Solo mia figlia

di FragileGuerriera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima diapositiva: una foto sul comò ***
Capitolo 3: *** Seconda diapositiva: una limonata al bar ***
Capitolo 4: *** Terza diapositiva: Un picnic in riva al fiume ***
Capitolo 5: *** Quarta diapositiva: Ti stavo aspettando ***
Capitolo 6: *** Quinta diapositiva: un telefono riagganciato ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buongiorno a tutti! Dopo anni torno sul fandom di Kodocha con una storia iniziata sei anni fa.

Prima di lasciarvi alla lettura devo precisare alcune cose. La storia che leggerete si rifà all'episodio 49 "Il grande cuore di papà" dell'anime, ma nella versione giapponese. Riporto la trama per chi si fosse perso il testo originale, censurato in Italia: quando Keiko (la madre biologica di Sana) incontra la vera madre di Sana (perchè seppur non di sangue è la signora Kurata la vera madre di Sana) afferma di aver abbandonato di proposito la bambina nata da poco. Ho voluto dar credito a questa versione perchè non avrebbe senso che una donna dopo un'incidente stradale non faccia nulla per ritrovare sua figlia. E' vero che ha parlato di un'amnesia, ma evidentemente nel frattempo la memoria le è tornata se si è fatta avanti, quindi perchè non darsi da fare prima?
La versione del manga, d'altro canto crea confusione circa il padre di Sana. Nella versione cartacea infatti il vero padre di Sana viene indicato come lo zio di Keiko, che (se non ricordo male- al momento non ho il manga sotto mano-) ha costretto la ragazza ad abbandonare la figlia. Perchè allora, se è stata obbligata, non l'ha cercata appena se n'è andata da casa? E poi, diciamocelo, non fa alcuna pietà uno zio pedofilo, mentre è molto più interessante il personaggio di Takeshi, il padre naturale di Sana nell'anime. Anche Takeshi però genera perplessità se ci basassimo sulla versione italiana: lui era il primo marito di Keiko. Scusate, ma se erano sposati com'è possibile che non si ricordasse di Keiko al punto da non notare la somiglianza fisica che c'è fra la donna e Sana? Inoltre, lei avrà anche sofferto di amnesia dopo l'incidente in auto, ma lui dov'era per non potersi prendere cura della bambina?
Ecco spiegato perchè mi rifaccio alla versione anime giapponese.

Inoltre, i capitoli sono di proposito molto brevi poiché si tratta di flashback e come tali riguardano solo i momenti più salienti della trama.

Infine il rating è dovuto per le scene che in alcuni punti diventano particolarmente delicate vista la differenza d'età tra i due protagonisti della storia.

Detto ciò, non mi resta che augurare buona lettura a tutti sprando che la storia vi piaccia!! =)



Prologo.

Kurosaki venne sorpreso da una serie di lacrime copiose che improvvisamente iniziarono a rigargli il volto. Si alzò di scatto dalla sedia e coprendo il volto per nascondere la sua sensibilità a Takeshi, non riuscì più a fingere di fronte a tanta fiducia in una vita che stava per tradire l'attore.

Takeshi fu sorpreso dallo scatto del giornalista e sentendolo singhiozzare capì che stava piangendo, ma non ne capiva il motivo e per questo gli venne spontaneo domandarne il motivo: -Che ha? Non si sente bene?

-Mi scusi, ma non posso più tacere.

-Come?

-E' giusto che qualcuno le dica la verità una volta per tutte. Io conosco Sana, la conosco bene e soprattutto... conosco la sua storia. Ho raccolto informazioni riguardanti il suo passato, informazioni delle quali ne' lei ne' Sana siete al corrente. Lei è il padre di Sana!

Takeshi rimase un attimo spiazzato da quell'affermazione. -No, guardi che si sbaglia- cercò di smontare le assurde affermazioni del giornalista.

-Si ricorda di Keiko, il grande amore della sua vita?- A quel nome Takeshi spalancò gli occhi incredulo, mentre il suo cuore perse un colpo. Come poteva sapere lui di Keiko? "Keiko", nella memoria il volto di una ragazzina in piena fioritura. Nella sua mente aveva ben nascosto i ricordi di quella ragazzina da anni. Ora una ferita dimenticata tornò a ricordargli che non c'era più, ma al suo posto era rimasta una cicatrice indelebile. -Ebbene, lei non lo sa, ma Keiko è la vera madre di Sana-chan! Sana le vuole bene ed ignora che l'affetto che prova per lei è quello di una figlia. Solo che lei non potrà mai abbracciarla come un vero padre, lo capisce?!- Kurosaki riprese a piangere copiosamente e si portò nuovamente una mano al volto. -Le hanno diagnosticato una grave malattia al cuore e non le sono rimaste che poche settimane da vivere!! Mi dispiace tanto.

Una voragine si aprì nella sua memoria, facendogli girare la testa. Un triste passato che nessuno conosceva e a quanto pareva nemmeno lui lo conosceva. Un senso d'inquietudine prese la sua mente e il suo cuore. Non ci poteva credere. Quella bimba spensierata era sua figlia? Come poteva Keiko averglielo tenuto nascosto fino ad allora? Ora capiva tutto. Trovò i pezzi di puzzle perduti e vide chiara l'immagine che si andò a formare. Sana che fin da subito gli aveva ricordato un volto famigliare per quanto remoto, era così simile a Keiko fisicamente e caratterialmente. Solo era più bella e i suoi occhi erano esclusivamente una pura manifestazione di allegria. -Tu mi ricordi molto mio padre, sai?- una voce di giovane ragazza riecheggiò nella sua mente, facendogli sorgere un quesito tanto assurdo che non riuscì nemmeno a formulare per intero la domanda: “Possibile che tutta la voglia di vivere, l'ironia e l'ottimismo di Sana...” Nella sua mente un'unica domanda prendeva forma sovrastando tutte le altre senza dargli tregua: cosa era successo davvero?? Velocemente gli si ripresentarono le immagini di quei quasi due anni insieme, remoti, come se fossero state diapositive, ed echi lontani giungevano alla memoria, trovando una risposta a quell'assurda storia.

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Capitolo 2
*** Prima diapositiva: una foto sul comò ***


Augurandovi buona lettura, ringrazio tutti quelli che hanno scelto di leggere la mia storia.



2. Prima diapositiva: Una foto sul comò.


Lui e Keiko si conobbero quando lui era al terzo anno dell'Università e lei al primo delle medie inferiori. L'incontro venne dettato da un fatto alquanto insolito.

Quel giorno di primavera Takeshi aveva deciso di saltare le lezioni. Aveva promesso alla sua fidanzata che l'avrebbe portata a fare una "colazione sull'erba". Si sarebbero trovati sul pullman che li avrebbe portati nel luogo prestabilito. Erano le otto e lui scese dal tram. Dalla sua fermata a quella del bus che li avrebbe portati a destinazione mancavano dieci minuti, si diresse a piedi e guardò l'orologio: puntuale come sempre. "Chissà se lei è già arrivata o è in ritardo?". Yumi era ritardataria di indole, ma in genere quando si trattava di dover prendere un mezzo pubblico riusciva ad arrivare anche con dieci minuti d'anticipo: un evento raro a cui assistere. Sorrise pensando a quella che da un anno era la sua ragazza, quando all'improvviso sentì una fitta al petto. Si portò una mano all'altezza del cuore e strinse il maglione e i denti. Si fermò mentre sentiva il respiro farsi più affannato come se avesse appena fatto una folle corsa. Cosa gli stava accadendo? Gli sembrava di non riuscire più a respirare. L'ansia lo pervase mentre il dolore al petto non passava e lui iniziava ad avvertire il senso di nausea farsi sempre più insistente. La quarta fitta mise a tacere tutti i sensi, acuendo solo la nausea “Che diamine...”. Non ebbe tempo di pensare ad altro poichè cadde a terra a peso morto, sbattendo la testa sul marciapiede e perdendo completamente i sensi.


Al suo risveglio si ritrovò in un letto che non era il suo. Guardò attorno e constatò di trovarsi in una piccola cameretta dalle pareti un po' malmesse, ma buona per l'arredamento, sebbene molto semplice. Una voce stava provenendo fuori da quella camera, era una ragazza a parlare. Si alzò dal letto con l'intenzione di capire dove si trovasse. Ricordava solo di avere avuto una fitta dolorosissima al petto e nient'altro. Ora però stava bene, come se tutto ciò che gli era appena successo non fosse accaduto realmente a lui. Avrebbe messo in dubbio i suoi stessi ricordi se non si fosse trovato in quella casa e con un bernoccolo alla testa che ora, a sensi completamente ripresi, si faceva sentire, appoggiato ad un cuscino molto freddo e poco morbido. Si mise seduto, appoggiando i piedi a terra e vide che tra la testa e il cuscino vi era una busta di ghiaccio. “Ora capisco perchè sentivo il cuscino freddo e scomodo!”. Mentre iniziò a toccarsi dietro la testa per constatare l'entità della botta il suo sguardo capitò su un orologio appeso in alto, sulla parete di fronte al letto. Erano le otto e mezza. "Accidenti a quest'ora dovevo essere sul bus già da almeno un quarto d'ora con Yumi!". Si avviò verso l'uscita per fermarsi davanti alla scrivania e vide la foto di due ragazzi: un ragazzo sui quattordici/ quindici anni e una bambina di fronte ad una torta con sopra una candelina accesa a forma di 10. Dalla voce non ancora di donna adulta che stava parlando al telefono poteva immaginare che la ragazzina al di là della porta fosse la stessa della foto. Erano carini, si somigliavano per lo stesso colore di capelli castano chiaro. A giudicare dall'arredamento della stanza, principalmente in rosa con fiori e cuoricini un po' ovunque la ragazza doveva anche essere la proprietaria di quella camera. La sentì chiudere la conversazione e aprire la porta. La giovane si spaventò nel vederlo in piedi, nonostante la sua faccia da ebete. -Oh,scusa... Non credevo che tu fossi in piedi- si affrettò a scusarsi chinandosi leggermente.

-Non so cosa mi sia successo, ma ora sto bene.

-Dovresti comunque coricarti nuovamente.- rispose lei drizzandosi.

-E perchè mai? Ora sto bene.

-Non ti fa male la testa?

-Un po'- rispose riportando la mano alla testa e ritraendola quasi subito per il male. Sorrise però per non preoccupare la ragazzina. -Anzi, ti ringrazio molto: senza il ghiaccio la mia testa sarebbe raddoppiata per dimensione- suscitando una risatina anche nella ragazzina. -Tieni, ti do il ghiaccio- riprese poi lui allungando la busta alla giovane che la prese per appoggiarla poi sulla scrivania. -Dimmi piuttosto dove sono.

-Sei nella prefettura di Hokkaido e sei svenuto davanti al cancelletto di casa mia.

-E tu chi saresti?

- Keiko...- si inchinò ancora presentandosi.

-Grazie... Keiko-san.-

-Non-non c'è bisogno di essere tanto ossequioso, davvero!- rispose lei imbarazzata dall'onorifico appena usato dal ragazzo.

-Beh, mi hai salvato la vita!

-Dovevo.

-In verità non eri obbligata a farlo.- replicò lui.

-Keiko-chan va bene- ribattè lei sorridente.

-Allora Keiko-chan, sei piuttosto piccola, non vai a scuola oggi?- si divertì a farle la paternale lui.

-Qualcuno doveva controllare di non aver portato in casa un morto o un malintenzionato.

-Ahahah, se fossi un malintenzionato ti avrei già stesa con un colpo sul collo!- La ragazzina s'irrigidì alla sua battuta. -Comunque non hai dei genitori?- riprese lui vedendo che la battuta non aveva riscosso il successo sperato.

-Qualcuno deve lavorare...- rispose lei diffidente.

-Capisco. Uhm...- si fece assorto prima di riprendere -Tuo fratello è questo ragazzo nella foto? Ti assomiglia, avete lo stesso colore di capelli!- affermò poi sorridendo.

Lei non si girò a guardare la foto, la conosceva a memoria e ancor meglio conosceva il ragazzo che nella foto stava al suo fianco. -Non ce l'hai una tua vita a cui interessarti?- gli domandò di rimando, ostile.

Lui si accorse che quella frase detta per sciogliere la tensione, portò con se' l'effetto contrario: -Ehi, calma, calma- tentò di rassicurarla -Volevo solo conoscere meglio la situazione di colei che mi ha salvato da morte certa!- disse con tono teatrale, ma sinceramente gentile e immensamente grato.

Il rossore sulle sue gote annunciò l'effetto sortito del suo tono gentile: -Scusa, non volevo essere scontrosa. Semplicemente non capisco il perchè di tutte queste domande.

-Sono stato invadente, te ne do atto.- rispose lui indietreggiando di un passo in segno di prendere le dovute distanze. Il suo sguardo però lo tradì dal momento che indugiò sul viso della ragazzina: era così carina in quel momento di timidezza. Non aveva mai creduto che le ragazze arrabbiate o timide fossero più carine che felici e sorridenti, ma quella ragazzina sembrava smentire questa sua idea.

I due rimasero in silenzio senza sapere cosa dirsi. Fu ancora Takeshi a rompere il silenzio: -Grazie, non ti devi disturbare a restare a casa. Io adesso torno a casa mia.- Raccolse la cartella che Keiko aveva posato sulla sedia di fronte alla scrivania, poi si diresse verso l'uscita della camera e le chiese: -La porta d'ingresso è quella che c'è di fronte a queste scale?

Lei annuì timidamente con occhi tristi. Lui uscì dalla stanza, ma non fece in tempo a fare il primo gradino che si sentì fermare: -Aspetta.- La voce le uscì tremante. Lui non capì e si girò verso lei. I suoi occhi tristi lo guardavano senza svelargli il motivo di quel cambio di stato d'animo.

Si avvicinò a lui e gli prese una mano. La sua mano era grande come quella del suo papà ed era calda come la sua non sarebbe mai più stata. Le si inumidirono gli occhi mentre stringendo quella mano la portò sulla sua guancia. Chiuse gli occhi per riprovare quel tenero sentimento che non provava più da troppo tempo. Voleva riprovare la sensazione che le trasmettevano le carezze del suo papà, ma la sensazione che la mano inerme di Takeshi le trasmise era diversa, le provocò un mare di sensazioni sconosciute fino a quel giorno. Non le erano chiare le origini di quelle sensazioni, ma erano piacevoli.

Takeshi la lasciò fare senza capire cosa stesse facendo, o meglio: perchè si stesse comportando in quel modo. Fino ad un attimo prima era diffidente nei confronti di lui che era un estraneo, ora pur restando un estraneo per lei... Si stava prendendo una confidenza a dir poco avventata. Quando lei poi aprì gli occhi e alzò lo sguardo per guardarlo con gli occhi umidi capì che qualcosa nella sua vita non andava e sentì l'istinto di abbracciarla. Lei a quel punto si mise a singhiozzare e lui la strinse più forte. Keiko non era il tipo di persona che piangeva facilmente e con gli sconosciuti. In realtà era una ragazza molto solare che cercava di vedere sempre il lato positivo della vita e non piangeva mai con persone che non fossero la sua famiglia. Persone che non potevano capire quanto stesse ancora soffrendo per la scomparsa del padre. Non capiva nemmeno lei perchè, ma quello sconosciuto gli trasmetteva un forte senso di protezione che solo suo padre le sapeva dare quando era abbattuta per qualche cosa e lui cercava di farle vedere il lato positivo della situazione. Quando il senso di vuoto provato al ricordo di suo padre svanì grazie all'abbraccio del ragazzo, Keiko si allontanò leggermente e con la manica della divisa scolastica si asciugò le lacrime prima di chiedere scusa in un sorriso imbarazzato. L'allontanamento della ragazzina dispiacque a Takeshi, sebbene fosse contento di rivedere sulle sue labbra il sorriso, seppur debole. Era così piccola... e così carina! “Ma a che pensi Takeshi? E' solo una ragazzina delle medie!!” si riproverò scuotendo la testa per cacciare quegli strani pensieri. Non aveva mai considerato una ragazza minorenne, certo era in grado di capire se una ragazzina era carina o no, ma non le aveva mai considerate con quell'occhio... Doveva essere la caduta che lo faceva sragionare. -Ti senti meglio?- le chiese poi.

-Sì, scusa.

-Vuoi parlarne?

-E' per mio papà... E' morto tre anni fa, ma non mi va di parlarne.

-Va bene, come vuoi tu- le rispose lui senza sapere cos'altro aggiungere.

Restarono fermi, ognuno a pensare l'altro. Lui pensava a quanto fosse piccola lei e a quanto doveva mancarle suo padre. Si scambiarono un'occhiata ed inspiegabilmente senza un motivo, senza che neanche loro due capissero, si baciarono. Non fu un bacio molto bello: lei era in modo più che evidente alle prime armi, ma fu un bacio molto tenero e molto breve. Non appena Takeshi realizzò che probabilmente non sapeva baciare perchè era poco più che una bambina si staccò di colpo da lei. Si portò la mano alla bocca, quella bocca che sentì subito colpevole di aver violato le labbra della ragazzina, e senza parlare, prese la cartella e scappò letteralmente da quella casa.

Sulla via di ritorno provò disgusto. Quel bacio non significava niente. Era stato dolce, ma non voleva dire nulla. E lui provava disgusto per sé stesso. Aveva baciato una ragazzina che doveva avere almeno dieci anni in meno di lui e che per questo era più che minorenne. Una ragazzina che con ogni probabilità non aveva mai baciato nessuno. Una ragazzina che era stata molestata dal ragazzo che aveva soccorso. Si sentì uno schifo d'uomo e appoggiandosi al muro dell'edificio a fianco con una spalla portò una mano al volto cercando di non piangere per l'orribile gesto compiuto. Lui non era quel genere di persona, non aveva mai provato attrazione per le mocciosette che neanche portavano il reggiseno; lui amava le belle donne, con le curve al posto giusto e il viso adulto. Non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe dato un bacio vero ad una bambinella che forse non si era ancora sviluppata. Doveva essere stata sicuramente la fase post-traumatica che gli aveva annebbiato la mente.

Decise che non avrebbe fatto parola di ciò che era successo con nessuno, solo così poteva fingere che non fosse mai accaduto e forse con il tempo avrebbe potuto disperdere il ricordo di quell'increscioso incidente in un mare di ricordi più grandi che avrebbero riguardato il cinema e la famiglia che sicuramente avrebbe avuto, anche se era prematuro pensare che ne avrebbe formata una con Yumi.

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Capitolo 3
*** Seconda diapositiva: una limonata al bar ***


Buona sera a tutti, auguro buona lettura a coloro che hanno deciso di proseguire con la lettura di  questa fanfiction.


3. Seconda diapositiva: Una limonata al bar


Era Estate. Erano passati due mesi da quel giorno in cui si sentì male. Non andò mai dal dottore e non disse nulla a sua madre. Era sicuro che era stato un calo di pressione ad averlo portato allo svenimento, forse favorito anche dal fatto che spesso la mattina saltava la colazione. Pertanto trovava inutile allarmare sua madre per un episodio insolito, ma privo di pericoli. Non erano le fitte al cuore o lo svenimento a preoccuparlo. Sognava spesso di ritrovarsi in quella casa a chiedere perdono alla bambina. Altre volte sognava che arrivava a casa la denuncia di pedofilia da parte della madre o del fratello di lei. Più volte aveva pensato di tornare dalla bimba per chiederle scusa e per dissuaderla da un'eventuale denuncia. Non ne ebbe mai il coraggio. Si convinceva sempre che andare là sarebbe stato l'equivalente di importunarla e se la bambina stava tergiversando sul denunciare i fatti o meno, con quel gesto non avrebbe più avuto dubbi. Starle alla larga invece avrebbe aiutato anche lei, sperava, di dimenticare l'accaduto di quel terribile giorno. Con il passare dei giorni, non ricevendo nulla, la paura venne sempre meno e Takeshi si convinse di aver fatto bene a non andare mai più in quella casa: molto probabilmente la bimba aveva capito che lui stesso aveva riconosciuto come folle il suo gesto e che non era un molestatore di minorenni.

Quel giorno era fuori con la sua ragazza al bar.

-La smetti?- chiese lei divertita mentre lui le baciava il braccio.

-Scusa, è più forte di me- disse lasciandole la presa e mettendo le mani a posto. -Sai, con il problema del tuo mal di pancia sono cinque giorni che non lo facciamo- proseguì con tono languido ed un sorrisetto malizioso.

-Ma con che razza di pervertito sto insieme??- finse lei un tono di esasperazione.

-E' colpa tua! Sei troppo bella.- Non a caso faceva la modella e i due si erano conosciuti proprio ad una sfilata. Anche lui aveva sfilato per un breve tempo per accontentare la madre a cui era molto legato. Diceva di essere molto orgogliosa di aver un figlio bello e buono come lui e ci teneva molto che tutti potessero vederlo. Come se non bastasse continuava a dirgli che poteva essere un'occasione per farsi vedere da qualche famoso regista teatrale e farsi così scritturare in un importante sceneggiato. Fin da piccolo Takeshi sognava di diventare un attore cinematografico, ma fino ad allora aveva recitato solo per la compagnia della sua città. L'idea della madre perciò gli ronzò in testa finchè non si decise a sfilare e fu così che conobbe Yumi e anche Utamara c.o.g. , il direttore di una compagnia teatrale non famosa, ma di certo più importante di quella della sua città. Il ragazzo considerava perciò la sua avventura nella moda soddisfacente: lo stipendio per fare la parte di un personaggio secondario non era malaccio, le sfilate gli avevano permesso di mettere da parte un po' di soldi e stava con una ragazza splendida.

-Quando consegnerai la tesi?- Gli chiese poi lei cambiando discorso.

-Questo Settembre.

-Possibile che io abbia un anno in meno e abbia già finito tutto?

-Ma io recito la sera e mi devo spostare con la compagnia, mica sto a darmi la crema alle mani come te!- si difese lui.

-Crema che però ti fa tanto piacere la mia pelle- replicò maliziosa lei. -E poi comunque faccio le sfilate e pure io mi devo spostare nelle città della moda.

-Capirai che roba. Sfili solo due o tre volte all'anno per le collezioni Autunno/ Inverno e Primavera/ Estate. Inoltre sei stata molto brava, ma ora sei comunque bloccata per un anno.

-Tanto io so già cosa fare.

-Anche io, solo che io devo trovare ancora un valido regista.

-Amore quante volte te l'ho detto che devi essere tu ad inseguire il successo, non il contrario.

La guardò e le strappò un bacio. -Adesso che ti è passato tutto che dici se andiamo a casa mia?- la invitò con voce bassa e sensuale. Lei rise e si alzarono, dirigendosi mano nella mano all'uscita. -Cavolo, ho dimenticato gli occhiali da sole!- esclamò poi lui. Ritornò sui suoi passi prese gli occhiali da sole e fece un disteso passo indietro per tornare all'uscita, senza prestare attenzione a ciò che gli stava accadendo alle spalle. Andò così a sbattere contro qualcuno. Alla sensazione dello scontro seguì quella di bagnato sulla schiena. -Ma guarda dove metti i piedi, stupido!!- gli urlò la persona dietro di lui. Si voltò: -Oh, scusami tanto io...- le parole gli morirono in bocca. Keiko. Quel nome che non l'aveva mai abbandonato in quei due mesi, ora era lì, in carne ed ossa. Era lei, non avrebbe mai potuto scordarla. Arrossirono entrambi prima che una voce dietro di lei si facesse sentire: -Chi è quest'uomo, tanto bello quanto pasticcione?

Takeshi alzò lo sguardo e vide una ragazza più grande di lei, con i capelli color rame.

-Ah... ehm... Lui è il ragazzo che si è sentito male la volta scorsa!

-Ah, quindi lei è il signor lolicon- chiese un'altra che sembrava più sveglia dell'età che dimostrava. Per Takeshi fu come una stilettata nel cuore quell'affermazione. Si sentì di nuovo in colpa, ma una sensazione simile alla rabbia fu più forte di quello della colpa e gli fece prendere la ragazzina per un braccio per allontanarsi di pochi metri dagli altri. -Tu hai detto alle tue amiche chi sono io??

Lei sembrava sorpresa nell'udirlo arrabbiato: -Mi hanno chiesto perchè non ero andata a scuola e io ho spiegato di aver raccattato un ragazzo che aveva dieci anni in più di me e che si era sentito male.

-E che c'entrava dirgli tutto il resto?- era angosciato, se avessero voluto quelle ragazze avrebbero potuto convincerla a denunciarlo e l'avrebbero rovinato per sempre.

-Io non gli ho detto assolutamente niente!!- disse Keiko cercando di svincolarsi dalla sua presa.

-E allora perchè la tua amica mi ha chiamato in quel modo?- continuò serrando la presa.

-Ahi, mi fai male!!- disse cercando di divincolarsi.

-Le sue parole mi hanno fatto molto più male! Dimmi perchè gliel'hai detto e ti lascio andare!

Smettendo di agitarsi lo guardò un attimo cogliendo lo sguardo ferito, perciò decise di accontentare la sua richiesta: -Le ho solo detto che mi trovi carina. Vuoi forse negarlo?- lo sguardòo serio negli occhi. Effettivamente era molto carina. Aveva dei capelli lunghi e fini molto belli, le orecchie piccole e gli occhi vivaci che erano però perennemente velati da una leggera malinconia. La valutò velocemente nel complesso. Fuori casa sua, senza la divisa scolastica, sembrava avere almeno quindici anni. Non era vestita da ragazza frivola, come tutte le altre, semplicemente dimostrava di più della sua età. Era più alta della sua coetanea, aveva una gonna corta, ma non vertiginosa, una maglietta aderente che più delle sue forme (ancora acerbe) metteva in risalto i fianchi stretti e il fisico magro. -No...- esitò nel dirlo con un fil di voce, ancora stupito da quanto fosse diversa dall'altra volta.

-Bene...- disse lei dando un piccolo strattone al braccio per liberarlo dalla presa di lui. -Nemmeno io ti trovo brutto- si limitò a dire, ma d'altronde come avrebbe potuto? Soggettivamente poteva non essere il ragazzo ideale di alcune ragazze, ma oggettivamente era bello. Di questo lui ne era consapevole, forte anche del buon successo che riscontrava con tante donne.

Lui si abbassò leggermente e guardandola in quegli occhi che aveva sognato più volte ormai le disse: -Non dire niente per favore. Non è successo nulla, non mi denunciare.

-Ah, che delusione come sei infantile! A chi lo dovrei dire? Mio fratello quando non studia in casa è sempre fuori con gli amici o con le ragazze; mia mamma sta fuori tutto il giorno lavorando come operaia per mandare avanti una famiglia di tre persone. Quando torna a casa la sera ha tempo di firmare le cose di scuola mie e di mio fratello e basta. Per fortuna abbiamo lo zio che ci da un aiuto che ci permetterà di finire almeno la scuola dell'obbligo.- Takeshi trovò disarmante quel suo tranquillo modo di parlare di una realtà così diversa dalla sua. La sua era una vita che, questo glielo leggeva negli occhi, non la rallegrava di certo, ma lei non voleva farsi compatire, era molto dignitosa e rispondeva alle proprie difficoltà con serenità.

Intanto fuori dal bar Yumi iniziava a perdere la pazienza: “E' andato a prendere gli occhiali o a comprarne un paio nuovo?”

-Non ti da fastidio?- gli chiese Keiko.

-Che cosa?- rispose il ragazzo.

-La macchia di limonata sulla schiena. Sarà appiccicosa ormai!

-Ah, non importa. Tanto dovevo tornare a casa!

-Sei da solo?

-No e... Accidenti ho perso un sacco di tempo! Devo andare. Anzi, vieni un attimo con me!- e senza darle tempo per rispondere Takeshi la prese di nuovo per il braccio e la trascinò fuori dal bar incurante delle amiche di lei stupite nel vederla uscire a passo svelto con quel ragazzo molto più grande di loro.

-Oh finalmente. Ce ne hai messo di tempo!- lo rimproverò Yumi.

-Scusa, am... ehm...- Takeshi si schiarì la voce nel tentativo di camuffare le prime lettere pronunciate -Scusa...- ma perchè mai si sentiva in imbarazzo a chiamare “amore” la sua ragazza?

-Lei chi è?- gli domandò Yumi notando Keiko.

-Ehm... la ragazzina che mi ha aiutato quel giorno che dovevamo andare al parco e non sono stato bene. Si chiama...- si interruppe. Non aveva mai pronunciato il suo nome. In realtà anche quando aveva pensato a lei non la pensava mai con il suo nome. Le poche volte che l'aveva pensato, infatti, gli avevano fatto troppo male. Era un nome che, legato ai ricordi di quel giorno, gli trasmetteva una strana sensazione al cuore, facendolo sentire poi ancora più in colpa per quello che fece prima di fuggire. Non poteva e non doveva assolutamente provare assolutamente nulla per quella ragazzina. Era una cosa da malati di mente! Non sapeva neanche chi era ed era troppo piccola! Per questo cercava di non pensarla mai con il suo nome. Pronunciare o dire il suo nome, l'avrebbe fatto sentire in qualche modo legato a lei. Per questo esitò nel proseguire il discorso.

-Io sono Keiko- si presentò da sola a quel punto la ragazzina. Detto da lei sembrava ancora più dolce. “Accidenti devo smetterla con questi pensieri assurdi!!”

Yumi la guardò da capo a piedi. Valutando i vestiti che portava veniva sicuramente da un ceto inferiore. -Uhm, piacere, io sono Yumi- disse con tono discostato e accennando un leggero inchino.-Sono la ragazza di Takeshi.

Keiko la guardò senza tradire alcuna emozione. -Yumi ha la mia età ed è la mia donna.- si apprestò a dire Takeshi, circondandole le spalle con il braccio e sforzando un largo sorriso. Sottolineò di proposito che la sua fidanzata fosse sua coetanea e pure una donna. Era l'unico modo per far capire alla bambina che era stato un episodio a cui nessuno dei due doveva dar peso perchè lui amava le donne adulte e per di più era già felicemente impegnato.

-Bene, ora che ci siamo chiariti vieni che ti prendo un'altra limonata- e senza dire altro rientrò nel bar seguito dalla ragazza a cui non erano chiari i suoi strani atteggiamenti. Cosa doveva chiarire?

Invece di far chiarezza su qualcosa che nessuno, Takeshi a parte, sapeva di cosa si trattasse, aveva solo creato confusione presentando le due ragazze. Per non parlare della sua titubanza nel parlare con Yumi di... lei. Rieccolo il pronome che usava più spesso per parlare della ragazzina. Beh, ovviamente anche “ragazzina” era un appellativo che usava di frequente, alternandolo a “bambina”. Takeshi non capiva cosa gli stesse succedendo, da come l'aveva vista era andato in tilt e non ragionava più bene. -Mi dia una limonata per favore- chiese al cameriere. Takeshi la guardò mentre lei guardava il cameriere prendere la bottiglietta di limonata. Chissà che tipo di ragazzi le piacevano? Un tipo palestrato, con i capelli a zazzera come quello di fronte a loro, o un tipo dal fisico slanciato e i capelli leggermente più lunghi e ben pettinati come era lui? Il ragazzo si portò quasi subito una mano al cuore. Una fitta lo trafisse. Era una fitta che non faceva male fisicamente, ma solo alla sua morale. Temeva di conoscere quella fitta... Si era già innamorato due volte e una delle due ragazze che l'aveva fatto innamorare era proprio lì, fuori dal bar che lo stava aspettando. Scosse la testa sentendosi disperato. Perchè quando era con lei gli venivano in mente quelle domande e tutti quei pensieri assurdi? Prese il bicchiere e rivolgendosi a lei disse: -Ecco la tua limonata.

-Ma io...

-Tranquilla, offro io.

-Sì, ma in realtà...- provò ad obbiettare Keiko.

-Vuoi litigare con me?- le chiese lui con tono serio, ma l'espressione divertita. Era assurdo, con Yumi non riusciva ad essere normale con lei, ma senza la fidanzata si comportava disinvolto quasi come se fossero in confidenza da tempo.

-No... grazie allora.

-Figurati- rispose sorridendo prima di andare via.


Tornata dalle amiche che si erano già sedute, diede il bicchiere all'amica dai capelli color rame.

-Te la offre lui.

Lei la guardò perplessa così disse: -Non mi ha lasciato dire che portavo il bicchiere io, ma la bibita era la tua.

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Capitolo 4
*** Terza diapositiva: Un picnic in riva al fiume ***


Buonasera a tutti, una serie di sfortunate coincidenze mi portano a pubblicare questo quarto capitolo con enorme ritardo, ne sono desolata. Purtroppo, tra quelle sfortunate coincidenze, ve ne sono anche di natura non piacevole e forse non facilmente risolvibile, per cui non so quando potrò aggiornarla nuovamente. Spero il prima possibile, anche perchè questo significa che la situazione si starà evolvendo in modo positivo.

Ringrazio come sempre coloro che stanno seguendo questa storia e chi l'ha inserita nell'elenco delle storie da seguire :-).

Intanto se volete, recensite pure. Ogni commento, positivo o negativo, e ogni consiglio è più che gradito ^^

4. Terza diapositiva: Un picnic in riva al fiume.


Chiunque avrebbe detto di no ad una proposta del genere e lui come cavolo era riuscito a dirle di sì? L'aveva chiamato due settimane dopo per chiedergli se la andava a prendere a scuola perchè suo fratello si era ritrovato con lo scooter in panne e quindi non riusciva ad andare a prenderla come suo solito fare. Sua mamma era al lavoro come sempre e non riusciva proprio a passare a prenderla, mentre le sue amiche erano già andate via da un pezzo visto che suo fratello era riuscito ad avvisare la scuola* dopo una mezz'ora di vana attesa. Quindi, visto che nessuno poteva portarla a casa, Takeshi doveva andare a prenderla a scuola e assicurarle il ritorno a casa. Niente di più, gli aveva assicurato. Aveva poi spiegato di aver reperito il numero di telefono di casa sua dal documento di identità che aveva nel portafoglio e sul quale aveva potuto leggere nome, cognome ed indirizzo. Grazie a quei dati era stato semplice rintracciarlo sull'elenco telefonico il giorno in cui era stato male per avvisare qualcuno di quello che era accaduto all'uomo. Visto che alla fine lui si era ripreso ed era tornato a casa da solo, lei, invece di getteralo via, doveva aver inserito per sbaglio il foglietto con il suo numero telefonico nel libro di giapponese moderno e lì per fortuna vi rimase fino a quel giorno stesso in cui aveva avuto un'ora di lezione di giapponese.

Quando lui arrivò Keiko salì in macchina e una volta partito prese subito la parola lei: -Scusa, ma tu sei l'unico adulto che non lavora e ha la patente.

-Ehi, io lavoro!- protestò lui, mantenendo lo sguardo sulla strada.

-Ah, davvero?

-Sì, faccio l'attore di teatro.

-Davvero? Che meraviiiiiglia!!- esclamò lei entusiasta e constatando che un ragazzo così bello non avrebbe potuto trovare lavoro migliore di quello. -Comunque non ti chiamerò più promesso! Se dovesse ricapitare un'altra volta saprò quali altri mezzi pubblici utilizzare perchè già da oggi mi informerò- disse poi con un largo sorriso.

-Lo spero.- disse Takeshi con un sospiro.

In realtà si sentirono un paio di volte prima che lei lo chiamasse per chiedergli di festeggiare insieme il suo tredicesimo compleanno. Anche qui sarebbe stato saggio dire di no. E Takeshi ci aveva provato, ma era talmente deciso che alla fine cedette alla richiesta di lei. Se ne pentì appena riattaccato il telefono, ma non poteva chiamarla per disdire tutto. Sembrava strano che dopo quattro chiamate non avesse il suo numero di telefono, ma dal momento che era sempre stata lei a chiamarlo, mentre lui preferiva starle il più possibile alla larga, non aveva potuto rintracciarla. Gli venne in mente di fare come lei il giorno in cui era stato male: andò in soggiorno, estrasse l'elenco telefonico della città e... “Ottimo e adesso che ho l'elenco come la rintraccio se non so il suo cognome??” pensò quando realizzò che era scappato da quella casa senza fermarsi per sapere il punto esatto in cui era stato male e senza vedere sul citofono il cognome della bambina. Perciò fu costretto a presentarsi alla stazione dei bus per portarla ad un picnic in riva al fiume. In fondo non poteva immaginarsela mentre lo aspettava per tanto tempo e inutilmente alla stazione dei bus, con tante facce losche che avrebbero potuto approfittarsi di quella bambina da sola.


-Grazie per avermi fatto compagnia- gli disse lei.

-E' stato un piacere... Soprattutto per i tuoi biscotti.- rispose ridendo prima di girarsi dalla sua parte. La osservò ancora una volta: “Tredici anni! Con il trucco sembra averne addirittura sedici!”.

Lei lo guardò con un sorriso dolce prima di dire con tono pacato: -Sai, come ieri moriva mio padre.

-Mi dispiace- non sapeva che altro dire.

-T-tu mi ricordi mio padre, lo sai?- Takeshi la guardò con aria interrogativa.

-Anche lui aveva sempre quel sorriso gentile e la risata composta che hai tu.- diverse lacrime silenziose scesero dai suoi occhi. -Aveva quindici anni in più di mia mamma e aveva quarantaquattro anni quando se ne è andato. Aveva sempre tanti problemi di salute, ma sorrideva sempre. L'ultima sera che abbiamo passato insieme ricordo che mentre stavo andando in bagno per lavarmi ho sentito dalla porta socchiusa della camera dei miei che mio papà si lamentava con mia mamma per dei dolori più forti del solito. Alla fine è morto nel sonno e l'ultima cosa che ricordo di lui è stato il suo sorriso gentile mentre mi dava la buonanotte.- prese un fazzoletto dalla borsa e si soffiò il naso e cercando di ridere disse: -Scusami, è già la seconda volta che piango. Penserai che io sia bipolare- rise ancora, mentre lui abbozzò un tenero sorriso a quell'idea assurda -ma in realtà io non piango mai. Dopo il suo funerale ho cercato di essere forte per mia mamma, con gli amici non ho mai pianto perchè non voglio la loro compassione e quando sono sola cerco di accettare il fatto per essere forte, non vulnerabile. Eppure con te è diverso, non so perchè, ma mi sento libera di poter piangere senza temere un tuo parere negativo...- Si fermò un attimo per guardarlo: era la prima volta che lo vedeva senza espressione in volto. Qualche volta l'aveva visto serio, ma il più delle volte sorrideva e le parlava con tono spavaldo o divertito. -Tu me lo ricordi molto. Mi è capitato di vederti serio, ma il più delle volte sei solare e sorridente. Sono sicura che tu sia una bella persona, Takeshi.- Il proprio nome non gli era mai sembrato così bello come in quel momento e quelle parole, quella triste storia raccontate con la leggerezza che solo la rassegnazione e la dignità potevano dare, toccarono il suo animo sensibile. Così piangendo abbracciò Keiko stringendola a sé. Rimasero abbracciati a lungo, forse dieci minuti, forse di più o forse di meno, ma ad entrambi sembrò un'eternità e nessuno dei due voleva interrompere quel contatto. Si sentivano solo il soffio del vento, l'acqua che scorreva lungo i rivi del fiume, il cinguettio degli uccelli e i singhiozzi di Keiko. Qualche minuto dopo che finì di piangere la ragazzina si allontanò da lui: -Ecco ho appena detto che sorridi sempre. Che cosa sono quelle lacrime?- Takeshi si sentì uno stupido: si satva facendo consolare quando era lei ad aver vissuto tutte quelle difficoltà nella sua breve vita. -Scusami tu, ma... E' che mi dispiace tanto sapere che tu, con tanta voglia di vivere, abbia avuto una vita così difficile già così giovane.

-Intanto però ho potuto godermi mio papà per dieci anni; la mamma che si dà tanto da fare per me, un fratello a cui sono legata, nonostante abbia una vita spesso fuori casa e degli zii che ci sono sempre per noi. A parte lui non mi manca nulla, cerco quindi di farmi forza pensando a questo e cercando di assaporare ogni momento bello che la vita mi sta dando.- Rispose lei, rivolgendogli un candido sorriso. Era davvero speciale ed ammirevole. Takeshi ricordò le parole che gli rivolse la prima volta che parlò di suo padre e pensò che l'ottimismo di vedere sempre del buono in ogni aspetto della vita, quell'uomo era riuscito a trasmetterlo alla figlia. -Ricorda che lui sarà sempre con te, in ogni tuo sorriso, in ogni tuo tentativo di vedere con ottimismo la vita.

-Grazie, sei un ragazzo con un cuore d'oro.

Lui sorrise al complimento, lo apprezzava. -C'è qualcosa che posso fare per te?

-Non piangere.- la sua voce era calda e sicura mentre guardava il fiume davanti a loro. Poi rivolgendo nuovamente lo sguardo a lui riprese: -Il pianto è per chi perde una parte di se', ma a te non è accaduto. Hai tua madre e tuo padre che sicuramente ti vogliono bene e se hai dei fratelli o sorelle sicuramente avrai un bel rapporto anche con loro perchè è impossibile averti come nemico.- gli rivolse un sorriso genuino -Studi all'Università e avrai l'occasione per diventare un attore famoso.

In quale momento gli aveva messo le mani sul viso? Takeshi non lo sapeva, ma non le allontanò. -Lo terrò a mente. Anche se da quando mio padre ha lasciato mia mamma non si è più fatto vivo con lei e nemmeno con me.

-Mi dispiace per lui...- si fermò un attimo per riflettere senza staccare gli occhi da lui -Non sa cosa si è perso nel lasciarti andare. Ma l'importante è che voi stiate bene economicamente. E dai bei vestiti che hai sempre... Beh, direi che non state male!- disse lei continuando a sorridere e ritraendo le mani dal suo volto per indicarlo nel complesso con un gesto delle braccia.

-Questo è vero, per fortuna mia mamma ha un ristorante che ci permette di vivere bene ed io comunque sto entrando nel mondo del teatro che mi dà un discreto stipendio. Anche se il mio sogno è quello di diventare un attore cinematografico.

-Mi dispiace per tuo papà, ma tu meriti meglio di una persona così, non credi?- un altro sorriso che ne scaturì uno di riflesso da parte di Takeshi. -E' molto bello sapere finalmente qualcosa di più su di te, lo sai?- la ragazzina ridacchiò in modo composto mentre affermava ciò.

-Non siamo mai andati sul discorso della mia famiglia...- provò a difendersi lui.

-Tranquillo, non ti devi scusare con me. Rispetto sempre i tempi degli altri. Mi parlerai ancora di te, con calma, quando te la sentirai.

Questo voleva dire che Keiko sperava davvero di rivederlo ancora? D'altronde passare insieme il giorno del compleanno di qualcuno voleva dire essere in confidenza. Ma loro due erano davvero in confidenza? Forse troppa visto l'enorme divario di età fra loro. Però, forse come amici... Non c'era una legge o un'etica che impediva l'amicizia fra maggiorenni e minorenni. Takeshi tentò di trovare una scusa qualsiasi che lo potesse mettere in pace con sé stesso. Sì, loro due erano solo amici e quello che sentiva era solo un tenero sentimento di amicizia nei confronti della ragazzina. Soddisfatto della risposta illusoria che si era appena costruito e che gli permetteva di vederla ancora senza continuare ad avere timori sulla loro frequentazione, riprese: -Comunque io intendevo se posso fare qualcos'altro per te... Non ti ho nemmeno preso un regalo.

-Per forza, ti ho chiesto di festeggiare insieme l'altro giorno quando erano chiusi tutti i negozi!- Era la prima volta che la sentiva ridere ed era una risata molto cristallina, dolce. -Sì, ma...

-Niente "ma", davvero- disse lei ancora sorridente.

-Invece obbietto: voglio farti un regalo!- disse lui imputandosi.

-E va bene. Visto che insisti tanto...- aggrottò le sopracciglia assumendo un'aria pensierosa mentre portava la mano destra al mento come se con tale gesto la potessere aiutare a riflettere meglio: -Baciami.- rispose poi rilassando la fronte e lasciando cadere la mano lungo il fianco.

Pensava lo stesse prendendo in giro. Ma, nonostante il sorriso sereno sul suo volto, era seria e tranquilla. -Ehi, tu... Ma ti rendi conto che io ho dieci anni in più di te? Tu sei poco più di una bambina, sei solo una ragazzina per quanto tu possa dimostrare più della tua età e... Sei impazzita??- Così dicendo fece per alzarsi, ma una presa sulla manica, sicura e docile al contempo, lo bloccò. -Perchè, non vorrai farmi credere che non è quello che vuoi anche tu?- e così dicendo, con uno sguardo malizioso, si avvicinò pericolosamente a lui fermandosi ad una spanna di distanza dal suo volto, cosicché gli fosse impossibile resistere. Infatti Takeshi non resistette nel vedere quelle labbra dischiuse e ricordandone la morbidezza. Fu un altro bacio dolce, a cui lei seppe rispondere meglio dell'altra volta, riuscendo a trasmettergli delle sensazioni piacevoli. Quando si staccarono lui la guardò e lei corrispose lo sguardo con gli occhi sognanti. Era una ragazzina in cerca del suo principe azzurro e del suo amore. Lui invece era un ragazzo che aveva già avuto alcune ragazze, ma solo due storie serie e una di quelle era ancora in corso con Yumi. Si alzò di scatto. No, lui non poteva darle quell'amore che lei sognava e si stava comportando nel modo più scorretto sia illudendo lei, sia tradendo Yumi con... una neotredicenne! Raccolse tutta la roba che c'era in giro, continuando a rimuginare sulla realtà dei fatti. I fatti erano che lui avrebbe potuto darle quell'amore che stava cercando perchè, a differenza delle altre due volte che si era innamorato, con lei era stato un colpo di fulmine. Ma non poteva. Le leggi parlavano chiaro e lui non poteva assolutamente ammettere che il suo cuore era stato rapito da lei dal primo momento in cui ebbero un contatto fisico. Negare anche a se' stesso i sentimenti di natura sbagliata che provava per lei era il primo passo per stare lontano dai guai e fino a quel momento ci era riuscito anche bene! -Andiamo.- disse perentorio una volta terminato di mettere tutte le vettovaglie nel cestino di vimini portato da lei.

-Dove?- domandò lei stupita.

-A casa!

-Perchè?

-Perchè non ci dobbiamo rivedere mai più.- Sapeva che forse quelle parole l'avrebbero ferita, ma doveva essere risoluto e mettere in salvo così sia sé stesso che lei.

Fu invece stupito di vedere l'espressione curiosa che si dipinse sul volto di lei dopo aver udito quelle parole, prima di rispondere: -Ti preoccupi per nulla. Io sto qua.- restando seduta a portando le mani dietro la stessa, mostrando così assoluta serenità d'animo.

-Stai qui allora.

-Vieni qui anche tu- tentò di persuaderlo.

-Keiko- arrossendo leggermente nel dire per la prima volta il suo nome ad alta voce, mentre la ragazza sorrise contenta nel sentire per la prima volta il suo nome pronunciato da lui- ti rendi conto di cosa mi hai fatto fare? Io ho ventidue anni, vado per i ventitré e tu ne hai compiuti tredici oggi stesso!

-Io non ti ho costretto a fare nulla, mi sono solo avvicinata- rispose lei con fare innocente -e non puoi nemmeno dire che ero sensuale perchè non sono capace e non mi piacerebbe nemmeno esserlo.

-Appunto, perchè sei poco più che una bambina!- si scaldò lui.

-Non è vero.- rispose lei per la prima volta leggermente innervosita -Non hai sentito quello che ho detto prima? Tra mio papà e mia mamma c'erano quindici anni di differenza. Si sono sposati quando lei aveva diciannove anni, mentre mio papà aveva trentatré anni. Lei non era ancora maggiorenne all'epoca, le ci volle la firma dei genitori per potersi sposare, mio padre invece era un uomo adulto da ben dodici anni. Eppure nessuno ha detto nulla e loro si sono amati per tutta la vita. Tu invece sei maggiorenne solo da due anni e non dobbiamo sposarci subito e avere un figlio fra nove mesi!

-Ma è diverso, non capisci? Tu non hai diciannove anni, ne hai appena compiuti tredici! Sono sei anni in meno rispetto a quelli che aveva tua madre quando si è sposata con tuo padre. Sei anni in meno non sono pochi, se permetti, soprattutto nell'età dell'adolescenza!

-E che fine avevano fatto i miei anni, quando mi hai baciato la prima volta? Di tua spontanea volontà fra l'altro. E visto che per te conta tanto la mia età, tengo a precisare che avevo dodici anni fino a ieri.- Takeshi si sentì ferito nell'udire quelle parole, il ricordo di un bacio tanto dolce quanto amaro per l'età della ragazzina. La guardò con occhi colpevoli prima di vedere i suoi farsi tristi: -Ti chiedo solo di non negare i tuoi sentimenti, così come io non nego i miei.- Il cuore del ragazzo ebbe un piccolo sussulto nell'udire l'implicita confessione dei sentimenti di Keiko.

-Tu non sai di cosa parli, sei troppo giovane...- disse lui con tono amareggiato. Se lei fosse stata più grande! Quante volte l'aveva immaginata maggiorenne? Quante volte in sua presenza si domandò perchè non poteva essere nata prima per poterla frequentare non come amico, ma come ragazzo?

-Non negarli per una stupida questione di numeri.- lo riportarono alla realtà le parole della voce dolce di lei. La guardò e capì che non voleva vederla triste, non voleva essere lui la causa della sua tristezza. Era stupido pensarlo visto che proprio quello doveva essere il suo obbiettivo principale: ferirla quel tanto che sarebbe bastato per allontanarla. Vederla così triste, fragile, era un qualcosa però che i suoi occhi non potevano sopportare. Si portò così al suo fianco, restando però in piedi, con il cestino ancora nella mano. Non sapendo cosa fare. Keiko lo tirò per un braccio e lui senza opporre resistenza si sedette al suo fianco e appoggiò il cestino a terra. Rimasero tutto il giorno in riva al fiume lontano dagli occhi e dai giudizi della gente; in compagnia solo della natura tutt'intorno e del fiume davanti loro. Restarono insieme e mentre il sole riscaldava i loro corpi, i baci riscaldavano i loro sentimenti germoglianti.

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* Considerando che in Giappone l'anime di  Kodomo no Omocha è andato in onda nel 2000 e facendo un conto alla rovescia, gli avvenimenti qui narrati risalgono al 1986. Negli anni '80 i telefoni cellulari esistevano già, ma erano un privilegio per i più ricchi, per questo il fratello di Keiko non ha potuto chiamare direttamente la sorella appena avvenuto l'incidente.

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Capitolo 5
*** Quarta diapositiva: Ti stavo aspettando ***


Buonasera a tutti, stavolta sono tornata molto prima del previsto :-)

Auguro a tutti buona lettura, ringraziandovi per seguirmi nonostante l'incostanza con cui sto aggiornando la storia, ringraziando chi ha inserito questa fanfiction tra le seguite

Buona settimana a tutti.

5. Quarta diapositiva: “Ti stavo aspettando”.


Takeshi rifletté molto sull'accaduto. Perchè le aveva dato quel bacio e perchè si era lasciato convincere a darle anche tutti gli altri? Ripensò al suo volto e agli occhi tristi, la causa che lo spinsero a cedere. Tante domande gli affollavano la mente. Quelle prime due in testa. Seguite da una terza: perchè continuava a pensarla? Il fatto era che più la pensava più la sua giovinezza, spensieratezza, almeno in apparenza, la rendevano angelica ai suoi occhi. Nonostante desiderasse ancora con tutto sé stesso allontanarsi dalla ragazza e metterla al riparo da quel forte sentimento che sentiva per lei, il pensiero che non l'avesse richiamato da quel giorno lo assillava. Eppure doveva fare una scelta: o lasciarla perdere definitivamente o ignorare il senso di colpa e accogliere le parole che gli aveva detto davanti al fiume; stare con lei o stare con Yumi, come l'etichetta comune avrebbe voluto...

Alla fine la chiamò stupendosi del fatto che tutto quel tempo, eterno per lui, era consistito di sei giorni soltanto. -E' bastato come tempo per pensare o mi vuoi dire che ti servono altri giorni?- Takeshi, a quelle parole scoppiò in una risata liberatoria, la sua voce aveva messo fine ai suoi tormenti ed era sorprendente di come, pur tredicenne, sapesse quello che voleva. Keiko voleva lui ed era tanto sicura di sè, pur sapendo di non poter competere con le ragazze adulte quanto a sensualità, che si aspettava già la sua telefonata. E quello gli faceva battere il cuore di gioia solo per lei.


Alla fine sopraffatto da quel sentimento di affetto immenso e grande tenerezza lasciò Yumi dopo tre mesi che la sua mente di divideva tormentata fra lei e... Keiko. Ora poteva dirlo. La sua fidanzata non capì perchè di punto in bianco avesse deciso di lasciarla. Stavano insieme da quasi due anni e, a parte gli ultimi mesi in cui era diventato ombroso e sfuggente (soprattutto sul piano dell'intimità), le sembrava che stesse andando tutto bene. Lui non le spiegò molto, anche perchè nemmeno lui sapeva spiegarsi come poteva essere successo. Era successo e basta. Lui che non aveva mai creduto ai colpi di fulmine era semplicemente stato folgorato da Keiko dalla prima volta che la vide. -Sono abbastanza certo che i miei sentimenti per te non sono più gli stessi, mi dispiace.- fu il motivo e così si sciolse da Yumi che si allontanò da lui con gli occhi lucidi e l'imminenza di un pianto sul proprio volto.


Non si fidanzarono ufficialmente a causa della differenza d'età, ma si impegnarono seriamente. Takeshi la portava ovunque lei volesse, ma in pubblico non si baciavano e non avevano alcun contatto che li potesse tradire. A chi domandava qualcosa rispondevano sempre di essere cugini. Keiko gli donava sempre tanti pensieri e gli dedicava molte canzoni, mentre lui ogni volta che la portava fuori a pranzo le regalava un fiore diverso e si preparava sempre numerose e divertenti gag alle quali si aggiungevano quelle improvvisate all'ultimo momento, mostrandole così per la prima volta il suo lato comico. Avrebbe voluto farle regali più importanti, ma se glieli avesse fatti la famiglia di lei si sarebbe insospettita e loro avrebbero corso guai grossi. Doveva aspettare alcuni anni prima di potersi presentare come il ragazzo di Keiko, essere accettato e quindi poterle fare tutti i regali che fino ad allora non aveva potuto farle. Ridevano, ma parlavano anche sempre tanto. Keiko, sicuramente anche a causa della sua condizione famigliare, ragionava come una ragazza adulta e per questo si trovavano sempre molto in sintonia. In più occasioni si trovarono a confessarsi le impressioni che avevano avuto entrambi le prime volte che si videro e si parlarono. Fu così che Takeshi apprese che anche lui era piaciuto a Keiko da subito e in particolare cosa di lui l'avevano colpita fin dall'inizio.

Con il tempo quel grandissimo affetto e quella forte tenerezza che Takeshi sentiva per lei confluirono in un solo sentimento che non temeva più di ammettere. Era amore. Si sentiva un idiota, gli sembrava di non ricordare di essere stato pervaso da quel sentimento come in quell'occasione, ma poi si convinceva sempre che forse era solo l'euforia del momento a fargli sembrare tutto più amplificato delle altre volte. Anche quando stava con Yumi gli sembrava di non aver amato così tanto la prima ragazza, ma era solo un'illusione. Si era innamorato anche della sua prima fidanzata, ma aveva solo amato e vissuto in modo diverso le due ragazze. Molto probabilmente lo stesso valeva per Keiko. L'unica cosa di cui era certo era che era innamorato di lei e lei amava lui. Keiko glielo diceva molto spesso ricordandogli ogni volta che l'amore non aveva età e che erano destinati a stare insieme perchè era stato il caso a farli incontrare. Era così tenera e carina. Non una modella, ma molto carina. Dentro di se' sentiva che un'altra creatura come lei non poteva esistere su tutta la faccia della terra. Fragile e forte al tempo stesso; leggermente malinconica ed allegra al contempo; sicura di se', dolce e amorevole.


Al loro ottavo mese insieme lei lo invitò a casa sua per cena. -Mia mamma dormirà in ospedale perchè hanno operato sua sorella in seguito a . C'è mio fratello che ha diciotto anni, ma per quanto possiamo volerci bene, lui è grande e sta cercando di farsi una vita sua. Perciò spesso passa la notte a casa della fidanzata. Siccome siamo solo noi due, ha detto che resterà con me tutta la settimana, ma che il fine settimana vuole passarlo con lei.- Così Keiko spiegò al telefono l'assenza di sua madre in casa e anche quella temporanea del fratello che aveva programmi più stuzzicanti per quel fine settimana.

Takeshi accettò perciò di buon grado l'invito. Lei gli preparò del ramen per cui lui andava pazzo, del sushi e una torta. -Caspita, ti sei data da fare. Ma non dovevi! Io avrei mangiato anche solo un primo o un secondo.- le disse quando lei tirò fuori da un contenitore in plastica la torta.

-E' un piacere cucinare per te, amore- gli rispose lei con il suo bel sorriso candido.

-Cucciola...- continuò Takeshi, posandole una mano sulla sua, appena mangiato il primo boccone di torta – Era tutto buonissimo... ma la prossima volta preparami il caffè, questa torta era cattivissima- disse portando le mani alla pancia e fingendo di avere i crampi allo stomaco.

Keiko si pietrificò, prima che Takeshi scoppiasse a ridere. La guardò divertito, ma lei prese i piatti dal tavolo, li mise nel lavandino, poi ripetè l'operazione con tutto quello che c'era in tavola senza degnarlo di uno sguardo. L'aveva forse offesa? Ma la sua era solo una battuta innocente, doveva solo essere una delle innumerevoli gag che la facevano ridere tanto! Si dispiacque nel vedere che stavolta a seguire non fosse arrivata una risata, ma l'aria tesa tra loro. -Amore, stavo scherzando.- le disse perciò dopo essersi alzato dalla sedia e tentando di bloccarla.

-Lasciami mettere a posto.- gli rispose lei senza espressione.

-Amore, amore... era solo uno scherzo, per ridere.

-Sì, certo prima mangi a quattro ganasce e poi mi dici che la mia cucina fa schifo. Pensare che è da tempo che metto da parte buona parte delle mie paghette per comprare tutto questo che ho preparato tutto con tanto entusiasmo...- gli rispose pacata, ma con le lacrime agli occhi. Takeshi la prese per i polsi e le diede un bacio intensissimo. Quando si staccarono, lei si asciugò le lacrime con un fazzoletto che aveva in una tasca della gonna blu a pieghe e disse: -Scusami, scusami tanto, Takeshi, non volevo offenderti... E' che mia zia è stata operata per un tumore allo stomaco e visto che mia mamma ha solo quella sorella è molto preoccupata. Stasera avrebbero dovuto dimetterla dall'ospedale e invece è ancora là. Visto che hanno prolungato il suo ricovero per altri tre giorni anche mio zio, che era via per lavoro, ha cercato di liberarsi il prima possibile per raggiungerci. In più, come se non bastasse, mio fratello è stato molto più assente di quanto mi avesse detto perchè gli amici, a quanto pare, alla sua età vengono prima della sorella... Non è che non gli importi nulla di me o della zia, ma è il suo modo per non pensare ai problemi e forse per sentirsi più grande, non lo so. Il fatto è che gli zii sono gli unici parenti che abbiamo, io sono obbligata ad aspettare a casa le novità sulle sue condizioni, sono così preoccupata e lui, nonostante la situazione, continua ad andare in giro a bere con gli amici e a stare con la morosa. Io proprio non lo capisco!!- Concluse la frase alzando un po' la voce e scuotendo la testa. I suoi bei capelli lunghi che volteggiavano intorno al suo viso nel tentativo di seguire veloci i movimenti della sua testa. Mai Takeshi avrebbe rinunciato alla giovinezza di Keiko, così matura, forte e fragile allo stesso tempo e così infinitamente carina. L'abbracciò forte e la baciò, guidato da un impeto diverso dal solito. Non era l'euforia del momento a fargli credere di non aver amato nessuno come lei, se ne rese conto in quel preciso istante: non aveva mai capito cosa voleva dire perdere la testa per qualcuno, voler condividere tutto con quella persona e voler essere suo, per sempre. Quando si staccarono lei gli chiese titubante: -Takeshi...- abbassò il viso- Takeshi, facciamo l'amore...- Lui rimase sconcertato da una simile richiesta, prima di allontanarla con le braccia: -Ehi, ma dico... Ma sei seria??

-Sì, che lo sono.- senza capire pienamente il perchè di quel distacco improvviso.

Takeshi iniziò così a farfugliare: -Keiko, credimi, non è che non ti voglia è che... tu sei ancora piccola e... potrebbe farti particolarmente male... Senza contare che io non ho le precauzioni necessarie... e se lo scoprissero potrebbero mandarmi in prigione!

-Ma sono io che te l'ho chiesto!- protestò lei girando di scatto la testa in alto per guardarlo negli occhi.

-Non c'entra: nessuno è presente e come lo dimostriamo che sei stata tu a chiedermelo?

-Ma io sono consenziente e se proprio lo dovessero scoprire, lo dirò!

-Non servirebbe a nulla: direbbero che ti ho plagiata. Comunque, anche volendo, ripeto, non ho portato con me le precauzioni quindi è già finito il discorso.- cercò di usare l'unico impedimento che in quel momento gli venisse in mente.

-Per i preservativi puoi prenderne uno di quelli che mio fratello tiene nel cassetto. Uno in più o uno in meno, non se ne accorgerà, eheh.- ridacchiò lei, mentre lui non sapeva cosa dire. -Ti prego, Takeshi, è da un mese che ci penso...

-No, Keiko, no... - sussurrò debolmente lui.

-Io ti voglio davvero...- e così facendo, nel tentativo di liberare entrambi da qualsiasi indugio, lo baciò stringendosi a lui in modo tale da far aderire completamente i loro bacini, accendendo completamente il desiderio in lui. Si baciarono per qualche minuto finchè lui non si arrese alle richieste della sua ragazza e del suo corpo che stava già palesemente reagendo a quel contatto così intimo. “In fondo sembra essere più grande della sua età e sa quello che fa”, pensò sollevandola da terra. Lei gli cinse i fianchi con le gambe, lui spense la luce e baciandola la portò al piano di sopra. Nella penombra della sua camera rischiarata solo dalla luce della luna la adagiò sul letto prima di sdraiarsi sopra di lei. Si baciarono ancora a lungo prima che lei sfilasse la maglia di Takeshi dai pantaloni per intrufolare le mani dentro, dietro la schiena. Il contatto della pelle di lui sotto il suo tocco delle dita e dei suoi palmi le diedero i brividi. Vagò a lungo sulla schiena di lui, estasiata dalle nuove sensazioni e dai sospiri d'amore di entrambi. Poi scese sul torace, portò le mani all'altezza della cintura che provò a slacciare, ma lui la fermò appoggiando la mano sulla sua. Le domandò una conferma: -L'hai già fatto prima?- Era superfluo chiederglielo perchè lui sapeva già la risposta, ma voleva essere sicuro al cento per cento di conoscere bene la sua situazione. Keiko lo guardò con un sorriso dolce: -No...- Poi avvicinò la bocca al suo orecchio e proseguì sussurrando: -Ti stavo aspettando.

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Capitolo 6
*** Quinta diapositiva: un telefono riagganciato ***


Ciao a tutti, siamo ormai in dirittura d'arrivo e io vi auguro buon inizio settimana e buona lettura con questo capitolo un po' più lungo del solito.
Ringrazio come sempre i lettori di questa fanfiction e chi ha inserito la storia fra le seguite :)


6. Quinta diapositiva: un telefono riagganciato.


Per il suo quattordicesimo compleanno Takeshi la “rapì” per tutto il giorno portandola in riva al fiume e dicendole: -Questo posto ci porta fortuna.

-E' passato un anno e quante cose sono cambiate! All'epoca ero restio anche solo a baciarti e ora mi devo trattenere per non assalirti da quando ci vediamo a quando ti riaccompagno vicino a casa!

-Chissà perchè....- disse lei con un sorrisetto malizioso, uno di quelli che aveva imparato a fare osservando Takeshi quando assumeva quell'espressione che lei trovava irresistibilmente sensuale.

Lui le rispose: -E' solo amore- estraendo dallo zaino un enorme cuore rosso che si portò all'altezza del proprio petto.

-Ma quello che ti spinge a farmi tua, Takeshi, non è solo amore...- lo “rimproverò” con dolcezza Keiko mutando il proprio sorriso in uno più innocente alla consapevolezza dei sentimenti che stavano alla base della loro attrazione reciproca.

-Hai ragione-. Prese un preservativo dalla tasca destra dei pantaloni e lo portò al centro del grande cuore che spostò all'altezza della pancia, a metà strada, poco più sotto del cuore, un po' più sopra dei pantaloni. Fatto ciò affermò in modo molto teatrale: - E' quasi esclusivamente amore-. Risero insieme e abbracciandola con tenerezza, Takeshi si sdraiò sull'erba trascinando con se' anche Keiko. -Sotto questo punto di vista sei cambiato, ma sei rimasto molto dolce e bellissimo.- gli disse lei guardandolo in viso e accarezzando il mento con l'indice.

-Tu sei bellissima.- non perse occasione di correggerla lui con il suo solito sorriso genuino.

-Takeshi dimmi che non mi lascerai mai!- gli chiese abbracciandolo e stringendolo a lei.

Lui le spostò il braccio, le prese la mano, ne baciò le dita e poi disse: -Mai amore, ti amo troppo ormai. Anzi, ho pensato che dobbiamo aspettare ancora due anni e poi sai dove ti porto? - lei negò con un cenno della testa ricambiando il suo sorriso smagliante- In Sri Lanka. Ho saputo che lì a sedici anni si raggiunge la maggiore età!!- Lei lo guardò con due occhi spalancanti per lo stupore. -Sì, fuggiamo io e te, insieme. Andiamo là, ci sposiamo e poi andiamo in America quando tu avrai diciotto anni e sarai riconosciuta come una donna adulta anche negli States!! Vivremo felici e contenti.

Takeshi era incredibilmente romantico e quando sognava era capace di trasmettere fiducia nei suoi sogni pure a lei. Keiko si mise a sedere e ridacchiò prima di provare a ribattere: -Ma come faremo a vivere senza soldi?

Si sedette anche lui e rispose: -Ehi, ti ricordo che io ho fatto il modello e lavoro per la compagnia teatrale della nostra città. Ho risparmi a sufficienza per andare via. Poi lo sai che in Sri Lanka la vita costa molto meno che qui? E quando avremo diciotto anni andremo in America dove mi prenderanno a lavorare per Hollywood.

-Tu, amore, voli troppo con la fantasia... E ti ricordo che quando andremo in America sarò io ad avere diciotto anni, tu ne avrai ventotto. Non provare a invertire le nostre età!- Risero entrambi.

-Hai ragione io sarò un adorabile vecchietto in età da padre.- disse lui estraendo da un'altra tasca dello zaino un paio di occhiali da vista e sottilissimi mustacchi neri finti che si applicò sotto al naso. Prese poi la tovaglia stesa sull'erba, la avvolse attorno al cestino del picnic e iniziò a cullarlo, canticchiando una ninna nanna con una melodia e delle parole mai sentite prima. Keiko rise tantissimo: -Ahahah, amore, mi fai morire dalle risate... Ahahah, sei diventato ancora più teatrale ultimamente. Però sei troppo stonato... Ahahah, gli assistenti sociali non te lo lasceranno mai un bambino!- rideva con le lacrime agli occhi.

-Tu dici?- chiese stupito prima di sbarazzarsi del finto fagotto lanciandolo in aria alle sue spalle.

-Ahahah, ora non ci sono più dubbi!- rispose lei riferendosi al lancio del cestino. Lui le prese il viso e la baciò. Al termine di quel dolce bacio, lei gli accarezzò un baffo soffice e disse: -Non ho mai baciato un uomo con i baffi, ti stanno bene.

-Trovi? Allora me li farò crescere per te, ma ti avverto: i veri baffi di un uomo sono meno soffici.

-Se te li fai crescere così non saranno molto folti, ma posso sempre provare la differenza.

-Tu hai sempre la battuta pronta, vero?

Lei gli fece un grande sorriso. -Ti farai crescere davvero i baffi?

-Signorina, lei lo sa che ogni suo desiderio è un ordine per me.- Poi assunse un'aria pensierosa, incuriosendo Keiko, prima di domandarle: -Ma li vuoi così sottili o più folti?

-Così ti starebbero benissimo- rispose sincera.

Si persero in quella giornata di sole a ridere, scherzare e chiacchierare, ipotizzando quale sarebbe stato il futuro che li stava attendendo. La cosa più assurda era che, pur sapendo che si trattava di una follia, lui ci credeva davvero. Credeva seriamente a quell'amore e ai suoi progetti di scappare e di sposare Keiko per vivere per sempre insieme, condividendo con lei tutto: gioie e dolori, salute e malattia, per onorarla e rispettarla sempre. Non aveva amato mai nessuna così tanto da arrivare a desiderare di sposarla nel giro di un anno. Non avrebbe rinunciato al legame che lo univa a Keiko per nessuna ragione al mondo.


Eppure tre mesi dopo, inspiegabilmente, lei non volle più tutto quello che avevano progettato di fare. Avrebbe sempre ricordato nitidamente quel giorno di Aprile.

Era appena tornato dall'autolavaggio dove aveva portato la sua macchina perchè quella sera avrebbe portato Keiko al mare. I genitori di un suo amico fraterno avevano di recente comprato una casa e il suo amico gliel'aveva data in prestito. L'amico infatti sapeva che era impegnato con una misteriosa ragazza e gli diede la casa a patto che Takeshi gli rivelasse in seguito chi era la fortunata. Il giovane attore accettò sapendo già che avrebbe inventato una scusa qualsiasi per mantenere segreta l'identità di Keiko. Doveva custodire il loro segreto ancora per due anni e poi sarebbero andati in un posto in cui il loro rapporto non sarebbe stato condannato da nessuno. Perciò lui e Keiko avevano organizzato il ponte festivo in quella casa. Avrebbero così potuto avere un assaggio di come sarebbe stato vivere in coppia e quindi di come sarebbe stata la loro vita da sposati una volta raggiunto lo Sri Lanka. Era un'idea che aveva entusiasmato entrambi quando progettarono cosa fare durante quei giorni di vacanza. Erano le dieci del mattino, fece mente locale su quello che aveva messo in valigia e constatò che non mancava nulla. Poteva quindi caricare la valigia in macchina e andare alla stazione dei bus, a dieci minuti di distanza rispetto la casa di Keiko. Mancava un quarto d'ora all'appuntamento ed in macchina lui in sette minuti avrebbe raggiunto la meta. Forse era meglio aspettare ancora cinque minuti. Non stava più nella pelle, non vedeva l'ora di partire e di vivere quell'avventura con lei. Stava meditando se partire o aspettare ancora quando lei lo chiamò. -Amore, ti stavo pensando, cucciola!

-Ah, si?- chiese lei distaccata.

-Beh, è una novità?

-No, ma speravo proprio che tu non me lo dicessi.

Takeshi rimase spiazzato da quella risposta. Pensò ad una battuta, ma il tono freddo usato da Keiko faceva capire perfettamente che non stava affatto scherzando. Per questo gli fu inevitabile chiedere spiegazioni: -Come dici?

-Senti un po' imbecille: io non ti voglio mai più ne' sentire, ne' vedere, mi hai capito bene??

-M-ma che ti prende?- Takeshi aveva un animo molto sensibile e perciò sentì subito un nodo chiudergli la gola, mentre lottava contro l'agitazione.

La ragazza dall'altro lato della linea si mise a piangere e poi a voce bassa disse: -Io ti amo, Takeshi, però tu non hai idea del guaio in cui mi hai cacciato.

-Tua madre non ha creduto che saresti andata via con la tua amica in questi quattro giorni?

-Ti piacerebbe!!

-Mi piacerebbe? Ma cosa stai dicendo? Mi vuoi dire cosa è successo??- chiese preoccupato lui.

-No...- rispose lei con tono basso e tirando su con il naso, prima di recuperare il tono ostile: -Semplicemente non ti voglio vedere più e non ti azzardare a cercarmi nei pressi di casa mia, come a scuola, o al telefono.- Senza dargli tempo di replicare riattaccò.

Takeshi rimase immobile per qualche istante, mise giù la cornetta e rimase ancora a fissare il telefono riagganciato.


Qualche giorno dopo andò a casa sua e suonò il citofono. Sentì la voce di una donna rispondere e capì che probabilmente era la madre di Keiko. Finse perciò di cercare una persona che non c'era.

-Mi dispiace, ma ha sbagliato indirizzo- rispose l'altra con tono distante e scocciato.

Si avvicinò alla macchina, parcheggiata sul lato opposto della carreggiata. Restò qualche secondo a fissare la casa e la vide per un attimo. Keiko spostò la tenda della sua cameretta. Aveva i capelli raccolti, probabilmente in una coda, la mano destra che teneva scostata la tenda, il braccio destro attorno al ventre e lo sguardo triste. Fu solo un attimo perchè vedendo che lui la stava guardando Keiko lasciò andare la tenda.

Takeshi si allontanò sconsolato.

Dopo circa due settimane ed altri due tentativi di trovarla nei pressi della stazione dei pullman da sola, gli arrivò una lettera di Keiko. A Takeshi battè forte il cuore, non sapeva cosa c'era scritto, ma sperava tanto che ci fossero delle scuse e dei ripensamenti. Oppure, almeno, delle spiegazioni. Invece si trattava di una lettera minatoria. “Sofferta, ma pur sempre una minaccia”. Richiuse la busta e la mise dentro ad un cassetto della sua scrivania che chiuse a chiave affinchè sua madre non potesse mai trovarla. Quelle parole invece non riusciva a nasconderle in qualche cassetto della memoria perchè si erano stampate troppo bene nella sua mente. 'Takeshi, credimi, io ti ho amato davvero tanto. Ma sto attraversando un periodo molto difficile e confuso. Tutto questo solo a causa tua. Noi ci trasferiamo, se mi cercherai finchè resteremo in zona passerai guai molto seri. Se proverai a cercarmi quando ci saremo trasferiti io sarò costretta a denunciarti alla polizia. Dimentica quello che ti dissi in passato perchè io farò altrettanto appena chiuderò la busta di questa lettera e non esiterò a testimoniare contro di te in tribunale. Ho prove a tuo carico che non si possono ignorare e puoi credermi che stavolta non cambierò idea. Ne' ora, ne' fra qualche anno. Perciò ti prego, risparmia questa sofferenza a entrambi e fingiamo che tutto quello che è accaduto sia stato un bellissimo sogno, con un risveglio più doloroso per me che per te, ma niente di più.'

Perchè diceva di amarlo e poi minacciava di denunciarlo? Come poteva chiedergli di pensare che non fosse mai successo niente fra loro se non nella sua testa? E come mai improvvisamente aveva cambiato idea così drasticamente? Lei era sincera, lui lo sapeva, quando diceva che se li avessero scoperti sarebbe stata pronta a dire subito che era stata lei a convincerlo a mettersi con lei e a sedurlo. Eppure, dall'oggi al domani l'aveva cacciato dalla sua vita, informandolo che se ne sarebbe andata in un'altra città senza dirgli quale e si diceva pronta a mentire e testimoniare contro di lui davanti a un giudice. Takeshi era disperato. Non riusciva a darsi pace.

No, non poteva finire così, non senza aver provato a parlare con lei faccia a faccia. Così, non senza esitazioni e ripensamenti, un giorno si armò di coraggio e si appostò nei paraggi della casa, era un giorno feriale perciò prima o poi sarebbe uscita... O rientrata tornando dalla scuola. La vide, sullo scooter del fratello. Keiko si tolse il casco e lo consegnò a lui. Takeshi era la prima volta che vedeva il giovane dal vivo: non sembrava il ragazzo affettuoso di cui gli aveva parlato lei, ma gli sembrava molto più freddo di quanto gli era stato descritto da Keiko quando diceva che a lui piaceva farsi una propria vita.

Keiko salì i gradini di casa con passo lento e stanco. Lui urlò qualcosa e lei senza voltarsi alzò la mano in segno di saluto (o di una sfinita resa?), poi suonò alla porta e una figura maschile che Takeshi intravide di sfuggita le aprì. Dopo essersi assicurato che Keiko fosse in casa il fratello rimise in moto lo scooter e partì. Takeshi volse lo sguardo altrove per non farsi notare.


Tre giorni dopo, mentre tornava a casa dall'Università due ragazzi robusti mai visti prima lo sorpresero alle spalle e lo trascinarono in un vicolo deserto dove lo spinsero a terra prima di prenderlo a calci e pugni, lui provò a difendersi, ma era in netto svantaggio fisico perciò non gli restò che cercare di proteggersi il volto. Dopo interminabili minuti di violenza in cui Takeshi subì le percosse senza capirne il motivo, i due smisero di colpirlo al seguito di un paio di schiocchi delle dita da parte di una terza figura, più alta e più minuta. La vista era offuscata dal sangue, ma anche se ci avesse visto benissimo non avrebbe saputo dare una fisionomia al volto nascosto dal cappuccio della felpa grigia. Tre calci ben assestati tra le gambe e uno dei due ragazzi che l'avevano picchiato gli ringhiò: -Ti andrà molto peggio se ti avvicinerai ancora ai Sakai.- Mentre quello si allontanò il secondo ragazzo prese il suo posto, gli diede un altro calcio ai testicoli, svelando un sorriso arcigno al gemito di dolore che lasciò le labbra di Takeshi. Uno sputo nella sua direzione e poi si unì agli altri due ragazzi, lasciandolo disteso al suolo, solo, dolorante e con il sapore ferruginoso del sangue che usciva copioso dal labbro rotto.

Sotto pressione della madre Takeshi denunciò i fatti alla polizia che nel giro di qualche settimana, riuscì a individuare i due ragazzi che lo colpirono. Due teppisti che da anni uscivano e rientravano nei riformatori per spaccio e violenza. Non vennero fatte invece ricerche approfondite sul terzo ragazzo che comunque non prese parte alla rissa ai danni di Takeshi. Da parte sua, egli non volle forzare le cose. Che fosse il fratello di Keiko o qualcuno a cui il ragazzo si era rivolto per dargli quella lezione non era importante. Era anzi già una fortuna che i due ragazzi non dissero nulla riguardo all'ultima minaccia fattagli prima di sparire. Era evidente che se avevano taciuto lo avevano fatto per proteggere quella sorta del loro “capo”, ma da quel silenzio ne trasse vantaggio pure lui. Se la polizia avesse saputo che al termine del pestaggio gli era stato intimato di lasciare stare Keiko e la sua famiglia gli avrebbe fatto delle domande, la verità sarebbe venuta a galla e lui sarebbe finito in carcere, forse condannato all'impiccagione se fosse stato dichiarato colpevole di pedofilia. Meglio quindi incassare e lasciare perdere.

I danni riportati per fortuna non lasciarono segni che avrebbero potuto minare la sua salute o il suo aspetto fisico (fondamentale per lui che voleva sfondare nel mondo dello spettacolo), ma gli fecero capire che in qualche modo avrebbe dovuto andare avanti. Takeshi non voleva morire, ma anche senza l'amara punizione dei due tipi che l'avevano picchiato a sangue non avrebbe mai potuto rintracciare Keiko: avendo vissuto la loro relazione segretamente non aveva alcun aggancio che lo potesse ricondurre a lei che nel frattempo si era sicuramente già trasferita.


***                                        ***                                         ***


Quello fu l'amore della sua vita. Ebbe altre storie, un paio anche importanti (con una delle due ragazze aveva anche convissuto per quattro anni), ma se paragonate a quella avuta con Keiko non poteva nemmeno definirle vere storie d'amore. Forse fu proprio il suo continuare a paragonare le altre a lei che portò alla rottura di tutte le storie successive. Senza Keiko si sentiva un sacco vuoto. Incompleto e stupido. La sua vita era vuota senza quella ragazza e la sua allegria, la sua spensieratezza giovanile per certi aspetti e per altri la sua maturità non comune per una ragazzina della sua età. Chi si sarebbe approfittato della sua giovinezza e della sua ingenuità?

Si sentiva uno stupido perchè aveva creduto in quell'amore. Ci aveva investito non tutto, ma tanto e dopo un anno che stavano insieme credeva che sarebbe stato per sempre. Aveva seriamente progettato quella fuga con lei, non era una presa in giro o l'idea del momento. Invece era stato lui ad essere stato preso in giro da una ragazzina con dieci anni in meno!! Ma nonostante la rabbia che provava quando pensava a come si era fatto trattare da lei e il tentativo di andare avanti, ogni mattina prendeva il suo rasoio per radersi la barba. Ogni tanto si premurava di utilizzare un paio di forbici per spuntare alcuni peli dei suoi baffi che stavano crescendo troppo. Erano nati da uno scherzo e dalla richiesta di una persona che non vedeva da anni e forse era davvero riuscita a dimenticarsi di lui, ma Takeshi non aveva mai avuto il coraggio di tornare a radersi completamente i baffi. Erano ormai l'unica cosa che gli restava di lei: un consiglio detto in un pomeriggio passato di nascosto.

Alla fine un giorno li tagliò, ma si era ormai talmente abituato ad averli che poi li rifece ricrescere.


***                                        ***                                         ***


Tre anni dopo di nuovo al bar “Sakamoto Cafe“ con la nuova fidanzata, più giovane di lui di due anni, vide una delle amiche di Keiko. Era quella più perspicace, quella che gli aveva dato, senza mezzi termini, del pedofilo maniaco. Era cambiata molto, ma la fisionomia del viso era assolutamente la sua. Domandò scusa alla sua ragazza e si avviò da lei. Lei lo vide non appena il cameriere si allontanò dopo aver preso l'ordine per lei e il suo fidanzato.

-Ciao- esordì Takeshi senza badare al ragazzino e alle formalità. Lei non rispose, così la incalzò a rivolgergli la parola: -Ti ricordi di me, vero?

-Certo che mi ricordo...- rispose lei fra i denti.

-Non voglio disturbare, voglio solo sapere se sta bene Keiko.- una fitta al cuore nel dire quel nome ad alta voce. Lo aveva detto tante volte, rivolgendosi al suo amore perduto quando ancora credevano di poter vivere per sempre il sentimento che li legava.

-Ancora con Keiko, questo maniaco qua??

-Non sono un maniaco, voglio sapere soltanto se sta bene.

-Keiko? Ma Keiko non è la tua amica che ha avuto un figlio due anni fa?- s'intromise il ragazzo diciottenne che non conosceva da molto l'amica di Keiko e quindi conosceva anche poco le sue vecchie amicizie. Takeshi rimase completamente spiazzato all'affermazione del giovane. Un pugno nella pancia sarebbe stato sicuramente meno doloroso e, sapendo perfettamente cosa voleva dire essere presi a pugni, non era certo un modo di dire. -Sì, è esatto- gli rispose la ragazzina, rivolgendo poi lo sguardo su Takeshi. -Lei non vive più in città, come tu ben saprai, ma ogni tanto ci sentiamo ancora. Tu le hai creato solo dei casini e non posso nemmeno dire che mi dispiace riferire che mi ha detto che nel frattempo ha avuto un figlio.- quello che gli rivolse fu uno dei sorrisi più cinici che egli vide in vita sua.

Per Takeshi fu un dolorosissimo smacco! Erano passati tre anni, ma lui continuava a sentire qualcosa di sincero quando pensava a Keiko e fu peggio che ricevere un calcio nello stomaco sapere che aveva avuto un bambino, da un uomo, o molto più probabilmente da un ragazzo, che non era lui.

Non domandò del bambino, ne' del padre e si allontanò. A che cosa sarebbe servito chiedere se lei si era trasferita e lui non aveva mai conosciuto, neanche di sfuggita, i nuovi amici della compagnia di Keiko e non poteva sapere chi era il padre del bambino? Conoscere il ragazzo che l'aveva messa incinta avrebbe anzi solo peggiorato le cose e sapere che qualunque cosa sarebbe successa lei sarebbe sempre stata legata al nuovo fidanzato proprio da quel figlio che aveva avuto con lui... Era meglio lasciar perdere e non chiedere altro. Non sarebbe riuscito a vederla a giocare all'allegra famigliola con qualcuno che non era lui. Lasciò da soli i due ragazzi e sconsolato tornò al suo posto. Perchè doveva informarsi del figlio di Keiko, frutto dell'unione della ragazza con un altro ragazzo? Mentre lui ogni tanto ancora la pensava, chiedendosi come era diventa nel frattempo e se anche lei ogni tanto lo pensava, lei l'aveva dimenticato così facilmente... Non riusciva a crederci e l'idea che Keiko, tanto giovane, avesse formato così in fretta una famiglia con un altro lo tormentò per tantissimo tempo. Lunghi mesi che determinarono in seguito la rottura del fidanzamento con la ragazza di quel periodo. Non l'aveva mai amata e dopo la notizia shock di Keiko si rese conto che quella fidanzata per lui era solo la ruota scorta, non l'avrebbe mai amata. Per questo decise di lasciarla.

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Ecco a voi, in ritardo come sempre, il capitolo conclusivo di questa breve storiella.
Ringrazio tutti per avere letto la fanfiction, seppur silenziosi (questo è un fandom veramente poco attivo da parte dei lettori XD), e ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite.
Buon proseguimento a tutti.



Epilogo.


Ora Takeshi aveva capito tutto; aveva capito il motivo per cui Keiko l'aveva lasciato incolpandolo di tutti i guai che stava attraversando in quel periodo senza dirgli nulla; capì che il bambino in realtà era una bambina; capì che la figlia di Keiko era in realtà il frutto del loro amore; capì che Keiko non la crebbe mai insieme ad un altro ragazzo; capì perchè quando vide Sana per la prima volta fu mosso da un senso protettivo che provò solo con Keiko prima di allora; capì perchè quando la vide per la prima volta a “Evviva l'Allegria” rimase scosso nel vedere quanto simile fosse al suo unico amore quella bambina; capì perchè lui e Sana erano così simili, solari, giocherelloni allo stesso modo e con il sogno di diventare entrambi grandi attori.

-Mia figlia...

Non si domandò perchè Keiko l'avesse abbandonata; se Sana sapesse chi fosse la sua madre naturale e che passato aveva avuto. L'importante era sapere che Sana fosse in buona salute e felice. E lei era amata da tante persone ed era sempre felice, mentre a lui non sarebbe rimasto molto tempo per vivere. Non importava quanto scellerata potesse essere la sua scelta, ma si alzò dal letto e si diresse in bagno per lavarsi. Avrebbe convinto il regista a farsi riprendere e avrebbe realizzato il suo ultimo sogno. Sì, perchè il destino era stato crudele con lui: ora che stava finalmente raggiungendo il successo non avrebbe mai potuto assaporarne la gioia. Si vestì e uscì dalla stanza a passo svelto. “E poi che sarà mai il successo? La felicità di un padre che ha appena scoperto di avere una figlia, non ha nulla che tenga il confronto... Sana avrei voluto essere un vero padre per te, non solo il tuo grande amico. Avrei voluto vederti crescere, piangere e ridere con me e la tua vera mamma. Ma il destino ha voluto diversamente e Keiko ha lasciato prima me senza dirmi nulla e poi ha abbandonato te”. Almeno con Sana, però, lo stesso destino che si stava ora facendo beffe di lui, era stato molto più clemente: condusse la signora Kurata al parco nel quale era stata abbandonata permettendole così di portarla con se' e di garantire quindi una vita migliore di quella che avrebbero potuto offrirle un attore in erba e una ragazzina delle medie di dodici anni prima. Cercava di trovare conforto nel pensiero di aver avuto la fortuna di conoscere la bimba e di essere diventati subito ottimi amici, ma mentre pensava a ciò un nodo gli si formò in gola e delle lacrime, che si asciugò subito, per vedere bene la strada mentre guidava, scesero lungo il volto. Le probabilità che potesse incontrare la figlia che neanche sapeva di aver avuto erano scarsissime in una città grande come Tokyo, ma lui aveva avuto l'immensa fortuna di poterla conoscere, sebbene questo accadde a pochi mesi prima da quella che sarebbe stata la sua prematura scomparsa.

Arrivò giusto in tempo per poter far cambiare nuovamente la trama del copione. “Costi anche di morire, Sana, ma io ti abbraccerò almeno una volta sola come un padre, perché io sono davvero tuo papà”.


Visse lo sceneggiato dell'ultima puntata con un'intensità mai provata prima di allora. In quella puntata non recitò, ma visse in prima persona tutti gli avvenimenti rappresentati, le emozioni e la disperazione della paura di perdere la figlia. Sentì la piccola Sana chiamarlo papà, stringendosi forte a lui e impaurita cercare la sua protezione, anche se solo per finta.


Morì così: in uno stretto abbraccio con quella creatura che era sangue del suo sangue. Con quell'ultima frase a percorrergli la mente. Tanto veloce quanto grande fu il salto compiuto per salvare Sana. “Ora almeno posso andarmene sapendo di aver abbracciato la mia bambina... la mia bambina”.

-Sana... sono felice... di averti incontrata.- pronunciò infine.

E mentre avveniva l'impatto con il terreno, prima di perdere ogni senso causato dalla mancanza del battito del suo cuore malato riuscì a pensare: “Non ci sono parole per definire quello che sei per me e che sento per te, se non che ti ho voluto bene dal primo momento in cui ti ho vista perchè tu sei solo mia figlia”.

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