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Smile, laugh with me
Life can be so sweet
My friends
I couldn't stand
A world without you
Anytime you will call my name
I will come along
To dry all of your tears…
(“Side by side” – Temperance)
Steve aveva ricevuto
la telefonata che mai si sarebbe aspettato da Nick Fury proprio quella mattina,
ma ancora non ne aveva parlato con Bucky. Erano trascorsi ormai sei mesi dal
giorno in cui aveva riportato le Gemme dell’Infinito al loro posto e aveva avuto
la tentazione, subito repressa, di tornare a vivere nel passato, una vita
normale con Peggy. Ne aveva parlato con Bucky e, in apparenza, il giovane aveva
superato ciò che aveva visto come un tradimento, ma da allora aveva evitato
accuratamente l’argomento e, pur restandogli accanto, era diventato più
silenzioso e chiuso… un po’ come i primi tempi in cui si erano ritrovati dopo
la terribile esperienza vissuta da Bucky come Soldato d’Inverno.
I due parevano
muoversi su un campo minato, ogni parola poteva essere quella sbagliata e
spezzare il delicato equilibrio che si era instaurato, perciò Steve non sapeva
come affrontare con Bucky l’argomento che Fury aveva tirato fuori al telefono,
quella mattina.
Quale sarebbe stata
la sua reazione?
Bucky sembrava essere
tornato instabile e imprevedibile proprio come i primi mesi in cui avevano
iniziato a vivere insieme e Steve si sentiva in colpa per questo, perché in
fondo era stato lui a minare le poche certezze che aveva, parlando di Peggy e
del desiderio di una vita normale.
Ci aveva riflettuto
sopra per tutta la giornata e aveva deciso di tirare fuori l’argomento quella
sera a cena. Aveva preparato spaghetti e insalata di patate, sperando così di
rendere più agevole la conversazione grazie ad alcuni dei piatti preferiti di
entrambi e aveva apparecchiato con cura la tavola per far capire a Bucky che
non c’era niente da temere, che anzi era una serata in cui si doveva
festeggiare. All’ultimo momento decise di aggiungere anche un cheesecake ai
mirtilli, acquistato nella migliore pasticceria di Brooklyn. Sì, quella doveva
essere per tutti e due una sera di gioia, le notizie che Steve aveva ricevuto
erano molto buone e anche Bucky ne sarebbe stato felice.
Almeno, così sperava.
Bucky era andato a
correre, come aveva preso l’abitudine di fare ogni sera verso le sei, e adesso
era sotto la doccia, mentre Steve dava gli ultimi ritocchi alla tavola
apparecchiata e si convinceva che sarebbe andato tutto bene.
Alle sette e mezza
Bucky apparve in cucina, lanciò un’occhiata alla distesa di cibi sul tavolo e a
Steve seduto con l’aria soddisfatta. Fece un sorrisetto storto e si sedette di
fronte al compagno.
“Dunque, di cosa
dobbiamo parlare? Ormai ti conosco bene, so che quando ti dai tanta pena per
una cena come questa hai qualcosa da dirmi” disse.
“E’ vero, ho delle
cose di cui parlarti, ma sono tutte belle notizie, non agitarti, Bucky” replicò
Steve mentre, agitato lui per primo, serviva gli spaghetti. “Possiamo parlarne
mentre mangiamo.”
“Come vuoi” fece
laconico Bucky, iniziando a mangiare.
Il suo scarso
entusiasmo non smontò Steve.
“Questa mattina mi ha
telefonato Nick Fury e mi ha dato delle notizie davvero incredibili” riprese,
“incredibili e davvero belle! Tony e Nat sono vivi, Buck, lo S.H.I.E.L.D. è
riuscito a salvarli!”
Gli occhi di Bucky lo
fissarono, assottigliandosi.
“Com’è possibile?”
domandò. “Immagino che avranno creato qualche strano siero per guarire le
ferite di Stark e riportarlo in vita, sono cose che non mi stupiscono più, ma
la Romanoff non era morta sul pianeta Vormir? Tu stesso hai detto che Teschio
Rosso si è rifiutato di consegnartela e si sarebbe mostrato più gentile con
quelli dello S.H.I.E.L.D.?”
“No, in realtà non è
andata così: è stato il Dottor Strange” spiegò Steve, ancora incredulo. “Adesso
la Gemma dell’Anima è ritornata al suo posto, così Strange ha creato un portale
spazio-temporale ed è arrivato nel 2014, dopo che Natasha si era sacrificata
per far avere la Gemma a Clint. Ha preso il suo corpo e l’ha portato nel
presente dove gli scienziati dello S.H.I.E.L.D. l’hanno riportata in vita.”
“E com’è che non è
collassato tutto l’universo come diceva lui?” ironizzò Bucky. “A tutti gli
altri aveva intimato di non provare nemmeno a cambiare il passato…”
“Ma lui non ha
cambiato niente, è questa la genialità del suo piano!” replicò Steve,
servendosi un’abbondante porzione di insalata di patate. “Natasha è morta nel
2014 per consentire a Clint di avere la Gemma dell’Anima, il sacrificio dunque
c’è stato: non era necessario che il suo corpo restasse su Vormir.”
Bucky mandò giù l’ultima
forchettata di spaghetti prima di lasciarsi andare ad una risatina.
“Hai capito il nostro
Dottor Strange?” commentò. “Ecco perché non voleva che altri intervenissero…”
“Sì, sono convinto
che lui sapesse già tutto ma, come sempre, non poteva dircelo prima, così ci ha proibito espressamente
di tentare qualche incursione nel passato perché lui conosceva il modo giusto
di salvare Tony e Nat” sorrise Steve.
“E non voleva che
qualcuno di noi incasinasse tutto” concluse Bucky. “Che geniale bastardo!”
I due continuarono a
mangiare in silenzio. Steve era consapevole che la parte più difficile veniva
adesso ma sperava che Bucky l’accettasse meglio, ora che aveva ricevuto delle
notizie positive.
“Fury mi ha detto
anche un’altra cosa” iniziò il Capitano, poco più tardi. Aveva tagliato due
grosse fette di cheesecake, una per sé e una per Bucky. Se era un tentativo di addolcirlo chissà, magari poteva pure
funzionare… “Domani Tony terrà una conferenza stampa per annunciare al mondo di
essere ancora vivo: racconterà una storia di copertura, ovvio, che era in coma
e che ci sono voluti mesi per guarirlo… Fury sarà con lui e beh, Tony vorrebbe
che anche i suoi amici partecipassero.”
Bucky gustò una
cucchiaiata di dolce. Sembrava soddisfatto, poi alzò lo sguardo su Steve e
parve sinceramente sorpreso.
“Bene, e allora?”
domandò.
“Ho detto che Tony
vorrebbe che i suoi amici partecipassero alla conferenza stampa” ripeté il
Capitano.
“Ho capito e ho detto:
e allora? Io non sono suo amico” fece
Bucky, lapidario, prendendo un’altra cucchiaiata di dolce. “Il fatto che
abbiamo collaborato per eliminare la minaccia di Thanos non fa di noi degli
amici. Inoltre non credo proprio che il mondo vorrà vedere anche il Soldato d’Inverno
in una conferenza stampa…”
“Ma… Bucky!” gemette
Steve. Ecco. Sapeva che sarebbero arrivati a quel punto. “Prima di tutto devi
smetterla con questa storia del Soldato d’Inverno, ormai tutti sanno la verità
su di te e, se qualcuno ha ancora delle riserve, dovrà farsele passare. E poi…
non sarebbe ora di dare un taglio a questa rivalità tra te e Tony?”
Bucky fissò il
compagno con uno sguardo che diceva più di mille parole.
“Sai benissimo che
non si tratta di rivalità” ribatté. “Io ho ucciso i suoi genitori e lui questo
non potrà mai dimenticarlo. E io lo capisco benissimo, al suo posto farei lo
stesso. Perciò non credo affatto che vorrà me
alla sua conferenza stampa e a me non interessa parteciparvi.”
Il cheesecake era
ormai terminato e non c’era altro modo di cercare di ammorbidire Bucky. Steve
si alzò lentamente da tavola per mettere ordine, iniziando a sistemare piatti,
stoviglie e bicchieri nella lavastoviglie. Per un po’ ci fu silenzio mentre lui
rigovernava e Bucky lo fissava.
“Alla conferenza
stampa parteciperanno in pochi” disse poi il Capitano. “Nat è ancora
convalescente, Clint ha portato la sua famiglia in vacanza, T’Challa è in
Wakanda, Thor è da qualche parte con i Guardiani della Galassia. Ci saranno
probabilmente Banner e i gemelli Maximoff… e basta.”
Steve aveva terminato
di rigovernare. Bucky gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro.
“Senti, se tu vuoi
partecipare a quella conferenza stampa basta che lo dica, io non ho niente in
contrario” gli disse con dolcezza. “Tony è tuo
amico, non mio, perciò io non ho nessuna intenzione di prendere parte alla sua celebrazione a reti unificate, nemmeno
fosse il Presidente… ma se vuoi andarci non te lo impedirò e non me la
prenderò. Ti preoccupi così tanto delle mie reazioni?”
Beh,
negli ultimi tempi non sei stato del tutto equilibrato, direi…,
pensò Steve, ma non voleva rovinare quel momento. Si voltò per ricambiare l’abbraccio
con intensità e affetto.
“Sei sicuro che non
ti dispiace, Buck?” domandò semplicemente.
“Beh, se preferisci
posso dimostrartelo” replicò Bucky,
con un sorrisetto storto. Baciò appassionatamente Steve e poi lo condusse con
sé in camera da letto, dove tutti i dubbi, le preoccupazioni e le incertezze furono
spazzati via dalla forza del loro amore.
Nel suo appartamento
nel Queens, zia May stava guardando la conferenza stampa di Tony Stark.
Era molto perplessa. Perché
Peter non le aveva detto niente? Insomma, sapeva quanto, negli ultimi anni, il
suo giovane nipote si fosse affezionato al famoso milionario, filantropo e pure
supereroe. Era perfino andato a vivere al quartier generale per stargli più
vicino e partecipare più assiduamente alle iniziative della Stark Foundation (e
anche alle missioni degli Avengers, cosa che non aveva pubblicizzato ma che lei
sapeva bene essere vera!). Mesi prima, dopo che erano stati al suo funerale
(fittizio, a quanto si capiva dalla conferenza stampa), Peter era precipitato
in un abisso di dolore e disperazione che lo aveva portato quasi allo stremo e
May non aveva avuto alcun dubbio che la causa fosse stata la morte del suo
amico e modello di vita. Poi c’era stata la stranissima visita dei due uomini
dello S.H.I.E.L.D., la mattina precedente, che si erano portati via Peter. La
zia si era aspettata di non rivedere più il ragazzo per almeno una settimana e
invece lui era tornato quello stesso pomeriggio, molto più tranquillo e sereno,
annunciandole di essere passato dalla scuola e di aver effettuato l’iscrizione
per l’ultimo anno di liceo. Non aveva fatto parola di ciò che era successo al
quartier generale degli Avengers, come se non ci fosse nemmeno stato.
May, in tutta onestà,
aveva pensato che Fury e il suo affascinante amico dello S.H.I.E.L.D. avessero
dato qualche specie di siero a Peter
per cercare di scuoterlo dalla sua depressione. Non che lei approvasse ma, se i
risultati erano quelli, non poteva certo lamentarsi. E poi qual era l’alternativa?
Se fosse andato avanti in quel modo, Peter sarebbe morto. Invece, la sera
precedente, aveva persino cenato con lei invece di rinchiudersi subito in
camera sua con un bicchiere di latte come unico sostentamento. May aveva
ordinato due pizze (beh, visto che Peter aveva deciso finalmente di mangiare
non voleva rischiare di lasciarlo a digiuno con qualche ricetta venuta male!) e
aveva avuto la gioia di vedere che il nipote aveva divorato con entusiasmo la
sua e anche una fetta di quella della zia… come ai bei vecchi tempi! E, durante
la cena, Peter si era mostrato quasi
il ragazzo che conosceva: aveva parlato con lei, le aveva detto della scuola,
del preside, aveva spiegato che, probabilmente, avrebbe sofferto la mancanza di
Ned e degli amici che avevano già finito il liceo ma che sperava che anche
nella nuova classe ci sarebbe stato almeno un altro sfigato come lui. A quella battuta si erano messi a ridere entrambi
e a May erano venute le lacrime agli occhi sentendo la risata di Peter dopo
aver temuto che non l’avrebbe udita mai più. Certo, non era ancora la risata
allegra e spensierata che conosceva e, forse, non lo sarebbe stata mai più, ma
era comunque una risata.
Eppure, in tutto
questo, non le aveva rivelato che Tony Stark era vivo.
May si era convinta
che, con ogni probabilità, Peter avesse ritrovato la voglia di vivere non per
un qualche strano siero dello S.H.I.E.L.D. ma perché, proprio al quartier generale
degli Avengers, il giorno precedente, aveva scoperto che Stark si era salvato.
E allora perché non le aveva detto niente?
Le riflessioni della
donna si interruppero quando vide entrare Peter nell’appartamento.
“Ciao, zia” le disse
il ragazzo, appoggiando lo zainetto su uno scaffale.
Sembrava
perfettamente normale, il solito Peter.
“Ciao. Io… ecco,
stavo guardando la conferenza stampa di Tony Stark” fece la donna, colta alla
sprovvista. “Tu lo sapevi che si era salvato?”
“L’ho saputo ieri”
rispose Peter, come se la cosa non lo riguardasse affatto. “Cosa c’è per
pranzo?”
“E… perché non mi hai
detto niente?”
“Non pensavo che ti
interessasse così tanto e poi non era certo una notizia che sarebbe passata
inosservata! E infatti guarda là, una conferenza stampa a reti unificate,
nemmeno fosse l’elezione del Presidente!” commentò il ragazzo, con un
sorrisetto che però non arrivava ad illuminargli gli occhi. “Allora, cosa c’è
per pranzo?”
“Pollo fritto e
patate” rispose finalmente zia May, contenta di vedere che Peter si interessava
di nuovo al cibo ma, allo stesso tempo, preoccupata per la sua ostinazione nel
non voler nemmeno nominare Tony Stark. Che stava succedendo?
“Beh, andiamo a
mangiare, allora, no?” propose il ragazzo. “Sono stato tutta la mattina in biblioteca
e adesso muoio di fame!”
Zia May spense il
televisore e seguì il nipote in cucina.
“In biblioteca tutta
la mattina? E cosa ci sei andato a fare?” domandò. “La scuola riapre tra dieci
giorni!”
“Lo so, ma ho già
perso un anno e non voglio farmi trovare impreparato i primi giorni. Ho dato un’occhiata
al programma, ripassato un paio di cose… Insomma, se voglio vincere una borsa
di studio per il college devo prendere voti alti fin dal principio” rispose
tranquillamente Peter, sedendosi a tavola.
La zia non sapeva se
essere contenta o turbata dall’improvviso cambio di direzione di Peter…
“Allora hai deciso di
andare al college?” chiese.
“Beh, vorrei essere
accettato alla Columbia University, ma… insomma, so
che non possiamo permetterci di pagare la retta e quindi devo assolutamente
vincere una borsa di studio” disse il ragazzo, iniziando a servirsi di pollo fritto
e patate.
Sì, qualcosa era
decisamente successo e Peter non voleva parlarne, pensò zia May mentre guardava
il nipote mangiare di gusto come non gli vedeva fare da troppo tempo. Fino all’anno
prima, lei sapeva che sarebbe stato proprio Stark a occuparsi del college di
Peter, attraverso la Stark Foundation, ma adesso sembrava che Peter dovesse
fare tutto da solo. Possibile che Stark avesse cambiato idea?
Il resto del pranzo
si svolse tranquillamente, con Peter che chiacchierava del più e del meno e May
che rispondeva a tono. Aveva deciso di non farsi troppi problemi: adesso suo
nipote stava bene, mangiava, faceva progetti e lei non voleva stargli troppo
addosso. Se avesse avuto qualcosa da dirle su Tony Stark, sul fatto che non
aveva più accennato alla sua missione di Avenger e sul college… beh, avrebbe scelto
lui quando e come farlo.
Più tardi, nel
pomeriggio, Peter uscì di nuovo, stavolta con un grosso sacco nero dell’immondizia.
“Peter, ma cos’hai là
dentro? Spero che tu non stia trasportando un cadavere!” esclamò zia May quando
lo vide.
Peter rise, ancora
una risata spontanea… ma senza arrivare agli occhi.
“No, niente cadaveri”
rispose. “Sono solo cose vecchie di cui era ora che mi liberassi. Avevo bisogno
di fare un po’ di spazio nella mia stanza.”
Beh, ad essere
sinceri qualche cadavere c’era: il sacco conteneva le prime tute da Spiderman
che Peter aveva usato e tutti i ritagli e le riviste su Tony Stark che aveva
conservato per anni.
Era come se Peter
avesse deciso di seppellire, letteralmente, tutta quella parte del suo passato
e metterci una grossa pietra sopra.
Even
if you'll be Miles away from me You don't have to feel lost I'll be thinking of you Everytime I put my trust in you I look for your sincere hug, it is so healing…
(“Side by side” –
Temperance)
La scuola era iniziata da
una ventina di giorni, ormai, e Peter si rendeva conto che quello sarebbe stato
un anno particolarmente duro per lui. Non poteva farci niente, del resto se
l’era voluta lui e poteva dare la colpa solo a se stesso. Com’era prevedibile
non si era fatto nuove amicizie, la classe era già insieme da quattro anni, i
ragazzi avevano condiviso feste, primi amori e scherzi e non sembravano molto
disponibili ad includere uno sfigato come
lui. Anzi, specialmente i primi giorni erano fioccate battutine del genere Ma questo Peter Parker non era tanto
geniale? Allora com’è che si è trovato a ripetere l’anno mentre tutti i suoi
compagni sono al college?
Il ragazzo aveva preso
l’abitudine, quindi, di non uscire da scuola insieme ai compagni e agli altri
studenti, tra i quali si sentiva un pesce fuor d’acqua molto più di quanto si
fosse mai sentito prima. Quando suonava la campanella, aspettava che i ragazzi
uscissero e poi se ne andava in biblioteca, dove sapeva di poter restare almeno
fino alle cinque, quando passava il custode per le pulizie. Ne approfittava per
studiare e iniziare a fare i compiti per il giorno successivo. Zia May era
stata informata della sua abitudine e così non si preoccupava se tardava a
tornare a casa.
Anche quel giorno, dunque,
Peter era rimasto in biblioteca a studiare e, poco prima delle cinque, aveva
riposto libri e quaderni nello zaino e si era incamminato verso l’uscita. Aveva
salutato gentilmente il custode che lo aveva guardato con aria malinconica: in
tanti anni di servizio nelle scuole non gli era mai capitato di vedere un
ragazzo che restasse a studiare per così tanto tempo dopo l’orario e
comprendeva che i motivi erano ben altri rispetto al desiderio di prendere bei
voti o essere il primo della classe.
Aveva capito che Peter
voleva restare da solo. Forse c’era un problema di bullismo o chissà cosa, ma
lui era solo un custode, non lo avrebbero ascoltato, per queste cose c’erano i
professori. O almeno avrebbero dovuto…
Peter uscì dall’edificio.
Doveva andare a prendere la metropolitana per tornare a casa, ma quello era un
bel pomeriggio di fine settembre e, stranamente, gli era venuta voglia di fare
due passi. Del resto aveva già fatto tutti i compiti per il giorno successivo e
poteva permettersi di perdere una mezz’ora facendo il giro più lungo e passando
accanto al campo sportivo e alla pista di atletica. Sapeva che quel giorno non
c’era nessuno ad allenarsi, era venerdì pomeriggio e i ragazzi e le ragazze si
preparavano per una serata fuori.
Non correva il rischio di
incontrare nessuno.
O, almeno, così pensava lui.
In fondo al viale, in piedi
con le braccia conserte e lo sguardo rivolto verso le gradinate deserte, c’era
un uomo che pareva aspettare proprio lui.
Il cuore di Peter sprofondò
sotto le scarpe quando si accorse che quell’uomo era Tony Stark.
Cosa poteva fare? Tony aveva
scelto proprio quel momento per voltarsi verso di lui, perciò non aveva più il
tempo di cambiare strada e andarsene in fretta verso la metropolitana. E poi,
chissà perché, pensava che sarebbe stato inutile: in qualche modo l’uomo aveva
saputo che lui sarebbe passato di lì e si era messo ad aspettarlo proprio
perché voleva parlargli. Non lo avrebbe lasciato in pace. Se avesse cercato di
ritornare indietro e prendere la via più breve per la metropolitana, Stark lo
avrebbe seguito.
Peter non aveva scelta,
doveva andare avanti e affrontarlo.
Sospirò e riprese a
camminare, cercando di mostrarsi tranquillo.
Tony gli andò incontro,
sfoggiando il suo sorriso migliore.
“Ciao, Peter” gli disse con
calore. “E’ molto tempo che non ti vedo, come stai? Speravo che ci saremmo
incontrati, prima o poi, ma tu non ti sei mai fatto vivo e… sai come si dice,
no? Se Maometto non va alla montagna eccetera eccetera!”
“Buonasera, signor Stark. Io
sto bene, grazie” rispose Peter, con lo stesso tono che avrebbe usato per
parlare con uno dei suoi insegnanti.
“Speravo che ti saresti
fatto vedere al quartier generale degli Avengers” riprese Stark, fingendo di
non notare il modo di fare volutamente distaccato del giovane. “E poi che ci
fai ancora qui? La scuola non finisce alle tre e mezza?”
“Sì, ma io rimango sempre in
biblioteca a studiare” replicò Peter, “zia May lo sa e non si preoccupa.”
“A studiare dopo l’orario
delle lezioni? Ragazzo, ma è venerdì pomeriggio!”
“E allora?” tagliò corto
Peter. Per lui non faceva differenza. A dire il vero, non ne aveva mai fatta
nemmeno prima, non era certo uno di quelli che aspettava il weekend per uscire
con gli amici.
“Beh, pensavo che, visto che
è iniziato il weekend, potremmo fare un giro insieme” propose Tony, ostentando
entusiasmo. In effetti il disfattismo di Peter era deprimente, ma lui doveva parlargli a tutti i costi,
dovevano spiegarsi, non era possibile che il ragazzo continuasse ad evitarlo in
quel modo! “Avevo pensato che potremmo andare al cinema e poi a mangiare una
pizza, come facevamo… beh, prima.
Posso chiamare io zia May, se pensi che potrebbe fare storie.”
“La ringrazio per l’invito,
ma non posso, devo studiare” fu la laconica risposta di Peter.
“Studiare? Ma non è quello
che hai fatto finora in biblioteca?” obiettò Tony.
“Sì, ma non ho finito tutti
i compiti” mentì Peter.
“Va bene, ma ci sono sabato
e domenica, avrai tutto il tempo per finirli anche se stasera la passiamo
insieme” insisté l’uomo.
“Sabato e domenica dovrò
studiare ancora: lunedì prossimo avrò un compito di matematica, uno di inglese
e l’interrogazione di storia e di scienze” ribatté Peter.
“Per la miseria, i tuoi
professori sono dei nazisti!” commentò Stark, pur sapendo benissimo che, con
ogni probabilità, Peter non gli stava dicendo la verità. “Comunque non credo
che una serata di riposo e distrazione potrebbe farti male, anzi.”
“Lei non capisce, signor
Stark, io non posso permettermi nessuna distrazione” insisté Peter. “Devo
prendere il massimo dei voti a tutti i compiti e a tutte le interrogazioni e
tenere una media molto alta se voglio la borsa di studio per il college. Zia
May non potrebbe certo permettersi la retta!”
Il college… questa poi!
“Peter, ne avevamo già
parlato, non ricordi? Avresti fatto uno stage alla Stark Foundation e questo ti
avrebbe fatto ammettere al college di diritto, lo sai che la mia fondazione
offre ogni anno molte borse di studio per i giovani stagisti meritevoli…”
“Questo era quello che
avevamo deciso prima” lo interruppe
Peter, “ora è tutto diverso.”
“Cosa è diverso, cosa, Peter, per l’amor del cielo?” fece
Stark, esasperato. “Il fatto che sei stato bocciato? Oppure il fatto che io
sono morto e sono ritornato? Quale delle due?”
Vide Peter impallidire e
mordersi il labbro inferiore e capì di avergli fatto male, ma non poteva
continuare a parlare del più e del meno, bisognava cominciare a chiamare le
cose con il proprio nome, altrimenti non ci sarebbe stato modo di scuotere il
ragazzo dalla sua apatia. Doveva portarlo al punto di rottura, provocarlo,
anche ferirlo, se fosse stato necessario, non potevano più andare avanti così.
“E’ tutto diverso, signor
Stark, è possibile che lei non lo capisca?” reagì Peter, con le lacrime agli
occhi. “Quando lei mi è venuto a cercare la prima volta, quattro anni fa, ero
felice non solo perché potevo conoscerla di persona, ma anche perché lei mi
voleva con sé, voleva il mio aiuto, aveva bisogno
di me tra gli Avengers. Diventare un supereroe che combatteva al suo fianco
era il sogno della mia vita e io immaginavo che sarebbe stato sempre così:
avrei studiato grazie alla sua fondazione, avrei frequentato il college per poi
lavorare con lei e, al contempo, sarei stato Spiderman, uno degli Avengers.
Pensavo che saremmo stati sempre insieme e che avremmo costruito un mondo
migliore, che sarebbe stata tutta una magnifica avventura.”
Stark si sentiva il cuore
spezzato e sapeva che era colpa sua se Peter stava soffrendo tanto, ma non
poteva tirarsi indietro, il veleno che il ragazzo aveva dentro lo avrebbe
consumato comunque, lentamente, era meglio che si sfogasse e che lo lasciasse
uscire.
“Questo potrà ancora
accadere, Peter, proprio come volevi tu” provò a dirgli. “Io sono tornato, sono
qui e ti voglio al mio fianco, in tutto.”
“Ma adesso io so che era soltanto un’illusione, che
non c’è un lieto fine per i supereroi” ribatté Peter, stringendosi le braccia
attorno al corpo come se avesse freddo. “Quando lei è… insomma, quando ha fatto
lo schiocco e poi… io ho visto che
cos’è veramente la vita di un supereroe. Non è un’avventura, non è un gioco, è
un’esistenza terribile in cui ogni giorno può essere l’ultimo, in cui si
possono perdere le persone che si amano da un momento all’altro. E io non
voglio questa esistenza così fragile, voglio una vita normale. Per questo mi
sto allontanando da lei, per questo ho buttato via il dispositivo di
nanoparticelle con la tuta che mi aveva regalato, per questo non sono più un
supereroe né il suo protetto. Voglio
una vita normale, anche squallida e banale, se vuole, ma sicura.”
Tony non rispose. In qualche
punto della sua coscienza sapeva che Peter aveva ragione, del resto non era l’unico
a desiderare un’esistenza tranquilla con le persone care: Steve aveva fatto lo
stesso, andando a vivere a Brooklyn con Bucky, Clint aveva lasciato gli
Avengers ed era tornato dalla sua famiglia. Non c’era niente di male a volere
la tranquillità e Dio solo sapeva se Peter la meritava, dopo tutto il dolore e
le perdite subite, però…
Però Tony sapeva anche che
una vita normale non significa automaticamente tranquillità, che la sofferenza
può arrivare da un momento all’altro anche per le persone più comuni, che non c’è
niente che possa assicurare un’esistenza lunga e felice accanto agli affetti
più cari. Sapeva che la vita è breve per tutti, non solo per gli eroi, e che
proprio per questo bisogna sfruttare ogni giorno al massimo, come se fosse l’ultimo.
Non poteva permettere a Peter di rinunciare ai suoi sogni.
“Ho buttato via anche tutte
le vecchie tute e i gadget di Spiderman che avevo nella mia stanza” continuò il
ragazzo, “e anche tutte le sue foto, le riviste con gli articoli su di lei, i
poster che tenevo nascosti nel mio armadio… Niente di personale, signor Stark,
non ce l’ho con lei, ma con il tipo di vita che lei ha scelto.”
Peter aveva appena finito di
pronunciare quelle parole quando, senza alcun preavviso, Stark lo afferrò per
le spalle e lo obbligò a voltarsi verso di lui e a guardarlo in faccia.
“Hai buttato via tutte le
foto e le riviste, dici? Beh, hai fatto benissimo, Peter Parker. Perché quelle
erano solo spazzatura, tu ti eri infatuato di un personaggio immaginario, ma
hai dimenticato che c’era una persona
dietro quelle immagini” esclamò, severo. “Io sono Tony Stark e sono Iron Man, d’accordo,
e non sono perfetto, non sono come mi descrivono, ho i miei pregi e,
soprattutto, i miei difetti. La tua era una cotta da ragazzino per un
personaggio famoso, ma adesso hai diciannove anni, che tu lo voglia o no sei un
adulto ed è arrivato il momento che tu mi conosca per quello che sono
realmente, non per l’immagine idealizzata che ti sei fatto.”
Peter, sbigottito, lo fissò
con enormi occhi scuri che sembravano volerlo ingoiare.
“La vita è una schifezza,
ragazzo? Hai ragione, lo è, lo è per tutti, per i supereroi come per le persone
più comuni. Sì, forse noi corriamo più rischi, ma hai idea di quante persone normali muoiono ogni giorno per
incidenti stradali, malattie e mille altre cause?” lo incalzò Tony. “Tuo zio
Ben non era un supereroe, ma è stato ucciso dal cancro. Tua zia May non indossa
una tuta e non salta sui tetti dei grattacieli, eppure ha subito dolori e
perdite nella sua vita, esattamente come te. Non hai l’esclusiva del dolore,
nessuno di noi ce l’ha, Peter. E nasconderti nell’esistenza più squallida e
noiosa che riesci a trovare non ti proteggerà dalla sofferenza, anzi, sarà
ancora peggio perché ti circonderai di rimorsi e rimpianti. E io non posso
permetterlo.”
Stark premette il Reattore
Arc che aveva nel petto e la tuta di Iron Man si materializzò leggera e veloce
sul suo corpo. Afferrò forte Peter tra le braccia e si sollevò in aria con lui.
“Tieni stretto il tuo zaino,
ragazzo” gli disse. “E’ arrivato il momento di volare. Apri bene gli occhi e
guarda, guarda con attenzione tutto ciò a cui hai deciso consapevolmente di
rinunciare!”
“No, io… no, non voglio, mi
metta giù, signor Stark!” cercò di protestare Peter, ma inutilmente. In pochi
secondi erano già alti nel cielo di New York e il ragazzo dovette smettere di
agitarsi e pensare a non perdere lo zaino con i libri di scuola e a non cadere
lui stesso.
“Questa è la vita che volevi
e che puoi ancora avere. Tu sei fatto per le stelle, Peter, non per la terra”
disse ancora Tony, in tono più dolce, stavolta, mentre volava insieme al
ragazzo sopra i grattacieli di New York.
Il sole stava calando e i
raggi color arancio si riflettevano sulle vetrate degli edifici, mentre il cielo
assumeva una sfumatura incantevole, azzurro e violetto con screziature d’oro. Le
luci della città parevano pietre preziose che scintillavano, emanando bagliori
argentei. Era uno spettacolo che lasciava senza fiato, una bellezza che
emozionava e commuoveva, stringendo il cuore e facendo spuntare lacrime negli
occhi.
Tony continuò a volare con
Peter finché il sole non fu troppo basso nel cielo e la temperatura iniziò a
farsi troppo fredda. Allora cominciò una lenta discesa e atterrò con il ragazzo
sempre stretto a sé presso la riva dell’East River, quasi nel punto esatto in
cui si trovava Peter quando, ormai molti mesi prima, aveva gettato via il
dispositivo di nanoparticelle con la sua tuta.
“Vuoi veramente rinunciare a
tutto questo, Peter?” gli domandò l’uomo, serio in volto. “Per che cosa, poi?
Pensi che non dovrai affrontare altri dolori nella vita se decidi di
autopunirti da solo fin d’ora? Perché purtroppo non funziona così, ragazzo. Non
c’è niente che possiamo fare per proteggerci dalla sofferenza e dalle cose
negative dell’esistenza. Possiamo soltanto scegliere di vivere la vita che
vogliamo in modo che, quando le cose andranno male, perlomeno non avremo
rimpianti.”
Peter era stravolto. Il
volo, le emozioni provate, la vicinanza di Tony, i ricordi… tutto gli si
confondeva in testa, annebbiandogli il cervello e riempiendogli il cuore fino
quasi a farlo scoppiare. Era troppo, non poteva sopportarlo, non…
Scoppiò in un lungo pianto
liberatorio, straziante, fatto di singhiozzi, parole spezzate e lacrime
brucianti, mentre Tony lo abbracciava forte e gli accarezzava teneramente i
capelli spettinati.
“Sì, va bene così, Peter,
devi sfogarti, devi buttar via quel veleno che ti sta uccidendo” sussurrò
piano, commosso e intenerito. “Liberati del tuo dolore, io sono qui, sono qui
con te, non ti lascerò solo e ti accompagnerò in ogni passo che deciderai di
fare.”
Tony aveva fatto sparire la
tuta di Iron Man, che era ritornata sotto forma di nanoparticelle nel Reattore
Arc, e adesso le lacrime di Peter gli stavano inondando la giacca e la camicia,
ma non gliene importava. Voleva solo contenere la sofferenza del ragazzo,
avvolgerlo nella calda protezione del suo abbraccio e fargli sentire che non se
ne sarebbe andato, che non lo avrebbe perduto, che qualsiasi prova e difficoltà
l’avrebbero affrontata insieme.
Peter continuava a
singhiozzare senza ritegno e l’unica cosa che riusciva a dire, tra i singulti,
era qualche signor Stark, esalato a
fatica con voce spezzata…
Walking
side by side into the horizon When the sun goes down, I'll still be there You don't have to ask for a smile, be assured I'm waiting for you Walking side by side into the horizon When the sun goes down, don't be afraid You are not alone, singing so loud We'll wait for the dawn!
(“Side by side” –
Temperance)
Il pianto sconsolato di
Peter tra le braccia di Tony fu uno sfogo e un balsamo per il ragazzo. Pian
piano i singhiozzi si quietarono, le lacrime smisero di scorrere e Peter riprese
fiato, mentre Tony continuava a tenerlo stretto a sé, accarezzandogli i
capelli, per farlo sentire al sicuro e fargli avere il calore e il conforto
della sua presenza solida, reale e rassicurante. Avrebbe tanto desiderato
baciarlo, riprendere con lui quel rapporto intenso e profondo che avevano avuto
prima della battaglia finale con Thanos… ma sapeva che Peter non era pronto per
quello. Peter doveva imparare a conoscerlo di nuovo e a conoscere se stesso, il
giovane che era diventato dopo aver subito il trauma di vederlo morire e i
tanti mesi di segregazione in camera sua.
Tony era consapevole di
dover recuperare Peter in tutta la sua integrità, come prima cosa: solo dopo
avrebbe potuto sperare di riallacciare il legame così speciale che avevano instaurato.
La salute fisica e mentale di Peter doveva venire prima di ogni altra cosa.
Peter stava riprendendo il
controllo di sé, adesso. Si staccò da Tony e si asciugò le lacrime con il dorso
delle mani. Sembrava imbarazzato e a disagio nell’essere crollato così e
cercava disperatamente di darsi un contegno.
“Signor Stark, mi scusi, io…
non volevo, non so cosa mi sia preso, mi dispiace…” mormorò.
Tony, che sapeva benissimo
di averlo provocato fino al limite proprio per spingerlo a una reazione del
genere, finse una sovrana indifferenza.
“Beh, ragazzo, hai vissuto
tante emozioni in questi ultimi tempi e uno sfogo ci può stare” rispose, come
se quello scoppio di pianto non lo avesse turbato. “Spero che tu ti senta
meglio, adesso, così potremo riprendere il discorso che avevamo interrotto
prima.”
Peter alzò gli occhi e lo
fissò con uno sguardo interrogativo. A quale discorso si stava riferendo Stark?
L’ultima cosa che ricordava prima di quella reazione esagerata era Tony che gli diceva di smetterla di nascondersi, che
tenere un basso profilo non lo avrebbe mantenuto al sicuro dal dolore…
Quello che l’uomo disse,
invece, lo colse di sorpresa.
“Ti avevo proposto di andare
a vedere un film e poi a mangiare una pizza, visto che è venerdì sera” riprese
Tony, come se nulla fosse accaduto nel frattempo, come se non lo avesse visto
scoppiare in lacrime tra le sue braccia, come se… come avrebbe fatto il signor Stark di due anni prima.
Peter era così confuso e
stravolto da non riuscire nemmeno a rispondere. Ricordava vagamente di aver già
rifiutato l’invito di Stark, con la scusa dello studio e di dover tenere una
media molto alta per ottenere la borsa di studio per il college, ma questo
sembrava essere successo decenni prima.
Ed era successo decenni
prima, a voler essere sinceri. Perché era accaduto prima che Tony lo afferrasse e lo facesse volare sopra i
grattacieli di New York, era accaduto prima
che gli dicesse quelle parole severe ma allo stesso tempo tanto sagge che lo
avevano fatto scoppiare in un pianto dirotto tra le sue braccia.
“Peter, non è una domanda
così difficile, basta rispondere con un sì
o con un no” insisté il
miliardario, fingendosi spazientito. Ovviamente sapeva che, al contrario, per
Peter era una domanda difficilissima e che dalla sua risposta sarebbero dipese
molte delle cose a venire.
Se il ragazzo avesse
accettato, avrebbe significato che aveva riflettuto sulle sue parole e che era
disposto a rischiare. Non necessariamente a riprendere il rapporto di prima con
lui, no, per quello era ancora troppo presto, ma a correre di nuovo il rischio
di vivere, di provare dei sentimenti,
di divertirsi senza pensare che da un momento all’altro tutto sarebbe crollato
di nuovo. Era questo che Tony voleva per Peter, sarebbe bastato quel piccolo
primo passo e poi tutto sarebbe stato di nuovo possibile… o almeno lo sperava.
La cosa che veramente Tony
Stark desiderava con tutto se stesso era vedere Peter di nuovo sereno, vedere
di nuovo la luce nei suoi occhi, il calore nel suo sorriso, la speranza nelle
sue parole e nei suoi sguardi. Voleva di nuovo quella parte di Peter che era
morta insieme a lui, quel terribile giorno, dopo che aveva schioccato le dita
per distruggere Thanos e il suo esercito.
“Che film pensava di andare
a vedere, signor Stark?” domandò il ragazzo.
Quelle semplici parole
ebbero l’effetto di inondare di luce e calore il cuore di Tony. Non avrebbe
fatto quella domanda se non stesse pensando di accettare, no? No?
“Non avevo pensato a nulla
di preciso, magari qualcuno di quegli strani film che piacciono a te, o
qualsiasi altra cosa” ribatté l’uomo. “In realtà non è così importante il film
che sceglieremo, quanto il fatto che tu ti prenda una serata di pausa dallo
studio e dalle preoccupazioni. Ne hai bisogno, ragazzo, finirai per ammalarti
se continui così.”
Peter aveva chinato il capo
e sembrava immerso in una profonda riflessione, tanto che Tony non sapeva più
cosa fare. Doveva insistere o avrebbe rischiato di provocare una reazione
ancora più negativa da parte del ragazzo? Invece, inaspettatamente, fu Peter a
sbloccare la situazione.
“Signor Stark, ha ragione,
ho bisogno di riposarmi e di distrarmi, ma non credo che un film sia la scelta
giusta. Insomma… troppi brutti ricordi, mi capisce, no? E anche per la pizza…
non me la sento di entrare in un locale affollato, non ho voglia di confusione”
il giovane sembrava a disagio, quasi imbarazzato.
“E allora che cosa vorresti
fare? Scegli tu, per me va bene tutto, cinema e pizza erano solo un’idea”
rispose Stark, sperando che quello non fosse un ennesimo modo gentile per dire
che preferiva tornare a casa a studiare e fine della storia.
“Potremmo prendere delle
pizze e portarle… beh, al quartier generale degli Avengers, a casa sua.
Potremmo mangiare e parlare con calma, credo che… che sia arrivato il momento
di farlo, ecco” riuscì a dire Peter, tutto d’un fiato.
Tony quasi non credeva alle
sue orecchie, quello non se lo sarebbe mai aspettato e, a dirla tutta, non
capiva neanche se fosse un bene o un male. Certo, da una parte era molto meglio
poter avere una serata tranquilla insieme proprio come facevano prima… prima di tutto, e potersi parlare senza
confusione attorno; dall’altra, però, Peter continuava a rifiutare quello che
un tempo gli piaceva e la proposta di parlarsi a quattr’occhi poteva anche significare
che gli avrebbe spiegato per l’ennesima volta di non voler avere più niente a
che fare con lui.
“Come preferisci, ragazzo.
Allora… ci dovrebbe essere una pizzeria da queste parti, andremo a ordinare e,
mentre aspettiamo, io chiamerò Happy per chiedergli di venirci a prendere”
decise l’uomo. Si incamminò, seguito da Peter. C’erano alcuni locali poco
distante e l’insegna di una pizzeria era ben visibile. Tony ricordò vagamente
che lui e Peter erano stati diverse volte in quel locale, quando tutto andava
bene… ma non era il momento di pensarci o di abbandonarsi alla nostalgia. Notò
che Peter si irrigidiva al momento di entrare in quella pizzeria, chiaramente
anche lui aveva avuto gli stessi pensieri e non voleva soffermarsi su ricordi
che ora gli facevano male. Il ragazzo, tuttavia, non disse niente e anche Tony
finse indifferenza e si recò al bancone per fare le ordinazioni, poi telefonò a
Happy e gli disse di venire a prenderli in pizzeria per condurli poi al suo
appartamento presso il nuovo quartier generale degli Avengers.
Mentre attendevano le pizze
e Happy, Peter non disse una parola e cercò di guardarsi intorno il meno
possibile, ostinandosi a fissare le punte delle scarpe da tennis. Tony, invece,
volle mostrarsi disinvolto e tentò una conversazione.
“Non dovresti chiamare tua
zia? Sarà preoccupata non vedendoti rientrare” disse.
“Le ho mandato un messaggio”
rispose laconico Peter. “Le ho scritto che tornerò a casa dopo cena, che mi
sono trattenuto a studiare in biblioteca più a lungo del previsto e che mi sarei
fermato a prendere una pizza sulla via del ritorno.”
“Non vuoi dirle che mi hai
incontrato? Pensi che non voglia più che tu frequenti il mondo degli Avengers?”
si stupì Stark.
“In realtà è tutto il
contrario” spiegò Peter. “Zia May mi ha visto così apatico e distrutto in
questi mesi che sarebbe felicissima anche di sapermi con la tuta di Spiderman
piuttosto che vedermi ripiombare nella depressione… per questo preferisco
parlarle di persona, non voglio che si faccia illusioni.”
E, con questo, pareva che
avesse detto anche a lui, Tony Stark, di non farsi illusioni.
Le cose sembravano mettersi
nel modo sbagliato e Stark iniziava a preoccuparsi. Arrivarono i cartoni con le
pizze e l’uomo pagò senza fare caso a ciò che faceva, lasciando una mancia più
che generosa all’interdetto commesso. Uscirono dal locale e fuori c’era la
macchina con Happy al volante che li aspettava. Sempre restando in silenzio
salirono sulla vettura e Happy mise in moto.
Si diressero verso il nuovo
quartier generale degli Avengers. Tony sbirciava la figura di Peter accanto a
lui e non poteva fare a meno di ricordare le tante volte in cui avevano
viaggiato fianco a fianco in quella stessa auto, con stati d’animo ben diversi.
Ricordava l’entusiasmo del giovanissimo Peter al pensiero della prima missione,
la sua gioia quando Stark gli aveva detto che lo avrebbe richiamato in caso di
bisogno… Era di quella gioia, di quell’entusiasmo che Tony aveva una disperata
necessità, ma non poteva fare niente, solo sperare che quella serata insieme
non fosse un completo fallimento ma, piuttosto, un nuovo inizio.
Ancora una volta, doveva
ripetersi che spettava a lui riportare la speranza nel cuore di Peter e la luce
nei suoi occhi. Non doveva essere il solito egoista e pensare a ciò che lui
stesso desiderava, doveva aiutare Peter a uscire da quel tunnel buio in cui l’ultima
battaglia lo aveva gettato.
Poco più tardi, Tony e Peter
sedevano davanti alle loro pizze, nell’appartamento di Stark all’interno del
quartier generale. Mangiavano in silenzio, ma Stark sapeva che doveva
riprendere l’argomento interrotto dal pianto di Peter. Dovevano parlarne e
spiegarsi fino in fondo per poter sperare di vedere la fine di quell’incubo.
“Peter, mi dispiace se prima
ti ho fatto piangere, non era quella la mia intenzione, ma forse sfogarti ti ha
fatto bene ed è questo che conta per me” disse l’uomo.
“Sì, so che non l’ha fatto
con cattiveria” la risposta di Peter fu laconica.
“Hai detto tu stesso che non
volevi andare in un locale pieno di gente perché preferivi parlare ed è proprio
questo che faremo. Vorrei che potessimo chiarire, spiegarci…”
“E’ quello che voglio anch’io”
replicò il ragazzo, sempre un po’ sulla difensiva.
“Molto bene, allora ti
chiedo subito una cosa: c’è qualcosa che non va con me? Ti infastidisce che io
cerchi di riallacciare i rapporti con te, che ti inviti fuori, che cerchi di
essere… almeno un tuo amico?” Dio solo sapeva se Tony avrebbe voluto essere ben
altro, per Peter, ma al momento l’amicizia sarebbe stata già un’opzione più che
accettabile.
Finalmente Peter alzò gli
occhi e incontrò il suo sguardo.
“No, non mi infastidisce
affatto, anzi… Credo di avere molto bisogno di amici, soprattutto… ora. Sono
molto solo. I pochi amici che avevo sono al college e con zia May posso parlare
solo di alcune cose, non voglio preoccuparla, anche lei ha sofferto tanto”
ammise. “So che cosa sta per dirmi, signor Stark: se avevi tanto bisogno di amici perché hai sempre rifiutato di
incontrarmi finora? Ha ragione, il problema è che… che da una parte vorrei
lasciarmi andare, riprendere a vederla, a uscire con lei, magari anche a fare
lo stage alla Stark Foundation, come avevamo progettato. Dall’altra, però, ho…
ho paura…”
Tony si sentì stringere il
cuore e lo stomaco. Per fortuna aveva finito di mangiare la pizza, altrimenti
non sarebbe riuscito a buttar giù un altro boccone.
“Paura di cosa, ragazzo?”
domandò, temendo di sapere già la risposta.
Gli occhi di Peter si
riempirono di lacrime.
“Paura di… paura di perderla
di nuovo!” esclamò, lasciando cadere le posate sul piatto sul quale ormai
restavano solo pochi bordi bruciacchiati di pizza. “Per questo ho cercato di
tenerla a distanza, per non attaccarmi di nuovo a lei, perché speravo che se…
che se non avessi provato più niente non avrei sofferto nel caso in cui…”
Era la cosa più straziante
alla quale Tony Stark avesse mai assistito e il peggio era che non poteva farci
niente. Non poteva rassicurare Peter, non poteva promettergli che non sarebbe
accaduto mai niente a lui, a zia May, a Ned, a chiunque quel povero ragazzo
amasse. Non era così che andava la vita…
Una cosa poteva farla, però,
e la fece. Si alzò dalla sedia, andò verso Peter e lo strinse forte tra le
braccia.
“Il problema è che non
funziona così, Peter, e te lo dice uno che ci ha provato per tutta la vita” gli
disse, abbracciandolo. “Nessuno può capirti meglio di me. Ho sempre cercato di
evitare legami per non dover soffrire, ma non è possibile vivere così. Alla
fine tutto si riduce ad una scelta: limitarsi a sopravvivere, senza sofferenza
ma anche senza mai conoscere la bellezza della vita, oppure rischiare.
Rischiare di amare qualcuno e perderlo, rischiare di mettersi in gioco e rimanere
feriti e delusi.”
Era quasi ironico che
toccasse a Tony Stark dire simili parole, lui che aveva fatto dell’indifferenza
e della superficialità uno stile di vita. Ma questo era stato prima di
incontrare gli Avengers, prima di stringere dei legami di amicizia
indissolubili con i suoi compagni e con Pepper, prima di conoscere Peter.
“Ho trascorso quasi tutta la
mia esistenza cercando di fuggire dai rapporti veri, per non essere ferito, per
non soffrire. Ma, se vuoi sapere la verità, credo di aver veramente vissuto
soltanto in questi ultimi anni” ammise Stark, sempre tenendo il ragazzo stretto
tra le braccia. Perché avere Peter con sé, anche soltanto per un giorno, valeva
infinitamente più di cento anni di sopravvivenza da solo. “Mi sono sentito
veramente vivo solo quando ho provato rabbia, paura, dolore e amore, per i miei
amici… e per te, Peter. Anche quando ti ho visto svanire, anche quando ho
trascorso notti insonni e angosciate pensando a cosa avrebbe potuto farti Thanos,
a come avrei reagito se tu fossi morto durante una battaglia… ne è sempre valsa
la pena, pur di poterti stringere tra le braccia ancora una volta.”
Quelle parole sincere e
dirette andarono a colpire il cuore di Peter che, finalmente, ricambiò l’abbraccio
di Tony, non semplicemente abbandonandosi tra le sue braccia, ma stringendosi a
lui, allacciandolo, aggrappandosi disperatamente alle sue spalle.
“Tu sei così giovane, Peter,
non fare i miei stessi errori, non buttare via tutta la tua vita come ho fatto
io” insisté l’uomo. “Ti ho sempre detto che avresti dovuto essere migliore di
me. Sai, ci vuole molto più coraggio a scegliere
di vivere che ad essere un supereroe. Io sono Iron Man, sono un eroe quando
si tratta di combattere, ma sono sempre stato un codardo nella vita reale. Tu
cosa vuoi fare, Peter?”
There's nothing I fear
You watch over me
You give me advice
Together we fight
Even when I'm feeling blue
I can see myself in you
Everything turns so clear
In your eyes reflection
I find hope…
(“Side by side” – Temperance)
Tony tenne stretto
Peter in quell’abbraccio, ma ancora una volta evitò di provare a baciarlo o a
fare qualsiasi altra cosa. Si rendeva conto, per la prima volta, che quello che
nei mesi passati veniva così naturale tra loro adesso non lo era più. Poche ore
prima, sulle rive dell’East River, si era trattenuto dal baciare Peter pensando
che non voleva turbarlo o imbarazzarlo in un momento tanto delicato, che era
molto più importante riuscire a farlo emergere da quel tunnel oscuro in cui si
era ritrovato e solo dopo, semmai, abbandonarsi a effusioni e abbracci più
intimi. In realtà ora capiva che nemmeno lui sapeva fino a che punto volesse
spingersi.
Non che non
desiderasse Peter o che non lo amasse più, anzi. Ma aveva compreso che non era
stato solo il giovane a cambiare, durante quel periodo terribile in cui lo
aveva creduto morto.
Anche lui, Tony, era
cambiato ed era inutile che fingesse che morire e tornare indietro non avessero
significato nulla.
Peter aveva ragione:
non bastava riprendere le abitudini di un tempo, pizze, cheeseburger, patatine
e maratone di serie TV o di film di fantascienza per ritrovarsi, magicamente,
ad essere il Tony e il Peter di un anno prima.
Non funzionava così,
non era tanto semplice.
Tony Stark dovette
ammettere che, in fondo al cuore, anche lui non si sentiva completamente a suo
agio con Peter, non come prima. Sentiva che il ragazzo era cambiato e che
doveva imparare a conoscerlo di nuovo, ma lui stesso non era più lo stesso
uomo, aveva attraversato l’inferno per ritornare indietro e adesso aveva un
diverso modo di concepire la vita e nuove priorità.
Fino a quel momento
aveva ostentato sicurezza, baldanza, i modi di fare del Tony di prima. Si era presentato davanti alla
scuola di Peter invitandolo a uscire, lo aveva portato in volo su New York, lo
aveva convinto ad andare a prendere una pizza che poi avevano mangiato
nell’appartamento del miliardario, aveva proposto la solita serata del venerdì
con film horror o serie TV da nerd… ma era stata solo una farsa a beneficio di
Peter e di se stesso. La sicurezza che mostrava non era autentica e, in tutta
onestà, non aveva alcuna voglia di mettersi a guardare la TV come se niente
fosse successo.
I momenti in cui il
vero Tony Stark era venuto allo scoperto erano stati quelli in cui aveva
parlato a Peter con durezza, con brutalità perfino, ma finalmente e
completamente sincero. Doveva ammetterlo, così come Peter si era creato una corazza scegliendo una vita squallida e
ripetitiva sperando così di sfuggire a nuovi dolori e sofferenze, lui aveva
tentato di riportare indietro le lancette dell’orologio proponendo le stesse
cose di un anno prima e sperando che tanto bastasse a ricreare anche loro due e il loro rapporto, come se niente fosse
accaduto.
Non era questo ciò di cui Peter aveva bisogno
e, in realtà, non serviva nemmeno a lui. Non in quel modo.
Certo, era ancora innamorato di quel ragazzo,
sentiva ancora l’assoluta necessità di averlo nella sua vita, ma avrebbe dovuto
trovare un modo nuovo non solo per riconquistare il suo amore (ammesso che lo
avesse perduto), ma anche per creare un legame più profondo e solido tra loro.
E doveva iniziare proprio da quella sera,
parlando sinceramente con Peter, spingendolo a confidarsi e facendo lo stesso
con lui, cercando di capire cosa avessero ancora in comune, cosa potesse
salvarsi del loro passato e cosa dovesse essere invece costruito partendo da
zero.
Tony aveva messo completamente a nudo la sua
anima quella sera e adesso era Peter a dover rispondere alla sua domanda: Io sono Iron Man, sono un eroe quando si
tratta di combattere, ma sono sempre stato un codardo nella vita reale. Tu cosa
vuoi fare, Peter?
I due si sciolsero dall’abbraccio e si
guardarono negli occhi. Era il momento della verità, non potevano più
nascondersi.
“Io… io credo che lei abbia ragione, signor
Stark” rispose il ragazzo, titubante. “Ha detto tante cose giuste stasera e mi
rendo conto che anch’io sono stato un codardo finora, rinchiudendomi nella mia
stanza, nello studio e nei doveri. Però…”
Peter deglutì, sembrava fare molta fatica a
continuare il discorso.
“Però, ecco… non me la sento di riprendere la
vita di prima. Insomma, non subito, perlomeno, e non in quel modo. Non sono più
la persona che ero prima della battaglia contro Thanos e mi sembra addirittura
di non conoscerlo più, quel ragazzo ottimista e entusiasta che voleva salvare
il mondo. Per prima cosa devo riflettere su quello che voglio fare della mia
vita e… sì, credo di voler fare lo stage alla Stark Foundation come avevamo
progettato e poi il college, magari lei mi potrà consigliare.”
“Lo farò con molto piacere, ragazzo” disse
Tony, con una voce strana. Era commosso. Si rendeva conto di quanto costasse a
Peter ripensare alla sua vita e cercare di combattere le sue paure, nessuno
meglio di lui poteva capirlo, ma… Peter aveva pur sempre solo diciannove anni e
stava mostrando una forza d’animo non comune. Tony poteva solo assecondarlo e
prendere esempio da lui.
“Quindi… questo significa che non voglio escluderla
dalla mia vita, non ho mai voluto farlo, avevo solo paura che, se mi fossi
attaccato troppo a lei, l’avrei persa di nuovo. Ma ha ragione lei, signor
Stark, è un pensiero da codardi e io non voglio esserlo” riprese Peter, sempre
più convinto mano a mano che parlava, come se le sue stesse parole lo
incoraggiassero e gli infondessero nuova energia e speranza. “E’ vero, ci vuole
più fegato a vivere che a fare il supereroe ed è per questo che, ora come ora,
quel poco di coraggio che mi rimane devo utilizzarlo tutto per sforzarmi a vivere, cosa che non ho
fatto in questi ultimi mesi…”
Stark era ammirato e intenerito insieme.
Peter non credeva di essere coraggioso? In realtà gli stava dimostrando di
esserlo moltissimo, mille volte di più in quel momento così delicato che tutte
le volte in cui aveva indossato la tuta di Spiderman. Fare l’amichevole Spiderman di quartiere era stato il gioco di un
ragazzino, la sfida di un adolescente spesso fin troppo entusiasta, ai limiti
dell’incoscienza. Scegliere di vivere la vita di ogni giorno affrontandone
gioie e inevitabili dolori, quella era la vera prova di coraggio.
E non soltanto per Peter…
“Senti, mi sembra che questo sia un discorso
particolarmente difficile, forse è meglio che andiamo a sederci sul divano”
propose Tony, per alleggerire un po’ l’atmosfera e dare un attimo di respiro a
Peter, che sembrava provato come se avesse appena corso la Maratona di New
York.
I due si sedettero sul divano che tante volte
li aveva accolti per guardare DVD e serie TV e anche per scambiarsi baci e
coccole. Adesso quello stesso divano aveva un compito ancora più importante.
“Mi impegnerò per andare bene a scuola e
mantenere la borsa di studio, ma farò in modo di trovare del tempo anche per lo
stage alla Stark Foundation” riprese Peter, cercando di riordinare le idee. “E
voglio del tempo anche per… per vedere lei, signor Stark, per parlare con lei
come stiamo facendo adesso, per capire cosa… cosa è diventato il legame che…
insomma…”
Arrossì e non riuscì a finire la frase. Beh,
in quello, almeno, Peter non era diverso e Tony sospirò di sollievo nel
constatare che certe cose, perlomeno, non cambiavano mai!
“Capisco quello che vuoi dire e sono d’accordo
con te, Peter. E’ anche per questo che sono venuto alla tua scuola questo
pomeriggio, volevo parlare con te, volevo che ci chiarissimo e tu continuavi a
evitarmi” replicò Stark. “So che cosa eravamo prima… prima della battaglia con
Thanos, so qual era il rapporto che ci univa. Ma mi rendo conto, proprio come
te, del fatto che siamo entrambi cambiati. E non perché io sia un clone, un alieno o chissà che altro, io sono sempre Tony Stark! Ma ho
attraversato la morte e adesso vedo le cose sotto una luce diversa. E tu hai
passato delle esperienze dolorose e terribili che ti hanno fatto crescere.
Dobbiamo imparare a conoscerci di nuovo e vedere se… beh, se possiamo andare d’accordo
anche così. Io spero di sì, per quanto mi riguarda.”
Peter accennò un timido sorriso.
“Anch’io… anch’io spero di sì.”
“Dunque abbiamo chiarito diversi punti: farai
lo stage alla Stark Foundation, continueremo a vederci per capire se siamo
sempre… insomma, diciamo amici, per
adesso” ricapitolò Stark. “Però non vuoi più essere un supereroe e non vuoi far
parte degli Avengers.”
“No, per ora no” ripeté Peter, questa volta
con maggior convinzione. “Non mi sento pronto per questo. Come le ho detto,
signor Stark, al momento ci sono diversi altri ambiti della mia vita sui quali
devo… ecco, lavorare. Fino a ieri non avrei mai pensato nemmeno di trovarmi
qui, con lei, stasera, e invece ci sono. Non avrei mai pensato di riconsiderare
la possibilità dello stage alla Stark Foundation e ho capito che invece voglio
farlo. Chissà, magari tra qualche tempo riprenderò in considerazione anche l’idea
di usare i miei poteri, consapevolmente intendo, e di rimettermi la tuta di
Spiderman. Non lo so, non posso dirlo adesso.”
Tony era soddisfatto. Era stata dura, ma
adesso vedeva Peter più tranquillo, più rilassato. Riusciva ad intravedere in
lui quella luce che, per tanto tempo, era stata soffocata dalla tenebra del
dolore. No, probabilmente non sarebbe mai più stato il ragazzino ottimista e
pieno di entusiasmo che aveva conosciuto e amato, ma doveva tenere conto anche
del fatto che Peter, ormai, si avviava a diventare un giovane uomo e non più un
adolescente. Era fisiologico che cambiasse e le esperienze dolorose che aveva
dovuto affrontare avevano sicuramente accelerato questo cambiamento.
Questo, però, non era importante.
Ciò che contava era che Peter stesse bene,
che si riappropriasse della sua vita e che… che non lo tagliasse fuori. Erano
entrambi cambiati e ora dovevano capire se anche il loro legame poteva cambiare
ed evolversi con loro. Lui sperava di sì e anche Peter aveva detto che lo
sperava. Ci avrebbero provato e, in ogni caso, il rapporto che li aveva uniti
non si sarebbe mai spezzato. In quel momento nessuno dei due poteva dire se
sarebbe diventato un rapporto di amicizia o se sarebbero ritornati ad essere
amanti, ma entrambi sapevano di essersi ritrovati
e di poter costruire un futuro in cui l’uno ci sarebbe sempre stato per l’altro.
Avevano superato difficoltà incredibili e
strazianti pur di riunirsi in qualche modo, perciò il loro destino era quello
di stare fianco a fianco.
In che modo, solo il tempo lo avrebbe potuto
dire.
“Beh, direi che ci siamo chiariti, ragazzo”
disse Tony, finalmente più rilassato. “Cosa vuoi fare ora? Vuoi tornare a casa
subito? Posso chiamare Happy e farti accompagnare.”
Peter lanciò una veloce occhiata all’orologio.
“Non sono ancora nemmeno le nove, signor
Stark. Sarò uno sfigato, ma non così
tanto da andare a dormire a quest’ora di venerdì sera!” replicò, con un
sorrisetto che era un lontano parente dei luminosi sorrisi di un tempo… ma
andava bene lo stesso perché era comunque un sorriso. “Abbiamo mangiato la
pizza, abbiamo parlato, potremmo guardare qualcosa alla TV, no?”
Tony sentì un calore benefico irradiarglisi
per tutto il corpo, partendo dal cuore, ma cercò di non mostrarsi troppo
entusiasta.
“Che cosa ti piacerebbe vedere?” domandò,
cercando di ostentare una sovrana indifferenza.
“Beh, direi che al momento ne ho abbastanza
di storie di alieni e film fantascientifici” rispose Peter. “Preferirei
qualcosa di più realistico, qualcosa sugli eroi di tutti i giorni, che
combattono il male senza tute e superpoteri. Conosce quella nuova serie TV, FBI, su una squadra di agenti del Bureau
che combatte il crimine e i terroristi usando la sua abilità e le nuove
tecnologie?”
“Non ancora, ma qualcosa mi dice che la
conoscerò presto” sorrise Tony.
La vita stava ricominciando per Tony e Peter;
in modo diverso, forse, ma ancora e sempre li avrebbe visti l’uno di fianco all’altro.