Again

di Ksyl
(/viewuser.php?uid=1051760)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Tre ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***
Capitolo 11: *** Undici ***
Capitolo 12: *** Dodici ***
Capitolo 13: *** Tredici ***
Capitolo 14: *** Quattordici ***
Capitolo 15: *** Quindici ***
Capitolo 16: *** Sedici ***
Capitolo 17: *** Diciassette ***
Capitolo 18: *** Diciotto ***
Capitolo 19: *** Diciannove ***
Capitolo 20: *** Venti ***
Capitolo 21: *** Ventuno ***
Capitolo 22: *** Ventidue ***
Capitolo 23: *** Ventitre ***
Capitolo 24: *** Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Venticinque ***
Capitolo 26: *** Ventisei ***
Capitolo 28: *** Ventisette ***
Capitolo 28: *** Ventotto ***
Capitolo 29: *** Ventinove ***



Capitolo 1
*** Uno ***


1

Camicia blu o camicia bianca? Quale cravatta? Che cosa sarebbe stato maggiormente indicato per la serata a cui si accingeva a partecipare con il peggior stato d'animo di sempre?
Si sarebbe annoiato, ne era certo, così come lo era del fatto che avrebbe rimpianto di esserci andato. Ma non poteva fare altrimenti, non poteva tirarsi indietro; era stato invitato dal sindaco in persona che, come sempre, si era premurato di fargli sapere che teneva particolarmente alla sua presenza e non avrebbe ammesso defezioni. Forse la ragione era che si annoiava anche lui.

Sospirò. Estrasse meccanicamente dall'armadio abiti - ne aveva un buon numero - adatti all'occasione troppo formale che avrebbe preferito con tutto il cuore disertare. Era stanco di tutto quell'inutile affannarsi. Del vuoto che provava quando era costretto a impegnarsi nelle solite chiacchiere di nessuna importanza con persone di cui non avrebbe ricordato il nome e dei sorrisi poco autentici che si sarebbe costretto a esibire perché era quello che ci si aspettava da lui. Da tutti. Della sensazione di aver perso tempo, aver perso qualcosa di essenziale, di cui provava nostalgia senza saperlo identificare.
Non si stava avviando al patibolo, ricordò a se stesso. Solo a qualche ora di socialità forzata per sopravvivere alla quale non sarebbe bastato tutto lo champagne che sarebbe scorso a fiumi. In quel senso il sindaco non avrebbe badato a spese, era l'unica certezza che gli dava un po' di conforto.

Avvertì il frastuono mentre era ancora in ascensore, un brusio indistinto su cui spiccava qualche nota stridula che gli fece contrarre lo stomaco. Fu tentato di premere il pulsante che l'avrebbe riportato a piano terra e lontano da lì. Represse l'istinto di fuggire. Forse con l'età si stava inesorabilmente trasformando in un orso desideroso di starsene in disparte molto di più di quanto la società gli avrebbe mai consentito di fare.
O forse aveva disperatamente bisogno di un cambiamento. L'idea lo risollevò. Sì, doveva trattarsi di quello. Da troppo tempo non si prendeva una vacanza, gli serviva qualcosa di nuovo, magari avventuroso, lontano dalle abitudini che, senza rendersene conto, avevano preso il sopravvento nella sua vita, livellandola su tonalità sempre più incolori.
Le porte dell'ascensore si spalancarono mentre sognava a occhi aperti orizzonti ancora indefiniti che gli avrebbero riportato quel guizzo ormai sbiadito che era sempre stata la sua caratteristica principale
Raddrizzò le spalle e senza nessuna difficoltà scivolò nell'abituale maschera di cordialità con cui avrebbe celato le sue vere emozioni. E tutto quello che pensava dell'allegra combriccola che lo accolse festante.

La vide subito. Non sarebbe stato possibile altrimenti, si disse. Il suo sguardo venne catturato dalla figura di lei proprio come era successo la prima volta, diversi anni prima, quando si era presentata al suo cospetto a causa di una serie di omicidi che rispecchiavano un po' troppo fedelmente i suoi romanzi e che necessitavano quindi del parere di un esperto. Il suo. Una consulenza che era stato molto felice di accordare alla polizia di New York, nelle vesti del suo miglior detective.
Era stata lei l'unica a cogliere prontamente il collegamento tra eventi apparentemente sconnessi, dimostrando così di aver letto con molta attenzione i suoi libri. Tutti quanti. Scoprirlo lo aveva lusingato, anche se era abituato a essere riconosciuto ovunque andasse e a imbattersi nei suoi fedeli lettori con una assiduità che non si era esaurita nel tempo.

Era stato l'inizio di qualcosa di intrigante, un incipit su cui avrebbe voluto mettere mano per raccontare una storia diversa e insieme una boccata d'aria pura che però si era esaurita troppo in fretta. Anche allora si era sentito inspiegabilmente ammaliato da lei, fin da quando si era voltato e se l'era trovata davanti, imperiosa e inaccessibile come poi si era rivelata essere. Aveva fatto ricorso a tutto il fascino di cui era naturalmente provvisto - così aveva sempre creduto - convinto che l'avrebbe fatta capitolare nel giro di poco. Era un uomo irresistibile, il mondo glielo ricordava con puntuale generosità.

Non era andata così. Tutti i suoi tentativi di galanteria, anche quelli più sofisticati, una volta eliminati gli approcci grossolani, erano stati rispediti al mittente con educazione, ma anche con una disinvolta indifferenza che lo aveva fatto ammattire.
Non si era dato per vinto, nossignori.
Alla fine del loro primo e unico caso insieme, risolto troppo in fretta per i suoi gusti e dopo che lei aveva rifiutato con fermezza qualsiasi genere di approccio, aveva dovuto inventarsi qualcosa di diverso.
Aveva tentato di introdursi nella sua vita – lavorativa, tanto per cominciare – con un piano che gli era sembrato inattaccabile: voleva scrivere un romanzo su di lei. Su quell'affascinate detective dalla mente affilata e dai molti misteri. Non era un inganno, gli sarebbe piaciuto costruirle intorno un mondo narrativo alla sua altezza, conoscerla meglio per presentarla al pubblico in tutte le sue sfaccettature. Era sicuro che ce ne fossero molteplici.

Si era rivolto al sindaco che l'aveva assecondato e aveva fatto pressioni sul distretto. Non aveva funzionato. Perfino Montgomery, il suo capitano di allora, era stato d'accordo con quelli che erano sembrati a tutti solo dei sotterfugi per uscire con lei e gli aveva dato volentieri una mano. Lei aveva detto di no. No e basta. E aveva continuato a ripeterlo, nel generale sconcerto, e nella sua crescente ammirazione e frustrazione. No, non lo voleva intorno. No, non era lusingata dalla sua stravagante idea di sceglierla come protagonista dei suoi romanzi. L'esperienza del singolo caso risolto con lui non doveva averla impressionata. Peggio, l'aveva convinta a tenerlo il più possibile lontano da tutto ciò che la riguardava.
Non aveva nessuna intenzione di perdere tempo a fare da balia a un milionario viziato. Si era espressa proprio così, l'aveva sentita lui stesso esprimersi così. Era rimasto spiazzato.

Alla fine aveva rinunciato. Era stata categorica al punto da fargli temere che avrebbe solo peggiorato la situazione, insistendo. L'aveva a malincuore salutata.
Con l'orgoglio a pezzi, si era detto che un rifiuto non era la fine del mondo, lei non era niente di speciale, in fondo. Forse era stato vittima di un abbaglio, si era impuntato per un capriccio.
Forse ci sarebbe state altre occasioni in futuro, del resto vivevano nella stessa città, non sarebbe stato difficile incontrarsi casualmente e riprovarci con meno irruenza, prendendosi il tempo necessario. Non ce n'erano state. Non l'aveva mai più rivista.

Guardandola con discrezione, ancora incredulo che l'occasione si fosse materializzata all'improvviso e senza segnali premonitori, si chiese invece se non si fosse arreso troppo presto, troppo in fretta. Forse avrebbe dovuto perseverare. Non subito, magari. Solo dopo qualche tempo, dopo aver lasciato decantare le cose. Perché non l'aveva più invitata fuori? Perché si era fermato al primo, deciso "No"?
Era molto diversa, osservò tra sé. Appariva molto più sofisticata, con un diverso taglio di capelli – era stato adorabile quello di un tempo, la rendeva sbarazzina nonostante il ruolo che ricopriva – e un'aria più autorevole e ancora più impenetrabile di quel che ricordava. Non era però cambiata la sua magnetica bellezza che aveva sempre il potere di confonderlo. Il cuore iniziò lievemente ad accelerare e un timido accenno di euforia si impossessò di lui. Forse dopotutto non si sarebbe annoiato. Forse era valsa la pena presentarsi controvoglia per scoprire che la vita gli aveva dato un'altra opportunità. O forse stava solo correndo troppo.

Sentì qualcuno chiamarlo da lontano, interrompendo i suoi pensieri. Modellò le labbra in un sorriso per nulla spontaneo e si guardò intorno, senza mettere a fuoco nessun volto a lui familiare. Fece un blando gesto di saluto, augurandosi che bastasse a tenere lontani gli scocciatori. Aveva ben altro di cui occuparsi. Quando fu libero di tornare a concentrarsi su di lei, si accorse di averla persa di vista.
Non riuscì a scorgerla da nessuna parte. Sperò che non si fosse trattato di un sogno a occhi aperti. Forse la vecchiaia iniziava a fargli brutti scherzi. Curioso, però, che tra tutte le variabili possibili, il suo inconscio avesse messo in scena proprio un'occasione mancata. Uno dei suoi rimpianti. Forse il più grande.
Doveva essere di umore più cupo di quanto avesse creduto se si trovava a ragionare in quei termini. Non aveva mai avuto rimpianti, non avrebbe di certo iniziato adesso con le recriminazioni. Lui era baciato dalla sorte, non la rincorreva piagnucolando e pretendendo ricompense. Per distrarsi, prese al volo un bicchiere di champagne da un vassoio di passaggio. Non aveva ancora bevuto niente, forse era quello il motivo delle sue riflessioni meno ottimistiche del solito.

"Ehi, Rick".
Sorrise, di nuovo, questa volta in modo più genuino, riconoscendo la voce del sindaco, che gli mise una mano sulla spalla. "Non credevo che ti saresti presentato, visto quanto è stato difficile convincerti a venire. Per farmi perdonare voglio farti incontrare una persona che sono sicuro ti farà piacere vedere".
Lo dubitava. C'erano sempre persone che era importante fargli conoscere, sconosciuti di cui non avrebbe mai serbato il ricordo, con i quali sfoderava gentilezza e buone maniere, seguendo diligentemente le regole del gioco che, un tempo, aveva accettato volentieri. Gli era piaciuto far parte di un gruppo ristretto di persone che lo avevano accolto come se fosse stato uno di loro, che lo avevano apprezzato e adulato.
Sospirò impercettibilmente, attento a non farsi notare per correttezza nei riguardi dell'amico di vecchia data, che non aveva nessuna colpa per il suo malumore e si voltò, pronto a fare una delle sue battute e a insistere contro ogni evidenza di essere contento di essere lì.
Ammutolì.

"Signor Castle, è un piacere rivederla".
Kate Beckett era davanti a lui, sorridente e gentile in modo impeccabile. Forse lievemente guardinga, realizzò dopo averla fissata attonito per qualche secondo di troppo. E spaesata, anche se tentava di non darlo a vedere. Ma non era il caso di caricare di significati qualcosa che, con ogni probabilità, era solo dentro la sua testa ancora turbata dall'incontro. Kate allungò una mano verso di lui.
Abbandonò il bicchiere sulla prima superficie disponibile – un diversivo che gli diede il tempo di riprendere fiato – e ricambiò il gesto trattenendo la mano tra le sue più a lungo di quanto non fosse necessario. O accettabile. La vide adombrarsi e indietreggiare.
"Detective Beckett, è davvero un piacere, un enorme piacere..." disse sorridendole a sua volta.
Che diavolo gli prendeva? Si metteva a parlare come un libro stampato in versione scadente? Aveva solo voluto porre rimedio al passo falso che l'aveva fatta irrigidire, ma aveva decisamente esagerato con l'enfasi.
Si trovava in balia di emozioni ingarbugliate che gli ottenebravano la mente e gli impedivano di gestire nei dovuti modi una normale occasione di incontro. Rick, riprenditi, si rimproverò in silenzio, o farai la figura dell'idiota, peggiorando una situazione già brutta in partenza.

"Capitano", lo corresse il sindaco, introducendosi nel discorso, forse per salvarlo da se stesso. "Non segui la cronaca locale, Rick? È appena stata nominata capitano del dodicesimo distretto, quello che hai frequentato anche tu, anche se solo per poco".
Era proprio necessario sottolinearlo? Ricordava benissimo i giorni trascorsi con lei, sedendole accanto, seguendola felicemente in giro per la città, l'atmosfera di cameratismo, le loro menti perfettamente in simbiosi, la persistente sensazione di euforia. La bolla che gli era scoppiata in faccia.

Il sindaco si interruppe, lanciando un'occhiata alle sue spalle. "Scusate, credo abbiano bisogno di me altrove". Si congedò da loro, quasi rammaricato all'idea di andarsene. Castle non era affatto dispiaciuto, anche se dovette fingere il contrario. Era molto più che felice di poter rimanere da solo con lei, senza altre presenze che potessero distrarli e senza essersi dovuto inventare chissà quale elaborato piano per non apparire molesto.
"Capitano, allora. Congratulazioni, Kate". Continuava a sorriderle – a quel punto temeva gli sarebbe venuta una paresi in volto –, improvvisamente intimidito dalla sua presenza. In più pronunciare il suo nome ad alta voce gli aveva provocato qualche brivido di troppo.
Era passato molto tempo, ma, scoprì, non aveva del tutto superato quella sensazione di sconfitta con cui si era precipitosamente chiuso quel breve capitolo della sua vita, che ora ritrovava intatta e che gli faceva ardere le guance.
Non aveva idea che quel sentimento sgradito fosse rimasto dentro di lui, pronto a palesarsi alla prima occasione. Sperò di riuscire a camuffarlo. Non gli andava di farsi vedere da lei meno che in splendida forma.

"Grazie", si limitò a rispondere lei. A quanto pareva nessuno dei due era un pozzo di argomenti quella sera, meglio cambiare in fretta rotta o se la sarebbe fatta sfuggire di nuovo nel giro di pochissimi secondi. E ne aveva abbastanza di dolersi degli errori commessi.
"Sono sempre stato sicuro che la carica di capitano sarebbe stato il passo successivo. So riconoscere un grande talento quando lo vedo".
Era stato sincero. Ed era orgoglioso di lei, per quanto assurdo potesse apparire. Di fatto, era poco più di una sconosciuta, anche se aveva avuto fin da subito la sensazione di conoscerla da sempre. Stranamente, lo pensava anche adesso.
"Davvero?"
Lo guardò incuriosita, ma rimanendo piuttosto neutra. Fredda, quasi. Nessuna traccia di ironia nel suo interrogativo, che anzi pareva sottintendere cortese interesse, ma niente di più. Forse era troppo beneducata per sbarazzarsi di lui. Si alterò al pensiero. Era tanto terribile la sua compagnia? Perché riusciva gradito a chiunque tranne che a lei?
"Sì", rispose incerto.
"Grazie a quell'unico caso di tanti anni fa?"
Si sentì messo alle strette. Sorvolò su tanti anni fa. Non ne erano passati così tanti. A lui pareva successo solo il giorno prima.
"Vedo subito le potenzialità delle persone, anche prima di loro stesse. È una specie di dono... innato", farfugliò al colmo della disperazione.

Lo sguardo divenne divertito. Era la sua peggiori performance di sempre, se ne rendeva conto da solo. Suonava pomposo e banale alle sue stesse orecchie, quando il suo unico intento era stato quello di farle un complimento spontaneo. E magari di impressionarla e convincerla finalmente a uscire con lui.
"Non ha mai pensato a una carriera da profiler, signor Castle? L'FBI ha bisogno di persone che abbiano la sua spiccata capacità di comprensione del prossimo. Ricordo anche una notevole propensione a identificarsi alla perfezione con la mente degli psicopatici. Perché non prova a fare domanda e mettere a servizio della comunità queste sue... doti?"
Lo stava prendendo spietatamente in giro, anche se con molto garbo, doveva riconoscerlo. Scoppiò a ridere.
"D'accordo, la mia è stata una pessima uscita. Volevo solo congratularmi per un traguardo più che meritato. Forse avrei dovuto limitarmi a quello".
Per tutta risposta Kate gli sorrise luminosa e senza nessuna traccia di canzonatura. Un calore inaspettato si diffuse nel suo corpo. "Non eravamo già oltre il Signor Castle?", aggiunse. "Ricordavo che fossimo in rapporti meno formali durante la nostra indagine. Direi quasi amichevoli".
"Io li definirei più che altro catastrofici, ma non voglio rovinare le tue illusioni, Rick".

Si voltò e lo piantò in asso, non prima di avergli lanciato un'occhiata divertita. Gli aveva anche fatto l'occhiolino? Era sempre la stessa, pensò sbigottito e in preda a una ritrovata e totale ammirazione nei suoi confronti. Era sardonica e amava andare dritta al punto, e aveva mantenuto intatta l'insopprimibile voglia di punzecchiarlo, che lui aveva trovato incantevole allora come adesso, insieme alla capacità di coglierlo di sorpresa e azzerare qualsiasi reazione che non lo rendesse uno stoccafisso. Come era precisamente in quel momento.

Bentrovati a tutti, spero di cuore che stiate bene e vi siate ripresi dalla quarantena e da tutto quello che è successo.
Vorrei lasciare una breve premessa prima di continuare.

Ho iniziato a scrivere la ff durante il lockdown, anche se ho avuto l'idea molti mesi prima, quando dovevo ancora finire "Away". Vorrei poter dire che questa storia è stata l'antidoto all'ansia e alla stanchezza di quei giorni terribili e che mi ha aiutato a evadere almeno per qualche ora dal suono continuo di ambulanze ed elicotteri. Non è così. Per molti giorni non sono riuscita a scrivere nulla, nonostante lo volessi, sopraffatta dalla situazione, che definirei tragica, della mia regione, del mio quartiere e soprattutto della città dove sono nata e dove vive tutta la mia famiglia (Bergamo), preoccupata per loro, per me, per i miei vicini, per le persone care di amiche che ho conosciuto proprio grazie a Castle.

Una in particolare è l'unico motivo per cui questa ff è stata partorita e ha continuato – lentamente – a crescere. È giusto darle credito totale. Non mi ha mai fatto mancare supporto ed entusiasmo (e consulenza legale qui e là), nonostante certe sere ce ne fosse ben poco da entrambe le parti, tra un bollettino medico e l'altro e con in mezzo un capitolo castelloso a far da contorno. Non dimentico i suoi commenti notturni ai capitoli pieni di affetto e di cuori e di voglia che io continuassi. Grazie. È una perla rara (e nascosta).

La pandemia ha cambiato molte cose per me, per esempio non sono quasi più sui social. Non ho molta voglia di interagire, devo ancora fare i conti con gli spaventi che ho preso, come immagino sia successo a molti, ognuno con esperienze personali e diverse. Quindi mi perdonerete se anche qui non sarò comunicativa e non risponderò, anche se apprezzo qualsiasi forma di attenzione che vorrete dedicare alla storia, come sempre.

Venendo a noi, so che che questa ff ha un tema di partenza che non è molto apprezzato (ma che si vedrà poco più avanti). Ma è la ff che volevo scrivere, nessun'altra. E la amo proprio così. Non so quando e con che frequenza pubblicherò, perché non sono in grado di fare previsioni o assicurare la mia solita dedizione e fedeltà agli impegni. Vi ringrazio fin da ora per tutto.
A presto, Silvia

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Tre ***


3

"Mi piacerebbe molto continuare la nostra conversazione sulle tue eroiche gesta, quelle che ci hanno permesso di salvare il mondo e la serata, ma devo passare al distretto a occuparmi di alcuni documenti", lo apostrofò Kate con un sorriso in cui lesse chiaramente il suo cortese ma fermo proposito di porre fine al loro incontro.

Era appena tornata da lui dopo che erano stati inopportunamente interrotti da un agente di polizia nell'istante esatto in cui lei avrebbe dovuto rispondere all'interrogativo che gli premeva più di tutti, riguardo ai loro rapporti passati. Avevano bisogno di una sua dichiarazione, Capitano, le spiaceva...? Dal modo in cui Kate si era dichiarata disposta a fornire tutto l'aiuto necessario si sarebbe detto che avesse accolto con sollievo l'opportunità di evitare di dare la sua versione dei fatti.

Fu deluso dalle sue parole e da quello che sottintendevano. Era normale che, vista la sua posizione di rilievo ed essendosi casualmente trovata in quella che solo per caso – o per il loro intervento congiunto - non si era trasformata in una scena del crimine, non potesse trattenersi a chiacchierare con lui. Ne era consapevole e non si sarebbe lamentato. Non ad alta voce. E pazienza se non fosse riuscito a farle confessare il motivo per cui anni prima avesse posto fine in modo categorico alle sue malriposte speranze. Poteva farsene una ragione.
Era però stato convinto che la serata non si sarebbe conclusa tanto bruscamente, ma che avrebbero invece lungamente rievocato quelle che lei aveva definito, prendendolo in giro unicamente come atto diversivo, gesta eroiche – ma che per lui erano invece il trionfo della loro innegabile compatibilità, su questo non avrebbe mai cambiato idea – in un ambiente più consono, lontano dalla confusione e senza il rischio di essere disturbati da poliziotti deferenti che quasi si inchinavano al suo cospetto. Ok, non si inchinavano, ma davano l'impressione che lo avrebbero fatto senza pensarci due volte.
Scoprire che invece sarebbe finito tutto in maniera fulminea e definitiva lo scoraggiò. Peggio, fu per lui come una doccia fredda. Non era pronto ad andarsene. Non era pronto ad arrendersi, di nuovo. Senza tenere conto del fatto che, preso in contropiede o frastornato da quanto successo, non aveva ancora avuto la presenza di spirito di progettare dei modi che favorissero future occasioni di frequentazione, che a quel punto erano l'unica cosa che gli stava a cuore.
Gli sembrò che gli stesse sfuggendo di mano senza che lui potesse opporsi, una sensazione che aveva già sperimentato in passato e che non era diventata più gradevole nel frattempo.

"Credevo che delle scartoffie si occupasse la tua squadra di detective". La sua squadra. Gli piaceva dirlo ad alta voce e ripeterselo nella mente con fierezza.
"Non so che idee tu ti sia fatto, ma la vita da capitano è perlopiù costituita proprio da scartoffie", rispose Kate facendo un piccolo sospiro. "Senza considerare che in questo caso la faccenda è più complessa, essendo stato coinvolto un personaggio di spicco della comunità. Ci saranno conferenze stampa, dichiarazioni ufficiali da preparare insieme al consiglio direttivo e ovvie ingerenze dai piani alti. È meglio che me ne occupi io e il prima possibile".
"Vengo con te", le propose senza pensarci.
Lo scrutò con una punta di inquietudine. Corresse il tiro, per evitare di apparirle come uno squilibrato disposto a seguirla ovunque, ne avevano già avuti abbastanza per quella sera. "Avrai bisogno della mia deposizione, dato il mio ruolo nella vicenda", chiarì.
"Come se fosse possibile dimenticarmene". Poteva giurare di aver visto un sorriso aleggiarle sulle labbra, nonostante il tono sarcastico. "Ti ringrazio per l'offerta, ma non è necessario. Sono sicura che il sindaco avrà bisogno del tuo supporto e in ogni caso ci sarà tempo per le deposizioni. Ti farò convocare da qualcuno al distretto quando lo riterremo opportuno".
Trovava stuzzicante sentirla esprimersi in modo così formale, ma non aveva nessuna intenzione di darle retta.

"Perché perdere tempo, con tutto quello che avrai da fare? Sono pronto a offrire il mio contributo e ho la macchina parcheggiata proprio qui sotto. Ci metteremo cinque minuti".
"Intendi la tua Ferrari?" domandò dubbiosa.
"Hai problemi con le auto di lusso?"
Curioso come ricordasse certi dettagli della sua vita. In realtà era convinto che allora non ci fosse stato il tempo di far menzione dei suoi gusti in fatto di automobili. Come faceva quindi a saperlo?
Era evidentemente combattuta di fronte alla sua proposta, giudicò osservandola. Da un lato era felice di aver azzeccato il punto debole su cui far leva per ammorbidire le sue resistenze, ma dall'altro era sconfortato all'idea che queste resistenze fossero ancora tanto solide e fossero state prontamente riattivate.
"D'accordo", accettò infine con riluttanza. "Ma solo perché in questo modo ci sbrigheremo in fretta e non ci sarà bisogno di farti tornare nei prossimi giorni. Ti avviso però che sarà una procedura lunga e molto noiosa".
"Sarò felice di essere d'aiuto al sindaco e alla mia città dedicandomi ad attività noiose in tua compagnia", rispose compito.
Era certo che volesse impugnare di nuovo l'arma e freddarlo sul pianerottolo, ma il buonsenso ebbe la meglio. Forse non aveva voglia di attardarsi a riempire ulteriori documenti per giustificare un tentato omicidio spacciato per legittima difesa.

Attese paziente a ridosso dell'uscita, mentre Kate finiva di dare disposizioni ai poliziotti intervenuti.
Era profondamente colpito dall'aura di autorevolezza che emanava in modo tanto naturale. Era una delle prime cose che aveva notato in lei, ma con il tempo e l'importante ruolo istituzionale che ora ricopriva quel tratto si era trasformato in qualcosa di più tangibile. Nessuno avrebbe mai contraddetto i suoi ordini, nonostante, o proprio grazie alla pacatezza con cui li esprimeva, senza dubbio alcuno che sarebbero stati rispettati. La promozione le calzava a pennello e aveva messo in luce, valorizzandole, alcune delle sue caratteristiche innate.

"Ho finito, possiamo andare", annunciò Kate dopo pochi minuti. La aiutò a infilarsi la giacca. Era un semplice gesto di buona educazione. Non dovevano comportarsi in modo barbaro solo perché erano finiti in una situazione di emergenza. "Ma ti chiedo di muoverti con discrezione, se la tua natura lo contempla", lo ammonì.
Era davvero preoccupata, notò con una punta di allegria.
"Ti vergogni a farti vedere con me?"
"Tra le mie attività preferite non c'è quella di comparire davanti ai giornalisti che staranno assediando il quartiere insieme a uno degli scapoli più ambiti della città e finire sulla pagina dei pettegolezzi".
Si era informata su di lui in quegli anni? Come faceva a conoscere la sua situazione sentimentale con tanta precisione? Era quasi lusingato da tanto interesse.
"Abbiamo un ottimo motivo per uscire insieme da qui. Siamo gli eroi della serata", le ricordò.
"E immagino che tu non veda l'ora di farlo sapere a chiunque, ma io vorrei mantenere un profilo più basso, se non ti spiace".
"In questo caso sarai felice di sapere che il palazzo è provvisto di un'uscita secondaria".
Kate inarcò un sopracciglio. "Perché non mi stupisco che tu ne sia al corrente?"
Era una sua impressione o lei aveva un tono lievemente risentito?
"Anche se mi piacerebbe, devo informarti che il motivo non è quello che credi. Conosco l'edificio perché vengo spesso a giocare a poker con gli amici. Tutti uomini. Non sono stato costretto a fuggire di nascosto da nessuna amante segreta", le spiegò divertito.
"La tua vita sentimentale non mi riguarda, ovviamente", replicò impettita.
"Ovviamente", la assecondò nascondendo un sorriso compiaciuto. "Preferisci quindi uscire dall'ingresso principale? Io non ho problemi".
Si avvicinò alle scale di servizio e aprì la porta, aspettando che prendesse una decisione. Kate gli passò davanti, ostentando un'aria risentita.

Il luogo su cui si affacciarono era scarsamente illuminato e non particolarmente pulito, una differenza notevole rispetto all'atmosfera che si erano lasciati alle spalle. Scesero in fretta le diverse rampe di scale, con i tacchi vertiginosi di lei che riecheggiavano sul pavimento – si chiese come potesse non inciampare mantenendo invece la sua solita grazia nel muoversi -, fino a che non giunsero a piano terra e sbucarono su un vicolo deserto, nei pressi della sua auto. Che non era una Ferrari, come lei aveva erroneamente predetto, ma un'anonima berlina scura. Si godette la sua espressione stupefatta, che però Kate si affrettò a dissimulare per non dargli nessuna soddisfazione.

Il viaggio verso distretto fu di breve durata e stranamente quieto. Non appena spense il motore, Kate scese subito dall'auto, senza dargli il tempo di offrirsi di aprirle la portiera. A quanto pareva non aveva troppa voglia di prolungare l'intimità che l'abitacolo aveva loro offerto.
Salirono insieme in ascensore rimanendo in silenzio. Gli sembrò un po' meno amichevole di quanto non gli fosse apparsa durante il resto della serata – era così? Era stata amichevole o era solo stato suo desiderio che lo fosse?

Quando le porte si aprirono cigolando, gli parve che l'ambiente fosse diverso da come se lo ricordava, ma non capì se fosse un effetto dello scorrere del tempo che aveva levigato i suoi ricordi o se avessero effettivamente apportato migliorie nel corso degli anni. Lo trovò più moderno, anche se non aveva perso quell'inconfondibile aria un po' retro che gli era sempre piaciuta.
Si diresse con fare deciso verso quella che un tempo era stata la scrivania di lei – quella che lo aveva ospitato temporaneamente e che lui aveva considerato una sorta di loro spazio condiviso e personale. Lo fece senza pensarci, ma si fermò di colpo quando si rese conto che lei non l'aveva seguito.

Si guardò attorno nel luogo deserto e immerso nella semi oscurità per capire dove fosse finita e, non senza stupore, la vide aspettarlo pazientemente sulla soglia dell'ufficio che un tempo – il suo tempo – era stato occupato da un altro capitano. Montgomery.
Capì il suo errore e se ne imbarazzò. Tornò velocemente sui suoi passi, fino a raggiungerla. Borbottò una scusa – era molto tardi, si era mosso d'istinto, non voleva affatto sminuire la sua nuova carica.
Kate fece un gesto vago con la mano e sorrise magnanima, facendolo entrare e accomodare nel suo nuovo ufficio. Fece come gli era stato detto, senza fiatare. Con un moto di orgoglio, notò subito la targhetta con inciso il suo nome. "Katherine Beckett, Capitano".

Era irreale ritrovarsi inaspettatamente catapultato indietro nel tempo in compagnia di lei, tra le stesse mura e nel medesimo rapporto che allora era appena abbozzato ma che non aveva mai avuto l'occasione di crescere e sbocciare. Era tutto così simile a come era stato durante quell'evento ormai sbiadito da fargli girare la testa.
Nel corso degli anni aveva sperato - apertamente all'inizio e poi sempre meno consapevolmente-, di incontrarla di nuovo, ma non aveva mai immaginato che potesse riaccadere in un contesto quasi identico. Tranne per il fatto che in mezzo erano scorsi oceani e che lei era diventata, se possibile, ancora più intrigante, forse per via della nuova posizione di potere. Questa volta non si trattava di un caso di omicidio in cui era richiesta la sua consulenza, ma qualcosa di leggermente diverso. In ogni caso non poteva non notare l'incredibile ironia della sorte, che gli andava incontro benevola assecondando i suoi desideri, quando credeva di averli ormai messi a tacere.

Mentre era perso nelle sue fantasticherie che avevano lei per tema principale, Kate iniziò a darsi da fare, scomparendo dietro al suo computer che si mise a fissare con espressione molto concentrata, ignorandolo.
Non gli spiacque essere messo da parte. Non era difficile ipotizzare che gli eventi a cui avevano preso parte loro malgrado avrebbero generato conseguenze di natura politica in cui lei sarebbe stata coinvolta per la sua posizione e il contributo prestato – aveva di fatto salvato il sindaco di New York, particolare di non minore importanza. Non la invidiò affatto, anche se era sicuro che se la sarebbe cavata brillantemente.
Apprezzava anzi la possibilità che quella incredibile circostanza gli offriva di passare qualche minuto in più con lei e per questo motivo non la disturbò. Era inoltre vagamente preoccupato per le condizioni dell'amico, vittima di un'aggressione, anche se aveva preferito lasciarlo in compagnia della sua famiglia, dopo essersi accertato che stesse bene, almeno dopo un esame superficiale. Si sarebbe fatto vivo con lui più tardi o l'indomani, ma avrebbe tenuto acceso il cellulare e l'avrebbe controllato di tanto in tanto, nel caso in cui le sue condizioni fossero peggiorate.

A un certo punto - non avrebbe saputo quantificare quanto tempo fosse passato-, Kate alzò su di lui uno sguardo molto grave, accingendosi a rivolgergli la parola. Si sentì uno scolaro colto in fallo mentre si distraeva tra cose di nessuna importanza. Il suo solito effetto.
"Tutto quello che verrà detto stasera in questa sede non potrà uscire da quella porta", lo apostrofò con tono grave, la voce ridotta di un'ottava.
Gli indicò la porta in questione con un cenno della testa. Sorrise tra sé. Era divertito soprattutto dal fatto che ritenesse di doversi rivolgere a lui con spiegazioni semplificate, quasi non avesse fiducia nelle sue capacità di comprensione. O forse il problema non era quello, ma la granitica certezza che lui non avrebbe rispettato le regole, se pure chiaramente esposte. Non poteva darle torto, anche se avrebbe voluto ricordarle che durante tutto lo svolgimento del dramma di cui erano stati protagonisti si era attenuto ai suoi ordini, senza prendere nessuna iniziativa personale.
"Capisco che cosa vuoi dire e ti assicuro che intendo rispettare le tue precise disposizioni". Fece una pausa. "Detta così però potrebbe far sorgere qualche dubbio sulle tue reali intenzioni. Siamo qui da soli, al buio e già mi inviti a mantenere segreti, non mi metti in una posizione semplice..."
Lo fissò con aria truce per qualche lungo secondo.
"Sai che posso ammanettarti e farti trascorrere la notte nella cella che teniamo approntata qualche piano più sotto proprio per gente come te, vero?"
"Con che motivazione mi arresteresti? Lo chiedo perché potrebbe sempre essere utile per le mie ricerche".
"Intralcio alle indagini".
Annuì assorto. "Giusto. Posso prendere appunti? Porto sempre un taccuino con me per ogni evenienza". Lo estrasse candidamente dal taschino.

"Castle, mi faresti un favore se prendessi le cose con meno leggerezza. Mi rendo conto che per te sia solo una serata diversa in una vita solitamente..."
"Monotona", la interruppe vivacemente, concludendo la frase per lei. "Una vita solitamente monotona, proprio come la terribile festa di questa sera, prima di incontrarti. Se non ci fossi stata tu sarebbe stato il solito strazio senza fine". Era vero, perché negarlo?
Kate abbassò gli occhi a fissare i documenti che aveva di fronte a sé, senza commentare la sua uscita. Capì di essersi spinto troppo oltre.
"Scusa, forse sono stato troppo diretto. Magari è il tipo di attività mondana a cui ami dedicarti nel tempo libero, soprattutto adesso che sei capitano e hai una certa reputazione".
Gli sembrava strano perfino postulare un'ipotesi del genere per come l'aveva conosciuta, non esattamente predisposta a bagni di folla circondata da sconosciuti. Ma si era trattato di un periodo troppo breve perché potesse aver compreso al meglio la sua personalità, nonostante le sue ottime capacità introspettive.
Kate sospirò. "Direi di no", ammise con franchezza. "Sono costretta a frequentare questo tipo di riunioni mondane, come le chiami tu, solo perché è il mio ruolo a prevederlo. Io ne farei volentieri a meno".
Si abbandonò contro lo schienale della poltrona.
"Scartoffie e noiose feste obbligate, immagino non siano la parte più avvincente dell'essere capitano", commentò lui in tono leggero.
"È proprio così", ammise lei quasi senza rendersene conto. "Non fraintendermi", si corresse subito dopo, riprendendo vigore. "Ho lavorato sodo per ricoprire questo ruolo e amo il mio lavoro", proseguì pensierosa. "È solo che qualche volta mi manca l'azione sul campo".
"Ero convinto che i capitani potessero fare tutto quello che vogliono, compreso scegliere i casi che preferiscono e indagare per conto proprio". Gli piaceva che si stesse aprendo con lui, anche se era sicuro che presto avrebbe messo fine alle confidenze.
"Qualcuno ti direbbe che mi intrometto nei casi di omicidio anche troppo per i suoi gusti".
"Credo di poter indovinare chi si è lamentato". Le sorrise e lei ricambiò. Trovò incantevole il modo in cui le labbra le si incurvarono e gli occhi si addolcirono.
"Ma ho comunque sempre poco tempo per farlo, tra l'infinita burocrazia e la necessità di esercitare l'arte diplomatica, non esattamente il mio punto forte". Risero entrambi.
Rivide in lei qualche frammento della giovane donna piena di energia che aveva incontrato anni prima, decisa a compiere il suo dovere nel migliore dei modi, grazie a un'intelligenza straordinaria e una dedizione che non aveva eguali.

...

"Bene, Castle, una firma qui e abbiamo finito".
Non avevano più parlato, mentre lei era stata presa a ultimare tutta una serie di documenti a cui si era rifiutato di prestare attenzione. Aveva preferito osservarla nel suo nuovo ambiente, che sembrava appartenerle naturalmente, anche se lui l'aveva visto abitato da un altro capitano prima di lei. Nell'ufficio erano disseminati tocchi personali, una tazza con la sua iniziale, una foto di una giovane Kate Beckett insieme a quella che, suppose, fosse la madre, un fermacarte di cristallo dalla forma curiosa. Oggetti di cui avrebbe voluto conoscere la storia – lui ne stava già abbozzando qualcuna – per aumentare ciò che sapeva della sua poliedrica personalità. Si era goduto la sua compagnia in perfetto silenzio. C'era una strana pace al distretto a quell'ora della notte, senza nessuno intorno. E lei emanava tranquillità e sicurezza di sé, senza nemmeno rendersene conto.

Tornò a posare lo sguardo su di lei. Era affaticata anche se tentava di nasconderlo, glielo leggeva negli occhi e nella fronte corrugata. Ma il fascino di cui riusciva a circondarsi in modo spontaneo, superiore alla sua capacità di individuarne la natura, era sempre presente.
"Così presto? Ero convinto che la mia vitale testimonianza meritasse di essere registrata in modo più approfondito", protestò, firmando il documento che lei gli aveva porto senza leggerlo e ripassandoglielo. Si fidava di lei.
"Sono sicura che ci saranno moltissime altre occasioni per sviscerare pienamente la storia dello scrittore famoso che salva la vita del sindaco, ma per quanto riguarda la parte burocratica abbiamo finito". Fece una pausa che durò qualche secondo di troppo. "E a proposito di scrittori..."
Si sporse verso di lei, incuriosito. Un aggancio del genere per proseguire con le loro chiacchierate era una benedizione inaspettata.
"Nessun romanzo all'orizzonte? È passato parecchio dall'ultimo libro pubblicato, sbaglio?", domandò Kate accalorandosi in modo che trovò delizioso.
Era sempre una sua fan, quindi. E non di quelle più tiepide, se si lamentava per l'assenza sul mercato delle sue opere – assenza oggettivamente non così prolungata come doveva esserle apparsa. Solo un paio di mesi di ritardo rispetto ai suoi soliti ritmi. Si sentì baciato dalla sorte in modo perfino troppo prodigo e certamente immeritevole.

"Mi piacerebbe tentarti con la promessa di qualche anticipazione sul mio prossimo romanzo, ma solo se verrai a bere qualcosa con me, così potremo riprenderci da quello che è successo stasera".
Kate accolse la sua maldestra proposta con una raggelante assenza di qualsivoglia reazione. Senza incrociare il suo sguardo, spinse indietro la poltrona, si alzò e si diresse verso la porta, oltrepassandolo.
"Si è fatto molto tardi. Grazie per il tuo aiuto", annunciò con un tono distante di cui non riuscì a capire la causa.
Era stato congedato tanto repentinamente che quasi non si rese conto di quello che era appena accaduto, a parte il fatto che era chiaro che ci si aspettasse da lui che levasse le tende il prima possibile. E senza chiedere nessuna sospensione della sua condanna.

Si alzò a fatica. In parte perché l'adrenalina era ormai calata e il motore del suo corpo stava girando al minimo, ma soprattutto perché tramortito da quella svolta incomprensibile.
"Deduco che la tua risposta sia no. Sei sempre stata efficace nei tuoi rifiuti, lo ricordo bene". Incespicò sulle parole, sforzandosi di sorriderle coraggiosamente nonostante la batosta ricevuta, nel tentativo di fare dello spirito e di non farsi cacciare. Si sarebbe aggrappato a tutto.
Kate abbassò lo sguardo fissandosi la punta delle scarpe.
"Hai ragione, scusa, sono stata troppo brusca. Quello che volevo dire è che mi piacerebbe molto avere dei particolari in anteprima, che peraltro sono stata io a chiederti, ma è la verità è che è troppo tardi per me", diede un'occhiata all'orologio, prima di tornare a incontrare i suoi occhi, un po' imbarazzata. "Devo tornare a casa il prima possibile, perché sto tenendo sequestrata la mia babysitter da ore. L'orario sul quale ci eravamo accordate è passato da un bel pezzo. È molto disponibile, ma non voglio approfittarne", confessò di botto, quasi si stesse costringendo a farlo, pur non volendo.

Babysitter? Non aveva nemmeno contemplato una possibilità del genere, realizzò provando orrore e biasimo nei confronti di se stesso. Aveva dato per scontato che la sua vita fosse rimasta identica a quella di allora – alla propria, in sostanza - ma nel mondo reale era più che naturale che le persone andassero avanti, costruendosi una vita, una famiglia. Rimpianse tutti i complimenti che le aveva fatto e le spiritosaggini gratuite di cui si era sentito tanto orgoglioso. Compreso l'insistere per accompagnarla al distretto e probabilmente farle perdere del tempo che non aveva. Avrebbe voluto sprofondare.
"Sono io a chiederti scusa per essere stato importuno. Non sapevo... non avevo idea che fossi sposata e che avessi una famiglia".
Non aveva un anello al dito, era un dettaglio che si era premurato di controllare subito, ma da cui evidentemente aveva tratto delle conclusioni sbagliate.
Kate scosse la testa.
"Non sono sposata. Ho un figlio di quattro anni, ma io e suo padre non stiamo insieme. Apprezzo il tuo invito, ma non mi è facile coniugare il mio essere una madre single con... il resto", aggiunse mantenendosi vaga.

Quelle che aveva condiviso con lui erano informazioni personali che avrebbero meritato delle riflessioni più ponderate da parte sua, se non fosse stato tramortito dalla svolta degli eventi. Era una madre. Ed era single. Ma era una madre, prima di tutto. Prima di ogni altra considerazione. Questo cambiava le cose e di parecchio.
Avrebbe voluto continuare a scusarsi, ma sarebbe stato inutile.
"Magari la prossima volta?"
La voce di lei interruppe una serie di congetture che non lo stavano portando da nessuna parte, cambiando di nuovo le carte in tavola e facendolo tornare a un presente molto più roseo di quello che si era immaginato. Voleva rivederlo? Davvero? Nonostante tutto?
"Certo. Naturalmente. Quando vuoi", si affrettò a rispondere, ansioso di aggrapparsi a ogni brandello di speranza, così generosamente offerto, quando era stato convinto che tra loro fosse finita per sempre.
Perché voleva rivederlo, giusto? Non l'aveva detto tanto per dire, per mitigare un rifiuto che era suonato troppo definitivo? Se così, era molto di più di quello che si sarebbe aspettato a quel punto o uscendo di casa con umore tetro solo qualche ora prima.

..

Questo è il vero punto di partenza della storia, senza più girarci intorno: Kate è già madre di un pargolo non Caskett. So che è un ostacolo per molti lettori di fanfiction a tema Castle e sono quindi preparata al fatto che qualcuno preferirà non proseguire. Se avete voglia di continuare a farlo, io sono qui. Grazie a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Due ***


2

"Come sarebbe a dire, catastrofici? Non è quello che ricordo io", ribatté petulante dopo qualche istante di scompiglio interiore che l'aveva lasciato pietrificato sul posto.
Era cosciente di non star dando il meglio di sé come quell'irresistibile e brillante conversatore che era convinto di essere e di non averle fatto una grande impressione in tal senso - a volersi esprimere con sobrietà e auto indulgenza. Ma era stato colto di sorpresa e non aveva potuto prepararsi adeguatamente a quel loro inaspettato incontro, poteva essere considerata un'attenuante a cui appellarsi?

Kate non sembrò ritenere necessario prendersi la briga di chiarire perché ritenesse che i loro rapporti passati fossero stati disastrosi – un argomento che lui sarebbe stato ansioso di approfondire per mettere finalmente a tacere interrogativi che non avevano mai avuto risposta-, lasciandolo a macerare nei dubbi.
Insicuro su quale mossa sarebbe stata meglio attuare a quel punto, dopo una breve riflessione e spinto unicamente dal bisogno di non separarsi da lei, decise di andarle dietro.
Non gli sembrava che avesse avuto intenzione di abbandonarlo in via definitiva perché infastidita dalla sua presenza, nonostante una prestazione al di sotto degli standard minimi accettabili.
Sperò di averci visto giusto, perché era consapevole di non poter fare troppo affidamento sulla proprie capacità di interpretare correttamente i segnali che lei gli stava inviando, sempre che lo stesse facendo. Sempre che la voglia di stare con lei, esplosa di colpo quando l'aveva casualmente rivista, non lo stesse rendendo troppo invadente e, peggio, incapace di riconoscersi tale.

Mentre si affrettava a raggiungerla – camuffando malamente una certa goffa irruenza-, Kate si voltò d'improvviso verso di lui con uno sguardo che lo disorientò, costringendolo a fermarsi mentre la stava rincorrendo in modo ben poco elegante.
Era qualcosa di nuovo e stupefacente per lui, quel misterioso potere che lei aveva di farlo ammutolire senza sforzo e renderlo inerme. Era colpa della sua incredibile bellezza che non smetteva di scombussolarlo oppure del timore che si dissolvesse nuovamente dal suo orizzonte, lasciandolo ancora a chiedersi che cosa fosse successo e dove avesse sbagliato? E perché gli importava così tanto? Gli sarebbe piaciuto saperlo.

Kate continuò a fissarlo aspettandosi che fosse lui a continuare il discorso, in apparenza per nulla a disagio nel silenzio protratto e per via di tutto quel loro guardarsi negli occhi – cosa che invece creava in lui un turbamento che non avrebbe saputo descrivere.
Vista la situazione, fu costretto a improvvisare.
"Quello che voglio dire è che... siamo stati piuttosto bravi nel risolvere quell'unico caso di omicidio, non trovi? Rapidi ed efficienti. Merito di una perfetta sintonia di intelletti. Sono sicuro che saremmo stati un'ottima squadra sotto ogni punto di vista, se avessimo potuto continuare a lavorare insieme", concluse con una nota di rimpianto nella voce.
La sua brillantezza aveva decisamente perso parecchio smalto, dovette ammettere con dispiacere. Sintonia di intelletti? In che secolo credeva di vivere?

E a peggiorare le cose, qual era la prima cosa che gli veniva in mente di fare, quando aveva finalmente l'occasione di discutere di quello che era successo, occasione che gli era stata preclusa per anni? Si metteva a recriminare per il fatto che lei allora non avesse accolto entusiasticamente la sua proposta di seguirla a tempo indefinito al distretto, che a lui era sembrata legittima e perfino sensata – un colpo di genio si era detto gongolando –, giudicandola solo un capriccio. E che sfortunatamente lei continuava a ritenere tale.
Tutte le certezze sulle sue capacità innate di affascinare una donna grazie all'estro del suo eloquio si infransero rovinosamente al suolo dopo quella patetica spiegazione.

Kate si mordicchiò un labbro con aria assorta, incurante dell'effetto che quel gesto così suo avrebbe avuto su di lui. Di punto in bianco venne riportato indietro al loro ultimo sfolgorante incontro, quel "Non hai idea" sussurratogli all'orecchio, malizioso e definitivo insieme, che aveva promesso mondi per poi sottrarglieli e che gli era per sempre rimasto conficcato dentro.
"E questo tuo convincimento sulla nostra presunta sintonia di intelletti lo dobbiamo sempre alle tue doti medianiche?", domandò serissima.
Un brivido lo percorse. Adorava imbattersi in una sfida dialettica alla pari con qualcuno che sapesse tenergli testa e insieme si prendesse garbatamente gioco di lui, anche se era sicuro che in questo caso avrebbe avuto la peggio. E ne sarebbe stato ben felice.
"Tra le altre cose. Ma non puoi negare che la nostra collaborazione sia stata un successo". E tante altre potenziali cose che non avevano mai visto la luce, ma di cui era sempre stato certo. Per esempio che quella prima sera avrebbe dovuto uscire con lui, invece di girargli le spalle e andarsene, lasciandolo a fissarla con le pive nel sacco, ammaliato e deluso.

Kate alzò un sopracciglio. "Mi duole informarti che avevamo risolto numerosi casi di omicidio con discreta soddisfazione già prima del tuo arrivo. E anche dopo, per quanto strano possa apparirti".
Le sorrise con calore.
"Non mi stupisce, ho sempre pensato che fossi la miglior detective della città. E da quel che so, era un'opinione condivisa".
Era stato uno dei motivi per cui aveva insistito per diventare una sorta di consulente sui generis della polizia, che non avrebbe teoricamente nemmeno previsto quel ruolo che lui si era inventato di sana pianta. Il motivo ufficiale, quantomeno. Il resto non glielo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura. "E sono sicuro che sarai anche la miglior capitana che New York abbia mai avuto". Certamente la più affascinante, ma preferì tenere per sé ulteriori e improprie esternazioni.

Kate abbassò lo sguardo a terra, sorridendo impercettibilmente. Era forse arrossita? Questo significava che era sensibile ai suoi complimenti? Se così, era una notizia incoraggiante. Gli parve di aver conquistato finalmente terreno, aumentando le probabilità che non si desse precipitosamente alla fuga.
Divenne più audace, tanto valeva sfruttare il vantaggio ottenuto. "Ma scommetto che risolvere tutti quei casi senza di me non è stato altrettanto divertente, vero, Kate?", buttò lì, accarezzando il suo nome mentre lo pronunciava.
Il sorriso si spense di colpo, facendolo ripiombare nella confusione. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Aveva solo voluto mantenere il tono scherzoso. C'era un fondo di verità, invece?
"Non serve che lo sia, Castle. Dobbiamo garantire la sicurezza dei cittadini, non organizzare feste nel frattempo. È sempre stato il tuo problema quello di non prendere le cose seriamente", ribatté seccata.
"Le due cose non si escludono a vicenda", osservò, incapace di stare zitto.

Gli piaceva che fosse tornata a chiamarlo come aveva fatto all'epoca, come se fosse stato un collega e non un milionario pigro e svogliato che cercava solo un nuovo gingillo. La stava citando alla lettera. No, non si era affatto offeso a sentirsi definire in tal modo. L'aveva presa benissimo. Lo dimostrava il fatto che non avesse dimenticato una sola parola di quelle da lei espresse con una veemenza che era suonata perfino eccessiva, quando si era opposta in modo irremovibile alla sua proposta.
Che il problema fosse stato che si era divertita troppo insieme a lui, invece che trovarlo insopportabile, come aveva sostenuto? Era questo il motivo del suo rifiuto? L'opposto di quello che aveva sempre pensato? Era evidente che doveva aver toccato un punto sensibile se l'aveva indotta a reagire in modo tanto piccato, apparentemente senza motivo, mentre stavano semplicemente chiacchierando di cose lontane nel tempo.
Era un'ipotesi molto intrigante che era già pronto a sviscerare con cura, su cui però non ebbe il tempo di soffermarsi.

Delle grida concitate e un forte boato risuonarono nell'edificio in cui si trovavano, senza che fosse possibile collocarne la provenienza precisa. Il frastuono improvviso lo fece trasalire in modo violento. Un'ondata di panico si innalzò propagandosi istantaneamente tra le numerose persone presenti all'evento mondano, che cercarono disperatamente di disperdersi all'esterno come mine impazzite, rimanendo di fatto bloccate.
Qualcosa lo costrinse forzatamente a indietreggiare a sua volta, non perché inglobato dalla massa di corpi guidati dal cieco istinto alla fuga, ma perché Kate lo spinse con decisione verso la parete più vicina, piazzandosi davanti a lui con la pistola puntata verso un obiettivo fuori dal suo campo visivo. Era stato tutto così rapido che all'inizio faticò a realizzare che lei, reagendo freddamente grazie al suo addestramento, si era premurata come prima cosa di metterlo al sicuro.

Nella calma immobile e foriera di tragedia imminente che fece seguito a quei primi attimi di caos e che parve congelare la folla ora impietrita, riuscì a recuperare in parte la lucidità che la situazione richiedeva.
Dopo una breve ricognizione si accorse che un giovane uomo di non più di vent'anni - gli pareva più che altro un adolescente efebico e malnutrito – se ne stava in piedi da solo in mezzo alla sala, con una pistola puntata all'altezza del petto del sindaco. La visione spaventosa gli gelò il sangue, ma si impose di ricacciare indietro le emozioni indesiderate in un posto dove non avrebbero danneggiato le sue capacità analitiche.
L'amico, immobile e con le mani alzate, gli parve innaturalmente calmo, mentre il suo assalitore, al contrario, era visibilmente agitato. Non un buon segno. Significava che l'attacco doveva essere il frutto di una decisione estemporanea e non ponderata e questo rendeva la situazione ancora più pericolosa di quanto già non fosse. Non si trattava di un gruppo organizzato, ma di un unico elemento instabile il cui comportamento da lì in avanti sarebbe stato imprevedibile.

Il ragazzo fece un passo in avanti, brandendo la pistola, talmente vicino da sfiorare la sua vittima. La sala emise un unico ansito di terrore collettivo. Doveva intervenire, doveva fare qualcosa per salvare l'amico. Non poteva assistere impotente lasciandolo in balia di uno squilibrato nervoso al punto da far partire un colpo per sbaglio, ipotesi niente affatto remota.
Kate, intercettando telepaticamente il suo proposito di spostarsi verso il centro della sala, voltò brevemente la testa nella sua direzione per lanciargli un muto avvertimento, che non gli fu difficile interpretare. Era cosciente del fatto che fosse lei quella più preparata a gestire un'emergenza di quel tipo e che l'ultima cosa che desiderava fosse quella di averlo tra i piedi, ma non poteva rimanersene impotente mentre c'era la reale possibilità che il giovane perdesse completamente la testa.

Rimase in attesa. Non era il caso di compiere gesti avventati, gli suggerì la prudenza.
Kate gli fece cenno di muoversi lungo il perimetro per posizionarsi alle spalle del ragazzo senza farsi notare. Annuì per assicurarle che avrebbe seguito i suoi ordini alla lettera.
"Chiama il 911", gli bisbigliò concentrata mentre la oltrepassava. "E stai attento". I loro occhi si incontrarono per un fugace istante e fu sorpreso di notare una viva apprensione per la sua incolumità. Le sorrise brevemente, non sapeva se per incoraggiare lei o se stesso. Non aveva nessuna intenzione di deluderla o di correre rischi inutili. Forse Kate aveva deciso di servirsi di lui solo perché era l'unica persona che avesse a disposizione, ma qualcosa gli diceva che lo aveva fatto perché si fidava. Ne fu felice, anche se questo aumentava a dismisura la sua responsabilità.

Mentre cercava un posto più appartato per chiamare le forze dell'ordine senza dare nell'occhio, spostandosi il più silenziosamente possibile, continuò a tenere Kate sotto controllo visivo. Per qualche minuto non successe nulla, poi la vide avanzare lentamente ma con sicurezza tra le persone atterrite che si ritrassero via via per farla passare, notando la pistola che aveva con sé. Continuò a procedere centimetro dopo centimetro con notevole cautela.
Ricordando le sue indicazioni, si mosse a sua volta con la stessa circospezione, finché non raggiunse la posizione che lei gli aveva comunicato poco prima. Il cuore gli martellava nel petto al punto che credeva che sarebbe rimbalzato contro le pareti che parevano rimpicciolirsi sempre di più, ma l'adrenalina che gli scorreva freneticamente in corpo contribuiva a tenergli la mente sgombra, per quanto possibile. Era pronto a dare il suo contributo – si disse con convinzione. Sperava solo di essere all'altezza.

Trattenne il fiato quando l'aggressore voltò la testa nella direzione da cui Kate stava provenendo, accorgendosi infine della sua presenza. L'istinto gli suggerì di approfittare di quel momento di indecisione per disarmarlo, ma la razionalità lo bloccò subito. Iniziative personali erano pericolose e la posta in palio troppo alta perché a quel punto era lei a essere sotto tiro e non più il sindaco. Avvertì un lieve ronzio nelle orecchie e un fiotto di nausea gli risalì dallo stomaco. Fece qualche ampio respiro per riprendersi, non era il caso di avere un cedimento di nervi solo perché lei era diventata il nuovo target dello squilibrato.
Kate iniziò a interagire pacatamente con il giovane, riuscendo a catturare la sua attenzione, o almeno così gli parve. Era troppo lontano per afferrare l'intero contenuto della conversazione, se così si poteva chiamare, ma intuì che lei stesse cercando di creare un contatto senza allarmarlo. Non aveva idea se quel tipo di abilità rientrasse nei compiti di un capitano di polizia – credeva di no, da quel che gli risultava -, ma gli sembrò comunque che se la stesse cavando piuttosto bene. Senza dare troppo nell'occhio avanzò di qualche passo, fino a trovarsi esattamente dietro al ragazzo, che era in condizioni ancora più penose di quanto non avesse percepito all'inizio. Non era però il momento di provare compassione per lui.

Kate doveva avergli chiesto il suo nome, come prima cosa – si chiamava Joe, scoprì, quando lei gli si rivolse con calma e nervi saldi cercando di catturare la sua attenzione e farlo parlare, per distrarlo dai suoi propositi. Joe tremava ormai visibilmente. Era troppo nervoso, doveva essere fermato il prima possibile, ragionò, provando un'altra volta impulso di agire e farla finita una volta per tutte. Di nuovo, non lo fece. Si trattenne e attese.
Kate gli ripeté un paio di volte di abbassare la pistola, con un sussurro composto che riuscì a tranquillizzare perfino i propri nervi scossi e, probabilmente, quelli di tutti i presenti. In principio la richiesta non sembrò produrre alcun risultato. Non si accorse di osservare la scena con le mani strette a pugno e le unghie conficcate nei palmi, incurante del dolore.
Infine, dopo un lungo istante di indecisione che mandò in apnea tutti i presenti, Joe si abbassò e depose l'arma a terra. La situazione precipitò. Kate intercettò il suo sguardo e gli fece un cenno rapido, chiedendogli di intervenire immediatamente. Non ci pensò due volte. Mentre lei dava un calcio alla pistola lui si lanciò verso l'aggressore e lo atterrò da dietro, schiacciandolo con il proprio peso sul pavimento, ancor prima di rendersi conto di quello che stava facendo.

Fu solo quando intervennero i rinforzi sopraggiunti proprio in quel momento ad ammanettare il giovane, permettendogli di abbandonare la presa, che riuscì a tornare presente a se stesso. Emise un sonoro grugnito e si concesse un gesto di trionfo poco signorile, ma smise subito quando si trovò davanti due iridi verdi screziate di nocciola che lo osservavano canzonatorie.
"Tutto bene?", gli domandò Kate con le labbra incurvate da un sorriso che non riusciva a mascherare. Sarebbe stato inopportuno abbracciarla? Aveva bisogno di esprimere fisicamente l'esaltazione che provava e non c'era candidata migliore della persona che, ancora una volta, si era rivelata una perfetta compagna di avventure. Non lo fece, naturalmente. Anzi, tentò malamente di ricomporsi.
"Io... stavo solo...", balbettò.
Iniziava a vergognarsi per essersi lasciato andare a un tale comportamento triviale considerando la serietà della situazione. Come se non lo avesse appena accusato di superficialità e non fosse proprio quello il nucleo fondante della sua disapprovazione.
"Ottimo lavoro, Castle", esclamò prendendolo in contropiede con un complimento che lo spinse nuovamente verso inesplorate vette di euforia, raramente raggiunte in tutta la sua vita, se non si teneva conto di quella volta in cui avevano risolto un caso insieme.
"Ho sempre avuto ragione a dire che potremmo essere ottimi partner, Beckett! Devi ammetterlo una buona volta!", esclamò senza controllarsi.
Non era lui a dirlo. Lo dimostravano rigorosi fatti oggettivi, che nemmeno lei poteva più negare.
"Non farò niente del genere, si chiama solo fortuna del principiante. E quel ragazzo era solo spaventato, non pericoloso", lo fermò subito con espressione imperturbabile.
"Non sono d'accordo, è proprio in casi come questo che la situazione può degenerare in modo imprevedibile".
La vide inarcare un sopracciglio.
"Non fa parte dei miei doni", si affrettò ad aggiungere, prima che ricominciasse a prenderlo in giro. "È merito delle ricerche che ho fatto per i miei romanzi. Sono molto esigente quando si tratta della credibilità delle mie trame. Lo sapresti, se mi avessi permesso di collaborare con te".

Kate incrociò le braccia. "Mi sembra di capire che la nostra mancata collaborazione sia un punto che ti sta ancora molto a cuore. Non è ormai una questione superata, dopo tanti anni?", osservò, prendendosi il tempo di discutere dell'argomento come se fossero da soli e senza un problema al mondo e non al centro di un dramma che si era risolto felicemente solo per un soffio. E grazie alla loro bravura.
"No, Kate. Perché siamo magnifici insieme. Non credi che sia stato uno spreco non approfittare delle nostre capacità e predisposizioni innate in grado di armonizzarsi tanto bene? Hai visto come ti ho aiutato stasera? Salviamo il mondo dai cattivi capendoci al volo, senza nemmeno il bisogno di parlarci. Non è straordinario?", insistette con fare sempre più grandioso.

Stava esagerando, lo sapeva perfettamente. Non la conosceva, prima di tutto. E non aveva nessun motivo per permettersi di dirle certe cose, se non per via di una sfrontatezza arrogante di cui lo avrebbe certamente accusato. Ma era ancora troppo su di giri e, soprattutto, era stato costretto a incassare il benservito in silenzio. Ingiustamente. "E ci divertiamo. Molto. Perché hai detto di no?", concluse ostinato, suggellando così l'epitaffio che sarebbe stato inciso sulla tomba di una loro possibile, futura frequentazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quattro ***


4

Si lasciò alle spalle l'ospedale, dove si era recato in mattinata per la quotidiana visita all'amico sindaco ricoverato da alcuni giorni. Era stato inaspettatamente colpito da un infarto alcune ore dopo i concitati eventi che lo avevano visto protagonista, quando la situazione era sembrata finalmente tranquilla.
Castle era stato chiamato nella notte poco dopo essersi congedato da Beckett, e gli era stata riferita la notizia. In preda al panico, era corso da lui per stargli accanto – per quanto gli era stato concesso, non facendo parte della famiglia –, finché non lo avevano dichiarato fuori pericolo. Da allora non aveva più abbandonato il suo capezzale, trascorrendo con lui molte lunghe giornate, finché le sue condizioni generali non erano migliorate, con suo enorme sollievo. Aveva finalmente potuto ricominciare a respirare.

Si sentiva molto stanco e con livelli di energia pericolosamente vicini all'esaurimento. Quel concentrato di eventi stressanti, sommato alle poche ore di sonno e all'ininterrotta preoccupazione per le sorti di una persona che gli era cara, iniziavano a presentare il conto. Era ancora scosso e non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di allerta costante.
Inspirò profondamente, assaporando il piacere di essere all'aria aperta in una perfetta giornata primaverile, rincuorato dalle prime buone notizie ricevute da diverso tempo a questa parte. Il sindaco non poteva ancora essere dimesso – i medici erano stati perentori - ma la strada verso la guarigione appariva meno impervia. Non sarebbe stato in grado di riprendere il lavoro a pieno ritmo tanto presto perché avrebbe dovuto sottoporsi alla necessaria riabilitazione, avevano sostenuto, ma il peggio era passato.

Decise di fare una passeggiata, aveva bisogno di sgranchire le gambe dopo essere stato confinato al chiuso tanto a lungo. E, soprattutto, aveva la necessità di lasciar vagare i pensieri liberamente. Concentrato sull'emergenza, non aveva avuto la possibilità, come gli sarebbe invece piaciuto, di ripensare al resto, all'incontro con Beckett e tutto ciò che ne era seguito.
Questo gli aveva impedito di iniziare a valutare come comportarsi con lei in futuro. Perché un futuro era proprio quello che voleva. Non per forza a lungo termine, ma non aveva nessuna intenzione di arrendersi e lasciare che si perdessero nuovamente di vista solo perché le cose erano più complicate di quanto non si fosse aspettato. Doveva esserci un modo. Moderato, rispettoso della situazione, mettendo in atto più precauzioni del solito, ma doveva essere fattibile.

Averla rivista aveva portato alla luce qualcosa di sé che era sempre rimasto latente: quella manciata di giorni in cui si erano sfiorati, collaborando allo stesso caso, aveva prodotto in lui una traccia indelebile. Il che era sconcertante. Era convinto di essere andato oltre quella che aveva considerato una breve parentesi finita male. Non era così. Più passava il tempo e più si scopriva smanioso di chiamarla o farsi vivo con lei. Finora non lo aveva fatto. Ma forse era arrivato il momento di pensarci seriamente, ora che era tornato in possesso della sua vita.

L'esistenza di un bambino era un fatto incontrovertibile che doveva essere ponderato in modo accorto. Non perché lui lo considerasse un ostacolo, tutt'altro, semplicemente perché rendeva necessario un approccio più cauto. Non aveva idea di quale fosse il rapporto tra Kate e il padre di suo figlio – sapeva solo che non stavano insieme, ma non aveva idea di quando avessero smesso di farlo. Poco tempo prima? Se fosse appena uscita da una relazione forse non avrebbe avuto voglia di ricominciare a vedere tanto presto un altro uomo. Magari aveva deciso per un futuro di totale ascetismo in cui si sarebbe dedicata solo al compito materno.
Sperava di no.

Non voleva apparirle inopportuno o troppo insistente, anche se lei non avrebbe di certo avuto problemi a rispedire al mittente qualsiasi approccio sgradito. Voleva muoversi con buonsenso. E rivederla. Quello era in cima a qualsiasi lista.
Era il momento di agire, non poteva aspettare un minuto di più. Senza ponderare troppo la cosa, decise che passare a trovarla in ufficio senza prima annunciarsi, con la scusa di aggiornarla sulla salute del sindaco e farsi raccontare gli ultimi sviluppi del caso – ne aveva diritto, essendo stato coinvolto, giusto? - fosse una soluzione abbastanza ragionevole da reggere di fronte alle occhiate sospettose che lei gli avrebbe sicuramente rivolto. Avrebbe sempre potuto dirle che era il sindaco stesso ad averlo mandato in avanscoperta in modo ufficioso. Non che avere una raccomandazione dall'alto sarebbe servito a piegare la sua volontà – era già accaduto una volta e senza successo – ma forse in questo caso si sarebbe ammorbidita, viste le circostanze.

Non aveva inoltre dimenticato che era stata proprio lei, in extremis, a rimescolare le carte prima di salutarsi, proponendo che si rivedessero. Continuava ad avere il legittimo dubbio che si fosse espressa così solo per mitigare l'effetto troppo lapidario dell'uscita precedente, quando lo aveva in sostanza messo alla porta senza troppi giri di parole. Non voleva illudersi, ma nemmeno trascurare un dettaglio che non riteneva insignificante. Ed era l'unico su cui si potesse basare per andare avanti.

Giunto nei pressi del distretto si rese conto che non ci sarebbe stato bisogno di inventarsi alcun motivo plausibile per presentarsi al suo cospetto. La intravide, girata di spalle, intenta a ordinare un caffè in uno dei locali che costellavano la strada in entrambe le direzioni.
"Buongiorno, capitano", esordì a voce bassa, arrivandole silenziosamente alle spalle. Si sentiva emozionato come un ragazzino e altrettanto nervoso.
Nel sentirsi rivolgere la parola, Kate ruotò verso di lui con un'espressione accigliata, come se desse per scontato di essere in presenza di uno scocciatore – chissà se era un'esperienza così comune per lei da giustificare una tale reazione automatica – ma si sciolse in un sorriso quando lo riconobbe, provocandogli un'ondata di autentico piacere.
Era molto bella e professionale, in un completo severo nei toni pastello che sottolineava sapientemente le curve del suo corpo.
"Ehi, Castle, che cosa ci fai qui? Non abbiamo in programma di sventare altre aggressioni oggi". Poteva già dire che era adorabile o sarebbe apparso troppo stucchevole?
"Ma sono sempre pronto a offrirvi la mia disponibilità, nel caso vi servisse una mano".
"Intendi quindi rimanere a gironzolare nei dintorni nell'eventualità di esserci utile?"
"Volevo invitarti a pranzo", gli uscì di getto.

Kate rimase senza parole. Anche lui. Aveva saltato qualsiasi preambolo, qualsiasi ragionevole cautela sulla quale aveva concordato con se stesso solo qualche minuto prima. A sua discolpa poteva dire di non aver avuto nessuna intenzione di chiederle di uscire, non così presto, non senza un minimo di convenevoli o almeno qualche chiacchiera introduttiva.
Quando se la trovava davanti era sempre mosso da un'urgenza che gli era difficile spiegare senza ricorrere a complesse motivazioni metafisiche che si riconducevano a un unico, banale denominatore. Era stato vittima di un colpo di fulmine? Anche se si trattava di una persona che aveva già incontrato in passato? Era definibile in altro modo? Era saggio, soprattutto?

Attese trepidante la sua reazione, ormai il danno era stato fatto, si sarebbe assunto la responsabilità delle proprie azioni, per quanto insensate le sarebbero certamente apparse.
Invece di rispondere, Kate strinse le dita intorno al contenitore del caffè. Lo interpretò come un segno negativo. "Io...", esordì titubante.
Ci aveva visto giusto. Non era un no, ma mancava poco a diventarlo.
"Non considerarlo come un appuntamento". Che cosa gli saltava in mente? Certo che era un appuntamento. "Visto che è quasi ora di pranzo e ci siamo casualmente incontrati, ho pensato sarebbe stato carino mangiare qualcosa insieme. Senza impegno", bofonchiò in fretta, irriconoscibile perfino a se stesso.
Senza impegno erano le parole meno romantiche che gli fossero mai uscite di bocca in tutta l'intera vita. In più, nessuno avrebbe creduto che non fosse lì di proposito, lei per prima.

"Ti ringrazio per l'offerta, ma purtroppo non ho molto tempo. Avevo deciso per uno spuntino veloce in ufficio visto che devo uscire presto per un impegno che ho più tardi", spiegò dispiaciuta, mostrandogli il sacchetto contenente il cibo da asporto che era appena stato posizionato sul bancone davanti a loro da un solerte barista, che si dileguò subito.
"Capisco. E se invece dell'ufficio ti proponessi una panchina? Devi comunque pranzare e magari ti fa piacere cambiare panorama". Se non ne avesse trovata una l'avrebbe fatta installare a sue spese con una targa commemorativa sopra a imperitura testimonianza degli eventi. "E ti prometto che sarà una cosa molto breve, proprio come se fossi alla tua scrivania".

In una sommaria ricognizione attraverso le vetrate del locale si accorse dell'esistenza di un piccolo parco – un fazzoletto di terra, niente di più - dall'altra parte della strada. Glielo indicò.
Forse stava giocando male le sue carte e quell'incontro imbastito in modo rudimentale avrebbe precluso altre occasioni più formali – magari Kate avrebbe ritenuto di aver soddisfatto la promessa, che gli aveva fatto quella sera, di rivedersi in un'altra circostanza. Al momento era sprovvisto della lungimiranza necessaria e chiedeva solo di non doversene andare senza aver goduto almeno di qualche minuto della sua compagnia.

Guardò dubbiosa nella direzione che lui le aveva indicato. La diffidenza che emanava da lei era molto più che percepibile.
"Ho davvero poco tempo", insistette. "Meno di quello che pensi".
"Dì la verità, temi di essere vista insieme a me da qualche giornalista ancora in attesa di una dichiarazione esclusiva sul nostro contributo nello sventare l'aggressione. Io però mi sono attenuto alle regole e non ho parlato con nessuno. Devi riconoscermelo".
Era andata proprio così. Aveva declinato ogni richiesta di intervista, nonostante gliene fossero arrivate e, in generale, aveva tenuto un profilo basso, sia perché obbligato dal fatto di aver trascorso tutte le sue giornate in ospedale, sia perché lei era stata molto determinata nel raccomandarsi discrezione. Era al di sopra di ogni sospetto.
Kate soppesò le sue ultime dichiarazioni. "Va bene. Non credo che corriamo grossi rischi, visto che si tratta di pochi minuti. Ma mi pare scortese dovermene andare tanto in fretta".
La guardò dubbioso, convinto di aver capito male. Si stava rammaricando di non avere più tempo a disposizione?

Ancora sconcertato, ordinò qualcosa anche per se stesso e, dopo aver lasciato le banconote sul bancone senza attendere il resto, la invitò verso l'uscita. Raggiunsero insieme il parco, non esattamente uno dei migliori che New York avesse da offrire, con ciuffi di erba rachitici e troppo cemento per i suoi gusti. Ma non avevano alternative.
Presero posto su una panchina – l'unica presente e in pieno sole - ognuno con il proprio pacchetto di cibo, che decisero spontaneamente di condividere, per rendere il pranzo un po' più generoso di quanto non apparisse. Lo trovò un gesto stranamente intimo, ma non disse niente a riguardo.

"Non ricordo da quanto non mi prendo una pausa fuori dall'ufficio". Fu lei a riempire per prima il silenzio. "Di solito ho giusto il tempo di un caffè alla macchinetta. È sempre orribile, se te lo stai chiedendo". Alzò lo sguardo verso le cime dei pochi alberi che dovevano aver recentemente subito una drastica potatura. "Non mi ero nemmeno accorta che fosse arrivata la primavera".
"E io che ti immaginavo alle prese con picnic domenicali a Central Park insieme a tuo figlio. A proposito, come si chiama?"
Sì, il suo commento sarebbe potuto apparirle forzato, e lo era. Aveva deciso che voleva affrontare subito quell'argomento sensibile, senza girarci intorno. A scanso di equivoci, voleva che fosse chiaro che lui aveva ben presente la situazione con cui aveva a che fare e che non aveva problemi a riguardo. Non voleva fingere che il bambino non esistesse. A lui interessava tutto quello che faceva parte della sua vita, nessuno escluso. In più, gli erano sempre piaciuti i bambini a prescindere, lo sapevano tutti.

"Thomas. Ma noi lo chiamiamo Tommy".
Parlando del figlio si accorse che gli occhi le si erano colmati di dolcezza. Non riusciva a smetterla di guardarla, beandosi delle sue espressioni così diverse da quelle che assumeva di solito quando doveva presentarsi come l'integerrimo tutore della legge. Era un lato di lei che non aveva mai visto ."E di solito la domenica – tutte le domeniche - preferisce andare al museo a vedere i dinosauri, rifiutando le mie proposte di fare qualche attività all'aria aperta, di cui probabilmente ho più bisogno io, che passo le mie giornate in ufficio".
"Anche a mia figlia piaceva andare al museo da piccola. E anche io ho un debole per i dinosauri, è una passione che non si esaurisce nel tempo, temo".
"Vorrà dire che mi inizierò a rubare qualche minuto di aria e sole mentre sono al lavoro, proprio come adesso".
Se era un invito camuffato, lui si sarebbe fatto trovare pronto.
"Oppure... possiamo organizzare dei picnic durante la tua pausa pranzo, magari un po' più lunga di quella di oggi. Posso occuparmene io, ho già delle idee...", propose in preda all'entusiasmo.
Lo avrebbe fatto. Aveva in mente cestini di vimini, tovaglie a quadretti, bottiglie di vino e bicchieri di cristallo. O bicchieri più rustici, in linea con il resto. Avrebbe cucinato personalmente e le avrebbe comprato la migliore frutta di stagione. Sapeva già dove trovarla.

Kate gli rivolse un'occhiata divertita.
"Non darebbe affatto nell'occhio starmene seduta con te su un prato nel bel mezzo di una giornata lavorativa e proprio sotto le finestre del mio ufficio. Non sarebbe meglio qualcosa di classico come una cena in un ristorante? O è troppo poco creativo per te? Sai, essendo tu scrittore..."
Aveva detto cena? Quella precisa parola era uscita dalla sua bocca? Era stato convinto di dover insistere, convincere, forse perfino supplicare. E lei se ne usciva invece candidamente a irrobustire le sue speranze.
Nascose troppo tardi il moto di stupore che provò. Sicuramente lei se ne era accorta e doveva aver riso dentro di sé trovandosi di fronte un tale sprovveduto facilmente impressionabile, ma era troppo educata per mostrarlo.
Magari faceva tutto parte di una precisa strategia per disorientarlo e fargli fare la figura di una pera cotta nel caramello. Non vedeva altro motivo per cui fosse tanto disponibile nei suoi confronti. Si era aspettato di essere assalito da una serie di aculei lanciati nella sua direzione prima ancora che osasse esprimersi vagamente sui loro rapporti futuri.
Una cena. Loro due da soli. Era troppo perfino per lui. Non poteva essere tanto semplice. Non quando, per l'appunto, era stato impossibile in passato convincerla a dargli una possibilità.

"Certo. Naturalmente. La cena andrà benissimo. Credevo ti fosse difficile liberti la sera, per via della babysitter e di tutto il resto".
Non voleva toglierle ore da trascorrere con il figlio, visto che di giorno era molto impegnata. E voleva anche farsi bello ai suoi occhi, non poteva negarlo.
"È vero, di solito preferisco passare tutto il mio tempo libero con Tommy, che però non è sempre dello stesso avviso". Si lasciò andare a una risata cristallina che lo incantò. "Tommy è spesso da mio padre o è lui a venire da noi, quando non è in viaggio per lavoro. Non vedono l'ora di sbarazzarsi di me per starsene da soli a confabulare alle mie spalle. Anzi, non fanno che lamentarsi perché non riescono a vedersi a sufficienza e ti assicuro che capita abbastanza spesso".
"Devono essere molto legati".
Gli piaceva scoprire nuovi dettagli sui suoi rapporti familiari, sapere che il bambino era circondato da una rete affettuosa.
"Per Tommy è una sorta di figura paterna e mio padre stesso sembra rinato da quando è diventato nonno. Lui... ha passato degli anni difficili". Si accarezzò l'orologio che aveva al polso, senza approfondire il discorso. "Sono felice che Tommy l'abbia aiutato a stare meglio".
Era così immerso nel suo racconto da rendersi conto solo dopo che, tra i dettagli che gli aveva confidato sulla sua vita privata, il padre di Tommy non era mai stato menzionato, nemmeno lontanamente, a parte l'accenno al fatto che fosse il nonno ad aver riempito un posto che, a quel che gli era parso di capire, doveva essere rimasto vacante. Ma non voleva fare ipotesi troppo azzardate.

Lei continuò il discorso, sorridendo.
"Quindi la sera mi capita di essere libera, per quanto strano possa apparire. A volte lo scopro solo una volta tornata a casa, Tommy mi viene incontro con il suo zainetto, mano nella mano al nonno, e mi salutano allegramente andandosene. E senza aver chiesto il mio permesso".
Adorava il fatto che, al contrario di quanto si potesse immaginare, fosse una madre poco severa. Ed era innamorata del figlio, si vedeva benissimo.
"Se una di queste sere si ribelleranno di nuovo alla tua autorità...".
Attese che lei cogliesse l'idea sottesa, ma non lo fece. "Permettimi di invitarti a cena", concluse in tono un po' troppo formale, dovuto a un improvviso imbarazzo.
"Te lo permetto", rispose Kate con aria altrettanto solenne.
Scoppiarono a ridere entrambi.
"Scusami, di solito non sono così impacciato...".
Non concluse la frase, non poteva di certo confessarle che era lei a fargli quell'effetto, ma seguì un silenzio incerto che non seppe come riempire. Fu lei a salvare la situazione, come ormai capitava sempre più spesso.
"Devo considerarlo un invito ufficiale o è solo una fase preliminare in cui valuti se ci sono le condizioni per esprimerti? Solo per sapere se abbiamo un appuntamento a tutti gli effetti prima di scappare al lavoro. Ho esaurito i miei minuti d'aria per oggi".
Che donna terribilmente sfacciata. E sempre più affascinante, anche se non sapeva come uscire dalla situazione conservando intatto il suo amor proprio.
"Capitano, sembra quasi tu non veda l'ora di uscire con me". Era strano perfino dirlo, ancor più credere che fosse vero.
"Ti piacerebbe, Castle, ma in realtà voglio solo, a nome del distretto e della cittadinanza, ringraziarti per il tuo eroico contributo dell'altra sera e non sentirmi più in debito con te".
"Capisco. Hai quindi in mente una sorta di cerimonia istituzionale, che non ha niente a che vedere con un appuntamento galante. E io che mi ero illuso...".
Le fece una smorfia. "Ne sarò comunque soddisfatto. È prevista anche un'onorificenza? Una medaglia, magari?"
"Di questo passo potrei cambiare idea e limitarmi a una stretta di mano".
"Noto con piacere che diventare capitano ha fatto emergere quella vena dispotica che ti è sempre appartenuta, soprattutto nei confronti degli uomini".
"Questa tua ultima affermazione non sta andando a tuo beneficio, ti avverto", replicò alzandosi e fingendo di non essere divertita tanto quanto lui.
"Hai ragione. Sarò molto felice di farmi tiranneggiare a cena, o in qualsiasi luogo o circostanza tu voglia concedermi la tua dispotica presenza. Ti basta per considerarlo un invito ufficiale o devo inviarti una notifica giudiziaria?"

Si era alzato anche lui. Rimasero in piedi uno di fronte all'altra, senza sapere come concludere il loro incontro o, forse, senza volerlo. Lui di certo avrebbe voluto prolungarlo senza porsi limiti, ma era cosciente del fatto che lei dovesse tornare in ufficio.
"Grazie per il pranzo, ma ora devo proprio andare. Più tardi la classe di Tommy farà un piccolo spettacolo per noi genitori e lui mi ha fatto promettere che non sarei mancata. Ci tiene molto, ne parla in continuazione da settimane. E se hai avuto esperienza di bambini, sai che questo significa che è impossibile zittirlo. Canta la stessa filastrocca all'infinito e io ho iniziato a odiarla, soprattutto perché non riesco a togliermela dalla testa".
Era intenerita e orgogliosa e questo, di riflesso, tendeva a far emozionare anche lui. Se fosse rimasta per altri cinque minuti le avrebbe chiesto di accompagnarla alla festicciola. Quel bambino gli piaceva già moltissimo ma, soprattutto, trovava straordinario l'effetto che l'amore materno produceva in lei.
Naturalmente non lo avrebbe fatto. Sperava di riuscire a non commettere errori di alcun genere affinché le cose potessero dispiegarsi nel modo più equilibrato per tutti, soprattutto per Tommy. Aveva iniziato a chiamarlo anche lui così.

"Non voglio trattenerti. So quanto sono importanti queste attività per i bambini. Alexis da piccola viveva per giorni in uno stato di euforia tale da farmi venire voglia di avere un pulsante che la spegnesse, almeno per qualche minuto".
Kate si fissò la punta delle scarpe, prima di tornare a guardarlo negli occhi. "Non sempre riesco a essere presente e sono l'unica che può farlo. A parte mio padre, ma non è la stessa cosa".
Annuì. La capiva. Era successo lo stesso anche a lui. Essere l'unico genitore non era semplice, soprattutto quando si aveva una carriera impegnativa come la sua. Lui, al contrario, era stato molto più libero. Si domandò per l'ennesima volta perché il padre di Tommy fosse una figura apparentemente assente. Era lontano? Troppo impegnato? Disinteressato? Peggio?

"Quindi... ci sentiamo?" domandò Beckett, interrompendo la catena dei suoi interrogativi mentali.
Trovava curioso che fosse sempre lei a chiudere le loro conversazioni alludendo a un futuro incontro, come se volesse accertarsi di tenere aperto uno spiraglio. Che le piacesse sul serio la sua compagnia? Come era possibile? Perché allora avevano perso tutti quegli anni?
"Certo. Quando vuoi. Quando sei libera. Domani?"
Continuò, prima che a lei venisse voglia di arrestarlo. "So che questo può dare l'impressione che io sia un individuo pericoloso o solo molesto, ma la verità è che temo che tu possa cambiare idea e decidere di non rivedermi, se avrai abbastanza tempo per rifletterci su".
"Dai per scontato che se uscirò con te, invece, avrò voglia di rivederti? Ora che ci penso ho vaghi ricordi di questa tua enorme e mal risposta fiducia in te stesso".
"Ora non puoi negare di essere un po' dispotica".
"Vuoi cancellare l'invito per trovare qualcuno di più accomodante?"
"No. Voglio uscire con te, a qualsiasi condizione".
"Ottimo, Castle, temevo di dover rimanere qui tutto il pomeriggio per fartelo dire".
Gli sorrise con la consueta grazia e se ne andò, lasciandolo a fissarla inebetito e ancora incredulo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cinque ***


5

Era vero che aveva un impegno più tardi, esattamente quello che aveva menzionato a Castle e a cui non sarebbe mancata per nessun motivo – la festicciola alla scuola di Tommy. Era la prima a stupirsi della facilità e del genuino piacere con cui si trovava a parlare con lui di cose tanto personali.
Aveva inoltre parecchie pratiche da sbrigare in ufficio prima di potersi liberare, ma, seguendo un impulso del momento, decise di prolungare ulteriormente una pausa che a quel punto rischiava di dilatarsi fino a occupare gran parte del pomeriggio. Poteva dire addio al lavoro per quel giorno.
Non era una cosa che si concedesse di fare di solito – mai, a dirla tutta-, ma doveva essere onesta con se stessa. Le sarebbe stato impossibile riuscire a recuperare una parvenza di lucidità che le avrebbe consentito di svolgere le solite mansioni con la consueta professionalità. Ammetterlo le costò una buona dose di frustrazione e sensi di colpa, tanto per cominciare.

Sarebbe passata in obitorio da Lanie, la migliore alleata degli ultimi anni e sua consigliera di fiducia, se pure dai modi stravaganti e spesso poco diplomatici. Aveva più che mai bisogno di vederla dopo quello che era successo, rifletté stringendo il volante tra le dita, proprio come aveva istintivamente fatto con la tazza di caffè che si era trovata tra le mani quando Castle l'aveva invitata a pranzo, così sorpresa da non essere riuscita a fare quello che avrebbe dovuto. E cioè dire di no. Con garbo, adducendo scuse legittime, ma opponendo un netto rifiuto. Che, alla luce dei successivi eventi, doveva essere rimasto bloccato da qualche parte, tra il senso del dovere e la naturale diffidenza che non erano intervenuti a fermarla.
Sorrise nel ricordare quello che nemmeno nelle fantasie di un audace scrittore sarebbe mai potuto essere definito come pranzo. Smise di sorridere, imbarazzata. Chissà che cosa avrebbero pensato gli occupanti delle altre auto se l'avessero vista persa nelle sue fantasticherie.

Aveva un motivo ufficiale per capitare in laboratorio da Lanie senza generare alcun sospetto – ritirare dei referti – , anche se si sarebbe potuto facilmente obiettare che non rientrava tra i suoi compiti di capitano. E infatti non lo faceva quasi mai. Questo aveva purtroppo ridotto di molto le opportunità di incontro con l'amica durante le ore lavorative, una delle cose che rimpiangeva di più. Oltre all'azione sul campo, come aveva spontaneamente confessato a Castle. Sempre perché non le riusciva di tenere chiusa la bocca, quando c'era lui nei dintorni.

Chiamò Esposito dall'auto e gli comunicò che si sarebbe occupata personalmente della questione, evitandogli un viaggio nel traffico. Se lui trovò strana la sua scelta lo tenne per sé; non ci fu nessun commento, né le venne chiesto quando sarebbe rientrata. Forse erano felici di non averla tra i piedi per qualche ora e lei, dal canto suo, era sollevata all'idea di avere del tempo per sé per mettere in ordine i propri pensieri e riportarli alla ragione. Se solo fosse stato possibile.

"Che cosa ci fai qui?", l'apostrofò Lanie senza alzare gli occhi dal cadavere disteso sul lettino che stava esaminando, quando la sentì entrare. "Sei rimasta a corto di detective?"
Il suo sarcasmo affettuoso l'avvolgeva sempre come un indumento caldo e confortevole. Quando non la irritava da morire.
"No, avevo solo voglia di prendermi cinque minuti d'aria". Senza aspettare indicazioni, si accomodò dietro a una delle scrivanie, tenendosi rispettosamente lontana dall'area di lavoro su cui l'amica stava operando.
"Da quando?". Lanie le si rivolse con fare accusatorio, voltando la testa nella sua direzione.
Kate la guardò senza capire, troppo distratta dalle proprie turbolenze mentali per riuscire a seguire una conversazione appena meno che lineare. "Da quando ti concedi delle pause a metà giornata?", chiarì l'amica con impazienza.

Kate scrollò le spalle senza rispondere. In silenzio, Lanie si tolse i guanti, si lavò le mani e venne a posizionarsi accanto a lei. Si sentì attentamente scrutata.
"È successo qualcosa? Hai un'aria... diversa", commentò diffidente.
"Non posso allontanarmi dal distretto senza scatenare una reazione di allarme?"
Lanie fece un gesto con la mano per mostrare tutta la sua insofferenza di fronte a quelle che doveva considerare solo manovre diversive da parte sua. "Sputa il rospo". Le puntò un dito contro. "E ti avverto, non intendo accettare qualche vaga scusa delle tue. Voglio la verità. Ci deve essere un motivo per piombare qui con quell'aria arruffata".
"Non ho nessuna...", cominciò indispettita, ma si interruppe subito. Era inutile tergiversare, del resto non era di certo andata fin lì per parlare di frivolezze. O sì, in un certo senso.

Emise un gemito. "Credo di aver fatto una follia", confessò avvilita dopo qualche istante che le era servito per racimolare la giusta dose di coraggio.
Era così che era arrivata a considerare quello che era successo con Castle – niente e tutto, per quanto la riguardava - e, con il passare del tempo, se ne convinceva sempre di più. Che cosa le era preso?
"Hai ucciso qualcuno? Devo aiutarti a occultare il cadavere? Ho una certa esperienza in proposito", si offrì Lanie. "Di cadaveri, non di omicidi e relativi occultamenti", specificò esasperata, dopo aver ricevuto la sua occhiata perplessa.
"Ho... potrei avere un appuntamento", ammise a occhi bassi passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Dirlo a qualcuno lo rendeva ancora più agghiacciante di quanto già non fosse nei severi meandri della sua mente ipergiudicante.

Lanie batté le mani, felice come se le avesse annunciato una sostanziosa vittoria alla lotteria.
"Finalmente ti sei risvegliata dal letargo! Ero sicura che c'entrasse un uomo, si nota da quell'alone di euforia che ti segue da quando sei entrata e che tenti di reprimere senza molto successo".
"Non sono euforica!", si indignò. "Anzi, direi proprio il contrario". Si accasciò sullo schienale della sedia.
"Perché? Hai accettato un incontro al buio con qualcuno e ti sei accorta solo dopo che è un serial killer o semplicemente che non è il tuo tipo?"
"No, niente del genere".
"Non è un serial killer oppure è decisamente il tuo tipo? Ottima notizia in entrambi i casi. Perché hai quella faccia?".
Non era più convinta che avesse fatto bene ad attraversare la città per ascoltare tutte quelle sciocchezze.

"Puoi essere seria per una volta?"
"Sono serissima. Sei tu che sembri convinta di aver accettato di calarti con una fune in un girone infernale. È un appuntamento, non una punizione divina".
Si massaggiò le tempie. "Ho ben altro a cui pensare che non a uscire con un uomo". Non era forse evidente?
"E a che cosa dovresti pensare? Al voto di castità che hai fatto quando è nato Tommy e che da allora rispetti senza cedimenti?"
"Non ho fatto nessun voto di castità! E non è questo il punto. Ci sono degli ostacoli oggettivi e tu li conosci bene quanto me", rispose con un tono troppo aggressivo di cui si pentì subito, ma Lanie era riuscita a innervosirla, mostrandosi poco empatica verso i suoi turbamenti interiori.

Con una mossa risoluta sfilò il cellulare dalla tasca della giacca con l'intento di disdire senza attendere oltre quella specie di accordo che aveva con Castle. Era stata una pessima idea. La peggiore in assoluto. Bisogna porre fine a quella sua tendenza a comportarsi in maniera scellerata.
Lanie si sporse verso di lei, distraendola dal porre in atto il suo piano di sterminio di appuntamenti fuori luogo.
"Hai ragione", disse ammorbidendosi e dandole finalmente retta. "So che per te è stato difficile crescere un bambino contando solo sulle tue forze e che per questo non c'è stato spazio per altro nella tua vita. Ma devi iniziare a renderti conto che Tommy non è più un neonato e tu hai ogni diritto di uscire e divertirti un po'. Sei rimasta da sola troppo a lungo".
Si ribellò a quella descrizione della sua vita che non corrispondeva al vero. "Non sono sola, ho Tommy e il mio lavoro, e cioè tutto quello che mi serve". Era davvero così? Preferiva non chiederselo. "Che cosa c'entra il divertimento?"
"Capisco che tu sia un po' arrugginita sull'argomento, la tua vita mondana era misera anche prima che nascesse Tommy".

Evitò di rispondere alla provocazione – sapeva benissimo a cosa aveva rinunciato da quattro anni a questa parte. Non se ne era mai pentita, né le era parso che le mancasse qualcosa. Aveva una carriera che l'assorbiva molto e un bambino che stava crescendo in fretta, come aveva appena sottolineato. Non le rimaneva molto tempo per il resto, nemmeno se avesse voluto. Se ne era rimasta con suo figlio in un bozzolo fatto di amore, cure, attenzioni. Ne aveva amato ogni istante.
Continuò a fissare lo schermo del cellulare senza risolversi a scrivere il messaggio da inviare a Castle, quello che avrebbe cancellato qualsiasi possibilità di rischiosi incontri futuri.

Lanie cambiò discorso.
"Sentiamo, da dove salterebbe fuori questo appuntamento, visto che a quanto pare esiste ed è il motivo per cui ti sei rifugiata qui come se fossi inseguita da uno sciame di spasimanti? Dubito che ti abbiano drogata – nessuno oserebbe farlo, sfortunatamente. Hanno troppa paura di te. Devo dedurre che qualcuno abbia avuto l'ardire di chiederti di uscire e tu abbia accettato, prima di farti prendere dall'isteria e correre a seppellirti nelle tue abitudini ascetiche?"
"È inutile discuterne, non ci sarà nessun appuntamento", replicò puntigliosa. Doveva solo comunicarlo al diretto interessato. Niente di più facile.
"Di chi si tratta? Dove lo hai conosciuto?", insistette Lanie, ignorando le sue obiezioni. Qualche volta le pareva di parlare al vento.
Fece un profondo respiro. " Non è proprio un estraneo..." Non lo era, giusto? Questo doveva renderla più tranquilla, ma purtroppo non era così. "È Castle", confessò infine sotto lo sguardo implacabile dell'amica.
"Richard Castle?!", proruppe Lanie quasi gridando. "Quel Richard Castle?! Gesù, devi essere impazzita sul serio". Si sventolò con una mano.
"Lo vedi che avevo ragione? Anche tu lo trovi sconvolgente. L'ho detto subito che era una follia, ma non mi hai dato retta", la rimbeccò offesa.
"Alt. Non sono affatto sconvolta, sono solo stupita ed entusiasta all'idea di poter finalmente riscuotere la mia scommessa. Ce ne hai messo di tempo!"
La fissò interdetta. "Quale scommessa?"
"Ero convinta che sareste usciti insieme dopo aver risolto magnificamente quell'unico caso insieme. Lui era decisamente propenso ad approfondire la tua conoscenza e tu fingevi solo di respingerlo per chissà quale assurdo motivo".
Lei non era per nulla d'accordo con questa approssimativa e niente affatto realistica ricostruzione degli eventi.
"Ti rendi conto che non ha nessuno senso? Sono passati anni", rimarcò piccata.
"La scommessa non è andata in prescrizione. Sì, a quei tempi ho dovuto pagare la mia quota, ma adesso mi farò ridare i soldi con gli interessi. Sapevo che il mio intuito non si sbagliava".
"Forse è meglio che me ne vada, credo tu sia impazzita più di me". Si alzò con decisione, infilandosi la borsa a tracolla.

"Non prima che tu mi abbia raccontato tutto", la fermò Lanie tirandola per una manica. "Dove vi siete incontrati tu e il bel scrittore? È sempre affascinante?"
"Qualche sera fa, alla festa in onore del sindaco", spiegò con riluttanza.
"Quella in cui gli hai salvato la vita, anche se tieni la bocca cucita per evitare i riflettori? Guarda che lo sappiamo tutti come è andata".
"È una questione riservata, non posso svelare niente".
Lanie sbuffò di fronte al suo tono definitivo. "D'accordo. Tanto non è quello che mi preme di sapere. Vai avanti. In quale punto il nostro eroe è saltato fuori dalle pagine di uno dei suoi romanzi per ammaliarti, convincendoti finalmente a dire di sì?"
"Non farti strane idee, abbiamo solo chiacchierato".
"Prima o dopo lo spiacevole intermezzo con lo squilibrato?"
"Prima. E dopo", ammise a malincuore.
"Credi di riuscire a esprimerti in modo più articolato o devo strapparti le parole con una pinza? Ne ho di tutte le dimensioni". Incrociò le braccia davanti al petto.

"Noi...". Si rese conto che non poteva svelarle niente del ruolo di Castle nella vicenda. O del suo. Del motivo per cui l'avesse legittimamente seguita al distretto in piena notte. Era stata invitata a non esprimersi sull'intera vicenda, a meno che non si trattasse di un comunicato ufficiale.
Ma non era solo questo. Non poteva raccontarle soprattutto di tutto il resto. Di come si fosse sentita nervosa seduta alla propria scrivania circondata dal silenzio e l'oscurità e con i suoi occhi puntati addosso, fingendo una calma che era stata ben lungi da provare. E di come fosse stata lei, in extremis, a non lasciare che scomparisse, come invece aveva fatto in passato.
"Non è finita lì. Ci siamo rivisti anche oggi a pranzo, un paio di ore fa", svelò con la voce ridotta a un sussurro.
"Quindi avete già avuto un appuntamento! E me lo dici così? Ecco perché ti sei presentata volteggiando e con la testa tra le nuvole. Castle ti ha sempre fatto questo effetto, ammettilo".
"Non ammetterò niente del genere. E non è come pensi tu. Quello di oggi non era un l'appuntamento di cui ti ho parlato. Ci siamo incontrati per caso sotto il mio ufficio e abbiamo mangiato qualcosa insieme. È stato molto rapido e per niente...". Fece un gesto vago con la mano. "Romantico o altri aggettivi che useresti tu. E non mi fa nessun effetto". Proprio nessuno. L'avrebbe ripetuto anche sotto giuramento.
Forse non era stata romantico in senso tradizionale, ma dovette reprimere un effluvio di emozioni scomposte, pronte a debordare oltre i confini di se stessa, quando le tornò in mente il loro frizzante incontro più recente, quello che si erano detti, le promesse future e quell'inebriante esplosione primaverile che aveva contribuito a travolgerla.

"Quando ci siete di mezzo tu e Castle il caso non esiste, lo sappiamo entrambe. Vedo che non ha perso il vizio di tentare di intrufolarsi nella tua vita con i mezzi più fantasiosi", replicò compiaciuta.
Si rifiutò di rispondere a quelle basse insinuazioni. "Se il pranzo di oggi non conta, significa che avete in programma un altro appuntamento? Ufficiale, romantico e tutti gli altri aggettivi che userei io?"
Annuì contrita. "Una cena, presto". Non confessò di essere stata lei a proporla sfacciatamente.
Lanie fece una smorfia. "Per essere un uomo che non trovi interessante state passando parecchio tempo insieme o sbaglio?"
"Non ho mai detto che non lo trovo interessante". Si morse la lingua.
"Se non fossi davanti a me in carne e ossa stenterei a riconoscerti", commentò Lanie stupefatta. "Non credo di averti mai sentito esprimere parole di apprezzamento su Castle in quanto essere maschile. O su chiunque altro, a pensarci meglio".
"Non voglio negare che sia una persona all'apparenza...". Lanie la fissò incuriosita. Doveva scegliere con attenzione le parole da usare. "Gradevole". Gradevole andava bene, ma si beccò in cambio un'occhiata sprezzante. "Ma è anche un uomo che ama apparire stabilmente sulla pagina dei pettegolezzi cittadini, che cambia compagna a seconda del capriccio del momento, è superficiale e completamente incentrato su se stesso. Proprio come allora".
Lanie rifletté per qualche secondo. "Come fai a sapere tutte quelle cose su di lui, per esempio che non sia cambiato nel tempo? È merito del tuo grande acume o l'hai seguito un po' troppo da vicino negli ultimi anni?"
Sì, si era tenuta vagamente informata sulla sua vita, non era un crimine. Era pur sempre il suo scrittore preferito – le cose non erano cambiate nemmeno dopo averlo conosciuto e aver deciso di tenersene il più lontana possibile per concentrarsi unicamente sulla sua produzione creativa - era normale venire a sapere dettagli personali che lo riguardassero, solitamente esposti al pubblico con grande generosità proprio da lui in persona.

Finse di non averla sentita. "Tutto questo lo rende inadatto a me e alla mia situazione e so che sarebbe meglio rifiutare i suoi approcci, come ho già fatto in passato". Si lasciò andare allo sconforto. "Il problema è che quando sono con lui vengo presa da questi raptus incontrollabili in cui tutto il mio buonsenso scompare. Gli dico di sì. Alludo nemmeno troppo velatamente a nostri possibili incontri futuri. Ho proposto io la cena. Mi sono perfino premurata di fargli sapere che, quando Tommy va a dormire da mio padre, io ho la casa libera. Ti rendi conto? Mi comporto come una ragazzina, non sono più io. Che cosa mi sta succedendo?", gemette prendendosi la testa tra le mani.
"Non è così difficile comprenderlo. Sei una donna adulta e sana e hai dei normalissimi bisogni, che a furia di essere repressi si stanno ribellando e ti fanno compiere azioni all'apparenza incoerenti, esprimendo invece i tuoi desideri più profondi. Per fortuna, direi. O forse..." le lanciò un'occhiata allusiva, troncando la frase sul più bello. Le fece cenno di continuare, spazientita. Non aveva proprio voglia di pause a effetto. "Forse hai sempre voluto uscire con Castle ed è per questo che non riesci a resistergli e non intendi perderti quel treno che sta finalmente ripassando".

Alzò gli occhi al soffitto, insoddisfatta della spiegazione. "Io devo pensare a Tommy e al suo bene. Non ai miei presunti desideri o alle occasioni perdute".
"Non vedo che cosa c'entri Tommy in tutto questo. Devi solo uscire con lui, divertirti e possibilmente renderci noto se quella chimica innegabile che avete sempre innescato produca fuochi d'artificio e, nella peggiore delle ipotesi, salutarlo. Nel frattempo ti sarai goduta un po' la vita. Non mi pare una prospettiva tanto terribile".
"Non sono quel tipo di donna", ribatté con forza.
"Quella che si prende una pausa dai suoi infiniti doveri e si concede una serata piacevole?"
"Tommy ha solo me, Lanie. Devo fare attenzione a chi faccio entrare nella sua vita, soprattutto se si tratta di uomini a cui potrebbe affezionarsi per poi vederli scomparire dalla sua vita, ci pensa già suo padre a comportarsi così", spiegò amara. Non era un discorso che le piacesse rivangare.
"Non nominare suo padre quando io sono presente o non garantisco di rimanere calma. In ogni caso, non devi sposarlo o farlo diventare il suo patrigno seduta stante. Pensa a te stessa per una volta e concediti qualche sano batticuore. Te lo meriti".

Non rispose, non ancora convinta di poterselo permettere. Il telefono che aveva in mano vibrò, facendola sobbalzare. Lo scorse in automatico e sorrise quando trovò un messaggio di Castle. Era quella la felicità? Quel guizzo che provò leggendolo, un'emozione che da molto tempo non le faceva visita? Qualcosa che scaldava il cuore e la faceva traboccare di energia.
"Se vuoi un consiglio, che è il motivo per cui sei arrivata fin qui, non disdire quell'appuntamento", commentò Lanie. "Altrimenti verrò personalmente a drogarti e ti costringerò a uscire contro la tua volontà. Ricorda che conosco perfettamente ogni sostanza stupefacente e tu non hai alternative, anche se hai una pistola con cui ti piacerebbe minacciarmi".

Colse l'occasione al balzo per andarsene, fingendo di essere esasperata. Ma continuò a posticipare il momento in cui avrebbe premuto invio per cancellare quella cena che, dopotutto era stata lei a proporre. Voleva solo tenersi aperta una via di fuga, sapendo perfettamente che non l'avrebbe mai imboccata. Non aveva ancora smesso di sorridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sei ***


6 Beckett

"Devi andare al lavoro anche stasera, mamma?"
Una vocina limpida si insinuò attraverso la porta semiaperta della sua camera da letto, riaccendendo la cenere mai sopita degli onnipresenti sensi di colpa materni. Si stava, in effetti, preparando per uscire, proprio come aveva notato suo figlio, a cui non sfuggiva mai nulla.

Distolse l'attenzione da quello che stava facendo e la rivolse a Tommy, che la stava scrutando con aria inquisitoria e carica di aspettativa, appoggiato allo stipite. Lo aveva lasciato qualche minuto prima a colorare sul tavolino basso in salotto, da tempo la sua postazione personale, dotata dell'innegabile vantaggio di tenerlo a portata di sguardo in qualsiasi punto della casa si fosse trovata. Si era mosso in silenzio, contrariamente al suo solito, e per questo non lo aveva sentito arrivare.

Il solito nodo arrivò a stringerle la gola – capitava ogni volta - rendendosi conto di come Tommy desse per scontato che lei fosse sempre impegnata altrove per motivi professionali. Accettava come un fatto naturale di doverla dividere con il suo lavoro, presenza ingombrante nelle loro vite. Inghiottì uno sgradevole miscuglio di tristezza e frustrazione.
Anni prima, quando era rimasta incinta, si era trovata costretta a ponderare con attenzione le alternative a sua disposizione, essendo l'unico genitore presente. Dopo qualche titubanza, aveva deciso di affrontare il concorso da capitano, che non solo era il passo successivo della sua carriera, ma che avrebbe avuto il vantaggio di offrirle maggiore flessibilità e una posizione meno pericolosa. Quando era infine riuscita a raggiungere il traguardo che si era prefissata, si era però accorta che le cose non erano esattamente come le aveva immaginate. Aveva sì smesso di rincorrere criminali e arrestare assassini, ma si era trovata invischiata in un'infinita girandola diplomatica travestita da occasioni mondane, e complesse dinamiche politiche, a cui doveva dedicare molto più tempo di quanto non avesse previsto.

In ogni caso, questa volta non era il lavoro a essere al centro della questione. Lo era Castle, invece. E la loro famosa cena, proprio quella che non aveva mai cancellato.
Dopo qualche giorno trascorso tra numerosi messaggi e molti sorrisi rubati e subito nascosti, divisa tra la crescente voglia di rivederlo e la tragica consapevolezza di commettere una sciocchezza di proporzioni immani, si era decisa a chiamarlo per fissare la data. Era stata felice, nervosa e tutto quello che c'era nel mezzo. Lo era ancora.
Lo aveva fatto, non senza che la coscienza le rimordesse a tratti, solo quando suo padre Jim, ignaro, si era spontaneamente offerto di prendere Tommy con sé per la notte. Non aveva preteso di avere la serata libera, giusto? Doveva attenersi ai fatti, principio basilare della sua vita. Le era piovuta dal cielo senza che lei facesse alcuna pressione. Non aveva chiesto un favore a nessuno per correre a cenare con Castle. Non avrebbe mai spinto Tommy fuori casa solo per concedersi un appuntamento. Eppure, era proprio così che si sentiva.

Lo guardò negli occhi, che tutti dicevano essere identici ai suoi. Non era in grado di valutare se fosse così, non le era facile ritrovare se stessa in lui, ma per fortuna – teneva per sé queste considerazioni – non assomigliava molto nemmeno al padre.
Tommy stava aspettando una risposta al suo interrogativo e sapeva per esperienza che niente sarebbe stato in grado di distrarlo.
Avrebbe potuto diplomaticamente porre fine alla questione confermando che sì, sarebbe andata al lavoro, lui non avrebbe mai sospettato niente. O poteva dirgli la verità. Fin da quando era piccolo si era ripromessa che non gli avrebbe mai mentito; gli avrebbe però sempre offerto una versione della realtà adatta al suo livello di comprensione. Non si era mai pentita della sua scelta. Finché non era arrivato Castle.

Si abbassò sulle ginocchia. Tommy ne approfittò per abbracciarla, cogliendola alla sprovvista e togliendole il fiato. Era sempre sopraffatta dalle sue esplicite e molto fisiche manifestazioni d'affetto, considerandosi al contrario di lui una persona più riservata. Era un'anima gentile, un bambino poco o nulla problematico, molto solare e socievole. Qualche volta si chiedeva da chi avesse preso certi tratti caratteriali, non potendoli imputare a nessuno dei suoi genitori, soprattutto se si consideravano il buon carattere e la sua amabilità. Si era sempre considerata estremamente fortunata che avesse scelto lei come madre per venire ad abitare questo lato dell'universo.
Per un attimo considerò molto seriamente l'idea di rimandare la cena con Castle, per starsene con suo figlio, anche se era lui il primo ad avere programmi che non contemplavano la sua presenza. E a cui, a differenza sua, non avrebbe rinunciato.
"Nonno Jim verrà a prenderti tra poco per trascorrere la serata con te, ricordi?"
Tommy si illuminò all'idea, sorridendole felice.
"Hai preparato il tuo zainetto?"
Annuì. Avrebbe dato lei un'occhiata più tardi e avrebbe aggiunto quello che mancava. Il suo pupazzo preferito senza il quale non si sarebbe addormentato, qualche nuovo libro illustrato che gli aveva appena comprato. Per quanto riguardava il resto suo padre era fornito di tutto il necessario, avendo trasformato una camera del suo appartamento nel regno privato di Tommy, talmente pieno di articoli per l'infanzia da far invidia a un negozio di giocattoli.

"Ma tu dove devi andare?", insistette il bambino, senza mollare la presa. Vedeva per lui un roseo futuro da detective.
"Devo incontrare un amico che non conosci", ammise coraggiosamente, fedele al suo proposito di non concedersi comode scappatoie.
"Perché non lo conosco? E perché non è anche mio amico?", la incalzò implacabile al punto da iniziare a farla innervosire sotto il suo sguardo severo. Stava per confessargli che Castle aveva una lunga serie di crimini efferati alle spalle, di cui lei era complice.
"Magari un giorno lo incontrerai e potrete diventare amici anche voi due".
Che cosa le saltava in mente? Questo era mettere le mani molto, molto avanti e non era quello che aveva avuto intenzione di dirgli. "Non vuoi portare dal nonno il tuo pigiama con le astronavi? Perché non vai a prenderlo?"
Non le sembrò molto convinto, ma fece come gli era stato suggerito. Era piuttosto ubbidiente, quando riusciva a convincerlo della validità delle sue indicazioni, nonostante avesse usato quello stratagemma solo per evitarsi ulteriori imbarazzi.

Tornò di corsa da lei, che si stava dando l'ultima passata di mascara, cercando di non ficcarselo in un occhio, agitata com'era.
"Quando viene papà?", domandò Tommy cambiando discorso e facendole sanguinare il cuore.
Abbandonò i preparativi, lo prese in braccio e andò ad accomodarsi nella poltrona in camera da letto. Era il loro posto privato, quello in cui gli aveva raccontato fiabe e cantato ninnananne da quando era nato. Era lì che andavano ad acciambellarsi quando avevano bisogno di stare vicini.
Valutò come muoversi al meglio su un argomento scivoloso come quello che Tommy aveva stranamente tirato in ballo. Non era da lui chiedere di suo padre di punto in bianco.
La verità era che non aveva nessuna idea di quando Josh sarebbe tornata dall'ennesima peregrinazione in giro per il mondo, organizzata con il nobile intento di salvare chiunque tranne suo figlio. Pensarci le faceva venire travasi di bile, emicranie e impulsi omicidi. Cercava di farlo il meno possibile.
A intervalli irregolari si faceva vivo con lei per annunciare visite future, che la maggior parte delle volte non rispettava, annullandole all'ultimo da qualche palafitta sperduta con la linea che si interrompeva in continuazione. E queste erano le circostanze più piacevoli, quando almeno si degnava di avvisare che non sarebbe tornato.
A un certo punto aveva smesso di dirlo a Tommy, volendo evitare che la sua vita fosse un susseguirsi di promesse non mantenute da parte di suo padre. Non sopportava di essere testimone del suo crescente entusiasmo, delle aspettative miseramente infrante e del suo faccino triste. Quando Josh si degnava di tornare in patria e lei era certa che fosse effettivamente atterrato e fosse incline a incontrare suo figlio - le due cose non sempre combaciavano –, informava Tommy con tatto dell'incontro.

"Non lo so, tesoro. È molto impegnato a costruire scuole e ospedali nella giungla per le persone che ne hanno bisogno".
A che punto della vita Tommy si sarebbe reso conto che questo padre salvatore dell'umanità, come lui credeva arrogantemente di essere, aveva tempo ed energie da dedicare a tutti tranne che a lui? Fremeva sempre di rabbia quando era costretta a toccare da vicino l'indifferenza con cui il suo ex si rapportava a Tommy mentre si spendeva generosamente per i figli di chiunque altro.
"Posso chiamarlo?"
Un'altra stilettata. Non poteva rifiutarsi, non era giusto che passasse sempre lei per la cattiva. Non lo era affatto, era solo molto protettiva. E non era colpa sua, a meno che non si considerasse tale il peccato ancestrale di essersi messa in quella situazione e aver trascinato un bambino con sé. Tommy, con l'innocenza dei suoi pochi anni di vita, coltivava un'idea romantica di suo padre, che lei aveva in parte contribuito a costruire, e non se la sentiva di distruggere le sue illusioni. Non così presto.

Valutò la differenza di fuso orario tra New York e l'ultimo indirizzo che Josh le aveva comunicato durante una breve telefonata intercontinentale avvenuta in piena notte e interrotta da continui crepitii che avevano reso difficoltosa la già ostile comunicazione tra loro e poi si rassegnò a comporre il numero.
Inaspettatamente Josh rispose al primo squillo. Dopo aver scambiato a fatica qualche parola, lo passò subito al figlio, in trepidante attesa. La conversazione tra i due fu stentata e non percepì grande entusiasmo né da una parte né dall'altra del ricevitore. Niente di diverso dal solito, purtroppo. Tommy era sempre felice delle rare briciole di attenzione che Josh gli dedicava, ma usciva dai loro incontri – reali o virtuali - sempre un po' deluso. Non voleva che imparasse che il mondo andava affrontato con disincanto. Voleva il meglio per suo figlio, voleva magia e meraviglia, ma si rendeva amaramente conto che, dal fronte paterno, non riceveva nemmeno il minimo sindacale.
Quando ebbe riattaccato, dopo solo qualche minuto, lo abbracciò più forte, appoggiando il mento sulla sua testolina ricciuta. Chissà se il suo infinito amore avrebbe compensato tutte le mancanze che aveva dovuto sopportare. Era una domanda che non aveva smesso di porsi, fin da quando era solo un segno appena accennato sul test di gravidanza che aveva fatto da sola nei bagni del distretto.

Vennero interrotti da un deciso scampanellio. Tommy dimenticò in fretta la telefonata e si scagliò sul pavimento, gridando di gioia quando vide il nonno comparire sulla soglia di casa.
Li lasciò ai loro saluti pieni di pathos – non si vedevano da un paio di giorni – e ne approfittò per svignarsela per concludere una buona volta i suoi impacciati tentativi di rendersi presentabile, sapendo per esperienza che nell'euforico congiungimento di due anime divise dalla sorte avversa non ci sarebbe stato spazio per lei.

Dopo qualche minuto di eccitato borbottio, sentì bussare discretamente alla porta della sua stanza.
"Chi sarebbe questo amico con cui devi uscire, Katie?" chiese suo padre disinvolto, sorridendole gongolante.
Gli lanciò un'occhiata torva attraverso lo specchio, in preda al bisogno urgente di calarsi dalla finestra con qualsiasi mezzo, anche quelli più rudimentali.
Lei e il padre non avevano mai avuto quel genere di confidenza, erano abituati a rispettare con discrezione lo spazio dell'altro, ma da quando Tommy aveva iniziato a parlare era stata costretta a rivedere il proprio concetto di privacy, visto che suo figlio era impermeabile a ogni tentativo di contenere la sua propensione alla condivisione pubblica di qualsiasi dettaglio, soprattutto quelli che riguardavano sua madre. E suo padre, inaspettatamente, si era rivelato più impiccione del previsto. Lui e il nipote viaggiavano in perfetta sintonia.
Il colpevole arrivò saltellando dietro al nonno.

"Nessuno", tagliò corto. Non aveva avuto conversazioni di questo tipo con suo padre durante l'adolescenza, non era certo intenzionata a iniziare adesso solo perché aveva un figlio che non sapeva tenere la bocca chiusa.
"Non può essere nessuno", sottolineò la voce della ragione dall'alto del suo metro scarso.
"Ha ragione, Katie. Perché non ci dici chi è? Come si chiama?"
Strinse i denti, rimpiangendo la sua ferma intenzione di essere sempre trasparente con suo figlio, nel limite del possibile. A quel punto avrebbe potuto convincerli che sarebbe uscita per recarsi al lavoro e nessuno avrebbe fatto storie. L'integrità era decisamente sopravvalutata. Da lei, soprattutto.
Lanciò un'occhiata ammonitrice al padre, che invece se la stava spassando un mondo.

"Tommy, vai a raccogliere le tue cose, così tu e il nonno potete uscire", replicò sbrigativa.
"Sbaglio o stai cercando di cacciarci di casa non troppo velatamente? Deve essere un appuntamento a cui tieni molto". Era permesso aver voglia di strozzare il proprio padre? Perché era esattamente quello che sarebbe successo, se non avesse smesso di parlare a vanvera.
"Non è niente di importante", bofonchiò per non farsi sentire dal figlio.
"Speravo di sì. Sarebbe bello se iniziassi a divertirti un po'. Tommy ha quattro anni, ormai".
Aveva confabulato con Lanie? Perché d'un tratto erano tutti preoccupati che lei non si divertisse? Ne aveva abbastanza di gente che le faceva notare le sue tendenze monastiche.
"È solo una cena, papà. Non farti strane idee". Era impossibile che non se le fosse già fatte.
"Vuoi dirmi di chi si tratta o preferisci che io e Tommy ci nascondiamo all'angolo per spiarvi?"
"Sei troppo onesto per fare una cosa del genere e, soprattutto, insegnarla a tuo nipote".
"Mettimi alla prova", sogghignò Jim.

Fortunatamente la spiacevole conversazione con un uomo che all'anagrafe risultava essere suo padre, ma che si era trasformato in uno sconosciuto ficcanaso venne interrotta da un rumore proveniente dall'ingresso.
Doveva essere Castle, realizzò con un improvviso attacco di tachicardia. Certo che era lui, chi altri poteva essere? Casa sua non era solitamente frequentata da estranei che bussassero senza preavviso alla sua porta. Era lui a essere in anticipo o era lei ad aver sbagliato a calcolare i tempi, peccando di ottimismo?
Gli aveva dato appuntamento – era stato lui a insistere per passarla a prendere a casa, come l'ultimo dei gentiluomini - convinta di avere abbastanza margine temporale per accoglierlo in tutta tranquillità dopo aver salutato Tommy e suo padre e aver augurato loro di trascorrere una bella serata insieme.
L'esperienza con un bambino avrebbe dovuto insegnarle l'inutilità di predisporre dei piani così poco lungimiranti. In più tutte quelle chiacchiere sull'uomo misterioso con cui sarebbe uscita l'avevano distratta e non le avevano permesso di seguire la sua tabella di marcia. E, quindi, il danno era fatto. Chissà se il mascara applicato al volo avrebbe resistito.

Si precipitò ad aprire, nel tentativo di anticipare gli uomini presenti – magari sarebbe riuscita a convincere Castle a nascondersi nella rampa delle scale comunicandoglielo a gesti - ma suo figlio fu più rapido di lei e, sgattaiolandole tra le gambe, spalancò la porta di slancio.
Si preparò allo schianto dell'incontro imprevisto tra Tommy e Castle, rassegnata all'idea che ormai la situazione fosse ormai oltre le sue possibilità di controllarla.
Da sopra la testa del bambino osservò il sorriso di Castle - inizialmente convinto di trovarsi di fronte solo lei-, farsi un po' incerto, per poi riprendere vigore quando divenne cosciente del contesto in cui si era suo malgrado ritrovato.

Gli fece un debole cenno di saluto con la mano, senza sapere di preciso che cosa stesse cercando di comunicargli, forse solo la sua disperazione. La casa era in disordine e al loro primo, vero appuntamento si faceva trovare con l'intera famiglia riunita per sottoporlo a un esame. Perché non la banda e un comitato di accoglienza, già che c'erano?
Castle le rivolse un sorriso rilassato. "Ciao, Kate", la salutò, lanciandole uno sguardo che la rimescolò. Abbassò gli occhi, imbarazzata. Sperò che nessuno si fosse accorto che era arrossita. Intercettò un'occhiata meravigliata del padre, arrivato con tutta calma a posizionarsi accanto a lei, che mimò enfaticamente con le labbra: "Richard Castle?"
Lo ignorò, concentrandosi sul disastro in corso.

"Sei tu il nuovo amico della mamma?" cinguettò Tommy con un tono fintamente cortese che tradiva invece intenzioni non del tutto pacifiche. Nemmeno suo padre aveva mai avuto un atteggiamento così sospettoso nei confronti dei ragazzi che aveva frequentato durante il liceo.
Castle si abbassò per essere alla sua altezza e gli tese la mano, con grande serietà.
"Ciao, tu devi essere Tommy. Io sono Rick. Sì, sono un amico della tua mamma".
Il bambino gli strinse la mano con altrettanta solennità. Si accorse di aver trattenuto il fiato e di avere lo stomaco contratto. Castle sembrava invece molto tranquillo e a proprio agio. Innegabilmente, aveva sangue freddo da vendere.
"Ti ho portato un regalo, vuoi vederlo?", proseguì Castle, cogliendo tutti di sorpresa. Si rese conto solo in quel momento che doveva avere qualcosa nascosto dietro la schiena.
Tommy annuì, eccitato. Castle fece lentamente comparire un coniglietto di peluche e lo mostrò al bambino, che si entusiasmò battendo le mani. Dopo essersi accertato che la madre fosse d'accordo, lo accolse con delicatezza tra le braccia, ringraziando compito. Per fortuna si era ricordato delle buone maniere.

Si volse verso di lei per mostrarle il suo nuovo tesoro e lo osservarono insieme. Il coniglietto aveva lunghe orecchie pelose molto morbide, un cappellino messo di traverso sulla testa e una salopette di jeans. Per qualche assurdo motivo, le parve che assomigliasse curiosamente a suo figlio, forse per via di quell'aria nerd e sbarazzina insieme. Come aveva fatto Castle ad azzeccare i gusti di Tommy?
Il gesto la intenerì anche se non aveva minimamente idea del motivo per cui Castle, convinto di incontrare solo lei – il fatto che avesse la serata libera era stata la premessa imprescindibile del loro appuntamento -, si fosse presentato con un dono per lui.

Tommy era estasiato. Il coniglietto sarebbe diventato in fretta uno dei suoi preferiti, se già non lo era, conosceva abbastanza bene i suoi gusti da sapere che avrebbe ottenuto il posto d'onore nella schiera di peluche destinati ad accompagnarlo nel mondo dei sogni.
"Come si chiama?", domandò Tommy, che teneva sempre molto che le presentazioni si svolgessero nel totale rispetto delle consuetudini formali.
"Non ha ancora un nome. Come vuoi chiamarlo?", rispose Castle. Ci sapeva davvero fare con i bambini, dovette ammettere. Era un punto in più in suo favore, come se già non ce ne fossero abbastanza per farle perdere la testa.
"Rick", decise Tommy senza esitazioni. Kate dovette controllare il tremito nervoso, per non farsi sopraffare dalle emozioni. Era un grande onore da parte sua. Lei aveva ottenuto un peluche che portasse il suo nome per esteso solo molto recentemente.
"Rick, allora". Anche Castle era visibilmente colpito da quella netta svolta in suo favore.

"Vuoi diventare anche mio amico? O sei solo un amico della mamma?"
Castle le lanciò un'occhiata per sapere come comportarsi. Molto rispettoso. In pratica, un uomo perfetto. E lei doveva avere gli ormoni impazziti. Un binomio disastroso.
"Posso anche essere tuo amico, se ti fa piacere".
"Non ho ancora deciso", esclamò suo figlio dopo qualche istante di riflessione, da sempre grande sostenitore dell'onestà a ogni costo, riportando il necessario realismo a una situazione troppo idilliaca. Del resto, glielo aveva insegnato lei. Castle rimase spiazzato. Fu costretta a intervenire, anche se aveva una gran voglia di scoppiare a ridere.

"Tommy, è ora di andare, il nonno mi ha confidato che ti porterà a cena in un posto speciale". Non era vero, ma sarebbe servito a farli finalmente uscire di casa. Dopo qualche protesta, molti baci e abbracci e reiterati saluti, riuscì finalmente a dedicare la sua intera attenzione a Castle.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sette ***


7

"Va tutto bene?"

La voce gentile di Castle, venata di una premura che non era abituata a ricevere, si insinuò tra i suoi pensieri impegnati a disegnare cerchi concentrici sempre più ampi e ansiogeni. "Sei così silenziosa che temo che qualcuno si convinca che ti abbia rapita per costringerti a subire il supplizio della mia presenza".
Si era espresso con fare scherzoso e non le pareva seccato, ma lei si sentì subito colpevole. Castle non aveva torto a chiedersi che cosa le stesse succedendo, fino a quel punto della loro cena non si era dimostrata di grande compagnia. Anzi, tutto il contrario. Sfiorò il calice di vino, che Castle aveva già riempito più di una volta.

Quando si erano finalmente ritrovati da soli, dopo che Tommy era uscito con il nonno, si era affrettata a infilarsi la giacca, aveva recuperato la borsa e si era precipitata fuori nemmeno si stesse lasciando alle spalle un appartamento in fiamme. Se Castle aveva trovato la sua condotta eccentrica, doveva averlo tenuto per sé. L'aveva assecondata, seguendola all'aperto senza fare commenti.
Durante il tragitto in auto, preferendo non apparirgli una disadatta in fuga, si era sforzata di scambiare con lui qualche scarna frase di circostanza, il meglio che avesse potuto fare. Non voleva che la credesse disinteressata o, peggio ancora, pentita di essere uscita con lui.

La tiepida atmosfera non era migliorata nemmeno quando erano giunti al locale scelto da Castle, che si era rivelato una gradita sorpresa. Sobrio, di classe, in grado di garantire ai propri clienti la tranquillità che desideravano, lontani da orecchie indiscrete e dal rischio di imbattersi in zelanti giornalisti a caccia di storie piccanti che avrebbero riconosciuto al volo il famoso scrittore. E la sua compagna. L'aveva considerato un gesto di riguardo nei suoi confronti, e ne era rimasta piacevolmente colpita, ma senza che questo l'aiutasse a essere meno impacciata. O sulla difensiva.

Sì, doveva ammettere che Castle non aveva esagerato. Per come era rimasta seduta rigida davanti a lui, attenta a non sfiorarlo e quasi a non incrociare il suo sguardo, la gente avrebbe avuto ogni motivo di credere che fosse lì contro la sua volontà. E la responsabilità era interamente sua.
Il nocciolo della questione, la verità che non riusciva a confessargli, rischiando di mandare a rotoli una serata che per molti altri versi sarebbe facilmente potuta virare verso la perfezione, era che non riusciva a darsi pace riguardo a quanto successo nel suo appartamento.

Si rendeva conto di dover dire qualcosa e di doverlo fare in fretta. Doveva affrontare in qualche modo lo spinoso argomento che le si era conficcato in gola come una sottile scheggia di metallo. L'incontro tra lui e Tommy. Che non doveva accadere, tanto per cominciare. Ma che, visto come era andata, non potevano fare finta che non fosse avvenuto.
Era un discorso impegnativo, ma imprescindibile, e che aveva al suo interno molte più complicazioni di quante non apparissero in superficie, poco adatte a essere sviscerate durante un primo appuntamento che avrebbe dovuto, secondo il suo modesto parere e per quel poco che ricordava di come andassero le cose ai suoi tempi, dispiegarsi su tonalità ben diverse, più allegre e spensierate. O anche eccitanti, se lei fosse stata solita esprimersi in quei termini.
Perché diamine non si decideva a parlare? Non era da lei mostrarsi così titubante. Era dotata di una natura molto più dinamica e determinata, certamente non contemplativa, che però doveva aver perso da qualche parte lungo la strada senza rendersene conto, almeno per quanto riguardava il campo sentimentale. Si trovava ad agire in un territorio sconosciuto e ancora inesplorato, che le era sfuggito di mano ancor prima di decidere come comportarsi.

Gli sorrise, rammaricata. "Ti chiedo scusa. Non è colpa tua, sono io che..." La voce le morì in gola.
Castle si appoggiò allo schienale, sorridendole a sua volta con calore. "Non immaginavo che fossimo già al punto in cui vuoi piantarmi in asso, ma cerchi un modo cortese per farlo perché ti spiace ferire il mio orgoglio. Non che io non possa vantare esperienze altrettanto tragiche, ma mai così fulminee. Possiamo almeno concludere la nostra cena disastrosa con un dessert? Hanno un'ottima selezione di dolci, ti va se te ne consiglio qualcuno?", commentò amabilmente, come se stessero discorrendo di inezie.
Scoppiò a ridere di cuore, sentendo scemare la tensione che aveva silenziosamente covato dentro di sé finché non aveva iniziato a divorarla, grazie al suo stravagante senso dell'umorismo, una delle caratteristiche che di lui le erano sempre piaciute. Anche quando aveva sostenuto il contrario, secoli prima.
"No. Cioè sì, vada per il dolce. Volevo dire che non è disastrosa. La cena", si corresse sempre più confusa. Qualcuno doveva sedarla.

Castle fece un cenno al cameriere, che si avvicinò e porse loro i menu. Mentre scorreva la lista, troppo distratta per concentrarsi, si impose di farla finita con quell'atteggiamento una volta per tutte. Castle si stava dimostrando molto paziente e affabile, meritava di non rimanere ulteriormente all'oscuro sul motivo per cui si stesse comportando come un gatto selvatico.
Chiuse il menu con un colpo secco, attirando la sua attenzione. Castle abbassò il proprio con gesti più misurati.
"È che... di solito non faccio cose del genere", sbottò, toccandosi nervosamente il ciondolo che portava al collo e che non si era più tolta dal giorno della nascita di Tommy. Un simbolo che aveva scelto e acquistato da sola e da cui traeva sempre molta forza.
"Con cose del genere intendi cenare?", si informò pacatamente, senza mostrare di aver notato i suoi modi bizzarri. "Se è così, credo sarà necessario rivedere le tue abitudini alimentari. Nessuno ti ha detto che non è consigliabile andare a dormire a digiuno? O segui una dieta particolare?"

Si stava divertendo alle sue spalle, ma lo faceva con garbo e con il solo intento di darle una mano in modo non troppo esplicito per non peggiorare il suo evidente disagio, non per prendersi gioco di lei. Lo apprezzò enormemente.
Era ormai evidente che Castle fosse in grado di muoversi con sicurezza nelle situazioni più disparate, registrò in preda allo sconforto per non essere altrettanto capace di controllarsi. Gli invidiò quella robusta disinvoltura, che avrebbe voluto replicare con la stessa prontezza.

Giocherellò con la forchetta. Non aveva toccato cibo, si era limitata a piluccare qualche boccone senza troppa convinzione e senza gustare l'ottima cucina che in un altro momento avrebbe di certo apprezzato.
"D'accordo, smettiamo di girarci intorno. Il problema non è di certo la tua compagnia. La mia, semmai. Il fatto è che di norma non presento la mia intera famiglia alle...", deglutì a fatica. "Persone con cui esco, soprattutto se si tratta della prima volta", concluse sbrigativa, con il forte desiderio di essere ovunque tranne che lì a discutere delle sue abitudini con lui.

Castle non reagì in alcun modo di fronte alla sua uscita lapidaria. Brusca, a voler essere onesti. Continuava a essere molto rilassato e questo contribuì a calmare in parte il nervosismo residuo. Si limitò ad ascoltare attentamente le sue parole, senza intervenire.
"Non era mia intenzione tenderti un agguato facendoti incontrare mio padre e mio figlio senza avvertirti", ammise con franchezza.
"Non mi è sembrato un agguato. Si tratta semplicemente della tua famiglia". Si strinse nelle spalle, come se per lui fosse qualcosa a cui non era necessario prestare troppa importanza. "A meno che non vi chiamiate Corleone di cognome. Perché in quel caso vorrei saperlo per non commettere passi falsi che mi porterebbero a finire con teste di cavallo mozzate nel letto. Devo garantire di avere intenzioni serie? Perché le ho, nel caso vogliate più garanzie".

Scosse la testa, imponendosi di non disegnargli cuori sul tovagliolo per quella sua buffa uscita o non sarebbero mai riusciti a finire un discorso a cui invece teneva molto. Ci riprovò.
"Non voglio..." Non sapeva come proseguire senza risultare categorica o indurlo a credere che non lo considerasse adatto a intrattenere una relazione di qualsiasi genere con suo figlio. Era solo troppo presto. Annaspò nel tentativo di trovare le parole adatte, chiedendosi come fosse possibile essere inciampata in un incidente diplomatico cinque minuti dopo aver accettato il suo invito.
Fu Castle a venirle in aiuto, facendosi a un tratto molto serio.
"Non vuoi che Tommy incontri gli uomini con cui esci", andò dritto al punto, dimostrando di aver capito perfettamente i termini della questione.
"Non userei il plurale", si lasciò sfuggire prima di aver ponderato le conseguenze. Le lanciò un'occhiata interrogativa. "Hai detto uomini. Plurale", fu costretta a specificare quando si rese conto che lui non aveva colto il senso di una puntualizzazione che, forse avrebbe potuto ragionevolmente tenere per sé, con buona pace di entrambi.
"Ti confesso che mi rincuora scoprire che non sei a favore delle relazioni aperte. Io intendevo più in generale gli uomini che nel tempo avrai frequentato, non quelli che ti aspettano una volta che ti avrò riaccompagnato a casa".
Inviò un muto ringraziamento al suo tentativo di andarle in soccorso sul filo dell'imbarazzo.

"Non ho avuto molta vita sociale da quando Tommy è nato", confessò a malincuore. Non era affatto lieta di dover offrire un quadro tanto dettagliato – e desolante - della sua vita privata, ma non aveva alternative. Doveva essere trasparente fin da subito se voleva impostare rapporti per il futuro che non conducessero a pericolosi fraintendimenti, sempre che Castle non stesse valutando l'idea di lasciarla al suo triste destino di monaca di clausura. Non era esattamente l'anima della festa. Se era quello che si aspettava da lei, avrebbe fatto meglio a rivolgersi altrove.

Castle le sfiorò la mano. Trasalì, turbata. Il gesto fugace, forse solo un'innocente espressione di solidarietà, le provocò un minuscolo brivido lungo la schiena. Sperò che non si fosse accorto di averle fatto quell'effetto. Doveva apparirgli un'educanda appena uscita da una comunità Amish. E se si consideravano le donne che frequentava di solito, sarebbe stato difficile definirla in altro modo. Chissà se per la fine della cena avrebbe conservato ancora un po' di dignità.
"Sono stato felice di conoscere Tommy. È un bambino adorabile e con idee molto chiare per la sua età. Sono sicuro che andremmo d'accordo. Ma capisco che tu preferisca che questi due ambiti della tua vita rimangano separati".
"Non è niente di personale, Castle. Non voglio insinuare che tu non abbia... non saprei come definirle... le qualità morali per incontrare mio figlio".
Castle ridacchiò. "Grazie. Non sono sicuro che sia un complimento, ma lo prenderò come tale. Anche se, come sai, la mia fedina penale non è del tutto immacolata in tal senso. Ma sono molto migliorato, anche se la strada verso la morigeratezza è ancora lunga".
Di bene in meglio, ora era anche riuscita a offenderlo.

"Non voglio correre il rischio di far entrare nella sua vita qualcuno che poi se ne andrà. Ha bisogno di stabilità, vista la nostra situazione particolare", continuò imperterrita. Ormai erano troppo oltre per potersi fermare senza sviscerare la questione fino in fondo.
"La vostra situazione particolare?"
"Non voglio annoiarti, dovrebbe essere un appuntamento, non il triste racconto della mia vita del tutto priva di esperienze avventurose", si scusò.
"Voglio rassicurarti che non ci sono regole fisse negli appuntamenti, le cose non sono cambiate mentre ti dedicavi ad altro. Mi fa piacere, anzi, che lo consideri ancora tale, ero convinto che fosse ormai stato declassato a scocciatura".
"Mi dispiace", mormorò mortificata. Che bella impressione doveva avergli fatto.
"Finché non scapperai dalla finestra della toilette andrà tutto bene. E non preoccuparti, mi interessa tutto quello che ti riguarda, anche come compili la lista della spesa. Scommetto che la scrivi in ordine di corsia".
Non lo facevano forse tutti? Lui no?

"Non c'è molto da dire. Siamo sempre stati solo io e Tommy, fin da quando è nato. Tutto qui. È per questo che ho scelto di avere una vita più... defilata". Perdendosi più di quello che si era immaginata, da quel che poteva vedere. E un bel po' di smalto.
"E il padre di Tommy?" domandò Castle con delicatezza. "Scusami, non volevo essere inopportuno", aggiunse, quando lei non rispose.
"Suo padre non c'è. O meglio, è presente solo sporadicamente. Josh è un cardiochirurgo. Ha sempre preferito mettersi a disposizione dei più bisognosi in zone remote del pianeta". Sospirò stancamente. Era la versione migliore che potesse concedergli e di certo non se la meritava, ma lei era una persona corretta. "È complicato, in realtà. Quello che fa è ammirevole, le condizioni in cui vive e opera sono al limite della sopravvivenza e il suo lavoro in quelle zone fa la differenza. E non ha mai mentito sulle sue aspirazioni. Sapevo a quello che andavo incontro frequentandolo e mi stava bene. Ma adesso è diverso. Tommy ha bisogno di lui, di avere un punto fermo nella sua esistenza. Non di essere sempre messo all'ultimo posto, di non essere considerato importante da suo padre. Dovrebbe venire prima di tutto il resto, anche se mi rendo conto che possa apparire egoistico da parte mia". Josh lo considerava certamente tale, non si era trattenuto dal metterla al corrente, spesso, della sua scandalizzata opinione a riguardo.

Castle continuò ad ascoltarla concentrato, lasciandole tutto lo spazio che le serviva. Era rilassante rapportarsi a un interlocutore partecipe, che non l'avrebbe interrotta per riempirla di consigli non richiesti. Non aveva programmato di aprirsi fino a confidargli i suoi tormenti con tanta enfasi e amarezza, ma ormai era andata così. Si sentiva molto più leggera, ora che la questione era stata affrontata.
"Per quel che può valere, non credo tu sia egoista", commentò. "È scontato che debba essere la vostra priorità".
Buono a sapersi. Un bel cambiamento rispetto alle accuse che nel tempo le erano state rivolte fino quasi a convincerla di essere una persona orribile solo perché parteggiava per suo figlio.

"E mi dispiace. Tommy è un bambino delizioso, hai fatto un ottimo lavoro con lui, tutto da sola. So per esperienza che essere l'unico genitore non è una passeggiata". Lo guardò incuriosita, attendendo il resto. "Io e la madre di Alexis ci siamo lasciati quando lei era piccola", proseguì. "Meredith si è trasferita a Los Angeles per inseguire i suoi sogni di gloria – niente a che vedere con il salvare vite -, ricomparendo saltuariamente nelle nostre vite solo per fare danni che toccava a me rimettere a posto", le confidò con la medesima franchezza.
Lo ascoltò con sempre maggiore coinvolgimento. Non si era mai confrontata con qualcuno che avesse condiviso le sue stesse vicissitudini. Non aveva fatto amicizia con altri genitori, non avendo mai tempo per scambiare qualche chiacchiera con loro all'uscita dall'asilo o al parco, dovendo incastrare una miriade di altri impegni. E, onestamente, non ne mai avvertito il bisogno.
"Anche io sono sempre stato cauto nel far conoscere le donne con cui uscivo a mia figlia".
"Donne. Plurale", sottolineò vide muoversi a disagio sulla sedia. "Ammetto di essere stato meno stoico di te e di essermi preso spazio per... altro".
Si sporse verso di lui, che si avvicinò di riflesso. "Non c'è nessun merito nello stoicismo", sussurrò a pochi centimetri dal suo viso. Nel movimento i suoi capelli gli sfiorarono la guancia. Lo vide deglutire. Gli fissò le labbra. Quando tornò padrona di se stessa, si ritrasse come se si fosse scottata.
Un po' scombussolata – aveva solo voluto fare una battuta che si era trasformata in qualcosa di molto diverso – tornò a ripristinare una ragionevole distanza tra loro, che fosse consona al luogo in cui si trovavano.
Castle si schiarì la voce, per recuperare la precedente compostezza. "Capisco la tua posizione. E la rispetto", continuò a fatica. "Sarò felice di incontrarlo di nuovo quando e se deciderai che è arrivato il momento".
Annuì, grata. Era sollevata che l'argomento fosse stato toccato e archiviato. Ora potevano finalmente dedicarsi ad altro, alleggerire i toni e la serata, chissà, magari perfino divertirsi. Era per quello che era uscita con lui, giusto? Lo sostenevano tutti. Non c'era più niente che si frapponesse tra loro e qualsiasi cosa li aspettasse. Era un pensiero delizioso che d'improvviso la riscaldò.

"Come mai ti sei presentato con un regalo per lui?" Se l'era chiesto fin dall'inizio. "Non sapevi che l'avresti incontrato".
"Perché volevo dimostrare a sua madre che sono un uomo irresistibile".
Le indirizzò uno dei suoi sorrisi più affascinanti, da cui non era sicura di potersi difendere. O di volerlo fare.
Alzò le mani. "Scusami, errore mio. Dimentico sempre la tua grande modestia".
Risero entrambi. La tensione era scomparsa del tutto. Riuscivano ad allontanarsi e riavvicinarsi in un movimento sinuoso che le appariva del tutto naturale.

"In questo caso non ostenterò le mie doti di chiaroveggenza, perché, è vero, non mi aspettavo di vederlo. Volevo solo portare un regalo per lui. Quel ragazzino mi piaceva già dai tuoi racconti. Adesso ancora di più".
Di quel passo avrebbe avuto bisogno di colpirlo forte perché la smettesse di farle quell'effetto inspiegabile. O, in realtà, molto spiegabile.
"Puntare al cuore di una madre fa sempre parte dei tuoi tentativi di renderti irresistibile?"
"Ci sto riuscendo?", ribatté con un tono che, avrebbe giurato, era uscito dritto dalle sue fantasie. Quelle che non svelava a nessuno.

Fu costretta a cambiare discorso per l'ennesima volta. Era consapevole dei propri limiti, altre due frasi del genere e lei non sarebbe stata responsabile delle proprie azioni. Anni di sobrietà avevano prodotto su di lei effetti devastanti che sarebbe stato meglio contenere, se non voleva rovinarsi la reputazione.
Considerò l'ipotesi di chiedergli di ordinare qualcosa di più forte del vino che si erano fatti portare, ma fargli sospettare che fosse avviata verso la strada dell'alcolismo non le sembrava il modo migliore di proseguire la serata.
"Che cosa ne dici di darmi qualche anticipazione sul tuo ultimo romanzo, come mi hai promesso?"
Era un argomento neutro, giusto? Il meno pericoloso che le fosse venuto in mente.
"E io che pensavo fossi uscita con me per via del mio fascino virile e invece scopro che mi hai circuito solo per ottenere degli scoop che legalmente non posso far trapelare. Il mio editore potrebbe minacciare di uccidermi".
"Ti proteggo io, Castle. È il mio mestiere".
"Ti spingeresti fino a tal punto? Sono lusingato".
"Forza, sputa il rospo, invece di continuare a tergiversare. Non pretendo di sapere tutta la trama, dammi solo qualche dettaglio", insistette.
"Non credevo fossi una fan tanto sfegatata, capitano". Le fece l'occhiolino, ignorando le sue richieste.
"Sei tu che hai utilizzato questo genere di esca per convincermi ad accettare il tuo invito. Ti stai tirando indietro?"
"Non mi tiro mai indietro", affermò con tale intensità da farle battere il cuore con violenza. "Ma credevo fossimo qui perché la città di New York voleva ringraziarmi per i servizi offerti alla popolazione attraverso la tua persona. Mi sarei aspettato almeno una medaglia o un piccolo discorso ufficiale. Invece era solo una trappola".
Era un osso duro.

"Devo dedurre che sei un uomo che non mantiene le sue promesse?"
La scrutò in silenzio.
"D'accordo. Quand'è così, ti darò quello che vuoi".
Nessun doppiosenso nella loro conversazione. Proprio nessuno. Si morse le labbra per non scoppiare a ridere.
"Ma ti avverto, risponderò a un'unica domanda. Permettimi però di ricordarti che se avessi accettato di diventare la protagonista delle lunga serie di romanzi di successo che avevo in mente di scrivere dopo averti incontrato, saresti autorizzata a leggere il manoscritto in anteprima. Tutti i manoscritti".
"È un vero peccato che non sia andata così", mentì, ostentando un rimorso che non provava, dopo aver appoggiato i gomiti sul tavolo ed essersi sporta verso di lui. "Magari in futuro potresti inserire un capitano di polizia come personaggio secondario. Mi darebbe gli stessi privilegi?"

Castle sgranò gli occhi e si portò con enfasi una mano sul cuore.
"Mi stai dicendo che, se accettassi ipoteticamente la tua idea, potrei venire al distretto per prendere ispirazione da te e darvi una mano a risolvere i casi? Proprio come un tempo desideravo, unicamente spinto da puro interesse creativo e non per infastidirti, come hai invece sempre ritenuto a causa di ingiusti pregiudizi? Possiamo metterlo per iscritto? Forse in sala c'è un giudice o un notaio che faccia al caso nostro".
"Quello che chiami puro interesse creativo è esattamente ciò che mi avrebbe infastidito di tutta quella faccenda, le due cose non sono disgiunte come ti ostini a credere. Quindi, no. Non puoi venire da noi a ficcare il naso e generare il caos".
"Hai solo paura che io mi dimostri più bravo dei tuoi detective".
"Ho solo paura di arrivare a ucciderti e preferisco non aumentare le seccature che ho già al lavoro".
"Proprio quello che il mio capitano direbbe a un uomo per cui prova attrazione", annuì soddisfatto. "Continua pure, io prendo appunti nella mia testa".
Finse di non averlo sentito per non dargli nessuna soddisfazione, ma avrebbe desiderato lanciargli del vino in faccia.
"Quello che volevo dire...", proseguì scostante, "È che se dovesse servire e senza troppo dispendio di tempo ed energie da parte mia, sarei disponibile a chiarire i tuoi dubbi, qualora dovessi averne, e svelarti qualche trucco. A meno che non temi che un personaggio del genere risulti troppo noioso".
"Noioso sarebbe l'ultimo aggettivo adatto a descrivere il tuo alter ego narrativo, con me come autore. Soprattutto se di giorno si dimostrasse un integerrimo tutore della legge e la notte conducesse una vita segreta come spogliarellista. Sono sicuro che i lettori impazzirebbero. Ne parlerò domani al mio editore, ma non ci saranno problemi, aveva già accettato la precedente versione ispirata a te".

"Lascia perdere, ho già cambiato idea", gemette di fronte all'immagine che aveva fatto balenare. La doppia vita come spogliarellista. Ci mancava solo quello.
"Sto scherzando. Niente vita notturna per lei. Ho già abbastanza informazioni per sapere che sarebbe una donna di grande classe, cultura e sensibilità. Sarebbe magnifica. E sexy. Sexy devi concedermelo. Lo faccio solo per il pubblico, non per me".
Era un treno inarrestabile e la passione che metteva in tutto quello che faceva, che provava nei confronti della vita, come se fosse un frutto succoso che aspettava solo che lui lo mordesse, era contagiosa.
"Non esagerare, sarebbe comunque solo un personaggio secondario".
"Non potresti mai essere un personaggio che compare solo per alcuni capitoli, Kate. Mai".
E a quel punto forse avrebbe avuto davvero bisogno di qualcosa che la tramortisse prima di fare mosse avventate che avrebbero segnato il suo curriculum per sempre. E che gli avrebbero dato pessime idee su quello che i capitani facevano davvero nella vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Otto ***


8

"Sei dell'idea di continuare la serata in mia compagnia o non vedi l'ora che ti riporti a casa per dedicarti agli altri uomini che aspettano il loro turno? Magari hai scoperto che questa nuova dimensione degli appuntamenti ti piace e vuoi recuperare il tempo perduto", domandò Castle appoggiandole con noncuranza una mano sulla schiena, mentre le faceva strada verso l'esterno del locale. Le parve già un gesto intimo, naturale.
Stringendosi i lembi della giacca sul petto quando venne investita dalla brezza serale, si pose il medesimo interrogativo, ma declinato in senso inverso. Che cosa avrebbe voluto fare lui? Sbarazzarsi di lei? Infilarsi in qualche bar solitario per bere fino a dimenticare tutte le paturnie che era stato costretto a sopportare da parte sua?
Gli lanciò un'occhiata severa, per nascondere il fatto che le venisse da ridere. "Non ti è ancora concesso di scherzare sulle abitudini riservate che ho sviluppato negli ultimi anni".
"Non ancora? Significa che superato un congruo intervallo temporale dall'inizio della nostra frequentazione potrò farlo?"
"Certo, Castle. Dopo che avrò esaurito tutti gli altri appuntamenti. Aspetta il tuo turno".
Gli avrebbe fatto una linguaccia, se non lo avesse appena rimesso in riga sulla necessità di attenersi a un codice comportamentale rigoroso che non prevedeva, a conti fatti, quel livello di confidenza. Non poteva essere proprio lei a infrangere le regole.

Respirò l'aria fresca della notte a pieni polmoni. Era inebriante essere fuori casa a quell'ora e per motivi diversi da quelli lavorativi, gli unici che l'avessero spinta ad avventurarsi nel mondo esterno dopo che erano calate le tenebre. Venne scossa da una lieve vertigine, come se avesse appena ricordato che esistevano altri piaceri nella vita, altre direzioni impensate ma percorribili e altre versioni di se stessa che non contemplassero il solo ruolo di madre.
Si impose di non lasciarci trascinare da quella costante, sottile esaltazione da cui era pervasa quando si trovava a gravitare intorno all'orbita di Castle. Su di giri e meno misurata del solito. Per nulla misurata, anzi.
Per sua natura avrebbe preferito soffocare quell'incessante scombussolamento emotivo per riavere indietro calma e posatezza, compagne di lunghi prevedibili anni. O forse no. Forse non lo avrebbe fatto nemmeno se avesse potuto. Forse per una volta si sarebbe abbandonata al flusso, incurante di dove esso l'avrebbe condotta.

"D'accordo, però per il momento è ancora il mio turno e non intendo cederlo tanto facilmente. C'è qualcosa che muori dalla voglia di fare? Qualcosa di inconfessabile, magari - e con questo non intendo necessariamente propositi sconvenienti che riguardino la mia persona, anche se so che ti sarà difficile reprimerti", disse. "Posso esaudire ogni tuo desiderio, tranne darti la buonanotte troppo presto".
Come sempre, lo trovò eccessivo e con troppa fiducia nei propri mezzi, anche se per un istante le sarebbe piaciuto credere nelle sue capacità di far accadere tutto, miracoli compresi.
"Qualsiasi desiderio? Sei sicuro?"
Piegò le labbra a mostrare il suo scetticismo, che Castle non notò, limitandosi ad annuire con entusiasmo.
"Fammi pensare... Non è complicato, in realtà. Un aereo privato tutto per noi che parta subito per Parigi", improvvisò, compiacendosi della sua reazione sbigottita. Non era l'unico in grado di uscirsene con spunti impensati.
"Sei rimasto senza parole? Non credevo fosse possibile, dovrò ricordarmene in futuro". Nemmeno quel commento caustico riuscì a smuoverlo, continuò a guardarla poco convinto. "Dai, Castle, arriveremmo giusto in tempo per l'ora di colazione", insistette.
Non era convinta che la sua affermazione corrispondesse al vero – calcolare il fuso orario con la mente distratta da piccole esplosioni di euforia che stavano progressivamente annebbiando gli ultimi baluardi di razionalità era al di sopra delle sue possibilità - ma aveva contato sull'effetto sorpresa. "Non hai voglia di croissant? Di passeggiare lungo la Senna? Sarebbe un primo appuntamento memorabile, no? E io sarei a casa per l'uscita di Tommy da scuola".

Lo sconcerto fece assumere al volto di Castle un inquietante pallore. Era bizzarro fargli quell'effetto. "Hai pensato a tutto", mormorò stupefatto, dopo qualche istante di perplessità, come se si fosse trovato al cospetto di una sconosciuta.
"Ovvio che ho già calcolato tutto, Castle, è il mio lavoro. Che razza di alter ego letterario avevi in mente per me? Temo che tu abbia degli standard troppo bassi, forse dovrei cercare un autore più audace".
Stava dando per scontato che quel personaggio sarebbe venuto alla luce. Era un'idea che la intrigava, quando alcuni anni prima la sola ipotesi l'aveva fatta andare su tutte le furie.
"Ti assicuro che la mia fantasia è molto audace, soprattutto quando si tratta di te, ma non mi aspettavo una richiesta del genere, lo ammetto. Ti ho sottovalutato, perdonami".
Avrebbe sorvolato sulle sue parole sconsiderate e quell'illogico e inopportuno legame tra lei e la sua fantasia, ritenendo più sensato mettere in campo la solita indifferenza, anche se la voglia di smorzare certi toni impudenti era sempre più forte.
Non rispose. Castle rimase a sua volta in silenzio, forse aspettandosi che lei ritirasse la sua proposta e ne facesse una più sobria, in linea con l'immagine che doveva essersi fatto di lei. "Intendi sul serio andare a Parigi o lo hai detto solo per mettermi alla prova?", sbottò lui alla fine. "Se pensavi che non fosse fattibile mi spiace deluderti. Lasciami fare un paio di telefonate e sulla strada per l'aeroporto passiamo a prendere il tuo passaporto. O preferisci nascondere la tua identità viaggiando sotto un nome falso? Posso occuparmi anche di quello".
Purtroppo per lei, sapeva perfettamente che non stava scherzando.
"Fingerò di non aver sentito quello che di illegale hai appena menzionato e non ti chiederò perché tu abbia a disposizione più passaporti del necessario".
"È una lunga storia piena di colpi di scena, non vuoi che te la racconti?"
"No, sarei costretta ad arrestarti. E per quanto l'idea mi allieti moltissimo, non voglio occuparmi di seccature del genere durante una delle mie poche serate libere".

Le indirizzò un sorriso ammaliante, ignorando il suo tentativo di fare dello spirito. Allungò una mano nella sua direzione. "Allora, Kate? Andiamo a Parigi?"
Sì, sì, voleva andare a Parigi, che il Signore la perdonasse. Voleva partire subito, viaggiare nella notte bevendo champagne in sua compagnia, sbarcare su un altro continente e voleva tutto, tutto quello che sarebbe arrivato dopo. Un groppo di eccitazione le strinse la gola, provocandole qualche vertigine di troppo. La materializzazione di qualcosa che non sapeva di desiderare era così vicina da illuderla di poterla afferrare. Bastava volerlo, no? Erano i poteri magici di Castle.
Rispose dopo qualche istante di esitazione che le costò moltissimo. "No, Castle, era solo una battuta. Ti pare realistico che io possa volare oltreoceano di punto in bianco? Parigi poi è una meta talmente scontata..."
La frustrazione la rese più sarcastica di quanto avesse inteso essere. Si rese conto di quanto bramava dar vita a quella proposta strampalata che le era uscita di bocca con l'unico scopo di coglierlo in contropiede e non apparirgli troppo noiosa. Da dove veniva, quindi, quella minuscola punta di rimpianto che avvertì dietro lo sterno?
"Peccato. Sarebbe stato fantastico".
Si trovò a dargli ragione. Sarebbe davvero stato fantastico. Sfortunatamente.

Castle la guardò con quel fare misterioso che aveva iniziato a esserle familiare e a infonderle ansia al tempo stesso. Chissà che cosa aveva in mente.
"Se hai voglia di qualcosa di diverso, ma preferisci rimanere sul suolo americano e poco distante da qui, posso offrire alla causa la mia casa negli Hamptons. Non ho dei croissant francesi originali con cui tentarti, ma possiamo fare colazione guardando l'oceano. Credi possa essere una panorama paragonabile a quello della Senna?"
"È tua consuetudine invitare le donne con cui esci per la prima volta a trascorrere la notte sotto il tuo stesso tetto? È questo il tuo modus operandi?", reagì indignata.
Era spassoso disorientarlo, e da quel che vedeva, ci stava riuscendo senza fatica. "No. Cioè, sì, se è consensuale", balbettò Castle. "Ma ti informo che la mia era una proposta innocente e soprattutto casta, sei tu che l'hai travisata. Io avevo in mente qualcosa in linea con le tue abitudini riservate. Forse dovrei iniziare a preoccuparmi per il mio onore", continuò, recuperando la sua solita energia.
Come no.
"Il problema non si pone, Castle, perché non andremo da nessuna parte, rispettando l'onore di tutti".
"Lieto di saperlo. I tuoi approcci sono sempre stati di dubbia natura fin da quando ci siamo conosciuti. Avevi già mire molto precise su di me, non credere che non me ne fossi accorto".
Scommetteva che si stava divertendo tanto quanto lei.
"Mi spiace deluderti, ma ti ricordo che sono stata io a non volerti intorno, quando hai insistito per farlo, tirando in ballo chiunque potesse far pressioni sul distretto. Non viceversa. Ma sono convinta che il tuo ego ipertrofico – che immagino sia solo peggiorato da allora – non possa ancora accettare la realtà dei fatti".
"Mi hai impedito di seguirti solo perché sapevi che non avresti mantenuto fede al proposito di resistermi. E lo capisco, sarebbe stato difficile anche per me, mettendomi nei tuoi panni".
Presuntuoso e sfacciato, come si permetteva?
"È ora che io torni a casa". Gli voltò le spalle, decisa a dargli una lezione.
Venne fermata dalla sua mano sul gomito, una lieve pressione che le impedì di concretizzare le sue minacce.
"Trattenermi con la forza non contribuirà a porti sotto una luce positiva".
Si divincolò con forza. Castle la lasciò andare di colpo, imbarazzato. Se ne dispiacque, aveva esagerato i toni solo per gioco.
"Come vuoi". Si tenne lontano da lei. "Aspetterò che i tempi siano maturi prima di riproporti la verità. Che è proprio quella che ti ho appena esposto".

Si sporse sul marciapiede per intercettare il primo taxi disponibile e reprimere così l'impulso di conficcargli un tacco nella caviglia. Non voleva piantarlo in asso, solo distruggere una volta per tutte quella sua ingiustificata sicumera. Quello che affermava non aveva alcun senso. Era ovvio che non avrebbe avuto nessun problema a resistergli, era allibita dal fatto che per tutti quegli anni si fosse si fosse spiegato il suo comportamento con motivazioni che non avevano nessun fondamento.
"Va bene, mi arrendo". Castle alzò le mani per enfatizzare la sua capitolazione. "Mi rimangio tutto quello che ho detto. Però permettimi di riaccompagnarti a casa, anche se ho ormai esaurito la tua pazienza. Non potrei saperti in giro da sola a quest'ora".
L'ultimo dei gentiluomini. Ed era toccato a lei.

"Sei al corrente che ho una pistola? Proprio qui nella mia borsetta?"
"Naturalmente, e lasciami dire che questo dettaglio ti rende anche più sexy – le mie quotazioni sono pericolosamente in ribasso, ammetterlo non potrà danneggiarmi". Sbuffò. Non avrebbe dato corda ai suoi tentativi di ammansirla. "Il mio ego maschile bistrattato vuole accertarsi che nessuno ti infastidisca mentre rientri nel tuo palazzo. So che suona arcaico e oltraggioso, credi di poterlo tollerare solo per farmi un favore? Sempre che tu non abbia ripensato all'alba sull'oceano, a debita distanza l'uno dall'altro. Possiamo mettere dei marker sulla spiaggia per essere sicuri di mantenere le intenzioni platoniche su cui siamo entrambi d'accordo".
"Nei tuoi sogni", lo sferzò. Era convinta di essersi portata a casa il punto.
"Sono passati anni e sei uscita con me, direi che i miei sogni hanno un'alta probabilità di avverarsi, non puoi biasimarmi se tento la sorte".
L'omicidio era l'unica opzione rimasta.

...

Era una follia. Certo che lo era. La innervosiva perfino ripetersi un ritornello che aveva ormai perso di significato. Ma chi si era infilata in macchina e, in preda al delirio o agli effetti di sostanze stupefacenti che Castle o qualcuno da lui pagato doveva averle somministrato a sua insaputa, aveva detto, con un filo di voce, perché no?
Proprio così. Perché no? A se stessa, più che a lui. Perché non fuggire negli Hamptons e tornare nel giro di poche ore? Non c'era niente di male, dopotutto, no?
Che problemi aveva? Erano di natura psichiatrica? Doveva occuparsene? Beh, a quel punto non poteva più ignorarli, anche se lo stava facendo con allarmante frequenza. Da quando lo aveva incontrato a quella festa non era la stessa donna di prima, quella che aveva costruito con tenacia una vita solida priva di scossoni, in grado di contenere qualsiasi catastrofe.
Che le era preso, tutto d'un tratto? Era l'effetto che le faceva Castle? Strinse i pugni in preda all'agitazione, immersa in un silenzio atterrito.
Non poteva andare avanti così. E di certo non potevano andare negli Hamptons, anche se la segnaletica autostradale indicava l'esatto opposto. Non aveva idea di come tirarsi fuori da quell'impiccio, soprattutto non desiderando farlo, che era la parte peggiore dell'intera faccenda.
Perché non riusciva a controllarsi? Era sopraffatta dalla poderosa brama di libertà che provava e che attivava l'immenso serbatoio dei soliti sensi di colpa. Voleva respirare aria salmastra. Voleva ridere. Voleva continuare a battibeccare con lui.
Doveva fermarsi. Fermarlo. Come avrebbe fatto? A quel punto ne avrebbe avuto abbastanza di lei.

Venne interrotta nelle sue spossanti farneticazioni quando Castle svoltò in un'area di servizio, a quell'ora fiocamente illuminata. Lo osservò spegnere il motore e voltarsi verso di lei.
"Dobbiamo sbarazzarci di un cadavere?" Gli indicò l'area deserta. E lugubre, avrebbe aggiunto. Non comprendeva il motivo per cui fossero lì, nemmeno sforzandosi. "Direi che è uno dei posti migliori dove farlo, ma negherò di averlo affermato. Magari potrà esserti utile per una delle tue prossime trame". Chiacchierava a ruota libera, sentendosi una sciocca, solo per allontanare il momento della resa dei conti. Era ovvio che volesse darle il benservito, se pure con la consueta gentilezza.
Castle rise debolmente.
"Grazie per la preziosa consulenza, ma non è per questo che ti ho portato qui. Dal tuo mutismo una volta salita in macchina temevo fossimo tornati al tuo presunto rapimento da parte mia. E non volevo che ti distruggessi i palmi delle mani a furia di conficcarci le unghie". Aprì i pugni, colta in fallo.
"Vuoi che torniamo a New York?" Le sollevò una ciocca di capelli che le era scesa a nasconderle il viso. Si lasciò sfuggire un gemito.
"È così evidente?" Era mortificata. "Mi dispiace. Mi sembra tutto sbagliato. Più ci allontaniamo dalla città e più aumenta il disagio che provo per via di Tommy. È come se lo stessi abbandonando. Se dovesse succedere qualcosa..." Scosse la testa in preda all'angoscia.
Tommy era in buone mani, non c'era nessun dubbio a riguardo. Non era quello il problema. Aveva già dormito senza di lei in molte occasioni, come aveva spiegato a Castle, visto che frequentava assiduamente la casa del nonno nelle ore notturne. Era sempre andato tutto bene. Tommy non aveva mai avuto bisogno di lei né aveva preteso piagnucolando di tornare nel proprio letto. Ma l'eventualità di trovarsi a due ore di macchina da lui non la lasciava tranquilla, quasi che il fatto di rimanere nella stessa città costituisse una sorta di talismano che lo avrebbe protetto da qualsiasi pericolo. Erano solo confini mentali, se ne rendeva conto da sola, ma non era in grado di oltrepassarli.

Castle le accarezzò il dorso della mano. Poteva essere un gesto che creava dipendenza nel tempo? Perché era sicura che le stesse accadendo qualcosa del genere e dopo un'unica serata.
"Ehi. Non abbatterti. È normale che tu ti senta così".
Il fatto stesso che fosse lui a tentare di rincuorarla, invece che considerarla un caso da ricovero coatto, non fece che peggiorare il suo stato d'animo.
"Non ti spiace?"
"Sì, mi spiace, sarebbe stato splendido, ma mi rendo conto che le circostanze non sono favorevoli. In ogni caso, l'invito è sempre valido. Abbiamo tutto il tempo del mondo".
Prospettiva irresistibile che la rianimò.
"Non hai in mente di abbandonarmi nel primo posto utile e dimenticare la mia esistenza?"

Castle intensificò impercettibilmente il tocco sul suo polso. "Non ti ho dimenticata in tutti questi anni, dubito che che possa accadere per così poco. In più temo che se ti abbandonassi finirei con il trascorrere la notte nella vostra cella al distretto, accusato di ogni possibile reato. Preferirei rivederti in un contesto più confortevole, se sei d'accordo".
"Confortevole come il retro di un motel semiabbandonato, di notte?"
"Qualcosa del genere, ma con qualche lusso in più. Ho un debole per queste atmosfere".
Gli fece un sorriso contrito. "Deve essere il peggior appuntamento di sempre".
Se ne sentiva completamente responsabile. Avrebbe desiderato che qualcuno la tramortisse con un colpo in testa e la facesse rinvenire in spiaggia davanti all'oceano, ma non era possibile, lo sapevano entrambi. Forse lui l'aveva capito fin da subito, ma aveva deciso di assecondarla. Non si sarebbe spiegata diversamente perché l'avesse presa tanto bene.
"Non per scoraggiarti, ma posso vantare esperienze molto più disastrose". Le sfiorò una guancia con le dita, provocandole un aumento scomposto dei battiti cardiaci. "Voglio solo che tu stia bene quando sei con me e non in ansia per Tommy o preoccupata che io non mi stia divertendo. Non è così".
Come faceva a sapere sempre quale fosse la cosa giusta da dire? Soprattutto considerando quanto era stato inopportuno nella loro prima, unica e molto breve frequentazione? Non le sembrava che fosse la stessa persona. Nemmeno lei lo era, in effetti. Ma forse lei non era migliorata. Anzi.
"Hai dei gusti parecchio strani", obiettò poco convinta.
"Ho solo aspettato a lungo un momento così".

Chiuse gli occhi e ingoiò qualche respiro affannoso, come ultima forma di difesa prima di soccombere del tutto al suo fascino, così sapientemente dispiegato a suo esclusivo beneficio. "Sei molto galante a ripeterlo, ma sappiamo entrambi che non può essere andata così. A quei tempi volevi solo aggiungermi alla lista delle tue conquiste".
"O io far parte delle tue. Dimentichi sempre l'altra parte dell'equazione", puntualizzò Castle, dimostrando di ricordare bene quanto lei il contenuto della loro ultima conversazione. "E ti confesso di aver ripensato spesso a quello che mi hai detto allora". Lo guardò senza capire. "Che non avevo idea...", aggiunse senza concludere la frase.
Oh, quello. Il suo piccolo momento di trionfo, prima di girargli le spalle.
"Quindi è per questo che ti vanno bene i bidoni dell'immondizia, invece dell'oceano? Perché vuoi farti un'idea?"

Aveva smesso di scherzare e aveva parlato a bassa voce, concentrata a guardare il desolante orizzonte davanti a loro, ma si voltò verso di lui, quando non le giunse nessuna risposta. Sussultò quando se lo ritrovò improvvisamente vicino e sentì le sue labbra sulle proprie. Gliele sfiorò piano, con la stessa delicatezza che le aveva dimostrato in ogni occasione da quando si erano rincontrati. Per frenare il tremito delle mani gliele infilò tra i capelli, tirandolo verso di sé. Era sempre a corto di ossigeno quando lui era nei dintorni.
Si chiese fuggevolmente perché diamine avessero sprecato tutto quel tempo - anni addirittura - quando aveva sempre saputo come sarebbe stato tra loro, anche se lo aveva stimato di gran lunga per difetto. Quello che non aveva mai immaginato fu l'inesorabile salita della marea che dilagò dentro di lei, avvincendola. Il bisogno di affondare aggrappata a lui. Sconvolgente e inarrestabile, come tutto il resto che lo riguardava.

"Ovvio. La mia era solo curiosità,", chiosò Castle con voce roca. Avrebbero definito meglio la questione più tardi. Quando avrebbero chiarito nel dettaglio molte altre idee.

*Edit 20.08.2020. La prossima settimana non riuscirò ad aggiornare causa mancanza di pc. Scusate se non vi ho avvertito per tempo. Pubblicherò il prossimo capitolo lunedì 31 agosto. Grazie per la comprensione e buona fine di agosto. Silvia

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nove ***


9

Bussò alla porta del loft di Castle con un po' di trepidazione. Nonostante non fosse la prima volta che si assentava a metà giornata per presunte "pause pranzo" che le spettavano di diritto, ma che prima di incontrare Castle aveva spesso sacrificato senza rimorsi, la sensazione di commettere qualcosa di sbagliato non accennava ad affievolirsi.
Si sentiva una fuorilegge a sgattaiolare fuori dal distretto senza salutare nessuno, con il timore costante che qualche emergenza la costringesse a rinunciare a quell'ora strappata ai suoi doveri quotidiani, di cui non poteva più fare a meno.

Nonostante ce l'avesse messa tutta, non era stato semplice incastrare i suoi numerosi impegni per poter stare con Castle quanto le sarebbe piaciuto. Ingenuamente, era stata convinta che fosse solo questione di organizzazione, ma doveva aver sopravvalutato le proprie capacità. O forse non si era mai resa conto di quanto la sua vita fosse piena di riunioni, appuntamenti, scadenze e quanto poco si fosse concessa di svagarsi nel corso degli anni.
Non che fosse difficile vedersi, lui era il più libero tra i due e molto disponibile a venirle incontro, quando si trattava di proposte dell'ultimo minuto o improvvise cancellazioni. Ormai si frequentavano – non aveva idea se fosse il termine giusto per definire il loro rapporto, ma preferiva non porsi domande – da alcune settimane con una certa assiduità, garantita proprio dall'estrema flessibilità di Castle.
A voler giudicare le cose con obiettività, forse non era la mancanza di tempo a costituire il problema principale tra di loro. Era lei a non farsi bastare quello che avevano. Voleva stare con lui. Era un bisogno impellente che non le dava pace, che le faceva compagnia da quando apriva gli occhi al mattino e ancora assonnata afferrava il telefono per leggere i suoi messaggi. Era questa la variabile di cui non aveva tenuto conto. Questa brama di lui che aveva preso un andamento esponenziale irrefrenabile e che non accennava a placarsi.

All'inizio si era chiesta se non stesse esagerando, se non fosse sbagliato, se non stesse addirittura virando verso una sorta di ossessione da cui era stata suo malgrado travolta. Se non fosse perfino eccessiva, tutta quella felicità che ne derivava. Avrebbe dovuto pagarne il prezzo, più avanti? Era la carestia emotiva a cui si era precedentemente immolata a renderla tanto famelica?
C'era voluta una robusta dose di autodisciplina e tutta la sua fermezza per mantenere inalterati i suoi standard professionali e dedicare a Tommy tutta l'attenzione necessaria. Non avrebbe mai modificato la sua routine per scopi che non lo riguardassero, né avrebbe intaccato il tempo che trascorrevano insieme. Su questo era stata inflessibile e aveva mantenuto fede ai suoi propositi con impeccabile abnegazione.
Da quel che poteva vedere, suo figlio non si era accorto del cambiamento avvenuto nella vita della madre e di questo era più che soddisfatta. Così come era avvenuto per il loro primo appuntamento, non aveva mai insistito perché Tommy passasse più tempo a casa del nonno solo per ritagliarsi una notte in più con Castle e di questo era fiera. Poteva guardarsi allo specchio e premiare la propria irreprensibilità, anche se questo significava avere sempre spasmodicamente voglia di vederlo. Era riuscita con successo a tenere separate tutte le sue vite che correvano ordinate e parallele, a scapito di qualche ora di sonno di cui però non avvertiva la mancanza, vista l'energia inesauribile di cui sembrava essere sorprendentemente provvista e di cui sospettava che la fonte segreta fosse proprio Castle. Le bastava trascorrere qualche minuto con lui per sentirsi rigenerata.
Al contrario di Tommy, suo padre e Lanie dovevano aver intuito qualcosa, visto che avevano cercato a più riprese di carpire informazioni sulla sua situazione sentimentale – era stata Lanie a esprimersi così, suo padre era solo lievemente più discreto per natura – ma lei aveva presto interrotto il discorso. La sua relazione con Castle riguardava solo loro due ed era così che intendeva proseguire, almeno per un po'. Voleva tenere il suo piccolo segreto per sé.

La porta del loft si spalancò dopo qualche secondo di attesa. Non perse tempo a salutarlo, ma si precipitò tra le sue braccia automaticamente protese ad accoglierla, l'unico posto al mondo in grado di farle dimenticare le preoccupazioni presenti e quelle future. Era una specie di vacanza di breve durata sempre in grado di rinnovare gli straordinari effetti benefici che aveva sulla sua psiche. Non c'era nemmeno da stupirsi che ne fosse diventata in qualche modo dipendente.
Aveva scoperto presto che opporsi ai sentimenti impetuosi che provava per lui, mai sperimentati in precedenza, non sarebbe servito a niente, tanto valeva vivere con pienezza tutto quello che l'Universo aveva deciso di regalarle – queste erano le esatte parole di Castle, alle quali naturalmente non credeva possedendo una mente più razionale, ma dal momento che non poteva negare di essere posseduta da un delizioso e perenne stordimento emotivo, sarebbe stato da ingrati rifiutare quei doni elargiti con tanta abbondanza.
La rincuorava il fatto che, se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stata solo lei a soffrirne, nessun altro. Non Tommy, che sarebbe rimasto all'oscuro di tutto. Era l'unico compromesso che le apparisse accettabile e che le permetteva di concedersi quello che desiderava.

Come di consueto la sua mente, di norma sempre operativa, smise di funzionare non appena raggiunsero la soglia della camera da letto, dove Castle la trascinò senza indugi, continuando a baciarla. Non sempre erano riusciti ad arrivarci, spesso si erano fermati a qualche metro dall'ingresso, riuscendo fortunosamente a chiudersi la porta alle spalle. Era incredibile come avesse potuto vivere un'esistenza diversa da quella che ora le sembrava l'unica possibile.

Si issò sopra di lui, disteso sul letto, incurante del fatto che le si sarebbe spiegazzata la gonna del severo tailleur che indossava. Castle le sciolse i capelli, che si aprirono a ventaglio su di lui, mentre si chinava a baciarlo con urgenza. Si tolse freneticamente la giacca – non lo aveva ancora fatto - e attaccò nervosamente i bottoni della camicia candida, rischiando di farli saltare. Castle le allontanò le mani per occuparsene, mostrandosi più prudente di lei. Non poteva tornare in ufficio vestita in modo meno che impeccabile. Sentì la pelle diventare bollente dove le dita di lui la sfioravano.

Si guardarono negli occhi. Le mancò il fiato, scombussolata. L'avevano fin dall'inizio, avevano mantenuto il contatto visivo finché era stato possibile, finché il piacere non la invadeva trasportandola altrove, ed era stata per lei un'esperienza nuova e insolita, che l'aveva scossa nel profondo, amplificando le sensazioni. Da allora non avevano più smesso. Dava alla loro intimità spazi e orizzonti che non aveva mai creduto di poter esplorare.
Si inarcò, perdendo temporaneamente il contatto con il mondo circostante, sentendosi andare alla deriva, trattenuta dalle braccia di Castle, l'unico appiglio a una realtà che le sfuggiva dalle dita come la sabbia quando le onde si ritiravano.

.

"Quanto puoi rimanere?" bisbigliò Castle assonnato, baciandole la nuca. Amava quei minuti di vicinanza e di silenzio, quando se ne stavano distesi pelle contro pelle, senza parlare. Erano gli unici istanti di pace assoluta, cullata dal potere ipnotico ed esaltante di quelle che erano a tutti gli effetti le endorfine più potenti che avesse mai sperimentato nella vita. Il brusio mentale si affievoliva fino a placarsi del tutto. Avrebbe voluto che quei momenti non finissero mai. Ma lo facevano, inesorabilmente, cogliendola inerme e vulnerabile. Si sentiva risputata nel mondo senza troppa gentilezza ed era sempre un'esperienza un po' traumatica.
"Poco".
Si voltò verso di lui. Forse, se non si fosse fatta troppo notare, il tempo si sarebbe dilatato per consentirle di rimanere più a lungo.
Castle disegnò il suo profilo con un dito. "Non puoi chiamare in ufficio e avvisare che sei stata trattenuta da questioni di assoluta importanza nazionale? Sei tu il capo, nessuno metterà in discussione la tua versione, basta non dare troppi dettagli".
Ci provava sempre, cercava di corromperla perché mandasse all'aria qualsiasi altro impegno avesse in programma per farla rimanere a oltranza nel suo letto. Ogni volta era tentata di farlo, il mondo non sarebbe collassato su se stesso se si fosse assentata per qualche ora. Non aveva mai ceduto all'illusione di considerarsi indispensabile. Si era però imposta di resistere, temendo che se avesse acconsentito, avrebbe continuato a farlo ancora e ancora, fino a perdere la ragione.
Appoggiò la guancia sul suo petto. "Ho una riunione tra poco e non posso mancare".
Sentì la sua mano tra i capelli. Mosse la testa per sollecitare le carezze. Castle non insistette, arrendendosi al primo diniego. Sapevano entrambi che se avesse insistito avrebbe ottenuto facilmente quello che volevano entrambi.
"Ti preparo qualcosa da mangiare?"
"No, non voglio che ti alzi". Non sopportava l'idea di doversi staccare da lui. Gli si fece ancora più vicina per sottolineare le sue intenzioni, rendendogli difficile qualsiasi movimento.
"Non puoi rimanere a digiuno", obiettò Castle con l'esasperante voce della ragionevolezza.
"Sei insopportabile nelle vesti di chioccia, te lo hanno mai detto?"
"Non sono mai stato una chioccia con nessun'altra", ammise con naturalezza. Gli invidiava quella capacità di esprimersi con disinvolta onestà riguardo a quello che provava per lei, facendola sentire speciale. Unica. Lei faceva ancora fatica ad ammettere apertamente i suoi sentimenti – la loro stessa esistenza appena accennata - in primo luogo con se stessa.
Si sollevò su un gomito e gli lanciò un'occhiata severa.
"Ne abbiamo già parlato, ricordi? La devi smettere".
"Smettere di fare che cosa? Di convincerti a consumare dei pasti regolari per prevenire crisi ipoglicemiche nel corso della giornata?"
"Di prenderti cura di me ed essere sempre tanto fantastico. Mi rendi difficile andarmene". Gli diede un piccolo morso sulla spalla.
"È quello il mio intento. E ti ricordo che lo ero già qualche anno fa, sei tu che hai preferito privarti di tanta magnificenza".
"Rinfacciarmi in continuazione questa storia, al contrario, mi renderà molto facile abbandonarti al tuo destino, ti ringrazio per il favore".
Castle scoppiò a ridere e la imprigionò per impedirle di alzarsi. Cedette senza difficoltà. Forse poteva permettersi di rubare ancora qualche minuto.

.

Le preparò velocemente un'insalata, ricca di ingredienti di cui lei ignorava perfino l'esistenza - saldo nel suo principio di non lasciare che le loro pause la privassero di elementi fondamentali per il suo metabolismo.
Il ritornello era sempre lo stesso, lei avrebbe comunque dovuto mangiare qualcosa e per mantenersi in forze – forze che dovevano servire a uno scopo specifico e cioè farla correre da lui –, doveva nutrirsi in modo bilanciato. E lui era lì proprio per quello. Era la sua missione.
Lei aveva idee diverse sul ruolo di Castle nella sua vita e avrebbe volentieri barattato quella che le pareva solo un'inutile perdita di tempo con un altro genere di attività molto più gratificante. Avrebbe poi comprato qualcosa da sgranocchiare al volo prima di dirigersi verso la successiva tappa della giornata, ma Castle si era sempre mostrato inflessibile. Rassegnata, rimase a osservarlo seduta sullo sgabello indossando una delle sue camicie a cui aveva rimboccato le maniche.
Era un'esperienza singolare lasciare che fosse qualcun altro ad accudirla, di solito era lei a occuparsi di tutto. Di suo figlio, di suo padre, del distretto. Era bello riposare, di tanto in tanto.

"Quando ci rivediamo?"
Castle alzò la testa e le pose quella semplice domanda con molta tranquillità, indaffarato dall'altra parte del bancone. Anche quella era stata una sorpresa per lei. Aveva sempre messo in chiaro, fin dall'inizio, che voleva stare con lei. Non c'erano stati dubbi al riguardo, silenzi da interpretare, telefonate da attendere e strategie da attuare per non dimostrarsi il reciproco interesse, nel timore di fare un passo falso, di apparire indifesi. Era sempre stato schietto in questo senso e lei lo aveva apprezzato, perché le aveva permesso di rilassarsi mentre navigava il turbolento mondo degli appuntamenti senza troppi patemi. Avevano fatto l'esatto contrario di quello che veniva spiegato nelle rubriche di consigli sentimentali ed era andata bene. Era andata alla grande.

Infilzò con la forchetta un pezzetto di cetriolo meticolosamente affettato e disposto nel piatto secondo un ordine creativo di cui non afferrava il senso. "Forse riuscirò a liberarmi per qualche altra pausa pranzo questa settimana". Sarebbe tornata il giorno dopo e quello dopo ancora, lo sapevano entrambi. Fingevano solo che non fosse così.
Le parve che Castle non esprimesse il solito entusiasmo alla prospettiva del loro prossimo incontro. Eppure era stato lui a tirar fuori l'argomento. La cosa la turbò.
"C'è qualcosa che non va? Hai altri impegni?".
D'improvviso l'insalata le risultò indigesta. Si stupì di come bastasse poco per mandarla in allarme, con già una leggera ansia a pizzicarle il cuore.
Castle scosse la testa, sorridendo. "È solo che speravo in qualcosa di più, anche se non intendo lamentarmi dei nostri... pranzi. È da tanto che non stiamo insieme una notte intera".
Strinse le labbra, rammaricata. "Mio padre è via per lavoro, lo sai". Significava che non ci sarebbero state notti sotto lo stesso tetto, né risvegli languidi stretta contro di lui, senza curarsi di uscire dal letto a un'ora decente. O con un abbigliamento decente. Avrebbe dato qualsiasi cosa per farlo accadere.
Castle non fece ulteriori commenti né le lasciò intuire che cosa gli stesse passando per la testa, facendola innervosire.
"Castle, se hai qualcosa da dire ti pregherei di parlare chiaramente, invece di lasciarmi qui a scervellarmi". Non aveva più appetito. Temeva che il funambolico equilibrio su cui si era mossa veloce la loro relazione – equilibrio che lei si sforzava di mantenere a costo di sacrifici e che a volte era un faticoso gioco di incastri-, non gli bastasse più. Forse avrebbe preferito una donna che potesse disporre del tempo a proprio piacimento, più libera di incontrarlo. Non gliene faceva una colpa, ne avrebbe avuto ogni diritto. "Non ti va più bene questa situazione? Sai che faccio il possibile..."
Si morse la lingua. No, non lo avrebbe implorato o tentato di convincerlo, anche se sentiva il gelo della solitudine arrivare già a lambirle le caviglie.

"Sei impazzita? Non devi nemmeno pensarlo. Mi va benissimo qualsiasi cosa, purché ti riguardi. Mi era solo venuta un'idea..."
Attese, mentre la temperatura del suo corpo tornava a un livello accettabile. Sapeva che non sarebbe stato in grado di trattenersi troppo prima di esporle una delle sue idee geniali. Era lui a definirle così, mentre lei gli offriva in cambio occhiate sprezzanti.
"Vorrei trascorrere un fine settimana con te, tre giorni tutti per noi. Magari possiamo andare negli Hamptons, la nostra colazione davanti all'oceano ci sta ancora aspettando".
Kate si irrigidì. Non aveva dimenticato quella serata e il suo exploit di follia e incoerenza che non la riempiva esattamente di esultanza nei confronti di se stessa. "Non posso lasciare Tommy così a lungo".
Era uno dei principi a cui non era mai venuta meno e che gli aveva illustrato fin dall'inizio.

"Non ho mai detto che Tommy non sia compreso nell'invito".
L'ultima affermazione, espressa in modo pacato come se non fosse la bomba che di fatto era, la lasciò senza parole. Le parve di trovarsi di fronte a un Castle diverso dall'uomo che aveva fin lì conosciuto e la cosa la disorientava.
Fedele alla promessa di rispettare i suoi tempi e le sue decisioni, insindacabili trattandosi di suo figlio, Castle non le aveva mai chiesto di incontrare Tommy di nuovo. Si era costantemente informato su di lui, aveva ascoltato partecipe i suoi infiniti aneddoti materni, aveva voluto vedere le foto che lei gli scattava e conservava sul telefono e l'aveva pregata di tenerlo aggiornato su tutto quello che lo riguardava. Ma non aveva mai proposto di rivederlo. La sensazione era quella di essere finita in un agguato, proprio nel momento in cui aveva iniziato a fidarsi di lui, ad aprirsi. A sentirsi al sicuro.

"È troppo presto, Castle, sai quali sono le regole".
Era seccata e spiaciuta di esserlo. Non voleva rovinare l'atmosfera e ancor meno voleva ferirlo ribadendo che non voleva che si incontrassero.
"Non dobbiamo confessargli nel dettaglio i nostri... attuali rapporti. Potrei essere semplicemente un amico che ha una casa al mare molto spaziosa e che vorrebbe insegnargli a nuotare. O a fare castelli di sabbia. Non necessariamente dovrei voler dormire nel tuo letto, no? È troppo piccolo per rendersi conto che non è una scusa credibile".
Gli rivolse un piccolo sorriso appena accennato.
"Quindi saresti solo un amico disposto a starsene rinchiuso tutta la notte nella propria stanza con me nelle vicinanze? E io che credevo che non potessi resistermi..."
Lo vide strabuzzare gli occhi. "No, ovvio, quella sarebbe solo una copertura. Lo sai anche tu che non riesco a resisterti, non c'è bisogno di farmelo dire con l'inganno".
"Non era un inganno", protestò. Abbassò lo sguardo per non fargli capire che, invece, si era divertita a stuzzicarlo per ottenere quella reazione.
"Niente ci vieta di incontrarci casualmente durante la notte in cucina e da lì, con le opportune precauzioni, nascondendoci da qualche parte..."
"Molto romantico starcene nello sgabuzzino delle scope durante la nostra prima vacanza insieme per non farci scoprire da mio figlio di quattro anni addormentato al piano di sopra". Incrociò le braccia davanti al petto. "E ti ricordo che non potresti nemmeno toccarmi, baciarmi, né lanciarmi le tue solite occhiate".
"Quali occhiate?"
"Quelle per cui siamo costretti a fuggire dai ristoranti prima che ci arrestino".
Castle si mise a ridere, poi si alzò e la raggiunse. Si chinò a baciarla sul collo. "Perché non glielo diciamo e basta?"
Lo respinse. "Stai cercando di raggirarmi per piegarmi alla tua volontà?"
"Vorrei esserne capace, così da non farti uscire mai dal mio letto".
Sgusciò via, un po' troppo rapidamente."Devo andare", annunciò, troncando una conversazione che non aveva mai voluto cominciare, nel timore che Castle tornasse alla carica.

Si mosse per recuperare i suoi vestiti disseminati ovunque. Nonostante l'ultimo scambio di battute avesse alleggerito la tensione, era un po' alterata per aver dovuto affrontare una questione che credeva di aver già adeguatamente definito.
Non era la conclusione che si era aspettata, dopo aver contato le ore prima di rivederlo proprio come una ragazzina. Per non parlare del pessimo umore con cui avrebbe trascorso il resto del pomeriggio.
La raggiunse. Intuì dal suo sguardo che non aveva intenzione di rassegnarsi. "Castle, non ne voglio parlare. Il discorso è chiuso".
Non si diede per vinto. Sapeva che sapeva essere più cocciuto di lei, il che non era confortante.
"Che cosa può succedere di male? Ci so fare con i bambini".
"Ne sono al corrente, è proprio per questo non voglio che vi incontriate".
"Preferiresti che non gli piacessi?"
Si fermò a fissarlo con la borsetta aperta in mano. Era spettinata, arrabbiata e moltissime altre cose, tutte poco piacevoli. "Preferirei che non si affezionasse a un uomo potenzialmente perfetto che potrebbe andarsene da un momento all'altro".
Ecco, l'aveva detto. Era contento, adesso?
Le si avvicinò, costringendola a indietreggiare di un passo.
"Io non vado da nessuna parte, Kate. So che ti è difficile crederlo, e in parte lo capisco, ma è così. Voglio stare con te a lungo. Molto a lungo".
Sbuffò e si rifugiò nello studio, dove finì di raccogliere i suoi oggetti personali. "Devo ricordarti che ci vediamo solo da poche settimane?", gli gridò da
"Che mi sono bastate per capirlo".
Non rispose. Non aveva tempo per quei discorsi insensati, quando aveva già un piede fuori dalla porta.

La raggiunse e si sedette sul bordo della scrivania, osservando il suo andirivieni e attirandola verso di sé, quando gli passò vicino. Si fermò di malavoglia.
"Kate, ci sarà sempre il rischio che l'uomo che entrerà nella tua vita possa andarsene. Potresti perfino essere tu ad averne abbastanza o potreste scoprire di non andare d'accordo. Per inciso, parlo in generale solo a fini discorsivi. Ovviamente quell'uomo sarei io, nessun altro". Sorrise. Le piaceva quella versione di Castle geloso a fini discorsivi. Le alzò le braccia e se le passò intorno al collo. "Le mie intenzioni con voi sono molto serie", annunciò con esagerata solennità, facendola ridacchiare. "E se deciderai che non mi sopporti più, non è detto che io e Tommy non possiamo mantenere in futuro il rapporto che avremo costruito, solo perché sua madre ha perso il senno e ha deciso di rinunciare a un uomo meraviglioso come me".
"L'umiltà è sempre la parte di te che preferisco".
"Ero convinto che fossero altre le parti di me che apprezzi, in base a come ti esprimi quando..."
"Castle. Concentrati". Doveva controllare quella sua tendenza a vaneggiare. Lei non si esprimeva in nessun modo. Proprio nessuno.
Le sorrise in quel modo irresistibile che le faceva sempre battere il cuore troppo forte. "Anche se ci lasceremo, potrei continuare a essere una specie di zio per lui, come sono sicuro lo siano i tuoi amici o colleghi. Ma questo non accadrà mai, soprattutto perché hai appena detto che sono potenzialmente perfetto".
Avrebbe dovuto cancellargli quell'informazione dalla memoria con qualche ritrovato chimico, o glielo avrebbe rinfacciata per sempre.

"A meno che il problema non risieda altrove. Forse non sei sicura... di noi? È per questo che non vuoi farci incontrare?"
Nascose la testa sulla sua spalla, un diversivo per non rispondere.
"Ehi". La costrinse a guardarlo negli occhi. "Puoi dirmelo se hai voluto solo sedurmi per poi abbandonarmi subito dopo".
"È proprio così, Castle. Anche se avrei voluto sedurti ancora per un po' prima di abbandonarti, ma ormai mi hai scoperto".
Le sorrise. "Approfitta pure di me quanto vuoi, non oppongo resistenza".

Era lei il problema? Non era sicura del loro rapporto, come aveva appena suggerito Castle? No, non era quello il punto, rifletté onestamente. Era solo troppo presto e lei molto inesperta e spesso confusa. Non aveva le idee chiare, né un modello da seguire, era priva di esperienza, di punti di riferimento. Non sapeva come comportarsi e temeva di commettere errori madornali. Su una cosa però era costretta a dargli ragione. Nessuna relazione aveva una garanzia di durata, nonostante promesse o giuramenti ufficiali.

C'era una differenza sottile tra il voler proteggere Tommy da qualsiasi sofferenza e comportarsi in modo superficiale facendogli del male e lei non era sicura di conoscerla. Non voleva che vivesse sotto una campana di vetro, voleva di più per lui. Che si sporcasse la mani, che vivesse pienamente. In più era sicura che esporlo alle eccentricità di Castle e al suo sguardo innocente con il quale contemplava le bellezze del mondo sarebbe stato un bene per lui. Anche lei ci aveva pensato, anche se non aveva voluto ammetterlo. Si era chiesta spesso quando sarebbe stato il momento giusto per farli avvicinare. Forse mai, se considerava tutti i potenziali rischi, che però a un certo punto andavano corsi con coraggio e un atto di fede nella vita.
Mosse le labbra, preparandosi a parlare, nonostante il nodo in gola.
"Okay. Che ne dici di venire a cena da noi come... amico e futuro zio?"
Il volto di Castle si fece raggiante. "Davvero? Sarebbe fantastico. Quando?"
"Hai impegni per stasera?"
"Cambi idea incredibilmente in fretta per essere una maniaca del controllo molto sexy".

Gli fece una smorfia. Era sorpresa anche lei, ma in fondo che bisogno c'era di aspettare? Meglio prendere un decisione e agire subito piuttosto che prolungare l'attesa con inutili tentennamenti che non avrebbero portato a niente. Magari Tommy e Castle non sarebbero andati d'accordo ed era meglio affrontare subito il problema. Dubitava che suo figlio non apprezzasse la capacità di Castle di imbastire universi magici e fantasiosi facendoli apparire reali. Anzi, era sicura che, a un certo punto, Tommy avrebbe preferito Castle a sua madre. L'immagine dei due uomini in combutta contro di lei la intenerì, anche se non lo avrebbe mai confessato e avrebbe stroncato sul nascere eventuali colpi di stato che Castle avrebbe certamente organizzato per minare la sua autorità e viziare suo figlio senza ritegno.

Mi spiace non essere riuscita ad avvisare per tempo che avrei saltato la pubblicazione la scorsa settimana, ma purtroppo non ho altro modo per comunicare se non modificando l'ultimo capitolo. Spero abbiate trascorso dei giorni sereni. Silvia.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Dieci ***


10

Non le era sempre possibile passare a prendere Tommy all'uscita pomeridiana da scuola. A dirla tutta era un'eventualità piuttosto rara, anche era sempre alla ricerca di stratagemmi dell'ultim'ora che le consentissero di essere presente a un appuntamento che considerava tra i più piacevoli della giornata, soprattutto durante la bella stagione. La scuola era situata in un quartiere residenziale vicino al distretto, raggiungerla a piedi significava lasciarsi alle spalle un mondo monocromo e polveroso per immergersi nella brillante tavolozza della natura.
Nel tragitto verso casa potevano tagliare attraverso il parco, fare una sosta alle altalene – spesso molto lunga -, prendere un gelato, raccontarsi come era andata la loro giornata. Erano occasioni in cui poteva permettersi il lusso di stare con suo figlio senza la solita fretta, momenti fugaci e preziosi che normalmente doveva a malincuore affidare ad altri.

Quel giorno era diverso. In vista della cena con Castle che aveva, forse avventatamente – solo il tempo lo avrebbe deciso -, programmato per quella sera, era prioritario preparare Tommy a un cambiamento della loro routine domestica, che di solito non prevedeva l'arrivo di uomini piacenti che se ne stessero seduti a tavola con loro. Non che Tommy avrebbe giudicato il loro ospite in base all'aspetto esteriore, come invece stava facendo lei, e in più arrossendo. Aveva quindi preferito occuparsi personalmente di recuperarlo a scuola.

L'ansia che aveva iniziato a serpeggiare dentro di lei da quando aveva lasciato il loft raggiunse un nuovo picco, mentre si avviava verso la sua destinazione. Si diede della sciocca per essere tanto nervosa. Nel corso della sua carriera aveva affrontato molte situazioni difficili, alcune molto pericolose, ma, a quanto pareva, per il suo cervello alle prese con un incessante incremento dei livelli di adrenalina libera di scorrazzarle nel corpo, niente era paragonabile alla prospettiva di far incontrare suo figlio all'uomo con cui usciva.
Era cosciente di non dover, lei per prima, caricare quell'evento di troppe aspettative perché tale atteggiamento avrebbe avuto come conseguenza quella di far agitare oltremisura anche Tommy. Suo figlio, da sempre e misteriosamente, percepiva in modo infallibile e preciso gli stati d'animo materni e li trasferiva su se stesso, ingigantendoli. Avrebbero potuto far esplodere interi palazzi solo sommando le loro identiche emozioni.

Consapevole delle dinamiche in atto, sapeva che era necessario giocare d'anticipo per aumentare le possibilità che filasse tutto liscio. Voleva essere pronta ad appianare qualsiasi contrattempo che avrebbe potuto portare a futuri disastri. E voleva che si piacessero. Sapeva che non poteva imporlo a nessuno dei due e non era difficile aspettarsi che almeno una delle due parti sarebbe stata più propensa a far sì che ciò accadesse, ma l'altro protagonista, quello che condivideva il suo dna, sarebbe stato un osso molto più duro, nonostante all'esterno apparisse come un bambino cordiale. Lei invece conosceva bene la sua volontà d'acciaio, che qualcuno sosteneva avesse ereditato da lei. Sciocchezze. Lei era molto più malleabile.

Anche Castle doveva essere vittima della medesima irrequietezza, a giudicare dai bip senza sosta che provenivano dal suo telefono. Prima che lei riuscisse a lasciare il loft – operazione che richiedeva una forza d'animo che non sempre poteva vantarsi di possedere -, si era offerto di occuparsi dell'intero menu, nonostante gli avesse spiegato che, in qualità di ospite, quel compito non sarebbe spettato a lui. Non che non sarebbe stato un sollievo per lei, che non aveva idea dello stato in cui versava il suo frigorifero, né poteva dedicarsi a fare una spesa degna di questo nome dovendo trascinarsi dietro anche Tommy. No, era ingiusta. Sarebbe stato la sua estrema agitazione a rallentare le incombenze che Castle si era proposto di svolgere al posto suo, non poteva dare colpa a un bambino indifeso.
Le aveva risposto che si trattava di un'occasione importante e che cucinare gli avrebbe permesso di calmare i nervi e ingannare l'attesa. Quell'ammissione le aveva fatto un'inspiegabile tenerezza. L'aveva baciato e gli aveva ricordato che non era in procinto di incontrare il Presidente, ma soltanto suo figlio. Le sarebbe piaciuto dar retta al suo stesso consiglio.

Il cancello della scuola era ancora chiuso, essendo arrivata con qualche minuto di anticipo. Salutò un paio di genitori che riconobbe per averli fugacemente incontrati in passato durante qualche evento collettivo, anche se non avrebbe ricordato i loro nomi e attese in disparte che i bambini venissero accompagnati all'uscita. Non si fecero attendere a lungo. Il loro arrivo fu preannunciato da un vociare in rapido accrescimento che coprì ben presto qualsiasi altra fonte sonora in un raggio piuttosto esteso.
Grazie all'allenamento, scovò a colpo sicuro il viso di Tommy nella folla festante che si riversò fuori dall'edificio, pregustando la sua reazione.
Suo figlio si illuminò nel riconoscerla e lei si preparò a essere fisicamente investita dal solito ciclone entusiasta che le si arrampicò in braccio, pronto a inondarla di affetto.

Ogni mattina, prima di salutarlo, gli ricordava chi sarebbe passato a prenderlo nel pomeriggio, di solito il nonno o la babysitter. Quando capitava un cambiamento di programma che le consentiva di farsi viva di persona, proprio come era successo quel giorno, la gioia di Tommy nel vederla le colmava il cuore di gioia assoluta. Si sentì inondare di sconfinato amore per gli abbracci soffocanti e la pioggia di baci, i racconti sconclusionati e l'inesauribile allegria che Tommy produceva senza sforzo e che lei assorbiva avidamente.
"Ti va di andare al parco, prima di tornare a casa?"
Gli passò una mano tra i capelli per domare il ciuffo, reso ancora più ribelle da una giornata di attività sfrenate.

Tommy saltellò felice, annuendo. La gratificava accontentarlo con poco ed era da lui che aveva imparato a notare e apprezzare le piccole cose che la circondavano e che di solito sfiorava con sguardo indifferente. Il cielo terso delle mattine d'estate, la prima luce d'autunno, le foglie da raccogliere insieme, l'enorme collezione di pietre che conservavano a casa, per lei tutte identiche, ma per Tommy singolarmente riconoscibili grazie a qualche minuscolo particolare. Anche Castle aveva lo stesso approccio alla vita e anche lui era un ottimo maestro.

Trascorse lunghi minuti a spingerlo sull'altalena dietro sua richiesta, ascoltando le sue risate, finché Tommy non si stancò e decise che era arrivato il momento di gustare il gelato che gli aveva promesso strada facendo. Lo osservò assaporarlo con la consueta lentezza, che qualche volta trovava esasperante, pur sentendosi in colpa ad ammetterlo. Non gli fece fretta, intervenne solo perché il gelato non si trasferisse interamente sulla sua maglietta. Infine, lo ripulì con le salviettine che portava sempre con sé. Il contenuto della sua borsa era fonte di infinito stupore perfino per se stessa. Quando ebbe finito, lo acchiappò prima che si scagliasse di nuovo sul prato, pronto per nuove avventure.

"Ehi, Tommy, ti va di avere un ospite a cena stasera?"
Il solo dirlo le provocò un guizzo nel petto.
Tommy accolse la sua uscita con tiepido interesse, scalciando con le gambe sotto la panchina su cui l'aveva costretto a rimanere seduto, creando solchi con la sua impazienza. Sapeva di dover agire in fretta. "Non vuoi sapere di chi si tratta?" insistette.
A casa loro non c'era un tale andirivieni di persone da giustificare la sua indifferenza, la notizia avrebbe dovuto almeno incuriosirlo. "Ti ricordi di Rick?"
Tommy mostrò un barlume di consapevolezza. "Il mio coniglietto?"
Sarebbe scoppiata a ridere, se non avesse temuto di ferire i suoi sentimenti.
"No, ma possiamo aggiungere un piatto anche per lui. Si tratta di Rick, l'amico della mamma che ti ha regalato il coniglietto". Che si chiamava Rick a sua volta, giusto per confondere le idee.
"Perché viene?", domandò sospettoso, senza darle modo di capire se in effetti Castle fosse per lui qualcosa di diverso di un nome che non gli diceva nulla.
"Per passare la serata con noi". Meglio semplificare il più possibile. "Ha promesso di portarci una torta", improvvisò. Doveva ricordarsi di avvertire Castle di provvedere a reperire anche una torta al cioccolato, secondo i gusti di suo figlio, oltre a tutto il resto.
Tommy si illuminò. "È il mio compleanno? Mi porta anche un regalo?"
Gli accarezzò una guancia. "No, non è il tuo compleanno".

Sarebbe stato utile a quel punto ribadire un concetto educativo che trovava fondamentale, cioè il valore della compagnia degli amici fine a se stessa, senza la necessità di scambi materiali, ma era sicura che sarebbero state parole inutilmente spese, perché sospettava che Castle non si sarebbe presentato a mani vuote, così come non lo aveva fatto in occasione del loro primo appuntamento. Si predispose ugualmente a illustrare qualche principio etico di base, che sperava, mettesse radici nella sua mente.

...

Castle si palesò all'ora stabilita bussando alla porta. Dovette precipitarsi a bloccare suo figlio prima che assumesse l'amato ruolo di portinaio.
Gli aveva ripetuto diverse volte, perché gli fosse molto chiaro senza possibilità di dubbi a riguardo, che avrebbero accolto insieme il loro ospite. In primo luogo perché non voleva che Castle finisse di nuovo preda di un assalto senza la sua supervisione – credeva di doverglielo – e poi perché Tommy doveva imparare a non aprire a chiunque senza prima controllare chi ci fosse dall'altra parte. E in ogni caso, visto che era ancora troppo piccolo, spettava unicamente a lei in quanto adulta decidere se fosse sicuro lasciar entrare chicchessia.

Era uno dei suoi crucci. Tommy manifestava un'innata fiducia nel mondo esterno ed era sempre troppo amichevole con gli sconosciuti. Non si capacitava di come potesse non avergli trasmesso la sua naturale circospezione nei confronti del prossimo. A quattro anni non doveva aver ormai imparato con l'esempio? Lei non andava di certo in giro a chiacchierare con le persone che non conosceva, a meno che non fossero sospettate di omicidio. E lui comunque non era mai stato presente agli interrogatori, fortunatamente. Forse era ancora troppo piccolo o forse, se ne stupiva lei per prima, la diffidenza di cui era dotata non era una caratteristica innata nemmeno per lei. Doveva averla acquisita sul campo svolgendo un lavoro che l'aveva spinta inesorabilmente a vedere gli esseri umani sotto la luce peggiore. In ogni caso, era necessario inculcargli un po' di sana prudenza.

Una volta tornati dal parco, si era data come ordine tassativo quello di affrontare i successivi preparativi con la calma necessaria. Aveva dovuto lei per prima darsi una regolata, per non rendere Tommy inutilmente isterico. O se stessa. Non sarebbe successo niente di clamoroso, in fondo. Solo un amico che avrebbe trascorso qualche ora in loro compagnia, non era così che l'aveva spiegato a suo figlio? Non doveva disinnescare una bomba nello scantinato di un edificio governativo.

Aveva infilato Tommy nella vasca da bagno – un volta regno delle sue serate solitarie accompagnate da un bicchiere di vino e un buon libro e ora piena di giocattoli galleggianti – e, dopo averlo fatto tornare presentabile, si era dedicata a se stessa, mentre suo figlio era intento a colorare un disegno da offrire a Castle in cambio di quei regali che era certo di ricevere dal suo benefattore. Non c'era stato modo di convincerlo altrimenti. Sì, si rendeva conto che era in parte colpa sua e di tutti quelli che gli volevano bene. L'avevano viziato. Tutti quanti. All'annuncio della gravidanza e quando l'assenza di una qualsiasi figura paterna di riferimento si era fatta sempre più imbarazzante, quando cioè era diventato palese che sarebbe stata da sola senza lo straccio di un sostegno concreto, amici e colleghi si erano stretti intorno a lei pronti a sostenerla. Aveva accettato felice ogni genere di aiuto, convinta che a Tommy avrebbe giovato sentire di far parte di una famiglia allargata estremamente chiassosa e affettuosa.

"Rick!", strillò Tommy elettrizzato non appena gli diede il permesso di aprire e si trovò Castle davanti. L'intero palazzo ormai doveva aver ricevuto la lieta novella che un visitatore di sesso maschile si era materializzato nel suo appartamento. Si aspettava quasi che i vicini venissero alla spicciolata a conoscere il fortunato candidato, se non si fosse trattato di persone molto discrete.
Doveva aver iniziato a piovere, mentre lei era impegnata a riordinare la casa, badare a Tommy e immaginare scenari catastrofici. Se ne accorse dai capelli grondanti acqua di Castle, in piedi sulla soglia pieno di borse e pacchetti e un sorriso che avrebbe sciolto un muro di cemento armato. Venne presa da un tremito che soffocò brutalmente al suo timido manifestarsi.
Fu suo figlio a prendere in mano la situazione e fare gli onori di casa, visto che lei aveva la sensazione che qualcuno le avesse rubato la lingua.
"Ti ho fatto un disegno! Anche se la mamma dice che non dobbiamo scambiarci regali perché non è il mio compleanno", gridò al massimo dell'eccitazione, facendole rimbombare i timpani. Quindi qualche volta ascoltava quello che tentava pazientemente di inculcargli.

"Ciao Tommy". Era previsto da qualche manuale il fatto che stesse per sentirsi male solo sentendolo pronunciare il nome di suo figlio con quel tono pieno di calore e meraviglia? Forse era influenza? Si sentiva le guance scottare.
Castle le lanciò un'occhiata troppo intensa perché fosse in grado di metabolizzarla senza rimanerne turbata e le passò le provviste. Quando ebbe le mani libere si chinò verso Tommy e afferrò delicatamente il foglio di carta su cui il bambino aveva disegnato una visione rudimentale del coniglietto Rick, convinto di fare cosa gradita al loro ospite nel ricordargli il precedente regalo. Non una strategia molto sottile.
C'erano quindi tre versioni di Rick nel suo salotto – una in carne e ossa particolarmente sexy, una di peluche e una di carta - e non era sicura di essere in grado di gestirle tutte, pensò mentre si affrettava a deporre cibi e bevande nella cucina che brillava per le recenti pulizie. C'era anche la torta, splendidamente decorata. Sorrise di nascosto. Non gli era sfuggito niente.

Castle si concentrò sull'opera d'arte sottolineando i dettagli cromatici e la somiglianza con l'originale e infine si sperticò in lodi sul risultato, rendendo Tommy così orgoglioso di se stesso da farlo perfino apparire più alto.
"Ti ringrazio per il disegno, lo conserverò con cura. È un peccato che non ci si possa scambiare regali perché ne ho anche io uno per te", annunciò Castle dopo una pausa a effetto che catturò subito l'attenzione di Tommy. E anche la sua, ma per le ragioni opposte.
Tirò fuori dal solito cilindro magico, che nascondeva chissà dove, un pacchetto rettangolare ben confezionato e lo mise sotto il naso di Tommy, che, ormai incapace di controllarsi, fece per strapparglielo dalle mani.

"Prima però dobbiamo chiedere il permesso alla mamma, che ha sorprendentemente una visione molto austera quando si tratta di doni, ma noi abbiamo il dovere di rispettarla". Tommy era ancora troppo innocente per cogliere il tono ruffiano con il quale Castle aveva parlato della sua austerità. Quattro occhi speranzosi si levarono verso di lei, facendola sentire una strega cattiva. Perché mai aveva dovuto impuntarsi sul valore dell'amicizia in senso simbolico e non materiale? Anche lei era curiosa di scoprire che cosa ci fosse dentro il pacchetto e, a dire il vero, le sarebbe piaciuto ricevere lo stesso trattamento.
"D'accordo. Ma solo per questa volta".
Tommy lanciò un gridolino, prese la scatola che Castle gli mise tra le braccia e si lasciò cadere sul pavimento. Castle lo imitò, sedendosi accanto a lui proprio di fronte alla porta ancora aperta. I suoi vicini l'avrebbero ringraziata per l'intrattenimento serale gratuitamente offerto.
Tommy strappò la carta da regalo e scoprì, fuori di sé dalla gioia, che si trattava di una navicella spaziale. Nemmeno a dirlo, era qualcosa che il bambino le aveva già chiesto ripetutamente, sfinendola perché gliela comprasse. Si trattava della versione deluxe provvista di ogni accessorio. Ne era informata non perché avesse qualche interesse nell'oggetto in questione, ma perché l'aveva studiata a fondo, prima di rifiutarsi di imbarcarsi in un'avventura del genere. Come aveva fatto Castle a saperlo? Come faceva a sapere sempre tutto?

C'erano altri pacchetti che apparirono uno via l'altro – dopo aver acconsentito la prima volta nessuno badò alle sue successive proteste. Facevano tutti parte della stessa area tematica, quella per cui suo figlio impazziva: astronavi, stelle, pianeti. E c'erano anche dei dinosauri. Anche se non aveva ancora colto il collegamento che avevano con il resto degli oggetti, era certa che fosse invece chiarissimo per gli uomini presenti che se la intendevano perfettamente. Non aveva idea di dove avrebbe messo tutti quei giocattoli piovuti dalle generose mani di Castle, che, in più, aveva portato da mangiare per l'intera popolazione di New York.
Tommy aveva gli occhi sfavillanti, mentre apriva l'ennesima scatola. Di quel passo avrebbe vomitato per la troppa agitazione. Tenne per sé quel timore, non voleva rovinare quel loro primo incontro ufficiale con previsioni troppo prosaiche.

"Possiamo chiudere la porta o intendete trasferirvi sul pianerottolo?", li richiamò all'ordine, quando riuscì a inserirsi nel loro fitto parlottare a bassa voce con le teste vicine.
"Non vuoi il tuo regalo?", le chiese Castle sfoderando un sorriso consentito solo nel mondo degli adulti.
"Non mentre dei minorenni sono ancora svegli", gli mimò con le labbra.
"Katherine Beckett, non mi stavo di certo riferendo...", commentò scandalizzato, a beneficio dei bambini presenti. Si alzò dal pavimento, aiutando anche Tommy a farlo, prendendolo per mano. Tommy lo lasciò fare. Erano piccolezze che nessun altro avrebbe notato, quella spontaneità che Castle aveva con i bambini, la sua connaturata premura, che tradiva lunga esperienza e genuino interesse.
"Il mio intento era innocente, sei tu come al solito a travisare". La zittì offrendole un mazzo di fiori di semplice fattura e molto colorato, che le piacque subito proprio per quel motivo.
Si sporse istintivamente verso di lui per ringraziarlo, ma all'ultimo si rese conto della situazione sfavorevole e deviò la traiettoria, optando verso un casto bacio sulla guancia, che durò comunque troppo a lungo per gli occhi da falco della sua progenie.

"Sei il fidanzato della mia mamma?" domandò Tommy con gli occhi a fessura, pronto a mettere da parte ogni genere di bonario sentimento che poteva aver provato per Castle e la sua generosità. I fiori erano accettabili, ma sua madre non si toccava e lui non si faceva corrompere, era quello il messaggio che venne fatto roteare a tutta velocità nel silenzio ostile.
Castle rimase senza parole, voltandosi a guardarla in cerca d'aiuto. Gli fece freneticamente segno di inventarsi qualsiasi cosa, tranne la verità. Con buona pace dei suoi propositi di non mentire mai a suo figlio. Poteva sempre dare colpa a Castle.
"No, assolutamente no, siamo solo amici", esclamò Castle, con troppa enfasi. Le venne da ridere. Sembravano due adolescenti colti in fallo da un padre molto rigoroso.
Tommy gli scoccò un'occhiata severa, prima di concedergli l'onore di accompagnarlo a tavola, dove gli indicò il posto più lontano dalla madre.
Castle aveva davanti un lungo cammino prima di conquistare definitivamente il cuore del prode cavaliere autoelettosi difensore della virtù materna, realizzò divertita. Non sarebbero bastate navicelle e dinosauri.

"Vado a prendere qualcosa per asciugarti i capelli". Gli fece cenno di seguirla in bagno, dopo aver trovato il vaso che rendesse giustizia allo splendido mazzo di fiori.
Castle controllò che Tommy non avesse niente in contrario, prima di accettare e muoversi nella direzione che gli indicò.
Lo fece entrare e poi si chiuse la porta alle spalle, mettendogli le braccia intorno al collo.
"Che cosa stai facendo?", bisbigliò preoccupato, allontanandola. "Potrebbe vederci".
Lo bacio sulle labbra. "Castle, è solo un bambino, non il garante della moralità del quartiere".
"Mi hai appena costretto a mentirgli sulla natura dei nostri rapporti", protestò. "Anche tu hai paura di lui".
"Non era una bugia. Non siamo forse solo amici? Non c'è niente che dimostri il contrario".
Castle ridacchiò. "Ne terrò conto. Tu e tuo figlio non andate molto per il sottile quando si tratta di esprimere i vostri desideri".
"Stai zitto e baciami, è la nostra unica occasione".
Diligentemente, Castle fece come gli era stato ordinato.

...

Buona settimana. Silvia

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Undici ***


11

Allungò lo sguardo per cercarli, non appena si ritrovò in strada dopo essere uscita dal distretto. La giornata lavorativa era finita, poteva dedicarsi a quello che amava di più. Li localizzò subito, fermi dall'altro lato del marciapiede, in attesa che il semaforo diventasse verde. Non si erano ancora accorti di lei. Tommy era assorto ad ascoltare Castle, che, chino su di lui, gli stava sussurrando qualcosa. Erano entrambi molto concentrati, estraniati dalla folla che sciamava intorno a loro. Vide Tommy annuire con aria seria. Sorrise con calore. Chissà di che cosa stavano confabulando, pensò divertita. Lasciò che fossero loro a raggiungerla così da assaporare indisturbata la deliziosa scena a cui stava assistendo. Sospirò felice, godendosi il momento. Piccoli attimi di perfetta felicità.

Con il trascorrere del tempo Tommy e Castle, dopo un iniziale avvicinamento circospetto soprattutto da parte del bambino, avevano sviluppato un rapporto armonioso e appagante per tutte le parti coinvolte. Castle si era sempre mosso con rispetto, senza fare pressioni – se non si teneva conto dell'iniziale richiesta di entrare a far parte attivamente della vita di Tommy, su cui gli aveva dato ragione, con il senno di poi –, valutando sempre prima con lei eventuali passi in avanti, consapevole della delicatezza della situazione in cui si era inserito. Lei aveva vigilato con attenzione, ma senza intromettersi più di tanto, salvo quando tendevano a mostrarsi troppo indisciplinati. Più Castle che Tommy, in effetti.

Era stata un'esperienza nuova e sorprendente per lei assistere allo sviluppo di una relazione prima incerta e poi sempre più solida tra suo figlio e un uomo che non aveva nessuna intenzione di scapparsene dall'altra parte del mondo. Un uomo a cui suo figlio piaceva sul serio e che per il bambino era un'importante fonte di accudimento.
Tommy aveva sempre avuto la tendenza ad affezionarsi rapidamente agli adulti di sesso maschile che incontrava sulla sua strada, motivo per cui aveva sempre cercato di proteggerlo, frapponendosi tra lui e ogni prevedibile delusione.
Nonostante la naturale circospezione che la contraddistingueva e che aveva messo in campo anche questa volta, era stato molto gratificante per il suo cuore di madre assistere al crescere della fiducia, contraccambiata, che suo figlio aveva pian piano riposto in Castle, diventato presto il suo referente quando, evidentemente, Tommy riteneva la genitrice capitatagli in sorte non all'altezza della situazione.
Lei fingeva di prendersela – in segreto -, provocando immancabilmente l'ilarità di Castle che si pavoneggiava orgoglioso per essere considerato un interlocutore affidabile almeno da uno di loro. Lo era anche per lei, anche se preferiva non diffondere troppo la notizia. Stava ancora studiando la situazione con l'innata cautela di cui era abbondantemente provvista e che non aveva intenzione di allentare anche se, a dire la verità, le sembrava di essersi ormai del tutto abbandonata a quel famoso flusso di sentimenti che provava per Castle e che un tempo l'aveva terrorizzata.

Quel pomeriggio segnava un altro passo in avanti per tutti loro. Castle si era proposto di passare a prenderlo all'uscita da scuola e lei aveva acconsentito. Era già successo una volta in precedenza, ma questa era la prima occasione in cui lo avessero spontaneamente deciso, invece che ricorrervi per via di un concentrato di circostanze avverse. Era quindi una sorta di investitura ufficiale e una novità di una certa importanza, per quanto insignificante potesse sembrare all'esterno.
Il fatto che lei avesse infine ceduto alla girandola di emozioni che frequentare Castle aveva portato con sé, non implicava che non fosse comunque andata con i piedi di piombo per tutto quello che riguardava Tommy, nella convinzione che avrebbe preferito pentirsi di essersi mossa con troppa prudenza, piuttosto che il contrario.

All'inizio si era limitata ad aggiungerlo come persona da interpellare in caso di necessità, qualora lei e gli altri contatti annotati sulla lista in possesso della direttrice della scuola che Tommy frequentava non fossero stati reperibili. Questo garantiva in linea solo teorica a Castle la possibilità di farsi consegnare Tommy senza essere segnalato come possibile rapitore. A scuola erano molto severi, non gli sarebbe mai stato permesso di prelevarlo senza averne prima controllato le credenziali. Meglio muoversi in anticipo.
Per lei era stata una scelta da ponderare con attenzione, come tutte le altre. Aveva anche risvegliato antiche ferite mai cicatrizzate, visto che su quella lista non si faceva menzione del padre di Tommy. Josh non si era mai fatto avanti - dubitava che si fosse mai posto il problema - e lei aveva volutamente sorvolato sulla questione. Non voleva che si presentasse a scuola di Tommy a sua insaputa, anche se sapeva che era un'eventualità piuttosto remota, visto il generale disinteresse dimostrato dall'uomo per tutto ciò che riguardava suo figlio. Così facendo lei però aveva la coscienza a posto, avendolo informato del percorso scolastico di Tommy, e intanto sapeva di aver tutelato se stessa e il bambino. Non si poteva mai sapere. La gente è imprevedibile.

Scrivere il nome di Castle su quella fantomatica lista era stato più che altro un gesto simbolico, non qualcosa che potesse avere conseguenze pratiche, si era detta. Il collaudato trio formato da suo padre, la babysitter che Tommy frequentava fin da quando era piccolo e lei stessa avrebbero continuato ad agire secondo lo schema preciso che fin lì aveva retto senza intoppi. Ma era stato bello vedere scritto il suo nome e soprattutto essere stata testimone della sua commozione quando gliene aveva parlato.

Poi era successo l'imprevedibile, in un giorno in cui la babysitter si sarebbe dovuta occupare di Tommy. L'aveva chiamata disperata, blaterando di un'improvvisa emergenza. Suo padre sarebbe rimasto in tribunale per tutto il giorno e lei era bloccata in ufficio con i federali giunti in pompa magna per gestire uno dei casi più complicati che le fossero mai capitati e che avrebbe volentieri strappato dalle loro avide mani per risolverlo da sola. Aveva invece dovuto accettare imposizioni che venivano dall'alto senza battere ciglio e ricorrere alle sue non così rilevanti doti diplomatiche. Il nervosismo era serpeggiato tra tutti i suoi detective, per quella che avevano considerato un'intromissione imperdonabile. Non aveva potuto dar loro torto, essendo della loro stessa opinione. La donna si era scusata quasi in lacrime – normalmente era sempre molto più che disponibile, una vera benedizione mandatale dal cielo. L'aveva naturalmente rassicurata, ma aveva dovuto trovare rapidamente un modo per risolvere l'intoppo o Tommy sarebbe rimasto da solo a chiedersi perché si fossero dimenticati di lui, aveva realizzato con orrore.
Se fosse stata una giornata qualsiasi si sarebbe precipitata da lui e l'avrebbe riportato al distretto dove c'era sempre qualcuno pronto a intrattenerlo. Non era la soluzione che preferiva, ma era l'alternativa migliore a lasciarlo a scuola con l'accusa di abbandono di minore.

Castle era disponibile, le aveva sussurrato una vocina tentatrice. No, si era detta con forza. Quel giorno non avevano programmato di vedersi, lei gli aveva preannunciato che sarebbe stata impegnata fino a tardi con un caso diverso dal solito e lui, dopo essersi rabbuiato per qualche istante, le aveva assicurato che si sarebbe dedicato al nuovo romanzo , quello in cui lei – o meglio, una sua versione narrativa che non avrebbe mai approvato, fosse messo agli atti – era la nuova protagonista. Basandosi sulla faccia compiaciuta di Castle quando gliene parlava, era certa che avrebbe per sempre negato di essergli stata di qualche ispirazione.

Non avrebbe voluto chiamarlo, per non disturbarlo mentre era al lavoro ma soprattutto per non perdere la sua tanto sbandierata indipendenza. Non le piaceva l'idea di appoggiarsi a lui in modo regolare, perché, se le cose non fossero andate per il meglio, sarebbe stato difficile tornare indietro. Non era una predisposizione che denotasse fiducia nella vita e nel futuro, ma era stata abituata a cavarsela da sola, e non aveva intenzione di rinunciare tanto in fretta a una routine molto ben collaudata, capace di mantenerla in rotta e di non scaraventarla sugli scogli. Ci aveva messo anni per non sentirsi strapazzata dai flutti.
Non era stato facile occuparsi di tutto da sola, ma era diventata brava a destreggiarsi tra i vari impegni e la prospettiva di dover ricominciare da capo e in più con un ipotetico cuore in pezzi, nell'eventualità che con Castle fosse finita male, era insopportabile. Meglio continuare così. A testa bassa e senza lamentarsi.

Mentre era stata impegnata a riflettere sul da farsi, fingendo di ascoltare i due agenti dell'FBI seduti davanti a lei, troppo presi a considerarsi superiori per chiedere il suo parere, si era resa conto che non le erano rimaste altre soluzioni praticabili, a meno di non implorare una delle insegnanti di tenerlo con sé. Opzione impossibile da attuare.
Si era alzata, si era scusata nell'indifferenza generale ed era uscita dal suo ufficio con il telefono in mano, il numero di Castle già pronto sullo schermo. Aveva risposto subito, lieto di sentirla. Si era sforzata di non apparirgli disperata, anche se lo era stata, e molto. Appena ascoltata la sua richiesta, Castle si era catapultato fuori dal loft. Aveva giusto avuto bisogno di prendere una boccata d'aria – così aveva sostenuto – ed era lei ad aver fatto un favore a lui e non viceversa. Lei aveva sorriso in silenzio chinando la testa, molto più che grata per l'aiuto ricevuto, per di più fingendo che non fosse tale.
Al principio aveva sospettato, per deformazione professionale, che l'entusiasmo mostrato da Castle all'idea di stare con suo figlio fosse più che altro un modo per convincerla di quanto fosse irresistibile, proprio come aveva sostenuto, scherzando, durante il loro primo appuntamento ufficiale. Si era dovuta ricredere. Castle amava trascorrere del tempo con Tommy e ne era corrisposto con identico ardore, al punto che a volte le sembrava di essere di troppo. Era sconcertante, a pensarci bene.

Castle era giunto da lei qualche tempo dopo tenendo Tommy saldamente in braccio, entrambi su di giri. Non aveva avuto modo di chiedergli che cosa avessero fatto nel frattempo, e l'esperienza le aveva consigliato di soprassedere. Dopo averla salutata, Castle le aveva fatto sommessamente presente che quel favore avrebbe necessitato di una generosa ricompensa che le avrebbe comunicato in altra sede, lontano da orecchie innocenti. Era arrossita, nel bel mezzo del caos.
Con sconcerto di tutti i presenti – che lo avevano visto entrare come se fosse di casa - Castle non se ne era rimasto buono insieme a Tommy nell'ufficio che gli aveva destinato e che, con il senno di poi, avrebbe dovuto chiudere a chiave, anche se legalmente sarebbe stato equiparabile a tenerli in ostaggio. Aveva iniziato, senza farsi notare – essendo Castle, senza farsi notare troppo –, a inserirsi nei discorsi relativi all'indagine. Dopo un paio di tentativi di zittirlo e non potendo redarguirlo pubblicamente, si era dovuto arrendere. Alla fine si era piazzato davanti alla lavagna, sempre tenendo Tommy in braccio come se fosse il suo personale lasciapassare, per sciorinare le sue fantasiose teorie che, tutto sommato, non erano state così assurde. Con suo stupore, aveva avuto un assaggio di come sarebbe stata una loro eventuale partnership, se ai tempi non si fosse ostinata a rifiutare la sua offerta di collaborazione. Forse, forse la sua consulenza sarebbe stata preziosa. Ma ormai era inutile rammaricarsene.
I presenti le avevano lanciato qualche sguardo perplesso, per differenti motivi. Gli sconosciuti si chiedevano chi fosse quell'uomo e per quale motivo a un civile fosse stato concesso di partecipare all'indagine, e in più con un bambino al collo, ma qualcuno che la sapeva più lunga aveva subito collegato la presenza di Castle a una trasformazione epocale nella sua vita sentimentale, che a quel punto non aveva più potuto tenere nascosta. Con tutte le conseguenze del caso, domande indiscrete comprese.

Tommy si era talmente divertito - Castle era riuscito a rendere l'esperienza avventurosa, nonostante tutto - che aveva chiesto a più riprese di riaverlo all'uscita pomeridiana da scuola. Castle si era schierato dalla sua parte e aveva proclamato di essere disposto a farlo anche quotidianamente. Lei, come sempre in minoranza ma con pieni poteri decisionali, aveva preferito agire in modo giudizioso, anche se questo significava spezzare i loro cuori. Lo aveva spiegato a entrambi, con parole diverse e adatte alla loro età anagrafica ufficiale – non così dissimile in realtà – e aveva mantenuto fede al suo proposito, fino a oggi. Era il grande giorno.
Più tardi Tommy sarebbe andato a dormire dal nonno, che rivendicava il suo diritto di trascorrere più tempo con il nipote che in effetti ultimamente vedeva meno spesso. Tutti volevano stare con Tommy, la cosa cominciava a farle girare la testa, creando qualche problema di gestione.
Questo però significava anche che lei e Castle avrebbero avuto l'intera serata per loro, evento che non si verificava da diverso tempo e il cui solo pensiero l'aveva elettrizzata e distratta durante una giornata non esattamente produttiva.

"Ehi, ciao", salutò i suoi uomini, quando le si avvicinarono. La baciarono sulle guancia in contemporanea e con il medesimo trasporto, Tommy volle anche abbracciarla. A volte – sempre – si chiedeva se sarebbe riuscita a contenere quel profluvio di straripante amore che provava per loro e che riceveva moltiplicato.
Con l'apparire di Castle la sua vita non si era semplificata, era ancora l'unico genitore presente e il lavoro da capitano contemplava sempre la solita esorbitante quota di problemi da risolvere, insieme a mucchi di documenti da revisionare, ma di colpo la sua vita si era riempita di tonalità sgargianti che la inebriavano. Era ubriaca di endorfine, che si generavano da un punto dentro di lei e si disperdevano nel mondo a ciclo continuo, una coppa che non smetteva di colmarsi e di traboccare.
Tommy aveva smesso di essere geloso, fortunatamente. Aveva accettato che Castle potesse sporadicamente toccarla e, in occasioni speciali, baciarla, ma senza troppa foga.
Fu lei a sfiorargli le labbra, un'anteprima di quello che sarebbe avvenuto nel corso della serata, con un appartamento a loro completa disposizione. Se non fosse stata la donna seria che era, si sarebbe messa a volteggiare per strada, ebbra di vita e felicità.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dodici ***


12

"Pronta per questa sera?"
Castle doveva averle letto nel pensiero, oppure aveva la sua stessa spasmodica voglia di godersi lunghe, pigre ore insieme.
"Che cosa devi fare questa sera, mamma?", si intrufolò una vocina autoritaria.
Nonostante Castle le avesse solo sussurrato la domanda, le antenne tese di suo figlio, in apparenza impegnato in attività più interessanti di una noiosa conversazione tra adulti, captarono al volo l'informazione che, tra tutte, gli premeva di più. Tommy azionava sempre un radar speciale quando c'era di mezzo sua madre.

Non c'era niente di speciale nel fatto che lei fosse in grado di capirlo con una semplice occhiata. Lo considerava connaturato al suo ruolo, avendo studiato con attenzione ogni suo lineamento fin da quando gli aveva contato le dita delle mani e dei piedi, mentre erano ancora in sala parto. Che lui fosse altrettanto capace di leggerla con la stessa precisione l'aveva inizialmente spiazzata. E un po' preoccupata.
Non poteva essere diversamente, si era detta con il tempo, quasi sentendo il bisogno di giustificarsi, nel suo affannoso e costante monitorare che Tommy fosse sereno e non mostrasse segni di disagio dovuti alla loro particolare condizione.
Non c'era stato nessun altro che condividesse la loro quotidianità. Dai suoi primi giorni di vita lei era stata l'unica presenza fissa e immutabile in un universo instabile, la sola bussola che lo guidasse, le uniche braccia sempre pronte ad accoglierlo. Avevano quindi sviluppato un rapporto strettissimo che li portava a essere immancabilmente sintonizzati l'uno sull'altra, pronti a cogliere la minima variazione di stato d'animo, un dettaglio fuori posto o un tono diverso dal solito che nessun altro avrebbe notato.
Da sempre convinta di essere una persona che bastava a se stessa, era stata colta in contropiede dalla profonda affinità che si era naturalmente dispiegata tra lei e un altro essere umano, che da lei dipendeva ma che aveva presto mostrato una propria individualità separata dalla sua. Erano intimamente connessi a un livello che non si sarebbe mai immaginata. Lo riconosceva come uno dei doni che le aveva fatto suo figlio, una delle maggiori sorprese dopo la sua stessa venuta al mondo.
E ora era arrivato Castle ad aggiungere tasselli che le erano sempre mancati, a mostrarle parti di se stessa in cui non aveva mai pensato di imbattersi.

Dovette sforzarsi in fretta di imbastire qualcosa di coerente da rispondere. Nonostante la piccola eccezione avvenuta quando aveva invitato Castle a cena da loro, continuava a ritenere valida la regola di dirgli sempre la verità. Ultimamente il compito era reso molto più arduo dal voler preservare un minimo di vita personale che includesse Castle, ma che non prevedesse la costante presenza di suo figlio.
Castle la precedette, vedendola in affanno.
"Io e la mamma abbiamo del lavoro da sbrigare insieme". Aveva un'aria così convincente che quasi gli credette lei stessa.
"Davvero?", non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire.
"Sì", confermò Castle, rivolgendosi intenzionalmente a Tommy dopo averle inviato una muta richiesta di reggergli il gioco. "La mamma è stata così gentile da offrirsi di darmi dei consigli sul libro che sto scrivendo. Ti ricordi che te ne ho parlato?"
Tommy lo ascoltò e poi annuì, dapprima con riluttanza e poi sempre più convinto, come se la spiegazione lo avesse soddisfatto. Lei rimase in silenzio, sentendosi complice di un reato. Una esperienza non esattamente esaltante, visto che si trattava pur sempre di suo figlio.

"Visto? Io non gli mento mai, a meno che non sia tu a costringermi a farlo. Stasera ho bisogno della mia Musa".
Castle le fece l'occhiolino, strappandole un sorriso che avrebbe preferito tenere per sé, per non incoraggiarlo a proseguire su una strada non del tutto irreprensibile su cui avrebbe avuto qualcosa – molto – da dire. E più tardi lo avrebbe minacciato di ritorsioni se avesse continuato a definirla Musa in pubblico. In privato era più indulgente.

Sul fatto che non avesse mentito, formalmente non aveva torto. Era vero che spesso le si rivolgeva per chiederle delle consulenze, con l'intento nascosto di andare a caccia di dettagli personali che lei avrebbe preferito tenere per sé, ma che, secondo lui, sarebbero serviti ad aggiungere spessore e realismo al suo personaggio.
In sostanza si era dovuta presto rassegnare al fatto che tutto ciò che la riguardava, dentro o fuori dal distretto, sarebbe diventato fonte di riflessione creativa per il detentore del suo alter ego narrativo.
Di certo però nessuno avrebbe negato che si trattasse anche e contestualmente di omissione parziale della verità, perché si augurava che non tutto quello che sarebbe successo quella sera venisse etichettato come consulenza, categoria decisamente ampia e dai contorni sfilacciati che Castle tirava in ballo con un po' troppa disinvoltura.
Forse avrebbe dovuto pensarci per tempo e mettere per iscritto, con l'aiuto di un avvocato, dei limiti precisi al materiale privato da cui Castle avrebbe potuto attingere. Il resto avrebbe potuto compensarlo con la sua tanto decantata fantasia, che era ormai per lei fonte di perenne angustia. Ma a quel punto era ormai tardi. Alla peggio avrebbe sempre potuto cambiare identità non appena quel romanzo, il primo di una serie - così si augurava Castle mentre lei faceva gli scongiuri-, sarebbe stato dato in pasto al mondo, insieme alla sua intera esistenza.
Bisognava scegliere oculatamente le battaglie da combattere.

"Posso venire anche io?", fu la successiva, prevedibile, uscita di Tommy.
"Tra poco passerà a prenderti il nonno", gli rammentò, intervenendo decisa. Non avrebbe potuto cancellare quell'appuntamento tra congiunti nemmeno se fosse intervenuta una volontà superiore alla sua a imporglielo. Suo padre avrebbe fatto appello a ogni genere di convenzione che riguardasse i diritti dei nonni nei confronti dei loro amati, unici nipoti e se non fosse esistita l'avrebbe fatta stilare lui in persona. Dal canto suo non aveva nessuna intenzione di opporsi a un avvocato dalla lunga esperienza, famoso per non mollare mai la presa in tribunale.

"Avete fame? Perché non andiamo a mangiare qualcosa?", propose con studiata allegria per sviare l'attenzione di Tommy – e Castle – da quello spinoso argomento. Sapeva che nel giro di poco suo figlio avrebbe reiterato in toni sempre più insistenti e disperati la sua richiesta di essere incluso nei loro progetti, agitandosi inutilmente. Non trovava giusto consegnare un bambino ululante a un nonno pieno di buona volontà.
Anche Castle, dal canto suo, doveva essere fermamente indirizzato; lo conosceva ormai abbastanza bene da sapere che nel giro di poco avrebbe ceduto alle suppliche di Tommy, a cui non sapeva resistere. Sarebbe crollato al primo mento tremante.
Qualcuno doveva pur fare la parte del cattivo per mantenere intatto il miraggio di una lunga serata romantica che non capitava da un discreto numero di giorni, che lei aveva invero contati tutti.

Rivolse a Castle un'occhiata omicida – tra le migliori del suo repertorio – che fece immediatamente centro, convincendolo a simulare un entusiasmo eccessivo perfino per lui riguardo all'idea da lei espressa, ma che ebbe il vantaggio di distogliere Tommy dai suoi intenti, portandolo a focalizzarsi dove lei lo aveva indirizzato. Era andata a colpo sicuro, sapendo di toccare il tasto giusto con suo figlio – fare merenda seduto al tavolino di un bar era qualcosa che Tommy amava molto, forse perché lo faceva sentire più adulto.

No, doveva essere onesta con se stessa. La verità era un'altra. Ciò che suo figlio apprezzava era la prospettiva di stare tutti insieme. E per tutti si intendeva un circolo ristretto che includeva lui, sua madre e Castle, un terzetto indivisibile che Tommy aveva iniziato a considerare normale, che dava anzi per scontato e su cui faceva affidamento.
Ed era proprio quello il punto dei suoi tormenti, quelli che non rivelava a nessuno.
Si stavano avvicinano troppo velocemente – secondo lei addirittura precipitosamente –, ma con una spontaneità inarrestabile, verso un'idea, un costrutto simbolico che le faceva un po' paura.
Qualche volta, osservandosi da fuori, si imbatteva in piccoli, emozionanti scorci di loro, che le facevano sperimentare un calore e una dolcezza mai provati, ma che la mettevano anche sottilmente in allarme. Era così che si comportavano le famiglie. Quelle felici. Quelle che si assomigliavano un po' tutte. Ed era facile e desiderabile crogiolarsi in quel tepore, non porsi domande, non guardare troppo in avanti, non preoccuparsi che andasse tutto a rotoli.

Tommy, con la spensieratezza della sua giovane età aveva già ampliato i confini della quota di fiducia che destinava al mondo fino a includere Castle. Lei, al contrario, e considerando suo dovere farlo, si opponeva con gli ultimi brandelli di pura ostinazione a una meta che cominciava ad apparirle inevitabile. La razionalità le suggeriva che sarebbe stato meglio comportarsi in modo più cauto, rallentare i tempi, procedere solo se veramente sicura che fosse la cosa giusta – visto che ormai Tommy era stato coinvolto - ma all'atto pratico era un compito che andava oltre le sue possibilità. Si rammaricava di non avere più controllo su una situazione che le pareva esserle sfuggita di mano troppo in fretta. Ma ormai si dissetava regolarmente a una fonte che le era stata preclusa e, che le divinità della Prudenza la perdonassero, non ne aveva mai abbastanza.

Presero posto all'aperto in quello che era diventato il loro locale abituale, quello in cui rifugiarsi nelle giornate uggiose o dove fare una sosta dopo una passeggiata al parco o una visita al museo. Piccole cose. Cose di famiglia, appunto.
Castle si preoccupò di ordinare per tutti. Non era un'incombenza difficile, Tommy si manteneva fedele a poche varianti gastronomiche e lei sceglieva sempre lo stesso tipo di caffè, che Castle aveva subito memorizzato. Tra tutti, era lui quello più imprevedibile. Ecco perché si faceva portavoce dei loro gusti, un ruolo che si era ritagliato e che nessuno metteva più in discussione. Un altro tassello verso quella normalità che l'attraeva e l'atterriva insieme.

Castle le accarezzò il dorso della mano per richiamarla alla realtà, mentre Tommy chiacchierava senza sosta, sbocconcellando quello che aveva nel piatto. Alzò gli occhi, rendendosi conto di essere stata assente dalla conversazione, alle prese con le proprie inquietudini.
"Adoro tuo figlio, ma non vedo l'ora di stare da solo con te", bisbigliò Castle, questa volta senza farsi sentire da nessuno.
"Soprattutto perché godremo di qualcosa di cui siamo stati a lungo privati". Fece una pausa. Castle avvicinò la testa alla sua, improvvisamente molto interessato a quello che aveva da dire. "Il silenzio", concluse lapidaria, fingendosi esasperata.

Risero, richiamando l'attenzione di Tommy che, sentendosi escluso, rivendicò presto l'attenzione di Castle, facendolo partecipe di un articolato discorso che mostrava qualche carenza di logica. Castle si concentrò su di lui, teso ad afferrare meglio qualche concetto nebuloso.
All'inizio era intervenuta spesso per tradurre pensieri poco lineari del proprio pargolo a beneficio di interlocutori inesperti. Ma doveva riconoscere che Castle aveva fatto passi da gigante. Era sicura che si esercitasse a interpretare il singolare idioma del bambino anche quando era da solo.

Quando il dialogo parve scorrere fluido anche senza il suo contributo, si appoggiò allo schienale della sedia, lasciandosi andare a un lungo sospiro di godimento. Il lavoro per quel giorno era terminato, le temperature si mantenevano ancora gradevoli e la loro serata si stagliava nitida contro l'orizzonte.
Per una volta poteva permettersi il lusso di alleggerire il carico mentale – da sempre impegnativo - che si era ingigantito una volta diventata una madre single. La tensione accumulata nelle lunghe ore trascorse alla scrivania svanì lentamente, lasciando il posto a un'invidiabile leggerezza. Guardò Castle, intento a spiegare qualcosa a suo figlio, che pendeva dalle sue labbra.

Un bizzarro interrogativo si fece strada nelle maglie allentate del rigido controllo che di norma esercitava su se stessa. Chissà come sarebbe andata se. Se avesse detto di sì. Se avesse accettato, anni prima, quel suo goffo appuntamento. Se l'avesse lasciato entrare nella sua vita.
Si raddrizzò sulla schiena, dandosi della sciocca e imponendosi di frenare quelli che non erano nient'altro che pensieri oziosi. Dannosi, per giunta. Sapeva benissimo che tra tutte le cose da non fare, tra quelle più ingiuste, quelle che non le facevano onore, quella era in cima alla lista. Non aveva nessun senso – nessuno – immaginare varianti di un passato che, semplicemente, non sarebbero mai esistite. E per un motivo. In più non ci sarebbe stato il suo bambino, esattamente per quello che era, con ogni suo ricciolo, fossetta e discorsi strampalati.

Fu Castle ad accorgersi dello squillo del telefono, che per qualche secondo aveva fatto da sottofondo alle sue riflessioni senza catturare la sua attenzione.
"Non rispondi?"
Si riscosse. "Sì. Sì, certo. Scusami". Non sapeva perché si stesse scusando. Si alzò e gli fece cenno che si sarebbe allontanata. Non aspettava nessuna chiamata di lavoro, ma non voleva turbare l'atmosfera serena con l'infausta notizia del ritrovamento di un cadavere che avrebbe annunciato un caso che avrebbe avuto bisogno della sua presenza. Anche se forse Castle avrebbe apprezzato e le avrebbe chiesto di portarlo con sé.
Tornò dopo pochi minuti, ancora scossa.

"C'è qualcosa che non va?", si informò Castle inquieto, alzandosi in piedi a sua volta. Dal tono della sua voce e dall'espressione preoccupata con cui la scrutava, si rese conto che non doveva avere una bella cera. Prese fiato, ma si bloccò, prima di parlare.
"Kate...", insistette Castle paziente, stringendole delicatamente il polso. Il tocco le diede ossigeno per tornare in sé.
Non voleva che Tommy ascoltasse, ma era necessario comunicare a Castle il contenuto della chiamata appena ricevuta. Non c'era tempo da perdere.

"Devo andare in ospedale", gli disse con voce a malapena udibile, dando le spalle a Tommy. "Mio padre... ha avuto un incidente", confessò accorgendosi solo allora di essere molto spaventata. Castle prese il proprio cellulare dalla tasca e, senza dire niente, cercò un video che potesse isolare Tommy dall'ambiente circostante. Poco educativo ma utile.
"Vai", la esortò. "Penso io a lui".
"No, Castle, non posso chiederti una cosa del genere", protestò febbrilmente, recuperando la sua borsa, frugando all'interno di essa per cercare le chiavi. "Devo contattare la babysitter e aspettare che mi raggiunga per lasciarlo con lei...". Le ultime parole le morirono in gola. Avrebbe dovuto sperare che la donna accettasse di occuparsi di Tommy senza preavviso, che arrivasse in fretta e potesse rimanere ad attenderla fino a tarda notte. Mentre lei aveva bisogno di precipitarsi in ospedale il prima possibile e non poteva portare Tommy con sé. E che come avrebbe giustificato il cambio di programma senza allarmarlo? Come stava davvero suo padre? Il medico al telefono era stato parco di dettagli, si era limitato a informarla dell'incidente. Significava che era grave? O che non lo era?

"Non me la stai chiedendo, mi offro volontario".
"Non hai mai badato a lui così a lungo. Potrebbero volerci ore, non so quando..."
Faticava a comporre delle semplici frasi, qualcosa le stringeva la base del collo rendendole difficile articolare le parole.
"Motivo in più per lasciarlo con me, senza impegnare la babysitter chissà per quanto tempo".
Chiuse gli occhi. Aveva fretta – una fretta che se la stava mangiando viva, ma non poteva andarsene prima di garantire che Tommy fosse al sicuro.
"Non è possibile", protestò a corto di energie, impossibilitata a spiegarsi meglio.
"Kate, non ci sono alternative. O mi lasci il numero della babysitter e sarò io a mettermi d'accordo con lei o mi permetti di stare con tuo figlio. In entrambi i casi devi fidarti di me. È questo il problema? Temi che possa tingergli i capelli e portarlo oltre confine?"
Sorrise debolmente. Castle la incalzò. "Credi che potrei mai fare una cosa del genere a un capitano di polizia che mi metterebbe contro l'Interpol, l'FBI e qualsiasi rappresentante delle forze dell'ordine? Non sono pazzo a tal punto".
"Non servirebbero, verrei io stessa a farti lo scalpo e non sarebbe un'esperienza piacevole".
Le era almeno tornato un po' di spirito.
"Quindi, appurato che non temi che io lo rapisca e posto che è già stato sotto la mia responsabilità senza la tua supervisione – solo un paio di volte, d'accordo -, che cosa potrebbe mai accadere? Gli preparerò la cena, giocheremo insieme e guarderemo un cartone animato in tv. O no, se preferisci che gli declami qualche verso di poesie francesi per prepararlo al test di ammissione al college".
"Non è mai stato a casa tua". Perfino lei avvertì il tono petulante e del tutto irragionevole della sua obiezione.
"Non organizzo bische clandestine e in ogni caso non stasera, con un testimone che potrebbe incastrarmi raccontando tutto alla madre poliziotta".

Rimase in silenzio, stringendo il telefono tra le dita.
"Dove vai, mamma?"
Tommy spostò i suoi grandi occhi espressivi su di lei. Non era tranquillo. Nonostante le precauzioni, doveva essersi agitato sentendoli confabulare.
Castle si intromise. "Deve tornare in ufficio per proteggere la città dai cattivi, come fa sempre". Le fece segno di sbrigarsi ad andarsene. "Che ne dici, Tommy, di venire a cena da me mentre aspettiamo la mamma? Possiamo organizzare un pigiama party", propose Castle senza far menzione della serata con il nonno, mentre lei se ne stava in silenzio bloccata dai rimorsi e dall'indecisione.
Tommy si illuminò. "Sì!", gridò cancellando temporaneamente l'udito a tutti gli avventori seduti nei pressi e qualcuno anche un po' più lontano. "Mangiamo la pizza? E i pop-corn?", propose elettrizzato come al solito quando c'era di mezzo Castle.
"Certo, ma la pizza la prepareremo noi due insieme. E poi faremo tutto quello che vuoi. Ci sono i dinosauri che ti aspettano. E qualche spada laser".
Tommy gli gettò le braccia al collo, scalpitante. Castle scoppiò a ridere e lo sollevò in aria.

Sì, era la soluzione migliore, decise, assistendo al loro spettacolo privato. Anzi, non avrebbe potuto chiedere di meglio anche se sapeva Castle lo avrebbe viziato in modo indecente. Era certa che Tommy sarebbe stato più che bene e che per lui sarebbe stata una serata memorabile, pensò consolandosi con quel pensiero, mentre correva veloce verso la sua automobile alla volta del pronto soccorso, con il cuore rimpicciolito dall'apprensione.

Perdonate il ritardo, domenica ho avuto un'emergenza che si sta ancora protraendo. Spero di farcela per la prossima settimana a pubblicare regolarmente. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Tredici ***


13

L'allegro chiacchiericcio che aveva fatto da sfondo ai loro passatempi serali cessò di colpo quando Tommy si trasformò in una versione più triste e derelitta di se stesso. Era successo tutto nel giro di qualche istante.

Nonostante Castle si fosse impegnato a intrattenerlo con numerosi giochi e attività sempre più coinvolgenti, con lo scopo non troppo velato di distrarlo dalla disorientante piega degli eventi che aveva investito entrambi, aveva da subito avuto la certezza che quel momento sarebbe infine arrivato, quello cioè in cui Tommy avrebbe realizzato di essere finito in una casa sconosciuta senza la presenza confortante della madre.
Kate era ormai assente da diverse ore e non aveva dato molte notizie di sé. Era stato lui a tenerla aggiornata su come se la stessero cavando, inviandole dei messaggi a cadenza regolare. Non era sua intenzione disturbarla, né si era aspettato alcuna risposta ma, come genitore, sapeva che era importante per lei sapere che suo figlio fosse sereno e al sicuro.
Si erano sentiti un'unica volta, quando lei lo aveva chiamato per riferirgli con voce accorata che le cose in ospedale sarebbero andate per le lunghe, sarebbe stato tanto gentile da...
Naturalmente, l'aveva interrotta. Ci avrebbe pensato lui. Se la stavano spassando un mondo, vero, Tommy? Aveva aggiunto con enfasi, sorridendo a Tommy che lo ascoltava ansioso, in attesa che gli passasse il cellulare per salutare sua madre e offrirle una concitata descrizione di come avessero trascorso il tempo, in un miscuglio di concetti e idee che avrebbe faticato lui per primo a districare.

Le aveva chiesto velocemente come stesse, ma Kate si era limitata a rispondergli che il caffè delle macchinette era imbevibile, a differenza di quello che le preparava lui. A quel punto era stato animato dalla folle idea di farle recapitare in ospedale un cesto di viveri comprensivo di un thermos di caffè bollente. L'immagine di lei pigiata su sedie di plastica, sotto gelide luci al neon e alle prese con generi di conforto scadenti era in qualche modo crudele e insopportabile. Si era fermato prima di mettere in atto il suo proposito, non volendo risultare inopportuno. Dopo aver atteso che finisse di parlare con Tommy, aveva ripreso il telefono e l'aveva pregata di farsi viva per qualsiasi necessità. Lei non aveva fatto nessun commento.

Non aveva mentito solo per rassicurarla. La serata in compagnia di Tommy era trascorsa in un clima armonioso ed era stata priva di intoppi fino a quel momento. Dopo averla salutata ed essere rimasti da soli, si erano concessi una lunga passeggiata, in cui Tommy aveva saltellato e chiacchierato senza sosta. Era stata la scelta giusta, farlo stare all'aperto avrebbe diminuito il rischio di improvvise malinconie difficili da gestire. Dopo qualche ora avevano preso la strada del loft carichi dei giocattoli che avevano scelto insieme e che ora giacevano sul pavimento occupando quasi tutta la superficie disponibile. Non avevano badato a spese.
Come gli aveva promesso, si erano dedicati alla preparazione della sua famosa pizza casalinga, che avevano mangiato con gusto. Aveva lasciato che pasticciasse con la farina e gli altri ingredienti, intervenendo solo in vista di possibili disastri. Si era goduto il suo entusiasmo e le risate argentine che avevano riempito il loft proprio come quando Alexis era piccola. Aveva scoperto che gli erano mancati l'incanto e l'allegria che un bambino portava sempre con sé. E anche il massiccio disordine.

"C'è qualcosa che non va, piccolo?"
Appoggiò il dinosauro di plastica che teneva in mano, protagonista indiscusso della serata, e gli scostò i capelli dalla fronte.
Tommy scosse la testa con decisione, con il mento rivolto verso il petto e le labbra incurvate, come se stesse cercando di mostrarsi coraggioso. Ma lo sforzo dovette essere superiore alle sue forze. Alla fine annuì lentamente, alzando su di lui uno sguardo sconsolato che lo addolorò.
Doveva sentirsi solo e sperduto, nonostante Castle avesse cercato in ogni modo di farlo sentire a proprio agio. Sua madre non era facilmente sostituibile, per quanto impegno potesse averci messo per non fargliene percepire la mancanza. In più si aggiungeva lo scombussolamento di una giornata piena zeppa di novità, lontana dalla sua solita, rassicurante routine. Doveva aver raggiunto il limite.

Le spalle iniziarono a sussultare e delle lacrime silenziose scesero a rigargli il volto. Qualcosa di viscerale si risvegliò dentro di lui. Trovò quasi disumano assistere alla muta e inconsolabile sofferenza di un bambino affidato alle sue cure. Gli si fece più vicino, mentre decideva quale fosse l'approccio migliore.
"Quando torna la mamma?", chiese Tommy con un filo di voce, distogliendo lo sguardo, quasi trovasse irrispettoso nei suoi confronti fargli capire che ne aveva abbastanza di lui e delle sue buone intenzioni che non avrebbero mai compensato un'assenza incolmabile. Si sentì sperduto tanto quanto lui.
Non poteva rispondergli che non ne aveva idea, lo avrebbe gettato nella disperazione. E non voleva ingannarlo con un semplice "Vedrai che torna presto". Temeva che non fosse la verità. La situazione precipitò, Tommy iniziò a singhiozzare convulsamente.

Castle ebbe, per la prima volta, un moto di sconforto. Forse aveva sbagliato a proporsi per un compito evidentemente superiore alle sue capacità e al grado di confidenza raggiunto. Forse Kate aveva avuto ragione a tentennare e la babysitter – una persona che Tommy conosceva da più tempo - sarebbe stata la soluzione migliore. Ma non aveva senso perdersi nell'autocommiserazione.
"Ti va se ci mettiamo sul divano a guardare la tv, mentre aspettiamo la mamma? Puoi scegliere il programma che vuoi". Tra poche varianti che avrebbe personalmente selezionato.
Dopo qualche indugio, Tommy accettò. Allungò istintivamente le braccia verso di lui per farsi sollevare, un gesto che gli fece rimescolare il cuore e lo convinse che non tutto era perduto.

Quando si sciolse dalla sua presa e provò a farlo sedere sul divano accanto a sé, Tommy insistette per tornare ad arrampicarsi su di lui. Stupito, ma grato di quella dimostrazione di fiducia spontanea, si appoggiò contro lo schienale, tenendolo stretto. Doveva essere esausto, essendo passata da un bel pezzo l'ora in cui solitamente andava a dormire – dettaglio su cui avrebbe sorvolato quando lo avrebbe riferito a sua madre.
Percepì il corpo abbandonato contro di lui farsi sempre più pesante. Nel giro di poco Tommy si addormentò, con la guancia appoggiata contro il suo petto.

Un'improvvisa dolcezza scese su di lui. Un'imprevista concatenazione di eventi gli aveva regalato l'insperata occasione di rafforzare il rapporto che aveva instaurato con il bambino. Quando aveva promesso a Kate che si sarebbe impegnato a rispettare tutti i limiti che lei gli avrebbe imposto, non aveva calcolato che si sarebbe affezionato molto in fretta a quel bambino adorabile, per molti versi identico a sua madre, rendendo difficile mantenere la parola data.
Avrebbe voluto poter vivere in modo più libero il legame che c'era tra loro, ma si era trattenuto per non creare problemi.
Visto che fattori esterni alla sua volontà avevano congiurato per far trascorrere loro del tempo insieme, aveva ogni intenzione di godersi quella fortuna inattesa nel silenzio profondo che abbracciava il loft, soddisfatto per essere riuscito a farlo sentire protetto in sua compagnia.

...

Andò ad aprire la porta portando Tommy con sé, ancora confuso e insonnolito. Ci volle tutta la sua concentrazione per portare a termine il compito inanellando la giusta sequenza di azioni, avendo cura di non disturbare il bambino addormentato.
Non aveva di idea di quanto tempo fosse passato da quando si erano accomodati sul divano, ma a un certo punto i suoi ricordi si facevano frammentati. Si era svegliato di soprassalto solo quando il telefono aveva vibrato annunciando l'arrivo di Kate di lì a poco.

"Ciao", sussurrò quando se la trovò davanti, pallida e provata, ma pronta a sciogliersi in un sorriso radioso quando vide Tommy tra le sue braccia.
Si offrì di passarglielo, ma Kate si ritrasse, scuotendo la testa. "Non voglio svegliarlo", mormorò accarezzando delicatamente suo figlio su una guancia.
Fu assalito dal bisogno feroce di tenerli al sicuro entrambi, ma preferì non assalirla con le sue solite attenzioni eccessive proprio sulla soglia di casa.

La invitò a sedersi, aveva un'aria talmente esausta da rendere reale il timore che si afflosciasse sul pavimento se solo l'avesse costretta a stare in piedi un istante di più. Kate accolse la sua proposta e fece come le aveva suggerito, senza protestare. Bastò quello a convincerlo che la situazione fosse seria. Lasciò andare un sospiro stanco, appoggiando la testa dietro di sé e chiudendo gli occhi.
"Vuoi che ti scaldi la pizza che è avanzata?"
Kate sollevò le palpebre con qualche sforzo. Si rimproverò per non averla lasciata in pace, quando tutto quello di cui aveva bisogno, non era difficile intuirlo, erano riposo e silenzio. Non convenevoli di nessuna importanza.
"La pizza riscaldata è il meglio che sai fare? Ti ricordavo più generoso in quanto a ospitalità".
Era un buon segno che avesse voglia di scherzare.
"Sai meglio di me che potrei imbandire un pasto di cinque portate in pochi minuti, ma ti ricordo che hai sempre respinto le mie premure culinarie".
Gli sorrise. "Credo che per stasera potrei fare un'eccezione".
"È andata così male? Come sta tuo padre?"
Avrebbe preferito che fosse lei ad affrontare l'argomento e metterlo al corrente della situazione, ma non se la sentì più di aspettare.

Kate raddrizzò la schiena con una smorfia di sofferenza. Prese fiato, come se stesse per ripetere un discorso già fatto molte volte, fino a renderlo privo di ogni emozione. Avrebbe voluto massaggiarle i muscoli tesi del collo, scorrere le dita sulla mandibola contratta e prometterle che sarebbe andato tutto bene. Non fece niente. Si limitò ad ascoltarla.
"Ha avuto un incidente mentre si recava a un appuntamento di lavoro. Lo hanno soccorso e, una volta arrivato in ospedale, è stato sottoposto a un intervento chirurgico. È andato tutto bene e pare che sia fuori pericolo".
Le buone notizie sciolsero il groppo in gola che aveva dal pomeriggio, facendolo respirare più liberamente.
"Sono rimasta con lui finché non mi hanno cacciato sostenendo che la mia presenza per la notte non fosse necessaria. Avrà bisogno di una lunga riabilitazione", continuò a spiegare senza curarsi di saltare da un argomento all'altro.
Si strofinò gli occhi con le mani, proprio come faceva suo figlio quando non voleva cedere alla sonnolenza. Guardò di sfuggita l'orologio che aveva al polso, un gesto che la fece apparire più fragile del solito e che gli fece intuire il suo reale stato d'animo.
Era stata lei a confidargli quello che l'oggetto rappresentava e il motivo per cui era lei a indossarlo, insieme a tutte le implicazioni dolorose che racchiudeva.

"Ho accettato di lasciarlo solo, ma domani mattina voglio passare da lui prima di andare al distretto". All'alba, in pratica.
"Stanotte rimarrete qui".
La sua non era un proposta, non aveva nessuna intenzione di mandarla in giro per la città in quelle condizioni, quando lui poteva offrirle tutto quello di cui aveva bisogno. E non era il caso di agitare Tommy ancora di più, svegliandolo e costringendolo a farsi un viaggio in macchina.
"Non ho la forza di rifiutare", cedette lei. "Credo mi giri un po' la testa".
Era il momento di intervenire, anche se lo avrebbe accusato di essere iperprotettivo. Certo che lo era. Riconosceva quando qualcuno era sull'orlo dello sfinimento e non avrebbe lasciato che la cosa degenerasse proprio sotto il suo tetto.
"Togliti le scarpe e stenditi. Io intanto ti preparerò qualcosa da mangiare. Vuoi tenere Tommy qui con te o preferisci che lo metta nel suo letto?"
Ops. Nella foga di prendersi cura di lei aveva dimenticato ogni prudenza.

"Quale letto?", domandò lei prevedibilmente, aggrottando la fronte quando si rese conto di tutti i giocattoli sparpagliati sul pavimento, che fino a quel punto non avevano attratto la sua attenzione.
"Uno dei tanti che questa casa spaziosa può offrire", provò a confonderla. Non era un crimine avere delle stanze per gli ospiti provviste di giacigli pronti all'uso, no?
"Castle, hai detto il suo letto, il che significa uno preciso", puntualizzò pignola come solo lei sapeva essere. Lo fissò a lungo con aria che percepì come lievemente minacciosa. "Che cosa mi stai nascondendo?"
"Niente", negò fiaccamente. Poi cambiò idea, preferendo ammettere qualcosa che assomigliasse alla verità. "Ok, potrebbe esserci un letto di sua proprietà, qui da qualche parte. Ma non è come pensi".
"Che cosa dovrei pensare?", insistette sempre più diffidente. Come faceva la gente a non spiattellarle tutte le proprie colpe, quando assumeva quell'atteggiamento inflessibile? Era una cosa che si imparava o era innata? Teneva dei corsi per caso?

Ritenne saggio a quel punto fare scena muta. Quello che avrebbe confessato sarebbe stato usato contro di lui, ne era perfettamente a conoscenza, non serviva che gli ricapitolasse i suoi diritti prima di ammanettarlo.
Kate non mollò la presa. "Oltre ad accaparrarvi qualsiasi articolo per l'infanzia esistente a New York nel timore che smettessero di produrne, avete anche svaligiato dei negozi di mobili?"
Lo disse come se lo stesse accusando di rifornirsi di armi di contrabbando.
"No". Era la verità, per quello che poteva servire. "Il letto e... altre cosette erano già qui, non le abbiamo comprate oggi", ammise infine, senza capire perché d'un tratto la cosa avesse assunto connotazioni tanto riprovevoli.
"Hai arredato una cameretta nel loft per lui senza dirmelo?" Era sbigottita. "E poi che cos'altro hai fatto? Gli hai aperto un fondo fiduciario?"
Poteva farlo? Era un'idea interessante. Un'assicurazione sul suo futuro, non si poteva mai sapere.

"No, non è andata così. Non ho arredato nessuna cameretta per tuo figlio a tua insaputa". Perché non aveva ancora scelto quale destinargli. "Mi sono solo procurato degli oggetti che ritenevo potessero essere utili nel caso in cui... proprio come stasera..." La sbirciò, ma la linea dura delle labbra non si era ammorbidita. "Dicevo, come stasera, ma tra molti, molti anni, foste rimasti entrambi a dormire qui".
Teneva stretto il bambino come se fosse l'unico antidoto in grado di disinnescare l'ira di sua madre. Le era parsa molto spossata, ma la scoperta delle sue malefatte doveva averle restituito la sua inesauribile vitalità.

"Non è meglio che abbia il suo spazio?", provò a insistere. "Non preferisci che stia comodo e al sicuro, senza doverti preoccupare per la sua incolumità, disteso in un letto inadatto, solo perché non siamo stati previdenti?"
Non meritava almeno un encomio per aver mostrato spirito di iniziativa?
"Non è questo il punto".
Riconoscendo i segni della tempesta incipiente nel tono ostinato, prese tempo e appoggiò Tommy sul divano – che almeno non era un letto - , gli accostò qualche cuscino, afferrò una coperta e gliela aggiustò sulle spalle.
"Qual è il punto, Kate? Non di certo qualche mobile in più in una casa che ne può accogliere quanti ne vogliamo".
"Lo sai perfettamente, anche se fingi il contrario. Non fai che prenderti delle libertà con mio figlio senza prima interpellarmi", lo accusò profondamente offesa.
"Ho solo fatto qualche acquisto, non l'ho convinto a unirsi a un clan mafioso alle tue spalle".

Cercò i suoi occhi, per ricreare un contatto che avevano perso nel momento esatto in cui si era arroccata nelle sue posizioni, con una repentinità che lo aveva disorientato. Sapeva che quando si trattava di suo figlio i suoi istinti protettivi tendevano a innescarsi in modo automatico e assoluto – era stato così anche per lui con Alexis – ma trovarsi di colpo nella lista dei sospettati senza potersi difendere era un'esperienza raggelante.
"Non è il momento di fare dell'umorismo".
Capì che continuare a battibeccare non sarebbe servito a niente, se non a far degenerare la situazione.
"Sappiamo entrambi che non è il letto il problema, Kate. Ma hai avuto una giornata pesante e tra poche ore dovrai alzarti per cominciarne un'altra altrettanto faticosa, non è meglio se rimandiamo la discussione a un momento di calma?"
Era senza alcun dubbio la cosa più sbagliata da dire a qualcuno già sul piede di guerra e pronto a trovare ogni pretesto per litigare, ma non era semplice nemmeno per lui mantenere la lucidità.
"Sono perfettamente in grado di decidere quando voglio discutere qualcosa di importante che riguarda la vita di mio figlio, non c'è bisogno che me lo dica tu con quel tono paternalistico". Prevedibilmente, aveva ottenuto il risultato di farla irrigidire ancora di più nelle sue posizioni. "Sentiamo, quale sarebbe invece il problema, visto che sembri tanto sicuro di saperlo?"

Fu ferito dal suo tono sarcastico, come se avesse fatto qualcosa di oltraggioso di cui, per giunta, nemmeno si rendeva conto. Aveva solo cercato di rendersi utile.
Coraggiosamente, continuò a sostenere il proprio punto di vista, pur desiderando solo affondare la testa tra i suoi capelli finché non si fossero addormentati entrambi.
"Il problema è che non ti sta bene che io e Tommy facciamo dei passi avanti nel nostro rapporto. Se ci fai caso, va sempre a finire così. Ti alteri e te la prendi con me, come se di colpo mi trasformassi in uno dei tuoi sospettati. È successo quando ho insistito per conoscerlo ufficialmente, mentre se fosse stato per te avresti continuato a tenergli nascosta la mia esistenza per sempre. E oggi pomeriggio, nonostante l'emergenza in corso, l'avresti affidato a chiunque altro tranne che a me, nonostante fosse la soluzione più pratica. E adesso ti sei infuriata perché mi sono permesso di comprare un letto per lui. Non un palazzo imperiale con rubinetti in oro massiccio con inciso il suo nome sopra, un dannato letto".
Nonostante avesse tentato di rimanere calmo, si era innervosito sempre di più mentre elencava tutte le circostanze in cui lei, di fatto, aveva ostacolato il suo rapporto con Tommy, come se non si fidasse di lui. Forse era il suo turno di offendersi.

"Non ti ho ingannato, Castle. Erano questi i patti e tu li hai accettati, salvo poi fingere di dimenticartene, continuando a farmi pressione per accelerare i tempi o agendo a mia insaputa. Non può funzionare così".
"Hai ragione, all'inizio ho accettato la tua richiesta di tenere i due mondi separati, per il bene di Tommy. Ero d'accordo con te, meglio essere cauti, visto che c'era di mezzo un bambino. Ma adesso le cose sono cambiate, non possiamo continuare a rispettare delle regole ormai superate. Voglio bene a tuo figlio, ci divertiamo da pazzi insieme, non possiamo frenarci per rispettare delle tempistiche astratte che vorresti imporci. I rapporti hanno la tendenza a evolvere secondo un andamento spontaneo spesso imprevedibile. Non stiamo forse bene insieme?"
"E non possiamo continuare così? Dobbiamo per forza... evolvere?"
A giudicare dal tono, anche evolvere doveva avere qualche legame con il mondo delle armi di contrabbando.

"Anche io e te ci siamo evoluti e non mi sembra che sia stata una catastrofe, no?"
Il silenzio con cui Kate accolse quella che per lui non era niente di più che una domanda retorica sul loro rapporto – che per lui andava a gonfie vele - lo mise in allarme. Di nuovo. Quella donna prima o poi lo avrebbe fatto impazzire. "Pensavo avessimo superato la fase in cui volevi solo divertirti con me". La buttò sull'umorismo, perché era il suo modo di gestire l'ansia che già lo aveva pervaso.
L'occhiata seccata che gli lanciò bastò a malapena a rincuorarlo.
"Devi smettere di credere che la mia cautela quando si tratta di Tommy corrisponda a una mancanza di coinvolgimento o fiducia nella nostra relazione. Sono due cose diverse, ma tu ti ostini a non capirlo".
"Non lo sono, Kate, anche se tu credi di sì".
Sapeva che avevano visioni opposte da sempre su quel preciso argomento e che insistere l'avrebbe fatta allontanare da lui, forse fino al punto di prendere suo figlio e andarsene, ma era necessario essere onesto fino in fondo. Lo doveva a se stesso.

"Non possiamo continuare a frequentarci senza coinvolgere Tommy nella nostra vita. Sarebbe innaturale. Voglio stare con lui, occuparmene regolarmente, fargli conoscere la mia famiglia, essere qualcosa di più di una semplice figura che appare di tanto in tanto a farlo ridere. Voglio esserci, Kate".
"Stai facendo progetti a lungo termine senza chiedere la mia opinione. Esattamente come fai sempre e come hai fatto comprandogli un letto senza parlarne prima con me. Lo capisci adesso? È una questione di principio".
Avrebbe accatastato della legna e avrebbe dato fuoco a quel maledetto letto proprio lì, in centro al salotto.

"Non sto facendo...". Un momento. Che cosa c'era di sbagliato? Si voltò a guardarla. "Certo che voglio fare progetti a lungo termine. Ti amo. È così che funziona. O pensavi che stessimo solo uscendo insieme?"
Kate non reagì. Si sentì frustrato. Perché diamine si erano impegolati in un discorso del genere che avrebbe avuto bisogno di ben altre condizioni di spirito, una preparazione meno raffazzonata e soprattutto, un tempismo meno catastrofico? Non le aveva mai detto che l'amava. Proprio perché aveva previsto che si sarebbe ritratta, che l'avrebbe accusato di essere precipitoso e di non tenere conto di tutto il resto. Lo aveva fatto, invece. Lo faceva ogni giorno da che stavano insieme. Ma a un certo punto, bisognava pur andare da qualche parte.

Kate lanciò un'occhiata a Tommy, che dormiva sereno senza dar segno di essere disturbato dalle loro voci concitate. Si torse le mani. Avrebbe voluto prenderle tra le sue e scaldargliele e implorarla di dimenticare tutto quello che si erano detti.
"Non sono ancora pronta a... questo", ammise guardandosi in giro senza specificare a che cosa si riferisse, anche se lui lo comprese perfettamente. "Voi due lo siete più di me. Io non faccio altro che preoccuparmi che qualcosa possa andare storto. Mi dispiace, non riesco a farne a meno".
L'atteggiamento battagliero si era sgonfiato, rivelando una parte di sé vulnerabile che raramente si concedeva di mostrare ad altri. Era stata per ore al capezzale dal padre, affrontando da sola un'emergenza che doveva averla sconvolta e prosciugata. Sarebbe stato troppo per chiunque.

"Se qualcosa andasse storto staremmo tutti male, Kate, io per primo. Ma possiamo impegnarci perché le cose funzionino. E poi perché dovremmo pensare al peggio, quando ci deliziamo a comprare letti del disonore, svaligiare negozi di giocattoli e mangiare pizze fredde? Che cosa vuoi che succeda di male con queste premesse?"
Le sorrise incoraggiante e si sporse per prenderla tra le braccia. Non aveva resistito. Non aveva nessun senso starle fisicamente lontano in una notte del genere. Avevano bisogno entrambi del conforto che sapevano reciprocamente donarsi.
"Non trovi che sembriamo sempre più... una famiglia?", sussurrò lei con uno sforzo.
Il suo cuore perse un battito. Era quello il problema? La strinse più forte.
"Non saprei, non ho mai avuto una famiglia in senso classico. Ma, nel caso, direi che ce la stiamo cavando benissimo. Abbiamo perfino più letti del necessario, se dovesse arrivare l'Apocalisse insieme a tutti i cavalieri".
La sentì ridacchiare. Si rilassò. La bufera imprevista che aveva minacciato di dividerli si era spenta velocemente come era apparsa.

Ragionando a mente fredda poteva iniziare a capire il suo punto di vista. Stava imparando a intuire i suoi veri stati d'animo sotto la scorza combattiva con la quale era solita affrontare il mondo e di cui lui era spesso una vittima collaterale. Per lei, abituata a fare affidamento unicamente su se stessa, aprirsi per accoglierlo nella sua vita in modo duraturo e consistente era un passo enorme. Lui invece aveva dato quasi per scontato che loro tre trascorressero sempre più tempo insieme convergendo con naturalezza gli uni verso gli altri. Non vedeva ostacoli. Solo una gloriosa cavalcata verso un futuro condiviso.
E Kate non aveva torto, doveva ammettere di aver fatto spesso pressione inconsapevolmente, certo delle proprie ragioni.
Lei doveva aver covato timori per settimane e lui non solo non se ne era accorto, ma aveva allegramente fatto incetta di mobili.

"Sono stanca. Possiamo saltare la cena e rimanere così? Tutti insieme sul divano?"
"Certo". Le avrebbe preparato una colazione abbondante il mattino dopo, per compensare la mancanza di calorie. Allungò le gambe, facendola distendere accanto a sé. Doveva avere un dono per far addormentare madre e figlio, si rese conto dopo pochi minuti.
"Che ne dici se alla fine di questa storia ci facciamo il nostro famoso week end negli Hamptons? Ormai l'alba sulla spiaggia sarà stanca di aspettarci".
L'aveva proposto senza rifletterci e non era sicuro che lei lo avesse sentito, ma si rese conto che era un'ottima idea. Un'idea finalmente concreta, realizzabile. Non vedeva l'ora di essere là. Loro tre, come una famiglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Quattordici ***


14

Chissà perché non si erano decisi prima per quella breve vacanza negli Hamptons, rifletté pigramente ascoltandoli chiacchierare in giardino, mentre era impegnato a preparare la cena.
Avrebbero anzi dovuto trascorrere la loro intera vita lontani dalla civiltà, avendo cura di non trasformare Tommy in un piccolo selvaggio - anche se la cosa pareva andargli molto a genio –, avendo come unico dovere quello di rilassarsi e impiegare il tempo come meglio credevano.
E se gli era concesso un altro desiderio, dopo aver visto i bikini con cui Kate aveva sfilato per casa con totale disinvoltura e senza alcun riguardo per le sue coronarie, avrebbe anche votato per abbandonare l'inutile costrizione degli abiti.
Non le aveva mai confessato che era stato uno dei suoi sogni segreti fin dal primo momento in cui l'aveva incontrata, quello di spalmarle la crema sul corpo mentre era distesa sul bordo della sua piscina e avrebbe continuato a tenerlo per sé. Scoprirlo l'avrebbe convinta una volta di più di aver fatto bene a opporsi fermamente ad averlo nella sua vita, molti anni prima. Certe cose non andavano dette, per il bene di tutti.
Naturalmente si trattava di pensieri fini a se stessi. Il tipo di vita fuori dagli schemi che aveva in mente non era realizzabile per una serie di motivi pratici, ma limando qui e là, non vedeva ragioni per non concedersi degli svaghi come quello con maggiore frequenza. La ferrea etica lavorativa della sua affascinante compagna di viaggio non le avrebbe permesso di assentarsi troppo dalla scrivania, ma confidava nel proprio potere persuasivo e, soprattutto, nell'influenza del suo cattivo esempio.

Erano arrivati negli Hamptons solo la sera prima, nonostante avessero programmato da tempo quel weekend di pura evasione che sembrava non riuscire mai a realizzarsi, nonostante le loro ottime intenzioni.
Per prima cosa avevano dovuto aspettare che il padre di Kate si riprendesse abbastanza da poter rimanere da solo e per questo erano state necessarie alcune settimane. A sorpresa, alla fine era stato proprio lui a spingerli a staccare per qualche giorno, convincendo sua figlia che il mondo non si sarebbe fermato se si fosse presa una pausa. Forse l'uomo era stanco di averli intorno e ne aveva abbastanza delle loro premure. Non poteva dargli torto.

Lui e Jim avevano sviluppato un rapporto di stima e fiducia proprio grazie all'emergenza che l'aveva visto coinvolto. Costretti giocoforza a incontrarsi spesso, avevano avuto la possibilità di conoscersi meglio, dopo la fugace presentazione a casa di Kate all'epoca del loro primo appuntamento.
Dopo qualche interrogatorio ben piazzato, camuffato da cortese scambio di opinioni riguardo alle sue intenzioni nei confronti della figlia, quando Jim era venuto a conoscenza del romanzo di cui era protagonista, ai quali aveva risposto con onestà, – era stato Tommy a confessare al nonno dell'esistenza del romanzo, loro avrebbero preferito mantenere un profilo più discreto fino alla pubblicazione – Jim si era mostrato bendisposto nei suoi confronti. Poteva dire di aver trovato un inaspettato alleato in lui. Credeva sarebbe stato un osso più duro, soprattutto considerando che era stato l'unico referente maschile del nipote, mentre ora c'era un altro uomo a occuparsene.

Dopo aver ottenuto il benestare paterno, si erano messi di buona lena a organizzare finalmente il loro weekend. Castle aveva contato i giorni sul calendario temendo un imprevisto che li avrebbe costretti a cancellare la partenza, ma, con sua sorpresa, era filato tutto liscio.
Erano partiti nel tardo pomeriggio dopo il lavoro – Kate non aveva voluto prendersi troppi giorni di vacanza, prevedibilmente – e si erano ficcati a forza nella sua macchina insieme a un discreto numero di bagagli. Dei tre era stata Kate quella più calma, come se fosse stata impermeabile alla frenesia e all'eccitazione con cui lui e Tommy si erano contagiati a vicenda, arrivando a livelli di elettricità che avrebbero da soli illuminato l'intera città.

Avevano cenato strada facendo – qualcosa di veloce, giusto per non arrivare a stomaco vuoto - e, quando erano finalmente giunti in vista della villa sull'oceano, si era sentito orgoglioso e felice di poter offrire a entrambi lo svago di cui avevano bisogno, insieme a un'esperienza del tutto nuova.
Era stata lei a confidargli che si trattava della prima vera vacanza che si prendeva da quando Tommy era nato, se non si contava qualche rara e breve puntata allo chalet del padre, dove però i grilli le avevano sempre provocato istinti omicidi. Molto meglio l'oceano, gli aveva detto osservando rapita la distesa che si intravedeva attraverso il finestrino.

Una volta arrivati, nonostante fosse già molto tardi e loro discretamente stanchi, era stato impensabile anche solo pensare di convincere Tommy che fosse ora di dormire, infervorato com'era e impegnato a scoprire ogni angolo della casa.
Sarebbe stato meglio impostare fin da subito una routine più tranquillizzante per evitare a tutti una notte insonne, ma al diavolo le regole, per una volta. Era un bambino. Aveva ogni diritto di esaltarsi per qualcosa di nuovo e avventuroso che non gli capitava tanto spesso.

Quando si era accorto che Kate si stava innervosendo, si era offerto di occuparsi in prima persona della messa a letto. Ci avrebbe pensato lui, lei doveva solo andare a rilassarsi nel patio con un bicchiere di vino, che le aveva porto con un sorriso. Kate era stata scettica a riguardo, ma lui si era mostrato molto sicuro delle proprie capacità. Era pur sempre famoso come il Sussurratore di Neonati, sapeva il fatto suo. Tommy non era più un neonato, ma certi talenti naturali non svaniscono mai.
Fedele al suo intento di liberarla da ogni incombenza, aveva preso in braccio un Tommy molto recalcitrante, l'aveva sollevato per aria e, incurante delle proteste, era salito nella loro camera, doveva aveva fatto ricorso a ogni stratagemma possibile affinché il bambino si rassegnasse all'idea di qualche ora di sonno, prima di dare inizio alle molteplici attività previste per l'indomani.
Gli avrebbe insegnato a nuotare, come prima cosa. Non si imparava mai abbastanza presto, aveva insistito con Kate, quando si era presentato in ufficio da lei con un kit da nuotatore provetto, comprensivo di una muta subacquea di minuscole dimensioni. Era pericoloso non saperlo fare, lo dicevano tutti i maggiori esperti.
Non gli era mai chiaro se davanti a certe sue uscite Kate tacesse per sconfinata e muta ammirazione per le sue innate doti genitoriali, che dovevano renderlo ancora più desiderabile ai suoi occhi, o se preferisse far decantare le sue follie fingendo di non esserne mai stata testimone. In ogni caso, non si era opposta, quindi la sua idea non doveva essere tanto fuori dal mondo. Dopo la traumatica scenata avvenuta a seguito della scoperta del letto nel loft, si era mostrata meno rigida, come se si fosse rassegnata all'arrivo di nuove e strambe aggiunte ai possedimenti terreni del figlio.

Si era addormentato senza nemmeno accorgersene, disteso sul letto matrimoniale accanto al bambino, probabilmente arrendendosi al sonno prima di lui. Per fortuna Tommy non era sgattaiolato via per tornare dalla madre, che a quel punto avrebbe forse rivalutato i suoi progetti futuri con un uomo tanto inaffidabile.
Era stata proprio lei a svegliarlo, facendolo vergognare di se stesso. L'aveva lasciata da sola proprio la prima sera, nonostante la promessa di raggiungerla presto. Non solo si era comportato come un pessimo ospite ma, ancora peggio, si erano giocati uno dei rari momenti di intimità di cui il loro weekend a tre non sarebbe stato provvisto in abbondanza.
Gli aveva rivolto un sorriso un po' canzonatorio - non era così assonnato da non rendersene conto-, aveva sollevato Tommy con destrezza e lo aveva portato nella sua stanza. Avrebbe voluto aiutarla, ma lei gli aveva indicato silenziosamente – e un po' imperiosamente - di infilarsi sotto le lenzuola e di aspettarla. Aveva obbedito, cercando di non cedere al torpore che lo lambiva a tradimento. Glielo doveva. Non poteva farsi trovare di nuovo in stato di incoscienza.
Ce l'aveva fatta. Era ancora sveglio quando Kate era tornata da lui e si era intrufolata tra le sue braccia, con suo sommo piacere. Le aveva infilato la mano sotto la maglietta leggera e le aveva accarezzato la pelle serica della schiena, strappandole qualche mugolio soddisfatto. Non avrebbe potuto chiedere niente di più, aveva pensato baciandola languidamente sulla labbra.

Non gli sembrava ancora possibile essere riuscito nell'impresa di portarli entrambi negli Hamptons, come sognava da tempo. Li avrebbe viziati fino al punto in cui lo avrebbero implorato di smetterla, ma lui avrebbe continuato. Era una necessità primaria che aveva ogni intenzione di soddisfare, almeno per il breve periodo della loro fuga dal mondo.
Voleva farla stare bene, offrirle tutto quello che era in suo potere darle. Fino a quel punto aveva fatto tutto da sola – magnificamente. Era diventata capitano, aveva cresciuto un bambino senza un padre e questo aveva comportato incastri funambolici e molte rinunce. Era ora che la vita le mostrasse un volto più benevolo.
Si erano addormentati intrecciati l'uno all'altra, la posizione che amava di più.

A un certo punto il suo sonno era stato nuovamente interrotto da un movimento sfuggente che nel dormiveglia gli era sembrato familiare, anche se non avrebbe saputo identificarlo. Aveva aperto gli occhi a fatica – non aveva nessuna intenzione di abbandonare la loro confortevole alcova - e, nella flebile luce notturna che proveniva dall'esterno, era riuscito a decifrare il volto di Tommy fermo a pochi centimetri da lui, che lo fissava incerto, come a chiedergli il permesso di fare una cosa proibita.

La camera del bambino – quella che gli era stata destinata e che sarebbe stata presto trasformata nel suo regno esclusivo – era appena al di là del corridoio, ma aveva avuto il dubbio fin dall'inizio che fosse comunque troppo lontana.
Aveva chiesto a Kate, timidamente, se non sarebbe stato meglio per Tommy trascorrere la prima notte con loro, perché non si sentisse solo e disorientato in una casa che non conosceva. Kate lo aveva fermato con un'occhiata severa mentre era ancora intento a parlare, convincendolo che fosse saggio non proseguire. Non aveva nessun diritto di dirle come comportarsi con suo figlio, era stato il messaggio inespresso. In più aveva da sempre la sensazione che lei lo considerasse troppo tenero di cuore quando si trattava di Tommy e lui non aveva voglia di stare a convincerla una volta di più. Non era troppo indulgente, gli voleva semplicemente bene.

Aveva sollevato istintivamente le coperte per fargli spazio. Tommy si era arrampicato con un sorriso felice che lo aveva fatto sentire un essere spregevole per averlo abbandonato altrove, privandolo del conforto della loro compagnia.
Sì, sapeva che ci sarebbero state delle conseguenze, il mattino dopo, da parte dell'integerrima madre che lo avrebbe accusato di premeditazione. Non aveva però intenzione di negare a Tommy di stare con loro, se era quello di cui aveva bisogno. Ed evidentemente era così, se si era presentato nel cuore della notte. E altrettanto evidentemente Tommy sapeva di poter fare affidamento su di lui per ottenere l'agognato posto condiviso. Con un po' di fortuna, Kate non si sarebbe accorta dell'affollamento finché non fosse stato ormai troppo tardi. A quel punto avrebbe sopportato volentieri la ramanzina che ne sarebbe seguita e che gli avrebbe illustrato punto per punto con l'aggiunta di tabelle e grafici per sottolineare le sue ragioni. L'amava per quello e per lo stesso motivo amava prenderla affettuosamente in giro.

Per il momento si sarebbe goduto l'incredibile risultato che non avrebbe mai ritenuto possibile in così breve tempo. Tommy aveva scelto di stare in mezzo a loro per sentirsi al sicuro. Si era anzi rivolto a lui e non a sua madre. Gli faceva mancare il fiato il fatto che non lo considerasse un intruso, una minaccia per il loro equilibrio familiare, bensì qualcuno a cui chiedere spontaneamente aiuto. Gli si gonfiava il cuore di tenerezza straripante per quel bambino così amato da chiunque, ma sprovvisto di metà di quell'amore che sarebbe stato suo diritto ricevere dalla nascita. Non pretendeva di sostituirsi a figure inesistenti. Sarebbe stato inopportuno anche solo concepirlo. C'erano dei limiti e lui li avrebbe rispettati. Non era suo padre.

Poteva però esserci per lui in tutti i modi in cui gli sarebbe stato permesso farlo, per colmare in parte una mancanza che lo avrebbe in ogni caso segnato nella sua vita di adulto. Si sarebbe impegnato a fare per lui tutto ciò che era in suo potere, a cominciare dall'offrirgli un luogo sicuro dove trascorrere la notte, dividendosi il cuscino e sopportando di essere relegato in un angolo.
Avrebbe cercato di convincere Kate a essere meno ferrea nei suoi propositi educativi che riguardavano quello specifico argomento – lei aveva sempre sostenuto che fosse meglio preservare i loro spazi di coppia. Capiva il principio e lo riteneva giusto, ma trovava anche che quella vicinanza potesse diventare un altro dei preziosi momenti che lui e Tommy condividevano, che si erano fatti numerosi nel tempo, man mano che il loro rapporto si era rafforzato con una naturalezza che non era più possibile limitare in nome della prudenza. Tommy lo voleva nella sua vita e lo gridava a gran voce. Era soddisfatto di quello che avevano costruito insieme e, più di tutto, era orgoglioso e grato della fiducia che Tommy gli dimostrava.

Si era riaddormentato tenendoselo vicino. Nei suoi piani avrebbe voluto riportare Tommy nel suo letto appena dopo l'alba, ma Kate si era svegliata prima di tutti – per via di quella sua irritante abitudine a essere operativa di primo mattino - e li aveva trovati ancora così. Abbracciati in uno spazio minuscolo.
Non aveva detto niente – aveva solo lanciato qualche occhiata indagatrice. Contrariamente al suo solito, però, non lo aveva sottoposto a nessun interrogatorio per cercare di capire il motivo per cui si fosse compiuto un tale atto illecito alle sue spalle. Gli era sembrata ritemprata dal riposo e molto più disponibile del solito a lasciar correre. Magari la vista di loro due addormentati l'aveva perfino intenerita, ma non voleva correre troppo con la fantasia.

"Ti preparo la colazione?" le aveva domandato con un tono di voce che nei suoi propositi sarebbe dovuto essere sexy, ma che era probabilmente stato solo rauco.
"Non puoi sempre passarla liscia con offerte di cibo".
"Nemmeno se sono croissant caldi serviti con del caffè fumante, composizioni di frutta, ghirlande di fiori e cherubini che suonano l'arpa?"
Avevano riso insieme, l'aveva baciata ed era sceso al piano di sotto portando Tommy con sé, per lasciarla a poltrire ancora per qualche minuto. Di colpo aveva realizzato che non avrebbe mai immaginato di poter essere ancora tanto felice nella vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Quindici ***


15

"Forza, Tommy, tuffati!", gridò Castle da dentro la piscina con l'acqua che gli lambiva i fianchi, allungando le braccia verso il bambino, fermo sul bordo.

Era pomeriggio inoltrato, era estate ed erano felici. Che cos'altro serviva nella vita? Qualche filosofo avrebbe dovuto decretare che la risposta a quell'interrogativo universale fosse una e molto semplice.
La loro vacanza procedeva senza una nuvola all'orizzonte – letteralmente e non - e le lezioni di nuoto stavano andando alla grande. Tommy aveva già compiuto quelli che a lui parevano notevoli progressi, grazie a una propensione alla spericolatezza che non era mai venuta apertamente alla luce – secondo sua madre, velatamente allibita -, qualche incoraggiamento da parte di entrambi gli adulti e la totale fiducia che riponeva in lui. Tommy era certo, con la cieca fede nel mondo che si poteva avere solo a quell'età e solo se si era stati molto amati, che Castle non lo avrebbe lasciato andare a fondo, che ci sarebbe sempre stata la sua mano salda ad afferrarlo.

Aveva avuto ragione su tutto: a insistere perché imparare a nuotare avesse la precedenza su tutto il resto e soprattutto – e di questo era molto compiaciuto - a comprargli tutto quello che un solerte commesso gli aveva consigliato, anche se la madre della futura promessa olimpica avrebbe preferito maggiore sobrietà, come gli aveva appena confessato dal lettino da quale era intenta a dare consigli non richiesti sulle operazioni in corso, quando se l'era trovato davanti equipaggiato di tutto punto.

Era pronto ad acchiapparlo, ma aspettò che Tommy racimolasse abbastanza coraggio da lanciarsi nel vuoto verso di lui. Serviva sempre qualche minuto di riflessione prima di ripetere la sequenza, ma fino a quel momento non si era mai tirato indietro, per quanta paura potesse covare dietro quel faccino concentrato.
"Facciamo vedere alla mamma quanto sei diventato bravo", lo spronò. Non c'era bisogno di mostrarle niente, Kate non aveva letto una riga del libro che si era portata, che giaceva chiuso accanto a lei. Le acrobazie di Tommy dovevano essere uno spettacolo più divertente.
Tommy annuì, già più sicuro, incollando gli occhi ai suoi con espressione attenta, si sollevò sulle gambe un paio di volte, parve rinunciare ma infine spiccò il volo con impeto, atterrando tra le sue braccia tra spruzzi e risate gorgoglianti.
Si immersero insieme, le piccole braccia strette intorno al suo collo fino a soffocarlo, le gambe frenetiche ancora incapaci di trovare un ritmo per tenersi a galla. Avrebbe potuto vivere così per sempre. O almeno finché non sarebbero crollati entrambi per la stanchezza, con la pelle sbiancata dal cloro.

"Ancora! Ancora!", gridò Tommy tremante di eccitazione. Lo baciò sulla testolina bagnata, orgoglioso di lui.
"Non imparerà mai a nuotare così, Castle. Dovresti lasciare che si tuffi dentro l'acqua e solo dopo afferrarlo per aiutarlo a tornare in superficie".
"Lo dici per via della tua esperienza da bagnina provetta? Non rovinare sempre tutto con la tua logica", le gridò da qualche metro di distanza, facendo di nascosto una smorfia complice a Tommy, che si mise a ridacchiare, non prima di aver lanciato un'occhiata nervosa a Kate per accertarsi che non stesse notando l'atto di disobbedienza civile in corso.
Forse non era eticamente accettabile che facessero comunella contro di lei, ma qualcuno doveva pur mostrare a quel bambino la via della ribellione. Era troppo beneducato per essere reale.

"Che ne dici di fare uno scherzo alla mamma?", propose con fare cospiratorio al piccolo Lord con i capelli ritti in testa e il costume gocciolante. Castle si mise un dito davanti alla bocca per intimargli di fargli silenzio, si avvicinò al bordo, lo depositò sopra e poi si issò a sua volta.
Con uno sguardo di intesa si presero per mano e fecero uno scatto verso il lettino di Kate, buttandosi sopra di lei per infradiciarla da capo a piedi grazie all'acqua che grondava copiosa dai loro corpi. Gli strilli eccitati di Tommy riempirono il giardino insieme alle vive proteste di Kate.
"Lo stai portando sulla cattiva strada!", lo rimproverò ancora senza fiato, dopo essersi a malapena ripresa dall'assalto a sorpresa.
"Voglio sperarlo! È cresciuto credendoti perfetta, ma deve imparare che sua madre non ha sempre ragione".
"Sua madre ha sempre ragione".
"Sei molto sexy quando ti esprimi in modo autoritario. Ti viene naturale o ti piace provocarmi?"
"Castle!", lo zittì, guardandosi intorno allarmata. "Ti sembrano discorsi da fare..."
Si chinò a baciarla sulle labbra. "Non può sentirci". Aveva già controllato la posizione del pargolo e la distanza uditiva tra loro, ritenendola sicura. La pratica l'aveva reso esperto.

La pelle di lei, che si era rosolata al sole per ore con una resistenza invidiabile, era deliziosamente bollente contro la propria, raffreddata dalla lunga permanenza in piscina. Dovette trattenersi dal far scorrere le mani sul suo corpo generosamente esposto, ma preferiva evitare ramanzine sul suo comportamento indecoroso.
Si limitò a darle qualche altro casto bacio che avrebbe superato i severi standard della modestia, sussurrandole però all'orecchio dettagliati piani per quando sarebbero rimasti da soli.
"Non voglio nemmeno ascoltarti", affermò fingendosi scandalizzata, spingendolo via da sé. "Che esempio pensi di dare a delle creature ancora innocenti?"
Le lanciò uno sguardo malizioso. "Non sapevo che ti considerassi una creatura innocente, non dopo averti conosciuta meglio". Ammiccò con fare allusivo.
"Se osi dire ancora una parola, ti giuro che ti ammanetterò alla staccionata", disse alzandosi finalmente dal lettino, ormai grondante d'acqua e inutilizzabile, per avvicinarsi alla piscina.
"È una promessa? Guarda che ci conto", le urlò dietro, senza ricevere in cambio nessuna risposta. Adorava indispettirla.

Ammirò il suo corpo senza darlo troppo a vedere, mentre si esibiva in un tuffo impeccabile senza quasi sollevare gocce d'acqua. Sì, le vacanze le donavano. Doveva rivalutare l'idea che non fosse possibile trascinarla a vivere per sempre in un paradiso tropicale.
La raggiunse tuffandosi a sua volta e attese di averla a portata di braccia per attirarla di nuovo verso di sé. Kate si divincolò.
"Castle, devi imparare a tenere le mani a posto".
"Non immagini nemmeno quanto io mi stia trattenendo", la informò divertito. Sapeva che significava tirare troppo la corda, ma non riusciva a farne a meno. Non in una giornata perfetta come quella.
Nonostante si aspettasse una lunga tirata sulle sue pessime maniere e l'assenza di ogni scrupolo morale - glielo leggeva negli occhi impegnati a mandare lampi non proprio pacifici -, alla fine Kate scoppiò da ridere. Doveva essere un effetto dell'umore vacanziero, il suo alter ego cittadino non si sarebbe arreso con tanta disinvoltura.

Smise di opporre resistenza e gli appoggiò la testa sulla spalla, avvinghiandogli le gambe intorno ai fianchi. Il suo concetto di felicità aveva raggiunto un nuovo traguardo.
"Grazie per averci invitato".
Gli baciò il collo strappandogli qualche brivido che imputò alla lieve brezza che gli solleticava la pelle bagnata. Rimase stoicamente immobile, tenendo soprattutto a freno le mani, come gli aveva ordinato, e limitandosi a sorreggerla, anche se tutta l'amoralità di cui era naturalmente dotato e di cui non faceva che accusarlo avrebbe suggerito di sfruttare meglio l'occasione che avevano a disposizione.
"Possiamo tornarci quando vuoi. Anche tutti i weekend. Oppure tu e Tommy potreste trascorrere più tempo da me al loft, anche se lì non c'è la piscina. Ma potremmo costruirne una sul tetto", improvvisò, con il cuore che batteva all'impazzata.
"Più tempo al loft?"
Alzò la testa e lo fissò aggrottandola fronte. Doveva saperlo che non si sarebbe lasciata ingannare dal diversivo della piscina con vista su Manhattan. Chissà se sarebbe stato possibile realizzarla, avrebbe dovuto informarsi. "Non ci stiamo già abbastanza?"
"Intendevo dire...". Fece un profondo respiro, decidendo di buttarsi a capofitto. "Vorrei che vi trasferiste da me. Non subito. Con il tempo, tutto il tempo che servirà. Anni o anche decenni. Magari meglio attendere il cambio del secolo", aggiunse in preda al panico.
Strinse gli occhi, convinto che la bomba che aveva appena lanciato sarebbe esplosa nel giro di qualche secondo.
Seguì un silenzio imprevisto, ma non del tutto tranquillizzante - si era aspettato una sfilza di insulti a diecimila decibel. Non che urlare fosse nella sua natura, ma sapeva bene di aver esagerato.

Sollevò una palpebra. Non l'aveva ancora ucciso e non pareva intenzionata a farlo. Eppure doveva conoscere varie tecniche per farlo sparire senza lasciare tracce. Si sentì incoraggiato a proseguire.
"È bello avervi sempre intorno, qui in vacanza. Mi piacerebbe che accadesse anche una volta tornati a casa. Mi mancate quando non ci siete".
Aveva parlato al plurale perché per lui non si poneva nemmeno il problema di fare distinzioni. Li amava entrambi. In modo diverso, naturalmente, ma ugualmente fiero e assoluto.
Kate sospirò. Di sicuro si stava preparando a distruggere i suoi sogni che erano un po' azzardati, d'accordo, ma non impossibili, almeno dal suo punto di vista.
"Perché non accetti mai che le cose rimangano come sono?"
"Lo so che pensi che io corra troppo. Ma finora ho avuto ragione, no? Con Tommy è andato tutto bene", la precedette, per non farle emettere quella che temeva sarebbe stata una sentenza definitiva. Voleva guadagnare tempo.
"Sei sempre un passo avanti, mentre io vorrei solo godermi quello che abbiamo, senza continuare a mettere in discussione gli equilibri che abbiamo raggiunto".
Era una filosofia ragionevole, ma lui era convinto che laddove si potesse ottenere di più, perché accontentarsi? Gli pareva uno spreco.
"Perché potremmo essere ancora più felici".
Non fu impressionata dal suo asso nella manica. Eppure lui ci credeva. Ciecamente.
"Sarebbe un cambiamento enorme, Castle. Non posso portar via Tommy dall'unica casa che ha sempre conosciuto".
Il fatto che stesse valutando la proposta senza rifiutarla a priori come una delle sue solite insensatezze aumentò la sua fiducia nei miracoli.

"E se facessimo una cosa graduale? All'inizio potreste venire al loft solo nel fine settimana, così sarebbe più semplice per Tommy abituarsi. O qualche giorno a scelta durante la settimana, quando vi viene più comodo. Io potrei occuparmi di lui e dei suoi impegni e tu non saresti costretta ad affannarti in giro per la città dopo una lunga giornata al distretto".Tenta
va di adescarla con le sue ineccepibili doti di casalingo? Perché no, se avesse funzionato?
"Non posso traslocare solo perché sarebbe più comodo. Ed è già abituato a stare a casa tua, anzi, non fa che chiedere di stare da te, grazie al fatto che lo vizi in modo spudorato".
"Non lo vizio. Lo assecondo e lo lascio libero di esprimersi".
"Castle..."
"Ok, ok, lo capisco. Hai paura che un giorno io possa stancarmi di voi e costringervi ad accamparvi sul pianerottolo, passandovi qualche occasionale piatto di legumi freddi attraverso la porta. Ti prometto che non accadrà".
"Ci permetterai di entrare almeno per i pasti?"
Adorava quando lo spiazzava rispondendo a tono al suo tentativo del tutto fuori contesto di fare dell'umorismo.
"Certo. E sono così magnanimo da lasciarvi l'usufrutto dei vostri letti, ma solo se continuerai a essere carina con me. Molto carina".
"Messa così è un'offerta imperdibile, mi rendi difficile rifiutare..."
"Kate, so che mi credi precipitoso, ma non sono avventato. Penso solo che siamo pronti a essere una famiglia, se pur a modo nostro. E so che questo ti fa paura, che hai numerose obiezioni del tutto legittime e che vuoi solo proteggere Tommy. Ma non togliergli la possibilità di essere ancora più sereno di quanto non sia già. Perché con noi lo è. Guardalo".

Come se avesse capito che si stava parlando di lui, Tommy corse verso di loro al grido di "Tuffo!", che li mise istantaneamente in allarme. Si separarono e si precipitarono verso di lui prima che gli venisse l'idea di gettarsi in acqua senza nessuna sorveglianza. Diligente com'era, aveva ubbidito alle istruzioni e ai divieti che riguardavano l'accesso alla piscina che gli erano stati spiegati quel mattino, ma non si poteva mai sapere.
"Chi vuoi che ti prenda? Io o Rick?", gli chiese sua madre, preparandosi ad afferrarlo e convinta di aver posto una domanda retorica.
"Rick", fu l'ovvia e pronta risposta. Con sua somma soddisfazione.

Le andò incontro con Tommy stretto a sé, dopo un altro tuffo mirabolante. Li abbracciò entrambi. Aveva immaginato che quella breve vacanza li avrebbe fatti stare bene, ma non aveva previsto che stando con loro sarebbe stato inondato di una pienezza che non aveva mai sperimentato, pur avendola affannosamente cercata per tutta la vita senza saperlo.
Chiuse gli occhi assaporando la sensazione di amore incondizionato che si irradiava in continue ondate dal centro del suo petto verso di loro.
Non ce l'avrebbe fatta il lunedì seguente a riaccompagnarli nel loro appartamento e salutarli, aspettando il prossimo incontro, il prossimo appuntamento attentamente pianificato, la successiva notte da trascorrere sotto lo stesso tetto, tra un impegno e l'altro. Voleva molto di più.

"Va bene", gli sussurrò Kate all'orecchio.
"Significa che verrete a vivere da me?", replicò confuso. Aveva capito giusto? O aveva preso troppo sole? Poteva essere davvero così semplice una volta tanto?
Alzò un sopracciglio. "Devo dedurre che ti aspettassi un rifiuto?"
"No. No, certo che no. Anzi, sì. Di solito rifiuti sempre le mie proposte. Ero già pronto a sfinirti per giorni con la mia logica inoppugnabile".
"È per questo motivo che ho accettato subito".
"Stai dicendo che sei sensibile alle mie doti di persuasione?"
"Sto dicendo che sono sensibile al mio bisogno di starmene in pace invece di essere costretta ad ascoltare un uomo insistente che non si zittirà finché non avrà ottenuto quello che vuole".
Le sorrise incredulo. "Non vedo l'ora di avervi con me".
Gli mise una mano sul petto. "Non è una cosa seria, però. Vedremo come va, prima di prendere decisioni definitive".
"Non è una cosa seria? È questo che pensi di noi e l'esempio che intendi dare a tuo figlio? E io che ti credevo una donna di sani principi mentre ora scopro che ti trasferisci dal primo che te lo chiede".
"Hai mai considerato che tra le tue doti hai la rara capacità di far emergere istinti omicidi nelle persone? Perché è proprio quello che succederà, se non la smetti".

Tommy si intromise tra loro prima che Kate mettesse in pratica le sue minacce. Cominciava a mostrare segni di stanchezza, ormai sapeva come riconoscerli.
"Ti va di passare più tempo con Rick?", gli domandò sua madre scostandogli i capelli dalla fronte. Il cuore di Castle fece una capriola.
"In piscina?" si illuminò il bambino, sempre dritto al punto e poco incline alle metafore.
"In piscina o a casa sua in città, quando la mamma è al lavoro".
Il grido di entusiasmo spazzò di torno qualsiasi dubbio a riguardo.

La serata si rivelò superiore alle aspettative, come tutto il resto. Sembrava che qualsiasi decisione prendessero si rivelasse quella giusta. O forse i pianeti si erano allineati nel modo più armonioso possibile, beneficiandoli dei loro influssi positivi.
Avevano deciso di rimanere alla villa, loro tre da soli. Non avevano voglia di finire in un locale affollato di turisti, essere circondati da voci sconosciute e volti estranei.
Durante la giornata erano usciti solo per una breve puntata in spiaggia, ma erano rientrati poco dopo. Tommy non era ancora pronto ad affrontare le tumultuose onde dell'oceano: nonostante ne fosse attratto, ne era anche ugualmente intimorito. Avevano fatto una breve passeggiata, ma avevano convenuto che l'intimità di cui avevano bisogno non poteva che essere trovata nella tranquillità del loro giardino.
Avevano cenato all'aperto, all'imbrunire, con le ultime cicale a fare da sottofondo e un vento tiepido che arrivava dalla costa ad accarezzarli.

Tommy si era addormentato esausto dopo una giornata piena di novità ed emozioni. Gli avevano preparato un giaciglio improvvisato accanto a loro e a fine serata lo avrebbero trasferito nella loro camera, avendo cura di non svegliarlo. Nessuno aveva più messo in discussione il fatto che avrebbero condiviso il letto tutti insieme.
Anche lui era stanco, di quella stanchezza rilassata che lo rimetteva in pace con l'universo. Gli era piaciuto vedere il mondo attraverso gli occhi di un bambino – per quanto banale potesse essere un'affermazione del genere - , di quel bambino che amava e a cui era stato felice di offrire tesori inesplorati e, fino a quel punto della sua vita, inaccessibili. Aveva grandi progetti per loro. Aveva tanto da insegnargli e non vedeva l'ora di farlo, anche cose che Kate non avrebbe approvato. Soprattutto quelle.
La guardò in silenzio, alla luce diffusa delle lanterne. Era di profilo, appoggiata ai cuscini, gli occhi chiusi. Non riusciva ancora a credere che avesse accettato di trasferirsi da lui, se pure non seriamente. Non che glielo avesse proposto d'impulso. Non era quel genere di cambiamento che si potesse decidere su due piedi.
Ci aveva ragionato a lungo, prima di osare parlargliene, anche se era stato convinto che ci sarebbe voluto del tempo prima che lei potesse anche solo concepire un'idea tanto audace. Invece l'aveva stupito. Non poteva amarla di più. Sì, lo avrebbe fatto, a partire dal giorno successivo e tutti gli altri a seguire, in un crescendo inarrestabile di amore. Non aveva mai provato un sentimento così totalizzante, da non poterlo descrivere a parole, se non utilizzando termini altisonanti come voluttuoso. O sontuoso. Si era radicato in ogni aspetto della sua vita, ancorandosi in più punti alla sua anima fino ad avvolgerla del tutto e per sempre.

"Possiamo ristrutturare il loft, se può servire a farti sentire più a tuo agio. Hai carta bianca", esordì rompendo il silenzio. Non poteva certo pretendere che vivesse in una casa che aveva un passato e che era stata già testimone di altre storie, che erano solo state una versione sbiadita di quello che avevano.
Il loro doveva essere un nuovo inizio a tutti gli effetti, e se lei avesse deciso di radere al suolo l'intero appartamento, lui sarebbe stato d'accordo.
Allungò un braccio e le accarezzò una mano. Curiosamente, ricordava le prime volte in cui aveva compiuto quel gesto, piuttosto insicuro e timoroso di provocare una reazione di rifiuto che invece non era mai arrivata. Si erano innamorati con naturalezza, scivolando senza scossoni e in fretta in un rapporto tanto consolidato e armonioso da fargli chiedere che razza di persona si fosse trovata davanti anni prima, da indurla a fuggire a gambe levate. Chi dei due era cambiato? O erano solo le circostanze a essere diverse? Erano riflessioni che avevano il potere di far emergere piccole schegge di apprensione che scacciava non appena facevano capolino.
"Che cosa ti sfugge del concetto di gradualità, Castle?"
Si sporse a baciarla. "Sai che non riesco a resistere al sarcasmo con cui cerchi di nascondere l'attrazione che provi per me".
"E tu sai che hai insistito perché Tommy dormisse con noi, vero? È inutile che fai lo svenevole adesso", gli rispose accarezzandogli le labbra con le proprie e facendogli il solletico.
Si staccò da lei. "Non mi terrai lontano da lui facendomi proposte indecenti, capitano. Al contrario di te, io sono una persona seria".
La fece scoppiare a ridere. Amava il suono della sua risata.
"Voglio fare le cose con calma. E intendo tenere il mio appartamento, voglio che rimanga un punto fermo per Tommy".
"Quindi non faremo una festa in cui annunceremo all'intera città che abbiamo deciso di vivere insieme?"
Kate sbuffò. "Perché ho la sensazione che tu abbia già spedito gli inviti ancora prima che accettassi?"
"Ehi", protestò. "Non farei mai niente di simile. Pensavo a qualcosa di più misurato, come un annuncio sui maggiori quotidiani".
"Gli annunci si fanno solo quando ci si fidanza, non quando si trasloca", puntualizzò con fare saccente.
Castle fece silenzio. Continuò a fare molto silenzio. Sarebbe morto soffocando tenendo la bocca chiusa su quello specifico argomento. O quella notte l'avrebbe passata nello scantinato.
"Castle, non dirmi che hai già...?"

Fu interrotta da un bip che proveniva dal suo telefono, abbandonato lontano. Lo aveva tenuto acceso solo nel caso in cui il padre avesse avuto bisogno di loro, gli aveva assicurato quando erano partiti. Castle si preoccupò subito che Jim non stesse bene, anche se lo avevano lasciato di ottimo umore qualche giorno prima.
Kate si incupì leggendo il contenuto di quello che doveva essere un messaggio non troppo gradito. Si voltò a guardarlo. Castle sentì farsi strada in lui un'inquietudine sconosciuta di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
"È tuo padre? Sta male?"
Era pronto a lanciare i bagagli in auto e ripartire a razzo verso la città. Kate scosse la testa. Gli prese una mano, facendo tintinnare i braccialetti che aveva al polso. Lanciò un'occhiata al figlio, per accertarsi che stesse ancora dormendo e non potesse sentirli. Doveva trattarsi di una questione grave, se stava cercando il modo migliore di comunicargliela.

"È il padre di Tommy", gli disse infine, abbassando la voce fino a ridurla a un sussurro privo di ogni emozione. "Sta tornando a New York e vuole vederlo. Domani".
Gli si fermò il cuore. Non seppe mai il perché. Se si era trattata di una premonizione o se l'atteggiamento di lei lo avesse messo in allarme senza saperne il motivo. Era in ogni caso qualcosa che veniva a insinuarsi subdolamente nel loro mondo che era stato fino ad allora privo di spigoli. Immersi nel liquido amniotico che li aveva schermati dalle seccature della vita, aveva quasi dimenticato che il padre di Tommy era un'entità reale che aveva il diritto di intrufolarsi nelle loro vite nei momenti meno opportuni. Ma di quello non poteva fargliene una colpa. O sì? Era normale farsi vivo senza nemmeno chiedersi se avrebbe disturbato?
"Domani?", farfugliò, sentendo un'oscura oppressione pesargli sul petto. "Domani saremo ancora qui. Vuoi che torniamo in città per farglielo incontrare?"
Gli costò molto proporlo. Lo avrebbe fatto, odiando ogni minuto di quell'infausto viaggio di ritorno. Ma non aveva alternative. Non si sarebbe mai messo in mezzo, se l'era ripromesso molto tempo prima. Era solo scombussolato per l'effetto sorpresa della brusca interruzione. Niente di più.
"Lo faresti? Saresti disposto a concludere in anticipo il nostro weekend per questo motivo?"
"Naturalmente. È suo padre. È giusto che stia con lui". Quasi si strozzò nel dirlo. Dove erano le schiere angeliche che magnificavano ai mortali il suo eroismo? Era sicuro di non aver mai fatto niente di più arduo nella vita che offrirsi di consegnare Tommy a un uomo che non conosceva.
Gli accarezzò una guancia. "Sei un uomo straordinario, Castle, te lo hai mai detto nessuno?"
Buono a sapersi, ma il complimento non riuscì a risvegliarlo dal torpore. E dal dolore sordo che si faceva vivo a intermittenza alla prospettiva di dover affidare Tommy ad altri. Di saperlo lontano da lui. Non ce la faceva. Inghiottì aria a vuoto.

Avrebbe dovuto analizzare con urgenza le emozioni soverchianti da cui era stato investito e che erano non solo del tutto fuori luogo – e fuori controllo - , ma soprattutto non avevano una causa legittima. Perché gli sembrava che gli si strappassero coriandoli dal cuore? La sua reazione non aveva senso. Avrebbe dovuto gestirsela da solo e velocemente, prima di spaventare altri oltre che se stesso.
"Ovviamente non sconvolgeremo i nostri piani solo perché Josh pretende di vederlo con poche ore di preavviso", aggiunse decisa. "Aspetterà un giorno in più, se crede che ne valga la pena", concluse con un tono disilluso che lo disorientò.
"Lo hai informato che avresti portato Tommy in vacanza per qualche giorno?"
Gli pareva strano e poco cortese che si fosse fatto vivo proprio in un'occasione del genere. A meno che non ne fosse stato all'oscuro.
Kate si prese la testa tra le mani. "Castle, per la maggior parte del tempo non so nemmeno dove sia, perché non si prende la briga di comunicarmi i suoi spostamenti".
Non era una risposta diretta alla sua domanda, ma preferì non commentare. Quindi Josh non sapeva che Tommy non fosse in città. Questo poteva scusare in parte la sua richiesta, che pure aveva l'aria di essere una pretesa bella e buona senza considerazione dei programmi altrui? Anche se non fossero stati in vacanza, avrebbero potuto avere altri impegni.
Per quanto assurdo potesse apparire, non aveva nessuna, nessuna idea concreta di come fossero i rapporti tra padre e figlio, tra Kate e il suo... ex. Poteva chiamarlo così? Non ne era sicuro. Non sapeva quali accordi fossero stati posti in essere quando era nato, non sapeva come si comportassero di solito in circostanze simili. Aveva solo constatato – e la cosa non aveva mancato di rattristarlo – che da quando lui era comparso all'orizzonte, Tommy non aveva mai incontrato suo padre, disperso in qualche foresta tropicale a intrecciare cesti di vimini, per quel che ne sapeva. Una vera e propria sensazione di allarme sostituì la precedente inquietudine. L'atmosfera idilliaca si era ormai dissolta.

Si alzò, più stanco di quanto non si fosse sentito fino a qualche minuto prima. O nella sua intera vita. "Che ne dici se andiamo a letto?".
Kate gli lanciò un'occhiata sorpresa, ma poi acconsentì a seguirlo in silenzio.

Prese Tommy tra le braccia, provando un profondo struggimento al pensiero di doverlo lasciare andare di lì a breve, di consegnarlo a un altro uomo, di non sapere se ne sarebbe preso cura nel modo corretto, se ne sarebbe stato in grado. Nessuno poteva dargliene la garanzia e non era nella posizione di avanzare richieste. E non si sentì meglio rendendosi conto che quella sarebbe stata la sua vita in futuro. Quella a cui aveva detto di sì con tanto entusiasmo, certo di poter superare ogni ostacolo. Quella che aveva presentato il conto un po' troppo presto per i suoi gusti.
Provava vergogna per quei pensieri, per quel suo dubitare che Josh fosse all'altezza del suo ruolo – di fatto non lo conosceva. Era sicuro che se li avesse espressi, Kate lo avrebbe preso per uno squilibrato che si prendeva troppe libertà. Sapeva di non avere nessun diritto su Tommy, se non quelli che gli erano stati concessi.
Aveva bisogno di tenerseli vicini, di annusarli, toccarli, ascoltarli respirare. Per quella notte sarebbero stati solo loro tre.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sedici ***


16

Era così fuori di sé della rabbia, mentre divorava il selciato con lunghi passi frementi, avviandosi come una furia verso il parco dove meno di un'ora prima aveva lasciato Tommy a suo padre, che avrebbe potuto commettere un omicidio a mani nude. E senza nessun rimorso. Per loro fortuna, le persone che incrociò fumante d'ira dovettero rendersi conto del suo stato d'animo prossimo alla distruzione di massa e si scostarono per lasciarla passare senza farsi travolgere.

Avvicinandosi al punto che Josh le aveva comunicato attraverso coordinate dettagliate che l'avevano resa ancora più insofferente - non poteva darle dei riferimenti pratici come avrebbe fatto chiunque altro? Doveva essere sempre così maledettamente snervante? - riuscì a percepire in lontananza, sopra l'intenso traffico cittadino di quell'ora di punta, gli strepiti di suo figlio, emessi a un volume tale da renderli quasi irriconoscibili. Doveva essere isterico, realizzò sgomenta. L'ansia prese il sopravvento. Non era da lui lasciarsi andare a scenate del genere. Era un bambino accomodante, bastava solo mettere in campo qualche banale accortezza, niente di troppo complicato.
Che diavolo era successo per ridurlo in quello stato? Niente che deponesse a favore delle abilità genitoriali di Josh. Che non erano mai state degne di nota, d'accordo, ma nemmeno sotto gli standard minimi della decenza. Affrettò il passo, per correre a salvare suo figlio.
Le si rivoltò lo stomaco mentre le grida di disperazione di Tommy, ormai del tutto fuori controllo, si facevano più nitide. Si concesse di contemplare con piacere perverso le dolorose modalità con cui avrebbe posto fine alla vita di chi osava far piangere il suo bambino in quel modo impietoso.

Si ricompose solo quando riuscì finalmente a localizzarli. Dovette farlo. Non sarebbe stato assennato finire in prigione per tentato omicidio, anche se qualsiasi giudice le avrebbe concesso un numero cospicuo di attenuanti. Si impose di fare qualche respiro profondo, nel tentativo di calmarsi abbastanza da sostenere un confronto civile. Era stato uno dei consigli di Castle prima di salutarli nervosamente dalla soglia del loft al momento di uscire per il loro appuntamento, consiglio che aveva per primo stentato a seguire, su sua ammissione. Ne dovette fare molti più del previsto, ma la sua furia non si placò. Anzi, la rese più lucida e più vicina ad atti inconsulti.

Tommy, con il viso ridotto a una maschera di angoscia, sfuggì alla presa del padre e si lanciò verso di lei non appena la vide sopraggiungere. Le rimbalzò contro, abbarbicandosi al suo corpo mentre le chiedeva singhiozzando di essere preso in braccio. Lo agguantò al volo e lo sollevò, ma a causa della foga con cui si mossero rischiarono di cadere entrambi e per questo fu costretta a fare un paio di passi indietro per bilanciare il peso e ristabilire l'equilibrio. Non l'aveva mai visto ridotto in uno stato tanto scioccante. Ed essendo sua madre, poteva dirlo con una sicurezza che nessuno avrebbe potuto mettere in discussione.
Assorbì d'istinto, come sempre, tutte le intense emozioni che Tommy le scagliò addosso e che si sommarono alle proprie fino a formare un gorgo impetuoso e violento che le fece quasi girare la testa. Prese fiato con lunghe boccate affannose.

Non aveva ancora degnato Josh di un'occhiata, si era solo limitata a registrarne la presenza accanto al figlio, prima che lui si divincolasse con forza per raggiungerla. In parte la sua fu una scelta deliberata perché sperava che avesse il buonsenso di sparire dalla sua vista prima di subire una fine impietosa per mano sua, ma in verità non avrebbe potuto rivolgere la sua attenzione a lui nemmeno volendo, essendo concentrata a tentare di calmare suo figlio, agitato al punto da iniziare a spaventarla.
Quando non le fu più possibile continuare a ignorarlo, si limitò a fissarlo con aria truce, tenendosi Tommy stretto al collo, girata in modo tale da non costringere il bambino sconvolto a guardarlo o interagire con lui in alcun modo. Se Josh avesse osato fare un solo passo verso di loro giurò che lo avrebbe minacciato verbalmente, intimandogli di rimanere fermo al suo posto, anche se avrebbe preferito non arrivare a tanto, per non traumatizzare Tommy ancora di più.

"Che cosa è successo?", gli sibilò senza curarsi di salutarlo o fingere di essere cortese. Aveva sempre rifiutato l'idea di essere quel genere di donna che se la prendeva con il proprio ex per tutta una serie di mancanze nei confronti del loro figlio – che nel suo caso erano reali e molteplici e l'avrebbero legittimata a ricorrere ad azioni molto più drastiche di quelle che aveva sempre posto in essere. Aveva preferito mantenere rapporti privi di ostilità, anche se non potevano certo essere definiti amichevoli. Era più forte di lei. Gli avrebbe cavato gli occhi e li avrebbe gettati in pasto alle fiere e non aveva nessuna intenzione di moderare i propri impulsi. Non stavolta.
Ce l'aveva a morte con lui con una ferocia che imputò al suo forte istinto protettivo. Se non avesse ritenuto di rendere la situazione ancora più sgradevole, gli avrebbe urlato di tornarsene alle sue palafitte e di dimenticarsi per sempre della loro esistenza.

A peggiorare le cose, Josh non appariva affatto turbato per il dramma che stava avendo luogo sotto ai suoi occhi impassibili e che doveva essere stato da lui stesso causato. O preferiva addossare la colpa a un bambino di quattro anni? Da quel che poteva vedere era solo vagamente seccato, forse perfino annoiato da quello che, conoscendolo, doveva considerare solo come un inutile sfoggio di ingiustificata emotività, cosa che la fece inalberare ancora di più. Dovette ricordare con molta fatica che si trattava pur sempre del padre di suo figlio. Ricacciò indietro la rabbia, ingoiando l'ennesimo rospo da quando Tommy era nato.

"Io non ho fatto niente", ebbe il coraggio di rispondere risentito, subito sulla difensiva. Si concesse di fantasticare di arruolare qualcuno e pagarlo profumatamente perché lo torturasse in uno scantinato putrescente. "È lui ad aver dato di matto senza nessun motivo. Credo che sia troppo viziato".
Credo che sia troppo viziato. La pressione le balzò alle stelle, fino ad offuscarle la vista. Le venne l'impulso di lanciare il bambino al primo sconosciuto, per strozzarlo a mani nude. Lui. Lui. Come osava riferirsi in quei termini a quello che era, secondo la legge e la genetica, anche suo figlio? Aveva un nome. Scelto con amore. E aveva una personalità autonoma e definita, non era un pacco da rispedire al mittente quando ci si era stufati di averlo intorno.

Dov'era quell'umana indulgenza che a chiunque veniva spontanea quando si trovava ad aver a che fare con dei bambini, i propri figli? Tommy aveva un buon carattere e, soprattutto non era viziato. Non per come intendeva quell'uomo sprezzante e giudicante. Doveva per forza esserci stato un fattore scatenante che giustificasse una reazione tanto estrema e suo padre, che era stato presente, doveva necessariamente sapere quale fosse, a meno che non lo avesse lasciato incustodito e in balia di eventi esterni, disinteressandosi di lui. Era un'ipotesi talmente nefasta che preferì ricacciarla in un angolo della mente, per il bene di tutti.

Decise di non reagire alle sue accuse, per quanto le costasse farlo. Non voleva abbassarsi al suo livello infantile rispondendogli per le rime. Gli girò le spalle, per mostrargli quello che pensava delle sue illazioni. Se Josh si aspettava che avrebbero trascorso il pomeriggio disquisendo amabilmente di sistemi educativi di qualsivoglia natura e di cui si credeva tanto esperto, sarebbe finito a far radici sul posto per quel che la riguardava.
Le premeva solo di portare Tommy lontano da lì il prima possibile. Voleva concentrarsi su di lui con calma e senza distrazioni, asciugargli le lacrime e chiedergli di perdonarla per avergli dato in sorte un genitore tanto inetto.

Gli accarezzò la fronte accaldata.
"Andiamo a casa, tesoro?"
Tommy annuì con vigore. Ne aveva abbastanza. Senza prendersi la briga di congedarsi nel modo in cui Josh avrebbe trovato appropriato - forse considerava anche lei viziata- , si avviò verso l'uscita del parco per rifare al contrario la strada che l'aveva portata fin lì.

"Kate", la richiamò Josh con voce irritata. Non gli diede retta. Doveva essersi sentirsi oltraggiato per l'evidente mancanza di considerazione che lei gli stava riservando. Ben gli stava. "Dobbiamo parlare", la informò con insolenza, come se lei e il mondo intero vivessero in attesa dei suoi ordini.
Se lo poteva scordare. Non aveva niente di cui discutere con lui, su nessun argomento. Non bastava quello che aveva fatto a Tommy per farlo vergognare di se stesso? Aveva ancora voglia di metter becco e dire la sua? Finse di non averlo sentito.
"Non sto scherzando, ci sono molte cose di cui dobbiamo discutere. Chiamami più tardi quando si sarà calmato".
Naturalmente. Avrebbe voluto anche che gli preparasse un dessert, quando si fosse liberata di tale noiosa incombenza, ovvero placare il figlio? A volte si chiedeva perché non avesse lasciato in bianco la casella riservata al nome del padre del neonato.

"Quando riparti?", glielo chiese esclusivamente perché desiderava che rimettesse piede su qualsiasi trabiccolo dotato di eliche e sprofondasse nell'oceano.
"Ho intenzione di rimanere a New York per un po'", annunciò come se si fosse trattato di un comunicato ufficiale della massima importanza. Che cosa ci aveva trovato in lui? No, seriamente, che cosa?
Questo significava che se lo sarebbe ritrovata tra i piedi per un periodo di tempo non meglio specificato, provvisto del solito atteggiamento indisponente, proprio ora che la sua vita aveva preso una piega diversa e molto soddisfacente. Ottimo tempismo.

Fu una fatica improba riportare Tommy alla macchina, ora che era libero di esprimere senza nessun filtro tutto quel che di negativo l'incontro con il padre aveva prodotto in lui.
Aveva ormai la camicetta sgualcita e chiazzata di fango, i capelli spettinati e qualche punto dolorante sulla cute dove glieli aveva inavvertitamente tirati ed era prossima a dichiararsi sconfitta. Non poteva, non ancora. Doveva concentrarsi sul riportarlo al loft, la loro terra promessa, il luogo sicuro che li avrebbe accolti e accuditi.

Ricacciò indietro le lacrime di frustrazione e si mise alla guida. Il viaggio in auto fu lento ed esasperante, tra colpi di clacson e i lamenti di suo figlio provenienti dal sedile posteriore. Quando riuscì a parcheggiare era ormai estenuata e con un mal di testa pronto a esplodere non appena fosse crollata.
Riuscì a estrarlo dall'auto e se lo issò su un fianco, nonostante Tommy stesse opponendo un'ostinata resistenza passiva che le rese le cose ancora più difficili – le sembrava di dover trascinare un sacco informe e sempre più pesante. Oltrepassato l'ingresso si diresse verso l'ascensore tra i singhiozzi inconsolabili di suo figlio che si dimenava scivolando sempre più in basso, facendole perdere la presa. Dovette fermarsi più di una volta per trattenerlo prima che finisse a strisciare sul pavimento. Strinse i denti. Doveva solo arrivare all'ultimo piano, mancava poco.

Castle aprì la porta mentre lei, barcamenandosi tra figlio, borsa e documenti che scelsero proprio quel momento per minacciare di rovesciarsi, cercava affannosamente le chiavi nuove di zecca che erano entrate in suo possesso con una deliziosa cerimonia romantica la sera stessa in cui si erano trasferiti da lui.
"Che cosa succede?" esclamò allarmato, guardando alternativamente lei e Tommy, registrando immediatamente lo stato di prostrazione nel quale versavano entrambi. "Perché è così sconvolto?", domandò disorientato.
"Mi piacerebbe saperlo", replicò tagliente.
Non appena Tommy sentì la voce di Castle girò la testa nella sua direzione e si gettò tra le sue braccia, stringendosi a lui come se fosse stato convinto di averlo perso per sempre.
Castle gli diede qualche colpetto sulla schiena. Sotto il suo tocco gentile Tommy si accasciò contro la sua spalla, sfinito. Il pianto era finalmente cessato, ma ne portava ancora i segni sul viso e le piccole spalle erano scosse da qualche sussulto.
"È completamente sudato. Sta male?"
Preoccupato, Castle avvicinò le labbra alla fronte di Tommy, un modo rudimentale per capire se avesse un rialzo di temperatura.
Ci aveva pensato anche lei e non si stupì che fosse venuto spontaneo farlo anche a Castle. Era la prima ipotesi che un padre, per giunta medico di grande fama internazionale, avrebbe formulato di fronte a un bambino piangente e disperato, a meno di non vivere unicamente nell'adorazione di se stesso. Inghiottì un fiotto di bile.

"Si può sapere che cosa l'ha ridotto così?" Castle insistette, alterato.
"Posso almeno entrare?", domandò brusca, pentendosene subito dopo. Non dovevano prendersela tra loro.
Castle si spostò per lasciarla passare senza aggiungere altro. Continuò a cullare Tommy, passeggiando avanti e indietro e sussurrandogli sciocchezze con una voce cantilenante che ebbe l'effetto di tranquillizzarlo.
Quando riuscì finalmente a entrare in quella che aveva iniziato in fretta a considerare come casa loro, lasciò cadere con sospiro la borsa vicino all'ingresso, lieta dell'esistenza dell'aria condizionata e della pace che l'ampio appartamento garantiva. A quel punto e dopo quello che aveva passato, le pareva un miraggio.
"Perché non vai a cambiarti?", propose Castle tornando a essere l'uomo premuroso che conosceva. "Io intanto mi occupo di lui, gli preparo un bagno caldo e gli metto un pigiama pulito. Più tardi preparo la cena per tutti".
Dubitava fortemente che Tommy non sarebbe crollato addormentato non appena fosse uscito dalla vasca, ma preferì starsene zitta. Le pareva già straordinario il fatto che ci fosse qualcuno che condividesse con lei la cura di suo figlio, dopo anni passati a doversela cavare da sola di fronte a qualsiasi evenienza.

Lo sentì armeggiare in cucina. Tornò da lei e le porse un bicchiere di vino. Accettò grata, sentendosi d'improvviso spossata al punto da non riuscire nemmeno a muoversi. Il vino non era la soluzione ai suoi problemi, ma poteva offrire un piccolo contributo.
Dopo essersi tolta i vestiti impolverati che sostituì con una comoda maglietta pescata da uno dei cassetti di Castle – uno dei vantaggi del vivere con lui - , si sentì rigenerata e già più ottimista. Andò a sedersi sul divano, da cui sentì l'acqua scrosciare e Castle parlare a Tommy con voce bassa e ipnotica. Non riusciva ad afferrare il contenuto della loro conversazione, ma sentì che stava agendo beneficamente anche sui suoi nervi scossi. Appoggiò la testa contro un cuscino, massaggiandosi le tempie pulsanti.

Aprì gli occhi doloranti quando Castle depositò tra le sue braccia un bambino profumato e sorridente, che non recava alcuna traccia del precedente subbuglio. Si sentì sopraffatta dal sollievo e dalla gratitudine per l'uomo che aveva operato una trasformazione impensabile. Castle era davvero in grado di compiere magie. Su di lei, almeno. E, a quanto pareva, anche su suo figlio.
Tommy le si strinse d'istinto contro il petto. Lo abbracciò forte, proprio come faceva quando era un neonato e lei una giovane madre spaventata e sola in un appartamento troppo vuoto.
Castle si sedette accanto a loro e si sporse per darle un rapido bacio sulla fronte. Forse voleva assicurarsi che anche lei non avesse la febbre. L'idea la divertì.
"Vuoi che vada a prenderti un paio di aspirine?"
"Sei anche capace di intuire quando sta per scoppiarmi il mal di testa, adesso?"
"Non è difficile accorgersene, basta osservarti con un po' di attenzione".
La semplicità della risposta la spiazzò. Lo amava così tanto che avrebbe voluto compiere atti impuri seduta stante per dimostrarglielo. Gli sorrise. Avrebbe per sempre benedetto la sorte che glielo aveva rimesso sul suo cammino, spronandola a non lasciarsi sfuggire un'altra occasione, forse l'ultima.

"Mi spiace essere stato troppo duro quando siete arrivati, ma vedere Tommy in quelle condizioni mi ha mandato fuori di testa".
Apprezzò le sue parole, anche se non se l'era presa e non gliene faceva una colpa. Era più che legittimo che si fosse allarmato quando se li era trovati alla porta a un passo dal tracollo emotivo. Anche lei avrebbe reagito in modo poco diplomatico.
"È quello che ho provato anche io quando sono andata a prenderlo", ammise a malincuore. Non essere riuscita a scoprire il vero motivo per cui l'incontro tra Tommy e Josh fosse degenerato fino a quel punto e in così breve tempo non la lasciava tranquilla. Il suo istinto le suggeriva che ci fosse molto di più che un semplice capriccio, ma parlare con Josh le aveva solo confuso le idee.
Si sentiva in colpa per aver accettato e organizzato il loro incontro, anche se non le era parso che ci fosse niente di diverso rispetto alle volte precedenti. Tommy non si era mostrato turbato quando lo aveva informato che suo padre era in città e voleva vederlo. Si era anzi mostrato entusiasta – lo era sempre, per motivi a lei incomprensibili.
Era stato Castle, tra tutti, quello meno propenso ad affidare Tommy a qualcuno che non conosceva. Dando prova di delicatezza non aveva detto niente in proposito, né aveva cercato di dissuaderla, ma lei si era accorta della sua riluttanza a separarsi da Tommy. Non se ne era fatta un cruccio, dando per scontato che con il tempo anche lui si sarebbe abituato a condividere Tommy con qualcuno che aveva il loro stesso diritto di trascorrere un pomeriggio con il bambino. Le aveva fatto molta tenerezza, quello sì, quando l'aveva visto sforzarsi di salutarlo come se niente fosse, sorridendogli e incoraggiandolo a divertirsi con suo padre. Sapeva quanto gli era costato farlo, se ne era accorta da come il suo umore era cambiato quando aveva ricevuto il messaggio di Josh, mentre erano negli Hamptons.

"Hai voglia di raccontarmi che cosa è successo? Che cosa ti ha detto Josh?"
Scosse la testa, baciando Tommy sui capelli soffici, appena asciugati dalle mani amorevoli di Castle. "Non lo so, non sono riuscita a cavargli niente".
"Non ti ha dato una spiegazione? Come è possibile? Deve esserci per forza un motivo per una reazione tanto insolita da parte di Tommy".
Era allibito. Lo capiva, lei aveva superato quello stadio solo grazie a un numero cospicuo di antiacidi.
"Probabilmente non è nemmeno al corrente che suo figlio di norma non si comporta così. Quando ci siamo visti al parco andava tutto bene, Tommy era sereno e chiacchierava come sempre". Ne era sicura? O il suo proposito di non permettere ai sentimenti negativi che provava per Josh di influenzare il suo giudizio le aveva impedito di cogliere i segnali?
"Come funzionano le loro visite? Si vedono da soli come in questa occasione o di solito tu rimani con loro?"
Capì che stavo solo cercando di valutare tutte le possibilità, non era un'accusa di abbandono di minore. Rifletté sulla domanda. "Quando Tommy era più piccolo ho sempre presenziato ai loro incontri. Josh non conosceva le sue abitudini e non aveva senso fargli un elenco di raccomandazioni più lungo del tempo che sarebbe rimasto con lui. E in più per Tommy si trattava di un estraneo, non serbava ricordi di lui tra una volta e l'altra e io non volevo che... andasse come oggi, in sostanza". Fece una breve pausa. "Quando è cresciuto ha voluto vederlo da solo e io ho pensato che non ci fosse niente di male, Tommy aveva iniziato a familiarizzare con lui senza problemi. Anche se, come hai potuto notare anche tu, passano molti mesi tra una visita e l'altra, Tommy nel frattempo cresce e le cose cambiano". Gli lanciò un'occhiata di sottecchi. "E adesso ci sei tu..."
La buttò lì, facendola sembrare un'ipotesi che le era appena venuta in mente, ma su cui in realtà aveva iniziato a riflettere da qualche tempo.
"Che cosa significa che ci sono io?"
Non sapeva quanto fosse saggio continuare su quella strada, in fondo non era che una supposizione azzardata. Solo istinto materno, se si poteva definire tale.

La sua teoria era che Tommy, fino a quel punto invaghito di un'idea romantica e vaga riguardo alla figura paterna, che per lui non aveva nessun significato pratico, avesse ora proiettato i suoi bisogni su Castle, che era invece una persona in carne e ossa, che rispondeva alle sue esigenze e le soddisfaceva in modo concreto. Teoria rafforzata dall'aver visto come Tommy, quando erano tornati al loft qualche ora prima, si era aggrappato a Castle come un naufrago su uno scoglio miracolosamente apparso in un mare in tempesta.
Castle rifletté sulle sue parole, senza farle capire che cosa ne pensasse della questione che lei aveva sollevato.
"Dobbiamo essere onesti, ti sei comportato più tu da padre in pochi mesi che Josh in tutta la sua vita. E ai bambini non si possono raccontare frottole, tutto qui", spiegò.
"Non ho mai voluto occupare posizioni che non mi spettano", disse infine Castle in tono grave. "E mi è sempre ben chiaro che ci sono dei confini che non posso superare e che non sono io suo padre", concluse con forza, come se lo avesse appena accusato di rapire figli altrui.

Gli posò una mano sul braccio per rassicurarlo. "Lo so. E l'ho sempre apprezzato. Ma non si possono negare i fatti. Tommy ti adora. E per lui Josh è solo un nome che corrisponde a una figura appena accennata".
"Anche io gli voglio molto bene", precisò, come se lei potesse metterlo in discussione.
"Lo so. Si vede". E rendersene conto era sempre fonte di stupore per lei. Sommersa dai doveri, quando negli anni si era barcamenata nel traballante equilibrio conquistato non senza fatica, tutto si era immaginata, tranne che di potersi innamorare nuovamente di un uomo. Sempre che lo fosse mai stata, se si considerava la potenza del suo sentimento per Castle.
Era stata convinta che la sua vita andasse bene così com'era, che quello che aveva sarebbe bastato per sempre. Al più avrebbe accettato qualche appuntamento quando Tommy fosse cresciuto. Non si era mai concessa di credere che un altro uomo potesse amarla al punto da voler costruire una famiglia con lei e suo figlio. L'esperienza con Josh le aveva tolto ogni illusione in proposito.

"Quando riparte?"
Curioso come entrambi non vedessero l'ora che la loro esistenza tornasse a scorrere nel modo rilassato a cui si erano abituati, ben lontano dai drammi che qualcuno tendeva a creare e a scaricare sugli altri. Sfortunatamente, doveva dargli una brutta notizia.
"Intende rimanere in città per qualche tempo. Mi ha chiesto di contattarlo perché ci sono delle cose di cui vuole parlarmi".
"È così che fate quando è a New York? Vi vedete per discutere di vostro figlio?", chiese Castle con una punta di inquietudine che non seppe come interpretare.
Sbuffò. "Hai molta fiducia nel genere umano, Castle. Io e Josh non abbiamo mai discusso di niente che riguardasse Tommy. Lui non si è mai informato e io mi sono stancata in fretta di inviargli resoconti dettagliati sulle sue tappe di crescita che non ricevevano mai risposta".
"Come fai a sopportarlo? Tommy è un bambino fantastico ed è impossibile non innamorarsi di lui. Come fa a essere tanto indifferente? A non volerlo conoscere meglio?"
"È qualcosa che non si supera mai, temo. Non è normale vedere tuo figlio respinto da suo padre e trattato come se non contasse niente. Con in più la certezza che Tommy sarà costretto prima o poi a fare i conti con la perenne sensazione di abbandono e di rifiuto, nonostante i miei sforzi di coprire le sue mancanze. Purtroppo non si può fare a meno dell'amore di un padre", spiegò tristemente.
Anche se adesso le cose erano diverse. Adesso c'era Castle. E quello stava già facendo un'immensa differenza. Non si sarebbe mai opposta allo sviluppo di un legame più stretto tra Tommy e Josh, ma personalmente, se poteva dirla tutta, avrebbe preferito continuare a vedere Tommy crescere sereno con lei e Castle. Era forse un desiderio egoista?
"Ti prometto che farò sempre il possibile per dare a te e Tommy il meglio. Qualsiasi cosa questo significhi e anche se non sarà la stessa cosa per lui", le promise, aprendole il cuore di gioia.

Si sporse verso di lui per baciarlo sulle labbra. Non lo aveva ancora fatto da quando era tornata ed era strano per loro rimanere fisicamente distanti dopo qualche ora di lontananza. Il bacio si prolungò, fino a farle quasi dimenticare il pomeriggio orribile che aveva affrontato. Gli accarezzò una guancia, Castle le prese la mano e gliela baciò.
"È inopportuno ricordarti che in questa casa è stata appena installata, su tua precisa richiesta, una vasca idromassaggio di dimensioni adeguate a ospitarci entrambi? Avevo in mente qualcosa di speciale per noi, dopo aver messo a letto questo giovanotto, ma forse sei troppo stanca".
"Non sono affatto stanca", protestò. "Anzi, non vedo l'ora", mormorò attenta a non farsi sentire da Tommy. E sì, la vasca idromassaggio era stata una sua idea, la migliore che avesse mai avuto. Anche Castle non faceva che ripeterglielo.

Due manine decise li separarono al grido di "Basta baci! Ho fame!"
Scoppiarono a ridere, colti in fallo come due ragazzini. Castle si allungò verso di lui per fargli un leggero solletico sulla pancia che provocò nel bambino le solite irrefrenabili risate, che li contagiarono tutti. Finirono a ridacchiare e a farsi il solletico a vicenda, tra urla e strilli che niente avevano a che vedere con i pianti di rabbia e dolore che ormai erano solo un ricordo.

La tempesta era passata, Tommy era tornato il bambino vivace e allegro di sempre, avevano dei programmi per la seconda parte della serata a cui era ansiosa di partecipare e nessuno, per il momento, sarebbe venuto a turbare la loro felicità.

...

Da me i contagi sono saliti, spero che stiate tutti bene, fisicamente e moralmente, ovunque vi troviate. Durante la prima ondata non ero riuscita a scrivere né a pubblicare niente, questa volta andrò avanti a farlo (salvo eventi al di fuori della mia portata), perché mi dà conforto. Grazie per leggere e per i vostri commenti. Silvia.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Diciassette ***


17

"Grazie per essere venuto con così poco preavviso", lo salutò quando lo vide uscire dall'ascensore, dove lo stava nervosamente aspettando da qualche minuto.
Gli diede un veloce bacio sulla guancia, attenendosi al codice comportamentale improntato alla discrezione che lei stessa aveva stabilito per i loro incontri al distretto.

Castle le sorrise con calore e lei si sentì più felice di vederlo di quanto non avesse immaginato quando lo aveva chiamato invitandolo a passare da lei. Castle era in grado di generare un'atmosfera di calma risolutezza che avvolgeva chi gli stava intorno come una soffice coperta, inducendolo a credere che non esistessero problemi irrisolvibili al mondo. Proprio quello di cui aveva bisogno. Era una delle doti che apprezzava maggiormente in lui, che ne era del tutto inconsapevole. E forse lo amava anche di più per questo.

Dopo averlo fatto accomodare nel suo ufficio, gli diede le spalle per abbassare le veneziane. Non voleva che qualcuno ascoltasse la loro conversazione. Non che ci fosse il reale rischio di trovarsi orecchie indiscrete nelle vicinanze, ma preferiva salvaguardare la loro privacy, visto l'argomento di cui voleva metterlo al corrente. Averlo lì la fece riandare con la mente alla sera del loro incontro, quando avevano sventato insieme l'aggressione ai danni del sindaco e Castle aveva insistito per accompagnarla al distretto. Riusciva ancora ad avvertire le emozioni – confuse, oscure, eccitanti - che si erano abbattute su di lei quando si erano rivisti a sorpresa dopo tutti quegli anni.
Non che per lei fosse stata propriamente una sorpresa, come invece era accaduto a lui. Quando aveva ricevuto l'invito – lo conservava ancora ben nascosto in uno dei cassetti della scrivania -, si era fuggevolmente chiesta, rigirandoselo tra le mani, se si sarebbero imbattuti l'uno nell'altra.
Non si era trattato di un desiderio, ma di un banale ragionamento logico, tutti sapevano che i due erano amici intimi. Non solo, erano anche stati complici nell'inventarsi uno stratagemma per farle accettare che un intruso - un civile, addirittura, con i pericoli che ciò avrebbe comportato – le gironzolasse intorno, con la scusa di avere bisogno di fare delle ricerche per i suoi romanzi. Come se non avesse scritto una ventina di best-seller senza il suo aiuto.
Era tutto quello che era successo dopo ad averla colta del tutto impreparata. A partire dal riproporsi fermamente di arginare i suoi inviti, come le suggeriva il buonsenso, e poi trovarsi a essere la prima proporre nuove occasioni di incontro. Il non riuscire a resistergli. Non essersi mai impegnata a farlo, soprattutto.

"È successo qualcosa? Tommy sta bene?"
Non gli aveva anticipato niente al telefono, anche se aveva cercato di non metterlo in allarme, ma doveva fare i conti con il fatto che lui ormai sapesse leggerla alla perfezione nei suoi silenzi e nelle sue caritatevoli omissioni.
"Tommy sta bene, non preoccuparti", lo rassicurò, sorridendogli. Prese posto sulla poltrona accanto a quella dove si era seduto lui. Non voleva che qualcosa di fisico come la sua scrivania li separasse.
Prese fiato. "Oggi ho visto Josh", esordì, pronta a raccontargli ogni dettaglio, ma fermandosi di botto dopo aver assistito alla sua reazione. Castle inclinò leggermente la testa e la fissò in modo indecifrabile, quasi si trovasse di fronte a una strana e sconosciuta creatura, ma non fece nessun commento.
Si sentì a disagio, come se dalla finestra fosse entrato uno spiffero gelido che era andato a infilarsi giù lungo la schiena.
"Non sapevo vi foste accordati per incontrarvi", osservò infine Castle con un tono in apparenza indifferente, ma venato da un vago risentimento che la spiazzò.
"Non avevamo nessun accordo", replicò perplessa, quasi a volersi giustificare. "Si è presentato senza preavviso e mi ha invitato a pranzo". Era stato piuttosto gentile, considerando i precedenti, al punto che era stata quasi tentata di chiedergli se fosse stato vittima di uno scambio di identità, quando si era trovata ad ascoltare la sua proposta condita da maniere garbate, molti sorrisi e un massiccio impiego di fascino – del tutto sprecato con lei -, come se l'ultima volta che si erano incontrati non avesse causato uno scompenso emotivo nel figlio, lasciando che delle conseguenze si occupasse qualcun altro. Castle, nello specifico.

"Quindi avete pranzato insieme?"
Non le sfuggì la crescente freddezza con la quale le si era rivolto. Si era anche ritratto per aumentare la distanza tra loro.
"Sì, siamo andati al locale qui all'angolo".
Era sempre più spaesata e non capiva perché Castle si stesse impuntando su particolari di nessuna importanza. Il fulcro della questione era un altro, ma le era impossibile arrivarci perché lui non faceva che sviarla.
Castle accolse la sua risposta irrigidendosi visibilmente e chiudendosi in un silenzio polare.
"Non vuoi sapere il motivo per cui si è fatto vivo?" insistette debolmente, come ultimo tentativo di indirizzare la conversazione altrove.
"Solo se ti va di dirmelo, non voglio entrare in cose che non mi riguardano".
"Come sarebbe cose che non ti riguardano? Stai scherzando, spero", sbottò senza controllarsi.
Castle strinse le labbra sigillate, senza reagire al suo tono stizzito.
Che cosa accidenti c'era che non andava in lui? Perché la lasciava a sguazzare nell'incertezza, senza esprimersi in alcun modo, come se l'avesse mortalmente offeso? Non aveva idea di che cosa lo avesse fatto adombrare a tal punto e non era dell'umore adatto per indagare più in profondità. Aveva trascorso una pessima mattinata e c'erano cose molto più importanti di cui discutere che non giocare agli indovinelli.

"Va tutto bene?", chiese cautamente per sondare il terreno, sentendosi molto generosa per aver messo da parte la sua impellente voglia di scuoterlo e gridargli di farla finita, e aver invece scelto una linea più diplomatica.
"Benissimo", replicò Castle educato, chiuso come un'ostrica abbarbicata alla roccia. "È per questo che mi hai fatto venire fino a qui?", aggiunse. "Per confessarmi di essere uscita con il tuo ex?"
Era impazzito, era l'unica spiegazione. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, aveva sempre presentato qualche stravaganza. "Non sono uscita con lui, che cosa ti salta in mente?!", tuonò, incurante del fatto che dovessero ormai sentirla fino in strada. Al diavolo la diplomazia. Era offesa per un'insinuazione del genere e poco disposta a considerare l'infermità mentale come un'attenuante.
"Ti ha invitato a pranzo e tu hai accettato, in quale altro modo descriveresti quello che è successo? Stavo solo esponendo i fatti", illustrò Castle con logica esasperante.

Lo fissò esterrefatta per qualche secondo, indecisa se aggredirlo verbalmente o limitarsi a chiedere una perizia psichiatrica, finché non si fece lentamente in strada in lei la folgorante consapevolezza dell'origine del suo malumore. Ebbe quindi l'impulso di afferrare al volo un pesante faldone tra quelli impilati ordinatamente alle sue spalle e colpirlo ripetutamente in fronte. E, insieme, fu invasa da una recalcitrante tenerezza e molto amore per quell'uomo ostinato e impossibile.
Incrociò le braccia davanti al petto, appoggiandosi allo schienale. "Quindi la scenetta con cui ci stai deliziando è dovuta alla tua gelosia nei confronti di Josh? Ti rendi conto da solo di quanto sia fuori luogo questo tuo atteggiamento o preferisci che te lo spieghi puntandoti contro una pistola?"
Non riusciva a credere che si fossero impantanati in una questione tanto inutile e vile.
"Non sto facendo nessuna scenetta", protestò lui, senza però negare la sua accusa e perdendo un po' della sua sicurezza nel sentirsi smascherato.
"Hai messo il broncio non appena ti ho informato di Josh e hai subito dato per scontato che il nostro fosse una specie di appuntamento segreto che dovrei addirittura confessarti. Ti pare remotamente possibile che io voglia uscire con lui dopo quello che ha fatto passare a Tommy solo pochi giorni fa?"
"Non mi sembra che tu abbia rifiutato, però. E avete pranzato proprio nella nostra caffetteria. Non è certo il comportamento di qualcuno che vuole sbarazzarsi del proprio ex il prima possibile".

Se non lo avesse amato tanto avrebbe potuto ucciderlo. Avrebbe dato colpa a un raptus. "Di che cosa stai parlando? Non è la nostra caffetteria. Tu e io non ci siamo mai stati, quindi, per quel che mi risulta, non ho profanato niente di sacro". Era il colmo.
La fissò inorridito. E ferito. Quel giorno non poteva certo dire che i suoi rapporti con il sesso opposto fossero idilliaci.
"È lì che abbiamo avuto il nostro primo appuntamento, Kate", spiegò come se lei fosse vittima di una spiacevole amnesia che lo addolorava profondamente. "Abbiamo ordinato del cibo da asporto che abbiamo consumato seduti nel piccolo parco posizionato proprio di fronte".
Era davvero una cosa seria per lui, realizzò ascoltandolo. Era sconcertato per quella che doveva ritenere una grava mancanza di sensibilità da parte sua. O peggio. Un vero e proprio tradimento.

Contò fino a dieci molte, molte volte, prima di azzardarsi a parlare. "Quindi mi credi capace di organizzare un'uscita con Josh alle tue spalle e per giunta in un posto significativo per noi? Ma perché limitarsi a questo? Magari sono tanto amorale da portarci chiunque e poi iniziare delle relazioni con i migliori candidati, ci hai mai pensato?"
Castle girò la testa e sbuffò di fronte al suo sarcasmo, come se lei stesse cercando di sminuire la sua reazione più che legittima. Si sentiva anche vagamente insultata, a dirla tutta.
"Sei almeno consapevole del fatto che quello non era il nostro primo appuntamento? Mio e tuo?" Se proprio voleva che affrontassero quell'assurda conversazione, eccolo servito. "Sei venuto fin qui a sorpresa e hai insistito per pranzare con me, nonostante ti avessi informato di avere poco tempo a disposizione".
"Proprio come è successo con Josh, giusto? E lui non ha dovuto insistere, a quanto pare".
Era peggio del previsto. E il tracollo doveva essere avvenuto da poco, quel mattino le era parso normale.

"Farei meglio a cacciarti dal mio ufficio finché non recuperi un briciolo di ragionevolezza, ma purtroppo ci sono cose molto più importanti della tua regressione infantile di cui occuparci. O preferisci uscire a chiarirti le idee?"
Castle non si mosse. "Tanto per chiarire, non avevo nessuna voglia di vederlo o pranzare con lui. Avrei preferito farmi intrattenere da un serpente a sonagli e mi disturba perfino doverlo specificare", continuò con la poca pazienza che le era rimasta. "Ma visto che è arrivato sostenendo che dovevamo parlare di Tommy il prima possibile, sono stata costretta a dargli retta. Fino a prova contraria, la legge gli dà il diritto di dire la sua. E ho preferito farlo fuori di qui perché non mi esalta far assistere l'intero ufficio alle mie discussioni con lui. Ho semplicemente scelto un posto a poca distanza il cui proprietario, che ormai conosco da anni, non ha l'abitudine di impicciarsi negli affari altrui. Adesso comincerai a dubitare anche di lui? Credi che tutti gli uomini che incontro vogliano uscire con me?"
Non avrebbe potuto reagire con più sorpresa di fronte a una domanda che per lei era totalmente retorica. "Certo che credo che gli uomini vogliano uscire con te, Kate, a partire dal padre di tuo figlio che, guarda il caso, è davvero uscito con te e che, da quel che vedo, pare di nuovo intenzionato a girarti intorno con quella sua chioma svolazzante. Diversamente, non ci sarebbero figli, non trovi?"
"Grazie per la lezioncina di educazione sessuale. Mi è chiara la procedura".
Si sarebbe messa a ridere, se non avesse temuto di peggiorare una situazione che Castle riteneva drammaticamente seria.

Gli prese una mano. "Josh non ha nessun interesse nei miei confronti, anche se ti sembra impossibile. Lo sapresti, se non avessi iniziato a comportarti come un uomo delle caverne e mi avessi lasciato raccontarti il motivo per cui è venuto fin qui con la sua chioma svolazzante. A proposito, come fai a saperlo? O è meglio che non mi ponga questi interrogativi?"
"L'ho cercato in rete. Mi è sembrato normale voler sapere con chi avevo a che fare, no? Per vedere se Tommy avesse preso qualcosa da lui, anche se fortunatamente assomiglia solo a te".
"La tua gelosia quindi non c'entra niente?"
"Solo marginalmente", ammise Castle con uno sforzo.

Fece un respiro profondo, lasciando perdere ulteriori riflessioni, per esempio il motivo per cui Castle si sentisse così insicuro della loro relazione, che a lei pareva andare a gonfie vele, e reagisse arruffando le piume non appena un uomo si profilava all'orizzonte. Un uomo di cui lei non aveva nessuna stima, peraltro. "Se mi consenti di cambiare discorso rispetto alla quota di uomini che mi reputano desiderabile, ti informo che Josh si è preso la briga di concedermi l'onore della sua compagnia perché trovava degno di biasimo il fatto che non mi fossi precipitata a chiamarlo per sapere di che cosa volesse parlarmi, come mi aveva comunicato quel giorno al parco. Credo che sia abituato ad avere a che fare con interlocutori più compiacenti di me e questo non depone a mio favore".

Era vero, non lo aveva contattato. Se ne dichiarava colpevole. Non avendo niente da dirgli, non si era presa la briga di piegarsi alla sua richiesta espressa in modi un po' troppo autoritari per i suoi gusti. L'affronto doveva aver generato qualche scompenso umorale in un uomo tanto pieno di sé, tanto da indurlo a presentarsi di persona per farle notare la tremenda mancanza di rispetto da lei perpetrata con toni che non avrebbe riportato a Castle per non innervosirlo inutilmente.
Fece una pausa, accingendosi a vuotare il sacco. "Voleva che parlassimo di alcune questioni legate a Tommy e la cosa più sorprendente è che per la prima volta nella sua vita l'iniziativa è partita da lui". Il che era bastato a metterla in allarme.
"Quali questioni? Quello che sa di suo figlio non riempirebbe un post-it, figurarsi un intero pranzo".
Non poteva negare che fosse vero. E la rincuorò che Castle avesse finalmente colto il nocciolo del problema e fosse dalla sua parte, combattivo come al solito, invece di perdersi in sterili recriminazioni.
"È proprio questo il punto. Dopo il loro spiacevole incontro, di cui, se te lo stai chiedendo, continua a non assumersi nessuna responsabilità, attribuendo invece la colpa alle cattive maniere di Tommy, ha deciso che è il momento di intervenire nella sua educazione che trova... lacunosa sotto molti aspetti". Erano state le sue esatte parole, non stava esagerando. Si sentiva stringere la gola per tutti gli insulti che non aveva lasciato uscire e che le erano rimasti conficcati dentro.
"Hai a portata di mano un tranquillante? Non credo di farcela senza". Stava trattenendo a stento la rabbia. Lo capiva, si sentiva allo stesso modo. "Come sarebbe a dire educazione lacunosa? Come può essere tanto sprezzante? Sai che cosa c'è di veramente lacunoso qui? Il suo contributo come padre. Nulla totale".
"Trova che Tommy sia viziato", andò avanti a confessare, sentendosi fisicamente male. Josh lo aveva ribadito ancora una volta durante il loro pranzo, che le era rimasto indigesto.
"Ma come si permette?!", si inalberò Castle, prevedibilmente. "Tommy non è viziato. È molto amato e ben accudito. Per nessuna di queste cose dobbiamo ringraziare lui".
Era molto, molto d'accordo. E felice che lui la pensasse così su Tommy.
"Quello che è successo durante il loro ultimo incontro lo ha convinto che le cose stiano prendendo una brutta piega, pedagogicamente parlando, quindi vuole intervenire prima che sia troppo tardi e come è giusto che sia. Il fondamentale ruolo della figura paterna eccetera. Lo sto citando alla lettera".
"Sono in arrivo altre perle di questo tenore da parte del grande esperto del mondo infantile? Perché se continui non ti garantisco di non andare là fuori a ucciderlo".
"Ho i tuoi stessi stessi impulsi, ma credo che dovremmo trattenerli per il bene di Tommy".
"Sai che saremmo ottimi partner anche in una eventuale carriera criminale. Insieme sapremmo essere discreti ed efficienti, nessuno troverebbe mai il corpo".
"Non tentarmi, Castle", sospirò sforzandosi di sorridergli.

Castle si alzò in piedi e prese a camminare avanti e indietro nell'esiguo spazio che la stanza offriva, che non bastava di certo a fargli sfogare la sua frustrazione. Dopo qualche minuto si fermò e si voltò verso di lei, come se gli sfuggisse qualcosa.
"Qual è il problema, tutto a un tratto? Ha avuto quattro anni per intervenire, se le cose non gli andavano bene. Perché se ne accorge solo adesso? O la verità è che il suo ego ipertrofico non tollera che Tommy, come tutti i bambini, abbia una giornata no? O non vuole accettare l'evidenza che non è stato in grado di metterlo a suo agio perché non ha nessuna conoscenza di come sia fatto suo figlio? È così difficile farsi un piccolo esame di coscienza, invece che incolpare chiunque tranne se stesso?"
Erano le sue stesse domande. Le domande che chiunque sano di mente si sarebbe posto. "Credo che il problema risieda altrove. È molto risentito perché, a quanto gli risulta, io dispongo della vita di nostro figlio come mi pare". Buffo. Non lo aveva mai definito così. Nostro avrebbe segnalato un legame, un'appartenenza da cui Josh si era sempre mantenuto distante. "E lo porto a vivere con uomini che non conosce, senza nemmeno prendermi la briga di avvisarlo, violando di fatto i suoi diritti".
Non credi di aver esagerato, Kate? Che cosa ti è saltato in mente? Non pensi che dovrei sapere chi è quest'uomo con cui ti vedi e quale influenza può avere su Thomas?
Per lui era sempre stato solo Thomas, mai Tommy. Un nomignolo troppo sciocco per lui, costruttore di venerabili palafitte.

Continuò, ogni parola che riportava era una ferita aperta e bruciante, ma doveva arrivare fino in fondo. "Per questo motivo ha ritenuto giusto per il bene di Tommy – e dopo un'opportuna riflessione, terminata io credo proprio stamattina, quando si è concesso a me in udienza – fare il sacrificio di dire addio a tutte le sue numerose opere umanitarie e tornare stabilmente a New York, per ripristinare il necessario ordine nella sua carente educazione".
Castle la fissò dispiaciuto e incredulo. "Kate, tu hai fatto un lavoro splendido con lui, nessuno deve osare metterlo in dubbio. Come fa a non vederlo? Come si permette di venire qui a dettar legge, senza provare la minima vergogna per come ha sempre ignorato l'esistenza di quel bambino meraviglioso?"
"Credo che tutti questi scrupoli di coscienza dipendano dalla tua presenza". Non era stato detto in termini espliciti, ma non era così stupida da non capirlo. Del resto, era proprio quello che aveva iniziato a sospettare, se pure senza averne la certezza. Che adesso purtroppo aveva.
"Quindi sono io la causa di tutto", disse piano, inquietandola di più che se si fosse messo a urlare, come si sarebbe aspettata. Quella sua furia compressa e tenuta sotto controllo, di cui ignorava l'esistenza, doveva essere temibile per chiunque avesse deciso di schierarsi contro di lui. La fece quasi rabbrividire.
"È venuto fuori che Tommy quel giorno al parco gli ha raccontato di te in toni entusiastici. Non l'ha ammesso, naturalmente, ma credo che sia stato quello a far degenerare tutto e a portarci alla situazione odierna".
"Mi stai dicendo che se l'è presa con Tommy per colpa mia? Che razza di persona è?! Lo ha fatto piangere per ore, è stato quasi impossibile calmarlo. Ti giuro che io lo ammazzo sul serio, ne ho già abbastanza".
"Ti consiglio di evitare di menzionare i tuoi propositi criminali in un distretto di polizia, diventerebbe difficile farlo passare per omicidio colposo. Cerchiamo di evitare almeno la volontarietà, quando ci sarà una giuria a giudicarti".
Si sorrisero, per alleggerire la tensione.

"Preferisci che mi faccia da parte? Vuoi tornare a vivere nel tuo appartamento? Sono disposto a qualsiasi cosa purché smetta di traumatizzare Tommy e causarti grattacapi", mormorò Castle in tono sconfitto, abbassando la testa. Vederlo così scoraggiato e disperato la mandò su tutte le furie. Non sopportava che qualcosa lo facesse stare tanto male. Castle poteva passare per quello che aveva doti di accudimento più spiccate, più immediatamente evidenti, ma lei si sentiva pronta a combattere contro chiunque avesse toccato i suoi uomini. Il mondo non aveva ancora visto all'opera il suo temibile istinto protettivo nei confronti delle persone che amava.

Si alzò anche lei e lo raggiunse. Gli prese la testa tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi. "No, Castle. Assolutamente no. Non permetterò a Josh di modificare i nostri progetti o, peggio, di portar via Tommy dall'unico padre che abbia mai avuto. O privare te di Tommy". Una soluzione del genere avrebbe generato una sofferenza così intensa per tutte le persone coinvolte da non essere nemmeno umanamente concepibile.
"Quindi gli hai consigliato di andare al diavolo?"
"No, sono stata zitta, cercando di trattenermi dal dare un calcio alla sua sedia e buttarlo a gambe all'aria".
"Non negherò che sia un'immagine molto sexy, ma non capisco come tu riesca a rimanere sempre impassibile di fronte alle sue uscite".
Si lasciò abbracciare e appoggiò la testa contro il suo petto. "Mi attribuisci virtù che non ho, purtroppo. Ho solo voluto lasciarlo farneticare per vedere fin dove si sarebbe spinto. In più, legalmente parlando, non so quanto siano legittime le sue rimostranze. Ha ragione a lamentarsi perché ho portato suo figlio a vivere altrove senza avvisarlo? Non volevo dire niente di compromettente, compiere un passo falso. E in parte confesso di essermi sentita in colpa. È vero che non ho l'abitudine di consultarlo e decido sempre io per Tommy".
"Il tuo senso di colpa dimostra che sei una persona civile e un essere umano compassionevole. A differenza sua".
"Non voglio che Tommy cresca in mezzo ai conflitti solo perché i suoi genitori si sono lasciati. E mi piacerebbe che costruissero un rapporto equilibrato". Era un'utopia? Iniziava ad avere più di un dubbio a riguardo.
"Come genitore lo capisco, ma Josh non può venire a turbare la serenità di Tommy per un capriccio. E noi non possiamo accettare tutto quello che pretende senza porre dei limiti. Tommy viene prima di tutto e certamente prima di un uomo privo di ogni empatia nei confronti di un bambino. Mi spiace, non posso rimanere neutrale in una situazione del genere".
Gli sorrise dolcemente. "È proprio quello che farebbe un padre, Castle, non devi scusarti".
"A volte vorrei esserlo davvero", mormorò con voce spezzata, come se si vergognasse ad ammetterlo. La sofferta impotenza che esprimeva quella semplice frase le penetrò sotto la pelle, lacerandola.
"Lo so. E so quanto questa situazione ti ferisca. Ti assicuro che non intendo arrendermi alle sue pretese. Per questo ho invitato mio padre da noi stasera, se per te va bene. Il diritto familiare non è proprio il suo ambito, ma come avvocato può darci qualche consiglio per muoverci al meglio. Che ci piaccia o meno ci sono regole a cui dobbiamo attenerci", concluse con un sospiro, più preoccupata di quanto non volesse ammettere.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Diciotto ***


18

Quando suo padre giunse al loft, qualche ora più tardi, si imbatté in Martha e Alexis, a loro volta appena arrivate. C'era un motivo per la loro presenza, anche se suo padre non ne era a conoscenza e non si aspettava quindi di incontrarle. Le due donne si sarebbero occupate insieme di Tommy, dedicandogli l'intera serata.

Lei e Castle ne avevano parlato e avevano convenuto che fosse meglio che Tommy non ascoltasse discorsi troppo complessi, quasi certamente spiacevoli, che avrebbero potuto turbarlo, anche se si trattava di questioni che avevano al centro proprio la sua felicità. Come madre sapeva che era la decisione più giusta ed era grata che ci fosse qualcuno pronto a prendersi cura di suo figlio, ma dentro di sé non poteva fare a meno di trovare scorretto che venisse allontanato proprio mentre si discuteva del suo futuro. Non si poteva fare altrimenti. Toccava a loro, agli adulti, entrare in campo per tutelarlo e scegliere ciò che era meglio per lui.
Qualche volta provava il desiderio irrazionale di riaverlo dentro di sé per proteggerlo da tutti i mali del mondo, proprio come era successo durante quei nove mesi che le erano parsi interminabili da vivere, ma che ora, nello spazio della sua memoria, duravano lo spazio di un istante fugace, meno problematico della realtà attuale.

Dopo lo spiacevole incontro con il padre, ancora avvolto nel mistero - nessuna delle due parti aveva offerto una spiegazione soddisfacente-, Tommy non aveva più chiesto di lui.
Non sapendo se fosse un caso o un'omissione voluta, una sera, mentre erano impegnati a giocare tutti insieme sul tappeto in salotto, aveva lasciato intenzionalmente cadere il suo nome all'interno del discorso. Tommy si era fatto silenzioso e si era ritratto in se stesso, smettendo di interagire con lei, cercando invece il conforto delle braccia di Castle, sempre pronte ad accoglierlo.
Lei e Castle si erano lanciati una lunga occhiata significativa da sopra le sue spalle, ma non avevano fatto alcun commento. Non ce n'era stato bisogno, conoscevano perfettamente il contenuto dei pensieri dell'altro, e cioè che tutta la faccenda non prometteva niente di buono.
Smaniava dalla voglia di indagare meglio – era la sua natura, in fondo – ma il buonsenso le aveva consigliato di lasciarlo in pace, senza insistere perché si aprisse con lei. Non era ancora pronto a farlo, il suo comportamento era chiaro al riguardo. Trovava giusto rispettare i suoi tempi, anche se l'atteggiamento di Josh e la sua scelta di rimanere a New York rendevano la questione non ulteriormente rimandabile. Il tutto le era costato più di una notte insonne.

Da quando aveva lasciato l'ufficio provava una fosca sensazione di inquietudine, anche se aveva preferito camuffarla sotto un'aria briosa che le era costato molto mantenere. Non voleva che Tommy, che sapeva leggerla meglio di chiunque altro, sospettasse che ci fosse qualcosa che non andava e si rifiutasse di staccarsi da lei, come faceva istintivamente. Meglio incoraggiarlo a uscire con Martha e Alexis, con loro avrebbe trascorso una serata molto più divertente di quella che si prospettava per lei e Castle.
Era grata per il loro aiuto, offerto con una spontaneità che l'aveva commossa. Dopo il trasferimento al loft le loro vite erano state arricchite da altre due presenze premurose, oltre a quella di Castle. Tommy era stato entusiasta di conoscerle e da allora il loro rapporto si era fatto sempre più stretto e appassionato. Non era scelta di parole casuale. Era stato amore a prima vista per tutte le parti coinvolte.
Era qualcosa di nuovo e strano per lei, che non aveva esperienza di famiglie allargate o di una rete di sostegno pronta a intervenire in caso di necessità, che non si limitasse unicamente al padre. D'un tratto lei e Tommy erano stati circondati da una piccola comunità affettuosa su cui avevano presto iniziato a contare. Per la prima volta sperimentava un senso di appartenenza che le era sempre stato sconosciuto. Le dava un piacevole senso di sicurezza il fatto che suo figlio fosse benvoluto e che potesse formare dei legami al di fuori della cerchia ristretta che aveva conosciuto fino a quel punto.

Il loft di riempì di voci allegre e risate, quando tutti riuscirono finalmente a fare il loro ingresso. Tommy, con un urlo di gioia, si precipitò verso il gruppetto che si era spontaneamente formato nell'atrio senza riuscire a trattenere l'euforia con cui era solito approcciarsi al mondo, specialmente quando si trovava tra persone che non avevano occhi che per lui.
Prese la rincorsa e si fiondò su Alexis, riservandole il privilegio di essere salutata per prima. Era stata da subito la sua preferita e l'apprezzamento era ampiamente condiviso, come le aveva confessato Castle che era diventato ben presto il fulcro indiscusso di tutte le dinamiche familiari. Forse era la cosa più vicina a un rapporto fraterno, se pure poco convenzionale, che entrambi potessero avere. Per Tommy era certamente così.

Dopo qualche minuto di rumorose effusioni, Tommy si rivolse al nonno, manifestando una vivacità più contenuta nel rivederlo. Infine si dedicò a Martha, strillando un "Nonna!" di pura delizia che echeggiò in tutto l'appartamento. Non aveva mai nascosto di essere fortemente affascinato da lei, forse per via del suo modo di fare sopra le righe e i gioielli stravaganti.
"Ciao, piccolo. Sei pronto a uscire? In questa casa nessuno sa pettinarti come si deve, lascia fare a me". Gli passò una mano tra i capelli, rovinando tutti gli sforzi che Castle aveva compiuto per domarli.
"Nonna?", le domandò suo padre allibito, dopo esserle avvicinato senza farsi notare. Doveva essere rimasto confuso da quell'accoglienza caotica, molto diversa da quella a cui era abituato.
Martha lo sentì e si voltò nella sua direzione. "Piacere, sono Martha Rodgers, la madre di Richard. E lei deve essere il padre di Katherine, è un piacere finalmente incontrarla", chiosò la donna, avvolta dal solito intenso magnetismo che sprigionava ovunque andasse, con disperazione di Castle. Lei la trovava adorabile, lui decisamente meno.
Suo padre sposò la linea di Castle. Non fu affatto impressionato dallo charme che Martha riversò generosamente su di lui, si limitò a stringerle la mano con un sorriso di circostanza che lei conosceva molto bene. Significava che avrebbe usato maniere impeccabili, ma si sarebbe ritirato non appena le circostanze glielo avessero permesso.

"È Tommy ad aver deciso di chiamarla così...", si giustificò esitante, sentendosi involontariamente colpevole per aver lasciato correre un'evidente mancanza di rispetto nei confronti dell'unico nonno ufficiale.
Nei piani che aveva accuratamente predisposto insieme a Castle, Jim avrebbe dovuto farsi vivo per ultimo e solo dopo che Tommy fosse uscito, per evitare quel genere di inciampo diplomatico. Purtroppo aveva sottostimato la prudente propensione di suo padre nell'onorare gli appuntamenti con largo anticipo.
"Suvvia, Jim, non sia permaloso. In che altro modo avrebbe dovuto rivolgersi a una vecchia signora? È più semplice così. E in fondo potrei benissimo essere sua nonna. Le assicuro che nessuno intende scalzare il suo ruolo legittimo, non si preoccupi".
"Non mi preoccupo affatto..."
Suo padre non era bravo a mentire, non lo era mai stato. Si vedeva benissimo che non aveva digerito l'idea di essere stato spodestato dal ruolo di idolo indiscusso del nipote, a favore di una donna che era il suo esatto contrario e che a un primo impatto non apprezzava particolarmente.
Nonostante avesse ricominciato a uscire e lavorare in ufficio, non si era ancora ripreso del tutto dall'incidente in cui era stato coinvolto. Gli improvvisi cambiamenti a cui il loro piccolo nucleo familiare era stato sottoposto, se pure positivi, dovevano averlo scombussolato più del previsto.

"Alexis e Martha si sono gentilmente offerte di occuparsi di Tommy stasera", intervenne di nuovo, per sedare gli animi arruffati.
"Che bella notizia", esclamò Jim unicamente a beneficio del nipote. "Dove andrete?", si informò poi con educazione, anche se lei colse perfettamente il tentativo di estorcere maggiori informazioni senza darlo a vedere.
"In questa famiglia non sveliamo i nostri segreti, mi dispiace", annunciò Martha enigmatica, prendendo Tommy per mano per condurlo verso la porta.
Di quel passo suo padre sarebbe stato presto vittima di un colpo apoplettico. Si accorse di aver irrigidito le spalle nell'attesa di vederlo precipitarsi a strappare il nipote dalla rapitrice sotto mentile spoglie che si era fregiata di un titolo non suo e che lo stava portando verso la perdizione.
"Sta scherzando, papà. Io e Castle siamo a conoscenza dei loro progetti e li abbiamo approvati". Le veniva da ridere anche solo a doversi esprimersi in modo tanto solenne. Chi l'avrebbe mai detto che si sarebbe trovata a dover dirimere una faida divampata improvvisamente tra due nonni?

"Nonno Jim, vuoi venire con noi?"
Il visetto di Tommy che si levò preoccupato verso di lui sembrò far intuire all'uomo che era necessario tenere per sé le proprie opinioni. Provò il solito impeto d'amore per quel bambino tanto sensibile da accorgersi invariabilmente dei cambiamenti di umore delle persone a cui voleva bene.
"È molto cortese da parte tua invitarmi, ma devo sbrigare alcune con cose con Rick e tua madre. Divertiti".
Tommy non sembrò essere rassicurato dalle sue parole, che, in effetti, non avrebbero ingannato nessuno.
"Posso venire a dormire da te stanotte? Possiamo dormire tutti da te?", gli chiese ansiosamente, convinto a quel punto di aver fatto qualche grave torto al nonno, che si stava comportando in modo tanto incomprensibile.
Dopo qualche istante di silenzio stupefatto per l'uscita avventata, scoppiarono tutti a ridere. Era il momento di prendere in mano la situazione. Si abbassò per guardare Tommy negli occhi, ancora velati dal timore di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver involontariamente ferito. Avrebbe voluto abbracciarlo.
"Ognuno dormirà a casa propria, Tommy. Ricordi che cosa ti dico sempre? Non puoi invitare le persone ovunque senza che io e Rick ti diamo il permesso". C'era stato qualche incidente di quel tipo, in effetti. In quanto a stravaganza, potevano vantare anche loro una nutrita rappresentanza.

Finalmente la combriccola uscì di casa, dopo numerosi saluti, ripensamenti e promesse di rivedersi – suo padre aveva fatto buon viso a cattivo gioco con un po' più di impegno.
"Un bicchiere di limonata, Jim?", propose Castle. "Mia madre può essere difficile da digerire al primo impatto".
Erano quelli i tratti che amava più di lui. L'innata gentilezza e la capacità di leggere le situazioni in ogni loro sottigliezza. Doveva esserci accorto delle difficoltà di suo padre ed era andato subito in suo soccorso, ricordando nel frattempo che non era il caso di offrire degli alcolici.
"Dell'acqua andrà bene, grazie Rick", rispose prendendo posto al tavolo in salotto, dove, senza perdere ulteriore tempo – conoscendolo, doveva ritenere che se ne fosse sprecato fin troppo - sparpagliò i numerosi documenti che estrasse dalla sua borsa. "Pronti per cominciare?"
Fece cenno a Castle di interrompere il rifornimento di libagioni e gli indicò di sedersi a sua volta. Gli prese una mano sotto il tavolo, in preda all'angoscia per le notizie che il padre avrebbe loro comunicato. Era il momento della verità, quello su cui aveva cercato di non assillarsi per non farsi fagocitare da oscuri timori sulle reali intenzioni di Josh.

"Come premessa, voglio sottolineare di nuovo che il diritto familiare non è il mio ambito d'azione. Per questo motivo vi consiglio di contattare una mia collega, molto più esperta di me". Allungò verso di loro un biglietto da visita, che lei prese senza riuscire a leggere quello che c'era scritto. Le lettere si confondevano davanti ai suoi occhi. "Nel frattempo ho studiato un po' la situazione e mi sono fatto qualche idea".
Annuirono entrambi, come due attenti scolaretti che non volevano perdersi nemmeno una parola.

Jim si rivolse a lei. "Da quel che mi hai raccontato al telefono, credo di aver capito che il padre notoriamente assente abbia avuto un rigurgito di coscienza nei riguardi del figlio che vive nella parte civilizzata del mondo, quella che di solito disprezza. Mi chiedo a che cosa dobbiamo tanto improvviso interesse per le sorti di un bambino di cui stenta a ricordare il nome completo". Le lanciò un'occhiata severa. "È da quando è nato che insisto perché tu prenda provvedimenti per la sua tutela. Se non fossi sempre stata indulgente con quell'uomo non saremmo arrivati a questo punto".
Avvertì la solita, vecchia tensione farsi strada in lei. Non era la prima volta che discutevano dell'argomento e quasi mai con toni pacifici. Jim non aveva mai nascosto il suo totale disprezzo nei confronti di Josh, fin dal giorno in cui era stata costretta suo malgrado ad annunciargli una gravidanza che si era prospettata solitaria e complicata fin dall'inizio.

Per due persone che erano sempre andate piuttosto d'accordo, almeno da quando lei aveva superato il turbolento periodo adolescenziale, era stato sgradevole dover gestire quel loro dissidio che non si era mai ricomposto, era solo rimasto a covare sotto la superficie, pronto a riesplodere ogni volta che veniva accidentalmente sfiorato. Sapeva che suo padre la considerava troppo nobile d'animo – e non nel senso migliore del termine – perché, per riassumerlo con parole sue, concedeva a Josh di fare quello che gli pareva, purché ogni tanto ricordasse di avere un figlio. Lei non era d'accordo con questa visione della questione, la trovava svilente per sé e soprattutto per Tommy.
Il suo comportamento nel corso degli anni era stato frutto di una scelta molto ragionata e non era dovuto alla sua debolezza nei confronti di Josh, come invece tutti sembravano credere. Aveva deciso che la soluzione migliore, viste le premesse poco confortanti, sarebbe stata quella di agevolare il più possibile il rapporto tra il bambino e suo padre.
La realtà non era modificabile, Josh non sarebbe mai stato un padre modello e non ci sarebbe mai nemmeno arrivato vicino. Era inutile lamentarsene, imporgli di cambiare, litigare con lui, farsene continuamente esasperare. Se non lo capiva da solo, c'era ben poco che lei potesse fare per indurlo ad agire in modo diverso, più amorevole o altruistico. Né le interessava far da balia a un uomo adulto.
Era stata convinta, almeno fino alle ultime esternazioni, che un padre saltuariamente presente fosse meglio di nessun padre del tutto, e si era adoperata affinché le cose filassero lisce, sorvolando sulle sue molte mancanze per non generare motivi di conflitto. Era Tommy a meritarlo, non certo Josh. Suo padre era sempre stato di diverso avviso, nonostante avesse cercato in ogni modo di fargli capire le proprie ragioni. A conti fatti era lei sua madre, si era detta dopo una lite particolarmente concitata. Avrebbe fatto quello che riteneva giusto.

"Tommy ha il diritto di avere dei genitori che non litighino continuamente tra loro", ribatté stancamente, consapevole che ripeterlo per l'ennesima volta non sarebbe servito allo scopo.
"Questo significa che tu devi sobbarcarti l'intera fatica di crescere un bambino da sola, senza nessun supporto da parte sua? È così che il Signor SalvoilMondo riesce a dormire la notte? Io non riuscirei nemmeno a guardami allo specchio", tuonò Jim picchiando un pugno sul tavolo, gesto che fece sobbalzare Castle, ignaro degli aspetti più infiammabili della personalità di suo padre, soprattutto quando si trattava del nipote.
"Quando nel corso degli anni ti ho consigliato di definire la situazione in modo più concreto, l'ho fatto perché avevo previsto che prima o poi sarebbe arrivato a vantare dei diritti su Tommy, come infatti è successo".
Si sentì tremare. Castle le strinse forte la mano, in silenzio. Apprezzava che fosse lì a sostenerla senza schierarsi apertamente dalla parte del padre. Chissà se la considerava anche lui una sprovveduta.

"Vuole l'affido condiviso, Katie", continuò Jim con una lieve sfumatura di affetto nella voce, provocandole un moto di angoscia. "Conosco bene le espressioni che ha usato durante il vostro colloquio. Scommetto che ha già contattato qualcuno che gli ha consigliato di far leva sulle tue supposte mancanze. Il fatto che non tu non lo metta al corrente di ogni decisione che riguarda Tommy, per esempio, o che tu abbia cambiato il suo domicilio senza informarlo".
"Non lo faccio perché non gli è mai interessato!", si inalberò, colpita nel suo punto debole. Era proprio quello che aveva temuto, di essere finita inavvertitamente dalla parte del torto. Di dovergli qualcosa. Di non poter fingere che non esistesse, come era successo per la maggior parte del tempo e che l'aveva illusa di poter continuare in quel modo. Perché Tommy era sempre stato, in fin dei conti, solo suo. E le era andato bene, almeno finché non era arrivato Castle... "Non ho mai idea di dove sia, mi lascia raramente recapiti e il suo telefono è irraggiungibile. A un certo punto mi sono stancata, papà". Abbassò gli occhi e strinse le labbra. "Come può volere l'affido condiviso? È assurdo, nessun giudice potrà concederglielo. Ha sempre preferito chiunque altro a suo figlio, questo dovrà pur contare qualcosa".

"Lo so e sono d'accordo con te, almeno in teoria. Ma le sue attività benefiche, le onorificenze ricevute e il suo impegno nel voler migliorare le condizioni di vita dei bambini indigenti, curandoli in prima persona e dando loro di che sostentarsi, faranno un'ottima impressione su qualsiasi giudice che dovesse esaminare la vostra situazione. Così come sarà visto di buon occhio il fatto che abbia rinunciato a tutto per tornare a New York per prendersi cura di suo figlio. Sei davvero pronta a condividerlo con lui? Preparati a farlo, perché è lì che vuole condurvi". Jim era granitico nelle sue convinzioni.
"Pensavo fosse possibile continuare come abbiamo sempre fatto", ammise con un filo di voce.
"Quello che avete avuto finora non ricade sotto nessuna categoria legalmente definibile, purtroppo. Lui non si è assunto alcuna responsabilità e tu hai accettato la situazione, senza pretendere niente. Hai lasciato aperta la strada a future rivendicazioni, che verranno fatte passare come necessità di fare ordine in una situazione confusa, che vada a vantaggio del minore".
I suoi peggiori incubi stavano prendendo forma. "Mi stai dicendo che non ho tutelato Tommy?". Aveva sempre creduto di agire perché suo figlio crescesse nel modo più sereno e sicuro possibile, senza pretendere mai niente da Josh proprio per questo motivo. Aveva sperato che bastasse tutto il suo amore per compensare il resto. Ancor più assurdamente aveva creduto che coinvolgere gli avvocati sarebbe stato controproducente.

Sospirò. "Che cosa prevedrebbe l'affido congiunto? Dovremmo lasciarglielo due weekend al mese, durante le vacanze estive e, non saprei, festeggiare il Natale con lui ad anni alterni?"
Si sentì male solo a ipotizzarlo. Come avrebbero mai potuto imporre obblighi del genere a un bambino che aveva incontrato il padre una decina di volte in tutta la sua vita? Era stata lei a tenere viva l'idea che, dopotutto, un padre ce l'avesse anche lui. E adesso i suoi sforzi le si rivoltavano contro?
Non poteva. Non così di colpo. Non dopo quello che era successo l'ultima volta. Né lei, né Castle sarebbero riusciti ad affidarglielo a cuor leggero.
"Non solo. Dovrete prendere decisioni comuni su qualsiasi cosa, soprattutto per quanto riguarda...", si fermò e recuperò gli occhiali dal taschino della giacca. "La salute, l'educazione e la sua istruzione", lesse dai suoi appunti. "Ha già iniziato a farlo, giusto? Ha messo in discussione le tue scelte educative. Sono sicuro che non sia stato un caso".

A quel punto, l'unica cosa per cui era grata era di essersi fermata in tempo e non aver risposto alle sue provocazioni, come aveva spiegato a Castle. Se ne era stata zitta ad ascoltarlo senza reagire, evitando quindi di offrirgli altri motivi per darle battaglia. "E naturalmente qualsiasi aspetto della vita di Tommy, a parte qualche dettaglio di minore importanza, dovrà essere discusso tra voi e attentamente pianificato. Qualsiasi", sottolineò, dando un'occhiata significativa a Castle. "Oltre ad avere il diritto di frequentarlo in modo regolare".
A ogni aggiunta di possibili diritti che Josh avrebbe accampato le sembrava che il loft si rimpicciolisse e le pareti si chiudessero su di lei, imprigionandola.
Ancora sconvolta e presa a rielaborare le ultime informazioni, sopraffatta dal categorico rifiuto che ogni parte del suo corpo urlava all'idea di concedere a Josh anche una sola briciola in più di quello che aveva avuto - e voluto - fino ad allora, avvertì da lontano la voce di Castle domandare sommessamente a suo padre che cosa consigliava loro di fare.

"Chiamate la mia collega il prima possibile, dovete essere preparati. Dal mio punto di vista, che è quello di un avvocato ma soprattutto di un nonno molto coinvolto, credo che dovresti muoverti in fretta e controbattere chiedendo l'affido esclusivo. Non cambierebbe di molto le cose, in realtà – Josh farebbe comunque parte della sua vita e molte decisioni dovreste prenderle insieme –, ma almeno non dovresti consultarlo per ogni scelta quotidiana. Ti avviso che non è così facile da ottenere, anche se, dopo aver studiato la situazione, direi che ci sono motivi molto solidi che motivino una richiesta del genere da parte tua. Non è mai stato presente nella vita di Tommy, a partire dalla sua nascita. Non ha mai pagato nessun genere di mantenimento. Questi sono punti fondamentali".
Castle si lasciò sfuggire un'espressione soffocata. "Non c'era... quando è nato?"
Li guardò entrambi, incapace di trattenere il suo sconcerto.
"No. Ho cercato di contattarlo per giorni e alla fine gli ho lasciato un messaggio. Si è fatto vivo solo qualche settimana dopo".
"Qualche settimana?". Castle era sempre più sbigottito.
"I telefoni avevano problemi di linea, come spesso gli accade", commentò asciutta.
"Ma deve aver indicativamente saputo in cui periodo sarebbe successo, no? Non poteva rendersi almeno raggiungibile? A meno che Tommy non sia nato molto prima del termine".
"Sì, conosceva la data presunta del parto. E Tommy è nato proprio il giorno previsto, nessuna sorpresa", tagliò corto, incapace di andare oltre. Le vennero le lacrime agli occhi nel ricordare come si era sentita pateticamente bisognosa di avere qualcuno vicino durante quell'esperienza travolgente. La loro relazione era già finita da un pezzo, ma a quel punto le era sembrato assurdo che Josh non fosse presente. Non per forza lì con lei mentre spingeva e si dimenava, ma appena fuori dalla stanza, pronto ad accogliere suo figlio che veniva al mondo. Non era andata così. C'era stata solo lei a dargli il benvenuto, e questo era stato solo un amaro assaggio di come sarebbe stato il resto della sua vita. Il giorno dopo era perfino tornata a casa in taxi da sola con un neonato dormiente posizionato nel suo seggiolino nuovo di zecca. Se doveva far da sé, si era detta, rifiutando l'offerta del padre di riaccompagnarla al suo appartamento, tanto valeva iniziare fin da subito.

"Ma non è finita qui", si intromise Jim. Altre brutte notizie? Non era sicura di avere le forze per ascoltarle. "Per quanto mi riguarda, l'affido esclusivo non basta per salvaguardare del tutto il bene di Tommy. Prevedrebbe una presenza ancora troppo ingombrante da parte di quel soggetto". Vide Castle sorridere, senza volerlo mostrare troppo esplicitamente.
"Hai mai pensato a che cosa succederebbe a Tommy se tu dovessi...". Si fermò, gettandola nel panico. "Non c'è un modo delicato per dirlo. Nel caso tu venissi a mancare".
"Papà! Non ti ho fatto venire fin qui per discutere del mio testamento! Sei impazzito?". Era esterrefatta. Chissà che cosa doveva pensare Castle di suo padre che affrontava il discorso della sua dipartita in loro presenza, come se fosse normale avere conversazioni di quel tipo intorno a un tavolo.
"Mi spiace averti turbata, ma è una realtà su cui avresti dovuto avere le idee chiare fin dall'inizio. Fai un lavoro pericoloso e Dio solo sa quante notti insonni ho passato immaginandoti tra le vie di New York impegnata ad arrestare criminali".
"Chiunque potrebbe morire da un momento all'altro, non solo i poliziotti", sottolineò tagliente.
"È vero, ma da un punto di vista meramente statistico non è come se tu ti dedicassi alla coltivazione di fagioli. Capisci anche tu che il rischio è diverso".
Le venne da ridere forte, forse si trattava di una reazione isterica. Castle li avrebbe cacciati tutti di casa convincendosi di avere a che fare con una famiglia di psicopatici.

"A che cosa dobbiamo questo improvviso e per niente morboso interesse per il mio passaggio verso altre dimensioni?"
Jim appoggiò i gomiti sul tavolo, unendo i palmi delle mani. La voce si fece più accorata. "Ti confesso che come nonno mi sono sempre preoccupato del futuro di Tommy in caso di eventi... chiamiamoli definitivi. Sapevo che la mia posizione non mi dava nessun diritto e che non avrei potuto fare niente per evitare che finisse in qualche sconosciuta parte del globo, a meno di non riuscire a convincere suo padre a lasciarlo con me, cosa che non ho mai ritenuto probabile". Le lanciò un'occhiata sconfortata. "Sì, è una cosa su cui mi sono crucciato molto, anche se ti sembra strano, o morboso, come hai detto tu. Non volevo perdere Tommy. Ho fatto parte della sua vita fin dall'inizio e ti ho aiutato a crescerlo. Lui... è tutto per me. Non puoi credere che non mi sia mai posto il problema. Semplicemente, non potevo farci molto e quindi me ne sono rimasto zitto. Ma le cose ora sono diverse".
Spostò la sua attenzione verso Castle, che raddrizzò le spalle, sentendosi interpellato. "Credo che affermare che Rick sia una figura paterna per Tommy a tutti gli effetti e più di quanto lo sia stato il padre biologico corrisponda al vero, giusto?"
Castle si gelò, imbarazzato di fronte a quella definizione pacata e lusinghiera del suo rapporto con Tommy, fatta da un osservatore esterno alla loro coppia, ma coinvolto profondamente nella vita del bambino. Si trattava di una sorta di ufficializzazione del suo ruolo.
"Sì, certo, è come un padre per lui", affermò decisa, per spazzare il campo da ogni dubbio. Castle le rivolse un'occhiata piena di riconoscenza. "Vai avanti".
"Se dovesse capitarti qualcosa, Tommy perderebbe una figura di riferimento importante e, allo stato attuale, non ci sarebbe niente che Rick potrebbe fare per ottenere che Tommy rimanga con lui. La vita di tuo figlio sarebbe sconvolta".

Castle si afflosciò sulla sedia, impallidendo. Avrebbe voluto occuparsi di lui, promettergli che sarebbe andato tutto bene – lei non aveva nessuna intenzione di morire, prima di tutto -, e intanto interrompere suo padre, imporgli di smetterla di snocciolare eventi tragici con una brutalità che li stava devastando, ma capiva che lo stava facendo per Tommy, per loro. "Vuoi che ci prendiamo una pausa?", domandò a Castle, ancora scosso.
"No, no. Sto bene", replicò schiarendosi la voce. "Non preoccupatevi per me".
"Qual è la tua idea, papà?". Doveva averne una per forza, o altrimenti non se ne sarebbe uscito con un discorso tanto sconvolgente.
"Ammetto che non è una cosa facilmente realizzabile e si parla di un percorso molto lungo e irto di ostacoli, ma nel frattempo potete iniziare a rifletterci sopra. E in questo modo l'intero quadro vi sarà chiaro".
"Vuoi togliergli la patria potestà?"
Si sporse verso di loro. "Non esattamente. Si potrebbe far ricorso a un'adozione speciale da parte di Rick, che consentirebbe a Josh di mantenere il legame con il figlio biologico, per esempio il suo cognome, ma darebbe a Rick dei diritti, compreso l'occuparsi di Tommy qualora tu ci lasciassi".
Rimase senza parole. Non solo non era al corrente che esistesse tale soluzione, ma non si sarebbe mai aspettata che suo padre si spingesse fino a quel punto. Lei l'aveva detto scherzando, convinta che si trattasse di un'eventualità non realizzabile. Se solo fosse stato possibile...
"Per ottenerla è necessario però che siate sposati e non so se sia nei vostri progetti o se desideriate farlo... Dovreste, secondo me, a prescindere dall'adozione di Tommy. Prendetelo come un consiglio spassionato".
"Papà! Non sono fatti che ti riguardino e in più non puoi chiedere a un uomo di sposarmi perché sarebbe più vantaggioso burocraticamente".
"Per me va benissimo", intervenne Castle sovrapponendosi a lei. Si voltò a fulminarlo con un'occhiata. "Il problema sarà sempre zittire le tue obiezioni e indurti a dirmi di sì, e se farlo per il bene di Tommy potrà convincerti più facilmente a sposarmi, ben venga ogni suggerimento. Quindi questo dettaglio è risolto. Ci sposiamo. Quali sono le altre condizioni?"

Si trovava nel bel mezzo di due pazzi che prendevano decisioni senza interpellarla e in previsione della sua morte. Ecco qual era il suo posto nell'universo.
Jim scoppiò a ridere. "Mi piace come ragioni, Rick. E, già che ci siamo e per non perdere ulteriore tempo prezioso, ti concedo la sua mano eccetera. Ah, e anche la mia benedizione. Ora andate a comprare le fedi e prenotare una sala, senza aspettare troppo".
"Ci attiveremo subito", lo rassicurò Castle al settimo cielo.
"Voi due non siete normali, spero che ve ne rendiate conto".
Nessuno si curò di darle retta, occupati com'erano con i loro progetti nuziali. Chissà se sarebbero andati insieme a scegliere l'abito per lei, o perfino le bomboniere.
"Come ho premesso, si tratta di un passo decisamente impegnativo e in sostanza definitivo. Serve che Josh vi dia il suo consenso e non lo vedo francamente realizzabile al momento. Oppure che il tribunale autorizzi la procedura al posto suo, causa irreperibilità o incapacità a farlo. Visto che ha già un passato di latitanza, conterei più su questo. Sono sicuro che si stancherà presto di fare il padre modello. Nel frattempo, mi allenerò come padre della sposa".

...

Bentrovate/i a tutte/i
Ho due cose da aggiungere, brevemente.

Tutta la parte legale è stata lungamente studiata e dibattuta da e con una persona che di queste cose se ne intende (il mio Jim Beckett personale versione femminile), che fin dallo scorso novembre, quando questa ff era solo un'idea vaga, mi mandava pdf con le soluzioni alle varie questioni da me poste riguardanti un bambino che in quel momento esisteva solo nella mia testa (era già molto amato). Entrambe abbiamo augurato a Josh la peggiore delle dipartite. La responsabilità di errori nella resa narrativa è però tutta mia.

Grazie per leggere e commentare. Non dirò niente che suoni inutile e retorico su questa seconda ondata e prossimi dpcm in vista che potranno o meno limitare di nuovo i nostri spostamenti e la nostra vita. Credo però, lo credo in generale e forse utopicamente, che stando insieme e facendosi compagnia si possa star meglio (con dei limiti ragionevoli e di buonsenso, ovviamente, non invito ad abbracciarci tutti in piazza al grido di "Volemose bene"). Grazie quindi di esserci e buona settimana. Silvia

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Diciannove ***


19

Non appena si chiuse la porta alle spalle, esausta come se avesse appena concluso una maratona nel deserto, si ritrovò di colpo tra le braccia di Castle, che la avvolsero completamente, attirandola verso il suo petto. Vi si immerse grata, aspirando avida il conforto che da lui emanava senza sforzo. Nonostante stessero insieme ormai da diversi mesi, era per lei sempre fonte di meraviglia rendersi conto di quanto Castle fosse capace di anticipare i suoi bisogni. Sperava di fare altrettanto per lui, anche se temeva di non avere i suoi stessi superpoteri. In quel senso, Castle era inarrivabile.

"Stai bene?", mormorò accarezzandole la schiena.
"Non esattamente", rispose con un sospiro, avvertendo la tensione appesantirle le spalle e aggrovigliarle il cuore. "Usciamo?"
Il massaggio sulla schiena si interruppe. Sorrise, intuendo il suo stupore di fronte a una proposta tanto inaspettata. Decisamente azzardata. A sua discolpa poteva dire di averla espressa di getto, ancora prima di aver finito di formularla.
Non avevano fatto progetti sulla restante parte della serata, non avendo idea di quanto tempo sarebbe rimasto a loro disposizione dopo l'incontro con suo padre, troppo concentrati sulle notizie con cui Jim si sarebbe presentato per pensare di pianificare qualcosa di piacevole che avrebbe riguardato esclusivamente loro due. Purtroppo, era andata peggio delle sue catastrofiche previsioni.

Il senso di colpa l'aggredì, insinuandosi dentro di lei con le solite spire acuminate. Non c'erano altri modi di vedere le cose: quello che aveva fatto per Tommy si era rivelato sbagliato. Era inutile tentare di giustificarsi dicendosi che aveva agito nel suo interesse. Non era così. Se fosse stata più rigida, se lo avesse tutelato maggiormente e fin da subito, Tommy non sarebbe stato costretto a vivere l'incresciosa esperienza con suo padre di qualche giorno prima. E chissà quali altre in futuro.
Chiuse gli occhi, strizzandoli con forza, per scacciare l'amaro miscuglio di rimpianti e condanne che non smetteva di rivolgere a se stessa. Ormai era accaduto e non poteva farci niente. Purtroppo, nemmeno assolversi.

Scacciò un brivido, una specie di presagio infausto che le corse lungo la spina dorsale. Non riusciva a calmarsi, nonostante la sua mente cercasse febbrilmente di fabbricare soluzioni ragionevoli che avrebbero messo a tacere la sensazione di impotenza che la teneva sotto scacco.
Non comprendeva il motivo per cui Josh, di punto in bianco, avesse deciso di darle del filo da torcere. Non avevano stabilito degli accordi in senso stretto, ma era stata convinta che non fare nessuna richiesta le avrebbe garantito di essere lasciata in pace, libera di gestire la sua vita – e quella di Tommy – come meglio credeva.
Lui aveva tutto quello che voleva, giusto? Le medaglie sul petto per il suo instancabile altruismo e un bambino adorabile con cui interagire qualora gliene fosse venuta la voglia. Nessun obbligo. Era spiazzata dal suo repentino voltafaccia e a disagio per non riuscire a cogliere quale fosse la spinta più profonda che lo motivasse a comportarsi in modo tanto inspiegabile.

Con un simile stato d'animo, uscire poteva sembrare l'opposto di quello che il buonsenso avrebbe suggerito a lei e Castle per riprendersi da quell'allarmante riunione a tre. Ma la prospettiva di rimanere a casa a rimuginare, con una cappa di inquietudine a far loro compagnia le pareva deprimente. Ingiusta, soprattutto. Erano stati felici, fino a quel punto. Era andato tutto bene, il trasferimento era avvenuto senza troppi scossoni, si erano abituati in fretta alla loro nuova vita, che aveva avuto ogni intenzione di assaporare fino in fondo. Non sarebbe mai più stata da sola. Ci sarebbe stato qualcuno pronto a condividere tutto con lei, gioie e fatiche. Peccato che la prima cosa che si erano trovati a condividere fosse una sventura del genere.
Aveva bisogno di aria, di respirare leggerezza. Di non farsi opprimere da scenari disastrosi che era tanto brava a creare vividamente nella sua mente da quando era diventata madre. Se lo meritavano. Forse non sarebbe stato semplice mettere da parte l'apprensione per quello che avrebbero dovuto affrontare di lì a breve, ma ci avrebbero provato.
Ci sarebbe stato tutto il tempo per farsi rovinare l'umore rimuginando sulle prospettive che erano state menzionate, nessuna delle quali favorevole a Tommy, o che tenesse conto di chi era realmente. Un essere umano con delle proprie necessità e una sua dignità invalicabile, che in nessun caso poteva essere considerato come un pacco, o il capro espiratorio di una guerra che lei per prima non comprendeva e non aveva mai inteso combattere.

"Sei sicura? Non vuoi ordinare qualcosa da mangiare qui al loft, noi due da soli?", le domandò Castle con la cautela che avrebbe usato con una squilibrata che gli si fosse improvvisamente presentata alla porta.
Il padre aveva rifiutato il loro invito a cena – espresso a onor del vero senza troppa convinzione – adducendo la scusa di un precedente impegno. Conoscendolo, dubitava che fosse la verità. Era più probabile che si fosse accorto che avevano bisogno di tempo in solitudine per metabolizzare gli eventi. Nonostante le avesse combinato un matrimonio a sua insaputa, gli era grata per la sua sensibilità.

Gli afferrò le braccia e se le appoggiò sui fianchi. "No, voglio cenare con te in un posto che sia lussuoso e molto, molto romantico. Per una volta hai il permesso di dar sfogo alle tue solite idee grandiose. Abbiamo qualche ora prima che tua madre e Alexis riportino Tommy a casa".
"Credevo che la giornata di oggi ti avesse prosciugato ogni energia. Direi che è stata... notevole".
"Non abbastanza da farmi rinunciare al nostro appuntamento".
"Non avevano nessun appuntamento..."
Perché era tanto reticente? Non si lamentava forse sempre che fosse lei l'osso duro, quella difficile da convincere?
"Lo abbiamo adesso". Lo baciò sulle labbra. Forse così il concetto sarebbe stato finalmente chiaro e lui avrebbe smesso di fare obiezioni. La prospettiva di trascorrere la serata con lui le parve elettrizzante, tutto a un tratto. Non se ne sarebbe lamentata apertamente – avevano troppo di cui essere felici –, ma le mancavano i loro momenti a due, azzerati dalle incombenze che il trasloco aveva comportato e la voglia di passare con Tommy più tempo possibile, per farlo abituare con naturalezza alla nuova situazione.

Castle ricambiò il bacio, facendole scorrere le mani sulla sua pelle nuda, sotto la maglietta. Rabbrividì. Forse la cena non era una priorità così impellente. Forse non era nemmeno una priorità, a quel punto.
Gli passò le dita sulle labbra, accarezzandole piano e poi scese a slacciargli lentamente i bottoni della camicia, uno dopo l'altro, continuando a guardarlo negli occhi.
"Però possiamo tardare qualche minuto, a meno che tu non abbia molta fame". Si ritrasse da lui, che tornò subito a colmare la distanza tra loro, facendo aderire i loro corpi.
"Definisci fame", le sussurrò all'orecchio, pronto a trascinarla nella loro nuova camera da letto, arricchita da tocchi personali che lei stessa aveva disseminato. Non aveva voluto stravolgere l'arredamento e il risultato era una fusione armoniosa delle loro personalità - così aveva commentato Castle quando gli aveva mostrato il prodotto dei suoi sforzi.
Ridacchiò sentendo la sua bocca scenderle lungo il collo. "Voglio comunque uscire a cena... più tardi", insistette fingendo di opporre resistenza, prima di annullare del tutto il suo diritto a esercitare qualche forma di controllo su quello che lui le stava facendo.

...

Lo voleva davvero? Si chiese oziosamente quando quel più tardi si palesò nella sua ineluttabilità. Non sarebbe stato più semplice lasciare che le ore scorressero lente, distesa sopra di lui e facendosi cullare dal battito del suo cuore, che era stato dapprima accelerato e poi sempre più lento e rassicurante, con la sua mano a muoversi leggera tra i capelli? Era tutto quello che le serviva per riappacificarsi con la realtà, la sua perenne fonte di energia, il motore sempre acceso che dispensava amore e calore. Ora ne aveva bisogno più che mai.
"Vuoi dirmi che sei pronta a lasciare tutto questo...", Castle si inserì nelle sue riflessioni e fece un gesto eloquente che mise in crisi le sue certezze. "Per startene in mezzo alla gente? Vestita?"
Scoppiò a ridere. Avrebbero dovuto necessariamente vestirsi, a meno che le regole della società civile non fossero cambiate in loro assenza – chissà quanto tempo era passato - e la prospettiva era in effetti piuttosto frustrante.
Gli fece scivolare le dita sulla pelle fino a fargli il solletico. "Ti stai impigrendo, Castle?"
Le bloccò la mano e la sollevò per baciarle l'interno del polso. "Moltissimo, se questo è il tuo concetto di pigrizia".
Rotolò lontano da lui, per non cedere alla tentazione del suo corpo invitante sotto le lenzuola. "Forza, vai a prepararti", lo spronò lanciandogli la camicia che recuperò dal pavimento. Anche i suoi vestiti dovevano essere finiti lì a terra da qualche parte. Non ricordava a che punto li avesse persi e se fosse stata lei o Castle a farli sparire.
"Possiamo almeno fare la doccia insieme? Molto, molto rapidamente? Poi ti prometto che ti porterò ovunque tu voglia". La prese per una mano e la tirò di nuovo verso di sé, nonostante le sue accese proteste. "Sprecheremmo molto più tempo facendola separati", tentò di convincerla baciandola di nuovo, trattenendola per impedirle di andarsene. Di quel passo non sarebbero mai usciti di casa, pensò prima di arrendersi alla sorte, sotto forma di piccoli brividi che si diffusero in tutto il suo corpo.

...

Nonostante le probabilità fossero state contro di loro, erano riusciti a rendersi presentabili e a lasciare il loft senza ulteriori ritardi. Castle era stato di parola, la doccia era stata rapida, in un certo senso. Avvampò, ripensandoci. A un certo punto, tra i vapori che le avevano annebbiato la mente, aveva perfino giudicato i suoi piani per il resto della serata più il frutto di una pretesa ostinata che un motivo valido per costringerli a interrompere quello a cui si stavano dedicando con notevole soddisfazione.

Era stato Castle a occuparsi della scelta del ristorante, dall'auto. Era lui di solito a farlo. Era uno dei tanti, piccoli modi concreti con cui amava prendersi cura di lei, grazie all'attenzione che metteva nello scovare il luogo più adatto alle sue richieste del momento.
Anche questa volta non aveva fatto eccezione. La vista dall'alto sulla città era magnifica, la musica in sottofondo rilassante e perfino il brusio che si levava dagli altri tavoli non rovinava l'incanto della reciproca compagnia. Forse era lei a essere diversa. La tensione era scemata e si sentiva emozionata come se fosse il loro primo appuntamento, ma molto più innamorata di allora.
Sorrise radiosa a Castle, seduto di fronte a lei. Allungò una mano e la posò sulla sua. Si godette la sensazione meravigliosa di amarlo e di essere a sua volta da lui amata.

"Se stai per dirmi che dobbiamo parlare, lasciami prima adottare tuo figlio, come ci ha consigliato tuo padre", la interruppe, gelandola e riportandola bruscamente a terra.
"Come... Perché credi che ti debba parlare?"
"Per nessun altro motivo avresti insistito per trascinarmi fuori dal loft se non per affrontare questioni spinose, che temevi rovinassero l'atmosfera del nostro sacro talamo".
Come gli venivano? Dovette frenarsi dallo scoppiare a ridere. "Per talamo intendi il nostro letto?"
"Che di solito non sei tanto propensa ad abbandonare".
Aprì la bocca, iniziando a formulare delle frasi per replicare a tono, ma nessuna le sembrò adeguata. Finì per fissarlo con uno sguardo truce che lui sostenne fino alla fine.
"Va bene, d'accordo. Volevo trascorrere una serata con te – quello che ne rimane, almeno -, ma ci sono alcune cose di cui vorrei... discutere". Aveva omesso volutamente il termine parlare, che aveva il curioso potere di metterlo sulla difensiva.
"Non preferisci ballare?"
"Sembra quasi che tu sia disposto a tutto pur di non stare ad ascoltarmi", commentò tenendosi volutamente leggera, ma non del tutto tranquilla.
"Non voglio ricevere altre pessime notizie", commentò asciutto, dispiegando il tovagliolo in grembo con gesti misurati, per evitare di incrociare i suoi occhi.
Quella risposta molto diretta, per niente tipica di Castle e del tutto fuori luogo rispetto alla gioiosa leggerezza che avevano condiviso nelle ultime ore, la scombussolò. Lo osservò meglio. Non stava scherzando. Era convinto che lei stesse per comunicargli qualche altra novità sgradevole, come se non ce ne fossero state già abbastanza.
"Che cosa potrei dirti di peggio di quanto ci ha appena comunicato mio padre?"
"Io riesco a farmi venire in mente diverse alternative", replicò con prontezza.
C'era decisamente qualcosa che non andava, realizzò attonita. E Castle non intendeva facilitarle il compito spiegandole di che cosa si trattasse.

"Per esempio?"
Fu costretta a domandarglielo, anche se aveva il sospetto che quello che sarebbe seguito non sarebbe piaciuto a nessuno dei due.
"Ordiniamo?"
Castle cambiò argomento, rivolgendole un sorriso privo di calore che servì a farle capire che si era ormai rinchiuso dentro la sua solita fortezza impenetrabile, sotto un'apparenza di impeccabile cortesia. Stava imparando a conoscerlo nelle sue molteplici sfaccettature, ben nascoste sotto l'apparenza estroversa e bonaria. Nonostante fosse lei quella notoriamente più chiusa, meno avvicinabile, era lui quello di cui la gente arrivava a sapere poco nulla, anche se la sua vita veniva data in pasto al pubblico da anni. Ma non nei suoi aspetti più intimi, più vulnerabili. Quelli che bisognava essere bravi e tempestivi a cogliere.

"Castle, è tutto il giorno che sei strano, a partire dalla tua scenata di gelosia, in ufficio da me. E lo sei ancor di più adesso con questi incomprensibili discorsi. Che cosa temi che possa dirti? Che non voglio sposarti o che non voglio farti adottare Tommy? È come se ogni tanto non fossi sicuro... di noi", concluse con un tuffo al cuore.
Castle non rispose, convincendola a quel punto che la situazione stesse precipitando. Reagì irritandosi. Non aveva bisogno di questo. Di incertezze. Non quando dovevano affrontare un conflitto reale con Josh, che si prospettava lungo e difficoltoso, come aveva sostenuto suo padre. I battiti accelerarono in modo convulso, rimbombandole nelle orecchie, rendendole impossibile trovare qualcosa che riempisse quell'orribile silenzio sceso all'improvviso tra loro.
"Ammetto di avere esagerato stamattina e per questo ti chiedo scusa", esordì Castle dopo qualche paralizzante minuto di mutismo. "Sono solo stato colto alla sprovvista dal fatto che tu abbia accettato di pranzare con lui, ecco tutto. Credevo che non aveste nessun tipo di rapporto".
"Non ce lo abbiamo, infatti", replicò risentita. Dovevano davvero tornare su quell'argomento? Non ne avrebbe avuta la pazienza necessaria, non dopo quell'infernale giornata. Onestamente, era chiederle troppo.
"Io però non ne avevo idea, anche se dopo aver ascoltato tuo padre molte cose si sono chiarite", continuò lentamente, come se stesse scegliendo con cura le parole.
"Mi stai dicendo che non ti fidi di me? Che hai bisogno che mio padre confermi la mia versione?"
Fu sopraffatta dalla rabbia e dall'umiliazione. Voleva piantarlo in asso.

Castle le scosse gentilmente il polso. "Ehi, mi dispiace. Non è stato uno dei miei momenti migliori, me ne rendo conto. Ho reagito in modo avventato. Sono solo confuso e non capisco che cosa stia succedendo. Prima il tuo ex era lontano e noi avevamo la nostra vita. Eravamo solo noi tre, tu, io e Tommy. All'improvviso è tornato e me lo ritrovo ovunque. Ti invita fuori. Vuole passare più tempo con Tommy. Vuole addirittura dividerne la cura con te, come non ha mai fatto. Kate, si sta insinuando tra noi, non lo vedi? E io... in tutto questo sono l'anello debole. Vivo con Tommy, lo porto a scuola, lo cullo quando non vuole addormentarsi, gli preparo la cena, ma non conta niente. Ha ragione tuo padre, io non ho diritti su di lui. Non so quanto dovremo dividerlo con lui, se non stia addirittura pensando di portacelo via. E soprattutto, non so che cosa voglia da te".

"Non importa che cosa vuole da me, perché io amo te". Lo guardò dritto negli occhi. "E se questo non ti basta, non c'è molto da aggiungere".
"Kate...", la implorò abbattuto, come se la sua ultima affermazione non avesse sortito nessun effetto, di certo non quello che si era aspettata. Si infuriò. Non aveva nessuna intenzione di essere indulgente con quelle che erano a tutti gli effetti delle paure infondate, ingigantite dalla sua insicurezza.
"Non avrei rapporti con lui, se non condividessimo un figlio". Aveva alzato la voce, ma non le importava. "Mi sorprende che tu non te ne renda conto e sprechi del tempo a essere geloso di lui, quando sai benissimo che ci sono molte più probabilità che io fugga con uno sconosciuto che di avere un ritorno di fiamma con lui". Come aveva fatto ad andare tutto a rotoli? E come poteva una giornata che si era già mostrata tanto ostile, essere ulteriormente peggiorata?

Il silenzio tra loro tornò a farsi ingombrante. Avrebbe voluto scrollarlo e imporgli di tornare l'uomo ragionevole che non si faceva spaventare dai fantasmi.
"Kate, io non so niente di lui. Non so come sia andata tra voi in passato. So che vi siete lasciati molto presto, prima ancora che Tommy nascesse. So che non è granché come padre, di questo sono stato testimone e gli ultimi eventi sono solo l'ennesima dimostrazione della sua incapacità di essere un genitore come si deve. Ma tu ti rifiuti di parlare del resto, della vostra relazione".
"Non mi rifiuto affatto. È solo che c'è ben poco da dire a riguardo", commentò laconica, senza aggiungere altro. A che cosa sarebbe servito? Non le avrebbe comunque dato retta. Forse aveva bisogno che suo padre garantisse per lei.
"So che adesso sei arrabbiata con lui per come tratta Tommy, e direi che ne hai ogni motivo - nemmeno io posso vantare di avere ottimi rapporti con le mie ex mogli – ma rimarrà comunque il padre di tuo figlio, ci sarà sempre un legame speciale tra voi. E immagino che a un certo punto tu abbia trovato qualcosa in lui che ti ha spinto a frequentarlo, che ti abbia fatto innamorare e che il vostro rapporto, prima che degenerasse, sia stato..." Lottò per trovare la parola giusta. Decise di aiutarlo.

"Non è stato niente", intervenne in tono mesto. "Noi..." abbassò gli occhi. L'irritazione lasciò il posto alla tristezza, mentre si accingeva a raccontargli particolari che non avrebbe mai voluto rivelare a nessuno. "Ci siamo conosciuti durante una mostra al museo. Era una sera d'estate, io ero uscita presto dal distretto e non avevo voglia di tornare subito a casa. Ci siamo fermati di fronte allo stesso quadro, lui ha fatto un commento su un dettaglio del dipinto, qualcosa su come il pittore era riuscito a rendere vivido il tessuto indossato dalla donna rappresentata grazie all'uso sapiente della luce. Abbiamo continuato a chiacchierare di arte e di libri, una volta fuori di lì. Mi è sembrato molto diverso dagli uomini che incontravo di solito, meno superficiale, più stimolante. Abbiamo iniziato a uscire insieme, anche se lui era spesso lontano da New York e adesso credo che fosse quello l'aspetto che mi piaceva di più. Che non ci fosse. Mi dava modo di continuare la mia vita senza farmi coinvolgere troppo. Non sono mai stata troppo brava in quello, non sono mai stata capace... in realtà non mi sono posta troppe domande, mi andava bene così. Non la definirei nemmeno una relazione, non è stato niente di importante, niente di paragonabile a... noi", concluse cercando di controllare il tremito della voce.

Prese fiato. "Sì, è il padre di mio figlio, come hai detto tu, ma questo non significa che io provi qualcosa per lui, che ci sia qualcosa di speciale tra noi. Lo è diventato per puro caso, non per scelta e sicuramente non per mia volontà. Ho avuto un bambino da un uomo che non amavo. Non ne sono orgogliosa, ma è la verità. Adesso conosci tutti i miei segreti", confessò, oppressa da tutta la tristezza che non si era mai concessa di esternare. Era quella l'origine delle sue sofferenze, delle critiche spietate che rivolgeva a se stessa. Non era giusto. Non era giusto essere stata così poco accorta. Non quando le conseguenze le avrebbe pagate un piccolo essere umano indifeso che non aveva colpe.

"Devi invece essere molto orgogliosa per come hai cresciuto Tommy".
Si concesse un sorriso amareggiato. "Non voglio distruggere le tue illusioni, ma quando il test è diventato positivo ho avuto più di un dubbio sul proseguire o meno la gravidanza". Voleva essere onesta fino in fondo, anche a costo di apparirgli brutale. "Non perché non lo volessi o avessi altri progetti che non contemplavano la presenza neonati. Quello sarebbe stato il meno. Come potevo caricarlo di un peso del genere già alla nascita? Josh non era una persona affidabile nemmeno come partner, lo sarebbe mai stato per un bambino? Sarei bastata io? Me lo chiedo ancora".
"Hai fatto molto di più che bastargli, Kate". Fece una pausa. "Sei stata magnifica, è sotto gli occhi di tutti".
Guardò lontano, oltre il parapetto. "Spero che adesso sia chiaro una volta per tutte perché non devi preoccuparti di Josh. Preoccupati piuttosto di come convincerlo a lasciarci in pace".
"Un sacco nero e una pietra da mettergli al collo sono tutto quello che mi serve. Insieme alla tua complicità".

Appoggiò la forchetta sul piatto. Le era passata la fame. Nemmeno il suo tentativo di farla ridere aveva fatto breccia. Rivangare ricordi penosi di un passato ancora da metabolizzare significava tornare ad abbeverarsi alla fonte di un veleno di cui non aveva ancora trovato l'antidoto. Per questo evitava di parlarne, di pensarci lei stessa per non infilarsi in una spirale che l'avrebbe tenuta prigioniera per giorni. Non aveva ancora imparato a non farsene travolgere, anche se di solito era lei l'unica a farne le spese. Le spiaceva aver coinvolto Castle.
Si domandò se avesse senso rimanere, fingere di stare bene, di divertirsi. Era stata così inebriata di endorfine quando era arrivata, così convinta che sarebbero comunque riusciti a godersi la serata. Era stato un errore, e lei solo una stupida.

"Balliamo?"
La voce di Castle le giunse da lontano, senza riuscire a distrarla dai suoi cupi pensieri.
"Dicevi sul serio allora", commentò, ancora sulle sue.
"Sono sempre serio nelle proposte che ti riguardano", le fece l'occhiolino, ma non riuscì a risollevarle il morale.
Accettò. Era troppo stanca per opporsi, preferì seguire la corrente, sopraffatta da un'invincibile apatia fisica e mentale.
Si lasciò cullare dalle braccia di Castle e dalla musica. C'erano solo un paio di altre coppie oltre a loro, ma non le importò. Chiuse gli occhi.
"Scusami, non so che cosa mi sia preso", sussurrò Castle. "Il fatto che sia tornato mi ha mandato in panico", mormorò. "Ti prometto che non ne parleremo più, mi spiace averti turbata inutilmente".
"Non sospetterai più che voglia fuggire con lui su una zattera? Per acclimatarmi meglio al tipo di vita che sembra preferire, palafitte e tutto il resto".
Invece di cogliere l'occasione per fare una delle sue battute, Castle rimase zitto e la fissò a lungo negli occhi, con uno sguardo accorato che la disorientò, facendole temere che ci fosse ancora qualcosa di irrisolto tra loro. "Katherine Beckett, vuoi sposarmi?"
Il sollievo che la inondò le regalò anche l'impulso irresistibile di lanciarlo di sotto, l'altezza dell'edificio era tale da rendere impossibile ritrovarlo tutto intero. Poi scosse la testa e sorrise.
"Hai già l'anello, vero? Scommetto che se mi mettessi a frugare nelle tue tasche troverei una bella sorpresa nascosta dentro a una scatolina di velluto. E chissà da quanto tempo se ne sta lì".
"Le tue capacità investigative non finiscono di sorprendermi, Capitano. Hanno fatto bene ad affidarti un intero distretto".
"Sei piuttosto facile da leggere, te lo ha mai detto nessuno?"
"Non con la tua stessa grazia. In ogni caso voglio rassicurarti che la mia non era una proposta ufficiale".
"Vuoi sposarmi mi pare una proposta piuttosto esplicita".
"Niente affatto. Mi preme solo di sapere la tua opinione sull'argomento, in senso generale".
Stette al gioco.
"Capisco. È una specie di sondaggio, quindi?"
Castle annuì con vivacità.
"Quand'è così, posso dirti che il mio punto di vista..."
Non la lasciò finire di parlare. Si fermò in mezzo alla pista e le strinse le braccia con forza. "Sì, è una proposta. Voglio sposarti, Kate. E voglio costruire una famiglia insieme a te. Con Tommy e... chiunque altro vorrà aggiungersi".
"Non sapevo avessi idee tanto liberali. Io opterei più per una versione tradizionale, preferirei non avere sconosciuti seduti a far colazione con noi e i nostri figli, al mattino. Sai che il mio umore non è dei migliori a quell'ora".
"È perché il risveglio accentua quella tua vena tirannica...". Si fermò. "Hai detto figli? Plurale?"
"Intendevi aumentare la famiglia aprendo la nostra casa ai passanti? Perché io avevo in mente di fare alla vecchia maniera".
La scosse con fare concitato. "È un sì? Stai accettando?"
Frenò subito i suoi ardori. "No, certo che no, non farti strane idee. Voglio una proposta in piena regola, non un censimento telefonico. Ma non trovo l'idea assurda, nonostante venga da te. O da mio padre, che sa uccidere il romanticismo come nessun altro al mondo".
"Allora possiamo... pensarci? A tutto?"
Appoggiò la guancia sul colletto della sua camicia che profumava di bucato, provando una felicità bizzarra, inafferrabile e insieme potente, che si stava insinuando dentro di lei travolgendo tutti gli ostacoli.
"Possiamo pensarci", sussurrò inspirando boccate di amore nei suoi confronti.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Venti ***


20

Castle si svegliò molto più tardi del solito, quel mattino.
Il passaggio dal sonno a uno stato di presenza appena sufficiente a farlo funzionare fu brutale, come se la sua coscienza ritenesse che poltrire a letto non fosse moralmente accettabile. Dovevano essere vecchie reminiscenze della sua infanzia che curiosamente saltavano fuori quando lo stress oltrepassava il livello di guardia, senza che lui fosse in grado di frenarne la corsa. Aveva il collo dolorante – doveva aver assunto a lungo una posizione che i muscoli cervicali non gli avrebbero perdonato – e un mal di testa incipiente. Dubitava che del caffè, se pure assunto in dosi eccezionalmente elevate, avrebbe migliorato le cose, ma ne bramava l'effetto rigenerante almeno per dissipare la sensazione vischiosa che l'intontimento gli procurava.

Era sabato, quello riuscì a stabilirlo. Grazie a un ulteriore sforzo mentale ricordò che Kate era uscita presto per un'emergenza al distretto – un'evenienza che avveniva di rado e che si era incuneata spiacevolmente nei loro programmi del fine settimana.
Appena prima dell'alba il trillo inaspettato del telefono lo aveva fatto sobbalzare in modo violento, nonostante Kate avesse reagito con una prontezza invidiabile e si fosse allontanata in silenzio per non disturbare la quiete della casa e dei suoi abitanti.
Stoicamente, l'aveva seguita in cucina con lo spirito di un bradipo appena investito da un tifone – sperando però di apparirle almeno adorabile nello stato confusionale in cui versava- e si era messo in moto per prepararle la colazione o almeno una versione vagamente riconoscibile, senza rammentare di preciso se fosse riuscito nel suo intento. Il loft non era andato a fuoco, quindi non aveva combinato disastri. Dopo averla salutata con un bacio – lei traboccante di un'energia che pescava da una fonte ignota, lui a un passo dal tracollo –, si era trascinato verso la loro stanza e si era accasciato sul letto privo di sensi.
Era stata una notte turbolenta, se questo poteva servire come attenuante. Ci avrebbe in messo in mezzo anche l'età, che di certo non aiutava. La sua precedente esperienza paterna lo aveva visto molto più giovane e aitante, soprattutto abituato a fare le ore piccole. Nel frattempo dovevano esserglisi sfalsati tutti i bioritmi.

Tommy era disteso accanto a lui profondamente addormentato, con ancora il segno delle lacrime sul viso arrossato.
A un punto indefinito della notte appena trascorsa li aveva svegliati urlando – loro e l'intero caseggiato – per colpa di un brutto sogno. Smarriti e tachicardici, si erano precipitati nella sua stanza per soccorrerlo e tranquillizzarlo, senza di fatto riuscirci.
Nonostante le ripetute richieste, Tommy si era rifiutato di condividere con loro il contenuto dell'incubo che lo aveva atterrito. Se ne era rimasto tremante a fissare un punto sul muro davanti a lui, senza mostrare di essere cosciente della loro presenza, spaventandolo a morte. Incurante dei loro tentativi di calmarlo, aveva continuato a sfogare il suo malessere con strilli sempre più acuti. Era stato inconsolabile a lungo.

Avendo iniziato nel tempo a percepire i malesseri del bambino come se fossero i propri, Castle si era sentito scosso dagli stessi brividi di terrore, che lo avevano convinto che Tommy stesse vivendo un'esperienza terrificante e fosse incapace di distinguerla dalla realtà. Si era subito offerto di rimanere nella sua stanza fino al mattino, per essere presente nel caso in cui il dramma si fosse ripetuto, anche se sperava con tutto il cuore che non accadesse. Nessuno sarebbe riuscito a tenerlo lontano dal bambino, nemmeno la minaccia di un intervento armato, che era certo sarebbe presto arrivata. Nella concitazione del momento, lo aveva sfortunatamente detto ad alta voce.

Il letto di Tommy non era grande abbastanza per contenerli entrambi, aveva fatto notare seccata la voce della ragione, sconcertata quanto lui – non erano episodi che capitassero spesso, gli aveva confidato –, ma meno portata al melodramma. Era stata lei a usare quel termine, forse non aveva apprezzato la sua precedente uscita. E non pensasse di sdraiarsi sul pavimento, come sapeva benissimo che aveva intenzione di fare. Doveva riposare. Dovevano farlo tutti.
Subito dopo, con suo sommo stupore, aveva sbrigativamente deciso che Tommy sarebbe stato trasferito nel loro letto. Essendo da sempre un argomento sensibile, l'unico su cui avessero opinioni inconciliabili e che generava invariabilmente prese di posizione potenzialmente esplosive - tranne che circostanze eccezionali-, l'inaspettato cambio di rotta gli aveva dato conferma che Kate fosse rimasta turbata quanto lui dal comportamento del figlio.

Dopo un cenno di assenso, Castle aveva raccolto il bambino tra le braccia – gli era sembrato più minuto del solito - e l'aveva trasportato ancora singhiozzante nella loro stanza. Tommy si era fatto silenzioso solo quando era stato al sicuro stretto nel loro abbraccio, ma non era riuscito a rilassarsi. Era caduto in un sonno agitato, continuando a muoversi a scatti ed emettendo qualche occasionale lamento. Li aveva ascoltati tutti. Solo verso l'alba, quando sua madre era uscita e loro due erano rimasti da soli in un letto troppo grande, il respiro di Tommy si era fatto regolare.

Più tardi avrebbero dovuto partecipare alla loro consueta lezione di nuoto settimanale, un impegno a cui tenevano entrambi e che aspettavano sempre con trepidazione al punto da rendersi insopportabili, si lamentava Kate, che non lesinava battute sarcastiche pur di zittirli. Era molto di più che una semplice attività routinaria. Era uno spazio tutto loro, l'unico che non coinvolgesse altri componenti della famiglia e che per questo meritava di essere celebrato e preservato dal cinismo altrui, le aveva spiegato esagerando un po' i toni, lasciandola per una volta senza parole.
Sperava che uscire di casa e immergersi nell'acqua calda della piscina, insieme agli altri bambini con cui aveva ormai stretto amicizia, potesse aiutarlo a cancellare i brutti ricordi della notte appena trascorsa.
Negli ultimi giorni Tommy aveva avuto frequenti episodi di nervosismo, rifletté preoccupato, facendogli scorrere le dita tra i folti riccioli. Tommy si voltò verso di lui e nel farlo appoggiò una manina sul suo viso. Castle gli accarezzò la guancia setosa, chiudendo gli occhi per assaporare al meglio quell'istante di pace perfetta. Aveva dimenticato quanto avesse amato ritrovarsi Alexis nel letto, quando da piccola fuggiva silenziosamente dal piano di sopra alle prime luci del giorno per intrufolarsi nella sua stanza. Non c'era niente che lo rasserenasse di più che avere un bambino addormentato accanto a sé e tutto il tempo del mondo. Mai avrebbe pensato di vivere di nuovo l'eccezionale - ed eccezionalmente faticosa e gratificante - esperienza di crescere un bambino. Era straordinario che gli fosse stata concessa l'occasione di tornare a impersonare un ruolo che gli era sempre calzato a pennello, soprattutto se si consideravano le modalità con cui tutto era avvenuto e la persona che lo aveva reso possibile. I sogni tendevano a realizzarsi in un modo che superava perfino i suoi più grandiosi desideri.

Tommy mugolò, disturbato dalle sue carezze e poi sollevò le palpebre. Castle gli sorrise, senza ricevere in cambio altro che un grugnito indignato che lo fece sorridere dentro di sé.
Lo divertiva un mondo il fatto che nei primi minuti che seguivano il loro risveglio, madre e figlio condividessero la stessa invidiabile, truce disposizione d'animo, doveva essere un tratto ereditario. Per correttezza doveva ammettere che Kate - o meglio, la sua versione mattutina - era molto migliorata da quando si era trasferita da lui, anche se non l'avrebbe fatto sapere troppo in giro. Era convinto che dipendesse dalla sua presenza benefica e i sontuosi banchetti che le preparava. Oltre a darne il merito a qualche altro dei suoi talenti che si esprimeva al meglio quando non avevano ancora abbandonato il tepore delle coperte.

"Vuoi fare colazione?", gli propose a bassa voce, sapendo che quando avesse avuto degli zuccheri in circolo il suo umore sarebbe istantaneamente migliorato. Tommy fece un gesto stizzito che interpretò come un rifiuto, gli si fece più vicino e premette la testa nell'incavo del collo, sdraiandosi scompostamente su di lui. Alzò un braccio per avvolgerlo lungo tutto il corpo e rimase immobile a fissare il soffitto, ascoltando i loro respiri fondersi insieme.
Gli avrebbe concesso ancora qualche minuto. Forse ne avrebbe approfittato per schiacciare anche lui un altro sonnellino. Era stata una lunga notte, avevano bisogno di silenzio e del reciproco conforto, i loro impegni avrebbero aspettato.

...

"Tu sei un papà, vero?", esordì Tommy con aria assorta mentre infilava il cucchiaio dentro la sua tazza preferita, che gli aveva riempito di latte per metà.
Se ne era segretamente procurato alcune copie identiche nel timore che l'originale si rompesse o che finisse per sbaglio in qualche scaffale dimenticato. Era una di quelle cose per cui Kate si sarebbe presa gioco di lui, accusandolo di essere troppo apprensivo e troppo innamorato di suo figlio. Questo era vero, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Ma il punto era un altro. Era abbastanza esperto da conoscere in anticipo il genere di tragedia che poteva innescarsi a seguito dell'improvvisa mancanza di un oggetto prediletto. Ci era già passato, si trattava solo di spirito di sopravvivenza.

Si concentrò per qualche istante su quello con cui Tommy se ne era appena uscito. La scelta dell'argomento era piuttosto bizzarra, nonostante fosse abituato all'imprevedibilità dei ragionamenti con cui il cervello infantile poteva prodursi. Doveva esserci dell'altro, che meritava qualche considerazione in più. Tommy si era espresso in modo troppo diretto e sicuro perché si trattasse di considerazione casuale che gli era passata per la mente per chissà quale astruso motivo a cui non sarebbe mai risalito.
Non riusciva a capire dove volesse andare a parare e l'intuito gli suggerì con una certa urgenza che un discorso di quel tipo avrebbe avuto bisogno delle solide direttive di sua madre per poter proseguire senza inciampi. Forse poteva chiamarla al telefono, ma non sapeva che tipo di emergenza si fosse trovata tra le mani una volta arrivata al distretto e non voleva quindi disturbarla. Inoltre, che cosa avrebbe potuto dirle? Tommy vuole conoscere le mie referenze in quanto padre, che linea mi consiglia di mantenere, Vostro Onore?

"Sì, sono il papà di Alexis", confermò in tono neutro, attenendosi ai fatti. Era essenziale farlo, visto che avrebbe dovuto riferire l'intero dialogo per filo e per segno alla severa rappresentante delle forze dell'ordine che li avrebbe raggiunti per pranzo, se le cose in ufficio fossero proseguite senza intoppi.
Tommy si mise in bocca qualche cereale e masticò lentamente, come se stesse ponderando con attenzione quanto aveva appena ascoltato. Castle cominciò a sentirsi nervoso.
"Lei è grande, però. E abita da sola", ribatté Tommy, spiazzandolo. Non capiva il senso del commento, ma il sudore freddo che curiosamente iniziò a scendergli lungo la schiena non era foriero di buone notizie.
"Hai ragione, non vive più con me, ma... io sarò sempre suo padre. Così come nonno Jim lo è della tua mamma, anche se è adulta".

Andava tutto bene, vero? Non aveva detto niente di sbagliato, per quel che poteva giudicare. Doveva proseguire con una panoramica letteraria e psicologica dei legami familiari e della loro tenuta nel tempo? Forse sarebbe stato più saggio deviare l'argomento su qualcosa di più sicuro, come la scelta del costume da indossare per la loro sessione in piscina. Kate gliene preparava sempre un paio la sera prima, ma loro facevano comunque di testa propria, frugando nel cassetto finché non trovavano qualcosa di più soddisfacente. La creatività, le aveva spiegato, si nutre anche di scelte all'apparenza banali, non dovevano frenare il suo gusto estetico, bensì rafforzarlo. L'occhiata che Kate aveva rivolto al cielo gli aveva suggerito che sarebbe stato necessario lavorare anche sulla creatività di qualcun altro.

"Non hai bambini, adesso", puntualizzò Tommy seccato dal fatto che lui non cogliesse il senso del suo discorso. Doveva crederlo particolarmente ottuso. A Castle venne da ridere, comprendendo infine il punto della faccenda. Il problema di Tommy non era l'indistruttibilità degli affetti sul lungo periodo, quanto rimarcare che, in sostanza, lui era attualmente un padre disoccupato.
"Hai ragione, al momento non ho bambini miei". Decise che era meglio assecondare il ragionamento, senza anticipare possibili direzioni argomentative che li avrebbero portati fuori strada.
Ottenuta la conferma che aspettava, Tommy alzò le braccia trionfante, con ancora il cucchiaio in mano, spargendo latte sul bancone. "Ci sono io!", gridò, puntandosi l'indice verso il petto, gongolante come se gli stesse svelando una grande verità finora rimasta nascosta. "Sono un bambino. E tu puoi essere il mio papà. Che cosa ne dici?"
Elementare, Tommy. Mancava solo che si battesse una mano sulla spalla complimentandosi per aver risolto con tanta brillantezza un complicato dilemma filosofico. Era il ritratto vivente dell'autocompiacimento.

Castle si sentì mancare. Peggio, fu come se lo stessero costringendo a forza nell'acqua gelida impedendogli di riemergere. Strinse con forza il bordo del tavolo, paralizzato di fronte a due enormi occhi speranzosi che aspettavano solo il suo consenso, ignari di averlo sepolto sotto una tonnellata di emozioni e sensi di colpa che non sapeva come sbrogliare. E nemmeno se fosse possibile farlo.
Era commosso per la fiducia che Tommy aveva appena mostrato di riporre in lui, anche se il bambino non poteva rendersene conto. Nella solitudine della sua testolina iperattiva aveva messo in fila gli eventi che avevano trasformato la sua vita senza averne voce in capitolo – l'arrivo di un compagno per la madre e il loro trasferimento - e aveva assimilato la complessità della loro situazione uscendosene con una soluzione che doveva considerare la più ovvia. E lo era, in effetti. Sarebbero diventati padre e figlio. Il mondo sarebbe stato un posto migliore se fosse stato possibile agire in modo tanto lineare.

Kate aveva fatto un ottimo lavoro con lui, nel suo continuo sforzo perché si sentisse amato e al sicuro, tanto da rendergli possibile chiedere apertamente quello di cui aveva bisogno e al diretto interessato. Voleva un padre. E aveva scelto lui. Mancava solo una cosa perché potessero vivere tutti felici e contenti, e lui, tristemente, non poteva offrirgliela, nonostante Tommy gli avesse appena fatto l'onore più grande che un essere umano potesse ricevere.
Certo che voleva essere suo padre, al di là di quello che poteva dire la legge a riguardo. Era un ruolo che gli veniva naturale come una seconda pelle, non avrebbe potuto adorare di più quel bambino nemmeno se fosse stato presente fin dal suo primo vagito. Non aveva nessun dubbio su quello che sarebbe stato più giusto rispondere: "Sì, sarò il tuo papà, usciamo e andiamo a sposare la mamma, anche se lei farà qualche resistenza".
Ma non poteva. Non toccava a lui farlo. Il problema era... i problemi erano così tanti che non sapeva da che parte cominciare a elencarli.

Si strozzò nel tentativo di parlare e tossì un paio di volte.
L'ottimismo di Tommy si incrinò, il mento cominciò a tremare impercettibilmente. "Non vuoi essere il mio papà?", mormorò incredulo, come se gli avesse appena spezzato il cuore.
No, no, no. Castle andò in panico. Lui e Kate non si erano preparati a un'eventualità del genere e senza averne discusso prima con lei non era nella posizione di prendere iniziative. Non voleva commettere errori ed era acutamente consapevole che mosse azzardate avrebbero potuto produrre conseguenze durature sulla sua psiche delicata.
La verità era che non sapeva come diamine comportarsi. Vuoto totale. Come poteva abbozzare una reazione poco più che tiepida di fronte a una richiesta eccezionale come quella, che meritava invece una celebrazione entusiastica? La risposta alla sua precisa domanda poteva essere una sola – affermativa e giubilante-, ma lui non aveva il diritto di dargliela. Non era suo padre. Non era giusto fingere che lo fosse, per quanto potesse essere la soluzione che tutti desideravano, lui per primo.

Fu costretto a tergiversare. Gli pulì le labbra con il tovagliolo, mettendoci tutta la cura possibile e lo prese tra le braccia, sollevandolo dalla sua sedia per depositarlo a terra. Azioni meccaniche dettate dalla sola necessità di guadagnare qualche minuto in più, che però non bastò a fargli venire l'ispirazione adatta.
"Tu hai già un papà, Tommy, che ti vuole molto bene".
Il Signore l'avrebbe perdonato per aver abbellito la realtà. Non che stesse tecnicamente mentendo. Era convinto che, a modo suo – un modo discutibile - Josh lo amasse senz'altro, o così era incline a credere per non perdere fiducia nell'umanità. Ma non lo faceva nel modo giusto per un bambino. Avrebbe dovuto arrivarci da solo, Mister Salvatore del Mondo. "Ma io posso essere... un tuo amico speciale. Ti piace l'idea? E ti prometto che vivremo sempre insieme, tu, io e la mamma, proprio come stiamo facendo adesso".
Sarebbe bastato quel patetico tentativo? Non era quello che Tommy aveva chiesto e gli parve un tradimento e un insulto alla sua intelligenza tentare di confonderlo. Una sorta di prevaricazione che gli era permessa solo perché era una adulto e quindi autorizzato a dominare le conversazioni quando l'altro interlocutore era un bambino.

Tommy prese un cuscino e lo lanciò a terra con un gesto di stizza che normalmente non gli apparteneva. "Non voglio che tu sia un mio amico, io ho già degli amici", replicò furente, minacciandolo con lo sguardo. Aveva lo stesso temperamento focoso di sua madre e suo nonno quando si trovavano di fronte a un'intollerabile ingiustizia, anche in quel caso la linea di sangue si era trasmessa intatta.
Cercò di avvicinarsi per rabbonirlo, ma il bambino si divincolò offeso.
"Tommy...", lo blandì, odiandosi per la sua impotenza.
"Non voglio quel papà. È cattivo. Io voglio te!"

La rabbia e la disperazione che gli vennero scagliate contro gli bloccarono il respiro, facendolo quasi piegare su se stesso. Tommy fuggì nella sua stanza piangendo.
È cattivo.
Fu vittima di un capogiro, quando percepì tutta la sofferenza che quelle due semplici parole nascondevano, soprattutto se espresse da un bambino puro come lui. Un bambino affettuoso, gentile e pieno di meraviglia per il mondo. Avrebbe strozzato quel maledetto con le sue stesse mani. Dovette sedersi, per riprendersi. Era lui l'adulto della situazione, ricordò, un adulto che non poteva permettersi di perdere il controllo.

Ecco spiegato il motivo per cui Tommy era stato intrattabile nell'ultimo periodo, la ragione del suo mutismo quando si nominava suo padre, gli incubi notturni. Tutto cominciava ad avere senso.
Naturalmente sia lui che Kate erano consapevoli che il famigerato incontro con il padre aveva prodotto un impressione negativa in Tommy. Solo un cieco non l'avrebbe notato. Ma forse non avevano capito pienamente quanto ne fosse rimasto sconvolto e quanto l'effetto stesse perdurando nel tempo.
Si erano affannati a cercare un modo per tutelarlo e impedire che dovesse rivivere esperienze simili, ma si erano concentrati sulle possibili soluzioni che riguardavano il suo affido, efficaci sul lungo periodo, ma che non tenevano conto delle sue emozioni attuali. Scioccamente avevano ritenuto che bastasse tenerlo lontano da Josh per farlo sentire al sicuro, mentre decidevano il da farsi. Non sapendo che cosa fosse successo, non gli avevano dato gli strumenti adatti per comprendere la situazione e metabolizzarla. Doveva essere stato terribile per lui sentirsi spaventato da una persona che in fondo non conosceva molto bene, senza avere nessuno accanto a cui chiedere aiuto, a cui esprimere i propri tormenti.

E infine aveva cercato rifugio in lui. Lo aveva scelto perché lo proteggesse, piccolo e vulnerabile com'era. Avrebbe voluto assecondarlo e dargli quello che voleva, ma non aveva il diritto di farlo, perché quel padre assente contava più di lui. Strinse i pugni, provando la stessa frustrazione di Tommy, lo stesso senso di intollerabile ingiustizia.
Lo seguì nella sua stanza. Lo trovò con la testa affondata dentro a uno degli enormi peluche che gli piacevano tanto e che avevano rapidamente preso possesso di tutto lo spazio disponibile. Era accaldato e sudato, proprio come quando era tornato dall'appuntamento con Josh. Complimenti Rick, si rimproverò. Non sei migliore di lui.
Prese posto su una poltroncina bassa accanto a lui.
"Tommy, tra poco dobbiamo andare in piscina, non vuoi cambiarti?", gli propose sforzandosi di assumere un tono propositivo, pur sentendosi un idiota. Offrigli il diversivo della piscina per distrarlo quando era ben altro quello che gli serviva. Era ai minimi storici come essere umano. Altro che padre.
Tommy agitò un braccio nella sua direzione, per scacciarlo. "Non voglio andarci", gli comunicò alterato abbracciando un panda innegabilmente più bravo di lui nell'offrire conforto.

Gli toccò una spalla, per convincerlo ad alzarsi di lì, ma Tommy continuò a urlare e a tentare di allontanarlo. Alla fine uno dei colpi andò a segno e Castle fu raggiunto in viso da uno schiaffo a mano aperta, che gli ammaccò il cuore, più che fargli male fisicamente. Tommy era fuori di sé.
"Non ti voglio più", gli sbraitò contro. "Sei uno stupido", lo accusò, prima di crollare in un pianto irrefrenabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Ventuno ***


21

"Perché hai annullato il nostro pranzo?", lo salutò Kate sorridente, dopo aver spalancato la porta d'ingresso come un colpo di brezza estiva, ignara di quello che era successo al loft durante la sua assenza.
Aveva ritenuto giusto non allarmarla e quindi non anticiparle niente, quando si erano sentiti al telefono, limitandosi a comunicarle il cambio di programma con un voce che si era augurato non fosse troppo lugubre.
Gli andò vicino per baciarlo sulla guancia, dopo aver dato una scorsa veloce alla posta appoggiata al tavolino accanto all'ingresso – uno dei pezzi di arredamento provenienti dal suo vecchio appartamento che avevano traslocato insieme a lei.

Tommy si era addormentato esausto dopo aver lungamente pianto e inveito contro di lui. Castle aveva impiegato tutte le sue energie e ogni stratagemma noto o inventato al momento per calmarlo, ma purtroppo la sua rinomata bravura con i bambini – si chiedeva a quel punto se non fosse un falso mito – non era servita a granché.
Avrebbero saltato la loro lezione in piscina, aveva deciso in preda allo sconforto. Per una volta non sarebbe successo niente, anche se gli spiaceva perdersi quell'ora di abbracci e risate spruzzate di cloro. Visto quanto era sfinito sarebbe stato crudele svegliarlo per obbligarlo a uscire, generando ulteriore disagio in un bambino già molto provato. Dormire a metà giornata avrebbe provocato conseguenze sgradite, ma a quel punto aveva esaurito le soluzioni disponibili e si era lasciato sopraffare dagli eventi, senza opporre nessuna resistenza.

"Ho appena ordinato al take-away qui vicino. Dovrebbe arrivare tra poco", la informò senza fornirle ulteriori dettagli. Sapeva che a Kate non sarebbe sfuggito il fatto che avesse eluso la sua domanda e che questo l'avrebbe fatta insospettire, ma non trovava giusto aggredirla sulla soglia di casa con il resoconto della disastrosa mattinata vissuta da suo figlio, di cui lui era in parte – meglio dire totalmente - colpevole.
"Deve esserci qualcosa di grave se hai rinunciato a cucinare le tue solite pietanze salutari a favore del cibo d'asporto", commentò mantenendo un tono leggero, ma muovendosi con maggiore circospezione. Il suo sistema di allarme interiore doveva già essersi messo in moto. Diede un'occhiata in giro. "Dove è Tommy?"
Corrugò la fronte, cercandolo nel vasto spazio del salotto, occupato solo da loro due e dal caos sviluppatosi nelle ore precedenti, le cui tracce non era riuscito a far scomparire del tutto.
"Sta dormendo", la informò asciutto. "Perché non ci sediamo?"

Lo seguì sul divano, poco convinta. Riusciva a percepire il suo crescente allarme nelle sempre più rapide compressioni della cassa toracica. "Non siete andati in piscina?"
Scosse la testa. "Ho preferito evitare, Tommy non era... dell'umore adatto".
Fece seguito un altro silenzio spigoloso, gravido di tutto il non detto che cresceva tra loro come una creatura mostruosa, ma che non riusciva a costringersi a raccontarle. Chissà che cosa avrebbe pensato di lui, quando avesse scoperto la sua inadeguatezza ad occuparsi del suo preziosissimo figlio, che gli aveva affidato senza nessuna remora.
"Non vorrei trascorrere l'intero pomeriggio dovendoti cavare le parole a forza, Castle. Vuoi spiegarmi che cosa è successo? Tommy sta bene? Hai paura che me la prenda per qualche bernoccolo?"
"Nessun bernoccolo. Sta bene... fisicamente", la rassicurò. Le prese una mano tra le sue, consapevole di quanto la sua reticenza dovesse mandarla fuori dai gangheri, ma bisognoso di un contatto fisico, dopo una mattina a dir poco impegnativa anche per lui. "Ma non credo si possa dire lo stesso per il resto".

La mise al corrente di tutto, senza risparmiare alcun dettaglio. Sciorinò gli eventi in rigoroso ordine temporale, riportò i dialoghi nel modo più fedele possibile e inserì qui e là le sue considerazioni a riguardo. Come credeva che Tommy dovesse essersi sentito, interpretando più a fondo le sue reazioni – aveva avuto molto tempo per rimuginarci su – e come si era sentito lui di fronte a una crisi improvvisa che non era stato pronto a gestire.
Volle darle un quadro chiaro ed esauriente perché potesse farsi un'idea il più accurata possibile, pur non essendo stata presente. Non ne usciva come il migliore degli uomini, ma le doveva almeno la totale trasparenza, se pur mediata dalla proprie riflessioni e il suo coinvolgimento che lo rendeva inevitabilmente poco oggettivo. Tenerle nascoste le cose solo per farle un'impressione positiva non era un comportamento che potesse prendere in considerazione. Si trattava di molte informazioni da assorbire tutte in una volta e si rese conto troppo tardi che avrebbe potuto tenere per sé qualche divagazione poco pertinente, pur senza venir meno al suo proposito di condividere tutto con lei.

Kate lo ascoltò con attenzione, senza mai intervenire. La vide sorridere intenerita e poi rannuvolarsi, mentre lui riassumeva punto per punto quello che lui e Tommy si erano detti, partendo dalla buffa richiesta da parte del bambino di investirlo del titolo di padre, in sostituzione dei figli legittimi non più in circolazione. Mentre parlava era in grado di decifrare ognuna delle mutevoli emozioni che il suo viso concentrato lasciava trapelare.
"Che cosa ha fatto?!", esclamò Kate inorridita quando arrivò infine al punto in cui Tommy aveva alzato le mani su di lui. Lo aveva solo accennato per dovere di cronaca, senza caricare il gesto di troppa enfasi. "Ti assicuro che non si è mai comportato in questo modo". Gli toccò con delicatezza la guancia colpita, voltandolo per esaminarlo sotto una luce migliore. "Mi spiace, Castle, non so che cosa gli sia preso, non è da lui..."
"Non preoccuparti per me", si affrettò a tranquillizzarla. "E non c'è bisogno di scusarti. Tommy non è manesco e nemmeno maleducato. Era solo fuori di sé". Ci teneva a difenderlo.

"Kate, Tommy... non sta bene".
Se ne era uscito di getto con una frase accorata che avrebbe avuto bisogno di essere ponderata maggiormente, prima di essere scagliata contro un interlocutore impreparato. Non aveva giustificazioni, si era trovato di colpo senza parole, incapace di trovare quelle giuste per comunicarle qualcosa che percepiva oscuramente dentro di sé e che lo stava mandando sempre più in ansia. Non era d'aiuto scaricandole addosso l'intera portata della sua angoscia senza offrire soluzioni, ma quel È cattivo riferito a Josh da parte di un Tommy sconvolto oltre ogni limite, lo stava ossessionando fin da quando era stato pronunciato.

Kate si passò una mano sulla fronte, frastornata e terrea in volto. La piega amara delle labbra rivelava uno sconforto che aveva radici molto più lontane, come se il peggio che si era sempre prefigurata l'avesse infine raggiunta, nonostante i suoi sforzi per tenerlo a bada.
"Deve essere successo qualcosa di più grave di quello che abbiamo sempre immaginato", affermò livida, dopo qualche minuto di silenzio. Annuì. Non c'era bisogno che si spiegasse meglio, non c'erano dubbi sull'evento a cui si stava riferendo. Era protagonista indiscusso dei loro quotidiani tormenti.
Kate fissò con aria truce il pavimento per qualche istante. "Bastava chiederglielo, Castle, ma io non l'ho mai fatto. Che razza di madre non cerca di farsi raccontare dal figlio che cosa lo ha fatto agitare?". Alzò su di lui uno sguardo afflitto. "Non volevo insistere per saperne di più costringendolo a rivivere una brutta esperienza, ma così facendo ho soffocato le sue emozioni, che si sono ingigantite fino a esplodere. Ho sbagliato tutto".
Kate sfiorò distrattamente i petali delle rose appena sbocciate che lui aveva disposto con cura nel vaso di cristallo appoggiato sul tavolino. Gli piaceva arricchire la loro vita di piccoli tocchi che sperava graditi. "L'ho ignorato. Qualcuno gli ha fatto del male e io me ne sono stata zitta e ho fatto finta di niente", concluse con voce spezzata.

Era un'accusa spietata quella che stava rivolgendo senza attenuanti a se stessa, che però non corrispondeva del tutto al vero, per quanto lo riguardava. Poteva aver sbagliato – lo avevano fatto entrambi – ma in buona fede. Il colpevole era uno solo e non erano loro, dovevano tenerlo sempre presente.
Nel vederla tanto abbacchiata, provò l'impulso di stringerla a sé e prometterle che sarebbe andato tutto bene, nonostante avesse più di qualche timore sul futuro che si stava prospettando per loro. Josh che tornava nelle loro vite con il solo intento di creare scompiglio per motivi che nulla avevano a che vedere con il bene di suo figlio – nessuno lo avrebbe mai convinto del contrario - e Tommy in crisi ancor prima di iniziare a impostare quel rapporto che suo padre pretendeva da lui, senza curarsi dei suoi sentimenti. Ma quel giorno le sue quotazioni come consolatore non erano un granché e quindi rimase fermo e zitto per non peggiorare le cose.

Kate si alzò in piedi di scatto e prese ad aggirarsi nervosamente. "Tu credi... credi che Tommy abbia ripetuto su di te gli stessi gesti che ha visto fare a Josh? Il darti dello stupido... da qualche parte deve aver sentito questa parola, di certo non da noi. E il colpirti... Non riesco nemmeno a pensarci". Inghiottì le parole, come se fosse a corto d'aria.
Aveva iniziato anche lui a sospettare qualcosa del genere, ma sentirla esprimere ad alta le sue stesse spaventose congetture lo annientò. L'ipotesi che Josh potesse averlo schiaffeggiato per imporre la sua autorità era più di quanto potesse sopportare.
"Io lo ammazzo, Castle, ti giuro che lo faccio. Ne ho abbastanza".
Era furibonda, proprio come suo figlio qualche ora prima, ma con molte più risorse contundenti a sua disposizione per dar seguito alle sue parole.

Allungò un braccio per fermarla e frenare al contempo i suoi intenti omicidi, alzandosi a sua volta. Kate si divincolò con forza. "Non credere di potermi dissuadere", se la prese con lui, indignata. "Sarà anche suo padre, ma non deve permettersi di fargli del male per nessun motivo o dovrà vedersela con me", asserì, più che mai decisa a ripristinare il giusto ordine nel mondo.
"Hai ragione e non è di certo mia intenzione ostacolarti nei tuoi propositi punitivi nei confronti di quell'esemplare di uomo. Ma, per il bene della nostra famiglia, credo che sia opportuno che dell'omicidio mi occupi io a tua insaputa, così Tommy rimarrà con te. Se finisci in prigione nessuno me lo affiderà. Mi sacrifico volentieri".
"A quel punto mio padre diventerebbe il parente più prossimo. Potrete crescerlo insieme con discrezione, qualcosa vi inventerete".
Le sorrise. "Non è il momento adatto per dirlo, ma sei splendida quando minacci di morte qualcuno".
"Non lo minaccio affatto", lo contraddisse sprigionando lampi con gli occhi. "Non ho intenzione di dargli nessun preavviso, lo uccido e basta. Nessuno può toccare Tommy, Castle. Nessuno".
Non aveva alcun dubbio che lo avrebbe fatto, se portata all'estremo, ecco perché aveva iniziato a chiamarla mamma-drago di nascosto, quando trasformava il suo amore materno in strategia offensiva verso chiunque osasse turbare suo figlio. La capiva. Era stato lo stesso per lui con Alexis e provava il medesimo istinto protettivo nei confronti di Tommy.

"Odio essere io la voce delle ragione, soprattutto perché preferisco come te la strada delle torture fisiche, ma dobbiamo essere certi che sia andata come stiamo supponendo, prima di agire".
Kate gli rispose con una smorfia sprezzante.
"Un bambino che non ha mai mostrato atteggiamenti aggressivi non comincia, dal nulla, a dare schiaffi a una persona a cui è molto legato urlandogli epiteti che non dovrebbe nemmeno conoscere".
Difficile controbattere, visto che era d'accordo con lei e l'ultima cosa che desiderava era concedere a quello delle attenuanti. Ci provò lo stesso.
"Forse hanno semplicemente avuto dei contrasti e Josh lo ha sgridato, magari alzando la voce. Tommy si è ribellato e le cose tra loro sono degenerate al punto da far perdere a Josh la pazienza e spingerlo a chiamarti. Non lo conosce abbastanza da sapere come prenderlo in certe circostanze e in più ha la poco velata tendenza a pretendere di essere venerato come una divinità egizia, sarà bastata una risposta di Tommy per scandalizzarlo e offenderlo nell'intimo".

Era un tentativo troppo fiacco, non sarebbe mai stato un abile negoziatore. Infatti, non andò a segno.
"Questo non fa che aumentare il mio desiderio di fargli del male".
"Anche il mio". Ne aveva abbastanza di mostrarsi diplomatico. "E quel che è peggio, non so come potrò lasciare che Tommy trascorra del tempo con qualcuno capace solo di impaurirlo e ridurlo in lacrime".
"Il problema non si pone perché non ho intenzione di permettere che si incontrino senza che io sia presente", replicò ferrea nella sua determinazione. "Gli parlerò io. Finora sono stata molto generosa con lui, ma quel tempo è finito. O rispetta le mie condizioni, o non gli piacerà come finirà questa storia".

Aprì le braccia d'istinto e lei vi si rifugiò. Perché non lo aveva fatto subito? Era evidente che ne avessero bisogno entrambi. Nonostante fosse liberatorio progettare la dipartita di Josh per mano loro, rimanevano comunque molto scossi. Lui lo era per certo.
"Ho sempre giurato che non sarei finita invischiata in lunghe battaglie in tribunale, ma lo farò, se quell'idiota continuerà con le sue assurde pretese".
Era così, non c'erano altre soluzioni, ammise con un sospiro dentro di sé. Se Josh non si fosse mostrato più ragionevole - non c'era nessun motivo per credere che si sarebbe ravveduto – le cose si sarebbero fatte sgradevoli per tutti, soprattutto per Tommy. Si sentì infinitamente triste per lui, che stava già pagando le conseguenze di una situazione ingarbugliata per la quale aveva, a suo modo, cercato aiuto in lui. Che però non si era fatto trovare e non aveva idea di come fare ammenda. Avrebbero dovuto discutere anche di quell'argomento, anche se era più semplice inveire contro un colpevole esterno.

"Penso che dovremmo portare Tommy da qualcuno", continuò Kate pensierosa. "Qualcuno di esperto in questo genere di dinamiche", chiarì dopo la sua occhiata perplessa.
"Vuoi che Tommy parli con uno psicologo?"
Era una svolta inaspettata, ma non era una cattiva idea.
Kate annuì. "Preferisco che ci affianchi qualcuno che sappia consigliarci al meglio su come comportarci per non traumatizzarlo ancora di più. Non voglio che stia di nuovo male senza che io sia in grado di coglierne i segnali".
"Non dovresti avere il permesso di suo padre?", chiese incerto. Non aveva idea di come andassero le cose, soprattutto trattandosi di un rapporto poco definito come il loro, ma non gli pareva plausibile che Kate potesse prendere un'iniziativa simile senza che l'altro genitore ne fosse al corrente e approvasse.
"Può andare al diavolo", sbottò con tono perentorio, facendolo sorridere – pur sapendo che non era una reazione appropriata. "Se non si rende conto che sta male per colpa sua e che è necessario intervenire al più presto, ti giuro che gli leverò tutto quello che mi capiterà a tiro. Salute mentale compresa".
Emanava una fierezza da cui era impossibile non farsi contagiare. Era pronto a unirsi alla sua battaglia, per il bene di Tommy, naturalmente, non per la sua innata antipatia nei confronti di Josh.

"E per quanto riguarda il fatto che Tommy voglia che tu sia sua padre... "
Eccoli arrivati al punto cruciale, quello che temeva di più. Iniziarono a tremargli le mani lievemente.
Kate si interruppe e corrugò la fronte, gettandolo nel panico. Era certo che le successive parole, che lei stava ritardando solo per misericordia nei suoi confronti, avrebbero posto fine alle sue illusioni di poter diventare una figura di riferimento per Tommy. Magari non proprio un padre, ma qualcosa di molto simile.
Era consapevole che le sue recenti azioni avrebbero consigliato a chiunque di non lasciare sotto la sua custodia nemmeno un furetto, figurarsi un bambino speciale come Tommy ed era pronto ad assumersene ogni responsabilità, ma temeva di uscirne ancora più malconcio. Si aspettava un cortese ma fermo invito a rispettare limiti che sarebbe stata costretta a imporgli, vista la sua indegnità. Sperò che almeno gli sarebbe stato concesso di diventare per lui una specie di amico, che era proprio quello che lui aveva proposto a Tommy. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse stata inadeguata e frustrante la sua risposta. Tommy aveva avuto ogni ragione a non accettarla.

"È così che ti vede, Castle, inutile girarci intorno. Ed è giusto assecondarlo. Non ha senso fingere che non sia così per riguardo a una persona che merita di incontrare solo chiodi arrugginiti lungo la sua strada".
"Vuoi anche bucargli le gomme dell'auto?"
"Tra le altre cose".
Si sorrisero. Aveva preferito buttarla sull'umorismo, la sua strategia di coping preferita quando le emozioni rischiavano di farlo soccombere, ma aveva registrato ognuna delle parole con cui si era espressa e non le avrebbe mai dimenticate.
Il tremito si era trasformato in altro. In commozione per la fiducia che riponeva in lui – che riponevano entrambi, madre e figlio. E in sorpresa, perché non si era aspettato che lei fosse pronta a quel passo, dal momento che era sempre stata molto prudente in ogni tappa che avevano affrontato. Un conto era parlare tra adulti del suo ruolo nella cura di Tommy, un conto era decidere di riconoscerlo apertamente anche davanti al bambino. A quel punto non sarebbero più potuti tornare indietro.

"Se non ti amassi già moltissimo, al punto da accettare stoicamente ripetuti rifiuti alle mie proposte di matrimonio, direi che con questa uscita il mio amore per te ha raggiunto vette inesplorate".
"Ti piaccio vendicativa e collerica? Non sapevo che avessi queste preferenze". Gli lanciò uno sguardo malizioso.
Socchiuse gli occhi. "Sono un uomo debole, Katherine Beckett, non puoi iniziare questo genere di discorsi con me sapendo che non riesco a resisterti. Ma devo farlo, perché stiamo parlando di tuo figlio e io non voglio cambiare argomento".
Kate scoppiò a ridere. "D'accordo, mettiamo per un attimo da parte le tue fantasie su di me".
Non era facile e lei non lo stava aiutando affatto tentandolo in quel modo, ma lo doveva a Tommy.
Tornò serio. "Credevo che dopo quello che ti ho raccontato tu non volessi... ho combinato un disastro con lui".

Non voleva chiudere l'argomento senza aver fatto presente le sue mancanze, nel timore che le fossero sfuggite. Dovevano anzi essere sviscerate fino in fondo, prima che lui potesse accettare onorificenze immeritate.
Gli accarezzò la guancia. "È per questo che credo che sia utile a tutti sentire il parere di un esperto, anche per definire il tuo rapporto con Tommy e per evitare quelli che tu chiami disastri, che però me sono solo frutto della confusione che c'è tra di voi. Per quanto riguarda me, certo che sei suo padre. Non solo perché è quello che sei in effetti, in ogni ambito della sua vita, ma perché è lui ad averlo deciso, e lo ha fatto da solo. Nessuno gli ha mai suggerito l'idea".

...

"Mamma".
Una voce roca e assonnata li interruppe facendoli voltare all'unisono nella direzione da cui era pervenuta.
Kate si mosse subito per raggiungere suo figlio, che se ne stava a pochi passi da loro, fissandoli assorto con il dito in bocca e il coniglietto Rick nella mano, con le lunghe orecchie che strisciavano sul pavimento. Allungò le braccia per accogliere quelle della madre protese verso di lui, e quando venne sollevato, le avviluppò le gambe intorno ai fianchi, abbarbicandosi su di lei.

Formarono un quadretto da cui gli era impossibile distogliere lo sguardo. Per quanto lui e Tommy avessero creato un bel rapporto, se si tralasciavano gli ultimi avvenimenti che sperava non avessero prodotto drammatiche involuzioni, niente poteva essere paragonato all'innata capacità di Kate di rasserenarlo con la sua semplice presenza, di avvolgerlo nel suo potente amore materno, capace di guarire tutte le ferite. Era quello di cui avrebbero avuto bisogno entrambi quel mattino, del suo intervento pacato e benefico che, ne era certo, avrebbe impedito alla situazione di esplodere. Vide le loro teste avvicinarsi e scomparire in quel loro legame esclusivo che nessuno poteva penetrare. Kate gli sussurrò qualcosa all'orecchio e Tommy annuì e poi le sorrise. Un miracolo, per quanto lo riguardava. Lui aveva unicamente provocato lacrime e strepiti.

Suonarono alla porta. Doveva essere il pranzo che aveva ordinato. Quando si trovò tutti i pacchetti tra le mani si accorse di aver ecceduto nelle porzioni e che il cibo non avrebbe superato il giudizio di un severo nutrizionista, ma quel giorno avrebbero fatto una meritata eccezione.
Kate si avvicinò a lui tenendo Tommy in braccio. "Vuoi mangiare con noi, Tommy?", gli domandò con il tono più dolce che le avesse mai sentito, baciandolo su una tempia. Avrebbe voluto immortalare quell'istante per tenerlo nei suoi ricordi più cari, realizzò mentre li osservata rapito dalla magia che emanavano insieme.

Si riscosse solo quando si rese conto che, se non si fosse dato una mossa, il loro intero pranzo avrebbe rischiato di raffreddarsi e diventare immangiabile. Distolse a fatica lo sguardo e si sforzò di tornare operativo. Decise che avrebbero usato il tavolino in salotto, senza badare a frivolezze inutili come tovaglie e posate. Era un grave infrazione alle regole, ma si trattava di una necessità, avrebbe spinto perché Kate – l'osso più duro – la considerasse un'anomalia giustificata.

Kate alzò un sopracciglio nel vederlo trafficare intorno al divano. "Papà Rick ha preparato un picnic per noi, hai visto? Oggi mangeremo sul tappeto".
Tommy si sporse per controllare. Parve meravigliato anche lui e un po' dubbioso, forse non credeva che al mondo esistesse qualcuno che avesse l'ardire di opporsi alle ferree disposizioni di sua madre.
Papà Rick? La consapevolezza del modo in cui Kate si era espressa ad alta voce e in presenza di Tommy per riferirsi a lui, arrivò solo qualche secondo dopo, rombandogli nella testa come un tuono. Tommy non diede segno di averlo notato, ma lui sì. Kate gli sorrise e si avvicinò. Gli parve più splendida che mai e lui non aveva nessuna arma per difendersi dalla vastità dell'amore che provava per lei.

Tommy allungò le braccia verso di lui, come aveva fatto prima con sua madre, inebriandolo di sollievo e calore. Se voleva ancora stare con lui dopo quello che era successo, non tutto era perduto.
"Fate pace", mimò Kate in silenzio, passandogli il figlio. Tommy gli si strinse al collo, Castle lo abbracciò colmo di gratitudine con il mento appoggiato sopra la sua testolina, attento a nascondere il batticuore che lo aveva colto. Se solo fosse stato sempre così semplice riconciliarsi, farsi perdonare. Non era sicuro di meritare la benevolenza di Tommy, ma non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione che il bambino gli offriva per provare a rimettere a posto le cose tra loro.

"Finisco io di apparecchiare il... tappeto", aggiunse lei facendogli l'occhiolino. "E poi possiamo andare tutti insieme in piscina, non penserete che vi permetta di saltare una lezione? Che esempio credi di dare a Tommy, Castle? Gli impegni si portano a termine".
Spalancò gli occhi, ma ricordò in extremis di frenare la lingua prima di fare qualche commento indecente sulla possibilità che lei gli concedeva di vederla di nuovo in costume.
Tommy fece un salto che quasi lo fece atterrare sul pavimento – sempre sobrio nel manifestare il suo assenso nei confronti di attività che lo entusiasmavano, soprattutto quando comportavano la presenza di entrambi gli adulti che vivevano con lui.
"Poi andiamo a bere la cioccolata, mamma? Io e Papà Rick lo facciamo sempre, anche se non possiamo dirtelo per non farci sgridare, perché ci roviniamo l'appetito".
Di fronte a quella confessione clamorosa, Castle usò il corpo del bambino come scudo per impedire a sua madre di rovesciare la sua ira su di lui e scappò lontano ridendo, coinvolgendo anche Tommy nella sua fuga. Kate poté solo limitarsi a fare le sue rimostranze da lontano.
Papà Rick. La serena accettazione di Tommy del suo nuovo appellativo chiudeva un cerchio. Un cerchio di amore, impegno, promesse. Si sentì fiducioso che sarebbe andato tutto bene. Almeno per quel giorno, che si stagliava davanti a loro finalmente limpido e privo di turbolenze.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Ventidue ***


22

Non si era mai sentito tanto nervoso, nemmeno quando l'aveva rincontrata a sorpresa a quella festa che doveva essere pura noia e si era invece trasformata in luminosa rinascita, e si era dovuto fare coraggio per invitarla a uscire, rischiando un secondo, epico rifiuto, perché l'ipotesi di lasciarsela sfuggire di nuovo non era contemplabile.
Ma questa volta era diverso. Non si trattava di loro due soltanto, ma di un bambino a cui teneva al punto da starsene pigiato in una poltrona scomoda nello studio della psicologa che Kate aveva contattato perché desse loro un parere sulla situazione che stavano vivendo e a malapena gestendo.

Come sempre succedeva quando si metteva in testa qualcosa, Kate non aveva esitato ad agire. Non gli era chiaro come avesse convinto Josh ad accordare il suo consenso, ma era riuscita a ottenerlo, e visto che non gli erano pervenute notizie di litigi tra ex finiti in tragedia, supponeva che non dovesse essere scorso troppo sangue, quando si erano visti per parlarne.
Una sera era semplicemente tornata a casa e, senza mostrare nessuna emozione che potesse fargli intuire che tipo di strumenti persuasivi avesse messo in campo, gli aveva comunicato la data dell'appuntamento, fissato per qualche giorno più tardi, chiedendogli se fosse sempre dell'idea di partecipare. Naturalmente, aveva risposto. Perché non avrebbe dovuto?
Ma ora iniziava a credere di essere stato troppo ottimista e di aver sovrastimato i propri mezzi perché gli pareva di essere in attesa di una sentenza di morte o di una grazia dell'ultimo minuto.

Era solo di un incontro informale, niente per cui essere nervosi, aveva specificato Mireille, la psicologa, quando li aveva accolti sorridente sulla soglia del suo studio, presentandosi a Tommy prima ancora che a loro.
Aveva apprezzato l'intento amichevole, ma non era bastato a cancellare in lui la sensazione di stare per essere sottoposto a un rigoroso scrutinio che non sarebbe necessariamente sfociato in un esito a lui favorevole. Se avesse dato retta al proprio istinto sarebbe fuggito, non c'era un modo più coraggioso di dirlo. Per questo aveva preferito rispondere a monosillabi quando Mireille aveva illustrato quello che sarebbe successo nell'ora che avrebbe loro dedicato.
Lui e Kate avevano preparato Tommy per l'evento senza caricare di troppa enfasi quella che, gli avevano spiegato, sarebbe stata solo una chiacchierata con una signora molto gentile che voleva conoscerlo. Il bambino aveva scrollato le spalle ed era tornato a dedicarsi alle attività da cui lo avevano strappato - per lui non si era trattato di niente di più che un'eventualità astratta in un futuro indefinito.
Si era invece fatto più vivace quando, una volta superato l'ingresso, si era accorto dei giocattoli stipati in un'area ad essi dedicata e distribuiti in modo tale da stuzzicare inevitabilmente l'attenzione di un bambino. Anche la sua, se non fosse stato tanto guardingo.
Mireille aveva preso Tommy per mano con naturalezza e gli aveva chiesto se avesse voglia di dare un'occhiata più da vicino a qualcuno di quegli oggetti.
Lui e Kate si erano sorpresi a lanciarsi un'occhiata incerta da sopra la testa di Tommy, in cerca di una mutua rassicurazione, e l'avevano lasciato andare senza intervenire. Doveva sentirsi a suo agio, visto che non si era mai voltato a controllare dove fossero.

A quanto pareva, dopo che era stato rotto il ghiaccio con il membro più giovane della famiglia, toccava a lui essere messo sotto torchio. Mireille si era espressa in modo molto meno persecutorio, ma la sua sensazione era proprio quella di trovarsi al cospetto della migliore detective della città – ora capitana – determinata a strappargli una confessione con il solo ausilio della sua formidabile personalità.
Mireille aveva un'aura molto meno temibile – doveva riconoscerle vibrazioni più pacifiche -, ma il suo disagio era ormai cresciuto fino a raggiungere livelli che faticava a spiegarsi. C'era troppo in ballo e quando si trattava di Tommy non era mai sicuro di niente. Scrollò il polso per allentare la stretta fastidiosa dell'orologio e accavallò le gambe, troppo agitato per rimanere fermo e incapace di proiettare quell'immagine di sicurezza che aveva sempre riscosso molto successo, anche quando era solo una posa.

"Che cosa teme del nostro incontro, signor Castle?"
"Mi chiami Rick", rispose in automatico con uno dei suoi migliori sorrisi, ma colpito dal fatto di essere così facilmente leggibile da un essere umano con il quale non aveva quasi interagito.
La donna non reagì, segno che non avrebbe accettato nessun tentativo di diversione, soprattutto se di tipo galante. A sua discolpa, era stato preso alla sprovvista da un incipit tanto diretto, si era aspettato almeno qualche minuto di convenevoli prima di essere messo alle strette. Visto che nessuno pensò di correre in suo aiuto riempiendo quel silenzio sempre più sgradevole, fu costretto - suo malgrado e con le armi spuntate - a concentrarsi sull'insolito interrogativo che gli era stato posto.

"Che cosa può dirci di Tommy?"
All'ultimo non ce l'aveva fatta, preferendo cambiare argomento. Non era solo un ultimo, disperato tentativo di spostare l'attenzione da lui per riportarla su un bersaglio neutro. Era Tommy il vero motivo per cui erano lì, si era aspettato quindi che avrebbero parlato del suo stato d'animo, dei suoi strani comportamenti e di come intervenire per farlo stare meglio.
Dall'insolita scenata che aveva dovuto gestire da solo le cose non erano migliorate, avevano anzi seguito un'inarrestabile parabola discendente. Tommy era spesso irritabile e scattava per poco, nonostante lui e Kate cercassero in ogni modo di rasserenarlo, con risultati deludenti che avevano iniziato a scoraggiarli.
Gli pareva il minimo che la donna, come prima cosa, condividesse con loro una valutazione professionale o almeno la sua semplice opinione su quello che aveva colto nel bambino, anche se erano stati insieme per poco. Non erano lì per psicanalizzare lui, che era anzi convinto sarebbe rimasto più defilato.

Mireille gli concesse un breve sorriso. "Per il momento vorrei parlare di lei, non di Tommy".
Era evidente che non aveva nessuna intenzione di rendergli le cose più facili o di occuparsi di altro che non fossero i suoi meccanismi psicologici, anche se non ne capiva il motivo. Onestamente, non sapeva nemmeno in che termini si aspettava che rispondesse alla sua domanda. Non aveva idea di quanto sapesse della loro situazione o che cosa Kate le avesse raccontato quando aveva chiamato per fissare l'appuntamento e quindi non gli era chiaro perché la donna si stesse ostinando a voler frugare nella sua psiche. Era un approccio professionalmente corretto? Avrebbe potuto fare un reclamo? Non credeva che fosse normale essere costretto a mettersi a nudo senza preavviso.

Chiuse gli occhi per un istante e si buttò.
"Ho paura che mi dica che devo allontanarmi da Tommy, per il suo bene".
Volevano la verità? Eccola in tutto il suo umiliante splendore.
Kate reagì con stupore alla sua schietta affermazione e gli agguantò una mano stringendola convulsamente, mentre la psicologa rimase imperturbabile.
"Perché crede che sia un'opzione possibile? Da quel che ho visto e che mi è stato riferito, lei e Tommy avete un ottimo rapporto. Non c'è nessun motivo per credere che lei rappresenti un pericolo per il bambino al punto da doverne essere allontanato", rispose Mireille scrutandolo con attenzione. Doveva essere felice che lui le avesse offerto parti di se stesso su cui banchettare spietatamente.
La realtà era un po' meno semplice di come Mireille voleva farla apparire e lei doveva saperlo benissimo. Era ovvio che non credeva di essere un pericolo per Tommy, il punto non era quello. Di nuovo, però, era convinto che non fosse giusto sprecare un'occasione importante concentrandosi su di lui e non su Tommy, ma non aveva nessun appiglio per rifiutarsi di farlo, a meno di non improvvisare una scenata, che sarebbe comunque stata esaminata e avrebbe portato ad altre scomode domande.

"Mi sembra ovvio. Perché non sono suo padre".
Era stato troppo brusco, ma nessuno parve esserne offeso. In più, non aveva offerto nessun contribuito chiarificatore alla conversazione – anzi, aveva solo peggiorato le cose, ingarbugliandole. Era caduto in una specie di trappola psicologica tesa con il solo fine di confonderlo?
"Crede di non essere una figura positiva per Tommy solo perché non è il padre biologico?"
Sospettò che la scelta di fingere di non cogliere il significato più profondo delle sue parole – che era invece certo avesse compreso -, attenendosi invece a quello letterale, celasse il preciso intento di obbligarlo a riformulare le frasi in modo più autentico, perché la smettesse di giocare a nascondino con i suoi stessi sentimenti.

Decise di soffocare le spinte alla ribellione, che si erano fatte sempre più rumorose dentro la sua testa, e di mostrarsi collaborativo.
"No, non si tratta di questo", iniziò assumendo un tono conciliante, che sperò venisse apprezzato. "Ovviamente non credo che la mia presenza possa danneggiare Tommy. Se così fosse mi sarei già allontanato volontariamente". Era importante sottolinearlo. Tommy stava bene con lui, che dal canto suo monitorava sempre con prudenza ogni aspetto del loro rapporto.
"Il fatto è che Tommy ha un padre in carne e ossa, non so quanto sia...", lanciò un'occhiata a Kate, quasi scusandosi in anticipo per quello che stava per dire. "Non so quanto sia lecito che io occupi un ruolo che non mi spetta di diritto, ecco tutto. Non è una specie di... usurpazione nei suoi confronti? Sarebbe diverso se suo padre fosse morto o assente".
Non si prese la briga di illustrare le complesse dinamiche della loro famiglia, ma Mireille non parve sorpresa che il nome di Josh fosse saltato fuori tanto in fretta e senza alcun collegamento logico, Kate doveva averle dato un quadro esaustivo della loro situazione.

"Ne abbiamo già parlato, Castle. È Tommy ad aver chiesto spontaneamente che tu fossi un padre per lui, non stai usurpando proprio niente", intervenne Kate in preda a una lieve ansia, guardando lui e Mireille alternativamente, come se si aspettasse dalla donna una qualche forma di supporto, che però non venne. Rimase silenziosa a fissarli per qualche istante e poi ripartì all'attacco con la solita flemma che nascondeva una determinazione ferrea nell'andare fino in fondo.
"Il problema è che trova troppo gravosa la richiesta di Tommy, Rick? So che lei e Kate vi frequentate da poco..."
Inorridì quando si rese conto di quello che la donna stava sottintendendo, l'equivoco che lui stesso aveva generato. Eppure si era sempre considerato un oratore molto dotato.
"No, certo che no", protestò vivamente. Si voltò verso Kate, agitato. "Adoro quel ragazzino, lo sai. Farei di tutto per renderlo felice e non c'è niente che voglia di più che essere un padre per lui".

Avrebbe voluto scuoterla per convincerla della sua assoluta buona fede e si trattenne a stento dal farlo. Non era abituato a confrontarsi con un'estranea in modo tanto aperto su emozioni e dinamiche interiori che non aveva ancora processato da solo. "Ma nonostante io reputi Josh il peggiore degli uomini, anche se so che dovrei esprimermi in modo più politicamente corretto, rimane il fatto che è legittimamente suo padre e fa parte della sua vita". Alzò le spalle. "Non possiamo fingere che non sia così. Non sarebbe... etico".
Mireille annuì, comprensiva. Finalmente gli pareva di essere riuscito a comunicare quello che voleva dire fin dall'inizio e questo lo rilassò e lo incoraggiò a proseguire.
"Gli voglio molto bene, come spero abbia potuto notare, e sarei più che lieto di offrirgli quello che non ha mai avuto, ma temo di confonderlo occupando spazi che non mi competono e quindi sì, arrivando a fargli del male, pur con le migliori intenzioni".

"E di lei cosa mi dice, Rick? Che cosa prova in questa situazione?"
Perché diamine si arrivava sempre a dover frugare dentro di lui?
"Ho paura di non essere all'altezza e di deluderlo. Non potrei mai perdonarmi di essere un'altra figura maschile negativa. E non ho diritti, quindi... temo che ci sia sempre qualcosa o qualcuno che me lo porti via", concluse con un groppo in gola.
Dovette aggrapparsi ai braccioli della poltrona per impedirsi fisicamente di alzarsi e correre fuori. Non si era mai sentito tanto esposto in tutta la sua vita ed era la peggiore delle sensazioni, la più spaventosa. "Ma non siamo venuti qui a parlare di me e dei miei sentimenti", concluse irritato con nessuno in particolare.
"I suoi sentimenti sono importanti, Rick, così come lo sono quelli di tutte le persone coinvolte. E si esprima nel modo che preferisce riguardo a chiunque, questo è uno spazio protetto".
Questo significava che poteva passare agli insulti coloriti, e suggerire che a Josh dovesse essere tolto ogni diritto paterno e insieme anche la cittadinanza americana, tanto per andare sul sicuro? Sarebbe stato un sollievo non dover sempre reprimere tutto per non apparire vendicativo e pieno di livore.

Mireille si rivolse a Kate. "Vuole aggiungere qualcosa?"
"Rick è la cosa migliore che sia capitata a Tommy. E a me". Lo fissò a lungo negli occhi, come se volesse infondergli a forza le sue stesse certezze. Vi lesse inoltre una robusta dose di amore e la promessa che sarebbe passata personalmente sul cadavere di chiunque avesse tentato di portargli via Tommy, o almeno così gli parve. Conosceva quel cipiglio. Le fu grato per quell'iniezione di muto conforto di cui aveva urgente bisogno. "Io non ho nessun dubbio sulle sue capacità di poter essere una figura paterna per mio figlio o qualunque bambino al mondo, anche se sono felice di averlo tutto per noi".
Gli rivolse un sorriso sfrontato che non mostrava alcun dispiacere per tutti gli altri infanti appena nominati che non avrebbero beneficiato della sua benevola presenza paterna, perché erano lei e Tommy a essersela accaparrata. Gli venne da ridere, ma si astenne. Sospettava che fosse un altro modo per ignorare il nodo aggrovigliato che gli pulsava al centro del petto.

Mireille si schiarì la voce. "Bene", congiunse le mani sopra la scrivania. "Vorrei fare una premessa, prima di esprimere un'opinione più articolata", disse assumendo un tono formale che li fece scattare come soldatini sulle loro poltroncine in pelle. Fu decisamente sollevato di sapere che l'interrogatorio emotivo che lo riguardava era terminato.
"Voglio rassicurarla che quello che prova, Rick, non è affatto strano. La sua posizione nelle dinamiche familiari, che tecnicamente viene definita come terzo genitore, non è mai semplice. I suoi dubbi sono più che naturali".
Non aveva mai sentito quella definizione. Terzo genitore? Gli era difficile considerarsi tale.
"Ma per come mi è stata esposta, ritengo che la vostra situazione abbia degli elementi importanti che dovreste tenere in considerazione. Lei in questo momento è l'unica figura di riferimento e Tommy, a quattro anni, è abbastanza piccolo da poter creare con lei un rapporto filiale, e non uno genericamente amichevole. Kate ha ragione nel considerare fondamentale il fatto che sia stato il bambino a suggerire che lei fosse suo padre. Sarebbe sbagliato imporlo o aspettarselo di diritto, ma mi pare che nessuno di voi lo abbia fatto".
"Non ci saremmo mai permessi...", si agitò, in preda all'assurdo impulso di volerle fare la miglior impressione possibile e, soprattutto, allontanare da sé ogni sospetto di involontaria insistenza su una mente ancora impressionabile come quella di Tommy. Era semplicemente successo. Voleva essere suo padre, ma non avrebbe mai preteso di esserlo, una distinzione su cui riteneva fondamentale che tutti convenissero.

"Mi sento però di far presente che io non sono la sua unica figura di riferimento maschile, come lei sostiene". Perché toccava sempre a lui dover ricordare che Tommy aveva entrambi i genitori? Gli sembrava di essere diventato il portavoce di Josh, una specie di garante dei suoi diritti paterni, che lui per primo gli avrebbe tolto senza tante remore, se non fossero vissuti in una società che veniva considerata civile.
"Ha ragione, il padre biologico esiste. Ma è lei a essere presente in modo costante nella vita del bambino, a occuparsi in concreto dei suoi bisogni primari e a fornire ascolto, attenzione, accudimento. Oltre a Kate, naturalmente".
Anche Kate aveva più volte sostenuto, nelle loro conversazioni domestiche, una posizione molto simile, tentando di convincerlo di come lui fosse una figura attiva e ben radicata nella vita di Tommy, mentre il padre era sempre stato una nozione sfumata e priva di contorni definiti, ma si accorse di aver sempre faticato a crederle, opponendo una sorta di pudore. Forse Kate era più brava di lui a capire le dinamiche umane e nello specifico quelle infantili, o forse era merito dello straordinario intuito materno che le faceva comprendere Tommy a un livello superiore al suo. Oppure era lui a essersi mostrato ottuso e lei li aveva trascinati tutti dalla psicologa perché una voce autorevole lo convincesse di come stavano le cose in una realtà che lui si ostinava a non vedere.

Si voltò a guardarla, dispiaciuto per non aver capito e frastornato da tutte quelle crescenti rivelazioni, che riguardavano principalmente se stesso.
"Odio fare l'avvocato del diavolo, ma dobbiamo tenere in considerazione un altro punto, che credo sia fondamentale. Josh ha da poco deciso di far parte della vita di suo figlio a tutti gli effetti, non è più la figura assente del passato. Ha perfino rinunciato alle sue opere benefiche per trasferirsi in città e vederlo di più".
Josh avrebbe dovuto pagarlo, e non poco. Non avrebbe mai trovato un difensore più zelante di lui.
"Dovrà comunque costruire con Tommy un rapporto partendo da zero, perché finora non lo ha fatto. Nonostante le sue ottime intenzioni e ipotizzando la sua totale buona fede – che ci auguriamo porti a una relazione soddisfacente per Tommy- non possiamo prevedere il futuro. Noi abbiamo il dovere di attenerci ai fatti, il resto sono solo ipotesi. Uno di questi fatti ci dice che il padre biologico ha certamente dei diritti giuridici che non sta a me definire, ma non gli garantisce nessun privilegio relazionale. Nessun rapporto è scontato o può essere imposto, tutti necessitano di tempo, cura e impegno. Mentre Tommy, d'altra parte, ha già dimostrato senza esitazione di affidarsi a lei come un referente principale, riconoscendo chiaramente il suo ruolo paterno".
"In che modo?"
Come faceva a sapere tutte quelle cose? Viveva per caso con loro? Li aveva spiati?
"È con lei che si è sentito abbastanza al sicuro da esternare le proprie emozioni dopo l'incontro negativo con il padre, evento che lo ha notevolmente turbato. Ha dimostrato di fidarsi abbastanza da lei da esprimere senza remore le sue paure, la sua rabbia e lo spavento subito. Capisco che dal suo punto di vista sia stato un comportamento spiazzante, ma è un gesto che considero molto indicativo della salute del vostro rapporto".

Kate gli sorrise dolcemente. Era sbigottito. Non sarebbe mai stato in grado di valutare quell'episodio sotto una luce meno che catastrofica, era stato troppo preso ad addossarsene ogni responsabilità, colpevolizzandosi per la pessima gestione di quell'improvviso deragliamento che nascondeva una richiesta di aiuto – quella era l'unica parte che aveva saputo leggere nel modo giusto.
Si sentì incredibilmente sollevato. Era felice che Tommy si fosse sentito tanto a suo agio con lui da usarlo come contenitore per sfogare le emozioni che aveva in precedenza represso. Era proprio quello che avrebbe voluto essere per lui, un solido punto di riferimento, qualcuno a cui rivolgersi per ogni genere di problema, in grado di consolare, aiutare, sostenere. E quando era accaduto, non se ne era nemmeno accorto.

"Quindi, la strada dell'amico speciale..."
Quella donna doveva avere una memoria sovrumana per i particolari di cui era messa a conoscenza. "Non è formalmente scorretta, anzi, è quello che consigliamo di solito per evitare di creare contrasti. Nel vostro caso, tuttavia, non c'è nessun motivo per non rassicurare Tommy sul ruolo che ha nella sua vita. Mi spingo a suggerire che ha bisogno di maggiori certezze da parte sua".
E lui non gliele aveva date, realizzò vergognandosene. Si dimenò, desideroso di concludere il colloquio, troppo irrequieto per rimanere ad ascoltare il resto. Voleva andare da Tommy, abbracciarlo, promettergli che avrebbe potuto sempre contare su di lui in qualsiasi guaio si sarebbe cacciato, anche i peggiori, quelli che non avrebbe confessato a sua madre. Lui ci sarebbe stato. Sempre.

"Direi che per oggi abbiamo finito". La psicologa doveva avere letto i segnali che il suo corpo stava mandando in modo poco sommesso. Si alzò in fretta, mormorando un saluto e sperando che bastasse un sorriso cortese da parte sua per chiudere la seduta senza apparire maleducato.
Si precipitò fuori dalla porta senza aspettare Kate, che rimase indietro a parlare con Mireille, e si recò nella saletta dove Tommy era rimasto a giocare, debitamente sorvegliato.
Tommy non si accorse del suo arrivo, impegnato ad allineare dei mattoncini colorati con i quali aveva costruito una torre talmente alta da sfidare le leggi della fisica.
Si fermò sulla soglia, non volendo interrompere un'attività che, per quanto ne sapeva, poteva essere un altro test di cui non era a conoscenza e che si sarebbe concluso con qualche altra domanda scomoda che gli sarebbe stata posta con una lampada puntata negli occhi, relegato in uno stanzino umido. Meglio non farsi notare.

Quando infine lo vide, il faccino di Tommy si illuminò. Abbandonò la torre, che crollò rovinosamente a terra, e gli corse incontro. Castle si abbassò e aprì le braccia d'istinto. Tommy si lanciò ridendo verso di lui, che lo prese al volo.
In preda all'eccitazione, il bambino gli fece un'accurata descrizione su come avesse trascorso il tempo in loro assenza, un lungo monologo reso frenetico e sconclusionato dall'urgenza di metterlo al corrente di ogni evento successo e inframmezzato da qualche Papà Rick lasciato cadere in maniera casuale.

Si godette l'intero discorso. Ora che aveva ricevuto il beneplacito del mondo accademico, le cose sarebbero state molto diverse. Avrebbe avuto cura di ogni istante trascorso insieme, finalmente libero di comportarsi in modo meno controllato, senza dover ponderare ogni azione, con il costante timore di risultare inopportuno o, peggio, invadente.
Gli diede un bacio con lo schiocco sulla fronte, spettinandolo. Tommy si divincolò, proprio come faceva sua madre quando la interrompeva nel bel mezzo di un discorso perché non riusciva a starle lontano. "Non mi piacciono i baci", lo rimproverò con aria indignata. "Sono grande. Vieni a vedere la mia torre altissima".
Purtroppo non ne rimaneva alcuna traccia, ma Tommy, senza farsi abbattere, gli illustrò con molta precisione le potenzialità architettoniche del materiale che aveva avuto a disposizione e che ormai giaceva sul pavimento. Castle venne contagiato dal suo entusiasmo – succedeva sempre – fino al punto da esporsi con un progetto di più ampio respiro, da realizzare insieme.

"Perché non passiamo al negozio di giocattoli per comprare altre costruzioni? Sono sicuro che ne avranno moltissime e noi le prenderemo tutte. Potremo anche aggiungere una ferrovia e qualche pista per le automobili". Perché non anche un osservatorio astronomico, una portaerei e una base missilistica? Non c'erano limiti alle sue idee, ora che avevano un'intera vita davanti come padre e figlio.
L'eccitazione di Tommy crebbe per allinearsi alla sua, entrambe molto vicine all'esplosione. Avrebbero visto l'alba di un nuovo mondo in miniatura nel salotto del loft, prima di esportarlo verso pianeti lontani.
Un discreto colpo di tosse annunciò la presenza di Kate alle loro spalle. Non l'aveva sentita arrivare.
"Mi spiace distruggere i vostri sogni di gloria, ma credo dobbiate rivedere i vostri progetti. Non ci riempiremo di altre costruzioni, oltre quelle che sono già in nostro possesso che, vi ricordo, non sono poche".
"Mi sorprende che tu non sappia che i bambini devono essere incoraggiati nelle loro aspirazioni. Chi ti dice che così facendo tu non stia tarpando le ali a un futuro visionario che cambierà l'aspetto della vita sulla Terra? O dell'intero universo?"
"Gli ostacoli e le privazioni serviranno a fortificarlo nelle sue aspirazioni. E in ogni caso il visionario deve fare merenda".

"Mamma". La voce di Tommy, adeguatamente modulata per generare sensi di colpa anche in una persona dalla volontà granitica come quella di Kate quando si impuntava a fare il genitore inflessibile, si levò triste e sommessa. Lui gli avrebbe comprato un grattacielo a grandezza naturale se glielo avesse chiesto con quel tono, per non parlare del faccino contrito e del mento già in procinto di esprimere tremando le sofferenze umane racchiuse in millenni di oppressione.
"Niente mamma", tagliò corto la donna senza cuore.
Castle si sollevò con dignità offesa. Se aveva ricevuto l'investitura paterna, poteva permettersi di ribellarsi al potere costituito, giusto? Erano alla pari, lei non vantava maggiori diritti solo perché l'aveva dato alla luce dopo lunghe ore di travaglio. Poteva finalmente dire la sua e, sinceramente, aveva parecchie questioni da sviscerare in proposito.
"Mi permetto di dissentire, Madre. Abbiamo diritto ad avere tutte le costruzioni che ci servono per esprimere il nostro anelito creativo. Non siamo più disposti ad accettare la tua repressione".
"Chiamami un'altra volta Madre e finirai a dormire sul divano".
"Non credere di poter frenare la nostra spinta sovversiva con dei ricatti tanto indegni. Votiamo sì al negozio di giocattoli. E alla merenda". Nutrirsi era sempre importante.
"Sì!", chiosò il piccolo ribelle e suo alleato.
"Non andrete molto lontano facendo fronte unito contro di me. Ma per questa volta vada per le costruzioni".
"Eri più difficile da convincere in passato", commentò sbalordito.
Si sporse a baciarlo sulle labbra. "Lo faccio solo perché credo sia giusto concederci un po' di relax, non certo perché i vostri proclami mi abbiano persuaso. Solo una scatola, però. E molto piccola".
"La più piccola che troveremo, promesso".
"Questo significa che dovremo costruire una stanza in più per ospitarle tutte, giusto?"
"È questo che ami di me, anche se fingi di no. I miei sogni di gloria. Ammettilo".
Gli voltò le spalle e lui temette di essersi spinto troppo oltre. Chissà se avrebbe messo in pratica la minaccia di cacciarlo a dormire sul divano. Le corse dietro per rabbonirla. Non si poteva mai sapere.

...

Tutta la parte relativa al "terzo genitore" l'ho letta essenzialmente a un link preciso che non riesco a condividere qui per esteso (su psychomedia . it ) e in giro per il web. Ho poi ricreato la chiacchierata con la psicologa in base ai casi di cui ho letto, introducendo i punti che richiamavano le dinamiche con Tommy e, come al solito, se è uscito qualcosa di meno che aderente alla realtà, la responsabilità è solo mia.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Ventitre ***


23

Le costruzioni avevano sbaragliato qualsiasi avversario presentatosi sotto forma di articoli per bambini che avesse osato tentarli con il proprio richiamo all'interno del negozio in cui si erano introdotti con una certa frenesia dopo essere usciti dallo studio della psicologa.
Castle si era convinto, mentre se ne erano stati tutti e tre intenti a confabulare davanti al lungo scaffale ricolmo di oggetti, che Beckett dovesse avere una speciale predilezione per quel tipo di giocattoli – forse considerandoli più educativi di altri. O forse ne era appassionata in segreto. Non aveva idea di quale fosse il motivo, c'erano alcuni lati di lei che non gli erano mai stati svelati e che lo intrigavano, come del resto tutto quello che la riguardava.

Di fatto, e con sua somma meraviglia – meraviglia che si era affrettato a nascondere prima di spezzare l'incantesimo-, Kate non aveva battuto ciglio quando, raggiungendo una delle casse con tutta la mercanzia che erano riusciti ad accumulare in un arco di tempo straordinariamente breve, un solerte commesso aveva suggerito loro di approfittare della consegna a domicilio. Diversamente, era stato il sottinteso inespresso, non sarebbe bastato un taxi per portarsi a casa l'immane quantità di scatole che giacevano sul nastro. Come se fosse la soluzione più ovvia, e non qualcosa su cui normalmente avrebbe avuto da ridire fino alla fine dei secoli, Kate aveva acconsentito con un breve cenno della testa, lasciando a lui il compito di definire i dettagli della spedizione, che sarebbe stata fatta pervenire al loft nel giro di qualche ora.
Avrebbero tenuto solo una scatola di piccole dimensioni, su espressa richiesta di Tommy, che ora sfoggiava compiaciuto una borsa colorata appesa al suo polso.

Lasciandosi il negozio alle spalle, si domandò se fosse iniziata una nuova era. Di solito gli acquisti per Tommy, ai quali si dedicava in solitudine traendone molto diletto, dovevano essere fatti entrare in casa di soppiatto mentre lei era al lavoro, sperando che non se ne accorgesse una volta tornata. Se ne accorgeva, invariabilmente. Era stata addestrata a riconoscere ogni minima variazione dell'ambiente circostante e c'era un limite alle volte in cui lui poteva fingere che si trattasse di vecchi giocattoli di Alexis rinvenuti in cantina. Cantina che tra l'altro non possedeva e alla cui esistenza sospettava lei credesse solo per non doverlo mettere ogni volta con le spalle al muro.

"Devo tornare al distretto", annunciò Kate con voce rammaricata quando riebbero un cielo sopra la testa e non decorazioni natalizie esposte anzitempo. Amava il Natale, ma era decisamente troppo presto anche solo per provare a entrare nell'atmosfera.
"Pensavo avresti trascorso il resto pomeriggio con noi".
Si morse le labbra, desiderando averlo fatto prima di quell'uscita inopportuna. Non intendeva lamentarsi della carenza di tempo a loro disposizione, sarebbe stato ingiusto. Era un giorno feriale e Kate aveva già fatto un'eccezione per riuscire a incastrare l'incontro con la psicologa in un'agenda sempre sul punto di esplodere. Sapeva che avrebbe dovuto recuperare quelle ore già entro la settimana in corso.
"Scusami. Non volevo farti sentire in colpa, so che hai molto da fare. Io e Tommy andremo al parco e poi a casa a preparare la cena".
Gli sorrise. "Non scusarti". Guardò l'orologio. "Ho ancora qualche minuto libero, posso fare un pezzo di strada con voi".
Ne fu felice. Amava starsene in giro con loro, quando in circostanze normali lei e Tommy sarebbero stati entrambi lontani da lui, impegnati con la scuola e il lavoro, lasciandolo come sempre in attesa di poterli rivedere.

Oltrepassato l'ingresso del parco, quando il rumore del traffico si affievolì consentendo loro di immergersi nella quiete dei vialetti ombreggiati, Kate si voltò verso di lui. Non ci fu bisogno che gli dicesse alcunché. Capì dalla sua espressione che si stava accingendo a tirar fuori un discorso che doveva starle a cuore, e si chiese se fosse quello il motivo per cui avesse cambiato idea, prendendosi ulteriore tempo per accompagnarli.
"Avanti", la precedette. "Esponi pure le mie colpe senza indulgenza".
Gli lanciò un'occhiata esasperata. "Mi piacerebbe chiederti di spiegarti meglio, ma sono sicura che per la mia salute mentale sia meglio di no".
Castle si lasciò sfuggire una debole risata. "No, non si tratta di una delle mie solite teorie astruse che fingi di non approvare, ma che di nascosto apprezzi". Fece una pausa. "Riconosco quello sguardo di quando ti spiace dover puntualizzare qualche mia malefatta, ma senti di doverlo fare comunque per il bene della società. Mi reputi gradevole e talvolta irresistibile, ma l'amore per la giustizia ti impone di accusarmi di qualche mancanza o solo di un comportamento più bizzarro del solito".
"Non è assolutamente quello che faccio, sei impazzito?", replicò con un po' troppa veemenza, segno che ci aveva visto giusto.
"Lo fai. E ne trai un piacere perverso. Sentiamo, che cosa ho combinato questa volta?"
"Sono le tue solite farneticazioni, alle quali non darò retta, perché mi aspettano in ufficio".

Attese divertito la ramanzina, senza aggiungere altro, certo che sarebbe arrivata. Come infatti puntualmente accadde.
"È solo che... sei stato molto insistente con Mireille nel difendere i diritti di Josh come padre biologico, e la cosa è strana, considerando che sai bene come si comporta con Tommy".
L'allegria svanì. Anzi, Castle si allarmò per quell'interpretazione delle sue intenzioni, che non collimava con la realtà. Era convinto di essersi spiegato al meglio già dentro lo studio, non si era reso conto che per lei il discorso non era affatto chiuso, come lui invece credeva fosse.
"Non volevo certo convincerla che fosse un ottimo padre", reagì punto sul vivo.

Kate non parlò, impegnata a guardarsi con interesse la punta degli stivali. Provò di nuovo a spiegarsi, questa volta mettendoci più impegno. Non era un argomento che volesse lasciare in sospeso tra loro, perché avrebbe aperto la strada a futuri equivoci, che voleva evitare a ogni costo.
"Sono stato preso in contropiede dalle sue domande, non sono abituato a subire interrogatori senza preavviso, anche se vivendo con te dovrei esserne abituato".
Aveva tentato di fare dello spirito, ma fallì su tutta la linea, ottenendo in cambio un'occhiata molto agguerrita. "Non sto insinuando che tu mi sottoponga quotidianamente a degli interrogatori". Di male in peggio. Si allentò il colletto della camicia, agitato. "Okay, è vero, non ho dato il meglio di me e continuo a non darlo". Si sentiva frustrato per quella sua improvvisa inadeguatezza ad articolare un discorso sensato, nonostante fosse più che mai necessario.

Kate continuò a rimanere in silenzio, il che contribuì a renderlo ancora più insicuro. Voleva rimettere nella giusta ottica una questione che gli era sfuggita di mano, ma a quel punto dubitava che ci sarebbe mai riuscito e quindi si rassegnò ancora prima di cominciare. "Dimmi che cosa ti passa per la testa, non lasciarmi qui a blaterare cose senza senso, quando è chiaro che non ho il controllo delle mie sinapsi".
"Il fatto è che..." Annuì per incoraggiarla a continuare. "Non so, Castle, avevi tanto premura di ricordare al mondo che all'anagrafe è riportato un nome diverso dal tuo da farmi venire il dubbio... lo stesso di Mireille... che tu inconsciamente respinga un ruolo che ti è stato affibbiato, ma per il quale non ti senti pronto".
Iniziò a scuotere la testa, troppo sconvolto per imbastire una risposta ragionevole. Non osava esprimersi, tenendo conto degli infruttuosi tentativi precedenti.
"No, Kate, non devi nemmeno pensarlo..."
"Non ci sarebbe nessun problema, se fosse così. Mi rendo conto che si tratta di un traguardo impegnativo, e che forse è arrivato troppo presto. È colpa mia, non avrei dovuto suggerire a Tommy quell'appellativo, PapàRick, senza averne prima discusso con te o aver lasciato sedimentare la cosa. Ti capisco. Ma devi essere chiaro, perché non possiamo confondere Tommy o promettergli qualcosa che non possiamo mantenere".
Le sue parole, espresse con il suo solito piglio deciso, lo atterrirono. Di lì a poco avrebbe esposto la necessità per tutti di fare un passo indietro e nel giro di qualche giorno sarebbe tornata nel suo vecchio appartamento insieme a suo figlio con la scusa di dargli spazio e lasciar sedimentare. Sentì la mano gelida del terrore stringergli la gola.
"No. No. Kate, no. Hai travisato la mia reazione. Anzi, sono io a essermi espresso male. Voglio essere suo padre. Non c'è niente che io desideri di più, salvo sposarti. Mi piace quando mi chiama Papà Rick, è stata un'idea grandiosa, il giusto compromesso. E ti assicuro che non è affatto impegnativo, vi amo entrambi moltissimo. Solo..."

Kate alzò un sopracciglio. Si maledisse per essere così maldestro.
"D'accordo, la verità è che fin dall'inizio ho sempre pensato che sarei stato un padre migliore di Josh. E in più lui non è mai stato presente, mentre io sì. Sarebbe stato fin troppo facile dargli un calcio – metaforico – e rimpiazzarlo, dimenticando la sua esistenza. Ma sarebbe stato ingiusto, egoista da parte mia e una mancanza di rispetto nei confronti di Tommy e suoi. Non posso appropriarmi della sua famiglia e cacciarlo in soffitta solo perché sono convinto di essere migliore di lui. Mi accusi sempre di avere un ego smisurato, ma credo che questo sarebbe troppo anche per me".
Kate lo osservò a lungo con espressione impenetrabile. "Questa tua nuova consapevolezza priva della solita grandiosità, ma anzi piena di buonsenso, mi coglie impreparata, Castle".
Scoppiò a ridere. "E questo mi rende più o meno affascinante ai tuoi occhi?"
Finse di studiarlo. "Ci devo pensare". Avvicinò la testa alla sua, facendosi più seria. "È indubbio che tu sia migliore di lui, qui non si tratta di una percezione errata o di egocentrismo. Sei la persona più altruista che io conosca, soprattutto quando si tratta di Tommy. E non stai rubando il posto a nessuno, come ti ho già detto davanti a Mireille, semplicemente perché quel posto non è stato mai occupato da chi ne avrebbe avuto il diritto. Non è un'ingiustizia, anche se ti fa onore porti il dubbio".

Le mise un braccio sulle spalle, tirandola contro di sé e la baciò su una tempia, troppo scosso dalle sue parole di apprezzamento per risponderle con una delle loro battute che avrebbe dato origine a quei battibecchi che tanto amavano.
"Dovremmo prenderci una vacanza", decise all'improvviso. "Non un weekend negli Hamptons, un posto diverso, più lontano. Abbiamo bisogno di cambiare aria".
Solo loro tre, senza il rischio di intromissioni esterne. Sapeva già quale sarebbe stata la meta, si materializzò davanti ai suoi occhi non appena formulò la proposta.
"Sì, mamma! Andiamo in vacanza", intervenne Tommy festante. Come riuscisse sempre a captare i loro discorsi nonostante sembrasse sempre distratto da altro era un mistero. Castle si fece battere cinque, sigillando il loro accordo.
"Non so se potrò liberarmi dal lavoro, non posso promettere niente". Si voltò verso di lui. "Però non è una cattiva idea", mormorò.
Data la sua natura poco propensa ai cambi di programma, prese la sua cauta risposta come una vittoria senza riserve.
"Ottimo, preparate la tuta da sci e tutto il resto, andremo in vacanza sulle Alpi. Vi porterò in un posto magnifico. Per questa volta Parigi dovrà aspettare, mi spiace".
La parte relativa a Parigi venne debitamente sussurrata perché giungesse solo alle orecchie adulte alle quali era indirizzata. Lui non aveva dimenticato i croissant e la passeggiata lungo la Senna suggeriti durante il loro primo appuntamento. Più avanti avrebbero realizzato anche quella fantasia.
"Non credi che dovremmo decidere insieme dove andare in vacanza? Non puoi trascinarci dove ti pare senza chiedere la mia opinione, forse ti sfugge che potrei avere anche io delle preferenze".
"Le tue preferenze ci farebbero fermare a Coney Island, solo per essere più vicina al distretto".
"Cominci a essere troppo sfrontato per i miei gusti".

"Kate".
Una voce maschile a lui sconosciuta si insinuò tra loro, pervenendo dallo spazio alle loro spalle. Ne fu infastidito, anche se non sapeva ancora a chi apparteneva. Voleva godersi in pace un momento privato che doveva apparire tale anche all'esterno, visto che si stavano baciando. Non doveva essere difficile da capire.
Si voltarono tutti e tre simultaneamente, lui irritato dall'interruzione e pronto a congedare sbrigativamente l'estraneo, madre e figlio rassegnati, forse perché già consapevoli dell'identità del seccatore.
Kate si staccò in fretta da lui, quasi a voler nascondere la natura del loro rapporto – una reazione che lo mandò in confusione-, mentre Tommy rimase in disparte. Nel silenzio raggelante che seguì, sentì la manina del bambino intrufolarsi nella sua, esitante.
Riconobbe senza difficoltà Josh nell'uomo che si trovò davanti, non tanto per merito della chioma una volta invidiabile, che non aveva però retto le insidie dello scorrere del tempo – fu la prima cosa che notò con soddisfazione, del resto lui non si considerava un santo -, ma per via dell'aura di arroganza di cui era circonfuso, che emanava generosamente a beneficio di chiunque si trovasse nei paraggi.

E quindi il momento era infine giunto. Strano, aveva sempre immaginato il loro incontro in un contesto più drammatico, uno in cui Josh avrebbe senz'altro avuto la peggio, non sotto le imponenti chiome di alberi secolari nel bel mezzo di un ameno pomeriggio e senza adeguata preparazione.
Solo un pazzo non si sarebbe accorto dell'ostilità muta che si stava riversando compatta contro di lui mostrando chiaramente che non era il benvenuto. Quell'uomo doveva difettare della capacità di leggere i segnali comunicativi provenienti dal prossimo. Una grave mancanza, considerando che si trattava di un medico, un benefattore dell'umanità e un eroe. Conosceva a memoria la lunga sfilza dei suoi attributi.

Josh indirizzò la sua attenzione verso Kate, tagliando fuori lui e Tommy, come se fossero stati invisibili. E se lui aveva ben altre aspirazioni che ricevere qualsivoglia forma di cortesia da parte di un uomo sulla cui sparizione in circostanze tragiche aveva già adeguatamente congetturato, l'indifferenza che riservò al figlio lo turbò nel profondo.
Un conto era essere messo a conoscenza del suo comportamento attraverso numerosi aneddoti poco edificanti, un altro era assistere dal vivo all'esperienza di un padre che ignorava volutamente il suo unico figlio, un bambino di soli quattro anni. Come uomo cresciuto senza un padre se ne sentì toccato in prima persona, riaccendendo una sofferenza che credeva ormai superata.

Kate gli rivolse una breve occhiata ammonitrice che ricambiò ostentando un'aria irreprensibile e vagamente offesa – non aveva di certo intenzione di fargli del male in un luogo pubblico e in presenza di Tommy –, prima di muoversi verso l'ex fidanzato, o qualsiasi cosa fossero stati in precedenza. Vedendoli insieme gli risultava difficile credere che fossero mai stati coinvolti in una relazione sentimentale, se non per sbaglio e sporadicamente. Non c'era affetto tra loro, né una parvenza di stima reciproca. Non c'era... niente. Era destabilizzante.

"Ti ho chiesto esplicitamente di farmi un resoconto dell'incontro con la psicologa". Nessuno, da che aveva memoria, si era mai rivolto a Kate con tale aria di sufficienza, perfino i criminali la rispettavano. Se ne sentì personalmente offeso. "Mi aspettavo un aggiornamento".
Naturale. E lodi al cielo per essersi degnato di scendere tra loro per informarsi di qualcosa che si era reso necessario solo per colpa delle sue gesta scellerate.
"Abbiamo comprato le costruzioni. Vuoi vederle? E andremo anche in vacanza".
Con sua sorpresa, Tommy si inserì nell'atmosfera tesa che avviluppava i suoi genitori, quasi a voler stemperare l'ostilità che aveva istintivamente colto tra loro. La tenerezza che provò per lui in quell'istante gli provocò un dolore fisico.
Tommy rimase per qualche secondo con il braccio alzato a mostrare al padre il bottino di cui andava orgoglioso, attendendo un cenno di riconoscimento. Un padre rimaneva un padre, per quanto pessimo potesse essere e Tommy voleva condividere con lui qualcosa che riteneva prezioso.
Doveva essergli costato molto quel gesto di coraggio – apostrofare Josh apertamente-, lo intuì dall'impercettibile tremito della voce, che sarebbe sfuggito a chiunque, ma che per lui era palese come la detonazione di una bomba. Ed era anche spaventato, visto come gli stava stritolando la mano.

Tommy era un bambino sensibile, era un fatto universalmente noto, e lui aveva sempre attribuito questa sua spiccata caratteristica alla sua personalità e all'affetto ricevuto nei primi anni di vita. Non aveva mai riflettuto sul fatto che quella predisposizione potesse essere stata affinata dall'essere stato immerso fin dalla nascita in una situazione conflittuale. Stava tentando di distogliere l'attenzione di Josh da sua madre, addossandola su di sé, forse per proteggerla. Chissà quante altre volte era successo. Quel pensiero gli fece contrarre lo stomaco già duro come un sasso e inasprì il suo astio.

Josh non gli diede retta, non sembrò nemmeno aver registrato l'interruzione. Kate, per quanto poteva vedere, si stava sforzando di dissimulare il proprio stato d'animo, che doveva essere prossimo allo sterminio di massa per come quell'uomo stava trattando suo figlio.
Sospettò che la simulata compostezza a cui lei si stava costringendo fosse un modo per tutelare Tommy. Se avesse reagito diversamente, se avesse polemizzato o risposto per le rime, avrebbero finito col litigare, era evidente anche a lui che l'oracolo in carne e ossa non avrebbe tollerato di ricevere lo stesso trattamento che lui infliggeva agli altri. E gli era altrettanto evidente che a Josh non importava nulla di Tommy.

Messo per la prima volta di fronte alle dinamiche di una relazione che gli appariva – pur non avendone le competenze - disfunzionale, percepì acutamente la propria posizione svantaggiosa. Era appena stato definito come il terzo genitore, che in sostanza significava contare meno di niente da un punto di vista giuridico, ma che gli dava la possibilità unica di osservare il disagio di Tommy dall'esterno. E quel che vedeva non gli piaceva.

Josh si degnò solo dopo qualche istante di voltare la testa nella loro direzione per dar retta a suo figlio, che aveva tristemente abbassato il braccio ed era ormai scomparso dietro le sue gambe.
"Ehi, Thomas".
Ehi, Thomas? Era tutto quello che riusciva a produrre? E perché lo chiamava in quel modo? Che ne era di Tommy?
Non aggiunse altro, non gli sorrise, non creò nessuna connessione con lui, si limitò a fissarlo senza mostrare la minima curiosità né per le costruzioni né per la notizia della futura vacanza, che Tommy si era avventatamente lasciato sfuggire. Il problema non era tanto, o soltanto, che da un padre ci si sarebbe aspettati qualcosa di diverso, di più affettuoso o che almeno denotasse interesse – quello sarebbe stato il minimo della decenza. La cosa più agghiacciante di tutte era che chiunque si sarebbe comportato con più calore di fronte a un bambino. Gli vennero in mente molte definizioni, ma nessuna che non fosse un insulto.

Dopo aver evidentemente ritenuto di aver adempiuto ai suoi doveri, Josh tornò a ignorarli. Era per Kate che si era fatto vivo con una scusa, realizzò sbigottito. Non perché provasse per lei un interesse romantico, dubitava che fosse in grado di avere dei sentimenti per qualcuno che non fosse se stesso.
Quello che gli era impossibile tollerare, finalmente lo comprendeva con una chiarezza che gli toglieva il fiato, era l'essere stato messo da parte. Quando lui, Richard Castle, era entrato a far parte del quadro, la sua dirompente autostima doveva aver subito un'insopportabile incrinatura. Finché Kate e Tommy erano rimasti da soli perché lui era stato emotivamente assente, di loro non gli era mai importato alcunché.
Adesso veniva invece a rivendicare i suoi diritti e a pretendere maggiore spazio, solo perché c'era un altro uomo che dimostrava di avere a cuore le loro sorti, pronto a fare quello a cui lui si era sottratto, a creare una famiglia.

Tommy gli diede un piccolo strattone, distogliendolo dallo sgradevole spettacolo a cui stavano entrambi assistendo impotenti.
Abbassò lo sguardo su di lui e vide due occhi colmi di mestizia incontrare i suoi. "Andiamo a casa, PapàRick?", gli domandò con una vocina sottile e rassegnata. Gli parve cresciuto di colpo, un piccolo adulto il cui cuore poteva essere stato spezzato ancora una volta, ma che non aveva perso la dignità.
Lo prese in braccio, incurante del fatto che l'altro padre potesse aversene a male. Era certo che avesse sentito il modo in cui Tommy si era riferito a lui, anche se non disse niente a riguardo. Non gli importava. Che imparasse una volta tanto a gestire la frustrazione per non essere al centro del mondo, lui voleva unicamente proteggere Tommy.

Sentì la furia repressa dilagare nel proprio corpo, gonfiandogli il petto. Doveva trattenersi per il bene del bambino, proprio come Kate doveva aver fatto da sempre, anche se lui non era altrettanto bravo a praticare un tale dominio su se stesso.
Se fosse stato libero di agire non si sarebbe tirato indietro dall'affrontare un uomo tanto insensibile da non rendersi conto di quanta sofferenza stesse causando a suo figlio, che si trovava a essere respinto da un padre al quale voleva comunque fare una buona impressione.
Che cosa avrebbe comportato tutto questo per la sua futura autostima? Che cicatrici avrebbe lasciato nella sua vita da adulto? Come avrebbe potuto metabolizzare, piccolo com'era, l'indifferenza di suo padre, senza attribuirla a sé e alle proprie mancanze, senza sentire di averla meritata?
Giurò silenziosamente che avrebbe fatto l'impossibile per ripagarlo di un giro sbagliato della sorte. Gli avrebbe insegnato ad avere fiducia nei propri mezzi e a comprendere l'egoismo di suo padre, separandolo da se stesso. Avrebbero coltivato e rinforzato insieme i suoi punti di forza e non avrebbe mai ignorato un suo tentativo di approccio.

"Io e Tommy andiamo a casa", annunciò senza curarsi di apparire risentito. Era arrivato al capolinea della sopportazione. Calcò il nome del bambino per cancellare il precedente Thomas pronunciato con intollerabile distacco.
Lanciò un'occhiata truce a Beckett, per comunicarle che c'era un limite alla sua capacità di trattenere dei legittimi istinti omicidi.
"Non abbiamo ancora finito di parlare".
Sua Maestà si rivolse a lui sdegnato, quasi stupendosi di tanta temerarietà da parte sua, come se lui e Tommy fossero un'unica entità incapace di comportarsi in modo appropriato. Come faceva la gente a sopportarlo senza mandarlo al diavolo?
"Potete continuare la vostra edificante conversazione anche senza di noi. Tommy è stanco".
Avrebbe voluto proseguire facendo una lezioncina su come, nelle società civili, il benessere dei bambini venisse prima di quello di adulti capricciosi e narcisisti come l'esemplare da manuale che si trovava a pochi metri da lui, ma preferì starsene in silenzio.

"Sono venuto appositamente per incontrarlo. È mio diritto passare del tempo con lui", si lamentò querulo l'uomo che non doveva aver superato la fase anale.
Era stupefacente come riuscisse a mentire senza vergogna. Ed era incredibile la spudoratezza e la tracotanza con cui modificava la realtà a suo favore senza rendersi conto di come stessero davvero i fatti.
Di fronte a quelle parole Tommy si immobilizzò come un animale intrappolato. Gli parve perfino di percepire l'odore acre del panico che doveva averlo invaso alla prospettiva di stare con suo padre. Era troppo.
"Puoi vederlo solo quando è il tuo turno, previo accordi. Non puoi piombare nella sua vita solo quando ti fa comodo e spaventarlo a morte".

Era sbagliato, lo sapeva. Ci sarebbero state conseguenze e sicuramente inasprire i rapporti era l'ultima cosa che un qualsiasi avvocato avrebbe consigliato loro di fare, ma lo doveva a Tommy. Doveva sapere che al mondo c'era qualcuno che avrebbe preso le sue difese e che sarebbe stato dalla sua parte, a qualsiasi costo.
"Ci vediamo a casa", tagliò corto Kate, prima di tornare a rivolgersi con espressione insofferente all'uomo petulante che, ne era certo, avrebbe aggiunto ulteriori lamentele alla lunga lista che aveva in serbo per lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Ventiquattro ***


24

Kate era tornata prima del previsto, mostrandosi piuttosto taciturna. Castle l'aveva accolta con lo slancio di sempre, ma da subito aveva percepito che c'era qualcosa che non andava. Non ne aveva dato merito al suo sesto senso, di solito puntuale nel registrare le variazioni del suo umore, soprattutto se viravano al peggio. Era visibilmente alterata, e tesa nello sforzo di non farlo trapelare.

Messo di fronte al dilemma se indagare o meno la situazione in modo più approfondito – fare pressione l'avrebbe fatta innervosire ulteriormente? Era un dubbio legittimo, conoscendola -, aveva in ultimo preferito sorvolare; sapeva che era meglio non prenderla di petto, lo imparato già ai tempi del loro primo incontro. Non era stato però solo il buonsenso a consigliargli di affrontare la questione più tardi, attendendo le sue mosse. A frenarlo era stata la paura, un rivolo sotterraneo che lo teneva costantemente sulle spine, che il cattivo umore di Kate avesse a che fare con lui. Che ce l'avesse a morte con lui, anzi. Sensazione irrazionale quanto si voleva, ma fonte di qualche apprensione di troppo, che sospettava nascondesse dei timori che non osava far venire alla luce.

L'ipotesi meno drammatica era che la sua inquietudine derivasse dall'ennesima assurda richiesta da parte di Josh e che non volesse turbarlo rivelandogliela.
Non l'aveva sentita nel corso del pomeriggio, quindi non era al corrente di quello che era successo tra i due dopo essersene andato dal parco con Tommy. Avevano continuato a discutere? Forse la lite era degenerata sotto gli occhi di tutti?
Non avere tutte le informazioni gli aveva procurato una discreta dose di ansia, ma aveva preferito starsene zitto immaginando scenari via via meno tranquillizzanti, sentendosi sempre peggio.

Dopo una cena veloce consumata in un silenzio rotto solo da qualche monosillabo, Tommy, in apparenza ignaro dell'insolita tensione presente tra i due adulti seduti a tavola con lui, aveva preteso che trascorressero la serata dedicandosi tutti insieme alle costruzioni nuove di zecca che erano state appena consegnate da un zelante fattorino carico di numerose scatole, che se ne era andato con una notevole mancia.
Non poteva certo dire di essere nella migliore disposizione d'animo per concentrarsi nella progettazione di edifici futuristici, ma aveva fatto una promessa e lui non era solito deludere le aspettative di un bambino venendo meno a un impegno a cui aveva acconsentito. Kate si era unità a loro, mostrando un entusiasmo in apparenza genuino all'idea di partecipare, cosa che lo aveva fatto ben sperare.
Consapevole di doversi muovere con circospezione, mentre erano impegnati nel gioco le aveva rivolto qualche frase casuale, alle quali lei aveva risposto se non con calore, almeno non con il distacco mostrato a cena. Era un inizio e il fatto che non avesse ancora tirato fuori la pistola dalla cassaforte in cui la riponeva non appena rientrava in casa, poteva essere considerato un punto a suo favore.
Era comunque inutile fingere che l'atmosfera fosse confortevole e rilassata come quella che si creava di solito quando si ritrovavano insieme al termine di una giornata piena di impegni, felici di rivedersi. Le nubi non si erano ancora diradate.

Più tardi, quando si trattò di mettere Tommy a letto, fu lui a offrirsi di occuparsene. Da quando si erano fatti vivi gli incubi che lo svegliavano in piena notte, Tommy aveva iniziato a opporre resistenza all'idea di concludere la giornata da solo nella sua cameretta. Nonostante la stanchezza, ciondolava per casa esausto e sempre più nervoso fino a esplodere in vere e proprie scenate, cosa che rendeva ancora più difficile convincerlo ad abbandonarsi al sonno.
Castle aveva quindi deciso di inventarsi una routine che rendesse meno drammatico quel delicato passaggio e aveva coinvolto Tommy nei suoi progetti, facendoli apparire divertenti e avventurosi. Poteva affermare con orgoglio che il suo piano aveva funzionato alla grande. Si divertivano come dei matti, anche se lo scopo della faccenda, come faceva notare Kate immancabilmente, non era di mandarlo su di giri, ma al contrario di predisporlo al riposo.

Dopo qualche minuto di chiacchiere, seguite da alcune pagine del libro che Tommy sceglieva personalmente tra una serie di volumi adatti alla sua età e che lui gli leggeva ad alta voce, cambiando le voci ai personaggi e, spesso, modificando la trama per renderla più avvincente, fu libero di tornare in salotto. Esitò per qualche istante con la mano sulla maniglia, voltandosi indietro a dare un'ultima occhiata al bambino addormentato – la quiete che regnava nella stanza era più invitante del conflitto che, ne era certo, avrebbe dovuto affrontare di lì a breve. Non si illudeva che le cose si fossero risolte di colpo in sua assenza.
Passare dal mondo incantato che aveva condiviso con Tommy nella penombra di una stanza silenziosa alle insidie della vita adulta era qualcosa che, per la prima volta, trovò superiore alle sue forze. Ma doveva farlo, non aveva senso ritardare ulteriormente una conversazione che aleggiava minacciosa nell'aria.

"Ti preparo qualcosa da bere?"
La trovò seduta sul divano, intenta a leggere dei documenti che si era portata dall'ufficio. Meglio mostrarsi conciliante. Kate lo guardò distrattamente e scosse la testa, prima di tornare a immergersi tra le sue carte.
Era un invito a non disturbarla? Non sapendo come procedere, si limitò a non fare niente, occupando il posto del divano più lontano da lei, in attesa di un cenno da parte sua.
"C'è qualcosa che vuoi dirmi, Castle? Sei piuttosto inquietante lì immobile a fissarmi", lo apostrofò dopo una decina di minuti. Nonostante il tono scherzoso con cui aveva tentato di camuffare l'irritazione, la percepì forte e chiara. Aveva avuto ragione, era lui il bersaglio della sua ira.

Decise che era ora di finirla e si buttò impavido e a volto scoperto contro le armi che avvertiva ormai puntate contro di lui. "Vorrei che parlassimo di quello che è successo oggi pomeriggio. O che parlassimo e basta", ribatté con tono pacato, nonostante si stesse predisponendo interiormente all'inevitabile discussione che ne sarebbe seguita. La vena che le pulsava sulla fronte, che di solito amava baciare, non mentiva su quali fossero le sue vere intenzioni.
"Mi sorprende che tu mi faccia questa proposta. Credevo che fossi solito agire senza curarti delle conseguenze".
Dopo quell'uscita sferzante tornò a ignorarlo, lasciandolo di sasso.
Non si era aspettato un attacco tanto diretto. Si sentì disarmato di fronte all'acredine che gli era stata rivolta senza nessun preambolo, come se fosse appena stato investito da una tonnellata di ghiaccio.
Indispettito, gli venne voglia di ripagarla con la stessa moneta, ma in ultimo si dominò. Non aveva senso iniziare a lanciarsi delle frecciate sarcastiche con il solo intento di ferirsi, circostanza che non si era mai verificata tra loro, il che contribuiva a disorientarlo.
"Puoi spiegarti meglio?"
Si era espresso con la maggior cautela possibile, ma Kate reagì fissandolo torva.
"Quella scenata di oggi al parco era necessaria? Dovevi proprio annunciare a tutti i presenti l'ostilità che provi per Josh? Perché non fare una dichiarazione di guerra in mondovisione a questo punto, così da non avere più dubbi a riguardo?", gli scagliò contro inviperita.

Era il colmo. Al diavolo il dominio su se stesso. Si alzò in piedi, incredulo per il rimprovero meschino che gli era appena stato rivolto e offeso per quella lettura svilente del suo comportamento, che aveva avuto un intento molto più nobile. La calma che si era ripromesso di mantenere venne cancellata di colpo.
"Credi abbia agito in quel modo solo perché non lo sopporto? Quanti anni credi che io abbia, dodici? Te la stai prendendo con il bersaglio sbagliato".
Fece qualche passo lontano da lei. Era agitato e si sentiva umiliato dalla sue parole. Gli pareva che si fosse trasformata all'improvviso in un'estranea astiosa che, dopo averlo ingiustamente aggredito verbalmente, si era ora chiusa dietro un insopportabile silenzio. Si passò una mano tra i capelli, non sapendo che cosa fare. Decise di insistere, almeno per tentare di discolparsi da un'accusa totalmente ingiusta.

"Certo che non lo sopporto e direi che ne ho ogni motivo, visto che tratta Tommy in un modo inammissibile per un genitore. Ma adesso il problema sarei io?"
Kate sbuffò e voltò la testa, ritenendolo forse melodrammatico.
"Non è il caso di fare la vittima e non mettermi in bocca cosa che non ho mai nemmeno pensato. Voglio solo dire che attaccarlo come hai fatto tu non è la soluzione. Anzi, peggiorerà solo le cose, come se non avessimo già abbastanza problemi".
"Non era un attacco contro di lui", ruggì. "Ti sei almeno accorta di come ha reagito tuo figlio...". Fece un respiro profondo. Non voleva definirlo in quel modo, tuo figlio, proprio il giorno in cui aveva felicemente accettato di assumersi la responsabilità di quel bambino che amava come se fosse suo. "Tommy. Ti sei almeno accorta che era terrorizzato all'idea di rimanere da solo con suo padre? E di come abbia cercato di mettersi tra voi per farvi smettere di discutere? Io non ho fatto nient'altro che proteggerlo, mentre i suoi genitori lo esponevano a uno spettacolo pietoso a cui chiunque sano di mente si sarebbe rifiutato di assistere. È così che è sempre andata? Ci credo che è terrorizzato e la notte si sveglia urlando".
Lo aveva detto. Era stato davvero pietoso. Tommy meritava di meglio. Si stupiva di essere l'unico a vederlo tanto chiaramente.

"Come ti permetti di fare un'insinuazione del genere? Non sai niente dei nostri rapporti e, in ogni caso, non sono cose che ti riguardino", rispose Kate gelandogli il sangue e facendolo incollerire come raramente gli era accaduto.
"Come sarebbe a dire che non mi riguardano? Lo fanno eccome, visto l'impatto che hanno su Tommy. O di colpo non sono più una figura paterna per lui, solo perché non ti va bene come mi comporto? Sono stato declassato di nuovo ad amico speciale perché non mi prostro ai piedi del grande cardiochirurgo come invece fai tu?"
Si alzò anche lei, furibonda al par suo.
"Ti rendi conto di quello di cui mi stai accusando? Stai esagerando, Castle, ti avverto. Io non mi prostro ai piedi di nessuno, cerco solo un approccio più morbido del tuo che, per inciso, sta solo facendo danni".

Non l'aveva mai sentita urlare. Non che tecnicamente avesse alzato la voce, ma l'effetto del suo tono gelido su di lui era ugualmente paralizzante. Sarebbe andato avanti perché lo doveva a Tommy, ma cominciava a temere che a furia di attaccarsi a vicenda la conclusione sarebbe stata irreparabile.
"Quell'uomo non ha diritto a nessun trattamento di favore, dal momento che non ha degnato suo figlio di uno sguardo, come se fosse invisibile o non valesse abbastanza, per rivolgere la sua attenzione unicamente a te. Io non rispetto un individuo simile e non ho problemi a dirglielo in faccia".
"Se si tratta ancora della tua gelosia, Castle, non ho intenzione di star qui a discuterne un'altra volta. Ti ho già ripetuto che a Josh non importa di nessuno, soprattutto non di me. Non è questo il punto".
Vederla alzare gli occhi al cielo, come se la sua uscita troppo infantile per essere presa in considerazione, lo esasperò come non credeva fosse possibile.

"È offensivo il solo fatto che tu possa credere che alla base delle mie azioni ci sia della gelosia, Kate", disse in tono grave. "Sono intervenuto solo perché Tommy non era in grado di sopportare quella situazione un minuto di più, motivo per cui ho deciso di andarmene, portandolo con me. Me lo ho chiesto lui. E io gli ho dato retta, perché è doveroso che qualcuno stia dalla sua parte, una volta tanto. E ti giuro che lo farò sempre, Kate, anche se non ti piacerà o dovremo discuterne all'infinito, perché adesso ci sono anche io a decidere che cosa è bene per lui e non intendo stare a guardare quando viene ferito".
"Che cosa vorresti dire? Che io non lo difendo? Che io lascio che gli venga fatto del male?", scattò rabbiosa. "Stai parlando di mio figlio. Ha avuto solo me finché non sei arrivato tu a pontificare, lanciare accuse e credere di essere migliore di tutti. Mi sono sempre, sempre adoperata per proteggerlo, da quando me lo sono portata a casa dall'ospedale da sola. Non osare mai più metterlo in discussione".

Fece una pausa, sforzandosi visibilmente di calmarsi. "Ma continuo a essere convinta che non sarà con i tuoi modi che otterremo qualcosa, nonostante ti piaccia considerarti il suo eroe personale".
"Nemmeno con i tuoi, Kate", disse stancamente tornando a sedersi. La rabbia si era dileguata, lasciando spazio a un'infinita tristezza. "E non voglio essere l'eroe di nessuno, solo comportarmi come farebbe un padre. E qualunque padre oggi avrebbe allontanato il figlio da un conflitto che non era in grado di reggere".
Nonostante si aspettasse un'altra esplosione, Kate sembrò abbandonare di colpo le ostilità, imitandolo. Prese posto accanto a lui, sospirando sfinita.

"Per quanto possa sembrarti assurdo, il mio fine è sempre quello di tutelare Tommy. E anche a me piacerebbe lasciarmi andare e insultare Josh, il più delle volte. Tutte le volte. Ma so che farlo contribuirebbe a renderlo più vendicativo nei nostri confronti e noi non ce lo possiamo permettere, proprio perché sarebbe Tommy a pagarne lo scotto".
Era un sollievo essere tornati a discutere in toni più ragionevoli, segno che la distanza che li aveva temporaneamente divisi si stava ricomponendo, anche se non gli piacque il senso del suo discorso.
"Questo che cosa significa? Che dovremo sforzarci di compiacerlo per non avere seccature da parte sua? Non è giusto, Kate. Né per noi, né per Tommy, soprattutto per lui. Meritiamo di meglio che vivere come suoi ostaggi. Ha già abbastanza adulatori alla sua corte".
"E che cose proponi di fare, in concreto? Trascorrere i prossimi anni in tribunale a combattere perché tenterà di metterci i bastoni tra le ruote in ogni occasione? Forse non te ne rendi conto, ma ha ogni intenzione di farlo e, quel che è peggio, senza un motivo ragionevole. Gli va e basta. Si è già premurato di farmi sapere che non gli sta bene l'idea della vacanza all'estero che Tommy ha menzionato, perché, ti cito testualmente, come padre ha dei diritti che noi continuiamo a calpestare, mentre giochiamo alla famigliola felice".

Non c'era mai limite alle bassezze che quell'uomo continuava a produrre.
"È commovente notare che Tommy è sempre al centro delle sue preoccupazioni", commentò amaramente.
Kate gli posò una mano sul ginocchio. Allungò la sua a stringerla, felice che avessero smesso di urlarsi contro.
"Vogliamo la stessa cosa, Castle. E con la medesima intensità, che è il motivo per cui perdiamo le staffe, perché teniamo a Tommy e ci preme che passi meno tempo possibile con Josh. Abbiamo solo scelto strade diverse, ma non per forza la mia è così indecente come credi tu".
"E quindi secondo te dovremmo reprimere ogni nostra reazione per assecondarlo, così da non turbare il suo smisurato ego che lo fa reagire come un bambino viziato? Perché è esattamente quello che sta succedendo".
"Non credi che lo pensi anche io? Ma non si tratta di fargli un favore o lisciargli le penne, voglio solo evitare di inasprire dei rapporti che siamo obbligati a mantenere. Josh farà sempre parte della vita di Tommy e preferirei fosse una presenza se non positiva -sappiamo che non lo è – almeno non dannosa. Oppure dovremo rassegnarci a una battaglia infinita, anche se dovessi ottenere l'affidamento esclusivo".

"Sono pronto a combattere", ribatté lui pieno di grinta. Non gliel'avrebbe lasciata passare liscia. Avrebbe fatto tutto ciò che di spiacevole – magari anche illegale, ma meglio tenerlo per sé- sarebbe stato necessario per garantire che Tommy avesse una vita felice e priva di una presenza nociva, se possibile.
"Vuoi davvero passare il tempo a litigare con lui? Io onestamente vorrei evitarlo. Fare i galli da combattimento come vi ho visto comportarvi oggi non ci porterà da nessuna parte".
Gli venne da ridere, anche se l'immagine non era del tutto lusinghiera nei suoi confronti.
"Nonostante tu creda il contrario, sono perfettamente consapevole della reazione atterrita di Tommy alla possibilità di passare del tempo con Josh e ti ringrazio per esserti occupato di lui", continuò Kate, facendolo sentire in colpa per aver pensato male di lei e averglielo scagliato contro senza la minima sensibilità. "Così come ho notato che è stato in grado di rasserenarsi molto più facilmente, rispetto all'ultima volta che lo ha incontrato. È questo è solo merito tuo".
"Mi hai dato del gallo da combattimento, non credere di poter riparare l'onta con qualche parola gentile".
Gli sorrise con dolcezza.
"Eri il gallo più sexy, però".
"Giochi sporco perché conosci i miei punti deboli".
Si allungò a baciarlo sulle labbra, il primo contatto fisico da quando lei aveva fatto ritorno dal distretto. La tirò verso di sé, quando accennò ad allontanarsi. Aveva più che mai bisogno di sentirla vicina e cancellare il ricordo del litigio a malapena superato.
"E hai ragione, sono abituata a gestire Tommy da sola. Ammetto di aver inizialmente considerato il tuo intervento un'intromissione. Ti chiedo scusa. Non sono... abituata a condividerlo con altri".
"Non è per questo. È che hai una natura dispotica e ti piace esercitarla".
Gli lanciò un'occhiata di rimprovero. "Mi sono già scusata, adesso stai approfittando della situazione, Castle".
Le accarezzò una guancia assaporando la sensazione della pelle morbida sotto le sue dita. "Alzavo la posta per rendere più ricca la mia futura ricompensa".
"Di questo passo non ci sarà nessuna ricompensa, ma solo un divano dove dormirai da solo in totale ascetismo". Ma lo disse ridendo, facendogli finalmente tirare il fiato per il sollievo.

Gli sarebbe piaciuto continuare a intrattenersi con lei in attività che gli apparivano molto invitanti, ma c'era un'ultima questione da affrontare.
"Come faremo per la nostra vacanza? Credi che sia meglio rimandare, o magari optare per una destinazione più vicina, se è intenzionato a rifiutare il consenso per l'espatrio? Sarebbe più semplice".
"Se si ostina a negarci il permesso, possiamo impugnare la sua decisione e rivolgerci a un giudice, che deciderà se le motivazioni della sua posizione siano fondate. Se non lo sono, sarà il giudice stesso a emettere un provvedimento di assenso, che ci consentirà di partire. Mi sono informata quando sono tornata in ufficio".
"Non dobbiamo andarci per forza. La mia era solo un'idea".
"Era un'idea molto bella, invece, e io non voglio privare Tommy di un'esperienza stimolante per colpa dei giochetti di suo padre".

"PapàRick".
La voce di Tommy, proveniente dalla sua cameretta dove lo aveva lasciato che dormiva, li interruppe facendoli sobbalzare come se fossero stati sorpresi a commettere atti illeciti. Si fissarono smarriti e ugualmente colpevoli.
Tommy doveva essersi svegliato a causa delle loro urla, cosa che indusse Castle a vergognarsi profondamente di se stesso. Tante parole spese a sottolineare la necessità di farlo sentire al sicuro e poi era il primo a turbarlo, come se Tommy non avesse già assistito a un numero sufficiente di conflitti nella sua vita.
"Deve averci sentito", mormorò contrito a bassa voce. "Vuoi andare tu?" Di colpo non si sentiva più l'eroe di nessuno, né quello che prendeva le decisioni più giuste.
"È te che vuole", lo incoraggiò Kate.

Si alzò a fatica, sentendo le gambe pesanti. La giornata lo aveva messo alla prova in molteplici modi e lui iniziava a cedere di fronte al fuoco incrociato.
Aprì la porta della stanza con circospezione, non sapendo che cosa aspettarsi. La lampada posizionata sulla cassettiera che proiettava un fascio di luce sul soffitto a ricreare l'intero sistema solare, era ancora in funzione. L'avevano scelta tutti insieme e di solito era d'aiuto nel placare il terrore dell'oscurità.

Trovò Tommy seduto sul letto, con i capelli arruffati e gli occhi sbarrati. Si affrettò ad andare da lui per tranquillizzarlo sul fatto che il mondo su cui faceva affidamento non era andato in frantumi di colpo.
"Va tutto bene? Hai fatto un brutto sogno?"
"Non ho più sonno", dichiarò Tommy, anche se le palpebre pesanti, che si sforzava di tenere aperte, sembravano contraddire le sue parole. "C'è qualcosa mi disturba", annunciò contrariato.
"Chi si permette di disturbarti?", domandò Castle con lo stesso tono indignato.
Tommy mosse la testa, indicandogli qualcosa sul pavimento. "Un mostro, però piccolo. È qui sotto", gli confidò mettendosi una mano davanti la bocca e abbassando la voce fino a ridurla a un bisbiglio.
"Sotto il letto?" Tommy annuì, guardando in basso.
Gli rivolse un sorriso rassicurante. "Vuoi che controlli e provi a mandarlo via con i miei poteri magici? Sa che nessun mostro piccolo può resistermi".

Castle si rese conto, mentre se ne stava inginocchiato a fingere di ispezionare il pavimento, che, proprio come aveva sostenuto la psicologa, Tommy trovava sempre il modo di esprimere le sue emozioni quando diventavano troppo intense e difficili da gestire. A volte era la rabbia a farlo esplodere, in altre occasioni ricorreva a uscite fantasiose, come era appena successo. La cosa importante era che fosse in grado di tirar fuori quello che provava e che ci fosse dall'altra parte qualcuno pronto ad accoglierlo. Lo riempiva di meraviglia il fatto che avesse scelto lui come referente e insieme era pieno di dubbi feroci sulla sua reale capacità di aiutarlo a superare gli ostacoli. Avrebbe fatto il possibile, sperando che bastasse.

Gli venne un'idea.
"Perché non chiamiamo anche la mamma, così da aumentare i nostri poteri? In tre saremo potentissimi".
Dopo aver ricevuto un vigoroso cenno di assenso, si voltò per andare a chiamarla, ma la scovò che li spiava da dietro la porta.
"Oh, la mamma era già qui fuori, che fortuna", commentò trattenendosi a fatica dal prenderla in giro.
Kate gli fece una smorfia, scivolando all'interno. Insieme inscenarono la più grande e maestosa caccia ai mostri che si fosse vista a memoria d'uomo, sotto gli occhi attenti e divertiti di Tommy, impegnato a ridacchiare e dar loro dei consigli dall'alto del suo rifugio. Alla fine, dopo essersi scambiati uno sguardo d'intesa, dichiararono soddisfatti che la loro missione aveva avuto successo. Nessuna traccia di mostri all'orizzonte. Tommy si lasciò sfuggire un grido di esultanza, abbracciandoli.

Dopo che l'eccitazione venne placata e Tommy cominciò a stropicciarsi gli occhi, Kate lo convinse a tornare sotto le coperte, sdraiandosi accanto a lui, avviluppandolo in un bozzolo di protezione e tenerezza materne. Osservandoli rapito dalla sua postazione privilegiata, realizzò con rammarico di essere stato un idiota ad accusarla di non pensare a suo figlio, quando era evidente che non aveva fatto altro che battersi per lui con tutte le sue forze da che era venuto al mondo. Le era naturale come respirare. Si sarebbe scusato profusamente per essere stato tanto superficiale.
"Adesso PapàRick ci racconterà una delle sue storie, mentre tu provi a dormire, va bene?", sussurrò kate a suo figlio, guardandolo negli occhi per ottenere il suo consenso. Riaddormentarsi dopo un brusco risveglio era la parte più difficile.
"Voi rimanete qui? Anche quando dormo?"
"Certo. Non andiamo da nessuna parte", gli promise, accarezzandogli la fronte.
Continuava a considerare un prodigio il modo in cui Kate e Tommy riuscissero a fondersi istantaneamente in una bolla di amore che non aveva bisogno di nessuno sforzo per dispiegarsi intorno a loro. Gli bastava essere presente per crogiolarsi in una pace assoluta mai sperimentata.
"PapàRick, stiamo aspettando che inizi la storia", lo redarguì Kate impaziente. Conosceva quel tono, gli stava ricordando che non era il momento di perdersi in afflati lirici.
"È la storia del libro che stai scrivendo sulla mamma?", chiese la voce dell'innocenza.
"No", intervenne Kate con una punta di terrore che avrebbe usato contro di lei per darle il tormento. "Il libro sulla mamma non è adatto ai bambini", improvvisò, facendolo divertire immensamente. Chissà che cosa avrebbe pensato Tommy davanti all'affermazione che la vita della madre aveva aspetti non adatti ai bambini.

E infine PapàRick narrò una lunga storia fantasiosa che partiva da molto lontano e che in sostanza narrava di due genitori che si amavano molto, a cui qualche volta capitava di litigare, ma che tornavano sempre a riconciliarsi e che soprattutto non si sarebbero mai lasciati. Molto poco sottile e decisamente didascalica, ma di enorme effetto. Di lì a poco Kate e Tommy cedettero insieme al sonno. Rimase a guardarli, conscio delle sue fortune e grato per quello che nell'universo si era dovuto allineare per portarlo proprio lì, in quella stanza con loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Venticinque ***


25

"C'è un motivo particolare per cui mi hai finalmente invitato sulla scena di un crimine? Ti mancavo o devi farti perdonare qualcosa?"

Kate lo fissò con l'aria di chi non aveva tempo da perdere, soprattutto non con un rappresentante del genere maschile molesto quanto lui. Adorava quando gli rivolgeva quello sguardo a metà tra il perplesso e l'infastidito e non aveva problemi ad ammettere, ma solo segretamente, di punzecchiarla spesso solo per il gusto di vederla alzare gli occhi al cielo e maledire il giorno in cui la sorte gliel'aveva rimesso davanti e lei era stata troppo debole per assestargli un colpo di rivoltella.

L'aveva appena raggiunta all'indirizzo che lei gli aveva inviato, trafelato e senza aver capito che cosa ci fosse sotto.
Kate lo aveva chiamato un paio d'ore dopo essere uscita dal loft per recarsi al distretto – a quel punto gli era parsa una mattinata come tutte le altre – e lo aveva informato, senza troppi preamboli, che era appena stato rinvenuto un cadavere in circostanze particolari. Era finito il tempo delle consulenze teoriche, aveva aggiunto a mo' di giustificazione, era pronto a fare esperienza sul campo?

Non era riuscito a emettere un suono, figurarsi delle espressioni verbali semanticamente appropriate. Era rimasto attonito. Che fosse impazzita? O magari aveva appena scoperto di essere in punto di morte e voleva passargli il testimone, svelargli tutti i suoi segreti o qualcosa di altrettanto fuori dall'ordinario.
Curioso quello che la mente umana – la sua specialmente – era in grado di produrre, quando presa alla sprovvista.
Mentre era stato impegnato nella frenetica ricerca di una spiegazione qualsiasi, Kate gli aveva ripetuto la proposta, questa volta con una punta di impazienza, come se non ritenesse possibile che lui non si stesse precipitando in strada vestito com'era. Non ho tutta la giornataCastle, aveva sottolineato brusca, forse già pentendosi di quella mossa avventata, così poco consona al suo solito modo d'agire.
Non aveva nessuna intenzione di perdersi un'occasione del genere, aveva tuonato eccitato, quando aveva compreso che c'era davvero un cadavere a sua disposizione. Non in questi termini certamente poco rispettosi, ma il concetto in sostanza non cambiava.

L'aveva implorata a lungo perché lo coinvolgesse nelle attività investigative del distretto, gli sarebbe bastato anche solo ritagliarsi un piccolo ruolo. Non che ritenesse che il proprio contributo sarebbe stato meno che sostanzioso, ma aveva preferito mantenere la linea della sobrietà, ritenendola più utile ai propri scopi.
Kate aveva sempre opposto un cortese ma netto rifiuto, dando prova dalla sua leggendaria testardaggine. Non c'era stato modo di convincerla, eppure avere una relazione con lei avrebbe dovuto garantirgli dei privilegi, giusto? Non con la donna meno corruttibile del pianeta, a quanto pareva.

Proprio come era accaduto all'epoca del loro primo incontro, nonostante questa volta si pregiasse di aver agito con astuzia e lungimiranza, non gli era stato concesso di infilarsi nella strette maglie della lotta contro il crimine per poter finalmente dare il suo contributo. Eppure gli pareva di averle dimostrato in numerose circostanze di possedere una mente poliedrica, che sarebbe stata un'aggiunta preziosa per la sua squadra. E gratis. Apparentemente, la città di New York non sapeva che farsene di una personalità fuori dagli schemi come la sua. Il suo orgoglio si rifiutava di credere che fosse lui l'unico a perderci.
Che i suoi sogni si fossero realizzati di punto in bianco era una prova in più del fatto che l'universo gli veniva sempre generosamente incontro, ma dubitava che non ci fossero altre ragioni più materiali che moriva dalla voglia di scoprire.

Le porse con un sorriso il caffè d'asporto di cui si era appositamente rifornito mentre correva da lei, sacrificando qualche prezioso minuto sulla strada verso il raggiungimento dei suoi sogni, sia perché lo considerava un gesto affettuoso, ma soprattutto perché poteva sempre usarlo come blanda forma di corruzione per renderla più benevola nei suoi confronti e convincerla a offrirgli future collaborazioni.
Kate accettò il caffè con qualche titubanza, sospettosa come sempre. Forse non era abituata a essere trattata con gentilezza quando era al lavoro. Un vero peccato. Lui avrebbe saputo come coccolarla anche in un contesto del genere, se solo gli fosse stato permesso. O forse aveva capito perfettamente il suo intento, tanto più che le aveva già preparato la consueta dose di caffeina quando si erano svegliati, come faceva sempre.
Non c'era motivo per cui se ne occupasse quotidianamente, gli aveva ripetuto molte volte, soprattutto quando venivano strappati al tepore dei loro corpi stesi vicini da una chiamata prima dell'alba. Pur essendo capitana, e quindi esentata dal dovere di presentarsi su ogni scena del crimine, continuava a voler essere maniacalmente informata su ogni dettaglio nel momento stesso in cui accadeva e finiva spesso a comportarsi esattamente come quando era una detective.

Lui amava svegliarsi con lei e prepararle la colazione, le ripeteva come un mantra, e non intendeva rinunciare nemmeno di fronte alle accuse, del tutto infondate, che quel rito mattutino avesse lo scopo di far ritardare la sua rigida tabella di marcia facendola rimanere con lui più a lungo, e magari convincerla a tornare brevemente a letto. Erano solo illazioni offensive, lui lo faceva per offrirle il carburante necessario a metterla in moto. Non era colpa sua se lei mostrava una particolare riluttanza a separarsi da lui quando ce l'aveva intorno e non trovasse la forza di volontà necessaria per chiudersi la porta alle spalle e accettasse le sue innocenti proposte di slacciarsi qualche bottone, togliersi la camicetta, seguirlo in qualche zona privata della casa.
Nascondeva abilmente la sua segreta soddisfazione quando otteneva quello che voleva.

"Che cosa dovrei farmi perdonare, Castle? Stai insinuando che starei tentando di gettarti fumo negli occhi su un mio eventuale tradimento usando l'esca di un'indagine per omicidio?" Sbuffò. "Mi sottovaluti. Non mi comporterei mai in modo tanto ovvio".
Stava per risponderle ma si bloccò, lievemente turbato. Non sapeva se dipendeva dal fatto che si fosse espressa in modo volutamente poco chiaro, senza negare le accuse sottintese, o se, in generale, fosse lui a non essere in grado di prendere alla leggera un argomento sul quale aveva solo voluto scherzare, ma su cui si era incartato da solo.

Qualsiasi accenno, anche vaghissimo, alla possibilità che la loro relazione avesse una stabilità meno che granitica aveva da sempre il potere di far emergere in lui un'oscura ansia ingiustificata di cui per primo non si capacitava. Preferiva non condividerla con lei, per non in inquietarla più di quanto non stesse inquietando se stesso.
Era un'insicurezza così poco consueta per lui da mandarlo spesso in crisi. Era certo che Kate non avesse amanti – nessun dubbio a riguardo – non era quello il nocciolo della questione. Temeva che il motivo per cui non riusciva a scrollarsi di dosso quel disagio che se lo stava mangiando vivo fosse la convinzione latente che prima o poi lei si sarebbe accorta che lui non era molto diverso dall'idea che se ne era fatta in passato. E che quindi per questo l'avrebbe rimesso alla porta.

Questa volta gli aveva dato modo di farsi conoscere un po' meglio e di mostrarle chi fosse e questo era un punto a suo favore. Ma essere stato respinto, allora, lo aveva ferito più di quanto avesse voluto ammettere, creandogli qualche incrinatura di troppo, da cui occasionalmente sanguinava. Arrabbiarsi -lo aveva fatto - per quella che percepiva come una debolezza personale non lo aveva portato da nessuna parte, così come cercare di imporsi a forza di sentirsi diversamente. Doveva solo accettare le emozioni per come si presentavano, e senza giudicarle. Molto facile a dirsi, ma quasi impossibile da farsi, almeno per lui.

A renderlo sensibile e con i nervi a fior di pelle si aggiungeva il fatto di non essersi ancora ripreso dalla loro ultima discussione, o meglio, se volevano chiamare le cose con il loro nome, del loro primo vero litigio.
Litigare con lei era stato un evento sconvolgente che l'aveva lasciato smarrito e per nulla propenso a voler rivivere un'esperienza tanto terrificante di nuovo. E aveva scosso la sua certezza nell'incrollabilità del loro rapporto.
Non si erano infuriati tra loro per un'inezia o per qualche motivo di poco conto. Il fulcro del loro acceso dibattito era stato Tommy, niente contava di più per lei ed era normale che quando si trattava di suo figlio si trasformasse in una furia pronta a difenderlo con ogni mezzo.

Ma questo aveva fatto emergere qualcosa di cui era sempre stato consapevole a livello inconscio e che non lo faceva stare tranquillo. Nonostante la rapidità con cui si erano innamorati – lui lo era da sempre – e avevano costruito con Tommy il loro piccolo cerchio d'amore, lui, Castle, sentiva di non farne ancora parte integrante. Kate avrebbe sempre scelto suo figlio prima di tutto il resto, anche a costo di rompere con lui, se si fosse arrivati a un punto tanto estremo, ne era certo come di poche altre cose al mondo. Era difficile non vivere perennemente in allerta, quando si rischiava di essere messi fuori dalla porta.
Lo scoglio più arduo, quando gli allarmi anti intrusione materni si attivavano, era convincerla che in realtà erano sempre dalla stessa parte perché lui teneva al bambino tanto quanto lei. Ma visto quello che lei aveva passato negli ultimi anni, non si sentiva nemmeno di biasimarla. E quindi si tornava al punto di partenza.

Meglio tagliar corto e dimenticare la sua pessima uscita, per nulla divertente. In futuro avrebbe dovuto fare più attenzione a non finire intrappolato in una rete che gli era impossibile astenersi dal lanciare compulsivamente per ottenere rassicurazioni che non gli bastavano mai, un atteggiamento non certo sano per il loro rapporto, non gli serviva uno psicologo per capirlo.

"Fingiamo che io non abbia mai tirato fuori questo discorso che ha già preso una brutta piega. Ti ringrazio per avermi chiamato, tra uno dei tuoi amanti e l'altro. Sono molto felice di offrire i miei servizi alla polizia di New York", disse chinandosi a baciarla.
Aveva ogni intenzione di mettere da parte le ombre che occasionalmente abbattevano il suo umore, per godersi la rara opportunità di stare con lei facendo quello che desiderava da sempre.

Non glielo avrebbe confessato, ma quel giorno anche lui avrebbe avuto una scadenza lavorativa urgente che non avrebbe potuto rimandare, ma lo aveva fatto comunque, perché niente era più stimolante di occuparsi di un cadavere in carne e ossa, finalmente. Poteva considerarlo un investimento per il futuro, si giustificò. Con un po' di fortuna, essendo un caso particolare, avrebbe potuto essere essere usato come intelaiatura per il suo prossimo romanzo, perché la protagonista sarebbe stata comunque lei. Ancora e ancora, finché non avesse esaurito tutto il suo estro creativo e l'amore che lo generava.

Per tutta risposta Kate lo fissò con un'aria che conosceva molto bene, in grado di comunicargli che non era rimasta impressionata dalle sue esternazioni enfatiche. Era sicuro che avesse intenzione di fargli una lunga lista di raccomandazioni utili a prevenire o almeno mitigare eventuali disastri che la sua semplice presenza sul campo avrebbe innescato, già rassegnata in partenza al fatto che lui non le avrebbe rispettate. L'idea portò la sua euforia a un livello superiore.

"So che cosa stai per dirmi. Che sono qui unicamente in veste di osservatore e quindi non mi è concesso né di intervenire né di infastidire te o chiunque altro sia lì a fare il suo lavoro".
"Stando in silenzio, senza toccare niente o scattare foto".
Si divertì ad ascoltarla aggiungere divieti a raffica man mano che le venivano in mente, accompagnati da un'ansia sempre più tangibile e forse perfino un vago rimpianto per la sua decisione azzardata.
"Non ti accorgerai nemmeno della mia presenza, te lo prometto".
Si tracciò solennemente una croce sul cuore, che però non servì a convincerla delle sue ottime intenzioni. Di cui era lastricata la strada per l'inferno, eccetera.
Kate emise un sospiro. "Crederti mi renderebbe la vita molto più semplice, ma equivarrebbe a mentire a me stessa. Limitati a fare il minor numero di danni, se ti è solo vagamente possibile".
Non si offese per la poca fiducia che riponeva in lui, perché si accorse che le sue parole gli offrivano un'insperata libertà d'azione, se pur minima, che non si sarebbe lasciato scappare.
Si sarebbe mosso senza dare nell'occhio e avrebbe esposto con serietà e discrezione le ipotesi che gli sarebbero venute in mente a bizzeffe, proprio come succedeva quando la sera lei lo metteva al corrente di uno dei suoi casi, mentre se ne stavano acciambellati sul divano bevendo un bicchiere di vino.

Dopo averla rassicurata sulla sua condotta irreprensibile, si avviarono verso la loro destinazione camminando vicini.
"È così che sarebbe potuta andare", mormorò a un tratto interrompendola mentre gli riassumeva i dettagli dell'omicidio, quelli di cui era a conoscenza. Si trattò più di una sorta di rivelazione che scese su di lui dall'alto, che di un tentativo di convincere lei, che tanto avrebbe avuto delle obiezioni a riguardo.
Kate lo guardò senza capire.
"Se fossimo diventati partner anni fa", chiarì. "Sarebbe andata proprio come stamattina. Ti avrei raggiunto da qualche parte, dopo aver ricevuto una tua chiamata notturna che mi informava del ritrovamento di un cadavere – avresti amato svegliarmi nel cuore della notte, non negarlo. Tu ti saresti presentata con i tuoi soliti vestiti attillati, rifiutandoti di ammettere di farlo solo per impressionarmi o perfino sedurmi, nascondendoti invece dietro la patetica scusa della nostra presunta amicizia. Nessuno ci avrebbe creduto, naturalmente. Avrebbero solo finto per assecondarti, ma avrebbero scommesso alle nostre spalle".
"Sarai felice di sapere che avevano già scommesso alle nostre spalle".
Le sfiorò il braccio e le sorrise vittorioso. "Lo vedi? Questo dimostra che ho ragione anche su tutto il resto. Peccato non averlo saputo, mi sarebbe piaciuto partecipare".

Kate strinse le labbra in una smorfia contrariata. "Hai una fervida fantasia, te lo riconosco. Ma ti ricordo che nel mondo reale la gente va al lavoro per motivi molto più prosaici che non per sedurre persone che non dovrebbero neppure essere presenti, tanto per cominciare".
"Il mio mondo sarebbe stato molto più sexy. E anche se saresti disposta a tutto pur di non ammetterlo, sarebbe piaciuto anche a te. Anzi, con il tempo non avresti potuto farne a meno".
Si era convinto di aver esagerato e che per questa impudenza avrebbe ricevuto un rimbrotto, ma cambiò idea quando la vide farsi incerta, cercare qualcosa da dire e poi infine rinunciare. Non era da lei. Forse – solo forse, meglio non illudersi - quelle che lei si ostinava a definire farneticazioni, quando era lui a esprimerle, avevano fatto centro. E chissà, magari questo suggeriva che doveva essersi chiesta se avesse fatto bene o meno a reciderlo dalla sua vita con un taglio tanto netto, quando ne aveva avuto l'occasione. Era la prima volta che mostrava una crepa nella sua incrollabile convinzione di avere fatto la scelta giusta.

...

"Andiamo, Castle?"
Si era attardato a curiosare, cercando di non dare troppo nell'occhio - conosceva le regole e aveva fatto di tutto per dare l'impressione di rispettarle-, nei dintorni del vicolo dove se ne stava riverso il cadavere, tra i più sordidi e maleodoranti che la città offrisse.
Nel frattempo lei aveva raggiunto la sua auto e lo stava aspettando, voltata nella sua direzione, con una mano appoggiata sulla portiera aperta, mentre ascoltava concentrata uno dei suoi detective che, con un telefono in mano, le stava riferendo alcune informazioni.
Non c'era stato molto spazio, inizialmente, per il loro soliti battibecchi, come se si fossero attenuti, di comune accordo, a un copione molto più convenzionale, consapevoli dell'ufficialità della situazione. Dal canto suo non sapeva come Beckett avesse giustificato la sua presenza, che in effetti aveva suscitato qualche reazione di curiosità, se non addirittura di fastidio.
Il fatto di poterselo portare appresso senza bisogno di autorizzazione esterna, per via della posizione che occupava, non era un buon motivo per permettersi di farlo, conosceva bene la sua integrità.

Con il passare dei minuti, trovandosi spesso d'accordo e finendo spesso le frasi dell'altro – come era consuetudine per loro- , avevano iniziato a lanciarsi qualche occhiata sempre meno riluttante e sempre più complice. A un certo punto il resto del mondo era scomparso, lasciandoli soli a seguire il sentiero sempre più delineato delle loro comuni congetture. Era stupefacente la sintonia che avevano e che si dispiegava con grande spontaneità, come se avesse solo bisogno di essere azionata da un pulsante per innescarsi. Si sentiva pieno di un'energia sconosciuta e corroborante, anche c'erano ancora pochi dettagli per farsi un'idea precisa di come fossero andate le cose e non aveva risolto l'omicidio in pochi minuti come gli sarebbe piaciuto.

Quando il sopralluogo era finito aveva temuto che fosse arrivata l'ora del suo congedo - forse il suo premio del giorno consisteva solo in un assaggio delle indagini, non il pacchetto completo. Non se ne sarebbe lamentato, la sua era una strategia a lungo termine e quindi avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, ma lei l'aveva sorpreso ancora una volta, invitandolo a seguirla. Dovevano spostarsi in un altro punto della città e lei aveva fretta di arrivarci il prima possibile.
Osservò il suo profilo cesellato, prendendosi qualche secondo per ammirarla. Era molto bella – di una bellezza quasi austera, anche se un occhio attento avrebbe notato qualche guizzo della passione che l'animava-, con i capelli raccolti, il cappotto dal taglio rigoroso, l'aria determinata e la solita autorevolezza che emanava senza sforzo. Corse da lei, non appena gli fece cenno di raggiungerla. Lo voleva con sé. Era meraviglioso saperlo.

"C'è qualcosa di cui devo parlarti", esordì Kate dopo qualche minuto di silenzio in cui l'aveva vista mordicchiarsi il labbro superiore, mentre era impegnata a guidare. L'aveva attribuito alla difficoltà del caso e le sue possibili implicazioni, non aveva previsto che si trattasse di qualcosa di personale.
"Sapevo che doveva esserci un motivo per la tua improvvisa generosità. Vuoi lasciarmi e cerchi di renderlo meno spiacevole offrendomi dei cadaveri in omaggio?"
"Sei impazzito tutto a un tratto? Non che non avessi già mostrato qualche sintomo premonitore, ma così è troppo repentino anche per te".
Non poteva essere più allibita, mentre stringeva il volante con i suoi guanti di pelle. Più che una poliziotta sulle tracce di un assassino pareva che stesse per partecipare a una riunione del Senato. Chissà se ci aveva mai pensato.
"Mi hai concesso quello che ho sempre desiderato, a parte sposarti. Immagino che il prezzo sia una qualche notizia spiacevole per il sottoscritto".
Kate fissò la strada davanti a sé, senza rispondergli a tono. Forse stava valutando se portarlo direttamente in ospedale per far esaminare le sue facoltà mentali vistosamente regredite. Alla fine si voltò verso di lui con espressione grave.
"Non sto per lasciarti, ma sarebbe opportuno che un giorno discutessimo seriamente del motivo per cui ti aspetti che io lo faccia senza alcun preavviso, ma soprattutto perché secondo te dovrei prima portarti a vedere un morto".
"Perché preferisci che ci lasciamo senza rancore".
"Mi spiace deluderti, ma non sarei tanto generosa".

Kate sterzò all'improvviso, sganciandosi dalla lunga fila di macchine incolonnate, e accostò vicino a un marciapiedi. Doveva averne abbastanza di lui e delle sue uscite irragionevoli. Si astenne dal dire qualsiasi cosa che potesse ulteriormente metterlo nei guai. Dubitava che implorarla gli avrebbe concesso la grazia, se aveva già deciso di abbandonarlo in strada in balia del suo destino. Non sapeva nemmeno di preciso dove fossero.

"Josh è tornato a farsi vivo".
Eccolo di nuovo, pensò, mentre lo stomaco gli si contorceva. Josh, il costante disturbo che faceva da sottofondo alle loro vite, anche quando passavano intere settimane senza che desse segno di sé. Non appena iniziavano a rilassarsi, ricompariva immancabilmente grazie al suo fiuto infallibile nel trovare i momenti meno adatti.
"Che cosa vuole adesso? Che frequentiamo un corso per migliorare le nostre cattive maniere quando ci approcciamo a Sua Maestà?"
Il sarcasmo era l'unica arma che gli fosse consentita, uno sfogo che non aveva niente di proficuo, tranne rendere manifesta la sua impotenza.
"Acconsentirà al nostro viaggio all'estero solo se potrà vedere Tommy in modo regolare e programmato e soprattutto da solo. Altrimenti, addio vacanza".
"Da quando gli importa di Tommy? Le ultime volte che vi siete accordati ha disdetto all'ultimo, senza nemmeno prendersi la briga di dircelo per tempo, così da poterci organizzare diversamente. Ora all'improvviso vuole dei giorni di visita fissi che tanto non rispetterà?"
Gli era più semplice entrare nella mente dei serial killer che in quella di Josh.
"Non gli sta bene il fatto di essere costretto a vederlo con me presente. La trova un'imposizione ingiusta, che influisce negativamente sul loro rapporto".
"L'unico che influisce negativamente sul loro rapporto è la sua stessa assenza, tra le altre cose".

Non era stupito, in realtà. Sapeva che quell'accordo, che prevedeva che Kate supervisionasse gli incontri tra padre e figlio e che lei era riuscita a strappargli, non sarebbe durato.
Sì, immaginava che fosse stata molto convincente quando lo aveva affrontato imponendogli delle condizioni precise, dietro la non così velata minaccia di portarlo in tribunale, dove avrebbe svelato davanti a un giudice tutte le sue mancanze, elencate una per una in un documento compilato dai loro avvocati, per le quali avrebbe preteso gli arretrati, iniziando da quelli economici.
Conoscendolo, si era aspettato che quel genere di approccio, che per lui doveva essere paragonabile a un insulto, lo avrebbe incattivito nei loro confronti. Imprevedibilmente, invece, lo aveva accettato senza fare troppe storie. Ma aveva continuato a sospettare che non sarebbe finita lì e aveva avuto ragione.

Josh aveva solo finto di adeguarsi al loro volere, probabilmente per segnare qualche punto a suo favore e porre lei in cattiva luce. Il padre che pur di vedere il figlio era costretto a subire i soprusi dell'ex fidanzata che glielo metteva contro. Niente di più facile che fosse quella la narrazione a cui si sarebbe attenuto, perché lo dipingeva convenientemente come vittima, quando la verità era un'altra. Era quella la sua tattica, mostrarsi cedevole quando ci si preparava a fronteggiarlo, per poi alzare la testa e colpire a sorpresa quando ci si convinceva che fosse scomparso dall'orizzonte.
"Possiamo cambiare la nostra meta. Non è necessario andarcene all'estero a tutti i costi, basta starcene noi tre". Non vedeva l'ora di mettere qualche centinaia di miglia tra loro e il sedicente padre perfetto, non importava in che direzione.

"Non è questo il punto, Castle".
Non è questo il punto, esclamato con la sua solita ostinazione, suggeriva sempre l'arrivo di una tempesta che avrebbe scaricato tutta la sua potenza argomentativa su di lui.
Doveva essere onesto, una delle cose che ammirava più di lei era la sua lotta incessante contro quelle che considerava ingiustizie, soprattutto se era Tommy ad andarci di mezzo. Era uno dei tratti che la definivano più nettamente, quasi una seconda pelle.
Lui aveva per natura un atteggiamento meno battagliero, preferiva aggirare i muri invece che distruggerli a picconate con la sola forza della sua convinzione.

Josh non avrebbe smesso di infastidirli – era quello il suo punto -, si trattava di evitare il più possibile le sue intromissioni con qualche abile accorgimento. Ma forse il suo scopo era esattamente quello e cioè prenderli per sfinimento, insinuandosi nella loro quotidianità, costringerli a modificare i loro programmi, decidendo di fatto delle loro vite.
Aveva ragione lei. Non era giusto.
"Non voglio che Tommy rinunci a qualcosa di bello senza un motivo plausibile. Questa volta si tratta di una vacanza, la prossima avrà da ridire sulla scuola, i suoi interessi, le sue amicizie e chissà che altro. Dobbiamo imporci, Castle", aggiunse con forza.
"Vuoi rivolgerti a un giudice?"
Non vedeva altre soluzioni ed era strano in effetti che ancora non ci fossero finiti davanti. Nessun uomo o donna di legge chiamati a decidere su quella specifica questione avrebbe avallato il divieto di Josh, che non era supportato da valide motivazioni e, in più, non teneva conto del bene del minore.
"Potrei farlo, ma verrebbe fuori che tra di noi non c'è nessun accordo definito e Josh coglierebbe l'occasione per ottenerlo. E a meno che non dimostriamo la sua indegnità come genitore, qualsiasi tipo di affido gli garantirà dei diritti su Tommy che io non intendo concedergli. Tommy non è in grado di affrontare suo padre da solo per più di un minuto, figuriamoci un intero weekend. Mi sento male a pensarci".
Naturalmente era solo il potere quello a cui ambiva. Il potere su di loro.

"Tommy è terrorizzato alla sola idea di incontrarlo, non basta?"
"Non abbiamo prove concrete che dimostrino che si sia comportato in modo violento, fisicamente o psicologicamente, e io non voglio far subire a Tommy tutta la trafila necessaria a valutare la sua idoneità come padre. Sarebbe comunque traumatizzato, anche se il giudice desse infine ragione a noi e gli imponesse delle visite con un supervisore. Cosa tra l'altro molto improbabile da ottenere nella nostra situazione, se vogliamo essere realisti". Che era il motivo per cui aveva preferito agire senza il supporto della Legge sperando che lui non si impuntasse. Era un gatto che si mordeva la coda.
Sospirò. Era stanco. Stanco, stanco. Voleva solo vivere in pace la vita che Josh non aveva mai desiderato, gettandola via come se non avesse nessun valore. Ma a quanto pareva non era possibile, si doveva sempre essere pronti a reagire, combattere, farsi valere. Era estenuante.
"Se le condizioni sono queste, Kate, tanto vale prendere la strada ufficiale, invece che continuare con un accordo informale che gli dà spazio per i ricatti. Non potrà essere peggio di adesso e in più ci saranno regole precise, che lui odierà, come odia tutte le imposizioni, ma solo se lo riguardano da vicino".
Lo guardò dubbiosa, soppesando le sue affermazioni. "Sì, forse hai ragione".
Le strinse una mano, riconoscendo in lei il suo stesso sfinimento. "Ehi, lo so che è dura. Ma non dobbiamo fare il suo gioco e lasciare che ci rovini la vita".

Annuì e gli sorrise. "Hai voglia di fermarti a pranzare in un vero bar di poliziotti, prima di proseguire, per immergerti completamente nell'atmosfera? Ti avviso che di norma sono affollati, rumorosi e non particolarmente puliti".
Spalancò gli occhi. "Deve essere il mio giorno fortunato. Vada per il bar degli sbirri. Possiamo anche accendere la sirena quando arriviamo?"
Gli fece una linguaccia prima di immettersi di nuovo nel traffico, ma, con suo grande rammarico, la sirena rimase ostinatamente spenta.

Ciao a tutti/e. Ho pubblicato oggi il capitolo perché mi prenderò una pausa dalla pubblicazione (ma non dalla revisione/scrittura) durante le vacanze natalizie. Vorrei darvi una data precisa su quando ritornerò, ma a questo punto non so ancora quali saranno le regole e quindi non posso organizzarmi. Al massimo lo comunicherò aggiornando questo capitolo, che è l'unico modo che ho di comunicare con voi.
Di solito a questo punto avrei augurato buone feste e vacanze, ma quest'anno mi sento a disagio a farlo, perché è stato un anno mediamente sgradevole per tutti, se non addirittura terribile per qualcuno.
Quindi vi saluto augurandovi di stare bene, al sicuro e sereni nel limite del possibile e delle circostanze.
Con affetto, Silvia

03.01.2021. Aggiornamento: il prossimo capitolo sarà pubblicato l'11 gennaio

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Ventisei ***


26

Non riusciva ancora a credere che ce l'avessero fatta, quando superò le porte del piccolo aeroporto alpino dove erano appena atterrati e venne investito dall'aria pulita, fredda e corroborante che ingurgitò voluttuosamente, spinto da un'urgenza che se ne era stata immagazzinata a sua insaputa in qualche anfratto della mente provata dall'ultimo infernale periodo.

Avevano superato dal primo all'ultimo dei controlli con i loro documenti nuovi di zecca senza che nessun gendarme, o qualsiasi altra autorità internazionale deputata a tale scopo, venisse a fermarli accusandoli di rapimento di minore. Non erano stati scrutati con sospetto, non erano stati fatti accomodare in stanze riservate per essere sottoposti a qualche indagine in più e, cosa fondamentale, non si erano trovati Josh ad attenderli non appena oltrepassata la dogana, provvisto di un mandato che imponesse loro di consegnargli Tommy.
No, non erano sue fantasie lievemente accentuate dalla paranoia – che riteneva di avere comunque sviluppato in una certa misura, per colpa di quello che erano stati costretti a subire -, anche se avrebbe preferito che lo fossero.
Si trattava dell'intero corpo di minacce, accuratamente documentato e conservato, che Josh si era divertito a lanciare a più riprese contro di loro nelle turbolente settimane che avevano preceduto il via libera alla sospirata partenza.
Per quanto assurdo potesse essere addirittura pensarlo, i suoi divorzi a confronto si erano rivelati molto più semplici, tutto sommato perfino amichevoli. E, tanto per rendere la situazione ancora più grottesca, qui non si trattava nemmeno di un divorzio. Solo di un uomo in preda a deliri di protagonismo, probabilmente sotto l'effetto di alte dosi di steroidi, che godeva nel creare sempre nuovi pretesti che turbassero la loro serenità.
Scrollò la testa per imporsi di allontanare il familiare e gravoso peso delle sue elucubrazioni, difficili da fermare quando non le bloccava per tempo e ripartivano per l'ennesimo sterile giro tra i suoi neuroni sempre meno reattivi.

Kate e Tommy erano già avanti, li sentiva chiacchierare eccitati dalla novità, in apparenza più spensierati di lui. Si fermò per osservarli, non visto. Per qualche minuto si crogiolò nell'appagante sensazione di saperli felici, dopo tutti gli sforzi fatti per raggiungere quell'obbiettivo.
Dopo qualche passo si interruppero e si voltarono entrambi verso di lui con un sorriso interrogativo, forse chiedendosi che fine avesse fatto.
Era stata la prima esperienza di volo per il bambino, che ne aveva scombussolato i bioritmi, non facendogli chiudere occhio per l'intera durata della traversata. Ma questo, invece di diminuire la sua energia, l'aveva evidentemente esaltata.

Tommy si staccò dalla madre e tornò da lui, saltellando festoso. Guardandolo negli occhi, colmi del solito fiducioso entusiasmo, si disse che ne era valsa la pena. Di attendere fino all'ultimo prima di prenotare il volo per l'Europa, non farsi scoraggiare dai numerosi ostacoli, rimanere fedeli alla decisione di portare tutto davanti a un giudice per ottenere un verdetto imparziale sulla questione, se nient'altro avesse funzionato e anche se questo avrebbe significato definire una volta per tutti degli accordi che avrebbero dato a Josh maggiore spazio di azione nella vita di Tommy, che nessuno desiderava.
Avevano tenuto duro e ne era orgoglioso. Spesso non c'era stato altro da fare e già solo questo era bastato a mettere alla prova la loro determinazione.

All'improvviso, durante uno dei soffocanti giorni di bonaccia in cui la situazione non era parsa smuoversi nemmeno con l'ausilio di un lanciafiamme – non che non gli sarebbe dispiaciuto procurarsene uno-, era giunto il regale consenso paterno. Nella sua immensa magnanimità, mai troppo celebrata, avrebbe concesso loro la grazia di far uscire Tommy dagli Stati Uniti, se proprio ci tenevano.
La comunicazione era stata fatta in sordina, come se perfino il suo avvocato si fosse reso conto dell'inspiegabile crudeltà del suo cliente – queste ovviamente erano solo sue illazioni, la goffa speranza di non essere gli unici a trovare intollerabilmente ingiusto quello a cui quell'uomo li costringeva. Inutile dire che era stata solo l'ultima di una serie di prese di posizione illogiche e incoerenti, che mutavano imprevedibilmente.

Kate era convinta che Josh avesse mantenuto il suo bluff – non poteva essere nient'altro, aveva dichiarato – finché aveva creduto di poter ottenere quello che voleva senza dover spiegare davanti a un giudice, e quindi ufficialmente, il motivo per cui non fosse mai stato presente nella vita di suo figlio. A un certo punto doveva essergli stato chiaro che loro due non avrebbero accettato compromessi, non questa volta. Sarebbero andati fino in fondo.
Non era difficile supporre che non avrebbe tollerato l'immagine che avrebbe dato di sé, poco lusinghiera per un uomo che si considerava moralmente superiore a tutti e che invece si comportava in modo deprecabile nei confronti del suo unico figlio.

Peggio ancora, aveva continuato Kate con l'amarezza che sempre accompagnava quel doloroso argomento - amarezza che neppure lui era riuscito a mitigare, nonostante ci avesse a lungo provato -, forse Josh aveva lasciato perdere quando aveva realizzato una verità molto semplice: una volta stabiliti degli accordi ufficiali, avrebbe dovuto rispettarli, per non incorrere in precise conseguenze. Avrebbe dovuto incontrare suo figlio regolarmente, prendersene cura, contribuire in tutti gli aspetti, a partire da quelli economici, arretrati compresi.
Niente avrebbe mai alleviato la pena di una madre nel vedere il proprio bambino rifiutato con colpevole noncuranza dal suo stesso padre.
Aveva abbassato mestamente la testa e l'aveva abbracciata, senza tentare di consolarla. Rispettava una sofferenza che Kate aveva ogni diritto di provare, non c'erano parole né consolazioni a buon mercato che potessero rendere la realtà meno spiacevole.

"Chi vuole una cioccolata?", propose ad alta voce, deciso a mettere da parte ciò che apparteneva al passato per concentrarsi su un presente pieno di promesse, con Tommy appeso al braccio, impegnato ad aiutarlo a spingere il carrello dei bagagli.
"Non vogliamo aspettare di essere arrivati in hotel ed esserci sistemati?", ribatté Kate avvicinandosi a lui ed, esprimendo come sempre la voce del buonsenso.
"Io la voglio adesso", ribadì Tommy, corrugando la fronte proprio come faceva di solito sua madre.
"Tuo figlio ha già aderito alla filosofia che consiglia di non rimandare il piacere a occasioni future. Quando cederai anche tu?"
"Tu non hai niente a che vedere con questa filosofia, vero?"
Finse di assumere un'aria offesa, ma senza di fatto negare il suo contributo, di cui era segretamente orgoglioso. Riteneva che fosse uno dei migliori insegnamenti che avesse trasmesso al bambino.

"Vuoi davvero bere una cioccolata dentro un minuscolo aeroporto che a malapena avrà delle sedie su cui sedersi, per non parlare di un bar vero e proprio? Con tutti i posti meravigliosi che sono sicura ci saranno qui intorno?"
Aveva ragione, ma non fu quello a zittirlo. Forse la colpa era della concentrazione di ossigeno contenuta nell'aria alpina, superiore a quella a cui era abituato, ma gli parve più bella e incantevole che mai, anche se non avrebbe saputo specificare dove fosse la differenza. C'era qualcosa di morbido in lei – si era quello il termine giusto - che aveva su di lui lo stesso effetto abbagliante della neve che ricopriva in abbondanza tutte le superfici intorno a loro.
"Voglio che facciamo quello che ci pare, senza sprecare nemmeno un minuto di questa vacanza. Ce lo meritiamo", le risposte alla fine, quando tornò in sé. Sì, era la cosa giusta da fare, la ricompensa per tutto quello che erano stati costretti a sopportare.

Kate gli rivolse in cambio un luminoso, senza insistere con obiezioni razionali che di certo doveva avere in serbo, comprendendo intuitivamente che cosa l'avesse spinto a fare quella proposta. Gli si avvicinò e lo prese sottobraccio.
"Hai ragione. Faremo solo quello che ci va e al diavolo le regole".
Castle fece una faccia stupefatta, esagerandola a favore di Tommy, che spalancò gli occhi e ridacchiò. "Hai sentito Tommy? La mamma ci lascerà fare tutto quello che vogliamo, sei pronto ad approfittarne?"
Conscio delle conseguenze che si sarebbero presto abbattute su di lui per via della sua affermazione avventata, si allontanò di corsa trascinandosi dietro il carrello, seguito dalle risate scroscianti di Tommy che si lanciò al suo inseguimento e le proteste di Kate, che vennero coperte dal rumore stridente delle ruote sull'asfalto.

Finirono per giungere a un compromesso, almeno per quanto riguardava la cioccolata. Nessuno in effetti aveva voglia di rimanere in aeroporto, lui per primo, nel malcelato timore che a qualcuno venisse in mente di cercarli. Meglio allontanarsi senza farsi notare. Non sarebbe mai riuscito a levarsi di dosso quella sensazione di aver commesso qualcosa di illegale, pur sapendo che non era così - risultato della costante pressione che Josh aveva esercitato su di loro.
Ci vollero solo pochi minuti per recuperare la macchina a noleggio, grazie all'efficienza degli addetti che si occuparono della loro pratica. Dopo poco si lasciarono finalmente l'aeroporto alle spalle per immergersi nel paesaggio candido e scintillante che aspettava solo di avvilupparli nella sua magia.

Tommy, dal suo seggiolino posizionato sul sedile posteriore, non smetteva di esprimere con esclamazioni vivaci la sua meraviglia di fronte allo scenario da cartolina che scorreva placido e maestoso attraverso il finestrino, ben diverso da quello metropolitano in cui era cresciuto.
Condivideva il suo stesso stato d'animo. Guidando lungo la carreggiata perfettamente sgombra, con muri di neve ammassati ai lati della strada in modo sicuro e ordinato, cominciò a respirare più liberamente. Si sentì calmo, scoprendosi perfino ottimista. Niente di brutto poteva capitare in un posto idilliaco del genere. Sarebbero stati bene, si disse, credendoci sul serio per la prima volta.

Si fermarono in una piccola caffetteria situata qualche chilometro prima del villaggio dove avrebbero alloggiato, che aveva scelto senza mostrarlo a nessuno– non vedeva l'ora di assistere alla loro reazione, quando sarebbero arrivati - dove ordinarono cioccolata calda e altri viveri d'asporto. Avevano tutti una fame da lupi. Diedero la colpa al fuso orario e al cibo appena passabile che avevano sbocconcellato durante il volo, più per noia che per bisogno vero e proprio.
In piedi dietro al bancone, mentre Tommy ispezionava la vetrina dei dolci descrivendoglieli uno a uno prima di fare la sua scelta, si sentì davvero in vacanza. Fu una sensazione prodigiosa.

Uscirono dall'edificio surriscaldato con le braccia piene di contenitori. Dopo essersi consultati brevemente, attraversarono la strada per raggiungere il sentiero che li avrebbe condotti sulla riva del lago ghiacciato che avevano a lungo costeggiato durante il tragitto. C'era un piccolo molo e qualche panchina asciutta che elessero come loro destinazione e verso cui si incamminarono, facendo scrocchiare la neve sotto la suola delle scarpe, sprofondando occasionalmente nei cumuli più freschi.
La luce dorata dei larici vestiti d'autunno li circondava splendente. Il cielo aveva una sfumatura di blu purissimo che di cui non ricordava di essere mai stato spettatore e, come aveva promesso a Tommy prima di partire, c'era tutta la neve che volevano, anche se la stagione non era ancora nel pieno del suo fulgore.

Rimase incantato a fissare la stupefacente combinazione di elementi naturali, provando per la prima da volta dopo mesi oscuri una pace profonda che proveniva da un luogo lontano, che aveva dimenticato esistesse. Mentre era stato impegnato a combattere una battaglia sfinente, pervaso da un costante senso di umiliante impotenza, aveva ignorato i messaggeri interiori che lo avevano avvisato di essere ormai sull'orlo dell'esaurimento. Sentendo lentamente riaffiorare le energie, ebbe solo ora l'esatta percezione di quanto fosse stata dura.
Chiuse gli occhi, strizzandoli forte. Doveva smetterla di rimuginare, non se l'era appena ripromesso? Doveva staccarsi da quei ricordi intrusivi, che lo braccavano e lo facevano ricadere nei soliti schemi mentali.
Non voleva rovinare quello che avevano faticosamente ottenuto grazie al loro rifiuto di arrendersi. Avevano fatto fronte unito per uno scopo più grande, dovevano andarne fieri, anche se a pungolarlo rimaneva l'idea, tristemente comprovata, che la loro tranquillità sarebbe sempre infranta dai capricci di un'altra persona.
Basta. Eccolo di nuovo a dar corda ai pensieri ossessivi. Fece un profondo respiro, furioso con se stesso.

"Va tutto bene?", gli domandò Kate a bassa voce, voltandosi a guardarlo e stringendo la tazza di carta tra le mani. Osservò il suo fiato condensarsi. La temperatura era di qualche grado sotto lo zero, ma il gelo interiore stava svanendo.
Le passò un braccio intorno alle spalle e la baciò su una tempia.
"Lo fai quando non vuoi rispondere".
La fissò interdetto. Si era aspettato uno dei suoi incantevoli sorrisi – l'aveva abbracciata proprio per quello -, non un'affermazione tanto telegrafica.
"Mi baci per evitare argomenti che non vuoi affrontare", spiegò Kate, paziente ma irremovibile.
Finse di essere oltraggiato dalla sua affermazione. "Ti bacio perché voglio baciarti, essendo tu una donna di incredibile fascino e anche molto sexy, sotto tutti quegli strati di lana".
"Lo vedi? Stai cercando un diversivo".
Conosceva quel tono e sapeva bene di non avere a disposizione nessuna scappatoia.
"D'accordo, hai vinto. Ma prima di rispondere alla tua domanda, voglio specificare che non ti faccio mai complimenti per cambiare argomento. Sono tutti autentici e credo a ogni parola che dico".
Si predispose a essere il più onesto possibile. "Sto bene e sono felice di essere qui con voi. Come potrebbe essere diversamente? Ho tutto quello che amo di più".
"Ma...?"
"Nessun ma. Sono solo un po' stanco per via del volo e... di tutto il resto". Il che, tutto considerato, era una parte cospicua della verità.

Voltò la testa per osservare Tommy, impegnato a tracciare solchi nella neve con un bastoncino che aveva scovato chissà dove. Ammirò la sua capacità di farsi sorprendere dalla vita e non farsi sfuggire nessuna occasione di divertimento. Gli augurò di mantenere quella predisposizione per sempre.
Kate seguì il suo sguardo, intenerendosi alla vista del figlio.
"Non ti sembra miracoloso avercela fatta? Io non riesco ancora a rilassarmi", mormorò.
Si stupì per quella confessione inaspettata, che traduceva in parole le emozioni che provava anche lui, ma che aveva preferito tenere per sé.
"Sei sempre stata incrollabile nella tua convinzione che niente ci avrebbe impedito di raggiungere il nostro traguardo e partire", le bisbigliò di ritorno, stupefatto.

Era stata lei a portare il peso maggiore durante quelle settimane oscure, mantenendo una calma ammirevole e risollevando il morale di entrambi di fronte all'ennesimo ritardo decisionale, all'ennesima provocazione, in un capovolgimento delle loro solite posizioni. Non aveva nessun problema ad ammettere di essere stato ben poco d'aiuto nel rasserenare l'umore generale della squadra, anche se aveva preferito cedere occasionalmente all'angoscia nella solitudine del suo studio.
"Avrei fatto di tutto per portare Tommy in vacanza qui, puoi starne certo".
Non che ne dubitasse, avendola vista all'opera. E la loro avvocata, quella suggerita da Jim, era stata la più agguerrita di tutti. Aveva un feroce senso dell'umorismo che si combinava perfettamente con il suo e che li aveva fatti andare molto d'accordo, dopo un iniziale perplessità dovuta ai modi diretti con cui la donna si esprimeva, soprattutto nei confronti di Josh, verso il quale non risparmiava i giudizi più caustici. Ne avevano riso, rievocando le sue migliori battute.

"Ma naturalmente ho avuto anche io dei momenti di incertezza. Non che dubitassi che alla fine ce l'avremmo fatta, ma di tanto in tanto mi sono chiesta se ne valesse la pena, se non stessimo combattendo per niente. Non ho desistito perché è chiaro che è proprio quello che Josh vuole da noi. Esaurirci, senza di fatto volersi occupare di suo figlio. Tommy merita di meglio".
Castle allungò la mano per stringere quella di lei, in silenzio. Condivideva ogni parola e sapeva che lei ne era al corrente, non era necessario aggiungere altro.

Tommy venne a mostrargli i fantastici reperti, per la maggior parte sassi e legnetti che aveva scovato nella neve, e per una volta Kate non disse niente pur avendo notato le tracce di fango sui pantaloni immacolati.
"Qualche volta credo che sarebbe più facile per voi se io non ci fossi. Josh smetterebbe di tormentarti con la minaccia di prendere Tommy con sé, sapendo di ferirti".
Era così. All'inizio era stato solo un sospetto, un'orribile ipotesi che gli aveva fermato il respiro nel petto, ma che purtroppo i fatti gli avevano via via confermato. Anche Kate aveva smesso di irritarsi con lui per quella che inizialmente aveva ritenuto fosse gelosia o una sua fissazione. Era lui il bersaglio di Josh.

Era quella la causa della tristezza che lo coglieva a tradimento, quella che si era illuso di aver lasciato a New York e che ora cercava di nascondere, ma che continuava a scavare indisturbata voragini dentro di lui, devastandolo.
Voleva bene a Tommy. Gliene voleva così tanto che la sola prospettiva di costringerlo a passare del tempo con suo padre bastava a farlo sobbalzare con violenza poco prima di abbandonarsi al sonno, quando tutta l'infelicità della situazione si riversava su di lui, cogliendolo con la guardia abbassata e mettendolo alle strette. Se lui fosse stato fuori dal quadro – si era detto una notte vagando insonne per il loft - forse Josh sarebbe tornato a farsi ingoiare dalla tana da cui era riemerso e avrebbe lasciato in pace le persone a cui teneva di più, se si escludeva sua figlia.
Avrebbe compiuto quel sacrificio, se si fosse reso necessario – se l'era ripromesso come ultima mossa disperata per sentirsi meno impotente-, ma non aveva mai osato parlarne con lei.

"Non dirlo nemmeno per scherzo".
Aveva messo in conto che avrebbe ottenuto una reazione veemente, quasi stizzita. Ma era arrivato il momento di dirlo. Era un peso troppo grande per continuare a portarlo da solo.
"Io e Tommy non potremmo fare a meno di te, né lo vogliamo. Josh potrà aver deciso di dedicare il resto della sua vita a importunarci per motivi che non comprenderemo mai fino in fondo, ma questo non cambierà le nostre vite di un millimetro, sono stata chiara?"
Gli prese il mento tra le mani, stringendolo fino a fargli male. "Sono stata chiara, Castle? Non serve che ti immoli per noi", ripeté scandendo le parole come se si fosse trovata davanti a qualcuno impazzito di colpo.
Annuì, un po' intimorito, ma grato di quell'iniezione di fiducia, se pure espressa con i soliti modi decisi.
"Anche se non gradisce la mia scelta di costruire una famiglia con te, rimane il fatto che ho il diritto di frequentare chi voglio, perfino il primo sconosciuto che dovesse incrociare la mia strada".
Castle finse di lanciare delle occhiate allarmate attorno alla loro postazione. "Per fortuna non c'è nessuno a parte noi, temevo di doverti cedere al primo istruttore di sci di belle speranze che si fosse presentato a renderti omaggio".

Kate non raccolse quello che era l'ultimo, debole tentativo di occultare le emozioni di cui era sovraccarico, dietro una facciata allegra. "Incontrarti ha solo portato meraviglie nella nostra vita. Sei straordinario con Tommy ed è in gran parte merito tuo se è sereno, nonostante tutto. Non avrei potuto chiedere di meglio per lui e per gli altri bambini".
La guardò incuriosito.
"Quali altri bambini?"
Kate si produsse nel solito gesto di alzare gli occhi al cielo, quello con cui esprimeva la sua esasperazione alle divinità celesti in ascolto che la costringevano a sopportarlo. Non smetteva di trovarlo irresistibile.
"Parlavo in generale delle tue doti paterne, non fingere di non capire, te l'ho già detto davanti a Mireille", chiarì, un po' troppo sbrigativa.
"È per questo che stai con me? Le mie potenzialità come genitore?"
Sì, aveva voglia di prenderla in giro, non ci trovava niente di male. Gli piaceva punzecchiarla su quel punto e compiacersi delle risposte che invariabilmente suscitava.
"Certo, Castle, non perché tu sia sexy sotto tutta quella lana che ti sei messo", gli fece il verso, sorridendogli brevemente, prima di tornare a concentrarsi sulle sue parole. Le fu grato di voler continuare una conversazione difficile, che però gli stava molto a cuore.

Si voltò verso di lui.
"Hai ragione, finché non sei apparso tu, Josh sembrava avere di meglio da fare che occuparsi di noi, circostanza che rendeva tutto molto più semplice, senza avvocati e tribunali di mezzo. Ma con te la nostra vita si è trasformata in qualcosa di magico. È straordinaria, piena di sorprese e avventure. E poi lo sai che ho sempre avuto un debole per te. Immagino che sia questo il punto a cui volevi arrivare".
"Lo stai finalmente ammettendo? Puoi ripeterlo davanti a una schiera di notai che registreranno le tue parole in modo da potertele rinfacciare quando tornerai a negarle sostenendo che fossi insopportabile quando ci siamo incontrati la prima volta?"
"Lo eri davvero, e la cosa che mi disturba più è che non te ne sia ancora fatto una ragione. Ma eri comunque di bell'aspetto, proprio come quell'istruttore di sci con cui fuggirò alla fine di questa vacanza, se non la smetti con questi discorsi".
Rise fiaccamente.

Kate gli posò una mano su una gamba. "Che cosa ti succede, Castle?", gli domandò con dolcezza. "Non è da te essere meno che euforico per la nostra vacanza finalmente iniziata e in procinto di mandarci tutti al manicomio".
"Non sopporto l'idea che Tommy sia costretto a fare qualcosa che non vuole o che lo terrorizza, solo perché suo padre ce l'ha con me. Non voglio che la mia presenza lo danneggi, non potrei mai perdonarmelo". Non voleva apparirle petulante, ma era una questione vitale per lui.
"Non preoccuparti, ci opporremo a tutto quello che potrebbe danneggiarlo. Purtroppo la verità è che Tommy dovrà fare i conti con una figura narcisistica come quella di suo padre per sempre, come sappiamo, e noi non potremo impedirgli di soffrirne. Ma gli insegneremo a combattere per quello che è giusto e lo proteggeremo insieme. Ma ti prego, ti prego, per il mio equilibrio mentale, di non pensare che senza di te staremmo meglio. Non voglio più riaprire questo argomento. Non saprei nemmeno da che parte cominciare a vivere senza di te".

Fu colpito dal suo tono accorato, gli spiaceva averla turbata. Tolse con il dito i segni cioccolata dalla guancia di Tommy, che si era stancato di giocare da solo e voleva essere preso in braccio. Si piegò con naturalezza alle sue richieste.
"Ti amo, lo sai?" Si sporse per baciarla. "E ti amavo anche quando mi trovavi insopportabile".
Kate sbuffò. "Mi conoscevi da cinque minuti, sei il solito esagerato. Quello che volevi in realtà era solo portarmi..."
"Ehi", la fermò, mettendo le mani sulle orecchie di Tommy. "C'è un bambino qui, lo hai dimenticato? E non erano in assoluto quelle le mie intenzioni, hai sempre avuto dei pregiudizi nei miei confronti".
"Quindi volevi chiedermi di sposarti non appena abbiamo concluso quel primo caso? Non che non sia una tua fissazione, in effetti".
"Meriteresti che ti lasciassi con quel maestro di sci di cui tanto blateri".
Gli appoggiò la testa sulla spalla. "Non lo farai", sussurrò divertita.
"Hai ragione, non lo farò. Ma sappi che non potrai sottrarti ad altre proposte di matrimonio".
"Chissà, Castle, magari un giorno potrei anche dirti di sì".
La baciò ancora. "È una promessa?"
Non sentì la risposta, che si perse da qualche parte tra le cime innevate e la lieve brezza che li avvolse tra i raggi tiepidi del sole.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Ventisette ***


27

"Castle? Stai dormendo?"
Nonostante avesse a malapena bisbigliato, Castle aprì gli occhi di colpo, come azionati da una molla posizionata dietro le palpebre.
"No, sono sveglio", bofonchiò con il respiro corto. Le rivolse uno sguardo stralunato, facendola quasi pentire del suo gesto. "Che cosa è successo? Tommy sta male? Lo sapevo che non doveva mangiare tutta quella cioccolata prima di cena".
Lei era piuttosto certa che non ci fosse stata nessuna cioccolata, almeno non sotto la sua supervisione, ma preferì non investigare ulteriormente.

Castle cercò di sollevarsi, ma la pesantezza delle membra che non avevano ancora abbandonato lo stato di profondo torpore in cui, contrariamente alla sua recente affermazione, era stato immerso – lo aveva sentito russare lievemente, ma preferì non sottolinearlo, – glielo impedì.
"Sei sempre così in allerta quando dormi?"
"Tecnicamente non dormo. Mi limito a far riposare gli occhi".
Scoppiò a ridere, cercando di non fare troppo rumore. "Immagino sia un talento utile quando vuoi farti reclutare dalla CIA. Ora però siamo in vacanza, non pensi che potresti concederti un po' più di relax?"
Castle le fece scorrere le dita tra i capelli e le sorrise, ancora un po' confuso. "Prova tu a rilassarti con qualcuno che se ne sta a fissarti a pochi centimetri dal naso. Hai intenzione di entrare a far parte del cast di un film horror? Mi hai quasi fatto venire un infarto".

Kate appoggiò la fronte nell'incavo del suo collo, assaporando con le labbra la pelle calda e setosa.
Castle lasciò lentamente scivolare la mano lungo la schiena fino a intrufolarla sotto la maglietta, appena sollevata, dove prese ad accarezzarla pigramente.
Si lasciò sfuggire un sospiro, che lei per prima non avrebbe saputo interpretare.
"Hai ancora qualche problema di insonnia per via del fuso orario? Posso aiutarti io, se vuoi. Ho un ricco repertorio di intrattenimenti notturni con cui possiamo passare il tempo fino all'alba", le sussurrò all'orecchio.
"Non c'è bisogno di ricordarmelo. Conosco molto bene i tuoi generosi intrattenimenti".
E se Castle avesse saputo quello che stava per dirgli, se ne sarebbe reso conto anche lui. Al solo pensiero venne attraversata da una piccola scossa elettrica che le corse rapida in fondo alla spina dorsale.

Castle si voltò sul fianco, rintanandosi insieme a lei sotto il piumino, e appoggiò la fronte sulla sua. Kate chiuse gli occhi. Non riusciva a trovare nessun motivo valido per interrompere lo stato di benessere ultraterreno in cui era immersa, ma lo aveva svegliato con uno scopo preciso in mente e si attenne ai suoi programmi.
Cercò di capire se dalla camera di Tommy, a poca distanza da loro, provenisse qualche suono. Era andata da lui, poco prima. Si era fermata accanto al suo letto per qualche minuto, assorbendo in silenzio la profonda tranquillità che il bambino emanava, sempre capace di calmarle i nervi.
A volte si chiedeva dove fosse finito quell'esserino minuscolo che si era portata a casa dall'ospedale – conservava ancora le tutine che aveva indossato i primi mesi, che la sconcertavano non poco per le dimensioni ridotte-, che ora aveva gusti precisi su argomenti di cui lei conosceva poco o nulla e una personalità sempre più definita.

Gli aveva rimboccato le coperte, mentre la lampada posizionata sul comodino continuava a proiettare stelle e pianeti sul soffitto, una versione meno ingombrante di quella che stazionava nella sua cameretta a New York.
Era stato Castle a insistere perché la portassero in vacanza, così che Tommy potesse sentirsi a suo agio in un luogo sconosciuto. Doveva ammettere che era stata un'ottima idea. Castle ne aveva spesso, e lei aveva iniziato a fidarsi e ad accettarle senza farsi troppe domande, per quanto azzardate potessero inizialmente apparire. Chi altri infilava lampade in valigia solo per assicurarsi che un bambino potesse ambientarsi più facilmente?

"Vuoi che parliamo di quello che ti turba?"
Intrecciò la mano nella sua. Si chiese se esistesse sulla Terra un altro uomo che, dopo essere stato strappato al sonno senza un motivo apparente, non solo era di buon umore, ma si dichiarava pronto ad ascoltare i dilemmi della propria compagna, trovandolo normale.
Sì, c'era qualcosa che l'aveva tenuta a lungo a fissare il soffitto, con la neve che scendeva copiosa a farle compagnia. Tommy ne sarebbe stato entusiasta. E anche Castle, forse perfino più di suo figlio. Nonostante fossero costantemente immersi in paesaggi di un bianco da favola – era arrivata alla conclusione che un luogo del genere non potesse esistere nella realtà, doveva essere una sorta di illusione collettiva-, non ne avevano mai abbastanza e, soprattutto, morivano dalla voglia di assistere a una nevicata in piena regola. Fino a quel punto si erano susseguite giornate limpide e soleggiate, prive di nuvole e di cattivi pensieri, che loro tre avevano riempito di attività che li facevano crollare distrutti subito dopo cena. Forse avrebbe dovuto svegliarli entrambi per lasciare che si godessero l'evento, di cui era stata l'unica spettatrice distratta.
Durante il giorno le era più semplice mantenere un ferreo controllo sulle proprie emozioni – dopotutto era stata la vita a insegnarle come fare-, ma l'oscurità aveva l'irritante tendenza a riproporle tutte le questioni irrisolte che aveva accuratamente represso.

"Ho un ritardo", buttò lì asciutta. Non era riuscita a farsi venire in mente una frase meno lapidaria – anche se riconosceva che Castle si sarebbe meritato qualcosa di meglio-, le parole le si erano conficcate in gola, e lì erano rimaste, nonostante avesse più volte deglutito a vuoto. Anzi, il nodo che avvertiva le era parso aumentare di volume. Ma non era più il caso di aspettare e le due di notte erano un momento adatto come qualsiasi altro, l'unico in cui avesse trovato finalmente il coraggio di metterlo al corrente.

Inutile tergiversare, si era ripetuta con le mani tremanti premute sulla fronte, decisa a superare lo stallo in cui era suo malgrado finita. Non che si trattasse di una sorpresa, non lo era, non in senso stretto. Si era aspettata che accadesse, mese dopo mese, all'inizio con curiosità mista a timore – un conto era immaginarlo, un conto era farlo accadere nella realtà, sconvolgendo le loro esistenze- e poi con sempre maggiore sconcerto nel trovarsi davanti una natura avara e poco collaborativa che aveva messo in crisi le sue certezze, finché la sua agenda non aveva iniziato a far scorrere fogli bianchi là dove era stata convinta di segnare per l'ennesima volta la data ufficiale della morte delle sue fantasie.

L'aveva tenuto per sé, a quel punto. Troppo rischioso, troppo prezioso. Lei per prima, anzi, si era ripromessa di non darci troppo peso, ancora scossa dopo quelli che aveva vissuto come fallimenti personali.
Era andata avanti con la sua vita cercando di mantenere i nervi saldi e lo sguardo puntato altrove, senza concedere nessuno spazio a quell'unico indizio che poteva segnalare l'agognato cambio di rotta. O essere la spia di un'altra delusione.
Ogni giorno trascorso senza nessuna novità all'orizzonte, però, le aveva reso complicato reprimere briciole di speranza sempre più consistenti e il sorriso che spuntava quando nessuno poteva vederla.

Era comunque troppo presto, non era il caso di perdere la testa o essere precipitosi, si era rimproverata, gettando volontariamente acqua gelida su quelle timide scintille, ma faticando a mantenere la razionalità di cui tanto andava fiera, persa in sogni che non osava confessare. Poteva dipendere da tante cose e non si poteva certo dire che lei fosse nelle migliori condizioni psicofisiche, tanto per cominciare. Poteva essere stress, giusto? Lo stress era una giustificazione plausibile e loro ne avevano sopportato a palate, chiunque avrebbe potuto confermarlo,.
Prima c'era stato l'estenuante periodo di incertezza con cui Josh li aveva tenuti in ostaggio con la solita, studiata ostilità. Per giorni non avevano saputo se di lì a poco sarebbero stati seduti su un aereo che li avrebbe condotti verso la loro sospirata destinazione o pigiati dentro un tribunale a vedere i loro avvocati litigare.
Il nulla osta, giunto all'improvviso, aveva avuto lo stesso effetto di una brusca accelerata dopo un lungo stato di inerzia e li aveva liberati dallo stato di apatia in cui erano precipitati per gettarli nella frenesia dei preparativi dell'ultimo minuto.
Ce n'era stato abbastanza da farsi venire un'ulcera oltre a un ritardo, anche se le due cose non si escludevano a vicenda. Lo stomaco le aveva dato qualche problema, a ben pensarci. E avvertiva già altri cambiamenti, sospettosamente familiari.

Voleva offrire a Castle qualcosa di più concreto di vaghe sensazioni che si potevano spiegare in molti altri modi, tutti ragionevoli. Sì, forse se ne era stata zitta anche per scaramanzia, per non infilare la sua preziosa fiammella di speranza negli spietati ingranaggi della realtà. Castle avrebbe insistito per sapere. E alla fine... avrebbero saputo, con tutto quello che ne sarebbe conseguito. Meglio continuare a sognare senza far del male a nessuno. Castle non se lo meritava, non dopo quello che avevano sopportato, che lo aveva segnato più di quanto non volesse ammettere.
Lo strano discorso su quanto la loro vita sarebbe stata più serena senza di lui l'aveva messa in allarme, facendole comprendere quanto grande dovesse essere lo sconforto che la situazione aveva generato in lui. Avrebbe maledetto Josh ogni giorno, se non avesse avuto cose molto più importanti di cui occuparsi. E forse era stato proprio il suo piccolo segreto a farla resistere, a farle mantenere saldo il timone.

Con il passare del tempo la sua coscienza aveva preso a pungolarla con irritante pedanteria o forse la sua fiammella aveva bisogno di più ossigeno per tenersi in vita. Non poteva tenere tutto per sé ancora per molto. E nel frattempo quel ritardo rischiava di trasformarsi in un neonato urlante la cui apparizione avrebbe dovuto essere giustificata in qualche modo, almeno agli occhi di suo padre. Non poteva presentarsi al loft fingendo di averlo appena rinvenuto per strada.

Castle reagì alla sua affermazione con un'immobilità sospetta e prolungata che le fece credere di aver provocato in lui dei danni di tipo cognitivo. Di tutte le possibili reazioni, quella era stata l'unica che non aveva preso in considerazione. Come avrebbe spiegato ai soccorritori, che temeva sarebbe stata costretta a chiamare, l'istantanea trasformazione del padre di suo figlio – quello giusto, questa volta - da uomo prestante in mummia sprovvista delle normali capacità di verbalizzazione? Era il caso di controllare il battito cardiaco?

Si era quasi decisa a farlo, quando Castle si sollevò a sedere sul letto, sfregandosi gli occhi come a volerseli estirpare dalle orbite. "Che cosa significa ritardo? È una specie di scherzo? Ti sei intrufolata nei miei sogni che si autodistruggeranno al mio risveglio?"
Rimase molto più che sbalordita, onestamente. Sperò che stesse scherzando, ma i suoi occhi raccontavano qualcosa di diverso.
"Stai bene?", domandò cauta. Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi per prendergli un bicchiere d'acqua dopo averci sciolto dentro una dose doppia di calmante per cavalli.
Castle si alzò e cominciò ad aggirarsi freneticamente. "Sì. No. Stai calma. Devi fare un test. Dobbiamo trovare un test, per prima cosa". Si voltò e le puntò un dito contro. "Non muoverti, ci penso io. Tu devi solo rimanere calma".
Dei due, non era certo lei quella che doveva essere invitata a un maggiore controllo delle proprie azioni. Lo vide ricominciare a muoversi a scatti come se fosse stato alla mercé di un burattinaio sotto l'effetto di stupefacenti. Incespicò un paio di volte. Sarebbe stato quasi spassoso, se non fosse stato profondamente disturbante.

"Puoi fermarti per un minuto? Mi stai facendo venire la nausea".
Castle corse da lei, le prese il viso tra le mani e la baciò con vigore sulle labbra, ritraendosi subito dopo atterrito, scusandosi per essere stato troppo rude, date le sue possibili condizioni.
"Conosco la ricetta di una tisana che è ottima per i casi di nausea ostinata", le comunicò, ansioso di farle buone impressione, ma lei preferì non sapere come mai fosse in possesso di tale informazione. Rimase in silenzio osservandolo riprendere il suo insensato andirivieni. "Vuoi un altro cuscino da mettere sotto la schiena? Del gelato? Non è meglio se sollevi le gambe? Ti fa già male la schiena?"
Sarebbero stati nove mesi infiniti, se qualcuno non lo avesse tramortito subito.
"Sto esattamente come quando non ti preoccupavi tanto delle mie condizioni".
"Mi dispiace, è stato imperdonabile da parte mia, avrei dovuto accorgermene da solo".
"E come? Scaricando un'applicazione che monitorasse il mio ciclo mestruale?"
La scrutò, vivamente impressionato. "Perché non mi è venuto in mente? Sarebbe stata la soluzione ideale".

Kate si lasciò andare contro i cuscini, a un passo dalla disperazione. Era inutile tentare di ragionare con lui, forse era colpa del brusco risveglio di cui era responsabile, ma qualcosa dentro lui non stava funzionando come avrebbe dovuto.
In preda a un lieve stordimento si limitò a tenerlo d'occhio, mentre ricominciava a girovagare per la stanza, sbatacchiando da una parte all'altra cercando di raccogliere gli indumenti sparsi sul pavimento.
"Dove stai andando?"
"A comprare un test". Lo disse come se la ritenesse poco perspicace rispetto al solito, ma in fondo scusabile. "Molti test, anzi. E ti serviranno un sacco di altre cose".
"Non mi serve niente con tanta urgenza".
"Nemmeno un test di gravidanza?"
Per lui era chiaramente una domanda retorica, glielo leggeva in faccia senza troppa difficoltà. Rivalutò l'idea di metterlo di fronte al fatto compiuto e cioè solo una volta uscita dalla sala parto.

"È notte fonda, Castle. Forse non te ne sei accorto, ma siamo nel mezzo di una tempesta di neve in piena regola e dubito che in un centro così piccolo ci sia una farmacia aperta a quest'ora. Possiamo aspettare che faccia giorno".
Aveva solo voluto condividere le sue speranze con l'altro protagonista della vicenda, illudendosi di passare il resto della notte amorevolmente abbracciata a lui, non si era certo aspettata che Castle montasse un'unità di crisi nella loro suite nel giro di cinque minuti. Né le faceva piacere l'idea che la piantasse in asso uscendosene tra le strade ghiacciate, aumentando le sue preoccupazioni.
Castle tornò da lei con in mano un pullover a rovescio, sul volto un'espressione perplessa. "Pensavo volessi saperlo subito".

Batté la mano sul materasso accanto a lei. "Credi di poter smettere di essere tanto energico e produttivo e venire a sederti vicino a me? Per favore?"
Fece subito come gli aveva chiesto, forse aveva finalmente notato il tono stridulo con cui l'aveva implorato.
"Temi che sia troppo presto e che il test non dia una risposta sicura? Per questo non vuoi farlo?"
Scosse la testa. Era il momento di essere onesti, per quanto le costasse.
"Non è presto, anzi. Io... ho preferito tenerlo per me, quando me ne sono accorta. Poteva trattarsi di qualcosa d'altro, non volevo..."
Suonò debole e vano alle sue stesse orecchie e dirlo ad alta voce le fece prendere coscienza del senso di colpa che l'aveva rosa per aver deciso di non renderlo partecipe fin dall'inizio. "Mi dispiace. Avrei dovuto metterti al corrente quando me ne sono accorta". Solo adesso percepiva tutta la sgradevolezza del suo comportamento. "È che non sono abituata a condividere... l'altra volta..." Abbassò gli occhi, sentendosi incapace di spiegarsi al meglio.

"Questa volta non sarai da sola a gestire tutto, te lo prometto", esclamò Castle con forza, sorprendendola per la recuperata lucidità e per aver intuito quale fosse il nocciolo della questione prima ancora che lei riuscisse a renderlo chiaro a se stessa.
Era quello l'unico motivo per cui era rimasta zitta, nonostante tutto il corollario di scuse inutili e complicate con cui aveva preteso di giustificarsi. Era stata terrorizzata, ecco qual era la verità nuda e cruda. Razionalmente sapeva che Castle non era... via, non c'era nessun altro come lui al mondo, qualsiasi descrizione sarebbe stata riduttiva, ma il passato era arrivato a ghermirla e l'aveva paralizzata.
Gli automatismi lasciati in eredità dalla prima gravidanza si erano attivati imponendole il silenzio assoluto come forma di protezione inconscia dal rivivere la stessa tragica esperienza di rifiuto. Si sentì una sciocca. Non era nemmeno contemplabile l'ipotesi che Castle potesse indietreggiare o mostrarsi indifferente di fronte a un annuncio del genere.
Non aveva realizzato quanto ancora le facesse male, quanto fossero profondi il rammarico e l'umiliazione che albergavano dentro di sé, né quanto potenti fossero certe dinamiche inconsce, capaci di bypassare il ferreo dominio della ragione, per riemergere in superficie e far danni. Ne fu spaventata. Per fortuna Castle sembrava averla presa bene, come se la sua fosse una reazione normale. Lei non sarebbe stata altrettanto indulgente. Ma era un uomo meraviglioso e questa ne era solo l'ennesima dimostrazione.

"Sarò sempre al tuo fianco, Kate. Sempre. Non ti pianterò in asso, te lo prometto".
"Non l'ho mai veramente pensato", ammise, contrita. "Sono io che..." Il problema non era di Castle, ma suo, anche se il torto l'aveva subito lui.
"Ehi", le sussurrò tra i capelli. Quell'ehi, espresso con tono basso e roco che a seconda delle circostanze poteva suonare sensuale o rassicurante, riuscì anche in questa occasione a farle rimescolare lo stomaco, anche se i motivi potevano essere molto meno romantici.
"Io non sono stato d'aiuto reagendo come uno stoccafisso".
Ridacchiò, grata per il diversivo che le aveva appena offerto. "In effetti ho avuto paura che ti fosse venuto un colpo".
"Mi è davvero venuto un colpo. Non me lo aspettavo, non ci abbiamo messo molto... impegno, no?" Buon per lui che l'aveva vissuta con meno patemi di quanto non avesse fatto lei.
"Trovo strano infatti che tu non ti stia vantando della tua incredibile virilità".
"Perché sono ancora sotto shock. E più di tutto voglio che tu faccia quel test. Perché se avremo un bambino..." Ascoltandolo, avvertìì un pizzicore nel bassoventre che la fece rabbrividire. "Voglio che sappia che siamo consapevoli della sua esistenza e che lo amiamo, anche se è grande solo qualche millimetro". Si fermò. "Non so se ho detto qualcosa di sensato".
Kate annuì, dietro il velo delle lacrime. Non c'era bisogno di spiegazioni. Castle voleva che il loro bambino si sentisse desiderato fin dall'inizio, a differenza di quanto successo a Tommy.

"Sarebbe comunque meglio aspettare qualche ora".
"Sei sicura di riuscire a resistere fino a domani mattina? Perché in quel caso non mi muoverò da questo letto".
D'accordo, no. Non ce l'avrebbe fatta, nonostante la proposta allettante di tenerlo con sé e non alla mercé di tutti i pericoli annidati fuori nella notte, che non avrebbe saputo quantificare. Era il luogo più tranquillo in cui fosse mai stata, la gente teneva perfino la porta di casa sempre aperta, certa che nessuno sarebbe entrato per derubarla.
Le sorrise e la baciò sulle labbra. "Farò il prima possibile, te lo prometto".
Dubitava che fosse così semplice come credeva, e soprattutto era sicura che sarebbe stato fermato non appena avesse messo piede in strada, con il berretto storto e la giacca allacciata in modo approssimativo. La gente del posto, così discreta e poco incline alle frivolezze, avrebbe raccontato negli anni la storia di uno strambo americano che si aggirava in cerca di test di gravidanza sotto la peggior nevicata della stagione.

Doveva essersi addormentata, perché tornò in sé solo quando delle labbra morbide e molto fredde si posarono lievi sulla sua fronte.
Quando Castle era uscito si era trasferita nello spazioso salottino di cui la loro suite era dotata, con impareggiabile vista sul lago e, più lontano, il profilo dei monti imbiancati, a malapena visibili. Era stata troppo inquieta per rimanere a letto e in più non aveva voluto rischiare di svegliare Tommy.
Si era acciambellata su una delle poltrone, raccogliendo le gambe sotto di sé, dopo aver preso una coperta dallo schienale, predisponendosi a una lunga attesa. Da quel momento la sua mente registrava il vuoto totale. Come era possibile? Era stata in ebollizione, quasi prossima a una crisi di nervi, come aveva potuto addormentarsi? Aprì gli occhi, meno precipitosamente di quanto non avesse fatto Castle quando era stato il suo turno.

"Hai un ritardo", le mormorò sorridendole euforico, come se lei potesse esserne dimenticata nel frattempo. La fece commuovere, ma temeva che nei prossimi mesi sarebbe successo con imbarazzante frequenza e senza particolari motivi. "E io ho recuperato tutti i test di gravidanza dell'intera regione".
"Hai rapinato una farmacia?"
"Esiste una civiltà anche fuori dagli Stati Uniti, per tua informazione. Ed essendo un luogo turistico di fama internazionale sono piuttosto attrezzati per far fronte a ogni tipo di richiesta. Sono stato all'emporio", annunciò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Non aveva idea di cosa intendesse per emporio o perché tale luogo rimanesse aperto anche di notte, né, soprattutto, quanto lontano Castle si fosse spinto. Molto più probabile che avesse offerto una lauta ricompensa a chiunque avesse mostrato il buon cuore di aiutarlo nel reperire dei test di gravidanza. Meglio non pensarci. Forse l'intera popolazione era stata messa al corrente e attendeva trepidante il responso sotto le loro finestre.

"Vuoi che accenda il camino?"
Castle la interruppe mentre faceva scorrere distrattamente le dita sulle confezioni sparpagliate sul tavolino. Un po' imbarazzata, si voltò a guardarlo, chiedendosi se si forse persa qualche pezzo di conversazione.
"Non è un problema se non te la senti di farlo", aggiunse lui, quando non gli arrivò nessuna risposta da parte sua. "Possiamo nasconderli in qualche cassetto e dimenticarci della loro esistenza".
"Nel qual caso escogiteresti qualche altro metodo per scoprire la verità, magari ipnotizzandomi".
Gli lanciò un cuscino, che Castle prese al volo, sorridendole con quell'aria tenera che ormai aveva assunto in via permanente, quando le si rivolgeva. Il fatto di trovarlo adorabile e non irritante deponeva certamente a favore dell'esito positivo di tutti quei test, nessuno escluso. No, non doveva farsi trasportare dall'entusiasmo e indulgere in scenari idilliaci non ancora comprovati dalla realtà.

Castle smise di trafficare intorno al caminetto e venne a sedersi accanto a lei. La poltrona non era concepita per contenere entrambi, ma con qualche accorgimento riuscirono a far incastrare i loro corpi in modo soddisfacente. Gli fece spazio sotto la coperta, rabbrividendo al contatto con la pelle di lui, ancora gelida per la prolungata permanenza all'esterno.
"È successo qualcosa che ti ha fatto cambiare idea? Magari uno dei tuoi corteggiatori ti ha convinto a lasciarmi per fuggire con lui? Il portiere, forse?"
"Il portiere ha già una famiglia numerosa, come ha tenuto a farci sapere appena siamo arrivati. Quindi, no, non si tratta di quello".
Sospirò, smettendo di scherzare. "Non lo so, Castle. E se mi fossi sbagliata? Se non ci fosse nessun bambino in arrivo?"
I vecchi timori tornarono a far capolino. Cominciava a pentirsi di averlo messo al corrente, di aver fatto crescere in lui la sua stessa speranza. Sarebbe già stato brutto dover affrontare da sola un risultato negativo, non avrebbe sopportato di scorgere in lui la sua stessa delusione. Avrebbe preferito ingoiare il boccone amaro in disparte, per risparmiarlo a lui. Non era forse questo l'amore? Era stato lui a insegnarglielo.

Di colpo venne investita da un timore ancora più sgradevole. Il problema non era un ipotetico falso allarme. Se non era accaduto questa volta, non c'era motivo perché non potesse rimanere incinta in futuro. Se lo ripeteva da mesi, era diventata brava a crederci.
E se invece non fosse mai successo? Se avessero continuato ad aspettare, mese dopo mese, sempre più ansiosi, dispiaciuti, amareggiati?
Stava impazzendo, non c'era altra spiegazione. Non era da lei comportarsi così.
"Non voglio sembrarti paranoica...", continuò cauta. Non voleva di certo spaventarlo svelandogli l'orrore dei suoi pensieri privi di buonsenso.
"Tu? La voce della ragionevolezza? Quella che non crede alle mie teorie stravaganti? Ti prego invece di farmi partecipe di tutte le tue paranoie senza risparmiarti, in modo che io possa registrarle per i posteri".
"Ti hanno offerto anche del vino, oltre a dei test di gravidanza? Hai un colorito sospetto".
"No. È l'effetto che mi fa essere svegliato nel cuore della notte da una donna che mi annuncia ritardi salvo poi preferire altri pretendenti a me".

"E se non succedesse mai, Castle? Se non riuscissimo... so che mi dirai che se il test non è positivo potremo sempre riprovarci e sarà divertente farlo, e non nego in effetti che sia così..."
"La mia virilità ti ringrazia per il complimento sottinteso".
Gli fece un breve sorriso, che si spense subito. "Intendo, che cosa faremo se saranno sempre negativi? Mese dopo mese? So che c'è Tommy e in fondo noi tre siamo già una famiglia, ma io vorrei anche un bambino tutto nostro. Forse sono egoista a desiderarlo?"
Lo era? Era un'ingrata, oltre al resto?
"Anche io vorrei un bambino che mettesse insieme la tua bellezza e il mio incredibile acume – smettila di darmi pizzicotti, mi stai facendo male - ma questo non significa che io sia egoista o che non consideri Tommy come nostro figlio. È solo che mi piacciono i bambini e quindi ne vorrei in quantità numerosa".
"Davvero?"
"Che cosa? Che mi piacciono i bambini? Pensavo fosse la cosa che trovavi più sexy in me".
"No, che consideri Tommy nostro".

Castle rimase in silenzio per qualche istante. "Sì", ammise, con una timidezza che le fece venire voglia di stringerlo forte. E molte altre cose meno innocenti. "Ufficialmente sosterrò sempre che ha un padre che non sono io e che questa realtà non modificabile merita rispetto da parte mia, ma la verità è che ormai penso a Tommy esclusivamente come a mio figlio, relegando il capellone ai margini della mia coscienza. Adesso forse rivaluterai l'idea di metter su famiglia con un candidato squilibrato come me".
Si sporse a baciarlo. "Non avrei mai potuto trovare un candidato migliore".
"Non devi preoccuparti che il test sia negativo, è chiaro che i tuoi ormoni stanno già interferendo con la tua personalità, di solito sei molto meno amorevole nei miei confronti, non c'è bisogno di fare tutta la trafila in bagno. Però dovrai spiegare tu al portiere perché non abbiamo usato nessuno dei test che ci ha procurato personalmente".
"Quindi domani mattina avremo degli striscioni ad attenderci nella hall?"
Le scostò i capelli dalla fronte. "C'è un'uscita secondaria, me ne sono già accertato. Ma non ti assicuro che non abbia messo degli uomini anche lì, per coglierci di sorpresa".

Trovava sempre conforto nella familiare alternanza di serietà e umorismo, quando erano alle prese con una questione più difficile di altre.
Sgusciò dal suo abbraccio e si alzò in piedi. Raccolse qualche scatola a caso e allungò la mano verso di lui. "Andiamo?"
"Vuoi che venga con te? Credevo che volessi preservare la tua privacy".
"Ho un bambino piccolo, non so più che cosa sia la privacy. E tu mi hai promesso che non sarei mai stata da sola".
Avrebbe per sempre riservato un posto speciale allo sguardo pieno d'amore che le rivolse.

Erano di nuovo a letto, con i test di gravidanza sparpagliati davanti a loro. Erano positivi. Tutti. E Castle li stava fotografando uno per uno. Era importante testimoniare tutto fin dall'inizio, aveva sostenuto, per quando avrebbero raccontare al loro futuro figlio gli aneddoti che riguardavano la sua venuta al mondo, soprattutto quando avevano preteso di interpretare le istruzioni in una lingua straniera, con il solo ausilio del traduttore automatico, con risultati improbabili che avevano provocato in loro risate irrefrenabili.

Castle la prese alla sprovvista mentre era intenta a punzecchiarlo implacabilmente per tutti quegli scatti e la fece sdraiare sulla schiena, passandole un braccio intorno alle spalle. Si sporse su di lei per baciarla dolcemente.
"Avremo un bambino. Il nostro secondo bambino. Con la tua bellezza e il tuo acume. Oltre alla tua passione per la giustizia e le tue incredibili doti di madre. Magari anche le tue gambe".
"Abbi un po' di rispetto per i miei ormoni, Castle! Non puoi farmi questi agguati emotivi, vuoi vedermi piangere per sempre?" Si asciugò gli occhi con un lembo del lenzuolo, non aveva pensato di procurarsi dei fazzolettini per ogni evenienza.
"Credi che nel tuo stato ormonale alterato potrai accettare finalmente di sposarmi? O devo ipnotizzarti? A proposito, grazie per il suggerimento".
"Quindi vuoi che ci sposiamo solo perché sono incinta? Molto romantico". Incinta. Era meraviglioso dirlo. Lo avrebbe detto a chiunque, forse perfino urlato dalla finestra. Tanto ci sarebbe stata solo la neve ad ascoltarla, o almeno così sperava.
Castle grugnì e le mordicchiò piano una spalla. "Perché sei così contraria alle unioni ufficiali? È il tuo spirito ribelle? Ti piace sentirmi implorare?"
Gli accarezzò la guancia. "Perché sei convinto che non ti dirò mai di sì e per questo non fai che cercare di convincermi tirando in ballo qualche motivo pratico o irrinunciabile. La custodia di Tommy. Questo nuovo bambino. Potrei volerti sposare solo perché sei tu, non credi? E sì, in parte mi diverte rifiutare, voglio vedere che cosa ti inventerai la prossima volta".
"Allora continuerò a chiedertelo. E non necessariamente a voce".
E le dimostrò con i fatti quanto erano vaste le sua capacità persuasive.

25.01.2021. Edit: il prossimo capitolo sarà pubblicato martedì 26 gennaio, domani

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Ventotto ***


28

"Mamma!", strillò Tommy festoso al sopraggiungere di Kate, che avevano lasciato a poltrire a letto per quelli che, aveva assicurato con voce a malapena udibile da sotto il piumone, sarebbero stati solo pochi minuti in più, ma che si erano trasformati in un altro paio d'ore.
Non che fosse importante, lo era di più che riposasse. Lui e Tommy erano usciti molto presto per la sua ultima lezione di sci, che si sarebbe svolta prima di una piccola gara – che lui aveva inteso come simbolica, ma che aveva fomentato gli animi tra i genitori - che avrebbe anche sancito la fine delle loro splendide vacanze. Le vacanze erano splendide per contratto, giusto?
Ma quella appena trascorsa sarebbe stata per sempre ricordata negli annali della loro famiglia come un evento straordinario, nessun dubbio a riguardo. Si trastullava con l'idea di citarla nelle promesse che avrebbe pronunciato il giorno del loro sospirato matrimonio – Kate non aveva ancora ceduto, ma non disperava che prima o poi avrebbe trovato il modo giusto per farla capitolare - e l'avrebbe fatta arrossire davanti a tutti.

Erano stati giorni perfetti. Non solo a causa della sorpresa notturna, quella che aveva dato una svolta netta al loro futuro e che aveva amplificato l'amore che provava per lei facendogli sviluppare un istinto protettivo degno di un sequestro di persona, ma perché niente era venuto a turbare lo scorrere pacifico di attimi pieni di pace e dolcezza. Chi sosteneva che la perfezione non esistesse non era mai stato lì con loro ad assaporarla. Non c'erano state interferenze esterne, nessuna novità sgradita. Dopo quanto accaduto, c'era voluto del tempo per accettarlo, per rilassarsi. Quando era riu., una conquista che si era trovata ad appena un passo oltre la paura.

C'era stata neve copiosa, proprio come piaceva a loro – a lui e Tommy, Kate aveva amato le giornate assolate, i cieli tersi e infiniti. C'erano state passeggiate nell'incanto di boschi silenti, il cinguettio degli uccelli selvatici che svolazzavano in cerca di cibo, scoiattoli a fare capolino dai rami dei pini, l'acquisto di una slitta nuova di zecca che aveva ogni intenzione di farsi spedire a casa, anche se Kate l'aveva minacciato con i ferri del caminetto con insospettabile aggressività. C'era stata la traversata del lago ghiacciato, un'esperienza di cui Tommy aveva avuto inizialmente timore, ma che l'aveva elettrizzato, una volta che si era convinto a metterci un piede sopra.

Erano stati bene insieme.
E lui aveva immagazzinato un numero copioso di fermi immagine che si sarebbero trasformati in ricordi indelebili.
Si era sentito sempre più sicuro che lui e Kate avessero dato il via a qualcosa di solido, di ben radicato, qualcosa che avrebbe retto a ogni colpo della vita. Ed erano pronti ad allagare i confini del loro robusto nucleo d'amore per accogliere chiunque si sarebbe aggiunto. Forse era eccessivo cominciare a considerare la loro famiglia come a una dinastia vera e propria, ma l'idea di invecchiare circondato da tutti i loro figli era qualcosa che gli riempiva il cuore.

Naturalmente aveva fatto silenzio. Non era il caso di accendere la miccia degli impetuosi sbalzi d'umore di cui Kate negava di essere vittima, ma che avevano la curiosa tendenza a infrangersi contro di lui, che non aveva ancora imparato come navigarli.
Non era esperto di famiglie felici, lo aveva sempre sostenuto. O di famiglie in generale, ma in ogni caso gli pareva che stessero facendo un ottimo lavoro. Non gli importava più, a quel punto, che avessero sprecato degli anni solo perché lei si era rifiutata di dar loro una possibilità. Sì, tecnicamente li avevano persi. Ma il loro presente era così ricco che guardarsi indietro con rimpianto gli pareva solo l'inutile rimostranza di chi credeva di vantare dei crediti nei confronti della vita e lui non avrebbe mai commesso quell'errore. Lui era uno di quelli che conoscevano il valore miracoloso della gratitudine.

Corsero insieme a baciarla e la strinsero in un abbraccio. Sì, era innamorato. Perso. Era un crimine? Forse aveva assorbito per osmosi gli ormoni della gravidanza che avevano preso possesso anche della sua personalità. Si corresse. Unicamente della sua. Kate sosteneva che quella degli ormoni fosse una leggenda.
"Smettetela, siete gelati", protestò ridendo.
"Sei venuta a vedere la mia gara? Non hai più mal di pancia?"
Era così che avevano spiegato a Tommy le occasionali nausee mattutine e il maggiore bisogno di riposo da parte di sua madre e lui aveva accettato la spiegazione come se non fosse niente di speciale. Anche lui qualche volta aveva mal di pancia, aveva specificato con aria seria e buffa che li aveva fatti ridere di nascosto.

Kate si chinò su Tommy, per aggiustargli il berretto. A volte si distraeva a immaginarla intenta a prendersi cura del loro bambino e doveva fare uno sforzo ingente per non svenirle davanti. Doveva trattarsi di quella sindrome per cui i padri si immedesimano al punto da avvertire le stesse sensazioni e tutti malesseri delle future madri. Quello o un disturbo psichiatrico ancora tutto da studiare.
"Sì, sto meglio. E non mi sarei persa la tua gara per nessun motivo", lo rassicurò, prima di voltarsi verso di lui e fargli l'occhiolino. "E non mi sarei persa nemmeno il maestro di sci", aggiunse a suo esclusivo beneficio.

Non reagì alla provocazione. Si limitò a fissarla imbambolato, come gli capitava spesso, proprio lui che si vantava di averla conquistata grazie alla sua brillante capacità oratoria, che doveva essersi persa per strada nell'attimo preciso in cui il primo test era diventato positivo. Gli sembrava diversa. Più bella, di una bellezza maestosa e intima, tutta da scoprire.
Dopo averlo sorpreso per la centesima volta a contemplarla trasognato, Kate l'aveva minacciato di morti orribili e dolorose – gliele aveva elencate tutte nel dettaglio-, se non avesse smesso di comportarsi in modo tanto bizzarro.
"Vuoi che mi volti mentre recuperi una parvenza di capacità comunicativa, insieme alla dignità che hai abbandonato altrove? Hai di nuovo quell'aria che mi fa venire voglia di tirarti uno ski lift in testa".
La tirò verso di sé e come punizione le infilò una mano fredda sotto la giacca, a contatto con la pelle, facendola rabbrividire e lanciare un piccolo urlo di protesta, prima di scoppiare a ridere insieme a lui. Tommy li osservava con un cipiglio che tradiva tutto il suo disgusto per essere costretto ad assistere a scene tanto inopportune, per di più in pubblico.
La tenne abbracciata e la fece indietreggiare per allontanarla dal maestro di sci, quando il ragazzo arrivò a prelevare Tommy e li salutò, un po' sconcertato dall'esuberante accoglienza. Sì, stavano dando spettacolo. Sì, erano sciocchi e felici. E non era dell'idea che la felicità dovesse essere repressa a favore di uno standard di comportamento più convenzionale.

"Sei sicuro di non avere bevuto qualche bicchiere di troppo di quella grappa di ginepro che ci hanno regalato? Capisco che le temperature siano molto basse, ma questo non ti autorizza a ubriacarti prima di mezzogiorno e coinvolgermi nella tua perdita di freni inibitori".
Lanciò un'occhiata a una certa parte del suo corpo, ben celata dagli indumenti. "Visto come è andata, ti ho già coinvolta nella perdita di freni inibitori, non credi?"
Si staccò da lui, fingendosi scandalizzata. "Se non la smetti, Castle, io e Tommy prenderemo un volo diverso dal tuo, così potrai usare tutte quelle ore di solitudine per tornare in te".
"Deduco che tu non abbia ancora fatto colazione, ecco perché sei tanto ostile nei miei confronti. Vado a ordinarti frittelle e caffè".
"Non credere che basti questo..."

Kate venne distratta da un suono metallico proveniente dal telefono che teneva in tasca. Si strappò i guanti e lo recuperò. La vide smettere di sorridere e aggrottare la fronte fissando lo schermo in silenzio.
Castle fece mentalmente il conto. Era troppo presto perché potesse trattarsi di buone notizie o magari di un semplice saluto da parte di parenti e amici. Qualcuno doveva essersi alzato prima dell'alba per contattarli.
"Ti raggiungo subito", gli disse spostandosi fuori dal suo raggio visivo. Impaziente per natura, si rassegnò ad attendere che fosse lei a comunicargli di che cosa si trattasse.
Entrò nel rifugio alle sue spalle, sempre molto frequentato, e si fece strada tra la ressa dirigendosi verso il bancone, dove ordinò tutto quello che si trovò davanti, anche se lei ne avrebbe consumato solo una minima parte. Non aveva mai molto appetito.
Quando uscì, piuttosto turbato e ansioso di saperne di più, la cercò con lo sguardo, finché non la scovò seduta all'unico tavolo non occupato, con gli occhi chiusi e la testa protesa a ricevere i caldi raggi del sole.

"Ti sei messa la crema protettiva?", osservò prima di mordersi la lingua. Troppe premure la seccavano, lo sapeva. Appoggiò il vassoio che aveva tra le mani e prese posto di fronte a lei. Dalla loro postazione riuscivano a tenere agevolmente d'occhio Tommy, intento ad ascoltare il maestro di sci che stava dando le ultime indicazioni prima della gara.
Kate non sembrò essere troppo interessata al cibo che le propose. Si limitò a tenere in mano la tazza di caffè, senza avvicinarla alle labbra.
"Non ti va? Hai ancora la nausea?"
Scosse la testa. "Mi spiace, Castle. Non c'è un modo gentile di dirlo, anche se vorrei che non fosse così. Il messaggio che ho ricevuto proveniva dalla nostra avvocata, che mi chiedeva di ricontattarla al più presto".
Si sentì sprofondare.
"Farsi richiamare a quest'ora non mi fa presagire niente di buono". Mise una mano sopra quella di lei. "Nemmeno il fatto che tu stia cercando un modo di addolcire la pillola. Avanti, spara. Si tratta di Josh? Un'altra delle sue pretese?"
Che cosa poteva volere di nuovo quell'uomo detestabile?

"Ha chiesto che ti sia impedito ufficialmente di frequentare Tommy".
Affermare che ci rimase di sasso non avrebbe reso l'intera portata dello sbigottimento che lo trasformò istantaneamente in una statua di ghiaccio. Nessuna parte del suo corpo fu in grado di reagire a quel colpo terribile.
"Tommy vive con me, a casa mia. Come potrei non frequentarlo? Gli ha dato di volta il cervello?"
Era così sotto shock che il suo cervello riuscì solo a produrre un'ovvietà, che però a lui pareva non priva di senso. Ma un conto era quello che lui riteneva logico, un conto era il campo delle possibilità della giustizia, che era ciò che temeva da sempre, ovvero l'esistenza di qualche oscuro cavillo che permettesse alle farneticazioni di un folle di avere conseguenze nella realtà, a discapito del bene di Tommy.

"Pensavo che avessimo già toccato il fondo, ma a quanto pare con lui non si arriva mai alla fine".
La risposta di Kate non lo rassicurò, anzi, lo fece precipitare ancora di più nello stato confusionale in cui si trovava. Non aveva riso insieme a lui liquidando l'ipotesi come una sciocchezza, stava prendendo sul serio la minaccia. Dio, poteva accadere davvero? E come sarebbe sopravvissuto?
"Ma... può farlo? Intendo, è una cosa concretamente realizzabile? Che cosa ti ha detto?"
Perché nessuno conveniva con lui che fosse una richiesta così ridicola da non poter nemmeno essere presa in considerazione? Prese a girargli la testa.
"Mi ha spiegato sommariamente che questo tipo di petizioni di solito non vengono accolte, a meno che il giudice non rilevi, dopo un'opportuna verifica, che la presenza del nuovo partner di uno dei genitori nuoccia al benessere psico-fisico del minore in questione o leda la sua sensibilità".
"E non lo fa, giusto? La mia presenza, dico. Non lede niente".
"Castle, mi sorprende che tu abbia di questi dubbi".
"Non ne avrei, se la mia influenza su Tommy non stesse per essere minuziosamente analizzata da un tribunale che dovrà esprimere un giudizio a riguardo".

Kate sospirò e si prese la testa tra le mani. Non aveva toccato cibo. Sospinse il piattino verso di lei, per invitarla a spiluccare qualcosa.
"Quali sarebbero le motivazioni che ha usato per supportare la sua tesi?" La vide esitare. Non fu piacevole. Di colpo era diventato una persona sgradita che metteva in pericolo il benessere dei bambini. Molteplici lame di ghiaccio gli si conficcarono nel cuore.
"A quanto pare i suoi avvocati sono entrati in possesso del tuo fascicolo personale, quello in cui sono riassunte tutte le tue... chiamiamole intemperanze, per semplicità. Episodio del furto del cavallo della polizia senza vestiti addosso incluso".
Non si capacitava che qualcuno potesse aver seriamente tirato in ballo quell'azione goliardica. Era ridicolo, oltre che offensivo, ma quello era il meno.
"E, in aggiunta, ha citato le tue frequentazioni passate e la tua abitudine a finire regolarmente sulla pagina dei pettegolezzi cittadini, insieme alla tua reputazione non proprio... impeccabile".
Da quando Josh si era autoeletto difensore della moralità?
"D'accordo, non ho avuto un passato morigerato, ma non ho commesso nessuna infrazione – tutte le accuse sono state ritirate, è scritto sul mio fascicolo, lo hai visto anche tu – e soprattutto non ho mai fatto niente di intemperante da quando vi frequento. Sono stato un cittadino esemplare".
"Peccato, ho sempre coltivato il sogno di metterti le manette ai polsi. Fuori dalla camera da letto".

Il tentativo di fare dell'umorismo lo risvegliò dallo sbigottimento che aveva congelato ogni altra reazione, ma non gli fu d'aiuto. Venne travolto da una viva afflizione nel rendersi conto degli ostacoli che avrebbero dovuto affrontare. Di nuovo. Cominciavano a sembrargli infiniti e sempre più gravosi.
Lo feriva che qualcuno stesse cercando di allontanarlo da Tommy, che amava e accudiva come un figlio, e con una motivazione tanto pretestuosa. Pur ritenendo di essersi costruito nel tempo una scorza resistente, più di tutto era colpito dall'implacabile volontà da parte di un estraneo di farlo a pezzi con azioni metodiche e studiate. Provò un insolito moto di commiserazione per se stesso.

Non era giusto. Lui era una brava persona, o almeno provava ogni giorno a esserlo e a insegnarlo a Tommy. Il suo unico torto era stato quello di essersi innamorato di una donna e di suo figlio e lo sconvolgeva che per questo motivo la sua vita stesse per essere messa sotto processo. Che qualcuno addirittura volesse rovinarlo e trascinare un bambino nella distruzione che ne sarebbe seguita. Non era lui il cattivo.
Annaspò e la guardò, chiedendole aiuto in silenzio. Le accuse, ben mirate, andavano a toccare una parte di lui vulnerabile e troppo esposta, che in fondo credeva alla sostanza di cui erano fatte.
"Castle... i suoi sono solo colpi tirati alla cieca. Nessuno gli darà ragione quando verranno esposti i fatti, e cioè che sei tu ad aver provveduto a Tommy in ogni modo possibile. Non lui. Nessuno toglie un bambino all'unico padre che abbia mai avuto".

Si alzarono. La gara stava per cominciare. Si avvicinarono alla folla di genitori accorsi a fare il tifo per i piccoli campioni, che da parte loro si sbracciavano per salutarli.
Kate infilò la mano nella sua.
"Mi dispiace, Castle. Farei di tutto per evitarti tutto questo, soprattutto adesso".
Gliela strinse a sua volta, per farle credere che andasse tutto bene, pur sapendo che non sarebbe riuscito a sfuggire al panico crescente che gli martellava nel petto.
Josh era riuscito di nuovo a intrufolarsi tra loro, come se l'unico scopo della sua miserabile esistenza fosse quello di infastidirli, godendo nel mettere in atto le sue piccole, grette vendette. Nonostante avesse permesso a Tommy di partire, li aveva comunque in pugno e non voleva che lo dimenticassero nemmeno per un minuto.
Castle non era un ingenuo, si era aspettato qualche forma di ritorsione dopo l'improvviso cambiamento di rotta, anche se era stato convinto che Josh sarebbe ripartito alla carica solo una volta che avessero fatto ritorno dall'Europa. Si era illuso che, mettendo un oceano di mezzo, sarebbero riusciti far scomparire almeno temporaneamente la sua malevola influenza. Non era andata così.

Il cellulare trillò di nuovo, facendolo innervosire. Accanto a lui, Kate lesse e impallidì.
"Che cosa c'è ancora?" Non nascose la sua irritazione, che era il risultato di un'abissale stanchezza. "Ha fatto spiccare un mandato internazionale cosicché l'Interpol possa arrestarmi per la mia vita dissoluta?"
Kate scosse la testa, impietrita.
"Chiede – pretende, anzi - che Tommy trascorra almeno una settimana insieme a lui, da soli, non appena torneremo negli Stati Uniti. Verrà a prenderlo all'aeroporto. Sostiene che io gli abbia impedito di frequentare suo figlio, nonostante le sue ripetute offerte fatte in buonafede, abusando della mia autorità", lo informò con voce soffocata. Non l'aveva mai vista tanto atterrita.
"Non sarebbe ancora vivo se avessi abusato sul serio della tua autorità".
"È vero che gli ho imposto di vederlo solo come me presente".
"Perché lui lo aveva spaventato a morte. E, in ogni caso, ha sempre annullato i vostri appuntamenti con una scusa, le volte in cui si degnava di avvisare. Dove sarebbe la buonafede?"
Per essere un costante elemento di disturbo, in effetti era da parecchio che non si faceva vivo di persona.

Kate alzò verso di lui uno sguardo assente. "Non posso lasciarglielo così a lungo, Castle, non posso". Si accorse che stava tremando e la cosa lo allarmò. Doveva essere a digiuno da ore, sempre che la nausea non avesse ulteriormente contribuito a svuotarle lo stomaco. La sfumatura verdastra del volto si accentuò. Di quel passo avrebbe perso i sensi.
Come reazione istintiva le arpionò il braccio con violenza, per trasmetterle un po' di energia. "Nemmeno io e non lo faremo, te lo prometto. Tommy non andrà da nessuna parte". Una settimana? Doveva passare sul suo cadavere e prepararsi ad avere a che fare con il suo fantasma tornato dall'Aldilà per dargli la caccia. "Possiamo prendere una macchina, dirigerci verso est e scomparire. Ho sentito che in Moldova non è difficile, se si conosce qualcuno".
Kate non rispose. Continuava a fissare il telefono, terrea in volto.

Tommy urlò i loro nomi e Kate si riscosse in automatico, agitando la mano per salutarlo e facendo resistenza ai suoi tentativi di allontanarla dal punto in cui si trovavano.
"Kate, vieni a sederti. Devi mangiare qualcosa. Non ti fa bene..."
"Non possiamo deluderlo", sibilò a denti stretti, sforzandosi di sorridere al figlio. La capiva, ma svenire in mezzo a tutta quella gente non sarebbe stata certamente un'evenienza desiderabile. Ormai la stava sorreggendo quasi del tutto.
Frugò in tasca e recuperò la manciata di cioccolatini che aveva agguantato quel mattino prima di uscire e che aveva in parte già diviso con Tommy. Per fortuna ne aveva con sé una scorta abbondante, di cui lei non aveva mai saputo nulla. Ci sarebbe stato tempo per giustificarsi.
Gliene scartò un paio e glieli passò. Era disposto a ficcarglieli in bocca a forza, se si fosse rifiutata. Avrebbe preferito avere a disposizione qualcosa di più nutriente, ma non l'avrebbe mai convinta a muoversi, testarda com'era, e non voleva lasciarla sola.
"Non è l'unico bambino di cui dobbiamo occuparci", sibilò a denti stretti, alterato. Gli spiaceva arrabbiarsi con lei, ma non aveva scelta. "Devi pensare anche agli altri".
"Perché parli al plurale?"
Non si era accorto di averlo fatto. "Perché potrebbero essere gemelli", improvvisò. "Non possiamo saperlo. E rifiutandoti di assumere calorie, li stai mettendo in pericolo".
"Non scherzare su una cosa del genere. Non avremo dei gemelli. Promettimelo, Castle".
Era lieto di scoprire che aveva ancora abbastanza presenza di spirito da mettersi a discutere con lui sul numero di bambini che portava attualmente in grembo, ma preferì non mettersi a discutere. A quel punto erano ormai diverse le orecchie che si erano allungate verso di loro, simulando indifferenza.
Con un sorriso vago destinato a nessuno in particolare riuscì finalmente a sospingerla verso una panchina, dove la fece accomodare, in modo che non rischiasse di accasciarsi al suolo. E ora doveva solo trovare un modo per rifocillarla e intanto non perdersi la gara di Tommy. Al resto avrebbe pensato più tardi.

Castle era seduto sul letto, fissando la parete opposta, assorto.

La vacanza era finita. Finite le corse nella neve, finiti i sonnellini pomeridiani, pietre e sassi da studiare con cura, le impronte di animali selvatici da ispezionare, le cioccolate pomeridiane. I bagagli erano pronti, la macchina che avrebbe dovuto condurli in aeroporto era già per strada. Non c'era niente da fare per lui, solo aspettare.
Di solito amava i momenti di quiete, quelli in cui poteva raccogliere i pensieri, mettere in fila tutte le sue fortune e ringraziare la sorte. Fare progetti. Non era più così. Avere del tempo libero ora significava dar spazio a un'angosciosa incertezza. Sarebbero riusciti a tenere Tommy al sicuro? Quante altre volte in futuro avrebbero dovuto combattere una battaglia che non avevano mai voluto cominciare?

Anche Kate cercava sempre nuovi modi per tenersi impegnata e non far trapelare la sua preoccupazione, che lui indovinava comunque. La notte precedente l'aveva sentita agitarsi senza pace. L'aveva abbracciata e tenuta stretta in silenzio finché non si erano riaddormentati, anche se per lui il sonno era stato di breve durata. Aveva atteso l'alba con la mano appoggiata sulla sua pancia, ascoltando il suo respiro. Sapere che quel nuovo bambino, quella vita appena abbozzata di cui lui sarebbe fortunatamente stato l'unico padre, era al sicuro nell'utero di sua madre era un pensiero che lo tranquillizzava, ma non era abbastanza. Tommy sarebbe stato per sempre in balia di forze imprevedibili e disoneste.

Tommy arrivò a interrompere le sue infelici riflessioni. Le labbra si tesero in un sorriso meccanico nel vederselo comparire davanti. Una settimana senza di lui, che se ne sarebbe stato da solo con suo padre, chissà dove. Sarebbe morto di crepacuore.
Non poterlo salutare al mattino appena sveglio, con i capelli arruffati. Non preparargli la colazione, accompagnarlo a scuola, organizzare le loro merende segrete, passare a prendere Kate al distretto per concludere la giornata insieme. Sette infiniti giorni senza la sua risata argentina, i continui perché, i racconti sconclusionati, le serate in pigiama sul divano, le favole della buonanotte.
Se lo immaginava piangente in una casa sconosciuta, a dare in escandescenze per motivi che suo padre non avrebbe compreso, ma solo violentemente represso. Sentiva la sua voce chiamarlo. Non poter mantenere la promessa di proteggerlo sempre e comunque lo stava distruggendo. No, doveva smettere. Tormentarsi a oltranza producendo orribili scenari mentali avrebbe solo peggiorato le cose.
Ma l'ansia non faceva che ingigantirsi. Gli era stato ricordato brutalmente che quello che credeva suo non lo era affatto ed era una constatazione insopportabile.
Per cercare di rassicurarsi, lui e Kate avevano continuato a ripetersi a vicenda che non glielo avrebbero lasciato. Avrebbero combattuto, mediato, minacciato, si sarebbero sottoposti a ogni verifica, ma non glielo avrebbero consegnato. A quel punto il tribunale era un passo necessario e fino ad allora niente e nessuno avrebbe potuto costringerli. Strano come non ci fossero ancora arrivati, nonostante tutto. Josh si era sempre ritratto un attimo prima.

"Sei triste, Papà Rick?", gli domandò Tommy fissandolo in volto. A volte gli pareva di vedere in lui l'adulto sensibile che era certo sarebbe diventato.
Scosse la testa, pronto a inventarsi qualcosa, ma alla fine preferì essere sincero. Non c'era motivo per cui non dovesse ammettere di essere triste. Anzi, profondamente abbattuto e demoralizzato. Tommy l'aveva capito, mentire avrebbe significato prendersi gioco di lui e fargli dubitare della sua intuizione, peraltro corretta. Sarebbe stato un pessimo esempio come adulto ed essere umano.
"Sì, è così. Mi spiace che la vacanza sia finita".
Tommy gli porse con delicatezza il peluche che era stato eletto suo compagno di viaggio, in via straordinaria.
Dopo un giro di consultazioni febbrili, era stato deciso che il coniglietto Rick, quello che gli aveva regalato per far colpo su sua madre, non avrebbe fatto parte della spedizione alpina. Nessuno aveva voluto correre il rischio di perderlo, visto il grado di attaccamento che Tommy aveva sviluppato per lui.
Su insistenza di Kate, Castle era tornato al negozio dove l'aveva comprato, la sera del loro primo appuntamento, ma non aveva trovato altri esemplari simili, che sembravano irrintracciabili.
Non era stato facile convincere Tommy a separarsene, ma era sempre meglio soffrire per qualche giorno piuttosto che per il resto della loro esistenza, nel caso in cui lo avessero smarrito. Nel frattempo Alexis si era assunta l'incarico di non perderlo mai di vista. Gli aveva perfino inviato delle foto giornaliere, che lui aveva mostrato a Tommy e che avevano sopperito in qualche modo alla mancanza. Era andato tutto bene. Il coniglietto era a casa ad attenderli, sano e salvo.

Tommy doveva ritenerlo disperato, se si era deciso per un gesto tanto estremo come offrirgli il suo unico peluche a disposizione. "Grazie, sei molto gentile. Mi sento già meglio".
Lo abbracciò. Tommy non era molto incline alle effusioni, ma lo lasciò fare. Provò un amore sconfinato per lui, quando lo baciò sulla testa annusando il suo profumo inconfondibile. Gli si spezzava il cuore. Non osava immaginare come dovesse sentirsi sua madre.
"Non sei troppo cresciuto, Castle, per piangere sulla fine delle vacanze? Puoi sempre scrivere lunghe lettere ai tuoi nuovi amici, una volta a casa".
Gli sorrise per fargli coraggio. Tommy scappò via, lasciando che fosse sua madre a farsi carico di un adulto inspiegabilmente di umore tetro.
La guardò. "Dobbiamo fare qualcosa, Kate".
"Lo faremo, te lo assicuro. E andrà tutto bene anche questa volta".
Aveva recuperato la grinta, mentre lui era sprofondato nello sconforto. Si chinò a baciarlo sulla fronte. Non era la risposta che avrebbe voluto ascoltare.
"Intendo, dobbiamo fare qualcosa di definitivo. Non possiamo vivere aspettando la prossima follia di Josh. Siamo arrivati al limite".

Si sedette accanto a lui. "Che cosa hai in mente?"
Lo disse, tutto d'un fiato. Ci aveva riflettuto a lungo e non vedeva altre soluzioni. "Voglio adottare Tommy. Dobbiamo iniziare la procedura che ci ha illustrato tuo padre, è necessario che il mio ruolo nella sua vita sia riconosciuto ufficialmente".
"Mio padre ha anche aggiunto che non era una strada facilmente percorribile, visto che serve il consenso di Josh e non mi pare che abbia inclinazioni in tal senso. Non rinuncerà mai ai suoi diritti su di lui, fosse solo per fare dispetto a noi".
"Rimarrebbe comunque suo padre, formalmente".
"Castle, ti è mai parso un uomo ragionevole? Perché io l'ho sempre visto agire per ripicca e con smisurata superbia. Vuole che Tommy smetta di frequentarti, senza che nemmeno gli importi di quanto soffrirebbe suo figlio se ciò accadesse davvero. Non firmerà mai, ti stai solo illudendo".
"Hai ragione, ma dobbiamo inviare un messaggio chiaro, concreto. Non voglio continuare a vivere temendo che Tommy venga allontanato da noi. Avrà presto dei fratelli..."
"Smetti di parlare al plurale, mi stai terrorizzando".
Si voltò verso di lei. "Kate, non è concepibile che Tommy rischi di essere allontanato di punto in bianco da quella che sarà la sua famiglia, nel caso in cui si verifichino circostanze... improbabili".
"Grazie per aver trovato un modo discreto per riferirti alla mia dipartita, che ossessiona te e mio padre in egual modo".
"Jim aveva ragione a preoccuparsi. È più che mai urgente che io assuma un ruolo ufficiale e legalmente riconosciuto, per evitare che la sua vita venga stravolta. Prova a pensare a che cosa succederebbe se tu ci...". Non riuscì a concludere la frase. "I nostri figli rimarrebbero con me, in quanto padre legittimo, ma Tommy finirebbe con Josh. Riesci a immaginare qualcosa di più distruttivo per lui? Io non sono nessuno agli occhi della legge. È una cosa inaccettabile".

Kate chiuse gli occhi, rifiutandosi di rispondergli. Non voleva turbarla, solo mostrarle quanto fosse in pericolo suo figlio. Dovevano fare qualcosa. Per lui.
"Dobbiamo sposarci. Subito", la incalzò.
"È un'altra delle tue romantiche proposte di matrimonio, Castle?"
"Basterebbe a farti dire di sì?"
Tommy tornò da loro, di fatto salvandola, ma interrompendo un discorso che non poteva più essere lasciato in sospeso.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Ventinove ***


29

"Sei pronto per andare, Tommy?"
Come se fosse rimasto in attesa del suo segnale, il bambino corse impaziente verso la porta del loft, vestito di tutto punto, e l'aprì. Aveva ragione. Era lui a non essere pronto. Ci voleva ancora qualche minuto, parecchi respiri, un ultimo controllo.

L'avrebbe accompagnato a scuola, come faceva ogni mattina, come gli sembrava di aver fatto da sempre, anche se si trattava di pochi mesi. Che cosa faceva di se stesso prima di incontrare Kate e Tommy? Non se lo ricordava. Niente di importante, probabilmente. Niente che valesse la pena di continuare a fare.
Il tragitto quotidiano non era troppo lungo, ma avevano imparato a trasformarlo in una piccola avventura ogni giorno diversa, anche se si trattava solo delle strade di New York e non di qualche luogo esotico e lontano. Si prendevano per mano e correvano fuori, avidi di imbattersi in qualcosa di nuovo ed eccitante. Accadeva invariabilmente. Non era niente di speciale, ma non per loro, che si godevano ogni scoperta come se fosse rara e meravigliosa.
In quelle occasioni teneva il cellulare rigorosamente in modalità silenziosa, per non farsi distrarre. Nemmeno a sua madre era consentito chiamare. Kate lo sapeva e lo rispettava.

Ma quel giorno era diverso dal solito e Castle faticava a rimanere concentrato. Tommy se ne era accorto e lo strattonava con insistenza: "Mi stai ascoltando PapàRick?", gli ripeteva imbronciato tirandogli la manica del cappotto per richiamare la sua attenzione, quando lo sorprendeva a vagare con la mente altrove. Ogni volta si riscuoteva e gli sorrideva, assicurandogli di essere presente e di aver ascoltato ogni parola. Dava una risposta generica e faceva qualche sforzo per partecipare alla conversazione, ma dopo qualche minuto la sua attenzione scivolava via.

Più tardi Kate si sarebbe sottoposta alla prima ecografia ufficiale. Aveva interpellato il ginecologo che l'aveva seguita nella precedente gravidanza non appena si erano lasciati alle spalle le cime alpine innevate per tornare in una città grigia, tenuta in ostaggio da temperature calate a picco, molto più facili da tollerare quando si avevano gli sci ai piedi e cieli scintillanti come unici spettatori.
Non c'era motivo di aspettare, aveva convenuto il medico, dichiarandosi d'accordo con lei. Avendolo già fatto a lungo, quando aveva preferito non dare l'allarme per non creare false illusioni, si trovava nella settimana giusta perché si potesse iniziare a vedere qualcosa. Così gli era stato riferito e lui non aveva indagato su che cosa si potesse vedere adesso che fosse stato precedentemente invisibile. Non aveva voluto farla innervosire ponendo sciocchi quesiti e si era quindi tenuto il dubbio. Non si sentiva a suo agio a confessarle di non essere ferrato sul tema, visto che l'ultima volta, con Alexis, era stato troppo giovane per far caso a dettagli pratici. Rimpiangeva di non essersi impegnato di più.

Tommy era sempre rimasto con loro. Josh non si era fatto vivo all'aeroporto pretendendo di farselo affidare, nonostante i proclami perentori e le reiterate minacce. Alla fine si era rivelato il solito bluff. Da allora era scomparso e loro non si erano presi la briga di mettersi in contatto con lui per sapere quali fossero i suoi programmi futuri.
Era stata la loro avvocata a farlo.
Dopo una rapida consultazione a tre, il messaggio che avevano deciso di inviargli era stato molto conciso e sperabilmente chiaro: non c'era più né lo spazio né la disponibilità, da parte loro, per accordarsi privatamente su questioni riguardanti Tommy. Sarebbe stato un tribunale a decidere dei diritti di visita, una volta appurata la sua idoneità genitoriale. Quella di Josh, non quella di Castle. Ancora non aveva superato l'umiliazione provata quando era stata messa in dubbio la sua adeguatezza a prendersi cura di Tommy. Forse non sarebbe mai andato oltre, sarebbe sempre stata lì a pungolarlo perché desse a Tommy la versione migliore di sé.
Insieme alla missiva avevano allegato un puntuale elenco di mancanze genitoriali poste in atto da Josh nei confronti del figlio, tutte adeguatamente provate e documentate. Nessuna di esse lo metteva in buona luce o lasciava spazio ad attenuanti, soprattutto quando si arrivava alla dettagliata descrizione dell'ultimo incontro padre-figlio, quello che aveva generato importanti conseguenze psicologiche sul bambino, che erano state valutate da un esperto e riportate nero su bianco. Non avevano colpito a vuoto come faceva lui di solito, non era quello il loro modo di agire. Avevano solo pensato a Tommy e al suo bene. Tutto qui.

E poi c'era il resto. La loro piccola magia.
Non avevano comunicato a nessuno della gravidanza, era ancora il loro segreto. Lui per primo faticava a convincersi che fosse reale, che ci sarebbe stato un bambino, il loro bambino, di lì a poco.
Odiava confessarlo perfino a se stesso, ma la resistenza che provava all'idea di lasciarsi andare all'esultanza per l'arrivo di suo figlio era in buona parte dovuta ai continui tentativi di Josh di farsi spazio nella loro vita, la sua odiosa abitudine a uscirsene senza preavviso dall'invisibilità in cui occasionalmente si autorelegava.
Aveva raggiunto uno stato di esasperazione tale da non sopportare più il costante rumore di sottofondo che l'altro provocava e a cui aveva creduto di essersi ormai assuefatto. Forse era per colpa del suo inguaribile ottimismo, o forse aveva sottovalutato la portata del disturbo. Aveva raggiunto il limite, ne aveva abbastanza. Non riusciva a godersi appieno la gioia che gli era capitata e, per quanto lo trovasse imperdonabile, non riusciva a fare altrimenti.

Ma sotto la cappa oppressiva che Josh alimentava di proposito e che lo teneva prigioniero, alcuni timidi sprazzi di gioia gli si annidavano a sorpresa nel cuore, pronti a sfuggire e riempirlo di inebriante entusiasmo. Josh non sarebbe mai riuscito a intrufolarsi nei sorrisi insonnoliti che si scambiavano appena svegli, le occhiate sprezzanti che Kate gli rivolgeva quando tentava di indurla ad assaggiare l'ultimo piatto salutare preparato con le sue mani, i sogni a occhi aperti a cui si abbandonavano insieme.
Non avrebbe mai più sottovalutato la forza volitiva della felicità, capace di crescere e dilagare nonostante le avversità a cui erano sottoposti, un fiore in apparenza delicato che poteva resistere a tutto.
Ma questo non gli bastava più. Dopo quello che avevano passato, si meritavano di meglio che non vivere sotto sequestro, accontentandosi di occasionali barlumi di serenità. Era ora di risolvere la questione Josh una volta per tutte. Definitivamente. Sayonara.
Chissà che cosa si sarebbe inventato ora che Tommy avrebbe avuto un fratello o una sorella a cui si sarebbe legato, ora che la loro famiglia si sarebbe allargata, diventando un'entità concreta, visibile. Ora che sarebbe stato tagliato fuori del tutto. Preferiva non saperlo.

Aveva quindi deciso di agire. Lui, in prima persona e senza aspettare i lunghi tempi della legge, che, come gli era stato spiegato, non garantiva grossi spazi di manovra, né un risultato necessariamente a suo favore a breve termine.
Voleva adottare Tommy, proprio come aveva annunciato a Kate a bruciapelo in Europa. Non si sarebbe tirato indietro di fronte a nessun ostacolo e per questo non si era lasciato scoraggiare dalle numerose difficoltà che lei gli aveva con pazienza illustrato – niente del resto sarebbe stato tanto insopportabile quanto sapere che Tommy sarebbe stato costantemente in pericolo.
Era consapevole di aspirare a qualcosa difficile da ottenere, qualcosa che avrebbe incontrato resistenze e forse perfino fatto scandalizzare qualcuno. Come poteva pensare di togliere un bambino al padre biologico? Poteva, invece, perché ne aveva ogni diritto morale. Era lui il padre di Tommy. Quello che garantiva cure e benessere, quello che sarebbe sceso in campo e lo avrebbe difeso in ogni circostanza, quello che lo amava incondizionatamente. Era ora che il suo ruolo venisse riconosciuto, a tutti i livelli.
Per molto tempo si era ritratto, credendo di peccare di arroganza. Non aveva creduto di meritare quel titolo, lo aveva trovato irrispettoso da parte sua, aveva temuto perfino di fare un torto a Tommy, di confonderlo e provocare dei danni a lungo termine. Adesso voleva essere suo padre, aggiungere il suo cognome, dire al mondo che era suo figlio. Non soltanto di cuore, ma secondo la legge. Voleva delle tutele, ma più di tutto voleva la pace.
Non gli rimaneva altro che occuparsene da solo e in fretta. Chissà se Kate avrebbe capito. Forse l'avrebbe biasimato e si sarebbe sentita scavalcata. Ne aveva tenuto conto, ci aveva riflettuto a lungo, ma la conclusione a cui era arrivato era sempre la stessa: non aveva alternative, nessuno di loro le aveva e non potevano andare avanti così, senza intervenire. La situazione sarebbe solo peggiorata, muovendosi lentamente e in silenzio fino a prendere velocità e travolgerli tutti.

Una volta arrivati a scuola, Tommy si zittì e gli lasciò la mano, pronto a dimenticarsi di lui per correre dentro l'edificio insieme ai suoi compagni. Castle lo trattenne vicino a sé ancora per qualche istante. Non lo faceva mai, gli augurava di divertirsi e lo salutava, soddisfatto di vederlo sereno. Finse di aggiustargli la giacca, che non aveva bisogno di nessuna cura aggiuntiva.
"Ci vediamo più tardi", disse infine.
"Chi viene a prendermi? Tu o la mamma?"
L'abitudine impostata da Kate di informarlo sempre in modo puntuale su chi lo avrebbe atteso oltre il cancello, a giornata terminata, si era mantenuta intatta anche quando si era reso evidente che era lui il principale incaricato ad assolvere quel compito quotidiano. Ma ero uno scambio rassicurante che faceva piacere a entrambi.
"Che ne dici se venissimo sia io che la mamma?"
Tommy manifestò la sua gioia con la consueta vivacità, che Castle si godette con un sorriso.
In realtà aveva parlato e fatto promesse senza aver consultato l'altra partecipante, che era stata troppo impegnata a temere l'esito della visita a cui si sarebbe sottoposta per fare programmi a lunga scadenza, anche se solo relativi a quel pomeriggio. Non era abituato a vederla tanto preoccupata che qualche sorpresa infausta fosse lì a tenderle un agguato non appena messo piede nello studio del ginecologo.
Lui era sicuro che sarebbe andato tutto bene, se lo sentiva dentro e tanto gli bastava, ma aveva prudentemente smesso di continuare a ripeterglielo nel tentativo di convincerla a rilassarsi. Non lo avrebbe fatto – non si sarebbe rilassata -, non finché delle evidenze scientifiche avrebbero testimoniato che il bambino stava bene, per quello che si poteva vedere.
Aveva coltivato in solitudine le sue certezze.

Quando il rito dei saluti venne concluso con riluttanza da parte sua e impazienza da parte di Tommy, tornò in strada e chiamò un taxi per farsi condurre in ospedale.
Avevano convenuto – era stata lei a deciderlo, lui aveva solo annuito – che sarebbe stato più semplice se si fossero incontrati direttamente lì, invece che al distretto. Non che fosse difficile indovinare perché lo avesse proposto.
Lo conosceva bene e nutriva fondati timori che lui si sarebbe lasciato sfuggire frammenti di informazione che dei detective ben addestrati non avrebbero avuto problemi a mettere insieme, scoprendo quindi la verità sulle sue condizioni.
Aveva sentito quel ritornello rimbalzare tra i muri del loft tanto spesso da poterlo recitare a memoria: voglio solo essere sicura prima di dirlo agli altri, Castle. Considerando quanto ci aveva messo a sentirsi sicura di dirlo a lui, non si sarebbe stupito se chiunque altro lo avesse saputo solo quando il piccolo Castle sarebbe andato a vivere da solo.
Ma se ne era stato zitto e aveva ribadito che per lui andava benissimo tutto quello che la faceva sentire meglio. Una frase neutra che non aveva mai generato nessun tafferuglio casalingo e che per questo le ripeteva spesso.

C'era ancora del tempo prima della visita, tempo che si era riservato per portare a termine il suo piano. A pensarci si sentì investire da un inarrestabile fiotto di adrenalina che gli diede coraggio e lo spronò ad agire.
Con sé aveva un voluminoso faldone di documenti – aveva realizzato delle copie digitali, ma era ancora sensibile al fascino del cartaceo – che amici zelanti e con pochi scrupoli l'avevano aiutato a mettere insieme. Non era a conoscenza dei mezzi utilizzati, anche se non era difficile immaginarli, ma aveva deciso di non fare mai domande a riguardo. Si era limitato a chiedere un favore, che gli era stato accordato. Era sempre utile avere certe conoscenze.

A quel punto ogni indugio era superato e aveva abbastanza determinazione in corpo da fargli credere che avrebbe potuto superare tutti gli ostacoli che avrebbe incontrato. Sperabilmente nessuno, ma si sentiva pronto a tutto. Penetrò nella hall d'ingresso dell'ospedale e, senza che nessuno lo notasse in mezzo al flusso di visitatori, scivolò dentro l'ascensore, che individuò senza problemi e che non dovette attendere a lungo.
Aveva studiato con attenzione la struttura dell'edificio e sapeva dove dirigersi senza aver bisogno di chiedere informazioni, eventualità troppo rischiosa.
Si era fatto consegnare i turni lavorativi di Josh relativi alla settimana in corso e, in base alle notizie in suo possesso, quel giorno l'acclamato cardiochirurgo aveva in programma una lunga serie di visite, ma nessun intervento di una certa importanza in sala operatoria. Con un po' di fortuna – non era ancora in grado di prevedere i flussi del pronto soccorso – Josh non sarebbe stato impegnato con nessuna emergenza. In quel caso avrebbe solo rimandato la visita, non l'avrebbe cancellata. Ci teneva però che tutto avvenisse proprio il giorno in cui avrebbero simbolicamente dato inizio alla loro nuova vita.

Nonostante avesse incontrato un discreto numero di persone nei molteplici corridoi che percorse, non gli venne mai chiesto che cosa ci facesse lì. Forse erano troppo indaffarati o forse era riuscito a non dare troppo nell'occhio. Un punto per lui.
Entrando nel reparto di cardiochirurgia, si aspettò di venire fermato – per come era vestito non poteva certo passare per un operatore sanitario -, ma di nuovo nessuno parve badare a lui.
Trovò senza difficoltà lo studio che recava sulla porta il nome di Josh, esattamente nel punto che gli era stato indicato. Tutte le informazioni che gli erano state fornite si erano rivelate corrette.

Quando entrò, senza bussare, trovò Josh seduto dietro la scrivania, da solo. Non era stato difficile prevedere la reazione che provocò la sua irruzione, né fu sorpreso dalle minacce di chiamare la sicurezza – aveva già la mano sul telefono – quando si voltò per chiudere la porta a chiave. Avanzò verso di lui con grande calma.
Ben presto ogni protesta venne zittita e nessun agente di sicurezza venne a prelevarlo. Proprio come aveva pianificato.
Non c'era niente che Josh potesse dire o fare per vincere quell'ultimo round e Castle si premurò di farglielo sapere per tempo. Anche l'altro dovette essere della stessa opinione perché non fiatò, si limitò ad ascoltarlo con astio crescente. Era incredibile come fosse diversa l'impressione che quell'uomo faceva sul prossimo quando era messo alle strette e non gli rimaneva altro che soccombere, perdendo la sua solita arroganza. Gli avrebbe fatto pena se gli fosse rimasta qualche briciola di empatia nei suoi confronti. Limitò i danni solo perché non era il caso di infierire. Le vendette non gli interessavano.
Non ci volle molto per definire il loro accordo. Nonostante le minacce espresse con sempre meno convinzione, le promesse di fargliela pagare e di svelare al mondo che razza di miserabile fosse, era lui, Josh, a essere in svantaggio, ad avere qualcosa da perdere. C'era solo voluto del tempo e qualche informazione in più per rendersene conto.

...

"Gemelli? Come è possibile? Ammettilo, Castle, c'è sotto il tuo zampino". Kate non poteva essere più sbalordita, quasi si fosse trovata di colpo scagliata su un pianeta alieno che non era in grado di decifrare.
"Voglio sperare che ci sia il mio zampino", protestò, a metà tra lo stato catatonico e l'euforia più violenta che avesse mai sperimentato.
La visita si era appena conclusa. La sorpresa c'era stata, ma non quella che lei aveva temuto per giorni: l'ecografia aveva sentenziato, senza ombra di dubbio, che i bambini in questione sarebbero stati due. Contemporaneamente.

Il medico che li aveva accolti, e che era stato in seguito latore della lieta novella, era un uomo giovale e dalla battuta pronta, motivo per cui, quando Castle lo aveva sentito parlare al plurale, aveva creduto che scherzasse. Kate l'aveva invece preso subito terribilmente sul serio e, dopo un primo istante di smarrimento, aveva recuperato in fretta le energie e si era girata infuriata verso di lui – il colpevole – per lanciargli una sequela di occhiate assassine che non promettevano niente di buono.
Lui non aveva proferito alcun suono, ma doveva essere impallidito fino a scolorire del tutto, perché il medico gli aveva proposto di uscire a prendere un po' d'aria. Stava benissimo, si era affrettato a rassicurarlo, per distogliere l'attenzione da se stesso. Sapeva che Kate stava premeditando il suo omicidio, preferiva tenerla d'occhio e non trovarsela alle spalle armata.

Dopo essere usciti l'aveva trascinata in fretta e furia in una caffetteria, scegliendola a caso tra quelle in cui si erano imbattuti. Il medico, dandole appuntamento di lì a breve, si era raccomandato che facesse piccoli spuntini e che non rimasse a digiuno troppo a lungo. L'aveva preso in parola. L'aveva costretta a sedersi e le aveva ordinato uno spuntino, il tutto senza interpellarla o dar retta alle sue proteste.
Aveva avuto cura di mettere però una certa distanza tra loro e l'ospedale, non volendo correre il rischio di imbattersi in Josh dopo il loro recente scambio di idee. Nonostante fosse stato ridotto all'impotenza, o forse proprio in virtù di quello, non voleva dargli l'occasione di rovinare un momento privato, che riguardava unicamente la loro famiglia. Josh doveva finire nel dimenticatoio.

"Hai capito quello che intendo", lo rimbeccò, mostrandosi di umore ben poco conciliante. "Non hai fatto altro che parlare al plurale. Bambini. I nostri figli. Non sei tu che ti vanti che i tuoi sogni si avverano sempre? Eccoti servito. Ti chiederei la cortesia personale, in futuro, di avvisarmi delle tue intenzioni in modo da correre ai ripari", concluse visibilmente indispettita.
"Anche se potrà stupirti, ti informo che non ho affatto espresso all'universo il desiderio di avere dei gemelli". Era sincero. Non l'aveva mai creduta una possibilità concreta, aveva solo voluto punzecchiarla. Aveva davvero certi poteri? "Ero più orientato ad avere numerosi figli con te a intervalli regolari".
Su numerosi le lesse negli occhi un'esplicita minaccia di morte.
"Quindi adesso non ti sta bene avere dei gemelli? Potevi pensarci prima!"
La convinzione con cui insisteva nell'accusarlo delle peggiori malefatte l'aveva quasi persuaso che fosse sul serio colpa sua. Aveva dei gemelli in famiglia? Avrebbe fatto meglio a fare delle ricerche a riguardo, prima di coinvolgere delle compagne ignare della sua crudeltà, ecco che cosa stavano suggerendo quegli occhi che lo trafiggevano.
Le prese una mano. "Scommetto che ho qualcosa che ti tirerà su di morale".
"Ne dubito fortemente".
Il sottinteso era evidente. Non sarai tu a sobbarcarti la fatica di una gravidanza gemellare.

Nel silenzio, sempre più ostile, estrasse dalla tasta interna della giacca una busta, dentro cui si celava il prezioso documento che avrebbe tenuto con sé finché non fosse stato messo al sicuro in cassaforte.
Kate lo osservò incuriosita. Il frullato che aveva amorevolmente ordinato per lei era rimasto intatto.
"Vuoi chiedermi di sposarti attraverso una raccomandata ufficiale?"
"Mi dai sempre delle ottime idee, potrei prenderti in parola una volta o l'altra".
Le sorrise e le porse la busta. Si godette la sua espressione sempre più perplessa.
"Non credere di potermi blandire... Che cosa è Castle? Perché c'è la firma di Josh? Vi siete incontrati? È ancora vivo?"
Scorse febbrilmente i documenti, senza aspettare la risposta alla sfilza dei suoi interrogativi.
"Quando me ne sono andato sì, ma non so se il suo ego è sopravvissuto".

Kate non colse la battuta, continuò a leggere con la fronte corrugata e incredulità crescente. Alzò gli occhi su di lui, in apparenza più sotto shock di quando aveva appreso che avrebbe partorito due neonati in un colpo solo. E a quel punto era stata parecchio sotto shock.
"Ha rinunciato ai suoi diritti genitoriali?"
Annuì, gongolando tra sé, senza volersi mostrare troppo trionfante. Trovava giusto mostrarsi elegante e composto. Avrebbe però voluto strombazzarlo ai quattro venti e vantarsene fino alla fine dei secoli.
Lo scrutò con profondo sospetto, e un bel po' di scetticismo. "Come hai fatto? Lo hai costretto con la forza? È una cosa... legale?"
"Il documento che hai in mano è perfettamente legale".
"Ma i metodi impiegati per ottenerlo no, giusto?"
"In realtà non è stato difficile convincerlo a firmare, una volta che gli ho svelato di essere in possesso di certe... informazioni che lo riguardavano".
"Quali informazioni? E perché non ne hai parlato prima con me?"
Perché l'avrebbe fermato, ecco perché. La sortita in ospedale non era stata esente da rischi e una certa dose di fortuna era sempre necessaria in casi del genere. Lei si sarebbe opposta su tutta la linea.

Si sporse verso di lei.
"Josh ci ha sempre rifilato la storiella edificante di aver compiuto l'immane sacrificio di abbandonare le sue attività filantropiche per prendersi cura di suo figlio".
"Ti correggo. È tornato perché io rovinavo Tommy con i miei sistemi educativi troppo permissivi".
Era vero, ma aveva preferito non rivangare ricordi umilianti.
"Io ho sempre creduto che lo avesse fatto perché non tollerava che tu avessi iniziato una relazione con un altro uomo e continuo a essere convinto che sia una parte della verità. Ma ci sono molte altre cose che il nostro caro dottore in odore di santità ci ha tenuto nascoste e di cui quasi nessuno è al corrente".
"Per esempio?"
"Diciamo che tornare negli Stati Uniti non è stata una sua scelta, ma che è stato costretto a farlo..."

Le passò il faldone.
"Credevo che lì dentro tenessi tutte le ricerche di ostetricia e cura del neonato. Devo invece supporre che sei venuto a conoscere i tuoi figli brandendo informazioni segrete su Josh, ottenute in modo criminale?"
Lui non avrebbe calcato così la mano, ma lasciò correre. Non gli avrebbe comunque dato retta, era troppo indaffarata a leggere quanto riportato con esclamazioni che andavano dallo stupore all'orrore.
"Prima che ti venga voglia di insultarlo, voglio ricordarti che ti è stato consigliato di non agitarti e che i miei figli possono sentirti".
"Non possono affatto farlo, sono grandi solo qualche centimetro. E mi agito quanto voglio", ribatté piccata.
"Nel dubbio, meglio non usare espressioni troppo colorite".

"Castle, se queste informazioni fossero rese pubbliche, Josh verrebbe licenziato dall'ospedale e radiato dall'albo. Non potrebbe più svolgere la sua professione. Sono affermazioni molto gravi".
"E tutte vere", sottolineò. Se ne era accertato personalmente prima di agire.
"Come hai fatto a scoprire delle sue attività illegali e di quel...problema di dipendenza? Ecco perché era spesso alterato, a tratti irriconoscibile. Sembra che le tue fonti ne sappiano parecchio. Mi svelerai mai i retroscena?"
"Quello che importa è che abbia firmato".
Era tutto quello che contava. Perché rimestare nel torbido, una volta che se l'erano tolto dai piedi definitivamente?
"Lo ha fatto solo perché lo hai ricattato, Castle. Non è stato...".
"Etico. Onesto. Lo so, tu avresti voluto seguire la prassi. Che sarebbe stata lunghissima e forse non avrebbe dato ragione a noi. Ma, Kate, le informazioni che ho raccolto non dimostrano solo che ha più di un problema di cui occuparsi, cosa che può anche non riguardarci, ma che è un pericolo per suo figlio. È tutto scritto lì. Non credi che durante quell'ultima visita sia diventato violento per motivi che niente avevano a che fare con Tommy? Ti fideresti a lasciarglielo, dopo aver letto questo dossier? Io no, onestamente, sarei preoccupato per l'incolumità di tuo figlio. E questo va ad aggiungersi al fatto che non è mai stato presente, che non si è mai occupato di lui, che non voleva farlo partire per l'Europa, impedendogli quindi di vivere una bella esperienza, e che in ultimo ha tentato di allontanarlo, per capriccio, dall'unica figura paterna che abbia mai avuto, che sarei io. Tutto questo basterebbe già a un giudice per decidersi in nostro favore, ma ci vorrebbe del tempo".

Non la vide del tutto convinta.
"Quello che ho scoperto è solo servito ad accelerare le cose e mettere Tommy al sicuro fin da subito, senza trafile burocratiche, perizie psicologiche o l'obbligo di vedere suo padre. Tommy è già abbastanza spaventato da tutto questo, Kate. Non ti sei mai accorta che Josh ci ha sempre abbondantemente minacciato, ma quando si è trattato di ufficializzare il conflitto e sottoporlo alle autorità, si è sempre tirato indietro? Non ti ha mai dato da pensare questo atteggiamento? A me sì. E ho voluto andare a fondo".
Sperò di essere riuscito a farle comprendere le sue motivazioni.
"Non poteva permettere che la sua condotta passata venisse scoperta, per questo non ha mai voluto che finissimo in tribunale", continuò. "Ma aveva bisogno di mostrarsi al mondo come padre amorevole che ha rinunciato a tutto per il bene di suo figlio, per ricostruirsi una reputazione e avere qualcosa con cui difendersi qualora le accuse l'avessero raggiunto anche qui. Sì, l'ho ricattato. Perché voglio che ci lasci in pace e soprattutto che smetta di terrorizzare Tommy, di cui non gli è mai importato nulla".

"Ci ha usati", disse Kate, iniziando a cogliere il disegno nascosto, che a lui era chiarissimo. "Ha usato suo figlio. Come ha potuto? Credevo che in fondo gli importasse di lui".
Ed era sempre stato quello il problema, l'indulgenza di lei nei confronti del suo ex, basata su una falsa percezione, forse solo una speranza, che aveva generato ripercussioni anche sul loro rapporto.
"Non è così. Non ci ha messo molto a farsi convincere a firmare, quando gli ho elencato le mie condizioni, e non ha nominato Tommy una sola volta. Ha solo vomitato la sua rabbia contro di me per averlo scoperto". Non le avrebbe riferito gli auguri che erano stati loro rivolti. Era già abbastanza scaramantica e in apprensione per la gravidanza.
"È finita, quindi. Quando la sua rinuncia verrà ufficializzata, non potrà mai più pretendere niente da noi".
"È così". E la cosa lo riempiva di sollievo, anche se era ancora difficile crederci. "Ma c'è ancora qualcosa da fare. Dobbiamo avviare la procedura perché io possa adottare Tommy, sempre che tu sia d'accordo".
"Non lo so, Castle. Non sono convinta delle tue buone intenzioni, non dopo lo scherzo che mi hai fatto stamattina con i gemelli". I gemelli. Erano reali.
"Dovresti essere felice di avere due piccoli Castle a sgambettare per casa. Non ti piace l'idea che sarà tutto raddoppiato?" E il caos centuplicato, ma preferì ometterlo.
"Io ti ucciderò, se continui così. E con immenso piacere". Nessun dubbio a riguardo. "Ma sì, prima di farlo, prima di torturarti e gettarti in pasto agli avvoltoi, voglio che diventi il padre di Tommy". La vide asciugarsi furtivamente una lacrima. "Sono solo gli ormoni, non osare dire niente", lo aggredì, precedendo qualsiasi commento da parte sua. L'intensità degli sbalzi d'umore poteva essere aggravata dal fatto che ci fossero due embrioni invece che uno solo? Avrebbe dovuto informarsi.
"Grazie". Le era grato per tutto. Per la fiducia, perché voleva affidargli suo figlio, quanto di più prezioso avesse, perché sarebbe stata la madre dei suoi figli, per non averlo ancora assassinato.
"Ma per farlo...", tornò a infilare la mano all'interno della giacca.
"Hai delle tasche molto capienti".
Si inginocchiò davanti a lei, tra un vaso di fiori finti e il tavolino leggermente traballante.
La guardò negli occhi, nonostante il lieve imbarazzo, il fatto di essere in pubblico e il timore di ricevere un altro rifiuto. "Katherine Beckett, vuoi sposarmi una buona volta?"
"Castle..."
"So che credi che te lo stia chiedendo perché per adottare Tommy è necessario che siamo sposati o perché ho una spiccata tendenza a volermi sposare a tutti i costi, ma la verità è che voglio farlo, e da moltissimo tempo".
"Castle, se mi lasci..."
"No, Kate. Non ti permetterò di dirmi ancora di no. Starò inginocchiato su questo pavimento che ha visto giorni migliori e ti elencherò ogni motivo razionale e irrazionale per cui voglio infilarti questo anello al dito e farti diventare mio moglie. Prima o poi riuscirò a convincerti. Cominciamo..."
"Ho la pistola nella borsa e non esiterò a usarla se non chiudi la bocca. Vuoi continuare a chiedermi di sposarti anche quando ci arresteranno?"
"Mi dirai di sì in quel caso?"
"Posso parlare o intendi continuare a blaterare finché non ci cacceranno?"
Rimase ostinatamente inginocchiato davanti a lei, muto. Avrebbero dovuto trascinarlo via con la forza.
"Sì, Castle, certo che ti sposo. Se non avessi continuato a interrompermi, ti avrei detto che non ho mai avuto nessuna intenzione di non farlo. Ma hai sempre creduto di dovermi convincere con motivazioni inattaccabili. Non servono. Voglio sposarti perché ti amo. Punto".
"Anche io ti amo. Punto".
"Siamo d'accordo, finalmente. E ora dammi quell'anello gigantesco".
Le sorrise radioso, prima di baciarla. "Sei tu ad avere delle dita molto piccole".

Il prossimo capitolo è l'ultimo. Grazie a tutti/e! Silvia

Edit: 02.02.2021 Quando mi sono seduta per scrivere l'ultimo capitolo, il trentesimo, mi è successa una cosa strana e inaspettata: ho capito che la storia era già finita, proprio qui, con la proposta di Castle, ancora inginocchiato sul pavimento. Un altro capitolo non avrebbe elevato, arricchito o ampliato il loro amore, che per me è la spinta di tutto, il motore, in qualsiasi modo venga declinato nelle varie storie. Era già tutto qui, magico e straripante. Io non ho esperienze di scrittura, non so niente di processi creativi, non è e non sarà il mio lavoro. So che per me è una continua sfida, perché non mi è possibile controllare nessuna fase del processo. La storia mette radici e vola da sola. Io ci metto solo la ferrea autodisciplina di scriverla, editarla più e più volte, rispettare le scadenze e rispettare voi dando tutto quello che so. Ma ti dice lei dove inizia e quando finisce. (Questa è la mia esperienza, non ha pretese di universalità). Quindi mi perdonerete se ho promesso un altro capitolo, ma non ci sarà e se non ho altro modo di comunicare che finisce qui. A mia discolpa, so che un altro capitolo non sarebbe la cosa giusta né per voi, né per i Caskett e nemmeno per me. Ho sempre scritto papiri all'inizio e alla fine delle mie storie, questa volta ringrazio chi mi ha accompagnato dal primo luglio, quando ho pubblicato il primo capitolo, fino a oggi. È una storia che è stata con me molto a lungo e ha dato un senso alle mie giornate e settimane, in un periodo che di certo non aveva proprio nulla. Quindi grazie. A tutto e tutti. Silvia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3919669