Bluebell

di Ghostclimber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amaranth ***
Capitolo 2: *** Dandelion ***
Capitolo 3: *** Anemone. Then, Cornflower. ***
Capitolo 4: *** Yellow Carnation ***
Capitolo 5: *** Begonia. Cornflower again. ***
Capitolo 6: *** Red Rose ***
Capitolo 7: *** Thistle ***
Capitolo 8: *** Marigold ***
Capitolo 9: *** Iris ***
Capitolo 10: *** Yarrow ***
Capitolo 11: *** Camellia ***
Capitolo 12: *** Heather ***
Capitolo 13: *** Cyclamen ***
Capitolo 14: *** Nigella ***
Capitolo 15: *** Black Rose ***
Capitolo 16: *** Hellebore ***
Capitolo 17: *** Gladiolus ***
Capitolo 18: *** Bluebell ***
Capitolo 19: *** Bluebell, again ***
Capitolo 20: *** Bouquet ***



Capitolo 1
*** Amaranth ***


Ciaossu!

Chiedo scusa per la pubblicazione a metà pomeriggio, volevo postare subito dopo la mia corsetta mattutina ma mentre cazzeggiavo con il caffè mi sono imbattuta in tipo la mia nuova ff preferita (ve la consiglierei ma è di un altro fandom; se seguite Katekyo Hitman Reborn fatemi sapere che ve la giro, merita) e l'ho finita tipo un'ora fa, al che mi sono cullata un po' nel loop delle canzoni d'amore più sbrodolose che ho trovato.

Finalmente /mugugni dalla regia/ rieccomi ad impelagarmi in una long. Se la cosa non vi dispiace, fate una bella ola a Ste_exLagu che ha il merito di averla sbloccata: il mio criceto del cervello, Teddy, corre meglio se il suo gli dà una spintarella. Grazie <3

Questo è solo l'inizio, sarò grata a chiunque vorrà affondare nei meandri della follia assieme a me, e vi dirò di più: baserò ogni capitolo su un fiore diverso basandomi sul suo significato, per cui se volete, nel limite delle capacità del povero Teddy, sentitevi liberi di proporre fiori nei commenti; vedrò cosa riesco a fare.

Ok, la smetto di sproloquiare e vi lascio al capitolo, fatemi sapere se gradite!

XOXO

 

 

 

 

 

-Ehi, Volpaccia, oggi sei un proprio una seghetta!- tuonò Sakuragi, superando di volata Rukawa; il moro era piegato in due, le mani sulle ginocchia, il fiato corto.

-Vaffanculo, Do'aho.- bofonchiò, poi cercò di prendere un bel respiro. L'aria riuscì in qualche modo a passare per la trachea, ma emise un sibilo poco incoraggiante. E i polmoni continuavano a sembrare disperatamente vuoti.

Rukawa decise di provarci lo stesso e scattò; giocavano contro il Kainan, non era proprio quello il momento di scoprirsi asmatico. Ordinò al proprio corpo di collaborare e si diresse verso Miyagi: più le cose cambiano e più restano le stesse, quindi poteva prevedere con relativa sicurezza che Sakuragi, in possesso di palla, l'avrebbe passata all'amico.

Così fu, e come da copione Miyagi, che era marcato così stretto da sembrare rinchiuso in una vergine di ferro, passò di nuovo a Rukawa, che corse a canestro ignorando gli improperi di Sakuragi per il supposto tradimento del playmaker.

Rukawa corse, saltò; Kiyota gli si parò davanti, ma non fu abbastanza pronto da reagire quando Rukawa abbassò la mano e gli passò sotto al braccio con un tiro della plebe della solita eleganza.

Canestro.

Kiyota imprecò ad alta voce. Da qualche parte nell'iperspazio Sakuragi accusò Rukawa di avergli rubato la gloria e Miyagi di essere un traditore e complice di volpi esibizioniste.

Come facesse ad avere tutto quel fiato era un bel mistero: erano ormai oltre la mezz'ora di gioco, e lui era stato in campo dal primo minuto e nell'intervallo aveva anche trovato il tempo di mettersi a fare ad urlacci con i suoi amici sugli spalti.

A proposito di fiato, Rukawa si rese conto che il suo era ancora latitante. Sembrava che i polmoni si fossero messi in sciopero, e anche il battito cardiaco sembrava fuori ritmo.

Si sforzò comunque di correre: il Kainan era in possesso di palla e stava scendendo a canestro. La vista gli si annebbiò, come se migliaia di moschini neri si fossero improvvisamente messi d'accordo per invadere la palestra. Dall'ultimo residuo di quella stravagante e spaventosa visuale a tunnel vide Sakuragi stoppare alla perfezione un tentativo di tiro di Jin e appropriarsi della palla; come se il suo corpo avesse deciso che ormai lui non serviva più, i suoi piedi si incastrarono l'uno nell'altro e Rukawa cadde di faccia, lungo e disteso, come una marionetta a cui fossero improvvisamente stati tagliati i fili.

L'ultima cosa che riuscì a percepire prima di troncare ogni comunicazione con il mondo reale fu il crack del setto nasale che si rompeva; accolse la perdita di conoscenza quasi con sollievo.

 

Si risvegliò in un letto bianco, coperto da lenzuola bianche, in una stanza bianca.

Era tutto così candido, comprese le luci, che per un istante si chiese se non fosse morto.

Poi, il dolore al naso lo convinse del contrario: va bene che la vita è ingiusta, ma sperava davvero che da morto avrebbe smesso di provare dolore.

-Kaede, sei sveglio!- disse la voce di sua madre, -Come ti senti?

-Naso.- rispose Rukawa, come sempre espansivo ed esplicativo. Almeno, il respiro sembrava aver ritrovato una certa qual normalità.

-Te lo sei rotto, piccolo mio, ma non è niente di grave. Andrà a posto in poco tempo.

-Nh.- Rukawa distolse lo sguardo dalla madre e guardò verso il comodino: una vaga chiazza di colori gli disturbava la coda dell'occhio, e voltandosi scoprì che il mobiletto era ricoperto da uno strato di fiori, bigliettini di pronta guarigione e paccottiglia varia alto almeno mezzo metro.

-Non è meraviglioso, Kae kun? Tutti i tuoi amici ti hanno mandato biglietti e regalini!- Rukawa schioccò le labbra. Sarebbe stato intrigante cercare di scoprire come mai sua madre fosse convinta che lui avesse degli amici, quando lui non aveva mai portato a casa anima viva e non usciva mai se non per andare a scuola e agli allenamenti.

Un grosso biglietto con il brutto disegno del logo di Michael Jordan attrasse la sua attenzione: Rukawa lo sfilò dal monte di cagate, sapendo che aveva almeno una vaga possibilità di essere un augurio da parte di gente che quantomeno lo conosceva di persona.

Infatti, come volevasi dimostrare, era un biglietto della squadra: varie firme, disegnini ancora più brutti sparsi qui e là, la frase scritta chiaramente da Ayako “Guarisci presto, Campione!”. Rukawa guardò a lungo il biglietto. In un certo senso, essere nella squadra di basket era un po' come avere degli amici: gente che invece di svenire al suo cospetto parlava, persone che ricercavano quel minimo di contatto che lui concedeva e che solo di rado infrangevano i limiti della sua comfort zone. Rukawa non era una persona difficile con cui interagire: non era uno di quei logorroici che ti impediscono con la loro parlantina di inserirti nel discorso, non aveva abitudini troppo fastidiose, seguiva dei ritmi ben precisi e fin quando nessuno poneva ostacoli tra lui e il campo da basket lui era più che disposto a farsi rivolgere la parola.

Si accorse che in un certo qual modo teneva ai ragazzi della squadra perché loro erano riusciti a capire che il suo silenzio non era scortesia, ma semplice timidezza: con pazienza, avevano poco a poco scavato dentro di lui per cercare di capirlo, e che i Kami li avessero in gloria, c'erano anche riusciti in qualche maniera.

Rukawa odiava i fiori recisi. Non aveva un particolare amore verso i pupazzi, che a suo dire erano un'inutile spreco di spazio. Detestava con tutte le sue forze i palloncini, che in primo luogo gli ricordavano It, il primo film da cui era rimasto traumatizzato, e in secondo luogo tendevano subito a sgonfiarsi e a pendere mosci come teste di impiccati dal loro stupido filo.

Invece, i biglietti senza troppi fronzoli, senza profumi e poemi, senza foto di brutti cagnetti con il sombrero, erano bene accetti. Quello non faceva eccezione.

Rukawa si concesse di sorridere internamente, sapendo che di certo c'era lo zampino di Ayako: quella ragazza aveva un intuito strepitoso, e le volte che si erano trovati a parlare faccia a faccia Rukawa si era reso conto che la manager era anche molto intelligente e disposta a mettere il basket di fronte ad ogni altra cosa, il che la rendeva un'amica perfetta. Per dirne una, gli aveva confessato di essere perdutamente innamorata di Ryota Miyagi, e che le sue scenette con gli occhi a cuore e la voce da deficiente la facevano impazzire, ma che non cedeva alle sue lusinghe perché sapeva che l'avrebbe distratto dal basket. Con un sorriso tremulo, aveva confessato di essere terrorizzata all'idea che lui si disamorasse prima della fine del campionato: aveva posto come data in cui confessargli i propri sentimenti quella del primo settembre, quando avrebbe avuto la certezza che non avrebbe partecipato ai campionati invernali. Torcendosi le mani, aveva detto: “Lo so che detto così fa brutto, e sembro una strega calcolatrice, ma non voglio essere io la responsabile di una sconfitta. So che se si guardasse indietro e si accorgesse di non aver dato il meglio potrebbe rimpiangere di essersi messo con me... quindi adesso posso solo sperare che non trovi un'altra prima di settembre.”

Rukawa ripensò alla pacata risposta di approvazione che le aveva dato mentre esaminava le firme: anche lui era dell'idea che, lungi dall'usare la propria felicità come sprone a migliorare, Miyagi non avrebbe fatto altro che distrarsi. E rendersene conto un domani, magari dopo anni e in un momento in cui le cose non vanno per il verso giusto, sembrava proprio una di quelle cose per cui anche le storie migliori finiscono per sfasciarsi.

Rukawa notò alla lontana che la firma di Sakuragi non c'era. In effetti, lo sospettava da quando non l'aveva vista a colpo d'occhio: quel montato era il tipo da fare un autografo di mezza pagina per fare in modo che fosse il primo ad essere notato, ma tutti i gruppetti di kanji erano grossomodo delle stesse dimensioni. Si disse che non era una sorpresa: di certo il rosso non si sarebbe abbassato a firmare e approvare una qualsiasi cosa che definisse Rukawa “Campione”. Fosse stato anche il suo certificato di morte.

Improvvisamente, Rukawa avvertì un lieve pizzicore in gola, come se del polline gli fosse entrato in bocca e si fosse appiccicato da qualche parte. Si ricordò allora che la reale causa della sua caduta e della successiva frattura del setto nasale era la fatica a respirare, ma non tenne la questione in gran conto: pur non essendo propriamente un soggetto allergico e non avendo mai fatto alcun test, in primavera gli capitava spesso di avere un po' di rinite o prurito da qualche parte, come quasi tutti. E quell'anno, c'era da ammetterlo, la natura sembrava essere fiorita in maniera davvero intensa.

Si schiarì la gola per liberarsi del lieve fastidio, sempre con il bigliettino in mano, ma questo invece di sfumare aumentò. Rukawa si schiarì la gola con più decisione, e l'impercettibile pizzicore diventò un intenso prurito all'interno della trachea.

-Acqua?- chiese, stavolta monosillabico non per posa o per poca voglia di parlare, ma perché far uscire la voce gli sembrava davvero molto, molto difficile. Solo quelle poche sillabe gli procurarono infatti un dolore atroce alla gola, come se qualcosa si fosse rotto: ripensò vagamente al racconto di Ozzy Osbourne su come si era rotto lo ioide a furia di tirare su con il naso per la cocaina e sperò che non fosse successo anche a lui, anche se presumeva che gli mancasse qualche causa scatenante, come ad esempio una grave tossicodipendenza.

Sua madre gli porse un bicchiere d'acqua, la solita espressione svampita stampata in volto, e Rukawa lo prese mentre cominciava a tossire, non volontariamente come a volte si cerca di fare per liberarsi di qualcosa in gola, ma senza il minimo sforzo. I colpi di tosse erano così forti che la mano con cui prese il bicchiere era scossa dallo sforzo, e Rukawa rovesciò un bel po' d'acqua prima di arrivare alla bocca. Con il braccio e il petto bagnati, cercò di sorbire quel poco che ne restava, mentre con un angolo del cervello registrava sua madre che esalava un dubbioso: -Kae kun?-.

Bere l'acqua peggiorò ulteriormente la situazione. Sembrava essere diventato del tutto incapace di fare quel famoso switch nella trachea, quello che fa andare il cibo nell'esofago e l'aria nei polmoni. Si piegò in avanti tossendo con violenza, sentendosi i colpi che gli martellavano i polmoni, come se qualcuno gli stesse battendo vigorosamente i pugni sulla schiena, sputacchiando goccioline di quell'acqua che aveva preso la strada sbagliata.

-Dottore! Serve un dottore!- chiamò sua madre, da qualche parte nell'iperspazio. Rukawa cominciò ad aver paura: stava tossendo così forte da avvertire i primi spasmi all'ugola. Ricordava con vaghezza una brutta influenza stagionale, anni ed anni prima, che l'aveva fatto tossire tanto da vomitare, e non ci teneva per nulla a ripetere l'esperienza.

Sentì due mani che gli sollevavano la maglietta e qualcosa di freddo (lo stetoscopio, riuscì a pensare, e si stupì di ricordare persino il nome dello strumento) che si posava sulla sua schiena, poi la voce di un uomo disse: -Il ragazzo ha un attacco d'asma. Infermiera! Porti un inalatore di cortisone! Signora, suo figlio è allergico a qualcosa?

-No, io... non credo, non è mai...- qualcosa cedette all'interno della gola di Rukawa, poco sotto al pomo d'Adamo. Il moro si sentì gelare e si chiese se la tosse potesse squarciare la gola, o spaccare qualche vena per lo sforzo. Prese un lungo, faticosissimo respiro tremolante e lo avvertì pizzicare dentro di sé. Il prurito gli scatenò un altro colpo di tosse, ma stavolta il fastidio cessò, sostituito invece dalla sensazione che qualcosa di morbido e viscido si fosse posato sulla sua lingua.

Pensando che fosse qualcosa che gli era rimasto in gola e che finalmente si era deciso a levarsi dalle scatole, magari un pezzetto della buccia di quella nespola un po' acerba che aveva mangiato per merenda, Rukawa se la rigirò in bocca e se la sputò in mano.

-Eccomi, dottore.- disse una voce femminile, e le mani del medico presero Rukawa per la spalla e il gomito, nel tentativo di farlo adagiare di nuovo sui cuscini.

Rukawa oppose un'istintiva resistenza: quello che era risalito dalla sua gola era qualcosa che non avrebbe mai potuto esserci. -Forza, ragazzo... signora, mi ricorda il nome?

-Kaede. Kae kun.- rispose la madre di Rukawa con voce tremante.

-Kaede, appoggiati. Metti questo in bocca e tira un bel respiro quando ti dico “ora”.

-Dottore...- disse Rukawa, alzando la mano verso di lui, -Cos'è?

-Un fiore, suppongo.- rispose l'uomo, -Magari è quello che ti ha causato la crisi d'asma. Ti conviene buttarlo via, prima di avere un altro attacco.

-Ma dottore,- chiese la signora Rukawa, -Lui non è mai stato allergico a niente, come può essere?

-L'adolescenza è un periodo molto delicato, signora,- rispose il medico, alzando il cestino della spazzatura per permettere a Rukawa di gettare il fiore.

-Dottore...- chiamò Rukawa a bassa voce. Il medico lo ignorò e proseguì: -Spesso, con gli sbalzi ormonali possono emergere nuove sensibilità. Allergie con sintomi respiratori, intolleranze alimentari, ipersensibilità dermatologica a certe sostanze...

-Dottore...

-Faremo delle analisi, in ogni caso. Ragazzo, sdraiati. Identificheremo la sostanza a cui suo figlio è diventato suscettibile e la...

-Dottore!- Rukawa, stavolta, quasi urlò. Il medico lo guardò con astio, evidentemente irritato per essere stato interrotto da un ragazzino. Rukawa alzò la mano e gli mostrò il fiore da vicino: una piccola pallina di un bel viola intenso, sembrava un batuffolino di lana di quelli che a volte decorano i bordi dei guanti femminili; era bagnato e aveva un'aria piuttosto triste, come tutti i fiori dopo un'intensa giornata di pioggia.

-Non l'ho preso dal comodino, mi è uscito dalla gola. Era incastrato lì.- il medico gli rivolse un sorriso condiscendente: -Kaede, questo non è possibile. Può capitare con i pollini di dimensioni più grandi, come quelli dei pioppi o delle betulle, ma di certo non con un fiore intero. Avresti faticato ad ingoiarlo, innanzitutto, e poi non poteva certo volarti in bocca.

-Ma è così!- protestò Rukawa, spaventato e arrabbiato per il comportamento negazionista del medico. Uno schiocco di lattice contro pelle lo fece voltare; l'infermiera si era messa un guanto e stava protendendo la mano verso la sua: -Dammi qui, fa' vedere.- disse.

-Sawada san, non sia ridicola.- disse il medico. L'infermiera annusò il fiore e ne palpò i piccolissimi petali, poi disse: -Ha l'odore di acido gastrico. Ed è viscido. Credo che Kaede stia dicendo la verità.

-Sawada san, la prego, come potrebbe mai essere pos...

-E poi guardi.- aggiunse l'infermiera, mostrandogli il fiore, -Questo è un amaranto. Lì sul comodino vedo le solite rose e margherite, nessun amaranto e neanche niente che gli somigli.- il medico si voltò ed esaminò la pigna di tributi sul mobiletto. Spostò pupazzi, scartabellò tra i fiori, scavò sotto a bigliettini vari, poi cedette: -In effetti, ha ragione.

-Dottore, che cos'ha mio figlio?

-Signora, dovrò chiedere un consulto. L'apparato respiratorio non è il mio campo, sono un medico di pronto soccorso. E onestamente non ho mai...

-Vado a chiamare il dottor Yamamoto!- lo interruppe l'infermiera, ma ormai il danno era fatto: Rukawa aveva capito che ciò che stava per dire era che non aveva mai visto nulla di simile. E obiettivamente, dopo tutte le puntate di Dottor House che aveva visto, Rukawa pensava di non potersi più stupire di nulla, ma non si era mai sentito di qualcuno che di punto in bianco si mettesse a tossire fiori.

Il medico alzò di nuovo la maglietta di Rukawa e gli auscultò i polmoni: -Il respiro è ancora sibilante. Sentiamo cosa avrà da dire il dottor Yamamoto. Intanto, Kaede, appoggiati e cerca di distenderti un po'.- Rukawa, più calmo ora che era stato ascoltato, obbedì. Una porzione del letto era stata alzata e il moro affondò in un morbido mare di cuscini; chiuse gli occhi.

Sentì che qualcuno gli rimboccava le coperte, poi gli passarono un panno umido e fresco sul viso. Spossato dal brutto attacco di tosse, Rukawa si appisolò.

 

-Kae kun.- lo richiamò la voce di sua madre che lo scuoteva, -Il dottor Yamamoto è qui, tesoro.

-Nh.

-Ciao, Kaede. Diamo un'occhiata a questi polmoni, vuoi?- Rukawa si sollevò con fatica dai cuscini. Subì senza fiatare una nuova auscultazione, più precisa e accurata, poi un'altra e un'altra ancora. Infine, il medico si sedette sul bordo del suo letto e disse: -I polmoni sono liberi, ma i tuoi bronchi sono un po' contratti. Vorrei che tu utilizzassi questo inalatore.- in parole semplici ma non condiscendenti, il dottor Yamamoto spiegò a Rukawa come usare l'inalatore. Lo tranquillizzò quando tossì, spiegandogli che era una reazione normale per i primi utilizzi, perché non si è abituati alla sensazione. Gli disse che avrebbe potuto avere un po' di batticuore, ma aggiunse che anche quello era del tutto nella norma. Poi, parlando al contempo con lui e con sua madre, disse: -Vorrei tenerti in osservazione per stanotte, Kaede. Il dottor Hosaka ha detto che hai avuto una crisi piuttosto brutta, e se dovesse ripetersi vorrei che tu fossi aiutato subito. Domani ti faremo degli esami per capire esattamente che cosa ti è successo.- Rukawa annuì, e lo stesso fece sua madre. Il medico gli rivolse un sorriso gentile, gli batté una pacca sul ginocchio e uscì.

 

-Nakamura.- chiamò il dottor Yamamoto entrando nel laboratorio delle analisi.

-Dottore. Cosa posso fare per lei?- rispose il tecnico, staccando gli occhi dal microscopio.

-Voglio che tu analizzi questo. Qualsiasi cosa, composizione chimica, veleni, sostanze intossicanti... tutto quello che ti viene in mente.

-Un fiore?

-Sì. L'ha tossito un ragazzino, di là.- Nakamura prese il vasetto contenente il fiorellino.

-In che senso, “l'ha tossito”? Gli è finito in gola?

-Sembra che l'abbia espulso dai polmoni. Devo capire cosa diavolo è.- disse Yamamoto. Il sorriso gentile da “don't worry, be happy” che aveva mostrato a Rukawa era sparito, lasciando il posto ad un cipiglio preoccupato e deciso. Nakamura si tolse gli occhiali e disse: -Woah. Proprio quando pensi di averle sentite tutte...

-Potresti sequenziare il dna?- lo interruppe Yamamoto.

-Uhm... certo, sì, comincio subito. Ha qualche idea?

-Una sola. Ma troppo assurda per essere plausibile. Grazie, Nakamura, a buon rendere.- il dottor Yamamoto tornò in corridoio e rivolse un altro sorriso allegro a Kaede Rukawa, che veniva trasportato sul suo lettino verso il reparto di otorinolaringoiatria. Il ragazzo rispose con un impercettibile incurvarsi delle labbra e un cenno della mano.

 

 

 

 

Amaranto:

simbolo di amore immortale.

 

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Capitolo 2
*** Dandelion ***


Le analisi del DNA eseguite sul fiorellino potevano significare una sola cosa, pensò il dottor Yamamoto, camminando pensieroso verso la stanza di quel povero ragazzo.

E la sua indole taciturna, un po' triste, molto timida, pareva solo avvalorare la sua ipotesi, per quanto tremenda fosse. Si domandò a lungo come porsi nei confronti del ragazzo e della madre, che per quanto sembrasse una svampita senza speranza era anche, appunto, la donna che aveva dato alla luce la creatura che aveva tossito un fiore di amaranto.

Il dottor Yamamoto si stampò in viso un sorriso allegro ed entrò nella stanza; si obbligò a trattenere un sospiro di sollievo quando vide che la donna non era con il ragazzo. Con lui c'era solo una splendida giovane donna dai capelli ricci, in uniforme scolastica.

-Ciao, Kaede, come ti senti?- chiese il dottore.

-Bene.- rispose il ragazzo, con una voce che suonava quasi troppo adulta per la sua giovane età.

-Kaede, avrei bisogno di parlarti. Posso chiedere alla tua amica di uscire un attimo?

-Oh, ma certo, dottore, mi scusi!- disse Ayako, alzandosi, ma Rukawa la trattenne per un polso e dichiarò: -No. Lei resta.- il medico guardò il viso preoccupato del ragazzo e la sua presa ferrea sul polso di lei, tanto forte che le sue nocche erano sbiancate. Capì che, più del supporto della madre o di altri parenti, Rukawa aveva bisogno di una persona amica che restasse al suo fianco. Sospirò e fece cenno ad Ayako di sedersi, e lei ubbidì. La presa di Rukawa sul suo polso scemò, e fu lei ad invertire la posizione delle loro mani, posando la propria sul polso magro del ragazzo.

-Kaede, abbiamo analizzato il fiore che hai tossito.- disse il dottor Yamamoto, poi il suo sguardo saettò da uno all'altra: -Immagino possiate capire che non sono autorizzato a parlare. Se si sapesse che ho infranto il segreto professionale e che non ho ancora allertato la polizia, come minimo verrei radiato dall'ordine dei medici. Potrei anche essere arrestato.

-Po... polizia?- balbettò Ayako.

-Non dovete rivelare ad anima viva che sono stato qui. Siamo intesi?

-Ma... ma certo.- disse Ayako; Rukawa si limitò ad un silenzioso cenno di assenso.

-Kaede, te lo devo chiedere. Ti è mai capitato di passare lunghi periodi di tempo in ospedale? O di aver... perso, diciamo, ore intere della tua vita?

-Io... cosa?- chiese Rukawa, confuso.

-Prova a pensarci, per cortesia.- disse il dottor Yamamoto e Rukawa, dopo un rapido scambio di sguardi perplessi con Ayako, ci ragionò su.

-Io... sono stato un mese all'ospedale da bambino. Polmonite, credo. Non ricordo altro.

-E quanto alle ore perse?- incalzò il medico.

-Beh, ecco... non posso... garantire.- balbettò Rukawa, e Ayako ridacchiò nonostante la situazione, portandosi una mano davanti alla bocca. Il medico la guardò con aria interrogativa e la ragazza spiegò: -L'hobby di Kaede è dormire. È capace di addormentarsi ovunque.- Yamamoto guardò il ragazzo, e interpretò il suo rossore come un assenso. Una malsana tentazione di mettersi a ridere a sua volta lo colse alla sprovvista, poi la realtà dei fatti, quel test ripetuto venti volte per essere sicuri, lo riportò alla realtà: -Kaede, il problema è questo. Il fiore di amaranto che hai tossito è una sorta di ibrido. Il DNA che abbiamo rilevato coincide in parte con il tuo. Il tuo caso è unico in medicina, e la sola cosa che mi è venuta in mente è che potresti essere vittima di esperimenti di mutazione genetica.

-Ma non è possibile...- bisbigliò Ayako. Rukawa rimase in silenzio, sconvolto dalla rivelazione. Al massimo aveva pensato ad un'allergia, durante la notte si era convinto di essersi addormentato a bocca aperta e di aver inavvertitamente inghiottito il fiore e di averlo poi sputato, ma quello che aveva detto il medico era del tutto... -Impossibile.- disse.

-Ho pensato la stessa cosa. Credevo ci fosse stato un errore, e ho fatto ripetere il test per molte volte. Ma non c'è dubbio, Kaede. Ti chiedo di pensare bene a quel che ti ho chiesto, per favore.- Rukawa annuì, sovrappensiero; il medico gli batté una lieve pacca sulla spalla e uscì.

Ayako e Rukawa rimasero in silenzio, troppo perplessi per parlare. L'idea che Rukawa fosse stato rapito e sottoposto a degli esperimenti di mutazione genetica sapeva così tanto di un brutto spin-off di X-Men che la sola idea era risibile; e tuttavia, c'era la realtà dei fatti di quel fiorellino che Rukawa aveva tossito.

Se un errore poteva essere possibile, almeno accademicamente parlando, il dottore aveva detto di aver fatto ripetere più volte il test; sembrava un uomo molto attento, e Rukawa poteva escludere che si fosse sbagliato ripetutamente o che avesse fatto effettuare le analisi a qualche tecnico di laboratorio alle prime armi o poco meticoloso.

Quanto alla possibilità che l'uomo mentisse, Rukawa si sentì di scartarla a priori: dietro a quel sorriso cordiale aveva visto l'ombra ben definita di una preoccupazione sincera, e ancora peggio la perplessità di qualcuno che non ha la minima idea di quel che si trova di fronte. Aveva semplicemente preso tutte le ipotesi possibili -allergia, infezione, “non mangiare i semi dell'anguria che poi ti crescono le piante nella pancia”- e le aveva scartate una ad una fino a rimanere con quella che certo, non era altro che una malsana idea complottista, ma Rukawa riconosceva che, se non fosse stato lui stesso all'interno del proprio corpo, avrebbe finito per pensarci anche lui.

Non c'era, non poteva esserci altra spiegazione se non quella. Eppure, nonostante i suoi frequenti e profondissimi sonnellini, Rukawa si sentiva di escludere a priori l'ipotesi.

Innanzitutto, qualcuno si sarebbe accorto se Rukawa fosse stato rapito dal tetto della scuola, dalla classe, dagli spogliatoi, dal divano. Immaginò degli uomini in camice bianco scendere da elicotteri che volano basso e rapirlo e per poco non si mise a ridere per l'assurdità dell'idea.

Oltretutto, se anche si fosse trattato di (Rukawa rabbrividì pensando che stava veramente formulando un'ipotesi così inconcepibile) rapimento alieno, Rukawa pensava che avrebbe serbato qualche vago ricordo dell'accaduto, magari qualche flash in qualche sogno delirante, qualcosa. A meno che, si disse, tutte quelle persone che dichiaravano di ricordare particolari dei rapimenti alieni di cui erano stati vittime non fossero tutti una copertura. Insomma, se una razza aliena è abbastanza intelligente da attraversare l'universo e trovare una specie senziente su cui fare esperimenti non meglio specificati, sarà anche abbastanza intelligente da sapere come fare a cancellare del tutto i ricordi delle proprie cavie.

Probabilmente, il fatto che i cosiddetti “rapiti” sembrassero sempre degli spostati da manuale era tutto parte del piano alieno per nascondersi: nessuno sano di mente avrebbe mai creduto davvero alla tizia che sosteneva di aver abortito un feto extraterrestre mentre sventola la foto di quello che è ovviamente un avanzo di coniglio in salmì, e nemmeno all'illetterato in maglietta di Donald Trump che agita un fucile e sbraita che gli omini verdi gli hanno infilato una sonda su per il culo. Per cosa, poi, per monitorargli la cacca?

-Terra chiama Kaede, Terra chiama Kaede, ci sei?- chiese Ayako, poi intonò un verso di David Bowie: -“Ground control to Major Tom, can you hear us Major Tom?”

-Tu pensi che mi abbiano rapito gli alieni?- chiese Rukawa. Ayako rimase in silenzio per un po', poi disse dolcemente: -Kaede, lo so che quesra è una cosa molto strana... ma per favore non mi diventare complottista, la Terra non è piatta, Paul McCartney non è morto, Elvis Presley invece sì, e gli alieni non esistono.

-E il paradosso di Fermi, allora?

-Il cosa?- Rukawa si sedette più dritto e spiegò: -Il paradosso di Fermi. Durante una discussione con altri scienziati, hanno praticamente dimostrato a spanne che gli alieni devono esistere, e Fermi ha chiesto “E allora dove sono?”

-Appunto, Kaede, dove sono? Cioè...- Ayako sospirò, un po' a disagio e onestamente preoccupata per lo stato mentale e fisico dell'amico, -Sinceramente dubito che tutte le varie storie di rapimenti alieni siano vere. Cioè, a che scopo ingravidare una donna? Farebbero prima a copiare i progetti della fecondazione in vitro. E perché gli stupri, se poi solo una minoranza se ne ricorda? Avrebbe più senso fare del male a una buona parte della popolazione e fare in modo che ricordino, così possono imporre la loro dominanza su di noi... a che...

-Magari non conoscono bene la psiche umana. Le persone dimenticano perché non possono sopportare di ricordare, e il loro brillante piano fallisce.

-Kaede, credo che tu debba smetterla di leggere Stephen King. Hai mai considerato i libri di Beatrix Potter, quelli con tutti quei bei disegni di coniglietti?

-Allora trovami un'opzione più plausibile, avanti.

-Ecco, io...- disse Ayako, poi esitò. In effetti aveva un'ipotesi, ma non si sarebbe azzardata a dirla ad alta voce: innanzitutto, era solo un'assurdità che aveva letto in un blog sul suo manga preferito, che tra l'altro era di quelli in cui il sovrannaturale è parte integrante della storia, e poi credeva che mancasse una parte fondamentale del contesto.

-Cambiando argomento!- esclamò, e Rukawa la interruppe: -Come volevasi dimostrare.- Ayako lo ignorò. Guardando per aria invece di guardare lui direttamente, proseguì: -I ragazzi della squadra verranno a trovarti più tardi, dopo gli allenamenti.

-Hai bigiato, oggi?

-Non ho bigiato, è mio dovere prendermi cura dei miei pulcini.

-Chiamami pulcino un'altra volta e...

-Comunque verranno anche Akagi e Kogure. Mitsui ha detto “forse”, quindi capace che verrà più tardi da solo per non far vedere che non è del tutto un duro.

-Nh.

-Dai, Kaede, lo so che non ti piace la folla, ma siamo tutti preoccupati per te!

-Sei sicura di voler far entrare il Do'aho in un posto dove la gente deve parlare a bassa voce?

-Oh, avanti, non penserai mica che Hanamichi si abbasserà a venirti a trovare!- esclamò Ayako, ridacchiando.

Rukawa tossì.

Il sorriso svanì dalle labbra di Ayako, che cominciò di colpo a mettere insieme un certo numero di puntini; e l'immagine che stava andando formandosi era tutto meno che consolante.

Mentre aiutava l'amico a mettersi un po' dritto per placare l'attacco di tosse, pensò ad una serie di piccoli eventi, insignificanti se presi singolarmente ma molto significativi se riuniti.

Il modo in cui Rukawa pareva reagire quando era Sakuragi a provocarlo, molto più violento rispetto alle sue risposte alle altre provocazioni, violento e quasi isterico. Non c'era nulla della pacata, temibile calma che aveva mostrato quando Tetsuo e Mitsui avevano fatto irruzione in palestra, nulla dell'impegno indefesso con cui reagiva colpo su colpo in partita quando si trovava a fronteggiare un avversario di rilievo, nulla dell'indifferenza con cui rispondeva agli scherzi dei compagni di squadra, anche quelli meno leggeri.

Le risse, le provocazioni anche da parte sua, la violenza... tutto dava a pensare che Sakuragi gli stesse ardentemente sulle palle, eppure Rukawa era anche il primo a incitarlo nei momenti neri, per quanto con metodi poco ortodossi. Prese in giro quasi cattive buttate giù in un tono netto e tagliente, pallonate, rimproveri... e poi eccolo a passargli la palla nel momento più importante, ad affidarsi del tutto a Sakuragi nonostante la sua inesperienza e i suoi modi megalomani.

L'attacco di tosse di Rukawa sembrò peggiorare, e ora dei minuscoli petali pelosi cominciavano ad uscirgli dalla bocca, come la condensa in un giorno freddo. Con un brivido di paura, Ayako si rese conto che si trattava di impalpabili pappi di soffione. Qualche petalo di dente di leone, lo stadio primitivo del soffione, si adagiò sul lenzuolo tra le gambe di Rukawa, quasi osceno nel tono allegro del giallo intenso se comparato alla tremenda tosse del ragazzo e nell'aria divenuta soffocante per il volo pigro dei pappi biancastri.

-Un dottore!- chiamò Ayako, disperata, -Serve un dottore!- la mano di Rukawa cercò la sua e strinse con una forza che era quasi disperata, mentre il dottor Yamamoto entrava di corsa, spingendo la porta con una spallata. Prese l'inalatore dal comodino e ghermì Rukawa per la nuca, poi disse: -Respira qui, Kaede. Tranquillo, va tutto bene, respira qui.- Rukawa, ormai col viso congestionato e le lacrime agli occhi, cercò di trarre un respiro; una nuvoletta di cortisone nebulizzato sfuggì dalle sue labbra, insieme ad un'altra emissione di pappi di soffione.

Ayako li guardò veleggiare nell'aria ferma, spinti solo dal contraccolpo della tosse di Rukawa, e ricordò come da bambina amava raccogliere i soffioni e sbuffarci sopra, spandendo i pappi per il giardino. La mamma la rimproverava, quando glielo vedeva fare, perché il dente di leone è una pianta infestante, se faceva così si sarebbero ritrovati il giardino invaso dal tarassaco, cose così, ma Ayako sapeva la verità: si poteva esprimere un desiderio, e i pappi di soffione liberati avrebbero provveduto ad esaudirlo.

Da bambina romantica, cresciuta a pane e storie d'amore, Ayako aveva sempre espresso lo stesso desiderio: che un giorno arrivasse il suo Principe Azzurro, un uomo gentile e bello che l'avrebbe amata con tutto se stesso e che sarebbe stato pronto anche a dare la propria vita per lei.

E l'aveva trovato, non era così? Ayako indietreggiò, spinta dal medico che, in preda al panico dopo il fallimento dell'inalatore, voleva che Rukawa avesse più spazio possibile. Un po' come quando una persona sviene, rifletté incoerentemente Ayako, gli si sollevano i piedi e si urla alla gente attorno di levarsi dalle scatole, per la miseria, fatelo respirare.

La sua mente corse a Miyagi, il bel Miyagi, quel tenero ragazzo che un giorno le aveva raccolto un mazzolino di primule dal giardino e che per questo era arrivato in ritardo a scuola. Aveva sopportato la punizione con un sorriso idiota stampato in faccia, perché comunque Ayako era rimasta piacevolmente sorpresa e aveva accettato il mazzo di fiori con un sorriso dolce... e un batticuore che forse era riuscita a nascondere e forse no. Il forte Miyagi che si era fatto avanti contro Tetsuo e che aveva rischiato la propria incolumità e la propria carriera di basketman perché l'uomo aveva avuto l'ardire di minacciare Ayako.

Un brevissimo sguardo era intercorso tra lei e lui, in quel momento, e nel suo terrore sapeva di non essere stata in grado di nascondere la propria supplica: “Salvami, mio eroe”. E Miyagi l'aveva salvata, o quantomeno ci aveva provato: si era lanciato contro Tetsuo e aveva preso una marea di legnate, solo perché la sua bella Ayako era spaventata.

Quindi, si disse mentre guardava Rukawa stringersi una mano sul petto, come se gli dolesse il cuore, i soffioni possono davvero esaudire i desideri.

Guardò i pappi che ormai avevano riempito la stanza di un'impalpabile nevicata calda e lasciò che il panico e l'istinto prendessero il sopravvento: -Lo convincerò a venirti a trovare!- urlò, disperata, e Rukawa alzò gli occhi su di lei per fissarla perplesso nonostante la tosse non accennasse a diminuire; la stretta della sua mano sul petto, però, si indebolì, come se il dolore fosse diminuito. Ayako insistette: -Lo sai com'è fatto, deve sempre fare il duro, ma sono sicura che a te ci tiene. E te lo dimostrerò, ti prometto che verrà a trovarti anche lui, te lo prometto... lui ti vuole bene!- terminò, forse un po' platealmente, e un silenzio improvviso cadde sulla stanza.

-Kaede... ti senti meglio?- chiese delicatamente il dottor Yamamoto. Rukawa annuì con aria stanca, gli occhi rossi e le guance rigate di lacrime spillate per lo sforzo.

L'accesso di tosse pareva passato, e Ayako uscì dalla stanza, sospinta da un'infermiera, mentre il dottore dichiarava di dover visitare Rukawa.

Ayako sedette di colpo su una sedia, tremando. Annuì vagamente alle parole incomprensibili che l'infermiera le rivolse, e pochi istanti dopo si ritrovò in mano un bicchiere di carta pieno d'acqua fresca. Lo bevve con gratitudine, a piccoli sorsi.

 

Aveva appena finito di bere quando vide il lettino di Rukawa che veniva portato fuori dalla stanza; il suo amico, sopra di esso, pallido ma con due malsane chiazze rosse sulle guance, sembrava piccolo e indifeso. Il dottor Yamamoto si parò di fronte a lei e disse a voce molto bassa: -Sta meglio. Ma voglio fargli delle radiografie, i polmoni sono congestionati e il battito cardiaco è troppo lento per uno che ha appena assunto del cortisone. Sia chiaro, io non ho detto nulla.

-Certo, dottore. E grazie.

-Mi segua.- disse il medico, poi le fece strada verso un piccolo ambulatorio per le visite di pronto soccorso. Si sedette e fece cenno ad Ayako di fare altrettanto, poi la scrutò con sospetto: -Kaede ha smesso di tossire quando lei ha detto quella cosa. Mi sa spiegare perché, signorina...?

-Ayako. Ikebana Ayako.- si presentò lei, poi esitò. Il medico non disse nulla, in attesa. Finalmente, Ayako si convinse e disse: -Beh, ecco... è una cosa assurda, in effetti, una cosa che ho letto in un blog su un...- sentendosi stupida, abbassò la voce senza volerlo, -Su un manga che seguo.

-Vada avanti e mi spieghi, la prego. Spesso le storie si basano su fatti reali o su leggende, e le leggende a loro volta si basano su eventi storici.- il dottor Yamamoto sembrava del tutto serio, e Ayako lo ricollegò a un personaggio di quello stesso manga che aveva nominato, che portava il suo stesso nome. Sorrise tra sé e sé, pensando a quanto fosse fortunata a trovarsi di fronte a lui e non al dottore che appariva nella serie, il maniaco Trident Shamal, e cominciò a parlare.

 

Mezz'ora più tardi, il medico la congedò. Aveva ascoltato il suo folle racconto, aveva fatto domande e preso appunti, si era persino messo a fare una rapida ricerca su Google. La sua iniziale perplessità, gentilmente camuffata da incoraggiamento, si era via via spenta per lasciare il posto a un'espressione determinata, e infine aveva dovuto concordare con Ayako: per quanto sembrasse assurdo, i sintomi del malessere di Kaede coincidevano alla perfezione con quelli elencati sulla pagina web che Ayako aveva letto.

Promise che avrebbe fatto delle ricerche e l'avrebbe tenuta informata, sempre dopo averle strappato la promessa di non parlare a nessuno della questione, poi le promise che avrebbe trovato una cura. Spesso, nelle storie si tende ad estremizzare molte questioni per amore di un po' di sano dramma, e se la malattia davvero si basava su qualcosa di reale di certo c'era una cura altrettanto reale.

Tuttavia, mentre guardava la ragazza che si allontanava a passo rapido lungo il corridoio, rimuginò su una vecchia storia letta da bambino. All'epoca non aveva dato peso ad essa, già troppo razionale per credere a cavolate come streghe e vampiri, ma ripensarci gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.

Se davvero Kaede aveva quella malattia, c'era poco che lui potesse fare.

 

 

 

 

 

Soffione: forza, speranza, fiducia. Simboleggia il viaggio.

 

 

 

Ciaossu!

Innanzitutto grazie a tutti voi per aver commentato e per fiori che mi avete consigliato, mi torneranno molto utili: il dente di leone è un consiglio di lizardiana, che ringrazio di cuore. Prossimamente su questi schermi appariranno anche gli altri!

Allora, tralasciando il fatto che da oggi cominciamo a gettare la logica comune giù dal balcone per ammantarci in un bello strato di anime logic, un paio di appunti.

Per prima cosa, il commento sulle sonde anali: non è mio, arriva dal film “Paul” con Simon Pegg. Se non l'avete visto, ve lo consiglio, è fantastico e la voce di Elio che doppia l'alieno è quel qualcosa in più che lo rende un'opera d'arte.

Non so perché Ayako sia fan di Katekyo Hitman Reborn, ma a quanto pare lo è (ha fatto tutto lei, i personaggi hanno già cominciato a fare di testa loro, send help). In ogni caso mi torna comodo: Trident Shamal, il dottore ninfomane della serie, è noto per aver collezionato più di trecento malattie e di aver creato delle zanzare che le trasmettono o che trasmettono la cura. In un episodio, infetta un personaggio con la Sakura Addiction, che lo rende debole in presenza dei fiori di ciliegio; da lì sono partita con un trip mentale sullo stesso tema di questa fic. Nel manga/anime non si nomina mai questa malattia, ma devo dire che Shamal era un candidato perfetto per... /Shamal dalla regia: -Sbaciucchiare la bella Ayako?- IGNORATELO/ ...aver scoperto una cosa simile (ma c'è una malattia che ti uccide in poche ore e nel frattempo elenca ad alta voce tutti i fatti imbarazzanti che ti riguardano, è terrificante XD)

Anyway, cacciamo Shamal in un angolino. Grazie per l'ispirazione.

Fatemi sapere come vi pare questo capitolo, nel prossimo prometto che rivelerò il nome della malattia (anche se so che alcuni di voi hanno già capito), grazie ancora a tutti voi che mi seguite!

XOXO

 

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Capitolo 3
*** Anemone. Then, Cornflower. ***


Hellooo!

Rieccomi col terzo capitolo di questa fic, raga vi giuro che non mi aspettavo un'accoglienza così calorosa! Vi adoro, seriamente. Spero di riuscire a mantenermi all'altezza delle vostre aspettative :3

Per i fiori di oggi ringrazio Aimi_fantasy e _sckarlett_, e come sempre un enorme grazie a tutti voi che mi seguite e sprecate qualche minuto per lasciarmi quei commenti che fanno tanto bene al mio ego di cristallo.

Grazie, grazie, grazie!

Vi lascio al capitolo, come sempre battete un colpo se gradite (e il totofiorellino è sempre aperto ^^)

XOXO

 

 

 

 

 

Il dottor Yamamoto ripose il libro sullo scaffale dopo aver scattato qualche fotografia; arrossì al pensiero di essere andato a trovare la madre solo per cercare quel volume, ordinato secoli prima e che aveva intrattenuto la povera donna per un mese abbondante nel periodo in cui la sua ossessione per i misteri si era concentrata sulle streghe medievali.

La verità è che aveva passato un'infanzia infernale, sotto il giogo di una donna che non aveva retto l'abbandono del marito e si era rivolta a sciocche superstizioni per reggere il colpo; ma, a quanto pareva, non tutte le assurdità in cui credeva erano stronzate complete.

Mangiò la cena con poco appetito, si sforzò come sempre di essere gentile, e appena possibile tornò a casa, lasciando quel sacello di superstizione che odorava di follia; una volta tranquillo, guardò le foto che aveva scattato. Per quanto incredibile potesse sembrare, la malattia di Kaede sembrava essere del tutto simile ad un morbo che sembrava essere piuttosto comune nel Medio Evo, per il quale molte donne erano state ritenute la causa e per il quale erano successivamente state condannate al rogo. Il dottor Yamamoto sospirò. Quella notte avrebbe dovuto ricorrere a dei sonniferi per riuscire a dormire.

 

-Ayako!- chiamò Miyagi, raggiungendo la ragazza durante l'intervallo per il pranzo. Lei finse di ignorare il battito accelerato del proprio cuore e gli rivolse un gesto d'invito. Timidamente, il bel ragazzo si accostò a lei e si sedette al suo fianco sul bordo di un'aiuola: -Hai saputo niente di Rukawa?- chiese, arrossendo. Il giorno precedente, Ayako era arrivata in palestra quasi alla fine degli allenamenti e aveva riferito che non sarebbe stato possibile visitare il ragazzo, perché le sue condizioni si erano aggravate e i medici lo stavano sottoponendo a degli esami.

-Ho sentito sua madre ieri sera. Pare che la crisi sia passata, ma mi ha chiesto di chiamarla prima di metterci in viaggio. Non...ecco, sembra che questi attacchi siano imprevedibili, insomma.

-Cielo. Ma che cos'ha, l'hanno capito?- chiese Miyagi, e Ayako si voltò a guardarlo. Scrutò nelle profondità dei suoi occhi castani, cercando di non smarrirvisi dentro, e dopo una palese esitazione disse: -Devi giurare di non prendermi in giro, Ryota.

-Cosa... ma certo, Ayakuccia, non mi permetterei mai!- rispose lui, quasi indignato.

-Dico sul serio. È una cosa assurda, ma il dottore di Rukawa sta prendendo in considerazione la cosa, quindi può darsi che io abbia ragione. Ma è davvero, davvero assurda.- Miyagi si fece serio. Sembrò lottare con se stesso, poi allungò una mano e prese quella di Ayako, che sussultò.

-Qualsiasi cosa sia, possiamo parlarne. Non ti prenderò per pazza. Siamo tutti preoccupati per Rukawa, persino Hanamichi ha chiesto di lui. Qualsiasi cosa è meglio di niente.- Ayako sospirò.

-Hanahaki.- disse.

-Che?

-Sai quel... quel manga che mi hai consigliato...- Ayako pigolò. Parlarne con un medico in uno studio sterile e asettico, sotto la luce inquietante delle lampade al neon, le sembrava del tutto diverso rispetto a discuterne sotto il brillante sole di maggio. Era come raccontare una storia di fantasmi in un bel pomeriggio di primavera: ridicolo, semplicemente ridicolo.

-Oh, aspetta, mi ricordo. Una delle malattie di Shamal, giusto?

-Sì, ecco... il dottor Yamamoto ha detto che in effetti i sintomi corrispondono.- bisbigliò Ayako. Avvertì un gran calore sulle guance, indicatore del fatto che stava arrossendo alla stragrande.

-Cielo. Spero che non esista anche quella delle cose imbarazzanti.- disse Miyagi, emettendo una risatina stridula, poi si fece serio: -Avevi ragione, è assurdo. Ma se il dottore sta considerando l'idea, potrebbe essere vero.

-Mi credi?- chiese Ayako, incredula.

-Ho letto che c'è un tizio che riceve le stazioni radio tramite le otturazioni. Se credo a quello, posso credere anche a questo.- Miyagi distolse lo sguardo, fissandolo su un ciuffetto d'erba che spuntava spavaldo tra due mattonelle della pavimentazione del cortile, -E poi, sei tu che me lo stai dicendo. E ti conosco, non racconti cavolate.

-Oh, Ryota!- Ayako, senza averlo preventivato, si lanciò in avanti, fiondandosi tra le braccia forti del ragazzo. Si lasciò abbracciare e pianse sulla sua spalla, lasciando uscire tutta l'angoscia provata da quando aveva visto Rukawa tossire pappi di soffione. Miyagi le accarezzò timidamente la schiena e le batté qualche lieve colpetto sulle spalle, poi sciolse a malincuore l'abbraccio. Mise la mano in tasca ed estrasse un pacchetto di fazzoletti di carta; ne estrasse uno e lo porse ad Ayako, che si asciugò le lacrime e soffiò il naso.

-Allora, oggi appena finiscono gli allenamenti chiamiamo per chiedere se possiamo andare a trovare Rukawa. Se per caso ci dicono di no, io e te andiamo comunque e proviamo a vedere se riusciamo a parlare con il dottore. Che ne dici?

-Ok... ma non so a quanto servirà...- rispose Ayako. Stava per gettare la vera bomba: -Ti ricordi come si guarisce dalla hanahaki?

-O ti fai operare o spingi la persona che ami a ricambiare i tuoi sentimenti.- rispose prontamente Miyagi, -Non sarà poi tanto difficile, voglio dire, Rukawa farebbe cadere chiunque ai suoi piedi.

-Chiunque tranne...?- chiese Ayako. Miyagi la guardò, aggrottando un sopracciglio. Boccheggiò, arrossì e infine sibilò: -Sei seria? Hanamichi?- la ragazza annuì.

Miyagi si staccò appena da lei e guardò nel vuoto, poi disse con aria poco convinta: -Allora diremo al dottore che è impossibile. Lo opereranno e tornerà tutto a posto.

-Sì, perché dopo un'operazione ai polmoni e al cuore Rukawa riuscirà a tornare sul campo da basket, secondo te?- Miyagi imprecò.

-Quanto tempo abbiamo?- chiese.

-Da due settimane a tre mesi, se dobbiamo fidarci di Shamal. Porca miseria!- Ayako scattò in piedi e cominciò a camminare rapidamente avanti e indietro, -Ma ti pare normale? Cavolo, siamo qui a parlare seriamente di un manga perché abbiamo scoperto che almeno una delle cose che c'è scritta dentro è vera! E poi, cos'altro deve succedere? Domani atterreranno i Sayan?

-Secondo la timeline di Dragonball, dobbiamo aspettare il tre novembre.- rispose Miyagi, poi si alzò e la prese per le spalle. Ayako lo guardò, lesse la confusione nei suoi occhi e si chiese come facesse a restare così calmo. Si sfregò gli occhi con le mani, sperando incoerentemente di svegliarsi nel proprio letto e scoprire che era stato tutto un incubo, un brutto sogno delirante di quelli che le capitava di avere quando si appassionava troppo a qualcosa di nuovo.

-Parliamo con il dottore, va bene? E poi leghiamo Rukawa ad un letto e vediamo di riuscire a concludere qualcosa con lui. Se lui decide di farsi operare, prima lo aprono e meglio sarà. Ayako...

-Sì?

-Andrà tutto bene. Te lo prometto.- Miyagi le rivolse un tremulo sorriso rassicurante, poi si sporse in avanti e osò baciarle una guancia. Ayako gli passò le braccia intorno al collo e rimasero così, abbracciati sotto ad un albero, fino a quando la campanella di fine intervallo non li distolse.

 

-Allora?- chiese Miyagi, quando alla fine degli allenamenti Ayako riemerse dall'ufficio del professor Anzai, da cui aveva telefonato all'ospedale. La ragazza scosse il capo: -Rukawa non sta troppo male. Ma è tutto il giorno che continua a tossicchiare e si è rifiutato di ricevere visite.- lo fissò per fargli capire di rimandare a più tardi le domande. Nessun altro dei compagni di squadra sapeva dei fiori, e anche ad Anzai era stato comunicato soltanto che Rukawa soffriva di una non meglio precisata patologia polmonare.

-Dobbiamo rispettare la sua volontà.- sentenziò il coach, e i ragazzi a malincuore annuirono; Ayako si guardò intorno e notò l'assenza di Sakuragi, già in spogliatoio. Dannazione, convincerlo ad andare a trovare Rukawa sarebbe stato molto più difficile di quanto pensasse.

Miyagi disse: -Andiamo, ragazzi, a cambiarci! Magari domani Rukawa starà meglio. Su, forza.- i compagni di squadra obbedirono, e invasero lo spogliatoio immersi in chiacchiere preoccupate sullo stato fisico di Rukawa e sul suo rifiuto di ricevere visite: si dividevano tra chi pensava che Rukawa non fosse altro che uno scorfano brontolone e chi credeva che non volesse mostrarsi debole. Miyagi non si espresse, ma protendeva per la seconda opzione: da quel poco che aveva capito del compagno di squadra, opinioni anche confermate da alcune frasi dette da Ayako, Rukawa nascondeva in sé una profonda timidezza e una dose immensa di sfiducia nel prossimo. Mostrarsi debole, per lui, avrebbe significato rinunciare alla maschera da dio sceso in terra e al contempo offrire ad altri la possibilità di attaccarlo.

Quando uscì dallo spogliatoio, per ultimo visto che in quanto capitano della squadra aveva il compito di controllare che tutto fosse in ordine, non vide Ayako da nessuna parte; sospirando, pensò che probabilmente la ragazza non aveva voluto perdere tempo ad aspettarlo. Pensò se raggiungerla all'ospedale, poi desistette: se lei l'avesse voluto, l'avrebbe aspettato. Si trascinò mestamente verso il proprio armadietto per cambiarsi le scarpe, e quando lo aprì trovò un foglio strappato da un quaderno e piegato in quattro. Lo svolse e il cuore gli mancò un battito quando riconobbe al primo istante la calligrafia di Ayako: “Ti aspetto alla fermata dell'autobus. Non voglio che gli altri si mettano in testa di seguirci.” oh, ma quant'era meravigliosa e intelligente quella ragazza? Rincuorato, Miyagi cambiò le scarpe al volo e un po' corse e un po' saltellò verso la fermata dell'autobus; la ragazza lo aspettava a capo chino, il naso infilato in un manga e la cartella posata a terra tra i piedi.

-Boku No Hero Academia? Ayakuccia, mi spezzi il cuore, non stavi leggendo Reborn?

-Finito ieri.- rispose lei, -E sappi che smetterò di fangirlare per quel che fa Xanxus nell'ultima battaglia più e meno nel duemilamai. Questo è carino, comunque, l'hai mai letto?

-No, in realtà mai.- ammise Miyagi, stupito di riuscire a parlare con lei così facilmente.

-Allora poi te lo passo. Ecco il nostro autobus!- Ayako si alzò, e per un attimo Miyagi si baloccò nell'idea di portarle la cartella, poi desistette: la ragazza l'aveva stretta davanti a sé e sembrava a suo agio con essa. Per qualche motivo, Miyagi pensò che lei avesse bisogno di tenere le mani occupate, quindi non agì.

Viaggiarono in un silenzio imbarazzato, e quando arrivarono all'ospedale Miyagi seguì Ayako a due passi di distanza, improvvisamente incerto e impacciato. Gli ospedali gli davano sempre una sensazione di oppressione, con tutto quel fare silenzio e la gente malata che si aggirava con aria smarrita e le persone che piangevano o aspettavano con quell'espressione disperata, e i medici tutti seri, e l'odore, e... -Dottor Yamamoto?- chiamò a bassa voce Ayako. Un uomo piuttosto piacente sulla quarantina le indicò una porta. Ayako vi si diresse, e Miyagi chiese: -Posso...?

-Certo, Ryota, vieni con me, ti prego.- disse lei, e se lo tirò dietro tenendolo per mano. Dopo qualche minuto, il medico entrò e si chiuse la porta alle spalle, poi guardò Miyagi con aria interrogativa. -Dottore, lui è Ryota Miyagi, il capitano della squadra di basket in cui gioca Kaede. È una persona fidata, per favore può restare?- l'uomo sospirò.

-Beh, tanto vale farsi arrestare per una gallina invece che per un uovo, suppongo.- disse infine, poi si sedette e aprì un cassetto con una chiave che prese dalla tasca del camice.

-Non ho bisogno di ripetere quanto queste informazioni siano strettamente confidenziali.- aggiunse, spingendo una cartellina verso i due ragazzi.

Conteneva fotografie e fotocopie di vari libri; alcuni parevano testi accademici, altri erano chiaramente cartaccia per complottisti. Ma tutti riportavano evidenze di una malattia simile a quella di Rukawa, in molti luoghi del mondo e in varie epoche storiche.

-Sembra che fosse una patologia piuttosto comune, in passato.- disse il dottore, mentre guardava i due ragazzi cercare di districarsi tra le moltissime informazioni, -E anche se non ho trovato la prova definitiva, molti studiosi di filologia sostengono che l'opera di Charles Baudelaire, “Les Fleurs du Mal”, si riferisca proprio a quello. Era chiamata così nel Medio Evo, nella bassa Guascogna. Molte donne furono accusate di averla provocata a ignari uomini, e in molte finirono sul rogo. Ma dai pochi diari delle cosiddette “streghe” si evince che in molti si erano semplicemente rivolti agli erboristi quando la medicina dell'epoca aveva fallito.

-Come la curavano, i medici?- chiese Miyagi, curioso.

-Esorcismo. I più delicati facevano mangiare altri fiori al paziente.- Ayako annuì: -Un classico. La cura che ricorda il morbo, come le piume di tordo per le macchie della pelle.- il medico sorrise, come un professore orgoglioso di un'ottima deduzione del proprio scolaro.

-Esattamente. Le “streghe”, invece, avevano capito che aveva a che fare con i sentimenti, ma molte sono morte prima di poter riportare le proprie osservazioni sul decorso. Pare comunque che la soluzione consigliata fosse di cercare di conquistare la persona amata.

-Si dice la stessa cosa per la hanahaki. Dev'essere per forza la stessa malattia.- ribatté Ayako.

-L'alternativa sarebbe operarlo ed estirpare tutto quel che c'è.- aggiunse Miyagi, e il medico annuì.

-Naturalmente, non ho idea di come dirlo a Kaede.- Ayako e Miyagi si guardarono in faccia, ma non seppero cosa rispondere.

 

-Eheheh, il Genio sa sempre quando dare il colpo di grazia!- ridacchiò sottovoce Sakuragi, entrando in ospedale dalla porta dell'obitorio. Per passare inosservato, si era avvolto in una mezza dozzina di sacchi della spazzatura, si era sdraiato su una barella sgraffignata dai suoi compari e ora si faceva spingere da Mito, che indossava il camice da medico dell'Halloween precedente. Sperava solo che nessuno notasse gli schizzi di sangue finto che lo costellavano.

-Hana, sei sicuro che sia il caso?- bisbigliò quando le porte dell'ascensore si chiusero. Sakuragi rotolò giù dalla barella e si strappò di dosso la plastica scura.

-Stai scherzando, Mito?! Quella Volpaccia maledetta è all'ospedale, posso forse perdermi l'occasione di prenderlo per il culo?!

-Mi sembra un po' crudele per i tuoi standard, ecco tutto.- disse Mito, porgendogli il proprio camice. Che poi, a dirla tutta, non capiva come mai non fossero entrati dall'ingresso principale e avessero invece dovuto mettere in piedi tutta quella pantomima.

-Come, crudele?! Lui mi prende per il culo ogni giorno! Pan per focaccia, amico, pan per focaccia.

-Sì, ma lui non ti ha preso per il culo quando ti sei fatto male per davvero.- ribatté Mito, un po' perplesso per quella che gli sembrava una mossa un po' troppo fuori personaggio per il suo amico. Insomma, va bene, lui e Rukawa si prendevano costantemente a cornate, ma nessuno dei due era stato mai proprio crudele. Andare a prenderlo per il culo mentre era in un letto d'ospedale, affetto da una malattia non meglio precisata, era una cattiveria bella e buona.

Sakuragi non si degnò di rispondere: l'ascensore era arrivato al piano dove c'era il reparto di pneumologia, e lui scattò fuori come se qualcuno lo stesse inseguendo. Mito sbuffò, raccolse la plastica appallottolata da terra e premette il bottone per tornare al pianterreno: non voleva rendersi partecipe di quella boiata.

Sakuragi sgattaiolò platealmente lungo il corridoio, spiando in ogni stanza. Apparentemente, era ignaro del fatto che stava attirando più attenzione così di quanta ne avrebbe attirata entrando come un comune mortale e camminando come un essere umano. Finalmente, alla millemillesima stanza, ecco Rukawa, ancora più malmostoso del solito, tutto preso ad allineare quelli che sembravano fiori sul lenzuolo di fronte a sé. Mentre Sakuragi lo guardava, il moro emise un debole colpo di tosse e qualcosa volteggiò fuori dalla sua bocca; Rukawa lo acchiappò al volo, lo guardò come se cercasse di capirci qualcosa e lo appoggiò insieme agli altri.

-Oi, Volpe, ma si può sapere che diavolo hai?- Rukawa sussultò al suono della voce di Sakuragi e i fiorellini veleggiarono giù dal letto; il moro, troppo stupito, non rispose. Il rosso entrò a passi lenti e si chinò verso il pavimento per raccogliere quelle cosine che ci erano cadute sopra ed esaminarle.

-Non farlo.- disse Rukawa in tono piatto, -Mi sono uscite dai polmoni, potrebbero essere infette.

-EH?! In che senso, ti sono uscite dai polmoni?- chiese Sakuragi, ritraendo di scatto la mano; pur non avendo toccato nulla, si pulì la punta delle dita sul camice; poi, parve realizzare che lo stava ancora indossando. Lo tolse e lo appoggiò su una sedia.

-Nel senso che ho i polmoni pieni di fiori. E ogni tanto ne tossisco qualcuno.

-Ma mi prendi per il culo?- lo aggredì Sakuragi.

-Mi piacerebbe, Do'aho, credimi. Cosa pensi, che mi diverto a soffoc... ha... rhe?- ribatté Rukawa. Sul finale della frase, il pizzicore in gola che l'aveva tormentato tutto il giorno tornò. Proprio quando sembrava essere passato, pensò Rukawa, tossendo.

-Ehi...- disse Sakuragi, stupito, e gli si avvicinò. Con aria confusa, gli batté una mano sulla schiena e chiese: -Vuoi... che ne so, dell'acqua?- Rukawa scosse la testa, poi la tosse si arrestò di colpo com'era cominciata. Rukawa spinse il fiore verso le labbra usando la lingua, poi se lo tolse di bocca con due dita e lo guardò; aggrottò la fronte.

-Va meglio?- chiese Sakuragi.

-Sì... strano.- disse Rukawa, pensoso.

-Ma spiegami, fai così ogni volta? Cioè, è strano sì, ma se lo fai due giorni dovresti aver smesso di stupirt...- Rukawa lo interruppe: -Questo è diverso dagli altri.

-In che senso, è diverso?- chiese Sakuragi, suo malgrado incuriosito.

-È tutto il giorno che tossisco fiorellini con cinque petali, semplici semplici. Questo, invece, è diverso.- Sakuragi si piegò e raccolse uno dei fiori caduti, poi concordò: -Eh, hai ragione. Ma cosa vuol dire?- Rukawa lasciò cadere l'ultimo fiore, dalla corolla blu con molti petali.

-Che ne so, idiota.- rispose in tono stanco, -Non so perché tossisco fiori, dovrei sapere perché tossisco fiori di diverso tipo?

-Cazzo!- esclamò Sakuragi, -Ho toccato uno di quei cosi che hai tossito, adesso mi prenderò anch'io la tua malattia e mi rinchiuderanno con te!

-Io ti avevo avvisato.- ribatté Rukawa, poi si lasciò cadere sui cuscini. Con una parte della mente avvertì dei movimenti al proprio fianco, ma non vi badò: probabilmente Sakuragi se ne stava andando. Ecco una bella occasione persa di chiedergli cos'era venuto a fare.

-Certo, però, Volpe...- disse la sua voce da un punto vicino al suo fianco. Rukawa sussultò e aprì gli occhi: Sakuragi era seduto accanto al letto e aveva appoggiato le braccia incrociate sulla sbarra laterale. -Tu il divertimento lo ammazzi proprio.

-Nh?

-Ero venuto qui a prenderti un po' per il culo e invece tu sei qui con una roba misteriosa, e tossisci fiori e hai la faccia di uno che ha un piede nella fossa...

-Mi sento come se avessi un piede nella fossa, non è solo la faccia.

-...insomma, mi hai rovinato il divertimento!

-Ah, beh, chiedo scusa, Vostra Imbecillità.

-Vedi di ripigliarti, così posso ricominciare a prenderti a cazzotti.

-Nh.

-Tornerò domani a vedere se stai meglio.- annunciò Sakuragi, alzandosi. Rukawa si sentì arrossire e sperò che l'altro lo interpretasse come un sintomo della malattia.

-Non disturbarti.- disse, fingendo indifferenza.

-Nessun disturbo. Ormai ero partito con la voglia di prenderti per il culo e ho intenzione di farlo il prima possibile. Non vorrai privarmi di questa opportunità?

-Ah, ecco, mi pareva.- per qualche motivo, Rukawa si aspettava un altro attacco di tosse da un momento all'altro, ma non accadde nulla.

-Scherzi a parte, Volpe, ti passo a trovare. Buonanotte.

-...'notte.- Sakuragi si infilò le mani in tasca e uscì. Dimentico della sua sciocca pantomima, camminò ciondolando verso l'uscita, e nemmeno vide Ayako e Miyagi che uscivano da una porta insieme a un uomo in camice da dottore.

Per tutto il viaggio verso casa si chiese come mai la vista di Rukawa malato, debole e vulnerabile, invece di farlo gongolare gli aveva fatto passare la voglia di ridere.

 

 

 

 

Anemone: attesa, abbandono

Fiordaliso: speranza di creare un legame

 

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Capitolo 4
*** Yellow Carnation ***


Ciaossu,

chiedo scusa, oggi capitolo breve e non molto indolore, più presentazione loffia perché ho il morale sotto ai piedi. Grazie a chi continua a seguirmi, come sempre se gradite battete un colpo!

XOXO

 

 

 

 

Rukawa rimase in silenzio per molto tempo dopo che il dottor Yamamoto ebbe terminato di spiegargli in cosa consisteva la sua malattia.

Parlò solo quando Ayako si mise a esporre, molto delicatamente e a voce molto bassa, quale secondo lei fosse l'oggetto dei suoi sentimenti e, di conseguenza, la causa del morbo: -Fuori. Tutti.- disse soltanto.

Fosse stata un'altra persona, sicuramente avrebbe piantato su un casino, protestato, urlato, magari anche pianto: ma lui era Kaede Rukawa, e Kaede Rukawa non si scompone mai.

Beh, quasi mai.

Non appena la porta della sua stanza si fu richiusa con un sommesso “clic” alle spalle di Ayako, Miyagi e del medico, Rukawa si accoccolò su se stesso e si mise le mani in faccia.

Innanzitutto, per cominciare su una base abbastanza neutra di ragionamento, non credeva di essere stato così trasparente. Pensava di essersela giocata bene, come Johnny Depp in quel film dove interpreta un infiltrato dell'Fbi e spinge un boss mafioso a fidarsi completamente di lui, e invece eccolo scoprire di punto in bianco di essere lo zimbello degli altri.

Va bene, non di tutti, ma almeno di Ayako e Miyagi. Non aveva ben capito come lei ci fosse arrivata, né tantomeno come ci fosse arrivato il capitano, visto che con la prima lui si era ben guardato dal mostrare sentimenti propri al di là della passione per il basket e che il secondo sembrava sempre e solo concentrato sull'obiettivo di conquistare la sua Ayakuccia. Rukawa aveva sempre dato per scontato che il ragazzo soffrisse di una visione a tunnel degna di un cavallo con i paraocchi, e invece a quanto pareva non era così.

A meno che Ayako non gli avesse spifferato tutto, si disse, e al diavolo tutti i bei pensieri di amicizia che aveva riversato in lei per tanto tempo, e alla faccia dello psicologo della scuola che gli aveva caldamente raccomandato di aprirsi un po' con gli altri: balle! Aprirsi significa schiudere la porta, e schiudere la porta significa che chiunque può entrare. E i benintenzionati che entrano dove non sono invitati sono davvero, davvero pochi: a lasciare la porta aperta ci si ritrova molto più comunemente con la casa svaligiata, i mobili fracassati e magari anche un bello stronzo fumante sul letto.

Rukawa prese un respiro tremolante e cercò di riguadagnare un minimo di lucidità mentale: Ayako non era una cattiva ragazza, e non era il tipo da spettegolare. Quando Haruko si era messa con Aota e in spogliatoio avevano cominciato a girare battutine, lei si era dapprima astenuta, e poi aveva preso le redini della cosa, facendo irruzione nelle docce e rimproverando aspramente i ragazzi; per quanto in un primo momento l'unico risultato era sembrato essere un fuggi fuggi generale alla ricerca di mutande, accappatoi e asciugamani, le battute si erano arrestate.

Questo significava che Ayako fosse subdola? Prendere i ragazzi nel loro momento di maggiore vulnerabilità era senza dubbio una mossa inaspettata, come un blitz a mezzanotte, ma Rukawa non avrebbe potuto, in coscienza, dire che la cosa non era stata fatta con la migliore delle intenzioni. Parlando con la ragazza, qualche giorno dopo, Ayako gli aveva rivelato che Haruko aveva subodorato il loro scherno, e stava pensando di ritirarsi dal club di basket o di lasciare Aota: era sensibile alle prese in giro, e non credeva di poterlo sopportare.

Quindi, alla luce di ciò, come interpretare il fatto che Ryota “Anata Dake Mitsumeteru” Miyagi sapesse della segreta cotta di Rukawa per Sakuragi? Il moro meditò a lungo, e infine si disse che forse, data l'amicizia del capitano con il rosso, Ayako aveva pensato di fare la cosa giusta a coinvolgerlo: chi meglio di lui avrebbe potuto aiutarla a fare da Cupido? A parte Mito, che comunque sembrava essere un amante del poco noto hobby di farsi i cazzi propri, probabilmente nessuno conosceva Sakuragi Hanamichi a tal punto da sapere come fare a buttare giù piccole allusioni senza correre il rischio di essere fatto a pezzi, sventrato e poi seppellito in un cantiere.

Plausibile, e sotto un certo punto di vista anche gentile, eppure Rukawa non riusciva a vederla come una mossa del tutto onesta. Ayako sapeva quanto Rukawa amasse mantenere la propria privacy, e prima di allora non aveva mai fatto trapelare nulla degli affari suoi, almeno nulla di cui Rukawa fosse a conoscenza. Cercò di ripetersi che probabilmente la ragazza aveva anche altri motivi che a lui sfuggivano, ma non riuscì a rispondere quando la voce nella sua mente gli chiese quali fossero.

E, in ogni caso, non credeva davvero che Miyagi sarebbe riuscito a convincere Sakuragi che Rukawa fosse un buon partito. Forse ci sarebbe riuscito solo Michael Jordan, se fosse apparso alla palestra dello Shohoku, ma probabilmente avrebbe prima dovuto perdere tempo a presentarsi e a far capire che lui era lo stesso tizio che il rosso aveva visto alla tv quando con i compagni si erano riuniti tutti a casa Akagi per vedere le finali dell'NBA. E forse gli sarebbe convenuto anche portarsi dietro una dichiarazione scritta e controfirmata da qualche pezzo grosso per garantire sulla propria identità. E un test del DNA. Ammesso e non concesso che Sakuragi non si mettesse comunque a sbraitare di imbrogli e complotti come suo solito, quel ragazzo sapeva essere davvero idiota quando ci si metteva... e va bene, anche quando non ci si metteva.

Oh, balle!

Rukawa si lasciò cadere di schiena sui cuscini, e non si premurò di risistemarli anche se con il suo movimento in avanti si erano spostati; rimase lì, incurvato all'indietro, scomodo come un ciclista su una bicicletta senza sellino, a riflettere su Sakuragi.

Quel ragazzo gli era entrato dentro, metaforicamente parlando, sin dal loro primo incontro. Ok, dalla loro prima scazzottata, e va bene. Ma Rukawa aveva realizzato che quella sensazione nella pancia non era un tamagoyaki indigesto ma solo la famigerate “farfalle nello stomaco” solo quando, poche ore dopo, l'aveva visto gettarsi nella sfida disperata contro Takenori Akagi. Aveva visto in lui la stessa determinazione che era l'unico tratto caratteriale di sé che amava, circondato da un seducente sprezzo del pericolo, da un umorismo trascinante e in qualche modo autoironico, e poco a poco aveva cominciato a cogliere degli sprazzi di ciò che si nascondeva dietro alla sua facciata di buffone megalomane. La sua insita insicurezza, il suo buon cuore, il senso della giustizia, il modo in cui si impegnava per fare il finto tonto quando, almeno agli occhi di Rukawa, aveva capito benissimo cosa stava succedendo, tutte cose che era certo che Sakuragi cercasse strenuamente di nascondere. Aveva raccolto qui e là informazioni su di lui, discernendole dalle conversazioni origliate tra lui e i suoi amici e raccogliendole poi di prima mano pedinandolo fino a casa, nel vano tentativo di trovare qualcosa che convincesse il suo stupido cuore a disamorarsi di quel tornado umano, inutilmente. L'aveva visto sfoderare un lato più dolce e affezionato, cucinare per la madre e occuparsi della casa al posto suo, che diamine, l'aveva addirittura visto aiutare una vecchietta a portare la spesa! E poi, di nuovo con gli amici, rieccolo a fare il duro e il pagliaccio, con quei ritardati che parevano cascarci in pieno; tranne Mito, che aveva sempre l'aria di saperne molto più di quel che diceva, e che Rukawa aveva visto intrattenersi in lunghe, serie conversazioni sussurrate con Sakuragi, soli al parco o in casa di quest'ultimo.

Era curioso, pensò incoerentemente, come pensare alla propria insicurezza lo facesse solo incazzare e ripetere a se stesso di farsi crescere un paio di palle, mentre pensare all'insicurezza di Sakuragi gli faceva invece venir voglia di andare da lui, prendergli il viso tra le mani, coccolarlo e baciarlo e rassicurarlo che non c'era nulla di cui lui dovesse preoccuparsi, che era unico e insostituibile e che il mondo sarebbe stato un posto molto più buio senza di lui. Ma forse, si disse, derivava dal fatto che a prescindere da quanto profonda fosse la sua insicurezza, Sakuragi in un modo o nell'altro trovava sempre la forza di alzare la testa e far sentire la propria voce. Gli tornò in mente una vecchia intervista a Freddie Mercury, nella quale il giornalista gli aveva chiesto cosa ne pensasse della stampa che nell'ultimo periodo era stata molto severa nei suoi confronti; la star aveva risposto “Beh, perlomeno stanno parlando di me!” e se da un lato Rukawa si rendeva conto che fosse una frase facile da travisare, dall'altro riconosceva in essa una grande forza. Non si trattava di far parlare di sé in ogni caso, bello o brutto, facendosi notare con scandali e negatività; era un riconoscere che la qualcuno avrebbe sempre parlato male, che questo era uno dei tanti costi della notorietà e che non valeva la pena di prendersela. E Sakuragi sembrava vivere allo stesso modo: qualcuno avrebbe in ogni caso parlato di lui, per la sua aria da teppista, per il suo fare esuberante, per i suoi capelli rossi, così inusuali per un giapponese, quindi tanto valeva continuare a farsi vedere e farsi dire le cose in faccia invece che alle spalle. Invece, Rukawa curava la propria insicurezza mostrando una facciata quanto più vicina possibile alla perfezione: aveva il sacro timore, mai confessato ad anima viva, che non avrebbe saputo reggere le critiche, anche quando queste fossero state del tutto infondate.

 

E ora, quel meraviglioso ragazzo che Rukawa non riusciva a smettere di amare avrebbe potuto essere la causa della sua morte, o peggio della sua rovina.

Stando a quel che aveva detto il dottor Yamamoto, non c'era modo di guarire dalla sua malattia se non spingendo in un modo o nell'altro la persona amata a ricambiare i propri sentimenti. Mestamente, Rukawa ripensò al famoso discorso di Michael Jordan sul numero di tiri fatti, sull'esercizio e la preparazione, e i fallimenti e tutto ciò che l'aveva portato ad essere il grande campione che era diventato, e si chiese quanto avrebbe potuto reggere, di spirito e di corpo.

Quanto al corpo, lo strumento di cui si era servito per tutta la vita sembrava aver deciso di tradirlo all'improvviso, regalandogli quella splendida asma ricorrente, la tosse e la debolezza che conseguiva alle sue crisi respiratorie. E il medico aveva detto che pareva che le condizioni tendessero a peggiorare gradualmente, fin quando il paziente non moriva a causa dell'infestazione di fiori nel cuore e nei polmoni. Da poche settimane a un paio di mesi, aveva detto, ammettendo di non sapere se l'aspettativa di vita dipendesse dallo svolgersi dell'azione, dalle condizioni fisiche di partenza o da un miscuglio di entrambe le cose.

Quanto alle condizioni di partenza, Rukawa era già terrorizzato alla velocità di degenerazione del proprio corpo in soli due giorni; e quanto allo svolgersi dell'opera di convincimento, le speranze di successo erano così basse da essere praticamente inesistenti.

(Ma ti è venuto a trovare! Voleva prenderti in giro ma non l'ha fatto! Quindi forse...!)

Rukawa tacitò la voce speranzosa nella sua mente schiaffandosi un cuscino in faccia. Era inutile farsi viaggi mentali di quel genere quando c'era in ballo la sua sopravvivenza. Potevano essere un piacevole diversivo quando si voleva fuggire da una lezione di storia di quelle che ti fanno cadere le palle, ma illudersi di qualcosa di inesistente in quella precisa situazione era addirittura dannoso.

Il dottor Yamamoto aveva detto chiaramente che avrebbe dovuto prendere una decisione alla svelta, se avesse voluto optare per un'operazione chirurgica.

Aveva studiato le radiografie, e aveva detto che c'erano ottime probabilità che Rukawa se la cavasse bene se fossero intervenuti in fretta, ma Rukawa non aveva risposto.

Non era da lui decidere di mollare prima ancora che fosse iniziata la partita, e di solito quando si sentiva messo alle strette non faceva altro che gettarsi irato nella mischia, deciso a prendersi i suoi punti, mettere a segno i suoi canestri e portarsi a casa la partita.

Il punto era che non sapeva se una partita ci fosse: non si stava battendo contro un altro giocatore al cui livello poteva aspirare ad essere, si stava gettando nella mischia alla cieca senza neanche sapere come funzionasse il gioco.

Per quanto ne sapeva, avrebbe potuto rendersi conto troppo tardi di essersi presentato con una racchetta da tennis a una lotta con armi da fuoco.

O accorgersi, come Sakuragi alla sua prima partita, di avere sì delle buone potenzialità, ma di mancare delle basi necessarie per poterle mettere a frutto nello spazio di poche, cruciali decine di minuti.

Ancora lui, basta! Kaede, cazzo, ricomponiti!

Un pizzicore in gola; Rukawa lo accolse con un misto di terrore e rassegnazione, e prese in mano il pulsante con cui avrebbe potuto chiamare aiuto. Non si sentiva molto in vena di assistere nuovamente al viavai di medici e infermieri, ma riconosceva che decidere di crepare sul posto per l'ennesimo attacco di fiori era una via d'uscita quantomeno frettolosa, se non codarda.

Assecondò la tosse il più possibile, e non notò la porta che si apriva e il dottor Yamamoto che entrava; avvertì tuttavia le sue braccia che lo spingevano a spingere in fuori il petto e a ribaltare indietro la testa, per assicurare la massima ampiezza delle vie aeree.

La tosse gli rimbombava nel petto, percuotendosi nella gabbia toracica come se qualcuno gli stesse assestando dei violenti colpi al plesso solare, e Rukawa si sentì pian piano scivolare via.

L'ultima cosa che percepì, quando finalmente il fiore -un cosino giallo con tantissimi petali- si staccò dalla sua gola e gli volò nella mano che aveva alzato a coprire la bocca in un gesto di buona educazione che ormai gli era automatico, fu una sensazione di calore nel braccio destro.

Poi, l'oscurità lo avvolse.

 

Il dottor Yamamoto incrociò lo sguardo dell'infermiera e annuì; la donna terminò di svuotare il sedativo nella flebo del ragazzo e ripose la siringa, accuratamente smontata, sul vassoio d'acciaio del carrellino che si era portata nella stanza quando il medico l'aveva chiamata a gran voce.

-Questo fiore è diverso dal primo che ha tossito.- disse la donna.

-Siamo al quarto tipo di fiore. Ma che io sia dannato se capisco il perché.- ribatté il dottor Yamamoto, lasciando cadere il fiorellino in una provetta sterile; chiuse il tappo a vite con un gesto esperto e stizzoso, poi si tolse i guanti e li gettò nel cestino della spazzatura.

-Questo è un garofano giallo,- disse l'infermiera, -Non so se può avere un senso, ma nella hanakotoba significa “rifiuto, disdegno”.- il dottor Yamamoto la squadrò per un lungo minuto senza parlare. L'infermiera aprì la bocca, come per cercare di scusarsi, ma non trovò il coraggio.

-Sa, infermiera Sawada... se non è inopportuno, la inviterei a venire a vedere la mia collezione di fiori.- la donna emise un risolino imbarazzato e il medico corresse il tiro: -Mi perdoni, volevo sdrammatizzare. Le sarei grato se mi aiutasse a capire cosa significano gli altri fiori.

-Senz'altro, dottor Yamamoto. Tutto quello che posso fare per questo ragazzo.- rispose la donna con un piccolo inchino. Il medico annuì in segno di ringraziamento, poi controllò che i parametri vitali di Rukawa fossero stabili.

Appuntò sulla cartella appesa ai piedi del suo letto la quantità di sedativo iniettato e l'ora della somministrazione, poi uscì dalla stanza insieme all'infermiera.

 

 

Garofano giallo: rifiuto, disdegno

 

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Capitolo 5
*** Begonia. Cornflower again. ***


Ciaossu, minna!

Muoviamo un po' le acque, che ne dite?

Comunicazione di servizio: miracolosamente, giovedì parto per le vacanze (yattaaa!) per tipo la prima volta da anni, non mi porterò il pc quindi temo che lunedì non potrò aggiornare. Tornerò con nuove energie (e probabilmente nuovi infortuni, visto che andrò in falesia) la settimana successiva.

Vi lascio al capitolo, come sempre grazie per il vostro supporto!

XOXO

 

 

 

 

 

Mito si alzò subito dal letto quando sentì il ticchettio dei sassolini contro la finestra; non si era neanche preso la briga di fare un reale sforzo per addormentarsi, sapeva che quell'imbecille del suo migliore amico si sarebbe presentato a casa sua con un nuovo patema d'animo da condividere.

Andò alla finestra, la aprì e fece cenno di salire senza nemmeno guardare giù; il fruscio di qualcuno che si arrampicava sull'albero di fronte, e pochi secondi dopo Sakuragi stava scavalcando il davanzale. -Ciao. Allora, com'è andata?- chiese, accomodandosi di nuovo sul letto.

-Una merda.- rispose Sakuragi. Mito sollevò un sopracciglio nella penombra, in una muta richiesta di avere ulteriori informazioni. Sakuragi prese il respiro più volte, e più volte aprì la bocca come per parlare, poi scosse la testa e disse semplicemente: -Mi ha spezzato il cuore vederlo così.- Mito sbatté le palpebre, stupito. Si era aspettato che Sakuragi si rendesse conto che stava facendo lo stronzo con Rukawa, ma da lì a una cosa del genere ne passava, di strada.

-Se lo dici a qualcuno ti strozzo.- aggiunse Sakuragi a mezza voce.

-Non devi neanche dirlo, scemo. Cos'è successo?- Sakuragi sospirò e si sedette per terra a gambe incrociate. Senza alzare lo sguardo, disse: -Ha una malattia stranissima, mai sentita. Ogni tot, senza preavviso, si mette a tossire fiori.

-Fiori?! Hana, stai delirando?!

-Mi piacerebbe, Yo, te l'assicuro. Gliel'ho visto fare, ti giuro pensavo che mi schiattasse lì sul momento. E da come l'ha presa, secondo me non era neanche tra le crisi peggiori.

-Quindi ammetti di esserti comportato da stronzo?- chiese Mito. Sapeva quanto l'argomento malattie fosse duro per il suo migliore amico, che aveva visto suo padre soffrire di patologie cardiache da quando aveva memoria, e sapeva anche che il miglior atteggiamento per fargli sputare quello che lo turbava era avanzare come un carrarmato.

-Sì, lo ammetto. È che non pensavo che fosse così grave, voglio dire, Rukawa che sta male? È una cosa che non riesco a concepire, quello rimbalza sempre in piedi, sembra uno di quei pupazzi ad aria che mettono fuori dalle concessionarie nei film americani. Lo stendi e si rialza, lo stendi e si rialza. Non mi aspettavo di trovarlo a letto, tutto piegato come un vecchietto.

-Caspita, è davvero così grave?

-Non lo so. E non credo che lo sappia neanche lui, ha detto che nessuno sa cosa gli sta succedendo.- Sakuragi concluse la frase in una maniera che a Mito parve un po' frettolosa. Certo, non si era interrotto a metà, il senso era chiaro ed esposto da cima a fondo, eppure aveva aumentato la velocità sulle ultime parole, come se volesse smettere di parlare al più presto.

-Hana, sputa il rospo. Sai che qualsiasi cosa mi dirai non uscirà da qui.

-Mi prenderai per il culo?- chiese Sakuragi in un filo di voce. Come sempre, Mito si stupì della sua capacità di parlare in sussurri: a sentirlo per strada, non lo si sarebbe ritenuto capace, eppure sapeva essere il miglior bisbigliatore del mondo quando voleva.

-No, scemo. Avanti, spara.- lo incoraggiò Mito. Si udirono settantatré piccoli scatti della lancetta dei secondi sulla sveglia, poi Sakuragi confessò con voce rotta: -Ho paura che muore, non voglio che muore.- e scoppiò in lacrime.

 

Ayako era tornata a trovare Rukawa, che l'aveva lasciata entrare solo perché non aveva le forze di spiegare a sua madre come mai non gli andasse di vedere la ragazza, il suo supposto tradimento e tutto il resto. Ayako era sola, e spiegò che Miyagi era rimasto a scuola per sottoporre un paio di matricole ad allenamenti mirati sui tiri da tre; Rukawa non rispose.

-Kaede, per favore, mi dici cosa ti prende? Se non mi parli non posso aiutarti.

-Non ti dico proprio niente. Altrimenti poi tu corri da Ryochin e gli spiattelli tutto.

-Ma che cosa stai dicendo?- chiese Ayako, ferita.

-Oh, quindi è stato un uccellino a raccontare a Miyagi che ho una cotta per l'idiota?

-Kaede, non prendertela, per favore. Sono preoccupata da morire per te, e sai che non ho poi questa gran schiera di amici... dovevo parlare con qualcuno, altrimenti sarei scoppiata.- Rukawa tacque. Quella era la risposta che non era riuscito a dare alla propria mente, quando gli aveva chiesto quale sarebbe potuta essere la “buona ragione” per cui Ayako aveva vuotato il sacco con Miyagi.

E, doveva ammetterlo, era un'ottima ragione.

Cercò di vedere le cose da una prospettiva esterna: il campione della squadra, quello che non manca un allenamento neanche con trentotto di febbre, quello che si spinge sempre al limite e a volte anche un po' oltre, fino a collassare in campo, quello che ha effettuato un tiro libero ad occhi chiusi durante il campionato nazionale, eccolo ora costretto in un letto, con addosso un pigiama a righine azzurre, i capelli scompigliati e una faccia da buttar via. Si alzava solo per andare in bagno, era troppo debole persino per lavarsi senza aiuto, e aveva visto fin troppo bene quanto il proprio viso sembrasse scavato e quasi vecchio nella stanchezza e nella disperazione.

I muscoli gli dolevano costantemente, ogni attacco di tosse era quasi una tortura, e oltre al cortisone ormai gli venivano somministrati anche antidolorifici. Immaginò di vedere Sakuragi in quelle condizioni e capì alla perfezione il bisogno di Ayako di condividere il peso con qualcuno.

-No, cazzo.- bisbigliò Rukawa, mentre un ormai familiare pizzicore gli invadeva il retro della gola, -Basta, pietà.- aggiunse, poi cominciò a tossire.

-Kaede, cosa succede?- chiese Ayako rapidamente. Rukawa capì che la ragazza, conoscendo la causa del suo male, si era resa conto che qualche pensiero aveva scatenato la crisi; tra un colpo di tosse e l'altro, Rukawa chiese: -Lui... sta... bene?

-Sta bene? Oh, sì, è sano come un pesce, non ti devi preoccupare per la sua salute.- Ayako meditò se aggiungere che sembrava solo molto preoccupato e che un paio di volte aveva chiesto notizie di Rukawa, ma sorvolò: non sapeva se quello avrebbe fatto passare la crisi o se l'avrebbe invece peggiorata, e le condizioni dell'amico la preoccupavano parecchio.

Lo strinse tra le braccia mentre l'attacco di tosse sfumava poco a poco; infine, Rukawa tossì qualche sparuto petalo di colore rosa chiaro e si ridistese.

-Passami quella boccetta, per favore.- disse con voce sorda. Ayako si voltò e prese una provetta vuota da un tavolino mobile che non aveva notato prima; gliela passò e Rukawa vi fece cadere dentro i petali, poi prese un pennarello dal comodino e scrisse data e ora sull'etichetta.

-Li stanno catalogando?

-Stanno facendo uno studio. I fiori spesso sono diversi da un momento a un altro, e stanno cercando di capire perché. Un'infermiera ha detto che forse c'entra qualcosa con il significato dei fiori, ma non mi ricordo quando e come li ho tossiti.- Rukawa chiuse la provetta e la diede ad Ayako perché la rimettesse sul tavolino. La ragazza disse: -Adesso a cosa stavi pensando? Potresti scriverlo, così non te ne dimentichi.

-Ho provato a mettermi nei tuoi panni. E ho immaginato di vedere lui così.- Ayako si sedette, si mise la cartella sulle ginocchia e prese un piccolo raccoglitore ad anelli. In bella calligrafia, annotò quel che aveva detto Rukawa, la data e l'ora, poi tolse alcuni fogli già scritti e appoggiò il quaderno sul comodino. -Ecco. Te lo lascio qui, io ne prendo un altro tornando a casa. Magari non serve a niente, ma potrebbe anche...

-EHI VOLPACCIA!- il cuore di Rukawa fece una dolorosa capriola nel suo petto mentre Sakuragi entrava trionfalmente nella stanza. Ayako trillò: -Oh, ma guarda chi c'è! Allora anche tu hai un cuore, Hanamichi!

-Oh, eh, ah, mmmh, torno più tardi vedo che sei impegnato non voglio distur...

-HANAMICHI SAKURAGI!- tuonò Ayako, sfilando il ventaglio dalla cartella.

-Mapporc...

-Porta qui quelle chiappe, immediatamente!- ordinò la ragazza. Sakuragi alzò le mani come se lei lo stesse minacciando con una pistola e si sedette sull'unica sedia rimasta libera. Rukawa rabbrividì alla sua vicinanza: sembrava che per qualche motivo Sakuragi emanasse calore, un calore confortante, come quello di una coperta calda e pesante nel cuore dell'inverno.

-La violenza non è mai la soluzione, Ayako, dovresti cercare di... AHIA!- Rukawa trattenne un ghigno quando Ayako si sporse oltre il suo letto per mollare a Sakuragi una bella sventagliata sulla testa, poi dovette aggrapparsi ai supporti metallici quando il rosso si aggrappò al bordo del materasso nel tentativo di nascondersi dalla furia della loro manager.

Ayako si sedette di nuovo, soddisfatta del risultato ottenuto, poi disse: -Comunque io adesso devo andare, quindi mi fa comodo che sia arrivato qualcuno. Resti tu con Rukawa fin quando non torna sua mamma?- chiese con voce dolce, come se non l'avesse appena bastonato malamente.

-Agli ordini.- pigolò Sakuragi, ancora intimorito: Ayako sembrava essersi calmata, ma il ventaglio non era tornato nella cartella, quindi poteva essere ancora pericolosa.

-Bene, allora vado. Magari domani passo con Ryota, ti andrebbe, Kaede?- chiese la ragazza, chiudendo la cartella. Rukawa vide la testa di Sakuragi spuntare dal lato del letto, e poi riaffondare una volta constatato che sì, la cartella era chiusa ma il ventaglio era ancora nella mano destra di Ayako. Represse un altro ghigno.

-Sì, va bene. Ma se deve allenare i ragazzi, non disturbarlo.

-Oh, non preoccuparti, domani passa Mitsui, non ha lezioni in università e ha detto che allenerà lui le nostre due promesse!- Sakuragi osò sollevare la testa per mettersi più comodo, e subito il ventaglio di Ayako si abbatté su di lui: -AHIA! E questo perché?

-Perché dovresti prendere esempio da Rukawa! Guardalo, è in un letto d'ospedale e si preoccupa della squadra, non come te che in questi giorni arrivi, fai il minimo indispensabile e poi te ne vai!

-Ayakooo!- gemette Sakuragi; per qualche motivo, arrossì. La manager gli puntò contro il ventaglio e disse: -Non mentire, è così. Vedi di darti una raddrizzata, altrimenti ti stacco la testa a sventagliate.- Sakuragi mormorò qualcosa di molto poco educato, e Ayako uscì salutando con la mano. Rukawa disse: -Adesso puoi alzarti, è andata via.

-Sicuro?- chiese Sakuragi; i suoi occhi sbucarono da dietro il materasso.

-Sicuro.

-Cazzo, ultimamente è isterica. È preoccupata per te e si sfoga malmenando noi. Vedi di rimetterti in fretta, prima che rovini definitivamente il magnifico cervello del Tensai.

-Farò del mio meglio, ho a cuore la salute degli esseri mitologici.- ribatté Rukawa. Sakuragi lo guardò stupito, poi si rese conto che il moro aveva appena detto di catalogare il suo cervello nella lista delle cose che non esistono, insieme agli Ogopogo, agli unicorni e al mostro di Lochness: -EHI! E io che ti vengo pure a trovare!

-A proposito, che ci fai qui?- chiese Rukawa. Sakuragi si raddrizzò così di colpo che la sedia si alzò per un istante sulle gambe posteriori, per poi ripiombare a terra con uno scricchiolio fastidioso. Per qualcosa come un secolo, Rukawa pensò che non avrebbe risposto.

-Volevo vedere come stai, tutto qui. Non posso?- sbottò infine Sakuragi.

-È un paese libero.- ribatté Rukawa.

-Dai, cazzo, non farmi fare il sentimentale.

-Dai, cazzo, non fingere di non avermi augurato la morte per un anno e mezzo. Cos'è, speri che schiatto mentre sei qui per assistere allo spettacolo?

-Adesso capisco perché non parli mai, perché quando parli spari cazzate.- disse acido Sakuragi, e Rukawa tacque. Si rendeva conto, in qualche modo, che tra le righe il rosso stava ammettendo di volergli in qualche modo bene, e che lui stava rovinando tutto con la sua scontrosità. Prese un profondo respiro e disse: -Scusa. Grazie.

-Oh, cazzo, è l'Apocalisse!- commentò sarcastico Sakuragi.

-EHI!- esclamò Rukawa, alzandosi dai cuscini.

-Dai, scherzavo, non...

-Ho respirato!

-Sì, lo fai più o meno da sedici anni, in caso non te ne... aspetta, intendi dire che hai respirato bene?!- Sakuragi scattò in piedi. Rukawa lo guardò e prese un plateale respiro a pieni polmoni. Nessun rantolo, nessuna fitta al costato, niente di niente, solo della sana aria che gli riempiva il petto e poi usciva; puzzicchiava un po' di ospedale, ma niente di insopportabile se messo a confronto con il fatto che per la prima volta da quasi una settimana Rukawa stava respirando a fondo. La gioia fu tale che il moro si sentì sull'orlo delle lacrime.

-Ehhh, la presenza del Tensai è corroborante, ammettilo!- disse Sakuragi nel suo solito tono di vanteria, e Rukawa si rese conto che prima o poi avrebbe dovuto spiegargli almeno qualcosina. Il respiro gli si bloccò di nuovo ed emerse con un possente colpo di tosse che gli sconquassò il petto, rinculando fin lungo tutta la spina dorsale.

-Ehi, ehi, ehi, buono! Non è che sei allergico alle stronzate?- Rukawa si ritrovò in una situazione molto, molto difficile: scoppiò a ridere mentre tossiva, e lo spettacolo dovette essere abbastanza inquietante da spingere Sakuragi a dire: -Ohi, Rukawa, stai tranquillo. Posso fare qualcosa per te? Devo chiamare un medico? Vuoi dell'acqua?- il colpo di tosse si arrestò. Rukawa sputò un fiore, identico a quello che aveva tossito un paio di giorni prima, sempre in presenza di Sakuragi, e disse con voce spezzata: -Passami una di quelle.- Sakuragi si voltò e prese una provetta vuota; mentre gliela passava, le loro dita si sfiorarono appena. Rimase in silenzio mentre Rukawa vi faceva cadere dentro il fiore e poi appuntava data e ora, e tacque anche guardandolo scrivere sul quaderno cosa aveva pensato prima di avere l'attacco.

Bontà sua, non cercò di curiosare. Probabilmente, si disse Rukawa, si era davvero spaventato. Intravide la possibilità di poter costruire un qualche tipo di legame e rimise il cappuccio alla penna, cercando le parole per spiegarsi.

-Hanno scoperto che cos'hai?- chiese Sakuragi. Rukawa rifletté che se esisteva al mondo qualcuno capace di porre le domande peggiori, quella persona era proprio lì nella sua stanza. Rifletté rapidamente, poi chiese: -Prima hai chiesto se potevi fare qualcosa per me. Eri serio?

-Beh... sì.- confessò Sakuragi in un sussurro quasi inudibile, -Ma se lo dici a qualcuno ti sdereno!- aggiunse a voce alta, per mantenersi nel personaggio.

-Più o meno sanno cos'ho.- disse Rukawa. Aveva trovato una mezza verità da propinargli, e decise di gettarsi nella sfida. Ricordò il campionato nazionale dell'anno precedente e si disse che se era riuscito a infilare un tiro libero a occhi chiusi sarebbe riuscito a mettere insieme qualche parola.

-Pare che sia una specie di rara patologia autoimmune.- spiegò, riempiendosi la bocca di paroloni per cominciare confondendolo.

-Tradotto in linguaggio comune?- chiese infatti Sakuragi.

-Il mio corpo sta attaccando se stesso.

-Ahia. Non suona bene. Sanno la causa?

-Sì e no. Non sanno perché, ma ho questi attacchi quando interagisco con te o penso a te.

-A... a me? E perché io?

-Cazzo, do'aho, ma mi ascolti?- sbottò Rukawa, sentendosi come un ragazzino che frena la bici appena in tempo per non finire giù da un dirupo, -T'ho appena detto che non sanno perché!

-Ah, già. Scusa, eh, non è una cosa che si sente tutti i giorni, sai?

-L'ho notato, imbecille.- rispose Rukawa.

-Spiegati meglio, Volpe.- disse Sakuragi. Si sedette sul bordo del letto e guardò Rukawa negli occhi.

-Stiamo ancora cercando di capire. Ma quel che ricordo è che la prima crisi che ho avuto qui è stata dopo aver notato che non avevi firmato il biglietto che mi hanno mandato gli altri della squadra.

-Ah. Quindi possiamo dire che stai morendo dalla voglia di fare amicizia col Genio?

-Evidentemente devo aver battuto la testa molto forte, ma sì, possiamo dire così.- ammise Rukawa, a malincuore. Si stava mettendo completamente nelle mani di Sakuragi.

Sapeva che, se il rosso si fosse rifiutato di approfondire il loro rapporto, per lui sarebbe stata la fine. Rifletté che probabilmente parlarne mentre lui era ancora ricoverato e non più avanti, altrove, sarebbe potuta essere la salvezza: non dubitava che, di fronte ad un netto rifiuto, avrebbe avuto un attacco molto più violento dei precedenti, ma forse sarebbe riuscito ad infilare un “operatemi” tra un colpo di tosse e l'altro, e con un po' di fortuna gli avrebbero rimosso i fiori e il sentimento prima che i suoi polmoni e il suo cuore fossero troppo danneggiati.

Piegato ma non spezzato, sarebbe almeno potuto tornare sui campi da basket.

Trasse un tremulo respiro, in attesa della risposta, e lo esalò: un altro fiorellino azzurro volteggiò fuori dalla sua bocca e Rukawa lo prese al volo.

-Merda, ti succede anche senza tosse?- chiese Sakuragi. Rukawa seppe, d'istinto, cosa rispondere: -Credo sia normale. Ti ho detto che dipende da te, e sto aspettando la tua risposta.- senza stare a rimuginarci troppo sopra, Rukawa alitò, come quando si appanna un vetro per scriverci sopra con il dito; una marea di fiorellini azzurri si librò nell'aria ferma della stanza.

Sakuragi prese uno dei fiori e lo rimirò, attonito: -Rukawa, non ci capisco niente. Ma se basta rivolgerti la parola ogni tanto, che diavolo, ci sto.- esitò, poi aggiunse: -Chi le sente poi le tue fan se scoprono che ti ho lasciato morire perché sono stronzo?- rivolse a Rukawa un mezzo sorriso, che il moro ricambiò stentatamente.

-Quando ti dimettono?- chiese Sakuragi dopo un po', mentre Rukawa raccoglieva i fiorellini.

-Dipende da come sto.- rispose Rukawa.

-Senti, io domani non credo di poter venire. Mamma ha bisogno che l'aiuto con una marea di commissioni e non so se faccio in tempo. Dopodomani però è sabato, non c'è neanche scuola, posso passare qui e boh, porto un gioco da tavolo o un dvd, se ti va.

-Mi piacerebbe, credo.- rispose Rukawa. Sakuragi gli porse una provetta in cui mettere i fiori e di colpo si bloccò. Rise, poi disse: -Oh, cazzo, sei un fenomeno. “Credo”. Ti piacerà, te lo garantisco, parola di Tensai. E se non ti piace, te lo faccio piacere io, non vedo l'ora del momento in cui mi dirai che mi devi la vita!

-Quasi quasi preferisco crepare, ci penso.- ribatté Rukawa, chiudendo la provetta. Scrisse data e ora sull'etichetta, poi si allungò a prendere il quaderno dal comodino... e non lo trovò.

Si guardò intorno e lo vide tra le mani di Sakuragi, che ci stava scrivendo sopra qualcosa: -To',- disse, restituendoglielo, -Se cambi idea o se ti dimettono, fammi un colpo di telefono.

-Nh...- rispose Rukawa, a corto di parole. Sakuragi guardò verso l'orologio e disse: -Mi sa che adesso devo proprio scappare. Mamma torna tra un'oretta e devo ancora mettere in ordine.

-Va bene.- disse Rukawa, scrivendo gli ultimi aggiornamenti sul quaderno di Ayako. Richiuse la penna, poi guardò Sakuragi. Dopo una brevissima esitazione, Sakuragi sollevò il pugno verso di lui in un gesto cameratesco; Rukawa esitò a sua volta, poi colpì piano le sue nocche con le proprie.

-A sabato, Volpe.

-A sabato.- Sakuragi uscì e si chiuse la porta alle spalle; solo allora, Rukawa trovò il coraggio di aggiungere: -...e grazie.

 

 

 

 

Begonia: paura

Fiordaliso: speranza di costruire un rapporto

 

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Capitolo 6
*** Red Rose ***


Rukawa sedeva impassibile sul suo lettino d'ospedale, cercando di convincersi a non tossire.

Non si era dato appuntamento per un orario preciso, con Sakuragi, e l'idea di telefonargli per chiedere quando sarebbe arrivato era contemporaneamente una tentazione e una tortura.

Una tentazione, perché sentire la sua voce, sapere per certo che non aveva cambiato idea, avere un'ora precisa da aspettare con trepidazione guardando le lancette che si spostavano sul quadrante dell'orologio era davvero una prospettiva che scaldava il cuore.

Una tortura, perché l'idea di disturbarlo, di mostrare il fianco in maniera così esplicita, era così aberrante che al solo pensiero cominciava ad avere capogiri e a sentirsi la gola che prudeva. E poi, se Sakuragi nel frattempo avesse trovato un altro impegno? In fondo, il rosso non gli doveva nulla, lo aveva sempre detestato e probabilmente l'idea di andarsene a cazzeggio con gli amici era per lui molto più allettante di starsene chiuso in una stanza d'ospedale a guardarsi nelle palle degli occhi con la sua nemesi in pigiama. E se a Sakuragi fosse saltata la mosca al naso? Erano le nove di sabato mattina, non c'era scuola e lui magari era ancora a dormire. Svegliarlo non sarebbe stato piacevole, anche se l'idea di sentirlo parlare con la voce ancora roca di sonno era già sufficiente a imbarzottire il pene di Rukawa. E comunque, anche se si fosse già svegliato, magari aveva i cavoli suoi da fare, i compiti o qualche commissione per la madre o chissà cosa. E, punto più importante, se Sakuragi avesse subodorato qualcosa nell'impazienza di Rukawa? Non era poi completamente idiota, e ricevere una chiamata al mattino presto del sabato era molto vicino ad un cartellone al neon in stile Las Vegas con la scritta “Kaede Rukawa ti si vuol ciulare”.

No, si disse Rukawa, avrebbe atteso e non avrebbe chiamato il numero che Sakuragi gli aveva scritto sul quadernetto lasciatogli da Ayako, quel numero che aveva riguardato talmente tante volte da averlo non solo memorizzato, ma addirittura sognato.

Avrebbe atteso con pazienza, cercando di distrarsi con i compiti di matematica: tutta quella faccenda dei sistemi di equazione era così intricata e incomprensibile che sarebbe stata più che sufficiente ad annullare qualsivoglia funzionamento neuronale.

Rukawa trasse a sé il tavolino con un sospiro: un ottimo piano, senz'altro, peccato che lui detestasse la matematica dal profondo del suo animo. Cercò di risolvere un sistema, ottenne un numero lungo quanto la lista dei motivi per cui sarebbe stato meglio non proseguire DragonBall se poi doveva uscirne una cagata ritrita come Super, e quando alzò gli occhi si rese conto che in un'ora era riuscito a scrivere ben otto righe di calcoli probabilmente errati.

Beh, si disse, quantomeno sessanta minuti erano passati. Si era dato il termine delle quattro del pomeriggio per cominciare a perdere la speranza, questo alle otto e mezza: più di un quinto del tempo che aveva deciso di occupare ad aspettare Sakuragi era passato, e questa era una buona cosa.

Meglio, senz'altro, del risultato ottenuto nel sistema: il libro dichiarava che il risultato sarebbe dovuto essere X=0, Y=2, Z=1. Niente di più lontano dal suo X= -29,356 tendente a meno infinito.

Rukawa sospirò.

Prese un nuovo foglio, muovendosi con cautela come se poggiare il foglio delicatamente e scrivere a velocità lumaca avrebbe consentito agli dei della matematica di infondergli la scienza innata, disegnò la parentesi graffa con una cura degna di Leonardo da Vinci e trascrisse le tre equazioni.

Si rese conto di essersi dimenticato completamente il passaggio successivo.

Sospirò di nuovo, senza nemmeno notare ormai il fiorellino che gli era volteggiato fuori dalla bocca; lo spazzò giù dal tavolino senza pensarci e riprese il libro di matematica. Aprì il volume alle pagine della teoria, contrassegnate dalla costa in blu (la sezione di teoria aveva la costa rossa) e si rese conto che sarebbe anche potuto essere scritto in aramaico antico. E in brutta calligrafia.

 

Qualcosa di morbido, piccolo e arancione gli colpì la tempia.

-Ahia, che cazzo!- esclamò, preso di sorpresa.

-Ehehehe, il Genio è riuscito nella sua impresa di far spaventare la Volpaccia!

-Lo sai che parlare di se stessi in terza persona è sintomo di squilibrio mentale?

-Me lo dice spesso anche Mito, ma dovrò pur parlare con qualcuno al mio stesso livello.

-Lì c'è una sedia, dovrebbe bastare.

-VOLPEEE!- Sakuragi, a corto di risposte brillanti, si risolse alla sua vecchia tecnica imbattibile: urlare come una bertuccia e prendere come un “a questo non saprei proprio cosa rispondere” il momento di smarrimento in cui l'avversario cerca di capire se l'onda d'urto gli ha spaccato i timpani o se l'ha passata liscia anche stavolta.

Niente sangue dalle orecchie, constatò Rukawa, ma quello sbraitare gli stava già facendo salire una bella emicrania. O forse era la matematica? Entrambe le soluzioni erano altrettanto plausibili.

-Comunque, Volpe, bel ringraziamento. Mi sono alzato presto di sabato mattina solo per venirti a trovare e tu mi accogli dicendomi che sono stupido come una sedia.

-Me lo rimangio, perdonami.

-Woah, veramente?- Rukawa si gustò per un attimo l'espressione attonita di Sakuragi, mantenne la solita maschera impassibile e infine sganciò la battuta: -Ma certo, una sedia non avrebbe mai capito cosa intendevo. Sei intelligente almeno come un comodino.- poi, accadde l'impossibile.

Prima di lanciare un'altra urlata, Sakuragi si lasciò scappare uno sbuffo di risata.

Rukawa resse i suoi insulti con un mezzo sorriso, senza muovere un muscolo, tutto intento a bearsi nel ricordo di aver fatto ridere quell'impetuoso bestione.

Poi, mentre Sakuragi faceva una piccola pausa per prendere il respiro, una voce adulta si intromise: -Ragazzi.- Sakuragi saltò per aria, e anche Rukawa ebbe un piccolo sussulto.

Nessuno dei due aveva notato il dottor Yamamoto, fermo sulla soglia con un'espressione in viso a metà tra il perplesso e il divertito, e il medico disse: -Mi spiace interrompere questo meraviglioso stream of consciousness, ma avrei bisogno di...

-Mi levo subito dalle palle!- urlò Sakuragi, con uno sguardo terrorizzato. Sembrava quasi che si aspettasse di sentire che il dottore doveva fare un esame della prostata a Rukawa, forse ad entrambi, ma il medico lo fermò alzando solo una mano. Rukawa aggrottò la fronte: sembrava quasi che Sakuragi fosse di fronte a qualcosa che temeva. Il dottore disse: -Aspetta, ragazzo. Tu sei... uhm...

-Sakuragi Hanamichi, il Genio del club di Basket dello Shohoku, di tutta Kanagawa e di tutto il Giappone!- si presentò con modestia l'ospite.

-Sarebbe lui?- chiese Yamamoto a Rukawa. Sul suo viso era dipinta un'espressione molto perplessa.

-Ahimè, sì.- rispose Rukawa, -Non si preoccupi, fa quell'effetto a tutti.

-RRRUKAWAAA!

-Se avesse un bel sedativo da dargli, gliene sarei grato.- aggiunse il moro. Sakuragi sembrò rendersi conto all'improvviso che un ospedale non era un luogo dove poteva urlare come un pescivendolo al mercato e si zittì.

-Bene, ehm... vorrei parlare con entrambi, se possibile.

-Oh. Certo.- disse Sakuragi, e si sedette sulla sedia di fianco al letto di Rukawa. Il medico si accomodò ai suoi piedi, con un gluteo sul materasso, e disse: -Allora. L'altro giorno, parlando con Kaede ed esaminando le prove di questa strana malattia, abbiamo concluso che per qualche motivo sembra che gli attacchi coincidano con l'insorgenza di pensieri legati alla mancanza di un legame tra voi due. Kaede mi ha riferito di avertene già parlato, è esatto?

-Sì, l'altro ieri.

-E mi ha detto che ti sei dichiarato disponibile ad aiutarlo, non è vero?

-Vero anche questo.- confermò Sakuragi.

-Bene.- Yamamoto prese un bel respiro, guardò Rukawa e poi si rivolse di nuovo a Sakuragi: -Nella giornata di ieri, Kaede è migliorato esponenzialmente. Non ha avuto nessuna crisi acuta, le due che ha avuto sono state tanto gestibili che è stato in grado di cavarsela egregiamente da solo e ci ha avvisati solo in seguito.- Rukawa guardava il medico con una tale intensità da aver sviluppato una specie di visuale a tunnel. Solo il viso dell'uomo era a fuoco, tutto il resto della stanza era sfocato e vago; Sakuragi compreso, naturalmente, perché Rukawa ce la stava davvero mettendo tutta per evitare il suo sguardo. Se fosse stato necessario, pensò, si sarebbe cavato gli occhi o avrebbe infilato la testa in un sacchetto per il pane: tutto, pur di evitare la confusione che era certo di trovare negli occhi del rosso, pur di evitare di mostrargli il proprio imbarazzo.

-Ora, nelle condizioni in cui è, ci sono le basi per poterlo dimettere. Ma, come avrai capito, il suo stato di salute dipende in buona parte dalle interazioni che ha con te. Sei pronto a farti carico dell'incombenza di stare al suo fianco e cercare di trattarlo bene?- Sakuragi esitò a lungo prima di rispondere. Rukawa cercò di mantenere stabile il ritmo del respiro e di ignorare il pizzicore alla gola che cominciava già ad emergere. Dopotutto era lì, si disse, lì al fianco del suo letto ad ascoltare un medico che parlava delle sue condizioni, aveva alzato il culo dal divano e l'aveva trascinato fin lì. Non poteva essere così nera, la prospettiva.

Infine, Sakuragi disse: -Ammetto che tutta questa storia mi sembra assurda...

-Siamo in due, ragazzo.- lo interruppe il dottor Yamamoto.

-Faccia anche tre.- si intromise Rukawa in un fil di voce.

-Però sì, voglio dire.- Sakuragi prese un bel respiro, -Se era solo Rukawa a dirmelo potevo anche pensare che mi stava prendendo per il... in giro. Ma mi sembra un po' troppo elaborata come messinscena. Quindi sì, se posso fare qualcosa lo farò, senz'altro.- Rukawa si voltò a guardarlo, istintivamente. Incontrò il suo sguardo serio e fiammeggiante, e Sakuragi aggiunse: -Mi stai sulle palle ma in realtà non è che mi hai mai fatto niente. E in ogni caso, non potrei mai lasciar morire qualcuno. Neanche se si tratta di te, Volpaccia.

-Grazie.- si spremette Rukawa. Sakuragi fu svelto a distogliere lo sguardo dal suo, e Rukawa aggrottò impercettibilmente la fronte. Per qualche motivo, quell'ultima frase gli era suonata un po' strana, come un rintocco di campana attutito da uno strato di feltro avvolto sul battacchio, ma non aveva la minima idea di come interpretare quella sensazione, e non poteva nemmeno stabilire senza ombra di dubbio che non si trattasse di una sua balzana sega mentale.

-Molto bene, Hanamichi.- disse il dottor Yamamoto, -Posso chiamarti Hanamichi, vero?

-Oh. Certo, sì.- rispose il rosso. Di nuovo, tornava in lui quella lieve nota di panico, sembrava quasi una persona rapita da un pericoloso serial killer che gli dà retta indefessamente nella speranza di uscirne vivo. Rukawa si chiese alla lontana il motivo.

-Lascio a voi la definizione di tutto quanto. Hanamichi, mi sto fidando. Sto mettendo nelle tue mani la vita di un mio paziente, in senso letterale. Te la senti?

-Sì. Sì, me la sento.

-Bene. Kaede, vado a chiamare tua madre. Potrà venirti a prendere in qualsiasi momento e firmare le dimissioni. Hai il mio permesso di tornare a casa insieme alla tua medicina umana.- Sakuragi ghignò, ma quando il dottor Yamamoto lo guardò curioso cambiò espressione, mettendo su una faccia che sarebbe stata molto più consona per un funerale: -Ah, niente, niente, una delle mie cavolate, non faccia caso a me!- disse rapidamente.

-Fammi indovinare.- disse Rukawa, -Ti sei immaginato vestito da Aspirina.- il dottor Yamamoto rise di cuore. Sakuragi arrossì e lo corresse: -Da flacone di pillole, in effetti, ma c'eri quasi.- Rukawa si lasciò sfuggire l'angolo di un minuscolo sorriso e Sakuragi distolse lo sguardo.

-Bene. Vi lascio e mi porto dietro questa bella immagine!- disse il medico, ancora sorridendo, e lasciò la stanza. Sakuragi si rilassò visibilmente sulla sedia.

-Ehi, guarda che non morde. È un pezzo di pane.- disse Rukawa.

-Lo so, ma i dottori...- Sakuragi sbuffò, poi ammise: -E va bene. Da piccolo ho fatto un incidente in bici, e mi hanno dovuto dare dei punti. L'anestesia non ha funzionato, ho urlato tutto il tempo per il dolore e il dottore che mi ha ricucito non faceva altro che rimproverarmi perché facevo storie.

-Che stronzo.

-Mia mamma gli ha mollato un ceffone, poi, e gli ha chiesto di spiegare come mai sull'ultima ferita, che era in un posto diverso e lì l'anestesia aveva funzionato, non ho aperto bocca, ma da allora io sono terrorizzato dai dottori, mi sento...

-Come se non ti dessero retta quando sai perfettamente di aver ragione.

-Ecco, sì. Almeno, quello è il presupposto. Poi lo ammetto, questo tizio è un cucciolo di panda.

-Sì, è un medico molto gentile.- concordò Rukawa, e d'istinto mandò pensieri positivi all'uomo: Rukawa gli aveva detto che non voleva che Sakuragi sapesse proprio tutto, che lui non si era dichiarato e ancora non aveva intenzione di farlo, e il medico l'aveva appoggiato. Rukawa si rese conto di non essersi sentito minimamente nervoso all'idea che il dottor Yamamoto si lasciasse sfuggire qualcosa per caso durante il discorso con Sakuragi, e si accorse di fidarsi ciecamente di quell'uomo.

-Ti fidi molto di lui, o sbaglio?

-Sì. Mi ha ascoltato dall'inizio, ha fatto ricerche, non finge di saperne di più di quel che sa...

-Una rarità, quando si parla dei grandi, non è vero?

-Nh...- Rukawa si riscosse dai suoi ragionamenti per rendersi conto che stava avendo una conversazione molto civile con Sakuragi. E non era nemmeno una di quelle conversazioni da Pranzo di Natale con i parenti, quando si cerca di trattare solo argomenti neutri e di concordare quanto possibile per evitare che le feste si concludano in massacro, era un vero e proprio scambio di battute: finora gli era capitato solo con Ayako.

-Ti aiuto a mettere via le tue cose?- propose Sakuragi.

-Se proprio muori dalla voglia di toccare le mie mutande...- rispose Rukawa.

-Non aspetto altro, guarda. Hai una borsa?

-Nell'armadio.- rispose Rukawa, poi si girò per scendere dal letto: -Devo andare a pisciare, levati dal cazzo così scendo.

-Ce la fai da solo?- chiese Sakuragi, arrossendo. Stando a quanto aveva estorto ad Ayako, a tratti Rukawa era così debole da faticare anche solo per raggiungere il bagno. Il moro gli lanciò un'occhiata da presa in giro e Sakuragi si affrettò a puntualizzare: -Il cazzo però te lo tocchi tu, eh!

-Idiota, certo che ce la faccio, altrimenti avrei chiesto al dottore.- cercando di nascondere lo sforzo, Rukawa ciabattò fino al bagno e si chiuse la porta alle spalle. Rimirò il water, cercando di capire se fosse in grado di fare pipì in piedi, poi decise di sedersi: non si sentiva ancora del tutto a posto, e farsi recuperare da Sakuragi in un lago giallo con una commozione cerebrale non rientrava nei suoi programmi per la giornata.

Orinò, tirò lo sciacquone, lavò le mani e uscì dal bagno, per scoprire che Sakuragi gli aveva tirato fuori dei vestiti dal borsone, aveva ritirato tutto tranne i biglietti, i fiori e i peluches e gli stava porgendo un bicchiere d'acqua. Rukawa lo prese con mano tremante, mentre si sedeva sul letto: non si sentiva completamente spompato come nei giorni precedenti, segno che stava recuperando le forze, ma comunque aveva fatto fatica.

Lo sguardo gli cadde su una pallina arancione appoggiata tra i suoi vestiti, nel borsone. La prese in mano: era soffice e leggera, e decorata come una palla da basket. -Che cos'è?

-Regalo del Genio, Volpe. Pallina antistress, così se per caso ti senti nervoso puoi spappolarla un po'. Giuro che funziona, anche se come tirarla addosso a chi rompe non ce n'è.

-Gra...

-KAEDE KUN!- strillò una voce dalla porta, interrompendo l'imbarazzato ringraziamento di Rukawa. Sua madre apparve sulla soglia, ancora in abiti da casa, e ululò: -Il dottor Yamamoto ha detto che puoi tornare a casa! Sono venuta SUBITO a prenderti! Oh, ma hai visite! E che bel ragazzo! Ciao, caro, io sono la mamma di Kaede, tu chi sei? Sei un amico del mio bambino?

-Bu... bu... buongiorno, signora, mi chiamo Hanamichi Sakuragi, sono un compagno di squa...

-Ma che bel nome, fai pensare alla primavera! Anche se con quei bei capelli sembri più un albero in autunno, non è vero? Ti chiamerò Hana, posso chiamarti Hana, tesoro?

-Mamma, hai mai considerato di buttar giù uno Xanax o due?- chiese Rukawa, ma fu completamente ignorato. Sua madre prese in ostaggio Sakuragi, lasciando il suo povero figlio a vestirsi da solo mentre intanto scopriva che il rosso adorava i takoyaki ma non amava particolarmente le uova, preferiva i Beatles ai Rolling Stones, vestiva il 43 di piede, apprezzava il blu come colore ma non lo indossava perché lo sbatteva di colorito e il suo film preferito era Jurassic Park. Poi, senza soluzione di continuità, la donna annunciò che andava a firmare le dimissioni di Kaede e lasciò a Sakuragi il compito di accompagnarlo fino all'ingresso dell'ospedale. Con un sospiro di sollievo, Sakuragi chiese: -Siamo sicuri che non ti devono accompagnare fuori in sedia a rotelle come nei film americani?

-Bella domanda. Jurassic Park? Seriamente?- chiese poi Rukawa.

-Non lo so, a esser sincero ho sparato un film a caso, mi sentivo un po' sotto pressione.

-Già, mamma è così. Spiacente.- Sakuragi fece spallucce: -Almeno non mi ha puntato addosso una lampada. Quando conoscerai la mia, di mamma, vedrai, più che una conversazione sembra un interrogatorio e tu sei lì che hai paura che dire “mi piace il blu” potrebbe essere la risposta sbagliata.

-Waterboarding perché non apprezzi il giallo a sufficienza.- ironizzò Rukawa, e Sakuragi rise. Poi, il rosso prese il borsone di Rukawa e insieme si diressero al portone principale dell'ospedale, dove già li attendeva l'auto di sua madre; la donna insistette perché Sakuragi si trattenesse a pranzo, e lui accettò. Rukawa si beò della cucina finalmente gradevole, dopo una settimana di pollo scotto e broccoli flosci, e della vista del suo amato seduto al tavolo della cucina, a chiacchierare amabilmente con sua madre, che dopo l'impeto iniziale si era risintonizzata su un ritmo di crociera molto più gradevole.

Rukawa fece appena in tempo a sedersi sul divano e ad accendere la tv per guardare una puntata dei Simpson insieme a Sakuragi, poi si addormentò.

 

Sakuragi udì il sommesso “clic” della porta di casa Rukawa che si chiudeva dietro alle sue spalle e sospirò. Verso metà puntata si era accorto che il moro si era placidamente appisolato contro la sua spalla, cosa che ben lungi dal dargli fastidio l'aveva invece fatto sentire bene. E doveva ammettere che anche la mamma del volpino, per quanto logorroica, era un amore: non che sua mamma fosse da meno, certo, ma lei era sempre molto impegnata e molto stanca, e da tanto tempo Sakuragi non si trovava a parlare con una donna adulta con così tanta semplicità.

Senza esitazione, appena finito il cartone animato, Sakuragi aveva preso tra le braccia Rukawa e aveva seguito le indicazioni della donna per portarlo in camera. Per evitare di soffermarsi sulla sensazione che aveva provato trasportando il suo corpo, Sakuragi si cavò di tasca il petalo che aveva raccolto dal pavimento della stanza d'ospedale e lo esaminò, credendo di essersi sbagliato.

Pur non essendo un grande esperto di giardinaggio, tuttavia, scoprì che la sua prima impressione era quella corretta: era un petalo di rosa rossa.

Si tolse un fazzoletto dalla tasca e vi avvolse il morbido petalo, ripromettendosi di passare a trovare quel dottore gentile; Ayako aveva parlato molto vagamente di hanakotoba, ma Sakuragi doveva aver frainteso. Essendo poi stato nominato ufficialmente come cura umana, credeva che una spiegazione gli spettasse di diritto.

Perché persino un ignorante come lui sa cosa significa una rosa rossa, ma non era assolutamente possibile.

 

 

 

 

Rosa rossa: amore

 

 

 

 

 

Ehilà! Come va, gente? Io mi sono rilassata meno in vacanza che stando a casa ahahaha ma dettagli, almeno adesso che sono tranquillamente seduta sulla mia sedia preferita apprezzo il comfort della quotidianità U_U

Che ne dite del capitolo? Cominciate anche voi a vedere i primi ciottoli che preannunciano la frana mentale di Hana che rotolano giù dalla collina? Perché io li vedo così bene che mi sa tanto che nel prossimo capitolo ci sarà ampio spazio per il suo POV, e per la gioia di noi fanguys (termine genderneutral coniato mezz'ora fa) che sappiamo benissimo chi tira le fila della HanaRu il nostro Cupido coi capelli imbrillantinati farà un'altra comparsata chiarificatrice, e stavolta senza camici sporchi di sangue finto!

Come sempre, fatemi sapere se avete gradito, e grazie a tutti voi che mi avete seguita fin qui.

Menzione d'onore, ci tengo, per Ste_exLagu: ormai non deve neanche sbattersi a darmi consigli, mi basta scrivergli un messaggio che la sua sola aura è sufficiente a chiarirmi le idee. Pioggia di cuoricini di Messenger!

XOXO

 

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Capitolo 7
*** Thistle ***


Il dottor Yamamoto dispose davanti a sé le provette con i fiori che Kaede Rukawa aveva tossito, insieme ad un volume di hanakotoba e alla fotocopia del diario tenuto dal ragazzo.

Sorrise all'ombra vaga dei segni dei quadretti che si intravedevano sul foglio: era stata un'altra delle brillanti idee di quella ragazza, Ayako, e Yamamoto aveva dovuto trattenersi per non correre all'ordine dei medici e farle assegnare una laurea in medicina ad honorem.

Il primo fiore era un amaranto: secondo il libro procuratogli dall'infermiera Sawada, stava a simboleggiare l'amore immortale. Nulla di collegato ad un evento specifico, sospettava Yamamoto, solo la prima manifestazione della sindrome che, abbastanza logicamente, dichiarava da cosa era causata; certo, di rado gli amori adolescenziali sono davvero quelli che ci si porta fino alla tomba, ma qualunque ragazzino interpellato a riguardo avrebbe risposto con la sicurezza della propria innocenza che sì, quello era l'amore della sua vita, e non avrebbe mai e poi mai smesso di amarlo, cascasse il mondo.

Il secondo fiore era un soffione: in questo caso, simboleggiava il viaggio e la speranza. Kaede aveva riferito che l'attacco era cominciato dopo che Ayako aveva giocosamente detto che Sakuragi non sarebbe andato a trovarlo. Aveva confessato in un filo di voce che lui comunque ci sperava, parlando dell'imprevedibilità del ragazzo come un punto a favore della propria speranza. E forse, ma questa era solo una supposizione di Yamamoto, quel ragazzo silenzioso e più sveglio di quanto si potesse intuire a prima vista aveva già intuito che c'era una connessione tra la sua malattia e il suo rapporto -o l'assenza di un rapporto- con quel suo compagno di squadra. Più avanti, quando si era parlato di rimuovere chirurgicamente i fiori, Kaede aveva temporeggiato. Stando a quanto raccontavano di lui e di come si muoveva nel suo ambiente naturale, cioè il campo da basket, esitare era una parola che non figurava nel suo dizionario: Yamamoto era quasi certo, e l'infermiera Sawada concordava con lui, che Kaede avesse deciso già allora di provarci, anche se ne sarebbe potuto andare della sua salute, o peggio, della sua vita.

Il terzo fiore era un anemone, simbolo di attesa e abbandono. Kaede sosteneva di non ricordare un evento scatenante, e Yamamoto era disposto a credergli: lui stesso rammentava di averlo visto tossicchiare per tutto il giorno, ma c'era un particolare che Kaede aveva trascurato. La sera in cui aveva avuto la brutta crisi con i soffioni, si era addormentato poco dopo e aveva passato la nottata in un sonno agitato; al risveglio, aveva subito cominciato a tossire anemoni. Yamamoto ricordava che la crisi del giorno precedente si era arrestata di punto in bianco quando Ayako aveva promesso che in un modo o nell'altro avrebbe convinto quel Sakuragi ad andare a trovare Rukawa. E il ragazzo, per quanto sembrasse scorbutico e scostante, pareva fidarsi ciecamente di lei. Probabilmente, in qualche angolo recondito della mente, aveva deciso che la ragazza ci sarebbe davvero riuscita, e aveva trascorso la giornata ad altalenare tra una speranzosa attesa e un sempre più pressante senso di abbandono: dai dati raccolti più avanti, Yamamoto sapeva che in realtà le speranze che Sakuragi andasse davvero a trovarlo erano molto basse.

E quando invece si era fatto vivo, ecco insorgere il quarto fiore: il fiordaliso, che simboleggiava la speranza di costruire un legame. Anche se Kaede non aveva saputo riferire parola per parola la conversazione avuta con Sakuragi, ricordava di essersi sentito speranzoso nel vederlo entrare, dapprima con la sua solita aria da presa in giro, e poi via via sempre più preoccupato. Non si era sbilanciato ulteriormente, ma Yamamoto era ancora giovane e ricordava i tormenti dell'amore adolescenziale: poteva concludere con un certo grado di sicurezza che Kaede aveva interpretato quel cambio di atteggiamento, che ad occhio inesperto sarebbe solo sembrato come un semplice sintomo di umana empatia, come la dimostrazione che Sakuragi, in fondo, a lui ci teneva.

Se poi fosse così oppure no, solo il tempo avrebbe potuto decretarlo.

Il giorno dopo era stato quello che aveva portato la crisi peggiore, accompagnata da petali di garofano giallo: un simbolo di rifiuto e disdegno.

Yamamoto ricordava con orrore la reazione del ragazzo quando gli avevano spiegato quale, teoricamente era la causa della sua malattia. Inutile, a quel punto, cercare di capire se il ragazzo stesse cercando di rifiutare il proprio sentimento o se si sentisse rifiutato dall'altro. Il risultato era comunque lo stesso: una violenta crisi che aveva fatto meditare Yamamoto sulla possibilità di utilizzare la propria autorità medica e di operarlo d'urgenza senza chiedere il permesso della madre, adducendo come spiegazione le incomprensibili lastre piene di fiori e l'apparente aggravarsi delle crisi del ragazzo.

Se non aveva infine proceduto, era stato solo a causa dell'intuizione dell'infermiera Sawada, che aveva ipotizzato un legame tra i fiori e il loro significato e lo stato d'animo che accompagnava le crisi. Elettrizzato suo malgrado all'idea di saperne di più, Yamamoto aveva deciso di temporeggiare ancora un po', riservandosi il diritto di procedere in qualsiasi momento.

C'era stato poi un breve episodio con una begonia, che stando al diario aveva accompagnato un impeto di paura paranoica per la salute di Sakuragi, e qualche fiordaliso quando quest'ultimo aveva accettato esplicitamente di stare al fianco di Rukawa.

Dopodiché, nient'altro.

Yamamoto si appoggiò allo schienale della sedia, che cedette appena con un lievissimo cigolio, e si chiese se davvero bastasse così poco per far guarire il ragazzo.

 

-Ayako!- chiamò Sakuragi, inseguendo la manager in cortile durante l'intervallo per il pranzo. La ragazza si voltò, esibendosi inconsapevolmente in uno swish che avrebbe fatto schizzare il sangue dal naso al povero Ryota Miyagi, e gli rivolse un sorriso smagliante.

Sapeva che Rukawa era stato dimesso, l'aveva sentito al telefono giusto il giorno prima e il ragazzo era sembrato moderatamente ottimista per l'atteggiamento amichevole di Sakuragi; e se Ayako sapeva essere molto severa, era anche in grado di capire quando una buona giocata o una buona azione meritano il plauso, e non si sarebbe tirata indietro nel mostrare la propria approvazione. Forse, sentirsi elogiato avrebbe addirittura spinto Sakuragi a sbilanciarsi un po' di più. La sera prima, Ayako aveva mentalmente paragonato Rukawa e Sakuragi a due personaggi del manga che Miyagi le aveva prestato: uno serio, abilissimo ed elegante, l'altro apparentemente insensibile e dal carattere esplosivo, insieme protagonisti di certe doujinshi così bollenti che probabilmente erano almeno in parte responsabili dello scioglimento dei ghiacci perenni.

Insomma, si era detta nel suo lieto ottimismo, se dovevano basarsi su quel manga per diagnosticare una malattia, tanto voleva farci affidamento anche per la costruzione delle coppie, no?

-Ciao, Hanamichi! Ho saputo che sei andato di nuovo a trovare Rukawa, bravo il mio cucciolotto!- disse Ayako, congedando le amiche con un gesto della mano e affiancandosi al rosso.

-Ehm, ecco, sì, insomma... Rukawa mi ha detto una roba strana, tu cosa sai?- Ayako finse una posa rilassata per non mettere in allerta Sakuragi e rispose: -Che pare che queste sue crisi dipendano in qualche modo dal fatto che voi non andate d'accordo.

-Già, ha detto la stessa cosa anche a me.- Sakuragi rise nervosamente, -Assurdo, vero?

-Beh,- disse Ayako, -So che c'è un tizio che è stato colpito da un fulmine per sette volte, direi che di roba strana al mondo ce n'è in abbondanza!

-Già, e... senti, si sa qualcosa sul perché i fiori sono sempre diversi?- chiese Sakuragi. Ayako si sedette sul bordo di un'aiuola e tirò fuori il proprio bento dalla borsa. Il rosso si sedette di fianco a lei ed estrasse un panino che avrebbe potuto saziare l'intera Africa per un mese e mezzo. Ayako prese un pezzetto di tamagoyaki con le bacchette, poi disse: -Beh, niente di certo in realtà. Sembra, ma ti ripeto, è solo una teoria, che i fiori cambino a seconda dello stato d'animo di Rukawa.

-Puoi fpiegavti mejo?- chiese Sakuragi, con la bocca piena. Ayako fu colpita tutto ad un tratto dalla differenza tra lui e Miyagi: il suo Ryota non si sarebbe mai comportato così da cafone, pur non essendo una di quelle persone che si fanno chissà che problemi di etichetta. Ricollegò il cervello con fatica e disse: -Ad esempio, quando gli abbiamo detto cosa poteva essere la sua malattia e da cosa poteva dipendere, ha tossito dei garofani gialli. Stando a quanto ha detto l'infermiera, sono un simbolo di rifiuto. Probabilmente neanche lui è tanto contento di doverti la vita.- Sakuragi tacque per molto tempo, dedicandosi interamente al panino. Ayako proseguì a mangiare a sua volta, ma con la coda dell'occhio non lo perse di vista un secondo: Sakuragi sembrava molto pensieroso, quindi ritenne doveroso aggiungere qualcos'altro: -Per ora, il fiore che ha dimostrato la maggiore incidenza è il fiordaliso, che dovrebbe simboleggiare la speranza di creare un rapporto.

-Sì, l'ha tossito anche mentre ero con lui, una volta.- disse Sakuragi, ancora sovrappensiero. Si mise in bocca l'ultimo enorme boccone di panino, e Ayako ebbe il tempo di chiedersi irrazionalmente se per caso tra gli antenati di Hanamichi Sakuragi non figurasse un criceto: non c'era legge della fisica che gli avrebbe consentito di ficcarsi in bocca un tale pezzo di pane senza soffocare. Eppure, Sakuragi si limitò a far andare le mascelle con dedizione, poi deglutì il pantagruelico boccone senza che si rendesse necessaria la manovra di Heimlich.

-Ho visto che sta tenendo un diario, in effetti.- disse poi, -Ci sta scrivendo tutti gli episodi?

-Così dovrebbe fare. Ma non azzardarti a metterti a spiare nelle sue cose, brutto impiccione!

-Ma per chi mi prendi?!- esclamò Sakuragi.

-Ti prendo per l'imbecille che alla prima amichevole contro il Ryonan si è messo un foulard in testa ed è andato a spiare quello che diceva la squadra avversaria!- Sakuragi ebbe la buona creanza di arrossire fino alle orecchie.

-Ehilà!- salutò una voce familiare da dietro le loro spalle. Ayako si impose di non farsi spuntare in faccia lo stupido sorriso ebete che sarebbe stata la sua reazione spontanea alla presenza di Ryota Miyagi e salutò con calore: -Ciao, Ryota!

-Pigmeo, ti lascio la signora!- annunciò Sakuragi. Per qualche motivo, la “signora” in questione avvertì un tintinnio di ansia al sentire il tono della sua voce: aveva parlato ad un volume appena appena insufficiente per creare un boato sonico, ma questo era lo standard. Qual che la preoccupava era che sembrava aver parlato ad una tonalità insolita, almeno di un'ottava superiore al suo usuale tono di voce.

-Hanamichi, non c'è bisogno, se resti non ti mangio mica...- ribatté Miyagi, imbarazzato.

-No, no, davvero! Devo finire i compiti di geometria prima di rientrare in classe, il mio prof ha la brutta abitudine di lanciare i gessetti quando s'incazza... e ha una mira da cecchino, ahahahah!- Sakuragi si grattò la nuca, in evidente imbarazzo, poi corse via come se fosse inseguito da un pagliaccio assassino.

-Ok, c'è qualcosa che non so?- chiese Ayako, mentre Miyagi si sedeva al suo fianco.

-Stavo per fare la stessa domanda.- rispose lui, in tono perplesso, -Io ti cercavo solo per chiederti se sai qualcosa di Rukawa.

-Sta bene. Hanamichi è stato con lui sabato, è stato dimesso e probabilmente oggi passa a trovarci in palestra. Ancora una settimana di riposo e rientrerà a scuola. Davvero è tutto qui?- chiese di nuovo Ayako. Miyagi arrossì.

-Davvero. Voglio dire...- esitò, -Che mi piaci ormai lo sai, e non mi sembra il momento di mettermi a... a dichiararmi, o a chiederti di uscire... tra le verifiche di fine anno, il campionato e Rukawa non sarebbe proprio il momento adatto, non trovi?- Ayako lo guardò. Miyagi fissava come ipnotizzato un pettirosso intento a becchettare il selciato del cortile in cerca di qualche briciola, e sembrava aver fatto del non guardarla in faccia la missione della sua vita.

-Penso che hai ragione.- rispose Ayako in tono dolce, -Se usciamo sani di mente da tutta questa faccenda dobbiamo festeggiare.

-Faremo la più grande festa che Kanagawa abbia mai visto!- rispose Miyagi. Ayako appoggiò la testa alla sua spalla, immaginandosi di venire portata da lui su una collina isolata e di ricevere un bacio, poi tornò alla realtà: -Hanamichi ha in mente qualcosa.

-Spero che non voglia sabotare apposta la salute di Rukawa...

-No, non sarebbe da lui...- Miyagi tacque e Ayako aggiunse: -Dai, lo sai com'è fatto! Parla, parla, ma alla fine non ha mai fatto davvero del male a Rukawa. Penso che in un angolo recondito della sua mente gli voglia bene.

-Di certo lo stima.- ribatté Miyagi, -Ma se dici ad Hana che te l'ho detto ti ammazzo, sappilo!

-Ah, non ci tengo a sentirlo urlare più di quanto faccia normalmente!- Ayako ridacchiò, poi tornò seria: -Ah, come vorrei che si rendesse conto che lo ama!

-Tu leggi troppe fanfiction, lo sai?- chiese teneramente Miyagi.

-Ma sono belleee!- ribatté Ayako, poi alzò il viso: -Hai letto quella che ti ho mandato ieri?

-Sì, e non mi leverò mai più quelle immagini dalla mente!- Ayako sorrise apertamente, ormai dimentica del sospetto che Sakuragi avesse in mente qualcosa. Quando era con Miyagi, tutto il resto svaniva. Ormai aveva il sospetto che non sarebbe riuscita a tener duro fino a settembre prima di dichiararsi a sua volta.

 

Sakuragi uscì dall'aula di botanica e risalì il corridoio della sezione di scienze applicate, camminando lentamente. La sua mente turbata si chiese alla lontana come poteva una persona essere così flippata da gasarsi per un petalo di fiore: il professor Takashi si era illuminato alla sua richiesta di riconoscimento, e aveva passato gli ultimi dieci minuti a parlare delle rose rosse, delle loro caratteristiche, del loro utilizzo pratico e della loro incidenza nella storia del genere umano. Sakuragi si domandò se l'uomo avrebbe avuto un orgasmo se invece di un petalo di rosa si fosse trattato di qualche fiore raro. Insomma, non è normale emozionarsi così tanto per un fiore così comune! Scosse la testa, sconsolato di fronte alle evidenti turbe psichiche del professore. Ma, d'altra parte, voleva essere sicuro di quel che aveva in mano.

Si diresse verso la biblioteca, e quando entrò si lasciò scrutare dalla ragazza che stava al banco, evidentemente perplessa nel vedere quel gigante dai capelli rossi entrare in un luogo di solito abitato solo da sfigati e secchioni. Probabilmente non sarebbe sembrata più stupita nel veder entrare un Alien che chiedeva un libro di anatomia umana.

Si avvicinò al bancone e chiese a bassa voce: -C'è qualche libro sul significato dei fiori?

-Per cosa ti serve?- chiese la ragazza, sospettosa. Dal suo tono sembrava quasi che Sakuragi le avesse chiesto una copia di “Come Fare una Strage e Non Farsi Beccare”. Improvvisò: -Devo scrivere una roba per il corso di scrittura creativa e mi serve sapere il significato di un fiore.- la ragazza pareva ancora poco convinta, ma sembrò rendersi conto che un libro sulla hanakotoba non poteva fare danni. Certo, era sempre possibile usare un libro come un'arma contundente, ma in quel caso probabilmente sarebbe stato meglio un dizionario o un atlante geografico. Non che quel tizio enorme sembrasse uno che ha bisogno di un'arma, comunque.

La ragazza tornò con il libro dopo un paio di minuti, chiese a Sakuragi di firmare il registro di prestito con nome, cognome e numero di matricola, poi lo allontanò in fretta ricordandogli che avrebbe dovuto restituirlo entro un mese.

Sakuragi si ritrovò a ghignare, immaginandosi vestito con un mantello nero a nascondersi dietro agli scaffali per spaventare i secchioni, poi tornò alla realtà.

Si nascose in un bagno vuoto, si sedette sul coperchio chiuso di un gabinetto e aprì il volume alla pagina dell'indice. Con il dito scorse le varie voci, e finalmente trovò le rose rosse. Raggiunse la pagina sfogliando il libro con mani tremanti e lesse.

Il verdetto era incontestabile: amore e passione.

Sakuragi chiuse il libro con un tonfo, se lo mise in grembo e raccolse le ginocchia al petto. Con la testa tra le mani, si concesse di lasciar uscire un lungo gemito.

 

Verso il termine degli allenamenti, dalla panchina venne la voce di Ayako: -Rukawa!- Sakuragi si voltò, e sulla soglia della palestra c'era proprio lui, Kaede Rukawa. E lo guardava.

Sakuragi lo vide fare un lieve cenno di saluto con la mano e si costrinse a rispondere, anche se non si levava dalla testa che Rukawa aveva tossito un fiore che significava amore e passione, e che la cosa aveva a che fare con lui. Per tutto il pomeriggio, Sakuragi aveva cercato una soluzione alternativa, ma inutilmente: l'unica possibilità, per quanto impensabile e così assurda che se gliel'avessero detta senza un contesto valido Sakuragi sarebbe morto dalle risate, era che Kaede Rukawa era innamorato di lui. E che non era un sentimento platonico, almeno non del tutto.

La cosa era parecchio destabilizzante, per usare un eufemismo.

Sakuragi rimase a palleggiare nella lunetta dei tiri liberi mentre il resto della squadra si accostava a Rukawa per sommergerlo di domande, ascoltò con un orecchio solo Ayako che rispondeva al posto di quello scorbutico ghiacciolo (ma abbastanza caldo da innamorarsi, non è vero?) e si preparò mentalmente all'idea che Rukawa avrebbe cercato di parlargli. Sentì Miyagi che ordinava a tutti di andare a cambiarsi e si rese conto che sarebbe stato interpellato da un momento all'altro. E infatti, Ayako chiamò: -Hanamichi, vieni qui un attimo, tu!

-Aha, cos'hai combinato stavolta?- chiese Yasuda in tono da presa in giro.

-Ma chiudi il becco, nanetto.- bofonchiò Sakuragi, e si diresse verso la panchina strascicando i piedi. Rukawa aveva rifiutato di sedersi, e una parte della mente del rosso si sentì meglio nel vedere che stava recuperando le forze; ma temeva che Rukawa gli avrebbe chiesto qualcosa, e non intendeva assolutamente restare solo con lui, non quel giorno.

-Ciao.- salutò Rukawa, e dannazione, la sua voce doveva per forza essere così calda?

-Ciao. Come va?

-Bene, pare. Ti va di tornare a casa insieme?- Sakuragi mise su un'espressione contrita.

-Ah... Rukawa, mi dispiace, davvero, ma devo andare dall'altra parte!

-Hanamichi Sakuragi!- lo richiamò Ayako, -Abiti letteralmente a tre isolati da casa di Rukawa!

-Sì, ma ho delle commissioni da fare per la mamma!- ribatté Sakuragi.

-Non importa, davvero.- si intromise Rukawa, -Domani?- Sakuragi esitò a lungo, poi prese una decisione: -Domani. Ora io... devo andare!- disse, poi fuggì.

Si fiondò sotto una doccia ad occhi chiusi, ignorando le battute dei compagni di squadra sui presunti crimini contro l'umanità da lui commessi e si ripeté il piano per il giorno dopo: prendere Rukawa, insistere per fare una passeggiata, portarlo nelle vicinanze di un ospedale, dirgli che non poteva più stargli appresso, portarlo dentro all'ospedale, dire ai medici di far chiamare Yamamoto e lavarsene le mani definitivamente.

Era quasi felice della sua decisione, quando si accorse del trambusto: i compagni di squadra, chi già vestito, chi ancora solo con i calzoni addosso, sembravano in preda al panico.

Sakuragi si fiondò fuori dallo spogliatoio, con i fianchi cinti solo dall'asciugamano; i colpi di tosse furono la prima cosa che udì, prima ancora della voce di Ayako che chiamava a gran voce perché qualcuno mandasse un dottore: erano colpi di tosse forti, possenti, da sconquassare il petto, eppure suonavano anche in qualche maniera fiochi, come se Rukawa fosse stanco morto.

Una mano ghermì il braccio di Sakuragi, e Miyagi sibilò: -Va' da lui, cazzo!

-Ryota, non posso! Sono mezzo nudo!

-Allora che fai, vuoi lasciarlo crepare come un cane?

-Oh, fanculo.- Sakuragi attraversò la palestra a grandi passi e si chinò su Rukawa in tempo per vedere le lacrime di dolore sul suo viso e il fiore che aveva appena sputato. Una pallottolina viola e spinosa, coperta non solo di saliva ma anche di sangue. -Cazzo, quello deve aver fatto male...- sussurrò, e vide che Rukawa stava tentando disperatamente di ricomporsi.

Il buon cuore di Sakuragi prevalse sulla sua intenzione di fregarsene dell'episodio. Ripetendosi che l'indomani si sarebbe comunque mantenuto fedele al proprio piano, si disse che per il momento non c'era niente di male a tenerlo vivo per altre ventiquattr'ore. Lo prese per le spalle e se lo trasse al petto, si appoggiò la sua testa contro la clavicola e disse: -Dai, calmati, adesso, è passato. Domani ci vediamo davvero, promesso. Magari facciamo anche una passeggiata, se stai bene.- Rukawa annuì contro la sua pelle, la fronte bagnata di sudore e calda.

Sakuragi scacciò con stizza il pensiero che vederlo così faceva male al cuore.

 

 

Cardo: solitudine, isolamento

 

 

 

 

Eccoci qui, e dire che quando avevo cominciato a scrivere non sapevo che cacchio avrei detto. Come sempre grazie a tutti voi per il supporto, grazie al criceto di Ste_exLagu che è bravissimo ad incitare il mio e grazie ad Aimi_fantasy per il suggerimento sul fiore... ovviamente sono andata ad usare il più doloroso e nella sua accezione peggiore ahahaha sto diventando sadica (Rukawa dalla regia fa un verso tipo balena morente che davvero non mi spiego)

Come sempre, battete un colpo se gradite!

XOXO

 

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Capitolo 8
*** Marigold ***


Sakuragi era nervoso oltre ogni limite.

Aveva promesso a Rukawa che quel giorno dopo gli allenamenti sarebbe uscito con lui, e non ne aveva la minima voglia: la terrificante reazione negativa al suo rifiuto il giorno precedente era la riprova che, come sempre, Sakuragi era stato fin troppo precipitoso nell'accettare una sfida. La questione dello stare vicino a Rukawa inizialmente era parsa qualcosa di innocente, insomma: se lui poteva fare la differenza, per quanto folle potesse sembrare, perché no? In fondo, non c'era nulla di cattivo in Sakuragi, le sue sparate un po' stronze erano semplicemente il suo modo di scherzare, una sorta di black humour da duro che gli serviva per coprire il fatto che non era altro che un cucciolo di foca, ma non aveva mai davvero voluto male a nessuno che non se lo meritasse.

Se nei primi tempi aveva creduto di odiare davvero Rukawa, con il gentile ma fermo rifiuto di Haruko ad uscire con lui Sakuragi aveva pian piano cambiato idea sul moro: il fatto che Haruko avesse declinato le sue avances era una prova, a suo dire, che non starci a priori con chiunque ci provi non è una cattiveria. Può esserlo, certo, ma Haruko era tanto dolce e tanto cara, si era dimostrata davvero dispiaciuta per non poter ricambiare i suoi sentimenti, e pian piano Sakuragi si era messo a ragionare sul rifiuto di Rukawa nei confronti della ragazza; probabilmente era solo un meccanismo di difesa mentale per riuscire a scendere a patti con il cinquantunesimo rifiuto, ma Sakuragi aveva finito per pensarci davvero e rivalutare il proprio giudizio su Rukawa.

In fondo, si era detto, non è che puoi innamorarti di chiunque ti faccia il filo: altrimenti, uno come il volpino sarebbe stato costretto a crearsi un immenso harem, infinito e in espansione come l'universo, e non sarebbe stato in grado di gestirlo a meno di non sviluppare il dono dell'ubiquità. Dal suo punto di vista, probabilmente, Haruko non era altro che una delle solite idiote che gli facevano il filo senza sapere nulla di lui, con solo l'attenuante di non essere una scimmia urlatrice che sbraita il suo nome dagli spalti come se ne andasse della propria vita. Ma di certo non si può scegliere un partner secondo il principio del “beh, fa meno schifo delle altre opzioni”.

Quindi, poco a poco Sakuragi era riuscito anche a scendere a patti con la bravura di Rukawa e aveva finalmente compreso che la sua non era voglia di mettersi in mostra: se lo fosse stata, l'avrebbero poi ritrovato a fine partita a farsi scattare foto con i fan e firmare autografi, e invece Rukawa restava sempre in disparte, non si lasciava avvicinare e non si vantava di nulla. Era come se la sua bravura fosse semplicemente una parte di lui, qualcosa che aveva guadagnato e che sapeva di non dover difendere a parole o sbandierare a tutto il mondo, qualcosa che c'era e basta, innegabile e incontestabile come il moto rotatorio del pianeta Terra. E Sakuragi aveva compreso che non lo odiava realmente, era solo invidioso di lui, per il suo successo con le ragazze e per la sua bravura in campo.

Aveva sempre sofferto di insicurezza, e solo di recente aveva cominciato a reagire alle prese in giro dei bulli: sapeva che la risposta violenta era sbagliata, ma proprio a causa del suo imbarazzo a dichiararsi incapace in qualcosa non aveva potuto trovare il coraggio di chiedere a qualcuno come si reagisce veramente bene. Osservando Rukawa, pensava di aver trovato la chiave per il proprio sviluppo: migliorare. Darci dentro fino a sputare sangue e migliorare con costanza, giorno dopo giorno, combattendo contro l'ansia del fallimento e cercando di sfruttare ogni progresso per svilupparlo e farlo diventare una vera e propria conquista.

In effetti, rifletté mentre si faceva la doccia dopo gli allenamenti, consapevole del fatto che Rukawa lo stava aspettando, pallido e smunto e tossicchiante, sulla panchina a bordo campo, probabilmente nella sua decisione di aiutarlo c'era stata più di una punta di egoismo: altrimenti non avrebbe saputo spiegare come mai la prima cosa che gli era saltata in mente era stato un breve ma intenso film mentale in cui loro due giocavano a basket insieme e Rukawa con pazienza lo aiutava a migliorare la tecnica, per poi finalmente cominciare a cooperare con lui in partita, eleggendolo implicitamente a proprio pari, un compagno, un partner.

Sakuragi si strofinò i capelli, pensoso. Strana scelta mentale, quella parola, “partner”. Si chiese se non si stesse dimostrando meno forte di Rukawa, andando a prendersi una strana cotta per l'unico essere umano del pianeta che avesse dimostrato di tenerci a lui in quel senso, poi scacciò l'idea: insieme sarebbero stati un vero disastro, si sarebbero scannati a vicenda un giorno sì e l'altro pure, erano chiaramente come l'acqua e l'olio, e anzi, forse l'idea di andare a fare una passeggiata insieme era già un rischio. Calcolato, sì, ma Sakuragi faceva schifo in matematica, quindi chi gli garantiva che i suoi calcoli fossero corretti e non stessero invece andando incontro ad un disastro di portata epocale? Sospirò, chiudendo il rubinetto della doccia, mentre una sottile scia di panico cominciava a farsi strada in lui.

Se Rukawa aveva reagito così male ad un semplice “non oggi, domani”, chi gli garantiva che non sarebbe morto sul colpo ad un rifiuto più netto e generalizzato? E chi gli garantiva che, in caso avesse deciso di andare con la corrente e continuare a vederlo, la cosa non si sarebbe trasformata in una relazione abusiva in cui Rukawa pretendeva e Sakuragi non poteva rifiutarsi perché altrimenti quello cominciava a tossire, vomitare fiori del cazzo e farsi venire la tachicardia?

Decise che ne avrebbe parlato con lui, seriamente e con calma, piuttosto portandolo nella sala d'aspetto del pronto soccorso a scanso di equivoci: va bene l'altruismo, ma arrivare a sacrificare tutto se stesso per uno che a momenti nemmeno conosceva era un po' eccessivo.

Sbatté la porta dell'armadietto e uscì dallo spogliatoio, senza notare le occhiate preoccupate che i suoi compagni si stavano scambiando dall'inizio degli allenamenti, in ansia perché il loro caotico motivatore non aveva spiccicato mezza parola da quando era entrato in palestra.

-Eccomi qui!- annunciò, fingendo un entusiasmo che non provava. Rukawa si alzò, saldo sulle gambe nonostante il suo viso fosse pallido, tranne due chiazze di malsano rossore sulle guance. Insieme uscirono dalla palestra, facendo un cenno di saluto ad Ayako, e in silenzio si incamminarono verso i cancelli della scuola.

-Allora, dove vuoi andare di bello?- chiese Sakuragi.

-Senti, piantala. Portami a casa e basta.- rispose Rukawa, a voce un po' troppo alta per i suoi canoni. Il rosso si voltò a guardarlo e lo vide che tratteneva dei colpi di tosse. Il moro distolse lo sguardo e aggiunse: -Oggi è una giornata di quelle no.- Sakuragi rimase in silenzio, immobile, pensieroso, poi sospirò profondamente. Lo prese per il braccio e lo portò in silenzio verso il parco adiacente alla scuola, poi lo costrinse a sedersi su una panchina mezza distrutta e disse: -Se è una giornata no, visto il tuo problema, deduco di essere io la causa. Cos'è successo?

-Niente. Oggi è così e basta.- ribatté Rukawa, poi si trasse le ginocchia al petto e rimase appollaiato così sulla panchina, a fissare senza vederlo un piccione che becchettava nel prato in cerca di cibo.

-È perché ieri ti ho detto che non potevo accompagnarti?- chiese Sakuragi, sentendosi una vera merda. Sapeva di essere indelicato, sapeva che avrebbe potuto trovare un modo migliore per dirlo, ma gli era uscita così. Era vero anche che la questione lo tormentava dalla sera prima.

-Cazzo, spero di no.- rispose Rukawa, ma qualcosa nell'irrigidirsi delle sue spalle diede a Sakuragi il sospetto che non stesse dicendo tutta la verità.

-Però sei stato male subito dopo che ti ho detto che non potevo.

-Sì, e non ci ho dormito, ok?- sbottò Rukawa, -Non è da me.- Sakuragi si voltò verso di lui e attese una continuazione del discorso. Il moro stava digrignando i denti, era chiaro dal ritmico contrarsi della mascella, e Sakuragi attese con pazienza che cedesse.

-Non sono uno che pretende.- disse infine Rukawa a bassa voce, poi proseguì in brevi frasi, slegate e divise tra loro da palesi pause di silenzio: -Quando mi hai detto che non potevi perché avevi delle commissioni da fare ho pensato ok, legittimo. So che tu e tua mamma siete da soli. È normale che la devi aiutare. Poi mi sono sentito addosso il panico. Ho provato a ripetermi che avevi detto “domani sì”. Ma niente. E ho avuto la crisi.- Sakuragi rimase in silenzio, mentre Rukawa se ne stava lì a fissare il prato da cui il piccione se n'era ormai andato, a respirare affannosamente, con gli occhi un po' lucidi e la fronte aggrottata. Una lieve stilla di senso di colpa si fece strada in Sakuragi: forse Rukawa non se n'era reso conto a livello cosciente, ma il suo “non oggi” era un palese “possibilmente mai”. Qualcosa in lui doveva essersene accorto e ciò gli aveva causato la crisi.

-Sto pensando di farmi operare.- aggiunse Rukawa, in un tono di voce così flebile che Sakuragi stentò a sentirlo. Si voltò verso di lui e si sporse in avanti, appoggiando un braccio sullo schienale della panchina; fu un atto del tutto involontario e del tutto fraintendibile.

-Hai detto che vuoi farti operare?- chiese, il viso a non più di una decina di centimetri da quello di Rukawa, che si ritrasse un po'.

-Sì, esatto. Meglio prima che poi.- bisbigliò.

-Ma quindi fammi capire, c'era un'altra soluzione al tuo problema? Ti possono operare?

-Allontanati, per favore, mi fa male.- rispose rapidamente Rukawa. Il suo respiro si era fatto superficiale, appena sufficiente forse a garantire che non svenisse. Sakuragi si rese conto di essersi quasi avvinghiato a lui e si allontanò: -Scusa.- Rukawa non rispose, ma si portò una mano al cuore.

-Posso fare qualcosa? Devo chiamare un'ambulanza?- chiese Sakuragi. Rukawa scosse la testa, poi si appoggiò alla panchina incurvando la schiena all'indietro, come se cercasse di espandere il torace il più possibile. Sakuragi, che aveva assistito ad un paio di crisi d'asma di un vecchio amico delle medie e sapeva come fare, lo trasse a sé senza stare a pensarci troppo, fece aderire la schiena di Rukawa al proprio petto e gli tirò indietro le spalle: -Respira. Concentrati solo su quello, Ru, respira.- disse, e non accolse con molto piacere il fremito che gli percorse la spina dorsale quando Rukawa gli appoggiò la testa sulla spalla.

Rimasero immobili sulla panchina, praticamente soli visto che la maggior parte degli studenti era già andata a casa e gli adulti erano ancora al lavoro, e mentre Rukawa cominciava a grattarsi distrattamente la parte interna dell'avambraccio Sakuragi cercò di trattenere il panico: e se Rukawa avesse avuto una crisi brutta proprio in quel momento? Portarlo al parco era stata un'idea davvero stupida, avrebbe dovuto portarlo in centro, in un bar o qualcosa del genere, un posto con un telefono insomma, per poter chiamare l'ospedale in caso di emergenza.

E invece no, quando ti cullano vicino al muro da bambino poi hai ripercussioni tutta la vita, quindi eccoli lì, uno a cercare di ricordarsi come si fa a respirare e l'altro a cercare di calcolare in quanto tempo può raggiungere un telefono.

Sakuragi abbassò lo sguardo su Rukawa per controllare le sue condizioni e per poco non vomitò: il moro si era grattato il braccio fino a farlo sanguinare, e stava continuando a scavare con le unghie nelle abrasioni che si era già causato. -Cazzo, Rukawa, che...

-Prude!- rispose Rukawa tra i denti, poi le sue unghie strapparono la carne sul suo braccio. Un denso grumo di sangue uscì dalla piccola ferita, e poi fiottò abbondante.

-Oh, porca...- Sakuragi si cavò un fazzoletto dalla tasca e lo avvolse strettamente sulla ferita, stringendo più forte che poteva. Rukawa cacciò un piccolo gemito di dolore e si lasciò scaraventare contro lo schienale della panchina; Sakuragi si tolse la cintura e la strinse più forte che poteva appena sotto al gomito di Rukawa, e la macchia rossa che aveva cominciato ad allargarsi inesorabile sul fazzoletto si arrestò poco a poco.

-Che cazzo è successo?- chiese Sakuragi. Rukawa scosse il capo, sconvolto, il respiro ancora affannoso ma più regolare e profondo. Il rosso raccolse il grumo di sangue dal polso di Rukawa, dove si era appiccicato, lo toccò sotto lo sguardo schifato del moro e poi disse: -Stai fermo lì, non muovere un muscolo.- Rukawa obbedì, troppo debole e spaventato per reagire.

Sakuragi tornò dieci minuti dopo con il sacchetto di un konbini in una mano e un fazzoletto di carta bagnato e appallottolato nell'altra.

Senza dire una parola, estrasse dal sacchetto un kit di pronto soccorso e slegò la fasciatura improvvisata sul braccio di Rukawa, poi pulì la ferita con un getto di acqua ossigenata. Pur preda dello shock, Rukawa notò che il tappo della bottiglietta era già aperto, la chiusura di garanzia già rotta; si chiese vagamente come mai, poi un forte dolore al braccio lo distrasse.

-AHIA! Do'aho!- protestò.

-Oi, deficiente, sta' buono. Ti sto evitando di sanguinare a morte, va bene? Devo chiudere la ferita.

-Non vorrai mettermi dei punti?!- chiese Rukawa, terrorizzato alla sola idea che quel bisonte imbranato provasse a bucargli la pelle con un ago.

-Nah, coglione, ti sembro uno che si intende di ricamo? Ti sto mettendo dei cerotti da sutura, ma devo prima chiudere la ferita. Dovrebbe cicatrizzarsi bene, non è profonda, ma cazzo, Rukawa, non ho mai visto nessuno grattarsi fino a toccare un'arteria!

-Un'arteria? Ma che cazzo dici?- chiese Rukawa a denti stretti, trattenendo lacrime di dolore.

-Cazzo, non hai visto che il sangue è letteralmente schizzato fuori?- ribatté Sakuragi, e Rukawa si fermò a guardarlo. Era insolitamente pallido, e le sue mani tremavano un po' mentre lo medicava. Quando la ferita fu ricoperta da piccoli cerottini bianchi, Sakuragi disse: -Provo a togliere il laccio emostatico. Tu sta' fermo e buono, che se ricomincia a sanguinare lo stringo di nuovo e ti porto in ospedale.- Rukawa annuì, ma quando Sakuragi allargò la cintura che aveva usato come laccio emostatico improvvisato non successe nulla, se non che il moro cominciò ad avvertire un lieve prurito all'avambraccio.

-Com'è?- chiese Sakuragi, con le mani ancora sulla cintura che circondava il braccio di Rukawa.

-Prude di nuovo.- rispose Rukawa, troppo stanco per mentire.

-Quello è il sangue che riprende a circolare. Aspetta un paio di minuti, passerà. Intanto ti metto una benda.- Rukawa si adagiò contro lo schienale e chiuse gli occhi, mentre Sakuragi si dava da fare con una garza.

-Dove hai imparato questa roba?- chiese infine, con voce esausta.

-Scrubs. E poi una volta Yohei si è fatto male davvero cadendo da una bici, questa roba ha funzionato. Solo che poi lui l'abbiamo dovuto portare in ospedale.

-Addirittura?- chiese Rukawa.

-Già. È caduto dal portapacchi della bici e si è tagliato la coscia con il filo dei freni, in alto in alto. Il dottore ha detto che lì l'arteria femorale è larga come un'autostrada, e che se non gli avessimo stretto la coscia sarebbe morto dissanguato in pochi minuti.

-Porca troia. Credo che controllerò i fili dei freni della mia bici.- disse Rukawa dopo un po', meditando sulla fragilità della vita e sulla sua sciocca ostinazione.

-Buona idea, non si sa mai. I suoi avevano perso il cappuccio, suo papà poi ci ha fatto vedere come fare a saldarli all'estremità. Non ci vuole molto.

-Bel suggerimento, terrò il saldatore a portata di mano.

-Uh, sai saldare?

-A stagno, sì. Ho visto un video in tv e mi sono montato il canestro in cortile.

-Regge abbastanza da farci gli slam dunk?- indagò Sakuragi, e Rukawa esitò. Infine ammise: -Non lo so, non mi fido e non ho mai provato.- Il rosso rise e tornò a sedersi di fianco a lui sulla panchina.

Cadde un silenzio che stranamente non risultò imbarazzante, poi Sakuragi disse: -Questo ti è uscito dalla ferita. L'ho disinfettato.- Rukawa prese il fazzoletto di carta bagnato che gli aveva visto in mano e si trovò faccia a faccia con un fiore giallo, simile a una margherita.

-È una calendula, se vuoi saperlo. Mamma le coltiva, per questo lo so.

-Nh.

-Rukawa, cosa vuol dire?

-Vuol dire che la malattia ha attaccato anche il cuore, credo.- disse Rukawa con voce sorda.

-Perché non ti sei ancora fatto operare? Hai paura dei postumi?- chiese Sakuragi. Rukawa esitò a lungo prima di rispondere: -Perché se mi operano, se ne andrà anche quello che provo per te.

-E non è meglio così?- chiese Sakuragi, poi si affrettò ad aggiungere: -Voglio dire, davvero, non mi pesa tenerti compagnia, ma se rischi di stare sempre peggio non mi pare il caso di rischiare.

-Non è così facile.- ribatté Rukawa, con le lacrime agli occhi.

-Perché non lo è?- Rukawa non rispose. Non sapeva come spiegare che quella fiamma che gli bruciava dentro ogni volta che lo vedeva era qualcosa di tanto caldo e tanto potente che non riusciva ad immaginare di vivere senza. Ormai amarlo era una parte fondamentale della sua esistenza, quasi al pari del basket, e da quando si era reso conto di non essere più il centro della propria vita in qualche modo gli sembrava di vivere meglio, di essere più aperto e di sapersi prendere qualche rischio in più. Ma le parole non erano il suo forte, e avrebbe rischiato di cadere in banalità da film d'amore, di quelli così brutti che nemmeno Hugh Grant si sarebbe abbassato a farne parte.

Infine, Sakuragi bisbigliò: -Ho una cosa da dirti, Rukawa.

-Nh.

-L'altro giorno, nella tua stanza ho trovato un petalo di rosa rossa. So cosa vuol dire.- Rukawa si impose di restare immobile, anche se il suo istinto gli stava urlando di scappare a gambe levate, prendere un aereo, poi un treno, poi rubare un asino e andare a nascondersi nella foresta più sperduta che riusciva a trovare.

-Per farti guarire devo ricambiare i tuoi sentimenti, non è vero?- Rukawa tacque a lungo, talmente sconvolto che non ebbe nemmeno modo di stupirsi del fatto che nonostante tutto non stava tossendo un prato intero. Infine ammise: -L'idea è quella.

-Non sono sicuro di poterlo fare. Ma posso conoscerti meglio e vedere come va.- Sakuragi esitò, poi aggiunse: -Ma tieni sempre presente che non so se posso farlo.

-Se ti costringi a farlo dubito che funzioni.- disse Rukawa, poi si alzò in piedi di scatto, raggiunse un cestino della spazzatura e gli mollò un calcio, poi un altro, poi un pugno.

-Oi, Rukawa, ma che cazzo!- esclamò Sakuragi, bloccandogli le braccia con fermezza.

-Odio essere così, lo odio!- sbottò Rukawa, -Cazzo, stavo così bene ad amarti da lontano, mi stava benone, cazzo! E adesso sono qui a fare la figura della femminuccia che frigna e tossisce fiori, tossisce fiori, per l'amor del cielo! Che razza di puttanata!- Sakuragi non commentò, si limitò ad assecondare i movimenti spasmodici con cui Rukawa cercava di liberarsi senza lasciarlo andare.

Ci volle poco perché Rukawa esaurisse le energie, e a quel punto Sakuragi lo abbracciò e si trasse la sua testa nell'incavo della spalla. Lo cullò lievemente, poi disse: -Lo so che non sei così. Lo so. Sei solo nervoso, e spaventato. E sono spaventato anch'io. Questa cosa è così grossa, e così piena di... di cose che non si sanno. È una responsabilità grande, e ieri volevo scappare. E tu forse l'hai capito, per quello sei stato male.- Sakuragi sciolse l'abbraccio, ma trattenne Rukawa tenendogli le mani ai lati del viso. Lo guardò, sondò l'immagine del suo volto sconvolto e terrorizzato e ferito e si accorse che quello che lo faceva più incazzare di tutta quella faccenda era che Rukawa era sconvolto, terrorizzato e ferito.

Rukawa non poteva stare male. Rukawa era la roccia. Era la pietra angolare su cui poggia un edificio, un semplice, piccolo sasso all'apparenza come tanti altri, ma che da solo regge le sorti dell'intera struttura.

Rukawa non poteva crollare.

E Sakuragi l'avrebbe aiutato a resistere.

Non sapeva perché, aveva paura a chiederselo, ma tutta la risoluzione del giorno precedente era andata a farsi benedire mentre guardava il primo schizzo di sangue erompere dal braccio di Rukawa e si rendeva conto che c'era la possibilità di dover passare il resto della vita con la consapevolezza che quel maledetto volpino non fosse più da nessuna parte del mondo.

-Ci proviamo insieme, te lo prometto.- disse Sakuragi, poi senza stare a ragionarci troppo a lungo si chinò e depose un lieve bacio sulla guancia di Rukawa.

 

 

 

 

Calendula: dolore causato da pene d'amore

 

 

 

 

Ciaossu!

/Rukawa mi fissa truce dalla regia/

Per questo capitolo, ringrazio di cuore Aimi_fantasy che mi ha consigliato la calendula, cicci783 che mi ha dato un grandioso assist senza saperlo (non è stato così brutto, dai! /Rukawa dalla regia lancia improperi e maledizioni/) e Ste_exLagu a cui ho rubato la cosa dell'essere cullati vicino al muro. Geniale, assolutamente geniale.

Per la cronaca, adoro Hugh Grant e piango come una mammoletta su tipo tutti i suoi film.

E la cosa dei fili dei freni l'ho vista succedere, è stato un trauma pazzesco. Stay safe e saldateli o copriteli con del nastro isolante se vedete che hanno perso il cappuccio, fidatevi.

I ragionamenti di Hana sono molto contorti, lo so, non è mai stato uno che riesce ad andare dal punto A al punto B senza passare per tutto l'alfabeto, ma ho fiducia che prima o poi riuscirà a fare pace col cervello.

Spero che nonostante il gore e la confusione di Hana il capitolo vi sia piaciuto, come sempre battete un colpo se avete gradito!

XOXO

 

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Capitolo 9
*** Iris ***


Ciaossu, minna!

Eccoci qui, di prima mattina, io, il pc e il secchio di caffè che sperabilmente mi impedirà di commettere un omicidio entro sera!

Il nostro Hana sembra un po' confuso, ma per fortuna ha un amico più sveglio di lui: sì, parlo del nostro Cupido preferito, l'uomo dal capello ingellato che Danny Zucco levati, l'acqua cheta che lo sopporta, il suo fratello non di sangue: Yohei Mito!

Grazie a tutti per i commenti sul capitolo precedente, ringrazio Alexis77 per il consiglio sul fiore!

Come sempre, battete un colpo se gradite!

XOXO

 

 

 

 

 

Sakuragi riuscì a comportarsi più o meno come si deve per tutta la cena a casa di Mito.

Poi, non appena si trovò nella cameretta dell'amico, si buttò su una poltroncina ed emise un lunghissimo sospiro, come se avesse appena portato a termine un delicato esperimento chimico che al minimo errore avrebbe potuto cancellare l'intero pianeta Terra.

Mito si sedette sul letto e chiese: -Avanti, Hana, qual è il tuo problema?

-Magari averne solo uno...- borbottò Sakuragi, incrociando le braccia. Sollevò i piedi e piegò le ginocchia, mettendosi in una posizione degna di un contorsionista esperto.

-È per Rukawa?- chiese Mito. Sapeva che quando Sakuragi faceva così il malmostoso toccava a lui tirare a indovinare per capire almeno la fonte del problema, altrimenti non avrebbero fatto altro che rimanere a non guardarsi per tutta la sera. E il silenzio avrebbe spinto Sakuragi a mettersi a meditare sulla questione, cosa che non era consigliabile nemmeno in condizioni normali: quel ragazzo tendeva a farsi dei voli pindarici del tutto illogici e assurdi, portandolo ad arrivare alle conclusioni sbagliate. Non era questione di cattiveria, Mito sapeva che Sakuragi era ben in grado di ragionare, ma quando si ritrovava a tu per tu con questioni relative ai sentimenti perdeva di vista ogni tipo di senso logico, soprattutto a caldo; e la malattia di Rukawa, che a quanto pareva in qualche modo dipendeva da lui, era di certo qualcosa che colpiva Sakuragi proprio in mezzo al petto.

Sin dalla prima volta che li aveva visti interagire, Mito aveva avvertito qualcosa stridere, una nota fuori posto in una altrimenti perfetta sinfonia di urla e improperi: Sakuragi era partito per la tangente ancor prima di sapere chi diavolo fosse quel tale, mentre in condizioni normali avrebbe cominciato innanzitutto a raccogliere informazioni e a cercare di capire come includere quel nuovo combattente all'interno della stretta cerchia della gundan. Così era successo con Ohkusu e anche con Noma: entrambi erano stati reclutati forzatamente da Sakuragi dopo che il rosso aveva visto come se l'erano cavata durante delle risse, e quando Mito aveva visto Rukawa circondato dai corpi dei suoi aggressori aveva avuto un istante per pensare che quel tipo sarebbe stato un ottimo acquisto per il loro gruppo e si era preparato ad accoglierlo sopperendo con la propria naturale gentilezza alle mancanze che l'impetuosità di Sakuragi avrebbe causato.

E invece no, con sua somma sorpresa Sakuragi era scattato e si era scagliato contro Rukawa. Ripensandoci la sera, a mente fredda, Mito si era reso conto che la reazione dell'amico era stata una vera e propria reazione di panico. Si era chiesto a lungo il perché di quell'improvviso timore, e dopo lunghe e attente osservazioni di cui non aveva fatto parola con nessuno si era rassegnato ad ammettere con se stesso che probabilmente il suo migliore amico non era proprio del tutto eterosessuale come voleva lasciar credere. Non che fosse un problema, ovvio, a parte il piccolo dettaglio che per farglielo ammettere sarebbero dovuti ricorrere almeno al waterboarding.

-Allora? È per Rukawa?- chiese di nuovo, visto che Sakuragi non si era degnato di rispondere per cinque minuti buoni. Già solo il suo silenzio era una risposta abbastanza esplicita, a suo dire, ma conosceva il suo pollo e sapeva che le cose andavano cavate dalla bocca di quel testardo.

-Sì.- disse infine Sakuragi, ad un tono di voce così basso che la maggior parte di quelli che credevano di conoscerlo avrebbe probabilmente pensato che fosse stato sostituito da un goffo clone alieno. Ma Mito lo leggeva come un libro aperto, conosceva ogni sua espressione, ogni gesto, ogni inflessione della sua voce, e questo suo tono era quello riservato ai problemi gravi; includeva in sé una muta supplica: “Parlerò, se insisti, perché ti voglio bene, ma dovrai giurare di portarti quel che dirò fin nella tomba”.

-Dai, Hana, a me puoi dirlo.- disse Mito, nel suo solito tono calmo e pacato che nascondeva la sua curiosità. Dopo un annetto, si era ormai convinto che nulla sarebbe successo e che Sakuragi sarebbe vissuto nella negazione, ma il suo sesto senso gli suggeriva che forse, forse, si era sbagliato.

-Oggi sono uscito con lui.- disse Sakuragi. Mito attese con pazienza: era un'informazione inutile, visto che lui e gli altri erano già stati avvisati durante l'intervallo per il pranzo, e che Takamiya e Noma avevano passato il resto del loro tempo libero a capire come utilizzare la cosa per aumentare la popolarità di Sakuragi tra le ragazze. Cosa ancora più importante, il rosso non li aveva presi a testate come normalmente avrebbe fatto per aver osato insinuare che solo grazie al riflesso della popolarità di Rukawa avrebbe potuto ottenere l'attenzione di una ragazza.

-Non ne avevo la minima voglia. Volevo mandarlo a fanculo e basta.- ammise Sakuragi.

-Questo non è da te, Hana.- si stupì Mito. Dopo un lungo silenzio, Sakuragi disse: -Tu non sai tutto.- Mito aggrottò la fronte e catturò lo sguardo dell'amico, che dopo un sospiro gli spiattellò tutto quanto. Il significato dei fiori e soprattutto di un fiore in particolare, che senza ombra di dubbio stava ad indicare che i sentimenti di Rukawa nei suoi confronti non erano del tutto privi di malizia. Mentre Sakuragi snocciolava le informazioni, Mito si sedette più dritto contro il muro, cercando di capire dove il discorso sarebbe andato a parare. Infine, dopo un altro lungo silenzio, Sakuragi disse: -Non volevo uscirci perché ieri quando gli ho detto che non potevo ha avuto un'altra crisi. Te lo ricordi, no, eri lì a guardare.

-Me lo ricordo. Ma non mi avevi detto che era per quello.

-No, perché mi sono sentito una merda! Io... mi sembrava di essere in quel film patetico con il tipo figo-solo-io che se la fa con Kim Basinger, com'è che si chiama?

-Nove Settimane e Mezzo?- chiese Mito. Avevano visto insieme il film ed entrambi avevano concluso che fosse una schifezza sopravvalutata, le scene erotiche del tutto rovinate dall'atteggiamento misogino e possessivo di lui.

-Quello. Ho pensato che se quello era il modo in cui doveva andare, allora fanculo, non ci sto.- disse Sakuragi; il suo viso era contorto in una smorfia: -Insomma, non è che posso buttar via tutto il resto solo perché Rukawa si ritrova con una strana malattia. Un sacco di gente crepa per malattie strane e non è mia responsabilità. Ma gli avevo promesso che sarei uscito con lui e l'ho fatto.

-Avevi intenzione di portarlo all'ospedale e scaricarlo, non è vero?- chiese Mito, e Sakuragi lo fissò stralunato: -Com'è che sai sempre tutto?

-Sei il mio migliore amico, demente. So che in fondo in fondo non ti piace infilarti nei problemi.

-Già... e com'è che mi ci trovo sempre dentro fino al collo?

-Mi fai tornare in mente una roba buffa che ho letto tempo fa, dove una partoriva e il bambino aveva i capelli strani e lei diceva “oh, no, è il protagonista di un manga”. Secondo me è perché hai i capelli rossi.- dichiarò Mito. Il suo tentativo di strappare un sorriso all'amico ebbe successo: le labbra del rosso si incurvarono in una parvenza di divertimento, e Sakuragi ribatté: -Porca l'oca, se la mamma avesse saputo... a me ha detto solo che i capelli rossi portano fortuna.

-Forse in Irlanda, in Giappone probabilmente è più forte l'effetto manga. Per una questione di cultura locale.

-Già, ha senso.- Sakuragi annuì con aria finto seria, poi sospirò.

-Tornando al discorso...- lo incoraggiò Mito.

-Tornando al discorso, comunque l'idea era quella. Ma Rukawa aveva le palle stra girate, e quando gli ho chiesto perché ha detto che era proprio per quella crisi. Ha detto che lui non è il tipo che pretende, e che sapeva benissimo che ho una vita mia e che non sono obbligato a rimandare i miei impegni per far piacere a lui. Una cosa così, insomma, non mi ricordo le parole precise anche perché parlava come un telegramma, ma il concetto è quello.

-In effetti non sembra una cosa da lui. Rukawa mi pare più il tipo che se anche chiede qualcosa, nel momento in cui gli dicono di no fa spallucce e vede di cavarsela da solo.

-Infatti, è una cosa che ho sempre ammirato di... NON VOLEVO DIRE QUELLO CHE HO DETTO!- sbraitò Sakuragi, e Mito rise di gusto: -Aha, e invece l'hai detto, l'hai detto!

-Merda secca e sfrantumata, Yohei, se questa cosa esce di qui giuro che...

-Piantala, demente, non dirò una parola. L'ho sempre saputo che in fondo in fondo Rukawa ti piace.- Mito fece appena in tempo a finire la frase, poi trasecolò: Sakuragi era arrossito. Ma di brutto, anche, sembrava una lampadina umana.

-Cos...- tentò Mito, poi cambiò strada, -Nel senso, non lo odi quanto vuoi far credere, ecco.

-Ah, eh, sì, ovvio, cioè, che altro?- ribatté Sakuragi, ridacchiando, poi gettò la bomba: -Comunque si è dichiarato.

-COSA?!- sbottò Mito, sconvolto al punto da perdere l'equilibrio nonostante fosse fermamente seduto a gambe incrociate al centro del letto.

-Sì, cioè, non direttamente, ecco...- Sakuragi prese un altro bel respirone, poi spiegò: -Ha avuto un'altra crisi. Ma stavolta diversa, non ha tossito fiori, si è grattato a sangue un braccio ed è uscito da lì. Ha detto che probabilmente la malattia sta cominciando ad attaccare anche il cuore.

-Cazzo... non è una bella notizia.- commentò Mito, sconvolto.

-Già. E poi ha avuto tipo un attacco di nervi, si è messo a prendere a calci un cestino della spazzatura e ha urlato che lui non voleva questa cosa, che lui stava bene ad amarmi da lontano.

-Orpo. La parola con la A.

-La parola con la A.- ripeté Sakuragi. Il suo sguardo era fisso su una pellicina al lato dell'unghia del pollice; imbarazzato, si mise a tormentarla in silenzio, e Mito gli lasciò prendere tempo. Sakuragi si portò la mano alla bocca e mordicchiò la pellicina, nella speranza di staccarla senza aprirsi fino alla nocca, e Mito continuò ad aspettare. Infine chiese: -E tu?

-Che cazzo dovevo fare, Yohei? L'ho calmato! E... l'ho... baciato.

-COSA CAZZ?!- sbottò Mito. Quello era decisamente qualcosa di imprevedibile. Assurdo e improvviso come uno tsunami senza prima un terremoto sott'acqua.

-Sulla guancia!- si affrettò a puntualizzare Sakuragi, asciugandosi il pollice contro i pantaloni.

-Sì, ma... cioè, è...

-Ha la pelle morbida.- disse incoerentemente Sakuragi.

-Ne prendo atto, ma...

-Ed era così disperato, e indifeso, e quando l'ho abbracciato tremava.

-Hana, tutto questo è...

-Credi sia possibile innamorarsi solo perché qualcuno ti mostra dei sentimenti?- chiese di botto Sakuragi, e cadde un silenzio teso. Mito ragionò su come rispondere.

Se da un lato, la risposta onesta sarebbe stata “sì”, soprattutto per uno che nessuna ragazza s'è mai cagata di striscio, d'altra parte sarebbe stata anche una risposta riduttiva. Certo, è sempre possibile per un povero sfigato in amore attaccarsi ad una persona solo perché questa gli si è dichiarata, anzi, è molto probabile, ma Mito non credeva che fosse tutto lì. Anche perché di solito, se uno è convinto di essere etero e un maschio si dichiara, sfigato o no la prima reazione è un “ew, che schifo”. Magari non detto ad alta voce, Sakuragi era inappropriato ma non insensibile, ma almeno la sua testa avrebbe dovuto dirgli quello. E se la sua testa gli avesse detto quello, forse Sakuragi avrebbe comunque cercato di tranquillizzare Rukawa perché era fatto così, ma gli sarebbe rimasto a distanza di braccio o gli si sarebbe avvicinato solo dopo essersi chiuso il buco del culo con un'abbondante dose di nastro adesivo industriale: non era cattiveria, era solo il logico ragionamento di un maschio eterosessuale, che vede se stesso come un allupato cronico e parte dall'assunto che anche tutti gli altri maschi che lo circondano siano come lui. Un ragionamento capzioso e pure cattivo, ma comunque una reazione primordiale; poi si sarebbe potuti passare alla logica, ma l'istinto diceva che il buco d'uscita vuole rimanere solo e soltanto un buco d'uscita.

-Risposta lunga, Hana, non interrompermi, ok?- disse infine Mito. Sakuragi annuì e lui proseguì: -È senz'altro possibile. Soprattutto per uno che la figa la vede solo col binocolo.

-EHI!

-MA.- Mito alzò una mano per placare l'amico, -Credo anche che sia un po' difficile quando la persona che si dichiara è un maschio. Cioè, se Ohkusu mi si dichiarasse domani, credo che per prima cosa cercherei di fargli un esorcismo.

-Va beh, che c'entra, Ohkusu è un roit... oh, cazzo.- Mito rimase in silenzio. Forse, e ripetiamo forse, Sakuragi era arrivato da solo al punto. Sakuragi si era piazzato una mano davanti alla bocca e fissava Mito con occhi grandi come piattini da caffè; dopo un po', abbassò la mano e bisbigliò: -Yohei, dici che sono un finocchio?

-Sembri più una carota.- rispose Mito, nel tentativo di sdrammatizzare. Sakuragi fece il gesto di lanciargli addosso qualcosa, ma nel suo shock si era completamente dimenticato di prendere in mano un oggetto prima di scagliarlo.

-Adesso parliamo seriamente, Hana.- disse Mito. Sakuragi si morse un labbro e distolse lo sguardo, ma l'amico non demordette: -Io non so come funziona tutta questa roba dell'essere gay, ma ti dico che secondo me tra te e Rukawa c'è sempre stato qualcosa di strano.

-In che senso, strano?- chiese Sakuragi in tono monocorde. Mito si chiese vagamente se tutti quelli che non erano etero e cis cadessero in un'istantanea depressione nel momento in cui se ne rendevano conto.

-Nel senso, di solito quando vedi uno che pesta duro te lo fai amico, a meno che non sia uno stronzo. Con Rukawa invece sei scattato subito, anche prima che lui trattasse male Haruko, e te la sei sempre presa con lui per delle offese che, diciamocelo, Hana, non stavano né in cielo né in terra.

-Quindi mi stai dicendo che sono vittima di un colpo di fulmine come nelle fiabe? Ci scambieremo il bacio del vero amore e vivremo per sempre felici e contenti?

-Se si arriva a tanto, credo che vivrete per sempre pesti perché vi menereste ogni giorno per stronzate, ma no. Non sto dicendo esattamente questo. Sto dicendo che non è che uno “diventa” gay da un momento all'altro. Solo che magari fino ad un certo punto non incontri nessuno che ti colpisce particolarmente e parti dal presupposto che ti piacciono le femmine, come ci hanno sempre insegnato in un modo o nell'altro.- Mito tacque. Non sapeva esattamente dove stava andando a parare, avrebbe voluto dire all'amico che non importava se gli piacevano i maschi, le femmine, tutti e due o nessuno, lui era sempre il solito Sakuragi Hanamichi, casinista dal buon cuore sempre pronto ad attaccare briga e a schierarsi dalla parte dei deboli, ma non sapeva come farlo senza sembrare il coprotagonista di una storia smielata di quelle su cui le ragazze si cavano gli occhi dal tanto piangere. Si avvicinò a Sakuragi e gli mise una mano sul ginocchio, cercando di far passare tutto quello che non sapeva come dirgli; di punto in bianco, Sakuragi scoppiò a piangere.

-Hana, per la miseria, non è una tragedia!- disse Mito, -Insomma, dopo cinquantuno rifiuti ti meriterai anche di trovare qualcuno che ti si fila, no?

-Yohei, ma è Rukawa!- singhiozzò Sakuragi, -Io odio Rukawa!

-E allora mandalo a fanculo.- ribatté Mito, volutamente crudele, -Se lo merita per averti messo in questa condizione del cazzo, insomma... chi è lui per permettersi di metterti in testa questi dubbi? Lascialo crepare e vaffanculo.

-Potrebbe farsi operare e rimuovere tutto.- ribatté Sakuragi. Secondo Mito, il fatto che il rosso non si fosse dichiarato concorde era un segnale chiaro come un cartellone al neon.

-E allora perché non lo fa? Cioè, tu dovresti sacrificarti mentre lui fa l'egoista?

-Se si fa operare, se ne vanno anche i suoi sentimenti per me.

-E allora dovresti insistere per farglielo fare!- dichiarò Mito, incrociando le dita. Non sempre la psicologia inversa funzionava con quel testone, ma non vedeva alternativa. Sakuragi si abbracciò le ginocchia e ficcò la faccia dietro agli avambracci, poi mugugnò qualcosa.

-Come hai detto?- chiese Mito.

-Non voglio che lo faccia!- urlò Sakuragi. Si sentì bussare alla porta, e la madre di Mito chiese: -Ragazzi, va tutto bene? State litigando?

-No, mamma!- la tranquillizzò Mito, -Hana ha problemi di cuore... come al solito.

-Volete un po' di cioccolato?- propose la donna.

-Magari dopo, grazie!- liquidata l'interruzione, Mito si voltò di nuovo verso Sakuragi e disse: -Hana. Le possibilità sono due. Da quel che mi dici, la malattia si espande, giusto?

-Giusto...- mugugnò Sakuragi.

-Allora, o gli dici di operarsi, di non rischiare la vita quando tu non sai che cosa puoi fare per lui, oppure cerchi di capire se ti piace, se... se provi qualcosa, insomma, e vedi come va.

-E se poi decido che non riesco a innamorarmi di lui?

-Credo che dovrete discuterne insieme, Hana. La salute è la sua. Che ne sai, magari ti conosce meglio ed è lui a concludere che non è innamorato ma voleva solo un'amicizia, va tutto a posto e comincia anche lui a venire al pachinko insieme a noi.- Sakuragi rimase in silenzio, meditabondo.

-Sì, penso che farò così.- disse alla fine. Sentiva di dover aggiungere qualcos'altro, ma più cercava di rincorrere i propri pensieri più essi gli sfuggivano, per cui si limitò a sorridere gentilmente alla mamma di Mito quando la donna portò loro due tazze di cioccolata calda.

 

A pochi chilometri di distanza, Rukawa si rigirava nel letto.

Si era involontariamente dichiarato a Sakuragi, e lui non solo non era scappato urlando, ma l'aveva anche abbracciato. E baciato su una guancia.

Poi, subito dopo l'aveva accompagnato a casa, con una tale fretta che Rukawa si era chiesto se per caso non fosse un ricercato che aveva visto un cacciatore di taglie.

Messaggi contrastanti, insomma, tanto che Rukawa si era portato di fianco al letto la derivazione telefonica che di solito stava in corridoio e si era scritto il numero del dottor Yamamoto, sicuro che presto o tardi avrebbe avuto una crisi di quelle brutte.

E invece nulla, niente di niente, neanche un po' di pizzicore in gola.

Ormai rassegnato all'idea che non avrebbe dormito, Rukawa sbuffò e si sporse per accendere la luce: tanto valeva usare quel tempo per leggere l'ultimo numero di One Piece, che aveva ignorato per una settimana abbondante. Quando la luce colpì il cuscino, Rukawa strabuzzò gli occhi per il fastidio, poi vide un piccolo fiorellino viola chiaro sul proprio cuscino.

Non una buona notizia, probabilmente, ma neppure una brutta: almeno non l'aveva espulso rischiando di soffocare. Sospirò di nuovo, prese al volo un altro fiore identico che gli era veleggiato fuori dalla bocca, mise entrambi in una boccetta su cui scrisse data e ora, poi scrisse rapidamente a cosa stava pensando sul quaderno di Ayako; infine prese in mano il manga.

 

A pochi isolati da casa sua, un altro ragazzo era sveglio, al buio e in silenzio, ma il sonno cominciava finalmente a prenderlo: aveva preso una decisione.

 

 

 

Iris: buone notizie

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Capitolo 10
*** Yarrow ***


-Ce la fai? Sei sicuro?- Rukawa trasse un profondo respiro. Era la gazilionesima volta che Sakuragi gli chiedeva la stessa cosa. Gli aveva addirittura telefonato la sera prima apposta per fargli quella cazzo di domanda. Per la gazilionesima volta, Rukawa rispose: -Sì. Ce la faccio.

-Ehi, vedi di non...

-E PIANTALA!- sbottò Rukawa, poi si voltò a fissare Sakuragi. Era passato un mesetto da quando il rosso si era finalmente deciso a provare a creare un rapporto con Rukawa, le cui condizioni erano progressivamente migliorate fino a concedergli di ritornare in campo per delle brevi ma intense comparsate durante le partite.

Quella era la semifinale contro il Kainan e Rukawa non intendeva perdersela.

-E dai, Rukawa, mi sto solo preoccupando per te!- protestò Sakuragi. Rukawa gli voltò le spalle e si mise a fissare ostinatamente dentro al proprio armadietto alla ricerca del polsino di spugna che non abbandonava mai. Intorno a loro, lo spogliatoio ronzava di chiacchiere sommesse ed emozionate, e degli occasionali scleri di Miyagi, un po' nervoso per la tensione di doversi dimostrare all'altezza del capitano Akagi, l'uomo che per primo aveva portato lo Shohoku fino in finale e che quel giorno sarebbe stato in mezzo al pubblico a controllare che facessero una bella figura.

-Lo so, ma per cortesia piantala.- ribatté Rukawa, agguantando il polsino che si era andato ad infilare nella sottile fessura che c'era tra la mensola e il fondo dell'armadietto. Stupida scuola di poveracci, neanche degli armadietti decenti.

La mano di Sakuragi si posò sulla sua spalla, costringendolo a voltarsi verso di lui: -Va bene, la smetto. Ma tu prometti che se non ce la fai lo dici subito.

-Sì, mamma.

-Prometti!

-E va bene, va bene, prometto!- rispose Rukawa, -Rompicoglioni.- si liberò della mano di Sakuragi scrollando la spalla, gettò il polsino nel borsone e chiuse la cerniera con un gesto stizzoso, poi uscì dallo spogliatoio sbattendosi la porta alle spalle.

Non udì la frase involontariamente strafottente di Kakuta.

 

Di certo il ragazzo aveva solo intenzione di fare un'innocua battutina, si disse Miyagi mentre il sangue gli si ghiacciava nelle vene.

Kakuta non era certo cattivo, anzi, era una pasta di ragazzo, sembrava quasi un Kogure 2.0, ma come tutti i maschi adolescenti aveva la delicatezza di un elefante ubriaco in una cristalleria.

E infatti, quel suo “Ehi, Sakuragi, com'è che ti preoccupi tanto per Rukawa? Vi siete fidanzati?” causò un crollo a catena, un effetto domino di quelli degni di essere immortalati per i posteri.

Per prima cosa, Sakuragi si fossilizzò a metà di un movimento, bloccandosi in una posa comica con un piede alzato come per fare un passo e le braccia stesse lungo i fianchi, una in avanti e l'altra all'indietro, la bocca aperta come quella di un pesce un po' rincoglionito.

Poi, proprio come un pesce fuor d'acqua, Sakuragi cominciò a boccheggiare in modo così rigido che si potevano udire i lievi schiocchi delle sue labbra che cozzavano l'una contro l'altra; di fronte alla sua reazione inusuale, sullo spogliatoio cadde un inquietante silenzio di tomba.

La caldaia ticchettò tre volte, poi tacque.

Miyagi si frugò freneticamente nel cervello, alla ricerca di una frase abbastanza innocente e brillante da distruggere ogni sospetto, spiegare tranquillamente che tutti erano preoccupati per Rukawa, ma che solo Sakuragi con la sua faccia di bronzo aveva osato chiedergli qualcosa, inventarsi che era chiaramente una delle sue sciocche provocazioni, e come mai a Kakuta saltava in mente una cosa del genere, non è che magari era lui che voleva mettersi con Rukawa?

Oh, cielo, questa era davvero geniale. Miyagi si concesse il tempo di battersi una metaforica pacca sulla spalla per il colpo di genio: questo fu il suo errore più grande.

In quel millesimo di secondo, la miccia sul candelotto di dinamite che portava il nome di Sakuragi Hanamichi bruciò fino in fondo, e l'esplosivo detonò.

Il rosso diede sfogo ad una serie di improperi incredibilmente creativi e straordinariamente offensivi, cosa che lasciò i compagni di squadra perplessi e spaventati. Pareva che non ci fosse alcun modo di fermarlo.

Ayako fece capolino dalla porta dello spogliatoio, perplessa, e chiese: -Ma che diavolo sta succedendo?- il suo sguardo faceva avanti e indietro da Miyagi a Sakuragi; quest'ultimo era nel bel mezzo di uno sclero da manuale, con tanto di braccia agitate, piedi pestati a terra, e il volume del suo sbraitare avrebbe presto raggiunto e infranto la barriera del suono. Miyagi non aveva la minima intenzione di trovarsi nei paraggi nel momento in cui sarebbe successo. Ghermì il proprio borsone, prese Ayako per un braccio e la trascinò fuori, sbattendosi la porta alle spalle.

-Ryota, che diavolo è successo?- chiese Ayako, ma Miyagi la zittì. La ragazza si sentì le ginocchia sciogliersi e diventare di lava quando vide il volto del ragazzo che si avvicinava al suo, sempre di più, sempre di più... e poi si scostò, e le sue labbra si avvicinarono all'orecchio di lei invece che alla bocca: -Kakuta ha fatto una battuta infelice su Hana che si preoccupa per Rukawa. Lui è sclerato.

-Oh.

-Lascialo sbollire, prima o poi finirà la voce. Magari è la volta buona che durante la partita gioca e basta invece di mettersi a dire cose a caso.- decretò Miyagi, e Ayako soffocò una risatina dietro alla mano. Poi, i loro occhi si incrociarono e Miyagi arrossì così tanto che ad Ayako sembrò di sentire il calore sulla propria pelle; poi si rese conto di essere probabilmente arrossita a sua volta.

Le labbra di Miyagi, da quella distanza, sembravano così turgide e morbide che la lava si spostò dalle ginocchia di Ayako al suo basso ventre. Sapeva di aver giurato a se stessa di aspettare dopo il campionato estivo, ma in quel momento tutte le giustificazioni che si era data sembravano fragili e inutili, capziose come un ragionamento privo di fondamenta e una precauzione sovrabbondante e dannosa. Alzò appena il viso, tenendo gli occhi aperti e fissi in quelli di Miyagi, che ricambiò lo sguardo; i suoi occhi erano lucidi di incredulità e di una gioia così profonda che Ayako ebbe l'improvviso impulso di mettersi a cantare e ballare. Sakuragi e Rukawa erano scomparsi dalla sua mente, che di colpo era piena solo e soltanto di Miyagi, nient'altro che lui, lui e un pensiero ossessivo a lui legato: “è mio, è ancora mio, non ho aspettato troppo!” il viso di Miyagi si avvicinò ancora di più, e le vene sul suo collo che pulsavano a ritmo frenetico uscirono dal campo visivo di Ayako, che ritenne quel momento perfetto per chiudere gli occhi.

Il respiro di Miyagi le accarezzò le labbra, asciugandole appena.

Poi, un improvviso attacco di tosse giunse dalla panchina, dove Rukawa si era messo a sedere per sfuggire alle domande ansiose di Sakuragi.

 

Se da un lato era piacevole tutta l'attenzione di cui il rosso lo ricopriva, dall'altro era irritante: insomma, proprio non gli riusciva di capire quanto fosse importante per lui il basket? Rukawa si interrogò con astio sul proprio giudizio nei confronti del rosso e si chiese se davvero gli conveniva impelagarsi con un idiota del genere. Va bene fare il clown, dopotutto anche Rukawa si divertiva quando Sakuragi si metteva a fare il buffone, ma essere tanto stupido da non capire che lui voleva, doveva giocare era davvero troppo. Insomma, su che basi avrebbero potuto costruire una relazione sana? Su lui che tossiva l'anima ogni volta che Sakuragi usciva con gli amici e su Sakuragi che gli faceva venire ansia e, di fatto, cercava di impedirgli di giocare?

Forse avrebbe dovuto riconsiderare l'idea di farsi operare.

In fin dei conti, Sakuragi si era avvicinato a lui, uscivano spesso insieme, a volte anche con i ragazzi della Gundan, ma aveva detto chiaro e tondo che non poteva mettersi in testa di innamorarsi di lui a comando e Rukawa non aveva potuto ribattere nulla.

Era vero, in fondo, e forse anche non tanto in fondo, che non ci si innamora a comando. Sakuragi poteva fare tutti i passi in avanti verso di lui che riusciva a fare, ma non poteva forzarsi a provare dei sentimenti che non erano spontanei. Tralasciando il fatto che probabilmente Rukawa sarebbe peggiorato, perché a quanto sembrava la sua malattia non dipendeva solo dai suoi pensieri e stati d'animo ma anche da quelli di Sakuragi, di certo non era un buon punto di partenza.

Egoismo a parte, Rukawa si sarebbe sentito un vero schifo a sapere che stava obbligando il ragazzo che amava a ricambiare i suoi sentimenti. Già ogni tanto si sentiva schiacciato dal senso di colpa, perché lui davvero stava bene ad amarlo da lontano. Non si era mai sentito particolarmente attratto dal contatto fisico, e al contrario dei suoi coetanei non fremeva all'idea di fare del sesso; forse era una sua naturale inclinazione dovuta alla timidezza e alla ritrosia, forse una vera e propria caratteristica di orientamento sessuale, in ogni caso Rukawa non se n'era mai fatto un cruccio. Riteneva che se si fosse trovato Sakuragi nel letto non avrebbe certo perso l'occasione, ma fin quando quel caso non si verificava lui stava benissimo com'era.

In ogni caso, per il momento guardarlo ed essere spettatore della sua felicità gli era sufficiente. Avvertiva il sospetto, come un vago pizzicorino alla nuca, che probabilmente in futuro non sarebbe stato in grado di accontentarsi e che avrebbe desiderato stringere i rapporti, ma lui era sempre stato un amante delle evoluzioni lente. Si era guadagnato pezzo per pezzo quel poco di fiducia reciproca che entro la fine del primo anno si scambiavano e ne andava orgoglioso.

Non andava orgoglioso, invece, della coercizione che era stato costretto ad applicare a forza su Sakuragi, pressato dall'incedere della malattia.

Forse, si disse sospirando, se avesse rimosso quel sentimento d'amore sarebbe rimasta solo la voglia di fare amicizia: d'altronde, Sakuragi era uno di quei ragazzi che in fondo si fanno voler bene da tutti, anche dagli avversari che in campo li coprono di insulti. Un esempio era Kiyota Nobunaga che, pur non risparmiandosi nessun tipo di presa in giro, l'estate precedente gli aveva scritto qualche lettera per informarsi della sua salute; Fukuda gli aveva addirittura fatto recapitare un libro molto semplice e ben spiegato sul trattamento degli infortuni alla schiena con lo yoga.

Rukawa ricordò la prima volta che era stato in camera di Sakuragi e aveva visto il volume sulla sua scrivania, aperto ad una pagina con un complicato esercizio per le anche e il tratto lombare dal criptico nome “Il Re Piccione s'Invola” e gli aveva scherzosamente chiesto se si rendeva conto che lui e il Nirvana stavano su due rette parallele.

Sakuragi aveva ammesso candidamente di non provarci nemmeno, con la meditazione, ma gli aveva raccontato da dove arrivava quel libro e quanto beneficio avesse tratto dallo yoga e Rukawa si era lasciato scappare un “proprio non si può evitare di volerti bene, in un modo o nell'altro” che aveva fatto arrossire Sakuragi fino alla punta delle orecchie.

In ogni caso, si disse riscuotendosi dal ricordo del pomeriggio passato a cercare di replicare i movimenti del Re Piccione (e a scoprire che Rukawa era snodato più o meno come un manichino del supermercato), era quasi certo che se si fosse fatto operare sarebbe svanito solo l'amore, e non l'affetto in generale. Quello, Sakuragi se lo tirava addosso da ogni parte, per la sua assurdità e per quella strana e imbranata specie di buon cuore che si ritrovava e che, in un modo o nell'altro, prima o poi emergeva e stupiva chiunque gli stesse di fronte con il suo abbacinante splendore.

Inoltre, operarsi ora sarebbe stata una scelta furba: dalle lastre periodiche che il dottor Yamamoto insisteva per fargli fare era risultata una sensibile regressione della malattia. Rimanevano delle macchie scure nei polmoni, ma il cuore era ritornato ad essere libero e Rukawa non aveva dovuto ricorrere all'inalatore nemmeno una volta negli ultimi dieci giorni.

Il dottor Yamamoto, dopo aver parlato con il coach Anzai e con Miyagi, gli aveva dato l'autorizzazione a giocare un tempo intero contro il Kainan, e Rukawa non aveva la minima intenzione di rinunciare. Si fottesse Sakuragi e la sua ansia da mamma rompicoglioni.

Il torrente di pensieri di Rukawa era così travolgente che nemmeno si accorse del trambusto che proveniva dallo spogliatoio, dove Sakuragi si stava esibendo nella più plateale crisi di nervi del secolo, né tantomeno si rese conto che dall'altro lato del campo Miyagi e Ayako si stavano fissando negli occhi e si avvicinavano l'uno all'altra al rallentatore, come nei film.

Ma evidentemente, il suo corpo sapeva cosa stava dicendo Sakuragi.

Di punto in bianco, senza averne avuto il minimo sentore, Rukawa ebbe una violenta crisi di tosse.

 

-Rukawa!

-Rukawa, stai bene?

-Hai bisogno dell'inalatore?

-Ma che succede?

-Oh, no, Rukawa sta male di nuovo!

-Aria, ragazzi, aria! Fatelo respirare!- Rukawa non riconobbe nemmeno una delle voci che urlavano intorno a lui; le percepiva distanti e vaghe, quasi come se si trovasse sotto ad una campana di vetro che attutiva ogni suono proveniente dall'esterno. Tutto il suo essere era concentrato nel tentativo di incamerare aria nei polmoni, che di punto in bianco sembravano essersi contratti e ridotti alla dimensione di due stupidi chicchi di uvetta passa, del tutto inutili al loro scopo di riempirsi di ossigeno per poi spedirlo in giro per il corpo.

Non era minimamente cosciente del fatto che stava tossendo minuscoli fiorellini bianchi, ma ne avvertiva il solletico sulla pelle del viso, e la sua visione periferica li notava posarsi sulle sue braccia, candidi e puri in confronto al nero tessuto tecnico della tuta; scivolavano e veleggiavano a terra, lasciando dietro di sé infinitesimali puntini più scuri dove avevano bagnato la stoffa posandovici sopra.

Poi, due mani lo presero per le spalle e lo trassero all'indietro; Rukawa sbatté la schiena contro la solidità di un corpo muscoloso e caldo, e gemette. Anche solo quel minimo contraccolpo gli aveva causato una fitta di dolore che gli aveva intrappolato la parte alta del ventre e tutta la gabbia toracica. Due dita gli tirarono il mento verso il basso, e Rukawa avvertì la sensazione liscia della plastica dell'inalatore che gli sfiorava un labbro e sbatteva appena contro gli incisivi superiori.

-Cerca di respirare, Rukawa, da bravo. Va tutto bene.- disse una voce calda e tremante, e Rukawa obbedì. Non riuscì a tirare un respiro degno di tale nome, ma il salbutamolo riuscì ad aprirgli un minimo la trachea, e quando la voce disse: -Coraggio, ancora uno.- Rukawa riuscì finalmente ad avvertire i primi effetti. La tosse proseguì, intermittente e un po' meno forte, accompagnata da un forte singhiozzo. Due braccia lo sollevarono come se fosse una sposina, e Rukawa si sentì sballottare e trasportare da qualche parte. Riconobbe l'ufficio di Anzai per la particolare qualità della luce, sempre un po' rossastra per il colore delle tende che la moglie del coach aveva confezionato e appeso di fronte alla finestra. Fu depositato su una sedia, e finalmente mise a fuoco la persona che l'aveva trasportato fin lì: Sakuragi.

-Scusami, Rukawa.- disse il rosso in un filo di voce, -È tutta colpa mia.- Rukawa scosse il capo.

-E invece sì.- disse ancora Sakuragi, -Kakuta ha fatto una battuta del cavolo e io sono esploso come il coglione che sono. Ho detto un sacco di cose brutte.- Rukawa si accasciò contro lo schienale. Nella sua mente turbata e spaventata passò un unico pensiero: se la sua malattia pareva percepire anche gli stati d'animo di Sakuragi, quelle “cose brutte” che lui aveva detto, dovevano essere pensieri che lui covava realmente. Se fosse stato semplicemente uno scatto, uno di quegli attacchi di rabbia in cui si dicono cose che non si pensano davvero, Rukawa non avrebbe avuto una crisi così grave. Sentì gli occhi che bruciavano e si impegnò a ricacciare indietro le lacrime.

-Non le pensavo veramente, lo giuro.- disse Sakuragi, e Rukawa si spremette un poco convincente: -Ma certo.

-È che...- Sakuragi trasse un profondo sospiro, poi proseguì: -Rukawa, quando ti ho detto che mi stava bene continuare a vederti ma che non sapevo se potevo amarti...

-Nh.- si cavò Rukawa, notando che Sakuragi aveva lasciato la frase in sospeso.

-La sera prima ho parlato con Mito. Mi ha detto che secondo lui, non sto a dirti adesso perché, io potrei anche essere...- Sakuragi abbassò la voce, -Bisessuale.- il cuore di Rukawa diede in un battito violento, poi si acquietò, lasciandolo solo con una pressante sensazione come di capogiro, solo che invece di essere nella testa era nel petto.

-Io... più ti conosco e più penso che potrebbe avere ragione, ma ancora non lo so, capisci?

-Nh.

-Quindi... non mi va che la gente si metta a parlare di me e te come di una coppia, mi conosci, sono testa di cazzo, capace che mi imbarazzo e mi metto a fare lo stronzo, e proprio non mi va, ok?

-Nh.

-Non stai capendo un'acca di quello che sto dicendo, vero?- chiese Sakuragi, e Rukawa ammise: -In effetti no.

-Beh, neanch'io capisco bene, e forse questo non è neanche il momento giusto. Volevo solo chiederti scusa, è colpa mia se adesso stai così.- Rukawa tacque a lungo, poi disse una singola frase, odiandosi per il tono lacrimoso con cui la voce gli uscì: -Hanamichi, io voglio giocare a basket.

 

Quella voce.

Quella tensione, quella disperazione, come se giocare a basket fosse l'unico e ultimo desiderio di un condannato a morte.

Sakuragi la conosceva bene.

Quasi come un dolore all'arto fantasma, la schiena gli mandò una fitta di lieve dolore. Ricordava di aver detto quelle stesse parole ad Haruko, quasi un anno prima, e ricordava la fiamma, il desiderio che gli bruciava nelle vene; non era un capriccio, per quanto poi i medici l'avessero rimproverato di aver rischiato la carriera e il corpo per un “capriccio”, era un'esigenza inestinguibile, una sete che non gli permetteva di vedere o sentire altro. Fanculo la schiena, fanculo i polmoni, c'era solo il bisogno di essere tutt'uno con il pallone, in mezzo al campo a sentirsi parte dei rumori della partita, l'autore del ritmico tunf tunf della palla, dell'acido screech della gomma delle suole sul parquet, del lieve eppure sonorissimo flup della rete che sfiorava la palla mentre questa gli passava attraverso senza sfiorare il ferro.

Sakuragi trasse in piedi Rukawa, che alzò appena il viso per guardarlo in faccia, e lo prese per le spalle: -Lo so. E giocherai. Dovessi anche portarti in spalla per tutta la partita.- poi, accadde qualcosa che Sakuragi non aveva preventivato. Dopo un istante di perplessità, Rukawa sorrise.

E il mondo si illuminò a nuovo.

 

 

 

 

Achillea millefoglie: dolore, conflitto

 

 

 

 

 

Ciaossu!

Come sempre, grazie a tutti voi che continuate a seguirmi, in particolare questa settimana grazie a cicci783 per avermi consigliato il fiore (e per lasciarmi commenti anche su AO3, so che hai già letto le storie e potresti anche non prenderti la sbattazza, ma avrei ormai perso la voglia di pubblicare se non me li lasciassi).

Battete un colpo se avete gradito, e ditemi la vostra: secondo voi, Hana pensa davvero quelle “cose brutte” su Rukawa o è il nostro volpino che non ha capito un cazzo?

XOXO

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Capitolo 11
*** Camellia ***


Quel sorriso.

Quel dannato, maledetto, splendido sorriso.

Sakuragi se l'era visto davanti agli occhi durante tutta la partita; all'inizio era preoccupato che l'avrebbe distratto dal suo proposito, e cioè schiacciare Kiyota Nobunaga come il moscerino che era, e invece aveva presto scoperto che il ricordo di quell'istante splendente aveva agito da propulsore.

Per tutti i quaranta minuti di match era sembrato che Sakuragi non potesse sbagliare: la sua performance era stata così brillante, così perfetta, che al fischio dell'arbitro che annunciava la fine della partita il Gorilla era letteralmente saltato giù dagli spalti, piangendo come un bambino, e l'aveva abbracciato così stretto che Sakuragi si era sentito scricchiolare le ossa. Gli aveva anche stampato un bacio molle sulla guancia sudata, cosa a cui onestamente il rosso avrebbe volentieri rinunciato, ma così è la vita.

Aveva agito in concerto così sublime con Rukawa, passandogli la palla e recuperando i rimbalzi, che mentre erano in spogliatoio a cambiarsi e a gioire per la splendida vittoria Ayako aveva fatto irruzione, fregandosene del fatto che fossero ancora tutti mezzi nudi, per annunciare che dei giornalisti stavano aspettando Sakuragi e Rukawa fuori dal palazzetto per un'intervista.

Era stato a quel punto, disgraziatamente, che in Sakuragi era emersa una patetica timidezza da bambino di sei anni: se la sua mamma fosse stata presente, era certo che si sarebbe rimpicciolito all'istante al solo scopo di nascondersi dietro alla sua sottana. Invece, la mamma era al lavoro, le dimensioni di Sakuragi non erano variate e Rukawa aveva optato per bofonchiare un sommesso: -Ci vado io. Se intervistano quel deficiente non potranno pubblicare niente perché non farà altro che sparare una minchiata dopo l'altra.- Sakuragi l'aveva guardato uscire, lanciandogli un paio di brevi e deboli improperi giusto per mantenere la facciata, mentre dentro di sé gli rivolgeva un muto ringraziamento. Gli sembrava di aver intuito, da una rapida occhiata che Rukawa gli aveva scoccato, che il moro aveva capito perfettamente che Sakuragi era così attonito e imbarazzato che avrebbe rischiato di farsela addosso se gli fosse toccato uscire e parlare. E non aveva nemmeno messo i pantaloni marroni.

 

Per questo, il giorno successivo Sakuragi era in piedi di fronte al telefono e cercava di racimolare il coraggio necessario a sollevare quella stupida cornetta, comporre il numero di Rukawa e ringraziarlo.

Non era una decisione da prendere a cuor leggero, se ne rendeva conto.

Una parte di lui, oltretutto, sentiva di dover confessare di aver giocato bene solo per il ricordo di quel sorriso sublime, quello che lui stesso aveva messo sulle labbra di Rukawa e che si intonava così bene ai suoi tratti. Nell'ultimo periodo Sakuragi aveva attentamente osservato Rukawa, in cerca da un lato di una conferma che no, lui era etero, e dall'altro in cerca di un input per ammettere a se stesso il contrario.

Rukawa aveva un volto dai tratti delicati, quasi femminei, incastonati con armonia ad alcune caratteristiche più mascoline, come la linea della mascella, che rispetto all'anno precedente stava diventando più volitiva e mostrava le primissime tracce di un'ombra di barba, e l'arcata sopraccigliare, lieve ma più accentuata di quella di un viso femminile.

La sua osservazione non aveva dato nessun frutto: Sakuragi era rimasto confuso, incapace di raccapezzarsi nei sentimenti che non sapeva se fossero spontanei o dettati da quella situazione di dichiarazione forzata, e negli ultimi giorni il rosso era giunto alla conclusione che il viso di Rukawa, per quanto armonico, non era niente di peculiare. Ormai certo che tutto il suo sex appeal derivasse da quel broncio da ragazzino viziato, un po' da bello e impossibile di una boy band e un po' da modella irraggiungibile, quando ecco che il volpino decideva tutto d'un colpo di possedere dei muscoli facciali e si metteva ad usarli apposta per scardinare il cervello di Sakuragi.

Ma quel che è giusto è giusto, si disse Sakuragi, doveva chiamare Rukawa e dirgli grazie per averlo salvato da una sonorissima figura di merda con i giornalisti. Se poi la questione del sorriso fosse saltata fuori, ci avrebbe pensato sul momento; gli pareva che, in qualche modo, lui e Rukawa trovassero sempre il modo di far fluire le cose, in un modo del tutto spontaneo che gli faceva chiedere a se stesso che cosa gli passasse per la testa quando si era dichiarato ad Haruko. Certo, lei era tanto carina, era stata carina anche quando gli aveva tirato il due di picche, ma Sakuragi si chiedeva ora se davvero aveva potuto pensare di stare con qualcuno con cui passava il tempo a tenersi il palo nel culo per paura di sbagliare qualcosa e mandare tutto a puttane.

Sakuragi appoggiò la mano sul telefono, e in quel momento il campanello trillò: -Salvato in corner!- esultò il rosso, poi si fiondò ad aprire.

Sulla soglia c'era Mito, appoggiato con aria lasciva allo stipite della porta, con in mano l'edizione domenicale del giornale locale: -Ehilà, campione. Me lo fai un autografo?

-Eh?- chiese Sakuragi, facendosi da parte per farlo entrare. Mito si staccò dallo stipite e fece un passo avanti, schiaffando il giornale tra le mani di Sakuragi, che vide in copertina la più meravigliosa foto che gli avessero mai scattato.

Ritraeva un passaggio, che Sakuragi ricordava di aver effettuato più o meno a metà del secondo tempo; Rukawa attendeva di ricevere il pallone, e Sakuragi lo stava giusto passando a lui, evitando gli artigli famelici della Nobuscimmia. I volti di entrambi erano tesi, concentrati, e per la prima volta nella vita Sakuragi non si sentì a disagio con il proprio aspetto fisico.

Mito terminò di infilarsi le ciabatte e disse: -Devi leggere l'intervista. Però siediti.

-Se Rukawa si è dichiarato pubblicamente, ti avverto che...

-No, non si è dichiarato, scemo.- lo interruppe Mito, -Ti pare che fa una cosa del genere? Però siediti, dammi retta. Hai del succo?

-Sì, serviti pure, e portane uno anche a me.- ribatté Sakuragi, e mentre Mito andava in cucina si sedette sul divano del salotto a leggere l'articolo.

 

LE STELLE DI KANAGAWA

Due giocatori dello Shohoku ridanno speranza al basket giapponese

 

La semifinale del campionato studentesco di basket si è tenuta ieri pomeriggio, e sarà una partita destinata a passare alla storia. Come per il perfect game di Don Larsens, nella partita degli Yankees del 1956, siamo certi che un gran numero di persone sosterranno di aver assistito al match che ha visto lo Shohoku contro il Kainan, per il semplice motivo che vorranno esserci stati.

Una partita giocata palmo a palmo, con lo Shohoku che ha conquistato la vittoria finale con un gioco di squadra degno dell'NBA, e con due punte di diamante a governare il ritmo di gioco.

Se di Rukawa Kaede, già MVP dello scorso campionato invernale e recluta della Nazionale di Basket, avevamo già sentito parlare, Sakuragi Hanamichi è una splendida sorpresa di quest'anno. Nonostante alcune performance sorprendenti, il suo gioco durante il campionato dello scorso anno è stato di qualità discontinua. Rukawa Kaede, che abbiamo avuto l'onore di intervistare, ha riferito: “Sakuragi ha cominciato a giocare nell'aprile dell'anno scorso. In realtà, è sorprendente che l'anno scorso fosse già un titolare. Ma il suo talento, seppure ancora grezzo, era già evidente dalle prime partite. Non potevamo permetterci di tenere un simile giocatore in panchina.”

Rukawa, 16 anni, gioca da quando ha cominciato le scuole elementari, e il suo talento e la sua conoscenza del basket sono innegabili. Alle medie è stato capitano della squadra delle Tomigaoka, e l'anno scorso già dal suo esordio al campionato liceale è stato segnalato come rookie più promettente; anche il suo gioco si è evoluto grandemente, anche se lo sviluppo è forse meno evidente ad un occhio meno esperto: “Il mio peggior difetto in campo è sempre stato l'individualismo. Sono certo delle mie capacità, e questo mi porta a fidarmi solo di me stesso, al punto che finisco per rubare la scena e per giocare come se fossi da solo in campo. Ma Sakuragi è un tale trascinatore che è stato naturale per me cominciare a cercare il suo supporto. E se l'anno scorso non potevo fidarmi di lui per la sua inesperienza, quest'anno posso dichiarare in tutta sicurezza che senza lui in campo non sarei assolutamente in grado di mettermi in luce.”

Sakuragi, durante la partita di ieri, ha messo a segno nove punti, mentre Rukawa ben trentotto: “Non è questione di punti. Giudicare un giocatore dai punti che segna in partita è riduttivo e sbagliato. Molti dei punti che ho guadagnato dipendono esclusivamente dal ruolo di supporto offerto da Sakuragi. Se non fosse stato per i suoi passaggi e per i rimbalzi che ha recuperato, la partita sarebbe stata molto più difficile da vincere, se non impossibile.”

Sakuragi gioca come centro, mentre Rukawa è un'ala piccola. Si tratta di due ruoli diversi ma complementari tra loro, e come anche dichiarato da Rukawa il ruolo di centro è determinante per lo svolgimento della partita: “Non eccello in resistenza, non è nelle mie corde. I giocatori davvero resistenti sono pivot e playmaker. Lo Shohoku ha la fortuna di avere un eccellente regista di gioco, il nostro capitano Ryota Miyagi, e Sakuragi che è un fantastico pivot. Tutto il nostro gioco si basa su di loro e, devo dire, è un piacere giocare al loro fianco.”

Il confronto con Akagi Takenori, ex capitano dello Shohoku e attualmente pivot per la squadra dell'Università di Tokyo, è immediato: “Akagi è un giocatore esperto. Non si tira indietro di fronte a nulla, è un trascinatore e una sua sola azione può ribaltare le sorti del gioco. Sakuragi è come lui, e non ho dubbi che in futuro, se si mantiene costante nel suo impegno, riuscirà addirittura a diventare un giocatore più abile di Akagi.

Rukawa è molto restio a parlare di se stesso: “Che vi devo dire, ormai gioco da talmente tanto tempo che i movimenti sono scolpiti nella mia mente. Credo che potrei giocare ad occhi chiusi. Ho lavorato sodo per arrivare fino a qui e sono felice di essere in una squadra così ricca di elementi validi con cui confrontarmi e di cui mi posso fidare ciecamente.”

La partita contro il Kainan è terminata con un risultato di 147 a 129 per lo Shohoku. Una sconfitta che sicuramente peserà sul morale di una squadra che per diciassette anni è rimasta imbattuta in prefettura, ma Rukawa ha dichiarato: “Conosco Kiyota, e conosco Jin. Certo, la sconfitta brucia. Brucia sempre, è chiaro. Ma li conosco, e so che dopo l'iniziale delusione non faranno altro che impegnarsi il triplo. Non è questione di stima o di fiducia, semplicemente chi gioca a basket e ci mette l'anima ragiona così. È la nostra natura.”

Purtroppo non siamo riusciti a raggiungere Sakuragi, che si è rifiutato di parlare con la stampa. Ma la partecipazione dello Shohoku ai campionati nazionali è praticamente ormai già scritta, e noi li seguiremo: Sakuragi Hanamichi e Rukawa Kaede hanno ancora parecchie frecce al loro arco, e non intendiamo perderci nulla.

Vi ricordiamo che le ultime partite del campionato interscolastico di prefettura, Shoyo-Kainan e Shohoku-Ryonan, si terranno il prossimo sabato, a partire dalle dieci e trenta, nel palazzetto di Enoshima. Affrettatevi a comprare i biglietti, entrambi i match sono quasi sold out!

 

-Hana, stai...?- chiese Mito, ma Sakuragi lo ignorò. Si diresse al telefono e compose il numero di Rukawa, che rispose al terzo squillo.

-Ho letto l'articolo.- esordì Sakuragi senza nemmeno presentarsi.

-Nh.

-Non hai detto la metà delle cose che ci sono scritte, vero?

-Le ho dette. Ma ci ho messo un'ora e le hanno un po' imbellettate.

-I monosillabi fanno brutto in prima pagina.

-Nh.

-Oi... grazie per i complimenti. È bello quello che hai detto di me.

-Non erano complimenti.

-E da quando dire che sono un ottimo pivot non è un complimento?- Sakuragi ridacchiò imbarazzato; Rukawa non esitò un istante: -Non è un complimento, è un dato di fatto.- Sakuragi tacque. Per quanto pubblicamente esaltasse se stesso in maniera quasi comica, dentro di sé covava una profonda insicurezza che lo faceva dubitare delle proprie capacità. Anche solo vedere la squadra che non sprofondava se per caso lui non scendeva in campo lo deprimeva; la parte razionale della sua mente gli ripeteva che un ragionamento del genere era scorretto, perché dopotutto non era l'unico che sapesse tenere in mano la palla, ma aveva imparato col tempo a soffocare il proprio lato logico, perché nonostante fosse quello che gli proponeva delle idee non malsane era anche quello che gli poneva le domande più difficili.

-Lo pensi davvero?- chiese a bassa voce. Registrò con la coda dell'occhio la presenza di Mito, che si era avvicinato per curiosare, ma non gli fece segno di andarsene: aveva il cuore che batteva così forte che temeva di avere un colpo da un momento all'altro.

-Certo, do'aho.- rispose Rukawa, poi soffocò un colpo di tosse.

-Ehi, non ti senti bene?

-Mi sarò affaticato un po' troppo, ieri.- minimizzò Rukawa.

 

-Sei con qualcuno? Vuoi che vengo lì?- chiese Sakuragi. Rukawa si lasciò scivolare lungo la parete e si sedette a terra, troppo debole per stare in piedi, e appoggiò la testa al mobiletto su cui stava il telefono. Prese un respiro che si arrestò a metà strada e rispose: -No, tranquillo. Non sto poi così male, e comunque c'è mia madre con me.- mentì.

-Sicuro sicuro?

-Nh. Ci vediamo domani a scuola.- rispose Rukawa, poi riagganciò.

Appena in tempo.

Una violenta crisi di tosse lo colpì; gli sconquassava il petto e lo sconvolgeva. Si chiese come mai stesse così male, dal momento che con Sakuragi tutto sembrava andare bene; ogni ragionamento, però, venne soffocato a forza da una sensazione acidula in fondo alla gola.

-Cazzo...- bofonchiò Rukawa, terrorizzato; si alzò a stento, facendo perno contro la parete, con una mano premuta sulle labbra. Si sentiva la bocca piena, riteneva dello stesso tipo di petali bianchi che si era lasciato sfuggire durante i primi colpi di tosse, e quel che è peggio si sentiva lo stomaco in subbuglio. Raggiunse il bagno, sollevò l'asse del gabinetto e in meno di un secondo si ritrovò a guardare un replay della colazione fatta qualche ora prima.

Attese, con malcelata impazienza, che la crisi terminasse e che i conati si esaurissero. Sputacchiò un po' di bile, lo stomaco ora racchiuso in un crampo doloroso, e barcollò di nuovo fino al telefono. Aprì la rubrica, sulla cui prima pagina sua madre aveva scritto i numeri di telefono del dottor Yamamoto, e compose quello di fianco alla dicitura “casa”.

-Pronto, parla Yamamoto.

-Dottore. Sono Kaede Rukawa.- il moro esitò, poi con la voce rotta dalle lacrime aggiunse: -Sto male.- registrò con un angolo della mente la risposta ansiosa e preoccupata del medico, poi il mondo svanì in un nugolo di moscerini neri.

 

Quando riprese conoscenza, era in un letto d'ospedale e un'infermiera gli stava controllando la flebo. Emise un gemito di fastidio, e la donna disse: -Oh, ti sei svegliato, caro. Come ti senti?

-Uno schifo.

-Vado a chiamare il dottor Yamamoto. Riesci a restare sveglio?- Rukawa annuì e la donna uscì a passi rapidi dalla porta della stanza. Pochi minuti dopo, rientrò al fianco del medico, sul cui viso non aleggiava il solito sorriso rassicurante. Rukawa sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene.

-Ciao, Kaede. Comincio dalle buone notizie, così ti tranquillizzi: stai bene, i polmoni sono quasi del tutto liberi, il cuore anche, hai qualche petalo nello stomaco ma dovresti espellerli a breve. Ti abbiamo dato un farmaco per agevolare la digestione.

-Nh.- il dottor Yamamoto si sedette ai piedi del letto di Rukawa e aggiunse: -Tua madre arriverà nel primo pomeriggio. L'ho avvisata, ma le ho detto anche che non c'è bisogno di correre qui. Dobbiamo parlare, Kaede, questo è un nuovo sviluppo.

-Nh.- Rukawa non sapeva cosa dire. Tutto ciò che gli riusciva di pensare era che ne aveva le palle piene di quella situazione, ma riteneva che dichiararlo fosse del tutto superfluo. Il medico smise di attendere una risposta articolata dopo qualche secondo, e aprì un fascicolo: -Quelli che hai espulso erano fiori di camelia bianca. Ora, tutti i volumi che abbiamo consultato a riguardo concordano nell'attribuire ad essa un significato di “stima, ammirazione e gratitudine”. Ora, sai a cosa possiamo attribuire questi sentimenti?- Rukawa trasse un faticoso respiro.

-Ieri ho parlato con dei giornalisti. Ho parlato bene di Hanamichi. Ho detto che lo ammiro. Ed è vero. E lui mi ha chiamato per ringraziarmi.

-È stato in quel momento che hai avuto la crisi?

-Sì. Ma in realtà stavo poco bene già da un paio d'ore. Mi sono svegliato perché non respiravo.- Rukawa sapeva che avrebbe dovuto essere più specifico, ma contava sul fatto che il dottore, se già non aveva prelevato il solito quaderno dalla sua stanza, se lo sarebbe presto fatto portare da sua madre. Al momento, parlare era troppo stancante.

-Capisco.- rispose Yamamoto, -Allora, il punto è questo, Kaede. Quando hai espulso l'iris, hai poi scoperto che il tuo amico aveva deciso di darti una chance. Il sintomo quindi era collegato ai sentimenti di Hanamichi, non ai tuoi, e questa è una notizia preoccupante. Ma all'epoca non hai avuto crisi violente correlate.

-No.

-E tutti i petali che hai espulso relativi ad avvenimenti positivi non sono stati accompagnati da crisi.

-Nh.

-Kaede... questi fiori hanno un significato positivo. Eppure hai avuto una crisi molto violenta.- Rukawa si sentì gli occhi riempirsi di lacrime e annuì.

-Questo significa che stai peggiorando. Kaede, vorrei che tu considerassi l'ipotesi della rimozione chirurgica.- una lacrima scese sulla guancia di Rukawa.

Il giorno precedente era così felice, lo sguardo di Sakuragi in spogliatoio, tutte le sue parole, il suo comportamento in partita e dopo gli erano sembrati un indicatore del fatto che lui davvero non pensava quelle “brutte cose” che aveva detto di aver urlato in spogliatoio. E parlare di lui con i giornalisti era stata una decisione cosciente: voleva far capire a Sakuragi che non si era innamorato di lui perché gli chiamava sesso, o perché aveva il fetish dei capelli rossi, ma per com'era in quanto individuo e giocatore di basket.

E infatti Sakuragi era rimasto piacevolmente colpito; la sua voce al telefono, dolce e attonita, aveva riacceso la speranza nel cuore di Rukawa.

Ma aveva anche scatenato la crisi.

Incurante del fatto che il dottor Yamamoto fosse ancora presente, e con lui l'infermiera che l'aveva visitato, Rukawa scoppiò in lacrime.

 

 

 

 

Camelia bianca: stima, ammirazione, gratitudine

 

 

 

 

Giuro che doveva finire bene.

Lo giuro.

Ringrazio di cuore Aimi_fantasy che mi ha consigliato una caterva di fiori, compreso questo: non pensavo che avrei utilizzato dei fiori con un significato piacevole, ma evidentemente la mia vena di sadismo si sta ingrossando!

Grazie di cuore anche a tutti voi che continuate a seguire questo delirio, siete la mia luce... non in fondo al tunnel, quella ormai c'ho rinunciato, ma visto che ho deciso di sistemarmi qui un lumino per leggere fa sempre comodo!

Scherzi a parte, vi amo, davvero.

Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate, e ora scappo perché a occhio e croce Rukawa dalla regia si è fatto prestare della dinamite e onestamente spero ancora di morire schiacciata da un hot dog e non dilaniata da un esplosivo!

XOXO

 

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Capitolo 12
*** Heather ***


Sakuragi corse lungo le strade di Kanagawa verso l'ospedale dove Rukawa era stato di nuovo ricoverato.

Era davvero tardi, tanto che aveva dovuto chiamare sua madre per avvisarla che sarebbe rientrato ben oltre il coprifuoco; ma avvertiva l'esigenza psicofisica di andare da lui e fargli un culo a capanna per avergli raccontato una bugia il giorno prima.

Al telefono, Rukawa gli aveva detto di stare bene, e invece ecco che, dopo averlo cercato invano per tutta la scuola, aveva dovuto scoprire da Ayako che il ragazzo era di nuovo in ospedale.

Oltretutto, la sua mente era afflitta da un'enorme, ingombrante domanda: lui sapeva che i suoi sentimenti verso Rukawa stavano pericolosamente virando verso qualcosa che solo un paio di mesi prima non avrebbe mai e poi mai preso in considerazione, per cui come mai lui ora stava male?

Tirò su con il naso, rumorosamente; si sentiva gli occhi un po' gonfi e il petto pesante. Una parte molto paranoica di sé gli suggeriva che forse Rukawa era contagioso, e che adesso aveva cambiato idea su di lui e le posizioni si stavano per ribaltare.

Si immaginò Rukawa che tossiva l'anima e poi di colpo cominciava a stare bene come non era mai stato, mentre lui stesso collassava a terra, soffocato da fiori.

Accelerò il passo.

Doveva vederlo ad ogni costo.

 

Rukawa, nel frattempo, sonnecchiava. Non era uno dei suoi soliti pacifici pisolini, ma una sorta di tormentoso dormiveglia da cui entrava e usciva sin dal pomeriggio precedente: era stanco morto, attaccato a una macchina che gli permetteva di respirare decentemente e aveva cavi appiccicati da tutte le parti per monitorare il ritmo del suo cuore.

Era afflitto da attacchi di tachicardia che lo lasciavano terrorizzato e sfiancato; poi, nel momento in cui finalmente si assopiva un poco, il suo cuore rallentava abbastanza da svegliarlo con quella terrificante sensazione di cadere nel vuoto che, il dottor Yamamoto gli aveva spiegato, era una naturale reazione del corpo e della mente umana per dare una spinta ad un cuore troppo lento.

Aveva pensato, in un vago delirio che non poteva davvero definirsi ragionamento, di chiamare Sakuragi e spiegargli che si sarebbe dovuto far operare, per vederlo un'ultima volta con gli stessi occhi, ma poi si era chiesto: a che pro? Temeva, nel profondo del cuore, che rivederlo e leggere la preoccupazione nei suoi occhi gli avrebbe dato la spinta nella direzione opposta, suggerendogli che c'era ancora speranza, che doveva solo tenere duro un altro po'.

Ma quella speranza, per quanto tutto il comportamento di Sakuragi indicasse che non fosse del tutto fallace, sembrava essere solo un dannoso tergiversare. Starsene ad aspettare che lui si innamorasse, sempre che fosse possibile innamorarsi a comando, l'avrebbe portato alla tomba. Certo, sarebbe morto felice, ma avrebbe preferito restare vivo. Non aveva mai messo in conto l'ipotesi di lasciare questo mondo a sedici anni. A quaranta, magari, quando sarebbe stato un relitto per l'ambiente sportivo, ma di certo non a sedici.

Per cui, dopo una lunga e tormentosa indecisione, aveva optato per non fare nulla. Certo, Sakuragi avrebbe comunque scoperto che lui era in ospedale, d'altronde sua madre aveva dovuto chiamare la scuola per avvisarli che Rukawa sarebbe stato assente, e la scuola avrebbe informato anche il coach Anzai, e anche se ciò non fosse accaduto Sakuragi si sarebbe accorto che un certo volpino mancava dagli allenamenti di basket e avrebbe fatto due più due, ma sperava che il suo non farsi vivo sarebbe stato un indicatore abbastanza preciso del suo desiderio di non vederlo.

O meglio, della sua paura di vederlo. La voglia ce n'era, e tanta anche, era terrorizzato e se non avesse avuto un ego grande come l'Oceano Pacifico l'avrebbe chiamato e gli avrebbe detto “per favore, vieni qui ad abbracciarmi, ho paura”, ma sapeva che se ciò fosse successo lui avrebbe perso quel poco di coraggio che aveva racimolato.

E a quel punto era abbastanza chiaro che se avesse rimandato ulteriormente la rimozione chirurgica dei fiori ne avrebbe sputati abbastanza da ricoprire la propria tomba. E che sul certificato di morte ci sarebbe stato molto bene un sintetico “testardaggine” come causa.

No, vedere Sakuragi era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, se voleva continuare a vivere. E voleva. Una volta rimossi i sentimenti nei confronti del rosso, si sarebbe chiesto cos'è che l'aveva trattenuto così a lungo e avrebbe potuto concentrarsi di nuovo sul basket.

Così, almeno, sarebbe riuscito a soffocare il vuoto che si sentiva nel petto.

 

La porta della sua stanza si spalancò: -MALEDETTA VOLPE SPELACCHIATA, STAI MALE E MI DICI CHE STAI BENE, COME TI PERMETTI?!

-Merda.- bofonchiò Rukawa. Strizzò gli occhi per non doverlo vedere in faccia.

-OI! Sto parlando con te, brutto stronzo!- insistette Sakuragi, scuotendolo con la delicatezza di un lanciatore di tronchi scozzese che sradica la propria arma dal terreno.

-Vai via, per favore.- bisbigliò Rukawa. Ci fu un istante di pace e silenzio, in cui il moro si concesse di sperare che il rosso se ne stesse andando con la coda tra le gambe, scornato e pronto a spaccare di botte il primo che passava per togliersi di dosso il nervoso.

Poi, Rukawa udì un singhiozzo e, suo malgrado, aprì gli occhi.

Sakuragi era seduto sulla sedia di fianco al suo letto, una mano sospesa sopra alla sua, che era bianca come il lenzuolo su cui poggiava e aveva l'indice incapsulato in una specie di molletta grigiastra che serviva a monitorargli la pressione sanguigna.

Si stava mordendo un labbro, il suo mento tremava e i suoi occhi erano gonfi e lucidi; mentre Rukawa lo guardava, una lacrima ruppe l'argine della sua palpebra destra e scese lungo la sua guancia, finendo nell'angolo della sua bocca.

-Rukawa, perché non mi hai detto che stavi male? E perché stai male? Io... io ti voglio bene, hai detto che è quello che serviva, quindi non dovresti stare male, che cos'hai? Hai cambiato idea? Non... non mi vuoi più?- Rukawa rimase imbambolato per un istante.

Mai, nei suoi ragionamenti sui pro e i contro di rivedere Sakuragi, aveva preso in considerazione gli eventuali sentimenti del rosso. Aveva pensato solo a se stesso, e ora si rendeva conto di quanto fosse stato egoista: prima si era permesso di dirgli che doveva innamorarsi di lui, questione di vita o di morte, aveva lasciato che lui si facesse convincere a provarci e ora, che stava per liberarsi dei sentimenti che lui, Rukawa, provava per l'altro, nemmeno si degnava di fargli un colpo di telefono per informarlo.

Sollevò a fatica la mano, e con la punta delle dita sfiorò il palmo di Sakuragi, che intrecciò le dita alle sue, con fatica per via dell'aggeggio per la pressione.

-Scusa.- bisbigliò Rukawa.

-Come mai stai male? È colpa mia? È qualcosa che ho fatto, o che non ho fatto?- Rukawa distolse lo sguardo dal rosso. Detestava che lui si sentisse così male al pensiero di ferirlo, soprattutto dal momento che si stava comportando con estrema delicatezza.

-Non lo so, Hanamichi.- confessò Rukawa con un sospiro, sempre lo sguardo fisso sul muro dall'altra parte della stanza, -Non lo so nemmeno io.

-Ti ha dato fastidio che ti ho chiamato ieri? Ti disturbavo?

-No, cazzo, anzi. Ero felice. Ma sono stato male lo stesso.

-Ancora fiori?

-Sì. Dal significato positivo. È questo il problema.- Rukawa, finalmente, grazie alla pragmatica esposizione dei fatti che si era imposto di fare, riuscì a ricacciare indietro le lacrime quanto bastava per girarsi di nuovo verso Sakuragi e guardarlo in faccia. -Pare che adesso qualsiasi cosa, anche quelle buone, mi facciano stare male.- il rosso non rispose, si limitò a chinare la testa sulla sua mano. E oh, com'era calda e asciutta la sua fronte, e com'era morbida e solida la sua mano. Rukawa sentiva quasi la forza tornare nel suo braccio, e sapeva d'istinto che se solo avesse voluto farlo avrebbe potuto carezzare quello splendido viso, cancellare con un tocco dei polpastrelli le sue lacrime, quelle lacrime di cui lui, Rukawa, era l'unico responsabile.

Non fece nulla.

Lui era la persona che aveva messo le lacrime sul suo viso, anche se non avrebbe mai voluto farlo; era vero che gli andava bene amarlo da lontano, era la pura verità: sapeva che farlo innamorare di sé era un'impresa impossibile, ma gli stava bene guardarlo, godere della sua immagine e rallegrarsi per le sue piccole gioie. Che importava se non era lui a renderlo felice? L'importante era che lo fosse, non importava il modo.

-Quindi...- disse Sakuragi con voce tremante, -Ti operano?

-Sì. Credo sia l'unico modo.- rispose Rukawa. Poteva continuare a guardare verso Sakuragi, perché il rosso non sembrava avere la minima intenzione di alzare la testa.

-Lo credo anch'io.- bisbigliò Sakuragi, poi le sue spalle cominciarono a sussultare sotto la spinta di un pianto dirotto. -Scusa.- biascicò, -Scusa. Ora la pianto.

-Hanamichi...- il rosso scosse la testa con violenza: -Non chiamarmi così. Da domani ricomincerai a chiamarmi “do'aho” e mi ammazzerà ricordarmi della tua voce che dice il mio nome.

-Ma cosa...

-Mi hai incastrato per bene, eh?- disse Sakuragi, e quando alzò la testa per guardare Rukawa il suo sguardo era uno strano miscuglio di dolore e rabbia, -Prima mi convinci a conoscerti meglio, mi... mi spingi a... e poi niente, ti tocca comunque operarti.

-Io... aspetta, cosa?

-Hai capito, testa di cazzo, non farmelo dire per niente. Fanculo!- Sakuragi si alzò, lasciando la mano di Rukawa, e sferrò un pugno al muro. Sulla parete rimase l'impronta insanguinata delle sue nocche, tanta era stata la violenza con cui aveva colpito.

-Scusami, lo so che non è colpa tua.- aggiunse Sakuragi dopo un po', con voce tremante. Continuava a voltare la schiena a Rukawa, che soffriva vedendo le sue spalle curve sotto il peso della sofferenza. Maledisse quella stupida malattia che li aveva portati loro malgrado ad essere una brutta copia di Romeo e Giulietta in versione omosessuale.

Gli venne voglia di urlare, urlare contro quegli stupidi fiori, chiedergli che cazzo volevano ancora da lui, e che cazzo volevano ancora da Sakuragi. Non era abbastanza per loro vederlo così prostrato? Potevano essere gli stadi iniziali di un innamoramento, quel momento in cui la cotta è brutale e drammatica e sembra il centro dell'universo, pretendevano anche che accelerassero inumanamente la questione? Volevano un matrimonio? Un figlio nato chissà come? Insomma, che diavolo pretendevano ancora?

-Mi chiedo una cosa...- disse Rukawa. Sakuragi si voltò, il viso rigato di lacrime, e attese che Rukawa proseguisse. Il moro si abbassò la maschera dell'ossigeno e disse: -Mi chiedo se riuscirò a non rimpiangere i miei sentimenti. Se mi sentirò vuoto, o se invece mi sentirò stupido per quel che ho provato. Se riuscirò mai ad amare di nuovo qualcuno come amo te. Io... io non credo che ci riuscirò. E ho paura che vivrò di rimpianti. Ma... ma non voglio morire. Ho paura.- Rukawa serrò le palpebre e scattò seduto. Sentiva il bisogno fisico di raggomitolarsi su se stesso, e così fece, chinando la testa in avanti fin quasi a ficcarla tra le ginocchia che si era tirato al petto. Poco dopo, avvertì la sensazione di due braccia calde che si chiudevano intorno al suo corpo.

 

Né lui né Sakuragi si erano ancora accorti che lui non stava utilizzando l'ossigeno, né che era molto più in forze di poco prima.

 

-Ru... Kaede. Scusami. Sono qui a lamentarmi che la mia vita fa schifo quando tu sei lì a dover decidere se aspettare i miei comodi e crepare o liberarti di tutto quanto.- Rukawa gettò le braccia intorno al solido torace di Sakuragi e lo strinse con tutte le forze che aveva, aggrappandosi a lui come un uomo che annega.

-Ti ci ho trascinato io, in questa situazione. Se solo mi fossi deciso a farmi operare subito...- un fremito attraversò il petto di Sakuragi, Rukawa lo avvertì contro la guancia che vi aveva poggiato contro e alzò gli occhi.

Sakuragi stava sorridendo, anche se era il sorriso più triste che avesse mai visto.

-Se tu avessi rinunciato senza nemmeno provarci, qualcuno avrebbe cercato di farti un esorcismo, lo sai, sì?- chiese. Rukawa si sentì riempire il cuore dal suo coraggio, dalla forza che gli faceva sdrammatizzare anche un momento simile. Anche mentre cadeva a pezzi, Sakuragi era in grado di cavarsi una battutina da chissà dove e di rendere tutto meno pesante per gli altri.

-Fallo, Kaede.- disse Sakuragi, -Fallo e non pensare a me, io mi arrangerò in qualche maniera. E poi, non è detto che domani ti svegli e mi odi. Possiamo restare amici, e se ti sale qualche rimpianto ti faccio una lista dei miei difetti così prima o poi ti rendi conto che in realtà hai schivato un bel proiettile.- Rukawa non ribatté. Era così vicino che sembrava essere tutto il mondo intero. Nient'altro aveva importanza, né l'operazione, né l'ospedale e il suo puzzo latente di disinfettanti, né il basket... ok, il basket sì, perché si erano conosciuti grazie a quello, e il basket li aveva fatti crescere insieme, e forse Rukawa avrebbe sempre trovato quel conforto dolceamaro delle cose mai accadute nel pallone da basket. Forse era meglio così, si disse, incoraggiato dalle parole di Sakuragi. Perché rovinare quella bolla idilliaca con un banale proseguimento in cui cominciavano a conoscersi davvero in ogni minimo dettaglio, perché costringersi ad accettare i difetti di un'altra persona? Credeva, ora, di capire che il primo amore non si scorda mai non perché è il primo, ma perché è tanto fragile e acerbo che finisce per non realizzarsi. Ciò che si ricorda del primo amore non è la realtà, ma i sogni da noi stessi intessuti su di esso su come potrebbe essere, sogni non turbati poi dai fatti.

Poi, Sakuragi si chinò un po' di più su di lui e bisbigliò: -Portati questo, dall'altro lato.- Rukawa lo vide avvicinarsi, ancora e ancora e ancora, e poi le loro labbra si unirono.

 

Il tempo rimase sospeso tra di loro.

Il tempo, lo spazio, il tessuto stesso dell'universo si immobilizzò.

C'erano solo le labbra morbide e inesperte di Sakuragi, il suo bacio delicato e un po' goffo, il suo naso che si muoveva appena per cercare una posizione comoda, il profumo del suo balsamo che cancellava il saporaccio dell'ossigeno a cui Rukawa aveva dovuto ricorrere fino a poco prima.

E c'erano le sue mani, calde e grandi e così rispettose nel loro sfiorare delicatamente i gomiti di Rukawa, scoperti dal pigiama dell'ospedale e un po' freschini nell'aria condizionata, non tanto da dare subito fastidio ma abbastanza da fargli capire che se voleva stare in quella posizione per un po' avrebbe dovuto mettersi una felpa.

E che pensiero era, adesso, questo della felpa? Freddo o caldo, vivo o morto, tutto ciò che Rukawa desiderava era restare lì dov'era, ad accarezzare pensoso con il labbro inferiore il labbro superiore di Sakuragi; in uno stato di coscienza amplificata, avvertì il punto in cui la parte esterna della bocca, un po' più ruvida e grinzosa, si trasforma nel lato interno, morbido e liscio e bagnato e caldo.

 

Poi, udirono qualcuno che si schiariva la voce.

Si staccarono rapidamente l'uno dall'altro, come due bambini colti con le mani nella marmellata.

Il dottor Yamamoto era sulla soglia della stanza, lo sguardo basso. Disse: -Kaede, mi spiace interrompere. Ma dobbiamo andare a fare la lastra per valutare le tue condizioni.

-Nh.- rispose Rukawa, abbassando gli occhi. Il bacio con Sakuragi era stato un meraviglioso sogno, e come tale doveva terminare. Sperò di non dimenticarsi mai delle sensazioni provate; anche se il sentimento fosse scomparso, avrebbe potuto ricordare quel bacio e sentirsi un po' meno male.

Il dottor Yamamoto lo aiutò in silenzio a scendere dal letto, staccarsi tutti i cavi di dosso e lo invitò a sedersi su una sedia a rotelle. Rukawa obbedì, e si lasciò portare fuori dalla stanza a capo chino, il petto che doleva alla prospettiva di essere costretto a perdere il proprio amore per Sakuragi ora che lui pareva essere tra le sue mani.

 

Sakuragi non vedeva nulla.

Aveva gli occhi accecati dalle lacrime, ed era tanto abbattuto da non riuscire neanche a sollevare le mani per coprirsi il viso e darsi un po' di contegno.

-Hana.- chiamò una voce femminile, e dita sottili gli solcarono il labbro inferiore. Sakuragi mise a fuoco Ayako, anche lei in lacrime, e la vide mettere un piccolo fiore che sembrava già secco in una piccola provetta. Le sue mani tremavano così tanto che non riusciva a chiuderla, e Miyagi la dovette aiutare. Lui non stava piangendo, ma aveva le labbra strette, la mascella contratta e le sopracciglia aggrottate. Una volta chiusa la provetta, entrambi si avvicinarono a Sakuragi e lo strinsero.

Rimasero lì, in piedi nel mezzo della stanza vuota di Rukawa, a piangere o a cercare di non farlo, immobili nella loro attonita impotenza.

 

-Dottor Yamamoto, guardi qui.- disse il tecnico della radiografia, togliendosi di bocca uno stuzzicadenti, -Cosa le pare?

-Mi sembrano dei polmoni perfettamente sani. Possiamo concentrarci su Kaede Rukawa, per favore?- ribatté il medico, un po' scocciato.

-E di questi, cosa mi dice?- continuò imperterrito il tecnico, mettendo un'altra lastra sul tabellone luminoso; mostrava delle vaghe ombre diffuse nei polmoni e una chiara massa nel cuore. Yamamoto lo fissò come se stesse cercando di capire cosa c'era che non andava nel suo cervello. -Kurosaki, per cortesia, mi spiega dove vuole arrivare?

-Ho fatto tre lastre. Le prime due erano poco chiare. Guardi.- mise un terzo foglio sul tabellone, e Yamamoto li fissò tutti e tre.

-Mi sta dicendo che queste lastre sono di Kaede Rukawa?

-Sì, dottore. I polmoni di quel ragazzo sono più sani dei miei.- Kurosaki si mise in tasca lo stuzzicadenti ed estrasse una sigaretta, -Non che ci voglia molto, ma tant'è.- strinse i denti intorno al filtro e uscì dalla stanza, lasciando il dottor Yamamoto solo con le lastre.

Per quanto fosse impossibile, i fiori nei polmoni e nel cuore di Rukawa sembravano essersi volatilizzati nel giro di mezz'ora.

 

 

 

Erica: solitudine

 

 

 

 

 

Grazie a tutti per i vostri commenti e grazie in particolare a _sckarlett_ che ha consigliato il fiore di oggi.

Come sempre, lasciate un commento se il capitolo vi è piaciuto.

Saluti dal tunnel.

XOXO

 

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Capitolo 13
*** Cyclamen ***


Dopo mezz'ora, Sakuragi non resistette più.

Non ce la faceva a starsene lì ad aspettare il fato, stretto tra le braccia di Ayako e Miyagi a frignare come un bambino.

Si liberò dalla stretta degli amici e corse via, senza nemmeno sapere dove stava andando.

 

Rukawa rientrò nella stanza; era mezzo addormentato, e non notò né la presenza di Ayako e Miyagi né l'assenza di Sakuragi. Si lasciò spostare sul letto senza opporre resistenza, e Ayako dovette nascondere il viso contro il petto di Miyagi per non mostrare quanto la vista di Rukawa così debole la turbasse.

Uscirono dalla stanza insieme all'infermiera ed esitarono nel corridoio; si guardarono, ma nessuno dei due sembrava avere idea di cosa dire. Ayako intrecciò le dita a quelle di Miyagi e rimase in silenzio al suo fianco, desiderosa di andarsene da quel luogo di dolore e al tempo stesso in dubbio: quale scopo avrebbe avuto uscire da quell'edificio? Non avrebbe certo smesso di pensare alla condizione di Rukawa solo perché sopra alla sua testa c'era il cielo invece di un soffitto.

-Signorina Ayako?- chiamò una voce familiare. La ragazza si voltò e vide il dottor Yamamoto, che stringeva al petto una grossa cartellina di carta giallognola.

-Dottore! Come sta Rukawa?- Yamamoto si dipinse in viso un sorriso strano.

-Ecco... bene, in realtà. Possiamo parlare in privato, ragazzi?- Ayako e Miyagi si scambiarono uno sguardo, poi lo seguirono nel suo piccolo studio.

-Non dovrei parlarne con voi, suppongo...- disse il medico, sedendosi dietro alla scrivania, -Ma se non fosse per voi, non sapremmo neanche da che parte cominciare, quindi...

-Dottore, ieri Rukawa stava malissimo, sta davvero bene?- chiese Ayako.

-Già, a me sembrava molto debole un attimo fa...- intervenne Miyagi.

-Sembrava debole perché è debole. Dopotutto, ha passato la notte in bianco. È stanco morto. Ma le lastre sono...- il dottore emise uno sbuffo di risata perplessa, -Sono un vero miracolo. Da uomo di scienza, non pensavo che avrei mai usato questa parola, ma non c'è un altro modo per metterla.

-Può spiegarsi meglio?- chiese Miyagi, dopo essersi scambiato un'altra occhiata con Ayako.

-La prima lastra era poco chiara. Il tecnico ne ha fatte tre in mezz'ora. Nella prima i polmoni di Kaede sono completamente invasi da masse. Nella terza, sono liberi. Del tutto liberi.- Ayako e Miyagi tacquero, attoniti. Infine, il ragazzo chiese: -Non può essere un... non so, un problema tecnico, o qualcosa del genere?

-È stato il mio primo pensiero,- ammise il dottor Yamamoto, -Qualche problema con il liquido di contrasto, magari. Ma la verità è che il quadro clinico di Kaede prima di fare le lastre era compatibile con dei polmoni completamente invasi. Mentre ora respira in autonomia.

-Può essere qualcosa di relativo al bacio che si è scambiato con Hanamichi?- chiese timidamente Ayako. Come al solito, le sembrava di entrare in un mondo parallelo a discutere di cose simili con un medico. Il solo fatto che lei e Miyagi fossero stati convocati per un parere era al limite dell'assurdità.

-Lo penso anch'io. Ma non torna con il fatto che Kaede si è sentito male dopo aver sentito Hanamichi al telefono. Mi ha riassunto la conversazione, e io credo che una signorina romantica come te, Ayako, ne parlerebbe alle amiche con i cuoricini che escono da tutte le parti.- Ayako arrossì appena; nella sua mente si era appena riaffacciata a tradimento l'immagine di Miyagi che si avvicinava a lei per baciarla, prima della partita contro il Kainan.

-Quindi non capisco che differenza ci sia.- concluse il dottor Yamamoto, gentilmente ignorando il fatto che Ayako, persa nei suoi pensieri, si stava pian piano trasformando in una lampadina umana.

-Beh...- tentò Miyagi con un po' di timidezza, -Io... penso che tra dire cose carine e farsi avanti ci sia un bell'abisso. Forse... forse questa malattia... non so, vuole che la questione sia chiara.

-Spiegati meglio, per favore.- chiese il medico, cambiando posizione sulla sedia. Anche Ayako riuscì finalmente a scendere dalla sua nuvoletta rosa e guardò Miyagi, interessata.

-Ecco... cosa si sono detti esattamente nella telefonata?

-Stando a quello che mi ha riferito Kaede, Hanamichi era onorato e felice di quel che Kaede ha detto ai giornalisti. L'ha ringraziato, e sembrava piacevolmente sorpreso quando Kaede gli ha riferito di pensare davvero quello che ha detto.

-Ok, immaginavo.- rispose Miyagi, -Conosco Hana e so che è un cretino, di certo non si sarebbe messo a dire qualcosa di compromettente... insomma, per tirargli fuori di bocca i sentimenti servono le pinze e un esperto di torture!- Ayako ridacchiò e commentò: -Quant'è vero!

-Ecco, una cosa così può voler dire tutto e niente, insomma. Se domani Akagi,- si interruppe e specificò per il dottor Yamamoto: -Adesso il capitano della squadra di basket sono io, l'anno scorso era Akagi ed era severissimo. Insomma, se domani Akagi dicesse alla stampa che sono un bravo capitano mi sentirei onorato, e lo chiamerei per ringraziarlo, ma questo non vuol dire che gli metterei la lingua in bocca! Dio che schifo...

-Cielo, non mi ci far pensare...- commentò Ayako con una risata isterica.

-Tu taci, Aya chan, hai certe ship che mettono i brividi!- Miyagi ridacchiò, poi tornò serio: -Insomma. Una chiamata per ringraziare non vuol dire per forza che Hana è innamorato di Rukawa. Un bacio è tutta un'altra cosa.

-Ha senso...- disse a bassa voce Ayako; anche il dottor Yamamoto annuì.

-Insomma, secondo te questa malattia non tollera il dubbio.- riassunse. Miyagi annuì timidamente.

-Potresti aver ragione.- meditò il medico, tamburellandosi il labbro inferiore con il retro di una biro.

-Ci penserò. Ragazzi, vi ringrazio. So che non dovrei coinvolgervi, non è etico e voi siete studenti del liceo, non medici esperti, ma il vostro contributo è davvero prezioso.

-Dottor Yamamoto, Rukawa è nostro amico. Tutto quel che possiamo fare per lui, lo faremo.- dichiarò Ayako, poi si alzò e Miyagi con lei. Si congedarono in fretta, notando che il medico sembrava pensieroso, e uscirono per lasciarlo meditare sulla faccenda.

Il sole stava già tramontando, fuori dall'ospedale, e Miyagi disse: -Si sta facendo tardi. Ti riaccompagno a casa, non voglio che fai la strada da sola con il buio.- Ayako annuì e si incamminarono fianco a fianco. La ragazza pareva pensierosa, e Miyagi la lasciò tranquilla, senza asfissiarla con domande: nell'ultimo periodo si erano molto avvicinati, e lui aveva capito che a volte Ayako aveva bisogno di pensare in tranquillità, ed era più che propenso a lasciarle i suoi momenti. Era bello anche solo camminare al suo fianco, accecato dalla rossa massa del sole che tramontava all'orizzonte e rinfrescato dalla lieve brezza serale che pareva sfiorare Kanagawa ogni sera più o meno alla stessa ora. Si domandò vagamente come potesse essere possibile, e se fosse solo una sua impressione, ma gli sembrava proprio di ricordare che tutte le sere, verso le sette, ci fosse sempre un po' di venticello, anche nelle giornate più calde e opprimenti. Strano.

-Ryota?- chiamò infine Ayako. Miyagi si distolse dal proprio delirante ragionamento sul vento serale e rispose con un vago: -Mh?

-Tu... hai detto che un complimento può essere tutto e niente...

-Beh, sì. Perché?

-I...- Ayako arrossì fino all'attaccatura dei capelli, -I tuoi complimenti... sono... sì, insomma, sono tutto o niente? O qualcosa nel mezzo?- Miyagi si bloccò e cercò di capire che cosa, esattamente, Ayako gli stava chiedendo.

-Io...- cominciò, ma Ayako lo interruppe: -Niente, niente, lascia stare, domanda idiota!- rise imbarazzata. Miyagi ci riprovò: -Aspetta, io...

-È che è così bello crogiolarmi nelle tue attenzioni, però ogni tanto ho paura, e penso che magari un giorno tu incontrerai un'altra e...

-Ayako! Frena gli Ippogrifi!- Miyagi rise, un po' istericamente. Ayako tacque e arrossì, e Miyagi la prese per le spalle: -Mi cascasse di fronte Milla Jovovich in questo preciso istante, le chiederei di spostarsi perché mi blocca la visuale sulla mia bella Ayako. Ti basta?- Ayako gli rivolse un sorriso timido. Con un immenso atto di coraggio, Miyagi si sporse in avanti e la prese tra le braccia; la sensazione del suo corpo morbido e tonico contro il proprio era inebriante. Avrebbe voluto dichiararsi in pompa magna, dirle che no, i suoi complimenti rientravano nel “tutto” e che non doveva preoccuparsi, e poi chiederle se era lui che si stava facendo castelli in aria o se davvero lei era interessata a lui in quel senso, quel senso che porta a farsi un sacco di coccole e a fare progetti di matrimonio, casetta in periferia, 2,5 figli e un labrador, ma rimase in silenzio.

Forse all'inizio si era davvero illuso e lei lo trattava bene solo per fare in modo che lo Shohoku non mettesse in campo un giocatore utile come un culo senza buco perché prostrato da una delusione d'amore, ma cercando di ragionare obiettivamente credeva che ad un certo punto Ayako avesse davvero cominciato ad interessarsi a lui.

In fondo, se i complimenti potevano voler dire tutto o niente, lei aveva appena detto di essere impaurita all'idea che lui conoscesse un'altra: non era una dichiarazione, ma quasi. Comunque abbastanza perché Miyagi si sentisse abbastanza sicuro da non chiederle di dirlo chiaro e tondo; era un po' bello, poi, cullarsi un po' in quella vaga incertezza, era come essere sulle montagne russe. Per un istante, Miyagi pensò crudelmente che se Rukawa aveva potuto avere una speranza con Hanamichi grazie a quella malattia, di certo non si stava godendo tutto il processo come invece lui aveva la possibilità di fare. Quel pensiero rovinò il momento, e Miyagi si discostò da Ayako.

-Quando tutta questa storia e il campionato saranno finiti, vuoi uscire con me?- chiese.

-Non vedo l'ora!- rispose Ayako. Il suo sorriso era più luminoso del sole.

 

Il telefono squillò a casa Mito alle sette e venti di sera; il ragazzo rispose, com'era suo compito visto che la maggior parte delle volte che il telefono suonava all'ora di cena era uno dei suoi “amici scemi”, come li chiamava suo padre.

E infatti, come volevasi dimostrare, al telefono c'era Sakuragi: -Yohei, se ti chiama mia mamma le dici che sono da te a dormire?- esordì, senza neanche un saluto.

-Ehm, sì, non c'è problema. Ma Hana, cos'è successo?

-Ho baciato Rukawa. E domani lo operano per togliere tutto quanto.- rispose sintetico Sakuragi. Migliaia di campanellini d'allarme suonarono nella testa di Mito.

-Ok, ricevuto, adesso mi dici dove sei che ti raggiungo.

-Stai tranquillo,- disse il rosso, -Non ho intenzione di fare cazzate. Ma non voglio neanche che vieni qui. Ho bisogno di stare da solo e... boh, mandare giù l'ennesima porcata della vita.

-Hana, sono serio...

-Anch'io sono serio. Non ti devi preoccupare, ok? Ci vediamo domani o dopodomani a scuola. Promesso, giurin giurella, croce sul cuore e parola di Lupetto. Adesso vado. Grazie che mi copri le spalle.- il telefono segnalò la linea muta e Mito lo guardò come se dalla cornetta sarebbe potuto uscire improvvisamente un piccolo Hanamichi Sakuragi che gli spiegava esattamente come doveva comportarsi. Non accadde, ovviamente, e Mito urlò: -Mamma! Devo fare una chiamata urgente!

-Yohei, tra cinque minuti è pronto! Se non sei a tavola, mangerai freddo!

-E allora mangerò freddo, mamma, è importante!- la sottile figura della mamma di Mito si affacciò alla porta del disimpegno in cui avevano posto il telefono: -Cosa c'è di così importante?

-Hana non sta bene. Gli sono... successe delle cose e... sì, è in giro e non mi ha voluto dire dove, volevo chiamare Mitsui che ha amici adulti... insomma, magari possono buttare un occhio in giro e...- la voce di Mito si spense; sua madre aveva uno strano cipiglio in viso.

-Per quel povero ragazzo non è proprio mai finita, eh? Prima le prese in giro, poi la nonna che li disereda, poi il papà... sono anni che aspetto il crollo.- disse, poi abbassò gli occhi. Mito spalancò la bocca, attonito: sapeva che sua madre voleva bene ad Hanamichi, ma non credeva che lo avesse così caro da soffermarsi a pensare alla sua vita, che sì, in effetti fino a quel momento era stata piuttosto dura. Vide sua mamma rialzare lo sguardo e la udì chiedere: -Vuoi che ti porto in giro per la città a cercarlo? Possiamo mangiare al volo e poi prendiamo la macchina.

-N... no, ma grazie.- rispose Mito non appena si fu ripreso dallo shock, -Se Hana decide che non vuole farsi trovare, non si farà trovare. Fammi fare questa telefonata.- la donna annuì e tornò in cucina, seguita dallo sguardo ancora perplesso del figlio.

Poi, Mito si voltò e prese una rubrica su cui aveva scritto i numeri di telefono che potevano tornargli utili, e compose quello del dormitorio dell'università di Mitsui.

Mentre aspettava che il sorvegliante glielo andasse a chiamare, si chiese con irritazione se per caso non assumessero solo bradipi e tartarughe; ci vollero ben undici minuti e trentanove secondi prima che Mitsui, trafelato, tirasse su la cornetta: -Moshi moshi!

-Mitsui, sono Mito, scusa se ti disturbo.

-Ma va', nessun disturbo, avevo appena finito di trombare, non hai interrotto niente!- ribatté lui, e per poco Mito non si strozzò con la saliva. Ci voleva un po' a far abbassare la guardia a Mitsui, ma una volta che il ragazzo cominciava a fidarsi non aveva più barriere. Purtroppo.

-Ah... bene, allora...- disse, imbarazzato, poi andò al punto: -Senti, Tetsuo lo senti ancora?- ci fu un po' di trambusto dall'altra parte della linea. Con voce soffocata, Mitsui chiese: -Ti manda Kimi?

-N... no, perché dovrebbe?

-Non dico che non sa che lo sento, ma non è proprio al settimo cielo. Credo che sia un po' geloso. Comunque sì, lo sento ancora, perché?

-Gli puoi chiedere di buttare un occhio se vede in giro Hana stanotte?- Mitsui tacque, poi chiese: -Che cos'ha combinato, stavolta? Ha fatto a botte con Fukuda? È ricercato?

-Diciamo che ha il cuore spezzato, e stavolta per davvero. Poi ti racconterò.- Mitsui non ribatté, e Mito aggiunse: -Dai, non ti verrei a rompere i coglioni se non fosse importante, no?

-Va bene, poi però voglio che mi racconti tutto. Faccio un paio di telefonate.- Mito ringraziò e riappese, poi andò in cucina e si chiese se ci fosse altro che potesse fare.

Non trovò una risposta.

 

Rukawa si svegliò quando il cielo era già scuro.

Scrutò l'orologio sul comodino e con fatica lesse che erano le dieci meno un quarto, poi si chiese cosa fosse quella strana sensazione di fresco sul viso: poco a poco si rese conto di non avere in faccia la maschera per l'ossigeno.

Si chiese ansiosamente se per caso non l'avessero già operato, e si toccò il petto: non trovò nessuna ferita e, con una piccola contorsione, si toccò anche la schiena. Niente neppure lì, eppure riusciva a respirare abbastanza bene.

In effetti, si disse, non era sicuro che dopo un'operazione ai polmoni sarebbe stato autosufficiente. Quello, unito alla mancanza di grosse ferite o di bende che le coprissero, lo convinse che l'operazione fosse stata rimandata.

Si domandò cosa fosse successo.

Stava lentamente meditando se chiamare qualcuno quando un'infermiera entrò nella sua stanza e lo salutò con calore: -Oh, Kaede, sei sveglio! Come ti senti?

-Bene... credo.- rispose lui, scoprendo che non era una bugia. In effetti stava bene, nessuna difficoltà a respirare, nessuna palpitazione, solo un leggero stordimento dato dalla lunga pennichella che si era fatto dopo le lastre. Le lastre!

-Ti ricordi di me? Sono l'infermiera Sawada, collaboro con il dottor Yamamoto al tuo caso.

-Nh. È lei che ha scoperto il significato dei fiori?- la donna sorrise.

-Esatto. Il dottor Yamamoto è andato a casa, mi ha chiesto di riferirti l'esito delle lastre se ti fossi svegliato prima di domattina.- Rukawa si raddrizzò nel letto e si dispose ad ascoltare.

-A quel che sembra, i tuoi polmoni sono del tutto sgombri. Non sappiamo per certo come sia potuto succedere, ma crediamo che sia perché Hanamichi ti ha dimostrato incontestabilmente che per te prova qualcosa di diverso da una semplice amicizia.- Rukawa sentì il cuore mandare un palpito nel suo petto; per un folle istante, se lo immaginò alzare un minuscolo pugno in segno di esultanza.

-Lui... lui lo sa che sto meglio?- chiese Rukawa. L'infermiera alzò le spalle: -La tua amica Ayako ha detto che è andato via. Si è incaricata di informarlo non appena possibile.- Rukawa, che si era proteso in avanti, si riappoggiò ai cuscini, un po' deluso.

L'infermiera Sawada lo sottopose ad una breve visita e annotò i risultati sulla sua cartella, che poi riappese ai piedi del letto; sembrava piuttosto soddisfatta, e gli sorrise teneramente.

-Mi spiace che ti sei svegliato dopo che la tua mamma è andata via. Ha detto che tornerà domani. Se le tue condizioni saranno ancora così buone, potremo dimetterti.

-Beh, immagino di non poterla evitare per tutta la vita, no?- l'infermiera doveva aver parlato con la donna, notoriamente il ritratto della svampitezza, perché rise al patetico tentativo di Rukawa di fare dello humour. Sapeva che il lato psicologico di un decorso ospedaliero era molto importante, e vedere il ragazzo molto più vivace di poche ore prima la rendeva ottimista.

-No, direi di no!- disse tra le risate, poi aggiunse: -Vedrai, Kaede. Andrà tutto bene.

-Nh.- rispose Rukawa, un po' dubbioso. Più di una volta si era sentito ripetere quella frase, più di una volta era stato lui a pensarla, eppure solo poche ore prima era attaccato ad una macchina per l'ossigeno e prevedeva di farsi aprire cuori e polmoni.

Insomma, l'ottimismo al momento non era proprio il suo forte. Rifilò all'infermiera un sorrisino che sperò essere convincente e la guardò uscire. Si lasciò scivolare nel letto, incerto su come sentirsi, e si accorse che il lenzuolo era disseminato di fiori dalla corolla stretta con i petali che viravano dal rosa intenso al rosso scuro. Non si era accorto di averli espulsi, e quella era una buona notizia.

Quello che non andava bene era che evidentemente era ancora ben lontano dal guarire.

 

 

 

 

Ciclamino: insicurezza, esitazione






Ciaossu a tutti!
Oggi ho cominciato un corso di formazione, spero di riuscire a tener dietro al mio solito ritmo di pubblicazione... siete sempre così gentili con me, prometto che farò il possibile!
Come sempre, grazie a tutti voi che lasciate commenti, siete la mia abat-jour in mezzo al tunnel.
XOXO

 

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Capitolo 14
*** Nigella ***


-Ehilà, Rosso.- disse un vocione intenso e cupo alle spalle di Sakuragi, che però non reagì in alcun modo. Tetsuo smontò dalla moto, abbassò il cavalletto e appese il casco allo specchietto. Attese giusto il tempo di constatare che non sarebbe caduto, mentalmente insultando Mitsui: da quando si era messo con quel quattrocchi, l'Anima Ardente era diventato l'Anima Prudente. Quando per il compleanno aveva ricevuto in regalo quel casco, per poco Tetsuo non l'aveva usato come arma contundente contro il suo vecchio amico.

Il casco non cadde, anche se il manubrio della moto si inclinò un po', e Tetsuo ritenne sicuro allontanarsi. A passi pesanti si avvicinò a Sakuragi e si sedette al suo fianco sul parapetto che divideva la strada da uno strapiombo sul mare.

-Rosso. Mi dicono che...

-Fatti i cazzi tuoi.- lo interruppe Sakuragi. Tetsuo tacque e attese. Lo spettacolo del mare, anche ora che il tramonto era passato da un pezzo, era sublime, decisamente un panorama migliore della cacca di cane che aveva dovuto osservare per ore l'ultima volta che aveva dovuto fare da consulente psichiatrico ad una testa di cazzo.

Rimase in silenzio, seduto sul parapetto a mezzo metro da Sakuragi, a guardare le onde che si infrangevano contro l'aspro promontorio e a ricordare il giorno in cui finalmente si era deciso a far confessare a Mitsui quello che lo angustiava.

Da qualche settimana, il campione era ripiombato nelle vecchie abitudini di merda: non studiare, non giocare a basket, bighellonare a cazzo di cane con gli altri avanzi di galera, fumare e attaccare briga. Convinto per esperienza che quello non fosse il vero Mitsui, ma solo una maschera che quella testa dura si metteva in faccia quando non voleva mostrarsi debole, l'aveva rapito dall'angolo di strada che aveva scelto di occupare, l'aveva portato al parco, sbattuto su una panchina e aveva aspettato in silenzio fin quando lui non aveva confessato cos'è che lo angustiava.

-Ma ti levi dal cazzo o no?- sbottò Sakuragi?

-Perché, questo parapetto di merda è tuo? Mi risulta che sia permesso sedersi sul suolo pubblico. E la vista non è male.- Sakuragi gli lanciò un'occhiataccia mortale che avrebbe steso chiunque non fosse stato già abituato a ricevere occhiatacce mortali, Tetsuo sostenne il suo sguardo con aria indifferente e infine Sakuragi si voltò di nuovo verso il mare, bofonchiando di vecchi stronzi impiccioni che non hanno un cazzo da fare.

Tetsuo lo guardò e quasi sorrise: l'espressione da grosso pulcino incacchiato di Sakuragi era la stessa che c'era stata sul viso di Mitsui, quel lontano giorno di almeno sei mesi prima in cui Tetsuo gli aveva estorto la confessione del secolo.

Si aspettava qualcosa di altrettanto eclatante da parte di Sakuragi, e non avrebbe schiodato le chiappe da lì fin quando non l'avrebbe spinto a dire tutto quanto. L'unica cosa che lo preoccupava era che, se Mitsui era sembrato solo impaurito e incerto, Sakuragi aveva una chiara espressione di dolore. Non piangeva, non ancora forse, ma lo sguardo era quello di qualcuno a cui è venuta a mancare di colpo la terra da sotto i piedi.

Mitsui non era stato chiaro, al telefono, aveva riferito solo che si trattava di una non meglio specificata questione sentimentale di cui non sapeva nulla, ma era preoccupante che Sakuragi sembrasse così sofferente. Tetsuo aveva già visto quello sguardo, ma solo negli occhi di uomini molto più avanti con l'età. Era lo sguardo del condannato che vedeva la moglie, la compagna, l'amore della propria vita, uscire dalla sala delle udienze in cui era appena stato emesso un verdetto di colpevolezza. Era lo sguardo di chi sapeva di aver buttato via l'unica cosa che poteva valere qualcosa in quello stupido mondo di merda. Tetsuo li aveva visti cercare di mantenere una facciata stoica, rimanere in piedi con la testa alta e gli occhi fissi sulla schiena della loro anima gemella che se ne andava per sempre, nella speranza di poter conservare quell'ultima immagine come il ricordo amaro di ciò che avrebbero potuto avere se non si fossero comportati da mentecatti.

Ma, a quel che gli risultava, Sakuragi non aveva fatto nulla di male. Era anche riuscito a limare un po' il proprio carattere, smussandone gli spigoli peggiori: ora riservava le sue buffonate al campo da basket, al peggio agli allenamenti, mentre nel privato era diventato un pochettino più pacato. Non molto, certo, sempre di Sakuragi si trattava, ma quel tanto che bastava per farlo comportare un po' meno come un deficiente. Tanto per dirne una, quando la sua “Harukina cara” gli aveva scaricato il due di picche del secolo, dopo qualche sceneggiata falsa e plateale si era limitato a fare spallucce e a proporre una partitella di basket. Tetsuo aveva approfittato del pomeriggio a bordo campo mentre Mitsui asfaltava malamente il rosso per scambiare qualche chiacchiera con Mito e scroccargli qualche sigaretta. Doveva ammettere che quel ragazzo aveva una gran bella testa: se l'avesse incontrato solo un anno e mezzo prima, avrebbe cercato di coinvolgerlo nella propria gang, ma quando Mitsui aveva dimostrato che chiunque poteva tornare indietro e imboccare la strada giusta lasciandosi alle spalle quella sbagliata, anche Tetsuo aveva un po' rimesso la testa a posto.

Intanto, quel dannato casco lo metteva, e non solo quando c'era il rischio che Mitsui lo vedesse senza. E poi, si era trovato un lavoro. Certo, era un buttafuori e aveva visto più cose illegali in quel pub in sei mesi piuttosto che in trent'anni di vita, ma come inizio poteva anche andargli peggio. Almeno non trafficava cocaina infilandosela su per il culo, e aveva addirittura un contratto in regola. Quando si dice un uomo in carriera.

-Avanti, Rosso. Che ti è successo?- chiese, quando finalmente ritenne di averlo fatto rosolare abbastanza. Pensandoci bene, avrebbe potuto mandare il curriculum a Guantanamo: aria di mare, sigari... sembrava una bella vita.

-Mi è successo che come al solito va tutto a puttane e io mi sono rotto i coglioni.- rispose Sakuragi.

-Avanti, spiegami.- disse Tetsuo.

-Mi prenderai per pazzo.

-Nah, ne ho sentite di cose strane nella vita.

-Questa è peggio.

-Scommettiamo? Se mi stupisci, ti offro una birra.

-Comincia a salutare quei cinquecento yen.- ribatté Sakuragi. Tetsuo gli rivolse un cenno del capo, certo che quei quattro soldini sarebbero rimasti al calduccio nel suo portafoglio: era un teppista da quasi vent'anni, aveva visto le cose più folli e incredibili che mente umana potesse concepire, e quel ragazzino ancora troppo giovane per farsi la barba pensava di stupirlo.

-Avanti, Rosso. Raccontami qualcosa di nuovo.- lo sfidò.

 

Un'ora più tardi, Tetsuo stava uscendo a testa bassa da un bar aperto fino a tardi, una pinta di Sapporo in ciascuna mano. Una per Sakuragi, onesto pagamento della scommessa, e l'altra per sé, onesto anestetico mentale; rifletté vagamente che avrebbe dovuto farsi versare una pinta di whisky per cancellare il trauma, ma dopo sarebbe probabilmente stato abbastanza ubriaco da dimenticarsi com'era fatta una moto. Nel migliore dei casi, avrebbe cercato di andare a casa a cavallo di una fioriera in cemento.

Sakuragi prese il boccale, brindò e bevve un piccolo sorso accompagnandolo con una smorfia; Tetsuo trattenne un sorriso: era così tenero vedere i ragazzini bere birra le prime volte, sembra sempre che stiano buttando giù qualcosa di disgustoso. Si chiese vagamente se l'amore per la birra non fosse in realtà Sindrome di Stoccolma, poi si chiese che cazzo gli girasse per il cervello.

-Beh, amico.- disse infine, dopo una gran sorsata di birra, -Mi hai stupito così tanto che non ho consigli da darti, mi spiace.

-Non credo che esista qualcuno che può darmi un consiglio sensato, ora come ora.- mormorò Sakuragi, mesto. Esitò un attimo, poi disse: -Ma in fondo so che l'operazione è l'unica strada possibile. Voglio dire, ci sta il “ti amo da morire”, ma solo come cosa simbolica. Mi sentirei in colpa a vita se qualcuno crepasse perché mi ama.

-Anche se è qualcuno che tu ami?- insinuò Tetsuo. Per tutto il lungo, incasinatissimo discorso che Sakuragi gli aveva fatto, non una volta aveva dichiarato esplicitamente i propri sentimenti. Li aveva lasciati molto aleatori, sebbene solo un imbecille avrebbe potuto fraintendere. Era chiaro che quel grosso casinista era innamorato come una ragazzina, ma Tetsuo capiva anche quanto fosse difficile per lui ammetterlo. Con Mitsui non era stato poi tanto difficile, era bastato fargli notare che il Quattrocchi non sembrava poi così tanto indifferente e il gioco era stato fatto, ma in questo caso era molto diverso: Sakuragi sapeva che Rukawa lo amava, ma sapeva anche per certo che di lì a qualche ora lo stesso Rukawa si sarebbe svegliato e per lui non avrebbe provato nulla.

-Forse, a maggior ragione.- bisbigliò Sakuragi. Bevve qualche altro piccolo sorso di birra, poi disse: -La mia mamma mi ha sempre detto che quando vuoi bene a qualcuno, per prima cosa viene il suo benessere, non il tuo. E... se devo essere io a pagare per avere in cambio la vita e la salute di Rukawa, allora così sia.- senza alcun preavviso, finalmente le lacrime cominciarono a fluire sulle guance di Sakuragi. Tetsuo non si mosse, incerto: con Mitsui era abbastanza in confidenza da potersi azzardare a prenderlo per le spalle, stringerlo in una presa di wrestling e cominciare a battergli i pugni sulla schiena fin quando non avesse sentito il rumore di qualche costola che scricchiolava, ma non sapeva come avrebbe potuto reagire Sakuragi ad un contatto fisico inaspettato; non sapeva nemmeno se fosse il tipo da lasciarsi toccare da altri o se fosse il tipico giapponese duro e inflessibile.

E va bene, che non fosse il tipico giapponese era abbastanza chiaro, ma avrebbe sempre potuto reagire a cazzotti; e i cazzotti di quel Sakuragi, Tetsuo doveva ammetterlo, facevano un male porco.

Si risolse a mettergli una mano sul ginocchio e lì rimase, a guardarlo piangere e a sentirsi stranamente sentimentale: di solito, quando un adolescente finalmente scoppia in lacrime, lo fa in maniera plateale, quasi una crisi di nervi in piena regola con tanto di urla, strepiti, calci e pugni, mentre Sakuragi era solo lì, come una bambola rotta che perde acqua da una non meglio specificata tubatura, senza emettere un decibel. Il che era inquietante soprattutto se rapportato al personaggio, ma Tetsuo ricordava che nei momenti di vero shock Sakuragi tendeva a chiudersi in se stesso. Si chiese, in maniera vaga e allucinata, se avrebbe giovato mollargli una testata: stando a Mitsui, era così che il rosso era uscito da uno stato semi catatonico che l'aveva assalito l'anno precedente.

Infine, Sakuragi si ricompose, poco a poco. Si asciugò le lacrime, più volte e con metodo, fin quando dagli occhi non ne sgorgarono più.

Bevve piccoli sorsi di birra finché il singhiozzo che aveva cominciato a spezzargli il respiro non si placò, poi terminò quel che restava in un solo, grosso sorso.

-Cosa pensi di fare, ora?- chiese Tetsuo, capendo che si trattava di un congedo. Sakuragi esitò tanto a lungo da fargli pensare che forse avrebbe fatto bene a stenderlo per davvero, portarlo a casa propria e legarlo al sifone per evitare che decidesse di andare a gettarsi in mare.

-Credo che andrò in ospedale. Da Rukawa.- rispose infine Sakuragi. Trasse un grosso respiro e proseguì: -Non so se mi faranno entrare, ma voglio provarci. Prima me ne sono andato via di corsa, e vorrei tanto vederlo un'ultima volta prima... prima che finisca tutto.

-Ti accompagno.- decise Tetsuo. Seccò la birra in un unico sorso, prese anche il boccale di Sakuragi e riportò entrambi all'interno del locale. Quando uscì, Sakuragi si era alzato in piedi, ma non si era allontanato. Sembrava molto imbarazzato, ma propenso ad accettare il passaggio; forse, si disse Tetsuo, temeva di cambiare idea a metà strada e poi passare il resto della vita a pentirsene.

Tetsuo gli ficcò in testa il casco e si mise a cavalcioni della moto; Sakuragi si sistemò dietro di lui, e sotto il suo peso le sospensioni del veicolo chiesero a gran voce l'eutanasia, ma ressero. Tetsuo lo portò fino all'ospedale, guidando con prudenza e senza mettersi a fare le cazzate che avrebbe fatto con Mitsui, poi girò intorno all'edificio e si fermò di fronte ad una porta d'emergenza seminascosta. Sakuragi si tolse il casco e glielo porse, poi chiese: -Cos'è, sei persona non gradita anche qui?

-Nah. Ma ho un amico che lavora in ortopedia, lì.- Tetsuo fece un cenno col capo verso la porta, -E so per certo che non chiude mai quell'uscita di emergenza perché deve uscire a fumare ogni mezz'ora, se no sclera. Tu entra da lì, di' che devi vedere urgentemente una persona e che io garantisco per te. Ti faranno passare.

-Tetsuo, io...- cominciò Sakuragi, ma Tetsuo lo interruppe: -Non metterti a fare la checca sdolcinata. Ho già sopportato Mitsui che si mette a frignare sulla mia spalla, e tanto mi è bastato per il resto della vita.- Sakuragi gli rivolse un sorriso che pareva molto, molto pesante.

-Stavolta te la devo io, la birra.- dichiarò.

-A buon rendere, Rosso. Ora muoviti.- Tetsuo si infilò il casco, rivolse a Sakuragi un ultimo cenno di saluto e se ne andò sgommando.

 

Ora che era tanto vicino al suo obiettivo, Sakuragi era assalito dall'insicurezza. Forse una parte di sé aveva intenzione di passare dalla porta principale, o almeno provarci, proprio per la possibilità tutt'altro che remota che lo fermassero. Forse il suo unico obiettivo era potersi poi ripetere che lui ci aveva provato, che proprio non poteva fare di più.

-Oi, Tetsuo?- chiamò una voce. Un uomo in camice verde chiaro emerse dalla porta antincendio, e la sua apparizione fu seguita quasi subito dallo scatto di un accendino; una fiammella si accese, si accostò all'estremità di una sigaretta e l'accese: -Dai, coglione. So che sei lì, ho sentito la moto.- Sakuragi uscì dall'ombra, portandosi sotto al tenue alone di un lampione.

-Non sono Tetsuo,- annunciò, -Sono un suo amico. Mi ha detto che da qui posso entrare in ospedale.

-Senti, se hai intenzione di razziare la farmacia ti dico subito che...

-Devo vedere una persona. Prima di domani.

-Ti conviene, eh. Guarda che sono già sotto i riflettori, se sparisce anche solo un cotton fioc mi inculano e per voialtri tossici è finita la pacchia.

-Non sono un tossico. Devo solo vedere una persona, davvero.- ripeté Sakuragi.

-A che piano è?- chiese il tizio.

-Terzo. Pneumo...cosa.

-Pneumologia?

-Credo. La cosa dei polmoni.- il tizio annuì, poi disse: -Fammi finire la sizza e ti porto su. Mi spiace, io conosco Tetsuo ma te non ti ho mai visto. E sono già...

-Sì, sì, va bene. Come preferisci tu, capisco che non ti fidi. Neanch'io mi fiderei di uno con la mia faccia.- il tizio ridacchiò e commentò: -Beh, almeno sei simpatico.- poi si dedicò alla sigaretta. La finì in tutta calma, poi fece un cenno con il capo per invitare Sakuragi a seguirlo e lui obbedì; salirono insieme su un montacarichi, il tizio lo sbloccò con una tessera digitale e questo si mosse. Le porte si aprirono sul terzo piano, deserto a parte un'infermiera che ronfava della grossa nel suo cubicolo, dall'altra parte del corridoio, e Sakuragi uscì dal montacarichi.

-Grazie.- disse di botto.

-Di niente. Un amico di Tetsuo è amico mio.- ribatté il tale, poi fece passare di nuovo la tessera e le porte del montacarichi si richiusero. Sakuragi camminò più silenziosamente possibile verso la stanza di Rukawa; di fronte alla porta esitò.

L'infermiera si mosse, alla ricerca di una posizione più comoda sulla sedia, e Sakuragi si disse che non poteva essere arrivato fin lì per poi essere costretto ad uscire. Allungò un braccio, impugnò la maniglia e l'abbassò.

Il silenzio che lo accolse all'interno della stanza di Rukawa era strano; a Sakuragi ci volle un po' per rendersi conto che ciò che mancava era il suono dell'ossigeno, e quando lo capì si sentì mancare. Fino a poche ore prima, Rukawa non poteva farne a meno: probabilmente, la sua assenza significava che l'avevano già operato. Oppure no? Si poteva respirare da soli coi polmoni appena squartati? Sakuragi si avvicinò al lettino, tremante, intenzionato a controllare se sul petto di Rukawa ci fossero i segni di un'operazione chirurgica recente.

Era a pochi passi da lui, quando Rukawa si voltò nel sonno ed emise un soffio: un fiorellino azzurro dai petali appuntiti veleggiò fuori dalle sue labbra e si posò sul suo cuscino. Sakuragi si inginocchiò di fianco al letto e passò una mano tra i capelli di Rukawa, che schiuse gli occhi.

-Hanamichi...- disse in tono sognante.

-Kaede.- rispose Sakuragi, -Kaede, sei ancora...

-Nh.- la mano di Rukawa si alzò e le sue dita si intrecciarono a quelle di Sakuragi, che avvertì un colpo all'interno del petto. Si sentì salire alla bocca quelle due paroline magiche, quelle che l'avrebbero condannato per sempre, ma si impedì di dirle.

Voleva dirle, lo voleva con tutto se stesso, ma non voleva farlo mentre Rukawa era mezzo rimbambito per il sonno. Cercò di unire i puntini, mentre depositava piccoli baci delicati sul dorso della mano pallida di Rukawa.

Sputava fiori, quindi non era ancora stato operato.

Quindi il sentimento c'era ancora.

Non era attaccato all'ossigeno, quindi in qualche modo era migliorato tanto da concedere non solo una sospensione della chirurgia, ma anche una diminuzione delle cure necessarie.

-Pensano di farti uscire?- chiese, sperando che Rukawa fosse abbastanza lucido da capire.

-Domani.- rispose lui. Sakuragi guardò il quadrante dell'orologio, parzialmente illuminato dall'alone di luce di un lampione che proveniva da fuori.

Erano le due e quaranta del mattino, minuto più, minuto meno.

Dodici ore esatte più tardi, Sakuragi sarebbe potuto essere fuori dalla porta di casa Rukawa, con il dito sul campanello.

Ayako e il coach Anzai gli avrebbero senz'altro permesso di bigiare gli allenamenti: aveva un'ottima giustificazione. La squadra avrebbe patito l'assenza del Tensai per un pomeriggio in cambio della rinnovata presenza della Volpaccia per il resto del campionato, e per quello dopo, e per quello dopo ancora.

Sakuragi lasciò andare la mano di Rukawa, che si era rilassata nella sua, segnale che il moro si era riaddormentato. Stupido, bellissimo Volpino narcolettico, pensò Sakuragi, accarezzandogli una guancia. Poi, vi depositò sopra un lieve bacio e uscì dalla stanza.

Si sarebbe fatto un pisolino al parco, e il giorno dopo avrebbe fatto il grande salto.

 

 

 

 

Nigella: dubbio, incertezza

 

 

 

 

Ciaossu a tutti, ragazzi.

In corner sono riuscita a scrivere il capitolo, credetemi se vi dico che oggi sto peggio di Rukawa: mi hanno chiuso la palestra, unica luce in questi tempi bui di ricerca del lavoro (ahahah, me l'han detto) e il corso che sto frequentando continua a sgamo, per cui la qui presente ipocondriaca asmatica ogni giorno sale su un treno per rinchiudersi in una stanza con quindici sconosciuti (tra cui un negazionista, bella storia, vero?).

Oltretutto, tra otto giorni sarà il mio compleanno, e avevo programmato, nell'ordine: una festicciola con quei tre stronzi che non mi stanno antipatici, una cenetta romantica col fidanzato, una bella scalata in palestra..... insomma che ora ho paura a dire che mi basta passare la serata a guardare un film sul divano. Ho anche un filo di tosse e ogni volta che ho il raspino riscrivo il testamento.

Anyway, ringrazio Aimi_fantasy per il fiore, non ricordo chi mi aveva consigliato quelli dei capitoli precedenti e il quadernetto su cui li ho scritti è ad almeno due metri da me per cui grazie in generale anche a lizardiana, _sckarlett_, cicci783 e Alexis77, nomi che mi ricordo di essermi segnata. E grazie a Ste_exLagu, che mi ha gentilmente concesso l'autorizzazione a usare il suo nome in una fic (dopo che gli ho promesso che non avrei fatto crepare il tale) e che mi ha chiesto gentilmente di concedergli una gioia in questo lunedì del cazzo. Insomma, me l'ha chiesto gentilmente, cosa gli dovevo rispondere, di no?

Grazie a tutti voi che mi seguite e commentate, vi voglio bene. Come al solito, fatemi sapere cosa ne pensate: secondo voi andrà tutto come pianificato? /evil laughter/

XOXO

 

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Capitolo 15
*** Black Rose ***


Rukawa venne dimesso con mille raccomandazioni alle undici e zero zero.

Il dottor Yamamoto aveva preso nota della nuova apparizione di fiori, ma dato che la loro espulsione era stata tanto indolore che Rukawa non si era nemmeno svegliato aveva ritenuto di poter firmare le dimissioni egli stesso.

Naturalmente, aveva posto l'accento sulla necessità che Rukawa chiamasse in caso avesse riscontrato altri sintomi, e l'aveva lasciato andare solo dopo avergli strappato la promessa che l'avrebbe chiamato due volte al giorno per un report completo delle sue condizioni, fosse anche solo per dire che non aveva avuto nessun sintomo.

Rukawa aveva contrattato: aveva promesso di chiamare con regolarità solo e soltanto se il dottor Yamamoto gli avesse permesso di giocare a basket.

Infine, si erano accordati per stilare una lista dei suoi allenamenti e delle partite incombenti: ogni volta che Rukawa avrebbe calpestato il parquet di un campo da basket, un'infermiera o il dottor Yamamoto in persona sarebbero stati presenti, pronti ad intervenire se si fosse verificato un evento grave. -Concordo sul fatto che non è l'esercizio fisico a causarti le crisi, Kaede.- disse Yamamoto, in piedi sotto ad un caldo sole di tarda primavera nel parcheggio dell'ospedale, -Ma di certo una sovrastimolazione dei polmoni può non essere l'ideale.

-Nh...- ribatté Rukawa, ancora dubbioso.

-Senti. Sarò molto franco con te, perché sei un ragazzo determinato e intelligente: solo ieri pomeriggio, eri ad un passo dal collasso polmonare. Se ti ritrovassi in una condizione del genere mentre non c'è un aiuto medico pronto, e intendo l'aiuto di qualcuno che sa della tua malattia, potresti non farcela. E anche se dovessi sopravvivere, potresti dover chiudere per sempre con il basket. E con qualunque attività fisica più intensa della briscola, per essere precisi.- Rukawa sgranò gli occhi. A quell'evenienza non aveva pensato: era ancora un ragazzo, aveva già sviluppato la coscienza della propria mortalità ma solo in maniera vaga e fumosa, un po' come in quel film italiano in cui un frate diceva “ricordati che devi morire” e il protagonista ribatteva che se lo sarebbe segnato. Quando e se pensava alla propria morte, la vedeva come un evento distante nel tempo, una cosa di quelle che succedono dopo anni ed anni, alle persone vecchie e ai malati cronici, non certo come un'eventualità che avrebbe potuto verificarsi di lì a poco tempo.

Nonostante i suoi recenti problemi di salute, prima di allora era sempre stato in forma straordinaria, un po' carente di resistenza, forse, ma niente di che. Di certo stava meglio di quell'amico di Sakuragi, quello più largo che alto, che faticava a mettere insieme più di dieci passi. O di tutta la panchina dello Shohoku, se è per questo: quelle riserve valevano circa una mezza calzetta messe tutte insieme, e durante i test di Cooper Rukawa non si era mai classificato fuori dai primi tre. E comunque, anche dopo l'insorgenza della hanahaki, per quanto le crisi fossero state a volte violente e spaventose, gli era sempre sembrato di riprendersi alla perfezione, con il solo effetto collaterale di una certa stanchezza, ma non peggiore di quella che riportava in seguito ad una partita entusiasmante. Insomma, niente che non potesse andare del tutto a posto con una bella dormita.

-Va bene.- cedette infine. Yamamoto gli rivolse un sorriso stanco: -Allora siamo d'accordo.

-Posso partecipare agli allenamenti, oggi?- chiese Rukawa. Moriva dalla voglia di presentarsi a sorpresa in palestra, fingere di ignorare Sakuragi per qualcosa come sette secondi netti per poi sorridergli. Ricordava l'ultima volta che gli aveva sorriso, e intendeva costruire una miriade di altri luminosi punti nella memoria simili a quello. Lo sguardo di Sakuragi, quasi l'espressione attonita di una persona molto religiosa che scopre di essere il fortunato prescelto a cogliere una fugace immagine del suo dio, il lieve rossore sulle sue guance e il balbettio confuso che era seguito, le vene sul suo collo che cominciavano a pulsare a ritmo più rapido... Rukawa non si era mai considerato chissà quanto bello, ma quando si vedeva dagli occhi di Sakuragi si sentiva tale.

Ed era diverso dalla sensazione che gli davano le sue fan: quelle maniache si limitavano a spogliarlo con gli occhi, lo facevano sentire nudo e vulnerabile. Sakuragi invece vedeva dentro di lui, sembrava quasi prendere atto del suo aspetto fisico per poi bypassarlo e guardare oltre. Sentiva con lui una connessione a livello mentale, e nel suo sguardo curioso leggeva sì una sorta di indagine, ma non un “chissà com'è quando è nudo”. Il livello di nudità a cui Rukawa si lasciava trasportare da Sakuragi era una nudità dell'anima, ed era confortevole: si sentiva come se potesse aprirsi completamente con lui, ogni fibra del suo essere anelava ad intessere un rapporto più profondo non per poi passare il prima possibile in camera da letto o in un angolo appartato, ma per poter condividere il tempo e i pensieri.

Durante tutto il suo sproloquio mentale, il dottor Yamamoto era rimasto in silenzio, meditabondo: i suoi anni di carriera in campo medico gli stavano urlando che sarebbe stato folle lasciare che un ragazzo che fino a ieri aveva i polmoni conciati come quelli di un fumatore che lavora in acciaieria scendesse in campo per un allenamento, anche blando, ma la sua testa, che era ben più fine di quanto lasciava intendere con i suoi sorrisi gioviali, gli suggeriva che lasciarlo allenare era non solo la scelta migliore, ma l'unica possibile.

Era lui stesso, dopotutto, che spesso si trovava a consigliare ai malati cronici di trovarsi un passatempo che li appassionasse: per quanto fosse una branca della medicina molto aleatoria, lui sapeva per esperienza che lo stato mentale del paziente può influire grandemente sulla condizione fisica. Non arrivava a credere alle storie di gente che guarisce dal cancro solo per aver smesso di guardare il telegiornale, come uomo di scienza non avrebbe mai potuto affermare che una grave malattia potesse guarire senza terapia medica, ma aveva potuto rilevare che i pazienti che avevano una passione tendevano a guarire in maniera più rapida rispetto ad altri che si ritrovavano a non sapere cosa farsene della propria vita. Parlandone con l'infermiera Sawada, con la quale stava cominciando a diventare davvero “culo e camicia”, come aveva malignato il caporeparto di pneumologia, la donna gli aveva riferito della sua esperienza con gli anziani. Aveva notato che quelli tra loro che non socializzavano, che non facevano altro che fissare la televisione qualunque cosa trasmettesse, tendevano ad ammalarsi rapidamente. E, aveva aggiunto con una punta di timidezza, la stessa cosa era successa a suo padre qualche anno prima: l'uomo, da sempre appassionato del proprio lavoro, una volta in pensione non aveva più saputo cosa farsene di quell'oceano di tempo che si era ritrovato tra le mani, ed era morto a soli sessantanove anni. L'infermiera Sawada riteneva che fosse morto di sconforto. Per qualche motivo, quell'espressione aveva colpito profondamente Yamamoto.

-E va bene.- concesse infine, pregando che non fosse un errore, -A che ora cominciano gli allenamenti?- chiese.

-Alle due in punto.- rispose Rukawa.

-Perfetto. Io stacco alle tredici e trenta, sarò lì poco dopo le due. Ti prego di non cominciare finché non vedi che sono arrivato.- Rukawa non rispose, e Yamamoto aggiunse: -Sarà una questione di una manciata di minuti. È la mia sola condizione, se non la rispetti mi riservo di cambiare la mia decisione sul concederti di giocare.

-Nh. Va bene.- cedette Rukawa.

-Andiamo a casa, Kae chan?- chiese sua madre. Il suo usuale chiacchiericcio era ridotto al minimo, e Rukawa non fece storie: quella donna era insopportabile quando partiva a macchinetta, ma era anche un sinonimo di buona salute mentale. Le uniche volte in cui si limitava a poche parole erano quando era stanca, triste o stressata. Per un istante, Rukawa colse un'ombra dell'amore che la madre provava con lui, e avvertì un'irrazionale fitta di senso di colpa per averla fatta tanto preoccupare nelle settimane precedenti.

-Andiamo a casa.- rispose, cercando di mettere un po' di dolcezza nel suo tono solitamente piatto, poi si sedette sul sedile del passeggero e si allacciò la cintura. Al suo fianco, sua madre si sistemò dietro al volante, controllò diligentemente gli specchietti e la distanza del sedile e la posizione della leva del cambio. Era quasi tenero vederla guidare, pensò Rukawa; di solito era suo padre a farlo, ma l'uomo poteva assentarsi molto raramente dal lavoro, quindi era lei che faceva avanti e indietro per portare Rukawa in ospedale, a scuola e tutto il resto. Pochi giorni prima gli aveva confidato spontaneamente che guidare non le piaceva, per la miriade di incognite che accompagnavano un tragitto: incidenti stradali, pirati della strada, bambini che si buttano giù dal marciapiede senza guardare, asfalto bagnato, anche solo l'eventualità di dover parcheggiare in retromarcia. Rukawa apprezzava moltissimo i suoi sforzi, e anche se una parte di lui, fredda e cinica, pensava che fosse il suo compito in quanto genitore, un'altra voce andava risvegliandosi nella sua mente. Questa voce gli ripeteva che sì, tecnicamente era il suo compito, ma non tutte le madri sono così affettuose, soprattutto in un paese come il Giappone dove la vita adulta è lavoro, lavoro, lavoro, e soprattutto al giorno d'oggi, quando l'unico modo che ha una donna di emanciparsi è dimostrare di poter far carriera anche quando ha già dato alla luce un figlio. E sua madre era una donna battagliera. Era rientrata al lavoro subito dopo un congedo abbreviato di maternità, rifiutando il licenziamento e la buonuscita offertegli dalla compagnia per cui lavorava, e pur oberata di lavoro trovava il tempo di fare la spesa, coccolare figlio e marito, cucinare e tenere la casa in maniera impeccabile.

Certo, da quando Rukawa era al liceo non era più riuscita a tener dietro ai suoi compiti a casa, ma si preoccupava che la sua divisa fosse sempre linda e stirata, che i suoi pasti fossero regolari e che niente turbasse la sua serenità. Rukawa si rese conto improvvisamente di averla sempre sottovalutata parecchio, e di non averle mai offerto quasi nulla in cambio.

Di punto in bianco, disse: -Mamma, quando devi rientrare al lavoro?

-Nel pomeriggio, caro. Farò in tempo a portarti a scuola, poi vado di corsa.

-Ti andrebbe...- Rukawa esitò, -Ti andrebbe di mangiare del pollo fritto insieme?- la donna arrestò l'auto al semaforo rosso, mise la leva del cambio in folle e si voltò verso il figlio. Un timido sorriso fece capolino sul suo viso, scavando delle piccole rughe agli angoli della bocca, e la donna chiese: -Con tanta Coca Cola?

-E un muffin alla fine.- ribatté Rukawa.

-Andata!- rispose la madre, e il sorriso finalmente emerse, ampio e perfetto come quello del figlio.

 

Sakuragi si svegliò su una panchina quando ormai il sole era già alto.

Si alzò con un grugnito degno di una comparsata in Resident Evil e cercò di capire chi fosse, che anno fosse, e soprattutto perché diavolo era su una panchina invece che nel suo bel lettuccio comodo comodo.

Fissando un passerotto che becchettava il suolo alla ricerca di cibo, finalmente focalizzò, non l'anno che ancora restava un mistero, ma quantomeno la situazione generale: Rukawa, quella strana malattia dei fiori, la sua decisione di andare a pescarlo a casa e dirgli quella cosa che non aveva mai detto neanche nella propria testa.

Provò a prepararsi un discorso e scoprì di non riuscirci: in effetti non era chissà che sorpresa, a stento si ricordava quelle due nozioni, il proprio nome e poco altro, quindi mettersi a ideare un discorso che per esperienza sapeva che non avrebbe saputo poi ripetere era chiaramente quello che la sua mente interpretava come sforzo superfluo.

Si alzò dalla panchina con uno scricchiolio di articolazioni e un “oplà” da ottantenne e si stiracchiò un pochino, godendo dell'aria fragrante e del sole caldo, poi andò alla ricerca di un orologio. Ne trovò uno nella vetrina di un negozio di televisori: erano le undici e mezzo. Troppo tardi ormai per andare a scuola.

Beh, si disse, poco male: con un'assenza alle spalle non avrebbe neanche dovuto andare da Ayako a supplicare di poter saltare gli allenamenti per andare a trovare Rukawa, e ciò gli avrebbe concesso di salvare la faccia. Sapeva che la ragazza non l'avrebbe giudicato, né lei né tantomeno Ryota, ma si vergognava un pochino ad ammettere ad alta voce che voleva andare da Rukawa.

Si controllò le tasche e constatò con sollievo che durante la notte nessuno gli aveva fregato il portafoglio (che comunque era praticamente vuoto, a parte forse una tarma ormai morta di stenti) e nemmeno le chiavi di casa. Se ben ricordava, quel giorno sua madre sarebbe stata al lavoro fino alle quattro: c'era tutto il tempo, dunque, di farsi una bella doccia, mangiare un boccone e poi andare da Rukawa. Si annotò mentalmente di lavarsi i denti: al pensiero, sentì un sussulto nel petto. Non si era mai curato di lavarsi i denti prima di andare dagli amici, e l'idea che invece stavolta l'avrebbe fatto lo colpì particolarmente: anche ad un livello subconscio prevedeva che si sarebbe avvicinato abbastanza da premunirsi cercando di evitare una sgradevole fiatella.

Si diresse a casa fischiettando.

 

-Se mangi ancora un po', potrai fare tu la palla, oggi.- ridacchiò la mamma di Rukawa, guardando allegramente il figlio che si scofanava le ultime crocchette di pollo fritto del secchiello di Kentucky Fried Chicken. Rukawa rispose con un mugugno non compromettente e si ficcò in bocca una crocchetta intinta di salsa barbecue.

-Così il dottore è contento, non devo neanche correre perché mi palleggiano in giro.- rispose il ragazzo con la bocca piena, e la donna scoppiò a ridere.

-Sicuro di volere anche un muffin?- chiese.

-Sì, alla fragola!- rispose Rukawa. La donna gli pulì un baffo di salsa dal lato della bocca e sorrise.

-Allora vado a ordinarlo. Tu cerca di non mangiare un altro pollo intero mentre sono via!

-Ho fame, sono nell'età della crescita!- ribatté Rukawa mentre lei si alzava; rimasto solo, ricordò Sakuragi dire la stessa identica cosa, l'anno prima al campionato nazionale, e sorrise rammentando il viaggio mentale condiviso dei compagni di squadra, che avevano ipotizzato una crescita di altri cinquanta centimetri per Sakuragi, che alla fine non avrebbe sfondato nel basket ma nel campo circense. Lungi dall'offendersi come suo solito, Sakuragi aveva riso con gli amici fin quasi a sentirsi male; lo spettacolo era stato così bello che Rukawa aveva avuto la tentazione di mettersi a piangere per la gioia. Sussultò, pensando che forse il suo miglioramento significava che in futuro avrebbe potuto assistere a chissà quante scene del genere, e sorrise alla madre che tornava al tavolo con due muffin di un atroce color rosa.

-Kae chan, tesoro, è un problema se ti porto un po' prima a scuola? Volevo passare da casa a mettere giù le tue cose e a cambiarmi, ma se passo prima lì rischio di arrivare in ritardo al lavoro.

-Non c'è problema.- rispose Rukawa. Il primo morso del muffin fu paradisiaco, e la prospettiva che di lì a poco avrebbe rivisto il suo amato campo di basket e il suo amato Sakuragi Hanamichi lo era ancora di più.

 

Solo che il suddetto Sakuragi Hanamichi non era da nessuna cavolo di parte.

Ogni volta che la porta della palestra si apriva per lasciar entrare qualche fan, qualche curioso, l'inserviente che veniva a controllare la caldaia, Rukawa si girava di scatto, sperando che Sakuragi facesse capolino dalla porta, sbraitando come suo solito una qualche scusa incomprensibile per giustificare il proprio ritardo. Ayako l'avrebbe rimproverato e sventagliato, poi Rukawa gli avrebbe dato del do'aho e gli sarebbe andato incontro. E tutto sarebbe andato a posto, compresa quella vaga sensazione di oppressione che sentiva al petto e che sperava fosse dovuta soltanto ai sette polli e mezzo che aveva ingurgitato in forma di crocchetta.

Di certo non poteva essere dovuto allo sforzo fisico: non aveva ancora cominciato a giocare.

 

Sakuragi, nel frattempo, era immobile di fronte alla porta di casa Rukawa, con il dito puntato verso il campanello. Per il momento, non ce lo stava premendo contro, e sembrava solo un imbecille che indica qualcosa. Forse, si disse in un istante di delirio, stava indicando a se stesso la cosa che avrebbe dovuto toccare e schiacciare per creare quel magico “dlin-dlon” che avrebbe avvertito il volpino della sua presenza. Si diede del coglione patentato.

Poi, la porta si aprì di colpo, e la mamma di Rukawa ne emerse, bellissima nel tailleur grigio pece che indossava. -Oh!- disse, colta alla sprovvista.

-Signora Rukawa buongiorno vorrei per favore parlare con Kaede se possibile!- sputò fuori Sakuragi tutto d'un fiato, inchinandosi; solo la prontezza di riflessi della donna le impedì di essere abbattuta con una testata involontaria.

-Oh, Hanamichi, caro! Kaede è a scuola, il dottore gli ha dato il permesso di allenarsi!

-MA COME?!- gemette Sakuragi. Ecco, adesso avrebbe dovuto tornare a casa e cambiarsi, si era messo la camicia per essere più fico ma se si fosse presentato con quella addosso in palestra avrebbe dovuto per prima cosa evitare tutti gli stronzi che lo prendevano per il culo. E visto che si trovava in una situazione psicologica abbastanza precaria, non escludeva la possibilità di finire in galera per omicidio plurimo, se l'avessero preso in giro.

-Caro, ti darei un passaggio ma rischio di fare tardi al lavoro, mi spiace tanto.- disse la madre di Rukawa, e Sakuragi ribatté: -Oh, non si preoccupi, se corro posso arrivare lì in un lampo!- la donna sorrise e lo salutò con calore; Sakuragi la guardò salire a bordo dell'auto, armeggiare nell'abitacolo, e la salutò mentre si immetteva nel traffico con cautela.

Ebbene, un uomo deve fare quel che deve fare. Il giorno prima aveva deciso che avrebbe parlato a Rukawa a cuore aperto, in palestra o a casa sua non faceva differenza; anzi, forse dichiararsi in palestra sarebbe stato in un certo qual modo romantico, probabilmente era il posto preferito di Rukawa e ciò significava che si poteva equiparare a portare una bella ragazza in un punto panoramico al tramonto. In effetti, la palla da basket poteva somigliare un po' al sole quando tramonta; Sakuragi si immaginò di sistemare una palla con davanti due asciugamani modellati per sembrare una valle e ridacchiò: era un cretino, sì, ma un cretino romantico.

Scese dal marciapiede per attraversare la strada.

Non notò che il semaforo era rosso.

 

Il dottor Yamamoto rivolse un cenno di saluto a Rukawa e si accostò alla panchina per salutare Ayako e Miyagi, che stavano parlando a bassa voce. Miyagi gli rivolse un sorriso distratto, poi ordinò ai compagni di squadra di cominciare a correre e si unì a loro.

-Che succede, Ayako? Ti vedo preoccupata.- disse Yamamoto a voce bassa.

-Oh, è che... Hanamichi non è venuto a scuola. Il suo amico ha detto che ieri stava bene, ma...

-RUKAWA!- urlarono le fan dagli spalti ad una sola voce. Ayako drizzò il capo di scatto: non era il solito incitamento da arrapate, ma uno strillo di terrore.

Rukawa era a terra, appoggiato al pavimento con le ginocchia e le mani, e sembrava soffocare; non tossiva, ma non sembrava nemmeno respirare. Il dottor Yamamoto corse da lui, seguito da Ayako, e mentre si gettava a terra al suo fianco, Rukawa si contorse in uno spasmo simile ad un conato, e dalla sua bocca eruttarono centinaia di petali, accompagnati da un respiro affaticato.

-Cos'è, che fiore è? Cos'è successo?- chiese Miyagi, quasi in lacrime, poi redarguì i compagni di squadra, -Aria, voialtri, levatevi dalle palle!

-Sono rose, credo, ma...- disse Ayako, singhiozzando; Rukawa era caduto a terra e giaceva sul fianco, la mano del dottor Yamamoto posata sulla spalla. L'unica consolazione era che sembrava respirare regolarmente.

-Ma perché sono nere?!- terminò per lei Miyagi.

 

 

 

 

Rosa nera: cordoglio, pericolo

 

 

 

 

 

 

…...

Vi prego, prima di raccogliere i sassi per linciarmi, fate un conteggio delle mie fic che finiscono male e notate che la storia non è ancora conclusa.

/Rukawa dalla regia: “Io ti ammazzo.”/

Ehm, ecco, io... mi sono improvvisamente ricordata di un impegno improrogabile. Senza coprirmi di troppi insulti, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo!

XOXO

 

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Capitolo 16
*** Hellebore ***


Ayako uscì dall'ufficio di Anzai, dov'era corsa per fare una rapida ricerca su internet.

Evitò accuratamente lo sguardo di Rukawa, seduto sulla panchina; il dottor Yamamoto comprese al volo l'esigenza della ragazza di non guardare l'amico e chiese: -Ayako, hai scoperto qualcosa?

-Secondo i siti che ho visitato, le rose nere significano “pericolo”.

-Quindi è possibile che sia successo qualcosa ad Hanamichi?- chiese Miyagi, attirando l'attenzione di Ayako e distogliendo ulteriormente il suo sguardo da Rukawa.

-Sì, credo di sì.- cadde un cupo silenzio, poi Mito sbottò: -Vado a casa sua.

-Aspetta, Mito!- lo richiamò Ayako. Il ragazzo si era già messo a correre, ma lei lo raggiunse poco fuori dalla porta della palestra e lo prese per un braccio.

-Senti, non chiedermi di restare qui. Di Rukawa non potrebbe fregarmene di meno, in questo momento, ok? Voglio sapere come sta il mio amico.

-Mito... la rosa nera potrebbe anche significare “morte”.- Mito sussultò.

-Non l'ho detto davanti a Rukawa perché non ho idea di cosa potrebbe succedere, ma credo che sia giusto che tu lo sappia. Per... essere preparato.

-Dubito che si possa essere preparati ad una cosa del genere...- bofonchiò Mito; ora sembrava dubbioso. Il suo piano iniziale era arrivare a casa Sakuragi e parlare con sua mamma: Hana era un gran testone, ma girava sempre con i documenti e i contatti di emergenza nel portafoglio. A meno che non fosse rimasto vittima di una rapina, di certo le autorità avevano già provveduto a chiamare i parenti più stretti. Mito contava di parlare con lei, farsi dire dove lo stavano portando, riferire alla palestra e poi correre in ospedale.

Ora, però, la possibilità vaga che a Sakuragi potesse essere successo qualcosa di irrimediabile lo bloccava. Era pronto a supportare una mamma in ansia, l'aveva già fatto anni prima, ma come avrebbe mai potuto offrire il degno supporto ad una madre in lutto? Oltretutto, quando lui stesso avrebbe avuto il cuore a pezzi.

Poi, ricordò tutte le volte in cui era stato ospite dei Sakuragi, il loro supporto spontaneo e mai forzato quando suo padre aveva mollato la moglie di punto in bianco andandosene a Maiorca con una stagista rifatta, il giorno in cui la mamma di Hana gli aveva lanciato un mazzo di chiavi dicendo: “ormai sei di famiglia, tanto vale che ti lascio le chiavi di casa”... sollevò la testa, raddrizzò la schiena e si sforzò di apparire fiducioso.

-Qualunque cosa sia successa,- disse ad Ayako, cercando di trattenere il panico, -Di certo hanno già informato sua mamma. Vado da lui, mi faccio dire dov'è e come sta e vi chiamo subito.

-Mito... grazie.- Ayako lo abbracciò rapidamente, e lui corse via, lungo una strada che aveva percorso così tante volte da poterla ricordare a memoria. Giusto un paio di settimane prima, ricordò con una fitta al petto, lui e Hana avevano scherzato dicendo che l'unico motivo per cui non si sfidavano a fare la strada con gli occhi chiusi era che avrebbero potuto pestare una cacca di cane: per quanto in Giappone vigessero delle stringenti norme di pulizie, il quartiere in cui abitavano e in cui si trovava lo Shohoku era poco raccomandabile, e non tutti i padroni di cani si preoccupavano della pulizia delle strade. Subito dopo aver finito la frase, ricordò ancora Mito, Hanamichi aveva pestato una cacca. Ne avevano riso fino allo sfinimento.

Accelerò il passo, sperando che non gli fosse appena stata preclusa la possibilità di prendere in giro il suo amico per il resto dell'eternità, chiedendosi se è solo l'adolescenza a fare schifo, se ad un certo punto la vita migliora o se voler diventare grandi è tutto aspettativa e niente risultato.

 

Ayako rientrò in palestra e si dipinse in volto un tremulo sorriso. Con gli occhi fissi in quelli di Miyagi, riferì: -Mito sta andando a casa di Hanamichi. Ha giustamente pensato che sua mamma sarà già stata avvisata. Appena sa qualcosa ci chiama.

-Sveglio, quel ragazzo, non c'è che dire.- commentò vago Miyagi. Aveva capito che Ayako sapeva più di quel che aveva detto, ma si rendeva conto che se non aveva parlato in tutta sincerità doveva esserci un motivo ben preciso.

-Forza, ragazzi.- disse, battendo le mani, -Per adesso non c'è niente che possiamo fare. Cominciate a fare un po' di riscaldamento. Kakuta, puoi dirigere tu gli esercizi? Io devo scambiare due parole con Ayako per organizzarci.- Kakuta annuì, e insieme ai compagni si mise a fare un po' di stretching.

Yasuda si diresse verso Rukawa, e con gentilezza chiese: -Te la senti di unirti a noi? È meglio che stare lì a rimuginare, non pensi?- Miyagi per poco non si mise a strillare come la fan di un gruppo idol ad un concerto. I compagni di squadra avevano saputo solo che Rukawa aveva una strana malattia, ma per discrezione nessuno aveva parlato della connessione con Sakuragi; certo, Yasuda non era un imbecille e ormai si era nel range di deduzione del 2+2=4, ma mai e poi mai Miyagi si sarebbe immaginato una simile delicatezza dal compagno di squadra, ormai famoso per la sua poco felice abitudine di scoreggiare su diverse note. Il passo dall'esecuzione di Fra Martino con il buco del culo alla gentilezza con cui si stava rivolgendo a Rukawa era enorme.

Prese Ayako per il braccio, con dolcezza, e fece appena in tempo a sentire Yamamoto che dava la sua autorizzazione prima di sparire dentro l'ufficio di Anzai.

Aveva a malapena fatto in tempo a chiudere la porta, quando Ayako scoppiò a piangere. Tra le lacrime, la ragazza disse: -La rosa nera può voler dire “morte”. Oh, Ryota, cosa facciamo se Hana è...- Miyagi la interruppe. -Non dirlo.- le ordinò, spingendola delicatamente verso la scrivania di Anzai, alla quale la ragazza si appoggiò portandosi le mani al viso. Miyagi la strinse in un tenero abbraccio, cullandola contro di sé; il berretto di Ayako cadde a terra, ma entrambi lo ignorarono. Forte della consapevolezza che la porta fosse chiusa, anche Miyagi si concesse di piangere.

 

Mito corse più veloce che poteva verso casa di Sakuragi; all'ultimo incrocio, per poco non finì in mezzo alla strada per lo slancio esagerato, ma riuscì a curvare aggrappandosi ad un palo della luce; un manifesto stampato su un foglio di carta che denunciava la scomparsa di un gattino si disintegrò sotto alla sua mano sudata.

Mito lanciò uno sguardo verso la casa del suo amico, e fu parzialmente sollevato nel vedere che la vecchia Suzuki della signora Sakuragi era parcheggiata a caso, per metà sul marciapiede e per metà giù, con le quattro frecce inserite e la portiera del guidatore aperta. Il lieve ping che avvertiva il guidatore del fatto che le luci fossero rimaste accese era quasi assordante nella quiete del pomeriggio di un giorno settimanale. Mito si fece coraggio ricordando il giorno della morte del signor Sakuragi. Aveva visto con i suoi occhi la signora Sakuragi rientrare dall'ospedale dove aveva firmato i moduli per la donazione degli organi e disposto la cremazione della salma: con una calma e una precisione tanto impeccabili da risultare inquietanti, la donna aveva posteggiato l'auto con metodo, riuscendo ad effettuare un parcheggio da manuale, di quelli che si sarebbero potuti misurare con squadra e goniometro, poi era scesa dall'auto, composta, e aveva raggiunto la porta di casa. Una vocina disfattista disse a Mito che forse quello poteva essere un modo della donna di venire a patti con la morte del suo amato concentrandosi sul figlio e sulla necessità primaria di non lasciarlo solo, mentre ora che non aveva più niente da perdere...

-MIDORI SAN!- chiamò Mito, vedendola uscire di casa con una grossa valigia in mano.

-Oh!- la donna sussultò. I suoi occhi erano cerchiati da grandi ombre scure, e il suo solitamente impeccabile chignon mostrava parecchi ciuffi per aria; nel suo smarrimento, del tutto distante dalla tipica pacatezza giapponese, sembrava tendere molto più al lato paterno, quello irlandese, e i riflessi rossastri dei suoi capelli, ereditati poi dal figlio, la facevano somigliare ad una strana e bellissima fata affaccendata. -Yohei, caro, Hana ha avuto un incidente!- disse, poi lasciò cadere la valigia e si coprì il viso con le mani, in lacrime. Mito si avvicinò a lei e la prese per le spalle, poi l'abbracciò e lasciò che lei si sfogasse. Fremeva dal bisogno di chiederle come stava Sakuragi, ma non poteva nemmeno immaginare cosa stesse passando per la mente della donna, quindi le lasciò qualche minuto per ricomporsi.

-Come sta, Midori san?- chiese infine.

-Non lo so. Lo stanno portando all'ospedale di Yokohama, non mi hanno detto altro.- Mito trattenne un sospiro di sollievo che sarebbe senz'altro stato considerato inopportuno; si aggrappò alla consapevolezza che Hana, quantomeno, era ancora vivo, e disse: -Midori san, non ho tempo di spiegare adesso, ma sapevo che gli era successo qualcosa. Posso fare una telefonata?

-Poi mi raggiungi all'ospedale? Per favore.- Mito l'abbracciò d'impulso. Con quella donna era facile dimenticarsi di essere in Giappone, e le convenzioni sociali per quel che lo riguardava potevano andarsene tutte affanculo se un piccolo abbraccio poteva giovarle.

-Arrivo appena possibile, Midori san.- promise Mito. L'aiutò a mettere in macchina la valigia, dalla quale spuntava la manica del pigiama preferito di Sakuragi, quello con le stelle e i pianeti, poi corse verso la porta d'ingresso.

Entrò usando le proprie chiavi, si diresse al telefono e compose il numero della palestra dello Shohoku. Miyagi rispose al primo squillo, con la voce un po' soffocata: -Mito, sei tu?

-Sono io. Hana è vivo, lo stanno portando all'ospedale di Yokohama. Non so altro, vi richiamo da lì.

-Col cazzo, veniamo anche noi.- rispose Miyagi, poi riagganciò. Mito sorrise al pensiero di quanta gente volesse bene a quel gigante mezzo matto del suo amico, poi uscì, cercando di ricordarsi quale fosse il mezzo di trasporto migliore per raggiungere la zona di Yokohama.

Chiuse la porta, si voltò e rimase sorpreso nel vedere che Midori Sakuragi era ancora lì di fronte, le mani sul volante e lo sguardo fisso nel vuoto. Si avvicinò: -Midori san?

-Yohei, ho paura di andare a sbattere. Guardami, tremo.- disse, sollevando le mani dal volante. Con un senso di irrealtà, Mito vide le sue nocche, che erano diventate bianche tanta era la forza con cui stava stringendo le dita, riprendere colore poco a poco, assumendo quella strana e quasi psichedelica tonalità rosa chiaro che caratterizzava le estremità della donna e di suo figlio.

-Si sposti, guido io. Se ci beccano siamo nella merda, ma se ci schiantiamo stiamo ancora peggio.- disse Mito. Midori scese, girò attorno al cofano, salì dal lato del passeggero e si sedette allacciando la cintura. Le mani erano strette in grembo, tra le gambe, nel vano tentativo di farle smettere di tremare. Mito si concesse il tempo di farle una lieve carezza sull'avambraccio, poi cercò di ricordarsi quel poco che sapeva: specchietti retrovisori, posizione del sedile, frizione, leva del cambio in prima, mani sul volante a dieci e dieci.

L'auto non partì, e Mito si ricordò di dover girare la chiave; dimenticò tuttavia di premere la frizione: la macchina fece un balzo in avanti e si spense.

Dal sedile del passeggero venne la voce di Midori: -Calma, Yohei. Metti in folle, gira all'indietro la chiave, premi la frizione e accendi.- Mito trasse un profondo respiro per calmarsi ed eseguì. -Bene, adesso metti la prima, togli poco a poco il piede dalla frizione e parti.- a scossoni, la macchina partì e Mito, troppo terrorizzato per pensare ad altro, si immise nel traffico.

 

Un eterno quarto d'ora più tardi, Mito mollò la macchina al secondo piano del parcheggio dell'ospedale. Quando scese, vide che stava occupando due posti, ma non aveva la minima intenzione di risalire per provare a sistemarla meglio. Midori mise il talloncino del parcheggio sul cruscotto e scese; Mito prese la valigia e insieme si diressero agli ascensori, in silenzio. Il pensiero che occupava la mente di entrambi era che non sapevano cosa fosse successo in quel quarto d'ora. La telefonata della polizia era stata, aveva spiegato Midori, breve e sbrigativa. Le avevano riferito che il figlio era stato investito da un'auto e che lo stavano trasportando all'ospedale di Yokohama. Non le avevano detto se e quanto era grave, non le avevano detto se era cosciente, nulla. Per quanto ne sapevano, avrebbero potuto cominciare a sentirlo sbraitare di trattamenti indegni del Genio da un momento all'altro, oppure non sentirlo urlare mai più.

Mito rimase un passo indietro a Midori mentre la donna si rivolgeva all'accettazione. La udì dichiarare il proprio nome e il nome del figlio, poi la vide porgere un documento d'identità con mani tremanti. L'infermiera al banco inserì i dati in un computer, poi sorrise: -Eccolo qui. Lo stanno operando proprio ora, ma non è grave. Ha subito qualche danno alla milza e avrà bisogno di qualche punto di sutura qui e là, ma non ha battuto la testa e non ha ossa rotte.- Midori si accasciò sul banco dell'accettazione. -Oh, grazie al cielo!

-Quel coglione, mi ha fatto prendere un colpo!- sbottò Mito d'impulso. Midori e l'infermiera scoppiarono in una risatina imbarazzata.

-Dove possiamo aspettare l'esito?- chiese Mito, prendendo in mano la situazione. L'infermiera gli indicò una saletta d'attesa, e Mito aggiunse: -Altri amici di Hana stanno arrivando. Possono aspettare con noi?

-Se la signora Sakuragi è d'accordo, senz'altro.- rispose l'infermiera; guardò Midori, che annuì, poi tornò alla propria postazione.

Mito prese un bicchiere d'acqua al distributore e lo porse a Midori, che bevve a piccoli sorsi, poi chiese: -Come hai fatto a saperlo? Hai sentito suonare le campanule?

-Eh?- ribatté Mito, spiazzato.

-A Derry dicono che se senti suonare le campanule è successo qualcosa ad una persona cara.- Mito ricordò improvvisamente che le campanule erano un tipo di fiore, e scoppiò in una risata isterica. Si versò un bicchiere d'acqua a sua volta, poi si sedette di fronte a Midori e disse: -Ok, Midori san. Si tenga forte perché è una storia davvero assurda. Non erano campanule, erano rose.

 

Mezz'ora più tardi, Midori commentò stralunata: -Sento la mia nonna che dall'alto dei cieli mi dice che aveva ragione.- Mito scosse il capo in una muta richiesta di spiegazioni.

-Lei era molto superstiziosa. Fagioli contro i vampiri e i poltergeist, cerchi delle fate, polvere di mattone negli angoli delle stanze... io la prendevo in giro. Ma questa cosa che mi stai raccontando... va oltre ogni logica del mondo reale.

-Già. Nemmeno io ci crederei, ma l'ho visto succedere.

-Questo ragazzo come sta, adesso?- chiese Midori. Mito sentì di amarla un pochino. Con suo figlio in sala operatoria, quel cuore di donna era in grado di preoccuparsi per lo sconosciuto che tossiva fiori pensando ad Hanamichi.

-Non ho chiesto, ma quando sono uscito dalla palestra sembrava essersi ripreso. In ogni caso, credo che verrà qui anche lui.

-Bene, mi piacerebbe conoscerlo.- Midori era tornata ad essere apatica, colma di preoccupazione. Il discorso su Rukawa l'aveva distratta per un po', ma ora che era concluso tornava ad essere concentrata sulle condizioni del figlio.

-Signora Sakuragi.- chiamò l'infermiera dell'accettazione, -Sono arrivati gli amici di suo figlio. Posso farli entrare?- chiese.

-Naturalmente.- rispose Midori con un sorriso stanco. Miyagi e Ayako entrarono per primi, tesi e imbarazzati. Ayako si era tolta la sua iconica polo e indossava la divisa scolastica, si era data una pettinata e cercava di sorridere, nonostante i suoi occhi fossero ancora gonfi e arrossati. Anche Miyagi indossava la divisa, ed era così nervoso che sembrava che qualcuno gliel'avesse riempita di polverina pruriginosa: continuava ad agitarsi, a disagio, e la sua mano continuava a tornare all'orecchino, che girava e rigirava nel foro.

-Signora Sakuragi, buongiorno.- disse Ayako, sfoderando tutto il suo delicato charme, -Sono Ayako Ikebana, la manager della squadra di basket di Hanamichi. Lui è Ryota Miyagi, il capitano.- Midori si alzò e le strinse la mano con calore; Ayako dissimulò in fretta lo stupore per quel contatto fisico inusuale e reciprocò la stretta, poi senza soluzione di continuità le due donne si abbracciarono strette. Miyagi fissò Mito, confuso, poi entrambi fecero spallucce. Midori liberò Ayako dalla stretta e disse: -Yohei mi ha parlato di un ragazzo, mi pare... Rukawa? È qui anche lui? Come sta?

-Sì, è qui anche lui, sta meglio.- Ayako si voltò verso il corridoio e disse: -Avanti, Kaede, muoviti! O devo cominciare anch'io a darti della volpe narcolettica?

-Occhio, Rukawa, che oggi Ayako ha il ventaglio fa... AHIA!- Miyagi si interruppe sotto un violento colpo del famigerato ventaglio di carta di Ayako, che sottolineò e confermò le sue parole. Timidamente, Rukawa entrò nella saletta, seguito dal dottor Yamamoto e dall'infermiera Sawada, che messa al corrente della situazione li aveva raggiunti.

-Buongiorno, signora Sakuragi,- si spremette Rukawa, poi trasse un respiro sibilante, -Come sta suo figlio?- la donna lo guardò con tenerezza.

-Lo stanno operando, ma l'infermiera è ottimista.- rispose, poi sorrise. Rukawa annuì, poi trasse un altro, faticoso respiro. Il dottor Yamamoto lo raggiunse e lo spinse verso una poltroncina: -Vieni, Kaede, siediti un attimo. Vuoi l'inalatore?- Rukawa scosse il capo.

Il dotto Yamamoto alzò gli occhi verso Midori e disse: -Signora, potrebbe assistere ad una scena... inusuale. Kaede è...

-Sono al corrente della situazione.- rispose Midori, poi si sedette di fianco a Rukawa e aggiunse: -Come ti senti, caro? Hai bisogno di qualcosa?- Rukawa non rispose, ma un colpo di tosse gli scosse le labbra. -Ora mi passa.- disse con voce strozzata, poi cedette e cominciò a tossire.

Midori si guardò intorno, preoccupata: le sembrava che la crisi fosse piuttosto violenta, eppure né il medico né l'infermiera sembravano particolarmente preoccupati. Ayako si strinse a Miyagi, e la mano di Mito si appoggiò sulla spalla di Midori, che vi posò sopra la propria. Le si stringeva il cuore a vedere quanto stava male quel ragazzo, e pensò incoerentemente che quando ti dicono che l'amore fa male non t'immagini certo una cosa del genere.

Finalmente, dopo un colpo di tosse che sembrava proprio non voler uscire, Rukawa si placò. Si trasse un fazzoletto dalla tasca e vi sputò dentro qualcosa. L'infermiera, professionale, indossò un paio di guanti di lattice e prese il fazzoletto, lo aprì e lo esaminò: -Credo sia un fiore di elleboro.- Ayako si avvicinò e sbirciò tra le sue mani, poi annuì. -Confermo.

-Caspita, ti sei messa a studiare i fiori?- chiese Miyagi, in un goffo tentativo di spezzare la tensione.

-No...- rispose Ayako, arrossendo, -È che in Harry Potter, quando Harry e Hermione vanno sulla tomba dei genitori di Harry, Hermione fa apparire una corona di elleboro da metterci sopra.

-Oh, talk nerdy to me...- disse Miyagi, e Rukawa commentò: -Ottimo, adesso mi verrà anche il diabete.- tutti risero nonostante la tensione.

-Sa cosa significa, Sawada san?- chiese il dottor Yamamoto.

-Sì, significa...- l'infermiera dell'accettazione bussò con delicatezza sullo stipite e disse: -Signora Sakuragi... suo figlio è uscito dalla sala operatoria.

-Come sta?- chiese Midori, alzandosi in piedi con le mani giunte sul petto.

-Posso parlare qui o preferisce in privato?

-Parli pure. Questi ragazzi sono qui perché vogliono bene a mio figlio, è giusto che lo sappiano.

-Sta bene. La milza era in condizioni migliori del previsto, sono riusciti a salvarla. Come le dicevo, alcune delle sue ferite hanno avuto bisogno di suture. Ha una costola incrinata, ma la schiena, che da quanto vedo aveva subito dei danni l'anno scorso, non è stata ulteriormente danneggiata. Nessun trauma cranico, nessun osso rotto. Per il momento è ancora sotto anestesia, ma se volete potete entrare nella sua stanza, massimo due persone per volta.- Midori si fece avanti, e con le lacrime agli occhi le strinse una mano tra le sue: -Grazie. Grazie infinite.- disse.

-Andiamo. Yohei, tu entri con me. Sei come un altro figlio per questa povera signora.- uscirono dalla saletta, e prima di seguirli Ayako si rivolse a Rukawa: -Vieni, Kaede?- il ragazzo annuì.

Rimasti soli nella sala d'aspetto, il dottor Yamamoto chiese: -Allora, Sawada san?- la donna lo fissò stralunata. Poi scosse il capo e disse: -Se non l'avessi visto non ci crederei. L'elleboro significa “liberazione da una situazione infausta”. Il corpo di Rukawa ha previsto che Hanamichi era uscito dalla sala operatoria.

 

 

 

Elleboro: liberazione da una situazione sgradita

 

 

 

 

Ciaossu!

Raga, vi giuro che MORIVO DALLA VOGLIA di usare l'elleboro da quando Aimi_fantasy me l'ha consigliato. Il tutto per quella cosa che dice Ayako, perché anche se j.k.rincowling sta ormai rotolando lungo l'aspra china della demenza senile e della transfobia, Harry Potter sarà sempre una parte di me e il supporto degli attori che hanno interpretato i film (Daniel “Prescelto” Radcliffe in primis) mi lascia sperare che Hogwarts sia ancora la mia casa.

Anyway, grazie a tutti per i commenti, il supporto, e i miei complimenti a quei magnifici detective che hanno addirittura ricordato il mio compleanno. Vi ammiro la memoria, veramente, io non mi ricordo cos'ho mangiato a colazione.

Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo!

XOXO

 

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Capitolo 17
*** Gladiolus ***


Restare immobile fuori dalla stanza d'ospedale di Sakuragi dava a Rukawa una strana sensazione.

Non era esattamente sgradevole, non del tutto: intanto, sapeva che il rosso non era grave, anzi era fuori pericolo, per cui la preoccupazione era un po' sfumata.

Restava solo la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto quello: Sakuragi era di gomma, per la miseria, Rukawa l'aveva visto con i propri occhi balzare in piedi con la schiena a pezzi, l'aveva visto cadere a terra dopo violenti scontri e rialzarsi, l'aveva visto distruggere a cazzotti Tetsuo quando lui stesso era coperto di sangue. E addirittura mettersi a fare dello spirito, nel frattempo. Non era concepibile che fosse in un letto d'ospedale.

Non era concepibile, non era giusto, era fuori da ogni norma e regola.

Si appoggiò alla parete, senza ascoltare le chiacchiere di Ayako e Miyagi che stavano blaterando di qualche manga giusto per sfogare il nervosismo, e sospirò: in quell'ultimo periodo, di cose al di fuori di ogni norma e regola ne aveva viste così tante che si chiedeva cosa fosse davvero la normalità. Insomma, quelle scene di quotidiana routine che facevano vedere nei film, tutti a colazione insieme, i ragazzi a scuola e i genitori al lavoro, era quello l'unico sprazzo di normalità a cui poteva aspirare la gente? Poi, una volta alzatisi dal tavolo della colazione, tutto diventava una strana e spaventosa discesa su uno scivolo ricoperto di olio?

Oh, quanto gli mancava essere semplicemente il campione musone della squadra di basket, non parlare con nessuno, provare solo sentimenti blandi e dormire la maggior parte del tempo.

Ma la realtà dei fatti, l'indescrivibile affetto che provava per Sakuragi, la sua malattia con i suoi terribili alti e bassi, e ora il suo amato che giaceva in un letto d'ospedale gli facevano domandare a se stesso se per caso non fosse vissuto in una stupida torre d'avorio per tutti gli anni precedenti.

Da quando si era iscritto al liceo, si era ritrovato catapultato in una realtà che sembrava troppo grande per lui, e se all'inizio era riuscito a scenderci a patti semplicemente ignorando tutto ciò che non lo riguardava direttamente, ora era talmente coinvolto che il solo pensiero di voltare le spalle a tutto e a tutti gli faceva salire il panico, perché se quella era la realtà che senso aveva scappare? E per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Per andare in cerca di quella normalità che ti dicono sia l'età adulta? Gli pareva una ricerca vana e illusoria, una presa in giro degli adulti come quelle puttanate che ti dicono da bambino per non farti mangiare i semi delle arance.

Invece di parlare chiaro e dire “se ne inghiotti uno rischi di soffocare” ti dicevano che ti sarebbe cresciuto un albero nella pancia, per poi prenderti in giro qualche anno dopo perché ci hai creduto, come se fosse colpa tua mentre sono loro ad averti mentito e ad averti poi piazzato davanti alla tv o sul divano con un libro, a informarti su fatti stranissimi come draghi, magia, poteri sovrannaturali... cos'è più assurdo, un uomo fortissimo che scopre di essere un alieno o un seme che germoglia?

Di colpo, con un sussulto allo stomaco, Rukawa si rese conto di avere avuto lui stesso i polmoni pieni di fiori. In un istante di irrazionalità, si chiese se per caso non avesse inalato i pollini e questi avessero poi germogliato dentro di lui.

Questi genitori, si disse, ti avvertono dei semi delle arance e poi ignorano il vero pericolo.

Improvvisamente, la trepidazione all'idea di vedere Sakuragi divenne una vera e propria urgenza: se il bisogno di averlo al fianco era tale che la sua mente si metteva a formulare pensieri sconnessi e battute di merda come le sue, doveva essere davvero una questione grave.

Trattenne una risata, sapendo che sarebbe stata giudicata inappropriata. O forse no, rifletté di nuovo guardando Ayako e Miyagi. Tese l'orecchio, e si rese conto che stavano discutendo sull'effettiva possibilità che due personaggi di un manga stessero insieme. Ayako stava portando tante prove a suo favore che Rukawa se ne convinse nonostante non sapesse di chi si stesse parlando.

Poi, Miyagi si voltò verso di lui e disse: -Rukawa, salvami da questa psicopatica, ti prego!

-A me sembra che quel che dice ha senso.

-Ma come, anche tu!- Rukawa fece spallucce e disse: -Uno tira le cose addosso all'altro, l'altro si mette a urlare. Mi sembra di riconoscere uno schema familiare.- Miyagi tacque a lungo.

-Ha ragione e lo sai.- sentenziò Ayako.

-E va bene, va bene, allora stanno insieme!

-Spero per quello che lancia le cose che non gli crescano i fiori nei polmoni.- disse Rukawa.

-Visto che ti abbiamo fatto la diagnosi partendo da quel manga, è anche possibile.- ragionò Ayako, -Ma purtroppo l'autrice non saprebbe scrivere una storia d'amore neanche per salvarsi la vita.

-Ma se hai appena detto che quei due stanno insieme?- chiese Rukawa, confuso.

-Quella è una fan theory,- spiegò Miyagi, -Ma non è che li vedi che si baciano o che a un certo punto lo dicono esplicitamente.

-Già,- concordò Ayako, un po' amara, -Anche perché se Xanxus provasse a dire “ti amo” probabilmente farebbe una scena come quella di Fonzie quando prova a dire “mi dispiace”.- Miyagi rise a bassa voce e Rukawa sorrise. Non ne sapeva praticamente nulla, ma sentire Ayako parlare di cose prive di una reale consistenza in qualche modo lo metteva a suo agio.

Forse, si disse, il suo problema era quello: era talmente logico e razionale che qualsiasi cosa fuori dalla norma lo destabilizzava. Si chiese, con una punta di panico, se per caso non stesse scambiando per amore una semplice attrazione data dall'essere così sregolato di Sakuragi.

Forse, Sakuragi lo attirava così tanto solo perché era un pazzo, rumoroso ed esagitato e alto e colorato in un paese dove la vita quotidiana sembrava essere tutta calma, silenzio, grigiore delle città e teste chine di lavoratori indefessi.

Come una lampada brillante in una notte senza stelle. Rukawa forse era la falena che, sprovveduta, trova qualcosa di luminoso e diverso da tutto il buio che la circonda e ci si getta a capofitto senza pensarci, lanciandosi senza pensare verso la propria morte.

Si chiese se per caso la sua malattia non fosse del tutto psicosomatica, un costrutto della sua mente che l'aveva portato ad essere strano a sua volta, perché ammirava quella luce nella notte e voleva diventarlo a sua volta. Si domandò irrazionalmente se le falene si allontanavano morenti dal fuoco, con le ali in fiamme e il corpo che urla di dolore, ma trionfanti per essere divenute, almeno per un istante, un lumino nel buio.

Spire di gelo gli avvilupparono il corpo.

 

-Kaede?- chiamò una voce femminile, adulta e solo vagamente familiare. Rukawa alzò gli occhi e vide la madre di Sakuragi che gli sorrideva con aria stanca. I capelli che sfuggivano dalla rudimentale coda di cavallo che li tratteneva erano della stessa identica sfumatura di quelli del figlio, e Rukawa ebbe un sussulto: sarebbe finito per credere di essere innamorato anche di quei capelli, solo per la loro differenza rispetto al classico castano scuro dei giapponesi?

-Nh?- si spremette.

-Vieni, entra pure. Hanamichi sta bene, sembra.- con delicatezza, la donna lo sospinse verso la porta della stanza di Sakuragi, e Rukawa per un attimo avvertì l'impulso irrefrenabile di scappare via. Si sentiva gretto e meschino: lui si era convinto di essere innamorato di Sakuragi a tal punto da farsi venire la più assurda delle malattie psicosomatiche e ora lui era lì in un letto d'ospedale, e probabilmente ce l'aveva cacciato lui. Non sapeva dove fosse Sakuragi, ma Mito gli aveva spifferato che aveva passato la notte chissà dove in seguito alla rivelazione che Rukawa fosse sul punto di farsi operare e rimuovere i suoi sentimenti verso di lui. Quindi, come minimo, non si poteva certo dire che fosse lucido e ben riposato. Rukawa supponeva che l'incidente fosse avvenuto per una disattenzione costata cara, e in ultima analisi riteneva di esserne lui il responsabile.

Ma se avesse parlato in quel momento, tutti gli si sarebbero rivoltati contro, quella simpatica donna in primis. E Rukawa, che per molto tempo l'aveva vista da lontano durante le sue sessioni di pedinamento nei confronti di Sakuragi, non voleva farle del male.

La percepiva come una donna forte e triste, una di quelle che non si meritano tutto lo schifo che la vita rovescia loro addosso ma che comunque in un modo o nell'altro finiscono sempre per ritrovarsi nella condizione di combattere contro la quotidianità.

Scoprire che suo figlio aveva rischiato di farsi veramente male, finanche di morire, perché un imbecille che giocava a basket con lui si era fatto una marea di seghe mentali poteva essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, e Rukawa non voleva rendersi responsabile anche di quello. Anche se, ammetteva, se la donna gli avesse le mani addosso forse sarebbe solo stato giusto.

 

Entrò.

Non appena scorse l'immagine del viso di Sakuragi, si rese conto che le seghe mentali se le era sì fatte, ma nei minuti appena trascorsi.

Lo amava, non c'erano domande da porsi.

Si avvicinò al letto e gli sfiorò una mano con delicatezza, evitando di toccare il saturimetro che gli stringeva l'indice per non creare interferenze nei macchinari di monitoraggio, poi si sedette sul bordo del letto.

Non notò che la madre di Sakuragi era ancora nella stanza, e non avrebbe fatto la differenza in ogni caso: sentiva l'esigenza senza precedenti di parlare con Sakuragi. Una voce un po' isterica nella sua mente gli suggerì di approfittare: averlo addormentato era probabilmente l'unico modo di infilare più di due parole in mezzo alle sue.

-Ehi, Do'aho. In un modo o nell'altro devi sempre fare casini, non è vero? Sei una gran testa di cazzo. E io di più, visto che ti amo e non riesco a convincermi a smetterla.

-...tsune...- bisbigliò Sakuragi. Fu appena un soffio, quasi inudibile, tanto che Rukawa si chiese se per caso non se lo fosse immaginato. Poi, le dita di Sakuragi si contrassero intorno alle sue e le sue palpebre sfarfallarono appena, come se cercasse di aprire gli occhi ma non ci riuscisse.

-Do'aho, piantala, sei sotto anestesia, non sforzarti.

-È sveglio?- chiese, ansiosa, la signora Sakuragi. Rukawa percepì il suo delicato profumo di fianco a sé e lasciò che la donna guardasse il figlio.

-Hana, tesoro, sono la mamma, come stai?- Sakuragi sorrise appena, poi la tensione che si era creata nei muscoli del suo collo si rilassò e lui si addormentò di nuovo.

-Forse è meglio se vado. Non voglio disturbarlo.- disse Rukawa, accarezzando il dorso della mano di Sakuragi. Ma la donna scosse il capo: -Resta quanto vuoi.

-Ehi.- chiamò la voce di Ayako dalla soglia, -Possiamo entrare? Qui fuori non c'è nessuno, Mito ha detto che ci avvisa se vede arrivare gente.- la madre di Sakuragi annuì, e lei e Miyagi si accostarono al letto dell'amico.

-Beh, temevo peggio.- disse dopo un po' Ayako, imbarazzata. Rukawa la comprendeva benissimo: sapere che c'era un Hanamichi Sakuragi nella stanza e non sentirlo urlare come un gorilla iperattivo era davvero surreale.

-Sì, almeno non gli resteranno cicatrici evidenti.- concordò Midori.

-E potrà continuare a chiamare “Sfregiato” Mitsui.- aggiunse Miyagi.

-Cosa che fa un sacco Harry Potter, comunque.- commentò Ayako, poi chiese: -Sakuragi san, le hanno detto qualcosa della prognosi?

-Due settimane.- rispose la donna, -L'ho letto sulla cartella clinica.

-Scommetto che tra una settimana è in piedi.- disse Miyagi, guardando Sakuragi con un sorriso affettuoso sul volto.

-Yohei ha puntato su tre giorni.- ribatté Midori, e Ayako ridacchiò.

Rukawa li ascoltava solo di sfuggita; non aveva la minima intenzione di interagire con loro, non ora che era con Sakuragi e aveva la certezza che stesse bene e aveva sentito la sua voce. Era certo, ormai, che lui l'avesse riconosciuto, e che quella parola parziale che aveva mormorato fosse il suo iconico “Kitsune”.

Poi, Mito guardò dentro e disse: -Arriva qualcuno.- Ayako e Miyagi si affrettarono ad uscire, e poco dopo un medico dall'aria severa entrò.

-Lei è la signora Sakuragi Midori?- chiese. La donna annuì. L'uomo guardò torvo Rukawa, che colse il messaggio implicito e bofonchiò: -Torno dopo.

In corridoio, si riunì agli amici e disse: -Quel medico non somiglia al dottor Yamamoto.

-Sembra più il dottor Palo nel Culo.- rispose Miyagi.

-Kae chan!- chiamò una voce femminile, e la madre di Rukawa arrivò, seguita dal dottor Yamamoto e dall'infermiera Sawada, -Kae chan, come stai?

-Sto bene, mamma. È solo che Hanamichi ha avuto un incidente, e a quanto pare... beh...

-Abbiamo già spiegato la situazione alla tua mamma, Kaede.- disse il dottor Yamamoto. Il suo sorriso allegro, dopo il grugno del medico di Sakuragi, era un vero balsamo.

-Adesso come sta Hanamichi?- chiese la signora Rukawa.

-Sta abbastanza bene. Il dottore sta parlando con sua madre.

-Sei stanco, passerotto?- Rukawa arrossì fino alla radice dei capelli.

-No. Sì. Solo un po'.- rispose, imbarazzato. Per fortuna, il medico malmostoso uscì in quel momento dalla stanza di Sakuragi; scrutò i presenti e si allontanò senza nemmeno un cenno di saluto.

La signora Sakuragi si affacciò sulla soglia della stanza, e non fece nemmeno in tempo ad aprir bocca che fu subito assalita dall'entusiasmo della signora Rukawa: -Oh cielo, lei dev'essere la mamma di Hanamichi! Sono così contenta di conoscerla, e come sta suo figlio? Sta meglio? Quando si riprenderà? Dovete venire tutti a pranzo da noi quando starà meglio, me lo prometta!

-Mamma! Camomillati!- le ingiunse Rukawa, poi borbottò: -Non le hai neanche detto chi sei...

-Oh, mi perdoni, scusi sa, sono sempre un po' irruenta!

-Stia tranquilla, io sono irlandese, l'irruenza è il nostro pane quotidiano!

-Ora capisco molte cose...- borbottò Rukawa.

-Comunque, Hana sta bene. Già da domani dovrebbe essere sveglio e lamentoso come al solito!

-Il Genio non dovrebbe essere trattato come un comune mortale!- disse Mito.

-Il Genio merita almeno delle lenzuola di seta!- aggiunse Miyagi.

-Al Genio dovrebbe essere data una stanza figa privata!- sottolineò Ayako. Miyagi la guardò male, cogliendo il sottinteso, ma Midori scoppiò a ridere: -Oh, visto quanto sarà rompiscatole, spero davvero che nessuno venga ad occupare il letto di fianco al suo!- tutti risero.

 

Si scambiarono convenevoli, ora che l'atmosfera si era fatta più distesa; Rukawa, però, cominciava ad avvertire un vago peso sul petto. Sperò che non fosse in arrivo un'altra crisi, o quantomeno che non fosse per un inaspettato peggioramento di Sakuragi.

Guardò la porta della stanza, rimasta aperta, e la vista della sagoma delle gambe di Sakuragi sotto al lenzuolo gli ricordò dolorosamente che moriva dalla voglia di tornare da lui e tenerlo per mano.

-Kaede, stai bene?- chiese l'infermiera Sawada.

-Sì, credo, ma...- rispose Rukawa, poi trasse un profondo respiro e si rivolse a Midori: -Sakuragi san, posso tornare da Hanamichi per un po'?- chiese.

-Ma certo, caro, tutto il tempo che vuoi.

-Kae chan, tra un po' però vorrei andare a casa.- puntualizzò la signora Rukawa, -Si sta facendo tardi e tu sei uscito stamattina dall'ospedale.- Rukawa sospirò, ma annuì ed entrò nella stanza di Sakuragi senza aggiungere altro.

L'infermiera Sawada si chinò e raccolse un fiorellino che gli era sfuggito dalle labbra: -Gladiolo.- sentenziò, -Significa “forza”.

-Somiglia ad una campanula.- commentò, stupita, Midori. L'infermiera fece spallucce e disse: -Beh, non avrebbe un significato negativo in ogni caso. Ma credo che in questo caso sia solo il nostro Kaede che vuole incoraggiare il suo Hanamichi.- sorrise.

 

-Kaede.- chiamò Midori. Il ragazzo si riscosse. Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto lì, semisdraiato nella posizione più scomoda del mondo con la testa appoggiata ad una spalla di Sakuragi, semplicemente ad ascoltarlo respirare e a trarre conforto da quel ritmo regolare e stabile.

-Sakuragi san. Mi scusi, probabilmente sono invadente.

-No, caro, è che la tua mamma dice che devi tornare a casa. Sono le nove, vorrai mangiare qualcosa, no?- Rukawa si alzò e rispose: -Veramente oggi a pranzo ho mangiato per quindici.

-Ti fa male?- chiese Midori tutto ad un tratto. Rukawa la fissò, poi seguì la direzione del suo sguardo e vide che il lenzuolo di Sakuragi era cosparso di fiori rosa a forma di campanella.

-Oh, sono mortificato, ho fatto un casino.- disse.

-Non preoccuparti, caro. La bella infermiera qui fuori dice che sono gladioli e significano “forza”. Suppongo sia un modo di incoraggiare Hana.

-Preferirei farlo a parole come al solito, ma sì, credo anch'io.

-Ti fa male?- chiese ancora Midori.

-No, quand'è così no. Se ho una crisi, è come avere la tosse molto forte e un po' di asma. Niente di insopportabile, ma a volte fa paura.

-Povero ragazzo.- disse Midori, e gli accarezzò i capelli. Rukawa la guardò. Il suo sorriso dolce gli ricordava quello di Sakuragi, e d'impeto disse: -Lo amo. Amo Hanamichi.

-Si vede, caro, si vede.- rispose lei, sempre sorridendo. Ma Rukawa vide che dietro al suo sorriso si nascondeva un'ombra di stanchezza, e con discrezione decise di andare via.

-Beh, io... non ho fame, ma una doccia non mi dispiacerebbe. Quando Sakuragi si sveglia, può dirgli che torno domani nel pomeriggio?

-Certamente. Sarai il benvenuto. È chiaro che lo sei, sì?- Rukawa tacque per un istante. Non tutti i genitori erano esattamente felici di scoprire di avere un figlio omosessuale, per cui la sua frase non era per niente scontata. Suo padre non gli parlava da quando aveva saputo tutto, il padre di Kogure l'aveva diseredato e sua madre ancora si lamentava del fatto che non avrebbe avuto nipoti; per un istante, Rukawa fu grato ai genitori di Mitsui, che con qualche battuta e un po' di imbarazzo avevano invece finito per accettare la storia tra lui e il Quattrocchi.

-La ringrazio di cuore.- rispose Rukawa, -Buonanotte.

-Buonanotte, Kaede.- rispose la donna. Rukawa si voltò prima di uscire, e si sentì stranamente confortato nel vedere che Midori raccoglieva una manciata di gladioli e li metteva nella mano di Sakuragi, come a fargli sentire meglio il sostegno di Rukawa.

 

 

Gladiolo: forza

 

 

 

 

 

Ciaossu a tutti!

Chiedo scusa per l'ennesima intrusione di Katekyo Hitman Reborn, è che ho appena visto una fanart da far venire le gambe molli e... (voci dalla regia: “pervertita”)

Allora, per questo capitolo vorrei che tutti voi inneggiaste a Ste_exLagu, che nonostante sia impegnato con le lezioni ha avuto la prontezza di rispondere ai miei messaggi e impedirmi di far guarire Rukawa con la realizzazione che non è, in realtà, innamorato di Hana. Ha giustamente minacciato un linciaggio senza pietà e mi ha spinta a più miti consigli.

Grazie anche a tutti voi che continuate a seguirmi!

Per citare Doctor Who, “Before I go, I'd like to say that you are fantastic. Absolutely fantastic.”

Come sempre, battete un colpo se gradite!

XOXO

 

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Capitolo 18
*** Bluebell ***


Rukawa finì di allenarsi, sforzandosi di sembrare tranquillo.

Il dottor Yamamoto lo guardò sorridendo dagli spalti e, mentre il ragazzo si avvicinava alla panchina, scese gli scalini e disse: -Caspita, sei bravo davvero! Adesso capisco perché ci tenevi così tanto a ricominciare!- Rukawa emise un vago mugugno, imbarazzato.

-Eh, sì, lui è il nostro campione!- confermò Ayako, mollando una manata sulla spalla di Rukawa, che per il contraccolpo strizzò accidentalmente la borraccia, lavandosi la faccia con uno schizzo di Pocari Sweat.

Ayako ridacchiò, imbarazzata, e Rukawa la guardò male. Miyagi, che ormai la conosceva fin troppo bene, sbottò: -Dimmi. Che non hai fatto. Un doppio senso.

-Dai, Ryota, l'hai letta la fanfiction che ti ho mandato ieri!

-No, non l'ho letta, stavo facendo i compiti e credimi, adesso ho ancora meno voglia di leggerla!

-Sì, ehm.- disse Rukawa, -Ragazzi.

-Oh, scusa, Rukawa, dimmi, avevi bisogno di qualcosa?- chiese Ayako. Miyagi si mise una mano in faccia e bofonchiò: -Ho creato un mostro...

-Sai se è ancora in ospedale?- chiese Rukawa, ignorando i loro deliri.

-Oh! Giusto! Sì, è ancora ricoverato, esce domani. Lo volevano tenere... com'è che si dice?

-In osservazione.- le venne in soccorso il dottor Yamamoto.

-Ecco, sì, in osservazione.- Rukawa aggrottò la fronte e chiese a bruciapelo: -Ayako, ma stai bene?

-Eh?- si intromise Miyagi, subito preoccupato, -Che hai, Ayakuccia? Non stai bene? Hai mangiato poco? Mangiato troppo? Hai mal di testa?

-No, no, ma va', sto bene, vai a cambiarti, piuttosto, che ti sento puzzare da qui!- Miyagi arrossì e scattò verso gli spogliatoi, imbarazzato. Per quanto il suo rapporto con la ragazza fosse diventato più intimo, ancora non era uscito dalla classica fase in cui ogni minima gaffe sembra enorme e tragica, e voleva ovviare al problema dell'odore al più presto possibile.

-Avanti. Confessa.- disse Rukawa. Il dottor Yamamoto si allontanò con discrezione, mettendosi a fissare una conca sul muro che quasi sicuramente era il calco perfetto del cranio di qualcuno.

Ayako esitò a lungo, poi sbottò in un fil di voce: -Ho la casa libera e voglio chiedere a Ryota di salire a bere un tè.

-E allora? Fallo, bella idea.

-Rukawa... il tè è una scusa.- puntualizzò Ayako. Rukawa rispose: -Oh!- e di colpo gli sembrò di rendersi conto di una serie di implicazioni relative alla sua relazione con Sakuragi che non aveva minimamente preso in considerazione prima.

Cioè, aveva sorvolato la questione “sesso”, ma l'aveva liquidata abbastanza serenamente perché gli era sempre interessata poco. Si domandò alla lontana se e quando Sakuragi avrebbe voluto fare qualche passo avanti sul piano fisico della loro relazione, poi fece spallucce: era inutile mettersi a rimuginare su cose che ancora non erano successe.

-Beh...- disse, imbarazzato, -Buon per voi, ehm... usate le protezioni.- Ayako rimase basita per la risposta di Rukawa, tanto che lui era già dall'altra parte del campo quando lei finalmente si riscosse e gli urlò dietro: -MA CHE RAZZA DI FRASE SAREBBE QUESTA?!

 

Rukawa si lavò con particolare cura. L'appunto di Ayako sull'odore di Miyagi aveva colpito di striscio anche lui: non voleva presentarsi in ospedale per poi scoprire che, lontano dagli odori della strada, anche lui sapeva di cadavere.

Si mise l'uniforme, ringraziando sua madre che quel mattino gliene aveva messa una pulita sulla sedia, poi decise di non indossare la giacca: era ormai giugno, e la giornata era particolarmente calda: c'era sempre tempo per buttarsi addosso qualcosa, mentre togliersi la giacca con di mezzo la cartella sarebbe stato più complicato, soprattutto per uno pigro come lui: sapeva benissimo di essere capace di non toglierla anche se stava sudando solo perché gli mancava la voglia di farlo, e in tal caso si sarebbe presentato da Sakuragi sudato e di nuovo puzzolente. Se invece gli fosse mancata la voglia di metterla, al massimo avrebbe avuto un po' freschino, ma lo escludeva: aveva sempre sofferto il freddo più del caldo, e di solito non c'era pigrizia che teneva quando Rukawa Kaede aveva le ditine fredde.

Pedalò con la stessa energia con cui la piccola agente di colore di Scuola di Polizia guidava l'auto, sempre per non sudare troppo. Il venticello ancora primaverile era piacevole sulla pelle, il sole era bello caldo e il cervello di Rukawa era libero di farsi una marea di tare mentali sull'argomento “sesso”. Dopo delle peregrinazioni di ragionamento che avrebbero stupito persino Hegel, si chiese se davvero era il caso di farsi così tante menate: dopotutto, Sakuragi era alla sua prima cotta per un maschio, quindi in primo luogo probabilmente avrebbe aspettato un po' prima di gettarsi in quel tipo di cosa. E poi era stato abbastanza gentile da dargli corda pur credendosi etero, quindi c'erano buone probabilità che sarebbe stato altrettanto cortese da non cercare il sesso senza essere sicuro di avere un consenso chiaro. Rukawa per poco non si dimenticò di fermarsi di fronte all'ospedale, perso tra la ricostruzione mentale di una sessione hard in cui lui si tirava indietro e Sakuragi, cavaliere, non solo non se la prendeva ma gli faceva un sacco di coccole per fargli capire che andava tutto bene, e un'inutile pippa mentale sul personaggio del manga di cui parlava Ayako il giorno prima.

Rukawa frenò di colpo, appena in tempo per rischiare una collisione potenzialmente mortale con una vecchietta munita di girello, e si chiese se per caso non gli stessero crescendo i fiori anche nel cervello. Dato il suo livello mentale degli ultimi tempi, poteva anche essere plausibile.

Parcheggiò la bicicletta nella rastrelliera di fronte all'ingresso principale e si diresse al banco dell'accettazione, mentalmente preparandosi il discorso da fare alla persona che vi avrebbe trovato. La verità inconfessata di Rukawa Kaede era che era afflitto da una profonda timidezza, e il suo mugugnare nelle situazioni sociali era dovuto semplicemente dal fatto che non sapeva mai cosa dire, o se lo sapeva temeva sempre di risultare inopportuno.

-Buongiorno.- disse a voce bassa e pacata, -Mi può dire qual è la stanza di Sakuragi Hanamichi?

-Momento, prego.- rispose l'addetto. Rukawa lo vide cliccare a caso sullo schermo e si domandò se per caso non avesse interrotto una partita a Free Cell. Poi, il tale rispose: -Duecentosei.

-Grazie, molto gentile.- ribatté Rukawa, sperando che dalla sua voce permeasse il sarcasmo. Si incamminò verso l'ascensore: normalmente l'avrebbe evitato come la peste, insieme ai ripostigli, alle cantine e ai cubicoli per le docce solari, ma continuava ad essere in vigore il concetto di non arrivare sudato da Sakuragi.

Mentre il malefico cubicolo per la claustrofobia saliva, Rukawa si chiese come l'avrebbe trovato. Sveglio, credeva, dopotutto i danni non erano stati particolarmente gravi e una volta smaltita l'anestesia non l'avrebbero sedato di nuovo. Ma si domandò di che umore potesse essere: qualcuno aveva pensato di dirgli che alla fine lui non era stato operato, o era lì in gramaglie a fissarsi le ginocchia e a chiedersi perché la vita fosse così grama? Oppure magari aveva dolore, e sarebbe stato a disagio nell'incontrare Rukawa in un momento di vulnerabilità?

Le porte dell'ascensore si aprirono senza il minimo segnale acustico. Riflettendo su come ciò fosse adeguato dal momento che sarebbe potuto essere scambiato per il suono di un macchinario salvavita, Rukawa si pose di nuovo dei seri interrogativi sul proprio stato mentale e fece un passo avanti. Una voce lo accolse: -IL GENIO HA SETE!

-Parola mia, quel ragazzo è una piaga...- disse un'infermiera, con l'espressione di una che sta per segnare un nuovo record mondiale nell'intensità delle emicranie.

-Lo dica a me, che ho fatto apposta a venirlo a trovare.- nel suo nervosismo, Rukawa non si rese conto di aver parlato ad alta voce fin quando non si accorse che la donna lo stava fissando come se fosse un alieno appena atterrato da Giove che chiede di parlare con il leader della Terra. Una soverchiante sensazione di disagio lo investì, accompagnata da un prepotente istinto di fuggire a gambe levate, poi l'infermiera rise.

-Beh, visto che sei così autolesionista allora puoi portargli tu l'acqua!

-Nh.- rispose Rukawa, annuendo per chiarire il significato del suo verso atono. La donna gli mise in mano una brocca di vetro piena e una piccola pila di bicchieri di plastica e disse: -Duecentosei, buona fortuna, mio eroe!- ridacchiò come una delle smutandate che di solito occupavano gli spalti della palestra, e per un attimo Rukawa fu tentato di farle presente che a sedici anni era ancora illegale per un po'.

-ALLORA? MI VOLETE FAR MORIRE DI SETE?- Rukawa trotterellò fino alla stanza duecentosei, si affacciò alla porta e disse: -Do'aho. Se devi rompere così la rovescio per terra.- Sakuragi non rispose, e per poco Rukawa non si mise a ridacchiare come l'infermiera.

Cielo, era così bello, anche con addosso una stupida maglietta promozionale di una qualche colla per serramenti, i capelli scarmigliati e gli occhi pesti di qualcuno che, se ha dormito, non si è per niente goduto il sonno.

-Kitsune!- disse Sakuragi, poi le sue labbra si schiusero in un ampio sorriso. Solo per un puro caso la minaccia di Rukawa non si concretizzò: le sue gambe si trasformarono in due informi masse di gelatina ancora non abbastanza fredda, e solo la sua forza di volontà e un malcelato bisogno psicofisico di fare bella figura a priori gli concessero di compiere senza danni quei tre passi e mezzo che lo separavano dal comodino di fianco al letto di Sakuragi, dove appoggiò la brocca e i bicchieri.

-La mamma ha detto che saresti venuto, ma non ci credevo.- disse Sakuragi.

-Nh, e perché mai?- chiese Rukawa. Recuperata un po' di compostezza ora che si era obbligato a focalizzarsi sul versargli un po' d'acqua, le mani avevano smesso di tremargli.

-Beh... non lo so, ho pensato che magari... non lo so.

-Do'aho.- ripeté Rukawa, poi gli porse il bicchiere. Le loro dita si sfiorarono sulla superficie di plastica, ed entrambi sussultarono. Per fortuna erano due ragazzi schifosamente orgogliosi, si disse Rukawa, altrimenti si sarebbero di certo messi ad urlare entrambi in falsetto come nelle più irritanti scene da shojo manga.

-Grazie.- disse Sakuragi, poi bevve. Rukawa, che dopotutto non poteva togliersi gli occhi dalla loro sede e metterseli in tasca per non fissarlo, rimase ipnotizzato dal su e giù del suo pomo d'Adamo.

Distolse lo sguardo per evitare di fare la figuraccia di farsi beccare a guardarlo sbavante come un ebete totale e si ritrovò invece a fissargli il grembo.

Ottima idea, si disse.

Sakuragi indossava un paio di pantaloni di maglina leggera, di quel grigio chiaro tipico delle felpe, e per la miseria, una cosa del genere ancora non rientrava nella definizione di “arma letale che dovrebbe essere denunciata al tribunale dell'Aia”?

Con un profondo senso di sfasamento mentale, si chiese il motivo per cui si fosse fatto tanti problemi all'idea che in un futuro avrebbero potuto scivolare su un piano intimo a livello fisico. Forse non era interessato al sesso in generale, e in quello si discostava da qualcosa come il novantanove virgola nove percento dei suoi coetanei, ma gli sembrava di poter concludere che nel caso specifico non fosse un problema rilevante.

-Oi, Volpe, sei in fissa?- chiese Sakuragi. Rukawa lo vide girarsi un po' su un fianco per appoggiare il bicchiere sul comodino; per un istante al cardiopalma, il rigonfiamento nei suoi pantaloni si tese ulteriormente, schiacciato dalla pressione della coscia che ci poggiava sopra, poi il rosso si mise una mano sul fianco e bofonchiò con voce strozzata: -Ah. Grave errore.

-Ti fa male?- chiese Rukawa, preoccupato ma lieto di aver trovato un'eccellente argomento di conversazione che gli avrebbe impedito di sentirsi chiedere “come mai mi stavi fissando il pacco?”.

-A tratti, non così tanto.

-Totale dei danni?

-Milza ancora attaccata, trentasette punti di sutura in giro per le gambe. Peccato, se arrivavo a quaranta vincevo un'insalatiera.

-Poteva andarti peggio.- disse Rukawa, incerto su come reagire.

-Considerato che quello che mi è venuto addosso stava andando a seimila all'ora, direi di sì. Ho fatto un volo pazzesco, credo che davanti a casa tua resteranno i segni per un bel po'.

-Davanti a casa mia?!- chiese Rukawa. Non aveva idea di dove fosse avvenuto l'incidente, ma tra tutti i posti a cui avrebbe potuto pensare quello era decisamente l'ultimo.

-Sì, beh, ecco... è un discorso un po'... possiamo continuare ancora con i convenevoli? Prometto che poi ci arrivo. Giurin giurella.

-Nh...- rispose Rukawa, vago.

-Com'è che non c'è tutta la squadra al mio capezzale?- chiese Sakuragi, -Insomma, persino Tetsuo è venuto a trovarmi, e il mio capitano invece mi snobba.

-Deve essersi distratto quando Ayako l'ha invitato da lei a bere il tè.- ribatté Rukawa distrattamente, ancora concentrato a chiedersi cosa diavolo ci facesse Sakuragi davanti a casa sua.

-MA VA'?! GIURA!

-Do'aho, siamo in un ospedale, abbassa quella cazzo di voce!

-Ma scherzi?! Questo è il gossip del secolo e tu mi dici di abbassare la voce?! Racconta!

-Ma che ti devo raccontare? So solo questo, e che Ayako ha la casa libera.

-Ohoho, aspetta, com'è che dicono le ragazze? Ah sì! La mia OTP!

-La tua che?- Sakuragi sospirò e spiegò: -OTP. One True Pairing. Lo dicono le ragazze quando parlano di qualche coppia per cui fanno il tifo. Me l'ha spiegato Haruko quando stava leggendo un manga su due che sembra sempre che si devono innamorare e poi non lo fanno mai e alla fine si baciano nell'ultima pagina.

-Ma che palle...- commentò Rukawa, -Come fai a leggere una roba che parla solo di quello?

-Lei dice che dopo un po' che nei manga che parlano di altro non si cagano le coppie che vuoi vedere insieme è bello quando lo vedi succedere. E con quei manga lì vai a colpo sicuro.

-Come se non ci fosse altro nella vita...

-...disse quello che tossiva fiori per amore.- Rukawa lanciò a Sakuragi un'occhiataccia omicida, sentendosi arrossire, poi ammise: -Touché.

-Staremmo bene in un manga, io e te, non credi?

-Do'aho, da quel che so di solito i manga con due uomini che girano intorno a una storia d'amore finiscono con un sacco di pagine censurate.- stavolta fu il turno di Sakuragi di arrossire. Biascicò a voce altissima: -E... e... e tu com'è che sai questa cosa, eh? Sporcaccione!

-Sono amico di Ayako.- rispose Rukawa in tutta sincerità. Sakuragi scoppiò a ridere: -E l'hai capita la nostra manager che si legge le storie zozze!

-Comunque, che ci facevi di fronte a casa mia?- chiese Rukawa. Riteneva ormai di aver concesso il massimo di convenevoli a Sakuragi: d'altronde, si erano visti solo un paio di giorni prima, senza contare quel breve scambio di sguardi della sera precedente, di cui era chiaro che Sakuragi non serbava alcun ricordo, e di cose da raccontare non ce n'erano poi chissà quante. A meno di non tirare in ballo quel personaggio con cui Ayako era in fissa, ma Rukawa si ricordava solo che lanciava cose e che aveva un nome impronunciabile.

-Io... ecco...- Sakuragi biascicò un po', poi sbottò: -Senti, non è che potresti poggiare le chiappe? Lì in piedi mi sembri un commesso viaggiatore! Mi metti ansia!- Rukawa sbuffò e guardò la sedia. Evidentemente Sakuragi l'aveva promossa ad armadio temporaneo, perché era seppellita da vestiti, per cui Rukawa si decise a sedersi sul bordo del letto.

Prima che Sakuragi ricominciasse a parlare, Rukawa ebbe tempo più che a sufficienza per rendersi conto che la sua coscia contro la propria era molto, molto calda.

-Ok, sì insomma. Allora, io l'altra notte... ecco, non è che ero molto sano di mente, ecco. Ero... insomma, non mi piaceva molto l'idea che ti dovessero operare. Perché insomma, ci sono stato dietro bene a questa cosa, ho fatto anche un sacco di ricerche per capire se mi piacciono anche i maschi e per la cronaca no, non mi piacciono i maschi.

-Ma cosa...

-Ecco, vedi, il fatto è che sei tu, che non me ne frega niente se sei un maschio o una femmina o un alieno, cosa che ammettilo, è anche abbastanza probabile, insomma, quello che voglio dire è che!- Sakuragi si interruppe brutalmente, poi ghermì il davanti della maglietta di Rukawa e la tirò per sollevarsi.

Le sue labbra si schiantarono contro quelle di Rukawa, che si complimentò con se stesso per aver avuto la prontezza di lavarsi anche i denti. Schiuse la bocca, spingendosi in avanti per approfondire il contatto, e Sakuragi gemette di dolore. Rukawa lo spinse all'indietro, contro il cuscino, e seguì il distendersi del suo corpo con il proprio. Gli accarezzò il petto e disse: -Non fare movimenti bruschi, Do'aho.

-Non dirmi cosa devo fare, Kitsune.- rispose Sakuragi in un soffio caldo, poi ricominciò a baciarlo. La sua mano solcò la nuca di Rukawa, le sue dita si intrecciarono ai suoi capelli fini, e Rukawa si sporse in avanti per sfiorargli il petto con il proprio. Era così lucido che sentiva il cuore di Sakuragi battere all'impazzata contro la propria gabbia toracica, e senza la minima esitazione schiuse di nuovo la bocca e sporse la lingua.

Il calore della coscia di Sakuragi era ormai ai limiti dell'intollerabile, e i pantaloni dell'uniforme sembravano essere diventati di colpo molto, molto scomodi. Rukawa si disse, vagamente, che a quanto pareva il sesso non gli interessava solo fin quando l'idea non comprendeva lui e Sakuragi.

Gli pareva che tutti i problemi della sua vita si fossero risolti di punto in bianco, ed era così commosso che si sentiva il pianto montare in gola.

Poi, con orrore, si accorse che non era commozione.

Si spinse all'indietro tanto bruscamente che perse l'equilibrio e cadde dal letto; Sakuragi chiese: -Cosa c'è, ho fatto qualcosa che non andava bene?

-No, va tutto...- un colpo di tosse improvviso uscì dalle labbra di Rukawa, che a fatica esalò un: -No... no, perché?

-RUKAWA!- sentì urlare, da qualche parte nell'iperspazio, mentre un attacco di tosse più forte di qualunque altro avesse avuto in precedenza cominciava a martellargli i polmoni.

Era doloroso. Rukawa non aveva mai pensato che una persona potesse provare così tanto dolore tutto insieme. Cercò di stimolarsi il riflesso gag, pensando incoerentemente che magari sarebbe riuscito a vomitare quei dannati fiori che doveva buttar fuori, e in effetti riuscì a sputare un fiorellino blu, ma la situazione restava invariata.

Continuò a tossire, carponi sul pavimento; i piedi di Sakuragi entrarono nel suo campo visivo, poi ne uscirono, poi le sue braccia lo strinsero.

I suoi singhiozzi disperati erano ancora più strazianti della tosse.

 

 

 

 

Bluebell

 

 

 

 

Ciaossu a tutti!

Ahhh, la piacevole sensazione di avervi fatto pensare che andava tutto bene...

/dalla regia arriva il rumore di qualcuno che affila una lama/

Piccole note a piè di pagina:

“Ho creato un mostro” è stato il commento della mia migliore amica quando, durante una delle nostre infinite chiacchierate (telefoniche, perché porca vacca abita a venti minuti da casa mia ma di mezzo c'è un confine di Regione), le ho svelato il malvagissimo finale delle hanahaki che ho in progetto per il fandom di Katekyo Hitman Reborn. Non mi sono mai sentita tanto onorata in vita mia, tranne quando un amico della palestra mi ha detto che dimostro quarantotto chili.

La piccola agente di colore di Scuola di Polizia è ovviamente Laverne Hooks, che durante la prova di inseguimento guidava come una nonnina in giro per il quartiere.

La battuta di Hana sull'insalatiera l'ho fatta io stessa dopo un incidente in bicicletta che mi è costato ventisei punti di sutura: mentre mia nonna commentava che lei avrebbe fatto un ricamo più ordinato, le ho detto che mi scocciava perché con altri quattro punti avrei potuto vincere un'insalatiera. Era bello vederla ridere, lo faceva raramente e quando mi riusciva di farglielo fare era una gran vittoria. Mi manca la mia nonna Vietcong.

Bene, direi che con la pausa per la reclame abbiamo finito, manca poco ormai alla fine di questa avventura... come sempre, ringrazio tutti voi che mi state dietro in questo delirio. Ho attraversato momenti di vero sconforto durante la stesura, e senza di voi non ce l'avrei fatta.

Come sempre, battete un colpo se avete gradito, e alla prossima!

XOXO

 

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Capitolo 19
*** Bluebell, again ***


-Ciao, mamma.- disse il dottor Yamamoto quando la porta si aprì.

-Ciao, Kenta. Entra, ti aspettavo.- ribatté la donna, scostandosi per lasciarlo entrare. Yamamoto, timidamente, fece un passo avanti; mentre si toglieva le scarpe notò il solito profumo d'incenso che da sempre era la caratteristica della sua casa natale, ma gli parve di avvertire qualcosa di sottilmente diverso: -Hai cambiato incenso?- chiese. La madre sorrise: -Sì, è salvia bianca.

-Ah sì? Che proprietà ha?- domandò Yamamoto. Per sua madre non c'era mai un semplice motivo di preferenza, ogni cosa aveva uno scopo e questioni semplici come la scelta degli abiti o dell'incenso erano sempre dettati da un intento preciso.

-Sapevo che saresti venuto qui, prima o poi. Restava solo da capire quanto ci avresti impiegato, e la salvia bianca aiuta ad aprire il Terzo Occhio.- Yamamoto seguì in silenzio la madre verso la cucina. Dopo una palese esitazione, con imbarazzo ammise: -Sì. Direi che nell'ultimo periodo mi sono capitate tante di quelle cose assurde che devo ammettere... insomma, credo di aver avuto la mente un po' chiusa.

-E io credo che sia colpa mia. Mi dispiace, Kenta.- disse la donna, posando una scatola di biscotti sul tavolo. Sul suo viso c'era un piccolo sorriso di rimpianto.

-Mamma, io...- la donna alzò una mano ingioiellata per farlo tacere, accese il fuoco sotto al bollitore e si sedette sulla sedia al lato opposto del tavolo rispetto al figlio.

-Lo so che sei cresciuto con una donna che non faceva altro che parlare di assurdità. Ti ho praticamente tirato su a pane e cerchi nel grano. E non sono mai riuscita a farti capire quale fosse lo scopo di tutte le mie ricerche sul paranormale.

-Qual era, mamma?- chiese Yamamoto. La donna chinò il capo e rimase in silenzio per un po', forse meditando su cosa dire o su come dirlo.

-C'è qualcosa, nel mondo. Qualcosa che non si può spiegare con la scienza. Miracoli, avvenimenti impossibili... e questo è innegabile. Ma certo, ci sono anche un sacco di baggianate. La maggior parte delle cose può essere spiegata con qualche ricerca mirata, mantenendo una mente lucida e cercando di non seguire i propri desideri. Questo è l'errore che la maggior parte degli investigatori del paranormale commette. Si pongono l'obiettivo di dimostrare la propria tesi invece di cercare la verità. E presto o tardi perdono ogni connessione con la realtà, affondando in un baratro di assurdità, teorie di complotto e quant'altro.

-Quindi...- Yamamoto osò, approfittando di una pausa, -Tu non credi in... negli esorcismi, o... che so io, il Triangolo delle Bermuda o i cerchi nel grano?

-Vuoi una risposta sincera?- Yamamoto annuì con enfasi.

-Non ne ho idea. Sono solo in cerca di spiegazioni, o se non ne trovo almeno di prove inconfutabili che certe cose accadano davvero.

-Non... non so se capisco.

-Ti faccio l'esempio dei cerchi nel grano. Ne è apparso uno, quattro o cinque anni fa, poco lontano da qui. Sono andata a vederlo, ed era davvero come dicono: nodi espansi solo da un lato, circonferenze e forme perfette, che solo un codice matematico potrebbe creare. Non certo... uno spiritoso con un bastone e una corda o... i ricci in accoppiamento. Per cui sì, per quanto riguarda i cerchi nel grano, credo che ci sia dietro qualcosa che non riusciamo a capire. Se poi siano degli alieni creativi o una copertura per qualche progetto di arma chimica, proprio non saprei.- il bollitore si mise a fischiare, e la donna si alzò per versare il tè nella teiera. Yamamoto rimase seduto a fissare il piano del tavolo; la lievissima traccia del fondo di una tazza o di una ciotola creava una fetta di luna che lo ipnotizzò per un po'. Si sentiva ancora più in colpa di prima.

Aveva deciso di chiedere un consulto alla madre, non in maniera ufficiale, sulla malattia che affliggeva Kaede Rukawa: era sinceramente preoccupato che si manifestasse non solo in relazione alla crescita dei sentimenti di Sakuragi, ma anche al suo stato di salute. Se fosse diventata una malattia cronica, il povero ragazzo era praticamente condannato. Avrebbe finito per trasformarsi in una specie di parabola sintonizzata su un'altra persona, e avrebbe rivelato in maniera dolorosa e non poco rischiosa ogni oscillazione della salute dell'altro.

Yamamoto aveva trascorso una notte insonne a rimuginare su cosa sarebbe potuto succedere se un giorno Sakuragi avesse sviluppato qualche grave malattia. Qualcosa di potenzialmente mortale, o qualcosa che richiedeva cure invasive. Kaede aveva rischiato di soffocare di punto in bianco solo per un incidente che non aveva nemmeno avuto conseguenze gravi. E se fosse successo qualcosa del genere in un momento in cui non poteva permettersi di avere una crisi? Anche solo in pubblico, o peggio in una situazione in cui doveva mantenere l'equilibrio, anche solo durante un gioco a rincorrersi sugli scogli o un momento di calma seduto su una balaustra a picco sul mare. Non si può vivere in una bolla di vetro, e nessuno avrebbe potuto chiedere a una persona di farlo, tantomeno ad un ragazzo sportivo e vagamente ribelle come Kaede Rukawa.

Se la hanahaki di Kaede fosse diventata cronica, prima o poi Yamamoto si sarebbe visto costretto ad imporgli l'asportazione chirurgica.

Distruggendo la sua vita e quella di quel simpatico, vivace ragazzo che lui amava.

-Allora, Kenta. Hanahaki, giusto? Les Fleurs du Mal.- Yamamoto la fissò come se l'avesse appena vista scendere da una navicella spaziale, tanto per restare in tema. La donna emise una piccola risatina e disse: -Non ti preoccupare, non leggo nel pensiero. Quella roba è solo parapsicologia e attenta lettura del linguaggio corporeo. Ho solo notato che i miei libri a riguardo non erano impolverati come gli altri quando ho pulito la libreria. Qui in casa siete entrati solo tu e il tecnico della lavatrice, e a lui non ho levato gli occhi di dosso per cui credo di poterlo escludere.- Yamamoto si lasciò andare ad una risata di sollievo mentre la madre gli posava di fronte una tazza per il tè. -Cielo, per un attimo ho pensato di dovermi ricredere su tutto e non solo su qualcosa!- la donna rise insieme a lui; la dissolvenza di quel che restava della tensione e dell'imbarazzo sembrò dileguarsi nel nulla, e Yamamoto prese un biscotto.

-Vedi, c'è questo ragazzo che è stato ricoverato da noi un mesetto fa. Tossiva fiori, e... lo so che è strano, ma una sua amica mi ha parlato di un manga in cui c'è questa malattia.

-Cielo, dev'essere stato imbarazzante da morire dire una cosa del genere ad un medico!

-Già, quella ragazza ha un carattere di ferro. Non so se invidiare o compatire chi se la sposerà.- il pensiero di Yamamoto corse a Miyagi e al suo sguardo adorante. Morse il biscotto, lo masticò e proseguì: -Comunque, è stato a quel punto che ho pensato di venire qui e scattare qualche foto ai tuoi libri. Scusa se ho approfittato, so che mi faccio vivo raramente e...

-Ed è normale. Sono sempre in ballo con le mie ricerche e ammetto che quando sono in fissa con qualcosa non riesco a parlare d'altro. Continua, per favore.- Yamamoto esitò. Avrebbe voluto confortarla: la frase era suonata in un tono molto amaro, che dava ad intendere che la donna avrebbe voluto tornare indietro e comportarsi in maniera diversa dal principio, ma in totale onestà Yamamoto non poteva dire nulla di costruttivo. Sapeva di evitarla perché la maggior parte delle volte che le parlava lei non faceva che blaterare di questa o di quell'altra assurdità, e le conversazioni con lei tendevano ad essere sempre meno che piacevoli. Questa era una prima volta assoluta. Yamamoto rimandò la questione e proseguì: -Abbiamo scoperto che il paziente, Kaede, è innamorato. L'abbiamo convinto a spiegare la situazione al ragazzo che ama, e lui è stato d'aiuto. Credo che a questo punto abbia cominciato a ricambiare i sentimenti di Kaede.

-Questa è una buona notizia.- commentò la madre, incoraggiante.

-Sì. Ma il problema è che gli episodi acuti si manifestano ancora. L'altro giorno, questo ragazzo ha avuto un incidente stradale, nulla di grave, e Kaede è quasi soffocato. Sono preoccupato che prima o poi dovremo intervenire comunque asportando chirurgicamente i fiori. Insomma, se...- Yamamoto esitò, non voleva fare l'uccello del malaugurio. Ma non aveva avuto il coraggio di confessare i suoi timori neanche all'infermiera Sawada, e sapeva che se al mondo c'era una persona che poteva ascoltare un'assurdità senza battere ciglio, quella era sua madre. -Se un domani a questo ragazzo venisse un cancro. Cosa succederebbe? Kaede ricomincerebbe a stare male? Alcune forme di tumore si sviluppano in pochissimo tempo, prima di capire cosa c'è che non va in Hanamichi potremmo aver già perso Kaede. Ma se lo obbligo ad operarsi...

-...perderà il sentimento.- concluse per lui la madre. Bevve un sorso di tè, poi disse: -Fammi prendere i miei libri. Voglio vedere se riesco a capirci qualcosa.

 

-Kaede... Kaede! KAEDE!- la voce di Sakuragi era distante, tra le spire del panico e del dolore, -AIUTO! QUALCUNO VENGA AD AIUTARMI! STA MALE!- due braccia cinsero la vita di Rukawa, che riconobbe vagamente il profumo di Sakuragi, misto all'odore del disinfettante e degli antisettici. Scoppiò a piangere, sebbene questo non facesse altro che rendere più dolorosa la crisi: non riusciva ad impedirselo. Ormai sembrava che la malattia avesse preso il sopravvento. Forse era troppo tardi perché un cambiamento nei sentimenti di Sakuragi potesse avere qualche effetto, forse Sakuragi era solo infatuato e la malattia lo sapeva, forse tutto quello non c'entrava nulla ed era solo vittima di una strana malattia e di una serie di coincidenze impensabili.

-Basta! Basta, smettila, brutta puttana di una malattia!- urlò Sakuragi. Era ad un soffio, letteralmente, dall'orecchio di Rukawa, che sentì i capelli solleticargli uno zigomo, spostati dall'aria che usciva dalla bocca del rosso; tuttavia, la sua voce suonò distante. Rukawa capì di essere sul punto di svenire.

-Smettila, cazzo! Lo amo, che altro vuoi? Vuoi anche me? Prendimi, se ci tieni, non m'importa! Come se avesse un senso stare al mondo senza...- il campo visivo di Rukawa si liberò appena appena dai puntini neri che avevano cominciato ad invaderlo. Riuscì a riempirsi i polmoni, anche se un sibilo minaccioso aveva accompagnato gran parte del respiro; la sola azione era stata dolorosissima, come se stesse cercando di respirare mentre teneva la testa immersa nel fango. Ora, però, c'era un altro problema: non sembrava assolutamente in grado di espirare.

-Kaede, ti prego, resisti, sta arrivando qualcuno, ti aiuteranno...- singhiozzò Sakuragi nel suo orecchio, -Ti prego... ti amo, non lasciarmi da solo...- la gola di Rukawa si contrasse così dolorosamente che per un attimo il moro credette di vedere rosso, rosso sangue, e credette che sarebbe morto per lo scoppio di un'arteria del collo.

Poi, la sua ugola fu attraversata da una fitta così forte che Rukawa svenne per il dolore.

 

-Ecco qui.- disse la madre di Yamamoto. Il medico aveva passato l'ultima ora a sfogliare uno dei suoi libri, trovando solo una marea di inutili resoconti di caccia alle streghe. Alzò la testa dal raccapricciante processo ad una certa Meg di Kingsbridge e chiese: -Cosa?

-Ricordavo vagamente qualcosa. Hai detto che Kaede è innamorato di un ragazzo, vero?

-Sì. Perché, cambia qualcosa?

-Cambia, credo, che voi maschietti avete una certa tendenza a ragionare con i vostri organi riproduttivi.- rispose sua madre. Yamamoto ammise: -Vero.

-Sembra che quando la persona amata è un uomo ci sia bisogno che il sentimento venga dichiarato esplicitamente. Non servono i gesti, ci vogliono le parole. Sincere.

-Quindi, finché Hanamichi non si dichiara, Kaede resta malato?

-Non sto dicendo che è così. Dico che è possibile. Guarda qui.- la donna voltò un libro e lo mise in mano a Yamamoto: era la fotografia di una pagina scritta in qualche lingua occidentale, forse francese, forse italiano. Il medico chiese: -Cos'è?

-Una versione delle “Vite” di Giorgio Vasari mai pubblicata. Lo stampatore, quando lesse il racconto della morte di Raffaello Sanzio, gli consigliò di cambiarlo per non rischiare di incappare nella censura e forse anche in una condanna a morte.

-Perché?- chiese ancora Yamamoto.

-Nella versione pubblicata, si fa riferimento alla morte di Raffaello per dei non meglio specificati “eccessi erotici”. Invece, pare che Raffaello fosse afflitto dalla sindrome dei Fleurs du Mal, e che fosse innamorato di un uomo. Lo sedusse, e finalmente lo convinse a giacere con lui. Ma non fu sufficiente, anzi: Raffaello ebbe una crisi così violenta che ne morì.

-Mamma, devo andare.

-Certo, ma stai tranquillo: fin quando non hanno contatti fisici intensi non sembrano esserci...

-Kaede oggi andava da Hanamichi.- la interruppe Yamamoto, già nell'ingresso. Infilò i piedi nelle scarpe alla meno peggio.

-Buona fortuna, Kenta!- gli urlò dietro la madre.

 

-Oh cazzo... oh cazzo...- gemette Sakuragi. Sulla porta della sua stanza c'erano due infermiere, immobili, attonite, e tra le sue braccia giaceva Kaede, privo di sensi.

Sakuragi cercò di sentire il polso con dita tremanti, ma non riuscì a trovare il battito. Scoppiò in un pianto dirotto: -La prego, venga a vedere se è vivo!- supplicò.

-Ma... ma che diavolo è successo?- chiese una delle infermiere.

-HO DETTO VENGA A VEDERE SE È VIVO!- urlò Sakuragi. La donna si avvicinò, mentre Sakuragi si rigirava tra le braccia il corpo esanime di Rukawa. Lo trasse a sé, incurante del dolore al fianco; probabilmente qualche punto dell'operazione era saltato, ma in quel momento non avrebbe potuto importargliene di meno. Vide l'infermiera appoggiare due dita sul bel collo candido di Rukawa, e dopo un'istante la sentì dire: -Il battito è debole, ma c'è. Ragazzo, che diavolo è successo qui?- chiese di nuovo.

Sakuragi si guardò intorno: la stanza era completamente piena di fiori blu. Sakuragi si trasse Rukawa contro il petto e gli accarezzò lo sterno; quando era piccolo, vomitava spesso, e suo padre lo prendeva tra le braccia e lo massaggiava in quello stesso punto per alleviare la tensione dei muscoli. Sakuragi amava quei momenti, le sole coccole che riceveva da suo padre, il tipico giapponese tutto d'un pezzo, e anche se non avrebbe saputo dire se il dolore si calmava per il massaggio o per il conforto ricevuto, era certo che qualcosa avrebbe fatto.

-Sakuragi.- lo chiamò l'infermiera, -Prima di tutto, esigo una spiegazione. In secondo luogo, sanguini. Ti sei sicuramente strappato dei punti, e spera di non aver fatto danni peggiori.

-Kaede!- chiamò la voce di un uomo dalla soglia.

-Dottor Yamamoto!- chiamò Sakuragi, e il medico si precipitò nella stanza, il terrore dipinto in volto. Senza perdere tempo a parlare con le infermiere, si inginocchiò di fronte a Kaede e cercò il battito cardiaco, poi emise un sospiro di sollievo.

-Infermiera, mi perdoni.- disse, dopo un istante di esitazione, -Potrebbe approntarmi una sala in cui posso visitare il ragazzo? È un mio paziente.

-Lei chi è?

-Dottor Yamamoto Kenta, sono...

-Opporca, lo pneumologo?- sbottò l'infermiera rimasta sulla soglia, -Ho letto tutti i suoi articoli sulla polmonite bilaterale e sui rischi del broncospasmo, io...

-Sono io. Gentilmente, infermiera, può trovarmi una sala visite?

-Cosa sono tutti questi fiori?- chiese l'altra.

-Glielo spiegherò appena possibile. Ma ora ho bisogno di visitare urgentemente il mio paziente, se non le dispiace.- rispose Yamamoto. Le due donne si allontanarono, e il medico chiese: -Hanamichi, cos'è successo?

-Non lo so.- rispose Sakuragi con voce piatta, -Ci stavamo baciando, e andava tutto bene, poi lui ha cominciato a stare male e...- il rosso gesticolò verso tutti i fiori che li circondavano.

-Hai detto che lo ami?

-Sì, ma non è stato quello! E comunque lo giuro, è vero! Lui stava male...

-Già da prima, lo so. In alcuni casi è necessario che venga dichiarato esplicitamente. Hanamichi, gli hai salvato la vita. Guarirà, te lo garantisco.- Yamamoto sorrise, e Sakuragi lo fissò, ancora dubbioso. Il medico rifletté che, se in un primo momento gli era sembrato che la distinzione tra uomini e donne fosse assurdamente sessista, forse poteva avere un senso, o quanto meno essere un discrimine dovuto dalle convenzioni sociali, come negli anni Ottanta si credeva che l'HIV colpisse solo gli omosessuali mentre semplicemente era più grande il numero di vittime in quanto usavano meno le protezioni, non avendo bisogno di impedire gravidanze.

Guardò il viso da duro teppista di Sakuragi e si rese conto che da quel ragazzo si sarebbe aspettato qualsiasi cattiveria, e forse anche Rukawa in fondo temeva che il rosso lo volesse solo usare per qualche sperimentazione sessuale: in fondo, tra un bacio appassionato e una dichiarazione d'amore ci può essere un mare di differenza. Non sempre, anzi spesso un bacio è solo un ottimo inizio, ma era innegabile che a volte le persone, e tante volte i duri come Sakuragi, avevano la pessima abitudine di farsi credere innamorati per poter approfittare del corpo altrui.

-Starà bene davvero, dottore?- chiese Sakuragi.

-Te lo posso assicurare.- rispose Yamamoto, poi sorrise. Sakuragi pensò che quel suo sorriso dolce e fiducioso scaldava il cuore.

 

-Kenta! Com'è andata?- chiese la madre del dottor Yamamoto, aprendo la porta di casa.

-Mamma!- rispose Yamamoto, poi si gettò in avanti tra le sue braccia.

-Tesoro, è...

-L'ha salvato. Hanamichi l'ha salvato. Tu l'hai salvato. È vivo e sta bene.- disse Yamamoto, poi scoppiò a piangere.

-Oh, vieni in casa, bambino mio, ti preparo la cena, vuoi?

-Mamma, perdonami. Per tutto.

-Non c'è niente da perdonare, sciocchino. Muoviti, che stai facendo entrare l'aria fredda.- Yamamoto si lasciò trascinare per la mano da quella donnina che aveva sempre giudicato pazza, delirante, e che invece ora si rivelava essere sempre stata lucida. La più folle e brillante mente analitica che Yamamoto Kenta, dottore in pneumologia, avesse mai incontrato.

-E poi mi parlerai della persona che tu ami, intesi?- disse la donna. Yamamoto rimase per un attimo allibito: -E tu come...?

-Sono tua madre, ecco come.- rispose lei con un sorriso.

 

 

 

 

Bluebell: amore immortale

 

 

 

 

Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione.

Probabilmente ci sarà almeno un ultimo capitolo conclusivo, ma non so se riuscirò a mantenere il mio solito ritmo. Ci proverò, ma per come sto da qualche giorno non posso garantire nulla se non che non mi lancerò giù dalla finestra.

Solo un appunto: la questione di Raffaello ha una base storica. Vasari riferisce che è davvero morto per eccessi erotici. Con chi o come, non ne ho la minima idea.

Spero che vi piaccia, fatemi sapere.

XOXO

 

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Capitolo 20
*** Bouquet ***


"Ami?"
-Stephen King





Rukawa fu svegliato brutalmente da quello che sembrava un elefante imbizzarrito.

Mugugnò qualcosa di indefinito e probabilmente non molto cordiale e Sakuragi lo scrollò con la sua usuale delicatezza: -Dai, Kaede, sorgi e splendi! Oggi è il gran giorno!- Rukawa gli mollò un calcio sugli stinchi e rotolò su un fianco.

Un soffio fresco alla base del collo gli scompigliò i capelli, infastidendolo. Era intermittente, come se si trattasse di qualcuno che soffiava e ogni tanto si interrompeva per inspirare, cosa che in effetti era. Rukawa mugugnò un'altra manciata di insulti, si schiaffeggiò la nuca e lanciò le gambe giù dal letto; con fatica sollevò il busto.

-Buongiorno, amore mio!- disse Sakuragi; Rukawa si voltò verso di lui.

-Sto cambiando idea.- annunciò.

-Lo dici sempre, poi però non sai rinunciare alle mie coccole!- ribatté Sakuragi, agganciandosi con entrambe le braccia alla sua vita. Una mano birichina sfiorò il suo membro, coperto dai pantaloni del pigiama ma già sull'attenti per l'alzabandiera mattutino.

-Nh. Quel che dici ha senso.- ammise Rukawa, poi si stiracchiò e si lasciò cadere all'indietro su di lui. Sakuragi, attivando una certa vena da contorsionista, si sporse per baciarlo sulle labbra, a bocca chiusa: sapeva per esperienza che limonare prima che entrambi si fossero lavati i denti non era un'esperienza particolarmente esaltante.

Soddisfatto e almeno in parte ripagato del brusco risveglio, Rukawa si lasciò spingere in piedi e andò in bagno. Mentre orinava, cercò di fare mente locale: di quale gran giorno stava parlando quel coglione del suo fidanzato?

Fece spallucce, rimandando la questione. Sakuragi non poteva proprio evitare di parlare delle cose, per cui era plausibile che avrebbe fornito una spiegazione, forse anche più lunga del necessario.

Rukawa tirò lo sciacquone, uscì dal bagno e si diresse in cucina, sperando che la colazione fosse magicamente apparsa sul tavolo.

Così fu, in effetti, anche se non c'entrava alcun tipo di magia: semplicemente, sua madre era a casa.

-Che ci fai qui?- chiese Rukawa, -Non sei al lavoro?- sua madre lo fissò come se fosse scemo.

-Lasci stare, Rukawa san.- disse Sakuragi, -Non è ancora partito, lo sa che è un diesel, soprattutto nei fine settimana.- Rukawa fissò il calendario nella speranza di trovare una risposta, ma nulla: era sabato, e a rigor di logica sua madre sarebbe dovuta essere al lavoro fino all'una.

-Kaede, yu-huu! Il matrimonio del dottor Yamamoto!- gli rivelò finalmente Sakuragi.

-Ah! È oggi?- chiese stupidamente Rukawa, lasciandosi cadere su una sedia. Sua madre gli mise di fronte una tazza di tè verde.

-No, stiamo facendo una prova generale per vedere se sei pronto...- rispose Sakuragi, roteando gli occhi. La madre di Rukawa ridacchiò.

Era irritante vederli fare comunella già di prima mattina, ma al tempo stesso era qualcosa di davvero bello: la madre di Rukawa, durante l'angosciante malattia del figlio, non si era espressa riguardo il suo orientamento sessuale, e nei parecchi momenti brutti della faccenda Rukawa si era spesso chiesto se le andasse bene o se semplicemente non si esprimesse per non peggiorare la situazione.

Tuttavia, dalla guarigione di Rukawa i fatti avevano parlato da soli: sin dalla prima cena con le mamme, durante la quale Minami Sakuragi e Sachi Rukawa avevano subito legato, era stato più che chiaro che per entrambe non c'era il minimo problema. Forse un po' di forzatura nell'essere più adorabili possibili all'inizio, ma niente di più grave di un plausibile imbarazzo: in un mondo a maggioranza eterosessuale è normale crescere con l'idea che il proprio figlio si fidanzerà con qualcuno del sesso opposto, e quando ciò non accade è logico che si cammini sulle uova per un po', almeno per giustificarsi di anni passati a spingere involontariamente una persona verso qualcosa a cui non era interessato. O, perlomeno, così la pensava Rukawa, e ogni tipo di imbarazzo era poi svanito durante la prima vacanza insieme, una settimana a fare escursioni nei dintorni del Monte Fuji. Sakuragi era stato così spontaneo e così socievole come suo solito che Sachi aveva cominciato a trattarlo come un figlio. Persino i proprietari del ryokan in cui alloggiavano avevano cominciato a chiamarli “bambini” come faceva lei dopo qualche giorno, il che a ben pensarci era esilarante, dato che erano due vecchietti di dimensioni Hobbit; la signora, in particolare, arrivava sì e no alle costole di Sakuragi.

Rukawa sorrise vagamente al ricordo di quando avevano dato la scalata al Fujisama: Sakuragi era tutto emozionato, continuava a fare avanti e indietro perché accelerava il passo sulla spinta dell'entusiasmo e nessuno aveva intenzione di star dietro ai suoi ritmi assassini, e quando erano arrivati in cima avevano scoperto che la giornata era troppo nebbiosa per godere appieno del panorama. Il faccino triste di Sakuragi aveva commosso così tanto le mamme che si era deciso di consumare il pranzo al sacco vicino alla terrazza panoramica, nella speranza che schiarisse abbastanza da vedere qualcosa.

La loro attesa era stata premiata: verso il tramonto, la foschia si era diradata; Sakuragi aveva svegliato Rukawa dal pisolino che si era concesso e insieme avevano guardato il sole che scendeva sul magnifico panorama, per poi baciarsi per la prima volta davanti alle mamme. La foto scattata da Minami, che li ritraeva stretti l'uno all'altro in controluce, col crepuscolo dietro di loro, aveva addirittura vinto il primo premio di un concorso di fotografia.

-Oh, oh, oh, Rukawa san, guardi, sorride!- disse Sakuragi, scoppiando la piccola bolla in cui Rukawa si era rinchiuso.

-Oh, cielo, speriamo che non piova!

-Sposa bagnata, sposa fortunata!- disse Sakuragi, annuendo in tono saggio. Rukawa si trattenne dal bofonchiare qualche cosa riguardo l'evidente doppio senso della frase, preferendo mettere su un dignitosissimo broncio di superiorità.

-Dai, Kaede, datti una mossa. Dobbiamo essere lì tra un'ora e devi ancora vestirti.- disse sua madre. Rukawa ingollò l'ultimo pezzo di pane imburrato, lo mandò giù con un sorso di tè e, senza dire una parola, andò a farsi una rapida doccia.

Si vestì, sentendosi un po' impacciato nel completo elegante, e scese con la cravatta ancora slacciata. Sakuragi lo guardò e chiese: -Cos'è, non sai fare il nodo?

-No, lo so fare, ma mi dà fastidio.- rispose Rukawa, poi fece un cenno verso sua madre: -Cos'è quello?- chiese. Sakuragi roteò gli occhi.

-Figliolo, devo farti mangiare un po' più di pesce.- commentò Sachi.

-Abbia pietà, Rukawa san, è sveglio da meno di un'ora.

-Vitamine, allora, succo di frutta, spremute.

-Ah, già, il bouquet!- mormorò Rukawa.

-Lo vede che poi si avvia?- disse Sakuragi. Quando aveva svegliato Rukawa indossava solo la camicia, mentre ora si era messo anche la giacca e la cravatta; Rukawa ebbe un lieve sussulto al pensiero di vederlo vestito così in attesa davanti all'altare.

-Domani mattina faccio partire il task manager quando si alza, magari rileva qual è il problema.- commentò Sachi. Sakuragi rise, Rukawa no: quei due condividevano la passione per l'informatica, lui invece cliccava a caso e sperava che nulla esplodesse. Capire una battuta a sfondo informatico di prima mattina era davvero chiedergli troppo, già era un progresso che avesse capito a cosa si stessero riferendo.

Sakuragi gli si avvicinò e prese in mano i lembi della sua cravatta: -Ehi, ti ho detto che sono capace!- protestò Rukawa.

-Sì, ma sei anche mezzo addormentato, rischi di presentarti così con la cravatta slacciata, non voglio che il mio fidanzato sembri uno sfollato.

-Hai detto tre parole che fanno rima.

-E quindi?

-Mi dà fastidio.- Sakuragi terminò di fare il nodo alla cravatta e gliela riappoggiò sul petto, poi sospirò e chiese: -Ma in effetti cosa non ti dà fastidio, Kaede?

-Il basket.

-Era una domanda retorica, comunque grazie.- Sachi li precedette fuori casa, ridacchiando. Se inizialmente aveva espresso preoccupazione di fronte al loro continuo punzecchiarsi, timorosa che prima o poi avrebbero finito per litigare e lasciarsi, facendo ripiombare suo figlio nell'incubo, poco a poco aveva capito che quello era semplicemente il loro modo di dimostrarsi affetto: strano, certo, ma pur sempre sincero.

-Tu sei fastidioso come il piccante sui gamberi.- rispose Rukawa.

-E cioè?- chiese Sakuragi, mettendosi i pugni sui fianchi.

-Cioè un male necessario, perché i gamberi piccanti sono buoni, senza peperoncino invece non vogliono dire niente.

-Oh, stavi facendo il romantico!- finse di commuoversi Sakuragi, poi lo baciò. Rukawa gli circondò il collo con le braccia e rispose al bacio, chiedendosi vagamente come mai dopo tre anni ancora gli sembrasse un miracolo.

Forse era quello, si disse, il vero amore: non una favola infinita, ma piccoli, brevi miracoli che si susseguivano uno dopo l'altro e andavano a rischiarare giornate di noia. La scaglietta rossa di peperoncino sul rosa del gambero che lo rende qualcosa di speciale.

Un clacson suonò, spingendoli a dividersi. Si sorrisero fugacemente e uscirono. Sachi era già in macchina, il motore già avviato, e fingeva di essersi addormentata nell'attesa. Sakuragi ridacchiò e salì a bordo, seguito da Rukawa.

-Comunque, quando ti metti le mani sui fianchi come hai fatto prima sembri gay.- disse Rukawa.

-Ma va'? Che affronto alla mia virilità!- rispose Sakuragi, poi gli fece una linguaccia. Aveva confessato a Rukawa che superare il blocco psicologico dell'andare con un altro maschio non era stato facile, e infatti prima di riuscire ad andare a letto insieme c'era voluto un bel po'. Ma aveva anche detto che Mito, buttando lì battutine prive di cattiveria, l'aveva aiutato parecchio a superare la cosa: non c'era niente di meglio che scherzarci sopra, secondo Sakuragi, per oltrepassare un problema. Rukawa, timidamente, aveva cominciato a fare qualche battutina a riguardo, e se in un primo tempo Sakuragi era parso spiazzato, dopo un po' aveva capito il senso.

Durante un rapporto particolarmente dolce, Sakuragi gli aveva bisbigliato all'orecchio: -Grazie per le tue battute di merda. Ti amo.- e Rukawa si era sentito completo. Poco a poco, avevano imparato come interagire, quanto stare vicini per non starsi in mezzo alle palle a vicenda, quando concedersi del tempo per sé e quali erano i segni che indicavano il nervosismo di uno e dell'altro, e i metodi per superare il malumore. Per Rukawa, la soluzione era un pomeriggio da solo a giocare a basket, per Sakuragi era una giornata al cazzeggio con gli amici: all'inizio, Rukawa si era preoccupato per il fatto che entrambi non sembravano avere bisogno dell'altro in momenti di malumore, ma poi si era semplicemente reso conto che poteva anche essere una soluzione molto sana. Obbligarsi a vivere in simbiosi non era una buona cosa; oltretutto, in quel modo la loro decisione di stare insieme sembrava rafforzarsi ogni giorno di più. Non era una questione di abitudine o routine, o peggio di dipendenza: entrambi sapevano di poter vivere alla stragrande senza l'altro, eppure si sceglievano ogni giorno.

-Eccoci.- disse Sachi dopo un po'. Rukawa e Sakuragi scesero dall'auto e la donna ficcò il bouquet in mano a Sakuragi: -Vai tu a consegnarlo alla sposa. Kaede, io e te andiamo dal dottor Yamamoto.

-Agli ordini!- rispose Sakuragi, poi si diresse con sicurezza verso un capannello di donne. Rukawa realizzò che le donne erano quelle che più probabilmente sapevano dove fosse la sposa e lo amò un po' di più per essere stato in grado di intuirlo senza neanche starci a ragionare. Quel che mancava a lui in materia di socializzazione, Sakuragi lo compensava alla stragrande.

-Oh, Kaede!- chiamò una voce familiare, -Che bello vederti!

-Dottor Yamamoto. Come sta?- rispose Rukawa, inchinandosi appena.

-A meraviglia! E tu?

-Il rompiscatole non mi molla un attimo, sto alla grande.- il dottor Yamamoto sorrise, persino più del solito, poi si inchinò a sua volta e disse: -I vostri posti sono laggiù. Ho dovuto mettervi in fondo perché siete troppo alti, ma sappi che se non fosse per questo sareste in prima fila. In fondo, è solo grazie a te se io e Sachiko ci sposiamo.- Rukawa sorrise.

-Felice di essere stato d'aiuto. Anche se la prossima volta preferirei fare qualcosa di più normale e meno rischioso.- Yamamoto rise di cuore, poi si allontanò per accogliere altri ospiti.

Sakuragi si ricongiunse ai Rukawa; sembrava che qualcuno gli avesse infilato un taser su per il culo. Quasi saltellando, bisbigliò: -Allora, lo so che sembro gay se faccio così...

-Oh cielo, sentiamo...- disse Rukawa.

-...ma la sposa è bellissima!- Sakuragi saltellò e Rukawa non poté impedirsi di sorridere.

-...e il bouquet si intona a meraviglia con le crinoline della gonna!- aggiunse Sakuragi.

-Hanamichi, se continui così comincerai a sputare arcobaleni.- gli disse Rukawa. Sakuragi si calmò, relativamente parlando, e dopo un paio di minuti gli mollò una gomitata: -Ehi.

-Nh.

-Stai dicendo che sono il paiolo d'oro alla base dell'arcobaleno?

-Se rispondo di sì la pianti di fare il minchione?- Sakuragi annuì, -Sì, sei il... quella cosa lì.

-Mh, non sembri convinto ma ti darò il beneficio del dubbio.- ribatté Sakuragi. Un campanello suonò, una musica si levò nell'aria e la sposa fece il suo ingresso.

Era davvero meravigliosa, Sakuragi aveva ragione. Rukawa la guardò risalire la navata, incredulo, quasi incapace di riconoscere in quella creatura eterea l'infermiera Sawada, la donnina sempre pratica, dai riflessi pronti, con i capelli sempre raccolti e un paio di guanti sempre in tasca e la passione segreta dell'hanakotoba.

Rivolse un sorriso raggiante a Sakuragi e Rukawa, stringendosi al petto il bouquet. I fiori erano stati coltivati da Rukawa in persona, mentre Sakuragi li aveva composti. Erano entrambe passioni recenti, di cui non avevano mai discusso; Rukawa, dal canto suo, la viveva come una sorta di rito. Era come offrire l'aburaage alle kitsune sacre, come mettere le mutande rosse la notte del primo dell'anno. Ogni volta che interrava una nuova pianta, o che potava un ramo secco, o quando spruzzava acqua e aglio sulle foglie di qualche cespuglio infestato dagli insetti si sentiva riverente, come un monaco che perpetua la rotazione della Terra rendendo onore alle divinità.

Per quanto Sakuragi avesse liquidato la faccenda con un secco “da qualche parte tutti quei cazzo di fiori che coltivi li dovremo pur mettere”, Rukawa intuiva che per lui fosse lo stesso. La gioia e la cura con cui disponeva gli steli nei vasi o, in questo caso, nel bouquet, era troppo intrisa di riverenza per essere solo fine a se stessa.

Vedere la loro creazione tra le mani della sposa in qualche modo sembrava un coronamento a tutto quanto. Rukawa e Sakuragi si rivolsero uno sguardo d'intesa, fieri di aver creato qualcosa di abbastanza bello da armonizzarsi con la bellezza della sposa.

 

Il matrimonio fu breve, leggero e permeato da un senso di piacevole ineluttabilità.

La mano di Sakuragi non aveva lasciato quella di Rukawa per un solo istante.

Al buffet, mentre battibeccavano sulla quantità di cibo dignitosa da mettersi nel piatto per non sembrare un vichingo che razziava un villaggio inglese, furono avvicinati da una donnina che indossava un elegante scialle argentato.

-Signora,- disse Sakuragi, -Glielo dica anche lei che sono ancora in fase di crescita e devo mangiare!

-Hanamichi, porca miseria!- lo rimbeccò Rukawa a denti stretti. La signora rise.

-Tranquillo, caro, è tutto a posto!- disse, poi si presentò: -Sono la mamma di Kenta.- Rukawa mollò il pizzicotto del secolo sulla coscia di Sakuragi per impedirgli di chiedere “Kenta chi?”. Gli avrebbe ricordato più tardi che si stava parlando dello sposo.

-Forse lui ti ha accennato, Kaede, che sono sempre stata un po' tocca. Guardo un sacco di documentari sui cerchi nel grano, sui fantasmi e baggianate simili.- Sakuragi lanciò un'occhiata perplessa a Rukawa, che disse: -Beh, a quel che ha detto è grazie a lei se siamo riusciti a capire meglio quel che avevo... quindi grazie.

-Oh, adesso ho capito!- disse Sakuragi.

-Eh... buongiorno.- commentò Rukawa roteando gli occhi. La donna si lasciò sfuggire un risolino.

-Volevo solo dirvi, ragazzi, che credo a un sacco di cose, ma so distinguere le fesserie dalla realtà. E vi dico che tra voi due vedo scorrere il filo rosso del destino. Non importa come, non importa in che modo o in quale mondo, voi due vi ritroverete sempre e vi innamorerete sempre l'uno dell'altro.

-Io... non so che dire...- ammise Rukawa, imbarazzato. Sakuragi si stravaccò sulla sedia e disse: -Ha ragione, mia bella signora. Pensi che io sono etero eppure sto con questo coso qui.

-Hana, per piacere, la signora non ti conosce, ti prende per scemo.

-E non avrebbe torto.- ribatté Sakuragi. Rukawa aprì la bocca per rispondere qualcosa, poi bofonchiò: -Va beh, almeno adesso te le dici anche da solo, meno fatica per me.

-Tu sei luce.- disse la donna, indicando Sakuragi, -Ma dentro di te vedo un'ombra. E tu,- si rivolse poi a Rukawa, -Tu sei l'oscurità, ma c'è un'alba che attende di spuntare.

-Mamma, ti stai facendo riconoscere?- chiese il dottor Yamamoto, apparendo dietro di lei; le mise le mani sulle spalle e rivolse a Sakuragi e Rukawa un imbarazzato sorriso di scuse.

-Questi due ragazzi sono come lo yin e lo yang, Kenta. Come te e Sachiko. Ora, se volete scusarmi, quello laggiù è mio cugino, vado a rompergli un po' le scatole.- la donna si alzò e si allontanò.

-Scusatela. È fatta a modo suo.- disse il dottor Yamamoto, grattandosi la nuca.

-Però è anche molto intuitiva.- ribatté Rukawa. Sakuragi lo guardò e Yamamoto inclinò la testa in una muta domanda. Rukawa proseguì: -Certo, forse è un po' plateale, ma... sa vedere oltre le cose, credo. Mi ha fatto piacere conoscerla.

-Sì, anche a me.- aggiunse Sakuragi. Il dottor Yamamoto seguì la madre con lo sguardo, poi sorrise: -E per me è stato un piacere conoscere voi. Grazie di essere qui oggi, ragazzi.- si allontanò senza attendere una risposta.

-Kaede...- disse Sakuragi dopo un po', giocherellando con l'insalata.

-Nh?

-Pensi davvero che siamo legati dal filo rosso del destino?- chiese Sakuragi. Rukawa lo guardò, e lesse nei suoi occhi la speranza di avere una risposta affermativa.

-Ti conviene, testa rossa. Se provi a scappare ti inseguo per tutto l'universo.

-Sì, voglio vederti a inseguirmi con l'asma e i fiori che ti escono da tutte le parti.

-Do'aho. Ti amo.

-Ti amo anch'io, stupida volpaccia.

 

 

 

 

 

Ciaossu!

Eccomi finalmente con il finale di questa fic, so che molti si aspettavano una trombata, ma è stata una storia troppo dolce per finirla banalmente con una scena lemon.

Ho preferito mettere l'accento sull'ineluttabilità della HanaRu.

Grazie a tutti voi che mi avete seguita fin qui, anche supportandomi in momenti un po' neri. Non sono ancora tornata in forma, mi ci vorrà del tempo, ma nel frattempo voi mi avete permesso di arrivare fino a qui e io ve ne sono grata.

Tornerò a breve -cervello permettendo- con il seguito di Make it Easy, me l'ha chiesto un po' di gente e dopo un consulto con Tetsuo abbiamo deciso che si può fare.

Nel frattempo grazie di cuore, di nuovo, e come sempre battete un colpo se avete gradito!

XOXO

 

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