Scorci di Agosto

di Whiteskull16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You are a pirate! [Nave] ***
Capitolo 2: *** In amore e scommesse tutto è lecito [Surf] ***
Capitolo 3: *** Heart's mountain [Arrampicata] ***
Capitolo 4: *** La pioggia nel pineto [Pineta] ***
Capitolo 5: *** Blob [Pesci abissali] ***
Capitolo 6: *** My favourite place [Grotta] ***
Capitolo 7: *** Uscita a tre [Cocktail] ***
Capitolo 8: *** X Agosto [Stelle cadenti] ***
Capitolo 9: *** Ops [Bird-watching] ***
Capitolo 10: *** Le mie lacrime miste alla pioggia [Nuvole] ***
Capitolo 11: *** Castello in aria [Castelli di sabbia] ***
Capitolo 12: *** Terzo incomodo [Granchio] ***
Capitolo 13: *** Colto col piede in fallo [Pedalò] ***



Capitolo 1
*** You are a pirate! [Nave] ***


«ALL'ARREMBAGGIOOOOO!» gridò Genta, catapultandosi sul ponte.
«Prendete questo, felloni!» incalzò Mitsuhiko, colpendo a suon di colpi di spada di legno degli ipotetici nemici nei pressi della passerella.
«Non avrete mai il nostro tesoro!» persino Ayumi, infervorata, iniziò a dimenarsi per difendere una cassa dietro di lei. Era un forziere ritoccato ad hoc per assomigliare a quelli dei galeoni pirati dei secoli passati, facente parte del set. Difatti, esso era puntellato alle assi lignee del ponte.
Il dottor Agasa rise sotto i baffoni con le mani dietro la schiena e rimase a guardare i bambini giocare.
«È stata un'idea vincente quella di venire a visitare questa ricostruzione. L'hanno fatta davvero bene, devo ammettere» disse, rivolgendosi alla piccola Ai.
«Sì, è vero. Affittarla per una mezz'ora non è neanche costato tanto e poi sembra che i ragazzi si stiano divertendo. I pirati affascinano tutti, anche se ci sono molti falsi storici in proposito. Però ai bambini non interessano queste cose, sono pieni di energia e vogliono solo giocare. È difficile stargli dietro.» scrollò le spalle e girò l testa dai capelli di colore biondiccio verso Edogawa-kun. «Tu che ne pensi, Con-uh?» strabuzzò gli occhietti notando che non era accanto a lei.
«Se cerchi Shinichi, è lì...» Agasa indicò una delle cime che stava venendo usata come avrebbe fatto Tarzan con una liana.
«CARICAAAAA!» sbraitò Conan, mollando la presa dalla cima e atterrando sul ponte per poi iniziare a combattere i nemici immaginari assieme ai suoi piccoli amici. «Difendiamo la nave!» continuava a gridare tra capriole e colpi di spada.
Ai si fece un facepalm fortissimo. «Maschi...»

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Capitolo 2
*** In amore e scommesse tutto è lecito [Surf] ***


«Da quando Heiji sa surfare?» chiese Ran.
«Oh, ha imparato recentemente! È davvero bravo, sai? Penso che riuscirà a vincere la gara!» disse sorridente Kazuha.
Poco lontano da dove si trovavano le ragazze e Conan, più precisamente sul bagnasciuga, una fila di ragazzi con le loro tavole si preparavano a cavalcare una delle onde più grandi previste per quel giorno. Mentre un fischietto annunciava l'inizio della gara, Sonoko si avvicinò alle sue amiche.
«Sono tornata dall'allibratore! Ho fatto le vostre due scommesse su Heiji, come volevate.» 
«E tu su chi hai puntato?» Conan subodorò l'inganno e Sonoko gli fece una linguaccia indispettita.
«Come!? Non hai scommesso su Heiji!?» tuonarono all'unisono Ran e Kazuha. Sonoko fu costretta a indietreggiare, mettendo le mani avanti.
«Hey, hey! Sarà pure nostro amico, ma è un novellino! Oggi partecipa un professionista, quindi perché rischiare puntando su Heiji?»
La risposta non aveva convinto affatto le due ragazze che stavano per incalzare l'ereditiera della famiglia Suzuki, ma l'intervento di Conan stemperò l'atmosfera.
«Hey, Sonoko. Il professionista di cui parli ha una tavola verde e bianca?»
«Sì, perché?» chiese lei. Di tutta risposta, Conan le indicò il mare: l'onda era stata così travolgente che nessuno era riuscito a rimanere in piedi sulla propria tavola. Gli unici due rimasti erano Heiji e il ragazzo con la tavola verde e bianca.
«Caspita, che bravo!» esclamò Ran con gli occhi che le brillavano.
«Caspita, che sfiga...» borbottò Sonoko, ricevendo un pugno sul braccio.
Man mano che la gara proseguiva, la competizione fra i due rivali si faceva sempre più accesa: era evidente che Heiji avesse più difficoltà rispetto all'altro, ma nonostante rischiasse ripetutamente di cadere riusciva a rimanere in piedi per un motivo o per l'altro.
«E va bene, dovrò ricorrere alla mia arma segreta.» Sonoko sbuffò e si mise alle spalle di Kazuha.
«HEIJIIIIIIII!» urlò a squarciagola il nome dell'amico per farsi notare e con un lesto movimento delle dita affusolate calò il pezzo di sopra del costume di Kazuha. Lei urlò coprendosi immediatamente, ma nello stesso istante tutti videro Heiji cadere in acqua.

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Capitolo 3
*** Heart's mountain [Arrampicata] ***


Parecchi sguardi erano puntati su quella ragazzina che cercava disperatamente di scalare la parete. Gli appigli erano quelli adatti a una bambina di 8 anni come lei, eppure in più di un punto la salita era difficoltosa. Non a caso si trattava della parete più difficile da scalare per una bimba della sua età!
«Ngh...» strinse i dentini con il solito canino che le spuntava dalla bocca, ma riuscì ad acciuffare anche il seguente appiglio. Ormai era a tre quarti del percorso e la figura di suo fratello si faceva sempre più grande, così com'era abituata a vederla.
Shuichi Akai era inginocchiato sulla sommità della parete e stringeva a due mani la corda alla quale era fissata la sua sorellina Sera. Cercava di spronarla in continuazione.
«Allora? Tutto qui quello che sai fare?» la stuzzicò, saggiandone la risposta.
«N-no! Non mi arrendo!» gonfiò le guance e fece l'ennesimo sforzo per portarsi ancora più in alto. Aveva appoggiato la mano su un appiglio di colore blu, e fece per alzare la gamba per appoggiarsi a uno verde.
«Devo ricordarti che se non ce la fai non ti compro il gelato?»
«NOOO! IL GELATO LO VOGLIO!» protestò piagnucolando. La gambetta della bambina si posò sull'appiglio verde di cui sopra, ma sentì improvvisamente i muscoli cedere e indurirsi in un crampo. 
«Aaaaaah!» si lamentò di dolore e perse la presa, sovrastata dal male alla gamba.
«Sera!» Shuichi fece forza e la trattenne a mezz'aria. La sorellina non risposte, ma iniziò a piangere. Lui, quindi, cominciò a tirarla su fino a quando non poté stringerla fra le sue braccia.
«Ti fa tanto male la gamba?» domandò, accarezzandole la testa e il polpaccio.
«No! Ma tu non mi comprerai il gelato!» rispose singhiozzando, con voce rotta dal pianto. Poi ricominciò a lacrimare, buttando il visetto sul petto di Shuichi. Lui rise e la strinse a sé dolcemente.
«Eri quasi arrivata. Hai superato i tuoi limiti. Per questa volta possiamo fare un'eccezione, non credi?»
Il viso di Masumi si illuminò. «D-davvero!? M-me lo compri?»
«Certo che te lo compro!» rassicurò lui. 
Rimasero lì abbracciati ancora un po'.

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Capitolo 4
*** La pioggia nel pineto [Pineta] ***


Shinichi le mise un dito sulle labbra. «Zitta.»
Ran rimase sorpresa da quell'atteggiamento, ma stranamente non si scostò. Lasciò che il dito di lui le rimanesse sulle labbra, anche se un tenue rossore iniziava a imporporarle le guance. Schiuse le labbra sottili per dire qualcosa con voce flebile, ma nonostante fossero praticamente attaccati il detective liceale non riuscì a udire una singola sillaba di quelle pronunciate dalla sua amata. Nei suoi padiglioni auricolari riecheggiava la voce della natura, il fruscio delle foglie degli alberi frondosi della pineta in cui in cui si trovavano e le prime gocce di pioggia che cadevano umettando il terreno e le foglie.

"Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
"

«Ascolta. Piove.» disse Shinichi con un filo di voce e con il naso alzato a guardare il cielo.
Ran sbatté le palpebre confusa e seguì lo sguardo di lui. Una corroborante piogerellina aveva iniziato a cadere, bagnando quel tratto di boscaglia in cui si trovavano. Le tamerici si inumidivano così come i pini, i mirti, le ginestre e i ginepri. Un odore di pioggia invase le loro nari e le prime gocce caddero anche sui loro corpi. Shinichi indossava una camicia bianca di tessuto leggero e man mano che i secondi passavano essa si faceva sempre più trasparente, permettendo di scorgere il suo petto sotto l'indumento ormai traslucido. Lo stesso effetto si ottenne sull'abito di Ran, bianco anch'esso ed estremamente fine, al punto che quelle poche gocce permisero al ragazzo di individuare la posizione dei capezzoli turgidi di lei. Nessuno dei due, però, osò dire nulla. Si tenevano per mano e le gocce di pioggia adesso scivolavano sulle braccia nude, toccando i polsi e arrivando a insinuarsi fra le dita incrociate degli innamorati. Si guardarono l'un l'altra i visi madidi, inespressivi, perdendosi nei loro occhi.

"Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
"

Mentre si scrutavano l'anima, le loro orecchie furono piacevolmente rapite dall'orchestra naturale che suonava la sinfonia della pioggia estiva. Le gocce cadevano incessanti e parve loro di poter distinguere i tintinnii, come se ognuno di loro fosse diverso dall'altro. Se una goccia cozzava contro un pino, il suo suono era differente da se toccava una ginestra o un ginepro. Una miriade di suoni, tanti quante erano le gocce in quel momento, si fusero e si coordinarono al fine di generare un'armonia che potesse fungere loro da sottofondo. Sembrava che il mondo si stesse facendo cadenzato solo per loro due, come se tante dita suonassero altrettanti strumenti. Il coro delle cicale alzò la voce.

"Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
"

Il prato divenne come una balera mentre l'orchestra suonava e il coro friniva. Ormai erano parte di quel tutto. Shinichi alzò la mano dalla bocca di Ran, accarezzandole una guancia e poi portandola verso i suoi capelli castani. Glieli scostò portandoli dietro l'orecchio e si sporse per annusarli. Avevano un delicato profumo di pioggia in cui erano distinguibili le fragranze delle ginestre attorno a loro, così come dei pini silvestri e dei ginepri. Lei, vedendolo avvicinarsi, si ritrovò il naso a stretto contatto con il suo collo e il suo petto. Shinichi profumava anch'egli, proprio come uno dei mirti. Si beò di quell'odore e prese coraggio, avvicinandosi ulteriormente a lui e stringendolo. Una mano scivolò sotto la camicia fradicia, salendo sino a toccargli il petto sotto il tessuto trasparente.

"E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
"

«Ascolta...» disse Ran, questa volta.
Il frinire della cicale si stemperava, svaniva lentamente sotto il suono della pioggia che adesso non era più un mero lamicare, ma si stava trasformando in un acquazzone estivo. La temperatura del suolo era ardente, così come quella dei due innamorati, e l'aria calda era salita sino a creare quelle cumulonembi che scatenavano la tempesta. L'acquazzone, ovvero il prodotto di quell'amore adesso era l'abbraccio ricambiato da Shinichi, le mani poco sopra le natiche di Ran e la sua mano che invece toccava il petto di lui, continuando ad accarezzarlo. Un nuovo suonò si rese udibile.

"Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
"

Un suono, una voce, un grido. Non era lo strillo della natura che Munch avvertì sul ponte, ma un suono ben più dolce, neanche legato alla natura attorno. Quella stessa natura che piangeva, creatrice di quell'atmosfera, non era che mero contorno rispetto alle urla dei cuori di Kudo e Mori. I loro battiti si accordarono l'un l'altro, facendo sì che i cuori battessero all'unisono. Lui avvertì il cuore di lei attraverso il proprio corpo e viceversa. Sembrava che i loro corpi stessero dicendo che vivevano l'uno per l'altro, in un legame inscindibile non vincolato dal solo tocco di quel momento ma neanche dal mitico filo rosso del destino che lega gli amanti. V'era qualcosa di più profondo in quella pelle, in quegli sguardi, in quel sangue. L'ultima nota rimasta, l'ultima cicala che cantava, si zittì. O forse erano loro che non la sentivano più, perché il suono era diventato altro per loro.

"Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
"

Le cicale non frinivano più. Dalle ombre della boscaglia si udì il suono roco e baritonale di una rana gracchiante, ultimo tentativo che la natura ebbe per tentare di penetrare in quella bolla d'amore che i due amanti fradici avevano eretto attorno a loro. Essi udirono quel verso sommesso e lo sostituirono al suono della pioggia che continuava incessante a battere sui loro corpi così come i loro cuori che facevano ribollire il sangue. A un certo punto, non reistettero più: Shinichi calò la testa su quella di Ran e lei la alzò, cercando e ottenendo quell'agognata congiunzione di labbra. Con foga la mano di lei si dimenò sotto la camicia sino a strapparne alcuni bottoni e toglierla al ragazzo, facendola cadere ai suoi piedi. Avvolse le braccia attorno al suo collo e lo strinse a sé come non era riuscita a fare per tanto tempo, impedendogli di staccarsi anche quando ormai entrambi erano a corto di fiato. Lo baciò ancora, ancora e ancora, concedendogli di toccarla soto l'abito. Lui si limitò a poco, accarezzandole per ora solo la schiena e abbracciandola anch'egli con tutte le proprie forze, tutt'altro che intenzionato a interrompere quel momento magico per timore che se lasciata, come le gocce di pioggia, ella sarebbe scivolata via per sempre.

"Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
"

Lei lo baciò con gli occhi chiusi e lui fece lo stesso. Dopo poco, però, non resistette e li aprì. Vide il viso della ragazza incollato al suo mentre gocce di pioggia le grondavano dalle palpebre serrate, smuovendole le ciglia. Alcune gocce le rigavano le guance e di conseguenza finivano per sfiorare anche la sua pelle. Erano calde. Capì che è vero che le lacrime miste alla pioggia impediscono di capire quando una persona soffre. Eppure in quel calore non v'era tristezza, ma solo pura felicità. Quando lei aprì gli occhi e lo guardò, fu certo che stava sorridendo. Non piangeva perché triste, ma perché felice per la realizzazione del suo sogno. Quel bacio, quel momento, quell'attimo... era tutto come se lo era sempre immaginato, forse di più. Il suo cuore, tenero come una pesca, batteva all'impazzata solo per lui. Gli occhi bagnati circondati dalle sue bellissime ciglia erano come sorgenti d'acqua calda in mezzo a un prato florido e la chiostra dentale appariva meravigliosa e saporita come una sfilza di mandorle giovani come lei.

"Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
"

I visi bagnati si staccarono dopo poco, lasciando un rivolo di saliva a congiungere le labbra. Continuarono ad accarezzarsi per un po', Shinichi ormai a torso nudo e fradicio e lei che aspettava solo un suo cenno per fare lo stesso. Le mani erano completamente cosparse d'acqua e così il resto dei loro corpi e capelli, ma non gli interessava. La prese per mano e si spostarono da lì, infrattandosi nell'erba e nei cespugli in cerca di un nido d'amore più consono. Ran vide la schiena del ragazzo come quella fatidica sera a Tropical Land, quando non tornò più da lei. Ma questa volta la sua mano era stretta a quella del suo lui, anzi era proprio Shinichi a impedirle di allontanarsi. Si strinse al suo braccio con tutto il corpo e superò qualsiasi cespuglio, qualsiasi fronda le apparisse davanti. Per lui avrebbe superato qualsiasi ostacolo, ora che l'attesa era finalmente finita. Era l'inizio di una favola, ma non di una di quelle che ti illudono. Era vera e lo sarebbe stata per sempre.

"E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
"

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Capitolo 5
*** Blob [Pesci abissali] ***


Agosto stava trascorrendo nella più completa noia. Juzo Megure non poteva neanche andare al mare poiché sua moglie si era presa uno di quei malanni estivi che l'avevano costretta a restare a casa. Era mattino ed era spalmato sul divano con addosso solo i mutandoni e l'immancabile cappello calato sulla testa. Si baloccava con il cellulare, visto che in tv non c'era nemmeno un programma che destasse la sua curiosità. Esplorando la sua home di Facebook, incappò nell'annuncio di uno di quei siti che propongono test sciocchi come "che colore sei?" o "chi eri nella tua vita passata?". L'occhio dell'ispettore fu attratto da "che pesce sei?" al punto da alzare le spalle e per boria cliccarci sopra. Il test si componeva di 10 domande a risposta multipla alle quali lui rispose in fretta, sbagliando talvolta a cliccare per via delle sue dita grosse ma riuscendo a correggere subito. 
Il risultato finale fu: "Sei un pesce blob!" con foto di quello che in molti riconoscono come "animale più brutto del mondo". Sotto l'immagine, una breve descrizione spiegava la storia del povero pesce abissale che si spiaccica per via della compressione se pescato, diventando una poltiglia informe dallo sguardo perennemente corrucciato e rattristato. Midori, guardando il cellulare da dietro le spalle del marito, scoppiò a ridere. Juzo calò il cappello sin sopra gli occhi.
«Non mi somiglia per niente!»
«Secondo me sì! Ma sei bellissimo lo stesso!» ridacchiò lei, dandogli un bacio sui baffoni.

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Capitolo 6
*** My favourite place [Grotta] ***


«Perché mi hai portata qui? È tutto viscido, scivoloso, e fa pure schifo! Ti odio!»
La voce di Aoko risuonò nel buio più totale. Era avvinghiata a un braccio di Kaito e si stava facendo accompagnare da lui attraverso le tenebre. L'aveva convinta a entrare in quella caverna orripilante, colma di pietre lisce sulle quali scivolare e di chissà quali insetti e animalacci nascosti dietro la cortina di oscurità. In lontananza le pareva persino di poter udire i versi dei pipistrelli.
«Tranquilla, siamo quasi arrivati!» la rassicurò con un tono di voce tale da farle esser certa che l'amico stesse sorridendo. 
Kaito si stava muovendo grazie ad alcuni raggi che filtravano attraverso le rocce e gli rendevano il cammino più semplice. Svoltato un angolo, si ritrovarono all'interno di una specie di corridoio roccioso che lui si affrettò a superare con maggiore dimestichezza; vuoi perché conoscitore del posto, vuoi perché la luce era sempre più forte. Alla fine di quel breve tunnel, il sole rischiarava distintamente l'area.
Si trattava di una piccola baia situata alla fine della caverna, con una spiaggetta a forma di mezzaluna bagnata del mare che si spandeva immenso dinnanzi a loro. Un'enorme entrata era scavata nella roccia e da lì si poteva arrivare in mare aperto in breve tempo, così come alcune navi potevano attraccare. Guardando bene, l'acqua era davvero profonda.
«Wow! Che posto è questo?» Aoko si guardò attorno meravigliata.
«Una baia nascosta usata anticamente come covo dai pirati. Nessuno verrebbe a cercare sino alla fine della caverna.»
«È bellissima... ma perché mi ci hai portato?»
«Perché ho imitato i pirati e ci ho portato il mio tesoro!»
«Davvero!? E dove lo hai seppellito?» lei si guardò attorno, curiosissima.
«Non l'ho seppellito. Ce l'ho in mano.»
«In che s-» interruppe la frase, notando che era ancora appiccicata al braccio di lui e che Kaito le stava stringendo dolcemente la mano. Avvampò.

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Capitolo 7
*** Uscita a tre [Cocktail] ***


«Sato!»
«Yumi!»
«Sato!»
«Yumi!»
«... Gli ippopotami quando si sposano hanno l'ippopotalamo.»
Scoppiarono a ridere sguaiatamente, facendo risuonare le loro voci nel locale. Sia Yumi che Sato erano palesemente alticce, stando al numero di bicchieri vuoti accatastati sul tavolo. Vicino a loro, Takagi era talmente in imbarazzo da starsene con le mani sulle ginocchia a guardare il tavolo.
«Takagiiiii! Allora, lo bevi quello?» Yumi indicò ridacchiante il B-52 che lei e Sato avevano ordinato contro la sua volontà.
«N-non ho molta sete...» bofonchiò lui, balbettando.
«Pollo! Pollo! Pollo!» l'agente della stradale iniziò a ripetere quell'insulto venendo seguita dopo poco da Sato che batteva le mani.
«Non sono un pollo!»
«Allora bevi!» incalzò Sato.
«Già, bevi! Anzi...» Yumi cacciò dalla tasca un accendino che utilizzò per infiammare l'alcolico. Il B-52 era noto proprio per la possibilità di accendere il Grand Marnier nel cocktail e formare quella fiammella che fece tremare Takagi.
«C-che diavolo...!? » borbottò, indirizzando lo sguardo allibito verso l'amica.
«Adesso lo bevi. Così fai vedere che non sei un pollo! Se no... hic!» si fermò un attimo per singhiozzare, continuando subito dopo dicendo «Se no, io mi rubo Sato!» 
Cadde a peso morto sull'amica e congiunse le labbra alle sue, dandole un bacio saffico che sorprese Miwako, la quale non si scansò forse per via dell'ebrezza.
«MIWAKO!?» Takagi sgranò gli occhi e si sentì ferito. Tra l'altro, dopo il bacio Yumi gli sorrideva in maniera beffarda.
«E VA BENE! LO FACCIO PER TE!» urlò lui, afferrando il bicchiere e portandoselo alla bocca.
Yumi trasalì. «FERMO! DEVI BERLO CON LA CANNUCCIA!»
Si gettò su di lui, ma i riflessi non erano dei migliori e neanche la coordinazione. Mancò il bicchiere, scivolò malamente accanto al poliziotto e lui rovesciò il cocktail sulla cravatta che... prese fuoco.
«AL FUOCOOOOO!»
Seguirono i momenti più deliranti mai visti in quel locale. Takagi cercava di spegnersi, Yumi era crollata addormentata sul divanetto e Sato rideva senza fermarsi più.

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Capitolo 8
*** X Agosto [Stelle cadenti] ***


«Sono così stupida...»
Si strinse nella giacca rossa che aveva. Era immersa nel buio più totale, seduta su un tronco caduto. Le lacrime le rigavano il viso, sgorgando copiosamente dagli occhi che non riuscivano più a mettere bene a fuoco le cose attorno a lei. Il cielo sopra la sua testa dai capelli biondicci sembrava squarciato ed era uno sfavillio di punti bianchi e sfumature di vari colori bruni, a tratti violacei. Lo sciame delle Perseidi stava attraversando l'orbita terrestre e aveva creato quello spettacolo: i meteoriti, infrangendosi contro l'atmosfera terrestre, generavano annualmente quell'evento che attirava molte persone fuori città. Ai, assieme ai detective boys e il dottor Agasa, si era diretta in una zona poco illuminata proprio per gustarsi quelle che in occidente chiamano "lacrime di San Lorenzo".
Ma le uniche lacrime che riuscì a vedere furono quelle secrete dai suoi stessi occhi. Affogava nel buio, nello stesso colore dell'organizzazione, in un freddo che ricordava i cadaveri a cui ormai si era abituata, qualcosa le aveva stretto il cuore in una morsa terrificante. Si era allontanata dall'accampamento in fretta e furia per rifugiarsi nella sua dolce solitudine, così da poter piangere senza che nessuno la vedesse. Il ricordo della sua sorella scomparsa e l'inspiegabile timore avvertito, come se la terra le fosse stata tolta da sotto ai piedi e il suo corpo stesse affondando nelle tenebre, era quanto bastava a renderle quella serata un inferno. La disgustava sentirsi così vulnerabile.
Odiava dover vivere in quel modo. Scappare in continuazione.
Forse se non fosse mai nata tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
Sì, il mondo sarebbe stato migliore senza di lei. Questo pensò tra un singhiozzo e l'altro.
Mentre rimuginava in questo modo, il freddo svaniva. Al suo posto era subentrato un calore piacevole, uno di quelli che ti fanno sentire protetto. Era come se nel buio della stanza in pieno inverno qualcuno le avesse messo una coperta calda addosso.
Avvertì un bacio schioccato sulla sua guancia e solo allora si accorse che qualcuno la stava abbracciando  da dietro. 
«Scema. Avvisami se vuoi piangere.» esclamò Shinichi, guardandola dall'alto con gli occhi di Conan. Le alzò il mento e le asciugò le lacrime con i pollici.
«Io...» lei cercò di dire qualcosa, ma si interruppe. Rimasero in silenzio in quella posizione per qualche secondo, poi lei disse «... sono come questo cielo. Sono destinata a piangere per tutta la mia esistenza. Può sembrare che il cielo sia limpido, ma alla fine arriveranno sempre le Perseidi.» accostò allo sciame meteorico il significato della tristezza insita in lei.
«Non è vero. Puoi smettere di piangere.» sentenziò lui.
«Non so come si fa.»
«Così.»
Unì le labbra alle sue. 

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Capitolo 9
*** Ops [Bird-watching] ***


«Non c'è nulla di meglio...» disse Jirokichi Suzuki, steso nell'erba con un binocolo attaccato agli occhi.
Non era convinto di questa stramberia del bird-watching, ma sotto l'insistenza di sua nipote Sonoko si era convinto a dare una possibilità a quell'hobby così particolare. In questo momento si era diretto in una zona che gli era stata indicata come idonea alla pratica e, stesosi in mezzo ad alcuni ciuffi d'erba alta, rimirava alcuni esemplari di volatili che si aggiravano nei pressi di una macchia d'alberi lì vicino. Era ovvio che ci fossero parecchi nidi e non sentendosi osservati gli uccelli agivano come farebbero in casa propria.
«Chissà se anche Kid fa la stessa cosa...?» bofonchiò. Effettivamente, il famoso ladro doveva fare qualcosa di assai simile al bird-watching per studiare i piani ai suoi danni. Urgevano informazioni dettagliate sul luogo, su ciò che c'è da rubare, etc...
«Tu che cosa ne pensi, Lupin?» domandò al suo fido cane, portato con sé di nascosto. I ranger della zona gli avevano proibito di portarsi dieto animali, ma le loro parole non erano sufficienti a fermare quella vecchia volpe di Suzuki.
Però c'era fin troppo silenzio.
«Lupin?» chiamò ancora, questa volta staccando gli occhi dal binocolo.
Accanto a sé non v'era il fido animale, anzi al suo posto si poteva scorgere una linea tratteggiata in stile tipicamente cartoonesco.
«LUPIN!?» Jirokichi balzò in piedi e cercò l'animale.
Lo vide correre a perdifiato verso gli uccelli abbaiando come un ossesso. Alle spalle dell'uomo si udirono in lontananza le voci dei ranger adirati.

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Capitolo 10
*** Le mie lacrime miste alla pioggia [Nuvole] ***


«Cosa ne penso io degli uomini?» domandò Vermouth, parlando a Gin.
Erano seduti in una stanza molto piccola, con pareti bianche spoglie e un mesto tavolino sgangherato al centro. Una bottiglia di liquore li divideva, dimezzata nel contenuto che era stato versato nei calici che alzavano occasionalmente portando alle labbra la bevanda.
«Precisamente.» confermò Gin. Rimase in silenzio per qualche secondo e poi aggiunse quasi distrattamente: «Nel senso di genere umano, non sesso maschile.»
«Qual è il senso della vita, allora?» chiese la donna, volendoci vedere chiaro.
«No, non a questo livello di profondità. Che cosa pensi del genere umano, delle persone.»
Vermouth abbassò lo sguardo. Le dita brandivano lo stelo sottile del bicchiere e un lento movimento del polso agitava il liquido nel contenitore vitreo, lasciando segni come quelli del mare sul bagnasciuga.
«Gli uomini sono nuvole.» asserì.
«Nuvole?» rispose lui. Gin la guardò come se avesse detto una sciocchezza.
«Sì. Così come gli uomini, esistono tanti tipi di nuvole. Puoi essere un cirro come puoi essere cumulonembo. Che tu sia una macchiolina bianca o che tu sia un'imponente ammasso niveo, non hai mai consistenza. Sei solo vapore acqueo, mero aggregato informe capitato lì in cielo per caso. Il vento ti muove e sei continuamente soggetto ai mutamenti atmosferici, causa dele tue conseguenti azioni. Allo stesso modo, un uomo si lascia dominare dagli elementi e agisce di conseguenza, senza però mai scegliere davvero. Non ha mai scelto dal momento in cui è venuto al mondo forzatamente, essendovi stato gettato.»
Gin bevve dal suo bicchiere e poi lo posò sul tavolo.
«Mi sembrano solo belle parole. Una metafora come un'altra.»
«No. Le nuvole sono la cosa che più somiglia a un essere umano. Esse sembrano così grandi, eppure non sono che mero vapore. Non hanno nulla dentro, proprio come la gente. Sono gli altri a dar loro un significato. Conosci la pareidolia? È quella condizione per cui tu vedi le forme nelle nuvole. Anzi, le nuvole sono solo una declinazione delle tante possibilità della pareidolia. Proprio come noi vediamo qualcosa nelle nuvole, altri vedono qualcosa in noi che non esiste. L'essere umano dipende da ciò che l'altro pensa di lui, in quanto la nostra vita è in funzione di terzi.»
«Ma le nuvole causano i temporali. Possiamo attribuir loo le forme che vogliamo, ma è innegabile che possono dar vita a temporali, a volte catastrofi.»
«E qual è la differenza dall'essere umano? Pioggie, tempeste, burrasche, tornado... sono tutti fenomeni che nascono dall'aggregazione di nuvole. Quando gli uomini si uniscono, sono in grado di fare grandi cose, anche orribili come le guerre. Un uomo solo vale quanto una nuvola sola. Ma la forza fa numero, anche per gesti orripilanti.»
Vermouth alzò lo sguardo al soffitto, pur continuando  a parlare.
«È per questo che i temporali sono banchi di nubi grigie. La singola nuvola sparisce diventando una moltitudine asettica che piange; l'uomo sparisce nell'esercito e piange e fa piangere.»

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Capitolo 11
*** Castello in aria [Castelli di sabbia] ***


Sumiko Kobayashi si era fatta convincere da Ninzaburo Shiratori a partecipare a una gara di castelli di sabbia.
Non era mai stata una cima in merito a costruzioni con la sabbia, ma in fondo vincere è partecipare, o così si suole dire. Si era ritagliata un quadrato su cui operare, proprio vicino ad altri concorrenti che costruivano come lei. Svariate occhiate le giungevano per la foga e la maestria con le quali dava vita alla propria opera, cesellandola finemente in ogni suo particolare. Alcuni spalancavano le bocche, altri sgranavano gli occhi, altri ancora arricciavano il naso per l'individa.
«Et voilà!» esclamò la maestra con un sorriso a trentadue denti.
Piazzò un bel rametto con una bandierina su quella che era una misera collinetta di sabbia che del castello non aveva neanche lontanamente la foggia. Sembrava più la gobba di un cammello.
«Bellissimo!» disse convinta, avvicinando le mani intrecciate tra loro alle guance arrossate per l'emozione di aver creato cotanta meravigilia. Drizzò la schiena, gonfiò il petto e incedette verso la postazione di Shiratori con l'intento di vantarsi della propria opera e delle sue ottime possibilità di vincere.
Non appena giunse dall'uomo, fu costretta a fermarsi. Lo vide inginocchiato sulla sabbia, intento a fare il fossato di quelo che era un vero e proprio castello in stile medievale con ponte, torri, merli e - forse no, ma lei ne era sicura - anche l'arredamento all'interno delle stanze. Era alto un metro, ben più della sua collinetta.
«Oh, Sumiko! Che ci fai qui?» chiese lui, notandola.
La maestra Kobayashi cadde in ginocchio e poi posò le mani sulla sabbia, con la testa china.
«Faccio schifo, non sono buona a nulla...»
«C-come!?»

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Capitolo 12
*** Terzo incomodo [Granchio] ***


«A-aspettami! Non andare così veloce!»
Mentre Makoto si muoveva da uno scoglio all'altro con leggiadria, Sonoko rischiava ripetutamente di incespicare.
«Non dovevi venire con quelle scarpe.» la rimproverò lui, guardando le infradito.
«Non avevo altro da mettere! E poi credevo che tu volessi... ehm...»
Abbassò lo sguardo, completamente rossa in viso. Makoto la guardava interrogativo.
«Che volessi fare cosa?»
«B-beh! Sai... qui soli soletti... tra gli scogli... nessuno ci v-vede, e magari volevi...» borbottò lei con incertezza, cercando di far intuire all'altro dove volesse andare a parare.
«Non capisco. Perché dovresti volere un posto isolato? Ti vergogni? Prima hai fatto il bagno tranquillamente assieme agli altri.»
Sonoko strinse i pugni e agitò le braccia per aria.
«MA NO! Q-quello che voglio dire è che...»
Fece un passo in avanti mettendolo sulla roccia, ma si accorse che qualcosa non andava. La pietra su cui si era posata la sua infradito non era dura come le altre e soprattutto si muoveva!
«Eh?»
La ragazza abbassò lo sguardo e da sotto il suo piede vide spuntare un paio di chele e alcune zampette che cercavano di liberare il granchio che aveva appena pestato.
«AAAAAAAAAAAAAAH!» sbraitò, saltando sul posto.
«SONOKO!?»
Makoto corse verso di lei, ma era troppo tardi. Sonoko perse l'equilibrio e cadde in acqua.

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Capitolo 13
*** Colto col piede in fallo [Pedalò] ***


«Molto bene, la ringrazio per il denaro!»
La ragazza dietro la scrivania sorrise alla poliziotta che aveva dinnanzi a sé. Quale impiegata dell'agenzia viaggi, aveva appena riscosso il denaro necessario a pagare una villeggiatura per due nei pressi del monte Fuji, per la precisione alloggiando in un hotel praticamente sul lago Yamanaka.
«Ricapitolando: avete prenotato per una settimana e per un giro turistico della zona e delle città circostanti; il vitto sarà solo a pranzo...» e continuò su questa scia mentre la donna annuiva a ogni cosa che diceva. Era una donna di bell'aspetto, forse sulla trentina, vestita con abiti semplici ma che le davano un'aria elegante. Non avrebbe mai immaginato che fosse una poliziotta, stando al suo atteggimanento.
«Oh? E questo?»
L'occhio dell'impiegata cadde su una casella non sbarrata. «Come mai non avete scelto il pedalò? Tutte le coppie lo fanno! Se andate lì senza averlo prenotato, non riuscirete a prenderlo e fare una romantica gitarella sul lago in mezzo ai cigni!»
«Oh, riguardo quello... non siamo interessati.»
«Ma come no!? Ogni coppia che si rispetti non può dire di aver vissuto il lago Yamanaka senza averlo fatto! La prego, ci ripensi!» insistette lei.
«Lo capisco, ma il mio fidanzato... ecco, diciamo che non è adatto a questo genere di cose.»
«Ma è vergognoso! Quale fidanzato priverebbe la propria dolce metà di un momento così romantico, in mezzo ai cigni poi!?»
«Il fatto è che...»
La donna si interruppe poiché la porta dell'ufficio venne aperta quasi con violenza.
«Uehara! Quanto ci stai mettendo!?»
Il viso sfregiato di Kansuke Yamato comparve sulla soglia della porta, così come la sua stampella.
«Kan-chan! Stavo giusto spiegando alla signorina che...»
Ma quando si voltò verso l'impiegata, lei era già diventata rossa come un peperone.

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