare la questione e rispondere con educazione.
«Siamo tutti addolorati per la perdita dei nostri compagni, ma quel tedesco è un prigioniero dell’esercito britannico, è nostro compito assicurargli la giusta dignità»
«Dovremmo giustiziarli tutti quei bastardi!» ringhiò la sentinella.
Richard replicò con tono severo: «la guerra ha le sue regole ed è nostro dovere rispettarle»
Il soldato era pronto a ribattere, ma il suo compagno lo trattenne.
«Adesso basta! La prego di scusarlo signor tenente, il mio amico è ancora sconvolto per ciò che è accaduto»
Green si rivolse al soldato irriverente: «ti consiglio di stare più attento, la prossima volta potresti trovare un ufficiale meno paziente!»
Detto ciò si voltò e tornò stanco e indignato nel suo settore.
 
Quando giunse nel suo rifugio il tenente poté constatare che il suo attendente doveva aver lavorato duramente per tutta la giornata. Le assi di legno che si erano spezzate dopo l’ultimo bombardamento non sporgevano più dal soffitto, le casse erano state impilate con ordine, le provviste erano state meticolosamente razionate mentre armi e munizioni si trovavano perfettamente al loro posto.
Richard prese in mano il Lee-Enfield che teneva sempre accanto all’entrata, si sorprese nel trovarlo carico e oliato a dovere. Egli stesso non avrebbe potuto fare di meglio.
L’ufficiale si avvicinò al tavolo, la lampada era accesa, fogli e documenti erano ordinati e riposti con cura, al centro era rimasta una bottiglia di brandy.
Il tenente bevve un lungo sorso. Dopo aver poggiato il bicchiere ormai vuoto alzò lo sguardo chiamando il nome del suo assistente, ma nessuno rispose.
Richard mosse qualche passo nella penombra, provò una certa delusione nel trovare il suo giaciglio vuoto. In quel momento però non diede troppa importanza a quell’assenza, era troppo stanco e demoralizzato per farsi carico di altre preoccupazioni. Così si trascinò lentamente verso la sua branda cadendo ben presto in un sonno profondo.
 
Riaprì gli occhi accorgendosi di aver dormito per più di un’ora, sorprendentemente nessuno aveva interrotto quel momento di riposo.
Richard avvertì i rumori di alcuni passi, fu felice di riconoscere la figura ormai familiare del suo fedele assistente.
«Signor tenente, si è svegliato giusto in tempo per la cena!» disse il giovane entrando nel rifugio con due gavette fumanti.
Egli si rialzò accomodandosi al tavolo, il suo attendente si posizionò al lato opposto. Inizialmente i due rimasero in silenzio ingurgitando con avidità le loro porzioni di carne in scatola e patate bollite. Soltanto quando l’intenso stimolo della fame si placò il tenente iniziò la conversazione.
«Ho notato che oggi ti sei dato da fare…devo dedurre che ti senta meglio»
«Sì signore, ormai la ferita è completamente guarita» rispose il ragazzo.
«Bene, hai fatto davvero un buon lavoro»
Finn parve soddisfatto per quel complimento: «grazie, signor tenente»
«Suppongo anche che tu non abbia fatto tutto questo solo per senso del dovere…»
Il ragazzo abbassò lo sguardo: «ad essere sincero volevo dimostrarle di essere pronto ad uscire da questo rifugio. Il caporale Speller mi ha insegnato un sacco di cose, ma non ho ancora avuto modo di mettere in pratica i suoi consigli»
Richard sospirò: «avrai l’occasione di combattere prima di quanto pensi»
Lo sguardo di Finn si illuminò: «dice davvero?»
«Tra pochi giorni dovremo respingere un’offensiva nemica, sarà uno scontro molto più impegnativo e pericoloso dei precedenti»
Il giovane non intuì immediatamente la gravità della situazione, aveva atteso a lungo quel momento ed era impaziente di tornare sul campo di battaglia.
Il tenente non aggiunse altro, non aveva ancora ricevuto ordini precisi, dunque ritenne inutile continuare quel discorso.
Per il resto della serata Finn non riuscì a pensare ad altro che all’imminente battaglia. Pian piano i suoi vagheggiamenti eroici lasciarono spazio alla dura realtà. Al calare della notte si ritrovò afflitto da pensieri sempre più tetri e angoscianti.
Finn si rigirò nel suo giaciglio, nella penombra riconobbe la figura del tenente, il quale era ancora sveglio a scrivere accanto alla lampada a carburo.
Il ragazzo si rassicurò, la presenza del suo superiore servì a calmarlo. Finn aveva completa fiducia in lui, era certo che insieme al suo comandante avrebbe potuto affrontare qualunque avversità.
 
***

Gli ordini del Generale Emmet furono chiari e precisi. La prima linea avrebbe dovuto resistere fino all’arrivo dei rinforzi. Il tenente Green aveva già abbastanza esperienza per poter prevedere le conseguenze di una simile battaglia. Sarebbe stata una spietata carneficina, indipendentemente dall’esito dello scontro.
Il giorno prima dell’attacco il tenente trascorse la maggior parte del tempo nel suo rifugio, quando giunse la sera ordinò al suo attendente di disturbarlo solamente per questioni urgenti e si distese nel suo giaciglio cercando di dormire. Era necessario recuperare energie, riposare le stanche membra e alleggerire le mente dai soliti pensieri opprimenti.
Green chiuse gli occhi, i botti delle esplosioni divennero rumori distanti e ovattati. Non c’era più niente, solo vuoto e silenzio…
«Signor tenente...»
L’ufficiale riaprì le palpebre con un sussulto, la figura di Finn comparve nella penombra del rifugio.
«Che succede? Ti avevo chiesto di non disturbarmi»
«Lo so signore, è solo che…ad essere sincero sono un po’ nervoso per domani»
Richard si sollevò sedendosi sulla branda di legno: «le ore che precedono la battaglia sono sempre difficili da affrontare»
«Un soldato non dovrebbe avere certe preoccupazioni, eppure non riesco a levarmi tutti questi pensieri dalla mente…»
«E’ normale avere dubbi e incertezze, ma quando giunge il momento di combattere tutto questo scompare. L’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento, ti rendi conto di non avere altra scelta e allora non hai più alcuna esitazione, sai esattamente che devi uccidere il nemico e lottare fino alla fine. E’ per questo che siamo qui, questa è semplicemente la guerra»
Finn ascoltò con attenzione quelle parole: «non mi sembra che ci sia nulla di semplice in tutto ciò»
Il tenente non era nello spirito adatto per incoraggiare il suo compagno, avrebbe potuto proferirgli uno dei tanti discorsi riguardanti il coraggio e l’eroismo, ma sarebbero state tutte menzogne.
«Ricordo bene il mio primo assalto, fu quasi tre anni fa nelle Fiandre. Mi ero arruolato come volontario, credevo di essere pronto ad affrontare la guerra. Diamine, avevo davvero la testa piena di stronzate! All’inizio tutti noi eravamo partiti illudendoci di vivere una grande avventura, non avevamo idea di ciò che avremmo trovato dall’altra parte della Manica. Comunque, quel giorno eravamo eccitati per la nostra prima battaglia. Uscimmo dalle trincee infervorati dai nostri ingannevoli ideali, corremmo incontro al nemico come se ci sentissimo invulnerabili e invincibili. Eravamo giovani e inesperti, inevitabilmente il nostro urlo di guerra si tramutò presto in un lamento disperato. Per la prima volta assistetti agli effetti del gas, un mio compagno aveva una maschera difettosa, cadde esamine ai miei piedi, lo vidi contorcersi lottando contro un nemico invisibile che lo stava distruggendo dall’interno. Ovviamente non potei fare nulla per aiutarlo, quello fu il momento in cui compresi realmente che cosa fosse quella guerra. Non era il nemico a spaventarmi, ma la casualità della morte, chissà per quale motivo quella maschera era finita nelle mani di quel ragazzo e non nelle mie. Non so nemmeno come riuscii a sopravvivere a quel primo assalto, durante il quale non vidi nemmeno per una volta il nemico, ma incontrai la morte nelle sue forme più orrende e spietate. Non ti sto raccontando tutto questo per spaventarti, ma voglio che tu sia consapevole di ciò che accadrà là fuori. Sai, in guerra le lezioni sono importanti, ma a volte costano care»
Finn notò una profonda tristezza nello sguardo del suo comandante.
«Credo di aver compreso il motivo per cui ha voluto narrarmi la sua esperienza»
Green si riprese dai suoi ricordi: «bene, adesso è inutile tormentarsi, dovresti davvero provare a riposare»
Finn era sul punto di dire qualcosa, ma all’improvviso il rifugio tremò a causa di un’esplosione. Il giovane trasalì per lo spavento, il colpo fu abbastanza forte da far cadere alcuni oggetti dal tavolo. L’attendente si affrettò a sistemare quel piccolo danno. Così facendo si ritrovò a riordinare alcuni libri.
Spinto dalla curiosità decise di sfogliarne le pagine. 
«Ti piace la poesia?» chiese Green notando il suo interesse.
Il ragazzo distolse lo sguardo: «a dire il vero non me ne intendo molto»
«Nemmeno io credo di saper comprendere a fondo i grandi poeti, ma mi piace perdermi nelle loro parole. La poesia riesce farmi dimenticare, anche se per poco, tutto questo orrore»
Finn si incuriosì: «forse la poesia potrebbe aiutare anche me…»
«Perché no? A volte mi è capitato di leggere alcuni brani ai miei commilitoni, ti andrebbe di ascoltare qualcosa?»
Il giovane accettò con piacere, probabilmente avrebbe acconsentito a qualunque proposta pur di trascorrere quel tempo in compagnia del suo superiore.
Green scelse senza esitazione uno dei suoi autori preferiti, sistemò la lampada, poi tornò a sedersi sul suo giaciglio. Finn si posizionò al suo fianco.
Il tenente aprì il libro, le pagine erano rovinate, ma egli avrebbe potuto recitare quei versi a memoria.
 
Quando solo siedo al mio vecchio focolare,
E odiosi pensieri mi vestono di tristezza,
Quand'anche i sogni vengon a meno all'occhio della mente,
E non ci sono fiori per la nuda brughiera della vita,
Tu, dolce Speranza, profumami di magia:
Sì, portami via sulle tue ali d'argento.
 
Se, colto dalla notte dove i rami intrecciati
Escludono il raggio lucente della luna,
Il tetro Sconforto impaurisse i miei pensieri,
E, accigliato fuggisse la dolce Allegria,
Ti prego, un raggio affaccia di luce per lo sconnesso
Tetto di paglia, scaccia lo Sconforto Maledetto. 
 [...]
 
Quando il destino racconta, di quelli che più amo,
Storie di dolore al mio cuore spaventato,
Tu, Speranza, occhi di luce, la mia fantasia
Morbosa rallegra, dammi dolce conforto:
Illuminami di cielo, danza
Sul mio capo con le tue ali d'argento.
 
E se di genitori crudeli o d'amante spietata
Dovesse mai squarciarmi il petto un amore infelice,
Non lasciare che io possa credere sprecata
La mia poesia, singhiozzata nell'aria notturna.
Tu, dolce Speranza, profumami di magia:
Sì, portami via sulle tue ali d'argento.
 
E quando guardo la teoria dei raggi futuri,
Fa ch'io non veda l'onore del mio paese svanire:
Conservi l'anima la nostra terra, e la libertà,
L'orgoglio: non voglio, Speranza, fantasmi.
Dai tuoi occhi di luce riversa insolita radianza
E poi coprimi, con le tue ali d'argento. [*]

 
Il tenente interruppe la lettura accorgendosi che il suo ascoltatore si era profondamente addormentato poggiandosi dolcemente alla sua spalla. Green si mosse con cautela e facendo attenzione a non svegliare il ragazzo lo distese sul suo giaciglio.
L’ufficiale rimase ad osservare il suo giovane assistente, il quale finalmente riposava con serenità. Per un breve attimo ebbe l’istinto di sfiorare il suo volto con una lieve carezza, ma alla fine si ritrasse e si allontanò.
Green recuperò il fucile ed uscì nelle trincee per controllare le sentinelle.
 
***

Richard si strinse nel suo pastrano, il vento notturno era freddo e pungente. L’ufficiale si infilò nei camminamenti avviandosi verso la prima linea. Tutto sembrava tranquillo, l’artiglieria nemica si era placata, nulla sembrava suggerire che entro poche ore sarebbe iniziato un cruento attacco.
Camminando a testa bassa Green ripensò ai versi di quella poesia, credeva di aver ormai rinunciato alla Speranza, invece la comparsa di Finn aveva cambiato tutto. Alla fine non era riuscito a rinunciare ai suoi sentimenti, spesso si era ritrovato a ricordare quel bacio, ed ogni volta avvertiva le stesse sensazioni. Non sapeva ancora definire che cosa provasse esattamente per quel giovane, ma di certo le sue manifestazioni d’affetto non l’avevano lasciato indifferente.
Green alzò lo sguardo al cielo, ammirando il manto stellato promise a se stesso che avrebbe fatto di tutto per salvare quel ragazzo da un crudele destino.
 
Le sentinelle salutarono l’ufficiale portandosi la mano all’elmetto.
«Signor tenente, nulla di nuovo, qui è tutto in regola»
Green cercò di incoraggiare quegli uomini stremati e infreddoliti.
«Bene ragazzi. Resistete ancora un po’, presto avrete il cambio»
I soldati annuirono con un cenno e tornarono alla loro postazione.
Richard riprese a vagare tra le trincee, all’improvviso delle grida irruppero nella quiete della notte.
L’ufficiale sapeva che prima di una grande battaglia gli uomini si ritrovavano soli con i propri demoni. Quei pensieri erano pericolosi, a volte si arrivava sull’orlo della follia, e quando non si aveva più la forza di tornare indietro ci si abbandonava ad una inarrestabile caduta nel più profondo degli abissi.
Green raggiunse l’entrata del rifugio dal quale provenivano quelle urla lancinanti.
Immediatamente interrogò uno dei soldati che si era affacciato dalla tana.
«Che sta succedendo?»
«Si tratta del soldato Clifford! Ha perso il senno, è completamente impazzito!»
Il tenente si affrettò ad entrare nel rifugio per controllare di persona la situazione. Trovò il giovane soldato delirante, in preda ad incubi e visioni mentre si agitava dimenandosi come un pazzo. Un suo compagno si era gettato su di lui stringendogli i polsi per immobilizzarlo. Quando l’ufficiale si avvicinò Clifford lo fissò con gli occhi sbarrati, aveva uno sguardo inquietante, quasi demoniaco. Green sentì un brivido scorrergli lungo la schiena, il soldato tremava e aveva iniziato a farfugliare parole sconnesse.
Il tenente riuscì a comprendere solamente pochi frammenti, da quel che riuscì a intuire il poveretto era rimasto traumatizzato dopo la sua ultima missione. Nominava spesso il soldato Lane, forse si sentiva in colpa per la sua morte.
Green tentò di fare il possibile per mantenere la situazione sotto controllo, quando finalmente giunse il dottor Jones pensò lui a gestire quella crisi. Purtroppo il medico non poté far altro che sedare il paziente con un’elevata dose di calmante.
Fuori dal rifugio Richard si accese una sigaretta per scaldarsi e scambiò qualche parola con il dottore.
«Probabilmente conosco quel soldato fin dal suo primo giorno in trincea, è stato davvero terribile vederlo ridotto in quel modo»
«Ne ho visti tanti come lui, di solito non durano molto in quelle condizioni…»
«Crede che non ci sia più nulla da fare?»
Jones scosse le spalle e rispose con freddezza: «forse potrebbe riprendersi, ma nella maggior parte dei casi soggetti del genere finiscono per spararsi un colpo in testa»
Il tenente espirò una nuvola di fumo, mancavano solo poche ore all’alba e quel triste avvenimento non era stato affatto di buon auspicio per l’imminente battaglia.
 
***

Come il prigioniero tedesco aveva rivelato, la grande offensiva iniziò alle prime luci dell’alba, quando un enorme boato fece tremare bruscamente il suolo. Grossi calibri si abbatterono contro le trincee, il fragore dei cannoni nemici era così intenso da far rabbrividire dal terrore anche i veterani più esperti.
Quando il tenente Green osservò la terra di nessuno riuscì a distinguere solamente un’ininterrotta linea di fuoco.
L’orizzonte venne oscurato da nubi scure, il fumo nero s’innalzò verso l’alto, dove incontrò i bagliori delle fiamme ardenti. Così chi alzava lo sguardo si ritrovava a contemplare un riflesso rossastro, anche il cielo prese il colore del sangue.
Green raggiunse le postazioni di difesa insieme ai suoi uomini. Finn camminava al suo fianco, come tutti gli altri soldati marciava a testa bassa con un’espressione crucciata sul volto cupo. Nella sua mente continuava a ripetere ciò che il tenente gli aveva detto prima di uscire dal rifugio: quando saremo nel mezzo della battaglia tu dovrai fidarti di me, qualunque cosa accada devi promettermi che eseguirai ogni mio ordine, d’accordo?
Il ragazzo aveva annuito come sempre, ma non era riuscito a nascondere la propria preoccupazione.
Finn si riprese da quei pensieri udendo un grido di allarme.
«Gas! Gas!»
Una minacciosa nube si stava avvicinando alle linee inglesi, prontamente il tenente ordinò di indossare la maschera. Il ragazzo obbedì coprendosi il volto e azionando la valvola.
Nonostante le precauzioni alcuni uomini iniziarono a tossire compulsivamente manifestando i primi sintomi di soffocamento. Un soldato ormai insofferente si strappò la maschera dal viso.
Il tenente Green fu costretto ad imporgliela nuovamente con la forza perché egli, in quel momento di disperazione, non si lasciasse morire asfissiato.
Quando iniziò ad avvertire l’odore dolciastro della follia Finn cercò di ricordare gli insegnamenti del caporale Speller. Tentò di non farsi sopraffare dal panico, represse i primi colpi di tosse e risparmiò il fiato. Era certo di non poter resistere a lungo in quelle condizioni, gli occhi lacrimavano in continuazione mentre i polmoni bruciavano dolorosamente ad ogni respiro.
Fortunatamente il vento si rivelò un buon alleato, infatti i vapori dei gas si dispersero nella vallata e dopo un tempo relativamente breve fu possibile liberarsi dall’ingombro delle maschere.
 
L’attacco con il fosgene fu soltanto il preludio di quella terribile battaglia. Il primo atto iniziò con un violento bombardamento, l’artiglieria tedesca cominciò a lanciare proiettili di grosso calibro ad intervalli sempre più ravvicinati, i quali raggiunsero le linee britanniche con spaventose esplosioni.
Finn si strinse contro il terreno, gli inglesi non poterono far altro che trovare un riparo e attendere la fine di quella violenta tempesta.
Il tenente Green strisciò sui gomiti per raggiungere il suo attendente. Ad un tratto una bomba scoppiò vicino al loro riparo, Richard si rannicchiò insieme al suo compagno cercando di proteggerlo dalle schegge. Il terreno franò, l’ufficiale afferrò il ragazzo trascinandolo nella caduta. I due rotolarono nel fango e nella polvere fino a raggiungere il fondo del cratere.
Finn riaprì gli occhi ritrovandosi con il suo superiore steso sopra di sé, le braccia del tenente erano ancora avvinghiate al suo corpo.
«Stai bene?» domandò Green con tono preoccupato.
«Io…credo di essere ancora tutto intero…» ansimò il giovane sconvolto e tremante.
Il tenente rimase immobile, Finn poté avvertire il suo respiro sulla pelle e il suo cuore battere contro il proprio petto. In quel momento il ragazzo si sentì distante dai botti e dagli spari, lentamente si lasciò calmare dall’abbraccio del tenente, il quale lo strinse ancora più a sé.
Pian piano l’eco delle esplosioni si affievolì fino a scomparire, quando la situazione sembrò quietarsi Richard si rimise in piedi ed aiutò il suo assistente a rialzarsi. Faticosamente i due tornarono in superficie, un irreale silenzio era calato sul campo di battaglia.
 
 
La luce del giorno filtrava tra le nuvole di fumo, finalmente per gli inglesi giunse il momento del contrattacco.
Il tenente Green ebbe l’incarico di avanzare nella terra di nessuno con un piccolo drappello di uomini. L’ufficiale abbandonò la trincea insieme a un gruppo di veterani e due squadre armate di mitragliatrici pesanti. Strisciando nel pantano si domandò se avesse fatto bene a separarsi dal suo assistente, quello però non era il momento per dubbi e incertezze. Alla fine si convinse di aver agito correttamente lasciandolo al riparo della seconda linea.
Per raggiungere la nuova postazione Green fu costretto a farsi strada tra i detriti scavalcando i cadaveri dei suoi compagni. Sopra di lui volavano i proiettili d’artiglieria che rispondevano con altrettanta ferocia al primo attacco tedesco.
I soldati si gettarono in un ampio cratere ad imbuto. Le due mitragliatrici furono posizionate pronte a mirare dritte alla prima linea nemica. Nel momento in cui i primi assalitori sarebbero usciti allo scoperto avrebbero trovato una scarica di pallottole britanniche ad attenderli prima del reticolato.
Tutto sembrava perfettamente calcolato, ma in guerra nulla poteva essere previsto con certezza, e ciò che accadde in quel caso ne fu la prova. Infatti quelle preziose mitragliatrici non riuscirono a sparare nemmeno un colpo.
Un sibilo si innalzò vibrando nell’aria, il tenente rimase impietrito, quella volta non avrebbe potuto far nulla per evitare l’imminente catastrofe. Istintivamente ordinò ai suoi uomini di correre al riparo, pur sapendo che ormai era troppo tardi.
L’esplosione giunse all’improvviso, Green avvertì un boato assordante, poi tutto fu avvolto dal buio e dal silenzio. La forza d’urto lo spinse violentemente contro il terreno, per qualche istante perse i sensi, si risvegliò tra le urla di disperazione e dolore dei feriti.
Decine di incendi divamparono davanti ai suoi occhi, un intenso fumo nero si sollevò dal cratere. Alla base giacevano corpi bruciati, dilaniati e insanguinati. Alcuni si contorcevano in preda agli ultimi spasmi di sofferenza tra lancinanti grida e pianti di disperazione.
Richard aveva ancora la vista annebbiata, solo in quel momento si accorse della ferita alla tempia. Il sangue colava da sotto l’elmetto, il tenente percepì il liquido caldo e viscoso sulla pelle.
In quelle condizioni, sconvolto e inorridito, cercò di uscire da quella fossa infernale strisciando sul ventre.
Qualche sopravvissuto iniziava a riemergere dal fango e dalla cenere. Un soldato dalla divisa strappata e annerita dal fumo si avvicinò zoppicando, riconoscendo il tenente l’aiutò a rialzarsi sorreggendolo con ben poca sicurezza.
Green lentamente riprese il controllo di sé recuperando anche la consapevolezza della propria autorità.
Poco dopo un piccolo gruppo di superstiti si raggruppò intorno a lui, Richard non ebbe altra possibilità che riportare tutti quanti al riparo.
 
Finn scorse il tenente tornare con la metà degli uomini, tutti feriti e malconci. Il giovane poté facilmente intuire ciò che era successo, così corse immediatamente a soccorrere i suoi compagni.
Dopo aver aiutato a sistemare i feriti più gravi sulle barelle Finn si occupò di medicare la ferita alla tempia del suo superiore. Versò dell’acqua dalla borraccia per lavare via il sangue e la terra per poi disinfettare il profondo taglio e stringere le bende.
Green tentò di sopportare il dolore affidandosi alle cure del suo attendente.
Il ragazzo sistemò la fasciatura, stava per allontanarsi, ma Richard afferrò il suo braccio trattenendolo ancora vicino a sé. Finn rimase immobile, avrebbe voluto parlare, ma forse non sarebbe nemmeno riuscito a trovare le parole giuste, così restò in silenzio. Con un tenero gesto scostò una ciocca di capelli castani dalla fronte dell’ufficiale. I due si guardarono intensamente negli occhi, non ebbero bisogno di dire nulla per comprendersi. Il tenente prese la mano del suo attendente stringendola delicatamente, ma con decisione.
Le loro dita si intrecciarono solo per pochi istanti, eppure Green provò una profonda tristezza quando fu costretto a sciogliere quel legame.
Poco dopo Richard venne riportato bruscamente alla realtà dall’arrivo di un portaordini.
«Signor tenente, la prima linea è pronta per il contrattacco!»
L’ufficiale si rialzò da terra e tornò alla sua postazione, il suo assistente lo seguì fedelmente. Il ragazzo fu assalito da sensazioni contrastanti, aveva appena assistito ad uno spettacolo di puro terrore, eppure anch’egli si sentiva attratto da quell’irrefrenabile vortice di morte e distruzione. Lentamente la paura si stava trasformando in fervente eccitazione.
Finn lanciò uno sguardo alle fiamme ardenti e ai crateri fumanti, un brivido scosse il suo corpo, era certo che il peggio dovesse ancora arrivare.
 
 
 
 
 
 
[*] John Keats, Alla Speranza (To Hope)
 
Nota dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94Old Fashioned e Saelde_und_Ehre per le recensioni e il sostegno^^
 
 

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Capitolo 4
*** Nouex-les-Mines ***


IV. Nouex-les-Mines
 
Il fronte britannico si animò rapidamente, una batteria pesante rispose con impeto e violenza all’ultima tempesta di proiettili tedeschi.
Finn ormai non avvertiva più i ruggiti dei cannoni, l’aria vibrava e le trincee tremavano in un fragore assoluto. Davanti a sé, nella devastata terra di nessuno, poté scorgere un macabro scenario di morte e distruzione. Pesanti frammenti volavano nel cielo per abbattersi con una pioggia di detriti. Enormi masse di terra fluttuavano come onde di un mare impetuoso, pronte ad inghiottire e trascinare nelle più oscure profondità le ignare vittime.
Il tenente Green osservava con apprensione la linea nemica, aveva ancora i nervi scossi dopo l’ultimo bombardamento, eppure continuava a dare ordini mantenendo il suo solito rigore.
Il sergente Redmond provò a distrarre i suoi compagni con alcune battute, anche in quel clima dove la tensione era ormai insopportabile egli riuscì a suscitare qualche sincera risata.
Proprio in quel momento un proiettile si frantumò sul fondo della trincea, tre uomini furono brutalmente fatti a pezzi. Finn, che fino a pochi istanti prima aveva un flebile sorriso sulle labbra, si ritrovò a riflettere sulla terribile casualità della morte. Il suo sguardo rimase fisso sui resti dei suoi compagni, i loro corpi non erano nemmeno più riconoscibili, restavano solamente arti mutilati e disgustose frattaglie insanguinate.
Il giovane avvertì gli occhi lucidi, per la prima volta si ritrovò davanti al vero orrore della guerra.
Il tenente Green stava dialogando con il capitano Kennet attraverso un muro di detriti. All’improvviso Richard non ricevette più alcuna risposta, quando si decise a scavalcare l’ostacolo trovò il suo interlocutore disteso a terra. Un proiettile aveva perforato la sua fronte, giungendo proprio sotto all’elmetto con un colpo diretto e preciso. Solo un rivolo di sangue scorreva sul suo viso pallido come un’ultima lacrima purpurea.
Probabilmente il capitano non si era nemmeno accorto di esser stato colpito, almeno non aveva sofferto.
Green provò una profonda inquietudine guardando i suoi occhi vitrei.
L’ufficiale si arrampicò sul parapetto e raggiunse le postazioni di tiro, senza esitazione puntò il suo Lee-Enfield, il suo obiettivo era il tedesco che aveva sparato a Kennet.
In realtà Richard non era realmente in cerca di vendetta, ma ormai la frustrazione e l’ardore della guerra avevano preso il sopravvento.
Nel mezzo della battaglia, tra boati ed esplosioni, il tenente accettò la sfida trasformando quello scontro in un avvincente duello.
Finn assistette allo scambio di proiettili con evidente apprensione. Pensò alle lezioni del caporale Speller, un buon tiratore come il tenente poteva sparare un massimo di trenta colpi al minuto, considerando un buon tempo di ricarica. In quel momento però lo scontro era talmente intenso da non poter distinguere nemmeno un colpo dal precedente o dal successivo. Le armi crepitarono furiosamente. Un'impetuosa tempesta di proiettili si abbatté per poco più di sessanta secondi, ma per il giovane attendente quegli istanti parvero durare un’eternità.
Alla fine Green sparò il colpo decisivo abbattendo definitivamente il suo avversario.
L’ufficiale si ritirò all’interno della trincea, l’eccitazione per quell’intenso combattimento iniziò a svanire, ed egli si accasciò stremato contro il muro di terra.
Finn corse subito in suo soccorso: «signore, si sente bene?»
Richard notò l’espressione spaventata sul viso del suo attendente, così tentò di rassicurarlo.
«Certo, ho vinto!» disse sforzandosi di sorridere.
Il ragazzo finse di credere al suo entusiasmo e gli porse la borraccia d’acqua. Dopo aver bevuto un lungo sorso il tenente parve riprendersi. Ringraziò Finn con una pacca sulla spalla e si rialzò per raggiungere i nidi delle mitragliatrici.
Il giovane prese un profondo respiro, poi con rassegnazione seguì il suo comandante.
 
I tedeschi erano intenzionati ad annientare completamente la linea nemica prima di uscire all’attacco. Per questo decisero di scagliare contro gli inglesi un secondo bombardamento.
Le trincee britanniche erano ormai irriconoscibili, non restavano altro che profondi crateri e montagne di terra bruciata.
Finn si ritrovò raggomitolato in una buca, ad ogni tremore sobbalzava stringendosi contro al tenente, il quale non poteva fare altro che proferire qualche parola di incoraggiamento. 
I proiettili continuarono ad abbattersi intorno al rifugio per un tempo interminabile, sembrava che i nemici avessero a disposizione una scorta infinita di munizioni.
Una bomba cadde proprio nel mezzo delle trincee, i superstiti si trovarono avvolti da una densa nube di fumo. Richard rimase confuso e stordito dall’esplosione, si rialzò in piedi tossendo e ansimando.
Non si era ancora reso conto di ciò che stava accadendo quando ad un tratto avvertì un grido.
«Attenzione, signor tenente!»
Green riconobbe la voce del suo attendente, in quell’istante Finn l’afferrò per la giacca e lo spinse a terra appena in tempo per evitare una raffica di proiettili.
I due rimasero stesi nella polvere finché il fuoco non si placò.
«Tenente, è ferito?» chiese il ragazzo con tono preoccupato.
Green negò, era ormai esausto e stremato, a stento trattenne i singhiozzi. Il giovane aiutò l’ufficiale a rialzarsi e sostenendolo lo condusse nuovamente al riparo.
 
La prima linea fu abbandonata tra la nebbia e il vapore. Gli inglesi lasciarono le loro postazioni ed arretrarono per prepararsi a respingere l’imminente assalto. 
Dopo aver ispezionato le mitragliatrici Richard approfittò di quell’attimo di respiro per provare a calmare i nervi. Era ormai pomeriggio inoltrato, anche se il sole era oscurato dal fumo degli incendi. Il tenente si prese la testa tra le mani, aveva affrontato decine di battaglie, la sua esperienza e le sue competenze si erano sempre rivelate utili sul campo, eppure quella volta sentì di essere ormai giunto al limite.
Il sergente Redmond si sedette al suo fianco offrendogli una sigaretta. L’ufficiale accettò, per un po’ i due rimasero in silenzio ad osservare i soldati che con dedizione si occupavano di ergere e rafforzare le barricate.
«Il suo assistente è davvero un ragazzo in gamba» disse il sottufficiale indicandolo tra la massa color kaki. 
Il tenente mostrò un debole sorriso: «già…è un peccato che giovani come lui siano destinati a questo inferno»
«Be’, lei non era molto più vecchio quando decise di prender parte a questa follia»
«Volontario a ventidue anni, promozione ad ufficiale a ventitré» ricordò Green.
«La guerra l’ha fatta crescere troppo in fretta. A volte mi dimentico che dietro alla sua espressione severa c’è un ragazzo di venticinque anni. Diamine, potrebbe essere mio figlio!»
«Ho dovuto prendermi le mie responsabilità, non ho avuto scelta»
«Certo signore, ma si guardi intorno. Cosa potrebbe fare un solo uomo di fronte a tutto questo?»
Il tenente si scrollò via la polvere dalla divisa: «solo il suo dovere, Redmond. Un uomo in guerra può solo fare il suo dovere»
Il sottufficiale si rassegnò, senza dire altro si rialzò e tornò al lavoro.
Richard era rimasto colpito da quelle parole, non credeva che un uomo semplice come il sergente Redmond potesse metterlo di fronte ad un dilemma così complesso.
 
Ombre grigie riaffiorarono nella terra di nessuno, la prima ondata raggiunse i reticolati restando praticamente indenne. I tedeschi si gettarono nella prima linea trovando solamente crateri fumanti e cadaveri. Fu in quel momento, quando il nemico credette di aver già vinto la battaglia, che la seconda linea sferrò il suo attacco.
Le mitragliatrici iniziarono a crepitare incessantemente, una tempesta di proiettili si scagliò contro gli intrusi, i quali tentarono di proteggersi nelle buche lasciate delle loro stesse bombe.
Anche l’artiglieria tornò in azione, palle di shrapnels disseminarono il terrore tra i tedeschi.
Finn assistette alla battaglia dalla sua postazione dietro alla barricata. Era la prima volta che vedeva il nemico da vicino, fu strano osservare i crucchi cadere davanti ai suoi occhi, sanguinavano, gridavano, piangevano e soffrivano esattamente come i suoi compagni.
Il ragazzo sentì la gola bruciare, quasi con delusione realizzò che il nemico non era un’entità mostruosa, erano solo uomini con la divisa di un altro colore.
Alla fine i tedeschi trovarono riparo nello scheletro della trincea abbandonata, infilandosi come ratti in ogni buca. La situazione tornò in una fase di stallo, il nemico sembrava determinato a resistere.
 
Gli spari provenivano da ogni direzione, l’avversario avrebbe potuto essere ovunque. Gli uomini di entrambi gli schieramenti si dispersero per proteggersi delle esplosioni, nessuno conosceva esattamente la posizione delle trincee occupate dal nemico e di quelle difese dai compagni. Una mitragliatrice britannica iniziò a sparare contro la seconda linea, ciò creò una certa confusione, dopo la prima raffica i soldati poterono constatare che la postazione era stata occupata dai tedeschi.
Il sergente Redmond bestemmiò.
«Quei bastardi ci stanno sparando addosso le nostre pallottole!»
Nel mezzo di quella confusione Finn si accorse di essere rimasto completamente solo. Si era gettato in fretta e furia in una buca per proteggersi da una granata, e quando era riemerso aveva realizzato non solo di aver perso i suoi compagni, ma anche di non aver più alcun punto di riferimento.
Il giovane soldato continuò a vagare nelle trincee deserte, da qualche parte alle sue spalle l’artiglieria inglese continuava a scoppiettare. Dalle colline e dalle barricate crepitavano le mitragliatrici, pronte a falciare le confuse linee d’avanzamento.
Nonostante ciò intorno a lui non vide nessuno, il ragazzo puntò la baionetta davanti a sé nel tentativo di farsi coraggio. Proseguì cautamente lungo quel che restava di un camminamento sventrato nella speranza di ricongiungersi con i suoi compagni. Fu in quel momento che incontrò il suo primo nemico, un tedesco era rannicchiato in una fossa poco profonda, le sue mani sporche di fango e sangue riaffioravano del terreno. I due si scambiarono un rapido sguardo, riconoscendo l’uno nell’altro il medesimo terrore.
Finn rimase paralizzato, strinse il fucile tra le mani, ma non riuscì a trovare la forza di muoversi. Il nemico sgusciò fuori dal suo rifugio, con ritrovato coraggio si innalzò in piedi pronto a premere il grilletto.
Il tedesco esitò ancora un istante, nel momento in cui puntò l’arma davanti a sé una pallottola raggiunse il suo petto. L’uomo cadde a terra agonizzante. Rantolò ancora per qualche secondo, farfugliò qualcosa nella sua lingua, poi esalò il suo ultimo respiro restando inerme al suolo.
Finn si voltò. Il tenente Green era in piedi dietro di lui con il Lee-Enfield ancora in posizione di tiro.
Il giovane avvertì le calde lacrime scendere sul suo viso, Richard abbassò il fucile e si avvicinò al suo assistente. Il ragazzo si poggiò al suo petto e scoppiò in singhiozzi.
L’ufficiale accarezzò delicatamente la sua nuca: «va tutto bene, tranquillo»
Finn non era solo sconvolto per l’accaduto, era anche deluso da se stesso. Avrebbe dovuto uccidere il suo primo nemico, invece aveva fallito lasciandosi sopraffare dalla paura.
Il tenente afferrò l'assistente per le spalle: «forza, adesso dobbiamo andarcene da qui!»
Egli tentò di calmarsi, i botti delle esplosioni e le grida dei feriti lo riportarono presto alla realtà della guerra.
Il giovane diede un ultimo sguardo al cadavere rivolto nella polvere, se non fosse stato per l’intervento del tenente sarebbe stato lui a giacere in una pozza di sangue.
 
La battaglia proseguì con incessanti raffiche di mitragliatrici e fugaci scontri con le granate. Le Mills rotonde da una parte, le bombe a manico dall’altra. Era un continuo scambio di esplosioni che procedeva a un ritmo sempre più incalzante.
Finn sostituì il secondo uomo alla postazione di una Vickers, il commilitone che l’aveva preceduto era stato gravemente ferito. L’aveva visto mentre i soccorritori lo portavano via, aveva un grosso foro nel cranio, probabilmente non sarebbe sopravvissuto. Il ragazzo si accovacciò alla destra del mitragliere e si preparò ad affrontare lo scontro.
Il suo compagno continuò a sparare, la canna fumante e rovente sembrava pronta ad esplodere insieme ai proiettili. L’acqua oleosa e bollente non era sufficiente a raffreddare il metallo di quella macchina mortale.
Il mitragliere scaricò una pioggia di pallottole contro la barricata nemica. 
«Munizioni! Svelto ragazzo! Munizioni!»
Finn obbedì prontamente, ad un tratto avvertì un movimento di caricatori, i fucili tedeschi risposero al fuoco, un proiettile cadde così vicino da scalfirgli l’elmetto.
Il grido continuò a rimbombare nella sua testa.
«Munizioni! Munizioni!»
 
Un enorme boato si abbatté nell’ormai devastato campo di battaglia, poi tutto fu avvolto dal silenzio.
Finn si ritrovò sdraiato in una nube di polvere, era caduto in una fossa, aveva perso l’elmetto e il fucile era scivolato sul fondo della buca.
Appena la nebbia si diradò scorse una mano tesa pronta a raccoglierlo, egli accettò quell’aiuto.
«Signor tenente, che è successo?»
Green rispose con tono neutro: «è finita, il nemico si è ritirato»
Il suo attendente non credette a quelle parole: «significa che abbiamo vinto?»
L’ufficiale quasi si commosse davanti alla sua ingenuità: «abbiamo guadagnato un po’ di tempo prima del prossimo attacco»
Finn osservò la sua divisa lacera e infangata, in quel momento si rese conto della sua condizione.
«Mi dispiace signore»
Green non capì: «per che cosa?»
«Per averla delusa»
Richard lo rassicurò: «hai affrontato dignitosamente la tua prima battaglia, non hai nulla di cui rimproverarti»
Nonostante tutto Finn si sentì un po’ meglio dopo aver udito quelle parole. L’ufficiale poggiò una mano sulla sua spalla. Entrambi erano appena sfuggiti alla morte, quando i loro sguardi si incrociarono avvertirono che lentamente la vita stava ricominciando a fluire nelle vene.
 
***

Dopo quel violento attacco la situazione sembrò quietarsi, con l’arrivo dei rinforzi alle truppe che avevano resistito in prima linea furono concessi alcuni giorni di riposo nelle retrovie.
I soldati, stremati ed esausti, giunsero in un piccolo villaggio di campagna. La pace e la tranquillità della vita civile parvero irreali dopo il lungo periodo trascorso nelle trincee.
Quella sera i militari poterono distrarsi delle atrocità della guerra, bevendo e scherzando come ai vecchi tempi. Il tenente Green avvertì allegri canti e profonde risate provenire dalle case occupate e dai locali.
Solamente in un isolato cortile percepì un inconsueto silenzio, incuriosito l’ufficiale si affacciò con discrezione al cancello. Tre soldati si erano radunati intorno a un mesto falò e condividevano una bottiglia di vino rosso con aria assorta. Uno di loro, trasportato dalla malinconia del momento, recitò una triste poesia.
 
Now seven supple lads and clean
Sat down to drink one night,
Sat down to drink at Nouex-les-Mines
And then went off to fight;
And seven supple lads and clean
Are finished with the fight,
But only three at Nouex-les-Mines
Sit down to drink to-night.
 
And when we took the cobbled road
We often took before,
Our thoughts were with the hearty lads
Who trod that way no more.
Oh I lads out on the level fields,
If you could call to mind
The good red wine at Nouex-les-Mines
You would not stay behind.
 
And when we left the trench to-night,
Each weary with his load,
Grey, silent ghosts, as light as air,
Came with us down the road.
And now we sit us down to drink
You sit beside us, too,
And drink red wine at Nouex-les-Mines
As once you used to do. [*]

 
Gli altri ascoltarono in silenzio, alla fine innalzarono i bicchieri per un ultimo brindisi in onore dei caduti.
Il tenente si commosse davanti a quella scena, silenziosamente si allontanò, lasciando quegli uomini all’intimo ricordo dei loro compagni.
 
Tornando a vagare per il villaggio Green ritrovò un clima ben più allegro, i soldati appena tornati dal fronte erano intenzionati a godersi quella vita per cui avevano ardentemente combattuto.
L’ufficiale continuò la sua passeggiata allontanandosi dalla confusione, si ritrovò in una strada tranquilla, le grida e i canti dei suoi commilitoni echeggiavano in lontananza.
Ad un tratto notò un soldato seduto su un cumulo di macerie. Anche nell’oscurità riconobbe la sua figura senza alcuna difficoltà.
«Finn, come mai non sei a festeggiare insieme agli altri?»
Il giovane si rialzò in presenza del suo superiore.
«Ad essere sincero non apprezzo troppo certi divertimenti. E poi non credo che sia l’occasione giusta per festeggiare, non capisco perché siano tutti così contenti»
«Un soldato è sempre felice di essere ancora vivo»
Il ragazzo avvertì una strana sensazione, quella era la prima volta che parlava con il tenente al di fuori delle trincee.
«Lei invece perché non sta brindando in un tavolo di ufficiali?» chiese tentando di mascherare il suo nervosismo.
Richard prese un profondo respiro: «speravo di poter trascorrere questo tempo prezioso con qualcuno di veramente importante per me»
Finn non era certo di aver ben inteso quelle parole.
I due si guardarono negli occhi, per un lungo momento restarono così, immobili l’uno di fronte all’altro.
Quella volta fu il tenente a prendere l’iniziativa. Con un gesto deciso attirò il giovane a sé, prese il suo volto tra le mani e lo baciò con impeto e passione. Finn inizialmente si sorprese per la sua irruenza, ma ben presto anch’egli cedette ricambiando con altrettanto ardore.
Si distaccarono ritrovandosi entrambi con il respiro affannato e il cuore che palpitava sobbalzando nel petto.
Richard sorrise, Finn rispose con un altro bacio, più dolce e delicato.
I due furono costretti a separarsi quando avvertirono l’eco di alcune voci. Un gruppo di soldati già mezzi ubriachi attraversò il vicolo, gli uomini proseguirono barcollando, tra fragorose risate e volgari battute nemmeno si accorsero della loro presenza.
Green attese di vederli scomparire nell’oscurità, era ancora titubante mentre Finn riprese a provocarlo in modo sempre più audace e insistente. Nel suo sguardo riconobbe il suo stesso desiderio. Senza dire nulla si distaccò da quell’abbraccio, afferrò la manica del suo compagno e lo guidò per le strade deserte.
Il tenente condusse il giovane soldato nel suo alloggio, il quale consisteva in una modesta camera in una casa sopravvissuta ai bombardamenti.
Appena Green richiuse la porta alle sue spalle Finn si gettò tra le sue braccia. Richard si avventò nuovamente su di lui bramando le sue labbra, i due iniziarono a spogliarsi con frenesia, abbandonandosi alla passione e al desiderio.
Finn sbottonò la divisa del suo superiore e gettò la giacca a terra. Con gesti rapidi e impacciati tentò di strappare via ogni strato di stoffa che lo separava dalla pelle nuda del tenente.
Richard si distese sul letto trascinando il suo attendente sopra di sé. Finn sfiorò delicatamente la sua pelle, le sue mani esplorarono il corpo del tenente, accarezzarono le spalle robuste e le braccia muscolose, poi scesero lentamente lungo il suo petto.
Il ragazzo lasciò leggeri baci sulle profonde cicatrici, segni indelebili di ogni sofferta battaglia.
Green abbracciò il suo compagno e rotolò sul materasso invertendo le posizioni. Si chinò su di lui iniziando con un intenso bacio sulla bocca, per poi dedicarsi al mento e al suo collo sottile.
Finn sussultò avvertendo le forti mani del tenente che accarezzavano la sua pelle con decisione e delicatezza. Egli si morse il labbro e socchiuse gli occhi abbandonandosi completamente a quelle nuove e intriganti sensazioni. Non aveva mai provato nulla di simile prima di quel momento.
Ad un tratto Green si fermò, per un istante rimase ad ammirare il ragazzo steso sotto di sé, come per assicurarsi che tutto ciò fosse reale. Osservò i lineamenti delicati del suo viso e la sua espressione ancora contratta in uno spasmo di piacere. Nel silenzio poté avvertire solo il suo respiro spezzato e ansante.
Dopo quella dolorosa attesa Richard prese le sue mani, le loro dita si intrecciarono mentre i loro corpi si unirono per la prima volta con un fremito d’eccitazione. Completamente sopraffatti dalla passione entrambi dimenticarono ogni preoccupazione. Bramosi di calore e affetto continuarono a cercarsi, avvinghiandosi tra le coperte, tra baci appassionati e gemiti soffocati.
Quella notte la guerra era lontana, il valoroso tenente Green e il suo fedele assistente erano rimasti al fronte, in un angusto rifugio sotterraneo. In quella sicura camera da letto illuminata dalle flebili fiamme delle candele erano presenti solo due amanti travolti dall’uragano dei loro sentimenti.
 
Finn si rannicchiò contro il petto del tenente. Il ragazzo aveva il volto arrossato e i capelli arruffati. Richard passò delicatamente una mano tra i suoi ricci ribelli.
Il giovane tornò a sfiorare il torace dell'ufficiale, la sua mano scese poi sul ventre, la sua attenzione si soffermò sulla profonda cicatrice ad altezza dello stomaco.
«E’ successo durante la Battaglia della Somme?» domandò seguendo con le dita la linea di sutura.
Green annuì, non aveva mai parlato con nessuno dell'accaduto. Inevitabilmente quei ricordi riaffiorarono nella sua mente.
«Durante un violento assalto mi ritrovai in una trincea ai limiti di un villaggio fantasma. Il comandante ordinò di scattare, così mi sistemai l’elmetto, imbracciai il fucile ed uscii dal mio riparo. Il fragore dell’artiglieria mi disorientò, poi un rombo di motori scosse le nostre membra. Rabbrividimmo quando alzando lo sguardo notammo i velivoli decorati con grandi croci di ferro dipinte sul rovescio delle ali. Gli aeroplani sorpassarono le nostre teste scaricando solo qualche colpo di mitragliatrice, probabilmente non eravamo noi il loro principale obiettivo. Subito dopo la marcia ebbe inizio, raggiungemmo il villaggio stremati ed esausti. La campagna era devastata dagli incendi, dense nubi giallastre si avvicinavano pericolosamente trasportate dal vento. Indossammo le maschere anti-gas, ma non riuscimmo a proseguire oltre poiché proprio in quel momento dal fronte opposto partì un pesante bombardamento. Le nostre unità furono sparpagliate dai proiettili e dalle granate, schegge e detriti volavano ovunque intorno a noi. Rapidamente mi gettai in una buca insieme a due sconosciuti. Il tiro di sbarramento era impenetrabile, sarebbe stato impossibile sorpassare quel muro di fuoco. Un grido mi allarmò, uno dei miei compagni mi tirò a forza fuori dal rifugio prima che esso potesse diventare una trappola mortale. Ci gettammo a terra mentre una granata distrusse il nostro riparo, il terzo uomo che era con noi scomparve nell’esplosione. L’attacco era fallito, non potemmo far altro che tornare indietro. Così fuggimmo per le strade infangate tra i crateri fumanti. La corsa però non durò a lungo, una mitragliatrice leggera bloccò la nostra ritirata. Fummo costretti a rintanarci nuovamente in una fossa ritrovandoci presto nel mezzo di un’intensa sparatoria. Ad un tratto, quando mi rialzai per rispondere al fuoco, venni accecato dal bagliore di un’esplosione. Avvertii un inteso dolore al ventre, caddi all’indietro, abbandonai il fucile e battei la testa sul fondo del cratere. Quando ripresi i sensi il sole era già calato, il mio compagno era scomparso, forse si era salvato oppure era rimasto ucciso in un disperato tentativo di fuga…non ebbi mai modo di scoprirlo. In ogni caso mi ritrovai disteso nel fango, solo, con una scheggia nello stomaco. Ero certo che sarei morto in quella fossa, il dolore era insopportabile, tanto che sperai che un tedesco compassionevole potesse ascoltare i miei lamenti e porre fine alla mia sofferenza. Invece furono tre commilitoni a trovarmi, svenuto, al termine della battaglia. Mi portarono al riparo nelle retrovie, dove fui operato con urgenza. Nei giorni seguenti rimasi sospeso tra la vita e la morte, la febbre mi assalì tra incubi e allucinazioni. Alla fine mi abbandonai a un sonno profondo, il mio ultimo ricordo di quella terribile agonia è il lontano fragore dell’ennesima battaglia che nel frattempo era scoppiata all’esterno del rifugio. Non è stato nulla di eroico o glorioso, questo è solo il segno di una sconfitta»
«Deve essere stato davvero terribile» commentò Finn impressionato dal racconto.
«Già, ma ormai è solo una vecchia storia…»
Il giovane percepì un velo di tristezza in quelle parole. Richard invece trovò conforto nel dolce viso del suo assistente, il suo sguardo si perse in quei grandi occhi azzurri, limpidi e chiari come il mare d'Irlanda.
«Sai Finn, mi ero sbagliato su di te»
Egli assunse un'espressione perplessa.
«Decisi di prenderti come mio assistente perché non volevo abbandonarti, ero convinto che ti servisse il mio aiuto, ma in realtà le cose sono ben diverse. Sono io ad aver bisogno di te»
Finn fu colpito da quelle parole.
Richard accarezzò il suo volto: «prima di conoscerti non credevo più a nulla, non avevo più alcuna ragione per combattere questa guerra, tu sei diventato la mia unica speranza e la mia ultima salvezza»
Al termine di quella confessione il tenente strinse il ragazzo a sé, ascoltò il battito accelerato del suo cuore, sentì il suo caldo respiro sulla pelle e assaporò ancora una volta le sue labbra.
Avrebbe desiderato restare per sempre in quell’abbraccio, ma il tempo scorreva inesorabilmente, e alle prime luci dell’alba quell’incantesimo sarebbe svanito.
 
 
 
 
[*] Red wine, poesia di Patrick MacGill contenuta nella raccolta Soldier Songs (1917).

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Capitolo 5
*** Aprile di sangue ***



V. Aprile di sangue
 

Il plotone del tenente Green venne trasferito in un villaggio che fungeva da centro di comunicazione tra le retrovie e la prima linea. Si trattava di un piccolo paesino situato non troppo distante dal fronte di Arras.
I civili erano stati evacuati ormai da tempo, nelle case abbandonate erano state installate attrezzature militari, radio e apparecchiature telefoniche.
L’ufficiale fu impegnato ad organizzare le trasmissioni con squadre di portaordini e ciclisti. Ebbe anche modo di intrattenersi in un’interessante conversazione con un soldato addetto ai messaggi dei piccioni viaggiatori.
Poco dopo il suo arrivo fu accolto dal sottotenente Conrad, il quale caricò il suo nuovo comandante su un’automobile e lo accompagnò per un giro di ricognizione. Le strade erano occupate dai soldati impegnati a scaricare i furgoni e a trasportare le pesanti casse di rifornimenti.
«Questo villaggio, così isolato e nascosto, è in una postazione strategica. L’abbiamo sottratto ai tedeschi circa quattro mesi fa, i nemici l’hanno difeso con gli artigli e con i denti. Alla fine però siamo riusciti a conquistare terreno e a costringere i crucchi alla ritirata. Al tempo qui trovammo un prezioso deposito di viveri, ma quei bastardi avevano sparato alle damigiane di vino e ai barattoli di marmellata pur di non lasciarci nulla. Scoprimmo anche che mentre noi morivamo di fame i nostri avversari potevano permettersi carne in scatola a volontà...»
«Mi hanno riferito che i tedeschi sono intenzionati a riconquistare quest’area» disse Richard con tono apprensivo.
«Probabilmente tutto questo movimento deve averli insospettiti. Ci sono state diverse battaglie aeree negli ultimi tempi, i tedeschi continuano a respingere i nostri attacchi. Questi cieli appartengono al nemico, diamine, quegli aviatori sono così agguerriti che potrebbero vincere questo conflitto da soli!»
«Ciò che sta dicendo non è molto patriottico» lo rimproverò Green.
«Mi scusi signore, ma si tratta della squadriglia del Barone Rosso! I nostri piloti dovranno impegnarsi sul serio per riuscire a sconfiggerla»
L’ufficiale rispose con una smorfia, aveva già sentito decine di storie riguardanti le avventure e le prodezze di quell’aviatore, per quanto assurde dovevano però racchiudere una fonte di verità.
Egli tornò a studiare le carte e ben presto cambiò argomento.
«Cosa mi può dire di quel bosco? Sulle mappe non è segnato»
Il sottotenente alzò le spalle: «nessuno conosce il vero nome di quella foresta, i più spiritosi l’hanno soprannominato “il bosco delle granate”. E’ la zona più pericolosa, per raggiungerla bisogna attraversare le paludi. Quell’area è sempre sotto il fuoco dell’artiglieria nemica, ma è l’unico passaggio per la prima linea. In ogni caso è meglio non trovarsi nel bosco alla luce del sole…»
L’ufficiale non trovò affatto rassicuranti quelle parole.
«A quanto pare mi hanno assegnato la zona più pericolosa del fronte» commentò con leggera ironia.
Conrad gli rivolse un sorriso complice: «sono certo che si adatterà presto signore»
 
***

Altre stranezze della guerra erano le contraddizioni che si verificavano in diverse circostanze. In quel caso, dopo l’arduo lavoro per l’installazione del centro di comunicazione, il tenente Green si ritrovò senza alcun messaggio da dover trasmettere.
Richard era certo che quella calma apparente non sarebbe durata a lungo, ma approfittò di quel periodo per esplorare il territorio e aggiornare le mappe. Il lavoro risultò particolarmente piacevole, poiché gli consentiva di occupare le giornate con lunghe passeggiate in compagnia del suo attendente.
Quel pomeriggio, dopo aver controllato i collegamenti con le retrovie, i due decisero di sostare in un solitario campo d’avena prima di far ritorno al villaggio.
Finn si liberò del peso dello zaino e del fucile, si levò l’elmetto e passò una mano sulla fronte sudata. Stanco per la lunga camminata si sdraiò a terra avvertendo la calda luce del tramonto sulla pelle e il fresco vento primaverile che gli scompigliava i capelli.
Il tenente si sedette vicino a lui.
Finn sorrise: «in fondo qui non è così male…»
«Già, però non dovremo farci l’abitudine»
«Lo so: la calma in guerra è sempre pericolosa» disse il ragazzo imitando il tono severo del suo superiore.
Richard parve divertito, ma la sua espressione tornò presto seria.
«Stiamo preparando un’offensiva, a breve torneremo in prima linea»
Finn osservò l’ufficiale negli occhi: «sono disposto ad affrontare il fuoco di ogni battaglia con te al mio fianco»
Green rimase ancora una volta colpito dall’ingenuo entusiasmo di quel giovane. Lentamente si chinò su di lui, sfiorò il suo viso con una carezza e rispose con un intenso bacio.  
I due si erano appena distaccati da quel tenero abbraccio quando all’improvviso udirono l’eco di un’esplosione.
All’orizzonte s’innalzò un fumo denso e scuro, l’artiglieria inglese era già in azione con i primi tiri di esercitazione contro la linea tedesca.
Poco dopo una feroce pioggia di proiettili di grosso calibro si abbatté contro un villaggio occupato dal nemico. Altre decine di nubi sfumate di rosso e nero comparvero nella campagna deserta.
Il tenente e il suo attendente rimasero seduti nel campo ad osservare quello spettacolo tanto affascinante quanto terrificante. Finn prese la mano dell’ufficiale, Richard ricambiò la sua stretta, quel legame restava la loro unica certezza.
 
 
Una mattina il tenente Green decise di prendere in prestito due biciclette per raggiungere una postazione di osservazione situata su una collina. Ovviamente Finn non esitò ad accompagnare il suo comandante in quell’impresa.
Richard provò una certa nostalgia pedalando lungo la strada sterrata, la sua mente lo riportò agli ultimi momenti di pace e serenità della sua giovinezza. In particolare si ricordò delle giornate trascorse in campagna insieme a suo fratello Albert. Le loro gite in bicicletta si trasformavano sempre in appassionanti gare di velocità.
Il tenente si guardò intorno con aria afflitta, quel luogo distrutto dalla guerra non aveva nulla in comune con i verdi paesaggi dell’Essex.
Il panorama brullo e deserto suscitava una profonda inquietudine, soprattutto se associato ai fragorosi boati che si avvertivano in lontananza.
Finn barcollava sul suo mezzo, a causa delle buche lasciate sulla strada dalle recenti esplosioni era costretto a serpeggiare tra i crateri. A metà percorso la stanchezza iniziò a farsi sentire, ma i proiettili che cadevano sempre più vicini al sentiero erano un buon incentivo per convincere il ragazzo a non fermarsi.
Superato quel pericoloso tratto il viaggio proseguì senza particolari problemi. Dopo aver oltrepassato un vecchio ponte di pietra i due incrociarono un convoglio che proveniva dalla prima linea. I veicoli erano carichi di feriti che dovevano essere trasportati nelle retrovie.
Finn rimase impressionato da quel lugubre corteo, egli rabbrividì udendo le atroci grida di sofferenza. Osservò i volti pallidi e inespressivi, le bende sporche di sangue e gli sguardi spenti di quegli uomini che sembrano appena tornati dall’Inferno.
Molti soldati erano orribilmente mutilati, altri invece avevano gli occhi coperti dalle fasciature, si trattava delle vittime dei gas.
Il tenente notò l’aria angosciata del suo assistente, così si avvicinò a lui.
«Va tutto bene?» chiese con il giusto riguardo.
Finn annuì con poca convinzione.
Green preferì non insistere, in fondo era giusto che quel giovane imparasse a conoscere ogni aspetto della guerra, e purtroppo quella davanti ai loro occhi era la realtà quotidiana del fronte.
 
Al termine della giornata il tenente poté ritenersi soddisfatto da quella escursione, infatti riuscì a completare il suo lavoro con successo.
Un maggiore, incuriosito da quella visita inaspettata, interrogò Green con vivo interesse. Dopo aver appreso le sue ragioni espresse il suo sincero apprezzamento.
«L’Esercito britannico ha bisogno di ufficiali attenti e competenti come lei»
«Grazie signore, ma sto semplicemente svolgendo il mio dovere» replicò Green con la solita modestia.
Il maggiore spostò lo sguardo verso il giovane attendente, il quale era rimasto in silenzio accanto al suo superiore.
«Entrambi dovrete fare attenzione sulla strada del ritorno. Vi consiglio di andarvene in fretta, l’artiglieria tedesca è puntuale al tramonto»
Con quell’ultimo avvertimento l’ufficiale si congedò e tornò nel suo settore.
Richard rivolse un ultimo sguardo alle trincee, poi si avviò verso la strada.
 
Le parole del maggiore risultarono profetiche, Richard e Finn erano appena scesi dalla collina quando all’improvviso avvertirono il boato della prima esplosione.  
I due dovettero attraversare la campagna a tutta velocità per evitare di rimanere coinvolti nei bombardamenti. Quando i proiettili iniziarono a colpire anche il sentiero la situazione divenne più pericolosa. Ben presto furono costretti ad abbandonare i loro mezzi per correre al riparo. Mentre erano rannicchiati in una fossa una scheggia raggiunse in pieno una bicicletta riducendola in un’accozzaglia di rottami, l’altra invece rimase danneggiata e inutilizzabile.
Fortunatamente l’ufficiale e il suo attendente avevano ormai raggiunto la loro meta, così in quel breve tratto attraversarono i campi di corsa, tra il fumo e il fragore delle esplosioni.
Tornarono al villaggio sani e salvi, ma dopo quella brutta esperienza il tenente decise di rinunciare alle sue avventurose escursioni nelle campagne di Arras.
 
***

I bombardamenti sempre più frequenti divennero presto la principale fonte di preoccupazione per gli inglesi.
Il tenente Green alloggiava in una cantina che era stata adibita a rifugio. Lo spazio era ridotto, oltre a lui e al suo assistente ospitava anche il sottotenente Conrad e l’ufficiale cadetto Waddington. 
Questi ultimi non si vedevano spesso poiché trascorrevano la maggior parte del tempo al vecchio fienile insieme ai soldati. Entrambi però avevano la capacità di ricomparire in gran fretta ai primi accenni bombardamento, quando ansanti e tremanti si gettavano giù dalle scale in cerca di riparo.
Una volta il cadetto Waddington rientrò con così tanta foga da non accorgersi dell’ostacolo del primo gradino, così ruzzolò goffamente fino all’entrata.
Nonostante la gravità del momento quello fu un episodio alquanto divertente, soprattutto perché lo sventurato protagonista non si procurò altro che un grande spavento.
 
Nei giorni seguenti la situazione peggiorò drammaticamente. Il villaggio era costantemente sotto il tiro dei mortai. I collegamenti telefonici furono bruscamente interrotti. Il tenente Green incaricò una staffetta di avvertire le retrovie della loro disperata condizione, ma dopo la sua partenza non ricevette alcuna risposta e non ebbe nemmeno più sue notizie. Alla fine dovette rassegnarsi al fatto che quel portaordini si fosse imbattuto in un triste destino.
Una notte Richard fu svegliato da un boato assordante, seguito poco dopo dalle grida allarmate del sottotenente Conrad.
«Che cosa succede?» chiese l’ufficiale ancora confuso e frastornato.
«I tedeschi ci stanno bombardando! La casa sta crollando!»
Green scattò in piedi, rapidamente indossò gli stivali e la giacca e raggiunse i suoi compagni.  
I quattro soldati si rannicchiarono sulle scale, i colpi divennero sempre più intensi, le mura tremavano pericolosamente, l’incessante fragore delle esplosioni era accompagnato dal rumore delle frane.
A quel punto il tenente ordinò ai suoi compagni di uscire dal rifugio. L’idea di ritrovarsi allo scoperto non era affatto piacevole, ma sembrava una prospettiva migliore rispetto a quella di essere sepolti vivi.
Richard fu l’ultimo ad abbandonare la cantina, Finn l’aiutò a risalire in superficie. La casa era già mezza distrutta, attraverso uno squarcio nella parete i quattro si ritrovarono in strada. Il paesaggio era ormai irriconoscibile, di alcune costruzioni restavano soltanto macerie e cumuli di detriti. L’intera zona era avvolta da una nube rossastra di fumo e polvere. Il terreno tremava, schegge e frammenti volavano ovunque.
Il tenente Green raggiunse la periferia del villaggio tossendo e ansimando. Aveva gli occhi arrossati dal fumo mentre polmoni bruciavano dolorosamente ad ogni respiro.
Per poter continuare quella fuga disperata fu costretto a sorreggersi al suo assistente.
Nel rifugio ai piedi della collina si erano radunati soldati provenienti da diversi reggimenti, tutti in cerca di un riparo da quella tempesta di fuoco.
Stretti uno all’altro gli uomini tentarono di farsi coraggio, attendendo ansiosamente la fine del bombardamento. I colpi divennero ancora più violenti, anche le pareti del ricovero iniziarono a tremare pericolosamente.
I botti dell’artiglieria nemica continuarono incessantemente per tutta la notte. Soltanto poco prima dell’alba un inquietante silenzio calò sulla vallata.
 
Il mattino seguente il tenente Green si ritrovò a valutare i danni di quel bombardamento. In realtà la situazione era meno grave di quel che avrebbe potuto immaginare, almeno metà del villaggio era rimasto intatto.
I soldati scavarono tra le rovine per recuperare morti e feriti.
Richard osservò alcuni soccorritori intenti a liberare il passaggio di una cantina crollata, miracolosamente un sopravvissuto venne estratto dalle macerie. L’uomo era bianco come una statua, coperto di calce dalla testa ai piedi. Sulla sua gamba sinistra, colpita da una scheggia, risaltava una macchia rossa di sangue.
Poco dopo furono riportati in superficie tre cadaveri, solamente uno di questi era integro e riconoscibile, gli altri due erano stati ridotti ad un ammasso di carne, viscere e ossa maciullate.
L’ufficiale aiutò i suoi commilitoni a coprire i corpi con delle coperte, poi si offrì di accompagnare il ferito al posto di pronto soccorso.
Green lasciò il sopravvissuto su una branda mentre ancora gemeva sofferente.
Sulla strada del ritorno il tenente infilò una mano nella giacca ed estrasse la sua preziosa fiaschetta di whiskey. Solamente dopo aver bevuto un lungo sorso riuscì a trovare la forza di presentarsi nuovamente ai suoi uomini.
 
***

La vita militare riprese il suo ritmo tornando presto alla solita quotidianità. I soldati si abituarono al nuovo aspetto del villaggio, imparando a riconoscere le case crollate e le strade ostruite dai detriti.
L’offensiva inglese era imminente, ormai era certo che da un giorno all’altro sarebbe giunto l’ordine di abbandonare quel paese fantasma per raggiungere la prima linea.
Nel frattempo i soldati erano stati sistemati nelle campagne circostanti in attesa dell’arrivo di altri rinforzi.
 
Quel pomeriggio, alla fine del solito addestramento, Finn rimase alla fattoria ad esercitarsi alle postazioni di tiro. Il ragazzo sbuffò, le cose andavano bene finché si trattava di sparare a bersagli di legno, ma era consapevole che sul campo di battaglia tutto sarebbe stato diverso. Spesso ripensava al tedesco che aveva incontrato nelle trincee, ricordava il suo sguardo, avrebbe dovuto sparargli in quel momento, invece aveva esitato. Uno sbaglio che non avrebbe mai più potuto commettere.
Il giovane era immerso in questi pensieri quando ad un tratto avvertì un ronzio, pian piano il rumore divenne sempre più intenso, il terreno iniziò a tremare. Immediatamente alzò lo sguardo, sopra alla sua testa si stava combattendo un violento scontro aereo. Sei Brisfit si trovarono ad affrontare cinque Albatros D.III.  
Era la prima volta che assisteva a una battaglia nei cieli, inizialmente la confusione non gli permise di comprendere a pieno la situazione. La sua attenzione fu catturata da un biplano nemico, la cui livrea completamente dipinta di rosso si stagliava contro il sole di ponente. Il ragazzo rimase immobile con il naso all’insù, ammaliato e affascinato da quella vorticosa danza. Un inglese iniziò un dinamico duello con l’Albatros rosso sangue. I due velivoli volteggiarono uno attorno all’altro, scambiandosi vicendevolmente feroci raffiche di mitragliatrice. Il biplano britannico sfrecciò in una nuvola e il suo cacciatore lo seguì senza alcuna esitazione. Sbucarono dalla nube e ricominciarono la loro sfida.
Alla fine fu il tedesco a prendere il sopravvento, l’uccello rosso si innalzò sopra al suo avversario costringendolo a scendere di quota. L’inglese però, pur vedendosi sconfitto, era determinato a difendersi fino all’ultimo. Così rapidamente tentò una fuga disperata. 
Finn vide i due aerei planare pericolosamente sul villaggio, istintivamente si gettò a terra con il timore di rimanere vittima di qualche proiettile volante. I biplani arrivarono quasi a sfiorare i tetti delle case, il Brisfit lasciava una scia biancastra dietro di sé, probabilmente era stato colpito al motore.
L’Albatros inseguì la sua preda sorvolando la campagna finché l’aereo non atterrò in un’area deserta di terra bruciata. L’aviatore tedesco si dimostrò leale e onorevole, considerando il combattimento concluso girò intorno al nemico vinto senza sparare nemmeno un colpo, poi riprese quota per riunirsi alla battaglia.
Finn era ancora steso a terra, poiché il pericolo era passato si rigirò sulla schiena e continuò ad assistere allo scontro.
Nel frattempo altri due Brisfit erano stati abbattuti, nonostante lo svantaggio numerico i tedeschi erano riusciti a sconfiggere il nemico senza troppe difficoltà. In aria rimanevano tre inglesi ancora impegnati a combattere. Uno di questi, appena identificò il biplano rosso, scese di quota per volare proprio incontro al nemico. L’altro l’accolse con una rapida raffica di proiettili. Con una manovra azzardata l’inglese scese in picchiata. In questo modo si ricreò la stessa dinamica del precedente combattimento.
Questa volta il tedesco non aveva intenzione di graziare il suo avversario. Nuovamente si fiondò all’inseguimento scaricando una violenta pioggia di proiettili dalle due mitragliatrici Spandau.
Il Brisfit si sfasciò completamente, le ali si accartocciarono mentre la fusoliera venne avvolta dalle fiamme.
Il biplano fu abbattuto proprio davanti alla fattoria, il velivolo britannico precipitò a picco, schiantandosi fatalmente al suolo con un fragoroso boato.
Lo scontro non durò ancora a lungo, il quinto Brisfit, gravemente danneggiato, si allontanò lasciando una scia di fumo nero, mentre l’ultimo sopravvissuto abbandonò la battaglia accettando la sconfitta.
Il rombo dei motori si affievolì sempre di più e pian piano il cielo tornò a schiarirsi. Infine anche la squadriglia della Luftstreitkräfte, rimasta illesa, scomparve a stormo all’orizzonte così come era apparsa.
 
Finn si affrettò a raggiungere il sentiero e scese lungo la ripida scarpata. Il ragazzo si avvicinò all’intensa nube scura che iniziava a disperdersi nel vento. Tutto ciò che restava del Brisfit abbattuto era la coda bruciacchiata, impiantata nel fango come una macabra croce. A terra, riversi accanto ai rottami, giacevano due corpi carbonizzati, ormai irriconoscibili.
In quel momento un gruppo di commilitoni, allarmati dallo schianto, raggiunse il luogo della tragedia.
Gli inglesi si radunarono intorno al relitto, affranti e sconvolti davanti a quell’orribile scenario.
Un soldato abbassò il capo in preghiera, un altro mosso dalla compassione coprì i volti tumefatti dei due malcapitati.
Il caporale Speller si occupò di disperdere la piccola folla ordinando a tutti di tornare a svolgere il proprio lavoro.
Finn rimase per ultimo, ancora tremante e con le lacrime agli occhi.
«La guerra è crudele, mi dispiace ragazzo, non c’è pietà per nessuno» disse Speller con tono severo, ma comprensivo.
Mestamente il giovane si voltò e seguì i suoi compagni lungo il sentiero.
«Un altro abbattimento per il Barone Rosso, hanno ragione i francesi, quello è davvero un diavolo!» commentò qualcuno con rassegnazione.
 
***

Finn rientrò silenziosamente nel rifugio, era ancora sconvolto dall’accaduto, ma trasse un po’ di conforto al pensiero di tornare dal tenente.
Quella sera però Green parve più ansioso e nervoso del solito, il giovane notò immediatamente l’espressione seria sul suo viso.
«E’ successo qualcosa?» domandò preoccupato.
L’ufficiale esitò prima di rispondere.
«Ho ricevuto l’incarico di unirmi a una pattuglia di ricognizione, domani dovrò partire per una missione speciale in prima linea»
Finn trasalì.
«Si tratta di un compito pericoloso?» 
«Probabilmente…» ammise Green.
Dopo i primi istanti di sconforto il ragazzo reagì imponendosi con decisione.
«Voglio venire con te»
Richard frenò immediatamente la sua frenesia: «sai bene che non puoi»
«Sono il tuo assistente, non posso abbandonarti nel momento del bisogno» protestò.
Il tenente non restò indifferente davanti a una simile dimostrazione di fedeltà, ma, tralasciando ogni idealismo, fu costretto a riportare quel giovane alla realtà.
«Per il momento è meglio che tu rimanga al sicuro»
«Non ho intenzione di restare rintanato come un vigliacco mentre tu sarai là fuori ad affrontare il nemico!»
«Non è una questione di coraggio. Per favore, devi fidarti di me»
«Io…non voglio lasciarti» confessò Finn ormai al limite della disperazione.
Green provò un’intensa fitta al petto nel sentire quelle parole, nonostante tutto però rimase convinto della propria decisione. Era consapevole di non poter proteggere quel ragazzo per sempre, ma era determinato a rispettare la sua promessa. Avrebbe fatto tutto il possibile per salvarlo.
«E’ il dovere di ogni comandante pensare al bene dei propri uomini. In questo caso tu non sei un’eccezione» concluse l’ufficiale con tono severo.
Finn si rassegnò, affranto e deluso.
Richard si avvicinò poggiando una mano sulla sua spalla: «mi dispiace, ma non ho altra scelta»
Il giovane si voltò e alzò lo sguardo mostrando gli occhi lucidi.
«Promettimi che starai attento e che tornerai da me» disse con voce tremante.
Il tenente accolse il ragazzo tra le sue braccia, ma non osò dire nulla per rassicurarlo.
Finn cercò conforto in quel contatto, poggiò la testa sul suo petto e trattenne il suo compagno aggrappandosi alla sua divisa. Richard ricambiò stringendolo dolcemente a sé.
I due rimasero a lungo avvolti in quel silenzioso abbraccio.
 
***

Il tenente Green radunò la squadra al tramonto, oltre al sottotenente Conrad erano presenti due sottufficiali e tre soldati.
Il suo discorso fu breve, si limitò semplicemente a ribadire gli ordini e ricordare gli ultimi avvertimenti.
Al termine di quella riunione i soldati rimasero rintanati nella loro buca, dovevano solamente attendere il calare delle tenebre.
L’ufficiale si accese una sigaretta e restò a fumare in silenzio. Inevitabilmente ripensò agli ultimi momenti trascorsi con Finn, non era certo di essersi comportato nel modo migliore. Avrebbe desiderato dimostrargli quanto in realtà egli fosse importante per lui. Se il loro era stato davvero un addio allora quello sarebbe rimasto il suo ultimo rimpianto.
Finalmente giunse il momento di entrare in azione. Uno ad uno i soldati uscirono dal nascondiglio ed iniziarono ad avanzare verso il bosco.
Il terreno veniva continuamente scosso dal tremore delle esplosioni, all’orizzonte era visibile un’intensa linea di fuoco.
Il tenente Green arrancò strisciando nel fango, tentò di seguire le ombre dei suoi compagni, ma ben presto si perse nell’oscurità. Rimasto solo non poté far altro che continuare ad avanzare, sperando di ricongiungersi con gli altri una volta raggiunta la prima linea.
La luna era coperta dalle nubi, il cielo però era regolarmente illuminato dal bagliore dei razzi, ciò gli permise di orientarsi e di individuare la giusta direzione.
Ad un tratto un pericoloso sibilo giunse alle sue orecchie, d’istinto Green si gettò in un enorme cratere senza però accorgersi che sul fondo era presente una profonda pozza di acqua stagnante.
A fatica cercò di riemergere dalla palude, annaspando nella melma, ostacolato dal peso e dall’ingombro del fucile. Stremato riuscì a raggiungere l’estremità della buca e con le ultime forze si aggrappò alla terra come un naufrago.
L’ufficiale riemerse fradicio e infangato, sputò acqua sporca e ansimò in cerca d’aria. Si fermò per risposare, doveva ammettere che fino a quel momento non aveva mai considerato il rischio di morire affogato.
Appena si fu ripreso decise di proseguire con più cautela, in quel luogo anche la natura non era un nemico da sottovalutare.
Dopo un po’ Richard si ritrovò davanti ad un ampio spiazzo di terra bruciata. Gli unici abitanti di quel piano devastato dalle esplosioni erano le sentinelle bloccate alle loro postazioni e qualche altro vagabondo della notte che come lui aveva il compito di portare a termine la sua pericolosa missione. Tra scambi di parole d’ordine e fugaci avvertimenti il tenente continuò la sua avanzata.
Tornò in completa solitudine quando giunse ai margini del bosco delle granate. L’ufficiale si infilò in un groviglio di rovi, rami intrecciati e alberi sradicati dalle esplosioni. Green faticò a districarsi in quel labirinto e ben presto si ritrovò a vagare a tentoni, inciampando continuamente tra fossi e crateri.
In lontananza continuava ad avvertire il boato dei cannoni e il crepitare dell’artiglieria. Nel buio riuscì a distinguere soltanto linee scure e ombre confuse.
Il tenente esitò, il suo ultimo ostacolo era un’ampia radura scoperta. Decise di attraversarla con una rapida corsa, senza mai fermarsi fino al più vicino riparo. A metà del suo percorso però ebbe modo di scoprire che quel luogo non era stato nominato il bosco delle granate senza una buona ragione. Il terreno iniziò a vibrare, intorno a lui decine di frammenti scoppiarono nell’oscurità. Green fu colpito ad una gamba da una scheggia, l’ufficiale si accasciò a terra gridando dal dolore. Mentre le esplosioni continuarono imperterrite Richard si trascinò fino ad un fosso e si gettò al riparo.
La radura fumante tornò avvolta nel silenzio. Green valutò lo stato della sua ferita, tentò di medicarsi al meglio delle sue possibilità con il kit di pronto soccorso, poi meditò su come avrebbe potuto uscire da quella drammatica situazione.
Dopo qualche tentativo riuscì ad alzarsi in piedi poggiandosi sull'arto sano. Zoppicando mosse qualche passo, ma ricadde miseramente poco dopo. Le fitte alla gamba erano sempre più intense, ormai stremato Green si accasciò accanto ad un vecchio tronco bruciato. I rumori della guerra sembravano provenire da una realtà distante e lontana, l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu l’intenso bagliore dell’ennesima esplosione.

   

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Capitolo 6
*** Il fortino dei dannati ***



VI. Il fortino dei dannati
 

Finn attraversò il campo facendo attenzione a non inciampare sui suoi compagni, i quali erano tranquillamente distesi sull’erba umida ad ammirare il tramonto, godendosi quel raro momento di libertà prima di tornare ad affrontare i lunghi turni di guardia.
Il ragazzo rimase in disparte, davanti a sé vedeva ancora nitide le figure delle due vittime del Barone Rosso, mentre nella sua mente continuava a ricordare le parole del caporale Speller.
La guerra è crudele, non c’è pietà per nessuno.
Non riusciva a smettere di pensare al suo ultimo dialogo con Richard, forse quello sarebbe rimasto per sempre il loro ultimo abbraccio.
Una voce lo destò riportandolo alla realtà.
Un soldato gli porse una gavetta fumante: «tieni, questa è ancora calda»
Il giovane accettò ringraziando il suo compagno, si trattava di Hugh, un soldato con cui aveva trascorso gli ultimi giorni di addestramento. Egli si sedette al suo fianco per consumare la sua cena.
Finn si sforzò di ingurgitare qualche boccone solamente per placare i crampi allo stomaco.
Hugh notò la sua apprensione.
«Qui non ho mai visto nessuno avanzare il pasto» commentò.
Il giovane sospirò: «al momento non è la fame a preoccuparmi…»
«E’ successo qualcosa?»
Finn abbassò lo sguardo restando in silenzio.
«Scusa, non intendevo essere troppo invadente»
«Non è colpa tua, anzi, sei gentile a preoccuparti per me»
«Siamo compagni, dovremmo sempre sostenerci e aiutarci a vicenda. Allora, sei davvero sicuro di non volerne parlare?»
Finn esitò: «in questo momento il mio comandante sta affrontando una missione pericolosa ed io…ecco…ad essere sincero ho paura»
«Posso comprendere il tuo timore, tutti noi siamo preoccupati per la sorte dei nostri commilitoni»
Il ragazzo apprezzò il suo tentativo di conforto, ma era certo che egli non avrebbe mai potuto capire.
«Mi dispiace, purtroppo non possiamo avere alcuna certezza, ma dobbiamo avere fiducia» continuò Hugh.
«Probabilmente non dovrei illudermi con false speranze»
Il suo compagno poggiò una mano sulla sua spalla: «in guerra tutti vivono di speranze»
 
Quella notte Finn rimase alla postazione di guardia in attesa del ritorno del tenente. Sopportò il vento e il freddo senza mai lamentarsi. Continuò ad osservare con sguardo vigile la landa devastata dalle esplosioni nella speranza di scorgere la figura del suo superiore riaffiorare dalle tenebre, ma nessuna anima viva si manifestò in quel deserto.
Stremato dalla stanchezza il giovane soldato rientrò nel rifugio e si rannicchiò nel suo giaciglio. Nella penombra osservò la branda vuota del tenente, provò a non pensare subito al peggio, ma non riuscì a liberarsi dalle proprie preoccupazioni. Così, solo e affranto, si abbandonò a un silenzioso pianto.
 
***

Il tenente Green si risvegliò all’alba, dal suo nascondiglio intravide i primi raggi dorati che filtravano tra il fitto fogliame della foresta. L’ufficiale tentò di muoversi, ma il dolore alla gamba era ancora troppo intenso ed egli dovette sforzarsi come un dannato solamente per strisciare fino all’estremità del fosso. 
Era ormai rassegnato quando ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi, due figure comparvero nella boscaglia. Richard si strinse contro il terreno, la coppia di soldati proseguì lungo il sentiero, ben presto fu in grado di distinguere il suono delle loro voci.
«Per quanto tempo resteremo ancora bloccati qui?»
«Non lo so Jimmy, non sono ancora arrivati nuovi ordini» rispose il suo compagno.
L’altro sbuffò: «noi non siamo altro che carne da macello! Quando i tedeschi ci attaccheranno sarà un massacro»
«Non essere così drammatico, l’ultima volta il capitano Somers ha detto che presto arriveranno dei rinforzi»
«Dannazione Will, a volte sembri davvero un idiota! Il capitano Somers è sempre ubriaco, come puoi credere ai suoi vagheggiamenti?»
Green ascoltò quelle parole senza comprendere a pieno la situazione, ma in quel momento aveva preoccupazioni più urgenti. Quando i due soldati raggiunsero le vicinanze del suo nascondiglio egli riemerse e utilizzò le ultime forze rimaste per richiedere aiuto.
Le sentinelle, sorprese e allarmate, si affrettarono a soccorrerlo.
 
Green venne trasportato in un fortino diroccato, era quasi incosciente quando i suoi soccorritori lo distesero su un rudimentale giaciglio di pagliericcio secco.
Will si prese cura del ferito passando un panno bagnato sulla sua fronte madida di sudore. Jimmy invece rimase ad una certa distanza, ogni tanto gettava uno sguardo alla gamba squarciata del tenente con evidente disgusto.
Lentamente Richard parve riprendersi, ma la sua situazione restava preoccupante.
Ad un tratto un ufficiale comparve sulla soglia, mosse qualche passo all’interno della stanza ed ordinò ai soldati di lasciarlo solo con il ferito. I due obbedirono prontamente.
Il nuovo arrivato si avvicinò al giaciglio fermandosi proprio davanti a Richard. Dopo averlo squadrato con attenzione si presentò con una decisa stretta di mano.
«Sono il tenente Friedman, comandante dell’VIII compagnia e al momento anche di questo fortino»
«Tenente Green, VI compagnia»
«Dunque, come mai si trova qui?» chiese con una certa diffidenza.
«La mia squadra aveva l’ordine di raggiungere la prima linea, ma ho perso i miei compagni e mi sono smarrito nella foresta»
Friedman rimase impassibile.
«La prima linea non esiste più, le nostre difese sono crollate e tutte le unità sono state sparpagliate e disperse nel bosco. Questo fortino è l’ultimo avamposto rimasto, abbiamo il compito di resistere e mantenere la posizione per prepararci al prossimo contrattacco»
Green sussultò: «il prossimo contrattacco?»
«La battaglia potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Tutte le compagnie rimaste in questa zona saranno coinvolte»
Richard rimase sconvolto da quella notizia, inevitabilmente pensò alla sorte del suo plotone rimasto orfano senza comandante.
«Purtroppo non posso fare molto per lei, chiederò al nostro caporale medico di occuparsi della sua ferita, ma dovrà resistere fino all’arrivo dei rinforzi per poter tornare nelle retrovie. Qui abbiamo bisogno di ogni singolo uomo per combattere»
Green comprese a pieno la situazione, così non poté far altro che accettare quella condizione e ringraziare il suo parigrado.
Friedman si congedò lasciandolo nuovamente con i due soldati, i quali passarono il tempo fumando e chiacchierando.
Will estrasse un pezzo di carta dal taschino e iniziò a scrivere.
Il suo commilitone allungò lo sguardo per sbirciarne il contenuto: «si tratta sempre di quella ragazza?»
Egli annuì: «sai, prima di ripartire durante la mia ultima licenza le ho chiesto di sposarmi»
«Davvero? E lei che ha detto?»
Will sospirò: «solamente che ci penserà…»
«Per quale motivo non ha voluto darti una risposta?»
«Perché anche un altro le ha fatto la stessa proposta»
Jimmy scosse le spalle: «se non ha scelto subito te allora non è davvero innamorata. Ascoltami, faresti meglio a non pensare più a lei»
«Tu non puoi capire…sono certo che sia la donna della mia vita, non posso rinunciare a lei così»
«In ogni caso finché sarai bloccato al fronte non potrai fare molto per riconquistarla»
Will fu costretto ad ammettere che il suo compagno aveva ragione, strappò il foglio e con rassegnazione rinunciò alla sua lettera.
«Al momento dobbiamo solo pensare a restare vivi, il resto può aspettare. Che ne sai? Magari quando tornerai a Parigi incontrerai una bella francese e ti dimenticherai di tutta questa storia!»
Richard rimase ad ascoltare i loro discorsi finché non cedette alla stanchezza, pian piano quelle voci giunsero sempre più ovattate fino a diventare soltanto un lontano brusio.
 
***

Il sottotenente Conrad attraversò le strade del villaggio sotto a un intenso fuoco di schegge e proiettili. Appena giunse nel suo settore si affrettò a incaricare una staffetta per avvertire il quartier generale della loro situazione ormai disperata.
Attendendo una risposta iniziò a camminare avanti e indietro nel limitato spazio del suo angusto rifugio. Era assorto tra mille preoccupazioni quando qualcuno si affacciò all’entrata.
«Signore, avrei bisogno di parlare con lei…»
Conrad alzò lo sguardo riconoscendo il giovane attendente del tenente Green.
Il sottotenente prese un profondo respiro: «suppongo che tu sia qui per avere notizie del tuo comandante»
Il ragazzo si limitò ad annuire.
«Purtroppo non ho molto da dirti…il tenente Green è ancora disperso, per ora non sappiamo altro»
Finn tentò di non mostrare troppo apertamente la sua apprensione, almeno nella penombra del rifugio il suo superiore non poteva notare i suoi occhi ancora arrossati dal pianto.
Il giovane si fece coraggio e si decise a porre la fatidica domanda.
«Che cosa è successo?»
Conrad si sedette al tavolo e riempì il suo bicchiere di brandy, non era lieto di ricordare gli eventi della notte precedente, ma sapeva di dover dare a quel ragazzo delle risposte.
«Stavamo avanzando verso il bosco delle granate, avevamo raggiunto i crateri delle paludi quando all’improvviso la squadra è stata dispersa da una pioggia di proiettili. Da quel momento non ho più visto il tenente Green. Ho radunato il resto degli uomini, abbiamo proseguito ancora per qualche metro, ma il fuoco era troppo intenso, così siamo stati costretti a tornare indietro ancora prima di raggiungere i margini della foresta. Questo è tutto, non so cosa sia accaduto al tenente»
Finn ascoltò quelle parole con ansia e preoccupazione.
«Probabilmente è stato ferito, dovremmo mandare una squadra di soccorso a cercarlo!»
Conrad scosse la testa: «dopo ciò che è accaduto non posso mettere a rischio la vita di altri uomini»
«Ma…»
Il sottotenente lo interruppe bruscamente: «mi dispiace ragazzo, ma al momento non possiamo fare nulla. Adesso vorrei essere lasciato solo, ho questioni urgenti di cui occuparmi»
Finn si congedò e con rassegnazione abbandonò il rifugio. Proseguì a testa bassa lungo i camminamenti, tutti i segnali sembravano suggerirgli di arrendersi, eppure dentro di sé sentiva che non era ancora giunto il momento. Era convinto che il tenente fosse ancora vivo e che avesse bisogno del suo aiuto.  
 
***

Il caporale medico Reyes era un uomo tranquillo, nonostante la drammaticità della situazione egli continuava a svolgere il suo lavoro con estrema dedizione.
Il tenente Green intuì immediatamente che egli dovesse essere stimato e ammirato dai suoi commilitoni, così si lasciò calmare dalle sue rassicurazioni e si affidò alle sue mani esperte.
Richard tentò di sopportare il dolore, ma non riuscì a trattenere gemiti sofferenti. Due assistenti furono costretti a tenerlo fermo mentre urlava e si dimenava come un dannato.
«Mi dispiace signore, ma non abbiamo più morfina»
Per il resto dell’operazione Green strinse i denti sperando di svenire per non dover più sopportare quell’atroce tortura. Egli invece rimase cosciente fino alla fine, avvertendo ogni movimento dei ferri nella pelle viva.
Il caporale Reyes si occupò di ricucire l’apertura e medicare con cura la ferita. Quando il suo paziente si fu ripreso lo mise al corrente della sua condizione.
«Purtroppo un frammento è penetrato in profondità, sarebbe stato troppo rischioso estrarlo in queste circostanze…»
Richard sospirò: «se uscirò vivo da questa foresta l’ultimo dei miei problemi sarà avere un pezzo di metallo nella gamba!»
Il medico terminò di sistemare la fasciatura.
«A quanto pare tutto questo non è una novità per lei» commentò notando le altre cicatrici.
«E’ la sesta volta che vengo ferito così gravemente, ormai i dottori mi hanno rattoppato come un vecchio cappotto»
Il caporale accennò un debole sorriso: «adesso pensi a riposare, tornerò più tardi e le porterò qualcosa da mangiare»
Richard ascoltò i suoi consigli, abbandonandosi presto a un sonno profondo.
 
I primi proiettili si abbatterono contro il fortino al tramonto. I muri tremarono a causa dei pesanti colpi d’artiglieria, le esplosioni continuarono con la stessa intensità ad intervalli regolari.
Will e Jimmy iniziarono una lunga e intensa conversazione riguardante la sicurezza del rifugio. Alla fine il tutto si ridusse ad una macabra lista di catastrofi che avrebbero portato inesorabilmente ad un triste epilogo per gli abitanti del fortino.
Verso sera il bombardamento aumentò, grossi calibri sollevarono masse di terra e frammenti di ogni genere si scagliarono al suolo. Green venne trasportato in gran fretta nei sotterranei.
«Che cosa sta succedendo?»
«La battaglia è iniziata, i tedeschi si stanno preparando all’attacco»
Il tenente si allarmò, ciò significava che anche i suoi uomini avrebbero partecipato all’azione.
Quella notte Green non riuscì a chiudere occhio. Non si lamentò per le fitte di dolore che ancora lo tormentavano e nemmeno si spaventò per i colpi sempre più violenti che provocavano crolli e frane nel rifugio. Rimase nel suo giaciglio, immobile, a pensare alla sorte dei suoi compagni e preoccupandosi per Finn, rimasto solo e gettato in mezzo a quell’uragano di fuoco.
 
***

La notizia era giunta poco dopo la mezzanotte. Una staffetta, sfinita per la lunga corsa tra proiettili ed esplosioni, aveva consegnato l’ordine di prepararsi all’attacco. Il giorno seguente l’intero plotone avrebbe dovuto avanzare nel bosco delle granate per rinforzare la difesa.
Il sottotenente Conrad, che aveva l’incarico di comandare l’azione, trascorse l’intera nottata rintanato nel suo rifugio con la sola compagnia della sua preziosa scorta di brandy.
L’unico realmente motivato ad abbandonare il villaggio era Finn, il quale era intenzionato a fare il possibile per trovare notizie del tenente. Era consapevole di non avere molte speranze, ma una parte di sé non voleva arrendersi.
 
I soldati abbandonarono il villaggio all’alba e marciando raggiunsero la loro nuova postazione ai margini della foresta. Gli altri plotoni erano appostati nell’area circostante, l’attacco doveva essere sincronizzato con un secondo battaglione, così il sottotenente Conrad attese pazientemente l’ora prestabilita.
Finn era rintanato in una buca ad imbuto lasciata da una vecchia granata insieme a Hugh e al cadetto Waddington. I suoi compagni erano entrambi nervosi e spaventati, ma facevano del loro meglio per nascondere la paura.
Il ragazzo provò sensazioni contrastanti, ovviamente anch’egli era intimorito dall’imminente battaglia, ma allo stesso tempo era scosso da fremiti di eccitazione. Il tenente Green aveva ragione, quando giungeva il momento di combattere nulla aveva più importanza.
Finn stava riflettendo su queste considerazioni quando ad un tratto il volto cupo del sottotenente Conrad si affacciò davanti al cratere. Il comandante urlò per sovrastare il boato delle esplosioni, era giunto il momento di radunarsi per l’attacco.
L’ufficiale cadetto Waddington fu colto dal panico, si rannicchiò a terra singhiozzando e tremando.
Finn fu costretto ad afferrarlo saldamente per le spalle per tentare di calmarlo. Lo guardò dritto negli occhi e con determinazione lo spronò a reagire: «signore, lei deve essere d’esempio per noi sodati. Questa è una situazione difficile, ma è suo dovere uscire là fuori con coraggio e dignità!»
Waddington non era ancora convinto, ma quelle parole lo riportarono alla realtà. Finn lo spinse a forza fuori dalla buca e immediatamente lo seguì in superficie. Il cielo era coperto da grosse nubi scure e una densa nebbia avvolgeva l’intera foresta.
Un grido d’allarme si diffuse nel campo di battaglia.
«Gas! Gas!»
Finn indossò la maschera, proprio in quel momento l’artiglieria tedesca scoppiò in un tiro spaventoso. Schegge e granate si abbatterono violentemente nella boscaglia, i nemici avevano intercettato l’attacco.  
Finn si ritrovò nel mezzo di una confusione infernale, i suoi compagni correvano ovunque in cerca di riparo.
Sentì le urla del sottotenente Conrad, ma non riuscì a distinguere le sue parole. Ad un tratto avvertì qualcuno afferrarlo per la giacca, Hugh lo trascinò al riparo appena in tempo per evitare una pioggia di schegge.
Finn si riprese in un cumulo di terra e polvere. All’improvviso tornò lucido e determinato a raggiungere il suo obiettivo. Il ragazzo individuò il sottotenente Conrad, il quale stava guidando un piccolo drappello di uomini all’interno della foresta, così senza esitazione lo seguì avanzando nella nebbia e scomparendo tra gli alberi.
 
***

Il tenente Green aveva ormai perso il contatto con la realtà, giaceva inerte nella sua branda tra incubi e allucinazioni dovuti alla febbre. Immagini frammentate e ricordi confusi si susseguivano nella sua mente. Innocenti memorie d’infanzia svanivano per lasciare spazio a raccapriccianti visioni della guerra. Rivedeva volti dei compagni caduti in battaglia, corpi massacrati di anonimi soldati, scenari di morte e distruzione.
All’improvviso davanti ai suoi occhi comparve il volto cereo del soldato Davis con il suo sguardo vacuo e spento.
Si sentiva sempre in colpa per non essere riuscito a portare in salvo il suo commilitone.
Green era ancora addolorato per quella perdita, ma la sagoma del suo amico si tramutò all’improvviso nel corpo orribilmente mutilato del soldato Lane. Rivide il suo sottoposto delirante e ormai moribondo. Sentì ancora i suoi vagheggiamenti e il suo disperato pianto.
Il tenente si agitò nel suo giaciglio, senza però riuscire a sfuggire ai suoi incubi.
In un attimo anche Lane scomparve per lasciar spazio alle urla strazianti e allo sguardo perso e allucinato del soldato Clifford.
Non aveva più avuto sue notizie, ma ricordava con estrema precisione le parole del dottor Jones.

Richard avvertì l’eco di uno sparo, poi tutto divenne buio.
Per un tempo indefinito rimase in quel limbo immaginario. Mentre nella realtà, al di fuori del rifugio, la battaglia progrediva inesorabilmente, il tenente era ancora perso nel mondo dei sogni.
Lentamente si ricreò una visione completamente diversa. Sognò di ritrovarsi al villaggio di Nouex-Les-Mines, in quella piccola camera da letto, con la calda luce delle candele che illuminava il dolce viso del suo attendente.
Ripensò alle sue parole, per quanto ingenue erano sincere. Il suo puro affetto era il suo unico conforto, e anche in quella situazione ormai disperata fu il suo ricordo a donargli speranza. Non poteva arrendersi, non in quel momento. Doveva portare a termine la sua missione, doveva compiere il suo dovere…e doveva tornare da lui.
 
Il caporale Reyes e il tenente Friedman osservarono con aria preoccupata il ferito che continuava ad agitarsi nel sonno.
«Le sue condizioni stanno peggiorando» disse tristemente il medico.
«Per quanto potrà resistere?»
«Purtroppo temo che non gli rimanga molto tempo»
Friedman sospirò: «ho provveduto ad inviare una staffetta a chiedere soccorso, spero che non sia troppo tardi»
«E’ stata una giusta scelta signore»
«E’ compito di un buon comandante occuparsi dei feriti. Ma adesso noi dobbiamo prepararci a combattere, è nostro dovere difendere questo fortino fino alla fine» concluse il tenente.
Reyes rimase colpito dalla determinazione del suo superiore, era certo che egli avrebbe preferito morire piuttosto che ritirarsi davanti al nemico. L’ufficiale sembrava consapevole di stare per affrontare la sua ultima battaglia.
 
***

Finn strisciava nel fango in una nuvola bianca di fosgene. Respirava a fatica attraverso la valvola della maschera antigas, a tratti tentava di scrutare qualcosa oltre alle lenti appannate e infangate. Il sottotenente Conrad guidò i suoi uomini attraverso una fitta pioggia di proiettili.
Finalmente il plotone, o almeno quello che ne restava, raggiunse una piccola casamatta. Finn e Hugh si gettarono dietro ai blocchi di cemento per ripararsi dalle granate.
All’interno i sopravvissuti cercavano disperatamente di resistere al violento attacco. Quando videro arrivare gli uomini di Conrad rimasero tutti delusi, aspettavano dei rinforzi consistenti, invece si ritrovarono con una ventina di soldati stremati e malconci.
Il comandante della casamatta, un maggiore dai folti baffi scuri, discusse animatamente con il sottotenente. I tedeschi avevano ormai circondato l’intera zona, sarebbe stata una follia continuare quella sanguinosa battaglia.
Proprio nel mezzo di quel confronto una staffetta ansante e tremante entrò nel rifugio.
«Vengo dal vecchio fortino. Il tenente Friedman chiede aiuto per soccorrere un ufficiale ferito, si tratta del tenente Green»
Nel sentire quelle parole Finn avvertì una fitta al petto, Richard era ancora vivo. Immediatamente il ragazzo si avvicinò al sottotenente: «signore, dobbiamo fare qualcosa!»
«Siamo nel mezzo di una battaglia, il mio compito è proteggere i miei uomini e non impegnarli in una missione suicida!»
«Si tratta del nostro comandante!» gridò Finn ormai al limite dell’esasperazione.
Conrad rifletté qualche istante, anch’egli avrebbe desiderato poter salvare il tenente Green, ma allo stesso tempo doveva valutare i rischi e i pericoli di una simile operazione.
«D’accordo, potrai andare al fortino se troverai altri due volontari disposti ad uscire là fuori»
Il giovane ringraziò il suo superiore e immediatamente corse a cercare i suoi compagni. Fortunatamente non ebbe molte difficoltà a trovare due commilitoni disposti ad aiutarlo. Il tenente Green era un ufficiale degno di stima e rispetto, tanto che i suoi uomini si offrirono di affrontare il fuoco di un’intensa battaglia per riportare al sicuro il loro amato comandante.
Finn e i suoi compagni attraversarono la radura correndo tra le esplosioni e seguirono la staffetta nella foresta per raggiungere il vecchio fortino.
Il sentiero era preso di mira da un intenso tiro di fucileria, i proiettili fendevano l’aria sopra le loro teste e cadevano ai lati della strada sollevando nubi di povere. Finn continuò a correre senza mai fermarsi, mentre intorno a lui la battaglia tuonava tra boati ed esplosioni egli proseguì imperterrito mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
 
La costruzione in pietra era già mezza distrutta e tremava pericolosamente ad ogni esplosione. Finn e i suoi commilitoni furono accolti dal caporale Reyes, il quale attendeva con ansia il loro arrivo.
Immediatamente il medico portò i soldati dal loro comandante.
Finn si impietosì nel ritrovare il suo superiore in quelle condizioni. Era pallido in viso, il suo corpo era scosso dai brividi della febbre. Il suo petto si muoveva spasmodicamente, respirava a fatica, agognando ogni molecola d’ossigeno.
Il tenente aprì gli occhi, rimase qualche istante attonito, senza avere la certezza di trovarsi in un sogno o nella realtà.
«Finn…» biascicò incredulo.
Il ragazzo gli rivolse un sorriso commosso, avrebbe voluto dire tante cose, ma la presenza dei suoi compagni lo costrinse a trattenersi.
«Non si preoccupi signore, adesso la portiamo al sicuro»
L’ufficiale fu posto su una barella improvvisata e trasportata dai suoi fedeli commilitoni. Al gruppo si unirono anche altri feriti, tutti in condizioni piuttosto pietose.
Il caporale medico accompagnò il piccolo convoglio fuori dal rifugio, i soldati seguirono un percorso contorto per evitare i proiettili che si abbattevano a destra e a sinistra dei camminamenti.
Ai margini della foresta Reyes indicò la strada, ma si fermò all’inizio del sentiero: «addio ragazzi, buona fortuna»
«Dottore…lei non viene con noi?» chiese Finn con stupore.
Il medico scosse la testa: «no, al fortino hanno bisogno di me»
Il giovane si rattristò nel sentire quelle parole, era certo che non avrebbe mai più rivisto quell’uomo, non poté far altro che ammirare la sua dedizione.
Egli ringraziò un’ultima volta il caporale, poi si affrettò a seguire le sue indicazioni. 
 
Finn e i suoi compagni si erano da poco addentrati nel bosco quando ad un tratto avvertirono un enorme boato alle loro spalle.
Il ragazzo si voltò, un intenso fumo nero si innalzò tra le fronde bruciacchiate, il fortino era crollato, colpito in pieno e distrutto da un grosso calibro. Le rovine furono avvolte dalle fiamme.
Finn avvertì un nodo alla gola e gli occhi umidi, ma ben presto fu costretto a tornare alla realtà. La battaglia progrediva sempre più rapidamente e la loro era una corsa contro il tempo.
Il giovane diede il cambio a un portatore e senza più alcuna esitazione riprese quella disperata fuga verso la salvezza.
 
 
 

 
 
Nota dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94, Old Fashioned e Saelde_und_Ehre per le recensioni e il sostegno^^

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Capitolo 7
*** Macerie e fantasmi ***


 
VII. Macerie e fantasmi


La barella, che consisteva in un vecchio un telo legato a due grossi rami, oscillava pericolosamente ad ogni passo. Il ferito gemeva sofferente ad ogni sobbalzo. In un paio di occasioni, quando i proiettili giunsero sempre più fitti, i portatori furono costretti ad abbandonare il carico per gettarsi rapidamente a terra.
Quel periglioso viaggio fu più lungo del previsto poiché il gruppo si smarrì più volte nella foresta infuocata.
Nonostante tutte queste difficoltà Finn continuò ad incitare i suoi compagni, era consapevole di dover fare il possibile per portare in salvo il suo comandante, e a quel punto nulla poteva distoglierlo dal suo obiettivo.
Alla fine i soldati riuscirono a sbucare dal groviglio di rovi e alberi sradicati. Gli echi della battaglia rimbombavano in lontananza, alla luce del crepuscolo risaltava l’accecante chiarore delle esplosioni. Da quella distanza sembravano affascinanti e colorati giochi di luce, ma con lo spaventoso fragore che provocava intensi brividi e tremori quelle fantasie svanivano rapidamente.
Le indicazioni del dottor Reyes risultarono esatte, proseguendo lungo il sentiero trovarono un rifugio adibito a posto di soccorso.
Finn si preoccupò di controllare lo stato del tenente, il quale era pallido e febbricitante. Era stremato, ma ancora cosciente. L’altro barelliere consigliò al ferito di chiudere gli occhi quando si trovarono ad attraversare la strada disseminata di cadaveri. Non era la prima volta che Green assisteva ad un simile scenario, ma in quelle condizioni tutto ciò apparve ancora più macabro e terrificante.
All’interno del rifugio furono accolti dai lamenti e dalle grida dei feriti. Finn insistette per seguire il suo comandante, ma un infermiere lo cacciò via a malo modo. Il ragazzo non poté far altro che scendere con i suoi compagni nel sotterraneo e attendere. La calma presente in quella stanza era quasi irreale, mentre in superficie barellieri e infermieri correvano in continuazione trasportando morti e feriti in quel luogo regnava l’assoluta tranquillità. Un tenente e un capitano erano seduti su delle casse, conversavano e sorseggiavano vino rosso, tranquilli e sereni come se si trovassero in un circolo di ufficiali. Probabilmente entrambi erano rimasti bloccati lì dopo aver accompagnato qualche commilitone ferito ed erano in attesa del cessare dei bombardamenti per tornare sul campo.
Finn si sistemò in un angolo ritrovandosi tormentato da dubbi e incertezze. Aveva fatto tutto il possibile per aiutare Richard, aveva sfidato il fuoco nemico per ritrovarlo e portarlo al sicuro. Ora l’unica cosa che poteva fare era sperare per il meglio.
Pian piano cedette alla stanchezza, si rannicchiò con la schiena contro alla parete umida e lentamente si addormentò.
 
***

Il giorno seguente la situazione peggiorò ulteriormente. Il tenente respirava a fatica, gemendo ed ansimando, assalito dalla febbre. Il capitano pensò di alleviare almeno un po’ le sue sofferenze versando nella sua bocca il contenuto della sua borraccia. Il ferito parve apprezzare il miscuglio di acqua e vino, ma quel piccolo sollievo svanì in fretta. 
Finn e i suoi compagni interrogarono più volte i medici senza mai ottenere una risposta esaustiva. Al di fuori del riparo la battaglia infervorava con minacciosi boati e fragorose esplosioni. Il numero di feriti continuava ad aumentare.
 
Verso sera un’automobile si fermò davanti al rifugio, si trattava del maggiore John Farrell. Egli dopo aver scoperto che il tenente Green era stato gravemente ferito non aveva esitato a correre in suo soccorso.
Quando l’ufficiale entrò nel sotterraneo trovò il suo compagno disteso su una branda di legno, le coperte erano macchiate di sangue. Il medico gli rivelò che riusciva a riposare solamente grazie all’effetto della morfina.
Il tenente non era solo, accanto al suo giaciglio si trovava un giovane soldato, il quale vegliava sul ferito con evidente apprensione.
Farrell dovette esaminare il suo volto con attenzione prima di riconoscerlo, era il ragazzo del rancio. Si sorprese di trovarlo lì, in prima linea avrebbe scommesso che quella recluta non sarebbe riuscita a resistere nemmeno per due settimane.
L’ufficiale si presentò con una vigorosa stretta di mano.
«Dunque tu eri presente quando il tenente è stato ferito?»
«No signore. Appena abbiamo ricevuto la notizia io e miei compagni ci siamo offerti volontari per riportare al sicuro il nostro comandante»
John provò sincero orgoglio nel trovare una tale dedizione da parte dei suoi commilitoni.
«Da questo momento il tenente è sotto la mia custodia, deve essere trasferito al più presto nelle retrovie»
Finn concordò con il suo superiore, ma ritenne anche che il suo compito non fosse ancora concluso. Non poteva lasciare Richard in quel momento. Così prima che Farrell lasciasse la stanza azzardò la sua richiesta.
«Aspetti, signor maggiore!»
L’uomo gli rivolse uno sguardo severo: «che altro c’è?»
«E’ mio dovere assistere il tenente…»
L’ufficiale sospirò: «d’accordo ragazzo, tu verrai con noi. Adesso però dobbiamo andarcene in fretta, non abbiamo molto tempo prima del prossimo bombardamento!»
Il giovane non si fece ripetere due volte quelle parole e rapidamente si mise al servizio del maggiore.
Il ferito venne caricato sul retro della vettura, Finn si accovacciò al suo fianco, John prese posto accanto all’autista, sbatté la portiera e ordinò al suo compagno di mettere in moto. L’automobile partì a tutta velocità lungo la strada sterrata, poco distante iniziarono a cadere i primi proiettili d’artiglieria.
 
La vallata venne presto avvolta dall’oscurità, il sentiero continuava ad essere illuminato dai razzi e dai riflettori nemici. Finn sorreggeva la testa del tenente, preoccupandosi che il ferito non soffrisse troppo a causa dei frequenti scossoni. L’effetto della morfina era ormai svanito, Richard era sveglio, ma restava troppo debole anche solo per parlare. Finn tentò di rassicurarlo.
Green era consapevole della gravità della situazione, ma riuscì comunque a trovare conforto tra le braccia del suo fedele assistente.
L’automobile rallentò la sua corsa nei pressi di un accampamento alleato, si trattava di un distaccamento dei Canadian Corps. In particolare erano soldati del Primo Battaglione, ben riconoscibili dalla toppa rossa sulle loro divise, alcuni avevano anche uno stemma decorato dipinto sull’elmetto.
I canadesi osservarono il veicolo britannico con i loro sguardi cupi, poi tornarono mestamente a svolgere i loro compiti. La vettura sorpassò un triste corteo che trasportava al campo un numero consistente di feriti.
Dopo aver superato quell’accampamento Finn si rese conto del motivo per cui quegli uomini fossero così afflitti. Nei giorni precedenti era stata combattuta una cruenta battaglia, i canadesi avevano conquistato quei metri di terra versando lacrime e sangue.
I razzi illuminarono un ampio deserto di terra bruciata dove erano ben visibili trincee sventrate e profondi crateri. Dal fango riaffioravano corpi putrefatti, le divise lacere e infangate erano irriconoscibili, tedeschi e alleati giacevano uno di fianco all’altro in quell’orrendo scenario di morte e distruzione.
Finn rimase turbato da quel luogo particolarmente inquietante, ebbe quasi l’impressione di scorgere ombre furtive tra la nebbia e l’oscurità.
Il giovane avvertì un intenso brivido, la sua mente iniziava a giocare brutti scherzi.
 
Poco dopo aver raggiunto i binari della ferrovia iniziò una violenta tempesta di acqua mista a neve. Con la strada bagnata, il fango e le pozzanghere, l’autista fu costretto a procedere prudentemente quasi a passo d’uomo. Finn era certo che il telo sopra alla sua testa non avrebbe resistito a lungo, invece la copertura si rivelò in grado di resistere al vento. Il ragazzo strinse la coperta intorno al tenente, egli stesso aveva iniziato a tremare dal freddo, ma le sue uniche attenzioni erano rivolte a Richard.
Il maggiore Farrell batté violentemente un pugno sul metallo.
«Dannazione! E’ solo un po’ d’acqua, forza, a questa velocità non arriveremo mai in tempo!»
L’autista eseguì gli ordini, ma mostrò apertamente il suo dissenso.
«Siamo quasi a corto di benzina, così rischiamo di restare bloccati nel mezzo del nulla!»
Farrell non parve preoccuparsi: «siamo ormai arrivati al prossimo villaggio, di certo troveremo del carburante. Adesso però andiamo, svelto!»
 
Fortunatamente i calcoli del maggiore risultarono esatti. L’automobile raggiunse le rovine di un villaggio dilaniato dai bombardamenti fermandosi a lato della strada principale.
John parve particolarmente soddisfatto per quella sosta di fortuna.
«Perfetto, sono gli uomini del capitano Lewis! Ragazzo, noi andiamo a recuperare una tanica di benzina, resta qui e controlla il tenente. Noi torniamo subito!»
Finn si limitò ad annuire. La pioggia si era tramutata in una leggera nevicata, presto il terreno infangato fu coperto da un sottile manto candido.
Il ragazzo strinse le braccia intorno al ferito, Richard si era nuovamente addormentato. Le sue condizioni parevano stabili, ma questa non era una certezza su cui fare affidamento.
Ad un tratto Finn avvertì un rumore inconfondibile, erano i passi di una marcia, qualcuno si stava avvicinando al villaggio. Dal forte crepitare degli stivali nella neve poté supporre che dovesse trattarsi di un buon numero di soldati.
Poco dopo scorse le prime figure riaffiorare dalla nebbia. Una lunga colonna di prigionieri avanzò tra le rovine. Gli inglesi condussero i nemici sconfitti attraverso il villaggio, probabilmente avevano marciato per l’intera giornata, i vincitori erano esausti e sofferenti almeno quanto i vinti.
Finn osservò i tedeschi passare proprio accanto alla vettura. Alcuni progredivano a testa china, con lo sguardo basso e le lacrime agli occhi, altri invece mantenevano un esemplare contegno, marciando con orgoglio nonostante la sconfitta. I più audaci guardavano gli avversari negli occhi, per dimostrare di essere stati sconfitti sul campo, ma non nello spirito.
Il ragazzo avvertì una strana sensazione, era la prima volta che si trovava davanti al nemico in una simile circostanza. Non provò paura e nemmeno odio, solamente una profonda tristezza. Pensò al suo dovere da soldato, presto sarebbe tornato a combattere, e il suo compito sarebbe stato uccidere uomini come loro.
Lentamente la massa di soldati scomparve lungo la strada.
Finn era ancora assorto in quei pensieri quando ad un tratto avvertì la voce del maggiore Farrell.
«Forza Ronnie, sbrigati a riempire quel serbatoio!»
Il giovane tornò rapidamente alla realtà.
John diede una rapida occhiata al tenente, l’espressione sul suo volto non fu affatto rassicurante.
«Ecco signore, siamo pronti a partire!»
«Bene, allora andiamo! Abbiamo perso anche troppo tempo!»
 
***

Il tenente Green fu portato in un ospedale militare situato accanto ad una vecchia stazione. Finn aveva ormai perso il senso dell’orientamento, i paesi sembravano tutti uguali, deserti e diroccati. Domandò a un sottufficiale il nome del luogo, ma lo dimenticò rapidamente. Non aveva molta importanza, la sua principale preoccupazione era occuparsi del suo superiore. 
Purtroppo il tenente avrebbe dovuto attendere, l’ospedale era gremito di feriti. Il maggiore Farrell tentò di insistere, le sue urla echeggiarono per l’intero corridoio, ma non servirono a risolvere nulla.
Alla fine l’ufficiale si allontanò con indignazione, dopo aver calmato i nervi si presentò davanti al giovane attendente.
«Non posso restare qui, devo raggiungere Arras prima dell’alba. Tornerò appena possibile, abbi cura di Richard»
«Certo signore»
John fu dispiaciuto per esser costretto a separarsi dal suo compagno, in ogni caso si fidava di quel ragazzo. Non sapeva per quale ragione, ma era certo di aver lasciato l’amico con la persona giusta.
 
Finn si ritrovò in una piccola stanza fredda e spoglia. Il tenente era stato sistemato su una branda, aveva i pantaloni della divisa fradici di sangue e respirava sempre a fatica.
Il ragazzo si avvicinò, Richard aveva gli occhi chiusi, i capelli umidi e scompigliati erano appiccicati al volto pallido e madido di sudore.
Egli passò delicatamente un panno sulla sua fronte e rimase pazientemente seduto al suo fianco.
Dopo un tempo che parve infinito due assistenti giunsero finalmente a prelevare il tenente. Finn, ormai esausto, si accasciò sulla sedia. Doveva solo sperare che non fosse troppo tardi.
 
***

Il tenente riprese conoscenza nella grande sala operatoria, un medico stava cercando di sciogliere la fasciatura che si era attaccata alla sua gamba, diventando un tutt’uno con il sangue raffermo del suo polpaccio.
Green lanciò un grido di dolore, il quale si disperse tra le urla degli altri soldati sofferenti. Presto si accorse di non avere il diritto di lamentarsi, mentre quel dottore era alle prese con la sua ferita infettata intorno a lui venivano amputati arti e trapanate ossa. Nonostante tutto Richard dovette ritenersi fortunato.
Mentre era disteso su quel tavolo tentò di ricordare l’accaduto. Dopo la sua fuga dal fortino nella sua mente erano presenti solamente frammenti confusi. Ricordava un rifugio nella foresta, il rumore di un motore e la voce del maggiore Farrell, ma l’elemento principale nella sua memoria era la presenza di Finn. Quel ragazzo aveva disobbedito ai suoi ordini e aveva messo a rischio la sua stessa vita per portarlo al sicuro. Richard tentò di fare ordine nei suoi pensieri, ma pian piano anche quei ricordi divennero sempre più confusi. Senza accorgersene cadde nuovamente in un sonno profondo.
 
***

Finn si era addormentato su una panca nel lungo corridoio dell’ospedale. Si risvegliò avvertendo le urla sofferenti dei feriti.
Un’infermiera notò il suo sguardo perso e disorientato, la giovane donna si rivolse a lui in modo pacato e gentile.
«Sta cercando qualcuno?»
«Sono l’attendente del tenente Richard Green, è stato operato questa notte…non ho più avuto sue notizie» disse con tono preoccupato.
Lei assunse un’aria pensierosa: «il tenente Green? Attenda un attimo…»
L’infermiera si allontanò per controllare un elenco di nomi e tornò poco dopo. Il ragazzo osservò attentamente la sua espressione, non sembrava né triste né afflitta, dunque forse non erano cattive notizie.
«Il suo superiore è stato trasferito in un altro reparto, mi segua, l’accompagno»
Finn parve riprendersi dopo aver udito quelle parole, non sapeva ancora in che condizioni si trovava Richard, ma fu un enorme sollievo anche solo sapere che era sopravvissuto.
Il giovane seguì la donna vestita di bianco lungo i passaggi stretti e ostruiti dalle barelle, salì una rampa di scale e percorse l’ennesimo corridoio.
L’infermiera tentò più volte di iniziare una conversazione con il giovane soldato, ma lui non si mostrò particolarmente propenso al dialogo, voleva solamente rivedere il tenente al più presto possibile.
Alla fine la donna lo lasciò davanti ad una porta aperta, dall’interno giungevano lamenti e brusii.
Finn entrò immediatamente, la stanza era abbastanza ampia ed erano presenti un buon numero di letti. Nonostante ciò una rapida occhiata fu sufficiente per individuare il suo comandante.
Il tenente si era appena risvegliato, era ancora debole, ma appena riconobbe il suo attendente il suo sguardo si illuminò.
«Finn…sei qui»
Egli rispose con un incoraggiante sorriso.
Green mantenne lo sguardo fisso sul suo assistente.
«Hai rischiato la vita per salvarmi…»
«Non avrei mai potuto abbandonarti»
L’ufficiale si commosse nel sentire quelle parole.
Richard strinse la mano del suo assistente, in quel momento non trovò altro modo per esprimere la sua sincera e profonda gratitudine.
«Questa volta hai fatto la scelta giusta affidandoti al tuo istinto, ma devi promettermi che non disobbedirai mai più ai miei ordini»
Il ragazzo annuì, sorpreso che anche in una simile circostanza il suo superiore avesse trovato il modo di rimproverarlo, seppur benevolmente.
 
Da quel momento Finn non abbandonò più la sua postazione a fianco del letto del tenente. Trascorreva le giornate prendendosi cura del ferito, svolgendo ogni compito con estrema dedizione.
Poiché per la maggior parte del tempo Richard riposava sotto l’effetto della morfina il giovane si ritrovò a riflettere su tante cose. Principalmente pensava alla guerra. Decine di immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, spesso erano piccoli particolari a restare impressi nella sua memoria e a turbarlo anche a distanza di molto tempo. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva i lampi delle esplosioni e avvertiva l’eco dei bombardamenti. Inevitabilmente pensò alla sorte dei suoi compagni. Il sottotenente Conrad era riuscito a difendere la casamatta? Forse era stato costretto alla ritirata, oppure nel peggiore dei casi aveva affrontato la sua ultima battaglia.
Altre volte invece si soffermava ad osservare Richard che dormiva con il viso dolcemente poggiato al cuscino, in quei casi si domandava cosa ne sarebbe stato di loro.
Puntualmente quei vagheggiamenti venivano bruscamente interrotti dai lamenti degli altri feriti che riportavano il giovane alla dura realtà.
Il vicino di letto del tenente era un soldato a cui avevano amputato la gamba destra, nonostante la sua difficile condizione egli aveva sempre un atteggiamento ironico e irriverente. Per i feriti era una buona distrazione, risollevava gli animi garantendo ai presenti un po’ di intrattenimento e divertimento. 
Purtroppo egli era l’unico ad aver accettato in modo sereno la sua situazione, gli altri erano ormai rassegnati a un triste destino.
Finn era rimasto impressionato da un particolare paziente. Si trattava di un giovane che era stato colpito da una granata, una scheggia gli aveva asportato metà del volto. Era legato al letto poiché era capitato che, in un momento di estremo sconforto, il ferito avesse tentato di raggiungere la finestra aperta per buttarsi di sotto.  
Finn provava un certo timore nei suoi confronti, la prima volta era quasi sobbalzato per lo spavento nel notare quel viso orribilmente deturpato. Ciò che più lo inquietava però erano i suoi lancinanti lamenti notturni. Quel giovane doveva soffrire come un dannato, ma nessuno poteva fare qualcosa per aiutarlo.
Con il tempo Finn smise di temere quel poveretto, provando per lui solamente pietà e compassione.  
 
***

Quando il maggiore Farrell tornò a far visita al suo commilitone fu felice di notare i suoi miglioramenti. Il tenente Green era ancora debole e affaticato, ma lentamente si stava rimettendo in forze.
La loro conversazione fu breve, ma d'altra parte non avevano molto da dirsi. Richard si ritrovò a ringraziare il suo compagno in modo alquanto impacciato.
John si limitò a rispondere con frasi di circostanza.
«Sono certo che tu avresti fatto lo stesso. Adesso però non preoccuparti, devi solo pensare a riprenderti»
Green gli diede retta tornando a distendersi sul suo giaciglio.
Il maggiore rimase ancora per un po’ al suo fianco per informarlo sull’esito delle ultime battaglie.
«A nord abbiamo ottenuto buoni risultati, con l’aiuto dei nostri rinforzi i canadesi hanno conquistato Vimy. L’avanzata lungo le rive de La Scarpe invece rimane bloccata, non siamo ancora riusciti a superare lo sbarramento nemico»
Richard lo ascoltò con interesse, soffriva fortemente per la lontananza dal suo plotone, che era diventato per lui come una sorta di famiglia. Fu lieto di sapere che i suoi uomini chiedevano costantemente sue notizie e che attendevano con impazienza il suo ritorno. Era ormai certo che avrebbe riottenuto il comando giusto in tempo per la prossima grande offensiva.
Alla fine Farrell si avvicinò al letto per congedarsi, poggiò una mano sulla spalla dell’amico e lo incoraggiò con un benevolo sorriso.
«Abbi cura di te, spero di rivederti presto» concluse con un ultimo saluto.
 
***

Richard riprese lentamente a camminare. Ogni pomeriggio l’ufficiale lasciava l’ospedale zoppicando per una breve passeggiata. Poiché le sue condizioni miglioravano di giorno in giorno i medici non si opposero a questa sua iniziativa.
L’ufficiale e il suo assistente si ritrovarono a camminare lungo un canale fangoso, tra cumuli di macerie e alberi bruciati. In quel momento Richard fu colto da una profonda malinconia, forse era stata tutta quella desolazione a destare in lui certi ricordi, oppure la sua condizione l’aveva portato ad affrontare il suo passato. In ogni caso non riuscì a liberarsi da quella intensa sensazione di sconforto.
Finn notò il suo turbamento.
«Qualcosa non va?»
Richard abbassò lo sguardo, sapeva che Finn era l’unico con cui potesse confidarsi, eppure non era certo di voler affrontare quell’argomento. Dopo qualche incertezza si decise a rivelare la verità.
«Si tratta di mio fratello Albert, a volte mi capita di pensare a lui…»
«Non mi hai mai parlato di tuo fratello»
Il tenente distolse lo sguardo: «già, credo di non averne mai parlato con nessuno»
Finn attese in silenzio, era la prima volta che vedeva il suo superiore così afflitto.
«Io e mio fratello eravamo molto uniti, quando scoppiò la guerra egli si arruolò subito come volontario ed io non esitai a seguirlo pochi mesi dopo. Quando terminai l’addestramento venni assegnato al suo stesso reggimento. Io ero ancora una semplice recluta, Albert invece aveva già una buona esperienza ed aveva ottenuto la carica di sottotenente. Era un buon comandante, i suoi uomini lo ammiravano e lo stimavano. Erano tutti convinti che avrebbe fatto carriera nell’esercito e che di certo si sarebbe guadagnato almeno un’onorificenza prima della fine della guerra»
Finn non si sorprese nello scoprire le qualità del fratello del tenente.
Richard esitò prima di riprendere il suo racconto.
«Per un certo periodo combattemmo nella stessa area nelle trincee delle Fiandre, ma riuscimmo a vederci solamente in rare occasioni. Durante il nostro ultimo incontro notai che qualcosa in lui era cambiato. Con il tempo ho imparato a riconoscere lo sguardo di coloro che si sono arresi alla guerra, ma quella notte non riuscii a capire. Ebbi solamente la sensazione di non trovarmi più in compagnia di mio fratello, ero già davanti al suo spettro. Ad essere sincero mi era capitato di pensare alla morte di Albert. Ovviamente la consideravo una perdita irreparabile, ma d’altra parte eravamo al fronte, tanta gente moriva ogni giorno, non potevo essere così ingenuo ed egoista da non considerare questa eventualità. Albert però non cadde in battaglia, il suo non fu un sacrificio eroico. Si suicidò con la sua pistola, si sparò un colpo in testa. Trovarono il suo cadavere in una pozza di sangue»
Green rivelò tutto ciò con voce tremante, a stento trattenne i singhiozzi.
«Inizialmente non riuscii a comprendere il suo gesto. Mio fratello non era un codardo, non ritenevo possibile che si fosse ucciso per paura della guerra. Anche al giorno d’oggi non conosco le vere motivazioni che lo hanno indotto a porre fine alla sua vita, ma posso capire meglio la sua situazione. In trincea non si ha alcuna certezza, ci si trova di fronte alla morte in ogni momento, e basta davvero poco per perdere il controllo»
Finn si rattristò nel sentire quella confessione, avrebbe desiderato alleviare quel profondo dolore, tutto ciò che poté fare in quel momento fu accogliere il suo superiore in un abbraccio.
L’ufficiale strinse il giovane a sé, quel contatto servì a calmarlo.
«Fino ad ora ho semplicemente finto che Albert non fosse mai esistito. E’ rimasto come un fantasma imprigionato nella mia memoria, suppongo che fosse giunto il momento di liberarmi da tutto questo»
Finn guardò Richard negli occhi: «sono certo che se tuo fratello potesse vederti in questo momento sarebbe orgoglioso di te»
Il tenente apprezzò quelle parole, forse era anche per quello che aveva deciso di dedicarsi con tanta dedizione al proprio dovere, in un certo senso era un suo modo per omaggiare e mantenere vivo il ricordo di Albert.

Nell’ultimo tratto di strada Finn sorresse il suo superiore, ormai stanco e affaticato. Erano quasi giunti alle mura dell’ospedale quando avvertirono un forte rombo di motori.
Un piccolo convoglio entrò nel villaggio, i soldati si mostrarono particolarmente allegri ed entusiasti.
Un furgone sostò a lato della strada, così il tenente ne approfittò per chiedere il motivo di quella eccitazione.
«Abbiamo conquistato Gavrelle, il prossimo obiettivo è Roeux! Presto marceremo lungo la strada di Cambrai!»
Richard pensò che quei soldati fossero decisamente troppo ottimisti, inebriati dall’ultima vittoria, ma non si sentì di rovinare loro quel momento. Il tenente rifletté sulla situazione, presto avrebbe potuto lasciare quel tetro ospedale per tornare al fronte.
La sua unica certezza era che avrebbe potuto continuare a fare affidamento sul sostegno e il supporto di Finn, ed egli avrebbe tentato di fare altrettanto, restando fedele alla sua promessa.

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Capitolo 8
*** Ritorno al fronte ***



VIII. Ritorno al fronte
 
Il tenente Green si era ormai rassegnato al fatto di dover svolgere compiti alquanto noiosi prima di poter tornare in prima linea. Le ferite si erano rimarginate, ma ancora non riusciva a camminare bene. Così non rimase particolarmente sorpreso quando ricevette l’ordine di occuparsi di un settore distrutto dai vecchi bombardamenti e ormai abbandonato.
Richard avrebbe preferito ricongiungersi con il suo reggimento al più presto possibile, ma poiché le circostanze glielo impedivano dovette accettare quell’ingrato incarico. D’altra parte poteva sempre contare sulla compagnia del suo fedele assistente, e questo era più che sufficiente.
 
Finn si guardò intorno, un’informe massa color kaki si muoveva scoordinatamente tra i binari della stazione. Gli uomini che tornavano dal fronte erano mesti e cupi nelle loro divise lacere, mentre i nuovi arrivati, timorosi ed irrequieti, profumavano ancora di pulito. Ovunque regnava una gran confusione, alcuni soldati correvano rapidamente saltando le rotaie per non perdere il cambio, altri invece attendevano da ore l’arrivo del loro treno.
Finn seguì il tenente all’interno della carrozza, in quel momento fu grato al fatto di viaggiare in compagnia di un ufficiale, almeno ciò gli permetteva di usufruire di certe comodità. In quel caso poté evitare di finire in un vagone dove i soldati erano costretti a farsi spazio a gomitate, restando comunque stipati come sardine in scatola.
Lo scompartimento era tranquillo e abbastanza spazioso. Richard sistemò lo zaino e il fucile, poi prese posto in cabina, il suo attendente si sistemò al suo fianco, accanto al finestrino.
Di fronte a loro era seduto un giovane capitano dall’aria fresca e riposata, il che faceva intuire che fosse appena tornato dalla sua licenza. L’ufficiale si dimostrò alquanto amichevole e loquace ed iniziò subito a conversare con il tenente Green. Ovviamente parlarono della guerra, ma presto si preferì trattare altro. Richard era un buon conversatore, aveva ricevuto un’ottima educazione e sapeva discutere in modo esaustivo di svariati argomenti tra cui arte, teatro, musica e poesia. Poiché anche il capitano condivideva i medesimi interessi in quell’occasione poté avere un adeguato interlocutore.
Finn rimase ad ascoltare i loro intensi discorsi, in quel momento non poté far a meno di notare le profonde differenze sociali tra lui e il tenente. Green proveniva da una buona famiglia ed era evidente che in passato fosse solito a frequentare ambienti borghesi. Egli invece era cresciuto in uno squallido quartiere operaio, ai tempi della scuola non aveva imparato molto di più che leggere e scrivere, e prima di partire per la guerra era stato solo un semplice garzone.
Simili pensieri non l’avevano mai turbato prima d’ora, era certo che il loro legame non avesse niente a che fare con tutto ciò, eppure le prime incertezze e insicurezze cominciarono a concretizzarsi.
Finn tentò comunque di non dare troppa importanza a questioni che probabilmente la guerra avrebbe tenuto lontane ancora per molto tempo.
Quando il capitano giunse alla sua fermata si congedò quasi con rammarico.
«E’ stato un piacere, la ringrazio per la compagnia. Auguro a lei e al suo assistente un buon proseguimento e, per quanto possibile, un buon ritorno al fronte»
Richard lo ringraziò e lo salutò con un cenno.
Dovevano essere ormai giunti al confine poiché la carrozza iniziò a svuotarsi, dopo una breve pausa per lo scarico delle merci la locomotiva ripartì fischiando.
Finn osservò il triste paesaggio che scorreva davanti ai suoi occhi, notando le campagne deserte, i campi bruciati e le rovine devastate dalle esplosioni. Nella sua mente riaffiorarono pensieri tetri e malinconici. Ripensò al giovane dal volto sfigurato e agli altri feriti dell’ospedale. Aveva conosciuto l’ennesimo lato oscuro della guerra, e questa volta era ben consapevole di ciò che lo avrebbe atteso al fronte.
Era ancora tormentato da queste preoccupazioni quando Richard lo riportò alla realtà. L’ufficiale sfiorò la sua mano, fu un gesto quasi impercettibile, ma per giovane quel contatto fu intenso come una scossa elettrica. Finn si voltò verso il tenente, il quale gli rivolse un incoraggiante sorriso.
Il giovane si rassicurò, nonostante tutto si sentiva sempre al sicuro accanto al suo comandante. Con questa ritrovata serenità Finn si concesse di cedere alla stanchezza. Ascoltando il ritmico rumore delle rotaie il ragazzo chiuse gli occhi e lentamente si assopì poggiando la testa sulla spalla del suo superiore.
 
Il treno si fermò prima del previsto, un recente bombardamento aveva colpito i binari interrompendo la linea ferroviaria, così i passeggeri furono costretti a proseguire con altri mezzi. Il tenente Green ottenne un posto d’onore su un affollato Crossley Tender, dove i soldati si adoperarono per offrire un comodo giaciglio a un valoroso ufficiale che era stato ferito in battaglia.
Richard non era abituato a simili attenzioni, a differenza di altri suoi commilitoni non aveva mai approfittato della sua autorità.
Anche quel viaggio risultò lungo e travagliato, il furgone trovò diversi ostacoli lungo il percorso ed ogni volta il mezzo era costretto ad interrompere la marcia per permettere ai soldati di liberare la strada.
Durante le lunghe attese i suoi compagni si mostrarono particolarmente interessati alla sua storia, tanto che ben presto iniziarono a tempestarlo di domande. Mentre l’ufficiale rimase alquanto schivo nel rispondere il suo assistente fu lieto di narrare le vicende che vedevano come protagonista il suo comandante.
«Certo che hai davvero una bella fantasia» commentò Richard al termine del viaggio.
«Ho narrato loro solo la verità» replicò Finn.
«Davvero? Sicuro di non aver esagerato nemmeno un po’?»
«Be’, per raccontare bene una storia bisogna concedersi qualche piccola modifica dalla realtà»
Green rispose con un ironico sorriso: «se i tuoi racconti fossero stati veri di certo adesso avrei una medaglia al petto»
«In ogni caso la meriteresti, tutti concordano sul fatto che sei un ottimo comandante»
L’ufficiale scosse la testa, ma in fondo si mostrò divertito dall’accaduto.
 
***

Il tenente Green rimase profondamente deluso quando raggiunse la sua nuova postazione. Egli aveva ottenuto il comando di uno sperduto punto di osservazione sul versante deserto di una collina. In quella zona non si combatteva più da tempo, ma da quell’altura si poteva avere una buona visuale delle trincee situate giù a valle. Così qualcuno doveva restare isolato sul colle per controllare la situazione.
Richard si ritrovò a dover svolgere un lavoro monotono e ripetitivo. Per la maggior parte del tempo studiava il campo di battaglia annotando ogni anomalia. Segnava i punti in cui cadevano le bombe e le traiettorie dei proiettili d’artiglieria, quando un settore sotto la sua sorveglianza veniva colpito riferiva tutto a un caporale, il quale provvedeva a partire con una squadra di pronto intervento per riparare i reticolati e svolgere altri compiti di manutenzione. Il tenente avrebbe preferito strisciare insieme a loro nei crateri fumanti piuttosto che restare bloccato nella sua tana. Richard aveva sempre vissuto il conflitto nel mezzo dell’azione, quella pausa forzata gli fu imposta come una terribile punizione. Essere testimone della guerra senza poter fare nulla era una tortura per un uomo come lui. Questa sua frustrazione diventava sempre più evidente, tanto che spesso i suoi sottoposti avevano la sensazione di avere a che fare con un leone in gabbia.
Una mattina il caporale tentò di confortarlo: «mi creda signor tenente, quando tornerà laggiù rimpiangerà questi giorni»
Green rispose sbuffando: «il mio dovere è guidare e proteggere i miei uomini, da qui non posso fare nulla di tutto ciò»
«Lei è un ufficiale molto legato al suo dovere, e questo le fa onore. Altri preferiscono mantenere la pelle al sicuro, si limitano a restare rinchiusi nei loro rifugi e a impartire ordini senza correre alcun pericolo»
«Bisogna creare un rapporto di fiducia con i propri uomini, il cameratismo è importante»
«Già, non si può combattere a fianco dei propri compagni se non si ha completa fiducia in loro. Personalmente, signor tenente, non esiterei nemmeno un istante ad affidare la mia vita nelle mani dei miei commilitoni»
Richard rimase piacevolmente sorpreso da quella risposta, entrambi la pensavano allo stesso modo.
«Dunque credo che lei possa comprendere il motivo per cui desidero andarmene da qui il prima possibile»
«Ovviamente, ma la guerra non concede seconde possibilità. Se posso permettermi, le consiglio di godersi questo periodo di riposo»
Dopo aver detto ciò il caporale si congedò e scomparì dal rifugio con gli ordini della giornata.
Richard rimase per ore immobile alla sua postazione, in quella cava umida il freddo era ormai insopportabile. La trincea nemica restava calma e silenziosa, per tutto quel tempo non accadde nulla di particolare. Soltanto echi distanti segnalavano che la guerra stava progredendo da qualche parte oltre alle sponde de La Scarpe.
Il tenente sospirò osservando l’orologio, la fine del turno era ancora lontana.
 
A volte i tedeschi uscivano dalle trincee, ciò non accadeva solamente durante gli attacchi. C’erano distaccamenti che dovevano raggiungere altri settori, esploratori in avanscoperta, e anche semplici soldati che si erano persi vagando nella terra di nessuno.
In quelle occasioni Richard scorgeva quegli uomini muoversi disordinatamente nella landa desolata, per poi cercare rapidamente un riparo quando gli shrapnels iniziavano a cadere, o quando qualche cecchino decideva di aprire il fuoco.
Il tenente osservava sempre con interesse questi eventi, dalla sua postazione poteva ben studiare il nemico. Le reclute erano spesso incaute e percorrevano le strade più scoperte, dove erano facili bersagli per i tiratori di prima linea. Imparavano in fretta la lezione, appena avvertivano gli spari si gettavano a terra con uno scatto e strisciavano fino al primo fosso. A volte però questo era un errore che costava caro.
I veterani invece procedevano sicuri, conoscevano bene il territorio, e anche quando i proiettili cadevano vicino a loro non abbassavano nemmeno la testa. Sapevano riconoscere quali erano le pallottole da temere, quando anch’essi correvano al riparo allora c’era realmente da preoccuparsi.
Richard poté constatare che tra i due schieramenti non c’erano poi molte differenze, in certe situazioni le dinamiche umane, guidate dall’istinto e dall’esperienza, restavano sempre le stesse. 
L’ufficiale continuò a scrutare la linea nemica, anche quella volta la sua comunicazione per il quartier generale sarebbe stata la stessa, senza nulla di nuovo da segnalare.
 
Green emise un sospiro di sollievo quando un altro ufficiale giunse per il cambio. Al termine di quell’estenuante turno finalmente poté lasciare la sua postazione.
Come ogni sera il tenente tornò al villaggio situato ai piedi della collina per il meritato riposo. Si trattava di un luogo tranquillo, dimenticato anche dalla guerra. Raramente un’ombra solitaria vagava tra le rovine per poi sparire in qualche sotterraneo. Il tenente Green non aveva idea di chi altro avesse trovato riparo tra quelle macerie, le distanze tra i rifugi erano così ampie da isolare i pochi abitanti.
Richard però non era solo, al suo ritorno trovava sempre Finn ad attenderlo. Quello era l’unico luogo dove potevano essere semplicemente se stessi, liberandosi dai loro ruoli e dimenticando ogni formalità. Quei momenti erano sempre più rari e preziosi.
 
Il tenente era seduto a terra davanti al camino, tra le dita stringeva una sigaretta che meccanicamente si portava alle labbra con aria assorta. Finn si sistemò al suo fianco, senza dire nulla poggiò la testa sulla sua spalla e restò ad osservare le fiamme che danzavano nell’oscurità.
Richard consumò la sua sigaretta con calma, volle godersi quell’istante al più lungo possibile, così da poterlo imprimere nella sua mente per quando tutto ciò sarebbe svanito.
Una lontana esplosione interruppe il silenzio, poi tutto tornò avvolto dalla quiete della notte.
Richard mise un braccio intorno alla vita del suo attendente avvicinandolo a sé, il ragazzo si rannicchiò contro il suo petto. I due rimasero a lungo immobili, stretti in quell’abbraccio. Poterono avvertire il ritmo del loro respiro e i battiti dei loro cuori, così vicini da confondersi.
Non furono in grado di stabilire chi avesse preso l’iniziativa, ma all’improvviso si ritrovarono a baciarsi con ardore e passione. Finn si strinse al tenente afferrando la stoffa della sua camicia. Richard accarezzò delicatamente il suo volto e passò le dita tra i suoi ricci biondi. Entrambi divennero presto impazienti, ogni giorno era sempre più difficile nascondere il loro profondo legame. Piccoli gesti e parole sussurrate non erano più sufficienti per appagare il desidero sempre più prorompente che provavano l’uno per l’altro.
Freneticamente iniziarono a spogliarsi mentre nella penombra raggiunsero il più vicino giaciglio.
Finn si sdraiò sulla schiena, l’ufficiale rimase ad ammirare la sua figura. Il suo volto era illuminato dalla calda luce del falò, i suoi capelli risplendevano di riflessi ramati e le sue iridi celesti brillavano nell’oscurità.
Il ragazzo allungò le braccia per attirare il compagno a sé, egli si lasciò catturare dal suo abbraccio ritrovandosi steso su di lui. I loro corpi aderirono uno all’altro, Richard si chinò sul giovane lasciando una scia di baci sul suo collo, poi sussurrò dolcemente al suo orecchio.
«Ti amo»
Finn rispose con un timido sorriso: «anche io ti amo»
L’ufficiale si soffermò ad osservare il suo assistente negli occhi, dopo di che si avventò su di lui, aveva resistito anche troppo a lungo. Finn gli gettò le braccia al collo, poi le sue mani passarono smaniosamente tra i suoi capelli arruffati, dietro alla nuca e sul suo viso mentre ripresero a scambiarsi baci appassionati.
Il tenente avvertì il desiderio crescere come una fiamma implacabile dentro di sé, era ormai sul punto di perdere il controllo. Tornò a prestare attenzione al corpo del suo attendente, sfiorando il suo petto e cingendo i suoi fianchi. Finn ansimò abbandonandosi completamente a quelle sensazioni sempre più intense.
Richard si lasciò trasportare dalla passione del momento, strinse il suo compagno con veemenza, aumentò il ritmo, affondando in lui con spinte forti e decise.
Osservò il viso accaldato del ragazzo, il quale aveva gli occhi socchiusi mentre la sua espressione era contratta in uno spasmo di piacere. Avvertì il suo corpo fremere sotto di lui, queste reazioni non fecero altro che accrescere ancora di più la sua eccitazione.
Finn si aggrappò alle forti spalle del tenente stringendolo ancora più a sé. Richard cercò bramosamente le sue labbra, soffocando i suoi gemiti con intensi baci.
 
Richard rimase sveglio nella penombra del rifugio, Finn si era addormentato tra le sue braccia. Il tenente sfiorò delicatamente il suo viso, in quel momento ripensò al loro primo incontro. Erano cambiate tante cose da allora, il suo assistente aveva dimostrato di possedere coraggio e dedizione. Egli aveva molto da imparare, era ancora inesperto, troppo emotivo e impulsivo, ma di certo non era più una recluta impaurita.
Green ricordò con affetto quel timido e impacciato ragazzo del rancio. Già dal primo momento aveva notato qualcosa di diverso in lui, in qualche modo aveva capito che erano destinati ad affrontare insieme quel conflitto, sostenendosi ed aiutandosi a vicenda.
Richard osservò il volto del giovane, nonostante tutto restava ancora puro e angelico. Provò una certa tristezza al pensiero che presto la guerra avrebbe portato via anche la sua innocenza, ma fu costretto a considerare che ciò sarebbe stato inevitabile.
Pian piano richiuse gli occhi, addormentandosi con la consapevolezza che quando sarebbe tornato in prima linea avrebbe avuto al suo fianco sia la persona amata che un buon soldato.
 
***

Il tenente Green dovette attendere l’inizio dell’estate per potersi ricongiungere alla sua compagnia. L’ufficiale aveva continuato a seguire con attenzione l’andamento del conflitto ed era certo che l’obiettivo principale delle forze alleate fosse Cambrai. Rimase sorpreso nello scoprire che il suo intero reggimento presto sarebbe stato trasferito a nord per combattere sul fronte di Ypres.
La notizia era giunta quasi all’improvviso, Richard si trovò impreparato all’idea di tornare nelle Fiandre. Aveva lasciato quelle terre ormai da due anni, durante i quali non aveva avuto tempo né per i ricordi né per i rimpianti. In quel momento però si ritrovò ad affrontare tutto il dolore che aveva sempre racchiuso dentro di sé. Nei suoi incubi fu costretto a rivivere costantemente ogni terribile battaglia.
Le preoccupazioni del tenente si affievolirono quando egli si riunì con i suoi uomini, i quali lo riaccolsero con sincero affetto e commozione.
Quella sera il sergente Redmond decise di festeggiare con le ultime scorte di birra, e ovviamente propose un brindisi in onore del benvoluto ufficiale.
Richard apprezzò quel gesto, fu felice di scoprire che nulla era cambiato.
Redmond lo incoraggiò con una paterna pacca sulla spalla: «bentornato signor tenente, adesso siamo davvero pronti a tornare in prima linea»
 
Richard avvertì una strana sensazione nel rivedere le campagne fiamminghe. I paesi e le fattorie apparivano quieti e tranquilli agli occhi di un ignaro visitatore, ma Richard conservava dolorosi ricordi legati ad ognuno di quei luoghi. Finn ebbe modo di conoscere il cruento passato di quelle terre quando il plotone sostò nei pressi di un cimitero militare, dove lunghe file di tombe occupavano interi campi. Molte erano costituite da semplici croci di legno, alcune erano rimaste anonime, destinate ad essere dimenticate.
Il ragazzo vagò tra le lapidi abbandonandosi allo sconforto. Era ormai giunto il tramonto, il sole scomparve oltre alle colline mentre nel cielo roseo apparvero le prime stelle. Quell’atmosfera, avvolta dalla malinconia e dal dolore, riportò alla mente anche flebili pensieri di speranza, nel desiderio che quell’enorme sacrificio non fosse stato vano.
 
***

Il tenente Green provò una profonda soddisfazione nel tornare a svolgere i suoi compiti in trincea. Quella mattina uscì dal suo rifugio per il suo solito giro di ricognizione nel suo settore. Le sentinelle risposero prontamente al suo saluto, riportando che nulla di rilevante era accaduto durante la nottata. Richard si sporse dal parapetto di legno, la terra di nessuno era deserta, poteva scorgere soltanto i ferri di filo spinato, due fila di cavalli di frisia a delimitare il confine.
L’ufficiale proseguì la sua visita esaminando i nidi delle mitragliatrici e le piazzole di tiro, tutto sembrava essere tornato alla normalità.
Passando accanto all’infermeria incontrò il dottor Jones, sempre gentile e disponibile.
«Ha bisogno di qualcosa tenente?»
«A dire il vero mi piacerebbe avere notizie del soldato Clifford. Le sue condizioni erano alquanto preoccupanti prima dell’ultimo attacco»
Il medico fu colpito da quella richiesta, ciò dimostrava che l’ufficiale era realmente affezionato ai suoi uomini.
«Il soldato Clifford è ancora ricoverato nelle retrovie, purtroppo non ci sono stati miglioramenti»
«Spero che a nessuno venga in mente di rispedirlo al fronte»
«Tenterò di fare il possibile perché ciò non accada, per lui sarebbe una sicura condanna a morte»
Richard si limitò ad annuire: «grazie dottore, le sono davvero grato per questo»
Egli stava per allontanarsi, ma il medico lo richiamò.
«Signor tenente…»
Green si voltò.
«Sono felice di riaverla con noi»
L’ufficiale rispose accennando un sorriso, poi riprese il cammino per continuare la sua ronda.
 
Anche Finn tornò a dedicarsi alle sue mansioni sotto il severo controllo del caporale Speller. Quest’ultimo aveva notato ottimi miglioramenti nel giovane soldato, ma ancora non lo riteneva pronto per le missioni più impegnative e pericolose. Solitamente cercava di tenerlo occupato e lontano dai guai.
Quel pomeriggio a Finn venne assegnato un lungo turno di guardia ai margini della foresta. Così egli si ritrovò a percorrere il sentiero nel bosco insieme a un suo commilitone. Il ragazzo non era stato affatto contento di ricevere quell’incarico, soprattutto per la compagnia, infatti il soldato Dawber era noto per essere alquanto cinico e scorbutico. 
Per la prima mezz’ora entrambi marciarono in silenzio, quando anche la noia divenne insopportabile Dawber si decise a parlare.
«Dunque tu sei l’attendente del tenente Green?»
Il giovane annuì.
«Diamine, mi spiace per te. Io non potrei mai svolgere un compito del genere!»
Finn si incuriosì: «per quale motivo?»
«Perché non voglio essere il servo di nessuno! Insomma, faccio il mio dovere e rispetto i miei superiori come ogni buon soldato, ma ci tengo alla mia libertà!»
«Il tenente Green è un buon comandante»
«Certo, ma non sei stanco di obbedire sempre a lui come un cagnolino?»
Il ragazzo protestò: «io non sono il cagnolino di nessuno!»
Dawber scoppiò in un’irreverente risata. Finn trovò il suo comportamento sempre più irritante.
«Sto solo dicendo che per un soldato deve essere alquanto degradante dover adempire a ordini come portare il tè e lucidare gli stivali di un superiore…»
«Green mi ha sempre trattato con rispetto ed io sono orgoglioso di essere il suo assistente!»
Il suo commilitone rifletté qualche istante. 
«In effetti sembrate davvero molto uniti»
Finn trasalì nel sentire quelle parole, era consapevole che quel soldato non potesse conoscere il vero legame tra lui e il tenente, eppure non riuscì a nascondere un certo nervosismo.
«Il tenente Green mi ha salvato la vita, è per questo che gli sono così riconoscente» replicò freddamente. 
Il suo compagno non comprese il motivo di quella reazione, ma in ogni caso non domandò più nulla. Il ragazzo accelerò il passo proseguendo lungo il sentiero. I due si addentrarono nella foresta, l’aria era intrisa di un intenso odore dolciastro, la vegetazione aveva trattenuto i vapori tossici dei gas. Finn avvertì gli occhi gonfi e polmoni in fiamme.
I soldati si affrettarono a uscire dalla nuvola di fosgene, ritrovandosi lungo una strada dove le bombe avevano lasciato profondi crateri.
All’improvviso udirono gli echi di alcuni spari. I due esitarono, attraverso la boscaglia non riuscirono a vedere nulla, ma erano certi che lo scontro stesse avvenendo poco distante da loro.
La sparatoria fu breve, in pochi attimi i colpi si quietarono e il silenzio tornò nella foresta. Finn e il suo compagno attesero ancora qualche istante, poi si decisero a lasciare il sentiero per verificare che cosa fosse realmente accaduto.
Finn avanzò cautamente nell’erba alta stringendo il fucile. Ad un tratto avvertì dei rumori, con maggiore attenzione poté distinguere dei deboli lamenti. Il ragazzo seguì il flebile suono di quella voce finché non riuscì a scorgere qualcosa tra gli arbusti, immediatamente riconobbe il colore grigio dell’uniforme.
Un soldato tedesco era accasciato a terra, la sua divisa era macchiata di sangue, la sua mano poggiata sul fianco destro copriva una profonda ferita. Di certo doveva essere stato colpito durante la sparatoria.
Finn si avvicinò, il ferito si agitò nel notare altri inglesi, ma egli tentò di rassicurarlo.
Dawber rimase in disparte.
«Lascialo stare, dobbiamo andarcene immediatamente da questa foresta! Probabilmente non è l’unico tedesco nei paraggi»
Finn si chinò accanto al nemico, non comprese le sue parole, ma poté leggere il suo sguardo che implorava pietà.  
«Non possiamo lasciarlo qui!» replicò.
Dawber restò indifferente.
Il ferito emise un altro gemito strozzato, respirava a fatica, in preda ad intensi spasmi di dolore.
«Ha bisogno di aiuto, dobbiamo fare qualcosa!» insistette Finn.
Il suo compagno rivolse al tedesco uno sguardo colmo di disprezzo, poi un crudele ghigno comparve sul suo volto.
«D’accordo, se la cosa ti preoccupa tanto allora penseremo a porre fine alle sue sofferenze…»
Detto ciò Dawber impugnò il fucile.
Il ragazzo trasalì: «no, fermo!»
«Perché non dovrei farlo?»
«E’ ferito e disarmato, non puoi ucciderlo!»
«Io invece credo che sia la cosa giusta da fare sia per noi che per lui»
«Sei un soldato, non un assassino!»
«Non prendo ordini da un ragazzino!»
Finn scattò in avanti ponendosi tra il suo commilitone e il tedesco.
«Che diamine stai facendo? Forza, spostati!»
Egli rimase immobile.
«Ti ho detto di toglierti di mezzo!» ripeté con più insistenza.
Il ragazzo non gli diede ascolto nemmeno quella volta.
A quel punto Dawber perse la pazienza, senza esitazione si avventò sul suo compagno. Finn tentò inutilmente di difendersi, il suo avversario lo sovrastò senza difficoltà e strattonandolo con forza lo spinse via. Il giovane rotolò nella polvere ritrovandosi disteso a terra. Aveva battuto violentemente la testa, era ancora frastornato quando sentì lo sparo. Un brivido scosse il suo corpo, avvertì un nodo alla gola e gli occhi lucidi.
Finn si rialzò sulle gambe tremolanti, mosse qualche passo incerto per poi fermarsi davanti al cadavere. Il tedesco giaceva al suolo, i suoi occhi ancora sgranati dal terrore erano rivolti verso il cielo. La cruenta immagine di quel corpo massacrato era in netto contrasto con l’ambiente circostante, in cui regnava la serena armonia della natura estiva. Il volto pallido del soldato, deturpato dal foro del proiettile, era adagiato sull’erba, incorniciato da una vermiglia macchia di sangue.
Il ragazzo provò un’intensa fitta al petto.
«Perché l’hai fatto?» chiese con voce tremante.
Dawber rispose amaramente: «perché è per questo che siamo qui!»
Finn si ritrovò travolto da sensazioni contrastanti, da un lato non poteva contraddire del tutto le parole del suo compagno, dall’altro invece non riusciva giustificare il suo atto di assurda violenza.
Il suo commilitone si allontanò tornando sul sentiero. 
«Avanti ragazzo, non abbiamo molto tempo prima del tramonto!»
Il giovane rimase ancora qualche istante davanti al corpo inerme del nemico.
«Mi dispiace…» farfugliò con sincero rammarico.
Dopo quell’estremo saluto Finn si voltò, recuperò il fucile e mestamente scomparve tra gli alberi.
 


 
 
 
Note dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questa storia.
Come sempre ringrazio di cuore alessandroago_94, Old Fashioned e Saelde_und_Ehre.

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Capitolo 9
*** Dove danzano i papaveri ***


IX. Dove danzano i papaveri
 

In Flanders fields the poppies blow
Between the crosses, row on row,
That mark our place; and in the sky
The larks, still bravely singing, fly
Scarce heard amid the guns below.

 
Fronte britannico sul fiume Yser, maggio 1915.
Richard era stato costretto a rinunciare in fretta ad ogni genere di ideale romantico o patriottico riguardante la guerra. Si era arruolato poiché era certo di star facendo la cosa giusta, era intenzionato a combattere per la sua Patria. Come tutti i giovani volontari aveva lasciato l’Inghilterra infervorato di ideali, credeva di vivere la guerra come se si trattasse di una grande avventura, in fondo era ancora un ragazzo animato da sogni e speranze. Inoltre aveva l’esempio di Albert, non poteva negare il fatto di voler anche dimostrare di essere all’altezza del fratello. 
Inizialmente la guerra per i nuovi arrivati non apparve nel pieno della sua violenza e crudeltà.
Il primo scenario che comparve davanti agli occhi dei novellini fu la città di Wipers, era con questo nome che Ypres era nota ai soldati britannici. Dopo i terribili bombardamenti del 1914 il paese era tornato alla sua quotidianità e gli abitanti avevano ripreso normalmente le loro attività. I soldati potevano vagare tranquillamente per le strade trovando locali e negozi pronti ad accoglierli come in tempo di pace.
Ciò era alquanto strano poiché in quel luogo erano ancora evidenti i danneggiamenti provocati dai pesanti bombardamenti che perduravano dall’inizio del conflitto. Macerie e detriti erano ammassati ovunque, le maestose architetture gotiche erano ridotte a macabre rovine. La splendida cattedrale di St. Martin con la sua maestosa ed elegante guglia era drammaticamente crollata. Soltanto l’arcata principale era rimasta intatta tra i cumuli di polvere, come un inquietante presagio di morte e distruzione.
Anche l’imponente edificio di Cloth Hall aveva subito la medesima sorte. Al loro arrivo le truppe britanniche avevano marciato davanti alle rovine del massiccio campanile, dove era possibile solamente immaginare le quattro torri che un tempo si ergevano alte verso il cielo. Non era rimasto più nulla nemmeno del complesso ingranaggio all’interno della struttura. Non si potevano più udire gli echi delle quarantanove campane, ma i soldati suggestionati da quelle orrende visioni potevano già percepire nel vento una tetra marcia funebre.
 
Poche settimane nelle lande delle Fiandre furono sufficienti a mostrare a Richard che in realtà quel conflitto non era nulla di eroico o glorioso. Le reclute si abituarono presto alla frugale vita di trincea ed ebbero diverse occasioni per constatare in prima persona le atrocità della guerra.
Quel pomeriggio Richard era tranquillamente seduto insieme ai suoi compagni, dopo la lunga mattinata trascorsa a scavare gallerie nel fango erano tutti stremati e affamati. C’erano dei rari momenti in cui si potevano apprezzare le piccole gioie della giornata, come per esempio trovare residui simili alla carne nella brodaglia del pranzo.
I giovani stavano appunto discutendo a riguardo di questa piacevole sorpresa quando all’improvviso udirono un intenso boato provenire dal settore vicino.
I soldati scattarono in piedi e prontamente corsero a vedere che cosa fosse accaduto. Un proiettile d’artiglieria aveva colpito in pieno la trincea, tre sentinelle erano rimaste gravemente ferite, una di loro invocava aiuto agitando all’aria un monco sanguinante al posto della mano destra.
La sorte peggiore però era toccata al sergente Pearse, fu Richard a ritrovare il suo cadavere mutilato e carbonizzato in un fosso poco distante.
I suoi compagni cercarono a lungo il braccio sinistro di quel malcapitato, ma alla fine furono costretti a rinunciare, rassegnandosi all’idea che ormai al povero Pearse non dovesse importare di essere rimasto senza un arto.
Dopo aver seppellito i resti del loro commilitone i giovani tornarono al loro pranzo. Erano così affamati che non si fecero problemi ad ingurgitare tutto ciò che era rimasto nelle gavette, senza nemmeno pensare al fatto di aver appena interrato un cadavere.
 
Richard venne catapultato per la prima volta nel fervore della battaglia durante un violento assalto.
Il nemico iniziò l’attacco con un intenso bombardamento, poi all’improvviso nella vallata devastata dalle granate comparve una densa nube giallognola. Una leggera brezza trasportò il gas verso le prime linee britanniche. Le sentinelle avvertirono immediatamente l’effetto del vapore tossico. Senza le adeguate protezioni i soldati di prima linea non poterono far altro che ritirarsi evacuando le trincee.
Richard si ritrovò a giacere a pancia in giù in un fosso, ad attendere nell’incertezza insieme ai suoi compagni mentre la nube mortale si avvicinava pericolosamente.
Nel frattempo l'artiglieria britannica rispose con un feroce contrattacco, una fitta pioggia di proiettili cadde nella terra di nessuno, impedendo al nemico di avanzare e proteggendo le postazioni abbandonate.
I tedeschi risposero intensificando il fuoco dei bombardamenti, il terreno tremava essendo ininterrottamente bersagliato dai proiettili degli howitzers. Nel cielo rossastro risaltava il chiarore accecante dei razzi e delle esplosioni.
Richard era ancora frastornato e sconvolto dalla confusione quando il capitano Howard ordinò l’adunata. Il giovane strinse l’elmetto e impugnò il fucile, poi corse fuori dal rifugio per unirsi ai suoi compagni.
Green indossò la maschera ed azionò la valvola, a stento riusciva a respirare, aveva gli occhi gonfi e i polmoni in fiamme. Mentre avanzava a tentoni nel fumo tossico avvertì dei rantoli. Un suo compagno era disteso al suolo, in preda al panico e alla disperazione si era strappato la maschera dal viso. Ansimava tentando di aspirare l’aria contaminata, contorcendosi come un dannato. La sua pelle divenne pallida e verdastra mentre lottava per introdurre ossigeno nei polmoni congestionati e ormai corrotti dal cloro.
 Il suo petto si muoveva a rapidi scatti con spasmi sofferenti, i suoi occhi erano bagnati dal pianto mentre dalla sua gola uscivano lamenti gutturali e strozzati.
Richard assistette inerme a quella dolorosa agonia. Lo sconosciuto riprese a tossire e a boccheggiare, lentamente stava soffocando nei propri fluidi. Alla fine, ormai stremato, esalò il suo ultimo respiro.
Green rimase immobile davanti al cadavere del suo compagno, quella macabra figura l’avrebbe tormentato per molto tempo. Nei suoi incubi avrebbe rivisto quel volto irriconoscibile, ancora contratto dal dolore, con due bulbi bianchi e spalancati da terrore.
Richard tornò bruscamente alla realtà avvertendo l’ennesima esplosione. Rapidamente corse in cerca di un riparo gettandosi freneticamente sul fondo di un fosso. Una granata scoppiò a pochi metri di distanza dalla buca sollevando un’ondata di terra e fango.
Green si ritrovò ricoperto da uno spesso strato di polvere. Altre esplosioni echeggiarono accompagnate dall’incessante crepitare delle mitragliatrici.
Il giovane era ancora appiattito contro il muro di terra, era intenzionato ad uscire allo scoperto per raggiungere un’altra posizione, ma in quel momento un altro soldato ruzzolò nella buca. Richard rimase impietrito riconoscendo il colore grigio della sua divisa, era la prima volta che si trovava davanti al nemico. Il tedesco invece comprese immediatamente la situazione e non esitò a gettarsi su di lui. I due si ritrovarono a lottare sul fondo della buca in un feroce scontro corpo a corpo. Alla fine Richard riuscì a prevalere sull’avversario, reagì d’istinto, agitato e spaventato. Strinse il fucile tra le mani e con forza infilzò la baionetta nel torace del nemico. La lama affondò nella carne, quando l’inglese tentò di ritrarre l’arma si accorse con orrore che essa era rimasta incastrata tra le coste della sua vittima. Il tedesco afferrò la canna del fucile come se volesse aiutarlo ad estrarre la baionetta dal suo stesso corpo. Il suo fu un gesto disperato.
Richard trasalì nell’udire le sue grida di dolore, quella situazione era sia macabra che drammatica. Ad ogni movimento poteva avvertire la lama che penetrava sempre più in profondità, lacerando gli organi di quel disgraziato che continuava a gridare come un dannato.
Dopo una lunga e ardua lotta Richard fu costretto ad arrendersi, non poteva più sopportare tutto ciò.
Tirò leggermente indietro l’arma e poggiò un dito sul grilletto. Sapeva di non avere altra scelta, avrebbe dovuto farlo immediatamente, di certo avrebbe risparmiato un bel po’ di dolore e sofferenza a quel poveretto.
Non fu una decisione semplice, Richard aveva davanti il viso del nemico, il quale pareva supplicarlo con uno sguardo colmo di paura.
L’inglese tentò di reprimere ogni rimorso e premette il grilletto. Il tedesco collassò a terra, inerme, ma finalmente libero da quell’atroce agonia.
Richard poté recuperare l’arma grondante di sangue, fu una misera vittoria, ottenuta senza merito e senza onore. Il giovane osservò il cadavere riverso nel fango, aveva ucciso quell’uomo perché era intenzionato a farlo, questa consapevolezza non lo lasciò indifferente.
Il soldato però non ebbe tempo per riflettere, intorno a lui la battaglia stava progredendo inesorabilmente. Ancora inorridito e sconvolto dall’accaduto Richard corse via, fuggendo il più lontano possibile da quella buca maledetta.
 
Green si infilò in un’altra buca ad imbuto lasciata da una vecchia esplosione. Sentiva il cuore martellare nel petto, in quel momento si accorse di star tremando.
Era ancora scosso dagli eventi, ma non ebbe tempo per i ripensamenti. I tedeschi intensificarono il fuoco, grossi calibri caddero sul campo di battaglia con enormi boati e fragorose esplosioni. In aggiunta una pioggia di schegge e proiettili si abbatté in un uragano di fuoco.
Richard si appiattì contro la parete aggrappandosi al terreno con le unghie. Un lampo divampò davanti ai suoi occhi.
Il giovane soldato percepì il suo intero corpo fremere dal terrore. In simili situazioni aveva visto uomini valorosi e coraggiosi piangere e pregare in cerca di salvezza, quella volta anch’egli si lasciò sopraffare dal panico. Aveva perso i suoi compagni, aveva appena ucciso un uomo ed era solo abbandonato a se stesso in quella trappola mortale.
Nonostante tutto rimaneva sempre una semplice recluta gettata praticamente ignara in quell’inferno.
Richard tentò di calmarsi per tornare a prendere il controllo della situazione. Si sdraiò nuovamente sul fondo del cratere e rimase immobile in quella posizione, in quelle condizioni non poteva fare altro che attendere.
 
Quando il fuoco nemico cominciò a diradarsi Richard uscì dalla sua buca.
Egli attraversò il campo di battaglia bruciato dalle esplosioni e cosparso da cadaveri asfissiati. Il soldato fu costretto a scavalcare quei corpi massacrati per poter raggiungere nuovamente la linea britannica.
Finalmente si riunì ai suoi commilitoni, scivolando nella trincea la prima persona che incontrò fu un ufficiale.
Il capitano Howard fu lieto di ritrovare uno dei suoi soldati sano e salvo.
«Ragazzo, sei ferito?»
Richard negò, poi abbassò lo sguardo notando che la sua divisa era sporca di sangue.
«Questo…non…non è mio» balbettò con voce tremante.
L’ufficiale comprese il motivo della sua agitazione.
«Hai fatto il tuo dovere» disse semplicemente.
Richard non diede importanza a quelle parole, senza aggiungere altro si ricongiunse mestamente ai suoi compagni.
 
Gli inglesi riuscirono a difendere la linea mantenendo salde le loro postazioni e costringendo il nemico ad arretrare. Quella fu considerata come vittoria, tanto che la stessa sera i soldati pensarono di celebrare quell’esito positivo.
Richard però non trovò alcuna ragione per rallegrarsi, così mentre i suoi compagni si lasciarono coinvolgere dai festeggiamenti egli rimase in disparte.
Camminò da solo lungo il sentiero e si sedette su un masso ai margini dell’accampamento. Rimase ad ammirare il panorama notturno, continuando a rimuginare sull’accaduto. In lontananza poteva sempre udire le grida e i canti dei suoi commilitoni, i quali riuscivano ancora ad abbandonarsi ad un’illusoria spensieratezza.
Richard era perso nei suoi pensiero quando ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi.
«Ero certo di trovarti qui»
Anche senza voltarsi riconobbe la voce del fratello.
Albert si avvicinò per sedersi al suo fianco.
«Il capitano Howard mi ha detto che hai affrontato bene il tuo battesimo di fuoco»
Egli rimase in silenzio.
«Lo so, non è stato come l’avevi immaginato. D’altra parte nessuno avrebbe potuto prevedere di trovarsi in quest’inferno»
«Non sono pentito delle mie scelte» replicò freddamente.
«Certo, non ho dubbi su questo»
Il giovane abbassò tristemente lo sguardo.
«Il tuo orgoglio non ti farà mai ammettere la verità, ma devi credermi, è giusto che ti senta spaventato come tutti quanti»
«Vorrei soltanto avere la consapevolezza di star facendo la cosa giusta»
«Non hai nulla di cui rimproverarti»
Richard alzò la testa per guardare il fratello negli occhi: «credi che un giorno potrò diventare un buon soldato?»
«Oggi hai affrontato la tua prima battaglia con coraggio e dignità, quindi penso che quel giorno sia già arrivato»
Richard non parve convinto a riguardo.
«Che cosa ti preoccupa?»
«Il fatto è che non voglio deludere i miei compagni…e non voglio deludere nemmeno te» confessò.
Albert rimase colpito da quella rivelazione.
«Cerca solo di fare del tuo meglio, non devi dimostrare niente a nessuno»
«Per te è semplice parlare così, tutti ti adorano!»
Il sottufficiale prese un profondo respiro: «qui non è facile per nessuno. Tu hai ancora molto da imparare, ma hai dimostrato di avere ottime potenzialità. Con un po’ di esperienza e buona volontà presto saprai farti valere»
Egli apprezzò il suo incoraggiamento, ma non era sicuro di poter credere in tutto ciò.
Albert poggiò una mano sulla sua spalla: «in ogni caso voglio che tu sappia che sono davvero orgoglioso di te»
Richard rispose con un sincero sorriso, quelle parole furono realmente di conforto.
I due si salutarono con un abbraccio.
«Buona fortuna, spero di rivederti presto» concluse Albert prima di allontanarsi.
 
***

We are the Dead. Short days ago
We lived, felt dawn, saw sunset glow,
Loved and were loved, and now we lie
In Flanders fields.

 
Bellewaarde, settembre 1915.
I primi tiepidi raggi apparvero nel cielo rosato, all’alba i prati bagnati dalla rugiada brillavano creando magici giochi di luce. Uno spettacolo affascinante, che distraeva solo per pochi secondi dalla profonda tristezza che regnava in quel vasto cimitero.
A testimoniare la precedente sanguinosa battaglia era rimasta la sconfinata distesa di lapidi nei campi incolti che circondavano il villaggio. Lunghe file di tombe, spesso anonime e sconosciute, si disperdevano all’orizzonte. Le croci di legno spuntavano nell’erba alta, tra i papaveri che danzavano dolcemente nella fresca brezza del mattino.
Nel silenzio si potevano ancora udire gli ultimi sussurri dei defunti, le loro anime inquiete infestavano quei luoghi come ombre e fantasmi che non avrebbero mai abbandonato quelle lande desolate.
Richard continuò a camminare a testa bassa, la morte del soldato Davis l’aveva scosso nel profondo. Da quando aveva preso parte a quella guerra aveva visto molti suoi compagni morire nei modi più atroci e violenti, ma la scomparsa di Davis aveva lasciato un profondo vuoto nella sua anima.
In fondo egli era la persona con cui aveva più legato in tutto quel tempo.
Richard assistette alla cerimonia funebre senza riuscire a liberarsi nemmeno per un istante dai sensi di colpa. Aveva tentato di fare il possibile per salvarlo, si era caricato il ferito sulle spalle e sfidando i proiettili nemici l’aveva trasportato al riparo. Purtroppo tutto ciò era stato inutile.
Richard credeva di avere delle responsabilità per ciò che era successo, forse se avesse agito diversamente avrebbe potuto salvare la vita del suo compagno.
«Caporale Green…»
Egli alzò leggermente lo sguardo.
Un soldato gli porse un foglio stropicciato: «questa lettera apparteneva a Davis, penso che avrebbe voluto che la sua famiglia la ricevesse»
Richard annuì, senza dire nulla ripiegò il foglio e lo infilò nel taschino della giacca. Sul momento non ci diede troppa importanza, altre preoccupazioni aleggiavano nella sua mente.
 
Quella sera Richard si rintanò nel confortante ambiente del suo rifugio. Rimase a lungo seduto al tavolo accanto alla lampada a carburo con davanti a sé il foglio di Davis e una bottiglia mezza vuota di brandy.
Al termine delle sue riflessioni decise di leggere quella lettera, almeno per decidere se fosse opportuno consegnarla alla famiglia.
Green aprì il foglio stringendolo tra le mani tremanti.
 
Alla mia cara sorella Emily.
La situazione al fronte è sempre la stessa, si combatte ardentemente per la vittoria, ma la fine della guerra è ancora lontana.
In trincea i miei compagni rimangono il mio unico conforto. Nonostante tutto continuiamo a supportarci a vicenda, ma a dire il vero credo che questo cameratismo sia dovuto principalmente alle circostanze. L’unico con cui abbia stretto un sincero rapporto è il caporale Richard Green. Egli è una brava persona, oltre ad essere un buon soldato è anche un fedele compagno. Sono certo che presto otterrà la promozione a ufficiale e che sarà un ottimo comandante per tutti noi. Posso considerarmi felice di essere al fronte con un uomo così valoroso e coraggioso. Sono davvero orgoglioso di potermi considerare suo amico.
 
Richard interruppe la lettura provando un’intensa sensazione di rabbia e disprezzo verso se stesso. Il soldato Davis aveva riposto nella sua figura la sua piena fiducia, e lui l’aveva tradito. Non era riuscito a salvarlo, forse era stato egli stesso la causa della sua morte.
Il caporale ripiegò il foglio e bevve un lungo sorso di brandy. Era certo che non avrebbe mai potuto perdonarsi, pur non sapendo esattamente quale fosse la sua colpa.
Alla fine Richard cedette allo sconforto, si coprì il volto con le mani abbandonandosi a un silenzioso pianto.
 
 
Ypres, novembre 1915.
Erano trascorsi più di sei mesi dall’ultima volta in cui aveva visto suo fratello, così Richard fu felice di sapere che il suo plotone avrebbe sostato in città per qualche giorno. Quella sera sellò il suo cavallo e lasciò l’accampamento per raggiungere Ypres.
La strada sterrata era spesso bersagliata dai proiettili d’artiglieria, i suoi compagni l’avevano avvertito consigliandogli di rinunciare a quel viaggio, ma egli aveva comunque deciso di partire. Sentiva il bisogno di rivedere Albert ed era disposto a correre ogni rischio.
Fortunatamente non trovò né ostacoli né pericoli lungo il percorso. Suo fratello aveva trovato alloggio in una piccola casetta sopravvissuta ai bombardamenti. Richard si presentò alla porta credendo di essere accolto con entusiasmo, invece rimase deluso dalla reazione di Albert. Ovviamente egli fu lieto di rivedere il suo caro fratello, ma non manifestò in alcun modo le sue emozioni.
Durante quell’incontro Richard parlò liberamente della guerra, esternando i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Albert si limitò a rispondere con frasi di circostanza, senza mai dire nulla più del necessario.
Dopo cena i due restarono a lungo in silenzio, seduti uno accanto all’alto davanti alle ceneri del falò.
Richard fu colto dalla malinconia, ripensò alla loro adolescenza, alla vecchia casa sul lago e ai momenti felici che avevano trascorso insieme. Avrebbe desiderato tornare lì anche solo per un istante, per sdraiarsi sull’erba ed osservare le nuvole in cielo. Oppure per ammirare i dorati raggi del sole che al tramonto si rispecchiavano nelle increspate acque del lago.
Quando si riprese da quei ricordi si ritrovò nuovamente afflitto dalla triste realtà. Realizzò che la loro gioventù era scomparsa per sempre, la guerra si era portata via la loro innocenza e la loro spensieratezza, lasciando solo nostalgici ricordi.
Richard pensò a questo osservando il viso inespressivo e lo sguardo vacuo di Albert. Non l’aveva mai visto ridotto in quello stato, davanti a sé percepiva solo un’ombra, un involucro vuoto dall’aspetto vagamente simile a quello di suo fratello. Ma non era più lui, di questo ne era certo.
Richard abbandonò quella casa continuando a provare una strana sensazione. Allontanandosi lungo il sentiero avvertì un profondo senso di inquietudine. Era stato terribile vedere il suo amato fratello in simili condizioni. Era consapevole che egli non sarebbe più stato lo stesso, e forse dentro di sé sapeva che quello sarebbe rimasto per sempre il loro ultimo incontro.
 
***

Take up our quarrel with the foe:
To you from failing hands we throw
The torch; be yours to hold it high.
If ye break faith with us who die
We shall not sleep, though poppies grow
In Flanders fields. [*]

 
Passchendaele, luglio 1917.
Il ritorno nelle Fiandre aveva costretto Richard a rivivere i momenti più dolorosi del suo passato. Il senso di colpa per la morte del soldato Davis non era mai scomparso, così come era rimasto il rimorso di non aver potuto dimostrare a suo fratello quanto fosse importante per lui.
Il tenente trascorse lunghe notti insonni, in preda a incubi e allucinazioni. Quei traumi erano riaffiorati con maggiore insistenza, ma in realtà non l’avevano mai abbandonato.
Green aveva sempre tentato di venire a patti con se stesso, reprimendo i propri sentimenti, anteponendo il suo dovere ad ogni cosa. Questo l’aveva salvato dall’oblio fino a quel momento, ma ciò non era più sufficiente. In qualche modo avrebbe dovuto affrontare il suo dolore, imparando a convivere con i propri rimpianti e trovando la forza di andare avanti.
Richard era assorto in questi pensieri mentre osservava il manto stellato sopra alla sua testa. Le trincee erano tranquille, soltanto qualche sparo echeggiava a tempi regolari, per ricordare al nemico che si era sempre pronti a combattere.
Il tenente porse il saluto alle sentinelle, svoltò l’angolo e proseguì lungo i camminamenti. Si fermò in un punto di osservazione e si avvicinò ad una feritoia per controllare la situazione. La terra di nessuno era silenziosa e deserta, il filo spinato rifletteva i raggi argentei della luna.
In quel momento di irreale calma tutto gli parve chiaro, fu una rivelazione semplice, ma fondamentale. Doveva continuare a combattere per suo fratello e per tutti i suoi compagni che avevano sacrificato la loro vita e che ora giacevano nelle campagne fiamminghe, in attesa di poter finalmente riposare in pace.
Non poteva arrendersi, doveva portare avanti il suo dovere per il bene dei suoi uomini, inoltre aveva anche un’altra promessa da mantenere.
L’ufficiale prese un profondo respiro, diede un ultimo sguardo al cielo stellato, poi tornò sui suoi passi. Dopo tanti tormenti un leggero sorriso comparve sul suo volto al pensiero che al suo ritorno avrebbe trovato qualcuno ad attenderlo.
 

 
[*] John McCrae, In Flanders Fields (1915).

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Capitolo 10
*** Preludio alla battaglia di Passchendaele ***


 
X. Preludio alla battaglia di Passchendaele
 

I primi bombardamenti a tappeto sul versante di Ypres furono un incoraggiante successo per le forze alleate. Il feroce attacco sferrato dall’artiglieria pesante con anche il supporto dei cannoni da marina costrinse il nemico ad arretrare. Durante l’avanzata gli inglesi trovarono postazioni abbandonate e trincee deserte. La nuova linea venne tracciata oltre al canale dell’Yser, alla fine quasi un chilometro di terreno venne conquistato senza alcuna opposizione.
Le truppe britanniche presero posizione sul versante di un colle a sud del lago Zillebeke, la zona a nord invece rimase sotto il controllo dell’Anzac*.
Green ricevette ordini chiari e precisi, era necessario prepararsi al più presto per l’imminente attacco. Così il tenente trascorse i giorni precedenti all’azione ispezionando armi e munizioni mentre i suoi uomini si occuparono di scavare le postazioni d’artiglieria.
Come ogni sera Richard approfittò della sua consueta ronda nelle trincee per controllare l’andamento dei lavori. L’ufficiale si fermò sul bordo di un fosso, esaminò con attenzione la profondità delle gallerie e la disposizione delle piazzole di tiro. Il tenente parve soddisfatto, ma l’accurata preparazione non fu sufficiente ad allontanare le sue costanti preoccupazioni. 
Richard restò in piedi a scrutare l’orizzonte oltre alla terra di nessuno, il suo viso rimase inespressivo e il suo sguardo impenetrabile.
Dal fondo della buca Finn vide la sua figura stagliarsi alla luce del tramonto. Il giovane trovò alquanto suggestiva la visione del suo superiore. Al di là di quei vagheggiamenti Richard restava davvero la sua unica ancora di salvezza.
Finn si rassicurò a quel pensiero e sorrise all’idea di ritrarre Richard come un intrepido e valoroso comandante. Poco dopo le grida del caporale Speller lo riportarono alla realtà, il ragazzo sospirò e con rassegnazione tornò ad affondare la pala da trincea nel fango.
 
Quella stessa notte l’artiglieria bavarese scatenò una violenta tempesta di fuoco contro le postazioni australiane. Le truppe britanniche sul lato opposto dello specchio d’acqua assistettero inermi a quell’intensa pioggia di proiettili.
Richard rimase ad osservare il cielo notturno illuminato dai razzi, ciò apparve ai suoi occhi come un affascinante spettacolo di fuochi d’artificio. Purtroppo quell’illusione svanì rapidamente. I proiettili di grosso calibro esplosero con assordanti boati sollevando dense nubi di fumo. La cresta nord era avvolta dalle fiamme. Con grande stupore gli inglesi notarono che gli australiani non erano affatto intenzionati ad arrendersi. Resistettero con perseveranza al cruento attacco e ben presto risposero al fuoco. I fragorosi ruggiti dei cannoni echeggiarono in tutta la vallata.
Il sergente Redmond commentò con sincera ammirazione: «diamine, i ragazzi dell’Anzac sono davvero tenaci!»
«Già, siamo fortunati ad avere il fianco ben coperto. Se le loro difese dovessero crollare ci ritroveremmo accerchiati dal nemico» rispose Green con seria apprensione.
Il sergente alzò le spalle: «al momento non dovremmo preoccuparci per questo»
Richard rimase perplesso: «gli australiani si sono difesi bene, ma senza l’arrivo dei rinforzi non potranno resistere a lungo»
Poco dopo la campagna deserta tornò avvolta dal silenzio e dall’oscurità.
Richard si preoccupò di inviare una staffetta per controllare la situazione, nel caso avrebbe provveduto a mandare soccorso alle truppe alleate. Fortunatamente ciò non fu necessario.
L’ufficiale rientrò mestamente nel suo rifugio, quelle giornate erano sempre più difficili da sopportare. L’unico suo conforto giungeva alla sera, quando poteva concedersi brevi momenti di tranquillità in compagnia di Finn. Da quando erano tornati al fronte il loro rapporto era rimasto quello tra un ufficiale e il suo fedele assistente. Entrambi però continuavano a rafforzare quel legame con reciproche attenzioni, piccoli gesti e parole sussurrate quando nessun altro poteva ascoltare.
 
***

Il bombardamento da parte delle forze alleate iniziò alle prime luci dell’alba, la tempesta di fuoco continuò incessantemente per l’intera mattinata. Le batterie posizionate lungo le rive del lago non si quietarono nemmeno per un istante.
Il nemico ripiegò le sue forze sulle alture, combattendo ardentemente sul versante di Hill 60. Quel giorno gli inglesi riportarono un discreto numero di feriti anche tra gli ufficiali.
Nel pomeriggio una staffetta attraversò il crinale per riportare al tenente Green un messaggio importante, purtroppo contenente cattive notizie. Il maggiore Farrell era rimasto coinvolto in un inteso scontro a fuoco nei pressi della ferrovia. Le informazioni non erano ancora sicure, ma era certo che l’ufficiale gravemente ferito fosse stato trasportato con urgenza all’ospedale da campo. Richard avrebbe desiderato far visita al suo superiore, ma in quelle condizioni fu costretto a rinunciare.
Il giorno seguente i tedeschi bombardarono nuovamente i binari arrecando gravi danni alle truppe australiane. Anche gli inglesi subirono numerose perdite e nemmeno il plotone del tenente Green fu risparmiato. Richard provò una profonda tristezza nel segnare tra le vittime della giornata anche il nome del giovane aiutante del dottor Jones.
 
Nonostante le consistenti perdite le forze alleate non diedero alcun segnale di cedimento, continuarono a portare avanti il piano prestabilito, affrontando ogni genere di difficoltà.
Un aeroplano britannico decollò dalla sponda opposta dell’Yser con l’obiettivo di sorvolare l’area nemica per registrare le postazioni d’artiglieria e segnalare le linee di sbarramento, ma un temporale improvviso costrinse il pilota ad atterrare sulle rive del lago Zillebeke. L’aviatore trovò rifugio insieme alle truppe neozelandesi e rientrò al campo senza esser riuscito nemmeno a oltrepassare il confine.
Anche i primi tentativi di sfondamento delle linee nemiche da parte delle truppe australiane fallirono miseramente. Le divisioni dell’Anzac contribuirono con un fitta copertura, ripresero a bombardare con i mortai i reticolati e le trincee bavaresi, ma si trovarono impreparate nel fronteggiare i pericolosi attacchi con i gas mostarda.
A sud il fronte britannico non si trovò direttamente coinvolto nello scontro, ma gli uomini furono sempre impegnati nel trasporto dei feriti, nel recupero di munizioni e nella costruzione di gallerie e postazioni di artiglieria.
 
***

Il tenente Green radunò i suoi uomini poco prima dell’alba, finalmente era giunto il momento di entrare in azione. L’ufficiale aveva ricevuto l’ordine di affiancare le truppe australiane durante l’attacco.
Nel corso della notte un’impavida batteria dell’Anzac era riuscita a riconquistare il controllo del sentiero, ciò permise agli inglesi di attraversare il campo di battaglia senza incorrere in pericoli o imboscate.
Il plotone del tenente Green marciò davanti a una lunga colonna di carri e mezzi corazzati. Quando i soldati uscirono dalla foresta carbonizzata trovarono ad accoglierli gli ufficiali della Prima Divisione australiana, i quali attendevano con impazienza l’arrivo di rinforzi e rifornimenti. 
 
Richard e i suoi compagni si ritrovarono presto nel mezzo dello scontro. Il campo di battaglia era animato dai corpi di fanteria che avanzavano imperterriti occupando una postazione dopo l’altra. Gruppi distaccati invece procedevano in senso contrario, si trattava di colonne di prigionieri e feriti.
Anche una divisione di carri armati invase le linee nemiche, progredendo lentamente nel terreno fangoso.
Gli aeroplani volavano bassi sotto a una fitta coltre di nubi dense e opache, gli stormi erano così fitti da costringere i piloti a compiere ogni manovra con estrema attenzione per evitare ogni possibile collisione.
Dalla sua postazione Finn poté assistere a quello spettacolo tanto affascinante quanto terrificante. Gli inglesi presero il controllo di una base d’artiglieria, il loro obiettivo era difendere la loro posizione supportando la grande avanzata.
I proiettili delle mitragliatrici fischiavano ovunque, le batterie di artiglieri correvano a zig-zag tra la polvere per raggiungere le loro postazioni.
Le armi britanniche erano ben nascoste in una profonda depressione del terreno, ma i tedeschi riuscirono comunque ad indentificare la loro posizione, bersagliando l’intera zona con un intenso bombardamento.
Gli inglesi furono costretti ad uscire allo scoperto sotto all’intenso fuoco nemico per avanzare nella terra di nessuno.
 
Le truppe alleate erano ormai pronte per la seconda fase dell’attacco. La raffica di pallottole scaricata dalle prime batterie dell’Anzac si era rivelata solamente un enorme spreco di munizioni, la seconda linea tedesca continuava a resistere.
Sul versante britannico la situazione era migliorata. Le trincee nemiche furono interamente distrutte dalle schegge e dai proiettili di grosso calibro, gli obici colpirono anche il sentiero nella vecchia terra di nessuno, rallentando così i collegamenti con le retrovie. L’ultima resistenza rimasta in campo era la terza linea.
Le truppe britanniche erano nettamente in vantaggio, l’esito della battaglia sembrava già deciso, ma un imprevisto giocò a favore dei tedeschi. Nel pomeriggio l’avanzata fu bloccata dallo scoppio di un diluvio. Grosse nubi scure sovrastavano l’intera area già dall’inizio del combattimento, poco prima del tramonto una fitta pioggia impedì agli inglesi di progredire oltre alla seconda linea. La visibilità era ridotta, i soldati si ritrovarono spaesati ad arrancare nel fango.
Il tenente Green era bloccato in un fosso con un gruppo d’artiglieri quando ricevette l’ordine di ritirarsi. L’ufficiale dovette spingersi oltre ai crateri per recuperare i mitraglieri impegnati a sparare imperterriti contro il nemico. Durante la ritirata gli inglesi furono costretti ad abbandonare sul campo gran parte dell’attrezzatura, troppo pesante e ingombrante per poter essere trasportata attraverso le paludi fangose.
Sotto all’implacabile diluvio gli inglesi arretrarono fino alla prima linea nemica, dove poterono sostare in attesa di poter riprendere l’assalto.
Green e i suoi commilitoni trovarono riparo nelle profonde gallerie scavate dagli avversari.
Finn notò che i rifugi tedeschi erano ben più ampi e resistenti rispetto a quelli britannici. Il ragazzo si intrufolò in un cunicolo, ogni movimento era ostacolato dagli abiti zuppi d’acqua e appesantiti dal fango. Stremato per le fatiche della giornata Finn rientrò nel rifugio tremando dal freddo.
Richard si levò la coperta dalle spalle e delicatamente l’avvolse intorno al suo assistente.
Il giovane si rassicurò trovando calore e conforto in quell’abbraccio.
Per tutta la notte restarono ad ascoltare il fruscio della pioggia, fulmini e tuoni si confondevano con i lampi dei proiettili e con l’eco delle esplosioni. Si trattava dei soldati dell’Anzac che tentavano disperatamente di respingere il primo contrattacco nemico.
 
***

Nella fase successiva inglesi e tedeschi si ritrovarono a fronteggiarsi per il controllo di un canale.
Il tenente Green acquisì il comando anche di un secondo plotone rimasto orfano del proprio comandante, il quale era stato gravemente ferito durante i primi momenti dello scontro.
Richard notò un certo nervosismo tra i soldati, così decise di incitare i soldati con un breve discorso di incoraggiamento. Quelle parole sembrarono aver effetto, ma il tenente sapeva che oltre a sollevare il morale delle truppe un buon comandante doveva anche dare il giusto esempio. Green fu il primo ad uscire dalle trincee, spronando i soldati all’attacco. I suoi uomini lo seguirono senza esitazione.
 
Finn era rannicchiato in una buca insieme alla squadra del caporale Speller. I proiettili fendevano l’aria sopra alle loro teste mentre le pareti della fossa tremavano pericolosamente ad ogni esplosione.
Erano in attesa di ricevere ordini da parte del sergente Redmond, ma il tempo passava e la battaglia progrediva inesorabilmente. Ad un tratto Speller si decise a riaffiorare dal rifugio, dovevano proseguire con o senza l’aiuto del loro superiore.
Finn corse a scatti tra le pozzanghere, ritrovandosi con orrore a scavalcare i cadaveri dei suoi commilitoni. Rapidamente si gettò in un cratere per proteggersi dalle schegge di una granata. Il ragazzo rotolò sul fondo finendo immerso in una profonda pozza d’acqua stagnante. A fatica riuscì a riemergere da quel pantano, fortunatamente sul bordo della fossa trovò un suo compagno pronto ad aiutarlo.
Hugh afferrò saldamente il braccio del suo commilitone e con forza lo trascinò in superficie.
I due si affrettarono a proseguire tra i fumi e i vapori della battaglia. Con il fiato corto e il cuore che palpitava nel petto si ricongiunsero con il resto della squadra.
Appena si calarono nelle postazioni delle mitragliatrici trovarono una situazione caotica e drammatica.
Un soldato corse immediatamente da Speller: «il sergente Redmond è stato ferito!»
Il caporale ordinò a due reclute di occuparsi del suo superiore, poi con decisione prese il comando dell’azione.
Le mitragliatrici britanniche ripresero a sparare incessantemente contro la linea nemica.
 
Il fuoco d’artiglieria era così intenso da coprire il campo di battaglia con un’intensa nube di fumo e polvere. La nuvola si sollevò in aria oscurando la visibilità della fanteria, i soldati furono costretti ad attendere il placare del fuoco per poter proseguire con l’attacco. Sul lato destro i mortai Stokes continuarono a sostenere l’avanzata con un impenetrabile muro di fuoco.
Il contrattacco nemico non tardò ad arrivare. Questa volta il pericolo giunse dal cielo, l’aviazione tedesca scese in campo bombardando pesantemente le postazioni britanniche.  
In quella tempesta di fuoco il caporale Speller tentò di riportare al sicuro i suoi compagni. Fortunatamente la sua squadra si ricongiunse con il distaccamento del tenente Green. Il comandante fu costretto a guidare nuovamente la ritarata, cercando la via più sicura tra i sentieri devastati dai bombardamenti.
Al termine di quella cruenta battaglia le forze alleate mantennero salde le postazioni conquistate in combattimento, contennero l’avanzata nemica, ma fallirono miseramente nel tentativo di sfondare le difese avversarie. 
 
***

Nelle settimane seguenti violenti temporali obbligarono i due schieramenti ad una tregua forzata. Durante questo periodo il tenente Green fu convocato dal generale Emmet insieme ad un piccolo gruppo di ufficiali per discutere della situazione. Richard raggiunse il quartier generale con l’intenzione di riferire ai suoi superiori le disperate condizioni in cui gli uomini erano costretti a combattere, ma in fondo sapeva che non avrebbe ottenuto molto da quel confronto. Altre volte i suoi superiori avevano ignorato le sue considerazioni, lasciandolo solo con qualche parola di incoraggiamento e una pacca sulla spalla.
Nonostante tutto il tenente era determinato a far valere la sua parola, doveva almeno tentare di salvare i suoi uomini da quel prevedibile massacro.
Richard prese il suo posto sedendosi al tavolo insieme agli altri ufficiali, nella stanza regnava un clima di tensione e preoccupazione. Quando venne interpellato Green non esitò a fornire un rapporto preciso e dettagliato.
«La situazione sul fronte di Ypres non è a noi favorevole per due motivi. Il primo riguarda il clima e la morfologia di questi luoghi. Al momento il nostro principale nemico è la pioggia. Le trincee sono allagate dal fango, il campo di battaglia è una palude impenetrabile. Anche le campagne circostanti sono sommerse dal fango, i collegamenti sono sempre più difficoltosi. Carri e cavalli restano impantanati nel fango, ciò inevitabilmente porta a un rallentamento nel trasporto di rifornimenti e munizioni. Non saremo mai pronti ad affrontare il nemico in simili condizioni. Il secondo problema è dato dal fatto che il settore a est di Ypres è ancora in mano alle truppe bavaresi. Dunque non possiamo contare su un attacco completo e decisivo finché gran parte delle nostre forze restano occupate sulle montagne…»
Il discorso di Green fu improvvisamente interrotto dall’intervento del colonnello Leeds.
«Tenente, le sue preoccupazioni sono inutili. La situazione è sotto controllo, di certo l’Esercito britannico non si farà fermare da un po’ di pioggia!»
«Sono qui solo per riportare le condizioni in cui i miei uomini si ritrovano a combattere» replicò Richard con tono pacato.
«L’avanzata è ormai iniziata, sarebbe una follia ritirarci ora!» continuò Leeds.
«L’offensiva non potrà continuare con questi temporali» rispose il capitano Howard.
«Fortunatamente non sono i crucchi a controllare il tempo. Non potrà piovere per sempre, giusto tenente?»
Richard rimase impassibile, era certo che quella decisione non avrebbe portato a nulla di buono, ma anche in quell’occasione fu costretto a rassegnarsi.
Finalmente il generale Emmet si decise a parlare.
«Di certo troveremo molte difficoltà nello sferrare questo attacco, ma le difese tedesche stanno cedendo, dunque dobbiamo continuare ad insistere!»
Gli altri ufficiali rimasero alquanto scettici, infatti il nemico, seppur in difficoltà, si era dimostrato forte e tenace. Le truppe tedesche avevano ancora il morale alto, molti soldati erano giovani e inesperti, ma riponevano grande fiducia nella superiorità del loro esercito. Le forze alleate invece erano ormai stremate e demoralizzate dai continui fallimenti.
A quel punto si intromise il capitano Howard: «in questi giorni le truppe hanno combattuto in pessime condizioni, abbiamo tentato più volte di conquistare il castello, ma ogni attacco è stato respinto. Per una settimana siamo rimasti bloccati nel bosco senza ottenere progressi in alcuna direzione. Non siamo riusciti a resistere oltre, i contrattacchi tedeschi erano troppo intensi. Senza il controllo delle alture di Ypres non potremo avanzare in nessun modo»
Il generale Emmet iniziò a segnare alcuni punti sulla mappa aperta sul tavolo.
«Dovremo spostare l’attenzione dal nostro obiettivo principale. Prima ci occuperemo di penetrare a nord, dove le difese tedesche sono più deboli, successivamente provvederemo a organizzare un attacco ad est insieme alle truppe dell’Anzac. Così potremo fronteggiare anche i rinforzi bavaresi»
«In ogni caso l’attacco non avrà alcuna possibilità di successo in queste condizioni» affermò Howard.
Al termine della riunione non venne presa alcuna decisione, ma Richard era certo che i suoi superiori non avrebbero rinunciato tanto facilmente a quel pericoloso piano suicida.
 
***

Le sorti della battaglia di Ypres erano ancora incerte, gli inglesi non potevano progredire nell’avanzata mentre i tedeschi impiegavano ogni risorsa per resistere ai violenti attacchi, senza però riuscire a respingere definitivamente gli avversari.
Alla fine di agosto il reggimento del tenente Green abbandonò il fronte. Le forze alleate stavano organizzando una grande operazione per poter finalmente sbaragliare le difese nemiche e riprendere l’avanzata verso Passchendaele prima dell’inverno. Così alle truppe di prima linea venne concesso un breve periodo di riposo prima di prendere nuovamente parte all’azione.
I soldati riemersero dalle paludi fiamminghe per tornare nelle tranquille campagne francesi. Per quegli uomini, ormai esausti dopo le lunghe ed estenuanti settimane di combattimento, quella pausa inaspettata apparve come un sogno.
Finn fu sorpreso di ritrovarsi lontano dal fronte. Quel luogo nascosto tra le colline e le foreste era rimasto immutato, la devastazione del conflitto non aveva segnato in alcun modo la splendida vallata. L’erba verde cresceva rigogliosa, la pianura era attraversata da due ruscelli di acqua fresca e limpida.
Le truppe avrebbero presto ricordato con malinconia quel periodo di ritrovata serenità. Nei pomeriggi assolati i soldati trascorrevano le ore di risposo sdraiati nei prati a godersi quei rari momenti di pace. Alcuni si erano procurati rudimentali strumenti di pesca e tentavano di catturare i numerosi pesci che popolavano i canali, spesso senza alcun risultato. Gli australiani costruirono anche delle trappole a questo scopo, loro ebbero più successo ed ogni sera condividevano il loro ricco bottino con i commilitoni britannici.
La situazione al fiume degenerò quando alcuni soldati decisero avventatamente di dedicarsi alla pesca con fucili e granate. L’intero campo fu allarmato dall’eco degli spari e delle esplosioni, l’unico risultato di tutto quello scalpore furono richiami e punizioni.
Da quel momento la pesca venne espressamente vietata, ma spesso se gli ufficiali incappavano in un gruppo di pescatori clandestini non facevano altro che dare prudenti consigli per poi voltare le spalle e fingere di non aver visto nulla. Un buon piatto di pesce era un pasto prelibato a cui nessuno voleva rinunciare.
 
Richard proseguì lungo il sentiero respirando a pieni polmoni l’aria fresca intrisa dell’intenso e pungente odore delle conifere. La foresta iniziava a diradarsi lasciando intravedere sprazzi di cielo e panorama attraverso i grossi tronchi e le fitte fronde. Finn camminava al suo fianco fischiettando un allegro motivetto. Se non fosse stato per le divise e i fucili sarebbero sembrati semplicemente due giovani in gita nei boschi.
Il sentiero si aprì in una radura con una piccola cascata. Finn si avvicinò alla riva del ruscello, si fermò sul bordo e rimase ad ammirare i riflessi di luce sulla superficie cristallina. Poco dopo il ragazzo si liberò del berretto e del fucile ed iniziò a spogliarsi. Abbandonò i vestiti nell’erba umida e con un grido di esaltazione si tuffò nell’acqua fresca.
Richard, che era rimasto sul sentiero, osservò con aria divertita il suo compagno. Era sempre affascinato dalla sua innocente spensieratezza.
«Forza, vieni! L’acqua è splendida!» gridò Finn, ormai immerso fino al collo.
Richard mosse qualche passo indugiando sulla sponda. Scrutò con attenzione la boscaglia circostante, tutto sembrava quieto e tranquillo.
L’ufficiale prese un profondo sospiro, in fondo non c’era nulla di male nel godersi quel raro momento di pace e serenità. Anche il caldo opprimente era una valida ragione per approfittare di quella situazione. Dopo qualche tentennamento si gettò nel fiume e con ampie bracciate raggiunse il suo assistente. I due restarono a lungo a mollo nuotando da una sponda all’altra. Entrambi approfittarono di quel bagno rigenerante per purificarsi dal fango delle trincee.
Richard riemerse dall’acqua, si rivestì rapidamente lasciando la camicia aperta e si sdraiò nel prato per asciugarsi al sole. Mentre riposava avvertì lo sguardo del suo assistente su di sé.  
Lentamente riaprì le palpebre e si voltò verso il suo compagno.
«Che cosa c’è?» chiese con un sorriso.
Il giovane lo guardò dritto negli occhi: «niente…è solo che…in questo momento sono felice qui con te»
Il tenente rimase colpito da quelle parole, con delicatezza attirò il ragazzo a sé accogliendolo in un abbraccio. Finn cercò conforto tra le sue braccia, nascose il volto nell’incavo del suo collo, lasciando scorrere una calda lacrima sulla pelle.
 

L’addestramento proseguiva costantemente giorno dopo giorno. Lo spirito competitivo che animava i soldati durante le esercitazioni era una buona scossa di vitalità ed energia. Presto al campo si iniziarono ad organizzare dei veri e proprio tornei tra i singoli soldati e tra i diversi plotoni.
Il soldato Dawber ottenne il primo posto superando un intricato percorso ad ostacoli, il caporale Speller vinse una gara di resistenza, mentre il tenente Green dimostrò di essere il miglior tiratore dell’intera brigata.
Questi eventi furono un buon modo per risollevare il morale delle truppe con lo scopo di preparare al meglio gli uomini ad affrontare l’imminente battaglia.
Durante gli addestramenti si svolsero anche frequenti dimostrazioni, vennero provate nuove tecniche di sbarramento e furono presentati modelli avanzati di mortai da trincea. Anche i Royal Flying Corps presero parte a queste esercitazioni, in quel periodo si sperimentarono metodi di contatto tra l’aviazione e la fanteria per sfruttare pienamente le forze in campo.
Tra le rovine dei villaggi abbandonati si svolsero prove di combattimento tra battaglioni, il tutto sotto il controllo degli ufficiali che esaminavano con attenzione ogni tattica utilizzata.
Al termine di queste intense settimane di addestramento le divisioni britanniche riuscirono ad ottenere ottimi risultati. Le truppe ne uscirono rinvigorite e risollevate, gli uomini ritrovarono fiducia in quella guerra e soprattutto rafforzarono il loro rapporto di fratellanza e cameratismo.
Ogni soldato aveva affrontato qualsiasi genere di difficoltà che avrebbe potuto incontrare sul campo di battaglia. Nonostante gli orrori vissuti e i traumi passati gli uomini erano impazienti di tornare a combattere per affrontare nuovamente il nemico. L’eccitazione della guerra era tornata a scorrere nelle vene, prendendo il sopravvento sulle paure e le incertezze. Ormai era solo una questione di tempo, tutto era pronto per il grande attacco a nord di Ypres.
 
 
 
 
 
 
*Australian and New Zealand Army Corps
 
 
 
Nota dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94, Old Fashioned e Saelde_und_Ehre per le recensioni e il sostegno^^

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Capitolo 11
*** Autunno fiammingo ***


 
XI. Autunno fiammingo
 
L’avanzata proseguiva lentamente, l’obiettivo era sempre distante e la difesa nemica sembrava impenetrabile. L’artiglieria britannica continuava a colpire le linee tedesche con intense e costanti tempeste di fuoco, ma durante gli spostamenti anche questi attacchi divennero difficili da organizzare.
Pian piano l’offesa delle truppe alleate divenne sempre più debole e frammentata. I tedeschi notarono che gli avversari erano in difficoltà poiché questi attacchi si fecero sempre meno frequenti.
Per le batterie in marcia fu impossibile raggiungere le nuove postazioni in tempo per supportare le forze in campo. Per occupare la postazione nel settore d’artiglieria la divisione fu costretta a intraprendere una strada secondaria, la quale girava intorno alle trincee restando protetta e nascosta al nemico. Furono impiegati diversi giorni per rendere il percorso sicuro, ingegneri e pionieri si impegnarono duramente per portare a termine questa ardua impresa. Purtroppo a causa dei mancati rifornimenti i lavori furono sospesi e il percorso rimase a tratti impraticabile.
Le truppe restarono così bloccate sul versante scosceso di Frezenberg ridge, una posizione pericolosa e ben visibile al nemico. Inizialmente gli uomini sperarono che quelle postazioni fossero solamente una sistemazione temporanea, ma gradualmente divenne evidente che sarebbero rimasti a lungo a combattere su quel fronte.
 
Le alluvioni avevano trasformato l’intera vallata in un’enorme palude impossibile da attraversare e occupare con le truppe. Le batterie erano disposte a lato del sentiero in modo da poter favorire il recupero di rifornimenti e munizioni. I trasporti erano sempre difficoltosi in quella campagna paludosa, dove i cavalli arrancavano a fatica nella melma. Le truppe australiane erano ancora bloccate sulla strada di Zonnebeke, la difesa tedesca rendeva il percorso ancora inaccessibile alle truppe alleate. Gli inglesi occuparono la zona a sud, in quei giorni sul sentiero di Frezenberg si formarono lunghe colonne di carri e vagoni che trasportavano rifornimenti e armamenti sul fronte di Passchendaele. Il percorso era il più sicuro poiché il villaggio non era sorvegliato dall’artiglieria nemica e raramente il sito veniva bersagliato delle bombe. I convogli interrompevano la marcia solamente davanti agli sbarramenti, ma ogni genere d’ostacolo era prontamente abbattuto dall’efficiente corpo dei pionieri. Nonostante le difficoltà l’avanzata proseguì seguendo i piani e le truppe riuscirono ad occupare il fronte per prepararsi all’imminente attacco.
 
Il tenente Green scrutò con attenzione la pianura che si estendeva ai piedi della collina, l’obiettivo principale era la chiesa di Passchendaele. Il campanile era ben visibile dalle batterie appostate lungo il crinale. Per la prima volta gli artiglieri avevano la possibilità di osservare da vicino e con i propri occhi i reali effetti delle bombe. I mortai affondavano nel fango, i soldati costruirono piattaforme di legno stabilizzando le postazioni con assi robuste e pesanti sacchi di sabbia.
Quel mattino Green si occupò di scrivere qualche riga per informare il quartier generale della reale situazione delle truppe impiegate sul fronte di Ypres.
 
I rinforzi non arriveranno, il piano che prevedeva il supporto di un contrattacco da parte dell’artiglieria pesante dell’Anzac è stato annullato. Una pioggia torrenziale ha continuato a cadere per tutta la notte, il campo di battaglia è diventato un mare di melma.
Con uno sforzo immane gli uomini sono riusciti ad avanzare e ad occupare le nuove postazioni. Alcuni pezzi d’artiglieria sono rimasti bloccati nel fango, non abbiamo molte speranze di riuscire a recuperarli. In ogni caso i ragazzi sono determinati a portare avanti il lavoro, dunque sono certo che faranno tutto il possibile per tornare a combattere.
Questa mattina si è alzato un forte vento gelido proveniente da nord-est. La divisione sta avanzando con fatica sul sentiero di Zonnebeke. I movimenti non sono mai semplici. L’ultima volta abbiamo impiegato quasi diciotto ore per compiere l’intero viaggio dalla ferrovia alla prima linea. Normalmente il sentiero si può percorrere in meno di due ore.
Spesso gli uomini sono estratti dal pantano senza più il fucile, lo zaino…e addirittura gli stivali. Le munizioni sono sempre coperte da uno spesso strato di fango e sono inutilizzabili finché non vengono ripulite. Gli uomini sono stanchi e demoralizzati, trovano degradante dover combattere in crateri e pozzanghere, ricoperti di melma dalla testa ai piedi. Non so per quanto tempo potremo resistere in queste condizioni, siamo a corto di provviste e medicinali, i collegamenti telefonici sono stati interrotti.

 
Il tenente rilesse la lettera, prese un profondo respiro, poi chiamò una staffetta e consegnò il messaggio nelle sue mani. L’ufficiale vide il giovane soldato correre lungo il sentiero, con aria preoccupata rimase ad osservare la sua figura scomparire tra il fumo.
 
***

Il tenente Green intuì immediatamente che qualcosa doveva esser andato storto poiché le truppe australiane non avevano ancora occupato la loro postazione sul lato destro della collina.
Quando affrontò la questione con il capitano Howard egli non mostrò particolare apprensione a riguardo.
Richard però decise di dar retta al suo istinto.
«Organizzerò una squadra per andare a controllare la situazione» affermò con decisione.
Howard parve contrariato.
«Tenente, ritiene che sia opportuno mettere in pericolo i nostri uomini per cercare di contattare una brigata dispersa al fronte?»
«Senza il supporto dell’Anzac non potremo sferrare il nostro attacco, e poi loro sono nostri alleati, se si trovano in difficoltà è nostro dovere aiutarli»
«Qualunque altro ufficiale tenterebbe di dissuaderla da questa folle impresa, ma per esperienza so che è inutile discutere con lei in simili circostanze...»
Green non seppe definire se il giudizio del suo superiore fosse positivo o negativo, in ogni caso il capitano lo lasciò libero di agire.
 
Il tenente ridiscese verso la vallata con una squadra di esploratori, il sole era ancora alto nel cielo quando superarono il luogo in cui avrebbero dovuto trovarsi le truppe australiane. Appena uscirono dalla foresta si ritrovarono davanti ad un terribile scenario. Gli inglesi erano tutti esperti veterani, eppure nessuno di loro si trovò preparato di fronte a quell’orrore.
L’intero pendio era disseminato di morti, in egual numero erano caduti australiani e tedeschi.
Green avanzò lentamente avvicinandosi ad una casamatta, vicino all’entrata erano accatastate pile di cadaveri. Per qualche istante restò immobile sulla soglia, tentò di percepire suoni e rumori, ma ovunque regnava soltanto un inquietante silenzio. Richard prese un profondo sospiro, poi si decise ad entrare all’interno.
L’ufficiale mosse qualche passo, il percorso era ostacolato dai corpi inermi accasciati al suolo. Con una rapida ispezione trovò solamente una massa di cadaveri. Una volta uscito Green mosse qualche passo sulle gambe tremanti, poi fu costretto a chinarsi a terra per vomitare. L’odore nauseante della morte era insopportabile, in quegli anni di guerra aveva assistito ad innumerevoli orrori, ma quel massacro era qualcosa di diverso.
Richard tentò di ricomporsi e si ricongiunse con i suoi compagni. Gli inglesi proseguirono cautamente ispezionando il campo di battaglia.
Un esploratore tornò dal tenente affermando di aver sentito delle voci provenire da una delle casematte. Green e i suoi compagni si avventurarono nel rifugio, all’interno trovarono una ventina di sopravvissuti.
Gli australiani erano rannicchiati contro le pareti, esausti e spaventati. Gemiti sofferenti echeggiarono nella penombra.
Mentre i suoi commilitoni pensarono a soccorrere i feriti Richard interrogò un caporale.
«Siamo rimasti bloccati qui dopo l’attacco. I tedeschi avevano accerchiato l’intera zona, eravamo sempre sotto al tiro del nemico. Abbiamo combattuto nel fango e nella melma…abbiamo perso molti uomini e altrettanti sono stati catturati»
Il tenente rimase impressionato dal suo racconto, quell’uomo era davvero sconvolto e terrorizzato.
Il sole era ormai tramontato, la vallata venne avvolta nell’oscurità.
Richard poté constatare che quell’area era del tutto abbandonata, non restava più nessuna linea di difesa e non c’era alcun segno del nemico. L’ufficiale decise di proseguire, non aveva intenzione di trascorrere la notte in quel luogo inquietante e spettrale.
La colonna di sopravvissuti continuò a marciare finché non fu raggiunta la più vicina postazione dell’Anzac, dove i soldati poterono occuparsi dei feriti e sostare per qualche ora.
Richard trascorse l’intera nottata in una buca, immerso nel fango fino alle ginocchia, avvertendo l’intenso e continuo scroscio della pioggia.
Tutti i ripari e le piattaforme dei cannoni furono presto inondati. Gli uomini dormirono su coperte bagnate o nel miglior dei casi su paglia fradicia.
 
Sul versante opposto della collina le truppe britanniche si trovavano nella medesima condizione.
Hugh sbirciò oltre alla feritoia, poi si rintanò nuovamente in trincea rannicchiandosi contro la parete fangosa.
«Dannazione, perché durante il nostro turno deve sempre piovere?»
Finn rispose con un intenso colpo di tosse, stringendosi poi nella giacca per proteggersi dal vento gelido.
«Oggi ho incontrato un soldato australiano, mi ha detto che le loro truppe sono state coinvolte in una battaglia sulla strada di Zonnebeke. A quanto pare hanno conquistato un altro miglio sul nuovo fronte di Passchendaele» continuò Hugh.
«Credi che il nostro plotone sarà inviato come supporto durante l’attacco?»
«Non ne ho idea, il tenente Green non ti ha detto nulla a riguardo?»
Il ragazzo scosse la testa: «no, il tenente è partito questo pomeriggio per una missione e non è ancora tornato»
Hugh notò l’espressione preoccupata sul volto del suo compagno.
Finn ri rialzò in piedi, fu costretto a sorreggersi al muro di terra per non perdere l’equilibrio.
«Ei, va tutto bene?»
Egli annuì con poca convinzione, aveva il volto pallido e la fronte madida di sudore.
Il giovane mosse qualche passo traballando sulle gambe tremanti. Aveva la vista annebbiata e la testa pulsava dal dolore. Il ragazzo tentò di proseguire, ma all’improvviso le forze lo abbandonarono ed egli cadde a terra, ritrovandosi disteso nel fango privo di sensi.
 
***

Il tenente Green venne informato sulle condizioni del suo assistente soltanto dopo il suo ritorno a Frezenberg.
Prima di potergli fare visita però dovette presentarsi dal capitano Howard, si trattava di una questione urgente e di estrema importanza.
Questa volta il suo superiore non nascose la propria apprensione. 
«Ho ricevuto nuovi ordini dal colonnello Leeds, a quanto pare l’attacco avverrà prima del previsto. Domani mattina dovremo mobilitare le truppe in prima linea»
Richard non rimase particolarmente sorpreso dalla notizia, ma per lui quello era il momento peggiore per tornare a combattere. Di certo non sarebbe stato semplice non lasciarsi sopraffare dalle sue preoccupazioni sul campo di battaglia.
Il tenente fu costretto ad accettare quella situazione, dopo essersi congedato dal capitano non pensò nemmeno più alla faccenda, si affrettò a raggiungere la strada e saltò sulla prima vettura diretta all'ospedale.
L’ufficiale attraversò un oscuro corridoio passando davanti a una lunga fila di brande sulle quali giacevano feriti gementi e sofferenti. Il suo attendente era stato sistemato in una piccola stanza fredda e spoglia. Richard si avvicinò con passi incerti al suo giaciglio.
Il ragazzo aprì lentamente gli occhi, appariva sempre pallido e febbricitante, era debole e respirava a fatica.
Il tenente si chinò su di lui e prese la sua mano stringendola con delicatezza.
«Finn…sono io, sono qui…»
Il giovane parve rassicurarsi con la sua presenza, ma non ebbe la forza di dire nulla.
Green rimase a vegliare sul malato per tutto il tempo a lui concesso, alla fine però fu costretto a lasciare quella sua postazione.
Finn sollevò debolmente le palpebre, i suoi occhi vitrei e stanchi incrociarono lo sguardo preoccupato del tenente.
«Tornerò presto, te lo prometto» disse Richard sfiorando un’ultima volta il suo viso con una dolce carezza.
 
Parlando con il medico Green non riuscì a nascondere la propria apprensione.
«Si tratta di febbre tifoide, purtroppo molti soldati si trovano nelle sue condizioni» spiegò il dottore.
Il tenente abbassò la testa: «lei crede che potrà riprendersi?»
«Mi spiace, ma al momento non posso dirle nulla di certo»
Richard avvertì un’intensa fitta al petto, istintivamente voltò lo sguardo verso la porta socchiusa. Non avrebbe voluto separarsi da Finn in quel momento, ma il dovere lo richiamava in prima linea, dove i suoi uomini avevano bisogno di lui.
 
***

Il piano per la cattura di Passchendaele consisteva in tre fasi fondamentali. Il primo passo era raggiungere le trincee che le truppe non erano riuscite a conquistare durante l'attacco precedente, posizionate a circa milleduecento iarde dalla base. La seconda fase invece prevedeva l’occupazione di un’altra postazione mezzo miglio più avanti, si trattava di una linea di congiungimento per l'assalto a Passchendaele. L'obiettivo finale invece era ottenere il completo controllo della zona, occupando altre quattrocento iarde oltre al villaggio.
 
Un’intensa copertura fu fornita grazie a pesanti bombardamenti e resistenti sbarramenti, fu necessario un enorme impegno da parte delle forze d’ingegneria sia britanniche che australiane per preparare le postazioni d’artiglieria e per fortificare le barricate.
Il tenente Green raggiunse le postazioni ad est di Ypres, dopo una lunga marcia il suo plotone poté trovare riposo nei pressi di Potijze. 
Le truppe furono costrette a bivaccare nell’erba bagnata, cercando riparo tra le cataste di legname e le lamiere di ferro. Il tenente Green tentò di contattare un comandante dell’Anzac, ma le comunicazioni furono bruscamente interrotte.
Richard fu costretto a rassegnarsi, dopo la ronda di mezzanotte si rintanò nella sua buca. Sapeva che quella era la sua ultima occasione per riposare e riprendere le forze prima della grande battaglia, eppure era certo che non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Ovviamente era preoccupato per i suoi uomini, era consapevole dei pericoli e delle difficoltà che avrebbero dovuto affrontare. Dall’altra parte invece non riusciva a smettere di pensare a Finn, avrebbe desiderato restare al suo fianco. Il suo peggiore incubo era diventato realtà, la persona che amava si trovava in pericolo e lui non poteva fare assolutamente nulla.
Richard si rannicchiò contro il muro di terra, si nascose il volto tra le mani e scoppiò in un disperato pianto.
Quella stessa notte un capitano delle truppe neozelandesi cercò in tutti i modi di convincere il comando britannico a rimandare l’attacco, ma i suoi sforzi risultarono inutili.
Ormai non restava più tempo, quella rimaneva la loro unica possibilità e nonostante le condizioni sfavorevoli era necessario portare avanti l’assalto.
 
Le truppe ricevettero l’ordine di prepararsi all’adunata poco prima del tramonto. Il tenente Green radunò i suoi uomini, era certo che essi si aspettassero un discorso motivazionale che li spronasse e dare il meglio sul campo di battaglia. Egli camminò davanti ai soldati schierati lungo la trincea, finalmente si decise a parlare, ripeté le solite frasi, senza patriottismo e senza retorica. Credeva davvero in tutto ciò, ma in quell’occasione non ebbe il coraggio di guardare i suoi compagni negli occhi.
I soldati attesero ansiosamente il momento dell’attacco. Dopo un intenso bombardamento la prima ondata uscì dalle trincee per affrontare il nemico.
I tedeschi risposero immediatamente colpendo i binari con estrema precisione. L’artiglieria bersagliò la ferrovia con grandi esplosioni e nuvole di gas.
Poco dopo anche altre truppe di fanteria dell’Anzac si unirono al combattimento. Green e i suoi uomini continuarono ad avanzare lungo la vallata, violente esplosioni scoppiarono sul lato scoperto scaraventando i soldati nel fango. Le maschere antigas risultarono spesso inefficaci, ma fortunatamente il vento disperse rapidamente i vapori mortali.
All’improvviso la leggera pioggia che aveva continuato a cadere costantemente sul campo di battaglia si tramutò in violento un temporale. La fanteria avanzò attraverso l’oscurità formando una lunga colonna. Gli uomini marciavano nel fango senza alcun punto di riferimento, ogni soldato doveva aggrapparsi all'attrezzatura del compagno davanti a sé per non perdersi.
Il capitano Howard ordinò ai comandanti di fermare le truppe ad un bivio nei pressi di Broodseinde, Richard si unì ad una squadra di esploratori per assicurarsi che la strada fosse libera dal nemico.
Tutto sembrava sotto controllo, la nuova postazione non era troppo distante dal cimitero di Keerselaarhoek, dove il tenente Green incontrò un comandante dell’Anzac. L’ufficiale australiano lo rassicurò rivelando che l’avanzata sul lato destro stava progredendo con ottimi successi.
Anche quella sera Richard si rannicchiò in una fossa fangosa, cercando riparo dalla pioggia avvolgendosi in un vecchio telo impermeabile.
Per tutta la notte persistette un pesante bombardamento, botti ed esplosioni tormentarono il sonno dei soldati. L’artiglieria tedesca si quietò solamente poco prima dell’alba.
Al mattino quando le sentinelle australiane appostate sul crinale opposto si sporsero dalle barricate notarono che la postazione britannica era stata completamente distrutta. Osservando la vallata brulla e deserta poterono scorgere soltanto un’intensa scia di fumo biancastro che si innalzava all’orizzonte.
 
La coordinazione con le truppe dell’Anzac risultò sempre più difficoltosa, erano sempre più frequenti i casi di fraintendimenti e alcune volte si verificavano veri e propri atti di insubordinazione.
Il tenente Green assistette ad un intenso diverbio tra il capitano Howard e un giovane comandante del 33°Battaglione australiano. 
«Questa faccenda è assurda! Si tratta di una mossa azzardata, una follia che come unico scopo ha un vanesio intento di propaganda» affermò Howard con disprezzo.
«Invece no! E’ un coraggioso atto di valore e orgoglio nazionale che sarà compiuto dalle forze del nostro esercito!» ribatté l’australiano.
Richard, che solitamente preferiva non invischiarsi in simili dibattiti, in quell’occasione fu spinto dalla curiosità.
«Che cosa è successo?» domandò con interesse.
«Un’unità speciale dell’Anzac ha ricevuto l'incarico di piantare la bandiera australiana a Passchendaele» rispose Howard.
Green sospirò: «davvero quegli uomini sono disposti a sacrificarsi per una bandiera?»
«Non si tratta soltanto di un pezzo di stoffa! Quando la Croce del Sud sarà vista come segno di vittoria infonderà nuovamente fiducia in questa guerra e la nostra Nazione sarà orgogliosa dei suoi valorosi soldati impegnati a combattere in Europa» replicò il comandate australiano.
«Davvero? E chi dirà alle famiglie di quei valorosi soldati che sono morti in una squallida missione di propaganda?»
«Ci sono volontari onorati di portare a termine un compito così importante»
Richard rimase alquanto perplesso, ma non disse più nulla a riguardo.
 
Quella sera il tenente rimase solo accanto alle braci del falò, inevitabilmente ripensò a Finn. Si sentì in colpa per averlo abbandonato in quel letto d’ospedale, temeva davvero che il loro ultimo incontro potesse esser stato un addio.
Era ancora tormentato di questi pensieri quando ad un tratto avvertì una voce.
«Signor tenente…»
Richard si voltò notando un sottufficiale con il braccio destro fasciato.
«Sergente Redmond, la sua ferita sta migliorando?»
L’uomo si avvicinò posizionandosi al suo fianco: «oh, io sto bene...ad essere sincero è lei a preoccuparmi»
L’ufficiale sussultò: «per quale motivo?»
«Ho la sensazione che qualcosa la stia turbando profondamente»
«E’ gentile a mostrare apprensione nei miei confronti, ma si sta sbagliando»
«La conosco da abbastanza tempo per capire quando sta mentendo»
Il tenente scosse la testa: «in ogni caso lei non potrebbe aiutarmi»
Il sergente prese un profondo respiro: «non le sto chiedendo di confidarsi con me…in ogni caso volevo che lei sapesse che non è solo»
Richard mantenne lo sguardo fisso a terra tentando di trattenere le lacrime.
Redmond poggiò una mano sulla sua spalla mostrando il suo supporto, pur non conoscendo le ragioni del suo sconforto tentò di fare il possibile per rassicurarlo. 
«I suoi uomini hanno bisogno di lei, domani avrà il compito di guidarli all’attacco e dovrà dare il meglio di sé. Sono certo che saprà affrontare anche questa battaglia, ma deve essere concentrato soltanto sul suo obiettivo, sa bene che al fronte ogni distrazione può essere fatale»
Green ascoltò le parole del sergente come un figlio in attesa dei consigli del padre.
Il sottufficiale osservò il cielo stellato: «è tardi, dovrebbe riposare»
Richard annuì, prima di allontanarsi si voltò ancora verso il suo commilitone.
«Grazie sergente»
Redmond gli rivolse un benevolo sorriso: «buonanotte signor tenente»
 
***

La direzione di marcia non si trovava lungo la retta per la strada di Passchendaele, ma in diagonale seguendo la cresta parallela alla ferrovia. I tedeschi dovevano aver previsto gli spostamenti degli avversari poiché riuscirono a circondare le truppe appostandosi lungo il percorso.
Le prime raffiche di mitragliatrice giunsero dal lato destro, una casa isolata e diroccata era stata occupata dal nemico. Quasi contemporaneamente altri spari furono avvertiti nei pressi di Hillside Farm, ma l’offensiva più consistente venne sferrata lungo il sentiero di Augustus Wood.
Una vecchia casamatta nascosta tra la boscaglia venne utilizzata come centro dell’attacco, sostenuta e rafforzata da una trincea in cui i tedeschi piazzarono altre mitragliatrici.
Le truppe britanniche caddero nell’imboscata e si trovarono coinvolte in un’intesa sparatoria nella foresta.
Green e i suoi uomini avvertirono l’eco degli spari in lontananza, cautamente proseguirono addentrandosi nella vegetazione, avvertendo un’intensa sensazione di inquietudine.
Richard sbatté le palpebre per ripulire gli occhi dalle gocce di pioggia. L’aria era intrisa di un pungente odore di legno bagnato, camminando lasciava profonde impronte sul sentiero rovinato dall’acqua e dal fango. I botti dei tuoni si confondevano con gli echi delle esplosioni.
Green proseguì in testa alla fila stringendo l’arma tra le mani. La pioggia batteva violentemente sull’elmetto, i suoi movimenti erano impacciati a causa dei vestiti fradici e gli scarponi appesantiti dalla melma. Si guardò intorno, gli alberi erano spogli e bruciati dai bombardamenti, raramente le fronde potevano fornire riparo dall’alluvione.
I soldati sostarono a lato del sentiero per riposarsi, qualcuno si lamentò per la stanchezza e per le pessime condizioni con cui erano stati costretti a riprendere la marcia.
Il tenente bevve un lungo sorso d’acqua dalla sua borraccia, poco dopo avvertì dei rumori sospetti nella boscaglia. Prontamente afferrò il fucile e ordinò ai suoi uomini di stare in allerta. Gli inglesi si chinarono tra gli arbusti e restarono in attesa. Per qualche secondo non udirono nulla, poi all’improvviso uno sparo irruppe nel silenzio. Un solo colpo diretto e preciso perforò l’elmetto di un soldato, che ricadde all’indietro con un tonfo, un rivolo di sangue sporcò di rosso una pozzanghera.
Richard tentò di capire da dove fosse partito il proiettile, un cecchino si stava nascondendo tra gli alberi. Restò a lungo immobile, nessuno sparo, nessun rumore. Il cadavere riverso nel fango era l’unica prova dell’esistenza di un nemico invisibile.
Dopo un periodo che ai soldati parve infinito un altro colpo esplose nella foresta, stavolta il tedesco mancò il suo obiettivo e la pallottola finì per conficcarsi in un tronco. Richard individuò la posizione del cecchino e senza alcuna esitazione premette il grilletto. L’uomo che si era appostato su un albero precipitò a terra, poco dopo il caporale Speller poté constatare la sua morte.
Il tenente Green rimase impassibile.
«Forza ragazzi, dobbiamo andarcene al più presto da questa dannata foresta! Fate attenzione e tenete gli occhi ben aperti!»
Detto ciò l’ufficiale si rimise il fucile in spalla e proseguì lungo il sentiero.
Gli inglesi ripresero il cammino lasciandosi i due cadaveri alle spalle.

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Capitolo 12
*** Spiriti della notte ***


 
XII. Spiriti della notte

Hugh riprese a camminare avanti e indietro, ad ogni passo le passerelle di legno affondavano nelle profonde pozzanghere di fango. Il freddo era insopportabile, l’unico modo che aveva per scaldarsi era continuare a percorrere quel breve tratto di trincea.
Le stelle brillavano nell’oscurità. Hugh alzò lo sguardo al cielo, nella sua mente riaffiorarono lontani ricordi. Ripensò alle lunghe notti d’estate e al mite paesaggio della brughiera.
Il soldato sentì una fitta al petto, quelle memorie lo lasciavano sempre con un’opprimente sensazione di malinconia e tristezza. A stento trattenne un lamento e si asciugò velocemente una lacrima che gli era scivolata sul viso. Per quanto fossero causa di tali sofferenze quei ricordi rimanevano il suo unico conforto.
Hugh tornò alla realtà udendo la voce di un commilitone.  
Il caporale Speller si posizionò al suo fianco poggiandosi al muro di terra. Estrasse due sigarette dal taschino della giubba e ne offrì una al suo compagno.
Hugh rimase sorpreso da quell’insolita generosità.
«Sono le ultime rimaste, suppongo sia giusto consumarle in compagnia» disse Speller con rassegnazione.
Il soldato espirò una nuvola di fumo.
«Pensi mai alla fine della guerra?» domandò Hugh ancora immerso nei suoi ricordi.
L’altro scosse le spalle: «a quale scopo? Non sappiamo nemmeno se riusciremo a vedere l’alba di domani...perché dovremmo preoccuparci del futuro?»
Egli sospirò: «a volte mi piace credere che tutto questo un giorno finirà e che potrò tornare alla mia vecchia vita»
Speller abbassò lo sguardo: «credi davvero che tutto potrebbe tornare come prima?»
Il giovane rifletté qualche istante.
«Non sto dicendo che sarà semplice, ma in qualche modo dovremo andare avanti»
«Come potrai stringere tua moglie tra le stesse braccia che hanno ucciso un uomo? Come potrai guardare tuo figlio negli occhi senza ricordare quei ragazzini asfissiati dai gas? Dimmelo, perché io non credo che potrò mai farlo!»
Hugh si ritrovò disarmato di fronte a quelle rivelazioni, le parole del suo commilitone giunsero fredde e taglienti.
«Io…ho solo bisogno di una ragione per combattere e qualcuno per cui restare vivo» confessò con la voce tremante e le lacrime agli occhi.
Speller rimase colpito da quelle parole, non poté contraddire la buona fede del suo compagno, ma era consapevole che ciò non sarebbe stato sufficiente.
 
Hugh proseguì lungo i camminamenti, era appena giunto ad una postazione d’osservazione quando all’improvviso avvertì un rumore sospetto.
La trincea era deserta, così decise di sporgersi dalla barricata per dare un’occhiata. Posizionò il suo Lee-Enfield e cautamente sbirciò dalla feritoia.
Nell’oscurità non riuscì a vedere nulla, ma continuò a udire quel suono inconfondibile, erano degli stivali che sguazzavano nel fango. Qualcuno stava attraversando la terra di nessuno.
Poco dopo anche il caporale lo raggiunse: «hai sentito?»
Hugh annuì con un cenno.
«Qualcuno si sta avvicinando…» bisbigliò il suo compagno stringendo l’arma.
I due rimasero in attesa prestando attenzione ad ogni minimo movimento.
Scorsero un’ombra aggirarsi intorno al filo spinato, pian piano la sagoma divenne sempre più nitida finché la figura non sorpassò i reticolati.
Speller era già in posizione con il fucile puntato, ma Hugh lo bloccò. In quel momento il soldato tedesco abbandonò l’arma a terra, poi continuò ad avanzare lentamente con le mani alzate in segno di resa.
I due rimasero perplessi, non si erano mai trovati in una situazione del genere.
Il tedesco si fermò a pochi metri dalla trincea, cadde in ginocchio ed iniziò a parlare metà in tedesco e metà in un inglese stentato.
Hugh e Speller si avvicinarono cautamente, il caporale tentò di comprendere le sue parole.
«Aiutatemi…vi prego. Mi arrendo…non sparate!»
Speller rispose mantenendo il fucile puntato: «da questo momento sei nostro prigioniero. Avanti, alzati!»
L’uomo riprese a farneticare in tedesco.
Il caporale l’obbligò a rialzarsi e strattonandolo lo condusse all’interno della trincea.
Per il resto della nottata i due restarono di guardia davanti al rifugio del prigioniero.
Hugh sbirciò con diffidenza all’interno: «questa storia non mi piace affatto. Per quale motivo quel soldato ha deciso di tradire i suoi compagni?»
Speller sospirò: «non lo so…era solo e ferito, forse non aveva alternative»
«Dovremmo fidarci di lui?»
Il caporale non rispose, in quel momento non aveva alcuna certezza.
 
***

Il tenente Green terminò la solita ronda notturna, era tardi, eppure non era ancora intenzionato a ritirarsi nel suo rifugio. In ogni caso era certo che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, troppi pensieri tormentavano le sue notti. Da quando si era separato dal suo assistente non aveva mai smesso di preoccuparsi per lui, e quando si ritrovava solo nell’oscurità non poteva fare a meno di temere per la sua sorte. Non riusciva più a sopportare tutto ciò.
Richard si ritrovò a vagare come un’ombra solitaria tra le trincee, inconsciamente il suo istinto lo guidò verso il rifugio di Redmond. Il tenente si avvicinò all’ingresso della galleria, sentì il bisogno di parlare con il sergente, solamente la sua mite compagnia e i suoi saggi consigli avrebbero potuto rassicurarlo.
L’ufficiale entrò nel rifugio trovando la stanza vuota. Nella penombra raggiunse il tavolo, attirato dalla lampada ancora accesa. Sulla superficie di legno si trovava un taccuino aperto, il tenente osservò distrattamente la prima pagina illuminata. La sua attenzione si focalizzò su un nome: Arthur Redmond.
Green si incuriosì, sapeva che il sergente si chiamava Paul, dunque non era lui il proprietario di quel diario.
Richard sfogliò le pagine, la carta era rovinata e alcune frasi apparivano quasi incomprensibili.
Mosso dalla curiosità il tenente iniziò a leggere.
 

Il Cairo, 6 marzo 1915. 
Questi mesi di addestramento sono trascorsi rapidamente, tutti noi abbiamo avuto modo di abituarci alla vita militare. Le giornate sono scandite dalle marce e dalle esercitazioni mentre le notti si alternano ai turni di guardia e alle libere uscite. Qui la guerra sembra ancora lontana, gli egiziani hanno accolto in modo sereno e tranquillo la nostra presenza, come se ignorassero le ragioni del nostro arrivo. 
Temo che nessuno sia stato sincero con noi, ciò mi porta a restare diffidente nei loro confronti. 

[…]
 
Alessandria, 19 aprile 1915.
Già da tempo avvertivamo il presagio di un grosso cambiamento. Eravamo sottoposti ad addestramenti sempre più stressanti e a prove al limite delle nostre resistenze.
Alla fine oggi è arrivata la notizia: è giunto l’ordine di imbarcarsi per Gallipoli.
L’idea di prendere parte all’azione ha infervorato i nostri animi, il nostro spirito si è ravvivato sulla strada per Alessandria. Per tutto il viaggio su un vecchio carro di bestiame abbiamo cantato a pieni polmoni completamente sopraffatti dall’eccitazione. Finalmente la guerra è iniziata anche per noi.
 

22 aprile 1915. 
Abbiamo atteso per tre giorni, non sappiamo per quale ragione, ma per errore siamo rimasti senza la nostra nave. Finalmente questa sera abbiamo ricevuto il permesso di imbarcarci. Siamo rimasti tutti sorpresi nello scoprire che a portarci in guerra sarebbe stato un transatlantico tedesco, sottratto al nemico dalla Marina britannica. Questa nave è un vero e proprio mostro di metallo, la nostra cabina è una scatola di ferro liscio e lucente. Gli oblò sono sempre chiusi e coperti, in modo da privarci di luce e aria. Viviamo nell'oscurità poiché le lampade elettriche spesso non sono funzionanti.
Dobbiamo ancora abituarci alla vita di bordo, lavorare in questa penombra è difficile poiché l’ambiente della nave ci è ancora sconosciuto. Durante ogni operazione cadiamo e inciampiamo nelle attrezzature.
Questa notte dormiremo sul ponte, laggiù le temperature sono infernali.
Ora che finalmente possiamo riposare la vita da marinai non ci appare così ostile.  

 
24 aprile 1915.
Siamo in viaggio da due giorni e due notti, già siamo sull’orlo dell’esaurimento.
Per tutto il tempo io e i miei compagni restiamo rinchiusi in questa dannata scatola di metallo, dove lo spazio è appena sufficiente per contenerci, l’aerazione è scarsa e fatichiamo a respirare per la mancanza d’ossigeno. Mangiamo cibo crudo e beviamo acqua calda.
Sembriamo bestie in gabbia, irritabili e nevrotici. Nella noia finiamo per litigare in continuazione, anche quando non c’è alcun valido motivo per azzuffarci.
 
Capo Helles, 25 aprile 1915.
Questa notte abbiamo avvistato la terra, la prima cosa che abbiamo notato sulla costa sono stati i lampi delle esplosioni. Pian piano le raffiche delle mitragliatrici e il fragore delle bombe ci hanno riportato alla dura realtà. Improvvisamente ci siamo ritrovati nel mezzo della guerra.
Lo sbarco è stato difficoltoso, sulle spiagge siamo stati accolti da una moltitudine di feriti.
Ovunque eravamo circondati dall’acqua: la vastità del mare, il fiume che scorreva impetuoso, una pioggia fitta e intensa che cadeva dal cielo. Acqua, acqua e ancora acqua…non ricordo altro.
Non abbiamo incontrato nessuno lungo la strada, né nemici né alleati, ma intorno a noi echeggiavano i rumori della guerra. La marcia è stata lunga e faticosa, eravamo tutti ostacolati dalla zavorra, dagli abiti impregnati d’acqua e dagli stivali appesantiti dal fango.
Abbiamo raggiunto la cima di un colle, il nostro riparo per la notte.
Nonostante le difficoltà il nostro morale è ancora alto, siamo all’inizio di questa grande avventura, non sappiamo che cosa ci attenderà, ma siamo pronti ad affrontare questa guerra.
La stanchezza sta prendendo il sopravvento, a breve raggiungerò i miei compagni sdraiati del fango, per riposare cullato dal dolce rumore della pioggia.
 
27 aprile 1915.
E’ una mattina assolata, tutto sembra tranquillo mentre scrutiamo l’orizzonte.
La nostra nuova postazione dista a un miglio da Capo Helles. Per conquistare quest’area il sacrificio di vite umane è stato enorme. I nemici controllano le alture circostanti e molte unità alleate si sono ritrovate in trappola. I feriti raccontano storie terribili dalla prima linea, dove le nostre truppe vengono sterminate ogni giorno dai fucili turchi.
I soldati feriti ci hanno riportato la loro esperienza, raccontandoci i preparativi per la battaglia, l’arduo combattimento per il controllo di posizioni praticamente inespugnabili e le terribili condizioni sopportate sotto il costante bombardamento.
Questo è ciò che ci attende in prima linea.
 
30 aprile 1915.
Questa mattina abbiamo catturato un nemico ferito, gli ufficiali hanno discusso a lungo a riguardo della sua esecuzione. Io stesso mi sono lasciato sopraffare dalla rabbia e dal dolore per i compagni caduti. Credevo che sarei stato disposto ad uccidere personalmente quel soldato turco…ma quando l’ho visto ho capito che ciò non avrebbe cambiato nulla. Il nemico era gravemente ferito, ormai stremato, tremava come un ragazzino impaurito.
E’ morto poco dopo davanti ai nostri occhi, seppur con vergogna abbiamo provato pietà per lui.
 
3 maggio 1915.
La giornata è stata sprecata nell’invano tentativo di abbattere un velivolo nemico, i cannoni anti-aereo hanno sparato per ore senza ottenere alcun risultato.
Sono arrivati i rinforzi, abbiamo osservato lo sbarco dalle colline, il fuoco è stato molto intenso, alcune chiatte sono affondate vicino alla costa.
 
7 maggio 1915.
Da giorni siamo in marcia per raggiungere il nuovo fronte. L’ufficiale di comando, esperto e competente, ha guidato le truppe attraverso il fuoco nemico. Siamo ancora vivi solamente grazie a lui.
L’unica certezza è che siamo diretti all’Inferno.
 
8 maggio 1915.
Per ore abbiamo vagato in un labirinto di cunicoli scavati nella roccia, cercando riparo dall’intensa pioggia di proiettili, le mitragliatrici nemiche hanno continuato a crepitare senza sosta.
Ci siamo accampati al calare del sole, in attesa di nuovi ordini.
Siamo sempre più vicini alla prima linea.
Qui fuori è tornato tutto tranquillo, il cielo stellato mi infonde una dolce malinconia. Per un breve istante chiudo gli occhi, e nel silenzio ritrovo la pace.
 
11 maggio 1915.
E’ ufficiale, il nostro obiettivo sarà raggiungere le truppe neozelandesi in prima linea.
Oggi abbiamo abbandonato il nostro rifugio nella roccia. Lungo la strada abbiamo dovuto attraversare un ampio spazio aperto, senza alcun riparo a vista d’occhio. Abbiamo corso senza mai fermarci sotto all’inteso fuoco nemico, con i polmoni in fiamme ci siamo gettati nelle trincee di collegamento, increduli di essere ancora vivi.
 
12 maggio 1915.
Per tanto tempo ho provato ad immaginare la mia prima azione di guerra. Oggi questa mia fantasia si è concretizzata, ma l’impresa non è stata affatto eroica o gloriosa.
Si è trattato di una missione di ricognizione sotto al fuoco delle mitragliatrici nemiche. Siamo stati costretti a strisciare nel fango come vermi, avanzando a fatica con il peso dell’attrezzatura sulle spalle.
All’improvviso l’uomo di fianco a me si è accasciato al suolo, inerme, con la gola trafitta da un proiettile. Ho visto molti compagni morire davanti ai miei occhi, ma in quel momento ho perso il mio primo amico.
 
15 maggio 1915.
Continua a piovere, le trincee sono inondate d’acqua e fango. Questa notte sono rimasto per ore rannicchiato in una buca con un mio compagno. Mi sentivo al sicuro, come se quel muro di terra fosse una barriera impenetrabile. Ho atteso per un tempo interminabile. Solamente alle prime luci dell’alba mi sono accorto di aver trascorso l’intera nottata in compagnia di un cadavere.
 
19 maggio 1915.
In prima linea restiamo abbandonati a noi stessi. Nell’oscurità della notte vaghiamo tra i camminamenti delle trincee come fantasmi. Possiamo solamente obbedire agli ordini, e quando non accade nulla di nuovo ci illudiamo che tutto stia andando bene. La verità è che non abbiamo idea di ciò che potrebbe accadere.
 
22 maggio 1915.
La nostra convivenza con i neozelandesi non è caratterizzata da quel che si potrebbe definire un buon rapporto tra alleati.
Ci scontriamo nelle trincee, inciampando l’uno sull’altro, scambiandoci spintoni e insulti per riuscire a passare attraverso i camminamenti affollati. Spesso ci ritroviamo ad azzuffarci per l’ultima scorta di provviste o litighiamo per poterci sdraiare nella zona più accogliente dei rifugi.
Siamo tutti stremati, abbiamo superato il limite. Ormai non riusciamo più a distinguere amici e nemici. Vogliamo solo sopravvivere e non ci importa più di nessun altro al di fuori di noi stessi.
 
24 maggio 1915.
Non avevo mai sparato oltre alle linee nemiche, i veterani ci hanno insegnato la tecnica dei “quindici colpi”.
Nei momenti di quiete, quando tutto sembra tranquillo, bisogna correre alle postazioni di tiro. Qui si ricaricano rapidamente i fucili e si spara il più possibile finché il nemico non risponde al fuoco.
Era la mia prima volta, a stento sono riuscito a caricare l’arma con le mani gelide e tremanti. Dalla mia postazione non potevo vedere nulla, ma l’eco degli spari ha risvegliato in me una strana sensazione, qualcosa di profondo e primordiale, pura eccitazione…ora attendo con ansia il prossimo turno di guardia.
 
26 maggio 1915.
I neozelandesi hanno abbandonato le loro postazioni, adesso siamo noi i padroni della prima linea.
E’ un grande onore e faremo tutto il possibile per difenderlo.

 
27 maggio 1915.
Finalmente è giunta l’alba. Dopo la prima notte di resistenza senza l’ausilio degli alleati non sembrano rimasti in molti a credere nell’onore.
Siamo stanchi e affamati, nemmeno il sorgere del sole ci ha ridonato un po’ di speranza.
 
30 maggio 1915.
La terra di nessuno giace in un desolato stato di abbandono. Il filo spinato cade a brandelli dai pali bruciati conficcati nel deserto. Dalla sabbia riaffiorano alcuni corpi in decomposizione, ovunque possiamo avvertire l’odore nauseante della morte.
La nostra più grande preoccupazione però è la sete, a stento cerchiamo di trattenerci dal bere l’acqua putrida delle pozzanghere.
 
3 giugno 1915.
La noia è tornata nelle nostre vite. Trascorriamo le giornate a riparare i danni nelle trincee, ormai ci sentiamo a casa nei nostri rifugi, i quali ci appaiono sempre più intimi e familiari.
Il nemico sembra stanco di combattere, i cecchini sparano di rado e le bombe cadono lontane dalle trincee.
 
5 giugno 1915.
L’ultimo bombardamento si è tramutato in un’implacabile tempesta di fuoco.
Udivamo solamente il boato delle esplosioni, il fragore assordante non si è placato nemmeno per un istante. Eravamo terrorizzati, rannicchiati nelle nostre buche non potevamo fare altro che pregare per la nostra salvezza.
Al tramonto abbiamo seppellito i morti.
 
7 giugno 1915.
Abbiamo ricevuto l’ordine di trasportare un grosso carico di munizioni alle postazioni d’artiglieria poste sul versante scosceso della collina. Carichi come muli abbiamo marciato nel fango per ore.
La nostra fatica è stata inutile, nessun attacco in programma.
 
10 giugno 1915.
Avanzare di notte attraverso la terra di nessuno non è meno pericoloso. I cecchini turchi sono sempre vigili e al chiaro di luna noi siamo bersagli facili. Bisogna strisciare sui gomiti e tenere la testa bassa.
All’alba rientriamo in trincea con la schiena a pezzi e le mani sanguinanti, ma almeno siamo ancora tutti interi.
 
13 giugno 1915.
L’attacco nemico è stato respinto.
Abbiamo perso il controllo, le nostre grida di eccitazione sovrastavano il crepitio delle mitragliatrici.
Ho riconosciuto la follia negli sguardi dei miei compagni.
Il nostro umore è tornato tetro e cupo quando abbiamo visto i feriti con arti recisi e volti sfigurati. Le loro atroci urla di dolore e disperazione mi perseguitano ancora nel sonno.
 
[…]
 
26 giugno 1915.
Tutto è pronto per la prossima offensiva.
Combattiamo fino allo stremo ogni giorno, avanziamo ed arretriamo senza mai conquistare nulla, mentre le vittime aumentano in continuazione.
Non ho più speranze e questa nuova consapevolezza mi rende libero, privo di ogni timore sono pronto ad affrontare il mio destino.



Richard terminò di leggere quelle ultime righe, con rammarico scoprì che da quel punto la scrittura del diario era stata interrotta. Sfogliando il quaderno notò che tra le pagine era stata riposta una fotografia.
Il ritratto ormai ingiallito e rovinato raffigurava un giovane soldato in posa con la divisa del Territorial Army.
«Signor tenente»
Richard trasalì, non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la voce di Redmond.
«Sergente, io…la stavo cercando e…mi spiace, non era mia intenzione mancarle di rispetto»
Il sottufficiale non parve indignarsi di fronte all’umana curiosità del suo superiore.
«Lo so, non si preoccupi. Mi fido di lei»
Il tenente si sentì a disagio in quella situazione.
Paul si avvicinò al tavolo osservando la fotografia con aria malinconica.
«Si tratta di mio figlio Arthur, ma suppongo che questo l’abbia già intuito»
Richard riprese un po’ di coraggio: «immaginavo che fosse suo figlio, le assomiglia davvero molto»
«Aveva solo diciotto anni quando decise di arruolarsi come volontario…»
Green esitò prima di porre la fatidica domanda.
«Che cosa gli è successo?»
Redmond prese un profondo respiro: «non lo so. Io e mia moglie ricevemmo solo un telegramma in cui Arthur veniva dichiarato disperso. Questo diario era tra i suoi effetti personali, non mi è rimasto altro di lui…»
«Mi dispiace»
«So bene che nella maggior parte dei casi i soldati ritenuti come dispersi sono in realtà i morti di cui non si è riusciti a trovare il cadavere, ma una parte di me continua a sperare nel suo ritorno»
Richard si commosse nel sentire quelle parole, non poteva accusare in alcun modo l’ingenua speranza del sergente, comprendeva bene le sue ragioni.
Redmond distolse lo sguardo dalla fotografia del figlio per poi rivolgerlo all’ufficiale.
Il tenente aveva molto in comune con Arthur, entrambi erano due giovani ambiziosi e determinati, probabilmente era per questo che il sergente si era affezionato a lui così facilmente. Nonostante fosse un suo superiore ai suoi occhi appariva ancora come un ragazzo. Per Paul era stato naturale restare accanto a Richard, prendendosi cura di lui con la stessa bontà di un padre.
Era consapevole che il rapporto con il tenente non avrebbe mai potuto sostituire il legame con il figlio, ma almeno ciò poteva donare sollievo e conforto ad entrambi.
 
***

Finn si rigirò tra le coperte, il suo riposo era agitato e tormentato. Il ragazzo ricominciò a dimenarsi in preda agli incubi e alle allucinazioni.
All’improvviso si risvegliò con un urlo di terrore.
Il suo sguardo atterrito vagò nella penombra, la sua mano scivolò a lato del letto, in cerca di una presa che non riuscì a trovare.
Le fitte al ventre erano sempre più intense, ben presto il dolore divenne insopportabile. Le sue grida sofferenti echeggiarono nel lungo corridoio, confondendosi con le urla e i lamenti degli altri soldati.
Il giovane continuò ad implorare aiuto, ma nessuno giunse in suo soccorso. Quella notte era solo nell’oscurità.
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire il racconto.
Come sempre ringrazio di cuore alessandroago_94, Old Fashioned e Saelde_und_Ehre per il prezioso sostegno.
Un ringraziamento speciale alla gentilissima paige95 ^^

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Capitolo 13
*** Scorreva sangue la scura terra ***



XIII. Scorreva sangue la scura terra
 

Hugh osservò il prigioniero rannicchiato nell’angolo del rifugio. Il dottor Jones aveva provveduto a medicare le sue ferite, ma le sue condizioni non sembravano migliorare.
L’inglese si avvicinò restando solo a qualche passo di distanza. Alla luce delle torce poté osservare meglio il volto di quell’uomo, il quale appariva molto più giovane di quanto avesse presupposto la notte precedente.
Hugh provò compassione per lui, dopo un po’ prese coraggio e si avvicinò porgendogli un tocco di pane.
Il tedesco esitò, ma poi spinto dalla fame accettò quel generoso dono, afferrò il cibo e lo ingurgitò con avidità.
L’inglese rimase immobile, in quel momento non avvertì né timore né odio per quel soldato.
Il prigioniero tentò di comunicare, inizialmente a gesti, indicò la gola e mimò il gesto di bere.
«Wasser bitte»
«Acqua...sì certo…aspetta»
Hugh recuperò la sua borraccia e la consegnò nelle mani del tedesco, il quale bevve un lungo sorso.
Riconsegnando l’oggetto rispose con un lieve sussurro.
«Danke»
L’inglese accennò un sorriso, per qualche ragione volle mostrarsi rassicurante nei suoi confronti. Osservando il suo volto pallido e scarno, il suo fisico deperito e il suo sguardo sofferente non poté evitare di porsi domande sul trascorso di quel giovane.
Hugh non provò più a comunicare con lui, ma rimase di guardia per tutta la notte. Il tedesco non si sentì in pericolo in sua presenza, pian piano tornò a calmarsi e lentamente riuscì ad addormentarsi.
 
***

L’ultimo attacco era stato un fallimento. Gli inglesi avevano tentato di indebolire le difese avversarie per poter permettere alle truppe dell’Anzac di catturare Passchendaele. Il piano però non era andato a buon fine. Ad ottobre gli alleati non erano riusciti a sfondare la resistenza tedesca. Era giunto il momento di sferrare l’assalto decisivo, era l’ultima possibilità per conquistare Passchendaele prima dell’inverno.
 
Durante l’avanzata i primi sbarramenti di artiglieria risultarono inefficaci poiché il fango ostacolò il trasporto delle armi pesanti mentre quelle già in posizione non poterono essere stabilizzate nelle buche piene d’acqua.
Dal fronte e dal fianco destro erano esposti al fuoco delle mitragliatrici tedesche. Gli inglesi tentarono di proseguire attraverso la terra di nessuno, ma i fitti reticolati di filo spinato risultarono impenetrabili, così i soldati britannici rimasero bloccati nei crateri. Gli ordini per un ulteriore assalto furono rimandati e successivamente annullati per mancanza di rinforzi.
Alla fine le truppe tornarono alle posizioni vicine alla precedente linea di partenza. Il tenente Green attraversò il campo di battaglia devastato dalle esplosioni nel disperato tentativo di riportare i suoi uomini al sicuro.
Richard arrancò affondando gli stivali nella melma, il terreno tremava, intorno a lui poteva udire solo il sibilo dei proiettili e i botti delle granate.
Ovunque giacevano corpi inermi e orribilmente deturpati, le grida sofferenti dei feriti erano soffocate del frastuono della battaglia.
Green continuò a strisciare oltre alle linee, trovando riparo in una postazione di soccorso. L’ufficiale provò una profonda angoscia notando l’enorme numero di feriti, molti dei quali difficilmente sarebbero sopravvissuti.
 
L’agognata conquista del villaggio di Passchendaele avvenne per mano delle truppe canadesi, le quali sferrarono una lunga serie di attacchi in terribili condizioni, riuscendo con sforzi estremi a sopraffare le difese nemiche.
Questo enorme sacrificio però non portò ad alcuna vittoria significativa. A quel punto del conflitto il controllo di Passchendaele non rappresentava più alcun vantaggio strategico, le forze alleate subirono enormi perdite per un misero risultato.
Mentre le truppe canadesi si ritrovarono ad occupare un paese deserto i distaccamenti britannici iniziarono già a marciare in direzione del nuovo fronte.
 
Il plotone del tenente Green riprese l’avanzata per raggiungere il successivo obiettivo.
L’azione sembrò iniziare sotto ad un segno di buon auspicio. Quella mattina per la prima volta dopo tanto tempo gli inglesi tornarono ad ammirare un cielo sereno. Le nuvole basse si erano aperte e alti cirri lasciando intravedere squarci di colore blu. Il tenente fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano, non era più abituato all’intensa luce del sole.
Dopo un’intera giornata di marcia le truppe giunsero ai confini dell’ennesimo villaggio fantasma.
I soldati attraversarono cautamente le rovine, il tenente si rannicchiò dietro ad un ammasso di macerie e lentamente sbirciò la strada. Il campanile sembrava abbandonato, nessun colpo si abbatté sulle truppe in avvicinamento.
L’ufficiale proseguì per le strade deserte. I soldati ispezionarono le abitazioni distrutte e le cantine evacuate.
Ad un tratto Richard ordinò ai suoi compagni di fermarsi, aveva avvertito qualcosa, non erano soli in quel villaggio. Il tenente strinse il fucile, poco dopo due figure comparvero tra le rovine, i tedeschi corsero lungo la strada e si arresero.
Green interrogò un prigioniero, il quale rivelò che entrambi gli schieramenti erano stati frammentati e dispersi dopo la battaglia. L’ufficiale ordinò ai suoi uomini di occuparsi dei tedeschi, poi con la sua squadra proseguì ad ispezionare l’area circostante.
Poco distante scovarono altri soldati in una fossa. Gli inglesi puntarono i fucili, i presunti nemici restarono immobili.
Richard si avvicinò al bordo del cratere, all’interno trovò due uomini rannicchiati nel fango. Uno gemeva dal dolore, probabilmente aveva un braccio rotto. Entrambi erano pallidi e denutriti. Le loro divise erano logore e strappate, sarebbe stato impossibile identificarne la nazionalità.
Il tenente si calò sul fondo della buca, il ferito era sdraiato nella melma, il suo compagno tentò di proteggerlo posizionandosi davanti a lui e puntando il fucile. Appena riconobbe l’uniforme britannica però abbassò l’arma con gli occhi lucidi per la commozione.
«Siamo australiani, vi prego…aiutateci»
Richard tentò di rassicurarlo, in quel momento altri inglesi giunsero in loro soccorso.
Il primo soldato indicò il suo compagno: «prima pensate a lui, è ferito»
Il tenente provò una sincera commozione nell’assistere a quella dimostrazione di affetto e cameratismo. Era ancora perso nei suoi pensieri quando fu riportato alla realtà della voce preoccupata di un suo commilitone.
«Quegli australiani erano ridotti davvero male, che cosa deve essere successo qui?»
L’ufficiale sospirò: «temo che presto avremo modo di scoprirlo»
La loro conversazione venne interrotta dall’arrivo di una staffetta ansante.
«Signor tenente, il caporale Speller ha segnalato la presenza di una postazione tedesca a sud-est del villaggio!»
Green ebbe presto prova della presenza del nemico, due mortai iniziarono a colpire le truppe intente a scavare le nuove trincee.
Gli esploratori riportarono anche l’esistenza di una casamatta occupata dal nemico, quella stessa sera il tenente prese il comando dell’operazione per liberare il sentiero. Lo scontro fu breve, ma intenso. I tedeschi si arresero solamente dopo un arduo combattimento.
Richard ebbe così la prima dimostrazione che l’avanzata sarebbe stata ancora più difficoltosa del previsto.
 
Gli inglesi assistettero all’azione degli australiani a Ravebeek. Gli alleati furono costretti a ritirarsi nel fango, i tedeschi mantenevano ancora il controllo di Bellevue.
Anche i neozelandesi tentarono nuovamente di avvicinarsi al nemico, ma le loro truppe furono respinte e disperse. 
Il tenente Green mantenne la postazione, scambiando con il nemico un intenso fuoco di mitragliatrici.
L’ufficiale non poté incolpare in nessun modo i comandanti dell’Anzac per i recenti fallimenti, nessuna fanteria al mondo avrebbe potuto attraversare il fango di Ravebeek, penetrare nel fitto reticolato e attaccare le ben difese casematte di Bellevue senza un adeguato supporto.
Nonostante la situazione disperata degli Alleati le truppe britanniche ricevettero l’ordine di continuare a resistere.
 
***

Il pomeriggio seguente il tenente Green osservò le truppe tedesche in movimento a sud-est. L'artiglieria nemica diede inizio ad un violento bombardamento contro il fronte australiano, la fanteria tedesca uscì dalle trincee e con ondate compatte e ordinate occupò la cima dell’altura.
Gli australiani riuscirono a gestire l’attacco, fucili e mitragliatrici spararono senza sosta per l’intera giornata.
Richard non poté far altro che supportare la difesa con colpi d’artiglieria.
Poche ore dopo un contrattacco più deciso, ma meno organizzato partì dallo stesso fronte. Gli inglesi ricevettero il segnale di S.O.S. da parte delle unità australiane, ma in quelle condizioni non poterono agire in alcun modo. La divisione dell’Anzac fu costretta alla ritirata, i tedeschi riuscirono a confinare nuovamente gli avversari al limite della linea ferroviaria.
 
Il tenente ricevette puntualmente l’ordine di raggiungere le nuove postazioni. Anche il suo plotone avrebbe dovuto affrontare il fuoco nemico per attraversare la vallata di Ravebeek.
Richard guidò i suoi uomini sotto ad un’intensa pioggia di proiettili, gli inglesi vennero falciati dai colpi dei fucili e dalle raffiche delle mitragliatrici. L’ufficiale vide quegli uomini cadere a terra, i loro cadaveri si unirono a quelli degli australiani che precedentemente avevano subito il medesimo destino.
Nonostante la drammaticità della situazione i cecchini tedeschi non si rivelarono crudeli e spietati. Durante lo scontro nessuno di loro sparò ai soccorritori o alle barelle in movimento.
I ricoveri però non erano posti sicuri, le vecchie rovine erano sempre esposte ai grossi proiettili d’artiglieria.
Durante la notte il plotone si ritrovò sulla strada per la prima linea. I soldati erano ormai privi di speranza, distrutti e sconvolti dalle recenti esperienze belliche.
Green avanzava in silenzio, era orgoglioso dei suoi uomini, che marciavano a testa alta verso il loro destino. Eppure non aveva la forza di confortarli.
Inevitabilmente Richard ripensò a Finn, era sempre più preoccupato per la sua condizione, ma allo stesso tempo provò un certo sollievo al pensiero che il suo assistente si trovasse lontano dal fronte. Il tenente ripensò agli ultimi momenti trascorsi insieme all’amato, doveva tornare da lui come aveva promesso.
Quando Green e i suoi compagni raggiunsero la linea trovarono le trincee sventrate e devastate dai bombardamenti. Alcuni soldati australiani erano ancora rannicchiati nei crateri, feriti e stremati dopo l’ultima battaglia.
Gli inglesi lasciarono loro cibo e acqua, ma non poterono fermarsi a soccorrerli. Li superarono e proseguirono in direzione della prima linea.
Quella sera si appostarono nelle grosse buche scavate dalle granate nella terra di nessuno, esposti al fuoco delle sentinelle nemiche.
Richard si rannicchiò contro il muro di fango, il suo rifugio tremava in continuazione, la terra franava, colpita ripetutamente dai proiettili d’artiglieria.
A mezzanotte il fuoco divenne talmente intenso da costringere il tenente a ritirare i suoi uomini. Green tornò sulla strada e trovò riparo in una casamatta abbandonata, all’interno si erano barricati altri australiani feriti. Sul pavimento giacevano alcuni cadaveri, erano i tedeschi uccisi durante l’ultimo attacco, ormai in avanzato stato di decomposizione.
Gli inglesi erano così sconvolti da non prestare attenzione al terribile tanfo della morte. Si accovacciarono accanto ai compagni australiani e attesero il sorgere del sole, avvertendo in lontananza l’eco delle esplosioni.
All’alba una luce tenue e rosata rivelò la terra di nessuno devastata dal bombardamento, l’intera vallata era disseminata di corpi inermi e mutilati.
 
Nei giorni seguenti le truppe inglesi lavorarono arduamente per rimettere in piedi le trincee, scavando nel fango e rafforzando le barricate. Furono costretti ad arretrare rispetto alla posizione precedente, ma riuscirono a ristabilire una linea solida e ben difesa.
La vita al fronte era un vero inferno per i soldati, ormai apatici e rassegnati, si accanivano contro il nemico senza rimorso o terrore. Nulla aveva più importanza, per quegli uomini esisteva solo morte e fango.
Il tenente Green trovò alloggio insieme ad altri ufficiali in una rocca denominata “il castello dei cigni”. Quel luogo era una vera calamita per i proiettili d’artiglieria.
Richard attendeva con impazienza i nuovi ordini, era certo che presto sarebbe giunto il momento di uscire all’attacco, avrebbero dovuto agire in fretta per non lasciare troppa libertà al nemico.
Le notizie che giungevano dal fronte di Passchendaele erano ben poco rassicuranti. Quel pomeriggio un intero plotone in marcia lungo Menin Road era stato bersagliato da un aviatore tedesco, il quale era riuscito a sganciare la sua bomba con estrema precisione. L’esplosione aveva causato venti morti e una decina di feriti.
Anche gli attacchi con i gas erano diventati più organizzati e micidiali. Il nemico aveva messo in atto nuove tecniche e strategie per annientare la fanteria britannica. Le trincee inglesi erano inizialmente colpite da un pesante bombardamento, i proiettili liberavano la prima nube di difenilclorarsina, il gas costringeva i soldati a liberarsi dalle maschere causando sensazioni di nausea e conati di vomito. Successivamente avveniva la seconda parte dell’attacco con l’utilizzo dell’ormai noto e temuto gas mostarda.
Le truppe impegnate al fronte erano così obbligate ad indossare sempre le maschere anti-gas, alcuni soldati non le levavano nemmeno per dormire.
Dopo un simile attacco intere aree dovevano essere abbandonate, le nubi di gas ristagnavano nelle buche e nelle trincee, dunque quelle postazioni non potevano essere rioccupate tempestivamente.
Il tenente Green ripensò ai soldati che erano sopravvissuti all’ultima ondata di vapori tossici, i feriti recuperati dai soccorritori erano ricoperti di vesciche e ustioni su tutto il corpo, dato che il gas penetrava attraverso i vestiti. Respiravano a fatica, avevano gli occhi gonfi e lacrimanti, molti erano affetti da cecità, rimasti afoni tentavano di implorare aiuto emettendo inquietanti suoni gutturali.
Richard si riprese da quelle orrende visioni avvertendo la voce del capitano Howard.
«Tenente, la stavo cercando. Devo parlare con lei»
Il giovane si rialzò: «sì, certo signore»
«Abbiamo ricevuto l’ordine di radunare le truppe all’alba, l’attacco è previsto per domani»
Il tenente si limitò ad annuire.
«Bene, le consiglio di riposare, le ore che precedono la battaglia sono preziose» concluse il capitano prima di abbandonare la stanza.
Richard rifletté su quelle parole, per la prima volta realizzò di essere rimasto completamente solo. Trascorse la notte in compagnia di fantasmi: suo fratello Albert, il soldato Davis…e anche il figlio del sergente Redmond. Ricordi e visioni si susseguirono durante il suo sonno tormentato.
 
***

I soldati si radunarono all’alba, strisciarono fuori dai rifugi e sguazzarono nel fango per schierarsi nel campo. Il tenente Green allineò il plotone e si occupò della consueta ispezione.
Gli uomini erano ormai stremati, i loro volti erano mesti e grigi, non rasati e sporchi perché non c'era acqua pulita. Alcuni scrollavano le spalle con insofferenza, segno che i loro abiti logori erano infestati dai pidocchi.
L’ufficiale notò sguardi vacui e visi inespressivi scavati dalla fame e dalla fatica.
Anche Richard era provato dalle innumerevoli fatiche, le esperienze al fronte l’avevano logorato nel corpo e nello spirito.
Il plotone riprese la marcia verso le postazioni di prima linea seguendo i binari della ferrovia. Gli uomini avanzavano lentamente, arrancando e scivolando nel pantano.
Durante l’avanzata il grande bombardamento dell’artiglieria britannica si quietò. Per giorni quel frastuono aveva irritato i nervi dei soldati, tormentando il loro sonno. L'improvviso silenzio fu sorprendente, tutti ebbero l’irreale sensazione di essere circondati da un vuoto inconcepibile. L’eco di quel tumulto incessante risuonava ancora nelle loro orecchie.
Il tenente avvertì una profonda inquietudine, ciò significava che la prima ondata aveva già lasciato le trincee, presto anche loro avrebbero seguito quei commilitoni.
I pensieri dei soldati erano comuni, nessuno però osava considerarsi talmente fortunato da uscire vivo da quell’inferno.
Raggiunsero le trincee ritrovandosi nel mezzo dello scontro. Sbirciando oltre alle barricate trovarono una situazione drammatica, i portatori correvano ovunque, l’intero campo di battaglia era cosparso di feriti gementi e sofferenti.
L’ordine di avanzare non tardò ad arrivare. Il tenente Green salì sulla scaletta di legno e uscì allo scoperto insieme ai suoi commilitoni. I soldati trovarono la prima difficoltà nel superare il parapetto, poiché i sacchi di sabbia marci e fradici d’acqua si sgretolavano ad ogni presa, sbilanciando coloro che tentavano di arrampicarsi.
Richard si appiattì sul ventre e riprese a strisciare attraverso la distesa di fango. Ben presto però trovò difficile mantenere la giusta direzione, il bombardamento aveva distrutto ogni punto di riferimento, non c’erano alberi o rovine riconoscibili per potersi orientare. Davanti a sé si estendeva solo un infinito oceano di melma.
I reticoli di filo spinato erano sprofondati nel fango, diventando una dolorosa trappola per i soldati che avanzavano nella terra di nessuno. A quel punto il pantano arrivava fino alle ginocchia, il tenente arrancava a fatica, ad un tratto avvertì un’intensa fitta alla gamba sinistra. Tentando di sopportare il dolore riuscì a trascinarsi fino all’estremità del cratere. Quando riemerse scoprì che uno lungo e spesso trancio di filo spinato si era avvinghiato intorno al suo arto. Fu costretto a lottare a lungo, con le mani ferite e sanguinanti e avvertendo i rovi metallici che affondavano nella pelle per potersi liberare da quelle stretta.
Compì quella dolorosa operazione tra l’eco delle esplosioni e il fischio dei proiettili.
All’improvviso una raccapricciante visione lo riportò alla cruda realtà della guerra.
L’intera zona era stata teatro di sanguinosi scontri nelle precedenti battaglie di Ypres. I morti erano stati seppelliti in quell’area, le schegge dei proiettili d’artiglieria esplodevano dissotterrando e smembrano quei corpi in decomposizione. Quei macabri resti saltavano in aria insieme alla nuove vittime del conflitto.
Il tenente Green si fece coraggio e a fatica riuscì a trascinarsi fino alla vecchia linea tedesca.
L’ufficiale si calò nella fossa insieme a un esiguo numero di soldati. Proseguendo lungo i camminamenti si imbatterono in una lunga fila di uomini, alcuni erano distesi a terra altri si reggevano in piedi, poggiati mestamente al muro di terra. Erano tutti soldati britannici, morti o gravemente feriti.
Richard riconobbe una postazione di soccorso, quegli uomini erano giunti lì con le loro ultime forze per cercare aiuto. Poco dopo il tenente fece un’orribile scoperta. La stazione medica era stata colpita in pieno da un proiettile, non era rimasto più nessuno in grado di aiutare quei disperati, che ormai attendevano la morte senza più alcuna speranza.
L’ufficiale avvertì una fitta al petto e gli occhi lucidi, in quelle condizioni non c’era alcuna possibilità di portare i feriti al sicuro. Egli fu costretto ad ignorare le suppliche e le grida sofferenti dei suoi commilitoni per inoltrarsi ulteriormente in quel labirinto.
I nuovi arrivati vagarono ancora a lungo attraversando cunicoli e gallerie. Finalmente incontrarono un gruppo di sopravvissuti appartenenti alla prima ondata, i quali erano riusciti a raggiungere la linea di supporto tedesca.
Richard interrogò un ufficiale riconoscendo il puro terrore nel suo sguardo.
«Con me avevo un centinaio di uomini, qui ne sono rimasti solo una quindicina. Non so dove siano i tedeschi…»
L’ufficiale indicò un punto indistinto nella landa desolata che si estendeva davanti a loro.
«Sono da qualche parte là fuori. Quei punti dove il filo spinato è interrotto indicano le postazioni delle loro mitragliatrici. Sarebbe impossibile proseguire. Il meglio che può fare è radunare qui i suoi uomini e mantenere la linea con noi»
Il tenente si guardò intorno, erano completamente isolati, sarebbe stato inutile tentare di comunicare con il resto del reggimento disperso, nessuno aveva idea di dove potesse trovarsi il più vicino posto di comando.
Con una squadra Richard esplorò la zona circostante, poco distante riuscì a trovare un rifugio tedesco abbandonato. Il tenente e i suoi uomini trasportarono all’interno tutti i feriti che riuscirono a trovare.
I soldati tentarono di fare il possibile per soccorrere i compagni, ma le bende dei kit pronto soccorso non erano sufficienti per fasciare le ferite aperte.
Richard era consapevole di aver fatto tutto il possibile per aiutare i suoi commilitoni, ma la maggior parte di loro giaceva inerme, mentre il sangue fluiva lentamente fuori dal loro corpo. Molti di loro non avrebbero superato la notte.
 
Il tenente tornò nelle trincee di collegamento, una mitragliatrice nemica aveva individuato la loro posizione e ad ogni movimento una raffica di proiettili fischiava sopra alle loro teste.
Il suolo tremava sotto al pesante bombardamento dell’artiglieria. Il tenente fu allarmato dalle grida di una sentinella. L’ufficiale sbirciò oltre al parapetto, dal campo di crateri vide spuntare una moltitudine di elmetti tedeschi. Il nemico era pronto per il contrattacco.
Alcune unità britanniche erano già in azione, ben presto si avvertirono i primi botti delle bombe a mano.
Il tenente Green si ritrovò nel mezzo dello scontro tra un intenso fuoco incrociato. Il terreno franava, masse di uomini correvano sparsi nel campo di battaglia, inglesi e tedeschi combattevano nel fango delle trincee.   
Richard strinse il fucile mentre davanti ai suoi occhi si susseguivano scene di morte e distruzione.
L’estrema violenza di quello spietato scontro riportò alla sua mente l’ardore delle antiche battaglie. In quel momento furono proprio i versi di Omero a riaffiorare nella sua memoria, la descrizione bellica del poeta greco avrebbe ben potuto sovrapporsi a quelle visioni.
 
Achei e Troiani si massacravano a vicenda, in una lotta a corpo a corpo.
No, non attendevano, di qua e di là, il tiro dei dardi e dei giavellotti, ma si stavano addosso con pari ardore battagliando con scuri affilate ed asce, con grosse spade e lance a due punte. E tanti pugnali belli, con l'impugnatura niellata in nero, ora gli cadevano di mano a terra, ora da tracolla, in quello scontro: scorreva sangue la scura terra. [*]

 
***

Nelle retrovie la situazione peggiorava giorno dopo giorno, il numero di feriti aumentava in continuazione, i medici operavano in condizioni disperate. In mancanza di strumenti e medicinali spesso erano costretti a rinunciare ai casi più gravi per poter salvare coloro che avevano più probabilità di sopravvivere.
Il piccolo ospedale di Frezenberg non faceva eccezione, l’unico medico rimasto riuscì a trovare un attimo di respiro solamente poco prima del tramonto. Con ancora le maniche intrise di sangue dopo l’ultima operazione si lasciò cadere su una sedia, ormai stremato ed esausto.
Non riuscì nemmeno a socchiudere gli occhi che la porta del suo studio si spalancò, il suo assistente entrò con esitazione nella stanza.
«Dottore, mi spiace disturbarla, ma volevo informarla su una questione importante»
Con un cenno l’uomo invitò il giovane a parlare.
«Si tratta del ragazzo che ha operato la scorsa notte per emorragia intestinale»
«Sì, ricordo bene. Aveva una perforazione profonda, ho fatto quel che ho potuto, purtroppo complicazioni del genere possono portare a setticemia e spesso risultano fatali»
«Il paziente si trova in gravi condizioni, ma è stabile»
«Si è risvegliato?»
«Non è mai stato vigile, ma ha avuto un paio di crisi»
«Episodi deliranti?»
L’assistente annuì: «in entrambe le occasioni abbiamo dovuto somministrargli del calmante, si agitava come un dannato e proferiva frasi senza senso»
«Le allucinazioni sono comuni in questi casi. Al momento possiamo solo continuare la terapia post-operatoria e valutare la reazione del paziente»
«Certo signore»
«Hai altro da riferirmi a riguardo?»
L’assistente esitò: «in effetti c’è un particolare che mi è rimasto impresso: in stato delirante ripeteva sempre lo stesso nome»
«Solitamente si tratta di una persona cara la cui presenza potrebbe alleviare le sofferenze del malato»
«Già, sembrava davvero che invocasse il suo aiuto» affermò con aria assorta.
«Purtroppo non possiamo avere alcuna certezza. Il grafico della temperatura non è molto rassicurante»
Il giovane parve rattristarsi nel sentire quelle parole, dopo tanti sforzi quel ragazzo era ancora in pericolo di vita.
Il medico si rialzò: «forza, adesso è meglio tornare al lavoro. E’ in arrivo un altro convoglio di feriti dalla prima linea…»
L’assistente si affrettò a seguire il suo superiore, riflettendo su quel giovane paziente non poté far a meno di domandarsi quale potesse essere l’identità della persona che si manifestava nelle sue visioni. Di certo quel Richard doveva essere davvero importante per lui.
 
 
 

 
 
 
 
[*] Iliade, libro XV.

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Capitolo 14
*** Luce tra le tenebre ***



XIV. Luce tra le tenebre
 
Hugh non aveva fatto molti progressi con il prigioniero, le loro interazioni erano limitate a causa della lingua. Il giovane poteva comunicare con lui solamente con le poche parole tedesche che aveva imparato al fronte. Almeno era riuscito a trovare un’identità a quel soldato, il cui nome era Friedhelm.
L’inglese si avvicinò, il prigioniero si ritrasse rannicchiandosi contro la parete. Tremava per il freddo e per la paura, il suo sguardo esprimeva a pieno terrore e disperazione.
Quando riconobbe i lineamenti di Hugh parve rassicurarsi, ma l’espressione sul suo volto rimase affranta e preoccupata.
Nella penombra il soldato britannico scorse lividi violacei sul viso del tedesco, durante l’interrogatorio i suoi commilitoni non erano stati affatto clementi.
«Mi dispiace…non avrebbero dovuto farti del male»
Friedhelm rimase immobile, mantenendo lo sguardo fisso sul suo carceriere.
L’inglese si chinò per esaminare le ferite, il tedesco esitò, ma dopo le prime incertezze permise al soldato di sfiorare la sua pelle. Hugh prese dalla tasca il suo kit di soccorso e con calma e pazienza si occupò di medicare i tagli ancora aperti.
Friedhelm digrignò i denti con una smorfia di dolore, ma tentò in ogni modo di trattenere gemiti e lamenti. Non aveva intenzione di mostrarsi debole di fronte all’avversario.
Hugh poté comprendere il suo orgoglio e provò sincera ammirazione nei suoi confronti. Anche in una situazione così drammatica cercava con tutto se stesso di mantenere contegno e dignità.
Al termine di quella delicata operazione Hugh si rialzò, stava per allontanarsi, ma inaspettatamente il prigioniero lo trattenne afferrando la manica della sua divisa.
Il giovane rimase sorpreso da quel gesto, rimase così a fissare il tedesco con aria perplessa.
Friedhelm infilò una mano all’interno giacca, estrasse una fotografia e la mostrò al soldato britannico.
Hugh osservò l’immagine che ritraeva una giovane coppia felice e innamorata. Riconobbe Friedhelm che dolcemente stringeva a sé la moglie. La donna poggiava le mani sul ventre leggermente prominente.
A lato della fotografia era riportata una data: Natale 1916.
Hugh intuì le motivazioni che avevano spinto quel soldato a consegnarsi nelle mani del nemico. Si era arreso perché desiderava sopravvivere, per avere la possibilità di tornare da quel figlio che probabilmente non aveva mai stretto tra le braccia.
L’inglese riconsegnò la preziosa fotografia nelle mani del prigioniero. Friedhelm rimase ad osservare il ritratto con aria triste e malinconica.  
Hugh si commosse di fronte a quella scena, avrebbe desiderato comunicare con quell’uomo per tentare di confortarlo, ma era certo di non poter fare nulla per alleviare la sua solitudine.
In quel momento anche l’inglese si abbandonò alla propria apprensione, non aveva più avuto notizie del tenente Green e dei suoi compagni, ormai iniziava a temere il peggio.
Il giovane si riprese da quei cupi pensieri, recuperò il fucile e si rialzò dalla sua postazione. Il tedesco sussultò, Hugh era l’unico inglese con cui poteva sentirsi al sicuro.
Il soldato britannico tentò di rassicurarlo: «tornerò questa sera, ti porterò qualcosa da mangiare, d’accordo?»
Non era certo che il prigioniero avesse inteso le sue parole, ma il suo tono riuscì comunque a calmarlo.
 
Il soldato Dawber giunse puntuale per il suo turno di guardia.
«Ci sono notizie dalla prima linea?» chiese Hugh con apprensione.
L’altro esitò prima di rispondere: «l’attacco è stato respinto, purtroppo abbiamo subito molte perdite»
«Qualcuno dei nostri è tornato?»
«No, il tenente e i suoi uomini sono ancora bloccati al fronte»
«È terribile…»
«Già, almeno a breve avremo un problema in meno di cui occuparci»
Il suo compagno gli rivolse un’occhiata perplessa: «di che stai parlando?»
«Quel tedesco potrebbe essere una spia, probabilmente presto sarà giustiziato»
Hugh rabbrividì nel sentire quelle parole: «no, non possono condannarlo! Non hanno alcuna prova!»
Dawber scosse le spalle: «è un nemico, questo è sufficiente per non fidarci di lui»
Detto ciò il soldato si allontanò scomparendo nel rifugio.
Hugh avvertì un’intensa fitta al petto, i suoi occhi si inumidirono di lacrime. Era certo che Friedhelm fosse innocente, non poteva credere che avrebbero condannato quell’uomo senza una valida motivazione.
Il giovane si sentì responsabile per il suo destino, quel soldato riponeva fiducia in lui, non poteva tradirlo.  
Hugh fu colto dal panico, l’unico che avrebbe potuto aiutarlo era il tenente Green, ma in quel momento il suo superiore era disperso al fronte.
Non poteva perdere tempo, doveva agire in qualche modo nella speranza che non fosse già troppo tardi. 
 
***

Finn riaprì lentamente gli occhi, pian piano riconobbe la stanza vuota e oscura. Dal corridoio giungevano le grida disperate dei feriti mentre dall’esterno poteva avvertire il rombo dei motori, probabilmente si trattava autocarri e ambulanze. Quel trambusto era prova che ci fosse un gran movimento all’ospedale, dunque la battaglia non si era ancora conclusa.
Il ragazzo poggiò la testa al cuscino tentando di ricordare ciò che era accaduto. Nella sua mente comparvero soltanto immagini frammentate e confuse. L’ultima memoria certa era la presenza di Richard, sapeva che il suo superiore era rimasto a lungo al suo fianco. Pur essendo stremato e febbricitante aveva avvertito la stretta della sua mano e il dolce suono della sua voce.
L’ultima cosa che aveva visto prima di cadere in un sonno profondo e tormentato era stato il volto preoccupato del tenente.
Finn ricordava perfettamente le sue ultime parole: «tornerò presto, te lo prometto».
Il giovane si sollevò poggiando la schiena contro la sbarra di ferro, inevitabilmente si interrogò sulla sorte di Richard.
Il quel momento la porta si aprì, il dottore fu lieto di trovare il suo paziente con gli occhi aperti.
«Finalmente ti sei svegliato! Come ti senti?»
Finn si sforzò di parlare: «non molto bene…sono stanco e ho freddo»
Il medico l’aiutò a distendersi e sistemò al meglio le coperte, poi rispose con tono severo.
«Devi riposare, sei molto debole e hai bisogno di recuperare energie»
Il ragazzo fu scosso da un intenso brivido.
«Dottore, aspetti…»
L’uomo rimase accanto al letto del malato in attesa della sua richiesta.
«Da quanto tempo sono qui?»
«Una settimana»
Finn si allarmò: «allora la battaglia è iniziata…il mio plotone è in prima linea!»
«Al momento non dovresti preoccuparti di questo»
«Per favore, devo sapere che cosa è successo ai miei compagni» lo supplicò.
«Mi dispiace, ma dal fronte non giungono buone notizie»
Il ragazzo avvertì gli occhi lucidi: «che cosa sta succedendo?»
«L’attacco è stato respinto, non so altro»
Detto ciò il medico abbandonò la stanza lasciando il giovane nuovamente solo.
Finn poggiò la testa sul cuscino, le parole di Richard continuarono ad echeggiare nelle sua mente. Era sicuro che Green avrebbe fatto il possibile per rispettare la sua promessa, non aveva mai dubitato di ciò, ma in quella situazione non poteva evitare di preoccuparsi per il suo amato.
Per lui era sempre stato difficile affrontare la separazione dal tenente, ma in quell’occasione il dolore per la sua mancanza era ancora più intenso. Mentre egli era bloccato in quel letto d’ospedale il suo superiore si trovava sul campo di battaglia a combattere contro il nemico. Conosceva bene Richard, era certo che da buon ufficiale non avrebbe mai abbandonato i suoi uomini in difficoltà, anche a costo di rischiare la sua stessa vita.
Finn si rannicchiò in quel letto gelido stringendo le coperte. Cercò conforto nei ricordi, rivide il rifugio sotterraneo nel paese abbandonato dove lui e Richard erano rimasti durante la sua convalescenza. Quel luogo era diventato il loro prezioso e segreto nido d’amore. La guerra era lontana, e anche se per poco, potevano dimenticare ogni tormento. In una notte come quella, stretti l’uno all’altro, guardandosi negli occhi, avevano aperto i loro cuori, rivelando i loro veri sentimenti. Aveva avvertito il battito accelerato del suo cuore e il suo caldo respiro sulla pelle quando con un sussurro Richard gli aveva confessato il suo amore.
Finn avvertì una calda lacrima scendere sul viso, nemmeno la stanchezza e il dolore fisico poterono distrarlo dalle sue paure.
 
***
Il tenente Green trascorse la notte in una casamatta di cemento sopravvissuta ai bombardamenti. I suoi uomini erano stanchi e demoralizzati.
Richard rimase a lungo sveglio, ascoltando i tiri di artiglieria che crescevano in continuazione. I proiettili che cadevano nell’oscurità, in quel cupo paesaggio desolato destavano profonde sensazioni di solitudine e abbandono.
L’ufficiale si strinse nella giacca nel tentativo di scaldarsi, il freddo era talmente intenso da penetrare nelle ossa. Richard ripensò alle serate trascorse nel suo rifugio, quando ancora poteva stringere Finn tra le sue braccia. In quei momenti egli era l’unico in grado di rassicurarlo, donandogli conforto con il suo sincero affetto.
Per un istante davanti a sé rivide gli occhi azzurri e innocenti del suo attendente, ma quella visione scomparve rapidamente, riportando Richard alla dura realtà.
Il tenente rimase in compagnia della sua fiaschetta di whiskey, alternando quei malinconici ricordi a lunghi sorsi.
Alla fine la stanchezza prese il sopravvento e anch’egli cedette lasciando cadere le palpebre pesanti.
Il sonno fu agitato e tormentato, l’ufficiale si risvegliò all’improvviso a causa di un violento colpo.
Prontamente si affrettò a controllare la situazione, una scheggia aveva colpito la costruzione, fortunatamente senza apportare gravi danni.
Al ritorno il suo riposo fu turbato dai gemiti sofferenti di un ferito, il quale era stato abbandonato in quel rifugio dai suoi commilitoni della Manchester Division. Il poveretto soffriva come un dannato, ma nessuno poteva far nulla per aiutarlo.
All’alba Richard si risvegliò avvertendo un inquietante silenzio, il ferito era scomparso, al suo posto restavano ancora le coperte insanguinate.
Il tenente non si interrogò a lungo sull’accaduto, un’altra tomba anonima era stata scavata fuori dal rifugio.
 
Al mattino il tiro raggiunse una violenza preoccupante. Alcuni uomini di ritorno dalle postazioni più avanzate riferirono che molte trincee erano state evacuate, mentre il nemico progrediva rapidamente.
Il tenente Green rimase impassibile, ordinò ai suoi uomini di preparare la difesa, poi uscì allo scoperto per controllare il campo di battaglia.
Lo spettacolo che si ritrovò davanti fu un turbine di fuoco, nebbia e terra. Proiettili incandescenti cadevano pesantemente al suolo, scagliando grandi masse di terra e macerie in aria. Dalle zone colpite si innalzavano intense nubi scure, decine di incendi divampavano nella vallata.
Fucili e mitragliatrici crepitavano senza sosta, le vibrazioni si avvicinavano sempre di più, il nemico era ormai vicino.
Il tenente si affrettò a tornare alla casamatta, in quelle condizioni era meglio restare al riparo.
Poco dopo avvertì i primi colpi di fucile colpire l’area intorno alla casa, tra le fronde bruciate e le fosse vicine apparirono ombre furtive.
Il fuoco divenne sempre più intenso, il nemico era deciso e determinato a riconquistare quella postazione.
Richard radunò i pochi uomini rimasti, i quali ormai erano demoralizzati. Il tenente notò il loro sconforto, egli stesso era ugualmente avvilito, ma non poteva abbandonare i suoi compagni nel momento del bisogno. Così tentò di fare del suo meglio per ravvivare i loro animi e diffondere nuovamente fiducia nella loro missione.
Dovevano difendere quella postazione ad ogni costo, sperando nel miracoloso arrivo dei rinforzi.
Richard ordinò ai suoi uomini di prepararsi allo scontro, i soldati si appostarono alle feritoie e alle finestre.
L’artiglieria nemica si abbatté ancora una volta contro il blocco di cemento, frammenti di tegole caddero dal tetto. Il tenente Green fu scaraventato a terra da un violento colpo. Due soldati corsero prontamente in suo soccorso, ma con sollievo videro il loro superiore rialzarsi incolume dalle macerie.
La tempesta di fuoco si placò all’improvviso, i colpi tornarono a cadere dietro di loro, sulla strada e sulle trincee retrostanti. Ciò non fu affatto rassicurante, il tenente e i suoi uomini si ritrovarono completamente isolati e circondati dal nemico.
 
Richard attese nel silenzio, la sparatoria all’esterno era terminata, l’ultima linea di difesa era crollata. Il tenente notò una massa scura e compatta tra la nebbia. Il nemico continuò ad avanzare pericolosamente.
Prontamente gli inglesi aprirono il fuoco, i tedeschi si dispersero in fretta occupando le trincee e le fosse circostanti, accerchiando la casamatta.
Il tenente Green raggiunse la postazione della mitragliatrice. L’ufficiale si accanì al tiro con estrema dedizione, scaricando i nastri di proiettili.
«Signor tenente! Signor tenente!»
Il soldato alla sua destra fu costretto a spingerlo a terra e a scuoterlo per le spalle per risvegliarlo da quella sorta di allucinazione.
«Non possiamo restare qui! Il nemico ha circondato l’intera zona, sono troppo numerosi, non riusciremo mai a sconfiggerli!» urlò il suo compagno ormai in preda alla disperazione.
Richard tornò bruscamente alla realtà, la situazione era ormai disperata. L’esito di quello scontro sarebbe stato devastante, inevitabilmente sarebbe terminato in un massacro.
Il tenente tornò in sé, comprendendo il ruolo della sua autorità riprese il controllo della situazione.
Non aveva scelta, se voleva portare in salvo quegli uomini doveva ordinare la ritirata.
Il tenente riuscì ad individuare una possibile via di fuga attraverso un profondo fossato rimasto nascosto al nemico. Approfittando della fitta nebbia, del fumo e della confusione gli inglesi riuscirono evacuare la casamatta.
Richard fu l’ultimo a lasciare il rifugio, sostenendo un compagno ferito. Le sue condizioni erano piuttosto gravi, impaurito e sofferente il giovane continuò a lamentarsi. 
Il tenente non mollò la presa e a fatica lo condusse al riparo insieme agli altri.
L’ufficiale guidò i suoi uomini attraverso la palude, nelle trincee allagate l’acqua fangosa arrivava a livello della cinta, mentre i proiettili continuavano a volare sopra alle loro teste.
 
Miracolosamente i sopravvissuti raggiunsero una postazione britannica. I rinforzi erano riusciti ad avanzare durante la notte, occupando una solida linea di difesa.
Richard si gettò al riparo, prontamente il comandante di compagnia giunse in suo soccorso.
«Abbiamo saputo da alcuni feriti che lei e i suoi uomini eravate in difficoltà. Non abbiamo esitato a correre in vostro aiuto. Avevamo paura che fosse troppo tardi, ma per fortuna siete riusciti a trovarci in tempo»
Green fu commosso da quelle parole e non esitò a rivolgere al comandante la sua sincera gratitudine.
«Abbiamo bisogno di aiuto per rafforzare la linea di fuoco, possiamo contare sul vostro supporto?»
Egli annuì senza esitazione: «sì, certamente»
Il comandante strinse la sua mano: «bene, il fianco destro è tutto suo tenente»
Richard e i suoi uomini riacquistarono fiducia, con il sostegno dei loro commilitoni si sentirono nuovamente pronti ad affrontare la battaglia. I loro animi tornarono a bruciare di ardore ad entusiasmo.
Il tenente organizzò la linea di fuoco, questa volta era deciso a non lasciare alcuna possibilità ai tedeschi, non erano concessi errori.
L’ufficiale prese posizione in trincea, il nemico avanzava rapidamente, l’attacco era imminente.
 
Le prime ombre grigie si stagliarono contro la luce del mattino. In quel momento il cielo si oscurò, uno stormo di aeroplani sorvolò il campo di battaglia. Richard emise un sospiro di sollievo riconoscendo le coccarde dipinte.
I tedeschi furono costretti a correre al riparo, gruppi frammentati si sparsero sul campo di battaglia. I sodati, inizialmente colti dal panico, si gettarono nelle fosse in cerca di riparo dalle raffiche delle mitragliatrici.
Le linee britanniche supportarono l’attacco con colpi di fucile, una tempesta di proiettili si abbatté sulle truppe in avvicinamento.
Due velivoli furono brutalmente abbattuti, gli altri scaricarono un’ultima pioggia di pallottole per poi allontanarsi per proseguire con la loro missione di ricognizione.
Richard sbirciò oltre al fossato una fitta nebbia aleggiava sul campo di battaglia. Erano ben visibili i vapori di fumo biancastri provocati dall’esplosione degli shrapnels.
Il tenente avvertì l’eco degli spari, ben presto anch’egli fu coinvolto in un’intensa sparatoria.
All’improvviso l’artiglieria tedesca irruppe nella battaglia. Il primo proiettile di grosso calibro cadde vicino alla trincea, con un boato assordante sollevò una grossa massa di terra sradicando un vecchio albero bruciato.
Richard sussultò, la terra riprese a tremare, altri colpi caddero con estrema precisione lungo lo sbarramento.
Il tenente si rannicchiò contro il terreno, gli uomini si strinsero uno all’altro, cercando riparo e protezione.
Un muro di fuoco si innalzò davanti alla barricata, le fiamme danzavano al vento.
Zolle di terra, rami e masse di fango cadevano sugli elmetti dopo esser stati scaraventati in aria dall’imponente forza delle esplosioni.
Un fumo scuro e denso invase le trincee, Richard ansimò, faticava a respirare a causa di quei vapori asfissianti. In quelle condizioni, con i polmoni in fiamme e le lacrime agli occhi, arrancò verso un suo compagno. L’uomo giaceva inerme con il volto immerso nel fango.
Il tenente si bloccò, ormai non c’era più nulla da fare. Quel corpo non dava più segni di vita, grosse schegge erano conficcate nella carne, il sangue scuro e viscoso continuava a sgorgare dalle ferite aperte.
Richard distolse lo sguardo dal cadavere, mestamente riprese la sua posizione, puntò il fucile e tornò nel mezzo della battaglia.
 
Al tramonto la vallata fu avvolta da un mistico silenzio, tutto era calmo e immobile.
Il tenente e i suoi uomini si occuparono di scavare i rifugi per la notte, erano certi che quella quiete non sarebbe durata a lungo.
Richard affondò la pala nel fango, l’unico rumore proveniva dal ferro che batteva contro i sassi e l’argilla oppure dagli stivali dei soldati che sguazzavano nel fango.
L’ufficiale alzò lo sguardo, si fermò un istante per riprendere fiato, bevve un lungo sorso d’acqua e con una manica si asciugò il sudore sulla fronte. Intorno a lui gli uomini continuavano a scavare imperterriti, erano consapevoli che solamente le buche più profonde sarebbero state un riparo sicuro.
Il bombardamento iniziò a mezzanotte, rannicchiato nella sua buca Richard tentò di farsi forza, in quelle condizioni non poteva far altro che attendere la fine di quella tempesta di proiettili.
Il terreno tremava in continuazione, l’ufficiale fu sbalzato da un lato all’altro della fossa, un colpo più violento lo scaraventò contro il muro di terra. Richard vide solo un lampo di luce nell’oscurità, poi perse i sensi accasciandosi al suolo.
 
***

Hugh vagò tra le trincee deserte, come ogni sera aveva fatto visita al prigioniero, ma quella volta non aveva potuto fare molto per confortarlo. La consapevolezza della sua imminente condanna era un enorme peso sulla propria coscienza. Il soldato si guardò le spalle, era certo di aver sentito dei passi. Il giovane rabbrividì, quella situazione era sempre più pericolosa.
Era intenzionato a cambiare direzione quando all’improvviso si trovò di fronte al soldato Dawber, il quale lo squadrò con aria inquisitiva.
«Che diamine succede qui?»
Hugh sussultò: «io…non stavo facendo nulla di male»
Il suo compagno non credette a quelle parole: «non è la prima volta che ti vedo da queste parti. Hai qualcosa a che fare con il prigioniero, vero? Che cosa stai combinando?»
Il giovane esitò, ma l’atteggiamento insistente e minaccioso del suo commilitone lo spinse a parlare.
«Ho solo portato del cibo al tedesco»
«Per quale motivo? Sei forse impazzito?»
Egli scosse la testa: «tu non puoi capire, a te non importa mai niente di nessuno!»
«Probabilmente hai ragione, ma se fossi in te starei attento con questa storia»
Hugh gli rivolse un’occhiata interrogativa.
«Sto solo dicendo che sarebbe sconveniente farsi trovare in buoni rapporti con un prigioniero in attesa della sua condanna»
«Friedhelm è innocente» affermò il giovane con convinzione.
Il suo compagno scosse le spalle: «non penso che i nostri superiori saranno della tua stessa opinione. E se quel tedesco diverrà la spia a chi credi che spetterà il ruolo del traditore?»
Hugh avvertì un intenso brivido di terrore.
«No, tutto questo non ha alcun senso!» replicò stringendo i pugni per la rabbia.
«Credimi, devi lasciar perdere questa faccenda. La sorte di quel prigioniero non ti riguarda, e di certo non vale la pena rischiare la pelle per un tedesco!»
Dawber proferì quelle parole con tono cupo e severo, poi si allontanò scomparendo nel suo rifugio.
Rimasto solo Hugh rifletté sulla situazione, sapeva che il suo compagno non avrebbe rivelato a nessuno il suo segreto, ma non poteva più correre un simile rischio.
Forse Dawber aveva ragione, eppure una parte di sé non voleva arrendersi a quell’ingiustizia.
 
***

I soldati dell’Anzac occuparono le vecchie postazioni britanniche alle prime luci del mattino. La battaglia era durata tutta la notte, ma alla fine le forze alleate erano riuscite a respingere l’avanzata tedesca, costringendo il nemico alla ritirata.
I soccorritori trovarono subito un gran lavoro, i barellieri correvano da una parte all’altra delle trincee senza sosta.
«Ei, Charlie, vieni! Qui ce n’è un altro!»
L’infermiere si affrettò a raggiungere il suo compagno.
«Sei sicuro che sia ancora vivo?» chiese avvicinandosi alla fossa.
Il suo collega annuì: «sì, forza sbrigati! Si tratta di un ufficiale!»
Charlie l’aiutò a portare il corpo in superficie, l’uomo appariva privo di sensi.
I due soccorritori non persero tempo, trascinarono il tenente ferito su una barella e lo portarono al sicuro insieme agli altri sopravvissuti.
 
 
Richard poté lasciare presto l’ospedale da campo con una fasciatura alla tempia. Fortunatamente non si era procurato nulla di più di un profondo graffio.
Ad attenderlo sulla strada fangosa trovò il capitano Howard alla guida di una vecchia automobile corazzata.
«Signor tenente, sono davvero felice di rivederla!»
Green si fermò a fianco del veicolo: «anche io sono lieto di sapere che sta bene»
Il suo superiore gli rivolse un rassicurante sorriso.
Il tenente prese un profondo respiro: «che cosa accadrà adesso?»
«Dopo l’ultima battaglia l’intero reggimento si è meritato un po’ di riposo nelle retrovie»
«Torneremo presto a combattere?»
«Il fronte si è spostato a Cambrai, ma per il momento non abbiamo ricevuto nuovi ordini»
Green sembrò confuso da quelle notizie.
«Posso offrirle un passaggio fino ad Ypres» disse Howard notando la sua aria spaesata.
Il tenente rifletté qualche istante: «io…avrei bisogno di raggiungere l’ospedale di Frezenberg»
«Le devo almeno un favore per quello che ha fatto» rispose il capitano aprendo la portiera.
Richard prese posto all’interno della vettura.
«Si metta comodo tenente, con le strade ridotte in questo stato non arriveremo prima di questa sera»
 
***

Richard raggiunse l’ospedale di Frezenberg poco dopo il tramonto. Fu lieto di scoprire che il suo attendente non era più in pericolo di vita e che le sue condizioni lentamente stavano migliorando.
Il tenente vagò tra i feriti ammassati nei corridoi. Finalmente trovò il suo assistente disteso su un letto, era ancora debole e respirava a fatica.  
Green si avvicinò, solo in quel momento si accorse che in quello stato era praticamente irriconoscibile. Indossava la divisa logora e ricoperta di fango, il suo fisico deperito mostrava i segni le sofferenze dell’ultima battaglia.
«Richard…» biascicò Finn, ancora incerto se la figura davanti a sé fosse reale.
Egli prese la sua mano: «sì, sono qui. Sono tornato da te come avevo promesso»
La sua voce era tremante, mentre nel suo sguardo era evidente un’intensa commozione.
Il ragazzo rispose con le lacrime agli occhi: «temevo di averti perso»
Richard si chinò su di lui: «non avrei mai voluto abbandonarti»
Finn tentò di rassicurarlo: «non dovresti sentirti in colpa per quel che è accaduto»
Il tenente accennò un flebile sorriso, ma il giovane percepì il suo turbamento.
«Che cosa è successo al fronte?» domandò con tono preoccupato.
L’ufficiale abbassò lo sguardo: «è stato orribile, la battaglia si è tramutata in uno spietato massacro»
«Avrei dovuto essere laggiù con te per combattere al tuo fianco»
Richard scosse la testa: «no, nessuno avrebbe dovuto trovarsi in quell’inferno»
Finn guardò il suo compagno negli occhi: «mi dispiace per tutto quello che hai dovuto sopportare»
Il tenente accarezzò il suo volto: «non preoccuparti, adesso devi solo pensare a riprenderti»
Il ragazzo tornò a distendersi, Richard sistemò con cura il cuscino e le coperte.
«Sarai ancora qui al mio risveglio?»
Egli annuì: «tranquillo, non vado da nessuna parte senza di te»
Finn trovò conforto in quelle parole, la presenza del tenente riuscì a rassicurarlo, così pian piano richiuse gli occhi.
Richard rimase accanto al suo assistente, ammirando il suo viso dolcemente addormentato. Per la prima volta dopo tanto tempo avvertì una profonda sensazione di pace e serenità.




 
 
Frank Hurley, The morning after the first battle of Passchendaele (12 ottobre 1917)

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Capitolo 15
*** Il risveglio ***


 
XV. Il risveglio
 
Finn riaprì le palpebre con un sussulto, si rigirò nel letto ancora frastornato e confuso. La stanza era fredda e buia, l’aria umida era impregnata dell’intenso e caratteristico odore di etere etilico.
Appena i suoi occhi si furono abituati all’oscurità riuscì a distinguere le sagome nella penombra.
Il ragazzo si rassicurò riconoscendo la figura di Richard, per un breve momento aveva avuto il timore di essersi solo immaginato il suo sperato ritorno. Invece il tenente era rimasto accanto a lui come promesso e sfinito per la stanchezza si era addormentato sulla sedia.
Finn osservò il suo volto pallido e scarno, si rattristò nel pensare a tutte le sofferenze che il suo superiore aveva dovuto sopportare al fronte. Avrebbe desiderato combattere al suo fianco, in fondo egli era il suo attendente, era suo dovere assistere il proprio comandante.
Il giovane sospirò, ormai non poteva più vedere il tenente Green solamente come un ufficiale, i suoi sentimenti non sarebbero svaniti sul campo di battaglia. Quel legame era la sua unica certezza, ma un simile coinvolgimento emotivo non era privo di complicazioni.
Fino a quel momento si era lasciato trasportare dagli eventi, vivendo ogni istante come se potesse essere l’ultimo, cercando tra le braccia del suo compagno un riparo dalle violente tempeste di fuoco. Ma ora, in quel letto d’ospedale, aveva tempo per riflettere, per porsi domande, e forse anche per trovare risposte.
Finn rivolse nuovamente il suo sguardo a Richard, in quel momento ripensò al loro primo incontro.
 
***

Le reclute avevano raggiunto per la prima volta il fronte dopo una lunga ed estenuante marcia tra i campi ghiacciati. I soldati avevano continuato ad avanzare a fatica, arrancando con la neve che arrivava ai polpacci.
Finn e i suoi compagni avevano sostato tra le rovine di un villaggio, schierandosi davanti ai resti di un muro diroccato.
Ad un tratto un ufficiale era comparso tra le macerie, da lontano sarebbe stato impossibile distinguerlo dai soldati semplici a causa della divisa sporca di terra e gli stivali infangati.
Il tenente Green si era presentato ai nuovi arrivati senza troppi convenevoli.
Finn era rimasto subito colpito dalla sua figura, egli aveva l’aria di essere un esperto veterano con il suo volto inespressivo e il suo sguardo impenetrabile.
In realtà il comandante era molto più giovane rispetto alla maggior parte dei suoi uomini, ma il suo atteggiamento rigido e severo gli conferiva un’indiscussa autorità. D’altra parte era evidente che non fosse privo di esperienza.
Dal primo istante Finn si era sentito al sicuro in sua presenza, Green aveva conquistato la sua fiducia, era certo che sul campo di battaglia non avrebbe esitato ad affidare la sua vita nelle mani di quell’uomo.
Il discorso dell’ufficiale era stato breve, privo di ogni significato patriottico. Aveva riguardato principalmente la disciplina, sottolineando anche l’importanza della fiducia e della solidarietà tra commilitoni.
Finn aveva ascoltato con attenzione le sue parole.
«Spero che abbiate tutti il buonsenso di non commettere stupidi errori, capirete presto che in guerra le lezioni costano care»
Il tenente aveva pronunciato quell’ultima frase con un velo di tristezza, poi si era congedato senza aggiungere altro.
 
Più tardi, riuniti accanto al fuoco, Finn e i suoi compagni avevano discusso della situazione.
«Dunque è vero? Il tenente è un eroe di guerra?» aveva domandato qualcuno tra un boccone e l’altro.
«Non è mai stato decorato, ma qui chiunque conosce almeno una storia in cui quell’uomo ha salvato la vita ai suoi commilitoni»
«Dubito che siano tutte vere»
«Green ha combattuto nelle Fiandre e anche sulla Somme. Di certo non è uno sprovveduto»
«Spero che tu abbia ragione»  
Finn era rimasto in silenzio, tentando di capire quale potesse essere la voce più attendibile.
Ad un tratto era stato interpellato da un suo compagno.
«Tu che ne pensi di questa faccenda?» 
«A mio parere siamo stati fortunati, sono convinto che Green sia un buon comandante»
Gli altri si erano limitati ad alzare le spalle, poi erano tornati a prestare attenzione alla cena, ansiosi e preoccupati per ciò che li avrebbe attesi in prima linea.
 
Quella notte, tra dubbi e paure, i pensieri di Finn avevano finito per focalizzarsi sull’immagine del valoroso tenente. Aveva ripensato a tutti quei racconti che lo rappresentavano come un vero eroe, senza mai dubitare della veridicità dei fatti.
L’incontro con Green era rimasto impresso nella sua mente, non poteva negare di esser rimasto colpito non solo dal suo carisma, ma anche dal suo fascino.  Indubbiamente il giovane ufficiale era un uomo di bell’aspetto, con un fisico da soldato, alto e atletico. Il suo volto indurito dalla guerra e il suo sguardo intenso gli conferivano un’aria intrigante.
Il ragazzo si era sentito stranito da quelle sensazioni, era la prima volta si trovava a pensare a un uomo in quel modo. Inizialmente aveva tentato di ignorare quei vagheggiamenti, con la certezza di star provando soltanto ammirazione e rispetto per il suo affascinante superiore.
 
Finn aveva provato ad immaginare un probabile secondo incontro con il tenente, ma ciò era avvenuto in circostanze del tutto inaspettate.
L’artiglieria tedesca aveva deciso di dare il suo contributo nel mostrare alle reclute la dura vita del fronte. Così pochi giorni dopo il settore inglese era stato teatro di un pesante bombardamento.
Come sempre in quelle situazioni, quando il silenzio era tornato nella vallata, il tenente era uscito dal suo rifugio per prestare soccorso ai feriti. Vagando per le trincee franate aveva trovato un soldato rannicchiato in una buca.
«Ei ragazzo, stai bene?»
Finn si era animato con un sussulto riconoscendo la voce dell’ufficiale, poi aveva risposto con un timido cenno.
Il tenente l’aveva aiutato a risalire in superficie, assicurandosi che fosse ancora tutto intero.
Alla fine si era mostrato comprensivo: «è terribile, ma dovrai abituarti a tutto questo»
Il giovane aveva abbassato lo sguardo tentando di nascondere il proprio nervosismo, almeno nell’oscurità il suo interlocutore non aveva potuto notare il rossore sulle sue guance.
Richard era rimasto ad osservare quel ragazzo ancora tremante e spaventato. Tutti i novellini reagivano in modo simile dopo il primo bombardamento, anni addietro egli stesso aveva vissuto le medesime sensazioni sulla sua pelle.
L’ufficiale aveva poggiato una mano sulla spalla, il suo era stato un gentile gesto di incoraggiamento.
I loro sguardi si erano incrociati solo per un breve istante, poi il tenente si era voltato tornando sulla sua strada. Dopo pochi passi si era fermato per accendersi una sigaretta, per poi allontanarsi definitivamente lasciando una flebile scia di fumo che si era dissolta rapidamente nell’aria gelida.
 
Nei giorni seguenti Finn si era ritrovato spesso a ripensare a quel fugace incontro. Si era sentito uno stupido per essersi mostrato come un codardo davanti al suo superiore.
Ancora una volta non si era dimostrato all’altezza della situazione.
In quel periodo a Finn era stato assegnato il compito di occuparsi dei rifornimenti. Egli non aveva obiettato, ma si era sentito sminuito da quell’incarico. Avrebbe desiderato partecipare all’azione in prima linea piuttosto che servire i suoi compagni.
Finn aveva accettato la sua nuova e ingrata mansione con rassegnazione. Il ragazzo aveva considerato ciò come un affronto, ma in realtà quello era un compito ugualmente pericoloso.
Almeno due volte al giorno era costretto a percorrere il sentiero di collegamento attraversando l’intero settore tra i botti delle esplosioni e gli echi degli spari, trasportando insieme ai suoi compagni il pesante carico.
Tutto era andato bene per un breve periodo, i suoi commilitoni provavano una certa simpatia nei suoi confronti. La sua era una presenza gradita, in breve si erano tutti affezionati al ragazzo del rancio.
Una sera però il gruppo di soldati era stato preso di mira da alcuni cecchini appostati lungo il tragitto. Finn si era ritrovato a correre nell’oscurità avvertendo i proiettili che fendevano l’aria sopra alla sua testa.
Poiché il settore est era stato bombardato la carovana era stata costretta a percorrere una strada più lunga e meno sicura.
Nonostante ciò il prezioso carico era riuscito a giungere in prima linea, dove i soldati stremati e affamati già si lamentavano per i crampi allo stomaco.
Inaspettatamente Finn aveva ricevuto l’ordine di servire la cena agli ufficiali. Il giovane aveva obbedito con ancora il fiato corto e i polmoni in fiamme.
Era sceso nel rifugio tenendo la cena tra le mani tremanti, con il volto pallido e gli occhi spalancati dal terrore.
Nella penombra aveva scorto due figure sedute al tavolo, il maggiore Farrell e il tenente Green avevano prontamente interrotto la loro conversazione accorgendosi del suo arrivo.
«Ei, ragazzo! Che è successo? Ti sei perso per strada?»
Finn aveva abbassato lo sguardo rispondendo con delle scuse al commento ironico del maggiore.
Sempre con esitazione il ragazzo aveva poggiato il contenitore ripieno di brodaglia insipida sul tavolo.
Il tenente Green l’aveva ringraziato cordialmente, le sue maniere erano sempre composte ed educate.
Il ragazzo si era rincuorato nel trovarsi nuovamente accanto al suo superiore, ma era stato costretto ad abbandonare in fretta il rifugio per tornare al suo lavoro.
 
Poi era giunto il fatidico giorno dell’attacco. Finn si era ritrovato nel mezzo scontro, quella volta però non era corso a nascondersi al riparo. Con avventatezza la giovane recluta aveva deciso di prendere parte all’azione.
Di quei momenti ricordava solo frammenti rapidi e confusi, in pochi istanti era stato travolto da quel violento vortice di morte e distruzione.
Il suo battesimo di fuoco però non era durato a lungo. All’improvviso aveva avvertito un dolore lancinante al fianco, poi era caduto a terra perdendo i sensi.
Era rimasto per diversi giorni in preda agli incubi e alle allucinazioni, in bilico tra la vita e morte.
Quando aveva riaperto gli occhi si era trovato di fronte al suo salvatore, con stupore aveva appreso che era stato proprio il tenente Green a soccorrerlo.
L’ufficiale si era preso cura personalmente del soldato ferito, dedicandogli tutto il tempo e le attenzioni necessarie.
Inizialmente Finn si era sentito a disagio in quella situazione, ma con il passare del tempo aveva trovato sempre più confortante e familiare la presenza del suo superiore.
Ogni sera Green si posizionava al tavolo, accanto alla fioca luce della lampada, per scrivere rapporti e leggere libri di poesie.
Prima di ritirarsi sulla sua branda il tenente controllava sempre che il ragazzo si fosse addormentato, poggiando una mano sulla sua fronte per assicurarsi che la febbre non fosse troppo alta.
Finn aveva finito per attendere con ansia quel momento, in cui chiudeva gli occhi fingendo un sonno profondo solo per poter avvertire quel contatto.
 
Tutto era cambiato la notte in cui il tenente Green era tornato dall’ennesima battaglia.
Per tutta la durata dell’azione Finn era rimasto nel rifugio, aspettando con apprensione il termine dello scontro. Quell’attesa si era rivelata snervante, il ragazzo continuava a non sopportare l’idea di essere costretto a restare rintanato come un vigliacco mentre i suoi commilitoni stavano affrontando i pericoli della guerra. Purtroppo nelle sue condizioni non avrebbe potuto rendersi utile.
Quando aveva visto la figura del tenente sbucare dal cunicolo era quasi sobbalzato per l’emozione, il suo superiore era stanco e malconcio, ma ancora tutto intero.
Green si era sistemato accanto al suo assistente, aveva provveduto alla sua medicazione, poi era rimasto immobile al suo fianco, perdendosi nei suoi cupi pensieri.
Dopo qualche istante di esitazione il giovane si era deciso ad esternare la propria preoccupazione.
«Oggi ho avuto paura, ho temuto di non rivederla più»
Il tenente gli aveva rivolto uno sguardo triste e malinconico.
Finn aveva percepito il suo turbamento, provando il desiderio di fare qualcosa per alleviare quell’intenso dolore. Così, senza nemmeno pensarci, aveva allungato una mano verso il volto dell’ufficiale, sfiorando la sua pelle con una lieve carezza.
Era stato un gesto naturale e istintivo, in fondo era stata solo la dimostrazione del sentimento d’affetto che sinceramente provava nei suoi confronti.
L’ufficiale era rimasto immobile, lasciandosi confortare dal tepore di quel contatto umano.
Il ragazzo aveva guardato il suo superiore negli occhi, scuri e profondi come la sua anima tormentata. Aveva avvertito il cuore battere freneticamente nel petto, mentre quel desiderio che aveva cercato di reprimere e nascondere cresceva sempre più dentro di sé.
Alla fine non era più riuscito a trattenersi e aveva ceduto all’istinto. Lentamente si era avvicinato al viso del tenente finché le loro labbra non si erano unite in un leggero bacio.
Finn non aveva nemmeno considerato le conseguenze di quel gesto, come qualsiasi giovane inebriato dai propri sentimenti era stato incosciente ed impulsivo.
In quel momento aveva solo temuto di essere respinto, ma ciò non era accaduto. Si erano separati per un breve istante, entrambi sorpresi e confusi.
Green aveva indugiato, ma poi si era riavvicinato con decisione, lasciandosi sopraffare dalla bramosia e dalla passione.
Finn era stato travolto da una violenta tempesta di emozioni e da quel momento non si era più svegliato da quell’incantesimo.
 
***

Finn si riprese da quei ricordi, i primi raggi dorati filtravano dalla finestra.
Richard era ancora profondamente addormentato, il ritmo regolare del suo respiro era ormai familiare al giovane soldato, che tante volte aveva sperato in un simile risveglio.
Finn ripensò a tutto ciò che era accaduto, erano cambiate diverse cose in tutto quel tempo. Prima di tutto egli stesso non si riconosceva più nel timido e impacciato ragazzo del rancio.
Era consapevole di essere ancora un soldato inesperto, ma almeno non era più solamente una recluta impaurita. Quando Richard si era trovato in pericolo egli non aveva esitato ad esporsi ad ogni rischio pur di salvare il suo compagno. Era anche stato disposto a confrontarsi con il sottotenente Conrad per correre in suo soccorso.
Quella era stata la sua prima vera missione di guerra, ma il suo successo era stato prevalentemente dettato dalla fortuna. Il giovane si era comportato in modo del tutto irresponsabile, lasciando che i propri sentimenti prendessero il sopravvento in un momento così drammatico.
Richard aveva fatto bene a ricordargli che non avrebbe sempre potuto contare solamente sul suo istinto.
Nonostante tutto Finn era certo che non avrebbe mai potuto agire diversamente.
 
Il ragazzo tornò a pensare al conflitto. Il suo battesimo del fuoco aveva rischiato di diventare anche la sua ultima battaglia, ma da quando era diventato l’attendente del tenente Green aveva avuto modo di imparare molto sulla guerra. L’esperienza del suo superiore era servita a istruirlo a dovere, e anche i preziosi consigli del caporale Speller erano sempre stati utili.
La malattia l’aveva indebolito fisicamente, ma dentro di sé si stava ancora forgiando l’animo di un buon soldato.
Le guerra però non era ancora riuscita a strappargli la sua innocenza, fino a quel momento non aveva mai ucciso nessuno.
Finn considerava ciò come una sua debolezza. Nel momento in cui si era ritrovato per la prima volta davanti al nemico non aveva avuto il coraggio di sparare, e anche in quell’occasione Richard era giunto in suo soccorso.
Ciò che era accaduto con il soldato Dawber invece era diverso. In quel caso egli si era opposto alla decisione del suo spietato compagno.
Finn avvertì un intenso brivido di terrore, davanti ai suoi occhi rivide il corpo inerme di quel soldato tedesco disteso al suolo. Ricordava bene i suoi occhi trasparenti ancora sgranati dal terrore e il suo volto pallido deturpato dall’orrendo foro di proiettile.
Ripensò anche alle parole con cui il suo commilitone aveva giustificato quell’atrocità. Dawber era convinto che l’unico compito di ogni soldato britannico fosse quello di sterminare il nemico.
Finn non poteva contraddirlo, era consapevole che uccidere fosse parte del suo dovere da soldato, eppure era ancora disposto a seguire una morale. Di certo era stato il tenente Green a indirizzarlo verso il suo modo di pensare. Richard era un ufficiale fortemente legato ai principi di lealtà e onestà. Per quanto fosse possibile egli tentava sempre di trovare giustizia, anche in una situazione drammatica e priva di speranze come quella guerra.
Finn stimava il suo superiore anche per quello, perché nonostante tutto la sua anima era rimasta incorrotta.
Il tenente mostrava rispetto per i tedeschi, era sempre consapevole di trovarsi di fronte ad altri esseri umani, e non considerava il nemico come un involucro vuoto.
Ciò non impediva a Richard di combattere con determinazione, ma la motivazione che lo portava a premere il grilletto non era un odio irrazionale nei confronti del nemico.
Finn ripensò al caos delle battaglie, dove aveva visto Green in azione. L’ufficiale era un ottimo tiratore e non aveva mai esitato a sparare durante i feroci scontri.
Il giovane non aveva mai osato considerare Richard come un assassino, sapeva che ogni notte le sue vittime tornavano a tormentarlo nei suoi incubi.
Era certo che il tenente stesse cercando di proteggerlo anche da questo, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare da solo quel conflitto. Richard non avrebbe potuto proteggerlo per sempre dalla guerra.
Finn era consapevole che il suo amato aveva intenzione di tenerlo al sicuro per il suo bene e non poteva giudicarlo per questo. Egli avrebbe sicuramente fatto lo stesso nei suoi confronti.
In quel tempo però Finn aveva acquisito maggior fiducia in se stesso, non era più spaventato dal campo di battaglia, almeno non più degli altri suoi compagni.
In diverse occasioni aveva dimostrato di essere un soldato valido e competente.
Probabilmente anche in questo caso era stato l’esempio di Green ad influenzarlo. Conosceva bene le imprese del suo superiore, anche se egli spesso si rifiutava di raccontarle. Richard infatti non amava rievocare le sue azioni di guerra, anche quando riportava le sue esperienze per insegnare qualcosa ai suoi uomini tendeva sempre a focalizzarsi sull’elemento fondamentale, senza mai divagare. Finn inizialmente pensava che il tenente fosse particolarmente modesto e che non apprezzasse troppo quel genere di attenzioni. Ciò era vero, ma questa non era la sola motivazione.
Per i veterani non era semplice riportare alla memoria certe esperienze, in molti casi Richard aveva avuto il coraggio di confidarsi solo con lui. Finn era l’unico con cui era riuscito a parlare della morte del fratello.
Il giovane avrebbe desiderato affievolire quel profondo dolore, ma era consapevole di non poter fare altro che confortare il suo compagno con il suo sincero affetto.
Finn sapeva che Richard non aveva ancora trovato la forza di affrontare i fantasmi del suo passato, forse nemmeno il tempo avrebbe potuto curare quelle profonde ferite. Il ragazzo era sempre più preoccupato a riguardo, temeva che il suo amore non potesse essere abbastanza, e che prima o poi l’anima del tenente sarebbe stata sopraffatta dai quei demoni.
Quelle paure portarono il giovane a concepire pensieri sempre più cupi. Riflettendo sulla sua relazione con Richard non poté evitare di riportare alla luce considerazioni e problemi che fino a quel momento aveva sempre cercato di ignorare. In passato non aveva mai dato troppa importanza a tutto ciò che avrebbe potuto ostacolare quel rapporto, forse per ingenuità, oppure per incoscienza, o addirittura per egoismo.
Ormai però non poteva più fingere che certe questioni non potessero essere estremamente pericolose.
 
***

Richard si allarmò nel trovare la stanza vuota, il medico l’aveva appena informato a riguardo della salute cagionevole del suo assistente, ed ora lui era scomparso nel nulla.
Il tenente era certo che Finn non avrebbe potuto trovarsi molto lontano, egli era ancora debole, inoltre non c’erano molti posti che avrebbe potuto raggiungere. L’ufficiale si avvicinò alla finestra, la vista attirò subito la sua attenzione.
Richard non perse tempo, se quel ragazzo era davvero così simile a lui sapeva benissimo dove cercarlo.
Il tenente seguì il sentiero sterrato fino a raggiungere un piccolo boschetto.
Come aveva previsto non dovette percorrere molta strada prima di trovare il suo giovane attendente seduto sotto a un grosso albero.
«Finn! Eccoti finalmente! Mi hai fatto spaventare»                   
Egli alzò la testa, i suoi occhi azzurri incrociarono lo sguardo severo del suo superiore.
«Io…avevo bisogno di uscire da quella stanza» si giustificò.
Il tenente prese un profondo respiro: «capisco che tu sia stanco di tutto questo, ma non puoi stare qui fuori al freddo nelle tue condizioni!»
Il ragazzo restò indifferente alla sua predica. Richard si levò la giacca per sistemarla sulle spalle tremanti del suo assistente. Intuì immediatamente che il giovane non fosse turbato solamente dal proprio stato fisico.
«Qualcosa non va?»
Egli si limitò a negare con poca convinzione.
Richard avvertì la sua apprensione: «avanti, non farti supplicare. Che cosa è che ti preoccupa davvero?»
Il giovane sospirò, sapeva di non poter nascondere nulla al suo amato.
«Quello che stiamo facendo è…sbagliato» ammise con rammarico.
«Per quale motivo stai dicendo questo?»
«Perché tu sei un mio superiore e sei un ufficiale…se qualcuno dovesse sospettare la vera natura del nostro rapporto ci sarebbero delle conseguenze»
Richard poté comprendere le sue preoccupazioni.
«Lo sai che in ogni caso farei di tutto per proteggerti»
«Ma io non potrei fare nulla per proteggere te!»
«Non devi sentirti in colpa per questo, non si tratta di una tua responsabilità»
«È tutta colpa mia» gemette Finn.
«Non potrei mai accusarti di una simile assurdità. Tu sei la mia salvezza, non la mia condanna»
Egli si commosse nel sentire quelle parole, ma non ciò non fu sufficiente a rassicurarlo.
«Finn, io ti amo. È la verità e questo non potrà mai cambiare»
Il ragazzo avvertì gli occhi umidi dalle lacrime: «anche io ti amo, per questo ho paura»
Il tenente l'accolse tra le sue braccia, Finn cercò conforto in quel contatto. Richard ricambiò stringendolo dolcemente a sé.
Restarono a lungo uniti in quell’abbraccio, non c’era alcuna certezza al di fuori di quel legame ormai indissolubile.
 
 
 

 
 
Nota dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questa storia.
Un ringraziamento speciale a chi è stato così gentile da lasciare un commento.
Spero di non avervi annoiato troppo con questo capitolo più introspettivo, ma una pausa dal fronte era necessaria.
Grazie ancora per il prezioso supporto^^

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Capitolo 16
*** Esecuzione all'alba ***


 
XVI. Esecuzione all’alba
 
Il sole non era ancora sorto al di sopra delle colline, l’accampamento era quieto e silenzioso.
Quella mattina si avvertiva un’atmosfera cupa e opprimente, la campagna appariva deserta, all'orizzonte si levava una nebbia leggera e sottile. Il tenente proseguì lungo il sentiero, un intenso brivido scosse il suo corpo quando raggiunse i suoi compagni. Fu accolto da una serie di volti scuri e mesti, sguardi truci ed espressioni avvilite. Una recluta si coprì il viso per nascondere le lacrime.
Il plotone d’esecuzione era già schierato in posizione, gli uomini erano nervosi, nessuno di loro avrebbe voluto trovarsi in una simile situazione. Erano stati estratti a sorte per quell’ingrato compito. Il tenente Green era ricorso a metodi imparziali, ma spesso queste erano occasioni per punire i sottoposti più indisciplinati o vendicarsi per questioni personali, scaricando il peso della colpa su qualcun altro.
Richard era consapevole che dopo due anni guerra, quando le truppe avevano ormai affrontato ogni genere di atrocità, alcuni ufficiali avevano trovato nell’odio e nella violenza la soluzione ad ogni problema. 
Il tenente ovviamente non era tra questi, era rimasto profondamente deluso quando aveva scoperto la verità su quella storia, ma pensando alla sorte del colpevole aveva provato solo tristezza. Era sempre stato fedele ai suoi ideali e non aveva mai esitato a fare il suo dovere. In quell’occasione però aveva riflettuto a lungo sulla sua posizione, interrogandosi sulle conseguenze di ogni sua decisione. Era consapevole di non aver commesso errori, ma ciò non era sufficiente a liberare la sua anima dal peso opprimente di quella condanna.
Richard si riprese da quei pensieri, tornò alla realtà avvertendo il rumore di alcuni passi. Due soldati condussero il condannato trascinandolo fino alla sua postazione.
L’ufficiale si sforzò di guardare quel giovane in volto, sembrava rassegnato al suo imminente destino, il suo sguardo era vitreo e spento. Egli fu legato con le mani dietro alla schiena.
Green coprì i suoi occhi con una benda, poi si allontanò con rammarico. Ordinò di puntare i fucili, notò che le armi tremavano nelle mani dei suoi uomini.
In quel momento pensò al regolamento, una formalità obbligava a caricare a salve uno dei fucili.
Ciò avrebbe dovuto aiutare i soldati del plotone d’esecuzione ad alleggerire il peso sulla loro coscienza, illudendoli di non essere stati loro a sparare il colpo mortale. Probabilmente chi aveva ideato quel metodo non aveva mai avuto a che fare con un’arma da fuoco. Anche un novellino avrebbe potuto notare l’assenza del contraccolpo.
Gli spari echeggiarono nel silenzio, appena il fumo si fu dissolto i soldati si accorsero con orrore che il condannato era ancora vivo. L’esitazione dei tiratori aveva contribuito a peggiorare la sua condizione di agonia.
Il tenente Green si avvicinò, era una sua responsabilità, non poteva chiedere ai suoi uomini di sparare a un commilitone ridotto in quelle condizioni.
L’ufficiale strinse la sua pistola, il condannato tentò inutilmente di liberarsi dalle corde, contorcendosi dal dolore. Il sangue continuava a scorrere dal profondo foro nel suo petto.
Il ferito gemette implorando pietà.
Richard rimase impassibile, si chinò su di lui per ascoltare le sue ultime parole, poi impugnò saldamente l’arma puntandola contro la sua tempia.
In quel momento non pensò più a nulla, doveva solamente portare a termine il suo dovere, così premette il grilletto.
 
***

Green riaprì gli occhi con un sussulto, un grido di terrore soffocò nella sua gola. Avvertì il respiro spezzato e il cuore che martellava all’impazzata nel petto. Il tenente impiegò qualche istante per realizzare di non trovarsi più sulle rive della Somme. Si guardò intorno con aria spaesata, pian piano riconobbe la stanza che aveva raggiunto la sera prima. Ricordò di essere tornato a Ypres per potersi ricongiungere con il suo plotone.
Riuscì a calmarsi solo quando scorse la figura del suo attendente, il quale si era alzato dal suo letto per raggiungerlo.
«Richard! Stai bene?» domandò con tono preoccupato.
Egli annuì: «ho solo avuto un altro incubo. Scusa, non volevo svegliarti»
Finn sospirò: «sei sicuro di non volerne parlare?»
«Te l’ho già detto…non è nulla di grave»
«Non sono solo sogni, vero?» domandò con apprensione.
Richard guardò il suo compagno negli occhi, le sue iridi cristalline brillavano nell’oscurità.
«Tra noi due sono io quello che dovrebbe preoccuparsi. Il dottor Jones ha detto che hai bisogno di riposo»
«Non posso dormire sapendo che stai male, soprattutto se non vuoi dirmi il motivo»
L’ufficiale accolse il giovane nel suo letto nel tentativo di rassicurarlo.
Finn si intrufolò sotto alle coperte, ogni timore svanì quando si ritrovò tra le braccia del suo superiore.
Richard accarezzò dolcemente il suo viso: «io mi fido di te, ma non voglio opprimerti con i demoni del mio passato»
«Vorrei solo poter fare qualcosa per aiutarti»
Il tenente strinse il giovane a sé: «ora che sei qui con me non ho bisogno di nient’altro»
Finn poggiò la testa sul suo petto, lasciandosi calmare dal battito del suo cuore e dal ritmo del suo respiro.
Richard passò le dita tra i suoi ricci biondi, sfiorando la sua fronte con un leggero bacio.
Entrambi trovarono conforto addormentandosi in quel tenero abbraccio.
 
***

Il villaggio era tranquillo e silenzioso in quella fredda mattina di novembre. Hugh si ritrovò a camminare per le strade deserte tra cumuli di polvere e macerie. Uno spesso manto candido ricopriva i campi circostanti, l’acqua del torrente continuava a scorrere sotto a un trasparente strato di ghiaccio.
Hugh alzò lo sguardo, il cielo era limpido e azzurro. La neve scricchiolava sotto agli stivali, una brezza gelida pizzicava la pelle e scompigliava i capelli.
Il giovane si strinse nella giacca avvertendo un intenso brivido di freddo. I rumori apparivano distanti e ovattati, come in sogno o in un lontano ricordo. Il cinguettio di un pettirosso accompagnò la sua passeggiata.
Hugh sospirò, normalmente avrebbe trovato conforto in un simile momento di pace e serenità, cercando di apprezzare tutto ciò che la natura gli stava offrendo in quella splendida giornata invernale. Invece in quell’occasione non poté far altro che preoccuparsi pensando che Friedhelm era ancora rinchiuso in una cella in attesa della sua condanna.
Dopo aver discusso con il soldato Dawber aveva tentato di analizzare la questione in modo obiettivo, ma ciò risultava difficile in quelle condizioni. Aveva creato un legame di fiducia con quel soldato e sentiva di avere delle responsabilità nei suoi confronti.
Hugh era tormentato dai dubbi, inizialmente era stato solo il suo buon cuore a portarlo a prendersi cura del prigioniero, ma da quando quel giovane aveva deciso di confidarsi con lui il loro legame era diventato ancora più intimo e profondo. In quella circostanza era diventato il suo unico alleato, la sua figura era ciò che più poteva avvicinarsi ad una presenza amica.
Il soldato accelerò il passo, miracolosamente la condanna del prigioniero era stata rimandata ed ora la sua unica speranza era il ritorno del tenente Green. Hugh raggiunse l’alloggio dell’ufficiale quasi di corsa e con frenesia bussò alla porta.
 
Richard aveva appena ricevuto la visita del capitano Howard, il quale l’aveva messo al corrente sulle ultime decisioni del generale Emmet. Tutto era pronto per l’imminente partenza, presto l’intero reggimento avrebbe marciato lungo la strada per Cambrai.
L’ufficiale osservò la cartina aperta sul tavolo, con le dita seguì la spessa linea rossa che percorreva il tracciato della difesa nemica. Si soffermò su un punto segnato con una grossa croce, si trattava di un anonimo villaggio sul confine francese. Quello sarebbe stato il luogo della prossima battaglia.
Valutò il numero delle forze in campo e provò ad ipotizzare quale sarebbe potuta essere la miglior strategia.
Era ancora immerso in quei pensieri quando all’improvvisò avvertì qualcuno battere intensamente al portone di legno.
«Signor tenente! Signor tenente!»
Richard corse ad aprire, allarmato da quelle grida. Davanti a sé trovò uno dei suoi soldati fremente dall’agitazione.
«Oh, grazie al cielo è tornato! La prego, lei deve ascoltarmi, ho bisogno del suo aiuto»
«Che cosa succede?»
Hugh si guardò intorno con discrezione: «be’, ecco…vorrei discutere con lei in privato»
L’ufficiale lasciò entrare il suo sottoposto: «d’accordo, ma non urlare più in quel modo. Il mio attendente non si è ancora ripreso e ha bisogno di riposo»
Hugh fu lieto di sapere che le condizioni del suo compagno erano migliorate, in quel momento però aveva altro di cui preoccuparsi.
«Mi scusi signore, ma è davvero una questione urgente»
Richard prese posto al tavolo ed invitò il soldato ad accomodarsi.
«Bene, puoi parlare, sono disposto ad ascoltarti»
Hugh era certo di potersi fidare del tenente, ma faticò a trovare le parole giuste per spiegare la propria situazione.
«Si tratta del prigioniero tedesco…hanno deciso di condannarlo a morte!»
Il tenente rimase sorpreso, sia per la notizia riportata che per il particolare interesse che quel soldato stava dimostrando a riguardo.
«Con quale accusa?» domandò con interesse.
«Sono convinti che egli sia una spia, ma questo non è vero! Non hanno alcuna prova»
Richard intuì che le prove non erano necessarie, la sorte di quel tedesco era già stata decisa.
«Per quale motivo sei venuto da me?»
«Perché lei ha sempre mostrato rispetto per i prigionieri e non ha mai tollerato alcuna ingiustizia»
Il tenente si sentì onorato nel sentire quelle parole, ma fu costretto ad ammettere i propri limiti.
«Mi dispiace, ma non posso fare nulla per aiutarti»
«Per favore, non può arrendersi senza nemmeno tentare!»
Richard fu colpito dalla sua ostinazione.
«Perché vuoi salvare la vita a quel prigioniero?»
Hugh guardò il suo superiore negli occhi: «perché so che quell’uomo desidera soltanto tornare a casa dalla sua famiglia come tutti noi»
 
***

Lo scantinato era freddo e umido, l’unica fonte di luce era la candela che lentamente si stava consumando al centro della stanza.
Friedhelm era rannicchiato in un angolo, tremante per il gelo e per il terrore. Quel giorno il buon soldato inglese non era venuto a fargli visita, egli era stato l’unico a trattarlo con gentilezza. Ultimamente aveva notato la preoccupazione nel suo sguardo, non era stato difficile intuire che stava per accadere qualcosa di orribile. Ad un tratto il giovane avvertì un rumore metallico seguito dall’eco di alcuni passi.
Egli trasalì, lentamente nell’oscurità riconobbe la figura di un ufficiale.
L’inglese si rivolse a lui in tedesco.
«Non preoccuparti, voglio solo porti qualche domanda»
Friedhelm gli porse la sua attenzione, ma rimase a debita distanza.
«Sono il tenente Richard Green. Sono qui per aiutarti, ma ho bisogno della tua collaborazione»
Il prigioniero decise di credergli, riponendo in lui le sue ultime speranze.
«Che vuole sapere?» chiese con voce tremante.
«Che cosa è accaduto la notte in cui hai deciso di arrenderti e di consegnarti ai miei uomini?»
Friedhelm abbassò lo sguardo, esitò qualche istante, ma alla fine trovò il coraggio di parlare.
«Ero in missione con una squadra di ricognizione, io e i miei compagni avevamo ricevuto l’ordine di spingerci oltre al reticolato per controllare le trincee nemiche. Uscimmo dalle nostre linee poco dopo la mezzanotte e ci inoltrammo nella terra di nessuno. Fummo costretti a muoverci a scatti e con la schiena ricurva per raggiungere il filo spinato. A quel punto iniziammo a strisciare come vermi avanzando sui gomiti. Così attraversammo una zona devastata dalle granate, tentando di riemergere dalla melma con le divise fradicie e gli scarponi appesantiti dal fango. A metà strada mi fermai per aspettare i miei commilitoni, proprio in quel momento un razzo esplose illuminando il cielo sopra alle nostre teste. Poco dopo un’intensa raffica di proiettili si abbatté contro di noi. Il nemico aveva individuato la nostra posizione. Era la nostra prima missione, tutti noi eravamo inesperti e spaventati. Dimenticammo ogni avvertimento, di fronte alla paura non riuscimmo più a ragionare. Ci rialzammo in piedi e tentammo di fuggire via il più velocemente possibile. Seguii i miei compagni in quella disperata ritirata sotto ad una pioggia di proiettili. Le nostre trincee erano ancora lontane, ma restavano la nostra unica salvezza. All’improvviso una pallottola mi colpì alla gamba. Non potei far altro che accasciarmi a terra contorcendomi e urlando per il dolore. Ricordo solo di essere ruzzato nel fango ritrovandomi sul fondo di una fossa. I miei compagni mi videro cadere senza più rialzarmi…probabilmente pensarono che fossi morto. Rimasi a lungo in quella fossa, tra le scintille incandescenti dei razzi, con i proiettili che continuavano a sibilare sopra alla mia testa. Quando mi ripresi avvertii ancora l’eco degli spari che rimbombava nella mia testa, respiravo a fatica annaspando nel fango, in bocca sentivo l’amaro sapore del sangue. Quando le mitragliatici si quietarono tentai di muovermi, la ferita continuava a sanguinare, non so come riuscii a trascinarmi fino in superficie. Avevo perso il senso dell’orientamento, avanzai per un po’ nell’oscurità finché non mi ritrovai davanti al vostro reticolato. Avrei potuto rischiare di perdermi nuovamente nella terra di nessuno, oppure arrendermi confidando nella pietà del nemico…»
Richard ascoltò il suo resoconto con estrema attenzione. Poteva comprendere le motivazioni di quel soldato, rimasto solo e ferito, in preda alla disperazione aveva visto nella prigionia la sua unica speranza di sopravvivenza.
«La prego, mi aiuti…io non ho fatto nulla di male» supplicò il giovane con le lacrime agli occhi.
Il tenente prese un profondo respiro: «ti prometto che farò il possibile»
Dopo aver detto ciò Richard si voltò e abbandonò lo scantinato.
 
Rimasto solo Friedhelm ripensò a ciò che era appena accaduto. Voleva fidarsi di quell’ufficiale, in lui aveva visto qualcosa di diverso, nonostante tutto egli l’aveva trattato con rispetto e dalle sue parole non era emerso alcun genere di odio o disprezzo.
 
***

Richard decise esporre le sue considerazioni al capitano Howard. Egli era un buon ufficiale, onesto e leale, inoltre era anche in buoni rapporti con il colonnello Harrison. Non avendo molto tempo a disposizione fu costretto ad agire in fretta.
Il suo superiore l’accolse con freddezza, probabilmente aveva intuito la ragione di quell’incontro.
Green non perse tempo con inutili convenevoli e giunse subito al punto della situazione.
«Per quale motivo il generale Emmet ha deciso di giustiziare quel tedesco?»
Il capitano alzò le spalle: «in questo periodo l’Esercito britannico ha avuto diversi problemi: insubordinazioni, scioperi, diserzioni…l’esecuzione potrebbe distogliere l’attenzione da questi spiacevoli eventi»
«Non funzionerà, i soldati sono stanchi di avere a che fare con la morte»
«Ma hanno anche bisogno di vedere annientato il nemico per tornare ad avere fiducia nella guerra. La condanna di un tedesco traditore sarà vista come un atto di giustizia»
«Questa non è giustizia, quel soldato non ha alcuna colpa»
Howard rimase in silenzio.
«Questo è soltanto un atto vile e spietato» riprese Richard.
«Dopo il massacro di Passchendaele in molti sono in cerca di vendetta»
«Forse l’esecuzione potrà illudere per poco di aver punito il colpevole, ma l’eccitazione scaturita dalla violenza svanirà in fretta, e a quel punto rimarrà soltanto un altro cadavere…»
Il capitano abbassò lo sguardo.
«Lei sa che quel tedesco è innocente. Si è arreso e consegnato di sua volontà, la Convezione di Hague dichiara che l’uccisione dei prigionieri è illegale»
«Che cosa sta insinuando?»
«L’esecuzione programmata per domani è a tutti gli effetti un crimine di guerra»
«La sua è una grave accusa»
«Per questo non oserei mai sostenerla se non fosse vera»
Il capitano Howard sospirò, le parole di Green l’avevano sicuramente infastidito, ma ciò che più lo turbava era la veridicità delle sue affermazioni.
«Questa sera riporterò le sue obiezioni al colonnello Harrison»
Richard fu costretto ad accettare quelle condizioni, non riponeva troppa fiducia nei suoi superiori, ma aveva fatto tutto il possibile per salvare la vita di quel prigioniero.
 
***

Finn approfittò di quel pomeriggio di solitudine per uscire dalla sua stanza. Richard si preoccupava anche troppo per la sua salute, almeno poté concedersi una serena passeggiata per le tranquille strade del villaggio senza le sue continue raccomandazioni. Svoltando l’angolo trovò il sergente Redmond tranquillamente seduto sui gradini di un casa diroccata. Aveva un’aria assorta mentre fumava con calma la sua sigaretta. Quando il sottufficiale si accorse della sua presenza lo salutò con un benevolo sorriso. 
«Bentornato ragazzo, sono lieto che tu sia qui»
«Anche a me fa piacere rivederla, mi hanno detto che è stato ferito»
Redmond annuì: «sulla strada di Passchendaele un proiettile si è conficcato nel mio avambraccio, ma ora sto bene. Il medico ha detto che resterà solo una brutta cicatrice»
«L’importante è che sia ancora tutto intero» commentò il giovane.
«Già…da quel che vedo a te non è andata meglio. Diamine, sei pallido come un fantasma!»
Finn distolse lo sguardo: «è colpa delle medicine del dottor Jones, provocano la nausea»
Redmond invitò il ragazzo a posizionarsi al suo fianco, egli acconsentì prendendo posto sul gradino di pietra.
«Sai, il tenente si è preoccupato molto per te» disse il sergente con tono serio.
Il giovane si sorprese nel sentire quelle parole, ma per precauzione preferì restare in silenzio.
«Suppongo che tu sappia di essere importante per lui»
Finn esitò: «sono soltanto il suo attendente»
Redmond non si soffermò sulla sua risposta: «in ogni caso Green ha scelto di riporre in te la sua fiducia, non è solo un onore, ma anche una responsabilità»
«Ho intenzione di fare del mio meglio per non deludere le aspettative del tenente»
«Se egli ha deciso di prenderti al suo fianco significa che ha visto qualcosa di particolare in te. Gli assomigli molto…o meglio, assomigli a come era lui prima della guerra»
«Lei conosce Green da così tanto tempo?»
Redmond annuì: «era un ragazzo pieno di speranze e ideali, l’ho visto trasformarsi giorno dopo giorno, svuotando sempre più la sua anima. Era diventato lo spettro di se stesso, temevo che prima o poi si sarebbe arreso alla guerra. Poi quando sei arrivato tu ho rivisto la luce nei suoi occhi, in qualche modo sei riuscito a ridonare speranza al suo cuore»
In quel momento Finn ripensò a ciò che gli aveva rivelato Richard a Nouex-les-Mines, durante la loro prima notte d’amore.
«Prima di conoscerti non credevo più a nulla, non avevo più alcuna ragione per combattere questa guerra, tu sei diventato la mia unica speranza e la mia ultima salvezza»
Sul momento non aveva dato troppa importanza a tutto ciò, era stato sopraffatto dal turbine dei suoi sentimenti, e non era riuscito a dare il giusto valore a quelle parole.
Finn tornò alla realtà avvertendo la presa del sergente, il quale strinse il suo braccio.
«Il tenente Green ha bisogno di te»
«Io…non capisco, come potrei aiutarlo?»
«Questo non lo so, ma se qualcuno può salvare l’anima distrutta del tenente quella persona non puoi che essere tu»
Il ragazzo tentò di mascherare la sua profonda commozione.
«Per quale motivo mi sta dicendo questo?»
«Perché Green ha sofferto anche troppo a causa della guerra, qualsiasi sia questa cosa che lo sta mantenendo legato alla vita non può perderla»
«Non potrei mai tradire la fiducia del mio superiore»
«Ne sono certo»
Finn rimase qualche istante in silenzio, poi si decise ed esternarne i propri pensieri.
«Lei sembra conoscere davvero a fondo il tenente…»
Il sottufficiale mostrò un triste sorriso: «conoscevo molto bene una persona come lui»
 
***

Sulla strada del ritorno Finn rifletté sulle parole del sergente Redmond, quell’uomo sembrava realmente preoccupato per Richard.
Quando tornò nell’alloggio del tenente si accorse, non senza un certo stupore, che il suo superiore non era solo. Silenziosamente mosse qualche passo verso la sala da pranzo, sbirciando dalla porta socchiusa notò un ufficiale seduto al tavolo insieme a Richard.
Finn non riuscì a scorgere i particolari del suo volto, ma era certo di non averlo mai visto prima.
Il tenente Green rivolse a quell’uomo uno sguardo diffidente, poi si decise a parlare.
«Dunque, per quale motivo sei venuto da me?»
L’altro rispose senza esitazione: «perché voglio sapere la verità»
«Conosci già la verità»
«Non prendermi in giro, non mi sto riferendo a quel che è scritto nei rapporti»
Green rimase impassibile: «non ho mai mentito a riguardo»
L’ufficiale lo guardò dritto negli occhi: «io non sono uno dei tuoi soldati, non credo alla favola dell’eroe»
«Mi sono guadagnato la fiducia dei miei uomini come ogni buon ufficiale dell’Esercito britannico»
Lo sconosciuto accennò un ironico sorriso: «molto commovente, hai voluto prendere esempio da tuo fratello, ma tu non sei Albert»
Richard trasalì: «non ho mai pensato di prendere il suo posto»
«Già, perché non potresti mai reggere il suo confronto»
Il tenente Green mantenne apparentemente la calma, ma il suo volto si rabbuiò.
«Albert era un uomo onesto, di certo non stai onorando la sua memoria mentendo in questo modo»
«Non sto mentendo» affermò nuovamente.  
«Dunque, qual è la tua giustificazione?»
«Ho solo svolto il mio dovere»
Il suo interlocutore scosse la testa: «sai cosa mi ha sorpreso? Il fatto che tu non abbia mai chiesto perdono»
«È vero, non ho mai avuto rimpianti, ma ciò non significa che non provi dolore per ciò che è successo»
L’ufficiale si rialzò in piedi: «se davvero ti importasse qualcosa allora ammetteresti la verità!»
Richard sostenne il suo sguardo: «non sono io ad aver sbagliato»
«Puoi continuare a fingere di essere un eroe di guerra, ma in fondo sei soltanto un assassino!»
 
Finn si allontanò dalla porta, fu costretto a poggiarsi al muro per non crollare sulle gambe tremanti.
Tutto ciò non aveva alcun senso, era certo che quell’uomo stesse mentendo. Quelle accuse dovevano essere per forza infondate, eppure non riuscì a reprimere la profonda sensazione di inquietudine che aveva iniziato a diffondersi dentro di sé.

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Capitolo 17
*** Il disertore ***


 
XVII. Il disertore
 

Fromelles, luglio 1916.
Dopo la scomparsa di Albert il conflitto aveva travolto Richard trascinandolo nel suo vortice di morte e distruzione. Gli eventi si erano susseguiti caoticamente, quasi senza rendersene conto si era ritrovato al comando di un plotone con a carico enormi responsabilità. Fin dal primo momento Green aveva dato prova di essere un buon ufficiale, pur essendo ancora giovane e inesperto. La sua determinazione e il suo forte senso del dovere l’avevano aiutato ad affrontare anche i momenti più difficili, e ovviamente il ricordo di Albert era sempre rimasto a donargli sostegno e conforto.
 
Erano trascorse due settimane dal primo giorno della Somme, sul fronte occidentale la guerra progrediva inesorabilmente e ormai aveva raggiunto l’apice della sua violenza.
Il villaggio di Fromelles era caduto nelle mani del nemico all’inizio del conflitto, da allora i tedeschi avevano difeso ardentemente quella posizione strategica. Fino a quel momento gli Alleati avevano sferrato due violenti attacchi, entrambi respinti dalle truppe bavaresi appostate ad Aubers Ridge. L’ultimo assalto era terminato in un bagno di sangue, dopo la battaglia entrambe le fazioni avevano impiegato una settimana per recuperare e seppellire i morti.
Il tenente Green rifletté su questi eventi, i suoi superiori erano fiduciosi per l’imminente attacco, ma in quei giorni precedenti all’azione le truppe avevano già trovato le prime difficoltà. La notte precedente gli inglesi avevano rilasciato una densa nube di gas per costringere il nemico ad abbandonare le postazioni più avanzate. Il vento però aveva disperso i vapori tossici, causando qualche vittima anche tra le linee inglesi. Questo fallimento però non aveva apportato alcun cambiamento ai piani degli Alleati. L’artiglieria britannica aveva intensificato sempre più il tiro contro le postazioni tedesche.
Ben presto però erano sorti altri problemi, le truppe dell’Anzac avrebbero dovuto supportare l’avanzata inglese, il loro ruolo sarebbe stato cruciale, ma gli artiglieri australiani si erano rivelati inesperti e mal equipaggiati. Gli inglesi non avrebbero potuto contare sul loro appoggio come avevano programmato.
Inoltre anche le distanze da percorrere attraverso la terra di nessuno non erano sicure a variavano ampiamente lungo la linea di attacco, le ricognizioni aeree avevano riportato che in alcuni punti l’area incontaminata tra i due fronti raggiungeva anche i quattrocento metri. Gran parte di questo terreno era impregnato d'acqua e a libera vista dalle posizioni tedesche, specialmente sul versante di Sugar Loaf, dove si trovava una serie di bunker di cemento armato con mitragliatrici in grado di sparare in ogni direzione. Non c’erano alternative, l’esito di quella battaglia sarebbe stato un cruento massacro.
Richard, solo nel suo rifugio, rifletté a lungo sulla situazione, tormentato da dubbi e incertezze. Entro poche ore avrebbe dovuto guidare i suoi uomini all’attacco, con la consapevolezza che cinquanta vite gravavano sulla sua coscienza.
Il tenente era assillato da queste preoccupazioni quando ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi, poco dopo intravide una figura nella penombra.
Green riconobbe il suo commilitone, si trattava del tenente Foley, un vecchio amico di suo fratello.
Egli si rialzò e accolse il nuovo arrivato con una vigorosa stretta di mano.
«Tenente Foley, sono lieto di vederla»
«Ormai possiamo trascurare certe formalità, puoi chiamarmi William»
«Sì, certamente»
L’ufficiale invitò il suo parigrado a sedersi al tavolo. I due iniziarono a parlare della guerra, ma ben presto la conversazione deviò su questioni più personali.
Alla fine William rivelò il reale motivo di quella visita.
«Sai, Albert si preoccupava sempre per te. Al tempo credevo che i suoi timori fossero spesso ingiustificati, ma da quando mio fratello si è arruolato riesco ben a comprendere le sue motivazioni. In ogni caso sono contento che egli sia stato assegnato al tuo plotone, sei un buon ufficiale e hai saputo dimostrarlo anche sul campo di battaglia»
Richard si sentì a disagio di fronte a quegli elogi.
«Cerco solo di svolgere il mio dovere» rispose modestamente.
«Sono certo che Albert sarebbe orgoglioso di te»
Green rifletté qualche istante, poi si decise a porre il quesito che era rimasto a lungo nella sua mente.
«Tu sai qualcosa sulla morte di mio fratello?»
Il tenente Foley esitò: «per quale motivo mi stai rivolgendo questa domanda?»
«Perché tu eri suo amico, lo conoscevi bene, eri il solo con cui poteva confidarsi»
«Mi dispiace, non so nulla in più di te»
«Ancora non riesco a capire…Albert non era un codardo»
«Di questo ne siamo tutti consapevoli»
«Io…ho sentito delle voci sulla morte di mio fratello»
L’ufficiale si incuriosì: «a che ti stai riferendo?»
«Qualcuno crede che il suo non sia stato un suicidio»
«Ciò che stai dicendo è assurdo»
«Albert era profondamente turbato dalla guerra, ma forse non per le ragioni che abbiamo presupposto…»
«Non ti sto seguendo, di che stai parlando?»
«Ho saputo che mio fratello era coinvolto nel processo al caporale Randall, lui non avrebbe mai permesso che i suoi crimini restassero impuniti»
«Randall è stato rilasciato per mancanza di prove, concordo nel definire quell’uomo un essere deplorevole, ma non credo che potrebbe aver commesso l’omicidio di un ufficiale»
«Potrebbe aver deciso di vendicarsi»
«Richard, comprendo il dolore che stai provando, anche io ho sofferto per la perdita del mio migliore amico, ma devi accettare la realtà»
Green tentò di trattenere le lacrime: «Albert non mi avrebbe mai abbandonato»
Il tenente Foley provò una profonda compassione per quel giovane.
«È vero, ma l’uomo che ha commesso quell’atto orribile non era più il nostro Albert, purtroppo la guerra l’aveva già portato via da tanto tempo»
Richard abbassò lo sguardo riflettendo su quelle parole.
Il suo commilitone poggiò una mano sulla sua spalla in segno di conforto: «coraggio ragazzo, devi essere forte anche per lui adesso»
Green apprezzò quel suo gesto.
Il tenente Foley si distaccò allontanandosi di qualche passo.
«William, aspetta…»
Egli si fermò in attesa delle sue parole.
«Ho incontrato le nuove reclute, ma non credo di aver ancora avuto l’occasione di conoscere tuo fratello»
«Oh, lo riconoscerai facilmente. Mi assomiglia molto, abbiamo anche gli stessi occhi verdi»
 
A causa della scarsa visibilità il bombardamento da parte dell’artiglieria australiana iniziò con ore di ritardo, causando incomprensioni tra le unità sul campo.
L'artiglieria aveva due obiettivi decisivi, in primo luogo doveva mettere fuori combattimento le mitragliatrici nemiche e i loro equipaggi, o almeno impedire loro di sparare fino a quando la fanteria non avrebbe raggiunto le trincee tedesche. Il secondo obiettivo era distruggere il filo spinato e far crollare il parapetto tedesco, privando la fanteria nemica della difesa e proteggendo in questo modo le truppe attaccanti.
Quando il bombardamento iniziò il mite paesaggio bucolico si tramutò in un tumulto assordante di botti ed esplosioni. Dopo mezz’ora di fuoco ininterrotto le ricognizioni aeree confermarono che molti rifugi tedeschi erano stati sepolti o ridotti in cumuli di macerie e che anche i reticolati erano stati gravemente danneggiati.
Il tenente Green si attenne al piano, radunò i suoi uomini e attese il tempo dell’attacco. L’ufficiale aveva notato il timore e il panico tra le reclute, ma tutto ciò che aveva potuto fare era stato proferire qualche parola di incoraggiamento per consolidare il loro spirito prima della battaglia.
Al momento prestabilito Richard uscì dalla trincea con la prima ondata di soldati. Ben presto l’ufficiale si ritrovò nel vivo dello scontro. Bombe e granate scoppiavano ovunque, intorno a lui avvertì le grida dei suoi compagni e i lamenti dei feriti. Il tenente progredì tra il fumo delle esplosioni, il campo di battaglia era cosparso di cadaveri. Nella confusione Richard riconobbe una giovane recluta, il ragazzo era rannicchiato a terra, stringeva il fucile tra le mani e piangeva come un bambino. 
L’ufficiale si avvicinò, fu costretto a gridare a pieni polmoni per sovrastare il frastuono dello scontro.
«Ei, avanti, non puoi restare qui!»
«No! Non ce la faccio, non posso…»
«Forza, devi alzarti!»
«Per favore…voglio tornare indietro…»
«Non dire assurdità, chi torna in trincea durante l’azione viene fucilato con l’accusa di codardia. Tu non sei un vigliacco, giusto ragazzo?»
La recluta non rispose, tremava dalla paura, calde lacrime scendevano sulle sue guance. Green aiutò il giovane a rialzarsi afferrandolo con forza per la giubba. L’ufficiale strinse la presa e si rivolse a lui con tono severo.
«Adesso devi avanzare nella terra di nessuno con quel fucile ben saldo tra le mani e la baionetta puntata davanti a te. Non esitare a sparare, non fermarti mai, qualunque cosa accada tu devi continuare ad avanzare!»
Il ragazzo parve riprendersi.
Richard spronò il giovane a proseguire, lo vide correre nella terra di nessuno finché la sua figura non scomparve tra la nebbia e il fumo.
Il tenente seguì la medesima direzione, gettandosi nuovamente nel fuoco della battaglia.
 
Richard dimenticò presto l’episodio del ragazzino, l’ufficiale si ritrovò nel mezzo dello scontro, assistendo inerme all’inevitabile massacro.
I proiettili provenivano da ogni direzione, le mitragliatrici nemiche crepitavano senza sosta. Il tenente raggiunse un riparo insieme a un gruppo di commilitoni, dalla sua postazione poté osservare una fila di soldati australiani che immediatamente fu falciata da una pioggia di pallottole. In molti furono crivellati di colpi ancor prima di cadere al suolo. I feriti si contorcevano nelle buche fangose, le loro urla di disperazione erano strazianti.
Richard si appiattì contro al terreno avvertendo i proiettili che fendevano l’aria sopra alla sua testa. Assicurò bene l’elmetto metallico e abbassò il capo per proteggersi dalle schegge. In quel momento avvertì una stretta alla spalla, un suo sottoposto si rivolse a lui in preda alla disperazione.
«Signor tenente, che cosa possiamo fare? Non usciremo mai vivi da qui!»
Green scosse la testa: «no…non dire così, ce la faremo! Adesso attendiamo che il fuoco si calmi, poi usciremo da questa buca, attraverseremo quel canale e raggiungeremo il nostro obiettivo. D’accordo?»
Il soldato annuì, rassicurato dall’atteggiamento sicuro e determinato del suo comandante, il quale era riuscito a mantenere i nervi saldi anche in una situazione così drammatica.
 
Le truppe alleate riuscirono a conquistare rapidamente la prima linea nemica barricandosi all’interno delle trincee. Le perdite furono considerevoli, ma i soldati continuarono a resistere dimostrando a pieno il proprio valore.
Giunti alla terza linea la difesa tedesca risultò impenetrabile, l’intenso fuoco d’artiglieria riuscì a fermare l’avanzata degli alleati. Gli inglesi furono costretti ad arretrare e rimasero bloccati nella terra di nessuno. Un gran numero di morti e feriti giaceva davanti ai rifugi, per tutta la notte i soldati furono impegnati a soccorrere e medicare i compagni.
Il tenente Green si occupò con i suoi uomini di innalzare le barricate e posizionare i pezzi d’artiglieria.
L’ufficiale eseguì gli ordini con prontezza, ma dopo gli eventi di quella giornata aveva ormai perso fiducia nell’efficacia di quell’azione.  
Richard si sdraiò nel fango, avrebbe dovuto recuperare le energie, ma il pensiero del contrattacco programmato all’alba gli impedì di riposare. In lontananza avvertì l’eco di alcuni spari, gli australiani stavano continuando a combattere nell’oscurità.
 
La ritirata si svolse in modo confuso e disorganizzato. Alcune unità ricevettero l’ordine di rientrare dietro alle linee alleate, altre invece restarono coraggiosamente a difendere le postazioni occupate.
Il tenente Green riuscì a condurre il suo plotone al sicuro, raggiungendo incolume i camminamenti di prima linea. Altri commilitoni purtroppo non ebbero la medesima fortuna. Richard non poté far nulla per soccorrere i suoi compagni, li vide cadere nel disperato tentativo di raggiungere le posizioni inglesi.
Il tenente attese con ansia il ritorno dei soldati, aiutando i sopravvissuti a scendere nelle trincee. Ad un tratto afferrò qualcosa di umido e viscoso, trascinando il corpo all’interno della fossa si accorse che quell’uomo era gravemente ferito. Altri due soldati giunsero in suo soccorso.
Il ferito gemette dal dolore.
Richard tentò di rassicurarlo: «non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene»
Non era certo di poter credere alle sue stesse parole, ma se fossero riusciti a fermare l’emorragia quell’uomo avrebbe potuto avere qualche possibilità di sopravvivere.
I soccorritori esaminarono lo squarcio nel petto, per richiudere la ferita furono costretti a utilizzare vecchie bende e pezzi di stoffa. Il tenente strappò il suo soprabito per rendersi utile all’operazione.
Il braccio destro continuava a sanguinare, rapidamente fissarono un laccio emostatico e legarono l’arto a un pezzo di pesante cartone per mantenerlo fermo. La medicazione era rudimentale, ma con i mezzi a disposizione un buon medico non avrebbe potuto fare di meglio. 
 
Quelle immagini rimasero impresse nelle mente del giovane ufficiale, nei giorni seguenti la terribile battaglia continuò a riaffiorare nei suoi ricordi. Richard si ritrovò più volte a rivivere quei momenti tra incubi e allucinazioni.
Nella quiete del suo rifugio si era appena ripreso dall’ennesima e orrenda visione quando all’improvviso avvertì una voce alle sue spalle.
«Tenente Green»
Richard sussultò, aveva percepito un tono cupo, era certo che non fossero buone notizie. Appena si voltò si trovò davanti a un ufficiale della polizia militare.
«Che succede?» chiese sorpreso da quella visita inaspettata.
«Abbiamo trovato uno dei suoi soldati in una cascina vicino al fiume, il disertore si stava nascondendo come un vigliacco»
«Deve trattarsi di un malinteso, abbiamo riscontrato un certo numero di dispersi dopo l’ultima battaglia…probabilmente quel soldato deve essersi perso»
L’altro rispose con un amaro sorriso.
«Non vorrei offenderla tenente, probabilmente devo attribuire la sua ingenuità alla sua inesperienza»
Richard accettò la critica in silenzio.
L’ufficiale di polizia ordinò ai suoi uomini di presentare il prigioniero.
Il tenente Green sbiancò in volto, non aveva dubbi, quel ragazzo era la recluta impaurita che aveva soccorso in battaglia. Aveva riconosciuto immediatamente le sue iridi smeraldo.
 
***

Finn si sedette sul letto prendendosi la testa tra le mani. Dopo aver assistito alla conversazione tra Richard e il suo misterioso interlocutore non aveva ancora trovato il coraggio di affrontare il tenente.
Le parole di quell’ufficiale l’avevano fortemente turbato, non poteva credere che quelle accuse potessero essere vere. Non aveva mai dubitato del buon animo di Richard, l’aveva sempre considerato come un eroe fin dal primo momento in cui egli era apparso nella sua vita. Per tutto quel tempo Green era stato il suo scoglio e la sua unica certezza. Il tenente era stato il suo salvatore, il suo mentore…e ovviamente il suo amante. Il loro rapporto si era rafforzato in quei mesi, diventando sempre più inteso e profondo, i sentimenti che li univano erano puri e sinceri. Eppure erano state sufficienti poche parole per far crollare ogni certezza.
«Puoi continuare a fingere di essere un eroe di guerra, ma in fondo sei soltanto un assassino!»
Quell’uomo aveva pronunciato quelle parole con odio e disprezzo, nessuno si era mai rivolto al tenente in quel modo. Green era considerato da tutti come un ottimo ufficiale, esperto, dai forti ideali, leale e competente sul campo. I suoi superiori elogiavano le sue capacità, mentre i suoi uomini provavano stima e ammirazione per il loro comandante. Era difficile credere che qualcuno potesse arrivare a provare sentimenti così negativi nei suoi confronti.
Forse si stava preoccupando troppo, in fondo non conosceva ancora la realtà dei fatti. Fino a quel momento non aveva mai pensato che Richard potesse avere dei nemici, ma un giovane ufficiale che auspicava ad una brillante carriera nell’esercito non attirava solo attenzioni positive. 
Quell’ufficiale poteva essere semplicemente invidioso, per questo desiderava infangare il nome di Green.
Allora perché non aveva agito diversamente? Se quell’uomo avesse avuto le prove per accusare il possibile rivale di certo non avrebbe esitato ad agire.
No, non era questo il motivo per cui aveva alzato simili accuse. Era come se il suo fosse stato un avvertimento, doveva trattarsi di qualcosa di molto più personale. Egli aveva nominato anche Albert, Finn sapeva bene che il tenente non aveva mai parlato a nessuno della sua dolorosa perdita. Dunque quell’ufficiale doveva aver conosciuto Richard tempo prima, probabilmente quando il fratello era ancora vivo. Per questo l’aveva nominato più volte, perché era consapevole che in questo modo avrebbe reso Richard estremamente vulnerabile. Era sua intenzione ferirlo.
Finn provò un’intensa sensazione di rabbia e disgusto, chi avrebbe potuto essere così meschino da agire in quel modo?
Il giovane tornò a concentrarsi sulla conversazione che aveva udito.
«Voglio sapere la verità, non mi sto riferendo a quel che è scritto nei rapporti»
Il ragazzo assunse un’aria perplessa, quella vicenda si stava rivelando sempre più complessa e inquietante.
Che ruolo aveva avuto Richard in quella storia?
Finn rifletté a lungo senza riuscire a trovare una risposta, o meglio, senza trovare un’alternativa valida all’orribile ipotesi che si era materializzata davanti a sé.
A quel punto aveva una sola certezza: il tenente Green doveva essere coinvolto in qualcosa di veramente pericoloso.
 
Finn sussultò avvertendo dei battiti alla porta. Rapidamente tentò di ricomporsi.
Appena entrò nella stanza Richard intuì che doveva essere accaduto qualcosa. Non aveva mai visto il suo attendente comportarsi in quel modo, nel suo sguardo riconobbe un misto di timore e delusione.
«Finn…che è successo?»
Il ragazzo non rispose, le sue mani iniziarono a tremare.  
Il tenente si avvicinò: «che hai? Non ti senti bene?»
Finn negò scuotendo la testa.
«Allora che ti prende? Avanti, dimmi. Così mi stai facendo preoccupare…»
Il giovane trovò finalmente il coraggio di guardare il suo compagno negli occhi, che in quel momento gli parvero addirittura più oscuri e profondi.
Era ancora sconvolto e confuso, ma in qualche modo trovò la forza di confessare.
«Prima ti ho visto parlare con quell’ufficiale, non avrei voluto spiarti, ma…le sue accuse erano davvero terribili!»
Richard trasalì nell’udire quelle parole, ma poi reagì con insolita freddezza.
«Suppongo che ora tu abbia molte domande da pormi»
Finn esitò, pur credendo nell’innocenza di Richard una parte di sé aveva paura di scoprire la verità.
«Chi era quell’uomo?» chiese con voce tremante.
«Il tenente William Foley, abbiamo combattuto insieme durante la Battaglia della Somme. Da allora non ho più avuto sue notizie, fino ad oggi non sapevo nemmeno se fosse ancora vivo»
«Sembrava conoscere bene tuo fratello…»
Green annuì: «lui e Albert erano buoni amici, credo che William abbia davvero sofferto per la sua morte. Forse in qualche modo si è sentito responsabile»
Finn mantenne lo sguardo fisso a terra: «per quale motivo il tenente Foley è convinto che tu sia un assassino?»
Richard s’irrigidì, il suo sguardo si incupì.
«Ha le sue ragioni per provare odio e rancore nei miei confronti»
Finn avvertì gli occhi umidi: «ti prego, dimmi che tutto questo è soltanto un enorme sbaglio»
Egli rimase in silenzio.
«Richard…»
Il tenente restò impassibile.
Finn lo supplicò tra i singhiozzi: «ho solo bisogno che tu mi dica qualcosa per rassicurarmi»
«Mi dispiace, non posso…»
Il ragazzo cercò la mano del tenente, ma lui la ritrasse creando ulteriore distacco.
«Per favore, permettimi di aiutarti»
«In questo momento dovresti solo provare disprezzo nei miei confronti»
«Non potrei mai credere che tu abbia fatto qualcosa di male!»
Il tenente rispose tristemente: «temo che in questo caso commetteresti uno sbaglio»
Finn recepì quelle parole con come una coltellata allo stomaco. La sensazione di panico e dolore fu ugualmente intensa.
Richard si sentì in colpa per aver tradito la fiducia di Finn, avrebbe solo desiderato proteggerlo, invece era diventato lui stesso la causa della sua sofferenza.
«Non era mia intenzione nasconderti la verità, e di certo non avrei voluto che tu la scoprissi in questo modo»
«Voglio che sia tu a raccontarmi quel che è successo»
«Pretendi una mia confessione?»
«No, ti sto chiedendo di dimostrarmi che ti fidi davvero di me»
Richard alzò lo sguardo, in quel momento si vergognò di se stesso per aver mentito alla persona che amava. Nonostante tutto Finn si era dimostrato paziente e comprensivo, aveva il diritto di conoscere la verità.
Il tenente prese un profondo respiro prima di liberarsi dal peso di quel segreto. 
«Durante la Battaglia della Somme uno dei miei soldati fu accusato di diserzione. Si trattava di una giovane recluta che aveva commesso un errore, ma macchiandosi di un reato così grave non avrebbe potuto evitare in alcun modo la condanna. Ricevetti l’ordine di giustiziare quel ragazzo, era mio dovere punire un simile atto di viltà. Così organizzai un plotone d’esecuzione, all’alba trovai i soldati afflitti e sconvolti, ovviamente nessuno avrebbe voluto giustiziare un ragazzino. Quando ordinai di puntare i fucili notai che le armi tremavano nelle mani dei miei uomini. I tiratori spararono, ma quando il fumo si fu diradato scoprimmo che il condannato era ancora vivo. A quel punto mi presi la responsabilità di portare a termine quell’ingrato compito, non avrei potuto chiedere a quei soldati di sparare ad un commilitone ferito. Così impugnai la pistola, la puntai alla testa di quel ragazzo…e…alla fine premetti il grilletto»
Il tenente terminò la sua confessione con la voce interrotta dai singhiozzi, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare con qualcun altro quell’orribile evento del suo passato.
Finn rabbrividì nel sentire quelle parole, non poteva credere che l’uomo che amava avesse compiuto un atto così terribile. Nonostante tutto non poté accusare il tenente per quel che aveva fatto.
Il ragazzo iniziò a collegare i fili di quella storia, arrivando presto alla conclusione.
«Chi era il condannato?» chiese pur temendo di conoscere già la risposta.
Richard rispose mestamente: «il suo nome era Thomas Foley»

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Capitolo 18
*** Croce sul cuore ***



XVIII. Croce sul cuore
 
Finn si fermò davanti alla finestra scrutando attraverso i vetri opachi, la fitta nevicata non accennava a quietarsi, i fiocchi trasportati dal vento aleggiavano vorticosamente sul terreno ghiacciato. Guardando all’orizzonte intravide la luce di una torcia, alcuni soldati cercavano riparo dalla tempesta. Li vide arrancare nella neve, seguì le loro ombre proseguire lungo il sentiero. Continuarono ad avanzare lentamente finché anche l’ultimo della fila non scomparve nell’oscurità.
Finn strinse la coperta sulle sue spalle avvertendo intensi brividi di freddo. Osservò con rammarico il letto vuoto di Richard, probabilmente il tenente non sarebbe tornato da lui quella notte.
Per la prima volta il suo superiore si era liberato dall’enorme peso che gravava sul suo cuore, esternando il proprio senso di colpa. Il tenente aveva perso il suo caratteristico autocontrollo, abbandonandosi alla sua più intima debolezza.
Finn aveva dovuto fare i conti con la dura realtà, il tenente Green non era un eroe, era un ufficiale dell’esercito britannico coinvolto in uno spietato e sanguinoso conflitto. Sarebbe stato un ingenuo a credere che la guerra non avesse corrotto anche il suo animo, ma in tutto questo Richard non era più colpevole di chiunque altro. Anch’egli era una vittima.
Finn era convinto di ciò, aveva conosciuto a fondo il tenente sia come uomo che come ufficiale, aveva avuto prova del vero spirito onesto e leale del suo comandante. Il tenente Green non era un assassino.
Questo però non cambiava la situazione sul piano morale. Richard era convinto di avere delle responsabilità, pur avendo adempito al suo dovere, non poteva reprimere in alcun modo il suo rimorso.
Inoltre quella sporca faccenda era diventata anche una questione personale, per un assurdo scherzo del destino il condannato non era un semplice sconosciuto. Ovviamente ciò non avrebbe cambiato la gravità dell’esecuzione, ma in questo modo Richard non solo si era macchiato di una colpa inconfessabile, ma era stato costretto anche a convivere con la consapevolezza di aver fatto del male ad una persona cara.
Il tenente Foley era il miglior amico di suo fratello, era l’unica persona che ancora lo legava a lui. Per Richard doveva essere stato terribile portare a termine quell’ingrato compito, diviso tra il senso del dovere e la volontà della propria coscienza.  
Il ragazzo ripensò a quel che era accaduto dopo la sua confessione.
 
Richard era rimasto a lungo in silenzio, poi aveva alzato lo sguardo con rassegnazione.
«Adesso che sai la verità anche tu puoi considerarmi un assassino»
Finn aveva negato senza esitazione: «no, io non penso che tu sia colpevole»
«La morte di quel ragazzo è stata una mia responsabilità»
«Non avresti potuto evitare in alcun modo la sua condanna»
«Era soltanto un ragazzino spaventato ed io l’ho ucciso»
«Hai premuto il grilletto, ma non sei stato tu ad ucciderlo»
«Ho dovuto prendermi le mie responsabilità, pur sapendo che non avrei mai potuto redimermi da questa colpa»
Finn aveva avvertito un’intensa fitta al petto trovandosi davanti all’animo del tenente logorato dal senso di colpa.
Richard aveva distolto lo sguardo.
«Mi dispiace, avrei dovuto proteggerti, invece sono solo stato in grado di deluderti…»
«No, non è vero»
«Ho tradito la tua fiducia»
«Posso comprendere le tue ragioni»
Il tenente era certo di non meritare la solidarietà che il suo attendente stava continuando a dimostrare nei suoi confronti.
«Dovresti odiarmi per quello che ho fatto!»
La risposta di Finn era stata del tutto inaspettata.
«Potrei essere disposto a perdonarti»
«Non sarebbe una scelta ragionevole»
Il giovane era convinto delle proprie affermazioni: «non posso farlo adesso, ma forse un giorno sarò pronto»
«Sarebbe più semplice se tu ammettessi la verità»
«I miei sentimenti per te non sono cambiati»
Richard non aveva saputo come reagire, aveva provato un sincero sollievo, ma anche una profonda tristezza.
«Dovrò convivere per sempre con le mie colpe»
«Se non puoi perdonare te stesso allora voglio condividere con te questo dolore»
Il tenente non aveva compreso le sue intenzioni: «per quale motivo dovresti compiere una scelta del genere?»
Finn aveva preso le mani del suo compagno guardandolo dritto negli occhi, non aveva più paura dell’oscurità nascosta nel suo sguardo.
«Per dimostrarti che non dovrai più affrontare da solo i demoni del tuo passato»
«Non posso chiederti questo»
«Non me lo stai chiedendo, sono io che ti sto offrendo il mio amore. Forse questo non cambierà nulla, ma…non posso fare altro» aveva rivelato Finn ormai al limite della disperazione.
Il tenente Green si era commosso nel sentire quelle parole, non si era sbagliato, quel giovane era davvero la sua unica salvezza.
Finn aveva cercato conforto in un abbraccio, si era rassicurato nell’avvertire il medesimo calore a quel contatto. Tra le sue braccia si era sentito sempre protetto e al sicuro, nonostante tutto quell’uomo era ancora il suo amato Richard.
 
Finn tornò vicino alla piccola scrivania, come ogni sera si preoccupò di sistemare i documenti del tenente.
Il suo comandante era particolarmente meticoloso, dunque il suo compito era alquanto limitato. Quella volta però tra le carte ordinate sul tavolo trovò qualcosa che attirò la sua attenzione.
Una fotografia sporgeva dalle pagine di un libro, prendendola tra le mani Finn riconobbe il volto di Albert.
Il giovane osservò con attenzione quel ritratto, Richard somigliava davvero molto al fratello. Avevano gli stessi lineamenti del viso e i medesimi occhi scuri e intensi.
Nell’immagine Albert era in posa e indossava un’elegante uniforme di gala. Il suo sguardo si soffermò su un particolare, si trattava di un orologio da taschino con elaborate decorazioni. Doveva essere un oggetto alquanto prezioso, probabilmente era un cimelio di famiglia, trovò strano il fatto che Richard non avesse conservato quel ricordo.
Finn ripose con cura il ritratto sulla superficie del mobile, era certo che ci fossero ancora questioni in sospeso riguardanti la scomparsa di Albert, e finché quelle verità non sarebbero emerse Richard non avrebbe potuto chiudere i conti con il suo passato.
Al termine di quelle considerazioni Finn tornò a riflettere sulla sua relazione con il tenente. Inevitabilmente ripensò alle parole del sergente Redmond.
“Se qualcuno può salvare l’anima distrutta del tenente quella persona non puoi che essere tu”
Il sottufficiale era convinto che Green avesse bisogno del suo aiuto. Il ragazzo avrebbe desiderato con tutto se stesso alleviare le sofferenze del suo superiore, ma non sapeva come affrontare il doloroso passato di Richard. Tutto ciò che poteva fare era restare al suo fianco, continuando a sostenerlo con il suo puro e sincero affetto.
 
***

Il tenente Foley si avvicinò al falò per scaldarsi, uno spesso strato di neve si era depositato sul mantello irrigidito dal gelo. Egli si strinse nel pastrano, era il quarto inverno che trascorreva sul fronte occidentale, non era solo il clima rigido delle campagne fiamminghe a provocargli brividi e tremori.
Il suo sguardo si soffermò sulle fiamme ardenti che danzavano nell’oscurità. Le scintille incandescenti si innalzavano nell’alto soffitto della cantina, creando tetre ombre che si stagliavano sulla parete. In quell’ambiente così suggestivo avvertì ancora più intensamente la presenza dei suoi fantasmi.
L’ufficiale ripensò all’accaduto, di certo non era orgoglioso per quel che aveva fatto. Fino a quel momento aveva creduto che avrebbe tratto sollievo da quel confronto, ma ciò non era avvenuto. Aveva sfogato la propria rabbia contro l’uomo che riteneva colpevole per la morte di Thomas, eppure ciò non era servito in alcun modo ad alleviare il suo profondo dolore.
In fondo non riusciva realmente a considerare Richard come un criminale. In lui rivedeva Albert, e il ricordo del suo migliore amico non faceva altro che alimentare la sofferenza per un’altra dolorosa perdita.
Albert non era stato solo un fedele compagno, il legame che li aveva uniti era una profonda amicizia, poteva considerarlo quasi come un fratello. Insieme avevano affrontato gli orrori della guerra, egli era l’unico con cui aveva potuto confidarsi. Nell’inferno delle trincee quel rapporto l’aveva salvato dalla follia.
Nella sua mente riaffiorò il ricordo della loro ultima conversazione.
 
Erano trascorsi alcuni giorni dal loro ultimo incontro, quando Albert si era presentato all’entrata del rifugio il suo compagno aveva immediatamente riconosciuto la sua espressione afflitta.
Dopo averlo accolto con un caloroso abbraccio si era subito preoccupato di scoprire il motivo della sua inquietudine.
«Albert, è successo qualcosa?»
Egli aveva esitato, ma poi si era deciso a parlare, non poteva nascondere nulla al suo migliore amico.
«Ad essere sincero ho certi pensieri che continuano a tormentarmi…»
«Di che si tratta?»
«Il caso Randall non si è concluso con una condanna»
«Quel criminale è stato rilasciato?»
«Purtroppo le prove non erano sufficienti per accusarlo»
«È assurdo, l’esercito non può tollerare una simile ingiustizia!»
Albert aveva scosso le spalle con rassegnazione: «al momento la guerra ha la priorità anche sulla morale»
«Ti conosco abbastanza bene da sapere che non lascerai perdere questa storia»
«Purtroppo non posso più fare nulla. Randall ne è consapevole, per questo ha osato minacciarmi»
«Ci vuole coraggio per provocare un ufficiale»
«Quell’uomo non ha paura di nulla»
«Perché dovrebbe rivolgere il suo odio proprio contro di te?»
«Perché sono stato io a denunciarlo»
William si era seriamente allarmato dopo quella rivelazione.
«Devi informare subito il capitano Kennet»
Albert non aveva risposto, era rimasto per un po’ di tempo in silenzio a riflettere con lo sguardo perso nel vuoto, poi si era rivolto al suo compagno con tono affranto.
«Posso chiederti un favore?»
«Certo, per te farei qualsiasi cosa»
«Nel caso in cui dovesse accadermi qualcosa ho bisogno che qualcuno stia vicino a mio fratello, per rassicurarlo e confortarlo»
«Per quale motivo stai dicendo questo?»
«È da un po’ che ho una brutta sensazione. Temo che presto la guerra mi prenderà con sé, ormai non mi resta più molto tempo»
«Albert, ti prego, non parlare in questo modo»
«Ti rincordi le parole del vecchio Scott? Un soldato impara a convivere con la morte, e quando giunge il suo momento comprende che è ora di arrendersi»
«Sai che se dovesse accaderti qualcosa io non potrei mai perdonarmi»
«Non devi sentirti in colpa, tu non hai alcuna responsabilità in tutto questo»
«Smettila di parlare come se…se tu fossi già…oh, non voglio nemmeno pensarci!»
Albert era rimasto serio e impassibile.
«Il mio unico rimpianto è quello di non essere riuscito a proteggere Richard da tutto questo»
«Sono certo che tuo fratello sappia che gli hai sempre voluto bene»
«Purtroppo non ho mai avuto modo di dimostrarglielo realmente»
L’amico si era rattristato nel sentire quelle parole.
Albert l’aveva guardato negli occhi: «tu faresti questo per me?»
Egli non aveva potuto fare altro che annuire con un lieve cenno del capo.
Il suo compagno aveva poggiato una mano sulla sua spalla, dimostrando così la propria gratitudine.
 
William mantenne lo sguardo fisso tra le fiamme, le sue iridi color malachite si adornarono di riflessi dorati. Nella penombra rivide il corpo del suo migliore amico riverso nel fango contornato da una vermiglia macchia di sangue. Ricordò il suo volto pallido e gli occhi sbarrati rivolti verso il cielo stellato.
Aveva avvertito lo sparo, in quel momento il suo cuore si era fermato, il sangue si era raggelato nelle vene, dentro di sé aveva capito. Quell’inquietante presagio si era rivelato un’orrenda realtà quando era corso fuori dal rifugio per vedere cosa fosse accaduto. Così era stato lui il primo a trovare il corpo.
Non c’era stato nulla da fare, Albert era già morto. Non ricordava i particolari di quei momenti, sapeva solamente di essersi chinato sul cadavere piangendo e gridando aiuto, pur essendo consapevole che fosse già troppo tardi.
Inizialmente anche lui aveva creduto che Albert avesse deciso di togliersi la vita, probabilmente il suo animo era ormai corrotto e devastato dagli orrori del conflitto. Eppure anche allora un dubbio era sorto nella sua mente.
Albert era certo che sarebbe stata la guerra a ucciderlo, ma le sue frasi erano sempre state vaghe e confuse.
Quando poi Richard gli aveva confidato i suoi sospetti su Randall i suoi timori erano accresciuti ulteriormente. In ogni caso aveva scelto il silenzio, quello era il suo modo per rispettare la promessa fatta ad Albert.
Prima della condanna di Thomas aveva giurato di fare del suo meglio per il bene di Richard, in onore del suo amico. Era stato difficile conciliare l’affetto per Albert e il dolore per la perdita del fratello minore, il suo animo si era diviso a metà. Da una parte desiderava mantenere fede alla parola data, dall’altra invece voleva punire Richard per l’ingiusta condanna inflitta al suo amato parente.
Suo fratello era soltanto un ragazzino, si era arruolato credendo che la guerra fosse una grande avventura, era ancora troppo ingenuo per pensare alle conseguenze.
Il tenente Foley non aveva mai saputo la verità, aveva sempre presupposto che egli non fosse colpevole, ma non aveva mai realmente riflettuto sulla situazione in modo obiettivo.
Il pensiero che Thomas fosse veramente un disertore era troppo doloroso da affrontare. Non voleva credere che il marchio d’infamia caduto sulla sua famiglia non fosse stato imposto da una menzogna.
In quel momento però William fu assalito dai dubbi. Thomas aveva solamente diciassette anni quando aveva affrontato il suo battesimo di fuoco, non si era mai ritrovato nel mezzo di una battaglia, conosceva la guerra solamente attraverso i suoi racconti. Era normale che nel mezzo di uno scontro avesse avuto paura.
Il buon senso non avrebbe mai spinto un soldato alla fuga, ma Thomas era soltanto un ragazzino spaventato.
Foley tentò di ricordare il loro ultimo dialogo.
 
Si erano incontrati alla stazione quando Thomas aveva raggiunto la prima linea insieme alle nuove reclute.
William non era stato lieto di quell’incontro, quello era l’ultimo luogo dove avrebbe voluto vedere suo fratello. Nonostante ciò l’aveva abbracciato mostrandogli tutto il suo affetto. Aveva notato che era cambiato da quando l’aveva visto durante la sua ultima licenza. I mesi di addestramento gli avevano conferito un aspetto più maturo, anche se il suo volto restava ancora quello di un ragazzino.
Indossava una divisa troppo larga, il suo viso pallido e stanco mostrava la fatica per il lungo viaggio.
William aveva sorriso nel tentativo di incoraggiarlo.
Il giovane aveva tentato di mascherare la propria agitazione, non avrebbe voluto mostrarsi timoroso davanti al fratello maggiore, il quale era un ufficiale rispettato e rinomato. Nonostante lo sforzo però non era riuscito a nascondere del tutto la sua inquietudine.
«Ho saputo che sei stato assegnato al plotone del tenente Green»
Thomas aveva annuito.
«È un buon ufficiale, puoi fidarti di lui»
Il ragazzo era rimasto in silenzio.
«Ascolta, questa guerra non è come la dipingono i giornali in Inghilterra. Non ci sono né eroi né vincitori, qui l’importante è rimanere vivi»
«Credevo che tu credessi in tutto questo»
«Io ho fiducia nell’Esercito britannico, ma la questione è molto più complessa»
«Ho deciso di arruolarmi per servire il nostro Paese esattamente come hai fatto tu»
William aveva avvertito un nodo alla gola, a stento aveva trattenuto un lamento.
«Lo sai che per me è diverso. Io ero consapevole delle mie scelte»
«Non credi che io possa all’altezza della situazione?»
«No…io…vorrei soltanto che tu non fossi qui» aveva ammesso con profonda tristezza.
Thomas non aveva compreso il vero significato di quelle parole.
«Adesso devo andare, non so quando potremo rivederci»
William l’aveva trattenuto afferrando il suo braccio: «aspetta…»
Il giovane era rimasto immobile.
«Voglio che tu sappia che ti voglio bene» aveva rivelato guardandolo negli occhi, identici ai suoi, ma ancora innocenti.
Il ragazzo si era sorpreso nell’udire quelle parole, non ricordava l’ultima volta in cui suo fratello aveva manifestato apertamente i suoi sentimenti.
«Anche io ti voglio bene» aveva risposto con voce tremante.
Il tenente era rimasto ad osservare la figura del fratello attraversare le rotaie e confondersi tra la massa di soldati.
Forse dentro di sé già sapeva che non l’avrebbe più rivisto.
 
William si sedette a terra, le fiamme si stavano affievolendo. Per tutto quel tempo aveva rifiutato di accettare la realtà dei fatti, questo perché non voleva ammettere di essere anche lui colpevole.
Era stanco di provare rancore, si era lasciato accecare dall’odio, ma ora che si era liberato da quello spettro poteva vedere più chiaramente. Suo fratello probabilmente aveva davvero commesso un grave errore, e lui non era stato presente per aiutarlo nel momento del bisogno.
Non poteva più ignorare la verità, anche lui aveva delle responsabilità. Forse se avesse saputo comprendere meglio le parole di Albert avrebbe potuto salvarlo. Non poteva nemmeno considerare Richard come l’unico colpevole, non era stato lui a decidere la condanna di Thomas, pur essendo costretto ad eseguirla.
Il tenente Foley estrasse la mano destra dalla tasca della giubba, stringendo un oggetto tra le dita. Si trattava di un orologio da taschino, un modello elegante e raffinato. L’ufficiale sfiorò la superficie dorata con le dita, seguendo il contorno delle iniziali incise nel metallo.
Una lacrima scese sul suo volto, l’ultima scintilla si spense tra le braci, anche quella notte restò solo con i suoi rimpianti.
 
***

Hugh poggiò la schiena al muro, la stanchezza iniziava a farsi sentire, ma l’ansia e la preoccupazione gli impedivano di abbandonare quello scantinato. In ogni caso sarebbe rimasto insieme al prigioniero fino all’alba. Aveva fatto tutto il possibile per provare a salvarlo, ora poteva solamente sperare in un miracolo.
Il soldato socchiuse gli occhi, poté avvertire il rumore del vento, fuori infervorava la tempesta. Aveva sempre avuto paura delle bufere, da bambino si nascondeva sotto alle coperte piangendo finché sua madre non giungeva a rassicurarlo. Riusciva ad addormentarsi solamente con la testa posta sul suo grembo, mentre lei intonava una dolce melodia.
Anche in quel momento gli parve di avvertire il suono della sua voce, per un breve istante provò un’intensa sensazione di pace. Tutto svanì all’improvviso.
Hugh riaprì gli occhi voltando lo sguardo verso il prigioniero. Friedhelm era seduto sul pagliericcio, rannicchiato contro la parete fredda e umida. Il giovane stringeva tra le mani la sua preziosa fotografia, sussurrava parole impercettibili sfiorando con delicatezza il volto della moglie.
L’inglese avvertì una stretta al cuore, inevitabilmente ripensò alla sua famiglia. La sua mente lo riportò in una modesta fattoria nella verde brughiera dell’Essex. Immaginò di ritrovarsi tra le sicure mura domestiche in compagnia dell’amata moglie e dei suoi due figli. L’ultima volta in cui li aveva visti la piccola era ancora in fasce, mentre il primogenito aveva appena imparato a parlare. Si era commosso nel sentirsi chiamare per la prima volta papà
Hugh si riprese da quei ricordi tornando ancora una volta alla triste realtà. Desiderava salvare quel tedesco perché in lui aveva rivisto se stesso. Poteva ben comprendere le ragioni che l’avevano portato ad arrendersi al nemico, voleva salvarlo perché dentro di sé aveva bisogno di credere che anche per lui ci sarebbe stata speranza.
Era ancora perso in questi ragionamenti quando avvertì il pesante portone aprirsi, poco dopo nella penombra dello scantinato comparve la figura del tenente Green.
«Signore, ci sono novità dal quartier generale?»
L’uomo scosse la testa: «no, mi dispiace. Non ho ancora ricevuto alcuna risposta»
«Ma…mancano solo poche ore all’alba»
Richard non rispose, era ben consapevole della gravità della situazione.
«Se non è venuto a portare notizie allora per quale ragione è qui?»
L’ufficiale prese un profondo respiro: «per lo stesso motivo per cui ci sei tu»
Lo sguardo del giovane si illuminò, dunque la sorte di quel prigioniero importava davvero anche al suo superiore.
«Signor tenente…»
«Che cosa c’è?»
«Lei conosce il tedesco, potrebbe tradurre qualche frase per me?»
L’ufficiale si incuriosì: «che cosa vorresti dirgli?»
Hugh spiegò al suo comandante ciò che era passato nella sua mente per tutto quel tempo, ma che non era riuscito a comunicare.
 
Richard si avvicinò al prigioniero, il quale non parve spaventato dalla sua presenza.
«Devo presumere che lei non abbia buone notizie…»
«Purtroppo non c’è ancora nulla di certo»
Friedhelm aveva accettato la realtà con stoica rassegnazione.
Green riprese la conversazione: «il mio compagno vuole che tu sappia che egli ha fatto il possibile per aiutarti»
«Lo so…non deve preoccuparsi per questo, comunque andranno le cose gli sono riconoscente per quel che ha fatto»
L’ufficiale scostò lo sguardo soffermandosi sulla fotografia che il tedesco stringeva tra le dita.
«È questo il motivo per cui ti sei arreso?»
Friedhelm annuì: «è stata scattata quasi un anno fa, quando è nato mio figlio avrei dovuto tornare in licenza, ma il mio plotone fu inviato al fronte per supportare le truppe bavaresi. Da allora ogni mia richiesta è stata rifiutata, la guerra ha sempre avuto la priorità»
«Non hai mai visto il tuo bambino?»
Egli scosse la testa: «no, il mio più grande rimpianto sarà quello di non averlo mai potuto stringere tra le mie braccia»
«Anche Hugh è padre, ha due figli che attendono il suo ritorno. Per questo ha voluto fare del suo meglio per salvarti, sa che desideri soltanto tornare dalla tua famiglia»
Friedhelm alzò la testa incrociando lo sguardo triste dell’ufficiale.  
«E lei tenente? Non ha nessuno per cui restare vivo?»
Richard sospirò: «preferisco pensare di avere qualcuno a cui donare la mia vita»
 




 
 
Nota dell’autrice
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire il racconto.
Un ringraziamento speciale a chi è stato così gentile da lasciare un commento, il vostro parere è davvero molto importante per permettermi di crescere e migliorare come “autrice”.
Grazie di cuore per il prezioso supporto.

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Capitolo 19
*** Nel fuoco e nella tormenta ***



XIX. Nel fuoco e nella tormenta
 

Il capitano Howard non si sorprese nel trovare il tenente Green fuori dal suo studio. Non era ancora sorto il sole e già si preannunciava una giornata impegnativa.
«Credo di conoscere il motivo della sua visita» disse con voce atona.
«Attendevo sue notizie» spiegò Richard mostrandosi nervoso e impaziente.
«La questione del prigioniero non è più una nostra responsabilità»
«Che cosa significa?»
Il suo superiore non mostrò particolare interesse: «semplicemente che quel tedesco non è più sotto la nostra custodia»
«Quindi quell’uomo non sarà più giustiziato?» domandò con tono speranzoso.
«Per certo posso dirle solo che non saremo noi ad accusarlo. Presto sarà trasferito in un campo di prigionia»
Richard non seppe se interpretare quelle parole in modo positivo o meno.
Il capitano gli rivolse uno sguardo severo.
«Non so per quale motivo abbia sprecato tante risorse per questa questione, ma ora avrà altro di cui preoccuparsi»
Il tenente sussultò: «sono arrivati altri ordini dal generale Emmet?»
«Spero che lei si sia riposato abbastanza in queste settimane, stiamo per tornare al fronte»
 
Richard si occupò di riferire a Hugh le notizie riguardanti la sorte di Friedhelm.
Il soldato però non reagì come previsto, la sua espressione rimase ansiosa e preoccupata.
«Se la sua esecuzione è stata solo rimandata significa che potrebbero ancora condannarlo»
L’ufficiale distolse lo sguardo: «purtroppo questo non possiamo saperlo»
«Chi potrebbe avere interessi in questa faccenda?»
«Il capitano Howard non ha rivelato nulla a riguardo, ma se sospettano realmente che egli sia una spia penso che lo vogliano vivo per interrogarlo»
Hugh non trovò affatto rassicurante quella risposta, sapeva bene in che cosa consistevano realmente quei tipi di interrogatori.
«In ogni caso a quell’uomo è stata data un’altra possibilità» continuò Green.
«È una magra consolazione, non crede?»
Il volto di Richard si incupì: «è una speranza che a molti non è stata concessa»
Hugh comprese l’errore, in quel momento si pentì per quel suo atto di presuntuoso egoismo.  
«Mi dispiace, questa storia mi ha coinvolto più di quanto avrei dovuto permettere» ammise.
Il tenente lo rassicurò: «provare empatia per il nemico non è una colpa»
«Io…volevo ringraziarla per quello che ha fatto»
Richard non rispose, era stato il destino a decidere, indipendentemente dalla sua volontà. Inoltre la situazione non era stata affatto risolta.
 
***

Il ritorno ad Arras fu improvviso e inaspettato.
Il tenente Green era consapevole che a seguito del massacro di Passchendaele l’esercito britannico avesse bisogno di rientrare in guerra con una grande operazione, ma non si aspettava di tornare immediatamente in prima linea.
Dopo essere caduta in mano ai tedeschi all’inizio del conflitto Cambrai era diventata uno strategico centro ferroviario e commerciale, oltre ad essere un importante quartier generale. Si trovava nel mezzo di un incrocio di ferrovie che collegavano Douai, Valenciennes e Saint-Quentin. Era il centro di intersezione delle rotte di approvvigionamento provenienti dalla Germania e dalle aree industriali settentrionali e orientali della Francia occupata. Come bersaglio militare Cambrai sarebbe stata una cattura utile per negare al nemico una parte fondamentale del suo sistema di comunicazione, ma il problema sarebbe stato superare la sua formidabile barriera difensiva.
In quell’area si estendevano intricate trincee e profonde gallerie collegate al possente scheletro della linea Hindenburg. La difesa tedesca comprendeva due file di fortificazioni, con reticolati di filo spinato che si propagavano in larghezza per decine di metri. Ad intervalli più o meno regolari erano posizionate casematte di cemento ben armate e con rifugi sotterranei.
Almeno queste erano le informazioni che gli inglesi avevano ricavato dalle preziose ricognizioni aeree.
 
Il colonnello Harrison rivelò i piani dell’attacco riportando gli ordini del quartier generale.
«L’attacco deve sfruttare l’attuale situazione favorevole, la sorpresa e la rapidità dell’azione sono della massima importanza. L’area coinvolta è un fronte di sei miglia, ma sarà ampliata al più presto possibile. Il primo obiettivo è la linea tedesca di Masnieres-Beaurevoir, una volta sfondata la difesa la cavalleria potrà penetrare all’interno per raggiungere e isolare Cambrai»
«Se lo scopo è costringere il nemico a ritirarsi tra i due fiumi i primi obiettivi dovranno essere raggiunti entro due giorni di combattimento, ovvero prima dell’arrivo dei rinforzi. Sappiamo che i tedeschi possono contare su un buon numero di truppe fresche e riposate, non possiamo lasciare al nemico il tempo mettere in campo le nuove unità» constatò Green studiando attentamente la cartina.
«Le sue considerazioni sono esatte tenente. Si tratterà infatti di un’operazione rapida e decisiva»
«Come potremo sfondare una difesa talmente compatta in così poco tempo?» domandò Richard con aria perplessa.
Il colonnello sorrise: «anche l’Esercito britannico ha le sue risorse, in questo caso si tratta delle divisioni dei corpi corrazzati»
Green osservò la nuova cartina, il piano avrebbe previsto l’utilizzo di almeno quattrocento carri armati nell’intera area di combattimento.
«Sarà un’azione senza precedenti, si tratterà probabilmente del più grande attacco meccanico mai visto!»
Richard osservò i volti dei suoi commilitoni, non furono in molti a manifestare il medesimo entusiasmo del colonnello.
Un grande attacco, con o senza carri armati, era sempre accompagnato da un proporzionale massacro.
 
***

Il tenente Green si ritirò nella sua stanza, terminò di fumare la sua sigaretta e si versò un bicchiere di brandy.
Si avvicinò alla finestra, scrutando l’oscurità con aria assorta. La luna era coperta da dense nubi, mentre le rare stelle brillavano di una luce fredda e lontana.
Si era trovato più volte in quella situazione prima di partire per una battaglia. Erano momenti difficili, quando non restava più alcuna certezza, e ci si preparava ad affrontare l’ignoto.
Con il tempo aveva imparato a gestire la paura, traendo anche qualcosa di positivo in tutto ciò. Infatti era proprio in quegli istanti, quando bisognava trovare un motivo per continuare a combattere, che al cuore si manifestava solo ciò che realmente era importante.
Era immerso in questi pensieri quando avvertì dei battiti alla porta.
«Richard…per favore, ho bisogno di parlarti»
Il tenente sussultò nel riconoscere la voce del suo assistente, non avevano più avuto alcun confronto dopo la sua confessione.
Green invitò il giovane ad entrare, egli varcò la soglia con una certa titubanza.
«Sono contento che tu sia qui» ammise Richard con sincerità.
Finn si rincuorò nel sentire quelle parole.
«Mi dispiace per aver dubitato di te»
«È stata colpa mia, non avrei dovuto nasconderti la verità»
«Non voglio che il tuo passato continui ad essere un ostacolo tra di noi»
«Non è così semplice»
«Se solo sapessi come aiutarti…»
«Non hai nulla di cui rimproverarti»
«Vorrei essere abbastanza forte per sopportare tutto questo» rivelò tra i singhiozzi.
Il tenente si avvicinò: «nemmeno tu dovresti affrontare da solo il tuo dolore»
Finn si nascose il volto tra le mani cedendo a un silenzioso pianto.
Richard attirò il giovane a sé con un gesto dolce, ma deciso. Finn poggiò la testa alla sua spalla, la giubba dell’ufficiale si inumidì con le sue calde lacrime. Lentamente il giovane si lasciò calmare da quella vicinanza, ancora una volta la presenza di Richard riuscì a rassicurarlo.
Il tenente gli rivolse attenzioni colme d’affetto, passando le dita tra i suoi ricci biondi e sfiorando il suo volto con tenere carezze.
Il ragazzo si abbandonò tra le sue braccia, la sua iniziale richiesta di conforto si tramutò in un desiderio più intimo e profondo.
I due si guardarono negli occhi, riconoscendo l’uno nell’altro la medesima scintilla che ardeva di passione.
Richard cinse i fianchi del suo attendente, trattenendolo a sé, poi si avventò sulla sua bocca, bramando con ardore le sue labbra. Finn ricambiò quei baci infuocati, aiutò il suo superiore a liberarsi dall’ingombro della giacca e con le dita tremanti iniziò a sbottonare la sua camicia.  
Freneticamente i due amanti ripresero a spogliarsi a vicenda, accompagnando quei gesti con baci e carezze.
Il tenente condusse il giovane sul letto, Finn si distese sul ventre, l’iniziale percezione di freddo sparì appena avvertì la presenza del suo compagno, il quale si adagiò dolcemente su di lui.
Le mani di Richard esplorarono la sua schiena provocandogli brividi e tremori. Finn percepì il suo respiro caldo sulla pelle. I suoi baci sul collo lo lasciarono senza respiro. Ansimò, abbandonandosi completamente a quelle intense sensazioni.
Il ragazzo si inarcò, il suo corpo esile fremette a contatto con quello vigoroso del suo superiore.
Richard cercò le sue mani, le loro dita si intrecciarono, restando unite in quel passionale amplesso.
 
Finn si lasciò avvolgere da un tenero abbraccio, poggiò la testa sul petto nudo dell’ufficiale, ascoltando il battito del suo cuore che pian piano tornava alla regolarità.
Richard sentì il corpo del giovane tremare tra le sue braccia, intuì che non fossero stati i gelidi spifferi che filtravano tra le assi a causare quella reazione.
Il tenente sfiorò il suo volto con una dolce carezza, Finn alzò lo sguardo mostrando gli occhi lucidi.
«Io…non voglio perderti» confessò tristemente.
Richard avrebbe desiderato con tutto se stesso rassicurare il suo compagno, ma era consapevole che ciò non sarebbe stato possibile. Ogni tentativo di conforto sarebbe stato soltanto un pericoloso inganno, non poteva permettere che Finn riponesse le sue speranze in una menzogna.
Green strinse il ragazzo a sé, condividendo in silenzio le sue stesse paure.
 
***

Le strade che portavano a Cambrai erano ostruite da vagoni carichi di pezzi d’artiglieria e munizioni, carri trainati da cavalli e veicoli di ogni genere proseguivano in colonne infinite. Ad ogni incrocio erano presenti posti di blocco per il controllo dei mezzi e per fornire indicazioni alle numerose divisioni in movimento.
I soldati dovettero sostenere tre giorni di marcia, interrompendo il cammino solo per poche ore di sonno.
 
Il tenente Green raggiunse il luogo da cui sarebbe partito l’attacco, una zona ben nascosta in una foresta sperduta. Tutto ciò che sapeva era che si trovava a sud del sentiero per Flesquieres, per orientarsi avrebbe dovuto fidarsi del tenente Miller. L’ufficiale però non sembrava particolarmente propenso a diffondere informazioni, nemmeno al suo collega. Richard lo seguì con una certa diffidenza attraverso un intricato percorso nel bosco.   
«Il ragazzo deve venire per forza?» chiese Miller con tono burbero.
«Il soldato Coogan è il mio attendente»
«D’accordo, ma in ogni caso sarà una sua responsabilità!»
«Le posso assicurare che può fidarsi della sua riservatezza»
Miller rispose con una smorfia e si affrettò ad accelerare il passo.
Finalmente la vegetazione si diradò e i soldati giunsero in una piccola radura.
Il tenente Green aveva già visto i carri armati in azione in quella guerra, ma il Mark IV che si ergeva minaccioso e imponente riuscì a impressionarlo notevolmente.
Finn si fermò al margine del sentiero, le sensazioni di fascino e meraviglia furono accompagnate da un senso di inquietudine.
«È
…veramente grandioso!» commentò con sincera ammirazione.
Per la prima volta Miller sorrise sotto ai folti baffi.
«Siamo entrati in guerra a cavallo e ne usciremo sui carri armati!» esclamò con orgoglio.
Richard non perse tempo: «il colonnello Harrison mi ha già rivelato il piano d’attacco, ma vorrei confrontarmi con lei»
«Le truppe copriranno l’avanzata dei carri armati e proseguiranno in gruppi attraverso i varchi creati nelle linee nemiche. Abbiamo già avuto prova della potenza di queste macchine di metallo durante la battaglia della Somme, ma sono cambiate molte cose da allora. Le nuove tecniche risultano più efficaci, abbiamo ben addestrato i nostri uomini ad affrontare questo genere di operazioni. Ci infiltreremo nelle difese tedesche senza difficoltà, nelle fasi iniziali praticamente non troveremo alcuna resistenza»
Il tenente Green non era del tutto convinto di quelle parole, anche se quell’ufficiale sembrava estremamente sicuro di sé. Per quanto enormi e minacciose quelle macchine erano gestite da uomini, dunque errori ed imprevisti sarebbero stati inevitabili.
Al contrario il suo giovane assistente si mostrò particolarmente attratto dalla nuova scoperta.
Un meccanico si sporse dal vano motore, aveva il volto scuro e le mani ancora sporche di olio. Notando il genuino interesse di Finn decise di prendersi una pausa per fare due chiacchiere.
«Queste sono vere macchine da guerra!» esclamò con esaltazione.
«Non avevo mai visto nulla del genere prima d’ora»
«Sicuramente i tedeschi penseranno la stessa cosa»
Finn si avvicinò cautamente al mostro di metallo.
«Che cosa c’è lì dentro?» chiese indicando alcune casse sistemate con particolare cura.
«Esplosivo» replicò l’altro con incredibile naturalezza.
Il giovane sussultò.
«Non possiamo lasciare questo gioiello nelle mani del nemico, abbiamo l’ordine di distruggerlo se necessario. Nel peggiore dei casi con noi all’interno»
Finn impallidì avvertendo un brivido di terrore.
La loro conversazione fu interrotta dal tenente Miller che riprese il suo sottoposto con tono severo.
«Smettila di perdere tempo con il ragazzino e torna al lavoro, deve essere tutto pronto entro questa sera!»
Il meccanico rispose con una smorfia ed obbedì controvoglia.
 
L’accampamento era quieto e silenzioso. I soldati si erano rintanati nei loro rifugi, li attendeva una lunga notte insonne prima dell’attacco.
Quando il tenente Green tornò dal suo solito giro d’ispezione si sorprese nel trovare il suo attendente ancora sveglio accanto al falò.
«Non dovresti essere qui, è tardi e fa freddo qua fuori»  
Finn ignorò il suo benevolo rimprovero.
Il tenente si levò il pesante mantello e lo pose sulle spalle del suo assistente: «dopo quello che ti è successo dovresti essere più prudente, hai intenzione di prenderti anche una polmonite?»
Il ragazzo rimase impassibile: «non riuscivo a dormire…»
Richard si sistemò al suo fianco: «a cosa stai pensando?»
Finn abbassò lo sguardo: «a mio padre»
«Non mi hai mai parlato di lui»
Il giovane scosse le spalle: «è morto quando avevo quattordici anni. Non è sempre stato un buon genitore, ma a modo suo mi voleva bene…suppongo che sarebbe stato orgoglioso di vedermi nell’esercito»
«Sono certo che egli sia sempre stato orgoglioso di te»
Finn apprezzò quelle parole di conforto.
«Il tenente Miller mi ha ricordato molto la figura di mio padre. Anche lui appariva sempre burbero e severo»
«Devo dedurre che tu non abbia preso molto da lui» commentò Richard riferendosi sia all’aspetto innocente del suo assistente che al suo animo puro e gentile.
«Già, siamo sempre stati uno l’opposto dell’altro. Per questo credo di averlo deluso»
Il tenente notò un velo di tristezza nel suo sguardo.
«Non so cosa avrebbe voluto tuo padre, ma io ti amo per quello che sei, e sono certo che tu sia la persona migliore che abbia mai conosciuto»
Finn guardò il tenente negli occhi, quelle parole erano sincere e provenivano direttamente dal suo cuore.
Il ragazzo poggiò la testa sulla spalla del suo compagno, stringendo dolcemente il suo braccio. Avrebbe desiderato mostrare in altro modo il suo affetto, ma non poteva osare di più.
In quel momento avvertì un gelido brivido sul collo, il ragazzo alzò lo sguardo notando i fiocchi che volteggiavano in aria, per poi adagiarsi delicatamente sul terreno ghiacciato.
«Sta nevicando» constatò con ingenuo stupore.
La reazione di Richard fu meno romantica: «si sta alzando il vento, domani in battaglia dovremo affrontare una bufera»
Finn si strinse nel mantello, quella nuova consapevolezza era preoccupante, ma il giovane non si abbandonò allo sconforto. Accanto al suo comandante si sentì pronto ad affrontare ogni avversità.
 
***

L’attacco britannico sul fronte di Cambrai fu maestoso e impressionante. La divisione dei corpi corrazzati ebbe il ruolo più imponente, ma anche l’aviazione intimorì il nemico oscurando il cielo con le coccarde inglesi.
Le trincee tedesche furono prese di mira con un intenso bombardamento, ogni colpo d’artiglieria scoppiava all’orizzonte con una fragorosa esplosione. Il nemico fu colto di sorpresa, inizialmente i soldati restarono attoniti davanti a quell’orrore.
Vennero utilizzate anche bombe fumogene per dare l’impressione che fosse in atto un attacco con i gas, per mettere in difficoltà il nemico e diffondere il panico tra le linee tedesche. 
Le brigate irlandesi furono le prime a raggiungere le trincee nemiche, in breve riuscirono ad occupare le gallerie sotterranee con un esiguo numero di perdite.
In superficie invece la situazione risultò ben più complessa. I tedeschi riconquistarono un importante avamposto. Dalla casamatta in cemento, posizionata su una collina strategica, il fuoco di cinque mitragliatrici si scagliò violentemente contro le truppe in avanzamento.
 
Il tenente Green si attenne al piano ed eseguì gli ordini che gli erano stati assegnati. La fanteria avanzò a poca distanza dai carri armati, in modo da poter passare attraverso il filo spinato per disperdersi e svolgere un ruolo di protezione.
Dopo aver superato i reticolati i soldati si divisero in piccole unità per individuare e colpire le postazioni nemiche, evitando così che l’artiglieria potesse danneggiare i preziosi Mark IV.
I carri armati erano stati modificati e notevolmente migliorati dal loro primo utilizzo sulla Somme, ma erano ancora soggetti a guasti meccanici. Non era raro trovare sul campo di battaglia delle carcasse di metallo abbandonate alle fiamme. In certi casi i cingolati restavano bloccati nel fango delle trincee, e per l’equipaggio non c’era altra soluzione che rifugiarsi all’interno come in una fortezza, accanendosi sulle mitragliatrici Lewis, sparando raffiche di proiettili contro il nemico.
 
Finn seguì i suoi compagni tra i crateri fumanti. I soldati si trovarono a vagare nel campo di battaglia devastato dall’azione sterminatrice dei carri armati. Davanti ai loro occhi si estendeva una landa desolata di morte e distruzione. I reticolati erano stati sfondati senza difficoltà, le trincee sventrate erano uno spettacolo orrendo e raccapricciante. Il percorso era disseminato di cadaveri, i tedeschi non avevano avuto alcuna possibilità, durante l’avanzata erano stati falciati senza pietà delle micidiali raffiche delle mitragliatrici.
Finn batté gli scarponi sul terreno indurito dal gelo, la leggera nevicata aveva aumentato di intensità, i fiocchi cadevano sempre più fitti, trasportati dal vento. Le previsioni del tenente Green si stavano concretizzando.
In breve il campo di battaglia fu ricoperto da un soffice manto candido. Il cielo grigio si rabbuiò. Il fragore dell’ennesima esplosione riportò Finn alla realtà, il ragazzo strinse il fucile tra le mani tremanti, per poi riprendere la sua marcia in quell’inferno ghiacciato.
 
Il tenente Green guidò i suoi uomini in direzione del loro obiettivo, lungo il percorso non trovarono alcuna resistenza. Il nemico si era ritirato con troppa facilità, Richard era certo che stessero per imbattersi in una pericolosa imboscata.
L’ufficiale scorse alcune rovine in lontananza, doveva trattarsi della loro meta.
Due carri armati si avventurarono per le strade del paese apparentemente deserto.
Il tenente Green ordinò ai suoi uomini di dividersi ai margini del villaggio, in modo da poter esplorare l’area più agevolmente. L’ufficiale percepì la sensazione di essere osservato, da qualche parte si stavano nascondendo occhi indiscreti, anche se tutto appariva calmo e silenzioso.
«Sembra che il posto sia abbandonato» affermò il sergente Redmond.
Richard avvertì qualcosa di strano: «restate in allerta, qui siamo noi le prede»
«Crede che sia una trappola?»
Il tenente annuì: «è tutto troppo tranquillo da queste parti»
Le parole del tenente risultarono profetiche, appena il primo carro armato si avviò lungo la strada principale venne travolto da un uragano di fuoco. I tedeschi spararono dai tetti e dalle finestre degli edifici diroccati.
Gli inglesi tentarono di difendersi, ma i lampi degli spari provenivano da ogni direzione rendendo difficile localizzare la posizione esatta del nemico.
Richard ordinò ai suoi uomini di correre al riparo, i soldati si sparpagliarono tra le rovine, tra l’eco degli spari e l’assordante frastuono delle granate.
L’ufficiale si strinse contro ad un muro diroccato. Quando tornò ad osservare il Mark IV vide solamente un vortice di scintille tra la polvere e le schegge.
Il carro armato prese fuoco, il tenente Miller e i suoi uomini tentarono una fuga disperata. Il secondo equipaggio però non fu altrettanto fortunato. Il mezzo cingolato infatti si era trovato sulla traiettoria dei cannoni, e ben presto fu avvolto da una colonna incandescente.
Il tenente Green si avvicinò alle fiamme per cercare di soccorrere i suoi commilitoni, ma ormai era troppo tardi. Accanto al relitto riconobbe con orrore i loro corpi carbonizzati. Atterrito e sconvolto Richard tornò al riparo, rannicchiandosi dietro a un cumulo di macerie. Nel mezzo dello scontro tentò di comprendere al meglio la situazione, i tedeschi avevano preparato con cura quell’attacco, prevedendo con anticipo le loro mosse. Ogni angolo di quel villaggio era stato utilizzato per nascondere pezzi d’artiglieria di ogni calibro. Richard individuò la presenza di mitragliatrici, obici e mortai perfettamente camuffati tra le rovine.
Non aveva idea di quante unità fossero coinvolte in quell’agguato, ma lo svantaggio numerico era un ulteriore ostacolo per quello scontro.
Inevitabilmente il tenente si considerò responsabile, aveva commesso un grave errore sottovalutando il pericolo. Non c’era più tempo, doveva trovare il modo di portare al sicuro i suoi uomini. La ritirata era l’unica possibilità di salvezza per evitare un cruento massacro.
 
Finn continuò a correre tra i vicoli ostruiti dai detriti, scavalcando cumuli di macerie e barricate abbandonate. Alle sue spalle avvertì l’eco degli spari, l’ultima esplosione l’aveva separato dai suoi compagni, tra il fumo e la nebbia aveva perso rapidamente il senso dell’orientamento.
Il ragazzo si fermò all’improvviso avvertendo i polmoni in fiamme e il cuore che batteva all’impazzata nel petto. Era giunto in un piccolo spiazzo tra le rovine, intorno a lui percepì un irreale silenzio. Mosse qualche passo con titubanza, l’unico rumore proveniva dalla neve che scricchiolava sotto ai suoi scarponi.
Ad un tratto notò qualcosa, un’ombra comparve davanti a sé sul lato opposto della strada.
Finn si bloccò, il suo istinto l’avrebbe spinto alla fuga, ma in quell’occasione riuscì a mantenere il controllo, impedendo alla paura di prendere il sopravvento.
La figura in uniforme grigia si rialzò dalle macerie, apparentemente parve arrendersi.
Finn si avvicinò lentamente con l’arma puntata. Il tedesco rimase immobile, con aria truce, mantenendo lo sguardo fisso su di lui.
L’inglese si fermò a pochi passi di distanza. Accadde tutto in un istante, il suo avversario abbassò la mano destra sulla cinta e con uno scatto estrasse la pistola.
Un solo sparo echeggiò nel vicolo deserto.
 
***

Il tenente Foley trattenne a stento un lamento di frustrazione. La situazione era degenerata in fretta, il contrattacco tedesco si era rivelato più violento ed efficace del previsto. La difesa britannica non avrebbe potuto resistere ancora a lungo.
Il capitano Lloyd era stato gravemente ferito, così egli si era ritrovato al comando di due plotoni nel mezzo di quella tempesta di fuoco.
In quel momento giunse un sergente, il sottufficiale era pallido e ansante.
«Signor tenente, abbiamo perso ogni contatto con il plotone in avanscoperta sulla strada di Flesquieres»
«Qual è il messaggio della staffetta?»
«L’ordine è di ritararci»
Foley sospirò: «non possiamo abbandonare i nostri compagni sul campo di battaglia»
«Lei pensa che potrebbero avere qualche possibilità?»
«Tutto dipende dal loro comandante…»
«L’ufficiale in comando è il tenente Green» rivelò il sergente.
William sussultò, in quel momento si trovò davanti ad una scelta. Avrebbe potuto pensare solo ai suoi uomini e ordinare la ritirata, oppure mettere in pericolo le loro vite per soccorrere un plotone disperso…
Foley strinse tra le dita l’orologio dorato.
«Se riuscissimo ad arrivare in tempo potremmo ancora salvarli» azzardò.
«Sarebbe un grosso rischio»
«Per quei soldati noi siamo l’unica speranza»
«Potremmo trovare solamente dei cadaveri»
«Conosco il tenente Green, quegli uomini sono ancora vivi, ne sono certo»
«Che ha intenzione di fare?»
William rispose senza esitazione: «soltanto il mio dovere»

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Capitolo 20
*** Compagni d'armi ***


 

XX. Compagni d’armi
 

Givenchy, giugno 1915.
Albert avanzò nella terra di nessuno. Era rimasto solo, si era perso nella battaglia mentre i suoi uomini avevano già raggiunto il rifugio nel bosco. Arrancava a fatica nel pantano quando all’improvviso un’esplosione lo spinse sul fondo di una buca. Si risvegliò dopo un tempo indefinito avvertendo la testa che pulsava dal dolore, un rivolo di sangue scese sulla sua fronte. Intorno a lui iniziò a cadere una pioggia di proiettili, alcuni caddero così vicini da far cadere zolle di terra nella sua fossa. Appena il fuoco si fece meno intenso il sottotenente si rialzò e provò a sgusciare fuori dalla buca. Riuscì a compiere solo pochi passi, poi sentì un intenso bruciore alla gamba, il sangue caldo iniziò a sgorgare abbondantemente dalla ferita imbrattando i pantaloni. Il dolore era insopportabile, non riuscendo più a reggersi in piedi si lasciò cadere nuovamente nella fossa. Restò a lungo incosciente mentre la battaglia progrediva incessantemente.
Provò l’istinto di gridare per chiedere aiuto, ma nonostante gli sforzi la sua voce non riuscì a sovrastare i botti assordanti delle esplosioni.
Così rimase solo in quella buca, contorcendosi dal dolore e tremando per il freddo mentre l’eco delle mitragliatrici rimbombava senza sosta nelle sue orecchie.
 
Il tenente Foley si riunì con il plotone di Albert ai margini della foresta, subito notò la mancanza del suo commilitone.
«Dov’è il sottotenente Green?» chiese esternando la propria preoccupazione.
«Non l’abbiamo più visto dopo aver superato i reticolati, temo che sia disperso…» disse un soldato esitante.
William trasalì, ma nei momenti successivi cercò di mantenere la calma. In una battaglia potevano accadere infiniti imprevisti, così tentò di convincersi che Albert sarebbe tornato al più presto.
Per quasi un’ora attese sue notizie, era sempre più difficile mantenere la calma man mano che il tempo passava. Alla fine l’ansia prese il sopravvento e il tenente decise di tornare indietro per cercare il suo amico.
Recuperò il fucile e senza esitazione attraversò nuovamente il campo di battaglia.
A metà strada incontrò una squadra di artiglieri.
«Sapete qualcosa del sottotenente Green?» gridò per farsi udire tra le esplosioni.
Un soldato rispose tristemente: «mi dispiace signore, ma quando l’ho visto era ridotto male, temo proprio che non ci sia stato molto da fare per lui…»
«È stato ferito? Dove l’hanno portato?»
«Presumo al posto di soccorso nel settore est, è il più vicino»
«Grazie ragazzi, buona fortuna!»
«Tenente aspetti! È pericoloso attraversare le trincee adesso!»
L’avvertimento non fu ascoltato, l’ufficiale era si era già allontanato, gettandosi senza indugio tra le buche e le fosse fangose.
Sfuggendo alle pallottole nemiche William raggiunse la profonda trincea dove era stata allestita un’infermeria di fortuna. Ad accoglierlo trovò un gran numero di feriti gementi e sofferenti.
Il tenente Foley cercò il volto del suo compagno, ma senza riuscire a trovarlo. Un’intensa sensazione di inquietudine iniziò a diffondersi dentro di sé.
Ancora sconvolto e allarmato fermò uno dei barellieri per porgli la medesima domanda che aveva ripetuto a chiunque avesse incontrato fino a quel momento.
«Il sottotenente Green non è qui, è stato portato con altri feriti nel rifugio vicino al fiume»
«Ma…i tedeschi stanno avanzando, presto quell’avamposto sarà luogo di un feroce scontro!»
«Mi dispiace, come può vedere la situazione è disperata»
Anche in quell’occasione Foley non rifletté nemmeno per un istante, sapeva esattamente quel che doveva fare. Scavalcò nuovamente il parapetto e uscì allo scoperto. Questa volta attraversò un pericoloso campo di crateri bersagliato dalle granate per scendere vicino alle rive del fiume, da dove già provenivano gli echi degli spari. La battaglia era iniziata, presto il rifugio dove era stato portato il suo compagno sarebbe diventato un ottimo bersaglio per i mortai tedeschi.
 
Albert era ancora debole e confuso quando vide un ufficiale entrare nella casamatta in cemento. Era ricoperto di terra e fango dalla testa ai piedi, lo sentì gridare disperatamente il suo nome mentre vagava tra i feriti.
Foley raggiunse la sua branda chinandosi su di lui, era pallido e stremato, eppure gli sorrise con le lacrime agli occhi.
William si preoccupò per le condizioni del suo commilitone, gemeva per il dolore e respirava a fatica.
Non restava molto tempo, gli spari si stavano avvicinando sempre di più.
«Ho convinto il maggiore Scott a prestarmi tre dei suoi uomini, penseranno loro a portarti al sicuro»
Albert strinse la sua mano.
«Grazie per essere venuto a cercarmi»
«Non avrei mai potuto abbandonarti» rispose sinceramente.
In quel momento giunsero i tre soldati inviati dal maggiore Scott, i quali si occuparono immediatamente del ferito.
William osservò la barella ondeggiare pericolosamente nella terra di nessuno. Vedendola scomparire all’orizzonte non poté far altro che sperare per il meglio.
 
Qualche giorno dopo il tenente Foley ottenne un permesso per recarsi all’ospedale militare di Arras, dove Albert era stato ricoverato con urgenza.
Egli era ancora debole e febbricitante, ma fu lieto di ricevere quella visita da parte di una persona cara.
William si avvicinò al letto, istintivamente sorrise, rassicurato da quell’incontro.
Il ferito alzò la testa per guardarlo negli occhi: «hai rischiato la vita per proteggermi»
«Certo, e se dovesse essere necessario sarei disposto a farlo di nuovo!» rispose Foley con decisione.
Albert provò sincera commozione nel sentire quelle parole.
William rimase accanto al suo commilitone, i due parlarono a lungo, la conversazione iniziò naturalmente dalla guerra, per poi spostarsi su argomenti più intimi e personali, tra malinconici ricordi e vane speranze.
Al termine di quelle confidenze Foley si rialzò, ma l’amico lo trattenne stringendo la manica della sua giacca.
«Aspetta…ho una cosa per te»
William gli rivolse uno sguardo perplesso.
Green indicò la giacca che era stata riposta accanto al suo letto.
«Per favore, cerca nel taschino, dovrebbe essere ancora lì…»
Foley seguì le sue indicazioni, egli fu sorpreso di trovare un raffinato orologio d’oro.
«Bene, temevo di averlo perso. Ecco, adesso è tuo» affermò Albert con estrema sicurezza.
«Io…non posso accettarlo» 
«È un mio dono, per ringraziarti»
«Ho solo svolto il mio dovere»
«Allora ti prego di conservarlo come mio ricordo»
«È un oggetto troppo raro e prezioso» replicò porgendolo al proprietario.
«In questo caso è un perfetto simbolo della nostra amicizia»
Albert richiuse la mano del suo compagno, le sue dita si strinsero intorno all’orologio dorato.
«In questo modo sarò sempre vicino a te»
«Te lo restituirò quando tornerai al fronte»
«No, voglio che sia tu a tenerlo»
William si rassegnò: «ti prometto che non me ne separerò mai e che lo custodirò sempre con particolare riguardo»
«Ne sono certo»
«Adesso devo andare, pensa a riposare. Tornerò a trovarti il prima possibile»
Albert salutò il compagno con un leggero cenno, poi distese la testa sul cuscino e richiuse gli occhi, abbandonandosi alla stanchezza.
Incamminandosi lungo il corridoio William ammirò ancora una volta il prezioso oggetto, poi lo ripose con cura all’interno della giubba, giurando a se stesso che mai avrebbe infranto quella sincera promessa d’amicizia.
 
***

William osservò le iniziali incise sulla superficie dorata ripensando al valore di quella promessa. Si era sempre ritenuto colpevole per la morte di Albert, sentiva di averlo tradito, non era riuscito a proteggerlo.
Il tenente ricordò le sue parole.
Nel caso in cui dovesse accadermi qualcosa ho bisogno che qualcuno stia vicino a mio fratello.
Foley aveva incontrato Richard quando era ancora una recluta, ma fin dal primo momento aveva riconosciuto in lui lo stesso animo onesto e valoroso di Albert. Di certo il fratello maggiore era stato un buon esempio per lui.
William si pentì per non aver adempito al suo compito, Richard era l’unico che avrebbe potuto comprendere il suo dolore, invece si era allontanato da lui per paura di affrontare il confronto.
Alla sepoltura di Albert non gli aveva nemmeno rivolto la parola, il senso di colpa gli aveva impedito di avvicinarsi all’unica persona che ancora lo legava al suo migliore amico.
Foley tornò a stringere l’oggetto dorato tra le dita, avrebbe desiderato riconsegnare quel prezioso ricordo a Richard, ma per tutto quel tempo non si era sentito pronto a separarsene.
La condanna di Thomas poi aveva complicato ulteriormente la questione, William si era lasciato sopraffare dalla rabbia e dal rancore. Aveva reagito accusando Richard per l’accaduto, ma ora era consapevole di aver commesso un errore.
Forse non era troppo tardi per porre rimedio, aveva ancora la possibilità di mantener fede alla sua promessa.
 
***

La neve era sporca di sangue, un rivolo di liquido vermiglio e viscoso fuoriusciva dal petto del soldato. Un solo colpo era giunto rapido e preciso, causando la ferita mortale.
Finn rimase immobile, paralizzato, con il fucile che ancora tremava tra le sue mani.
«Coogan!»
Il giovane tornò alla realtà, rassicurandosi nel riconoscere la voce del caporale Speller. Probabilmente il suo commilitone era stato allarmato dallo sparo.
L’uomo si avvicinò, quando notò il cadavere ai suoi piedi la sua espressione rimase impassibile.
«Bel colpo soldato» disse poi battendo una pacca sulla sua spalla.
Finn abbassò lo sguardo, aveva appena ucciso il suo primo nemico. Avrebbe dovuto provare orgoglio o soddisfazione per questo, invece avvertì soltanto un profondo dolore. Se non avesse tentato di ingannarlo probabilmente quel tedesco avrebbe avuto salva la vita.
Speller lo distolse da quelle riflessioni.
«Avanti, seguimi, dobbiamo andare via da qui!»
«Dove sono tutti gli altri?» chiese il ragazzo mostrandosi confuso e smarrito.
«Non ne ho idea, ma finché resteremo soli dovremo guardarci le spalle a vicenda»
Finn si sorprese nel sentire quelle parole, in quel momento realizzò che il caporale si stava fidando di lui, riponendo nelle sue mani una grande responsabilità. Per la prima volta non si sentì più trattato come un novellino, Speller si era rivolto a lui come a un suo pari.
Finn prese consapevolezza dei fatti, era stato il suo primo omicidio a permettergli di essere considerato come un vero soldato.  
 
Il villaggio devastato dal feroce scontro era irriconoscibile, l’unico punto di riferimento era il campanile diroccato nella piccola piazza, dove giaceva lo scheletro del primo carro armato abbandonato alle fiamme. Il caporale provò a orientarsi, l’eco delle esplosioni l’avvertì che si stava spostando nella direzione giusta.
Finn sussultò udendo il rumore di alcuni passi, qualcuno si stava avvicinando. Il ragazzo si strinse contro al muro, il suo superiore si appostò sul lato opposto del vicolo.
Finn puntò il Lee-Enfield davanti a sé, pronto a premere nuovamente il grilletto. Percepì i muscoli rigidi e i nervi tesi, il cuore iniziò a battere freneticamente nel petto.
Provò un gran sollievo quando sul fondo della strada riconobbe tre figure in divisa color kaki. Il giovane abbassò il fucile, era intenzionato a uscire allo scoperto, ma proprio in quel momento avvertì l’eco di uno sparo.
Uno dei tre soldati cadde a terra, mentre gli altri due corsero al riparo.
Speller imprecò: «dannazione, c’è un cecchino. Lo sparo proveniva da quella direzione, ma non sono riuscito ad identificare il punto preciso…»
«Che cosa possiamo fare?»
Il caporale esitò qualche istante, poi guardò il suo compagno: «ti fidi di me?»
«Sì, certamente»
«Allora dobbiamo correre»
Il ragazzo trasalì: «il piano sarebbe quello di diventare entrambi dei facili bersagli?»
«No, il piano è quello di farlo sparare perché quei due soldati possano individuarlo e colpirlo. Loro hanno una visuale migliore»
«Potrebbe essere un suicidio»
«Se ti sto chiedendo di fare una cosa del genere è perché credo che tu possa farcela»
Il giovane comprese l’importanza di quella scelta.
«Forse è meglio che vada da solo» azzardò.
Speller scosse la testa: «affronteremo lo stesso destino come due buoni compagni»
Finn apprezzò la lealtà del caporale.
«D’accordo ragazzo, sei pronto?»
Egli strinse l’arma tra le mani e annuì con un cenno. Fu il primo ad uscire allo scoperto, Speller lo seguì subito dopo. I due soldati attraversarono il vicolo tentando di raggiungere la loro meta il più velocemente possibile.
Finn riuscì a sfuggire alle pallottole con agilità e rapidità, arrivando indenne al riparo. Immediatamente si voltò per controllare il suo compagno.
Speller era ormai giunto al bivio quando un proiettile lo colpì alla spalla, l’uomo cadde a terra contorcendosi dal dolore.
Egli fu soccorso dai due inglesi che avevano seguito l’azione, intuendo le intenzioni dei loro commilitoni.
Il primo si preoccupò di trascinare il ferito al riparo, mentre l’altro puntò il fucile in direzione dello sparo.
«Secondo piano, la finestra a sinistra!» gridò il suo compagno.
Il soldato sparò senza esitazione, dopo l’ultimo botto la via fu avvolta da un irreale silenzio.
Finn si preoccupò per le condizioni del caporale.
«Il proiettile è penetrato in profondità, ma non sembra aver causato gravi danni» disse colui che si stava occupando di medicare la ferita.
«Il vostro è stato un atto molto coraggioso» replicò l’altro.  
Finn rimase in silenzio, tristemente rivolse lo sguardo al cadavere che giaceva in mezzo alla strada.
In quel momento ripensò alle parole usate spesso da Speller per riferirsi al rapporto che si creava tra commilitoni nella cruda realtà della guerra.
Siamo compagni per la vita e per la morte.
 
***

Hugh seguì il soldato Dawber nell’intricato labirinto di vicoli e stradine ghiacciate. I suoi commilitoni correvano ovunque, cercando un riparo o tentando di individuare il nemico per rispondere al fuoco.
Ad un tratto avvertirono un grido allarmato tra gli spari. 
«Al riparo! Via dalla strada! Via dalla strada!»
Hugh si gettò a terra, poco dopo l’intera via fu presa di mira da proiettili di medio calibro. Il giovane si rannicchiò su se stesso cercando di ripararsi da schegge e frammenti. Il fragoroso ruggito dei mortai gli provocò brividi di terrore.
Quando tutto parve tornare alla normalità Dawber lo rimise in piedi afferrandolo saldamente per un braccio.
«Per proseguire dobbiamo liberare l’incrocio…vedi quell’edificio?»
Il giovane annuì.
«Ho individuato la posizione della mitragliatrice. Primo piano, la finestra a destra»
Hugh esitò: «cosa hai in mente?»
«Tu resta qui, pensa a coprirmi»
«Non puoi andare da solo!»
«Dannazione, vuoi darmi ascolto almeno per una volta?»
Hugh non ebbe altra scelta, così acconsentì posizionando il fucile. Appena il suo compagno uscì allo scoperto aprì il fuoco contro il suo obiettivo. Dawber approfittò della sparatoria per attraversare la strada, rapidamente raggiunse un riparo accovacciandosi contro la parete.
Si fermò per riprendere fiato e per valutare la situazione, quando tornò a guardare a strada notò che il suo commilitone non aveva affatto ascoltato le sue raccomandazioni.
Hugh, incurante del pericolo, si gettò in una disperata corsa tra i proiettili. Il soldato ripercorse il suo stesso tragitto, raggiungendolo ansante e tremante.
«Che diamine stai facendo? Sei impazzito?» 
«Non avrei potuto lasciarti andare da solo» si giustificò Hugh. 
«Sei più testardo di un mulo!» replicò l'altro a denti stretti. La sua reazione fu spontanea, in fondo però provò sincera stima nei suoi confronti. Non lo avrebbe mai ammesso, ma si sentì rassicurato dalla presenza del suo commilitone.
I due entrarono nell’edificio e cautamente raggiunsero il primo piano. Dawber scambiò una rapida occhiata con il suo compagno, non ebbero bisogno di parlare per comunicare, prontamente Hugh afferrò una granata, attendendo il segnale per agire.
Il suo commilitone aspettò ancora qualche istante, poi si fiondò sulla porta spalancandola all’improvviso. Hugh gettò all’interno l’ordigno per poi allontanarsi velocemente.  
Gli inglesi si rannicchiarono sui gradini avvertendo l’edificio tremare a causa dell’esplosione. Entrambi si rialzarono dalla polvere mantenendo i fucili puntati. Poco dopo notarono una figura riemergere dal fumo, un soldato arrancò strisciando sui gomiti.
Dawber sparò senza esitazione, il tedesco ricadde a terra con un tonfo. Per precauzione l’inglese entrò nella stanza, trovando solamente altri due corpi inermi accasciati accanto alla mitragliatrice.
Hugh scese le scale di corsa, i proiettili d’artiglieria che cadevano nell’area circostante causarono pericolosi crolli nelle abitazioni.
Il soldato uscì nuovamente in strada trovando il percorso cosparso di cadaveri. Per un istante rimase immobile, attonito davanti all’orrore. Poco dopo le grida del suo compagno lo riportarono alla realtà.
«Forza, al riparo! Svelto!»
Hugh impugnò saldamente il fucile e rapidamente riprese a correre tra i vicoli, avvertendo i proiettili che fendevano l’aria sopra alla sua testa. I due trovarono riparo dietro a un cumulo di detriti.
 
Ad un tratto Dawber avvertì delle grida: «è la squadra del sottotenente Waddington, devono trovarsi nella strada parallela»
«Non possiamo uscire allo scoperto»
«Va bene, vado a controllare quella casa, se il percorso è sicuro passeremo attraverso il cortile»
L’altro annuì.
«Stavolta non agire di testa tua, resta qui e attendi il mio segnale» ordinò con tono severo.
Egli decise di fidarsi dal suo compagno, non aveva altra scelta. Dawber ricaricò il fucile, poi si rialzò e con uno scatto corse verso il suo obiettivo.
Hugh strinse l’arma mantenendo lo sguardo fisso nel punto in cui il suo commilitone era scomparso. All’improvviso un lampo scoppiò davanti ai suoi occhi, il terreno tremò, l’esplosione fu seguita da un fragoroso boato.
«Dawber!»
Hugh uscì dal nascondiglio e corse attraverso un’intensa nube di fumo continuando a gridare il nome del suo compagno. Improvvisamente scorse una figura tra le macerie.
Per miracolo Dawber era ancora in piedi, metà del suo corpo dilaniato dalle schegge era coperto di sangue, le sue gambe avevano un aspetto deforme e ripugnante.
Hugh sorresse il ferito tentando di rassicurarlo: «tranquillo, siediti, devi stare calmo adesso»
Dawber si piegò in avanti tossendo grumi di sangue, poi si abbandonò tra le braccia del compagno, il quale si accoccolò al suo fianco. Con fare protettivo poggiò la testa del ferito contro il suo petto, accarezzando dolcemente la nuca libera dall’elmetto.
«Andrà tutto bene, ti porteremo al sicuro. Tu però devi restare con me»
Egli non reagì, il suo sguardo vitreo rimase fisso nel vuoto. Perdeva molto sangue, il suo volto era sempre più pallido.
«Ti prego, resisti…» supplicò Hugh con le lacrime agli occhi.
 
Quando il sottotenente Waddington svoltò l’angolo in cerca di sopravvissuti si trovò davanti ad una scena tanto commovente quanto raccapricciante.
«Oh, Cristo…» commentò sconvolto e atterrito.
Hugh era rannicchiato contro la parete, a sé stringeva un corpo insanguinato. Soltanto quando si chinò vicino a lui riconobbe il volto sfigurato del soldato Dawber.
Hugh si rivolse al suo superiore con tono disperato: «dov’è il dottor Jones? C’è bisogno di un medico!»
Waddington cercò di rendersi utile: «c’è un posto di soccorso poco distante, forza, ti aiuto io…dobbiamo portarlo via da qui!»
 
***

Il tenente Green riuscì a radunare un buon numero di superstiti in una zona sicura, il nemico sembrava essersi quietato con una tregua inaspettata. Il controllo di quell’avamposto era importante, i suoi uomini si erano ben difesi mettendo anche in difficoltà i tedeschi, ma di certo gli avversari avrebbero presto organizzato un contrattacco.
In tutto questo Richard era anche preoccupato per Finn, non aveva più avuto notizie del suo attendente dopo l’ultimo attacco. In quel momento poté soltanto riporre fiducia nelle sue capacità di soldato, nella speranza che egli potesse tornare sano e salvo.
Il tenente si riprese da quei pensieri con l’arrivo del sergente Redmond.
«Signore, aveva chiesto di me?»
Egli annuì: «ho una missione per lei»
«Di che si tratta?»
«Abbiamo liberato la strada a sud, lei dovrà condurre al sicuro i feriti»
Redmond si mostrò riluttante: «tenente, non può chiedermi di abbandonare la battaglia»
«Non abbiamo scelta, dobbiamo ritirarci, voglio che si occupi dei nostri compagni perché mi fido di lei»
Il sottufficiale fu costretto ad attenersi agli ordini del suo superiore.
«E lei che cosa farà?» chiese con tono apprensivo.
«Mi organizzerò con il resto dei soldati per coprire il vostro ripiegamento»
«E dopo verrà via con noi o resterà qui a combattere?»
Il tenente Green distolse lo sguardo, quell’uomo lo conosceva fin troppo bene, aveva già intuito le sue intenzioni.
«Non può sacrificarsi così, sarebbe una decisione stupida e un errore imperdonabile!»
«Alcune unità sono ancora disperse, non posso abbandonare i miei uomini»
«Nemmeno io posso lasciarla in queste condizioni»
«Sergente, le vite di quei soldati sono nelle sue mani, questa mi sembra una valida ragione per portare a termine il suo compito senza rimpianti»
Redmond guardò il suo superiore negli occhi, ormai aveva preso la sua decisione.
Il sottufficiale rispose con rassegnazione: «le prometto che farò del mio meglio»
Richard approvò con un cenno, non aveva dubbi a riguardo.
L’ufficiale congedò il sergente con una certa freddezza, poi tornò alla postazione d’osservazione per prepararsi all’azione imminente.
 
 
 
 


Nota dell’autrice
Come sempre ringrazio tutti coloro che stanno continuando a seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ai cari recensori, che ancora non si sono stancati di me e di questa storia ^^
 
Le foto qui sotto dovrebbero rappresentare più o meno l’aspetto di Richard e Finn, spero che non rovinino la vostra immaginazione (che di certo è migliore della mia capacità nel modificare immagini).



 

   Lt. Richard Green



 
Private Fionn "Finn" Coogan
 

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Capitolo 21
*** L'ultima speranza ***


 
XXI. L’ultima speranza


Il tenente Foley fu costretto ad interrompere la marcia, gli uomini erano ormai esausti. Avevano sostenuto il passo per ore, avanzando nel mezzo della bufera.
William consultò la mappa, la meta non era troppo distante, ma ciò significava anche che si stavano avvicinando al nemico. Di certo non avrebbero potuto affrontare uno scontro in quelle condizioni.
«Ci accamperemo qui per qualche ora, approfittatene per riposare. Ripartiremo prima dell’alba, non sappiamo che cosa ci sarà ad attenderci sulla strada di Flesquieres, quindi dovremo essere pronti ad affrontare qualsiasi pericolo»
I suoi sottoposti annuirono in silenzio.
«Le vite dei nostri compagni dipendono da noi, sapete bene qual è il nostro dovere» aggiunse Foley per ricordare a tutti il reale motivo per cui stavano portando avanti quella rischiosa missione.
I soldati scavarono buche nella neve e nel terreno ghiacciato per trovare un riparo per la notte.
William tornò verso il sentiero in compagnia di un esploratore.
«Signore, lei crede davvero di poter salvare quegli uomini?» chiese il soldato.
L’ufficiale prese un profondo respiro: «purtroppo non posso avere alcuna certezza, ma lo spero dal profondo del mio cuore»
«La sua decisione è davvero ammirevole» commentò l’altro con sincerità.
«Stiamo per andare incontro al nemico, di certo non è una mossa prudente»
«Abbiamo un buon motivo per rischiare le nostre vite, si tratta di una missione di salvataggio»
«Non sappiamo che cosa potrebbe attenderci a Flesquieres»
«In ogni caso noi saremo pronti a combattere»
«Qualsiasi cosa accadrà sarà mia la responsabilità»
L’esploratore notò l’espressione preoccupata del suo superiore, poteva ben comprendere i suoi dubbi e le sue incertezze.
«Io mi fido di lei» ammise guardando il tenente negli occhi.
«Spero di non tradire la tua buona fede nei miei confronti»
«Nessuno potrebbe accusarla per quello che ha fatto»
Foley rifletté su quelle parole, temeva che il suo coinvolgimento personale a riguardo di quella faccenda potesse compromettere il suo arbitrio, ma ormai era troppo tardi per avere ripensamenti.
 
William proseguì da solo per raggiungere il successivo posto di guardia, la sua visuale era limitata all’area davanti a lui illuminata dalla torcia. Il silenzio della foresta era suggestivo e inquietante. L’ufficiale tentò di ignorare le ombre che sembravano muoversi alle sue spalle, consapevole che era la sua mente ad ingannarlo.
Ad un tratto notò due figure correre verso di lui, le sentinelle giunsero ansimando.
«Signor tenente, abbiamo sentito dei rumori nel bosco…»
«Che genere di rumori?»
«Abbiamo riconosciuto dei passi e delle voci, ma erano troppe confuse per poter riconoscere in che lingua stessero parlando»
Foley impugnò il fucile: «forza, venite con me. Dobbiamo scoprire di che si tratta»
I due soldati si scambiarono un’occhiata perplessa, di certo avventurarsi nel bosco di notte con il rischio di incontrare il nemico non era affatto una scelta ragionevole.
«Provengono dalla strada di Flesquieres, se sono tedeschi probabilmente appartengono a un distaccamento in avanscoperta» disse William con un sussurro.
«Ciò significherebbe che stanno organizzando un contrattacco»
«Per come stanno le cose questa è un’eventualità alquanto improbabile, oppure la situazione è decisamente peggiore di quanto avessimo considerato»
I tre inglesi si appostarono tra gli alberi a lato del sentiero. William poggiò la schiena contro un grosso tronco nodoso. Strinse l’arma tra le mani, il suo sguardo rimase fisso davanti a sé, i battiti rallentarono mentre il suo respiro si fece quasi impercettibile.
Pian piano nella nebbia comparvero alcune ombre, una piccola colonna di soldati stava avanzando faticosamente nella neve. Riconoscendo le divise britanniche Foley uscì allo scoperto, il timore iniziale si tramutò in curiosità. Il tenente si sorprese nel trovare una ventina di soldati, stremati dal freddo e dalla fatica.
A lui si avvicinò un sottufficiale che si presentò come il sergente Redmond.
«Grazie a Dio vi abbiamo trovato…abbiamo bisogno di aiuto per soccorrere i feriti»
Foley ordinò ai due soldati di correre all’accampamento per chiamare il dottore e alcuni uomini per fornire assistenza, poi rivolse al sergente uno sguardo inquisitorio.
«Provenite da Flesquieres?»
L’uomo provò una certa soggezione nell’osservare le sue iridi smeraldo così intense e penetranti.
«Avevamo l’ordine di occupare il villaggio, ma siamo caduti in un’imboscata»
«Dunque questi uomini appartengono al plotone del tenente Green?»
Egli annuì.
«Immagino che lui non sia con voi…»
Il sottufficiale negò tristemente: «no signore, il tenente mi ha ordinato di portare al sicuro i feriti, ma lui è rimasto a combattere insieme ai nostri commilitoni»
Foley tentò di non esternare la propria preoccupazione, senza aggiungere altro sorpassò il sergente per valutare lo stato di quei soldati. William ebbe prova che quegli uomini dovessero aver combattuto in condizioni terribili, sembravano appena tornati dalla bocca dell’Inferno, molti di loro erano gravemente feriti, ustionati e mutilati.
L’ufficiale si chinò su una barella sulla quale era disteso un soldato completamente avvolto da bende e coperte insanguinate. Al suo fianco era rannicchiato uno dei portatori, il quale gli rivolse uno sguardo implorante.
«Signore, la prego…il mio compagno è in gravi condizioni, ha bisogno dell’aiuto di un medico»
William tentò di rassicurarlo: «il dottore arriverà presto»
Egli tornò ad osservare il volto orribilmente deturpato di quell’uomo.
«Che cosa gli è successo?» chiese con titubanza.
«Stavamo cercando un passaggio sicuro attraverso il villaggio quando il mio commilitone è stato coinvolto in un’esplosione»
Il tenente abbassò tristemente lo sguardo.
«È stata colpa mia, non avrei dovuto lasciarlo andare…sapevo che era pericoloso…»
«Non dovresti sentirti responsabile» concluse Foley prima di allontanarsi.  
 
Hugh, rimasto solo, tentò di trattenere i singhiozzi. Aveva fatto il possibile per salvare il suo compagno, anche quando il dottor Jones gli aveva rivelato le sue tristi condizioni non si era rassegnato. Aveva trasportato la sua barella per tutto il tragitto, senza mai chiedere il cambio. Ormai nulla aveva più importanza, doveva solo portare il soldato Dawber al sicuro.
Era ancora perso in questi pensieri quando finalmente si presentò a lui un ufficiale medico accompagnato dal suo assistente. Immediatamente i due si occuparono di controllare le condizioni del ferito.
Hugh si affrettò ad informare la coppia di soccorritori: «il dottor Jones ha detto che deve essere operato al più presto»
«Il vostro medico non è venuto con voi?»
Hugh negò: «ha voluto restare a Flesquieres, i nostri compagni hanno ancora bisogno di lui»
«Senza dubbio è un uomo ammirevole»
Il soldato era della stessa opinione, ma ben presto tornò a preoccuparsi per il suo commilitone.
«La prego, mi dica che può fare qualcosa per salvarlo!»
L’espressione afflitta del dottore non fu affatto rassicurante.
«Mi dispiace, ma non può essere operato in queste condizioni»
«Ci sarà pure qualcosa che possiamo fare!» gridò il giovane ormai al limite dell’esasperazione.
«L’ospedale più vicino è ad Havrincourt, possiamo trasferire i feriti più gravi, ma…»
Hugh guardò quell’uomo negli occhi: «avanti, mi dica la verità»
Il medico esitò prima di rispondere: «non voglio illuderti, il tuo amico non ha molte possibilità di sopravvivere»
In altre circostanze Hugh avrebbe ribattuto sottolineando il fatto che il soldato Dawber non fosse suo amico, non si erano mai considerati in quel modo, il loro rapporto era diverso, non erano mai stati troppo intimi. Ad unirli però era qualcosa di anche più profondo, avevano combattuto insieme numerose battaglie, restando uno a fianco dell’altro, proteggendosi a vicenda senza mai richiedere nulla in cambio. Per un buon soldato l’istinto di aiutare un compagno in difficoltà era qualcosa di innato. Forse era a questo che si riferivano i suoi superiori quando parlavano di cameratismo, quella parola tanto elogiata spesso appariva priva di significato, ma nel dolore e nella sofferenza riacquisiva in pieno tutto il suo valore.
Hugh tentò di farsi coraggio.
«Io…devo provare a salvarlo» affermò con decisione.
Il medico si commosse nel sentire quelle parole: «mi occuperò di sistemare le fasciature e di somministrargli un po’ di morfina per il dolore…di più non posso fare»
 
Dopo un’attesa che gli parve interminabile Hugh ebbe la possibilità di ricongiungersi con il ferito.
Prontamente saltò sull’ambulanza e si accovacciò accanto alla barella su cui era disteso il soldato Dawber. L’analgesico stava iniziando ad avere effetto, il ferito aveva smesso di lamentarsi, finalmente poteva riposare.
Il suo compagno sistemò premurosamente la coperta per proteggerlo dal freddo.
Hugh osservò con apprensione e rammarico il suo commilitone, metà del suo volto era coperto dalle bende, per un istante rivide il suo viso orribilmente deturpato. Inevitabilmente nella sua mente riaffiorarono vecchi ricordi, quelle memorie lo riportarono al suo primo incontro con il soldato Dawber.
In realtà era stata la sua fama a precederlo, Hugh aveva sentito numerose storie su di lui prima di conoscerlo di persona. La più nota tra i soldati del reggimento era anche la più macabra, si diceva che Dawber avesse sparato a sangue freddo ad alcuni prigionieri durante la battaglia della Somme. L’unico che avrebbe potuto confermare o smentire quella versione dei fatti era il tenente Green, ma le poche volte in cui qualche spudorato curioso aveva tentato di chiedere informazioni all’ufficiale aveva ottenuto solamente severi rimproveri.
Hugh non aveva dato troppa importanza a quella faccenda dopo aver conosciuto il soldato Dawber. L’aveva sempre considerato un buon compagno, era un uomo freddo e risoluto, ma questo non faceva di lui un mostro. Se veramente aveva ucciso in modo così spietato quei prigionieri di certo doveva esserci stato un valido motivo.
Era strano, in tutto quel tempo non avevano mai approfondito il loro rapporto, eppure c’erano state occasioni in cui si erano confidati l’uno con l’altro. In quel momento ripensò alla prima volta in cui Dawber si era mostrato gentile e comprensivo nei suoi confronti.
 
Hugh si era arruolato nell’esercito quasi un anno dopo l’inizio del conflitto. Aveva deciso di fare il suo dovere per la Patria, scegliendo di combattere per proteggere la sua Nazione e la sua famiglia.
Si era sposato da pochi mesi, era partito per la guerra lasciando la sua giovane moglie senza alcuna promessa, non aveva voluto illuderla a riguardo del proprio destino. Con la prima lettera ricevuta al fronte aveva appreso che sarebbe diventato padre.
Quella notte l’aveva trascorsa condividendo il turno di guardia con il soldato Dawber. Era così agitato e nervoso che nemmeno il suo burbero compagno aveva potuto ignorarlo. Così per la prima volta aveva mostrato interesse nei suoi confronti.
«Che succede? Qualcosa non va?» aveva domandato con una certa discrezione.
In quel momento Hugh aveva sentito il bisogno di confidarsi.
«Io…oggi ho ricevuto una lettera»
«Cattive notizie?»
«No, affatto. Mi ha scritto mia moglie e…a quanto pare presto diventerò padre»
Dawber era rimasto impassibile: «è questo a preoccuparti?»
«Non potrei essere più felice all’idea di avere una famiglia, ma allo stesso tempo ho paura di non poter tornare, di non vedere mai mio figlio e di non poterlo stringere tra le mie braccia»
«Allora dovrai fare il possibile per restare vivo»
«Non posso negare la realtà, sono consapevole di ciò che attende un soldato in battaglia»
«Hai una valida ragione per combattere, dovrebbe essere una tua forza e non una tua debolezza»
Hugh aveva trovato conforto in quelle parole, nonostante tutto il suo compagno gli stava donando ancora speranza.
«Sai, ti ho visto l’altro giorno mentre ti prendevi cura di quella recluta impaurita, sono certo che sarai un ottimo padre»
«Lo pensi davvero?»
Egli aveva annuito: «in questo momento però dovresti pensare solo ad essere un buon soldato»
 
Quella era stata una delle poche conversazioni che avevano avuto nel corso di quegli anni. Sul campo di battaglia non avevano mai avuto modo di approfondire quel legame, il loro era sempre rimasto un rapporto tra commilitoni, fondato sulla lealtà e sul rispetto reciproco.
Solamente in altre rare circostanze Hugh si era confidato con lui, ogni volta che parlava della sua famiglia Dawber lo ascoltava in silenzio, la sua espressione sempre seria e severa sembrava rasserenarsi, il suo sguardo impenetrabile diventava triste e malinconico.
In una di quelle occasioni era venuto a conoscenza del suo misterioso passato.
 
I due soldati si erano ritrovati soli davanti alle braci, Hugh era rimasto a lungo in silenzio ad osservare l’aria assorta del suo compagno. 
«Posso farti una domanda?» aveva azzardato.
Sorprendentemente Dawber aveva annuito.
«In tutto questo tempo non ti ho mai visto scrivere o ricevere lettere…so che non sono affari miei, ma…davvero non hai nessuno in Inghilterra?»
Egli aveva scosso le spalle: «non ho nessuno che attende di ricevere mie notizie»
«Non mi hai mai detto nulla sul tuo passato»
«È davvero così importante per te?»
«Tu sai praticamente tutto di me. Io invece come posso fidarmi di te senza conoscerti?»
Il suo commilitone aveva riflettuto qualche istante.
«D’accordo, se ritieni che sia necessario per essere leale nei miei confronti allora ti racconterò la mia storia»
Hugh aveva sussultato per quella risposta inaspettata: «non intendo obbligarti se non vuoi»
«Io mi fido di te»
L’altro si era sentito onorato da quelle parole.
«Dunque, per iniziare Dawber non è il mio vero cognome»
Hugh aveva mostrato curiosità e interesse.
«Da bambino sono cresciuto in orfanotrofio, allora mi chiamavano solamente Jack. A dodici anni sono scappato e ho iniziato a vivere per strada. Ero bravo a cacciarmi nei guai, il mio soprannome acquisì presto un significato denigratorio, tutti dicevano che avrei fatto la stessa fine di Jack the Lad [*]»
«Devi aver affrontato un periodo davvero difficile»
«Già, ma ho imparato a cavarmela da solo. A quindici anni ho lasciato la città e ho trovato lavoro come bracciante in una fattoria. Il signor Dawber si è preso cura di me e mi ha accolto nella sua famiglia come un figlio»
«È per questo che hai preso il suo cognome?»
«No…l’ho cambiato quando mi sono sposato»
Hugh si era sorpreso per quella rivelazione.
«Mi sono innamorato della figlia del signor Dawber nel primo istante in cui l’ho vista. Ero soltanto un ragazzino, ma già ero certo che lei sarebbe stata l’unica donna della mia vita»
Il suo commilitone aveva sogghignato: «devo ammetterlo, non ti credevo così romantico»
«È passato molto tempo. Per anni abbiamo nascosto la nostra relazione, ma quando mi sentii pronto raccontai la verità al signor Dawber e gli chiesi la mano della figlia. Dovetti impegnarmi molto per convincerlo, alla fine egli accettò. Io non ero affatto un buon partito, ma avevo dimostrato di essere pronto a cambiare vita e a prendermi le mie responsabilità»
«Quella ragazza doveva essere davvero speciale per riuscire a conquistare un cuore di pietra come il tuo»
«Stavamo bene insieme, abbiamo avuto due splendidi bambini, per un po’ ci siamo illusi di poter diventare una bella famiglia felice»
«Poi che è successo?»
«Nonostante i miei sforzi eravamo sempre senza soldi, eravamo costretti a compiere enormi sacrifici e quasi vivevamo di stenti. Non potevo permettere che i miei figli patissero la fame. Così alla fine ho ceduto e sono tornato alle vecchie abitudini…in fondo gli altri avevano ragione, non sono mai stato altro che un criminale. Ho capito di aver toccato il fondo quando mi hanno arrestato. Avevo deluso le persone più importanti della mia vita, per questo ho deciso di sparire»
«Che cosa significa?»
«Ho fallito come marito e come padre, ero convinto che non avrei potuto rimediare ai miei errori. Mia moglie e i miei figli meritavano di meglio. In prigione mi hanno offerto di scontare la mia pena nell’esercito, così ho accettato, da allora non sono più tornato»
«Davvero non hai più fatto ritorno a casa?»
«Ho sempre provveduto alla mia famiglia, ma ho scelto di non avvicinarmi più a loro. Non l’ho fatto per sfuggire alle mie responsabilità, soffro ogni giorno per la loro mancanza, ma non avrei potuto restare»
«Non pensi mai che loro abbiano bisogno di te?»
Dawber aveva negato: «ho già causato troppo dolore alle persone che amo»
«Non dovresti essere così duro con te stesso»
«Ho già avuto la mia seconda occasione, non mi ritengo più degno di perdono»
Hugh era rimasto profondamente colpito da quella storia.
«Mi dispiace, io…non sapevo nulla di tutto ciò»
Il suo compagno aveva sorriso tristemente: «quando mi parli della tua famiglia penso a come sarebbero potute andare le cose se non avessi rovinato tutto…»
«Forse non è troppo tardi»
Dawber aveva scosso la testa: «adesso sai perché non temo questa guerra, ormai non ho più nulla da perdere»
 
Quella era stata l’unica volta in cui Dawber si era esposto sul suo passato, non avevano più affrontato quell’argomento. Da quel momento però Hugh si era sentito più vicino al suo compagno, riuscendo anche a comprendere i motivi della sua ricercata solitudine e di quell’atteggiamento spesso freddo e distaccato.
Avrebbe desiderato fare qualcosa per lui, non riteneva giusto che egli continuasse ad espiare i suoi peccati.
Hugh tornò alla realtà stringendo la mano del compagno ferito, era certo che Dawber avesse mentito, in realtà era ancora legato alla sua famiglia, ogni decisione che aveva preso a partire dal suo abbandono era stata determinata dall’amore per sua moglie e i suoi figli. Era convinto che anche in quella situazione così drammatica egli stesse cercando conforto nelle sue memorie.
Hugh volle credere in tutto questo perché era consapevole che per lui il ricordo delle persone amate restava l’unico appiglio alla vita, era davvero la sua ultima speranza.

 
Il tenente Foley rinunciò ad una parte dei suoi uomini perché questi potessero occuparsi dei feriti. Mentre i suoi commilitoni tentarono di riposare in quel poco tempo rimanente l’ufficiale cercò di apprendere il più possibile su ciò che era accaduto a Flesquieres.
Redmond raccontò tutto senza tralasciare alcun particolare.
«Il tenente Green non è uno sprovveduto, non ha commesso alcun errore»
«Lo so, conosco molto bene Richard»
Il sottufficiale rimase sorpreso per la confidenza dimostrata da quell’ufficiale nei confronti del suo comandante.
«Dunque saprà già che Green non sarebbe mai disposto ad abbandonare i suoi uomini in difficoltà»
«Probabilmente sono in arrivo rinforzi dalla Linea Hindenburg, entro ventiquattro ore questa zona sarà invasa da truppe tedesche fresche e riposate»
«Come pensa di poter conquistare il villaggio in queste condizioni?»
«Nemmeno io sono uno sprovveduto sergente. Il tenente Green non potrà resistere a lungo, ma con il supporto dei miei uomini potremmo tentare di difendere l’avamposto fino all’arrivo delle divisioni scozzesi»
Redmond approvò il piano del suo superiore, quella era davvero l’ultima speranza. Il sottufficiale notò l’espressione crucciata sul volto di Foley.
«Mi deve scusare per l’impertinenza, ma lei sembra davvero preoccupato per il tenente Green» azzardò.
William mantenne lo sguardo fisso sulla carta topografica: «come le ho già detto conosco personalmente Richard e intendo fare tutto il possibile per salvarlo»
Redmond poté comprendere la sua apprensione: «allora entrambi abbiamo lo stesso obiettivo»
«La sua lealtà nei confronti del tenente è lodevole»
«Per qualsiasi cosa può fare affidamento su di me»
Foley studiò attentamente la mappa del villaggio: «allora può iniziare subito, ho bisogno di lei per pianificare l’attacco»
Redmond non esitò a fornire al tenente qualsiasi informazione utile, era disposto a tentare qualsiasi cosa pur di salvare Green e i suoi commilitoni.
 
***

Finn cedette alla stanchezza, si addormentò rannicchiandosi contro la parete, abbracciato al suo fucile. Appena richiuse gli occhi davanti a sé rivide il corpo inerme del tedesco, immaginò di ritrovarsi di fronte al cadavere, con l’arma che tremava tra le sue mani. Il ragazzo poteva percepire le medesime sensazioni, il freddo penetrava attraverso i vestiti e le esplosioni echeggiavano in lontananza.
Intorno a lui tutto era avvolto da un’intensa nebbia, tutto ciò che poteva vedere era la neve sporca di sangue. Ricordava ogni particolare di quel volto pallido, la cui espressione era ancora contratta dal terrore. Lo sguardo del tedesco era rivolto verso l’alto, quegli occhi vitrei e privi di essenza vitale sembravano fissarlo, scrutando dentro la sua anima, ormai non più innocente.
Non mi hai lasciato altra scelta, ho dovuto sparare…questa è la guerra.
Quelle parole svanirono nel vento, tutto ciò che rimase fu quel corpo, quel volto, quell’uomo che aveva smesso di vivere a causa sua.
 
Finn si risvegliò sussultando, a stento trattenne un grido di terrore. Aveva il respiro affannato e la fronte madida di sudore, il cuore batteva freneticamente nel suo petto.
«Coogan, calmati…va tutto bene»
Il ragazzo si rassicurò riconoscendo la voce del caporale. Guardandosi intorno nella penombra riconobbe anche gli altri due compagni, uno era di guardia vicino alla finestra, mentre l’altro era rimasto accanto alla porta.
Quest’ultimo si rivolse a Speller: «spero che lei abbia in mente qualcosa, non possiamo continuare a nasconderci come topi!»
«Al momento l’unica alternativa è quella di consegnarci al nemico» rispose amaramente.
«Non dobbiamo perdere la speranza, i nostri compagni sanno che siamo in pericolo e faranno di tutto per aiutarci» si intromise Finn. 
«E se invece decidessero di abbandonarci qui?» replicò il soldato.
«Il tenente Green non potrebbe mai permetterlo, giusto caporale?»
Speller rimase in silenzio.
Finn notò l’espressione afflitta sul volto del suo superiore.
«Non mi dica che anche lei ha perso fiducia nel nostro comandante!»
«Mi dispiace ragazzo, ma il tenente deve pensare al bene dell’intero plotone, e per come stanno le cose per i nostri commilitoni l’unica possibilità di salvezza è la ritirata»
«No, lei si sbaglia! Sono certo che Green stia già cercando il modo per giungere in nostro soccorso» insistette il giovane stringendo i pugni per la rabbia. In quel momento si sentì tradito dai suoi stessi compagni.
Speller gli rivolse uno sguardo triste e disilluso, ancora una volta si stupì per l’ingenuità di quel ragazzo, e provò compassione nel constatare che egli fosse veramente disposto a tutto pur di difendere il tenente.
«So che per te quell’uomo è come un eroe, ma devi valutare la realtà. A volte un ufficiale è costretto a compiere scelte difficili, e se necessario deve anche accettare l’eventualità di sacrificare i suoi uomini»
Finn avvertì un groppo in gola e gli occhi lucidi. Alla fine realizzò che i suoi commilitoni non avrebbero mai potuto comprendere le sue ragioni, la sua non era cieca fede nei confronti del tenente Green. Lui conosceva Richard meglio di chiunque altro e sapeva che l’uomo che amava non avrebbe mai tradito i propri ideali.
 
 
 
 

 
[*] Soprannome di Jack Sheppard, noto ladro londinese vissuto agli inizi del XVIII secolo. Fu condannato a morte per impiccagione all’età di ventidue anni. La sua figura, spesso idealizzata, è stata rappresentata in diverse opere artistiche e letterarie. 

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Capitolo 22
*** Punto di non ritorno ***



XXII. Punto di non ritorno


Il tenente Green allontanò la sigaretta dalle labbra espirando una nuvola di fumo, l’oscurità della notte avvolgeva il villaggio, quel silenzio dopo l’ultima e intensa battaglia appariva quasi irreale. Richard voltò lo sguardo a nord e scrutò con attenzione gli edifici diroccati, tra quelle macerie si nascondeva il nemico, e da qualche parte in quel labirinto di rovine i suoi uomini stavano cercando di resistere. Il tenente si domandò se quei soldati avessero ormai perso le speranze o se ancora stessero attendendo un miracoloso intervento da parte dei loro commilitoni. Ovviamente egli non aveva intenzione di abbandonare i suoi uomini, ma non aveva alcuna certezza sull’esito di quella missione.
In tutto questo non poteva ignorare il suo coinvolgimento emotivo. Tra quei dispersi c’era anche il suo attendente, non voleva mentire a se stesso, sapeva che in determinate condizioni sarebbe stato disposto a rinunciare al suo buon senso, esponendosi a qualsiasi genere di rischio o pericolo.
Non sarebbe stato semplice gestire quel tumulto di emozioni, ma non poteva lasciarsi sopraffare dai sentimenti, prima di ogni cosa avrebbe dovuto pensare alla sicurezza dei suoi uomini. Allo stesso tempo era però consapevole che non avrebbe mai potuto abbandonare il villaggio senza il suo amato.
Richard era ancora immerso in questi pensieri quando avvertì il rumore di alcuni passi.
«Dottor Jones, ha bisogno di qualcosa?»
L’ufficiale medico negò: «no, ho solo pensato che avrebbe gradito un po’ di compagnia»
«La ringrazio per l’interessamento, ma sto bene così» disse con poca convinzione.
«A me non sembra affatto che lei stia bene»
«Non credevo che fosse quel tipo di dottore…» rispose il tenente con tono ironico.
«Sono solamente preoccupato per lei»
Green guardò il suo interlocutore negli occhi: «crede che possa perdere il senno?»
«No, affatto. Lei ha i nervi più saldi di tutti quanti noi» replicò il dottore con estrema serietà.
«Allora per quale motivo è qui?»
«La conosco da molto tempo, so che è pienamente consapevole delle sue scelte, ma posso comprendere che per lei non sia semplice prendere questa decisione»
«Non ho intenzione di sacrificare i miei uomini»
«Questo le rende onore»
«Non potrei mai abbandonare quei soldati in difficoltà»
«Non ho mai dubitato di questo»
«Ho scelto di caricarmi sulle spalle il peso delle mie responsabilità…eppure mi sento in colpa a mettere in pericolo la vita dei miei sottoposti»
Il dottore mostrò il suo supporto: «lei è un buon ufficiale, deve però affrontare la realtà. Anche per me è stato difficile da accettare, ma non possiamo salvare tutti»
Il tenente si sorprese di sentire quelle parole, per la prima volta si rese conto che il medico era l’unico che potesse comprendere a fondo le sue preoccupazioni. Non aveva mai considerato questo aspetto, ma i due avevano molto in comune.
«Vorrei solo fare la cosa giusta» continuò Richard con aria assorta.
«Purtroppo anche con le migliori intenzioni si possono commettere gravi errori»
Il tenente intuì che egli stesse parlando per esperienza.
«Dunque non c’è soluzione per il mio dilemma?»
«Temo proprio di no. In ogni caso dovrà confrontarsi con le conseguenze delle sue decisioni»
L’ufficiale notò l’espressione afflitta sul volto del suo compagno.
«Lei come ha fatto a scendere a patti con la sua coscienza?»
Jones sospirò: «non l’ho fatto, per questo ogni notte i miei demoni tornano a tormentarmi»
Il tenente Green poté ben comprendere la sua condizione.
«È assurdo, ho scelto di servire l’esercito perché desideravo fare del mio meglio per aiutare il prossimo…con il tempo anche io ho dovuto abbandonare ideali e illusioni»
«Ammiro la sua dedizione, lei ha una missione importante in quest’inferno»
Il dottore si sentì onorato nel sentire quelle parole.
«Sa che cosa ho pensato la prima volta in cui l’ho vista?»
Richard accennò un debole sorriso: «considerando che mi ha incontrato su un tavolo operatorio suppongo che abbia valutato prima le mie viscere della mia persona…»
«Si possono capire molte cose su un paziente da come affronta il dolore e la sofferenza. Per esempio nel suo caso ho avuto modo di scoprire che lei era un uomo estremamente forte e determinato. Non ha mai avuto paura di affrontare il suo destino, e ha dimostrato di essere disposto a lottare con tutto se stesso per sopravvivere. Sapeva che i suoi uomini avevano bisogno di lei, non voleva lasciarli soli»
«Davvero ha dedotto tutto questo mentre ero steso in un letto d’ospedale?»
«Be’, sono state solo le mie prime impressioni, ma con il tempo ho avuto prova di tutto ciò»
«Devo ammettere che è riuscito a sorprendermi»
«Credo anche di sapere perché vuole salvare quegli uomini ad ogni costo»
Il tenente si irrigidì.
«Ricordo quando mi ha chiesto di soccorrere il soldato Coogan, l’aveva sistemato nel suo rifugio perché non voleva lasciarlo solo. Mi chiedeva continuamente di controllare le sue condizioni, anche quando non era necessario. Era davvero preoccupato per lui»
Richard non poté negare tutto ciò.
«Quel ragazzo è importante per lei, sarebbe disposto a tutto pur di salvarlo»
«A quanto pare non posso mentirle…»
«È per questo che si sente in colpa? Perché è consapevole di essere condizionato nelle sue scelte?»
Il tenente annuì.
«Sono certo che lei sappia provvedere ai suoi uomini. Sul campo sarà in grado di proteggerli in ogni situazione, temo però che non possa valere lo stesso per quel che riguarda la sua persona»
«Accetterò le conseguenze, come ha detto lei stesso»
«Vorrei chiederle di essere prudente»
«Se può rassicurarla cercherò di fare il possibile»
Jones non credette a quelle parole, ma non poteva pretendere di più.
«Anche lei ha voluto anteporre il bene dei suoi commilitoni a se stesso» constatò Richard.
Il medico rimase in silenzio.
«Avrebbe potuto scegliere di lasciare il villaggio per prendersi cura dei feriti»
«Anche io ho preso la mia decisione»
«Nonostante tutto è rimasto»
«Ad ognuno il suo dovere» concluse Jones con un velo di amarezza.
 
***

All’alba il sottotenente Waddington si presentò alla porta della cantina del tenente Green.
«Signore, gli uomini mi hanno tormentato di domande per tutta la notte, vogliono sapere qualcosa, non hanno nemmeno idea se dovranno prepararsi all’attacco o alla difesa…»
L’ufficiale invitò il nuovo arrivato a sedersi, Waddington notò le carte aperte sul tavolo, probabilmente il tenente era rimasto sveglio tutta la notte per pianificare l’azione.
«Prenderò il comando di una pattuglia. Ho bisogno di quindici uomini per superare le postazioni nemiche e raggiungere i nostri compagni oltre alla linea tedesca»
«Crede che sia una buona idea dividere quel che resta dei plotoni?»
«Non abbiamo alternative, nel caso in cui le cose dovessero mettersi male almeno una parte di noi potrà tentare la ritarata»
«Cercherò dei volontari per la sua pattuglia…» disse il sottotenente con rassegnazione.
«Bene, gli altri si occuperanno del fuoco di copertura, avrà lei il comando»
«Posso organizzare delle squadre, con quattro uomini ad ogni postazione potremmo avere una buona resistenza»
Green approvò il suo piano, ma notò una certa titubanza nell’atteggiamento del giovane sottufficiale.
«Non stia in silenzio, mi dica quello che pensa veramente»
Waddington esitò prima di rispondere.
«Non ho problemi ad eseguire i suoi ordini, ma ad essere sincero ho dei dubbi su questa operazione»
«Che cosa la preoccupa?»
«Il villaggio è completamente distrutto, il nemico potrebbe essere appostato in ogni angolo…come pensa di poter trovare quei dispersi?»
«Dopo l’ultimo scontro abbiamo conquistato questa zona, dunque il confine ora è qui» disse l’ufficiale indicando le posizioni sulla mappa.
Waddington seguì con attenzione le sue spiegazioni.
«I tedeschi hanno il controllo dell’area a nord, dunque i nostri commilitoni devono aver trovato rifugio in uno di questi edifici»
«E se si fossero arresi o li avessero catturati? Oppure anche peggio?»
Green non rispose, non era pronto ad affrontare una simile eventualità, pur essendo consapevole che essa fosse più che probabile.
«Quando ha intenzione di agire?»
«Appena la pattuglia sarà al completo, non abbiamo molto tempo»
 
***

Il caporale Speller era intenzionato a resistere barricandosi all’interno della casa. I soldati avevano provveduto a procurarsi armi e munizioni, in quelle condizioni avrebbero potuto affrontare il nemico, ma sarebbe stata solo una questione di tempo prima dell’inevitabile disfatta.
Speller ne era consapevole, ma non era disposto ad arrendersi.
Il caporale si avvicinò a Finn, il ragazzo era rimasto in silenzio per tutto il tempo, non aveva più rivolto la parola a nessuno dopo la loro ultima discussione.
«Mi dispiace, non avrei dovuto essere così duro nei tuoi confronti»
Il giovane alzò lo sguardo: «crede davvero che il tenente Green abbia scelto di abbandonarci?»
Egli esitò: «io…non lo so. Ma non importa, non posso condannare il nostro comandante per le sue scelte»
«Io mi fido del tenente, so che non potrebbe mai tradire i propri ideali»
Speller sorrise tristemente: «purtroppo non posso avere alcuna certezza, ma spero davvero che tu abbia ragione»
«Lei crede che sia soltanto un ragazzino ingenuo, vero?»
«No, affatto. Hai dimostrato di essere un buon soldato»
«Perché ho avuto il coraggio di uccidere il nemico?»
«No, quella stata solo un’inevitabile conseguenza. Quando ti ho conosciuto eri una recluta spaventata, adesso invece posso affermare di avere a fianco un buon compagno, al quale posso affidare la mia vita senza esitazione»
«Che cosa è cambiato da allora?»
«Tu sei cambiato. È questo che fa la guerra, cambia le persone, nel bene e nel male»
Finn rifletté su quelle parole, forse il caporale aveva ragione, ma dopo quella rivelazione non si sentì affatto meglio. Aveva sempre ritenuto che la sua innocenza fosse una debolezza, eppure non riuscì a considerare il suo come un atto di coraggio. Non sapeva come affrontare quella nuova consapevolezza ora che anche la sua anima era stata corrotta dalla guerra. L’unica certezza era che ormai fosse troppo tardi, nulla sarebbe più tornato come prima.
Il ragazzo tornò mestamente alla realtà.
«Che cosa accadrà adesso?»
«Probabilmente i tedeschi si sono già accorti della nostra presenza, presto attaccheranno»
«Per quanto tempo potremo resistere qui dentro?»
«Dipende…in ogni caso combatteremo fino alla fine»
 
Poco dopo i primi colpi si abbatterono contro la casa, le mura tremarono a causa dell’esplosione. Nel momento in cui si sporse per sbirciare oltre alla finestra barricata Finn notò soltanto una pioggia di lampi seguiti dal crepitare scoppiettante delle mitragliatrici.
Prontamente tornò in posizione e puntò il fucile, lo scontro era iniziato. Ben presto la strada fu avvolta dal fumo e dalle fiamme.
Finn continuò a premere il grilletto e a ricaricare l’arma, al suo fianco il caporale Speller faceva lo stesso mentre gli altri due soldati erano impegnati alla postazione della mitragliatrice.
I loro volti erano coperti dal fumo, gli echi delle esplosioni rimbombavano costantemente mentre l’aria era intrisa dell’acre odore della polvere da sparo.
Nel mezzo della sparatoria Finn non poté evitare di pensare al tenente, non aveva più avuto sue notizie, ma era certo che il suo amato avrebbe tentato in ogni modo di salvare lui e i suoi compagni.
Il giovane non ebbe molto tempo per preoccuparsi, il pavimento tremò di nuovo, l’ennesimo fragore di vetri rotti lo riportò alla realtà della battaglia.
 
***

Il sottotenente Waddington coordinò il fuoco di copertura, inizialmente l’artiglieria inglese riuscì a tener testa al nemico. Lo scontro divenne sempre più intenso e violento. Il sottufficiale si occupò con dedizione di eseguire gli ordini del tenente, pur avendo fiducia nel suo superiore non poté evitare di preoccuparsi per la sorte dei suoi compagni quando li vide scomparire tra il fumo e la nebbia.
Il boato di un’esplosione lo riportò duramente alla realtà, l’uomo fu scaraventato bruscamente a terra. Si rialzò barcollando, sorprendendosi di essere ancora tutto intero.
All’improvviso delle urla agghiaccianti sovrastarono gli echi degli spari, il sottufficiale trasalì.
Poco dopo un soldato si gettò nella sua buca: «signore, dov’è il dottor Jones?»
«Al posto di soccorso, che è successo?» chiese con apprensione.
«Abbiamo un ferito, è molto grave!» rispose l’altro prima di correre via come un fulmine.
Waddington si allarmò, così si affrettò a controllare la situazione. Appena raggiunse la barricata si trovò davanti ad una scena drammatica. Il soldato McCall giaceva a terra, un proiettile l’aveva colpito al collo, il sangue scorreva copiosamente dalla profonda ferita.
I suoi compagni tentavano di trattenerlo mentre egli si contorceva dal dolore.
Il soldato Walsh sorreggeva la sua testa mentre un altro commilitone cercava disperatamente di fermare l’emorragia.
«Dov’è il medico? Presto, abbiamo bisogno d’aiuto!» gridò quest’ultimo ormai al limite dell’esasperazione.
«Il dottor Jones sta arrivando» disse Waddington per rassicurarli.
«McCall sta per morire ed è tutta colpa di quei dannati crucchi!» esclamò uno dei presenti.
«No, non dire così. Avanti Jimmy, guardami, presto starai meglio, andrà tutto bene» disse Walsh nel tentativo di confortarlo.
Waddington fu costretto ad allontanare a forza gli uomini accerchiati intorno al povero McCall.
«Via ragazzi. Spostatevi tutti, è arrivato il dottore»
Il dottor Jones si fece spazio freneticamente dopo aver attraversato di corsa la pericolosa area di fuoco. Immediatamente si avvicinò al ferito per controllare le sue condizioni. McCall continuò ad agitarsi, il suo sguardo era colmo di terrore.
«Tranquillo Jimmy, il dottore è qui per te» lo tranquillizzò Walsh restando al suo fianco.
Jones si approcciò a lui con pazienza e gentilezza.
«Piano ragazzo, devi stare fermo, se no non posso aiutarti»
Il giovane si quietò, il suo petto si muoveva spasmodicamente, ansimava e gemeva dal dolore, ogni respiro era una sofferenza.
Il dottore iniziò a medicare la ferita, ma all’improvviso il soldato si ribellò cedendo ad una crisi di panico.
McCall iniziò a delirare, tornando a scalciare e urlare come un dannato.
«Non voglio morire! Vi prego, aiutatemi!» implorò con un pianto disperato.
«Tu non morirai, coraggio, devi stare calmo»
Il ferito non ascoltò le sue parole e continuò a dimenarsi.
Walsh si chinò su di lui: «Jimmy, sono io, sono qui. Va tutto bene, non ti accadrà nulla di male»
McCall parve riconoscere la sua voce.
«Ti prego, ho bisogno che tu sia forte in questo momento»
Il ferito emise un lamento, era sempre più pallido, fremeva dall’agitazione e dal gelo.
Il suo compagno lo guardò negli occhi, poggiò delicatamente una mano sul suo viso insanguinato, per un breve istante ciò sembrò rassicurarlo, ma la situazione degenerò rapidamente.
Jones fu costretto ad allontanare il soldato Walsh con una certa irruenza per poter intervenire.
Il dottore tentò di mantenere fermo il suo paziente mentre comprimeva con forza le bende per bloccare l’emorragia, ma la ferita era troppo profonda e il sangue continuava a scorrere macchiando anche la sua divisa.
Walsh intuì la gravità dalla situazione: «no! No! Resta con noi, non puoi arrenderti! Forza, resisti!»
McCall si contorse negli ultimi spasmi di agonia, poi lentamente il suo corpo si irrigidì e il suo sguardo si spense fino all’ultimo respiro.
«Jimmy? Ti prego, rispondi…Jimmy!»
Walsh si abbandonò alla disperazione gettandosi sul compagno ormai inerme.
Jones rimase inginocchiato accanto al cadavere, stremato e affranto si levò l’elmetto il segno di rispetto.
Gli altri presenti restarono in silenzio, in quel momento sembrava che l’intera guerra si fosse fermata. Ognuno intimamente si lasciò trasportare da pensieri cupi e malinconici, contemplando con orrore quel corpo adagiato nella neve fresca.
Pian piano i soldati si allontanarono tornando tristemente alle proprie postazioni. Vicino alla salma restarono solo il dottor Jones e il soldato Walsh.
«Lo conoscevi da molto tempo?» chiese il medico.
L’altro annuì: «eravamo compagni di scuola…ci siamo arruolati insieme il giorno del suo diciottesimo compleanno»
«Mi dispiace» disse Jones con sincero rammarico.
«È da due anni che sopporto quest’inferno, ho visto molti dei miei commilitoni andarsene, ma…non in questo modo. Non credevo che un giorno avrei perso anche lui…»
«Gli sei stato accanto fino alla fine, sono certo che è quello che avrebbe voluto»
«È tutta colpa mia…»
«No, non devi pensarlo nemmeno per un momento»
«Io…non credo di poter andare avanti senza di lui, noi eravamo come fratelli» ammise tra i singhiozzi.
Jones si sentì completamente impotente di fronte a quel dolore, aveva tentato di fare il possibile per salvare quel giovane, ma ciò non era stato sufficiente.
«Non puoi permettere che la sua morte diventi un vano sacrificio, per questo dovrai trovare la forza di continuare a combattere»
Walsh si nascose il volto tra le mani scoppiando nuovamente in lacrime.
Il dottor Jones si rialzò, purtroppo era consapevole non poter fare niente di più. Si allontanò senza aggiungere nulla, in diverse altre occasioni si era ritrovato a vivere quegli istanti, ma ogni volta avvertiva sempre lo stesso lancinante dolore.
Quando il sottotenente Waddington tornò dal soldato Walsh lo ritrovò solo, rannicchiato accanto al cadavere dell’amico. Il sottufficiale poggiò una mano sulla sua spalla in segno di conforto, poi ripose un vecchio telo su quel corpo inerme. Provò una profonda tristezza nell’osservare un’ultima volta quel viso, che, seppur sfigurato, ancora conservava i lineamenti di un ragazzino.
 
***

Dopo aver superato le difese nemiche la pattuglia del tenente Green si avventurò all’interno del villaggio.
Gli inglesi progredirono con cautela, spostandosi rapidamente da un obiettivo all’altro, evitando di esporsi per troppo tempo allo scoperto. Con questi accorgimenti raggiunsero il centro del paese, il tenente si rannicchiò contro a un muro diroccato stringendo il fucile, ormai avevano superato il limite infiltrandosi oltre alle linee nemiche.
All’improvviso una mitragliatrice iniziò a tirare su di loro. Richard afferrò il suo compagno, riuscì a spingerlo a terra appena in tempo per evitare una raffica di proiettili.
I suoi commilitoni scaricarono una pioggia di pallottole mirando alle finestre dell’edificio. Il botto degli spari echeggiò nella strada deserta, i fucili scoppiettavano senza sosta.
Durante lo scontro Richard vide un soldato cadere violentemente a terra, immediatamente si affrettò a soccorrerlo. Giaceva su un fianco in una pozza di sangue, appena il tenente lo rivoltò si accorse che non avrebbe potuto fare niente per lui. Un proiettile aveva perforato l’elmetto penetrando con profondità nel suo cranio.
La sparatoria terminò dopo un’intensa tempesta di proiettili, Richard approfittò di quel momento di calma per attraversare quel pericoloso incrocio. Era certo che il fragore degli spari avesse già attirato l’attenzione del nemico, dunque era meglio allontanarsi in fretta.
 
Continuando a correre tra le stradine ghiacciate la pattuglia riuscì a raggiungere l’edificio che il tenente aveva individuato come possibile rifugio.
Green avanzò cautamente avvicinandosi alla soglia. Tentò di percepire suoni e rumori, ma ovunque regnava soltanto un inquietante silenzio. Richard prese un profondo sospiro, poi si decise ad entrare all’interno.
Il piano era deserto, nella penombra riconobbe solo un paio di cadaveri, in quelle condizioni provò un profondo sollievo nel notare il colore grigio di quelle divise.
Ad un tratto una voce echeggiò sulle scale.
«Signor tenente! Abbiamo trovato dei sopravvissuti!»
Green si affrettò a raggiungere i suoi compagni, nella stanza trovò una decina di soldati britannici, tra di loro riconobbe solamente il volto del tenente Miller. L’ufficiale si avvicinò a lui dimostrandogli la propria gratitudine.
«Tenente Green, eravamo certi di poter contare su di lei!»
«Non c’è nessun altro con voi?» domandò Richard esternando la propria apprensione.
Miller scosse la testa: «no, qui siamo solo noi. Abbiamo però avvertito degli spari provenire dall’altra parte dell’isolato…forse i vostri compagni si sono barricati in una di quelle case»
Richard si rivolse immediatamente ai suoi compagni.
«D’accordo, una squadra verrà con me in avanscoperta, il resto di voi invece tornerà indietro per scortare al sicuro gli uomini del tenente Miller»
I soldati obbedirono senza obiettare, Richard era consapevole del rischio a cui stava esponendo i suoi commilitoni, ma allo stesso tempo ritenne di non avere alternative.
La pattuglia si separò, il gruppo comandato dal tenente Green continuò ad avanzare infiltrandosi in quel labirinto di intricati vicoli ostruiti dalle macerie.
All’improvviso una raffica di proiettili scoppiò da una finestra abbattendosi contro gli inglesi. Green si rannicchiò contro ad una vecchia barricata, riuscì ad abbassarsi appena in tempo per evitare una pioggia di pallottole che fendette l’aria sopra la sua testa.
L’ufficiale rispose al fuoco, dopo una breve sparatoria la strada tornò avvolta dal silenzio.
Richard non perse tempo e guidò la sua squadra tra le strette vie del paese. Erano ormai giunti a destinazione quando ad un tratto sul fondo della strada comparvero una decina di figure armate. I tedeschi, probabilmente allarmati dai colpi precedenti, puntarono le armi senza esitazione.  
Richard cercò riparo dietro a un veicolo abbandonato, strinse saldamente il fucile, in attesa del momento adatto per entrare in azione. Sparò un colpo dopo l’altro finché non fu costretto a fermarsi per ricaricare. Nell'istante in cui si sporse nuovamente dal suo nascondiglio qualcosa lo colpì al braccio, il fucile gli cadde dalle mani ed egli si accasciò a terra contorcendosi per il dolore.
Lo scontro non durò a lungo, Green avvertì l’eco di alcuni spari, ma non riuscì a determinarne la provenienza, i tedeschi si ritirarono all’improvviso.
L’ufficiale si riprese sul ciglio della strada, al suo fianco giaceva un cadavere. Avrebbe voluto urlare, ma la voce rimase bloccata nella sua gola. Il dolore era insopportabile, lentamente la sua vista iniziò ad annebbiarsi. In un momento di lucidità riconobbe un paio di stivali ben piantati nella neve, sentì una voce, ma non riuscì a comprendere le parole. Tutto ciò che vide prima di perdere i sensi furono due brillanti iridi smeraldo.
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Grazie a tutti voi che state continuando a leggere e seguire il racconto, questo progetto è nato con mille incertezze, ma sono davvero contenta di essere riuscita a portarlo avanti fino ad oggi con il vostro prezioso sostegno.
Come sempre ringrazio di cuore i carissimi recensori per il tempo che dedicano a questa storia e soprattutto per il costante supporto ❤

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Capitolo 23
*** Sensi di colpa ***


 
XXIII. Sensi di colpa


Il sergente Redmond continuò a vagare tra le macerie, il paese era stato completamente distrutto, le strade erano ostruite dai detriti mentre gli edifici diroccati restavano abbandonati alle fiamme. Il piano del tenente Foley aveva funzionato, attaccando Flesquieres su due fronti gli inglesi erano riusciti a sorprendere il nemico, frammentando la difesa avversaria. I tedeschi erano stati costretti a ritirarsi ai margini del villaggio, ma il sottufficiale era certo che la tregua non sarebbe durata a lungo, presto avrebbero dovuto affrontare un nuovo scontro.
Un gruppo di soldati uscì in strada dopo aver perquisito un palazzo in rovina.
«Avete trovato qualcuno?»
«No signore, né inglesi né tedeschi…questa zona sembra essere del tutto deserta»
Il sergente ordinò a quegli uomini di continuare a cercare, non voleva arrendersi, era certo che i suoi compagni fossero ancora vivi.
Redmond si avventurò con alcuni soldati all’interno di una casa diroccata, salì le scale pericolanti tra il fumo e la polvere. Con apprensione osservò il soffitto crollato, muovendosi con cautela raggiunse il corridoio.
Appena entrò nella stanza notò una figura rannicchiata contro il muro, era ancora esitante quando avvertì la sua voce.
«Sergente Redmond!»
Il sottufficiale si avvicinò, faticò a riconoscere il suo compagno ridotto in quelle condizioni.
«Finn, stai bene?»
Il ragazzo annuì.
Egli notò il sangue sulla sua divisa: «sei ferito?»
«Non è nulla di grave»
Redmond si preoccupò di soccorrere il suo commilitone, emise un sospiro di sollievo nel constatare che quel giovane fosse ancora tutto intero.
«Dov’è il tenente Green?» chiese Finn esternando la propria apprensione.
Il sergente abbassò lo sguardo: «purtroppo non ho più avuto sue notizie»
Il ragazzo fu costretto a rinunciare anche a quell’ultima speranza, ormai non gli restava più alcuna certezza, ma dentro di sé aveva ancora fiducia nel suo amato, e voleva credere che egli fosse ancora vivo.
 
***

Hugh trascorse l’intera nottata insonne, preoccupandosi sia per la sorte di Dawber che per i suoi compagni che erano rimasti a combattere contro il nemico.
Dopo aver atteso per un tempo indefinito il soldato uscì dal rifugio, la tormenta si era quietata, le rovine di Havrincourt erano coperte da uno spesso manto candido e ghiacciato. Quel luogo appariva come una città fantasma, avvolta dalla nebbia e dal silenzio.
Era ancora buio quando raggiunse l’ospedale, notando la sua apprensione il medico di turno non osò rimproverarlo per quella visita fuori orario. Hugh seguì il dottore lungo il percorso ostruito dalle brande su cui giacevano soldati gementi e sofferenti. Nell’oscurità echeggiavano deliri e lamenti inquietanti, gli infermieri correvano ovunque trasportando morti e feriti.
Hugh avvertì un brivido lungo la schiena nel percorrere quei corridoi freddi e bui. A passi incerti si avviò verso la stanza che gli avevano indicato, la porta era aperta. Il giovane si ritrovò in una più ampia sala comune dove decine di brande erano allineate contro le pareti. Proseguì lungo il perimetro della stanza finché nella penombra non riconobbe il profilo del suo compagno.
Immediatamente si avvicinò al suo giaciglio, Dawber era ancora addormentato, il suo volto era madido di sudore a causa della febbre. Hugh avvertì gli occhi lucidi, il suo sguardo si soffermò sulla parte inferiore del suo corpo, la sua gamba destra terminava appena sotto al ginocchio.
Il medico non fornì molte spiegazioni: «siamo stati costretti ad amputare l’arto, le sue condizioni sono ancora instabili e molto gravi»
«Significa che è ancora in pericolo di vita?»
Il dottore annuì tristemente, poi si allontanò lasciandolo solo al capezzale del suo commilitone.
Hugh rimase immobile, ancora intimorito e sconvolto da quella situazione.
In quel momento una giovane infermiera si avvicinò a lui.
«Lei è un suo amico?» chiese con un filo di voce.  
Hugh si limitò ad annuire con un cenno.
«Dovevate essere molto uniti, lei è davvero molto premuroso nei suoi confronti»
Il soldato scosse la testa: «in realtà non era proprio così…»
«Eppure adesso è qui per lui»
Hugh osservò meglio quella donna, anche il suo viso giovane e innocente era stato segnato dalla guerra. In un luogo del genere di certo anche lei doveva aver conosciuto il dolore del conflitto.
«Vorrei solo poter fare qualcosa» ammise con rassegnazione.
«Al momento può soltanto pregare per lui e sperare per il meglio» concluse l’infermiera con tono rassicurante e speranzoso.
Rimasto nuovamente solo Hugh si lasciò cadere su una sedia. In quel momento fu travolto da sentimenti contrastanti, da una parte provò dolore e compassione per il compagno agonizzante, dall’altra invece avvertiva crescere l’odio e il disprezzo che provava per se stesso. Per tutto quel tempo si era limitato a considerare Dawber come un uomo scorbutico ed egoista, in realtà non conosceva nulla di lui.
Ancora non capiva per quale motivo egli avesse deciso di mettere a rischio la sua vita per proteggerlo, si sentiva in colpa per questo, in qualche modo si riteneva responsabile per ciò che era accaduto al suo compagno. Non riusciva a darsi pace, non sapeva per quale ragione Dawber stesse lottando tra la vita e la morte, mentre lui non poteva fare nulla per aiutarlo.
In quell’istante si rese conto di non aver meritato quell’occasione, aveva sempre pensato a proteggere i suoi commilitoni, ma era certo che se avesse dovuto scegliere tra la vita del suo compagno e la sua famiglia allora si sarebbe comportato come un codardo. La differenza tra lui e Dawber era proprio questa, il suo commilitone credeva di non avere più nulla da perdere, mentre lui aveva ancora una solida ragione di vita al di là della guerra.
Hugh si rattristò a quel pensiero, in quel momento promise a se stesso che se fosse sopravvissuto avrebbe fatto di tutto per rintracciare la famiglia di Dawber. In ogni caso avrebbe raccontato a loro la verità, sua moglie doveva sapere che l’uomo che aveva sposato aveva sacrificato ogni cosa per il bene della sua famiglia, e i suoi figli avevano il diritto di conoscere chi fosse realmente loro padre.
Ovviamente Hugh sperava che Dawber potesse sopravvivere per raccontare lui stesso la verità ai suoi cari, ma era consapevole che egli non l’avrebbe mai fatto, soprattutto dopo ciò che era successo.
Il giovane si morse il labbro per il nervosismo, le sue erano buone intenzioni, ma probabilmente non avrebbe dovuto intromettersi nella vita di un uomo che per quasi tre anni era stato solo poco più di uno sconosciuto.
Uno sconosciuto a cui aveva confidato le sue più intime paure e i suoi desideri più profondi. Uno sconosciuto che aveva dimostrato di essere disposto a sacrificarsi per salvargli la vita.
Hugh avvertì una fitta al petto, avrebbe desiderato urlare per la frustrazione, tutta quella faccenda era una tortura. Stava forse cercando un modo per redimere le sue colpe? Di cosa era realmente colpevole?
In fondo era stato Dawber a decidere…se davvero era così, allora perché non riusciva ad accettarlo?
Il soldato si poggiò con la schiena al muro, si sentiva in trappola, tormentato da mille accuse, con quella assurda colpa che continuava a gravare sulla sua coscienza.
Hugh spalancò le iridi scure, sussultò, tutto gli fu chiaro all’improvviso. Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Si era sbagliato fin dall’inizio, aveva sempre ignorato una verità che per tutto quel tempo era rimasta davanti ai suoi occhi.
In passato Dawber aveva sempre cercato di proteggerlo, ma lui non aveva mai compreso il reale motivo delle sue azioni. Il suo compagno aveva sempre nascosto i propri sentimenti dietro al muro di finta indifferenza che fin da ragazzo utilizzava come difesa. Spesso il suo altruismo era offuscato dal suo cinismo e della sua freddezza. Eppure Dawber si era sempre preoccupato per lui.
Hugh ripensò a ciò che era accaduto con Friedhelm, anche in quell’occasione il suo commilitone l’aveva messo in guardia sui rischi a cui sarebbe stato esposto aiutando quel tedesco. Non l’aveva fatto per mancanza di fiducia nei suoi confronti e nemmeno perché diffidava del prigioniero. Era semplicemente preoccupato per lui.
Hugh ricordava bene le accuse che aveva rivolto al suo compagno.
«Tu non puoi capire, a te non importa mai niente di nessuno!»
In quel momento si vergognò per essersi comportato in quel modo, allora non era riuscito a comprendere il suo punto di vista, ad essere sincero nemmeno ci aveva provato.
Solamente ora che Dawber si trovava disteso su quella branda, mutilato e in fin di vita, si rendeva conto dei propri errori.
Hugh si rannicchiò a terra, stremato e tremante si abbandonò a un silenzioso pianto.
 
***

Richard riprese conoscenza in una sicura cantina lontano dal campo di battaglia. Era stato adagiato su un comodo giaciglio e qualcuno aveva provveduto a medicare e fasciare la sua ferita al braccio destro. Il tenente provò a rialzarsi, ma riuscì solamente a sedersi sul materasso, la testa pulsava dal dolore, i suoi ricordi erano ancora frammentati e confusi.
Non aveva idea di come si fosse concluso lo scontro, in quelle condizioni non avrebbe potuto fare nulla per aiutare i suoi commilitoni. Avrebbe dovuto affidarsi a coloro che l’avevano soccorso, nella speranza che riuscissero a portare in salvo anche i suoi compagni.
Inevitabilmente le sue preoccupazioni lo riportarono a Finn. Richard aveva fiducia nel suo attendente, egli non era più un ragazzino indifeso, in diverse occasioni aveva dimostrato di essere pronto ad affrontare la guerra come un valido soldato. Era ancora giovane, ma le esperienze che aveva accumulato in quell’anno di guerra di certo avrebbero potuto rivelarsi utili.
Il tenente sospirò, ancora una volta aveva permesso ai suoi sentimenti di prendere il sopravvento. Per certi aspetti il suo assistente era stato più prudente, Richard ripensò a quando egli gli aveva confidato i suoi dubbi e i suoi timori a riguardo della loro relazione.
Quello che stiamo facendo è sbagliato. Se qualcuno dovesse sospettare la vera natura del nostro rapporto ci sarebbero delle conseguenze.
L’ufficiale era consapevole di tutto ciò, fino a quel momento si era illuso di poter gestire la situazione, ma con il tempo era diventato sempre più difficile nascondere quel profondo legame. Anche inconsciamente le sue azioni erano sempre condizionate dai propri sentimenti.
Green rimproverò se stesso per aver ceduto alla propria debolezza, aveva promesso di fare il possibile per salvare Finn, ma era rimasto troppo coinvolto dal loro rapporto. In questo modo aveva solamente complicato le cose.
Fino a quel momento solamente le persone a lui vicine avevano intuito la verità, ma non poteva permettere che certi sospetti iniziassero a diffondersi. Il sergente Redmond lo considerava quasi come un figlio, forse aveva capito, ma di certo non avrebbe mai fatto nulla per metterlo in pericolo. Lo stesso poteva valere per il dottor Jones, l’unico a cui indirettamente aveva confessato la verità. Il medico era un buon amico, l’aveva messo in guardia con estrema riservatezza, preoccupato più per la sua incolumità che per la propria…trasgressione.
Richard rifletté attentamente, nel momento in cui si era arruolato aveva deciso di rinunciare a tante cose, tra cui anche il proprio essere. In quegli anni di guerra però aveva infranto il suo giuramento, per ben due volte.
Il tenente avvertì gli occhi lucidi, ciò che era accaduto tra lui e il soldato Davis era qualcosa di completamente diverso. Entrambi avevano trovato conforto in quel rapporto, ma poi tutto era svanito all’improvviso. Era stato il suo compagno ad allontanarsi, al tempo Richard non aveva capito, si era sentito tradito e abbandonato. Solamente dopo la sua morte aveva compreso il reale motivo del suo comportamento.
Era certo di non aver mai amato Davis, erano state la paura e la solitudine a spingerlo tra le sue braccia, ma non poteva negare di essere stato profondamente legato a lui come amico e commilitone. Continuava a sentirsi colpevole e responsabile per la sua morte.
Era anche per questo che desiderava salvare Finn ad ogni costo, non voleva commettere gli stessi errori, non voleva perdere colui che si era rivelato essere la sua unica salvezza. Quel ragazzo era la sua ultima possibilità di redenzione.
Richard si riprese dai suoi ricordi, nel caso in cui i suoi sbagli avessero messo in pericolo la vita del suo compagno non avrebbe mai potuto perdonarsi. Non sarebbe stato semplice, ma era certo che Finn avrebbe potuto comprendere. Il tenente si sentì in colpa per quei pensieri, proprio mentre il suo amato era in pericolo stava decidendo di allontanarsi da lui.
Richard richiuse gli occhi, era stanco e confuso, le sue preoccupazioni continuarono a tormentarlo finché non cadde in un sonno profondo.
 
Quando il tenente Foley rientrò nel rifugio fu lieto di trovare il suo parigrado in buone condizioni. Green era seduto sul suo giaciglio, l’arto ferito era stato medicato e fasciato con cura.
«Come ti senti?» 
«È solo una ferita superficiale, mi riprenderò presto»
«Bene, è una buona notizia»
Richard rimase diffidente nei suoi confronti: «non capisco, come mai sei qui? È stato il capitano Howard a richiedere l’intervento delle tue truppe?»
William negò: «no, è stata una mia decisione. Quando non ho più ricevuto notizie del tuo plotone ho capito che doveva essere accaduto qualcosa e ho ritenuto che fosse mio dovere intervenire»
Green si sorprese nel sentire quelle parole: «è stato un atto veramente altruista e coraggioso da parte tua»
«Ho pensato che tuo fratello avrebbe fatto lo stesso»
Richard distolse lo sguardo restando in silenzio.
Foley si avvicinò: «so che il nostro ultimo incontro non è stato particolarmente amichevole, ma…sappi che non sono orgoglioso di quello che ho fatto»
«Hai le tue ragioni per odiarmi, per questo non capisco perché ti sei dato tanto da fare per salvarmi»
«Come ufficiale dell’esercito britannico ho imparato a lasciare le questioni personali lontano dal campo di battaglia»
«L’ultima volta mi hai accusato di essere un assassino» ricordò Green.
«E tu hai sostenuto di non avere rimorsi»
Richard non poté ribattere.
«Ho sbagliato a ritenerti l’unico colpevole della morte di Thomas» ammise William.
Egli scosse la testa: «sappiamo entrambi qual è la verità»
«Era mio fratello, avrei dovuto pensare a proteggerlo, invece l’ho abbandonato quando lui aveva bisogno di me»
Green percepì il profondo dolore di quella confessione, poteva ben comprendere quella sensazione, era la stessa che aveva provato con Albert. D’altra parte non poté negare la realtà a se stesso, era stato lui a premere il grilletto, indipendentemente da chi fosse il vero colpevole.
Foley si posizionò al suo fianco: «so che non hai avuto scelta e che hai svolto il tuo dovere. Non potrò mai perdonarti per quello che hai fatto ma…allo stesso tempo non riesco a condannarti»
«Hai pietà di me solo perché sono il fratello di Albert?»
William rispose con una smorfia, da quella conversazione stavano emergendo dolorose verità.
«Suppongo che tu conosca il valore di una promessa»
Green annuì.
Foley infilò una mano nella tasca della giubba, afferrò un piccolo oggetto metallico e lo porse al suo interlocutore.
«Per tutto questo tempo non sono riuscito a separarmene, ma credo che sia giunto il momento di riconsegnarlo al suo proprietario»
Richard sussultò: «è l’orologio di Albert!»
William annuì: «tuo fratello me l’aveva donato come prova della nostra amicizia, ma è giusto che sia tu a tenerlo»
Green strinse tra le mani quel prezioso cimelio di famiglia, era stato suo padre a regalare quell’orologio d’oro al figlio primogenito. Albert aveva sempre conservato quell’oggetto con estrema gelosia fin da quando erano ragazzini. Se aveva deciso di donare a un suo compagno qualcosa di così caro di certo doveva esserci una valida ragione. Il legame di amicizia tra Albert e William doveva essere stato davvero intenso e sincero.
«Avrei voluto riconsegnartelo il giorno del suo funerale, ma non ne ho avuto il coraggio. L’ho tenuto con me per tutto questo tempo perché non ero pronto a separarmene. Era il suo unico ricordo, non volevo restare senza più nulla di lui»
«Che cosa è cambiato adesso?»
«Non ho più bisogno di quell’orologio per sentirmi ancora vicino ad Albert»
William guardò Richard negli occhi, quelle parole erano vere, da quel momento il modo migliore per mantenere vivo il ricordo del suo migliore amico sarebbe stato rispettare la sua promessa.
Green rimase a contemplare le lancette dell’orologio, il tempo scorreva inesorabilmente e ancora non aveva ricevuto notizie di Finn e i suoi compagni.
 
Dopo qualche istante di silenzio il tenente Foley riprese il discorso: «c’era un’altra cosa di cui volevo parlarti»
Richard alzò lo sguardo: «di che si tratta?»
William prese un profondo respiro prima di rispondere: «io…non ti ho mai detto tutta la verità sulla morte di Albert»
Green trasalì: «anche tu credi che il suo non sia stato un suicidio?»
«Al tempo avevo dei dubbi e i tuoi sospetti non hanno fatto altro che alimentare queste orribili ipotesi»
«Il caporale Randall è coinvolto in tutto questo, vero?»
Egli annuì: «è una questione complessa»
«Per favore, ho bisogno di sapere tutta la verità su questa storia»
Il tenente Foley esitò, ma alla fine iniziò a raccontare tutto ciò che sapeva a riguardo.
 
***

Fronte britannico sul fiume Yser, ottobre 1915.
Albert rientrò nel rifugio con aria afflitta e sconvolta, era appena tornato dal processo del caporale Randall. Dalla sua espressione William intuì che l’esito non era stato quello sperato dal suo compagno.
«Suppongo che oggi non sia stata fatta giustizia» commentò tristemente.
Green sbuffò esternando la propria frustrazione.
«A quanto pare le prove non erano sufficienti»
«Nessun testimone?»
«Ovviamente nessuno tra quei soldati ha avuto il coraggio di accusare un superiore di essere un criminale»
«Mi dispiace, so che questo caso ti stava a cuore»
«Non posso permettere che Randall resti impunito dopo quello che ha fatto!»
«Concordo sul fatto che quell’uomo sia un essere spregevole, ma davvero credi che sia un assassino?»
«Non ho alcun dubbio a riguardo»
«Come puoi esserne così certo?» chiese William.
«Randall è uno di quegli uomini a cui la guerra ha dato la possibilità di liberare il proprio lato più oscuro e violento, ha imparato a convivere con l’orrore, e ha scoperto di trarre soddisfazione da tutto questo. È un soldato perfetto, in combattimento uccide senza pietà, ma ora non si limita più a questo. Quando non ci sono tedeschi a cui sparare deve trovare un altro modo per sfogare la sua sete di sangue»
Il tenente Foley inorridì: «che diamine stai dicendo?»
«È la verità, l’ho visto con i miei occhi…»
William si mostrò riluttante, non era certo di voler conoscere ogni particolare di quella storia.
«Non dimenticherò mai quel momento, eravamo ancora in Francia, un’esplosione accidentale causò un crollo in una galleria. Immediatamente corsi ad aiutare i feriti, sul luogo dell’incidente trovai Randall, era chino su un nostro compagno, il quale era steso a terra agonizzante, probabilmente intossicato dal fumo. Inizialmente sembrava che egli stesse cercando di soccorrerlo, ma avvicinandomi mi accorsi che non era così. Randall aveva la mano premuta sulla sua bocca, mentre quel poveretto stava soffocando lui lo guardava negli occhi, sembrava affasciato dalla sua sofferenza. Quando sono intervenuto ovviamente ha negato tutto…ma io sono certo di quel che ho visto»
Foley iniziò a preoccuparsi: «faresti meglio a stare lontano da questa storia»
«Non posso permettere che i suoi crimini restino impuniti!»
«Dannazione Albert! Non puoi mettere in pericolo la tua vita in questo modo!»
«Almeno io ho intenzione di battermi per la giustizia»
«Non ti bastano i tedeschi? Vuoi farti dei nemici anche nelle nostre linee?»
«L’ultima vittima di Randall era un ragazzo di vent’anni, avrebbe potuto essere mio fratello»
Foley guardò il suo compagno negli occhi, ormai lo conosceva bene, sapeva che egli non si sarebbe arreso tanto facilmente.
«Sai che io sono sempre stato disposto a sostenerti in tutto, ma…questa volta devo chiederti di rinunciare. Si tratta di qualcosa di veramente pericoloso»
«Siamo al fronte, qui ogni cosa è pericolosa!»
«Tu non hai idea di quel che stai facendo»
«Dovrei star zitto e voltare la testa dall’altra parte? È così che funziona l’Esercito britannico?»
«Adesso basta, per favore, cerca essere ragionevole. Sei riuscito ad ottenere un processo, che altro vorresti fare?»
Albert non rispose, ma dal suo sguardo Foley intuì che l’amico fosse determinato ad andare fino in fondo a quella storia.
 
***

William riportò ogni parola di quel dialogo, in quegli anni aveva ripensato più volte a quella discussione.
Richard ascoltò tutto con estrema attenzione.
«Tu credi che sia stato Randall a uccidere Albert?»
«Tutto quello che so è che il caporale aveva una ragione per voler morto tuo fratello»
«Per quale motivo quando ti ho rivelato i miei sospetti non hai voluto dirmi la verità?»
«Allora eri ancora sconvolto per la scomparsa di Albert, non volevo che tu facessi qualcosa di stupido e avventato»
Richard fu costretto ad ammettere che egli aveva ragione, probabilmente al tempo si sarebbe lasciato sopraffare dalla disperazione.
«Ho ritenuto che fosse giunto il momento di essere sincero nei tuoi confronti» continuò Foley.
«Apprezzo ciò che stai facendo, so che non deve essere facile per te»
«È assurdo, ma nonostante tutto tu sei l’unico che può comprendere il mio dolore»
«Albert mi parlava spesso di te, eri il suo unico amico, sei stato davvero importante per lui»
William si commosse nel sentire quelle parole: «per questo mi sento in colpa»
«Non avresti potuto salvare mio fratello né da Randall né da se stesso»
Foley fu lieto di trovare un po’ di conforto, per tanto tempo era rimasto solo con i propri demoni. Fu una liberazione condividere quei tormenti.
«Che ne è stato del caporale Randall?» chiese Richard.
«Poco dopo il processo è stato trasferito in un altro reggimento, non ho più avuto sue notizie»
«Sei sicuro di non ricordare nulla di più?»
«Vorrei davvero aiutarti a scoprire la verità sulla morte di Albert, ma temo che ormai sia troppo tardi»
Green stava per aggiungere qualcosa, ma in quel momento qualcuno bussò freneticamente alla porta.
Foley si rialzò e ordinò al suo sottoposto di entrare.
Un soldato ansante si presentò sulla soglia: «signor tenente, abbiamo perlustrato l’intero villaggio, i tedeschi si sono ritirati»
William rimase impassibile: «dobbiamo organizzare le difese e restare in allerta. Questo avamposto è importante per il nemico, dobbiamo essere pronti in caso di contrattacco»
L’uomo annuì.
«C’è dell’altro?»
Il soldato si voltò verso l’ufficiale ferito: «sì signore. Abbiamo trovato degli altri dispersi»
Lo sguardo di Richard si illuminò, tentò di muoversi, ma il suo parigrado lo trattenne.
«Quando starai meglio ti riporterò dai tuoi uomini, adesso però devi riposare»
Il tenente Green avrebbe desiderato opporsi, ma era troppo debole anche solo per reggersi in piedi. Lentamente tornò a sdraiarsi sul suo giaciglio, cedendo alla stanchezza.

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Capitolo 24
*** Natale 1917 ***


 
XXIV. Natale 1917


Il tenente Green fu lieto di ricongiungersi con i suoi uomini, il sottotenente Waddington fu il primo a presentarsi a lui, informandolo sugli ultimi eventi.
«L’intervento del tenente Foley è stato provvidenziale, grazie al supporto delle sue truppe siamo riusciti a costringere il nemico alla ritirata»
«Questa tregua non durerà, anche con gli uomini di Foley non potremo resistere a lungo ad un prossimo contrattacco»
«L’unica speranza è che gli scozzesi riescano a raggiungerci prima dei rinforzi tedeschi»
Il tenente sospirò: «in ogni caso devo complimentarmi con lei, in mia assenza è riuscito a gestire al meglio la situazione»
«Purtroppo abbiamo subìto gravi perdite. Gli uomini sono devastati nel corpo e nello spirito, non sarà semplice risollevare loro il morale. La morte del soldato McCall ha colpito tutti noi»
Richard trasalì: «McCall è stato ucciso?»
«Un proiettile gli ha trafitto la giugulare, ha sofferto molto prima di esser soffocato dal suo stesso sangue. Il dottor Jones non ha potuto fare nulla per salvarlo»
«È davvero terribile…»
«Già, forse dovrebbe parlare con il soldato Walsh. I due erano amici, per lui deve esser stato orribile assistere ai suoi ultimi istanti di vita. Sono certo che uno dei suoi discorsi potrebbe essere d’aiuto in una simile circostanza»
«Temo che non sarà sufficiente, ma cercherò di fare del mio meglio»
Waddington parve soddisfatto da quella risposta, così si congedò senza aggiungere altro.
 
Richard era intenzionato a rispettare la sua parola, ma appena raggiunse il posto di soccorso un grido lo distolse dal suo compito.
«Signor tenente!»
L’ufficiale si rassicurò riconoscendo la voce del sergente Redmond.
«Sono davvero felice di rivederla. Ero certo che lei sarebbe stato l’uomo giusto per portare a termine quella missione»
«Non è stato semplice, ma siamo stati fortunati a trovare il tenente Foley» rispose Redmond.
Richard si limitò ad annuire con un cenno. 
Il sergente notò l’espressione preoccupata del suo superiore.
«Signore, credo che dovrebbe vedere una persona…»
Green intuì il significato di quelle parole e non esitò a seguire il sottufficiale lungo il corridoio. Redmond lo accompagnò in una stanza dove erano stati radunati alcuni feriti. Tra quei volti stremati e afflitti Richard riconobbe i lineamenti del suo attendente.
Finn aveva atteso a lungo quell’incontro, nonostante tutto dentro di sé non aveva mai perso la speranza. Il ragazzo osservò con apprensione il braccio fasciato del suo superiore, non sapeva ancora nulla a riguardo, ma era certo che la ferita del tenente fosse connessa al suo tentativo di salvataggio, in qualche modo si sentì responsabile.
Entrambi avrebbero voluto dire molte cose, ma l’essenziale venne comunicato senza l’uso della parola. Un semplice scambio di sguardi fu sufficiente a svelare i sentimenti reciproci.
Richard percepì qualcosa di strano, ma in quell’occasione lasciò perdere. Aveva la consapevolezza che il suo amato fosse vivo e al sicuro, per il momento era tutto ciò di cui aveva bisogno.
 
Il soldato Walsh era rannicchiato contro il muro in un angolo dell’infermeria, il suo sguardo vacuo restava perso nel vuoto.
Green interpellò il dottor Jones.
«Da quanto tempo è in quelle condizioni?»
«Dal termine della battaglia, non parla, non dorme e non mangia. È davvero ridotto male»
Richard prese un profondo respiro, non era mai semplice affrontare situazioni simili.
Il tenente si avvicinò al soldato, lentamente si posizionò al suo fianco e si chinò per guardarlo negli occhi.
«Il sottotenente Waddington mi ha raccontato quello che è successo a McCall. Mi dispiace, so che eravate molto amici…»
Walsh rimase impassibile e in silenzio.
«So che cosa hai provato in quegli istanti, quando hai avvertito il suo ultimo respiro e hai visto il suo sguardo spegnersi davanti ai tuoi occhi. Ti sei sentito impotente, avresti desiderato trovarti al suo posto. Saresti stato disposto a sacrificare la tua vita pur di non perdere il tuo compagno»
Il soldato sentì gli occhi lucidi, per la frustrazione strinse i pugni finché le nocche non divennero bianche.
«Non sei l’unico ad aver provato questo dolore, purtroppo nulla potrà mai colmare il vuoto della tua perdita, ma voglio che tu sappia che non devi affrontare tutto questo da solo»
Walsh non riuscì ad impedire alle lacrime di scendere lungo il suo viso.
Il tenente lasciò che il suo sottoposto si sfogasse, aveva bisogno di tempo, non c’era altro che potesse fare per lui. Prima di lasciarlo posò una mano sulla sua spalla per rassicurarlo.
Walsh alzò la testa, non disse nulla, ma il suo sguardo manifestò un velo di gratitudine.
Richard si rialzò, in quel momento si accorse di star tremando. Ripensando alla morte di Davis aveva rievocato anche le medesime sensazioni.
 
Il tenente Foley corse per le strade ghiacciate e deserte, strinse l’arma tra le mani e si affrettò a raggiungere la postazione d’osservazione. Salì affannosamente le scale del campanile e con ancora i polmoni in fiamme interrogò le sentinelle.
«Che cosa succede? Per quale motivo mi avete chiamato con tanta urgenza?»
«Signor tenente, qualcuno si sta avvicinando, guardi lei stesso» spiegò un soldato porgendo il binocolo al suo superiore.
William seguì le indicazioni del suo sottoposto, attraverso le lenti opache vide solamente delle ombre all’orizzonte.
L’ufficiale si mostrò turbato, il suo plotone era rimasto isolato troppo a lungo. Non aveva idea se l’avanzata delle truppe alleate avesse avuto successo, non sapeva se il confine si fosse spostato, non conosceva l’esito delle ultime battaglie…non poteva più avere un quadro chiaro e preciso del fronte.
Proprio mentre era immerso in queste riflessioni una sentinella iniziò a strillare.
«Signore, quelli sono i nostri Mark IV! Sono arrivati gli scozzesi!»
Dopo aver controllato di persona William emise un respiro di sollievo ed alzò lo sguardo al cielo: «grazie a Dio, questo è davvero un miracolo di Natale»
La sentinella si stupì nel sentire quelle parole. Il suo superiore non si era mai dimostrato particolarmente religioso, inoltre a causa della guerra aveva dimenticato anche le date. Soltanto in quel momento si ricordò che quella giornata era la seconda domenica d’Avvento.
 
***

Hugh strinse tra le mani tremanti quel prezioso foglio, ancora non credeva che ciò fosse reale: era stato uno dei pochi fortunati a ricevere una licenza per Natale.
In realtà non avrebbe dovuto stupirsi, in passato aveva provato in ogni modo ad ottenere quel pezzo di carta, ricordava di aver insistito a lungo con il tenente Green. Era certo che fosse stato lui a concedergli quel permesso.
Fino a poche settimane prima avrebbe accolto quella notizia con estrema gioia e felicità, ma in quell’istante provò soltanto un’intensa tristezza. Ovviamente desiderava tornare a casa, ma l’idea di rivedere la sua famiglia per poi abbandonarla nuovamente gli provocava solamente un profondo dolore.
Inoltre quello era il momento peggiore per abbandonare Dawber, le sue condizioni non erano migliorate, a quel punto nemmeno i medici avevano più alcuna certezza.
Hugh lesse ancora il permesso di licenza, considerando i giorni di viaggio avrebbe potuto restare con la sua famiglia per due intere settimane. Nonostante tutto il giovane accennò un debole sorriso, quello sarebbe stato il primo Natale insieme ai suoi figli.
Il soldato ripiegò il foglio e lo ripose con cura nel taschino della giacca, avrebbe dovuto sfruttare al meglio quell’occasione, forse non ci sarebbe stata un’altra possibilità.
Hugh trascorse l’ultima notte prima della partenza in ospedale, vegliando sul suo commilitone. Si sentiva in colpa per il suo imminente abbandono, ma allo stesso tempo era consapevole che la sua presenza al capezzale del compagno ferito non avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. Il pensiero che più lo opprimeva era la possibilità che Dawber potesse andarsene senza che lui fosse al suo fianco, in quel caso avrebbe solamente desiderato potergli dire addio.
Era ormai notte fonda quando la giovane infermiera, il cui nome era Beth, giunse a controllare le condizioni del paziente. Hugh si rassicurò, quella ragazza era stata la sua unica confidente, almeno aveva la consapevolezza di non star lasciando Dawber completamente solo.
L’infermiera si sorprese nel trovare il soldato seduto sulla solita sedia: «come mai è ancora qui? Credevo che fosse in partenza…»
«Prenderò il treno all’alba, volevo restare qui questa notte»
«So che è difficile, ma non deve perdere la speranza»
«Non avrei voluto lasciarlo così…»
«Anche la sua famiglia ha bisogno di lei»
Hugh sospirò: «a dire il vero sono piuttosto nervoso all’idea di tornare in Inghilterra»
«Per quale motivo? Sono certa che tutti saranno felici di rivederla»
«Ho paura di deludere i miei cari, manco da casa da tanto tempo, i miei figli non si ricordano nemmeno di me»
«Quando sarà con loro non dovrà preoccuparsi di questo. Quei bambini hanno solo bisogno dell’amore di un padre, in quel momento saprà esattamente cosa fare»
Egli si rassicurò a quel pensiero: «la ringrazio, le sue parole sono davvero confortanti»
La ragazza rispose con un timido sorriso: «sua moglie è una donna molto fortunata, spero di sposare un buon uomo come lei un giorno»
Hugh distolse lo sguardo con lieve imbarazzo.
Beth si allontanò augurandogli buon viaggio, lasciandolo nuovamente solo con i suoi tormenti.
 
Prima di poter raggiungere Calais Hugh fu costretto a sostare in diversi villaggi distrutti dalla guerra, la ferrovia era un obiettivo ambito dalle squadriglie della Luftstreitkräfte, a causa dei frequenti bombardamenti anche i minimi spostamenti erano lenti e complessi.
La traversata fu altrettanto travagliata, con il mare in tempesta la nave continuò a sobbalzare pericolosamente tra le onde. Hugh rimase per tutto il tempo rinchiuso nella sua cabina, disteso su una branda soffrendo di nausea e vomito. Le scogliere di Dover apparivano come un lontano miraggio, soltanto quando la nave attraccò al porto Hugh si rese conto di aver davvero attraversato la Manica. Il viaggio però era ancora lungo.
I suoi compagni erano cupi e silenziosi, con i loro volti inespressivi e gli sguardi vacui apparivano già come fantasmi.
Il treno si allontanò dalla periferia di Londra, attraversò il confine della contea e proseguì la sua corsa verso est. Le stazioni sembravano tutte uguali, ma pian piano il paesaggio divenne sempre più familiare. Dal finestrino Hugh contemplò con malinconia i campi innevati e i laghi ghiacciati, finalmente provò la sensazione di essere vicino a casa.
Con uno sbuffo di fumo nero la locomotiva segnalò il suo arrivo in un piccolo paese di campagna dall’aspetto anonimo e tranquillo. Quando Hugh scese dal vagone si ritrovò circondato da una piccola folla di curiosi, un signore di mezza età si levò il cappello e gli strinse la mano con sincera ammirazione.
«Bentornato soldato, siamo tutti orgogliosi di voi ragazzi che combattete al fronte. Viva il Re! Viva l’Inghilterra!»
Hugh rimase alquanto disorientato e confuso, quell’uomo non fu l’unico ad accoglierlo con tanto entusiasmo.
Il giovane fuggì fuori dalla stazione, iniziò a camminare guidato solamente dall’istinto, conosceva a memoria i luoghi dove era cresciuto. Attraversò il ponte e con commozione riconobbe la strada dove da bambino giocava a biglie con i suoi amici.
Hugh svoltò l’angolo per raggiungere la via principale, nella piazzetta della chiesa notò un gruppo di ragazzini che si rincorrevano lanciandosi palle di neve. Egli sorrise, era passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva visto qualcuno ridere e scherzare in quel modo.
Uno di loro si avvicinò incuriosito e gli rivolse il saluto militare, il soldato rispose assecondando il suo gioco, ma provò un profondo dolore nel pensare che i nuovi arrivati al fronte non erano molto più vecchi di quel ragazzino.
Poco più avanti Hugh sostò davanti alla vetrina di una bottega, non riuscì a credere che quell’immagine fosse il suo riflesso. Si domandò cosa avrebbe pensato sua moglie di lui, in quelle condizioni quasi non era in grado di riconoscere se stesso.
Era ormai calata la sera quando Hugh si ritrovò a percorrere la via di casa. Non aveva avvertito nessuno del suo ritorno per timore di non rispettare la promessa, dunque quella sarebbe stata una sorpresa per la sua famiglia.
Hugh si fermò sul vialetto, la luce del salotto era accesa, oltre alle tende intravide un’ombra.
Il soldato rimase immobile davanti al portone, esitò a lungo prima di trovare il coraggio di battere sul legno.
Avvertì il rumore di alcuni passi, poi la porta si spalancò e l’esile figura di sua moglie Edith comparve sulla soglia.
«Hugh! Sei tornato!»
Il giovane non trovò la forza di rispondere, stringeva ancora il fucile nella mano destra e l’elmetto nella sinistra.
Sua moglie scoppiò in lacrime gettandogli le braccia al collo: «oh, tesoro. Non posso credere che tu sia davvero qui!»
A quel contatto Hugh tornò in sé, abbandonò il peso dell’arma per ricambiare quell’abbraccio.
Finalmente riuscì a parlare: «sì, amore. Sono tornato…sono a casa»
Hugh prese il volto della moglie tra le mani e la guardò negli occhi.
«Sei sempre bellissima» disse prima di baciarla.
Entrato in casa Hugh fu avvolto da una piacevole sensazione di calore.
«Dove sono i bambini?»
«È tardi, stanno già dormendo…però voglio che tu li veda»
Edith prese la mano del marito e dolcemente l’accompagnò sulle scale.
Hugh sbirciò all’interno della stanza, mosse qualche passo nella penombra, facendo attenzione a non svegliare il bambino rannicchiato sotto alle coperte. Sua moglie aveva ragione, più cresceva e più diventava simile a lui.
Hugh si avvicinò con esitazione alla culla posizionata vicino alla finestra. Aveva visto sua figlia solamente una volta, in quell’occasione la neonata era ancora avvolta in fasce. Erano passati otto mesi da allora, Hugh avvertì una fitta al petto, la guerra l’aveva tenuto lontano dalla sua famiglia per troppo tempo.
Edith raggiunse il marito lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio, entrambi restarono ad ammirare la bambina beatamente addormentata.
 
Hugh si sedette sul bordo del letto accanto alla moglie.
Edith osservò con apprensione il suo viso pallido e scarno.
«Deve essere terribile laggiù…»
Egli tentò di rassicurarla: «non è sempre così. Nonostante tutto sono stato fortunato, ho dei buoni compagni e un ottimo comandante»
«Ho sentito storie tremende, i giornali parlano dei gas e dei lanciafiamme»
Hugh ripensò agli orrori delle trincee, una volta aveva visto un uomo bruciare vivo, si era dimenato come un dannato finché non si era accasciato al suolo, asfissiato dal fumo e ustionato dal fuoco. A volte nei suoi incubi sentiva ancora quelle urla strazianti. Di certo non avrebbe potuto raccontare nulla del genere alla sua amata.
«Non dovresti credere a quello che dicono i quotidiani, i giornalisti scrivono solamente menzogne»
In fondo non aveva mentito, la situazione era decisamente peggiore rispetto a quella presentata nelle prime pagine del Times o del Daily Mail.
Edith si rannicchiò contro il suo petto in cerca di conforto. Hugh provò una strana sensazione, mentre stringeva la moglie tra le sue braccia si sentiva ancora lontano, pensava ai suoi compagni rimasti al fronte, a Dawber che giaceva inerme nel suo letto d’ospedale, a Friedhelm e alla sua condanna…
Hugh strinse ancora più a sé il corpo dell’amata, poteva avvertire il profumo dei suoi capelli e il calore della sua pelle, ma ciò non rendeva la sua presenza più reale. Il giovane era consapevole che presto quella illusione di pace sarebbe svanita, diventando solamente un lontano ricordo.  
Non poteva fare nulla per impedirlo, ormai era già tutto perduto.
 
***

Il capitano Howard accolse nel suo rifugio il tenente Green con sincera commozione.
«Sono davvero felice di rivederla, ciò che ha fatto a Flesquieres è stato davvero ammirevole»
«Se non fosse stato per l’intervento del tenente Foley la missione sarebbe terminata in un massacro»
«Ho letto il resoconto del sottotenente Waddington, anche in una situazione così drammatica lei ha sempre anteposto il bene dei suoi uomini»
«Ho dovuto compiere delle scelte…purtroppo non ho potuto fare di più»
«Ha svolto il suo dovere. Sono lieto di informarla che il suo plotone resterà a riposo ad Arras per un paio di settimane»
Richard parve rincuorato da quella notizia: «almeno quest’anno i miei uomini non dovranno festeggiare il Natale in trincea»
«A proposito, lei più di tutti ha bisogno di riposo. Nelle sue condizioni può richiedere un permesso speciale, se lo desidera può prendere il treno per Calais questa stessa sera. Sarà di ritorno a casa in tempo per la Vigilia»
Il tenente rifiutò: «la ringrazio, ma non posso accettare. Sono certo che qualche altro ufficiale sarà felice di prendere il mio posto per trascorrere questo periodo in Inghilterra»
«È passato molto tempo dalla sua ultima licenza…»
«Sono consapevole che finché ci sarà questa guerra il mio posto resterà qui sul campo di battaglia»
Howard comprese le sue ragioni: «capisco, almeno mi prometta che penserà a riprendersi»
Green si limitò ad annuire per gentilezza, si congedò rapidamente, desiderava terminare al più presto quella conversazione.
 
Durante il viaggio in treno Richard ripensò all’offerta del capitano Howard, non aveva riflettuto nemmeno un istante prima di rifiutare. Da tempo trascorreva tutte le sue licenze a Parigi, ormai erano trascorsi due anni dall’ultima volta in cui aveva attraversato la Manica. Era tornato a casa per Natale nel 1915, un mese dopo la morte di Albert.
Ricordava l’atmosfera cupa e opprimente che regnava in quella borghese villa di campagna, le stanze buie e vuote, il silenzio interrotto solamente dal pianto di sua madre.
Suo padre invece non aveva fatto altro che caricarlo di nuove responsabilità, sulle sue spalle gravavano anche tutte le aspettative e le speranze che il genitore aveva precedentemente riposto nel suo primogenito.
Il signor Green aveva grandi piani per i suoi figli, ma se Albert si era sempre dimostrato all’altezza della situazione Richard non aveva mai mostrato particolare interesse nel soddisfare i desideri del padre.
Egli era certo di non poter essere quel figlio ideale, odiava tutti quei discorsi riguardanti il suo futuro, soprattutto quando l’argomento principale diventava un suo possibile matrimonio.
Così aveva deciso che non sarebbe più tornato in Inghilterra, aveva già troppe preoccupazioni al fronte, non aveva intenzione di affrontare anche il severo giudizio dei suoi parenti.
La morte di Albert aveva lasciato un vuoto incolmabile, la famiglia Green era stata distrutta dalla guerra.
 
***

La cittadina di Arras era stata ridotta in rovine, non era l’ambientazione ideale per un sereno Natale, ma qualunque luogo lontano dalla prima linea sarebbe apparso santo quanto la stessa Betlemme.
La notte del loro arrivo i soldati si dedicarono ai festeggiamenti, ricorrendo alle riserve di alcolici e ai rifornimenti che prontamente erano giunti in supporto dalla Patria.
In breve una folla consistente si riunì in piazza, gli inglesi, animati dallo spirito natalizio, non esitarono a condividere le scorte di cibo con i civili.
Richard rimase in disparte ed osservò con una certa malinconia i suoi commilitoni che ridevano e cantavano con ritrovata spensieratezza.
«Tenente! Venga con noi, c’è da bere per tutti qui!» esordì il sottotenente Waddington, avvicinandosi con una bottiglia di brandy.
Egli rifiutò scuotendo la testa: «brindate anche alla mia salute»
Green si allontanò, dopo una breve passeggiata tra le macerie tornò con calma al suo rifugio. All’interno trovò il suo assistente, il quale si era rintanato in solitudine. Il ragazzo era rimasto in silenzio per l’intero viaggio, Richard aveva voluto attendere il momento giusto, ma ormai era stanco di vedere il giovane in quelle condizioni.
«È da quando abbiamo lasciato Flesquieres che ti comporti in modo strano, avanti, dimmi che cosa è successo»
Finn esitò, era certo che Richard avrebbe potuto comprenderlo e aiutarlo, eppure faticava a trovare il coraggio di parlare dell’accaduto.
«Durante l’assalto al villaggio io…ho ucciso un uomo. Ho sparato a un tedesco guardandolo negli occhi…» rivelò infine con voce tremante.
Il tenente non si trovò impreparato di fronte a quella confessione: «non devi avere rimorsi per quello che hai fatto, hai solo svolto il tuo dovere come soldato»
«Se davvero non ho fatto nulla di sbagliato allora perché non riesco a liberarmi da questo senso di colpa?»
«Uccidere non è mai semplice, nemmeno quando non si ha altra scelta»
«Sono consapevole di quale sia il mio compito in questa guerra, eppure ancora non riesco ad accettarlo»
Richard si sedette accanto al suo assistente.
«Non ho mai dimenticato nessuna delle mie vittime. Ricordo bene la prima volta in cui ho ucciso un uomo. Accadde durante un violento assalto sul fronte dell’Yser, mi ritrovai ad affrontare il mio primo nemico in un violento corpo a corpo. Riuscii a sopraffare il mio avversario e lo infilzai con la baionetta. La lama si incastrò tra le sue coste, il tedesco soffriva orribilmente, tanto che alla fine decisi di premere il grilletto per liberarlo da quell’agonia»
Finn rabbrividì ascoltando quel racconto.
«Come puoi sopportare tutto questo?»
Lo sguardo del tenente si incupì: «un soldato deve imparare a convivere con i suoi fantasmi»
 
Dopo qualche istante di silenzio Finn riprese la parola: «per quale motivo il tenente Foley ha voluto salvarti la vita?»
Richard scosse le spalle: «per mantenere fede ad una vecchia promessa»
«Quando ti ha accusato di omicidio provava solo odio e rancore nei tuoi confronti»
«Foley non mi ha perdonato per quello che ho fatto, per lui resterò sempre l’assassino di suo fratello»
«Hai intenzione di fidarti di lui?»
«Dopo quel che mi ha rivelato non ho motivo per dubitare della sua sincerità»
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Richard estrasse dal taschino l’orologio d’oro: «mi ha riconsegnato questo, apparteneva a mio fratello…era un dono molto importante per lui»
Finn riconobbe il prezioso oggetto che aveva visto nella fotografia.
«Mio fratello l’aveva regalato a William in nome della loro amicizia. È strano, ma…entrambi abbiamo sofferto per la scomparsa di Albert»
«Sono contento che il tenente Foley abbia deciso di soccorrerci, ma non posso dimenticare quello che ti ha fatto»
«William si è lasciato sopraffare dal rancore, ma le sue ragioni sono comprensibili. Posso assicurarti che egli non è un uomo malvagio»
Finn non credette del tutto a quell’affermazione.
Richard non disse nulla su Randall, non aveva ancora preso alcuna decisione a riguardo, ma di certo non voleva coinvolgere il suo attendente in quella pericolosa faccenda.
 
***

Quel periodo di riposo fu accolto come una benedizione dalle truppe britanniche. I soldati furono lieti di non dover trascorrere un altro Natale in trincea, a tremare dal freddo, chiedendosi quando la tregua sarebbe giunta al termine, domandandosi da quale fronte sarebbe partito il primo sparo e pregando di non essere i destinatari del prossimo proiettile.
Il tenente Green trovò alloggio in un’elegante villetta borghese risparmiata dai bombardamenti. Era più piccola, ma non molto differente da quella appartenente alla sua famiglia. Aveva a disposizione un letto comodo, un tavolo spazioso, la libreria dei vecchi proprietari, sedie per gli ospiti e un bel camino ancora perfettamente funzionante.
Non avrebbe potuto chiedere di più per trascorrere in pace e tranquillità quel breve periodo di riposo.
In tutto questo però ciò che più contribuì a rendere piacevole la sua permanenza ad Arras fu la compagnia del suo attendente. Era solo una questione di tempo, ma seppur per poco, i due amanti poterono approfittare di quella tregua per vivere a pieno il loro rapporto.
Entrambi erano consapevoli che quell’illusione presto sarebbe svanita, al di fuori di quelle mura diroccate la loro relazione restava qualcosa di estremamente pericoloso, un oscuro segreto da nascondere.
 
Quella sera il tenente si posizionò accanto al camino, osservò le fiamme che danzavano nell’oscurità abbracciato al suo attendente.
«Sarà tutto diverso quando torneremo al fronte» disse Richard con profonda tristezza.
Finn poggiò la testa sul suo petto: «lo so, ma va bene così. L’importante è restare insieme, non conta in che modo»
Il tenente rimase sorpreso dalla sua risposta. Il suo assistente aveva dimostrato di essere disposto ad accettare quelle condizioni, dando prova della sua maturità.
L’ufficiale guardò il suo compagno negli occhi, in lui non riconobbe più l’ingenuo ragazzino che più volte si era lasciato sopraffare dalle proprie emozioni. In quel momento comprese di essersi posto delle preoccupazioni inutili, non doveva più pensare a Finn in quel modo, certe cose erano già cambiate per entrambi.
Green sfiorò il viso del suo attendente con una tenera carezza.
«Qualunque cosa accada voglio che tu sappia che i mei sentimenti nei tuoi confronti sono sinceri e lo saranno sempre»
Pur non avendo mai avuto dubbi a riguardo Finn si rassicurò nel sentire quelle parole.
Richard strinse il giovane a sé, non aveva intenzione di sprecare quei preziosi momenti, non restava che quell’ultima notte per abbandonarsi al loro amore.
 
 
 
 
Note dell’autrice
Grazie a tutti voi per essere arrivati fin qui.
In questo capitolo di tregua lontano dalle trincee ho voluto prendermi un po’ di tempo per permettere ai vari personaggi di confrontarsi con se stessi e con gli eventi che li hanno coinvolti.  
Prossimamente ritroveremo i protagonisti al fronte, esattamente a un anno di distanza dall’inizio di tutte queste vicende.
Siamo così giunti all’ultimo anno di guerra, ma l’Armistizio è ancora lontano.
Grazie di cuore per il prezioso supporto, spero che il racconto possa continuare a interessarvi e appassionarvi^^

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Capitolo 25
*** Sulle rive della Scarpe ***


 
XXV. Sulle rive della Scarpe
 

Nord-Pas-de-Calais, febbraio 1918.
Finn si risvegliò all’alba, i primi raggi di sole filtrarono attraverso le finestre barricate. Il ragazzo si rigirò nel suo giaciglio tra le coperte irrigidite dal gelo.  
Dopo i primi istanti di esitazione si rialzò dalla sua branda barcollando nella penombra, i suoi compagni lentamente si destarono dal mondo dei sogni tra sonori sbadigli e qualche imprecazione.
Finn si rivestì in fretta, meccanicamente infilò gli scarponi e strinse la cintura.
Facendo attenzione a non inciampare tra le assi sconnesse attraversò la stanza, la porta era ancora chiusa, così dovette spostare la pesante sbarra di ferro per uscire all’esterno. Avvertì il tiepido calore del sole, il giovane fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano, i riflessi sulla neve crearono uno scintillante gioco di luci.
Finn si riprese da quella sorta di allucinazione e si diresse a passo sicuro verso il ruscello.
Si chinò per osservare il suo riflesso increspato, in quei mesi la guerra gli aveva conferito un aspetto più maturo, il suo volto restava ancora quello di un ventenne, ma il suo sguardo non era più puro e innocente.
Egli si sciacquò il viso con l’acqua gelida, tornando rapidamente alla realtà.
Come ogni mattina attese pazientemente il suo turno per la colazione, la quale consisteva in tè caldo e pane raffermo. Niente marmellata, quella era finita da un bel pezzo.
Quella mattina l’ispezione fu rapida, il sergente Taylor non trovò alcuna infrazione, ma non perse l’occasione per ripetere a tutti la sua solita predica. Nell’Esercito britannico doveva regnare ordine e disciplina…ormai avrebbe potuto ripetere quel discorso a memoria.
L’addestramento cominciava con una lunga corsa attraverso i campi ancora innevati. Finn non aveva un fisico forte e muscoloso, ma possedeva un’ottima resistenza, oltre all’agilità e alla velocità anche quella era una dote a suo favore.
La corsa mattutina poteva essere considerata anche piacevole se rapportata al percorso ad ostacoli. Per ore i soldati avrebbero dovuto strisciare nel fango sotto al filo spinato, arrampicarsi sulle corde e saltare in fossati colmi di melma. Finn aveva affrontato un simile addestramento come recluta nelle campagne inglesi, ma aveva dimenticato in fretta quel periodo dopo aver raggiunto il fronte.
Le altre attività erano decisamente più stimolanti, le esercitazioni in trincea potevano rivelarsi sempre utili, ma le sue preferite erano le simulazioni di combattimento nel bosco. Quelle erano le uniche occasioni per restare nel mezzo della natura, dove poteva apprezzare l’intenso profumo del legno e i colori brillanti della vegetazione sempreverde.
Al tramonto la foresta risplendeva di riflessi magici, quando la luce rossastra illuminava i rami ghiacciati filtrando tra le fronde.
Così, sopportando il rigido comando di Taylor, le esercitazioni non risultavano così terribili. Lo sforzo fisico era notevole, ma al campo si provava una strana esaltazione, ci si preparava alla guerra, eppure ci si sentiva ancora vivi.
Seppur precaria quella condizione era ben vista dai soldati. Le notizie che giungevano dalla prima linea però non erano affatto rassicuranti, gli inglesi erano ormai stanchi e afflitti a causa delle ultime sconfitte.
 
Quel pomeriggio Finn e i suoi compagni raggiunsero le posizioni di tiro, i soldati si esercitavano a sparare con fucili e mitragliatrici utilizzando bersagli di ogni genere. I colpi echeggiavano nella vallata deserta, le pallottole affondavano nei sacchi di sabbia, colpivano assi di legno, oppure facevano esplodere barattoli e bottiglie.
Finn e Hugh occuparono una postazione dandosi il cambio per ricaricare l’arma.
Ogni tanto qualche curioso sostava vicino alla staccionata per vedere se i colpi andavano a segno.
Il soldato Myles rimase per un po’ ad osservare i due tiratori, poi si decise ad avvicinarsi.
«Che ne dite di rendere la questione più interessante?» chiese con aria di sfida.
«Dipende…qual è la proposta?» replicò Hugh con diffidenza.
«Una gara, io ed Harry contro voi due, chi fa più punti vince il premio»
«Quale sarebbe la posta in gioco?» chiese Finn.
Myles sorrise: «l’ultima bottiglia di whiskey»
Hugh scambiò un rapido sguardo con il suo compagno.
«Mi sembra un buon accordo» concluse sigillando quel patto con una stretta di mano.
Le due squadre dimostrarono di essere praticamente allo stesso livello, la competizione si prolungò colpo dopo colpo.
Ben presto una piccola folla si riunì per assistere alla sfida, incitando i compagni con grida di esaltazione. Quella competizione divenne il principale intrattenimento per quei soldati stanchi e annoiati.
L’ennesima bottiglia si frantumò colpita dal proiettile, decine di frammenti di vetro si scagliarono al suolo. 
«Un altro punto per noi! Adesso siamo pari!» esordì Hugh dopo aver segnato il colpo.
Myles avanzò in posizione, sicuro di non poter fallire. Puntò il fucile e premette il grilletto.
Dopo il colpo dello sparo non sì udì più nulla, la pallottola cadde nella neve, poco distante dal suo obiettivo.
Il barattolo era ancora integro.
Hugh si rivolse al suo compagno: «forza, possiamo batterli! Se colpisci il bersaglio stavolta abbiamo vinto!»
Finn prese un profondo respiro, in quel momento pensò di avere una grande responsabilità. Era una questione di onore, doveva dimostrare qualcosa ai suoi compagni.
Il giovane avvertì un’intensa scarica di eccitazione, sfiorò il grilletto, poi sparò il fatidico colpo.
Il familiare rumore di vetri rotti confermò che il tiro aveva avuto successo.
Finn rimase immobile finché non avvertì la mano di Hugh sulla sua spalla.
«Bravo ragazzo! Sapevo che ce l’avresti fatta!»
Myles reagì con una smorfia di disapprovazione.
«È stata solo fortuna» concluse rimettendosi il fucile in spalla e abbandonando la postazione di tiro.
 
A cena Finn ingurgitò avidamente la sua porzione di cibo, ovvero una brodaglia insapore, ciò che riusciva a mettere sotto ai denti era il minimo necessario per placare i crampi della fame.
Hugh si sedette al suo fianco, il giovane si guardò intorno con cautela, poi infilò una mano all’interno della giacca e porse al suo compagno un pezzo di formaggio.
Finn sgranò gli occhi per lo stupore: «come hai fatto a procurartelo?»
«Dopo il turno di guardia sono stato alla fattoria»
Egli si insospettì: «quei francesi non hanno mai voluto avere a che fare con noi…»
Hugh rispose con un amaro sorriso: «potranno anche diffidare di noi inglesi, ma non rifiutano il nostro denaro»
Finn non domandò più nulla a riguardo, limitandosi ad assaporare con gusto quel prezioso dono.
«Hai saputo qualcosa sulle condizioni di Dawber?»
Hugh negò tristemente: «so solamente che è stato trasferito in un altro ospedale, lontano dal fronte…laggiù forse potranno fare qualcosa di più per lui»
«Ne sono certo»
«Non voglio illudermi con false speranze»
«Mi dispiace, ma tu non dovresti sentirti in colpa, hai fatto il possibile per salvarlo»
Hugh apprezzò il suo tentativo di conforto, ma in fondo continuava a sentirsi responsabile per la sorte del suo compagno.
 
Quella sera i soldati si radunarono intorno al fuoco, Finn e i suoi compagni si spartirono il bottino di quella giornata. Non tutti però erano abituati al buon whiskey, gli effetti dell’alcol si manifestarono rapidamente.
Finn bevve un lungo sorso, sentì la gola bruciare e a stento riuscì a deglutire. Il giovane avvertì una vampata di calore e divenne rosso in viso, immediatamente tentò di ricomporsi, ma finì ugualmente per tossire con una smorfia disgustata.
Un suo commilitone scoppiò in un’allegra risata, poi lo incitò a buttar giù un secondo sorso.
Poco dopo il ragazzo si trovò a vagare tra la folla di soldati in cerca di Hugh, la vista iniziò ad annebbiarsi mentre la testa continuava a girare.
Ad un tratto una figura alta e robusta si presentò davanti a lui, la luce intensa delle fiamme illuminò il volto del soldato Myles.
Egli sogghignò: «che hai Coogan? Credevo che quelli come te reggessero bene l’alcol»
Il giovane non capì: «quelli come me?»
«Già, voi irlandesi siete soltanto degli sporchi ubriaconi!»
Finn tentò di ignorare la sua provocazione.
«Che c’è? Non rispondi senza il tenente Green a difenderti?»
Quella volta non riuscì a trattenersi, strinse i pugni per la rabbia. Nel sentire quelle parole perse il controllo e immediatamente si avventò sul suo compagno, il quale reagì tentando di respingerlo. I due caddero rotolando nella neve.
La lite attirò l’attenzione degli altri soldati, i quali si affrettarono ad intervenire.
Hugh afferrò Finn per le spalle e trattenendolo lo separò dal suo avversario. Il ragazzo continuò a dimenarsi, il suo compagno fu costretto ad allontanarlo con la forza.
Quando la situazione si fu calmata Hugh decise di chiarire la questione.
«Si può sapere che diamine ti è preso?»
Finn sbuffò: «Myles è davvero un bastardo!»
«Su questo non posso darti torto, ma non vale la pena mettersi nei guai per un motivo così stupido»
«Mi dispiace, io…non avrei dovuto reagire in quel modo»
Pur non giustificandolo Hugh poté comprendere il suo compagno.
«È meglio che tu vada a farti una bella dormita»
Finn si rialzò in piedi barcollando, mosse solo pochi passi prima di chinarsi a terra per vomitare.
Hugh accompagnò il suo commilitone all’interno della baracca, l’aiutò a svestirsi e lo distese sulla sua branda.
«Adesso pensa a riposare, domani mattina ti sentirai meglio»
 
Finn si rigirò tra le coperte, avvertiva ancora la testa pulsare dal dolore.
Ripensando all’accaduto inevitabilmente si ritrovò a pensare al tenente Green, era trascorso ormai un mese dalla loro separazione. All’inizio dell’anno il suo superiore era stato richiamato alla caserma di Arras per occuparsi delle nuove reclute, poi aveva dovuto presentarsi al quartier generale per prender parte insieme ad altri ufficiali alle riunioni del generale Emmet. Da allora non aveva più avuto sue notizie.
Il giovane aveva accettato di buon animo quel distacco, inizialmente le giornate erano state occupate da intensi allenamenti e lunghe marce, mentre alla sera poteva rincuorarsi grazie ai ricordi degli ultimi momenti trascorsi con il tenente. Con il passare del tempo però la sua mancanza era diventata sempre più dolorosa e difficile da sopportare. Era consapevole che in quelle condizioni non avrebbe potuto pretendere nulla dal loro rapporto, eppure in quel momento anche solo la presenza del suo superiore avrebbe potuto rassicurarlo.
Era triste pensare che non avrebbe rivisto il suo amato prima di tornare al fronte.  
Finn si rassegnò, richiuse gli occhi e lentamente cadette alla stanchezza.
 
***

Le reclute erano migliorate notevolmente durante la loro permanenza in caserma. Il tenente Green non poteva che esserne orgoglioso, il sergente Redmond aveva svolto un ottimo lavoro con i nuovi arrivati.
«Oh, è anche merito suo tenente, quei ragazzi la considerano un vero eroe»
Richard scosse la testa: «quando torneremo in trincea sarà tutto diverso»
«Non dovrebbe preoccuparsi di questo, ha conquistato la loro fiducia, quei soldati sono pronti ad affiancarla in ogni impresa»
Green si rassicurò nel sentire quelle parole.
«Spero di poter tornare presto al comando del plotone, per il momento non ho ancora ricevuto ordini a riguardo»
«Sembra che il generale Emmet stia preparando le truppe per qualcosa di importante» intuì Redmond.
L’ufficiale si strinse nelle spalle: «per ora i suoi piani restano segreti»
Il sergente non sembrò preoccuparsi, conosceva bene i ritmi della guerra, da un momento all’altro tutto poteva cambiare, dunque era il caso di apprezzare i brevi istanti di quiete prima dell’imminente tempesta.
«Devo tornare al quartier generale, ho ancora alcune questioni di cui occuparmi»
«Mi ha fatto piacere ricevere la sua visita» ammise Redmond con sincerità.
Richard si congedò con un’amichevole stretta di mano, poi si allontanò proseguendo lungo il sentiero.
 
La vallata della Scarpe si estendeva sul lato destro del pendio, il tenente Green osservò il percorso del fiume che scorreva attraverso campi innevati e villaggi abbandonati. Nel silenzio e nella quiete del bosco Richard poté avvertire solamente il rumore della neve che crepitava sotto agli zoccoli. L’ufficiale accarezzò il dorso del suo destriero, uno splendido stallone dal manto nero e lucido, il quale era sempre mite e quieto in sua presenza.
Sulla strada del ritorno Richard strinse le briglie e dando di sprone incitò l’animale al galoppo, aveva dimenticato quanto fosse piacevole l’eccitazione della velocità e la sensazione di libertà che provava avvertendo il vento tra i capelli.
Da ragazzo aveva partecipato anche a qualche competizione, ottenendo sempre ottimi risultati, la sua stanza in Inghilterra era ancora decorata con premi e coccarde. Quella mattina, inebriato da quei ricordi, decise di correre per la campagna francese come se si trovasse in un campo d’allenamento.
Purtroppo in territorio di guerra il percorso era ostruito da pericolosi ostacoli, saltando un fosso il cavallo si ferì a causa del filo spinato. Richard fu sbalzato dalla sella e cadde nella buca piena d’acqua.   
Fortunatamente ciò accadde accanto all'accampamento della 18° Divisione Manchester, i soldati che assistettero all’evento si affrettarono a soccorrere cavallo e cavaliere.
L’ufficiale riemerse dalla pozza fangosa completamente fradicio, ma incolume.
«Peccato per il finale tenente, stava correndo forte come Steve Donoghue! [1]» ironizzò un caporale.
Richard si preoccupò immediatamente di controllare le condizioni del suo cavallo.
Un soldato lo rassicurò: «non è nulla di grave, ma temo che dovrà rinunciare alle sue passeggiate per un po’»
Green trattenne un’imprecazione tra i denti, il comandante di cavalleria non sarebbe stato lieto di sapere che aveva azzoppato uno dei suoi migliori esemplari.  
 
Più tardi il tenente Green si presentò alla mensa degli ufficiali per il suo appuntamento con il maggiore Farrell. Nonostante tutto fu contento di ritrovare il suo superiore dopo tanto tempo, i due si salutarono con un caloroso abbraccio.
«Sono felice di rivederti» disse Richard prendendo posto di fronte al suo compagno.
«Anche io, per un periodo ho temuto il peggio. Sono stato ferito a Passchendaele, sono rimasto per più di un mese in un ospedale militare francese, poi mi hanno concesso una licenza di tre settimane, infine ho dovuto completare l’addestramento in Inghilterra prima di poter tornare al fronte»
«Ti trovo bene» commentò Richard.
«Ammetto di essermi goduto la vita da civile, sentivo la mancanza di cene eleganti e serate a teatro»
«Un anno fa dicevi che la guerra sarebbe finita presto, invece siamo ancora qui»
«Il generale Emmet si sbagliava, ma al fronte tutti noi avevamo bisogno di credere a quelle illusioni»
«La battaglia di Passchendaele è stata un massacro mentre l’attacco a Cambrai si è concluso con una ritirata…»
«Vedo che non hai perso il tuo solito cinismo»
«Non è una questione di pessimismo, sono solamente obiettivo e realista. Le ultime operazioni dell’Esercito britannico si sono concluse con terribili sconfitte. Gli uomini sono stanchi e demoralizzati, è con questo spirito che torneranno in prima linea»
«Le cose cambieranno presto»
«Come puoi esserne certo?»
«Be’, adesso abbiamo anche il supporto degli americani»
Richard assunse un’aria pensierosa, ma non disse nulla a riguardo.
Il maggiore Farrell offrì al suo compagno una sigaretta.
«Ho saputo del tuo incontro con il colonnello Harrison»
Richard espirò una nuvola di fumo: «qui le voci girano in fretta»
«Sono tornato da poco, ho dovuto informarmi sulle novità. Allora…di che si tratta?»
«Abbiamo discusso di tante cose, ma l’argomento principale è stata la mia promozione»
Farrell sorrise: «davvero? Dunque tra poco dovrò iniziare a chiamarti capitano Green?»
Egli scosse la testa: «no, non dovrai fare nulla del genere»
Il maggiore gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Ho rifiutato la proposta del colonnello»
John trasalì: «hai rinunciato alla tua promozione?»
Green annuì.
«Tu sei completamente impazzito. Credevo che ti importasse fare carriera nell’esercito»
«Forse una volta era così…adesso è diverso»
«Che cosa è successo?»
«La promozione avrebbe previsto un trasferimento, era una condizione che non potevo accettare. Ho preso il comando del mio plotone poco prima della Somme e da allora ho affrontato con quei soldati ogni battaglia. Non potrei mai abbandonare i miei uomini, loro si fidano di me ed io ho bisogno di loro. È così che funziona»
«È stata una scelta davvero ammirevole»
«Non avrei potuto agire diversamente»
Farrell buttò giù l’ultimo sorso di vino rosso.
«È un peccato che tu non sia tornato in Inghilterra per Natale. Ti avrei invitato nella mia casa a Londra…oh, avremmo potuto divertirci! In Patria siamo considerati come degli eroi, credimi, in questo periodo le ragazze vanno pazze per le uniformi!»
Richard sorrise, nonostante tutto il suo compagno era rimasto sempre lo stesso. Guerra e donne, non c’era altro di cui discutere con lui.
«Mi piacerebbe ascoltare un’altra delle tue avventure, ma il capitano Howard mi sta attendendo nel suo ufficio, a quanto pare si tratta di una questione importante»
«Conoscendo Howard temo che tu sia finito nei guai»
Il tenente sospirò: «spero di non avere brutte sorprese, quest’anno è appena iniziato e già ho avuto abbastanza problemi…»
 
Richard entrò nello studio del capitano Howard con un certo nervosismo. 
«Tenente, la stavo aspettando. Per favore, chiuda la porta»
Green obbedì e si posizionò davanti alla scrivania del suo superiore.
«Non ho mai avuto occasione di parlare con lei a riguardo di ciò che è accaduto a Passchendaele»
Richard rimase impassibile: «sono accadute tante cose nelle Fiandre…»
«Sa bene che mi sto riferendo all’esecuzione di quel prigioniero»
«Credevo che la questione fosse ormai risolta»
«Ho voluto aspettare che le acque si fossero calmate prima di affrontare l’argomento con lei»
Green attese di conoscere la reale motivazione di quel richiamo.
«Il suo comportamento è stato inammissibile, come ha osato rivolgersi in quel modo a un suo superiore?»
«Non ho alcun rimorso per quel che ho fatto»
«Se avessi deciso di fare rapporto su di lei avrei avuto abbastanza prove per accusarla di insubordinazione»
«Se ha scelto di non denunciarmi è perché anch’egli era consapevole dell’errore che stava commettendo»
Il capitano Howard distolse lo sguardo: «ha accusato l’Esercito britannico di star commettendo un crimine. Si rende conto delle possibili conseguenze di questa sua affermazione?»
«So che la corte marziale preferisce il silenzio alla verità, ma io non sono quel tipo di ufficiale»
«Lei è sempre stato un ottimo ufficiale, per questo ho voluto concederle una seconda possibilità, ma voglio essere chiaro nei suoi confronti, ciò non accadrà mai più!»
«Non le ho mai chiesto nulla, ho sempre accettato le conseguenze delle mie azioni»
«L’esercito ha bisogno di persone esperte e competenti come lei, non può rischiare di perdere tutto per una simile imprudenza!»
«Da quando l’onestà è un’imprudenza?»
«Lei sa come funzionano le cose, siamo in guerra, alcune battaglie sono più importanti di altre»
«La vita di un uomo non è un valore trattabile»
«La sua integrità è ammirevole, ma in certe condizioni potrebbe rivelarsi pericolosa»
Richard si indignò: «dovrei mettere a tacere la mia coscienza?»
«Dovrebbe limitarsi ad eseguire gli ordini, evitando di intromettersi in questioni che non la riguardano»
«Conosco bene qual è il mio ruolo nell’esercito»
«Le sto solo chiedendo di riflettere più attentamente prima di compiere azioni di cui potrebbe pentirsi»
Richard esternò la propria frustrazione, aveva ascoltato con insofferenza quei rimproveri.
«Tenente Green, voglio che lei sappia che io non sono un suo nemico. Queste raccomandazioni sono solo per il suo bene»
Egli restò diffidente.  
«Non ho altro da dirle, mi auguro che lei sappia cosa fare»
Il tenente esitò: «posso porle un’ultima domanda?»
Howard annuì.
«Che fine ha fatto quel prigioniero?»
Il capitano rispose freddamente: «è stato destinato al villaggio di Pattishall [2]»
Richard parve rassicurato da quella notizia.
«Dunque alla fine non è stato condannato…»
«Le consiglio di accontentarsi di questa vittoria, per questa volta è stato fortunato»
Con queste ultime parole il capitano Howard concluse definitivamente il colloquio. Il tenente abbandonò il suo ufficio senza alcuna certezza, ma con la consapevolezza di trovarsi in una scomoda posizione.
Da quel momento in poi avrebbe pagato per ogni suo errore.
 
Richard rifletté su quel che era appena accaduto. Non aveva paura di accettare le conseguenze delle proprie azioni, ma non si trattava solamente di se stesso. Doveva sempre pensare al meglio per il suo plotone, avrebbe dovuto essere più cauto e prudente in futuro. Essere marchiato con disonore, anche se per una buona causa, non era ciò a cui aspirava. Era una questione di equilibrio, da una parte c’era la sua morale incorruttibile e dall’altra le intransigenti ragioni della guerra. Era compito di un buon comandante trovare una via di mezzo, una soluzione che non spostasse troppo l’ago di quella bilancia.
Richard scosse la testa, stava complicando la faccenda più del dovuto, presto sarebbe stato nuovamente coinvolto dalla guerra e allora non avrebbe più avuto tempo per riflettere.
Aveva già preso la sua decisione, avrebbe continuato a fare il suo dovere, seppur in modo più consapevole, cercando di restare il più possibile lontano dai guai.
 
Nel suo alloggio il tenente Green ritrovò un po’ di pace e tranquillità. Quelle settimane di separazione forzata dal suo plotone non erano state semplici da affrontare. Era certo che al fronte avrebbe trovato una situazione tutt’altro che favorevole. I tedeschi si erano ben difesi dopo l’ultimo attacco, dimostrando di essere disposti a difendere il confine con ogni mezzo. La linea Hindenburg era ancora solida e intatta, di certo i villaggi circostanti erano stati occupati da truppe fresche e riposate.
Nonostante queste previsioni poco incoraggianti Richard aveva deciso di riporre fiducia nel generale Emmet.
Era pronto per la prossima battaglia, quel periodo lontano dalle trincee era durato anche troppo a lungo, aveva bisogno di tornare a combattere a fianco dei suoi uomini.
In tutto ciò il suo grande dilemma restava Finn. Era consapevole che non avrebbe mai potuto considerare quel ragazzo solamente come il suo attendente. Quel rapporto, per quanto inopportuno e pericoloso, restava la sua unica salvezza. Non aveva mentito, i sentimenti che provava per lui erano puri e sinceri. Era disposto a qualsiasi sacrificio pur di proteggerlo, ancora una volta Richard giurò a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per mantener fede alla sua promessa.
 
 
 
 
Note
[1] Campione britannico di corsa al galoppo in testa alle classifiche dal 1914 al 1923. 
[2] Campo di prigionia attivo durante la Grande Guerra nella Contea di Northampton.

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Capitolo 26
*** Truppe d'assalto ***



XXVI. Truppe d’assalto
 

Somme (fronte britannico), 13 marzo 1918.
Finn, ormai abituato alla pesante routine di trincea, non fu particolarmente turbato dal ritorno in prima linea.
Erano cambiate tante cose da quando per la prima volta aveva raggiunto il fronte, il soldato trovava ormai familiare quell’ambiente ostile e fangoso.
Aveva atteso a lungo quel momento, ma il suo ricongiungimento con Richard non era stato privo di delusioni. Pur essendo il suo attendente Finn non vedeva spesso il tenente, e anche in quei rari momenti era difficile trovare la giusta occasione per liberarsi da ogni formalità.
Non era un ingenuo, sapeva di non potersi permettere alcuna illusione, ma nonostante ciò non aveva potuto reprimere i propri sentimenti. Il giovane era stato costretto a scendere a compromessi, e ben presto quella vicinanza era divenuta tanto confortante quanto dolorosa.
Richard era tornato a calarsi del tutto nel suo ruolo di ufficiale, sentiva sempre di più il peso delle sue responsabilità ed era determinato a svolgere al meglio il suo dovere. Anche quando si rivolgeva al suo fidato assistente si esprimeva con tono freddo e autoritario. Finn non poteva accusare il tenente per questo, comprendeva bene le sue ragioni, ma ancora non riusciva ad accettare del tutto quelle condizioni.
Il giovane sospirò, anche quella sera era solo nel rifugio. Nonostante la stanchezza non riuscì a chiudere occhio, quei tristi pensieri continuarono a tormentarlo.
 
Il cielo si era rasserenato, le stelle splendevano nell’oscurità. Nella terra di nessuno brillavano i riflessi del chiaro di luna. Tutto appariva tranquillo, la vallata era avvolta dal silenzio.
Le sentinelle si strinsero nei cappotti per ripararsi dal vento gelido. Ad un tratto avvertirono il rumore di alcuni passi, appena scorsero la figura del loro superiore si posizionarono sull’attenti e si portarono la mano all’elmetto.
Il tenente Green non si intrattenne come al suo solito, la sua consueta ronda di mezzanotte era stata interrotta da un richiamo improvviso. L’ufficiale passò davanti ai due soldati senza rivolgere loro la parola e rapidamente proseguì attraverso il labirinto di gallerie e camminamenti. Alla fine raggiunse il rifugio del capitano Howard, una riunione urgente nel mezzo della notte non preannunciava nulla di rassicurante. Il tenente era stato convocato in presenza di altri ufficiali, dunque si trattava di qualcosa di veramente importante.
Howard era immobile nella penombra con un’espressione seria sul viso.
«Sono giunte notizie dal quartier generale. I tedeschi stanno organizzando un attacco, sappiamo che la linea Hindenburg si è rafforzata, il nemico può contare su un vasto numero di uomini e armamenti»
«Anche noi abbiamo solide difese e soldati ben addestrati, i crucchi non ci troveranno impreparati» replicò il sottotenente Waddington.
Howard rimase impassibile: «abbiamo già avuto prova delle tattiche di sfondamento utilizzate dai tedeschi durante le scorse battaglie. Non abbiamo informazioni certe, non sappiamo quando, ma sicuramente il nemico attaccherà…e quando ciò accadrà dovremo ricorrere a tutte le nostre risorse per resistere e respingere l’assalto»
 
Il tenente Green camminò avanti e indietro lungo la trincea con una sigaretta tra le labbra e un’espressione assorta sul viso. Rifletté a lungo su ciò che aveva appena appreso. Era ben consapevole di quel che sarebbe successo, non aveva intenzione di sottovalutare il pericolo. Il nemico voleva la sua rivincita, era determinato a riconquistare il terreno perduto con ogni mezzo a sua disposizione. Al contrario di quel che sosteneva la propaganda l’Esercito tedesco non era affatto decimato e indebolito.
Sarebbe stato uno scontro feroce e spietato, una battaglia decisiva dove assalitori e difensori avrebbero combattuto senza alcuna pietà. Altro sangue sarebbe stato versato sulle rive della Somme.
 
Quando rientrò nel suo rifugio Richard fu lieto di trovare il suo attendente ancora sveglio. Finn era rimasto ad attenderlo, premuroso e fedele come sempre.
Il tenente si avvicinò e senza alcuna esitazione accolse il giovane con un abbraccio.
Egli si sorprese per quel gesto, dal suo ritorno al fronte Richard non aveva mai manifestato il suo affetto.
Il ragazzo si rassicurò, aveva sofferto a lungo per la mancanza del suo superiore, sentiva la necessità di quel contatto fisico.
Richard sfiorò il suo viso con una leggera carezza e lo guardò intensamente negli occhi. In quel momento Finn ebbe la conferma che nulla era cambiato tra loro.
Il tenente strinse il giovane a sé, aveva bisogno di sostegno e conforto, e nient’altro avrebbe potuto infondergli speranza come il calore e l’affetto della persona amata.
Finn poggiò la testa sul suo petto, lasciandosi calmare dal battito del suo cuore e dal ritmo del suo respiro. Si abbandonò tra le braccia del suo compagno, il suo animo era sempre turbato da paure e preoccupazioni, ma nonostante tutto Richard restava il suo appiglio sicuro.
 
***

Saint-Quentin, 21 marzo 1918.
Quella notte il tenente August Spengler, comandante di compagnia della Seconda Divisione Bavarese, raggiunse il fronte insieme ai suoi uomini. La lunga marcia era stata accompagnata da un’infinita processione di soldati, carri e vagoni colmi di pezzi d’artiglieria e munizioni. Le truppe tedesche avevano potuto progredire solo nell’oscurità, mentre di giorno erano state costrette a nascondersi dall’acuta vista degli aviatori britannici.
Una volta raggiunta la sua postazione il tenente Spengler osservò con orgoglio l’enorme disposizione di uomini e armamenti, in quel momento pensò che dopo quei lunghi anni di sofferenze e sacrifici l’Esercito tedesco avrebbe potuto conquistare una grande vittoria.
 
L’attacco iniziò all’alba con l’artiglieria pesante, la vallata avvolta dalla nebbia fu bersagliata da una pioggia di proiettili, i crateri furono invasi da intense nubi di gas. Il tuono dei mortai divenne sempre più intenso e minaccioso.
Il bombardamento proseguì sempre più violentemente, la tempesta si placava solo per brevi intervalli, tempo necessario per permettere l’avanzata delle truppe d’assalto.
Per ore un uragano di proiettili travolse l’intera area di combattimento. L’artiglieria tedesca continuò a crepitare senza sosta, le raffiche erano sempre più rapide ed intense, gli artiglieri tedeschi si trovarono a maneggiare armi roventi e incandescenti.
I proiettili che colpirono il fronte britannico rilasciarono nubi tossiche che avvolsero le trincee. La composizione chimica dei gas nervini era piuttosto varia, i tedeschi avevano a disposizione ogni genere di veleno tossico e non risparmiarono nemmeno un proiettile. Vennero scagliate bombe contenenti cloro, arsenico, fosgene e infine anche quelle con il noto e temuto gas mostarda. 
Il tenente Spengler osservò il campo di battaglia, lentamente l’oscurità iniziava a dissolversi. L’ufficiale rassicurò i suoi uomini, i quali attendevano ansiosamente il momento dell’azione. Erano tutti frementi e impazienti con il fucile stretto tra le mani e le maschere anti-gas appese al collo. Nel fervore della battaglia l’esaltazione riusciva sempre a sopraffare la paura.
Avevano atteso a lungo quell’opportunità, finalmente l’Esercito tedesco aveva l’occasione di dimostrare a pieno la propria potenza.  
Il tenente avvertì il cuore battere nel petto e il sangue pulsare nelle vene, assistere a quella dimostrazione di forza militare, tra quell’enorme massa di uomini pronti a dimostrare il proprio valore, fu veramente commovente. Nel suo animo sentì un profondo orgoglio, non si trattava solo di patriottismo, quella era la vera ragione per cui stava combattendo quella guerra. Tutte le battaglie a cui aveva preso parte in quei lunghi quattro anni lo avevano condotto lì in quel preciso momento, le sconfitte non avevano più alcuna importanza, quel giorno erano pronti per la grande vittoria.
Il bombardamento aumentò d’intensità, tanto che le mura del villaggio iniziarono a tremare. Sembrava che fosse giunta la fine del mondo, Spengler sorrise a quel pensiero, in un certo senso ciò era vero.
 
***

Il tenente Green fu scaraventato dalla sua branda da un’intensa esplosione. Inizialmente pensò che un proiettile avesse colpito il rifugio, ma le pareti continuarono a tremare, le assi del soffitto traballarono pericolosamente mentre dall’alto caddero cumuli di terra.
Richard non ebbe più dubbi a riguardo, il fatidico giorno dell’attacco era arrivato.
Quando uscì in superficie l’ufficiale si trovò davanti ad uno scenario terrificante. I soldati, atterriti e spaventati, assistettero inermi a quella catastrofe. Una tempesta di proiettili sorvolò le loro teste per abbattersi sul villaggio alle loro spalle. Le rovine furono avvolte da una fiammata accecante.
Rapidamente Richard corse alla postazione telefonica per provare a contattare i settori vicini, il bombardamento era appena iniziato, ma già era saltato ogni collegamento.
Era impossibile provare a capire che cosa stesse accadendo, nell’intera linea britannica regnavano caos e terrore.
Il tenente Green decise di affidare a due staffette il compito che i mezzi telefonici non erano più in grado di svolgere. I due soldati uscirono allo scoperto nel mezzo del bombardamento, Richard li vide scomparire tra il fumo e la nebbia.
Entrambi tornarono dopo un’ora, tremanti e sconvolti, ma ancora tutti interi. Quando il tenente li interrogò furono in grado di fornire una sola risposta. 
«Le bombe stanno cadendo ovunque!»
 
Le alte mura di fango che si ergevano a lato della trincea iniziarono a crollare, i soldati furono travolti e sommersi da cumuli di terra. Le sentinelle si ritrovarono a sguazzare nella melma fino alle ginocchia.
Finn si rannicchiò a terra, era certo che presto anche la parete che lo stava proteggendo dalle schegge sarebbe franata ed egli sarebbe stato sepolto vivo. Il ragazzo inorridì, solo a quel pensiero si sentì soffocare.
Miracolosamente la trincea continuò a resistere anche ai colpi più violenti.
Finn avvertì un’intensa sensazione di calore, la testa pulsava dal dolore, a fatica lottava contro l’istinto di vomitare. Pur indossando la maschera gli effetti del gas stavano iniziando a manifestarsi.
Il giovane strinse l’arma, aveva fissato la baionetta e seguendo gli ordini del sottotenente Waddington era rimasto in allerta. Nonostante ciò il momento dell’azione non arrivò. I soldati restarono accovacciati contro la parete, isolati dietro alle loro maschere antigas, in solitudine, tentando di non lasciarsi sopraffare dalle proprie paure e dai pensieri sempre più opprimenti.
Abbandonato a se stesso Finn percepì di star perdendo il controllo. Era intrappolato in quella pozza di melma stagnante, mentre la buca continuava a riempirsi di una nebbia densa e mortale. Tutto ciò che poteva fare era rannicchiarsi nel fango e aspettare, stordito dal fragore e dalle scosse delle esplosioni. 
Con il passare del tempo, mentre il bombardamento diventava sempre più intenso, la paura lasciò spazio ad una flebile speranza. Lentamente Finn tornò in sé. Resistere era sempre più difficile, non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto mantenere i nervi saldi. Avrebbe preferito dar sfogo alla sua frustrazione affrontando direttamente il nemico. In quel momento il ragazzo giunse ad una considerazione che in quelle condizioni poteva anche sembrare rassicurante: sotto a quel bombardamento erano al sicuro dall’attacco della fanteria.
 
***

L’artiglieria tedesca dimostrò di essere totalmente efficiente. Durante l’azione gli obiettivi furono colpiti con estrema precisione, vennero distrutti i rifugi e le vie di comunicazione, ma si evitò con attenzione di danneggiare strade, ponti e ferrovie, tutte infrastrutture che sarebbero state utili per permettere l’avanzata delle truppe.
 
Il tenente Spengler era appostato con la sua squadra in una trincea non troppo distante dalla linea avversaria. Tutto stava proseguendo secondo i piani, le truppe d’assalto erano pronte per entrare in azione.
Il grande momento era finalmente arrivato. Un razzo illuminò la prima linea britannica, le trincee squarciate erano avvolte dal gas e dalla nebbia.
Finalmente il bombardamento si quietò, Spengler diede il segnale, i suoi uomini avanzarono nella terra di nessuno.
C’era qualcosa di profondo e primordiale nello sguardo di quei soldati, il loro spirito era sopraffatto dall’ebrezza della battaglia. Desiderio di rivalsa, senso del dovere, rabbia, esaltazione, sete di sangue…erano queste le ragioni che spronavano quegli uomini a saltar fuori dalle loro buche e ad avanzare a passo sicuro verso le linee nemiche, esponendosi senza timore davanti al pericolo.
Spengler conosceva bene quelle sensazioni, le aveva provate altre volte, in fondo era questo che un soldato si aspettava dalla guerra.
Un po’ si vergognava per questo, ma non poteva negare la realtà: non si era mai sentito così vivo come in quel devastante scenario di morte e distruzione. L’ufficiale estrasse la pistola e proseguì attraverso il campo di battaglia, impassibile di fronte a quell’orrore, animato intensamente dal desiderio di affrontare il nemico.
 
Lo scontro infervorava tra il fumo, il fuoco, la polvere e il sangue. I tedeschi avanzavano con ardore verso la linea nemica, sfidando pallottole e granate.
Il tenente Spengler si ritrovò coinvolto nel vivo del combattimento. L’ufficiale lanciò una bomba a mano, dopo l’esplosione si gettò nella buca. Cadde sopra a un cadavere, altri due soldati erano sopravvissuti. Senza esitazione Spengler sparò al secondo uomo, il quale aveva il fucile puntato ma non fu abbastanza rapido a premere il grilletto. 
L’ultimo inglese rimasto in quella fossa giaceva agonizzante al suolo con una scheggia conficcata nel fianco. Con le ultime forze alzò la testa per guardare il tedesco in volto e con un flebile lamento implorò pietà.
Spengler strinse la pistola, riuscì a comprendere solo poche parole, ma queste non lo lasciarono indifferente. Il suo dovere era combattere, non giustiziare nemici inermi e disarmati. Dopo qualche istante di esitazione l’ufficiale tedesco scostò l’arma. Si allontanò risparmiando l’avversario ferito, afferrò un’altra granata e si preparò a conquistare la postazione seguente.  
 
Vide un gruppo di commilitoni avventurarsi in un rifugio, ma erano troppo distanti, così Spengler decise di proseguire in solitaria. Si calò in una trincea sventrata, intorno a lui notò solamente cadaveri, alcuni dei quali erano di soldati tedeschi. I suoi compagni l’avevano preceduto, lo scontro doveva esser terminato da poco.
I vapori asfissianti dei gas iniziavano a diradarsi, il tenente proseguì stringendo saldamente la Mauser nella mano destra e una bomba sferica nella sinistra.
 
Spengler superò il terrapieno sotto al violento tiro incrociato, i proiettili provenivano da ogni direzione, gli inglesi si stavano difendendo con ferrea resistenza. Appena uscito da quel tornado di fuoco il tenente riconobbe un volto amico. L’ufficiale si unì al suo compagno, i due avanzarono nel fango, per un lungo tratto non incontrarono più nessuno. Le trincee erano deserte, il nemico sembrava essersi ritirato.
Spengler stava per dire qualcosa, nulla di importante per l’azione, solo qualche frase per incoraggiarsi a vicenda. Non riuscì a proferire nemmeno una parola, proprio in quel momento una rapida serie di colpi partì dalla barricata britannica.
Spengler si gettò a terra, il corpo del suo commilitone ricadde al suo fianco, inerme e in una pozza sangue.
Il tenente rimase immobile davanti al cadavere del suo compagno, avvertì un nodo alla gola e gli occhi umidi.
Il terreno tremò, il fragore della battaglia riportò Spengler alla realtà. A stento si rialzò sulle braccia tremanti, strisciò sui gomiti e si gettò in un cratere.
Il tenente restò per qualche istante rannicchiato al riparo, stremato e sconvolto, si abbandonò ad un pianto tra la rabbia e la disperazione.
Quel momento di sconforto non durò a lungo, Spengler riprese rapidamente il controllo di sé. Nel tentativo di calmarsi prese la borraccia e buttò giù un lungo sorso di cherry brandy.
Ad un tratto avvistò un gruppo di mitraglieri appostati in un fosso poco distante, i suoi compagni rispondevano con altrettanta intensità al fuoco nemico.
Spengler si fece forza, uscì nuovamente allo scoperto e raggiunse i suoi commilitoni. I soldati accolsero con entusiasmo l’arrivo dell’ufficiale, riconoscendo in lui una figura di riferimento.
Il tenente si impadronì della mitragliatrice e con ritrovato ardore sparò feroci raffiche contro la linea inglese.
 
***

Finn e i suoi compagni si trovarono coinvolti in un intenso scontro a fuoco. La prima linea britannica stava resistendo con tutte le sue forze, ma la situazione era sempre più disperata.
Le truppe tedesche, dopo una rapida avanzata, avevano attaccato le postazioni inglesi con mitragliatrici leggere, mortai da trincea, lanciafiamme e granate.
Finn sussultò avvertendo una mano sulla sua spalla, si trattava del sottotenente Waddington.
«Coogan, ho un compito per te»
Il giovane attese con evidente preoccupazione.
«Devi raggiungere il capitano Howard per informarlo. Al posto di comando devono sapere quel che sta accadendo»
Il ragazzo comprese la gravità della situazione e intuì l’importanza di quella missione.
«Sì, signore. Può contare su di me»
Il sottotenente rispose con un cenno di approvazione.
Finn si mise il fucile in spalla, agganciò un paio di granate al cinturone e si preparò per abbandonare la sua postazione.
Waddington continuò ad incitare i suoi commilitoni, dentro di sé era consapevole che in quelle condizioni non avrebbero avuto molte speranze, nonostante ciò non si lasciò sopraffare dalla rassegnazione e dallo sconforto. Riprese a combattere con coraggio e determinazione, in ogni caso era intenzionato ad affrontare il suo destino con onore.
 
Finn attraversò le trincee occupate dai soldati impegnati nel combattimento, il terreno tremava a causa delle fragorose esplosioni mentre sopra alla sua testa volavano raffiche di proiettili. Le nebbia era ancora densa, dietro alla maschera la vista era appannata e oscurata dalle lenti sporche di fango. Respirava a fatica, la valvola non gli permetteva di inspirare abbastanza ossigeno, la poca aria disponibile era contaminata dai vapori tossici.
Finn sopportò tutto questo continuando a correre imperterrito, deciso a fare il suo dovere.  
Per raggiungere il suo obiettivo fu costretto ad attraversare un’area scoperta, così il soldato saltò fuori dalla trincea e proseguì a tutta velocità.
Per ripararsi da una granata Finn scivolò in una buca, rimase sdraiato nel fango, aggrappandosi alla terra con le unghie. Nel momento in cui i botti delle esplosioni si affievolirono decise di riemergere in superficie.
Era appena uscito da quel rifugio quando ad un tratto udì un grido provenire dal fondo di un cratere.
Il ragazzo puntò il fucile e si avvicinò con cautela, con stupore e conforto si ritrovò davanti ad un soldato della Manchester Division.
«Il nostro fronte è caduto nelle mani del nemico, i miei compagni sono stati catturati…»
Finn trasalì, ciò significava che presto anche la postazione del tenente Green sarebbe stata circondata dai tedeschi. In quel momento provò il forte istinto di raggiungere il suo superiore, ma l’ennesima esplosione lo riportò alla realtà. Doveva adempire al suo compito, i suoi compagni avevano riposto fiducia in lui, non poteva tradirli. L’unico modo con cui poteva provare a salvare Richard era portare a termine la sua missione.
 
***

Il tenente Green progredì nella terra di nessuno con una ventina di uomini, il suo obiettivo era occupare un avamposto per contrastare l’avanzata nemica. Gli ordini erano stati chiari: doveva resistere e difendere quella postazione ad ogni costo. 
Richard raggiunse la trincea, le pareti di fango erano crollate, il passaggio era ostruito dai detriti e dai cadaveri dei suoi compagni. Sopra alle loro teste volavano i proiettili d’artiglieria che rispondevano con altrettanta ferocia all’attacco tedesco.
Il tenente organizzò rapidamente il contrattacco, i soldati si appostarono contro il parapetto con i fucili puntati e posizionarono le mitragliatrici. Ben presto i primi colpi echeggiarono sul terrapieno.
 
Richard intravide delle figure muoversi nella nebbia, il tenente riuscì appena ad individuare la loro presenza quando all’improvviso un altro gruppo di soldati saltò all’interno della trincea.
In pochi istanti si ritrovò coinvolto in un cruento scontro corpo a corpo. L’ufficiale vide due tedeschi avvicinarsi a lui con le baionette fissate ai loro fucili. Senza esitazione puntò l’arma e premette il grilletto, uno dei due assalitori cadde a terra, l’altro fu vittima del sergente Redmond, il quale sparò a bruciapelo alle sue spalle.
Proprio in quel momento una bomba a manico scivolò sibilando in trincea, dal bordo del parapetto l’ordigno innescato raggiunse la mischia di soldati. L’esplosione fu devastante e coinvolse tutti coloro che stavano combattendo in quella buca, ferendo ed uccidendo inglesi e tedeschi.
Richard fu scaraventato contro la parete, riprese conoscenza ritrovandosi disteso al suolo.
«Signor tenente!»
L’ufficiale si rassicurò nel sentire la voce di Redmond, per un istante aveva temuto il peggio.
Il sergente aiutò il suo superiore a rialzarsi dalla polvere. Green si sentì stanco e indebolito, aveva la vista annebbiata ed era pallido in viso. Solo allora si accorse del rivolo di sangue che stava fuoriuscendo dal suo collo. Il liquido vermiglio e viscoso bagnò la sua pelle, macchiando il colletto della divisa.
Redmond fasciò la ferita con una medicazione piuttosto rudimentale, in quelle condizioni non poté fare altro.
Per qualche istante tutto parve tranquillo, ma il tenente poté avvertire il clamore della battaglia che proseguiva inesorabilmente intorno a loro.
I tedeschi attaccarono nuovamente, questa volta con mortai da trincea, cinque colpi si abbatterono nella terra di nessuno, a pochi metri dal fronte britannico.
Il tenente Green era rimasto con una manciata di sopravvissuti, molti dei quali erano feriti. L’ufficiale provò sincero orgoglio nel notare che i suoi uomini non si erano persi d’animo. Nonostante tutto, anche in una situazione così drammatica, i suoi soldati risposero al fuoco. Erano determinati a difendere la loro postazione fino alla fine.
Lo scontro, per quanto eroico, fu breve. Una seconda bomba scoppiò nelle vicinanze, questa volta l’esplosione non colpì in pieno la trincea britannica, ma i soldati furono travolti da una pioggia di schegge.
Il tenente Green era ormai privo di forze, la fasciatura si era sciolta, il sangue riprese a scorrere copiosamente dalla ferita aperta.
L’ufficiale si accasciò al suolo, prima di perdere i sensi ordinò la resa. Sperò almeno che in quel modo avrebbe potuto salvare le vite dei suoi compagni. Arrendersi era sempre l’ultima scelta, ma a quel punto non c’era alcuna alternativa. I suoi uomini avevano fatto del loro meglio, combattendo fino alla fine.
 
Quando Richard riaprì gli occhi trovò la trincea deserta, accanto a lui erano rimasti solo cadaveri. Avvertì il rumore di alcuni passi e delle voci in superficie, non riuscì a distinguere la parole, ma riconobbe la lingua tedesca.
Poco dopo un paio di soldati si affacciarono sul bordo della fossa. Uscirono dalla nebbia muovendosi nella foschia e nella polvere, il loro volto era coperto dalle maschere antigas.
Il tenente, disarmato, si arrese alzando le mani. I due tedeschi si avvicinarono, lo sollevarono da terra e sorreggendolo lo trascinarono fuori dalla buca.
Green era debole e confuso, il frastuono della battaglia rimbombava incessantemente nella sua testa.
I tedeschi trattarono con particolare riguardo l’ufficiale nemico, preoccupandosi di trasportarlo in un posto di soccorso per medicare la sua ferita.
Richard attese a lungo in una casamatta di cemento adibita a infermeria, tra le urla e i gemiti dei feriti, sempre sotto il vigile controllo dei soldati.  
Il tenente si interrogò sulla sorte dei suoi compagni, sperando che in qualche modo fossero riusciti a salvarsi.
Ad un tratto una figura comparve all’entrata del rifugio, nella penombra Green riconobbe le spalline cucite sulla divisa, si trattava di un ufficiale.
L’uomo avanzò con passo deciso, l’uniforme grigia era macchiata di fango e sangue, anch’egli era appena riemerso dalla furente battaglia.
Richard si sforzò di rialzarsi, voleva mostrarsi dignitosamente all’avversario.
Il tedesco si presentò con invidiabile compostezza.
«Sono il tenente August Spengler, da questo momento lei è sotto la mia custodia»

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Capitolo 27
*** Il volto del nemico ***


 
XXVII. Il volto del nemico


La stanza era ampia, fredda e buia. Il tenente Green si trovava in una cantina abbandonata, che per l’occasione era stata utilizzata come cella. In realtà quella sistemazione poteva essere considerata piuttosto confortevole, d’altra parte egli non era un prigioniero qualunque, si trattava pur sempre di un ufficiale. Per questo poteva permettersi un vecchio materasso come giaciglio e un rude arredamento composto da un tavolo improvvisato con assi sconnesse e un paio di casse vuote come sedie.
Richard non era riuscito a riconoscere la strada percorsa, era certo di esser stato portato nelle retrovie, in un villaggio occupato dal nemico. Era consapevole di non essere troppo distante dal fronte, poteva ancora avvertire gli echi delle esplosioni in lontananza.
I tedeschi l’avevano rinchiuso nel sotterraneo lasciandolo solo. In tutto quel tempo nessuno si era rapportato con lui, nemmeno le guardie che regolarmente si davano il cambio all’entrata del rifugio.  
Prima di raggiungere la sua cella Green aveva avuto solo una breve conversazione con il tenente Spengler, l’ufficiale l’aveva interrogato formalmente, mostrando sempre rispetto nei suoi confronti. Spengler aveva iniziato a comunicare con lui in francese, era rimasto piacevolmente sorpreso nello scoprire che il suo interlocutore conosceva la lingua tedesca. Ovviamente Richard non aveva rivelato nulla, il suo avversario aveva compreso la sua decisione, non si aspettava una reazione differente.
Il tedesco aveva riconosciuto subito il carattere dell’inglese, in fondo si era sentito onorato di trovarsi davanti ad un degno avversario.
 
Il tenente Green si strinse nella coperta e si rannicchiò contro alla parete umida. L’ufficiale si interrogò sul destino dei suoi uomini e inevitabilmente si preoccupò per Finn.
Richard ripensò all’ultima notte che aveva trascorso insieme al suo amato, era trascorso ormai del tempo, ma conservava sempre il prezioso ricordo di quei momenti.
In quella gelida nottata di dicembre avevano trovato calore e conforto abbandonandosi alla passione del loro amore. Sotto alle coperte i loro corpi nudi erano rimasti avvinghiati in un abbraccio.
Finn si era accoccolato contro di lui, aveva ancora il volto arrossato e il respiro affannato. Richard l’aveva stretto a sé, avvertendo i battiti dei loro cuori unirsi e confondersi. Aveva accarezzato la sua nuca, passando la mano tra i suoi ricci biondi.
Finn aveva sfiorato delicatamente il suo petto, seguendo con le dita i profondi solchi delle sue cicatrici.
«Vorrei che questo momento potesse durare per sempre» aveva rivelato il ragazzo con un velo di tristezza.
Green aveva risposto con un lieve sussurro: «anche io»
«Quando sono con te mi sento sempre al sicuro. È come se non esistesse più nulla oltre a noi, la guerra è lontana, le paure svaniscono…desidero solo restare tra le tue braccia e amarti»
Il tenente aveva preso il suo volto tra le mani e l’aveva guardato negli occhi.
«Nemmeno io avevo mai provato nulla di simile prima d’ora. Dopo tutto quel che è accaduto non avrei mai sperato di trovare un dono prezioso quanto il tuo amore. Sei la mia unica certezza e la mia ultima salvezza»
Finn si era commosso nel sentire quelle parole.
Richard aveva avvicinato ancor più il giovane a sé, concludendo quella conversazione con un intenso bacio.
 
Il tenente si risvegliò da quei ricordi avvertendo il rumore di alcuni passi. Qualcuno entrò nel rifugio, un soldato poggiò sul tavolo una gavetta fumante. La recluta dai capelli rossi non disse nulla e non rispose a nessuna domanda. Dopo aver eseguito il suo compito se ne andò senza interagire in alcun modo con il prigioniero.
Richard osservò la cena, forse era per la fame o per il fatto che nelle linee inglesi non mangiavano carne da settimane, ma quel piatto gli parve davvero invitante. I nemici avevano deciso di offrirgli un’abbondante porzione di gulasch in scatola e patate lesse. Per un soldato di qualsiasi nazionalità un pasto caldo era un bene prezioso. Il tenente si domandò se fosse stato un gesto generoso, o se quella sarebbe stata la sua ultima cena. Richard sospirò, non aveva ragioni per diffidare di Spengler, fino a quel momento egli si era rivelato un uomo onesto e rispettabile.
 
Il tenente Green alzò lo sguardo, una finestra sbarrata con spesse grate di ferro era il suo unico collegamento con il mondo esterno. Avvertì delle voci, in strada alcuni soldati stavano cantando una triste melodia.
Richard ripensò ai suoi compagni, si ricordò di quando intorno al fuoco anche loro si intrattenevano con canzoni popolari. La preferita del suo plotone era It’s a long way to Tipperary. Dagli albori della guerra quel brano irlandese era diventato famoso tra le truppe britanniche. All’inizio la melodia aveva accompagnato allegramente le lunghe marce, ultimamente invece quando i suoi uomini cominciavano ad intonare quelle strofe si creava un’atmosfera intima e malinconica. Ognuno si abbandonava ai ricordi di un passato lontano.   
 
It's a long, long way to Tipperary,
But my heart's right there!
 
Il tenente sospirò, quelle parole rimasero impresse nella sua mente. Ogni soldato assegnava un significato diverso alla città di Tipperary, per qualcuno era davvero un luogo fisico, ma in generale Tipperary era tutto ciò che infondeva speranza nei loro animi.
Per Richard non esisteva più un luogo che considerava come casa, ma sapeva esattamente dove si trovava il suo cuore in quel momento.
 
***

Richard riprese a camminare avanti e indietro lungo il perimetro della sua cella, quell’attesa nell’incertezza e nella solitudine era sempre più estenuante.
Ad un tratto intravide un’ombra sulle scale, quando la figura fu abbastanza vicina alla torcia riconobbe il tenente Spengler.
Richard osservò con attenzione il suo volto, inevitabilmente il suo aspetto era stato segnato dalla guerra, ma dai suoi lineamenti si poteva intuire che egli fosse piuttosto giovane. I capelli neri erano ben ordinati sotto al berretto, mentre i suoi occhi chiari illuminavano il suo sguardo sempre vigile e attento.
L’ufficiale fu gentile e cordiale, si presentò al prigioniero con una bottiglia di vino francese e due bicchieri alquanto raffinati, probabilmente trovati nelle credenze di quella casa abbandonata.
«I miei uomini preferiscono l’acquavite, ma per noi ufficiali ritengo che il vino sia più adatto. D’altra parte siamo gentiluomini, è sempre conveniente mantenere una condotta dignitosa e rispettabile» disse Spengler prendendo posto al tavolo ed invitando il prigioniero a sedersi davanti a lui.
Green obbedì restando diffidente.
«Spero che i miei commilitoni non si siano comportati in modo sconveniente nei suoi confronti»
Richard negò: «non ho avuto alcun problema con i suoi soldati»
Spengler parve soddisfatto, era evidente che avesse a cura la disciplina dei suoi sottoposti.
«Lei e i suoi uomini vi siete difesi con onore» ammise l’ufficiale tedesco.
«Non ho avuto altra scelta, sono stato costretto alla resa per salvare le loro vite»
«È stata una decisione ragionevole» commentò Spengler.
«Dove sono i miei compagni?»
«I suoi commilitoni sono stati portati nelle retrovie. Non si preoccupi, noi trattiamo con rispetto e dignità i prigionieri di guerra»
Richard non si fidava ancora abbastanza per credere a quelle parole, ma il suo interlocutore sembrava sincero.
Spengler riempì i bicchieri di vino rosso.
«Voglio essere onesto con lei, non mi piacciono questi giochetti. Se è sua intenzione provare a comprare la mia fiducia non funzionerà. Non tradirò mai l’Esercito britannico!»
Il tedesco non si scompose: «questo lo so bene. Mi creda, non è mia intenzione corromperla o ingannarla. Anzi, a dire il vero mi sento offeso da questa sua insinuazione»
Richard si pentì per la sua irruenza. Spengler rassicurò il suo interlocutore, poi tornò con calma al suo discorso.
«La guerra è un’esperienza eccitante. Ha un suo fascino, non crede? Siamo stati tutti attratti dal desiderio di vivere questa grande avventura»
Green poté condividere la sue considerazioni. 
«Mi dica tenente, qual è stata la sua prima battaglia? Una vittoria o una sconfitta?»
«Una sconfitta, Ypres, 1915» rispose l’inglese freddamente.
«Dunque ha conosciuto fin da subito la cruda realtà della guerra…»
«Non mi sono illuso per molto tempo»
«Anche io fremevo dal desiderio di combattere per la mia Nazione, mi sono gettato nel vivo del conflitto fin dalla prima battaglia. Al tempo ero un ufficiale cadetto, ho avuto il mio battesimo del fuoco a Tannenberg, per più di due anni ho combattuto sul fronte orientale»
Il tenente Spengler raccontò con spontaneità la sua esperienza bellica. Richard l’ascoltò con attenzione, trovarsi a conversare con un ufficiale nemico nel mezzo di una battaglia era assurdo, eppure provò sincero interesse per quell’uomo, che in fondo non sembrava così diverso da lui.
 
***

Spengler si era arruolato nell’esercito con le aspettative e gli ideali di un giovane in cerca di grandi emozioni.  Voleva provare sulla sua pelle le esperienze della vita vera, e la guerra era apparsa come una scelta invitante ed eccitante per uno spirito avventuriero.
Così August aveva indossato la sua uniforme feldgrau, i suoi stivali neri e lucidi, e il suo elmetto appuntito.
Aveva anche rinunciato alla sua folta chioma corvina, poiché per ovvie questioni di igiene i soldati portavano i capelli cortissimi o rasati.
La prima volta Spengler aveva ammirato il suo riflesso con orgoglio, almeno nell’apparenza era diventato un vero soldato. Presto quel volto ignaro e sorridente sarebbe diventato scuro e inespressivo, mentre la sua uniforme immacolata sarebbe sbiadita nel fumo, nel fango e nel sangue…ma allora tutto questo non poteva ancora essere immaginato dalla mente di un giovane sognatore.
Marciando attraverso la Prussia orientale Spengler e i suoi compagni avevano trovato una calorosa accoglienza, nelle città folle di civili avevano incoraggiato i soldati tedeschi con festeggiamenti, canti e grida di approvazione. Tra parate e celebrazioni l’entrata in guerra della Germania era stata maestosa e trionfale.
 
I tedeschi avevano costruito linee di difesa e barricate lungo fiumi e strade per contrastare l’imminente avanzata russa.
Il fronte orientale era un labirinto di colline irregolari ricoperte da foreste selvagge. Il paesaggio era caratterizzato anche da un’intricata rete di paludi, laghi e boschi. L’area di combattimento comprendeva città trasformate in fortezze e fiumi ghiacciati dove i ponti erano stati utilizzati per rafforzare la difesa al confine. A nord e a sud erano presenti vaste pianure con fattorie e piccoli villaggi, in questi luoghi le foreste erano diventate un serio impedimento per lo spostamento delle forze armate. I sentieri si confondevano tra loro, molti di questi erano inagibili oppure si interrompevano improvvisamente e le truppe si ritrovavano sperdute senza più alcun punto di riferimento.
I boschi erano accerchiati da numerosi laghi poco profondi, i quali costituivano un ostacolo, rallentando l’avanzata e rendendo difficoltose le comunicazioni.
Anche i collegamenti ferroviari erano stati problematici, nonostante la nota efficienza tedesca i soldati al fronte si erano ritrovati privi di equipaggiamento e armamenti a causa di disordini e incomprensioni.
Nella maggior parte dei casi i treni erano stati sostituti da lunghi convogli di cavalli, autocarri e ambulanze.
Le particolari caratteristiche del terreno e le numerose difficoltà riscontrate nelle operazioni militari avevano provato duramente gli animi dei tedeschi, che avevano proseguito la marcia in uno stato di confusione ed esaurimento sia fisico che mentale.
 
Gli uomini avevano marciato a fatica sotto al peso dello zaino, trasportando munizioni, baionette e pale da trincea, tascapane e kit di pronto soccorso. Il tutto era sostenuto da un intricato sistema di imbracature, che appesantiva e sbilanciava i soldati in cammino, rallentando ogni movimento.
Nelle poche ore di riposo Spengler e i suoi compagni avevano trovato conforto grazie a pasti caldi, tabacco ed alcol. A volte qualche soldato spinto dalla fame aveva attinto di nascosto alle razioni di emergenza contenenti carne secca, verdure in scatola, biscotti e caffè. Per gli uomini stremati dalle lunghe marce spesso era una sofferenza sapere di avere a disposizione tutto quel ben di Dio, ma con la consapevolezza di non poter toccare nulla senza il permesso di un ufficiale.
 
Per molti la guerra era principalmente composta da due elementi: fango e nebbia. Anche sul fronte orientale la situazione non era diversa.
Durante la battaglia di Tannenberg, combattuta in un’afosa estate, i tedeschi avevano sofferto di disidratazione, tanto che volti e arti erano diventati grigi come le loro uniformi.
Nell’inverno seguente invece il freddo e il gelo erano stati micidiali. Le trincee ricoperte di neve si erano tramutate in un inferno ghiacciato per i soldati.
Una notte, durante il turno di guardia, Spengler si era rannicchiato in una buca nella neve, avvolto nel suo pastrano troppo leggero per proteggerlo dal freddo. Al termine della veglia era stato portato in infermeria in grave stato di ipotermia. Il medico era stato costretto ad amputargli due dita al piede destro, per poco non aveva perso l’intero arto. Un suo compagno invece non era stato altrettanto fortunato, a causa del freddo il suo viso si era congelato. Gli avevano asportato le labbra, dopo l’operazione era rimasto con un inquietante ghigno sul volto deforme.
 
Al fronte Spengler  aveva visto per la prima volta la Feldflieger Abteilung (ovvero la futura Luftstreitkräfte) in azione, si trattava dei primi monoplani, tra i quali il più noto era il famoso Tauben, il cui nome derivava dalla forma delle ali. A quel tempo un volo di tre ore alla velocità da cinquanta a ottanta miglia orarie con il vento di coda favorevole era considerato come un’ottima performance per il nuovo mezzo tecnologico.
Nelle prime fasi della guerra i piloti avevano soprattutto il ruolo di osservatori, raramente utilizzavano bombe leggere e granate contro il nemico. Le informazioni erano ritenute molto più preziose.
I primi coraggiosi aviatori approfittavano del bel tempo per attraversare il confine e scattare preziose fotografie oltre alle linee nemiche. Spengler aveva osservato con meraviglia e stupore il cielo sopra Varsavia attraversato da monoplani e Zeppelin
 
Inoltrandosi nei territori dell’est i tedeschi avevano avuto più occasioni per confrontarsi con il nemico, ma a causa delle enormi distanze questi incontri potevano avvenire dopo giorni o addirittura settimane di marcia nelle desolate steppe innevate.
In queste situazioni bisognava sempre valutare il rischio di perdersi. Una volta in simili condizioni Spengler era stato incaricato di scalare un’altura per notare possibili punti di riferimento. Con la sua pistola stretta tra le dita aveva raggiunto la cima di una collina, seguendo il sentiero si era trovato improvvisamente faccia a faccia con un esploratore russo, il quale era apparso ugualmente sconvolto e sorpreso.
Per un breve istante i loro sguardi si erano incrociati, entrambi erano giovani e spaventati. August aveva sparato un colpo di avvertimento, il russo si era voltato e rapidamente era corso giù dalla scarpata.
Spengler era tornato indietro altrettanto velocemente riportando al suo comandante l’accaduto.
Inizialmente il plotone tedesco aveva attraversato la vallata con trepidazione, in attesa di un’imboscata, ma lungo la strada i soldati non avevano trovato né cecchini né mitragliatrici nella neve. I russi dovevano essersi ritarati.
Era stato alle porte del villaggio che avevano cominciato ad avvertire i primi spari. In breve era scoppiata una battaglia tra fumo ed esplosioni.
Spengler si era calato in una trincea nemica, nella nebbia aveva intravisto un tenente combattere contro un ufficiale russo a colpi di spada, come in un duello ottocentesco.  Proseguendo era incappato in altri due corpi inermi, un russo e un tedesco distesi uno di fianco all’altro. In quella posizione gli erano sembrati due vecchi amici che si erano addormentati dopo una nottata di baldoria.
Ben presto Spengler e i suoi commilitoni si erano trovati nel mezzo di un intenso scontro a fuoco, sfidando una mitragliatrice russa. Lo scontro era stato arduo, ma alla fine i tedeschi erano riusciti a colpire il loro obiettivo, liberando il passaggio per permettere alla Batteria di attraversare la terra di nessuno e farsi strada verso il paese in fiamme.
 
In quelle prime battaglie Spengler aveva provato un’intensa euforia, come i suoi compagni nuovi alla guerra aveva sperimentato sulla sua pelle quella sensazione di invulnerabilità che si impadroniva dell’animo dei soldati dopo esser sopravvissuti alle violente tempeste di fuoco.
In poco tempo August aveva compreso che quella eccitazione era solamente un’illusione, ed era stato costretto a valutare la realtà. Al termine di uno scontro bisognava fare i conti con le conseguenze, i compagni caduti, i nemici uccisi…non era più possibile ignorare quell’orrore. Dopo ogni battaglia era necessario rimettere insieme i frammenti della propria anima, farsi coraggio, e prepararsi al prossimo combattimento.
I momenti di pace erano rari e pericolosi, perché quando non si pensava a sopravvivere la mente portava gli uomini a riflettere, tra malinconici ricordi e dolorosi rimpianti, che molti avevano imparato a sopprimere nell’alcol.
 
Nel corso del tempo i soldati si erano arresi alla rigida vita del fronte, sogni e speranze erano svaniti, lasciando spazio solamente alla paura e alla disperazione. L’attesa era estenuante, ma quando giungeva nuovamente l’azione l’ardore bellico tornava ad impadronirsi dei loro animi.
Durante una terribile battaglia il plotone di Spengler era rimasto bloccato sul versante di una collina. L’artiglieria tedesca non era stata sufficiente a fermare l’avanzata nemica. August si era reso conto di non poter far altro che continuare a combattere, doveva mantenere la sua posizione ad ogni costo.
Al tramonto Spengler aveva realizzato che i rinforzi non sarebbero mai arrivati, le unità che avrebbero dovuto occupare le sponde del fiume non avevano ancora raggiunto la loro postazione.
La situazione era diventata disperata, le munizioni erano ormai esaurite. La linea tedesca era disordinata e frammentata, i russi erano ormai certi della vittoria.
Quando era giunto il comando di ritirarsi il capitano si era stoicamente rifiutato di eseguire gli ordini.
«I miei uomini abbandoneranno il campo di battaglia solamente quando i russi saranno sconfitti!» aveva affermato con estrema determinazione.
I nemici avevano continuato ad attaccare imperterriti, nel tentativo di creare un varco nella difesa.
August era certo che ormai fosse giunta la sua fine, era convinto di esser pronto a morire combattendo per la Patria. Prima o poi ogni soldato doveva considerare l’eventualità di perire in battaglia, e Spengler aveva sempre avuto le idee chiare a riguardo. Desiderava una morte dignitosa, come un vero guerriero.
In quelle condizioni, di fronte ad un’inevitabile sconfitta, Spengler aveva provato una profonda sensazione di rabbia. Così aveva impugnato il fucile, mosso da una furia cieca e preso dall’ardore del combattimento aveva saltato oltre alla barricata. Un buon tiratore avrebbe potuto facilmente individuarlo e abbatterlo, ma il suo gesto era stato così inaspettato che il nemico non era riuscito a reagire. August aveva continuato a premere il grilletto fino all’ultimo proiettile. Il coinvolgimento in quella azione l’aveva spinto ad ignorare i due proiettili che l’avevano ferito alla spalla e al braccio destro.
A quel punto un suo compagno l’aveva afferrato per il cappotto, strattonandolo sul fondo della buca.
«Che diamine ti è preso? Sei impazzito?»
Spengler era rimasto immobile ad osservare la manica insanguinata, con quella manifestazione di esaltazione e follia aveva dimostrato di essere pronto a morire, e per qualche assurda ragione non si era mai sentito così vivo.
Al tramonto i rinforzi tedeschi erano riusciti miracolosamente a salvare i loro compagni. I russi erano stati circondati, bersagliati da entrambi i fronti. Al termine di un’intensa giornata di ardui scontri a fuoco erano stati costretti ad una disperata ritirata. Sul campo di battaglia erano rimasti solamente prigionieri, morti e feriti.
Ciò era stato considerato come un grande successo per l’Esercito tedesco, una miserabile sconfitta si era tramutata in una gloriosa vittoria.
 
In un’altra occasione Spengler e i suoi compagni avevano scoperto di essersi persi nella campagna dopo esser caduti in un’imboscata. I soldati avevano scavato una trincea improvvisata, ma per quella notte non avevano trovato un riparo. Nelle poche ore precedenti al tramonto August e i suoi commilitoni erano scesi lungo il terreno scosceso in cerca di cibo e legna per il fuoco. Nelle fattorie però avevano trovato solamente contadini burberi e scontrosi, che non erano disposti ad aiutare in alcun modo le truppe tedesche. I soldati non avevano ottenuto nemmeno della paglia secca per rendere più confortevole il loro giaciglio. Così quella notte erano stati costretti a patire il freddo e la fame. I più fortunati si erano rannicchiati nelle buche lasciate dalle vecchie esplosioni per ripararsi dal vento, molti soldati si erano accampati lungo la strada o nei campi ghacciati. August si era guardato intorno con sconforto, quella moltitudine di uomini stremati e abbandonati a se stessi non sembrava avere più nulla in comune con le truppe fiere e orgogliose che avevano marciato nei territori della Prussia orientale solamente pochi mesi prima.
Spengler aveva trascorso una notte infernale, tremando e tossendo a causa del freddo insopportabile. Il mattino seguente le sue condizioni erano peggiorate, tanto che i suoi compagni l’avevano trascinato dal medico con urgenza. Dopo una rapida visita il dottore aveva esposto la sua diagnosi senza alcun dubbio, si trattava di polmonite.
August non aveva intenzione di abbandonare i suoi commilitoni, non voleva lasciare il fronte proprio nel vivo di quella guerra.
Inizialmente il medico non era stato ottimista poiché lo stato del suo paziente era piuttosto grave, ma quando era tornato a visitarlo dopo qualche giorno era stato costretto ricredersi. Il dottore era rimasto particolarmente colpito dalla forza di volontà di quel soldato, in poco tempo i suoi miglioramenti erano stati sorprendenti. Il medico aveva considerato ciò quasi come un miracolo.
 
Spengler era tornato in prima linea trovando un clima di apatia e terrore. I soldati vivevano come topi nelle buche e nelle trincee. Per muoversi era necessario strisciare nelle gallerie, chi alzava troppo la testa diventava subito un facile bersaglio per le sentinelle nemiche. Anche gli ufficiali più altezzosi correvano a nascondersi nel fango quando avvertivano i primi tiri provenire dalla linea russa.
La situazione era diventata frustrante, gli uomini avevano sempre i nervi tesi, consapevoli che tra la neve e la nebbia si nascondeva un nemico invisibile.
In diverse occasioni i fucilieri tedeschi non avevano esitato a vendicarsi per i commilitoni feriti o uccisi dalle pallottole russe. Una volta Spengler aveva assistito ad una vera e propria esecuzione. Alcuni russi si erano arresi, ma i tedeschi che li avevano catturati non avevano intenzione di fare prigionieri. Avevano ordinato loro di voltarsi contro la parete di fango, e puntando i fucili avevano iniziato a sparare a bruciapelo alla nuca dei condannati.
August, al tempo sottufficiale, era stato costretto ad intervenire con irruenza per fermare quel massacro. Spengler era rimasto profondamente deluso e turbato dal comportamento di quei soldati, per la prima volta si era rapportato con quel lato oscuro del conflitto. Più volte si era domandato se in quell’occasione avesse agito in modo corretto, forse era stato troppo idealista e sensibile, eppure aveva preferito credere nell’umanità e nella giustizia.
Ognuno aveva reagito in modo diverso davanti agli orrori della guerra, alcuni avevano familiarizzato con il sangue e la violenza, altri invece, sopraffatti dalla paura, avevano cercato una via di fuga.
Spengler aveva visto con i suoi occhi un tenente che senza esitazione aveva preso il fucile per sparare contro a un gruppo di disertori. Alcuni avvertendo gli spari si erano fermati ed erano tornati indietro, altri invece avevano proseguito la loro disperata corsa.
August non aveva accusato né lo spietato ufficiale né i soldati codardi, in un certo senso aveva potuto comprendere le ragioni di entrambe le parti.
 
Dopo lunghi mesi di immobilità era finalmente giunto il momento di affrontare il nemico in campo aperto.
Seppur in una posizione sfavorevole i comandanti avevano deciso di attaccare, prendendosi le responsabilità di ogni rischio.
Per raggiungere la sua postazione il plotone di Spengler aveva dovuto attraversare il versante di una collina completamente allo scoperto. I soldati erano usciti uno ad uno dalla trincea, correndo nella terra di nessuno ed esponendosi al pericolo. Quell’azione avrebbe potuto tramutarsi in una missione suicida, ma contro ogni aspettativa i russi non avevano aperto il fuoco. August non era stato in grado di capire se questa decisione fosse stata presa per indifferenza o umanità, oppure perché semplicemente i nemici attendevano il momento giusto per agire.
Poco dopo il terreno aveva iniziato a tremare, l’artiglieria nemica aveva annunciato la sua entrata in battaglia. Spengler aveva continuato imperterrito ad avanzare, mentre i suoi superiori spronavano le truppe incoraggiando i soldati.
Un ufficiale particolarmente esaltato dal furore dello scontro aveva guidato i suoi uomini all’attacco stringendo saldamente una bandiera tra le mani. Un altro invece si era calato in un fosso minacciando i suoi sottoposti con la baionetta per obbligare quegli uomini stremati e spaventati ad uscire all’attacco.
Spengler aveva proseguito a fianco del maggiore Breyer, si era sempre fidato di quell’uomo, anche in un momento così drammatico era certo di poter affidare la propria vita nelle sue mani.
Per ripararsi dalle schegge di un’esplosione entrambi si erano gettati in una trincea abbandonata. Erano rimasti a lungo soli in quella buca, schiena contro schiena, potendo fidarsi solamente l’uno dell’altro.
Poi all’improvviso una pallottola aveva colpito il maggiore Breyer, l’uomo era caduto con il volto nel fango. August si era chinato sul corpo inerme del suo compagno, pur sapendo che ormai era troppo tardi aveva rivoltato il suo viso, notando il sangue che continuava a fuoriuscire dal foro sulla sua tempia.
Spengler si era accasciato accanto al cadavere, in quel momento si era sentito veramente solo e abbandonato senza più il supporto del suo superiore. Aveva temuto di perdere il controllo, il dolore l’aveva reso fragile e vulnerabile. Alla fine però erano state la rabbia e la disperazione a prevalere. Spinto dal desiderio di vendetta August si era appostato al parapetto e aveva puntato il suo fucile contro la linea nemica.
Aveva continuato a combattere aspramente finché non era rimasto privo di munizioni. I suoi compagni l’avevano soccorso trovandolo gravemente ferito e ormai incosciente.
Così era terminata la grande avventura del sottotenente Spengler sul fronte orientale.
 
***

Dopo aver concluso il suo racconto Spengler rimase qualche istante in silenzio, il suo sguardo era perso nel vuoto, mentre nella sua mente comparivano ancora scene di battaglie passate e volti di compagni uccisi.  
L’ufficiale tedesco si riprese da quei ricordi, con calma accese la pipa e tornò a rivolgersi al suo avversario.
«Lei sa per quale ragione stiamo combattendo questa guerra?» domandò osservando l’inglese negli occhi.
Il tenente Green rimase in silenzio, conosceva diverse ragioni politiche e militari alla base di quel conflitto, ma era certo che nessuna di quelle motivazioni fosse la risposta esatta. 
«È vero, alcuni di noi credono nella propaganda, nell’ideale per cui lo spirito tedesco potrà rigenerare il mondo. Ma per molti è diverso, c’è molto di più in tutto questo. Il popolo tedesco è forte e unito, e desidera una possibilità»
«Non potrete ottenere ciò a cui aspirate con questa guerra»
«Ci accusate di essere barbari invasori, ma il vostro Impero ha governato il mondo: Rule Britannia» commentò August con un amaro sorriso.
Richard non rispose a quella provocazione.
«Tutto ciò è alquanto ipocrita da parte vostra, non crede?» continuò Spengler.
Green rimase impassibile: «io sono un ufficiale dell’Esercito britannico, ho fiducia nei leader della mia Nazione ed è mio dovere servire la mia Patria»
«Certamente, non ho dubbi a riguardo, so che è un uomo onesto e leale. Per questo ho voluto discutere civilmente con lei»
Richard apprezzò la sincerità e il rispetto dimostrato.
Spengler alzò il bicchiere di vino: «dunque, a cosa vorrebbe brindare tenente?»
Green sospirò: «ai nostri valorosi compagni, che hanno sacrificato la loro vita nella speranza di un futuro migliore»
August annuì: «ai caduti»
I due ufficiali sigillarono così quella precaria alleanza, erano ben consapevoli di trovarsi in una situazione delicata e pericolosa, eppure non provavano né odio né rancore.
Entrambi erano disposti a rispettarsi a vicenda, senza però trascurare il contesto del loro incontro e i rispettivi ruoli in quella guerra.
 
 

 
Nota dell’autrice
Ringrazio di cuore tutti coloro che stanno continuando a seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto^^

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Capitolo 28
*** La questione del prigioniero ***


 
XXVIII. La questione del prigioniero
 

Il tenente Spengler raggiunse i confini del villaggio, le strade ostruite dalle macerie erano buie e deserte. In lontananza, oltre alle colline, si udivano gli echi delle detonazioni e nel cielo notturno si potevano avvistare i lampi colorati dei razzi e i bagliori delle esplosioni.
August rifletté sulla situazione, il suo confronto con il nemico si era rivelato diverso da come si era aspettato. Il tenente inglese era onesto e rispettabile, anch’egli aveva dimostrato di essere strettamente legato ai propri valori.
Spengler era rimasto piacevolmente sorpreso dalla loro conversazione, doveva ammetterlo, aveva trascorso una serata interessante discutendo con quell’uomo.
Il tedesco sbuffò, non era certo per piacere che aveva deciso di trattenere un ufficiale britannico sotto la sua custodia. Aveva il dovere di interrogarlo, compito in cui aveva miseramente fallito.
August non era stato stupito dalla determinazione e dall’ostinazione del nemico, il suo uomo non era un traditore e nemmeno un vigliacco. Era convinto che avrebbe preferito morire piuttosto che parlare.
Spengler non poteva biasimarlo, nelle sue condizioni si sarebbe comportato nello stesso modo. D’altra parte i suoi superiori pretendevano quelle informazioni, se il prigioniero non era disposto a collaborare ogni suo sforzo si sarebbe tramutato in un inutile spreco di tempo.  
Il tenente non era intenzionato ad arrendersi, la questione dell’ufficiale inglese era ormai per lui qualcosa di personale.

 
***

Richard si domandò se avesse agito correttamente nei confronti del suo avversario. Aveva tentato di assecondarlo, senza però conoscere le sue reali intenzioni.
Ripensò a quell’incontro, era strano, ma per la maggior parte del tempo non aveva avuto la sensazione di avere a che fare con una persona ostile. Ovviamente era sempre rimasto diffidente, in quelle circostanze il suo istinto gli impediva di fidarsi completamente del nemico. Nonostante ciò non si era sentito in pericolo in presenza dell’ufficiale tedesco. Aveva compreso di trovarsi davanti ad un uomo ragionevole, che vedeva la guerra come una questione d’onore e non era in cerca né di rivalsa né di vendetta.
Entrambi avevano vissuto esperienze simili, seppur su fronti opposti.
 
Richard ripensò al prigioniero tedesco che aveva salvato dall’esecuzione. Hugh aveva preso a cuore la questione, ma non era solamente grazie a lui che quell’uomo era ancora vivo. Come sempre in queste situazioni la fortuna aveva avuto il suo ruolo, alla fine Friedhelm non era stato giustiziato per una serie di eventi favorevoli. Un prigioniero non poteva avere alcuna certezza, il suo destino restava ignoto finché qualcuno non prendeva la fatidica decisione.
Green ricordò anche l’ufficiale tedesco che quasi un anno prima aveva catturato nella terra di nessuno, salvandolo dalla furia cieca del soldato Lane.  In quel caso era rimasto impressionato dal prigioniero, il quale, ferito e umiliato dalla sconfitta, aveva dimostrato di essere ancora disposto a sfidare il suo avversario. D’altra parte egli era un eroe di guerra, era triste pensare che quell’uomo così forte e valoroso fosse ancora rinchiuso dietro al filo spinato. Di certo anche lui doveva aver provato le sue stesse sensazioni, e nonostante tutto non aveva potuto fare altro che accettare dignitosamente il proprio destino.
Richard poteva solo immaginare ciò avrebbe dovuto affrontare, probabilmente sarebbe stato deportato in un campo di lavoro in Germania o nei territori occupati dal nemico in Francia o in Belgio. In quanto ufficiale avrebbe potuto godere di un trattamento migliore rispetto agli altri prigionieri, ma questa non era affatto una consolazione.
 
Richard si distese sul suo giaciglio, era stanco e indebolito a causa della recente ferita. Nonostante la spossatezza e il dolore fisico i suoi unici pensieri furono rivolti ai suoi commilitoni. Il suo plotone era rimasto privo della sua guida, che ne sarebbe stato dei suoi uomini?
Il sottotenente Waddington aveva dimostrato in più occasioni di essere affidabile e competente, ma era ancora troppo inesperto per prendere il comando, sempre che fosse ancora vivo.
Il tenente abbassò tristemente lo sguardo, probabilmente il suo plotone nemmeno esisteva più. Dopo quella terribile sconfitta molti di quei soldati erano stati uccisi o catturati.  
Green avvertì un’intensa fitta al petto, separarsi dai suoi uomini era sempre stata una sofferenza per lui, ma quella volta era diverso. Forse era davvero giunta la fine, anche lui avrebbe trascorso il resto del conflitto dietro al filo spinato. Questo ovviamente se fosse riuscito a sopravvivere fino alla fine della guerra.
Era certo che avrebbe perso il senno distante dal fronte, con la consapevolezza che l’Esercito britannico stava continuando a combattere senza di lui. L’ufficiale non poteva nemmeno considerare l’idea di restare lontano dai suoi compagni. Anche durante la sua convalescenza aveva sopportato con difficoltà quella separazione forzata. Aveva sempre anteposto il bene dei suoi uomini a se stesso, e anche in quel momento la sua più grande preoccupazione riguardava la loro sorte.
Per un breve istante considerò la possibilità di fuggire, ma ben presto realizzò che non avrebbe avuto alcuna possibilità, soprattutto nelle sue condizioni.
Richard tornò lentamente a prendere il controllo di sé. Appena richiuse gli occhi rivide il volto di Finn. Si domandò se il suo attendente avesse avuto sue notizie, o se ancora fosse ignaro della sua condizione. In ogni caso era certo che egli non avrebbe perso la speranza.
Il tenente si rattristò, non avrebbe più potuto mantener fede alla sua promessa, finché sarebbe rimasto distante non avrebbe avuto modo di proteggere il suo amato. Finn ormai era diventato un soldato a tutti gli effetti, Richard aveva completa fiducia in lui e nelle sue capacità. Eppure inorridì al pensiero che il suo attendente potesse ritrovarsi solo in battaglia.
Non poteva ignorare il forte legame emotivo che si era instaurato tra di loro. Fin dal primo momento aveva avvertito che loro due destinati ad affrontare insieme quella guerra. Avevano bisogno l’uno dell’altro, il tenente era diventato una coscienziosa guida e un valoroso esempio per il giovane soldato, mentre Finn gli aveva donato speranza e sostegno. Era diventato la sua ragione di vita, grazie a lui era riuscito a trovare la forza di andare avanti giorno dopo giorno. Il suo affetto aveva ridestato in lui sensazioni e sentimenti che credeva di non poter più provare. Il loro amore era l’unico conforto in quella spietata guerra. Quel ragazzo era realmente la sua ultima salvezza.
Richard si abbandonò ai ricordi, per quanto dolorosi, restavano la sua unica consolazione.
 
Il tenente trascorse una notte tormentata, perseguitato da incubi e allucinazioni febbrili. Il malato si rigirò tra le coperte, il suo corpo era costantemente scosso da brividi e tremori.
Nei suoi sogni realtà, ricordi e fantasie iniziarono a confondersi.
 
Richard si ritrovò a camminare senza meta tra il fango e la nebbia, alla luce del crepuscolo riconobbe le trincee di Ypres. Il campo di battaglia era deserto, non c’erano compagni, nemici, e nemmeno cadaveri. Lungo il percorso si imbatté solamente in cinturoni abbandonati ed elmetti crivellati.
Le esplosioni echeggiavano in lontananza, il tenente proseguì imperterrito, affondando gli stivali nella melma, tra crateri fumanti e gallerie franate.
La nebbia iniziò a diradarsi, ad un tratto scorse una figura davanti a sé. Un ufficiale britannico occupava una postazione d’osservazione, era solo, immobile, a contemplare la terra di nessuno invasa dal mare verde dei gas. 
Richard si avvicinò, iniziò a gridare per farsi notare. Quando l’uomo si voltò egli rimase paralizzato dallo stupore.
«Albert!»
Suo fratello lo accolse con un benevolo sorriso: «ero certo che saresti venuto qui»
«Oh, Albert…ti prego, aiutami» implorò.
Egli si avvicinò parlando con calma e fermezza.
«Non disperarti, non è ancora tutto perduto. Devi solamente trovare il coraggio di affrontare la realtà»
Richard rispose con voce tremante: «la verità è che ho paura»
Albert poggiò una mano sulla sua spalla rivolgendogli uno sguardo comprensivo.  
«Quando eravamo bambini e avevi paura del buio venivi sempre a cercarmi. Io ti accoglievo nel mio letto, ti raccontavo una storia per rassicurarti, e alla fine ci addormentavamo abbracciati»
Richard sorrise a quel ricordo.
«Sapevo che tu avresti sempre pensato a proteggermi»
«Adesso però non sei più un bambino»
«Non importa, continuerò sempre ad aver bisogno di te»
«Questa volta non posso prometterti che andrà tutto bene»
«Non erano le tue parole a rassicurarmi, era la consapevolezza che qualunque cosa sarebbe successa tu saresti rimasto al mio fianco»
«Non avrei mai potuto abbandonarti, non l’ho mai fatto»
«Lo so» disse Richard con profonda commozione.
Albert si distaccò leggermente dal fratello, il suo sguardo tornò ad ammirare l’orizzonte oltre al filo spinato.
«Un buon comandante deve saper accettare anche la sconfitta e le sue conseguenze»
Richard abbassò il capo restando in silenzio.
«So che sei abbastanza forte da sopportare tutto questo» affermò Albert.
«Come puoi esserne certo?»
«Ti conosco bene, non ti sei mai arreso davanti alle difficoltà senza combattere»
«E se fosse troppo tardi?»
«Questo non puoi saperlo»
«Forse dovrei semplicemente rassegnarmi al mio destino»
«Potresti farlo senza avere rimpianti?»
Il tenente non riuscì a mentire a riguardo.
«Sai bene che non sono l’unico a credere in te» continuò Albert.
Richard pensò a tutti coloro che avevano deciso di riporre in lui la loro fiducia: il sergente Redmond, il dottor Jones, il maggiore Farrell, il sottotenente Waddington, il caporale Speller, il capitano Howard, Hugh e i suoi compagni…e ovviamente Finn. Perfino il tenente Foley era tra loro. Non poteva deluderli.
Poco dopo il volto di Richard tornò ad incupirsi.
«Credi che io abbia sbagliato?» domandò con voce tremante.
Albert scosse la testa: «no, hai agito con l’intenzione di salvare la vita dei tuoi commilitoni. Hai anteposto il bene dei tuoi uomini al tuo orgoglio, è stata una scelta lodevole e coraggiosa»
«Non posso evitare di chiedermi se sia stato un mio errore a determinare questa disfatta»
«In guerra ci sono situazioni in cui la sconfitta è inevitabile, non hai nulla di cui rimproverarti»
«Tutto questo non è un gioco, sono responsabile della sorte di ognuno dei miei soldati»
 «Il tuo senso del dovere è ammirevole, ma devi anche essere realista. Nemmeno il migliore degli ufficiali è infallibile»
Egli trovò un’amara verità in quelle parole.  
«Non essere troppo severo con te stesso, questo è il mio ultimo consiglio…forse il più importante»
Richard avvertì un intenso brivido di freddo nel momento in cui Albert si allontanò da lui. L’ufficiale si voltò un’ultima volta per osservare il giovane tenente Green, la sua espressione lasciò trasparire orgoglio e soddisfazione.
«Addio fratellino, buona fortuna»
Richard vide la sua figura svanire lentamente.
«No, Albert! Per favore, resta con me!»
Egli allungò la mano, ma non riuscì a percepire più nulla di tangibile, in breve tutto fu avvolto dall’oscurità.
«Albert! Albert!»
 
Richard si risvegliò urlando e sussultando. Avvertì il cuore battere all’impazzata nel petto, aveva il fiato corto ed era madido di sudore.
Istintivamente infilò una mano all’interno della giacca, stringendo tra le dita il prezioso orologio dorato. Il tenente ripensò a quello strano sogno, un fondo di verità era rimasto, era certo che nonostante tutto Albert non l’avesse mai abbandonato.
 
***

Il mattino seguente Spengler venne svegliato da una recluta alquanto nervosa e agitata.
«Signore, mi spiace disturbarla, ma…è per una questione urgente»
Il tenente sbuffò: «spero che tu abbia ragione»
«Si tratta dell’ufficiale inglese» si giustificò il giovane.
August cambiò atteggiamento e prontamente si rialzò in piedi: «avanti, dimmi»
«Le condizioni del prigioniero sono peggiorate. La ferita deve essersi infettata, ha la febbre alta»
«Qualcuno ha chiamato il dottore?» chiese con una certa apprensione.
«No signore»
«Che diamine stai aspettando? Forza, corri ad avvertire il medico!»
La recluta esitò, per un istante parve infastidita e contrariata, ma davanti al comando del tenente non poté far altro che obbedire, seppur con evidente disapprovazione.
Spengler sospirò scuotendo la testa, se al posto di un inglese ci fosse stato un suo commilitone di certo non avrebbe atteso l’ordine di un superiore per chiedere aiuto.
 
Il tenente Spengler raggiunse la cella sotterranea, il prigioniero era sdraiato sul suo giaciglio, incosciente e febbricitante. Le bende sul suo collo erano sporche di sangue, la ferita si era riaperta.
«Da quanto tempo si trova in queste condizioni?»
La sentinella non fu in grado di rispondere, poté confermare solamente di aver sentito l’inglese urlare per tutta la notte.
«Forse ha perso il senno, è già accaduto con altri prigionieri» ipotizzò.
«Quell’uomo non è impazzito, ha bisogno di cure mediche» spiegò Spengler con la sua consueta razionalità.
Il soldato si domandò per quale motivo la sorte di quell’ufficiale fosse così importante per il suo superiore. Il tenente Spengler era sempre stato un uomo dai solidi ideali, più volte aveva dimostrato rispetto per il nemico, sia sul campo di battaglia che nelle retrovie. Non si era mai accanito contro un avversario inerme poiché non tollerava alcun genere di ingiustizia. Quella però era una circostanza differente, forse era solo una sua impressione, ma sembrava che il suo comandante provasse particolare empatia per quell’ufficiale inglese.
                                                                                                                       
 
Più tardi il tenente Spengler si confrontò con il maggiore Meyer per chiarire la questione. August notò l’espressione accigliata del suo superiore.
«Per quale motivo quell’inglese non è stato ancora indirizzato nelle retrovie?»
«In queste condizioni il prigioniero non sarebbe in grado di affrontare la marcia»
«Abbiamo già fatto anche troppo per lui» commentò Meyer con tono severo.
Il tenente cercò di giustificarsi: «non si tratta di un comune prigioniero, è comunque un ufficiale»
«Crede che i nostri nemici avrebbero altrettanto riguardo nei suoi confronti?»
«Non lo so signore, ma io ho scelto di affrontare la guerra seguendo le sue regole»
«Questo le rende sicuramente onore tenente, ma qui non tutti la pensano come lei»
Spengler non capì: «che cosa intende dire?»
«I suoi uomini non hanno di certo apprezzato la confidenza che ha dimostrato di avere con il tenente britannico»
«È giusto che i soldati imparino a trattare i rivali con rispetto e umanità perché non siano accecati dall’odio e dal rancore»
«Posso comprendere le sue ragioni, ma non siamo al fronte per fraternizzare con il nemico» chiarì Meyer.
«Ne sono consapevole»
«Bene, allora credo che concorderà con me ed ammetterà il suo errore. È suo dovere risolvere la questione al più presto possibile, possibilmente senza creare ulteriori incomprensioni che potrebbero mettere in dubbio le sue competenze come ufficiale»
August acconsentì in silenzio, pur sapendo che in realtà la situazione era ben più complessa.
 
 
Quando tornò in infermeria Spengler trovò il prigioniero sveglio e cosciente. Il suo corpo fremeva ancora a causa della febbre mentre il suo volto pallido appariva come quello di un fantasma.
La ferita era stata medicata e fasciata, il dottore aveva detto che avrebbe avuto bisogno di tempo, ma che si sarebbe ripreso.
Spengler non poté ritenersi soddisfatto da quella risposta, non disponeva di molto tempo in quelle circostanze, la prossima battaglia era imminente. Nonostante ciò l’ufficiale fu lieto di sapere che l’inglese non era in pericolo di vita.
August si avvicinò al suo giaciglio, Richard lo riconobbe immediatamente.
«Tenente Spengler…» ansimò. Stranamente provò un certo sollievo nel rivedere il suo volto.
«Non si sforzi tenente, nelle sue condizioni ha bisogno di riposo»
Green ignorò le sue raccomandazioni: «come mai è venuto qui?»
«Lei è sotto la mia custodia, dunque è mio dovere preoccuparmi della sua salute»
Egli non fu sorpreso da quella risposta, ancora una volta Spengler si stava dimostrando fedele a se stesso.
Il tedesco si posizionò accanto alla branda del ferito restando in silenzio. August era un uomo onesto e corretto, ma era anche determinato e ostinato, di certo non avrebbe concluso quella faccenda senza ottenere quel che voleva.
 
***

Finn osservò la fiamma della candela che danzava nell’oscurità. Strinse i pugni fino a sentire le nocche dolere per lo sforzo, gli occhi lucidi a stento trattennero le lacrime. Ancora una volta il ragazzo avvertì di non poter gestire la situazione. Aveva eseguito gli ordini comportandosi come un buon soldato, eppure non riusciva a liberarsi dal senso di colpa.
Finn non aveva più avuto notizie del tenente Green e il fatto che nessun componente della sua squadra fosse tornato vivo dalla battaglia non era di certo rassicurante.
 
Il giovane era ancora perso in quei pensieri quando il caporale Speller entrò nel rifugio. Finn sussultò avvertendo la presenza del suo compagno.
Speller si posizionò al suo fianco: «volevo ringraziarti per quello che hai fatto»
Egli scosse le spalle: «ho solamente eseguito gli ordini»
«Hai affrontato il pericolo portando a termine un compito molto importante. Senza di te saremmo finiti tutti nelle mani del nemico»
Il giovane abbassò lo sguardo: «avrei dovuto fare di più, forse se fossi riuscito a consegnare il messaggio in tempo anche i nostri compagni sarebbero al sicuro adesso…»
«Non puoi sentirti in colpa per questo»
«Forse ha ragione, ma sento il peso di questa responsabilità»
Speller accennò un debole sorriso.
«Quando ti ho conosciuto eri soltanto un ragazzino spaventato, adesso invece ho la consapevolezza di trovarmi davanti a un buon soldato, ad un compagno al quale potrei affidare la mia vita senza alcuna esitazione»
Finn si sentì onorato da quelle parole, ma non era certo di meritare quegli elogi.
«È stato il tenente Green ad insegnarmi tutto quel che so sulla guerra» rivelò con profonda tristezza.
«Tutti noi ci sentiamo perduti senza il nostro comandante, ma al momento non possiamo fare altro che sperare per il meglio»
Il giovane restò in silenzio, in quel momento avrebbe solamente voluto trovarsi al fianco di Richard.
 
 
Finn aveva ormai terminato il suo turno di guardia quando all’improvviso avvertì delle voci concitate. Immediatamente si affrettò a raggiungere le altre sentinelle.
I soldati scorsero un’ombra aggirarsi intorno al filo spinato, pian piano la sagoma divenne sempre più nitida finché la figura non sorpassò i reticolati.
Le sentinelle avevano già i fucili puntati quando Hugh gridò di abbassare le armi.
«Fermi, non sparate! Quell’uomo è un inglese!»
Finn non credette ai suoi occhi quando al chiarore di luna riconobbe la divisa britannica e il volto del suo commilitone.
«È il sergente Redmond!»
Il sottufficiale fu tratto in salvo e portato al riparo dai suoi compagni. Redmond era sfinito e sconvolto, ma ancora tutto intero. Dopo aver raggiunto il rifugio Finn e Hugh si occuparono di lui, offrendogli una coperta e una zuppa calda.
Lentamente il sergente tornò in sé, riuscì a parlare solamente dopo essersi accertato di essere realmente al sicuro.
«Che cosa è successo?» domandò Finn con apprensione.  
Redmond prese un profondo respiro prima di iniziare a narrare il resoconto delle sue disavventure.
«La mia pattuglia aveva ricevuto l’ordine di occupare un avamposto nella terra di nessuno, era nostro dovere mantenere la postazione. Il tenente Green aveva organizzato una buona difesa, ma era chiaro che non avremmo potuto resistere a lungo. Il nemico ci aveva ormai accerchiati, abbiamo continuato a combattere, è stato uno scontro terribile, un crudele corpo a corpo senza pietà. Abbiamo resistito fino alla fine, la nostra è stata una resa onorevole. Ormai eravamo stremati, molti soldati erano gravemente feriti. Siamo stati catturati dal nemico, molti altri hanno condiviso la nostra sorte. Una lunga colonna di prigionieri inglesi era in marcia verso le linee tedesche. Abbiamo attraversato il campo di battaglia tra il fumo e la nebbia. All’improvviso il nostro gruppo si è ritrovato coinvolto in una sparatoria. In quel momento ho capito che non avrei avuto un’altra possibilità, così ho approfittato dell’occasione per fuggire. Mi sono allontanato avvertendo l’eco degli spari alle mie spalle, in qualche modo sono riuscito a distanziare i miei inseguitori. Mi sono ritrovato solo nella terra di nessuno, senza alcun punto di riferimento. In qualunque direzione avrei potuto incontrare alleati o nemici…sono riuscito a ritrovare la nostra linea per miracolo!»
Finn esitò prima di porre la fatidica domanda: «che ne è stato del tenente Green?»
Redmond abbassò tristemente lo sguardo: «anch’egli è stato catturato. L’ultima volta in cui l’ho visto era gravemente ferito»
Il giovane avvertì un nodo alla gola e gli occhi umidi. Non voleva credere in tutto ciò, il suo peggior incubo era diventato realtà. Richard era in pericolo e lui non poteva fare nulla per aiutarlo, quel senso di impotenza era insostenibile.
In quel momento Finn si sentì completamente annientato, era come se l’intero mondo gli fosse crollato addosso. Richard era sempre stato il suo punto di riferimento, il suo scoglio sicuro in quel mare di morte e distruzione. Non poteva accettare l’idea di affrontare quella guerra senza di lui. Non voleva credere di averlo perso per sempre.
Il sergente Redmond percepì la sua angoscia, pur non sapendo che il rapporto tra quel giovane soldato e il suo comandante andava oltre alla sincera stima e alla profonda amicizia. Era consapevole di non poter fare molto per aiutare il suo commilitone, ma decise comunque di provare a confortarlo.
«So che è difficile, ma devi essere forte adesso. Il tenente Green ha sempre creduto in te, non puoi deluderlo proprio ora»
Finn comprese l’importanza di quelle parole. Dopo essersi ripreso dallo sconforto tentò di reagire in modo più obiettivo e razionale. Non era giusto abbandonarsi al dolore, l’unico modo in cui avrebbe potuto continuare a dimostrare la sua fedeltà al tenente era adempire al meglio al suo dovere di soldato.

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Capitolo 29
*** Dulce et decorum est ***



XXIX. Dulce et decorum est
 

Il paesaggio della Somme era cambiato nel corso della guerra. Nella primavera del 1918 il suolo sconnesso era caratterizzato da piccole vallate e strade sommerse. Dalle acque paludose emergevano isole di terreno fangoso, queste piattaforme erano utilizzate dai due schieramenti come avamposti, rifugi e postazioni d’osservazione.
Sulle colline invece si trovavano cave e miniere abbandonate, le quali erano state trasformate in fortini ben armati e difesi.
Il fronte si estendeva per chilometri tra enormi aeree deserte e devastate dai bombardamenti. I villaggi erano stati ridotti in rovine e cumoli di macerie. Le strade erano ostruite da tronchi bruciati che erano stati sradicati dalle esplosioni, nei punti di intersecazione tra le vie principali le mine avevano formato enormi crateri.
Ogni ponte sulla Somme era stato distrutto, la linea ferroviaria era inagibile, i binari deformi apparivano con forme astratte e contorte.
 
Come ogni mattina il tenente Wilfrid May completò il consueto volo di ricognizione, la sua squadriglia era di ritorno verso il campo di Corbie quando all’improvviso si imbatté in uno stormo nemico. May era ancora un pilota alle prime armi, il suo compito era quello di osservatore, in ogni caso aveva l’ordine di non azzardare alcun approccio con il nemico. Per un giovane irrequieto e impulsivo, e soprattutto impaziente di dimostrare il proprio valore, quello non era affatto un compito semplice. Nel momento in cui avvistò il suo primo avversario non esitò a scendere di quota per avventarsi contro di lui. Il comandante della squadriglia, il tenente Roy Brown, era un caro amico di May, così quando lo vide planare incontro al pericolo non poté far altro che seguirlo.
Lo scontro fu arduo per i piloti della RAF, i quali erano in notevole svantaggio numerico. I biplani alleati sfuggirono alle raffiche tedesche tra looping e altre acrobazie. Le truppe australiane a terra poterono ammirare uno spettacolo davvero affascinante ed eccitante.  
Brown emise un sospiro di sollievo notando che il suo compagno era riuscito ad abbattere l’avversario. Purtroppo l’illusione di vittoria fu breve. Wilfrid virò per tornare al campo, proprio in quell’istante un altro nemico si gettò al suo inseguimento, si trattava di un Fokker rosso che sfrecciava nel cielo a tutta velocità.
Brown trasalì accorgendosi che la mitragliatrice di May si era inceppata, in quelle condizioni, disarmato e vulnerabile, sarebbe diventato un facile bersaglio. Il comandante canadese non esitò a correre in suo soccorso, ma all’improvviso si trovò circondato da tre velivoli nemici, ben presto perse di vista sia il suo compagno che il triplano rosso fuoco.
I tedeschi iniziarono a volteggiare sempre più velocemente intorno al suo Camel con l’intento di abbatterlo con il fuoco incrociato. Brown fu costretto a ricorrere a manovre azzardate e assurde acrobazie per evitare di essere colpito. Nonostante la drammaticità della situazione non perse il controllo e mantenne il sangue freddo. Era consapevole che quello sarebbe potuto essere il suo ultimo scontro, ma era pronto ad affrontare il suo destino, di certo avrebbe fatto pagare cara la sua pelle al nemico.
Il Camel si impennò, si rigirò a rovescio e picchiò per poi raddrizzarsi sotto ai tre aerei tedeschi, che nel tentativo di riassestarsi per poco non si schiantarono l’uno contro l’altro. Brown ebbe il tempo di risalire di quota, i tedeschi lo individuarono e tornarono all’inseguimento. Anche quella volta l’aviatore canadese lasciò avvicinare i velivoli nemici, poi all’improvviso scivolò d’ala per ritrovarsi nuovamente al rovescio sotto di loro. Avviandosi in candela poté riprendere quota, riuscendo così a sfuggire agli inseguitori che presto lo persero di vista. Brown scrutò il cielo in ogni direzione nella speranza di ritrovare May ancora vivo. Avvistò il suo aereo a nord, in rotta verso il campo di Corbie. Immediatamente virò per raggiungerlo, così facendo si accorse del nemico che stava ancora inseguendo il suo amico. Riconobbe la sagoma rossa stagliata all’orizzonte, proprio dietro al suo compagno.
Brown salì ancora di quota, nel frattempo May continuava a muoversi a zig-zag sopra alla pianura della Somme per sfuggire alle feroci raffiche del Barone Rosso. Il Fokker seguiva tutte le mosse del suo avversario, imitando prontamente ogni manovra per non perderlo di vista.
Il tenente Brown si accorse di non avere molto tempo, May virava freneticamente da una parte all’altra per evitare il tiro del nemico, ma l’Asso tedesco era più rapido e veloce, si avvicinava sempre di più, in breve l’avrebbe sicuramente raggiunto.
Ad un tratto il Fokker smise di seguire le disperate deviazioni del suo avversario, decidendo di dirigersi verso di lui in linea retta, riducendo ulteriormente la loro distanza.
Brown sovrastò il triplano rosso, il nemico impegnato in quella spietata caccia non si accorse della presenza del secondo Camel che stava planando sulla sua coda.
May era ormai senza speranza, sapeva di non avere più alcuna possibilità. Avvertì l’inquietante ombra del Fokker alle sue spalle. Il nemico l’aveva raggiunto, Wilfrid attendeva soltanto la raffica fatale. Effettivamente avvertì una mitragliatrice, ma ben presto si accorse che qualcosa non era andato come aveva tragicamente previsto. Per prima cosa egli era ancora vivo, e il suo aereo sembrava intatto. Quando si voltò per controllare la situazione non credette ai propri occhi. Al posto del minaccioso triplano rosso dietro di sé trovò il Camel pilotato da Brown, il suo amico gli aveva appena salvato la vita.
Ancora incredulo e sconvolto May abbassò lo sguardo, sotto di lui vide il Fokker schiantarsi al suolo: il leggendario Barone Rosso era stato abbattuto. [*]
 
***

Una colonna di fumo nero si innalzò verso il cielo, Finn e i suoi compagni avevano assistito all’ultimo atto dell’avvincente battaglia. Da quella distanza però avevano appena scorto le sagome dei velivoli all’orizzonte, seguendo le loro ombre che si stagliavano contro l’intensa luce del mattino. In quelle condizioni non avevano nemmeno potuto riconoscere il triplano rosso fuoco.
Soltanto quella sera, quando un ufficiale australiano si presentò all’accampamento, gli inglesi ebbero la conferma di aver assistito alla sconfitta del Diavolo Rosso.
Un gruppo di curiosi si riunì intorno al comandante dell’Anzac, erano tutti impazienti di avere notizie sull’accaduto.
L’uomo descrisse con vivo entusiasmo la battaglia aerea, ma quando arrivò alla fine del racconto il suo tono si incupì e i suo sguardo si rattristò.
«Quando giunsi sul luogo del disastro trovai i miei compagni radunati intorno ai rottami, dove giaceva ancora la salma dell’aviatore. Mi avvicinai anche io spinto dalla curiosità, volevo vedere con i miei occhi il volto del temibile Barone Rosso. È stato strano, egli non era affatto come l’avevo sempre immaginato. Credevo di trovare un uomo spietato e un crudele assassino…invece ai miei piedi c’era solamente il cadavere di un ragazzo. Era così fragile e delicato...aveva un’espressione dolce e serena sul viso, sembrava addormentato su quel prato fiorito. Aveva un aspetto così nobile e gentile...solamente quando vidi avvicinarsi i due piloti canadesi mi ricordai che quel giovane in realtà era un terribile nemico»
Gli inglesi restarono in rispettoso silenzio, furono turbati dalle sue parole, quella che avrebbe dovuto essere una grande vittoria si era tramutata nell’ennesima prova della crudeltà di quella guerra.
Finn si ritrovò a riflettere su quelle considerazioni. Inevitabilmente ripensò alla prima volta in cui aveva visto quell’aviatore in azione nel cielo di Arras. Ricordò il cruento duello con il Brisfit e i corpi carbonizzati dei due piloti inglesi. Alla fine anche l’Asso tedesco aveva condiviso la stessa sorte delle sue vittime.
Nonostante tutto poté comprendere la pietà provata da quell’ufficiale nei confronti del nemico. Quel tedesco era stato un rivale lodevole, era caduto in battaglia con onore, come un vero eroe di guerra.
Il ragazzo tornò mestamente al suo rifugio, attraversando le trincee avvertì un clima cupo e opprimente. L’irreale morte del Barone Rosso aveva sconvolto anche le linee britanniche.
 
***

Dawber si risvegliò nel suo letto d’ospedale, era rimasto sospeso tra la vita e la morte per molto tempo, i medici avevano iniziato a perdere le speranze. La sua ripresa era stata lenta e dolorosa, per settimane non si erano manifestati miglioramenti, la situazione restava drammatica.
Quando le sue condizioni erano tornate stabili i dottori avevano considerato ciò come un vero e proprio miracolo.
Nel momento in cui Dawber aveva realmente preso coscienza della sua condizione aveva pianto, forse per la prima volta in tutta la sua esistenza. La sua gamba destra era stata amputata fino al ginocchio, l’altro arto si era fratturato in più punti, mentre l’intero suo corpo era cosparso da ustioni e cicatrici. Nemmeno il suo volto era più riconoscibile, segnato da un profondo taglio che dallo zigomo sinistro scendeva fino al collo. Per i primi tempi non poteva né parlare né mangiare. I medici utilizzavano ancora una sonda per nutrirlo con un intruglio a base di uova dall’odore nauseante.
A causa della povera alimentazione, della malattia e dell’immobilità Dawber era dimagrito in modo impressionante. Il soldato, un tempo prestante e muscoloso, era deperito diventando quasi scheletrico. Era pallido e debole, anche il semplice respirare era uno sforzo immane per lui. Riusciva a sopportare il dolore solamente grazie alla morfina.
Trascorreva ogni notte in preda agli incubi e alle allucinazioni. A volte aveva provato a ricordare, ma nella sua mente si susseguivano solamente immagini frammentate e confuse.  
Aveva una sola certezza: era stato Hugh a salvarlo. Sapeva che era stato lui a soccorrerlo, a stringerlo tra le braccia e a sussurrargli parole di conforto. Lo sguardo preoccupato del suo compagno era l’ultima cosa che aveva visto prima di perdere i sensi.
Il suo rapporto con Hugh era sempre stato complesso, i due erano molto diversi, al di fuori della guerra le loro strade non si sarebbero mai incrociate. Eppure, nonostante tutto, entrambi non avevano mai esitato a supportarsi e a proteggersi a vicenda. Erano diventati buoni compagni, con il tempo erano entrati in confidenza, arrivando a confessarsi i loro più intimi segreti.
Hugh era l’unico a cui aveva parlato della sua famiglia, in lui rivedeva se stesso, la parte migliore di sé, quella che ormai era svanita per sempre. Per questo aveva tentato in ogni modo di salvarlo.
 
Dawber provò un profondo dolore ripensando alla sua famiglia. Erano trascorsi cinque lunghi anni dall’ultima volta in cui aveva visto i suoi cari. I suoi figli erano cresciuti, il primogenito avrebbe compiuto dieci anni quell’estate, mentre il più piccolo aveva appena festeggiato il suo sesto compleanno. Dawber si domandò che aspetto potessero avere, ricordava alla perfezione ogni particolare dei loro volti, ma quelle immagini erano rimaste bloccate nel tempo.
Quei bambini si ricordavano ancora di lui? Che cosa pensavano del padre che era scomparso dalle loro vite?
Dawber si rattristò, non aveva mai avuto intenzione di abbandonare le persone più importanti della sua vita. Aveva deciso di andarsene, ma in realtà non aveva mai smesso di prendersi cura dei suoi familiari. Era per il loro bene che aveva scelto di non tornare, per non deluderli, per non fare più del male a coloro che amava.
La rinuncia era stata la sua più grande dimostrazione d’amore.
Dawber fu invaso da una profonda sensazione di malinconia al ricordo della moglie. Erano solamente due ragazzini quando si erano innamorati, ma i suoi sentimenti nei suoi confronti non erano mai cambiati. Fin dal primo momento aveva avuto la consapevolezza che lei sarebbe stata la donna della sua vita, e nonostante tutto, dopo tanto tempo, quella certezza restava immutata nel suo cuore.
Sapeva di averla fatta soffrire, e non si sarebbe mai perdonato per questo.
Aveva provato con tutto se stesso a diventare un uomo migliore, un degno marito e un buon padre…ma aveva avuto la sua possibilità ed aveva fallito. Ormai era troppo tardi per rimediare agli errori del passato. Era tutto perduto, questa volta per sempre.  
 
***

Una folata d’aria gelida entrò attraverso le sbarre, le flebili fiamme della candele tremarono, proiettando ombre oscure sulle pareti umide. La cantina era buia e silenziosa, dal corridoio giungeva un intenso odore di alcol misto a tabacco. La notte era lunga anche per i soldati tedeschi.
Il tenente Green si rigirò tra le coperte, tormentato da timori e angosce ricorrenti. Con il passare del tempo i suoi pensieri divennero sempre più cupi, in quelle drammatiche condizioni non poté far altro che prepararsi al peggio.
Richard non aveva mai ambito ad una morte gloriosa sul campo di battaglia, era sempre stato deciso a compiere il suo dovere, più volte aveva dimostrato di essere disposto a sacrificarsi per i suoi compagni. Eppure in quel momento realizzò di non voler andare incontro ad una fine miserabile. Non aveva intenzione di morire di stenti in quella cella, non poteva arrendersi, non voleva abbandonare i suoi commilitoni. Il suo più grande rammarico era Finn, non aveva nemmeno avuto la possibilità di dirgli addio, non era riuscito a dimostrargli quanto fosse realmente importante per lui. Aveva infranto la sua promessa tradendo la sua fiducia. Questo restava il suo unico rimpianto.
 
***

Finn rivolse lo sguardo verso la terra di nessuno, oltre ai reticolati, dove il tenente Green era scomparso.
Il giovane fissò intensamente quel preciso punto, la quiete della notte rese i suoi pensieri ancora più tristi e malinconici.
Avrebbe voluto reagire, ma non sapeva come, era sempre più difficile mantenere la calma in quella situazione, ma non voleva arrendersi alla disperazione. Non avrebbe mai dubitato del suo amato, dentro di sé sapeva che Richard avrebbe fatto tutto il possibile per tornare da lui. Nonostante ciò non voleva illudersi, ormai non gli rimaneva alcuna certezza.
Finn si voltò avvertendo il rumore d alcuni passi, nella penombra riconobbe il sergente Redmond.
L’uomo si avvicinò fermandosi al suo fianco: «come mai sei ancora qui? Il tuo turno di guardia è terminato»
Il ragazzo sospirò: «in ogni caso non riuscirei a dormire»
Il sergente non ebbe bisogno di interrogarlo per comprendere i suoi tormenti.
«Il tenente Green è l’uomo più valoroso e determinato che abbia mai conosciuto. Devi avere fiducia in lui»
«Lei pensa che sia ancora vivo?»
Redmond guardò il suo interlocutore negli occhi: «voglio credere che sia così»
Finn riconobbe un velo di tristezza in quelle parole.
Il sergente ripensò a quando aveva consolato il tenente Green nelle Fiandre, a quel tempo non conosceva la causa del suo dolore, ma ora tutto era più chiaro. Il legame tra quei due giovani era forte e intenso, Redmond ignorava la vera natura di quel rapporto, e in fondo nemmeno gli importava. Voleva bene a Green come a un figlio e di conseguenza si era affezionato anche al suo fedele attendente.
«Sai, ero sincero quando ti ho detto che eri davvero importante per il tenente. Sono certo che anche lui sia preoccupato per te in questo momento, ovunque egli sia…»
Finn si commosse nel sentire quelle parole, non sapeva perché il sergente si stesse dimostrando così apprensivo nei suoi confronti, ma si fidava di lui. Aveva già avuto prova che anch’egli avesse a cuore il bene di Richard.
«È tardi, dovresti almeno provare a riposare» suggerì Redmond con tono benevolo.
Finn annuì, era stata una giornata impegnativa e nonostante tutto iniziava ad avvertire la stanchezza.
«Buonanotte sergente»
Redmond rispose al saluto, si strinse nella giacca e rimase ad osservare il ragazzo sparire oltre al muro di terra. Aveva un pessimo presentimento, un giovane soldato dall’animo ferito e tormentato era potenzialmente pericoloso.
Il sottufficiale tornò sui suoi passi, forse si stava preoccupando in modo eccessivo, ma il suo istinto non l’aveva mai tradito.  
 
***

All’alba l’artiglieria tedesca sferrò un decisivo attacco, un gran numero di batterie furono coinvolte, l’intero crinale era stato armato con cannoni e mortai. Enormi colonne di fango si sollevarono nella desolata terra di nessuno, i proiettili bruciavano avvolti dalle fiamme, scie incandescenti brillavano nel cielo.
Il suolo tremava a causa delle continue esplosioni, il fragore era assordante, nel mezzo della confusione i soldati non riuscirono nemmeno a distinguere il rombo dell’artiglieria britannica che aveva iniziato a rispondere al nemico.
Al termine di quell’intenso bombardamento iniziò il fuoco di sbarramento, la fanteria tedesca avanzò nella terra di nessuno tra la nebbia e i proiettili, infiltrandosi nelle linee britanniche.
Gli inglesi faticarono a determinare la posizione dei soldati nemici che si muovevano tra la foschia come fantasmi, i segnali di SOS furono mascherati dal fumo intenso. La nebbia impedì anche agli aviatori della RAF di trarre informazioni utili durante le missioni di osservazione, così gli inglesi non furono in grado di indirizzare con precisione il fuoco d’artiglieria durante il contrattacco.
 
Finn si strinse contro al muro di terra, gli ordini erano stati chiari, ogni soldato doveva mantenere la sua posizione e prepararsi ad affrontare il nemico.
A causa della nebbia la visibilità era estremamente ridotta, in assenza di vento la situazione era destinata a restare svantaggiosa per gli inglesi.
I tedeschi continuarono ad avvicinarsi alle trincee britanniche, sfidando i colpi dei fucili e le raffiche di mitragliatrici, mentre palle di shrapnels scoppiavano sopra alle loro teste.
Gli inglesi ebbero l’impressione di essere travolti da ondate inarrestabili di soldati nemici. I tedeschi raggiunsero i reticolati, ormai distrutti dal precedente bombardamento. Faccia a faccia con il nemico il combattimento divenne sempre più intenso e cruento.
Nel mezzo dello scontro Finn notò che una mitragliatrice Lewis era rimasta intatta, per raggiungerla però avrebbe dovuto esporsi pericolosamente al nemico. Il giovane osservò i suoi compagni che rispondevano ardentemente al fuoco con i loro fucili, incitati dalle grida di incoraggiamento del caporale Speller. Il ragazzo non esitò ad agire, animato dall’eccitazione bellica seguì il suo istinto, sfidando le pallottole tedesche per raggiungere il suo obiettivo. Miracolosamente riuscì ad arrivare sano e salvo alla postazione. Prontamente prese il controllo dell’arma ed iniziò a sparare, mirando alle postazioni nemiche.
Finn continuò a premere il grilletto in preda all’esaltazione, soltanto quando l’otturatore si inceppò egli tornò alla realtà. Aveva ancora i nervi tesi, il cuore batteva all’impazzata nel suo petto mentre il sangue pulsava nelle vene.
Il soldato si passò una mano sulla fronte sudata, rimase impietrito davanti alla canna fumante della mitragliatrice, incredulo di essere ancora vivo. Per lui fu come risvegliarsi da una potente allucinazione.
Finn sgranò gli occhi realizzando di essere rimasto solo, il suo gesto eroico l’aveva intrappolato nella terra di nessuno, troppo distante dalle linee britanniche e troppo vicino alle trincee nemiche.
 
Il tenente Foley scorse delle ombre grigie in avvicinamento. L’ufficiale si arrampicò sul parapetto e con la sua Webley sparò al nemico. Tre soldati caddero fatalmente a terra, mentre gli altri corsero al riparo. La postazione tedesca era ben protetta, la mitragliatrice continuò a sparare contro la linea britannica. 
A quel punto William afferrò una granata e la scagliò oltre alla barricata. La bomba raggiunse il suo obiettivo, l’esplosione gettò in aria una nube di fumo e schegge, la squadra di artiglieri fu annientata, non restarono superstiti.
Poco dopo Foley si ritrovò coinvolto in un’intensa sparatoria, la terra di nessuno fu attraversata da una fitta pioggia di proiettili. La sfida tra le due mitragliatrici durò a lungo, finché il tenente britannico non fu gravemente ferito. Un proiettile lo colpì alla spalla destra, penetrando in profondità. I suoi commilitoni lo soccorsero prontamente, trascinandolo al riparo.
Due soldati lo distesero su una barella, l’ufficiale giaceva inerme, pallido e privo di sensi.
 
Il sottotenente Waddington e il soldato Walsh si trovarono soli nella terra di nessuno. Si erano persi a causa della nebbia e correndo tra bombe e proiettili avevano trovato rifugio in un profondo cratere.
Waddington si rannicchiò sul fondo della buca mentre la tempesta di proiettili diventava sempre più intensa. Il sottotenente intuì che presto quella fossa si sarebbe trasformata in una trappola mortale.
Prontamente ordinò al suo compagno di seguirlo in superficie, ma egli restò fermo come una statua.
«Forza, non possiamo restare qui!» ribadì con più insistenza.
Il soldato rimase immobile.
«Non abbiamo molto tempo, dobbiamo andare!»
«Mi dispiace signore, non posso…»
Il sottotenente non comprese il reale significato delle sue parole e provò ancora una volta a convincerlo.
Walsh alzò la testa guardando il suo superiore negli occhi. In quel momento Waddington intuì ciò che egli aveva intenzione di fare. Conosceva bene quello sguardo vacuo e rassegnato. Walsh non era più stato lo stesso dopo la morte di McCall, sapeva che i due erano sempre stati uniti come fratelli. Probabilmente si sentiva in colpa per l’accaduto e non poteva più sopportare quel peso sulla sua coscienza. La mancanza del suo compagno era diventata insostenibile. Preferiva condividere la sua stessa sorte piuttosto che affrontare il dolore della guerra senza di lui.
Nonostante tutto il soldato Walsh aveva un’espressione calma e serena, era convinto della sua decisione, il suo fu un silenzioso addio.
Il sottotenente Waddington fu costretto a farsi forza per separarsi dal suo commilitone e abbandonare il cratere. Non aveva altra scelta, così tornò a correre verso le linee britanniche. 
Si era allontanato solo da pochi istanti quando all’improvviso un proiettile d’artiglieria colpì in pieno il rifugio da cui era appena fuggito.
Waddington osservò con orrore l’intensa nube di fumo tra la nebbia e le fiamme. Rimase paralizzato, a stento si resse sulle gambe tremanti. Avvertì gli occhi umidi, non poteva credere a ciò che era appena successo.
Una seconda esplosione lo riportò alla realtà, l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento, così continuò la sua disperata fuga senza più voltarsi.
 
Finn si arrampicò sulla parete di fango raggiungendo il bordo del cratere. Riuscì ad abbassarsi appena in tempo per evitare una raffica di proiettili che fendette l’aria sopra la sua testa.
Il ragazzo maledisse se stesso e la propria ostinazione per essersi cacciato in quella situazione.
Ritrovandosi solo nel mezzo della battaglia fu costretto ad ammettere la verità, nonostante la sua determinazione egli restava ancora un soldato inesperto. In quel momento consigli e raccomandazioni gli sarebbero stati utili, ma soprattutto avrebbe avuto bisogno del sostegno e della guida del suo comandante.
Avrebbe voluto dimostrare il suo valore in onore di Richard, invece aveva finito per agire come il ragazzino testardo e impulsivo che era sempre stato.
Finn tentò di reagire in modo razionale, dalla sua posizione poteva intravedere il reticolato britannico, ma quella striscia di terra che lo separava dalla salvezza era continuamente bersagliata da proiettili e granate.
Ad un tratto il giovane avvertì un altro pericolo, riconobbe immediatamente quell’odore intenso e dolciastro. Prontamente indossò la maschera antigas e cautamente si sporse dal cratere. Una densa nube di fosgene si stava avvicinando minacciosamente alle linee inglesi.
Finn era intenzionato a strisciare in superficie, ma la forza d’urto di una vicina esplosione lo scaraventò nuovamente sul fondo della fossa.
Riprese conoscenza ritrovandosi disteso in una pozza di melma. Iniziò a boccheggiare, respirava a fatica. Con orrore Finn pensò che la valvola non stesse funzionando, o che la maschera si fosse strappata. La nube di gas si stava espandendo sempre di più all’interno della buca, ben presto il vapore mortale non gli avrebbe lasciato alcuna possibilità. Era certo di non poter resistere a lungo in quelle condizioni, gli occhi lacrimavano in continuazione mentre i polmoni bruciavano dolorosamente ad ogni respiro, il suo petto si muoveva freneticamente tra gli spasmi.
Finn avvertì che le forze lo stavano abbandonando, aveva la vista annebbiata, l’eco delle esplosioni rimbombava incessantemente nella sua testa. I pensieri divennero confusi e frammentati, ormai stremato il ragazzo si accasciò al suolo, ebbe la sensazione di fluttuare nel vuoto, poi tutto fu avvolto dall’oscurità.
 
 
 
 
 
 [*] Le vicende in parte romanzate in questa storia sono basate principalmente sulla testimonianza del capitano canadese Arthur Roy Brown, la cui versione dei fatti è piuttosto eroica e romantica. In realtà la morte del Barone Rosso è rimasta a lungo avvolta dal mistero e la questione ha dato origine a molte controversie nel corso degli anni. La RAF ha ufficialmente riconosciuto l’abbattimento da parte del capitano Brown. Al giorno d’oggi però storici ed esperti di balistica concordano nel sostenere che von Richthofen fu colpito da terra da una mitragliatrice australiana, probabilmente fu il sergente Cedric Popkin a sparare il proiettile fatale.

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Capitolo 30
*** Oltre il confine ***



XXX. Oltre il confine
 

Il dottor Jones aveva assistito a numerosi casi di avvelenamento da gas, ma ogni volta provava il medesimo senso di impotenza nel vedere quei soldati che soffrivano atrocemente, mentre il cloro corrodeva i loro polmoni, conducendoli inevitabilmente verso una morte per soffocamento lenta e dolorosa.
Più i giorni passavano e più aumentava il numero delle vittime.
Il medico raggiunse la branda su cui giaceva il giovane assistente del tenente Green. Quando quel ragazzo era stato portato in ospedale si trovava in condizioni critiche, era incosciente, il suo volto irritato dalle sostanze chimiche era arrossato, mentre le sue mani gelide in stato di cianosi avevano iniziato a prendere una colorazione bluastra.  
In quel momento aveva davvero creduto che non ci fosse più nulla da fare per lui, eppure una speranza era rimasta quando aveva avvertito un debole battito e un flebile respiro.
Il dottor Jones osservò il suo paziente, Finn era sveglio, sdraiato con la testa all’indietro. Ansimava, con un’espressione tesa e ansiosa sul viso, annaspava disperatamente in cerca di aria.
Il medico conosceva bene quella condizione simile all’asma, i muscoli respiratori ausiliari si contraevano in continuazione, il torace si estendeva in modo eccessivo durante l’ispirazione, ma i polmoni che non ricevevano abbastanza ossigeno non avevano la forza necessaria per svuotarsi, così la riduzione di volume durante l’espirazione diventava minima.
La temperatura del suo corpo era estremamente bassa, le pulsazioni restavano lente e regolari.
Il giovane era colto da frequenti attacchi di tosse, durante queste crisi estremamente dolorose si verificava l’espulsione di espettorato schiumoso. A volte sopraggiungeva il vomito, con liquido polmonare e sangue.
Jones aveva riconosciuto in lui tutti i sintomi classici del caso, inclusi forti emicranie e danni epigastrici causati dall’intenso sforzo della tosse.
Ogni tre ore il medico esponeva il giovane al trattamento con inalazioni di ammoniaca e carbonato di ammonio, ciò aiutava l’organismo ad espellere le sostanze tossiche. Oltre a ciò non poté far altro che assistere il malato durante la sua disperata lotta per la sopravvivenza.
L’intensa dispnea si attenuò gradualmente, dopo ore trascorse tra dolori e sofferenze Finn si addormentò, stremato e ormai privo di forze.
Il dottor Jones vegliò su di lui con apprensione, al termine della fase asfittica il paziente poteva mostrare segni di miglioramento, oppure non risvegliarsi più.
 
Fortunatamente in quel caso Finn riaprì gli occhi, tornando pian piano a riprendere contatto con la realtà. Era ancora debole, ma rispetto a poche ore prima appariva rinvigorito.
Il dottor Jones continuò a monitorare ad intervalli regolari le sue condizioni per assicurarsi che la sua ripresa stesse procedendo senza complicazioni.
 
Il medico aveva appena terminato una complicata operazione, aveva ancora le maniche macchiate di sangue quando un infermiere corse ad avvertirlo, le condizioni del soldato Coogan erano nuovamente peggiorate.
Jones affrontò la situazione con la sua solita razionalità, non si trovò impreparato di fronte a quella crisi. Già in altri pazienti aveva diagnosticato una bronchite sviluppata dopo l’esposizione al cloro.
Finn era un caso abbastanza grave, il tempo di quiescenza tra il suo risveglio e la comparsa dell’infiammazione era stato particolarmente breve.
Il ragazzo riprese ad ansimare e tossire, sputando grumi di sangue.
Il dottore afferrò il suo polso, il battito era rapido e accelerato, la sua pelle scottava, aveva la febbre alta.
Poco dopo il paziente iniziò a delirare, si rigirava tra le coperte, urlando e farneticando.
Jones tentò di trattenerlo, alla fine fu costretto a ricorrere alla morfina per calmarlo. 
 
Il giorno seguente il medico tornò a far visita a Finn, fu sollevato nel constatare che la situazione era migliorata. La sua condizione era tornata stabile, il malato non soffriva più a causa della febbre.
Le crisi si verificavano con meno frequenza, durante gli attacchi di dispnea il dottor Jones trattava il paziente con iniezioni di atropina, la terapia sembrava avere effetto.
 
Il sergente Redmond raggiunse l’ospedale in preda all’ansia e alla preoccupazione. Nemmeno le parole speranzose del dottor Jones riuscirono a rassicurarlo.
«Il soldato Coogan non è più in pericolo di vita, le sue condizioni sono stabili al momento»
«Posso fargli visita?»
Egli negò: «non adesso, sta dormendo»
«Per favore, voglio solo vederlo» insistette Redmond.
Jones sospirò: «d’accordo, ma faccia attenzione, qui i pazienti hanno bisogno di riposare»
Il sottufficiale si allontanò senza nemmeno ascoltare le sue raccomandazioni.
Redmond raggiunse una piccola stanza, quattro brande erano poggiate alla parete. L’ultima, quella più vicina alla finestra, ospitava il giovane attendente.
Finn era addormentato, il suo respiro era ancora irregolare. Erano evidenti i segni di astenia, ma pian piano il suo volto pallido stava riprendendo colore.
Il sergente ripensò ai recenti eventi dell’ultima battaglia. Nel momento in cui aveva visto il giovane soldato uscire dalle trincee aveva cercato di seguirlo, ma anch’egli era rimasto coinvolto nel feroce scontro con il nemico. Si era avventurato nella terra di nessuno per cercare di riportare il ragazzo al sicuro, ma era giunto troppo tardi. L’aveva trovato sul fondo di un cratere, privo di sensi in una nube di gas.
Il sergente era rimasto colpito dal suo gesto tanto coraggioso quanto sconsiderato, aveva intuito facilmente le ragioni che l’avevano spinto ad agire in quel modo. Finn soffriva profondamente per la mancanza del tenente. Egli era un buon soldato, ma ancora inesperto. Si era lasciato sopraffare dai sentimenti, e alla fine per reagire a quel dolore aveva commesso un atto impulsivo e irresponsabile.
Redmond non poté ritenerlo completamente colpevole, nonostante tutto era soltanto un ragazzo.
Il sottufficiale rimase accanto al ferito in attesa del suo risveglio. Quel giovane aveva bisogno di qualcuno in quel momento difficile, in fondo però sapeva che soltanto il tenente Green avrebbe potuto rassicurarlo.  
 
***

Il tenente Spengler era stato costretto a rinunciare al suo interrogatorio, dopo l’ennesimo fallimento il maggiore Meyer aveva stabilito che esistevano altre questioni più urgenti di cui occuparsi.
August aveva deciso di rispettare sia la decisione del suo comandante che l’invidiabile stoicismo dell’avversario.
Le truppe tedesche avevano iniziato la ritirata per rafforzare le linee di difesa lungo la linea Siegfried, il tenente Spengler ricevette l’ordine di abbandonare il suo avamposto.
L’ufficiale aveva meditato a lungo sulla questione, l’esercito tedesco aveva perso in breve tempo le terre conquistate dopo l’ultima offensiva.
A causa di queste nuove preoccupazioni Spengler provò un certo sollievo nel pensare che presto la sorte del prigioniero non sarebbe più stata una sua responsabilità.  
 
Richard uscì in strada accompagnato da due guardie che lo strattonarono con ben poca delicatezza. Il tenente Spengler camminava davanti a lui, aveva un’aria più cupa e ansiosa del solito. L’ufficiale britannico si guardò intorno, tra le rovine del villaggio notò alcuni soldati ammassati sul retro di un autocarro ed altri che invece marciavano in silenzio. Le truppe si stavano mobilitando per abbandonare la prima linea.
La stazione distava a circa venti minuti dal paese, un piccolo edificio in mattoni risaltava in quell’arido deserto. La locomotiva sbuffò liberando una nube di fumo e vapore.
Richard esitò, i soldati furono costretti a trascinarlo a forza all’interno del vagone.
L’ufficiale fu fatto sedere su una panca di legno, le guardie che avevano l’ordine di sorvegliarlo restarono in piedi accanto a lui. Tutti i soldati in quel vagone erano vigili e attenti, la presenza di un prigioniero aveva generato una certa irrequietezza.
Il tenente Spengler si posizionò davanti a lui: «le terrò compagnia finché non raggiungeremo le retrovie, poi lei si unirà ad un convoglio di altri prigionieri»
Richard rivolse lo sguardo al finestrino, in lontananza poteva scorgere il fronte, ogni sua salvezza ormai era svanita.
 
August osservò il tenente Green, nonostante tutto l’ufficiale britannico non aveva perso la sua compostezza e la propria risolutezza. Pur essendo consapevole del suo imminente destino era deciso ad affrontare la prigionia con dignità.
Spengler ammirava la sua determinazione, non era certo che nelle sue condizioni sarebbe riuscito a trovare la sua stessa forza d’animo. D’altra parte era nei momenti più difficili che si mostrava il vero animo di una persona.
«Probabilmente non le importa la mia opinione, ma credo che lei abbia agito in modo leale e corretto. Sicuramente ha reso orgogliosi i suoi uomini»
Green fu sorpreso da quelle parole.
Il tenente bavarese offrì una sigaretta al prigioniero, Richard accettò per gentilezza. 
Spengler ripose l’accendino nel taschino della giacca, il suo sguardo rimase fisso sull’avversario, con aria pensierosa espirò una nuvola di fumo.
Richard abbassò la guardia, non sentiva più il bisogno di mostrarsi così diffidente. Tra i due si era creato un rapporto di fiducia, nonostante tutto non provava rancore nei suoi confronti.
August distese le labbra in una sorta di sorriso e commentò con tono ironico.
«Se non fosse stato per la guerra avremmo potuto andare d’accordo, non crede?»
Green rimase in silenzio, per quanto assurdo, in quel momento una parte di sé avrebbe potuto concordare con quell’affermazione apparentemente irriverente.
 
Il viaggio si prospettava più lungo del previsto a causa delle numerose soste e dei frequenti problemi meccanici incontrati lungo il percorso.
Era da poco passata la mezzanotte quando Richard fu svegliato da un forte rombo che sempre più intensamente sovrastò il ritmico rumore del treno in corsa. Un bombardiere britannico sorvolò la vallata, superò la ferrovia, poi con una manovra tornò indietro. Il pilota aveva adocchiato il suo obiettivo, così scese di quota e sganciò la sua bomba sulle rotaie.
Il veicolo fu colpito dall’esplosione, la locomotiva fu sbalzata a lato dei binari, il treno si rigirò su un fianco, scivolando lungo la scarpata.
Il tenente Green si ritrovò disteso tra i rottami, il suo vagone si era staccato dal convoglio. Nell’oscurità vide la locomotiva in fiamme, poteva udire grida d’aiuto e i lamenti dei feriti.
Richard si riprese tra il fumo e la polvere, tentò di muoversi, ma qualcosa lo bloccò. La sua gamba era rimasta incastrata tra le lamiere. Con grande sforzo strinse i denti e sopportò il dolore, dopo alcuni tentativi riuscì ad estrarre l’arto da quella trappola di metallo, sotto al ginocchio i pantaloni della divisa erano macchiati di sangue. A fatica si rialzò in piedi, sorreggendosi sulla gamba sana.
Poco distante Spengler giaceva disteso sulla schiena con una profonda ferita nel fianco destro. Le sue condizioni erano gravi, ma l’uomo era ancora cosciente e lentamente stava tornando in sé.
Green pensò rapidamente, quella era la sua unica occasione di fuga.
Approfittando di quel momento di panico e confusione Richard si allontanò tra il fumo e le fiamme.
August riuscì a rialzarsi fino a sedersi, notò il fuggitivo ed istintivamente estrasse la pistola. Aveva ancora la vista offuscata, un rivolo di sangue scese dalla sua tempia, nonostante ciò il suo era un obiettivo semplice. L’inglese si muoveva lentamente, zoppicando e arrancando tra le rovine metalliche.
Spengler sfiorò il grilletto, rimase in quella posizione, il tempo sembrava essersi fermato. Continuò ad esitare, mantenendo la Mauser puntata senza sparare nemmeno un colpo.
Restò immobile mentre osservava il nemico sempre più distante.
Alla fine abbassò il braccio, il dolore al fianco lo costrinse ad accasciarsi nuovamente al suolo. L’ultima immagine che vide prima di perdere i sensi fu un’ombra inghiottita dalle tenebre.
 
***

Richard si guardò alle spalle, le rotaie erano scomparse dietro alla collina. Proseguì annaspando tra i campi incolti, la luce argentea della luna illuminava il suo cammino. La campagna era deserta, era circondato soltanto dal silenzio.
L’ufficiale tentò di allontanarsi il più possibile, ma avvertiva che le forze lo stavano abbandonando. Ormai stremato si aggrappò al tronco di un albero, accasciandosi a terra poco dopo. Aveva bisogno di fermarsi per riposare. Richard era certo che la sua situazione non potesse peggiorare. Era ferito e disarmato in territorio nemico, in ogni caso non aveva molte possibilità.
Il tenente socchiuse gli occhi, in quello stato di semi-coscienza udì il rumore di alcuni passi, ma pensò che fosse solo la sua immaginazione. Così ignorò la questione, cedendo definitivamente alla stanchezza.
 
Quando si risvegliò Richard si ritrovò in un luogo sconosciuto. A stento riuscì a distinguere le forme poiché la vista era ancora annebbiata. Soltanto dopo qualche istante si abituò alla luce, scoprendo di trovarsi all’interno di un capanno di legno. Era disteso su un discreto giaciglio di paglia, qualcuno aveva provveduto a prendersi cura di lui e delle sue ferite.
All’improvviso avvertì una voce femminile.
«Signore…riesce a sentirmi?»
Egli voltò leggermente la testa, al suo fianco si trovava una graziosa ragazza con una lunga treccia castana e grandi occhi nocciola. Indossava un semplice abito da contadina, le maniche erano arrotolate sui gomiti, la gonna scura e spiegazzata era coperta da un vecchio grembiule ingiallito.
Il suo volto appariva dolce e innocente, nel suo sguardo spento però poteva scorgere la sofferenza e il dolore della guerra.
Richard inizialmente faticò a comprendere le sue parole, un po’ perché i suoi sensi percepivano ancora in modo ovattato, e un po’ perché il dialetto della zona non era come il francese che aveva studiato a scuola.
«Finalmente si è svegliato, è rimasto incosciente per tanto tempo...temevo che fosse troppo tardi»
L’ufficiale tentò di parlare, ma dalla sua gola secca uscirono solo mormorii strozzati.
La ragazza gli porse dell’acqua.
«Mio padre l’ha trovata vicino al bosco, qui è al sicuro» disse per calmarlo.
Il tenente era ancora confuso: «dove mi trovo?»
«In una fattoria vicino al villaggio di Housset»
«Il fronte non è molto lontano»
La giovane esternò la sua preoccupazione: «non può riprendere il cammino in queste condizioni, ha bisogno di riposare e recuperare le forze»
Richard scosse la testa: «non voglio creare problemi a te e a tuo padre»
«Non si preoccupi, siamo onorati di poterla aiutare»
Il tenente avrebbe voluto replicare, ma la testa iniziò a pulsare dal dolore. Si distese nuovamente sul suo giaciglio con una smorfia sofferente.
«Non si sforzi, pensi a riposare adesso»
 
Rimasto solo Richard ripensò all’accaduto. Ricordava solo immagini frammentate, alterate dalle sue percezioni. Un particolare però era rimasto impresso nella sua mente, ovvero il tenente Spengler che gli puntava contro la sua pistola. Non riusciva a capire per quale motivo l’ufficiale tedesco avesse scelto di risparmiarlo, sicuramente se avesse deciso di sparare non avrebbe mancato il suo bersaglio.
Il tenente suppose che la sua azione fosse stata influenzata dal loro implicito accordo di lealtà e fiducia, ma quel gesto d’umanità andava oltre tutto ciò. L’ufficiale tedesco si era rifiutato di compiere il suo dovere per salvargli la vita.
Al termine di quelle riflessioni non poté evitare di pensare a Finn. Richard non aveva mai smesso di preoccuparsi per il suo attendente per tutto quel tempo.
In quel momento avrebbe desiderato stringere Finn tra le sue braccia, accarezzare i delicati lineamenti del suo volto, passare le dita tra i suoi ricci biondi e perdersi nei suoi profondi occhi azzurri. Richard cercò conforto in quei ricordi, ma quelle illusioni svanirono in fretta.
Il tenente tornò tristemente alla realtà, non sapeva se avrebbe mai più rivisto il suo amato, ma in ogni caso avrebbe fatto tutto il possibile per tornare da lui.
 
Al tramonto la ragazza tornò nel capanno per controllare le condizioni del ferito. Fu lieta di trovare l’inglese in buone condizioni, il suo volto non era più cereo, i suoi occhi non brillavano più a causa della febbre.
«Vedo che si sente meglio. Le ho portato qualcosa da mangiare» disse con un benevolo sorriso.
Richard strinse tra le mani la ciotola colma di minestra, un pasto caldo era sempre un dono prezioso.
La giovane si soffermò ad osservare con curiosità la sua divisa.
«Lei è un ufficiale?» chiese timidamente.
Egli annuì, solo in quel momento si accorse di non essersi nemmeno presentato a quella donna.
«Sono il tenente Richard Green»
«Io mi chiamo Yvette»
Richard rispose con un cortese sorriso, poi il suo sguardo tornò ad incupirsi.
«Come mai si trova in territorio nemico?»
«Ero prigioniero dei tedeschi, l’altra notte sono riuscito a fuggire» rispose vagamente.
La ragazza sistemò la fasciatura sulla sua gamba: «che cosa le è successo?»
«Be’, in un certo senso si è trattato di un incidente ferroviario»
«È una brutta ferita» commentò con apprensione.
«In questi anni ho affrontato anche di peggio»
Yvette abbassò lo sguardo, nel momento in cui aveva medicato le sue ferite aveva notato le profonde cicatrici sul suo corpo.
«Deve essere stato terribile…»
Richard tornò a meditare sulla sua situazione.
«Devo raggiungere il fronte al più presto»
«Dopo tutto quello che ha passato perché è così ansioso di tornare a combattere?»
«Non potrei mai abbandonare i miei compagni. Devo tornare dai miei uomini»
La ragazza passò un panno umido sulla sua fronte.
«La strada verso ovest non è più agibile, i tedeschi hanno fatto crollare il ponte»
«Troverò un altro modo per raggiungere il confine»
Yvette fu colpita dalla sua determinazione.  
«Dovrà seguire il sentiero per Housset e attraversare il bosco per arrivare al fiume. Dovrà fare attenzione per non perdersi, non troverà molti punti di riferimento. L’intero villaggio è stato distrutto dai bombardamenti. Dopo l’ultimo scontro non è rimasto più nulla. Alcuni abitanti sono fuggiti prima della battaglia, poi anche i pochi sopravvissuti sono stati costretti ad andarsene…»
Richard ascoltò con attenzione quella triste testimonianza.
«I tedeschi soffrivano la fame come noi, i soldati venivano spesso alla fattoria per comprare latte e uova, ogni volta erano sempre più magri e deperiti…nonostante tutto ho provato pietà per loro, molti erano soltanto ragazzi»
«Da quanto tempo si sono ritirati?»
«Non più di una settimana»
«Dunque gli inglesi sono riusciti a recuperare terreno…» constatò con aria pensierosa.
«Si tratta di una conquista importante?» chiese speranzosa.
Richard fu sorpreso dalla sua ingenuità: «temo di no, il nemico si sta preparando per il contrattacco»
Yvette tornò tristemente alla realtà.
«A volte penso che neanche la pace potrebbe cambiare le cose. La guerra ha distrutto tutto, non ci è rimasto più nulla. Come potremo trovare la forza di ricominciare?»
Richard tentò di rassicurare quella giovane così fragile e impaurita.
«Sarà difficile, di certo niente potrà tornare come prima, ma…è la speranza di pace che infonde nei cuori dei soldati la forza per continuare a combattere»
La ragazza trovò conforto in quelle parole, nonostante tutto finché c’era vita c’era speranza.
«È così anche per lei?»
Il tenente sospirò: «a dire il vero non amo pensare al futuro»
«Per quale motivo?»
«È complicato…se non si ha più nulla da perdere si è pronti ad accettare qualunque destino, invece quando si trova una ragione di vita si cerca solo di non lasciarsi sfuggire nemmeno un istante del presente. Il domani rimane solo un’incognita»
Yvette non era certa di aver compreso il discorso del tenente, ma poté intuire che tutto ciò fosse una sorta di protezione. Per un soldato era normale avere paura del futuro, poiché non poteva avere alcuna certezza.
Richard si distese sul pagliericcio, lentamente la stanchezza prese il sopravvento. Egli richiuse gli occhi e pian piano si addormentò.
La ragazza restò al suo fianco, si sentì rassicurata in sua presenza. La solitudine e l’incertezza della guerra l’avevano costretta a vivere nella paura, ma per la prima volta dopo tanto tempo aveva trovato un po’ di conforto.
Yvette sfiorò la fronte del tenente per assicurarsi che la febbre non fosse troppo alta, la sua mano scivolò sul suo viso con una lieve carezza. Inevitabilmente si porse domande sull’identità di quell’uomo che ai suoi occhi restava solamente un intrigante e affascinante straniero.
La giovane si riprese da quelle fantasie, prima di spegnere la candela diede un ultimo sguardo al volto del tenente. Aveva fiducia in quell’ufficiale britannico, in lui vedeva un messaggero di speranza.
 
Il mattino seguente Yvette si preoccupò di preparare la colazione per il suo ospite. Quando rientrò nel capanno si sorprese nel trovare il giaciglio vuoto.
Il tenente si trovava in piedi accanto alla porta, era ben vestito nella sua uniforme, con lo zaino poggiato accanto alla parete.
«Prima di partire volevo ringraziarti»
La ragazza assunse un’espressione preoccupata.
«È ancora presto, lei è troppo debole per affrontare il cammino» disse tentando di opporsi alla sua decisione.
Richard rimase impassibile.
«Ho già atteso anche troppo, i miei uomini hanno bisogno di me»
Yvette comprese le sue ragioni, avrebbe desiderato trascorrere ancora del tempo con lui, la sua presenza le aveva donato una confortante sensazione di sicurezza. In fondo però sapeva che egli era destinato a compiere il suo dovere al fronte.
«Spero che lei riesca a tornare dai suoi compagni»
L’ufficiale notò un velo di delusione nel suo sguardo.
La giovane sistemò la fasciatura stringendo delicatamente il suo fazzoletto intorno al braccio dell’ufficiale.
«Buona fortuna tenente»
Richard si limitò a congedarsi con un lieve cenno, poi voltò le spalle e si allontanò, avviandosi lungo il sentiero.
Yvette rimase sulla soglia, poggiandosi allo stipite di legno, provò una strana inquietudine per quella separazione, quell’incontro, per quanto breve, non l’aveva lasciata indifferente.
La ragazza continuò a seguire con lo sguardo la figura del soldato, finché anche la sua ombra non scomparve all’orizzonte.
 
***

Richard raggiunse i margini del villaggio, Yvette aveva detto la verità, in quel luogo non era rimasto un mattone sopra l’altro. Il paese era disabitato, ovunque regnava un silenzio irreale, ciò aumentò ulteriormente la profonda sensazione di abbandono. L’unico suono proveniva dall’eco dei suoi passi.
Vagando per le strade deserte trovò soltanto abitazioni abbandonate e ridotte in rovine. Dopo gli ultimi scontri quel luogo era diventato irriconoscibile, non era rimasto più nulla, l’intero paese era stato raso al suolo dai bombardamenti.
Gli ammassi di legno e macerie sembravano denotare una distruzione recente. Le strade erano cosparse di oggetti comuni, si potevano individuare utensili, vestiti, mobili e persino libri o quadri bruciacchiati.
Nella polvere scorse anche dei cadaveri. Il tenente si avvicinò ai resti di un soldato, esitò qualche istante, poi si chinò afferrando il suo fucile. Non aveva molta pratica con le armi tedesche, ma almeno in caso di necessità avrebbe potuto difendersi.
Si chinò nuovamente sulla salma e cercò nelle tasche di quel povero malcapitato per recuperare il maggior numero munizioni. In altre condizioni avrebbe sicuramente mostrato più rispetto per il nemico, ma in quel momento non aveva altra scelta.
 
Il bosco era prevalentemente scomparso, al suo posto restavano soltanto ceppi bruciati ed alberi abbattuti dalle esplosioni. Il sentiero era disseminato di buche e crateri, sarebbe stato impossibile attraversare quel groviglio di rami contorti senza perdersi.
Richard decise di aggirare l’ostacolo, avrebbe allungato il suo percorso, ma almeno avrebbe evitato di restare intrappolato in quel labirinto. 
Il tenente riprese a zoppicare nel fango, cercava di soffrire in silenzio, ma il suo volto spossato mostrava a pieno la fatica.
Ad un tratto avvertì un suono familiare, riconobbe il rumore degli zoccoli che battevano sul terreno. Inizialmente pensò ad un’illusione, ma quella percezione divenne sempre più nitida. Richard si allontanò dal sentiero per controllare, poco distante in una piccola radura scorse un cavallo che si abbeverava in una pozzanghera. L’animale era solo, probabilmente il suo cavaliere era andato incontro ad un triste destino, così il destriero aveva continuato a vagare senza meta.
Green mosse ancora qualche passo, il cavallo si lasciò avvicinare senza mostrare alcun segno di irrequietezza. Si trattava di un giovane esemplare dal manto bruno e la criniera scura.
Il tenente accarezzò il muso dell’animale, non sembrava né denutrito né troppo affaticato, dunque non doveva aver percorso troppa strada. Richard riconobbe l’equipaggiamento britannico, probabilmente doveva esserci un accampamento nelle vicinanze, il problema sarebbe stato seguire la giusta direzione.
Il tenente montò faticosamente in sella, le fitte alla gamba erano ancora dolorose.
Quel cavallo era ignaro di aver appena salvato la vita dell’ufficiale, eppure sembrava comprendere il suo dovere. Senza opporre alcuna resistenza obbedì ai comandi di Richard, come un buon soldato.
Il tenente prese un profondo respiro, il sole stava tramontando, non gli restava molto tempo prima dell’avvento dell’oscurità. 
 



Nota dell’autrice
Ringrazio di cuore tutti coloro che stanno continuando a seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto^^

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Capitolo 31
*** Il destino dei vivi e la sorte dei morti ***


 
XXXI. Il destino dei vivi e la sorte dei morti    
 

Il piccolo convoglio attraversò la campagna silenziosa e deserta. Il panorama era caratterizzato da campi devastati dai crateri e foreste bruciate. All’orizzonte erano visibili solamente rovine e macerie.
Hugh estrasse una lettera dal taschino, la busta era ancora sigillata, non aveva ancora trovato il coraggio di esaminare il contenuto. Ogni volta che riceveva notizie dall’Inghilterra il suo animo si divideva a metà, da una parte desiderava avvertire il calore della sua famiglia, dall’altra invece avrebbe preferito non ricordare ciò che era stato costretto ad abbandonare.
In quell’occasione Hugh fu vinto dalla malinconia, così trovò la forza di dedicarsi a quella lettura.
 
Al mio amato marito.
Spero che tu stia bene, la tua ultima lettera è stata più breve del solito. Non devi preoccuparti per noi, i soldi sono sufficienti, purtroppo molte famiglie si trovano in situazioni ben peggiori della nostra.
A casa stiamo bene, i bambini stanno crescendo in buona salute. La piccola Grace ha compiuto i suoi primi passi, non posso credere che tra poco festeggerà il suo primo compleanno.
Eddie mi chiede spesso di te, ammira sempre la tua fotografia in uniforme. Sei il suo eroe, è davvero orgoglioso di avere come padre un valoroso soldato.
Tuo figlio ti assomiglia sempre di più, non posso fare a meno di pensare a te ogni volta che lo stringo tra le braccia. Questo mi dona conforto, ma causa anche un profondo dolore.
Nei suoi occhi rivedo il tuo sguardo, ricordo ogni momento del nostro passato, sembra che tutto ciò appartenga ad un’altra vita.
Nonostante tutto la certezza del tuo amore è sempre di conforto.
So che ti senti in colpa per non essere stato accanto alla tua famiglia in questi anni, ma voglio che tu sappia che non hai nulla di cui rimproverarti. Hai sempre fatto del tuo meglio per stare vicino a tutti noi anche nei momenti più difficili.
Non ho mai avuto dubbi sul nostro rapporto, la guerra non ha cambiato nulla.
Voglio credere che un giorno questo incubo finirà, e allora potremo essere davvero una famiglia.
Attendiamo tue notizie, torna presto da noi.
 
Hugh strinse il foglio tra le mani tremanti, avvertì una fitta al petto e gli occhi umidi. La lontananza dalla sua famiglia era sempre più dolorosa da affrontare. Le parole di sua moglie erano piene d’amore e conforto, eppure anche questo faceva male.
Il soldato ripiegò la lettera e la ripose con cura all’interno della giubba. Era deciso a fare il possibile per tornare a casa, ma era consapevole di non poter rassicurare la sua famiglia con false promesse.
Hugh si riprese da quei pensieri ed alzò lo sguardo, i suoi compagni erano cupi e taciturni.
Alcuni erano talmente stremati da essersi addormentati, nemmeno le brusche manovre dell’autista disturbavano il loro sonno profondo. Altri invece stringevano il loro fucile e fumavano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.
Hugh poté facilmente intuire i loro pensieri, i veterani che tornavano dalla prima linea erano come fantasmi, una parte della loro anima era rimasta sepolta per sempre in quelle trincee.
 
Il Crossley Tender frenò bruscamente a lato della strada. Hugh saltò giù dal furgone con eccesiva fretta, poggiando i piedi a terra perse l’equilibrio e in modo alquanto goffo ruzzolò nel fango. I soldati che assistettero alla scena non riuscirono a trattenere una risata, fu una reazione piuttosto innocente, che voleva avere un significato più liberatorio che irrisorio.
Hugh si rialzò sbuffando, recuperò l’elmetto che era caduto in una pozzanghera e si ricompose con indifferenza.
Il suo miserabile ritorno nelle retrovie aveva uno scopo, dunque non aveva tempo da perdere. Il giovane prese un profondo respiro, si fece coraggio e si incamminò in direzione dell’ospedale.
Aveva riflettuto a lungo e alla fine aveva scelto di non sprecare quell’occasione. Desiderava rivedere Dawber, anche se non aveva pensato alle conseguenze. Non aveva idea di ciò che avrebbe fatto quando sarebbe stato davanti al suo compagno, ma in fondo sentiva di dovergli quella visita, non poteva abbandonarlo proprio in quel momento.
Hugh salì le scale di un vecchio edificio diroccato ritrovandosi in un’ampia sala grigia e gelida. Con esitazione si avvicinò ad un’infermiera, la sua aria severa e scontrosa gli fece rimpiangere la presenza di Beth. Si domandò che fine avesse fatto quella ragazza, immaginò che stesse alleviando le sofferenze di qualche poveretto in prima linea, forse tra tutti quei feriti aveva trovato qualcuno in grado di confortarla.
«Allora? Che cosa vuole?»
Hugh tornò alla realtà: «sto cercando il soldato J. Dawber, mi hanno detto che è ricoverato qui»
La donna parve sconvolta dalla sua richiesta: «è sicuro di volerlo vedere?»
«Sì, certamente. Per quale motivo non dovrei?»
«Quell’uomo non si trova in buone condizioni, mi creda, non le farebbe piacere vederlo in questo stato»
Hugh provò una profonda tristezza nel sentire quelle parole.
«Sono qui per lui, non mi importa di nient’altro» replicò con determinazione.
La donna si limitò ad indicare una stanza in fondo al corridoio: «non c’è nessun altro, quindi non può sbagliare. La avviso però, probabilmente non lo riconoscerà»
Hugh non si lasciò impressionare da quegli avvertimenti, il compagno era ancora vivo e questa rassicurazione era più che sufficiente.
Il soldato si affacciò all’entrata, inizialmente vide solamente una sagoma avvolta tra le coperte. Si avvicinò lentamente, quando finalmente si trovò davanti al letto scoprì perché l’infermiera aveva voluto prepararlo a quell’incontro. Quel corpo sfregiato e mutilato era irriconoscibile, Hugh sussultò nel notare i terribili segni della guerra.
Dawber giaceva immobile con gli occhi socchiusi, con un movimento quasi impercettibile parve accorgersi della sua presenza.
«Hugh…»
Egli si commosse nel sentire la sua voce. Dawber tentò di sollevarsi, il suo compagno l’aiutò a posizionarsi sul cuscino.
Hugh avrebbe voluto dire qualcosa, i pensieri si accumularono nella sua mente, alla fine si accorse di non avere le parole giuste per esprimere ciò che sentiva veramente.
Fu Dawber il primo a interrompere il silenzio.
«Posso farti una domanda?»
«Sì certamente»
«Devi però promettermi di rispondere in modo sincero»
Hugh annuì con fermezza.
Dawber guardò il suo commilitone negli occhi.
«Che cosa hai pensato di me quando mi hai visto?»
Il giovane fu colto alla sprovvista da quel quesito.
«Io…sono solo stato felice di rivederti»
Il ferito si innervosì.
«Ti ho chiesto di essere sincero!»
Hugh tentò di replicare: «ti giuro che è la verità»
Egli scosse la testa: «no, ammettilo! Anche tu provi orrore e ribrezzo per quello che sono diventato!»
«No, non potrei mai pensare nulla del genere»
Jack era in preda alla rabbia e alla frustrazione, reagì d’impulso, afferrando il braccio del suo compagno con una forza inaspettata.
«Smettila di comportarti così! Sai bene che chiunque proverebbe solo disgusto nei miei confronti!»
Hugh tentò di liberarsi dalla sua stretta: «lasciami, mi stai facendo male!»
Dawber non mollò la presa e si voltò per mostrare al suo interlocutore l’enorme cicatrice sul lato sinistro del suo volto.
«Guardami bene, la verità è che sono uno storpio dal volto deforme» disse esternando il proprio dolore.
Il suo compagno rabbrividì. Dawber lasciò andare la manica della sua giacca, allontanandolo da sé.
Hugh avvertì gli occhi colmi di lacrime, restò immobile, reggendosi a stento sulle gambe tremanti.
«Mi dispiace…» sussurrò con un gemito interrotto dal pianto.
Dawber non poté restare indifferente davanti al suo commilitone affranto e disperato. Si accorse di aver esagerato, probabilmente egli aveva frainteso il suo comportamento.
«Questo non è successo per colpa tua» affermò in modo più pacato.
«Avremmo dovuto proteggerci a vicenda» rispose Hugh con rammarico.
«Non avresti potuto fare nulla di più per salvarmi»
Hugh non riuscì a comprendere la situazione.
«Se non mi ritieni responsabile perché mi hai trattato in quel modo?»
«Volevo che tu mi dicessi ciò che volevo sentire»
L’altro non capì.
«Tutti qui mi evitano e mi disprezzano, ma nessuno ha il coraggio di dire la verità»
«Per me è diverso, tu sei l’uomo che mi ha salvato la vita, è così che ti vedo»
Jack fu colpito da quella rivelazione, dopo l’incidente il suo compagno era il primo a non considerarlo come un mostro.
 
Dawber sembrava essersi calmato, la sua rabbia si era tramutata in disperazione.
Hugh poteva comprendere il suo dolore, avrebbe desiderato poter fare qualcosa per il suo commilitone, sapeva che non poteva affrontare tutto ciò da solo.
«La tua famiglia deve sapere la verità» azzardò.
«A quale scopo? Non hanno mie notizie da tanto tempo, a questo punto è meglio che credano che sia morto!»
«Lo credi davvero?»
Dawber ristò in silenzio.
«Tu ami ancora la tua famiglia. Hai dimostrato di avere a cuore la sorte dei tuoi cari, anche se non vuoi ammetterlo adesso hai bisogno di loro»
Dawber non poté negare la verità a se stesso.
«Non posso tornare a casa in queste condizioni»
«Sono certo che tua moglie e i tuoi figli sarebbero felici di rivederti indipendentemente dal tuo aspetto»
«Quando me ne sono andato ero un criminale, ed ora dovrei tornare come un mostro?»
«Sei un reduce che è stato ferito combattendo per la Patria, non hai nulla di cui vergognarti»
Jack sospirò: «quelli come me non torneranno in Inghilterra come eroi, non ci saranno parate per i veterani, la banda non suonerà a festa come alla loro partenza. L’unica musica che sentiranno sarà il valzer dei sogni infranti…»
«La tua famiglia è la tua unica speranza»
«Non posso chiedere perdono per gli errori del passato, non più ormai…»
«Sei una persona migliore di quanto credi, lo hai dimostrato più volte sul campo di battaglia»
«Non credo che tu abbia mai dimostrato interesse nei miei confronti»
«Ho compreso troppo tardi il tuo valore, ho sempre creduto che non ti importasse di nessuno, invece hai sempre agito per il bene di tutti noi»
«Ero solamente un uomo che non aveva più nulla da perdere»
Hugh accettò tristemente la condizione del suo commilitone.
«Se non vuoi tornare a casa che cosa vorresti fare?»
Dawber abbassò il capo: «ho pensato di farla finita, dopo aver visto il mio riflesso per un istante ho desiderato lasciare questo mondo. In tanti sono morti, persone innocenti che avevano ragioni per cui vivere…io invece ho avuto un dono terribile: del tempo in più per continuare a soffrire»
Hugh fu turbato da quella confessione, la guerra non aveva lasciato alcuna speranza, i sopravvissuti non si ritenevano fortunati, ma condannati.
«In ogni caso sono felice che tu abbia cambiato idea»
«Non ho avuto nemmeno la forza di uccidermi…il mio istinto di sopravvivenza mi ha salvato tante volte nel momento del pericolo, tanto che non sono riuscito a contrastarlo. Poi il desiderio di morte si è tramutato solamente in apatia nei confronti della vita»
«Oh, Dawber…non puoi arrenderti così»
«Per te è semplice parlare»
«Non posso nemmeno immaginare il dolore che stai provando, ma nel limite delle mie possibilità vorrei provare a fare qualcosa per te»
«Non puoi fare niente per cambiare le cose, dimentica pure le buone intenzioni e i sensi di colpa. Almeno tu torna alla tua vita»
«Non posso abbandonarti»
Jack distolse lo sguardo: «non mi serve la tua pietà»
«Non è per questo che desidero aiutarti»
Dawber rimase scettico: «dunque perché sei qui?»
Hugh prese la sua mano stringendola delicatamente, poi accennò un flebile sorriso.  
«Perché sono tuo amico»
 
***

Finn era profondamente addormentato, il suo corpo fremeva scosso dai brividi.
Il sergente Redmond si chinò sul volto pallido dell’infermo, il suo respiro era affannato e irregolare, il suo petto si muoveva spasmodicamente sotto alle coperte.
Il sottufficiale passò un panno umido sulla fronte del giovane, la sua pelle scottava a causa della febbre. Finn continuava ad agitarsi nel sonno, vittima di incubi e allucinazioni.
Redmond restò ad assistere il malato con pazienza e dedizione. Osservando quel ragazzo non poté evitare di ricordare Arthur. In tutto quel tempo il sergente non aveva mai smesso di pensare a suo figlio. Ricordò quando l’aveva stretto per la prima volta tra le braccia, in quel momento ogni dubbio e timore era svanito, mentre cullava dolcemente il neonato aveva compreso che da quel preciso istante il suo unico compito sarebbe stato quello di amare e proteggere quella dolce creatura. E così era stato, Arthur era cresciuto con tutte le attenzioni e le cure amorevoli di un padre affettuoso e comprensivo. Redmond non aveva mai fatto mancare nulla a quel ragazzo, arrivando a compiere anche numerosi sacrifici per potergli garantire una buona istruzione. Desiderava solo la sua felicità.
Credeva di aver sempre agito per il bene di Arthur, rispettando sempre la volontà del giovane. Alla fine però aveva tradito la sua promessa, lasciando solo suo figlio in quella guerra.
Arthur era così eccitato per essersi arruolato, aveva grandi speranze per il futuro ed era completamente affascinato all’idea di visitare luoghi lontani ed esotici. Al tempo Redmond non aveva potuto fare nulla per distoglierlo da quella decisione. Aveva avuto fiducia in lui, nonostante tutto aveva voluto mostrarsi orgoglioso di lui, su questo non aveva mai mentito.
Dopo aver appreso della scomparsa di Arthur una parte di sé non aveva voluto accettare la realtà, e nonostante tutto aveva continuato a sperare. Inevitabilmente si era sentito responsabile, un genitore non avrebbe dovuto sopravvivere al figlio.
Redmond però non si era lasciato sopraffare dalla disperazione, relegando quel dolore nel profondo della sua anima. Nel momento in cui aveva perso Arthur aveva avvertito maggiormente il peso della sua responsabilità nell’esercito. Anche per questo si era affezionato ai suoi uomini, con la consapevolezza che anche quei soldati erano figli che dovevano tornare a casa.  
 
Finn si risvegliò con un sussulto, si sorprese nel ritrovare il sergente Redmond accanto al suo giaciglio. L’uomo gli rivolse un confortante sorriso, ma il suo sguardo restò colmo di apprensione.  
Il ragazzo non riuscì a comprendere il motivo della sua presenza.
«Sergente…come mai è qui?» domandò con aria confusa.
Redmond rispose con sincerità: «ero preoccupato per te, quando ti ho trovato ho davvero temuto di essere arrivato troppo tardi»
Finn sussultò: «è stato lei a salvarmi?»
Egli annuì.
Il giovane si sentì a disagio in quella situazione, avvertì un profondo senso di colpa al pensiero di aver deluso anche il sergente, che aveva sempre considerato come un valido superiore.
«Io…non so come ringraziarla…mi ha salvato la vita»
Il sergente si limitò ad alzare le spalle: «ho fatto solo il mio dovere come commilitone, nulla di più»
Finn apprezzò la sua risposta.
Redmond tralasciò la questione e si interessò del suo stato di salute.
«Come ti senti?»
«A quanto pare potrò riprendermi dalla bronchite, ma ciò non vuol dire che guarirò presto»
«Che cosa significa?»
«Non lo so, il dottor Jones ha detto solo che i danni causati dai gas potrebbero essere permanenti»
Redmond tentò di nascondere il suo turbamento.
«L’importante è che ora tu stia bene» replicò con tono rassicurante.
Finn scelse di credere nelle sue parole.
Dopo qualche istante di silenzio il ragazzo si decise a porre la fatidica domanda: «ci sono notizie del tenente Green?»
Il sottufficiale negò tristemente.
Finn non riuscì a trattenere le lacrime, ormai era certo che fosse accaduto qualcosa di terribile a Richard.
Redmond poggiò una mano sulla sua spalla, condividendo con lui quel profondo dolore.
«Sono certo che il tenente non vorrebbe vederti in questo stato, adesso devi solo pensare a riprenderti»
Finn non volle pensare al peggio, sicuramente non avrebbe potuto affrontare quella guerra senza Richard.
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo del dottor Jones. Il medico si avvicinò alla branda rivolgendo un’occhiata severa al sergente.
«Devo chiederle di andare via, le ho concesso anche troppo tempo, i pazienti hanno bisogno di riposare»
Redmond non poté controbattere, in fondo sapeva che il dottore stava solo cercando di fare del suo meglio per il bene di quei soldati.
Il sottufficiale si fermò sulla soglia voltandosi ancora una volta verso il suo giovane compagno.
«Buona fortuna ragazzo, abbi cura di te» concluse prima di oltrepassare la porta.
 
***

William attraversò il corridoio, uscì all’aperto e proseguì lungo il porticato, la fasciatura alla spalla irrigidiva i suoi movimenti, anche la sua camminata appariva lenta e impacciata. Il tenente aveva lasciato la sua stanza per raggiungere il piccolo chiostro, aveva bisogno d’aria fresca. La luce era talmente intensa da far male agli occhi, non era più abituato ai raggi del sole dopo aver trascorso tanto tempo in quelle stanze fredde e buie.
William prese un profondo respiro inalando i dolci e intensi profumi della primavera.
L’ufficiale rivolse lo sguardo al profilo della chiesa che si ergeva verso ovest, quella costruzione doveva apparire imponente prima della guerra, ora parte della facciata era crollata in un cumulo di macerie.  Quell’antico monastero in rovina sarebbe potuto essere l’ambientazione di un romanzo gotico.
Passeggiando nel giardino provò un’intensa malinconia, ma quei pensieri svanirono in fretta quando rientrò nell’ampio refettorio per poi tornare nei corridoi stretti e oscuri del monastero.  
Foley si presentò in una delle piccole stanze che momentaneamente ospitava il colonnello Harrison.
Il suo superiore lo accolse con apparente calma.
«Tenente Foley, sono lieto di vedere che si sta riprendendo»
William rimase diffidente, aveva intuito che in quelle circostanze non avrebbe ricevuto buone notizie.
«Si accomodi, ho bisogno di parlarle»
Egli obbedì.
Harrison non perse tempo e giunse subito al punto.
«Dopo gli ultimi avvenimenti per lei ho ritenuto opportuno un trasferimento»
Foley alzò lo sguardo, le sue iridi smeraldo incrociarono gli occhi scuri del suo superiore.
«Ciò che cosa significa?»
«Semplicemente che tornerà al comando nelle retrovie»
William scosse la testa: «per cosa ha deciso di punirmi?»
«Ero certo che non avrebbe ben accolto la notizia, ma deve credermi, nelle sue condizioni è la scelta migliore»
Il volto di Foley si rabbuiò.
«Non deve rammaricarsi per questo, lei è riuscito a farsi un buona reputazione nell’esercito. Di certo ha mantenuto alto l’onore della sua famiglia»
William trasalì: «che cosa intende dire?»
«Suppongo che non sia stato semplice discostarsi dalla colpa di un disertore»
«Mio fratello era soltanto un ragazzino, di certo io non provo vergogna per la sua condanna»
«Mi dispiace, non intendevo offenderla»
«Thomas non era un codardo. Era un giovane di diciassette anni che non voleva né uccidere né morire, e solo per colpa della sua ingenuità ha commesso un errore imperdonabile»
Il colonnello si limitò a restare in silenzio, sia per rispetto che per accondiscendenza.
William strinse i pugni, in quel momento si accorse di star tremando per la frustrazione. La realtà dei fatti l’aveva sconvolto, non poteva permettere che suo fratello restasse per sempre legato a quel disonorevole marchio d’infamia. Non voleva nemmeno credere che dopo tutti i suoi sforzi l’esercito avesse deciso di liberarsi di lui. Perché in fondo era questo il vero significato delle parole del colonnello Harrison.
Foley si rialzò esternando la sua disapprovazione, ma si congedò senza ribattere in alcun modo. Almeno per il momento non era il caso di peggiorare ulteriormente la situazione. Il tenente si sentì tradito dai suoi stessi superiori, si allontanò a testa bassa, profondamente ferito nell’orgoglio.
 
***

Richard strinse le redini, il cavallo accelerò il passo sollevando nubi di polvere sotto agli zoccoli. Il tenente era determinato a raggiungere il confine, aveva seguito le indicazioni di Yvette ed ormai era certo di non essere troppo distante. Non aveva ancora pensato a come avrebbe fatto a superare l’ostacolo del ponte crollato, una possibilità era tentare di guadare il fiume a cavallo, ma non conoscendo bene il territorio quella sarebbe stata una scelta rischiosa.
Dopo aver trovato il suo compagno di viaggio Green aveva ipotizzato di essere vicino ad un accampamento britannico, ma la sua logica supposizione non aveva ancora avuto conferma. In quei territori devastati dal conflitto non aveva trovato altro che deserto e desolazione, tutto ciò era sempre più allarmante.
L’ufficiale era perso in questi pensieri quando all’improvviso notò qualcosa tra gli alberi. Immediatamente fermò il cavallo, era certo di aver riconosciuto una sagoma familiare. Avvicinandosi con cautela poté avere la prova di non essersi sbagliato, in una piccola radura intravide le tende di un accampamento britannico. Il tenente proseguì lungo il sentiero, la speranza di salvezza iniziò a svanire, quel luogo era troppo silenzioso.
Il terribile sospetto divenne presto realtà, Richard vide i primi cadaveri riversi nell’erba umida, probabilmente i suoi commilitoni erano stati assaliti di sorpresa. Le sentinelle non avevano nemmeno avuto il tempo di dare l’allarme, i tedeschi avevano messo in atto una feroce imboscata.
Non era rimasto più nessuno, probabilmente il destriero che aveva trovato nel bosco era stato l’unico fuggitivo di quella spietata carneficina.
Il tenente rimase immobile al centro del prato, ovunque guardasse regnava l’orripilante presenza della morte.
Richard smontò da cavallo, con esitazione esplorò l’accampamento abbandonato. Vagando tra le tende vuote avvertì soltanto un’intensa inquietudine. Percepì un brivido di terrore realizzando di essere rimasto l’unico essere umano vivente in quella macabra radura.
L’ufficiale tornò in sella, non voleva restare in quel luogo nemmeno un istante di più. Ancora scosso e sconvolto guidò l’animale lungo il sentiero, addentrandosi nuovamente nella foresta. Quella drammatica scoperta aveva rivelato la presenza di un pericolo imprevedibile, il nemico non si era ritirato dal confine.
Con questa consapevolezza Richard spronò l’animale al galoppo, lasciandosi alle spalle l’accampamento fantasma.

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Capitolo 32
*** Quo fas et gloria ducunt ***


   
XXXII. Quo fas et gloria ducunt


Richard strinse la Webley che aveva strappato dalle mani scheletriche di un maggiore britannico. Dopo aver abbandonato l’accampamento fantasma aveva deciso di lasciare il sentiero principale. Sapeva che il nemico era nascosto in quella foresta e non voleva di certo diventare un facile bersaglio per le sentinelle tedesche.
Con la mano sinistra il tenente tirò le redini, il cavallo rallentò il passo. L’ufficiale si rammaricò di non poter comunicare con quell’animale. Gli doveva la vita, avrebbe voluto dimostrargli la sua gratitudine. Aveva tentato di non affaticare troppo il suo compagno di viaggio con opportune soste, provvedendo a sfamarlo e dissetarlo, d’altra parte il destriero aveva dimostrato di essere un vero cavallo da battaglia, docile e obbediente nel carattere, forte e resistente nel fisico.
Richard alzò lo sguardo, il raggi tiepidi del mattino filtravano tra le fronde umide degli alberi. Una luce dorata illuminava il percorso fangoso. L’ufficiale tentò di orientarsi, ormai avrebbe dovuto raggiungere le sponde del fiume, ma cambiando più volte direzione temeva di essersi perso.
Era immerso in queste riflessioni quando ad un tratto udì un rumore tra gli arbusti. Immediatamente fermò il cavallo, era certo di aver avvertito il suono di alcuni passi. Il tenente rimase in ascolto, ma non percepì più alcun rumore sospetto.
Riprese ad avanzare restando in allerta, dopo pochi istanti un botto improvviso echeggiò tra gli alberi. Il cavallo ebbe un sussulto, Richard non si voltò, spronò l’animale al galoppo e ripartì a tutta velocità.
Altri spari scoppiarono alle sue spalle, le pallottole caddero a terra e si conficcarono nei tronchi nodosi.
Il cavallo continuò la sua corsa lungo il pendio. Richard avvertì il cuore martellare nel petto, gli spari si fecero sempre più radi e distanti. Il tenente provò a riprendere il controllo dell’animale, ma il pericolo aveva reso la bestia particolarmente irrequieta. A fatica riuscì a restare in sella mentre il destriero proseguiva la sua discesa verso il fiume. Alla fine il cavallo fu costretto a fermarsi poco prima di cadere nel corso d’acqua. Richard restò aggrappato al dorso dell’animale, incredulo di essere ancora vivo. Non era ancora riuscito a razionalizzare l’accaduto che udì una voce.
«Ei! Tutto bene?»
L’ufficiale sobbalzò, si voltò di scatto estraendo prontamente la pistola.
Due soldati abbassarono i fucili.
«Dannazione, non sparare! Siamo americani!»
 
Richard fu accompagnato al villaggio occupato dagli alleati. Il tenente inglese, spossato e provato dalla prigionia e dalla sua disperata fuga per libertà, era ridotto piuttosto male. Zoppicava trascinando la gamba ferita, la sua divisa era macchiata di fango e sangue. Gli americani invece non portavano ancora i segni della guerra. I soldati erano freschi e riposati, sui loro volti comparivano sinceri sorrisi, i loro sguardi brillavano ancora di aspettative e speranze.
Green fu presentato a un ufficiale, un giovane capitano che si preoccupò di sfamarlo e medicarlo prima di interrogarlo.
«I tedeschi sono ancora nella foresta, hanno assalito un accampamento britannico e mi hanno sparato vicino al fiume»
L’americano conosceva bene la situazione: «abbiamo raggiunto molti progressi nelle ultime settimane, ma il nemico sembra affezionato a queste terre»
«Hanno lasciato degli avamposti, ma le truppe si stanno ritirando verso nord-est…»
Il capitano annuì: «la ringrazio per la collaborazione, di certo le sue informazioni ci saranno utili»
«Io devo tornare dai miei uomini» affermò Green con preoccupazione.
«Certamente, sarà portato nelle retrovie con i nostri feriti»
«Grazie signore»
«Possiamo fare altro per lei?»
Richard era ormai stremato, alzò la testa mostrando un’espressione sofferente sul volto pallido e scarno.
«Abbiate cura del cavallo»
 
***

Il sottotenente Waddington continuò a camminare avanti e indietro nella piccola stanza dell’ospedale, osservava le fiamme delle candele con lo sguardo vitreo perso nel vuoto. Aveva appena fatto visita a un suo commilitone rimasto gravemente ferito dopo l’ultimo scontro. Aveva tentato di confortarlo, ma mentire non era mai stato il suo forte. La sua voce tremante e la sua espressione apprensiva non erano state affatto d’aiuto in quella drammatica situazione. Non aveva potuto fare altro che rispondere con frasi di circostanza, vuote e prive di senso davanti al dolore di un uomo che non avrebbe mai più potuto tornare a vivere serenamente, e che avrebbe portato i segni di quel terribile conflitto per il resto della vita. Ogni volta che quel soldato avrebbe guardato il proprio riflesso allo specchio avrebbe ricordato il momento peggiore della sua vita, quando aveva preso parte ad una delle più grandi atrocità mai commesse dall’essere umano.
Waddington prese un profondo respiro, avvertì il rumore di alcuni passi in corridoio, qualcuno si stava avvicinando. Poco dopo la sagoma del dottor Jones comparve davanti alla porta.
«Sottotenente, non sapevo che fosse qui»
«Se è per questo nemmeno io so perché sono qui» replicò l’altro con tono cupo.
Il medico percepì la sua preoccupazione.
«È sicuro di stare bene?»
Egli chinò il capo: «chi potrebbe dire di stare bene durante una guerra?»
Jones incrociò le braccia al petto: «già, errore mio. Le ho rivolto una domanda davvero stupida»
«Oh, no. Lei è sempre molto gentile, sono io ad averle risposto in modo irrispettoso. È solo che…dannazione, è sempre più difficile sopportare tutto questo!»
Il dottore poté comprendere la sua frustrazione.
«Posso fare qualcosa per lei?»
Il sottotenente scosse le spalle: «temo proprio di no»
Jones si avvicinò al suo compagno: «che ne dice di parlare un po’? Sono certo che una tranquilla chiacchierata potrebbe aiutarla»
Waddington annuì, seguì il medico a lato della stanza e si sistemò su una delle sedie poggiate al muro. Offrì una sigaretta al medico, il quale accettò.
«Sa una cosa dottore? Ho fumato la mia prima sigaretta in trincea. Stenterà a crederlo, ma prima della guerra ero un bravo ragazzo, mi tenevo lontano dai guai e dalle cattive compagnie. Non lo facevo per compiacere i miei genitori, volevo solamente un’esistenza tranquilla. Non è ironico che sia finito nel mezzo di un conflitto orribile come questo?»
«La guerra è come la pioggia: imparziale»
Waddington espirò un nuvola di fumo.
«Ha idea del motivo per cui sono stato promosso a sottotenente?»
Jones rimase in silenzio.
«Perché il mio comandante, il sottotenente Conrad, è morto! Ecco, questo è l’unico motivo per cui sono qui, perché un uomo è stato ucciso ed io ho ereditato le sue scomode responsabilità!»
«Sono certo che la sua promozione sia stata meritevole»
Egli esternò la propria disapprovazione.
«In ogni caso lei ha sempre svolto il suo dovere»
«Avevo forse scelta?»
Il dottor Jones accettò quell’amara verità.
«Se ha deciso di portare avanti il suo compito significa che è un uomo con la coscienza a posto»
«Ho sempre pensato che avrebbero scritto questo sulla mia lapide: Horace Waddington, fu un tipo a posto»
«Be’, non sarebbe tanto male…» commentò Jones.
Il sottotenente scosse la testa: «dopo tutto quello che è successo non credo affatto di essere a posto»
Dopo aver detto ciò Waddington rimase a lungo in silenzio, con le mani poggiate sulle ginocchia, cercando di trovare la forza di continuare parlare. Sentiva la gola secca e gli occhi lucidi.
«Non riesco a smettere di pensare alla morte del sodato Walsh» ammise tristemente.
«Mi dispiace, non deve sentirsi responsabile per quel che è successo»
«Ha scelto di morire piuttosto che continuare a vivere senza il suo compagno. L’amicizia con McCall era l’unico conforto che ancora gli donava una ragione di vita. Con la sua morte è svanita anche la sua ultima speranza…»
«C’è sempre un punto di non ritorno, quando il dolore diventa insopportabile non tutti riescono a trovare la forza di reagire»
«Io ero consapevole di tutto, e nel momento in cui implicitamente mi ha chiesto di lasciarlo andare non ho potuto impedirglielo»
«È stata una sua decisione, per quanto sia terribile ammetterlo, forse è meglio per lui che sia andata così»
 
Waddington uscì in strada ripensando alle parole del dottor Jones. Quell’uomo cercava sempre di fare del suo meglio per aiutare gli altri. Non sapeva se provare ammirazione o commiserazione nei suoi confronti, ma era certo che per lui ormai non ci fosse più nulla da fare. Le parole, seppur confortanti, non erano sufficienti per mettere in pace il suo animo.
Così Waddington era giunto a una triste considerazione, se non poteva accettare la realtà della guerra allora doveva fare di tutto per dimenticare. Non voleva pensare ai compagni caduti, ai nemici uccisi o alla costante paura di morire. Voleva solamente sentirsi vivo anche solo per una volta e mandare tutto il resto al diavolo.
Quella sera, in preda a queste emozioni, decise di unirsi ad alcuni suoi commilitoni, i quali erano soliti a trascorrere le serate nei bordelli e nei locali ad ubriacarsi. L’idea non lo esaltava più di tanto, ma ritenne di non avere motivo per rifiutare. Come aveva previsto però l’esperienza si rivelò decisamente negativa. Il sottotenente trovava squallido andare a letto con le prostitute e non apprezzava affatto la compagnia degli ubriachi. Gli unici svaghi che un soldato poteva permettersi nelle retrovie non facevano per lui.
Waddington rimase in disparte, seduto solo al tavolo con un boccale di birra mezzo vuoto. Era ormai deciso ad andarsene quando un giovane soldato si sedette davanti a lui.
Lo sconosciuto poggiò i gomiti sul tavolo e sorseggiò con calma il suo brandy. I due si scambiarono occhiate furtive attraverso l’aria rarefatta dal fumo.
Dopo un po’ Waddington ordinò un altro giro di alcolici per entrambi.
L’altro sorrise: «grazie, signore»
«Per favore, tralasciamo le formalità»
«D’accordo, se è così mi chiamo George»
«Horace»
L’oste poggiò due bicchieri sul tavolo.
«Bene, allora brindiamo a questo incontro» disse George con tono amichevole.
Egli rispose con un cenno, alzò il bicchiere e bevve un lungo sorso.
«A rischio di sembrare scortese, non sembra che ti stia divertendo» azzardò il soldato.
«Tutto questo non fa per me»
«Eppure sei venuto qui in cerca di qualcosa»
Il sottotenente non rispose.
«Credo di sapere di cosa hai bisogno…» continuò George.
Waddington rimase diffidente.
«Hai superato il limite, sei stanco di questa fottuta guerra, vuoi solo dimenticare quel che c’è là fuori. Non hai più nulla da perdere. Desideri solo sentirti vivo perché hai paura di non poterne più avere l’occasione»
Il sottotenente rimase sorpreso da quelle parole.
«Come…»
«Come faccio a leggere dentro di te? Perché è ciò che provo io stesso ogni maledetto giorno»
«Esiste il modo per liberarsi da tutto questo?»
George sorrise: «non definitivamente, ma ci sono tanti modi per evadere dalla realtà. Il mio è efficace, ma decisamente pericoloso»
Waddington era certo che quella dovesse essere una brutta faccenda, e forse fu proprio questo ad attirarlo ancora di più.
«Di che si tratta?»
George si guardò intorno con attenzione, poi si avvicinò per sussurrare all’orecchio del suo compagno.
Egli sussultò sgranando gli occhi, impallidì e tornò a poggiarsi contro le schienale di legno. Pian piano l’iniziale disgusto si tramutò in eccitante curiosità.
«Funziona davvero?»
L’altro annuì.
«Credi che potrei provare?» chiese con un po’ di titubanza.
«Be’, dipende…hai dei soldi?»
Waddington infilò una mano nel taschino della divisa ed estrasse una buona somma di denaro.
«È sufficiente?»
Lo sguardo di George si illuminò.
«Direi proprio di sì» affermò prendendo avidamente le banconote.
Il soldato si rialzò dal tavolo e fece segno al suo commilitone di seguirlo.
Horace obbedì, i due lasciarono il salone principale per raggiungere una delle stanze al piano superiore.
George richiuse la porta alle sue spalle, Waddington si sedette sul letto, guardandosi intorno con aria nervosa. Il suo compagno aprì a chiave un cassetto e si mise di spalle per compiere azioni che restarono nascoste nell’ombra.
Tornò da lui con una siringa tra le mani, lo fece sdraiare sul materasso e gli disse di rilassarsi.
Waddington scelse di fidarsi, ormai aveva deciso, aveva intenzione di andare fino in fondo.
George preparò tutto con cura e precisione, infine infilò l’ago nel braccio del suo compagno. Il sottotenente reagì con un sussulto.
«Non preoccuparti Horace, presto ti sentirai meglio, e finalmente sarai libero da ogni tormento»
 
***

Il tenente Foley non si era opposto in alcun modo alla decisione del colonnello Harrison, aveva accettato quelle condizioni degradanti senza ribattere. Aveva intenzione di preservare la dignità che gli era rimasta.
Nemmeno per un istante aveva pensato di ritenere suo fratello responsabile per il disonore che era ricaduto sulla sua famiglia. Pensò ai suoi genitori, i quali avevano perso un figlio ed erano costretti a vergognarsi per questo. Era terribile, eppure a nessuno sembrava importare.
Thomas Foley era considerato un vigliacco e un traditore della Patria. In quanto ufficiale William era consapevole di quanto fosse pericolosa la paura dei soldati, egli stesso condannava la diserzione e la considerava un atto ignobile, queste sue convinzioni lo ponevano in una situazione davvero difficile. Restando fedele a se stesso avrebbe dovuto ripudiare suo fratello. Non poteva ignorare la verità, Thomas era colpevole, avrebbe dovuto convivere con questa consapevolezza.
Il tenente Foley non aveva mai ambito ad una carriera militare, era sempre stato un uomo di saldi principi, ma dopo la condanna del fratello aveva iniziato a perdere fiducia in se stesso e nella sua severa morale.
Per molto tempo aveva accusato Richard per la sua condanna, ma in fondo aveva sempre saputo che il suo commilitone non avrebbe potuto fare nulla per salvare la vita di un disertore. Aveva ritenuto più semplice trovare qualcuno su cui scaricare le colpe piuttosto che accettare la triste verità. Era stato il dolore ad impedirgli di vedere le cose chiaramente, così egli si era abbandonato al rancore. Aveva compreso i suoi errori, rivelando a Richard la verità. Credeva che il suo dolore si sarebbe attenuato dopo essersi confrontato con lui, ma ciò non era accaduto.
La perdita di Thomas era irreparabile, così come quella di Albert.
 
William aveva riflettuto a lungo sulla questione, nelle retrovie aveva ritrovato alcuni vecchi compagni, tra cui anche il sergente Jackson. Si era ricordato subito di lui, Albert l’aveva nominato più volte parlando del caso Randall. Anch’egli era stato coinvolto in quella vicenda, dunque poteva conoscere particolari importanti.
Il tenente Foley aveva promesso a Richard di fare il possibile per scoprire la verità, ed ora che si era presentata l’occasione non poteva tirarsi indietro.
L’ufficiale si fece coraggio e una sera decise di affrontare l’argomento con il suo commilitone.
«Lei conosceva il caporale Randall?» chiese con un po’ di esitazione.
Jackson scosse le spalle: «sapevo abbastanza di lui da avere il buon senso di stargli lontano»
«So che ha testimoniato al suo processo»
«Sì, è vero. Alla fine però le mie parole non ebbero molta importanza»
«Qual era l’accusa?»
«Omicidio»
Foley sussultò: «che…che cosa era accaduto?»
Jackson prese un profondo respiro ed alzò lo sguardo al cielo stellato.
«Accadde nell’autunno del 1915. Era una sera come questa, avevamo voglia di festeggiare perché erano arrivati i rifornimenti. Eravamo tutti seduti intorno al fuoco a bere birra e raccontarci storie di guerra, inevitabilmente qualcuno alzò un po’ il gomito e a un certo punto si iniziò a litigare. Essendo il più anziano del gruppo toccò a me calmare le acque, per la maggior parte erano le solite incomprensioni tra ubriachi, nulla di serio. Però più tardi mi ritrovai in una brutta situazione e dovetti intervenire in una rissa. Quando riuscii a separare i due presi Randall per le spalle e lo trascinai in disparte. Gli domandai se fosse impazzito nel voler picchiare a sangue un ragazzino. Mi disse che quel giovane gli aveva mancato di rispetto e che aveva il diritto di mostrargli come stavano realmente le cose. Risposi che per poco non l’aveva ammazzato, lui rimase in silenzio, guardandomi dritto negli occhi. Le posso assicurare che quello che vidi fu lo sguardo del demonio. Ebbi la certezza che se non fosse stato per il mio intervento la vicenda sarebbe finita male. La mia non fu soltanto una sensazione, il giorno dopo purtroppo ne ebbi la conferma. All’alba trovarono il corpo di quella recluta nel fiume, la salma era stata ulteriormente martoriata. Si parlò di annegamento, ma nessuno credette che si fosse trattato di un incidente»
«È convinto che sia stato il caporale Randall a uccidere quel ragazzo?»
«Non ho alcun dubbio a riguardo»
«Quell’uomo sarebbe stato disposto a commettere un omicidio per un’assurda discussione?»
«Randall è un folle che potrebbe uccidere anche senza motivo»
«E l’esercito non ha mai preso provvedimenti a riguardo?»
«Un caporale assetato di sangue sul campo di battaglia è una preziosa risorsa. Gli ufficiali sanno sempre a chi rivolgersi per sistemare le loro sporche faccende. Sono certo che Randall conosca ogni putrido segreto dell’esercito britannico e che abbia preso parte alle azioni più deplorevoli»
«Le sue accuse sono veramente gravi»
«Se è qui a discutere con me significa che anche lei non crede nell’integrità del nostro esercito»
«Io mi sto solo chiedendo se quell’uomo sia o meno l’assassino del tenente Albert Green»
Jackson si sorprese nel sentire quel nome.
«Mi ricordo del tenente Green, al tempo fu l’unico a darmi ascolto. Crede che anche lui sia stato una vittima di Randall?»
Egli sospirò: «non lo so, e sinceramente non so nemmeno a cosa potrebbe servire scoprire la verità»
«Non vuole rendere giustizia al suo commilitone?»
William aveva ormai smesso di credere nelle giustizia.
«Se Randall avesse davvero ucciso il tenente Green cambierebbe forse qualcosa?»
L’uomo rifletté qualche istante.
«L’omicidio di un ufficiale non passerebbe inosservato»
«Ormai è passato tanto tempo»
«Accusarlo di quel crimine potrebbe essere l’unico modo per fermarlo»
Foley dubitò di quelle parole.
«Albert era il mio migliore amico, forse desidero soltanto trovare un colpevole per la sua scomparsa, in modo da non poter più accusare me stesso per non essere riuscito a salvarlo»
«Randall aveva un movente»
L’ufficiale rimase scettico: «ho trovato io il cadavere di Green ed ho le mie ragioni per credere che egli si sia suicidato»
«Perché sta cercando di giustificare quel mostro?»
«Di certo Randall è un criminale di guerra, ma sarebbe un errore accusarlo di un omicidio che non ha commesso»
«Dunque vuole arrendersi e lasciare questa storia nel passato?»
William mantenne lo sguardo fisso davanti a sé: «a volte accettare la realtà non è una sconfitta»
 
***

Durante la sua permanenza in ospedale Richard ricevette numerose visite, tra le quali quelle del capitano Howard, del maggiore Farrell e del sergente Redmond. I suoi commilitoni, oltre a tempestarlo di domande, si preoccuparono di informarlo su ciò che era accaduto al fronte durante la sua assenza.
Tra tutti il sergente Redmond fu l’unico che fu ben accolto dal tenente.
«Sapevo che sarebbe tornato sano e salvo» disse il sottufficiale con un benevolo sorriso.
«Questa volta ci è mancato davvero poco» commentò Richard indicando l’arto ferito.
Redmond cambiò atteggiamento e si avvicinò con un’espressione seria sul viso. Il tenente intuì dalla sua agitazione che egli non avesse buone notizie.
«Che cosa è successo?» chiese con evidente apprensione.
Il sergente prese un profondo respiro prima di informarlo a riguardo delle condizioni del suo attendente.
«Mi dispiace…» disse alla fine del suo resoconto.
Richard tentò di mantenere la calma: «come sta adesso?»
«È ancora debole, ma il dottor Jones ha detto che si riprenderà»
Il tenente scosse la testa: «quel ragazzo riesce sempre a trovare il modo per finire nei guai…»
«È normale che il cuore dei giovani sia più ardimentoso»
«Credevo avesse imparato qualcosa dalle mie raccomandazioni»
«Non sia troppo severo nei suoi confronti»
«Se non fosse stato per lei…»
«Oh, non deve nemmeno pensare a questo»
«Mi chiedo come mai abbia deciso di compiere un atto così stupido!»
«Sa che lo ha fatto per voler essere all’altezza della situazione, desiderava solo che lei fosse orgoglioso di lui»
«Sergente, io non sono deluso dal mio attendente, sono semplicemente preoccupato»
«Lei ha aiutato quel ragazzino a diventare un buon soldato, ma è sempre stato consapevole di non poterlo proteggere dalla guerra»
«Ho promesso a me stesso che avrei fatto il possibile per salvarlo»
Redmond avvertì un nodo alla gola: «ci sono cose che non dipendono da noi e che non possiamo controllare»
Richard comprese le sue parole.
Il sergente guardò il suo superiore negli occhi, riconobbe quello sguardo colmo di ansia e preoccupazione, lo conosceva fin troppo bene.
«Signore, io non credo di poter comprendere il rapporto tra lei e il suo assistente, ma so che significa anteporre il bene di una persona cara ad ogni altra cosa»
Richard rimase in silenzio.
«Non posso garantirle nulla, ma sono sicuro che quel ragazzo sappia quanto sia importante per lei. E ho avuto prova che per lui vale lo stesso»
L’ufficiale distolse lo sguardo, ma dentro di sé provò una profonda commozione.
«Ora pensi solo a riposare, ne ha davvero bisogno» concluse Redmond prima di scomparire oltre la porta.
 
***

Quando lasciò l’ospedale Richard fu prontamente richiamato dal colonnello Harrison.
Il tenente proseguì lungo il corridoio scrutando l’ambiente e spostando nervosamente lo sguardo a destra e a sinistra. Si fermò davanti alla porta e porse alla guardia il saluto militare.
«Il colonnello la sta aspettando»
L’ufficiale annuì con un cenno e varcò la soglia.
«Tenente, lieto di rivederla. Per favore, chiuda la porta»
Green obbedì.
«Prego, si accomodi»
Egli si avvicinò alla scrivania, ma restò in piedi impuntando gli stivali a terra.
Il colonnello poggiò le carte che aveva tra le mani e richiuse la cartella davanti a sé.
«Ho terminato di leggere il suo rapporto e ho preso una decisione»
Richard alzò lo sguardo per osservare il suo superiore negli occhi.
«Non si preoccupi, sono buone notizie» disse Harrison per rassicurarlo.
Green non sapeva che cosa aspettarsi da quel colloquio.
«Ho proposto il suo nome per la Military Cross» affermò il colonnello con evidente soddisfazione.
Richard rimase perplesso.
«Non capisco, per quale motivo dovrei meritare quell’onorificenza?»
«Per aver guidato con onore e coraggio il suo plotone durante l’ultima offensiva nemica»
«Ho perso metà dei miei uomini nella difesa di quell’avamposto»
«Lei ha continuato a combattere resistendo fino alla fine, è stato catturato dal nemico ed è riuscito a fuggire per tornare nelle linee inglesi. La sua storia è perfetta per quella medaglia»
«In ogni caso non ho intenzione di accettare»
L’espressione del colonnello Harrison si indurì.
«Perché non dovrebbe?»
«Per rispetto per me stesso e per i miei compagni»
«Tenente, fino ad ora ho cercato di spiegarle la situazione in modo piuttosto diplomatico. Adesso le dirò come stanno realmente le cose: i sodati hanno bisogno di credere che quel sacrificio sia servito a qualcosa»
«Quella medaglia è macchiata del sangue dei miei commilitoni»
«Anche se fosse il suo dovere sarebbe appuntarla al petto e mostrarla con orgoglio per l’onore dell’Esercito britannico»
Richard concluse quella conversazione esternando il proprio dissenso.
«In tutta onestà colonnello, spero che rifiutino la sua richiesta»
 

 
 
 
Nota dell’autrice
Ringrazio di cuore tutti coloro che stanno continuando a seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto^^

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Capitolo 33
*** Il buon soldato ***


 
XXXIII. Il buon soldato
 

Finn osservò la giacca della sua divisa piegata con cura sulla sedia, ai piedi del letto si trovavano gli scarponi militari induriti dal freddo e ricoperti di fango.
Ripensò a quando aveva indossato per la prima volta quell’uniforme linda e lucente, in quell’occasione si era sentito onorato di servire l’Esercito britannico. Per un ragazzo appartenente ad una povera famiglia di immigrati irlandesi quella era una grande conquista. Credeva di aver fatto la scelta giusta, d’altra parte la figura del soldato era stimata e apprezzata dalla società, ed era ritenuta meritevole di onore e rispetto. La propaganda aveva contribuito ad alimentare i suoi sogni e le sue speranze.
Ricordava ancora l’espressione commossa di sua sorella quando l’aveva visto in uniforme.
«Se papà potesse vederti in questo momento sarebbe davvero orgoglioso di te»
Aveva pronunciato quelle parole con sincerità, ma nel suo sguardo aveva notato la sua preoccupazione. Finn aveva sorriso nel tentativo di rassicurarla, il rapporto con sua sorella era sempre stato sereno e sincero. Fin da bambino aveva trovato in lei una buona confidente, non c’erano mai stati segreti tra loro. Ella era sempre stata pronta a supportarlo in ogni sua decisione.
Con suo padre e suo fratello invece la questione era ben più complessa. Il signor Coogan non aveva mai dimostrato molto affetto nei confronti dei figli, era un uomo burbero e severo, ma nonostante tutto non era stato un cattivo genitore. Finn lo ricordava con rispetto e senza rancore, pur avendo sofferto per la mancanza di una figura paterna non si sentiva di riporre colpe su un uomo che per tutta la vita aveva fatto il possibile per provvedere alla sua famiglia. Probabilmente se ne avesse avuto la possibilità avrebbe tentato di rimediare ai suoi errori come genitore, o almeno così voleva credere. Dopo la sua morte Finn aveva deciso di ricordare con rispetto la sua figura, pur essendo consapevole di non poter cambiare il passato e che non avrebbe potuto semplicemente dimenticare quel dolore. In ogni caso aveva preferito perdonare piuttosto che portare rancore.
Quando ripensava a suo padre Finn aveva un solo rimpianto, quello di non aver mai avuto un confronto con lui. Aveva perso il genitore quando aveva solamente quattordici anni e prima di allora non aveva mai avuto occasione di affrontare un dialogo maturo tra padre e figlio. Solamente negli ultimi giorni aveva avuto modo di vedere quell’uomo sotto una diversa luce. Egli non era stato solo il genitore assente, freddo e distaccato che aveva sempre conosciuto. In quell’uomo dal fisico prostrato da anni di lavoro, il volto pallido consunto dalla malattia e lo sguardo ormai vitreo aveva riconosciuto tutti i suoi sacrifici, e si era pentito per non aver mai avuto la possibilità di conoscere più a fondo colui che l’aveva messo al mondo.
La situazione con suo fratello maggiore era differente. Kieran Coogan si era avvicinato presto agli ambienti feniani e ai loro ideali. Restando coerente con se stesso aveva considerato il fratello arruolato nell’Esercito britannico come un traditore e non aveva mai approvato la sua decisione.
Da quando era partito per la guerra Finn non aveva mai ricevuto una sua lettera e non aveva più avuto sue notizie. Anche se gli ideali politici avevano compromesso il loro rapporto fraterno il giovane non aveva mai smesso di preoccuparsi per lui.
Nonostante queste opinioni contrastanti Finn si era arruolato senza ripensamenti di alcun genere. La guerra era una priorità per tutti, dunque era giusto che anch’egli portasse a termine il suo dovere.
 
Il giovane ripensò a tutto quel che era accaduto da quando aveva deciso di indossare quell’uniforme. Era soltanto un ragazzino ingenuo quando si era presentato al campo di addestramento, a diciannove anni non poteva nemmeno immaginare le atrocità di quella guerra. Di certo di non avrebbe mai pensato che i suoi sogni di gloria si sarebbero infranti in modo così crudele. Per mantener fede al suo giuramento aveva superato un gran numero di difficoltà, rinunciando a vane illusioni infantili, e accettando una realtà ben differente.
Finn studiò il suo riflesso nel vetro dell’ampia finestra, la guerra gli aveva conferito un aspetto più maturo, non riconosceva più se stesso nel ragazzino ingenuo e innocente che per la prima volta aveva messo piede su un campo di battaglia.
Egli sospirò, provò una profonda malinconia nel ripensare al passato, a quando ancora non aveva conosciuto il lato più oscuro e spietato di quel conflitto.
La sua mente lo riportò alla notte precedente al suo primo vero scontro. Aveva trascorso quelle ore tormentato dai dubbi e delle paure, soltanto la presenza del tenente Green era riuscita a rassicurarlo. Finn aveva dimostrato di possedere completa fiducia in lui, lo considerava come un eroe, aveva la certezza che a fianco del suo comandante avrebbe potuto affrontare ogni avversità.  
In tutto quel tempo ciò non era cambiato. Richard era sempre rimasto il suo scoglio sicuro, ma egli aveva dovuto imparare anche a fare affidamento su se stesso, fronteggiando da solo le proprie paure sul campo di battaglia.
Finn ripensò al dialogo che aveva avuto con il tenente a riguardo delle sue preoccupazioni per il suo battesimo del fuoco.
 
«È normale avere dubbi e incertezze, ma quando giunge il momento di combattere tutto questo scompare. L’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento, ti rendi conto di non avere altra scelta e allora non hai più alcuna esitazione, sai esattamente che devi uccidere il nemico e lottare fino alla fine. È per questo che siamo qui, questa è semplicemente la guerra»
 
Il giovane soldato si era ritrovato più volte a riflettere sui saggi insegnamenti del suo superiore. L’esperienza aveva dato prova della veridicità di quelle parole. Per quanto fredde e crudeli quelli frasi rappresentavano la dura realtà della guerra.
Ripensando agli avvenimenti di quella notte Finn si soffermò su altri particolari, come lo sguardo dolce e comprensivo di Richard o i suoi gesti incoraggianti e premurosi. Ricordava ancora i versi di Keats che il tenente aveva letto per lui.
 
Quando il destino racconta, di quelli che più amo,
Storie di dolore al mio cuore spaventato,
Tu, Speranza, occhi di luce, la mia fantasia
Morbosa rallegra, dammi dolce conforto:
Illuminami di cielo, danza
Sul mio capo con le tue ali d'argento.
 
Finn avvertì una fitta al petto, in quella particolare circostanza, mentre era in pena per la sorte del suo amato, quelle parole acquisivano un significato ancora più intenso e profondo.
Fin dal primo scontro Richard aveva dimostrato di essere disposto a fare il possibile per proteggerlo. Il tenente gli aveva offerto il suo supporto ed era rimasto al suo fianco per affrontare insieme a lui ogni difficoltà. L’ufficiale aveva sempre avuto premura nei confronti del suo giovane assistente, aveva fatto il possibile perché egli potesse acquisire le giuste capacità per affrontare quella guerra. Nel corso del tempo Finn era diventato un buon combattente grazie agli avvertimenti e ai preziosi insegnamenti del suo superiore. Il suo rapporto con il tenente Green era diventato sempre più intimo e personale, soprattutto quando i sentimenti avevano preso il sopravvento, ma al di là di tutto questo Richard era rimasto il suo mentore, colui che aveva forgiato il suo animo di soldato. Egli era sempre stato il suo punto di riferimento.
Il ragazzo ricordava bene le parole che il suo superiore gli aveva rivolto in trincea.
 
«Quando saremo nel mezzo della battaglia tu dovrai fidarti di me, qualunque cosa accada devi promettermi che eseguirai ogni mio ordine»
 
L’esperienza del battesimo del fuoco aveva scaturito sentimenti contrastanti nel suo giovane animo. Aveva assistito ad uno spettacolo di puro terrore, eppure si era sentito attratto da quell’irrefrenabile vortice di morte e distruzione. Per la prima volta la paura si era tramutata in fervente eccitazione.
Era poi stato il suo primo incontro con il nemico a riportarlo alla realtà. In quel momento Finn si era sentito fragile e impotente, aveva realizzato di essere solamente un ragazzino che si era ritrovato in una situazione ben più grande di lui. Non era pronto per combattere quella guerra, pur indossando una divisa e imbracciando un fucile non era ancora un soldato a tutti gli effetti. Per questo Finn era rimasto paralizzato, senza riuscire a trovare la forza di reagire. Se Richard non fosse prontamente giunto in suo soccorso la sua prima battaglia sarebbe stata anche l’ultima.
 
In un’altra occasione Finn si era confrontato con le atrocità del conflitto, ovvero quando aveva visto le reali conseguenze con i suoi occhi, trovandosi davanti a soldati feriti e orribilmente mutilati. Le sue vane illusioni e le sue ingenue aspettative erano svanite per sempre. La guerra si era mostrata per ciò che era realmente, spogliandosi di ogni ideale romantico ed eroico.
Finn era rimasto impressionato da quel lugubre corteo, quelle atroci grida di sofferenza tornavano spesso nei suoi incubi. Aveva osservato i volti pallidi e inespressivi, le bende sporche di sangue e gli sguardi spenti di quegli uomini che sembravano appena tornati dall’Inferno. Molti feriti erano terribilmente deturpati, altri invece avevano gli occhi coperti dalle fasciature. Egli era stato più fortunato di quei poveri soldati che sarebbero rimasti privi della vista per il resto della loro vita. Già allora aveva però temuto di condividere con loro quel medesimo e triste destino.
 
Nei primi mesi di guerra Finn aveva dovuto fare i conti con se stesso, la sua immaturità giovanile gli aveva impedito di poter essere oggettivo e di affrontare con la giusta razionalità diverse situazioni. Sapeva di aver sbagliato lasciandosi sopraffare dal suo lato emotivo, confrontandosi con il passato non poteva far altro che rimproverarsi per questo. Quando Richard gli aveva rivelato che sarebbe dovuto partire per una pericolosa missione egli aveva reagito cedendo alla sua fragilità e abbandonandosi alle sue emozioni.
Ricordava ogni singola frase di quella conversazione.
 
«Voglio venire con te»
«Sai bene che non puoi»
«Sono il tuo assistente, non posso abbandonarti nel momento del bisogno»
«Per il momento è meglio che tu rimanga al sicuro»
«Non ho intenzione di restare rintanato come un vigliacco mentre tu sarai là fuori ad affrontare il nemico!»
«Non è una questione di coraggio. Per favore, devi fidarti di me»
«Io…non voglio lasciarti»
«È il dovere di ogni comandante pensare al bene dei propri uomini. In questo caso tu non sei un’eccezione»
«Promettimi che starai attento e che tornerai da me»
 
Promettimi che starai attento e che tornerai da me. Finn sapeva che quella frase era completamente priva di senso nel terribile contesto di quella guerra, ma aveva sentito il bisogno di una speranza in cui credere, e anche una menzogna sarebbe stata di conforto.
Ogni volta in cui era stato costretto a separarsi dal tenente aveva provato le medesime sensazioni. Sentiva la necessità di credere in quell’illusione, voleva pensare che Richard sarebbe sempre tornato da lui, pur essendo consapevole del motivo per cui il suo superiore non aveva mai azzardato alcuna promessa.
 
Il forte legame che aveva instaurato con Richard l’aveva spinto ad affrontare le sue più grandi paure. Per l'amato era stato disposto a sfidare i proiettili e il gas, contrastando anche gli ordini dei suoi superiori.
Per la prima volta aveva preso il controllo della situazione, affrontando da solo il campo di battaglia per portare a termine la sua missione di salvataggio. In quell’occasione aveva dimostrato fedeltà e coraggio, eppure ciò non era stato sufficiente a fare di lui un buon soldato. Il tenente era riuscito a trovare il modo di rimproverarlo per la sua impulsività. Aveva agito senza riflettere, lasciandosi sopraffare dai sentimenti. Aveva rischiato la vita per una nobile ragione, questo di per sé non era un errore, ma egli era ancora troppo immaturo per poter prendere certe decisioni. Il tenente Green non aveva mancato di farglielo notare.
 
«Questa volta hai fatto la scelta giusta affidandoti al tuo istinto, ma devi promettermi che non disobbedirai mai più ai miei ordini»
 
Al tempo Finn si era sentito sminuito da quelle parole, non capiva perché il suo superiore avesse voluto rimproverarlo anche in una simile occasione. Ora invece poteva ben comprendere la sua posizione. Green aveva enormi responsabilità nei confronti dei suoi uomini, non poteva permettere che i soldati prendessero scelte azzardate nel momento del pericolo. Nonostante ciò Finn era certo che non avrebbe mai potuto comportarsi in modo diverso, non avrebbe mai potuto abbandonare il tenente. Pur avendo ammesso il suo enorme sbaglio non poteva negare la verità, sarebbe stato disposto a commetterlo nuovamente. La differenza però era che ora avrebbe avuto maggiore consapevolezza, come lo stesso Richard gli aveva insegnato, era giusto imparare dai propri errori.  
 
Al di fuori di quel singolo episodio Finn non aveva mai avuto problemi ad eseguire gli ordini e a seguire la disciplina militare. Si impegnava duramente durante gli addestramenti e nel corso del tempo aveva dimostrato di essere un soldato obbediente ed efficiente. La sua giovane età e la sua inesperienza si erano rivelate più volte come un pericoloso ostacolo.
A differenza di altri soldati Finn non aveva perso la sua umanità, non vedeva quella guerra come un gioco al massacro, ed essendo cresciuto con gli insegnamenti del tenente Green aveva mantenuto un rigoroso rispetto per l’avversario.
Per questo quando si era trovato per la prima volta davanti a un nemico ferito il suo animo puro e gentile aveva provato il desiderio di salvarlo. Come essere umano non poteva restare indifferente davanti a un suo simile agonizzante e sofferente.
Era stato il soldato Dawber a mostrargli il lato più crudele di quel conflitto. Egli aveva un visione differente della guerra, per lui un soldato non poteva permettersi di provare pietà.
Finn non aveva mai condiviso questa mentalità, per lui esisteva ancora una differenza tra un soldato e un assassino.
Finn ricordò l’animata discussione avuta con il suo commilitone, in particolare una sua risposta era rimasta impressa nella sua mente.
«Non prendo ordini da un ragazzino!»
Al tempo non aveva avuto modo di ribattere, in fondo anch’egli credeva che il suo compagno avesse ragione. Era soltanto un ragazzino, mentre Dawber era un veterano esperto. Egli aveva ancora una morale solamente perché non si era ancora trovato nella terribile condizione di dover uccidere per sopravvivere, non poteva comprendere le ragioni del suo commilitone. Inoltre in quel momento aveva creduto che Dawber avesse dato sfogo alla sua violenza come prova di superiorità nei confronti del nemico, invece ora poteva immaginare quanto in realtà fosse stato difficile per lui sopprimere la voce della sua coscienza. Uccidere non era mai semplice, in passato aveva creduto che i suoi commilitoni non provassero alcun genere di rimorso, invece non era così. Dawber non era un mostro insensibile, era stata la guerra ad obbligarlo a prendere decisioni difficili, in fondo aveva agito nella speranza di fare del bene, in un certo senso andando contro la sua volontà aveva voluto proteggerlo.
Finn ripensò a ciò che aveva detto il suo compagno dopo aver premuto il grilletto.
«È per questo che siamo qui!»
Questo pensiero l’aveva tormentato a lungo, per quale ragione stava combattendo quella guerra?
Alla fine il ragazzo era giunto ad una conclusione semplice, ma sufficiente a convincerlo di star facendo la cosa giusta. Egli stava combattendo solamente perché era suo dovere, perché doveva rispettare il suo impegno di soldato, e soprattutto perché i suoi commilitoni avevano bisogno di lui.
Dunque il suo obiettivo non era sterminare il nemico, ma proteggere i suoi compagni. L’importante non era vincere, ma sopravvivere. Per questo doveva uccidere il nemico, perché non aveva altra scelta.
Forse quei ragionamenti erano solamente un insieme di scuse, ma non voleva perdere la sua umanità. Pur non essendo in cerca di una giustificazione voleva continuare a fornire una spiegazione razionale alle atrocità commesse in quel conflitto.
 
La verità però era che egli non era diverso da nessun altro. La sua morale non poteva espiarlo dalle proprie colpe. Nel momento in cui si era ritrovato da solo faccia a faccia con il nemico non aveva esitato a premere il grilletto. Era accaduto tutto rapidamente, nell’istante in cui il suo avversario aveva estratto la pistola il giovane aveva reagito d’istinto, sapendo di non avere altra scelta.
Era terribile, eppure la perdita della sua innocenza gli aveva permesso di ottenere il rispetto dei suoi commilitoni. Il suo primo omicidio aveva segnato il suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, così era diventato un vero soldato.
A prova di questo c’erano le parole del caporale Speller, il quale si era rivolto a lui come a un suo pari solo dopo aver notato il cadavere del tedesco ai suoi piedi. Aveva dimostrato di essere disposto ad uccidere, così si era meritato la fiducia del suo superiore.
Non poteva contraddire questo ragionamento, se in guerra si doveva affidare la propria vita nelle mani di qualcuno, era necessario avere prova che questa persona fosse realmente pronta a tutto.
 
Da quel momento non si era sentito affatto una persona migliore, per quanto avesse agito in modo corretto secondo le dure leggi della guerra. I frequenti incubi lo riportavano spesso a rivivere quei momenti, non aveva ragioni per provare rimpianti o rimorsi, eppure sentiva di aver superato un limite. Non sapeva fin dove avrebbe potuto spingersi, aveva paura di scoprire quel lato di se stesso, quello più oscuro e violento che si celava nel fondo di ogni essere umano.
Finn ripensò al dialogo con il caporale Speller, quando si era confrontato con lui a riguardo della sua esperienza come soldato.
 
«Che cosa è cambiato da allora?»
«Tu sei cambiato. È questo che fa la guerra, cambia le persone, nel bene e nel male»
 
Finn non sapeva come considerare questo suo cambiamento, di certo la sua maturazione sul campo di battaglia era qualcosa di positivo. I suoi compagni potevano contare su di lui, non lo vedevano più come un ragazzino spaventato. Il giovane poteva considerarsi orgoglioso di questo, eppure c’era ancora una parte di sé che era rimasta attaccata al passato. Aveva perso per sempre l’innocenza e l’ingenuità che l’avevano caratterizzato quando era ancora una semplice recluta, ma la guerra non aveva ancora distrutto il suo lato più umano.
 
La sua crescita sul campo di battaglia aveva coinvolto sia il fisico che la mente, il suo stesso carattere era mutato a causa della guerra. Aveva acquisito nuove consapevolezze e si era preso carico di nuove responsabilità. Ciò non significava che fosse diventato una persona migliore, ma per capacità di adattamento aveva sviluppato tutte quelle qualità degne di un militare ben addestrato.  
Probabilmente era per questo che durante l’ultimo scontro aveva deciso di esporsi pericolosamente al nemico. Il giovane aveva osservato i suoi compagni che rispondevano ardentemente al fuoco con i loro fucili, incitati dalle grida di incoraggiamento del caporale Speller. Così non aveva esitato ad agire, animato dall’eccitazione bellica aveva seguito il suo istinto.
In quel momento aveva anteposto il bene dei suoi commilitoni ad ogni cosa, anche a se stesso, si era comportato come un buon soldato.
 
***

Finn si riprese da quei pensieri, era certo di aver udito dei passi in corridoio. Il ragazzo si sollevò poggiando la schiena contro la testiera metallica. Poco dopo qualcuno entrò nella stanza, nella penombra non riuscì a vedere subito il suo volto, ma il giovane riconobbe immediatamente la sagoma del tenente. L’ufficiale sostò davanti allo stipite della porta, poi senza esitazione si avvicinò alla sua branda. Camminava a fatica, zoppicando e trascinando l’arto ferito con evidente sforzo.
Nonostante ciò Richard raggiunse il suo compagno quasi con foga e impazienza, incurante delle fitte di dolore che ad ogni passo diventavano sempre più intense.
Finn restò in silenzio, guardando il viso del suo superiore con gli occhi lucidi per la commozione.
L’ufficiale si chinò su di lui per accoglierlo con un caloroso abbraccio.
«Oh, Finn…sono così felice di rivederti»
«Temevo di averti perso per sempre…» rivelò il ragazzo tra i singhiozzi.
Richard strinse il giovane a sé, anch’egli aveva provato la stessa preoccupazione, e aveva davvero avuto paura di non poter più rivedere il suo amato.
Il tenente si distaccò da quel dolce abbraccio, la sua espressione divenne più severa.
«Il sergente Redmond mi ha raccontato tutto, come hai potuto commettere un atto così sconsiderato?»
Finn aveva riflettuto a lungo sulla questione, pur riconoscendo i propri errori, era giunto ad una chiara constatazione.
«Non ho alcun rimorso per quel che ho fatto» rispose con una certa decisione.
«Mi avevi promesso che non avresti mai più disobbedito a un mio ordine»
«Non era questa la mia intenzione»
«Ti sei comportato in modo irresponsabile. Come tuo superiore non posso tollerare una simile mancanza di buonsenso da parte tua»
«Ho scelto di agire davanti al pericolo, esattamente come avrebbe fatto ogni buon soldato»
«Hai volontariamente messo a rischio la tua vita»
«Avevo una buona ragione per farlo, dovevo proteggere i miei compagni»
«Ti avevo avvertito, ed ora hai imparato sulla tua pelle, gli errori in guerra costano caro»
«Non sono più un novellino»
Il tenente prese un profondo sospiro.
«Lo so, e non voglio che tu creda che non abbia fiducia in te…»
«Allora perché mi stai trattando in questo modo?»
Richard guardò il suo assistente dritto negli occhi.
«Perché non potrò mai essere imparziale nei tuoi confronti, non posso vederti semplicemente come tutti gli altri soldati»
Il giovane si sentì in colpa per non aver compreso le motivazioni del suo superiore. Nemmeno per lui doveva essere semplice conciliare la sua autorità di comandante con i propri sentimenti.
«Mi dispiace…»
Green scosse la testa: «è anche colpa mia, ero così terrorizzato all’idea di commettere gli stessi errori del passato da non aver pensato a ciò che era davvero importante per te»
Finn lo rassicurò: «non hai commesso alcun errore nei miei confronti»
Il tenente sfiorò il volto del suo assistente con una tenera carezza.
«In ogni caso voglio che tu sappia che sono orgoglioso di te, lo sono sempre stato, e non hai bisogno di compiere atti azzardati e pericolosi per dimostrare il tuo valore»
Finn si commosse nel sentire quelle parole.
Richard fu costretto ad accettare la realtà, non avrebbe potuto proteggere il suo attendente da ogni pericolo, ma doveva essere pronto a fare affidamento sulle sue capacità. Ovviamente avrebbe continuato a preoccuparsi per lui, questo era inevitabile, ma quel giovane meritava fiducia. Era certo di poter affrontare quella guerra con la consapevolezza di avere al suo fianco sia la persona amata che un buon soldato.
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Grazie a tutti voi per essere giunti fin qui. Il racconto sta pian piano giungendo alla conclusione, senza il vostro sostegno non avrei mai pensato di riuscire a realizzare questo progetto. Vi sono immensamente grata per il supporto dimostrato, forse sono frasi banali, ma tutto questo è davvero molto importante per me.
Grazie ancora di cuore  
❤️

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Capitolo 34
*** Lettere dal fronte ***


 
XXXIV. Lettere dal fronte
 

 
Capo Helles, 19 settembre 1915.
 
Ai coniugi Redmond.
Probabilmente non conoscete il mio nome, non credo che Arthur abbia mai parlato di me nelle sue lettere, ma ciò non ha importanza. Posso considerarmi un suo caro amico, sono stato l’ultimo a vederlo prima della sua scomparsa.
Purtroppo nulla è cambiato da allora, non ho più avuto notizie di vostro figlio. Vorrei credere che egli sia stato catturato come prigioniero, ma non posso offrirvi alcuna speranza.
Mi sento in dovere di raccontarvi ciò che è accaduto quel fatidico giorno, suppongo che vogliate conoscere la verità.
 
Il nostro plotone aveva raggiunto ormai da qualche settimana la prima linea. Eravamo situati in un groviglio di gallerie e cunicoli scavati nel fango e nella roccia.
Eravamo pronti per la grande battaglia, avevamo la certezza che sarebbe stato uno scontro cruento e che avremmo dovuto combattere aspramente per la vittoria.
All’alba ricevemmo l’ordine di radunarci per l’imminente offensiva. Prontamente seguii gli altri soldati in fermento e mi schierai con le spalle poggiate al muro di terra. Arthur era al mio fianco, il suo viso serio e inespressivo mi fece intuire che era pronto ad affrontare il suo destino. Io fremevo per l’agitazione.
Quando il comandante diede l’ordine di uscire dalle trincee le grida di eccitazione e frustrazione si innalzarono tra gli spari. Mi unii ai miei compagni, stringendo il fucile e preparandomi a combattere.
Mi arrampicai sul parapetto e saltai fuori dalla trincea, avanzando nella terra di nessuno.
Quella fu l’ultima volta in cui vidi Arthur, mentre correva incontro al nemico, tra le fiamme e il fumo delle esplosioni.
 
Non so cosa gli sia accaduto, in ogni caso egli ha dimostrato di essere un soldato valoroso.
Ho conosciuto Arthur come un giovane intrepido e coraggioso e lo ricorderò per sempre come un eroe.
 
Peter Barkley
 
***

Cambrai, 20 novembre 1917.
 
All’egregio dottor Pearse.
Sono trascorsi ormai diversi anni da quando ero un semplice studente di medicina, nonché suo fedele assistente. Nonostante ciò mi capita spesso di ripensare a quel periodo della mia vita, in cui i suoi insegnamenti sono stati fondamentali per la mia crescita sia personale che professionale.
Ricordo in particolare ciò che mi disse al termine di una lunga operazione, terminata con successo dopo ore di arduo lavoro. In quell’occasione le confessai i miei dubbi a riguardo di questo mestiere, temevo di non essere adatto a gestire situazioni così drammatiche con il suo stesso sangue freddo. Avevo paura di commettere errori, di non essere all’altezza e di non possedere abbastanza competenze, oppure di non essere tanto bravo quanto i miei colleghi. Tutti quesiti che ancora continuano a vagare nella mia mente, e a cui non potrò mai dare una risposta definitiva. Eppure lei ha saputo confortarmi, mi disse che era giusto porsi domande e avere timori, e che avrei dovuto preoccuparmi nel momento in cui non avrei più avuto alcun dubbio.
In questo periodo mi sono trovato più volte al limite, pensando di non poter svolgere il mio compito in questa guerra, ma mi sbagliavo. Ho scelto di dedicare la mia vita a fare del bene, ed è questa consapevolezza ad avermi sempre donato la forza di andare avanti. Eppure non sempre questo è sufficiente.
Ho visto ragazzi morire tra le mie braccia, senza che io potessi fare nulla per aiutarli. Ho guardato quei giovani negli occhi nei loro ultimi istanti, non dimenticherò mai i loro sguardi colmi di terrore.
A volte saprei bene come curare i miei pazienti, ma non avendo a disposizione i giusti strumenti, in pessime condizioni e senza medicine non posso fare altro che assistere alla loro sofferenza.
Troppo spesso mi dimentico di essere anche io un essere umano, con i miei limiti e le mie debolezze.
Eccomi qui dunque, a chiedermi che fine abbia fatto quel giovane studente che desiderava solo essere un buon medico per aiutare gli altri. Suppongo che esista ancora, da qualche parte, tra i frammenti di un’anima distrutta e ormai abbandonata allo sconforto.
Continuo a pregare nella speranza che tutto questo possa presto giungere ad una fine. Voglio credere in un futuro migliore, perché le nuove generazioni possano vivere nella Pace.
 
Il suo fidato collega,
Dottor E. Jones
 
***

Pattishall, 3 marzo 1918.
 
Alla mia amata moglie.
Ci sono tante cose che vorrei dirti in questo momento, ma molte di esse ormai non hanno più alcuna importanza. Voglio solo che tu sappia che sono ancora vivo.
Mi trovo in un campo di lavoro per prigionieri di guerra, da qualche parte nella campagna inglese. Fortunatamente sto bene, non sono ferito e nemmeno malato. Noi tedeschi siamo trattati in modo umano e dignitoso.
I turni di lavoro sono intensi e faticosi, ma non posso lamentarmi per la mia condizione. I pasti sono sufficienti e riceviamo le cure mediche necessarie.
Gli inglesi non sono crudeli nei nostri confronti, anche se alcune guardie sono più severe di altre.
Nonostante ciò non voglio mentirti, la situazione è sempre più difficile da sopportare. Tutte le giornate sono uguali, non esiste nulla oltre al filo spinato, non riceviamo molte notizie e non vediamo mai nessuno dall’esterno. Purtroppo le poche informazioni che riusciamo ad avere non sono affatto rassicuranti.
Non so che cosa accadrà, ma spero che tutto questo possa finire presto.
Ti chiedo di essere forte e di attendere il mio ritorno. Questa guerra non durerà in eterno.
Ogni notte sogno di tornare a casa, il mio cuore è sempre lì con te e il nostro bambino.
Il pensiero di tornare e poter finalmente stringere nostro figlio tra le braccia mi dona forza e speranza.
Ricordati che ti amo e che ti amerò per sempre.
Friedhelm.
 
***

Saint-Quentin, 12 maggio 1918.
 
Maggiore H. Meyer.
Come da lei richiesto provvederò al più presto a fornirle un rapporto dettagliato sull’accaduto. Per il momento le riporto la mia testimonianza.
Il treno che avrebbe dovuto condurre il mio plotone nelle retrovie è stato colpito da un bombardiere britannico poco dopo la mezzanotte. L’esplosione ha causato il deragliamento del mezzo, il mio vagone si è staccato dal convoglio ed è stato sbalzato lontano dalle rotaie. Ho ripreso conoscenza dopo qualche minuto ritrovandomi sdraiato tra le lamiere metalliche in fiamme. Purtroppo non ho ricordi nitidi di quei momenti, perdevo molto sangue dalla ferita al fianco. Devo aver perso i sensi, i miei commilitoni mi hanno tratto in salvo insieme agli altri sopravvissuti.
Per quel che riguarda il prigioniero inglese non ho potuto fare altro che dichiarare la sua morte. Purtroppo i corpi ritrovati erano carbonizzati e talmente deturpati da essere irriconoscibili.
È stata davvero una terribile tragedia, abbiamo riportato un alto numero di vittime e altrettanti feriti.
Il nemico ha dato inizio a un violento attacco, molte truppe sono state costrette ad abbandonare la prima linea e a ritirarsi delle retrovie. Sarà nostro dovere consolidare la difesa.
Gli uomini sono stanchi e demoralizzati, non so per quanto tempo potremo resistere in queste condizioni.
Restiamo in attesa dei rinforzi.
 
Tenente August Spengler
 
***

Arras, 7 giugno 1918.
 
Alla mia adorata Edith.
Il ritorno in prima linea è stato particolarmente difficile da affrontare, dopo quasi quattro anni di guerra credevo di poter vivere la situazione come un esperto veterano, invece mi sembra sempre che sia la mia prima volta in trincea.
Abbiamo dovuto raggiungere a piedi la nostra nuova postazione vicino ad Arras, poiché la linea ferroviaria è stata duramente bombardata durante gli ultimi scontri. Interi villaggi sono stati distrutti e ridotti in cumuli di macerie, tutti i ponti sono crollati, le foreste sono bruciate e le campagne appaiono come enormi deserti disseminati di crateri.
È triste pensare a tutta quella gente la cui vita è stata stravolta dalla guerra. Il mio è stato un pensiero egoista, ma in quel momento ho provato davvero un profondo sollievo sapendo che la mia famiglia si trovava al sicuro, lontano dagli orrori di questo spietato conflitto.
 
Ti ringrazio per la tua ultima lettera, le tue parole colme d’amore e affetto sono di conforto per me in questo momento difficile. Mi rassicura anche sapere che i soldi sono sufficienti, 
Sono davvero contento di sapere che i bambini stanno bene, anche se mi rattrista profondamente il pensiero che stiano crescendo senza una figura paterna al loro fianco. Non ero presente al momento della loro nascita, quando hanno pronunciato la loro prima parola e nemmeno quando hanno imparato a camminare. Questa maledetta guerra mi ha impedito di essere un buon padre, tenendomi lontano dalla mia famiglia nei momenti in cui voi avevate bisogno di me. Pur essendo consapevole di dover portare a termine il mio dovere non posso che provare profonda rabbia e tristezza.
Non voglio essere solo una fotografia per quelle piccole creature. So che tu stai facendo del tuo meglio per mantenere vivo il mio ricordo nelle loro giovani menti, ma se non dovessi tornare temo che non potrebbero nemmeno sentire la mia mancanza.
In ogni caso sono felice di aver avuto modo di conoscere i miei figli, seppur per poco, durante la mia licenza ho cercato di fare del mio meglio come buon genitore. So che Eddie diventerà un bravo ometto e che Grace sarà splendida e adorabile come te. Abbraccia entrambi da parte mia.
Sono davvero orgoglioso di te, sei la donna più forte e coraggiosa che abbia mai conosciuto, e non posso credere di essere così fortunato da averti nella mia vita. Sei una madre meravigliosa e una moglie stupenda.
Spero di poterti rivedere presto.
 
Con amore, Hugh.
 
***

Arras, 12 giugno 1918.
 
Per la Signorina Emily Davis.
Le chiedo scusa se mi permetto di scriverle solo ora, dopo così tanto tempo dalla dolorosa perdita di suo fratello, ma spero che voglia comprendere i motivi della mia titubanza.
Conoscevo molto bene Henry, eravamo uniti come fratelli. In trincea avevamo giurato di proteggerci a vicenda. Egli aveva molta fiducia in me, come suo comandante avevo delle responsabilità nei suoi confronti.
Mi dispiace per non aver mantenuto la mia promessa. Non sono mai riuscito a perdonarmi per questo.  
Ho sofferto profondamente per la scomparsa di Henry, la sua perdita ha lasciato un vuoto incolmabile nel mio cuore.
Egli era un caro amico, è stato l’unico a restarmi accanto in un periodo davvero difficile, ovvero quando iniziai ad avere le mie prime responsabilità nell’esercito. Sono certo che senza il suo supporto e la sua fiducia non sarei diventato la persona che sono ora. Al tempo Henry era molto più saggio e previdente di me.
Nessuno di noi era pronto ad affrontare questa guerra, non avevamo altro conforto che la presenza l’uno dell’altro. Devo molto a suo fratello per tutto ciò che ha fatto per me.
Ho commesso numerosi errori in passato, uno dei più gravi riguarda proprio Henry, ed è stato quello di non aver compreso la verità per tempo. Egli aveva sempre intenzione di proteggermi, anche quando con le sue azioni e i suoi comportamenti mi ha causato dolore e sofferenza.
Purtroppo sono riuscito a far luce sulla questione solamente dopo la sua morte. Ho compreso l’importanza del nostro legame troppo tardi, ma non dimenticherò mai il valore della nostra profonda e sincera amicizia.
Ho deciso di raccontarle tutto questo per darle prova che suo fratello era un uomo leale e onesto, prima ancora di essere un soldato valoroso. Il suo ricordo vive ancora nel cuore dei suoi commilitoni.
Spero che le mie parole possano essere di conforto per onorare la sua memoria.
 
Tenente Richard Green

 
 ***

Amiens, 5 luglio 1918.
 
Caro papà,
mi spiace per non averti scritto per tanto tempo. Vorrei dirti che è stata colpa della guerra, forse in parte è vero, ma ad essere sincero non avevo la forza di pensare a casa. Non volevo affrontare questa sensazione di profonda tristezza e malinconia.
In questo periodo non posso evitare di pensare a Thomas, ormai sono trascorsi due anni dalla sua scomparsa. Voglio essere sincero nei tuoi confronti. Per molto tempo ho considerato la sua condanna come una crudele ingiustizia, ma non posso andare contro ai miei principi e ai valori in cui credo.
Mio fratello ha commesso un errore imperdonabile, questo è un fatto certo. È vero, egli era soltanto un ragazzino, ma questa non è una giustificazione. La sua condanna è stata crudele, ma non infondata.
La guerra ha le sue regole e, per quanto crudeli e spietate, esse devono essere rispettate. Sarebbe ipocrita da parte mia pretendere che esistano eccezioni. Questo è ciò che posso dire attenendomi solamente alla ragione, restando fedele a me stesso e ai miei valori come ufficiale dell’Esercito britannico.
D’altra parte non posso evitare di guardare in faccia la realtà. Io ho perso un fratello e tu un figlio. Non voglio in alcun modo sminuire questo lutto.
Al momento non posso fare altro che rispettare questo dolore in dignitoso silenzio, lasciando che sia il tempo a curare le ferite. Sarebbe stato semplice trovare un colpevole, ma nessuno è responsabile per quel che è successo.
Resterò per sempre il fratello di un vigliacco e di un traditore, ma questo non mi preoccupa. Ho sempre voluto bene a Thomas, e non ho intenzione di considerarlo colpevole per questo. Sono disposto a pagare per i suoi errori.
 
Da qualche giorno ho raggiunto la mia nuova postazione non troppo distante da Amiens. Essendo abbastanza lontana dalla prima linea non si tratta di una trincea da combattimento, ma di collegamento. I camminamenti scavati nel fango sono stretti e poco profondi, i soldati li percorrono senza troppe precauzioni. Devo ancora abituarmi all’idea che non ci sia il nemico dall’altra parte della barricata, anzi, a dire il vero qui non abbiamo nemmeno gli alti parapetti per proteggerci dai proiettili. I rifugi in cemento sono l’unico riparo in caso di bombardamento.
Di notte l’artiglieria tedesca si abbatte alla cieca sulla vallata, i soldati che non riescono a raggiungere in tempo le casematte corrono a nascondersi nelle buche scavate nelle pareti di fango. Gli attacchi sono improvvisi e imprevedibili. Per questo aspetto le trincee di collegamento sono più pericolose della prima linea. Si vive nell’incertezza più assoluta.
Non credo che questo sia il posto adatto a me, ho sempre vissuto questa guerra nel vivo dell’azione e non riesco a sopportare l’idea di restare bloccato qui mentre i miei commilitoni affrontano il nemico.
In ogni caso sono consapevole che sia mio dovere continuare a dimostrare fedeltà e obbedienza all’Esercito britannico.
 
Con affetto,
William. 
 
***

Abbeville, 13 luglio 1918.
 
Alla mia cara sorella Mary.
Le mie condizioni stanno migliorando, presto potrò lasciare l’ospedale. Poiché i feriti aumentano in continuazione i medici non esitano ad elargire permessi a coloro che possono andarsene sulle proprie gambe. Il dottore ha detto che dovrò restare a riposo ancora per qualche tempo prima di tornare in servizio, quindi rimarrò nelle retrovie.
I miei polmoni non hanno subìto danni irreversibili, ma non so ancora se potrò recuperare del tutto il mio stato di salute.
Ho trascorso un lungo periodo di tranquillità lontano dal fronte, tanto che la noia per me è ormai diventata insopportabile.
 
Nonostante tutto non ho timore di tornare a combattere, sono disposto a compiere il mio dovere. Non sono più una semplice recluta impaurita, pur avendo ancora molto da imparare sul campo di battaglia. I miei compagni contano su di me e non posso deluderli.
Inoltre ho la consapevolezza di non essere solo in questa guerra, il tenente Green è un ottimo comandante e sono davvero orgoglioso di essere il suo attendente. Sono sicuro di poter affidare la mia vita nelle sue mani.
 
Nell’ultima lettera mi hai informato a riguardo del tuo imminente matrimonio, come sai non ho mai dubitato del buon cuore di Charles e spero che possiate celebrare le nozze al più presto. Desidero solo che tu sia felice.
Ad essere sincero sono preoccupato per Kieran, non ho più avuto sue notizie dalla mia partenza. Posso comprendere le ragioni per cui abbia deciso di considerarmi come un traditore, e mi dispiace per questo.
Non credevo che le nostre divergenze politiche avrebbero intaccato il nostro rapporto così profondamente.
Quando eravamo bambini era tutto più semplice, allora eravamo molto uniti. Ricordo di aver sempre provato affetto e sincera ammirazione per mio fratello maggiore. Lo vedevo come un esempio e una figura di riferimento, e lui era sempre pronto ad aiutarmi e difendermi. Poi tutto è cambiato all’improvviso.
Kieran litigava spesso con papà, al tempo ero troppo piccolo per capire, ma posso immaginare quali potessero essere le loro discussioni.
Credo che sia stato il momento in cui nostro fratello se ne è andato da casa a mettere fine alla mia infanzia, nella mia ingenuità sapevo che nulla sarebbe tornato come prima.
Dopo la morte di papà ho tentato di riavvicinarmi a lui, ma già troppe cose erano cambiate tra noi.
Sono consapevole di quanto sia difficile rimettere insieme e frammenti del nostro rapporto, eppure qualcosa dentro di me vuole ancora credere che non sia troppo tardi.
La verità è che sento di aver ancora bisogno di lui, nonostante tutto egli è mio fratello e non voglio perderlo.
Spero di potervi rivedere entrambi al più presto.
 
Con affetto,
il tuo fratellino Finn.

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Capitolo 35
*** L'ultima battaglia - Parte I ***


 
XXXV. L’ultima battaglia 

Parte I
 

Richard si ritrovò a camminare tra le stradine deserte di un anonimo villaggio abbandonato. Le rovine delle case e delle cascine avevano forme strane e insolite. Sarebbe stato impossibile cercare di ricreare l’aspetto di quel luogo prima della guerra, era una vista desolante, ma agli occhi del tenente non parve nulla di particolarmente impressionante.
L’ufficiale sospirò, era triste pensare di essersi abituato a vivere in quel modo, circondato dalla morte e dalla distruzione. Conosceva a fondo la realtà della guerra, l’esperienza bellica l’aveva cambiato profondamente, tanto che ormai non riusciva più a concepire l’essenza della pace. Cercava sempre più spesso la compagnia dei suoi vecchi commilitoni, con loro si sentiva a suo agio, sicuro di poter essere compreso.
Erano uomini con cui aveva vissuto allegre e spensierate notti di baldoria, ma erano anche gli stessi con cui aveva condiviso momenti di paura e terrore. Aveva affidato la sua vita nelle loro mani durante le violente tempeste di fuoco, era stato al loro fianco quando avevano dimostrato il loro coraggio come veri eroi, e anche quando si erano trovati al limite della disperazione, mostrandosi a lui nella loro vera natura umana.
Avevano visto compagni cadere, erano rimasti uniti fino alla morte. Ed era stata la condivisione del dolore e delle sofferenze ad aver legato per sempre le loro vite.
Il tenente Green aveva imparato a convivere con l’orrore, aveva deciso di accettare le regole di quel gioco spietato. Aveva conosciuto l’eccitazione del combattimento e la sete di sangue. Nonostante ciò non aveva mai provato puro odio per il nemico.
Il fascino della guerra aveva avuto effetto su di lui, ma questo non gli aveva impedito di analizzare sempre con razionalità ogni situazione.
Richard sentiva davvero il desiderio di tornare a combattere, forse perché per la prima volta sentiva che le cose stavano cambiando. Erano giunti a una nuova svolta, dopo anni di guerra di posizione stava per accadere qualcosa di nuovo e inaspettato. L’ultima grande offensiva nemica era fallita, il destino di quel conflitto sarebbe stato deciso nei prossimi scontri.  
Il tenente Green si soffermò ai margini del villaggio, nei campi circostanti erano state impiantate decine di croci di legno, ai piedi di queste anonime lapidi si trovavano elmetti forati, armi abbandonate e divise stracciate e insanguinate. Lo spirito di quei combattenti continuava a vivere nelle memorie e nel cuore dei sopravvissuti, era anche per loro che non potevano arrendersi. Il loro non doveva restare un vano sacrificio.
Il tenente sentiva il peso delle sue responsabilità, non poteva tradire la fiducia dei suoi uomini, le loro vite erano nelle sue mani. Fino a quel momento aveva sempre anteposto il bene dei suoi soldati ad ogni cosa senza alcuna esitazione, ma in determinate situazioni non era semplice prendere certe decisioni. Un buon comandante doveva essere disposto a compiere dei sacrifici, Richard l’aveva provato sulla sua pelle.
Egli voltò le spalle alle tombe e tornò mestamente all’interno del villaggio. Proseguì tra le macerie, calpestando con gli stivali infangati la polvere e la calce. Svoltando l’angolo avvertì un acre odore di legna bruciata trasportato dal vento, poco distante intravide la luce di un falò. L’ufficiale osservò un gruppo di soldati, non riconobbe i volti, ma trovò familiare la loro presenza. Erano tutti ben equipaggiati, con lo zaino carico e il fucile in spalla.
Apparentemente sembravano sereni e tranquilli, come un gruppo di vecchi amici che trascorreva la serata in compagnia. Era triste pensare che alcuni di loro non si sarebbero più rivisti, o nel caso, nessuno sarebbe più stato lo stesso. Questo era ciò che accadeva a coloro che partivano per la prima linea.
Richard conosceva bene quelle sensazioni e sapeva che non avrebbe dovuto attendere ancora a lungo prima di tornare rivivere tutto ciò in prima persona.
Il tenente si strinse nella sua giacca, l’estate era ormai giunta al termine, le temperature si erano abbassate rapidamente e le giornate stavano già iniziando ad accorciarsi.
Le ultime luci rossastre del tramonto scomparvero oltre alle colline, il paesaggio fu rapidamente avvolto dalle tenebre. Al buio le rovine creavano strane illusioni, tra ombre oscure e rumori sospetti.
La luce argentea della luna si rifletteva nelle profonde pozzanghere, le stelle brillavano di una luce fredda e distante.
Richard si incamminò verso il suo alloggio, rassicurato nel sapere che avrebbe trovato il calore e l’affetto del suo amato ad accoglierlo.
 
***

L’ampia camera era illuminata dalle flebili fiamme delle candele. L’ambiente era povero e spoglio, ma era facile immaginare che prima della guerra quella fosse stata la dimora di una famiglia benestante. Erano rimasti solo quadri storti alle pareti, i pochi mobili eleganti e raffinati ormai erano rovinati e ricoperti di polvere.
Le finestre erano state sbarrate con pesanti assi di legno. Sbirciando attraverso le fessure si poteva intravedere la piazza del paese ostruita dalle macerie del campanile crollato.
Era una notte quieta, non si avvertivano echi di esplosioni in lontananza, non si udivano spari nelle campagne e nessun velivolo nemico sorvolava il cielo sopra alle linee inglesi. Il tempo sembrava essersi fermato in quel raro momento di pace.
Finn si lasciò avvolgere dall’abbraccio del tenente. I loro corpi, ancora ansanti e accaldati, restarono avvinghiati tra le coperte. Entrambi avevano sentito il bisogno di quella vicinanza fisica per allontanare timori e incertezze.
Finn poggiò la testa sulla spalla del suo compagno, rannicchiandosi ancor di più contro il suo petto.
Richard sfiorò il suo viso con una dolce carezza, esprimendo con quel semplice gesto tutto il suo affetto. Il ragazzo sussultò leggermente al suo tocco.
Il tenente lo guardò intensamente negli occhi prima di chinarsi su di lui con un bacio lungo e appassionato.
Finn trovò conforto tra le braccia del suo superiore. Richard lo strinse a sé, i due si addormentarono in quel tenero abbraccio.  
 
***

Horace continuò a camminare avanti e indietro nella sua piccola stanza. Ogni tanto si soffermava davanti alla finestra, scostava il telo che copriva i vetri rotti ed ammirava i bagliori delle esplosioni che si dissolvevano nell’oscurità. Ripensò alla prima linea e a quando si sarebbe trovato nuovamente nel mezzo dei combattimenti. Aveva sempre ritenuto di non essere all’altezza della sua carica. Quando era ancora un ufficiale cadetto non avrebbe mai pensato ad un così rapido avanzamento di carriera. Tutte quelle nuove responsabilità l’avevano posto in una situazione che non riusciva a gestire. Finché aveva potuto affidarsi al supporto del sottotenente Conrad si era sentito al sicuro, la consapevolezza di non dover affrontare quel conflitto da solo era stata confortante. Ora però non poteva più contare su nessuno. Il tenente Green era un buon ufficiale, aveva compreso i suoi limiti e le sue debolezze, e aveva fatto il possibile per aiutarlo. Purtroppo questo non era stato sufficiente.
Per un po’ di tempo aveva cercato di fare del suo meglio per obbedire agli ordini e compiere il suo dovere, eppure ogni volta le sue convinzioni vacillavano e ormai non riusciva a trovare più una valida ragione per continuare a combattere. Era stanco di vedere tutti i suoi sforzi decadere in miseri fallimenti. Non poteva più sopportare la violenza di quella guerra, aveva già perso troppi commilitoni in quel cruento massacro.
Stanco e affranto Waddington si lasciò cadere sul letto, stendendosi sul materasso duro e polveroso.
 
Horace chiuse gli occhi ed emise un lungo sospiro di sollievo. Restò immobile mentre i muscoli si rilassarono lentamente. La siringa giaceva ancora nella sua mano tremante.
Si sentì già meglio, avvertendo che quel peso sul suo petto iniziava a dissolversi, così come la pressione e l’angoscia che l’avevano a lungo imprigionato in quel vortice di follia.
Waddington rimase sdraiato, il ticchettio dell’orologio era l’unico rumore che con un’acustica deforme giungeva alle sue orecchie. Il tempo, come ogni cosa, aveva perso consistenza.
Trascorreva in quello stato quasi ogni notte, fluttuando tra fantasie e illusioni che lo strappavano dalla dura realtà della guerra. Quello era l’unico modo con cui riusciva a sopportare l’idea di sopravvivere.
Horace osservò le fiale in trasparenza, contemplando con assoluta ammirazione la limpida soluzione. Era assurdo pensare che tutto ciò fosse generato da pura chimica, la sua intera esistenza poteva ridursi all’interazione di poche e semplici molecole.
Non aveva mai provato nulla di simile, in quel momento niente avrebbe potuto donargli un così prezioso sollievo. Solamente in quello stato riusciva a trovare conforto, lasciandosi cullare da quel mare invisibile.
Si addormentò così, e forse a quel punto se non si fosse più svegliato nemmeno gli sarebbe importato.
 
***

Richard si portò la sigaretta alle labbra e riempì il suo bicchiere di brandy. La luce fioca della lampada a carburo illuminava l’angusto ambiente del rifugio.
Il tenente osservò i nuovi confini tracciati sulla mappa e studiò con attenzione alcune foto aeree.
Il maggiore Farrell non aveva perso il suo cieco ottimismo.
«Dannazione Richard, devi avere fiducia! Questa volta l’attacco andrà a buon fine»
«Come puoi esserne certo?»
John alzò le spalle: «perché la terza volta è sempre quella buona»
Green rispose con una smorfia, ma in fondo la questione lo lasciò indifferente. Ormai si combatteva solo per dovere, l’unica sua preoccupazione era cercare di ridurre al minimo le perdite.
«In ogni caso abbiamo ancora un po’ di tempo per definire i dettagli. Questo non è il momento adatto per pensare ad altre preoccupazioni» continuò Farrell.
Richard poggiò sul tavolo la fotografia che stava esaminando, esternando la propria frustrazione.
«Dannazione, deve pur esserci qualcosa…»
«Sono dei fottuti crateri! Che cosa speri di trovare?»
Green sospirò incrociando le braccia al petto: «postazioni, rifugi, trincee…qualsiasi segno che ci possa indicare la presenza del nemico. Se i tedeschi avessero delle postazioni nascoste su quel versante della collina durante l’avanzata i nostri uomini si troverebbero esposti, sarebbe un massacro. Una sola mitragliatrice in un punto strategico potrebbe causare una vera strage»
«In ogni caso non puoi fare affidamento su queste fotografie. I piloti le hanno scattate in condizioni terribili»
Il tenente fu costretto a rassegnarsi.
Il maggiore si accese un’altra sigaretta e con calma espirò una nuvola di fumo.
«Non pensi mai a quando questa guerra sarà finita?» domandò con sincera curiosità.
Richard rimase in silenzio.
«Tornerai in Inghilterra come un ufficiale decorato, hai davanti a te una brillante carriera nell’esercito!»
Green non poteva evitare di provare ribrezzo e vergogna verso se stesso per aver accettato quell’abietta medaglia, d’altra parte non aveva avuto scelta. Per lui quel riconoscimento non aveva alcun valore, non era fonte di orgoglio e soddisfazione, ma solamente un pezzo di metallo macchiato del sangue dei suoi compagni.
John buttò giù l’ultimo sorso di brandy.
«Per quel che mi riguarda non voglio più vedere un fucile nemmeno per andare a caccia! Ho intenzione di condurre una vita tranquilla in Inghilterra. Forse potrei anche decidere di sposarmi…»
Richard non riuscì a trattenere una risata.
«D’accordo, probabilmente non mi sposerò…però…almeno voglio credere che ci sarà qualcosa dopo tutto questo»
«Certo, è giusto che sia così»
«Eppure non è così per te» puntualizzò il maggiore.
Green non poté ribattere: «è vero, non riesco a vedere nulla oltre a questa guerra e non ne sento nemmeno il bisogno»
«Per quale motivo?»
Il tenente si rialzò, ma prima di abbandonare il rifugio decise di degnare il suo interlocutore di una risposta.
«Perché questa è l’unica realtà che ho imparato a conoscere»
 
***

Hugh e Finn raggiunsero le trincee ai confini del villaggio per il turno di guardia. Quella sera la visuale era buona, dietro alla pianura le linee nemiche apparivano deserte ed abbandonate. Un contorto groviglio di filo spinato segnava il confine nella terra di nessuno.
Finn si sporse in avanti, restando appiattito contro il terreno, cercò di restare immobile e di non compiere movimenti azzardati, consapevole che un nemico nascosto nell’oscurità avrebbe potuto individuare i riflessi metallici dell’elmetto e del fucile.
Ad un tratto avvertì dei rumori sospetti, un fruscio e un leggero sussurro. Il giovane s’irrigidì, il suo compagno era rimasto in silenzio, anch’egli in allerta. Finn posizionò l’arma, in quella scomoda posizione gli sembrò di attendere per un tempo infinito.
Dopo un po’ riuscì a scorgere un’ombra in movimento, udì un lieve brusio, poi tutto tacque. Finn sfiorò il grilletto mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé.  Respirava piano, il battito del suo cuore era rallentato, poteva avvertire il sangue che pulsava nelle tempie.
Una figura comparve sulla linea di tiro, il soldato si fermò, probabilmente per aspettare il suo compagno. Senza accorgersene aveva commesso un grave errore.
Nel momento in cui il tedesco si voltò, forse per dire qualcosa, fu raggiunto dallo sparo.
Finn lo vide cadere a terra, il colpo era stato preciso e letale. Attese ancora qualche istante, ma nessun altro sbucò dal sentiero.
 
***

Giunse finalmente l’ordine di mobilitare le truppe. Il tenente Green guidò il plotone verso la prima linea, il sentiero era ostacolato da buche e da crateri. I soldati britannici attraversarono foreste bruciate e villaggi in rovina. Richard notò che l’intero battaglione aveva iniziato a muoversi e a disporsi lungo la linea d’attacco, era certo che anche quello si sarebbe rivelato uno scontro violento e sanguinoso.
Dopo esser giunto alla sua postazione il tenente sistemò i suoi uomini in trincea, in attesa di nuovi ordini.
La notte trascorse tranquilla, Richard era talmente stanco che crollò nel sonno dopo la sua ultima ronda. Si sdraiò nel fango, pallido e stremato, addormentandosi immediatamente.
Si risvegliò nel mezzo della notte udendo gli echi lontani delle esplosioni, le intense luci dei razzi brillavano nell’oscurità. Il tenente si rassicurò nel trovare il suo attendente vicino a sé.
Finn era sdraiato al suo fianco, profondamente addormentato.
Richard osservò il profilo del suo amato al chiaro di luna, lasciandosi calmare dal ritmo regolare del suo respiro. L’ufficiale sistemò su di lui la sua coperta, poi si sdraiò nuovamente sul suo giaciglio, confortato ancora una volta dalla sua presenza.
 
Il pomeriggio seguente il portaordini giunse con un messaggio importante, il capitano Howard aveva indetto una riunione d’urgenza. Il tenente Green attraversò le trincee per raggiungere il rifugio del suo superiore.
Intorno al tavolo erano radunati tutti i comandanti di compagnia.
«Dunque è deciso, attaccheremo questa sera. Dopo il tramonto inizierà il fuoco d’artiglieria, noi entreremo in azione dopo un bombardamento di mezz’ora»
Gli altri ufficiali ascoltarono in rispettoso silenzio, i loro volti restarono cupi e apprensivi. Avevano atteso a lungo quel momento, ma l’eccitazione per l’imminente scontro era ancora frenata dall’umana preoccupazione.
Il capitano Howard ripeté ancora una volta il piano d’attacco, discusse alcune idee e prese le ultime decisioni.
Al termine della riunione Richard rimase solo con il suo superiore.
«Sono contento che alla fine abbia deciso di darmi ascolto» commentò Howard con un lieve sorriso.
«A cosa si sta riferendo?»
«Be’, ha messo la testa a posto ed ha ottenuto anche una bella medaglia. Deve ammettere che i miei consigli le sono stati utili, non crede?»
«Non ho mai voluto niente di tutto questo. Ho sempre cercato di fare solo il mio dovere»
«Certo tenente, sono convinto che non deluderà nessuno di noi nemmeno questa volta»
Richard si congedò con una vigorosa stretta di mano, la parole di Howard erano state chiare. Aveva avuto una seconda possibilità e aveva dimostrato di esserne degno, ora non poteva tradire coloro che avevano creduto in lui, né i suoi compagni né i suoi superiori.
 
Dopo esser tornato nel suo settore il tenente ordinò l’adunata e organizzò l’avanzata. Tutto era pronto, bisognava solo attendere il momento di agire.
Finn osservò la collina infuocata, i caldi colori del tramonto donavano un aspetto infernale a quella visione.
Il morale delle truppe era piuttosto alto, i soldati comprendevano l’importanza di quella vittoria, avevano la sensazione che dagli eventi di quella notte sarebbero dipese le sorti dell’intera guerra. Tutti erano ansiosi di prender parte a qualcosa di così grandioso. Gli uomini erano pronti a dimostrare il proprio valore. Certe sensazioni erano difficili da spiegare, ma ogni combattente era consapevole che al momento in cui si doveva lottare per la sopravvivenza la paura era soltanto un impedimento.
 
Il sentiero divenne sempre più stretto e tortuoso, il paesaggio si faceva più cupo e opprimente mentre i proiettili cadevano sempre più vicini. L’artiglieria britannica era entrata in azione con un fuoco intenso e costante. Il boato dei cannoni era sovrastato solo dai rombi dei motori, stormi di bombardieri sorvolavano la prima linea lasciando scie incandescenti nell’oscurità.
Il tenente Green si guardò alle spalle notando masse di soldati che in unità ordinate e compatte stavano avanzando verso il nemico. L’ufficiale avvertì un intenso brivido di eccitazione, non potette evitare di provare orgoglio per star prendendo parte a quella grande azione bellica.
Richard proseguì la sua marcia, continuando ad incitare i suoi uomini.  
 
Dopo aver superato le rovine di un piccolo paese sulle rive del fiume il tragitto divenne ancor più difficoltoso e disagevole. Le pareti delle abitazioni non ancora crollate erano crivellate di colpi, in passato la lotta per la conquista di quell’avamposto doveva esser stata feroce e sanguinosa.
Un vortice di proiettili circondò l’intera aera intorno al villaggio. I soldati si sparpagliarono tra le macerie per cercare riparo dai botti e dalle esplosioni. Il tenente si rannicchiò con il suo attendente contro a un muro diroccato, nella confusione riuscì ad individuare le ombre del sergente Redmond e del caporale Speller.
Finn strinse il fucile, era convinto che non fossero soli in quel villaggio.
Il tenente scambiò un rapido sguardo con il suo assistente, il quale con un cenno gli fece intuire che aveva compreso le sue intenzioni. Richard prese un profondo respiro, poi si rialzò e uscì allo scoperto.
Finn restò dietro alle macerie per coprire il suo comandante. L’ufficiale raggiunse incolume il lato opposto della strada, poco dopo anche i suoi compagni lo seguirono nell’oscurità.
Nell’ultimo tratto una mitragliatrice tedesca causò vittime e feriti. Finn stava cercando di orientarsi tra le vie deserte quando all’improvviso il soldato che si trovava al suo fianco cadde nel fango senza più rialzarsi.
Il sergente Redmond invece venne falciato nel mezzo della corsa, il proiettile si conficcò nel suo ginocchio sinistro. Il sottufficiale fu prontamente soccorso dai suoi compagni, i quali riuscirono a trascinarlo al riparo e a fasciarlo in attesa dell’aiuto medico.
 
Il plotone del tenente Green si riunì con un distaccamento scozzese che si era perso nella notte. L’ufficiale parlò a lungo con il comandante, un giovane capitano dall’aria scossa e spaventata. Alla fine si decise di organizzare l’attacco disponendo le truppe lungo il sentiero a sud-est del villaggio.
La battaglia era ormai entrata nel vivo dell’azione, il terreno fremeva in continuazione, il cielo era schiarito dalle potenti esplosioni che illuminavano l’intera vallata e il profilo delle colline.
I soldati si appostarono al riparo nei profondi fossi a lato del sentiero, tra ceppi bruciati e rovine contorte.
Richard osservò l’orologio, mancava poco all’ora dell’attacco. L’ufficiale rimase ad osservare il movimento delle lancette, sfiorando delicatamente con le dita le lettere incise nel metallo. Inevitabilmente ripensò ad Albert, domandandosi come il fratello avrebbe affrontato quella situazione. Di certo avrebbe fatto del suo meglio per portare a termine con successo la missione.
«Sono sicuro che Albert approverebbe le tue decisioni»
Richard sussultò, alzando lo sguardo incrociò le iridi celesti di Finn.
Il tenente sorrise: «mi piace credere che in qualche modo continui a vegliare su di me, ovunque egli sia…»
«Sono certo che sia così» rispose il ragazzo.
L’ufficiale ripose il prezioso oggetto nel taschino della sua giubba.
Finn rimase in silenzio, in quel momento avrebbe voluto dire molte cose, ma non trovò le parole per esprimere quel che stava provando dentro di sé. Era pronto a compiere il suo dovere, avrebbe seguito senza esitazione il suo superiore attraverso le linee di fuoco, la sua fedeltà non era mai stata dubbia. Nonostante ciò il giovane non poteva nascondere la verità a se stesso, in quella guerra aveva qualcosa da perdere, qualcosa che considerava ancora più prezioso della sua stessa vita, e questo lo rendeva estremamente fragile e vulnerabile.
Il tenente poté intuire le sue preoccupazioni.
«Qualunque cosa accada voglio che tu sappia che non ho alcun rimpianto, tu sei sempre stato la mia salvezza. Quello che provo per te è puro e sincero»
Finn tentò di trattenere le lacrime: «lo so…per me è lo stesso»
Quella conversazione così intima e profonda venne bruscamente interrotta dall’arrivo del capitano scozzese, il quale con evidente agitazione annunciò che era giunto il momento di uscire all’attacco.
 
La prima ondata scavalcò il muro di terra e si diresse verso la linea nemica. In testa alla fila Richard ripensò a tutte le volte in cui si era trovato in quella situazione, marciando nella notte incontro al proprio destino. In quell’occasione però avvertì qualcosa di diverso, in quell’enorme e caotico insieme di forze contrastanti si accorse di essere un dettaglio insignificante. Avvertiva il terreno fremere sotto di sé e le pallottole volare sopra alla sua testa, sentendosi come un naufrago in quell’impetuosa tempesta.
Tornò in sé quando un proiettile cadde così vicino da scalfirgli l’elmetto. L’ufficiale riprese il controllo della situazione, correndo lungo la scarpata per sfuggire alla violenta raffica di una mitragliatrice.
 
Il campo di battaglia era sovrastato da intense nubi alzate dalle bombe e dai proiettili.
Il tenente Green prese il comando di un gruppo di uomini occupando una trincea abbandonata dal nemico. Alle sue spalle poteva avvertire il forte ruggito dei cannoni britannici, le colline invece risplendevano di bagliori infuocati. Richard ordinò ai suoi uomini di resistere e mantenere la posizione.
 
All’improvviso un’impetuosa tempesta di proiettili si abbatté intorno a quella postazione. Richard scivolò rapidamente in trincea scavalcando la barricata. Con tutto il fiato che aveva nei polmoni gridò ai suoi uomini di correre al riparo. Un gran trambusto animò la linea britannica sotto al violento fuoco nemico.
I mitraglieri risposero con ardore ai colpi degli avversari, scaricando nastri di proiettili contro alle postazioni tedesche. I combattenti si trovarono coinvolti in quella terrificante danza di bagliori incandescenti.
Ad un tratto il tenente udì il fischio di una granata, istintivamente si voltò verso il suo attendente, il quale era ancora ignaro del pericolo. Senza esitazione Richard scattò in avanti per proteggere il suo compagno. L’ufficiale spinse il giovane a terra appena in tempo per allontanarlo dalla pioggia di schegge.
Finn fu scaraventato contro alla parete di fango dall’urto dell’esplosione. Si riprese tossendo in una nuvola di polvere, ancora scosso e frastornato. Soltanto quando il fumo iniziò a diradarsi si rese conto di ciò che era davvero accaduto.
Il tenente era steso a terra, inerme, con una grossa scheggia conficcata nel fianco destro. Il sangue sgorgava copiosamente dalla profonda ferita.
Finn si affrettò a correre in suo soccorso.
«Richard!»
Il giovane si chinò su di lui, le sue mani si macchiarono di sangue.
L’ufficiale voltò leggermente la testa per poter guardare il suo compagno. Il viso di Finn gli apparve sfocato e annebbiato, sentì la sua voce ovattata e distante. Stava perdendo il contatto con la realtà.
Le forze lo stavano abbandonando, il dolore era insopportabile.
Green richiuse lentamente gli occhi, aveva mantenuto la sua promessa. Questo fu il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi.
 
***

Il tenente Foley arrancò nel fango, proseguendo faticosamente la marcia lungo i camminamenti con un gruppo di artiglieri. Il cielo nero era illuminato da luci tremolanti che brillavano nell’oscurità. Le esplosioni fiammeggiavano all’orizzonte come in una violenta eruzione. Le bombe cadevano al suolo con intensi bagliori arancioni e boati assordanti, seguiti dalle fragorose cadute di masse di terra e pesanti detriti. L’eco degli spari, le grida e i lamenti dei feriti colpiti dalle schegge accompagnavano quella macabra marcia notturna.
William ricordò un vecchio detto che aveva sentito più volte in trincea. Più è oscura la notte e più forte è la paura. Quella era davvero una notte lugubre e tenebrosa.
 
Un pesante bombardamento si abbatté sulle trincee britanniche. Una fitta pioggia di proiettili di grosso e medio calibro cadde sull’intera vallata, scavando profondi crateri fumanti. Enormi masse di terra si innalzarono vorticosamente in aria.
William saltò in una trincea poco più profonda per cercare riparo. Si rannicchiò contro al muro di fango avvertendo il terreno tremare sotto ai suoi piedi.
Quando tornò in superficie si accorse di essere solo, i suoi compagni erano scomparsi. Il tenente notò una casamatta poco distante, non ebbe il tempo di ragionare, così si affidò all’istinto. Saltò da una fossa all’altra, cercando di avvicinarsi sempre di più al suo obiettivo. Il fuoco divenne sempre più intenso.
Foley scavalcò un muro di terra e rotolò in una trincea sventrata.
Il bombardamento si fece ancora più violento, sarebbe stato impossibile raggiungere il rifugio di cemento. Il tenente riprese la sua corsa e rapidamente si gettò all’interno di una grossa buca. Rotolò nel fango, a fatica si rialzò sulle ginocchia, quando sollevò lo sguardo si accorse di non essere solo. Un soldato era rannicchiato contro alla parete franata, era ferito, tremava e gemeva per il dolore.
L’ufficiale mosse qualche passo nella sua direzione, ma ad un tratto qualcosa lo bloccò. Esitò a soccorrere il suo commilitone.
William strinse la pistola tra le dita, avvicinandosi più cautamente al ferito. Il suo volto era coperto di fango e sangue, l’espressione sofferente ne deformava i lineamenti, eppure Foley non aveva alcun dubbio: quel soldato era il caporale Randall.

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Capitolo 36
*** L'ultima battaglia - Parte II ***


XXXVI. L’ultima battaglia

Parte II


L’ennesima esplosione scaraventò un cumulo di terra all’interno della buca, il tenente Foley mosse un altro passo e si chinò accanto al caporale. Un proiettile si era conficcato in profondità nella sua gamba, dall’ampia ferita sgorgava un fiume di sangue. L’uomo gemette dal dolore invocando il suo aiuto.
«Signore, per favore…non mi lasci qui…»
William provò un’intensa sensazione di ribrezzo, l’istinto gli avrebbe suggerito di lasciare quel miserabile a morire dissanguato in quella fossa. Non fu la pietà a fargli cambiare idea e nemmeno l’etica del dovere, piuttosto vide in quell’occasione la sua ultima possibilità per scoprire la verità.
L’ufficiale soccorse il ferito, fasciò l’arto con le bende del kit medico e aiutò il commilitone a rialzarsi, sorreggendolo a fatica.
«Laggiù c’è una casamatta, dobbiamo raggiungerla per metterci in salvo»
I due risalirono in superficie ritrovandosi nell’oscurità, il cielo della notte era illuminato soltanto dai razzi incandescenti e dai lampi delle esplosioni. Foley trasportò il caporale attraverso il campo bersagliato da schegge e granate. Per più volte il tenente fu costretto a cadere a terra per evitare di essere colpito, gettandosi addosso il peso del suo fardello.
Finalmente raggiunsero il rifugio in cemento, all’esterno trovarono solamente cadaveri. Decine di inglesi e tedeschi erano riversi nel fango, dallo stato di decomposizione dei loro corpi si poteva intuire che ormai da tempo quel luogo fosse abbandonato.
Foley trasportò il ferito all’interno, un intenso e nauseante odore di carne in putrefazione preannunciò la presenza di altre salme. Con una rapida ispezione William constatò che non c’era nessun’altra anima viva.
In ogni caso non avrebbero potuto far altro che attendere al riparo la fine di quel devastante bombardamento.
L’ufficiale condusse il ferito nei sotterranei e l’adagiò contro alla parete. Randall era ancora pallido e debole, Foley gli porse la sua borraccia, permettendogli di dissetarsi.
Il caporale bevve un lungo sorso poi riconsegnò l’oggetto metallico al suo superiore.
«Grazie signore»
Il tenente mantenne lo sguardo fisso su di lui, inevitabilmente ripensò alle parole di Albert.
“Randall è uno di quegli uomini a cui la guerra ha dato la possibilità di liberare il proprio lato più oscuro e violento, ha imparato a convivere con l’orrore, e ha scoperto di trarre soddisfazione da tutto questo”.
Aveva una questione in sospeso con quell’uomo ed ora che il destino li aveva fatti incontrare non aveva intenzione di sprecare quell’opportunità.
«Non ti ricordi di me, vero?»
L’altro sbatté le palpebre, osservando con più attenzione il viso del suo soccorritore nella penombra.
«No, temo di non riconoscerla»
«Sono il tenente William Foley, le nostre strade si sono incrociate più volte sul fronte di Ypres»
«Ricordo il suo nome, ma nulla di più»
L’ufficiale rimase impassibile.
«Probabilmente ti è più noto il nome del mio amico, il tenente Albert Green…»
Randall ebbe un lieve sussulto, ma non lasciò trasparire alcuna emozione.
Il tenente si rialzò in piedi.
«In tutto questo tempo ho pensato molto a te e ho indagato a lungo in cerca della verità»
«Devo dedurre che le sue ricerche non siano andate a buon fine»
«Sai, in questi anni di guerra ho conosciuto altri come te. Siete lupi solitari, sul campo di battaglia andate in cerca di un nemico in più per divertirvi o per trovare un trofeo per poi vantarvi con i vostri compagni…credete di essere degli eroi, ma in realtà siete soltanto spietati assassini»
«Sono un soldato inglese, sono qui per uccidere i crucchi…è questo l’importante, giusto? A nessuno interessa del perché o in che modo faccio fuori quei bastardi!»
«Già, la differenza tra te e quegli altri carnefici è che nel tuo caso i tedeschi non sono abbastanza…»
Randall s’irrigidì: «le sue sono accuse molto gravi»
«Ho anche le mie ragioni per credere che siano vere»
«Non credo che lei voglia davvero conoscere la verità»
«Ho una promessa da mantenere»
«Quale promessa?»
«Tu non potresti capire, è una questione di onore e fiducia. Ho rinunciato al rancore e all’orgoglio in nome della mia amicizia con Albert. Ho promesso a suo fratello che avrei fatto tutto il possibile per scoprire la verità sulla sua morte»
«Il tenente Richard Green…davvero è disposto a fare tutto questo per l’assassino di suo fratello?»
William perse la pazienza, reagì sferrando un violento calcio nel fianco del caporale, il quale si piegò su se stesso e sputò a terra un grumo di sangue.
«Oh, tenente Foley…la guerra è stata crudele nei suoi confronti, lei deve aver perso il senno»
«La guerra mi ha insegnato molto, è stata una maestra spietata, ma efficace. In questo caso ho imparato che a volte la legge non è il metodo migliore per ottenere giustizia»
«Per quale motivo dovrei parlare di queste cose con lei?»
William mantenne il sangue freddo: «in questo momento la tua vita è nelle mie mani»
Randall sghignazzò.
Il tenente non esitò ad estrarre la pistola: «non credo che tu sia nelle condizioni di poter decidere le regole»
Randall accennò un ironico sorriso: «ha davvero intenzione di uccidermi?»
L’ufficiale sfiorò il grilletto: «potrei farlo senza alcun rimpianto»
Il caporale guardò il suo interlocutore negli occhi, nel suo sguardo riconobbe fredda determinazione.
«Non credo che le convenga davvero andare in fondo a questa storia se tiene alla sua carriera. Sono coinvolte persone importanti»
«Ormai non ho più nulla da perdere»
«Il tenente Green non avrebbe dovuto intromettersi in questa faccenda» commentò Randall con amarezza.
«Albert era un uomo onesto e leale, non si sarebbe mai fatto corrompere dal marciume dell’Esercito»
«Già…e per questo è morto»
Foley avvertì un’intensa fitta al petto nel sentire quelle parole.
«Albert era convinto del tuo coinvolgimento nell’omicidio del soldato Dermot Flannigan, il ragazzo che fu ritrovato nel fiume. Green aveva avuto il coraggio di denunciarti ed era riuscito a convincere il sergente Jackson a parlare. Eppure tutto questo non è stato sufficiente. Il processo si è concluso senza alcuna condanna»
«Devo ammettere di aver sottovalutato il tenente Green al tempo. Ero certo che non avrebbe osato opporsi alle decisioni dei suoi superiori»
«Dopo la sentenza Albert non aveva voluto arrendersi. È questo che mi ha fatto sempre dubitare a riguardo del suo possibile suicidio. Egli era rimasto sconvolto dall’esito del processo, ma questo non l’aveva fermato. Era davvero determinato a scoprire la verità, pur sapendo che si stava intromettendo in una storia pericolosa»
«Avrebbe dovuto fermare il suo amico finché era in tempo»
Il tenente Foley ringhiò tra i denti: «sei davvero un bastardo!»
«Lei mi ha chiesto la verità»
William esitò, si accorse che l’arma aveva iniziato a tremare tra le sue dita. Fu costretto a farsi coraggio per riprendere il controllo della situazione. Aveva intuito lo scopo di Randall e di certo non aveva intenzione di farsi coinvolgere nei suoi giochetti.
«Fino a pochi giorni fa ero quasi convinto che Albert si fosse suicidato, probabilmente volevo crederlo per cercare di allontanare altra sofferenza, ma quando mi sono reso conto che in questo modo non avrei mai potuto avere pace ho deciso di eliminare ogni preconcetto dalla mia versione. E sai una cosa? Mi sono ricordato di un particolare interessante, qualcosa che la mia memoria aveva deciso di rimuovere, forse per proteggere me stesso da un’eventualità troppo dolorosa da affrontare. La giubba di Albert era aperta, sarebbe stato piuttosto strano che nelle Fiandre un ufficiale si aggirasse di notte per le trincee in quelle condizioni»
«La sua è una giusta constatazione»
«Era come se qualcuno avesse cercato nelle sue tasche. Che cosa era così importante da valere più della vita di un uomo?»
«Bene tenente, direi che siamo giunti al punto»
William si chinò bruscamente afferrando il caporale per la giacca.
«Adesso basta! Albert aveva scoperto qualcosa di importante, di che si trattava?»
«Il tenente Green non era riuscito a trovare le prove necessarie per incriminarmi al processo, di certo non ho apprezzato la sua denuncia, ma non avevo nulla da temere da lui. Il problema era il soldato Lowden»
«Ricordo quel nome, era uno dei testimoni interrogati da Green durante le sue indagini, doveva parlare il giorno del processo, ma all’ultimo momento si è rifiutato»
«In qualche modo dopo il processo il tenente era riuscito a convincere il ragazzo a parlare, quel piccolo bastardo aveva rivelato tutto»
«Green aveva raccolto la sua deposizione ed era intenzionato a riaprire il caso, così sarebbe riuscito finalmente ad ottenere giustizia. Con una simile prova i suoi superiori non avrebbero più avuto alcun dubbio»
«Come può immaginare non avevo altro modo per fermarlo»
Foley ricordò tristemente gli avvenimenti di quella notte, nella sua mente ricomparve il corpo inerme del suo migliore amico disteso in una pozza di sangue.
«Che ne è stato del soldato Lowden?» domandò con voce tremante.
«È caduto con onore sul campo di battaglia»
«Hai ucciso anche lui?»
Randall rimase in silenzio. Foley non ebbe bisogno di un’altra confessione per comprendere ciò che era davvero accaduto.
Era convinto che il colonnello Harrison avesse sempre saputo la verità e che probabilmente avesse avuto sospetti anche sul finto suicidio di Green. Ovviamente aveva ben pensato di insabbiare quella vicenda per evitare qualsiasi scandalo.
William avvertì gli occhi umidi di lacrime, a stento riuscì a trattenere la rabbia. Non poteva credere che l’Esercito britannico a cui aveva sempre giurato fedeltà fosse talmente corrotto da garantire protezione a dei criminali.
Foley osservò Randall con uno sguardo colmo di odio, in lui vide soltanto l’assassino di Albert. Un solo pensiero iniziò a vagare nella sua mente: in quelle circostanze avrebbe potuto ucciderlo con una fredda esecuzione senza testimoni.  
«Se in questo momento decidesse di premere il grilletto diventerebbe anche lei un assassino e dimostrerebbe di non essere affatto diverso da me»
William mantenne la pistola puntata, stringendo saldamente l’arma tra le dita. Guardò il caporale dritto negli occhi, un brivido gli percorse la schiena. Ormai aveva preso la sua decisione.
 
***

Hugh si ritrovò a vagare nell’oscurità, intorno a lui echeggiavano i rumori della battaglia. Il botto delle esplosioni era seguito dalle rapide scariche delle mitragliatrici e dalle grida dei feriti.
Un’intensa nube di fumo avvolgeva l’intera area, la quale era soggetta a un violento tiro. Il cielo era illuminato dai colori accesi dei razzi. Hugh pensò che gli aviatori sorvolando quella collina potessero osservare un interessante gioco di luci, mentre a terra gli uomini erano impegnati in una cruenta lotta.
Il soldato si inoltrò tra gli arbusti bruciati di una foresta devastata dalle bombe e dalle granate. Il tenente Green gli aveva affidato l’incarico di messaggero, doveva raggiungere le truppe neozelandesi appostate sul lato est della collina per fornire informazioni e coordinare l’azione.
Hugh avanzò cautamente tra i ceppi carbonizzati, strinse saldamente il fucile tra le dita, l’arma gli donava ancora una vana illusione di sicurezza. Avvertiva il sangue pulsare nelle vene, aveva i nervi tesi e il cuore batteva all’impazzata nel suo petto. Quella foresta era un luogo oscuro e inquietante.
Hugh mostrava evidenti segnali di irrequietezza e nervosismo, il fruscio del vento era sufficiente ad allarmarlo, ad ogni passo temeva di cadere nelle mani del nemico. Proseguì il cammino seguendo il sentiero, avvertendo un’atmosfera sempre più tetra e cupa. Quel bosco aveva un aspetto spettrale, in un momento di intensa suggestione ebbe la sensazione che gli spiriti dei soldati caduti stessero ancora vagando nella foschia e nell’oscurità.
Hugh tentò di eliminare certi pensieri dalla sua mente, non poteva permettersi alcun genere di distrazione. Doveva portare a termine la sua missione nel minor tempo possibile, le vite dei suoi compagni dipendevano da lui. Il soldato cercò di orientarsi con le indicazioni fornite dal suo superiore.
Tra i cespugli si innalzavano intense nubi tossiche, i vapori dei gas erano rimasti intrappolati tra la fitta vegetazione. Hugh accelerò il passo per allontanarsi da quel luogo pericoloso.
Sbucò in una piccola radura, cautamente avanzò nella nebbia, era certo di aver scorto qualcosa. Avvicinandosi scoprì con orrore di essersi imbattuto in alcuni cadaveri, tristemente riconobbe le uniformi britanniche. Con le lacrime agli occhi si chinò su quei corpi inermi, gli sventurati giacevano in ampie pozze di sangue, i loro volti terribilmente deturpati erano ormai irriconoscibili. 
Uno di loro era riverso sulla schiena, gli occhi chiari erano sbarrati dal terrore, il suo sguardo era rivolto verso l’alto. Probabilmente l’ultima cosa che aveva visto era stata la nube di fumo e cenere che aveva annerito il cielo durante l’uragano di bombe e proiettili.
Hugh stava per allontanarsi da quelle macabre salme quando ad un tratto notò qualcosa. Un oggetto era riverso nel fango, probabilmente era fuoriuscito dal taschino di un soldato durante la caduta.
Incuriosito il giovane si chinò per raccogliere quello che a prima vista era sembrato un pezzo di carta, pensando che forse avrebbe potuto trattarsi di un messaggio importante. Quando si ritrovò con l’oggetto tra le mani si accorse che in realtà non era un foglio, ma una fotografia. Era rovinata, macchiata di fango e sangue. Hugh soffiò via la polvere e cercò di pulire l’immagine con le dita.
Il soldato rimase immobile, stringendo la fotografia tra le mani tremanti. Avvertì un groppo in gola e gli occhi lucidi. Il ritratto raffigurava una bella famiglia in posa per lo scatto, le espressioni erano tutte serene e sorridenti. Il due coniugi erano giovani e innamorati, la donna stringeva tra le braccia un neonato avvolto in fasce, mentre il marito teneva per mano un bimbo di quattro o cinque anni. I volti di quegli sconosciuti presero le sembianze dei suoi cari. Quella visione riportò Hugh lontano dalle trincee, in un tempo passato, quando ancora esistevano la pace e l’innocenza. Inevitabilmente ripensò alla sua famiglia, a tutto ciò che aveva abbandonato e a cui aveva rinunciato per quella guerra. Per lui era sempre più difficile non cedere alla malinconia, soprattutto dopo la sua ultima licenza. Conservava sempre i preziosi ricordi di quei momenti, non voleva dimenticare le sensazioni provate nello stringere sua moglie tra le braccia o nell’ascoltare le dolci risate dei suoi bambini.
Avrebbe desiderato essere un marito e un padre presente, ma la guerra l’aveva costretto a restare lontano dalla sua famiglia. Era consapevole di dover compiere il suo dovere al fronte, sapeva di dover combattere anche per proteggere le persone che amava, per garantire un futuro di pace ai suoi figli.
Hugh tornò ad osservare la fotografia, la sua mente lo riportò a Dawber e al suo passato. Faticava ad immaginare il suo burbero commilitone come un amabile padre di famiglia, quel pensiero lo fece sorridere. Di certo avrebbe trovato divertente vedere quell’uomo sempre serio ed austero alle prese con dei marmocchi. Ancora non era riuscito a comprendere le ragioni per cui Dawber avesse deciso di allontanarsi dalla sua famiglia, ma sapeva che il suo compagno era ancora legato al suo passato. Amava sua moglie e i suoi figli, e in quel momento aveva davvero bisogno di sentire la vicinanza dei suoi cari. Poteva capire i suoi timori, di certo non sarebbe stato semplice affrontare una situazione così drammatica. La guerra aveva lasciato segni indelebili sul corpo del suo commilitone, il quale non avrebbe mai potuto dimenticare ciò che era accaduto, ma questo non significava che non avrebbe potuto provare a ricominciare. Restava sempre un veterano, un eroe di guerra, non poteva essere costretto a vivere ai margini della società come un emarginato o un reietto. Aveva sentito parlare di tanti progressi della medicina, il dottor Jones era sempre stato molto ottimista a riguardo. Forse avrebbero potuto ridonare un aspetto più gradevole al suo volto, oppure aiutarlo a tornare a camminare. Hugh pensava spesso alla sorte del suo compagno, che ormai aveva imparato a considerare come un caro amico.
Tornando alla realtà provò una profonda tristezza per la condizione del suo commilitone e per tutte le famiglie distrutte per sempre a causa della guerra.
Mestamente Hugh abbassò lo sguardo, rivolgendo un ultimo e rispettoso saluto ai compagni caduti. Ripose la preziosa fotografia nel taschino del soldato, non sapeva se quell’uomo avrebbe ricevuto o meno una degna sepoltura, ma in ogni caso era giusto che quel prezioso ricordo restasse con lui, per sempre accanto al suo cuore.
 
Hugh si inoltrò ulteriormente all’interno della foresta, era certo di aver ormai perso il sentiero, in quelle condizioni faticava a trovare qualsiasi punto di riferimento. Era ancora troppo buio per scorgere i particolari del paesaggio, era impossibile orientarsi nell’intricato labirinto di rovi e rami bruciati.
Il giovane avanzò nella nebbia, affondando gli scarponi nel fango. All’improvviso avvertì un rumore, rapidamente si gettò al riparo nascondendosi dietro a un grosso cespuglio.
Hugh riuscì a distinguere il suono di alcune voci, due tedeschi si stavano avvicinando, probabilmente erano esploratori. L’inglese alzò lo sguardo, anche i soldati sembravano particolarmente inquieti. Egli rimase immobile e trattenne il fiato.
Ad un tratto un tedesco si accorse della sua presenza, gli spari echeggiarono nella notte. Hugh si gettò a terra, un proiettile gli aveva sfiorato la spalla, ma la ferita non era profonda. Il giovane non esitò a rispondere agli spari, si rannicchiò dietro a una roccia, prese la mira e premette il grilletto. Riprese subito la sua fuga, continuò a correre avvertendo il botto degli spari alle sue spalle.
Si diresse dove la vegetazione era più fitta, ignorando i rami appuntiti che graffiavano la pelle e i rovi che laceravano la divisa.
Hugh terminò la sua corsa accorgendosi che gli avversari avevano rinunciato all’inseguimento, probabilmente perdendolo di vista. Era riuscito a sfuggire al nemico e a salvarsi la pelle per miracolo.
 
Hugh non era sicuro di star avanzando nella direzione opposta alle postazioni tedesche. I bagliori delle esplosioni lo lasciarono disorientato e confuso. In ogni caso la disperazione lo spinse a proseguire.
All’improvviso un’intensa tempesta di proiettili si abbatté sul bosco. Le bombe cadevano ovunque sradicando alberi e sollevando nubi di fumo e polvere. Hugh si allontanò appena in tempo per evitare una pioggia di schegge. Un boato assordante lo lasciò stordito e frastornato. Ai suoi occhi comparve un’intensa nube scura, la quale risaliva da un profondo cratere infuocato. Rami roventi iniziarono a precipitare dall'alto.
Hugh avvertì i polmoni in fiamme, i vapori raggiunsero gli occhi lucidi e gonfi offuscandogli la vista.
I proiettili d’artiglieria volavano sopra alla sua testa, per ripararsi si proiettò frettolosamente in una buca. L’intensa forza d’urto di un’esplosione lo scaraventò con violenza sul fondo della fossa. Si ritrovò in un’enorme pozza di fango, ogni parte del suo corpo era indolenzita a causa della rovinosa caduta. In quel momento avvertì alcuni passi, con un sospiro di sollievo riconobbe la lingua inglese. A fatica si trascinò verso la superficie e tentò di farsi notare. I soldati, sorpresi e allarmati, si affacciarono sull’orlo del cratere. Hugh emise un lamento strozzato e allungò la mano verso i suoi soccorritori.
 
***

Il caporale Speller era appostato con un gruppo di soldati in una grossa buca. Aveva ricevuto l’ordine di difendere quella postazione ad ogni costo ed era determinato a rispettare i comandi. I suoi commilitoni erano sempre più nervosi, la battaglia stava progredendo in modo sempre più intenso e violento.
In quelle occasioni gli capitava spesso di ripensare al suo primo attacco, quando per la prima volta aveva avuto prova della forza e della potenza delle armi moderne. Prima di allora non aveva mai visto il vero effetto un cannone, aveva studiato la fisica di un proiettile, sapeva calcolare la gittata e la velocità di moto, ma non aveva idea di quanto fosse devastante la reale esplosione. Nessun test aveva simulato una situazione del genere, nessuna esercitazione l’aveva preparato ad affrontare conseguenze così disastrose.
Le prime volte era stato sconvolgente, ma poi con il passare del tempo le cose erano cambiate. Aveva visto i commilitoni cadere, aveva perso amici e compagni, le esigenze della guerra avevano inevitabilmente sepolto i sensi di colpa.
 
Ad un tratto una figura saltò all’interno del cratere. Il caporale si ritrovò davanti a un soldato dal volto pallido e la divisa annerita dal fumo.
Il nuovo arrivato aveva il fiato corto, a stento si reggeva sulle gambe tremanti. Speller dovette sforzarsi per riconoscere in lui la sentinella che aveva inviato poche ore prima per contattare il tenente Green.
«Caporale…temo che la situazione sia davvero grave»
«Avanti, parla!»
«Diverse truppe sono disperse. Non ci sono notizie degli uomini che hanno raggiunto le trincee nemiche. Mi hanno anche riferito che il tenente Green è stato gravemente ferito»
Speller mostrò evidente apprensione per quell’ultima notizia.
«Che cosa è successo al tenente?»
«Mi dispiace, ma non ho notizie certe a riguardo»
Il caporale abbassò la testa, assunse un’aria assorta e il suo sguardo si rabbuiò. In quelle condizioni non avrebbe potuto fare nulla per aiutare i suoi commilitoni. Le unità britanniche erano state divise e frammentate durante l’avanzata. Sarebbe stato troppo rischioso mettere in pericolo la vita di altri soldati.
 
Quella notte sembrava interminabile. Nell’oscurità brillavano le luci accecanti dei razzi, la terra di nessuno era illuminata dagli argentei riflessi lunari.
Il caporale prese il controllo di una mitragliatrice, alcune ombre vagavano nell’oscurità per poi scomparire rapidamente all’orizzonte.
Ad un tratto Speller riconobbe due figure solitarie che lentamente si stavano avvicinando al cratere. Il caporale esitò, non riuscendo ad accertare l’identità di quei soldati. Nel momento in cui un razzo schiarì la visuale sul campo di battaglia non ebbe più alcun dubbio. Si trattava di due tedeschi, forse esploratori o fanti che si erano persi nella notte.
Speller non attese nemmeno un istante, rapidamente premette il grilletto. Con un grido di frustrazione scaricò l’intero caricatore contro al nemico.
Al termine di quello sfogo il caporale restò immobile, stremato e attonito davanti alla canna fumante e rovente della mitragliatrice. Il suo compagno si rivolse a lui con apprensione.
«Caporale, si sente bene?»
Egli si limitò ad annuire con un cenno del capo.
«Li abbiamo colpiti?»
Il soldato non poté dare alcuna conferma, le ombre erano sparite nella notte.
Quando i battiti tornarono regolari Speller si accorse di aver reagito con eccessiva foga durante quell’azione.
Lentamente tornò a riprendere il controllo di sé, in quel momento non poteva abbandonarsi alla collera.
Ovviamente era preoccupato per i suoi compagni, ma non poteva perdere di vista il suo obiettivo, doveva pensare ai suoi commilitoni, non poteva lasciarsi sopraffare dalla rabbia e dal desiderio di vendetta.
Speller si allontanò dalla postazione della mitragliatrice, tristemente rivolse lo sguardo ai suoi uomini. I soldati erano stretti uno vicino all’atro, cercavano di farsi coraggio a vicenda, scambiandosi frasi di supporto e condividendo le preziose scorte di tabacco o l’ultima tavoletta di cioccolato. Ogni tanto qualche battuta riusciva a sollevare l’umore grigio e su quei volti macchiati dal fumo e dal sangue incrostato compariva un grottesco sorriso.
Fu questione di un attimo, all’improvviso quella scena di solidarietà e cameratismo fu spazzata via dall’ennesima manifestazione di orrore. Un proiettile colpì il muro di terra sul lato opposto del cratere. Speller fu travolto da un’ondata di fango, si ritrovò sul fondo della buca, aveva la vista annebbiata dal sangue che scendeva copiosamente da una profonda ferita sulla fronte. Intorno a lui, tra il fumo e la polvere, intravide le sagome dei sopravvissuti che sconvolti e impauriti vagavano come fantasmi. La fossa era cosparsa di schegge incandescenti, carne umana e brandelli di uniformi. Le grida dei feriti erano strazianti.
Speller rimase paralizzato, in quel momento avrebbe soltanto desiderato fuggire da quella visione infernale.
Il caporale, impossibilitato ad aiutare in qualsiasi modo, si accasciò contro alla parete franata. Era stanco di assistere alle atrocità di quel conflitto, quella volta sentì di essere ormai giunto al limite.
Sconvolto e affranto Speller si rannicchiò su se stesso, nascondendosi il volto tra le mani e abbandonandosi a un doloroso pianto.

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Capitolo 37
*** L'ultima battaglia - Parte III ***



XXXVII. L’ultima battaglia

Parte III
 

Richard riprese conoscenza avvertendo un’intensa sensazione di malessere. La testa pulsava dal dolore, il volto pallido era madido di sudore. Si sentì soffocare in quella buca, tra il fumo e i vapori dei proiettili.
Intorno a lui percepì una fervente agitazione, gli echi della battaglia giungevano dalla superficie. In quella confusione riconobbe un grido. 
«Presto, c’è bisogno di un medico! Il tenente è ferito!»
L’ufficiale voltò lo sguardo, Finn era rimasto al suo fianco, con ogni suo sforzo stava cercando di contenere la perdita di sangue.
Il giovane si chinò su di lui, sfiorando il suo volto con le mani insanguinate.
«Forza Richard, devi resistere»
Il tenente riuscì ad emettere soltanto un lieve sussurro: «mi dispiace»
«No, non puoi arrenderti adesso, ti prego…»
L’ufficiale sentì che le forze lo stavano abbandonando, in quel momento pensò che non sarebbe stato affatto terribile morire tra le braccia del suo amato.
Poco dopo un medico saltò all’interno della buca, sul suo braccio destro risaltava la fascia bianca con la croce rossa. Finn fu allontanato di peso dal tenente, il ragazzo fu costretto a ribellarsi ai suoi compagni per restare accanto al suo comandante.
Il medico scoprì il fianco dell’ufficiale, un ampio taglio si estendeva sul lato destro dell’addome. La ferita era profonda, egli aveva perso molto sangue. Richard comprese la gravità della situazione, era ormai certo che per lui fosse giunta la fine. Respirava a fatica, ansimando e gemendo per lo sforzo.
Il medico non era esperto e competente come il dottor Jones, i suoi movimenti erano piuttosto rozzi e bruschi. Probabilmente era abituato all’arduo lavoro in prima linea, dove i pazienti non erano altro che ammassi di carne e viscere da ricucire insieme.
Richard soffrì in modo atroce, senza nemmeno un’iniezione di morfina il dottore iniziò ad estrarre i frammenti di metallo dalla carne viva.
Senza troppe attenzioni la ferita fu medicata e fasciata in modo alquanto rudimentale. Il dottore lasciò il ferito in quelle condizioni, senza poter fare nulla di più per aiutarlo.
Finn lo interrogò sulla sorte del suo comandante, ma egli non fu in grado di fornirgli alcuna certezza.
Il giovane assistente tornò a sistemarsi vicino al tenente, in superficie la battaglia progrediva sempre più violentemente, ma per lui ciò non aveva più importanza.
Richard era disteso a terra con la testa libera dall’elmetto e la camicia aperta. Il suo petto si muoveva spasmodicamente, il sangue che ristagnava nei polmoni rendeva doloroso e faticoso ogni respiro.
L’ufficiale fu scosso da un intenso brivido, a causa della febbre era del tutto estraneo a ciò che stava accadendo intorno a lui. Giaceva inerme, indifferente agli echi delle esplosioni e alle raffiche delle mitragliatrici.
Finn, sempre più ansioso e preoccupato, non si allontanò dal suo superiore nemmeno per un istante. Aveva tentato di affrontare razionalmente quella situazione, ma davanti alla sofferenza di Richard e al terribile timore di perderlo per sempre non poté far altro che cedere al dolore e alla disperazione.
Il ragazzo restò rannicchiato contro alla trincea, stringendo tra le mani la giacca impregnata di sangue.
 
***

Il tenente Spengler alzò lo sguardo, oltre all’intensa nube di fumo e polvere alzata dalle esplosioni notò un biplano britannico. L’aereo sorvolò le linee tedesche, si abbassò leggermente di quota e girò intorno alle trincee come un’aquila che aveva adocchiato la sua preda. Dopo l’ultima manovra la mitragliatrice scaricò una pioggia di proiettili, poi il velivolo riprese velocità, allontanandosi in linea retta con una rapida fuga.
August osservò l’areo scomparire all’orizzonte, quando il pericolo fu passato riprese la sua marcia.
Lungo il percorso l’ufficiale incontrò una colonna di soccorritori che trasportavano un numero considerevole di feriti. Gli uomini distesi sulle barelle erano esangui e cianotici, avevano espressioni sofferenti e sconvolte, con sguardi sgranati e terrorizzati. Spengler abbassò il capo nascondendo il volto sotto all’elmetto, la situazione sulla linea di fuoco doveva essere ormai senza speranza.
Grossi proiettili continuavano a cadere nella pianura sottostante, dove i due schieramenti erano coinvolti in un cruento e sanguinoso massacro.
Nuove ansie e preoccupazioni si insinuarono nella mente del tenente. Spengler guardò i suoi uomini, i quali con estrema dedizione continuavano a svolgere il loro dovere, sparando incessantemente contro a un impenetrabile muro di fuoco. Provò orgoglio e commozione, ma dentro di sé avvertì anche una profonda inquietudine.
August si riteneva responsabile per la sorte dei suoi compagni e negli ultimi tempi certi dubbi erano tornati a tormentarlo. Era consapevole di aver tradito la fiducia dei suoi commilitoni nel momento in cui aveva deciso di salvare la vita del tenente Green. Aveva mentito ai suoi superiori, non aveva scuse per questo.
Spengler ripensò a ciò che era accaduto, quella era stata l’unica volta in cui si era rifiutato di portare a termine il suo dovere. Era stata anche una questione d’onore, si trattava pur sempre di sparare alle spalle di un uomo, non avrebbe mai potuto compiere un atto così vile e indecoroso.
August non si era pentito per aver permesso all’ufficiale inglese di fuggire, ma questa vicenda aveva sicuramente messo in discussione la propria integrità. Tra lui e il tenente Green c’era stato un silenzioso accordo di fiducia e rispetto reciproco. Per mantener fede a quella promessa aveva tradito il suo stesso esercito.
Non sapeva come considerare quel suo comportamento, da un lato non aveva voluto rinunciare alla propria umanità, dall’altro aveva dimostrato di non essere all’altezza del suo compito. Forse aveva deluso se stesso prima ancora dei suoi superiori.
Spengler si riprese da quei pensieri avvertendo il rumore di alcuni passi, davanti a lui si presentò un portaordini con la divisa bruciata e annerita dal fumo.
«Signor tenente, un messaggio del capitano Richter, richiede il suo intervento per rafforzare la difesa»
August lesse rapidamente quelle poche righe, non ebbe alcun dubbio, era giunto il momento di combattere.
 
In poco tempo il tenente radunò le squadre in trincea, gli uomini erano eccitati ed impazienti. Erano consapevoli del motivo per cui si trovavano al fronte ed erano determinati a compiere il loro dovere. Avrebbero preferito morire sul campo di battaglia piuttosto che attendere la fine nascosti nel fango.
Il tenente Spengler si limitò ad impartire gli ordini, cercando di nascondere la propria preoccupazione. Gli uomini avevano bisogno del sostegno di un buon comandante, era una figura di riferimento per tutti quei soldati ed era suo compito dar loro il buon esempio. In quell’occasione non poteva deluderli.
L’ufficiale rivolse un ultimo sguardo ai suoi compagni, ripensò con intensa malinconia ai momenti che aveva trascorso con ognuno di loro. Per molti quello sarebbe stato un silenzioso addio.
Il tenente guidò il plotone attraverso il campo di battaglia, il sentiero tortuoso era sempre meno agibile, sopra alle loro teste infuriava la fucileria britannica. I soldati erano costretti a percorrere brevi tratti per poi gettarsi frettolosamente nelle trincee scavate a lato della strada per evitare di essere colpiti quando il tiro diveniva più intenso.
Il tenente Spengler faticava a riconoscere lo stesso paesaggio che si era mostrato per mesi davanti ai suoi occhi. La spietata battaglia aveva deformato l’intera area di combattimento, le bombe avevano scavato profondi crateri, era ormai impossibile orientarsi nelle trincee sventrate. Una densa nebbia ristagnava nelle buche, l’intenso odore dell’esplosivo invadeva i polmoni. August si sentì soffocare, iniziò a tossire respirando a fatica, gli occhi irritati dai vapori lacrimavano in continuazione.
Nonostante tutto l’ufficiale proseguì imperterrito, affondando gli stivali nel fango.
 
All’improvviso gli uomini del tenente Spengler si ritrovarono nel mezzo della battaglia. Una violenta esplosione scoppiò davanti ai loro occhi, una vampata di luce accecante squarciò l’oscurità della notte.
Il tenente si ritrovò confuso e frastornato, intorno a lui, tra la fitta nebbia, intravide una serie di fiammate rossastre. L’eco delle esplosioni giungeva sempre più forte, facendo tremare l’aria e il terreno intorno ai soldati, i quali, sconvolti e atterriti, non poterono far altro che correre al riparo.
I frammenti incandescenti delle granate scoppiettavano tra le fiamme, il cupo e potente botto dei grossi proiettili vibrava fin dentro alle ossa. Alte colonne di terra si innalzavano ad ogni colpo, creando terribili ed imponenti onde di fango.
August uscì allo scoperto ritrovandosi davanti alla desolata pianura devastata dalle bombe. Avvistò alcune ombre muoversi furtivamente tra il fumo e la nebbia. Il terreno era cosparso di cadaveri, il tenente rabbrividì notando le espressioni dei morti ancora contratte dal terrore.
Tornò alla realtà avvertendo la mano di un suo compagno sulla sua spalla.
«Signor tenente, dobbiamo andarcene al più presto da qui!»
Spengler annuì con un cenno deciso, strinse il fucile tra le mani e riprese la marcia, poteva già scorgere i razzi che illuminavano la prima linea all’orizzonte.
 
Avanzando verso la linea di fuoco August iniziò a percepire il furore della battaglia, il sangue scorreva nelle vene mentre l’eccitazione per l’imminente scontro sovrastava la paura. I soldati correvano incontro al proprio destino, ormai incuranti del pericolo, che era diventato parte di ognuno di loro.
Spengler si sentì avvolto da un’intensa sensazione di calore, i pensieri nella sua mente iniziarono a sovrapporsi, poi all’improvviso non avvertì più nulla. Rimase in quello stato per un tempo indefinito, contemplando il campo di battaglia, ammaliato e terrorizzato da quell’orrore. Riprese il controllo di sé udendo le urla dei suoi commilitoni, tre vittime caddero sotto ai colpi di una mitragliatrice.
August condusse i soldati al riparo, per un lungo tratto continuò a percorrere un intricato groviglio di trincee ormai completamente distrutte.
Il tenente si fermò poggiandosi al muro di terra, ansante e affaticato dalla lunga corsa. Sotto al pastrano il caldo era insopportabile, con le mani tremanti si slacciò i bottoni del colletto per facilitare la respirazione. Il cuore batteva all’impazzata, come se stesse per esplodere nel petto.
Trovandosi davanti a un bivio August decise di proseguire solo in compagnia di un esploratore. Scelsero la deviazione di destra, poiché appariva quella più sicura. I due avanzarono solo di pochi passi, ad un tratto Spengler trattene il suo compagno.
«Hai sentito?» chiese con un sussurro.
L’altro restò in ascolto.
«Non siamo soli» constatò imbracciando il fucile.
I tedeschi si mossero cautamente per non farsi notare dai possibili intrusi. Spengler svoltò l’angolo trovandosi davanti a una figura indefinita. Erano separati da una fitta nebbia e nessuno dei due si fidava abbastanza per rivolgersi la parola.
August restò immobile, ma appena riconobbe l’elmetto piatto non esitò a puntare l’arma e a premere il grilletto. L’inglese, probabilmente altrettanto sorpreso e spaventato, fuggì via zoppicando, un proiettile doveva averlo colpito alla gamba sinistra.
Spengler fu raggiunto dal suo compagno.
«Il nemico è in trincea, che cosa facciamo adesso?»
L’ufficiale trattenne un’imprecazione tra i denti.
«Dobbiamo tornare indietro e difendere la postazione, forza, non abbiamo molto tempo!»
August non riuscì a terminare la frase, in quel momento un intenso rumore si abbatté a tutta velocità. L’esplosione lo scaraventò con forza contro alla parete fangosa, il tenente si riprese ritrovandosi sdraiato a terra, in quella brutta caduta aveva perso sia l’elmetto sia il fucile.
Istintivamente Spengler recuperò prima l’arma, strisciò sui gomiti, avvertendo la testa pulsare dal dolore. Il suo compagno gli riportò l’elmetto scalfito dalle schegge metalliche e l’aiutò a rialzarsi.
Il tenente tornò rapidamente sui suoi passi, gli inglesi avevano conquistato terreno, la situazione era degenerata in fretta.  
 
I tedeschi si appostarono lungo la trincea principale, posizionando le mitragliatrici e rafforzando le barricate. Spengler scavò nel fango e trasportò pesanti sacchi di sabbia insieme ai suoi uomini, non c’era tempo da perdere, era necessario prepararsi in fretta a respingere l’imminente assalto.
Il tenente si sporse dal muro di terra, la pianura era ancora avvolta dall’oscurità, i lampi colorati segnalavano il fatto che la battaglia stesse progredendo inesorabilmente.
August rientrò in trincea, nella postazione più vicina trovò una giovane recluta che a stento riusciva a sorreggere il peso del fucile. Il ragazzo si fece coraggio per rivolgersi al suo superiore.
«Signor tenente, lei crede che riusciremo a vincere questa battaglia?»
Spengler guardò il giovane negli occhi incrociando il suo sguardo ingenuo e speranzoso.
«Questo non posso saperlo, ma è nostro dovere combattere fino alla fine»
Il giovane stava per rispondere, ma in quell’istante una raffica di colpi scoppiò in successione poco distante dalla trincea. L’ufficiale riconobbe immediatamente quel rumore, si trattava di bombe a mano, gli inglesi si stavano avvicinando.
August si distese a fianco della recluta e posizionò l’arma davanti a sé. Immediatamente iniziò un rapido scambio di proiettili, il tenente continuò a premere il grilletto e a ricaricare l’arma con gesti meccanici.
All’improvviso un grido lo distolse dalla sparatoria. Il suo compagno si girò sulla schiena gemendo per il dolore. Una pallottola l’aveva colpito alla spalla, l’ufficiale si allarmò, il sangue zampillava a fiotti. Il proiettile era penetrato in profondità, probabilmente era stata recisa l’arteria succlavia.
Il giovane invocò il suo aiuto, Spengler lo trascinò in trincea, la ferita continuava a sanguinare.
«Signor tenente…per favore, non mi lasci qui…»
«Tranquillo ragazzo, vedrai che andrà tutto bene»
August lo affidò alle cure degli infermieri, fu costretto ad abbandonarlo così, disteso su quel vecchio telo, tremante e sofferente.
 
Il tenente tornò in postazione, le mitragliatrici avevano iniziato a crepitare senza sosta. Spengler si domandò che fine avessero fatto gli uomini di Richter e per quanto tempo anche loro avrebbero potuto resistere. Senza altri rinforzi entro l’alba sarebbe stato tutto perduto.
L’ufficiale era ancora tormentato da questi cupi pensieri quando un messaggero scivolò all’interno della buca. Il soldato aveva la testa fasciata, la sua espressione affranta e sconvolta provava che egli fosse appena fuggito da un feroce scontro.
«Signor tenente, abbiamo perduto anche l’ultimo avamposto. La compagnia è dispersa e frammentata, questa resta l’unica difesa»
August impallidì nel sentire quelle parole: «non è possibile…dov’è il capitano Richter?»
«Mi dispiace signore, il capitano è caduto in prima linea. Almeno non ha sofferto, un colpo gli ha perforato l’elmetto, è morto senza neanche accorgersene»
Il tenente provò un profondo sconforto, non poteva credere che l’uomo con cui aveva conversato quella stessa mattina non fosse più in vita. Era certo che da quel momento nulla sarebbe stato come prima.
Il buon sergente Hofmann, che aveva tristemente assistito a quella conversazione, si rivolse al suo comandante.
«A questo punto abbiamo solo due scelte, possiamo arrenderci o combattere fino alla fine»
August non prese nemmeno in considerazione la possibilità di consegnarsi al nemico.
«Dobbiamo portare i feriti al riparo e prepararci per l’imminente attacco»
Hofmann annuì in silenzio.
«Coraggio, non abbiamo tempo da perdere!»
 
Il tenente Spengler recuperò la pistola e un buon numero di munizioni, agganciò un paio di bombe a mano al cinturone e non dimenticò di infilare un pugnale all’interno della giacca. Era necessario essere pronti per affrontare qualsiasi eventualità.
August uscì dal rifugio per essere inghiottito dall’oscurità. La sua squadra era pronta per affrontare, forse per l’ultima volta, le trincee nemiche. Aveva affidato al sergente Hofmann il comando del fuoco di copertura, era certo che egli avrebbe saputo gestire al meglio la situazione.
Spengler sapeva che l’unica possibilità per impedire un rapido annientamento era impedire agli inglesi di occupare la grande trincea che si snodava davanti a loro. Il tenente si fidava dei suoi compagni, era certo che fossero determinati a compiere il loro dovere. Erano soldati esperti e dotati di sangue freddo, pronti ad affrontare ogni genere di combattimento.
August scavalcò l’alto muro di terra ed uscì allo scoperto. Strisciando nel fango raggiunse i primi crateri lasciati da proiettili di medio calibro. Superò gli ostacoli arrancando sui gomiti, per orientarsi poteva affidarsi ai razzi inglesi, che ad intervalli regolari illuminavano l’orizzonte con un’intensa scia biancastra.
Spengler riuscì ad arrivare incolume al parapetto della grande trincea, esitò prima di calarsi all’interno, rumori sospetti avevano già confermato la presenza del nemico.
Il tenente avanzò per primo, stringendo saldamente la pistola in una mano e una granata nell’altra. Muovendo i primi passi in quel luogo oscuro e sconosciuto si trovò davanti ai primi cadaveri. August distolse lo sguardo e proseguì lungo la galleria.
L’ufficiale si bloccò all’improvviso, aveva udito delle voci, ma nel buio non era riuscito a individuare l’esatta posizione dell’avversario.
Gli inglesi dovevano trovarsi nelle stesse condizioni, accadde tutto molto rapidamente. Un grido si levò dal lato opposto della trincea. Immediatamente una cascata di proiettili esplose sopra alle loro teste. Spengler si gettò a terra, le pallottole sibilavano sopra di lui, una fiammata rossa brillò nell’oscurità insieme ad un uragano di frammenti metallici e incandescenti. I tedeschi risposero lanciando in avanti le bombe sferiche.
Un boato assordante fece tremare l’intera trincea, i soldati si trovarono avvolti da una densa nube di fumo e vapore.
Spengler proseguì a tentoni, cercando di restare sempre vicino all’alto muro di terra. Ombre furtive si muovevano nella nebbia come fantasmi. Senza esitazione l’ufficiale puntò l’arma, i colpi furono precisi e letali.
August superò due cadaveri, intorno a lui avvertì le sorde esplosioni delle bombe a mano e il crepitio dei fucili. La battaglia stava progredendo ferocemente tanto in superficie quanto all’interno delle trincee.
Il tenente raggiunse due commilitoni, con loro scambiò qualche frase di incoraggiamento. Trovò conforto al pensiero di star combattendo a fianco di uomini così valorosi, sapeva di poter affidare la propria vita nelle loro mani.
Ad un tratto si trovarono davanti ad una barricata, il nemico aveva innalzato una solida difesa. Una tempesta di fuoco si abbatté violentemente davanti ai loro occhi, i tedeschi furono costretti ad arretrare.
Il tenente Spengler si appiattì contro alla parete per cercare riparo dalle esplosioni e dai proiettili.
Dopo una breve pausa lo scontro riprese con ancora più intensità. Il terreno era ormai grondante di sangue, quella trincea fu contesa aspramente quasi fino all’ultimo uomo.
Alla fine il tenente fu costretto a prendere una decisione definitiva. Tristemente rivolse lo sguardo ai suoi commilitoni, era certo che quegli uomini l’avrebbero seguito anche all’inferno, ma non poteva sacrificare altri soldati in quella missione suicida.
Con quella consapevolezza August ordinò la ritirata, abbandonando la grande trincea nelle mani del nemico.
 
Il ritorno nelle linee tedesche fu mesto e silenzioso. Nessuno porse domande ai soldati che tornavano dal cruento scontro, era sufficiente notare l’esiguo numero di sopravvissuti con i loro volti scuri e affranti per capire che cosa fosse accaduto oltre ai reticolati.
Il tenente Spengler riprese a camminare avanti a indietro nel suo rifugio. Quella era davvero rimasta l’ultima difesa. Aveva ordinato al sergente Hofmann di rafforzare le barricate e sistemare le scorte di munizioni e i rifornimenti. Gli inglesi avrebbero potuto tornare all’attacco da un momento all’altro e in quelle condizioni non avrebbero potuto resistere a lungo. L’ultimo messaggio dal centro di comando affermava che entro un paio di giorni sarebbero arrivate nuove truppe per il cambio in prima linea. Spengler dubitava fortemente di ciò, era intenzionato a mantenere la postazione finché sarebbe stato possibile difenderla, poi sarebbe stato costretto alla ritirata.
August si accese una sigaretta, nella sua mente riaffiorarono le cruenti immagini di quella sanguinosa battaglia. Era ancora immerso in questi vividi ricordi quando il sergente Hofmann si presentò all’entrata.
«Signor tenente…»
Spengler sussultò: «che succede?»
«Niente di preoccupante per il momento. Volevo solo assicurarmi che stesse bene»
L’ufficiale rimase in silenzio.
«Il suo è stato un atto davvero coraggioso, ha fatto tutto ciò che era possibile per difendere la postazione. Il capitano Richter sarebbe orgoglioso di lei»
Egli scosse la testa: «presto saremo circondati dal nemico, è solo una questione di tempo»
«Se non fosse stato per lei saremmo già tutti nelle mani degli inglesi, oppure sottoterra»
«In ogni caso non abbiamo più molte speranze»
«Se davvero è così, signor tenente, sono lieto di restare con lei fino alla fine»
 
***

Richard era disteso su una barella improvvisata, avvolto in un telo che lo proteggeva dal freddo. Era sempre più debole, aveva il volto umido di sudore, i suoi occhi stanchi erano rivolti al cielo stellato, ma lo sguardo appariva perso nel vuoto.
La trincea si era animata nuovamente, gli ufficiali gridavano ordini a gran voce mentre i soldati si preparavano nervosamente all’attacco.
Il tenente cercò di capire che cosa stesse accadendo, ma nella sua mente suoni ed immagini continuavano a sovrapporsi e a confondersi. Tornò alla realtà quando si sentì sollevare da terra, due barellieri lo trasportarono insieme ad altri feriti lontano dalle trincee. Istintivamente il suo sguardo cercò il suo attendente, provò un profondo sollievo nel trovare il viso di Finn tra quei volti cupi e inespressivi. Il ragazzo stringeva saldamente il fucile tra le mani, marciando a fianco della colonna insieme ad un piccolo gruppo di soldati incaricati di scortare i feriti lungo la strada.
Richard era soggetto a forti sobbalzi ogni volta che i suoi portatori dovevano superare un ostacolo. Spesso il piccolo convoglio era costretto a fermarsi a causa delle pallottole che si abbattevano ferocemente sul sentiero.
La barella oscillava pericolosamente, il tenente non riuscì a trattenere gemiti sofferenti, ad ogni movimento percepiva intense fitte di dolore, aveva la sensazione che decine di lame si stessero conficcando nel suo fianco.
Ad un tratto Green si ritrovò a terra, la rovinosa caduta fu così inaspettata che l’ufficiale non emise nemmeno un lamento. Restò steso al suolo, immobile, avvertendo i proiettili che esplodevano ovunque intorno a lui. I fucili tedeschi erano sempre in agguato, i barellieri avevano mollato improvvisamente la presa per gettarsi a terra.  
Appena tornò la calma Richard fu sollevato dalla polvere e sistemato nuovamente sulla sua barella, anche questa operazione fu particolarmente dolorosa per il ferito, il quale fu spostato con ben poca delicatezza.  
La lenta marcia proseguì così a tratti, attraversare il campo di battaglia in quelle condizioni era un’impresa faticosa e pericolosa, ma i soldati erano determinati a portare al sicuro i commilitoni feriti.
Durante una pausa in un’ampia fossa fangosa Richard fu raggiunto dal suo attendente, soltanto la sua presenza fu di conforto per l’ufficiale. Finn non riuscì a nascondere la propria apprensione, a stento trattenne le lacrime.
Il tenente non trovò la forza di parlare, avrebbe desiderato dire a quel ragazzo che era fiero di lui e del soldato che era diventato. Avrebbe voluto ringraziarlo per esser rimasto al suo fianco anche nei momenti più difficili e ricordargli ancora una volta che i suoi sentimenti erano sempre stati puri e sinceri.
Green non poté esprimere nulla di tutto ciò, ma in fondo era certo che il suo amato sapesse già la verità.
L’ennesima esplosione ricordò ai soldati che era necessario muoversi in fretta.
Richard si abbandonò alla stanchezza, era ormai privo di sensi quando il drappello raggiunse i margini del villaggio.
 
***

Il pesante bombardamento sembrava esser giunto al termine. Sul campo di battaglia erano presenti enormi e profondi crateri fumanti, una densa nube di vapore ristagnava nelle ampie buche. In questo panorama desolato e devastato dal cruento attacco poche anime riaffiorarono in superficie. Un soldato americano riemerse a fatica da una fossa fangosa trascinando il corpo di un suo compagno.
«Forza Joe…è finita ormai»
L’amico mosse qualche passo sulle gambe tremanti, poi si chinò a terra per vomitare. Il suo commilitone lo sorresse e l’aiutò a rialzarsi.
Entrambi erano pallidi e sconcertati, durante il violento bombardamento avevano temuto di essere sepolti vivi dalle imponenti colonne di terra sollevate dalle esplosioni. I due americani riuscirono a ritrovare il sentiero e zoppicando attraversarono la pianura deserta.
«Dannazione Sam, credevo davvero che sarei morto là sotto!» commentò Joe aggrappandosi alla spalla del suo compagno.
L’altro sbuffò: «al campo delle reclute non avrei mai pensato che la guerra sarebbe stata così…»
Ad un tratto i due soldati trovarono una casamatta a lato del sentiero, il rifugio in cemento sembrava abbandonato, accanto alle rovine scorsero solo cadaveri.
Sam strinse il fucile tra le mani, era certo di aver sentito qualcosa, poco dopo riuscì a distinguere il rumore di alcuni passi. Una figura uscì dalla casamatta, prontamente il soldato puntò l’arma.
Lo sconosciuto si avvicinò lentamente.
«Non sparate! Sono un ufficiale dell’Esercito britannico!»
Joe notò il sangue sulla sua divisa, le macchie del liquido viscoso e vermiglio risaltavano sull’uniforme color kaki.
«È ferito?»
L’ufficiale negò: «no, io…sto bene»
Gli americani si accorsero che egli sembrava piuttosto scosso e sconvolto.
«Ci sono altri sopravvissuti?» chiese Sam con apprensione.
Il tenente inglese alzò lo sguardo mostrando i suoi intensi occhi verdi.
«No, non è rimasto più nessuno» rispose con voce atona.
I due soldati non dubitarono delle sue parole, quel luogo doveva esser stato teatro di un cruento massacro.
Senza porre altre domande gli americani offrirono il loro aiuto all’ufficiale britannico, il quale si allontanò dalla casamatta senza mai voltarsi.
Un bagliore dorato comparve all’orizzonte, era la luce di un nuovo giorno, il tenente abbandonò il campo di battaglia aggrappandosi a quell’unica speranza.  

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Capitolo 38
*** La Pace ***


 
XXXVIII. La Pace    
 

Le strade intorno al villaggio erano ostruite da lunghi convogli di veicoli che trasportavano i soldati di ritorno dalla prima linea e ambulanze che riportavano dal fronte morti e feriti.
La situazione in ospedale non faceva che peggiorare, medici e infermiere non potevano occuparsi di tutte le vittime. L’ultima battaglia si era tramutata in una spietata carneficina.
Finn si trovava in una piccola camera più tranquilla e appartata rispetto alle enormi stanze dove erano stati ammassati decine e decine di soldati. Le urla sofferenti che provenivano dai corridoi erano davvero strazianti.
Fortunatamente il tenente aveva potuto godere di qualche privilegio, d’altra parte egli era un ufficiale decorato, e questo gli aveva permesso di essere trattato con particolare riguardo.
Richard era stato operato con urgenza, l’intervento si era rivelato lungo e impegnativo, Finn era rimasto sveglio ad attendere con impazienza che qualcuno giungesse a fornirgli notizie.
Quelle ore erano trascorse con estrema lentezza, il giovane aveva tentato di non lasciarsi sopraffare dall’angoscia, ma in quei momenti i pensieri più cupi e opprimenti erano tornati a tormentarlo.
Alla fine, stremato e affranto, aveva nascosto il volto tra le mani e si era abbandonato a un lungo e silenzioso pianto.
Aveva trascorso la notte in quelle condizioni, le ore passavano, ma la situazione era sempre la stessa.
Ormai Finn non aveva più le forze nemmeno per disperarsi. Il ragazzo era immobile sulla sedia, stremato e affranto. Il suo sguardo vagava tra il letto vuoto e la porta socchiusa. Le lenzuola insanguinate erano l’unica traccia lasciata dal tenente.
Finn fu costretto a cedere alla stanchezza. Si addormentò sulla sedia, stremato dalla fatica e spossato dall’ansia.
 
Al suo risveglio trovò il maggiore Farrell in piedi accanto alla finestra, istintivamente il ragazzo si alzò per rivolgersi al suo superiore, ma l’ufficiale lo bloccò poggiando una mano sulla sua spalla.
«Puoi evitare certe formalità. Sono qui solo come amico di Richard…»
«Il tenente è stato operato questa notte, non ho più saputo nulla di lui»
John mostrò un’espressione preoccupata, in quella guerra aveva perso molti compagni, non era certo la prima volta che affrontava una situazione simile, eppure non si era ancora abituato a tutto ciò.
Aveva sempre considerato Richard come un amico, anche se in tutto quel tempo il loro rapporto non era mai andato oltre a quello instaurato tra due buoni commilitoni. Erano sempre stati disposti a rischiare la vita l’uno per l’altro, ma il loro legame non si era mai consolidato al di fuori del campo di battaglia.
Non ricordava molte conversazioni avvenute senza una bottiglia di whiskey o di vino rosso, in mancanza dell’alcol avrebbero avuto ben poco di cui discutere.
Il tenente Green non aveva mai apprezzato il suo carattere esuberante e irriverente, così come lui non aveva mai gradito la sua eccessiva riservatezza.
Farrell stimava il suo commilitone, lo considerava un ottimo ufficiale e si fidava ciecamente di lui. Seppur in realtà non avessero mai approfondito il loro rapporto riteneva comunque preziosa quell’amicizia. Per questo aveva paura di perdere un valido compagno.
Il maggiore si avvicinò al giovane attendente.
«Ero certo che ti avrei trovato qui, sei sempre stato fedele al tuo comandante»
Il ragazzo abbassò tristemente lo sguardo.
«Sai, ho sempre avuto la sensazione che tu fossi la persona giusta per prenderti cura del tenente»
Finn avvertì gli occhi umidi: «ho cercato di fare del mio meglio, ma temo che ciò non sia stato sufficiente»
«Non è colpa tua, non avresti potuto fare nulla di più per aiutarlo»
Il giovane rimase in silenzio, dentro di sé sapeva che quella granata non era destinata a Richard, il tenente si era sacrificato per salvargli la vita.
Il maggiore tentò di rassicurarlo: «il tenente Green è l’uomo più forte e coraggioso che abbia mai conosciuto, sono certo che in questo momento stia lottando con tutto se stesso per sopravvivere»
Finn apprezzò la solidarietà di Farrell, ma era certo che nessuno avrebbe potuto comprendere il suo dolore.
L’ufficiale notò il suo volto sconvolto e il suo aspetto trasandato, la sua divisa era ancora macchiata di sangue.
«Da quanto tempo sei qui?»
«Ho aspettato tutta la notte…poi mi sono addormentato»
«Almeno hai mangiato qualcosa?»
Finn negò.
«Forza, vai in cucina a chiedere il rancio. Non puoi restare a digiuno per tutto il giorno»
«No, signore…io…voglio restare»
«Al momento non puoi fare niente per Richard. Resterò io qui nel caso in cui il tenente dovesse tornare. Tu pensa a mettere qualcosa nello stomaco e a darti una ripulita»
Il ragazzo fu quasi trascinato a forza fuori dalla stanza.
 
Finn poggiò le mani sul bordo del lavandino arrugginito. Uno specchio rotto appeso alla parete rivelò il suo rifesso deforme. Il ragazzo notò il suo volto cereo, l’uniforme era logora e strappata.
Finn si sciacquò il viso con l’acqua gelida, ciò l’aiutò a riprendere il controllo di sé. Il maggiore aveva ragione, aveva bisogno di rimettersi in sesto per poter affrontare quella situazione.
L’attendente raggiunse le cucine, soltanto passando attraverso il lungo corridoio si accorse che il sole era ormai alto nel cielo. Probabilmente era ora di pranzo, seppur l’odore del cibo non fosse particolarmente invitante il giovane sentì i crampi allo stomaco. L’ansia e la preoccupazione gli avevano impedito di avvertire il senso della fame, ma ora che i suoi sensi si erano risvegliati avrebbe mangiato volentieri anche il pane raffermo che era solito trovare in trincea.
Finn si ritrovò a dover mendicare un piatto dalle suore in servizio.
«Mi dispiace, ma il pasto è solamente per i pazienti»
Il ragazzo tentò di spiegare la situazione, sostenendo di non potersi allontanare dal capezzale del suo superiore. La suora ebbe compassione, seppur con qualche rimprovero gli permise di ricevere un piatto fumante colmo di zuppa d’avena e un tocco di pane.
Finn ingurgitò il pranzo con avidità, sia perché spinto dalla fame sia perché desiderava raggiungere al più presto la stanza del tenente.
Rapidamente tornò a vagare per le enormi stanze dell’ospedale, si perse un paio di volte prima di ritrovare le scale. I corridoi erano ostruiti dalle barelle sulle quali erano sdraiati feriti mutilati e sofferenti.
Finn si orientò riconoscendo un quadro in cui era dipinta la chiesa del paese, ormai distrutta dalle bombe, e ritrovò la piccola stanza riservata al suo comandante. Trasalì nel momento in cui vide il maggiore Farrell davanti alla porta chiusa.
«Che cosa è successo?» chiese con apprensione.
L’ufficiale tentò di calmarlo: «tranquillo ragazzo, il tenente è tornato dalla sala operatoria. Tra poco il medico ci dirà qualcosa sulle sue condizioni, in questo momento lo sta visitando»
Finn annuì senza sapere come interpretare quelle poche informazioni. Preferì pensare solamente al fatto che Richard fosse ancora vivo, tutto il resto non aveva importanza.
 
Quando finalmente il dottore si presentò in corridoio iniziò a parlare rivolgendosi principalmente al maggiore.
«Il paziente ha subito più interventi, i quali sono stati piuttosto invasivi e impegnativi. Ha una buona resistenza e i suoi parametri vitali restano stabili, ma non voglio illudervi. Al momento è molto debole, non posso dirvi se potrà riprendersi. Possiamo soltanto sperare per il meglio»
«Posso vederlo?» chiese Finn.
Il dottore scosse la testa: «il tenente ha bisogno di tranquillità e riposo»
A quel punto intervenne il maggiore Farrell: «il ragazzo è il suo attendente. È stato lui a soccorrerlo ed è rimasto qui tutta la notte per avere notizie del suo comandante. Credo che egli abbia il diritto di entrare in quella stanza»
Il medico cedette, ma prima di consentire al giovane di varcare la soglia gli fornì innumerevoli raccomandazioni.
 
Finn si ritrovò in una camera fredda e buia, l’unica luce proveniva dai raggi che filtravano attraverso le tende. Immediatamente si avvicinò al letto, Richard era steso sotto alle coperte, profondamente addormentato.
Il suo volto smunto era madido di sudore, respirava a fatica e tremava a causa della febbre.
Finn prese la sua mano stringendola con delicatezza, in ogni caso egli sarebbe rimasto al suo fianco.
 
***

Il fuoco cessò come prestabilito, in quel preciso istante un surreale silenzio ricadde sull’intera vallata, il fronte rimase quieto e immobile. Tutto ciò apparve assurdo per coloro che per anni avevano vissuto sotto al costante e incessante frastuono dell’artiglieria.
Hugh e i suoi compagni si impietrirono come statue, con lo sguardo fisso all’orizzonte restarono a contemplare la terra di nessuno. Quel paesaggio non si era mai manifestato in tutta la sua vastità e la sua desolazione come in quel momento. Per la prima volta poterono udire distintamente il fischio del vento, lo scorrere delle acque del ruscello e il debole cinguettio di un pettirosso.
Tutti conoscevano il significato di quel silenzio, eppure nessuno osò celebrare la vittoria. I soldati restarono attoniti, esausti e sconvolti.
Hugh avvertì sensazioni confuse e contrastanti, le trincee vuote risvegliarono in lui una profonda inquietudine. Era come se in quel silenzio potesse percepire il richiamo dei morti, era certo che le anime dei soldati che avevano sacrificato la loro vita sul campo di battaglia non avrebbero mai abbandonato quelle terre.
Quelle lande sarebbero rimaste coperte di sangue per molto tempo, il mondo non avrebbe potuto dimenticare l’orrore di quella guerra.
 
Hugh riprese a marciare mantenendo il capo chino. Con lo sguardo fisso a terra affondava nel fango ad ogni passo.  Si asciugò il sudore sulla fronte, osservò la lunga fila di uomini che mestamente avanzavano in quella landa desolata. Erano ombre senza volto. I suoi compagni, stremati e sconvolti, non apparivano affatto come i vincitori di quella guerra. Alcuni trascinavano a fatica un arto ferito soffocando i lamenti, altri proseguivano imperterriti con lo sguardo vacuo e il volto scuro e inespressivo.
Hugh si sbottonò la giubba per poter respirare, la sua divisa era ormai logora, bruciacchiata e cosparsa di macchie di fango e sangue raffermo.
Il giovane sospirò, non era così che all'inizio del conflitto aveva immaginato il suo ritorno. Eppure quella macabra parata rappresentava le reali condizioni dei sopravvissuti, i quali con i loro occhi spenti non erano altro che corpi svuotati che riemergevano dalla bocca dell’inferno.
 
Quella notte i soldati trovarono rifugio in un fienile che miracolosamente era stato risparmiato dai bombardamenti.
I soldati si radunarono attorno al fuoco, per la prima volta realizzarono che la guerra era realmente giunta al termine e che presto avrebbero potuto tornare a casa. Dopo cena gli uomini si trattennero tra lunghe chiacchierate, scherzi e canti. Le ultime riserve di alcolici non durarono a lungo.
 
When the war is over
We're going to live in Dover,
When the war is over we're going to have a spree,
We're going to have a fight
In the middle of the night
With the whizz-bangs a-flying in the air.
 

Per anni questa era stata la loro idea di pace, desideravano soltanto sentirsi al sicuro lontani dal fronte, anche una semplice nottata di baldoria diventava una ragione per sentirsi vivi. 
Hugh versò una generosa quantità di whisky nella borraccia del caporale: «ho immaginato così a lungo questo momento che ancora non mi sembra vero»
Speller osservò le fiamme che ardevano nell’oscurità: «la mia vecchia vita appariva sempre come un sogno lontano e irraggiungibile, ad essere sincero ormai avevo perso le speranze»
«Il desiderio di poter tornare dalla mia famiglia mi ha tenuto attaccato alla vita nei momenti più difficili. Quando credevo che tutto fosse perduto il ricordo dei miei cari mi ha donato nuova speranza. Finalmente potrò rivedere mia moglie e i miei figli» disse Hugh con gli occhi lucidi per la commozione.
Il volto del caporale si rabbuiò: «per me non sarà così semplice… ovviamente anche io sono felice di tornare dalla mia famiglia, ma sono certo che nulla potrà tornare come prima»
Hugh notò l’espressione afflitta sul viso del suo compagno: «mi dispiace…»
«Credi di poter tornare in Inghilterra e dimenticare tutto quel che è accaduto?»
«No, non penso questo. Non sto dicendo che sarà semplice, ma abbiamo la possibilità di ricominciare, non dovremmo sprecare questa nostra opportunità»
Speller poté comprendere il desiderio del suo commilitone, in un certo senso invidiava la sua forza di volontà. Egli invece non si sentiva pronto a tornare alla realtà. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva i volti dei suoi compagni, ripensando alla loro sorte non poteva far altro che sentirsi in colpa per essere ancora vivo. Non meritava la salvezza più di chiunque altro, forse sopravvivere a quella carneficina per lui era stata una condanna.
«Non so cosa ne sarà di noi, temo che non potremo mai ripulirci dal fango delle trincee e dimenticare l’odore del sangue, ma in qualche modo dovremo trovare la forza di andare avanti» concluse Hugh con un velo di tristezza.
Il caporale si voltò ancora una volta verso la campagna devastata dai bombardamenti. Una parte di sé sarebbe rimasta per sempre sepolta in quelle trincee.
 
***

Strisciò nella terra di nessuno addentrandosi in una nuvola bianca di fosgene. Respirava a fatica attraverso la valvola della maschera antigas, a tratti tentava di scrutare qualcosa attraverso le lenti appannate e infangate. Era rimasto solo, si era perso nella battaglia mentre i suoi commilitoni avevano già raggiunto il rifugio nel bosco. Arrancava a fatica nel pantano quando all’improvviso un’esplosione lo scaraventò sul fondo di una buca. Si rialzò avvertendo la testa che pulsava dal dolore, un rivolo di sangue scendeva dalla sua fronte. Intorno a lui cadde una pioggia di proiettili.
Tentò di salire in superficie e provò a sgusciare fuori dalla buca. Riuscì a compiere solo pochi passi, poi avvertì un intenso bruciore alla gamba, il sangue caldo iniziò a sgorgare abbondantemente dalla ferita imbrattando i pantaloni. Il dolore divenne presto insopportabile, non riuscendo più a reggersi in piedi si lasciò cadere nuovamente nella fossa. La battaglia intorno a lui continuava a progredire incessantemente.
Provò l’istinto di gridare per chiedere aiuto, ma nonostante gli sforzi la sua voce non riusciva a sovrastare i botti assordanti delle esplosioni.
Rimase solo in quella buca, contorcendosi dal dolore e tremando per il freddo, mentre l’eco dei proiettili si avvicinava sempre più minacciosamente.
 
Il sottotenente Waddington si risvegliò di soprassalto, urlando nel mezzo della notte. Riaprì gli occhi ritrovandosi al buio, pian piano riuscì a riconoscere l’ambiente circostante. Si trovava in una vecchia casa ad Arras, dove aveva trovato alloggio ormai da diversi giorni. Era al sicuro, lontano dalla prima linea.
Waddington si accorse di star tremando, era madido di sudore, il cuore batteva sempre più velocemente nel suo petto. Ormai conosceva bene quelle sensazioni, erano trascorse meno di sei ore dall’ultima iniezione.
Inizialmente il sottotenente aveva cercato di mantenere un certo controllo, ma la situazione era degenerata rapidamente.
Negli ultimi tempi gli incubi erano tornati a tormentarlo, per lui era sempre più difficile gestire quella condizione. La morfina era il suo unico sollievo, soltanto quando giaceva in quello stato di incoscienza riusciva a dimenticare il suo doloroso passato.
Ancora una volta si abbandonò a quelle strane visioni, ebbe la sensazione di star sprofondando nelle profondità dell’oceano, mentre i suoi incubi annegavano con lui.
 
***

I territori noti e familiari della campagna bavarese comparvero come in un sogno davanti agli occhi del tenente Spengler. L’ufficiale tedesco osservò il paesaggio autunnale attraverso i vetri opachi del finestrino, tutto ciò gli sembrava ancora assurdo e irreale.
August riconobbe i panorami impressi nella sua memoria, sprofondò in un’intensa malinconia, ma poteva percepire che qualcosa fosse cambiato per sempre. Aveva la sensazione di star osservando una vecchia fotografia, dove i ricordi alterati dal tempo non potevano più ricreare un’immagine vivida e realistica del passato.
Quei luoghi legati alla sua gioventù non risvegliavano più nulla in lui, non si riconosceva più nel ragazzo che quattro anni prima aveva abbandonato la tenuta di famiglia per imbracciare un fucile e partire per il fronte.
La guerra l’aveva privato di sogni e speranze.
Il treno procedeva lentamente sui binari, quasi tutti i vagoni erano stati adibiti al trasporto dei feriti. August era tornato dal fronte con un esiguo numero di sopravvissuti, aveva perso la maggior parte dei suoi uomini nell’ultima sanguinosa battaglia. Molti erano caduti sul campo, altri erano stati catturati dal nemico.
Il tenente strinse a sé il braccio fasciato, nella sua mente iniziarono a sovrapporsi numerosi ricordi, pian piano si ritrovò a rivivere i momenti più intensi e drammatici del conflitto.
Faticava a credere che fossero trascorsi solamente pochi mesi dal grande attacco con cui la Germania si era illusa di vincere quella guerra. Ormai non restava più niente in cui credere, tutto era perduto.
Il tenente prese un profondo respiro, era rimasto per così tanto tempo coinvolto in quella guerra da aver perso una visione obiettiva della situazione. Non si trattava più di una lotta per la sopravvivenza, non c’era più nulla da dimostrare sul campo di battaglia. Non era più una questione d’onore e virtù.
Il tenente Spengler era rimasto fedele ai suoi principi e aveva portato avanti il suo dovere fino alla fine, ora non poteva far altro che sottostare a decisioni politiche prese a tavolino.
August lasciò perdere quei ragionamenti, la sua mente lo riportò al ricordo del tenente Green. Inevitabilmente ripensò alla loro ultima conversazione.
Se non fosse stato per la guerra avremmo potuto andare d’accordo.
Sul momento aveva detto quella frase quasi per scherzo, eppure c’era un fondo di verità in ciò. Aveva provato rispetto per il suo avversario, ed ora che la guerra non l’obbligava a considerarlo semplicemente come un inglese da cui diffidare poteva apprezzare ancor di più il suo valore.
Entrambi si erano comportati come due ufficiali onesti e leali, dimostrando che la guerra non aveva corrotto il loro animo.
In quelle circostanze Spengler non poteva più vedere quell’uomo come un nemico. Si domandò se fosse ancora vivo, forse avrebbe cercato sue notizie.
August era ancora perso in questi pensieri quando avvertì il rumore di alcuni passi lenti e incerti.
«Signor tenente…»
L’ufficiale sussultò, aveva riconosciuto il suono di quella voce. Quando voltò lo sguardo fu lieto di ritrovare la giovane recluta che aveva combattuto al suo fianco nell’ultima battaglia.
Il suo fisico esile e martoriato mostrava i segni di quella terribile esperienza, il suo volto appariva pallido e scarno, mentre il suo sguardo era stanco e spento.
August gli rivolse un confortante sorriso nel tentativo di rassicurarlo.
«Mi dispiace, non intendevo disturbarla»
Spengler scosse la testa: «a dire il vero stavo iniziando ad annoiarmi»
Il giovane si sedette sul lato opposto della cabina, i suoi movimenti erano ancora lenti e impacciati a causa della fasciatura alla spalla.
«Sono felice di essere riuscito trovarla, volevo ringraziarla di persona. Lei mi ha salvato la vita»
«Un buon comandante non abbandona i suoi uomini in difficoltà»
«Signor tenente, è troppo modesto. Lei è l’uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto, e mi creda, non sono l’unico a pensarlo»
August trovò conforto nella consapevolezza che quei ragazzi l’avrebbero ricordato provando stima e ammirazione nei suoi confronti.
In quel momento però avvertì anche una profonda tristezza al pensiero di doversi separare dai suoi uomini. Insieme avevano condiviso ogni aspetto della guerra, dall’eccitazione per la prima battaglia al puro terrore durante i bombardamenti. Avevano affrontato il dolore per la perdita di cari amici e avevano pianto di gioia ritrovandosi al termine di un cruento scontro.
Si domandò quale sarebbe stato il destino di tutti quei ragazzi la cui gioventù era stata spazzata via dalla guerra. Quel giovane non avrebbe mai più potuto ritrovare la spensieratezza e l’innocenza di un tempo. La sua anima, come quella di tutti i soldati, sarebbe rimasta per sempre segnata dalla guerra.
Non ci sarebbe stato alcun futuro per una generazione perduta.
Questo sarebbe stato il prezzo della Pace.
 
***

Finn si era addormentato accanto al letto del tenente, inizialmente sentì qualcosa di quasi impercettibile, poi quella percezione divenne sempre più nitida. Il ragazzo si risvegliò, non stava sognando, con un leggero tremore le dita del tenente avevano iniziato a muoversi.
Finn prese la sua mano, lentamente il ferito ricambiò la sua stretta. Il giovane attese pazientemente, avvertì un’intensa emozione quando Richard riaprì finalmente gli occhi.
Il tenente era ancora debole e confuso, ma riconobbe il suo compagno senza alcuna esitazione.
«Finn…»
Il ragazzo si chinò su di lui mostrando il suo sguardo colmo di commozione.
«Oh, Richard…ho temuto davvero di averti perso per sempre»
Il tenente strinse con più forza la sua mano, come per rassicurarlo che fosse realmente al suo fianco.
«Devo dirti una cosa importante»
Finn si avvicinò per udire la flebile voce del suo comandante.
«Voglio che tu sappia che sono davvero orgoglioso di te e del soldato che sei diventato. Sono sicuro che in fondo tu sia già a conoscenza di tutto questo, ma sento di doverti dire la verità. I miei sentimenti nei tuoi confronti sono sempre stati sinceri»
Il giovane sorrise: «sì, lo so Richard. Non ho mai avuto dubbi a riguardo»
Il tenente si rassicurò nel sentire quelle parole, prima di cedere nuovamente alla stanchezza guardò il suo amato negli occhi. In quel momento, per la prima volta dopo tanto tempo, avvertì una confortante sensazione di pace.
 
 
 
 

 
Note dell’autrice
Ringrazio di cuore tutti coloro che sono giunti fino a qui^^
Il racconto è ormai concluso, mancano solo gli ultimi due capitoli.
Sono davvero contenta di essere riuscita a portare avanti questo progetto per quasi un anno. Spero di non avervi annoiato e mi auguro che la storia abbia potuto appassionarvi e intrattenervi.
Come sempre ringrazio i cari recensori per il prezioso supporto^^
Grazie ancora a tutti, alla prossima! :)

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Capitolo 39
*** Il ritorno ***


 
XXXIX. Il ritorno
 

Una gran confusione regnava al Centro di smobilitazione, i mezzi arrivavano e partivano di continuo. La folla diventava sempre più impaziente, gli uomini si ammassavano e si accalcavano creando un caos indescrivibile.
I soldati, ormai esausti, erano stanchi di attendere e cercavano di carpire qualsiasi tipo di informazione. Ogni tanto qualcuno perdeva la pazienza e le sue richieste si tramutavano in grida di frustrazione.
Hugh vide un ufficiale che stremato dalla situazione continuava a camminare avanti e indietro facendosi spazio tra la folla. Ripeteva sempre le stesse parole, rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare.
«State calmi! Non sappiamo ancora nulla! Dovete avere pazienza!»
I soldati non esitarono a rispondere in modo brusco e irriverente, molti di loro erano in attesa da giorni.
Hugh si passò una mano sul viso, aveva gli occhi stanchi, era in piedi da ore, le membra dolevano per lo sforzo.
D’istinto controllò il taschino della giubba, i documenti erano ancora al loro posto.
Al suo fianco un soldato si mostrava sempre più agitato, inveiva di continuo e si lamentava per ogni cosa, il suo alito odorava di whiskey.
Hugh tentò di ignorare la sua presenza, in altre condizioni avrebbe trovato la situazione davvero insopportabile.
Ad un tratto quell’uomo iniziò a litigare con un maggiore. L’ufficiale era in difficoltà nel mantenere un atteggiamento pacato nei confronti di quel soldato che si rivolgeva a lui senza alcun rispetto.
Hugh notò l’espressione sconvolta del maggiore, il quale se ne andò senza replicare. In trincea un comportamento del genere sarebbe stato considerato intollerabile.
La confusione aumentò ulteriormente, Hugh mosse pochi passi, avanzando nel mezzo della folla. Poco distante due soldati si ritrovarono coinvolti in una discussione piuttosto animata. Hugh non riuscì a comprendere cosa avesse provocato quella lite, ma la situazione degenerò in fretta, i due finirono per azzuffarsi. Gli altri furono costretti a separarli con la forza, ma i contendenti continuarono a scambiarsi volgari insulti anche dopo esser stati allontanati.
Hugh scosse le spalle, erano tutti uomini abituati alla violenza, dopo quattro anni di guerra nessuno di loro era pronto ad affrontare la vita civile. Questi episodi sempre più frequenti ne erano la prova.
Il giovane tornò a prestare attenzione alla massa informe di soldati, sospirando tra la frustrazione e la rassegnazione.
 
«Credevo che dovesse arrivare un treno supplementare» disse qualcuno.
«Già, è arrivato e poi è ripartito» rispose un altro.
«Davvero? E perché nessuno di noi è salito su quel treno?»
«Era già pieno quando è arrivato in stazione»
«Non è giusto! Noi stiamo aspettando da più tempo, abbiamo il diritto di tornare a casa prima degli altri!»
Hugh ascoltava discorsi simili in continuazione. Alla fine nessuno sapeva niente e non c’erano mai informazioni certe.
Trascorreva tutte le ore del giorno impilato nella sua colonna, anche per dormire e mangiare doveva attendere il suo turno.
«Dannazione, questa sbobba è peggio della segatura che ci davano in trincea!» commentò un caporale con una smorfia di disgusto.
Gli altri scoppiarono in una sonora risata.
 
Hugh iniziò a mostrare segni di insofferenza, la folla lo stava asfissiando. Veniva urtato in continuazione, in ogni luogo si fermasse trovava sempre qualcuno che per superarlo gli infilava una gomitata nel fianco o lo colpiva con forza alle spalle.
La testa doleva per la confusione, le urla gli provocavano un’emicrania costante.
Finalmente Hugh riuscì a raggiungere la scrivania dove si trovava un gendarme che con innaturale calma e tranquillità sistemava centinaia di fogli e documenti. Scriveva con la testa china, si sistemava gli occhialetti tondi sul naso, poi rileggeva con premurosa attenzione.
Hugh si domandò se quell’uomo si stesse divertendo a far perdere la pazienza a tutti quanti.
Il giovane consegnò i documenti nelle sue mani, sperando che tutto fosse in ordine.
Il gendarme gli rivolse uno sguardo freddo e severo, rimase qualche istante ad analizzare la sua foto, poi alzò ancora la testa.
«Lei è il soldato Hugh McKee?»
Egli confermò.
«Non sembra scozzese»
«Appartengo al Secondo battaglione dell’Essex, se avesse letto la seconda riga potrebbe già saperlo»
L’altro mostrò un sarcastico sorriso.
«Scusi, ma devo esserne certo. Come può immaginare ci sono molti imbroglioni e truffatori che cercano di svignarsela dall’esercito con la paga da soldato»
«Io voglio solo tornare a casa»
«Nell’Essex ci sono molti irlandesi, lei invece è scozzese»
«Mio nonno era scozzese, e comunque che cosa c’entra tutto questo? Uno scozzese non può combattere a fianco di inglesi e irlandesi?»
Il gendarme rimase impassibile: «dunque è vero che voi scozzesi siete così irascibili»
Hugh strinse i pugni, non poteva credere che non avrebbe potuto tornare a casa perché quell’uomo odiava gli scozzesi.
«Può controllare tutti i documenti che vuole, non sono un impostore!»
«Vede, il problema è che qui ho già segnato un soldato McKee, il quale è partito per Londra ieri»
«Di certo non sono l’unico McKee dell’intero Esercito britannico!»
«Già…immagino. Deve esserci stato un disguido»
«Be’, lo risolva! Non è questo il suo lavoro?»
Il gendarme non parve troppo preoccupato a riguardo, allungò un braccio per afferrare la cornetta del telefono e con aria svogliata compose un numero.
Hugh attese con impazienza, battendo con insistenza il piede a terra.
L’uomo chiuse la chiamata e tornò a rivolgersi a lui.
«Soldato McKee…» disse con aria pensierosa.
«La prego, mi dica quel che devo fare per salire su quel dannato treno!»
«Le ho già spiegato il problema, lei potrebbe non essere la persona giusta»
«Chi ha chiamato? Non le hanno dato informazioni?»
«Purtroppo la documentazione è già stata archiviata, ci vorrà del tempo per recuperare quegli elenchi…»
«E se quelle carte fossero state perse? Allora dovrei tornare in Francia?»
«Se dipendesse solo da me potrebbe salire anche sul prossimo treno, ma come può ben immaginare ci sarebbero delle conseguenze»
«Sì, certo. Ma…»
«Non sa in quanti si sono presentati con un libretto militare falso, o in quanti lo abbiano perduto. Vede, questa faccenda è davvero complessa»
«Io però non ho nulla a che fare con questi imbrogli! Voglio solo tornare a casa dalla mia famiglia. Non ho combattuto per tre anni in prima linea per farmi trattare come un criminale!»
«Come le ho già detto, non posso fidarmi ciecamente di lei»
Hugh avvertì che i soldati in fila dietro di lui stavano iniziando a spazientirsi, ma egli era deciso a restare al suo posto finché non gli avrebbero concesso di tornare a casa.
«Che succede? C’è qualche problema?»
Il soldato voltò lo sguardo, fu lieto di sentire una voce conosciuta. Il capitano Howard sbucò da quella massa color kaki, i gradi sulla divisa misero in soggezione il gendarme.
«Non posso autenticare l’identità di questo soldato, ma egli sembra essere particolarmente insistente»
 «Conosco quest’uomo. Il soldato McKee è un reduce di Passchendaele, dovrebbe essere trattato con il giusto rispetto»
«Sissignore, se garantisce per lui posso lasciarlo passare»
«Bene, vede che non era difficile? Questione risolta» concluse Howard con soddisfazione.
Il gendarme registrò i dati e poi riconsegnò i documenti al proprietario.
Hugh emise un sospiro di sollievo.
«Grazie capitano»
Howard si limitò a salutarlo con un cenno, poi scomparve nuovamente tra la folla.
 
Hugh osservò i cartelli appesi fuori dalla stazione.
«Non ci sono treni per Londra oggi» lo informò un ferroviere.
«Quando partirà il prossimo treno?»
«Non lo so»
«Che cosa significa che lei non lo sa?» chiese il soldato ormai esasperato.
«Non lo so significa che non lo so! Dovrà attendere domani mattina come tutti gli altri»
Hugh fu costretto ad arrendersi, avrebbe potuto tornare a casa entro ventiquattro ore oppure dopo una settimana. In quelle condizioni non c’era alcuna certezza.
 
***

La signora Dawber era una donna di particolare bellezza, il suo viso dai lineamenti gentili e delicati e i suoi grandi occhi castani le donavano un’aria dolce e innocente.
Quando il medico di turno la vide entrare nell’enorme atrio del Queen Mary’s Convalescent Hospital provò una profonda tristezza, era certo che non avrebbe potuto darle buone notizie, gli sarebbe spiaciuto essere causa della sua disperazione.
Alla fine si fece coraggio e si presentò con la sua solita professionalità.
«Buongiorno signora, sono il dottor Hales, posso fare qualcosa per lei?»
Lei rispose con evidente preoccupazione: «sono qui per far visita a un vostro paziente, il suo nome è Jack Dawber. Egli è mio marito»
Il medico notò che aveva pronunciato con particolare enfasi quell’ultima frase, come per sottolineare ancor più quel concetto.
«Suppongo che sia già stata informata a riguardo delle sue condizioni»
Lei si limitò ad annuire con un lieve cenno del capo.
«Io credo che dovrebbe prendersi un po’ di tempo prima, l’aspetto di suo marito non è più quello che lei ricorda. Potrebbe non riconoscerlo, per molti questa è un’esperienza dal forte impatto emotivo»
«Non vedo mio marito da prima della guerra, credo di aver già atteso abbastanza»
Hales non osò contraddirla: «d’accordo, se lei si ritiene pronta non ho nulla in contrario. Prego, mi segua»
La signora Dawber seguì il medico attraverso il lungo corridoio, Hales si fermò davanti alla porta.
La donna entrò nella camera fredda e asettica. Si avvicinò a con passi lenti e incerti al letto, ebbe un lieve sussulto quando notò le reali condizioni del ferito.
L’uomo che giaceva inerme sul materasso era deperito e deturpato. Il suo aspetto era ormai irriconoscibile, ma lei volle credere che il giovane che aveva conosciuto e di cui si era innamorata non fosse svanito per sempre.
«Jack…»
Egli riaprì gli occhi, immediatamente riconobbe la sua voce: «Catherine …»
«Sono così contenta che tu sia tornato» disse lei con la voce interrotta dai singhiozzi.
Dawber rimase in silenzio, in quel momento provò solo vergogna, non avrebbe mai voluto farsi vedere dalla donna che amava in quelle condizioni.
«Per quale motivo sei qui?»
«Volevo vederti»
Jack sospirò: «sono ridotto male, vero? Suppongo peggio di quanto pensassi»
«Io…sono solo felice che tu sia vivo. Ho davvero temuto di averti perso per sempre»
Dawber non poté restare insensibile davanti al sincero dolore della moglie.
«Per favore Jack, torna a casa con me e i bambini»
«Mi dispiace, non posso»
«Per quale ragione?»
Egli dovette sforzarsi per guardare la coniuge negli occhi.
«I nostri figli, che cosa potrebbero mai pensare di me?»
«Quei bambini hanno bisogno di un padre»
«Ho già deluso abbastanza tutti voi» affermò con rammarico.
«Siamo disposti a perdonarti»
«Dopo tutto quello che ho fatto?»
«So che non hai mai avuto cattive intenzioni. Hai commesso degli errori in passato, ma hai sempre cercato di fare del tuo meglio per la tua famiglia»
«Ho fallito come padre e come marito. Credevo che sareste stati felici senza di me»
«Come puoi aver pensato una simile assurdità?»
Dawber osservò il dolce viso di sua moglie.
«Oh, Catherine…ho sempre saputo di non essere abbastanza per te»
Lei si rattristò nel sentire quelle parole.
«Io non ho mai preteso nulla da te»
«Meriteresti un uomo migliore di me»
«Non ho mai desiderato nessun altro»
Dawber era certo che ella fosse sincera, forse era proprio questo a turbarlo.
«Ti prego, ti prometto che affronteremo tutto questo insieme come una vera famiglia»
«Tu…mi ami ancora?»
«Certo che ti amo»
Jack avvertì gli occhi umidi dalle lacrime: «anche se…se ora sono orribile?»
Catherine sfiorò la cicatrice sul suo volto con una lieve carezza.
«Tu non sei orribile. Sei l’uomo che ho sposato e il padre dei miei figli. Ti ho amato dal primo istante e ti amerò per sempre»
Jack strinse la sua mano: «mi dispiace per essermene andato quando avevi bisogno di me»
Lei tentò di rassicurarlo: «l’importante ora è che tu sia qui»
Dawber si commosse nel sentire quelle parole. Forse Hugh aveva ragione, nonostante tutto non era troppo tardi.
 
***

Horace osservò la scatola chiusa con ansia e preoccupazione, procurarsi la morfina diventava sempre più difficile e rischioso. George aveva le conoscenze giuste tra medici disonesti e spacciatori di periferia. Era sempre stato lui a procurarsi la droga. Waddington era certo che prima o poi sarebbe finito in qualche brutta situazione ed ora che ciò era davvero accaduto non poteva più ignorare la realtà.
George era steso sulla poltrona con un braccio fasciato, non aveva voluto dire troppo, solo che c’era stata una rissa e qualcuno aveva tirato fuori un coltello. Quei ragazzi avevano commesso un errore ad assalire un soldato, George si era difeso a dovere. Horace non aveva posto domande, il sangue sui suoi vestiti era stato un segnale di avvertimento.
Waddington aprì la scatola trovandola piena di fiale, ma notò subito che qualcosa non andava.
«Che cos’è questa roba?»
George sorrise: «credevi davvero che mi sarei fatto accoltellare per della schifosa morfina?»
«Dannazione, io non prendo eroina!»
Il suo compagno scoppiò in una risata nervosa.
«Che ti prende? Adesso vuoi sostenere di essere una brava persona?»
Waddington richiuse la scatola abbandonando il suo contenuto sul tavolo.
«La morfina mi serve solo per dormire»
«Sì, certo…»
«Non mi importa che cosa pensi di me, per quel che mi riguarda questa storia finisce qui»
«Dunque è così…ti credi migliore di me perché hai paura di sporcarti le mani?»
«Siamo entrambi stati in guerra, nessuno di noi ha paura di sporcarsi le mani!»
«Già…la guerra. È sempre colpa della guerra»
«Ascolta, non mi interessa che cosa inietti nelle tue vene, io ho chiuso con te!»
L’altro non parve particolarmente sorpreso: «sono certo che tornerai quando sarai rimasto senza morfina»
«Posso provvedere da solo a procurarmi ricette false, non mi serve più il tuo aiuto»
George avvertì la porta di legno sbattere alle sue spalle, rimase immobile sulla poltrona, pensando solo al fatto che in quel caso non avrebbe dovuto dividere il suo bottino con nessuno.
Horace rimase solo a riflettere sulla situazione. Era vero, era dipendente dalla morfina, su questo non aveva mai discusso, ma da quando era tornato dal fronte aveva tentato di mantenere la situazione sotto controllo. Annotava ogni cosa: numero di iniezioni, orari e dosi.
Non sapeva per quale motivo, forse in fondo sperava ancora di poter essere salvato.
 
***

Le giornate trascorrevano lente e noiose al St Thomas’s Hospital. Il tenente Green era stato trasferito in un reparto per soli ufficiali, a lui avevano riservato una stanza privata con un’ampia finestra che offriva una bella vista sul Tamigi.
Richard aveva avuto bisogno di tempo per riprendersi dal lungo viaggio che aveva messo a dura prova il suo fisico stanco e indebolito. Le sue condizioni restavano stabili, i medici sembravano ottimisti, ma non avevano ancora espresso alcuna opinione decisiva.
Richard trascorreva la maggior parte del tempo da solo da quando Finn era tornato nell’Essex per far visita alla sua famiglia. Il tenente non aveva molte distrazioni, ma almeno poteva trovare un po’ di compagnia quando i suoi commilitoni giungevano a fargli visita.
Quella mattina si presentò il sergente Redmond. Il sottufficiale era stato ferito nell’ultima battaglia e ancora faticava a camminare. Egli entrò zoppicando, reggendosi sulla stampella.
«Tenente, sono davvero felice di rivederla!»
Richard sorrise: «anche per me è un piacere ricevere la sua visita»
I due si intrattennero con una lunga conversazione, il sergente era sempre gentile e disponibile nei confronti del giovane ufficiale. Tra i due si era instaurato un rapporto sincero e profondo.
«Quando ho saputo che era stato ferito sul campo di battaglia ho davvero temuto il peggio» disse Redmond con apprensione.
«Per fortuna non ero solo, il mio attendente mi ha salvato la vita»
Il sergente non fu sorpreso da quella notizia.
«Il suo attendente ha dimostrato di essere davvero leale e fedele nei suoi confronti»
«Già…al fronte sono stato davvero fortunato ad avere qualcuno come lui al mio fianco»
«Quel ragazzo è importante per lei, e lo stesso vale per lui. Questo va oltre a ciò che è accaduto durante la guerra»
«Le cose qui sono diverse» affermò Richard con amarezza.
Redmond notò un velo di tristezza e rammarico nel suo sguardo.
«Signor tenente, lei ha già sofferto abbastanza a causa di questa guerra. Se ha trovato qualcosa di speciale in grado di renderla felice non dovrebbe lasciarla andare»
Richard fu colpito da quelle parole, il sergente era davvero un uomo buono e comprensivo.
«Non credo di averla mai ringraziata per tutto quello che ha fatto in questi anni»
«Non è necessario»
«Non deve essere stato semplice restare un punto di riferimento per i suoi uomini dopo la sua dolorosa perdita»
«Con Arthur è morta anche una parte di me, ma laggiù eravate tutti miei figli»
Richard rivolse al sergente uno sguardo colmo di rispetto e ammirazione.
Il sottufficiale si rialzò poggiandosi alla stampella: «è meglio che vada ora, lei ha bisogno di riposare»
«Spero di rivederla presto»
«Certamente. Arrivederci tenente, abbia cura di sé»
 
Dopo l’incontro con Redmond Richard rifletté attentamente sulla propria situazione. Per la prima volta si ritrovò a pensare seriamente al suo futuro, in fondo poteva ancora esistere una speranza dopo quella guerra.
Era ancora assorto in quei pensieri quando avvertì dei battiti alla porta.
Richard si stupì nello scoprire che secondo visitatore di quella giornata era il tenente Foley.
William si avvicinò lentamente al letto iniziando la conversazione con i soliti convenevoli.
«Ho saputo quel che è ti è accaduto, come stai?»
Richard poggiò la testa sul cuscino: «pian piano mi sto riprendendo. I dottori hanno detto che sono stato fortunato»
«Se non ti senti bene posso tornare un’altra volta. Sai…non vorrei disturbarti»
«No, puoi restare. A dire il vero sono felice di vederti»
Il tenente Foley si sistemò sulla sedia di legno accanto al ferito.
«Ho bisogno di parlarti di una questione importante» disse con tono serio.
«Di che si tratta?»
William guardò il suo commilitone negli occhi: «devo dirti la verità sulla morte di Albert»
Richard sussultò nel sentire quelle parole, in tutto quel tempo non aveva mai smesso di pensare a suo fratello, ma aveva perso ormai ogni speranza nel cercare la verità. Fino a quel momento aveva sempre temuto che fosse troppo tardi.
«Che cosa hai scoperto?»
Foley esitò prima di rispondere: «Albert non si è suicidato»
Richard abbassò tristemente lo sguardo.
«Forse è assurdo, ma…io credo di averlo sempre saputo»
William comprese le sue parole.
«Tuo fratello voleva accusare il caporale Randall per l’omicidio del soldato Flannigan. Aveva le prove e un testimone. È stato ucciso perché non si è lasciato corrompere dal marciume dell’esercito e perché era determinato ad ottenere giustizia»
«Dunque è stato davvero Randall ad ucciderlo?» chiese Richard con gli occhi umidi di lacrime.
William si limitò ad annuire con un lieve cenno.
«Ma…tu come hai fatto a scoprire tutto questo?»
«È stato lo stesso Randall a rivelarmi la verità. Durante l’ultima battaglia mi si è presentata l’occasione di interrogarlo e…io ho approfittato delle situazione»
Richard intuì che i metodi del suo compagno non erano stati del tutto leciti.
«Devo supporre che tu abbia già provveduto a denunciarlo»
William scosse la testa.
«Che diamine stai dicendo? Per quale motivo non dovresti consegnare quel bastardo alla giustizia?»
Foley prese un profondo respiro: «il colonnello Harrison avrebbe insabbiato il caso per la seconda volta e la faccenda si sarebbe conclusa senza che alcuna vittima potesse ottenere giustizia»
Richard rabbrividì nel sentire quelle parole: «questo significa che…»
«Già…in questo momento stai parlando con un assassino» confessò William.
Green fu scosso da un intenso brivido.
«Per quale motivo l’hai fatto?»
«Per mantenere fede alla promessa che avevo fatto ad Albert. Se l’assassino di tuo fratello fosse tornato in libertà tu cosa avresti fatto?»
Richard fu costretto ad essere sincero: «di certo non sarei rimasto indifferente. Avrei provato rabbia e rancore per questa ingiustizia. Probabilmente avrei cercato la mia vendetta»
«Adesso capisci? Non avrei mai potuto permetterlo»
«Ti sei macchiato le mani di sangue per proteggermi?»
William rimase impassibile: «l’ho fatto per Albert, prima della sua morte gli avevo promesso che avrei pensato a te»
Richard rimase colpito da quell’estremo gesto di fedeltà.
I due restarono a lungo in silenzio, fu Foley il primo a riprendere la parola.
«Ora che sai la verità è tua la scelta…»
Richard gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Puoi denunciarmi, sono un criminale a tutti gli effetti»
«Non potrei mai fare nulla di simile!»
«Tu hai ucciso mio fratello perché era tuo dovere, io invece ho scelto liberamente di giustiziare un mio commilitone. Alla fine tu sei un buon soldato ed io un crudele assassino»
«No, sai bene che in realtà non è così!»
Foley era ormai rassegnato: «a causa di questa guerra ho perso le due persone più importanti della mia vita. Non mi rimane più nulla, sono pronto ad affrontare le conseguenze delle mie azioni»
«Sei sempre stato un uomo onesto e leale, io credo che tu abbia dimostrato di meritare una seconda occasione»
William guardò il suo compagno, per un attimo in lui rivide Albert.
«Volevo che tu sapessi tutta la verità»
«Ti ringrazio per la tua onestà»
Il tenente Foley si rialzò, mosse qualche passo verso l’uscita, soffermandosi poi davanti alla porta.
«Non credo che ci rivedremo…»         
«So che non potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto»
«Mio fratello è stato condannato a morte, non posso incolparti per quel che è successo, ma non posso nemmeno dimenticare il fatto che sia stato tu a premere il grilletto»
Richard poté comprendere le sue motivazioni e apprezzò la sua sincerità.
«Suppongo che sia giusto così» concluse con profonda tristezza.
William gli rivolse un ultimo saluto: «addio tenente Green, è stato comunque un onore combattere insieme sul campo di battaglia»

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Capitolo 40
*** Dopo la guerra ***



XL. Dopo la guerra


Richard aveva scelto di portare avanti la sua carriera militare. La guerra in Irlanda aveva richiesto un nuovo impiego di unità e l’Esercito britannico necessitava di ufficiali competenti per addestrare le truppe. Green era l’uomo perfetto per quell’incarico, un eroe di guerra onorato e rispettato era l’ideale per istruire e motivare le reclute pima della partenza. Richard aveva ottenuto una promozione appena rientrato in patria, questa volta non aveva trovato motivazioni per rifiutare.
Nonostante il carattere rigido e severo e i suoi metodi austeri il capitano Green era apprezzato e benvoluto dai soldati. Era riuscito a conquistare la fiducia e la stima di quei giovani ancora ingenui ed inesperti. Inoltre tutti conoscevano le gloriose imprese del suo passato, anche se egli non parlava spesso della guerra.
Quel giorno al termine dell’addestramento alcuni giovani decisero di interrogarlo.
«Capitano, perché non ci racconta di come si è guadagnato la sua medaglia?» chiese uno di loro con anche troppo entusiasmo.
«Lo sapete bene che l’ho ottenuta combattendo contro i tedeschi»
«Sì, certo signore, ma non ci ha mai detto in che modo» insistette la recluta.
Green prese un profondo respiro: «durante un violento attacco io e i miei uomini ci siamo ritrovati circondati dal nemico. Era nostro dovere difendere la postazione ad ogni costo, così abbiamo resistito fino alla fine. Ho perso tanti soldati coraggiosi quel giorno, è stato versato molto sangue su quel campo di battaglia…»
«È durante questo scontro che è stato catturato dai tedeschi?»
Richard annuì: «già, sono rimasto prigioniero per quasi un mese»
«Deve essere stato davvero terribile. Mi hanno detto che i crucchi torturavano i prigionieri per trarre informazioni»
Il suo superiore negò: «non tutti i nemici erano dei mostri. Durante la mia prigionia sono sempre stato trattato con il giusto riguardo, stimo ancora quell’ufficiale tedesco, egli mi ha salvato la vita»
I ragazzi rimasero sorpresi da quelle parole.
«Al fronte è facile dimenticarsi degli uomini dietro alla divisa. Ovviamente è nostro dovere uccidere il nemico, ma anche la guerra ha le sue regole, un buon soldato deve considerare con onore e rispetto l’avversario»
Richard terminò il suo discorso, poi si allontanò dal campo di addestramento. Quei giovani erano tutti obbedienti e volenterosi, ma avevano ancora molto da imparare. A loro mancava l’esperienza, un giorno avrebbero compreso il vero significato delle sue parole.
 
Il capitano Green raggiunse la sua lussuosa Vauxhall D-Type, soltanto recentemente aveva scoperto la sua passione per i motori. Appena richiuse la portiera avvertì un grido.  
«Richard! Richard, aspetta!»
Il capitano riconobbe la voce del maggiore Miller.
«Che diamine succede? Non dirmi che ci sono problemi con la mia uscita, io e Smith questa settimana ci siamo scambiati i turni»
«No, no…è tutto a posto. Solo che…volevo chiederti una cosa»
Green gli rivolse un’occhiata perplessa.
«Io e gli altri pensavamo di andare a Londra per il fine settimana. Sai, per un ritrovo tra ufficiali. Ti andrebbe di unirti a noi?»
Egli scosse la testa: «mi dispiace rinunciare ad una bella sbronza in compagnia, ma ho altri programmi»
«Scommetto che preferisci andare fuori città»
«Già, hai indovinato»
Miller sorrise con aria beffarda: «prima o poi dovrai farci conoscere la tua donna»
Richard trasalì: «di che stai parlando?»
«Per te ogni scusa è buona per ritirarti nella tua casa al lago, ha tutta l’idea di essere una fuga romantica»
«La mia vita privata non ti riguarda!»
«Hai ragione, ero solo curioso…»
«Sei peggio di quei ragazzini» lo rimproverò.
«E tu sei davvero insopportabile con tutti i tuoi segreti!»
«Per farmi perdonare la prossima volta offrirò io il primo giro al circolo degli ufficiali»
Miller fu costretto a cedere: «d’accordo. Allora divertiti senza di noi!»
Richard mise in moto l’automobile, prima di varcare i cancelli della caserma rivolse un ultimo saluto al suo commilitone sporgendo il braccio dalla portiera.  
 
***

Come ogni mattina il dottor Jones iniziò il suo giro di visite. Dopo la fine della guerra il medico aveva continuato ad occuparsi dei soldati che avevano subito gravi traumi durante il conflitto.
La struttura in cui lavorava era una clinica specializzata in nevrastenia, l’istituto dopo l’armistizio si era riempito di militari tormentati. Il dottor Jones era stato lieto di tornare ad occuparsi del suo principale interesse medico, ovvero la neuropsichiatria. In trincea aveva dovuto dare la priorità alle sue doti di chirurgo, senza poter far molto per la mente dei malati.
Jones aveva avuto a che fare con le prime diagnosi di psicosi traumatica da guerra. Tra i tanti pazienti aveva ritrovato anche volti conosciuti, come nel caso del soldato Clifford. Egli soffriva di una grave nevrosi, non si era più ripreso dopo la terribile esperienza al fronte. 
Il sottotenente Waddington, ormai semplicemente Horace, era stato ricoverato a causa della sua dipendenza, ma la morfina era solo una conseguenza. Anche i suoi problemi erano legati alla guerra, incubi e allucinazioni non l’avevano mai abbandonato. La tragica morte del soldato McCall e il suicidio di Walsh erano stati eventi drammatici che avevano avuto un forte impatto sulla psiche del sottufficiale. Horace non era ancora riuscito ad affrontare i fantasmi del suo passato.
Jones era certo che Waddington stesse cercando di fare del suo meglio, sembrava davvero determinato a superare la sua dipendenza.
Purtroppo non tutti i pazienti erano così collaborativi, c’erano soggetti violenti con cui era difficile istaurare un rapporto di fiducia, oppure persone che avevano perso ogni ragione di vita e non trovavano altra soluzione che lasciarsi andare, rifiutando ogni genere di aiuto.
Il dottor Jones era consapevole di non poter salvare tutti gli uomini ricoverati in quella clinica, ma il suo intento era fare il possibile per non abbandonarli a se stessi, voleva dimostrare loro che non erano soli.
Mentre il mondo cercava di dimenticare gli orrori della guerra Jones aveva scelto di ricordare e rivivere gli eventi più traumatici del conflitto attraverso i suoi pazienti.
Anch’egli si era trovato nel mezzo di quell’Inferno, poteva ben comprendere il dolore di quei soldati, forse offrendo il suo aiuto ai suoi vecchi commilitoni stava cercando un modo per salvare se stesso.
 
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Finn era tornato più o meno alla normalità, le giornate trascorrevano tranquille e monotone.
Sua sorella aveva sposato un uomo d’affari, un tizio abbastanza ricco e importante da possedere un’azienda, così egli era finito per ottenere un contratto come impiegato.
Ovviamente era stata Mary a insistere, era preoccupata per la sua salute e aveva voluto assicurarsi che trovasse un lavoro adatto alla sua condizione.
Finn non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe ritrovato a vestirsi bene per presentarsi in ufficio, era chiaro che quello stile di vita non facesse per lui. Nonostante il disagio e la noia aveva accettato con benevolenza quell’impiego, di certo non poteva lamentarsi.
In ogni caso attendeva sempre con impazienza il fine settimana.
 
Anche quel sabato Finn giunse puntuale in stazione, prendeva il treno per Chelmsford, ma la sua meta era un anonimo paesino di campagna. Il medico gli aveva consigliato di trascorrere più tempo possibile nella natura, quella raccomandazione si era tramutata in un’ottima scusa per lasciare la città con una certa frequenza.  
Finn salì sul vagone e prese posto vicino al finestrino, il treno partì in orario. All’interno della cabina si udiva solo il fischio della locomotiva e il ritmico rumore delle rotaie.
Il giovane estrasse una lettera dal taschino della giacca, l’aveva ricevuta da un paio di giorni e ancora non aveva trovato il coraggio di aprirla.
Strinse la busta tra le mani, dopo qualche istante di esitazione decise di aprirla.
 
Caro Finn,
so che sarà difficile per te trovare la forza di leggere questa lettera, ma ti prego di concedermi un’ultima occasione per essere sincero nei tuoi confronti.
Avrei dovuto affrontare la questione molto tempo fa, ma non sono mai stato bravo in queste cose. Non ho scuse per averti trascurato in tutti questi anni.
Mi dispiace per non essere rimasto al tuo fianco quando avevi bisogno di me. Ero troppo testardo e presuntuoso per capire, ti ho ritenuto a lungo un traditore e mi vergogno per questo. Non voglio più permettere alle nostre divergenze politiche di rovinare il nostro legame.
Sono il fratello maggiore peggiore del mondo, mi sono accorto di quanto tu fossi importante per me soltanto quando ho rischiato di perderti per sempre.
Non posso rimediare ai mie sbagli, forse però sono ancora in tempo per redimermi. Ti chiedo scusa per come ti ho trattato in passato, sei mio fratello e voglio che tu sappia che nonostante tutto ti ho sempre voluto bene.
Spero che non sia troppo tardi per recuperare il nostro rapporto. Non dico che sarà semplice, ma forse potremmo provare.
Kieran

 
Finn ripiegò il foglio e lo ripose all’interno della giacca. Non sapeva come agire a riguardo, ovviamente era lieto di sapere che suo fratello fosse disposto al dialogo, ma la situazione era piuttosto delicata, entrambi avrebbero dovuto impegnarsi per cercare di salvare il loro rapporto.
Finn tornò ad osservare il panorama bucolico che scorreva davanti ai suoi occhi, in quel momento non volle pensare ad alcun tipo di preoccupazione.
 
***

Hugh si incamminò verso casa attraversando il caotico e nebbioso quartiere industriale. Percorse strade sporche e polverose, vagando come un fantasma si ritrovò di fronte a un paesaggio triste e uniforme, le costruzioni in mattone erano avvolte da nubi di intenso fumo nero.
Gli operai parlavano a bassa voce e camminavano con il capo chino e lo sguardo a terra. I loro volti anneriti dal carbone erano segnati dalla fame e dalla fatica.
L’Inghilterra sembrava essersi dimenticata in fretta dei suoi eroi, anche Hugh era stato costretto ad accettare lavori degradanti e turni massacranti per riuscire a portare a casa una paga soddisfacente.
I sindacati avevano iniziato la loro lotta per i diritti, ma Hugh era stanco di combattere. Forse era un codardo come lo definivano i suoi compagni, ma aveva una famiglia da mantenere e delle bocche da sfamare. Poteva condividere certi ideali politici, ma per questo non avrebbe lasciato morire di fame i suoi figli.
Hugh svoltò l’angolo, sul lato opposto della strada notò un mendicante. L’uomo si reggeva su una stampella, gli mancavano un braccio e una gamba, il suo volto era per metà fasciato e sfigurato.
Il giovane provò un profondo dolore davanti a quella scena, questo era il destino di tutti quei soldati rimasti feriti al fronte.
Inevitabilmente Hugh ripensò a Dawber, dopo la guerra aveva ricevuto una sua lettera, il suo vecchio compagno gli aveva scritto per informarlo sulle sue condizioni e per ringraziarlo. Hugh aveva trovato assurdo il fatto che Jack avesse voluto esprimere gratitudine nei suoi confronti, era stato lui a salvargli la vita. In ogni caso era contento che anch’egli avesse ritrovato l’affetto della sua famiglia, nonostante tutto era stato fortunato.
Hugh si avvicinò al mendicante e lasciò cadere alcune monete nel barattolo poggiato a terra. Mentre compiva quel gesto incrociò il suo sguardo. Conosceva bene gli occhi di quello sconosciuto, li rivedeva ogni notte nei suoi incubi.
L’uomo rimase a fissarlo in silenzio. Hugh si ritrasse e si affrettò ad attraversare la strada, improvvisamente desiderò soltanto allontanarsi da quella persona il più velocemente possibile.
Tentò di reprimere la voglia di piangere stringendosi nella sua giacca e confondendosi tra la folla. 
In quell’istante, quando si era trovato davanti al suo sguardo, aveva provato un’intensa sensazione di orrore e vergogna. Quegli occhi tristi e vacui continuavano a fissarlo.
Egli era sopravvissuto incolume alla guerra, non credeva di meritarlo più di Dawber o di quel povero mendicante.
 
Hugh si rassicurò soltanto quando si ritrovò all’interno delle sicure mura domestiche, la sua mente gli giocava brutti scherzi quando riaffioravano le memorie della guerra.
Si riprese da quei cupi pensieri avvertendo le allegre voci dei bambini e quella dolce e serena della moglie.
Egli proseguì lungo il corridoio affacciandosi all’entrata del salotto, Edith stava intrattenendo i bambini raccontando loro una storia. La piccola Grace si era ormai addormentata tra le braccia della madre, mentre Eddie ascoltava con attenzione e interesse la narrazione.
Hugh rimase immobile sulla soglia ad osservare la scena in silenzio. In quel momento ripensò a Friedhelm, interrogandosi sul suo destino. Al fronte aveva fatto tutto il possibile per salvarlo, in lui aveva riconosciuto il suo medesimo desiderio di pace e salvezza. Sperava davvero che quel tedesco fosse riuscito a tornare dalla sua famiglia.
Hugh tornò a prestare attenzione ai suoi cari, il loro amore restava il suo unico conforto.
 
***

Finn prese un profondo respiro, l’aria fresca e pura era una sana cura per i suoi polmoni che ancora soffrivano a causa dei danni provocati dal cloro.
In quella piccola radura regnavano solo pace e tranquillità. Il mite silenzio era interrotto solamente dai rumori della natura. La luce che filtrava tra gli alberi dava vita a magici giochi di luce, i colori del cielo e della foresta si rispecchiavano nelle limpide acque del lago. Non era difficile comprendere il motivo per cui John Constable avesse deciso di lasciarsi ispirare dagli incantevoli paesaggi dell’Essex.
Richard si sedette sulla riva del lago per ammirare il tramonto.
«Io e mio fratello venivamo spesso qui quando eravamo ragazzini» disse con tono malinconico.
Finn si posizionò al suo fianco poggiando dolcemente la testa sulla sua spalla.
«È davvero un posto speciale»
Richard non poté far altro che concordare con le sue parole. Quello era l’unico luogo dove potevano vivere liberamente il loro amore. Il tempo a loro disposizione era sempre limitato, ma in guerra avevano imparato a valorizzare ogni singolo momento in cui potevano stare insieme.
Finn si strinse ancor più contro il suo petto, in cerca di calore e affetto.
Richard prese la sua mano, stringendola delicatamente. Quel rapporto, nato e consolidato sul campo di battaglia, era sempre stato puro e sincero. Entrambi avevano dimostrato più volte di tenere davvero l’uno all’altro. Avevano superato ogni genere di avversità, restando fedeli alla loro promessa.
Dopo la guerra nulla di tutto questo era cambiato, il loro amore restava la loro unica certezza.
Finn alzò la testa per guardare il suo compagno negli occhi, esprimendo in silenzio i suoi sentimenti.
Richard sfiorò il suo viso con una carezza, poi cercò le sue labbra con un intenso bacio. 
I due restarono uniti in quel tenero abbraccio, non avevano bisogno d’altro per essere felici.
 
 
 
 


 
 
 
Ringraziamenti
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno voluto accompagnarmi in questa avventura, seguendo le vicende dei miei personaggi dall’inizio alla fine.
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94Old FashionedSaelde_und_EhreEnchalottpaige95Vanya Imyarek e vento di luce per il gentile e costante sostegno^^

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