Nil igitur mors est ad nos. - Nulla è la morte per noi.

di Salazarr99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Eros e Thanatos. ***
Capitolo 3: *** Moonlight. ***
Capitolo 4: *** Something's burning. ***
Capitolo 5: *** Memories. ***
Capitolo 6: *** Before you go. ***
Capitolo 7: *** Mind is a prison. ***
Capitolo 8: *** Won't let go. ***
Capitolo 9: *** Stay with me. ***
Capitolo 10: *** No time to die. ***
Capitolo 11: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo. 



Eren camminava lentamente nella notte. Ogni suo passo era fortemente studiato per essere lento, per godere della sensazione dell’erba sotto i suoi piedi nudi. 

Quando era giovane non aveva mai fatto caso a queste piccolezze, alle sensazioni semplici che contornavano le sue giornate. Contemplare la natura, la bellezza, la poesia della vita sembrava non essere conforme al suo carattere rabbioso ed impulsivo. 

Non era stato tanto il superamento dell’adolescenza ad aver fatto soffermare il ragazzo sui piccoli dettagli, bensì l’insormontabile ostacolo che sarebbe stata la sua morte. 

 

Eren doveva morire, ne era ben consapevole. Gli anni passavano inesorabili davanti a lui, lo sapeva benissimo. 

Armin gli aveva detto una volta che ne sarebbero passati tredici prima che potesse ancora rendersene conto, e probabilmente aveva ragione. 

- Vivi, Eren. - gli aveva detto il biondo, una notte. Erano fermi a riflettere sul destino che si erano crudelmente trovati a dover condividere, quando Armin gli aveva detto quelle parole.  

Hai capito? - ha continuato. - Non ti sto chiedendo di sopravvivere, hai reso ben chiaro di esserne in grado. Vivi davvero, vivi di quelle emozioni che solo la vita può dare. Non andartene docile in quella buona notte; infuria, infuria, contro il morire della luce. 

Eren quelle parole non le avrebbe mai dimenticate, lo aveva giurato a se stesso. 




 
Grazie mille di aver letto il prologo della mia storia! 
Lasciami un parere se ti fa piacere, sono contenta di accettare critiche e consigli costruttivi! 

 

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Capitolo 2
*** Eros e Thanatos. ***


Eros e Thanatos. 

 

Era passato quasi un anno da quando i superstiti dell'Armata Ricognitiva erano stati onorati dalla regina Historia con delle medaglie per i loro servigi. 

Dopo quelli che sembravano anni di addestramento, il corpo di Ricerca poteva dirsi pronto per una nuova spedizione, ancor più fondamentale. 

Di lì ad un mese, sarebbero partiti per superare le mura e arrivare al mare. 

 

Dopo un’estenuante giornata di prove e test con Hanji, Eren si scusò per la propria fiacchezza e chiese di riposare. Il capitano glielo concesse senza discutere, con un sorriso che poteva definire quasi materno.

Il ragazzo si trascinò verso la sua stanza, sospirando. 

- Non pensavo di trovarti qui a quest’ora. 

Mikasa, pensò. 

- Credevo fossi impegnato. - il tono della ragazza era duro, freddo. - D’altronde, è solo una settimana che ti sto chiedendo di parlare. 

Eren si voltò a guardarla. Era bella, non poteva negarlo. I capelli corvini che le contornavano il viso, con i suoi spigolosi lineamenti orientali. 

- Hai ragione, mi dispiace. Sono andato via prima oggi. 

Gli occhi della ragazza espressero un tacito rimprovero.  

- Dopo verrò da te, lo prometto. 

Dette queste parole, Eren proseguì il suo cammino verso la propria stanza. 

 

Il ragazzo aspettò che calasse quasi la notte per poter andare da Mikasa. Temeva il confronto con lei più di qualsiasi altra cosa, al momento, ma sapeva di non poterne sfuggire. Tanto vale, pensò, farlo nel momento della giornata che preferisco. 

Quando bussò alla porta, gli aprì una Mikasa diversa. Poteva giurare fosse la prima volta che guardava il suo viso senza il suo cipiglio solito, senza l’espressione preoccupata o corrucciata. 

- Ciao. - disse la ragazza. - Ti sembra l’ora? Il sole è calato da un pezzo. 

Eren annuì. - Seguimi, per favore. 

I due si incamminarono insieme, la ragazza lo seguiva in silenzio. Eren sapeva dove andare, era diventata un’abitudine per lui uscire di notte. 

Le tenebre avvolgevano il suo mondo nascondendogli quello che non voleva vedere, la sofferenza e le difficoltà. Il silenzio e la solitudine contribuivano a donare a quel momento della giornata una sorta di normalità. 

Era l’unico momento in cui Eren si concedeva di essere solo Eren. 

All’ombra di un albero, il ragazzo le fece cenno di sedersi accanto a lui. 

Mikasa prese fiato, lo guardò negli occhi. - Perché? 

Non disse altro. Sembrò attendere una risposta per un tempo infinito. 

- Perché mi hai baciata, Eren? Perché lo hai fatto? 

Una lacrima scese lungo la guancia della ragazza. 

 

Il sole era sorto da poco sui superstiti del corpo di Ricerca. 

Dopo la cerimonia data per la loro premiazione, erano rimasti sulle mura a contemplare il cielo e l’alba. 

Connie e Sasha si erano assopiti, l’uno sul petto dell’altra. Armin sembrava perso nei suoi pensieri, mentre dormiva quasi ad occhi aperti a qualche metro da loro. 

Mikasa ed Eren erano svegli invece, guardavano il cielo. 

Si tenevano la mano, incerti se fosse per necessità di toccare qualcuno o di tenersi attaccati alla realtà. 

Gli eventi dei giorni prima li avevano colpiti con violenza, inondandoli di nuove consapevolezze e notizie. 

- Cosa succederà adesso? - le chiese. - Cosa faremo? 

Mikasa scosse la testa. Non c’era altro nei suoi pensieri che non fosse il triste destino dell’amico, la sua “condanna a morte”.

- Non mi interessa se morirò, davvero… Vorrei solo vedere l’umanità salva. Vorrei morire con la certezza di essere riuscito a fare qualcosa. 

La ragazza si voltò di scatto. - Non dire così. - disse. - Non puoi esserne certo, non… 

Le parole le si bloccarono in gola. 

Deglutì. 

- Eren - ripetè, convinta. - Non può non interessarti la tua morte.

Il ragazzo la guardò negli occhi. Era ovvio gli interessasse, ma non poteva permetterselo. - Morirò in ogni caso. Mi converrebbe farlo quanto meno bene, per una ragione, per uno scopo. 

Rimasero in silenzio per interminabili minuti. 

-Come puoi dirlo così? Come puoi esserne tanto sicuro? 
- Non vuoi accettare la realtà. - rispose il ragazzo, cercando di suonare il più neutro possibile. 
- Io non posso accettarla. 

Ancora silenzio. 

- Eren, tu non hai ancora iniziato a vivere. Come puoi pensare di morire con tanta calma? 

Eren ricordò la promessa fatta all’amico, di vivere piuttosto che sopravvivere. 

 

Fu la disperata necessità di tenersi attaccato alla vita mentre la morte gli divorava le viscere a guidare i suoi gesti. 

Quando avrebbe rivisto un alba? Quando avrebbe avuto occasione di parlarle così? 

Quanto gli sarebbe rimasto allo scadere dei tredici anni? 

Come un burattino legato a dei fili, mentre continuava a guardare la ragazza nei suoi occhi profondi, le carezzò una guancia con la mano. 

La baciò con passione, come se ne dipendesse la sua vita. Le strinse le spalle con le mani, sfiorò le sue braccia, i suoi fianchi. 

Quando si staccò da lei, Mikasa gli sorrise, ma nei suoi occhi vedeva un’espressione confusa e interrogativa. 

Quella sera, l’amore e la morte si erano intrecciati inevitabilmente.

 

Perso nei ricordi, Eren aveva quasi dimenticato di dovere una risposta alla ragazza. 

Da allora, si erano quasi unicamente ignorati. Eren temeva di aver creato delle aspettative nella ragazza, che non avrebbe potuto mai rendere reali. Un uomo destinato a morire non poteva essere degno di essere accanto a una donna come lei, che meritava molto di più. 

Quella sera pensava di averla baciata come il coronamento di un sentimento durato anni,  ma più passava il tempo più si rendeva conto di quale fosse effettivamente stato il significato di quel bacio: il tentativo di vivere di un uomo condannato a morte. Quella sera voleva sentire disperatamente qualcosa che non fosse il sordo dolore, qualcosa che non fosse rabbia, angoscia, tormento. 

 

- Al momento pensavo fosse la cosa giusta. Pensavo di volerlo, di volerti. 

Le parole colpirono Mikasa come uno schiaffo. - Tu pensavi di volermi? - chiese, furente. 

Eren sospirò rumorosamente. - Mikasa io… scusami. Ti ho illusa. Mi sento come se ti avessi usata per… 

Si fermò. Come se ti avessi usata per capire se con te potevo sentirmi più vivo, per capire se potessi essere la risposta alle mie domande. 

- Per? - incalzò la ragazza. - Per cosa? 

Eren scosse la testa. Non voleva ferirla. 

Come avrebbe più potuto guardarla in faccia? 

Ho fatto un cazzo di casino. 

Mikasa lo spintonò. - Smettila di prendermi per il culo, Eren. Ho capito, ne avevi voglia in quel momento e avresti voluto che io facessi finta di niente. Sei un grandissimo stronzo. 

Con quelle parole ancora sulle labbra, si voltò e andò via di corsa. 

Eren rimase paralizzato, senza la forza di replicare. 

- Scusami. - sussurrò; ma ormai la ragazza era troppo lontana per poterlo ascoltare. 

Si rannicchiò, la schiena poggiata al tronco dell’albero. 

Probabilmente nella sua esistenza non ci poteva essere spazio per la vita, per le emozioni. 

Forse, pensò, un dannato come me non può averne. 

Su queste note, Eren si assopì osservando la luna. 

 

 

 


 

Grazie mille di aver letto il primo capitolo della mia storia! 

Lasciami un parere se ti fa piacere, sono contenta di accettare critiche e consigli costruttivi! 
 

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Capitolo 3
*** Moonlight. ***


Moonlight. 


Erano passati pochi giorni dalla piccola lite con Mikasa, e i due amici non avevano ancora ricominciato a parlarsi. 

Raramente si erano scambiati degli sguardi, in quei momenti della giornata che non potevano fare a meno di passare in compagnia. 

Chi stava risentendo più della questione era Armin. Eren lo vide quasi come un bambino,  nella speranza di far riappacificare i genitori e nel tentativo di non schierarsi con nessuno dei due. 

Eren, però, non voleva si schierasse con lui. Sapeva di aver sbagliato e in un certo senso di meritare ostilità. Soffriva, però, nel non poter far tornare tutto come prima per il bene dell’amico. 

Erano questi i pensieri che tormentavano Eren a cena, mentre dal suo tavolo in mensa osservava amici e conoscenti.

 

Assorto nei suoi pensieri, nel ritorno in camera, Eren urtò la spalla del capitano Levi.

- Scusa. - disse subito. 

Il più basso si limitò a guardarlo con aria torva. 

Il ragazzo si aspettava quantomeno un rimprovero, ma fu sorpreso di vedere gli occhi del capitano leggermente lucidi. 

Incuriosito da questo dettaglio, Eren mise a fuoco meglio il volto del suo capitano.

Se possibile, le occhiaie erano ancora più marcate e scure del solito. La punta del suo naso spigoloso era arrossata, così come l’arco di cupido del suo labbro superiore. 

Colto alla sprovvista dallo sguardo attento di Eren, Levi si voltò di scatto dall’altra parte, quasi a nascondersi il volto. 

- Fai attenzione. - sentenziò, allontanandosi.

 

Eren rimase impalato nel corridoio per un tempo indeterminabile. 

Levi stava… piangendo? 

Scosse la testa, come se volesse allontanare quel pensiero. 

È impossibile. 

 

Nonostante avesse determinato con se stesso di essersi sbagliato, Eren decise comunque di seguire il capitano. 

Qualcosa dentro di lui gli diceva di interessarsi, di capire cosa fosse successo. 

Con passi leggeri, seguì il capitano Levi fino alla cima delle mura del distretto. 

Rimase accovacciato per ore osservandolo. 

 

Aveva tolto il mantello, sbottonato leggermente la camicia con aria stanca prima di accomodarsi.

L’uomo era seduto sul ciglio delle mura, le gambe che pendevano da esse, il corpo retto dalle braccia sottili ma rese muscolose dagli anni di servizio militare. Il volto era rivolto verso l’alto, a guardare il cielo, scuro e privo di stelle in quella notte autunnale. 

 

Eren osservò il corpo del capitano come se fosse la prima volta. Mai nella sua vita aveva avuto l’occasione di vederlo per così tanto tempo immobile. 

Sembrava scolpito nel marmo, nella sua sinuosità e proporzionalità. 

L’unico dettaglio che rendesse la sua immagine verosimile erano i capelli neri mossi dal vento. 

 

 - Per quanto ancora hai intenzione di spiarmi? 

 

Eren si sentì mancare per l’imbarazzo. Il cuore sembrava esplodergli nel petto. 

Come si sarebbe giustificato? 

Cazzo, pensò. 

 

- Credevi davvero che non me ne accorgessi? - continuò. - Aspettavo ti palesassi, Eren.

- Capitano, io… - il ragazzo voleva giustificarsi ma non aveva idea di come farlo. Mi dispiace per il disturbo. 

Stranamente, Levi scosse la testa. - Non importa. 

 

Eren si sentiva ad un bivio: poteva andarsene, fare finta che nulla di tutto quello fosse successo, oppure poteva restare. 

- Mi posso sedere con te? 

La domanda sembrò sorprendere entrambi. 

Eren non credeva di aver avuto il coraggio di porla. Levi non capiva perché Eren avesse voluto farlo. 

Il capitano annuì. 

Per quanto non lo avrebbe mai ammesso, quella notte un po’ di compagnia non gli sarebbe dispiaciuta. 

 

Come se le gambe non fossero le sue, Eren mosse qualche passo incerto verso il capitano. Si sentiva terrorizzato, per qualche motivo che non comprendeva. 

Nonostante ciò, prese le forze per prendere posto accanto all’uomo. 

 

Rimasero in silenzio per un po’. 

Era un silenzio dolce, giusto, scevro di qualsiasi imbarazzo.

 

- Perché mi hai permesso di restare? - chiese improvvisamente Eren. 

Levi fece spallucce. 

- Sono serio, voglio saperlo. - continuò. 

- Tu perché sei rimasto? 

Eren rimase senza parole. Già, perché era rimasto? Perché lo aveva seguito? 

La risposta era sulla punta delle sue labbra ma non ebbe il coraggio di dirla. 

Sono rimasto per te. Ti ho visto allontanarti addolorato e volevo saperne il perchè. Ti ho visto uscire di notte, come faccio io, e volevo sapere perché lo facessi anche tu. 

Ho provato empatia, una sensazione che mi ha spinto a seguirti, a sedermi qui per essere una compagnia per te. 

Levi sospirò, quasi deluso dalla sua mancata risposta. - Immaginavo… 

- No! - urlò il ragazzo. - Sono rimasto perché ti ho visto uscire a quest’ora e volevo saperne il perché. 

Il capitano aggrottò le sopracciglia, guardandolo. 

- Lo faccio spesso anche io, e non capivo cosa potesse spingerti a farlo. Oggi eri… strano, più distante del solito. Cosa succede? 

Eren stesso si stupì della confidenza con cui stava osando parlare a Levi, ma lo fece comunque. Aveva bisogno di sapere, di capire cosa lo avesse spinto così tanto verso di lui. Immaginava che adesso se ne sarebbe andato, che lo avrebbe rimproverato per le sue parole, che se ne sarebbe preso gioco. 

Levi prese un lungo respiro. Sembrava stanco, senza forze. - Lo sai che giorno è oggi, Eren? 

Il ragazzo rispose meccanicamente - Quattordici ottobre. 

- Esatto. 

Eren non capì, ma rimase comunque in religioso silenzio, attonito. 

- Il compleanno del comandante Erwin.

Il silenzio divenne improvvisamente imbarazzante e pesante. La questione del comandante era scottante per entrambi, per il modo in cui si erano comportati lui e Mikasa, per la scelta ancora insensata del capitano di salvare Armin. 

Eren deglutì rumorosamente; riusciva a sentire le piccole gocce di sudore che rigavano la sua fronte. 

Era una situazione così strana e incerta che non riusciva a capire dove il capitano volesse andare a parare. 

- Ti ho permesso di restare perché non volevo essere solo stanotte. 

 

Eren aprì la bocca per rispondere ma la richiuse subito, senza parole. 

Si mise un po’ più comodo, stendendo anche lui le gambe verso l’esterno delle mura. 

Gli sembrò fuori luogo dire qualsiasi cosa, non valeva la pena rompere quel momento. 

Aveva tante domande, tanti interrogativi, ma li tenne tutti per sé quella notte. 

Avrebbe voluto dire al capitano di non incolparsi di nulla, ma non ci riuscì. 

Nessuno dei due aprì bocca fino alle luci dell’alba, quando, per non farsi vedere, si allontanarono entrambi in direzioni diverse e opposte, più vicini che mai.



 


Ciao! 
NOTA IMPORTANTE: 

Chiedo scusa se posso aver incasinato la timeline. Non ho trovato info precise sulla data della morte di Erwin, quindi me ne sono andata per un’idea. Ho letto che la sua data di nascita fosse ad ottobre e per motivi di trama ho sperato combaciassero le date. Qualora non fosse così, mi dispiace molto! 

Thank you for reading, al prossimo capitolo! 

 

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Capitolo 4
*** Something's burning. ***


Something’s burning.  


La luce del mattino riempì la stanza del capitano Levi, segnalandogli fosse ora di alzarsi e farsi vedere. 

Come se fosse tornato bambino, gli sembrava fosse più semplice rannicchiarsi in un angolo e aspettare che le cose si sistemassero. 

La vergogna che provava per aver passato del tempo con Eren lo bruciava fino alle viscere. 

Come aveva potuto lasciarsi vedere debole, sofferente? 

Scosse la testa, come se volesse allontanare i propri pensieri. 

Mentre abbottonava la camicia, cercò di restare il più serio possibile. L’espressione indifferente che indossava da oltre vent’anni lo stava abbandonando, cosa che non avrebbe mai potuto permettere. 

 

Con estrema fatica, proseguì la sua giornata con normalità. 

Si sentì spettatore della propria vita, partecipe ad eventi che non gli interessavano più. Le carte in tavola erano cambiate totalmente, per le scoperte fatte e per le perdite subite. 

Nel giro di poco più di un anno avevano acquisito informazioni che in parte avrebbe preferito non conoscere mai, come ad esempio l’aver ucciso, in effetti, migliaia di  uomini trasformate in giganti. 

La delusione andava ad unirsi con la sofferenza. 

Il principale motore della propria vita era stato il comandante Erwin, la sua missione e la realizzazione di essa. Dopo aver perso Isabel e Farlan, non gli restava altro che dedicare anima e corpo a lui. La passione che coglieva Erwin nella scoperta e nella conoscenza era ciò che aveva alimentato la voglia di vivere di Levi, portandolo ad essere ciò che era oggi. 

Levi aveva seguito il proprio comandante in capo al mondo, tanto forte era il legame che si era creato fra loro. Viceversa, Erwin si era fidato di lui al punto da mettere la propria vita nelle sue mani. 

 

Durante le prove e gli esperimenti di Hanji, aveva cercato di farsi vedere il meno possibile. Solo una volta aveva incrociato lo sguardo di Eren, solo per distoglierlo nuovamente. Stranamente, mentre in sé percepiva solo imbarazzo, negli occhi Eren sembravano esserci una sicurezza e una dolcezza bizzarre. Ignorò con forza ogni pensiero di quel genere, concentrandosi ancora sul fingersi invisibile. 

 

Quel pomeriggio, andò a fare la solita passeggiata di ricognizione sulle mura. Assorto nei suoi pensieri e nella vista dell’orizzonte apparentemente privo di giganti, sentì una mano afferrargli la spalla. 

Levi si voltò di scatto, sulla difensiva. Con le mani sulle armi già pronte a colpire, notò con sorpresa il volto allegro di Hanji. 

Tirò un sospiro di sollievo mentre si ricomponeva. - Che succede? - le chiese. 

La donna scosse il capo. - Nulla, Levi. Volevo solo vedere come stavi. 

Fece spallucce. Cosa avrebbe dovuto dirle? 

Di merda. 

Hanji lo rimproverò con lo sguardo. - Ti ho visto più strano del solito oggi. Ieri era.. - non trovò il coraggio di dirlo, ma sapevano entrambi che giorno fosse. Tossì. - Non mi hai detto nulla. Pensavo volessi passarlo con qualcuno che potesse capire. 

Levi annuì, dispiaciuto. Ricominciò a camminare, con la donna al suo fianco. 

 - Ci sono novità per la prossima missione all’esterno? - chiese ad Hanji, cercando di farla concentrare sul suo ruolo da comandante. 

Come prevedibile, la donna iniziò a parlargli delle vaste possibilità che li attendevano e su ciò che aveva intenzione di fare con le loro nuove scoperte. 

Levi la ascoltò con concentrazione, guardando di tanto in tanto l’orizzonte fuori le mura e la vita che si svolgeva al loro interno. 

Nonostante Hanji stesse continuando a parlare, l’udito di Levi sembrò silenziarla improvvisamente. Con la coda dell’occhio notò la presenza di Eren e dei suoi compagni appena sotto il perimetro delle mura. Stavano chiacchierando allegramente, spensierati. Osservò Eren, che persino da quella distanza era facilmente distinguibile. Ne notò i capelli raccolti in un codino, mosso dal vento. Aveva le spalle incurvate e si teneva quasi in disparte. 

Levi inclinò il capo mentre lo osservava assorto. Quello di guardarlo fu un gesto incondizionato, un richiamo che sembrava provenirgli da dentro. Nonostante con la ragione si fosse impegnato nell’evitarlo, distrattamente non fu in grado di distogliere lo sguardo da lui. 

- Levi? - lo richiamò Hanji. - Levi, mi stai ascoltando? 

- Cosa? - chiese, confuso. 

La donna scosse la testa. - A che stai pensando? 

L’uomo arrossì. - Nulla, tranquilla. 

Lei si sporse leggermente sopra la sua spalla, abbastanza da guardare nella sua stessa direzione. Si voltò verso di lui e sorrise. - Cosa stai guardando allora? 

Levi fece un passo indietro, se possibile ancora più rosso in volto. Sostenne con forza di non star guardando nulla. - Ti stavo ascoltando, ho detto.

Hanji si mise una mano sul fianco, e lo guardò intensamente. - C’è qualcosa che vuoi dirmi? 

L’uomo deglutì. Si chiese quanto ci avesse messo l’amica ad accorgersi che c’era qualcosa che non andasse. Soprattutto, pensò, chissà se si era accorta del piccolo scambio di sguardi con Eren. Mise a tacere la voce nella sua testa che lo rendeva così interessato alla connessione col ragazzino, e si voltò verso Hanji. 

- Nulla, te l’ho detto. 

- Vi hi visti ieri notte. - esordì. Levi divenne paonazzo, indietreggiò e barcollò leggermente. L’imbarazzo gli bruciava le viscere. 

Hanji sorrise ampiamente, ammiccando. - Ti sei tradito da solo. - sibilò fra le labbra. 

- Ti ho solo visto andare via all’alba, non ho visto chi fosse in tua compagnia. 

Levi avrebbe desiderato schiaffeggiarsi per quanto si stava comportando in modo ingenuo ed immaturo. 

- Se non vuoi dirmelo va bene, non sei obbligato. - continuò la donna. - Lo scoprirò comunque, visto che oggi ti sei comportato come un ragazzino. 

Nella sua vita, Levi aveva perso il conto di quante volte aveva rischiato di morire, di quanti giganti avesse abbattuto. 

In quel momento, però, avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi sul campo di battaglia. 

 

Hanji gli mise una mano sulla spalla, spingendolo a continuare a camminare. Fece finta di nulla per il resto del pomeriggio, il che fu un incredibile sollievo per Levi, che sentiva nonostante ciò il peso del suo sguardo inquisitorio su di sé.
 



Ciao! Grazie per continuare a leggere la mia storia! A breve uscirà un nuovo capitolo, questo lo ritengo più un passaggio intermedio necessario ad introdurre un paio di vicende. 
Grazie e alla prossima! 

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Capitolo 5
*** Memories. ***


Memories. 


Eren aveva riflettuto molto sugli eventi dei giorni precedenti. Il suo rapporto con Mikasa sembrava essersi disintegrato di fronte ai suoi occhi, come d’altronde tutte le certezze che aveva avuto nella sua vita. A tratti finì per chiedersi se il problema reale nella sua vita fosse lui stesso, e il male che finiva per causare a sé e agli altri. 

Per quanto avesse provato con forza a fare finta di nulla, non riusciva a comportarsi in modo “normale”.

Ogni tentativo di approccio verso l’amica gli sembrava forzato, una mera illusione che le cose fra loro non fossero radicalmente cambiate. 

Con Armin era diverso, sembrava essere sempre comprensivo nei suoi confronti. La complicazione sentimentale era assente fra di loro, permettendogli di agire con lucidità. Da quando era diventato il Gigante Colossale, Eren poteva dire di aver trovato qualcuno che potesse capire come si sentiva. 

Forte del suo appoggio e dei frequenti incoraggiamenti dell’amico, si decise a parlare con Mikasa. Si conoscevano da troppi anni per potersi comportare come se fossero due perfetti sconosciuti. 

- Io le voglio bene. - aveva spiegato ad Armin. - Non la amo. Non credo, almeno, non nel modo in cui lei desidera. Ciò non toglie che darei la mia vita per lei, che il suo benessere mi sta a cuore. 

L’amico aveva annuito, sorridendo. 

- Magari… - continuò Eren - capiremo insieme cosa c’è fra noi. 

 

Era ora di cena quando Eren si decise ad andare da Mikasa, armato di tutta la calma di cui era capace. Si sarebbe scusato ancora, le avrebbe spiegato e lei avrebbe finalmente capito. Quando hai i giorni contati, pensò, vedi le cose da un’altra prospettiva. Mikasa ha solo bisogno di capirlo. 

Arrivò in mensa e si paralizzò di fronte all’ingresso. 

Dando una breve occhiata all’interno, vide l’amica parlare animatamente con Jean. 

Era più che una conversazione fra amici, di questo era certo. Erano seduti vicini: Jean teneva una mano sul ginocchio della ragazza e l’altra sulla sua spalla, i loro volti erano vicinissimi. 

La cosa che più colpì Eren fu l’espressione di Mikasa. 

Non ricordava quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva vista così radiosa, con un sorriso così spontaneo e gli occhi che brillavano. 

Probabilmente, fin troppo tempo fa. 

Eren sentì un groppo alla gola, il cuore stringersi come se qualcuno glielo stesse stritolando. Come un parassita, si fece strada con ancor più forza l’idea che le persone stessero meglio senza di lui. 

Tenendosi il petto istintivamente, Eren si voltò di scatto e fuggì via, sulle mura. 

Nel tragitto si disse che ciò che provava non era gelosia. 

Non era geloso di Jean per un possibile sentimento amoroso che potesse nascere fra loro: questo gli era ben chiaro. 

Era solo addolorato. 

Il pensiero che la sua lontananza giovasse così tanto a Mikasa lo lacerava dall’interno, senza pietà. Si sarebbe strappato il cuore se non fosse stato certo che gli sarebbe riscresciuto. 

Provò con forza a ricacciare indietro le lacrime, mentre con il dispositivo di movimento tridimensionale si muoveva con velocità fra le case. 

 

Era già buio quando arrivò a sedersi sul ciglio delle mura, finalmente solo e lontano da sguardi indiscreti. Si svestì del suo equipaggiamento, tolse gli stivali e sbottonò la camicia, nonostante il freddo autunnale. 

Il vento gli scompigliava i capelli e lo colpiva sul petto, fra i pochi e sottili peli che gli erano cresciuti in pubertà. 

Prese una grossa boccata d’aria, a pieni polmoni, sperando che alleviasse il bruciore che sentiva alla gola per aver trattenuto il pianto. 

Si rese conto fosse inutile quando gli occhi gli si riempirono di lacrime, nuovamente. 

Dovrei averlo capito ormai, si disse, che sta meglio senza di me. Perché continuare a ferirla, standole accanto? Forse sono un male anche per gli altri. 

Era deluso da se stesso per non essersene reso conto prima, ferito nel profondo dalla sua stessa convinzione. 

Si sentiva un peso immenso per gli altri, ma allo stesso tempo desiderava qualcuno al suo fianco che potesse distoglierlo da quel dolore. 

Come un segno miracolato del cielo, Eren vide in lontananza la sagoma del capitano Levi. Pur essendo buio, nel chiarore della luna riconobbe molto bene la sinuosa cadenza del suo corpo, mentre camminava nella direzione opposta alla sua. 

Probabilmente, pensò Eren, mi ha visto ed è tornato indietro. 

Si disse un po’ deluso da ciò, quando con sua sorpresa il capitano si voltò e si incamminò verso di lui. 

I fianchi di Levi si muovevano con armonia al ritmo cadenzato dei suoi passi, l’espressione fiera e indifferente che lo rendeva l’angelo della morte che tutti erano abituati a conoscere. 

Eren si sentì in dovere di alzarsi in piedi quando lo vide arrivare, ma il capitano gli fece cenno di non farlo. Ancora stupito, il ragazzo si rimise a sedere. 

Levi diede un’occhiata agli oggetti lasciati in un angolo, poi si accomodò accanto a lui. Senza dire una parola, lasciò una gamba pendente oltre le mura, mentre l’altra era piegata quasi a toccargli il petto. Si sbottonò i primi due bottoni della camicia e passò la mano fra i capelli. 

Confuso, Eren si voltò verso di lui. I suoi occhi indugiarono sul profilo del suo volto, la pelle chiara che rifletteva la luce della luna. Lo sguardo scese ad osservare il collo, le ossa delle clavicole lievemente sporgenti, i muscoli del petto e delle braccia ben evidenti anche sotto la camicia. 

Resosi conto di essere inopportuno, Eren si voltò dall’altro lato, imbarazzato. 

Levi si lasciò sfuggire una risata leggera. 

- Almeno hai smesso di piangere. - disse, ammiccando. 

Eren arrossì. 

- Cosa ti porta qui stanotte? - chiese il capitano. 

Il ragazzo non capì il motivo dell’interesse improvviso, ma rispose comunque. 

- Gli ultimi giorni mi hanno portato a nuove consapevolezze, volevo schiarirmi le idee per poterle elaborare meglio. 

- Ha a che fare con il rapporto della tua amica Mikasa con Jean? - incalzò. Eren scosse la testa. - Ti ho visto andare via sconvolto, prima. La gelosia fa brutti scherzi. 

Dannazione. 

Levi aspettava una risposta, qualcosa che gli confermasse l’interesse amoroso che ci fosse fra i due. Stranamente, sentiva di doverlo sapere. Era questo il motivo per cui aveva raggiunto Eren. 

Eren scosse la testa ancora. - Io… - iniziò, ma le parole gli si bloccarono in gola, che tornò a bruciargli. Sentì la lacrime riempirgli gli occhi, e si vergognò per la propria debolezza. 

Con sua sorpresa, Levi non si prese gioco di lui. Si voltò e gli fece un mezzo sorriso di incoraggiamento. 

Sospirando, Eren ricominciò a parlare. Per un motivo che non gli sembrava chiaro, raccontò al capitano tutto ciò che era successo: il motivo della tensione con Mikasa, le liti, il tentativo di chiarimento. Sembrava un fiume in piena mentre si liberava finalmente di tutto ciò che lo opprimeva. - Ho sempre saputo che sarei morto giovane, me ne sono convinto da quando ho scoperto le mie abilità. Ma questo è diverso. Sapere di avere i giorni contati mi fa impazzire, Levi. - lo chiamò per nome, per la prima volta. 

Se ne rese conto e fece silenzio per qualche secondo, aspettando un richiamo da parte sua per essersi preso troppa confidenza. Vedendo che il capitano non aprì comunque bocca, continuò a parlare. 

- Posso accettare qualsiasi cosa, ma… vederla così stasera, è stata solo la conferma di ciò che in fondo sapevo già. Sono un male per lei. Non sono in grado di essere forte, i miei dubbi mi rendono solo causa di sofferenze.

Fece una pausa, per riprendere fiato.  

- Come posso convivere con la mia morte se non sono che un peso per i miei compagni? Vorrei liberarli di questo peso. 

Levi annuì, colpito dal fiume di emozioni che Eren aveva condiviso con lui. Si aspettava si trattasse di mera gelosia, non di una questione così seria. Stupito dalla profondità di ciò che aveva detto il ragazzo, prese una decisione della quale sperò di non pentirsi. 

- Sai, Eren, questa notte mi ricorda una notte che passai con dei vecchi amici quasi quindici anni fa. I loro nomi erano Isabel e Farlan. - prese un respiro profondo, a pieni polmoni. Gli fu difficile raccontargli di loro, del modo in cui aveva pensato di salvarli allontanandoli da sé, e di come era andata a finire. Con estremo disagio, gli disse di quella notte in cui, seduto con loro sul ciglio delle mura, aveva contemplato il cielo e di come, il giorno dopo, aveva avuto ciò che restava dei loro corpi fra le mani. 

- Non è sempre tuo il compito di tenere gli altri al sicuro, Eren. - continuò il capitano. - Spero tu te ne renda conto prima che sia troppo tardi. 

Il ragazzo lo guardava negli occhi, pendeva dalle sue labbra. - Io… non ne avevo idea. - disse, riferendosi alla storia di Levi. - Mi dispiace. 

L’uomo scosse leggermente la testa, come a dirgli di non preoccuparsi. Si alzò in piedi, e da quella prospettiva il suo sguardo indugiò su Eren e sul suo volto attonito. - Hai molto su cui riflettere, Eren. Ti lascio con questa raccomandazione. 

Dette queste parole, si diede uno slancio con il dispositivo di manovra tridimensionale e si allontanò nella notte, sotto l’attento sguardo del ragazzo, rimasto senza parole.

 


Ciao! Grazie per aver letto questo capitolo ed essere giunti a questo punto della storia. 
Un abbraccio caloroso dall'autrice, al prossimo capitolo! 

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Capitolo 6
*** Before you go. ***


Before you go. 


Erano passati giorni dal bizzarro discorso che aveva avuto con Levi, eppure Eren non poteva fare a meno di pensare ad altro. Gli ultimi giorni erano stati completamente occupati dalla sua smania di comprendere cosa avesse portato il capitano ad avvicinarsi a lui. 

Durante le esercitazioni con Hanji, i suoi occhi non facevano che andare alla ricerca di Levi, di un suo possibile cenno o sguardo. Sentiva non solo la voglia di capire cosa avesse significato per sé quella notte, ma soprattutto la necessità di sapere cosa aveva rappresentato per il capitano. 

Non aveva avuto, tuttavia, ancora il coraggio di affrontare Mikasa e dirle la verità. Non che non ci avesse provato, ovvio, ma esauriva le parole nel momento esatto in cui si avvicinava a lei.  

Ora che i nella folla dei suoi pensieri si era aggiunto anche Levi, poi, gli risultava ancora più difficile concentrarsi.

 

Quel giorno Eren notò una cosa insolita: il capitano non si era presentato agli allenamenti. Aveva sentito le altre reclute parlottare fra loro del fatto che negli ultimi giorni Levi era stato più scostante, le sue immancabili occhiaie erano sempre più scure e marcate. Addirittura aveva sentito qualcuno, fra i membri più giovani, ipotizzare che il capitano fosse malato. 

Eren non riusciva a spiegarsi questo ulteriore peggioramento nella salute del capitano, soprattutto dopo quella profonda conversazione che avevano avuto. Sembrava quasi che fosse tormentato da qualcosa, e che questo tormento lo rendesse più emaciato del solito. 

Eren si disse disinteressato dalla cosa, inizialmente, non poteva preoccuparsi anche di lui. Ma più passavano le ore più si faceva strada in lui la voglia di parlare con Levi, di capire cosa avesse, di stare semplicemente in sua compagnia. 

Non lo aveva ancora ammesso a se stesso, ma Eren aveva sentito una sensazione di pace e appagamento in quelle ore passate con Levi, e provava un desiderio irrefrenabile di sentirla ancora. 

Non sapeva da cosa derivasse quella sensazione, né in che modo fosse collegata a Levi: tutto ciò che sapeva, però, era che quella notte con lui, si era sentito bene davvero. 

L’unico modo che aveva per capirlo era quello di passare ancora del tempo con lui. 

Per cui, se Levi non si sarebbe fatto vivo, avrebbe trovato il modo di parlarci. 

 

Andare a bussare in casa sua era completamente fuori discussione. Eren era perfettamente consapevole che sarebbe stato un oltrepassare il limite, e non voleva rischiare di rovinare il rapporto che si stava venendo a creare fra loro. 

Piuttosto, si disse, lo avrebbe cercato nei luoghi che frequentava di più. Era quasi notte fonda quando Eren si rese conto che la sua ricerca non lo avrebbe portato da nessuna parte, finché ebbe un’illuminazione. 

Lo avrebbe cercato nel posto in cui era andato la prima volta che si erano incontrati, quell’angolo sulle mura dove si rifugiò per soffrire per il defunto comandante Erwin in solitudine. 

Combattuto fra l’ipotesi per cui la sua idea fosse realmente stupida e quella per cui Levi avrebbe avuto una pessima reazione per la non richiesta violazione della sua privacy, Eren si fece strada fra gli edifici. 

Proseguiva spedito, deciso. Era importante che lo raggiungesse, che ottenesse di passare ancora del tempo con lui. 

Non si sorprese di muoversi così bene nel buio: non era la prima volta che notava quanto il velo della notte gli giovasse.  

Si fermò solo quando, giunto a pochi metri da lui, vide la sagoma di Levi. 

Si prese qualche secondo per contemplarlo: sotto il bagliore della luna, la sua pelle candida splendeva. Era a torso nudo, ed Eren sentì un brivido lungo la schiena quando si trovò ad osservare la schiena muscolosa del capitano, la sua sottile e sinuosa sagoma. Nel punto in cui il collo incontrava i capelli rasati, Eren notò quanto fossero tesi i suoi nervi. 

Era bello, non poteva negarsi di pensarlo. Non era una bellezza tipica, usuale. Eppure Eren non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. 

Non sapeva se ritenere più strano pensare una cosa del genere di un uomo, visto che non aveva mai avuto davvero il modo di soffermarsi sulla propria sessualità, o se fosse più strano pensarlo di un proprio superiore. 

Eppure, pensò Eren, quanto è bello. 

Arrossì, e ringraziò che ci fosse l’oscurità a nasconderlo. Strinse il codino con cui teneva i capelli legati, prese coraggio, e andò a sedersi alla destra del capitano. 

Levi si voltò verso di lui non appena mise piede sulla superficie delle mura, ma ciò non fermò Eren. 

Dal suo canto, nemmeno Levi sentì la necessità di bloccarlo. Fu anzi quasi felice di vederlo, sollevato dal fatto che gli avesse tolto ancora una volta il peso della propria solitudine. 

Il capitano sorrise, guardandolo negli occhi, ma rimase in silenzio. 

In qualche modo, sapeva già il motivo della sua presenza lì e, per quanto volesse eliminare quel pensiero dalla sua testa, sapeva che anche lui, in parte ,sperava di incontrarlo. 

Eren fu colpito da quel sorriso, più unico che raro. 

- Come stai? - gli chiese, con sincero interesse, ma con la dovuta cautela. Eren temeva moltissimo la possibilità di star esagerando, di “spaventarlo” prendendosi troppa libertà nell’approcciarsi a lui. 

Sorprendentemente, però, non si sentiva teso. 

Levi fece spallucce, senza sapere cosa dire. Qualcosa dentro di lui gli urlava di parlare con Eren, di liberarsi del peso che si portava con sé ogni giorno. 

Come se avesse avvertito l’indecisione di Levi, il ragazzo decise di parlare per primo. - Non ho ancora avuto il coraggio di parlare con Mikasa. Ogni momento mi sembra inopportuno. 

Levi continuò a stare in silenzio. 

- Ho notato che non eri presente oggi. - chiese Eren, colmo di ansia. - Che succede? 

Il capitano ignorò il groppone che aveva alla gola, mentre guardava Eren negli occhi. Avrebbe voluto accontentarlo, ma ogni volta che pensava di parlargli, gli sembrava di fare un torto ad Erwin. Quell’uomo lo aveva amato così tanto, in ogni momento della sua vita da quando lo aveva conosciuto. E Levi era colmo di gratitudine nei suoi confronti, al punto da essere stato in grado di mettere da parte il proprio egoismo per lui, e lasciarlo morire. 

Eppure, da quando era morto, Levi sapeva di non essere stato più lo stesso. 

- Erwin mi ha insegnato a vivere senza rimpianti. - disse, improvvisamente. - L’ho conosciuto durante una missione. 

Eren annuì, attento. 

- Quando ero giovane, vivevo sottoterra. La mia vita non è mai stata semplice. Un uomo mi propose un accordo: la vita di un uomo che non conoscevo, Erwin appunto, in cambio della mia libertà. Accettai. Mi unii al corpo di ricerca quando fummo scoperti dai membri dell’Armata ed Erwin stesso. Lui riconobbe le mie abilità e mi chiese di unirmi a lui. Nonostante probabilmente sapesse il motivo per cui mi ero avvicinato a lui, mi ha accolto fra i migliori membri della sua squadra. Non passò molto tempo prima che, quel maledetto giorno, nel mio tentativo di trovarlo e ucciderlo finii per perdere di vista Isabel e Farlan, lasciando che morissero a causa mia. Preso dalla rabbia, massacrai il gigante che ne era responsabile, ma non bastò a saziare la mia sete di vendetta. Dichiarai davanti a tutti di voler uccidere Erwin quando mi resi conto che lui sapeva tutto della nostra missione, rendendo di fatto tutto inutile. Stavo per aggredirlo, adirato per aver preso la decisione sbagliata, quando mi ha fermato. “Non farlo.” mi ha detto. “Se inizi ad avere pentimenti, influenzerai le tue scelte future e lascerai che gli altri decidano per te.” Mi ha lasciato lì, insanguinato e disperato, mentre si è allontanato a cavallo.

Si fermò a prendere fiato. 

Eren lo guardava intensamente.

- Ho deciso di seguirlo quel giorno, di donare la mia vita al suo scopo. Ho vissuto provando a seguire il suo ideale, a vivere senza rimpianti. Eppure, oggi mi trovo a convivere con un enorme fardello: ancora una volta qualcuno a me caro è morto e io mi trovo ad averne la responsabilità. Non posso accettarlo. So di aver agito per lasciarlo riposare, per non costringerlo ancora ad una vita in cui aveva bisogno di mettere da parte la propria umanità per il bene comune. Eppure non riesco a perdonarmelo, non riesco a smettere di chiedermi se ho fatto la cosa giusta. 

Dette queste parole, Levi si distese sul pavimento, stanco. Si sentiva distrutto, senza forze. Eren fece lo stesso: si distese accanto a lui, gli occhi fissi sul cielo costellato di stelle. - Dovresti perdonarti, Levi. Non solo hai agito per il suo bene, hai sofferto rinunciando a lui, solo per liberarlo dalla sua sofferenza.

Ci fu un silenzio che sembrò durare ore, entrambi a disagio per la situazione a cui non erano abituati. Fu Levi che, imbarazzato dalle sue parole e dall’intimità che stava raggiungendo con Eren, si alzò a sedere. - La luna è alta in cielo, presto sarà mattino. Dovremmo tornare. 

Fece per alzarsi, ma Eren gli prese un braccio impulsivamente. Le sue mani grandi avvolgevano quasi totalmente l’avambraccio del capitano, stringendolo più del dovuto. 

- Prima che tu vada… - disse, con un flebile sussurro, prima di avvolgerlo con le sue braccia e baciarlo. Fu un bacio timido all’inizio, quasi innocente. Levi, inizialmente fermo fra le mani grandi di Eren, si avvicinò ancora di più a lui, approfondendo il bacio. Il suo sapore lo inebriò, facendolo sentire leggero come non era mai stato. Levi passò le mani affusolate sulle spalle muscolose del ragazzo, sui fianchi e sulla schiena. Gli sciolse i capelli e li afferrò, mentre lo baciava con ancora più passione. Quando si staccarono, si sentirono entrambi come appena risvegliati da un sogno. 

Levi guardò un’ultima volta negli occhi Eren, prima di slanciarsi via e scappare. 

Il ragazzo fissò la sua sagoma finché non fu troppo lontana dal non poterla più vedere, poi, andò via anche lui nei primi bagliori del mattino. 



Grazie per aver letto questo capitolo, spero che ai miei lettori stia piacendo tanto quanto piaccia a me! 
Thamk you for reading, see you next time! 

 

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Capitolo 7
*** Mind is a prison. ***


Mind is a prison.


Nonostante Levi si sentisse a disagio per la situazione totalmente nuova, non si negò un altro paio di incontri con Eren, in cui si tennero compagnia e si scambiarono un paio di tenere effusioni. Nessuno dei due, però, ebbe mai il coraggio di chiedere all’altro la natura della loro nascente relazione, o comunque il destino che avrebbe avuto. 

Tutto ciò che speravano era di godersi il momento, giacché non sapevano quanto sarebbe durato. Eren gli aveva raccontato della sua infanzia, della natura del suo rapporto con Mikasa; Levi gli aveva raccontato, dopo molteplici richieste, di come fosse la vita sottoterra, di chi fosse sua madre, di come avesse vissuto praticamente da solo per anni. 

Levi aveva persino ricominciato a dormire una notte o due, cosa più unica che rara da quando Erwin era morto e la sua insonnia era peggiorata.

Durante il giorno, cercavano di ignorarsi quasi totalmente. Si limitavano a guardarsi di tanto in tanto, a scambiarsi piccoli sorrisi. Ad entrambi stava bene così, evidentemente, visto che non avevano mai espresso il desiderio di portare la loro relazione, se così poteva essere chiamata, allo scoperto. 

Chiunque avrebbe potuto notare un visibile cambiamento in Levi, nonostante non si fosse liberato del suo sguardo supponente di superiorità. Sembrava quasi star tornando ad essere il Levi Ackermann che tutti erano soliti conoscere. 

 

La sua gioia, però, ebbe vita breve. Hanji gli chiese di vederlo con urgenza, e in pochi minuti si trovò a casa sua, seduto di fronte a lei. 

- Come potevi pensare che non me ne sarei accorta? Che nessuno se ne sarebbe accorto? 

L’uomo la guardò con aria interrogativa. - Vi ho visti, tu ed Eren. 

Levi arrossì, imbarazzato. - Che… cosa intendi? 

- Non sono tonta, né ceca. - continuò. - Cosa c’è fra voi? 

Come prevedibile, l’uomo scosse la testa, in segno di negazione, e fece spallucce. Furente, Hanji si alzò per bere un po’ d’acqua. - Sto pensando a cosa dirti da tutta la giornata. Non sono nessuno per dirti come vivere la tua vita, né per giudicarti. Nonostante questo, credo che tu stia sbagliando. 

- Cosa hai visto? - le chiese. 

Hanji sospirò, chiedendosi perché si fossero messi in quella situazione. - Anche un cieco noterebbe come lo guardi, Levi, e come lui guarda te. E poi… 

Si fermò, temendo di mettere l’amico in imbarazzo ulteriormente. 

- Poi? - incalzò Levi, alterato. 

- Poi vi ho visto baciarvi, l’altra sera. Era quasi mattino, e io stavo andando a controllare che fosse tutto pronto per gli esperimenti che avrei dovuto condurre con Eren il giorno dopo. Sono andata via subito, sia chiaro. 

Levi aggrottò le sopracciglia. - Arriva al punto. 

- Il punto è che non deve succedere più. Qualsiasi cosa ci sia fra voi, deve finire subito. 

- Come puoi chiedermelo? - disse Levi, alzando la voce più di quanto avrebbe dovuto. - Dovresti badare alle tue questioni, piuttosto. 

- Perché proprio lui, Levi? Io… non capisco. - chiese genuinamente la donna. 

- Mi fa stare bene. Non credo di doverti altre spiegazioni, comandante. - rispose l’uomo, con voce aspra. 

Hanji lo guardò negli occhi, che la fissavano decisi, quasi con aria di sfida. 

- Credi davvero sia la cosa giusta? - tuonò Hanji. - Io ci tengo alla tua felicità, Levi, lo sai. Ma io non credo che… 

Levi scosse la testa. - Tu non capisci… non puoi capire. 

- Capisco benissimo, ma non è con lui che sostituirai Erwin. Il vuoto che ha creato la sua assenza non si colmerà in questo modo. 

Levi si alzò in piedi, scuro in volto. - Come osi… - sibilò. - Come osi pensare che io voglia sostituirlo? 

Hanji arrossì, imbarazzata per ciò che aveva detto nella rabbia. Non aveva mai creduto che fosse sostituibile Erwin, né che Levi volesse rimpiazzare il grande amore che provava per lui con qualcun altro. Voleva solo che Levi si rendesse conto che attaccarsi ad Eren non sarebbe stato sano per lui.

- Non intendevo questo, Levi. - disse piano. - Perdonami, lo so che Erwin occuperà un posto nel tuo cuore per sempre. 

L’uomo tornò a sedersi, tremante. - Non posso continuare a vivere con il suo fantasma, Hanji. - disse a voce bassa. Deglutì rumorosamente, cercando di ignorare gli occhi lucidi. - Sto morendo con lui, non posso continuare così. 

La donna annuì, avvicinandosi a lui. - Lo so, ma non sarà Eren ad alleviare il dolore. Tu lo sai che lui morirà, lo sai bene. È imprevedibile, ha un potere che ancora non conosciamo a pieno. Al di là del punto di vista morale, hai riflettuto sul fatto che potrebbe metterti in pericolo? 

Hanji notò con sorpresa che Levi faceva finalmente silenzio. Facendo leva su questo, continuò. - Lo hai detto tu stesso che i sentimenti sul campo di battaglia sono deleteri. Sono una distrazione. C’è in gioco molto di più che l’amore, Levi. 

L’uomo la guardò negli occhi, fece un piccolo cenno con la testa. Era furioso, ma di una furia disperata. Sapeva che Hanji era stata ragionevole, era nel giusto. 

Senza salutare, uscì dalla stanza, deciso ad allontanare per sempre Eren Yeager dalla sua vita. 

Non aveva scelto di innamorarsi di lui, ma poteva scegliere di lasciarlo andare. 

 

Provò con forza ad evitare qualsiasi incontro con Eren. Era consapevole che evitarlo e rimandare l’inevitabile fosse inutile, ma non ebbe la forza di dirglielo in faccia. 

Cosa avrebbe dovuto dirgli poi? Come avrebbe dovuto dirlo? 

Per quanto fosse da codardo, scelse la strada più semplice. 

Durante le sessioni d’addestramento poteva sentire gli occhi interrogativi di Eren su di sé, che lo fissavano non più amorevolmente, ma tristi e colmi di domande. 

Levi ne soffriva più di quanto avesse voluto ammetterlo, ma si fece forza: non poteva mettere il proprio benessere davanti a quello del suo ruolo di capitano. Sperava solo che prima o poi Eren se ne rendesse conto, pur sapendo che non lo avrebbe perdonato mai. 

 

Erano passati giorni dall’ultima volta che si erano visti da soli, ed Eren non poteva smettere di pensarci. La sua mente era affollata di domande. Cosa provava per Levi? Cosa poteva mai spingerlo a stare con lui? Ma soprattutto, perché lo stava evitando da un giorno all’altro? 

La sua confusione divenne presto rabbia, e la rabbia si trasformò in tristezza. 

Nonostante tutto, non ebbe il coraggio di affrontarlo: sarebbe stato troppo doloroso.

Decise piuttosto di fronteggiare Mikasa, chiarire con lei e sistemare almeno un piccolo tassello nella grande e caotica serie di eventi che era la sua vita. 

Aspettò l’ora di cena per parlarle in mensa, nella speranza che la moltitudine di persone l’avrebbe scoraggiata dal fare una scenata. 

Quando varcò la soglia, da lontano vide Armin sorridergli, incoraggiandolo. Si avvicinò con cautela a Mikasa, seduta con sua sorpresa accanto a Jean. 

- Puoi… puoi lasciarci soli un attimo? - chiese, incerto. 

Il ragazzo gli sorrise, annuendo. Fece una carezza in segno di saluto alla ragazza e si allontanò. 

- Ti ho vista molto felice. - accennò Eren, non sapendo da dove iniziare. 

- Cosa vuoi? - chiese duramente la ragazza. - Ti è venuta voglia di giocare con il tuo giocattolo dopo che lo hai visto nelle mani di un altro? 

Eren scosse la testa. - Ascoltami, ti prego. Dammi una possibilità di spiegarmi. 

Mikasa annuì. 

- Ti ringrazio. - disse, resosi conto di non avere idea di come cominciare il discorso. 

- Non posso immaginare come tu abbia vissuto la notizia della mia imminente morte, lo so. Ma non puoi immaginare come sia scoprire di avere i giorni contati e non aver mai vissuto davvero. 

Con queste parole catturò l’attenzione della ragazza, la cui espressione si addolcì. 

- Non posso negare di aver sbagliato nei tuoi confronti. Abbiamo sempre avuto un rapporto ambigui, noi due, lo sappiamo. Quella sera io l’ho complicato ulteriormente. Non avevo intenzione di ferirti, non ne ho mai avuta. Te lo assicuro. Ti ho sentita così vicina quella sera che ho pensato fosse quello di cui avevamo bisogno entrambi, ho agito di istinto: mi sono attaccato al tuo amore per non concentrarmi sulla mia morte. Ho riflettuto molto nelle ultime settimane su come avverrà la mia fine, su cosa mi lascerò indietro, sul fatto che non voglio morire pensando “se avessi fatto questo” o “se avessi fatto quello”. Non mi giustifica dall’averti illusa, dall’aver creato delle aspettative che non potevo mantenere. 

Mikasa ascoltava attenta. - Perché non sei venuto a parlarmene prima? 

Eren esitò, ma la ragazza gli afferrò con forza e rabbia la spalla. - Sii sincero. - disse fra i denti. 

- Ti ho vista con Jean… io mi sono sentito di troppo. Se lui è stato capace di renderti felice in così poco, evidentemente io sono solo un male per te. Non voglio essere un peso per te. Sono un fratello per te, un amico, forse a volte sono stato anche di più. Meriti di essere felice, anche se la cosa non mi include. 

Leggermente commossa, Mikasa scosse la testa. - Sei uno stupido, non è allontanandoti da me che mi farai felice, ma standomi accanto e affrontando tutto questo con me ed Armin, come abbiamo sempre fatto. Come una squadra. 

Le parole di Mikasa sembrarono sollevare un macigno dal cuore di Eren, che istintivamente abbracciò la ragazza, affondando il volto nei suoi capelli, per nascondere agli altri le sue lacrime di gioia. 

I due rimasero così per minuti indefiniti, sembravano tornati bambini, aggrappati l’uno alla sicurezza dell’altro. 

Inconsapevoli che dall’altra parte della stanza, Levi Ackermann li stava osservando con malinconia.

 


Grazie per aver letto questo capitolo e un grazie caloroso a chi ha inserito la storia fra le preferite, le seguite o le ricordate. Mi rendete estremamente felice! Spero vi sia piaciuto questo capitolo (compreso di Levi guardone), uno degli ultimi purtroppo. 
Thank you for reading, al prossimo capitolo! 

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Capitolo 8
*** Won't let go. ***


Won’t let go. 


- Domani partiremo per una breve ricognizione all’esterno. - affermò Hanji, parlando con tutta la legione esplorativa. - Mancano poche settimane e saremo pronti per affrontare il lungo viaggio che ci porterà dai nostri nemici e, con tutta probabilità, al mistico mare. - disse, sorridendo ad Armin mentre pronunciava le ultime parole.

- Ci assicureremo di essere tutti in grado di riconoscere i segnali di avviso, anche e soprattutto per quanto riguarda le nuove reclute. Vi voglio attivi e sicuri di voi. Questa è l’ultima occasione per essere più operativi sul campo prima della spedizione principale. Conto su di voi! 

Tutta l’armata le fece il saluto militare, in segno di conferma e rispetto. 

 

Il mattino dopo partirono all’alba. Eren si trovava nel piccolo gruppo al centro dell’Armata, insieme ad Armin, Hanji e un paio di reclute che conosceva solo di vista. Alla loro destra, quasi troppo lontani per vederli ad occhio nudo, Mikasa, Jean, Connie e, anche con loro, diverse reclute. 

Alla loro sinistra viaggiava Levi Ackermann, con Sasha e alcune fra le reclute che si erano dimostrate migliori. 

Eren passò la prima ora del viaggio ad osservarlo. Nonostante il sottofondo di Hanji e Armin che discutevano della strana mancanza di giganti e della fitta nebbia che avrebbe potuto distrarli, Eren fu completamente ipnotizzato dall’uomo. Il modo in cui cavalcava, le gambe avvolte intorno al corpo del cavallo, le anche che si muovevano sinuosamente al ritmo dei movimenti dell’animale, i capelli portati all’indietro dal vento, lo fecero eccitare. Non poteva fare a meno di desiderarlo, fisicamente e sentimentalmente, nonostante il brusco allontanamento che c’era stato fra loro. 

Sapeva che era sbagliato, che qualcuno avrebbe potuto notarlo, ma era troppo concentrato sulla possibilità di poterlo guardare così da vicino dopo settimane. 

- Eren. - la voce preoccupata di Armin interruppe il suo sogno ad occhi aperti. 

- La nebbia si sta facendo troppo fitta. Nelle retrovie credo che non siano più in grado di vederci. Nonostante io continui a mandare segnali di fumo verde, si disperdono nella nebbia prima che qualcuno possa notarli e seguirli. 

Hanji fece rallentare il suo cavallo e gli toccò una spalla. - Mi allontano a vedere come stanno gli altri ed avvisarli, cerchiamo di raggiungere la Foresta degli Alberi Giganti. Non importa cosa succeda Eren, tu scappa con Armin in qualsiasi caso e non trasformatevi mai. È un ordine del tuo comandante, sono chiara?

Eren annuì, incerto, mentre Hanji Zoe spariva nella nebbia. Armin lo guardò preoccupato, ma non proferì parola. La nebbia era così fitta che non riusciva più ad individuare il gruppo di Mikasa, né quello di Levi. 

Cazzo.

Proseguirono per qualche centinaio di metri, fin quando sentirono un urlo di una voce femminile squarciare il silenzio. Si voltarono tutti istintivamente, non riuscendo però né a capire da dove né da chi provenisse. 

- Vado a controllare. - disse Eren sottovoce all’amico. - Coprimi.

Svoltò sicuro alla sua destra, pronto a controllare se Mikasa stesse bene. 

Proseguì nel nulla per minuti interi, finché non distinse nella foschia la sagoma agghiacciante di un gigante. 

Sarà stato venti metri come minimo. In posizione semi-eretta, era affacciato verso il basso per guardarli. Gli occhi erano vacui e la bocca inquietantemente distorta in un ampio sorriso, che rivelava numerosi e grandi denti. 

Ai suoi piedi, ciò che restava dei cadaveri di due reclute. 

Fra le mani stringeva il corpo di Sasha, che provava a dimenarsi e a ferirlo, senza successo. Dietro di lui vide Mikasa, evidentemente confusa. Era posizionata in controluce, quindi il bagliore della nebbia le impediva di avere una visione chiara come quella di Eren. 

- Mikasa! - urlò più forte che potesse. - Me ne occupo io! 

Alzò il cappuccio sulla testa, impugnò le spade e si diede uno slancio verso il gigante, attaccandosi alle sue carni con il dispositivo di manovra tridimensionale. 

Sorprendentemente, prima che potesse arrivare a toccare il gigante fu scaraventato via con violenza. 

- Sei un dannato. - sentì dire Eren.

Confuso, Eren riconobbe Levi che si scagliava contro il gigante. 

Aveva cercato di proteggerlo?

Con infinita maestria, l’uomo tranciò la mano che stingeva Sasha con entrambe le spade. I suoi occhi erano furenti, l’espressione corrucciata e il volto già ricoperto di sangue. Destreggiandosi fra la mano ingorda del gigante e le sue enormi fauci, Levi colpì svariate volte i tendini del gigante, per potersi muovere con sicurezza. Aiutandosi con il dispositivo, si lanciò verso il collo del gigante. Il mantello che si gonfiava alle sue spalle per il vento contribuì a renderlo simile a un dio, un angelo della morte pronto a prendere la vita di chi minacciava la sua e quella dei suoi cari. Con un colpo netto, tranciò la nuca del gigante. 

Eren lo guardò camminare verso di lui ancora sporco di sangue, l’espressione seria e lo sguardo penetrante. - Hai disobbedito. - disse, ma Eren percepì preoccupazione nella sua voce. 

- Sei ferito? - gli chiese, ed Eren rispose di no. - Bene, raggiungiamo la Foresta prima che sia troppo tardi. 

Montarono a cavallo insieme agli altri membri che erano riusciti a raggiungerli, e si incamminarono. 

Arrivati alla Foresta, concordarono di aspettare fosse notte per poter tornare fra le mura con più sicurezza. 

Levi accettò i comandi e si allontanò, con aria tesa. 

Come se attirato da un richiamo istintivo, Eren attese che fossero tutti distratti per seguirlo. 

Lo vide togliersi il mantello sporco di sangue e sbottonarsi la camicia in piedi su un ramo molto grande di uno degli alberi della Foresta. Eren decise che non gli avrebbe dato modo di parlare o di spiegarsi: per una volta, agì di istinto, seguendo il proprio volere.  

Ricorderai ancora il sapore del mio amore?

Con un braccio, mise Levi con le spalle al muro. Si avvicinò, mettendo a contatto il proprio corpo con il suo. Si guardarono negli occhi. - Eren… - sussurrò. 

Il loro bacio fu intenso, infinito. Nonostante la sorpresa iniziale, Levi rispose con entusiasmo. Le sue mani vagarono sulla schiena dell’altro, stringendolo con passione.  Eren era leggermente piegato su di lui, per raggiungerlo nonostante la differenza di altezza. 

Quando si staccarono per prendere fiato, si guardarono negli occhi con amore. 

Eren si avvicinò ancora per poterlo baciare, ma Levi lo fermò con la mano. Distolse lo guardo.

- È tutto sbagliato, Eren. - disse debolmente. - Io e te… tutto questo è magnifico ma non possiamo. 

Il ragazzo lo guardò interrogativo.

 - Ci sono troppe cose in ballo, non è bene farci coinvolgere. - continuò, toccandogli una guancia con la mano. - La tua incolumità, prima fra tutte. Poi sono un tuo superiore, questa cosa se si venisse a sapere…

Eren ridacchiò, mentre si avvicinava a Levi incurante delle sue parole. A un soffio dalle sue labbra, disse - Non ti spaventano i titani, Ackermann, ma hai paura delle voci di corridoio? 

Tornò a baciarlo, con più forza questa volta. Lo tirò a sé con entrambe le braccia, e l’uomo lo lasciò fare. - Non mi importa di tutto questo. - disse Eren, fra un bacio e l’altro. 

Scese a baciargli il collo, approfittando della sua camicia già aperta. - Eri così provocante mentre eri a cavallo. - disse con voce roca. - Ti va se… 

La sua frase fu interrotta dal suono di un segnale di fumo, segno che dovevano radunarsi tutti. 

- In effetti è tardi, dovremmo partire prima che sia notte fonda. - disse Levi, cercando di mantenere un tono serio. Non poteva lasciare che la distrazione di un pomeriggio buttasse all’aria tutto l’impegno che aveva messo nel mantenere le distanze da Eren. 

Si ricomposero, facendo finta di nulla. 

Riunitisi con tutto il resto della squadra, con il favore della notte partirono per tornare alle mura. 

 


Grazie per aver letto anche questo capitolo della storia, che sta ormai giungendo a conclusione. Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno messo la storia fra le preferite o le seguite, è un onore per me. 
Alla prossima! 

 

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Capitolo 9
*** Stay with me. ***


Stay with me. 


Eren capì, durante il viaggio di ritorno, che la situazione fra loro non sarebbe cambiata, nonostante quello che era successo. 

Era stato ingenuo: era pronto a donare tutto se stesso a lui, mentre l’altro non riusciva a superare l’ostacolo che rappresentavano i loro ruoli nella vita quotidiana. Sapeva benissimo che Levi era il suo capitano, ma non gli importava. Avrebbe vissuto nella menzogna per tutto il tempo che gli restava da vivere, se avesse comportato passare altro tempo con lui. 

Mentre cavalcavano, Eren notò che Levi era scuro in volto. Guardava in basso, era ancora spettinato e in disordine, cosa più unica che rara per il perfezionismo del capitano. Sembrava pensieroso e cupo, ed Eren non potè fare a meno di domandarsi il perché. Nel guardarlo così impensierito, il ragazzo pensò che probabilmente era meglio chiudere in quel modo la loro relazione: avrebbe solo sofferto di più nel perdere inevitabilmente una persona cara. 

Mi dispiace solo, pensò Eren, non avergli mai detto cosa provo realmente. 

Come se lo avesse ascoltato, Levi si voltò verso di lui poco prima di oltrepassare le mura: gli sorrise dolcemente. Era un sorriso triste, che sapeva di addio. L’ultimo atto di complicità che si sarebbero concessi. 

Addio, Levi Ackermann. 

 

Passarono giorni e giorni da quella spedizione. I due avevano tenuto fede alla loro promessa, allontanandosi l’uno dall’altro e soffrendone in silenzio. 

Eren aveva tenuto tutto per sé, lasciandosi consumare dalla certezza che il capitano sarebbe andato avanti anche senza di lui. 

Levi sembrava essere tornato quello di sempre: spietato e insensibile. Solo Eren e Hanji notarono quanto fosse più sofferente la sua voce, più marcate le sue occhiaie, più finta la sua maschera di indifferenza. Il ragazzo si riservava il piacere di osservarlo di tanto in tanto mentre prendeva il the: aveva imparato il suo modo bizzarro di tenere la tazza dal bordo piuttosto che dal manico, aveva notato il bagliore dei suoi occhi lucidi mentre alzava la tazza per bere. 

Non riusciva a non chiedersi se non fosse lui la causa del suo cambiamento, e una parte del suo cuore sperava fosse così. 

 

- Il corpo di Ricerca si preparerà finalmente per la spedizione ufficiale fuori le mura, programmata fra tre giorni esatti. - la voce del comandante Hanji ruppe il silenzio. - Nonostante le difficoltà incontrate nell’ultima spedizione, siamo costretti a fare questo passo. Non sappiamo cosa incontreremo una volta allontanatici tanto dalle mura, ma confido nella vostra prontezza e nella vostra capacità di seguire gli ordini dativi con dedizione. 

Seguì un discorso di incoraggiamento che Eren ignorò involontariamente, troppo occupato a pensare a ciò che avrebbe dovuto affrontare una volta fuori le mura. Si stava avvicinando il giorno in cui avrebbe incontrato i propri nemici, il giorno in cui avrebbe compreso se gli anni che gli restavano da vivere sarebbero bastati per vendicare sua madre e liberare l’umanità intera. Sentiva il peso di questa responsabilità gravare su di sé come un macigno, il dovere di salvare l’umanità e la consapevolezza di non esserne capace. Scorse gli occhi emozionati di Armin illuminarsi mentre ascoltava Hanji e sorrise, chiedendosi come facesse ad essere entusiasta quando il peso della propria condizione di gigante gravava su di lui. 

Eren sentì la testa girargli per i troppi pensieri e decise di allontanarsi dalla folla, per poter pensare. 

Quando uscì dall’edificio, una pioggia gelida lo colpì. Eren sospirò, mentre lasciava che la pioggia lo bagnasse e gli schiarisse i pensieri. Resosi conto che non bastava per sentirsi meglio, si allontanò ulteriormente. 

Con il dispositivo di manovra tridimensionale, si spostò fra gli edifici con velocità, nonostante la pioggia e le lacrime che gli offuscavano la vista. 

Non capiva perché si sentisse così scosso dalla notizia, dalla consapevolezza che avrebbe finalmente affrontato il proprio destino. 

Arrivò a sedersi sulle mura, nel punto in cui era solito incontrarsi con Levi. Desiderò parlare con lui con tutto se stesso, come se Levi fosse in grado di strapparlo dalle grinfie della disperazione e riportarlo nel mondo reale. 

- Eren. 

La sua voce riempì il silenzio con un’armonia tale che Eren si chiese se non l’avesse immaginata. Il ragazzo si voltò, gli occhi ancora colmi di lacrime. - Sei qui. - disse il ragazzo, accennando un sorriso. - Non mi aspettavo di vederti dopo… lo sai. 

L’uomo annuì. - Sono qui, però. - disse, mentre prendeva posto al suo fianco, incerto, un po più lontano di come era solito fare. Temeva di fare un passo nei suoi confronti, dopo averlo allontanato ben due volte così bruscamente. Al tempo aveva pensato che Eren non lo avrebbe mai perdonato, ma vedendolo così scosso non poteva far finta di nulla. 

- Non posso credere che stiamo per partire. Sta accadendo tutto così in fretta. Inizio a pensare di non essere pronto, di non essere in grado di salvare l’umanità, i miei concittadini… te. 

L’uomo fece silenzio, incredulo. 

- E se non ci riuscissi? Contate su di me, temo di non essere abbastanza. Non mi restano molti anni da vivere, come faccio a sapere che… saranno abbastanza? - chiese il ragazzo, tremando per il freddo e per il nervosismo. 
Levi si tolse il mantello e con delicatezza lo posò sulle spalle di Eren. Avrebbe voluto sapere cosa dirgli, ma purtroppo era il primo ad essere senza parole. 

- Resta. 
Levi lo guardò interrogativo.
- Resta con me, solo stanotte. - la sua voce era una supplica, un flebile sussurro. 
Il capitano si sedette accanto a lui, la mano sinistra che sfiorava la sua. 
Fa meno male se ci sei tu al mio fianco, pensò Eren, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. 

Si voltarono entrambi nello stesso momento, agganciando i loro sguardi. 
Senza pensarci due volte, Eren lo baciò dolcemente. - Ho bisogno di te, scusami. 
Levi scosse la testa, mentre lasciava che il ragazzo gli appoggiasse la testa sulla spalla. 
Contemplarono entrambi il cielo per un po’, lasciando che Eren si calmasse. 

- Dovremmo tornare. - disse Levi. - Si accorgeranno tutti che manchiamo. 

Eren annuì, si alzò in piedi e fece per andarsene. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si sentiva troppo in difficoltà per farlo. Gli sorrise, ringraziandolo in modo tacito, prima di allontanarsi. 

Guardandolo andar via, Levi sorrise. - Cosa mi stai facendo, Eren Yeager? 

 

Senza nemmeno tornare in camera propria, Levi decise di fermarsi da Hanji. Avrebbe voluto spiegazioni, e l’uomo aveva deciso di dargliele ancor prima che gli facesse il terzo grado. 

- Hanji, sono io. - disse, mentre bussava alla sua porta. 

La donna sorrise. - Guarda un po’ chi si rivede. - disse, ridendo e facendogli spazio per farlo entrare. - Ti preparo del the. 

L’uomo si accomodò, aspettando che lei gli dicesse qualcosa riguardo l’assenza sua e di Eren, ma con sua sorpresa non lo fece. 

- Mi dispiace non averne parlato prima con te della data che avevo fissato per la partenza, ma l’ho deciso in ultimo. Sono così emozionata, non posso nemmeno immaginare come sarà. 

L’uomo annuì, fingendo di essere d’accordo con le sue parole. 

- Come stai? - gli chiese all’improvviso, lasciandolo di stucco. - Ti vedo stranamente di buonumore stasera, e dubito fortemente sia per l’imminente partenza. 

Levi fece spallucce, evidentemente imbarazzato. 

- Io… 

- C’è qualcosa che non mi dici? 

L’uomo evitò lo sguardo inquisitore della donna, mentre prese la tazza di the. 

- Sono contenta che tu abbia ascoltato i miei consigli e ti sia allontanato da Eren. - continuò Hanji, con l’evidente intenzione di provocarlo. - Sai, fra le fila dei soldati ho sentito molto parlare di te. Dicono tu sia tornato l’uomo senza cuore di sempre. 

- E questo? - Hanji lo guardò, attonita, mentre Levi indicava il proprio volto. - Questo ti sembra il volto di un uomo senza cuore?

La donna boccheggió, senza parole.

Il volto di Levi non era mai stato senza cuore. Ripensò a tutte le volte che lo aveva visto sporco di sangue, che fosse suo o meno, illuminato dalla sua caratteristica furia in combattimento. Ripensò agli occhi sottili pieni di rabbia mentre piombava maestoso dietro un gigante, ma allo stesso tempo ai suoi occhi colmi di tristezza. 

 - Non posso fare quello che mi chiedi, quattr’occhi. È una scelta di cui mi pentirei quando fra qualche anno lui morirà, e ho promesso a un uomo molto tempo fa che di rimpianti non ne avrei mai avuti nella mia vita. 

Hanji sorrise dolcemente, gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. Non sapeva se appoggiarlo fosse la scelta giusta, ma sapeva fosse quello di cui lui aveva bisogno - Spero tu abbia ragione, Levi. Sii felice, per una volta nella tua vita, scegli per te stesso. E ama senza rimpianti, proprio come ci ha insegnato Erwin. 

Una lacrima rigò il volto dell’uomo, stupito dalle parole dell’amica. La abbracciò con forza, inconsciamente bisognoso del suo affetto e della sua approvazione. - Grazie. - le sussurrò, tramante fra le sue braccia. 

Hanji sorrise, mentre, come se fosse una madre, lo strinse più a sé. Poteva solo immaginare quanto l’uomo si sentisse in colpa ad innamorarsi di un altro ad un anno di distanza dalla morte di Erwin, quanto dovesse sentirsi di averlo tradito. Meriti di amare ed essere amato, Levi, lo meriti davvero, pensò la donna.

 


Grazie di aver letto questo capitolo, che sarà il penultimo della storia prima dell'epilogo. 
Spero vi sia piaciuto, come sempre ringrazio chi ha scelto di seguire la storia o metterla fra i preferiti. 
Thank you for reading, al prossimo capitolo! 

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Capitolo 10
*** No time to die. ***


No time to die. 


Il giorno prima della partenza fu un susseguirsi di emozioni travolgenti per l’intero corpo di ricerca: erano tutti provati dalla stanchezza e dall’ansia, chi dall’emozione e chi dalla paura. 

Eren passò la propria giornata occupato a rimuginare su cosa avrebbe dovuto fare: quando non pensava all’ansia della spedizione, i suoi pensieri erano occupati da Levi e il suo comportamento di due sere prima. Non era ben certo di quale delle due cose gli mettesse più panico, ma sapeva di non riuscire ad affrontare nessuna delle due. 

- Hanji crede che la maggior parte dei giganti fuori il Wall Rose siano stati abbattuti dalle nostre armi, quindi dovrebbe essere una traversata sicura. - gli disse Armin, quella sera, mentre facevano una pausa dalla preparazione degli equipaggiamenti. Eren lo ascoltava distrattamente, mentre godeva del fresco vento fra i suoi capelli 

- Sarebbe perfetto se fosse così - continuò l’amico, proseguendo nel fare teorie sulle possibilità per il giorno dopo. Eren si rese conto di non starlo ascoltando con molta attenzione quando la sua voce divenne un ronzio in sottofondo: la sua attenzione si era spostata tutta sulla figura di Levi in lontananza. Sorrise involontariamente, mentre   lo osservava nella sua quotidianità, nei suoi gesti più semplici, illuminato dalla fioca luce del tramonto. Il vento gli arruffò i capelli, ed Eren provò l’impulso di andare a sistemarglieli. 

- Eren, non mi stai ascoltando. - disse Armin, richiamandolo dal suo sogno ad occhi aperti. 

- Cosa…? - chiese il ragazzo, confuso. 

Il biondo rise, dandogli una pacca sulla spalla. - Non mi stavi per nulla ascoltando, Eren. Ma va bene così, capisco perché fossi distratto. 

- Tu… No, non credo che tu capisca. 

Armin lo guardò con un cipiglio serio e severo. - Vai, Eren. Va’ da lui, chissà che non sia l’ultima occasione questa. 

Il ragazzo sorrise, imbarazzato. Avrebbe voluto chiedergli come avesse fatto a capirlo, ma si disse che non era importante. Armin lo avrebbe sempre capito, e gli era grato per questo. 

Camminò spedito verso Levi, con passo deciso. Quando fu certo che nessuno potesse ascoltarli, si avvicinò a lui. 

- Seguimi appena puoi. - gli sussurrò. 

La voce profonda di Eren colpì l’uomo. Sebbene non lo desse a vedere, mantenendo un’espressione seria e neutra, aveva sentito allentarsi la morsa che aveva avvertito al petto quando pochi minuti prima aveva visto Eren. 

Non disse nulla, fece solo cenno di sì con la testa. 

Vide il ragazzo allontanarsi verso le mura a sud. Levi si prese il tempo di osservarlo e di bearsi della sua visione: le spalle larghe e muscolose, i glutei sodi, le innumerevoli piccole cicatrici biancastre, i capelli leggermente lunghi che ondeggiavano dietro il suo collo seguendo i suoi movimenti. Se avesse potuto, lo avrebbe guardato per ore, imprimendo nei suoi occhi ogni dettaglio. Non sapeva quanti anni ancora avrebbe potuto guardarlo, e in qualche modo questa incognita lo rendeva solo più desiderabile ai suoi occhi. 

Si prese ancora qualche momento per non destare sospetti, poi prese un’altra strada e seguì Eren, riuscendolo ancora a distinguere in lontananza. 

Non era ben sicuro del motivo per il quale aveva deciso di andare con lui, ma nonostante questo gli sembrava fosse la cosa più giusta da fare. 

Il ragazzo si fermò sul bordo delle mura ad aspettarlo, più che altro per assicurarsi che lo stesse seguendo e fosse ancora lì: Levi lo seguiva senza esitazione. Il silenzio era riempito solo dal rumore dei loro dispositivi che si agganciavano qui e lì nel loro avanzare.

Levi iniziò a comprendere dove fossero quando riconobbe il boschetto appena fuori l’ingresso del distretto di Shingashina. 

Il suo cuore fece un balzo. Probabilmente Eren lo aveva portato lì per ragioni personali, ma non aveva riflettuto su cosa quel posto significasse anche per lui: aveva lasciato Erwin lì, lo aveva perso nella morte e aveva lasciato lì il suo corpo. Ricacciò indietro le lacrime: sarebbe andato via all’istante se non fosse stato per Eren. Osservava ipnotizzato il suo modo di muoversi e pensò che era il posto e il momento giusto per andare avanti, per poter continuare a vivere. 

Si fermarono poco lontano dal distretto, in un boschetto dove tempo fa erano soliti raccogliere la legna. 

- Ti sei fermato finalmente. - gli disse Levi, cercando di sembrare meno triste di quanto in realtà non fosse. 

Eren sorrise. - Ci è voluto un po’, lo so, ma ne è valsa la pena. È l’orario perfetto per venire qui, guarda quanto è alta la luna in cielo. 

L’uomo alzò la testa e notò quanto fosse limpido il cielo quella notte. 

- Perché siamo proprio qui? 

Il ragazzo fece spallucce, poi fece segno a Levi di sedersi accanto a lui. Tolse il mantello e si liberò dell’attrezzatura che aveva ancora con sé, poi aprì i primi bottoni della camicia e prese posto all’ombra di un grande albero. L’uomo fece lo stesso, timidamente. 

- Sono molto affezionato a questo posto in particolare, Levi. Era una sorta di angolo di libertà quando ero bambino. Non so se ci tornerò mai, volevo essere qui per un’ultima volta… con te. 

Levi rimase in silenzio, ascoltandolo. 

- Da quando ho saputo della partenza non riesco a pensare ad altro. - continuò. L’uomo lo guardò interrogativo, spronandolo a tirare fuori ciò che provava. 

 - Sono presente solo nella mia morte, ormai. Non esisto in nessun altro momento. 

Levi lo guardò negli occhi, gli sembrò gli stesse scrutando l’anima. 

Una parte di Eren sperava che quel momento non finisse mai, di poter concludere il suo cammino negli occhi di quell’uomo, tagliando qualsiasi altra cosa esistesse al di fuori di loro. 

- Levi io… - sussurrò. - Non posso. Non posso farti innamorare di me, io morirò e tu soffrirai inevitabilmente. Non voglio questo per te, non lo voglio per nessuno. 

L’uomo fece un sorrisetto. - Non temere, io non mi sto innamorando. - disse, nonostante fossero entrambi certi del contrario. Si avvicinò così tanto da far sfiorare i loro volti, provocando un brivido lungo la schiena di Eren. 

- Starò benissimo senza te. - disse, sfiorando le sue labbra. 

Quando lo baciò, Eren chiuse gli occhi, abbandonandosi a lui. Sentì solo dopo l’umido delle lacrime dell’altro bagnargli la guancia, la conferma del fatto che non sarebbe stato affatto bene in sua assenza. 

Fu un bacio lungo e disperato, la necessità di entrambi di sentire l’altro sempre più vicino aumentava ogni secondo di più. Con sua sorpresa, Eren lo prese per i fianchi e lo guidò fino a farlo sedere a cavalcioni su di lui. 

- Resterò con te. - disse Levi, fra un bacio e l’altro. Assaporò con passione le labbra dell’altro, gli baciò il collo.  - Sempre, non solo stanotte. - continuò, lasciando sul collo del ragazzo i segni violacei dei suoi baci, l’alone della sua saliva illuminato dalla luce fioca della luna. 

Gli sbottonò la camicia con foga, lo guardò negli occhi prima di ricominciare a baciarlo. Fu come se in quel momento non esistesse nient’altro che non fosse il loro amore, la loro passione e il loro desiderio. 

Eren era in estasi, ogni fibra del suo corpo non desiderava altro che averne sempre di più. Non gli importava di morire, voleva vivere il tempo che gli rimaneva da trascorrere sulla Terra se quel tempo lo avesse passato così, fra le sue braccia. 

Ribaltò Levi e si mise su di lui, tenendogli i polsi con le mani e senza mai smettere di baciarlo. Il suo corpo lo copriva quasi totalmente, ed Eren provò piacere nel sentire il contatto fra la propria pelle e la sua. 

Fecero l’amore quella notte come se non lo avessero mai fatto in vita loro, come se fosse la prima volta e allo stesso tempo l’ultima: assaporarono ogni momento, ogni secondo, ogni sensazione e ogni orgasmo. 

Quando finirono, si distesero uno accanto all’altro, sopra i propri mantelli. Eren fu felice di poter ammirare il corpo nudo di Levi sotto i bagliori delle stelle, perché gli sembrò bello come nient’altro al mondo. 

- Vorrei prometterti una vita così, insieme. Vorrei farti la promessa di invecchiare con te senza mai smettere di amarti, ma non posso. 

- Mi stai facendo una promessa migliore. - lo corresse Levi. - Mi hai donato tutto il resto della tua vita, e non te ne sarò mai abbastanza grato. - disse, senza mai distogliere lo sguardo dal cielo. 

Eren sorrise genuinamente, felice di ciò che sentiva di poter condividere con lui. Non sapeva quanto sarebbe durato ancora, ma gli andava bene così. 

- Vorrei restare qui per sempre. - disse l’uomo, pur sapendo non fosse possibile. Eren gli strinse la mano con forza. - Anche io. 

Le persone si innamorano in modi misteriosi: forse abbiamo trovato l’amore proprio qui, dove non ce lo saremmo mai aspettati. 

- Resta con me, ti prego. Non ho il tempo di morire se sono con te. - gli disse Eren, suggellando la loro tacita promessa con un bacio. 


 


Eccoci così giunti all'ultimo capitolo. Ho la nostalgia anche solo a pensare che è giunta al termine questa storia, mi ci sono affezionata molto. 
Grazie per aver letto questo capitolo, a breve scriverò l'epilogo della storia. 

 

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Capitolo 11
*** Epilogo. ***


Epilogo. 

Sette anni dopo.


Levi guardò negli occhi verdi di Eren con tristezza. Erano stanchi, era visibilmente chiaro, segnati dalle occhiaie e dai segni ormai indelebili lasciati dalla trasformazione. 

Li fissò con tanta intensità che sperava di potergli donare il proprio vigore. 

Eren era seduto sul letto, non avendo molta forza. 

- Sono passati tredici anni da quando ho ottenuto questo potere. - disse Eren, a voce bassa. - Sono volati, Armin aveva ragione. Mi sembra di aver vissuto allo stesso tempo una e mille vite. 

Levi lo ascoltava in silenzio, troppo addolorato per dire una singola parola. Gli toccò la guancia con la mano, facendogli una leggera carezza. Eren avvicinò anche la propria e gliela strinse con le forze che aveva. - Sei rimasto con me alla fine… - sussurrò. 

Levi sorrise. - Ne avevi dubbi? 

Si diedero un bacio leggero e si strinsero per pochi secondi. 

Quando si staccarono, Eren lo guardò con attenzione. - Hai un capello bianco… - disse, passando una mano fra i capelli di Levi. 

L’uomo si scostò bruscamente, fingendosi offeso. - Non è colpa mia se mi sono innamorato di un ragazzino. - disse, sbuffando. Eren rise, baciandolo ancora. 

- Lo hai detto, non è mai troppo tardi. 

- Cosa dici…?

- Hai detto che mi ami. Avevo ragione, ti sei innamorato di me alla fine. - disse Eren, facendo un colpo di tosse. 

Levi rise. - Non è un segreto più per nessuno, ormai. 

Eren si distese sul letto. - Non… non mi sento bene. 

Levi lo guardò preoccupato, sentendosi inutile ed inerme. - Eren… - disse, prima di rendersi conto che non gli restava molto tempo. 

Lo abbracciò con forza. - Resterò con te, Eren. Amarti mi ha guarito. - disse, piangendo. - Mi hai sentito, Yeager? Ti amo. 

Levi sentì le braccia di Eren scivolare dalla sua schiena e accasciarsi sul letto. Lo baciò un’ultima volta e gli abbassò le palpebre. 

Amare fa male, pensò Levi, mentre si allontanava piano dal corpo esanime di Eren. Fa molto male.


 


Grazie per aver letto questa storia. Spero sia piaciuta a voi lettori quanto è piaciuto a me scriverla.

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