Ruoli di genere

di TheMemesQueen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


"Mi chiamo Julie Ferrara, ho quindici anni e sono al terzo liceo...no, non va bene."

La ragazza riprese fiato e guardò nuovamente lo specchio dove era riflessa la sua immagine.

"Sono Julie Ferrara e ho quindici anni, frequento la terza classe della sezione B."

Si fermò per qualche secondo, senza sapere cosa aggiungere.

"Uff." sospirò.

Era la quinta volta che provava a fare il 'monologo per presentarsi al gruppo teatrale della scuola' -così lo aveva chiamato-.

Ormai era metà ottobre e il primo incontro si sarebbe tenuto fra qualche giorno.

La castana si buttò sul letto, mugolando.

A un certo punto, il suo cellulare squillò a ritmo della canzone impostata.

Prese il telefono, che mostrava il nome 'Annahhh' sullo schermo. Rispose alla chiamata.

"Ehi, Anna." disse Julie.

"Ehi, Juju! Come va col monologo?" chiese l'amica dall'altra parte del telefono.

La castana sospirò. "Da schifo."

Quella mattina, Julie non era andata a scuola non solo per via delle mestruazioni, ma anche per il fatto che aveva avuto un'epitassi improvvisa, ed entrambe le erano venute alle tre del mattino.

Anna rimase in silenzio per qualche secondo, per poi parlare. "Hmmmmm. Che ne dici se ci prendiamo una granita?"

"Granita pomeridiana post-estate? Ci sto." rispose Julie.

"Va bene. La vuoi come al solito?" domandò Anna.

"Si. E ricordati la brioche." aggiunse la castana.

"Ci vediamo tra dieci minuti!" esclamò l'amica.

"A tra dieci minuti." Julie chiuse la chiamata, con un sospiro.

Sentì delle fitte abbastanza fastidiose alla pancia.

'Perché proprio due giorni prima del gruppo dovevi venirmi?'

Andò verso il bagno, per prendere la pillola che serviva a calmare i dolori mestruali.

Ci aveva messo sopra un post-it per distinguere la scatola dalle altre.

Dopo aver preso la pillola, andò in cucina a prendere un bicchiere dalla credenza, metterci l'acqua, per poi mettere la pillola in bocca e bere.

Si sdraiò sul divano, accendendo la televisione.

"Castle a me." disse.

Guardando la programmazione, si rese conto che iniziava tra mezz'ora.

"Vabbè, continuo Evangelion."

Prese il cellulare e sbloccò lo schermo.

"Se non sbaglio ero arrivata all'episodio sette."

Dopo aver avviato l'episodio, iniziò a pensare.

'Ho finito i compiti per domani, e mancano due settimane al compito di chimica. Poi c'è quello d'inglese e infine quello di fisica. Il gruppo teatrale è il martedì e il giovedì pomeriggio dalle quindici alle diciasette. Probabilmente mi dovrò portare le cose da studiare, più i soldi per il pranzo.'

Poi le venne in mente una cosa. 'Poi c'è quella cosa inutile dell'alternanza. Duecento ore in tre anni. Che palle.'

Dopo qualche minuto, il campanello suonò e la castana mise in pausa l'episodio per andare a vedere chi era.

Attivò lo schermo che si trovava vicino alla porta, che era collegato alla telecamera puntata sulla porta d'ingresso.

Dopo aver visto che era Anna, aprì la porta con le chiavi.

Davanti a lei c'era una ragazza alta quanto lei, dagli occchi azzurri, con i capelli biondi che le arrivavano fin sopra al bacino.

Indossava una maglietta bianca, dei jeans neri e delle scarpe da ginnastica grigie.

Teneva con le mani un vassoio incartato da cui si potevano vedere due oggetti cilindrici che tenevano in semi-tensione la carta.

"Sono arrivata!" esclamò lei.

"Traffico?" chiese Julie.

"Eh, si." rispose Anna.

La castana la fece entrare, chiudendo la porta a chiave.

La bionda posò il vassoio incartato sul tavolo, mentre Julie prese le tovagliette della colazione.

"Visto che sono qui, mi daresti una mano con chimica?" chiese lei.

Nel frattempo, Julie aveva tolto la carta che copriva il vassoio. "Certo."

Mentre mangiavano, iniziarano a parlare delle lezioni.

"Il prof Kraus ha detto che la settimana prossima ci porta in laboratorio." disse la bionda.

Julie sorrise per un attimo, per poi continuare a mangiare. "Evvai!"

"Ricordati della giustificazione per domani."

"Mica me la scordo." disse Julie.

"Mi piace ricordarti le cose." disse Anna, con un sorriso. Poi prese il diario che si era portata dietro.

"Hanno dato dei compiti per casa-"

Mentre lo prendeva, delle bustine caddero dalla borsa.

"Ehi, ti sono caduti i palloncini da sesso." disse Julie.

Anna, mentre li prendeva, si mise a ridere. "Ma non puoi chiamarli preservativi e basta?"

La castana sorrise. "No."

Julie prese una delle bustine. "La posso aprire?"

"Fai pure." disse Anna.

La castana aprì la busta, trovandosi tra le mani un preservativo color magenta.

"Allora, è colorato come un palloncino." se lo mise sul dito indice. "Lo puoi infilare dentro qualcosa, come un palloncino."

Poi provò a gonfiarlo, senza successo.

"Niente, non ce la faccio."

Anna stava ridendo per tutto il tempo.

"Ma tipo, Davide non dovrebbe metterselo questo?" disse, posando il preservativo sul tavolo.

"Si, ma diciamogli che l'ho aperto credendo che fosse una delle bustine di zucchero che mi porto sempre dietro." rispose Anna.

"Non diciamogli nulla di questo pompino indiretto." replicò Julie.

Anna si mise a ridere nuovamente.

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"Come va con i dolori?" chiese la donna mentre stava uscendo i piatti dalla credenza.

"Si sono calmati." rispose Julie, mentre stava prendendo le posate per mangiare. "Papà quando arriva?"

"Tra dieci minuti è a casa." disse la prima.

"Mamma, l'acqua sta bollendo."

La donna aprì il coperchio e, dopo aver messo il sale, ci mise la pasta per poi segnare undici minuti sul timer.

Julie si era sistemata lo zaino per le materie del giorno successivo.

Quando il timer era quasi sul punto di suonare, qualcuno suonò al citofono.

Dopo aver visto chi fosse, Julie aprì la porta a suo padre e al suo fratello minore.

"Ciao papà."

"Julieee!"

Il bambino riccio abbracciò sua sorella.

"Harry, calma!" disse la castana.

Suo padre ridacchiò e chiuse la porta. "Ciao."

Dopo che salutò la moglie, l'uomo si tolse il cappotto e lo mise sull'appendiabiti.

Nel frattempo, Julie aveva portato suo fratello dentro il salone.

La castana si era sempre chiesta come mai lei e suo fratello avessero dei nomi non italiani.

La risposta era semplice, la loro madre adorava i nomi stranieri, in particolare quello anglofoni.

La ragazza si ricordava come, ai tempi delle medie, durante le ultime lezioni d'inglese, dovevano leggere alcuni pezzi di 'Giulietta e Romeo' in lingua originale e spesso le toccava fare la parte di Giulietta.

A lei non piaceva molto l'opera, preferiva 'Macbeth'.

Suo fratello ricordava abbastanza quel cantante inglese per via dei suoi capelli ricci.

Se avesse avuto gli occhi azzurri anziché verdi, sarebbe stato la sua versione in miniatura.

Julie era nata con gli occhi grigi, invece.

A detta sua, era una cosa affascinante.

Sin da piccola, adorava immergersi nella lettura di enciclopedie, libri scolastici e narrativi.

A causa di ciò, era sempre stata un passo avanti agli altri suoi compagni di classe.

Come diceva la sua maestra delle elementari, sapeva le cose già prima di sentirle.

Adesso Julie era lì, a mangiare la pasta preparata per la cena.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Julie aveva la testa poggiata sulle mani, con i gomiti sul banco.

Il professore Kraus stava ritardando di qualche minuto.

Nel frattempo, prese il diario e si mise a leggere l'orario, ignorando il brusio della classe.

Lunedì

8:00-9:00 Italiano

9:00-10:45 Inglese

11:00-12:00 Fisica

12:00-12:50 Storia

Martedì

8:00-10:00 Chimica

10:00-10:45 Scienze

11:00-12:00 Disegno tecnico

12:00-12:45 Matematica

Mercoledì

8:00-10:00 Matematica

10:00-11:00 Italiano

11:00-12:00 Fisica

12:00-12:50 Scienze

Giovedì

8:00-9:00 Filosofia

9:00-10:00 Inglese

10:00-12:00 Italiano

12:00-12:50 Educazione fisica

Venerdì

8:00-9:00 Matematica

9:00-10:45 Educazione fisica

11:00-12:50 Disegno tecnico

Sabato

8:00-9:00 Storia

9:00-10:00 Inglese

10:00-10:45 Religione

11:00-12:00 Italiano

'Oggi c'è chimica alla prima ora...devo memorizzarmi bene l'orario, non posso controllare il diario ogni volta.'

Una ragazza dai capelli a caschetto neri si affacciò sulla porta che dava sul corridoio, per poi rientrare facendo segnale che il professore stava arrivando.

Tutti si sedettero al proprio posto e, dopo qualche secondo, entrò un uomo di trentacinque anni, dai capelli corvini mossi e lunghi fin sotto le spalle, con gli occhi castani e un accenno di barba sul mento.

Era Demian Kraus, il loro professore di scienze e chimica.

Nel momento in cui entrò, tutti si alzarono e dissero "Buongiorno, professore."

Demian fece cenno di sedersi, e gli studenti si accomodarono sulle rispettive sedie.

Iniziò a fare l'appello e, dopo aver segnato le presenze, scroccò le mani e si mise un guanto sulla mano destra, dovuto al fatto che la polvere del gesso gli provocava irritazione.

"Ok, ragazzi, test di logica."

Scrisse alla lavagna quattro parole, ovvero 'vipera', 'biscia', 'lombrico' e 'pitone'.

"Trovate l'intruso." disse l'uomo.

Un ragazzo dai capelli castani alzò la mano, e il professore gli fece cenno di parlare.

"Il lombrico." rispose lui.

"Perché?" replicò Demian, piegando la mano guantata col gesso verso di lui.

"Non è un serpente."

"Hmmm, sbagliato." disse il professore.

Ad alzare la mano fu la ragazza dai capelli neri a caschetto. "Il lombrico non ha lo scheletro."

"Sbagliato." disse Demian, con un sorrisetto.

Fu Julie ad alzare la mano.

"Il lombrico non ha il sangue."

L'uomo indicò la ragazza. "Esatto." prese la spugna e cancellò le parole. "Prendete il libro di scienze nel capitolo del sistema circolatorio."

Demian era uno di quei rari professori che rendeva interessante la propria materia.

Era nato in Italia dopo che i suoi genitori avevano traslocato da Stoccarda in Italia.

Non era molto ferrato in tedesco, a malapena sapeva comporre una frase in quella lingua.

I genitori si erano conosciuti a Firenze durante una gita presso la Cattedrale, e da allora si erano affezionati al paese.

Aveva due fratelli minori e un sogno nel cassetto, ovvero volare in un ultraleggero nella Berlino nazista e far cadere simboli ebraici sulla città, con allegati dei biglietti con scritto 'Adolfo, chiama il tuo psichiatra e digli che sei scimunito'.

Mentre stava spiegando, Julie si ricordò di una cosa.

"Professore."

Demian si voltò. "Dica."

"Si è dimenticato di firmare la giustificazione."

L'uomo alzò le mani. "Colpa mia." poi guardò gli altri. "No davvero, me lo sono scordato."

Ma ovviamente, come ogni essere umano, non è perfetto.

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La ricreazione era iniziata da qualche minuto e durava un quarto d'ora, dalle dieci e quarantacinque alle undici.

Demian stava sistemando le sue cose, quando un ragazzo gli si avvicinò.

Aveva i capelli neri lunghi fin sopra le spalle, gli occhi azzurri con delle lievi occhiaie e si teneva il polso con una mano.

"Orlando, dimmi."

"Senta...ha parlato con la professoressa D'Amico per quella cosa?"

Aveva la voce stanca e insicura.

"Si. Ha detto che puoi partecipare. E non preoccuparti per i tuoi. Ci penso io."

"Cos'ha pensato di fare?" chiese il ragazzo.

"Probabilmente mentire su alcuni orari dell'alternanza." disse l'uomo, facendo l'occhiolino.

Orlando sorrise. "La ringrazio, professore."

Detto questo, ritornò al suo posto.

In quel momento, era entrata una donna castano scuro raccolti in un codino.

Era la professoressa di disegno tecnico.

"Ehm, Virginia, posso parlarti un attimo?"chiese l'uomo.

Lei fece cenno per dire di si, ed uscirono dalla classe.

"Potrei suonarti un pò non professionale, ma credo che uno della classe abbia problemi." disse lui.

"Di chi parli?" domandò Virginia.

"Orlando. Secondo me ha qualche problema." fece Demian.

"Perché lo credi?"

"Perché dimostra almeno il quaranta per cento delle conseguenze di un abuso domestico." rispose lui. "Potrei anche sbagliarmi, ma allo stesso tempo non posso ignorare questa situazione."

Virginia lo guardava abbastanza abbilita.

"Che c'è?" chiese l'uomo.

"Scusa se te lo dico, ma non mi aspettavo che fossi così informato."

Lui fece spallucce, sorridendo. "Solo perché insegno scienze e chimica, non vuol dire che debba concentrarmi solo ed esclusivamente su quello."

"Tornando a noi, cosa pensi di fare con quel ragazzo?" fece lei.

"Guarda, come ti ho detto, potrei anche sbagliarmi, ma se c'è anche la più remota possibilità che Orlando abbia il padre, la madre o entrambi abusivi, allora bisogna dargli qualche occhiata in più."

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Julie stava tranquillamente mangiando un panino al prosciutto.

"Allora, com'è andata ieri con Davide?" domandò lei ad Anna.

"Tutto bene. Non gli ho detto del pompino indiretto." rispose la bionda.

Intanto, i capelli di Julie erano finiti sul panino.

"Sti capelli del cazzo."

La castana prese un elastico dallo zaino e si legò i capelli che le arrivavano a metà schiena in una coda di cavallo.

"Giovedì ho teatro e ho il ciclo, che palle."

Nel mentre, stava togliendo i capelli che aveva inconsapevolmente masticato.

"E che cazzo. Vabbè, altre due ore e siamo libere." aggiunse Julie.

"Per caso sai come si chiama l'insegnante che gestisce il corso di teatro?" domandò Anna.

"D'Amico, credo. Non me lo ricordo." rispose la castana.

Intanto, a qualche banco da loro, un gruppetto di quattro ragazzi stava parlando.

"Hanno detto che l'alternanza inizia verso metà novembre." disse una ragazza dai capelli a caschetto nero. "E ancora non hanno detto cosa faremo esattamente."

"Beeene." disse un ragazzo dai capelli biondo cenere, per poi spostare lo sguardo sull'altro ragazzo. "Orlando, oggi ti va di fare un giro?"

"Ehm...non posso. Oggi devo andare da mia zia." disse lui.

"Almeno non vedrai quella troia della tua matrigna." fece il ragazzo.

In quel momento, fu tirato da un orecchio dal quarto membro del gruppo.

"Ahi!"

"Matteo, okay che non ti piace Aurora, ma datti una calmata." La ragazza dai capelli a caschetto nero ridacchiò. "La zia di Orlando mi sta anche simpatica."

Orlando sospirò. "Dai, Ammar. Lascialo."

Il corvino lasciò andare Matteo. "Neanche a me piace quella donna, ma non possiamo farci niente."

Matteo guardò la corvina. "Yuki, a Kyoto non avete un qualche detto per odiare qualcuno?"

Yuki ci pensò. "Ci sarebbe cyo-mukatsuku per indicare qualcuno che non si sopporta proprio."

"Non riuscirò mai a pronunciarlo." disse Matteo.

Intanto, Orlando stava guardando fuori dalla finestra, con un'aria stanca.

'Non ce la faccio più...'

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


"Allora, Julie, com'è andata a scuola?"

"Nulla di che, le solite cose."

La ragazza era in macchina con suo padre, sulla via di casa.

"Hai già pensato su come fare per giovedì pomeriggio?" chiese lui.

"Te l'ho detto, mi prendo il BRT per tornare a casa." rispose Julie.

"Ma il BRT non ti porta a casa."

La ragazza si mise una mano sulla fronte. "Vero."

"Casomai puoi fermarti al capolinea e ti viene a prendere mamma." propose lui.

"E per Harry?" domandò la castana.

"Rimane da Mirko per fare i compiti." disse l'uomo.

In quell'istante, frenò di colpo, poiché una macchina era spuntata dal nulla dalla corsia alla loro destra.

Julie si massaggiò il collo, poiché la cintura le aveva impedito di sbattere sull'abitacolo, ma col la conseguenza che il collo fu leggermente pressato sul bordo di essa, facendole leggermente male.

"Guarda sto coglione."

La macchina li sorpassò e l'uomo ritornò a guidare.

"Siamo nel duemilaquindici e ancora la gente non ha imparato a guidare." disse lui.

-----

Gli alunni stavano ancora uscendo da scuola, mentre alcuni rimanevano dentro l'edificio poiché avevano lezione fino alle quattordici.

Orlando stava seduto sulla scalinata che portava al campo da basket sottostante e stava tenendo il suo zaino tra le braccia.

Si era trasferito in quel liceo solo dall'inizio dell'anno scorso.

Era la prima volta che cambiava scuola.

Non aveva parlato praticamente con nessuno se non con Matteo, siccome lo conosceva dalla seconda media.

Fu fortunato dal fatto che lui frequentava quel liceo, altrimenti sarebbe stato perso.

Affondò la faccia sullo zaino, pensando a come gestire la situazione.

Qualche volta, alle medie, era stato a rischio bocciatura, ma era sempre riuscito a cavarsela in qualche modo.

Soprattutto grazie a Matteo, siccome spesso e volentieri gli faceva copiare i compiti.

Orlando gli aveva detto che voleva fare tutto da solo quest'anno.

Aveva deciso di andare spesso da sua zia, così da non dover stare con suo padre e la sua compagna.

Inoltre li avrebbe potuto indossare i tubini da sera senza essere soprannominato con nomignoli poco educati.

Lui adorava vestirsi del sesso opposto, ma non era trans. Gli piaceva e basta.

Questa era una delle cause principali per cui andava male a scuola, veniva bullizzato perché si vestiva con abiti tipicamente femminili.

La situazione a casa non era neanche migliore, a causa dei suoi.

Neanche loro avevano capito che lui voleva essere se stesso, libero di esprimersi come voleva lui.

Scuola, casa. Non importava dove fosse, veniva sempre etichettato come qualcosa che non doveva neanche esistere.

Spesso si chiedeva come mai degli adulti si accanivano, verbalmente e non, su dei bambini che non sapevano come funzionava il mondo.

Quando, alle medie, aveva provato a parlarne con i suoi professori, loro lo avevano liquidato con 'Eh si, ma se ti vesti da ragazza è ovvio che poi t'insultano'.

L'unica cosa che poteva fare era starsene in camera sua e piangere le lacrime che non voleva far vedere a suo padre, siccome quest'ultimo le considerava 'da femminuccia'.

Una volta, non si era limitato solo a piangere.

Mentre stringeva lo zaino a sé, iniziò a tremare.

'Non voglio tornare a casa. Non voglio vederlo, non voglio.'

Le sue pupille si erano leggermente rimpicciolite.

'Non voglio tornare a casa, voglio stare da mia zia per sempre.'

Il suo cellulare squillò, facendolo ritornare alla realtà e a fargli prendere un colpo.

Rispose immediatamente, vedendo che era sua zia.

"Pronto, zia?"

"Dove sei? Sono tre minuti che ti sto aspettando davanti al cancello!"

"Scusa, a-adesso sto arrivando."

Orlando si alzò, mettendosi lo zaino in spalla e dirigendosi verso il cancello.

----

Julie aveva provveduto a comprare un biglietto per l'autobus.

Sua mamma gli stava elencando le varie precauzioni da prendere quando si stava su uno di quei mezzi, e soprattutto di tenersi per non cadere in caso l'autobus avesse frenato.

"Quando arriva l'autobus, chiamami così ti passo a prendere."

"Okay."

"Mi sembri strana. È successo qualcosa?" chiese lei, mentre stava accendendo uno dei fornelli.

"Sono solo preoccupata per giovedì."

"Eddai, puoi farcela. Non impanicarti inutilmente." la rassicurò.

Julie sospirò. "E va bene, non andrò in panico...forse."

La castana prese il cellulare e, guardando su WhatsApp, aveva visto che erano uscite delle novità per l'alternanza scuola-lavoro.

'Bene, la tortura numero uno inizia il quattordici novembre.'

Lo posò e andò in bagno a cambiarsi.

"Sventura a te, utero." disse sottovoce. "E non ho ancora capito perché sto insultando una parte del mio corpo."

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


"Oggi è il grande giorno."

Julie era seduta al suo posto, con Anna vicina.

"Dai, che ce la fai." la rassicurò l'amica.

"Spero di non fare casino." ammise la castana.

Ormai la classe era quasi del tutto vuota, rimanevano solo loro due e qualche altro alunno.

Julie prese un respiro profondo e si alzò. "Okay, posso farcela."

Le due si diressero verso l'aula magna, dove si sarebbe tenuto il primo incontro.

"Devo andare, buona fortuna."

Anna la salutò e andò via.

La castana doveva pensare a come entrare.

Aprire la porta normalmente o spalancarla urlando 'EHYYY!', ma preferì a malincuore la prima opzione ed entrò.

C'era già qualcuno seduto sulle sedie della sala e Julie riconobbe un ragazzo che stava nelle ultime file.

'Ma è Orlando?' pensò.

Si avvicinò, sporgendosi per vedere il suo volto, facendo spaventare il ragazzo.

"Non sapevo che anche tu fossi qui." disse la ragazza, sorridendo.

"È una sorpresa anche per me." Orlando non sapeva cosa dire, perciò disse le prime cose che pensò.

Julie si sedette vicino a lui. "Sei nervoso?"

"Un pò. Non ho mai frequentato gruppi." disse lui.

"Pure per me è la prima volta." fece la castana.

Prese un panino che si era comprata la mattina prima di andare in classe.

"Ne vuoi un pezzo?"

"No, g-grazie. Ho già mangiato." disse il ragazzo.

Julie si legò i capelli e iniziò a mangiare, mentre Orlando stava guardando dall'altra parte.

Era rimasto abbastanza sorpreso dal fatto che Julie fosse con lui nel gruppo teatrale.

L'ammirava per la sua intelligenza e la sua personalità, ma non aveva mai provato a parlarci, poiché non ne aveva il coraggio.

Senza saperlo, si mise a guardare Julie.

La ragazza stava guardando il cellulare e aveva buttato il fazzoletto nel cestino.

Stava pensando a cosa guardare una volta arrivata a casa.

Il suo sguardo si spostò verso Orlando, e lui si allontanò di poco.

"Scusa, non volevo spaventarti." disse lei, colta di sorpresa.

"No, e-e-ero io che importunavo." disse velocemente il ragazzo.

"Nah." gli sorrise.

Il ragazzo deglutì, non aveva idea di cosa stesse dicendo.

Per la vergogna, si mise il cappuccio della felpa in testa.

"Tutto bene?" chiese la ragazza.

"Non p-preoccuparti per me, sto bene." disse frettolosamente.

Una ragazza dai capelli castano chiaro si avvicinò a loro. "Ehi, la professoressa D'Amico sta arrivando. Venite nelle prime file."

Julie si alzò, andando verso le prime file, mentre Orlando la seguì poco dopo.

'Sono venuto qui per riuscire a migliorare le mie relazioni sociali e invece sto peggiorando...' pensò lui.

Pensò di mettersi vicino a Julie, ma si sedette a qualche sedia da lei.

Mise un gomito su uno dei due braccioli della sedia e poggiò la testa sulla mano.

'Forse è stata una pessima idea...'

Si toccò il lato sinistro del collo, mentre rimaneva sovrappensiero.

Una donna sulla cinquantina dai capelli mori era entrata nell'aula magna.

Era la professoressa D'Amico, che si sarebbe occupata del gruppo teatrale.

Si mise vicino a uno dei tavoli che usavano per le conferenze.

"Buon pomeriggio, ragazzi. Mi chiamo Carla D'Amico e sarò la vostra maestra di teatro." disse, sorridente. "Vedo che siamo in venti quest'anno. Non vedo l'ora di passare una bellissima esperienza con voi!"

'Già l'adoro.' pensò Julie.

"Ovviamente, siccome siete tutti nuovi, dovrete presentarvi. Non è necessario fare un discorsone, bastano anche poche parole. Chi inizia?"

Fu la ragazza castana di poco fa a parlare.

Era piuttosto bassa e i suoi capelli le arrivavano fino a metà bacino. I suoi occhi erano anch'essi castano chiaro.

Indossava una felpa nera, una gonna bianca con dei leggings neri e degli stivaletti marroni.

Julie notò che indossava una collana con uno strano fiocco di neve azzurro.

La donna le passò un microfono acceso.

"Mi chiamo Rebecca Caruso, ho sedici anni e frequento la quarta C informatica." disse, sorridendo.

Poi fu il turno di un ragazzo con gli occhiali con la montatura violetta, gli occhi ambrati e i capelli neri corti.

Per vestiario aveva una felpa senza cappuccio grigia, dei jeans e delle scarpe nere.

"Michele Longo, diciassette anni, quarta A scienze applicate."

"Ma mettici più passione!" si lamentò Rebecca.

Il ragazzo rispose immediatamente con "No."

Ci furono delle risate.

La prof guardò tra le file per vedere chi poteva salire.

Fece cenno a Orlando, che scosse la testa in segno di negazione.

Così toccò a Julie. Prese il microfono e iniziò a parlare.

"Sono Julie Ferrara, ho quindici anni e faccio la terza B scienze applicate." disse in maniera sbrigativa.

Dopo aver restituito il microfono, assistette al resto delle presentazioni.

Una volta finite, la professoressa spiegò che l'incontro di oggi serviva per far conoscere meglio i partecipanti di quest'anno.

Rebecca si girò verso Julie, rimanendo seduta al suo posto.

"Wow, quindi tu fai lo stesso indirizzo di Michy ma con una lettera diversa." disse lei.

Michele si mise due dita sulla fronte. "Rebecca, quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi così?"

"Non lo so, tu quanto pane hai mangiato in vita tua?" ribatté la ragazza.

In tutta risposta, il ragazzo le tirò amichevolmente un orecchio.

"Aaaaaaaa. Sei uno stronzo!" si lamentò lei.

Lui le sorrise, mentre le lasciava l'orecchio. "E sono fiero di esserlo."

Julie si mise a ridere a quella scena.

"Uffa! Non voglio tramutarmi in Dumbo!" Rebecca guardò nuovamente Julie. "Scusalo. Vuole farmi diventare Dumbo senza chirurgia."

"Devo pregare per te?" chiese lei.

"No, devi pregare per lui, perché poi lo soffoco col solletico." disse Rebecca, sorridendo.

"Peccato che io non soffro il solletico." le fece la linguaccia.

"Dettagli." aggiunse lei.

Nel frattempo, Orlando li stava guardando.

'Come fai a essere così?' guardò in basso. 'Vorrei tanto avere il tuo carattere, ma non credo di meritarmelo.'

Michele si accorse di lui. "Ehi, perché non ti unisci a noi?"

Il ragazzo iniziò a sfregare il pollice sull'indice. "Ehm...non vorrei disturbare..."

"Vieni qui e amaci." disse Rebecca.

Orlando la guardò stranita.

"Eddai, Orlando. Non siamo degli squali." disse Julie sorridendogli.

Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore, sapeva il suo nome?

"Stai bene?" domandò Michele.

"Si, tutto apposto. È solo che non sono abituato a parlare con le persone." rispose il ragazzo.

"Non è un problema." disse Julie. "Puoi anche ascoltarci."

Orlando si avvicinò timidamente e si mise a una sedia di distanza da lei.

In tutta risposta, la ragazza si alzò e si mise sulla sedia vuota vicino a lui.

"Non voglio lasciare da sola questa povera sedia." poi mise il suo zaino su dove era seduta prima.

"Avanti, raccontaci qualcosa!" lo incitò Rebecca.

Orlando farfugliò qualcosa.

"Faccio l-la stessa classe di Julie e ho una sorella." disse lui.

"Maggiore o minore?" chiese Julie.

"Maggiore." rispose Orlando.

"Io ho una sorella minore." disse Michele. "Che è più intelligente di lei." aggiunse, indicando Rebecca.

Lei iniziò a scuoterlo per le spalle.

Julie capì che quest'anno non si sarebbe per niente annoiata.





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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


'Speriamo che il compito di chimica sia andato bene.'

Julie stava giocherellando col tappo della penna, mentre stava leggendo un libro.

Le due settimane successive al primo incontro, il gruppo teatrale era stato sospeso un paio di volte per via di alcune conferenze che si erano tenute in aula magna.

Nei giorni in cui c'erano gli incontri, Julie era riuscita a legare un pò con Michele e Rebecca, poiché la professoressa voleva che i ragazzi avessero già fatto un pò di conoscenza fra di loro prima della scelta dell'opera da fare.

Per qualche strano motivo, Orlando parlava poco e niente con loro, sembrava che volesse escludersi di proposito.

Alla ragazza dispiaceva il fatto che non poteva parlargli. Aveva provato pure alla ricreazione, ma lui restava zitto per quasi tutto il tempo.

Gli ricordava la sua sé stessa undicenne, sempre silenziosa e lontana dalla classe.

Ogni tanto si chiedeva se il fare amicizia con Orlando non era altro che un modo per dimenticare il 'vuoto' di quel periodo.

Era qualcosa che stava facendo per lei o per lui?

Liquidò tutto con un 'Mi faccio troppi film mentali.'

Chiuse il libro che stava leggendo-dopo aver messo il segnapagina-e lo rimise sullo scaffale che era posizionato sopra il suo letto.

Mise la faccia sul cuscino e sospirò.

Quando girò la faccia per prendere aria, vide che qualcosa stava sporgendo dallo scaffale. Quando controllò, vide che il libro che aveva posato era quasi del tutto fuori dalla piccola pila di libri in cui doveva stare.

Lo tolse per vedere cosa ostacolasse dallo stare in fila, per poi vedere che un quadernetto era fra il muro e il libro.

Probabilmente lo aveva spostato senza accorgersene quando aveva sistemato la camera.

Quel quadernetto non era altro che uno strano diario personale improvvisato per le scuole medie.

Per la noia, aprì una pagina a caso e lesse a mente il contenuto di essa.

"3 dicembre 11

In classe mi annoio. Non riesco a parlare pk tt hanno l amico e io no.

Voglio anch'io un amico ufffiiii :("

Julie s'impietrì alla vista della grammatica. 'Ma come scrivevo.' pensò, abbastanza stranita dal rivedere una pagina scritta cinque anni fa.

Era come un tuffo nel passato per lei, una strana macchina del tempo.

Sfogliò varie pagine, per poi vedere una data segnata in rosso.

"26 marzo 12

Oggi vado in gita a Caltachiorne :)"

Quella frase l'aveva scritta il giorno stesso in cui era andata in gita con la classe, scrivendo erroramente 'Caltacirone' al posto di 'Caltagirone'.

Non ricordava perché aveva usato la penna rossa anziché quella blu per scriverla.

Da quel giorno in poi, aveva scritto poco e nulla, tranne che all'inizio della seconda media.

"19 ottobre 12

Ho un amica :)"

Julie pensò che Anna si sarebbe messa a ridere se avrebbe letto quella frase.

Posò il quadernetto al suo posto e accese il computer.

"Mamma e papà tornano un pò più tardi stasera, che bello." disse felicemente.

Intanto, suo fratello stava giocando in salone con la Playstation.

Julie desiderava un GameCube per giocare a delle perle dimenticate, solo che non era più in vendita da anni. E in più quelle perle erano introvabili.

Si mise le cuffiette attaccandole al computer, e iniziò a guardare qualche episodio.

Ogni tanto gli auricolari le davano problemi col volume, poiché quello destro emetteva un ronzio quando il suono nell'episodio era particolarmente alto.

"Non so cosa sia peggio, l'auricolare o Hisoka che sta facendo il quasi maniaco." commentò lei.

Il suo cellulare squillò, vedendo il nome 'Neveeeh' sullo schermo.

Julie mise in pausa l'episodio e rispose al cellulare.

"Ehi, Yuki. Come va?"

"Tutto bene. Senti, che ne dici di andare al centro per sabato?" disse la ragazza dall'altra parte del telefono.

"Stasera chiedo a papà se mi può accompagnare. Ti va se invito anche Anna?" domandò Julia.

"Certo! Più siamo e meglio è." rispose Yuki.

La castana rimase in silenzio per qualche secondo. "Posso invitare qualcun'altro, oltre ad Anna?"

"Mh, mh. Quanti sono?" chiese Yuki."Solo per sapere."

"Tre come i lati di un triangolo."

Sentì una piccola risata, per poi sentirla dire "Va bene, a sabato sera!"

La chiamata terminò e Julie chiamò Anna, spiegandole brevemente la conversazione di prima.

"Non ho problemi a venire, però prima dovrò passare da te. Sai com'è."

"Non so nulla di vestiti. Mi metto le prime cose che capitano e fine." disse Julie.

"Hai bisogno seriamente di andare in una scuola di moda." fece Anna.

"Ma anche no." fece Julie.

"E invece si."

"Ma perché. Fammi mettere i miei bellissimi leggings con felpa senza cappuccio." si lamentò la castana.

"Va bene. Ma verrò comunque a farti da manager." aggiunse Anna.

"Uffaaa." Julie sospirò. "Ci vediamo domani così ci organizziamo."

Le due si salutarono e Julie chiamò la prossima persona.

"REBECCAH"

"JUJUH"

"Senti, sabato vado in centro con Yuki e Anna. Vuoi unirti?"

"Certo. Invito pure Michele?" chiese Rebecca

"Guarda, era il prossimo che avrei chiamato."

"Lol, va bene. Vedrò come sono messa e poi ti farò sapere. A sabatoh!"

"A sabatoh."

Julie chiamò Michele dopo aver chiuso la chiamata con Rebecca.

"Ehi. Che c'è?" chiese il ragazzo.

La castana spiegò nuovamente la situazione.

"C'è pure Rebecca." aggiunse lei, sorridendo. "Così siamo in due a darti fastidio."

"Sappiate che vi rovinerò l'acconciatura." fece Michele, con un tono abbastanza allegro.

"No, non lo farai." disse la castana con una finta arrabbiatura sul suo tono di voce.

"Si, invece." aggiunse lui con un tono di sfida.

"Ma io scherzavo, uffa." disse lei.

"Anch'io, non vi rovinerei mai i capelli." Ci fu qualche secondo di pausa. "Tranne quando provate a fare le stronze con me."

"Eeeeeh."

"Macarena."

I due si misero a ridere.

"Con te sei il terzo che invito. Tra poco chiamo anche l'ultimo." disse Julie.

"E chi sarebbe l'ultimo?" chiese Michele.

"Orlando." rispose la castana.

"Oh...capisco." fece il ragazzo.

"Qualcosa non va?"

"Non lo so. Non è che non mi fido di lui o altro, è solo che... credo che abbia qualcosa che non va." rispose Michele.

"Dai, lo stai trattando come se avesse qualche problema o altro." disse Julie.

"Fidati, dopo che passi quasi cinque anni della tua vita a prenderti cura di qualcuno con l'Asperger, qualcosa la capisci."

"Credi che Orlando abbia l'Asperger?" domandò Julie.

"Non sono uno psicologo, ma ho visto che lui e Irene hanno qualche cosa in comune."

"Asperger o no, lo invito comunque." disse fermamente la castana.

"Ovvio, mica dobbiamo discriminarlo come una certa te fa con me."

"Ehi!"

Michele si mise a ridere. "Va bene. Ci vediamo."

"Ci vediamo."

Il ragazzo, che era seduto sulla sedia vicino alla sua scrivania, chiuse la chiamata, mentre una bambina di dieci anni dai capelli neri e gli occhi castano chiaro iniziò a tiragli la maglietta.

"Michy? Chi era?" chiese lei.

Lui le accarezzò la testa, sorridendole. "Una mia amica." rispose. "Sabato esco con lei, Rebecca e le sue amiche."

"Ma poi torni presto, vero?" fece lei.

"Certo, tranquilla." la rassicurò lui.

La bambina lo abbracciò. "Non tornare tardi, o mi preoccupo."

Michele ricambiò l'abbraccio. "Tranquilla. Tornerò presto."

"Se non torni, dico allo zio di prenderti."

"Eddai, Irene." disse lui, scherzosamente. "Ormai sono adulto."

La bambina lo guardò. "No. Ti mancano due anni dall'essere adulto. Quindi sei ancora piccolo come me!"

Il ragazzo sbuffò giocosamente. "Veramente mi manca un anno."

"Ma rimani sempre piccolo!" affermò lei.

Lui gonfiò le guance e le accarezzò nuovamente la testa. "Mi metto il timer nel cellulare così non mi scordo di tornare a casa, ok?"

Irene lo lasciò e saltellò. "Ok!"

Nel frattempo, Julie aveva provato a chiamare Orlando senza successo.

"Eddai, avrò provato almeno tre volte." si lamentò.

Poi vide che lui la stava chiamando.

"Ehi! Come va?"

"Non c'è male."

Julie notò che il suo tono di voce era strano. "Stai bene?"

"Si. Cosa devi dirmi?"

'Ma sta piangendo o cosa?'

"Sabato sera andiamo in centro, vieni anche tu?" chiese ignorando la strana situazione.

"Va b-bene."

"Orlando? Sicuro di stare bene?"

"Si...devo andare. Scusa."

"As-"

La chiamata era terminata. Julie rimase a fissare lo schermo del cellulare.

'Che Michele abbia ragione?' pensò, mentre posò il cellulare e fece ripartire l'episodio.

---

La sera, durante la cena, non fece che pensare a quella telefonata.

'Qualcosa non andava sicuramente.'

"Julie?"

Tornò alla realtà quando sentì la voce di sua mamma.

"Pensavo a sabato. Esco con Anna e altri compagni. Non è che papà può accompagnarmi?"

"Julie, lo sai che Anna ha la macchina, no?" disse suo padre.

La castana si mise una mano sulla faccia, mentre diceva "Vero." con le risate di suo fratello come contorno.





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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


×Bois, non so in quanti di voi sono sensibili all'argomento 'Abusi domestici'. Se lo siete, potete evitare di leggere questo capitolo o di leggerlo con cautela ;-;×























Orlando si trovava davanti alla porta di casa sua, che si trovava al piano terra di un appartamento al centro della città.

Strinse le sue mani sugli spallacci dello zaino mentre deglutiva. Pregava con tutto sé stesso che suo padre non fosse di pessimo umore.

In quel momento, la sua mente si divideva in due pensieri opposti. Uno gli diceva di scappare, mentre l'altro era orientato sull'entrare, per non subire ulteriori punizioni.

Ormai il ragazzo era abituato ad avere quei pensieri, li aveva tutti i giorni prima di bussare a quella porta.

Suo padre non era una brava persona, e la matrigna non era meglio.

Il ragazzo aveva pure esaurito le scuse sul giustificare i vari lividi sulle braccia che si vedevano quando doveva cambiarsi per la lezione di educazione fisica.

Ammar non sapeva il perché di quei lividi, mentre Matteo lo sapeva fin troppo bene.

Orlando si sentiva un pò male a non dire ad Ammar del motivo ma forse era la cosa giusta, secondo lui. Se l'avessero saputo troppe persone, avrebbero finito con l'etichettarlo come debole.

Almeno secondo lui.

Il ragazzo bussò alla porta, sperando di non ricevere risposta.

"Chi è?"

Orlando tirò un sospiro di sollievo, era la matrigna.

Rispetto a suo padre, lei era innocua ma comunque odiosa.

"Sono i-io, Aurora." disse il ragazzo, in modo che potesse sentirla.

Ad aprire una porta, fu una donna sulla cinquantina, dai capelli castani e gli occhi marrone scuro.

"Alla buon ora, ma dove ti eri ficcato?" chiese la donna.

"Ehm..."

"Vabbè, entra sennò chi lo sente quello."

Orlando sgranò gli occhi. "È qui?"

"No." disse Aurora.

Il ragazzo entrò e posò lo zaino all'ingresso.

"Aurora, oggi non ho fame." dise lui, mentre si toglieva il giubbotto.

"Ah, no. Tu mangi." ribatté la donna.

"Ma non ho fame." rispose il ragazzo.

"Senti. Già tuo padre fa storie se non rientri a una certa ora. Poi se non mangi è peggio." lo riproverò.

Orlando guardò in basso. "Va bene..."

Dopo aver mangiato, si chiuse in camera sua e si sdraiò sul letto.

Guardò il soffitto per alcuni secondi, finché non sentì un peso sulla pancia.

Quando Orlando abbassò lo sguardo, vide una palla di pelo con qualche chiazza nera che conosceva bene.

Sorrise e si sedette sul letto, facendo attenzione a non far cadere la gatta che si era raggomitolata sulla sua pancia.

Iniziò ad accarezzarla dietro le orecchie e sulla schiena, seguendo la direzione del pelo "Ehi, Bianca. Come va?"

La gatta lo guardò con i suoi occhi azzurri e, poco dopo, iniziò a fare le fusa.

Era la gatta di una famiglia che abitava a qualche isolato da lui, di solito usciva dalla loro casa per farsi qualche giretto.

Una volta era entrata in camera di Orlando perché stava piovendo e lui aveva la finestra socchiusa.

Quando il ragazzo era entrato in camera, aveva visto una coda fuoriuscire da sotto il letto.

Per qualche strano motivo che sanno solo i gatti, si era affezionata al pavimento che stava sotto il mobile.

Entrava quando la finestra era aperta o socchiusa e anche quando non pioveva.

All'inizio non si fidava del ragazzo, ma col tempo iniziò a fidarsi di lui.

Bianca si mise a pancia in giù, facendo suonare il campanellino che si trovava sotto la targhetta col suo nome.

Orlando, mentre le accarezzava la pancia, notò che c'era qualcosa dentro di essa.

"Sei incinta?"

La gatta miagolò come se stesse dicendo 'si'.

Il ragazzo sorrise e le accarezzò la testa. "Sono sicuro che sarai una mamma formidabile."

Bianca miagolò nuovamente, notando che gli occhi del ragazzo stavano tremando.

"Scusa." si asciugò le lacrime mentre sospirava.

La gatta spostò lo sguardo sul cellulare che Orlando aveva in tasca e provò a prenderlo.

"Ehi." ridacchiò.

Quando lui lo prese, notò che Julie aveva provato a chiamarlo tre volte.

"Cazzo."

Bianca fece un miagolio arrabbiato, per rimproverarlo della parola appena detta. Il suo istinto materno era già in funzione.

Nel frattempo, il ragazzo stava già chiamando Julie.

"Ehi! Come va?" chiese una voce femminile dall'altra parte del cellulare.

"Non c'è male." disse lui con la voce ancora soffocata dal quasi pianto di prima.

"Stai bene?"

"Si. Cosa devi dirmi?" chiese lui.

"Sabato sera andiamo in centro, vieni anche tu?"

Orlando ci pensò. Era sicuro che suo padre l'avrebbe lasciato andare, ma solo se fosse rientrato presto.

"Va b-bene." rispose.

Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore quando sentì delle chiavi che aprivano una porta, suo padre era tornato.

Bianca, al suono delle chiavi, uscì dalla finestra socchiusa e corse via.

"Orlando, sei sicuro di stare bene?" chiese Julie.

"Si...devo andare. Scusa."

"As-"

Orlando chiuse la chiamata e iniziò ad ansimare.

"Ehi, c'è nessuno?"

'Non venire qua.' si mise le mani tra i capelli. 'Vattene, ti prego vattene.'

"Stavo fumando." la voce di Aurora ruppe il silenzio creatosi in quei pochi secondi.

"Dov'è mio figlio?" chiese la voce di un uomo.

"In camera sua. E ha mangiato, se vuoi saperlo." fu la risposta di Aurora.

"Bene."

'VATTENE.' Il ragazzo aveva il respiro fuori controllo. 'PERCHÉ NON SEI MORTO? PERCHÉ? PERCHÉ È MORTA SOLO MAMMA MENTRE TU SEI ANCORA VIVO?' strise le mani fra di loro. 'Dio, ti prego, aiutami.'

Sentì bussare alla sua porta. "Orlando! Sei là dentro?"

Era suo padre.

'AIUTAMI, TI PREGO. NON MI LASCIARE QUI CON LUI. TI SUPPLICO.'

"MI SENTI O DEVO SFONDARE NUOVAMENTE LA PORTA!?"

Il ragazzo decise di aprire direttamente la porta, non solo perché non aveva la forza di parlare, ma anche perché non voleva ripercussioni.

Non ebbe il tempo di parlare che suo padre gli mollò uno schiaffo così forte da far risuonare il suono.

"Quante volte ti ho detto di rispondermi quando ti chiamo?"

"E...e..."

Aveva la voce bloccata dalla paura.

L'uomo roteò gli occhi e chiuse la porta. Dopo qualche secondo, sentì delle chiavi.

"NO, PAPÀ." Orlando iniziò a tirare la maniglia della porta. "NON CHIUDERMI DI NUOVO. TI PREGO, MI DISPIACE."

"La prossima volta rispondimi subito. Oggi rimani chiuso in camera e scordati la cena."

"PERCHÉ." il ragazzo diede un pugno alla porta. "COSA TI HO FATTO. PERCHÉ FAI QUESTO. RISPONDIMI."

L'unico suono che sentì furono i suoi passi allontanarsi.

"Perché." cadde sulle ginocchia. "Perché mi odi...perché..." ormai non aveva il controllo delle sue lacrime. "Perché..."

Mise l'avambraccio sulla porta e poggiò sopra di esso la fronte. "Aiutatemi...vi prego...non state zitti...perché sapete e non parlate..."

Guardò la finestra e tese debolmente una mano tremante verso di essa, per poi ritirarla "Non posso...non posso. Se chiedo aiuto mi ammazza."

Si mise con la schiena sulla porta. 'Se devo vivere, non devo parlare...non...' le lacrime aumentarono. 'Non...' affondò la testa sulle ginocchia.

'Aiutatemi...'








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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


La professoressa D'Amico era in piedi, davanti ai ragazzi seduti sulle sedie dell'aula magna.

"Spero che in questi giorni abbiate fatto amicizia!" disse con tono felice. "Oggi decideremo che opera fare prima della fine dell'anno. Alcuni di voi sono al quinto anno, perciò ho preferito mettere la rappresentazione tra marzo e aprile. Ovviamente le cose porrebbero cambiare."

Mentre parlava, Rebecca si era girata verso Julie che era accanto a lei.

"Ma perché oggi Orlando non è venuto?" le chiese.

"Non lo so." disse Julie. "Manca da due giorni tipo." sospirò.

"Tu lo conosci, no? Sai se ha fatto così altre volte?" chiese Rebecca.

L'altra ragazza scosse la testa in segno di negazione. "No, è la prima volta. So che l'anno scorso frequentava un'altra scuola prima di venire qui."

Michele, che stava ascoltando, le fece una domanda. "E perché si è trasferito?"

"Non lo ha mai detto. Però uno dei miei compagni di classe sembra conoscerlo bene. Proverò a chiederglielo." rispose lei. "Spero solo che verrà sabato sera."

"Chi di voi a qualche idea per l'opera da fare?" la voce della professoressa li riportò a riascoltarla nuovamente.

Intanto, ad alcuni metri dalla scuola, due ragazzi erano seduti su una delle sedie del bar di fronte ad essa.

"Tutto apposto? Sono due giorni che manchi."

Orlando stava picchiettando l'indice sul tavolo, mentre stava cercando d'inventarsi di nuovo una scusa.

"Non mi sentivo bene." disse di fretta.

"Non dire cazzate." Ammar incrociò le braccia. "Non me la bevo come la roba dei lividi dovuti al pugilato. Io faccio pugilato, eppure ho le braccia senza lividi." sospirò. "Non è che stai nascondendo qualcosa? Tanto lo so che Matteo è in combutta con te."

Orlando rimase in silenzio.

Ammar alzò gli occhi al cielo. "E va bene. Se non vuoi dirmi nulla non importa, tanto sono abituato alle persone che mi nascondono le cose."

"Ammar, io non posso dirti nulla..."

"E perché no!?"

Orlando strinse la mano a pugno.

"E io che pensavo che fossi diverso." Ammar si alzò e andò via.

Il ragazzo voleva fermarlo, ma non riusciva a dire nulla.

Si strinse tra le braccia, rimanendo da solo in quel tavolo.

Intanto, Ammar si era diretto alla fermata dell'autobus, quando incontrò una faccia familiare.

"Ma non devi studiare?" Demian ridacchiò. "Dai, scherzavo."

Il ragazzo sorrise. "L'umorismo non le manca proprio, eh?"

"Dovrai sopportarmi per tre anni. Arrenditi." l'uomo notò che Ammar aveva una faccia delusa. "Tutto bene?"

Il giovane sospirò. "No. Solo che mi ricapitano cose che non volevo riaffrontare."

Prese fiato e iniziò a parlare. "Vede, da quando ho messo piede in questo paese, ho sempre avuto dei problemi. Il mio essere egiziano è sempre stato un coltello puntato alla gola." iniziò a grattarsi il dorso della mano. "Sento ancora gli sguardi schifati dei miei coetanei e dei loro genitori addosso."

Rimase in silenzio per qualche secondo. "Ho iniziato ad accumulare rabbia per quello che succedeva. Ho deciso di fare pugilato per sfogarmi, perché se fossi arrivato alle mani, non mi sarei mostrato migliore di loro."

"Sai, pure io ero nella tua stessa situazione." disse Demian. "Dall'asilo al liceo, venivo chiamato con i nomignoli peggiori. Sai il perché?"

Ammar scosse la testa.

"Perché ero tedesco. Quindi immagina il rompimento di palle quando c'era da studiare la seconda guerra mondiale." disse con fare annoiato.

"Ma come ha fatto a sopportare tutto questo?" chiese Ammar.

"Con almeno..." iniziò a pensare. "Un numero indeterminato di richiami ai miei compagni e pazienza." poi gli venne in mente una cosa. "Oh, sai cosa è successo ad alcuni dei miei compagni?"

"Cosa?"

"Il novantatre per cento di loro ha avuto una vita pessima." fece spallucce. "Alla fine i bulli fanno questa fine, prima o poi. Ah, e il resto di loro ha cambiato mentalità e ora sono persone migliori."

"Chissà se anche loro cambieranno mentalità." disse Ammar.

"Chi?"

"Orlando e Matteo. Ho l'impressione che stiano facendo come gli altri." rispose lui.

"Non credo. Non mi sembrano quel tipo di persona, poi non lo so." fece Demian.

"Poi le scuse che s'inventano."

Il professore alzò un sopracciglio. "Che scuse?"

"Per dei lividi sulle braccia, e i due li giustificano col pugilato."

"Aspetta." Demian assunse un tono serio. "Chi dei due hai i lividi?"

"Orlando." Ammar era rimasto sorpreso dal tono di voce del suo professore.

"Adesso dov'è?"

"Al bar che c'è davanti alla scuola."

"Grazie." andò verso il bar, lasciando Ammar indietro.

Quest'ultimo lo seguì. "Ma che sta succedendo?"

Quando arrivarono, il tavolo su cui c'erano i due ragazzi era vuoto.

"Professore, che sta succedendo?" Ammar iniziò a preoccuparsi.

"Succede che se non facciamo qualcosa, Orlando non arriva alla fine dell'anno."

------

"Rebecca, tutto bene?"

Le due erano in bagno per via di alcuni problemi fisiologici.

"Porca Cinder, perché non ci sono i distributori di assorbenti a scuola!?"

"Ne ho qualcuno con me, se vuoi."disse Julie, che si trovava fuori dalla porta.

"Grazie. Non so perché ma al quarto giorno ho il sangue che sembra lo Stige in piena."

"Io ho direttamente l'Etna." Mentre lo diceva, Julie aprì di poco la porta e le passò un assorbente che si era portata dietro.

Dopo alcuni secondi, Rebecca uscì e le due si diressero verso l'aula magna.

Dopo l'incontro, Julie si era diretta alla fermata dell'autobus e una volta arrivata, incontrò qualcuno.

"Orlando? Che ci fai qui?"








 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


"Orlando? Che ci fai qui?"

Il ragazzo dai capelli neri sobbalzò nel vedere la sua compagna di classe.

"Volevo andare a teatro, ma non ne avevo voglia." disse con un sospiro.

"E per i giorni in cui sei mancato?" chiese lei.

"Stesso motivo del teatro."

"Capisco." Si sedette sulla panchina che stava alla fermata. "Oggi a teatro abbiamo provato a decidere che opera fare, senza successo. Sarà per la prossima volta."

"Oh..."

"Dopodomani c'è compito d'inglese e lunedì inizia l'alternanza." disse la ragazza. "Almeno potrò cazzeggiare dopodomani sera con te e gli altri."

Il ragazzo strinse le mani sulle ginocchia. 'Ho dimenticato di studiare inglese...'

"Ehi, stai bene?" chiese lei.

"Si, ho solo freddo." rispose il ragazzo.

"Io invece ho fame." replicò Julie.

In quel momento, arrivò l'autobus. La ragazza si alzò e guardò Orlando con un sorriso. "Andiamo insieme?"

Lui la guardò per poi alzarsi. "Va bene."

Per qualche strano motivo, Orlando sentì meno freddo rispetto a prima.

Dopo che i due convalidarono il biglietto, si sedettero su due posti vuoti. Fortunatamente l'autobus non era pieno.

"Tu dove scendi? Io alla fermata prima del capolinea." chiese Julie.

"Al capolinea." rispose lui.

"Capito. Allora, che mi racconti?"

"Ehm...nulla."

"Peccato. Se vuoi ti racconto un pò di cose io." gli disse sorridendo.

"Se vuoi."

"Allora...uhm...tu hai detto di avere una sorella maggiore, giusto? Tanto per curiosità, dove si trova?"

"A Ottawa. Se n'è andata quattro anni fa da casa." fece lui.

"Io invece ho un fratello minore che abita ancora a casa mia. E i tuoi genitori che lavoro fanno?"

"Mio papà lavora in un ristorante, mentre la mia matrigna ne sta cercando uno." rispose lui.

"Mio padre lavora al bar mentre mamma fa la commessa e nel frattempo sta cercando un altro lavoro che dia un pò più di paga." disse Julie. "Altra domanda, hai animali domestici?"

"No, però c'è una gatta domestica che s'intrufola sempre in camera mia." sorrise. "Le piaci farsi coccolare da me."

"La mia famiglia ha un animale domestico che è un pò il nostro stemma." rise. "Non so come spiegarlo meglio."

"Che animale è?" chiese lui.

"Una tartaruga di terra di centosedici anni." disse lei. "Sta nel giardino di mia nonna dove ha più spazio. Fa giardinaggio senza farsi pagare."

Orlando si mise a ridere. "Immagino."

"Posso venire a casa tua a coccolare quella gatta? Ti prego."

Lui scosse la testa. "Meglio di no."

Julie inclinò la testa di lato. "Perché?"

"Non voglio parlarne..."

"Capito." pensò per qualche secondo. "Tu con che voto sei uscito dalle medie?"

"Con sette, e tu?"

"Nove."

"Sai, a mio papà non piace che io faccia attività non scolastiche. Dice che mi deconcentrano dallo studio. Io però volevo fare teatro perché ho letto che può essere utile a combattere la timidezza." disse Orlando. "Ho chiesto al professor Kraus di coprirmi per questa cosa."

Julie ridacchiò. "Non so perché, ma adoro questa trovata."

"Tu perché stai facendo teatro?"

"Quasi per il tuo stesso motivo." replicò lei. "L'unica amica che ho al momento è Anna, perciò ho pensato di allargare la mia cerchia d'amici. E poi mi piace il teatro in generale."

Il ragazzo rimase ad ascoltare la sua spiegazione.

Non faceva altro che pensare a quanto fosse ammirevole la sua personalità.

"Che musica ascolti?" fece lei.

"Ehm...non ne ascolto molta...e tu?"

"Neanch'io me ne ascolto tanta." ammise Julie.

'Anche se mi sparo Gackpoid, Kaito, i Kagamine e V Flower come se non ci fosse un domani.'

La ragazza notò che mancava poco alla sua fermata.

"Tra poco scendo. Domani vieni a scuola?" chiese lei.

"Si." rispose Orlando.

Quando l'autobus si fermò, Julie si alzò e guardò il ragazzo, e lo salutò con un sorriso.

Dopo che scese, il ragazzo rimase in sovrappensiero.

Non aveva mai parlato con qualcun'altro che non fosse al di fuori di Matteo-per questo aveva difficoltà a parlare con Yuki, Ammar, Michele e Rebecca-

'A essere sincero...' il ragazzo sorrise. 'Non è stato così male parlare con lei.'














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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Mancava un quarto d'ora alla fine del compito in classe d'inglese e alcuni avevano già finito, mentre Julie era rimasta ferma a causa di alcuni esercizi.

Dopo aver provato a ragionarci, si arrese e consegnò il foglio, aveva già fatto la maggior parte degli esercizi, almeno avrebbe preso sette oppure otto.

Alla fine dell'ora di religione, Julie poteva rilassarsi col suo panino e con una boccata d'aria fresca in cortile insieme ad Anna.

"Ci sei andata all'ospedale in questi giorni?" chiese la castana alla bionda.

"No." rispose lei. "Non ne ho avuto tempo."

"Neanch'io." disse Julie. "Ma spero di poterci andare sabato prossimo."

"A proposito di sabato, oggi a che ora devo prelevarti?" domandò Anna.

"Verso le...diciannove meno un quarto?"

Intanto, in uno dei corridoi quasi affollati della scuola, Rebecca e Michele stavano parlando fra di loro.

Per la precisione, Rebecca si lamentava e Michele doveva ascoltarla.

"Ueee, è la prima volta che esco da quando è iniziato l'anno scolastico." disse la ragazza.

"Se è per questo, anche per me." disse lui.

"E spero che le amiche di Julie non mi scambino per una bambina. Sono troppo diversamente alta." aggiunse Rebecca.

"Ti consola il fatto che sei cresciuta di almeno due centimetri?" chiese Michele.

Rebecca lo guardò incrociando le braccia. "No, voglio essere più alta e con un pò di tette in più. Non voglio sembrare una loli."

"Sei già loli di tuo." disse il ragazzo.

Rebecca lo guardò confusa. "In che senso?"

"Nel senso che Irene è più matura di te."

La castana capì cosa voleva dire e provò a tirargli le guance, senza successo perché Michele la stava tenendo per la fronte, mentre Rebecca agitava le braccia inutilmente.

Il ragazzo ridacchiò. "Ferma, bambina."

La castana si lamentò. "Brutto cuozzo, mollami la fronte."

Michele la guardò stranito. "Da quando parli napoletano?"

"Perché posso." disse Rebecca.

Nel frattempo, Ammar e Matteo erano seduti sulle scale che portavano al secondo piano.

"Aspetta, aspetta. Chi te l'ha detta sta cosa?" chiese il biondo.

Ammar sospirò. "Ho capito tutto da solo. Ma non capisco..." guardò Matteo. "Perché non ha detto nulla?"

Matteo si morse un labbro. "Ha paura che suo padre lo ammazzi se prova a dire qualcosa. E io non posso fare nulla."

"Perché?" chiese l'altro.

"Ho la fedina penale sporca, ecco perché." mentre lo disse, sembrava che avesse il tono di voce alterato.

Ammar scosse lievemente la testa. "Cos'hai fatto?"

"Niente. Assolutamente niente. È stato quel figlio di troia di suo padre a incastrarmi." strinse le mani a pugno. "Non gli andava a genio che fossi suo amico e mi ha accusato di furto."

"Ma...non potevi difenderti?"

"Sai, quando la polizia trova una semiautomatica carica nel tuo zaino con le tue impronte non puoi fare molto." sospirò. "Vedi, quel giorno ero andato a casa di Orlando per fare i compiti e ho trovato la pistola dentro un cassetto mentre curiosavo. Mentre la maneggiavo, mi era venuto il dubbio che fosse carica e così l'ho rimessa al suo posto. Suo padre mi aveva beccato e mi aveva anche fatto la ramanzina."

"E poi?"

"Ho fatto i compiti con Orlando e mi è scappata una parola di troppo."

Ammar non capì cosa volesse dire.

Matteo sospirò. "I miei nonni non sono italiani, ma rumeni. Il resto puoi immaginarlo..."

"Ti ha incastrato solo per quello!?"

"A quanto pare non gli andava a genio che uno come me, che ha origini rumene, fosse amico di suo figlio."

"Ma è una puttanata! Che hanno fatto i tuoi?"

Il biondo sospirò. "Sapevano che non ero quel tipo di persona, ma non sono riusciti a dimostrare la mia innocenza, e mi hanno detto di non avvicinarmi più a Orlando." sospirò. "Odio tutto questo."

Guardò Ammar. "Da quel giorno, fui malvisto da tutto, ma ho sempre sostenuto Orlando, perché sapevo che non era come suo padre. Ho saputo degli abusi che subisce solo quest'anno."

"Dobbiamo dirlo alla polizia, non possiamo starcene zitti." si lamentò Ammar.

"E credi che ci ascolterebbero? Siamo già fottuti in partenza." disse Matteo.

"Che vuoi dire?" chiese il ragazzo.

"Bhe, non siamo del tutto italiani, e questo paese pullula di xenofobia. Non hanno ascoltato me, figurati te." Matteo si alzò. "Non possiamo fare niente. Io ci ho provato, e non è successo nulla." andò via, lasciando Ammar da solo.

-----

Quella sera, Anna era arrivata in anticipo a casa di Julie per decidere che vestiti indossare.

La bionda aveva in mano una gonna. "Perché non ti metti una gonna? Ti starà bene."

"Solo se metto i miei fantastici leggings." disse Julie.

Anna sospirò. Quando si parlava di vestiti per il sabato sera, la sua amica optava sempre per i leggings.

Alla fine, la castana si mise la gonna rossa con i leggings neri, gli stivali senza tacco del medesimo colore, un maglione bordeaux e il cappotto nero.

Dopo aver preso la borsa e la sciarpa, le due si diressero alla porta d'ingesso.

I genitori di Julie si trovavano lì.

"State bene tutte e due." disse il padre.

"Ricordatevi di stare vicine ai vostri amici e di non perdervi." aggiunse la madre.

Julie si lamentò. "Mamma, abbiamo sedici anni."

Nel frattempo, al luogo dell'incontro, c'erano già due persone ed erano sedute sulle scale che circondavano la fontana.

"Tutto bene?"

Orlando guardò Yuki con la coda dell'occhio. "Non esco spesso, tutto qui."

La ragazza si voltò verso la fontana che raffigurava un elefante fatto di pietra.

'Non prenderò mai sul serio questa fontana.' pensò lei.

Il ragazzo teneva lo sguardo basso, mentre aspettava gli altri insieme a Yuki.

Dopo un quarto d'ora, videro una ragazza castana correre verso di loro.

Era Rebecca.

"Ehiii."

Orlando fu il primo a salutarla "Oh...ciao Rebecca."

La castana gli sorrise. "Ciao, Orly."

Yuki si mise a ridere, mentre il ragazzo arrossì.

"Dai, non chiamarmi così." disse lui.

"Invece...si."

"Sei la sua fidanzata?" chiese Yuki.

"No, sono solo una ragazza che da nomignoli alle persone perché le va." sorrise. "Sono Rebecca, e tu?"

"Yuki, sono una sua compagna di classe." disse lei.

La castana si mise vicino a Yuki, e sentì un brivido quando si sedette. "Ste scale mi hanno gelato il culo, che bello."

Notò con suo dispiacere che Yuki era un pò più alta di Orlando.

'Mai una gioia.'

Si mise a parlare con Yuki, finché non vide un ragazzo che conosceva bene, così si alzò e lo salutò con la mano.

Michele la vide e si diresse verso di lei.

Nel frattempo, Anna stava cercando un posto per parcheggiare la macchina.

"Catania è la città peggiore per cercare posto. Sarebbe bello parcheggiare le macchine in cielo." disse Julie.

"Dai, stai tranquilla che lo troviamo." fece Anna.

Dopo una decina di minuti, la bionda parcheggiò la macchina.

Scesero e, dopo aver chiuso il veicolo, si diressero verso la piazza in cui dovevano incontrare i loro amici.

















 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


"EHIII!"

La voce di Julie non fu abbastanza forte da propagarsi per tutta la piazza, ma attirò l'attenzione dei quattro ragazzi che stavano aspettando lei e Anna.

Yuki fu la prima a salutare le due, e poi fu il turno degli altri.

"Allora...dove andiamo?" chiese la bionda.

"Avevamo pensato di andare alla villa, ma volevamo sentire anche le vostre opinioni." disse Michele.

"Potrebbe essere una buona idea, e poi potremo andare a mangiare qualcosa in pizzeria." fece Julie.

Yuki si mise un dito sotto il mento."Avete i soldi, vero?"

"Ovvio!" Rebecca gonfiò le guance. "Io non rifiuto mai il cibo."

Lei e Julie si diedero il cinque.

Mentre si dirigevano verso la prima tappa, Michele e Rebecca ebbero modo di parlare un pò con Anna e Yuki.

"Dopo il caso di Junko Furuta, i miei genitori cambiarono paese per evitare che la loro futura figlia facesse una fine simile. Non vogliono più tornare in Giappone permanentemente. Ci vanno solo in Agosto insieme a me, ma restiamo solo cinque giorni e basta." spiegò Yuki.

Fu il turno di Anna."Beh, io sono sempre stata qui a Catania."

"Io e Rebecca ci conosciamo dalle medie. Abbiamo fatto quasi tutti e tre gli anni insieme, ma visto che ho un anno in più di lei, l'ho rivista quando ero al secondo anno." disse Michele.

"Tanto ci sentiamo dopo scuola." aggiunse Rebecca.

Julie era accanto a loro e li stava ascoltando, mentre Orlando era poco più indietro rispetto a lei.

La ragazza se ne accorse. "Tutto bene?"

Il ragazzo scosse la testa. "Mi fa un pò male la testa, sarà il freddo."

"Dai che ti riscaldi col cibo." disse lei, sorridendo. "Dicono che sia più buono se si mangia in compagnia."

Lui abbassò lo sguardo. "Già..."

Julie guardò il cielo. "Peccato che non c'è la neve. L'ultima volta che l'ho vista cadere avevo...sette anni credo? Vabbè, tanto c'è l'Etna da cui posso prendere la neve abusivamente."

Orlando abbozzò un sorriso.

Michele ogni tanto gli dava un'occhiata, solo per capire se fosse davvero quello che pensava. Era combattuto se dirglielo direttamente o meno.

Intanto, i sei erano arrivati a destinazione e andarono a sedersi sulle panchine che si trovavano all'interno della villa.

"Ma perché le panchine stanno a trenta metri dall'entrata?" si lamentò Rebecca.

Anna fece spallucce. "Probabilmente si sono dimenticati che esiste."

Julie, intanto, aveva notato che Orlando non aveva la sciarpa.
"Non senti freddo con solo il colletto della camicia?" chiese.

Il ragazzo cercò di alzare la zip del giubbotto fino al collo. "Non è un problema, tranquilla."

La ragazza prese la sciarpa che indossava e gliela mise intorno al collo. "Ecco fatto!" disse soddisfatta.

Orlando rimase un pò senza parole. "Non era necessario...davvero." disse in seguito.

Yuki si era avvicinata ai due. "Credevo che quella sciarpa fosse sacra per te."

"Ho un'anta di sciarpe a casa, quindi potrei regalarle a chiunque. Ma mia mamma si metterebbe a farmi la ramanzina." sospirò.

"Mi sono resa conto che tra qualche mese sareme nel duemilasedici." disse Anna.

"Quelli della Nuova Zelanda si godranno i fuochi d'artificio per primi. Sarebbe figo vivere lì, così ci si può vantare di aver festeggiato l'anno nuovo su Instagram." fece Julie.

"A me il rumore dei fuochi d'artificio da fastidio." disse Yuki. "Specialmente quando sono vicina a loro."

"E tu?" Rebecca guardò Orlando. "L'anno nuovo lo festeggi a casa o fuori."

Il ragazzo abbassò di poco lo sguardo. "A casa."

"Ti senti bene?" chiese Michele.

"Ho giusto un pò di fame." rispose.

"Allora andiamo a mangiare!" Julie si alzò. "Se ci sbrighiamo, troviamo posto."

I sei ragazzi passarono il resto della serata in pizzeria, tra aneddoti e battute.

Orlando si sentiva un pò a disagio. Molto raramente gli capitava di uscire con qualcuno che non era Matteo.

Controllava di continuo l'orologio digitale sul cellulare, poiché suo padre gli aveva detto di rientrare entro una certa ora.

Era come se qualcuno lo tenesse sotto tiro, e se avrebbe fatto qualcosa di sbagliato, ne avrebbe pagato le conseguenze.

Prima si chiedeva come avesse fatto sua mamma ad amare un uomo come lui.

Era da quando lei era morta a causa di un ictus, quando Orlando aveva solo otto anni, che quell'uomo aveva dimostrato com'era davvero.

Crescendo, si era reso conto di una cosa. Lui era sempre stato così, ma quando se n'era reso conto, era ormai troppo tardi.

Sua sorella e sua mamma erano le uniche a conoscenza della sua passione di vestirsi del sesso opposto quando era piccolo, e qualche volta gli facevano provare i loro vestiti.

Ma lui non era per niente d'accordo con questa cosa. Diceva che sarebbe diventato 'trans o peggio.'

Da quando Sonia, la sorella, era scappata via, suo padre aveva iniziato a etichettarla come codarda e che non aveva le palle per affrontare la vita.

Orlando voleva urlargli in faccia che se Sonia era andata via tre anni fa, non era perché era una codarda, ma perché sapeva che in bastardo come lui non avrebbe mai accettato il fatto che lei fosse lesbica.

I suoi pensieri furono interrotti da Anna, che lo aveva notato con la testa fra le nuvole.

"Ti sei scottato la lingua?" chiese.

"E-ehm." scosse la testa. "Stavo pensando al compito d'inglese. Tutto qua."

Dopo essere usciti, se ne tornarono al duomo, dove si trovava il loro punto d'incontro.

Durante il tragitto, avevano chiamato i loro genitori, mentre Julie aveva detto ai suoi che Anna l'avrebbe accompagnata.

Dopo che Michele, Rebecca e Yuki se ne andarono, non prima di essere abbracciati da Julie, rimasero solo in tre.

"Vuoi che ti dia un passaggio?" chiese la bionda al ragazzo.

Non aveva scelta, l'orario del coprifuoco era ormai agli sgoccioli.

"Meglio. Non voglio sentirmi le urla di papà." lo disse con amarezza.

"Ti capisco. I miei si preoccupano quando faccio tardi." si grattò la testa. "Il fatto è che mi dimentico di chiamarli."

"Ecco perché ti faccio da promemoria." disse Anna.

Julie l'abbracciò. "Ecco perché sei la mia bionda preferita."

Anna si mise a ridere. "Meeeeh. Esagerata."

La castana sciolse l'abbraccio e si diresse verso Orlando.

"Senti."

La guardò e, in due secondi, si ritrovò stretto tra le sue braccia.

"Se non abbraccio i miei amici non sono felice. Tu sei mio amico, perciò lo faccio."

Il ragazzo la guardò stupito. "Davvero?"

"Si. E se mi dici il contrario, ti stringo di più."

Lui rimase senza fare niente per qualche secondo, per poi ricambiare l'abbraccio.

Anna notò che Orlando aveva uno sguardo assente, quasi demoralizzato.

Quando i due sciolsero l'abbraccio, Julie ne approfittò per riprendersi la sciarpa.

"Sei triste per la sciarpa?" gli sorrise. "Se sapessi cucire, tu e Anna sareste i primi ad averne una."

I tre andarono verso la macchina di Anna e, dopo essere saliti, Orlando le fornì indicazioni su dove fosse casa sua.

Dopo che scese dalla macchina, il ragazzo entrò dalla porta principale e salutò le due ragazze.

Quando bussò alla porta, sentì dei passi provenire da dietro di essa. Erano quelli di Aurora.

La donna aprì, era in pigiama e con i capelli scompigliati.

"Finalmente, mi chiedevo che fine avessi fatto." sbadigliò. "Sei arrivato con cinque minuti d'anticipo e ti sei risparmiato le lagne di quello là."

Orlando deglutì ed entrò.

Dopo essersi diseso sul letto, pensò a quella sera.

Julie era stata così gentile con lui.

Non era abituato a tutto quell'affetto, sentirlo tutto in una volta era strano.

Un sorriso si creò nel suo volto e i suoi occhi si riempirono di felicità.

"Spero di rivederla la settimana prossima."






 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


"Papà, dov'è mamma?"

Julie si era svegliata da poco ed era andata a fare colazione, quando si era accorta che sua mamma non c'era.

Dop aver dato il buongiorno a suo papà, chiese di lei.

"È andata ad accompagnare Harry da un suo amico e poi è andata al lavoro."

Accadeva, spesso la domenica, che Harry andasse a casa di un suo amico per giocare o pranzare.

I due avevano sei anni di differenza, ed era giusto un pò più movimentato rispetto alla sorella.

Quando andava lui dai suoi amici, Juile si sentiva in pace con sé stessa.

Quando la ragazza finì di fare colazione, si lavò e si mise i suoi vestiti per stare in casa.

Dopo, si sedette sul divano e cercò qualcosa da guardare.

Suo padre si sedette accanto a lei.

"Oggi non lavori?" chiese Julie.

"No, oggi giorno libero." rispose l'uomo.

Julie fece una faccia delusa."Quindi niente tavola calda per pranzo?"

"No. Oggi dieta." scherzò lui.

La ragazza sbuffò.

Dopo una cinquantina di minuti impegnati a guardare e commentare un episodio di una serie TV, il padre di Julie le fece una domanda.

"Vuoi cucinare qualcosa?" l'uomo.

Mancava un quarto d'ora e sua mamma sarebbe rientrata a casa dal lavoro.

Julie ci pensò per un attimo. "Che cosa possiamo fare?"

"Che ne dici di una bella spaghettata con cacio e pepe?"

La ragazza scattò in piedi. "Subito!"

Se c'era una cosa che suo padre aveva imparato per farle fare qualcosa, era quello di promettere qualcosa che le piaceva quando finiva di fare un'attività legata a essa, come in questo caso.

I genitori di Julie alternavano i turni di chi doveva cucinare. Se uno arrivava prima, doveva cucinare.

Questo comprendeva sia il pranzo che la cena.

Mentre preparavano, Julie rimase in sovrappensiero per un pò.

"Domani inizia l'alternanza scuola-lavoro, sarà solo un incontro, ma almeno saprò che cosa dovrò fare." disse la ragazza.

"Visto che sei all' opzione scienze applicate, potrebbero...bho, assumerti per controllare qualche laboratorio." assunse lui.

Mentre mescolava gli spaghetti, Julie rispose con "Chissà."

Dopo qualche secondo, riprese a parlare.

"Papà, quando potrò andare all'ospedale? È da quando è iniziato l'anno scolastico che non ci vado."

"Se avessi del tempo libero, ti ci porterei." rispose mentre tostava il pepe.

"È che non voglio che stia da sola per troppo tempo." sospirò. "E ho anche il quadro da darle."

"A proposito, non ne stai facendo più."

"Ho un blocco artistico. Non posso lavorare con un blocco artistico."

Alla ragazza venne in mente una cosa. "Ora che ci penso, non facciamo una partita a scacchi da mesi. Ti va di farne una dopo pranzo?"

L'uomo apparovò e, dopo alcuni secondi, si sentì il citofono suonare.

Julie vide che era sua mamma e le aprì.

"Ciao, mamma! Ti abbiamo fatto una sorpresa!"

Quando la donna sentì l'odore del pepe tostato misto al vapore della pasta appena scolata e ai formaggi fusi, capì di cosa parlava.

"E si sente!"

---

Dopo aver pranzato, Julie i suoi genitori avevano sparecchiato la tavola.

La ragazza prese la scacchiera e iniziò a mettere in ordine i pezzi degli scacchi.

"Vi posso fare qualche foto?" chiese la donna.

"Certo." disse Julie.

Dopo che lei e suo padre si misero ai loro posti, la madre prese il suo cellulare e iniziò a fare un paio di foto.

"Inizi tu?" fece lei.

Suo padre non perse tempo e mosse un pedone bianco di una casella.

Julie fece la stessa cosa ma con un altro pedone.

L'uomo mosse un altro pedone, ma stavolta Julie decise di far muovere di due caselle uno dei pedoni che non aveva ancora usato.

La partita continuò e Julie perse sei pedoni, una torre e un cavallo, mentre suo padre perse tre pedoni e una torre.

Alla fine, nella scacchiera rimasero i due re e le rispettive regine e alfieri e, dopo due minuti, il padre vinse la partita prendendo l'ultimo alfiere rimasto a Julie e facendo scacco matto al suo re.

"Uff."

"Sei un pò arrugginita o sbaglio?" chiee lui, divertito.

"Giusto un pò."

Rimisero a posto la scacchiera e poi Julie guardò sua mamma.

"Come sono venute le foto?"

"Alcune sono venute sfocate e le ho tolte, ma per il resto sono venute bene." disse lei.

"Posso farti una domanda?" domandò Julie.

"Certo."

"Tu e papà a che età vi siete fidanzati?"

"A vent'anni." rispose la donna.

"E...prima ne avete avuti altri? Di fidanzati intendo."

"Io ho avuto tre fidanzate prima di lei." disse l'uomo.

"Io invece due fidanzati prima di tuo papà."

"Questa domanda è stata fatta solo per scopi informativi e personali." puntualizzò la ragazza.

"Per caso ti piace qualcuno?" chiese il padre.

"Non è una cotta o altro, diciamo che un interesse verso un compagno di classe. Sapete, è venuto quest'anno e sembra spaesato dalla nuova classe. Ieri sono uscita con lui insieme ad Anna ed altri." prese un respiro. "E non so se quest'interesse sia amicizia o altro."

"Bhe, l'amicizia e l'amore sono due cose totalmente diverse. Probabilmente vuoi solo essergli amica e basta." disse sua madre. "L'amore viene dopo che hai saldato un rapporto con una persona."

"Poi vedi tu." disse l'uomo.

Julie sospirò. 'Orlando mi fa venire i complessi esistenziali.'

"Ma sei sicura che non sia per quella cosa che vuoi essergli amica?" continuò lui.

"No, papà." sospirò. "Non è una cosa che voglio fare per riparare tutto."

Ci pensò un attimo.

Perché voleva essere sua amica?

Per la sua persona, o per riparare una vecchia ferita?


















 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


×Nel capitolo sono presenti argomenti delicati, quali abusi domestici, menzione del suicidio e un crollo mentale abbastanza pesante×




























Dopo un discorso su cos'era l'alternanza scuola-lavoro e che cosa avrebbero fatto gli studenti del triennio, alle classi furono dati diverse attività da svolgere durante l'anno scolastico.

A Julie e alla sua classe fu dato il compito di aiutare gli studenti del biennio in alcune materie, una specie di doposcuola.

Era il primo incontro perciò non si era fatto niente, a parte ascoltare.

Matteo si era stiracchiato quando gli studenti stavano lasciando l'aula magna.

"Sarà una rottura di palle." commentò.

Orlando fece spallucce. "Almeno non poltrisci il pomeriggio."

"Sembri mia mamma." disse il biondo dagli occhi castani.

Lui ridacchiò, mentre una ragazza si era seduta accanto a lui.

"Yo."

Orlando riconobbe la voce di Rebecca.

Matteo la notò. "E lei chi è?"

Lei rispose. "Una ragazza di passaggio."

Il biondo si avvicinò all'orecchio del suo amico. "Sembra una bambina."

Sfortunatamente, Rebecca capì immediatamente di cosa stava parlando. Si alzò e tirò un orecchio a Matteo.

"AHI!"

"Cuozzo." Era abbastanza arrabbiata. "Ho la sua stessa età." disse, indicando Orlando con la testa.

"Va bene! Scusa!"

Julie notò la piccola discussione che i due stavano avendo.

"Mi sa che Matteo ha detto la parola proibita." disse ad Anna.

"Dobbiamo intervenire?" chiese la bionda.

"Ci penso io."

Julie andò verso i tre. "Rebecca, gli avrai già ucciso l'orecchio."

"E vabbe." mollò la presa.

La castana più alta sorrise a Orlando. "Oggi sei di buon umore o sbaglio?"

Il ragazzo si grattò la testa imbarazzato. "È da domenica che sto così e non so il motivo."

In realtà lo sapeva, ma preferì non dirlo.

"Sono contenta per te." commentò lei con sorriso. "Ora devo andare, devo fare delle cose a casa." mentre si stava avviando verso l'uscita dell'aula magna con Anna, si voltò e lo salutò.

Rebecca controllò il cellulare, vedendo che tra poco suo padre sarebbe venuto a prenderla.

"Devo andare. Mio papà arriva tra qualche minuto." prese lo zaino e andò via, salutando Orlando e ignorando Matteo.

Il biondo poggiò i gomiti sul bracciolo della sedia su cui era seduto e unì le mani, mettendo il mento sopra di esse.

Orlando lo guardò stranito.

Matteo fece un sorrisetto. "Rimorchi e non me lo dici?"

Il ragazzo fu preso dall'imbarazzo. "Non è c-che sto rimorchiando, è che ecco, l'altra sera sono uscito con lei e i suoi amici e niente, ecco."

L'altro si mise a ridere. "Dai, sto scherzando."

Orlando voleva affondare nel colletto del suo maglione.

Intanto, Julie si era diretta alla fermata dell'autobus, mentre Anna era andata verso la sua macchina.

Il cellulare di Julie squillò e, vedendo il nome 'Papàh' sullo schermo, rispose.

"Ciao, papà."

"Julie! Come va?"

"Tutto bene."

"Com'è andato l'incontro?"

Julie si mise delle ciocche di capelli dietro un orecchio. "È stato un pò noioso. Ci hanno assegnato l'attività di fare il doposcuola a quelli del biennio. Inizio questo mercoledì"

"Ohhh! Quindi farai la maestrina."

I due si misero a ridere.

"Comunque, domani pomeriggio posso accompagnarti all'ospedale." disse l'uomo.

"E per il lavoro?" le domandò la castana.

"Non preoccuparti. Almeno mi prendo un giorno di pausa in più oltre a qualche domenica." rispose.

"Capito." Julie vide l'autobus che si stava avvicinando. "Sta arrivando l'autobus, ci vediamo stasera."

I due si salutarono e la ragazza salì sull'autobus e chiamò sua mamma, per informarle che aveva preso il mezzo e si stava dirigendo a destinazione, ovvero una fermata prima del capolinea.

Domani, dopo il teatro, sarebbe andata all'ospedale a trovare un suo amico d'infanzia.

Nel frattempo, Orlando e Matteo erano rimasti in aula magna, che a sua volta era quasi del tutto vuota.

"Vabbe. Andiamo che qua se ne stanno andando tutti." Matteo si alzò, seguito dal suo amico.

"Oggi passo il resto della giornata da mia zia." disse Orlando.

"Figo. Almeno non vedi quello stronzo." commentò l'amico. "Per caso...tua zia lo sa?"

L'altro ragazzo scosse la testa in segno di negazione. "Ti ho già detto come andrà a finire."

L'amico roteò gli occhi. "Non puoi restare zitto per sempre." si mise davanti a lui e poggiò le mani sulle spalle. "Per favore...fai qualcosa."

Orlando scosse nuovamente la testa guardando in basso. "Non voglio. Ho troppa paura."

Matteo sospirò, abbracciandolo. "Ti prego..."

"Io ho paura di parlare." gli disse l'amico.

"Orlando, ti prego. Non voglio vederti sottoterra."

"Lui ha delle amicizie. Sarebbe tutto inutile."

Il biondo lo guardò, notando che era diventato un pò più pallido di quanto non lo era già.

"Matteo..." stava ansimando. "L'aria..."

"Andiamo in bagno."

Il biondo lo portò nel bagno dei maschi, che era collocato al piano terra, e aprì il lavandino.

Orlando si sciacquò la faccia, mentre il suo respiro si stava facendo un pò più regolare.

"Ti è passato?" gli domandò il biondo.

"Non ne avevo da un bel pò." disse lui, ancora con l'affanno.

Matteo gli mise una mano sulla spalla. "Vuoi che ti porti da bere?"

"No..."

Rimasero in silenzio per qualche secondo.

Orlando fece un sorriso amaro. "Certo che sono proprio patetico."

Matteo lo guardò confuso. "Non dire cazzate."

"Eddai, Matteo. So che lo pensi anche tu." si mise una mano in faccia. "Ammettilo."

Il biondo capì cosa gli stava succedendo. Gli prese nuovamente le spalle. "Ho detto, non dire cazzate."

"Ma è la verità. I-Insomma, sono uno schifo umano, un codardo."

"No." puntualizzò Matteo.

"Perché non lo ammetti e basta?" Le sue labbra iniziarono a tremare. "Perché non ammetti che faccio schifo?"

"Perché non fai schifo. Ecco perché."

Il ragazzo si mise le mani in testa. "Loro hanno ragione. Tutti hanno ragione. Sono uno schifo, una femminuccia, un codardo, un maniaco." Le gambe gli stavano per cedere. "Non dovevo esistere, dovevo morire insieme a mamma quando ero piccolo. Dovevo morire dissanguato tre anni fa."

Matteo perse un battito all'ultima frase.

"Cosa...hai fatto...tre anni fa?"

Il ragazzo si appoggiò al lavandino, poiché tra poco le sue gambe avrebbero ceduto. Iniziò ad ansimare, in preda alla sua crisi.

Ebbe un fastidio simile a un tremore, che partiva dall'estremità sternale della clavicola sinistra e si fermava sopra la seconda costola destra, formando un ellisse incompleta.

Sembrava che il suo subconscio gli volesse fare un brutto scherzo.

"Volevo...m-morire...così ho..." stava per cadere, ma Matteo lo prese, mettendo il braccio dell'amico sulla sua spalla.

"Perché l'hai fatto?..."

Orlando provò ad asciugarsi le lacrime, senza successo.

"Non ce la facevo più. Non ce la facevo più."

Il biondo lo prese per le spalle. "QUESTO NON È UN FOTTUTO MOTIVO PER SUICIDARSI."

"Tu non puoi capire...tu non puoi capire come ci si sente a sentire le persone che ti danno del trans senza neanche conoscerti. Non sai come ci sente a sentirti dire che sei una ragazzina solo perché sei più sensibile."

Afferrò Matteo per il colletto della camicia e lo guardò con gli occhi pieni di lacrime. Ormai non ce la faceva più.

"TU NON PUOI CAPIRE A COSA SI PROVA AD AVERE UN PADRE CHE PRETENDE CHE SUO FIGLIO SIA PERFETTO, CHE TI MASSACRA DI BOTTE SOLO PERCHÉ HAI PRESO UN'INSUFFICIENZA O SE PROVI A CONTRADDIRLO, CHE MINACCIA DI SPARARTI SE PROVI A DENUNCIARLO, CHE ALLONTANA I TUOI AMICI SOLO PERCHÉ NON GLI VANNO A GENIO. TU NON PUOI CAPIRE COME CI SI SENTE AD AVER PASSATO OTTO ANNI DELLA TUA VITA A SENTIRTI DIRE CHE METTERSI I VESTITI DA RAGAZZA FOSSE SCHIFOSO E DA FROCI." aveva la faccia rossa e gli mancava il fiato. "COME PUOI PRENDERE CHE IO DEBBA CONTINUARE A VIVERE CON TUTTO QUESTO!? IO SONO STANCO. PERCHÉ MI TRATTANO TUTTI COSÌ!? COS'HO FATTO DI MALE!?"

Poggiò la sua testa sulla spalla del biondo. "Perché...p-perché mi o-odiano..."

L'unica cosa che Matteo poteva fare fu abbracciarlo. "Non lo so, amico..."

"Io non ce la faccio...h-ho paura...ma q-qualunque scelta prenda...porta sempre a-alla morte..." nonostante stesse tremando, abbracciò Matteo. "Ho paura..."

Il biondo stava piangendo dal nervoso.

"Mi sta facendo uscire pazzo..." Orlando lo strinse di più.

Era come se un fil di ferro gli stesse stringendo il cuore.

Si sentiva solo, rinchiuso in una gabbia senza uno spiraglio di luce.

"Ehi! Che succede là dentro?"

Era la voce di un adulto, probabilmente aveva sentito il casino.

Matteo sciolse l'abbraccio, asciugandosi le lacrime. "Aspetta qui."

Andò ad aprire la porta, ritrovandosi davanti la figura di Demian. "Ah...è lei, prof...ha sentito tutto?"

L'uomo fece di si con la testa. "Posso entrare?"

Matteo annuì, mentre Orlando si era avviato verso di lui. "Matteo, chi-" si fermò riconoscendo Demian. "..."

"Ehi, non ti sta giudicando nessuno." disse il professore. "Posso avvicinarmi o...?"

"Faccia p-pure." disse Orlando.

Demian si avvicinò. "Non posso più tollerare questa situazione, non dopo quello che ho sentito." provò ad accarezzargli la testa, col risultato che il ragazzo, istintivamente, si coprì di scatto il volto con le mani.

"Calma, non voglio farti del male."

Orlando spostò le mani e guardò in basso, per poi abbracciare l'uomo.

Lui gli accarezzò la testa. "Sfogati. Tenere tutto dentro poi fa male."

Il ragazzo era ancora scosso dal crollo emotivo di poco fa.

"Oggi a casa non ci torni." disse Demian. "Non hai qualche parente?"

"Mia z-zia. Oggi mi viene a p-prendere lei."

"So che va contro la tua volontà e il resto, ma devo riferire tutto a lei. Non può continuare così." fece il professore.

"E se m-mi trova?"

"Tu non preoccuparti." disse Demian con fermezza. "Ci penso io."

Il ragazzo smise di piangere e guardò l'uomo.

"Ti senti meglio?" gli sorrise.

Orlando lo guardò inespressivo, per poi poggiare la testa sul suo petto.

"Un pò."

Matteo stava assistendo alla scena senza dire neanche una parola.

Orlando strinse l'uomo un pò di più. "Grazie, papà." rendendosi conto di ciò che disse, fu preso dall'imbarazzo. "Ehm...s-scusi..."

Demian sorrise e gli accarezzò nuovamente la testa. "Non importa."











-Angolo autrice-

Orlando non è omofobo. Era troppo distrutto per ragionare lucidamente.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Il giorno dopo, Orlando non era andato a scuola.

Era rimasto a casa di sua zia, anche lei ignara della situazione. Almeno, fino a quando non venne a sapere tutto.

Fu uno shock per lei quando trovò suo nipote stringerla in un abbraccio appena tre secondi dopo averlo visto correre verso di lei. Aveva uno sguardo terrorizzato e stava tremando dal nervosismo.

Quella stessa sera, il padre del ragazzo fu preso in custodia cautelare e la matrigna fu denunciata dalla scuola stessa insieme all'intero appartamento.

Dopo che gli agenti le avevano spiegato brevemente la situazione, una volta che arrivarono a casa sua, era rimasta letteralmente senza parole.

Sapeva che suo fratello era un idiota, ma non avrebbe mai immaginato che era in grado di fare qualcosa del genere.

Suo nipote aveva iniziato ad andare da lei quando lui frequentava il primo anno di liceo, quando era ritornata da Firenze.

Gli aveva detto che sapeva del fatto che adorava i vestiti, poiché ogni tanto guardava le bozze di quelli che doveva cucire.

Andava da lei per due motivi, il primo era che poteva stare in pace con sé stesso, il secondo era che poteva fare quello che voleva.

Suo padre si fidava della sorella, per questo glielo lasciava-ma solo quando lo diceva lui-

Dopo che gli agenti se ne andarono, era ormai passata l'ora di cena-né la zia né il nipote aveva mangiato-

Orlando non aveva fame ed era seduto sul letto ad abbracciare un panda di peluche.

Si mise sotto le coperte, voleva riposarsi e basta. Probabilmente non sarebbe andato a scuola il giorno dopo, ma non gli importava più di tanto.

La donna aprì di poco la porta. "Sei sveglio?"

Il ragazzo guardò la porta semiaperta. "Entra pure..."

Lei entrò e si sedette sul letto.

"Scusa."

Lo guardò confusa. "Che vuoi dire?"

Il ragazzo si mise di lato. "Avevo paura. Ecco perché non ti ho detto niente...perdonami."

La donna aveva uno sguardo sconsolato. "L'importante è che adesso sei al sicuro." rimase in silenzio per qualche secondo. "Domani devo accompagnarti dallo psicologo, così sapremo cosa fare."

Orlando si voltò per guardarla. "Zia...sono stanco."

La donna forzò un sorriso e lo abbracciò. "Per colazione ti preparo qualcosa di delizioso, va bene?"

Il ragazzo la guardò e fece un cenno con la testa. "Va bene."

Lei si alzò, diede la buonanotte al nipote e andò via dalla stanza, chiudendo la porta.

Si sedette sul divano, per riflettere su quello che era successo.

Ma c'era una cosa che era chiara nella sua mente, non avrebbe mai perdonato Davide, neanche se glielo chiedeva in ginocchio.

Intanto, Orlando stava cercando di dormire, senza successo.

Era stato separato da suo padre, ma non riusciva a scrollarsi l'ansia di dosso.

Strinse di più il peluche, nel tentativo di calmarsi.

Aveva sin da piccolo questo vizio, ogni volta che era ansioso doveva stringere qualcosa in mano o tra le braccia, e questo era uno di quei momenti.

Dopo qualche minuto, si addormentò.

Nel frattempo, Matteo aveva inviato un messaggio sul gruppo della classe.

Domani Orlando non viene.

Julie stava per chiedere il motivo, ma la risposta del biondo fu più veloce.

Non si sente bene.

Hai fatto la rima lol, fu la risposta di Yuki.

Julie posò il cellulare e si sdraiò sul letto. 'Non abbiamo ancora deciso l'opera da fare.'

Dopo qualche secondo, si alzò e mise il dispositivo in carica, per poi andare sotto le coperte. Menomale che i suoi dormivano, altrimenti l'avrebbero rimproverata per aver usato il cellulare alle dieci e mezza di sera.

Si addormentò, pensando alla giornata di domani.

----

La mattina seguente, il ragazzo si svegliò abbastanza riposato.

Non aveva voglia di abbandonare le coperte ma lo fece comunque, poiché sentiva i morsi della fame.

Andò in cucina, non trovando nessuno, eccetto un foglio sul tavolo.

Purtroppo mi hanno chiamata dal lavoro e non possiamo passare la mattinata insieme. Ti ho preparato un toast all'uovo perché so che ti piace, buona colazione :)
Quando finisci di provarti dei vestiti, rimettili apposto, ok? :)

Orlando sorrise e vide il toast sul piattino.

Mentre lo mangiava, controllò i messaggi che gli erano arrivati e vide quello che Matteo aveva scritto.

L'avrebbe ringraziato più tardi.

Dopo aver fatto colazione ed aver sparecchiato, si lavò e si mise dei vestiti più comodi.

Non aveva voglia di provare qualche abito elegante, l'avrebbe fatto più tardi.

Intanto, a scuola, Julie si stava facendo domande di vitale importanza.

Un esempio erano 'Perché Roy Mustang non esiste?' o 'Perché Shinji non entra nel robot?'

Sbagliò e si mise a guardare fuori dalla finestra. 'Belli i palazzi di fronte.' commentò mentalmente.

Dopo le lezioni, rimase a pranzare a scuola, per poi andare al gruppo teatrale.

"Oggi Orlando non c'è?" chiese Rebecca.

Julie scosse la testa. "No, non si sentiva bene."

Michele fece spallucce.

"Ah. Oggi esco qualche minuto prima, ho delle cose da fare." aggiunse lei.

Rebecca pensò per qualche secondo."È un ragazzo?"

"No, purtroppo. Anche se non mi sento ancora pronta per farlo." fece Julie.

Verso la fine del gruppo, Julie salutò i suoi amici e andò verso l'uscita della scuola.

Suo padre arrivò e, dopo che salì in macchina, andarono verso l'ospedale.

----

Era una zona dell'ospedale piuttosto silenziosa, quella in cui Orlando e sua zia stavano aspettando lo psicologo.

La sala d'attesa che avevano passato era abbastanza piena. Vi erano persone che aspettavano il proprio turno, mentre alcuni bambini giocavano a nascondino dopo essere sfuggiti dalla vigilanza dei genitori.

Il ragazzo era piuttosto agitato, poiché era la prima volta che andava da uno psicologo.

"Mi sento un pò nervoso." ammise.

"Su! Andrà tutto bene. Devi solo dirgli come stanno le cose." gli rispose la zia.

La porta davanti a loro si aprì, rivelando un uomo di mezza età dalla barba curata.

"Zanella?"

La donna, dopo le dovute presentazioni, invitò Orlando ad alzarsi.

Il ragazzo si alzò e salutò l'uomo.

"S-Salve."

Nel frattempo, in un'altra zona dell'ospedale, Julie si trovava in una stanza, dove vi era un solo paziente.

Era un ragazzo dai capelli corti e castano scuro, che era poco più basso di Juile.

Vicino a lui, c'erano dei macchinari di cui Julie non aveva ancora appreso i nomi. Di loro, conosceva soltanto l'elettrocardiogramma.

La ragazza era seduta su una sedia accanto al lettino d'ospedale.

"Neanche oggi vuoi svegliarti, Riccardo?" sospirò, amareggiata. "Non mi meraviglio. Dopotutto, siamo due teste di legno."













 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Credeva che l'uomo di mezza età che era uscito dalla porta per portarlo dentro la stanza fosse lo psicologo che lo avrebbe seguito, e invece non era così.

Era seduto davanti a un uomo che poteva avere quasi dieci anni in più del primo. Era quasi calvo e dei capelli bianchi gli coprivano le orecchie. Aveva un naso aquilino e degli occhi castani e indossava un camice bianco con sotto una camicia azzurra.

Si era presentato come Alberto Palumbo.

Quando il ragazzo aveva chiesto dell'altro, Alberto gli aveva detto che anche lui era uno psicologo, ma aveva un altro ragazzo di cui occuparsi.

"Sono stato informato della tua situazione, ma volevo che tu ne parlassi personalmente." disse l'uomo. "Lo so che sembra una tiritera inutile, ma sono qui per aiutarti. Ma prima, devi rispondere sinceramente a una domanda, vuoi essere davvero aiutato?"

Il ragazzo per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo basso e aveva le mani poggiate sul tavolo che separava i due.

"Si...non voglio più soffrire."

L'uomo sorrise. "Ottimo. Allora racconta, in modo che possa stabilire una terapia per te."

Orlando lo guardò. "Ma come faccio? Io non riesco a parlare dei miei problemi con nessuno."

"Fai finta di scrivere un testamento." disse l'uomo. "Con la differenza che sarà verbale e non scritto."

Il ragazzo si legò i capelli con un elastico e prese un respiro. Dopo qualche secondo, parlò.

"Sono nato in una famiglia senza problemi economici. Ho una sorella maggiore, si chiama Sonia e adesso non è qui in Italia. Quand'ero piccolo, mi piaceva indossare i vestiti da ragazza perché li trovavo belli, anche se in questo periodo mi sta passando la voglia di indossarli." fece una pausa. "Mia mamma è morta perché ha avuto un ictus mentre guidava. Stavamo andando a prendere mia sorella perché stava facendo una festa con la classe per aver ottenuto il diploma."

Prese un altro respiro per calmarsi. Sentiva una morsa al cuore.

"Dopo la morte di mamma, lui ha iniziato a essere aggressivo. Mia sorella non sopportava tutto ciò, ed è andata a vivere con una sua amica per concentrarsi sull'università. Quello che ne risentiva di più però ero io. Se su mia sorella si sfogava verbalmente, su di me lo faceva anche fisicamente."

Si mise una mano sulla fronte.

"Non c'è fretta, Orlando. Prenditi il tempo che ti serve." fece lo psicologo.

Il ragazzo riprese a parlare qualche secondo dopo. "Lei non sapeva niente della mia situazione, perché è iniziato tutto dopo che era andata via. Mi sentivo abbandonato da tutti." iniziò a lacrimare. "Neanche la mia situazione a scuola era la migliore. A causa di quello che era successo, ero continuamente distratto. Se prendevo dei voti bassi, mi faceva del male. L'unico motivo per cui volevo prendere voti alti era per non farmi picchiare."

Alberto diede un fazzoletto a Orlando, che lo usò per asciugarsi gli occhi.

"Lui non mi ha mai mandato da uno psicologo, perché diceva che sono un ragazzo e dovevo superare la faccenda con le mie forze." tossì. "Si era risposato con un'altra donna per sostituire mamma. Ma la situazione non era cambiata per niente. Quando iniziai ad andare alle medie, ho conosciuto un ragazzo che è tutt'ora il mio amico."

Orlando si fermò a riprendere fiato e raccontò di come suo padre aveva incastrato Matteo per farlo allontanare da lui.

La parte più dolorosa del suo racconto non tardò ad arrivare.

"Spesso mi mettevo dei vestiti con dei colori un pò più vivaci perché mi piacevano, e per quello venivo preso di mira, specialmente da un ripetente della mia classe. Sono state le sue parole e l'indifferenza dei professori a farmi fare quello."

Aveva le mani in faccia e non riusciva più a controllare le sue lacrime. "Ho tentato di ammazzarmi, ma mi sono fermato prima di andare oltre con la lama." tossì più forte di prima. "Scusi, non ce la faccio a proseguire."

L'uomo aveva preso un bicchiere d'acqua e glielo aveva messo davanti.

Orlando lo prese e bevette, e dopo fece un respiro.

Tossì un'altra volta, sentiva la sua gola fargli male. Si asciugò le lacrime con il fazzoletto di prima. "Non ce la faccio..."

"Non preoccuparti, va bene anche così." fece Alberto. "L'unica cosa che serve adesso è che tu faccia entrare qui tua zia. Puoi andare."

Il ragazzo uscì dalla porta senza salutare Alberto, non riusciva più a stare lì dentro.

Sua zia, appena lo vide, andò ad abbracciarlo. Lo fece sedere su una delle sedie lì vicino, e poi guardò dentro l'ufficio di Alberto.

L'uomo le fece segno di entrare, e lei lo fece.

Dopo alcuni minuti, Orlando si era quasi del tutto calmato.

In quel momento, vicino a lui, sentì una voce rotta dal pianto.

Quando si voltò, vide qualcuno che non si aspettava di vedere.

"Julie?"

La ragazza si asciugò le lacrime. "Ehi, chi si rivede."















 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Era un bambino normale, senza problemi. Non aveva mai fatto del male a nessuno. Un bambino dai capelli e dagli occhi castani.

I suoi genitori erano messi bene economicamente e avevano abbastanza soldi. Per via di questo, Julie lo chiamava scherzosamente 'Riccardo il riccone'.

Lei e lui erano migliori amici. Sembravano fratello e sorella.

Un giorno, lui non venne a scuola. Julie pensava che stava male, e invece era scomparso, fu visto l'ultima volta al parco mentre giocava con i suoi amici.

Lo cercarono per tre giorni, senza trovarlo.

I sospetti ricaddero sul sequestratore di bambini che in quel periodo si aggirava per i paesi vicini.

Da quando ci furono le prime sparizioni, si era diramato un allarme generale. In totale scomparvero cinque bambini, fra cui Riccardo.

Un pomeriggio, mentre Julie era a casa con sua mamma, sentì qualcuno citofonare. Anastasia, sua mamma, rimase sconvolta quando vide che era proprio Riccardo.

Lo fece entrare e chiamò la polizia subito dopo. Il bambino aveva uno sguardo allucinato e diceva continuamente frasi sconnesse.

Una parola colpì particolarmente la bambina, Riccardo diceva continuamente 'vavi'.

Julie pensò che in quello stato non poteva andare molto lontano, quindi ipotizzò che la casa del sequestratore fosse nelle vicinanze.

Nonostante avesse dieci anni all'epoca, ragionava abbastanza bene.

Tutto precipitò quando svenne all'improvviso, e da allora non si svegliò mai più.

Alla fine, i bambini scomparsi furono ritrovati fuori città dentro un capanno abbandonato, ma ormai era troppo tardi per loro. Erano morti.

Alcune famiglie, tra cui quella di Julie, si trasferirono per evitare che i loro figli facessero la stessa fine delle vittime.

Questa fu la storia che Julie aveva raccontato ad Anna dopo qualche mese che avevano fatto amicizia, e adesso la stava raccontando a Orlando.

Il ragazzo non poté fare altro che abbracciarla, siccome lei stava piangendo.

"Non è stata colpa tua."disse il ragazzo.

"Perché lo pensi? Io non sono riuscita ad aiutarlo...se gli avessi chiesto di più, a quest'ora il colpevole sarebbe stato arrestato." strinse di più il ragazzo e tossì.

Dopo qualche decina di secondi, i due sciolsero l'abbraccio.

"C'è qualcuno qui con te?" chiese Orlando.

"Mio papà, ma è fuori dal reparto. Gliel'ho chiesto io." rispose la ragazza. "Mi ha accompagnata fino alla stanza e poi gli ho chiesto di aspettarmi fuori."

"Capisco..."

"Tu perché sei qui?" chiese Julie.

"Ecco..." si sentì bloccato. Deglutì, facendo muovere il suo pomo d'Adamo. "È per..."

Non trovava giusto il fatto che lui doveva tenere segreto la sua faccenda. Julie gli aveva rivelato qualcosa di abbastanza doloroso, oltre al fatto del motivo per cui era andata in ospedale. Perciò decise di dirglelo.

"È per mio padre..."

La ragazza si preoccupò. "Gli è successo qualcosa?"

"Lui era..." si mise le mani sulle spalle. "...violento con me."

"Cosa?" La preoccupazione di Julie si trasformò in rabbia.

Orlando si strinse le spalle. "Ti prego, non ridere."

"Perché mai dovrei ridere!?" strinse i pugni.

"Ehi, c-calmati. Ormai è t-tutto finito." Orlando abbassò lo sguardo. "È solo che...avresti pensato che io fossi debole..."

Il ragazzo cercò di trattenere le lacrime.

"Guarda che...se le tieni fa solo più male..." la ragazza si stava sentendo a disagio.

Orlando si mise le dita sotto gli occhi. "Ma un ragazzo che piange non si può ved-"

"Fottitene." Julie lo interruppe, era visibilmente nervosa. "Fottitene e piangi."

Lui l'abbracciò nuovamente, sfogandosi in un pianto liberatorio.

"Ogni giorno, ogni fottuto giorno avevo paura di morire. Se non prendevo dei voti decenti, mi picchiava. Quando era di pessimo umore, avevo paura che mi potesse fare del male. Controllava ogni mio compagno di classe e se uno non gli andava a genio, lo allontanava dalla mia vita. Potevo uscire solo quando mi dava il permesso." fece una pausa per riprendere fiato. "Se non rientravo a una certa ora, mi urlava contro. Non riuscivo a dormire la notte. Avevo paura di lui."

Strinse di più la ragazza. "Mi aveva detto che se avessi parlato, mi avrebbe ucciso. Avevo paura, avevo paura."

Julie rimase senza parole. 'Ma sto qua non è un padre, è un mostro.'

Il ragazzo sciolse l'abbraccio.

"Ti senti meglio?" mentre lo diceva, gli strinse delicatamente la mano.

Orlando si asciugò gli occhi con la mano libera, aveva la faccia rossa. "No, sto malissimo. Ho paura che lui possa uccidermi. Ho paura di sognarmelo la notte." tremò e strinse la mano della ragazza. "Ho paura, ho paura."

Julie non seppe che dire, si era innervosita a causa della sua confessione. Pensò che fosse una buona idea distrasi da quello che era appena successo.

"Senti, per caso hai delle lacune in qualche materia?" fece lei.

Orlando capì le sue intenzioni. "Scienze e inglese. Non riesco a studiarle bene."

"Con me ho solo scienze, ma forse qualcosa si può fare. Aspetta un attimo."

Julie rientrò nella stanza dove era prima, prese lo zaino e guardò Riccardo con un sorriso amaro. "Ci vediamo la prossima volta." uscì e si sedette a una sedia di distanza da Orlando. "Olè."

Mentre studiavano, il ragazzo dava qualche occhiata a Julie. Non le guardava il petto perché gli sembrava maleducata una cosa del genere. Il suo sguardo era concentrato-quando poteva-sul suo viso.

'È...carina.'

Julie lo guardò proprio in uno di quei momenti e gli sorrise.

Il ragazzo arrossì leggermente, mentre Julie si mise a ridere. "Sei troppo bello quando arrossisci."

Orlando arrossì di più. "Non è v-vero."

Julie gli sorrise nuovamente. "Come vuoi, ma io ti trovo bello quando sei rosso."

Ripresero a studiare e dopo qualche minuto arrivò la zia di Orlando.

I due se ne accorsero.

"Salve!" fece Julie. "Lei è..."

"Sono la zia." le strinse la mano. "Carla Zanella."

"Io sono Julie, una sua compagna di classe e di teatro." fece la castana.

"Orlando, dobbiamo andare. Ormai ho fatto tutto." disse la zia.

Julie diede al ragazzo gli appunti che avevano fatto durante lo studio. "Questi sono tuoi. Io rimango qui ancora per un pò."

Carla strinse la mano di Julie per salutarla nuovamente, e la ragazza guardò Orlando.

"Domani sei a scuola?"

"Si...credo."

La ragazza gli sorrise e gli accarezzò il dorso della mano. "Se non vieni fa niente, ok? Riposati."

Orlando sorrise a sua volta e si grattò la testa. "Va bene." prese gli appunti e si alzò. "A domani."

"A domani!"

Mentre se ne andavano, Carla guardò il ragazzo. Aveva uno sguardo così felice.

"È una ragazza davvero simpatica." commentò lei.

"Già...ma non vorrei che scoprisse il fatto dei vestiti..." il suo s'incupì. "Non voglio che anche lei mi prenda in giro..."

"Dai, sono sicura che andrà tutto bene!"

Orlando sospirò. "Speriamo..."

















 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Quella sera Julie aveva mangiato poco. Sapere della situazione di Orlando l'aveva sconvolta, non avrebbe mai immaginato una cosa del genere.

Lui le aveva detto di non farne parola con nessuno, infatti lei quella sera mentì sul motivo per cui non aveva mangiato, disse che era per via di Riccardo.

Probabilmente l'unica cosa positiva di quella giornata fu sapere, tramite il gruppo della classe, che i compiti di chimica erano stati corretti. Quell'otto e mezzo le ci voleva proprio.

Dopo cena si mise il pigiama e andò a letto, ma non riuscì a dormire. Allora decise di fare una cosa che non faceva dall'inizio dell'anno.

Alle elementari aveva il vizio di ascoltare cosa facevano quelli del gruppo teatrale della scuola-non tutti i giorni ovviamente-. Spesso prendeva pure appunti, da quanto le piaceva. Non aveva mai chiesto di entrare, poiché era troppo timida.

Il maestro una volta diceva qualcosa riguardante un certo Stanislasvki-o come lo chiamava Julie a quel tempo, Stanilato- e a volte cose riguardo i monologhi, o sui canovacci o sulla recitazione. A volte parlava di una certa dizione.

L'idea del dialogo interiore le piaceva un sacco, solo che si annoiava a parlare senza che nessuno l'ascoltasse. Ed è qui che entrava in scena la sua creatività.

Aveva creato qualcuno che potesse ascoltarla, e infatti adesso era lì che la guardava.

Grande quanto un gatto-ci assomigliava abbastanza, tuttavia era un rettile- e dalle scaglie nere. Pancia e artigli bianchi, corna azzurro pastello dritte che spuntavano da sotto lo strato piumato giallo che assomigliava a dei capelli. Occhi color magenta e spine bianche che partivano dal collo e percorrevanno tutta la schiena fino al coccige.

Era quella la forma che lei aveva dato al suo interlocutore quando era piccola e non aveva mai cambiato il suo aspetto negli anni. Gli aveva pure dato un nome, Prismiro. Giocare a Spyro le aveva fatto venire l'idea per l'aspetto, perciò aveva deciso che sarebbe stato simile al draghetto viola, ma con qualche differenza.

"È da un pò che non ci si vede." disse il suo amico-interlocutore immaginario.

La cosa positiva di avere un amico immaginario era che non c'era bisogno che venisse aggiornato delle vicende che capitavano intorno a Julie.

"Sai com'è, scuola e altro." fece lei.

"E non riesci a dormire per la vicenda di oggi."

Julie si le mani sotto il mento e sospirò. "Esattamente."

"Secondo me dovresti lasciar perdere l'idea di essere amica di Orlando solo perché non vuoi che faccia più o meno la fine di Riccardo." continuò il draghetto. "Non farai altro che rimanere ancorata al passato. Certo, non devi dimenticare, ma non devi stargli attaccata come un cirripede."

Julie ascoltò Prismiro senza dire nulla.

"Quindi, non fare l'equazione Riccardo sta a pedofilo come Orlando sta a suo papà. Sono due situazioni simili, ma diverse." concluse lui.

"Forse dovrei parlarne con qualcuno per rendere impossibile quest'equazione." disse Julie.

"Devi solo rendere il coefficiente uguale a zero." aggiunse il draghetto.

"E vallo a trovare il passaggio per il coefficiente." la ragazza si mise sotte le coperte.

Prismiro rotolò verso di lei."A proposito della rappresentazione teatrale, perché non la scrivete tu e gli altri?"

"Poi ci penso." detto ciò, chiuse gli occhi per addormentarsi.

Il mattino dopo, si alzò con un buco nero nello stomaco che reclamava cibo.

Nel frattempo, Anna era quasi arrivata a scuola. Superato il traffico della mattina presto, parcheggiò l'auto vicino all'istituto e, dopo aver preso lo zaino e chiuso la macchina, si avviò verso il cancello che avrebbero aperto fra dieci minuti.

Lì vide un ragazzo dai capelli neri lunghi fin sopra le spalle che conosceva.

"Orlando!"

Lui ci mise qualche secondo a rispondere al saluto, non aveva dormito bene e non capiva nulla.

"Ciao, Anna."

La bionda lo guardò stranita. "Tutto bene?"

Orlando sospirò. "Non ho dormito bene."

Anna sentì il cellulare vibrare nella tasca dei suoi jeans, lo prese e rispose.

"Ehi, zuccherino. Come stai?" chiese una voce maschile dall'altro lato del telefono.

La ragazza ridacchiò. "Ma insomma! Non chiamarmi così."

"Eddai, che problema c'è, zuccherino?"

Anna sorrise. "Comunque sto bene, e tu?"

"Alla grande! Anche se mi manchi un pò."

"Ma ci siamo visti mercoledì scorso." la bionda si mise a ridere.

"E vabbe. Senti, ci sentiamo questo pomeriggio?" chiese lui.

"Va bene. Devo portare i preservativi o ci pensi tu?" Anna lo disse a bassa voce.

"Non ho voglia di fare sesso. Sono troppo stanco anche per pensare." rispose il ragazzo.

"A chi lo dici. Non ne ho voglia neanche io." aggiunse la bionda.

Nel frattempo, Orlando teneva lo sguardo basso e non stava neanche ascoltando la conversazione tra Anna e il suo ragazzo, finché non sentì un nome che conosceva fin troppo bene.

"Ti parlo alla ricreazione? Sto per entrare." domandò Anna.

"Va bene. Ci sentiamo dopo."

"Ciao, Davide."

Quando Orlando sentì quel nome, rimase paralizzato sul posto e rimase con lo sguardo basso.

Anna si accorse del cambiamento dopo aver chiuso la chiamata.

"Che succede?"

Il ragazzo stava ansimando e si era appoggiato al muro per reggersi in piedi. Anna gli andò incontro e gli fece aria muovendo la mano come un ventaglio vicino alla sua faccia.

"Devo chiamare l'ambulanza?"

Orlando tossì, facendo cenno di no con la testa.

Fortunatamente, Matteo si accorse di loro-era arrivato proprio in quel momento-.

"Ehi, amico. Va tutto bene." lo abbracciò. "Tranquillo, non è qui."

Matteo sciolse l'abbraccio e guardò l'amico, notando che si era un pò calmato.

Orlando sospirò e guardò Anna. "Scusa se ti ho fatto preoccupare, ma ho avuto un mancamento. Ma tranquilla, non è nulla di grave."

Anna rimase lì senza dire nulla, finché non sentì una voce familiare.

"Stupido traffico."

Julie era scesa di corsa dalla macchina di suo padre, siccome mancavano un paio di minuti all'apertura del cancello. Non si era neanche accorta della situazione.

"Annaaa, fammi da cuscino." poi notò gli altri due ragazzi. "Ehm...ho interrotto qualcosa?"



 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Orlando si era messo una maglietta bianca a maniche lunghe col collo a tartaruga e una gonna bordeaux come vestiti casalinghi.

Era disteso sul divano mentre aspettava che Carla finisse di preparare la cena, nel frattempo stava parlando con Matteo al cellulare.

"Grazie per aver detto agli altri della mia assenza."

"Figurati. Oggi com'è andata?"

"Hanno detto che è sicuro che finirò in terapia di gruppo. Inoltre stanno facendo un programma terapeutico per me."

"Domani ci sei a scuola?"

Orlando si stiracchiò. "Si, ci sarò."

"Adesso devo cenare, ci vediamo domani."fece Matteo.

Il ragazzo chiuse la chiamata con lui e posò il cellulare sul comodino vicino al divano e sospirò.

Ripensò alla storia che Julie gli aveva raccontato. Non sapeva se aveva fatto bene a dirle che non era stata colpa sua, non era mai stato bravo a consolare qualcuno.

Sempre pensando a lei, si ricordò di quando gli aveva accarezzato la mano. Guardò la mano stessa e sorrise, era stata davvero una bellissima sensazione.

'Non dovrà mai sapere nulla del mio essere un crossdresser. Non voglio un'altra cicatrice sul petto.' si mise seduto. 'No, non lo saprà mai.'

Si voltò verso il tavolo, notando che la cena era quasi pronta. In quel momento, sentì il suo stomaco brontolare.

"Dovrei mangiare di più. Secondo quella tabella sul peso sarei di quattro chili sotto la norma." disse fra sé e sé.

Dopo una cena abbastanza silenziosa, il ragazzo aiutò la zia a sparecchiare la tavola. "Zia, oggi vado a letto presto. Domani vorrei andare a scuola."

"Va bene." la donna gli accarezzò la testa. "Riposati, ok?"

Il ragazzo sorrise lievemente. "Buonanotte, zia."

Carla lo abbracciò. "Buonanotte, tesoro."

Orlando andò in camera sua, si mise il pigiama e si coprì. Tenne vicino a sé il panda di peluche, in caso avesse avuto l'ansia.

Provò ad addormentarsi, senza successo.

Perché non riusciva a dormire? Era come se la sua voglia di dormire fosse totalmente svanita.

Strinse il peluche, nella speranza vana di addormentarsi.

Il mattino seguente, si svegliò. Non aveva dormito per quasi tutta la notte.

Si alzò con la testa che gli faceva male e il corpo indolenzito. Nonostante fosse in pessime condizioni, decise di andare comunque a scuola.

Dopo che fu accompagnato davanti all'edificio, scese dalla macchina abbastanza rintonito.

"Se...hai bisogno di tornare a casa, chiamami."

Il ragazzo fece cenno di approvazione con la testa e andò ad appoggiarsi sul muro.

Dopo alcuni minuti, sentì qualcuno che lo stava salutando. Ci mise un pò a ricambiare il saluto.

"Ciao, Anna."

La bionda lo guardò stranita. "Tutto bene?"

Il ragazzo tirò un sospiro. "Non ho dormito bene."

Dopo, sentì Anna parlare al cellulare con qualcuno. Si allontanò di poco dal muro e vide se per caso aveva i vestiti fuori posto.

Tenne lo sguardo basso, poiché non era riuscito a dormire.

Ma a farlo ritornare-circa-alla realtà fu un nome che conosceva fin troppo bene.

"Ti parlo alla ricreazione? Sto per entrare." domandò Anna.

"Va bene. Ci sentiamo dopo."

"Ciao, Davide."

Sentì il suo corpo paralizzarsi e un brivido gli percorse la schiena.

Il nome di suo padre era proprio l'ultima cosa che voleva sentire.

Anna gli chiese cosa gli stesse succedendo. Orlando, in risposta, si era appoggiato al muro e iniziò ad ansimare.

Odiava quel nome, quando lo sentiva vedeva la sua faccia.

Anna era preoccupata. "Devo chiamare un'ambulanza?"

In quel momento, Matteo si accorse della situazione. Era arrivato al momento giusto.

Non era la prima volta che il suo amico aveva momenti di quel genere. Spesso doveva portarlo in bagno per poterlo calmare.

Ormai ci aveva fatto l'abitudine. Per lui, Orlando era il fratello che non aveva mai avuto.

Dopo averlo calmato, il ragazzo dai capelli neri guardò Anna. "Scusa se ti ho fatto preoccupare, ma ho avuto un mancamento. Ma tranquilla, non è nulla di grave."

Una voce familiare che si lamentava del traffico si era avvicinata a loro.

"Annaaa, fammi da cuscino." Julie notò gli altri due ragazzi. "Ehm...ho interrotto qualcosa?"

"Ho a-avuto un pò d'ansia, ma ora sto bene." rispose Orlando.

La castana notò che il cancello era aperto. "Oh, è aperto."

Durante la lezione di matematica, Orlando rimase per tutta l'ora con la testa fra le braccia, era troppo stanco.

Matteo cercò per tutto il tempo di non farlo notare alla professoressa, ma questo fallì alla seconda ora di lezione.

"Zanella!"

Il biondo imprecò mentalmente, senza insultare nessuna divinità.

Orlando alzò la testa, intontito, senza capire che stava succedendo.

"Se vuole dormire, deve farlo a casa." disse la donna.

Il ragazzo si mise una mano sulla testa. "Fosse facile." disse a bassa voce.

Julie lo guardò dispiaciuta.

"Scusi, professoressa. Non lo faccio più." si giustificò il ragazzo.

Dopo qualche minuto, sentì le palpebre pesanti.

'Cazzo, no.'

Aveva paura che la professoressa potesse rimproverarlo nuovamente.

Nonostante i suoi sforzi, non riuscì a tenere gli occhi aperti e questo lo fece scoprire una seconda volta.

"Vuoi che ti metta una nota disciplinare sul registro!?"

Orlando scosse la testa.

"E allora smettila di addormentarti! Siamo in una scuola, non in un albergo!"

"Professoressa, scusi."

"Va bene. Ma se ti addormenti un'altra volta, ti metterò una nota sul registro e contatterò suo padre."

Al ragazzo venne la pelle d'oca. "NON LO FACCIA."

La sua reazione sorprese l'intera classe, tranne Julie e Matteo.

"La prego, non lo f-faccia...la prego."

Il suo compagno di banco gli tenne il braccio. "Lui non c'è."

"E se scappa?" iniziò a tremare e si tenne per le spalle. "Quello se mi trova, mi ammazza. Mi ammazza, mi ammazza, mi ammazza."

La donna guardò Matteo abbastanza disorientata. "Garofalo, accompagnalo in bagno."

Il ragazzo guardò Orlando. "Ce la fai ad alzarti?"

Orlando non lo ascoltò nemmeno. Sembrava che fosse in preda alle allucinazioni.

"Prenderò dei voti alti, ti prego, dammi tempo, ti prego."

Matteo lo scrollò. "Riprendi-"

Il ragazzo dai capelli neri non ce la fece più. "Studierò di più, prenderò voti più alti." iniziò a lacrimare. "Ma ti prego...non mi picchare..."

Strinse le mani fra di loro. "Non mi picchiare...ti prego..."

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Dopo la fine delle lezioni, Yuki si era diretta verso l'uscita della scuola. Nel mentre, aveva telefonato ad Ammar.

Era da lunedì che il ragazzo era stato assente per via della febbre, e quindi la ragazza gli mandava le foto dei compiti per casa, che prendeva dal suo diario scolastico, tramite WhatsApp.

Quella mattina, invece, aveva deciso di telefonargli.

"Ehi, Ammar. Come va con la febbre?"

Si sentì un colpo di tosse dall'altro lato del cellulare. "Non tanto bene. Oggi il termometro mi ha dato trentotto virgola sei gradi."

La ragazza rimase sconcertata. "Mi sa che rimarrai a casa ancora per un pò."

"Eh già. Com'è andata a scuola?"

"Tutto apposto a parte la seconda ora." fece lei, abbastanza triste.

"È successo qualcosa?"

"Orlando non si è sentito bene, tutto qui." spiegò. "Non lo so...forse ha qualche cosa che non va in famiglia. Questo venerdì ci sarà il consiglio di classe, ne parlerò con i professori."

Intanto, Julie era sovrappensiero. Era sul viaggio di ritorno da scuola nella macchina guidata da suo padre.

Stava pensando a quello che era successo in classe, mentre faceva un resoconto mentale sulla giornata.

'Spero che domani venga a teatro. Oggi non lo vado a disturbare troppo, casomai gli mando un messaggio di...guarigione? Non so che termine usare.'

"È successo qualcosa?" domandò lui, vedendo lo sconforto della figlia.

"Un mio compagno non si è sentito bene, tutto qui." rispose la ragazza.

"Che gli è successo?" chiese l'uomo.

"Ecco...ha avuto un attacco di panico. Ma probabilmente ora sta bene." disse.

"Capisco."

Dopo qualche minuto di silenzio, Julie parlò. "Papà, secondo te ho bisogno di uno psicologo? Sai, per via della cosa con Riccardo."

Lui la guardò per qualche secondo, siccome doveva concentrarsi sulla guida. "Perché lo pensi?"

"Non so se il mio voler essere altruista sia causata da quello che è successo con Riccardo oppure sono così già di mio." disse lei.

"Secondo me." iniziò l'uomo. "È nella tua natura aiutare gli altri. In questi giorni ci ho pensato su. Essere troppo legati al passato non è sempre positivo e a volte può essere dannoso. Ho notato che non ti sei mai separata dalla tua esperienza. Io non sono uno psicologo, ma se vuoi possiamo vedere cosa possiamo fare, che ne dici?"

Julie ci rifletté per qualche secondo. "Quando possiamo vedere?"

"Prima la pancia, però. Scommetto che hai fame." disse lui, sorridendo.

La castana si mise a ridere. "Anche troppa."

----

Carla bussò alla porta della stanza degli ospiti. "Eddai, esci da lì."

Il ragazzo non rispose, limitandosi a guardare il pavimento mentre era seduto sul letto.

"Non è successo niente. È capitato." fece lei.

"Io non voglio più andare a scuola." lui si mise le mani in faccia. "Ho fatto una figura del cazzo davanti a tutta la classe."

La donna non seppe cosa fare. "Dai, apri la porta."

"Non voglio...lasciami solo."

Lo sguardo di Carla si fece triste. "Come vuoi. Sappi che non hai fatto una brutta figura, e non l'hai fatta fare neanche a me, ok?"

Orlando sospirò. 'Perché non posso vivere decentemente? Ora cosa ne penseranno gli altri di me? Cosa ne penserà...lei?'

Pensò a Julie. 'Penserà che sono patetico, ne sono sicuro.'

Il telefono gli vibrò, segno che gli era arrivata una notifica. Controllò e vide che era un messaggio di Julie su WhatsApp.

Il ragazzo deglutì e vide il contenuto del messaggio che gli era arrivato.

Non so se sei a casa o altrove, ma ti dico solo questo. Prenditi il tempo necessario per riprenderti, casomai ti posso mandare i compiti o se vuoi possiamo studiare a casa mia o tua che ne dici? :3

Il ragazzo si commosse a quel messaggio. Scrisse la risposta.

Ok ti farò sapere

Julie visualizzò e rispose un quarto d'ora dopo-era ora di pranzo, dopotutto.-

Ok ci si vede :3

Il ragazzo posò il cellulare con uno sguardo felice.

In quel momento, sua zia bussò. "Come va?" fece una pausa. "Hai fame? Ho già preparato tutto."

Lui aprì la porta e abbracciò forte sua zia.

"O-oh!" era sorpresa. "Che è successo?"

Orlando era al settimo cielo."Julie mi ha mandato un messaggio bellissimo."

Carla sorrise. "E che diceva?"

"Che se vuole, posso andare a studiare da lei o può venire qua." era così contento.














 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Julie passò quel pomeriggio a fare i compiti. Tra Pitagora e la sua scuola, Boccaccio con il Decameron e il Canzoniere di Petrarca, si fecero le sei e mezza del pomeriggio.

'Tre ore a fare ste cose, uff.' pensò lei.

Inoltre, aveva iniziato a cercare su Internet a come comportarsi nel caso un suo conoscente avesse subito un trauma.

Mentre Harry si stava facendo i compiti in camera sua, mentre la sorella si era messa a faccia in giù sul cuscino dopo aver fatto le sue dovute ricerche.

Il cellulare di Julie squillò, emettendo una suoneria abbastanza rumorosa. Lei lo prese, di controvoglia, e rispose senza nemmeno vedere chi era.

"Pronto?" fece lei.

"Pronto, pronto?" era Rebecca.

"Pronto, pronto, pronto?" disse Julie per rispondere.

"Le fiche sono squisite. Sono così, come si dice...succose." fece Rebecca.

"Certo che ne dici di sciocchezze." ribatté lei.

"Scriverò il tuo nome sul mio quaderno." disse la ragazza dall'altro lato del telefono.

"Ok, basta con Death Note. Cosa volevi dirmi?" domandò Julie.

"Se di venerdì potevi passare a casa mia. Così bho, passiamo un pò di tempo insieme. Michy non c'è perché deve studiare per un compito in classe." spiegò Rebecca. "Ah, e la mia gatta ha fatto i micetti qualche settimana fa. Ho aspettato un pò per dirlo, perché i gattini nelle prime settimane sono fragilissimi e non volevo far innervosire la mia gatta ulteriormente."

"Davvero? Congratulazioni! Hai una seconda famiglia a casa!" Julie lo disse con un tono da presentatore di show televisivi.

"Sono solo tre, niente decine di gattini che girano per casa." aggiunse l'altra ragazza. "Poi ho anche la casa piccola, non posso invitare troppe persone. Al massimo cinque o sei."

"Capisco. Verso che ora?" chiese Julie.

"Verso le quattro. Ti spiego meglio domani, ok?"

Julie annuì. "Va bene."

"Ora ti devo salutare, che devo chiamare Orlando, così invito pure lui." aggiunse Rebecca.

La ragazza sorrise. Probabilmente al ragazzo sarebbe piaciuto. "Va bene, Reb. ci sentiamo domani."

"Ciaowo." Rebecca chiuse la chiamata e chiamò Orlando.

La sua gatta si mise vicino a lei.

"Bianca, non dovresti stare vicina ai tuoi bimbi?"

Il felino guardò il cestino con i tre micetti che dormivano.

"Ah, ok."

La ragazza notò che Orlando aveva risposto. "Yo." fece lei.

"Ehm...ciao Rebecca. Come va?"

"Tutto bene. A te?"

"Ho un pò di febbre, ma niente di che." rispose il ragazzo.

"Capisco. Senti, sei libero di venerdì? Avevo pensato di inviarti a casa mia, così passiamo un pò di tempo insieme." fece lei.

Orlando ci pensò. Non sapeva se andarci o meno. Non usciva quasi mai di casa.

"Non sarai da solo, ci sarà anche Julie." aggiunse lei.

Quella frase gli mise un pò di sicurezza. "D'accordo..."

"Ah e la mia gatta ha fatto i micetti."

"Davvero?" il ragazzo sorrise e pensò a Bianca. Era da un pò che non la vedeva. "Congratulazioni."

Rebecca pensò che era meglio lasciarlo stare. Il suo tono di voce sembrava davvero stanco. "Domani ti dico tutto, e poi Michy non c'è, deve studiare."

"Capito. Ci sentiamo." lui chiuse la chiamata.

La ragazza, dopo aver messo in stand-by il telefono, guardò Bianca che si era acciambellata sopra le sue gambe.

"Ma guarda te questa. Tra tutto il divano, proprio qui si doveva mettere."

Intanto, Orlando si era rimesso a fare i compiti. Era nervoso per il fatto che sarebbe andato a casa di qualcuno, ma almeno c'era Julie.

Il giorno seguente, il ragazzo non andò a seguire le lezioni. Era andato direttamente al corso di teatro.

Era entrato nell'aula magna, dove già c'erano un pò di persone, e si era seduto nelle ultime file.

Julie era entrata qualche minuto dopo di lui e l'aveva pure notato.

Orlando si era un pò spaventato quando la ragazza si mise vicino a lui.

"Ehi!" gli sorrise. "Come va?"

"Così e così." sospirò. "Mi sento uno schifo..."

"Dai, non dire così." Julie gli prese la mano. Sapeva che dire cose del tipo 'andrà tutto bene' non avrebbe aiutato. "Non sei solo."

Orlando le strinse leggermente la mano. "Io mi sento male. Faccio schifo in qualsiasi cosa, non c'è niente in cui vada bene." iniziò a lacrimare. "Odio le persone che mi hanno ferito, le odio. Perché mi hanno fatto del male...perché? Forse è stata colpa mia..."

La ragazza gli asciugò lo le lacrime con un fazzoletto che prese dalla borsa.

"Non posso capire quello che hai passato, ma ascolterò comunque." gli sorrise e gli prese nuovamente la mano. "Potrebbe essere difficile spiegare, ma prenditi il tempo che vuoi, ok?"

Orlando le strinse nuovamente la mano. "G-Grazie..." la guardò. "Senti...posso tenerti la mano ancora per un pò, finché non inizia il gruppo?"

La ragazza annuì. "Va bene."

Lui era diventato un pò rosso in viso. 'Che faccio? Sto tenendo la sua mano, aiuto.'

"Rebecca ti ha detto per andare domani a casa sua?" disse Julie.

"Ehm...si."

"Se non sbaglio, a te piacciono i gatti, no?" chiese la ragazza.

"Si." sorrise debolmente. "Li trovo adorabili. Anche se...non ho mai tenuto in braccio un cucciolo."

"Manco io. Al massimo accarezzavo quella roccia vivente che abita da mia nonna." disse.

"Io non ho mai visto una tartaruga prima d'ora...so solo che vivono a lungo e basta."

"Se vuoi ti spiego un pò io." fece Juile.

Il ragazzo sorrise nuovamente. "Va bene."

Si misero a parlare di tartarughe fino all'arrivo della professoressa, ovvero quindici minuti più tardi.

Rebecca aveva tardato, poiché era andata a pranzare in un bar abbastanza lontano dalla scuola, invece Michele non era venuto.

Dopo aver radunato tutti, la professoressa fece un annuncio.

"Ho buone notizie! Sono riuscita a buttare giù qualche idea sulla rappresentazione teatrale." prese dei fogli dalla borsa e iniziò a leggere.

"Siamo a più di cento anni avanti nel futuro. Gli uomini e le donne sono stati suddivisi in due distretti ed entrambi hanno dei compiti ben precisi, ma quello principale è procreare dei figli per l'esercito e delle figlie per fare altri figli. In tutto questo, vi è un gruppo segreto che cerca di ribellarsi al governo attuale, per far in modo di mettere uomini e donne sullo stesso piano della bilancia." fece una pausa per riprendere fiato. "Che ve ne pare?"

Gli studenti rimasero abbastanza colpiti da quella trama.

"Figo.", "No vabbè, troppo forte." e "Bellissimo." furono alcune delle parole che dissero dopo aver sentito l'introduzione.

Rebecca guardò Juile. "È una figata pazzesca."

"Puoi dirlo forte." fece lei.

La ragazza prese fiato. "È UNA FIGATA PAZZESCA!"

Orlando e Julie si tirarono un pò indietro, mentre alcuni ragazzi si girarono verso Rebecca, mentre gli altri commentavano la trama.

Il ragazzo si grattò la testa. "Forse...non intendeva così forte."










 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Il venerdì arrivò immediatamente come se, dal tardo pomeriggio di giovedì alla mattina del giorno successivo, fossero passati solamente pochi minuti.

Durante la ricreazione, Yuki si era appuntata tutto ciò che doveva dire quel pomeriggio al consiglio di classe, nonostante la maggior parte di esse fossero più o meno le stesse cose, come il chiedere una gita scolastica che sia all'infuori dei confini siciliani.

Siccome i suoi genitori facevano parte del consiglio studentesco, quando andavano nei rispettivi licei, le diedero qualche dritta, nonostante il grande divario che c'era tra il Giappone e l'Italia.

Fu così che alle quattro e mezzo del pomeriggio, si era diretta nell'aula professori, in attesa che iniziasse il consiglio di classe.

Ancora mancavano un paio di persone all'appello.

Intanto, Julie stava aspettando Orlando vicino alla porta di casa di Rebecca.

Lui era in macchina con sua zia, mentre stava cercando il coraggio di uscire dalla macchina.

"Va tutto bene, ci sarà Julie con te." tentò di rassicurarlo.

Orlando deglutì. "Non so neanche se è arrivata. Meglio chiederle dov'è."

Mentre stava prendendo il cellulare, ricevette una chiamata da Julie.

"Ciao! Dove ti trovi? Io sono già qui." fece lei.

"Oh, che coincidenza. Sono arrivato proprio adesso. Sto venendo." rispose il ragazzo.

"Allora a fra qualche secondo!"

Julie chiuse la chiamata e, dopo alcuni secondi, vide il ragazzo venire verso di lei.

Lo salutò agitando una mano, e in quel momento sembrava che fosse dentro un anime.

Orlando la salutò timidamente.

Mentre Carla stava per mettere in moto, sentì il suo cellulare che stava squillando. Dopo aver visto che era lo psicologo, rispose. Dalla chiamata, apprese che mercoledì prossimo ci sarebbe stato il primo incontro con la terapia di gruppo.

Nel frattempo, Rebecca aveva aperto ai due.

"Buon pomeriggio, boiz." disse la ragazza bassa.

Julie la saluto sorridendo, mentre Orlando deglutì.

La sua amica lo prese per la mano, per fagli capire che sarebbe stata lì con lui.

Rebecca notò la situazione. "Tutto bene?"

"Si, è che non esco spesso." si giustificò il ragazzo.

I tre entrarono e Rebecca chiuse la porta. "I miei genitori non ci sono, ve li presenterò un altro giorno." disse lei.

I due ospiti si sedettero sul divano di pelle nera che stava in salone.

La stanza era con le pareti azzurre e con una pavimentazione marmorea. Dei mobili di vetro mettevano in mostra vari oggetti di antiquariato.

Una piccola palla di pelo fece capolino da sotto il divano, miagolando.

"Ehi, Reb. Mi sa che un gatto si è fatto casa sotto il divano." fece Julie.

La ragazza lo prese. "È una peste, ve lo assicuro. Non fa altro che nascondersi ovunque."

"Per caso hanno iniziato a toccare i pomelli della porta? O stanno già sparando bolle d'aria?" chiese Julie.

"Fortunatamente no." rispose Rebecca.

Orlando non capì nulla di quello che si dissero.

La madre dei gattini si buttò sulle sue gambe senza preavviso.

Lui conosceva benissimo quella gatta.

"Ma io la conosco." fece lui.

Rebecca lo guardò. "Davvero?"

Il ragazzo annuì e le spiegò la situazione.

"Ecco con chi andavi a tradirmi!" Rebecca guardò male Bianca.

In risposta, la gatta si mise a pancia all'aria.

"Vabbè, vado a recuperare gli altri due monelli. Torno subito."

Rebecca andò via portando con sé il gattino che aveva in braccio.

In quel momento, i due cuccioli uscirono da sotto il divano e Bianca si mise a pancia in giù, andando dalla sua padrona.

'Che troll che sono sti qua.' pensò Julie.

Uno dei micetti provò ad arrampicarsi su Orlando, miagolando.

Il ragazzo lo prese delicatamente. "Ehi." sembrava contento.

L'altro gattino provò a raggiungere il fratello, senza successo.

Orlando mise il micio che aveva sulle gambe e prese l'altro, mettendolo vicino all'altro.

I due si stavano litigando Orlando solo per farsi coccolare.

Il ragazzo iniziò ad accarezzargli la testa e uno di loro iniziò a mordicchiargli le dita per giocare.

Julie sorrise a quella scena.

"Lo sai che non ho mai tenuto in braccio un gatto? Cioè, vedevo solo quelli randagi che facevano gli equilibristi sui muri." disse lei. "Non so neanche come si accarezzano."

Orlando fece un piccolo sorriso. "Non è difficile. Se vuoi ti faccio vedere come si fa."

"Insegnami." rispose Julie con un sorriso.

Il ragazzo, con la mano con cui non aveva toccato i gattini, iniziò ad accarezzare la testa della ragazza. "Si fa così."

Julie arrossì ed ebbe una leggera sensazione nel basso ventre.

"Sei tenera quando sorridi." il ragazzo tolse la mano dalla sua testa, sorridendo.

"Volevi vendicarti per l'altra volta?" domandò lei.

"Si." uscì la lingua.

La ragazza si mise a ridere.

Intanto, al consiglio di classe, erano arrivati tutti i professiori della terza B con opzione scienze applicate.

"Voglio essere onesto, questa classe è decisamente migliore di quella dell'anno scorso." disse Gaetano Moretti, il professore di letteratura italiana. "L'anno scorso la classe non era altro che un gregge di pecoroni che non sapeva neanche i primi tre righi del primo canto dell'Inferno."

"Evitiamo che questo consiglio di classe diventi un salotto vittoriano." disse Virginia. "Non c'è molto da dire, effettivamente. La classe ha qualche lacuna, ma per il resto è tutto apposto."

"Quasi." fu la professoressa di matematica, Ginevra Parisi, a parlare. "L'altro giorno, Zanella ha avuto un comportamento poco consono in classe."

"Io sono dell'idea che non sia sentito bene." disse Yuki, in difesa del ragazzo.

"Sarà, ma si deve dormire a casa e non in classe." fece Ginevra.

'E lei confonde di continuo la seconda e la terza persona.' pensò la ragazza.

"Se si è trattato di una semplice sonnolenza, non vedo il motivo di arrabbiarsi." disse Demian.

"Non credo." fu Yuki a parlare. "Ha avuto anche un attacco di panico...almeno credo."

La ragazza spiegò la situazione.

"A me non sembra un attacco di panico normale." disse il professore d'inglese, Stefano Rizzo.

Demian sospirò. "Il motivo di questo attacco lo so, è che in questi giorni non ve ne ho parlato per...motivi personali."

"E quale sarebbe il motivo?" chiese Virginia.

"Per usare un gergo siciliano, Orlando ha il padre un pò." mosse la mano come se stesse svitando una lampadina. "Scattiato."

Gaetano alzò gli occhi al cielo. "Eccone un altro. Ma perché a sta gente è permesso fare figli?"

Yuki capì immediatamente quello che intendevano.

Ginevra si sentì in colpa per averlo rimproverato, si sarebbe scusta con lui personalmente.

Luisa Fontana, la professoressa di storia e filosofia, parlò. "Ma ora lui sta bene, vero?"

"Si, ma credo che abbia il disturbo da stress post traumatico. Non ne sono sicuro, ma per ora dobbiamo cercare di andarci piano con lui senza stressarlo troppo." continuò lui.

"Per quanto riguarda la classe, devo riferire di questa cosa?" domandò Yuki.

"Meglio." rispose Demian. "Ma fallo verbalmente, certe cose sono troppo delicate per poterle spiegare tramite testo."
















 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Quel sabato pomeriggio, Julie era andata nella piccola casetta di legno, di cui possedeva le chiavi, che si trovava in giardino. Era lì che dipingeva i suoi quadri.

Erano dipinti o in tele piccole o di medie dimensioni. Ne aveva fatti almeno venti da quando aveva nove anni. Non li voleva né esporre e tanto meno vendere, se li teneva per sé.

Molti dei suoi soggetti erano gli edifici o dei laghi, ma questa volta voleva provare qualcosa di diverso.

Si era messa i guanti e il camice, preso dei flacone di tempera rossa, bianca e nera e posizionato la tavolozza, un pò sporca, dei colori e i pennelli vicino a lei.

Successivamente, prese il telefono e inserì le cuffie nell'apposito spazio e fece partire la musica in loop.

Mentre dipingeva, si metteva a cantare le parole della canzone.

Faceva anche qualche balletto."Wake up, get out, get out of there. Raise your voice aganist liars."

Dopo un quarto d'ora aveva già finito lo sfondo rosso.

"The fakeeers are all sick at hearrrt."

Iniziò a fare qualche palazzo di colore nero. Dopo cinque minuti, si fermò.

"Ok, mi sono seccata, lo finisco domani."

Dopo aver sistemato tutto, si tolse i guanti e lì buttò nel cestino, spengnendo la musica.

Chiuse a chiave la casetta e tornò dentro casa.

Si mise a fare un pò di compiti, mentre si salvava qualche reference da usare per il suo quadro. Non si sapeva mai, se voleva aggiungere qualche cosa.

"Quanto vorrei una cartocciata in questo momento." si lamentò.

In quel momento di pura noia, decise di 'evocare' Prismiro.

"Alla fine, tuo padre è riuscito a trovare qualcuno per la tua situazione." fece lui.

Lei annuì. "Già. Ci devo andare di lunedì, e inoltre la settimana prossima iniziamo a mettere in pratica lo spettacolo, siamo già in ritardo sulla tabella di marcia."

Nel frattempo, Carla aveva preso alcuni vestiti che aveva confezionato alla sartoria dove lavorava. Sperava che facendo così, Orlando sarebbe stato un pò più motivato.

Il ragazzo era sdraiato sul letto e stava a ieri. Rebecca si era dimostrata più simpatica di quel che pensava. Anche se non capiva bene di cosa parlava con Julie.

Quest'ultima si era messa a saltellare dopo che Rebecca le aveva fatto vedere la sua collana che aveva come ciondolo uno strano fiocco di neve, che a quanto pare era il simbolo di una certa Weiss Schnee.

Non capiva molto su queste cose, ma ascoltava comunque.

Il ragazzo si ricordò di quando aveva accarezzato Julie a tradimento, facendola arrossire. Sorrise al solo pensiero.

"Volendo, lo rifarei di nuovo." si mise seduto sul letto. "È troppo carina quando arrossisce." ridacchiò. "Ed è anche così gentile con me...vorrei tanto abbracciarla e strapazzarla di coccole." ripensò all'ultima frase che aveva detto e scosse la testa. "No, forse le coccole no. Ma un abbraccio si..." sospirò. "Ne avrei tanto bisogno..."

Sua zia bussò alla porta della camera. "Posso entrare?"

Orlando tornò alla realtà, rispondendo di si alla zia.

Lei entrò sorridente con tre vestiti confezionati in della plastica. "Sorpresa!"

Il ragazzo guardò con un luccichio negli occhi ciò che Carla aveva portato.

Il primo vestito consisteva in una felpa senza maniche bianca col cappuccio e una maglietta a maniche lunghe viola chiaro. I pantaloni lunghi fino a metà ginocchio e il paio di calzini ambedue neri completavano il tutto.

Il secondo era formato da una t-shirt azzurra, una gonna nera lunga fino al ginocchio e da delle calze che coprivano metà gamba a strisce verdi e bianche.

L'ultimo era composto da una maglietta nera senza collo a maniche lunghe su cui era cucito un gelato stecco di colore rosa, bianco e azzurro. Le calze di colore rosso e bianco pastellato alte fino al ginocchio completavano il tutto insieme ai pantaloncini marroni.

Il ragazzo esultò. "Sono bellissimi!" si fiondò su Carla e l'abbracciò.

Lei, in tutta risposta, gli accarezzò la testa. "Che ne dici se aggiungiamo del trucco?"

Orlando fece si con la testa. "Mi piacerebbe un sacco!" poi pensò a qualcuno. "Mi posso fare qualche foto col cellulare?"

"Ma certo." fece lei.

Quel pomeriggio Orlando lo passò tranquillo, senza alcuna preoccupazione. Forse era una delle poche volte che si sentiva davvero felice.















 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


"Volevo chiederti scusa per l'altra volta."

Ginevra aveva aspettato che gli studenti uscissero dall'aula, per potersi scusare con Orlando. Lo aveva visto durante gli ultimi minuti della ricreazione e gli aveva detto che gli avrebbe parlato dopo la sua lezione, rassicurandolo dicendogli che non era nulla di grave.

"Non avrei dovuto riprenderti in quel modo. Non sapevo neanche della tua situazione."

Il ragazzo abbassò lo sguardo. "Non deve scusarsi."

"Ora che so della tua situazione, farò più attenzione la prossima volta. Volevo solo dirti questo." concluse lei.

Intanto, Julie era andata a cercare Michele e Rebecca, trovando la prima che si stava avviando verso il bar che era situato davanti alla scuola.

"Ehi, JuJu Justar!" la salutò.

Lei salutò l'amica. "Cosa ti prendi?"

"Bho, una cartocciata semplice. Tu?"

Julie prese il portafoglio dallo zaino con un sorrisetto. "Una bolognese."

Rebecca rimase basita dalla sua risposta.

Nel frattempo, Orlando aveva già mangiato ed era già in aula magna.

Julie gli aveva parlato dello spettacolo, che trovava abbastanza carino.

'Chissà che parte mi daranno...' sospirò. 'Spero che non sia di rilievo.'

Era da qualche giorno che stava pensando di mollare tutto. Non lo dava a vedere, per non far preoccupare gli altri.

Non voleva più andare a scuola, non voleva più uscire. Voleva restare a casa per sempre.

Ogni giorno per lui era un vuoto continuo e i momenti di felicità non bastavano a riempirlo.

Pensò a Julie e a Matteo. 'Siete troppo buoni per stare con una persona come me...non vi merito.'

Abbassò lo sguardo. 'Valerio aveva ragione...dovevo morire quella volta.'

Non si accorse di Michele, che si era messo vicino a lui durante il suo ultimo pensiero.

Gli sorrise. "Ehi."

Orlando ritornò con i piedi per terra. "Ciao..."

"Tutto bene?" gli domandò l'amico.

"Non proprio, ho mal di testa." rispose.

Michele rifletté. "Vuoi prendere un pò d'aria?"

L'altro ragazzo fece di 'no' con la testa.

Senza che i due se ne accorgessero, Julie e Rebecca si fiondarono vicino a loro urlando "SURPRISE!"

Orlando sobbalzò, mentre Michele rimase perfettamente calmo.

"Eddai, Michy. Ma almeno spaventati un pò." si lamentò Julie.

Lui fece un sorrisetto. "What about no?"

"Ur mom gay." fu la risposta di Rebecca.

L'altro ragazzo non capì assolutamente nulla, così si limitò a stare in silenzio.

Julie gli accarezzò la testa a tradimento, facendolo rimanere totalmente impreparato alla cosa e arrossì.

"Ma sei troppo carino." commentò Rebecca.

Il ragazzo con gli occhiali fece un sorrisetto. "Un pò lo è."

La ragazza più bassa assottigliò gli occhi mentre guardava Michele. "Frena la tua bisessualità."

"Ehi! Era un complimento." disse lui.

"Comunque, Orlando è così carino che fa diventare gay pure gli omofobi." disse Julie.

In tutta risposta, il ragazzo si coprì la faccia con le braccia. "Non è v-v-vero."

Rebecca si oppose. "Invece shi."

Guardando la scena, Julie sorrise."Sei troppo adorabile."

Orlando voleva sparire in quel momento. Quando si scoprì, guardò i suoi tre amici. "..."

Julie capì immediatamente la situazione, a differenza degli altri due.

Michele guardò Orlando stranito. "Sei sicuro di stare bene?"

"Per niente. Mi sento uno schifo." fu la sua risposta.

"Perché?" Rebecca era preoccupata.

Lui raccontò brevemente la situazione, mentre cercava di non piangere.

Rebecca fece una smorfia arrabbiata. "Ma che bastardo."

In quel momento, i pensieri di Michele si dimostrarono totalmente infondati. Il suo vizio di fare supposizioni aveva colpito ancora.

"Ma perché se la prendevano con te?" chiese il ragazzo.

Orlando deglutì. Nessuno doveva sapere del suo essere un crossdresser. "Non ne ho idea..."

Julie gli accarezzò la mano, e il ragazzo in tutta risposta gliela strinse.

Rebecca abbracciò di colpo Orlando. "Sappi che bannerò chiunque ti faccia del male."

Orlando rimase sorpreso. Guardò Julie, vedendo che gli stava sorridendo dolcemente, ignaro del 'tormento' interno che la ragazza aveva nei suoi confronti.












 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Era come se i suoi emisferi stessero giocando al tiro alla fune per vedere chi aveva ragione e chi no.

L'emisfero destro era quello che diceva "Julie lo fa per lui!" e quello sinistro diceva "Lo fa per guarire il suo trauma emotivo!". Sembrava il modo in cui Diocle di Caristo aveva suddiviso le funzionalità del cervello, a destra i sentimenti e a sinistra la logica.

Con quel tiro alla fune immaginario, si era presentata lunedì dallo psicologo.

Gli aveva spiegato la situazione, mettendoci un pò di tempo a finire.

Dopo aver raccontato, si mise la testa sulle mani.

"Io non lo so...ci penso da tempo e sono sempre più confusa. Ho paura di ferirlo e di farlo sentire peggio di quanto non lo è già. Io non so perché gli sto accanto." si asciugò le lacrime. "Mi sento una stronza in questo momento."

Il signor Palumbo si sistemò gli occhiali. "Da come posso vedere, ti senti combattuta in questo momento."

Fecero una piccola discussione, e lui le consigliò un piccolo esercizio. Se fosse stata per un pò di tempo vicino a lui, forse avrebbe saputo cosa voleva fare per davvero.

Intanto, Orlando era nella sua nuova casa in compagnia di Matteo. Carla era andata fuori per lavoro e gli aveva lasciato la casa libera. Voleva approfittarne per studiare.

"Ti senti meglio?" chiese il biondino.

Il ragazzo da capelli neri si stiracchiò. "Giusto un pò."

"È una fortuna che oggi avevo il pomeriggio libero. Sai, sono un ragazzo molto impegnato." disse Matteo.

Orlando si mise a ridere. "Ma se non fai niente dal pomeriggio alla sera!"

L'amico cercò di fare un tono da sapientone. "Dormire consuma calorie."

Il ragazzo si mise una mano sulla bocca e continuò a ridere. "Ma che cazzo stai dicendo?"

"Davvero." continuò a parlare con quel tono. "Recenti studi svizzero-anglosassoni canadesi, hanno dimostrato che il sessantanove per cento delle calorie si scioglie al contatto con divani di origine italiana."

Orlando stava per esplodere.

"No, ok. Cazzate a parte, come va col teatro?" chiese Matteo, tornando serio.

"Bene. Abbiamo già deciso cosa fare." gli fece la linguaccia. "Ma sono uno stronzo e non ti dico nulla."

Matteo gli arruffò i capelli. "Ma guarda te come sei infame, fratellino."

Orlando cercò di togliersi la sua mano dai capelli. "Abbiamo quasi un mese di differenza, uffa."

Il biondo lo abbracciò. "Sei piccolinooo."

"Ma ho sedici anni!" si lamentò il ragazzo.

"Sei sempre piccolo." fece Matteo.

"E allora anche tu sei piccolo. Hai sedici anni pure tu."

"No, ne faccio diciassette tra qualche settimana, quindi sono più grande." disse lui. "Ah già, devi regalarmi un pappagallo per il compleanno e un pavone per Natale perché si."

Orlando rise e pensò a una cosa.

'Che regalo a Julie per Natale?'

Matteo notò che il suo amico era pensieroso. "Tutto bene?"

"Stavo pensando a cosa regalare a Julie per Natale." lo disse di getto. Dopo essersi reso conto della frase appena detta, sciolse l'abbraccio con Matteo. "Ma non è che mi piace o altro...è che...voglio ringraziarla...tutto qui."

"Aw, il mio fratellino sta crescendo." gli arruffò nuovamente i capelli. "Se hai bisogno di consigli, chiedi pure.

Orlando arrossì. "Grazie." fece un piccolo sorriso.

Nel frattempo, Julie era in sala d'attesa, mentre aspettava che sua mamma uscisse dalla stanza dello psicologo.

Il suo stomaco iniziò a reclamare cibo, così andò verso le macchinette proprio quando un altro ragazzo si era già posizionato lì.

'Vabbè, aspetto.' pensò la ragazza.

"Ehi, se vuoi puoi prendere pure. Tanto non ho fretta." fece il ragazzo.

Aveva i capelli corti castano chiaro e gli occhi del medesimo colore, ma un pò più scuri. Indossava un giubbotto grigio con la cerniera mezza aperta da cui si vedeva il maglione bianco, dei jeans e delle scarpe nere. Il ragazzo era poco più alto di Julie.

"Oh, grazie." gli sorrise e mise i soldi nel distributore.

Ma il caso volle che il sacchetto di croccantelle si bloccasse tra la molla e il vetro.

'Ma poco Kira che fa i botti di Capodanno con Killer Queen.'

"Ci penso io." Il ragazzo diede una spallata al distributore, ma il pacchetto non si mosse.

Ci riprovò un paio di volte, e alla fine la merenda venne giù.

"Grazie." Julie prese il sacchetto. "Odio 'sti cosi."

"Non dirlo a me." fece il ragazzo.

A loro, si avvicinò una ragazza dai capelli neri a caschetto che portava gli occhiali con la montatura blu. Gli occhi erano castano chiaro e indossava un maglione rosso e dei jeans neri.

"Ehm...devi prendere qualcosa?" fece lei al ragazzo.

"No, vai pure." le rispose lui.

Lei prese due pacchetti di croccantelle e andò via.

Alla fine, anche il ragazzo si prese le croccantelle.

"Wow, pure tu?" chiese Julie.

Lui annuì. "Si, sono buonissime."

"Come ti chiami?" domandò la ragazza.

Il ragazzo aveva già aperto il sacchetto. "Valerio, e tu?"

"Julie." rispose lei.

Intanto, la ragazza con gli occhiali era tornata da suo padre, che si trovava in sala d'attesa, mentre aspettava i risultati delle analisi del sangue. "Ehi, papà." gli mostrò uno dei pacchetti con un sorriso. "Guarda cosa ti ho portato."

L'uomo sorrise. "Grazie, ma davvero, puoi prenderli tu, non ho fame."

La ragazza si sedette vicino a lui. "Eh no, ormai ne ho presi due. E poi mica sono avvelenati."

Lui sorrise e prese il pacchetto. "Le croccantelle avvelenate, diretto e scritto da Chiara."

Chiara, la ragazza, rise. "Dai, mangia o mi arrabbio."

Demian sbuffò dal ridere e le strinse una guancia. "Tu sei sempre arrabbiata."

Chiara aprì il suo pacchetto di croccantelle. "Sono affamata, piena di compiti, lesbica e con mezza classe omofoba. Nessuno è più arrabbiato di me."









 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Orlando non si era sentito per niente nervoso quando era andato al suo primo giorno di terapia.

Non ne sapeva il motivo, ma forse era meglio così.

Con lui, quel giorno, c'era un solo ragazzo. Aveva i capelli neri cortissimi con un ciuffo rosso sul lato sinistro, gli occhi castano chiaro e indossava dei vestiti pesanti, ideali per l'inverno.

Orlando ci aveva messo qualche secondo a presentarsi al ragazzo di nome Gioele, ma sembrava che quest'ultimo non fosse infastidito dalla timidezza dell'altro.

Il tatuaggio di un ramo-almeno, credeva che fosse un ramo- faceva capolino dalla manica destra.

Era in terapia poiché, come Orlando, aveva avuto problemi di bullismo. Il ragazzo si sentiva bene con questo suo probabile nuovo amico, probabilmente per il fatto che avevano subito più o meno la stessa esperienza negativa.

Forse era quel senso di conforto che solo le persone che avevano qualcosa in comune potevano avere.

Nel frattempo, Ammar stava facendo i compiti in camera sua. Aveva deciso che, dopo le cinque e mezza, avrebbe chiamato Orlando per sapere come gli stava andando.

Si sentiva un pò stupido per il fatto che avesse pensato che lui lo stesse discriminando come avevano fatto i suoi vecchi compagni di classe delle medie.

La situazione del suo amico non era per niente da prendere alla leggera. Ammar si sentiva fortunato ad essere stato adottato da una famiglia che aveva origini e una religione diversa dalla sua.

Loro lo consideravano italiano, anche se non era nato in Italia.

Non ricordava il volto dei suoi genitori- vagamente ricordava quello della mamma-.

I suoi genitori adottivi gli avevano detto che lo trovarono avvolto in delle coperte sulla scalinata della cattedrale di Sant'Agata. La madre, devota alla Santa, disse che lei li aveva fatti andare vicino alla scalinata proprio per salvarlo.

La sua vera madre era povera e aveva deciso di abbandonarlo, non per cattiveria, ma perché forse non riusciva più a prendersene cura.

Il suo nome era scritto in un foglio, insieme ad alcune raccomandazioni. La calligrafia era tremolante e la sintassi era abbastanza pessima, probabilmente la donna conosceva solo le basi dell'italiano.

Una frase era messa in risalto da varie sottolineature: 'Quando sarà abbastanza grande voglio che gli insegniate quello da sapere sulla cultura del nostro paese. Non cambiate il nome in modo che un giorno possa incontrarlo quando sarà grande. E gli dirò scusa se non sono stata una madre perfetta ma una madre egoista. Perdonate il mio comportamento egoista, ma non sono capace di prendermi cura di lui.'

Dopo un pò, vide che erano effettivamente le cinque e mezza e telefonò all'amico.

"Ehi...come va?"

"Tutto bene. Sto aspettando mia zia in sala d'attesa." rispose lui.

Ammar sospirò. "Senti, mi dispiace per quella cosa."

"Non ti preoccupare, non è niente."

Dal tono di voce, Orlando sembrava stanco.

"Se...hai bisogno di qualcosa mi puoi chiamare. Puoi farlo pure la notte, se ti va." fece il ragazzo.

All'altro scappò una risata. "Starò bene, Ammar. Non ti preoccupare."

Dopo qualche secondo di pausa, Orlando fece una domanda insolita. "Secondo te...una ragazza si potrebbe innamorare di me?"

"In che senso?" chiese Ammar.

"Cioè, sono praticamente uno stecchino, piango più di un neonato e non ho nessuna macchina costosa." Orlando non disse nulla sul crossdressing.

Ammar cercò di essere positivo. "Dai, non essere pessimista. Vedrai che qualche ragazza la trovi."

L'altro ragazzo sospirò. "Speriamo..."

"La cosa importante è che vai a terapia, ok?" disse Ammar. "La ricerca della ragazza viene dopo."

Orlando sospirò. "Se lo dici tu..."

Intanto, Julie e Anna erano a casa di quest'ultima per fare i compiti.

La bionda si era accorta che la sua amica era giù di morale ultimamente.

Lei e Julie si erano conosciute alle medie, dopo un certo episodio.

Aveva cambiato sezione, siccome stava abbastanza male nella precedente. Anna era abbastanza mal vista dalla sua classe, probabilmente per il fatto che avesse dei voti abbastanza alti. Il fatto non cambiò neanche dopo lo scambio.

Tutto era reso più difficile da una ragazza che Julie aveva etichettato 'Lady Raccomandata.'

Si chiamava Viola e ogni volta giocava la carta del 'i miei genitori sono morti in un incidente stradale' solo per avere un pò di compassione.

Il problema è che alcuni ragazzi e ragazze le davano pure retta tranne alcuni, tra cui Anna stessa e Julie.

Quest'ultima usava un approccio abbastanza diretto. Per esempio, se Viola iniziava la lagna dei genitori, lei rispondeva con 'Viola, è la settimana settimana di fila che ci dici che i tuoi sono morti.' o cose simili.

Viola faceva di tutto per scoraggiare Julie, senza successo, e così la lasciò perdere e prese di mira Anna.

Ma la bionda aveva deciso che non si sarebbe di certo fatta mettere i piedi in testa da una come Viola, anche quando la prendeva in giro per il suo petto, abbastanza sviluppato per la sua età.

Julie dava segretamente il suo contributo. "Almeno lei ce le ha naturali, non come te che ti metti la sciarpa nel reggiseno solo per averle più grandi."

Dopo quegli eventi, le due iniziarono a conoscersi meglio.

La loro scuola media era strana, non solo per gli alunni, ma anche per i professori.

Un esempio era la professoressa di tecnologia, che era uno di quei vegani che raggiungevano un livello di stupidità incredibile.

Diceva che, se mangiavano cibo da qualche fast food, avrebbero digerito cadaveri di animali.

E Julie, stufa delle sua lagne, le disse che se loro mangiavano cadaveri, lei mangiava piante sradicate.

L'intera classe applaudì per quella battuta, tranne Viola.

Anna rimase amica di Julie, anche dopo le medie e fu una strana ma piacevole coincidenza il fatto che sarebbero andate nello stesso liceo.

"Tutto bene?" chiese la bionda, facendo uscire Julie dal suo stato di trance.

"Pensavo...secondo te posso piacere a un ragazzo?" il suo tono di voce era particolarmente abbattuto.

Anna intuì dove sarebbe finita la conversazione. "Perché lo chiedi?"

Julie sospirò. "Voglio dire...non è per l'aspetto fisico...ma per il carattere. Secondo te è troppo da maschiaccio?"

"Di sicuro è migliore di quello di Viola e delle tizie che le andavano dietro." disse l'amica.

La castana fece spallucce. "Forse è per questo che non interesso a nessun ragazzo, sono la nemica numero uno del maschilismo."

Anna voleva essere positiva. "Sono sicura che ci sarà un ragazzo a cui piaci."

Julie non ne era del tutto sicura.









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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Ormai era dicembre e l'aria natalizia aveva già invaso le strade della metropoli.

Alcune bancarelle erano state allestite nella piazza principale, insieme a un gigantesco albero di Natale finto fatto solo di luci.

Quella sera faceva particolarmente freddo, e Julie si era vestita un pò più pesante del solito.

"Guarda che figata!" La ragazza era piuttosto felice.

A vedere la sua gioia, Orlando scappò un piccolo sorriso.

"Ti va della cioccolata calda?" chiese la ragazza all'amico.

Il ragazzo ci pensò. "Si, ma non voglio farti spendere soldi inutilmente"

"Non ci pensare, ho tipo venti euro nel portafoglio." disse sicura di sé.

Orlando fece spallucce. "Se lo dici tu..."

Julie lo guardò. "Tutto bene?"

Lui scosse la testa. Non riusciva a dormire bene ultimamente. Si sentiva un pò stupido a far preoccupare Julie in quel modo. Oltre a non averle detto del suo crossdressing, non aveva minimamente accennato al suo tentativo di uccidersi.

Senza che se ne accorgesse, Julie gli aveva preso la mano. "I soldi non sono un problema." gli sorrise. "E poi, è un buon modo per rilassarsi da tutti 'sti compiti."

"Hai ragione. È solo che era meglio spendere i soldi per qualcos'altro, piuttosto che fare merenda con me." fece lui.

Le sue parole sembravano una pugnalata al cuore. Julie cercò di rallegrare l'atmosfera. "Io voglio vederti con i baffetti di cioccolata però."

"Vuoi che diventi Babbo Natale?" chiese lui.

"Orlando Natale." la ragazza si mise a ridere.

Il ragazzo sorrise. "Però anche tu devi avere i baffetti di cioccolata."

"Ovvio!" guardò il bar più vicino. "Diventeremo come le statuette di cioccolato che vendono adesso ma solo coi baffi!"

Orlando sorrise e, insieme, si diressero verso il bar. Purtroppo, non c'era posto per stare dentro, e così dovettero stare a mangiare fuori, dopo aver pagato.

La bevanda per poco non straripava dalla tazza, e così dovettero usare il cucchiaino per berla, evitando di sporcarsi e di ustionarsi inutilmente. Quando la bevanda raggiunse un livello adeguato, si misero a bere normalmente.

Julie, piano piano, si stava rendendo conto che, probabilmente, il suo gesto era dettato dall'altruismo e non dall'egoismo. Se era davvero egoista, sarebbe stata attaccata a lui per tutto il tempo e fargli domande di qualsiasi tipo, tutto solo per salvare un Riccardo alternativo.

Orlando e Riccardo erano totalmente diversi. Lei stessa si stava rendendo conto che forse suo padre aveva ragione, era altruista di natura.

Invece, il ragazzo si sentiva un pò più sollevato. Stare con Julie gli dava la stessa sensazione di quando stava con Matteo. Solo che quello che provava con Julie era diverso da quello di Matteo.

Forse si era innamorato, ma non ne era sicuro. Aveva paura che Julie scoprisse il suo segreto e che lo abbandonasse.

Quando finirino, Julie lo guardò. "Orlando Natale." Entrambi avevano il residuo di cioccolata sui bordi delle labbra.

Il ragazzo si mise a ridere. "Scommetto che sei più dolce del solito con questi baffetti."

Lei fu colta alla sprovvista. "Io sono sempre dolce, e anche carina." sorrise. "Tu invece sei dolce e tenero fuori e dentro come un krapfen."

Ora fu lui a essere sorpreso, rimanendo senza parole.

Julie si pulì. "Andiamo alle bancarelle?"

Il ragazzo si passò il fazzoletto sulla bocca. "Perché no?"

I due andarono verso le bancarelle, dove Julie rimase affascinata dai dolcetti finti usati per decorare gli oggetti.

"Adoro troppo queste cose!" gli disse all'amico.

Orlando sorrise, mentre nella sua testa prendeva forma il regalo che voleva fare a Julie.

----

Dopo qualche giorno, Orlando chiese a sua zia se poteva comprare uno spago, delle perle e dei dolcetti finti.

Quando Carla gli domandò a cosa gli servivano, lui le spiegò che voleva regalare a Julie una collanina di perle con sopra i dolcetti finti.

La donna gli rispose che non sarebbe stato un problema. Il ragazzo era felice, vedere Julie sorridere gli faceva scaldare il cuore, anche se di poco.

Mentre fantasticava, il pensiero di baciarla sulla guancia si fece strada sulla sua testa.

Carla notò il rossore sulla faccia del nipote, capendo a cosa stava pensando.

Orlando era un pò imbarazzato, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Si sentiva uno scarafaggio in confronto agli altri, e questo lo aveva portato a reprimere i suoi sentimenti al punto di non capire se amava Julie oppure no.

Si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa.

"Che succede?" chiese Carla.

"Non lo so...mi sento osservato..." iniziò a tremare. "Forse lui è qui."

La donna lo abbracciò. "No, non è qui e non arriverà mai."

Lui si fece abbracciare e ricambiò il gesto. "Lo s-spero..."










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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


La pioggia cadeva incessantemente sulla città, sembrava un secondo diluvio universale. Si erano addirittura formati dei piccoli fiumi che si portavano dietro la spazzatura.

Michele si era riparato sotto al tettuccio della fermata dell'autobus, ma sentiva comunque i tre gradi sottozero nonostante il giubbotto. Doveva pulirsi costantemente gli occhiali poiché si appannavano di continuo.

L'autobus sembrava non volere arrivare.

Intanto, Chiara stava cercando di non farsi scappare l'ombrello dalle mani. Riuscì ad arrivare alla stessa fermata in cui si trovava Michele.

Ma la sfortuna era dalla sua parte, e così l'ombrello le volò dalle mani.

Il ragazzo lo notò e andò a recuperare l'ombrello che era finito dall'altro lato della strada. Fortunatamente non era finito sulla carreggiata.

Ritornò da Chiara con l'ombrello. La ragazza lo prese. "Grazie."

Michele sorrise. "Figurati."

L'autobus arrivò e quando i due presero i biglietti da convalidare dalle loro tasche, notarono che erano bagnati.

Chiara sospirò. "Non posso salire con un biglietto così."

"Ce l'hai un euro?" chiese Michele. "Io non ho soldi con me."

"Si, tranquillo."

I due andarono dal tabaccaio a prendere due nuovi biglietti. Chiara aveva con sé una moneta da due euro e con quella pagò i biglietti per entrambi.

Mentre uscivano, la ragazza notò vicino a un negozio un ragazzo che conosceva.

Michele notò lo sguardo sconcertato di Chiara. "Tutto bene?"

"È un ragazzo che conosco." disse lei.

"Vuoi che venga con te?" chiese il ragazzo.

La ragazza annuì. Entrambi si diressero dal ragazzo, che era seduto sul bordo del negozio. Era bagnato fradicio e teneva la testa bassa. Da sotto la maglietta azzurra si vedevano, anche se poco, i tatuaggi sulle braccia.

"Gioele? Che è successo?" chiese Chiara.

Il ragazzo scosse la testa, nascondendo il suo occhio nero. "Non ha funzionato. Io lo sapevo, lo sapevo."

Michele non aveva capito, mentre Chiara si. "È quello che penso?" domandò la ragazza.

La voce di Gioele era abbattuta e demotivata. "Mi hanno buttato fuori di casa."

Michele notò che si teneva di continuo la mano sulla parte sinistra della faccia e che qualche goccia di sangue stava comparendo dalle sue dita. "Mia mamma è un medico e ora sta facendo il turno in ospedale." intervenne Michele. "Possiamo portarti lì."

Chiara tese la mano a Gioele. "L'ombrello è abbastanza grande per tutti e tre." guardò Michele. "Ti dispiace se stai qui? Io vado a prendere un altro biglietto." Lui annuì. "Vai pure."

Lei diede l'ombrello a Michele e andò a comprare un terzo biglietto.

Michele guardò Gioele. "Dunque...perché ti hanno cacciato di casa? Hai fatto qualcosa?"

Gioele si strinse le ginocchia. "Io non ho fatto proprio niente."

'Ma che gli è successo?' pensò. "E allora...perché l'hanno fatto?"

Lui tremò e mise la testa sulle ginocchia. "Perché sono gay."

Michele rimase confuso per tre secondi. "Cosa?"

Lui spesso si sentiva fortunato a essere nato in una famiglia che aveva accettato la sua bisessualità, così come Rebecca.

Chiara tornò con un terzo biglietto. "Eccomi." prese un respiro. "Andiamo alla fermata del bus."

Gioele si alzò di malavoglia, mentre Michele restava in silenzio. Fortunatamente, l'ombrello era abbastanza grande per tutti e tre.

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Arrivati in ospedale, Michele chiamò sua madre, mentre Gioele e Chiara erano in sala d'aspetto.

Gioele era demoralizzato. "Lo sapevo che era una pessima idea." Aveva l'occhio sinistro più rosso di quello destro a causa del sangue che c'era nel primo. Le lacrime portavano con sé un pò del sangue che si trovava nella sclera.

Intanto, Michele era riuscito a chiamare sua mamma. "Pronto, mamma?"

Dal telefono di Michele, provenì la voce della donna.

"Michele? Che succede? Sono al lavoro." fece lei.

"Si, si lo so. Senti, sono qua in sala d'attesa e c'è un ragazzo con un occhio nero. Lo potresti portare in qualche sala libera?" disse lui.

Lei si preoccupò. "Oddio, che è successo? Una rissa? Stai bene?"

"Si mamma, io sto bene." fece lui.

"Dammi qualche minuto e arrivo. Nel frattempo cerca di fermare il sangue con qualche fazzoletto."

"Ok." lui chiuse la telefonata e si diresse verso i due. "Ehi, mia mamma sta arrivando e intanto voglio aiutarti con l'occhio ora che siamo in un posto più tranquillo." prese dei fazzoletti dalla sua tasca. "Alza di poco la testa e premi il fazzoletto ai lati dell'occhio."

Gioele fece esattamente come gli disse il ragazzo.

"Senti...grazie di tutto." fece Chiara.

Michele fece un sorriso. "Figurati. Comunque, io sono Michele, e tu?"

"Chiara." disse lei. La ragazza sentì il cellulare squillare nella sua tasca. "Cazzo, è mio padre!" In tutto quel trambusto, si era dimenticata di telefonare a suo padre.

Ora doveva spiegare perché non gli aveva risposto per cinque volte.

Intanto, Michele si era seduto alla sinistra di Gioele per tenere sotto controllo il suo occhio.

"Grazie." disse Gioele. Michele sorrise. "Figurati."

"Papà io sto bene, tranquillo. È successo un casino con Gioele."

Demian sospirò dall'altro lato del telefono. "L'importante è che stai bene. E Gioele invece? Che è successo?"

Mentre Chiara gli spiegò brevemente la situazione, la madre di Michele era già arrivata.

"Vieni, ti porto a farti disinfettare l'occhio." disse lei.

Dopo che lei portò via Gioele, Chiara aveva già chiuso la chiamata. Sarebbe tornata tardi quella sera.

"Grazie ancora per quello che hai fatto." disse lei a Michele.

Lui sorrise. Mentre parlavano, notò un ragazzo che si teneva una mano in tasca. Michele lo riconobbe.

"Ehi, tu. Fermati."

Il ragazzo si fermò sul posto. "Che vuoi?"

Michele si avvicinò a lui. "Ridammi quella siringa."

Lui fece un sorrisetto. "Che vuoi dire? Che ho fatto?"

"Se non vuoi che chiami i carabinieri, ti conviene ridarmi quella siringa." gli disse Michele. Aveva notato troppe volte quel ragazzo fare vai e vieni dall'ospedale e, puntualmente, spariva qualcosa dai reparti.

Il ragazzo fece spallucce, senza far sparire il suo sorriso dalla faccia. "Va bene va bene. Mi hai scoperto, ti ridò la siringa."

"Ed è anche meglio che non ti fai più vedere qui se non per delle emergenze serie." aggiunse Michele.

A Chiara pareva di aver già visto quel ragazzo e, avvicinandosi di poco, lo riconobbe. "Valerio?"

"Ooooh, Chiara. Come stai?" disse lui.

"Non sono la tua amichetta, deficente. Ora ti metti pure a rubare negli ospedali?" era molto arrabbiata.

"Lo conosci?" le domandò Michele.

"Si, purtroppo. È un mio compagno di classe. Un coglione di prima categoria."

Valerio rise."Eddai Chiara. Non rovinare il divertimento." fece spallucce "Ma suppongo che sia ora di cena tra poco, no? È meglio che torni a casa o tuo papà potrebbe preoccuparsi."

Chiara voleva tirargli un pugno, ma Valerio era più alto e anche fin troppo forte per lei. Lui ridiede la siringa a Michele. "Tolgo il disturbo." 

Lui andò via senza salutare i due. Per qualche strano motivo, Michele rimase turbato da quel ragazzo.










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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Era il giorno di Natale e, come da tradizione, varie famiglie erano riunite nelle case per il pranzo.

La casa di Julie era troppo piccola per ospitare più di sei persone, così lei e la sua famiglia erano andati a casa della zia sorella della madre.

Julie la detestava a causa del suo essere troppo bigotta. La donna le chiedeva di continuo se stava cercando un fidanzato o se avesse smesso di vestirsi da uomo.

La ragazza le rispondeva che il fidanzato lo avrebbe cercato più tardi su Amazon e che si sarebbe messa lo smoking al matrimonio di sua cugina, che si sarebbe svolto a Marzo.

Alla donna non andava proprio giù che si vestisse da uomo, perché aveva paura che diventasse lesbica.

"Zia, una cravatta non mi fa automaticamente cambiare il mio orientamento sessuale." aveva cercato di spiegarle.

"E invece non è così! Tutte le lesbiche del mondo si mettono abiti da uomo per identificarsi e non permetterò che tu diventi una di loro!" fece lei.

'Qualcuno la muti.' pensò disperata Julie. Lei adorava vestirsi da uomo, è vero. Ma questo non la rendeva lesbica o trans. A detta sua, un pezzo di lana non trasforma magicamente il sesso di una persona in quello opposto o ne modifica la sessualità.

In quel momento voleva ballare-fare mosse a caso- sulle canzoni di Gakupo ma aveva dimenticato le cuffie a casa.

A casa di Rebecca, lei lo stava festeggiando con i suoi genitori e i suoi gatti. Il resto della famiglia era fuori dalla Sicilia e così fecero una festa solo loro tre.

Michele lo stava passando bene, con sua sorella, i suoi genitori e suo zio fratello della mamma. Il padre era un poliziotto e lei era un medico e per questo non stavano quasi mai a casa. Lo zio si occupava di loro ogni tanto.

Anna era tranquilla a casa sua con i suoi e il suo fidanzato più i genitori del ragazzo.

Chiara aveva inviato Gioele a casa sua per fargli passare almeno un Natale decente.

Yuki si era organizzata con Ammar, Matteo e Orlando per festeggiare la festa a casa di quest'ultimo. Ammar era egiziano e perciò il Natale nel suo paese veniva festeggiato il sette gennaio, ma andò comunque a casa dell'amico perché, appunto era suo amico.

Orlando aveva preparato il regalo per Julie e voleva aspettare che rientrasse a casa per poi avvisarla che sarebbe passato a salutarla.

Mentre i genitori dei rispettivi ragazzi chiacchieravano con Carla-i genitori di Matteo c'erano, anche se erano un pò riluttanti nel venire-.

Il ragazzo si sentiva ancora in colpa per quello che era successo a Matteo alle medie, nonostante non fosse per niente colpa sua.

"Allora, quando le dai il regalo?" chiese Ammar a Orlando.

"Aspetto che arriva a casa e...se poi non le piace?" si chiese.

Matteo gli arruffò i capelli. "Non essere pessimista! Le piacerà."

Lui guardò in basso. "Ne dubito."

Yuki gli tirò una guancia. "Daiii. Devi essere positivooo."

Orlando sospirò con uno sguardo abbattuto. "Forse dovrò aspettare il suo compleanno. Ho paura che lo schifi e potrebbe anche avere ragione. Chi regala una collana del genere a Natale?"

La malinconia si propagò anche sugli altri tre. "Fa come vuoi." fu la risposta di Matteo.

Una notifica di WhatsApp gli fece prendere il cellulare.

Ehiii come va? Io sono da mia zia e mi sto annoiando zwz

Il ragazzo le rispose. Anche qui non c'è niente da fare.

La risposta di Julie arrivò dopo qualche secondo. Uffi io volevo passare la giornata con te :c

Orlando arrossì a leggere quel messaggio. Ammar lo notò. "Che succede?"

"Ehm...nulla!" disse lui.

"È Julie?" chiese Yuki. Orlando non rispose. "Oh, ci ho azzeccato."

"Che dice?" domandò Matteo.

"Mi...ha detto...che voleva passare la giornata con me." fece lui in totale imbarazzo.

"Ma che dolce." fece Matteo. "Per me le piaci."

"Non ho idea di come potrei piacerle..." fu la sua risposta.

"Secondo me dovresti uscire un pò più spesso con lei e poi confessarti in un luogo isolato." gli suggerì Ammar.

"Oppure ti regala a sorpresa l'Honmei choko il quattordici febbraio che poi ricambierai con dell'altro Honmei choko bianco il quattordici marzo." disse Yuki.

"Ehm, ragazzi, lo state sovraccaricaricando." gli fece notare Matteo.

Infatti Orlando si era messo le mani in faccia mentre stava arrossendo. Ammar provò a toccargli la spalla, ma il ragazzo tirò il braccio all'indietro, spaventato.

"Oh. Eh, s-scusa Ammar." fece lui. "Non volevo, scusa."

Il ragazzo aprì le braccia e lo abbracciò delicatamente. Si potevano sentire i muscoli delle braccia abbastanza allenati grazie al pugilato. "Sei più forte di quel che credi."

"Non è vero." fece Orlando.

"E invece si!" fece Yuki.

Orlando guardò Matteo che gli stava sorridendo. Lui si sentì leggermente sollevato.

Il ragazzo sorrise. "Grazie, ragazzi."












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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Mancavano alcuni giorni al compleanno di Julie e, in quel lasso di tempo, Orlando si era preso un pò di coraggio e pensò a come regalarle la collana.

Sia quando facevano teatro che scuola-lavoro, si faceva continuamente distrarre da lei.

Era la prima volta che s'innamorava di una ragazza e non sapeva neanche come dirglielo. Diede per scontato che lei non lo avrebbe mai amato se avrebbe scoperto i suoi interessi, e perciò aveva deciso di non dirle nulla.

Ogni tanto lei, proprio come quel pomeriggio, andava a casa sua per dargli una mano con lo studio, e grazie a ciò i suoi voti erano abbastanza buoni.

Grazie a ciò, la pagella del primo ebbe dei voti abbastanza decenti ma doveva ancora recuperare.

"Uff." Julie posò la penna sul quaderno. "Mi fa male la mano." guardò il dorso del suo mignolo destro, notando che era bluastro, dovuto all'inchiostro della penna. "Ugh."

"Tutto bene?" chiese il ragazzo.

"Si, tranquillo." fece lei. Si stiracchiò. "Tra pochi giorni faccio il compleanno."

Orlando sorrise. "Sedici, giusto?"

"Si, e lo fai giorno...?" domandò Julie. Non se lo ricordava.

"Il nove febbraio." disse lui. Orlando compieva gli anni un giorno prima rispetto a lei.

Julie rise. "Mi sa che mi devo prendere un'agenda."

"Dai, pure io mi dimentico spesso le cose. Non sentirti in colpa." il ragazzo le sorrise amorevolmente.

"Per curiosità, tu ci vieni alla festa di Sant'Agata o passi quest'anno?" chiese.

"Non lo so. Probabilmente passo. Non mi piacciono i luoghi rumorosi." fece Orlando.

"Capito...come va la terapia?"

"Tutto bene, ora mi sento un pò meglio anche se nessuno la fa con me." disse.

"Ma non c'era quel ragazzo? Giole se non sbaglio." disse Julie.

"Non viene più. Il dottore ha detto che sono cose delicate, non ha specificato." spiegò lui.

"Oh beh. Vuoi fare merenda?"

Il ragazzo accennò un 'si'. "Che vuoi prendere?"

Julie assunse uno sguardo deciso. "I biscotti."

"Ho solo quelli confezionati però."

"Sono al cioccolato?" chiese lei.

Orlando si grattò la testa. "Ehm...si."

"Allora va bene."

Se c'era una cosa che Orlando amava di Julie più di ogni altra cosa, era il suo ottimismo.

Era contagioso e, a lui, non dispiaceva affatto.













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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Julie era andata a comprare qualcosa da regalare ad Orlando per il suo compleanno, si sentiva stupida ad averlo dimenticato.

'Ma io sono scema però.'

Visto che gli piacevano i gatti, aveva pensato di regalargli un portachiavi con sopra una faccia da gatto.

Non ne trovò alcuno buono e così decise di farselo da sola.

Quando tornò a casa, era andata a vedere cosa vendevano in una cartoleria vicino casa sua, la ragazza prese una catenina e iniziò a pensare a che gatto mettere come figura.

"Morgana? Neferpitou? SeeU? Nekomura Iroha? Tsubasa Hanekawa? Faris? Felix? Bho?"

Sospirò e iniziò a scrivere i nomi scelti su un foglio. Dopo, chiuse gli occhi e indicò un nome a caso e guardò che nome aveva preso.

"Vada per Morgana, ma in forma gatto normale."

Dopo aver preso un foglio, disegnò la faccia del gatto su di esso.

'La prossima volta mi segno le cose importanti nel calendario del cellulare.'

---

La mattina del compleanno, Julie si sentiva stranamente nervosa. Dopotutto, era la prima volta che regalava a qualcuno un regalo fatto totalmente da lei.

Nel frattempo, Orlando era vicino al cancello della scuola.

"Ehi, auguri!"

Il ragazzo si voltò e vide Ammar venirgli incontro e accennò un sorriso. "Eh, grazie."

"Uffa però, tra due anni diventi maggiorenne mentre io devo aspettare il venticinque agosto per fare sedici anni." disse Ammar.

Ammar sapeva della sua data di nascita poiché era scritta nel biglietto che fu trovato insieme a lui quando era piccolo.

"Comunque, come va?"

"Tutto bene." rispose Orlando. "Ultimamente sono un pò stanco."

"Ti capisco." disse l'altro. "Tra poco inizia la marea di compiti in classe. Il mio cervello non reggerà."

"Hai dei voti alti, ce la farai." fece l'altro ragazzo.

"Ehiii!"

Matteo si avvicinò ai due. "Auguri, campione."

Orlando arrossì di poco. "Eddai!"

Ammar si mise a ridere. "Sembrate una coppia sposata."

"Anche se il nostro ragazzone qui sta per avere la zita." aggiunse Matteo.

Il ragazzo si tirò di poco i capelli. "Non so neanche se le piaccio."

Intanto, Julie aveva salutato suo padre e su stava incamminando verso la scuola e vide Orlando parlare con Matteo e Ammar. Andò verso di loro e li salutò con "Ue." Poteva farcela.

I tre la salutarono. Julie prese un respiro profondo e diede a Orlando il portachiavi che teneva in tasca. "Non avevo idea di cosa regalarti e così ho fatto questa cosa a caso e niente buon compleanno."

Lo disse tutto d'un fiato e alcune parole non si capirono.

Orlando era più imbarazzato di lei. "G...grazie..." prese il portachiavi e rimasero in silenzio per qualche secondo.

"Ecco...ti...piace?" disse la ragazza.

"S...si è carino." rispose il ragazzo.

Ammar prese Matteo in disparte. "Secondo te, quando si fidanzano?" gli sussurrò.

"Scommetto due mesi, ma non diciamogli nulla, ok?"

----

Alla ricreazione, Rebecca e Michele erano venuti a fare gli auguri a Orlando.

"Ma ci pensate che a giugno c'è lo spettacolo? Cioè, aiuto-" fece Rebecca.

"Il teatro dove ci esibiremo è un pò piccolo però." disse Orlando.

"Si, ma ci vedrà tutta la scuola." disse Rebecca.

"Eddai, che ce la facciamo." disse Julie. "Il mese prossimo ho pure un matrimonio."

"E a luglio c'è il mio diciottesimo." disse Michele. "Sto ancora scegliendo la località."

"Ma se non sbaglio, a marzo dobbiamo andare al polivalente per i nostri progetti di alternanza." disse Orlando.

Julie sospirò. "Che anno del cazzo."












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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Orlando non aveva idea di come dare il regalo a Julie. Probabilmente gliel'avrebbe lasciato sul banco con scritto 'Auguri' o qualcosa del genere.

Mentre cenava, pensava a un modo per darglielo.

Carla notò che suo nipote era pensieroso. "Tutto bene?"

Il ragazzo sospirò. "Domani è il compleanno di Julie e non ho idea di come dargli il regalo. E se non le piace?"

La donna sorrise. "Julie è una ragazza così dolce. Sono sicura che lo adorerà."

Orlando si sfregò il pollice sul dorso dell'indice. "Non lo so...per non parlare del fatto che non l'ho mai invitata fuori...è sempre lei a prendere l'iniziativa."

Carla si alzò prendendo la sedia e mettendosi vicino al nipote. "Lei sa cos'hai passato e ha capito che sei un pò più...introverso rispetto a lei. Se non l'avesse capito, a quest'ora sarebbe stata insistente e non avrebbe rispettato i tuoi spazi." lo accarezzò. "Sai, forse sono io che parlo da adulta, ma credo che lei abbia capito i tuoi sentimenti. Inoltre, ognuna affronta i propri propri problemi a modo suo. Il suo essere estroversa è un esempio." lo abbracciò. "E so per certo che è orgogliosa di te."

Il ragazzo abbracciò sua zia. "Così mi fai piangere..."

"Non avere paura di mostrare le tue emozioni."

Dopo quel discorso, Orlando si sentiva più motivato.

---

La mattina successiva, Julie era andata al bar situato davanti alla scuola per prendersi un cappuccino con Anna.

"Non puoi capire che mi è successo ieri sera. Un tizio aveva provato ad attaccare bottone con me su Instagram." disse Anna.

"L'hai bloccato?" domandò Julie.

"Ovvio. Dopo che ha mandato il primo messaggio l'ho bloccato." bevette un pò del suo cappuccino.

"A me mi sono capitati due deficenti che mi hanno scambiata per maschio. Quando gli ho detto che ero una ragazza mi fanno 'Eh ma sei troppo bello per essere una ragazza. Non è che sei trans?' Ti giuro volevo andare nel deep web e risalire ai loro indirizzi per poi prosciugargli tutta la rete Internet." sospirò. "Ma poi avevo capito che non erano italiani. La frase sembrava uscita da Google traduttore."

"Woah. E che volevano?" chiese Anna.

"Ma che ne so. Ma poi come fa a scambiarmi per un maschio se ho dei meloni al posto del petto? Forse erano degli incel troppo sotto shook per credere che una bomba erotica come me fosse donna." Julie bevette il cappuccino. "Sti incel."

"Una volta me ne hai parlato se non sbaglio." fece Anna.

"Si, sono i ragazzi che pensano che le donne non li vogliono perché sono brutti e allora dicono 'Eh ma le donne sono tutte cesse'. Ma vaffanculo. Sono tipo la volpe e l'uva. Loro non riescono a saltare in alto per raggiungere il loro obbiettivo e incolpano qualcun'altro del loro fallimento." spiegò Julie.

"È il fatto che oggi fai gli anni se oggi parli più del solito?" domandò Anna.

"Forse." disse lei.

Nel frattempo, davanti alla scuola, Orlando si stava preparando a darle il regalo.

"Ok, ce la posso fare." disse.

"Daiii, ce la faiii." fece Ammar.

"Guarda che poi voglio vedere le foto che vi fate a San Valentino." disse Matteo.

Orlando era imbarazzato. "M-Matteo!"

"Secondo me sareste carini assimeme." disse Yuki.

"Ragazzi!" fece Orlando. "D-Dai!"

Julie e Anna erano uscite dal bar e si erano dirette verso il cancello della scuola.

La castana notò il suo amico. "Ehiii!"

Orlando arrossì di colpo. 'Aiutooo.' si fece avanti. "Ecco..." le diede la scatoletta con dentro la collana. "Au...guri..."

"Aw." fece Anna.

"Ma grazie." Julie prese la scatoletta e la mise dentro il giubbotto e poi abbracciò Orlando. "Grazie."

Il ragazzo urlò dentro. Non solo perché la sua cotta lo stava abbracciando, ma anche perché aveva il suo petto contro al suo.

Gli amici dei due erano contenti, specialmente Matteo.

Una ragazza di bassa statura corse verso di loro. "JUUUUUULIEEEEEEE AUUUUUGUUUUUURRRRRRIIIIIIIH!"

Era Rebecca che si era fiondata su Julie. "OGGI FAI IL NUMERO DELLA SFIGA ANNI!"

Tutti, tranne Julie, si spaventarono all'entrata in scena di Rebecca.

"Ma che ci fa qui una bambina?" chiese Ammar.

Rebecca lo guardò. "Ho sedici anni, baka."

"Ma perché parli in giapponese?" chiese Yuki.

"Perché si." disse Rebecca.

"Ne è passato di tempo dall'ultima volta che ci siamo viste." fece Anna.

"Veeero. Sono cresciuta?" domandò la ragazza.

"Ecco..." Anna si grattò la testa.

Rebecca si demoralizzò. "Voglio essere alta e avere le tetteee."

---

Julie aveva aperto il regalo una volta arrivata a casa e lo trovava bellissimo. Dopo pranzo, aveva chiamato Orlando che gli era piaciuto un sacco.

"Sono contento che ti sia piaciuto...pure il tuo è carino...e scusa se non te l'ho detto ieri..."

"Traaanquillo. L'importante è che l'hai apprezzato." si distese- si buttò su di esso. "Che ne dici se-"

"Julie, così rompi il divano!" la rimproverò suo padre.

"Scusa, papà." ritornò alla chiamata. "Dicevo, perché qualche giorno non vieni a casa mia?"

Orlando arrossì. "Dici d-d-davvero? Non lo so se-"

La ragazza guardò sua madre. "Mamma, Orlando può venire a casa nostra quando gli va?"

"Orlando è il tuo fidanzato?" chiese Harry. Julie lo guardò. "Forse."

Il ragazzo sprofondò nell'imbarazzo più totale.

"Puoi venire, ma evita Harry che in sto periodo sta studiando la riproduzione a scuola e sta facendo domande inopportune a tutta la famiglia." fece la ragazza.

Orlando si mise a ridere. "Quindi...quando ci possiamo vedere?"

Julie guardò i suoi genitori. "Quando?"

"Per me può venire tutte le volte che vuole." disse la madre.

"Ma ovvio." disse l'uomo. "Non ci sono problemi."

"I miei ti vogliono bene." disse lei.

Orlando si arricciò i capelli con un dito. "Ok..."

Julie cambiò discorso. "A marzo ho un matrimonio e mi metto lo smoking."

Il ragazzo s'incuriosì a quelle parole. "Lo smoking?"

"Esatto!" disse lei. "Quando mi va, faccio crossdressing. Tu sai cos'è il crossdressing?"

Orlando sgranò gli occhi, era sul punto di piangere. "Julie d-devo andare...n-non mi s-sento bene..."

"Oh...vai pure...ci sentiamo!"

Il ragazzo chiuse la chiamata e provò ad asciugarsi le lacrime.

Sorrise perché non stava piangendo dal dolore, ma dalla gioia.

"Grazie...grazie di esistere Julie..." si sedette sul letto. "Io...ti amo...e forse...un giorno...riuscirò a dirti cosa provo per te..."











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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Il giorno dopo era tutto tranquillo. La giornata scolastica era passata liscia.

Quando Orlando aveva visto Julie, gli stava per scoppiare l'impulso di stringerla forte davanti a tutti.

Durante la ricreazione si avvicinò a lei, felicissimo.

"Sei troppo carino quando sorridi aw." commentò lei.

Lui ridacchiò. "Sei più carina tu."

"Aw, che teneri." fu il commento di Anna.

Dopo la scuola, Orlando si sedette si mise vicino al cancello ad aspettare sua zia dopo aver salutato i suoi amici.

Era felicissimo di aver scoperto che anche Julie faceva crossdressing.

'Chissà come reagirà al fatto che pure io faccio crossdressing.' pensò. 'Insomma...lei non potrebbe mai deridermi...vero?' s'incupì. 'E se...non fosse così?...'

Vide la macchina di sua zia venire nella sua direzione. Il ragazzo scosse la testa. 'Non devo pensarci.' e andò verso il veicolo.

---

Julie era a casa a pranzare con i suoi. "Il matrimonio è alle nove di mattina, giusto?"

"Si." disse sua mamma.

Il giorno dopo il matrimonio era domenica, Julie pensò che era riposo raddoppiato.

"Oggi andiamo a vedere per lo smoking?" chiese Julie.

"Ma certo." fece la donna. Era piuttosto stanca per via del lavoro.

Alla ragazza non importava molto dei commenti idioti di sua zia, voleva vestirsi come le pareva senza essere considerata una lesbica sotto copertura.

Di pomeriggio, andarono in dei negozi di Via Etnea per vedere quali smoking potevano piacere alla ragazza.

Alla fine, riuscirono a comprarne uno della sua taglia, e i suoi genitori ne approfittaro per guardare qualcosa per loro e Harry.

Julie, adesso, stava girando per il negozio per vedere se c'era qualcosa da poter mettere per stare a casa. Andò vicino al reparto uomini e lì vide qualcuno che conosceva bene.

Orlando era nel reparto uomini e stava cercando una cintura da sostituire a quella vecchia.

Mentre guardava, Julie lo sorprese alle spalle dicendo "Ehi!". Il ragazzo si prese un colpo. Quando si voltò, rimase disorientato dalla ragazza. "Ehm c-c-ciao."

"Che stai cercando?" domandò. Lui era visibilmente imbarazzato. "Ecco..." rispose lui. "Stavo cercando...una cintura."

"Io invece ho trovato lo smoking perfetto per il matrimonio!" era visibilmente felice. "Dov'è Carla?"

"Mi sta aspettando fuori...sai...ho deciso che non voglio dipendere per sempre da qualcuno...voglio provare a fare tutto da solo." disse lui.

"Anch'io dovrei cercare di essere indipendente." fece Julie.

"Ma posso essere onesto?" sospirò. "Io...non voglio stare qui a Catania...vorrei andare a vivere da qualche altra parte..."

La ragazza comprese che voleva solo allontanarsi dai brutti ricordi della sua vita fino a ora.

"Voglio vivere lontano da qui, con una casa tutta mia e un lavoro decente." era visibilmente triste. 'Vorrei tanto che venissi con me...'

Julie gli poggiò una mano su una spalla. "Se questo ti renderà felice, allora vai pure."

"Tu cosa fai per essere felice?" chiese Orlando.

Lei sorrise. "Oltre al crossdressing, mi piace dipingere, fare teatro, guardare gli anime, ascoltare i Vocaloids, uscire e leggere. Questo mi rende felice."

Il ragazzo le toccò la mano. "Vorrei essere come te a volte."

Julie voleva tirargli su il morale. "A te cosa ti rende felice?"

"Niente." aveva mentito.

"Ma oggi eri felicissimo a scuola. Perché?"

Il ragazzo deglutì. "Ecco...per una cosa..." si vergognava a dirlo.

"Capisco." disse lei.

"Vedi...è che...io..." non sapeva cosa dire, ma si fidava di Julie. A lei poteva dirlo. "Io..."

Julie lo guardò stranita.

Il ragazzo arrossì, ma si prese di coraggio.

"Io faccio crossdressing."

Gli occhi di Julie s'illuminarono. "Ma perché non me l'hai detto subito?! È una cosa bellissima! Cavolo, siamo due crossdressers, qualche volta possiamo fare delle sfilate a casa mia o tua, tanto i miei non hanno problemi e-" notò che Orlando la stava fissando. "Ehm...tutto bene?"

Orlando l'abbracciò di colpo e iniziò a piangere. Si sentiva felice, accettato.

Julie lo abbracciò di ricambiò. "Ehi, ehi. Calma."

Lui si mise a ridere. "Grazie."

"E di cosa?" chiese la ragazza.

Lui sciolse l'abbraccio e la guardò negli occhi. Nonostante stesse piangendo, stava sorridendo alla ragazza che amava. "Per avermi accettato per quello che sono."










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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


I due rimasero a parlare per un pò. Orlando si sentiva felicissimo.

"Senti, ti va se andiamo a prendere un gelato?" propose Julie.

Il ragazzo rimase confuso. "Un gelato? A febbraio?"

"Perché no?"

"Uhhh. Forse dovrei chiedere a mia zia se mi lascia andare." fece lui.

"Io vado a chiedere ai miei."

Dopo che i due ragazzi ebbero le rispettive approvazioni, a patto che chiamassero, uscirono dal negozio e andarono in un bar a prendere il gelato.

Orlando lo prese al limone, mentre Julie optò per il gusto setteveli. Si sedettero e iniziarono a mangiare e nel frattempo parlarono.

"Hai mai provato a stare sui tacchi?" domandò Julie.

"Una volta ci ho provato ma mi ha fatto un male tremendo." rispose lui.

"Pure a te? Siamo in due. Ma poi, come fanno le tipe a mettersi quelli alti? Non gli muoiono i piedi?" disse lei.

"Ah bho. Preferisco le scarpe con la zeppa, le trovo più comode."

"Pure tu? Io di solito le metto coi leggins e dei pantaloni di jeans."

"Io preferisco i leggings con qualche motivo chiaro oppure quelli con le cerniere ai lati."

Il tempo passò per loro due, tanto che Julie si stupì dell'orario che si era fatto. "Come abbiamo fatto a rimanere qui per mezz'ora?"

Orlando fece spallucce. "Non...ne ho idea."

La ragazza notò che aveva la camicia sbottonata di sopra. "Hai un bottone sbottonato."

Orlando si guardò la camicia e si abbattonò immediatamente.

"Tutto bene?"

Il ragazzo rise nervosamente. "Si, tranquilla."

'Se la vedeva ero fottuto.'

---

Di lunedì, durante la ricreazione, Orlando era andato a cercare Demian. Era da molto tempo che non parlava con lui.

Dopo aver visto in che classe si trovava grazie all'elenco degli orari appeso sulla bacheca vicino alla sua classe, il ragazzo si diresse verso la quinta classe della sezione B.

Stranamente, si sentiva nervoso. Aprì la porta, trovandolo seduto sulla caddetra mentre correggeva dei compiti. Alcuni ragazzi del quinto anno erano in classe a parlare.

Orlando si avvicinò timidamente. "Ehm...buongiorno professore."

L'uomo si accorse di lui e sorrise. "Ehi, come va?"

Il ragazzo si avvicinò. "Un pò meglio...ultimamente sto cercando di...uscire un pò." si grattò il collo. "E poi...la terapia sta andando bene."

"Ti capisco, non è facile uscire da questa situazione." disse Demian.

Il ragazzo prestò attenzione all'ultima frase. "Come? Mi capisce?"

L'uomo sospirò. "Vedi, pure io ho più o meno il tuo stesso problema, ma in forma un pò più grave."

"Oh..."

"A volte capita di scegliere la persona sbagliata con cui passare il resto della propria vita." rispose.

"E...come sta andando?" non aveva idea di come formulare la frase.

"Mhhh, bene ma non benissimo." aveva un tono di voce stanco. "Uno dei motivi per cui sono ancora qui è perché non volevo che mia figlia finisse nella parte disastrata del lato materno."

Orlando notò della leggera rabbia nel tono di voce di Demian. "Mi sa che la ricreazione sta finendo." disse il ragazzo.

"Vai pure, tanto ho un'altra ora qui."

Il ragazzo andò via, rimanendo abbastanza turbato dalle parole dell'uomo.

Demian sospirò. 'Già...mia figlia è l'unico motivo per cui sono ancora vivo.'







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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Martedì ci furono le prove per lo spettacolo teatrale.

Julie aveva il ruolo della protagonista, Jeanne, mentre gli altri due suoi amici -Michele e Rebecca- avevano ruoli secondari. Orlando aveva optato per essere una comparsa.

C'era ancora un sacco di lavoro da fare, ancora non avevano finito il primo atto. Il musical era diviso in due atti e il secondo durava un quarto d'ora in più del primo atto a causa della presenza di più coreografie.

Una ragazza del terzo anno, Grazia, interpretava il protagonista maschile, Arthur. La professoressa D'Amico era orientata sulla direzione che chiunque poteva interpretare un personaggio, anche del sesso opposto.

A causa della mancanza di ragazzi, Grazia aveva deciso di fare Arthur. Il liceo aveva una maggioranza di ragazze ma era bilanciata con la popolazione dei ragazzi.

La fine del secondo atto, e del musical in generale, si doveva concludere con un bacio tra Jeanne e Arthur, ma Julie e Grazia avevano detto di no, nonostante fosse un bacio scenico.

Julie si sedette su una sedia. "Che palleee. Siamo in mezzo a una strada."

Michele era seduto vicino a lei. "Bhe, abbiamo quattro mesi di tempo."

"Ma non bastano!" fece la ragazza.

Nel frattempo, Rebecca stava prendendo i vestiti che avrebbe dovuto indossare nel secondo atto. "Sembrerò Bernkastel con 'sto vestito. Ci manca solo la parrucca blu e divento lei." guardò Orlando. "Ehi, bruh. Per caso-"

Orlando stava guardando, malinconico, i vestiti da donna messi sull'appendino. Voleva tanto essere sé stesso, ma una voce nella sua testa gli diceva di continuo 'Ti prenderanno tutti in giro. E farai schifo di sicuro.'

Rebecca gli tirò una manica. "Ehi, hai visto il mio giubbotto?"

Orlando la guardò. "No...". La ragazza sospirò. "Se me l'hanno rubato urlo." andò a cercarlo, posando il vestito sulla sedia.

Il ragazzo guardò il vestito, lo trovava carino.

Julie si era alzata ed era andata da Orlando, avendolo visto con Rebecca.

"Secondo me ti starebbe bene." disse lei.

Lui deglutì. "Credi?". La ragazza annuì. "Certo! Pensa che io devo indossare abiti da ragazzo per tutta la durata dello spettacolo. Il problema è che ho le tette enormi e non mi entra nulla."

"Perché? Che taglia porti?" domandò il ragazzo.

"Una quinta coppa d." Orlando sbatté gli occhi. 'Porca puttana.'

"Si lo so. Sembra che io abbia una terza, ma è perché mi metto il gancio all'ultimo attacco e sembra che le abbia più piccole." fece lei.

"Comunque." aggiunse. "Mi è venuta un'idea. Carla se non sbaglio lavora nei negozi di vestiti, giusto."

Il ragazzo annuì. "Si. Perché lo chiedi?".

Julie batté le mani. "Che ne dici se facciamo una sfilata?" prese le mani dell'amico. "Sono sicura che saremmo bellissimi!"

Orlando rimase di stucco a quella proposta. "Si...cura?"

"Ovvio! Sarà il nostro...come si dice?" si mise a pensare. "Uuuh..."

"Segreto?" chiese il ragazzo.

Julie scosse la testa. "No, no. Ecco...ci sono!" lo guardò felicissima. "Il nostro sipario personale!"

"Perché sipario?" chiese il ragazzo.

"Sai chi sono i drag kings e le drag queens? Sono delle donne e degli uomini crossdressers che fanno spettacolo facendo, appunto, crossdressing. Di solito si esibiscono in balletti o vere e proprie sfilate." sorrise. "Come Jeanne e Arthur. Nel nostro sipario, nessuno ci chiamerà maschiaccio o femmina. Saremo noi stessi, che ne pensi?"

Orlando sorrise, era un'idea fantastica. Finalmente si sarebbe sentito bene una volta tanto. "Non sarebbe male."

Julie l'abbracciò. "Si!"

Il ragazzo non si aspettava una cosa del genere, ma ricambiò comunque. Era felice. 'Ti amo sempre di più...'







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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Dopo qualche giorno, i due decisero di incontrarsi di venerdì pomeriggio per la loro sfilata.

Carla sarebbe andata via dopo l'arrivo di Julie, così avrebbero avuto la casa tutta per loro. Orlando non se la sentiva, ancora, di andare a casa della ragazza.

Dopo che sua zia andò via, il ragazzo si sentì nervoso. "Allora...te la senti?"

'Detto così sembra che dobbiamo prepararci a distruggere il letto...ho un'idea.' "Ovvio! Escilo!"

Orlando deglutì. "Cosa?". Julie ridacchiò. "Il completo."

Il ragazzo s'imbarazzò e lei gli tirò amichevolmente la guancia. "Eddai, era uno scherzo."

"O...k." Julie lo abbracciò. "Perdonamiii." Il ragazzo arrossì lievemente. "Ma c-certo."

Lei lo guardò e gli strizzò le guance. "Grazie."

"Comunque...l'ho messo nella camera di mia zia...sul letto." fece lui. "È...in fondo al corridoio a sinistra.

"Grrrazie! Ora vado a mettermelo. Sono curiosa di vedere cosa ti metterai!" Julie saltellò verso la stanza.

Orlando andò verso camera sua e prese il vestito che aveva messo dentro il suo armadio.

Era ansiosissimo. "Ok, ok. Ce la posso fare." guardò il completo, che consisteva in un maglione azzurro pastellato, una gonna rosa chiaro, dei collant bianchi e delle scarpe rosa.

Il vestiario di Julie consisteva in una camicia azzurro chiaro con dei bottoni bianchi, un cardigan senza maniche bianco, dei jeans neri e degli stivali marroni lunghi fin sotto al ginocchio. La ragazza si mise il vestito tutta contenta e si legò i capelli con un elastico che si era portata. "Sono pronta!"

Lei uscì dalla camera, aspettando il suo amico. Orlando ci mise un pò di più, data la sua insicurezza. Spesso gli veniva la sensazione che stava per avere un attacco di panico.

Uscì timidamente dalla porta della sua stanza e fu abbracciato da Julie. "Shei bellishimo."

Orlando guardò Julie, notando com'era bella con quei vestiti. "Sei più bella tu."

"No, tu." si mise a ridere. "Ci facciamo una foto?"

Orlando scosse la testa. "No..."

"Vogliamo ballare?" suggerì la ragazza. "E cosa?"

La ragazza prese il telefono. "Sulle bellissime note della serie RWBY!"

Nonostante non sapessero ballare bene, i due si divertirono lo stesso. Specialmente Orlando, si sentiva così bene in quel momento.











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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Dopo quell'incontro, Julie aveva deciso di farne di più.

Spesso coinvolgeva Orlando nel fare qualche simulazione di programmi di cucina, per poi mangiare quello che preparavano.

A volte, portavano qualche biscotto pure a scuola e alcuni, specialmente Matteo e Anna, dicevano che sembravano usciti dall'alberghiero. A volte Rebecca entrava segretamente in classe e ne prendeva un sacco per poi andarsene.

Julie si stava sentendo davvero bene, ma aveva paura di star trascurando troppo Anna. La stessa cosa valeva per Orlando, non voleva abbandonare Matteo.

Per qualche settimana non si videro perché volevano passare del tempo con le persone che avevano come amiche sin dalle medie.

Quel pomeriggio della prima domenica di marzo, Orlando e Matteo erano andati alla villa Bellini per fare una passeggiata e Orlando ne voleva approfittare per scusarsi con Matteo.

"Senti, Matteo. Scusa se in questi giorni ti ho trascurato...non volevo."

Matteo gli mise un braccio intorno al collo. "Dai, non fa niente. Ma sai? È da un sacco di tempo che non ti vedo felice come sei ora."

Orlando non ne era sicuro. "Dici?"

Lui annuì. "Inoltre, come sta andando la terapia?"

"Mh...bene. Ma è da un pò di tempo che il ragazzo che faceva terapia con me non viene più."

"Perché? Che gli è successo?"

Orlando scosse la testa. "Non lo so, ma spero che stia bene."

Mentre camminavo, Orlando riconobbe un ragazzo che stava seduto su una panchina grazie ai tatuaggi che aveva nelle braccia.

"Ehi, ma è lui." Matteo guardò in direzione dell'amico. "Ne sei sicuro?"

Orlando annuì. "Si, mi ricordo che aveva dei tatuaggi tipo."

Il ragazzo andò verso di lui, seguito da Matteo. "E-Ehi..."

Gioele alzò lo sguardo arrossato. Teneva una sigaretta fra le dita. "Chi sei?"

Orlando si sentiva a disagio. "Ecco...ti ricordi di me? Ecco...facevamo terapia..."

"Ah, si. Ora ricordo." fece un tiro, buttando il fumo dalla parte opposta. "Come va la tua terapia?"

Matteo sentiva che qualcosa non andava.

"B-Bene...ma perché non sei venuto più?" domandò Orlando.

"Ho avuto problemi." rispose secco. "Nulla di grave."

"Meno male." fece lui.

"Hai altro da dire?" fece Gioele. Orlando scosse la testa. "Va bene, allora puoi andare pure via."

A Matteo non piacque quel tono di voce.

"Uh...va bene...ciao..." i due andarono via.

Gioele guardò la sua sigaretta, ormai quasi consumata e si mise a pensare.

Da quanto tempo passava da una casa famiglia all'altra? Da quanto tempo era stato cacciato fuori di casa?

Gli tremò il braccio a pensare alle parole di suo padre quando l'aveva buttato fuori di casa.

'Preferivi un figlio col cancro che un figlio gay? Non preoccuparti, ora me lo sto facendo venire.' strinse il pugno e la sigaretta si piegò a causa della pressione. 'Io ti odio.' buttò con violenza la sigaretta per terra. "VAFFANCULO."

Orlando e Matteo si voltarono dopo aver sentito Gioele. "Ma che gli prende?" fu il commento del biondo.

Orlando andò verso lui. "C-Che succede?"

Gioele iniziò a lacrimare. "IO NON CE LA FACCIO PIÙ. SONO STANCO DI QUESTA SITUAZIONE! NON CE LA FACCIO PIÙ."

Riprese fiato. "Vuoi sapere perché non sono più venuto a terapia? È perché sono stato cacciato da casa."

Nel frattempo, Matteo li aveva raggiunti.

"Perché?" chiese Orlando.

Gioele tremò. "Perché sono gay." Orlando rimase sorpreso. "Solo per questo?"

"E secondo loro disonoravo l'onore della famiglia. E vuoi sapere che mi ha detto mio padre?" stava singhiozzando. "Che preferiva avere un figlio col cancro che uno gay."

Orlando non disse nulla, ma Matteo fu quello più scioccato. "Ma che pezzo di merda."

Orlando si sedette vicino a lui. "Fa schifo avere una famiglia che non ti accetta."

"Lo so." disse Orlando. Gioele lo guardò. "Lo dici solo per compassione?"

Lui scosse la testa. "No." guardò in basso. "Sai...pure io ho avuto problemi in famiglia."

Lo guardò. "Mia mamma è morta quando ero piccolo e mio padre si era rivelato un mostro. Se non portavo dei bei voti." tremò. "Mi picchiava." si mise una mano in faccia. "Lui decideva qualsiasi cosa per me, anche i miei amici. Mi trovavo praticamente da solo. Ho...anche tentato di suicidarmi."

Gli poggiò una mano su una spalla. "Sai, a volte la notte non dormo e ho attacchi di panico, perché ho paura che lui possa ritornare. Io sto cercando di essere indipendente e di andare via da qui. C'è anche una ragazza che mi piace, ma ho troppa paura per dirle che la amo."

"Perché hai paura?" domandò Gioele.

"Ho sempre dei pensieri negativi, che mi dicono che lei non mi amerà mai e che sono troppo debole per lei. Io spesso vedo dei ragazzi che hanni un bell'aspetto, sono muscolosi, carismatici, ricchi e hanno tutte le ragazze che vogliono. Io invece sono praticamente magro e sono pure un codardo, mi faccio schifo da solo. Non mi stupirei se lei mi rifiutasse, anzi, la capirei." sospirò. "Poche persone tengono a me, ma mi basta." gli sorrise. "Il fatto che stanno con me mi fa stare bene, e la ragazza che mi piace ha qualcosa in comune con me."

Gioele sorrise. "Sono contento per te."

"Tu invece? Hai qualcuno che tiene a te?" domandò Orlando.

Gioele pensò a Chiara. "Si, qualcuno c'è."

"Visto? Siamo sulla stessa barca, dopotutto." Orlando sorrise.

Matteo aveva visto con i suoi occhi che Orlando era cresciuto, era contento per lui. "Ehi, amico."

Orlando lo guardò.

"Sei cresciuto, lo sai?"

"Ma no...sono ancora in mezzo a una strada." fece lui.

"Fiiidati."

Lo stomaco di Gioele brontolò. "Ugh..."

"Pago io la colazione." fece Matteo.

Intanto, Julie e Anna stavano gironzolando vicino a Piazza Stetiscoro. Erano vicine ai resti della vecchia città di Catania, recintata e ormai dominata dai gatti. A Rebecca sarebbe piaciuto.

Anna teneva una busta con dentro un paio di jeans che aveva comprato.

"Senti, Anna. Mi dispiace se ti ho trascurata in questo periodo." iniziò Julie.

"Non sentirti in colpa." fece Anna.

"Ma tu sei mia amica, e non volevo farti stare male."

"Te l'ho detto, Julie. Non importa. A mio parere dovresti espandere i tuoi orizzonti e conoscere persone nuove." disse la bionda.

"In questo periodo sto trascurando un sacco di cose, non sto neanche facendo visita a Riccardo." replicò la castana. "Sono così pigra."

Anna voleva far sollevare il morale alla sua amica e sapeva già come fare. "Andiamo al bar?"

Julie la guardò. "Si."

Mentre andavano al bar, Anna stava cercando di convincere Julie che non aveva fatto nulla di sbagliato, ma lei era una testa di legno.

Una volta arrivate, la castana vide qualcuno che riconobbe. 'Ma io l'ho già vista o sbaglio?'

Andò verso di lei. "Ehm, sbaglio o io e te ci siamo già viste."

Lei la guardò. "Uh...no?"

Anna la raggiunse. "Ma si." fece Julie. "Se nin sbaglio eri all'ospedale."

La ragazza capì. "Aaah. Ora ricordo."

Anna notò che quella ragazza aveva un viso familiare. "Un attimo...come ti chiami?"

"Chiara, perché?"

"E di cognome come fai?" chiese la bionda.

"Kraus." rispose la ragazza. In quell'esatto momento, Demian era uscito da una della entrate del bar con due bicchieri d'acqua in mano.

Julie e Anna guardarono prima Chiara e poi Demian. "Ma io me l'immaginavo più alta del papà." disse Julie.

"Buongiorno anche a voi." fece Demian.

"Non dica che abbiamo marinato i nostri doveri studenteschi." disse Anna.

Lui si mise a ridere. "Tranquille, non vi metterò la nota."

"Anche lei ne approfitta della giornata?" chiese Julie.

Lui posò i bicchieri sul tavolo. "Esatto. Ogni tanto una pausa ci vuole."

Mentre Anna stava posando la busta e la borsa, vide un ragazzo e fece cenno a Julie. "Ehi, guarda chi c'è."

La castana si voltò, vedendo Orlando e altri due ragazzi entrare nel bar. A Julie le si illuminarono gli occhi, ma non era sicura di andare.

"Daiii che ti aspetto." fece Anna. "Ok..." Julie andò verso di lui.

"Anche voi scientifico?" chiese Chiara ad Anna.

"Si, e tu?"

"Artistico al polivalente."

"Oh."

Demian notò che Anna era giù di morale. "Tutto bene?"

"È per Julie. Pensa che mi sta trascurando troppo per stare con Orlando." rispose Anna.

"E tu come la pensi al riguardo?" chiese l'uomo.

"Ultimamente Julie era giù di morale non solo per le prove teatrali, ma anche per problemi personali. Io credo che frequetare persone nuove le faccia bene." rispose la bionda.

Intanto, Julie si era piazzata dietro Orlando e si stava dirigendo lentamente verso di lui.

Lui e gli altri due stavano decidendo cosa prendere. "Io mi prendo una pizzetta, e voi?"

"Una siciliana." disse Matteo. "Io una bolognese." rispose Gioele.

Orlando rimase basito. "Ma quanto mangiate voi due?". In quel momento, Julie lo abbracciò da dietro. "Hue!"

Lui si prese un colpo. "J-Julie?! Che c-ci fai qui?"

Lei sciolse l'abbraccio. "Cibo. Comunque, ciao Matteo eeeee..."

"Gioele."

"Gioele." guardò Matteo e Orlando. "Fate attenzione che a pochi metri da noi c'è il prof Kraus con sua figlia."

Matteo fede finta di essere spaventato. "Oh no."

Julie prese Orlando per la mano. "Vieni!" Il ragazzo fu portato via da lei.

"È la ragazza che gli piace?" domandò Gioele.

"Si."

Lei aveva portato il ragazzo dove aveva lasciato Anna. "Ho portato un Orlando."

Lui si nascose dietro di lei. 'Aiuto, mi fa strano incontrare il prof fuori dalla scuola.'

Demian gli accarezzò la testa e rise. "Dai, non ti faccio la nota."

"Basta torturarmi i capelli." si lamentò Orlando.

Matteo e Gioele avevano preso la loro colazione più quella di Orlando ed erano usciti fuori.

"Ehiii. Ti ho preso la pizzetta." disse il biondo.

Gioele e Chiara si salutarono dalla distanza. Dopo che anche il resto si prese la propria colazione, Gioele si mise vicino a Chiara.

"Come stai?" domandò Chiara.

"Un pò meglio." fece Gioele. "Diciamo che me la cavo."

"Se hai bisogno di me, chiamami." fece la ragazza.

"Ovvio." Gioele l'avvolse col braccio e le scompigliò i capelli.

"Ehi, non farmela diventare uno spazzolino usato."

"Papà, no."

"E invece si."

In questo modo, passarono letteralmente quasi tutta la mattina a parlare. Coloro che si sentivano in qualche modo giù di morale, adesso erano un pò più sollevati.





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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Era la mattina del matrimonio e Julie, con la sua famiglia, era nei pressi della chiesa ad aspettare l'arrivo della sposa, ovvero sua cugina.

Harry indossava un completo grigio con una cravatta rossa, sua mamma indossava un vestito giallo a maniche corte e delle scarpe col tacco mentre suo padre indossava una camicia elegante blu chiaro con una cravatta nera e dei pantaloni del medesimo colore. Julie indossava uno smoking composto da una camicia bianca, una giacca smanicata nera, un papillon rosso e pantaloni e scarpe nere ed era seduta su uno dei gradini della piccola scalinata di pietra che conduceva all'ingresso della chiesa.

Si stava ripassando a mente le frasi da dire a sua zia quando l'avrebbe vista.

L'albero genealogico della sua famiglia era composto dai suoi genitori, suo fratello, lei, sua zia e sua cugina. Suo padre non aveva fratelli o sorelle. I nonni abitavano a Messina e ci voleva un pò per arrivare là.

Suo zio era in viaggio di lavoro in America, ma era tornato per assistere al matrimonio della figlia.

Lui sapeva della passione di Julie per gli anime e i manga e spesso le portava qualche regalo.

Quando lui arrivò salutò i vari invitati, tra cui la famiglia dello sposo, e diede a Julie ciò che aveva comprato, un orologio da polso particolare. Quando Julie lo prese, ringraziò con gioia lo zio e se lo mise come una collana, siccome lo smoking non aveva tasche.

Dopo un quarto d'ora, si dovette entrare in chiesa poiché la sposa stava arrivando. Quando entrò in chiesa, si sedette vicino alla sua famiglia.

Dietro di lei, c'erano alcuni amici e famigliari dello sposo che si misero a parlare non appena Julie si era seduta.

"Ma è la cugina di Debora quella?" "Ma è un masculu o una fimmina?" "Forse è tutti e due."

Ovviamente, queste parole non passarono inascoltate alle orecchie di Julie. Lei strinse i pugni sulle ginocchia. Non solo doveva sentire sua zia, ma anche gli amici dello sposo. 'Vabbè, tanto non li rivedrò mai più.' si calmò. 'Tanto è solo oggi.'

Dopo qualche secondo, loro si misero a parlare di altro. 'Che rompicoglioni però.'

Quando la cerimonia finì, ci fu il classico lancio del riso che si svolgeva alcuni minuti dopo la fine del matrimonio.

Julie si era totalmente dimenticata delle frecciatine che aveva sentito. Erano solo degli sconosciuti e le loro immagini e voci sarebbero svaniti dalla sua testa dopo qualche giorno.

A lei non importava delle frecciatine che le lanciavano gli estranei, erano parole al vento. Il problema era quando a fare le frecciatine era un suo familiare o qualcuno che conosceva.

---

Il ristorante in cui andarono a pranzare assomigliava a una veranda stravagante, come se fosse stata addobbata esclusivamente per quell'occasione.

I ragazzi furono messi nello stesso tavolo e i bambini in uno apposito. Fortunatamente, i figli adolescenti, che erano poco più giovani o grandi di Julie, le avevano fatto i complimenti per il vestito, dicendole che le stava bene.

Ogni tanto i bambini si alzavano dal tavolo e si mettevano a correre intorno ai tavoli. Fortunatamente chi portava il cibo era abituato a fare slaom tra bambini che si rincorrono.

Dopo il secondo, ci fu la classica sezione di danza per divertirsi e aspettare la torta.

Julie non aveva idea con chi parlare poiché nessuno era vicino alla sua fascia d'età e non aveva voglia di ballare, così decise di annoiarsi col cellulare.

Dopo qualche minuto, si alzò e decise di farsi una passeggiata fuori.

Mentre camminava, iniziò a farsi un'idea di come sarebbe stato il suo diciottesimo-nonostante si sarebbe svolto tra quasi un anno.

'Vorrei tanto farla in un ristorante con la piscina, ma chissà quanto costa. E soprattutto, devo essere promossa o niente festa.'

Quando tornò, s'imbatte in un gruppetto formato dalla zia e da sua nonna, decise di evitarlo. Peccato che fu abbastanza vicina da sentire quello che dicevano.

"Ma a te che te frega come si veste a picciridda? Lassala stare, falle fare esperienza."

"Mamma, tu lo sai che Mariasara è un pò handicappata e probabilmente l'ha attaccata pure a sua figlia-"

"Teresa." la voce dell'anzinana si fece seria. "Non ti devi permettere di dire queste cose a tua nipote, tantomeno a tua sorella."

Teresa stava per ribattere, quando sentì qualcuno toccarle la spalla. Lei si girò e venne colpita in faccia da un pugno.

"VAFFANCULO HAI CAPITO? SEI UNA RINCOGLIONITA DEL CAZZO." Julie era rossa dalle lacrime e stava piangendo. "COSA CAZZO TE NE FREGA A TE DI ME? PERCHÉ NON MI LASCI STARE!? SEMPRE A INSULTARMI SEI." non ce la faceva più.

"SONO STANCA DELLE PERSONE CHE MI DICONO CHE SONO LESBICA O TRANS O HANDICAPPATA. IO NON SONO NESSUNO DI QUESTI TRE." il nodo alla gola che si era formato le stava impedendo di parlare bene. "TU FAI SCHIFO CAZZO. SEI UNA COGLIONA, UNA CUTTIGHIARA DEL CAZZO, TI ODIO." la ragazza scappò via, ignorando gli sguardi scioccati delle persone che stavano ascoltando in quel momento.

Julie si nascose dietro un cespuglio e si mise a piangere più forte di prima. "E che cazzo però..." sospirò col fiato tremolante. "Vaffanculo..." si sedette. "Cazzo..."

Guardò il suo orologio da polso che lo zio le aveva regalato qualche ora fa. Vi era una scritta che riportava la data del tre ottobre del millenovecentoundici e una scritta, 'Don't forget.'

Lei si mise a ridere. "Questa giornata è proprio da dimenticare e non è neanche il tre ottobre..."

---

"E niente, il matrimonio è stato uno schifo."

"Ma che stronza che è tua zia." fu il commento di Ammar.

Anna si era ammalata e non era potuta venire e così Julie si era messa a parlare con Matteo, Ammar, Yuki e, ovviamente, Orlando.

"Se mi dai il tuo indirizzo, ci vado con il vestito più maschile di questo mondo." disse Yuki.

"No che poi diventa cieca." fece Matteo.

Orlando guardò Julie che si era messa a ridere alla battuta dell'amica. Le accarezzò la mano. "Non ci pensare dai."

Julie poggiò la faccia su una mano. "E vabbè."

Il ragazzo si avvicinò a lei e le sussurrò. "Ti capisco, anche fin troppo bene." Lei gli accarezzò la testa e gli sorrise. "Vabbè, dai." notò che i tre si erani girati e stavano parlando fra di loro.

"Ragazzi." disse Yuki. "Ma secondo voi, chi sta sopra?"

"Io dico Orlando." disse Matteo. "Lo seguo." fece Ammar.

"Ao, muti." disse Julie.

"Ma...di che state parlando?" domandò Orlando.

"A quanto pare...stanno discutendo su come dobbiamo scopare." fece Julie, arrossendo.

Orlando assunse il colorito una mela matura a sentire quelle parole. "E dai! Julie neanche mi piace!" mentì.

"Seeeh vabbè." disse Ammar.


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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Era arrivato finalmente il ventotto marzo, il giorno in cui i vari licei sarebbero andati al polivalente per presentare i loro progetti di alternanza scuola-lavoro.

La presentazione si sarebbe tenuta nella palestra del liceo, abbastanza grande da poter contenere tutti.

Yuki, essendo la rappresentante di classe, aveva il compito di presentare il loro progetto di doposcuola.

Rebecca aveva deciso di marinare l'incontro, e stava girovagando nel cortile della scuola con lo zaino che conteneva il libro e il quaderno di matematica, così poteva fare la moltitudine di esercizi che aveva per il giorno dopo.

Intanto nella palestra, Julie era riuscita a 'raccogliere' Michele, Orlando e Anna. "Raga, non so voi ma io mi annoio." disse lei.

Michele sospirò. "Tu sei sempre annoiata." "Non è vero." replicò Julie.

In un'altra zona della palestra, Yuki e Ammar stavano sistemando il tavolo su cui avrebbero presentato il loro progetto.

"Questa cosa è un pò inutile." commentò il ragazzo.

"Il problema è che se non completiamo le ore non ci fanno fare gli esami." disse Yuki. "Ho anche sentito che hanno tipo intervistato dei ragazzi che si sono lamentati dell'alternanza, ma nel montaggio hanno cambiato tutto facendola passare come cosa positiva."

"Davvero? Ma è una puttanata." disse Ammar. "Perché mai dovrebbero farlo?"

Nel tavolo accanto a loro, Chiara aveva ascoltato la conversazione. "Wow, sono famosa."

"Famosa di cosa?" la stuzzicò Valerio.

"Non parlarmi, grazie." fu la risposta secca della ragazza.

"E va beeene."

Intanto, Orlando aveva deciso di andare fuori. "Ehi, io vado un pò fuori. Sto soffocando."

"Vai pure." disse Anna.

"Scusate..." replicò il ragazzo. "Dai, non hai niente di cui scusarti." rispose Michele.

Lui li lasciò e andò fuori. Nel frattempo, Valerio lo aveva notato uscire. 'Che sia lui?' guardò Chiara "Devo fare una cosa, ciao." e l'abbandonò lì. 'Vaffanculo.' pensò la ragazza.

Orlando si mise in un angolo del cortile abbastanza isolato e sospirò. "C'è più caldo qua dentro che fuori."

Nel frattempo, Julie era andata alle macchinette a prendere uno snack. Il distributore si trovava in uno dei corridoi della scuola.

Sempre in questi corridoi, c'era una ragazza con i capelli neri raccolti in una lunga coda di cavallo con indosso una felpa viola, una gonna nera e del collant grigi. Saltellava in giro, facendo strisciare di tanto in tanto le suole bianche delle sue scarpe rosse.

A un certo punto si fermò, aveva visto una ragazza che conosceva. Andò verso di lei, dicendo "Ehiii!"

Julie la guardò stranita. "Ehm...si?"

"Non ti ricordi di me? Facevamo le medie insieme!" i suoi occhi azzurri davano alla ragazza un'aria innocente.

"Forse mi hai scambiata per qualcun'altra." rispose Julie.

"E se ti dicessi che mi chiamo Viola Valastro?" replicò lei.

A Julie venne in mente tutto. "Ah...ok" 'CAZZO NOOO. NON STA ROMPIPALLE DI NUOVO AAAH.'

"Non ti sono mancata?"

"No." rispose secca la castana. "E ora lasciami in pace."

Mentre se ne stava per andare, Viola l'afferrò per i capelli. "Dove cazzo credi di andare?" il suo tono di voce era totalmente cambiato.

Julie diede una gomitata dritto in faccia a Viola e si allontanò da lei. "CHE CAZZO DI PROBLEMI HAI?"

L'altra si tenne la parte destra del viso con la mano. "Che problemi ho? Per colpa tua ho dovuto cambiare scuola."

"Non è colpa mia se eri una cogliona. Tu eri quella che m'importunava." disse Julie con fermezza. "Tu eri quella che mi nascondeva le cose, tu eri quella che diceva ai ragazzi d'importunarmi per fare in modo che uscissero con te. Hai fatto tutto tu."

"Se tu fossi stata zitta, a quest'ora non avrei avuto un patrigno che mi odia per tutto il tempo." la guardò arrabbiata. "Tu hai distrutto la mia vita perfetta."

'Oddio la odio.' "Ho solo fatto qualcosa che andrebbe fatto, ovvero dire le cazzate che fai agli insegnanti." incrociò le braccia. "Ma è inutile che ti dico queste cose, non capiresti."

Intanto, Michele era andato a cercare Julie. Voleva venire anche Anna, ma Yuki le aveva chiesto aiuto per la postazione.

Conosceva abbastanza bene quella scuola, visto che ci andava spesso per un corso d'inglese.

'Ma dove si è cacciata?' mentre la cercava, sentì due persone litigare, tra cui Julie. Quando andò a vedere, la vide discutere con una ragazza a lui sconosciuta. Iniziò ad avvicinarsi a loro.

"Io volevo avere una vita felice e senza preoccupazioni. Ma tu-"

"Minchia, sembri un disco rotto quando fai così." commentò Julie.

La situazione degenerò quando Viola cercò di darle un pugno, ma Michele riuscì la tirò per un orecchio prima che potesse farlo. "Ehi, signorina. Calmati."

Julie rimase sconvolta dalla reazione di Viola. "Ma che cazzo di problemi hai?"

Michele la lasciò si avvicinò a Julie. "Tutto bene?"

"Si a parte che sta cogliona mi stava per dare un pugno."

Michele guardò Viola. "Se proprio devi menare qualcuno, fallo con qualcuno di competente."

"Stai dicendo che sono un incompetente?" disse Julie.

"In senso di autodifesa si." rispose lui.

Viola tirò un sospiro seccato. "Meglio che me ne vada, la tua vista mi urta." lei andò tenendosi ancora la faccia per via della gomitata.

"La conosci?" chiese Michele.

"Purtroppo si." disse Julie "Dopo ti racconto."

"Lo facciamo mentre ritorniamo in palestra?"

Nel mentre, Orlando aveva deciso di ritornare dentro la palestra, ma qualcuno glielo impedì.

Infatti, Valerio si era piazzato davanti. "Che fai? Non saluti un vecchio amico?"

Orlando lo guardò stranito. "Io neanche ti conosco."

Lui si mise un dito sull'angolo della bocca e sorrise. "Valerio Vitale ti dice qualcosa?"

A sentire quel nome, Orlando rimase paralizzato e assunse una smorfia di terrore. "E-Eh?!"

"Aw. Ti sei ricordato di me, vero?"

Il ragazzo provò a scappare, ma Valerio fu più veloce e lo prese per il colletto e gli tappò la bocca con il braccio.

Orlando provò a liberarsi, senza successo. Valerio era più forte di lui.

"Lo sai, mi sei mancato. Pensavo che non ti avrei più rivisto."

A Orlando sembrava che la prese stesse diventando sempre più soffocante. Ora sapeva come si sentiva un topo tra le spire di un serpente.

"Cosa potrei fare per festeggiare la nostra bella rimpatriata?" era davvero divertito dalla situazione. "Potrei soffocarti fino a che non ti girano le iridi al contrario? Oppure ti colpisco così forte da farti vomitare?"

Orlando provò a fare forza sul braccio di Valerio per toglierselo di dosso, ma non ci riuscì. Sembrava che i suoi bronchi fossero tappati e non permettessero all'aria di fare il suo giro.

Ma all'improvviso, Valerio mollò la presa. "CAZZO!" era stato colpito in mezzo alle gambe dallo spigolo di un libro abbastanza grande per poi venire colpito ripetutamente da esso.

Orlando per poco non cadde a terra e riprese il fiato.

Dopo averlo colpito con il libro, Rebecca gli diede una ginocchiata in faccia. "TIÈ!" andò verso Orlando con il libro sottobraccio. "Vuoi scappare ora o ti serve l'invito?" si vedeva che era nervosa.

Dopo che i due fuggirono, entrarono nella palestra e si misero accanto a una delle porte che conduceva ad essa. Avevano entrambi il fiatone e Orlando era sul punto di crollare.

"Ma chi cazzo era quello?" fece Rebecca. "Da quale ospedale psichiatrico è scappato?"

Orlando si sedette per terra, ancora sottoshock. "Era..." riprese fiato "chi mi dava fastidio alle medie?"

Rebecca lo guardò abbastanza sconvolta. "Quello aveva l'aria di volerti ammazzare."

"Lascia perdere, ti prego." la implorò. "Non dirlo a nessuno."

"E perché?!" domandò lei.

"Nessuno ci credebbe." rispose Orlando. Era spaventato e sul punto di piangere.

La ragazza non seppe cosa fare. "Ma..."

"Lascia stare..."

Michele e Julie arrivarono dalla stessa porta su cui vi erano gli altri.

"Ehi, che succede?" domandò Michele. Julie si chinò su Orlando. "Hai avuto un altro attacco di p-"

Il ragazzo l'abbracciò di colpo e iniziò a singhiozzare, facendo rimanere di stucco la ragazza.

"Ehi...va tutto bene..." gli accarezzò la schiena. "Su, su."

Rebecca prese Michele per una manica. "Devo prendere Michele in prestito, ho bisogno del suo aiuto per sistemare una cosa."

"Andate pure." fece Julie.

Michele non fece in tempo a controbattere che fu trascinato via da lei.

"Ma che ti prende?!"

"Ascolta, la situazione è grave." lei gli disse brevemente ciò che aveva visto.

"Ma è pazzo o cosa? Pure Julie ha avuto più o meno lo stesso problema."

"Ma è solo oggi che faremo incontri, vero?" domandò Julie.

"Non esattamente. Tra alcune settimane gli studenti del classico inizeranno ad andare nel nostro liceo di pomeriggio per aiutarci nell'alternanza." fece Michele.

"Se quei due sono del classico siamo fottuti. Secondo te dobbiamo dire a qualcuno di sti qua?" domandò Rebecca.

"Ovvio! Dovremo avvertire prima di tutto il loro coordinatore di classe." fece Michele.

"Se non sbaglio è tedesco." disse Rebecca.

"Si, si. Oggi non è venuto con la classe perché stava male." rispose lui. "Il prossimo incontro è tra due settimane. Abbiamo ancora tempo."

"Sai per caso il nome di quella tipa?"

"E come faccio a saperlo se non l'ho mai vista?"

"Bho, quel tizio ha detto nome e cognome. Credevo che l'avesse fatto pure lei."

"Non sono arrivato in tempo a sentirlo a quanto pare, ma chiederò in giro."

Rebecca si grattò il collo. "Spero solo che la situazione non degeneri."














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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Chiara si era seduta su una delle panchine di legno per la palestra dopo un estenuante serie di flessioni.

Prese un respiro profondo e lasciò che il classico dolore alle braccia e all'addome prendesse il sopravvento su di lei, raddoppiato dal fatto che avesse le mestruazioni.

Dopo qualche minuto, un ragazzo si sedette vicino a lei. Era abbastanza alto e aveva dei capelli castano chiaro e gli occhi del medesimo colore, ma un pò più scuri. Le sorrise. "Ehi."

"Non rompere, Valerio." sbuffò Chiara.

"Ma io volevo soltanto parlarti." disse lui innocentemente.

"Ma io non ti sopporto. Vattene." insistette lei.

"Questa tua acidità mi ferisce." rispose Valerio con lo stesso tono di prima.

"Perché ieri ti sei allontanato?" domandò Chiara.

Sorrise. "Avevo fatto una piccola rimpatriata con un vecchio amico delle medie, nulla di che."

"Non potevi farlo a fine evento?" lo rimproverò.

Valerio si mise a ridere. "Parli proprio come tuo padre."

Chiara fece spallucce. "Ho ereditato il suo modo di parlare."

La palla della pallavolo usata da degli studenti per giocare al suddetto sport finì vicino a loro. Valerio la prese e la tirò a una ragazza che la stava andando a prendere.

Lei la prese e Valerio le sorrise. Ma la ragazza lo guardò male. "Cazzo guardi?"

Valerio fece spallucce. "Nulla. Penso che tu sia una bella ragazza."

"Ma vaffanculo." rispose lei.

"Ehi, Chiara. Penso che tu le abbia contagiato l'acidità." commentò lui. L'altra fece finta di non sentire.

La ragazza con la palla ringhiò rumorosamente. "Hai rotto i coglioni."

"Viola! Ti sbrighi?" fu uno dei ragazzi che faceva parte della sua squadra a chiamarla.

Lei roteò gli occhi e andò verso la propria squadra.

"Quella ragazza fa parte di quella categoria di ragazze a cui non interesso." commentò. "Oh beh. Fa niente."

"Ma fai sempre così con le ragazze?" domandò Chiara.

"Nah, ma ho un piccolo gruppetto che mi adora." rispose. "Insomma, sono alto, bello, ho vinto le nazionali di pallavolo, ho voti alti." sorrise. "Mi basta per essere popolare."

"E rubi negli ospedali." aggiunse lei.

"A proposito, l'altra volta mi hai trattato come uno straniero." fece una voce offesa. "Ci sono rimasto male, lo sai?"

"Quale delle due altre volte?"

"Quando dovevi prendere la merenda alla macchinetta e-"

"Ti ho già detto che non ti sopporto?" fece Chiara. Si alzò. "Tra poco devo andare in classe, ciao." e andò via.

Valerio sospirò. "Vabbè." fece un sorrisetto. "Tanto so già con chi parlare tra qualche settimana."

Nel frattempo, Viola era andata a sedersi nella stessa panchina di Valerio e quando lo notò era troppo tardi. Si seccava ad alzarsi.

"Non mi avevi mandato al quel paese prima?" domandò Valerio.

"Senti, ho le gambe a pezzi e non ho voglia di alzarmi." rispose Viola.

Lui la guardò. "Credo di conoscerti."

La ragazza lo guardò infastidita. "E come?"

"Gira voce di una ragazza che ha dovuto cambiare scuola al terzo anno perché il suo patrigno aveva menato un insegnante." le sorrise. "E la ragazza in questione si chiama Viola, ma non sono sicuro del cognome. Per caso è Valastro?"

Viola roteò gli occhi. "Il mio patrigno è un coglione, ecco perché. Se vuoi ti spiego la faccenda."

Il ragazzo fece cenno di si.

"Vedi." iniziò lei. "I miei genitori sono morti in un incidente stradale quando ero piccola, e così sono stata affidata a mia zia. Il problema è che il suo compagno era tipo un ex militare e quindi pretendeva la massima educazione da me. Anche se a volte esagerava. E il brutto voto che ho preso in arte al terzo anno lo dimostra."

"Oh." fece Valerio.

"E poi basta, non ho nulla da dire."

"Che strano però." fece Valerio. "Quando hai menzionato la morte dei tuoi, l'hai detto con un tono fin troppo normale."

"Sono abituata a dire queste cose." rispose Viola.

"Non lo so...c'era qualcosa di strano." ammise il ragazzo.

"E vabbè. Pensala come vuoi." si alzò e andò verso il bagno delle ragazze.

"Ehi, Viola. Noi due siamo uguali, lo sai?" disse Valerio.

La ragazza lo guardò stranito.

"Nel senso, anche tu hai qualcosa che non vuoi che gli altri scoprano." disse lui.

Viola si avvicinò a lui, era arrabbiata."Cosa vuoi da me?"

"Niente, è che sono felice ad aver trovato qualcuno come me." ammise lui.

Lei strabuzzò gli occhi. "Come te?"

"Già, io e te siamo uguali." Valerio sorrise in maniera. "L'ho capito da come hai detto la tua storia, Viola." si mise un dito sulle labbra, senza far sparire il sorriso. "Ma non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me. E un giorno scoprirai anche il mio." ridacchiò.

Viola lo guardò in maniera strana. "Che sia meglio per te che non lo dici in giro." andò via, con un nervosismo che le percorreva tutto il corpo.

Valerio la guardò un'ultima volta. "Te l'ho detto, il tuo segreto è al sicuro con me."




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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Carla bussò alla porta della camera del nipote. "Orlando? Tutto bene?"

Il ragazzo era sotto le coperte e stava stringendo un peluche. "Si...è solo che non ho fame..."

La donna sospirò. "Va bene. Se ti viene fame, ho messo il tuo pranzo in frigo."

"Va bene." disse lui, sospirando.

Quella mattina era stata la peggiore di tutte. Tra tutte le persone che potevano esserci, proprio Valerio doveva incontrare.

Aveva evitato di parlarne con Matteo dicendo che aveva avuto un attacco di panico.

Il suo cellulare squillò e lui lo prese, senza neanche guardare chi fosse. "Pronto?"

"Ehi, tutto bene?" era Rebecca.

"Non tanto..."

"Ma chi cazzo era quel coglione stamattina?" era chiaramente arrabbiata.

"Rebecca lascia perdere, ti prego." disse lui.

La ragazza rimase dubbiosa. "Ma perché?"

Orlando iniziò a innervosirsi. "Non sono cose che ti riguardano, ok?"

"Ehm...ok, lascio perdere." mentì.

Il ragazzo sospirò. "Meglio."

"Allora...ti lascio riposare. Oh e manchi a Bianca." fece lei.

Orlando si mise a ridere, non vedeva quella gatta da mesi ormai. "Va bene, ciao." chiuse la chiamata e posò il cellulare sul comodino.

Si raggomitolò sotto le coperte con i brividi che gli percorrevano ancora il corpo.

In contemporanea, Julie si era innervosita a causa di Viola. Quando l'aveva detto ad Anna, la bionda stava per andare a cercarla- probabilmente per farle un cazziatone.

La castana aveva detto ai suoi il motivo per cui era nervosa, ma omise il fatto che Viola le stava per dare un pugno.

Michele la chiamò dopo pranzo per sapere come stava.

"Tutto bene, a parte che quella là mi stava per usare come sacco da boxe." disse lei.

"Allora, come si chiama la tua amica?" domandò Michele.

Julie roteò gli occhi. "Viola."

"Cognome?"

"Valastro."

"Età?"

"Ma che ne so? Diciassette credo."

"Hotel?"

"Trivago." Julie l'aveva detto senza pensarci. "Ok no."

"Dai, l'ho fatto per farti ridere un pò." disse Michele.

"Si, si. Lo so. Comunque, domani ho la visita dal dottore di mattina e non posso andare a scuola." fece lei.

"Capisco, vuoi che ti faccia d'ambasciatore?" domandò il ragazzo.

"Mi faresti un favore." disse lei.

"Chi è il vostro rappresentante di classe? Così lo dico direttamente a lui."

"Demian Kraus. Non ho idea in che classe sia nelle prime ore." rispose Julie.

"D'accordo, casomai vedo nella tabella degli orari."

"Ora devo andare, ci sentiamo."

"Fatti i compiti." disse il ragazzo.

"Non farmi da papà, ne ho già uno e mi basta."

Julie sentì qualcuno starnutire. "Salute, papà!"

L'uomo la ringraziò e la ragazza si rimise al telefono. "Ci sentiamo, ciao."

Lei chiuse la chiamata e si sedette sul letto. "Fottuta Viola." prese uno dei suoi libri preferiti dalla libreria, Abbaiare stanca, e si mise a leggerlo. "Che palle."

----

Il mattino dopo, Julie non era venuta a scuola per la visita dal medico.

Prima di entrare in classe, Michele e Rebecca avevano dato un'occhiata alla tabella degli insegnanti che si trovava in una bacheca del secondo piano, vedendo che Kraus faceva due ore in una classe di quinto anno.

Durante la ricreazione, Michele fu il primo ad andare nella classe. Rebecca aveva un compito in classe e quindi avrebbe tardato un pò.

Il ragazzo bussò alla porta aperta della classe attirando l'attenzione del professore.

"È permesso?" domandò il giovane.

Demian gli fece cenno di entrare. Michele andò verso di lui. "Salve, sono del quarto anno e volevo dirle una cosa."

"Dimmi pure." disse il professore.

"Ieri, durante l'incontro al politecnico, ho visto una ragazza del classico che importunava una ragazza della sua classe." spiegò Michele.

L'uomo rimase incuriosito. "Della mia classe? E chi era?"

"Julie. Ma oggi non c'è, ha una visita dal dottore." rispose Michele.

"Ah, capisco. E per caso la conosci?" chiese Demian.

"No." rispose il ragazzo.

Rebecca si era messa a correre, maledicendo il fatto che doveva farsi due rampe di scale per arrivare nella classe, riuscendo a raggiungere la sua destinazione.

Dopo aver preso nuovamente a respirare correttamente, guardò la classe e notò che Michele era già arrivato.

"Ehm...è permesso?" domandò lei.

"Si, entra pure." disse il professore.

Rebecca raggiunse l'amico. "Senta, volevo dirle che ieri ho visto un ragazzo del classico che...non aveva belle intenzioni...insomma! Stava dando fastidio a un suo studente." quando parlava con persone più grandi di lei non riusciva a esprimere cos'aveva da dire. "Ah e so anche il suo nome."

"E sarebbe?" domandò Demian.

"Valerio Vitale." rispose Rebecca.

A sentire il nome, il professore alzò gli occhi al cielo e fece una faccia scocciata. "Meeeh." guardò i due. "Lo conosco. Va a scuola con mia figlia e girano strane voci sul suo conto."

"Quali sono?" azzardò Michele.

"Da quel che mi ha detto mia figlia, i suoi compagni di pallavolo hanno riferito ai docenti del suo strano modo di approcciarsi con loro, e che ha avuto qualche relazione-sapete, fidanzamenti e cose- e le ragazze con cui era fidanzato hanno cambiato scuola dopo essersi lasciate con lui." spiegò l'uomo.

"In che senso strano modo di approcciarsi coi ragazzi?" domandò Rebecca.

"Tipo che quando li abbraccia dopo aver vinto una partita, gli stringe troppo il braccio sul collo o che durante gli allenamenti lancia la palla forte di proposito per colpirgli la faccia. Insomma, un soggetto strano." fece l'uomo.

'Ieri stava facendo la stessa cosa a Orlando ma allora è proprio stronzo.' pensò Rebecca.

Nel frattempo, il suddetto ragazzo era rimasto in classe per tutto il tempo della ricreazione.

"Tutto bene? Oggi sembri giù di morale." Yuki gli stava facendo compagnia.

"Si...è che..." sospirò. "Ieri ho avuto una brutta giornata e stanotte non ho dormito bene."









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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Julie era distesa sul letto di casa sua a parlare con Orlando al cellulare.

"Senti, mi era venuta in mente un'idea." disse la ragazza.

Orlando si era già fatto un'idea di cosa gli avrebbe chiesto. "Quale?"

"Che ne dici se vieni a casa mia un giorno di questi?"

Il ragazzo deglutì. "D-Dici?"

"Ma certo, e se vuoi puoi fare anche merenda da me qualche volta."

"Oh...ma non lo so...non devi dist-"

Julie soffiò seccata. "Eddai, ho gli Oreo."

"Anch'io li ho." disse Orlando.

"Eddaiii. Così ti strapazzo meglio le guance." obbiettò Julie.

Il ragazzo arrossì e non disse una parola.

"La gatta di Rebecca ti ha mangiato la lingua?" scherzò lei.

"No! È-È solo che devo pensarci, poi ti faccio sapere." disse imbarazzato.

"Va beeene. Guarda che se non vieni vado da te e ti faccio il solletico." lo minacciò amichevolmente Julie.

Il ragazzo ridacchiò. "Mi piacerebbe. Almeno rido un pò."

"Ci sentiamo, ciao!"

I due chiusero la chiamata e Julie si stiracchiò. "Ok, ora come posso dirgli alla maniera Julie che mi piace?"

Si guardò intorno e posò lo sguardo sulla libreria. "Ci penserò più tardi, e poi...mi chiedo se gli piacerebbe qualche libro da leggere."

Intanto, il ragazzo si sentiva abbastanza felice, ma allo stesso tempo sentiva della malinconia."Julie, sei troppo buona per un fallito come me."

Si guardò nello specchio posato sul comodino della sua stanza, notando che i suoi capelli gli erano leggermente cresciuti.

Lui prese un elastico posato sul mobile e si legò i capelli in un codino basso. Lui si controllò meglio. "Però, niente male." sorrise. "Mi piaccio."

Il suo sguardo si posò sul colletto della maglietta e se lo tirò, notando che la cicatrice era leggermente sbiadita. Non aveva detto a Julie di quella volta, e non aveva intenzione di dirlo proprio il primo giorno che sarebbe andato a casa sua.

Orlando non diede peso alla cicatrice e si sdraiò sul letto a pensare.

Tra più di dieci giorni ci sarebbe stato il secondo incontro per l'alternanza e pregò che Valerio non ci fosse.

Probabilmente la soluzione era assentarsi anche a costo di perdere ore di alternanza.

Intanto, Michele era a studiare filosofia per un compito, quando sua sorella bussò alla porta.

"Michele, sei lì dentro?" domandò la bambina.

Lui si alzò e aprì la porta. "Ti serve qualcosa?"

"Ti ricordi della ragazza che voleva fare del male alla tua amica?" domandò Irene.

Lui sospirò. "Irene, sai che non dovresti origliare le conversazioni?"

"Oggi ne ho parlato con la mia insegnante di sostegno, e ha detto che questa ragazza potrebbe essere pericolosa." fece lei.

"Lo so, lo so. Tre giorni fa ho detto al professore di questa mia compagna di fare attenzione a lei e a un altro ragazzo." rispose Michele

"Mentre parlavo con lei, uno dei miei compagni ci stava ascoltando e sembrava triste." continuò la bambina. "E così ho chiesto alla ricreazione se la conoscesse."

"E?" Michele non stava capendo dove voleva arrivare.

"Mi ha detto che è la sorellastra di un suo amico più grande che fa le medie. Ha detto che si chiama Viola di nome e Valastro di cognome, come il bar." disse lei.

A Michele gli s'illuminarono gli occhi e prese in braccio sua sorella e le scompigliò i capelli, sorridendole."Tu sei un genio del male!"

"Mamma ha detto che da piccolo facevi sempre la spia, pure Rebecca lo dice." rispose Irene.

Michele sospirò. "È acqua passata ormai."

"No, perché tu fai sempre la spia." ribatté la bambina.

Lui sorrise. "Hai ragione."







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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Alcuni giorni dopo, Orlando e Julie si erano messi d'accordo su quando andare a casa di lei, e si erano organizzati per domenica pomeriggio alle quattro.

Entrambi erano abbastanza nervosi, Orlando perché era la prima volta dopo molti mesi che andava a casa di qualcuno, e Julie perché, oltre a Riccardo, non aveva mai invitato nessuno del sesso opposto.

Orlando avrebbe anche incontrato per la prima volta i genitori di Julie e questo gli dava un motivo in più per essere ansioso.

Il giorno prima, la mamma di Julie le aveva suggerito di fare una torta che avrebbero mangiato quel pomeriggio, e così le due si misero al lavoro.

Quando arrivò il fatidico giorno, Julie iniziò a farsi dei film mentali per potersi calmare.

"Secondo me sei troppo tesa." disse suo padre "Non state andando mica a rapinare una banca."

"Papà, tu non capisci." fece lei "È una questione di vita o di morte." esagerò come al solito.

Intanto, Orlando voleva sparire nel sedile della macchina di sua zia.

"Dai, non essere nervoso." disse la donna "È come se venisse a trovarti a casa nostra."

Lui non ne era convinto. "Ma ci saranno i suoi genitori, è questo il problema."

"A prima vista sembrano persone per bene." commentò Carla grazie alle piccole conversazioni che aveva avuto quando Julie andava a casa loro.

Una volta parcheggiata la macchina, i due scesero e Orlando prese un respiro profondo. 'Posso farcela.'

Dopo aver suonato al campanello, iniziò a innervosirsi sempre di più.

Ad aprire, fu un uomo di quarantacinque anni dagli occhi castano scuro e dai capelli cortissimi del medesimo colore, era suo padre. L'uomo gli sorrise. "Ciao Orlando, come stai?"

Il ragazzo spostò di poco lo sguardo. "Bene..." ormai aveva dentro di sé un odio verso la figura paterna. Se qualcuno gli avesse chiesto se sarebbe diventato padre, lui avrebbe risposto immediatamente con un no.

Carla arrivò poco dopo perché la macchina non voleva saperne di chiudersi. "Ehi, Samuele. Da quanto tempo."

"È passato mezzo mese, non trent'anni!" si mise a ridere. "Dai, entrate."

La prima stanza che vide Orlando fu il salone color terra di Siena pavimentato con delle mattonelle di marmo. A destra vi erano un divano con di fronte la televisione circondata da delle piccole mensole. A sinistra vi era la cucina che era colorata di bianco insieme al tavolo, al frigo e al forno.

Orlando trovò piacevole quella parte di casa. Samule e Carla si erano messi a parlare di cos'avevano fatto durante quel lasso di tempo in cui non si erano visti.

Dal corridoio centrale arrivò una donna con i capelli ricci castani e gli occhi verdi. "Carla! Ciao!"

"Come va?" disse lei, dopo aver dato il classico bacio sulla guancia. "Tutto bene, tutto bene." rispose Carla.

Nella sua camera, Julie aveva sentito gli ospiti entrare. Così si fece coraggio, andò in salone e abbracciò Orlando approfittando del fatto che fosse distratto. "Ciao!"

Il ragazzo rimase di sasso. "C-Ciao." Julie lo guardò e gli strizzò una guancia. "Ti ho preparato una sorpresa."

"Cos'è?" chiese lui. Harry piombò su di loro e per poco Julie non cadeva addosso al ragazzo.

"Harry!" lo rimproverò sua madre.

"Ma mamma!" fece il bambino "Io volevo conoscere il suo fidanzato."

"Orlando non è il mio fidanzato." replicò lei.

"Non ti credo!" disse Harry.

Il ragazzo si sentiva un pò a disagio, non solo per Samuele. Quell'aria così accogliente non esisteva a casa sua e percepirla gli faceva uno strano effetto.

Avrebbe pure venduto la sua anima per avere una famiglia del genere.

Julie lo trascinò amichevolmente in cucina e tirò fuori dal frigo una torta. "Ti ho fatto una torta."

"Guarda che ti ho aiutata io." disse sua mamma.

"Vabbè." disse lei.

Mentre mangiavano, gli adulti discutevano tra di loro.

"Julie si comporta bene a casa?" domandò Samuele.

"Papà!" si lamentò la ragazza.

Harry continuava a fare domande a Orlando. "Perché hai i capelli lunghi?"

"Perché mi sono cresciuti." gli rispose.

"Sei fidanzato con Julie?" domandò il bambino.

"No."

"Ti piace Julie?"

Il ragazzo si stava innervosendo. "È solo un'amica."

Julie notò il suo disagio. "Perché non andiamo in camera mia? Ho qualcosa da farti vedere."

"Uh...va bene."

"Volete sbaciuccharvi?"

"Harry, la smetti?" lo rimproverò la madre.

I due ragazzi andarono in camera di Julie, che si trovava in fondo al corridoio, e lei chiuse la porta.

"Ehi...tutto bene?"

Orlando scosse la testa. "No." si asciugò le lacrime "Tutta quest'atmosfera...mi mette a disagio."

Lei l'abbracciò. "Adesso siamo da soli, ok? Puoi dire tutto quello che vuoi."

Lui sospirò. "A casa mia, tutta questa gioia non c'è e sentirla per la prima volta." singhiozzò "Mi fa sentire male."

La strinse più forte. "Non lo so...è come se il mondo volesse prendersi gioco di me."

Julie gli accarezzò la schiena. "Va tutto bene adesso. Non sei più in quella casa."

Lui sciolse l'abbraccio e si sedette sul letto, era demoralizzato.

La ragazza pensò a qualcosa da fare per tirargli su il morale. Le venne un'idea, prese due elastici e si sedette vicino a lui. "Posso farti i capelli?"

Orlando la guardò stranito. "Se vuoi..." Julie ci mise un minuto a mettergli gli elastici e poi guardò la sua 'opera'.

"Che bel ragazzo che abbiamo qui!" esclamò. Orlando si guardò con la fotocamera del telefono, vedendo che Julie gli aveva fatto due codini.

Sorrise. "Ti piaci?" domandò Julie. In tutta risposta, Orlando l'abbracciò forte.

"Tu sei una di quelle persone che mi rende felice." disse lui. Sciolse l'abbraccio. "Ti va se...ti faccio pure io codini?" Julie sorrise. "Si!"

Il risultato che entrambi avevano due codini con l'aggiunta extra di un fermaglio.

"Sai...sei carina..." arrossì "Con i codini."

"Anche tu non sei male." gli strizzò una guancia. "Sei troppo bello."

Orlando sentì l'emozione arrivare nel basso ventre. 'Porca puttana.'

Julie lo abbracciò e gli diede un piccolo bacio sulla guancia. Questo bastò a completare il lavoro.

'Non posso farlo a casa sua, che faccio!?' la guardò "Ehhh...p-perché l'hai fatto?"

"Perché..." Julie era imbarazzata. "Perché...uh...mi andava."

"Senti...dov'è il bagno?" chiese il ragazzo.  "È qua davanti." rispose Julie.

"G-Grazie." lui andò verso la stanza, mentre Julie si mise due dita in fronte. 'Mi sa che gliel'ho fatto venire duro AAAAAAH.'














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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Orlando non aveva detto a nessuno del suo 'incidente' a casa di Julie.

Se Matteo l'avesse saputo, probabilmente gli avrebbe fatto un sacco di domande.

Quella notte non riusciva a dormire, la sua insonnia era abbastanza problematica. Quando gli capitava di stare sveglio, abbasava la luminosità del cellulare e si metteva a leggere quella storia su internet che Julie e Rebecca chiamavano fanfiction.

A volte non capiva il senso di alcune parti, e il ragazzo protagonista spesso gli ricordava Valerio. Una cosa che accomunava queste fanfiction era che i due protagonisti vivevano felici e contenti da qualche parte.

Il ragazzo in queste storie era sempre muscoloso, bello, ricco e sicuro di sé, e Orlando era praticamente il contrario.

Non era muscoloso, non si trovava bello, non era ricco ed era sempre insicuro di sé. Quelle storie gli avevano trasmesso un messaggio che stava cercando di dimenticare.

Tu non sei adatto a Julie.

Posò il cellulare sul comodino e sospirò, notando che aveva iniziato a piangere.

"Perché?" si chiese. Perché piangeva? Perché forse, secondo lui, era la verità.

D'altro canto, la ragazza si sentiva più o meno come lui. Non voleva farsi condizionare dalle fanfiction che leggeva, poiché la maggior parte erano stupide.

Ma il suo subconscio le diceva che non era adatta a lui.

Lei non aveva problemi di autostima e prendeva decisioni per sé e soprattutto non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, sembrava quasi la reincarnazione del personaggio femminile che aveva creato Mary Wollstonecraft per contrastare i personaggi femminili stereotipati della sua epoca e di come l'educazione femminile veniva parzialmente rovinata dai conduct books.

Se lei avesse letto queste fanfiction, probabilmente avrebbe chiesto a Dio di reincarnarsi solo per dare una lezione di uguaglianza a queste ragazze. Lei non voleva che la donna fosse superiore all'uomo, lei desiderava che la donna avesse i suoi stessi diritti.

Julie conosceva Mary grazie al suo navigare continuamente su Internet. Era strano che non fosse in alcun programma di letteratura inglese. Il programma del trienno abbracciava tutta la letteratura inglese, dalle origini fino a oggi. Se fosse stata integrata, probabilmente avrebbe preceduto Oscar Wilde.

Meglio per lei, avrebbe preso un voto più alto all'esame.

Lei pensava che, forse, non sarebbe stata all'altezza delle aspettative di Orlando, forse era troppo diversa da lui.

Era come se entrambi avessero due poli negativi che non dovevano mai essere attratti fra di loro.

La scienza dice che due poli uguali non possono essere attratti fra di loro, ma l'algebra enuncia che il risultato di due numeri negativi è un numero positivo. Sarà lo stesso anche per loro?

Erano due magneti polarizzati negativamente che non si sarebbero mai incontrati, o due numeri negativi che avrebbero generato un numero positivo?

Loro erano come gli altri ragazzi, avevano i loro problemi, le loro insicurezze, i loro difetti.

Avevano subito delle esperienze che li hanno segnati ed entrambi li avevano gestiti come meglio potevano.

Julie cercava di essere positiva e allegra come lo era con Riccardo, mentre Orlando stava cercando di essere indipendente.

Erano solo ragazzi con cui la vita era stata ingiusta. Senza saperlo, avevano una cosa in comune, non si sarebbero mai arresi ai loro problemi.




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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Matteo era sempre stato un buon amico di Orlando fin dalle medie.

Il biondo era stato di mente aperta, come gli avevano insegnato i suoi genitori, era un bravo ragazzo.

L'incidente con la pistola, però, aveva leggermente sconvolto la sua vita. Orlando si sentiva in colpa per quello che gli era successo, ma Matteo gli aveva rassicurato che non era colpa sua. I due si erano tenuti in contatto anche quando andarono in licei diversi.

Lui era rimasto sconvolto, quasi arrabbiato, quando aveva visto quella cicatrice sul petto del suo amico. Non si era sentito inutile, era solo che non se l'aspettava totalmente da un ragazzo come Orlando.

Eppure, era sempre stato con lui. Cos'era andato storto? La risposta fu ovvia. Valerio.

Matteo non aveva mai capito quel ragazzo. Stava sempre da solo, aveva degli ottimi voti, era sempre presente, aveva un bell'aspetto ed era bravo neglo sport, specialmente nella pallavolo.

La maggior parte delle ragazze lo adorava come se fosse un dio greco ma lui puntualmente rifiutava tutte le domande di fidanzamento che riceveva tramite fogli staccati dal quaderno e li metteva nello zaino. Matteo non aveva mai capito il senso di ciò, forse se li teneva come ricordo.

Le ragazze fantasticavano di continuo su di lui, inventandosi pure storie sul suo passato. Le più assurde erano due, la prima parlava di come suo padre picchiava sua madre e un giorno, stufo di tutto ciò, Valerio lo picchiò a sua volta allontanandolo dalla famiglia. La seconda era che i suoi occhi potevano cambiare colore a seconda del suo umore.

Ovviamente non era tutto vero, ma Matteo pensava che fossero troppo in fissa con quei film che avevano titoli che, a quel tempo, non ne capiva il significato. Ora li ricordava vagamente ma erano una cosa del tipo Breakqualcosa Dawn e forse c'erano pure dei libri.

Valerio era praticamente il preferito della scuola, ma anche un gran bastardo. Ci fu un episodio in particolare che glielo fece odiare totalmente.

Dopo che Matteo e Orlando andarono in licei diversi, il primo sentì la sua assenza. I ragazzi della sua vecchia classe erano praticamente gli schiavetti di Valerio e il resto dei ragazzi della scuola se ne fregava, solo Orlando non faceva parte del branco. Dopo gli esami di terza media, era come se Orlando fosse totalmente sparito.

Durante il biennio se l'era cavata bene e all'inizio del terzo anno fu sorpreso di vedere Orlando seduto in uno dei banchi della classe. Sembrava quasi un'altra persona, come se fosse più abbattuto di quanto non lo era già alle medie.

Si erano raccontati un sacco di cose, e Matteo gli raccontò di quando fu rifiutato da tre ragazze nel giro dell'intero secondo anno scolastico.

Una delle tre ragazze, Yuki, era rimasta sua amica mentre le altre due, Anna e Julie, avevano continuato per la loro strada.

Matteo aveva anche detto che ragazze come loro tre erano piuttosto rare e non parlava della loro bellezza.

Anna era sicuramente quella che spiccava maggiormente. Era praticamente la ragazza con più ammiratori e la cosa non le dispiaceva affatto. A differenza sua, Yuki e Julie tenevano un pò basso il profilo poiché non volevano essere troppo popolari.

La bionda era amata da molti ragazzi nella scuola ed era anche brava in tutte le materie, tranne qualche lacuna in chimica.

Non era raro che qualche ragazzo si avvicinasse troppo, ma la soluzione era la solita, spinta e terzo dito. E se esagerava, una ginocchiata in mezzo alle gambe.

Matteo aveva scoperto di avere qualcosa in comune con lei, diventavano abbastanza irritabili quando qualcuno insisteva troppo. Ovviamente non arrivavano mai a spingere, ma se la situazione lo necessitava...


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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Rebecca faticava a farsi degli amici, specialmente perché era quel tipo di ragazza che parlava poco e niente.

Se c'era una cosa che temeva, era che qualcuno scoperisse i suoi segreti. Non era nulla di grave, ma Rebecca tendeva a ingigantire le cose. C'era una sola persona a cui aveva confidato ciò, ed era Michele.

Anche lui era più o meno nella sua stessa situazione. Il ragazzo aveva una logica tutta sua che gli faceva capire, più o meno, cos'avesse una persona e non si faceva scrupoli a dire quello che pensava. E il più delle volte non capiva bene la situazione.

Lui e Rebecca erano diventati amici totalmente per caso ed era successo tutto alle medie quando il ragazzo frequentava il secondo anno e lei il primo nella stessa sezione e corridoio.

Michele aveva notato che la ragazza, di tanto in tanto, veniva accompagnata o portata via da due persone diverse. Probabilmente quella voglia di scoprire cosa nascondessero le persone era influenzata dalla curiosità che si aveva a quell'età.

A tratti ricordava una versione maschile di Margherita Dolcevita, quella ragazza dell'omonimo libro che scriveva poesie brutte e inizi di racconti inesistenti. Lui lo aveva letto e adorato. Un libro che parlava di una ragazza curiosa che era poco più grande di lui, a quel tempo, amante della natura e personificazione della curiosità adolescenziale. Michele si sentiva un pò descritto da quel libro.

Michele si fece coraggio e un giorno, alla fine delle lezioni davanti al cancello della scuola, andò da Rebecca. I due si salutavano di tanto in tanto ma non di erano mai parlati.

"Ehi."

Era una semplice parola, seguita dalle normali frasi a inizio conversazione.

Dopo qualche parlata, lui arrivò al punto. "Senti." indicò con la testa una donna dai capelli castani dentro una Kia Picanto blu che aspettava qualcuno. "Quella donna è tua mamma?"

Rebecca lo guardò leggermente ansiosa. "Si. Perché me lo chiedi?"

Lui rispose senza esitare. "Perché alcuni  giorni fa era venuta un'altra donna a prenderti."

'Oh cazzo, no.' Rebecca pensò subito a come uscire da quella situazione. "Ehm...è la cugina di mia mamma! Si! I miei sono divorziati e lei e mia mamma si danno i cambi per accompagnarmi ora che ti ho detto tutto vado ciao."

Rebecca non voleva far sapere a nessuno delle sue due mamme e della sua bisessualità. Tutto ciò che sentiva e vedeva riguardo a persone come lei e loro, aveva generato un'omofobia interiore nel cuore della ragazza. Lei si vergognava delle sue due mamme, ma soprattutto di sé stessa.

Michele, come detto prima, aveva più o meno i suoi stessi problemi. Anche lui era bisessuale con un'omofobia nel suo cuore, pure lui si odiava, proprio come lei.

Ma nonostante fossero due numeri negativi, essi iniziarono, lentamente, ad avvicinarsi e insieme riuscirono ad accettarsi, formando un numero positivo per loro e per sé stessi.










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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Essere di un'etnia diversa era abbastanza  difficile, soprattutto in paesi come l'Italia e Yuki lo sapeva bene.

La sua famiglia era composta da lei e i suoi genitori e abitavano in una casa adagiata.
Loro erano brave persone che avevano lasciato il Giappone dopo il caso di Junko Furuta. Avevano paura che una cosa del genere potesse succedere alla loro futura figlia.

Così, nel giro di un paio di settimane, il cognome Fuyuyama apparve in un piccolo appartamento e, dopo undici anni, nacque Yuki.

La bambina aveva passato una piccola parte della sua vita in quell'appartamento, per poi dirgli addio dopo aver traslocato.

Yuki era una ragazza responsabile, che voleva rendersi utile, le piaceva fare i cosiddetti edits e aesthetics, infatti ne aveva un sacco sia sul cellulare che sul computer. Adorava pure il vintage, infatti aveva un paio di console vecchie in soffitta con qualche cartuccia pirata di marchi famosi, come la Nintendo.

Ora qualcuno potrebbe pensare che, probabilmente, faceva arti marziali, ma a Yuki non interessavano, preferiva insultare il programma di editing quando smetteva di funzionare nel bel mezzo del lavoro.

Alla ragazza le erano capitati degli insulti sulla sua etnia, ma lei non ci faceva molto caso, era troppo impegnata a studiare per farsi una vita anziché perdere tempo a bullizzare gente a caso. Se vedeva delle scritte sul banco, faceva delle foto, così al momento della ricreazione poteva sfogliare i quaderni o i diari che venivano lasciati sui banchi per dare un nome e un volto a chi le scriveva sul bamco. Dopo lo diceva agli insegnanti.

Alcuni potevano etichettarla come odiosa, ma era soltanto il suo modo di affrontare il problema.

Quando arrivò il triennio, si sentì un pò in ansia. Al triennio alcuni professori cambiavano e perciò la buona reputazione che si era fatto con quelli del biennio, doveva riottenerla con i nuovi.

Il triennio aveva portato due nuovi studenti e fu sorpresa nello scoprire che uno di loro, Orlando, abitava nello stesso appartamento in cui lei viveva.

Lui non le aveva mai detto della sua situazione familiare, se ne usciva semplicemente con "Mio padre è un pò stronzo."

L'altro ragazzo era anche lui di un'etnia diversa. Diceva di chiamarsi Ammar Sciuto.

La sua storia di come fosse arrivato in Italia sembrava uscita da un libro. La famiglia che lo aveva adottato era cristiana ma accettarono ugualmente la scelta volontaria di Ammar per seguire la religione musulmana.

Anche lui ebbe problemi di bullismo, un pò più grave rispetto a quello di Yuki, e il suo modo di sfogarsi era il pugilato. Ogni volta immaginava che il sacco fosse un'unione tra i bulli che gli davano fastidio.

Non voleva abbassarsi al loro livello, ma se mai avessero provato a mettergli le mani addosso, avrebbe risposto come meglio poteva.

Alle medie, ma anche alle elementari, quando passava iniziavano a bisbigliare e se li guardava loro andavano via. Quello gli dava molto fastidio, probabilmente lo insultavano.

Quando qualcuno non condivideva un segreto con lui, pensava che lo facesse perché era egiziano. Ma questo gli fece vedere il male dove non c'era e l'aver lasciato Orlando in quel bar dopo che quest'ultimo voleva dirgli come stavano le cose, lo dimostrava.

Lui era un pò come gli aquiloni de 'Il cacciatore di aquiloni', un romanzo dello scrittore Khaled Hosseini.

Nel libro vi era una competizione chiamata la caccia agli aquiloni. Consisteva nell'usare i propri aquiloni bisognava tagliare il filo di altri aquiloni per vincere ed essi diventavano proprietà di chi li recuperava.

Ammar era proprio come loro, recuperava le umiliazioni che riceveva e gli sbagli che commetteva, diventando più forte. E proprio come Amir, il protagonista, avrebbe pagato le sue colpe proteggendo le persone che aveva abbandonato per egoismo.



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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Alessio era un ragazzo di diciassette anni che abitava quasi al centro di Catania, capelli biondo scuro, occhi verdi e frequentava il liceo linguistico.

Lui viveva in un appartamento a quattro piani con gli ascensori risalenti agli anni sessanta. I suoi genitori erano costantemente fuori per lavoro ed era figlio unico, perciò aveva la casa tutta per sé.

Aveva incontrato Gioele totalmente per caso. Lui abitava nello stesso palazzo ma al piano inferiore. Da quello che aveva capito  Gioele non aveva più una casa.

Alessio aveva sperimentato per la prima volta in vita sua il quasi colpo di fulmine. Gioele era alto quanto lui, aveva un paio di pearcing sulle orecchie e le sue braccia erano quasi interamente coperte di tatuaggi.

Alessio considerava i tatuaggi come una specie di arte sulla pelle, e vederne così tanti su un bel ragazzo come Gioele gli aveva fatto battere leggermente il cuore.

Anche Gioele, a vedere Alessio, gli venne un pò il cosidetto 'batticuore'. Gioele voleva ricominciare ad accettarsi per quello che era e che la sua omosessualità non era una malattia, ma non sapeva se Alessio provava lo stesso sentimento.

Fu il biondo a fare il primo passo, e poi iniziò a invitarlo a casa sua. I due non erano mai stati fidanzati prima d'ora e perciò si affidavano a vari siti internet per vedere come per flirtare, nel caso di Alessio, e come rispondere a un flirt nel caso di Gioele.

Più i due si conoscevano e più s'innamoravano l'uno dell'altro.

Il biondo iniziò il suo flirt con qualche braccio intorno al collo e degli sguardi più teneri. Gioele faticò un pò a rispondere alle avances, anche perché aveva paura di essere scoperto. Ma nonostante ciò, riuscì a confessarsi.

Dopo aver fatto quel piccolo incontro al parco, si rese conto di una cosa. Anche se aveva pochissimi affetti, prima Chiara e ora Alessio, si trovava bene. La ragazza era cara a Gioele poiché non solo lei l'aveva accettato ma anche suo padre.

Demian era sempre stato di mentalità aperta, e non aveva avuto alcun problema quando Chiara fece coming out con lui.

Chiara, purtroppo, sapeva il motivo per cui non aveva una madre. La ragazza era dovuta crescere e diventare responsabile in fretta.

Spesso doveva evitare che suo padre facesse qualche sciocchezza o ricordargli di prendere gli antidepressivi di tanto in tanto.

Lei e Gioele erano due ragazzi totalmente normali, fatta a eccezione che un loro genitori era totalmente stronzo, nel caso di Gioele era il padre e in quello di Chiara era la madre.

La ragazza non aveva idea cos'avrebbe detto sua madre se fosse ancora viva, ma conoscendola di certo non l'avrebbe accettata.

Gioele, rispetto a Chiara, era davvero in una condizione pessima. Purtroppo la casa della ragazza era troppo piccola e a malapena ci potevano stare tre persone.

Ora che il ragazzo si sentiva un pò più amato, il suo morale si era leggermente risollevato, ma togliersi il vizio del fumo era un desiderio ancora lontano per realizzarsi.



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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


Orlando aveva affondato la sua faccia sul cuscino, un'altra notte insonne con conseguente assenza da scuola.

Durante l'anno si potevano fare solo duecentoquarant'otto ore di assenza e se si superava un quarto di quelle ore si aveva automaticamente la bocciatura. Fortunatamente, Orlando non aveva neanche raggiunto quella frazione di tempo.

Purtroppo, non facevano sconti a nessuno e di conseguenza gli alunni si dovevano sforzare a essere presenti.

Orlando era preoccupato per il ventotto marzo. Si sarebbe svolto il secondo incontro con gli altri licei al Cus, il centro universitario sportivo. Lì ci sarebbero state altre presentazioni dei progetti di alternanza più lo svolgimento di altre attività.

Il campo era anche fin troppo grande, era facile perdersi. L'unica cosa che non voleva era rimanere in qualche luogo isolato con Valerio.

La cosa più stressante era che l'incontro cadeva proprio il giorno di Pasquetta ma sembrava che agli organizzatori non importasse più di tanto.

Mancavano solo quattro giorni e, in quel lasso di tempo, avrebbe dovuto avvertire Matteo.

Di pomeriggio, a casa di Rebecca, la ragazza stava cercando i gatti che si erano nascosti di nuovo. "Madò sti gatti."

Andò nel salone, dove vi era una donna dai capelli castani lunghi fino a metà schiena che stava lavorando al computer. "Mamma, hai visto quelle pesti pelose per caso?"

"Sono in camera mia." lei guardò la figlia "Rebecca, ne abbiamo già parlato. Non devi preoccuparti."

"Io sono paranoica nei confronti dei miei gatti oh." rispose la ragazza.

Maddalena, la donna, la guardò con aria di sfida. "Forse volevi dire...i nostri gatti."

Rebecca la guardò basita. "Mamma, non osare appropriati dei miei felini domestici."

"E invece...lo farò!" rispose la donna. Rebecca andò in cucina, dove vi era Vita, la compagna di Maddalena.

"Mamma, mamma vuole fare la comunista." disse lei.

La donna dai capelli corti e biondi la guardò scioccata. "Non posso pulire la casa in santa pace che quella donna inizia a fare la comunista!"

"Tesoro, io faccio la comunista quando voglio." rispose Maddalena, l'aveva sentita.

"Ora ti faccio vedere io!" la donna lasciò la pezza sul tavolo e andò in salone. "Sono i suoi gatti."

Maddalena guardò Vita con aria di sfida. "I nostri gatti."

La bionda le tirò amorevolmente la guancia. "Suoi."

"No, nostri."

Rebecca, nel frattempo, stava guardando le due donne, entrambe leggermente muscolose-o come direbbe la ragazza, fisico da Joestar- mentre litigavano sugli aggettivi possessivi giusti da usare per i gatti di Rebecca.

'Ah, shit. Here we go again.' pensò lei.

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


Viola era sulla strada di casa, aveva già preso l'autobus e ora stava camminando verso la destinazione.

Dopo un paio di minuti, si fermò poiché era piuttosto infastidita dal ragazzo che la stava seguendo.

La ragazza si voltò verso di lui. "Credi che non ti abbia notato?"

Valerio roteò gli occhi. "Ma sei sempre così acida?"

La ragazza andò verso di lui con uno sguardo serio. "Se il mio patrigno ci vede, mi fa la lavata di capo."

"È quel tipo di persona che non vuole che scopi prima del matrimonio?" domandò lui.

"Praticamente si." rispose Viola "E ora lasciami stare, grazie."

Valerio sbuffò. "Comunque, volevo chiderti una cosa."

Nel frattempo, i due erano arrivati sotto al portico della casa di Viola. Lei aveva aperto la porta con la copia delle chiavi di casa.

"Ti va se usciamo qualche sera?"

La ragazza lo guardò stranita. "E perché?"

Lui fece spallucce. "Sai com'è, volevo sapere un po' di più sui tuoi."

Viola trascinò Valerio dentro casa e chiuse la porta. "Non" lo guardò male "li devi nominare."

Lui sorrise "E perché mai? Volevo soltanto sapere."

"Perché mai dovrei dirtelo? Ormai è acqua passata." disse lei "Pensi che parlare di loro li riporterebbe in vita?"

"Come sei acida, era solo per parlare un po'. Ma dirlo in mezzo a degli sconosciuti sarebbe scomodo, per questo ti ho proposto di sera." fece lui.

"Io invece di propongo di andartene perché se il mio patrigno ti vede ti rompe." puntualizzò Viola.

Valerio si avvicinò a lei e la prese delicatamente per il mento e le sorrise. "Essere acida non ti si addice, cara."

"La prossima volta me lo porto io l'acido così te lo verso e ti sciogli." Viola stava perdendo la pazienza.

Il ragazzo le accarezzò la guancia. "Non credo che lo farai." tolse la mano "Comunque, devo tornare a casa. Ci sentiamo."

Aprì la porta e andò via. Viola respirò profondamente e si mise una mano in tasca per prendere il cellulare.

Non era lì. Andò leggermente in panico. Si sentì bussare alla porta "Credo che tu ti sia dimenticata il cellulare." era Valerio.

Viola aprì la porta "Perché cazzo me lo hai rubato?"

"Probabilmente è saltato sulla mia tasca." fece spallucce "Comunque ti ho registrato in rubrica."

"Ok, ora vattene." era molto arrabbiata.

"Verrai il ventotto al Cus? Oltre a te, ci sono due persone che vorrei incontrare." chiese il ragazzo.

Viola stava perdendo la calma "Io invece ho due tizie da evitare, e ora sparisci."

"Ok, ok." si voltò e agitò la mano in segno di saluto "È inutile che mi blocchi, tanto so come contattarti." detto ciò, andò via.

Lei chiuse la porta e si mise una mano in fronte "Ma perché ci tiene tanto a sapere dei miei, che gliene frega?"

Il suo cellulare vibrò, le era arrivato un messaggio da Valerio.

Se mi parli dei tuoi, io ti parlo di me. Ci stai?

Viola ci mise qualche secondo a scrivere la risposta.

Ok ma non rimangiarti la parola.



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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


Era il ventotto marzo.

Il centro universitario sportivo stava ospitando dieci classi del triennio di tre licei diversi.

Gli studenti erano dentro l'edificio di arrampicata sportiva e alcuni aspettavano che iniziasse l'evento. Orlando si era messo vicino a Matteo, guardandosi intorno con fare nervoso. I due erano seduti su uno dei materassini usati per attutire la caduta degli arrampicatori.

L'amico aveva notato il suo disagio. "Tutto bene?"

"Si...è che..." deglutì, venire era stata una pessima idea.

"Vuoi che andiamo fuori a prendere un pò d'aria?" suggerì il biondo.

L'altro ragazzo scosse la testa. "No, grazie."

Julie li aveva notati e si era avvicinata. "Ehi, tutto bene?". Orlando la guardò. "Non è niente, tranquilla."

Lei si sedette vicino ai due. "Sicuro?"

Il ragazzo abbassò lo sguardo. "È solo che mi sento un po' giù di morale." sospirò.

Matteo gli mise una mano sulla spalla. "Vuoi che andiamo fuori?". Orlando annuì.

I due si alzarono e uscirono fuori dall'edificio, Julie li guardò andare via.

Orlando si appoggiò sul muro. "Mi sento così e così oggi..."

"Forse era meglio se restavi a casa." fece Matteo.

"Ma se salto delle ore, le dovrò recuperare e perderei tempo..." rispose il ragazzo.

Matteo pensava che la fissa di Orlando di essere indipendente il più presto possibile, lo  stava facendo sentire peggio di quanto non lo stava già.

"Dovresti moderare questa cosa che hai di essere indipendente a tutti i costi, altrimenti ti farà più male che bene." disse il biondo.

Orlando ci pensò, probabilmente aveva ragione.

"Forse hai ragione, non dovrei sforzarmi troppo."

Nel frattempo, Rebecca stava controllando se c'era Valerio o meno. Michele ripensava al nome di quel ragazzo e non faceva altro che associarlo allo stesso che aveva incontrato all'ospedale l'altra volta.

Intanto, Julie e Ammar stavano parlando fra di loro di cose importanti.

"Ma te lo stai vedendo Assasination Classroom? Io sono ancora ferma ai primi episodi perché mi sto dimenticando di continuarlo." fece lei.

"Eh, ancora no." rispose "Devo ancora finire Fullmetal Alchemist."

"Quello bello o quello brutto?" chiese Julie.

"Quello bello, ovviamente. Io sono un'uomo di cultura." rispose il ragazzo.

Fuori dall'edificio, Valerio era con un gruppo di amici.

I quattro ragazzi, Valerio escluso, stavano parlando in generale della scuola e delle loro giornate.

Il ragazzo castano non era molto interessato a quei discorsi, preferiva fare altro.

Lo stesso si poteva dire per Viola, ma lei aveva altro in testa.

Nonostante Valerio fosse uno stronzo totale, era probabilmente l'unico che la capiva.

Forse era per questo che, l'altra volta, l'aveva lasciato un po' fare. Di solito non avrebbe permesso a nessuno di prenderle il cellulare.

Valerio stesso si era reso conto che quando pensava a Viola si sentiva felice, forse perché aveva trovato qualcuno che lo capiva.

Il ragazzo si era allontanato dal gruppo, pensando a varie cose.

Ultimamente, gli stava venendo in mente la ragazza dagli occhi grigi che aveva conosciuto all'ospedale mesi fa. Solo in quei giorni gli era tornato in mente che gli aveva detto un caro amico quando era piccolo.

Che fosse lei la ragazza di cui tanto parlava? Sicuramente sì, in fondo non aveva mai visto altre ragazze di nome Julie con gli occhi grigi.

Dopo aver camminato per un po' si ricordò di cercare giocattolo umano preferito. Gli ricordava quel suo amico, e per questo si divertiva a tormentarlo.

Intanto, Orlando si guardava continuamente intorno, destando la curiosità di Matteo.

"Ma che ti prende? È da un paio di giorni che ti comporti così."

"Non è niente." fece lui "Stai tranquillo."

"Senti, non puoi nascondere le cose per sempre, o le dici o ti arrangi." fece il biondo.

Orlando lo guardò. "È che..."

Non fece in tempo a finire la frase che vide in lontananza proprio il ragazzo che non voleva più vedere in vita sua.

"Orlando ma che hai?"

Il corvino lo prese per una manica, allontanandosi velocemente da lì.

Peccato che Valerio l'aveva visto andare via.


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Capitolo 50
*** Capitolo 50 ***


Poco prima, Julie aveva visto Orlando e Matteo uscire dall'edificio.

Probabilmente lui si era sentito poco bene. La ragazza rimase lì senza fare nulla, non voleva intromettersi troppo nella sua vita, doveva dargli i suoi spazi.

Ammar, notandola, si sedette vicino a lei. "Tutto bene?"

"Se non fosse per questo caldo magari." rispose lei.

"Come ti capisco, sembra di stare in un forno." aggiunse il ragazzo.

Nel frattempo, Rebecca aveva raggiunto Michele. "Sono preoccupata per quel tipo, se siamo fortunati è assente."

"Spero vivamente di si." rispose il ragazzo "A proposito, hai presente il tizio che rubava le cose dall'ospedale? Probabilmente è lo stesso."

"Ricordi che aspetto aveva?" chiese l'amica.

Lui scosse la testa. "Purtroppo no, è stato verso novembre o dicembre, credo."

"Se non sbaglio avevi detto che con te c'era una ragazza che andava a scuola con lui. Forse dovresti chiedere a lei." propose Rebecca.

"Si io lei me la ricordo, ma non so se sia venuta oggi." disse Michele.

"Perché non la cerchiamo? Se va nella sua stessa scuola, abbiamo tre possibilità su cinque che sia presente oggi o che sia assente a causa di un fattore variabile." fece l'amica.

"Da quando parli statisticamente?" domandò Michele.

"Mi andava."

L'altro fece spallucce. "Vabbè, andiamo a cercare questa tizia."

"Ma non è questa ragazza è la figlia del prof della classe di Julie?" domandò Rebecca.

"Tu dici?" ci rifletté un attimo "In effetti si assomigliano abbastanza."

Nel frattempo, Chiara si trovava fuori dall'edificio vicino al campo sportivo del tutto vuoto insieme a Gioele.

"Ti sei fidanzato? Wow!"

"E già. È proprio un tesoro." rispose lui.

"Sbaglio o stai sorridendo?" domandò Chiara.

"Ehm..." si voltò dall'altro lato "No."

"Ma perché ti atteggi da duro se sei un tenerone?" chiese lei.

"Io sono così e basta." disse Gioele. Chiara gli tirò la guancia. "La tua guancia mi dice che sei morido."

"La mia guancia mente." affermò lui.

"Però sono contenta che adesso ti sei fidanzato con un ragazzo che ti ama." si stiracchiò "Purtroppo io non ho ancora trovato la tipa giusta."

"Mica ti piove dal cielo." fece il ragazzo. Chiara guardò il cielo. "Dio, mandami la gnocca più gnocca che hai." guardò Gioele "Niente da fare."

Gioele sorrise. "Sarà per la prossima volta."

Chiara lo guardò stupefatta. "Tu hai sorriso!"

"Cosa? No!" ribatté Gioele.

Intanto, Orlando aveva trascinato Matteo dietro l'edificio, sperava vivamente che Valerio non l'avesse visto.

"Ma che ti prende!?" lo rimproverò Matteo. Orlando provò a inventarsi una scusa. "Ecco, c'era Julie e-"

"Non me la bevo." gli disse severamente il biondo "Cosa ti sta succedendo in questi giorni?"

L'altro cercò di non guardarlo. "Vedi, è che..." scosse la testa, non aveva idea di come dirglielo.

"Ha a che fare col sonno?" domandò Matteo. Orlando annuì.

"È l'insonnia allora?" chiese nuovamente.

"Si." rispose lui "È che devo dormire un po' di più. Tutta questa insonnia mi sta facendo avere le allucinazioni."

Senza preavviso, Valerio si poggiò sulla testa di Matteo usando le mani come poggiatesta. "E invece" guardò Orlando e gli sorrise "sono più reale di quel che credi."


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Capitolo 51
*** Capitolo 51 ***


Matteo si levò le braccia del ragazzo dalla testa e lo guardò in cagnesco. "Tu!? Cosa ci fai qui!?"

L'altro fece spallucce. "Per il vostro stesso motivo, alternanza. Anche noi del quarto esistiamo."

Orlando deglutì, tra tutte le persone che poteva incontrare, proprio la peggiore era capitata.

"Vattene da qui." disse Matteo.

"Come sei noioso, Matty. Volevo soltanto vedere il mio caro amico." rispose Valerio.

Orlando lo guardò spaventato. "Amico 'sto cazzo, io non sono tuo amico."

"Sei più nervosetto rispetto all'altra volta, sai?" fece Valerio.

Matteo lo guardò. "Che vuoi dire con l'altra volta?"

"Ma come, non gliel'hai detto?" sorrise "L'altra volta io e lui ci siamo visti al polivalente. Se non fosse stato per quella nanetta, gli avrei sicuramente fatto qualcosa."

Il biondo rimase confuso, perché Orlando non glielo aveva detto? Non si aspettava una risposta in quel momento, ma sicuramente glielo avrebbe chiesto più tardi.

"Te n-ne vai!?" disse Orlando.

Valerio si mise a ridere. "Scommetto che, se eravamo da soli, non ti saresti comportato così." schioccò la lingua in segno di disapprovazione "Sei proprio una mezza sega."

Matteo ringhiò. "Te ne vuoi andare!?"

"Ma perché dovrei? Mica possiamo uscire da qui, e poi mi secco a tornare dai miei compagni di classe." fece lui.

"Vai a rompere a loro invece che a noi." controbatté Matteo.

"Ma sono noiosi." rispose Valerio "Voi mi fate divertire di più." guardò Orlando "Specialmente tu."

Orlando deglutì e tremò. Matteo si mise vicino al suo amico. "Te ne vai, si o no!?"

L'altro ci pensò. "Vediamo, lasciate che ci pensi." si girò "Hmmm. Non saprei, ma credo che vi farò sapere tra qualche secondo."

Il biondo prese Orlando per un braccio. "Andiamocene."

I due si mossero per pochi passi, mentre il corvino era rimasto mezzo scioccato.

Intanto, Valerio aveva preso la sua decisione. "Allora, io rimango ma" afferrò Orlando per l'altro braccio e lo trascinò verso di lui "lui resta qui."

Il corvino si trovò bloccato tra le braccia di Valerio che gli stringevano il collo.

Matteo guardò Valerio. "Lascialo, ora!"

"Sennò che mi fai? La bua?" rise "Non dire cazzate."

Il biondo non aveva idea di cosa fare, chissà cosa sarebbe successo se fosse tornato indietro e il peggio è che erano in un luogo abbastanza isolato.

"L-Lasciami." Orlando provò a liberarsi dalla presa "Ti prego..."

"Non credo che lo farò, Orlando." iniziò a stringere la presa "Non credo proprio."

Il corvino gli afferrò le mani nel tentativo di togliersele, senza riuscirci. Non riusciva più a respirare.

Matteo iniziò a tremare. "L-Lascialo!"

Valerio lo guardò sghignazzando. "Come si dice?"

Il biondo tremò. "Per favore...lascialo."

"Visto che me lo hai chiesto gentilmente." mollò la presa e Orlando cadde in ginocchio, tossendo e tenendosi la gola con le mani.

Valerio si avvicinò a Matteo. "Lo sai, no? Non potete fare nulla contro di me." poi andò via.

Matteo si avvicinò all'amico e s'inginocchiò. Orlando lo guardò in lacrime. "Mi d-dispiace non s-sapevo come..."

Il biondo lo abbracciò. "Non importa." si mise a piangere "Non importa."

Lo aiutò ad alzarsi. "Andiamo via..."

Orlando era ancora spaventato e tremava. "Mi dispiace, mi dispiace..."

Matteo lo guardò. "Non è colpa tua..." tremò dalla rabbia "È colpa mia."

Il corvino lo guardò. "Perché lo dici?"

Il biondo si asciugò le lacrime. "Perché non ho fatto un cazzo per aiutarti." strinse i pugni "Perché deve sempre finire così..."


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Capitolo 52
*** Capitolo 52 ***


Julie bussò alla porta di Carla. Era da ieri mattina che non vedeva Orlando e si era preoccupata, anche per il fatto che non rispondeva ai suoi messaggi.

La donna aprì la porta, doveva andare a lavoro in sartoria. "Oh, Julie. Come stai?"

"Io bene, ma Orlando?"

"Ecco..." fece lei "lui è in camera sua. Vuoi che gli dica che sei qui?"

"Non preoccuparti, faccio io." rispose la ragazza.

La donna la ringraziò e andò via. Julie entrò e chiuse la porta con il gancio. "Orlando, sei qui?"

Andò in camera sua e bussò. "Orlando?"

Il ragazzo, che era seduto sul letto, sentì la sua voce. Era sorpreso che fosse venuta.

Non aprì perché non voleva farsi vedere in lacrime.

Julie aprì la porta, preoccupata. "Orlando?"

Lui si coprì la faccia con le mani, impaurito. "Perché s-sei qui?"

Lei si sedette vicino a lui. "Ero preoccupata per te, così sono venuta con l'autobus."

Orlando fece spazio con le dita, guardandola con i suoi occhi arrossati. "Ma perché? Perché ti preoccupi per me?"

Julie rimase un po' attonita da quella domanda. "Perché ci tengo a te." rispose con tono triste.

Lui la guardò. "Io sono solo un patetico piagnucolone." spostò lo sguardo da un'altra parte "Dovresti stare con qualcuno che possa renderti felice. Io ti faccio solo da peso."

La ragazza ci rimase male a sentire quelle parole. "No, tu non sei un peso." lo abbracciò.

Lui si sentì afflitto, per poi sentire un singhiozzo. "Julie ma...stai piangendo?"

Julie lo guardò con le lacrime agli occhi. "Si." gli strinse le spalle "È perché mi sento come anni fa con Riccardo. Inutile e senza aver avuto la possibilità di aiutarlo. Proprio come ora io non riesco ad aiutarti."

Orlando l'abbracciò. "No, no. Tu non hai colpa di niente."

"Orlando, ieri ti è successo qualcosa?" chiese lei.

Il ragazzo deglutì. "No, ho avuto le solite stupide allucinazioni per l'insonnia."

Julie capì che non stava dicendo la verità. "Lo sai che...ti puoi confidare con me, vero?"

Orlando annuì. "Si." sospirò "È che...non ho voglia di parlarne."

Lei lo accarezzò e gli sorrise. "Quando ti va, fammi uno squillo."

Il ragazzo, un po' più calmo, rise e la guardò. "Grazie."

"Di nulla." fece lei. Si era tranquillizzata anche lei.

Senza preavviso, il ragazzo le diede un piccolo bacio sulla guancia e le sorrise.

Lei rimase basita. "Ma che..."

"Ti h-ho dato fastidio?" lui pensava di aver fatto una stupidaggine.

"No, no. È solo che...non me lo aspettavo." guardò da un'altra parte e rise nervosamente "Certo che sei proprio tenero, lo sai?"

Lui arrossì e Julie lo seguì qualche secondo dopo, rendendosi conto di quello che aveva detto. "Ti va di...fare una sfilata?" domandò lei.

"No...oggi no." rispose sconsolato.

"Ok..." era nervosa "senti..."

Orlando la guardò. "Cosa c'è?"

Julie arrossì. "Ti posso...coccolare?" si grattò il collo "Sai com'è...per farti stare meglio..."

Lui arrossì più di prima, non che gli dispiacesse. "Se vuoi..."

Julie gli accarezzò la testa. "Te lo ricordi, a casa di Rebecca? Lo avevi fatto quando ti avevo chiesto come si accarezzazze un gatto."

Orlando sorrise nervosamente. "Mi hai scambiato per un gatto?"

"Perché no?" sorrise "Sei bello morbido."

Il ragazzo arrossì. "Eh, grazie."

Dopo qualche secondo, Julie pensò a una cosa. "Non è che...ci possiamo sdraiare? Così mi viene il mal di schiena."

Orlando divenne più rosso di prima. "Se vuoi..."

La ragazza si distese sul letto insieme a lui. "La mia povera schiena." commentò lei.

Orlando stava per esplodere metaforicamente, e tra poco anche una sua specifica parte del suo corpo.

'Tra poco esplodo.' pensò.

"Sei più comodo?" domandò la ragazza. Lui annuì. "Si."

Dopo qualche secondo, Julie si sentì stanca. "Non so perché, ma sono stanca. Ti va se mi addormento un po' qua?"

"Fai pure. Ti sveglio io." rispose lui.

Julie strinse Orlando come un peluche. "Grazie."

Lui arrossì. "Di n-nulla!"

'Forse è stanca perché ha pianto.' si accoccolò su di lei 'Anche se sono un po' stanco pure io. È meglio se mi riposo per qualche minuto.'

Nonostante ciò, dormì con Julie per più di un'ora.



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Capitolo 53
*** Capitolo 53 ***


Matteo e Orlando non parlarono di quello che era successo quel giorno.

In parte, il biondo aveva capito il motivo di quel silenzio, ma al tempo stesso non gli piaceva il fatto che glielo aveva nascosto.

Yuki aveva notato il silenzio fra i due, e aveva pensato che avevano litigato o cose del genere.

A ricreazione, Yuki si era seduta vicino ad Anna e a Julie. "Yo."

"Mino." fece Julie.

Anna la guardò con l'omonimo succo in mano. "Lo stavo per bere."

Invece, Ammar era in cortile a giocare al telefono. Mentre era distratto, Rebecca lo aveva visto e voleva sorprenderlo da dietro.

Peccato che il ragazzo si era voltato prima. "Ehi, ciao."

Rebecca aveva le braccia a mo' di tigre e lo guardava normalmente. "Cia'." si sedette vicino a lui "Come va, compare diversamente alto?"

"Bene, e a te?"

"Tutto apposto, ma mi lamento del fatto che fa caldo." rispose lei.

"Capisco, come va con la recita?" domandò Ammar.

"Ormai abbiamo quasi finito, a giugno vedrai tutto." rispose la ragazza.

"Che tipo di spettacolo teatrale sarà?" chiese lui. Rebecca sorrise. "Chissà..."

Guardando tra la folla di ragazzi in cortile, notò Matteo e Orlando che si stavano dirigendo verso il corridoio che portava verso la palestra.

"Ehi, ma sono Matteo e Orlando." fece lei "Vado a fargli yolo."

"Non lo so, è da qualche giorno che sono strani." disse Ammar.

Rebecca li guardò con fare sospettoso. 'Il mio senso di bisessuale avverte qualcosa.' si voltò verso Ammar "Vado a vedere cosa nascondono quei due."

Detto ciò, li seguì senza farsi vedere.

***

Matteo e Orlando avevano deciso di parlare in privato di quella faccenda. Il biondo aveva portato il suo amico nel corridoio vicino alla palestra.

"Ascolta, ti ricordi quando ti ho detto che potevi contare su di me per qualsiasi cosa?" domandò Matteo.

Orlando annuì. "Bene." fece Matteo "Io in un certo senso capisco perché non me lo hai voluto dire, ma-"

"Il fatto è che" lo interruppe Orlando "...avevo paura."

"Ma paura di cosa?" domandò confuso Matteo.

"Che tu venissi coinvolto." rispose lui "Non voglio che ti succeda qualcos'altro. Già hai avuto problemi con mio padre, poi questo..." guardò in basso "Io non voglio coinvolgerti nella mia stupida vita."

Matteo lo guardò sconsolato. "Il fatto è che Valerio è un problema che abbiamo in comune, purtroppo. Ti rendi conto che poteva farti chissà cosa?" gli vennero i brividi "Non voglio neanche pensarci."

Orlando si toccò il collo. "Io...non lo so." tremò "È come se tutti i mesi di terapia che ho fatto stessero andando a puttane. Non riesco più a ragionare."

Il biondo non aveva idea di ciò che Orlando aveva e stesse passando. A volte si chiedeva se avrebbe fatto la stessa cosa al posto suo.

Orlando provò a trattenere le lacrime. "Mi dispiace...mi dispiace." si stropicciò gli occhi "Non voglio che tu mi veda così."

Matteo gli mise una mano sulla spalla. "Fregatene." disse "Fregatene e piangi."

Orlando si ricordò di quelle parole, erano le stesse che Julie gli aveva detto quella volta all'ospedale. Lui abbracciò Matteo e sfogò le sue lacrime.

"Scusami, io n-non voglio essere uno stupido bambino." fece lui. Matteo lo abbracciò. "Non devi scusarti."

Rebecca, che nel frattempo aveva origliato la conversazione, rimase attonita a sentire quelle parole.

Nonostante lei avesse avvertito al professore Kraus di Valerio, quest'ultimo era riuscito a farla franca. Probabilmente era uno di quei soggetti idolatrato da tutti perché bravo a scuola e coi genitori che lo difendevano a spada tratta.

Quando tornò da Ammar, lei aveva uno sguardo avvilito. Il ragazzo notò questo suo cambiamento di umore. "Che succede?"

Lei scosse la testa. "Niente, lascia stare." Ammar non ne fu convinto, ma decise di non chiedere altro.

Quella sera Orlando volle andare a letto presto. Carla aveva notato che era da qualche giorno che era strano, ma ogni volta che voleva parlarne con lui, il ragazzo evitava la conversazione.

Mentre era a letto, Orlando stava guardando il soffitto nella speranza di addormentarsi. Quando successe, la mente gli fece riaffiorare, tramite un sogno, un ricordo che preferiva dimenticare.
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Era successo quando lui aveva dodici anni. A quel tempo, i bulli lo prendevano poco di mira perché Matteo lo difendeva.

Il ragazzino era nello spogliatoio della palestra e si stava cambiando per tornare in classe. Si era messo in fondo per evitare di essere preso di mira.

Quando si sedette, notò che a terra c'era un orologio con il vetro rotto. Lo raccolse, notando che la lancetta dei secondi si muoveva ancora. Non aveva idea a chi appartenesse, ma lo mise sulla panca in modo che nessuno lo pestasse.

Dopo qualche secondo, arrivò un ragazzino dai capelli corti marroni e gli occhi del medesimo colore. Si guardò intorno come se stesse cercando qualcosa.

E fu proprio in quel momento che lui vide Orlando seduto vicino al suo orologio rotto. "Tu...me lo hai schiacciato?"

Il corvino lo guardò attonito. "No, i-io l'ho trovato p-per terra e-"

Valerio lo afferrò per il collo e lo guardò. "Non dire cazzate. Me lo hai rotto tu."

Orlando scosse la testa. "No, no, no. Non sono stato io. L'avevo già trovato per terra ed era rotto."

"Non ti credo." lo lasciò. Orlando si mise le mani sul collo e iniziò a lacrimare. "Non sono stato io, lo giuro. Io non ho fatto niente."

"E allora perché era vicino a te?" domandò Valerio.

Lui iniziò a piangere. "Te l'ho detto, io l'ho solo trovato."

L'altro era stranamente calmo. "Guarda che lo dico ai tuoi genitori. "

Orlando impallidì. Se suo padre l'avrebbe saputo, non sarebbe andata a finire bene. "No, ti prego. Non dirgli nulla."

"Non gli dirò nulla se tu mi pagherai l'orologio." fece lui.

Orlando lo guardò spaventato. "Non dirgli niente, ti prego. Farò tutto quello che vuoi, ma non dirgli niente."

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Orlando non si svegliò dopo aver rivissuto quel ricordo nel suo sogno. Molti sogni si dimenticano dopo un po', ma è impossibile farlo se quel sogno riguarda un evento della propria vita.







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