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di H_A_Stratford
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Quantico, Virginia.
1 settembre 2017
Ore: 20:13

«Andare a Los Angeles e non farsi neanche un ora di spiaggia è uno spreco» commentò sprofondando sulla sedia Morgan facendo ridere la collega Emily. «Come se non li avessi comunque guardati i lati B delle ragazze» lo schernii facilmente. L'ufficio ormai era silenzioso, tutti erano troppo occupati -e data l'ora- anche troppo stanchi per ascoltare le conversazioni altrui. «Tanto Reid non ne ha bisogno, vero?» ricalcò il carico e partì in quarta mentre l'amico era distratto dal suo fascicolo sul caso.
La mano di Spencer scorreva velocemente sul foglio. Voleva finire di scrivere il rapporto prima di andarsene a casa. Prima finiva, meglio era. «Reid?» chiese ancora Morgan. Il giovane alzò lo sguardo verso di lui, stringendo leggermente gli occhi. «Mh mh». «Che hai?». «Vorrei andarmene a casa Morgan - disse continuando a scrivere - prima finisco e prima vado».
«Giuro che un giorno ti seguo e guardo cosa combini a casa!» esclamò alzandosi. «Derek, magari è soltanto stanco come tutti noi— Emily doveva ammetterlo, era stanchissima— o deve tornare a leggere la sua enciclopedia sulla vita» concluse facendo una battuta che non venne colta dal diretto interessato. «Magari ha una ragazza» la buttò lì Rossi prima di entrare nell'ascensore. «Non mi cercate!» aggiunse prima che le porte si chiudessero davanti a lui.
«Oh andiamo - disse Spencer - voi non vorreste andare a riposare? E' statisticamente provato che la mancanza di sonno porti al suicidio e..»
«Hai la ragazza» ribadì Emily guardandolo diritto negli occhi, nonostante la frase suonasse strana anche a lei. Insomma, lavoravano insieme da 4 anni circa e Spencer non aveva mai dato segni di alcun interesse amoroso.
«Io non..» cercò di balbettare qualcosa. Emily aveva forse fatto centro?
«Hai la ragazza!» Morgan partì a ridere e si alzò per andargli incontro. Sembrava una situazione quasi surreale: Spencer aveva veramente trovato qualcuno.
«Che cosa vi fa pensare che io abbia una ragazza?»
«Hai passato più tempo al telefono del solito, hai aspettato tre secondi in più prima di partire a dire una delle tue cose da cervellone e sei arrossito!» JJ rispose unendosi al gruppo sorridendo. Era felice per lui, ma allo stesso tempo le dispiaceva aver messo alle strette l’amico. «Ricordati che siamo dei profiler, ragazzo!» disse Morgan battendo una mano sulla spalla di Reid.
Spencer dimenticava sempre che in quella squadra nulla poteva rimanere segreto tanto a lungo, eppure lui c'era riuscito, o quasi.
«Ragazzi - disse ancora - vorrei finire e andarmene a casa.»
«Come si chiama?» iniziarono le domande interminabili.
«Da quanto state insieme?» chiese Emily sporgendosi dalla sua scrivania.
«Ragazzi..» l’importante era mantenere la calma.
«Se è un anno, Morgan, mi devi due pizza!» esclamò Aaron mentre passava velocemente di lì. Non era solito a scherzare sul lavoro, ma quella era decisamente un’occasione speciale.
Spencer si passò una mano sul volto. Ci mancava solo che anche Hotchner si mettesse in testa quella storia.
«Come si chiama?» Morgan guardò Spencer sorridendo, incitandolo a parlare.
«E se non ci fosse una ragazza?» riprovò cercando di essere il più convincente possibile. Sentiva il colletto della camicia stringersi sempre di più e solo un miracolo avrebbe nascosto le piccole goccioline di sudore. La verità era che poche volte era stato a disagio tanto quanto in quel momento.
«Tutta questa fatica per nulla?» Emily sembrava triste.
Spencer chiuse il fascicolo e si alzò dalla sua scrivania. «Voi vi siete sforzati per indovinare - disse, sventolando il fascicolo davanti ai loro occhi - mentre io ho finito e me ne vado a casa».
«Ah Spencer! – esclamò Garcia tenendo in equilibrio un laptop e dei file in una mano, mentre nell’altra aveva il quarto caffè del giorno appena lo vide— ha chiamato Athena perché non riusciva a contattarti, ha detto di dirti che è ancora rintanata nella biblioteca dell'università.»
Tutti guardarono Spencer. Era finita. JJ cercava di nascondere il suo sorriso vittorioso sistemandosi la camicia, Morgan si era quasi ritrovato ad alzare un pugno al cielo ed Emily era ancora sotto shock per dire qualcosa. Era vero ed aveva anche un nome.
Spencer si voltò verso Garcia, cercando di fulminarla con lo sguardo. Proprio mentre era convinto che il suo silenzio stampa potesse aiutarlo a fuggire il più velocemente possibile dalla BAU. Ora non sapeva se afferrare la giacca e correre il più velocemente possibile via dall’ufficio, anche se sapeva fosse impossibile data la sua scarsa attitudine allo sport, o semplicemente negare l’evidenza. Magari con qualche discorso interminabile su un argomento non meglio identificato.
«Devo due pizze a mezzo ufficio» sentenziò Morgan.
Emily e JJ si batterono il cinque. «E una cena a me» scoppiò a ridere Emily.
«Da quanto state insieme?» chiese poi JJ.
«In realtà la conosco da nove mesi, undici giorni e - diede una veloce occhiata all'orologio da polso - due ore. Non stiamo insieme». Il sorriso di Emily si spense non appena il ragazzo aggiunse l’ultima frase.
«Tipico di Reid negare l’evidenza» commentò JJ raccogliendo le sue cose. «Ora vogliamo sapere tutti i dettagli! Anche quelli piccanti» disse Morgan dandogli una pacca sulla spalla.
«Ehm – rispose arrossendo completamente – capisco che a volte mi esprimo in un linguaggio troppo articolato, ma pensavo che la frase ‘non stiamo insieme’ fosse piuttosto chiara. ». Prese la tracolla e camminò velocemente verso l'uscita. «È un’amica, come Emily, JJ e Garcia » quasi urlò raggiungendo l’ascensore. Ma era davvero così?
Garcia, ancora a bocca aperta dalla situazione che aveva creato si girò verso gli amici. «Non pensavo fosse così seria. Perché lo è, vero?» disse ancora confusa. Erano mesi che lei sapeva dell’esistenza della ragazza, ma pensava fosse solamente una collega di università. Era stata ingenua. «Però ho fatto una ricerca su di lei, giusto per capire se andasse bene accanto a Reid, vale?»

Mentre il ragazzo usciva dall'edificio il suo telefono prese a suonare. «Pronto?» «Dovresti riconsiderare l'idea di cambiare telefono» la voce di Athena lo fece sorridere. Forse dopotutto non era andata così male. Era però anche certo che fosse lei a dargli questa serenità improvvisa.
«Scusami - disse - siamo tornati da poco e avevo il telefono spento». Non vedeva l'ora di incontrarla. Era stata una settimana dura e il caso aveva tolto loro tutte le forze. Quel desiderio però lo scosse: forse i suoi colleghi avevano ragione. Forse si era innamorato davvero.
«Ho visto al telegiornale –commentò facendo battere le dita su uno dei tanti libri che aveva davanti— c'è qualcosa che non va?»
«No –rispose— è tutto perfettamente in ordine… solo che mi è mancato non vederti per un po’». Ed era vero. Quando erano costretti a viaggiare in un'altra città, il fatto di non vederla e sentirla per giorni e giorni, gli dava quasi un senso di smarrimento. Solo ora si stava rendendo conto di quanto avesse veramente bisogno di lei.
La ragazza sorrise. Anche a lei era mancato, ma Athena al contrario aveva capito da mesi che ormai Reid era entrato nella sua vita. Lentamente, una battuta troppo studiata alla volta, alternando momenti di imbarazzo a silenzi stracolmi di parole. Piano a piano si era anche resa conto che per lui non era il momento di qualsiasi cosa al di fuori di quello che avevano già. E a lei andava bene così: era raro trovare qualcuno come Spencer ed era da folli lasciarlo andare via. «Mi sei mancato anche tu —mormorò— Morgan come sta?—ridacchiò– continua ancora a cercare di psicanalizzarti? Perché se è riuscito lui allora non vedo motivo per cui non possa farlo io.»
Spencer sorrideva mentre scendeva la scalinata e prendeva la metropolitana che l'avrebbe portato il più vicino possibile alla biblioteca. Perché dirle che stava arrivando? «In realtà - disse - è stato un "tutti contro Reid"» fece una smorfia. Era facile parlare con lei, era liberatorio. Eppure sapeva di aver quasi rovinato le cose completamente tra di loro, un paio di settimane prima.
«Uuh, la cosa si sta facendo interessante!» lo prese in giro. «Neanche Rossi ti ha difeso?»
«Mi avrebbe fatto piacere - rispose sorridendo - ma ha messo in testa a tutta la squadre che magari avevo la ragazza e se l'è data a gambe»
«Soltanto tu puoi farti beccare così» rise mentre sfogliava svogliatamente una pagina di un libro. Aveva meno di un mese per decidere di cosa fare della sua vita, ma mai come in quel momento aveva avuto così tante domande per la testa.
Spencer alzò gli occhi al cielo, osservando il nome della fermata apparire sullo schermo. Si alzò in piedi, prenotando. «Sono profiler anche loro, Athena»
«E tu hai un quoziente intellettivo di centottantasette –lo schernii ridacchiando –Potevi farcela» aggiunse con dolcezza. Era felice che finalmente le cose stavano tornando quasi alla normalità con lui, battute comprese.
Spencer scese dal treno, raggiungendo velocemente la scalinata che lo avrebbe riportato in superficie. Senza nemmeno guardare le indicazioni, cominciò a camminare lungo la strada, verso la biblioteca. «Anche le persone con un quoziente intellettivo di centottantasette devono riposare - rispose - non sono stato in grado di difendermi»
«Reid versione cucciolo indifeso. Scusa ma sarebbe stata una scena da immortalare» ridacchiò facendolo sorridere.
«Quindi ora cosa sanno esattamente?»
«Solo di te, che esisti - rispose – ma hanno anche scommesso delle cene. Tipico dei miei colleghi». Disse entrando nel grande edificio stile gotico.
«Hanno scommesso? –scoppiò a ridere—almeno non dei soldi! Credo che Morgan sarà quello che dovrà offrire cene a mezzo ufficio per i prossimi mille anni.»
Spencer rise. «Scusami, ma sono in metropolitana e non prende bene, ci sentiamo dopo». Non le diede il tempo di finire di parlare. Riattaccò il telefono ed entrò definitivamente in biblioteca, aguzzando la vista per cercarla. Solitamente a quell’ora erano poche le persone che occupavano i tavoli, in più la ragazza andava sempre nello stesso posto, quasi fosse suo.
Athena appoggiò il telefono accanto a lei, senza pensare troppo al ragazzo. Lo faceva spesso e quindi per lei ormai non era cosa a cui dar peso. Si era abituata al carattere di Spencer e ai suoi comportamenti, quasi non ci faceva più caso. Era diventata la sua nuova normalità, anche se doveva ammettere che ascoltare i suoi flussi di parole ancora faceva fatica.
Il ragazzo continuava a camminare con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, sapendo esattamente dove fosse. Lei era in fono alla sala, dove poteva anche tranquillamente organizzare una festa senza che nessuno se ne accorgesse.
Spencer la vide con lo sguardo perso a fissare fuori dalla finestra e la mano che tamburellava su un libro. I capelli biondi erano legati in uno chignon sopra la testa. Si fermò un attimo a contemplare la sua bellezza, quasi fosse un dipinto. Non avrebbe voluto disturbarla, ma voleva ritrovare il suo angolo di mondo nel suoi occhi azzurro oceano. Non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva ma amava guardarla negli occhi e quasi perdersi dentro di essi. Quindi si avvicinò lentamente, sapendo che non avrebbe girato lo sguardo per guardare chi fosse. Si sedette e prese un libro dalla tracolla.
«Sono sicuro - disse - che andrò a mangiare una pizza più tardi». Sorrise non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Athena. Il cibo era sempre il migliore dei metodi per farla tornare con i piedi per terra.
Si girò di scatto appena riconobbe la voce. «Ma tu non eri...?» era confusa e non riusciva a smettere di sorridere. Probabilmente stava sorridendo troppo ma a chi importava?
«In metropolitana? Certo - rispose guardando l'orologio - sono sceso quasi mezz'ora fa»
«Bugiardo» lo accusò ridacchiando mentre si girava completamente verso di lui.
Spencer rise. «Ammettilo che ti è piaciuta come sorpresa»
Prima che se ne potessero accorgere, erano caduti nel silenzio più assoluto mentre si guardavano negli occhi. Stesso errore di qualche settimana prima. Athena distolse lo sguardo facendolo ricadere sui suoi libri. Non voleva tornare indietro, perdere tutti i progressi che avevano fatto.
Spencer non ci pensò due volte. Portò una mano sul collo della ragazza e l'avvicinò piano. Le lasciò un tenero bacio sulle labbra; non c'era motivo di lasciarsi mangiare dai dubbi ancora e ancora. La verità era che non aveva pensato ad altro da giorni. Era iniziato tutto a caso finito, avevano riportato a casa l’ultima vittima, ed era proprio lì che Spencer vide una scena che ancora non riusciva a togliersi dalla testa: l’amore con lui il ragazzo della vittima l’aveva prima guardata e poi stretta tra le braccia. In quel momento di era ritrovato a pensare ad Athena e a come avrebbe voluto stringere lei.
Athena lo guardò confusa, poi alzò appena un sopracciglio e quando il ragazzo era sull’orlo di una crisi, troppo spaventato dal rifiuto, disse sorridendogli «Si, mi è piaciuta la sorpresa.» Reid scoppiò a ridere, forse dalla tensione e così anche lei, scuotendo leggermente la testa «Ma ora portami via da questo inferno» aggiunse puntandogli il dito contro. «Parleremo del tuo improvviso bisogno di smancerie appena avrò finito di affogare le mie mille domande in almeno qualche kg di patatine e milkshake.»
«Subito accontentata» rispose felice. Questa volta non si sarebbe tirato indietro come dopo il loro primo bacio, quando paura e insicurezza lo avevano fatto allontanare. No, questa volta sarebbe stato diverso: avrebbe vinto le sue debolezze e sarebbe stato felice.
Athena scompigliò i capelli al ragazzo e dopo aver raccolto le sue cose gli indicò l’uscita. Forse quella era la volta giusta?
Usciti dalla biblioteca sarebbero potuti andare nelle direzioni più opposte: a casa di lui, nell'appartamento di lei o in qualche pizzeria. Loro non ci davano tanto peso, l'importante era stare insieme.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo uno
 
“L'incontro di due personalità è come il contatto
tra due sostanze chimiche; se c'è una qualche relazione, 
entrambi ne vengono trasformati.”
- Carl Gustav Jung 

«Quindi è iniziato tutto da David?» chiese Athena prendendo un’altra patatina fritta, mentre Spencer annuiva. Era colpa sua se avevano iniziato il "tutti contro Reid". Se non fosse stato per quella frase, i suoi colleghi non lo avrebbero tormentato tanto. Però alla fine era contento, forse quella era stata la spinta finale che gli serviva.
Stavano cenando nel solito locale dove si trovavano da mesi ormai. C’erano capitati una volta per sbaglio e da lì in poi non avevano più cambiato. Un po’ come loro due, si erano trovati per puro caso e ora non riuscivano più a staccarsi l’uno dall’altra. Con il lavoro di lui e gli impegni di lei, si vedevano per lunghi o brevi periodi. Non avevano un calendario fisso e non pianificavano mai. Era semplice, genuino, quasi liberatorio. A loro andava bene così, forse perché troppo spaventati da cosa sarebbe successo se avessero definito la loro situazione. Erano giovani e nessun progetto a lungo termine, quindi coglievano l’attimo ogni volta. Spencer aveva già il suo punto fisso, il lavoro all’FBI, mentre Athena era ancora incerta sul suo futuro. La laurea appena presa l’aveva resa felice ma allo stesso tempo le aveva aperto un mondo che non sapeva potesse affascinarla tanto.
«E tu alla fine hai ceduto» concluse puntandogli metaforicamente il dito contro. Alla televisione stavano dando un servizio sul caso appena concluso del ragazzo, ma nessuno dei due ci stava facendo caso. Spencer era stanco. Il caso appena risolto non lo aveva fatto ragionare con molta lucidità mentre doveva difendersi dagli attacchi dei colleghi. Aveva quasi voglia di chiedere di spegnerla quella televisione. Ormai aveva intuito che qualcosa turbasse la ragazza, da come l’aveva incontrata assorta dai suoi pensieri, a come anche in quel momento la sua mente sembrava fosse altrove.
«Te l'ho detto Athena – disse— anche i supercervelloni devono riposare». Afferrò un altro pezzo di pizza. Se il guilty pleasure di lei erano le patatine, quello di lui era decisamente la pizza.
«Mhmh, Garcia ti ha detto dove trovarmi, vero?» inarcò un sopracciglio lasciando in sospeso la mano con l’ennesima patatina.
Spencer si voltò verso di lei. «Oh si –rispose— è stata anche colpa sua se è venuto fuori che io e te... Diciamo che è arrivata nel momento sbagliato di una tipica conversazione tra colleghi. Ma ormai il gioco è fatto e non m'importa.»
«Ma ora dimmi che ti passa per la mente. Hai accettato l’offerta della Lincoln?» incalzò senza lasciarle il tempo di replicare. Non voleva continuare a parlare di lui, si sentiva già abbastanza in imbarazzo per poter continuare.
Athena rimase in silenzio, colpita e affondata. «Lo so che è una buona offerta ma… se l’accettassi solo per paura di cercare altro?» disse sapendo di aver fatto perdere il filo al ragazzo. Ovviamente, neanche un genio come lui poteva capire essendo all’oscuro dei fatti. Così lei si rassegnò si iniziò a raccontare di come, durante la preparazione dell’ultima sessione di esami, prima della laurea, qualcosa scattò il lei. Non sapeva come ma in qualche modo mentre leggeva crime fiction la sua attenzione si focalizzava sempre sull’aspetto criminale in modo particolare, distante dal suo solito approccio letterario. Più leggeva più si ritrovava attirata al mondo degli studi criminali.
«Quindi, per tre mesi sei non solo riuscita a farmi capire nulla, hai ricevuto l’offerta di una cattedra in lingue e hai ottenuto il massimo dei punteggi per Yale con tanto di borsa di studio?» disse Spencer inclinando leggermente la testa. «Criminalità come seconda laurea. Sei sicura?».
Athena alzò gli occhi al cielo e si ricordò perché non gli avesse ancora detto nulla.
«Vedi? Devi dirmi di accettare la cattedra come hanno fanno tutti i miei famigliari, per favore. Questa è una pazzia, vero? Insomma, basta parlare del tuo lavoro! Non sono portata per una cosa del genere, vero? Cioè, lo so. Non tollero quando nei film muore il cane, come potrei studiare i criminali?» parlava tanto velocemente che quasi si spaventò da sola.
Spencer circondò il corpo di Athena con le lunghe braccia e la strinse a se, lasciandole un bacio sulla tempia per calmarla. La sua prima reazione sarebbe stata quella di ridere ma non era né la situazione né il momento giusto. Si era quasi rivisto in lei. Si morse appena il labbro perché in fondo sapeva che lei sarebbe stata perfetta in ogni situazione.
«La verità è che hai già scelto, hai solo paura di dirlo ad alta voce» le mormorò all’orecchio prima di lasciarla andare. Quell’improvviso contatto fisico con lei lo aveva scosso, però allo stesso tempo sapeva che sarebbe stato capace di abituarsi ad averlo ogni giorno per molto, molto tempo.
 
L’orologio batteva le 3.09 l’ultima volta che Spencer aveva girato lo sguardo per guardare l’ora. Non riusciva a chiudere occhio, la serata passata con Athena lo teneva sveglio, la sua mente non faceva che formulare domande, scenari possibili ed eventuali, realtà che non aveva il coraggio di affrontare.
Sbuffò leggermente e si stropicciò gli occhi. Perché si era comportato in quel modo?
Ancora non riusciva a spiegarsi il comportamento tenuto qualche ora prima, sembrava quasi un’altra persona. Un’altra persona, si. Era sempre lui, ma prima di Maeve.
Anche solo il pensiero del suo nome lo fece sussultare. Non era pronto, non era decisamente pronto.
L’adrenalina, era tutta colpa dell’adrenalina. Se il suo corpo non ne fosse stato pieno, non avrebbe mai baciato Athena o aver cercato tutto quel contatto fisico. No, non lo avrebbe mai fatto. Avrebbe semplicemente parlato, straparlato per la correttezza e lo avrebbe utilizzato come scudo per le sue emozioni.
Sorrise al pensiero dei suoi sentimenti per la ragazza. Se fosse stato un mondo perfetto probabilmente ora non sarebbe solo in quella stanza. Ma il mondo non è mai giusto e la vita più volte glielo aveva dimostrato.
2 anni, 4 mesi, 22 giorni e appena 15 ore dall’ultima volta che aveva visto Maeve. Dall’ultima volta che aveva lasciato che qualcuno entrasse davvero nella sua vita. Erano 2 anni, 4 mesi, 22 giorni e appena 15 ore che non era più lo stesso, non che prima fosse un latin lover, ma sapeva quel giorno gli aveva chiuso in faccia altre realtà, altre possibilità di essere felice. Perché in fin dei conti Spencer pensava di non meritarsi di essere felice, non dopo che aveva lasciato che il destino di Maeve finisse così tragicamente.
Il suo cuore perse un battito al pensiero dei suoi ultimi istanti con lei.
No, doveva tenere Athena il più distante possibile. Era per il suo bene. Era strano come la sua felicità di qualche ora prima fosse svanita nel nulla, gli era bastato tornare alla realtà.
No, lui non era un ragazzo espansivo, spensierato e pronto ad impegnarsi con una meravigliosa ragazza. Non era il tipo. O meglio: non era pronto. I ricordi erano ancora troppo vivi per essere dimenticati. Lo stava facendo per Athena, per risparmiarle quella sofferenza. Si, lo stava facendo per lei.
 
Erano le 7:03 del mattino quando Athena decise che era il momento perfetto per chiamare Spencer. Si rotolò dall’altro capo del letto e tastò il comodino per trovare il telefono.
«Lo so che sei già sveglio, quindi non mi sento in colpa per l’ora. Anzi, dovrei anche arrabbiarmi, o forse sgridarti, perché alla fine ieri sera non abbiamo parlato» esordì la ragazza passandosi una mano sul viso. Negli ultimi mesi aveva imparato a memoria di quanto precisa fosse la sveglia biologica di Spencer, veglio alle sette in punto, non un minuto più tardi. Ancora ricordava un messaggio che le aveva mandato alle 5.36 del mattino e ricordava ancor meglio la sua risposta alle 10.48. Certamente non si poteva negare che fossero decisamente su due poli opposti. Soprattutto quando si parlava Athena e del suo amore per dormire.
Dall’altro capo del telefono il ragazzo stava sorseggiando il suo primo caffè della giornata dopo una notte quasi insonne. Ormai era abituato a dormire poco, soprattutto quando aveva pensieri per la testa.
«Di cosa?» provò a negare facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza. La verità era che gli era piaciuto focalizzarsi su di lei, aiutarla nel capire cose fare, o meglio, come accettare la sua scelta. Sapeva sin dal primo momento in cui l’aveva incontrata che non si sarebbe mai accontentata di conoscere tre lingue oltre a quella madre o ricordare secoli e secoli di letteratura. Finalmente aveva fatto il salto dalla finzione della crime fiction alla realtà. Questo però allo stesso tempo lo spaventava a morte. Cosa avrebbe fatto se un giorno fosse stata presa dall’FBI?
Trattenne un sospiro e si passo una mano sul viso. Non voleva incominciare a parlare della loro situazione, sapeva come sarebbe andata a finire. Il suo lavoro era anti-relazione, ne aveva viste varie cadere a pezzi a causa dei continui viaggi e i carichi emotivi che portavano a casa. Per non parlare di quanto lui, e il suo carattere, fossero anti-relazione. Il suo passato ne era certamente una prova.
Dopo tutto, si sentiva veramente pronto per la una relazione? Allo stesso tempo, però, era impossibile pensare ad una realtà dove Athena non fosse presente.
«Io… ho bisogno di sapere. Adoro passare le domeniche a lamentarmi di quanto la tua libreria manchi di letteratura classica mentre la passo a rassegna per l’ennesima volta. A proposito, l’hai aggiornata? Perché se la prossima che vengo da te non vedrò nulla, saranno guai. Sappilo. Cosa stavo dicendo? Ah, si. Oppure quando torni da me dopo un caso duro e stiamo semplicemente sul mio divano in silenzio. Però ho bisogno di sapere» disse lei quasi senza rendersene conto, perdendosi nelle sue stesse parole. Con lui era facile parlare, non era la prima volta che si lasciava andare ai suoi flussi di coscienza, ma era decisamente il momento di soffermarsi sulle parole. Non poteva spaventarlo, non poteva permettersi di dire la cosa sbagliata.
Erano arrivati al punto decisivo: o dentro o fuori. I due, però, non sapevano cosa gli avrebbe spaventati di più.
Spencer stava per replicare quando Garcia interruppe la chiamata: era arrivato un caso. Si morse appena la lingua leggendo il nome dell’amica e mormorò un «Scusa, devo andare. Ti chiamo appena posso» prima di riattaccare. Se ne pentì subito dopo, ma non sapeva che altro fare. Aveva bisogno di una via d’uscita e la colse al volo. Sapeva che sarebbe riuscito a farsi perdonare a caso finito.
«Eri al telefono?» disse Garcia giocherellando con la sua penna colorata tra le mani. «Era lei?» aggiunse subito dopo sorridendo e mettendosi con la schiena diritta sulla sedia. Spencer sbuffò leggermente. «Oh dolcezza, mi hai ingannato una volta, ma non ci sarà una seconda. Preparata il tuo miglior cappello da cowboy, perché andate in Texas.»
 
«Quindi quando la conosceremo?» disse Morgan sedendosi accanto a Reid che era concentrato nella lettura del suo fascicolo, anche se già lo conosceva a memoria. Tre ragazze scomparse nell’arco di 10 mesi. Già immaginava che non sarebbe stato facile.
«Sono sicuro che Hotch stia per dare inizio alla discussione» rispose Spencer senza alzare gli occhi dai fogli. In realtà il resto della squadra era ancora per le sue, cercando di raccogliere i propri pensieri sul caso.
«Dai ragazzo, è un evento più unico che raro…» iniziò a dire, ma lo schermo davanti a loro si illuminò, mostrando il meraviglioso volto di Garcia.
«Hey bambolina» disse Morgan sorridendo verso la donna, lasciando cadere l’argomento precedente. Sapeva già che non ci avrebbe cavato molto. Garcia gli fece l’occhiolino ma aveva così tanto materiale da condividere con la squadra che si limitò solo a quello. Sapeva benissimo che poteva aspettare una loro chiamata privata per dare il meglio di sé.
«Lo so che vi mancava questo bel faccino, e come biasimarvi, ma è appena arrivata una denuncia di persona scomparsa e rientra nei parametri delle altre vittime.»
In quel momento Athena stava guardando assorta il sito di Yale. Un click avrebbe stravolto ancora di più la sua vita, ma sapeva che non era veramente quello che la spaventava.
Prese un respiro profondo e chiuse il pc. Non era ancora arrivato il momento per lei. Inoltre continuava a ripensare alla conversazione avuta la mattina con Spencer, e più lo faceva, più risultava ridicola.
«Ma a cosa pensavi?» mormorò tra sé e sé mentre si passava una mano tra i capelli. Lei e il suo bisogno di avere sempre delle risposte l’avrebbe messa nei guai prima o poi.
Ancora ricordava quando a otto anni aveva inchiodato al divano il fratello Justin, riempendolo di domande su domande, tanto che il sedicenne scappò piangendo dalla madre per essere liberato da quella tortura. Da quell’episodio venne creata la ‘Regola di Athena’ che permetteva solo un certo numero di domande da parte della ragazza per giorno. Ancora rideva se ci pensava e il fratello ancora aveva gli incubi se ricordava.
La ragazza andò in cucina e guardò il calendario, mancavano esattamente due settimane al matrimonio del fratello e Kate. Faceva fatica a credere che quei due piccioncini, amanti sin dal primo anno di superiori, stessero per convogliare a nozze.
Kate negli anni era stata come una sorella per lei, un porto sicuro dove correre quando i due fratelli maggiori non le davano tregua. Era felice per lei, sapeva quanto si amassero e non vedeva l’ora di partecipare a questa loro felicità. Eppure vedere quel più uno nel suo invito al matrimonio ancora le faceva storcere il naso. Sapeva benissimo che Kate aveva intuito qualcosa su Spencer, ma da ammettere che uscivano casualmente a portarlo in famiglia per un matrimonio, il passo era a dir troppo lungo.
Spencer e la sua famiglia. Il solo pensiero la fece scoppiare a ridere. Sapeva che il ragazzo non era pronto a tutto ciò, però una parte di lei continuava a chiedersi se buttarsi e non pensare sarebbe stata la mossa migliore.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo due
 
Dalla stessa apertura da cui entra l’amore,
s’intrufola la paura.
Quel che ti voglio dire è che se sarai in grado di amare molto,
soffrirai anche molto.
- Isabel Allende
 
Il caso era finito e Spencer non aveva più scuse per rimandare la conversazione con Athena. Nella sua testa era ‘La conversazione’ perché sapeva benissimo cosa avrebbe scatenato. Non sapeva se fosse pronto a farlo, ma una parte di lui doveva liberarsi, svuotarsi da quel peso.
Aveva raggiunto il divano di casa alle undici di sera, dopo che JJ lo aveva forzato, o meglio quasi minacciato, di mangiare qualcosa con lei, sapendo benissimo che l’amico avrebbe saltato la cena dall’ansia. Si era confidato con JJ durante il viaggio di ritorno, anche se non era andato nei dettagli. Però, come sempre, lei lo aveva capito subito. Era stato liberatorio parlare con lei, soprattutto perché chiamare Athena gli metteva ansia. Un misto di adrenalina e morsa allo stomaco, con tanto di ripensamenti su ripensamenti.
Voleva parlare con lei, condividere quello che era il suo più grande ostacolo emotivo subito dopo la sua innata mancata capacità di esprimere ed emanare emozioni affettive.
Si passò una mano sul viso. Come si era cacciato in quella situazione? Maledetto lui e quel giorno in cui durante una lezione del suo corso di filosofia, non si era fatto gli affari propri. In fondo era sempre stato bravo a tenersi alla larga da certe situazioni, però quel giorno no. Quel giorno il destino aveva già deciso per lui. Però poteva veramente incolpare il destino? Era un uomo di scienza, sapeva perfettamente che era stato lui e soltanto lui a scegliere di sedersi su una determinata sedia e di parlare ad una determinata persona.
La cosa che ancora lo meravigliava era il comportamento di Athena, così semplice e spensierato. Forse era quello ad averlo attirato, quel bisogno di semplicità e spensieratezza.
Spencer sapeva che stava temporeggiando con i suoi stessi pensieri, cercando il coraggio di comporre il numero della ragazza. Con il suo lavoro aveva bisogno di qualcuno capace di ridere per le piccole cose e avere una risata così contagiosa da trascinati con essa. Si, aveva bisogno di una persona come Athena al suo fianco. Si girò verso la libreria e vide i nuovi libri appena sistemati dalla ragazza. Sorrise appena e scosse la testa. Non era ancora pronto a lasciarla andare nonostante tutto.
«Mh» mormorò Athena rispondendo alla chiamata, senza degnarsi di guardare l’ora. Aveva finito di leggere il suo ultimo libro alle due passate, quindi doveva essere decisamente tardi. Qualcosa però la spinse comunque ad accettare la chiamata. La prima volta che Spencer l’aveva chiamata nel cuore della notte era dopo circa sei mesi dalla loro conoscenza. Era a Seattle per un caso straziante e senza neanche accorgersene aveva composto il nome della ragazza e premuto il tasto verde.
«Scusa dormivi» disse il ragazzo come se lo avesse appena realizzato. Aveva fatto di tutto per rimandare quella conversazione, poi qualcosa nella sua mente scattò e ora non poteva più tirarsi indietro. Prima si era messo a giocare a scacchi un paio di partite, poi aveva letto tre libri in modo piuttosto disinteressato e infine era passato alla visione di un film. Una volta arrivato ai titoli di coda aveva preso coraggio.
«No, Spence, stavo giusto per scoprire come aprire il vaso di Pandora senza lasciare uscire nulla» borbottò lei aprendo gli occhi usando la sua solita punta di ironia che riservava a pochi. Non amava essere svegliata, neanche da lui. Ancora ricordava la litigata che aveva avuto con il suo ex perché l’aveva svegliata per farle vedere i risultati appena aggiornati di un qualche campionato non meglio specificato.
Spencer rise appena, gli piaceva il suono della sua voce anche appena sveglia che aveva imparato a riconoscere tra mille. Sapeva di non doverla svegliare, ma allo stesso tempo era tranquillo che non lo avrebbe ucciso. Forse. «Scusa» disse sinceramente facendo una piccola smorfia. «Ma ti devo parlare.»
Con quelle parole Athena ebbe un sussulto. Era stata lasciata ben due volte con quella premessa, non portava mai a nulla di vuoto. Però non si può essere lasciati se ancora non si sta insieme, giusto?
Rimase in silenzio aspettando che fosse il ragazzo a parlare, ma sembrava che all’improvviso avesse perso l’uso della parola. Era arrivato il momento ma improvvisamente non sapeva cosa dire. Qual era il vero problema? Il ricordo di Maeve? Il suo lavoro e la conseguente paura di rovinare una storia? La sua timidezza e paura nell’esporre i propri sentimenti?
Forse lo erano tutti, forse nessuno. 
«Le relazioni interpersonali sono sistemi dinamici che cambiano continuamente durante la loro esistenza. Come gli organismi viventi, le relazioni hanno un inizio, una durata e una fine. Tendono a crescere e a migliorare gradualmente, man mano che le persone si conoscono e diventano più vicine emotivamente, o gradualmente si deteriorano mentre le persone si allontanano, vanno avanti con le loro vite e formano nuove relazioni con gli altri...» iniziò a dire Spencer, in pieno attacco di panico e di parlantina, sapendo che stava ancora una volta cercando di evitare la conversazione. Se avesse lasciato le cose al caso? Se avesse continuato come se nulla fosse aspettando che il parlare dei suoi problemi e passato venisse naturale da parte di entrambi?
«Reid, se questo è il tuo modo per chiudere la nostra amicizia, lascia un messaggio in segreteria, io dormo» lo interruppe la ragazza cogliendo qualche frase sconnessa a causa della velocità in cui venivano dette. Non era decisamente dell’umore per chiudere un’amicizia per telefono nel cuore della notte. Che poi, si chiese, chi mai metterebbe fine ad un’amicizia in quel modo? Gli amici semplicemente scompaiono. Non ti svegliano di notte e feriscono per poi in seguito scomparire.
«No!» quasi urlò lui per fermarla. No, non stava chiudendo nulla, ma non sapeva neanche lui dove andare a parare. Era troppo tardi per ricominciare? Per non far soffrire nessuno?
«E allora perché mai mi diresti che le relazioni interpersonali hanno un inizio, una durata e una fine?» ribatté lei quasi arrabbiata imitandolo. Tra tutti gli scenari possibili, quello che stava vivendo in quel momento era a dir poco incredibile.
Spencer di passò una mano sul viso. Era stato in una relazione prima, ma sicuramente non aveva mai litigato con una ragazza. Aveva esagerato lui o lei?
Si soffermò un momento a pensare al suo passato. Lo aveva appena paragonato a quello che aveva con Athena. No, loro due non erano in una relazione. Però in quel momento si sentiva quasi come se lo fossero e che quella fosse la prima litigata di coppia.
«Non so come parlarti» ammise il ragazzo in un sussurro. Si sedette sul letto e prese un respiro profondo. «Perché se ti parlo, mi apro con te. Se mi apro con te, mi affezione, e se mi affeziono… non posso permettermelo» continuò riempiendo il silenzio che si era nuovamente creato. «Perché è così facile parlare con te, mi basta guardarti e so che potrei essere me stesso al cento per certo, ma» disse cercando di non iniziare a parlare a vanvera, di dettagli che al momento non servivano. Non aveva bisogno di statistiche o nozioni, doveva solamente mettere tutte le carte in tavola con lei. «Perché l’ultima volta che l’ho fatto è finita male» si limitò a concludere facendo una piccola smorfia. Il solo ricordo ancora era capace di rendergli gli occhi lucidi. Però quello non era il momento, doveva essere forte e andare avanti. Avrebbe riaperto quella ferita e avrebbe lasciato che i ricordi lo sovrastassero a telefonata terminata. Doveva resistere, Athena non lo meritava.
«Tutti abbiamo avuto il cuore spezzato, Spence» rispose Athena scuotendo appena la testa. «E lo so che sei particolare, che ti è impossibile dimenticare, ma questo non ti rende immune ai sentimenti. Ti prego, impara ad accettarli, nel bene e nel male» continuò senza lasciargli lo spazio di replicare. «E dopo avergli accettati esternali, solo allora ne avrai il controllo» disse stringendosi nelle spalle. «Non dobbiamo essere niente di più che amici» aggiunse in un sussurro. Era confusa, non riusciva a capire da dove quel discorso provenisse, soprattutto dopo tutto quel tempo passato insieme. Se ci fossero stati problemi perché non dirli subito? Era il suo carattere a non andare bene? Aveva forse forzato troppo la mano?
«Si ma…» iniziò il ragazzo prima di essere nuovamente interrotto dalla ragazza.
«No, Spence. Va bene così, io tra un paio di settimane dovrò comunque trasferirmi nel New Haven, è più semplice così» disse tamburellando la mano sul materasso, non credendo ad una parola appena detta. Sapeva che doveva essere lei a mettere un taglio, se avesse rimandato non lo avrebbe mai fatto. «Siamo realisti, hai altro per la testa. Anzi, un’altra persona. E va bene così. Abbiamo progetti di vita diversi al momento, è il meglio per entrambi.»
Spencer per la prima volta nella sua vita non sapeva cosa dire. Il nulla. La sua mente era andata in cortocircuito. Input che morivano così come nascevano e sentiva che gli mancava l’aria. Aveva appena lasciato andare l’unica cosa bella della sua vita degli ultimi sui due anni?
«No» disse dopo quella che sembrava un’eternità. «No» ripeté quasi fosse un bambino che faceva i capricci. No, non era così che aveva immaginato il suo discorso.
«Sei innamorato ancora di lei, e io ci sono già passata Spencer, ho già vissuto questo loop di emozioni che fa più male che bene» disse Athena, anche se non sapeva se stesse convincendo lui o se stessa con quel discorso. Forse distanziarsi era la cosa migliore.
«Non posso dimenticarla» rispose Spencer deciso, quasi difendendo a spada tratta il ricordo di Maeve.
«Non andrai mai avanti finché non imparerai a lasciare andare i ricordi, Spencer» disse Athena lasciando andare la testa all’indietro. «Non dimenticare ma lasciare andare» specificò prima di sentire un groppo in gola troppo forte per emanare altri suoni.
La mente di Spencer stava facendo i fuochi d’artificio, impostando e disfando centinaia di discorsi, ma la sua bocca non ne voleva sapere di schiudersi.
Non doveva andare a finire così.
«Ciao Spence, grazie per i ricordi» disse la ragazza prima di chiudere definitivamente la chiamata.
 
Alle sei del mattino Athena aveva finito qualsiasi lista mentale possibile per non andare a casa di Spencer e farlo rinsavire a suon di qualcosa che ancora non aveva deciso. Così si alzò dal letto ancora in pigiama, prese il telefono e si diresse verso la sala più determinata che mai.
«Tu, non importa quanto intelligente, educato, realizzato sul lavoro possa essere, non mi puoi chiamare nel cuore della notte e rinfacciarmi…» iniziò a dire non appena capì che Spencer aveva risposto al telefono. Fece una piccolissima pausa, non sapendo cosa dire ma subito dopo ripartì alla carica. «Perché tu mi conosci. E non hai il diritto di trattarmi così, okay? A me è sempre andato bene il non poterti abbracciare come faccio con tutti perché a te non piace il contatto fisico. Non poter scherzare su certi argomenti perché ti mettono in imbarazzo. Non ti ho mai chiesto cose che sapevo ti avrebbero allontanato o chiuso in te stesso. Ho ascoltato per ore, e ripeto ore, i tuoi commenti su la tua millesima nuova scoperta e mai una volta mi sono lamentata. Perché era bello vederti felice, osservare come i tuoi occhi si illuminavano mentre parlavi. Mai una volta mi sono lamentata per la sveglia nel cuore della notte perché eri appena tornato nella camera d’albergo e non riuscivi a dormire per un caso.»
Ormai era un fiume in piena e sapeva che non si sarebbe fermata molto presto. Aveva già scarpe, borsa e chiavi di casa ed era a metà strada della destinazione a cui voleva arrivare.
«Quindi, con tutto il rispetto, te e il tuo ‘non so come parlarti’ andatevene a fanculo. Perché io non ci credo. Non credo che tu non sia capace di parlarmi. Tu non sei capace di dirmi cosa senti, cosa provi. O meglio ancora, hai paura di cosa provi» continuò mentre saliva le scale dell’edificio. «Quindi no, non lo accetto. Ci saranno sempre cose difficili da dire, sentimenti difficili da esprimere, ma Dio Spencer, è la vita» disse bussando alla porta. Una parte di lei era contenta che Spencer non l’avesse interrotta neanche una volta, aveva il suo discorso in testa e sapeva dove voleva andare a parare. Se avesse anche solo sentito la sua voce per un secondo sarebbe crollata.
Il ragazzo dal canto suo sentì bussare e andò ad aprire la porta confuso. ‘ci manca solo questa’ pensò svogliato mentre cercava le chiavi di casa.
«Con me non funziona così» disse Athena non appena Spencer aprì la porta. Chiuse la chiamata sotto lo sguardo meravigliato del ragazzo, incapace di realizzare la situazione, troppo improvvisa per lui. «Quindi, o mi vuoi nella tua vita o no» disse lei alzando le spalle sapendo di averlo spiazzato. «E se mi vuoi fuori, me lo dici. Mi dici chiaramente ‘non ti voglio nella mia vita’. Non mi chiami nel cuore della notte dicendomi che è troppo difficile parlarmi.»
 
Cosa successe dopo rimase confuso nella mente di entrambi. Tutte le certezze di Athena erano cadute dopo aver osservato il viso del ragazzo, segnato dalla notte insonne e dalle parole appena ascoltate. Spencer dal canto suo non sapeva cosa dire, perché come sempre, lei aveva ragione. Ogni parola detta era vera e avrebbe voluto ribattere di come erano proprio tutte quelle piccole cose ad averlo portato a quasi innamorarsi di lei.
Athena qualcosa colse qualcosa negli occhi di lui, avevano brillato per una frazione di secondo.
«Io…» mormorò Spencer ancora con la mano sulla maniglia della porta. Che fare ora?
Aveva pensato a tutta la notte alle parole della ragazza e in quel momento nessuno dei discorsi pre impostati sembravano funzionare.
«Ho realizzato che niente è normale tra di noi. Tu sei tu, io sono io e insieme… il caos cosmico» ammise la ragazza mordicchiandosi leggermente il labbro. Reid stava per ribattere sul caos cosmico ma si rese conto che non era il momento. Camminavano già abbastanza sui cocci per poter aggiungere carne al fuoco. Però allo stesso tempo non riuscì a trattenere un sorriso.
«E non voglio perdere quello che abbiamo, qualunque cosa sia» continuò guardandolo. «Prometto che ti lascerò tutto lo spazio che ti servirà, tu credi di poter creare un posto nella tua vita per me?»

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Nel momento in cui noi cominciano a cercare l’amore,
l’amore comincia a cercare noi.
- Paulo Coelho
 
Athena e Spencer erano nella sala di quest’ultimo con un caffè tra le mani. Nessuno aveva fiatato dalla fine del discorso di lei. Era come se il tempo si fosse fermato e tutto quello che riuscivano a fare fossero azioni quotidiane: andare in cucina, prendere il caffè e sedersi sul divano. In silenzio. Sul tavolino davanti a loro erano ancora posati i libri che aveva letto il ragazzo la sera prima e qualche altro quaderno non meglio identificato.
«Oh, hai aggiunto i miei libri» disse Athena dopo quella che sembrava un’eternità e si girò verso il ragazzo. Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Una lunga, intensa, incontrollabile risata. Era come se tutta la loro tensione si fosse sfogata in una fragorosa risata. Se uno sconosciuto fosse entrato in quel momento li avrebbe scambiati per due matti, matti ma felici.
La ragazza lasciò cadere la testa all’indietro dopo essersi calmata, rigirandosi la tazza tra le mani. «Ti prego, dì qualcosa. Qualsiasi» disse quasi in un sussurro guardandolo. Spencer era in silenzio e osservava intensamente il suo caffè, immerso nei suoi pensieri. Sembrava che non riuscisse a trovare le parole giuste da dire. Il che era paradossare: una persona capace di parlare per ore di qualsiasi cosa, si ritrovava a corto di parole. Inoltre la sua notte insonne non stava aiutando a rimanere lucido.
«Henry Wald Bettmann» rispose lui abbozzando un sorriso, lasciando comunque lo sguardo basso. Athena a stento non riuscì a non far roteare gli occhi. Ammetteva di aver detto ‘qualsiasi’ ma era un modo di dire, non doveva prenderla alla lettera. Però si trattava pur sempre di Reid, quindi doveva aspettarselo.
«Compositore di Scacchi statunitense. Era uno specialista di medicina interna, docente di tale materia all' Università di Cincinnati e autore di vari scritti e monografie nel campo medico. Dimostrò grande talento e facilità di composizione soprattutto nei concorsi a tema obbligato e si interessò particolarmente ai temi di promozione. È famoso il suo problema di automatto in tre mosse che vinse il primo premio in un concorso tematico del 1925/26 sul Babson task, composto in soli cinque giorni» continuò a dire non sentendo alcuna replica da parte della ragazza. Girò appena il volto per vedere quello di lei nella confusione più totale. «Il suo compleanno era il 14 gennaio, come il giorno in cui ci siano incontrati. Così ogni volta che gioco a scacchi mi vieni in mente te». Si strinse nelle spalle e prese un respiro. Si era buttato, era fatta. Era sicuro che avrebbe avuto rimorsi e ripensamenti per i giorni a seguire, ma sapeva anche che non sarebbero stati peggiori di quelli avuti la notte appena passata, quando temeva di averla persa per sempre.
Athena ridacchiò appena scuotendo la testa. «È il tuo modo da super intelligentone che c’è spazio nella tua vita per me?» chiese girandosi verso di lui, inarcando un sopracciglio. Era sveglia da così tante ore e con pochissime ore di sonno che anche la cosa più semplice sembrava un ostacolo impossibile. Il ragazzo sorrise, non poteva fare altro, sapeva che sarebbe stato da folli lasciarla andare. Aveva ancora tutte le sue paure, insicurezze, ma le avrebbe parlato a tempo debito, un po’ alla volta. Il suo approccio era stato sbagliato anche se dettato da buone intenzioni. Era chiaro che Athena sarebbe rimasta, ora doveva solamente accettare i propri sentimenti ed essere capace di esprimerli, soprattutto quelli per Maeve. Lei era la chiave per essere finalmente padrone delle proprie emozioni e riuscire ad avere una relazione sana con Athena.
«Ti ho lasciato mettere mano alla mia libreria, pensi che sia una cosa permessa a chiunque?».
 
Penelope Garcia stava prendendo il suo primo caffè della giornata quando vide in coda davanti a lei una chioma bionda familiare. Tamburellò appena le dita sul telefono cercando di ricordarsi dove l’avesse sentito la sua voce, però. A lavoro ascoltava tante voci diverse che spesso sembravano tutte uguali dopo un po’. «Forza Garcia, pensa» mormorò per non farsi sentire mentre si concentrava sulla ragazza che aveva appena ordinato. A causa di un colpo di tosse della persona dietro di lei non era riuscita a cogliere il nome dato dalla ragazza per l’ordinazione. «Devo averla vista lo stesso giorno in cui Zuccherino mi aveva…» continuò la sua riflessione, interrotta però dalla ragazza dietro al bar che esclamò «Athena!» nel suo stesso istante. Era Athena, la ragazza di Spencer. Ecco dove aveva sentito quella voce! Al telefono ogni volta che Reid chiedeva un ‘favore personale’. Era decisamente lei, e la foto sul suo tesserino universitario non le rendeva decisamente giustizia, pensò Garcia.
Athena prese il caffè incerta dopo aver sentito il suo nome pronunciato anche da qualcuno dietro di lei. Guardò dietro di lei e non riconoscendo nessuno scosse appena la testa, pensando di esserselo immaginato. Dopo tutto erano un paio di notti che non dormiva benissimo a causa dell’imminente ‘ritorno a casa’ per comunicare alla famiglia le sue decisioni in merito al suo futuro.
Garcia dopo un momento di esitazione uscì dalla coda e si avvicinò alla ragazza che ormai era arrivata alla porta del locale. Improvvisamente non le importava più della sua dose quotidiana di caffeina. «Sei Athena, giusto?» disse ancora indecisa, aprendole la porta. Era pienamente consapevole di poter sembrare matta, ma era troppo curiosa e bisognosa di gossip. Athena corrugò appena la fronte cercando di capire perché una sconosciuta le stesse chiedendo il suo nome e le aprisse la porta. Eppure aveva già sentito quella voce da qualche parte.  
«Si» rispose semplicemente cercando di scavare nella sua memoria. Era quasi sicura che non fosse nessuno dell’ambito universitario, ma proprio non riusciva a ricordare.
«Penelope Garcia – disse l’altra facendola passare per prima per poi darle la mano – piacere di vederti finalmente in persona» continuò a parlare con la sua solita esuberanza senza smettere di sorridere. Quasi le si illuminarono gli occhi al pensiero di dirlo a JJ ed Emily. «Oh, se avessimo dovuto aspettare Spencer non ti avrei mai conosciuta. Sei ancora più… insomma, ti avevo immaginata. Sai, per dare un volto ad una voce e…» ormai era diventata un fiume di parole, non lasciando mai il tempo di replicare alla ragazza davanti a lei, che da uno sguardo sospetto era passata ad uno divertito. Lasciò da parte l’aver cercato ogni possibile informazione su di lei in internet. Quello non l’avrebbe messa in una bella luce.
«Sono felice anche io di mettere un volto ad una voce» disse Athena interrompendo quella sua improvvista parlantina. Aveva imparato da Spencer ad interrompere Penelope quando smetteva di respirare tra una parola e l’altra. Lo faceva per il suo bene, diceva Spencer, o sarebbe rimasta senza fiato. Inoltre iniziava a sentirsi in imbarazzo, anche se non riusciva a spiegarsi il perché, non era mai stata una persona troppo timida.
«Oh, dimmi che non hai impegni per la prossima ora perché voglio sapere tutto» disse Garcia prendendo il braccio della ragazza per metterlo sotto al suo e iniziare a camminare. Aveva un obbiettivo e avrebbe fatto carte false per raggiungerlo. «Sono anni, sottolineo anni, che aspetto. Voglio sapere tutto della tua relazione con Spencer» continuò tranquilla, come se fosse stata la cosa più normale del mondo. Athena era ancora sotto shock dal comportamento di lei ma sorvolò, Reid già a tempo debito l’aveva avvertita sul caratterino dell’amica. Quando le diede il numero di Garcia in caso di bisogno le aveva elencato i possibili scenari e l’essere rapita per essere interrogata era decisamente uno di quelli.
«Ma non stiamo insieme!» si ribellò Athena scuotendo appena la testa. No, loro due non stavano decisamente insieme. Neanche un indovino avrebbe saputo dire cosa fossero, ma era piuttosto certa che non erano in una relazione. Soprattutto amorosa, anzi, specialmente in una relazione amorosa.
«Oh, mia cara. Conosco Spencer come le mie tasche, voi state decisamente insieme.»
 
 
Athena era ancora frastornata dalla conoscenza di Penelope quando Spencer le rispose al telefono.
«Athena, tutto okay?» disse lui sorpreso. Non l’aveva mai chiamato mentre era in ufficio o più in generale quando era a lavoro. Per quanto gli piacesse sentire la sua voce era grato di quella ‘limitazione’ che gli permetteva di concentrarsi meglio nelle ore a lavoro. Pensare a lei durante un caso non avrebbe aiutato nessuno. Pensò che quella doveva essere decisamente un’emergenza. Si guardò intorno per controllare di non aver nessuno dei membri della sua squadra nelle vicinanze e si mise comodo sulla sedia.
«Si, scusa – disse la ragazza aprendo la porta di casa – è che… non indovinerai mai chi ho incontrato un paio di ore fa» ammise posando la borsa della spesa sul tavolo della cucina. Mentre tornava dal suo incontro con Penelope si era fermata a fare la spesa, anche se la sua testa vagava sempre altrove e non aveva idea di cosa aveva portato a casa alla fine. Spencer aggrottò le sopracciglia non capendo. Lo aveva chiamato per gossippare? Non era decisamente da lei.
«Garcia!» esclamò la ragazza sentendo gli ingranaggi del cervello di Spencer funzionare a pieno regime. Reid per poco non si strozzò con la sua stessa saliva dopo aver sentito quel nome, e come se non fosse abbastanza vide arrivare JJ e Garcia nella sua direzione.
«C-come?» mormorò ancora sotto shock grattandosi il retro della nuca nervoso. Perché non aveva mai una tregua. Non poteva essere, non ci credeva. Temeva che Garcia facesse una cosa del genere, ma alla fine sperava si limitasse.  
«Tranquillo, non ho aperto bocca» disse la ragazza ridacchiando appena. «Sai che sono un’esperta nel campo». Ed era vero, a causa della sua famiglia era dovuta diventare il master assoluto del parlare per ore senza però dire o rivelare nulla. Era però stato difficile sviare le domande della ragazza che sembravano non finire mai.
«Ma come?» ripeté lui chiudendo definitivamente il fascicolo davanti a lui. Così la ragazza si mise a raccontare tutta la storia, senza tralasciare alcun dettaglio. Sapeva benissimo quanto il ragazzo ci tenesse alla precisione.
«Lo sai che è finita vero? Cioè, lei è capace di cose…» disse Spencer quasi divertito. Si, era quasi stato tentato di ridere durante il racconto di come Garcia avesse praticamente rapito la ragazza.
«Oh JJ, dovresti proprio vederla» ammise Garcia fermandosi a metà della scala che stavano scendendo. «È perfetta –disse sorridendo dolcemente – insieme devono essere decisamente perfetti» sospirò quasi con aria sognante, facendo scoppiare a ridere l’amica. Era da quando l’aveva beccata in ascensore che non riusciva a finire di parlare del suo incontro con Athena.
«Bambolina, lo sai che ogni volta che ti vedo il cuore perde un battito, ma se non mi lasciate passare perderò anche la chiamata» disse Morgan indicando il telefono che stava suonando sulla sua scrivania. Era dietro le due ragazze sulle scale, ma per qualche miracolo del caso non era riuscito a cogliere la loro conversazione.
«Dannazione, ora c’è pure Derek» disse Spencer ancora al telefono con la ragazza. Non era pronto ad un altro ‘tutti contro Reid’. Prese un respiro profondo per prepararsi mentalmente, anche se sapeva che non sarebbe bastato. Doveva escogitare un piano per scappare dai suoi colleghi.
«Oh, ora si fa interessante» ammise Athena divertita, non aveva bisogno di vederlo per sapere che stava per andare in iperventilazione e che non riusciva più a smettere si battere leggermente il piede contro il pavimento. Si stava decisamente agitando.
«Non sei simpatica» le fece il verso quasi spazientito. Lei poteva almeno sostenerlo in quello invece che mandarlo nella fossa dei leoni. O meglio: non sostenerlo, supportarlo.
Il suo flusso di pensieri venne interrotto da Hotchner che cercò l’attenzione della sua squadra per avvertirgli che avevano un caso.
«È arrivato un caso, ti chiamo stasera» disse velocemente Spencer, meravigliandosi da solo della sua seconda frase per poi chiudere la conversazione. Raccolse velocemente le sue cose e si diresse verso la sala riunioni sapendo che si prospettava davanti a lui un viaggio veramente lungo.
 
 
«No, Beth, non avevo il pigiama che mi hai regalato per Natale – disse Athena al telefono con l’amica mentre finiva di compilare la lista di cose che si sarebbe dovuta portare via per andare a casa dai suoi – si, esatto, avevo quello con gli orsacchiotti. Come chi usa i pigiami con gli orsacchiotti a 23 anni?! Io! E tante altre persone» continuò difendendo le sue scelte di donna indipendente con la maglietta e i pantaloncini con gli orsacchiotti. Solo in quel momento pensò al fatto che il ragazzo non aveva fatto nessuna battuta a riguardo o averle fatto notare che erano le sei del mattino ed era già fuori casa di sua spontanea volontà. «Dai, Beth, sul serio di tutta questa storia ti interessa solamente come ero vestita alle sei del mattino a casa sua?» borbottò la ragazza facendo una smorfia. Ci aveva messo circa mezz’ora per raccontarle tutto quella che era successo con Spencer, ma a volte l’amica sembrava concentrarsi su dettagli completamente futili. Le voleva bene ma in quel momento era in disperato bisogno di consigli e opinioni.
«Ma quindi come siete rimasti?» chiese infine l’amica lasciandola con la mano sospesa a mezzaria. Ecco: com’erano rimasti?
La domanda del secolo.
«Diciamo che abbiamo evitato» disse Athena incerta mentre cercava la valigia nell’armadio. Ogni volta si ripeteva sempre la stessa storia: metteva le valige e borsoni in un punto dichiarando che così la volta successiva sarebbe stato più facile ritrovarle e ogni volta se ne dimenticava. Ogni singola volta.
«Voglio dire, siamo amici. Come prima. Abbiamo chiarito questo punto, vogliamo essere nelle rispettive vite» rispose dopo aver messo il telefono tra l’orecchio e la spalla. Con entrambe le mani spostò uno scatolone di cui non ricordava neanche l’esistenza e finalmente ritrovò le valige, lasciandosi andare ad un piccolo grido di vittoria. Ora bastava solo trovare il coraggio di riempirne una.
«Solo tu puoi avere la casa più ordinata dello stato e riuscire comunque a non trovare le cose» commentò Beth portandosi una mano al viso. «E per favore, mettetevi insieme da soli o la sottoscritta arriverà a farlo con la forza.»
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo quattro
 
La lingua può nascondere la verità,
ma gli occhi – mai!
-Michail Bulgakov
 
Una delle prime cose che Spencer si era deciso di fare, dopo aver incontrato Athena per la prima volta, era quella di insegnarle a giocare a scacchi. La ragazza già aveva qualche base, ma oltre a qualche torneo ai tempi della scuola, si poteva tranquillamente dire che non fosse la sua più grande passione. Nonostante fosse veramente facile giocare contro di lei, si divertiva ogni volta, soprattutto per i suoi commenti fuori campo ma mai esagerati.
«Scacco matto» dichiarò Spencer sorridendo divertito, facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza. Non che avesse qualche speranza di vincere contro di lui, ma perdere così miseramente dopo quattro mosse era piuttosto deprimente. Avevano stretto un patto prima di iniziare la prima partita insieme per la prima volta: Spencer non avrebbe mai e poi mai lasciato vincere Athena solo per farla contenta.
«Potresti almeno toglierti quel sorrisetto?» ribatté lei cercando di fare l’offesa ma fallendo miseramente per poi scoppiare a ridere. Ormai aveva perso il conto del numero di partite che avevano fatto quel pomeriggio al parco. Spesso e volentieri erano talmente veloci che quasi non le contavano più.
«Oh, lo sai che sbagliando si impara» disse Spencer riorganizzando i pezzi degli scacchi. Con gli altri avversari era sempre una questione di calcolo, matematica, strategia e tutto quello che ne derivava; con lei gli scacchi erano semplicemente divertenti. Non sorrideva perché aveva vinto, lo faceva perché era felice.
«Non credo di poter fare un’altra partita» disse la ragazza guardando l’orologio. «Devo ancora finire di prepararmi per andare dai miei domani – ammise stringendosi nelle spalle, come se fosse un’impresa olimpica – e dovrò svegliarmi presto, ho il treno all’alba praticamente». Solo lei poteva pensare che prendere il treno fino a Boston fosse una buona idea invece che l’aereo, ma allo stesso tempo avrebbe avuto tempo per pensare a come sganciare la bomba. Sarebbe rimasta a casa dai suoi per tutta la settimana, fino al matrimonio del fratello e forse anche qualche altro giorno dopo. Nonostante fosse abituata a non vedere Reid per molto tempo, quella volta sembrava tutto diverso, sembrava come se fosse la prima volta che si separassero per più di qualche giorno.
«Ah» mormorò Spencer abbassando leggermente lo sguardo. Sapeva benissimo della sua partenza, ma sperava di avere comunque più tempo a disposizione con lei. Da quando aveva realizzato che in neanche un mese si sarebbe trasferita soffriva di piccoli attacchi di ansia da separazione quando si salutavano, come se avesse paura che non sarebbe più tornata indietro da lui.
«Mi accompagni a casa?» disse la ragazza sorridendogli, sapendo che in qualche modo doveva interrompere il suo flusso di pensieri o sarebbe andato in cortocircuito. Spencer annuì e si alzò in piedi. «Niente metropolitana, è un bel pomeriggio. Camminiamo» rispose Spencer sistemandosi gli occhiali da sole dopo aver preso la sua cartelletta. Si perse qualche secondo per osservarla, non lo avrebbe mai detto a voce alta ma il vestito che indossava era uno dei suoi preferiti. Era semplice, come lei, eppure qualcosa lo rendeva speciale. Forse il fatto che si intonasse perfettamente ai suoi occhi.
«Agli ordini capitano» lo prese in giro lei mettendosi al suo fianco mentre si incamminavano verso l’uscita del parco. Quasi si perse ad osservare i bambini giocare spensierati tra di loro, era decisamente invidiosa della loro spensieratezza.
«Sai, non mi hai mai raccontato di com’è -» iniziò a dire lei prima di essere interrotta. «No! Non ti racconterò neanche sotto tortura di come Garcia ha svuotato il sacco con la squadra e mi hanno tartassato per tutta la durata del caso» borbottò Reid cercando di darsi un certo contegno. La ragazza in tutta risposta inarcò un sopracciglio e alzò le mani in segno di resa. «Chiederò a lei» sussurrò lei fingendo un colpo di tosse che il ragazzo fece finta di non sentire. La conosceva bene ormai, sapeva che se si metteva qualcosa in testa non si sarebbe fermata finché non l’avesse ottenuta. Dopo il suo primo incontro con Garcia, aveva rimediato il suo numero personale e ogni tanto la mattina si svegliava con un suo messaggio. Quasi si stava abituando alla sua esuberante personalità, ma era certa di una cosa: l’avrebbe tenuta il più possibile lontana da Beth. Quelle due erano troppo simili per poter stare nella stessa stanza e non fare esplodere qualcosa. Tipo Athena.
«Sei agitata per il matrimonio?» chiese Spencer dopo qualche minuto di silenzio guardandosi attorno. Era abituato a fare quel tragitto, lo conosceva a memoria. Eppure quel giorno qualcosa lo rendeva particolare, ma ancora non si era spiegato cosa fosse.
Athena fece una smorfia, non aveva voglia di parlare della sua famiglia. «Non prenderla male, io amo la mia famiglia, Kate e Justin sono la coppia più perfetta che esista in questo universo ma… farei di tutto per non andare a quel matrimonio. Di tutto» ammise giocherellando con le sue stesse mani. «Sono i parenti, sai? La parte estesa della famiglia, con le loro domande, insinuazioni… Non fanno per me.»
Spencer mascherò a pelo una smorfia. No, lui non lo sapeva. Erano sempre stati solo lui e sua madre. Ultimamente era solo lui, se doveva essere sincero.
«Loro non capiscono visioni differenti dalle loro. Anzi, non è neanche quello. È che sembrano essere su questo binario dal quale non ti puoi scostare, se sei una donna ancora peggio» continuò vedendo che il ragazzo ancora non aveva fiatato, cosa piuttosto strana per lui. «Ti diplomi, se proprio vuoi fare la trasgressiva vai al college, torni a casa, ti sposi, fai figli, fine – disse gesticolando quasi esasperata – e fino a che non farai queste cose in questo esatto ordine, ti riempiranno di domande esigendo spiegazioni sul perché non hai ancora sfornato una squadra da football» e fu in quel momento che Reid scoppiò a ridere. Era decisamente a disagio ma c’era della comicità dietro a tutta quella parlantina della ragazza. «Ah, ma allora mi ascolti» lo prese in giro Athena ridendo a sua volta, dandogli un piccolo colpetto al braccio con la spalla.
«Il tempo mi ha insegnato a stare in silenzio durante i tuoi sfoghi» si difese lui sistemandosi la tracolla sulla spalla. «Ma se vuoi posso iniziare a dirti delle statistiche che…» continuò a parlare ma la ragazza, con la meraviglia di entrambi, gli mise una mano sulla bocca. «No, grazie – disse togliendo la mano – sono già abbastanza spacciata così, non ho bisogno delle statistiche».
«E i tuoi?» chiese Reid guardandola con la coda dell’occhio. Gli aveva accennato qualcosa di tanto in tanto, ma non si era mai aperta più di tanto. In un certo senso però ne era grato, perché avrebbe odiato ricevere la stessa domanda. Avevano questo tacito accordo di non andare mai troppo sul personale a meno che uno dei due non si facesse avanti.
«Loro sono normali, per loro l’importante è che noi figli siamo felici. Probabilmente non saranno entusiasti della mia scelta ma… insomma, Mike è messo peggio di me, quindi la passerò liscia questa volta» rispose girando il viso per guardarlo. Mike, il suo caro fratello, dotato di tanta intelligenza e attitudine, ma tremendo per ogni aspetto che riguardasse la sua vita privata. «Inoltre sono così entusiasti per il matrimonio che potrei arrivare a casa con un tatuaggio in fronte che non lo noterebbero. Se Justin volesse veramente tanto tanto tanto bene a me e Mike, convincerebbe Kate a fare un figlio subito così da allontanare definitivamente l’attenzione da me e mio fratello» concluse scoppiando a ridere. Reid scosse la testa, divertito dal modo di raccontare di lei, ma una parte era invidioso di lei. Gli sarebbe piaciuto avere quel tipo di problemi, quel tipo di normalità e dinamiche famigliare.
Erano quasi arrivati davanti alla casa di lei e Spencer quasi inconsciamente aveva incominciato a rallentare, non voleva lasciarla andare. Per un secondo gli passò per la mente di baciarla, così, dal nulla.
«Se vuoi ti infilo in uno dei borsoni, se ti stringi ci stai» disse Athena notando l’improvviso cambiamento del ragazzo, che però si sentì un po’ in imbarazzo. Spencer si grattò il retro della nuca, come se fosse stato preso con le mani nel sacco, come se lei gli avesse letto nella mente. «Oh, dai, lo sappiamo tutti e due che moriresti dalla voglia di discutere sui centrotavola con mia madre e ricordare a Kate che no, il pesca è un colore terribile per i vestiti delle damigelle» continuò piazzandosi davanti a lui. «Mancherai anche a me» aggiunse sbattendo un paio di volte le ciglia, sfoderando i suoi migliori occhi dolci.
Sì, le sarebbe decisamente mancata, pensò Spencer. Se solo avesse avuto il coraggio di baciarla.
 
Dopo sette ore di treno Athena non solo decise che non c’era modo per sganciare la bomba in modo delicato e che al ritorno avrebbe decisamente preso l’aereo. Lei e la sua testardaggine, un combo terribile che girava per il mondo da ben 23 anni.
Quando arrivò al cancello di casa un’ondata di nostalgia la pervase completamente. Le era decisamente mancata casa. Cercò le chiavi nella borsa per aprire il cancello, non c’era bisogno di suonare per avvertire del suo arrivo. Inoltre nonostante la distanza già sentiva delle urla provenire dal giardino sul retro della casa. Forse la scelta di Justin di lasciare che la madre e Kate organizzassero il matrimonio nel loro giardino non era stata delle migliori.
«Casa dolce casa» mormorò sorridendo tra sé e sé girando la chiave.
Non poteva più tornare indietro. Non poteva di certo scappare in Polonia e nascondersi per il resto della sua vita, vero?
 
«Quindi? Lo hai detto?» chiese Spencer al telefono mentre con la mano libera aggiungeva lo zucchero al caffè. Era solito a mettere più zucchero che caffè, come diceva Athena, ma quella volta stava proprio esagerando. Aveva bisogno di una pausa dai suoi fascicoli e chiamare la ragazza sembrava essere la soluzione migliore. Aveva bisogno di una nota positiva in quella giornata.
«Oh – disse Athena chiudendo la porta della veranda dietro di sé – mamma è scoppiata a piangere, papà crede sia colpa del nonno di quando mi ha insegnato a sparare, Mike non capisce perché mi serve un’altra laurea e Justin, beh, lui è in un mondo tutto suo e sono la sua sorellina preferita, mi sostiene in qualsiasi cosa» rispose lasciandosi quasi cadere all’indietro sul dondolo. Era esausta ma almeno c’era riuscita: aveva sganciato la bomba. Ora doveva solo sperare che non le si rivoltasse contro. «Mi aspettavo peggio.»
Spencer sorrise immaginando l’espressione della ragazza e non si accorse di come i colleghi si fossero girati per osservarlo. Spencer al telefono durante l’orario di lavoro era un’occasione più unica che rara per lasciarsela sfuggire. «Sai sparare?» mormorò poi tornando a concentrarsi sulle informazioni appena ricevute.
«Si, lo so che non sei un grande fan delle pistole, ma era una fissa di mio nonno. Non ho mai sparato a nessun essere vivente, vale?» disse lei mordicchiandosi appena il labbro. Reid a volte le raccontava del lavoro e qualche aneddoto, e quasi sin da subito era stato evidente il suo distacco per le armi. Non che andasse fiera della sua grande mira, ma suo nonno si era immolato alla causa e Athena non poté fare a meno che secondarlo. Alla fine era stato il male minore dato che la nonna voleva farla debuttare in società.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli e scosse appena la testa. «Vale» sussurrò.
Parlarono per qualche minuto buono, poi Spencer si rese conto di essere osservato con grande interesse da metà della sua squadra. Emily, JJ e Derek fecero finta di niente non appena il ragazzo si girò, improvvisando un grande interesse per il pavimento o qualunque cosa stessero tenendo in mano.
«Ehm, devo andare» mormorò Reid agitandosi appena, temendo cosa i suoi amici avrebbero detto. Non era dell’umore per l’ennesimo interrogatorio. Voleva bene a loro, ma aveva bisogno di capire prima lui stesso certe cose per poi essere in grado di esprimerle a terzi. Quindi salutò Athena girando loro le spalle e con un filo di voce per assicurarsi di non essere sentito.
«Manchi anche me» mormorò la ragazza in risposta prima di chiudere la chiamante e lasciare che la testa cadesse all’indietro. Ora doveva solo sopravvivere ai parenti e il gioco era fatto. Sarebbe scappata nel New Hevan il più velocemente possibile senza guardarsi indietro.
«Lui come si chiama?» chiese sorridendo il fratello di Athena dopo essersi seduto di fianco a lei. In tutta risposta Athena alzò gli occhi al cielo e si morse il labbro; non era ancora il momento di parlare di lui con i suoi fratelli. Inoltre si era assicurata di essere da sola fuori, come l’avesse sentita era un mistero.
«Era Beth e fatti i tuoi, Justin» rispose secca, non volendo approfondire. Solitamente i suoi fratelli non si impicciavano nella sua vita privata, quindi sperava che quella breve frase fosse bastata. Erano uniti e si confidavano l’un l’altro, ma erano anche abbastanza rispettosi degli spazi altrui; o almeno questo era quello che credeva Athena.
«E da quando dici a Beth che ti manca? Non sapevo avessi certi orientamenti sorellina» commentò Justin ridacchiando mentre si metteva comodo. Adorava metterla in difficoltà quando si parlava di relazioni sentimentali. Era il fratello maggiore dopotutto. Inoltre era testardo come lei, sapeva che non avrebbe mollato facilmente la presa.
«Oh, Justin! Torna a fare il bravo fratellone e sostienimi in silenzio» borbottò lei dandogli una gomitata scherzosa. Era sempre stato facile confidarsi con lui e cercare rifugio quando ne aveva bisogno, ma in quel momento non aveva bisogno di sentire l’ennesima, identica, opinione.
«Quindi c’è un lui nella tua vita!» esclamò felice alzandosi in piedi. «Mike mi deve venti dollari!» aggiunse vittorioso. Athena non sapeva se: a) scappare b) sotterrarsi c) fingersi morta. Alla fine lasciò perdere, sarebbe stata una settimana infernale se non lo avesse accontentato. Inoltre era stressato dal matrimonio, poteva avere pietà di lui per una volta.
«Se stai zitto potrei dirti qualcosa» disse la ragazza lanciandosi un cuscino in pieno viso che il fratello prese all’ultimo secondo. Si scambiarono uno sguardo di intesa e in una frazione di secondo dopo il fratello si era già riseduto composto pronto ad ascoltare il racconto.
«Ora ripetimi ancora una volta perché non state insieme» disse Justin guardandola seriamente negli occhi. Era pur vero che lui stava per sposare il suo primo amore, fidanzati dai tempi della scuola, e che quindi la sua esperienza era limitata, ma proprio non si spiegava il comportamento dei due. Bastava vedere come gli occhi di Athena si illuminavano quando parlava di Spencer per capire che dovevano essere già da tempo una coppia.
 
La squadra di Hotchner era di ritorno da un caso in Arizona, era stato talmente lungo e logorante che nessuno aveva fiatato per metà del volo. Erano tutti seduti ai loro posti immersi nei loro pensieri. Erano abituati a vedere quello che vedevano, ma a volte certe realtà erano troppo anche per loro.
«Posso?» chiese JJ indicando il posto di fianco a Spencer libero. Il ragazzo alzò lo sguardo dal suo libro e annuì. «Grazie» mormorò dopo essersi seduta. Erano un paio di giorni che voleva parlagli, ma non riusciva mai a trovare il momento giusto. «Come sta Athena?» chiese cercando di essere il più disinvolta possibile. Spencer sorrise appena, sapeva che quel momento sarebbe arrivato prima o poi. Era sempre stata discreta, mai una parola sbagliata, ma sapeva anche quanto morisse dalla curiosità.
«Oh, JJ – rispose chiudendo il libro – non anche tu» sembrava quasi una preghiera. La bionda scosse appena la testa. «Non devi dirmi niente che non vuoi, ma ho capito quanto tieni a questa ragazza e vorrei» iniziò a dire cercando le parole migliori per esprimere i suoi pensieri «Vorrei che la vivessi tranquillamente, sentendoti libero di parlare di lei a chiunque. E magari conoscerla, oh, mi piacerebbe tanto conoscerla.»
Spencer sorrise all’amica, non avrebbe mai potuto rifiutare qualcosa a JJ, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui negli anni. Era un’amica troppo cara per lui, la cosa che più aveva vicina ad una sorella.
«È a Boston, settimana prossima si sposa il fratello ed è tornata a casa per dare una mano» rispose Reid sistemandosi meglio sul sedile. «Justin, è il maggiore. Però è in ansia perché sa già che i parenti la riempiranno di domande e non ama troppo questo tipo di intrusione nella sua vita privata» iniziò a raccontare senza però poi riuscire a fermarsi. Era un fiume in piena, solo che questa volta invece che riempire il silenzio dell’aereo con le sue nozioni scientifiche, lo riempiva di descrizioni di Athena e qualsiasi cosa ricollegabile a lei.
Parlare con JJ era liberatorio, sentiva il peso sulle sue spalle alleggerirsi ad ogni aneddoto raccontato. La bionda di tanto in tanto rideva, felice di aver finalmente trovato un modo di far confidare l’amico. Era bello rivederlo così felice dopo tanto tempo. Avrebbe voluto sapere ancora più cose sulla loro relazione ma per ora le bastava vedere come gli occhi di Spencer si illuminavano quando parlava di Athena.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo cinque
 
Quando pensi di avere tutte le risposte,
la vita ti cambia tutte le domande.
- Charlie Brown
 
Mancavano esattamente tre giorni al matrimonio e la tensione nell’aria la si poteva tagliare con un coltello. Kate passava tutti i giorni a controllare i progressi in giardino e per poco non si metteva a misurare l’altezza dell’erba dall’ansia; la madre ancora cercava di persuaderla a cambiare i centro tavola nonostante le due opzioni fossero praticamente identiche; avevano fatto provare ad Athena il vestito da damigella almeno due volte al giorno tutti i giorni, come se magicamente potesse cambiare da un momento all’altro e Justin era in uno stato continuo di estasi. La ragazza sospettava l’uso di qualche medicinale.
«Hai deciso chi portare come tuo più uno?» chiese Kate mentre osservava insieme alla bionda il giardino perfettamente decorato per il matrimonio. «Oh, ti prego» mormorò Athena in risposta poggiando la testa alla spalla di lei. «Lo sai che ti voglio bene come se fossi una sorella ma se provi a nominare anche solo lontanamente Spencer potrei non rispondere delle mie azioni» aggiunse prendendo un respiro profondo. Ovviamente lei sapeva tutto, sin dal primo momento. L’aveva beccata il giorno del suo compleanno sovrappensiero e da lì non era più riuscita a scappare dalla sua stretta. Kate aveva sempre avuto un sesto senso per quel tipo di cose e non c’era volta dove si fosse sbagliata.
«Sto solo dicendo che sarebbe carino conoscere il tuo amico» si difese Kate girando il viso per osservarla. «È il giorno del mio matrimonio, sarei felicissima».
Athena fece una piccola smorfia, non avrebbe mai potuto chiamare Spencer, sapeva che non era il suo ambiente. Lo conosceva bene e tra il suo imbarazzo e disagio, sarebbe stata una tortura infinita. Con tanto di smoking. 
 
Un po’ più giù nella costa qualcun altro stava ricevendo quasi la sua stessa domanda: «Ma perché non vai al matrimonio?» chiese Garcia non appena Spencer ebbe messo piede nella sua tana. Lo aveva fatto arrivare con una delle scuse più banali e lui c’era cascato in pieno, come sempre dopotutto. Sapeva tutto del matrimonio, ma soprattutto era arrivata a conosceva anche del fantomatico ‘più uno’ nell’invito di Athena. In tutta risposta il genio strabuzzò gli occhi e sospirò. «Si sposa il fratello, non un amico in comune» borbottò mentre faceva retromarcia per tornare al suo lavoro. Non si sentiva pronto a parlare apertamente ai suoi amici della ragazza, ancora era difficile con JJ, con gli altri ancora di più. Non aveva ancora messo in chiaro le sue idee, per non parlare dei suoi sentimenti. Aveva bisogno di più tempo e spazio. Soprattutto di spazio.
«E non hai mai pensato che a lei potesse far piacere la tua presenza a prescindere?» chiese Penelope, ma il suo discorso venne interrotto da JJ che non appena entrò li avvertì di un nuovo caso. Così, come ogni volta, il suo piano malefico crollò miseramente. Ma non mollava, sapeva che prima o poi ci sarebbe riuscita.
Spencer quasi si ritrovò a ringraziare il cielo per l’arrivo dell’amica. Andare ad un matrimonio, Penelope doveva essere proprio impazzita, pensò. Per quanto gli mancasse la ragazza non si trovava per niente a suo agio a pensare di andare al matrimonio del fratello di lei. Inoltre Athena non aveva mai accennato a nulla, giusto? Aveva una memoria eidetica, se lo sarebbe decisamente ricordato se glielo avesse detto. Non aveva nessuna ragione di andare a quell’evento, ne era quasi sicuro.
 
Athena aveva fatto di tutto per tenersi impegnata sia mentalmente e fisicamente ma ormai aveva esaurito tutte le idee. Aveva passato ore nella stalla con i suoi cavalli di famiglia; cavalcato Byron per un tempo indefinito, dopotutto era il suo preferito; parlato al telefono con Beth per ore e ore, ascoltando i suoi sfoghi da ‘il mio nuovo lavoro è terribile, torna qui a farmi sostegno morale’; aveva incontrato le amiche di infanzia e qualche parente; aveva dato una mano alla madre per recuperare le ultime cose per il matrimonio; aveva persino tenuto una conversazione lunga una eternità con Garcia per rassicurarla che non era scappata via, era semplicemente tornata a casa per la settimana.
«Facciamo che io scappo nuovamente in Virginia e ci mandiamo qualcun altro al posto mio?» borbottò la ragazza non appena rispose alla chiamata, impedendo a Spencer di parlare. Non voleva essere irrispettosa, ma era da troppo che si tratteneva, aveva bisogno della sua valvola di sfogo.
«Ciao anche a te» disse il ragazzo ridacchiando dopo essersi seduto sul letto. Era veramente tardi ma aveva bisogno di sentire la voce di Athena, quel caso non stava andando nella direzione giusta quasi per nulla.
«Ciao, scusa. Mi stanno facendo impazzire» rispose lei passandosi una mano sul viso. Ancora due giorni e tutto sarebbe finito. «A te come sta andando?» aggiunse poi sistemandosi su un angolo del letto. Le era mancato sentire Spencer, ma non avrebbe mai voluto interromperlo mentre lavorava. Si sarebbe sentita sciocca chiamarlo solamente perché voleva sentire la sua voce. Solo il pensiero la fece sentire patetica. Era una donna adulta, non una ragazzina, doveva comportarsi come tale.
«Mh, non bene» ammise lui sospirando. Non aveva voglia di parlare del caso in quel momento, voleva concentrarsi su altro. Avrebbe forse dovuto lavorare ancora un po’ sul suo profilo geografico, ma prima doveva ricaricarsi. «Dimmi cosa hai fatto oggi» aggiunse in un sussurro. Una parte di lui voleva tornare a casa da lei in quell’istante e dimenticare tutto il resto.
Così Athena si mise a raccontare di come il padre volesse far accoppiare il suo cavallo con Leia, la cavalla di Mike, ma di come Byron non ne volesse sapere mezza; di come Justin ormai fosse in un universo tutto suo dal gran che era agitato; di come si era letteralmente rinchiusa in camera sua per scappare dalla famiglia. Tutto nella norma, insomma. Mike si era rinchiuso in ufficio a sua volta, ben lontano dalle follie della famiglia, preferendo lavorare ore straordinarie a sistemare per l’ennesima volta i tavoli per il rifresco.
Più Spencer la sentiva parlare, più si calmava e rilassava. Tutta la tensione accumulata durante la giornata era svanita, come per magia. La vita di lei sembrava distante anni luce dalla sua, ma era proprio quello che gli piaceva, avevano esperienze diverse e riuscivano comunque a trovare un punto di incontro.
«Beth mi ha abbandonato, poi» borbottò Athena mettendo il broncio, anche se sapeva benissimo che lui non poteva notarlo. Nonostante ciò bastò il suo tono a far immaginare a Spencer il viso da cucciolo ferito della ragazza e sorrise appena. «Una sua collega è malata, quindi non può venire. Mi lascia sola nella tana del lupo, capisci?» continuò con fare tragico. Reid cercò con tutte le sue forze di non ridere fallendo miseramente.
«Dai, non è così tragica la situazione. Non hai detto che sono state chiamate anche un paio di tue amiche dell’infanzia?» ribatté il ragazzo massaggiandosi le tempie. Sapeva di aver bisogno di riposare ma non voleva ancora chiudere la chiamata.
«Spencer Reid, se provi a ridere ancora di me ti faccio mettere da Garcia sul primo volo disponibile e ti faccio affrontare tutti i miei parenti.»
 
Susanne bussò alla porta della figlia piano, tenendo il equilibrio due tazze fumanti di tè. In tutta risposta Athena borbottò qualcosa guardando la porta, non aveva decisamente voglia di alzarsi dal letto.
«Entra» disse infine dopo essersi messa seduta.
La madre entrò sorridendole «ho fatto il tè» dichiarò porgendole una tazza prima di mettersi di fianco alla figlia. «Dopo cena sei scappata, avevo voglia di parlarti» ammise subito dopo. La ragazza prese un respiro profondo, preparandosi al peggio. Si era preparata ore e ore allo specchio per quel momento, poteva farcela.
«Mamma io…» iniziò a dire ma la madre la fermò con un cenno della mano. «No tesoro, vorrei dire qualcosa prima» disse sorridendole dolcemente. «Non posso negare di non aver preso bene la notizia della tua scelta di studiare criminologia, ma questo non vuol dire che io non sia fiera di te» iniziò a parlare dopo aver preso un sorso della tazza di tè. «Mi spaventa cosa potresti andare a fare dopo? Certamente, sei la mia piccola. La mia unica figlia, nata nella giornata della mia festività preferita, come potrei mai non preoccuparmi» ammise ridacchiando appena. Athena sorrise a sua volta, stringendo la presa sulla tazza. Lei, invece, odiava San Valentino, ma non lo avrebbe mai detto a voce alta, soprattutto a sua madre. «Ti sosterrò in ogni scelta, sempre e comunque» disse Susanne accarezzando la guancia della figlia. «Voglio che tu sia felice, magari con qualcuno che possa dividere con te tutti i successi della vita e anche le cadute. Anche dei nipoti sarebbero graditi, ma per quelli possiamo arrivare a compromessi. Una vita di felicità e successi, ecco cosa voglio per te.»

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 

 
Cos’è un bacio? Come alcuni dicono:
il sicuro, dolce cemento, colla e calce dell’amore.
- Robert Herrick


Quando Athena aprì gli occhi quella mattina quasi non riuscì a smettere di sorridere come una bambina: era il giorno del matrimonio. Si sentiva come se fosse il suo matrimonio dal gran che era felice. Girò il viso verso l’armadio dove era posato il suo vestito. Alla fine era riuscita ad ottenere un colore diverso dal pesca, quindi non poteva lamentarsi. Si era anche imputata per farsi da sola capelli e trucco, non avrebbe lasciato che nessuno la stravolgesse. Per fortuna Kate l’amava talmente tanto da lasciarla libera anche nel suo grande giorno.
Girò la testa per recuperare il telefono dal comodino e vide un messaggio di Spencer. Avevano preso l’unsub e stavano tornando a casa. Gli rispose velocemente e prese un respiro profondo. Poteva farcela, doveva farcela.
Si alzò dal letto e si stirò le braccia. Era arrivato il momento di affrontare quella che sembrava essere la giornata più lunga della sua vita.
 
Spencer stava provando a leggere l’ennesimo libro quando venne disturbato dai colleghi. «Garcia dice che il matrimonio è oggi pomeriggio» disse Morgan sedendosi di fianco al ragazzo, seguito dalle due colleghe che si sedettero di fronte.
«Mh?» fece finta di nulla il ragazzo, sperando di evitare la conversazione.
«Perché volendo faresti in tempo» disse Emily facendo spallucce, sembrando quasi innocente. JJ ridacchiò appena vedendo l’amico sbiancare.
«Oh, forza, smettetela. Non sono invitato al matrimonio» borbottò Reid chiudendo definitivamente il libro, sapeva che non l’avrebbero lasciato in pace fino all’atterraggio.
«Ma non sei neanche non stato invitato» ammise JJ poggiando le mani sul libro posizionato davanti a lei. «Forse non sei stato invitato in modo esplicito per non metterti pressione» continuò cercando di farlo ragionare. Spencer aggrottò le sopracciglia. No, se Athena lo avesse voluto lì glielo avrebbe detto. In quel momento il solo pensiero di andare ad un evento del genere gli fece mancare l’aria.
«Non avevi detto che volevi dimostrarle di tenere a lei?» ricalcò Emily guardando l’amico diritto negli occhi. «Credo che non ci sia occasione migliore di questa per dire ‘ehi, sono qui, non vado da nessuna parte’».
 
Athena guardava la sua colazione con il minor interesse della storia del mancato interesse per qualcosa. L’ansia per l’arrivo dei parenti quasi eguagliava quella di Justin che sembrava aver perso tutto il sangue in corpo dal gran che era pallido.
«Buon giorno famiglia! Che splendida giornata per essere vivi!» esclamò Mike spalancando la porta della cucina, tanto da fare prendere un infarto ai due fratelli.
«Mike, i funghi allucinogeni solo dopo che la zia Margareth ti ha chiesto per la terza volta di seguito perché non ti sei ancora sposato» borbottò Athena in tutta risposta guardandolo male. La felicità che l’aveva pervasa appena sveglia era decisamente svanita.
«Oh, andiamo» disse Mike recuperando un bicchiere di spremuta. «Andrà tutto bene, non ha senso stare in ansia» aggiunse sedendosi di fianco al fratello maggiore. «Kate sarà la sposa più bella di sempre, tranquillo. Verrà diritta da te e sarete sposati prima ancora che il prete possa dire la ‘benvenuti’».
James entrò in cucina e vedendo i tre figli scoppiò ridere. «Oh, ragazzi, è normale sentirsi così. Ci si sposa solo una volta sola dopotutto» disse mostrando la sua fede quasi divertito. «Ancora un paio di ore e vedrete che non sareste mai stati più felici di così.»
 
Spencer stava finendo di scrivere il suo rapporto del caso appena chiuso quando sentì alle sue spalle la presenza dei colleghi. Non riusciva a smettere di pensare ad Athena da quando era atterrato e a cosa stesse facendo. Aveva una voglia irresistibile di chiamarla ma voleva prima aspettare di lasciarsi alle spalle l’ufficio.
Emily quasi non stava nella pelle, picchiettava il tacco destro senza sosta, rendendo impossibile al ragazzo continuare a fingere di non essersi accorto della loro presenza. Prese un respiro profondo e si passò entrambe le mani tra i capelli. Non ne sarebbe uscito vivo. Si fece forza e girò la sedia nella loro direzione.
«Okay, okay, non dire niente ma – esordì Garcia gesticolando senza riuscire a trattenere un sorriso – ma ecco c’è un volo per Boston tra due ore» era agitatissima, anche un cieco lo avrebbe percepito. «E abbiamo, casualmente, il tuo smoking del matrimonio di JJ.»
 
«Pronto?» chiese dolcemente Athena mentre entrava in camera del fratello. La porta della camera era aperta, quindi non si fece problemi ad entrare. Lo trovò davanti allo specchio, visibilmente agitato ma allo stesso tempo felice. Anche lei si sentiva tremendamente felice, come se stesse per scoppiare. Fece qualche passo avanti, attenta a non inciampare nel vestito e chiuse la porta dietro di sé.
«Oh ehm si?» disse allargandosi il colletto della camicia con due dita. Non era ancora riuscito a fare il nodo alla cravatta, il che era piuttosto ironico dato che lo faceva ogni singolo giorno per andare a lavoro.
«Ti aiuto con la cravatta» disse ridacchiando notando il suo stato di agitazione, se lo avesse lasciato fare da solo avrebbe raggiunto l’altare l’anno successivo. Si avvicinò al fratello e gli prese le mani tra le sue. «Andrà tutto bene» mormorò sorridendo guardandolo negli occhi. Il fratello le sorrise e lei in pochi secondi gli fece il nodo alla cravatta.  
«Dobbiamo andare, sai? Solo la sposa è autorizzata ad arrivare in ritardo» ammise Athena facendo scoppiare a ridere entrambi. Kate avrebbe chiesto il divorzio ancora prima di sposarlo se avesse tardato, ne erano sicuri entrambi.
«Athena prima di andare, volevo ringraziarti per aver deciso di tenere il discorso. Mike avrebbe combinato un disastro come minimo» disse Justin prendendola sotto braccio. Il legame che avevano era speciale, sapeva che avrebbe fatto un lavoro meraviglioso, e soprattutto non lo avrebbe messo troppo in imbarazzo.
«Tranquillo, credo che mi sarei offesa se non me lo avessi chiesto».
Il giardino, perfettamente addobbato, era gremito di invitati, già sistemati ai loro posti. I due fratelli si lasciarono prima di uscire di casa, Justin doveva raggiungere l’altare da solo. Solo successivamente i due fratelli lo avrebbero seguito con dietro la sposa.
Justin scosse appena la testa quando sentì la musica partire e le damigelle con i loro accompagnatori, non poteva credere che da lì a poco sarebbe stato un uomo sposato. Un lungo brivido gli percorse la schiena, quel momento talmente perfetto da sembrare surreale.
Athena trattenne a stento le lacrime quando vide Kate raggiungere il fratello all’altare, era perfetta. Si morse appena il labbro, aveva visto il loro amore crescere giorno dopo giorno e non poteva essere più emozionata di così.
Il vero shock, però, arrivò quando con la coda dell’occhio riconobbe una figura tra gli invitati. Spencer Reid ad un matrimonio. Spencer, il ragazzo più introverso della storia dei ragazzi introversi ed impacciati nelle relazioni sociali, era al matrimonio di suo fratello.
 
Non appena la cerimonia terminò, Athena non attese un secondo di più e quasi corse verso gli invitati. Aveva giusto aspettato il momento del bacio, ma non riuscì a resistere un momento di più. Era sicura che nessuno avrebbe notato la sua assenza mentre gli sposi lasciavano l’altare come marito e moglie. Non poteva essere lui, doveva essersi sbagliata. Per tutto il rito non aveva fatto altro a che pensare, quasi borbottare, a come tutto fosse possibile. No, Kate non sarebbe mai arrivata a tanto, Beth poteva essere, ma la sua decisione cadde su Garcia. Era decisamente opera di Garcia. Oppure della sua immaginazione, magari uno degli invitati aveva qualche somiglianza con il ragazzo e la sua mente aveva lavorato decisamente di fantasia. Sì, era decisamente stato uno scherzo della sua mente.
«Ciao» esordì Reid cercando di essere il più neutrale possibile dopo essersi allontanato un po’ dal suo posto. Aveva visto la ragazza andargli incontro e il suo cuore aveva accelerato a tutta forza, quasi dovesse scoppiare. Tutti gli invitati erano in piedi ad applaudire ai novelli sposi mentre attraversavano la navata mano della mano, nessuno stava prestano attenzione ai due ragazzi, erano come in un mondo a parte.
«Sei tu» mormorò Athena ancora sotto shock senza riuscire a non sorridere. Non poteva crederci, era davvero lui. Il ragazzo sorrise a sua volta, avvicinandosi ancora di più a lei. «Sei qui» disse lei, era come se fosse andata in tilt. Spencer era davvero al matrimonio, aveva veramente fatto una follia di livello mondiale per lei.
«Sono qui» ripeté lui. Non era sotto shock a differenza sua, aveva avuto tutto il viaggio per metabolizzare quanto folle fosse stata la sua gesta. Ora però che l’aveva davanti, non era più solo nella sua mente, una scarica di adrenalina lo pervase. Così, si avvicinò ancora di più a lei e la baciò. Athena nonostante la sorpresa del gesto si lasciò andare, portando le mani suo viso.
Si stavano baciando, davanti ad un centinaio di persone, ma a nessuno dei due interessava. Se qualcuno avesse detto loro che sarebbe successo, avrebbero risposto che fosse pura pazzia. Eppure, era accaduto.
«Athena!» la voce di Mike la riportò al pianeta terra. Si staccò dal ragazzo si guardò attorno ma del fratello non c’era nessuna traccia. Doveva essere ancora al suo posto o poco distante, così che gli invitati la nascondessero dagli occhi dei suoi famigliari. «Le foto!» quasi esclamò lei portandosi una mano alla fronte, se ne era completamente dimenticata. Guardò il ragazzo senza riuscire a trattenere un sorriso. «Devo andare – disse prendendo le mani dentro le sue – ma non scappare, torno appena posso» concluse quasi senza lasciargli modo di replicare. Spencer annuì appena non riuscendo a proferire parola. L’aveva baciata. Ancora non riusciva a credere di essere riuscito a fare tutto quello che aveva fatto quel giorno. Sembrava quasi un’altra persona.
«Torno subito» quasi si autoconvinse la ragazza prima di lasciarlo. Aveva quasi raggiunto il fratello quando si voltò per tornare indietro dal ragazzo. Gli corse incontro, vestito permettendo, e lo baciò nuovamente. «Nel caso dopo non ci fosse più occasione.»

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo sette
 
Se non ricordi che amore t’abbia mai fatto commettere
 la più piccola follia, allora non hai amato.
- William Shakespeare


Mentre Spencer attendeva il ritorno di Athena ripensò alla follia compiuta per raggiungerla in tempo. Era un po’ in disparte rispetto agli altri invitati, non voleva dare troppo nell’occhio anche se era piuttosto sicuro che nessuno sapesse della sua esistenza. Quasi sorrise ricordando il conto alla rovescia che Morgan urlava dalla porta del bagno per mettergli fretta, mentre si cambiava il più velocemente possibile, per essere pronto per il matrimonio una volta arrivato. Mancavano ancora cinque ore ma nonostante ciò aveva i minuti contati. Garcia aveva già contattato un agenzia di taxi che avrebbe portato il ragazzo dalla BAU all’aeroporto e dall’aeroporto a casa della ragazza.
Una volta atterrato il pensiero di non fare in tempo quasi divenne realtà, aveva troppo poco tempo. Anche una volta salito sul taxi la situazione non migliorò, proprio quel giorno tutti i semafori diventavano magicamente rossi al loro passaggio. Stava perdendo la pazienza e anche quella dell'autista stava per andare a farsi benedire.
Il taxi si fermò davanti alla casa dei Williams appena in tempo, era riuscito nella sua impresa. Lasciò il denaro al tassista - forse anche più del dovuto ma non gli importava - e si precipitò dentro. Aveva il cuore in gola ma era certo di aver fatto la scelta giusta. No, quel giorno non avrebbe avuto nessun ripensamento.
 
Non appena Athena ebbe finito di scattare alcune foto di rito, scappò nuovamente dal ragazzo. Nessuno dei suoi famigliari aveva sollevato alcuna domanda, ma lo si leggeva chiaramente nei loro volti che avevano qualche dubbio, ma fu grata di non essere stata messa sotto torchio. Non ancora.
Trattenne una risata al pensiero di una Garcia annoiata a Quantico che stalkerava i social degli invitati per controllare la situazione. Niente era impossibile per quella donna.
Vide Spencer in un angolo del giardino e accelerò il passo per raggiungerlo, senza però destare alcun sospetto negli invitati.
«Nuovo metodo di Garcia per tenermi d’occhio?» ridacchiò lei avvicinandosi a Spencer. Si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e lasciò che il suo sguardo vagasse per la sua figura, non lo aveva mai visto in smoking, non era di certo abituata.
«Nuovo metodo di Spencer Reid per dire: non devo fare spazio nella mia vita per te, ci sei già» rispose lui accennando un sorriso. Era felice di essere lì, ma sembrava di realizzare solo in quel momento tutti gli invitati attorno a lui. Cosa avrebbero detto ai famigliari di lei?
«Credo dovremmo organizzare un altro matrimonio» commentò nonna Betty con Susanne puntando il dito verso i due ragazzi, poco distanti da lei. Susanne scosse appena la testa, la madre non sarebbe mai cambiata. «Oh, mamma. Se solo sapessi…» disse con aria quasi sognante. Ovviamente lei sapeva già tutto, conosceva la figlia come le proprie tasche, non aveva bisogno di troppe parole per capire che avesse incontrato qualcuno.
«Bisogna valutare se è adatto» borbottò la nonna dopo aver preso un sorso di champagne. Di certo non avrebbe lasciato che uno qualunque potesse portarle via la sua unica nipote con un po’ di sale in zucca.
«Troveremo una scusa plausibile» disse Athena riportando nel pianeta terra il ragazzo che scosse appena la testa in risposta. «Ho detto – ripeté lei prendendogli le mani—che puoi mettere a riposo le tue meningi, troveremo una soluzione plausibile per spiegare la tua presenza». Neanche lei ci credeva fino in fondo, ma ormai la frittata era fatta, potevano uscirne vivi solo rimanendo insieme.
Spencer sorrise e intrecciò le loro dita. «Sono contento di essere qui.»
 
Mike guardava da lontano la sorella parlare con quello che sembrava uno sconosciuto, ma dalla loro vicinanza e dal modo in cui tenevano le mani, era chiaro come il sole che ci fosse qualcosa tra di loro. Era normale che la sorella gli tenesse nascoste certe cose, Justin era il suo confidente. Lui era più il suo partner in crime. «Tu ne sai niente?» chiese dopo qualche secondo girandosi verso Clarissa, una delle sue cugine. «So che è carino» rispose lei girando il viso verso di lui per guardarlo. Era da qualche minuto che osservava la coppia e doveva ammettere che la cugina aveva gusto, non era di certo il solito belloccio ma di fascino ne aveva da vendere. I due scoppiarono a ridere. «Ad Athena, che finalmente ha portato una preda nella tana del lupo» disse poi brindando con i due calici di vino.
«Oh, non essere così cattivo» disse James inchiodandolo con lo sguardo. Aveva origliato i due, e anche se fosse stato quasi impossibile non notare la figlia con il ragazzo, voleva lasciarle i suoi spazi. Giusto quei cinque minuti canonici per passare informazioni importanti su come sopravvivere alla famiglia prima di buttarsi nella mischia.
«Il suo ex Noah ha avuto paura di te per settimane, quindi vacci piano» continuò sfoderando il suo sguardo severo, facendo borbottare di conseguenza il figlio.
Dall’altra parte del giardino Athena e Spencer erano ancora nella loro bolla, ignari che i parenti, sposi compresi, morissero dalla voglia di metterli sotto torchio.
«Credo tu debba incontrare mia madre» disse la ragazza notando la figura della madre
 avvicinarsi. «Scusa» quasi mormorò vedendo Spencer agitarsi un po’. Sarebbe dovuto succedere prima o poi, giusto?
«Non avete preso da bere» disse Susanne sorridendo prima di passare i bicchieri ai due ragazzi. «Io sono Susanne, comunque, piacere di conoscerti» aggiunse con una disinvoltura che al ragazzo ricordò subito Athena. Non poteva negare che la ragazza fosse la fotocopia della madre, anche i capelli biondi sembravano essere della stessa identica sfumatura.
«Spencer Reid, piacere mio» riuscì solamente a dire tirando fuori un sorriso per mascherare l’imbarazzo e l’agitazione.
Athena quasi trattene il respiro. Sarebbe stata una lunghissima giornata.
 
Kate aveva lasciato il più uno di Athena negli invitati, così che di fianco alla ragazza ci fosse il posto per Spencer. Sembrava quasi fosse stato studiato a tavolino.
Così, entrambi riluttanti all’idea di sedersi a tavola con i famigliari si avvicinarono ai loro posti. Avevano fatto un patto però: ne sarebbero usciti insieme. Magari sconfitti ma insieme. Nessuna chiamata o imprevisto avrebbe lasciato l’altro al proprio destino.
Spencer poggiò velocemente una mano sulla schiena della ragazza per confortarla e si portò davanti alla sua sedia. Sarebbero stati in balia dei genitori, fratello, due zie e i mariti e qualche cugina. Per fortuna la nonna era seduta ad un altro tavolo, pensò Athena.
I familiari aspettavano l’arrivo dei primi per iniziare a fare casualmente qualche domanda. Chiesero come si fossero conosciuti, si meravigliarono per il numero delle lauree del ragazzo, quasi sussultarono dopo aver conosciuto il lavoro del ragazzo e infine Athena volle sotterrarsi quando chiesero i loro progetti per il futuro. Si erano limitati, questo dovevano riconoscerglielo. Invadenti, certamente, ma con quella punta di rispetto.
Stranamente Spencer sembrava pacato nelle risposte, non lasciando vedere l’agitazione. La ragazza però non poté fare a meno che notare quanto veloce battesse il piede contro il pavimento quando le domande andavano troppo sul personale. Aveva fatto del suo meglio per tenere a bada i parenti, ma a tutto c’era un limite. Spencer aveva perso il conto di quante volte la ragazza avesse alzato gli occhi al cielo e Athena aveva perso il conto di ogni respiro trattenuto dal ragazzo prima di rispondere.
Dopo quella che sembrava un’eternità, era arrivato il momento dei discorsi. Athena non amava quel tipo di attenzione, inoltre non si sentiva sicura sul suo discorso. Allo stesso tempo non poteva tirarsi indietro, sapeva che lo avrebbe rimpianto fino alla morte.
Così prese un respiro profondo e dopo aver stretto la mano di Spencer sotto al tavolo si alzò in piedi. La migliore amica di Kate aveva appena finito il suo, e con metà degli invitati quasi in lacrime, le passò la parola. Il suo discorso strappalacrime ma comunque divertente sarebbe stato difficile da battere.
Spencer la guardò sistemarsi tra Justin e Kate e prendere il microfono tra le mani. Non appena i loro occhi s'incontrarono, Spencer le sorrise, incitandola con lo sguardo.
Mike guardò la sorella riconoscente, lei era nata per farlo, non di certo lui.
«In quanto sorella minore ho sempre dovuto rimediare agli errori dei miei fratelli – esordì facendo ridere i familiari e gli amici di infanzia – quindi mi è stato assegnato il duro compito di tenere il discorso. La prima cosa che ho pensato quando Justin mi ha affidato questo incarico è come questa sarebbe stata la perfetta occasione per raccontare aneddoti imbarazzanti su di lui. Poi però ho avuto pietà, temendo la vendetta» continuò catturando l’attenzione di tutti. Era brava in quello che faceva.
«Quindi mi limiterò a dire che dopo 23 anni di esperienza, posso dichiarare senza alcuna riserva che Justin è una delle persone migliori che io conosca. Mi ha sopportata quando correvo in camera sua di notte dopo un incubo; ha convinto i nostri genitori che lasciarci tutti e tre in casa da soli per il week end fosse un’ottima idea, e Mike ancora ne paga le conseguenze per quel che è successo in quei giorni; è stato la mia roccia per ogni cosa, non importa quanto folle, lui c’è sempre stato per me; ha trovato la migliore donna possibile. Perché credetemi, la parte più interessante di Justin, è Kate. Ero piccola quando l’ho vista camminare per la prima volta attraverso la porta di casa, ma ricordo come se fosse ieri come fossi rimasta impressa da lei. Sembrava un angelo. Anche oggi è un angelo.
Li ho osservati per tanto tempo e ho capito che era destino che loro due stessero insieme. Perché solo il destino potrebbe aver messo insieme una donna così simpatica con la persona meno divertente della storia come mio fratello». Fece una piccola pausa, lasciando che gli invitati finissero di ridere. Prese un respiro profondo, aveva quasi finito.
«Per quelli che non mi conoscono e ancora non conoscono la mia ossessione per le citazioni, chiedo scusa, ma questa volta devo. Perché come Thomas Merton ha descritto l’amore io ci rivedo Justin e Kate: l'amore è il nostro vero destino. Non troviamo il significato della vita da soli. Lo troviamo insieme a qualcun altro – concluse per poi prendere il bicchiere di champagne per poi rivolgersi agli sposi— sono contenta di avere ufficialmente una sorella. A Justin e Kate». Gli invitati brindarono, alcuni ridendo, alcuni come la madre, con gli occhi pieni di lacrime. Kate abbracciò di slancio la ragazza e quasi non le fece rovesciare il bicchiere.
«Grazie, grazie, grazie» sussurrò la sposa e ci volle tutto l’autocontrollo possibile di Athena per non scoppiare a piangere. Ricambiò l’abbraccio e si girò verso il fratello. Anche Justin aveva gli occhi velati dalle lacrime e si abbandonarono ad un lungo abbraccio. «Sei la miglior sorella che avrei mai potuto chiedere.»
 
Dopo quella che sembrò un’eternità Athena tornò a sedersi tra il fratello e il fidanzato sentendosi leggera come una piuma. C’era riuscita e ora poteva finalmente rilassarsi. Aveva cercato di non guardare troppo Spencer durante il discorso, come se temesse di metterlo al centro dell’attenzione. Si sorprese comunque quando vide l’espressione di Spencer una volta seduta. Sembrava un misto di dolore, confusione e shock.
«Ottimo lavoro» le disse prima ancora che lei potesse aprire bocca. Sorrise cercando di mascherare il dolore che quella frase e quell'autore avevano riacceso.
«Grazie» disse quasi di rimando cercando di capire cosa fosse successo. Non poteva essere successo qualcosa al tavolo, l’attenzione di tutti era stata rivolta al discorso e la sua famiglia non sarebbe mai caduta così in basso. Corrugò appena la fronte quando capì che Spencer cercava di avere meno contatto, soprattutto visivo, con lei. Cos’era successo?
«Scusatemi» disse Spencer alzandosi allontanandosi il più velocemente possibile. Athena si girò verso la sua direzione più stupita che mai.
Aveva rotto la promessa.
Non riusciva a spiegarsi il comportamento del ragazzo, così improvviso e non da lui. Soprattutto dopo tutto quello che era successo quel giorno.
«Io non ho detto nulla» disse Mike alzando le mani in segno di resa. Athena si passò una mano sul viso. Ora doveva non solo affrontare qualsiasi cosa avesse il ragazzo ma anche dare una spiegazione per il suo comportamento ai parenti. 
 
Spencer trovò un angolo appartato e digitò il numero dell’amica e rimase in attesa. «JJ?» chiese non appena ebbe la certezza che qualcuno avesse risposto.
«Si Spence, sono io. Che succede? Qualcosa non va?» chiese la bionda inarcando un sopracciglio. Erano solo passate poche ore da quando si erano salutati, non capiva il motivo di quell’improvvisa telefonata.
«La sua citazione preferita… Lei… Thomas Merton» disse Spencer nel caos più totale. Camminava in cerchio a velocità alterne mentre una mano passava continua e nervosamente tra i suoi capelli. Era tutto così perfetto prima del discorso, perché non poteva continuare ad essere felice.
«Cosa? Non ti seguo – disse JJ cambiando stanza per non essere disturbata – stai parlando di Athena?».
«Era la stessa di Maeve» disse in un sussurro fermandosi all’improvviso. Lo aveva detto ad alta voce e la cosa quasi lo spaventò ancora di più. Sapeva che doveva dare più informazioni all’amica ma non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. «Durante il discorso ha usato la citazione di Maeve» mormorò dopo quelli che sembrava un’eternità.
«Oh, Spence» disse JJ portandosi una mano al viso. Era colpa loro? Forse spingerlo ad andare al matrimonio non era stata l’idea migliore. «Lei lo sa?» aggiunse con un velo di voce. Doveva pensare a qualcosa, velocemente, sapeva quanto l’argomento mandasse in tilt l’amico. Spencer dal canto suo rimase in silenzio. No, lei non sapeva nulla, ma non aiutava. Com’era possibile? È impossibile dare un numero alle citazioni, è incalcolabile, quindi com’era stato possibile?
«Dovresti parlare con lei» propose JJ non sentendo alcuna risposta dall’amico. «Spencer, lo so che hai bisogno dei tuoi tempi ma non puoi lasciarla all’oscuro» continuò cercando di farlo ragionare. «Devi capire cosa vuoi. Perché nel futuro ci saranno altre occasioni in cui Athena potrà fare qualcosa che ti ricordi Maeve. La vera domanda è: è più forte il ricordo di Maeve o quello che provi per Athena?»
Reid smise di camminare di colpo per la seconda volta. Si passò una mano sul viso, quasi come per riorganizzare le idee. «C-credo di essere innamorato di lei.»
 
Athena era indecisa: non sapeva se rimanere composta al tavolo o se partire in quarta a riportare Spencer alla realtà in un modo o in un altro.
Dire che era furiosa era un eufemismo. Non solo l’aveva lasciata sola al tavolo, ma era letteralmente corso via, lasciandola con le mille domande dei parenti per il suo comportamento.
Lo avrebbe disintegrato, ne era certa.
Il suo flusso di pensieri però venne interrotto dal fratello Mike che aveva preso il microfono per l’ennesimo brindisi in onore degli sposi. Alzò lo sguardo e si stampò il suo miglior sorriso, per fortuna era una brava attrice, e brindò a sua volta. Forse dopo un paio di bicchieri la situazione sarebbe migliorata, pensò.
Dopo aver riempito nuovamente il bicchiere lo bevve e si alzò dal tavolo. Spencer le doveva delle spiegazioni e non avrebbe aspettato. Così si girò e si avviò verso di lui, dopo averlo intravisto poco distante che camminava nervosamente in cerchio.
«Non ispiri molta fiducia se non riesci a mantenere una stupida promessa di non abbandonarmi al tavolo sola con i parenti» quasi tuonò la ragazza quando ormai era a pochi metri di distanza da Reid. Da piccola i suoi fratelli dicevano per scherzo che si potevano vedere i fulmini negli occhi di Athena quando si arrabbiava. Un vero e proprio mare in tempesta.
«Io…» mormorò Spencer di rimando. L’aveva fatta grossa. Eppure una parte di lui voleva che lei si scusasse. Ma scusasse per cosa? Non aveva fatto niente di male. Lei non sapeva, non poteva mai immaginare cosa quella citazione avrebbe potuto scatenargli.
«Tu?» lo incoraggiò lei inarcando un sopracciglio. Voleva fare la sostenuta, le doveva come minimo una spiegazione, ma aveva notato la sua faccia da cane bastonato. Era successo veramente qualcosa.
Spencer tornò in iper ventilazione, non sapeva cosa fare. Non poteva raccontargli la storia di Maeve, non in quel momento.
«Spence, sono io, che succede?» chiese la ragazza addolcendosi ma quando cercò di prendergli una mano e la sentì ritirarsi, tornò a mettersi sulla difensiva. Cosa gli era preso? «Okay, okay» mormorò indietreggiando a sua volta. «Come preferisci» aggiunse prima di girare nuovamente i tacchi e andarsene. Non si sarebbe lasciata rovinare la giornata, no, quel giorno era speciale e così doveva rimanere.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo otto
 
Wise men say only fools rush in
but I can't help falling in love with you
-Elvis Presley
 
Athena dovette trattenersi dal piangere per la milionesima volta quando vide Justin e Kate raggiungere il centro della pista da ballo per il primo ballo da marito e moglie. Erano arrivati alla scelta della canzone dopo una lunga, lunghissima, mediazione. Finita ovviamente con Kate vincitrice dopo aver lasciato cadere l’idea di prendere lezioni di ballo.
Tutti gli invitati erano concentrati sulla coppia, quasi ipnotizzati dalla bellezza dei novelli sposi. Ovviamente anche la ragazza lo era, aveva quasi uno sguardo sognante mentre osservava i due muoversi in sincronia, forse a volte un po’ goffamente ma perfettamente in sintonia. Avevano fatto qualche prova, ma niente al mondo avrebbe tolto la goffaggine da Justin.
«Non credo di aver mai visto qualcosa di così bello in vita mia» mormorò dopo che sentì il fratello Mike sedersi accanto a lei. Era sempre stata un’inguaribile romantica, doveva ammetterlo.
«Se non stai attento a guardarli troppo rischi il diabete» borbottò lui in risposta, poggiando il braccio sulle sue spalle per stringerla a lui. Mike a differenza sua non sapeva cosa fosse il romanticismo e non contento, riusciva sempre a rovinare ogni momento anche solo avvicinandosi ad esso. «Se però pensi che è lo stesso ragazzo che settimana scorsa ha provato a mangiare un intero pacchetto di patatine in meno di due minuti passa tutto l’incanto» aggiunse facendo scoppiare a ridere la sorella. «Oh, il mio guastafeste preferito» disse Athena scuotendo appena la testa.
La musica era finita e i due sposi avevano invitato altri a raggiungersi sulla pista a ballare. «Che ne dici di filarcela mentre sono tutti distratti?» propose Mike facendo cenno con la testa alla veranda della casa. Come la ragazza non era mai stato un’amante dei parenti e ogni occasione era buona per allontanarsi.
«No, non mi perderò per nulla al mondo le mosse di mamma e papà» rispose la ragazza indicando i genitori sulla pista da ballo. I fratelli si separarono, lasciando così Athena nuovamente immersa nei suoi pensieri.
Era appena cominciata Can’t help falling in love di Elvis Presley quando la ragazza sentì una presenza alle sue spalle. Questa volta non si girò, conosceva troppo bene il profumo della persona accanto a lei per aver bisogno di un riscontro visivo.
«M-mi concederesti questo ballo?» chiese Spencer con un filo di voce. La ragazza girò la testa di scatto sorpresa. Reid era in piedi di fianco a lei, con il viso contratto dall’ansia, temendo un rifiuto. L’aveva combinata grossa, sapeva che secondo gli standard della ragazza l’aveva combinata grossa. Accennò ad un sorriso e tese la mano verso di lei.
«Spencer» disse la ragazza dopo aver fatto un respiro profondo. «Non credo che» continuò per poi essere interrotta. «Lo so – disse Reid facendo una piccola smorfia – però voglio ballare con te». Ci aveva messo un po’ di tempo ma aveva capito che era arrivato finalmente il momento di lasciarsi completamente andare con lei. Ci sarebbero stati altri alti e altri bassi, ma poteva farcela. Doveva farcela per lei.
Athena alzò gli occhi al cielo e gli prese la mano. «Un ballo, niente di più» disse decisa dopo essersi alzata in piedi. In ragazzo non poté non sorridere alla sua piccola vittoria.
«Mi dispiace» iniziò a parlare Spencer posando la mano dietro la schiena di lei, cercando allo stesso tempo di non morire per l’imbarazzo. Aveva certamente preso coraggio ma non era ancora pienamente sicuro di sé e delle sue azioni. Non era mai stato un ballerino, ma soprattutto non aveva mai ballato con una ragazza per cui provasse dei sentimenti. «Non sarei dovuto scappare così» continuò intrecciando le dita con quelle della ragazza, come per assicurarsi che non sarebbe scappata. Athena lo lasciò parlare e iniziarono lentamente a muoversi a ritmo di musica. «La citazione che hai fatto nel discorso» mormorò dopo essersi schiarito la voce. Non era per niente facile quel momento per lui ma sapeva che doveva darle una spiegazione. «Mi era stata dedicata» riuscì a dire semplicemente quello. Ogni altra parola gli morì in gola. Cercò di mantenere il controllo ma era difficile sentendo gli occhi di lei puntati addosso. Athena era rimasta in silenzio tutto il tempo, cercando di dargli lo spazio necessario.
«Perché non me lo hai detto prima?» chiese lei vedendo il ragazzo non riuscire più ad andare avanti. Non era arrabbiata, quella le era passata velocemente, ma comunque voleva capire il suo comportamento.
«Per me è difficile parlare di lei» si difese il ragazzo facendole fare un piccolo giro su se stessa per poi attirarla nuovamente a sé. Athena gli sorrise dolcemente come per rassicurarlo. «Lei è stato il mio primo amore, capisci? E l’ho – continuò a dire ma improvvisamente le parole gli morirono in gola – non sono riuscito a salvarla» concluse mordicchiandosi appena l’interno della guancia. Stava facendo dei progressi, questo non potevano negarlo. «Ma sei tu il mio presente» si affrettò a dire dopo aver visto lo sguardo confuso della ragazza. «Un giorno riuscirò a fare pace con il mio passato ma tu sei qui, tu sei quello di cui ho bisogno adesso. Sei tu il mio presente» mormorò chinando appena la testa per poggiare la fronte contro la sua. Athena sorrise e fece sfiorare i loro nasi. Se solo non fossero stati al centro della pista da ballo lo avrebbe baciato. E fu così che Spencer la baciò.
 
«Visto? Dobbiamo capire se è quello giusto prima che si riveli un sempliciotto come il suo ex!» esclamò la nonna osservando i due ragazzi. Con lei erano presenti la secondogenita e un paio di nipoti e tutte concordarono. Dopotutto loro era riuscite a plasmarle a suo piacimento. «Ha 23 anni, lasciala divertire» ribatté l’unico figlio maschio della donna. «Appunto! Non diventa più giovane. Ai miei tempi doveva già essere sposata, o fidanzata ufficialmente come minimo».
Dall’altra parte del giardino Justin e Kate si stavano vivendo il loro primo momento da soli da sposati. Finalmente gli invitati sembravano aver calato la presa su di loro e così colsero l’occasione per brindare da soli. Kate era radiante con il suo abito bianco e il marito sembrava che non potesse staccarle gli occhi di dosso.
«Sembrano così felici» mormorò il nonno di Athena dopo essersi avvicinato alla ragazza. Era rimasta sola al tavolo, Reid si era allontanato un momento per rispondere alla chiamata di Garcia e lo poteva osservare agitarsi domanda dopo domanda della donna.
«Oh, credo proprio che lo siano» rispose la ragazza spostano lo sguardo sul fratello. Richard prese posto di fianco alla nipote e posò un braccio intorno alle sue spalle. «Ora, signorina, mi potresti spiegare perché tuo padre è venuto a dirmi che è colpa mia se sua figlia diventerà un’agente federale o un’esperta in qualsivoglia campo della criminologia?» chiese poi cercando di rimanere serio, cosa in cui Athena non riuscì e scoppiò a ridere. «Oh, nonno non diventerò un agente federale, studierò solamente criminologia» rispose lei dopo essersi calmata. «Inoltre è tuo figlio, dovresti aver già capito che lui esagera sempre».
No, non era sicura di poter fare lo stesso lavoro di Reid. Lo vedeva come tornava a casa da certi casi. No, quella non era la sua strada. Non ancora.
 
Era notte fonda quando gli invitati avevano iniziato ad andare via e Susanne aveva preso il coraggio necessario per casualmente invitare Spencer a rimanere nella stanza degli ospiti data la tarda ora. Era stata così brava con i suoi giri di parole che il ragazzo si ritrovò ad accettare senza neanche realizzarlo. Athena era stata trattenuta da dei parenti, così il ragazzo era rimasto senza difese. Con il senno di poi doveva ammettere che non era stato poi così terribile come si era evoluta la situazione.
«C-credo di aver appena lasciato che tua madre mi convincesse a rimanere qui per la notte» disse Spencer grattandosi il retro della nuca facendo scoppiare a ridere la ragazza. Athena lo aveva appena raggiunto e non riuscì a trattenersi. «Mia madre sarebbe capace di far cedere chiunque, anche un dittatore» rispose lei posando una mano sul suo braccio. «Scusa» borbottò poi osservando la smorfia del ragazzo. «Ma dovresti vedere con che faccia l’hai detto» si giustificò alzando le mani in segno di resa. Non era mai stata troppo brava a trattenere le risate.
Kate e Justin erano già tornati nella loro casa e ormai gli invitati rimasti erano veramente pochi. Persino Mike si era ritirato nella sua vecchia camera esausto dalla giornata appena passata.
Dalla scuderia si sentì il nitrito di due cavalli e Athena fece una piccola smorfia. «Byron, una vera prima donna. Se non sente silenzio assoluto non dorme» borbottò la ragazza facendo un piccolo segno nella direzione opposta dove si trovava la stalla. «Poi c’è Lucky che si arrabbia perché è stato svegliato da Byron» aggiunse alzando gli occhi al cielo. L’unica cosa veramente bella del tornare a casa era poter tornare a cavalcare i suoi cavalli. Spencer sorrise, in passato gli aveva raccontato dei suoi animali, e gli era sempre piaciuto ascoltarla parlarne. Nonostante non fosse un’amante degli animali, o meglio, sembrava non avessero feeling, una parte di lui era curioso di conoscerli.
Recuperarono il borsone di Spencer con cui era arrivato direttamente dal caso ed entrarono in casa. Lo aveva lasciato sulla veranda poco prima di prendere posto a sedere per la cerimonia, sapendo che non sarebbe stata una buona idea portarselo con sé.
«Quando hai detto che i tuoi avevano una grande casa l’immaginavo più piccola» ammise Reid guardandosi attorno. Quella era decisamente una delle più grandi che avesse mai visto. La ragazza fece spallucce. Il padre l’aveva comprata e ristrutturata poco prima del matrimonio con la madre, aggiungendo poi nuovi spazi e terreno ad ogni occasione. Ne andava molto fiero.
Avevano un paio di camere per gli ospiti e a Spencer toccò quella al secondo piano in fondo al corridoio. La vecchia camera di Athena era all’inizio del corridoio mentre quelle dei fratelli erano al piano superiore. La ragazza aveva lottato per quella camera, la più grande di tutti, e alla fine dopo una lunghissima contrattazione aveva vinto.
«Non preoccuparti per domani mattina, non sarà così terribile» mormorò la ragazza una volta raggiunta la porta della camera di lui. Spencer scosse appena la testa sorridendo. «Si, forse hai ragione» rispose di rimando. Si chinò appena su di lei e le lasciò un bacio sulla fronte. «Buonanotte.»
 
Il giorno dopo quando alle nove del mattino Prentiss e Morgan non videro Reid ancora in ufficio si batterono un cinque.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo nove
 
“Tutto ciò che dobbiamo decidere è
cosa fare col tempo che ci viene dato.”
-J.R.R. Tolkien

 
Athena si alzò relativamente presto quella mattina e quasi si dimenticò di Spencer. Soprattutto del dettaglio irrilevante che stesse dormendo nella stanza degli ospiti in fondo al corridoio. Quasi andò nel panico quando realizzò che avrebbe dovuto fare colazione con tutta la famiglia. Maledetto Justin che proprio quel giorno l’avrebbe lasciata da sola.
Si preparò mentalmente al macello ma stranamente non ne ebbe bisogno.
Una volta scesa in cucina ritrovò Spencer leggere tranquillo il giornale e Mike controllare qualcosa al computer. Anche la madre era estremamente tranquilla mentre cucinava. Ad Athena sembrava di essere finita in un mondo utopico, ma dopo qualche minuto si ambientò. Era sempre stranita, ma aveva sentenziato che era meglio far finta di nulla e indagare in un secondo momento. Inoltre Spencer era tranquillo, andava tutto bene.
Fecero colazione tenendo la conversazione concentrata sul matrimonio, di cui Mike aveva ancora i postumi. Non era stato l’alcol il problema, ma la quantità di domande dei parenti che gli aveva azzerato i neuroni.
Non appena la ragazza ebbe occasione fece un piccolo cenno a Spencer di seguirla fuori dalla cucina e lui acconsentì in silenzio.
«Sei vivo!» quasi esclamò lei non appena misero abbastanza distanza tra loro e il resto della famiglia. Reid ridacchiò appena e scosse la testa. «Devo ammettere che è stato meno impegnativo del previsto» rispose il ragazzo stringendosi un po’ nelle spalle. Era felice, quella mattina si era alzato con il piede giusto. Inoltre poter vedere Athena appena sveglio era più bello di quanto avesse potuto ammettere.
«Ora – disse la ragazza aprendo la porta finestra per uscire in giardino – lo so che non sei un grande amante degli animali ma mi piacerebbe farteli conoscere» fece un cenno verso la stalla con gli occhi più dolci che potesse fare. Erano la sua parte preferita, probabilmente anche la più interessante della sua infanzia.
Spencer non poteva dirle di no, soprattutto non quando lo guardava così. «Sai sempre ottenere quello che vuoi, non è così?» borbottò Spencer poggiando un braccio intorno alle sue spalle per attirarla a sé. «Se mandi anche solo un secondo di video a Garcia o Morgan dovrai vedertela con me» aggiunse in un sussurro al suo orecchio prima di sorriderle e incominciare a camminare.
Athena scoppiò a ridere. A volte si dimenticava di quel lato di Spencer, era piacevole vedere come lo tirasse fuori sempre di più.
Ci misero qualche minuto a raggiungere la stalla che era stata già aperta dal padre qualche ora prima. I cavalli erano come figli per lui, soprattutto ora che quelli biologici avevano lasciato il nido.
«Ho passato qui dentro praticamente tutta la mia infanzia» ammise Athena facendo strada al ragazzo per raggiungere il primo box. Spencer annuì incerto, non era mai stato dentro una scuderia prima d’ora. «Questo è Byron, il mio cavallo» disse poi sorridendo al cavallo che si era già portato più avanti possibile sentendo la voce della padrona. Dire che i due negli anni erano stati inseparabili era dire poco. L’uno l’ombra dell’altra.
Spencer sorrise appena e si fece coraggio. Allungò la mano vicino a quella della ragazza per accarezzare il cavallo. Byron annusò appena la mano di lui e la lasciò posare sul suo muso. «Bravo ragazzo» mormorò Athena sorridendo al cavallo mentre passava la mano su tutta la sua testa per accarezzarlo.
«Hai mai cavalcato?» chiese poi girandosi verso Reid. Era sicura in una risposta negativa, ma era curiosa di sapere come avrebbe giustificato la sua totale mancanza di vicinanza con gli animali.
«Non credo - cominciò - sarebbe una buona idea». Spencer non era mai andato matto per le attività sportive, nonostante corresse dietro ai delinquenti. E soprattutto non andava matto per gli animali. La squadra chiamava questo fenomeno “Effetto Reid”. Tutti i quadrupedi lo respingevano inspiegabilmente e più stava alla larga, meglio era. Inoltre conosceva troppo bene le statistiche degli incidenti a cavallo, non avrebbe mai rischiato.
«Oh, andiamo! Con il lavoro che fai hai paura di cavalcare?» ridacchiò lei e Byron nitrì, quasi fosse cosciente della conversazione tra i due. Spencer si grattò il retro della nuca in imbarazzo. Non era per niente a suo agio.
«Okay, okay, facciamo così» disse Athena dopo qualche secondo di esitazione. «Io sello Byron, fai un giro con me e se non ti piace lo rimettiamo nel box e dimenticheremo la faccenda finché morte non ci separi» concluse dandogli la mano. Reid, molto esitante, gliele strinse.
L’inizio fu quasi disastroso, Spencer ci mise due tentativi prima di riuscire a salire e una volta fatto si strinse alla ragazza come mai prima. Athena dovette trattenere una risata per la reazione del ragazzo. Reid trattenne il respiro, invece, finché non uscirono dalla stalla. Poi il suo bisogno di ossigeno ebbe la meglio, ma rimase il panico per i primi minuti. Byron era tranquillo, Athena sapeva gestirlo perfettamente, ma il ragazzo era sicuro che anche l’animale stesse ridendo di lui.
«Ambientato?» chiese lei sentendo la presa di lui farsi più delicata sulla sua vita. Girò il viso per guardare il ragazzo che finalmente non aveva più il viso contratto dalla paura. Il ragazzo prese un respiro profondo come risposta e mormorò qualcosa talmente velocemente che Athena non riuscì a cogliere.
«Mi hanno messo su un cavallo non appena fui in grado di reggermi in equilibrio su due gambe» raccontò lei mentre uscivano dal recinto per fare una piccola passeggiata nei prati accanto. «Lo so, genitori dell’anno» ammise ridacchiando leggendo nella mente del ragazzo.
«In realtà volevo dire che studi scientifici hanno dimostrato che se il bambino…» iniziò a dire Reid ma si fermò di colpo. «Era un modo di dire, vero?» borbottò quasi offeso. Athena scoppiò a ridere e anche il cavallo nitrì. «Si, ero sarcastica».
Il loro momento idilliaco però venne interrotto da un Mike furente.
«Athena! – quasi tuonò correndole incontro – perché hai fatto il mio nome con la nonna?» continuò e Spencer si accorse di quanto i suoi occhi fossero simili ad Athena quando arrabbiata. Poco dietro la madre non poco preoccupata.
Athena in tutta risposta inarcò le sopracciglia poi, una frazione di secondo dopo, capì. «Era l’unico modo per scollarmela di dosso!» borbottò poi incrociando le braccia al petto. Mike, però, non voleva sentire ragioni.
«Cavallo. Io e te. Ora.» disse Mike puntandole il dito contro. Erano soliti a risolvere le cose in modo pratico invece che stare ore a litigare. «No, non siete più bambini! Risolvete la cosa qui e alla svelta» cercò di dire Susanne ma Mike aveva già fatto dietrofront per andare a sellare il suo cavallo e Athena aveva già fatto scendere Spencer più confuso che mai.
«Che vuol dire?» chiese subito Reid, andando verso Susanne con la fronte corrugata. Non sembrava la sua Athena, c’era qualcosa di diverso nel suo comportamento. Un minuto prima stavano parlando della sua infanzia e ora stava spronando il cavallo a raggiungere la stalla il più velocemente possibile.
«Vuol dire che si sfideranno a cavallo, lo fanno spesso. Uno dei due decide la specialità e chi vince prende la ragione su tutto. Faranno una corsa a cavallo e il primo che terminerà il giro avrà la meglio sulla discussione» gli spiegò brevemente dopo aver preso un respiro profondo. «Athena per allontanare la nonna ha fatto il nome di Mike, portandolo al centro dell’attenzione» continuò facendogli cenno di spostarsi per avere una vista migliore sui due ragazzi.
Spencer era leggermente agitato. «E lo fanno spesso?» chiese. Non sapeva bene come comportarsi o cosa dire. Era completamente estraneo a quella dinamica.
«Ogni volta che discutono» rispose la donna osservando Mike portarsi accanto alla sorella con il suo cavallo.
Né Spencer né Susanne dissero più una parola, entrambi immersi nei loro pensieri. I due ragazzi invece, dopo un piccolo scambio di parole partirono più veloci che mai.
Athena sapeva che Mike in curva l'avrebbe superata, si poteva dire che fosse la sua specialità. Non erano esattamente testa a testa, lei aveva qualche metro ma non sarebbe bastato. “Mamma mi ucciderà” pensò la bionda poco prima di spronare Byron a tirare dritto invece che iniziare curvare, cosa che avrebbe dovuto fare se non voleva schiantarsi contro gli alberi. Mike, anche se concentrato sulla sua traiettoria, urlò qualcosa di incomprensibile alla sorella. Spencer perse trent'anni di vita, non era un esperto ma sapeva bene quanto fosse folle, si sarebbe schiantata contro gli alberi, le probabilità non erano certamente a suo favore. Athena tirò le briglie verso destra un attimo prima che fosse troppo tardi, così da sorpassare di nuovo il fratello che aveva rallentato per la curva. Se non fosse stato per Byron così allenato, sarebbe decisamente finita peggio.
Athena tagliò il traguardo con qualche secondo di anticipo del fratello e fece rallentare Byron fino a farlo completamente fermare a qualche metro di distanza dalla madre e Spencer. Si tolse il casco mentre riprendeva fiato, Mike accanto a lei. «Tu sei folle» ansimò lui e Susanne stava già per andare in contro alla figlia per ucciderla. Non era di certo la sua prima follia ma sperava che con l’età si sarebbe calmata.
«Athena Elsa Williams, rifai quella cosa un'altra volta e sei morta!» esclamò la madre raggiungendola a gran passi. Mike ridacchiò, sapeva quanto fossero nei guai nonostante fossero già adulti e vaccinati. Ma la mamma era sempre la mamma. «E non pensare che non sia arrabbiata anche con te Michael John Williams!».
Byron sbuffò in risposta, come per lamentarsi per qualcosa. «Athena, dea della strategia militare e delle arti della guerra, dell'intelligenza e dell'astuzia. Sei tu che mi hai chiamato così, non posso farci nulla» rispose la ragazza facendole il verso, esattamente come faceva quando a sei anni combinava qualche pasticcio. Mike scoppiò a ridere. «Mamma, ci hai educato tu, dovresti saperlo come siamo».
Per un attimo Spencer rivide se stesso. Sorrise leggermente, aspettando che Susanne finisse la ramanzina contro i figli. Non voleva spiare o origliare la conversazione, era troppo personale e si sentiva di troppo.
 
Athena raggiunse Spencer sulla soglia di casa una volta aver riposto Byron nel suo box. Nonostante tutto sapeva che il cavallo aveva adorato il loro giretto.
«Allora...» mormorò lei sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio insicura sulla reazione di Spencer. Forse non era stata un’idea geniale quella di farlo davanti a lui.
«Per un attimo sembravi me» rispose lui corrugando appena la fronte, come se stesse rielaborando la cosa proprio in quel momento. Athena inarcò un sopracciglio. «Faccio davvero fatica a immaginarti così spavaldo» ammise cercando di non ridere ma quando il ragazzo scoppiò in una risata lei lo seguì a ruota.
Spencer avvolse il suo corpo tra le braccia e le lasciò un bacio sulla fronte. «Oh, ci sono ancora tante cose che non sai di me».
 
I due piccioncini erano seduti sotto il gazebo quando a Spencer venne voglia di leggere un libro e si alzò per andare in casa a recuperarlo. Viaggiava sempre con un paio di libri di scorta, giusto per stare sul sicuro. Era davanti alla porta di casa quando il telefono di lui iniziò a squillare.
«Telefono!» esclamò la ragazza prendendo in mano il telefono del ragazzo per fargli capire che stava suonando. Il ragazzo, non volendo fare due volte lo stesso tragitto, le disse di rispondere ed entrò in casa per recuperare il libro.
«Ehm, Spencer al momento non c’è» disse Athena senza neanche guardare chi stesse chiamando, tanto un numero valeva l’altro: non ne conosceva nessuno.
«Athena?» domandò Garcia balbettando, improvvisamente le spuntò un sorriso degno di passare alla storia. Non si aspettava che rispondesse lei ma ne era decisamente molto contenta.
«Oh, Penelope» disse la ragazza osservando il ragazzo tornare verso di lei. «Spencer sta arrivando, te lo passo» continuò il più veloce possibile prima che la ragazza potesse partire in quarta. Non avrebbe più risposto al telefono di Spencer, questo era poco ma sicuro.
«…Oh, il matrimonio è stato così meraviglioso. Il vestito era…» sentì Spencer una volta recuperato il telefono e ridacchiò appena. Povera Garcia, sempre a caccia di gossip. «Sono io Garcia, che succede?» si intromise Spencer, interrompendo il flusso di parole della ragazza che improvvisamente si ricompose e alla velocità della luce riportò le informazioni del caso che la squadra aveva accettato. 
 
Spencer scese dell'aereo e, come spesso accadeva, l'aria viziata d'omicidio lo colpì in pieno viso. Non sapeva come ma aveva la sensazione che sarebbero stati giorni interessanti. Prese il primo taxi disponibile e lasciò l’indirizzo all’autista per raggiungere il più velocemente possibile la sua squadra.
Garcia al telefono gli aveva comunicato che Hotchner lo avrebbe voluto a casa della seconda vittima dove era stata rapita. Si guardò attorno; la figura di Morgan si distingueva tra tutte le altre e poco distante a lui JJ stava parlando con un agente della polizia.
«Ragazzo? Ma tu non eri in vacanza a Boston?» chiese Morgan dopo aver riconosciuto la figura dell'amico.
«Esatto ero - disse - ma ora sono qui, e mi sento una persona del tutto sollevata» si portò davanti alla porta di casa e chiese: «Segni di infrazione?».
«Hai bevuto?» chiese Morgan dopo essersi tolto i guanti. «Come fai a sentirti sollevato dopo quattro ore di vacanza?» continuò ignorando completamente la domanda inerente al caso.
«La porta non è stata manomessa, avete controllato le finestre?» disse Spencer come se nulla fosse, ignorando l’amico. «Soggiorno breve ma intenso» tagliò corto quando vide che anche JJ aveva tutta la sua attenzione rivolta nei suoi confronti. 
«Sarà, come premio ti abbiamo riservato quindici anni di diari della prima vittima, sono già alla stazione di polizia» disse JJ alzando le mani in segno di resa prima di entrare nella casa, seguita da Morgan.
«Sempre a me, eh» borbottò Reid rimettendosi gli occhiali da sole cercando di mascherare una smorfia.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
Tutti i cambiamenti, anche i più attesi, hanno la loro malinconia,
perché ciò che lasciano dietro di noi è parte di noi stessi,
dobbiamo morire in una vita prima di poter entrare in un'altra.
-Anatole France 

Athena era in piena crisi trasloco. Lo aveva sempre odiato, lo aveva odiato quattro anni prima quando si era trasferita nella capitale, lo stava odiando in quel momento e lo avrebbe odiato una volta finita la laurea a Yale.
Avrebbe tanto desiderato una bacchetta magica così da non dover più infilare altri libri negli scatoloni. Aveva ancora quattro giorni prima del grande giorno. Doveva farcela.
Ancora però non sapeva come salutare Spencer.
Si rigirò il libro della raccolta completa dei sonetti di Shakespeare tra le mani e sospirò. Si stava cacciando proprio in un bel guaio. Non che non fosse contenta e decisa nella sua scelta, ma lasciare Washinton si stava rivelando più difficile del previsto.
Ad interrompere il suo flusso di pensieri ci pensò il campanello, segno che qualcuno era alla sua porta.
«Caso chiuso» sorrise Spencer non appena la ragazza aprì la porta. Comparì un sorriso anche sulle labbra di lei, era da Boston che non lo vedeva, e nonostante fossero passati solo pochi giorni, sembravano un’eternità.
«Mi stavo domandando quando saresti venuto a salvarmi dai miei scatoloni» rispose la bionda facendolo entrare per poi chiudere la porta dietro di sé. Spencer si guardò attorno, era strano vedere l’appartamento per metà inscatolato. «Come hai fatto ad accumulare tante cose in quattro anni?» chiese Reid retorico e Athena rispose con una smorfia. «Io non critico le tue collezioni, tu non criticare i miei ricordi» borbottò lei puntandogli un dito contro e anche i suoi occhi si erano addolciti di parecchio. Il che non era vero, perché ogni volta che finiva a casa di lui trovava sempre il modo di stuzzicarlo sull’argomento, ma era troppo adorabile mentre lo faceva, così Spencer non se la sentiva mai di ribattere o prenderla sul personale. Il ragazzo sorrise e l’attirò a sé con un braccio e la strinse. «Mi sei mancata» ammise dopo averle lasciato un bacio sulla tempia. La bionda si lasciò andare in quell’abbraccio e lo strinse a sua volta. «Anche a me» rispose di rimando. «Se dovessi avere un caso di ragazza scomparsa sarò io, sommersa nei miei scatoloni» aggiunse alzando la testa per guardarlo in faccia. Reid ridacchiò e spostò lo sguardo per controllare meglio la situazione. «Sai, volendo ho una squadra disposta…» iniziò a dire ma la ragazza lo interruppe subito. «No! Cioè, ormai ho finito, vedi? Giusto due libri mi mancano».
 
«Se vuoi puoi tenerlo» disse Athena notando come Spencer si fosse incantato sul libro che teneva tra le mani. Era una vecchia edizione di un libro di Agatha Christie che aveva letto un milione di volte. Il ragazzo era talmente assorto nei suoi pensieri che non sentì la sua voce. La ragazza posò la carta con cui stava imballando una lampada per raggiungerlo e capire il motivo della sua totale assenza. Il divano era sommerso di scatoloni e vari oggetti da imballare. Sembravano lontane le serate passate sul divano con Spencer, entrambi decisi a far cambiare idea all’altro su un determinato argomento o guardare la selezione dei migliori episodi di Doctor Who.
Reid sembrava essersi perso in un mondo a parte, la sua memoria lo aveva riportato a qualche settimana prima. «La prima volta che ci siamo baciati» mormorò Spencer senza alzare gli occhi dal libro. «Avevi appena finito di leggere questo libro, lo tenevi ancora tra le mani quando ci siamo avvicinati e…» continuò parlare e lei posò una mano sulla sua.
«Se vuoi puoi tenerlo» ripeté accennando un sorriso. Sapeva che però c’era dell’altro, Spencer stava solo aspettando il momento giusto.
«Mi mancherà – disse alzando finalmente lo sguardo – questo» quasi sospirò e allargò le braccia con un accenno di drammaticità. «Lo so che non sarai così distante ma mi mancherà sapere che non sarai solo a 23 minuti di metro o venti di macchina» continuò stringendosi nelle spalle. Era orgoglioso di lei, sapeva che quella era la strada giusta per lei, ma non poteva negare i suoi sentimenti. Si era abituato alla sua presenza, alle loro abitudini, sarebbe stato difficile lasciargli andare almeno per un po’. Athena aprì la bocca per dire qualcosa ma non uscì nessun suono. Sarebbe mancato anche a lei.
«Ammettilo che l’unica cosa che ti mancherà sarà la mia sfuriata alle sei del mattino» disse lei sistemandogli una ciocca di capelli e Reid ridacchiò. Non ebbero tempo di dire molto altro perché il fattorino, con il loro cibo cinese da asporto, suonò il campanello prima che uno dei due potesse parlare.
 
Penelope quel giorno era triste. Le foto dei gattini non le mettevano allegria, i suoi colori accesi non le trasmettevano felicità. Era triste. La sua camminata non era la sua solita, era più lenta e suo viso non era illuminato dal suo meraviglioso sorriso.
«Ehi babygirl, cosa succede?» chiese subito Morgan allarmato non appena la ragazza gli fu passata davanti. La fermò con un braccio e si portò davanti a lei. Garcia in tutta risposta sospirò e si sistemò gli occhiali. «Athena parte tra tre giorni» disse la bionda in un sussurro e Morgan inarcò un sopracciglio.
«E..?» la spronò a parlare cercando di fare mente locale. Tutta la squadra era aggiornata sul quel fronte e anche se non lo fosse stata, il comportamento di Reid avrebbe comunque fatto luce sulla faccenda. Anche lui sembrava aver perso un po’ della sua solita felicità a lavoro.
Penelope prese un altro respiro profondo prima di iniziare a parlare talmente veloce da attirare anche l’attenzione di JJ ed Emily. «Lei sta per partire capisci? Andrà via. E Spencer sembra così felice con lei, non lo vedi? Abbiamo fatto tutti finta di niente ma lo si può capire che è più felice da quando c’è lei. Lo avete mai sentito fischiettare prima di lei? Ecco, solo con Maeve. E con lei è finita male. Non può finire male. Poi non l’abbiamo neanche conosciuta, capite? E ora lei…» Garcia non riusciva a smettere di parlare tanto che Morgan fu costretto a prendere le sue spalle tra le mani e scuoterla appena.
«Penelope, respira. Non sta andando in guerra, non sparirà per sempre» disse Derek calmo, cercando di farla ragionare. La ragazza tirò su con il naso e prese un respiro profondo. Forse era stata leggermente drammatica sulla faccenda.
«Non possiamo imporci con Spencer – disse JJ sorridendo teneramente all’amica – è un momento delicato per lui, dobbiamo essere pazienti».
Garcia annuì appena. «Però potremmo…» iniziò a dire accennando un sorriso ma l’arrivo di Spencer la zittì. Non voleva fargli capire il suo stato d’animo e ancora di più non voleva che sapesse il motivo.
«Che succede?» chiese il ragazzo posando la cartelletta sulla sua sedia poco distante. Non era strano vedere i colleghi radunati ma era decisamente fuori dal normale vedere Garcia con quel sorriso spento.
Emily provò a dire qualcosa ma nulla di buono uscì dalle sue labbra. Era brava a mentire ma non sapeva se quello fosse il momento migliore. Non poteva negare che la partenza di Athena le avesse fatto tornare in mente i ricordi di Spencer con Maeve. Nonostante la situazione fosse completamente diversa, il suo lato protettivo si era decisamente attivato.
Fu però Morgan a svuotare il sacco e mettere Spencer alle strette. Una cena, tutto quello che chiedevano era una cena prima della partenza. Una cena d’arrivederci, per augurarle buona fortuna per la sua nuova avventura.
Spencer si ritrovò a rimpiangere i parenti di Athena prima ancora di dare il tempo a Morgan di finire la frase.
 
«Ripetimi perché lo stiamo facendo» disse Athena dopo essersi avvicinata a Spencer. Il ragazzo era girato di spalle, il piede batteva leggermente sul marciapiede di fronte al ristorante come per tenere conto del tempo che passava. Non appena sentì la voce di lei si girò e sorrise, nonostante la tensione e l’ansia era felice di vederla.
«Perché io sono venuto a Boston» rispose lui con un sorriso divertito sulle labbra prima di stringerla tra le braccia. Non era stato facile convincerla, doveva ammetterlo. Non che avesse paura o altro, ma sapeva benissimo che il suo rifiuto era dovuto solo ed esclusivamente alla voglia di privacy del ragazzo con i suoi colleghi.
«Però ho come la sensazione che sia ancora più ufficiale così» mormorò lei girando il viso verso il ristorante. Dalla grande vetrina intravide Garcia e altre persone già sedute al tavolo. Si morse appena il labbro e tornò a guardare Spencer. «Questa volta però sono io ad andare nella tana del lupo» aggiunse sorridendo. Una parte di lei moriva dalla voglia e curiosità di conoscere i colleghi di lui, soprattutto di scoprire ogni aneddoto possibile.
«Non sono così male, devi solo dimenticare che non puoi mentire perché… beh, lo scopriranno» disse Spencer scuotendo appena la testa. Nonostante fosse la fine di settembre il clima era ancora caldo e quella sera il cielo era talmente limpido da lasciar intravedere qualche stella anche con tutto quell’inquinamento luminoso.
«E non ti ho detto che sei bellissima stasera» aggiunse con un filo di voce. Athena sorrise e fece un passo avanti così da permetterle di lasciare un bacio sulle labbra al ragazzo.
«Nel caso non ci sia occasione dopo».

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
In nulla mi considero felice se non
nel ricordarmi dei miei buoni amici.

-William Shakespeare 

Garcia stava parlando con JJ quando dalla grande vetrata intravide Spencer e Athena baciarsi. Quasi si incantò alla scena e sul suo viso comparì un sorriso talmente grande da far incuriosire il resto della squadra. Aveva visto Spencer innamorato già in passato ma non aveva mai visto con i suoi occhi il suo comportamento da innamorato. Vedere come stringeva la ragazza tra le braccia le scaldò il cuore, era così felice che avesse finalmente trovato l’amore.
«Sembra la scena di un film» sussurrò quando per la terza volta Morgan fece il suo nome per farla tornare in sé. Hotchner e Rossi erano dall’altro capo del tavolo e corrugarono appena la fronte non capendo. Erano abituati alle stranezze di Penelope ma dovevano ammettere anche loro che questo giro era diverso. Emily si sporse di lato per cercare di avere la stessa visuale della ragazza ma fallì miseramente. Un gruppetto di persone di persone erano posizionate in modo da coprire quasi completamente la parte della vetrina tanto ammirata da Garcia.
«Credo siano arrivati Spencer e Athena» disse JJ sorridendo facendo cenno verso la porta appena aperta dal ragazzo. Doveva ammettere che era nervosa, era la prima ragazza di Spencer che conosceva e moriva dalla voglia di dare una buona impressione. Quello però era un nervosismo positivo, decisamente positivo. Sapeva che sarebbe andato tutto bene.
Reid ancora teneva la mano di Athena quando entrarono nel ristorante, un po’ per tranquillizzarsi e un po’ per rassicurarla. Questa volta ne sarebbero usciti insieme per davvero. Gesto fatto incoscientemente, aveva afferrato la sua mano senza neanche rendersene conto. Era stato istintivo, naturale.
«Pronta?» mormorò lui dopo aver visto Garcia fare un cenno con la mano verso di loro. Sarebbe stato più corretto dire che si era sbracciata, ma data l’occasione non poteva biasimarla. Athena prese un respiro profondo e sorrise.
«Prova a lasciarmi al tavolo da sola e sei morto».
Quando la coppia arrivò al tavolo Penelope quasi si gettò su Athena, stringendola in un abbraccio infinito e togliendole quasi il fiato. Reid salutò i colleghi con un cenno della mano, sapevo perfettamente che l’unica fonte di interesse era la ragazza. L’euforia di Garcia però non si calmò e dovette intervenire JJ per farle lasciare la presa e permettere ad Athena di tornare a respirare. Penelope borbottò qualche giustificazione per il suo comportamento, ma tutti sapevano che se fosse stato per lei avrebbe continuato tranquillamente. Spencer iniziò finalmente a fare le presentazioni e quando arrivò il turno di Morgan quest’ultimo non perse l’occasione per mettere in imbarazzo il ragazzo. Entrambi sapevano che quel momento sarebbe arrivato prima o poi. Spencer sperava nel mai.
«Ora capisco perché ti tenesse solo per lui, ragazzo fortunato» disse stringendo la mano ad Athena. La ragazza ridacchiò appena e ricambiò il saluto. Era stata avvertita delle maniere di Derek ma sicuramente la realtà aveva superato le aspettative.
Spencer riprese a respirare solo una volta seduto ma l’agitazione non accennava ad andarsene. Era con i suoi amici, andava tutto bene, ma non riusciva a rilassarsi completamente. Qualcosa dentro di lui lo teneva costantemente in allerta.
«Tranquillo Spence, non te la rubiamo» disse JJ sorridendo divertita all’amico dopo aver notato il suo nervosismo. Athena rise insieme al resto della squadra e poggiò la mano su quella del ragazzo sotto il tavolo. Era agitata anche lei ma voleva che Spencer capisse che stava bene. Stava andando tutto come sarebbe dovuto andare.
«E non la faremo nemmeno scappare, promesso» aggiunse Emily spalleggiando l’amica. Era quasi surreale vedere Spencer con una ragazza ma non poteva non essere più felice per lui. Si meritava un po’ di felicità dopo tutto quello che aveva passato.  
«Dopo essere sopravvissuta alla prima recensione dettagliata sull’intera saga di Star Wars credo di poter dichiarare con assoluta certezza che nulla possa farmi scappare» ammise Athena facendo una piccola smorfia divertita. Morgan scoppiò a ridere e poggiò la mano sulla spalla di Spencer. «Ragazzo, sei un uomo fortunato».
 
Athena non aveva mai visto un gruppo di persone così unito. Sembravano molto più che colleghi, erano decisamente una famiglia. Forse non del tutto funzionale ma unita e complice. Non aveva mai visto Spencer così a suo agio in mezzo ad altre persone se non in quel momento con i suoi colleghi. Era bello conoscere anche questo suo lato, più rilassato e spensierato. Rossi stava raccontando l’ennesimo aneddoto sui suoi primi giorni con Garcia quando JJ si intromise nel discorso.
«Io credo che Athena preferisca sapere di quando abbiamo mandato in giro per locali Derek e Spencer» disse la bionda facendo l’occhiolino alla ragazza. Athena scoppiò a ridere e Spencer improvvisamente iniziò a sudare freddo. Quello era decisamente un lato di Spencer che la ragazza non aveva mai visto ma che moriva dalla voglia di scoprire.
«N-no, credo che sia più interessante scoprire i mille modi più uno di Garcia per rispondere al telefono» balbettò dopo essersi passato una mano sul viso come per ricomporsi. Derek scosse appena la testa divertito, adorava quella storia.
«Okay, seguimi» disse Morgan portando le mani davanti a sé per poi farle appena sfregare. Era arrivato il suo momento.
«Las Vegas di un anno fa è la mia preferita» si intromise Hotchner lanciando un’occhiata a Morgan. Emily storse appena il naso, la sua preferita era Atlanta di tre anni prima.
«Los Angeles cinque anni fa» decretò Derek facendo morire dentro Spencer. Il genietto si strinse nelle spalle quasi per scomparire, non aveva preparato Athena per quello.
Athena dal canto suo era curiosa e divertita, Spencer non era mai stato un grande chiccherone, spesso e volentieri doveva tirargli fuori le cose con la forza.
«Avevamo un caso di ragazze scomparse dopo essere state in vari locali – iniziò a raccontare prendendosi l’attenzione di tutti – così Hotch ha pensato bene di mandare il nostro caro amico Spencer in giro nei locali per cercare un po’ di informazioni» continuò posando una mano sulla spalla del ragazzo che nel frattempo aveva dimenticato come si respirasse correttamente.
«Non dimenticare che c’eri anche tu» esclamò Emily puntandogli il dito contro.
«Certo, certo, ma non importa per i fini della storia» disse Derek liquidandola con un gesto della mano. «Quello che importa è di come ho trovato il nostro caro genietto» continuò.
Athena inarcò appena un sopracciglio curiosa e girò il viso verso Spencer che però cercava di evitare in contatto visivo con chiunque. Morgan stava per riprendere il suo racconto quando Reid si intromise mettendo fine alla sua tortura.
«Facevo trucchi di magia per attirare la loro attenzione e spiegare cosa dovevano fare in caso avvistassero qualcuno che assomigliasse allo sketch nel foglio» borbottò Spencer alzando gli occhi al cielo. Tutti scoppiarono a ridere. Stuzzicare Spencer dava sempre i suoi frutti.
«Tu hai conquistato l’intero locale, non hai ‘semplicemente fatto il tuo lavoro’» gli fece il verso Penelope. Athena sorrise divertita e guardò il ragazzo diventare rosso. Ai suoi occhi era tenero, vederlo così in imbarazzo le aveva fatto venire voglia di abbracciarlo e stringerlo a sé, ma sapeva che non era il momento adatto.
«Alla fine della serata? Lui aveva intascato più numeri di telefono di me» concluse Derek con fare drammatico facendo ridere nuovamente tutti quanti. Quando Spencer vide la reazione di Athena si rilassò, sembrava fosse felice dell’aneddoto.
«Oh, tranquillo genietto, non ho mai pensato fossi il tipo che rimorchia ragazze nei locali» scherzò Athena scompigliandogli i capelli.
 
Il tempo passava ma la conversazione non moriva mai. Dagli aneddoti erano passati ai ricordi delle nottate passate in ufficio per finire i fascicoli, ai compleanni improvvisati e alle cene a casa di Rossi. Athena scoprì un’altra parte del mondo di Spencer e ne era grata.
Non lo avrebbe mai ammesso ma era felice di aver accettato quell’invito a cena.
«Questo però mi ricorda che il nostro ragazzo non ci ha ancora raccontato come vi siete conosciuti» disse JJ sorridendo teneramente ai due piccioncini. Athena si girò verso Spencer come per chiedere chi dei due dovesse rispondere e come. Spencer prese un respiro profondo e sospirò. «Lei la racconterà decisamente meglio» ammise poi spostando tutta l’attenzione sulla ragazza.
«Oh, in realtà non c’è molto da raccontare – disse Athena sentendosi tutti gli occhi puntati addosso – eravamo in università» iniziò a parlare e sembrava quasi che Garcia stesse prendendo appunti mentalmente dal gran che sembrava concentrata sulle sue parole.
«Il mio professore mi aveva consigliato di seguire questa lezione di filologia per un motivo che non ricordo neanche. Casualmente c’era anche Spencer» continuò la bionda portandosi una ciocca dietro l’orecchio.
«Era dopo il caso Combroth, ero distrutto, e mi misi a sedere nel primo posto libro che vidi» si intromise Spencer che si prese occhiatacce sia da Emily che da Garcia.
«Ci siamo conosciuti così, perché si era seduto di fianco a me» concluse Athena sorridendo appena al ricordo. Non volle entrare troppo nei dettagli, quelli sarebbero rimasti solo nella sua memoria e quella di Spencer. Era una cosa solamente loro.
«Noi però vogliamo le informazioni interessanti» disse Morgan ammiccando alla coppia.
«Oh, quelle te le racconterò quando sarai più grande» rispose Athena a tono lasciando meravigliata l’intera tavolata per poi scaturire una risata generale.
 
La luna risplendeva nel cielo quando la piccola comitiva con un paio di bicchieri di troppo in corpo uscì dal ristorante per tornare nelle rispettive case. I saluti furono calorosi esattamente come quelli di inizio serata e tutti augurarono buona fortuna ad Athena per la sua prossima avventura.
La ragazza aveva già fatto qualche metro quando sentì Spencer chiamare il suo nome.
«Aspetta un secondo!» disse velocizzando il passo per raggiungerla. «Posso accompagnarti?» aggiunse poi sorridendo. Era felice, la serata aveva superato ogni aspettativa possibile e non voleva che finisse così presto.
«Certamente» rispose Athena tendendogli la mano. Il ragazzo inarcò appena il sopracciglio divertito e l’afferrò. Avvicinò la ragazza ancora di più a sé e le lasciò un bacio tra i capelli. «Grazie per la serata» mormorò sentendo nient’altro che spensieratezza, cosa non molto facile per lui.
«Te lo avevo detto che sarebbe andato tutto bene» disse la ragazza ridacchiando, sapendo benissimo che nessuno dei due era mai stato positivo sulla riuscita della serata. Reid ridacchiò appena e iniziarono a camminare lungo il marciapiede.
«Era il momento giusto» ammise Spencer guardando verso il basso, come se le sue scarpe fossero diventate improvvisamente interessantissime. Si fece coraggio e girò il viso verso Athena. «Credo che fosse il momento giusto per presentare ai miei amici la mia ragazza».

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
I doni inaspettati sono sempre i più grati.
- Proverbio
 
Era passata poco più di una settimana da quando Athena si era trasferita nel suo nuovo appartamento appena fuori dal college. Aveva già vissuto l’esperienza dei dormitori e non voleva ripeterla. Non che ci fosse qualcosa di sbagliato e negativa, ma questa volta voleva concentrarsi più sullo studio che sulla vita notturna e le feste. Si poteva dire che ci era già passata e non ci teneva a riviverla, aveva altri obbiettivi in mente.
Nonostante avesse declinato l’offerta della Lincoln, aveva scoperto che una scuola elementare poco distante dal suo appartamento cercava insegnati di lingua. Così, senza neanche rendersene conto, si era ritrovata a lavorare part time con bambini di sei anni. Sapeva che se ne sarebbe pentita amaramente ma era bastato un giorno nella sua classe per innamorarsi follemente di quelle piccole pesti.
Il campus universitario era enorme e spesso e volentieri si perdeva, ma stava iniziando ad abituarsi. Inoltre grazie alle sue disavventure e alle sue corse tra un’aula all’altra aveva fatto la conoscenza di due compagni di corso.
Era una nuova vita la sua, ma doveva ammettere che le stava piacendo. Se solo anche Spencer fosse stato lì con lei.
La ragazza era immersa nei suoi pensieri quando una figura decisamente più alta di lei le si avvicinò e schiarì voce per far notare la sua presenza.
«Pomeriggio libero?» chiese Theodore una volta che la ragazza si girò nella sua direzione. Athena alzò gli occhi al cielo e si sistemò meglio la borsa di tela sulla spalla. Forse avrebbe avuto del tempo libero nel duemila e mai, pensò la ragazza.
«Magari» borbottò lei facendolo ridere. Accanto a lui Helen era già pronta a partire in quarta per spiegare perché entrambe non fossero libere quel pomeriggio già alla prima settimana di lezioni. Non che fosse contro l’apprendimento o l’impegno, ma sperava che prima di buttarli nella fossa dei leoni i professori li lasciassero ambientare. Invece no.
«Il professor Lee ci fa attendere a questa conferenza super top secret» si spiegò Athena facendo scoppiare a ridere il ragazzo. «Sono seria! Ha solo detto che chiunque vuole laurearsi in Criminologia et simila dovrebbe partecipare senza aggiungere dettagli».
Theodore inarcò un sopracciglio e guardò attentamente le sue ragazze. «Ecco perché sono contento di non seguire il suo corso, buona fortuna ragazze!» concluse divertito. Si conoscevano da pochi giorni ma tutti e tre avevano intuito che quello sarebbe stato l’inizio di una lunga, lunghissima, amicizia.
Helen sistemò i suoi capelli castani in una coda bassa e guardò l’orologio. Fece una piccola smorfia e si girò verso la bionda.
«Dobbiamo avviarci o troveremo posti solo davanti e io voglio dormire» disse Helen rassegnata. Non era iniziata bene la giornata per lei, quindi la sua voglia di passare extra ore tra i banchi universitari era ridotta ai minimi storici. Theodore fece per incamminarsi nella direzione opposta ma venne fermato dalle due ragazze.
«Oh, no, caro. Se noi andiamo, tu vieni con noi».
 
 
I tre ragazzi entrarono nell’aula e trovarono dei posti liberi verso il centro delle sedute. Era una delle classi più grandi che quell’area del dipartimento possedesse, utilizzata spesso per conferenze. Athena si guardò intorno e notò come molti avevano già tirato fuori laptop o quaderni vari per prendere appunti. Per poco non sbuffò, neanche lei era in vena di una lunghissima conferenza improvvisata all’ultimo.
«Ma dobbiamo prendere appunti?» chiese Helen leggendo nella mente la bionda. Il ragazzo si passò una mano sul viso con fare drammatico.
«In cosa mi avete cacciato?» borbottò Theodore guardandosi stranito intorno.
«Okay, okay, possiamo metterci vicino la porta e sgattaiolare via se…» iniziò a dire Athena la il suono di una voce a dir poco familiare la fece ammutolire. 
Appena fuori dall’aula una a dir poco emozionata Penelope Garcia aveva acceso il microfono prima del previsto, lasciando così che l’intera platea ascoltasse la sua conversazione. Alcuni ragazzi si girarono curiosi, altri rimasero a fissare il proprio telefono non curandosi della situazione.
«Mama, hai il microfono accesso» disse Morgan leggermente divertito prendendole dalle mani il microfono per spegnerlo. Emily e JJ stavano parlando tranquillamente di quanto il figlio di JJ, Henry, fosse cresciuto, con tanto di supporto multimediale. Rossi e Hotchner invece stavano parlando sul professor Lee, definendo gli ultimi dettagli per la conferenza. Si erano accordati all’ultimo, sia a causa dell’imprevedibilità del lavoro dei profiler, sia per problemi burocratici universitari.
Spencer era un attimo in disparte, pensando e ripensando al fatto che non avesse avvertito Athena del suo arrivo. Voleva farle una sorpresa, facendosi trovare sul campus, ma in quel momento si stava pentendo. Se non avesse apprezzato la sorpresa? Se avesse preferito essere avvertita? O peggio: se non avesse voluto vederlo?
Ovviamente non aveva ragione di pensare a tutto ciò ma non ne poteva fare a meno.
Athena sembrava incantata. Anche se il suo corpo si era completamente fermato, la sua mente non si era fermata un secondo.
Come poteva essere Garcia al campus? Non poteva essere lei. Doveva essersi sbagliata, Spencer l’avrebbe avvertita. Ne era sicura.
«Athena?» la richiamò Helen con uno sguardo curioso. «Stavi dicendo?» la spronò a parlare.
«Oh, niente» mormorò la ragazza tornando alla realtà sistemandosi meglio sulla sedia.
Era pronta a ribattere al commento di Theodore quando vide entrare l’intera squadra di Hotchner entrare subito dopo il professor Lee.
Erano davanti a lei, non stava sognando.
Athena inarcò appena un sopracciglio mentre osservava la squadra prendere posto e i suoi pensieri vennero interrotti nuovamente da Helen.
«Quello sulla destra è…» iniziò a dire Helen mimando verso Derek.
«Un Dio greco» concluse Theodore riportando nuovamente Athena alla realtà.
«Si, Garcia lo chiama anche così» mormorò la bionda con un filo di voce. Si sistemò sulla sedia, quasi volendosi fare piccola piccola. Non sapeva perché ma si sentiva a disagio, per niente a suo agio.
Spencer si sentiva a disagio. Ormai si era abituato a parlare in pubblico ma sapere che Athena fosse lì e che in pratica le avesse teso un’imboscata, lo faceva sentire un pesce fuor d’acqua. Si fece coraggio e alzò lo sguardo e lo fece vagare per l’intera sala finché non incrociò gli occhi di Athena. Non poté fare a meno che sorridere. Tutti quei giorni separati si fecero sentire e anche se sapeva benissimo in che guaio si fosse cacciato, non era mai stato così contento di vederla.
Athena dal canto suo alzò nuovamente un sopracciglio, come per fare la sostenuta, ma prima di rendersene conto anche sul suo viso si aprì un sorriso. Le era decisamente mancato quel maledetto genio.
«Benvenuti ragazzi. Credo di poter dare inizio a questa lezione» iniziò a parlare il professor Lee portandosi davanti al microfono. Tutti gli studenti si sistemarono al meglio, dandogli la loro completa attenzione. Così il professore iniziò a parlare di come a partire dall’anno accademico corrente ci sarebbe stata una nuova offerta formativa, particolare e soprattutto sperimentale. L’FBI aveva creato insieme al dipartimento di criminologia un percorso universitario che avrebbe permesso agli studenti di avere accesso diretto a specifici ambiti dell’FBI una volta laureati.
«Oh» mormorò Helen inclinando appena la testa.
«Esami aggiuntivi?» borbottò Theodore corrucciando appena la fronte.
Athena rimase in silenzio. Ecco perché Spencer non le aveva detto nulla.
«Nei prossimi giorni assisteremo a più lezioni tenute dai migliori rappresentati dei vari campi. Qui con noi oggi abbiamo l’onore di ospitare una delle divisioni dell’FBI, l’unità di analisi comportamentale» concluse il professore Lee lasciando gli studenti con più domande che certezze.
«Grazie professor Lee – disse Rossi prendendo la parola – io sono l’agente speciale supervisore David rossi. Loro sono gli agenti speciali supervisori Jareau, Prentiss, Hotchener e Morgan. Lui è il dottor Spencer Reid e alle tastiere abbiamo la nostra analista informatica Penelope Garcia» finì le presentazioni Rossi indicando i vari colleghi.
«Morgan» mormorò Helen quasi prendendo appunti mentalmente. Athena per poco non la fulminò con lo sguardo. Era stato istintivo, quasi automatico. Non aveva ancora spiegato la sua situazione privata ai due compagni di corso, ma sapeva che dopo quella conferenza non avrebbe più potuto rimandare di molto.
«In parole povere, per non annoiarvi, noi del BAU usiamo la scienza comportamentale, la ricerca, analisi dei casi, addestramento, per andare a caccia di mostri, stupratori, terroristi, pedofili e la nostra specialità: i serial killer» continuò David attirando l’attenzione di tutta la platea.
«Qualcuno di voi sa cos’è un serial killer?» prese la parola Derek. Athena si poggiò nuovamente allo schienale della sedia, quasi pentendosi di essersi presentata alla conferenza.
Un ragazzo qualche fila più avanti alla sua quasi si sbracciò. La ragazza lo riconobbe: era il so-tutto-io che seguiva un suo stesso corso. Inutile dire che non le andasse a genio.
«Una persona che ha commesso più di un omicidio» rispose il ragazzo non appena ebbe la parola.
«Per la legge, tre è il numero magico. È un fatto più qualitativo che quantitativo per noi».
La lezione andò avanti per molto tempo, con la squadra comportamentale impegnata a spiegare uno dei casi affrontati come esempio per il loro lavoro.
Athena non poteva negare che almeno una parte di sé ne fosse rimasta affascinata, ma la sua parte più razionale aveva scacciato ogni piccola possibilità.
 
«Avete notato quanto fosse emozionato Lee?» chiese Helen quasi divertita mentre raccoglieva le sue cose per lasciare l’aula. La conferenza era appena finita e mentre la squadra di Hotch era impegnata a parlare con alcuni studenti, i tre ragazzi stavano escogitando un piano per evitare la ressa. O che il professore li fermasse per parlare. Possibilmente entrambi.
«Mh?» mormorò Athena distratta, con gli occhi puntati dove fino a pochi secondi prima c’era stata la figura di Spencer. «Vi recupero dopo, okay? D-devo fare una cosa» si affrettò a dire senza lasciare loro spazio per una replica. Prese la borsa e si allontanò verso le scale. Era quasi arrivata alla porta quando una non poco entusiasta Garcia quasi la placcò.
«Athena!» esclamò intrappolandola in un lungo abbraccio. «Oh, che bello rivederti» continuò a parlare ignorando il fatto che fossero proprio nel bel mezzo dell’uscita.
Spencer era a qualche metro di distanza, incastrato in una conversazione con un professore e uno studente interessato a vincere il record per la formulazione di più domande nel minor tempo possibile. In un altro momento Spencer avrebbe amato quel ragazzo e quella conversazione, ma in quel momento riusciva a pensare solamente ad Athena.
«Oh, Penelope» disse Athena ridacchiando appena. «Che bella sorpresa» disse poi una volta sciolto l’abbraccio.
Garcia inarcò appena un sopracciglio non capendo. «Spencer non ti ha…?» disse quasi sorpresa. Parlavano di quella conferenza da un paio di giorni, era impossibile che non le avesse detto nulla.
«Esattamente» annuì la ragazza.
Ormai l’aula si era svuotata, erano rimaste dentro giusto un paio di persone. Così Spencer si fece coraggio e andò verso Athena, che era stata circondata da JJ e Garcia, sicuramente per del sano gossip.
«Noi…» disse JJ facendo cenno all’amica verso la porta non appena vide Spencer avvicinarsi. Penelope la guardò non capendo ma appena vide la figura dell’amico sorrise appena e seguì la bionda.
Athena si sistemò appena la borsa sulla spalla appena Reid arrivò a pochi metri da lei e prese un respiro profondo. «Fuori?» disse poi indicando la porta dietro di sé. Spencer quasi si bloccò. Non era decisamente il saluto che si era aspettato. Annuì non riuscendo a dire nulla, quasi terrorizzato di aver combinato un disastro. Uscirono dall’aula e si avviarono verso il giardino dell’università in silenzio, entrambi immersi completamente nei loro pensieri.
«Athena io n-» iniziò a dire Spencer non appena raggiunsero il giardino. La ragazza non riuscì più a rimanere seria e si girò completamente verso di lui e lo baciò.
Reid ancora confuso la strinse tra le braccia, come per annullare ancora di più le distanze.
«Non potevo baciarti davanti al mio professore» disse Athena decisamente divertita con il viso ancora a pochi centimetri da quello di lui.
Da lontano, Theodore e Helen osservarono la scena con grande approvazione battendosi il cinque.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
E alla fine, non sono gli anni della tua vita che contano.
E’ la vita che c’è stata nei tuoi anni.
-Abramo Lincoln
 
«Ogni tuo desiderio è un ordine» disse Garcia rispondendo al telefono al primo squillo. Dall’altra parte della linea una fin troppo indaffarata Athena quasi non si accorse delle parole della ragazza. Ormai si era abituata a come Penelope rispondesse al telefono, quasi non ci faceva più caso.
«Garcia?» disse Athena sistemando meglio il telefono all’orecchio mentre correva dall’altra parte del campus per non arrivare in ritardo a lezione. «Ecco, c’è Spencer nei paraggi?» continuò. Aveva solo dieci minuti prima di andare a prendere posto a sedere. Poteva farcela.
«Sola nella mia bat caverna, devo passartelo?» rispose Penelope con un mezzo sorriso. Parte di lei sperava che la ragazza avesse chiamato per parlare con lei.
«No!» quasi urlò Athena attirando l’attenzione di un paio di studenti vicino a lei. «Ho bisogno di te» si spiegò cercando di tornare ad avere un minimo contegno. Sul volto di Garcia si aprì un meraviglioso sorriso.
«Dimmi tutto, biondina».
«Settimana prossima è il compleanno di Spencer, volevo sapere se stesse organizzando qualcosa perché ho in mente-» iniziò a parlare Athena che ormai era arrivata davanti all’aula. Aveva passato gli ultimi giorni a raccogliere idee per il compleanno del ragazzo e soprattutto per il suo regalo. Era piene di spunti ma nessuno sembrava essere quello giusto. A tratti le sembrava tutto esagerato e altre volte tutto troppo poco.
Aveva decisamente bisogno di aiuto.
«Oh, farò di ogni tuo desiderio un ordine» la interruppe Garcia sorridendo divertita.
 
 
Athena era nervosa. Era il 26 ottobre e Spencer era via per un caso che sembrava interminabile. Mancavano solamente due giorni al suo compleanno e la possibilità che tutto il suo lavoro, con il prezioso aiuto di Garcia, sarebbe stato vano.
Ovviamente sapeva che con il suo lavoro imprevisti del genere sarebbero capitati, dopotutto aveva preparato anche un piano B e C, ma sperava di non dover ricorrere a tanto. Era la prima volta che festeggiavano insieme, voleva che fosse speciale.
Era tornata a Washinton di nascosto da lui, aveva quattro giorni prima di dover ripresentarsi a lavoro, così da sorprenderlo fino in fondo. Era stata dura convincere Beth a tenere il segreto, ma alloggiando da lei era riuscita a portarla dalla sua parte. Beth era quel tipo di ragazza che non sapeva tenere alcun segreto, aveva bisogno di dire al mondo ogni piccola cosa. Per fortuna non era ancora entrata in contatto con Garcia, sarebbe stata la morte di Athena.
«E se non dovesse tornare in tempo?» chiese Beth passando un calice di vino all’amica. Athena sorrise appena e prese in mano il bicchiere per prendere un sorso.
«Piano B» rispose la bionda stringendosi appena nelle spalle. Si sistemò meglio sul divano e spostò lo sguardo sul film alla televisione che avevano smesso di seguire da una buona mezzora.
«Oh, quasi spero che non torni così ti avrò per me per altri quattro giorni» disse Beth con la voce più dolce che le venisse dopo aver poggiato la testa alla sua spalla. Athena scoppiò a ridere.
«Non ridere! Quando tornerà ti trasferirai da lui e io non ti vedrò per un altro milione di anni» ribatté la mora corrugando appena la fronte. Nonostante si sentissero in continuazione per telefono, le era mancato avere la sua compagna di avventure in carne ed ossa accanto e lei.
Athena per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. «C-cosa?» mormorò quasi senza voce.
«Non hai pensato a…?» disse Beth tornando diritta.
«No!» quasi esclamò la bionda e si fermò di colpo. Guardò negli occhi l’amica. «Oddio» aggiunse mentre il suo cervello connetteva tutti i puntini. Si passò la mano libera sul viso e in un sorso buttò giù l’intero contenuto del calice.
«Okay, ora dimmi perché sei andata in completa modalità panico» disse Beth quasi spaventata dal comportamento dell’amica. Le riempì nuovamente il bicchiere e aspettò che parlasse.
«Non posso credere che mi sia talmente abituata ad avere zero contatto con Spencer che non ci abbia pensato» disse Athena guardando un punto indefinito della sala. Prese un respiro profondo e si girò verso l’amica. «Come ho fatto a…?» continuò a parlare ma ad un certo punto le parole le morirono in gola. Improvvisamente anche il divano era scomodo e si alzò in piedi.
«Io che non ci penso» disse quasi più a se stessa che a Beth, che nel mentre era rimasta in silenzio per far sfogare l’amica. «Oddio, non sono una maniaca ma neanche-» continuò a dire ma nuovamente le parole morirono in gola. Prese un sorso di vino e fissò l’amica in cerca di risposte. Beth dal canto suo prese un respiro profondo e le fece segno di tornare a sedere accanto a lei.
«Lo hai detto anche tu, non sei abituata ad avere contatto con lui e questo è diventato normale per te, anche non pensarci» rispose Beth sorridendo appena all’amica anche se lei stessa era confusa. «Vi verrà naturale quando meno ve lo aspetterete.»
«A volte è così…» disse la bionda gesticolando appena. «Complicato» ammise e prese l’ennesimo sorso di vino. «Non è mai stato complicato con nessun altro e questo mi spaventa. Basta così poco per farlo indietreggiare anni luce che forse tutta questa festa a sorpresa è un disastro programmato».
 
 
Era la mattina del 28 ottobre 2017 ed era il compleanno di Spencer. 27 anni, ma sembrava ne avesse già vissuti una cinquantina per tutte le esperienze fatte.
Per Athena, quella mattina, fu anche la prima volta in cui realizzò che Spencer avrebbe potuto non esserci per le date importati. Non le era mai pesata la lontananza, l’incertezza dovuta al suo lavoro, ma quel giorno era come se un enorme macigno si fosse posato sulle sue spalle.
Si era innamorata di un uomo che sarebbe stato capace di mancare anche al suo stesso matrimonio.
Quest’ultimo pensiero la fece quasi scoppiare a ridere e finalmente la sua mente si concentrò su altro.
Dall’altra parte della costa, invece, Spencer era sveglio da un paio di ore. Lavorare il giorno del suo compleanno non gli pesava, l’intera squadra gli aveva portato un cupcake per colazione con una candelina ed era felice così. Athena doveva ancora chiamarlo ma non era preoccupato. Il sabato dormiva sempre fino a tardi, sapeva che lo avrebbe chiamato durante la giornata nonostante il caso.
Sì, avrebbe decisamente chiamato.
 
Athena stava per chiamare Spencer quando Penelope la anticipò e le comunicò che il caso era chiuso. Il loro aereo sarebbe atterrato per le 22:50 e anche se il tempo non sarebbe bastato per i piani delle due bionde, ad Athena venne in mente un’idea migliore.
Quando alle 23:25 Spencer si trovò davanti al portone del suo palazzo era a dir poco demoralizzato. Athena non aveva chiamato, solo un messaggio per fargli gli auguri e non sapeva come interpretarlo. Si era già stancata di lui?
Salì le scale svogliatamente, impegnandosi a non trascinare il borsone sui gradini. Quando arrivò alla cima dell’ultima rampa il suo cuore quasi perse un battito.
Athena era poggiata al muro di fianco alla sua porta, con lo sguardo abbassato verso la borsa e due sacchetti ai suoi piedi. Non appena sentì i passi di lui avvicinarsi alzò immediatamente lo sguardo e sorrise al ragazzo. 
«Ehi festeggiato» disse Athena mettendosi diritta con la schiena. «Abbiamo ancora – aggiunse per poi guardare l’orologio sul polso—32 minuti per festeggiare il tuo compleanno».
Spencer sorrise e annullò le distanze tra loro due il più velocemente possibile. La prese tra le braccia e la strinse a sé. Il miglior ritorno a casa di sempre, pensò mentre il profumo di lei gli riempiva le narici.
«Sorpresa» disse la bionda alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare all’altezza del ragazzo per poi baciarlo.
Impiegarono qualche minuto a staccarsi completamente ed entrare in casa e sistemarsi. Ovviamente Athena aveva recuperato del cibo cinese, sapendo che il ragazzo aveva quasi completamente saltato la cena. Inoltre ogni scusa era buona per fare uno spuntino di mezzanotte.
«Come hai fatto?» riuscì solamente a chiedere Spencer, ancora spiazzato per la sorpresa. Ora capiva come si era sentita lei quando si era presentato al matrimonio, pensò e non poté fare a meno di sorridere.
«Ti ho mai parlato di Penelope Garcia?» rispose la ragazza retorica posando le due buste piene di cibo sul tavolo. Spencer scosse appena la testa divertito. Poche volte nella vita era stato così felice.
 
 
Mancavano appena tre minuti alla mezzanotte e Spencer e Athena erano seduti sul divano, uno appoggiato all’altra, a parlare degli argomenti più svariati.
La ragazza aveva preparato un’intera serata d’intrattenimento ma sia la stanchezza che la voglia di parlare con Spencer senza l’utilizzo del telefono avevano preso la meglio.
Spencer non era mai stato così tanto a suo agio con una persona come in quel momento con Athena. Aveva la testa si lei poggiata sulla spalla e le loro dita sembravano aver vita loro, impegnate e giocherellare tra loro per tutto il tempo.
«Uh, mancano due minuti» disse la bionda non appena il suo sguardo si posò sull’orologio appeso al muro. Il ragazzo guardò a sua volta l’orologio e prese un respiro profondo.
«C’è stato un momento oggi in cui ho pensato che ti fossi già stancata di me» ammise Spencer dopo essersi schiarito la voce. Non sapeva neanche lui perché lo avesse tirato fuori, ma ormai non poteva farsi indietro. Athena in tutta risposta ridacchiò appena.
«L’unico modo per non farti sospettare nulla era non chiamarti» rispose semplicemente lei alzando lo sguardo per guardo. «Inoltre ho passato tutta la giornata a correggere compiti, era la scusa perfetta» ammise e Spencer sorrise. Spesso le aveva parlato di quanto i suoi alunni fossero tanto adorabili quanto impegnativi. La vedeva così felice e adorabile che quasi gli sembrò irreale. Con il braccio che circondava le sue spalle la strinse a sé.
«E poi te l’ho detto, se fossi voluta scappare lo avrei fatto ai tempi della recensione completa su Stars War» quasi gli fece il verso divertita. Spencer roteò gli occhi e si girò con il busto verso di lei.
«Non sei simpatica» iniziò a dire ma venne interrotto dalla ragazza.
«Oppure quando nel bel mezzo di un discorso normalissimo ti sei messo a parlare di biogenetica» continuò la bionda contando con le dita come per enfatizzare le sue parole. «Oppure prima di-» riprese a parlare ma Spencer scelse di zittirla con un bacio, lasciandosi andare nel momento. «Innamorami di te» concluse Athena con le labbra ancora a pochi centimetri da quelle del ragazzo.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
La gentilezza nelle parole crea confidenza;
la gentilezza nel pensiero crea profondità;
la gentilezza nel dare crea amore.
-Lao Tzu
 
Athena sentì dei passi leggeri accanto a lei ma questo non bastò a convincerla ad aprire gli occhi. Strinse a sé la coperta e affondò ancora di più il viso nel cuscino per tornare a dormire. Non aveva idea di che ore fossero ma niente e nessuno si sarebbe messo in mezzo tra lei e il suo amato sonno.
O quasi.
«Credo sia arrivato il momento di affrontare il mondo» mormorò Spencer tornando ad infilarsi sotto le coperte accanto alla ragazza. «Ho preparato il caffè» aggiunse dopo averle lasciato un bacio tra i capelli. Non era abituato a dividere il letto con qualcuno, e probabilmente se fosse capitato qualche anno addietro sarebbe entrato completamente nel panico, ma quella mattina no. Quella mattina si era svegliato felice, contendo di avere finalmente Athena accanto a sé. Certo, le sue paure non si erano volatilizzate nel nulla, ma aveva imparato a conviverci. La gioia di non svegliarsi più da solo era decisamente maggiore della paura della possibilità di perdere Athena.
La ragazza in tutta risposta si girò dalla sua parte ma mantenendo le coperte ben salde e gli occhi chiusi. No, non era ancora ora di alzarsi. Si stava troppo bene tra le coperte accanto a lui.
«Non sei così bravo come negoziatore» borbottò Athena aprendo un occhio per poi chiuderlo subito. Lei aveva ancora voglia di dormire. Spencer scoppiò a ridere e si sistemò meglio sul letto.
«Ci sono anche i pancake – iniziò a parlare e la bionda alzò lo sguardo verso di lui – anche se non posso garantire sulla forma» e così Athena si svegliò di colpo. Si vendeva facilmente per il cibo, doveva ammetterlo. Sbatté le ciglia un paio di volte per abituarsi alla luce e mettere a fuoco la figura del ragazzo. Doveva ammettere che aveva vissuto risvegli peggiori.
«Buongiorno» disse Spencer chinandosi appena per lasciarle un bacio sulle labbra. La ragazza sorrise appena e allacciò le mani dietro il suo collo, lasciando definitivamente andare la sua amata coperta.
«Sei fortunato ad avere un bel faccino, altrimenti saresti morto per avermi svegliata» disse la bionda facendo sfiorare i loro nasi. «Non sei l’unico con un porto d’armi.»
 
 
Novembre non era ancora giunto a termine e Athena era nel panico più totale. Sapeva benissimo che aggiungere corsi per il progetto dell’università con l’FBI non era stata la scelta migliore, ma era stato così automatico che quasi non se ne era accorta. Come se il suo cervello non lo avesse ancora realizzato. Non aveva neanche pensato alle conseguenze o detto apertamente alla sua famiglia. Spencer lo aveva capito, non che lo avesse tenuto nascosto, ma era bastato citare alcuni dei manuali da studiare o argomenti da trattare per fargli capire tutto. Una parte di lei temeva il confronto diretto sull’argomento, non era ancora pronta.
Non aveva paura di fallire o non risultare all’altezza, forse l’unica paura era quella di deludere Spencer. Non sapeva perché, quasi si sentiva ridicola per avere paura di ciò, ma qualcosa in lei era decisamente scattato.
 
In uno dei giorni più impegnativi della settima, una collega di Athena a lavoro si era sentita male proprio nel bel mezzo della lezione, così invece che tornare a casa a finire di studiare dovette rimanere il pomeriggio a scuola. Solitamente non le pensava fare qualche ora extra, si divertiva ad affascinare i bambini con le lingue straniere che conosceva, ma la decina di libri che avevano preso posto sulla sua scrivania non si sarebbero letti da soli. Certo, parte del lavoro se lo era diviso con Helen, anche lei tanto folle da seguire la sua impresa, ma doveva comunque mettersi sotto per poter anche solo lontanamente pensare di finire in tempo.
Theo aveva invece abbandonato la nave dopo la conferenza con il BAU ed entrambe le ragazze pensarono che alla fine dei conti, il più furbo era stato proprio lui.
Ne sarebbero uscite, ne erano sicure, insieme e possibilmente vive. O almeno con un po’ di sanità mentale.
 
Quando Athena arrivò a casa non sapeva se buttarsi direttamente sul letto e deprimersi o trovare il coraggio di aprire i libri. Avrebbe incontrato Helen il giorno dopo per discutere insieme il saggio da consegnare al professor Lee e il saggio per il corso extra curricolare di Sullivan. Avrebbe dovuto mangiare ma forse ordinare d’asporto sarebbe stata l’idea migliore. Doveva guadagnare tempo ed energie per mettersi in pari con il materiale, giusto per non fare figura muta davanti ad Helen. Erano una squadra e doveva fare la sua parte, poteva farcela.
Il suo telefono iniziò a squillare e mise fine al suo flusso di pensieri. A stento si ricordò dove aveva lasciato la borsa con dentro il telefono. Il suono proveniva dalla sala, quindi andò a tentativi.
«Mh?» mormorò senza neanche guardare chi la stesse chiamando. Dall’altra parte della cornetta Spencer ridacchiò appena. Aveva terminato un caso la mattina e senza neanche pensarci due volte, salì su un aereo per raggiungere la ragazza.
«Se mi apri posso provare a risolvere uno o due dei tuoi problemi» disse il ragazzo leggermente divertito, sapeva benissimo che si stava intromettendo nei piani di lei, ma allo stesso tempo sapeva che non avrebbe mai rifiutato una sua visita. Athena ci mise qualche secondo buono a realizzare ma poi finalmente andò ad aprire al ragazzo. Aveva i capelli raccolti e uno dei suoi soliti pigiama, ma poco le importava del suo aspetto. Il bello della sua relazione con Spencer era proprio come poteva essere sempre se stessa, con tranquillità e scioltezza.
«Ti faccio entrare solo se in quel tuo borsone hai del cibo perché io ho zero energia per cucinare, mi servirà tutta per rimanere sveglia a lavorare» disse la ragazza non appena aprì la porta. Era felice di vedere Spencer, ma quella sua sorpresa non era arrivata nel momento migliore. Ora che però era arrivato da lei, non lo avrebbe lasciato andare via tanto facilmente.
Il ragazzo le disse qualcosa velocemente e dopo averle lasciato un bacio le disse che aveva già programmato lui di pensare alla cena.
Garcia casualmente era venuta a sapere della follia intrapresa dalla ragazza e dalla quantità di corsi da seguire, così era andato in soccorso. Sapeva benissimo che Athena non avrebbe mai chiesto il suo aiuto, anzi, ma qualcosa comunque poteva fare per aiutarla.
Non avevano ancora discusso della scelta di Athena di partecipare al progetto con l’FBI, la ragazza aveva semplicemente aggiunto le classi necessarie senza proferire parola. Quasi fosse stata una scelta automatica. Lo aveva scoperto qualche settimana prima, in una conversazione totalmente casuale, e dal quel momento qualcosa era scattato in lui.
A Spencer spaventava la cosa, quello che prima poteva solo essere un lontano scenario ora si stava facendo più vivo e probabile. A fine percorso sarebbe potuta diventare un’agente dell’FBI e non era decisamente pronto. Soprattutto non lo era per conversazione che voleva intavolare con lei.
Erano tornati i suoi incubi con Maeve e anche se ancora non aveva una laurea in Psicologia, sapeva benissimo che era dovuto alla preoccupazione per Athena. Lui ci lavorava sul capo, sapeva quanto era pericoloso, si era beccato anche un paio di pallottole nel corso degli anni. Il suo compito era quello di proteggere Athena, non poteva perdere anche lei.
 
A cena erano stati piuttosto in silenzio, il cervello di Athena era ancora diviso a metà tra la stanchezza e la rielaborazione delle nozioni appena lette.
«Quanto rimani?» chiese la ragazza non appena si sistemarono sul divano. Voleva fargli quella domanda da quando era entrata in cucina, ma allo stesso tempo aveva paura della risposta. Certo, avrebbe dovuto cambiare i suoi piani per non lasciarlo da solo tutto il giorno, ma non le pesava. Avevano poche occasioni per stare insieme e voleva sfruttarle al meglio.
«Un paio di giorni» rispose Spencer lasciandola poggiare al suo petto. Non voleva rovinare la tranquillità che si era creata, ma allo stesso tempo non poteva più aspettare.
«Non abbiamo più parlato dell’offerta della tua università» iniziò a parlare Reid e sentì il corpo di lei irrigidirsi tra le sue braccia. Brutto segno, pensò.
Certo, non aveva proprio utilizzato la miglior apertura di sempre, ma voleva risultare calmo e rilassato, non come se dovesse darle una lezione.
«Perché devo dirti una cosa» aggiunse iniziando lentamente ad accarezzarle i capelli come per farsi forza e allo stesso tempo farle capire che andava tutto bene.
Prese un respiro profondo ed incominciò il suo discorso.
«Lo sai che ti sosterrò, qualunque scelta tu faccia, ma voglio anche che tu capisca perché ho aspettato a dire qualcosa e non mi sono sbilanciato all’idea delle conseguenze della tua scelta».
Athena rimase in silenzio, attenta alle sue parole. Sapeva che era uno sforzo per lui non nascondersi dietro i suoi dati e nozioni. Entrambi stavano lavorando su questo aspetto, lui a comunicare più con i sentimenti invece che con dati scientifici e lei ad ascoltare di più, anche se implicava interminabili minuti di pure nozioni e statistiche. Così Spencer prese coraggio e finalmente raccontò ad Athena tutta la storia di Maeve. Di come si erano conosciuti ma non potessero vedersi a causa della stalker di lei, di come per mesi si fossero sentiti solo per telefono e di come alla fine si era innamorato di lei senza averla neanche mai vista. Fece una piccola pausa prima di raccontarle la fine della storia. Era tempo che non scavava così indietro nel tempo, che non faceva riaffiorare quei ricordi. Nonostante ciò era grato che la ragazza non lo avesse interrotto, lasciandogli il suo spazio per esprimersi e dandogli il tempo necessario.
La mano di Athena si intrecciò alla sua quando iniziò a raccontare del giorno in cui scoprì che la stolker l’aveva rapita; di come la squadra avesse trovato il luogo in cui la teneva in ostaggio; di come nonostante avesse provato in ogni modo a salvarla, ogni suo sforzo andò in vano poiché la stalker decise di togliersi la vita con un colpo alla testa che prese anche Maeve.
Il silenzio di Athena iniziava quasi a preoccuparlo. Non vedeva il suo viso, non riusciva a capire la sua espressione e cosa stesse provando. Al tempo stesso Athena provava un mix di emozioni, finalmente riusciva a capire il fidanzato, tutte quelle piccole cose che prima non avevano senso ora le rivedeva sotto una nuova luce. Certo, avrebbe potuto ribattere che la verità era venuta a galla tardi, ma sapeva che non era il caso. Era contenta che finalmente di fosse fidato a tal punto da dirle l’intera storia, che si fosse sentito pronto a condividere con lei anche le parti più private della sua vita.
«Quindi ti prego di capirmi quando proverò in ogni modo a tenerti al sicuro perché non posso perdere anche te. Conosco le statistiche, le percentuali di ogni probabilità per qualsiasi cosa tu farai – mormorò con un filo di voce, ormai ridotta al minimo per l’emozione—ma il mio compito è di proteggerti. Sei destinata a fare grandi cose, questo già lo so. Mi basta sentirti parlare per capirlo. Ecco, avevo bisogno di dirtelo» aggiunse stringendola a sé per poi lasciarle un bacio tra i capelli.
«Il mio grillo parlante che mi ricorderà di pensare due volte prima di saltare» mormorò Athena alzando la testa per incrociare i suoi occhi, guardandolo con tutto l’amore che potesse provare per lui.  

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
La notte è la prova che il giorno non è sufficiente.
-Elizabeth Quin
 
Athena si stava per addormentare sul libro posato davanti a lei. Stava studiando insieme ad Helen e Theodore ma dopo pochi minuti dall’inizio del discorso di Helen la testa della bionda si era fatta sempre più pensate, fino ad arrivare alla necessità di poggiarla sulle pagine del libro. Era attenta, ovviamente, ma il suo corpo stava iniziando a cedere. Non aveva mai avuto problemi a studiare fino a notte tarda, ma quell’ultimo periodo era stato così intenso da lasciarle poco, pochissimo, tempo per respirare.
«Il caffè ha smesso di funzionare» mormorò Athena notando che l’amica avesse smesso di parlare e sentendo gli occhi puntati addosso. «Ma non sto dormendo» quasi si difese alzando le mani. Helen a stento trattenne una risata, anche lei era esausta.
«Ed è per questo che ho preparato il gin tonic» rispose semplicemente Theo avvicinando la caraffa alla ragazza. I libri sparsi per tutto il tavolo vennero messi da parte, non avevano bisogno di appunti inzuppati d’alcol. Ora che erano quasi tutti ben impilati da una parte i tre ragazzi trasalirono. Erano decisamente troppi.
Athena inarcò un sopracciglio e guardò l’amico. «Credo rimarrò fedele al caffè» mormorò tornando a concentrarsi sulla conversazione per poi allungandosi per recuperare la sua tazza. Quasi ebbe un crollo emotivo quando vide che era vuota. Erano le dieci di sera passate e non erano neanche lontanamente vicini alla fine. Si erano ritrovati la mattina per studiare per gli esami di fine corso a casa di Athena. Inutile dire che nel giro di poche ore l’intera cucina della ragazza era stata investita in pieno di appunti, libri e disperazione.
Helen e Athena facevano i doppi turni con i corsi extracurricolari, dando il tempo a Theodore di pensare al cibo, caffè e alcol.
Impossibile capire come il ragazzo potesse funzionare perfettamente anche con litri di caffeina in corpo con contorno di Gin Tonic. I livelli erano ancora entro una certa normalità ma Athena aveva il sospetto che se non avessero iniziato a bere anche dell’acqua le cose non sarebbero finite bene.
«Ma se tornassimo ad ordinare da mangiare?» propose Theodore ed improvvisamente gli occhi delle due ragazze si illuminarono.
«Ma forse non dovremmo» ribatté Helen ripensando a tutto il cibo spazzatura ingerito da quando aveva iniziato l’università.
«Shh, da qualche parte nel mondo è ora di cena» sentenziò Athena già immaginando cosa potesse ordinare. «Abbiamo bisogno di energia, non possiamo continuare a buttare giù solo caffè» cercò di essere il più ragionevole e persuasiva possibile, cosa che le era sempre venuta bene.
«E alcol!» aggiunse Theo facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
Helen aveva appena messo su la macchina del caffè per l’ennesima volta quel giorno quando il telefono di Athena iniziò a suonare.
«Un minuto» disse prima di alzarsi dalla sedia e avviarsi in camera. Theo era già al telefono per ordinare una quantità industriale di cibo d’asporto, quindi non fece molta attenzione a lei.
«Ehi» mormorò Athena rispondendo al telefono. «Serata lunga anche per te?» continuò guardando il suo orologio al polso che segnava quasi le 10:30. Si era spostata nella camera per avere un po’ di privacy e l’improvviso silenzio quasi la colpì in pieno: finalmente la pace dopo quella giornata frenetica. Quando non sentì nessuna risposta dall’altra parte corrugò appena la fronte. «Spencer?»
«Mh» fu l’unica cosa che riuscì a dire mentre si passava una mano sul viso. Il caso a cui stavano lavorando era così lungo e logorante che anche lui si era ammutolito davanti a tanta sofferenza. Per sua fortuna non gli capitavano spesso casi del genere, ma quelle poche volte rimanevano impresse come inchiostro sulla pelle.
«Beh – iniziò a dire Athena colmando il silenzio che si era creato – ho ancora Theo ed Helen da me» si sedette a bordo del letto e lasciò cadere la testa all’indietro. Era la prima volta in tutta la giornata in cui si prendeva una pausa. Ne aveva davvero bisogno. «Orra siamo in pausa cibo, Theo sta ordinando in questo momento e cavolo, dovresti sentire quanto è lunga la lista. Questo perché stiamo ancora provando a finire il programma di criminologia generale, sembra non finire» continuò a parlare e sentì Spencer accennare una risatina. «Oh, non ti ho autorizzato a ridere, non tutti hanno la tua memoria» lo ammonì facendo roteare gli occhi.
«Lo sai che non hai bisogno della mia memoria» disse Reid avvicinandosi alla finestra della stazione di polizia. Dietro di lui JJ fissava i fascicoli a vuoto, come se aspettasse che all’improvviso prendessero vita e le dessero la soluzione. Era esausta ma non poteva arrendersi, non in quel momento. Quando si riprese dal suo stato di trance alzò lo sguardo verso l’amico e sorrise appena vedendolo al telefono. Dare la buonanotte ai suoi piccoli Henry e Micheal non era stato facile quella sera, ma mai come quella sera era stata grata di saperli a casa al sicuro con Will.
Il suo sguardo cadde nuovamente sulla fotografia dell’ultima vittima, Rose di tre anni e chiuse per un momento gli occhi. Poteva farcela, potevano farcela. Dovevano.
Spencer girò lo sguardo e vedendo JJ sospirò appena. «No, questo non te lo insegnano nei libri dell’accademia» ammise. La ragazza era la sua valvola di sfogo, con il tempo aveva imparato a confidarsi con lei e a lasciare che lo aiutasse. Ma in quell’occasione neanche lui sapeva da dove incominciare. Era grato di averla al suo fianco, anche se a chilometri e chilometri di distanza.
Athena dal canto suo sentì nuovamente l’odore di caffè invadere il suo appartamento e quasi come per magia riacquisì un po’ delle sue energie. Sapeva che non c’era la cosa giusta da dire, le parole erano vane in quel momento. Così tornò a parlare di quanto gli esami di fine corso stessero mandando fuori di testa i tre ragazzi e di come avrebbe avuto bisogno di una seria disintossicazione da caffeina a lavoro finito. Magari anche di una dieta più equilibrata, ma era meglio non esagerare.
Spencer quasi rise alla fine del racconto di lei per la grande drammaticità usata, gli era mancato il suo senso di ironia.
«Grazie» fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di salutarla per tornare a lavorare al caso.
 
 
Erano le dieci del mattino quando il telefono di Athena iniziò a suonare senza sosta, obbligandola ad alzarsi dal letto. Era quasi l’alba quando era andata a dormire e dato che quello era il suo giorno libero, aveva deciso di dormire il più possibile.
«Justin?» borbottò la bionda con ancora la voce impastata dal sonno.
«Ah, allora ti ricordi di me! Da quando sei rimasta a Washinton per il giorno del ringraziamento-» iniziò a parlare il fratello ma Athena lo zittì subito.
«Mi hai chiamata per questo?» disse passandosi una mano sul viso, cercando di svegliarsi completamente.
«Da quanto non vedi Spencer?» ribatté Justin inarcando un sopracciglio, ma subito si ricordò che era sempre meglio non far arrabbiare la sorella appena sveglia. «No, ho chiamato perché mamma vuole sapere se torni a casa per Natale».
Athena corrugò la fronte. «Perché non dovrei tornare a casa per Natale?» chiese poi retorica mettendosi seduta sul letto. «E poi perché non mi chiama lei?»
«Lo sai com’è. Ha paura che tu vada a Washinton per Natale come hai fatto per il giorno del Ringraziamento» sospirò Justin lasciandosi andare sulla sedia. L’ufficio era silenzioso quel giorno, così aveva deciso di chiamare la sorella in un momento di pausa. «Quest’anno è il turno dei genitori di Kate e Mike sembra sia via, quindi…»
«Quindi rimango solo io» mormorò Athena con un filo di voce. Erano abituati a vedere Justin ad anni alterni, da quando le cose si erano fatte serie con Kate avevano iniziato a passare il Natale insieme, dividendosi tra le due famiglie. Athena non aveva mai perso una festività in famiglia, quello era stato il primo anno che non era a casa per il giorno di Ringraziamento. Non lo aveva neanche programmato, era stato un evento casuale. Era con Spencer quando Garcia lo aveva chiamato per organizzare la cena con tutta la squadra e famiglia, così senza neanche rendersene conto aveva acconsentito a presentarsi alla cena del Ringraziamento.
«Certo che torno a casa per Natale» aggiunse dopo aver notato il silenzio da parte del fratello.
«In due?» aggiunse lui con un piccolo sorriso malizioso sulle labbra. Non aveva ancora avuto occasione di conoscere bene il fidanzato della sorella e non vedeva l’ora di metterlo sotto torchio.
«Non ne abbiamo ancora parlato» ammise Athena stringendosi nelle spalle. Finalmente decise di alzarsi dal letto e iniziare a prepararsi per la giornata.
«Lo sapete che è dicembre, vero?» chiese Justin ironico, posando la sua attenzione sul calendario sulla scrivania.
«Oh, te l’ho detto che con lui è complicato» ribatté la bionda quasi spazientita. Il ragazzo non le aveva neanche ancora parlato dei genitori, invitarlo a passare il Natale da lei aveva bisogno di una preparazione ben articolata.
«Ehi Bambi, riponi le armi, ti stavo solo stuzzicando» rise il fratello divertito. Adorava mettere alla prova i limiti della sorella e scherzare, era sempre stato il suo passatempo preferito. Da quando si erano separati era diventato più difficile ma non perdeva mai occasione.
«Non chiamarmi Bambi!» ribatté Athena alzando gli occhi al cielo.
«Non è colpa mia se da quando sei nata hai gli occhi grandi come una cerbiatta, Bambi» sentenziò Justin, sempre più divertito. Le mancava la sorella, ma anche il fratello nonostante lo vedesse spesso. A volte era un po’ nostalgico verso le giornate passate a casa con i genitori a bisticciare con gli altri due. Avrebbe sempre sostenuto la sorella, senza se e senza ma, però a volte si ritrovava a chiedersi come sarebbe se lei fosse rimasta o tornata a Boston.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
Tutti i grandi sono stati bambini una volta.
Ma pochi di essi se ne ricordano.”
Antoine de Saint-Exupéry
 
Athena non fece in tempo ad aprire la porta di casa di Spencer che un biondino di appena nove anni le corse incontro, saltandole letteralmente addosso. Era tornata in Virginia per il weekend, con solo un paio di ore di preavviso. Spencer era appena tornato da un caso a Seattle e così i due avevano colto l’occasione per stare insieme. Il tempo aveva insegnato l’arte dell’improvvisazione dato che non sempre i progetti a lungo o breve termine andavano sempre disfatti o modificati. 
«Henry!» lo rincorse dietro Spencer con ancora Michael tra le braccia. Stavano giocando tranquilli sul tappeto in sala quando Henry sentì la porta aprirsi, scattando subito in piedi, più veloce di un fulmine.  
La ragazza riuscì ad afferrare il bambino appena in tempo senza cadere rovinosamente all’indietro. Per fortuna aveva ormai decenni di esperienza con i bambini, tra cugini e amici di famiglia, era sempre stata circondata da piccoli umani.
«Ciao anche a te» disse poi in fine stringendo Henry tra le braccia, facendolo ridacchiare appena. «Sei mancato anche a me».
Spencer si grattò il retro della nuca con la mano libera, leggermente imbarazzato e a corto di scuse. JJ gli aveva chiesto se potesse tenere i bambini quella sera e aveva inconsciamente evitato di dirlo ad Athena. Voleva certamente passare la serata da solo con lei, per recuperare il tempo perso, ma allo stesso tempo non voleva privarsi dei suoi nipotini.
«Sembra che lo zio abbia perso l’uso della parola» disse la bionda facendo scendere Henry dalle sue braccia dopo aver chiuso la porta dietro di sé. Non poteva essere arrabbiata con lui, ma almeno poteva avvisarla. Spencer in tutta risposta diede un piccolo colpo di tosse e si schiarì la voce.
«La babysitter ha annullato all’ultimo» si giustificò stringendosi appena nelle spalle. Michael poggiò la testa al petto dello zio e sfoderò uno dei suoi più adorabili sorrisi verso la ragazza. Il piccolo aveva appena due anni, quindi era impossibile per lui non risultare il più amorevole possibile, capace di sciogliere chiunque per la sua dolcezza.  
«Se il tuo piano era quello di farmi intenerire da questi due – iniziò a dire la ragazza avvicinandosi al fidanzato – potresti esserci riuscito» ammise sorridendo prima di lasciarsi un bacio sulla guancia. Spencer in tutta risposta scoppiò a ridere, era salvo.
«Oh, non cantare così velocemente vittoria» aggiunse la bionda facendogli l’occhiolino. Conosceva bene il ragazzo, sapeva benissimo che tenerlo sulle spine per tutta la serata sarebbe stata la vendetta giusta. 
«Ora andiamo! Devo farti vedere il mio disegno!» esclamò Henry prendendo per mano la ragazza e trascinarla al tavolo della cucina. Athena sorrise e scosse appena la testa. Sarebbe stata una lunga serata. Decisamente diversa da come l’aveva immaginata, ma era sicura sarebbe stata ugualmente bella. Era capitato solo altre due volte in precedenza che Spencer tenesse i bambini di JJ con anche Athena e si era creato un bel legame. Inoltre, sottovoce, JJ aveva dichiarato di essere contenta che finalmente ci fosse un adulto a controllare i tre bambini.
 
 
JJ aveva dato alla luce due piccole versioni di lei al maschile, questo era poco ma sicuro. Entrambi i bambini avevano i suoi capelli e occhi chiari, per non parlare della loro risata contagiosa. Certo, avevano qualche somiglianza anche con Will, ma erano più difficili da scovare.
Era stata dura convincere Henry a sedersi a tavola per cenare. Era come una molla, carico per raccontare ad Athena cosa aveva fatto nel tempo in cui non si erano visti. Come un vulcano in piena eruzione, parlava e gesticolava con grande enfasi, toccando appena il cibo.
Spencer e Athena avevano deciso di non rivelare mai a che livello di corruzione erano arrivati con il bambino per convincerlo a finire le verdure.
Occhio non vede, cuore non duole, giusto?
Michael al contrario era particolarmente tranquillo quella sera, tanto che dopo sera non si era staccato un secondo dalle braccia della ragazza. A lei non dispiaceva, era sempre bello ricevere incondizionate coccole da un cucciolo di appena due anni. Inoltre le dava la perfetta scusa per rimanere seduta sul divano a riposarsi. Aveva avuto una giornata a dir poco lunga e pesante, era rimasta senza energie.
«Tocca a te! Tocca a te!» esclamò Henry indicando allo zio il mobile contro il quale avrebbe dovuto contare. Ormai era una mezzora che giocavano a nascondino, alternandosi i ruoli.
Nonostante la casa di Spencer fosse sicura per i bambini, correndo erano riusciti a rovesciare una pila di libri, quasi rotto un vaso e Henry per poco non si era schiantato contro il muro per battere lo zio. Scontato precisare come Athena avesse perso trent’anni di vita in quell’attimo.
Athena e Michael invece si godevano la scena comodamente seduti sul divano, filmando di nascosto i momenti migliori. Ogni tanto il più piccolo si riprendeva e guardava le scene divertenti davanti a lui, ma ormai si era fatta l’ora per andare a letto e aveva iniziato a sonnecchiare.
«E questa volta non sbirciare!» aggiunse Athena puntando il dito contro il ragazzo. Cercava di essere seria ma la situazione era troppo divertente e adorabile per farlo. Henry la imitò e aspettò che lo zio si mettesse a contare per andarsi a nascondere sotto al letto.
Quando Spencer finì di contare, si girò verso la fidanzata in cerca di suggerimenti ma lei in tutta risposta fece spallucce.
«Oh, andiamo! Dovresti essere dalla mia parte» ridacchiò Spencer iniziando ad ispezionare la sala. Doveva ammettere che fare il babysitter con Athena era molto più divertente, vederla con i bambini aveva scaturito qualcosa di nuovo dentro di lui.
«Mai!» ribatté lei divertita. Michael sbadigliò e si strinse al petto della ragazza, cercando la posizione migliore per dormire. Athena abbassò il viso e gli lasciò un bacio tra i capelli e tornò ad accarezzargli delicatamente la schiena.
«JJ dovrebbe arrivare a momenti» disse Spencer facendo un cenno della testa verso il piccolo per poi tornare a impegnarsi nella ricerca del nipote.
«Speriamo tu riesca a ritrovare Henry prima di allora» rispose la bionda sorridendo divertita mentre con la mano libera gli fece segno di guardare nella direzione della camera.
Spencer mimò un ‘grazie’ con le labbra e andò a recuperare Henry, che ovviamente vinse la corsa per andare a fare tana.
 
 
«Credo di essere ufficialmente morta» disse Athena con fare drammatico mentre si metteva sotto le coperte. Spencer dal canto suo scoppiò a ridere e si sistemò meglio il cuscino.
«Esagerata» rispose lui guardandola diritto negli occhi.
«Perché non sai che ho fatto oggi!» ribatté la ragazza pizzicandogli il fianco. Spencer le prese la mano tra le sue e l’attirò a lui delicatamente. «Mh, meglio» mormorò lei in risposta appoggiandosi al suo corpo.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, godendosi la pace e l’innata tranquillità che sentivano quando erano nella stessa stanza con l’altro. 
«Tu vuoi figli?» chiese Spencer all’improvviso, spiazzando completamente la ragazza. Athena rimase in silenzio e poi alzò il viso nella per guardarlo. «Sinceramente? Passo da volere una squadra di football ad essere terrorizzata all’idea di averne uno» ammise Athena sistemandosi meglio nel letto. Era vero, si era sempre immaginata con delle piccole pesti in giro per casa, ma non poteva negare che una parte di lei avesse paura di tutta questa responsabilità. E del parto. Soprattutto del parto.
«E tu?» aggiunse notando che il ragazzo era rimasto in silenzio. Spencer a sua volta prese un respiro profondo.
«Due, forse» rispose Spencer accennando ad un piccolo sorriso. Quando era più giovane era terrorizzato anche solo all’idea dei bambini, ma con l’arrivo dei bambini di JJ, era arrivato anche un piccolo desiderio di paternità.
«Due mini Spencer? Che il Dio ci aiuti» ridacchiò la bionda divertita. Era inutile negare quando il ragazzo fosse bravo con i bambini, certo, a volte con atteggiamento particolare, ma sempre attento e amorevole.
«Ecco – iniziò a dire Spencer schiarendo la voce—forse dovrei parlarti di mia madre» non poteva rimandare ancora. Certo, le loro erano solo ipotesi lontane e fantasie, ma non poteva tenerla all’oscuro ancora per molto. Avere un figlio, il suo corredo genetico, non poteva farlo a cuor leggero.
Athena dal canto suo rimase in silenzio lasciandogli spazio. Non aveva mai parlato di sua madre, se non per dire che abitava ancora a Las Vegas.
«Mia madre è malata di schizofrenia, è ereditaria, questo vuol dire che…» lasciò morire la frase, sapendo che non sarebbe stato necessario concluderla. Athena non aveva bisogno di statistiche o discorsi particolari, lo sapeva bene, quindi aveva optato per qualcosa di semplice e diretto.
Reid sapeva benissimo che avrebbe dovuto dirlo prima, non lo aveva fatto mai intenzionalmente. Non si era mai creata l’occasione giusta e parte di lui aveva paura di un’eventuale allontanamento da parte di Athena lo terrorizzava. Soprattutto ora che si stava avvicinando ai trent’anni, età entro cui, in caso affetti da schizofrenia, si dovrebbe iniziare a manifestare i sintomi.
«Cosa ti fa pensare che il matrimonio genetico sia migliore?» disse la bionda spezzando il silenzio che si era creato. Sorrise appena e alzò il volto del fidanzato con due dita.
«Credi di riuscire a farmi scappare con questa notizia? – chiese mettendosi seduta sul letto, come per darsi un tono più serio—perché neanche così ci riusciresti» ammise addolcendosi un po’.
«Ti amo e questo non cambierà, genetica o non genetica, malattia o non malattia.»

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
 
Onorerò il Natale nel mio cuore e
cercherò di tenerlo con me tutto l’anno
– Charles Dickens
 
Il Natale era sempre stata la festa preferita di Athena: l’atmosfera, le luci, i regali e il poter mangiare fino allo sfinimento senza sentirsi in colpa, erano solo alcune delle sue cose preferite. Sin da piccola era affascinata dal momento magico del Natale, tanto da aspettarlo con grande ansia per tutto l’anno. Rigorosamente canticchiando le sue canzoni preferite anche in piena estate.
I suoi famigliari e amici la stuzzicavano sempre sull’argomento ma lei non cedeva mai, sarebbe rimasta fedele al Natale fino alla fine. Nessuno al mondo sarebbe mai riuscito a toglierle la sua aria sognante ogni volta che pensava al 25 dicembre.
Non sapeva come e quando era rimasta affascinata da quella festa, forse era una cosa innata. Ma poche cose la rendevano felice come il suo maglione natalizio, un film –rigorosamente di Natale- la neve e il cibo; il tutto durante la notte del 24 dicembre.
«Athena?» disse Spencer toccando la mano alla fidanzata per richiamare la sua attenzione.
«Mh?» si girò lei di scatto, tornando alla realtà. Erano seduti sul divano a sorseggiare una cioccolata calda da una mezz’ora, cercando di far coincidere i loro calendari con le vacanze natalizie. Impresa a dir poco olimpica, dato il lavoro, parenti e il viaggio di lui a Las Vegas per stare con la madre. Era a parecchio che non tornava a trovarla e voleva cogliere l’occasione per stare il più possibile con lei.
«Penelope ha richiesto una cena pre Natale e post Capodanno» ripeté il ragazzo posando la sua tazza ormai vuota sul tavolino davanti a loro. «Oggi sei particolarmente distratta» aggiunse poi notando che la bionda si era limitata semplicemente ad annuire lentamente.
«Scusa, domani a Boston mi attenderà il patibolo» mormorò Athena stringendosi ancora di più sotto la coperta, come per proteggersi anche solo all’idea dei suoi parenti. Poteva fare man forte solo su sua cugina Blake, dato che entrambi i fratelli non avrebbero passato in Natale a casa. Per quanto riguardava gli altri parenti, sarebbero stati più interessanti alla sua vita privata che ai festeggiamenti in totale allegria e tranquillità.
«Stai cercando di farmi sentire in colpa perché parto per Las Vegas?» chiese Spencer inarcando appena un sopracciglio, a metà tra il serio e lo scherzoso.
«Si!» esclamò la bionda prima di realizzare la sua risposta. «Cioè no! – si corresse posando la sua volta la tazza sul tavolino – sono contenta che tu vada a trovare tua madre. Semplicemente troverei molto utile avere un’agente federale al mio fianco con i miei parenti. Nel caso mi serva un alibi per qualche misteriosa sparizione».
Spencer in tutta risposta scoppiò a ridere e la prese tra le braccia.
«Sono sicuro che troverai un modo di crearti un alibi anche da sola» mormorò lasciandole un bacio tra i capelli.
 
 
A pochi km dall’appartamento di Spencer, un’altra biondina, decisamente più eccentrica ed energetica, era in piena crisi Natale.
Quell’anno Penelope si era promessa di organizzare la cena di Natale più memorabile delle cene di Natale memorabili. Era stata una sfida con se stessa. Erano stati tempi difficili per la squadra, sia a livello lavorativo che personale, meritavano una serata perfetta.
Convincere David a tenere la cena a casa sua era stato più facile del previsto, ma arruolare Derek per le decorazioni era stata tutta un’altra storia. Ovviamente lui si sarebbe occupato solamente della parte fisica, mettendo in azione i suoi meravigliosi muscoli. Altrimenti per quale motivo andava in palestra?
Il suo flusso di pensieri venne interrotto da un messaggio di Hotchner che la invitava a recersi il prima possibile al BAU per un caso.
La bionda prese un respiro profondo e iniziò a comporre i numeri dei colleghi per avvertirli. Aveva passato l’intera mattina a lavorare sul caso in attesta della conferma, in quanto Hotchner non era sicuro se accettare o meno il caso. Sperava di avere almeno il pomeriggio per svolgere le sue faccende.
L’ultimo della lista era Spencer, così compose il numero velocemente e si portò il telefono all’orecchio.
«Pronto?» rispose Reid dopo aver recuperato il telefono che era stato abbandonato sul tavolo della cucina.
«C’è Athena con te?» chiese la bionda finendo di annotare sul suo taccuino le ultime cose necessarie per la festa.
«Hai perso il suo numero?» rispose Spencer quasi meravigliato. Si girò verso la ragazza che lo guardava curiosa e fece spallucce.
«Spencer Reid, credi davvero che io non sia in grado di recuperare un numero telefonico? Io? Dea della tecnologia scesa in terra per salvare voi comuni mortali?» ribatté la bionda quasi offesa. «Noi abbiamo un caso e ho bisogno che lei finisca le mie commissioni per la festa».
Spencer non oppose resistenza e si limitò a passare il telefono alla fidanzata per poi andare a prepararsi.
Inutile dire che Athena rimpianse per la prima volta in vita sua l’amore che provava nel festeggiare il Natale.
 
 
I festeggiamenti a casa Williams erano decisamente diversi da quelli della squadra di Spencer, questo era poco ma sicuro. La casa di famiglia si era riempita di parenti che già spettegolavano sull’assenza di Spencer, scommettendo sulle idee più folli.
Invece nella splendida cena organizzata da Garcia non c’era mai stata una parola storta, dettata dalla gelosia o invidia. Nell’aria c’era allegria e voglia di stare insieme.
Diversamente nel salotto di Athena, quella vigilia di Natale, si sentiva la mancanza di ciò. O almeno in parte. I fratelli di lei erano via, lasciandola da sola per la prima volta. Voleva essere felice per loro ma la parte di lei, un po’ egoista, sperava di non dover mai passare un Natale lontana da loro. Erano un trio, una squadra, insieme erano imbattibili.
Invece lei ora era in balia dei parenti e non aveva neanche Spencer ad aiutarla. Spencer, che alla cena con i colleghi, non l’aveva lasciata un minuto. Non l’aveva fatta uscire dalla sua visuale per un secondo. Athena sospettò una grande paura da parte del ragazzo che Morgan le avrebbe rivelato chissà quale aneddoto su di lui. Ovviamente Emily lo aveva battuto sul tempo, con grande rammarico da parte del genietto.
I pensieri di Athena vennero interrotti dalla madre che la chiamò in cucina. Susanne era stata particolarmente apprensiva in quei giorni, sapendo che sarebbe stata dura per Athena passare il suo primo Natale lontana dai fratelli.
La donna aveva sempre voluto una famiglia numerosa, ma con quel desiderio era arrivata anche la paura che i suoi figli potessero non andare d’accordo. Una paura più che giustificata ma completamente eliminata con l’arrivo prima di Mike e poi di Athena.
Ancora ricordava perfettamente l’insistenza di Justin per tenere in braccio la sorellina appena nata e Mike che si sbracciava per farsi notare e farla ridere.
Crescendo erano diventati inseparabili –certo, con liti in mezzo- sempre pronti alla prossima avventura da affrontare insieme. Soprattutto se prevedeva fango, pittura o mettere sottosopra qualche parte della casa.
La donna però doveva ammettere che non poteva aspettarsi nulla di diverso, in quanto aveva sposato un eterno Peter Pan. Nessuno aveva iniziato più battaglie di cuscini se non James.
Lo sguardo di Athena ricadde sul dolce accanto a lei e le ricordò di come Jack, il figlio di Hotch, e Henry alla cena avevano deciso di farsi guerriglia con la panna che adornava la torta. Erano riusciti quasi a farla franca, compiendo le loro marachelle distanti dal tavolo degli adulti, ma gli schiamazzi li tradirono. Nessuno però ebbe cuore di rimproverarli, severamente, la situazione era troppo comica per rimanere seri.
 
Nonostante le pessime previsioni di Athena, i parenti a tavola furono più tranquilli e più festivi. Non la riempirono di domande come appena arrivati, si concentrarono sulle classiche conversazioni di Natale e la bionda finalmente si rilassò.
Certo, avrebbe comunque ucciso i fratelli appena li avrebbe rivisti, era il minimo. Non avrebbe più permesso a nessuno dei tre, Reid compreso, di lasciarla da sola la notte più magica dell’anno.
 
 
A cena finita la famiglia di Athena si era ritirata nel salotto per continuare i festeggiamenti e nonostante il maglione iper natalizio della ragazza la tenesse calda abbastanza, la bionda si sedette accanto al camino.
Guardò il telefono per controllare che non ci fossero aggiornamenti da parte di Spencer o i suoi amici. Vide un paio di messaggi da parte di Theo, Helen e Beth, con l’aggiunta di bellissime foto dei loro maglioni natalizi. Ovviamente quello di Theo era stato forzato e suon di minacce o non lo avrebbe mai indossato di sua spontanea volontà. Helen ed Athena lo chiamavano ‘il loro piccolo Grinch’.
Susanne, dopo essersi allontanata inosservata dai parenti, si avvicinò alla figlia con un pacco tra le mani e un ampio sorriso.
«Mamma, ma i regali non si aprono prima di domani» disse Athena confusa con appena la donna le mise davanti agli occhi un regalo perfettamente incartato.
«Lo so ma questo è speciale – disse la donna facendole cenno di prenderlo—è arrivato questa mattina per te» aggiunse sedendosi accanto alla figlia. «Con precise istruzioni di dartelo in questo momento» concluse prima di lasciarle un bacio tra i capelli e tornare dagli invitati. Sapeva ovviamente l’intera storia, quindi volle lasciare alla figlia un po’ di privacy.
Athena guardò corrugata il pacco per un paio di secondi ancora, non capendo. Si era già scambiata tutti i regali con gli amici, Spencer e Garcia compresi.
Rigirò il pacco tra le mani e notò un bigliettino su un lato. Lo prese tra le mani e si decise ad aprirlo e leggerlo.
Leggimi accanto al camino
Athena corrugò ancora di più la fronte, più spaesata che mai. Quella era decisamente la scrittura di Spencer, ma non si spigava come potesse essere possibile dato che si erano già scambiati i regali.
Scartò delicatamente il regalo e la carta rivelò una delle copie più belle che avesse mai visto di A Christmas Carol di Charles Dickens. Sorrise divertita riuscendo finalmente a collegare i pezzi. Aprì la prima pagina del libro e lesse le parole scritte a penna del ragazzo.
 
“Pensavi davvero mi sarei dimenticato?
Che l’uomo che ha inventato il Natale possa farti innamorare ancora di più di questa notte magica.
Buon Natale, Athena.
 
Ps. Leggilo di fianco al camino, come nei racconti.
Leggilo come se fossi con te.
Leggilo come faremo l’anno prossimo.
 
Con amore, Spencer.”

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
Non c’è nulla di più forte di quei due combattenti là:
tempo e pazienza.
(Lev Tolstoj)
 
Era da dieci minuti buoni che Spencer aveva iniziato il suo racconto, o meglio monologo, sulle sue scoperte effettuate durante le vacanze natalizie. Athena, dal canto suo, si era persa dopo otto minuti di parlantina. Era stato più forte di lei, ci aveva provato in ogni modo, ma il suo cervello era arrivato al limite e si era spento. Completamente spento.
Così la ragazza si limitava ad annuire ogni tanto, cercando di trovare il momento migliore per interromperlo. Sin dal loro primo incontro la dinamica era la stessa: Spencer parlava, Athena capiva l’80% dei suoi ragionamenti, se era fortunata, e per il resto rimaneva in silenzio aspettando la fine. Non era infastidita, sapeva che il ragazzo non lo faceva di proposito. A volte però temeva che fosse Spencer quello ad infastidirsi, dovendo sempre fermarsi per spiegare o ripetere un concetto per lei. Inoltre con il tempo era migliorata la situazione: lei aveva imparato sempre più nozioni che l’aiutavano a stare al passo e lui aveva imparato a rallentare e capire quando era troppo.
«Ti ho persa, vero?» disse Reid all’improvviso, girandosi verso la fidanzata. Si era messo a camminare avanti e indietro nel suo salotto, troppo impaziente per rimanere seduto. Era solito a farlo, soprattutto quando si perdeva completamente nel suo mondo.
«Scusa» abbozzò un sorriso la bionda sistemandosi meglio sul divano. «A volte vai troppo veloce per le mie meningi, dopo un po’ si sovraccaricano». La verità è che a volte odiava non poter stare al suo passo, rallentarlo nei suoi discorsi perché aveva bisogno di continue spiegazioni per capire. Si sentiva come se gli impedisse di esprimersi al massimo del suo potenziale.
«Sono io a dovermi scusare» ammise Spencer sedendosi subito accanto alla ragazza. «Non ti ho neanche mai dato l’occasione di dire qualcosa» aggiunse poggiando la fronte contro quella di lei. Sapeva che la pazienza della fidanzata era immensa ma che a volte la portava al limite. Però le era grato che nonostante tutto lo sopportasse. Inoltre era tremendamente adorabile l’espressione che assumeva il suo viso quando perdeva il filo del discorso.
«Mh, in questo caso conosco perfettamente il modo per farti scusare» disse la ragazza in un sussurro per poi baciarlo lentamente. Spencer in risposta sorrise appena e posò una mano sulla sua guancia, attento a non staccare le labbra dalle sue.
«Due giorni che sei qui e non mi hai ancora raccontato di Boston» interruppe il bacio il ragazzo, ma rimase comunque con il viso vicino al suo.
«Mhmh» mormorò lei in risposta tornando a baciarlo.
«Athena» la riprese Reid leggermente divertito, sentendo le mani di lei tra i capelli.
«Mhmh» ripeté la bionda distratta, continuando a baciarlo.
«Così terribile?» chiese il ragazzo staccandosi da lei, in modo da poterla guardare negli occhi. Athena in tutta risposta fece roteare gli occhi e si strinse nelle spalle.
«No, ma sarebbe stato meglio con te e i ragazzi» ammise la bionda sospirando appena. «Mancava qualcosa.»
Spencer si sistemò meglio sul divano e la spronò a parlare, iniziando a giocare distrattamente con le punte dei suoi capelli.
«Mike lo ha fatto di proposito, voleva scappare dalle domande dei parenti. Questo gli ha fatto guadagnare una bella vendetta – riprese lei a parlare facendo una smorfia—non si lascia da solo nessun compagno in guerra. E quella, fidati, era guerra». Così la bionda si mise a raccontare il bello e il cattivo tempo della sua permanenza a Boston. Uno dei suoi momenti preferiti era stata la guerra di palle di neve con i cugini e il padre; ma anche i pomeriggi in cucina con la madre le erano mancati. Cucinare per le due donne era terapeutico, così come per Justin. Mike e James invece dovevano essere lasciati ben lontani dai fornelli o avrebbero fatto esplodere qualcosa.
Spencer scoppiò a ridere quando la fidanzata le raccontò di come lei e la cugina Blake avevano aggiunto di continuo rum nella cioccolata dello zio Frank per farlo sbronzare e poi addormentare.
«Crudeli» sentenziò Reid scuotendo la testa in segno di disaccordo. «Inoltre è estremamente pericolosa un’intossicazione -» continuò ma una cuscinata in pieno viso lo fece smettere.
«Spencer!» esclamò Athena scoppiando a ridere. «Pensi davvero questo di me?» continuò lanciandogli un’altra cuscinata ma il ragazzo riuscì a fermarla giusto in tempo. Prese il controllo del cuscino e lo tirò a lei per ripicca esclamando «Sei imprevedibile!».
La bionda rise ancora e afferrò un secondo cuscino per difendersi.
«Non intossicherei mai… -- iniziò a parlare ma si rese conto delle sue parole e aggiunse – volontariamente un mio parente» e così gli tirò una cuscinata, ma lui prontamente si difese con il suo cuscino.
«Tremenda» sentenziò Spencer scoppiando nuovamente a ridere e dando definitivamente inizio ad una guerra di cuscini.
 
 
La cena per inaugurare il nuovo anno con la squadra di Spencer era stata spostata causa forze maggiori: serial killer in Louisiana.
Garcia non l’aveva presa molto bene ma il dovere chiamava. Così, aveva posticipato tutto, facendo liberare l’agenda dei colleghi per l’intera settimana per sicurezza.
Il team era via da qualche giorno e Reid aveva insistito che Athena rimanesse nella casa di lui, sperando di tornare il prima possibile. Sapeva che se la ragazza fosse tornata nel suo appartamento non l’avrebbe rivista per settimane.
Così Athena si era dedicata agli amici che aveva lasciato a Washinton D.C., prendendo anche una ramanzina da Beth per non essersi fatta vedere abbastanza spesso. Non poteva darle torto, da quando era tornata sui banchi di scuola, il suo tempo era talmente poco che aveva lasciato che molti aspetti della sua vecchia vita le sfuggissero dalle mani.
Erano le due del mattino passate quando Athena sentì il corpo di Spencer stendersi accanto al suo. Nonostante la stanchezza e l’essere stata svegliata in piena notte, si girò di scatto per capire se non fosse solo un brutto gioco della sua immaginazione.
«Sei a casa» mormorò la ragazza sorridendo, dopo aver constato che era davvero lui. Immediatamente tutta la preoccupazione che aveva accumulato in quei giorni sparì e si sentì più leggera e tranquilla. Sorrise e annullò le distanze tra di loro, catapultandosi tra le braccia per baciarlo. Quando sentì un piccolo lamento dalla parte di lui si staccò e cercò di mettere meglio a fuoco la sua figura.
«Sei mancata anche a me» rispose Spencer sorridendo appena, ma non bastò a fare tranquillizzare la fidanzata. La bionda aveva decisamente un labbro spaccato, lo aveva sentito durante il bacio. Inoltre quando gli aveva accarezzato la guancia aveva sussultato.
«Devo accendere la luce?» mormorò Athena facendo passare lentamente e delicatamente i polpastrelli sul viso di lui, cercando di capire se si era ferito altrove.
«Sto bene» rispose Reid cercando di suonare convincente, prendendo le sue mani tra le proprie.
«Niente bugie, ricordi?» ribatté la ragazza mettendosi seduta sul letto, osservando la sua intera figura. Spencer dal canto suo rimase in silenzio, rimanendo con gli occhi puntati su quelli della fidanzata, incapace di dire qualcosa. Non voleva spaventarla, non era successo nulla di grave. Allo stesso tempo però sapeva che non aveva ancora metabolizzato il caso appena concluso. Se fosse stato da solo avrebbe passato la notte in bianco, portando allo stremo le sue meningi, ma ora c’era Athena nella sua vita. Ora aveva lei accanto, non era più da solo.
«Non spaventarti, sto bene» disse Spencer dopo essersi schiarito la voce. Si mise a sedere a sua volta sul letto e accese la lampada accanto a lui.
La luce tenue illuminò i due ragazzi, mostrano i segni sul viso di Spencer, prova che ad un certo punto nel caso era finito a fare a botte, se non peggio.
«Vuoi raccontarmi come ti sei procurato quell’occhio nero e i tagli sul labbro e sopracciglia?» chiese la bionda dopo aver osservato bene il suo viso. Si avvicinò a lui e prese le sue mani tra le proprie, sorridendogli appena.
«Andiamo, ti preparo una tazza di thé» rispose Spencer sbilanciandosi verso la fidanzata per lasciarle un bacio leggero.
Prima che Athena potesse ribattere il fidanzato si alzò dal letto e le porse la mano per invitarla a scendere e andare in cucina. Si mise le ciabatte e iniziò a raccontare il caso appena concluso dall’inizio. Erano stati chiamati in Louisiana dopo che la polizia locale aveva trovato la terza donna nel giro di due settimana morta e abbandonata in un vicolo. Anche se avevano abbastanza dati su cui lavorare, però, non riuscivano a trovare risposte neanche dopo giorni di lavoro.
Era arrivato a metà del racconto quando Athena iniziò a versare il liquido bollente nelle tazze.
«Garcia trovò quante vittime?» chiese la ragazza posando la tazza sul tavolo.
«Dopo aver espanso la ricerca ad altri stati ne trovò 25» ripeté Reid facendo girare il cucchiaino nella sua tazza distrattamente. Prese un respiro profondo e fece una piccola smorfia. «Tutte morte per strangolamento e abbandonate in un vicolo». Non era mai facile metabolizzare tante morti in così poco tempo, soprattutto quando nessuno si era mai preoccupato di dar loro giustizia.
Athena annuì appena e si sedette accanto al fidanzato. Lui riprese a raccontare, fino ad arrivare alla svolta nel caso. Garcia era riuscita a rintracciare un filmato che aiutò la squadra ad individuare il serial killer.
«Avevamo tre indirizzi – disse Spencer dopo aver preso un sorso dalla tazza—così ci siamo divisi» continuò a raccontare di come lui era finito in coppia con Emily per andare nella casa del sospettato.
Alla luce della cucina la ragazza poteva vedere come pian piano i lividi del fidanzato stavano prendendo colore. Avrebbe voluto dire qualcosa ma sapeva che sarebbe stata una pessima idea interromperlo.
«Una volta arrivati ci siamo divisi. La casa aveva più entrate ed era su più livello. Se ci fossi stata tu avresti commentato sul fatto che sembrasse un labirinto. Io ho preso il retro mentre Emily è entrata dalla porta principale. La porta sul retro collegava anche lo scantinato della casa ed è lì che Miller, il sospettato, mi ha sorpreso» si schiarì la voce prima di parlare, aveva ancora l’adrenalina in corpo che scorreva senza dare segno di rallentamenti. Era stato un caso complicato dall’inizio alla fine sia dal punto di vista fisico che mentale.
«Ti ha colpito da dietro?» mormorò Athena posando una mano sulla sua. Il fidanzato annuì appena e prese un sorso di thè.
«Ci ha provato, siamo rotolati entrambi a terra e – tornò a parlare per poi indicare le sue ferite – la mia pistola era volata dall’altra parte della stanza, quindi sono dovuto ricorrere alle lezioni di box gentilmente offerte da Morgan» aggiunse cercando di essere divertente. Athena apprezzò il tentativo e accennò ad una risata. Accarezzò la mano destra di lui, anch’essa segnata e gli lasciò un bacio sulla nocca.
«Ricordami di mandare un mazzo di fiori a Derek» disse Athena sorridendo. Era sollevata a sapere che il fidanzato era tornato a casa sano e salvo, ma sicuramente lo avrebbe costretto a prendere qualche altra lezione di autodifesa.
«Sto bene» disse Spencer girandosi completamente verso la fidanzata. «Sto bene» ripeté prendendole il mento tra le dita. Lei in tutta risposta annuì appena e poggiò la mentre contro quella di lui.
«Inoltre, dovevi vedere come Miller è uscito da quello scantinato» sentenziò Reid facendo scoppiare a ridere entrambi.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
 
Stay Little Valentine Stay
Each Day Is Valentine's Day
- My funny Valentine
 
 
14 febbraio 1994
Ore 01.14
Massachussetts General Hospital
 
«Fammi vedere! Fammi vedere!» esclamò Justin cercando di sporsi il più possibile verso il letto della madre. Susanne ridacchiò appena e fece segno al bambino di cinque anni di salire nel letto accanto a lei. Anche alla nascita di Mike si era comportato nello stesso modo: iper eccitato, curioso e desideroso di stringere tra le braccia il nuovo arrivato.
James era uscito dalla camera per firmare dei documenti importanti insieme all’infermiera, ma sia Justin che Mike si erano rifiutati di lasciare il capezzale della sorellina appena nata. Sorellina, che tra l’altro, non aveva ancora un nome.
Mike, che con i suoi tre anni di pura saggezza, aveva suggerito in ordine: Lily, Pata, un mormorio non meglio riconosciuto e Bike.
Justin, dal canto suo, voleva che fosse chiamata Camille, come l’insegnante di cui si era innamorato. Non sentiva altre ragioni, doveva chiamarsi come lei e in nessun altro nome.
«Perché è pelata?» chiese Justin osservando la sorellina, inclinando leggermente la testa incuriosito. Mike, incuriosito a sua volta, si allungò per osservare. «Una pallina» mormorò facendo scoppiare a ridere la madre. Il maggiore toccò delicatamente la fronte della sorella e iniziò ad accarezzarla incuriosito. La bambina in tutta risposta stiracchiò il braccio destro.
«Anche voi due siete nati così, cresceranno con il tempo» rispose Susanne sorridendo ai due bambini. Ancora non riusciva a credere che dopo tutto quel tempo era riuscita ad avere una femmina. Certo, amava oltre ogni limite Mike e Justin, ma desiderava avere una bambina fin da quando aveva memoria. Quasi ebbe un mancamento quando il ginecologo confermò che quella volta portava in grembo una femmina.
In quel momento entrò un’infermiera canticchiando sottovoce My funny Valentine, stesso brano che poco prima era passato alla radio, giusto quando la piccola miss Williams stava facendo il suo grande ingresso nel mondo.
«Un bel regalo di San Valentino, non trovate?» chiese l’infermiera retorica, controllando la cartella clinica di Susanne.
«Abbiamo un problema» sentenziò James entrando nella stanza con fare drammatico. Tutti i presenti si girarono e Susanne pensò al peggio: l’arrivo dei parenti.
«Non abbiamo un nome, non posso firmare il certificato di nascita!» aggiunse cercando di essere ancora più di teatrale. Era il suo terzo round ma ancora non aveva imparato a gestire le scariche di adrenalina. Si lasciava trasportare da ogni singola emozione e in quel momento il fatto che la sua piccola bambina non avesse un nome, era un disastro.
«No nome!» ripeté Mike battendo le manine mentre Susanne contemplava l’omicidio per l’infarto che il marito le aveva provocato.
«La scelta del nome è un momento delicato, avete tempo. Non preoccupatevi, vi verrà con naturalezza» l’infermiera cercò di tranquillizzarlo ma con scarsi risultati. Così finì di controllare le ultime cose, pazienti compresi, e si allontanò dalla camera per lasciar loro un po’ di privacy.
«Valentine!» esclamò Justin dopo aver letto il bigliettino di San Valentino lasciato sul comodino. I bambini sembravano di non riuscire a tenere un tono di voce normale, alzavano il tono parola dopo parola nonostante fosse il cuore della notte e non dormissero da ore.
«My funny Valentine» mormorò Susanne passando un dito sul naso della figlia. Qualcosa però le disse che non fosse il nome giusto.
«Non credo sia il nome per lei» disse James facendo una piccola smorfia. Si avvicinò al resto della famiglia e si sedette ai piedi del letto. «Ha bisogno di un nome forte, è nata il giorno di San Valentino e in una famiglia per niente normale –continuò ridacchiando appena- avrà bisogno di un nome che parla da sé».
«E allora come?» chiese Justin girandosi verso il fratello, come in segno d’aiuto.
 
 
14 febbraio 2018
 Ore 09.14
 
«Athena!» esclamò Beth non appena la ragazza rispose al telefono. La bionda in tutta risposta si passò una mano sul viso e buttò nuovamente il viso sul cuscino, sperando di riaddormentarsi in tempo record.
«Non mi dire che sei ancora a letto, mia bella festeggiata» continuò la ragazza scoppiando a ridere. «Volevo scriverti un messaggio a mezzanotte ma sapevo che-» Beth parlava e parlava, ma Athena capiva la metà delle parole.
La madre, come ogni anno, l’aveva chiamata appena passata la mezzanotte. Le faceva sempre gli auguri nell’ora esatta della sua nascita. Athena pensava che fosse il karma: l’aveva fatta stare in ballo 20 ore, con tanto di parto in piena notte e quella era la sua vendetta. Era anche arrivata la prima dedica con “My funny Valentine”, canzone che la perseguitava anno dopo anno. Non era il suo compleanno se non c’era quella canzone, in coppia stretta con “Happy Birthday”. Così era stata svegliata la prima volta. Poi era stato il momento del padre, che anche se era a esattamente cinque centimetri dalla moglie, aveva aspettato che finisse la chiamata per avere il suo momento con la figlia. I fratelli Mike e Justin avevano avuto la grazia di scriverle un messaggio invece di chiamarla. Athena, però, sapeva che l’avrebbero comunque fatto nel corso della giornata.
Inoltre la ragazza non era a conoscenza di come la sua famiglia aveva avvertito il fidanzato delle tradizioni del compleanno. Soprattutto della parentesi su “My funny Valentine”, le chiamate di rito e ovviamente le sorprese.
Crescendo la ragazza aveva sviluppato un rapporto di amore-odio per quella festa e per il compleanno, così i due fratelli avevano sempre fatto in modo che quel giorno fosse sempre speciale per lei. Justin e Kate in particolare festeggiavano sempre il 15 febbraio San Valentino, così da poter passare il 14 con Athena e mai una volta hanno rimpianto questa loro tradizione.
«Mh, grazie Beth, ci vediamo ai festeggiamenti» mormorò Athena con ancora la voce impastata dal sonno per poi riattaccare. Non era riuscita ad ascoltare l’intera conversazione, era troppo assonnata. Inoltre l’amica di stava dileguando sulla sua ultima conquista amorosa e la ragazza aveva bisogno di tutta la sua lucidità per quello.
Spencer, dal canto suo, aveva programmato l’intera giornata al dettaglio. Dopo la disfatta dell’anniversario del loro incontro, il 14 gennaio, questa volta di era preparato. Era sabato, nessun impegno lavorativo o serial killer avrebbe rovinato la giornata come il mese prima. Certo, non aveva organizzato nulla di troppo elaborato, ma aver dovuto rimandare la loro cena speciale lo aveva un po’ abbattuto. Voleva dedicarle del tempo, sapeva quanto la loro relazione dipendesse da ciò. Con il suo lavoro e gli impegni di lei, doveva assolutamente impegnarsi.
Così si era svegliato prima della fidanzata, andato in soppiatto in bagno per cambiarsi senza svegliarla ed era uscito di casa.
Aveva calcolato tutto al secondo: con un traffico normale sarebbe riuscito a rientrare in casa entro 48 minuti. Perfettamente in orario per il risveglio della fidanzata.
Tirò un sospiro di sollievo quando poggiò la torta sul tavolo, vedendo tutte le luci ancora spente, segno che la ragazza stesse ancora dormendo. Sapeva che se avesse recuperato la torta il giorno prima la fidanzato lo avrebbe scoperto. Era difficile tenerle le cose nascoste.
Spencer preparò il necessario, con tanto di corsa al secondo accendino in quanto il primo non funzionava, e si avvicinò con il passo più silenzio possibile alla camera. Si fermò davanti alla porta e origliò la fidanzata telefono. Il suo piano era quello di svegliarla lui stesso, ma sapeva che il rito delle chiamate lo avrebbe preceduto. Così prese un respiro profondo e aprì la porta.
Athena, ancora immersa sotto le coperte e al telefono con la zia, sentì il rumore della porta aprirsi e si girò di scatto. Quando si era svegliata si era resa conto dell’assenza di Spencer ma era troppo assonnata per cercarlo in giro per la casa.
«Ehi zia, ti richiamo» mormorò non appena mise a fuoco la figura del fidanzato. Spencer teneva tra le mani una torta con tanto di candeline accese che minacciavano di spegnarsi da un momento all’altro.
La sua prima reazione fu quella di tapparsi la bocca con la mano libera, stupita per la sorpresa. Lasciò cadere il telefono sul letto e guardò il fidanzato con gli occhi sgranati.
«Tu non hai…» mormorò ancora sotto shock ma con il sorriso più luminoso che potesse avere. Anche i suoi occhi brillavano, non c’era sorpresa al mondo che potesse renderla più felice. Inoltre non c’era torta che non la potesse rendere felice, ne avrebbe voluta una per ogni giorno dell’anno.
«Soffia, stanno per spegnersi» disse Reid ridacchiando appena dopo essersi avvicinato al lato del letto di lei. Athena in tutta risposta si sistemò meglio sul letto e gli fece segno di sedersi accanto a lei.
«Esprimi un desiderio» aggiunse poco prima che la fidanzata chiudesse gli occhi ed esprimesse un desiderio. Prima che Spencer potesse dire o fare altro, la ragazza con un dito prese della glassa e la spalmò sul viso di lui facendo scoppiare a ridere entrambi.
«Buon compleanno, my funny Valentine» mormorò Spencer prima di baciarla.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20
 
Alla fine, ciò che conta non sono gli anni della tua vita,
ma la vita che metti in quegli anni.
-Abraham Lincoln
 
La prima metà del 2018 era passata così velocemente per Athena che quasi si sorprese quando arrivò l’estate. Aveva passato settimane e settimane sui libri, quando non lo era andava dalla sua adorata classe elementare e se non era nemmeno da loro volava dire che era con Spencer. Era diventato un circolo vizioso e quando finalmente finì gli esami e salutò i bambini l’ultimo giorno di scuola quasi si sentì vuota. Ma contro ogni prognostico era sopravvissuta, c’era riuscita. Sapeva che aveva fatto una follia, ma era contenta di averla portata a termine. Era stata una sfida con se stessa e anche se non era arrivata al traguardo finale, sapeva di essere comunque a buon punto.
Quella felicità e senso di libertà però finì subito, dovendo volare la settima successiva all’accademia di Quantico per continuare il suo percorso con l’FBI. L’unico lato positivo di quella tortura estiva era quello di poter essere finalmente nella stessa città di Reid.
Penelope Garcia, neanche a dirsi, aveva accolto la notizia con grande felicità. Ogni mattina passava, casualmente, dall’accademia con le scuse meno plausibili per controllare la ragazza. Spencer, invece, si teneva lontano dall’accademia il più possibile. Sapeva che Athena aveva bisogno di farcela da sola e di affrontare gli allenamenti intensivi senza occhi puntati addosso. Inoltre temeva di essere chiamato a insegnare nella sua classe, il che lo terrorizzava a dir poco. Sapeva ovviamente essere professionale, ma allo stesso tempo sapeva che la sua oggettività non sarebbe mai stata al massimo. Più volte era stato tentato di aiutarla a studiare, ma lei testarda come sempre, aveva rifiutato.
 
Athena ed Helen erano finite ad abitare insieme a Beth e mai scelta fu più esplosiva. Beth si era praticamente venduta anche l’anima pur di convincere le ragazze a trasferirsi da lei, dopo aver saputo che cercavano un appartamento nei paraggi. Helen e Beth erano andate d’accordo sin dal primo momento che si erano incontrate, durante una cena tra amici in onore della fine del primo anno accademico.
Athena era stata molto decisa a non trasferirsi da Spencer, quasi categorica. Non erano assolutamente pronti ad un passo del genere. Finché era una questione di un paio di giorni potevano sopravvivere, ma un’intera estate era follia pura. Reid in particolare aveva ancora bisogno dei suoi spazi, e anche se aveva proposto alla ragazza di trasferirsi da lui, Athena sapeva che non era la mossa giusta da fare.
Così aveva preso vita il trio dell’appartamento 3b, con dinamiche al di fuori di ogni equilibrio e un’organizzazione al limite del legale.
Le tre ragazze non si erano mai date delle regole precise, però funzionavano a meraviglia. Il frigo era sempre pieno per ogni evenienza e il vino era sempre in fresco. Le credenze della cucina erano a rischio esplosione per la quantità di caffè e tea ma, inspiegabilmente, ogni volta arrivavano all’esaurimento totale in troppo poco tempo.
Il tasto più dolente era stata la sveglia di Athena ed Helen, che suonava ogni giorno alle cinque per allenarsi. Dire che le due fossero traumatizzate, era un eufemismo.
Le prime due settimane Beth aveva provato ad unirsi a loro con la scusa di rimettersi in forma, ma allo scoccare della terza ogni buon proposito era andato in fumo.
«Non fatemi alzare!» le aveva intimorite una volta che l’avevano svegliata alle 5.03 del mattino. Lo sguardo omicida aveva fatto trasalire le due ragazze, così avevano imparato ad essere più delicate di un piuma mentre si preparavano.
 
Una mattina di inizio luglio, Spencer si era unito alla fidanzata per la sua corsa mattutina. La sera prima era rimasta a dormire da lui, così il ragazzo aveva colto l’occasione. Odiava allenarsi, si poteva dire che fosse totalmente negato per l’attività fisica, ma voleva sostenere la fidanzata.
Così, quel venerdì mattina prima di andare a lavoro, si era alzato all’alba per andare a correre. Ogni prognostico avrebbero dato disastro e il ragazzo sperava solamente di uscirne vivo.
«Spence?» disse Athena girando il viso, cercando di capire dove fosse finito il fidanzato. Avevano corso appena un paio di km quando la ragazza iniziò a percepire la morte imminente del fidanzato.
Spencer rimase in silenzio e immobile, con le mani sui fianchi per riprendere fiato. Era stremato, i suoi polmoni stavano per esplodere ed era piuttosto sicuro che neanche il suo cuore potesse più reggere.
«Avrei rallentato!» esclamò la ragazza dopo avergli dato una rapida occhiata. In realtà aveva già rallentato, conoscendo il fidanzato, ma non voleva dargli anche quella sconfitta. Non sapeva il motivo per cui avesse insistito tanto per correre con lei, ma apprezzava la sua buona volontà.
Athena si avvicinò lentamente al fidanzato e lo vide fare una smorfia. In tutta risposta la ragazza inarcò le sopracciglia, che fece di conseguenza sbuffare Spencer. Era impressionante come potessero capirsi solamente con uno sguardo.
«Perché ti amo, okay? Volevo sostenerti con gli allenamenti dato che non mi lasci aiutarti con lo studio ed è scientificamente provato che-» iniziò a dire il ragazzo prima che il suo cervello potesse veramente analizzare le parole. Così appena i suoi neuroni realizzarono quello che aveva detto si ammutolì.
«Tu cosa?» mormorò la ragazza a dir poco sotto shock. Tra tutte le cose che sarebbe aspettata, quella era decisamente l’ultima.
«Tu –mormorò Spencer senza fiato- sei andata via. S-sei andata via e io sono rimasto qui. Pensavo di non riuscirci, sinceramente» parlò lentamente e con qualche difficoltà a recuperare un ritmo respiratorio normale. «Ma ci sono riuscito e tu ci sei riuscita e questa cosa non ha senso» continuò vedendo l’espressione della fidanzata farsi sempre più contorta. «Questi mesi non sono stati facili, per nessuno dei due, ma l’unica cosa che mi mandava avanti era sapere che tu eri felice, che stavi facendo qualcosa che ti rendesse felice – riformulò e prese un respiro profondo—perché ti amo e lo so che ci ho messo mesi a dirlo ma per favore dì qualcosa perché io sono senza fiato». E fu così che Spencer disse per la prima volta “ti amo” ad Athena.
Athena trattenne a stesso una risatina nervosa, ancora sotto shock ma con il cuore che scoppiava per la felicità. Per mesi e mesi si era trattenuta dal dirlo per paura di spaventarlo, per paura di un rifiuto. Così, senza pensarci due volte, annullò le distanze tra loro e lo baciò.
«Certo che ti amo anche io, cervellone».
 
Erano i primi di agosto quando la squadra di Hotchner si era imbattuta in uno dei casi più lunghi e deleteri degli ultimi anni. Erano fermi a Chicago da tredici giorni ma, anche con l’aiuto della sede dell’FBI locale, non riuscivano a trovare l’SI.
Athena stava iniziando a sentire davvero la mancanza di Spencer e iniziava a preoccuparsi sempre di più, giorno dopo giorno. Inizialmente la teneva aggiornata e chiamava ogni sera, ma nelle ultime notti c’era stato un silenzio stampa da parte del fidanzato.
Spencer non lo faceva di proposito, anzi, gli mancava la ragazza come non mai, ma ormai lavoravano notte e giorno e ogni volta che tornava in hotel crollava miseramente.
Penelope dal canto suo iniziava a sentirsi sola in ufficio, senza la sua squadra con cui scherzare e stare insieme. Ormai neanche i suoi pupazzi potevano consolarla e sollevarle il morale. Così aveva iniziato a passare le serate con il famoso trio dell’appartamento 3b, mentre Beth si sfogava per le sue disavventure amorose ed Helen e Athena studiavano in ogni momento libero. A volte le serate erano passate in completo silenzio, tutte concentrate sul proprio lavoro, altre erano passate con fiumi di vino e cibo spazzatura.
 
«Spence!» quasi esclamò Athena non appena rispose al telefono. Inutile specificare con quale velocità avesse recuperato il cellulare e lo avesse portato all’orecchio. Le quattro donne stavano passando una delle loro solite serate, tutte impegnate nei propri affari comunque insieme, pronte a sostenersi.
Penelope in particolare era felice di quella sistemazione, passando già tutta la giornata in solitaria, aveva bisogno di compagnia per le sue notti di lavoro intensivo.
Dall’altra parte del telefono, il ragazzo prese un respiro profondo, gli era mancata la voce della fidanzata.
«Scusami, i-io, noi abbiamo perso la cognizione del tempo» mormorò Reid strofinandosi gli occhi. Si stava dondolando appena sulla sedia girevole, finalmente da solo e libero di poter pensare a qualcosa che non fosse il caso. Nonostante fosse già passata la mezzanotte, Derek ed Emily si erano offerti di andare a recuperare del cibo, così il ragazzo aveva colto l’occasione per chiamare la fidanzata.
«Penelope si è accampata a casa nostra per la quinta notte consecutiva» rispose Athena sapendo che sarebbe riuscita a strappare un sorriso al fidanzato. Si era sposata nella camera da letto per avere un po’ di privacy, buttandosi poi miseramente sul letto. Era stremata e aveva solamente voglia di dormire, ma la mole di lavoro l’avrebbe tenuta sveglia ancora per un bel po’.
«Stanno per uscire le classi per il prossimo semestre» disse la ragazza dopo qualche secondo di silenzio, sapendo che nessuno dei due aveva le forze per discorsi troppo impegnati. «Non è che ti trovo dall’altra parte della cattedra, vero?» aggiunse poi appena divertita. Spencer scoppiò a ridere, forse anche a causa di tutta la tensione accumulata che finalmente aveva trovato una valvola di sfogo.
«Non è così divertente» lo riprese la ragazza scuotendo appena la testa in segno di disapprovazione.
«Guarda che sono un bravissimo insegnate» si difese il ragazzo dopo essersi ricomposto. Dalla vetrata davanti a lui vide che Emily e Derek erano tornati con più buste che braccia.
«E sapresti essere oggettivo?» ribatté Athena quasi sorpresa. Sarebbe stato troppo strano averlo come insegnante, non sarebbe stata una bella combinazione, ne era certa.
«Arrivano i rinforzi!» esclamò quasi trionfante Morgan aprendo la porta della sala conferenze dove si era sistemato Reid.
«Avete preso le salse? Sto morendo di fame» chiese JJ entrando subito dopo, strofinandosi le mani. La povera ragazza aveva tenuto ben due conferenze quella sera, una durante l’ora di cena per di più, e il suo stomaco non avrebbe retto ancora per molto.
«Credo che sia arrivata la cavalleria» disse Athena riconoscendo le voci della squadra in sottofondo.
«Devo andare. Mhmh, certo. Non preoccuparti –rispose Spencer dando le spalle ai colleghi per non farsi sentire—farò del mio meglio, okay? Ti chiamo io. Ti amo, notte» concluse la chiamata per poi girarsi verso gli amici con nonchalance.
Inutile specificare la mascella a terra di tutti e tre dopo aver sentito Spencer dire “ti amo” ad Athena.
«Cinese?» chiese Reid come se nulla fosse, cercando di evitare completamente il discorso. JJ sapeva già tutto, ovviamente, ma non lo aveva mai sentito dire dal vivo e per qualche strana ragione le aveva fatto effetto. Era felice per lui, del suo ritrovato equilibrio e stabilità. Derek, invece, scelse di non dire nulla, avrebbe avuto tutto il viaggio del ritorno per tormentarlo. La vera sorpresa su Rossi, che era rimasto sulla porta tutto il tempo, che si avvicinò al tavolo con il cibo intonando la marcia nuziale.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21
 
"Quanto sono fortunato ad avere qualcosa che
rende così difficile dire addio?"
- Adam Alexander Milne
 
Mancava poco più di una settimana al rientro di Athena ed Helen a Yale e già nell’aria si poteva sentire un senso di tristezza e malinconia dell’estate. Era quasi incredibile quanto velocemente fossero passate quelle settimane e Beth stava già organizzando una festa per la loro partenza. Non era ancora psicologicamente pronta a lasciarle andare, si era affezionata alla loro routine. Le sembrava strano tornare a vivere da sola, non avere più qualcuno in casa con cui dividere ogni cosa. Soprattutto ora che stava finalmente ingranando a lavoro e tornava a casa con la forza di spiccicare almeno due parole di fila.
Theo, d’altro canto, era felice dell’imminente arrivo delle ragazze in università, così da poter riunire il mitico trio. Gli erano mancate le loro serate e le quantità assurde di cibo spazzatura ingerita con contorno di caffè. Certo, la vita universitaria non era la più salutare che potesse esistere, ma preferivano assicurarsi di avere almeno un briciolo di sanità mentale. Quindi le ragazze avevano passato l’estate a pagarne le conseguenze e si erano ripromesse di non rifare gli stessi errori dell’anno precedente.
Theo aveva scommesso che sarebbero durate appena due settimane.
 
 
«Sei in ufficio tardi» disse Hotchner passando davanti alla scrivania di Reid. Il ragazzo in tutta risposta mormorò qualcosa di incomprensibile e continuò a leggere il suo file. Gli occhi bruciavano e la testa pulsava ma voleva assolutamente finire il suo lavoro. L’ultima volta che aveva controllato l’orologio erano le dieci passate ed era sicuro di essere l’unico rimasto in ufficio del suo team. Avevano avuto una settimana relativamente tranquilla, solamente delle consultazioni da Quantico, quindi ogni membro si era rimesso in pari con le vecchie scartoffie e vari aggiornamenti importanti.  
«Spencer?» ripeté Aaron inarcando appena un sopracciglio. Il ragazzo aveva avuto la sua bella parte di nottate al BAU, ma mai quando la fidanzata era in città.
«Anche tu» rispose Spencer recuperando un foglio per appuntare qualcosa. Non era in vena di grandi discorsi, la sua mente non avrebbe retto per molto. Era da un paio di giorni che il mal di testa non gli dava tregua, lasciandolo sveglio di notte e stanco di giorno. Subito aveva provato a resistere, ad incolpare lo stress. Poi aveva realizzato che non sarebbe passato ignorando la situazione ma ancora non voleva preoccupare la fidanzata.
«Jack è ad un pigiama party, ma se quel che dice Penelope è vero, Athena è ancora in città. Perché non finisci domani e vai da lei?» ritentò girandosi completamente verso di lui. «Questo è un ordine» aggiunse lasciandosi sfuggire un sorriso. Anche se non lo lasciava trasparire spesso, teneva molto al ragazzo. Sperava, dove poteva, di riuscire ad aiutarlo a gestire la sua vita privata e quella lavorativa, cercando di evitargli le sofferenze che aveva vissuto in prima persona con la sua ex moglie.
Reid alzò finalmente lo sguardo e abbozzò un sorriso a sua volta. «Solo se torni a casa anche tu».
Dall’altra parte della città, Athena era pensierosa. Entro pochi giorni sarebbe tornata nella sua adorata classe elementare e subito dopo tra i banchi universitari. Lei e Helen erano determinate a mantenere i loro allenamenti e assolutamente non fallire nessuna classe. Era un piano pronto a cedere in ogni momento. Anche la più piccola cosa avrebbe fatto crollare tutto miseramente. In più Spencer le dava qualche pensiero, era assolutamente certa di averlo sentito rigirarsi tutta notte e la mattina era uscito di casa prima del previsto, come per evitarla.
«Ho patatine e milkshake» esordì Spencer entrando in casa, facendo sussultare la fidanzata. Athena chiuse il libro che stava provando a leggere e provò a sorridere al massimo delle sue possibilità. Dall’espressione del fidanzato capì che non era riuscita a convincerlo.
«L-lo so che stai provando a mangiare sano ma-ma ho pensato che t-ti avrebbe…» provò a giustificarsi il ragazzo stringendosi appena nelle spalle. Non sapeva neanche lui il motivo della reazione di lei e perché si fosse messo subito sulla difensiva. Entrambi erano talmente presi dal non mostrare nulla all’altra persona che erano finiti per renderlo più evidente del dovuto.  
«No, no! Sono contenta per la sorpresa» rispose immediatamente la ragazza alzandosi di scatto. «È perfetto».
Spencer rilassò i muscoli del viso ma rimase comunque confuso dalla reazione di lei. Athena gli si avvicinò e si alzò sulle punte per lasciargli un leggero bacio sulle labbra. «Tavolo o divano?» mormorò poi prima di lasciargli un secondo bacio.
Spencer sapeva che non sarebbe riuscito a nascondere il mal di testa ancora per molto, anzi, era quasi convinto che la fidanzata stesse solo aspettando il momento giusto per chiedere.
Athena aveva resistito fino alla decima patatina quando sentì la domanda esplodere dentro di sé. «Perché mi nascondi quando stai male?» le sfuggì dalle labbra prima di realizzarlo. Spencer rimase con la mano a mezzaria, incapace di rispondere.
«Scusa» disse Athena prendendo la mano di lui tra le sue. «Non volevo essere così diretta. Quello che intendevo era se c’è qualcosa che non va» aggiunse abbozzando un sorriso.
«È solo mal di testa» rispose Spencer facendo una piccola smorfia. La ragazza in tutta risposta inarcò un sopracciglio, sapeva quando il fidanzato mentiva e in quel caso non stava neanche provando ad impegnarsi. Sapeva che aveva sbagliato approccio ma era veramente preoccupata. Anche se era abituata alle sue stranezze, negli ultimi giorni aveva raggiunto livelli troppo alti persino per lui.
Spencer la guardò negli occhi per qualche secondo e poi abbasso lo sguardo, scuotendo appena la testa. «Non volevo farti preoccupare, ogni tanto mi succede. In realtà non mi capitava un episodio del genere da 20 mesi e 50 giorni ma in passato erano più frequenti» provò a spiegarsi facendole cenno di sedersi sulle sue gambe, sentendo il bisogno del suo contatto fisico. «Ci sono due farmaci che mi aiutano ma ci mettono un po’ a funzionare e non volevo allarmarti. Ma credo che il mio comportamento lo abbia fatto comunque, giusto?» aggiunse dopo averla stretta tra le sue braccia. Il tono era leggero, la testa gli pulsava e non voleva peggiorare la situazione alzando la voce. Ora che però aveva la fidanzata così vicina, era riuscito a rilassarsi almeno un pochino.
Athena gli prese il viso tra le mani e gli lasciò un bacio sulla tempia. «Vorrà dire che ti sgriderò quando starai meglio» disse ridacchiando appena. «Perché non sei più da solo, Spencer. La notte quando non dormi, sono accanto a te, capito? Credo che ormai ti sia guadagnato un bonus per svegliarmi nel cuore della notte. Quando è un’emergenza» mormorò facendo toccare appena le loro fronti. Spencer in tutta risposta annuì appena e le lasciò un tenero bacio.
«Agli ordini capitano».
 
 
«Mi mancherete tantissimoooo» esclamò Beth abbracciando da dietro Athena che stava cucinando una torta. La bionda sussultò e per poco non prese un infarto. Era completamente immersa nei suoi pensieri, tanto da isolarsi dalla realtà circostante.
«Beth!» riuscì solo ad esclamare a sua volta, sorpresa, richiamando anche l’attenzione di Helen che era in sala. La stretta dell’amica quasi la faceva sentire in gabbia, bloccata nella sua posizione.
«Sto cucinando una torta, non sto partendo per il Vietnam» borbottò poi la bionda inarcando le sopracciglia. Non voleva essere rude ma aveva appena due ore per finire il dolce e prepararsi al brunch a casa di JJ. Si era svegliata all’alba per i mille impegni e non voleva assolutamente tardare. Soprattutto perché il fidanzato era peggio di un orologio svizzero. Impossibile tardare anche solo di un minuto con Spencer, anche per situazioni informali come un pranzo da JJ.
Spencer negli anni aveva iniziato a passare molte domeniche a casa della migliore amica, soprattutto da quando era nato il primogenito. Henry e Reid erano un duo inseparabile, anche grazie alla grande passione per la magia che li univa. Micheal era ancora piccolo per unirsi attivamente alle attività, ma sicuramente anche il piccolo ne era rimasto affascinato. Per Spencer, la famiglia di JJ era diventata anche la sua famiglia, e ora voleva integrare anche la fidanzata in quel quadro familiare. JJ ovviamente era a dir poco entusiasta dell’inserimento di Athena e pian piano aveva iniziato ad affezionarsi a sua volta.
«Ma tra una settimana partirete e io non vi vedrò più» continuò a piagnucolare Beth riportando l’amica alla realtà, stringendo l’amica in un abbraccio quasi fatale.
«Okay, okay! Che succede?» disse Helen entrando a grandi passi in cucina, richiamata dalle voci delle coinquiline.
«Non guardare me» mormorò Athena con lo sguardo meravigliato, con ancora la spatola piena di glassa al cioccolato in mano.
«Beth?» disse Helen inarcando un sopracciglio, cercando di rimanere seria. Doveva ammettere che trovava la situazione alquanto divertente ma doveva mantenere un certo ritegno o Athena l’avrebbe sbranata.
«Mi mancherete tanto» ripeté Beth senza lasciare la presa, come un bambino con la mamma il primo giorno d’asilo.
«Va bene signorina, ora basta. Che succede?» disse Athena liberandosi completamente dalla presa dell’amica. Si girò verso di lei con la fronte corrugata e la scrutò da cima a fondo, c’era decisamente qualcosa che non andava.
Beth abbassò lo sguardo e riluttante prese posto su una sedia vicino a lei. «Con Jake non sta andando bene» ammise facendo spallucce. «Non ho paura di tornare single ma mi ero abituata a stare con voi, avere la casa piena di voci e…»
«Oh, Beth» mormorò Athena addolcendosi subito, era talmente distratta che quasi si era dimenticata della nuova avventura amorosa dell’amica. «Siete solamente alla quinta uscita, devi dare tempo al tempo» continuò avvicinandosi a lei. «Prenderla più alla leggera» aggiunse poco prima di sporcarle la punta del naso con la cioccolata. Questo scatenò una fragorosa risata tra le tre ragazze e allentò un po’ la tensione che si era creata.
«I ragazzi sono diversi, impossibile capirli in così poco tempo» disse Helen recuperando una sedia per sedersi di fianco all’amica. «Ma non credo di poter dir qualcosa, l’ultima volta che sono uscita con qualcuno non esistevano ancora i social media.»
«Non erano i tempi di Dracula?» ribatté Beth beccandosi una piccola gomitata.
«Secondo me erano i tempi di Giulio Cesare» si unì Athena ridendo divertita.
«Ehi! Non tutte possiamo avere un sexy agente dell’FBI con un’intelligenza a dir poco stellare al proprio fianco» le rinfacciarono le due quasi in coro. Athena alzò le mani in segno di resa piuttosto divertita.
«Ehi! Il mio ragazzo ancora non riesce a mangiare il cibo dal mio piatto e disinfetta ogni superfice con ogni prodotto possibile. Direi che ad ognuno il suo, eh» disse Athena facendo una smorfia.
«Facciamo a cambio? Divento sponsor ufficiale della candeggina» disse Helen ammiccando.
«Oh, no. Lui è il mio caso umano» chiuse il discorso la bionda puntando il dito come per enfatizzare il concetto.

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