Conseguenze bruciate e dipinti di strada

di Dalybook04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'amore trova sempre un modo ***
Capitolo 2: *** Notti insonni e momenti perfetti ***
Capitolo 3: *** Occhi brillanti e prime carezze ***
Capitolo 4: *** Attese brucianti e notti di fuoco ***
Capitolo 5: *** Fratelli maggiori e promesse ***
Capitolo 6: *** Il ritorno del Magnifico (e di altri due meno magnifici) ***
Capitolo 7: *** Bastardi gelosi e crucchi ubriachi ***
Capitolo 8: *** Pomeriggi al mare e creme ***
Capitolo 9: *** Baci sognati e mani intrecciate ***
Capitolo 10: *** Partenze e racconti ***
Capitolo 11: *** Madri e matrimoni ***
Capitolo 12: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 13: *** Addio ***
Capitolo 14: *** Fine ***



Capitolo 1
*** L'amore trova sempre un modo ***


Napoli, ottobre 1722
Il diciannovenne Ludwig Beilschmidt scese dalla nave, un borsone in spalla e un'ombra di sorriso sul bel viso rasato di fresco. Era felice, emozionato, sentiva il cuore battere all'impazzata e le mani sudare per l'agitazione.
Dopo anni nell'accademia militare era finalmente uscito al compimento dei diciotto anni e aveva passato un anno con i suoi genitori, cercando l'occasione per dire loro della sua intenzione di fare un viaggio in Italia e studiando per migliorare il suo spagnolo. Poi, l'occasione perfetta: suo padre lo voleva far sposare con una dama di cui Ludwig neanche sapeva il nome. Allora aveva espresso la volontà di fare una vacanza di un anno prima del matrimonio, prima di unirsi per sempre a qualcuno, e i suoi, sotto anche pressione di Gilbert, glielo avevano concesso. D'altronde, era sempre stato il figlio perfetto, diligente e dedito al lavoro e alla famiglia: perché non concedergli un po' di svago, prima che si legasse per sempre a una sconosciuta come loro volevano?
Ludwig aveva detto di voler studiare un po' d'arte e aveva scelto Napoli come città, con qualche scusa sul porto e sui prezzi convenienti inventata sul momento. Così i suoi gli avevano affittato un piccolo appartamento vicino al centro per un anno, con la promessa che gli avrebbero mandato ogni mese i soldi sufficienti per mangiare e concedersi qualche vizio, credendo che sarebbero stati spesi in libri o cose simili. La verità era un'altra, Ludwig era lì per ben altro motivo.
Sorrise pensando che avrebbe rivisto Feliciano e istintivamente strinse il piccolo crocifisso d'oro che portava al collo con una mano, per farsi coraggio.
Non aveva idea di dove fosse. Il fratello era venuto a trovarlo prima della partenza e gli aveva detto che, da quel che aveva saputo dalle lettere di Antonio, i due fratelli italiani erano ancora a Napoli; aveva aggiunto che, quando aveva saputo della sua partenza, aveva scritto all'amico chiedendogli l'indirizzo, ma prima che la lettera e la risposta arrivassero ci sarebbero volute settimane; aveva promesso che, se Ludwig non avesse trovato il suo vecchio amore per conto suo, gli avrebbe scritto l'indirizzo non appena l'avesse saputo.
Il tedesco sorrise maggiormente girando per il porto. Si ricordava quanto fosse rumoroso Feliciano, pensava che lo avrebbe notato subito. Era felice, dopo anni e anni chiuso in accademia, finalmente stava per ritrovarlo. Finalmente era lì, a Napoli, vicino al suo amore.
Era rumorosa, Napoli, calda e accogliente. Passò per il mercato, sentì i mercanti urlare per attirare clienti, esclamare in napoletano per offerte e prodotti che Ludwig non capiva, ma lo divertiva il suono, era molto più dolce e musicale del tedesco.
Fece un giro per tutto il centro, osservò le statue e le fontane, i palazzi e le case, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Davanti ad un negozio, in un vicolo laterale alla piazza dove si trovava lui, erano esposti alcuni dipinti, davanti ad alcune casse di pomodori e altre verdure. Ludwig si avvicinò e rimase paralizzato alla vista di uno di questi.
Era lui. Lui da piccolo, di circa dieci anni, proprio del periodo in cui aveva incontrato Feliciano; era di profilo, leggeva un libro con gli occhi brillanti, portava la collana dell'italiano al collo; alle sue spalle si intravedeva il profilo di un bosco, con la sagoma di un castello in lontananza. Il dipinto era realizzato con una maestria incredibile e Ludwig riconobbe, nel modo di tracciare le linee e sistemare le ombre, una versione più evoluta e matura dello stile del ritratto in bianco e nero che custodiva gelosamente in tasca. Lo tirò fuori e confrontò i due dipinti. Non se ne intendeva di arte, ma sembravano proprio dello stesso autore. Notò in quel momento una firma, nell'angolo in basso a destra, e si chinò a controllare.
F. Vargas
Trattenne il fiato. Non sapeva il cognome di Feliciano. Quella calligrafia gli era estranea, era totalmente diversa dalle lettere tremolanti, la scrittura di qualcuno inesperto, che ricordava. Eppure...
-veee, signore! Le piace il dipinto?- Ludwig si voltò e, se già a sentire quel ve gli erano venuti i brividi, a inquadrare il suo interlocutore sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Era Feliciano.
Era cresciuto, ma indubbiamente era lui. Se quando erano piccoli era stato leggermente più alto del tedesco, la situazione era decisamente cambiata e ora gli arrivava appena alla spalla. Era sempre mingherlino, crescendo la somiglianza con il fratello si era fatta sia più evidente sia più rarefatta. Se Ludwig ricordava Lovino come scontroso ma dal viso piuttosto dolce, il Feliciano che aveva davanti aveva i capelli più chiari, gli occhi color ambra invece che verde-castani, i lineamenti da bambino sostituiti da altri più affilati, più maturi, con un adorabile naso a bottoncino e un sorriso così aperto e solare da farlo sembrare ancora un bambino. Ma nonostante la pubertà e il raggiungimento dell'età adulta, era ancora Feliciano: stesso sorriso, stessi occhi, stesso spettinato caschetto castano, stesso ciuffo ribelle. Era una versione più cresciuta del bimbo di tanti anni prima, tutto qui. Ed era anche più bello, si ritrovò a pensare con imbarazzo.
Non sembrò riconoscerlo, ma Ludwig non se ne stupì. Lui invece era cambiato eccome. Gli anni in accademia lo avevano reso molto più muscoloso e cupo, e se già da bambino il suo sorriso era piccolo e quasi invisibile, ora era praticamente intangibile. Era molto più alto, poco più di un metro e ottanta per intenderci. Gilbert vedendolo così cresciuto aveva fatto una scenata perché "il mio fratellino non può essere più alto e muscoloso di me! Torna subito piccolo e carino!". Portava i capelli biondi tirati indietro, ma quella era la cosa meno cambiata del suo viso, insieme agli occhi. I lineamenti erano molto più maturi, più netti e decisi, mascolini, da incutere timore a chi non lo conoscesse e affascinare le donne per il "fascino del rude", come lo aveva chiamato Gilbert. Ludwig aveva avuto una crescita improvvisa, era stato uno di quei ragazzini che si svegliano da un giorno all'altro venti centrimetri più alti e con i lineamenti completamente stravolti e i duri allenamenti militari non avevano fatto altro che renderlo più forte e più grosso, più rigido e inflessibile.
Non ottenendo risposta, Feliciano inclinò la testa da un lato con aria interrogativa, un'abitudine adorabile che il tedesco ricordava avesse anche da piccolo.
-signore? Si sente be...- la domanda gli morì sulle labbra quando notò la croce dorata che gli pendeva dal collo, affianco a una croce celtica in ferro. Lo squadrò sgranando gli occhioni ambrati, notò il dipinto che stava osservando, vide il foglio che teneva in mano e ne intravide il disegno e poi guardò di nuovo Ludwig, troppo stupito per parlare. Si coprì la bocca con le mani, gli occhi colmi di meraviglia. La domanda che fece fu a mala pena un sussurro.
-Luddi?
Ludwig annuì, senza riuscire a parlare, lo stomaco serrato in una morsa.
Feliciano fece ricadere le braccia lungo i fianchi, mentre lentamente un enorme sorriso si faceva strada sul suo volto. Ludwig deglutì e fece un sorriso timido, prima che l'italiano gli saltasse addosso e lo stringesse in un abbraccio che appena lo fece respirare.
-ve, lo sapevo, ve, sapevo che saresti tornato! Ve mi sei mancato tanto tanto, Luddi, tantissimo ve!- Ludwig lo strinse, sollevandolo da terra per la felicità.
-anche tu mi sei mancato, Feliciano- inspirò il suo odore; sapeva di pittura, sapone e pane appena fatto, un odore buonissimo che gli diede alla testa.
-ve, Luddi, ho fatto quel dipinto a posta, così mi avresti trovato, ve! E ha funzionato!
-è un dipinto bellissimo, Feliciano, sei davvero fenomenale- a quel complimento lo vide arrossire e sorridere compiaciuto.
-veeee, grazie Luddi!- si scostò dal suo abbraccio e lo prese per mano -vieni, ve, questo è il negozio del mio fratellone, te lo ricordi ve? Prima ci lavorava e basta, ma ve quando è morto il proprietario ha lasciato a lui sia il negozio sia l'appartamento sopra, ora ci viviamo. Vee, quando è bel tempo il fratellone mi lascia esporre i quadri qui fuori, anche se con il sole si rovinano un po', e ve a volte qualcuno li compra! E, ve, chissà, magari un giorno passerà di qui il curatore di una mostra e, ve, mi chiederà di esporne alcuni! Ve, sarebbe bellissimo Luddi!- parlava a macchinetta, tanto che a mala pena Ludwig riusciva a stargli dietro, ma gli piaceva sentirlo parlare.
-veeeee, fratellone, non puoi capire chi sia arrivato!- urlò entrando in negozio, in spagnolo -ve, Luddi, lo capisci lo spagnolo, o l'hai dimenticato?
-ja, un po' lo parlo.
-bene, ve! Perché Lovi non parla tedesco, si rifiuta di impararlo.
-Felicià! Che cazzo c'hai da urlare?- sbottò Lovino, arrivando da dietro alcuni scaffali, nonostante stesse anche lui urlando.
-ve, ve, fratellone, è tornato Luddi! Guarda, è venuto a trovarci ve e ora è altissimo e fortissimo, prima mi ha preso in braccio come se non pesassi niente!
-oh, fantastico. Un crucco. Che bello- roteò gli occhi. Anche Lovino era cambiato. Non fisicamente, non molto almeno, era solo più vecchio, sulla trentina. Ma, se anni prima era solo scontroso, gli anni lontani da Antonio lo avevano reso acido, apatico, con due occhi che sembravano guardarsi intorno alla ricerca continua di qualcuno, delle rughe sulla fronte per tutte le volte in cui doveva averla aggrottata, due occhiaie nere e delle borse enormi sotto gli occhi.
Ludwig sapeva la loro situazione grazie a suo fratello e non disse niente a riguardo, per non infierire.
Lovino lo squadrò con un sopracciglio inarcato -bene, macho patato. Sei cresciuto, eh?
-uhm, ja...
-ve, ve, fratellone, fratellone, può restare a cena da noi? Ti prego, ti prego!
Lovino sbuffò -se ci tiene. Ora fuori dai piedi, devo lavorare.
-ve, va bene, gli faccio vedere un po' la città, non hai bisogno che ti aiuti, ve?
-no, no- Lovino fece un gesto incurante con la mano -vai pure, tanto anche prima non stavi facendo un cazzo.
-vee, grazie fratellone!- lo abbracciò, con un sorriso da un orecchio all'altro. Ludwig pensò che non potessero più diversi: due fratelli, uno forzato a crescere, l'altro a non farlo; uno reso acido dalla vita e dall'amore, l'altro solo felice di averlo ritrovato.
Prima che Ludwig se ne rendesse conto, Feliciano lo aveva trascinato fuori, nel sole tiepido di Napoli.
-ve, ve, Luddi! Devi vedere tantissime cose! C'è un negozio dove fanno della limonata buonissima e la proprietaria a volte me ne regala un po' e... e ve c'è un negozio bellissimo dove vendono tutte le cose per disegnare e dipingere e profuma di carta e colore e il negoziante a volte mi regala le matite rovinate o le tele sporche. Veee, per il compleanno il fratellone mi ha regalato della pittura e un pennello bellissimo, ha detto che ve anche la mamma dipingeva tanto. Oh, poi devi vedere una piazza bellissima dove mi metto sempre a disegnare e dove ci sono gli uccellini, ma ve non so se ci sono ancora, speriamo di sì! Oh e ve devi conoscere un vecchio signore che ve è sempre lì con il suo cagnone grosso e spaventoso, ma in realtà è bravissimo. Ah e ve ti devo far vedere il vicolo dietro il negozio del fratellone, ci sono tanti gattini adorabili e gli do sempre gli avanzi e ce n'è uno bellissimo tutto nero che ti somiglia tanto e ve...- Feliciano parlava a raffica, senza dargli il tempo di replicare o in generale aprire bocca, ma a Ludwig non importava. Gli piaceva sentire parlare Feliciano, avrebbe potuto ascoltarlo per ore parlare di qualsiasi cosa; e poi quando parlava di qualcosa che gli piaceva gli si illuminavano gli occhi e aveva un sorriso così adorabile che il tedesco aveva una grandissima voglia di baciarlo. Però non poteva. Prima di tutto, erano in pubblico. Secondo, non voleva affrettare le cose e rovinare tutto; quando lo aveva baciato da bambino era stato un bacio completamente innocente, come uno di quei bacini che gli dava sulla guancia Feliciano, solo sulla bocca. Era stato solo un dono d'addio, di un paio di secondi; eppure, nonostante questo, se si concentrava bene riusciva ancora a sentirne il sapore.
Voleva sentirlo ancora, voleva assaporare il sapore di Feliciano direttamente sulle labbra, voleva stringerlo, non solo come avevano fatto prima. Voleva stringerlo come un'amante, voleva stringerlo sapendo che nessun'altro l'avrebbe fatto, non come lo faceva lui. E ancora voleva possederlo, essere suo come lui sarebbe stato proprio, sentirlo ovunque intorno a lui, baciarlo su ogni lembro di pelle e sentire il suo sapore che gli solleticava la lingua, come aveva sognato nei tanti anni in accademia, sentendosi anche in colpa per avere rovinato l'immagine pura del piccolo italiano con quei pensieri impuri; ma in fondo erano stati quei pensieri a tenerlo più caldo in inverno e il sogno di dormire stretto a lui quello che gli faceva dormire sogni sereni e profondi.
Quello che il nostro molto teutonico Ludwig non sapeva, era che Feliciano lo desiderava ancora più di lui. Voleva baciarlo e farsi baciare, voleva seppellire le mani in quei capelli dorati e aggrapparsi alle sue spalle larghe come ad un'ancora; voleva passare ogni notte della sua vita con l'altro, ma lui non si vergognava ad ammetterlo: stava solo aspettando il momento giusto.
I tempi in cui dormiva terrorizzato all'idea che una cicogna si sbagliasse e gli mettesse un bimbo nella pancia erano finiti quando aveva compiuto dodici anni. Quel giorno Lovino, dopo avergli regalato un piccolo taccuino e una matita nuova, lo aveva preso da parte e gli aveva spiegato tutta la faccenda del "come nascono davvero i bambini e non quella cazzata della cicogna". E mentre Ludwig era rimasto traumatizzato e aveva sognato per settimane vagine che lo aggredivano e lo ingoiavano, Feliciano aveva semplicemente ignorato la parte per lui non interessante e chiesto al fratello come facessero due uomini. Rosso come un pomodoro, Lovino glielo aveva spiegato in breve, per poi andarsene quasi di corsa quando il suo non-più-tanto-innocente fratellino gli aveva chiesto se lui lo avesse fatto con il fratellone Antonio. Non ne avevano più parlato, ma Feliciano non aveva più smesso di pensarci (non a suo fratello e al fratellone Antonio eh, anche se poteva benissimo immaginare perché suo fratello lo avesse lasciato dormire con il tedesco senza fare troppe storie) e di pensare a Ludwig, ora in vesti completamente nuove. Vesti che lo vedevano senza la minima traccia di vesti, se mi concedete il gioco di parole. Immaginava come fosse cresciuto, lo immaginava alto, sempre biondo, con la voce rauca che gli sussurrava in tedesco all'orecchio mentre...
Potrà anche sembrare innocente, ma una fervida immaginazione di certo non gli manca, ve lo assicuro.
Ma tornando a noi, Feliciano neanche nelle sue fantasie più sfrenate aveva immaginato che il suo "amico" d'infanzia sarebbe diventato così... perfetto? No, di più. Era un ammasso di muscoli su un fisico degno delle statue degli dei greci e romani che Feliciano vedeva sul libro che gli aveva regalato lui stesso, con dei capelli di oro puro e due occhi che gli ricordavano il mare d'inverno, quando il sole era freddo e il mare rifletteva il cielo di un azzurro glaciale e perfetto, aggiungendoci però il riflesso del sole, che nel caso del tedesco era quel luccichio che gli illuminava lo sguardo quando leggeva qualcosa che lo incuriosiva e lo appassionava, o quando guardava Feliciano. Andava oltre disegno, per l'italiano era lui la rappresentazione perfetta di quella perfezione tanto cercata dagli Antichi Greci, era la sua incarnazione, e Feliciano moriva dalla voglia di fare dipinti, statue, affreschi... tutti con lui come soggetto.
Si leccò le labbra al pensiero di dipingerlo, di scolpirlo per sempre sulla tela, rise tra i baffi pensando che era proprio quella la disperazione dell'artista: avere il soggetto perfetto e non sapere come rappresentarlo. Ripensò a Leonardo, che si portava la sua Gioconda in giro per farci dei ritocchi continui, ripensò ai realistici busti romani, alle perfette statue greche e si chiese come avrebbe fatto a rappresentare al meglio il compagno. Tela e pittura? Be', non era in grado di scolpire, quindi per forza. O forse meglio un disegno a matita? Un primopiano sul viso? Ma escludere quel fisico statuario sarebbe stato un vero peccato, un insulto a Dio che si era impegnato tanto per crearlo. Un nudo? Oooh, Feliciano sarebbe impazzito a fare un nudo di Ludwig; gli sarebbe davvero piaciuto avere una scusa per godere di quel degno panorama, ma si sarebbe distratto di continuo; e sì che lui aveva la capacità di concentrazione di un moscerino, ma quando dipingeva si immergeva in un mondo da cui era quasi impossibile tirarlo fuori, se non a opera conclusa. Per un corpo come quello, o si sarebbe concentrato tanto da creare un capolavoro, o sarebbe saltato addosso al tedesco dopo pochi minuti. Era curioso di sapere come sarebbe andata, parecchio curioso, in fondo ci avrebbe guadagnato in ogni caso.

-ve, ve, Luddi. Torniamo a casa?- alla fine, Feliciano lo aveva fatto girare per tutto il pomeriggio per Napoli, dopo essere prima passati nel piccolo appartamento che gli avevano affittato i suoi genitori per posare i bagagli, mostrandogli decine di negozi, palazzi, piazze, strade... tutti posti non particolarmente turistici o famosi, ma che erano importanti per l'italiano. La piazza dove andava a disegnare nel tempo libero, il vicolo dove giocava con i gatti randagi, un palazzo del quale apprezzava molto l'architettura... tutti posti che avevano una storia, un valore emotivo: tutte parti del cuore di Feliciano, tutti luoghi che Ludwig voleva conoscere al meglio.
Nel sentirgli chiedere di tornare a casa, il tedesco perse qualche battito. Sembrava quasi intendesse una casa loro, una casa dove potessero vivere insieme, come un marito e una moglie; a Ludwig sembrò quasi di vederla: una casetta in campagna, con un ampio giardino dove Feliciano sarebbe andato a disegnare quando era bel tempo, un letto matrimoniale dove dormire abbracciati, un bagno con una vasca abbastanza grande per poter fare il bagno insieme, i gatti del vicinato che venivano a chiedere loro la pappa, Feliciano che rideva quando uno di questi gli leccava la mano per ringraziarlo, facendogli il solletico; Feliciano che lo chiamava ogni giorno per pranzare, mentre per cena non era necessario, visto che cucinavano insieme. Un grande tavolo sul retro che tiravano fuori dallo sgabuzzino per mangiare all'aperto nelle giornate calde, una veranda dove sedersi a rilassarsi, un camino con davanti un divano dove coccolarsi bevendo qualcosa di caldo nelle rigide serate d'inverno.
Ebbe il flash di quella casa dove passare il resto della vita con Feliciano, un sogno così bello e irrealizzabile da farlo sorridere.
-sì, Feliciano. Andiamo a casa.
-veeeee, Luddi, stai bene? Hai una faccia strana...
-sì, sì, tranquillo. Stavo solo pensando a... una cosa.
-veeee, Luddi, sai che bello se potessimo vivere insieme? Avremmo una grande casa in campagna, con un grande giardino, in estate tireremmo fuori un tavolo per mangiare fuori, ma ve, lo faresti tu perché non sono abbastanza forte, io porterei le sedie, e, vee, il fratellone e il fratellone Antonio vivrebbero vicino a noi e verrebbero a pranzo la domenica, o andremmo noi da loro, tu avresti uno studio tuo pieno di libri e io uno mio pieno di colori, avremmo una camera degli ospiti per tuo fratello, quando ci verrà a trovare, e tutta la casa profumerà di...
-fiordaliso e margherite.
-sì, ve! Mi hai letto nel pensiero. E poi a cena cucineremmo insieme la pasta e...
-pasta?
-sì, ve, la pasta.
-cosa... cos'è la pasta?
Feliciano si fermò e lo guardò scioccato.
-non sai cos'è la pasta?
Ludwig scosse la testa. Non aveva mai visto l'altro così serio, faceva quasi paura.
-ve, questo non va bene! Stasera te la faremo mangiare! Assolutamente.
-uhm, va bene...
-ve, andiamo, così aiuto il fratellone a cucinare e gli dico di fare la pasta. Non puoi non averla mai mangiata!
-ehm... va bene.
Mentre tornavano a casa (di Lovino, si dovette ricordare il tedesco), a Ludwig sorse una domanda spontanea.
-Feliciano?
-vee, dimmi Luddi.
-prima hai parlato di...- si guardò intorno, accertandosi che Lovino non fosse nei paraggi, nonostante fossero comunque abbastanza lontani dal negozio -di Antonio. Hai detto che lui e tuo fratello ci sarebbero venuti a trovare la domenica, o noi saremmo andati da loro.
-sì, ve, nel mio sogno lui è tornato e il fratellone è felice.
-sì ma l'hai detto con un tono... come se fossi certo che sarebbe tornato.
-ve, Luddi, non fare lo sciocco, certo che tornerà. Lo ha promesso.
-non ne sarei così sicuro, Feliciano. Ci sono cose che...
-ve, l'amore trova sempre un modo, Luddi. Sei tornato tu, perché il fratellone Antonio no?
-Feliciano, sono qui in vacanza, solo per un anno. Poi dovrò tornare a casa- "casa mia" si disse "la casa che dividerò con una donna di cui neanche so il nome". Sentì le lacrime pungergli la gola.
-però sei tornato- ribatté Feliciano, con un sorriso così puro, bello e devastante che l'altro appena si ricordò di respirare. Istintivamente, quasi per controllare che fosse davvero lì, l'italiano gli prese la mano -ora sei qui con me.
Aveva ragione. A chi importava del futuro? Ludwig aveva poco tempo, molto meno di quanto avrebbe voluto, da passare con Feliciano. Potevano fantasticare quanto volevano su una casa perfetta: non l'avrebbero mai avuta. Lo sapevano benissimo entrambi. Feliciano ci credeva, credeva davvero che un giorno avrebbero avuto il loro lieto fine, eppure, se anche fosse successo, nessuno garantiva loro che lo avrebbero avuto subito. Ma ora erano lì. Erano lì e dovevano godersi il tempo che avevano, il meglio possibile. Lì, tenendo per mano Feliciano, a Ludwig non importavano le conseguenze; non gli importava cosa avrebbe pensato la gente, anche perché per il momento era una stretta assolutamente platonica; non era importante cosa avrebbero pensato i suoi genitori, quando quella vacanza sarebbe finita, o chi avrebbe dovuto sposare dopo. L'unica cosa importante era Feliciano. Feliciano, con quel suo bel sorriso e quegli occhioni adorabili; Feliciano, che amava i gatti, la pasta e disegnare; Feliciano, che sembrava leggergli nel pensiero.
Importava solo Feliciano ed era giusto così.
Ludwig sorrise, sorrideva sempre quando c'era l'altro vicino a lui, e gli strinse la mano.
-hai ragione, Feliciano. Ora torniamo a casa, sono davvero curioso di assaggiare la pasta.

Alla fine, la pasta era davvero buona, anche se i due fratelli ne sembravano ossessionati.
Avevano cucinato abbastanza da sfamare un esercito, da quel che aveva capito avevano usato dei prodotti di scarto del negozio. Per fortuna Ludwig mangiava molto, altrimenti avrebbe fatto ingrassare i gatti del quartiere per tutti gli avanzi, che comunque c'erano stati, anche se pochi.
-mh, è avanzata della roba. Feli, fammi un favore, mentre lavo i piatti dividi gli avanzi che devi dare ai gatti da quello che si conserva.
-certo, fratellone.
-uhm, posso aiutare in qualche modo...- Lovino lo incenerì con lo sguardo.
-sei un ospite, stai seduto.
-va bene...
Dopo cena chiaccherarono un po', Feliciano gli fece vedere i suoi disegni e, quando andarono a dare da mangiare ai gatti, glieli presentò uno per uno e gli fece anche vedere il gatto che gli somigliava.
-oi, Feli, è meglio che accompagni il crucco a casa prima che si faccia troppo tardi. E torna presto, che mi fai stare in pensiero. Non parlare con gli sconosciuti e torna dritto a casa, mi raccomando.
-va bene, fratellone!- guardò Ludwig e gli porse la mano -andiamo?
Ludwig gliela prese con delicatezza. Aveva la mano così piccola in confronto alla sua che aveva quasi paura di rompergliela -andiamo.

Per tutto il tragitto, Feliciano parlò a macchinetta delle cose più svariate, dalle tipologie di pasta che conosceva, ai suoi gattini, a quella volta che aveva trovato una pietra a forma di cuore sulla spiaggia. Solo quando arrivarono sotto casa di Ludwig sembrò farsi serio. Lo accompagnò fin davanti alla porta d'ingresso, al secondo piano del palazzo ora silenzioso, esitando al momento di salutarlo.
-ve, Luddi...
-dimmi, Feliciano- anche Ludwig era in imbarazzo. Doveva stringergli la mano? Abbracciarlo? Baciarlo? Quanto era difficile interagire con le persone! E con Feliciano... no, decisamente non poteva permettersi di rovinare tutto.
-ecco io... volevo dirti che, ve... ricordo tutto della prima volta che ci siamo visti- gli si avvicinò, leggermente rosso in viso, le labbra che sembravano invitarlo a lasciarci un bacio -tutto quanto. Anche il...- lo sussurrò, spaventato che qualcuno potesse sentirlo e sempre più rosso sulle guance -il... insomma sì il... ve, il bacio.
Ludwig sentiva il viso rosso, la vicinanza con l'altro gli stava facendo girare la testa; sentiva lo stomaco in subbuglio, migliaia di farfalle che gli tormentavano le viscere, la mano sudata ancora stretta a quella sottile dell'altro.
-a-ah... sì...- deglutì -sì, ricordo anch'io.
Era troppo presto. Non si aspettava sarebbe accaduto così in fretta. Aveva bisogno di una pausa, un attimo per riprendersi. Era così inaspettato, così imprevedibile, così da Feliciano che avrebbe dovuto aspettarselo.
-e se, ve... se volessi, ehm, hai capito... cioé, per me va bene.
-m-mh...- Ludwig mugolò qualcosa, nel panico. Doveva baciarlo, era il momento giusto, ma non riusciva a trovare il coraggio e non sapeva dove andare a cercarlo -a-anche per me, sì insomma sono venuto qui a posta per... per te, perché ti... mi mancavi ecco, e speravo che...- ammutolì quando Feliciano, con un sorriso timido, gli si avvicinò ancora, mettendosi in punta di piedi e sfiorando il naso con il suo.
-Ludwig...- fu appena un sussurro, erano così vicini che l'altro lo udì comunque. Il suo profumo, il suo calore, il colore dei suoi occhi, quella vicinanza lo stava facendo impazzire. Ludwig chinò la testa per essere più vicino all'altro, lo sguardo incollato alle sue labbra, sottili e apparentemente così morbide. Sentiva le farfalle, maledette, che si agitavano sempre di più facendogli scaldare ancora di più le guance, ma sapeva di non poter dare la colpa a loro per quello che accadde dopo.
Lui e Feliciano si guardarono un'ultima volta negli occhi, con le guance rosse, prima di avvicinarsi ancora e incontrarsi finalmente in un bacio, che era completamente diverso dal primo che si erano scambiati tanti anni prima. Se quello era stato appena uno sfiorarsi innocente, questo era un qualcosa di giustamente più maturo, profondo; Ludwig gli prese il viso tra le mani e l'altro gli allacciò le braccia al collo per tirarselo più vicino. Erano vicini, c'era solo la stoffa dei giacconi a dividerli, ma andava bene così. Feliciano aveva le labbra morbide, sapevano ancora della pasta mangiata per cena. Così da vicino il tedesco riuscì a sentire ancora meglio il suo profumo, che aveva una lieve nota di mare, quasi impercettibile. Quel bacio aveva un non so che di affamato, bisognoso, quasi che ne avessero bisogno per respirare, quasi che non ne potessero fare a meno. Ludwig si sentiva come se non sapesse più niente, come se non ci fosse più niente, niente genitori, niente matrimoni, niente rischio di venire visti: tutto ciò che esisteva era Feliciano e la sua bocca sulla sua. C'era qualcosa, forse nel modo in cui le labbra di Feliciano si incastravano tra le sue, o nel modo in cui il suo corpo si stringeva al suo, oppure nel modo in cui sentiva le sue guance morbide contro le dita, o forse nel bacio in sé, nel fatto che gli venisse così naturale baciarlo e farsi baciare, nella serenità che sentiva nel farlo, nelle farfalle che si erano finalmente calmate, mentre il cuore batteva forte, o forse era qualcosa di più profondo e sentimentale, ma insomma c'era qualcosa, forse l'insieme di tutto ciò che ho elencato, che gli dava la sensazione che nessun altro bacio sarebbe stato all'altezza, se non uno con Feliciano. Ebbe la certezza assoluta che mai avrebbe amato altri che lui, come avrebbe potuto? Feliciano era tutto quello di cui potesse avere bisogno. Le responsabilità, le conseguenze, il solo misero anno a loro disposizione... tutto scomparso. Con un solo bacio, quel piccolo italiano dal ciuffo ribelle sembrava aver resettato completamente la sua esistenza, in un istante aveva cancellato diciannove anni di vita, lasciandolo nella pace più assoluta. Lo aveva rinchiuso in una bolla di tranquillità e amore, una bolla dove c'erano solo loro, una bolla dove potevano avere la loro casa di campagna, la loro camera da letto, il grande giardino, le ore passate a cucinare insieme, a stringersi davanti al fuoco in inverno o a mangiare all'aperto in estate, circondati dal profumo di margherite e fiordalisi.
Si allontanarono lentamente, restando comunque stretti l'uno all'altro. Si guardarono a lungo, per poi baciarsi ancora, anche se meno a lungo, perché Feliciano sembrò ricordarsi di una cosa.
-ve, Luddi, devo tornare a casa, o il fratellone mi uccide!- si allontanò da lui e corse via, lasciandolo lì, intontito, sulle scale, davanti alla porta ancora chiusa del suo appartamento. Poi tornò su, gli diede un rapido bacio a stampo e gli sorrise -ve, buonanotte Luddi, a domani. Vengo a prenderti per le dieci, va bene?- gli lasciò un bacio sulla guancia -a domani, ti amo Luddi.
E corse di nuovo via.
Forse vi sembrerà affrettato, ma basta fare un passo indietro per capire che non è affatto così. Partiamo dal dire che Feliciano era sempre stato molto espansivo e sincero e crescendo questa cosa non era affatto cambiata, ma anzi si era intensificata. Non si era mai fatto problemi a dire alle persone che amava ciò che provava, ripeteva a suo fratello quanto gli volesse bene almeno dieci volte al giorno e abbracciava sempre tutti indiscriminatamente. Inoltre, dopo i due mesi con Ludwig, aveva passato anni e anni a rivivere nella sua testa ogni istante passato con il piccolo tedesco, ad analizzarlo, a cercare di comprendere a pieno cosa fosse quel che aveva provato, cosa fosse stato. E ai ricordi dei racconti del Nonno, del modo in cui il fratellone Antonio e il fratellone si guardavano, della disperazione del fratellone, del suo "e così abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?" e soprattutto di quel bacio che sembrava, nonostante la sua dolcezza, essere stato marchiato a forza sulle sue labbra e nella sua memoria, finalmente una notte aveva realizzato a pieno che quel sentimento che aveva scambiato per una cotta era molto, molto di più. C'è quindi da stupirsi che abbia aspettato così tanto a dirglielo, in realtà. Quando si capisce qualcosa di importante, si ha voglia di gridarlo al mondo, di vantarsene, ancor di più quando si tratta di una cosa come l'amore, che chiunque tende a voler gridare ai quattro venti, e ancor di più quando si tratta di Feliciano, che grida ai quattro venti qualsiasi cosa. E così, nell'euforia per quel bacio finalmente dato e per avere di nuovo l'altro con sé, gli era scappato, quasi senza che se ne accorgesse. Se ne rese conto mentre tornava a casa, e sentì subito il viso arrossarsi, ma non se ne pentiva. Era Ludwig: se anche non avesse ricambiato, lo avrebbe amato comunque. Sperava sarebbe stato un momento magico quanto il loro primo vero bacio, ma alla fine andava bene anche così, era stata una cosa così spontanea e giusta che non poteva di certo lamentarsi.
Sorrise, si sentiva ancora quella felicità addosso, così come il suo profumo e le sue labbra e le sue mani e...
Affrettò il passo, doveva tornare a casa.

Angolo autrice:
E si parte con il botto! Mega capitolo in cui si parte in quarta, un po' per farmi perdonare del finale crudele della scorsa storia.
Spero vi sia piaciuto l'inizio di questa nuova storia, che vi anticipo già sarà più lunga rispetto all'altra, in cui succederà davvero di tutto ;)
Alla prossima settimana
Daly

 

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Capitolo 2
*** Notti insonni e momenti perfetti ***


Ludwig e Feliciano erano molto diversi.
Penso che a questo punto si fosse già capito, ma meglio puntualizzare.
Ludwig, per chi non lo ricordasse, era sempre stato un bambino molto solo. Feliciano era stato il suo primo e unico amico, forse qualcosa in più già da allora. In quei due mesi con lui aveva sperimentato, insieme all'amicizia, anche l'inizio di quel sentimento, ora così forte. Poi erano arrivati gli anni in accademia: i suoi volevano diventasse un importante generale e ce lo avevano sbattuto senza pensarci due volte; lì, non aveva trovato nessun cenno di dolcezza, solo rigida e ferrea disciplina. Probabilmente sarebbe diventato come volevano i suoi genitori, rigido e inflessibile, senza pietà né sentimenti, se non fosse stato per Feliciano; Feliciano, che era dolce, gentile, imprevedibile e adorabile. I ricordi, dolci e amari, lo tormentavano ogni notte, scaldandogli il viso e inumidendogli gli occhi. Se aveva mantenuto la sua umanità, era stato esclusivamente per lui. La sua memoria era diventata per Ludwig un'ancora di salvezza, tanto che rivederlo era stato come per noi è vedere un personaggio famoso dal vivo: è irreale vedere qualcuno da sempre relegato dietro uno schermo o nei ricordi davanti a te, un qualcosa di irreale e inaspettato. Certo, amava anche suo fratello, ma Gilbert aveva la sua vita, giustamente: Feliciano era tutto suo. Negli anni, quel fuoco che lo riscaldava dal cuore si era fossilizzato in un amore assoluto. Feliciano era semplicemente tutto per lui, tutto quello che importava, tutto quello che dava senso al mondo e a Ludwig di esistere. Ludwig non credeva in Dio, ma Feliciano era lì con lui ora, ed era dolce e gentile e bello e perfetto e tutto ciò che potesse desiderare. Non aveva bisogno di altro.
Feliciano invece era stato un bambino che aveva dovuto imparare a stringere amicizia in fretta. Viaggiava di continuo con il padre, quindi non aveva mai avuto un punto di riferimento stabile. Si faceva degli amici e li perdeva dopo poco, per lui quella era la normalità. Per un po' aveva trovato della stabilità in suo nonno, poi suo fratello era diventato il suo punto di riferimento per ogni cosa. Ma nonostante avesse avuto una figura più o meno stabile a cui riferirsi, di certo il resto della sua vita non lo era stato: dovevano cercarsi da mangiare ogni giorno, non avevano una casa, un tetto, un posto dove tornare, tutto ciò che avevano era l'altro, e anche Lovino non era stato di certo una figura stabile. Era giovane, di certo non era pronto per occuparsi di un fratellino, caratterialmente era tutto meno che sicuro: irascibile, permaloso, giovane, premuroso certo, ma incostante. Nonostante non fosse stato il miglior modello da seguire, comunque c'era sempre stato, aveva fatto del suo meglio e Feliciano lo amava per questo. Poi era arrivato Antonio, che li aveva accolti in casa sua e aveva dato loro un lavoro. Lì, il bambino aveva trovato un po' di tranquillità: una casa, dei pasti regolari e qualcosa da fare ogni giorno, finché non era arrivato Ludwig. Ludwig era stabile. Era saldo, preciso, sicuro, un'ancora che dava a Feliciano una sicurezza nuova, una calma che lo rilassava e lo faceva stare tranquillo. Aveva la voce salda, Ludwig, che con gli anni era diventata più bassa e profonda, ancora più rilassante nonostante i brividi che gli mandava lungo la schiena. Negli anni successivi aveva trovato una sorta di solidità: suo fratello lavorava in quel negozio, poi lo aveva ereditato e guadagnava piuttosto bene, ora avevano una casa, del cibo e una routine. Ma quando lo aveva baciato era subentrata una pace così assoluta che all'italiano era sembrato di respirare per la prima volta senza ansie, pressioni o cambiamenti improvvisi. A Feliciano piacevano i cambiamenti, ma aveva ogni tanto bisogno di un porto sicuro dove riposarsi. Quel porto era Ludwig, saldo come una roccia.
Ma una cosa in comune la avevano: quella notte, dopo quel bacio, nessuno dei due riuscì a chiudere occhio. Rimasero a rotolarsi nel letto, a girarsi e rigirarsi, con due sorrisi enormi, rivivendo quella scena migliaia di volte nella propria mente e desiderando ardentemente il giorno dopo per potersi stringere ancora.
Quando arrivò il mattino, entrambi avevano dormito sì e no due ore, ma Feliciano era comunque quasi saltato giù dal letto ed era corso a fare colazione non appena aveva sentito Lovino chiamarlo.
-Feli! Non correre- lo rimproverò suo fratello, passandogli i suoi soliti biscotti e un bicchiere di latte. Lovino lo squadrò con un sopracciglio inarcato -si può sapere quanto hai dormito? Hai due occhiaie tremende.
-veeee, non riuscivo a dormire.
-è per il crucco, vero?- con un sorrisino, Lovino si sedette davanti a lui -vi siete baciati?
A quella domanda si sentì arrossire, ma sorrise -vee, sì!
-sai che non mi piacciono i crucchi, né mi piace l'idea di essere imparentato con suo fratello- fece una pausa e gli strinse la mano da sopra il tavolo -ma se ti rende felice, non posso desiderare di meglio.
-veeeee, grazie fratellone.
-però...- si morse il labbro -stai attento a non affezionarti troppo.
-ve, fratellone, stai tranquillo- gli strinse la mano e sorrise -è diverso da... dall'altra volta. Lui era partito all'improvviso, ma ora so quando Luddi se ne andrà, posso godermi ogni momento al meglio e non avere rimpianti.
Lovino fece un sorriso amaro -io l'ho saputo una settimana prima e ha fatto male comunque, fa male ancora.
-vee, stai tranquillo fratellone. L'amore trova sempre un modo.
-e allora quanto cazzo ci vuole?!- sbottò l'altro, mentre una lacrima gli rigava il viso. Feliciano si alzò e andò ad abbracciarlo.
-ve, non lo so, ma prima o poi...
Lovino lo strinse e gli lasciò un bacio sulla fronte, poi lo lasciò andare -dai, Feli, mangia e vai dal crucco, o farai tardi. Sai come sono i crucchi: odiano il ritardo.
-ma fratellone...
-dovrebbe essere arrivata la posta, puoi andare a controllare per piacere?
-ve ma io...- Feliciano guardò il fratello, poi annuì -va bene, ve.
Lovino era sempre stato così, uno di quelli che si tengono dentro le cose. Odiava farsi vedere debole, soprattutto da Feliciano. Quando erano rimasti soli, lui si era assunto il compito del fratello maggiore: doveva essere forte per entrambi. Aveva cercato di essere un punto di riferimento e questo significava non mostrarsi né debole né umano. Crescendo Feliciano l'aveva capito, in fondo era molto più intelligente di quanto sembrasse e la sua forte empatia lo aveva sempre aiutato a capire bene le persone. Il fratellone doveva essere forte anche per lui, lo sapeva. Ci provava, e anche se non era perfetto faceva del suo meglio. Feliciano aveva sempre cercato di aiutarlo, di essere un bravo bambino, un bravo ragazzo, un bravo fratello. Per questo quella mattina, capendo che suo fratello aveva bisogno di sfogarsi e che non l'avrebbe mai potuto né voluto fare con lui nei paraggi, andò a prendere la posta senza protestare, mettendoci più del necessario. C'era una lettera scritta in tedesco da Gilbert, per lui e una per suo fratello da Antonio. Esitò, poi decise di leggere la lettera per sé per dare ancora un po' di tempo a suo fratello. Nella lettera, Gilbert gli chiedeva se Ludwig fosse già arrivato ( "e in caso contrario: SORPRESA! Sta per arrivare il tuo principe tedesco fin troppo cresciuto"), gli spiegava come avesse avuto l'indirizzo da Antonio, gli chiedeva di prendersi cura del suo fratellino e si raccomandava di stare attento, informandolo poi che sarebbe venuto a trovarli in primavera, quando avrebbe finito certi affari privati che "non ti racconto per non rovinare le tue povere orecchie innocenti", perché "il mio fratellino non-più-tanto-ino non può stare troppo tempo senza il Magnifico! Nessuno può stare troppo tempo senza il Magnifico!" e infine gli chiedeva di non dire a Ludwig di quella lettera, perché ne aveva mandata una anche a lui e sapeva che "a leggere che ti ho scritto di prenderti cura di lui mi ucciderebbe e sono troppo Magnifico per morire per mano del mio fratellino. Voglio qualcosa di migliore sulla mia lapide, la mia morte deve essere magnifica almeno quanto me!". Feliciano rise, Gilbert non era cambiato negli anni. Lentamente, raggiunse la cucina e bussò alla porta.
-vee, fratellone, posso entrare?
-sì sì vieni, non serve bussare- Feliciano entrò e gli passò la lettera.
-da Antonio.
-ah, era da un po' che il bastardo non si faceva vivo- cercava di non darlo a vedere, ma stringeva quella lettera come fosse oro -tu che hai lì?
-mi ha scritto Gilbert, il fratellone di Luddi. Ve, ha detto che verrà qui in primavera.
-due crucchi in una volta sola. Che gioia. Il bastardo lo sa?
-non lo so, ve, ma ha dato lui a Gilbert l'indirizzo.
-bene, quindi se lo uccido e butto il cadavere in mare non lo saprà.
-veee, fratellone, non si fa!
Lovino sbuffò e gli scompigliò i capelli divertito -che palle che sei, Feli.
Finita la colazione, Feliciano salutò il fratello con un bacio sulla guancia e corse a casa di Ludwig.
Arrivato salutò un'anziana signora che stava uscendo, corse per le scale, si diede una sistemata veloce e bussò alla porta. Ludwig aprì praticamente subito e lo fece entrare. Non appena si fu chiusa la porta Feliciano si mise in punta di piedi e lo baciò, aggrappandosi alle sue spalle ampie e solide.
Anche Ludwig aveva due occhiaie enormi. Si era svegliato presto, aveva fatto colazione con ciò che aveva trovato in casa, aveva letto la posta arrivata, una lettera dei suoi genitori e una di suo fratello, e poi aveva aspettato l'altro, senza riuscire a stare fermo. Aveva provato a distrarsi leggendo, ma continuava a perdere il filo, motivo per cui, non appena aveva sentito bussare, era scattato subito sull'attenti ed era corso ad aprire.
-veee, Luddi, mi sei mancato- gli disse Feliciano, stretto a lui.
-anche tu, Feliciano.
-ve, stanotte non ho praticamente dormito, sai Luddi?- lo baciò ancora, un bacio rapido, dolce -continuavo a pensare a...
-al bacio- concluse Ludwig, rivolgendogli un sorriso timido -neanche io ho dormito, o comunque ho dormito molto poco.
Feliciano aumentò il suo sorriso e si sporse a baciarlo ancora, ma in quel momento furono interrotti dal rumore di un tuono, così forte che l'italiano saltò addosso all'altro per lo spavento e si strinse al suo petto, tremando terrorizzato -ve! Luddi ho paura, tanta paura!
Il tedesco se lo strinse al petto, con un sorriso divertito e intenerito.
-tranquillo, Feliciano- disse piano, accarezzandogli la schiena e i capelli lentamente. Era così piccolo e fragile tra le sue mani, così tenero e adorabile... sembrava un bambino alla ricerca di rassicurazioni, o un gattino alla ricerca di coccole -va tutto bene, sei al sicuro.
-vee, Luddi... ve ti volevo portare in spiaggia! Però piove e ho paura dei temporali e ve non voglio uscire, possiamo restare qui finché ve non finisce ve?- parlava velocemente, inserendo ancora più ve del solito -ve, ti va bene Luddi? Scusa, ve, forse volevi uscire, ma ve ho paura e poi ve se prendiamo freddo poi ci ammaliamo e ve il fratellone mi costringe a ve restare a casa e ve non possiamo ve vederci per tanto tempo e ve...
-va bene, Feliciano, mi va benissimo. Hai ragione, meglio non ammalarsi- si chinò a baciarlo, poi si guardò intorno -uhm, hai freddo? In cucina c'è un camino, possiamo metterci lì per scaldarci, oppure sul mio letto, o uhm non so...
-veee, va bene il camino- si mise in punta di piedi e lo baciò ancora, con un sorriso.
-e, uhm, io...- balbettò qualcosa, stordito da tutti quei baci e rosso in viso, facendo ridere Feliciano -dovrei avere qualche coperta per...
-veee, Luddi, mi va bene tutto, tranquillo- lo baciò sulla guancia e si strinse a lui all'ennesimo tuono.
Come se non pesasse niente, perché in effetti pesava pochissimo, lo prese in braccio e lo portò fino in cucina, sedendosi su una sedia davanti al camino.
-veeeee, grazie Luddi!- Feliciano rise, si alzò e prese una coperta poggiata in un angolo, correndo e rifugiandosi da lui quando ci fu l'ennesimo tuono. Con un piccolo sorriso divertito, il biondo prese la coperta dalle sue mani tremanti e coprì se stesso e soprattutto Feliciano, ancora stretto con forza al suo petto.
-veeeee, mi piace restare così- si sistemò meglio tra le sue braccia, cercando una posizione comoda per entrambi, e sospirò, con la testa infilata nell'incavo del collo dell'altro; sentendo il suo fiato sul collo a Ludwig vennero i brividi.
-anche a me, Feliciano- prese ad accarezzargli la schiena, lentamente, per calmarlo, raggiungendo a volte i capelli.
-vee, Luddi- lo richiamò Feliciano dopo qualche minuto di silenzio -ti piace se faccio così?- e gli lasciò un piccolo bacio sulla pelle candida del collo. Un bacio leggero, appena percepibile, ma al tedesco vennero i brividi.
-e-ecco...- balbettò qualcosa, prima che un divertito Feliciano gli prendesse il viso tra le mani e lo baciasse di nuovo sulle labbra.
-vee, Luddi, la sai una cosa?- gli sussurrò sulla bocca con un sorriso dolce -ti amo tanto tanto.

Alla fine, quella posizione divenne scomoda. Così, dopo pranzo si spostarono sul letto del tedesco, che era decisamente troppo stretto per due persone, soprattutto quando uno dei due era Ludwig Macho Patato Beilschmidt. Non che importasse, anzi: Feliciano colse l'occasione di avvinghiarsi ancora di più all'altro, il freddo fu un'ottima scusa per fare il cosplay di un koala, come diremmo oggi.
Si accorsero che si era fatta sera solo perché lo stomaco di Feliciano brontolò verso l'ora di cena.
-oddio! Il fratellone mi ucciderà!- esclamò alzandosi, sentendo subito freddo, e infilando le scarpe di corsa. Fortunatamente, aveva smesso di piovere, anche se il cielo era ancora ingombro di nuvoloni.
-Feliciano, mi raccomando- Ludwig lo raggiunse e lo aiutò a infilarsi la giacca, per poi mettergli una sua sciarpa; era adorabile con quella indosso, notò, e Feliciano non commentò, ma gli stampò un bacio sulla guancia -stai attento, corri a casa. Se dovesse riprendere a piovere, riparati da qualche parte e aspetta che si calmi, e non correre o rischi di scivolare.
-ve, va bene Luddi- prima che aprisse la porta si scambiarono un altro bacio, più lungo -ve, sono tranquillo, se avessi paura ho la tua sciarpa a proteggermi!- e trotterellò via, dopo avergli dato un altro rapido bacio sulla guancia. Ludwig arrossì e chiuse la porta, sospirando innamorato.
Per tutta la sera rimase in ansia a controllare che non riprendesse a piovere, anche mentre si preparava una rapida cena, fino a quando non si disse che ormai Feliciano doveva essere arrivato a casa sano e salvo. Lesse un po' prima di andare a dormire, ma il pensiero fuggiva sempre all'italiano. Alla fine rinunciò e si mise a letto; sorrise sentendo che le coperte avevano l'odore di Feliciano e dormì sonni tranquilli e sereni tutta la notte.

Il giorno dopo splendeva il sole. Feliciano si svegliò con ancora la sciarpa dell'altro sul viso e quando vide che c'era bel tempo sorrise: quel giorno avrebbe portato Ludwig in spiaggia. Non per fare il bagno, era troppo freddo ormai, ma una passeggiata aveva tutta l'intenzione di farla. Si alzò, raggiunse suo fratello in cucina e gli stampò un bacio sulla guancia per il buongiorno.
-'giorno fratellone.
-'giorno Feli. Anche oggi vai dal crucco?
-sì, ve, visto che c'è bel tempo pensavo di portarlo a fare una passeggiata sulla spiaggia.
-che idea carina. Buttalo in acqua da parte mia.
Feliciano gli tirò uno schiaffetto sulla spalla, facendolo ridere -Lovi! Non è una cosa bella da dire!
Lovino alzò le spalle con un piccolo sorriso sarcastico -ops?
-vee, fratellone, ti volevo chiedere...
-dimmi.
-ecco, ve, non è che... una sera potrei andare a dormire da Luddi?
Lovino divenne di un bianco cadaverico -c-cosa?!
-ve, io...
-Feli, capisco che tu sia felice di averlo ritrovato e sia entusiasta ed emozionato per tutte queste novità tutte in una volta, ma...- fece una pausa, cercando le parole giuste.
-ma...?
-ma non dare il culo al primo crucco che passa!
-ma no, fratellone! Ci siamo baciati due giorni fa, non lo faremo così presto.
Lovino fece una faccia disgustata -non lo farete e basta.
-sì, sì, come vuoi- ma sottovoce, nascosto dalla tazza di latte, sussurrò un "per ora".
-comunque se vuoi va bene, ma qui, così posso tenervi d'occhio. E prima dobbiamo fare un discorsetto.
-l'abbiamo già fatto il discorsetto, fratellone.
-e allora lo rifaremo! Senti- gli prese le mani, serio come la morte -lo so che sei convinto di amare il crucco...
-ma io lo amo.
-è un crucco, Feli, sono il nemico.
-lo dicevi anche degli spagnoli, o sbaglio?- il maggiore arrossì -dai, fratellone, non generalizzare. Luddi è buono e gentile e mi ama.
-sì, sì, come vuoi. Ma! Vedi di non lasciarti guidare troppo dagli istinti. Avete ancora tempo. E soprattutto non devi farlo perché ti senti costretto. La castità è la più grande virtù, ricordalo sempre! Non lasciarti convincere, devi essere sicurissimo.
-ve, non so fratellone...- Feliciano si fece pensieroso, rigirando un biscotto caduto nel latte -ve, non ne abbiamo ancora parlato, Luddi è molto timido, quando l'ho baciato la prima volta è diventato tutto rosso, ve era adorabile! Però sono piuttosto sicuro di, ve, sai...- fece un gesto noncurante con la mano verso il fratello -volerlo fare, ecco. Soprattutto con lui, ve.
-Dio, Feli, non puoi dirmi certe cose. Ti ho praticamente visto nascere, cazzo, sentirti parlare così è un trauma.
-ma ve, che ho detto di male? È una cosa normale, ve, anche tu lo hai fatto...
-sì ma io sono più grande!
-avevi un anno più di me.
-un anno è un abisso enorme e incolmabile!
-vee, allora aspetterò di compiere vent'anni, tanto Luddi sarà ancora qui.
Lovino sbatté la testa contro il tavolo -dove ho sbagliato con te?! Perché non ritorni piccolo e innocente?
-veee, che intendi?
-che sei e rimarrai sempre il mio fratellino! Non posso sentirti parlare di cose del genere!- venne colto da un brivido -se penso a te che... ew, no, assolutamente no.
-ma ve, se avessi dei dubbi posso chiedere a te, ve?
-devi! E se il crucco facesse qualcosa che non vada...
-sì, sì, ve, devo venirtelo a dire- Feliciano roteò gli occhi.
-bravo!
Ripresero entrambi a mangiare, finché a Feliciano non venne in mente una cosa.
-vee, fratellone, posso chiederti una cosa?
-vai, dimmi.
-ve ma... fa tanto male? Cioé, so che lo fa, ma ne fa proprio tanto tanto?
Lovino sembrò pensarci, arrossendo lievemente -be', sì, fa male, ma...- assunse un'aria malinconica, un'espressione con cui Feliciano lo aveva visto spesso negli ultimi anni -se lo fai con la persona giusta e al momento giusto... nel senso... non ci pensi molto, perché è tutto così... bello e... cioé, hai capito no? Passa in secondo piano, ecco- fece una pausa -anche se poi ne giorni successivi fa un male boia.
-tanto male?
-eeeh, non lo so Feli, immagino dipenda da persona a persona. Sai che io sopporto male il dolore, no? E poi penso dipenda anche dal... ehm... dall'altro, ecco. C'è chi è più delicato e chi meno, credo. E poi anche le, uhm, le... hai capito.
-vee, fratellone, tu l'hai fatto solo con il fratellone Antonio?
-e certo, Feli. Tu potresti mai farlo con qualcuno a parte il crucco?- il minore scosse la testa -appunto.
-e lui...?
-da quel che so, no. Mi fido, ma se scoprissi il contrario...- fece una faccia scura -la pagherebbe cara, molto ma molto cara- fece una pausa, scosse la testa per allontanare il pensiero e tornò normale -ma comunque, non è neanche detto che sia tu a stare sotto. Chissà. Se facessi male a quel crucco mi renderesti molto fiero.
-fratellone!
-e va bene, non ti dirò più di far soffrire il crucco- finì il suo caffé tutto ad un fiato, si alzò mettendo la tazzina tra le cose da lavare e tornò a guardare Feliciano -a proposito, il bastardo ti saluta e ti augura buona fortuna con il crucco- brontolò qualcosa tra i denti.
-veee, ringrazialo tanto. Che ti ha detto? Va tutto bene laggiù?
Lovino alzò le spalle -le solite cose. Gli manco, lì si annoia, vorrebbe tornare eccetera eccetera.
-ve, allora perché non torna?
Lovino fece un mezzo sorriso, un sorriso amaro -perché è un codardo. Ha paura delle conseguenze- alzò le spalle -abbiamo entrambi troppo da perdere. Io non posso andare da lui, sia perché non ho i soldi, sia perché lì non avrei niente da fare e soprattutto perché non posso lasciarti qui, non potrei portarti con me e neanche lo vorrei. Lui non può venire qui perché lì ha da fare e non vuole deludere la sua famiglia. Potrebbe tornare in Spagna e trovare una scusa per venire qui, per una vacanza o che ne so, ma se tornasse sua madre lo obbligherebbe a sposarsi. E quindi siamo bloccati in questa situazione di merda.
Era la prima volta che parlava così apertamente a Feliciano. Di solito, appena si accennava all'argomento, Lovino si chiudeva a riccio e diceva il meno possibile. Non lo nominava neanche, lo chiamava "il bastardo" o con un generico "lui", come se chiamandolo direttamente richiamasse a sé anche tutta la tristezza. Anche Feliciano cercava di dire e parlare di Antonio il meno possibile, per non intristire troppo suo fratello. Aveva imparato quando chiedere e quando no: i giorni migliori erano quelli subito dopo l'arrivo di una nuova lettera, perché con quelle Lovino sembrava sentire meno la lontananza, quasi che leggere le parole dell'altro gli desse la sensazione di averlo vicino.
-per quanto riguarda il crucco, va bene, invitalo pure qui, ma solo a dormire. Se vi venissero strane idee, ricorda che ho la camera affianco alla tua e le pareti sono sottili- gli baciò la fronte -vado ad aprire il negozio. Torna per cena, crucco o meno.
-ve, va bene fratellone.
-ti lascio la settimana libera, ma poi qualche volta vienimi ad aiutare, d'accordo? Magari al mattino, c'è più gente e ho bisogno di una mano per sistemare. Poi al pomeriggio sta' pure col crucco.
-veee, grazie fratellone!- Feliciano lo abbracciò forte, sorridendo.
-sì, sì, prego- gli diede un paio di pacche sulle spalle -ora mollami, devo andare.
-vee, va bene- Feliciano tornò al suo posto, finì di fare colazione e andò da Ludwig.

Il negozio di Lovino era di medie dimensioni; un tempo era un forno, ma lo avevano trasformato in un qualcosa di simile ai supermercati odierni; vendevano un po' di tutto, principalmente alimentari. Ogni domenica mattina, inoltre, i due fratelli si alzavano all'alba per preparare del pane, del quale parte veniva venduta e parte tenevano per sé. In fondo al negozio, dietro al bancone, c'era una scala che portava al loro piccolo appartamento; affianco alla scala c'era la porta che portava nel vicoletto sul retro dove il più giovane dava da mangiare ai gatti.
Quella mattina, come ogni altro giorno, Feliciano trotterellò giù dalla scala, dove suo fratello stava chiaccherando con Giuseppe, un vecchio pescatore che andava ogni settimana da loro a comprare da mangiare e a volte regalava loro qualche pesce.
-ciao, Giuseppe!
-Feli!- lo abbracciò e gli scompigliò i capelli con affetto -stavo giusto parlando con tuo fratello. Lo sai che gli spagnoli vogliono riavere questo posto?
-veee? Davvero?
-pare stiano cercando di riprendersi qualcosa, Sicilia e Sardegna tipo, e ai crucchi questo non è piaciuto per niente; ma di più non so. Ah! A questi imperi non va mai bene niente. Hanno le Americhe, o almeno una parte, di che altro hanno bisogno?
-sempre meglio gli spagnoli dei crucchi.
-su questo ti do ragione. Sono senza emozioni, quelli. Fanno quasi paura.
-vee, non è vero! Un mio amico è tedesco, anche se non è austriaco, viene dalla Prussia- si fece pensieroso -o forse dal Sacro Romano Impero... non ricordo bene.
-i crucchi sono crucchi- replicò Lovino. Giuseppe concordò con un cenno.
-vee, ma Luddi è Luddi. Lui è gentile e forte e mi vuole bene.
Giuseppe alzò le spalle -lo voglio proprio conoscere, un crucco che prova sentimenti.
-veee, ma anche il fratellone di Luddi prova sentimenti.
-lui è il crucco irritante- replicò Lovino -il tuo "Luddi" è il crucco pompato.
-Lovi!
Giuseppe scoppiò a ridere -be', ragazzi, vi saluto. Alla prossima- fece un cenno di saluto a Lovino, scompigliò i capelli a Feliciano e se ne andò.
Feliciano diede un bacio sulla guancia a suo fratello -vee, vado.
-mi raccomando, torna prima che sia ora di cena, così saprò se preparare anche per il crucco o no.
-ve, va bene fratellone- saltellando allegro, Feliciano uscì dal negozio e andò a casa di Ludwig.

-ve, ve, Luddi, oggi che c'è il sole ti va di andare a fare una passeggiata in spiaggia?- glielo chiese subito, non appena il tedesco gli ebbe aperto la porta. Ludwig sorrise divertito facendolo entrare.
-va bene, Feliciano- chiuse la porta alle sue spalle, lo attirò a sé e lo baciò. Quando si allontanarono, Feliciano rise, allacciando le braccia intorno al suo collo.
-come mai tutto questo entusiasmo?- si strinse ancora di più a lui e lo abbracciò. Ludwig mugugnò seppellendo il viso contro la sua spalla.
-mi mancavi- rispose infine, stringendo forte l'altro tra le braccia. Feliciano ridacchiò. Ludwig, alto, forte e muscoloso, in quel momento sembrava un grande orsacchiotto bisognoso di coccole -vee, Luddi, stasera ti va di venire a dormire da me?
A quella domanda, il tedesco divenne di dieci tonalità diverse di rosso. Feliciano come artista poteva ben dirlo, visto che le riconobbe tutte.
-cosa...- si schiarì la voce, allontanandosi da Feliciano senza riuscire a guardarlo negli occhi -cosa intendi?
-vee, voglio dormire abbracciato a te, Luddi!- si mise in punta di piedi e gli stampò un bacio sulla guancia; si ritrovò a pensare a quanto lo stesso gesto potesse essere diverso. Poco prima, aveva dato un bacio sulla guancia a suo fratello per salutarlo, ora lo stava dando a Ludwig. Amava suo fratello e amava anche Ludwig, ma in modi così diversi che si stupì quei due sentimenti fossero comunque chiamati amore. Strinse la mano al suo ragazzo -non ti va, Luddi?
-oh...- Ludwig si rilassò, stringendogli a sua volta la mano -sì, certo che mi va.
-veeee, e poi mio fratello ha la stanza accanto alla mia, l'amore dovremo farlo qui, ma per quello avremo tempo.
Questa volta, il viso del tedesco raggiunse una tonalità di rosso che neanche Feliciano seppe identificare.

Alla fine, dopo che Ludwig si fu calmato, andarono in spiaggia, portandosi dietro il necessario per un picnic. Camminarono tutto il tempo mano nella mano. Feliciano non si fece problemi a prendergliela in pubblico, così come non si faceva problemi a prenderla a suo fratello o, in generale, a chi volesse bene; qualsiasi suo amico lo avrebbe potuto confermare: era fatto così, cercava perennemente un qualche tipo di contatto fisico, per assicurarsi che l'altra persona fosse con lui. Con Ludwig era una situazione ben diversa, ma nessuno, a una prima occhiata, avrebbe potuto intuirlo, e in fondo non è che importasse a qualcuno. Lì, in pieno centro, Napoli era così affollata che nessuno prestava attenzione ai due, e chi l'avesse fatto avrebbe giustificato quelle mani strette con una necessità di non perdersi nella folla, il che era vero, ma solo in parte. In realtà Feliciano gli aveva preso la mano perché voleva, aveva bisogno di sentirlo vicino, non riusciva a non sfiorarlo, almeno in un punto, voleva stringerlo forte a sé il più possibile e anche per non perderlo nella folla.
Quando arrivarono in una zona meno affollata, però, Feliciano fu costretto a mollargli la mano per non insospettire qualcuno, tuttavia si strinse al suo fianco e gli sorrise quando le loro spalle si sfiorarono.
-vee, Luddi, c'è un posto nascosto sulla spiaggia che conosciamo solo io e il fratellone e dove non va più nessuno. Lì ci sarà più...- stava per dire intimità, ma si corresse prima -tranquillità.
-va bene, Feliciano- Ludwig ricambiò il sorriso. A Feliciano piaceva il sorriso di Ludwig. Era piccolo, quasi invisibile, e il fatto di essere il solo a notarlo e a godere di uno spettacolo simile lo faceva sentire importante e speciale e gli faceva venire tanta voglia di baciare l'altro. Affrettò il passo, non vedeva l'ora di essere lì e baciarlo ancora.
Raggiunsero la spiaggia, ma Feliciano non si soffermò neanche un istante lì e Ludwig si limitò a seguirlo, guardandosi intorno. Non era particolarmente affollata, ma c'erano diversi pescatori e alcuni bambini che giocavano a prendersi. Sorrise, ricordando quando lui e Feliciano erano piccoli e l'italiano si intrufolava nel suo letto perché aveva qualche incubo.
Alla fine il castano si arrampicò su alcuni scogli, aiutando poi l'altro a fare lo stesso.
-stai attento- gli ricordò Ludwig, prendendogli la mano per impedire che cadesse.
-ve, Luddi, sembri mio fratello!- l'italiano rise, arrampicandosi fino in cima e allontanandosi da Ludwig che, non abituato, faceva fatica a stargli dietro. Una volta in cima, Feliciano scese giù, scomparendo alla vista, Ludwig sentì subito l'ansia assalirlo e si affrettò a raggiungerlo. Quando arrivò in cima, vide che c'erano una discesa e in fondo c'era una zona di spiaggia, costeggiata da tre lati da scogli e dal quarto dal mare. Sembrava che qualcuno avesse sistemato gli scogli lì di proposito per ritagliare quel rettangolo solo per loro, un miracolo o un dono di Nettuno.
Lì, immerso nel mare fino alle caviglie, c'era Feliciano, che lo chiamava agitando la mano. Il tedesco si affrettò a raggiungerlo.
-ve, ve, Luddi vieni qui, l'acqua è un po' fredda ma si sta bene- l'italiano uscì dall'acqua per corrergli incontro e Ludwig si affrettò ad abbracciarlo.
-ve, Luddi, tutto bene...?
-non sparire così! Mi hai fatto preoccupare.
Feliciano sorrise intenerito e ricambiò la stretta -ve, scusa Luddi, non lo farò più- si sporse e lo baciò, con un ampio sorriso sulle labbra. Era tutto perfetto. Il sole, il mare, la brezza che gli spettinava i capelli, la sabbia che gli accarezzava i piedi, quel bacio e soprattutto era perfetto Ludwig, alto, forte, premuroso e solo suo. Sembrava quasi che Dio avesse ritagliato quell'angolo di spiaggia e quel momento solo per loro, come ricompensa per gli anni passati separati e per il poco tempo a loro concesso. Per tutto quello che avevano e avrebbero passato, un momento perfetto come quello sembrava il minimo, la minima ricompensa, tuttavia Feliciano era fiducioso. L'amore avrebbe trovato un modo, Feliciano avrebbe fatto in modo che fosse così. Lo avrebbe trovato per suo fratello e Antonio, per Gilbert e il suo amante, per tutti gli amanti del mondo, anche per lui e Ludwig. Lo avrebbe fatto affinché, un giorno, forse persino in un'altra vita o in Paradiso, tutti gli innamorati potessero amarsi senza nascondersi e senza vergogna, perché momenti così perfetti meritavano di essere condivisi con il mondo. L'amore era una cosa bellissima, e le cose bellissime andavano condivise, raccontate e sperimentate da tutti coloro lo volessero. Perché lui e Ludwig si dovevano nascondere? Perché loro non potevano sposarsi e vivere insieme, mentre coppie di persone che neanche si conoscevano erano costrette a farlo? Perché Ludwig avrebbe dovuto sposare una donna che nemmeno conosceva, ma non poteva sposarsi con chi amava davvero? Perché una cosa bella come il matrimonio per quasi tutti era diventato più un dovere che un piacere? Perché Feliciano, Ludwig, Lovino, Antonio, Gilbert, perché tutti loro e tutti quelli come loro non potevano essere felici e mostrarsi al mondo per come erano? Perché dovevano soffire? Dio non voleva la sofferenza, non voleva che le brave persone soffrissero. Feliciano era sempre stato buono: andava a messa ogni domenica, rispettava ogni festa, aiutava quando poteva i poveri, si era sempre comportato al meglio, e anche Ludwig, sebbene non credesse in Dio, era una brava persona. Allora perché tutto quel dolore? Perché dovevano nascondersi? Perché anche quel momento perfetto era destinato a finire?
Feliciano si rifiutava di credere che Dio fosse così crudele. Se ci avesse creduto, se si fosse arreso a un'idea simile, sarebbe crollato. No, ci doveva essere un piano in tutto quello. Alla fine, lui e Ludwig si sarebbero ritrovati, in qualche modo, forse in un'altra vita, forse no, ma prima o poi sarebbe successo. Prima o poi quei momenti perfetti sarebbero stati all'ordine del giorno, prima o poi avrebbero avuto la casa che sognavano, prima o poi avrebbe rivisto suo fratello felice di nuovo, prima o poi Feliciano avrebbe avuto la certezza di risvegliarsi ogni giorno tra le braccia dell'altro, prima o poi... prima o poi sarebbe andato tutto bene.
-vee...- Feliciano si allontanò dall'altro e sorrise. Ludwig arrrossì.
-Feliciano, io...- si schiarì la voce -io ti... ti amo, Feliciano.
Feliciano sorrise se possibile ancora di più e gli saltò al collo, baciandolo ancora e ripetendogli dei "ti amo anch'io" sussurrati direttamente sulle labbra.
Quello era davvero un momento perfetto e Feliciano era sicuro che ce ne sarebbero stati altri, prima o poi, che sarebbero diventati la normalità.

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Capitolo 3
*** Occhi brillanti e prime carezze ***


-oi, Feli. Mi raccomando, tenetevi addosso i pantaloni.
Dopo il pomeriggio in spiaggia erano andati a casa di Feliciano, non appena il sole aveva cominciato a tramontare, e dopo cena Lovino aveva preso da parte il fratellino per fargli le solite raccomandazioni.
-se il crucco...
-sì, sì, ve, se non tiene le mani a posto devo urlare e chiamarti.
-bravo. Ricordati che dormo nella stanza affianco, sento tutto quanto.
Feliciano roteò gli occhi divertito -va bene, fratellone- gli lasciò un bacio sulla guancia e tornò da Ludwig.
-ao, crucco demmerda- lo richiamò in napoletano, in modo che non capisse l'insulto, poi parlò in spagnolo -vedi di tenere le mani a posto, ben lontane da Feliciano. Ci siamo capiti? Altrimenti ricordati che in cucina ho dei coltelli e nessuna paura di usarli.
Ludwig deglutì e annuì più volte.
-molto bene. Ora andate, e parlate piano, che voglio dormire.
Con un sorriso, Feliciano trascinò il suo ragazzo in camera sua. L'appartamento di Lovino e Feliciano non era particolarmente grande. L'ingresso era relativamente ampio, subito davanti c'era un piccolo salotto che fungeva anche da sala da pranzo, con una porta che conduceva a un piccolo corridoio con solo due porte, bagno e cucina. Affianco alla porta del salotto c'era un altro corridoio, dove c'erano le due camere da letto, la prima quella di Lovino, la seconda quella di Feliciano, seguita da una terza porticina, che Ludwig pensò fosse uno sgabuzzino o qualcosa di simile.
Il piccolo italiano prese Ludwig per mano e lo trascinò nella sua camera; era piuttosto piccola, ma molto accogliente. C'era una finestra dal lato opposto alla porta, e lì sotto un letto. C'era poi un armadio affianco alla porta e una piccola scrivania ricoperta di fogli, taccuini, matite e colori di ogni genere. Infine le pareti, in mattoni, erano ricoperte di fogli con schizzi, disegni, ritratti, alcuni anche colorati. Ludwig notò che aveva appeso di fronte al letto un ritratto di suo fratello, uno di Antonio e uno di lui da bambino. Altri fogli erano sparsi un po' ovunque in giro, e Ludwig fece molta attenzione a non pestare nulla. Di fronte al letto, seminascosto dall'armadio, c'era un cavalletto, palesemente di seconda mano, su cui era posata una tela ancora bianca, leggermente rovinata.
-ve, Luddi, scusa per il disordine- Feliciano scostò alcuni fogli dal letto e ci si sedette, invitandolo a fare lo stesso -vee, ti volevo chiedere una cosa...- sembrava imbarazzato. Ludwig gli accarezzò i capelli intenerito e si sistemò accanto a lui.
-dimmi pure.
-ti andrebbe di... di farmi da modello per un disegno?
-oh, ehm... certo, nessun problema.
-vee, grazie Luddi!- lo abbracciò di slancio, stampandogli un bacio sulla tempia -ve, vedi, lì in alto ho appeso tutti i disegni delle persone che amo di più- indicò l'angolo che Ludwig aveva già notato -così quando mi sveglio come prima cosa vedo loro. Ne ho messo anche uno di te da piccolo, ma ne volevo mettere anche uno di te ora. E poi mi piace disegnarti.
-va bene- gli venne un'idea -Feliciano, che ne dici di farmi un tuo autoritratto? Così avrò un tuo disegno da portarmi in giro quando siamo separati.
Feliciano si fece pensieroso -ve, non lo so, Luddi. Non amo farmi autoritratti, è scomodo usare uno specchio ve, almeno per me, e poi mi piace ritrarre le cose che amo. Mi sembra egoistico dipingere me stesso, ve, capisci? E poi non ce n'è bisogno, siamo insieme ora- lo baciò con un sorriso -però se ci tieni posso provarci, ve.
Ludwig arrossì -no, tranquillo, se non ti va non importa. E poi hai ragione, ora siamo insieme.
Feliciano gli sorrise, e tutto il resto passò in secondo piano.

Ludwig quella sera scoprì due cose di vitale importanza. Primo, fare da modello era una noia mortale.
Feliciano lo aveva fatto sedere sulla sedia vicino alla scrivania e gli aveva chiesto di mettersi a leggere qualcosa.
-perché?
-mi piaci quando leggi, ve, ti si illuminano gli occhi.
Così, leggermente rosso per il complimento, Ludwig aveva preso un libro- sì, continuava a portarsi dietro un libro ovunque andasse- e si era messo a leggere; Feliciano era rimasto in silenzio tutto il tempo, immerso nel suo mondo, se non giusto per dirgli di girarsi leggermente o intimargli di restare fermo. All'inizio era stato piacevole, Ludwig amava leggere e il rumore della matita sulla carta era parecchio rilassante; il problema era arrivato quando Feliciano si era messo a disegnare le mani, quindi gli aveva chiesto di tenerle immobili e non cambiare pagina per un po'. Ludwig aveva annuito, ma dopo aver letto per sei volte le stesse cose aveva cominciato ad annoiarsi. Alla fine aveva puntato lo sguardo su Feliciano, e così aveva scoperto la seconda cosa di vitale importanza: quando dipingeva Feliciano era a dir poco meraviglioso. Non sorrideva, ma era come se lo facesse. Era concentrato al massimo, sembrava in un mondo a sé stante. Ludwig prima non aveva capito davvero cosa intendesse con "ti brillano gli occhi", ma ora, vedendo Feliciano dipingere, lo capì. Anche a lui brillavano, era assolutamente immerso nel fare ciò che amava, ed era così bello e Ludwig sentì il cuore mancare qualche battito. Avrebbe potuto il resto della vita a osservarlo, era l'opera d'arte più bella del, suo, mondo.
-Luddi, puoi riprendere a leggere per favore?- aveva un tono pratico, secco, non aveva neanche usato il suo solito ve. Ludwig annuì e a fatica distolse lo sguardo, tornando a leggere, nonostante continuasse a lanciare occhiate di soppiatto all'altro.
Dopo un'ora Feliciano finì la bozza.
-posso vederlo?- Ludwig si alzò e si stiracchiò, attirando l'attenzione di Feliciano.
-ve, no è solo la bozza, devo perfezionarlo e finirlo.
Sbuffò e tornò a sedersi accanto a lui -va bene, ma quando lo avrai finito me lo farai vedere.
Feliciano sorrise e lo baciò -va bene, Luddi- si alzò, sistemò il materiale usato e il disegno in un cassetto della scrivania e tornò a sedersi, solo che questa volta si sedette direttamente in braccio a Ludwig, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo con un piccolo sorriso soddisfatto.
-grazie- glielo sussurrò direttamente sulla bocca, lasciandogli poi un bacio sulla guancia e alzandosi -vee, ci vestiamo per la notte?
E Ludwig pensò che avrebbe potuto anche passare ore e ore fermo a posare, per un sorriso del genere.
-va bene, vado in bagno o...- Feliciano si sfilò la maglia e il nostro teutonico Ludwig si sentì morire -Feliciano!- si coprì la faccia con le mani, come una pudica fanciulla.
-ve, cosa c'è, Luddi?- si voltò verso di lui e il tedesco si premette di più le mani sul viso, sforzandosi di non guardare -ve, sei tutto rosso, Luddi! Sei adorabile. Ve, perché sei tutto rosso?
-Feliciano sei...- deglutì -tuo fratello mi ucciderà.
Feliciano sembrò capire -ve, ti sei imbarazzato perché mi sono tolto la maglietta? Vee, che carino! Ma non preoccuparti, guarda pure, ve, non mi offendo- gli prese le mani e con delicatezza gliele scostò dal viso. Ludwig lo guardò negli occhi, sforzandosi di non abbassare lo sguardo, ma in fondo... be', era pur sempre un essere umano. Il ventre di Feliciano era piatto, con qualche lieve accenno di muscoli; aveva la pelle pallida a confronto con quella di Lovino, ma quando Ludwig gli accarezzò lievemente il petto, la sua mano era comunque più bianca. Feliciano trattenne il fiato e immerse le mani tra i suoi capelli, stringendolo a sé.
-vee...- mormorò qualcosa in una lingua che Ludwig non conosceva e si chinò a baciarlo; istintivamente, il tedesco gli circondò la schiena con le braccia, sentendo la pelle bollente a contatto con la sua; sentì chiaramente Feliciano rabbrividire contro le sue mani. L'italiano si allontanò dalla sua bocca e sorrise -vee, mi piace- lo baciò a stampo -mi piace sentire le tue mani su di me, fallo più spesso- e lo baciò ancora, stringendosi a lui, e Ludwig si sentì morire, soprattutto quando l'altro gli morse per gioco il labbro.
-ve, sei ancora più rosso- ridacchiò, allontanandosi e prendendo dall'armadio una vecchia maglia sformata troppo grande per lui; quando se la mise, Ludwig non poté non notare quanto fosse adorabile -va meglio?
Ancora rosso, Ludwig annuì. Si era portato dietro una borsa con un cambio per dormire, così si alzò e la prese. Guardò Feliciano, imbarazzato; quello fece spallucce.
-per me non c'è problema- e, come a riprova di ciò che aveva appena detto, si sfilò anche i pantaloni, e Ludwig si ritrovò a benedire/maledire la maglia troppo grande, che lo copriva fino alle ginocchia, per poi sostituirli con un altro paio, anch'essi vecchi e rovinati. Con il volto paonazzo, Ludwig si sbottonò la camicia e la sistemò nella borsa, ben piegata, sentendo lo sguardo dell'altro su di sé; si infilò la maglia di ricambio e fece lo stesso con i pantaloni, piegando il tutto meticolosamente (cosa che l'italiano non aveva fatto, limitandosi a infilare tutto alla rinfusa nell'armadio). Non appena ebbe finito, Feliciano fu di nuovo seduto sul suo grembo, a baciarlo.
-vee, Luddi, ti amo tanto- si allontanò giusto il tempo di dirglielo, poi si fiondò di nuovo a baciarlo, senza dargli il tempo di rispondere che sì, anche lui lo amava, tantissimo. Ludwig lo strinse, accarezzandogli i fianchi da sotto il tessuto della maglietta. Avrebbe avuto tutto il tempo di dirglielo, quella notte sarebbe stata solo per loro.
In pochi minuti finirono sdraiati sul piccolo letto, abbracciati, a scambiarsi dolci baci e leggere carezze. Piano piano, presero sempre più confidenza con il contatto fisico, l'imbarazzo iniziale nel sentire la pelle dell'altro così a contatto, così nuda contro alle proprie mani, svanì, sostituito dalla titubante sicurezza di chi prova cose nuove e è davvero curioso, ma è pronto a ritirarsi al minimo accenno contrario. Si scoprirono lentamente, con piccoli baci e carezze timide, ed era così bello che entrambi, quando ormai era notte fonda, si addormentarono con il sorriso.

-vee, Luddi, sai cosa mi è venuto in mente?- gli chiese all'improvviso Feliciano. Erano passati due mesi, due mesi bellissimi, e alle tiepide giornate di metà autunno si era sostituito il freddo polare che preannunciava il Natale. Era una bella giornata, così avevano deciso di uscire per comprare alcuni regali di Natale; Feliciano aveva comprato per suo fratello un paio di guanti da giardinaggio, visto che lo aveva sentito lamentarsi del fatto che, quando si occupava dei suoi pomodori, poi si ritrovava sempre le unghie piene di terra, mentre Ludwig aveva comprato per suo fratello una statuina di terracotta a forma di canarino; per i suoi genitori non prese nulla, sapeva che non apprezzavano né i regali né festeggiamenti eccessivi; da piccolo, gli unici regali ricevuti erano sempre stati quelli di Gilbert, che gli portava di nascosto dei libri nuovi, e in cambio lui gli reggeva il gioco quando raccontava qualche bugia ai loro genitori. Con gli anni era diventata una loro tradizione personale quella di farsi regali di Natale, non per la festa in sé, ma come rito loro. A Feliciano avrebbe regalato un cavalletto nuovo, mentre l'italiano gli avrebbe fatto un disegno di loro due, sulla spiaggia. Dopo aver preso i regali, visto che c'era ancora abbastanza luce, erano andati a fare una passeggiata, allontanandosi dalle vie più affollate e limitandosi alle zone più nascoste, ai posti deserti che conosceva solo Feliciano. Ora stavano passeggiando in una piccola piazza, con al centro una fontana che l'italiano aveva insistito Ludwig vedesse. Sulla fontana, c'era una statua di due figure che si abbracciavano e a Feliciano piaceva perché, con il passare degli anni, i volti dei due innamorati si erano rovinati, e così i corpi, tanto che non si capiva quale fosse il loro genere.
-cosa, Feliciano?- si voltò a guardarlo, sorridendo lievemente. Feliciano era infagottato in un pesante cappotto, con le mani guantate reggeva un dolce che avevano comprato a un banchetto poco più indietro. Era adorabile mentre osservava la statua con occhi attenti.
-una storia che mi raccontava il Nonno. Sai, ve, gli piaceva raccontarci, a me e al fratellone, storie della buona notte, ma non solo la sera. A ogni domanda che gli facessimo, rispondeva con qualche storia, per lo più proveniente dal mondo classico.
-era istruito- commentò Ludwig -doveva essere di famiglia nobile. Com'è possibile che...
-ve, non lo so- l'italiano si strinse nelle spalle mangiando un pezzo del dolce, prima di continuare -me lo sono chiesto anch'io, insomma- gesticolò un po' con la mano libera -aveva una grande casa, con una libreria enorme piena di libri in latino e greco. Ve, ce ne aveva anche insegnato un po', prima di...- fece una pausa e scosse la testa -ve, insomma, perché io e Lovi ci siamo ritrovati per strada? Una casa la avevamo. Però non so che fine abbia fatto tutta la roba del Nonno. Lovi ha conservato qualche libro, ha detto che ci era rimasto solo quello. Quando gli ho chiesto dove fosse finito tutto, ha detto di non saperlo, e lo sai com'è fatto il fratellone: se non vuole dire qualcosa, se la porterà nella tomba, quindi dopo poco ho smesso di chiedere.
-questo non...- stava per dire che non aveva senso, ma Feliciano lo interruppe.
-vee, ti stavo dicendo che mi è tornata in mente una delle storie del Nonno. A lui piacevano tanto le storie d'amore, ve, sai Luddi? Ci ha letto alcune parti del Simposio, censurandole ovviamente, mi tornato in mente un racconto.
-cioé?
-all'inizio dei tempi, quando gli umani furono creati, avevano quattro braccia, quattro gambe, due teste... insomma, erano due persone unite. Ma Giove, o forse sarebbe meglio chiamarlo Zeus, aveva paura di loro- Feliciano teneva gli occhi puntati sulla statua mentre raccontava, ed era così immerso nel racconto che persino il suo tipico ve era scomparso -temeva diventassero troppo potenti e lo spodestassero. Così li divise in due, come siamo noi ora, e da allora ogni persona cerca la sua anima gemella, per ricongiungersi- fece una pausa -il Nonno ne aveva una sua versione. Sosteneva che non tutti avessero bisogno di un'anima gemella, o che ne avessero solo una. Diceva che... che tutti ne abbiamo almeno una, sì, ma che in alcuni casi si tratta solo di amore platonico, o di amicizia, ma un'amicizia così forte da essere inspezzabile. Secondo lui, dopo tanti anni e tanti miscugli tra anime gemelle e non, abbiamo tutti un pezzetto di anima gemella mischiato con altri, perché siamo il risultato di un miscuglio di sangue, quindi ormai le anime gemelle sono andate perse- spostò lo sguardo verso Ludwig e sorrise -ma, in certi casi, il sangue crea delle combinazioni strane, per cui nascono due nuove anime gemelle. Altre coppie lo sono in parte, per metà, o per due terzi, e così via. Ma in certi, ormai rarissimi, casi alcuni sono totalmente anime gemelle. Diceva che quando due anime sono gemelle, indipendentemente che lo siano in senso romantico o meno, si crea un legame unico, che va oltre al legame fisico e oltre qualsiasi cosa il resto del mondo possa comprendere. Che ci si legge quasi nel pensiero, che arrivi a conoscere l'altra persona a un livello tale che ti sembra di non conoscerla per nulla, che... che l'altro è il tuo opposto ma in fondo siete uguali, e che sai che potrebbe ucciderti in un istante, con una sola parola, un cenno, un nonnulla. Che sei consapevole che l'altra persona ti rende debole, ma ti rende anche forte e tutto il tuo mondo dipende da lei, potresti diventare il più felice o il più triste sulla terra solo grazie a lei, ma ti fidi, perché l'altro dipende allo stesso modo da te, e questa consapevolezza ti cambia, ti cambia tanto, in meglio. Ci diceva sempre che, se avessimo per qualche caso trovato la nostra anima gemella, avremmo dovuto riconoscerla subito, prima di perderla, e stringerla forte e non lasciarla più andare. Ci diceva di non ripetere il suo errore, di amarla il più possibile per tutto il tempo che avremmo avuto a disposizione. Ci disse che tra noi e la nostra anima gemella ci sarebbe stato un rapporto così stretto, così speciale, così forte, che l'avremmo riconosciuta subito. Che sarebbe stato un qualcosa che andava oltre l'amore, oltre l'amicizia, oltre tutto. Che non saremmo riusciti a starle lontano, se fossimo stati destinati ad averne una- Feliciano omise alcuni dettagli; omise di dire come il Nonno, avendo perso la sua, si fosse ritrovato così solo e disperato che l'unica cosa a impedirgli di uccidersi fu sua madre e, morta anche lei, proprio lui e Lovino; omise di dire come il Nonno profumasse sempre di libri ma puzzasse di alcool; omise di dire che fu proprio l'anima gemella del Nonno a ucciderlo lentamente, logorandolo negli anni con la sua distanza; omise di dire quanto lo tormentava la paura che a suo fratello succedesse lo stesso, perché nonostante Lovino non avesse mai neanche sfiorato una goccia d'alcool, perché sapeva ancor meglio di lui come fosse finito il Nonno e perché sapeva che se avesse iniziato non sarebbe riuscito ad uscirne, comunque Feliciano vedeva il fratello logorarsi lentamente, con quelle lettere come unica ancora di salvezza dall'abisso in cui era caduto loro Nonno e loro padre; omise di dire la sua paura di finire così, come si fosse ridotto a sorridere ancora più di prima, negli anni passati senza di lui, pregando ogni notte per il suo ritorno, perché non voleva finire come il Nonno, non voleva morire, non voleva consumarsi lentamente nella fiamma del suo unico amore; omise di dire del suo terrore di ridursi anche peggio, una volta finito quell'anno. Omise di dire tutto quello, si limitò a fare come gli aveva detto il nonno: gli prese la mano e gliela strinse forte -ve, credo che tu sia la mia, Luddi.
Ludwig arrossì e lo strinse a sé, mettendogli un braccio intorno alla vita -sì, lo penso anch'io.
Feliciano sorrise e puntò nuovamente lo sguardo sulle statue, finendo di mangiare.
Avrebbe fatto del suo meglio, si sarebbe goduto al meglio tutto il tempo che gli sarebbe stato concesso, avrebbe stretto l'altro a sé più che poteva. Il resto... be', il resto sarebbe dipeso da Ludwig. Avrebbe deciso lui se lasciarsi stringere o andarsene. Guardando quelle statue, Feliciano si ritrovò a desiderare di essere come loro, di abbracciare l'altro e fossilizzarsi, non lasciarlo più andare e rimanere con lui per sempre, per poi pentirsene subito dopo. Lui non voleva diventare pietra. Voleva vivere, voleva respirare, sentire il sole sulla pelle, sentire il calore di Ludwig, le sue labbra sulle sue, il suo cuore battere contro l'orecchio. Non voleva diventare pietra con lui, ma vivere al suo fianco, il che sarebbe stato indubbiamente più complicato, ma non gli importava: ne sarebbe valsa la pena.
-ve, Luddi, sai qual è un'altra cosa che mi ha raccontato il Nonno?
-quale?
-che noi Vargas amiamo raramente, ma che quando lo facciamo, lo facciamo per davvero.
Ludwig fece un sorriso divertito -sì, immagino sia davvero così.
Angolo autrice:
Ciao!
Ringrazio chi ha letto fin qui, spero che la storia vi stia piacendo, mi farebbe davvero piacere se lasciaste una recensione :3
Non ho molto da dire in realtà, solo...
Preparatevi, il prossimo capitolo sarà una bomba ;)
A lunedì prossimo
Daly

 

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Capitolo 4
*** Attese brucianti e notti di fuoco ***


Lovino Romano Vargas non era uno che esprimeva facilmente le sue emozioni. Non gli piaceva urlare ai quattro venti ciò che provava, non dimostrava affetto direttamente, il suo era un amore fatto di piccole attenzioni: far trovare a Feliciano i suoi biscotti preferiti ogni mattina, per esempio, o regalargli di tanto in tanto qualcosa per disegnare. Allo stesso modo faceva con tutte le altre emozioni. Piangeva da solo, cercava sempre di mostrarsi il meno spaventato possibile, non mostrava mai tutto il suo dolore, anzi. Faceva eccezione la rabbia, ma Feliciano sapeva che la furia vera, quella più forte e più cieca, quella che provava verso il mondo e la vita, se la teneva dentro. Lo rimproverava ogni tanto, ma niente di più. Feliciano lo sapeva bene, era fatto così.
Per questo, quando una mattina di metà gennaio si svegliò lo sentendo urlare il fratello, si precipitò a vedere cosa stesse succedendo, spaventato a morte. Ludwig, che era rimasto a dormire da lui, rimase assonnato nel letto, non capendo dove fosse il problema: Lovino urlava di continuo.
Sì, era vero, urlava spesso, ma non così, non così forte, non con così tanto sentimento. Feliciano aveva paura che fosse crollato, che fosse successo qualcosa, che Antonio stesse male, fosse ferito, o peggio...
Raggiunse in un attimo la cucina e quando arrivò rimase troppo stupito per parlare. Lovino era inginocchiato per terra, come se fosse crollato dopo anni tenuto in piedi da un filo sottile, e reggeva una lettera tra le mani. Ma, soprattutto, piangeva, piangeva forte. L'ultima volta che Feliciano aveva visto suo fratello piangere era stato alla morte del Nonno. Il terrore che fosse successo qualcosa ad Antonio crebbe.
Feliciano si inginocchiò davanti al fratello -fratellone! Fratellone, che succede?
Lovino sollevò lo sguardo su di lui, con le guance rigate di lacrime, e si aprì in un sorriso, un sorriso di quelli aperti, solari, felici, di quelli che faceva quando erano piccoli e poteva concedersi di essere spensierato, di quelli che faceva quando c'era ancora...
-Antonio!- Lovino lo abbracciò, forte, e Feliciano rimase paralizzato. Suo fratello non prendeva l'iniziativa per un abbraccio da anni -sta tornando! Mi ha scritto che sta tornando qui!- si allontanò e gli mise in mano la lettera -guarda, leggi qui!
Feliciano era troppo basito per parlare. Lovino non gli aveva mai, mai, fatto leggere le sue lettere. Era davvero su di giri. Lesse rapidamente e sgranò gli occhi. No, non era impazzito. Rilesse due, tre, quattro volte, e lo stesso fece Lovino, che sembrava volersi tatuare quella lettera da qualche parte.
-oh mio Dio!- anche Feliciano urlò, stringendo il fratello. A quel punto anche Ludwig, sentendo altre urla, si allarmò e si precipitò a controllare.
-che succede? State ben...?- si paralizzò sulla soglia, vedendo i due fratelli lì, per terra, abbracciati. Quando notò Lovino sorridere così spontaneamente penso di starsi sognando tutto.
-ve, ve, Luddi! Ha scritto Antonio, ha detto che sta tornando qui!- Feliciano si alzò e gli saltellò intorno, entusiasta come un bambino.
Lovino a quelle parole sorrise ancora, sentendo le guance fare male, e si strinse la lettera al petto.
-dannato bastardo...- sussurrò, rileggendo ancora la lettera -ce ne hai messo di tempo, coglione- sentì il cuore battere più forte e a stento trattenne un altro urlo di felicità.
Quella stessa mattina, dopo colazione, Lovino lasciò Feliciano al negozio, per andare al porto a informarsi sulla nave che stava arrivando dalle Americhe. Tornò dopo un'oretta, con un sorriso smagliante.
-dovrebbe arrivare a febbraio, come ha detto il bastardo. Ho pagato un ragazzo lì per venirmi a chiamare quando la nave sarà in vista. L'arrivo è previsto per il 14, ma potrebbe tardare o arrivare prima, i viaggi in mare sono così.
Feliciano lo abbracciò -ve, è bellissimo, fratellone. Sono felice per te.
-aspetta a dirlo- ricambiò la stretta -manca ancora un mese, potrebbe succedere di tutto. Finché non potrò prenderlo a calci per avermi fatto aspettare tanto, non ci spererò troppo.

O Feliciano e Lovino avevano due concetti diversi di "non sperarci troppo", o il maggiore ci stava sperando ben più di quanto dichiarava ad alta voce.
Nel mese successivo, Lovino fu assillante. Pulì casa da cima a fondo, stesso discorso con il negozio; controllò ogni dettaglio, ogni cosa, anche quelle a cui non aveva mai prestato attenzione, affinché tutto fosse perfetto. Quando arrivò febbraio, la situazione peggiorò. Passò letteralmente tre giorni ad assillare Feliciano perché lo aiutasse a decidere che vestiti indossare, cosa cucinare se fosse arrivato per pranzo e cosa per cena, che lenzuola mettere, in che posto farlo sedere a tavola. Fece una scenata a tono così alto che i vicini vennero a controllare che andasse tutto bene, solo perché non sapeva che camicia mettersi. Rimase per una settimana dubbioso sul tagliarsi i capelli o meno, finché Feliciano non gli disse che ad Antonio non sarebbe importato cosa avrebbe indossato o che capelli avrebbe avuto, ma gli sarebbe saltato addosso il prima possibile, in ogni senso; si era preso un cuscino in faccia, ma almeno suo fratello si era messo l'anima in pace.
La settimana del 14 Lovino non restò fermo un attimo. Quando era a lavoro faceva avanti e indietro a controllare che non arrivasse il ragazzo a chiamarlo; quando era a casa, faceva avanti e indietro fino alla finestra della cucina, che dava sulla strada, e la notte non si dava pace, almeno fino a quando Ludwig non gli spiegò che, per il buio, nessuna nave sarebbe attraccata in piena notte, al massimo la sera presto. Finché, la sera di sabato 12, mentre cenavano, non sentirono bussare forte alla porta del negozio. Lovino scattò e corse giù ad aprire, tra l'altro indossava proprio i vestiti che aveva scelto, e Feliciano, con Ludwig, gli corse dietro, afferrando la sua giacca e quella del fratello.
-Feliciano, muovi il culo!- gli urlò Lovino dal piano di sotto -sta arrivando!
-ve, arrivo!- saltò l'ultimo gradino, rischiando di cadere, e seguì il fratello fuori, correndo verso il porto.
Lovino sapeva che non doveva sperarci troppo. Antonio poteva anche aver cambiato idea, o aver preso la nave successiva, che sarebbe stata mesi dopo, o ancora poteva essergli successo qualcosa. Ma nonostante tutto non riusciva a fare a meno di correre, veloce, verso di lui. Sentiva il cuore battergli furiosamente nel petto e una gioia che non provava da anni scorrergli nel sangue. Corse più veloce.
Feliciano raggiunse suo fratello solo quando fu arrivato al porto. Gli si affiancò, gli passò la giacca e si piegò in due, con il fiatone; sentì la mano di Ludwig cercare la sua e sorrise stringendogliela. Si rimise dritto e osservò suo fratello. Lovino aveva lo sguardo puntato su una nave in lontananza, che stava buttando l'ancora. Fissava il ponte, cercando di distinguere le figure, ma era troppo buio perché si potessero vedere bene i visi. Quando fu finalmente abbassato il ponte, una figura si fiondò su di esso, scendendo giù di corsa, finché non fu abbastanza vicino da essere visibile. Al suo fianco, Feliciano sentì chiaramente suo fratello trattenere il fiato e vide una lacrima scorrergli lungo la guancia, prima che lui stesso ricominciasse a correre.
-eccolo, ve, Luddi! C'è Antonio!- Ludwig lo trattenne, osservando con un sorrisetto Antonio e Lovino che si abbracciavano, stringendosi come se il resto del mondo non fosse esistito.
-lasciali un attimo da soli, Feliciano. Hanno bisogno di un po' di spazio.
L'italiano gonfiò le guance -ve, Luddi, lo so! Volevo solo avvicinar...- si zittì, spalancando gli occhi, quando vide i due baciarsi, lì, in pubblico. All'istante si guardò intorno, preoccupato che qualcuno potesse notarli. Per fortuna il porto era quasi deserto ed era molto buio. Dalla nave erano scese giusto un paio di persone, perché, come avrebbe scoperto dopo, quella era solo una tappa, la nave era diretta altrove. I marinai erano impegnati a sistermare la barca e a caricare le provviste e non badarono minimamente a loro. E poi, nell'oscurità, con i capelli piuttosto lunghi e il fisico esile, Lovino poteva essere scambiato per una ragazza.
Dopo un po' i due si districarono dal loro abbraccio e solo allora Feliciano e Ludwig li raggiunsero. Il piccolo italiano notò che entrambi avevano gli occhi arrossati per il pianto e che, nonostante non si stessero più abbracciando, comunque si tenevano la mano ed erano molto vicini. Abbracciò entrambi.
-veee, che bello!- si allontanò, prendendo di nuovo la mano di Ludwig, che si era limitato a stringere la mano dello spagnolo -per quanto resterai qui, fratellone Antonio?
-oh, ehm...- lo vide chiaramente arrossire e voltarsi verso Lovino -io pensavo per sempre.
Lovino roteò gli occhi, ma lo abbracciò di nuovo, seppellendo il viso nell'incavo del suo collo e inspirando il suo profumo -sei sempre così smielato- restò stretto a lui, troppo emozionato e felice per vergognarsi e comportarsi come al solito -era ovvio che saresti rimasto qui, anche perché altrimenti ti avrei preso a calci in culo fino all'America.
Antonio rise e lo baciò sulla fronte -mi sei mancato, Lovinito.
Istintivamente Feliciano si strinse a Ludwig, che gli mise un braccio intorno alle spalle con fare protettivo.
Alla fine, quando i due riuscirono ad allontanarsi si avviarono verso casa. Per tutto il tempo Ludwig e Feliciano erano rimasti più indietro, lasciando ai due piccioncini la loro privacy. Mentre camminavano parlando del più e del meno, poco prima che Ludwig dovesse cambiare strada e separarsi da lui, Feliciano cambiò argomento.
-veee, Luddi, posso rimanere a dormire da te?
-oh, ehm- arrossì lievemente, contento in realtà al pensiero di dormire con l'altro tra le braccia -perché?
-ve, le pareti di casa sono sottili, non dormirei niente.
-uhm, perché?
Feliciano inarcò un sopracciglio -Luddi, ve, sai come nascono i bambini vero?
-m-ma certo!
-vee, allora di che ti stupisci? Non si vedono da quasi dieci anni, mi sembra normale che vogliano farlo.
-mh...- Ludwig benedì il buio, che nascondeva il suo volto paonazzo -va bene, se vuoi puoi venire, ma forse Lovino non vorrà...
Feliciano ridacchiò -guardalo, non pensa ad altro che al fratellone Antonio! Neanche se ne accorgerà.
-meglio dirglielo, altrimenti si spaventerà non trovandoti.
-giusto- Feliciano corse fino a pararsi davanti al fratello -ve ve, fratellone, posso andare a dormire da Luddi vero?
-eh?- Lovino sollevò lo sguardo con fare stordito, come se si fosse appena svegliato da un sogno. Era stretto ad Antonio, con un suo braccio intorno alle spalle -ah, va bene, vai.
-veee, divertitevi- fece l'occhiolino ai due e tornò dal suo ragazzo.
-vee, ha detto che va bene- lo prese per mano e insieme andarono a casa dell'altro.
-uhm... ti presto una maglia per dormire?
-veeee, Luddi... pensavo... e se... lo facessimo anche noi?
-c-cosa?
-come cosa? Ve, sesso.
Sentire quel cucciolo di Feliciano parlare di sesso era come sentire Salvini parlare dell'impatto socioeconomico di Martin Luther King nella storia dell'uomo, per fare un paragone che riprenda i nostri giorni. Strano e contro natura, sbagliato in qualche modo.
Ludwig rimase troppo scioccato per parlare, si limitò ad aprire la porta di casa.
-vee, solo se vuoi certo. Vuoi, Luddi?
Il tedesco annuì così in fretta che sembrò gli si stesse per staccare la testa dal collo.
Feliciano si sporse verso di lui e lo baciò -lo voglio anch'io- gli avvolse le braccia intorno al collo, attirandolo a sé con un sorriso; a Ludwig vennero i brividi a vederlo. Quel sorriso era come i soliti di Feliciano, ma aveva una punta di malizia che lasciava intendere molte cose. Sentì l'ansia e l'aspettativa stringersi in un nodo nello stomaco che a stento lo fece respirare.
Feliciano lo baciò ancora, ancora e ancora. In qualche modo si trovarono nella camera del tedesco, il quale era un fascio di nervi.
Feliciano si allontanò dalla sua bocca e gli sorrise -ve, tranquillo, Luddi. Sei teso, rilassati. Sono solo io- lo baciò dolcemente, cercando di infondergli coraggio -ve, se non te la senti ci fermiamo, non c'è problema, davvero.
Ludwig osservò l'italiano. Gli stava sorridendo, fiducioso, con gli occhi luminosi pieni di lui. Si fidava, comprese; era sicuro che sarebbe andata bene, perché lo amava e sapeva di essere ricambiato. Ludwig prese un respiro profondo. Feliciano aveva ragione: lì, in quella camera, c'erano solo loro due. C'era solo Feliciano. Lui era l'unica cosa importante, l'unica che doveva importare; quella era una serata per loro due e solo per loro, il resto, tutte le ansie, le preoccupazioni, il resto del mondo... doveva sparire. Ludwig scosse la testa e lo baciò ancora e lì, da quel bacio in poi, non ci fu nient'altro al mondo che Feliciano.
Caddero sul letto e insieme a loro dopo poco caddero anche i vestiti. Feliciano si fidava di lui, si ripeté Ludwig, quindi lui doveva fidarsi dell'altro abbastanza da fidarsi di sé stesso. Si lasciò guidare da quel nodo allo stomaco e da Feliciano, scollegò il cervello e pensò solo all'altro, seguì una volta tanto l'istinto ed ebbe la certezza di aver fatto la scelta giusta quando sentì un piacere nuovo, inimmaginabile, invaderlo, e seppe in qualche modo che anche l'altro provava lo stesso. Si fidò di Feliciano, si immerse in lui, nei suoi occhi, nel suo profumo, nella sua pelle color miele, nelle sue labbra, finché non arrivò all'apice con lui, tenendolo per mano.
Crollò sul letto, cercando di riprendere fiato, con l'altro affianco che faceva lo stesso. Dopo qualche minuto Feliciano si girò verso di lui e gli si accoccolò contro.
-vee, Luddi- mugugnò qualcosa, la voce impastata dal sonno -ti amo tanto.
-anche io- Ludwig se lo strinse contro, seppellendo il viso tra i suoi capelli -va tutto bene? Ti... ti fa male da qualche parte?
Feliciano fece una smorfia -un po' ai fianchi- lo baciò con un sorriso -ma ve ne è valsa la pena.
Il tedesco arrossì e coprì entrambi con le coperte -sono felice che, uhm, sia andato, ehm, bene- balbettò. Feliciano rise appoggiandosi al suo petto -ve, è andata anche meglio di quanto immaginassi- lo baciò -vee, ti amo- lo baciò ancora e ancora -ti amo, ti amo, ti amo- glielo sussurrò a ogni bacio, seppellendo le mani tra i suoi capelli, intrecciando le gambe con le sue, stringendosi a lui, cercando più contatto possibile con la sua pelle nuda.
Ludwig sorrise abbracciandolo -anche io, Feliciano.
L'italiano lo baciò ancora. Era stato come aveva detto suo fratello: unendosi a lui aveva provato un qualcosa di così forte, un piacere così intenso e unico, che tutto il resto era scomparso. Adesso, accoccolato a lui, sentiva i primi dolori arrivare, ma concentrato com'era sull'altro riusciva a non pensarci. Il giorno dopo probabilmente sarebbe stato molto più difficile ignorarli, ma l'importante ora era Ludwig. Ludwig, che lo stava stringendo forte ma con delicatezza, quasi avesse paura di romperlo. Ludwig, che ricambiava i suoi baci e lo amava ed era alto e forte e il suo ragazzo. Feliciano gli accarezzò il viso e a quel contatto lo vide chiudere gli occhi e sospirare.
-dovremmo dormire- disse solo, riaprendo poi gli occhi e sporgendosi a baciarlo ancora.
-ve, non...- sbadigliò -non voglio dormire.
Ludwig scosse la testa divertito e lo baciò sulla fronte -è tardi, hai bisogno di riposare.
-ve, rimarrai con me, vero?
-certo- lo baciò tra i capelli, sistemandolo meglio tra le proprie braccia -non vado da nessuna parte.
Feliciano annuì, con gli occhi socchiusi, e poggiò la testa sulla sua spalla -'notte Luddi.
Ludwig sorrise, baciandolo e chiudendo poi gli occhi -buonanotte, Feliciano.

Angolo autrice:
È tornata la Spamano! Finalmente direi.
La frase su Salvini non è mia, viene da un comico genovese, mi faceva troppo ridere e non ho resistito XD
Spero di aver reso bene la prima volta della Gerita, non sono un granché con le parti smut (anche se qui era appena accennato, infatti la storia è arancione) ma ho fatto del mio meglio.
Spero vi sia piaciuto il capitolo, se vi va lasciate una recensione, mi farebbe davvero piacere.
Come reagirà Lovino? Lo vedremo la prossima settimana.
Mercoledì pubblicherò una os a parte su questo capitolo dal punto di vista di Antonio e Lovino.
Alla prossima
Daly

 

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Capitolo 5
*** Fratelli maggiori e promesse ***


Feliciano si svegliò con il sole in faccia. Brontolò qualcosa, neanche lui riuscì a capire in quale lingua, e si stropicciò gli occhi, infastidito. Quando li aprì, si ritrovò davanti il petto muscoloso di Ludwig, sul quale faceva bella vista il crocifisso che gli aveva regalato lui stesso, affiancato da una croce celtica in ferro. Sorrise e si girò sulla pancia, facendo una smorfia. Si sentiva indolenzito e aveva male nella parte bassa del corpo. Voltò il capo verso l'altro e fu sollevato di vederlo ancora addormentato. Conoscendolo era certo che si sarebbe sentito in colpa e lo avrebbe riempito di raccomandazioni e domande. Gli accarezzò il viso con una mano, stampandosi in testa l'immagine del suo ragazzo addormentato, per disegnarla quando sarebbe tornato a casa. Era una cosa che faceva abitualmente: amava disegnare le persone a lui care e quando vedeva una posa, un'espressione, un momento che gli piaceva, la memorizzava e se la teneva da parte per dopo. In quel momento aveva in testa Luddi che dormiva, Luddi la notte prima e l'espressione di suo fratello quando aveva rivisto Antonio.
Suo fratello... fece un'altra smorfia. Doveva sperare che non uccidesse Ludwig, o che Antonio riuscisse a tenerlo impegnato. Vide l'ora e sospirò. Era ancora presto, poteva dormire ancora un po'. Tornò tra le braccia di Ludwig, che mugugnò qualcosa prima di aprire a sua volta gli occhi.
Feliciano sorrise -buongiorno, Luddi.
Il tedesco brontolò qualcosa, si girò sulla schiena e si stiracchiò. Feliciano studiò il suo corpo, memorizzandolo; quella era decisamente un'altra cosa che doveva disegnare, anche la carta meritava di sapere quanto fosse bello Ludwig appena sveglio, con lo sguardo assonnato e i capelli spettinati, e soprattutto meritava di conoscere quel corpo perfetto, quelle linee dure, quei muscoli sodi. Si leccò le labbra e gli si avvicinò, stringendosi ancora a lui.
-vee, Luddi, è ancora presto- gli sussurrò, baciandolo -possiamo restare qui ancora un po'
-uhm...- Ludwig borbottò qualcosa, stringendoselo contro -a che ora devi tornare a casa?
-non lo so, ve, penso per pranzo.
-va bene- lo baciò -ti fa male da qualche parte?
-vee, un po' il fondoschiena, ma è normale, credo- lo attirò ancora a sé e tornò a baciarlo; voleva sentire quella bocca sulla sua ancora e ancora, non voleva separarsi più da lui. Ludwig passò le dita tra i suoi capelli morbidi, gli accarezzò dolcemente la schiena, attento a non fargli male.
La pace di quel momento fu interrotta quando Ludwig notò un segno rosso sulla gola di Feliciano.
-merda- si irrigidì, immaginando la reazione di Lovino.
-che c'è, Luddi?- Feliciano sollevò la testa dal suo petto, osservandolo confuso.
-hai un... tuo fratello mi ucciderà- osservandolo bene, ne notò un altro, alla base del collo.
-ve, Luddi, che ho?
-un...- deglutì, indicandosi il collo. Feliciano posò le dita sul punto indicato, e quando sentì un leggero rilievo e un segno di un morso, capì il motivo del panico dell'altro.
-oh, ve, tanto prima o poi lo scoprirà, no?
-sì ma... mi ucciderà- Feliciano gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
-ve, tranquillo Luddi, ora abbiamo il fratellone Antonio dalla nostra parte.
Il tedesco ci pensò -speriamo riesca a calmarlo. Uscirà di testa.
-oh, ve, non lo so, Luddi- quando Feliciano si faceva così pensieroso era adorabile; aggrottava le sopracciglia e sporgeva in fuori leggermente le labbra, rendendole ancora più invitanti da baciare -ne abbiamo parlato qualche tempo fa. Ve, era molto imbarazzato a riguardo, ma alla fine non mi è sembrato così contrario. Cioé, ve, non gli piaceva l'idea che io lo facessi in generale, perché ve diceva che mi ha visto crescere e mi vede ancora piccolo. Però ve, a parte questo non credo avrà problemi.
-mi odia.
-nah. Odia i tedeschi, ve, e ha paura che tu mi faccia soffrire- Feliciano lo baciò, così, perché aveva voglia di farlo, e gli sorrise -ma tu sei buono, Luddi, non mi farai stare male.
Davanti a quei due occhi così fiduciosi, il tedesco distolse lo sguardo. Come poteva dargli ragione, quando nella valigia aveva il biglietto per tornare in patria, lontano da lui?
-ve, Luddi?- gli prese la mano -so che te ne andrai, ma non è colpa tua. Di tua spontanea volontà non mi faresti mai del male.
Ludwig fece una risata amara -certo che no, Feliciano, preferirei buttarmi nel fuoco che farti torcere un capello.
L'italiano lo baciò di nuovo con un sorriso -ve, Luddi, però non ti buttare nel fuoco, mi faresti sentire in colpa.
Ludwig rise e se lo strinse contro -va bene, va bene- fece una pausa -hai fame? Andiamo a fare colazione.
Feliciano fece una smorfia -ve, va bene, ma cucino io.
-perché? Sei mio ospite, dovrei cucinare io.
-ve, Luddi, cosa sai cucinare per colazione?
Il tedesco rimase in silenzio, sentendo le guance imporporarsi.
-appunto. Ve, lascia fare a me- fece per alzarsi, ma sentì una fitta di dolore e crollò a peso morto sul letto -ahia.
Ludwig gli accarezzò i capelli, sentendosi in colpa -che ne dici se prima di fare colazione ci facciamo un bagno? Siamo ancora sudati da ieri, l'acqua potrebbe farti bene.
Feliciano sorrise -vee, va bene.
Il biondo si alzò, si infilò i pantaloni che trovò in terra e prese in braccio l'altro, stando attento a non fargli male. L'italiano allacciò le braccia intorno al suo collo, appoggiandosi al suo petto -vee, mi piace farmi prendere in braccio! Fallo più spesso, Luddi, per favore.
Ludwig ridacchiò entrando in bagno -va bene, Feliciano- lo mise giù e riempì la vasca, e quando finì sollevò l'altro e lo mise sdraiato nell'acqua senza troppi sforzi, in fondo non pesava granché. Poi si sfilò i pantaloni, li piegò, li sistemò ed entrò nella vasca davanti a lui.
Feliciano rise e lo schizzò con l'acqua calda -ve, Luddi, ti puoi avvicinare?- quello obbedì, sporgendosi verso di lui e ricambiando il bacio che ne seguì.
-grazie, Luddi. Ti amo.
Sorrise, accarezzandogli la guancia -ti amo anch'io, Feliciano.
Dopo il bagno, che effettivamente fece stare un po' meglio il castano, i due si spostarono in cucina. Ludwig scoprì che Feliciano era molto pignolo in cucina, ma che comunque cucinare con lui era piacevole. Dopo aver mangiato tornarono sul letto a coccolarsi un po', finché Feliciano non fu costretto ad andarsene.
-vuoi che ti accompagni?- gli chiese osservandolo rivestirsi.
-ve, non serve, ma grazie Luddi. E poi è meglio che tu non ti faccia vedere dal fratellone, potrebbe reagire male.
Ludwig annuì -giusto- si alzò dal letto e si vestì, poi accompagnò Feliciano alla porta -aspetta- prese una sua sciarpa e gliela sistemò, coprendo i due segni -ecco.
-ve, grazie Luddi- si sporse a baciarlo e gli sorrise -tornerò nel pomeriggio, va bene?
Ludwig annuì, baciandolo ancora -a più tardi. Ti amo.
Feliciano aumentò il suo sorriso -anche io, Luddi, tantissimo- lo baciò ancora e poi aprì la porta, uscendo nell'aria gelida di metà febbraio -ciao ciao, Luddi, ci vediamo dopo.

Quando Feliciano aprì la porta di casa sua, la sentì sbattere contro qualcosa. Abbassò lo sguardo e attraverso la fessura che si era creata intravide la valigia di Antonio, mollata davanti alla porta. Bussò.
-ve, fratellone, non riesco ad aprire, puoi spostare la valigia da qui?
Al posto di suo fratello arrivò Antonio, con indosso i vestiti della sera prima, che con un sorriso di scuse spostò l'intralcio e gli aprì la porta -ciao, Feli.
-ciao, fratellone Antonio- Feliciano si tolse la giacca e la sistemò sull'appendino, ma esitò prima di togliersi la sciarpa.
-devo trattenere Lovi?- Feliciano gli rivolse un sorrisino colpevole -ho capito, vado a metterlo di buon umore. Ora è in cucina, raggiungici quando sarai pronto, va bene?- gli fece l'occhiolino e se ne andò.
Feliciano si sfilò la sciarpa e prese un respiro profondo. Poteva farcela. Attese ancora qualche minuto, per dare il tempo ad Antonio e per racimolare il coraggio, poi si diresse in cucina.
-ve, fratellone che c'è per pranz...- si interruppe quando notò che suo fratello stava baciando Antonio e sembrava non avere la minima intenzione di allontanarsi -ve, vi lascio so...
Lovino aprì un occhio e lo inquadrò. All'istante si allontanò dallo spagnolo -Feli, che hai sul collo?
Il più piccolo dei fratelli Vargas gelò -ehm...
-il crucco?
-...già...
A quella conferma, il maggiore sospirò e posò il viso contro il petto di Antonio -vai di là, Feli. Ho bisogno di riprendermi, dopo ne parliamo.
-ve, ma io...
-vai di là, per favore- sembrava in pieno lutto.
Feliciano ubbidì e l'ultima cosa che sentì prima di chiudere la porta fu la risata di Antonio, mista a qualcosa in spagnolo che non capi.

Poco dopo, mentre stava cominciando ad abbozzare un disegno, Feliciano sentì la porta della sua camera aprirsi e suo fratello entrare.
-quindi l'avete fatto- esordì, sedendosi accanto a lui sul letto. Feliciano chiuse il taccuino e lo posò accanto a sé.
-sì.
Il maggiore si prese la testa tra le mani e prese un respiro profondo.
-senti. Non è che io ce l'abbia con te, nel senso...- gesticolò un po' -lo so che ormai sei grande e hai il diritto di fare le tue esperienze e...- sospirò sconfitto -e ami il crucco. Ma devi capire che non è facile parlare di queste cose con te. Per me rimarrai sempre il mio fratellino piccolo e innocente, capisci?
Il più piccolo annuì -ve, lo so, fratellone. Lo capisco, ve, non preoccuparti.
-bene. Detto questo... com'è andata? Il crucco ti ha trattato bene o lo devo prendere a calci?
Feliciano rise -no no, fratellone, ve, è andata bene, è stato...- sospirò -fantastico. Luddi è stato dolcissimo, ve, stamattina ci siamo fatti il bagno insieme affinché mi passasse un po' il male.
Lovino mugugnò qualcosa.
-ve però non ha fatto male, non subito. Avevi ragione, ve, inizialmente non ci ho quasi fatto caso.
-mh. Quindi il crucco è stato bravo?
Feliciano rise, prendendo la mano del fratello -sì, lo è stato. A te com'è andata?
Il maggiore parve stupito da quella domanda -oh, bene. Insomma, ieri è stata una giornata assurda, sai... emozioni, sentimentalismi e tutta quella roba lì. Il bastardo si è fatto perdonare, ecco- fece una smorfia -il che mi ricorda che non gliel'ho ancora fatta pagare per essersene andato. Oh, be', posso sfruttarlo giù al negozio- annuì -sì, farò così. A proposito, visto che c'è il bastardo, e stai sicuro che lo farò sgobbare parecchio, puoi fare meno turni, o non farne proprio. Sai, per il crucco e tutto il resto... ti faccio fare il mantenuto per un po', sei pur sempre il mio fratellino.
Feliciano lo abbracciò -veeeee, grazie fratellone, grazie!
-sì, sì- gli lasciò qualche pacca sulla testa -però se ci fossero problemi dovrai aiutarmi, chiaro?
-vee, certo.
-ottimo. Torno di là, non mi fido a lasciare il bastardo da solo in cucina. Oggi vedi il crucco?
-sì, ve, ci vediamo al pomeriggio.
-fallo venire a cena. Devo fargli un discorsetto- fece un mezzo ghigno e se ne andò.
Feliciano sorrise, felice, e tornò a disegnare.

-crucco, muovi il culo, dobbiamo parlare- alla fine della cena Lovino si alzò e fece cenno a Ludwig di seguirlo. Il tedesco si alzò, sentendo le mani sudare e l'ansia assalirlo come un randagio su degli avanzi, cercò di sentirsi incoraggiato dal sorriso di Feliciano e seguì l'altro fino a quello che aveva pensato fosse uno sgabuzzino, ma che invece si rivelò essere un piccolo balconcino. Lovino si appoggiò al parapetto, lo sguardo puntato nel vuoto, riflettendo.
Ludwig deglutì. Ed eccolo lì, lui, grande e forte, a tremare di fronte a un italiano mingherlino. Il suo istruttore sarebbe stato molto deluso, ma Ludwig che poteva farci? Lovino aveva qualcosa nello sguardo, un'autorevolezza, una forza che gli faceva tremare le ginocchia, un acciaio che superava di gran lunga la risolutezza che leggeva negli occhi dei generali dell'accademia militare. Internamente aveva sperato che gli facesse "il discorsetto", come l'aveva chiamato Feliciano, a tavola; intanto avrebbe avuto il giovane italiano a fargli forza e dargli coraggio, in secondo luogo Lovino si ammorbidiva se aveva Antonio al suo fianco e terzo ci sarebbero stati troppi testimoni perché potesse farlo fuori.
-senti- iniziò, senza guardarlo -so cosa avete fatto tu e Feli. Io e lui ne abbiamo già parlato per conto nostro, e la cosa non ti riguarda, ma voglio mettere in chiaro alcune cose anche con te- fece una pausa, poi continuò senza aspettare una risposta, che comunque non sarebbe arrivata. Se c'era una cosa che Ludwig aveva imparato all'accademia era non parlare senza essere interpellato -capisco che abbiate bisogno dei vostri spazi. Capisco che siate innamorati e non vediate altro che voi due e l'amore che provate e tutte quelle robe lì. Lo so, ci sono passato anch'io e per certi versi ci sto passando di nuovo- sulle labbra gli spuntò una leggera ombra di sorriso -capisco anche che ora che avete fatto...- fece una leggera smorfia -quello che avete fatto, la situazione si sia fatta più seria, ecco. Ora vedete tutto rose e fiori, ed è normale ed è giusto così, insomma...- alzò le spalle -è l'età giusta, se non vi capita ora quando dovrebbe? Vi lascerò stare, non voglio fare la parte del fratello maggiore iperprotettivo e scassapalle, soprattutto se questo implica rendere infelice Feli. Anche se ora è un adulto, per me rimarrà sempre il mio fratellino, quindi è mio dovere proteggerlo. Per questo devo dirtelo: non durerà. Odio fare l'uccellino del malaugurio, ma ti ricordo che a ottobre dovrai ripartire, e non si sa se e quando tornerai. Feli lo sa benissimo, non è un idiota, per quanto a volte lo sembri. Si è convinto che, visto che lui lo sa già, farà meno male, quando vi separerete intendo. Be', sarò sincero con te: fa un male bastardo, anche se lo sai prima. Ora sono felice: ho mio fratello e l'uomo che amo, ma ho dovuto passare nove anni in un limbo tra la vita e la morte, ridotto a uno straccio, e per arrivare a questo punto sia io che soprattutto Antonio abbiamo dovuto fare delle rinunce, tante- fece un respiro profondo -non sai quanto mi sento in colpa. Ha rinunciato a tutto per me, mi sento come se... se l'avessi costretto, anche se so che non è così. Semplicemente, ha scelto di essere felice, e io ero parte di questa scelta- scosse la testa -ma non stavamo parlando di me. Quello che voglio dire è... bisogna rinunciare a qualcosa, sempre. Non puoi avere qualcosa senza dare qualcos'altro in cambio, questo vale per tutto quanto nella vita. Per cui, sì, dovrete fare delle rinunce. Bisogna sempre rinunciare a qualcosa, cosa spetterà a te e Feli deciderlo, non voglio entrare in merito, non è compito mio. Il mio compito è proteggere Feliciano, anche e soprattutto da te. So che non gli faresti mai del male volontariamente, o almeno lo spero, ma comunque gliene farai, almeno un po', e lui ne farà a te. Quello che ti chiedo è di stare attento, molto attento, al mio fratellino. Lo ammetto, non mi piaci granché, ma se Feli ti ama un motivo ci deve essere, e tutto quello che mi interessa è che lui sia felice, anche se mi toccherà tollerarti. E oltre a questo...- sospirò, tra il rassegnato e il divertito -fai in modo di goderti il più possibile il tempo che avete, chiaro? Senza rimpianti, che quelli sono dei gran bastardi- sbuffò, passandosi una mano in faccia -ho protetto Feli per anni, ma, che tu ci creda o no, tutto questo è molto più faticoso.
-uhm, io...- Ludwig non sapeva come rispondere -farò del mio meglio.
Lovino sbuffò, girandosi verso di lui -no davvero, cerca di migliorare con le parole. A Feli falla una dichiarazione decente, e che cazzo- gli diede una pacca sulla spalla e tornò dentro. Non appena ebbe aperto la porta, Feliciano e Antonio, che avevano origliato tutto, gli saltarono addosso, abbracciandolo in lacrime e facendolo cadere a terra.
-veeee, fratellone, grazie!- singhiozzò Feliciano.
-Lovi, ti amo anch'io, non devi sentirti in colpa, sto molto meglio qui con...
-levatevi di dosso!- urlò Lovino, cercando di strisciare via -siete pesanti, porca di quella puttana!
Feliciano si alzò e corse da Ludwig, abbracciandolo -vee, Luddi, sono felice che non ti abbia ucciso!
-oh, ehm- imbarazzato, il tedesco gli allacciò le braccia intorno alla vita e se lo strinse contro -anch'io.
Il castano rise, e per un istante luna e stelle parvero più luminosi -ve, ti amo, Luddi.
Ludwig arrossì -anch'io.
-che smielati- commentò Lovino, riuscito finalmente a rialzarsi, nonostante lo spagnolo aggrappato a lui -e voi due siete degli impiccioni- diede un piccolo schiaffo ad Antonio, che per tutta risposta lo baciò spingendolo dentro casa.
-Felicià, vi lasciamo soli, vedi di non farlo con il crucco in terrazzo- gli urlò Lovino prima che la porta si chiudesse.
Antonio lo baciò di nuovo -tomatito, non devi sentirti in colpa- gli accarezzò una guancia, con due occhi così dolci, così innamorati, così pieni di lui, che l'italiano abbassò lo sguardo, sentendosi in soggezione.
-lo so, ma... insomma, hai rinunciato alla tua famiglia e a...- venne interrotto da un altro bacio, così intenso da fargli girare la testa e lasciarlo stordito qualche secondo. Dannato bastardo, come osava farlo sentire così bene?
-non mi importa- gli sussurrò -se pensavi ai soldi, non me ne frega assolutamente nulla. Per quanto riguarda la famiglia... cercherò di mettermi in contatto con mio fratello, non preoccuparti- sfregò il naso contro il suo con un sorriso -prima però voglio concentrarmi un po' su di te e recuperare tutto il tempo perso- lo baciò di nuovo, facendo morire sulla sua lingua la risposta di Lovino -ah, e per quanto riguarda quello che hai detto prima... hai detto che ho scelto la felicità e tu eri solo una parte di quella scelta...- gli sorrise, scostandogli una ciocca di capelli dal viso -tu sei la mia felicità, Lovi, perché ti è così difficile capirlo?
Ormai il viso dell'italiano era paonazzo, sembrava un pomodoro -s-sei sempre così sdolcinato, bastardo, un giorno di questi mi farai venire il vomito.
Le altre sue proteste furono zittite dalla risata dello spagnolo.
Nel frattempo, Feliciano e Ludwig erano rimasti lì, abbracciati, senza alcuna intenzione di allontanarsi.
Feliciano si sentiva terribilmente in colpa. Non voleva perdere Ludwig, non voleva lasciarlo andare, ma sapeva che avrebbe dovuto farlo. Sapeva che un giorno l'avrebbe stretto per l'ultima volta, per poi vederlo allontanarsi verso una grande nave e perderlo nella folla, e per quanto ne dicesse non sapeva se lo avrebbe ritrovato. L'amore trova sempre un mondo: se lo ripeteva come un mantra, cercava di crederci, ma in fondo il dubbio c'era. Quanto avrebbe dovuto aspettare? Altri nove anni? O avrebbe dovuto aspettare un'altra vita, ammesso e concesso che un giorno si sarebbero ritrovati? Quelle incertezze lo tormentavano, gli inumidivano gli occhi e non lo facevano dormire bene la notte, se non quando la passava stretto all'altro. Feliciano si sentiva come un bambino capriccioso: non voleva perdere il tedesco, non lo voleva perdere punto e basta. Voleva pregarlo di restare, e sapeva che forse sarebbe anche riuscito a convincerlo, ma al pensiero di trovarsi al suo posto, di dover rinunciare a tutto per lui, si sentiva improvvisamente ancora più in colpa. Antonio aveva rinunciato a tutto: come poteva Feliciano chiedere al suo ragazzo di fare lo stesso? Ora lo spagnolo e suo fratello stavano bene ed erano felici, ma sarebbe durata? Se lui fosse riuscito a convincere Ludwig a rinunciare a tutto, sarebbe riuscito anche a convivere con i sensi di colpa? Il loro amore sarebbe stato abbastanza da fargli dimenticare tutto? Ma poi, era giusto dimenticare il resto del mondo per amore? Una parte di lui, quella più egoista, gli diceva che sì, era giustissimo, che l'unica cosa importante era Ludwig e Ludwig solo, che il resto del mondo non era importante, ma poi prevaleva l'altra parte, quella che gli ricordava che c'era altro oltre al tedesco, che lui aveva suo fratello e ora anche Antonio e che anche Ludwig aveva suo fratello e i suoi genitori. Certo, si lamentava spesso di questi ultimi dicendo che lo avevano sbattuto in accademia senza pensarci due volte e non tenevano veramente a lui, ma non sapeva cosa volesse dire essere orfani, non avere più altro che tuo fratello, perdere le persone che ti avevano dato la vita, non poteva averne idea e Feliciano era grato che non dovesse convivere con un dolore del genere. Pregava ogni mattina per avere consiglio e per trovare la strada migliore da seguire, ma stava iniziando ad accettare che una strada giusta probabilmente non esisteva. Lovino aveva ragione: in ogni caso, avrebbero dovuto rinunciare a qualcosa. Ludwig avrebbe dovuto rinunciare o a lui o alla sua famiglia, mentre Feliciano o a Ludwig o alla coscienza pulita, avrebbe dovuto convivere con i sensi di colpa, pur sapendo che non sarebbe stata colpa sua. Ogni giorno conviveva con questi dubbi, questi tarli che lo tormentavano, ma poi... poi Ludwig lo baciava e tutto spariva, come per magia, tutte le incertezze, i sensi di colpa, le conseguenze a cui andavano incontro... sparivano, evaporavano, bruciavano. Era una sensazione bellissima che invogliava Feliciano ad averne di più, a baciarlo ancora e ancora e... e ancora si chiedeva se fosse giusto così. Quando era con lui era tutto così perfetto che la risposta era un deciso sì, però dopo... dopo tornavano nel mondo reale, con tutte le sue gioie e sofferenze, e Feliciano non riusciva a non chiedersi quale avrebbe dovuto scegliere: Ludwig o tutto il resto? Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, tutte quelle domande stavano distruggendo lui e quei bei momenti che trascorreva con l'altro.
Ludwig parve percepire il suo turbamento, perché si scostò da lui abbastanza da guardarlo negli occhi e gli accarezzò una guancia con un sorriso dolce -Feliciano, va tutto bene?- e Feliciano avrebbe voluto piangere e dirgli che sì, se c'era lui andava per forza tutto bene, avrebbe voluto stringerlo e non lasciarlo più, ma per quanto volesse non poteva. Ludwig si sarebbe sentito a sua volta in colpa, probabilmente sarebbe andato nel panico non sapendo che dirgli, quindi, per il momento, Feliciano scelse la soluzione più semplice.
-baciami- glielo sussurrò, alzandosi in punta di piedi e sporgendosi verso di lui. Ludwig si guardò intorno, ma quando vide che il balcone dava su una strada deserta e che era comunque troppo buio perché qualcuno potesse vederli, senza esitazione posò le labbra sulle sue, accarezzandogli i capelli e asciugandogli le lacrime che avevano cominciato a scendere, senza che l'italiano potesse bloccarle.
-perché stai piangendo?- gli sussurrò, baciandogli la fronte.
-ve, è solo che...- tirò su con il naso -voglio dire non... stavo ripensando al discorso del fratellone e...- Ludwig lo abbracciò, forte.
-non ti lascio, Feliciano. Potrebbe volerci un po', ma io ti giuro che un giorno saremo di nuovo insieme. Troverò un modo, lo troveremo- sentì l'altro scoppiare in lacrime contro il suo petto, allora lo strinse più forte, cercando di consolarlo -troveremo un modo- gli baciò la testa, accarezzandogli i capelli e la schiena per calmarlo -te lo prometto- gli sorrise asciugandogli le ultime lacrime -l'hai detto tu, no? L'amore trova sempre un modo. In qualche modo ce la faremo.
Feliciano scosse la testa -L-Luddi non... ve, non voglio che tu rinunci a tutto per me. Quando arriverà il momento vai. Non... ve, non...
Ludwig lo baciò per zittirlo -te l'ho detto, un modo lo troveremo. Potresti venire per un po' da me, che ne dici? Magari in estate, quando fa più caldo. C'è un amico di mia madre che gestisce una galleria d'arte, potrei fargli vedere qualche tuo quadro e... e farne esporre qualcuno, così verresti su da me e staremmo insieme un po'. Potrei trovare qualche scusa per venire a trovarti qui, qualche settimana all'anno- gli prese le mani, cercando di sembrare fiducioso -in qualche modo ce la faremo. Non ti lascerò qui da solo per sempre, Feliciano. Potrebbe volerci un po', ma staremo di nuovo insieme.
Feliciano annuì, gli occhi ancora lucidi; si fidava di Ludwig, quindi cercò di crederci.
Per quanto riguarda Ludwig, stava cercando in ogni modo di trovare una soluzione, un modo per poter avere sia Feliciano sia la sua famiglia, ma ancora non aveva trovato nient'altro che visite occasionali. Non poteva chiedere a Feliciano di lasciare la sua vita per seguirlo, né poteva farlo lui. Non poteva abbandonare la sua famiglia, deludere i suoi genitori e perderli per sempre, ma non poteva perdere neanche quel dolce, solare e unico italiano.
Come avrebbe potuto conciliare le due cose? Lovino aveva detto che bisognava sempre rinunciare a qualcosa, ma si rifiutava di crederci. Un modo ci doveva essere per avere entrambe le cose. Era disposto a rinunciare al sogno della loro casa insieme, pur di avere anche solo un mese all'anno con l'altro. In qualche modo ce l'avrebbero fatta. Lo strinse più forte.
-ne riparleremo quando arriverà il momento, che ne dici?- gli asciugò via dal viso l'ultima lacrima. Feliciano annuì, baciandolo ancora.
-ve grazie, Luddi. Ti amo.
-anche io, Feliciano- lo strinse ancora, baciandogli la fronte -per sempre.

Quando tornarono dentro, trovarono Lovino e Antonio, seduti a tavola, che parlavano a bassa voce, tenendosi per mano. Sentendoli entrare, alzarono lo sguardo su di loro. Lovino parve leggere qualcosa nello sguardo del fratellino, perché si alzò, dopo aver lanciato un'occhiata ad Antonio, e gli chiese di seguirlo in cucina per aiutarlo a preparare i caffé.
Il più piccolo annuì, stampò un bacio sulla guancia di Ludwig e seguì il fratello in cucina. Quando si fu chiusa la porta, Lovino gli parlò in napoletano, in modo che, se anche gli altri due avessero sentito, non avrebbero capito nulla.
-che hai, Feliciano? Sembra sia finita la pasta.
-ve, io...- esitò. Poi si decise a parlare; in fondo, se c'era qualcuno che poteva capirlo, quello era suo fratello -è che... ve, mi sento così in colpa... vorrei, ve... vorrei che Luddi non se ne andasse e restasse con me per sempre, ma ve non voglio che rinunci a tutto per me, però... e poi non so se stare con lui o con il resto, nel senso che...
-ah, ho capito- Lovino annuì -vedi, Feli, è una decisione sua. Il massimo che puoi fare è lasciarlo libero di scegliere. Anche tu potresti rinunciare a tutto per lui: potresti seguirlo a casa sua e lasciare me qui. Ma saresti felice?
Feliciano scosse la testa -ve, non voglio lasciarti fratellone.
-appunto. E poi su al nord è brutto, c'è freddo e non sanno neanche cosa sia la pasta- gli diede una pacca sulla spalla -Feli, sai che il crucco è di famiglia nobile, no? Probabilmente lo faranno sposare con un'altra.
Feliciano rabbrividì. L'idea di Ludwig che stringeva qualcuno che non fosse lui, che baciava una donna, che giaceva con lei... bastava a fargli stringere un nodo nello stomaco, a fargli venire voglia di urlare e stringere Ludwig e allontanarlo dal resto del mondo.
-lo so che la sola idea ti distrugge, ma potrebbe succedere. La scelta è del crucco- vedendo la sua espressione affranta, lo abbracciò -Feli, lo so che è doloroso, lo so che non vuoi, ma devi fidarti del crucco abbastanza da lasciarlo libero di decidere. E per quanto riguarda lo scegliere tra il crucco e il resto... perché dovresti? Puoi fare un compromesso, stare un po' con l'uno un po' con l'altro. Non è giusto rinunciare all'amore, ma neanche annullarsi per esso. Il trucco è stare nel mezzo.
Feliciano annuì, scoppiando in lacrime e stringendo forte il fratello.
-shh, va bene così- gli accarezzò la schiena, sussurrandogli parole di conforto, come faceva quando erano bambini e il più piccolo aveva un incubo -è normale che tu voglia che stia con te, sei umano Feli, e sei forte. Ce la farai, troverai la felicità, Dio non abbandona i suoi fedeli, ricordi? Ce l'ho fatta io, perché non dovresti farcela anche tu?
Feliciano pianse ancora, lasciandosi consolare dal fratello. Sfogò con quel pianto tutti i dubbi, le incertezze, la paura e i sensi di colpa, e trovò ingiusto che fosse sempre suo fratello a farsi carico delle sue sofferenze, ma era quello in fondo il ruolo del fratello maggiore, anche se un ruolo ingrato.
Quando finalmente si sentì meglio, si allontanò dal suo abbraccio e si asciugò le guance.
-ve, si vede che ho pianto?
Lovino gli diede una pacca sulla spalla -non tanto, hai solo gli occhi un po' rossi.
-ve, non voglio far preoccupare Luddi.
-tempo che prepariamo i caffé e non si vedrà più nulla, tranquillo- gli spettinò i capelli e si voltò verso la credenza per prendere il necessario -vieni qui e dammi una mano, scansafatiche.

Angolo autrice:
Ludwig è sopravvissuto! Festeggiamo!
e ci credo non ho ancora finito con lui muahahah
Questo capitolo è un po' vuoto come trama, ma non come caratterizzazione. Abbiamo Lovino che fa il fratellone, un po' di Spamano che non fa mai male, paranoie e riflessioni di Feliciano e di nuovo Lovino-fratello-maggiore. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato, dal prossimo torneranno altri personaggi parecchio amati ;) tra cui due ancora non visti in queste due storie. Di più non vi spoilero, alla prossima!
Daly

 

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Capitolo 6
*** Il ritorno del Magnifico (e di altri due meno magnifici) ***


Da quella sera per alcuni mesi ci fu una specie di routine. Ogni giorno Feliciano, se non era rimasto a dormire da Ludwig, andava a casa sua, uscivano, stavano insieme per tutto il giorno e la sera andavano a cena da Lovino. Ludwig riuscì persino a prendere confidenza con il cognato, nonostante avesse comunque l'istinto di mettersi sull'attenti a ogni sua parola.
Quella quotidianità venne poi spezzata dall'arrivo di una lettera da parte di un certo prussiano che amava distruggere ogni tranquillità.
Quando Feliciano, quella mattina di fine aprile, vide Ludwig aprirgli la porta, scoppiò a ridere. Aveva un'espressione disperata che normalmente lo avrebbe fatto preoccupare, ma visto che era arrivata anche ad Antonio una lettera da Gilbert sapeva già quale fosse la causa.
-vee, tra poco arriverà il tuo fratellone. Non sei contento, Luddi?
-no- rispose quello, lasciandolo entrare e chiudendogli la porta alle spalle -è di Gilbert che stiamo parlando. Devo prepararmi psicologicamente.
Feliciano rise e lo baciò -ve, ti va bene questo come preparazione?
Ludwig annuì, stringendolo a sé e baciandolo ancora.
-ve, perché sei così preoccupato?
-sarà imbarazzante. Molto imbarazzante. E poi ci sarà anche Francis...- si fece scuro in viso -non sai come sono mio fratello, Antonio e Francis insieme. Farebbero venire un diavolo per capello al Papa in persona.
Feliciano ridacchiò -però c'è il fratellone a tenerli d'occhio.
Ludwig ci pensò. Di sicuro, Antonio gli avrebbe dato retta. Ma Gilbert e Francis...
-no- scosse la testa -per quanto possa tenere buono Antonio, Gilbert non gli darà mai retta. Ci vorrebbe Roderich...
-chi?
-Roderich, il suo ragazzo. Lui è l'unica persona al mondo a cui mio fratello dia ascolto. Ma non verrà, ha una serie di concerti a Vienna che lo terranno occupato fino a luglio.
-vee, che peccato, avrei voluto conoscerlo- Feliciano si fece pensieroso -ve, Luddi, questo Roderich è austriaco e suona il pianoforte?
-uhm, sì, perché?
-veeee, allora lo conosco! Era amico del mio papà, mi ha tenuto con sé per qualche mese quando ero piccolo. Di cognome faceva...- sembrò pensarci -Eldelstein? Giusto?
Ludwig aprì la bocca, poi la richiuse -non ne sono sicuro, possiamo chiederlo a Gilbert quando sarà qui.
Feliciano annuì -sì, ve- si mise in punta di piedi e lo baciò ancora -ve, Luddi, che facciamo oggi?
Il tedesco lo baciò ancora, più a lungo e profondamente, stringendogli i fianchi al di sotto della maglia leggera. Quando si allontanò vide che gli occhi ambra del più piccolo si erano fatti più scuri, liquidi, e si ritrovò a sorridere.
-che ne dici di...?
Feliciano annuì, baciandolo ancora e spingendolo verso la camera.
Nell'ultimo periodo avevano imparato a conoscersi, ad approfondire quel nuovo desiderio, a superare del tutto l'imbarazzo iniziale, a provare cose nuove, trovandosi sempre più a proprio agio e lasciandosi guidare da quell'istinto che lentamente si faceva sempre più esperto. Avevano imparato a conoscere il proprio corpo e quello dell'altro, ad ascoltarsi, a sapere dove baciare, dove stringere, cosa fare e cosa non fare, desiderandosi sempre di più, sperimentando anche, tutto per rendere quei momenti sempre più belli.
Alla fine rimanevano accoccolati nel letto. Quella era la parte preferita di Ludwig: amava stringere l'altro, baciarlo con dolcezza sulle labbra stanche, accarezzare quella pelle tiepida, tenerlo stretto a sé, sentirlo sussurrargli con voce assonnata qualcosa di dolce. Nonostante il caldo che cominciava a farsi sentire, tenere Feliciano stretto a sé non aveva prezzo.
-veee, Luddi...
-dimmi, Feliciano- giocherellò con una sua ciocca di capelli, stando ben attento a non toccare lo strano ciuffo che gli spuntava dalla testa. Quando aveva scoperto il segreto di quel ciuffo era rimasto stupito, ma quello non era il momento giusto per approfittarne.
-ve, andiamo a mangiare?
Il tedesco aveva imparato anche ad abituarsi all'appetito instancabile dei fratelli Vargas. Aveva però rinunciato a capire come fosse possibile che rimanessero così magri, nonostante mangiassero così tanto.
-va bene, tanto è quasi ora di pranzo- si alzò e si rivestì; sentiva lo sguardo dell'altro su di sé, ma ci aveva fatto l'abitudine e aveva scoperto che, quando Feliciano lo osservava così attentamente, era perché voleva disegnarlo più tardi. Anche l'italiano si alzò e si vestì, baciando Ludwig e andando in cucina con un ampio sorriso.
Dopo pranzo, decisero di andare a fare un giro per Napoli. Ormai, dopo tutti quei mesi, Ludwig poteva dire di conoscerla abbastanza bene, ma vederla insieme a Feliciano era come vederla ogni volta per la prima volta.
Quando a cena andarono da Lovino, trovarono Antonio con un sorriso enorme.
-crucco, quant'è che si fermeranno gli altri due idioti?
-due settimane, mi sembra.
Lovino si prese la testa tra le mani, mentre il sorriso dello spagnolo si ingrandiva.
-non ce la posso fare- sospirò -è tutto il giorno che il bastardo è insopportabile. Quando arriveranno sarà ancora peggio.
-dai, Lovinito, non sei felice di vedermi felice?
L'italiano brontolò qualcosa di incomprensibile, poi aggiunse -sappi che se farete qualche danno in casa mia o in negozio, dopo avervelo fatto sistemare vi farò pulire tutto il pavimento con la lingua e poi tu dormirai sul balcone per almeno un mese, chiaro?
Antonio annuì, con un'ombra di nervosismo negli occhi verdi -chiarissimo, Lovinito.
-e non chiamarmi Lovinito.
Feliciano ridacchiò -fratellone Antonio, dove dormiranno?
-ah, mi pare che si siano presi due stanze in un'osteria qui vicino.
Lovino incrociò le braccia al petto -meglio, tanto qui non li avrei mai ospitati.
-dai, Lovi, non essere così negativo. Potrebbero starti simpatici.
Il maggiore dei Vargas sbuffò e indicò Ludwig -suo fratello lo detesto già, senza offesa eh.
Ludwig alzò le spalle -conoscendo Gilbert, non mi sorprende.
-e l'altro è francese. Tanto mi basta per odiarlo.
-odi anche gli spagnoli, però...- gli fece notare Antonio.
-i francesi sono dei damerini idioti e vanitosi che se la tirano e non fanno altro che cercare di conquistarci- replicò Lovino e persino Feliciano si trovò d'accordo.
Antonio aprì la bocca per replicare, poi sembrò ripensarci.
-sono sicuro che non tutti i francesi siano così- disse infine -ma Francis... be'...
-appunto- Lovino lo guardò male -vi lascio stare, stai pure con quei due, ma se combinate qualche guaio...
Antonio lo baciò con un sorriso -tranquillo, Lovinito. Non faremo niente di male.
Ludwig sapeva benissimo che quella era una palla colossale, ma tacque per evitare di scatenare un'altra scenata.

Era tutta la mattina che Lovino e Antonio litigavano.
Cioé, più che litigare era Lovino che insisteva perché l'altro restasse a casa.
-Lovi, te l'ho detto, devo solo andare a prendere Francis e Gilbert- ripeté per l'ennesima volta lo spagnolo, mentre l'altro impastava la pasta per la pizza e Feliciano preparava il sugo.
-sì ma...
-ma cosa? So che Gilbert non ti piace ma è il mio migliore amico e...
-non è per Gilbert- borbottò quello, chinando la testa per non mostrare le guance rosse.
-e allora che...- parve in quel momento realizzare -è perché vado al porto senza di te? Hai paura che me ne vada?
Lovino rimase in silenzio, mentre gli si imporporavano le guance.
-ma che carino, Lovi!- lo abbracciò, baciandolo sulla fronte -ma non devi preoccuparti, non me ne andrò mai più.
-lo so però...- sbuffò, liberandosi dal suo abbraccio e riprendendo il suo lavoro -non mi piace l'idea che tu ci vada- brontolò. Feliciano rise sotto i baffi. Suo fratello era così prevedibile certe volte.
-tranquillo, ti giuro che tornerò in men che non si dica- lo baciò, allontanandosi quando sentì bussare al piano di sotto -questo deve essere Ludwig.
-oh, quindi c'è anche il crucco- Lovino sbuffò vedendo il fratellino correre giù -Feli, non correre per la scale cazzo!
-ve scusa, fratellone- ma comunque si precipitò ad aprire. Non appena l'altro fu entrato lo abbracciò -vee, Luddi, mi sei mancato tanto.
Il tedesco lo strinse e gli accarezzò i capelli ridacchiando -ci siamo visti ieri, Feliciano.
-ve, mi sei mancato comunque- si sporse a baciarlo, con dolcezza -ti amo tanto.
Ludwig arrossì leggermente -anche io.
-piccioncini di merda, vedete di non farlo nel mio negozio- intervenne Lovino.
-ma Lovi, sono così carini!
-taci, bastardo. Andate a prendere quei tre cretini, hai detto che verranno qui per pranzo, no? Bene, allora Feli muovi il culo e vieni ad aiutarmi, dobbiamo preparare per tutti.
-vee, va bene fratellone- diede un altro bacio a Ludwig e tornò di sopra, tuttavia riuscì a vedere chiaramente suo fratello che abbracciava Antonio prima che uscisse.
-ve, tranquillo fratellone, tornerà di sicuro.
-taci e metti l'acqua sul fuoco- borbottò qualche imprecazione -dobbiamo cucinare per sette persone, quindi a lavoro!

-che aveva Lovino? Mi è sembrato... strano- mentre dirigevabo al porto, Ludwig si sentiva morire di caldo. Era maggio, ma gli sembrava che fosse pieno agosto; Antonio non sembrava troppo accaldato, probabilmente era abituato, tra la Spagna e l'America latina.
-oh, non gli piaceva l'idea che andassi al porto senza di lui. Probabilmente aveva paura che me ne andassi di nuovo, cosa che per la cronaca non farei mai.
-ah.
Lo spagnolo alzò le spalle -sai, Lovi è molto più emotivo di quanto non sembri. Non ce l'ha con te, è solo preoccupato per Feliciano.
-lo capisco.
Antonio sorrise -non vedo l'ora di rivedere Francis e tuo fratello. Mi sono mancati.
-a quanto ho capito ci sarà anche una terza persona, chi sarebbe?
-oh, il compagno di Francis. Non l'ho mai incontrato, ma me ne ha parlato molto nelle sue lettere.
-per stare con uno di voi tre o è un santo o è un pazzo- commentò Ludwig, facendo ridere l'altro.
-sì, immagino tu abbia ragione.
Quando arrivarono, la nave aveva appena attraccato. Il porto era affollato, così ci misero un po' a trovarli, ma l'essere rumoroso di Gilbert e l'altezza di Ludwig li aiutarono nell'impresa.
Vedendo i due amici, Antonio corse ad abbracciarli.
-Antoine, mi scombini i capelli!- urlò Francis, ma puntualmente Gilbert lo spettinò ancora di più con un ghigno dispettoso, facendolo urlare.
Una quarta persona brontolò qualcosa in una lingua che Ludwig non conosceva, probabilmente un insulto a Francis o a Gilbert.
Gli porse la mano, sperando parlasse tedesco -piacere, sono Ludwig, il fratello di Gilbert.
L'uomo, un biondo con gli occhi verdi e due enormi sopracciglia, gliela strinse, rispondendogli in un tedesco piuttosto buono -Arthur, il santo che sopporta quel francesino insopportabile.
-Arthùr! Da quando parli tedesco?- esclamò Francis, mentre Gilbert cercava di scollarsi Antonio di dosso.
-da sempre, rana idiota. Un gentleman deve poter comunicare anche in altre lingue.
-allora perché il tuo francese fa così pena?
Arthur divenne scarlatto -stai zitto, rana idiota.
-ehm, qualcuno mi traduce?- intervenne Antonio. Gilbert gli diede una sonora pacca sulla spalla, scoppiando a ridere.
-kesesesesese, possibile che tu sappia solo lo spagnolo, anche dopo anni di amicizia con il Magnifico?
Lo spagnolo arrossì con un piccolo sorriso -Lovinito mi sta insegnando il napoletano, però.
-honhonhon, Lovinito sarebbe la tua dolce metà?- Francis fece un sorrisetto malizioso, beccandosi una gomitata da Arthur che, nonostante non sapesse una parola di spagnolo, non aveva apprezzato il sorriso del francese.
Antonio fece un sorriso sognante -sì, il mio Lovinito...- sospirò, sobbalzando alla seconda pacca di Gilbert, sempre piuttosto forte.
-da quel che ricordo aveva un bel caratterino- sembrò notare in quel momento il fratello -kesesesese, Ludwig, com'è possibile che tu sia ancora più alto?- si mise in punta di piedi e gli scompigliò i capelli -a te come va, fratellino? Ti è mancato il Magnifico?
Ludwig sospirò, cercando di mantenere la calma. Sarebbero state due lunghissime settimane.
-aspetta, quello è Ludwìg?- Francis sgranò gli occhi -è cresciuto, ehm, parecchio.
Antonio annuì -lo so, quando sono tornato non lo avevo riconosciuto neanche io- diede una pacca a sua volta a Gilbert -Gil, come ci si sente a essere più basso del tuo fratellino?
Il tedesco sbuffò -non ti ci mettere, è abbastanza umiliante di suo. Ma comunque il più Magnifico sarò sempre io!
Arthur, dopo che il francese gli ebbe tradotto, borbottò qualcosa che suonava molto come "idiota megalomane".
-bene!- Antonio batté le mani -ora vi accompagniamo a posare i bagagli, poi venite a pranzo da me. Spero abbiate fame, ho detto a Lovi di abbondare con il cibo.
Ludwig lo guardò come se fosse impazzito -tu hai fatto cosa?!
-meglio così, almeno un certo francese di nostra conoscenza prenderà peso- ribatté Gilbert, lanciando un'occhiataccia a Francis, che roteò gli occhi -avanti, Gil, ne sono uscito tempo fa. E poi ho qui Arthùr che mi tiene d'occhio come un mastino.
L'inglese non aveva capito niente, ma sentendo il suo nome si era automaticamente insospettito. Ludwig gli tradusse.
-ah, giusto. Stranamente ha detto una cosa sensata- l'inglese annuì, guardando male il compagno, che in risposta gli mandò un bacio e un'occhiolino.
-comunque hai fatto bene, Tonio- Gilbert lasciò la sua valigia al fratello e allacciò le braccia intorno alle spalle dei due amici -ho una fame magnifica quasi quanto me.
Ludwig si fece lugubre -non conosci Lovino e Feliciano. Avranno cucinato come minimo abbastanza per un esercito.
Antonio sembrò realizzare l'errore fatto e fece un sorriso imbarazzato -in effetti...
-oh, be', io ci sono stato nell'esercito, quindi è perfetto così.
Ludwig scosse la testa, ma non replicò. Il fratello avrebbe capito a sue spese quanto fosse pericolosa la cucina dei fratelli Vargas.

Dopo aver accompagnato gli ospiti a posare i bagagli, si diressero al negozio, per quel mattino chiuso. Antonio bussò abbastanza forte da farsi sentire al piano di sopra e dopo poco Feliciano venne ad aprire.
-veee, ciao!- li fece entrare e, una volta chiusa la porta, saltò al collo di Ludwig, abbracciandolo -ve, Luddi, mi sei mancato.
-honhonhon, chi abbiamo qui?- intervenne Francis, con un sorriso malizioso. Arthur gli diede una gomitata nel fianco e Ludwig lo guardò male.
L'italiano lasciò andare il suo ragazzo e sorrise imbarazzato -vee, ciao, io sono Feliciano.
-Feli!- Gilbert gli scompigliò i capelli -quanto sei cresciuto! Certo che somigli proprio a tuo fratello, eh? Come va con quel meno-magnifico-di-me del mio fratellino?
-veee, bene- come a confermarlo, gli prese la mano -ah, Gilbert, ti volevo chiedere... il tuo ragazzo si chiama Roderich Eldelstein?
-uhm, sì, perché?
-veee, lo conosco! Si prese cura di me per un po', quando ero piccolo.
Gilbert inarcò un sopracciglio -Rod che si prende cura di un bambino? Quanti anni avevi?
-uhm, sette o otto. Mi pare lui ne avesse diciasette o diciotto, più o meno.
-glielo chiederò. Ma guarda te che coincidenze, certo il mondo è piccolo eh?
-dov'è andato Tonio?- intervenne Francis.
-ve, credo sia andato dal fratellone al piano di sopra. A proposito, che maleducato, vi faccio accomodare.
Trotterellò, con Ludwig al seguito, fino al piano di sopra, facendoli sedere a tavola -vee, sarà pronto tra poco, intanto accomodatevi, forse staremo un po' stretti ma...- alzò le spalle -vado a vedere a che punto è il fratellone- baciò Ludwig e andò in cucina, trovando suo fratello abbracciato ad Antonio -vee, fratellone, sono arriv... oh, scusate, vi ho interrotto?
Rosso in viso, Lovino allontanò da sé lo spagnolo -no! Tranquillo, Feli, non hai interrotto niente- spinse il suo ragazzo fuori dalla cucina e chiuse la porta -sono arrivati? Bene, aiutami a portare i piatti di là.

Alla fine Gilbert imparò a non sottovalutare la cucina italiana. Dopo la settima portata era piegato in due sul tavolo, con aria afflitta.
-io ti avevo avvertito- gli ricordò Ludwig, che, previdente, aveva preso poco di ogni portata, in modo di arrivare vivo alla fine.
Feliciano piegò la testa da un lato, incuriosito -ve, ma come? Non siamo neanche arrivati al secondo.
Lovino fece un verso sprezzante -crucchi. Non sanno neanche mangiare come Dio comanda.
Francis era probabilmente quello messo peggio, perché Lovino, saputa da Antonio tutta la sua storia, gli dava porzioni più abbondanti e Arthur lo costringeva a mangiare fino all'ultima briciola. Anche lui, come Gilbert, sembrava reduce da una guerra sanguinosa.
-vee, fratellone, posso avere ancora un po' di pasta?- i due italiani sembravano immuni alla fatica, come se avessero un buco nero nello stomaco.
-va bene, Feli- si alzò e prese il suo piatto -qualcun altro ne vuole ancora?
Silenzio di tomba.
Lovino sbuffò e sparì in cucina, brontolando qualcosa sull'ingratitudine e gli stomaci deboli.
-Feli- Gilbert lo guardò come se fosse un alieno -mi spieghi come fai ad avere ancora fame?
Il castano alzò le spalle, con un sorrisino imbarazzato.
Ludwig scosse la testa -italiani. Non li capirò mai.
In quel momento tornò Lovino, posò il piatto pieno di pasta davanti al fratellino e tornò a sedersi accanto al proprio ragazzo, che gli passò un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé.
-allora, Lovinito...- Gilbert ghignò -che si dice da queste parti?
Lovino lo guardò male -che se non la smetti di chiamarmi in quel modo ti verso del brodo bollente nelle mutande.
Francis e Antonio scoppiarono a ridere -oooooooooh- Arthur e Ludwig si scambiarono un'occhiata esasperata; Lovino avrebbe ricambiato, se non fosse stato impegnato a essere stritol... abbracciato dal suo ragazzo.
Gilbert sbuffò -ho bisogno di bere per dimenticare la sconfitta. Avete del vino o qualcosa di...- si fermò quando notò che Feliciano gli stava facendo segno di tacere con la testa -che c'è? Non ho mica chiesto della droga.
-no, non abbiamo da bere- rispose Lovino, freddo come il ghiaccio -Feli, mi aiuti a tirare fuori la pizza dal forno?
Quando i due fratelli si furono chiusi in cucina, Antonio si voltò verso il tedesco -Gil. Una cosa non dovevi dire: una sola!
-ma che problemi ha con l'alcool?
Antonio scosse la testa -ancora non me ne ha parlato nei dettagli, so solo che riguarda suo nonno, ma Lovi odia l'alcool. Non beve mai. Mai.
-che vita triste.
Antonio alzò le spalle.
-rana, dovresti prendere esempio- commentò Arthur.
-Arthùr, mon amour, devo ricordarti cosa hai combinato al tuo compleanno?- all'istante, l'inglese divenne paonazzo -o cosa è successo l'ultima volta che tuo fratello è venuto a trovarci? O quando...
-va bene, va bene!- lo interruppe l'inglese.
In quel momento Lovino uscì dalla cucina con una teglia di pizza e a Gilbert vedendo altro cibo venne da vomitare. Si aggrappò al braccio del fratello -lascio tutto a Gilbird. Se non dovessi farcela, di' a Rod che anche se è un damerino lo amo.
Lovino sbuffò -idiota, se avessi voluto ucciderti saresti già sottoterra.
-mi stai uccidendo lentamente a forza di pasta e pizza!
L'italiano roteò gli occhi -se avete lo stomaco debole la colpa non è mia.
Francis mormorò una preghiera in francese, poi parlò in spagnolo a Lovino -quante altre portate ci sono?
Feliciano sorrise servendogli una fetta -ve, visto che non ce la fate più abbiamo pensato di fermarci alla pizza, anche se volevamo fare ancora altre due o tre cose.
Gilbert sollevò lo sguardo al cielo -Dio ti ringrazio!
Antonio dovette far sedere il suo ragazzo sulle sue gambe per impedirgli di aggredire l'amico.
-crucco maledetto, cos'hai detto?!- Lovino sbuffò cercando di alzarsi -bastardo, lasciami, devo far fuori un crucco ingrato.
-non ho detto che non fosse buono- replicò Gilbert -solo... troppo.
Prima che Lovino potesse urlargli contro qualcosa, Antonio lo baciò, zittendolo. All'istante Francis e Gilbert proruppero in urla e fischi.
-trovatevi una stanza, piccioncini!- in tutta risposta, Lovino tolse una mano dai capelli di Antonio e sollevò il medio.
-così però mi fate sentire solo- Gilbert sbuffò -mi fate sentire la mancanza del damerino.
-se vuoi ti presto questo, di damerino- intervenne Arthur, indicando Francis.
-ma Arthùr!
-mi spiace sopracciglione, lui e Tonio sono praticamente dei fratelli. Non potrei mai- lanciò un'occhiata a Antonio e Lovino, ancora appiccicati come sanguisughe -vi staccate o dobbiamo lasciarvi soli?
Lovino si allontanò e posò la fronte contro quella del suo ragazzo -ti prego, posso lanciargli addosso qualcosa? Per favore.
Antonio rise, baciandolo rapidamente a stampo -no, Lovinito, non puoi, mi dispiace.
L'italiano sbuffò e tornò al suo posto -la tua è tutta invidia, crucco megalomane.
-invidia per Antonio- rispose Gilbert con un sorrisino -anche se hai un caratteraccio, sei un gran bel ragazzo.
Antonio prese il coltello e glielo puntò contro, dall'altra parte della tavola, con un sorriso -alla larga, Gil.
-sei spassoso quando sei geloso, lo sai Tonio?
Lovino sbuffò, prendendo un morso della sua fetta di pizza -sei un idiota. Pensi davvero che potrei tradirti con quel... quel crucco?- roteò gli occhi -a parte che è uno stronzo, e poi non è minimamente il mio tipo.
Gilbert sgranò gli occhi -ma io sono il tipo di tutti!
L'italiano lo guardò annoiato -non il mio- e riprese a mangiare. Antonio sorrise, posando il coltello e sussurrandogli qualcosa all'orecchio che lo fece arrossire.
-aspetta, è perché sono tedesco? O perché sono troppo pallido?
Ludwig sospirò esasperato -Gilbert. Mangia.
-no, devo capire come sia possibile che io non sia il suo tipo. Io sono il tipo di tutti!
-non il mio- ripeté Lovino, finendo di mangiare.
-neanche il mio- aggiunse Francis.
-Fran, tu e Tonio siete un discorso a parte, siete allo stesso livello di Lud...
-neanche il mio- lo interruppe Arthur -neanche lontanamente.
Francis sogghignò -il tuo tipo sono io, vero, mon chenille?
L'inglese lo allontanò da sé con una manata.
-tu sei un frigido inglesino, non conti- replicò Gilbert. Guardò Feliciano, speranzoso.
-veeee, è Luddi il mio tipo- l'interpellato gli prese la mano, possessivamente.
-non so se esserne orgoglioso o deluso- commentò Lovino.
Gilbert sospirò sconfitto, consolandosi con la pizza.

Angolo autrice:
È tornato il bad touch trio! Chissà quante ne combineranno...
La Gerita ha dovuto cedere un po' di spazio ai nuovi personaggi, ma un po' di leggerezza ci vuole meglio approfittarne ora

Sempre tenera la Spamano, sempre dolce la Gerita, ma qui abbiamo accenni anche alla FrUk/UkFr (non so decidermi, perdonatemi) e altri molto lievi alla PruAus, che si intensificheranno nei successivi capitoli, chiedo scusa a chi non apprezza queste due coppie.
Non aggiungo altro, alla prossima settimana
Daly

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Capitolo 7
*** Bastardi gelosi e crucchi ubriachi ***


-è perché non sono abbastanza alto? O per il mio accento?- mentre Lovino sparecchiava, Gilbert lo assillava, senza neanche muovere un dito per aiutarlo. L'italiano avrebbe voluto accoltellarlo, ma le posate le aveva già portate via Feliciano -o sono i miei occhi?
Il castano sospirò esasperato portando i piatti in cucina -no. Non sei il mio tipo e basta. Accettalo.
Gilbert esitò, poi lo seguì -quindi è perché non sono abbastanza alto?
Lovino era davvero tentato di sbattere la testa al muro, o in alternativa di sbatterla all'albino, ma non voleva rischiare di buttare giù la parete.
-no, è perché sei un idiota, megalomane, crucco e deficiente- fece per andare in salotto a togliere la tovaglia, ma il tedesco lo bloccò contro il lavandino con un ghigno.
-o forse è perché non hai mai provato un magnifico bacio del Magnifico.
Lovino lo guardò come si guarda un malato ricoperto di vomito e muco, con un misto di pietà e disgusto -accetta la sconfitta, crucco. Piuttosto che baciarti preferirei limonare un cane bavoso con la rabbia.
Gilbert si avvicinò ancora, finché non sentì una presenza ostile alle proprie spalle. Lovino vide il nuovo arrivato e sorrise -ciao, amore.
Antonio, che per quanto era furioso sembrava avere una nuvoletta viola intorno, afferrò l'amico per il colletto della maglia e lo spinse fuori, chiudendogli la porta in faccia. Sentì la risata di Lovino alle sue spalle -sei davvero geloso del crucco? Te l'ho detto, preferirei limonarmi un cane con la rabbia piuttosto che...- fu interrotto dalle labbra di Antonio, che lo baciarono quasi con violenza e non gli lasciarono il tempo di finire. Sogghignò, seppellendogli una mano tra i ricci mori e attirandolo più vicino a sé. Quando si allontanarono si leccò le labbra con un sorriso malizioso, divertito da quella gelosia eccessiva -se fai così, dovrei farti ingelosire più spesso.
Antonio lo guardò, per una volta senza sorridere, con gli occhi verdi ridotti a due fessure, il sangue che gli ribolliva nelle vene -se Gilbert ti si avvicina di nuovo lo uccido- era così serio che Lovino non esitò a crederci. Cercando di calmarlo lo baciò ancora, con più calma.
-Antonio, calmati. Non c'è bisogno di essere geloso -gli sorrise, scostandogli una ciocca di capelli dagli occhi; sfregò il naso con il suo, accarezzandogli la nuca -sei tu il mio tipo, idiota.
Il moro gli strinse i fianchi con possessività, posando la testa nell'incavo del suo collo -è che... mi dà fastidio che ti fosse così vicino e...- strinse un pugno -stava per baciarti.
-stavo per prenderlo a schiaffi- lo corresse l'italiano, facendogli sollevare il viso, baciandolo di nuovo e intrecciando una mano con la sua per fargli sciogliere il pugno -sei arrivato prima tu, altrimenti ora il crucco si ritroverebbe con un livido in faccia- gli tirò verso l'alto gli angoli della bocca con le dita -e dai, fammi un sorriso. Sei inquietante così serio, non sembri tu.
Antonio gli concesse un sorriso amaro -se non volessi così bene a Gil penso che lo avrei preso a calci.
Lovino roteò gli occhi -sei un idiota, non ha senso essere così possessivo. Io ho il diritto di esserlo, viste tutte le clienti che ti vengono dietro.
Lo spagnolo fece una piccola risata -lo sai che le ragazze non sono il mio tipo- lo baciò, con quell'espressione da idiota innamorato che faceva sempre imbarazzare l'altro -sei tu il mio tipo.
Il castano sbuffò -e meno male- l'altro lo baciò ancora, con un sorriso.
-ti amo, Lovi.
-anch'io, bastardo. Ora levati, devo andare a finire di sparecchiare.
Antonio si fece scuro in volto -ti accompagno.
-devo solo togliere la tovaglia.
-ti accompagno lo stesso.
Lovino sbuffò divertito, baciandolo sulla guancia -e va bene, cane da guardia.

Nel frattempo, vedendo Gilbert venire spinto fuori dalla cucina, Ludwig, che stava chiaccherando con Arthur, inarcò un sopracciglio.
-ci stavi provando con Lovino?
L'albino sbuffò -stavo solo conversando civilmente con lui cercando di capire perché io non sia il suo tipo.
Ludwig roteò gli occhi -ragiona un secondo, Lovino è forse il tuo tipo?
-nah, troppo scontroso, non ho la pazienza di Tonio.
-e allora che vuoi da quel povero disgraziato?- intervenne Arthur, divertito.
-capire perché io non sia il suo.
-l'hai detto tu stesso un secondo fa- a Ludwig sembrava di star parlando con un bambino.
Gilbert corrugò le sopracciglia -sono troppo scontroso?
-non sei Antonio- lo corresse il fratello minore.
L'albino sembrò capire -oooh. Gli piacciono gli spagnoli idioti quindi.
Arthur guardò Ludwig -è davvero così stupido o fa finta?
Il tedesco alzò le spalle -è tutta la vita che cerco di capirlo.
In quel momento li raggiunse Feliciano, entusiasta, che corse dal suo ragazzo e gli saltò in braccio -ve, ve, Luddi, a Francis sono piaciuti i miei disegni, ha detto che potrebbe farmi avere un posto dove esporre su in Francia, se riuscirà a convincere le persone giuste. Ve, non è bellissimo?
Ludwig lo tenne per i fianchi per non farlo cadere -sì, Feliciano- gli sorrise, venendo subito ricambiato -è davvero una bella notizia.
Arthur lanciò un'occhiata di sbieco al francese -puoi davvero farlo?- glielo chiese in inglese, in modo che, se anche la risposta fosse stata negativa, Feliciano non avrebbe capito.
Francis gli fece un'occhiolino -ti stupiresti di quanti contatti abbia a Parigi, mon amour- poi si rivolse in tedesco a Feliciano, ancora in braccio al suo ragazzo -potrebbe volermici un po', visto che sei ancora un artista sconosciuto, ma quando avrò notizie ti scriverò immediatamente- l'italiano annuì, con un sorriso da un orecchio all'altro.
In quel momento li raggiunsero Antonio e Lovino.
-perché Feli si è arrampicato addosso al crucco?
-vee, fratellone, ti devo raccontare una cosa bellissima!
-sbrigati, tra poco apro il negozio.
-Francis ha detto che potrebbe farmi esporre qualche quadro in Francia!
-oh. Bello. Sono felice per te- si voltò e tolse la tovaglia dalla tavola, cominciando a piegarla.
Gilbert si sporse a guardarlo -mica male, davvero un bel culo.
Antonio gli prese il viso con una mano e lo costrinse a voltarsi.
-kesesesesese, Tonio, lo sai che la gelosia è sintomo di insicurezza?
-non, Antoine non è insicuro- intervenne Francis con un sorrisetto -nel suo caso, è il sangue del conquistador che lo rende così possessivo.
-qualsiasi cosa sia, rimane un idiota- replicò Lovino, portando via la tovaglia. Quando tornò, il suo ragazzo lo attirò a sé allacciandogli le braccia intorno alla vita e poggiandogli la testa sulla spalla. L'italiano sbuffò.
-bastardo, devo andare a lavorare.
-Lovi...- mugugnò qualcosa, tenendolo più stretto.
-non dovevi andare in giro con gli altri due idioti? Mollami.
-ve, fratellone, intanto vado io a cominciare a sistemare giù.
-bravo, Feli, grazie.
-vee, Luddi, mi aiuti?- il tedesco annuì e i due se ne andarono.
-Tonio, smettila di fare la sanguisuga, dobbiamo andare. Stasera lo troverai di nuovo pronto a essere stritolato fino alla morte, ma prima devi farci vedere la città.
Con un sospiro, Antonio sollevò la testa, baciò il suo ragazzo e poi lo lasciò andare. Lovino gli sistemò un ciuffo di capelli, lo baciò nuovamente e sparì giù per le scale. Antonio sorrise -il mio Lovinito...
All'unisono, Francis e Gilbert gli mollarono due schiaffi sulle spalle per farlo risvegliare.
-sì, abbiamo capito che sei innamorato e vedi tutto ad arcobaleni, fiorellini, cuoricini e prati verdi, ma ora sei con i tuoi magnifici amici.
-ci sono anch'io, idiota- sbuffò Arthur.
Antonio guardò male l'amico -che ne diresti se scrivessi a Roderich una lettera dove racconto come te ne stai sempre appiccicato al mio Lovinito?
Se possibile, Gilbert divenne ancora più pallido -va bene. Tonio, starò alla larga dal tuo ragazzo.
-ottimo. Allora possiamo andare.

Alla fine, nonostante le difficoltà di comunicazione tra Arthur e Antonio e le idiozie del trio di idioti, riuscirono a fare un tour più o meno decente del centro della città. Francis comprò una collana, due foulard e tre nastri per capelli, e non erano neanche entrati in un negozio di abbigliamento, mentre Gilbert acquistò in una libreria un libro sui pulcini e passò metà del pomeriggio a lagnarsi perché gli mancava Gilbird, rimasto da Roderich perché "i viaggi in mare gli fanno male al pancino".
Al tramonto accompagnarono Arthur da Lovino e Feliciano, per non lasciarlo da solo tutta la sera, poi andarono in un locale a bere, solo loro tre.
-ah, ragazzi, finalmente siamo di nuovo tutti e tre insieme!- esclamò Gilbert, sollevando il suo bicchiere e brindando -a noi!
-a noi!- concordarono Francis e Antonio, bevendo a loro volta.
-allora...- Gilbert passò un braccio intorno alle spalle dello spagnolo -raccontaci un po' cosa ti ha riportato al nido.
Il moro arrossì leggermente, sorridendo imbarazzato -be', una nave.
L'albino roteò gli occhi -divertente, davvero.
-Gilbèrt, non è ovvio?- il francese fece un sorriso dei suoi, un misto tra grazia e malizia -è stato il potere dell'amour a farlo rinunciare a tutto per tornare.
-mah, stronzate. Per me è stato il pensiero del culo di Lovino- gli diede una pacca sulla spalla -avanti, dopo nove anni di astinenza non pensavi ad altro, vero?
Antonio si fece rosso -Gil, esiste altro oltre al sesso.
Il tedesco sbuffò -certo che esiste altro, ma questo non significa che tu non stessi pensando a quello per tutto il tempo. Ammettilo.
-be'... un po' sì. Ma solo un po'. Più che altro mi mancava Lovinito e non... non volevo passare il resto della vita lontano da lui, aspettando arrivasse un angelo dal Cielo a darmi la soluzione, capite?
-Antoine, ma davvero non hai fatto niente per nove anni? Niente niente? Zero? Puoi dircelo, non lo diremo a Lovino.
-certo che no. A parte che Gilbert correrebbe a dirglielo solo per fare un po' di casino, ma poi non ho... quello- si fece pensieroso, rigirandosi il proprio bicchiere tra le mani -però una volta una prostituta ha provato a convincermi, peccato che... be', anche volendo comunque non sarei stato interessato- sospirò, con aria sognante da innamorato -e poi il mio corpo, il mio cuore e la mia anima sono tutte di Lovinito.
-disgustoso- commentò Gilbert, finendo in un sorso il suo bicchiere e andando a prenderne un altro al bancone. Erano seduti in un tavolino appartato, senza nessuno intorno, per cui potevano parlare in tranquillità. Quando il tedesco fu tornato, si sporse verso l'amico -raccontami di questa prostituta, piuttosto.
-oh, non fu niente di che, davvero- prese un sorso piccolo, sapendo che se si fosse ubriacato il suo amorevole e premuroso ragazzo lo avrebbe costretto a dormire sul balcone -era il mio giorno libero, per cui ero andato a fare un giro nel villaggio lì vicino, perché avevo finito la carta da lettere e già che c'ero avevo pensato di andare a comprarla per conto mio. Erano i primi tempi, per cui non sapevo orientarmi bene. A un certo punto mi persi, finché una signora non venne a chiedermi se avessi bisogno di aiuto. Le risposi di sì e quella mi portò davanti alla porta di un... boh, un locale o qualcosa di simile, con dentro una serie di ragazze più o meno vestite che si affacciavano alle finestre per chiamare clienti.
-Antoine, si chiamano bordelli- intervenne Francis con una risatina.
-comunque, uscì una ragazza mezza nuda e cercò di portarmi dentro.
-e tu che hai fatto?
-sono scappato di corsa- ammise, imbarazzato. I due amici scoppiarono a ridere come matti, attirando l'attenzione del resto del bar.
-oh mio...- Francis scoppiò a ridere nuovamente prima di poter completare la frase.
-kesesesesesesesesesesesese, Lovino lo sa?
-certo.
-mon Dieu, e come ha reagito?
Antonio aggrottò la fronte -ha detto che sarebbe sempre andato lui a comprare la carta da lettere.
I due ripresero a ridere, ancora più forte, poi Gilbert andò a prendersi altro da bere.
Dopo due ore, il tedesco, che pure reggeva molto bene l'alcool, era completamente ubriaco. Prima, al quinto bicchiere di liquore, si era messo a flirtare con uno scaricatore di porto, chiamandolo Roderich, e per fortuna quello era troppo ubriaco per colpirlo e non parlava tedesco; poi, al sesto, era scoppiato a piangere vedendo una padella, urlando qualcosa terrorizzato e chiamandola Eliza; infine, all'ottavo, vedendolo sul punto di collassare, Antonio e Francis, dopo aver pagato, con i soldi dell'albino perché così fanno i veri amici, lo avevano portato fuori, dove aveva cercato di abbracciare un gabbiano, chiamandolo Gilbird.
-lo prenderemo in giro a vita per questa serata- commentò Francis, con un braccio di Gilbert intorno al collo. Lo stavano riportando all'osteria, tenendolo in mezzo, visto che alla fine era collassato ed era praticamente svenuto addosso ai due amici.
-ovviamente- lo portarono nella sua camera e lo mollarono sul letto, con tutta la delicatezza che li contrastingueva. Nonostante fosse stato praticamente scaraventato, Gilbert non diede cenno di volersi svegliare -dovremmo spogliarlo?
-io non lo faccio, se ci tieni tanto accomodati pure.
-nah, si arrangerà da solo- Antonio controllò l'ora -devo tornare a casa o Lovinito potrebbe preoccuparsi- lanciò un'occhiata all'albino, sdraiato a pancia in giù sul letto -dici che si riprenderà?
-oui, oui, ha preso sbronze peggiori, se anche gli succedesse qualcosa io e Arthùr abbiamo la stanza accanto, lo sentiremmo- fece un sorriso malizioso -anche se spero di no, non vorrei ci... interrompesse.
Antonio ridacchiò -sei sempre il solito.
-merci, Antoine- uscirono dalla stanza e Francis gli lasciò due rapidi baci sulle guance -a domani, sempre che Arthùr non mi uccida per aver tardato.
Lo spagnolo rise -a domani.
Dopo che fu sparito giù per le scale, Francis tornò in camera, dove trovò il suo dolce e amato inglese a guardarlo male.
-scusa se ho tardato, mon amour, ma Gil si è ubriacato e abbiamo perso tempo a cercare di convincerlo che non si trovava in Baviera e che un gabbiano di passaggio non era Gilbird.
Arthur lo osservò spogliarsi e sdraiarsi affianco a lui sul letto in silenzio, scostandosi quando cercò di baciarlo. Francis aggrottò le sopracciglia.
-che c'è, mon chenille?
L'inglese roteò gli occhi, incrociando le braccia al petto con uno sbuffo.
-dai, mon amour, parlami, così posso farmi perdonare- aggiunse con un sorriso malizioso il francese.
Arthur lo allontanò da sé con una manata -lo hai baciato sulle guance- borbottò infine, girandosi in modo da dargli le spalle e non mostrare il viso rosso.
Francis rimase in silenzio, poi realizzò -chi, Antonio?
L'inglese si voltò, fulminandolo con lo sguardo -e chi altro, mio nonno?!
L'altro scoppiò a ridere, abbracciando l'altro nonostante le proteste -non devi essere geloso, mon chenille, Antoine è solo un amico. E poi lo hai visto, è innamorato perso di Lovino.
-non significa che tu possa provarci, rana pervertita- borbottò l'inglese, lasciandosi però stringere.
-non ci proverei mai, né con lui né con Gilbert- fece una pausa, scompigliando i capelli all'inglese -né con chiunque non sia tu, mon amour. Non sul serio almeno.
Arthur continuò a brontolare, dandogli del ruffiano viscido e altri epiteti altrettanto dolci, ma si lasciò baciare. Sentì una mano di Francis scendergli lungo la schiena, fermandosi in fondo -che ne dici, mon amour, se ti dimostro quanto... serie siano le mie intenzioni con te?- gli mormorò sulle labbra.
Arthur lo baciò di nuovo, con forza -datti una mossa, rana idiota, prima che cambi idea.

Nel frattempo, mentre Gilbert ronfava e i due piccioncini ci davano dentro, Antonio era tornato a casa. Aprì la porta del retro del negozio, Lovino gli aveva dato le chiavi prima che uscisse, e dopo averla chiusa salì al piano di sopra, facendo attenzione a non fare rumore.
Entrò in camera, stando attento a chiudere piano la porta, e quando vide che Lovino già dormiva gli si strinse il cuore e gli lasciò un baciò sulla fronte, per poi cambiarsi e infilarsi sotto le coperte, stringendosi alla sua schiena e inspirando il suo profumo. Quella era la sua casa: dovunque fosse il suo scorbutico italiano, dovunque potesse sentire quel profumo e stringere l'altro, quella era casa sua
Lovino mugugnò qualcosa e si girò verso di lui, aprendo gli occhi e studiandolo.
-ti ho svegliato? Scusami, Lovinito- glielo sussurrò. Quello scosse la testa e si sistemò meglio, accoccolandosi contro di lui.
-non stavo dormendo, non ci riuscivo- lo spagnolo si sporse a baciarlo, con un sorriso -sai di vino- notò Lovino -quanto hai bevuto?
-un bicchiere e mezzo, neanche una goccia in più- lo rassicurò, baciandolo di nuovo.
-perché uno e mezzo?
-il secondo lo ha finito Gil. Era così ubriaco che si è messo a flirtare con uno scaricatore di porto, per fortuna quello non capiva il tedesco.
Lovino ridacchiò -che idiota. Immagino tu e il francese vi siate divertiti a prenderlo in giro.
-tantissimo- lo spagnolo rise a sua volta, piano -a te com'è andata, Lovi?
-oh, bene credo- alzò le spalle -sono rimasto a chiaccherare con Arthur, Feli e il crucco. Arthur è simpatico, credo, anche se doveva tradurmi tutto quanto Feli. Ha passato metà del tempo a insultare il mangia baguette, anche se si vede che è innamorato perso.
-anche Fran lo è, ma lui non lo nega, anzi.
-mh, sì- gli prese la mano, giocherellando distrattamente con le sue dita -Feli lo ha riaccompagnato in osteria con il crucco e poi è andato a dormire da lui- fece una smorfia -anche se non penso dormiranno.
Antonio ridacchiò, sporgendosi verso di lui e baciandolo ancora, stringendogli il fianco -ti amo, Lovi.
L'italiano mormorò qualcosa, mezzo addormentato; sbadigliò -perché te ne esci con queste cose a quest'ora?
L'altro sorrise divertito e lo baciò sulla fronte -mi piace ricordartelo.
-mh...- Lovino mugugnò qualcos'altro di incomprensibile, forse una risposta a quel ti amo o forse un insulto, e, rannicchiandosi contro l'altro, si addormentò.
Antonio sorrise, lasciandogli un ultimo bacio tra i capelli prima di addormentarsi a sua volta.

Angolo autrice:
Ehi, grazie di essere arrivati fin qui. Scusate se ho aggiornato in ritardo ma ho avuto da fare e me ne sono scordata, scusate davvero. Capitolo leggero, tra sottotrame comiche e momenti cute. Spero vi sia piaciuto il capitolo.
Alla prossima (puntuale, giuro)
Daly

 

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Capitolo 8
*** Pomeriggi al mare e creme ***


Passò una settimana, una settimana in cui il nostro trio preferito ne passò di tutti i colori, facendo esasperare Lovino, Ludwig e Arthur e divertendo Feliciano. In realtà erano stati fin tranquilli per i loro standard. Non erano stati cacciati da neanche un bar, un vero record.
Una mattina, esattamente una settimana dopo il loro arrivo, Gilbert fu svegliato da una voce che non si sarebbe mai aspettato di sentire, non lì.
-ma ti sembra il modo di tenere una camera, che per altro non è neanche tua?
Gilbert aprì un occhio e si voltò verso la provenienza della voce. Poi tornò a seppellire il viso nel cuscino.
-alzati, stupido.
-è solo un sogno. Tra poco mi sveglierò e sarò solo- ribatté l'albino.
Roderich raccolse, con fare disgustato, un paio di pantaloni, abbandonati su unasedia, e glieli lanciò addosso -vestiti, sei uno spettacolo indecoroso. Almeno un pigiama o una camicia da notte potevi indossarli.
Gilbert aprì entrambi gli occhi, si mise seduto, completamente nudo, si tolse i pantaloni dalla testa e guardò l'austriaco con gli occhi sgranati.
-sei qui- disse solo. Tra una cosa e l'altra, non si vedevano da due mesi e non si sarebbero dovuti rivedere fino ad agosto.
Roderich arrossì leggermente -c'è stato un incendio dove avrei dovuto fare alcuni concerti, per fortuna non è morto nessuno, però hanno rimandato le esibizioni a data da destinarsi, quindi...- tossì, a disagio -visto che eri qui e mi avevi mandato l'indirizzo per scriverti ho pensato di...- fece la faccia di uno che stava ingoiando un topo -come dire... farti una sorpresa?
Gilbert, ancora mezzo addormentato e reduce dall'ennesima sbornia, ci mise un attimo per collegare tutto, ma quando lo fece si fiondò giù dal letto e saltò addosso all'altro, abbracciandolo.
-Gilbert, sei ancora nudo! Almeno vestiti, per Dio- protestò Roderich, ma ricambiò l'abbraccio e il bacio che lo seguì.
L'albino era un giramondo, non riusciva a restare fermo in un posto troppo a lungo. Al contrario, Roderich non amava viaggiare, preferiva la sedentarietà, il suo pianoforte e la sua Vienna. Questi due aspetti li portavano a separarsi più spesso di quanto gli piacesse ammettere, ma ogni volta che Roderich che faceva un tour o un'esibizione in qualche altra città, Gilbert era sempre con lui. Il tedesco cercava di andare a trovarlo almeno una volta ogni due mesi, ma gli impegni di entrambi, tra il pianoforte dell'austriaco e i viaggi di Gilbert, spesso facevano saltare quell'appuntamento. Ritrovarselo lì, in Italia, dove non c'erano né pianoforti né impegni di alcun tipo, era un sogno che si realizzava.
In realtà Gilbert era piuttosto depresso. Solo chi lo conosceva bene avrebbe potuto capirlo, ma stare così lontano dal suo ragazzo lo faceva stare più male di quanto desse a vedere, così come lo faceva stare male restare fermo in un posto troppo a lungo. Se fosse stato costretto a stabilirsi da qualche parte per il resto della vita però, indubbiamente avrebbe scelto una piccola villa a Vienna, con dei grandi giardini, un'enorme stanza con un pianoforte, le pareti sottili, in modo che la musica si sentisse ovunque, e un grande letto da condividere con il suo amante.
-mi sei mancato- ammise, chiudendo la porta e baciandolo di nuovo. Roderich gli sistemò i capelli, o almeno ci provò, con un piccolo sorriso -sei sempre così casinista ed emotivo- lo rimproverò, ma si lasciò baciare.
Gilbert stava per proporre di recuperare il tempo perduto, quando bussarono alla porta.
-non è il momento!- ruggì, facendo ridacchiare sottovoce l'austriaco.
-Gilbèrt- lo chiamò Francis -svegliati, dobbiamo andare, Antoine ci sta aspettando con gli altri di sotto per andare al mare.
-Fran, sono un po' impegnato al momento. Qui c'è...
-oh, fai come vuoi, ma sbrigati. E vedi di non provarci con Lovino, o è la volta buona che Antonio ti affoga.
Il tedesco si irrigidì. Porca merda, altro che Antonio, quella era la volta buona che Roderich lo ammazzava davvero.
-cos'ha detto il tuo amico?- gli domandò l'austriaco, gelido.
-non è come sembra!
-ah no? Chi è questo ragazzo, sentiamo.
-il ragazzo di Antonio- spiegò, afferrandolo per un braccio per impedirgli di andarsene -ho fatto finta di provarci per farlo arrabbiare. Solo finta. Sai che amo solo te. Non lasciarmi ti prego.
Roderich sbuffò -vestiti e andiamo, non si fa aspettare la gente.
-ma il Magnifico arriva sempre per ultimo...
L'austriaco lo congelò con lo sguardo -sbrigati.
L'albino scattò sull'attenti -sissignore- e si affrettò a rivestirsi. Odiava l'effetto che aveva Roderich su di lui, ma in fondo, anche se era un damerino insopportabile, gli era mancato.
In breve uscirono dall'osteria, trovando gli altri ad aspettare il tedesco.
-non ci credo, non pensavo avrebbe fatto così in fretta- commentò Francis.
Lovino ghignò -mi devi dei soldi, mangia baguette.
-kesesesese, ragazzi, il Magnifico ha ritrovato la sua dolce- Roderich inarcò un sopracciglio -metà!- lo indicò con entrambe le mani -lui è...
-Roderich!- esclamò Feliciano, andandogli incontro, con Ludwig al seguito -vee, ti ricordi di me? Sono Feliciano.
L'austriaco annuì, sistemandosi gli occhiali con un piccolo sorriso -ah sì, Feliciano. Sei davvero cresciuto- strinse la mano anche a Ludwig -tu sei Ludwig? Anche tu sei cresciuto parecchio, non c'è che dire.
Gilbert sbuffò -avete rovinato la presentazione del Magnifico! Vergognatevi.
-Gilbert, per favore, non fare scenate- lo rimproverò l'austriaco.
-non prendo ordini da...
-Gilbert.
L'albino tacque, profondamente offeso.
-qualcuno mi spieghi come diamine ha fatto- intervenne Lovino, stringendo la mano al nuovo arrivato -piacere, sono Lovino, il fratello maggiore di Feliciano.
Roderich, che non parlando spagnolo non capì granché, gli strinse comunque la mano, però a sentire quel nome lanciò un'occhiataccia al proprio ragazzo, che distolse lo sguardo fischiettando innocentemente.
Francis si coprì la bocca con le mani, trattenendo una risata -non avrei dovuto parlare prima, vero?
-fai sempre danni, rana dalla bocca larga- brontolò Arthur.
-Arthùr, non mi sembrava che la mia bocca ti dispiacesse ieri sera, quando ti...- l'inglese, rosso in viso, gli tappò la bocca con le mani.
Lovino alzò le spalle e tornò dal suo ragazzo, che gli passò un braccio intorno alle spalle.
Dopo un breve giro di presentazioni, il gruppo si diresse in spiaggia, verso l'angolo segreto dove erano andati tempo prima Ludwig e Feliciano. Lì non ci sarebbero state né interruzioni né persone da cui nascondersi.
Se Roderich, Ludwig, Gilbert, Francis e Arthur non avevano intenzione di fare il bagno, gli altri erano di ben altro avviso. Al tempo non era diffusa l'abitudine di fare il bagno in mare, che si sarebbe cominciata a diffondere a Parigi anni dopo, grazie a Francis e a quel pomeriggio tra l'altro, infatti non esistevano costumi da bagno, anche quando sarebbe cominciata quell'abitudine si sarebbe comunque fatto il bagno vestiti. Però per i due italiani era una cosa normalissima, abituati com'erano stati ai racconti sulle terme e i bagni nei fiumi di ninfe e dee di Nonno Roma, e avevano, o meglio Lovino aveva, coinvolto anche Antonio in quello svago.
Per questo Feliciano, appena raggiunta la spiaggia, lasciò andare la mano del suo ragazzo e corse in acqua, lasciando andare la camicia e le scarpe per strada e immergendosi in acqua con solo i pantaloni leggeri.
Lovino rise sistemando i vestiti del fratello e le loro cose su uno scoglio basso, prima di togliersi a sua volta camicia e scarpe e raggiungere il fratello.
Ludwig, vedendo il suo ragazzo mezzo nudo, in acqua, davanti a tutti, fu lì lì per collassare.
-ma che...- Arthur espresse ad alta voce il pensiero comune.
Alla fine, con una risata, fu Antonio a spiegare -stanno facendo il bagno lì. Mi pare sia un'abitudine presa da loro nonno che... be', ha trasmesso diverse cose ai suoi nipoti- li indicò -l'ho già fatto una volta, con Lovi, di notte- assunse per un attimo un'espressione sognante, poi si riscosse -all'inizio è un po' strano, poi ci si abitua.
-ma ci si rovina i capelli!- protestò Francis -e non è igenico, sai quanti pesci ci sono in mare?
-così vicino alla riva non c'è quasi niente, al massimo qualche alga- Antonio, più pudico dei due italiani, si nascoste dietro una roccia per spogliarsi -io li raggiungo, voi fate come volete- e corse in mare, raggiungendo il suo ragazzo e baciandolo in acqua.
Mentre Francis traduceva dallo spagnolo ad Arthur e Roderich, Gilbert rise dando una pacca sulla spalla a suo fratello -West!- la storia di quel nomignolo è lunga, vi basti sapere che Gilbert lo usava quando voleva infastidire il diretto interessato, quindi molto spesso -hai fatto una faccia quando Feliciano si è spogliato... cos'è, non lo avevi mai visto senza maglia prima? Kesesesesese, come sei innocente!
Ludwig lo guardò come se fosse scemo, non capendo cosa ci fosse di così divertente -certo che l'ho visto senza maglia, Gilbert. L'ho visto anche senza niente, se la cosa ti interessa. Cosa c'entra ora?
Francis e Arthur sgranarono gli occhi, scoppiando a ridere, mentre l'austriaco si massaggiava le tempie dando al suo ragazzo dell'idiota. Gilbert era traumatizzato.
-aspetta... tu... e Feliciano... avete... oh mio Dio, non ero pronto a sapere una cosa del genere.
Ludwig roteò gli occhi e andò incontro a Feliciano che, uscito dall'acqua, lo stava chiamando per convincerlo ad andare anche lui a fare il bagno.
-il mio fratellino ha...
Roderich sbuffò, mentre Francis continuava a ridere come un pazzo -non fare l'idiota, Gilbert. Sono adulti, non vedo cosa ci sia di male. Da quanto stanno insieme?
-da...- Gilbert ci pensò su -ottobre? Novembre? Meno di un anno, comunque. Anche se erano cotti l'uno dell'altro da quando erano piccoli, è una lunga storia.
Roderich parve stupito -oh, hanno fatto presto. A differenza tua Ludwig si è dato una mossa. Tu ci hai messo oltre un anno anche solo a tirare fuori l'argomento- roteò gli occhi. Gilbert aprì la bocca, senza riuscire a rispondere.
Francis era piegato in due dalle risate, con Arthur che, per quanto cercasse di trattenersi, aveva il viso rosso per lo sforzo, e infatti dopo poco cedette anche lui, demolendo del tutto l'autostima del teutonico.
In quel momento li raggiunse Feliciano, bagnato dalla testa ai piedi, per niente imbarazzato dal fatto di indossare solo un paio di pantaloni leggeri, resi aderenti dall'acqua. Ludwig si affrettò a mettersi davanti a lui per coprirlo.
-veeee, non venite a fare il bagno?- sbucò oltre il braccio di Ludwig, solo con la testa, e li guardò curioso.
L'austriaco fece una smorfia -no, grazie.
Gilbert ghignò, ritrovando la sua solita sicurezza -kesesesesese, sono proprio curioso di provare questo bagno. Vi raggiungo tra poco. Fran, tu vieni?
Il francese scosse la testa -mi rovinerei i capelli, sai quanti danni fa il sale? E poi questi pantaloni sono di purissimo lino, non posso rovinarli.
Arthur roteò gli occhi -che prima donna. Però non vengo neanche io, non ci tengo a denudarmi.
Francis commentò qualcosa in inglese che gli valse una gomitata nel fianco.
-ve, ve, Luddi, tu vieni? Ti prego ti prego ti prego! Dici sempre che hai caldo, l'acqua è bella fresca, così ti passa!
Il biondo esitò, mordendosi il labbro. Gilbert lo compativa: con quei due occhioni da cucciolo bastonato, Feliciano avrebbe convinto il Diavolo a tornare sulla retta via.
-e va bene...
E così poco dopo si ritrovarono tutti e tre in acqua, con Feliciano che non riusciva a stare fermo e continuava a nuotargli intorno e Ludwig, scarlatto in viso, che cercava di dirgli di fermarsi. Con un brivido Gilbert si ricordò che non sapevano nuotare, né lui né suo fratello, e che quindi conveniva rimanere dove riuscivano a toccare.
L'albino aggrottò la fronte -Feli, dove sono Tonio e tuo fratello?
L'italiano si fermò, facendo tirare un sospiro di sollievo al suo ragazzo, immerso fino alla vita -veee, qui vicino c'è una grotta, il fratellone e il fratellone Antonio hanno detto che andavano lì.
Gilbert ghignò -che pervertiti! Poi Tonio deve dirmi dov'è andato a trovarsi una grotta segreta- sbuffò divertito -cosa non si fa pur di scop...
-ma io so dov'è- lo interruppe Feliciano -ve, non è molto lontana, bisogna andare sott'acqua vicino a quegli scogli là in fondo- li indicò -c'è una specie di passaggio subacqueo che porta dentro allo scoglio, diciamo, e lì c'è la grotta. Io e il fratellone venivamo qui in estate, anche quando c'era il nonno, conosciamo questo posto a memoria. Vi ci posso accompagnare io.
Ludwig, leggermente rosso in viso, lo trattenne -meglio di no, Feliciano. E poi io e Gilbert non sappiamo nuotare.
-veeee, davvero? Se volete vi insegno.
Gilbert ghignò -oh sì, così posso buttare Rod in acqua e salvarlo eroicamente e magnificamente.
-lo sa che lo chiami Rod?
Gilbert ignorò la domanda del fratello e si concentrò sull'italiano.
-veee, per restare a galla dovete stare rilassati e muovere braccia e gambe, come sto facendo ora- spiegò, mostrando i movimenti -ve, non è difficile.
L'albino lo copiò -kesesese, sono magnificamente bravo!
-Gilbert, hai ancora i piedi a terra.
-dettagli!- con uno sbuffo, staccò i piedi dal fondo, riappoggiandoceli subito, istintivamente.
-ve, vai Gilbert, ce la stavi facendo!
-Gilbert!- Roderich lo chiamò dalla spiaggia -ti stai ustionando, non puoi stare troppo al sole!
L'albino abbassò lo sguardo sul proprio petto rosso -merda, ha ragione Rod. Meglio che esca- e si affrettò fuori dall'acqua, gemendo per il dolore.
-vee, mi dispiace che si sia fatto male...- Feliciano guardò il suo ragazzo con aria colpevole -ve, Luddi, è colpa mia?
-no, no, non è colpa tua, Gilbert doveva pensarci per conto suo- lo rassicurò il biondo -ora, mi stavi insegnando a nuotare, no?
-giusto!- Feliciano gli prese le mani e arretrò, fino a dove Ludwig non toccava più con i piedi.
-aspetta, non sono capace a...
-vee, fidati di me. Rimani rilassato e muovi le gambe- lo interruppe l'italiano, sorridendogli fiducioso e guardandolo dritto negli occhi. Ludwig prese un respiro profondo e si lasciò guidare da lui, finché non gli mollò anche le mani -veee, bravo Luddi, stai andando bene.
In un attimo, il tedesco realizzò quanto si fossero allontanati dalla costa -sei sicuro che sia prudente restare così lontano?
Feliciano lo guardò confuso -Luddi, saranno al massimo cinque metri. Non siamo così distanti.
-sì ma...
Il castano scoppiò a ridere -ve, una volta con il fratellone e il nonno siamo andati così a largo che abbiamo incontrato una nave, il capitano pensava stessimo per affogare e fossimo caduti da un'altra nave. Comunque ve, se vuoi torniamo indietro.
Ludwig alzò le spalle -come vuoi. Solo... non è che ci sono dei pesci o...?
-ve, certo che ci sono, ma di solito se ne stanno alla larga. Hanno paura di noi. Dobbiamo stare attenti alle meduse però.
-m-meduse?
-ve, sì, quando il mare è molto pulito a volte ci sono. Bisogna stare attenti perché sono trasparenti, per cui si rischia di non vederle e scontrarne una per sbaglio.
Ludwig si guardò intorno terrorizzato -Feliciano, torniamo a riva.
-ve, ma...
-andiamo.
Feliciano ridacchiò -ve, è difficile trovarne così vicine alla riva, ma va bene Luddi, torniamo indietro, così controlliamo come sta Gilbert.
Gli prese la mano e nuotò verso gli altri.
-aspettami, so appena stare a galla.
-vee, Luddi, fai come faccio io.
Alla fine, bene o male, riuscirono a rimettere piede a terra.
-veee, come sta Gilbert?
Arthur roteò gli occhi, seduto su uno scoglio -il "Magnifico"- mimò le virgolette con le dita. Francis era seduto dietro di lui e giocherellava con i suoi capelli, facendoci delle piccole treccine -sì è preso una magnifica insolazione ed è quasi svenuto, quindi Roderich lo ha portato...
-trascinato- lo corresse Francis, finendo di fargli una piccola treccia.
-pardon, trascinato in un luogo all'ombra.
-vee, aspettate, il fratellone dovrebbe essersi portato dietro la crema- corse dove il fratello aveva lasciato la sua borsa e iniziò a rovistarci dentro, finché non ne tirò fuori un vasetto con dentro una crema bianca -ve, questa è una ricetta del nonno in caso di ustioni. Ve, noi non ci ustioniamo mai, ma visto che c'eravate anche tu e Gilbert abbiamo pensato di portarne un po'- guardò il suo ragazzo e rise -ve, Luddi, hai le spalle e le guance tutte rosse! Serve anche a te- lo prese per mano e si rivolse all'inglese -dove sono andati Roderich e Gilbert?
Arthur indicò un punto verso gli scogli dall'altra parte della spiaggia, dove uno di questi era più sporgente e creava un punto di ombra. Feliciano lo ringraziò e corse verso il punto indicato, trascinandosi dietro il proprio ragazzo.
-ve, ve, Gilbert, ho una crema per le bruciature- si sedette affianco all'austriaco e gli passò il barattolo -ve, però me ne serve un po' anche per Luddi, che si è bruciato le spalle e non voglio che poi si faccia male.
-oh, grazie Feliciano- Roderich prese il barattolo e lo aprì -Gilbert, ce la fai a spalmartela da solo o devo pensarci io?
L'albino, rosso come un'aragosta e sdraiato su uno scoglio con la testa in grembo al suo ragazzo, a quella domanda mugugnò qualcosa che suonava vagamente come un no. Roderich sbuffò e aprì il barattolo.
-che bambino. Ti avevo detto di stare attento, ci metti pochissimo a ustionarti.
Feliciano sorrise divertito e fece sedere il suo ragazzo davanti a sé, prese un po' di crema tra le dita e cominciò a spalmargliela sulle spalle, massaggiandole, attento a non fargli male. Ludwig sussultò a contatto con il freddo della crema, ma poi si rilassò, concentrandosi sulle mani delicate dell'altro.
-Rod, me lo fai anche tu un massaggio?- Gilbert ghignò, ma quando cercò di mettersi seduto urlò per il dolore.
-no e non chiamarmi Rod- l'austriaco prese a sua volta un po' di crema, facendo una leggera smorfia per il viscidume, e cominciò a spalmarla sul corpo dell'altro, dal viso fino al collo e al petto. Gilbert si rilassò contro le sue mani, godendosi il sollievo che gli donava il freddo della crema sulla pelle bruciata.
-Feliciano, di cosa è fatta questa crema?- domandò Roderich.
-ve, uhm, olio d'oliva, miele, camomilla e... uhm, qualche altra cosa.
-olio di finocchio e acqua- completò Gilbert, con gli occhi socchiusi -è identica a quella che mi preparava nostro nonno quando mi ustionavo da piccolo.
-il nonno?- Ludwig si voltò a guardarlo, confuso -non abita al nord? Lo avremo visto... tre volte al massimo.
L'albino scosse la testa -non il nonno materno, parlo dell'altro nonno, nonno Ariovisto. Non te lo puoi ricordare, è morto quando avevi un anno o due, però quando ero piccolo mi portava spesso a fare scampagnate, quando veniva a trovarci- sospirò quando il suo ragazzo gli passò la crema sulle guance -era uno spirito libero, non si fermava mai in un posto per più di una settimana, però cercava di venire da noi almeno una volta al mese, soprattutto dopo che nacque il Magnifico Me- Roderich gli mollò uno schiaffetto sul braccio, facendolo urlare -va bene, va bene, la smetto. Comunque quando veniva da noi mi portava spesso a fare scampagnate o cose del genere e puntualmente mi ustionavo, così ogni volta prima di partire preparavamo insieme questa crema- alzò le spalle -è strano che la conosciate anche voi, ma visto quanto girava il nonno non mi stupirebbe se l'avesse imparata qui in Italia.
-veee, è una ricetta segreta di nostro nonno- replicò Feliciano, facendo voltare Ludwig e cominciando a spalmargli la crema in viso, lasciandogli un bacio rapido prima di continuare -non so dove l'abbia presa. Però quando ero molto piccolo mi ustionavo spesso, così l'ha insegnata al fratellone- fece un buffetto sulla guancia del suo ragazzo -possiamo chiedere a lui quando torna con il fratellone Antonio.
-Feli, perché chiami Tonio fratellone?- intervenne Gilbert, girandosi sulla pancia per permettere all'austriaco di spalmargli la crema sulla schiena -AHIA Rod fai piano ti prego!
-non chiamarmi in quel modo.
Feliciano arrossì leggermente -vee, visto che sta con il fratellone è come se fosse un fratellone acquisito, no?
-allora non dovresti chiamare anche me fratellone?
A quella domanda l'italiano parve pensarci su per un po'. Ludwig guardò male il fratello -no, Feliciano, non lo devi chiamare fratellone.
-che palle che sei, Lud... AHIA Rod mi ucciderai così!
-oh no, che disgrazia- commentò quello, sarcastico.
In quel momento, furono raggiunti da Lovino e Antonio, entrambi rivestiti di tutto punto, nonostante i capelli ancora umidi, il primo con un braccio dell'altro intorno alla vita e la mano intrecciata alla sua.
-kesesesese, avete finito di scopare voi due?- urlò in spagnolo, sicuro che il suo ragazzo non avrebbe capito, ma vedendo Ludwig roteare gli occhi, Roderich gli tirò comunque uno schiaffo, neanche troppo forte, e il resto della frase fu urlata in tedesco -AHIA! Amore, così distruggerai la mia magnifica schiena!
-e allora non fare l'idiota.
Lovino lanciò un'occhiata annoiata all'albino -ti sembro il tipo che scopa nelle grotte?
-tu no, Tonio sì.
-pensi davvero che sia lui a portare i pantaloni, tra noi due?- Antonio gli diede una spinta giocosa sul fianco, facendolo ridacchiare.
-penso che nei momenti buoni nessuno dei due li abbia- a un cenno di Ludwig, Roderich gli diede un altro leggero schiaffo sulla pelle sensibile, che lo fece urlare e imprecare, per fortuna in spagnolo o l'austriaco lo avrebbe davvero distrutto.
-non è male il tuo tipo, per essere un austriaco- commentò Lovino con un ghigno. Il suo ragazzo gli sussurrò qualcosa che lo fece ridere e lo trascinò via tenendolo per mano.
-che sdolcinati- commentò Gilbert.
-devono stare insieme da molto- commentò Roderich.
-ve, dipende da come la vedi.
-in che senso?
-veee, si sono conosciuti anni fa, ormai dieci. Solo che poi Antonio è stato trasferito in America con l'esercito, dopo qualche mese. Ve, dopo nove anni ha mollato tutto ed è tornato qui, ora vivono insieme.
-oh. Mi sembravano una di quelle coppie... avete presente, quelle coppie che si conoscono da tanto che hanno un rapporto...- fece un gesto con la mano, cercando di trovare le parole giuste -come se fossero così abituati ad avere l'altro al proprio fianco che sanno cosa farà, cosa dirà, come e quando prenderlo per mano... come se l'altro fosse una parte di sé, come un braccio o una gamba.
Gilbert si mise seduto di fronte a lui -non sapevo sapessi essere così romantico, Rod- prima che potesse rimproverarlo per il nomignolo o dargli dell'idiota lo baciò, zittendolo.
Feliciano si sedette in grembo al suo ragazzo e lo baciò a sua volta, con un sorriso, per poi sussurrargli un "ti amo" direttamente sulla bocca. Ludwig lo strinse, sistemandolo meglio su di sé, e lo baciò ancora, rispondendogli con le azioni piuttosto che con le parole, visto che con quest'ultime non era mai stato un granché.
-e poi sarei io quello troppo romantico- commentò Francis, con un braccio di Arthur intorno alla vita e un largo cappello da donna in testa per proteggersi dal sole.
-tu lo sei, rana pervertita.
-je t'aime aussi, mon amour- gli sussurrò all'orecchio, lasciandogli un piccolo bacio sul collo divenuto rosso per l'imbarazzo.
-bene ragazzi!- Gilbert si allontanò dal suo ragazzo e batté le mani per attirare l'attenzione di tutti, anche di Antonio e Lovino, appena tornati da solo loro sapevano dove -ora è il momento che il Magnifico Me...
Non finì mai la frase: vittima dell'insolazione e dell'essersi alzato troppo in fretta cadde addosso a Roderich, semisvenuto.

Alla fine Gilbert si era preso davvero un'insolazione coi fiocchi, con tanto di febbre.
Quando si era risvegliato, dopo essersi assicurato non avesse niente di grave, Ludwig aveva insistito per accompagnarlo all'osteria, portandolo persino in braccio quando aveva rischiato di svenire per le scale.
-grazie, Ludwig- Roderich aiutò il suo ragazzo a togliersi le scarpe e lo fece sdraiare sul letto -Gilbert, per amor di Dio, stai fermo
-ho caldo...- brontolò quello, protestando sommessamente quando il moro lo coprì con le coperte.
-vai pure Ludwig, a lui ci penso io- poco convinto il tedesco annuì, lanciò un'ultima occhiata preoccupata al fratello e uscì, tornando da Feliciano.
-Rod...- mormorò il malato, rigirandosi nel letto nonostante avesse male ovunque -se non dovessi farcela, prenditi cura di Gilbird.
-esagerato, è un'insolazione, domani starai meglio- gli scostò i capelli dalla fronte e ci posò il panno umido che si era fatto dare dal proprietario dell'osteria -ah a proposito, se te lo stessi chiedendo, per venire qui ho lasciato Gilbird a Elizabeta.
L'albino si mise seduto, terrorrizzato -hai lasciato il mio piccino a quella padellara selvaggia?!
Sbuffando, Roderich lo fece sdraiare -Elizabeta non è una selvaggia. Cioé... ammetto che il suo comportamento in tua presenza non sia dei migliori, ma si prenderà cura di Gilbird egregiamente- pur non sembrando rincuorato, Gilbert lasciò che l'altro gli rimboccasse le coperte.
-Feliciano ha detto che appena arrivato a casa avrebbe preparato altra crema, penso tornerà qui tra un'ora a portarcela, più o meno.
Gilbert mugolò qualcosa, tirò fuori una mano dalle coperte e indicò accanto a sé.
-che hai? Ti fa male la mano?
-vieni... qui- riuscì a dire, aveva la gola arida e la lingua impastata.
-oh- se Gilbert fosse riuscito a inquadrarlo per bene, avrebbe visto il suo ragazzo arrossire -va bene.
Il tedesco avvertì la coperta venire scostata e l'altro sdraiarsi accanto a lui. Si accoccolò sul suo petto, mugugnando qualcosa.
-sembri un bambino- commentò, accarezzandogli con dolcezza i capelli.
-mhhhh- borbottò qualcos'altro, per poi stampargli un bacio sulla guancia -mi sei mancato- gli mormorò all'orecchio, con voce roca.
-anche tu- rispose, con le guance arrossate -hai sete?
L'albino annuì, così l'altro lo fece sedere e gli porse il bichiere d'acqua posato sul comodino, aiutandolo a bere. Appena finito Gilbert lo abbracciò di nuovo.
Quando era malato, l'albino perdeva ogni freno inibitore e diventava come un cucciolo bisognoso di attenzioni, tanto che Roderich passò tutto il pomeriggio con l'albino addosso, e se normalmente lo avrebbe bene o male tollerato, il caldo di inizio maggio a cui nessuno dei due era abituato e il calore del corpo febbricitante dell'albino non lo aiutava di certo a ricambiare la stretta. Ringraziò mentalmente il cielo quando Feliciano bussò alla porta, con un preoccupato, sebbene non lo mostrasse, Ludwig al seguito. Prese i due vasetti pieni di crema, li ringraziò di cuore, tranquillizzò Ludwig e poi, quando se ne furono andati, tornò a occuparsi del suo ragazzo. Gli sfilò la maglia e, con più delicatezza possibile, gli spalmò la crema, partendo dalla schiena.
-grazie amore- bofonchiò Gilbert, sdraiato a pancia in giù, andando ad abbracciare la vita dell'altro, diventato rosso come un pomodoro di cui Lovino sarebbe stato orgoglioso.
-quindi devo farti ammalare per farti essere meno rozzo e un po' più dolce?- scherzò, facendo scorrere le mani unte lungo la schiena rossa dell'albino, accarezzando i muscoli definiti con dita leggere, per non rischiare di fargli più male di quanto già non ne sentisse. Gilbert mugolò qualcosa e gli sollevò la camicia, lasciando qualche bacio dolce sul ventre piatto, facendolo rabbrividire e arrossire -Gilbert, che fai?
-mh...- gliene lasciò un altro, appena sopra la cintura dei pantaloni eleganti, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
-Gilbert, fermati. Stai male, non...
Ormai l'aveva perso: dopo un ultimo bacio appena sopra l'ombelico, Gilbert si strinse di più all'altro e si addormentò. Roderich sbuffò, certo che stava proprio con un idiota. Un idiota con il sonno davvero pesante, visto che anche rigirandolo sulla schiena, per riempire anche il petto e il viso di crema, quello continuò a dormire fino al mattino dopo, senza neanche cenare.
Bah, non avrebbe mai capito cosa avesse in testa quel pazzo, rozzo, dolce, rumoroso e amabile tedesco.

Angolo autrice:
Ehi. Una piccola precisazione. Per quanto riguarda la crema ho cercato una lista di ingredienti che vengono normalmente usati per fare questo tipo di creme e ho messo insieme quelli che mi sembravano più facilmente reperibili in questo contesto storico. Per la storia del mare ho cercato di mettere insieme una spiegazione abbastanza sensata e cioè che l'hanno ripreso dal nonno, cosa che poi verrà anche spiegata, infatti sto scrivendo una storia di un capitolo solo anche sul nonno, anche se ancora non mi convince, quindi non so quando la pubblicherò e se la pubblicherò. Spero che vi sia piaciuto il capitolo, vi invito a lasciare una recensione e vi saluto.
Alla prossima
Daly

 

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Capitolo 9
*** Baci sognati e mani intrecciate ***


Quando la settimana finì e dovettero accompagnare i due idioti e le loro dolci (inserire risata qui:) metà al porto, Antonio fece una scenata. Abbracciò i due amici piangendo, facendo loro promettere di tornare il prima possibile ed esasperando Lovino oltre ogni limite. Dopo aver salutato i due amici, lo spagnolo, depresso, abbracciò il suo ragazzo, facendolo arrossire.
-bastardo, ci vedono!- gli urlò sottovoce, cercando di staccarselo di dosso.
-Loviiiii- singhiozzò quello, stringendolo ancora di più -mi mancheranno tantissimo!
-l'avevo intuito, bastardo. Ora staccati.
Mentre Lovino consolava amorevolmente il suo ragazzo, Ludwig stava cercando un modo per salutare suo fratello, che si era ripreso abbastanza bene dall'insolazione. Feliciano, intuendo il suo imbarazzo, si allontanò insieme a Roderich, con la scusa di chiedergli qualcosa. Ludwig allungò la mano verso il fratello, ma quello rise e lo attirò in un grosso abbraccio. Il biondo sbuffò, suo fratello rimaneva sempre il solito; ma alla fine ricambiò la stretta, un po' impacciato.
-dovrai rimanere senza il tuo magnifico fratellone per un po', ma sii forte, West!- esclamò, sussurrandogli all'orecchio il resto della frase -mi raccomando per la storia con Feliciano. Se avessi bisogno di un consiglio, sentiti pure libero di scrivermi, manda una lettera a Rod e lui me la farà avere, sappi che rimarrai il mio fratellino in qualsiasi caso- si allontanò e scoppiò a ridere -e vedi di non crescere ancora!
Ludwig fece un piccolo sorriso -va bene, Gilbert.
Quando furono partiti, mentre Antonio piangeva stritolando il braccio del suo ragazzo, Ludwig sfiorò la mano di Feliciano con la sua. C'era troppa gente perché si potessero tenere per mano.
-cosa hai detto a Roderich?- gli sembrava pensieroso, un po' triste.
-ve, niente di che, gli ho solo dato la ricetta di quella crema per le ustioni, in caso Gilbert si ammalasse ancora- era una bugia, il tedesco lo aveva capito benissimo, ma se c'era una cosa su una cosa Feliciano e suo fratello erano uguali era il fatto che, se non avessero voluto dire qualcosa, se lo sarebbero portati nella tomba, e Ludwig lo sapeva, quindi finse di crederci.
-ve, com'è andata con Gilbert?
-oh, ehm, bene credo- alzò le spalle, sorridendo nel sentire l'italiano intrecciare per qualche secondo il mignolo con il suo.
-Feli, crucco, muovete il culo, tra poco è ora di cena- li richiamò Lovino, con ancora Antonio attaccato al suo braccio -bastardo, se ti stacchi e la smetti di frignare stasera ti lascio decidere cosa mangiare, contento?
-aw, grazie Lovinito- gli stampò un bacio sulla guancia, per cui si meritò una serie di insulti che sarebbe sembrata eccessiva al peggior scaricatore di porto di tutta Napoli, e lo lasciò andare. Finalmente libero, Lovino quasi corse via, sentendosi addosso gli occhi di tutti. Dannato bastardo, come si permetteva di fare certe cose in pubblico?! Era pericoloso, cazzo, e se anche non lo fosse stato, Lovino non sarebbe mai stato così sdolcinato. Lo imbarazzava mostrare i suoi sentimenti, aveva quasi superato quella timidezza quando erano solo loro due, perché ad Antonio proprio non riusciva a nascondere nulla, figuriamoci ciò che provava, ma per il resto... e poi, il mondo non era pronto a una storia come la loro. Diamine, la parte più orgogliosa di Lovino gli urlava di prendere per mano il suo ragazzo, baciarlo e urlare al mondo "guardateci, siamo perfetti così, avete solo che da imparare, stronzi invidiosi!" ma poi prevaleva il buonsenso. Avrebbe perso tutto, sarebbe stato sbattuto in prigione o ucciso, o peggio ancora lo sarebbe stato Antonio. Dopo tutti gli anni di attesa, di certo non valeva la pena rovinare tutto. Lovino si asciugò una lacrima distrattamente e accelerò il passo. Era orribile doversi nascondere, non poter essere chi era, non poter mostrare chi amava davvero, non poter mostrare al mondo quanto fosse speciale e meraviglioso e perfetto quello che aveva con Antonio. Non poter andare in giro urlando al mondo "guardate, questo ragazzo è il mio, non è bellissimo?". Probabilmente, se anche ne avesse avuto la possibilità, non sarebbe andato in giro a urlarlo ai quattro venti, ma... ma gli sarebbe piaciuto tenere la mano di Antonio, guardarlo apertamente, comportarsi naturalmente, senza preoccuparsi che una sua risata, un suo sorriso, un contatto di troppo, potesse smascherarli. Gli sarebbe piaciuto baciarlo, qualche volta, restargli vicino come e quanto voleva, magari anche dirgli qualche "ti amo". Gli sarebbe piaciuto uscire a cena con lui per gli eventi importanti, o anche solo per il gusto di prendersi una serata solo per loro, mangiare tenendogli la mano sopra il tavolo, andare a degli appuntamenti con lui, comportarsi come una coppia etero insomma, senza nascondersi, senza avere paura. Gli sarebbe piaciuto mostrare il suo amore al mondo, ma al mondo non andava bene. Lovino sapeva che quei divieti li soffrivano ancora di più Feliciano e Antonio, due inguaribili romantici e le due persone più solari e amanti del contatto fisico che conoscesse. Aveva visto il fratellino cercare il contatto con il crucco al porto, sapeva quanto soffriva nel non potergli tenere la mano come e quando voleva. Li aveva visti intrecciare per qualche secondo i mignoli, giusto per avere un contatto, qualcosa. Lovino rallentò, permettendo agli altri di raggiungerlo, e afferrò Antonio per un polso, trascinandolo verso casa arrabbiato. Da fuori qualcuno avrebbe pensato che fosse arrabbiato con l'altro e lo stesse portando da qualche parte per vendicarsi o qualcosa del genere; in realtà, Lovino ce l'aveva con chi guardava da fuori. Ce l'aveva con il mondo, il mondo che non gli permetteva di camminare mano nella mano con il suo ragazzo, di stringerlo, baciarlo, e la sua vendetta era fregarsene e stringerlo comunque, anche se solo per il polso, anche se solo per finta, alla fin fine Lovino stava camminando tenendo la mano del suo ragazzo. Senza farsi vedere e continuando a trascinarselo dietro, iniziò ad accarezzargli il polso, a scendere fino al palmo, a intrecciare prima uno poi l'altro dito, continuando a borbottare insulti e imprecazioni in napoletano. A un certo punto lo spagnolo si bloccò, strattonandolo per farlo fermare. Lovino si voltò a guardarlo e gli urlò qualche insulto, dicendogli di sbrigarsi e non fare il coglione ma, mentre urlava e gli si avvicinava per minacciarlo, aveva fatto scendere la mano dal suo polso, intrecciando per un attimo le dita con le sue e tenendolo veramente per mano, solo per un secondo, prima di sollevare la stessa mano e puntargliela contro con fare accusatorio, continuando con gli insulti. Antonio gli sorrise e mimò un "ti amo" con le labbra. Lovino lo guardò dritto negli occhi e, urlandogli un'ultima volta di sbrigarsi, gli prese nuovamente il polso, trascinandolo fino al negozio. Ma, per tutto il tragitto, non smise neanche un attimo di accarezzargli il dorso della mano con il pollice.
-certo che Lovino è davvero arrabbiato con Antonio- commentò Ludwig, in tedesco per non farsi capire dal diretto interessato, le mani che dondolavano nel vuoto e a volte sfioravano quelle dell'altro.
-ve, no, veramente no- replicò Feliciano con un sorriso.
-gli ha urlato addosso in mezzo alla strada.
-ve, in realtà gli stava tenendo la mano- spiegò l'italiano.
-davvero? Non me n'ero accorto.
Il castano sorrise -meglio così.

Quella sera, dopo cena, mentre Feliciano era in camera con Ludwig per ritoccare alcuni dettagli di un disegno e Lovino stava lavando i piatti, Antonio raggiunse quest'ultimo e lo abbracciò da dietro, posando il viso nell'incavo del suo collo, con le braccia avvolte intorno alla sua vita, e gli baciò la spalla, contro la maglia leggera. L'italiano, tranquillo, allungò una mano fino a immergerla tra i ricci scuri dell'altro, accarezzandoglieli mentre sciacquava un bicchiere con l'altra mano.
-Lovi- lo chiamò, facendolo girare tra le sue braccia non appena ebbe ottenuto la sua attenzione e poggiando la fronte contro la sua. Lo baciò sul naso, facendoglielo storcere con un sorriso infastidito, e prese ad accarezzargli la guancia -ti giuro che un giorno non dovremo più nasconderci.
Lovino lo guardò confuso, ma prima che potesse parlare l'altro continuò.
-non sai quanto vorrei stringerti, baciarti, tenerti la mano, dirti che ti amo, ogni momento della nostra vita- gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte -anche quando siamo fuori casa. Vorrei portarti fuori, passeggiare con te in spiaggia o per negozi, tenendoti per mano, baciandoti ogni volta che voglio. Sai anche tu che però non possiamo, non posso farlo se non in casa, in luoghi deserti o quando è troppo buio perché qualcuno possa vederci. Sto male per questo, vorrei urlare al mondo quanto ti amo ogni volta che sorridi, che mi guardi, che mi baci o che mi urli contro. Vorrei dire a tutti "lo vedi quel ragazzo bellissimo e perfetto? Lui è il mio ragazzo, stiamo insieme, ha scelto me!", ma non posso, non possiamo- lo baciò, lentamente -non mi perdonerei mai se per un mio capriccio ti succedesse qualcosa- continuò, stringendo una mano del suo ragazzo mentre l'altra continuava a correre lungo la sua guancia, la sua bocca, il suo collo, la sua schiena. Lovino rimase in silenzio, rilassandosi a quelle dolci carezze -ma io ti prometto, te lo giuro cazzo- era strano sentire Antonio imprecare. Con un sorriso divertito, l'italiano pensò di averlo condizionato troppo -un giorno ti bacerò alla luce del sole, davanti a una grande folla. Probabilmente in una prossima vita, in un tempo in cui noi non saremo sbagliati, ma lo farò. Ti prenderò per mano, ti stringerò e ti bacerò e tutti gli altri non potranno fare altro che invidiare noi e il nostro amore. Un giorno ci ameremo al sole, non so né dove né quando, ma succederà, e il mondo avrà solo che da imparare- si portò alla bocca le loro mani intrecciate e baciò il dorso di Lovino, guardandolo dritto negli occhi -un giorno potrò dirti quanto ti amo, potrò presentarti e chiamarti "il mio ragazzo", o meglio ancora "l'amore della mia vita", a tutti. Ti aspetterò, anche dopo la morte, e se c'è un Paradiso ti bacerò lì, davanti agli Angeli e ai Santi. Altrimenti, se c'è una nuova vita dopo, ti cercherò. Ogni volta ti cercherò, ogni volta ti troverò e ti bacerò e ti amerò, finché non sarà arrivata la vita in cui potrò baciarti alla luce del sole- gli accarezzò le labbra, leggermente aperte per lo stupore, e sorrise -ho finito di fare lo sdolcinato, ora puoi insultarmi.
Lovino sgranò gli occhi, balbettò qualcosa, rosso sulle guance. Come poteva rispondere a un discorso come quello? Antonio gli aveva detto che voleva passare il resto dell'eternità con lui, che voleva presentarlo a tutti come il suo ragazzo, come l'amore della sua vita, aveva detto che avrebbe aspettato anche in eterno, amandolo in silenzio, fin quando non avrebbe potuto farlo ad alta voce, aveva detto che... oh, dannato, meraviglioso, benedetto bastardo, come osava lasciarlo senza parole in quel modo? Cosa poteva dire davanti a un discorso del genere? Non riusciva neanche a pensare a qualche insulto, tutto quello a cui riusciva a pensare erano le parole dello spagnolo, le sue mani su di lui, i suoi occhi verdi così belli e luminosi e che aveva voglia di baciarlo. Sorrise, alcune lacrime gli erano cadute lungo le guance -ho preso per il culo il crucco ma certo che neanche io non ci so fare con le parole- si lasciò asciugare gli occhi e si sporse a baciarlo -non... cioé che...- tossì, cercando di formulare una frase di senso compiuto -non so che dire, davvero- si sporse a baciarlo ancora, stringendolo a sé, mentre le lacrime continuavano a scorrergli lungo le guance; non riusciva a fermarle -voglio dire, cosa posso rispondere a un discorso così...- dolce? Profondo? Importante? -così? Non penso ci sia qualcosa da dire, nel senso... hai detto delle cose troppo belle, bastardo, non ti vergogni? Mi hai messo in difficoltà- Antonio ridacchiò, appoggiando la fronte alla sua -penso che l'unica cosa che mi sia rimasta da dire sia che anche io ti amo, bastardo, anche se lo sai già, e che...- la voce gli morì in una leggera risatina imbarazzata, mentre cercava di trovare il coraggio di andare avanti e dire quello che stava pensando -che ti aspetterò anch'io. Che anche io voglio tenerti per mano per strada, baciarti quando voglio, abbracciarti quando ne ho voglia. Che vorrei anche io andare a degli appuntamenti con te, chiamarti "il mio ragazzo" davanti a tutti, avrei anche voluto presentarti a Nonno Roma e ai miei genitori, anche se sarebbe stato imbarazzante e difficile da dire, ma tu mi avresti incoraggiato in silenzio e sarebbe andato tutto bene- alzò le spalle -hai conosciuto Feli almeno, la mia famiglia ora è lui, non ho neanche dovuto dirglielo, ci ha beccati lui. Se avessimo avuto più tempo e altre possibilità, in un'altra vita, magari ci saremmo innamorati in maniera diversa, magari tu mi avresti corteggiato e dopo tanto, tanto tempo, perché sai che non sono una persona facile, saresti riuscito a conquistarmi.
-avrei insistito, anche per anni se necessario, perché tu ne vali decisamente la pena- continuò Antonio -ah, scusa, ti ho interrotto.
-maleducato- borbottò, dandogli un pizzicotto sulla guancia per ripicca, per poi continuare -o magari ci saremmo conosciuti da bambini, tu ti saresti preso cura di me e io mi sarei preso una cotta per te, ma tu non te ne saresti mai accorto perché sei un idiota, finché non ci avrebbero separati, e quando tempo dopo ci saremmo rincontrati...- fece un piccolo, spontaneo e dolce sorriso -quando ci saremmo rincontrati ti avrei fatto sgobbare per riconquistarmi, per ripicca, ma alla fine ce l'avresti fatta, perché sei un bastardo testardo, e ti avrei concesso un appuntamento.
-ti avrei portato a mangiare- lo spagnolo sogghignò -perché la via più veloce per il tuo cuore è il tuo stomaco.
Lovino lo guardò male, poi continuò -avremmo avuto più tempo. Abbiamo fatto tutto in fretta, te ne sei accorto, Antonio? Ci siamo innamorati in poche settimane, come se avessimo già saputo che avremmo avuto poco tempo, e quando ti ho baciato...- si leccò le labbra secche -era un momento perfetto. Ho sentito... qualcosa che mi suggeriva che quella era la cosa giusta da fare, come se fossimo... non so, destinati, legati, vedila un po' come cazzo ti pare, fatto sta che l'ho fatto. Poi ci hanno separati e sono passati anni, anni prima di essere insieme di nuovo e, porca merda, sta andando tutto così bene che a volte mi chiedo se non sia solo un sogno, poi tu mi sorridi, mi guardi negli occhi, mi stringi o mi baci e mi dico che non può essere un sogno, perché non potrei mai sognarmi qualcosa di così...- esitò, cercando le parole giuste -così... così, va oltre i miei sogni- fece una smorfia -bastardo, stare con te mi fa male, sto diventando troppo romantico. Comunque penso che, se ne avessimo il tempo, mi piacerebbe fare le cose con calma. Farti esasperare, farti sudare, farti aspettare mesi per un singolo bacio...
-ma io continuerei a insistere, sempre per quel presentimento per cui tu mi hai baciato la prima volta. E quando finalmente ci baceremmo, avrei la certezza di aver fatto bene, che ne era valsa la pena. Che tu ne valevi la pena.
-e poi io fuggirei di nuovo, spaventato da tutto quello, anche se continuerei a sognare quel bacio ogni notte, perché sono un codardo, ho paura anche adesso di tutto questo, ma non ho avuto il tempo di farmi venire i complessi. Però mi piacerebbe averceli, aspettare, come una coppia qualsiasi, non sapere cosa fare, sclerare per ogni contatto con te, negarmi tutto per paura...
-ma io continuerei a inseguirti, a cercarti, fino a convincerti che non ci sarebbe niente per cui essere spaventato.
-e finalmente cederei, smetterei di avere paura e ti bacerei ancora.
-sotto le stelle- sorrise, ricordando il loro primo bacio. Era stato così perfetto... ma d'altronde, con Lovino come poteva qualcosa non essere perfetto? -solo noi due, su un tetto, a dicembre.
-no- scosse la testa, sorridendo a sua volta e accarezzando il dorso della sua mano -ti bacerei sotto il sole.
Antonio annuì, sorridendo ancora, e si chinò a baciarlo. Lovino si accontentò della tremula luce della lampada, fingendo fosse quella del sole. Era temporaneo, si disse. Un giorno, quello sarebbe stato il sole vero.

Nel frattempo Feliciano era rimasto tutto il tempo a disegnare, mentre Ludwig leggeva un libro. Era il disegno che aveva abbozzato mesi prima e che ancora non aveva finito. Mancavano gli ultimi dettagli, ma erano proprio quelli i più difficili da disegnare. Voleva rappresentarlo al meglio, dare l'idea di quanto forti e delicate fossero le sue mani, voleva far capire a chiunque quanto fossero morbidi i suoi capelli, quanto fosse leggero ma bello il suo sorriso. Quando si ritenne soddisfatto, firmò in un angolo e sorrise -ve, finito!
-oh bene, posso vederlo?
La risposta di Feliciano sarebbe stata un secco no. Lo imbarazzava che Ludwig vedesse quel disegno, era come se vedesse come lui lo vedeva, ma poi si ricordò che alla fine era Ludwig: se non lo faceva vedere a lui, allora chi altro se lo sarebbe meritato? Arrossendo gli passò il foglio.
Il tedesco lo studiò. Era fatto veramente bene, ma ciò che lo stupì, invece della tecnica, fu il disegno nel complesso. Era così che Feliciano lo vedeva? Gentile ma forte, una sorta di grande gigante gentile, bello e dolce, con un sorriso piccolo, quasi invisibile, ma in qualche modo, anche senza notarlo, si capiva che stava sorridendo, che era felice e rilassato. Sorrise.
-è davvero bellissimo, Feliciano, sei eccezionale- l'italiano sorrise imbarazzato e gli si sedette in braccio, allacciando le braccia intorno al suo collo e baciandolo. Ludwig lo strinse per la vita, ricambiando il bacio e posando il libro chiuso sul tavolo per avere anche l'altra mano libera per coccolare l'altro.
-ve, Luddi...- mormorò allontanandosi dalla sua bocca, per dirgli qualcosa. Poi sembrò ripensarci e tornò a baciarlo, con gli occhi chiusi e il corpo stretto al suo.
-stasera dormi da me?- gli chiese allontanandosi per un attimo da lui. Feliciano annuì e lo baciò ancora, con calma e una sorta di profonda disperazione. Sembrava che non riuscisse a non baciarlo, che lo volesse fare per approfittarne ora che poteva. Quello era l'inizio: i primi avvisi della disperazione che li avrebbe avvolti per tutta l'estate, l'estate più bella e triste della loro vita.
Ma allora avevano ancora tempo. Erano appena a giugno, avevano ancora quattro mesi davanti.
Dicono che l'amore è come un fuoco, no? In quattro mesi avrebbero bruciato come non mai, fino a consumarsi.
Cosa sarebbe successo dopo, non lo potevano né volevano immaginare.


Angolo autrice : 
in occasione del pride (che si terrà oggi nella mia città) non penso potesse esserci capitolo migliore. Sono di fretta quindi sarò breve. Ringrazio come sempre chi recensisce e chi segue questa storia, vi mando un bacio. Alla prossima
Daly 

 

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Capitolo 10
*** Partenze e racconti ***


Un pomeriggio di inizio giugno Ludwig e Feliciano stavano girando per Napoli, quando l'italiano vide Antonio parlare con una signora del mercato. Lo chiamò a gran voce e gli corse incontro, abbracciandolo di slancio -veee, fratellone Antonio, che ci fai qui? Dov'è il fratellone?
Ludwig lo guardò e li raggiunse, divertito dalla solita espansività del suo ragazzo. Però Antonio non reagì come avrebbe sempre fatto; non ricambiò l'abbraccio né il saluto, ma si limitò a guardare il castano confuso. Osservandolo meglio, Ludwig capì il perché.
-Feliciano, non è Antonio- lo scostò delicatamente e si rivolse allo sconosciuto -ci scusi, l'abbiamo scambiata per un'altra persona.
-voi... voi conoscete Antonio?- domandò quello in spagnolo, con uno strano accento che a Feliciano ricordava tanto quello dei vecchi pescatori di Genova -Antonio Fernandez Carriedo?
-sì, vee, è il fidanzato del mio fratellone- Feliciano si coprì la bocca con le mani -veee, Luddi, dici che non avrei dovuto dirlo?
-perché lo cerca?- Ludwig alzò le spalle alla domanda del suo ragazzo -ormai l'hai detto.
-sono suo fratello, João.
-vee, quindi sei il fratellino del fratellone Antonio! Ti portiamo noi da lui, ve, vero Luddi?- Feliciano sorrise a João -abitano qui vicino, andiamo?- e, senza aspettare risposta, prese per mano Ludwig, per un braccio l'altro e si diresse a casa del fratello, parlando a macchinetta con il nuovo arrivato.
Quando arrivarono trovarono Lovino nel negozio a sistemare alcune casse di pomodori. Feliciano corse da lui saltellando, ma prima che potesse dire qualcosa Lovino indicò João con un sopracciglio inarcato -chi è quel tizio che somiglia allo spagnolo bastardo?
-veeee, ma come hai fatto a distinguerli? Sono uguali!
-Antonio ha gli occhi più chiari, i capelli più corti, anche se comunque dovrebbe tagliarli quel cretino, non ha il codino, anche se gli ripeto sempre che ci starebbe bene, ed è più alto. Lui invece chi è?
-sono...- iniziò a rispondere, ma venne interrotto da una nuova voce.
-...João?- era Antonio, di ritorno dal mercato, a bocca aperta. Corse dal fratello e lo abbracciò; Lovino fece una smorfia e si avvicinò, con una cassa di pomodori tra le braccia. I due fratelli cominciarono a parlare fitto in spagnolo, finché Lovino non li interruppe.
-bastardo, non ci presenti?- guardò João -piacere, sono Lovino. Ti stringerei la mano, ma le ho entrambe occupate.
-sono João, suo fratello. Immagino tu sia il ragazzo di cui mi ha tanto scritto nelle sue lettere.
-già- Antonio, entusiasta, strinse a sé il suo ragazzo e gli stampò un bacio sulla guancia -che bello che tu sia qui!
-volevo conoscere il ragazzo che ti ha rubato il cuore- rispose João, guardando Lovino.
-e poi ti mancavo.
-forse.
Lovino ricambiò lo sguardo del cognato e si strinse al petto di Antonio.
-vuoi riportarlo in Spagna- non era una domanda, ma João rispose lo stesso.
-no. Volevo solo venirlo a trovare. So che è più felice qui con te.
I due si studiarono ancora un po', poi Lovino, inaspettatamete, sorrise -ottimo. Rimani per pranzo, vero?- si voltò verso il fratello -Felicià, rimani anche tu con il crucco?
-io... ve... va bene- balbettò Feliciano, stupito. Si aspettava che Lovino saltasse addosso all'altro e lo prendesse a calci, non che lo invitasse a pranzo. Si raccomandò di controllare che non lo avvelenasse.
-bastardo, io sistemo questi, tu fai entrare gli ospiti in casa, vi raggiungo tra un attimo- stampò un bacio sulle labbra del proprio ragazzo, tanto il negozio era vuoto, e si allontanò per finire di sistemare -e sbrigati, non si fa aspettare la gente.
-subito, Lovinito- Antonio fece un enorme sorriso, poi fece cenno a suo fratello di seguirlo, salì le scale per arrivare al loro appartamento e aprì la porta. João lo seguì senza fiatare.
-sono così felice che tu sia qui- sorrise al fratello, mentre Feliciano e Ludwig andavano nella camera del primo per lasciarli soli.
-mi piace il tuo ragazzo. Ha più sale in zucca di te.
Antonio ridacchiò -in effetti in certe cose siete simili- fece una pausa -come stanno mamma e papà?
-quando mamma ha letto la tua lettera è svenuta, papà è furioso. Ma tutto sommato stanno bene.
-tu che mi racconti?
-tra un paio di settimane mi sposerò con una donna. Mi piacerebbe che ci fossi. Può venire anche il tuo ragazzo- fece una pausa, poi gli diede un pugno sulla spalla -e la prossima volta, vedi di lasciarmi un dannato indirizzo prima di sparire! Sai quanto ho penato, prima di venire direttamente qui a cercarti? Mi sono ridotto a scrivere a quei due cretini dei tuoi amici, che mi hanno detto solo che eri a Napoli; come se non l'avessi capito per conto mio- sbuffò.
Antonio rise e lo abbracciò -mi dispiace.

Quella sera, accoccolato con il suo ragazzo nel letto, Antonio comunicò all'altro la notizia, senza sapere cosa aspettarsi.
-ci ha invitati al suo matrimonio- iniziò.
-chi? Tuo fratello?
-sì.
-oh, bene- rimase in silenzio per un po', giocherellando con le dita di Antonio, poi realizzò -aspetta. In Spagna? Con anche i tuoi genitori?!
-ehm...
-no. Vai tu, ma io...
-non vado da nessuna parte senza di te- lo interruppe -e poi vorrei tanto farti vedere la mia terra, so che ti piacerebbe e...
Lovino si morse il labbro -lo capisco, ma... non sono mai andato così lontano, e poi Feliciano...
-Feliciano è adulto, può benissimo prendersi cura di sé stesso per un paio di settimane. E poi ha Ludwig a tenerlo d'occhio.
-sì ma...
-di cosa hai paura?
L'italiano si morse il labbro più forte e abbassò lo sguardo, mugugnando qualcosa. Dannato bastardo, lo conosceva troppo bene.
-daaaai. Non costringermi a fartelo dire con la forza- Antonio fece un sorriso scherzoso, pizzicandogli il fianco nudo -ricordati che conosco tutti i posti dove soffri il solletico.
Lovino roteò gli occhi -ci saranno i tuoi genitori.
-e quindi?
-come "e quindi"? Dovrò conoscerli! Non mi accetteranno mai.
-e quindi? Cosa cambia, tanto viviamo insieme, non sono più dipendente da loro.
-sì ma... cioé...
Antonio lo baciò sulla fronte -se hai paura che mi portino via da te, sappi che non succederà.
-lo so però... cioé vorrei... essere accettato dalla tua famiglia, come tu lo sei dalla mia, capisci?
-oh, ma tu sei accettato dalla mia famiglia. João ti preferisce a me- ridacchiò -i miei genitori... mio padre è sempre stato via per lavoro, praticamente lo vedevo una volta ogni sei mesi, anche meno. Mentre mia madre... mia madre è una donna complicata. Mi vuole bene, ma per lei è sempre contata di più l'apparenza; lo capisco, la società è così, ma vivere in quel modo non mi rendeva felice.
Lovino si girò sulla schiena, si passò un braccio sugli occhi e abbozzò un sorriso -anche mio nonno era come te. Era nato dal niente, si era fatto da solo. Amava Roma, la città dove era nato, tanto che Feliciano, da piccolo, non riuscendo a dire Romolo, lo chiamava Nonno Roma, e lui ne era entusiasta. Era molto rispettato, costruì un impero commerciale che raggiunse perfino l'Oriente e comprendeva tutta l'Europa. Amava le belle donne, il buon vino e la cultura classica- sospirò e sollevò una mano in alto, verso il soffitto, quasi a cercare suo nonno in Cielo, per poi riabbassarla e andare a stringere quella dello spagnolo affianco a lui. Ad Antonio non aveva ancora raccontato tutta la sua storia nel dettaglio, qualche informazione qua e là e i punti principali; per lui era un argomento molto delicato e difficile da affrontare, il compagno non gli aveva mai fatto pressioni a riguardo e Lovino lo amava anche per questo. La verità era che si colpevolizzava fin troppo per il suo passato, si dava la colpa di non essere riuscito a tenere uniti i suoi genitori, ad aiutare Nonno Roma, a dare un'infanzia normale a Feliciano -da una delle sue tante conquiste nacque mia madre, che era la sua più grande gioia. Raggiunse anche i piani più alti della società, ma si rifiutava di comportarsi come quello che non era e di legarsi a qualcuno oltre mia madre, finché...- fece una pausa, gli strinse la mano e si voltò verso di lui, accarezzandogli il viso con la mano libera; Antonio socchiuse gli occhi, godendosi quelle carezze e sporgendosi incontro alla sua mano, come un cucciolo alla ricerca di coccole -finché non trovò un altro amore, uno ben diverso e molto forte, anche troppo. Si innamorò di un uomo, non che fosse una novità, aveva avuto diversi amanti maschi, ma questo fu diverso. Non ne parlava mai, quel poco che so me lo raccontò mia madre. L'unica cosa che mi disse il nonno è che aveva i capelli biondi, molto lunghi, e che era un'anima libera da ogni costrizione, da ogni legame, come lo era stato lui prima di incontrarlo. Era anche lui uno spirito libero, che odiava fingere di essere ciò che non era. Quando quello lo abbandonò, il nonno cadde in depressione. Dopo la morte di mia madre... be', gli rimanemmo io e Feli. Non so se Feliciano lo ricorda, ma il nonno beveva parecchio, anche se ce lo nascondeva, morì anche per quello. Era depresso, ogni giorno stava sempre peggio, finché neanche io e Feli fummo abbastanza per dargli forza e si ammalò. Morì poco dopo che Feliciano ebbe compiuto nove anni e io diciotto. Tutti i soldi che aveva li aveva sperperati per viziare me e Feli, ma soprattutto li aveva persi in vino e donne, andando a ubriacarsi la sera senza dirci nulla. Si era indebitato parecchio, così perdemmo anche la casa e non ci rimase nulla, tranne un paio di vecchi libri e qualche soldo- strinse gli occhi, forse per il sonno o per scacciare le lacrime -ho fatto del mio meglio per crescere Feliciano, non avevamo niente, capisci? L'ex padrone di questo forno è stato una benedizione, dopo che tu... dopo che sei partito, senza di lui saremmo rimasti di nuovo per strada. Ho cercato di fare del mio meglio, ma spesso mi chiedo se... se abbia davvero fatto del bene. Avrei dovuto insistere con il nonno, avrei dovuto farlo smettere, avrei dovuto far restare insieme i nostri genitori, avrei dovuto... non lo so, forse avrei fatto meglio a lasciare Feli in un orfanotrofio o in un convento, forse sarebbe cresciuto meglio, forse...
-smettila- lo strinse forte, asciugandogli le lacrime che gli stavano colando sulle guance -per prima cosa, come pensi che si sarebbe sentito Feli a essere abbandonato anche da suo fratello? Non sarebbe cresciuto meglio, sarebbe cresciuto sentendosi un errore, si sarebbe dato la colpa per averti mandato via. Hai fatto tutto ciò che potevi, anche di più, per dargli un futuro- gli accarezzò i capelli, cercando di calmarlo. Parlava piano ma con tono saldo, sperando di rassicurarlo -e Feliciano lo sa, non è stupido, e ti vuole bene per tutto quello che hai fatto per lui. Secondo, come potevi aiutare tuo nonno? L'hai detto tu stesso: ve lo nascondeva. Aveva il cuore spezzato, l'unico modo per aiutarlo sarebbe stato trovare quest'uomo, di cui però non sapevi nulla, quindi non potevi farci niente. Terzo, non potevi aiutare i tuoi genitori, eri poco più di un bambino, e ci sono cose che devono accadere e basta, coppie che sono destinate a separarsi. A volte è meglio che due si separino, piuttosto che essere infelici e rendere tali anche i propri figli- gli baciò la fronte e se lo strinse contro con possesso -Dio, se penso che avrei potuto farti fare la stessa fine di tuo nonno... non voglio neanche pensarci. Ti amo, Lovi, tantissimo.
Lovino tirò su con il naso e allontanò il viso dalla sua spalla -lo so. Però non ho mai toccato una goccia d'alcool, né lo farò mai. E poi tu non mi hai lasciato del tutto, né lo hai fatto di tua scelta- gli strinse la mano e scosse la testa, come a scacciare via un pensiero molesto o dei ricordi fastidiosi -e ora sei qui, importa questo- lo baciò, per mettere un punto e chiudere quella conversazione fin troppo fastidiosa -ora quello che mi preoccupa è Feli. Quando il crucco se ne sarà andato, sarà distrutto.
Antonio annuì -potrebbe decidere di restare. Mancano alcuni mesi, potrebbe succedere di tutto.
Lovino annuì, dubbioso -sì, questo è vero, però continuo a essere preoccupato.
-è normale, è il tuo fratellino- lo baciò ancora, con un sorriso.
-e tuo fratello?
-chi? João?
Lovino annuì -è innamorato? Hai detto che si sta per sposare, no?
-ah...- deglutì -no, lui non... non si è mai innamorato, non si è mai mostrato interessato a qualcuno né penso lo farà mai. Non è il tipo.
-ah, è come Diana.
-eh?
-ma sì, il nonno ci ha fatto una testa così sull'amore, ma diceva anche che non tutti lo vogliono o ne hanno bisogno, come Diana. Sai no, la dea vergine della caccia... è come lei.
-sì, penso di sì...
-mh, cos'è che non mi stai stai dicendo?- gli strizzò le guance, invogliandolo a continuare e facendolo ridere.
-è che... cioé, vorrei vederlo felice.
-non c'è bisogno dell'amore romantico per essere felici. E anche se si innamorasse, non è detto che lo renda felice. Ogni persona è diversa, non tutti hanno bisogno di amare qualcuno.
Antonio sorrise e lo baciò di nuovo -ma io sì, quindi rassegnati: dovrai sopportare me e le mie dimostrazioni d'affetto.
-vivrò con questo peso- Lovino roteò gli occhi ma sorrise -e comunque, solo perché non ama nessuno in quel senso, non significa che non ti voglia bene.
-questo lo so, in questo siete uguali.
-cioé?
-piuttosto che mostrarlo in pubblico vi buttereste da una finestra- si prese un pugno nello stomaco, ma rise comunque.
-e comunque non è vero.
-sì invece.
-no.
-sì.
-no. Quando sei tornato ti ho abbracciato.
-quello non conta.
-invece sì.
-andremo avanti così tutta la notte?
-finché non mi darai ragione sì.
Antonio rise e baciò l'altro, salendogli sopra a cavalcioni -e se facessimo altro?- fece un piccolo ghigno e lo baciò ancora, più a lungo.
Lovino sbuffò, ma gli allacciò le braccia intorno al collo -ma non ti stanchi mai?
-di te? No.
-perché non fai altro con quella bocca, invece di dire robe sdolcinate?
In realtà non gli aveva raccontato proprio tutto. C'erano cose di cui si vergognava. Non gli aveva raccontato perché i suoi genitori si erano separati, la storia di sua madre con sua zia, il matrimonio che, e questo lo sospettava solo, per le due amanti era stata una farsa fin dall'inizio. Un'altra volta, si disse. Un'altra volta gli avrebbe raccontato tutto. Gli avrebbe parlato dei pomeriggi al mare con la sua famiglia. Quelli erano i pochi ricordi felici della sua infanzia. Feliciano non lo ricordava, ma in estate, quando ancora avevano due genitori, andavano spesso lì e il più piccolo si ustionava sempre. Dopo la separazione dei coniugi, Lovino era rimasto con sua madre e sua zia, la persona che più aveva odiato al mondo. Quella cercava sempre di intromettersi, di instaurare un rapporto con lui, che vedeva in lei la causa di tutte le sue disgrazie. E lo sapeva, lo vedeva nei suoi occhi a ogni suo rifiuto, che anche lei ricambiava il suo astio, che sia lei che sua madre avrebbero preferito avere con sé Feliciano, che lo odiava perché non la accettava, perché rendeva infelice lei e Caterina: lui era il frutto di un amore inesistente, uno proibito e una lunga serie di inganni e promesse infrante, e ora che tutto era venuto a galla e le due amanti avrebbero potuto vivere più o meno tranquillamente, lui era la nota stonata, quello che distruggeva il sogno costruito sulle lacrime di suo padre. Lo sapeva, lo sapeva benissimo, e fu ben contento di fare la sua parte: loro lo avevano creato, avevano fatto sì che nascesse così, e lui si sarebbe vendicato, senza pietà. Non fraintendete, ce l'aveva anche con sua madre, ma nei suoi occhi da ragazzino i suoi genitori erano felici, prima che quell'arpia si mettesse in mezzo. In estate a volte tornava in quella spiaggia con sua madre. Quei pomeriggi al mare erano le uniche volte in cui Caterina proibiva categoricamente alla zia di impicciarsi ed erano sempre lei e Lovino, solo loro. Quando Lovino aveva sedici anni la zia morì, investita da una carrozza di passaggio mentre andava a comprare qualche dolce e un regalo per il compleanno di Lovino. Né il ragazzo né sua madre piansero al suo funerale, ma per due motivi completamente diversi: uno perché non aveva lacrime da versare, l'altra perché le aveva già versate tutte. Al funerale c'erano anche Feliciano e loro padre, così una volta finito andarono in spiaggia, nella spiaggia dove andavano sempre. Quella fu l'ultima volta in cui furono tutti e quattro insieme, quasi come una famiglia vera, l'unica che ricordava anche Feliciano. Era una donna forte, Caterina, ma certi dolori sono troppo forti per chiunque, così due mesi dopo morì di crepacuore. Il ricordo che Lovino conserva di lei la vede in spiaggia, a piedi nudi e con un paio di pantaloni e una camicia larga indossati solo una volta arrivati in spiaggia, per non rovinare i suoi ricchi vestiti, con i capelli castani scossi dalla brezza e la mano stretta alla sua. Così da Lovino si trasferì Nonno Roma, che odiava lasciare la sua Roma ma per il nipotino si sarebbe sacrificato, seguito a qualche settimana di distanza da Feliciano, dopo la morte del padre. Passarono lì due anni circa, quando veniva caldo il nonno li portava ogni volta gli fosse possibile al mare. Ogni tanto li svegliava la mattina presto, li faceva salire in carrozza e li portava lì, in quella spiaggia. Era stato lui a insegnare ai due nipoti dove trovare la grotta, aveva insegnato lui a Feliciano a nuotare e aveva aiutato Lovino a migliorare e ad affrontare la sua paura di andare sott'acqua. Era stato lui a far conoscere il posto a sua figlia, anni prima, aveva detto loro che era stato proprio lì che aveva conosciuto il suo Amore, quello con la A maiuscola (perché, anche se questo Lovino non lo sapeva, la A maiuscola ce l'aveva nel nome, ovvero Ariovisto) quando quello lo aveva scoperto a fare il bagno nudo in mare. Lui, che amava esplorare, aveva scoperto il posto dove Romolo si nascondeva quando voleva scollegare un po' la testa e rilassarsi, un posto che anche lui aveva scoperto per caso nei suoi vagabondaggi. Anche dopo che i due fratelli erano rimasti soli, in estate almeno un pomeriggio al mare lo facevano sempre, anche quando, prima di incontrare lo spagnolo, non potevano permettersi gli ingredienti per il doposole di Nonno Roma. Gli avrebbe raccontato, infine, che anche dopo la sua partenza ogni tanto lui e Feliciano andavano lì a fare il bagno, almeno una volta ogni estate. Quando decidevano che il giorno dopo sarebbero andati al mare, passava tutta la notte a immaginare di nuotare lontano, tanto lontano, e incontrare una nave, magari diretta verso l'America, il che era stupido per un'infinità di motivi, che lo portasse da Antonio, o incontrarne una proveniente da lì, con lo spagnolo a bordo, che era in qualche modo tornato da lui, ma questo non glielo avrebbe mai e poi mai raccontato, neanche sotto tortura.
Si strinse a lui, sotto le coperte, e sospirò.
Un giorno ti dirò tutto, pensò. Te lo prometto.

E così, una settimana dopo, Lovino e Antonio partirono con João per la Spagna.
-Feli, mi raccomando, stai attento. Staremo via circa un mese, per qualsiasi cosa scrivimi, stai attento al negozio, attieniti ai prezzi che ti ho scritto, prenditi cura dei pomodori come ti ho spiegato, chiudi sempre la porta del negozio e controlla che sia chiusa quando è sera e se vuoi stare con il crucco state alla larga da camera mia- ripeté per l'ennesima volta Lovino, mentre Antonio poco più in là parlava a bassa voce con il fratello.
-sì, fratellone- Feliciano lo abbracciò -buon viaggio, ve, divertitevi.
Lovino brontolò qualcosa, ma abbracciò ugualmente il fratellino -mi raccomando, Feli.
-ve, stai tranquillo, fratellone- i due si allontanarono. Lovino si voltò verso il tedesco e gli strinse la mano.
-crucco, tienimelo d'occhio e controlla che non faccia cagate, chiaro?
Ludwig annuì, imbarazzato.
-bene- si voltò verso il moro -bastardo, possiamo andare.
-arrivo Lovinito- lo spagnolo abbracciò Feliciano e Ludwig rapidamente, prese le valigie e salì con il suo ragazzo e il fratello sulla nave. Li salutarono un'ultima volta dal ponte della nave, poi sparirono alla vista.
-ve, Luddi, spero vada tutto bene.
Il tedesco annuì e si incamminò con l'altro verso il negozio. Non gli dispiaceva lavorare lì per un po', ormai Napoli la conosceva bene e senza avere qualcosa da fare stava cominciando ad annoiarsi. Inoltre lavorare con Feliciano gli faceva immaginare un futuro in cui loro vivevano e lavoravano insieme, una vita passata insieme. Di certo lavorare sarebbe stato più piacevole con Feliciano al suo fianco.
Tornarono al negozio e lo riaprirono, con Feliciano che disegnava aspettando clienti e Ludwig che a tratti controllava fosse tutto a posto facendo un giro tra gli scaffali e a tratti leggeva un libro, tenendo la mano dell'italiano da dietro il bancone.
-ve, Luddi, secondo te sono già arrivati?- gli chiese l'italiano chiudendo la porta del negozio, facendo due giri alla serratura e controllando fosse ben chiusa -in Spagna dico.
-ne dubito, ci vorranno un paio di giorni almeno, forse anche una settimana.
-ve, ma dov'è la Spagna di preciso?
-oh, uhm- in effetti era logico che Feliciano non sapesse granché di geografia -se avete una cartina te lo faccio vedere.
-ve, di sopra dovremmo averne una dell'Impero Romano- rifletté salendo al piano di sopra. Nel soggiorno c'era una piccola libreria e su questa c'erano alcuni libri del precedente proprietario, altri comprati da loro successivamente e altri vecchi libri di Nonno Roma. Ne prese uno sulla storia dell'Impero e diede una rapida sfogliata, fino a trovare una cartina -eccone una, Luddi.
Il tedesco prese il libro -ottimo. Dunque, la Spagna è qui- la indicò sulla cartina -anche se non so di preciso dove stiano andando, Antonio aveva detto nel Sud no?
-ve, mi pare di sì.
-uhm, forse qui, sul mare- spostò il dito fino a indicare un punto più a ovest, sotto il confine con il Portogallo odierno per interderci.
-sembra un bel posto. Noi siamo qui, ve?- indicò l'Italia, dove con un puntino era segnata Roma.
-un po' più in giù ma sì.
-ve, sembra un lungo viaggio. Tu dove abitavi, Luddi?
Il tedesco indicò un punto nel centro nord dell'attuale Germania -qui, più o meno.
-è lontano- commentò Feliciano -ve, ti piaceva la tua città, Luddi?
-non abitavamo in città. Avevamo una casa nobiliare, una sorta di grande villa della nostra famiglia, in campagna. Non c'era molto da fare, c'erano solo i campi intorno. Passavo i pomeriggi a leggere, principalmente. Avevo solo mio fratello, i bambini della servitù lavoravano anche loro e comunque avevano paura di me. Tu sei stato il mio primo amico.
-ve, anche tu Luddi. Quando viaggiavo con papà ci fermavamo per poco tempo, quindi non avevo il tempo di farmi degli amici, poi quando ero con il fratellone a Napoli, prima di incontrare il fratellone Antonio, i bambini non giocavano ma cercavano di guadagnare qualcosa oppure mi stavano alla larga- si sporse a baciarlo, sorridendogli -ve, stasera ti fermi a dormire qui?
-va bene- lo strinse a sé e lo baciò ancora, posando il libro sulla libreria per potere posare sui suoi fianchi entrambe le mani. Quando si allontanarono, Feliciano gli sorrise e lo prese per mano, portandolo in cucina -ve, che facciamo per cena? Pasta?

In quel periodo in cui lui e Feliciano furono sempre insieme, Ludwig scoprì un nuovo lato dell'altro, un lato per certi versi più fragile. Scoprì che la sera, quando erano abbracciati sull'orlo del sonno nel letto, l'italiano amava raccontare storie guardando fuori dalla finestra. Indicava una stella, formava una costellazione, reale o inventata, e raccontava una storia a riguardo. Ercole, la Bilancia, il Capricorno e ancora l'Asinello, il Pennello e i due Pomodori.
Ludwig si rese conto proprio grazie a quest'ultima che, con tutte quelle storie, spesso l'altro cercava di dirgli qualcosa di sé.
-c'erano una volta due pomodori- iniziò, indicando un gruppo di stelle -questi due pomodori erano molto innamorati, anche se erano costretti a nasconderlo. Un giorno però uno dei due fu costretto a spostarsi dall'altra parte del cielo, affianco al Sole. Era un compito importante ed era un onore essere vicino al Sole, ma il pomodoro non era felice. Il Sole lo scaldava, lo illuminava, però lui preferiva l'ombra, l'oscurità, dove poteva stare insieme all'altro pomodoro. Così mollò tutto e, solo soletto, attraversò l'intero Universo, fino a raggiungere l'altro, dopo tanto e tanto tempo. Appena si rividero si abbracciarono e sono ancora lì, li vedi Luddi?- indicò il gruppo e tracciò delle linee immaginarie con il dito, unendo le stelle -quello è il primo pomodoro, mentre questo è il secondo. Non si distinguono bene perché sono abbracciati, come quella statua che abbiamo visto vicino Natale, ricordi Luddi? Però eccoli, ve, li vedi?
Il tedesco annuì, prendendogli la mano e baciandogli il palmo -è la storia di Lovino e Antonio.
-no, ve, il fratellone Antonio non è stato vicino al Sole, Luddi, non essere sciocco. Questa è la storia dei Due Pomodori.
Ludwig sorrise leggermente -raccontami un'altra storia.
-uhm, ve... quella è la Bilancia- indicò un gruppo di stelle vagamente simile -non la Bilancia vera, un'altra Bilancia, la Bilancia del Cuore. Quando morivi, gli Antichi Egizi ti mummificavano, lo sai Luddi? Me lo ha raccontato il nonno, da quella volta che andò in Egitto. Credevano che quando morivi c'era una Bilancia, in cui da una parte c'era una piuma e dall'altra il tuo cuore. Se il cuore pesava come o meno della piuma potevi accedere all'aldilà, altrimenti un mostro lo mangiava- sembrò in difficoltà -ve, non ricordo il suo nome però- rimase in silenzio per un po', poi alzò le spalle continuò -una volta fu messo alla prova il cuore di un uomo innamorato, un principe ancora vivo. Questo principe amava una persona che non poteva sposare, così suo padre il faraone decise di far scegliere agli Dei. Misero il cuore del giovane sulla Bilancia insieme a quello della persona che amava e, vedendo che pesavano uguale, capirono che quello era amore vero, ricambiato allo stesso modo. Così decisero di permettere ai due amanti di sposarsi e loro si amarono fino alla fine del mondo, anche nell'aldilà. Per commemorare un amore puro e sincero come il loro, gli Dei decisero di creare una costellazione come quella Bilancia. Se guardi bene, sui due piatti puoi vedere due piccole stelle, quelli sarebbero i loro cuori.
-è una bella storia- lo baciò sulla guancia con un sorriso.
-ve, sarebbe bello se facessero la stessa cosa con noi. Ve, magari senza strapparci il cuore, non penso riuscirei a sopravvivere.
Ludwig ridacchiò, guardandolo rapito. Quando raccontava una storia, Feliciano aveva un tono particolare, più basso e calmo, non usava neanche il suo solito ve, e assumeva un'aria placida, tranquilla, come se stesse rivivendo dei suoi ricordi -piacerebbe anche me. Vorrei tanto sposarti.
A Ludwig non interessava il matrimonio. Non credeva in Dio, per lui due fedi scambiate in chiesa valevano quando due anelli scambiati per strada. Il matrimonio non aveva alcun significato se non quello politico, economico o comunque di interesse vario. Però sapeva che Feliciano ci teneva. Sapeva che lui credeva in Dio, andava a messa volentieri, pregava ogni giorno. Ludwig portava il piccolo crocifisso d'oro al collo per Feliciano. Perché pensava, sperava, ipotizzava diciamo, che, se le preghiere fossero servite a qualcosa, la croce che aveva al collo sarebbe servito a portarle a destinazione. Sapeva che l'italiano glielo aveva dato come portafortuna, affinché vegliasse su di lui. Ludwig non credeva in certe cose, ma lo aveva tenuto comunque: come ricordo, certo, ma anche perché non voleva che le speranze e le preghiere dell'altro, se servite a qualcosa, fossero vane. Lo aveva ancora, Feliciano aveva voluto lo tenesse lui. Ma comunque, per lui Ludwig si sarebbe sposato. Non gli serviva, non pensava ci fosse bisogno di un paio di anelli e un "lo voglio" perché lui amasse per sempre il castano, però sapeva che per lui era una cosa importante, una promessa a Dio in persona che sarebbero stati legati per sempre, come i due cuori sulla Bilancia.
Ludwig gli prese la mano sinistra e gli baciò l'anulare -non penso ci sia bisogno di un anello a dimostrare quanto ti amo, ma se fosse necessario indossarne uno per vivere il resto della vita con te lo metterei senza esitazione.
Feliciano gli sorrise e lo baciò, intrecciando una gamba con la sua sotto il lenzuolo leggero -ve Luddi, ti amo anch'io.
Ludwig annuì -ti andrebbe di raccontarmi un'altra storia?
-ve, hai qualche richiesta?- si voltò verso la finestra, posando la schiena contro il suo petto e puntando lo sguardo nuovamente fuori.
Il biondo cercò di individuare qualche disegno, anche se era una frana. Indicò qualcosa -quello. Sembra un bastone, o sbaglio?
Feliciano rise -ma no, Luddi, quello è il Pennello! Vedi che in fondo ci sono le setole?
-ah... giusto. Raccontami la storia del pennello, per favore.
L'italiano rise ancora, intrecciando una mano con la sua -va bene, Luddi. La storia del Pennello non è molto felice però, anche se ha un bel finale.
-non importa- si tirò su e lo baciò sulla guancia, sporgendosi per guardarlo mentre raccontava -se ha un bel finale ne vale la pena.
Feliciano annuì -il Pennello era molto solo. Sai, Luddi, secoli fa non esistevano pennelli, per cui lui veniva escluso dalle altre costellazioni perché non si capiva che forma avesse, veniva considerato stupido e strano- il racconto venne interrotto da un rapido bacio. Sorrise prima di continuare -il Pennello era solo, escluso ed isolato, finché un giorno una fanciulla non lo notò ed esclamò "quello è un pennello!". Il Pennello era felice di essere stato riconosciuto, così cominciò ad osservare la fanciulla, finendo per innamorarsi di lei. La fanciulla però era umana e si innamorò di un altro uomo, ma al Pennello non importava: la amava a prescindere, anche senza poterle parlare, poterla stringere, poterla baciare. Il suo era un amore che andava oltre la gelosia, oltre il desiderio, oltre tutto: gli bastava saperla felice e al sicuro per essere contento. La osservò crescere e invecchiare, anche lei era affascinata da quella costellazione che era sempre in cielo, ogni sera, a indipendentemente dalla stagione o da dove si trovasse. Le altre costellazioni deridevano il Pennello per essersi innamorato di un'umana, ma a lui non importava, esisteva solo lei. Il tempo passò, finché la fanciulla non morì, e il suo ultimo desiderio fu quello di raggiungere il Pennello e conoscerlo. Per premiare la sua buona condotta e rendere felice sia lei che il Pennello, il suo ultimo desiderio fu esaudito, e lei divenne una costellazione affianco al Pennello: la Tela- la indicò, una figura vagamente rettangolare affianco al Pennello -da allora, ogni volta che fanno l'amore, si dica nasca una nuova opera d'arte da qualche parte nel mondo.
-avevi ragione, ha davvero un bel finale- Ludwig gli lasciò un bacio sul collo, stringendolo di più a sé -secondo te anche quando lo facciamo noi nasce un'opera d'arte?
Feliciano mugolò qualcosa, andando incontro alle sue carezze e alle sue labbra -ve... non lo so...- si voltò verso di lui, baciandolo e salendogli sopra a cavalcioni -però so che mi piace- si fiondò nuovamente sulle sue labbra schiuse, gemendo sottovoce quando l'altro gli morse il labbro e sfiorandogli il viso, il collo, le spalle con le dita tiepide, scendendo lentamente verso il basso.
Ludwig amava il tocco di Feliciano, delicato e leggero; sembrava studiare ogni muscolo, riscaldarlo con la punta delle dita, con leggerezza, nonostante segnasse per sempre la sua pelle con ogni contatto, come se le sue dita fossero il pennello, Ludwig la tela e i percorsi che tracciava le basi di un disegno; disegno che poi colorava, il pittore, attraverso i baci. Ogni bacio era una spruzzata di colore, una sfumatura, un ritocco. E infine quel disegno lo firmava, diventando un tutt'uno con la sua arte, sconvolgendo per un po' il mondo e tutte le stelle in disegni così meravigliosi che solo loro riuscivano a capire, tra un bacio e l'altro, finché anche le stelle non sparivano e non rimanevano che loro due e per un istante, un solo, rapido istante, erano l'opera d'arte più bella del mondo.

Angolo autrice:
Ed eccoci di nuovo qui! C'è stato un po' di spiegone in questo capitolo, spero non sia stato pesante da leggere. Siamo quasi alla fine, tra poco ci dovremo lasciare. Il prossimo capitolo sarà interamente sulla Spamano e sul loro viaggio in Spagna, una sorta di ritorno alle origini, che ho cercato di riassumere in un capitolo solo nonostante la lunghezza del tutto. Dopo di che ci saranno ancora due capitoli e il tanto atteso epilogo. E preparatevi perché ci sarà depressione, tanta depressione, che forse renderà più amara la vostra estate (e la mia, visto che dovrò rincontrollare tutto). E dopo l'epilogo... chissà. Ho parecchie idee ma ben confuse, qualche capitolo pronto di un'altra storia sempre legata a questo contesto storico ma poche idee su come continuare, una os sulla storia di Romolo e Ariovisto che ancora non mi convince e altre os/storie già scritte scollegate da questa che pubblicherò a spizzichi qua e là, anche se devo ancora decidere quali scartare e quali no. Ma tornando a noi, come sempre vi ringrazio di aver letto fin qui, spero vi sia piaciuto il capitolo e vi invito a lasciare una recensione.
Alla prossima
Daly

 

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Capitolo 11
*** Madri e matrimoni ***


-eccoti, bastardo- Lovino raggiunse il suo ragazzo, affacciato sul ponte a guardare il mare. Quella mattina l'italiano si era risvegliato nella loro cabina da solo, per questo era andato a cercarlo. Notò due occhiaie enormi sotto gli occhi verdi dello spagnolo, che però erano luminosi, così come il suo sorriso -hai un aspetto orribile.
-ho dormito poco, Lovinito- gli passò un braccio intorno alle spalle e lo attirò a sé, indicando all'orizzonte -guarda, lì si vede la terra.
Lovino aguzzò la vista -ah, sì, la vedo. Be', era anche l'ora, non ne potevo più di stare qui- João aveva insistito per pagare loro il viaggio, compreso il ritorno, in quanto suoi ospiti. Il matrimonio si sarebbe svolto nella chiesa del paesino dove erano cresciuti i due fratelli, per cui avrebbero dormito nella vecchia casa di Antonio, dove vivevano ancora i suoi genitori. Al solo pensiero all'italiano si attorcigliavano le budella per l'ansia.
-stai tranquillo, Lovinito, andrà tutto bene- lo rassicurò, notando la sua preoccupazione dal suo viso.
-non sono preoccupato.
-sì invece.
-e tu che ne sai?
-ti conosco. Ti presenteranno come un mio amico, rilassati.
-non ci crederanno, i tuoi sanno chi sono davvero. Mi odieranno. Cercheranno di separarci. Mi uccideranno mandando un sicario a soffocarmi nel sonno- parlavano a bassa voce, sul ponte c'erano alcune persone, pochi mattinieri che comunque si facevano gli affari loro, ma meglio non rischiare.
Antonio rise -non importa se ti odieranno.
-sì che importa. Sono i tuoi genitori, Antonio, non sono due persone a caso.
-mio padre è stato un padre quanto il sole è verde e rosa- ribatté Antonio -mia madre... con lei me la vedrò io, è una donna complicata. Se cercheranno di separarmi da te falliranno, punto, e mi perderanno per sempre. Voglio dare loro, solo a mia madre in realtà, una seconda opportunità, altrimenti non tornerò mai più da loro- Lovino non lo aveva mai sentito parlare così seriamente -e per quanto riguarda il sicario...- tornò a sorridere -João ha detto che ti farà stare in una camera affianco e collegata alla mia. Se ti fa stare più tranquillo puoi dormire con me.
Annuì convinto -così potrò usarti come scudo umano.
-Lovi!- Antonio rise, pizzicandogli il fianco -cattivo.
-tieni le mani a posto, bastardo!
In quel momento li raggiunse João -buongiorno.
-buongiorno- Antonio passò l'altro braccio intorno alle spalle del fratellino.
-ti prego, non uscirtene con uno dei tuoi pipponi super romantici su quanto sia felice di avere me e João qui e di tornare a casa tua che sarà ancora più bella ora che siamo insieme eccetera eccetera- lo interruppe Lovino non appena il suo ragazzo ebbe riaperto la bocca e preso a guardare l'orizzonte.
-non volevo...
-sì che volevi. Ti conosco, bastardo. Non ce la posso fare a sopportare una cosa del genere di prima mattina.
João rise -certo che sembrate proprio una vecchia coppia sposata.
-non siamo una vecchia coppia- ribatté Antonio, stringendo di più a sé il suo ragazzo -le vecchie coppie si odiano e non si baciano neanche, o lo fanno solo per fare scena.
-e non siamo sposati- aggiunse l'italiano.
Antonio si sporse a sussurrargli all'orecchio -però vorrei proprio vederti in abito bianco. Staresti benissimo con la gonna.
Paonazzo il ragazzo lo spinse via, insultandolo tra i denti in napoletano, insulti di cui il diretto interessato colse solo una parte. Capiva un po' quella lingua e la parlava, anche se solo le basi, ma se c'era una cosa che aveva imparato stando con lui erano gli insulti.
-Antonio, è maleducazione parlare nell'orecchio della gente.
Il maggiore sogghignò -fidati, non vuoi sapere cosa gli ho detto.
João roteò gli occhi -fai come vuoi, basta che a casa tu non faccia una scena simile, o nostra madre potrebbe farti passare tutta la notte inginocchiato sui ceci come punizione.
Lovino fece un sorrisetto -non è una cattiva idea. Potrei fartelo fare quando fai il bastardo.
Antonio guardò il fratello disperato -ti prego, non dare al mio Lovi idee per punizioni creative. Potrei non sopravvivere.

Quando misero piede a terra, Lovino sentì Antonio prendergli la mano. Stava per urlargli contro quando vide il suo volto; a quanto pareva non era il solo in ansia, anzi. Gliela strinse senza fiatare.
Era sera, il piccolo porto era quasi deserto e lì vicino li stava aspettando una carrozza. Il conducente aprì loro la porta, li fece salire e poi partì.
-bastardo, va tutto bene? Hai la faccia di uno che sta per vomitare.
-ha ragione. Se devi farlo dillo che ci fermiamo e lo fai fuori. Vedi di non sporcare la carrozza.
-no, no, sto bene. Solo un po' d'ansia.
Lovino roteò gli occhi e imitò la sua voce -no Lovi, non devi essere in ansia.
-e va bene, sono un coglione.
-finalmente qualcosa su cui concordiamo tutti e tre.
Antonio allargò le braccia -ho bisogno di un abbraccio.
João e Lovino si indicarono a vicenda.
-tuo fratello!
-il tuo ragazzo!
-entrambi!- esclamò abbracciandoli.
-lasciami andare.
-bastardo, se non togli quella mano da lì te la taglio insieme a qualcos'altro, chiaro?!
Alla fine, bene o male, riuscirono ad arrivare a casa Fernandez Carriedo tutti interi.
Quella casa, o forse meglio dire castello, aveva una lunga storia alle spalle, che ora non ci interessa. A causa di una serie di calamità naturali oggi giorno non esiste più, ne sono rimaste solo alcune rovine, talmente distrutte da anni di incuria e intemperie che sono irriconoscibili. Ma ai tempi era un enorme castello affacciato sul mare, regale ed imponente, tanto che, scendendo dalla carrozza e trovandoselo davanti, Lovino sentì le ginocchia tremare.
-no, no, no, assolutamente no. Me ne vado- cercò di scappare, ma lo spagnolo bastardo lo trattenne.
-dai Lovi, ci stanno aspettando.
-vi stanno aspettando, te e João. Ma hai visto che posto? No no, non ci entro. Sembra pronto a mangiarmi!
-rilassati, Lovi...
-no che non mi rilasso.
-Antonio, João, non ci presentate il vostro amico?
Tutti e tre gelarono e si voltarono. Sulla soglia c'erano i genitori dei due fratelli, che li osservavano. Mentre Antonio cercava di capire cosa fare, istintivamente Lovino fece un piccolo inchino, a testa bassa. Sì che era una persona molto orgogliosa, ma era anche educato.
-vi ringrazio per l'ospitalità- Antonio lo guardò come se fosse un alieno.
Il padre lo ignorò e si rivolse ai figli -entrate e sistematevi, l'ora di cena è già passata, ci vedremo domani a colazione. Siate puntuali- e se ne andarono senza dire altro. Niente baci, abbracci, lacrime... Antonio non poteva dire di esserne sorpreso, ma rimase comunque un po' deluso.
Lovino si rialzò e prese il suo bagaglio con nonchalance.
-tu... hai...
-chiudi quella bocca, bastardo, o ti ci entrano le mosche.
-non pensavo ti avrei mai visto inchinarti davanti a qualcuno. Non di tua volontà almeno.
-mio nonno mi ha insegnato le buone maniere, per quanto umilianti siano.
-ma...
-non ha fatto male in realtà- intervenne João -a nostra madre piacciono le persone educate.
-a proposito, visto che del bastardo non mi fido, come dovrei comportarmi?
-oh, be', l'etichetta è molto importante e...- i due entrarono in casa lasciando lì Antonio, che ancora cercava di elaborare il tutto.

-ancora non me lo spiego.
-che importa? Tanto mi odiano entrambi- sbuffò Lovino, sfilandosi la camicia e infilandosi quella vecchia che usava per dormire, seduto sul letto dello spagnolo. Antonio rise e gli scompigliò i capelli.
-non mi aspettavo di meglio. Non ci hai ancora parlato, querido. Sono sicuro che andrete d'amore e d'accordo- si tolse a sua volta la camicia e si piegò per cercare nella valigia il suo pigiama.
-ti avevo detto di disfarla prima, idiota- Lovino sbuffò, ma non distolse neanche per un secondo lo sguardo dalla fisico abbronzato dell'altro -quando è il matrimonio?
-dopodomani. Domani pensavo di farti vedere il villaggio qui vicino, è lì che sono cresciuto e...- in quel momento, bussarono alla porta. Prima che il suo ragazzo potesse ricordargli che fosse mezzo nudo, Antonio, convinto fosse suo fratello e più vicino alla porta, andò ad aprire, lanciando un piccolo e molto poco virile urletto, per il quale Lovino si segnò a mente di prenderlo in giro più tardi, quando vide chi aveva bussato.
-Antonio? Chi...?- gli morirono le parole in bocca quando distinse la figura della madre di Antonio sulla soglia. Si sentì seccare la gola.
Isabella Fernandez Carriedo era una donna severa, sulla cinquantina, con il viso, dai lineamenti simili a quelli dei due figli, solcato da diverse rughe d'espressione, l'apparenza seria e altera, la bocca una linea sottile e contrariata, i capelli corvini stretti in uno chignon severo, l'aspetto impeccabile in ogni aspetto.
-Antonio, vestiti, sei uno spettacolo indecoroso- il figlio si spostò dalla soglia e si infilò in fretta una giacca presa a caso dalla valigia, con le guance rosse; sembrava un bambino terrorizzato e rimproverato da un insegnante molto severo. Lovino spostò lo sguardo alla suocera, alzandosi, raddrizzando la schiena e preparandosi. Sembrava, pensò Antonio, che avessero messo nella stessa gabbia un toro e un lupo, e che entrambi si stessero preparando per lo scontro.
-ehm, madre, come mai...?
-Antonio, potresti lasciarmi sola con il tuo...- fece una leggera smorfia contrariata, senza per questo perdere la sua aria di severo contegno -amico?
Il tono non ammetteva repliche, così Antonio uscì, chiedendosi chi dei due ne sarebbe uscito vivo. Probabilmente, conoscendo sua madre e il suo ragazzo, non lui.
Non appena la porta si fu chiusa, la donna parlò -devi lasciare mio figlio.
Non usò mezzi termini né formalità, sempre con lo stesso tono da generale.
-no.
-capisco che tu lo... che tu sia convinto di amarlo e che lui ti ricambi. Ma gli stai facendo solo del male. Gli stai togliendo la sua famiglia, il suo nome. Lascialo andare, sarà più felice.
Lovino non riuscì a trattenersi: scoppiò a ridere.
-io l'ho già lasciato andare, anni fa. Ricorda quando lo avete spedito a Napoli con l'esercito? Avrebbe dovuto farsi due domande già allora, se suo figlio preferiva andare a lavorare così lontano piuttosto che sposarsi con una donna. Ci siamo conosciuti lì e ci siamo innamorati. Poi è partito per le Americhe e io l'ho lasciato andare. Ci scrivevamo continuamente lettere, ma non l'ho mai costretto a tornare. Sa cosa mi scriveva? Che era infelice, che voleva tornare da me, ma non voleva deludere lei- parlò francamente, senza frenarsi, nonostante quelle parole gli facessero arrossare le guance. Quella era una donna forte e andava trattata come tale: meritava la verità, così come era -mi scriveva che passava le notti a piangere perché gli mancavo, che dormiva male, che si sentiva morire senza di me, e Dio solo sa quanto ho pianto anch'io per lui. Poi un giorno, dal nulla, mi scrisse che non ce la faceva più, che aveva mollato tutto per tornare. Non glielo avevo neanche proposto, è stata una decisione sua. Io l'ho lasciato andare, l'ho lasciato a voi, alla sua famiglia: è stato lui a tornare da me- incrociò le braccia al petto e fece un verso stizzito -ma lei che ne sa? Probabilmente non ci crede neanche nell'amore. Se ci credesse, non avrebbe costretto suo figlio minore a sposarsi con una che neanche conosce.
-per quanto tu possa non crederci, anch'io ho amato. Amo i miei figli, darei la vita per loro, e ho sempre cercato di far avere loro il meglio. E, per quanto possa sembrarti impossibile, ho anche amato un uomo, anni fa- fece una smorfia, guardandolo male -faceva il garzone nella casa di campagna della mia famiglia. Ci siamo amati per un'estate, un'estate bellissima. Lo amavo, non vedevo altro che lui. Ma io mi dovevo sposare con un altro uomo, del mio stesso rango, così lui mi ha lasciata andare, perché mi amava e sapeva che era la cosa migliore per me, e quando si ama qualcuno lo si lascia andare.
Lovino rimase in silenzio per un po', guardando negli occhi la donna, a cui erano impercettibilmente divenuti lucidi. Poi sorrise, un sorriso amaro.
-non capisce? Ho fatto come lui, l'ho lasciato andare. Lui ha fatto la sua strada, però poi ha scelto di tornare. Non l'ho costretto, non l'ho obbligato o convinto: ha fatto tutto Antonio- fece una pausa, poi allontanò le braccia dal petto e allungò una mano verso Isabella -ha detto di amare i suoi figli. Ha detto di volere il meglio per loro. Ha detto che quando si ama qualcuno lo si lascia andare. Perché non lascia andare anche Antonio? Può scegliere. Se accetta che... se accetta me, non lo perderà. La verremo a trovare, le manderemo lettere... ci terremo in contatto. Antonio ama la sua terra, non vedeva l'ora di farci ritorno, così come non vedeva l'ora di riabbracciarla, perché anche lui le vuole bene. Se proprio non riuscirà ad accettarmi... be', se insiste potremo chiedere direttamente ad Antonio di scegliere, e penso di sapere già la sua risposta. Allora perderà per sempre suo figlio in entrambi i casi: o tornerà a Napoli con me, e ci resterà, oppure rimarrà qui, infelice per sempre. A lei la scelta.
Rimase così, in attesa, con la mano tesa, per un po'. Isabella parve pensarci, spostò lo sguardo da lui, alla sua mano e alla porta per un po', finché, esitante, non allungò la mano guantata fino a stringere la sua.
-dubito che mio marito ti accetterà- alzò le spalle, il primo gesto naturale che Lovino le avesse visto fare -ma dubito anche che gliene importi qualcosa.
Le sorrise divertito -allora non vedo il problema.

Quando Antonio ritornò in camera e trovò non solo sia il suo ragazzo che sua madre vivi e vegeti, ma li trovò persino a parlare del più e del meno come se niente fosse, pensò di avere le allucinazioni. Uscì, chiuse la porta, sbatté un paio di volte le palpebre, riaprì di nuovo la porta e... no, erano ancora come prima, solo che ora lo guardavano entrambi confusi.
-ehm... state bene?
-certo, Antonio, non fare lo stupido e chiudi la porta- replicò Isabella.
-sembra ti abbiano preso a schiaffi. Tu, piuttosto, stai bene?- aveva un fidanzato amorevole, senza dubbio.
-io... uhm...
-non stare lì impalato, chiudi la porta e vieni qui- ripeté sua madre, e questa volta lo spagnolo ubbidì, ancora confuso.
-mi spieghi che hai?- Lovino gli schioccò le dita davanti agli occhi, poi sbuffò -me lo dici dopo, va.
-Antonio, il tuo ragazzo è davvero un bravo ragazzo, sai?- intervenne Isabella -ha la testa sulle spalle, mi piace. Com'è possibile che stia con uno come te?
Antonio sgranò gli occhi per la sorpresa. Aveva davvero detto...?
-oh, sa, sono caduto vittima del fascino latino- rispose l'italiano, ridendo.
-Lovino, caro, ti ho già detto ti darmi del tu- lanciò un'occhiata di sbieco a suo figlio -perché hai quella faccia da pesce lesso?
Una lacrima gli rigò la guancia.
-stai...?- prima che Lovino potesse completare la frase, Antonio attirò entrambi in un grosso abbraccio.
-oddio, grazie mamma, grazie!- la baciò sulla guancia, mentre Lovino cercava di allontanarsi da quell'abbraccio.
-Antonio, per amor del cielo, non piangere come un bambino e non stringermi così, mi scombini i capelli!- lo spagnolo li lasciò andare, imbarazzato ed euforico -e poi se c'è qualcuno che devi ringraziare è questo santo che ti sopporta. E non fare quella faccia, ne ho abbastanza delle tue scenate.
-scusa, mamma.
-concordo, non si tratta così una signora. Perché poi con le clienti sei tanto gentile, eh? Sei un porco, ecco perché.
-Antonio, ma ti sembra il modo di comportarsi?
-è assurdo, signora. Una volta una cliente gli ha persino chiesto di sposarla, ho dovuto inventarmi di essere il fratello di sua moglie e che fosse rimasto vedovo da poco per mandarla via, altrimenti questo idiota sarebbe rimasto a balbettare cose senza senso con una faccia da idiota per tutto il giorno.
-Antonio, ma ti pare il caso?
-veramente io quella non la conoscevo e...
-fidati, figliolo, tieniti stretto questo bravo giovanotto, e magari vedi di imparare come ci si comporta da lui- guardò l'ora -ora devo andare, o tuo padre potrebbe pensare male. Lovino, è stato un piacere. Antonio, ci vediamo domani- diede un rapido abbraccio al figlio e se ne andò, camminando fiera e impettita come sempre, con un'ombra di sorriso sulla bocca. Antonio la guardò andare via e, quando la porta si fu chiusa, si volto verso il suo ragazzo, sbalordito -mi spieghi come diamine hai fatto?!
-a fare cosa?- si buttò con la sua solita grazia sul letto, fissando il soffitto.
-a... fare amicizia con mia madre? Andare d'accordo con lei? Farla dannatamente sorridere?!
-oh, quello- fece spallucce, con un piccolo sorriso compiaciuto sulle labbra -non lo so bene neanche io. Voleva che ti lasciassi, era convinta che ti avessi costretto a tornare e che saresti stato più felice qui con la tua famiglia. L'ho... convinta del contrario, credo? Non so, le ho solo detto la verità, cioé che io ti ho effettivamente lasciato andare e che poi hai deciso tu di tornare. Poi le ho detto, uhm, che poteva scegliere se accettarmi e quindi rimanere in contatto con te o non farlo e farti scegliere tra me e lei, quindi renderti infelice o perderti per sempre- sbadigliò -ci siamo stretti la mano e poi abbiamo iniziato a chiaccherare. Credo di starle simpatico.
Antonio rimase in silenzio per un po', tanto che Lovino si preoccupò. Poi lo spagnolo gli si buttò addosso, abbracciandolo e riempendolo di baci ovunque, entusiasta e al massimo della felicità.
-ti amo, ti amo, ti amo! Sei incredibile, Lovi, ti amo da morire.
Lovino cercò di allontanarlo da sé, rosso in viso -lo so sono fantastico e no, non azzardarti a morire, bastardo, o ti uccido. Ora levati di dosso, sei pesante!
Antonio lo strinse forte tra le braccia -sei la cosa migliore che mi sia capitata- lo baciò, con un sorriso enorme.
-coglione, non sono una cosa- replicò Lovino, allacciando però le gambe intorno alla sua schiena per avvicinarlo a sé -ah, e poi se fossi in te non sarei così contento della mia amicizia con tua madre. Ha già detto che dovremo venire a trovarla almeno due volte all'anno e scriverle ogni mese- sogghignò, spettinando Antonio con una mano -mi stava giusto raccontando un paio di cose su di te da piccolo. Di' un po', è vero che a cinque anni hai rischiato di affogare perché volevi diventare una tartaruga?
Antonio arrossì violentemente mentre l'altro scoppiava a ridere. Alla fine aveva avuto ragione: in una lotta tra Lovino e sua madre, la vittima era stato lui. Ma ne valeva decisamente la pena.
Baciò ancora il suo ragazzo, zittendo le sue risate.
-ti amo- glielo sussurrò, con gli occhi luminosi per la felicità -ti amo tantissimo.
Lovino chiuse gli occhi, godendosi le sue carezze, e sospirò -anche io- ormai l'imbarazzo che aveva provato inizialmente nel parlare così apertamente dei suoi sentimenti era sparito, o almeno lo era quando si trattava di Antonio. Lo baciò velocemente e sfregò il naso contro il suo -fammi indovinare, sei così euforico che non mi lascerai dormire tutta la notte, vero?
Lo spagnolo rise, annuendo -mi sa che hai ragione, amore mio.
Lovino roteò gli occhi -bastardo, sei troppo sdolcinato- lo baciò, stringendosi a lui -che ne diresti se occupassimo questa notte facendo qualcosa di... produttivo?- fece un sorrisetto, baciandolo ancora.
-Dio, sei davvero perfetto.

Il giorno dopo, a colazione, i due fratelli Fernandez Carriedo guardarono Lovino e loro madre chiaccherare come se fossero due alieni.
-Antonio... ma il tuo ragazzo è un mago?- gli chiese João a bassa voce. Loro padre era partito la mattina presto per degli affari di stato, e Antonio non poteva dirsi dispiaciuto. Lì a tavola c'erano solo loro quattro, senza contare la servitù, che però se ne stava in disparte in attesa di ordini.
-me lo chiedo anche io- rispose, fissando i due.
-Antonio, João, non si parla all'orecchio della gente, è maleducazione- li rimproverò Isabella.
-sì, infatti, bastardo. Che figure mi fai fare?- Lovino sbuffò.
I due fratelli si guardarono e annuirono. Ecco perché andavano così d'accordo: erano entrambi tremendi.
-scusa, mamma.
-scusa, Lovinito.
-ti ho già detto di non chiamarmi così.
-a proposito, Lovino caro- da quando in qua sua madre chiamava qualcuno "caro"? -quanto vi fermerete qui?
-non lo so, signora- guardò Antonio -bastardo, quanto resteremo qui?
Quello si strinse nelle spalle -non lo so- guardò il fratello -quando parte la nave di ritorno?
-venerdì, non il prossimo, quello successivo.
-quindi tra un paio di settimane.
-se non ti dispiace, vorrei rubarti un pomeriggio per parlare in privato- continuò Isabella.
Antonio rischiò di strozzarsi -perché?!
-non guardarmi in quel modo- replicò sua madre -voglio sapere che fai nella vita.
-chiedilo a me.
-eh no, signorino. Tu mi nasconderesti delle cose. Lovino canterà come un uccellino- come conferma, Lovino ghignò -e poi lo voglio conoscere meglio. In quanto tua madre è mio dovere sapere con chi ti frequenti, o sbaglio?- il tono non ammetteva repliche. Si voltò verso Lovino -ti va bene lunedì, caro?
-oh, ehm. Sì, penso vada bene.
-bene.
-oggi pensavo di portare Lovinito a vedere il villaggio qui vicino.
-bene, buona visita- Isabella finì la sua colazione e si alzò -João, oggi pomeriggio verrà il sarto per provarti il vestito. Manderò qualcuno a chiamarti, va bene?
-certo, mamma.
-ottimo. Vado, vi auguro una buona giornata- venne affiancata da una delle cameriere e se ne andò.
Dopo poco anche João si congedò.
-bastardo, dov'è che mi vuoi portare?
Antonio sorrise alzandosi -dove sono praticamente cresciuto. Penso che ti piacerà, querido.

Vedere di nuovo quelle strade, quelle spiagge, quel mare, quei negozi, quel posto, insieme all'amore della sua vita aveva tutto un altro gusto.
Il luogo era cambiato, ovviamente, ma Antonio riconosceva ancora le strade, le case, i vicoli, le locande. Qualcuno lo salutò e lui riuscì a riconoscerne alcuni. Tutti osservavano con curiosità Lovino, probabilmente chiedendosi chi fosse. Dal canto suo l'italiano era imbarazzato, camminava a testa bassa e cercava di non incrociare lo sguardo di nessuno. Antonio rise posandogli un braccio intorno alle spalle.
-Lovinito, ti ho portato qui a vedere il posto, non il pavimento!- scherzò, poi riconobbe un uomo -Consuelo, quanto tempo! Come sta tua figlia?
Un vecchio signore si fermò e ricambiò il saluto -Antonio? Finalmente sei tornato, sono passati così tanti anni... Carmen sta bene, dovresti vedere com'è cresciuta, ora ha...
In quel momento da una locanda uscì una ragazza mora, molto formosa, con la tipica corporatura massiccia di chi è abituato a lavorare, i capelli neri molto lunghi e il sorriso gentile. A giudicare dalla reazione di Consuelo, Lovino intuì fosse Carmen.
-oh Dio, sei davvero cresciuta- esclamò Antonio -quando me ne sono andato eri alta così- stese la mano all'altezza del suo stomaco.
Carmen rise -be', grazie- notò in quel momento Lovino -lei chi è?
-oh, giusto, ne stavamo parlando poco fa in taverna. In paese non si parla d'altro che del tuo amico.
Antonio rise -siamo qui da neanche un'ora e già lo sanno tutti?
-che vuoi farci, è un paese piccolo, le notizie girano in fretta- guardò di nuovo l'italiano, che stava cominciando a sentirsi in soggezione e a odiare (più del solito almeno) gli sguardi altrui.
-ehm, io sono Lovino- strinse la mano a Consuelo e fece il baciamano a Carmen -è un piacere conoscervi.
La ragazza arrossì leggermente con un sorrisino imbarazzato -oh, uhm, piacere mio.
Antonio gli mise nuovamente un braccio sulle spalle con un sorriso forzatamente dolce -scusatelo, ha dei modi molto...- fece una smorfia -formali.
-oh no! Fa bene. Nessuno qui sa come comportarsi decentemente con una signora- diede una pacca sulla spalla a Lovino -è così che si conquista il gentilsesso, giovanotto!- e scoppiò a ridere.
-sono modi molto affascinanti- concordò Carmen, con un sorriso malizioso rivolto al castano.
A disagio, Lovino ricambiò quel sorriso con uno più imbarazzato.
-bene! Noi ora dobbiamo andare, è stato un piacere, alla prossima- senza aspettare risposta, Antonio afferrò il suo ragazzo (suo, non di Carmen!) e lo trascinò a passo di marcia verso la spiaggia. Lovino riuscì appena a imporsi di non ridere, non voleva far sentire a disagio la ragazza né passare per pazzo. Non ci poteva fare niente: la gelosia di Antonio lo divertiva fin troppo. Era una cosa così stupida e adorabile che non riusciva a fare a meno di ridere a ogni scenata dell'altro. Certo, anche lui era parecchio geloso, ma lo spagnolo era ben più possessivo. Quando raggiunsero la spiaggia si concesse di ridere.
-cosa c'è di divertente?!- sbottò Antonio lasciandolo andare.
-c'è che sei un idiota. Pensavo sapessi che il "gentilsesso" non è il mio tipo.
-Carmen ti stava spogliando con gli occhi.
-e quindi? Non me ne può fregar di meno.
-a me frega. Solo io posso farlo, e non solo con gli occhi. Soprattutto non con gli occhi.
Lovino sbuffò divertito -anche io sono geloso, lo ammetto, però tu esageri.
-non è vero che esagero.
-il mese scorso sei quasi saltato addosso al crucco megalomane, che in teoria è il tuo migliore amico.
-ci stava provando con te!
-fingeva di provarci con me per farti arrabbiare- lo corresse divertito, poi si guardò intorno -c'è un posto nascosto qui vicino?
-là in fondo- borbottò imbronciato, indicando con un cenno del capo una zona isolata -non ci va mai nessuno, anche se comunque è difficile che qualcuno venga in questa parte di spiaggia. Non ci sono molti pesci.
Lovino annuì e prese l'altro per un braccio, trascinandolo nel luogo indicato. Una volta nascosti lo attirò a sé e lo baciò, seppellendogli le mani tra i ricci morbidi per non farlo allontanare.
-ora smetti di tenermi il broncio?- gli sembrava di parlare con un bambino. Un bambino molto stupido per altro.
Antonio sbuffò e brontolò qualcosa sottovoce.
Lovino roteò gli occhi divertito, baciandolo ancora -se non fossi fidanzato con un bambino permaloso, pensavo di dimostrarti stasera per quali e quanti motivi il "gentilsesso" non è il mio tipo. Ma a quanto pare sto con un bambino e con i bambini certe cose non si possono fare.
All'istante Antonio tornò a sorridere -non ce l'ho con te. Però devi stare alla larga da Carmen.
L'italiano sbuffò -sei un idiota.
-lo so- lo baciò di nuovo, sfiorandogli i fianchi al di sotto della camicia leggera. Posò la testa nell'incavo del suo collo e ghignò contro la sua spalla -hai detto di voler aspettare fino a stasera?- gli lasciò un bacio sul collo, stringendogli i fianchi. Lovino cercò di allontanarlo, senza troppa convinzione.
-scordatelo, non farò sesso qui.
-che gusto ha la vita senza un po' di rischio?
-non ci tengo a finire giustiziato. Mi piace la mia testa, vorrei tenermela.
Antonio sorrise e gli morse delicatamente il lobo dell'orecchio, scendendo con le mani dai fianchi al fondoschiena e stringendoselo contro.
-siamo soli, Lovi. Nessuno viene mai qui.
-l'ultima volta che lo hai detto ci ha beccati il crucco megalomane.
-ma ora Gil è in Austria- ribatté infilandogli una mano nei pantaloni. Lo sentì chiaramente trattenere il fiato.
-sei sleale, bastardo che non sei altro- lo afferrò per i capelli e lo baciò, prendendogli le mani e portandosele alla schiena -ma è troppo pericoloso- ripeté allontanandolo da sé.
Antonio sbuffò -odio quando hai ragione.
-e poi ti sembro il tipo che lo fa in posti a caso dove chiunque potrebbe vedermi?- sbuffò -ho una dignità.
Lo spagnolo si ricordò di qualcosa all'improvviso -Gil mi ha raccontato che una volta l'ha fatto sul palco di uno dei più grandi teatri di Vienna.
-cosa?!
-Roderich aveva un concerto e dopo, quando il teatro era deserto... però il sipario era chiuso.
-come ha fatto a convincere quel damerino di Roderich? Non mi è sembrato esattamente il tipo che... be', fa queste cose.
-penso fosse ubriaco, altrimenti non me lo spiego neanche io.
Lovino sbuffò divertito sedendosi sul bagnasciuga, sfilandosi le scarpe e dondolando i piedi in acqua, seguito dall'altro -il francesino invece mi sembra proprio il tipo che lo farebbe ovunque. Ma proprio ovunque.
-lo è- ammise Antonio, stringendogli la mano posata sulla sabbia -non so molto, insomma non è che mi faccia dire ogni luogo dove i miei migliori amici fanno sesso, però so che una volta li hanno beccati.
-davvero? Racconta.
-non so i particolari, so che erano a Londra, nello studio di Arthur. Non so quanto avessero ancora addosso, però so che Fran era vestito da donna, perché quando è entrato il padre di Arthur ha finto di essere una lady, tanto era di spalle e non si capiva la differenza. Arthur poi ha detto al padre che quella era una dama invaghita di lui, ma promessa ad un altro, che lo perseguitava e lui le aveva concesso un bacio prima che si sposasse perché troppo cortese per far soffrire una signora.
Lovino rise -qualcosa mi dice che questa scusa patetica l'ha inventata il francese.
-sì, lo penso anch'io. La risposta del padre di Arthur è stata...- si mise dritto e imitò una voce bassa con un pessimo accento inglese -"è comprensibile, in fondo noi Kirkland abbiamo un certo fascino che spesso attira il gentilsesso anche oltre ciò che è lecito. Ti consiglio però, figliolo, di stare alla larga da questa lady, per evitare scandali"- tornò alla sua voce normale -per me si riferiva al fascino delle sopracciglia.
Lovino scoppiò a ridere -in effetti quelle sopracciglia tormentano i miei sogni più intensi.
-quelli sessuali?
-pensavo più che altro agli incubi.
Antonio rise, poi ghignò -lo so io chi c'è nei tuoi sogni più intensi...
-tu- Lovino alzò le spalle -se ti riferisci sempre agli incubi.
-Lovi!- gli diede una leggera gomitata, scoppiando a ridere con lui. Posò la testa sulla sua spalla, sempre guardando il mare -sai, guardare questo posto così mi dà tutt'altra prospettiva.
-dalla mia spalla?- Lovino prese ad accarezzargli i capelli distrattamente. Lo spagnolo aveva notato che lo faceva spesso, quando era sovrappensiero, quando lo abbracciava, quando lo baciava e anche quando facevano l'amore: immergeva sempre le mani tra i suoi capelli, tirandoglieli o accarezzandoglieli in base al contesto. Dovevano piacergli, si disse alzando le spalle. Se glielo avesse chiesto, probabilmente gli avrebbe risposto che lo faceva per fargli male in caso di bisogno.
-no. Con te al mio fianco- non riusciva a vederlo in faccia, ma gli sembrò quasi di sentirlo roteare gli occhi.
-sei sempre così sdolcinato- sbuffò, tirandogli giocosamente un ricciolo -un giorno di questi va veramente a finire che ti vomito addosso.
-come sei dolce, Lovinito.
-lo so.
-però ti amo comunque- gli sussurrò all'orecchio, baciandolo sulla guancia. Lovino roteò gli occhi, però sorrideva.
Rimasero lì in silenzio per un po', finché ad Antonio non venne in mente una cosa e si alzò in piedi di scatto, trascinando l'altro con sé.
-me ne stavo dimenticando, ti devo presentare una persona!- quando si furono rimessi le scarpe cominciò a correre, con un ampio sorriso, costringendo Lovino a fare lo stesso.
-bastardo, fermati, che cazzo fai?!- lo spagnolo lo ignorò e risalì la collina, verso il castello, ma a metà salita svoltò prendendo un altro sentiero, fino a raggiungere una chiesa. Lovino si piegò in due cercando di riprendere fiato.
-sei... un... bastardo...
-scusa, Lovinito- anche lui aveva il fiatone, ma continuava a sorridere -João ha detto che è ancora qui... spero di trovarlo.
-ma di che parli?
-ricordi quando ci siamo baciati la prima volta? Ti avevo accennato a un curato che, quando mi ero confessato, mi aveva rassicurato eccetera eccetera...
Lovino ci pensò per qualche secondo, poi annuì -più o meno.
-vorrei che tu lo conoscessi- gli sorrise ed entrò in chiesa, baciando la croce che portava sempre al collo e facendosi il segno della croce, e si guardò intorno. La chiesa non era cambiata granché negli anni, a parte l'aggiunta di un paio di panche era identica a come Antonio l'aveva lasciata dieci anni prima. Rientrare lì era come fare un tuffo nel passato, tornare il bambino affascinato dai racconti di carità e miracoli, il ragazzino spaventato dal suo essere diverso e infine il giovane uomo che veniva in cerca di conforto prima di partire per un viaggio più lungo di quanto potesse immaginare. Sorrise quando sentì Lovino raggiungerlo. La chiesa non era cambiata molto, ma lui sì, e aveva portato quel cambiamento con sé. Ora era un uomo sicuro delle sue scelte e della sua felicità, che non aveva più bisogno di essere confortato.
Cercò con gli occhi il curato, trovandolo nel confessionale ad ascoltare il pianto di una donna che Antonio giustamente non riusciva a vedere. Distolse lo sguardo e lo portò su Lovino, che si stava guardando attorno affascinato. Gli sfiorò la mano con la sua, attirando la sua attenzione, per poi indicare con un cenno il confessionale. L'italiano annuì e riprese a studiare lo spazio intorno a sé, in silenzio.
Dopo alcuni minuti, a testa bassa, la donna uscì insieme al curato e, dopo qualche breve ringraziamento, se ne andò. Antonio portò lo sguardo sull'uomo.
Don Andres era un signore piuttosto basso, dal sorriso gentile, gli occhi vispi nonostante l'età e i capelli bianchi. Aveva un po' l'aria da nonno, dava l'impressione di uno di cui ci si poteva fidare. Era un uomo saggio, che credeva fermamente nell'abito che indossava e in ciò che predicava. Era invecchiato, naturalmente, ma lo sguardo attento e il sorriso gentile era lo stesso.
-Don Andres- lo chiamò andandogli incontro con un sorriso.
L'anziano ci mise un po' a riconoscerlo, ma poi ricambiò il sorriso e lo abbracciò affettuosamente -Antonio! Quanto tempo, ragazzo mio, il Signore Nostro Dio ti ha tenuto a lungo lontano da casa- si allontanò, sempre con il sorriso -allora, questo lungo viaggio ti ha aiutato a trovare la pace?
-diciamo di sì- si spostò affianco al curato e indicò Lovino, che se n'era stato in disparte tutto il tempo. L'italiano arrossì, si avvicinò e fece un mezzo inchino.
-salve.
-ciao, figliolo. Come ti chiami?
-Lovino, signore.
Antonio gli prese la mano -lui è l'amore della mia vita.
Il diretto interessato lo guardò come se si fosse bevuto il cervello, ma il curato annuì.
-sono felice che tu alla fine l'abbia trovato, figliolo- guardò Lovino -se ciò è vero, ti do il benvenuto nella nostra chiesa.
-oh, ehm, grazie, signore.
Don Andres rise -non preoccuparti, non è necessario usare tutte queste formalità. Mi fanno sentire più vecchio di quanto non sia già.
-scusi... scusa.
-ti vedo teso, figliolo. Non preoccuparti: voglio bene ad Antonio come ad un figlio. Se tu lo rendi felice, non posso che volerti bene a mia volta.
Lovino annuì, imbarazzato. Antonio lo baciò sulla guancia, guardando poi il curato -volevo che lo conoscessi, anche prima del matrimonio.
-hai fatto bene, domani ci sarà confusione- concordò il curato -ora scusate se risulto scortese, ma sono molto stanco.
-si figuri, non la disturbiamo oltre- intervenne Lovino.
-dammi del tu, figliolo.
-ah, scusa, è l'abitudine.
Don Andres abbracciò entrambi e poi i due se ne andarono.
-è stato imbarazzante- commentò Lovino, mentre si dirigevano al castello -però anche piacevole. Sembra una brava persona.
-lo è. Mi ha confortato e aiutato ad accettarmi, anni fa.
Lovino annuì -sì, mi sembra il tipo.
Non parlarono più per il resto del tragitto, non per imbarazzo o altro, ma perché, semplicemente, non c'era granché da dire. Camminarono e basta, con le mani a penzoloni che ogni tanto si sfioravano, ognuno perso nei propri pensieri.
-dicevi sul serio prima?- gli chiese Lovino una volta entrati in camera.
-riguardo a cosa?- il moro si sfilò la camicia sudata e ne prese una pulita, indossandola.
L'italiano sbuffò -l'hai messa male, idiota- gli si avvicinò e prese a sistemargli il colletto, con un piccolissimo sorriso esasperato.
-ops- lo osservò, accarezzandogli una guancia con la mano -se ti riferivi alla questione dell'amore della mia vita, sì, ero serissimo. Pensavo l'avessi capito.
Lovino si morse il labbro, con le mani e lo sguardo fermi sulla camicia -sì, però...
-però...?
-non so, il dubbio rimane sempre. Non è che non mi fidi di te, ma...
-non ti fidi di te stesso- concluse. L'altro lo guardò con un sorriso colpevole -va bene- gli prese le mani tra le sue, stringendogliele -allora te lo ripeterò finché non ti entrerà in testa- lo baciò -ti amo, Lovi- e lo baciò ancora.
Dopo un po' il castano si allontanò da lui, andando verso la porta.
-che fai? Ho detto qualcosa di...?- si zittì vedendolo chiudere la porta a chiave.
-non voglio sorprese- spiegò attirandolo a sé e baciandolo ancora -allora, dov'eravamo rimasti prima, in spiaggia?

Il matrimonio fu come ogni matrimonio che Lovino avesse visto, tranne per l'eleganza e il lusso sfrenato. Fortunatamente aveva potuto chiaccherare con Antonio e Isabella, altrimenti si sarebbe annoiato il triplo. La sposa si Jõao era molto carina, sembrava una bambola. Decisamente non era il tipo di Lovino.
Quando fu costretto a parlare a lei e alla sua famiglia per portare i suoi omaggi, una grandissima stronzata a suo modesto parere, dovette dire il suo nome completo, cosa che odiava.
-Lovino Romano Vargas- bastarono quelle tre parole, a dirla tutta fu sufficiente l'ultima, a far calare il silenzio nella sala del ricevimento. Si sentiva gli occhi di tutti addosso, compresi quelli preoccupati di Antonio. Ecco perché odiava il suo cognome: tutti lo associavano a suo nonno e alla sua eredità, e Lovino spariva nel nulla, sostituito dal nipote di Romolo Vargas. Si sentì arrossire sempre di più, mentre la sua mente correva alla ricerca di qualcosa da dire e trovando solo quintali di imbarazzo e rancore. Ci pensò Isabella a salvargli il culo, alzandosi in piedi e proponendo ad alta voce un brindisi agli sposi. Lovino le rivolse un sorriso grato prima di approfittare della distrazione e fuggire via.
Aveva bisogno di prendere aria. Corse fuori e poi giù, giù fino alla spiaggia, in quel posto dove erano stati lui e Antonio il giorno prima.
Ragazzo che non ci mise molto a raggiungerlo, sedendosi accanto a lui sulla sabbia.
-ehi.
-ciao.
Antonio sfiorò le dita con le sue -come stai?
Strinse i pugni e chinò la testa -è che mi fa così incazzare... era come se io non fossi più io, ma solo il nipote di mio nonno. Come se tutto quello che ho costruito, tutto i sacrifici che ho fatto, tutto quanto fosse stato inutile, perché per quanto mi impegni rimarrò sempre e solo il nipote di Romolo Vargas.
Lo spagnolo scosse la testa e gli scostò una ciocca di capelli dal viso con dolcezza -tu sei Lovino. Non importa cosa pensano quelli, non ti conoscono. Ma io sì. So quanto fantastico, incredibile e unico tu sia.
Lovino gli strinse la mano e si morse il labbro -non ti ho detto tutto. Della mia storia intendo.
-lo so. Non importa, querido, prenditi i tuoi tempi.
Annuì e appoggiò la testa sulla sua spalla. E lì, con l'eredità di suo nonno che gli pesava come non mai sulle spalle e la mano stretta all'unico ragazzo che avesse mai scelto di amare, finalmente Lovino Romano Vargas trovò il coraggio di raccontare tutto ciò che mancava all'appello. Tutti i sensi di colpa, le invidie, gli sbagli. Tutti i dolori, i rimpianti e le mancanze. Perché in fondo a chi altro avrebbe mai potuto dire quelle cose se non a lui?
Antonio ascoltò in silenzio, tenendogli la mano per tutto il tempo. Alla fine si voltò verso di lui, gli sollevò il mento con la mano libera e lo baciò sulla fronte.
-non so come sia possibile, ma ti amo ancora più di prima.
E lì Lovino scoppiò definitivamente in lacrime.

Il pomeriggio successivo Isabella lo fece accomodare in un piccolo salottino, invitandolo a sedere su una delle poltrone, sedendosi davanti a lui e servendogli qualcosa da bere, come una perfetta donna di casa.
Solo dopo tutto questo parlò.
-e così sei il nipote di Romolo Vargas.
Lovino annuì -non mi piace parlarne ma sì.
-lo conoscevo, un Don Giovanni certo, ma era un ottimo oratore. Come sta?
-è morto.
-immaginavo. Mi dispiace.
Lovino alzò le spalle -sono passati anni.
-questo non significa che sia meno doloroso- prese un sorso della sua bevanda -ti dispiace parlarmi della tua famiglia, della vostra vita a... dove vivete? Roma?
-Napoli.
-ah, giusto. Ho passato mesi senza sapere niente di mio figlio. Non puoi neanche immaginare l'ansia e la rabbia. Voglio sapere come sta, dove vive e soprattutto con chi vive.
Lovino alzò nuovamente le spalle -penso sia giusto. Voglio dire, è sua madre.
-sono lieta di saperti d'accordo.
L'italiano prese un sorso dalla sua tazza -cosa vuole sapere?
-la tua storia, la vostra storia e in generale cosa fate.
Lovino abbozzò un piccolo sorriso -la mia storia è degna di un romanzo rosa, e altrettanto assurda.
Isabella lo invitò a continuare con un piccolo sorriso divertito -hai la mia attenzione.
-uhm, vediamo, da dove comincio... mio nonno. Si innamorò di un uomo quando mia madre era piccola, credo sia un fattore genetico, ma questo lo abbandonò. Non conosco bene i dettagli, non mi ha mai raccontato granché. Da allora non fu più lo stesso...- non era facile parlare di tutto quello. Non era per niente facile. Ci aveva messo anni prima di raccontare tutto ad Antonio e ancora non era riuscito a parlarne apertamente a Feliciano. Ma raccontare a Isabella era semplice: non era legato a lei, non provava più che semplice simpatia nei suoi confronti. Parlare di qualcosa di doloroso gli era sempre riuscito più semplice con qualcuno di sconosciuto, per la mancanza di legami affettivi. Aveva sempre evitato di dire i fatti suoi in giro, anche per paura che Feliciano potesse venirlo a sapere da terze parti, ma lì cosa aveva da temere? Quella era una donna incontrata solo pochi giorni prima, molto distante dalla sua vita. Era facile aprirsi con qualcuno così.
Raccontò tutto il suo passato, per poi fermarsi alla morte di Nonno Roma.
-avevi ragione, è davvero una storia degna di un romanzo- commentò Isabella.
-già. Mio fratello non ricorda granché, un giorno gliene parlerò per bene.
-posso chiedere perché non l'hai ancora fatto?
-perché sono un codardo. Feli... è un ragazzo d'oro. Gentile, dolce... come potrei raccontargli tutto lo schifo che c'è dietro quello che siamo oggi? Lui crede ciecamente nell'amore. Come faccio a dirgli che è proprio per amore che siamo finiti in mezzo a una strada? Dovrò farlo, è suo diritto sapere, ma ancora non ci sono riuscito.
Isabella annuì -ho capito. Vai pure avanti.
-be', patimmo la fame per mesi. Ero uno dei ribelli, lo sono ancora in realtà. Sia io che Feli sogniamo un'Italia libera e tutte quelle cose lì. Ai tempi partecipavo a diverse rivolte e...
-e ora?
-ora le organizzo. Do una mano come posso, ma non mi butto più nella mischia.
-perché?
-l'ho promesso ad Antonio.
Isabella annuì -come vi siete conosciuti?
-quando è arrivato a Napoli ero lì. Stavo cercando di trovare del cibo per me e Feli. Ero parecchio arrabbiato, perché l'unica cosa che ero riuscito a rimediare era un pomodoro mezzo marcio. Lo vidi scendere dalla nave, l'ennesimo spagnolo bastardo venuto a rompere le palle...- lanciò un'occhiata alla donna davanti a lui -senza offesa.
-nessuna offesa. Penso che dal vostro punto di vista tu abbia ragione.
-ehm, sì, dicevo... agii d'istinto e gli lanciai addosso il pomodoro. Un lancio perfetto, devo dire, lo presi dritto in faccia. Però un altro ufficiale lì presente mi fece prendere e mi fece inginocchiare davanti a lui. Gli chiese, ad Antonio, se volesse farmi impiccare o sbattermi in prigione- fece un piccolo sorriso divertito -il bastardo invece mi assunse in casa sua sia me che mio fratello. Ci diede un tetto e un lavoro- raccontò tutta la loro storia, arrossendo ripensando alla loro ultima notte insieme e omettendo i particolari. Raccontò come Antonio si fosse fatto strada nel suo cuore in fretta, all'improvviso, cambiandogli la vita completamente. Raccontò del loro primo bacio, sul tetto, e di come da allora tutto diventò più intenso, sia la gioia che il dolore.
-quando se n'è andato... mi sentivo morire. Neanche quando avevamo litigato ero stato così male, perché era bene o male vicino a me, comunque avevamo discusso ed era un qualcosa che sentivo di dover fare per avere la coscienza a posto. Quando se ne andò invece andava tutto bene. Cioé... un po' avevamo fatto pace anche per il fatto che se ne sarebbe andato, ma comunque avevamo risolto. Lo venimmo a sapere una settimana prima. Quella fu una settimana fantastica. Poi mi sono svegliato e lui doveva andarsene- si fermò e bevve un po', cercando di trovare la voce ferma e ricacciare indietro le lacrime. Fece un sorriso amaro -il bello è che pensavo sarebbe stato per poco. Pensavo sarebbe tornato in Spagna e magari mi sarebbe tornato a trovare in estate. Invece lo spedirono in America- esitò, senza più l'ombra di alcun sorriso in faccia. Puntò lo sguardo fuori, verso il mare -nove anni. Nove anni in cui ricevevo sì e no una lettera al mese. Ho imparato a scrivere, mi sono ridotto a farmelo insegnare dal mio fratellino, perché mia madre non me lo aveva mai insegnato e il nonno aveva avuto il tempo solo di insegnarmi a leggere. Ci siamo arrangiati. Quando Antonio è tornato...- sorrise istintivamente -è come se all'improvviso io abbia ricominciato a sentire tutto di più. I rumori, i colori, gli odori... è come se tutto fosse diventato all'improvviso più bello- tossì realizzando che cosa oscenamente sdolcinata avesse detto -il padrone del forno dove lavoravo ha lasciato il negozio a me, ora bene o male ce la caviamo. Al piano di sopra c'è un appartamento, viviamo lì- si stiracchiò -penso che questo sia più o meno tutto. Vuole sapere qualcos'altro?
-ami mio figlio?
-certo.
-lui ti ama?
Lovino fece spallucce -dice di sì. Lo chieda a lui direttamente,
-ti ho già detto di darmi del tu- lo rimproverò -è cambiato molto in questi anni?
Il castano parve pensarci -non mi sembra. Ha alcune cicatrici in più, ma niente di che. A volte ha degli incubi, sai... la guerra o comunque rimanere tanto nell'esercito non deve essere semplice. Non me ne ha ancora voluto parlare e non ho mai insistito affinché lo facesse- omise dei dettagli. Omise le orribili cicatrici che gli sfregiavano la schiena. Omise tutte le notti in cui Antonio si svegliava urlando e ci volevano ore prima che si calmasse, in cui spesso vomitava e mormorava incessantemente delle scuse, tanto da sembrare impazzito. Omise tutte le volte in cui aveva dovuto abbracciarlo per calmarlo e prendergli le mani in modo che non si facesse male da solo. Omise la frase che una notte gli aveva detto Antonio, con gli occhi rossi di pianto dopo uno dei suoi incubi, che gli era rimasta impressa nel cervello e che riviveva durante i suoi, di incubi. Lo aveva portato sul balcone per fargli prendere aria, lo aveva stretto tenendogli la mano e gli aveva sussurrato parole rassicuranti finché non si era calmato. Antonio lo aveva guardato, illuminato solo dalla luce tremula della luna, con gli occhi rossi e lucidi e l'espressione stravolta. Non aveva sorriso, gli aveva solo accarezzato una guancia con un dito, ignorando le sue domande su come si sentisse. E poi aveva allontanato la mano, facendola cadere a terra, sullo stesso pavimento freddo su cui era inginocchiato. Infine l'aveva detto, senza neanche guardarlo negli occhi: "a volte mi dico che non mi merito questo, non merito di essere felice con te e tu non meriti di doverti prendere cura di un bastardo che ha solo quello che si merita. Che diritto ho di accarezzarti con le mani sporche di sangue che mi ritrovo?"; Lovino lo aveva guardato in silenzio, poi gli aveva risposto "non so cosa tu abbia fatto, ma so che sei una persona fondamentalmente buona e ti amo, non mi importa se dovrò passare qualche notte insonne per i tuoi demoni del passato o qualche stronzata simile. Non sei un santo, neanche io lo sono. Ma non osare pensare più di lasciarmi per questo, bastardo, non riuscirei a perdonarti un egoismo simile". Dopo quella notte non ne avevano più parlato. Forse ad Antonio i dubbi erano passati, non ne era certo, ma gli incubi non lo avevano fatto.
Lovino però non aveva il cuore di raccontare a una madre certe cose. Sapeva che Isabella era una donna forte e avrebbe retto di certo il colpo, ma non riusciva a dirglielo. D'altronde sapeva che anche Feliciano era più che pronto ad ascoltare tutta la loro storia, ma questo non gli rendeva più semplice parlarne.
Isabella parve capire che c'era qualcosa di più, ma non chiese niente, e Lovino gliene fu grato.
-potresti...- sembrò improvvisamente più umana, più debole. Una madre che aveva sempre cercato di far avere il meglio ai suoi figli, che per dieci anni non aveva visto il maggiore, che improvvisamente aveva scoperto che era fuggito con un altro ragazzo e cercava disperatamente di capire cosa fare, come comportarsi e soprattutto quanto di quel bambino che allattava, che imitava le tartarughe, che fuggiva insieme al fratellino nel paese vicino, che faceva di nascosto la corrida e che poi partiva per l'Italia con l'esercito fosse rimasto nell'uomo che ora si trovava davanti. Lovino si sentì improvvisamente in colpa -potresti... dirmi qualcosa in più? Qualche dettaglio, non so, cosa gli piace, cosa non gli piace, cosa ama e cosa odia, cosa gli fa paura...
-gli piacciono i pomodori, li coltiviamo insieme sul balcone. Gli piace che gli si leggano libri ad alta voce, ma non gli piace leggerli troppo a lungo per conto suo. Gli piace dormire fino a tardi, anche quando deve lavorare. Gli piace giocare con i bambini nella piazzetta vicino alla chiesa. Qualche tempo fa sono venuti a trovarci i suoi amici idioti, Francis e Gilbert. Era felice come una Pasqua, quando sono partiti ha fatto una mezza scenata, stava per piangere- ridacchiò divertito -gli piace fare il bagno in mare di notte, gli piace dormire al sole. Gli piace la natura in generale, e il sole. Ama il sole... in effetti ci somiglia. Poi non gli piacciono le cose troppo piccanti, i clienti troppo insistenti, il freddo, le strade deserte e l'autunno. Odia la guerra e il sangue, una volta si è fatto un taglio sul braccio per sbaglio ed è quasi scoppiato a piangere. Gli fanno paura i rumori troppo improvvisi e... be', sempre il sangue. Ama la Spagna, questo posto e la sua famiglia.
-e ama anche te.
Alzò le spalle -presumo di sì.
-non ne sei convinto, ma dovresti. Si vede.
Alzò nuovamente le spalle -sono una persona molto insicura. Penso lo sarò sempre, ho il terrore dell'abbandono.
-di cos'altro hai paura?
-oh, di tantissime cose. Degli energumeni, degli ubriachi, di dire a Feliciano tutto quanto, di essere odiato da lui per non averglielo mai detto o perché non sono riuscito ad aiutare il nonno e i nostri genitori...
-stai sottovalutando tuo fratello- lo interruppe Isabella -pensi davvero che non sia abbastanza maturo da capire che hai fatto tutto il possibile?
-lo so che lo è, ma la mia testa no. Poi... ho paura dei cani, di restare al buio e al silenzio, che Antonio se ne vada per sempre, che...
-penso che piuttosto che separarsi da te si taglierebbe un braccio- replicò Isabella -si vede da come ti guarda, solo un cieco o uno sciocco non se ne accorgerebbe. Continua pure, scusa se continuo a interromperti.
-lo so benissimo, ma il dubbio mi perseguita comunque. Sto solo cercando di imparare a ignorarlo. Ah, e poi ho paura del cibo cucinato male. Una volta Antonio ha provato a cucinare la pasta da solo e...- deglutì -disgustoso.
-pasta?
-la pasta è una delle invenzioni migliori che l'uomo abbia mai fatto.
-la assaggerò.
Lovino annuì -attenzione, ci sono anche blande imitazioni in giro.
-tornando al discorso di prima...- Isabella si alzò e lui fece lo stesso, sentendo l'ansia stringersi in un nodo nello stomaco -mi piaci, Lovino. Sono felice che mio figlio abbia trovato qualcuno come te, anche se avrei tanto voluto dei nipotini- alzò le spalle con un lieve sorriso -me ne farò una ragione, rimedierà João. Grazie di aver reso Antonio felice di nuovo- a sorpresa lo abbracciò -per favore, prenditi cura di lui in mia assenza.
Lovino annuì ricambiando la stretta, a disagio. A ben pensarci, non abbracciava una donna da anni. Era abituato alle spalle larghe di Antonio e all'altezza di Feliciano, non a stringere una figura così piccola e apparentemente delicata -certo.

Quella vacanza trascorse più in fretta di quanto avessero immaginato. Quando arrivò il momento di andarsene, Antonio era in una valle di lacrime. Abbracciò sua madre e suo fratello a lungo, promettendo di tornare il prima possibile. Quando alla fine fu riuscito ad allontanarsi dalla sua famiglia, anche Lovino li salutò, stringendo la mano a João e lasciandosi abbracciare da Isabella.
-prenditi cura di mio figlio- gli sussurrò in quella stretta. L'italiano annuì contro la sua spalla.
-lo prometto.
-ti ringrazio- si allontanò e gli accarezzò una guancia -buona fortuna con quello scapestrato, ne avrai bisogno.
-ehi!
Lovino rise -grazie.
Saliti sulla nave li salutarono dal ponte. Quando furono lontani, scesero nella loro cabina.
Antonio sospirò e si sedette sulla branda -mi mancheranno.
Lovino gli si sedette vicino e gli prese la mano -daresti voluto rimanere con loro?
Scosse la testa, stringendogliela -non senza di te- appoggiò la testa sulla sua spalla e lo abbracciò. Lovino prese ad accarezzargli i capelli distrattamente.
-secondo te Feli avrà dato fuoco alla casa per sbaglio?
Lo spagnolo ridacchiò -spero di no. Lo scopriremo una volta a casa, no?
Casa. Casa loro. Lovino sorrise leggermente -già.

Angolo autrice: 
Sì, lo so. Questa storia in teoria si concentra più sulla Gerita ma... non ho resistito, amo troppo la Spamano (e penso si sia notato...). Dal prossimo capitolo torniamo ai nostri protagonisti.
Come sempre vi mando un bacio, vi ringrazio di aver letto fin qui e vi invito a lasciare una recensione.
Alla prossima
Daly

 

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Capitolo 12
*** L'inizio della fine ***


Ludwig era felice.
Ogni mattina, in una routine che sarebbe durata circa un mese, si svegliava in camera di Feliciano, abbracciato a lui, e come prima cosa, se non puntava lo sguardo direttamente verso l'altro, vedeva i suoi disegni. Facevano colazione insieme, si preparavano e poi andavano ad aprire il negozio. Aspettando i clienti, rimanevano seduti vicini dietro il bancone, tenendosi per mano, con Feliciano, seduto in qualche posizione assurda, che di solito disegnava e Ludwig che leggeva qualcosa o osservava l'altro. A pranzo facevano una pausa, cucinavano insieme qualcosa e poi tornavano di sotto nel pomeriggio. Infine chiudevano definitivamente al tramonto, tornavano su per cena e infine andavano in camera, dove Feliciano gli raccontava delle storie sulle stelle dopo aver fatto l'amore.
Gli piaceva tutto sommato quella quotidianità, soprattutto gli piaceva stare con lui tutto il giorno. Il sogno di quella casa tutta per loro diventava ogni giorno più vivido e reale, tanto che la notte, oltre ai racconti, lui e Feliciano parlavano di come sarebbe stata la loro casa.
Volevano una casa grande, di due piani, con finestre ampie per far entrare più luce possibile. Al piano di sotto ci sarebbero stati la cucina, il bagno, il salotto e lo studio di Feliciano, dove avrebbe dipinto. L'italiano voleva uno studio luminoso, con una finestra da cui potesse guardare l'esterno, vicino alla cucina per poter andare a prendere da mangiare quando voleva. Al piano di sopra ci sarebbero stati la loro camera da letto, la camera per gli ospiti e lo studio di Ludwig, che avrebbe avuto le pareti piene di librerie e una scrivania enorme. Magari avrebbero anche avuto una soffitta, dove tenere i vecchi ricordi e le cianfrusaglie inutili. Quella casa sarebbe stata in campagna, vicina alla natura e abbastanza distante per non dover avere troppa paura di venire scoperti, ma non troppo lontana dalla città, per poterci andare facilmente per prendere le cose necessarie. Avrebbero coltivato qualcosa nel cortile magari, Feliciano voleva far crescere dei fiori. Ludwig riusciva quasi a vederla davvero quella casa, sarebbe stato meraviglioso vivere lì con l'altro, passare tutte le notti in un letto grande abbastanza per due, e non strizzati in uno troppo piccolo, ma comunque abbracciati, avere un posto da chiamare casa, dare da mangiare ai gattini della zona, far crescere i fiori, litigare, magari per qualche stupidaggine, ma poi tornare dopo poco dall'altro, l'arrabbiatura dimenticata come ciò che c'era nella soffitta. E ancora sarebbe stato bello invecchiare con lui, abituarsi alle rispettive abitudini irritanti o particolari, notare gli anni farsi notare sul viso ancora bello dell'altro, ridere delle rughe e dei capelli bianchi, delle mani callose e della vista calata. E ancora passare sempre più tempo nel letto, abbracciati, ad ascoltare il respiro lento dell'altro, finché, prima o poi, non si sarebbe fermato. Ludwig non sapeva cosa sarebbe successo in futuro, che sarebbe capitato, come sarebbe andata, quando e come sarebbe morto. Però era sicuro che avrebbe sperato succedesse tra le braccia dell'altro, in una casa luminosa che profumava di fiori. Sapeva che era improbabile succedesse, ma lo avrebbe sperato comunque. Se c'era una cosa che gli aveva insegnato Feliciano, era proprio sperare.
Il ritorno di Lovino e Antonio dalla Spagna segnò la definitiva fine di quel periodo di convivenza e l'inizio della fine, di quell'estate torrida fatta di baci sotto le stelle e pomeriggi interi abbracciati, di sfide al caldo vinte pur di stringersi. Di quel periodo fatto di ansie, progetti per il futuro, proposte e soluzioni fallimentari in partenza. Un'estate fatta anche di speranza, di fiducia e coccole tra le lenzuola sfatte.
Non appena aveva rimesso piede a casa, Lovino aveva preso da parte il suo fratellino e gli aveva raccontato tutta la loro storia. Non era stato facile, per niente, ma lo aveva fatto, finalmente. Alla fine del discorso, abbracciando l'altro, Lovino si era sentito più leggero. Per Feliciano non era stato facile ascoltare, ma aveva retto il colpo e imparato ad accettare le conseguenze del loro passato, anche se per lui era solo quello: passato. Ora quello che contava era il presente. Ed era il futuro a spaventarlo di più.
Feliciano aveva paura. Era terrorizzato, a dirla tutta. Lui e suo fratello, non penso ci sia bisogno di specificare i motivi, avevano la fobia dell'abbandono. La prima volta che Antonio era uscito di casa senza di lui, a Lovino era quasi venuto un attacco di panico ed aveva passato tutto il tempo a fare avanti e indietro per aspettare il suo ritorno, per poi saltargli addosso ad abbracciarlo una volta tornato. Il minore dei Vargas non era diverso: anche lui aveva paura, tremava ogni volta che rimaneva solo e aveva il terrore di rimanerlo per sempre. Non lo nascondeva: era così e basta. Aveva paura di perdere Ludwig, di essere abbandonato e rimanere solo a vita. Per questo lo abbracciava sempre, per assicurarsi che fosse lì e non lo avesse lasciato.
Però aveva anche fiducia. Conosceva Ludwig, lo amava e sapeva che avrebbe trovato una soluzione. Era disposto ad aspettare, avrebbe aspettato anche per sempre per lui. Il tempo non gli faceva paura, non se alla fine c'era il tedesco come ricompensa. Non gli faceva paura nulla, se c'era quel tedesco alto, forte, tenero e perfetto alla fine. Feliciano era un codardo, lo era sempre stato. Aveva paura di tutto o quasi, non era mai stato un cuor di leone. In quel periodo però realizzò che l'unica cosa di cui avesse paura per davvero era perdere Ludwig, suo fratello o Antonio. Avrebbe superato l'Inferno se necessario, ma non era disposto a perdere le persone che amava. Non di nuovo. Non poteva sopportarlo ancora. Che poi, diceva tanto, ma all'Inferno non sarebbe sopravvissuto neanche un minuto. Ci avrebbe provato, quello sì. Forse ce l'avrebbe anche fatta. Forse. Ma in fondo all'Inferno non ci doveva andare, quindi era a posto così. Certo, rimanere senza Ludwig era il suo Inferno personale, ma in qualche modo sarebbe sopravvissuto. Sperava che l'altro sapesse che ce l'avrebbe fatta, in fondo Ludwig era insicuro quanto lui, se non di più. Voleva dirglielo, rassicurarlo in qualche modo, ma ogni volta che stava per venire fuori l'argomento sentiva le lacrime pungergli la gola, impedendogli di parlare. Non voleva piangere davanti a lui, non perché si vergognasse dei suoi sentimenti, ma perché non voleva né farlo preoccupare né tantomeno farlo sentire in colpa più di quanto già non si sentisse.
Sì, perché Ludwig si sentiva terribilmente in colpa. Ogni volta che Feliciano sorrideva, rideva, lo abbracciava, baciava, ogni volta che si dicevano "ti amo" o facevano l'amore, ogni volta si sentiva sempre più in colpa. Come avrebbe potuto far soffrire quel raggio di sole? Come sarebbe riuscito ad andare avanti, salire sull'altare, baciare una donna, vivere la sua vita, sapendo che da qualche parte, a Napoli, c'era quel dolce, allegro e spensierato italiano che piangeva sperando nel suo ritorno? Come diamine avrebbe potuto vivere sapendo di aver rattristato quel ragazzo così solare e pieno di vita? Si sentiva un mostro ogni volta che ci pensava, che intravedeva la valigia (che si era premurato di nascondere nell'armadio), che leggeva le lettere dei suoi genitori. Il pensiero di mollare tutto gli aveva sfiorato la mente più di una volta, in fondo che aveva da perdere?, soprattutto quando osservava Feliciano dormire placidamente tra le sue braccia durante le sue tante notti insonni. Ripensava alle parole di Gilbert, che in fondo era l'unica famiglia che contava davvero, accarezzava i capelli a Feliciano, si ripeteva il discorso di Lovino, ricordava la scelta di Antonio e si chiedeva quale fosse la strada migliore. Una giusta probabilmente non esisteva: avrebbe comunque dovuto rinunciare a qualcosa. La vita non ti dà nulla senza chiedere qualcosa indietro. Lo sapeva benissimo, non avrebbe ottenuto tutto, non funzionava così. Sarebbe stato disposto a rinunciare a tutto per Feliciano? Lì per lì, la sua risposta sarebbe stata un sonoro e secco sì. Poi però il peso delle responsabilità gli tornava sulle spalle come un macigno. Come avrebbe potuto deludere i suoi genitori, lasciar ricadere nel dimenticatoio il nome per cui suo padre, suo nonno e tutta la sua discendenza avevano lottato tanto? Sentiva il peso di quelle scelte, quel nome addosso, come un tarlo che continuava a dirgli che stava sbagliando, che stava rovinando tutto. A quel punto si convinceva che non poteva lasciare tutto così, che sarebbe potuto tornare a Napoli una o due volte all'anno, che poteva anche fingere di amare un'altra per poter avere tutto. Poi però il suo sguardo tornava su Feliciano e si diceva che non era giusto. Come poteva ingannare una donna che aveva il diritto di essere amata da qualcuno più adatto di lui, che diritto aveva di mentire a quel modo e soprattutto che diritto aveva di far soffrire quell'angelo che si fidava così ciecamente di lui? Nessuno. E così ricominciava da capo in quella giravolta senza né capo né coda che era la sua testa.
Questa situazione andò avanti per tutta l'estate, precipitando in autunno. L'arrivo di ottobre fu drammatico, ma Feliciano cercò di distrare lui e il compagno con una piccola festa per il compleanno del secondo. Gli regalò un disegno a matita che aveva fatto di nascosto nel tempo libero e che ritraeva loro due insieme. La nave sarebbe partita il quindici di ottobre. I giorni scorrevano veloci, come sabbia tra le dita. Insieme a essi, Ludwig sentiva crescere in sé una furia cieca. Era tutto così ingiusto! Aveva già sprecato nove anni in quella merdosa accademia, crescendo senza affetto se non da parte di suo fratello quelle rare volte che gli era concesso venirlo a trovare, aveva ritrovato la sua anima gemella e ora doveva perderla, senza sapere se o quando lo avrebbe rivisto. Perché non gli poteva andare bene una sola cosa nella vita?! Perché la fortuna non era mai dalla sua parte?
Se questi vi sembrano discorsi da adolescente frustrato, be', tecnicamente Ludwig aveva vent'anni e non aveva mai avuto il tempo di fare scenate del genere, era abbastanza normale che si comportasse come un adolescente frustato. Ne aveva anche un po' il diritto.
Sta di fatto che in un istante erano arrivati al quattordici di ottobre e sembrava solo ieri che Francis, Arthur e Gilbert se n'erano andati, ma allo stesso tempo sembrava passata una vita.
Avete presente com'è l'ultimo giorno di una vacanza? Quando si è in un posto particolarmente bello o con qualcuno di speciale e si arriva alla fine, l'ultimo giorno è uno strazio. Una serie interminabile di "chissà quando ci tornerò" e "chissà quando l* rivedrò" e ancora "mi mancherà tantissimo". Vi sarà capitato almeno una volta, anche solo la fine dell'estate, prima che ricominci quella tortura della scuola, quando andate al mare o uscite con gli amici per l'ultima volta prima che la vita riparta e già pensate all'estate successiva. Ecco, prendete quella sensazione, togliete la certezza dell'estate successiva, amplificatela per mille e avrete l'angoscia che stava provando Ludwig in quei giorni. Gli si prospettava davanti un inverno infinito, in cui avrebbe cercato in tutti i modi di tornare dal suo raggio di sole, ma senza garanzia di ritrovarlo.
Feliciano non era messo meglio. Ogni secondo la paura in lui cresceva. Si ripeteva che l'amore avrebbe trovato un modo, ma non aveva certezze. Gli restava solo fidarsi di Ludwig e pregare, ma non era mai stato una persona paziente. Non era arrabbiato. O meglio, sapeva che avrebbe avuto motivo di esserlo, ma sapeva che era inutile. E poi, con chi avrebbe dovuto arrabbiarsi? Ludwig? Non aveva senso, non era colpa sua. I genitori di Ludwig? Non ne sapevano niente, non aveva senso neanche questo. Dio? Che senso aveva arrabbiarsi con Dio? Se lo avesse fatto, ci sarebbe stata ancora meno possibilità che le sue preghiere fossero esaudite. Voleva fare qualcosa, stare fermo ad aspettare lo stava facendo impazzire, ma non sapeva cosa. Pregare Ludwig di restare? Non poteva farlo, non sarebbe stato giusto e non avrebbe mai voluto renderlo infelice. Andare con lui? No, come avrebbero potuto spiegare la sua presenza lì? E soprattutto non poteva abbandonare suo fratello e neanche lo voleva. Che altro poteva fare? Niente, se non godersi gli ultimi momenti e sfruttarli al meglio.
Non fraintendete: nonostante tutto, quella fu un'estate meravigliosa. Come poteva non esserlo, se erano insieme? Tutte queste angosce se ne restavano lontane la maggior parte del tempo, erano relegate in un angolino delle loro menti. Venivano fuori solo nei momenti di debolezza: in quelle rare occasioni in cui erano senza l'altro, per esempio. Nel caso di Ludwig anche la notte, quando era troppo stanco per cacciarle via e troppo sveglio per dormire. Il sonno era diventato raro, tanto che più di una volta l'italiano aveva dovuto costringerlo a dormire, canticchiandogli anche qualche vecchia ninna nanna in latino o in qualche dialetto. Aveva una voce bellissima, il castano, dolce, che lo cullava in sonni profondi senza dargli possibilità di fuggire in comode paranoie. Nel caso di Feliciano, la negatività lo aggrediva quando disegnava. La sua arte era sempre stata il suo rifugio, il luogo dove nascondeva e sfogava le sue emozioni, anche e soprattutto la tristezza. Dicono che gli artisti lavorano meglio quando sono tristi, il che in parte è vero, e Feliciano non era diverso. In quei mesi diede il meglio di sé, perché lui era uno di quelli che i suoi sentimenti non li cacciava via, li accoglieva e li studiava per comprenderli meglio, si immergeva in loro e cercava di sfruttarli al meglio. Il contrario di Ludwig, che nascondeva dietro rabbia e paranoia la sua paura.
Alla fin fine, erano entrambi due ragazzi di appena vent'anni che avevano avuto sfortuna e non sapevano come fare. Ludwig pensava all'opzione di vedersi ogni tanto, ma non ci credeva granché. In fondo suo fratello e Roderich stavano facendo così e non erano felici, glielo si leggeva in faccia. Conosceva troppo bene Gilbert per credere che tutte quelle sbronze fossero casuali. Ma comunque, tanto valeva provarci. Il destino di Gilbert e Roderich ora non ci interessa, concentriamoci sui nostri due protagonisti.
Forse questo capitolo di introspezione spicciola vi ha annoiati, in tal caso mi scuso, però era necessario per capire bene i sentimenti e le ragioni dei nostri piccioncini.
Ora ritorniamo alla narrazione, riprendiamo con il prossimo capitolo, ripartendo dalla, per loro, funesta data del 14 ottobre 1723.

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Capitolo 13
*** Addio ***


Lentamente, i giorni erano passati
Feliciano ormai passava ogni notte da lui. Lovino non si era opposto, non avevano neanche dovuto chiedere il permesso. La sera prima della partenza li invitò a cena da lui. Non appena furono arrivati, Lovino abbracciò forte il fratellino e lo portò in un'altra stanza per fargli vedere qualcosa che Ludwig non sentì, lasciando il tedesco solo con Antonio.
-e così, domani è il grande giorno, eh?- gli diede una pacca sulla spalla -capisco come ti senti- Ludwig era furioso con il mondo quella sera più che mai, un'ira cieca e disperata contro chiunque tranne Feliciano, soprattutto verso sé stesso, e si trattenne a stento dall'urlargli che no, non poteva sapere come ci sentisse. Poi si ricordò che invece lo sapeva benissimo, anche meglio di lui -se me lo concedi, vorrei darti qualche consiglio- Ludwig annuì.
-capisco la pressione che ti mette la tua famiglia. Lo so, ci sono passato anch'io, e so anche che non osi immaginare come sarà la tua vita da domani in poi, ma senti di non avere scelta. Lascia che ti dica ciò che mi ha insegnato Lovino: hai sempre una scelta, sempre. Potresti stracciare quel biglietto, lo sai benissimo, ma non osi farlo, perché non vuoi deludere la tua famiglia e il futuro ti spaventa. Io non avevo scelto e ho passato gli anni peggiori della mia vita- fece una smorfia, ogni traccia di sorriso scomparsa dal suo viso -all'inizio è come una ferita fresca che continua a sanguinare, sai? Ti senti come se ti avessero strappato un pezzo di cuore e lo avessero lasciato qui. Con il tempo, diventa un dolore fantasma, ti illudi che le lettere bastino a colmare il vuoto e passi le giornate a leggere e rileggere le stesse parole, cercando di ignorare la ferita che pulsa e illudendoti di aver fregato il sistema, di aver avuto sia la tua famiglia e sia il tuo amore, anche se da lontano. Sai quando mi sono reso conto dell'enormità del mio errore? Erano passati nove anni, nove dannatissimi anni a soffrire convincendomi che fosse una cosa giusta; ero nella mia stanza e stavo per andare a dormire, era la sera di Natale- fece un piccolo sorriso divertito, ricordando qualcosa -non riuscivo a dormire, così, dopo aver pianto come una fontana, perché sì, si piange in queste situazioni, si piange un sacco, te lo garantisco, per aiutarmi a dormire mi sono immaginato di stringere Lovi tra le braccia, di averlo affianco a me- fece una pausa -sai cosa ho realizzato, Ludwig? Che non ricordavo più che profumo avesse, che sapore avessero le sue labbra; che non ricordavo più l'esatta sfumatura dei suoi occhi. Che lo stavo dimenticando. Che stavo dimenticando la persona più importante di tutta la mia vita, e per cosa? Per una vita di sofferenza e solitudine, per una vita dannata. Ho realizzato che, partendo da Napoli, non era stato il destino, Dio o la mia famiglia a strapparmi il cuore: ero stato io. Ho realizzato che avrei potuto scegliere, che ogni dannatissimo giorno avrei potuto scegliere e prendere la prima nave per Napoli, ma che mi ero illuso di non poterlo fare. Che, Dio mi perdoni, avevo sprecato nove anni della mia vita a piangere e disperarmi fingendo di stare bene, quando avrei potuto scegliere e passare ogni giorno con chi sarebbe stato in grado di rendermi l'uomo più felice del pianeta anche nella povertà più assoluta. Allora mi sono alzato, sono corso nel mio studio e ho scritto a Lovino che sarei tornato, in ogni caso, anche se non mi avesse voluto, perché non riuscivo più a stare così lontano, non sopportavo quel lavoro che mi aveva tenuto distante da lui. Ho mandato una lettera ai miei, ho dato le dimissioni, ho fatto le valigie e sono corso al porto, senza neanche essere sicuro che Lovino ci sarebbe stato, non mi importava. Non avevo avuto il coraggio di aspettare una risposta: sono partito e basta. Prima ancora di scendere dalla nave io ho sentito che era lì, sapevo che era venuto a prendermi e sono corso giù dalla nave. Tu c'eri quando sono arrivato, ricordi la prima cosa che ho fatto?
-hai abbracciato Lovino e lo hai baciato.
-esatto- sorrise dolcemente -se a vederlo mi sono venute le lacrime agli occhi, a baciarlo di nuovo mi sono sentito... rinato. Come se fossi resuscitato dopo nove anni tra la vita e la morte e ti assicuro che è stata la sensazione migliore della mia vita. Non mi sono nascosto, non ho avuto paura: ho scelto, e anche se sono stato ripudiato non potrei essere più felice di così- fece una pausa e bevve un po' d'acqua -non ti biasimo se hai paura. Non ti biasimerò, qualunque sia la tua scelta, nessuno lo farà, neanche Feliciano- fece un sorriso divertito -anche se forse Lovi potrebbe voler prenderti a calci, ma capirebbe comunque. Non ti voglio condizionare, né scegliere per te. Però non voglio che tu faccia il mio stesso errore credendo di non avere scelta: ce l'hai, hai sempre; magari dolorosa, magari difficile, ma ce l'hai. Domani dovrai scegliere tra una vita senza Feliciano o una vita insieme a lui, so che entrambi i casi sono a dir poco terrificanti e hai paura: è normale, chi non l'avrebbe? La scelta però è tua e solo tua. Sei sempre libero di scegliere.
In quel momento tornarono i due fratelli Vargas. Il suo ragazzo gli si sedette in braccio, baciandolo. Ogni bacio di Feliciano era per lui come una ventata d'aria fresca, che finalmente lo lasciava respirare.
-Feli, ti sembra il modo di comportarsi a tavola?- scherzò Lovino, che però era in piedi accanto ad Antonio con un suo braccio intorno alla vita.
-dai, Lovi, lasciali stare. Noi sappiamo essere anche peggio, devo ricordarti cosa...
-quello è colpa tua, bastardo. Li lascio limonare in pace, ma se cominciano a spogliarsi li separo- il castano si rivolse al fratello -capito, Feli? Tenetevelo nei pantaloni fino alla casa del crucco- non ricevendo risposta sbuffò -niente da fare, non si staccano.
-eddai, Lovinito, sono innamorati, che vuoi farci?- Antonio lo attirò a sé e lo fece sedere sul suo grembo -se non puoi combatterli, unisciti a loro- fece un sorrisetto, prima di provare a baciarlo. Sì, provare, perché Lovino si era alzato all'istante e se n'era andato in cucina.
-stocazzo, mi si brucia la cena. Vieni a darmi una mano, bastardo, lasciamo i piccioncini da soli.
Di questo... romantico quadretto, i "due piccioncini" non avevano avuto sentore. Si erano isolati, erano nel loro mondo, neanche un terremoto avrebbe potuto separarli. Per qualche minuto non c'erano angosce, pensieri, ansie, partenze... no, solo loro due.
Quando si separarono, Ludwig stava già sorridendo. Gli veniva istintivo: se c'era Feliciano, sorrideva. Certo, un sorriso dei suoi, quindi piccolo e impercettibile, ma pur sempre un sorriso era. Il resto del mondo non avrebbe colto quella felicità, ma Feliciano sì. Feliciano lo conosceva troppo bene per non accorgersene. Feliciano aveva passato ore, giorni, settimane a studiare ogni curva del suo corpo, ogni linea del suo viso, ogni sfumatura dei suoi occhi e dei suoi capelli. Feliciano era semplicemente troppo attento per non notarlo. Aveva l'occhio dell'artista: così come distingueva un blu di Prussia da un blu oltremare, sapeva riconoscere ogni lieve differenza nel viso di Ludwig. Quanto gli piaceva! Era un po' una sfida cogliere sempre ogni dettaglio, eppure gli veniva quasi naturale. Al tempo stesso, sapere di essere l'unico a poter godere di quella piccola meraviglia che era il sorriso di Ludwig lo riempiva di orgoglio e lo faceva anche sentire un po' speciale.
Feliciano ricambiò il sorriso. Il suo di sorriso era luminoso, aperto, solare e bellissimo. In quel momento, era a dir poco mozzafiato. L'italiano lo baciò sulla fronte e si alzò dalle sue gambe, sedendosi al suo fianco e prendendogli la mano, sempre in quel modo che aveva conservato dall'infanzia: con gentilezza ma decisione, come se volesse stringerlo a sé ma gli lasciasse anche la libertà di lasciarlo, se avesse voluto. Da piccolo aveva pensato fosse un'accortezza dolce ma inutile, perché già allora gli piaceva tenergli la mano. Ora però non ne era così certo.
Le mani di Feliciano erano calde e sottili. Aveva le dita lunghe e un po' callose, mani che sarebbero state perfette per un musicista, mani da pittore, sempre sporche di tempera o pittura. Il contrario di quelle di Ludwig, ruvide e fredde, abituate a reggere armi e libri, non altre così delicate. Eppure sapevano essere così gentili, sia nel girare pagina sia nel stringerlo tra le braccia.
In quel momento tornarono Lovino e Antonio con la cena e il resto venne temporaneamente scordato.

-ve, Luddi...- lo chiamò, demolendo il silenzio.
Erano sdraiati a letto, con solo le coperte a coprirli, abbracciati. Erano stanchi, ma nessuno dei due voleva dormire. Non con la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere la loro ultima notte insieme.
-dimmi, Feliciano.
-ecco, io non... ve, volevo dirti queste cose da un po', ma non... non trovavo il coraggio perché sono un fifone e...
Ludwig annuì, invitandolo a continuare e scostandogli una ciocca dal viso.
-volevo dirti che...- era una cosa seria, si capiva subito. Quando parlava di qualcosa di serio il suo tono di voce cambiava completamente e persino il suo solito ve scompariva -che ti amerò comunque, qualsiasi cosa succeda. E che...- gli morì la voce, se la schiarì prima di continuare -che non... cioé, non mi importa se dovrò aspettare o... o se ci vedremo solo poche volte all'anno. Sono disposto a fare delle rinunce, certo non rinuncerei a tutto... cioé no aspetta, volevo dire che non rinuncerei al fratellone, non potrei abbandonarlo per sempre, insomma neanche tu lo faresti con Gilbert, no?
Ludwig annuì -ho capito cosa intendi, non preoccuparti- lo baciò sulla guancia rossa.
-sì, ecco... e uhm, che stavo dicendo? Ah sì, che sono disposto a fare delle rinunce, ad aspettare eccetera. Volevo dirti questo perché... cioé non voglio che tu stia male, capisci? Voglio che tu sia felice, Luddi. Quindi, uhm, per quanto riguarda domani...- sospirò -fai quello che ritieni migliore per te. Non preoccuparti per me, me la caverò. Non... non voglio che tu faccia qualcosa solo per fare felice me, mi sentirei in colpa. Per favore, Luddi, scegli quello che ritieni giusto, non quello che pensi voglia io. Anche perché tutto quello che voglio io è che tu e il fratellone siate felici, del resto non mi importa granché, davvero. Quindi promettimi che domani farai ciò che renderà felice te, per piacere- esitò, mordendosi il labbro -ve, come sono andato? Sono terribile a fare discorsi, Luddi, scusa.
Ludwig si sentiva, per farla breve, una merda. Ricordate tutto il discorso fatto lo scorso capitolo sui suoi sensi di colpa? Ecco, dopo quel discorso erano triplicati. Aveva davanti un ragazzo così tenero, dolce e premuroso che gli aveva esplicitamente detto di essere egoista perché voleva che fosse felice. Diamine, che aveva fatto per meritarsi un angelo del genere?
-sei andato benissimo, Feliciano- lo baciò, stringendolo come la cosa più preziosa al mondo -davvero benissimo...
-Luddi, non essere triste- gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi -so che sei arrabbiato e preoccupato eccetera, però...- gli sorrise -ve, non lasciamo che i sentimenti negativi ci rovinino la nostra ultima notte, va bene?
Ludwig annuì -scusami, hai ragione.
Feliciano gli tirò su gli angoli della bocca con le dita -ve, Luddi, fammi un sorriso, su- il biondo si sforzò di obbedire, ricevendo in cambio un bacio, baciò che per magia esorcizzò tutte le sue ansie e lo fece tornare a sorridere -ecco, così va meglio- lo baciò di nuovo, intrufolandosi tra le sue labbra sottili con delicatezza -Luddi, posso chiederti una cosa?
-certo- Feliciano gli salì sopra, abbracciandolo con le braccia e le gambe. Lo baciò sulla fronte.
-baciami come se fosse l'ultima cosa che farai- lo baciò di nuovo, sentendo la solita disperazione avvolgerlo. Non la cacciò: ci si avvolse come in una coperta e decise di sfruttarla per rendere quella notte speciale. Tutti erano convinti che la tristezza fosse per forza negativa, ma era sbagliato. La tristezza non è cattiva, così come la felicità non è buona. Sono due stati d'animo, niente di più. Il trucco è saperli sfruttare al meglio.
Così si strinse a Ludwig, facendo aderire il bacino con il suo, baciandolo in maniera tanto profonda quanto la sua angoscia. Gli seppellì le mani nei capelli, li accarezzò, li strinse, li tirò. Si lasciò baciare il collo, stringendo le gambe intorno ai fianchi dell'altro con un gemito. In breve tornarono a essere uno e, cavolo, era un rapporto così profondo, disperato ed emozionante che Feliciano si sentiva sempre di più in Paradiso. Era uno solo con Ludwig, ma non solo fisicamente. Erano così immersi l'uno nell'altro che anche le emozioni, i cuori e le anime sembravano fuse. Sfiorarono le stelle insieme, quella notte, e Feliciano ebbe la certezza che un piccolo pezzo della sua anima ora era nell'altro e viceversa. Sentiva Ludwig sotto la pelle, come se nelle vene al posto del sangue avesse lui. Di certo avrebbe conservato quel pezzettino di lui per sempre, così da averlo con sé anche se distanti. Gli sorrise, infilando la testa nell'incavo del suo collo e lasciandosi stringere fino ad addormentarsi. Non servivano parole. Per qualche motivo, Feliciano era sicuro che l'altro sentisse le stesse cose. Ah, e anche che Ludwig si fosse addormentato insieme a lui, perdendo, insieme al fortino dietro al quale nascondeva le sue emozioni, anche l'insonnia, che pure era stato certo che lo avrebbe tormentato anche e soprattutto quella notte. E invece Feliciano si era dimostrato come sempre sorprendente e sconvolgente tanto da mandare all'aria tutti i suoi piani.
In fondo, se lo sarebbe dovuto aspettare.

La mattina successiva non si staccarono un attimo. Per tutto il tempo Feliciano gli rimase appiccicato, anche mentre mangiavano. Ci misero un'eternità a uscire di casa, in parte anche per colpa di Ludwig, che pure amava la puntualità. Ogni volta che aprivano la porta per uscire, quella veniva richiusa subito, per lasciare spazio all'ultimo bacio. Si diedero qualcosa come quindici ultimi baci, quel giorno.
Quando finalmente si decisero ad uscire, andarono al porto. Ludwig avrebbe preso una nave che lo avrebbe portato in Ungheria, poi da lì una carrozza lo avrebbe condotto in Austria, da suo fratello e Roderich. Poi, lui e suo fratello sarebbero andati insieme fino a casa loro, per il matrimonio di Ludwig.
Al solo pensiero gli venivano i brividi. Si trascinò insieme a Feliciano fino al negozio di Lovino, dove i due li stavano già aspettando per accompagnarli. Probabilmente, si disse Ludwig, Lovino è venuto per dare sostegno a Feliciano e Antonio per darne a Lovino.
Il tragitto fino al porto fu molto simile a una marcia funebre.
In qualche modo, però, Feliciano sorrideva. Parlò tutto il tempo a macchinetta, per riempire il silenzio e ravvivare l'atmosfera. Da dove tirasse fuori quel sorriso, Ludwig proprio non riusciva a capirlo.
Arrivarono che la nave era già lì. Ludwig le diede le spalle e si preparò ai saluti.
Antonio gli strinse la mano con un sorriso -buona fortuna, Ludwig. Salutami Gil.
Il tedesco annuì -certo.
Venne il turno di Lovino. Ludwig fece per stringergli la mano, ma quello sbuffò divertito.
-rimarrai un crucco ottuso fino alla fine, eh?- a sorpresa lo abbracciò, lasciando scioccati sia lui che Feliciano -buona fortuna, crucco- gli lanciò un'occhiata eloquente e si fece indietro, tornando da Antonio e lasciando spazio al fratellino.
Quello era l'arrivederci che Ludwig temeva di più. Di sicuro non poteva limitarsi a stringergli la mano.
Feliciano gli sorrise, un sorriso meraviglioso, e lo abbracciò. Ludwig lo strinse, cercando di imprimersi il più possibile il ricordo nella mente. Quando si allontanarono, Feliciano continuava a sorridere, con gli occhi che brillavano alla luce del sole. Solo dopo Ludwig avrebbe realizzato che quel luccichio era dovuto alle lacrime.
-ciao ciao, Luddi. Alla prossima- lo salutò così, come se Ludwig stesse solo andando via per un giorno o due, come se fosse stato certo che una prossima volta ci sarebbe stata. E in effetti Feliciano lo era. Forse in quella vita, forse in un'altra, forse in Paradiso: prima o poi si sarebbero rivisti. Aveva cercato di essere più allegro, voleva che anche quel momento fosse un bel ricordo e non voleva rendere quella separazione più difficile di quanto già non fosse.
Per questo continuò a sorridere, anche mentre guardava l'altro allontanarsi e salire sulla nave. Si sarebbero visti, si ripeteva, anche se quello comunque non rendeva tutto quanto più facile o meno doloroso. Era un arrivederci, non un addio, ma non era facile comunque sopportarlo: ci avrebbe provato.
Solo quando il tedesco fu scomparso all'interno della nave si concesse di piangere.

Ludwig salì sulla nave e si diresse nella sua cabina come un morto che camminava.
Sentiva il cuore pulsare sordo, la testa ovattata e gli occhi bruciare. Un vuoto doloroso lo riempiva fino alle ossa, misto al dolore di quel pezzettino di Feliciano, quello che gli era quasi sembrato fosse entrato in lui la notte precedente, che cercava di fuggire per tornare dal suo proprietario.
Sospirò e si sedette sulla branda, prendendosi il viso tra le mani. Era strano, in effetti. Era autunno, e insieme alle foglie quel giorno sarebbe morto un giovane amore. Il destino è molto ironico, no?
...no.
No. No, Ludwig si rifiutava di credere che la loro storia sarebbe finita così. Ripensò a Feliciano, al suo sorriso dolce velato di lacrime mentre lo abbracciava e con voce sottile, ma sicura, lo salutava, certo che si sarebbero rivisti, che l'amore avrebbe trovato un modo.
Forse l'amore l'avrebbe trovato davvero, ma Ludwig si rifiutava di aspettare anni e anni, ne aveva aspettati fin troppi. Forse c'era davvero un Dio che controllava, che vigilava. Forse era stato davvero Dio o chi per Lui a mandare ad Antonio quei segnali, quella notte di Natale. Forse l'avrebbe fatto anche con lui o Feliciano, forse lo stava facendo anche in quel momento, ma a Ludwig piaceva pensare di essere lui l'artefice del suo destino. Volle convincersi di essere lui a cambiare le cose.
Forse l'amore avrebbe davvero trovato un modo, ma Ludwig lo avrebbe fatto prima.
Ripensò a Feliciano, al suo sorriso, alle sue mani delicate, ai suoi vestiti sporchi di pittura, ai suoi occhi luminosi anche mentre lo salutava; ricordò il modo in cui lo abbracciava; sorrise pensando che Feliciano lo sfiorava di continuo, con una scusa o l'altra, cercando un contatto di qualsiasi tipo; ripensò al suo modo di parlare, al suo accento unico, al suo modo di esprimersi infantile ma anche profondo nei momenti giusti, a quel ve che gli era diventato così caro, a tutte le sue premure e attenzioni; ripensò a lui, a ogni cosa di lui, mentre afferrava le sue cose, si asciugava le ultime lacrime e usciva correndo dalla sua cabina, precipitandosi all'uscita.

Feliciano stava piangendo.
Lovino lo aveva abbracciato non appena il tedesco se n'era andato, accarezzandogli la schiena e i capelli e sussurrandogli parole di conforto in latino. Sapeva che quella lingua gli ricordava la sua infanzia, la mamma e soprattutto il nonno, lo rincuorava sempre così quando da piccolo aveva qualche incubo o si spaventava per qualcosa. Quella però era la vita reale, ben più spaventosa di qualsiasi incubo.
Feliciano piangeva, tanto, il viso sepolto nella maglia di suo fratello, gli occhi che sembravano voler lacrimare l'intera laguna di Venezia per quante lacrime stavano tirando fuori. Era crollato, ormai non c'era niente da fare: non sarebbe riuscito a smettere di piangere finché non avesse terminato le lacrime, e anche allora forse avrebbe pianto sangue, morendo lì, come un fiore appassito dopo aver perso tutta la sua linfa. Era una bella metafora, avrebbe potuto farci un disegno. Con Ludwig progettava di far crescere fiori nel loro giardino...
-dai, Feli. Andrà tutto bene. Me l'hai detto anche tu: l'amore trova sempre un modo- gli sussurrò con tono dolce, baciandogli poi la testa. Lovino stava cercando di fare del suo meglio, ma in fondo sapeva che certi dolori non se ne andavano di certo per qualche parolina di conforto.
-s-sì ma... v-ve, fa male comunque e... e non voglio as-aspettare! Voglio Luddi!- singhiozzava, disperato, il viso sepolto nella camicia di suo fratello, senza neanche rendersi conto di aver usato istintivamente un misto tra veneto e latino, le sue due lingue natali, anche se non le usava da anni.
Non riusciva a smettere di piangere, non ci riusciva. Tremava, singhiozzava, senza preoccuparsi di essere troppo rumoroso.
Per fortuna c'era anche Antonio con loro.
Sì, perché Lovino era troppo occupato a consolare il fratello per accorgersi del biondo che correva fuori dalla nave e Feliciano troppo impegnato a singhiozzare per sentire, nel caos del porto, una voce che lo chiamava, una voce dal forte accento tedesco, che diceva il suo nome per intero, senza diminutivi o nomignoli.
Ma Antonio si era tenuto in disparte, lasciando ai due fratelli il loro spazio, e nonostante stesse osservando il loro abbraccio preoccupato, niente gli impedì di vedere Ludwig correre, per quanto i bagagli glielo permettessero, verso di loro. Lo spagnolo si avvicinò a Lovino e gli mise una mano sulla spalla sorridendo, indicandogli, quando ebbe la sua attenzione, il tedesco. Anche Lovino sorrise.
-Feli... guarda- allontanò il fratellino da sé e indicò il biondo.
Feliciano si voltò, asciugandosi gli occhi con i pugni chiusi. Quando riuscì a mettere a fuoco Ludwig tornò a respirare, si aprì in un sorriso enorme e luminoso e cominciò anche lui a correre.

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Capitolo 14
*** Fine ***


Napoli, ottobre 1733
Feliciano rise quando uno dei gatti gli leccò la guancia.
Come ogni giorno, stava dando loro da mangiare. Quel micetto sembrava essersi affezionato particolarmente, perché ogni volta che gli dava qualcosa gli dava un bacino, facendogli il solletico. A Ludwig non piaceva come cosa, diceva che era poco igenico. Secondo Feliciano era solo geloso.
Sentendo la porta aprirsi si alzò in piedi, sempre con il gatto in braccio. Sorrise quando Ludwig gli lasciò un bacio sulla fronte e rise quando il gatto gli soffiò contro.
-Feliciano, quel gatto si è attaccato troppo a te, non va bene. Potrebbe avere qualche malattia o...
-ma dai, Luddi, guarda com'è carino!- lo sollevò e glielo mise davanti al viso. I due si squadrarono, poi Ludwig sbuffò.
-sta di fatto che dovresti smetterla di farlo entrare in casa. Lui e tutti gli altri.
-ve, Luddi, l'ho fatto solo una volta, pioveva forte e avevano paura, poveri piccoli!- protestò, imbronciandosi. Il micio miagolò e Feliciano lo posò a terra, osservandolo correre via. Si rialzò e lasciò un bacio sulla guancia a Ludwig -e poi ho pulito tutto quanto.
Il tedesco roteò gli occhi divertito -dai, torna dentro, tra poco verrà freddo.
Feliciano rise, salutò con la mano gli ultimi gatti, rimasti forse nella speranza di avere altro cibo, e seguì il suo compagno in casa. Sorrise -ve, Luddi, sai che giorno è oggi?
-il quindici di ottobre- rispose lui, sistemando la sua giacca all'ingresso con un piccolo sorriso -pensi davvero che potrei mai dimenticarmene?
-oh, no, Luddi, ma visto che ultimamente hai sempre la testa tra le nuvole non mi sorprenderebbe- rispose, andando in cucina per cominciare a preparare la cena.
-ho la testa tra le nuvole perché devo sempre tenerti d'occhio- replicò seguendolo.
-e perché pensi sempre al lavoro.
-lo sai che ci tengo.
-ve, Luddi, lo so. Solo che forse ci tieni fin troppo- gli diede le spalle, riempiendosi un bicchiere d'acqua.
Ludwig inarcò un sopracciglio -stai dicendo che ti trascuro?
-ve, sto solo dicendo che passare un intero pomeriggio chiuso in studio è un po' esagerato e ti fa male- replicò bevendo, per poi rimettere il bicchiere a posto.
Ludwig lo abbracciò da dietro, lasciandogli un leggero bacio sul collo -scusa, cercherò di fare una pausa ogni tanto.
Feliciano parve soddisfatto, perché annuì e si appoggiò a lui -cosa hai fatto di bello?
-domani volevo spiegare ai ragazzi un po' di matematica. Ho preparato la lezione e quelle per il resto della settimana- lo baciò sulla spalla, coperta dalla camicia leggera -tu?
-oh, niente di che. Ho finito il dipinto che mi hanno commissionato, ve, domani penso che andrò a portarlo al signore.
-posso vederlo?- Feliciano annuì.
-però prima ceniamo, tanto la pittura sta asciugando.
-va bene. Cosa facciamo?
-pasta?
Ludwig rise. Certe cose non cambiavano mai.
Il resto sì però. Quando dieci anni fa aveva deciso di restare, per un po' avevano vissuto con Lovino e Antonio, anche se stavano decisamente stretti. Dopo qualche mese Francis era riuscito a far interessare un mecenate molto noto nell'ambiente a Feliciano. Con i soldi ricavati dalla vendita di alcuni dipinti a diversi personaggi di spicco, i loro risparmi e una spintarella da parte di Gilbert e Lovino, erano riusciti a comprarsi una casa tutta loro. Certo, non era esattamente come l'avevano sognata, ma non potevano desiderare di meglio. Era in città, a un solo piano ma abbastanza grande. Avevano dovuto rinunciare alla camera degli ospiti per creare lo studio di Feliciano, ma la porta sul retro dava su una sorta di boschetto, dove Feliciano dava da mangiare ai gatti del quartiere. Erano in una zona abbastanza isolata, senza vicini irritanti per fortuna. Feliciano dipingeva, a volte doveva anche viaggiare, ma gli piaceva. Ludwig faceva da maestro ai bambini del quartiere, aveva anche imparato un po' di napoletano per farsi capire meglio e a volte l'italiano si univa per delle brevi lezione di arte o di quel poco che ricordava di latino. In cambio quelli davano loro ciò che potevano, c'era per esempio il figlio del panettiere che gli dava del pane o quelli di contadini che gli portavano frutta o verdura. Si sentiva sempre un po' in imbarazzo ad accettare pagamenti da dei bambini, a dirla tutta. Nella loro camera da letto c'erano due letti singoli, uniti in uno matrimoniale. Certo, dovevano nascondersi, ma quello lo avevano sempre saputo. Erano felici, nonostante tutto. Avevano trovato una nuova routine, costellata comunque da sorprese. Viaggiavano spesso per il lavoro dell'italiano ("ve, Luddi, non voglio andare senza di te! E poi conoscendoti ti dimenticheresti anche di mangiare per lavorare e non va bene!") anche se qualche volta Feliciano doveva andare da solo, ma cercavano di ridurre quelle volte il più possibile. Una volta erano anche andati a Venezia (e Feliciano si era commosso), mentre un'altra da Gilbert a Vienna, o anche in Spagna con Lovino e Antonio, dove la madre di quest'ultimo aveva anche commissionato un dipinto a Feliciano. Questo era stato ben felice di realizzarlo: Isabella aveva voluto un dipinto con lei seduta al centro, con i suoi figli e Lovino alle sue spalle. Lovino e Antonio andavano spesso in Spagna a trovarla, inoltre loro quattro pranzavano sempre insieme ogni domenica dopo la messa.
Certo, non era stato facile. I primi tempi Feliciano e Ludwig litigavano di continuo. Durante il primo anno non succedeva mai, per tutta l'ansia della partenza imminente e il bisogno di non sprecare nessun momento con l'altro, ma poi, una volta avuta la certezza che sarebbero rimasti insieme, non facevano altro. Non era di certo stato facile abituarsi alle abitudini e ai difetti dell'altro, come la tendenza di Ludwig a svegliarsi ogni giorno all'alba e pulire ogni singolo centimetro di casa o quella di Feliciano di non mettere mai in ordine. Comunque non erano mai discussioni troppo furiose o lunghe. Questo perché Feliciano tendeva a piangere quando litigavano e davanti a quel dolce italiano in lacrime anche il peggior demonio si sarebbe sentito in colpa e scusato. Di solito i loro litigi finivano con delle scuse e qualche bacio. Con il passare degli anni discutevano ancora, ma più raramente.
Ludwig aveva rinunciato a ogni diritto ereditario e, per farla breve, al suo cognome, in una lettera spedita ai suoi il diciassette ottobre, preceduta da una a Gilbert in cui gli aveva spiegato tutto. "Non riesco ad abbandonare Feliciano" gli aveva scritto "ci ho provato, ma non ce la faccio. Spero che tu voglia perdonarmi per aver scaricato su di te tutte le attenzioni dei nostri genitori, ma non riesco ad andarmene". Gilbert aveva capito e, anzi, quella lettera gli era servita a prendere una decisione. "Sei stato più coraggioso di me, West" gli aveva scritto in risposta "devo ammetterlo, spesso mi ritrovo a pensare che sia tu il maggiore tra noi".
Ma su Gilbert e Roderich (forse) ritorneremo in un'altra sede. Alla fine il nome dei Beilschmidt sarebbe caduto nell'ombra, visto che, per ovvi motivi, nessuno dei due potenziali eredi ebbe mai figli.
Fatto sta che, tra alti e bassi, stavano bene ed erano felici.
-ve, Luddi, stai bene?- Feliciano alzò le spalle -chi tace acconsente, quindi pasta.
Ludwig lo fermò trattenendolo per un braccio e lo baciò. Ripensare al passato gli aveva messo parecchia malinconia. Un po' gli mancavano i momenti passati, durante i quali ogni sentimento, ogni emozione, sembrava amplificata di dieci volte per la sua intensità. Però era così felice, così soddisfatto, nonostante gli alti e bassi, che non poteva chiedere di meglio. Chiederlo avrebbe significato immaginarlo e, per quanto ci provasse, non riusciva minimamente a pensare a qualcosa migliore di quello che aveva.
-Luddi? Hai una faccia strana, sicuro di stare bene?
-sì, sì, sto benissimo- lo baciò di nuovo, contro il tavolo della cucina, con un'ombra di sorriso sul bel viso rasato di fresco -ti amo. Ce ne dici se domani ci prendiamo un pomeriggio solo per noi due?
Il sorriso di Feliciano fu una risposta più che eloquente, così come il bacio che lo seguì.
-ve, Luddi, anche io ti amo. Per sempre.

Antonio aveva imparato a proprie spese che dormire sul balcone era a dir poco orribile. Proprio per questo cercava sempre di fare pace il più velocemente possibile con la sua dolce metà.
Anche quando questa lo minacciava con un mestolo.
-dai, Lovi, calmati...
-dannato di un bastardo, quando capirai che non devi lasciare segni?!
-scusa amore, mi è scappato...
-non cercare di farti perdonare con nomignoli sdolcinati, bastardo!- Antonio schivo un colpo di mestolo.
-Lovi....- gli bloccò la mano armata e lo abbracciò con l'altra, baciandolo a stampo -scusami, non succederà più.
-è la quinta volta in un mese che dici che non succederà più- brontolò l'italiano, ma si lasciò baciare.
Antonio non rispose, si limitò a stringersi a lui, infilandogli una mano sotto la camicia ad accarezzandogli il ventre piatto mentre scendeva con i baci lungo il collo.
-giochi sporco- sbuffò, ma gli seppellì comunque una mano tra i capelli. Nonostante gli anni i riccioli di Antonio continuavano ad essere morbidi e Lovino ad amarli -ti ricordo che tra due settimane partiamo per la...- ansimò, coprendosi subito la bocca imbarazzato -per la Spagna. Non voglio che tua madre...- esitò, Antonio stava scendendo così lentamente con i baci da farlo impazzire -cazzo, bastardo, datti una mossa!- lo afferrò per un braccio e lo trascinò in camera, ignorando la sua risata divertita.

Antonio sorrise accarezzando la schiena nuda del ragazzo ancora su di lui. Lovino sollevò la testa dal suo petto e si sdraiò al suo fianco con uno sbuffo. Lo spagnolo lanciò un'occhiata all'ennesimo segno sul collo dell'altro e sorrise sornione.
Lovino sbuffò, stanco, stringendosi contro di lui -fammi indovinare: me ne hai fatto un altro.
Non rispose, limitandosi a baciargli la fronte.
-che palle, per colpa tua devo portare sempre la sciarpa.
Antonio sapeva che quei segni sotto sotto li amava, quindi si limitò a sorridere e baciarlo sul naso. Lovino sbuffò e si girò, dandogli le spalle.
-con te non si può mai parlare- brontolò, coprendosi con le coperte. Lo spagnolo lo abbracciò al di sotto di esse, stringendosi contro la sua schiena con una leggera risata.
-dai, Lovinito, lo sai che ti amo.
-questo non significa che io ami te, bastardo.
Il moro prese a baciargli giocosamente il collo, accarezzandogli il fianco.
-ah no?- gli morse il lobo dell'orecchio con un sorriso -allora perché mi sopporti?
-bella domanda- sembrò pensarci, sorridendo sotto sotto -sei bravo a letto, anche se lasci sempre segni come l'idiota bastardo che sei, e mi aiuti in negozio.
-tutto qui?- gli fece una pernacchia sul collo, facendolo suo malgrado ridere.
-sì?
-secondo me no, invece- gli fece girare la testa con una mano e lo baciò con un sorriso.
-no?
-no- lo baciò di nuovo. Lovino si girò sulla schiena, aggrappandosi a lui con un braccio e ricambiando il bacio -secondo me mi ami.
-chi lo sa.
-io lo so- gli baciò la spalla.
-mh...- sembrò pensarci, con un sorrisetto divertito, poi lo attirò a sé e lo baciò di nuovo -forse.
-forse cosa?
-forse hai ragione tu. Ma solo forse, non tirartela, non ti darò una soddisfazione.
Antonio rise e lo baciò di nuovo -ti amo anch'io, Lovinito- gli sorrise e posò la fronte contro la sua. Rimase in silenzio per un po', pensando. Certo che era stato davvero fortunato. Aveva trovato l'amore e alla fine era riuscito a tenerselo. E Lovino... Lovino era la persona più speciale del mondo ai suoi occhi, chissà che aveva fatto per meritarselo. Lo strinse più forte a sé e lo baciò di nuovo.
-non smetterò mai di ringraziarti per avermi lanciato quel pomodoro- disse infine, baciandolo di nuovo.
Lovino annuì, ricambiando l'abbraccio e il bacio.

Antonio aveva scoperto con non poca sorpresa quanto si potesse comunicare attraverso un pomodoro.
E quella era stata indubbiamente la scoperta migliore della sua vita.

Angolo autrice:
E questa è la fine. Mi mancherà questa storia. Spero che vi sia piaciuta la storia e il suo finale.
Non ho tanto da dire in realtà. Questa e quella prima sono state due storie che ho scritto, colta da un'improvvisa ispirazione, durante il lockdown. Spero che il risultato sia almeno leggibile.
Per, ahimè, l'ultima volta in questa sede, vi ringrazio di aver letto fino a qui, vi invito a lasciare una recensione e vi mando un bacio.
Alla prossima, con altre storie
Daly

 

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