The Ceremony di RLandH (/viewuser.php?uid=330024)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vecchia strega ***
Capitolo 2: *** Hogwarts, cara Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Damigelle e Vandalupri ***
Capitolo 4: *** Un sogno che sta nel palmo di una mano ***
Capitolo 5: *** Storia di un uomo ***
Capitolo 6: *** E venne il giorno … ***
Capitolo 1 *** Una vecchia strega ***
Era una
vita che volevo scrivere una fanfiction su Harry Potter,
così mi sono detto: proviamoci.
Solo che ho deciso, invece, di scrivere una storia standard, di
organizzarla in
maniera non-consequenziale dal punto di vista temporale (strettamente
legato alla
questione GRASSO GROSSO matrimonio).
Come inizio non ero molto convinta, ma alla fine, ho deciso ugualmente
di cominciare
così.
Comunque premessa necessaria: questa storia non include nel suo canone,
almeno
non completamente, le vicende della Maledizione dell’Erede
(In realtà la
questione è solo su Astoria Greengrass, sono stata molto
contenta di come
somigliasse agli HC che avevo su di lei) e potrebbe anche variare in
qualche
modo dal canone (come in realtà la presenza di un certo
personaggio di cui nel
canone, non sappiamo nulla e cui giustificare l’assenza
è stato difficile).
Finite queste premesse, spero leggerete.
Un bacio
RLandH
The
Ceremony
Una
vecchia strega
Era
una giornata tranquilla alla Tana, secondo Harry,
ovviamente se si sforzava di evitare la Gazzetta del Profeta, qualcosa
che
proprio non riusciva a fare.
Era lì.
Proprio accanto a lui.
Anche il fascicolo che stava studiando del caso che gli era stato
assegnato
risultava meno interessante … rispetto la Gazzetta.
“Harry, caro, è domenica” aveva detto
subito Molly, sbucando nel suo campo di
vista per strappare letteralmente i fascicoli dalle sue mani,
“Oggi non ci
serve che lavori. Questa sera le cose saranno esattamente
uguali” aveva cercato
di ammorbidirlo.
“Adesso aiutami ad apparecchiare la tavola, tra poco saranno
tutti qui” aveva
detto la donna, prima di chiamare come una cornacchia tutti i figli in
casa a
raccolta.
L’unico che sarebbe mancato era Charlie, in Romania
– e Fred.
Ginny era scivolata di corsa dalle scale, aveva i capelli rossi ancora
umidi
dalla doccia, ma cominciavano i primi caldi della stagione, che si
sarebbero
asciugati probabilmente alla luce del sole ed aveva un occhio pesto.
Sarebbe bastato un colpo di bacchetta, neanche di un guaritore o
medimago, o un
goccio di pozione corroborante, per far sparire l’ematoma, ma
Ginny sembrava
abbastanza contenta di averlo, nonostante l’occhio fosse un
po’ gonfio.
Era colpa di un bolide che l’aveva presa in piena faccia
nella partita che
aveva giocato venerdì sera.
Harry si era alzato dal divano appena in tempo per beccare uno schiocco
sulle
labbra, “Magiomo fuori oggi,
c’è il sole” aveva detto Fleur
immediatamente, osservando il tempo fuori dalla finestra, nonostante
fossero
anni che viveva in Inghilterra non si era ancora abituata al clima. E
ne il suo
accento si era fatto meno marcato.
Suo marito era in giardino con Arthur e la piccola Victoire, stavano
facendo
qualcosa di vagamente illegale, come modificare un trenino babbano, ma
nessuno
ne avrebbe fatto parola al ministero.
“Si, si potrebbe fare” aveva valutato la signora
Weasley, concordando con sua
cognata.
Percy ed Hermione erano scesi dalle scale in quel momento, ancora
intenti in
una discussione a proposito di qualcosa legato al lavoro ministeriale,
un
comma ventidue in piena regola che stava facendo impazzire
entrambi.
Però erano ambedue
vestiti, lindi e pinti, sistemati per bene, come se avessero dovuto
andare al
ministero anche quella domenica, invece che il pranzo tipico di
famiglia.
Ginny aveva spostato gli occhi dalla madre, per lanciarli sul divano,
sulla
gazzetta.
“Sono uscite?” aveva chiesto poi.
“Si” aveva ammesso Harry, sconfitto.
Molly aveva captato quello scambio di parole con orecchie drittissime,
“Sono
uscite?” aveva chiesto, rubando letteralmente il
giornale dalle mani di sua
figlia.
In prima pagina in due foto in bianco e nero, della stressa grandezza,
erano
affiancate due immagini di lui e Ginny.
Quella di Harry veniva da una conferenza a cui aveva dovuto parlare a
proposito
della Riforma dell’Insegnamento delle Arti Oscure –
ed Harry non aveva ancora
idea del perché lo avessero interpellato – in cui
pareva un ragazzetto
occhialuto e nervoso, visto che il suo se immortalato continuava ad
aggiustarsi
gli occhiali, come fosse un tic. Invece che il rispettato Auror di
ventidue
anni che era, o almeno che voleva apparire. La foto di Ginny invece era
molto meglio
riuscita, con il suo viso sorridente e sicuro verso
l’obbiettivo, come nel suo
caso era un mezzo busto, ed era possibile riconoscere
l’uniforme delle Harpies.
Il titolo in carattere gigante – era sempre stato
così gigantesco? Sembrava
enorme quel giorno – “L’Eroe del
Mondo Magico si sposa!”.
Come da tradizione Harry e Ginny avevano pubblicato le partecipazioni
sul
giornale, più per rendere contenti i suoi futuri suoceri,
che per reale
interesse suo e della sposa. Avevano scelto Il Cavillo
– per Luna – solo
che quando il ministro Shacklebolt l’aveva scoperto aveva
insistito – in realtà
Hermione si era confidata nel dirgli che non era stata proprio
un’idea del
ministro ma di una serie di machiavellici funzionari – che le
partecipazioni
venissero pubblicate anche sulla Gazzetta del Profeta. Senza
dimenticare
che una serie di tortuose situazioni, non meglio identificate, avevano
trasformato il piccolo matrimonio intimo che Harry aveva pensato di
consumare
con Ginny, in uno un po’ più grande.
Maestoso.
Harry suo mal grado non era semplicemente un auror del Ministero che
convogliava a nozze con una vecchia compagna di scuola – e
giocatrice di
quidditch professionista – no, Harry era un simbolo, era
l’eroe del mondo
magico, il Salvatore, che nonostante tutte i traumi della sua vita,
trovava un
equilibrio, sposandosi con una nota sedicente oppositrice del governo
mangiamorte ad Hogwarts.
“Ufficialmente ci sposiamo” aveva detto Ginny con
una mezza risata, recuperando
il giornale dalle mani di sua madre.
“Oh non mi ricordo quando hanno scattato questa
foto” aveva valutato Ginny
invece, “In questa foto tu sei adorabile” aveva
aggiunto la ragazza, strizzando
l’occhio verso di lui. “Dovrete fare attenzione a
chi invitate, l’Intera comunità
magica smanierà per esserci” aveva detto subito
Percy, gli occhi, dietro le
orecchie a corno, erano scintillati in maniera forse un po’
maliziosa, se
avesse avuto intenzione di dire altro, un esplosione verde lo aveva
messo a
tacere.
Con un’espressione leggermente nauseata, Andromeda Tonks
aveva fatto il suo
ingresso nel salotto dei Weasley, con i capelli scuri striati di
grigio,
raccolti in una crocchia. C’era voluto del tempo
perché Harry vedendola non
avesse l’impressione di guardare una versione più
pulita e delicata di
Bellatrix Lastrange. Andromeda, teneva per mano il suo attivissimo
nipotino,
con i capelli di un viola inteso, ritti sulla testa come un porcospino.
Sistemato in un vestito come un marinaretto, molto babbano.
“Molly spero di non essere in ritardo ma qui qualcuno non
voleva mettere le
scarpe!” aveva detto subito la donna. Teddy non aveva badato
per nulla a sua
nonna o le sue parole, ma lasciate le mani di Andromeda, aveva
sgambettato fino
ad Harry per essere preso in braccio e strillato letteralmente il suo
nome.
Quattro anni di puro caos e meraviglie.
Harry lo aveva baciato sulla fronte, “Guarda!
Guarda!” aveva detto subito il
bambino, l’attimo dopo aveva trasmutato la sua bocca nel
becco di una papera.
“Ora che sta imparando a controllarlo sarà peggio
di prima” aveva detto
Andromeda, bonaria, mentre abbracciava Hermione, Molly e chiunque
trovasse alla
portata delle sue braccia e ringrazia per l’invito a pranzo.
“Tranquilla Dromeda” aveva detto subito la signora
Weasley, “I ragazzi non sono
tornati, sono ancora al negozio” aveva detto la donna,
“Ma non mangeremo se
nessuno apparecchia” aveva aggiunto poi con un certo cipiglio
guardando i suoi
figli.
La donna aveva recuperato dalla sua borsa quello che aveva tutta
l’aria di
essere una tortiera, “Spero non si sia rovinata”
aveva detto, allungandola
verso Molly.
Gli altri avevano tutti lanciato uno sguardo interessato al dolce,
“Torta al
limone” aveva riportato con onesta, un sorriso sul viso, che
celava però
qualcosa. Harry si chiese se nella sua memoria in relazione a quel
dolce, ci
fosse anche i visi di Tonks e suo marito. “Sembra
buona” aveva commentato Fleur
raggiungendoli, dando un occhio alla torta, se Molly avesse avuto
l’intenzione
di allungarla verso la nuora, le mani della giovane donna erano state
presto
piene di nuovo.
Fleur aveva raccolto Teddy direttamente dalle mani di Harry,
“Come sta le
plus bel enfant du monde?”
aveva chiesto, con le labbra piene piegate in un sorriso.
“Viky dove è?” aveva strillato invece
Teddy, “È fuori, andiomo anche
noi, così focciomo contenti
Molly?” aveva domandato retorica la ragazza,
portando via il bambino.
Mentre gli imitavano, Harry aveva chiaramente sentito Andromeda
chiedere a
Percy della ‘Famosissima-Audrey’ facendo diventare
paonazzo il ragazzo sulle
guance, mentre raccontava perché la ragazza non potesse
essere lì.
Ginny aveva accompagnato la madre anche fuori, dopo aver guardato la
sua faccia
sul giornale si era accodata a sua madre, bacchetta alla mano, pronta a
sistemare il tavolo in giardino.
Harry era rimasto in soggiorno con Hermione.
“Così tragico al Ministero?” aveva
chiesto poi, “No. Nulla di irrisolvibile”
aveva detto Hermione, con una punta di insicurezza.
“Hermione” aveva ripetuto Harry, “Sono
gli Esposizionisti, danno un gran
bel da fare, ecco tutto” aveva aggiunto, “Lo
so” aveva commentato Harry, “Il
mio ufficio non si occupa di loro, però ecco abbiamo idea
che alcune frange Esposizioniste
si sono avvicinate al movimento Benista”
aveva commentato.
Hermione si era morsa un labbro, “Spero siano
poche” aveva commentato, “Nel
senso io non sono in completo disaccordo con gli Esposizionisti, ma
ecco, no, i
Benisti no” aveva stabilito secca.
“Tu?” aveva chiesto Hermione a bruciapelo poi.
“Non lo so, non ci ho mai pensato ti confesso”
aveva aggiunto.
“Comunque mercoledì mattino ho un incontro con
Waynar Kowalski” aveva aggiunto
Hermion, prima di prendere anche lei il giornale.
“Non finivi in copertina ormai da qualche
settimana” aveva valutato con un
accenno di sorriso, “Stava andando così
bene” aveva esclamato Harry. Era stato
a causa di un caso a Glasgow; Harry non voleva più pensarci.
Hermione aveva allungato una mano per scompigliarli i capelli, per
quanto
fossero già di loro intrecciati e spettinati.
“Sarà un circo mediatico
insopportabile sì, ma il mondo ne ha bisogno”
aveva sussurrato poi, “Mi dispiace”
aveva concesso.
“Spero che arriverà il giorno in cui il mondo non
avrà più bisogno di me” aveva
confidato Harry, “Di guardare alla mia vita con tutta questa
morbosità”.
Tutto sommato però doveva dire di non avere nulla di cui
lamentarsi, il mondo
magico era in pace, nella maniera in cui il mondo poteva esserlo
– le cose
orribili continuavano a succedere, ma per quelle lui era solo
l’Auror Harry
Potter e non il Bambino-che-era-sopravvissuto – la cicatrice non gli
pizzicava più, aveva una
famiglia che lo riempiva di gioia ed avrebbe sposato Ginny.
Andava tutto bene.
Poi il camino era letteralmente esploso in fumo e colpi di tosse.
“Quella non era metropolvere!” aveva sentito
esclamare Ron, sbucare dal
comignolo con i capelli rossi completamente rizzati sulla testa e la
faccia
coperta di fuliggine viola.
“Era un esperimento, brillantemente, fallito!”
aveva aggiunto George spuntando
dietro di lui, mentre batteva una mano sul moncherino
dell’orecchio per … Harry
non aveva capito esattamente cosa …
Ma era nelle stesse condizioni di suo fratello.
“Non voglio neanche sapere cosa volevi progettare”
lo aveva rimbeccato Angelina
Johnson, che negli ultimi tempi, quando non si allenava, era diventata
un
ospite piuttosto fisso della Tana. Anche il suo viso era
impiastricciato.
“Era Metropolvere a Sorpresa, per fare un
effetto più incisivo negli
ingressi, ideale per le feste” si era difeso George.
Tutti e tre poi avevano occhieggiato Hermione ed Harry.
“Come è andata la mattinata in negozio?”
aveva chiesto subito lei, scampando ad
un bacio che Ron si era porto per darle, Harry l’aveva vista
mimare con le
labbra un ‘Sciacquati la faccia’,
“Fantastica, abbiamo passato la
giornata ad imballare pacchi ed affittare gufi” aveva detto
Ron, spento,
abbassando gli occhi. A quel punto Hermione si era tirata sulle punte
dei piedi
ed aveva schioccato un bacio sulle labbra del fidanzato, guadagnando
un’ombra
di viola anche lei sulle guance, ma il sorriso che era comparso sul
viso di Ron
era abbagliante.
“La Mansarda avrà bisogno di una pulita piuttosto
netta, si” aveva concordato
Angelina.
La domenica mattina il negozio era formalmente chiuso, ma i due
proprietari – e
Angelina, quando capitava – la passavano ad occuparsi di
spedire gli ordini
raccolti, quasi tutti destinati alla Scuole di Magie e Stregonerie di
Hogwarts.
“Gli altri?” aveva chiesto George guardandoli,
“In Giardino, ad apparecchiare
la tavole, dovremmo andare anche noi o vostra madre si
infurierà” aveva detto
Harry, lanciando il giornale sul divano.
Ormai era in ballo.
L’avrebbero aspettato settimane di completa follia per
organizzare il
matrimonio più sospirato del mondo magico, lui che si
sarebbe accontento di
celebrarlo con dieci persone, nel giardino dei Weasley.
“Prima lavatevi la faccia tutti e tre”
però gli aveva avvertiti Hermione,
“Quattro” era stata la risposta di George.
“Ma
potete crederci?” stava dicendo Molly, “Potete
crederci che la mia ultima figlia si sposerà e non i miei
più grandi” aveva
detto occhieggiando i suoi ragazzi, “Con Charlie ormai ho
perso le speranze, ma
voi tre” stava dicendo.
Percy aveva cominciato a guardare con attenzione maniacale il suo
bicchiere di
succo di zucca, il viso allungato era rosso.
Lui ed Audrey erano in rapporto da almeno un paio d’anni,
nonostante Percy
avesse cercato di tenerlo nascosto, onestamente Harry era ignorante di
come
funzionava la loro relazione.
George aveva riso forzatamente, prima di lanciare uno sguardo ad
Angelina
Jonhnson, che di rimando si era ficcata in bocca una porzione
d’arrosto.
Secondo Ginny era palese che i due avessero una relazione, ma
sembravano
intenzionati a tenerlo sottobanco, per un po’ almeno.
Ron aveva strabuzzato gli occhi, ma era ad Hermione che era andata di
traverso
l’acqua.
La situazione tra i due, invece, Harry aveva le notizie di prima mano,
da
entrambi, in due versioni completamente diverse.
Ron si sentiva nervoso, inferiore, nonostante fosse finito sulle
figurine delle
Cioccorane – cosa che continuava a sbandierare a chiunque
– si limitava ad
essere un commesso nel negozio del fratello, con un passato da Auror,
mentre
Hermione era impiegata al ministero con una brillante carriera futura.
La sua amica d’altro canto aveva casualmente fatto notare ad
Harry, con
incremento da quando lui e a Ginny avevano deciso di sposarsi, che non
le
sarebbe dispiaciuto convolare a nozze, non era una sua
priorità, la sua
carriera al ministero lo era, la costruzione di un mondo magico
più illuminato
– e la liberazione degli elfi domestici – quindi
sì non era una cosa senza cui
non poteva morire, però non sarebbe stato qualcosa di
negativo.
“Molly, non tormentare i ragazzi” aveva detto
invece Arthur Weasley, venendo in
soccorso dei suoi figli, posando poi una mano sulla spalla di sua
moglie.
“Ma sì, Molly” aveva aggiunto poi
Andromeda, “Sono giovani, non è più
come hai
nostri tempi” aveva dato manforte Andromeda, “Senza
considerare che anche Ted
si prese una vita per chiedermi la mano e pensare che vivevamo insieme
da anni,
in una mansarda a Nocturne Alley” aveva ridacchiato, il suo
tono era gioviale,
ma era carico di nostalgia “Avevo pure già avuto
Nimphadora” lo aveva detto
senza lacrimosità nel tono, ma gli occhi si erano velati di
tristezza, “Dai ai
ragazzi il tempo che serve loro” aveva aggiunto poi
più morigerata.
Le parole della donna non avevano comunque alleviato la tensione dei
tre
fratelli.
“Arthur no” aveva ripreso a parlare Molly,
“Sempre stato un uomo sicuro di se”
aveva riferito prendendo la mano di suo marito. “Anche
Bill” aveva cinguettato
Fleur, posando la testa sulla spalla di suo marito con un sorriso
zuccheroso,
che l’uomo aveva ricambiato.
Ginny aveva ridacchiato, infilando i capelli rossi dietro
l’orecchio, “Ad Harry,
lo ho chiesto io” aveva ammesso senza un minimo di imbarazzo,
strizzando
l’occhio – sano – verso il fidanzato.
“Si, confermo mi sono quasi strozzata con l’anello
nella torta” aveva scherzato
Harry con estremo divertimento.
Il resto del pranzo si era svolto più o meno bene.
Almeno fino a che Percy non aveva mangiato per sbaglio uno dei dolcetti
che
George – spergiurando fossero sicuri – aveva finito
per assumere una tintarella
azzurro acceso, ma era comunque stato divertente, come quasi tutte le
domeniche.
Harry viveva nella periferia della Londra babbana, con Ginny, con un
bagno
piccolo come una scatola da scarpe ed un divano-letto in soggiorno, un
ficus in
cucina e Kreacher, tra gli allenamenti di Ginny ed il lavoro come Auror
non
passavano molto tempo lì dentro e Harry preferiva di gran
lunga le domeniche
alla Tana.
Aveva sempre amato il tempo trascorso lì.
L’appartamento era solo momentaneo, sia Harry, sia Ginny
guadagnavano
abbastanza, oltre alla fortuna dei Potter su cui potevano contare, ma
stavano
mettendo da parte per il ‘futuro’, il matrimonio,
sistemare Grimould Place e
altre cose.
La
calma scesa nel momento in cui Andromeda si era
prodigata nel distribuire le varie fette di dolce, in piattini
lievitanti, si
era interrotta a causa di un rumore secco. Una smaterializzazzione,
tutti gli
occhi si erano voltati nell’angolo del giardino dove erano
comparse un paio di
figure, terrorizzando un paio di gnomi da giardino.
Un uomo con un paio di baffi a manubrio rosso fuoco e con la testa
lucida
rasata, vestito con un doppio petto, Harry lo aveva visto spesso ai
grandi
momenti della famiglia Weasley: matrimoni, funerali e battesimi.
Durante le
Nozze di Bill e Fleur, fortemente alticcio, aveva scambiato Harry sotto
pozione
polisucco per suo figlio.
Per il resto non ci aveva parlato molto.
L’uomo teneva il braccetto di una strega anziana, vestita di
tutto punto, con
un cappello appuntito come una freccia verde petrolio ed una mantella
che la
riparava dal freddo, nonostante il tempo primaverile aveva mitigato il
clima.
“Gawain!
Non ti aspettavo!” aveva
esclamato con gioia Arthur, “E mamma!”
aveva esclamato poi, dirigendosi
verso i due.
Gawain aveva abbracciato suo fratello, dando un paio di pacche sulle
spalle al
fratello; differentemente da Arthur che era alto e allampanato, Gawain
era più
basso di lui ma più robusto, come George e Charlie.
La madre di Arthur – ed Harry realizzava di non averla mai
vista fino a quel
momento – era una cosa piccola, bianca e farinosa, tutta
curva.
“La mamma ci teneva a venire” aveva detto subito
Gawain, mentre Arthur
abbracciava la donna.
“Quella è la nonna” aveva sussurrato
Ginny al suo orecchio, “Credo sia la prima
volta che la vedo” aveva commentato Hermione, incerta.
“Ci credo, erano vent’anni che non usciva da casa
sua” aveva detto invece
George, “Praticamente da quando è morto il
nonno” aveva considerato Percy,
“Praticamente l’ultima volta che è
venuta a trovarci Ginny era più piccola di
Viky” aveva raccontato Bill,
lanciando
uno sguardo alla sua bambina, che entro il mese prossimo avrebbe
compiuto due
anni, con il viso sporco di zucchero, mentre se ne stava al fianco di
Teddy che
si divertiva a cambiare le fattezze della sua faccia per farla
ridacchiare
ancora di più.
Anche Molly si era alzata per andare incontro ai nuovi venuti,
salutando sua
suocera con due baci frettolosi sulle guance, “Ella
è bello vederti!” aveva
detto, con una certa tensione.
Arthur aveva preso sottobraccio sua madre, imitando Gawain ed aveva
aiutato la
strega verso la tavola, dove Molly aveva fatto apparire due sedie in
più.
Era difficile decifrare quanti anni avesse la signora, probabilmente
era più
giovane di quanto non avesse mai visto Silente, ma sembrava molto
più anziana
della McGonagall.
Molly
si era prodigata subito nell’elencare i suoi
figli, chiedendo ad ognuno di essi se la vecchia lì
ricordava.
“Lui è Percy, lo ricordi Percy?”
più o meno per ogni figlio a cui la vecchia
rispondeva con un movimento tenue del capo, annuendo, alternato dalla
presentazione degli altri commensali, “Lei è
Angelina, la fidanza di George,
ricordi George?” aveva chiesto poi.
La ragazza si era fatta paonazza sulle gote scure a quella
presentazione,
“Invece questa bambina adorabile è
Victoire” aveva detto Molly, “La tua prima
pronipote” aveva esclamato entusiasta Arthur, letteralmente
sollevando dalla
sedia la bambina, per portarla vicina alla donna,
“L’abbiomo chiamota
così in onore della vittoria della guerra” si era
inserita immediatamente
Fleur.
La madre di Arthur aveva guardato la bambina e la bocca rugosa si era
arricciata in un sorriso, aveva mosso la mano, con lentezza,
accarezzandone i
capelli biondo-argentei.
“Non è rossa” aveva commentato, il suo
tono era sembrato confuso.
“No, ha ripreso da Fleur” aveva detto Bill, con un
sorriso pieno di vita, “La
prima” aveva insistito la vecchia.
“Si, noi Weasley siamo rossi da generazioni” era
intervenuto Gawain, “Tuo padre
diceva sette-generazioni” aveva commentato la donna.
“Victoire è il simbolo di una nuova era”
aveva esclamato Ginny.
Molly aveva ripreso a presentare gli ultimi ospiti come tra cui lui,
Teddy ed
Andromeda.
La vecchia signoria Weasley aveva incatenato lo sguardo verso
Andromeda, “Sei
stata fortunata” aveva detto poi lapidaria,
“Somigli più a Druella rispetto a
Cygnus” aveva detto.
La signora Tonks era rimasta in silenzio per qualche istante, sbattendo
gli
occhi scuri, “Si, me lo ha detto molte volte, da
ragazzina” aveva ammesso con
un certo imbarazzo.
“Del brandy?” aveva chiesto poi George,
“Ho mai rifiutato del Brandy?” aveva
chiesto Gawain con un sorriso bello contagioso, oltre i baffi a
manubrio rossi,
dei Weasley aveva anche la carnagione pallida, puntellata di lentiggini
rosee.
Gli occhi però non erano azzurri, ma di un castano scuro,
Harry poté indovinare
non fosse un eredità materna. La vecchia aveva occhi chiari
come suo figlio,
anzi nel guardarli bene, anche se il colore era diverso Harry
riconosceva la
stessa forma di quelli di Ginny.
Ebbe l’impressione che da giovane la donna doveva somigliare
a sua nipote in
qualche maniera.
“Tu, mamma, vuoi del brandy?” aveva chiesto Arthur;
Harry non era sicuro di
aver mai visto così il signor Weasley, sembrava contento e
nervoso allo stesso
tempo. “Sono troppo vecchia” aveva risposto sterile
la donna, sollevando una
mano, guantata di verde brillante per rifiutare il bicchiere.
“Come stanno i ragazzi e Marna, Gawain?” aveva
chiesto invece Molly.
“Stanno tutti bene, degli scalmanati” aveva detto
subito l’uomo, “Artie si è
trasferito in Congo, alleva Mokele mbembe
e in inglese oltre Ciao e Papà
sa dire anche Scoiattolo,
non so perché” aveva raccontato.
“Artie è il nostro primo cugino” aveva
spiegato Bill, “Si ha vissuto tutta la
vita con la mia ex moglie, Annika, in Russia”
aveva raccontato l’uomo, “Sandy si sta
preparando per i G.U.F.O., come
tutti i Weasley è diventato un prefetto” aveva
detto con orgoglio.
George aveva tossicchiato, “Mi sento profondamente
offeso” aveva detto pomposo,
“Si, lui era al primo anno …” aveva
mormorato Ginny, ricordando probabilmente
l’anno in cui Hogwarts era stata in mano ai Carrow.
Gawain aveva annuito, “Si ed adora sua cugina”
aveva detto l’uomo con un
sorriso bello pieno “Ha il tuo poster in camera” le
aveva raccontato. Ginny
aveva riso in maniera frizzante e piena di vita, “Invece
Bilius ha cominciato
quest’anno. Marna è un po’ triste
perché dice che è orribile rientrare la sera
e non avere i bambini per casa”, aveva raccontato con una
punta di
divertimento, “In realtà mancano molto anche a
me” aveva aggiunto.
“Grifondoro, vero?” aveva domandato invece George,
“Ovviamente” aveva detto
pieno di orgoglio l’uomo, “Come tutti in famiglia
d’altronde” aveva riportato
con un certo orgoglio.
Fleur aveva guardato suo marito con un cipiglio, giustamente lei veniva
da
un’altra scuola, c’erano state un paio di risate a
tavola, interrotte solo
dalla vecchia signora, che aveva sollevato una mano ed aveva tirato un
buffetto
a suo figlio, “Non è vero” aveva detto
poi, sorridendo arcigna.
“Me ne dimentico sempre, avevamo il nemico in casa”
aveva ridacchiato Gawain.
“Oh, lei non era grifondoro … signora
Weasley” aveva detto un po’ incerta
Angelina.
Tecnicamente a quel tavolo c’erano tre persone che potevano
fregiarsi di quel
titolo e di norma Angelina chiamava così solo Molly.
C’era volte in cui anche Harry la chiamava ancora
così.
La vecchia con quegli occhi così chiari li aveva guardati,
“Io sono un membro
della nobilissima casa di Salazar Serpeverde” aveva la donna
piena d’orgoglio,
“E prima che qualcuno di voi dica qualcosa: Merlino
è stato il più grande mago
al mondo oltre che un fiero sostenitore dell’integrazione tra
Maghi e Babbani”
aveva stabilito la vecchia.
“Ricordo che una delle prime cose che mi hai detto
è che tutti i maghi cattivi
finivano a Serpeverde” aveva ricordato Harry a Ron, oltre che
non avrebbe mai
accettato di essere un serpeverde.
Ginny aveva portato
la mano davanti alla
bocca, “Credo che mamma abbia citato molte volte la nonna
come esempio per
questo” aveva sussurrato lei.
“Nonna Weasley una serpeverde, inaspettato” aveva
ridacchiato Angelina,
strizzando l’occhio a George, “Segreti che non
avresti mai voluto che venissero
rivelati” aveva aggiunto.
“Ma anche molti maghi oscuri, Nonna” aveva valutato
Percy, “L’Ambizione può
guidare su strade tortuose” aveva cercato di limitare i danni
la donna, dando
uno sguardo piuttosto allusivo a suo nipote. Harry ebbe la sensazione
che la
donna sapesse bene del periodo di allentamento che Percy aveva avuto
nei
confronti della sua famiglia gli anni della guerra.
Notò che anche Percy, come tutti i presenti al tavolo
– o quasi – aveva
riconosciuto chiaramente il commento, così il ragazzo aveva
deglutito un po’
forzatamente abbassando lo sguardo.
Molly era venuta in soccorso di suo figlio, “Ma come mai sei
qui Ella?” aveva
chiesto poi, passandole una fetta di dolce al limone, per quello la
donna non
si sentiva vecchia evidentemente.
“Ci vive la mia famiglia, pensavo di essere ben
accetta” aveva risposto la
donna con acredine.
“Certo!” aveva detto subito Molly, punta di
vergogna, cosa che evidentemente
Ella doveva aver saputo.
La donna aveva sorriso, “Ho letto sul giornale che la mia
unica nipote si
sposa” aveva detto poi, gettando uno sguardo a Ginny,
“Di solito Artur mi
scrive sempre” aveva aggiunto con una punta di risentimento.
“Ma lo avrei fatto. Oggi!” aveva cercato di
giustificarsi il signor Weasley
colmo di imbarazzo, “Nonna” aveva parlato Ginny,
“È colpa mia” aveva detto,
“Non ero sicura di quando sarebbe uscita la
pubblicazione” aveva ammesso. Harry
sapeva che non era del tutto vero, sapevano da giorni in che giorno
sarebbe
uscita la foto.
“Menti così bene che fingerò di
crederti” aveva stabilito Ella; “Zio Bilius ci
ha sempre detto che Ginny era uguale alla nonna” aveva
sussurrato George ad
Angelina, che aveva ridacchiato.
“Sono contenta che tu sia venuta, Ella” aveva detto
poi Molly, “Solo che dopo
aver mancato le nozze di Bill …”
aveva
aggiunto poi, plateale.
“Ho avuto un intossicazione da Betulla Marciotta, Molly, ho
una certa età” si
era giustificata la signora anziana, “La nascita di
Victoire” aveva insistito
la signora Weasley, “Si. Quella è stata una mia
mancanza” aveva ammesso, “Mi
pare però di aver fatto recapitare un ottimo dono,
però” aveva aggiunto.
“Oui, era molto grazioso” aveva
rivelato Fleur, con un sorriso
zuccheroso sulle labbra, prima di spiegare fosse un vestito pieno di
pizzi e
merletti, fatto a mano. “Ma quindi una delle caratteristiche
necessarie per
essere una signora Weasley è saper lavorare a
maglia?” aveva chiesto Angelina,
“Inizi a prendere appunti?” l’aveva
provocata Ginny con una risata.
“Io sto imporondo
l’uncinetto” aveva ridacchiato Fleur, alcuni occhi
si
era arpionati sulla figura di Hermione, “Che
c’è?” aveva domandato quella
confusa.
Le orecchie e le guance di Ron avevano raggiunto la stessa
tonalità dei suoi
capelli, “Hermione si è messa avanti” si
era inserito Harry, “Durante il nostro
quarto anno era diventata un portento a fare cappellini”
aveva raccontato,
ricordando quanto tempo aveva passato ad osservare la sua amica
sferruzzare.
“Non somigliavano neanche a cappelli” aveva
esclamato Hermione, “Oh, be, gli
elfi domestici non erano del tuo stesso parare, visto che avevano
smesso di
pulire la torre per evitare di raccoglierli” aveva fatto
notare Ron.
“L’unico che non si sta applicando dunque
è il nostro Harry” aveva detto
George, “Scherzi? Ricamo benissimo” aveva
ridacchiato l’uomo, facendo ridere
l’intera tavolata.
“Si”
aveva detto Ella Weasley, incrociando le dita
nodose sul ventre, “Si?” aveva chiesto Ginny,
“Un Potter” aveva ripetuto la vecchia,
“Sembrano fatti tutti uguali, quasi fatti con un incantesimo
duplicante” aveva
ridacchiato poi, aveva un sorriso arcigno.
“Ne ha conosciuti molti?” aveva chiesto Harry, che
sedeva al fianco della sua
fidanzata, mentre l’anziana signora sedeva di fronte loro,
sul divano.
Ella era piccola di statura, aveva gli occhi chiari, ma la forma,
così da
vicino, non poteva che ricordare quella di sua nipote. La pelle era
chiara,
come la carta, tirata sulle ossa, come un teschio, i capelli erano
bianchi come
il nevischio, tirati in una crocchia severa.
“Si, mia cugina ne sposò uno, si chiamava
Charlus” aveva stabilito, “Stessi
capelli indisciplinati” aveva detto, “Solo
notevolmente più brutto” aveva
aggiunto onesta.
Ginny non era riuscita a trattenere una risata, “Quando
Jasper Potter ha
sposato Elizabeth Prince eravamo tutti molto stupiti” aveva
raccontato, “O
almeno così mi disse mia madre. Quando li ho conosciuti io
erano entrambi due
vecchi fiammagranchi” aveva detto.
“Comunque ho visto un paio di ritratti, lui era un uomo
attraente e sua moglie
era una vera bruttezza” disse la vecchia sfacciata,
“Quando hanno avuto dei
figli, Henry era bello come il sole e James era uno degli uomini
più brutti che
avessi mai visto, suo figlio Charlus tristemente era uguale”
aveva raccontato, “Naso
adunco, giurerei anche un occhio pigro” aveva raccontato.
Harry era rimasto in silenzio, affascinato.
Non aveva avuto modo di conoscere molte persone che potessero parlargli
de
Potter, nonostante tutto, quando era rimasto morto, Harry non aveva
più un solo
parente in vita; non sapeva neanche quanto questi uomini di cui parlava
Ella
Weasley, fossero vicini a lui nel sangue.
“Però Charlus la faceva ridere, un
sacco” aveva raccontato la donna con una
punta di divertimento, “E nonostante tutto non aveva
interesse nelle
quisquiglie di purezza o meno” aveva raccontato Ella,
“La mia famiglia non ha
apprezzato molto le mie scelte matrimoniali, ma Drusilla e Charlus non
hanno
mai fatto finta che non esistessi” aveva raccontato.
“Di rimando io ho sempre
preferito essere Ella Weasley che Cedrella Black” aveva
aggiunto.
Aveva fatto una pausa, gli occhi azzurri si erano distratti per un
secondo,
fissandosi sull’orologio della famiglia.
Dalla prima volta che Harry lo aveva visto, era cambiato, i posti
segnate erano
ingrossati, con le rispettive abitazioni, anche le lancette erano
aumentate,
come quella di Harry – ed una era caduta.
“Riguardo a Charlus e Dorea … adoravo loro figlio
Jeremiah, per fortuna
somigliava un sacco a mia cugina, sempre quei capelli ingestibili, ma
occhietti
grigi ed un nasino all’insù” aveva
raccontato poi, “Un bel giovane troppo attratto
dai vizi, per questo si è dedicato a troppe facezie e non ha
mai pensato di
sistemarsi. D’altronde era anche giovane” aveva
detto, “Però ti avrebbe preso
con sé, sicuramente, se avesse
potuto” aveva affermato.
Purtroppo per Harry, anche se quella circostanza si fosse resa
possibile, si
sarebbe dovuto arrangiare a vivere ugualmente con i Durslay, anche in
quel
caso.
“Sfortunatamente è morto prima della tua nascita,
credo fosse il
mille-novecento-settantadue; aveva solo ventisei anni. La gente disse
che fu un
incidente, ma Jemmy era uno che tra i suoi molti vizi aveva anche la sincerità
e non si era mai imbavagliato nel denunciare ciò che non
riteneva giusto, è non
erano poche le ingiustizie in quegli anni” aveva ammesso,
senza nascondere
l’amarezza.
“Mi sembra sia un tratto di famiglia” aveva
commentato Ginny, allungando una
mano per sfiorare la punta dei capelli irsuti di Harry.
“Lei … lei conosceva anche i miei parenti
più stretti?” aveva chiesto poi con
coraggio Harry, Ella stava sorridendo arcigna e sinistra verso la
nipote.
“Non conoscevo tuo padre, no” aveva ammesso,
“Tuo nonno Fleamont aveva, credo,
dieci anni più di me” aveva detto, “Non
abbiamo frequentato Hogwarts assieme,
ma è capitato di incontrarlo in qualche salotto”
aveva raccontato, “Prima che
sposasse tua nonna Euphemia, era un gran partito, non adatto a me,
certo” aveva
ridacchiato, “Uno degli uomini più brillanti di
quegli anni, prima di lui i
Potter erano benestanti, poi … Oh be, diciamo che non
avevano nulla da
invidiare a famiglie più illustri” aveva
raccontato.
“Pero tu gli somigli, proprio” aveva dichiarato
Ella, con un sorriso criptico,
“Trovo sempre che i nipoti somiglino ai nonni”
aveva raccontato, prima di dare
uno sguardo a Ginny.
“Ho visto una tua foto, in soffitta, da giovane”
aveva raccontato proprio la
sua promessa sposa, “Certo io non ho mai posseduto capelli
così belli” aveva
detto la vecchia, allungando una mano per raccogliere una ciocca di
capelli
rossi della nipote, “Erano la parte che preferivo di tuo
nonno” aveva
raccontato, “Io avevo questo biondo spento, come se un
pittore si fosse
dimenticato di rifornire il pennello nel colore” aveva detto.
“E come lo hai conosciuto, il nonno?” aveva chiesto
Ginny, incuriosita.
“Sull’Espresso per Hogwarts, al primo
anno” aveva raccontato, “Non volevo
sedermi né con mia sorella né con i miei
cugini” aveva aggiunto, “Così mi ero
infilata
in uno scompartimento, Tim era lì, incastrato tra le tue
prozie: Daisy e Ethel”
aveva ricordato,
“L’undicenne più adorabile che avessi
mai visto, aveva questi occhioni grandi e
la zazzera rossa” aveva aggiunto, il tono duro si era
macchiato di dolcezza.
“Tim?” aveva chiesto Ginny, “Tuo nonno
non è mai stato molto contento del suo
nome: Septimus” aveva risposto la donna.
Ella aveva ripreso a parlare poi, “Comunque non abbiamo avuto
contatti fino a
quella dannata lezione sugli Avvicini al terzo anno, difesa contro le
arti
oscure” aveva raccontato, “Quel birbone di
Dumbledore si divertì un sacco a
mischiare le case quell’anno” aveva aggiunto.
“Difesa? Pensavo insegnasse Trasfigurazione” si era
lasciato sfuggire Harry,
ripescando i ricordi del diario, “Si, ha cambiato cattedra
dopo, penso proprio
l’anno dopo il mio settimo” aveva raccontato Ella.
“Ma non sono venuta qui per parlare di vecchie cariatidi, ma
per darti una
cosa” aveva detto la signora, rivolgendosi a Ginny, poi aveva
infilato una mano
nella sua borsa, era datata, la pelle era completamente rovinata e le
frange
erano tutte arricciate e di lunghezza diversa. Aveva estratto da essa
una
scatolina di legno laccata di rosso, dandola poi a Ginny.
La ragazza l’aveva presa ed aperta, al suo interno
c’era un bracciale rigido
d’argento – o oro bianco – su cui era
stata incastonata una pietra nera, dalla
sfumatura violacea.
“Apparteneva a mia madre, Lysandra Yaxley” aveva
raccontato Ella, Harry aveva
avuto un leggero fremito nel ricordo del mangiamorte che aveva quello
stesso
nome, “Sarebbe dovuto andare a mia sorella Callidora, la
maggiore di casa”
aveva raccontato, “Ma lei me lo infilò di forza il
giorno del mio matrimonio.
Serviva qualcosa di antico” aveva
aggiunto.
“Pensavo che la famiglia ti avesse scacciato” aveva
notato Ginny, “Lo ha fatto.
Un giorno sono uscita di casa e non ho più visto mia madre,
la maggior parte dei
miei cugini, mia sorella minore. Ho anche scoperto che zio Sirius aveva
bruciato il mio nome dall’arazzo di famiglia” aveva
detto.
“Callidora però aveva sposato Harfang Longbottom.
Un matrimonio combinato,
nessun amore, Harftag era un arrivista prima di ogni altra cosa ed
aveva
sposato una ragazza di una rispettabilissima famiglia per avere facile
accesso
alle conoscenze giuste, ma non aveva pregiudizi di sorta”
aveva fatto una pausa
“O meglio ne aveva solo sulla stupidità”
aveva raccontato, “Sono venuti al
matrimonio mio e di Tim” aveva detto, “Lei non mi
ha detto mezza parola, tranne
infilarmi di forza il braccialetto” aveva aggiunto,
“Callidora non ha mai
potuto soprassedere sulla purezza del sangue. Era intrinseco in
lei” aveva
detto, “Certo, Tim era un purosangue, nonostante le sue
convinzioni” si era
lasciata sfuggire.
“Comunque avrei voluto dare quell’affare alla mia
prima figlia femmina, ma non
ne ho avute” aveva detto, “Forse sarebbe stato
più appropriato per il tuo
battesimo, ma meglio tardi che mai” aveva dichiarato.
“Grazie nonna” aveva detto poi Ginny, osservando il
bracciale.
“Sono felice che tu ti sia trovata un
brav’uomo” aveva stabilito Ella
sorridendo gentile, “Adesso devo parlare con tuo
padre” aveva aggiunto poi,
“C’è
un avvenimento che ho mancato e non potrò mai fare
ammenda” aveva detto agra.
Harry ebbe l’impressione di sapere a cosa si stesse riferendo.
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Capitolo 2 *** Hogwarts, cara Hogwarts ***
Prima di
tutto: vorrei ringraziare Pallini Acidi per la
recensione, poi chiunque
abbia letto/preferito/seguito/ricordato. Purtroppo posso dirvi che
nell’aggiornare
non sono sempre così celere e che questa è
più un eccezione che la regola.
Bene, inoltre, come ho detto nello scorso capitolo: la storia non segue
un
ordine cronologico preciso (anzi rispetto l’ultimo capitolo
abbiamo fatto un
balzo molto avanti) prometto però di cercare di esplicitare
meglio possibile la
time-line degli eventi oltre che non fare troppi balzi repentini (nel
senso,
avremmo un paio di vicende consequenziali).
Hogwarts,
cara Hogwarts
“Quindi
Hermione ci stava dicendo di quello che è
successo l’altro giorno a Portobello Road”
aveva detto Hagrid mentre
versava un ingente coppa di tè dall’odore pungente
nella tazza. Anche da adulto
Harry aveva l’impressione ce la ceramica di Hagrid, sarebbe
andata bene come piatto
per mangiare una zuppa anziché sorseggiare un tè.
Aveva sospirato, stanco.
“Si. Ria è anche ricoverata al Reparto Lesioni da
Incantesimo al San Mungo e
non ha idea di quanto tempo ci vorrà per uscire”
aveva detto Harry lugubre,
riferendosi alla sua partner auror, conoscendola sarebbe tornata alla
sua
scrivania ancora convalescente, ma più agguerrita che mai.
“Meno male non siamo
finiti sul giornale” aveva aggiunto Harry cupo.
Si sentiva incredibilmente sporco da quel punto di vista, lui che per
tanto
tempo aveva riservato acredine contro il Ministero per la cesura che
aveva
messo sul giornale, per la questione Voldemort, adesso, si ritrovava a
sperare
che la Gazzetta del Profeta non pubblicasse niente.
Sebbene la comunità magica dovesse sapere.
“Tu,
Harry, come ci stai?” aveva chiesto poi Hagrid.
“Bhe, per la prima volta da settimane preferisco occuparmi
del matrimonio”
aveva ammesso con onestà disarmante Harry.
Hagrid aveva avvicinato a lui un piatto di biscotti, duri come sassi e
tempellati da gocciole di cioccolato.
“Potrei anche, e dico anche, capire gli
Esposizionisti” aveva ammesso, “Questo
perché loro non hanno mai conosciuto mio zio Vernon o non
sarebbero così
tranquilli. Però posso capirli, vogliono
l’integrazione” aveva raccontato, “Ma
i Benisti” aveva ripreso, “Davvero, non sono
neanche passati dieci anni, dalla
Battaglia di Hogwarts!” aveva esclamato, sentendo la rabbia
montargli dentro.
Certo i Benisti non erano mangiamorte, le loro erano solo idee, se non
specifici focali composti da poche decine di persone, ma Harry pensava
che le
idee fossero potenti.
Un
paio di tocchi contro la porta avevano interrotto l’afflusso
di pensieri che
aveva invaso la mente di Harry.
“Aspettavi qualcuno, Hagrid?” aveva chiesto Harry.
Aveva scritto al suo amico
che sarebbe arrivato ad Hogwarts, per una certa incombenza, ed aveva
chiesto ad
Hagrid di incontrarsi.
Chiaramente questo era stato prima dell’Affare a Portobello
Road, quando l’umore
di Harry era davvero diverso ed anche se il suo stato d’animo
aveva subito un
rovesciamento completo, non si era sentito di annullare i vari impegni
presi.
Poi era meglio essere lì che a casa.
La preoccupazione rendeva Ginny isterica; la situazione a casa era
ingestibile
tra i preparativi vari ed eventuali del matrimonio, perfino Kreacher
era
diventato ingestibile – ignorando poi l’enorme
parete della cucina che Harry
aveva devoluto in favore nel trasformarlo in una bacheca per il caso
Benista.
“No, mi sembra” aveva ammesso il guardia-caccia,
“Forse sarà qualche studente”
aveva proposto Hagrid, “Ogni tanto qualcuno viene a prendersi
il the o a mangiare
le mie imbattibili scones” aveva esclamato l’uomo,
passandosi una mano sulla
barba ispida.
“Avanti!” aveva esclamato a gran voce.
La
prima cosa che poté stabilire Harry fu che sicuramente
quello non era uno
studente, era un uomo, forse suo coetaneo, alto ed allampanato, con
l’incarnato
latte-e-caffè e riccioluti capelli serpentini. Indossava una
camicia leggera,
nonostante il pungente clima di quel particolare autunno, si erano
lasciati
alle spalle un’estate piuttosto fresca. “Hagrid!
Non sapevo avessi ospiti!”
aveva detto quello, arpionando gli occhi scuri su di lui, erano neri
neri come
gocce d’inchiostro, “Ma, per il corno di un
Erumpet! Tu sei Harry Potter!”
aveva esclamato pieno di vigore.
Si, Harry era saturo da quella reazione, dopo oltre un decennio; eppure
nel
viso dell’uomo c’era così tanta gioia
che quasi si era sentito in colpa per la
sua esasperazione. “Si, sono io” aveva ammesso poi.
“Rolf!” aveva esclamato Hagrid pieno di gioia,
“Te la dissi, Rolf, ci piace
sempre quando vieni” aveva aggiunto l’uomo,
alzandosi in piedi per abbracciare
il nuovo venuto.
Rolf
era più alto di Harry, forse anche di Ron, ma spariva
completamente
rispetto Hagrid e nel suo abbraccio.
“Si, questo è Harry Potter, un buon mio
amico” aveva detto Hagrid, ammiccando
verso di lui, “Questo è Rolf!” aveva
esclamato, “Scamader!” aveva precisato,
“Sta conducendo uno studio sulla vita dei Thestral”
aveva raccontato, “È un gran
nome Rolf, nei nostri affari” aveva detto Hagrid
Rolf aveva ridacchiato, pieno di imbarazzo.
Harry si chiese genuinamente se facesse riferimento agli studiosi di
creature
magiche o i ricettatori di mostri vari ed eventuali.
“Rispetto a Harry Potter direi di no” aveva detto
poi Rolf, “Però ti ringrazio
per i complimenti Hagrid” aveva esclamato con una risata.
“Comunque se ti disturbo Hagrid, ripasso più
tardi, ho adocchiato il tuo branco
di schioppi sparacoda” aveva detto raggiante Rolf. Harry era
piuttosto confuso
e stupito che effettivamente qualcuno potesse essere così
pieno di gioia nel
riferirsi a quelle bestie infernali.
“Ma no, Rolf, ci piace la tua compagnia, vero,
Harry?” aveva chiesto Hagrid,
rivolgendosi verso di lui, pregno di speranza, Harry aveva annuito, non
certo
che avrebbe potuto rifiutare nulla ad Hagrid. “Vieni a
prendere il tè” aveva
detto, quindi, Hagrid, “Angelica e bergamotto”
aveva aggiunto.
“Aspetta,
hai davvero cavalcato un thestral?” aveva
esclamato Rolf Scamander con le labbra piene in un sorriso allegro,
“Si” aveva
confermato Harry, cotto un po’ dell’imbarazzo,
mentre Hagrid rovesciava ancora
un po’ di tè nella tinozza. “Con i miei
amici” aveva detto, “Metà di loro non
riuscivano
a vederli” aveva raccontato. Nel corso del tempo era
diventato un aneddoto
carino da raccontare, ma Harry doveva confessare di non trovarlo
divertente;
non riusciva ad escludere dalla sua memoria quanto quello spericolato
viaggio
avesse portato alla morte del suo patrigno.
“Non solo anche un ippogrifo e un drago” aveva
detto Hagrid con ancora più
entusiasmo, Rolf sembrava genuinamente ammirato, mentre si occupava di
appiattire
bene il tabacco nella pipa. Era un oggetto incredibilmente bello, il
legno era ebano nero lucido, mentre il
fornello era in sepiolite, c’era inciso il basso rilievo di
un’idra finemente
decorato. “Con
quello ci siamo usciti
dalla Gringott, io, Ron ed Hermione” aveva ridacchiato Harry.
Non gli era mia piaciuto, mai, vantarsi di ciò che aveva
fatto, semplicemente
perché metà delle volte non aveva idea di come
fosse successo e riconosceva di
esser stato fortunato oltre ogni limite. Anche nelle situazioni
odierne, se
doveva essere onesto, sia a Glascow – dove il successo
dell’impresa era stato
un miracolo – sia a Portobello Road – dove uscirne
vivi era stato oltre l’immaginazione
– però, Harry stesso, doveva riconoscere che la
storia del drago risultava
sempre strabiliante.
“Una
volta ho accarezzato un Opaleye degli Antipodi, durante una spedizione
in
Oceania” aveva raccontato, “Mi ero sembrato chimerico,
ma credo di
essermi sopravvalutato” aveva esclamato, pieno di vita.
“Ma Harry non ci ha solo cavalcato un drago, ma ci ha
combattuto uno, durante
il torneo tre maghi” aveva raccontato subito Hagrid,
“Si, il quarto campione”
aveva scherzato, “Me lo ha raccontato Neville, una vita
pazzesca, eh, Harry
Potter” aveva esclamato, con un sorriso luminoso.
Harry normalmente ad un commento simile si sarebbe dovuto forzare per
mantenere
un atteggiamento stoico, per evitare di urlare in faccia che avrebbe
voluto
avere una vita terribilmente più ordinaria di quella che
aveva avuto. Che non
c’era stato nulla di pazzesco, che non
provava un briciolo di gioia nel
sapere che tutte le esperienze mortali che aveva vissuto –
contro la sua
volontà – fossero ridotte a miseri aneddoti.
Normalmente.
Ma Rolf Scamander aveva un’espressione così
genuina, come se ogni parola da lui
usata, fosse centellinata a dovere, che fosse onesto e sincero.
“Avrei preferito un po’ meno” aveva
ammesso alla fine, senza cattiveria. “Ma
Harry qui, fa il modesto” aveva dichiarato Hagrid, prima di
sciorinare a Rolf
un’altra serie di imprese.
“Un
basilisco?” aveva esclamato ammirato, “Pazzesco, ne
ho visto una volta uno
piccolo a Shangai!” aveva aggiunto, “Non era
più piccolo di un braccio e gli
avevano cavato gli occhi, impietoso” aveva raccontato.
“Quello che … era leggermente più
grande” aveva sputato lui fuori, pieno di
disagio.
Rolf aveva accesso una fiammella con la punta della sua bacchetta,
proprio
sotto il fornello della pipa per ispirare.
Un fumo denso dall’odore pepato si era rilasciato
nell’aria.
Harry aveva cercato di ammorbidire un biscotto con l’acqua
del tè; “Pazzesco”
aveva ripetuto nuovamente Rolf, completamente rapito dai discorsi di
Harry,
prima di ispirare ancora il fumo della sua pipa; “Ne vuoi un
po’ Hagrid?” aveva
proposto. “Poppy ha detto che è meglio se ci do
una calmata con l’Erba Muscariana”
aveva detto subito Hagrid,
mentre Rolf l’allungava anche ad Harry per invitarlo a
favorire. Fu tentato di
accettare per un paio di secondi, poi alla fine declinò, la
cosa non sembrò
comunque turbare il ragazzo.
“Hai
detto Neville, prima?” aveva chiesto poi Harry, ricordando le
parole di
Rolf, “Si!” aveva esclamato ebro di gioia il
ragazzo.
“Siamo stati insieme a lui al Convegno Magico di Saperi
Naturali del 2001 a
Varsavia; io, Rolf e Neville” aveva raccontato Hagrid con un
certo
divertimento, “Ci siamo divertiti molto” aveva
detto, “Conosco qualcuno che non
sarebbe d’accordo, Hagrid” aveva ridacchiato Rolf.
Il ragazzo aveva ispirato del fumo dalla sua pipa e poi aveva ripreso:
“Invero,
io e Neville, ci siamo conosciuti a Lozére”
aveva raccontato, “All’Universitè
d’Herbologie et Essérologie”
aveva detto, “Lui era al primo anno quando io ero al
quarto” aveva detto.
Si, Harry ricordava che Neville avesse frequentato un corso da tre anni
da
qualche parte in Francia, dopo aver lasciato il lavoro da auror;
Ginny aveva proposto
diverse volte di andarlo a trovare, ma alla fine erano andati solo per
la sua
laurea – chi sa se c’era anche Rolf.
“Solo che, be, il suo curriculum era da
erbologista, mentre io ero un naturalista” aveva aggiunto.
Harry non aveva la
minima idea di quale fosse la differenza. “Si, siamo andati a
trovarlo qualche
anno fa, adesso però non vive più lì,
è in America” aveva commentato Harry,
“Si
… è Appletown; Erbologia Applicata, ultimo anno.
Andrò a trovarlo durante il
Ringraziamento,
se finisco di scrivere questo compendio sull’Allevamento dei
Thestral” aveva
precisato subito Rolf, “Si, Hagrid è
l’unico che gli ha allevati in Europa,
vero?” aveva domandato retorico Harry.
Facendo arrossire Hagrid sulle gote piene.
“Una cosa eccezionale, davvero, mio nonno ne aveva uno nella
sua riserva, ma
era l’unico che riusciva ad avvicinarlo, mio padre e mia zia
hanno preso più
calci in faccia di quanto fosse accettabile” aveva
ridacchiato Rolf.
L’ufficio
della Preside era diverso da come era stato
sotto gli anni di Dumbledore, era più simile
all’ufficio che aveva quando Harry
era al suo quinto anno, con più ricami e stoffe scozzesi del
necessario.
“Scusami per l’attesa, Potter” lo aveva
accolto subito la McGonagall,
con una stretta quasi materna. “Quella di oggi è
stata una giornata oltremodo
caotica” aveva raccontato, “Non si preoccupi
professoressa McGonagall. Ho preso
il tè con Hagrid e Rolf, non è stato un problema
aspettare” aveva replicato Harry.
La McGonagall aveva sollevato le sopracciglia, “Hai
conosciuto il nostro Rolf”
aveva valutato con un tentennamento nella voce, “Poverino
è venuto per scrivere
un compendio sui Thestral ed è stato reimpiegato
parzialmente come Insegnante
di Difesa alle Arti Oscure” aveva raccontato la donna,
sembrava affievolita
nello spirito; “Non ha tutte le competenze necessarie, ma
sicuramente ne sa di
creature magiche e di come trattarle” aveva raccontato.
Harry aveva annuito, “Ancora problemi con la Cattedra,
pensavo che la maledizione
fosse sciolta” aveva valutato invece Harry.
La professoressa aveva scosso il capo, “Sei un auror, Harry,
avrai imparato che
uno dei più gravi problemi con le maledizioni, una volta
rotte, le suggestioni
restano” aveva raccontato la donna, sedendosi nuovamente
dietro la sua
scrivania. Era sgombera di tutte le chincaglierie che
l’avevano occupata i tempi
del professor Dumbledore. Minerva McGonagall era una donna metodica ed
ordinata.
“Il primo anno dopo la guerra il ruolo lo ha avuto
l’auror Berrycloth, come
gentile concessione del ministero” aveva raccontato,
“Però il suo contratto è
durato solo un anno” aveva raccontato,
“Così ho assunto la professoressa M.C. Nihil,
è una competente
spezza-incantesimi, una buona amica di Bill Weasley” aveva
detto, “Solo che
dopo un anno, la signorina Nihil ha ritenuto la carriera di spezzatrice
molto
più interessante di quella di insegnante, così ha
trovato lavoro in una cooperativa
di maghi-archeologi” aveva aggiunto, sembrava affranta,
“Allora ho dato la
cattedra a Denys Crawlin” aveva raccontato, “Un
vecchio compagno di scuola,
però, dopo un anno, mi ha detto, sue testuali parole,
‘Troppo Vecchio per
questo lavoro’” aveva fatto una mezza
risata.
Harry aveva cercato di non ridere, alle facce della McGonagall,
mentre lei dava un colpo secco di
bacchetta per appellare quello che aveva l’aria di essere
dello sherry. “Ne vuole?”
aveva chiesto poi, “Penso di sì” aveva
risposto Harry, accettando volentieri il
bicchierino che gli era voltato in mano, non era un grande amante degli
alcolici ed in realtà era pieno di tutto il tè
che aveva bevuto con Hagrid, però
non voleva rifiutare la professoressa, sembrava abbattuta.
Harry conosceva tristemente bene quello stato emotivo.
“Con tre professori fuori in tre anni, si è quindi
diffusa la voce che la
cattedra fosse ancora maledetta, con fatica ho
cercato un professore
nuovo, e quasi in extremis, ho trovato il giovane:
Alan Kwain” aveva
detto, sorseggiando un po’ del suo sherry, stanca,
“Un paio di ragazzi
desiderosi di essere leggendari come i Wea… George,
sono riusciti a spedire
il professore al San Mungo ad Aprile scorso. Il professor Kwain ora
vive in una
comunità di Megere” aveva raccontato la
professoressa, “Gli ultimi mesi di
lezione ho praticamente dovuto tenere io la classe di
Difesa.” Con gli occhi
stanchi aveva guardato lo sherry.
“Quest’anno, la cattedra sono riuscita ad affidarla
nuovamente alla signorina
Nihil, grazie anche all’intercessione della nuova professa di
Pozioni, oh sì Horace
è tornato in pensione, questa volta si augura duri
più a lungo” aveva ripreso a
enunciare, bevendo un altro po’ di sherry.
Harry lo aveva portato alle labbra, sentendolo orribile sulla lingua.
“Solo che la professa Nihil è ancora su uno scavo
a Gerico, almeno fino a metà
di ottobre; così sono bloccata con delle lezioni
improvvisate” aveva rivelato
la professoressa, prima di aggiungere come avesse fatto più
volte lezione lei,
convinto il povero Rolf e riapplicato diversi insegnanti.
“Così tragico che fa ridere” aveva
valutato poi la professoressa, cosa di cui
Harry si era sentita concorde, “Potrebbe venire a fare
qualche lezione anche lei,
signor Potter” aveva valutato poi la professoressa,
“Il suo intervento sull’insegnamento
di Difesa, lo scorso gennaio, è stato eccelso”
aveva detto.
Harry si era sentito avvampare per l’imbarazzo, ma poteva
percepire nel suo
ventre una sensazione di pace ed orgoglio.
“Saresti un ottimo professore” aveva commentato la McGonagall, “Ma
non vorrei privare il
ministero di uno dei suoi più brillanti auror”
aveva rivelato, “Però potrebbe
tenere un paio di lezioni, signor Potter” aveva aggiunto,
“Non è come se non lo
avesse già fatto” aveva detto serafica.
Harry aveva ridacchiato, buttando giù dello sherry,
ricordando l’Esercito di Silente.
“Ne sarei onorato” aveva risposto Harry; in seguito
dopo gli eventi degli
ultimi giorni non aveva dubbi che il suo capo lo avrebbe costretto a
prendersi
un periodo di licenza, con la scusa del matrimonio o dello stress.
La McGonagall aveva sorriso, “Sei la mia salvezza
Harry” aveva stabilito
poi, intima, restaurata nell’umore, “Mi rendo conto
però di non averti chiesto perché
sei qui” aveva stabilito la donna.
Harry aveva sentito le guance farsi per un secondo paonazze, mentre con
un movimento
un po’ meccanico sistemava meglio gli occhiali sul naso,
“Per il matrimonio”
aveva detto.
“Vuoi celebrarlo qui?” aveva chiesto a contropelo
la McGonagall, con un sorriso
quasi gentile.
“Come? No?” aveva chiesto confuso.
Non ci aveva pensato.
Non aveva pensato ad un sacco di cose in relazione al matrimonio. Era
una cosa
stupida, si rendeva conto.
Avrebbero dovuto sposarsi ad agosto, ma poi a causa della stagione di
Quidditch
di Ginny ed il caso dei Benisti di Harry avevano rimandato a data da
destinarsi.
E dopo una settimana di illustri diaspore avevano scelto il ventuno
dicembre.
Ed era praticamente l’unica cosa che avevano scelto.
“Strano” aveva commentato la donna,
“Pensavo fossi qui per questo” aveva
confidato, “Sarebbe possibile?” aveva chiesto Harry
confuso, “Immagino dipenda
dal periodo; non sarebbe comunque molto ortodosso, ma quante volte sei
mai
stato una persona ortodossa tu” aveva valutato, con un
sorriso gentile.
“Devo rivelarti che non è comunque insolito, nel
corso dei secoli Hogwarts è
stato teatro di diverse cerimonie ed eventi esuli
dall’apprendimento
accademico, come il Torneo Tre Maghi a cui tu hai preso
parte” aveva rivelato
la McGonagall.
Harry aveva sorriso, provava un moto di gioia ruggente
all’idea di poter
celebrare quel momento così importante, con Ginny, in quel
luogo che era
significato tanto per lui. Hogwarts non era stata semplicemente una
scuola.
Era stata la sua roccaforte.
La sua salvezza.
La sua casa.
Il solo pensiero di quel momento così importante,
lì, rischiarava la mente ed
il cuore di Harry da tutti i tumulti che aveva vissuto per
quell’indagine, così
catastrofica.
“Anche matrimoni?” aveva domandato, speranzoso.
La professoressa aveva disteso le labbra in un sorriso, gli occhi erano
luccicati, come se fossero stati due gemme, “Ebbene si,
Signor Potter, il
Castello di Hogwarts ha ospitato dal corso della sua fondazione la
bellezza di
ben cinque matrimoni, l’ultimo dei quali
nell’estate nel 1982, tra una coppia di
non più giovanissimi maghi” aveva raccontato.
La sua voce era stata pregna di nostalgia, aveva riconosciuto Harry,
come
quando parlava Andromeda.
“Quindi immagino che per il salvatore del mondo magico
potrebbe essere
fattibile, signor Potter” aveva ripreso la McGonagall,
“La data?” aveva
chiesto.
Con un movimento di bacchetta netto, senza bisogno di pronunciar
parola, una
pergamena della scrivania si era srotolata sul tavolo.
“No! Si, no” aveva detto Harry con leggero
nervosismo.
“Non sono qui per …be, fino ad
ora non sapevo neanche si potesse fare”
aveva raccontato poi, “Sarebbe bellissimo, ma devo parlarne
con Ginny, capisce?”
aveva aggiunto.
La professoressa aveva annuito, “E allora
perché?” aveva chiesto la donna, con
genuina curiosità.
Harry si era passato le mani sui capelli, prima di confessarsi:
“Sono qui per
chiederle se voleva accompagnarmi all’altare.”
“Come?” aveva chiesto la McGonagall confusa.
“So che è tradizione farsi scortare
all’altare dalla propria madre, però ecco,
io … non la ho” aveva detto Harry, “Ho
pensato che una figura di riferimento andasse
bene comunque” aveva aggiunto.
Aveva pensato a Molly, che in fin dei conti era la madre che non aveva
mai
avuto, ma era anche la mamma della sposa, aveva glissato senza
esitazione su
sua zia, ancora dubbioso se dovesse o meno invitare zia Petunia, in
vero.
Poi aveva pensato ad Andromeda, voleva molto bene alla donna, dalla
nascita di
Teddy, fino a quel momento, si erano visti moltissimo, ma era anche una
donna
che aveva conosciuto adulto.
“Lei mi conosce da anni, mi ha insegnato” aveva
detto, “Si è battuta per me …
se sono un auror è merito suo” aveva aggiunto
Harry. Ricordava con affetto il
momento in cui la professoressa aveva dichiarato con ferocia alla
Umbridge che
avrebbe reso Harry Potter un auror.
“Sono sicura, Potter, che sia merito tuo” aveva
risposto la McGonagall.
“La prego” aveva detto Harry solamente.
Aveva potuto osservare gli occhi scuri della professoressa quasi farsi
liquidi,
“Ne sarei onorata Potter, davvero” aveva risposto
alla fine.
“Grazie professoressa” aveva detto Harry con calore.
“Che scena incredibilmente stucchevole, potrei
vomitare” Harry aveva sentito distinta
la voce del professor Snape aveva alzato lo sguardo trovando il quadro
che lo
ritraeva non lontano, con gli occhi neri rivolti verso di loro.
“Suvvia, Severus! Questo è un momento molto dolce.
Congratulazioni, Harry
ragazzo mio” aveva detto invece la voce gentile e bonaria di
Dumbledore, la sua
copia si era alzata dalla sedia su cui sonnecchiava spesso.
Presto non furono pochi le congratulazioni che Harry ricevette dal
resto dei
quadri dell’ufficio.
“Altro che Hogwarts, mi aspetto che la cerimonia sia a
Grimulde Place!” aveva stabilito
la faccia arcigna di Phineas Black.
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Capitolo 3 *** Damigelle e Vandalupri ***
Allora,
allora, allora, questo capitolo è stato abbastanza difficile
da stendere, per
la presenza di uno dei miei personaggi preferiti, ma che è
maledettamente
complicato da scrivere (almeno per me). Per la prima volta abbiamo un
cambio di
narratore (ne avremmo diversi, sebbene Harry sarà sempre il
principale) ed è
cronologicamente il più ‘antico’, si
svolge circa un mesetto prima del capitolo
1. Probabilmente i capitoli saranno in un ordine più
‘umano’ ma per ora, va
ancora bene così (in realtà non scrivendo in
ordine cronologico, posso scrivere
quello che mi piace di più, ma giuro cercherò di
darmi una regolata).
Inoltre per questo capitolo abbiamo anche una copertina fatta a mano
(ed ho
usato i pastelli, che stranamente, sono completamente fuori dalla mia
zona
franca, in realtà li odio proprio e non so manco usarli
bene).
Prima di salutarvi vorrei ringraziare Pluffa_E_Boccini per la
recensione e
tutti coloro che leggono/seguono/ricordano/preferiscono.
Pace e Amore.
RLandH
Damigelle
e Vandalupri
“Non
posso
continuare a vivere senza un camino” aveva stabilito Ginny
con una certa
insofferenza, mentre osservava il salotto del piccolo appartamento
londinese
dove vivevano lei ed Harry. Le sarebbe piaciuto fare un incantesimo
estensivo
per ingrandirlo, ma non volevano rischiare di turbare i vicini babbani,
Kreacher
ci riusciva benissimo da solo.
Ginny aveva convinto i vicini che la ‘brutta-bocca’
che sentivano sempre era il
nonno poco accondiscendente di Harry.
“Il povero Kreacher lo dice sempre ai padroni, se fossimo
nella antica casa dei
padroni non ci sarebbero questi problemi babbani, ma nessuno ascolta
mai
Kreacher” aveva sentito borbottare l’elfo, comparso
nel suo campo visivo.
Dopo la guerra, sotto pressione di Hermione, Harry aveva liberato
Kreacher,
ottenendo un notte rifiuto da parte dell’elfo, senza alcuna
spiegazione
legittima, per tanto anche Ginny si era dovuto occupare di avere un
elfo domestico.
Non ne aveva mai avuto uno, ma aveva immaginato che Kreacher fosse uno sui
generis.
L’elfo rattrappito e ricurvo, indossava una federa di cuscino
di verde tenue,
che era stata sistemata perché somigliasse ad una casacca,
su cui la madre di
Ginny aveva ricamato in verde smeraldo una bella Kappa, assicurando
l’elfo più
volte non fosse un vestito. “Fino a che non trovo il modo di
scollare la
signora Black dal muro, neanche per sogno” aveva risposto
Ginny, recuperando
una bottiglia di plastica dal tavolo, per rovesciarne un po’
nel vaso del
ficus.
Era stato un regalo di Neville, di natale di qualche anno fa, non aveva
niente
di magico, ma tenerlo in vita era stata un’impresa sia per
Ginny sia per Harry.
Il doversi occupare di qualcosa.
“Cosa deve sentire il povero Kreacher? La padrona, la
nobilissima padrona, così
bistrattata da traditori del proprio sangue e sudici
mezzosangue” aveva sentito
ancora borbottare l’elfo.
“Secondo te sta bene?” aveva chiesto invece Ginny,
“Le foglie non ti sembrano
un po’ gialline?” aveva chiesto.
Era stata ignorata.
“Un tempo Kreacher serviva illustri maghi, ora Kreacher deve
preoccuparsi di
una brutta pianta. Povero Kracher”; Ginny aveva sbuffato,
recuperando la giacca
che aveva appeso allo schienale della sedia affiancato al tavolo.
“Kreacher sto uscendo” aveva detto alla fine lei,
imboccando la strada per la
porta, “La padrona cosa vuole che Kreacher faccia, oltre
occuparsi della
pianta?” aveva chiesto ruvido l’elfo,
“Assicurati che Harry mangi il pranzo, lo
sai che quando lavora se ne dimentica. Oggi dovrebbe essere al
ministero tutto
il giorno. Inoltre … Puoi andare da Andromeda e Teddy, per
vedere se serve una
mano” aveva proposto Ginny.
“Se questo la padrona vuole, Kreacher si
assicurerà che il padrone mangi ed
andrà da quella disgraziata traditrice e del suo
marmocchio” aveva risposto
l’elfo, la voce era acre, ma Ginny era certa di aver spiato
appena un sorriso
sulla sua faccia.
Andromeda rimaneva comunque una Black.
“E … Kreacher” aveva detto poi Ginny,
mentre costringeva i capelli rossi in una
coda cavallina, “Si, padrona?” aveva domandato
l’elfo domestico, “Non dire
ancora a nessuno di quella cosa” aveva aggiunto.
“Kreacher non dirà niente”
l’aveva rassicurata.
Ginny aveva lanciato poi uno sguardo alla parete della sala, dove i
babbani di
solito avevano la televisione – così le aveva
detto Harry – dove invece loro
avevano montato dei ganci per sorreggere le loro scope.
Aveva estratto la bacchetta dallo stivale ed aveva appellato la sua
scopa
domestica, una dignitosissima twigger 90, mentre quella professionale
era
rimasta al muro, sopra la firebolt di Harry.
La moontrimmer era la sua scopa da Quidditch e dopo la grandiosa
partita della
sera prima, meritava proprio di riposare.
Era uscita poi dall’appartamento; smaterializzandosi avrebbe
fatto prima, ma
lei adorava cavalcare, il vento in faccia ed il brivido
dell’altezza.
Si chiedeva sempre come potesse Harry utilizzare così spesso
la
smaterializzazzione, era più veloce, ma toglieva gran parte
del divertimento e
in quanto a volare il suo … futuro marito – che
goduria pensare a quel modo –
era il migliore.
“Fai
le
pulizie Ginevra?” aveva sentito chiocciare una voce, si era
voltata
riconoscendo la signora Ridget dell’interno ventisette, la
cui porta era vicino
alla loro. Ginny l’aveva notata per il suo particolare
zerbino: Non discuto
mai d’amore a stomaco vuoto.
Una vecchietta arzilla, con i capelli corti tinti riccissimi, tinti di
un color
prugna, in contrasto con una radice bianco neve. Vestiva sempre con
abiti di
colori vibranti di mille colori ed aveva un paio di pappagallini
inseparabili
che cantavano sempre.
Era divorziata, una cosa che diceva sempre con orgoglio,
perché hai suoi tempi
non si ‘usava’. Aveva due figli, credeva, ed un
paio di nipoti con voci
altissime, che venivano a trovarla almeno tre volte a settimana.
E la signora Ridget era babbana, assolutamente ed imprescindibilmente
babbana,
anche se Harry continuava a dubitarne incessantemente.
“Si, Georgiana” aveva risposto Ginny, riconoscendo
dovesse sembrare così,
vedendola con una scopa alla mano.
La donna indossava anche quel giorno una giacca dai colori
luminosissimi,
affiancata con fiori enormi variopinti, aveva una borsetta di
caucciù con le
perline.
“Tu?” aveva chiesto poi per cortesia,
“Vado a giocare a bridge con le ragazze”
aveva raccontato tutta esuberante, “È il nostro
appuntamento del sabato, da
quasi vent’anni” aveva detto. Ginny aveva sorriso,
“Allora buon Bridge!” aveva
detto, “Un giorno dovrà insegnarmelo”
aveva aggiunto.
“Ma certamente Ginevra cara” aveva risposto la
donna, prima di prendere a
camminare lungo l’anticamera, diretta verso
l’ascensore.
Indossava un paio di scarpette rosse, con i tacchetti a rocchetto, che
rimbombavano nel pianerottolo con un continuo
‘tac-tac’.
Ginny vibrava come un incantesimo tremolante dal desiderio di far
conoscere
quella strana vecchietta a suo padre. Arthur Weasley
l’avrebbe adorata
certamente.
La ragazza si era mossa dal tappettino del suo ingresso, per dirigervi
verso la
grande finestra del pianerottolo.
Il panorama che offriva non era particolarmente bello, altre case
esattamente
come le sue, si intravedeva anche un piccolo parchetto dove giocavano
dei
bambini in quel sabato mattina e la chiesetta presbiteriana del
quartiere.
Aveva aperto la finestra, si era guardata intorno assicurandosi che
nessuno la
vedesse, aveva sfilato di nuovo la bacchetta e si era puntata la
bacchetta
contro la fronte, “Desilludo!”
aveva esclamato. Aveva tenuto sospesa la
scopa all’altezza della vita, prima di salirci a cavallo e
scaraventarsi fuori
dalla finestra, poi era schizzata per i cieli londinesi.
Il
luogo
dove si era diretta era una campagna fuori da Great
Misseden,
a
cavallo della scopa ci aveva messo relativamente poco, una
mezz’oretta, ma
certamente molto, molto, di più di una smaterializzazzione.
Si era appoggiata a terra davanti una casetta a due piani piuttosto
eccentrica
per gli standard-babbani. La cosa che saltava agli occhi sicuramente
era la
presenza di due camini o il fatto che la stessa costruzione sembrasse
sbilenca.
Aveva un giardinetto sul davanti recintato, in cui svettava una piccola
pianta
piena di bulbi, era una mimblus mibbletonia, una delle poche pianti di
cui
Ginny ricordava il nome, scommetteva essere un regalo di Neville.
Circondata da
un’aiuola di fiorellini lillà e violetti, sorti
nonostante la primavera
quell’anno non sembrasse
C’era anche un laghetto e lì che Ginny aveva
trovato chi cercava. Dopo aver
sciolto la fattura che si era lanciata, aveva chiamato a gran voce:
“Ei Luna.”
La sua amica, con le ginocchia posate sull’erba del suo
giardinetto – con
indosso una lunga vistosa veste giallo zafferano, morbida, con le
spalle
scoperte e le frange sull’orlo, tempestata di cuori rossi
– aveva sollevato gli
occhi grandi dal laghetto, verso di lei.
“Ginny! Che bello vederti!” aveva esclamato Luna,
posando al suo fianco quello
che aveva l’aria di essere una borsetta piena di mangimi,
“Entra!” aveva
aggiunto facendo scattare la bacchetta, facendo aprire il cancello per
permetterle di entrare.
“Ieri ho seguito la partita alla radio, sei stata
bravissima” aveva esclamato,
“Peccato ci fossero i vandalupri
a disturbarla, non deve essere stato facile con loro” aveva
detto.
Ginny si era chiesta di cosa parlasse, la partita era stato complicata
per via
della pioggia, avevano sistemato un incantesimo per schermare il campo,
come un
ombrello, ma hai confini l’acqua scorreva comunque a fiotti
… e tirava un vento
portentoso, tanto che aveva pensato di crollare giù dalla
scopa diverse volte.
Era stato allucinante vedere il mattino dopo un cielo sereno su Londra.
Sia perché la sera prima sembrava dovesse cadere il mondo,
sia perché era
marzo, non c’era mai bel tempo a marzo.
“Cos’è un Vandalupro?” aveva
chiesto poi, non le interessava con serietà, ma
era sempre piacevole ascoltare Luna, descrivere creature quanto mai
improbabili. “Sono creature composte di aria densa, grandi
come gatti, sono
altamente difficili da percepire ad occhio nudo, si muovono volando ed
escono
fuori solo nelle notti di burrasca” aveva raccontato Luna,
“La loro grande
passione è agitare le scope dei poveri maghi ed anche gli are…aer…quelli
che usano i babbani per volare”.
“Si. Ho rischiato di cadere giù dalla scopa un
paio di volte; forse era davvero
colpa di un Vandalupro” aveva confermato Ginny a Luna, poi.
La sua amica non
aveva potuto trattenere un sorriso sorgere sul suo volto.
“Come
sta andando l’editing del
Cavillo questa settimana?” si era informata poi Ginny.
“Il ministero sta
cercando di imbrogliarci sulla storia del complotto dei Gobblin; hanno
fermato
un articolista con l’infondata accusa di possedere una
cultura, non dichiarata
di fagioli mescal
nel
basamento” aveva raccontato leggermente infervorata.
“Li aveva?” aveva chiesto Ginny con una punta di
leziosità. Luna aveva stretto
le labbra, “Sono pienamente convinta che i Gobblin li abbiano
sistemati lì per
evitare che il mondo sapesse la verità” aveva
stabilito con certezza. “Ti prego
non scrivere una lettera di lamentele ad Hermione” aveva
detto poi Ginny.
Luna aveva spalancato gli occhi, prima di dirottare il suo sguardo
altrove,
“Sebbene Hermione sia una persona meravigliosa, riconosco una
certa
ristrettezza nel suo modo di pensare” aveva confessato Luna,
“E dopo le sue
insistenti richieste ho smesso di scriverle su questo
argomento” aveva detto,
“L’ho scritto ad Harry però”
aveva aggiunto con un sorriso sghembo, “Non te lo
ha detto?” aveva inquisito, crucciando le sopracciglia.
“Abbiamo avuto dei giorni un po’ frenetici,
giuro” aveva detto evasiva Ginny,
“Quindi senza questo articolista?” aveva chiesto,
per distrarre.
“Va bene, accetto questo tuo tentativo di cambiare
argomento” le aveva detto
Luna, “Sto scrivendo un’invettiva contro il nipote
di Leta sul modo corretto di
comportarsi in presenza di un infestazione di Billywig” aveva
detto Luna, con
una punta di acredine nella voce, “Dal diretto discendente di
Newton Scamander,
ci si aspetterebbe più cuore e dedizione alle Creature
Magiche”
aveva aggiunto, incrociando le braccia sotto il seno.
Ginny dovette trattenere una risata, quella era una delle prime volte
che
poteva vedere la sua amica apertamente ostile contro qualcuno,
“Forse potrei
riservare lo spazio per un inserzione sul quidditch. Alcuni articolisti
ritengono che anche se argomento più blando, i lettori
potrebbero trovarlo
interessante” aveva ammesso Luna.
“Papà però è molto dubbioso,
il Cavillo è sempre stato un giornale di denuncia”
aveva raccontato, “Inoltre, la scadenza per
l’articolo sarebbe domani notte”
aveva detto leggermente abbattuta Luna.
Il Cavillo andava in stampa sempre la domenica notte per il
lunedì mattina.
“Magari ci prendiamo un tè dentro e ne parliamo,
potresti parlare dei pericoli
di Vandricosi nel gioco del Quidditch.”
Il viso di Luna si era illuminato, “Si!” aveva
detto entusiasta, “Solo aspetta
che finisca qui” aveva detto, cucciandosi di nuovo sul
giardino per recuperare
un sacchetto pieno di … Ginny ci diede un occhio prima di
decidersi che non
voleva saperlo.
Ginny
aveva ridacchiato, “Che facevi di bello?” aveva
chiesto guardando la sua
amica, “Davo da mangiare ai Plimpy” aveva risposto
Luna, “Il loro habitat
naturale sono i laghi profondi, questo non è abbastanza
avvallato, così hanno
bisogno di una cura particolare. Devo dargli della polvere di occhio di
tritone
insieme alle alghe liofilizzate, Leta mi ha dato un sacco di
consigli” aveva
esclamato, “E Neville sa sempre dove reperire gli ingredienti
migliori” aveva
raccontato.
Ginny aveva osservato nel laghetto, tra le foglie di ninfee, un paio di
creature tondeggianti di un acceso colore azzurro, maculato di blu
metallico,
con gambette lunghe. Prima che Ginny potesse porre domande su come si
stava
svolgendo lo strano rapporto che Luna e Neville avevano intessuto nel
corso di
quegli ultimi quattro anni, la sua amica l’aveva anticipata;
“La prossima
settimana mio padre me ne porta un paio d’acqua dolce,
cioè di fiume, anche
questi sono d’acqua dolce tecnicamente, mi chiedo se si
possano ibridare” aveva
valutato Luna.
“Questo è molto interessante. Io ho un
ficus” aveva scherzato Ginny, “Un regalo
di Neville, immagino” aveva detto Luna, “Ogni volta
che torna mi riporta una
pianta, non so più dove metterle” aveva raccontato
la sua amica.
“Come va con Neville?” aveva chiesto Ginny poi a
bruciapelo, mentre Luna dopo
aver lanciato l’ultimo pugnetto di mangime, chiudeva il
sacchetto con un laccio
di spago.
La sua amica si era voltata verso di lei, gli occhi grandi spalancati,
quasi
stupiti da quella domanda, “Come sempre” aveva
detto senza particolari
inflessioni, “Andiamo dentro a prendere quel
tè?” aveva chiesto poi Luna, per
nulla coinvolta in una conversazione a proposito del suo ex-fidanzato
che le
regalava piante. “Si, volevo portarti dei dolci, ma ho
dimenticato di
comprarli” aveva ammesso Ginny, “Ieri è
stata una notte un po’ folle e questa
mattina mi sono svegliata tardi” aveva confidato.
L’altra aveva sorriso, “Oh,
non ti preoccupare, abbiamo i biscotti che ci ha fatto Karen”
aveva esclamato,
mentre la guidava dentro casa. ‘Chi?’ era stato il
primo fuggevole pensiero di
Ginny, prima di decidere di lasciar perdere.
L’interno
della casa di Luna era caotica, con la storia delle piante la sua
amica non aveva scherzato neanche un po’. Mentre era
distratta da tutto quel
verde, da aver fatto sembrare l’abitazione un orto botanico,
Ginny quasi finì
per inciampare su una pila di libri; “Che sta
succedendo?” aveva chiesto, prima
di finire ad urtare una credenza, questa era ondeggiata pesantemente e
tutte le
chincaglierie che la componevano avevano vibrato tra di loro cadendo in
una
cacofonia di rumoracci.
“Sono per gli articoli sul Billywig?” aveva provato
poi a chiedere la rossa, sposantandosi
appena in tempo perché un libro ed un calice di argento
smerigliato non finissero
contro la sua testa.
‘I miei poveri tesori’ aveva sentito lamentarsi la
giovane donna di un quadro,
mentre Luna sfilando la bacchetta da dietro l’orecchio,
sistemava tutto il
mobilio al proprio posto.
“Oh ciao, Ginny” aveva sentito la famigliare voce
di Dean Thomas, attirato dal
caos, che aveva sollevato lo sguardo dal libro che stava studiando, dal
tavolo
della cucina, visibile dalla porta aperta che dava sul soggiorno. Il ragazzo quasi spariva
tra colonne di
libri, che avrebbero fatto invidia alle alte torri tremolanti di
manuali che
avevano invaso la sala comune di Grifondoro quando Hermione era
concentrata
nella preparazione die M.A.G.O.
“Ginny si ferma per un tè, Dean, lo
vuoi?” aveva chiesto Luna con gentilezza,
“Sto abusando del caffè” aveva risposto
semplicemente lui, sollevando una tazza
“Ma grazie!”. Dean aveva poi rivolto lo sguardo
verso Ginny, per farlo aveva
dovuto sposare un libro: “Grande partita ieri!”
aveva enunciato, “L’abbiamo
ascoltata dalla radio” aveva detto anche lui.
“Grazie Dean” aveva risposto con un leggero
disagio, “Se vi va di assistere,
ditemelo, vi faccio avere dei biglietti” aveva aggiunto.
Una cosa a cui Ginny non si sarebbe mai abituata, mai, era quello.
Dean
Thomas.
Dean Thomas che conviveva nella piccola casetta nella brulla campagna
con Luna
Lovegood.
Quando Lei e Luna avevano finito Hogwarts, tutti si erano aspettati che
la sua
amica andasse a vivere con Neville, suo fidanzato da quasi un anno
– o
finissero da qualche parte nella giungla a
studiare piante o animali, specie dopo che Neville aveva chiuso con il
mestiere
di auror – invece
si erano lasciati.
Il ragazzo si era trasferito in Francia e Luna aveva fatto uno
praticantato con
Leta Scamander, figlia del più celeberrimo Newt Scamander,
aveva girato un po’ il mondo e poi era tornata in Inghilterra
e si era
ritrovata a vivere fuori Great Misseden con Dean Thomas e Seamus
Finnegan,
anche se non vedeva in quel momento il ragazzo.
“Sta preparando l’esame per il concorso al
Wizengamot” aveva sussurrato Luna,
per spiegare perché tutti quei libri fossero sparsi per
caso, mentre guidava
Ginny in cucina, spiegandole tutte le peculiarità della casa
che si erano
aggiunte dall’ultima volta che era stata lì.
Come ogni volta Ginny si fermava a guardare la foto che ritraeva lei,
Luna, con
Harry, Ron, Hermione e Neville, risaliva all’anno dopo la
Battaglia di
Hogwarts.
Luna aveva un murales in camera sua, ma quando aveva comunicato di
dover
partire, Harry le aveva fatto avere una foto, non era bella come il suo
murales, ma poteva portarla ovunque.
“Seamus dove lo avete lasciato?” aveva chiesto
invece Ginny, “Alla redazione
della gazzetta” avevano risposto in coro Dean e Luna,
“Pensare che gli ho
offerto tante volte di diventare articolista per il Cavillo”
aveva aggiunto
luna spenta.
I
biscotti
allo zenzero di Karen Finnegan erano notevolmente buoni, specie in
compagnia
del tè di non-aveva-capito-quale-pianta, che Luna le aveva
offerto.
Le due ragazze si erano messe a prendere il tè il soggiorno,
vicino alla
finestra all’inglese che dava sul giardino, dove era
possibile vedere un albero
dallo stelo sottile, ancora sprovvisto di fronde. “Sono
ancora stupita da come
abbiate trovato questo posto” aveva commentato Ginny,
“Oh sì, la casa era di Berenice
Burke – la signora del quadro lì dietro,
vicino alla laurea di Magirisprudenza
di
Dean – o meglio, secondo quanto abbiamo capito: la signorina
Burke ci viveva
solamente. Lei era l’amante di Abraxas Malfoy, il nonno di
Draco Malfoy, credo,
le aveva donato la casa per …” aveva fatto una
pausa, “Alcova d’amore” si era
inserita Ginny.
“Si!” aveva ridacchiato Luna, “Non so
quando la donna abbia lasciato questo
posto, però, ora appartiene ai Malfoy” aveva
aggiunto, “Davvero questo posto è
dei Malfoy?” aveva chiesto stupita Ginny, non lo sapeva, si
chiedeva se Harry e
gli altri lo sapessero.
Improvvisamente l’enorme tappetto con la M in
argento sul tappetto
verde, proprio davanti uno dei due comignoli della casa, prendeva
improvvisamente un senso
“Si, ma non paghiamo loro l’affitto, io e Luna
usufruiamo di questa casa per
rifarci dei danni morali subiti” aveva sentito la voce di
Dean; il ragazzo
aveva fatto capolinea in salotto.
Dean
aveva un aspetto un po’ trafelato, stava cercando di infilare
di fretta i
bottoni di legno della giacca ma continuava a sbagliare asola,
“Mi è appena
arrivato un gufò da Ernie McMillan, ha trovato il volume di
Leggi a Protezione
dello Statuo Magico antecedente al milletrecentocentododici, ma
precedente al
millequattrocentodiciannove”
aveva detto esuberante. Luna aveva battuto le mani,
“Eccezionale Dean, era
quello che ti serviva per quella questione ghignosa con il precedente
dell’articolo diciassette?” aveva chiesto Luna,
prima di sorseggiare un po’ del
suo tè. Dean l’aveva guardata stupito,
“Ogni tanto mi dimentico che tu mi
ascolti quando parlo, differentemente da
quell’altro” aveva affermato,
sollevando le labbra in un sorriso, prima di fiondarsi letteralmente
verso uno
dei due camini della casa. Aveva preso la metropolvere ed era scomparso
in una
nuova di polvere verde, al grido di ‘Castle Sween’.
“Anche
Seamus non paga l’affitto?” aveva domandato Ginny,
con un tono casuale.
Luna aveva annuito, “Sembrava ingiusto. Noi non lo pagavamo,
poi Seamus non ha
neanche una stanza” aveva confessato l’altra senza
malizia, “Dorme con Dean”.
Ginny aveva sputacchiato un po’ del tè che aveva
preso, rimanendo a guardare
Luna in tralice per qualche secondo, “Be, si, hanno condiviso
il dormitorio ad
Hogwarts per anni” aveva detto, pensando probabilmente di
aver capito male.
Sulla parte superiora del comignolo, con una cornice blu ciano,
l’immagine di
Dean e Seamus che salutavano la telecamera con sorriso pregni
d’allegrie, ed
alle spalle le scogliere di Dover, improvvisamente sembrava diverso.
“Perché sei qui, Ginny?” aveva chiesto
poi Luna, salvandola dal silenzio che
era venuto a crearsi.
“Non potevo avere voglia di vederti?” aveva
domandato retorica lei. La bionda
aveva ridacchiato, in una maniera fresca, “Anche io sono
contenta di vederti”
aveva detto, “Ti avrei scritto oggi per vederci domani a
Diagon Alley” aveva
aggiunto, “Però pensavo volessi riposarti dopo la
partita di ieri sera. I
Vandalupri sono stati così agitati” aveva ripreso.
“Be, io non potevo aspettare” aveva confidato
Ginny, “Io ed Harry ci sposiamo!”
aveva rivelato.
“Davvero? Ma è meraviglioso” aveva detto
Luna, prendendole la mano.
“Lo abbiamo deciso ieri sera, dopo la partita”
aveva detto, “Si, non ho un
anello, ma non è importante” aveva aggiunto lei,
sventolando una mano nuda.
Era stato un momento guidato dal pathos e … non
c’era stato tempo per
prepararlo bene. Era stato impulsivo e Ginny ne aveva amato ogni
momento,
tornando indietro non avrebbe cambiato una virgola.
“Pioveva,
è stato bello. Ho fatto
l’amore in un luogo pubblico ed un babbano ci ha quasi
beccato. Si è stata una
serata strana” aveva raccontato, “Però
ci sposiamo” aveva aggiunto.
Luna aveva ridacchiato, “Sono contenta” aveva
detto, “Quando ti ho visto
arrivare così solare, pensavo fosse perché un
gorgosprizzo ti avesse scombinato
i pensieri, ma era solo l’amore” aveva ridacchiato.
“Volevo chiederti di essere la mia testimone” aveva
ammesso, “Tu e Neville. Non
ho ancora capito quanti testimoni qualcuno possa avere, non ho
partecipato a
molti matrimoni, confesso”
aveva detto.
La ragazza aveva sorriso, “Oh, Ginny è molto
carino da parte tua chiederlo a me
per non privare Harry di Hermione come testimone” aveva detto
la bionda,
“Accetto volentieri” aveva aggiunto poi, con un
tono garbato.
“Luna” aveva detto Ginny seria, “Sei la
mia migliore amica” aveva enunciato,
“Sei la prima persona a cui l’ho detto,
tecnicamente quella è mio padre, gli ho
mandato una lettera questa mattina, chiedendoli di tenerlo per se
almeno fino a
domani. Lo diremo al resto della famiglia, durante il pranzo di domani
– A
proposito sei invitata, ovviamente” aveva ripreso Ginny.
“Giusto, per essere preciso credo ce il primo ad averlo
saputo sia stato
Kreacher” aveva stabilito.
L’elfo domestico aveva borbottato un po’ sul fatto
che anche se traditrice del
proprio sangue, ‘la padrona’ rimaneva purosangue ed
era vergognoso che sposasse
il padrone, ma dietro il suo rumoreggiare, piuttosto fiacco e senza
verve, sia
Harry, sia Ginny avevano scorto una certa contentezza.
Riguardo alla sua famiglia: sì, Ginny
moriva dalla voglia di dirlo a sua
madre – ma riteneva che Molly Weasley andasse preparata con
dovere o Ginny se
la sarebbe ritrovata piombata a casa senza preavviso per organizzare
tutto, sotto
una rigida legge marziale.
Se ci pensava bene probabilmente, ormai, lo avrebbe dovuto sapere anche
Hermione, era certa che Harry fosse già andato da lei. Entro
sera probabilmente
lo avrebbe saputo anche Ron, o dalla sua fidanzata o dal suo migliore
amico –
anche se immaginava che Harry non si sarebbe di certo perso
l’occasione di
dirlo personalmente a Ron, specie se si considerava quanto permaloso
fosse,
certe volte.
Aveva visto gli occhi di Luna farsi lucidi, “Grazie, Ginny.
Sarò felicissimo di
farlo per te ed Harry” aveva detto; Ginny si era sporta per
abbracciarla,
stretta, “Sono contenta fosse il matrimonio e non i
gorgosprizzi a renderti
così solare, se no sarebbe stato fastidioso doverti fare una
disinfestazione”
le aveva sussurrato Luna nell’orecchio, “Sono
contenta anche io” aveva
esclamato Ginny con una risata allegra.
Quando
avevano sciolto l’abbraccio, i grandi occhi di luna erano
ancora due
specchi liquidi, pronti a cedere a lacrime di gioia, “Ma
esattamente cosa deve
fare una testimone?” aveva chiesto poi, “Sai non
l’ho mai fatto” aveva
aggiunto; Luna era sempre calma ma Ginny giurò di aver
sentito una punta di
nervosismo nella sua voce. “Perché
finché si parla di animali, so come
gestirmi, ma con le persone …” aveva fatto una
pausa. Quell’atteggiamento non
era di certo da Luna, doveva esser colpa dei suoi due coinquilini, chi
sa cosa
le avevano detto. Dean era sempre così apprensivo e Seamus
così scettico su
tutto-e-tutti.
Di rimando, Ginny aveva tirato indietro una ciocca di capelli rame,
“Oh, be,
anche per me è la prima volta che mi sposo, quindi immagino
dovremmo scoprirlo
assieme” aveva detto esaustiva.
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Capitolo 4 *** Un sogno che sta nel palmo di una mano ***
Allora,
sono
scomparsa, ma sono tornata (anche se non si sa per quanto, a mia
discolpa, ho
già cominciato a scrivere il capitolo successivo,
però). La narrazione a questo
giro torna al nostro Harry ed il capitolo, almeno in parte,
è coevo al
precedente (quello di Ginny e Luna), perciò è
ambientato prima di tutti i
capitoli letti fino ad ora, ad esclusione appunto di quello di Ginny
(Il giorno
immediatamente dopo alla Grande Proposta).
Questo capitolo non dovrebbe essere troppo caotico dal punto di vista
di
personaggi (nonostante alla fine ci siano diverse comparse) ma forse il
lato
politico, che è ancora abbozzato, e spero di riuscire a
rendere meglio in
futuro, può creare un po’ di confusione.
Prima di salutarvi vorrei ringraziare Miss Wendy per la recensione e
tutti
coloro che leggono/seguono/ricordano/preferiscono.
Pace e Amore.
RLandH
Un
sogno che sta nel palmo di una mano
“Non
sono
fattacci vostri razza di cinciallegre!” la voce acuta di
Verity accompagnata da
quel singolar messaggio, era stato il modo in cui Harry era stato
accolto
quando aveva aperto la porta del negozio.
“Abbiamo già chiuso!” aveva detto poi
subito lapidaria Verity, rivolgendosi
verso di lui, “Oh Harry sei tu!” aveva aggiunto con
una nota più dolce della
voce. Era una donna carina, non molto alta, dal viso a forma di cuore
ed i
capelli biondo miele sempre stretti in una crocchia forse un
po’ troppo severa.
“Scusami tanto questo mio comportamento da erinni!”
aveva detto subito, mentre
posava la pergamena che aveva fra le mani vicino al bancone,
“Ma quei due sono
insopportabili” aveva ringhiato alzando lo sguardo verso il
soffitto. Dal
soppalco Harry aveva riconosciuto il viso sorridente di George.
“Benvenuto
Harry, tecnicamente siamo fuori orario, ma per te questo è
altro,
prendi quello che vuoi!” aveva strillato, “No,
Harry sali!” aveva sentito
invece urlare Ron, “Ci sono un paio di prodotti che secondo
me sarebbero meglio
negli uffici degli Auror che in mano a qualche ragazzino”
aveva detto il suo
amico.
“Ron, lasciatelo dire, passi troppo tempo con
Hermione” lo aveva preso in giro
George, “Dici? Secondo me non ne passò
abbastanza” era stata la tetra risposta
di Ron.
Verity aveva roteato gli occhi, “Signori, il mio turno
finisce alle otto e in
punto, poi, inventario finito o meno, io me ne vado” aveva
detto la donna.
“Con un atteggiamento così rigido, farai scappare
Lee immediatamente” l’aveva
stuzzicata George comunque. Verity aveva gonfiato le guance, rosse come
pomodori, “Signor Weasley, gli affari tra me ed il signor
Jordan, rimangono gli
affari tra me ed il signor Jordan” aveva replicato la ragazza
solamente,
recuperando la sua pergamena dal tavolo, assieme ad una grossa piume
bianca. Si era
voltata poi verso Harry,
i suoi occhi erano scuri come chicchi di caffè;
“Quando con gli auror verrai ad
arrestarmi per duplice omicidio, saprai esattamente
perché” aveva detto.
Quando
Harry
era salito sul soppalco, godendosi con una certa eccitazione, come da
ragazzino, la moltitudine di roba che occupava gli scaffali del negozio.
“Non ti aspettavamo, Harry!” aveva detto Ron, anche
se il suo tono tradiva
genuina contentezza; alzandosi dalla sedia in cui si era accomodato.
“Quello
che Ron vuole dire e che siamo felici di vederti” lo aveva
rimproverato Fred,
che teneva tra le mani una scatola di legno, con una bella X Rossa.
“Sono
sorpreso di vederti a lavoro George, dopo tutto l’alchool di
ieri sera” aveva
detto Harry, mentre si stringeva in un abbraccio a Ron.
“Quando andate a bere senza di me” aveva detto
pacato l’uomo, “Ron! Combatti la
tua insicurezza, ieri io ed Harry ci siamo visti perché
Angelina e Ginny hanno
pensato di andare nello stesso pub” aveva giustificato
George, posando la cassa
su un tavolo, “Non-l-hai-vista” aveva sillabato poi.
“Come ha preso la sconfitta?” aveva chiesto Harry,
“Ha maledetto i Weasley ed i
nostri geni tutta la notte, ingiuriando se stessa per aver accettato
Ginny in
squadra quando era capitano, ai tempi della scuola” aveva
riso poi.
“Fai tanto le prediche a Verity ma anche tu sei molto
criptico con il tuo
rapporto con Angelina” aveva detto Ron.
George aveva ridacchiato, “Questa parola te l’ha
insegnata Hermione?” lo aveva
preso in giro il fratello maggiore. “Smettetela di fare le
megere-comari e
lavorate!” aveva ordinato Verity dal piano inferiore, con una
voce piuttosto
piccata.
“Che avete combinato alla povera Verity?” aveva
chiesto Harry, “Abbiamo
scoperto che lei e Jordan hanno ‘intrallazzato’
mentre non stavamo guardando”
aveva ridacchiato George, “E lui non la lascia in pace cinque
minuti” aveva
aggiunto Ron.
“Tu sei così bravo invece” lo aveva
imbeccato il maggiore, “Salgo in mansarda a
prendere l’ultima cassa, così poi la possiamo
sistemare” aveva detto George, “E
Verity smette di urlare come un’arpia” aveva detto.
Ron
lo aveva
guardato, “Vogliamo cenare assieme?” aveva chiesto,
“Hermione dovrebbe finire
di lavorare presto. Oggi tecnicamente non avrebbe neanche dovuto
lavorare”
aveva ammesso, “Potremmo cenare noi tre, come ai vecchi
tempi” aveva detto.
Harry aveva sorriso, “Si” aveva confermato,
“In realtà ho già parlato con Hermione
oggi, sono andato a trovarla al suo piano” aveva raccontato.
L’uomo aveva preso atto di quanto detto, “Oh! Ed
hai avuto modo di conoscere il
brillantissimo Waynar Kowalski” aveva commentato Ron con una
dose di ironia
quasi velenosa, Harry aveva sollevato un sopracciglio, “Si,
ho anche dovuto
pattugliare un suo comizio” aveva raccontato Harry, confuso.
“Oh come Harry non lo hai saputo? Ron è
così insicuro di sé stesso!” aveva
urlato George dal piano di sopra, “Ma vuoi stare un
po’ zitto!” aveva ringhiato
il fratello minore.
“Che è un uomo così brillante a detta
di tutti, Hermione in particolare” aveva
rimarcato Ron, “Inoltre adora tutto quel cicaleccio babbano
di cui non capisco
niente” stava raccontando, “Perfino papà
lo adora” aveva sottolineato, “Poi suo
padre era un giocatore di quidditch internazionale” aveva
bonfocchiato.
L’uomo di cui parlava Ron lavorava nel dipartimento di Contro
delle Creature
Magiche, lo stesso di Hermione,
sebbene in due divisioni differenti. Negli ultimi mesi al Ministero,
Harry
doveva riconoscerlo, si era parlato un sacco di lui, del suo noto
charm, della
sua parlantina, oltre che una genealogia non poco illustre e della suo
allineamento politico.
“Ron lo so che è un mistero per tutti come
Hermione ti si tenga, ma ha
rinunciato al giocatore di Quidditch probabilmente più
celebre della storia, io
starei tranquillo” aveva urlato ancora George senza alcuna
vergogna.
Ron si era fatto rosso come un peperone.
“Troppe
chiacchiere e pochi fatti!” aveva urlato Verity dal piano di
sotto. Ron
aveva riacquisito un po’ di pallore, “Sembra
adorabile, ma in realtà è una
dittatrice” aveva raccontato, “Tecnicamente
lavorerebbe lei per noi, ma a volte
mi sembra il contrario” aveva sussurrato il suo amico,
“George sta pensando di
farla socia e darle la gestione del locale ad Hogsmaed” aveva
raccontato.
“Come?” aveva chiesto Harry, aggrottando le
sopracciglia, non ne sapeva molto.
“Si, il vecchio Zonko a quanto pare vuole ritirarsi ad
Honolulu e vorrebbe
vendere l’attività – o il locale
almeno” aveva raccontato Ron.
“Un negozio ad Hogsmaed sarebbe oro per gli affari”
aveva raccontato Ron, “Ma
fino ad un certo punto” aveva detto,
“L’inverno buona parte dei nostri acquisti
viene fatto tramite consegna-gufo ad Hogwarts, con una sede ad Hogsmead
praticamente l’inverno lavoreremo solo lì e
l’estate qui” aveva raccontato,
“Probabilmente finiremo ad avere due mezzi negozi che uno
intero” aveva
commentato Ron, grattandosi la testa.
“Tu, invece, a lavoro? Come va?” aveva chiesto Ron,
“Il vecchio Boogye torna a
lavoro?” aveva chiesto invece il suo amico, “No,
vuole ritirarsi a vivere
nell’Isola di Sheppey e godersi la pensione facendo il
nonno” aveva raccontato
Harry.
“Ti dispiace?” aveva chiesto Ron,
“Be, non era male lavorare con lui, sapeva il
fatto suo nelle investigazioni” aveva riconosciuto.
Thelonius Boogye era stato il suo partner negli ultimi due anni, un
vecchio
auror che era andato in pensione forse prima che Harry entrasse ad
Hogwarts, ma
che aveva ripreso il suo ruolo durante il caos post-Seconda-Guerra;
“Dopo
Glascow un po’ lo comprendo” aveva ammesso Harry,
ne erano usciti vivi per
quasi un miracolo, contro un mago oscuro che stava creando un piccolo
esercito
privato di inferi, che aveva procurato diversi problemi alla
comunità babbana.
Non era stato un mago oscuro degno di Lord Voldemort, ma aveva
procurato dei
danni ed era stato difficile da scovare.
“Sai già con chi finirai?” aveva
domandato Harry, “Cecil Lee
capo del Dipartimento di Regolazione di Creature Magiche, mi ha detto
che tra
martedì-e-mercoledì avrò un partner,
da quello che ho capito ha finito il corso
di Auror un anno fa, ma è finito lì per mancanza
di organico” aveva raccontato.
“Secondo Cecil Lee: una brava ragazza” aveva
raccontato, “E lui non fa mai
complimenti, mai, penso sia la persona più borbottante che
ho conosciuto al
ministero” aveva detto, “Potrebbe fare concorrenza
a Kreacher” aveva raccontato.
“Voglio
che
tu sappia che un uomo oggi mi ha invitato ad uscire” aveva
detto Hermione
quando si era seduta davanti a loro.
I capelli era un intricato nido di rondini, costrette in una
coda non
esattamente ordinata. “Ah davvero?” aveva domandato
Ron, cercando di mantenere
un tono stabile. “Si, un articolista della gazzetta, giuro,
non ho neanche
afferrato il nome e né lui mi ha chiesto il mio”
aveva raccontato, “Mi ha solo
chiesto di uscire” aveva raccontato Hermione poi.
“E cosa hai detto?” le aveva preso in giro Harry,
la sua amica aveva aggrottato
le sopracciglia, confusa, “No, Harry ovviamente!”
aveva esclamato quella
indignata. “Era venuto a farmi delle domande su come il
ministero stava gestendo
il commercio illegale di Demiguise e, a sorpresa, mi ha chiesto di
uscire”
aveva raccontato tutta concitata.
Ron non aveva partecipato molto alla conversazione, probabilmente
appurato non
fosse Kowalski, più intenzionato ad attirare
l’attenzione di Hannah Abbott, che
scivolava tra i tavoli, con la bacchetta sollevata e circondata da
vassoi.
Harry non si era ancora abituato a vederla lavorare al
paiolo, nonostante fosse
il posto dove finissero più spesso quando volevano
ritagliarsi del tempo solo
per loro.
La ragazza era venuta immediatamente verso il loro tavolo, con le
fossette ben
accentuate da un sorriso pieno, “Cosa vi porto
ragazzi?” aveva chiesto con
gentilezza, mentre li raggiungeva, seguita da un blocchetto volante,
contornato
di piume, che ricordò ad Harry la sgradevole persona di Rita
Skeeter – che
immaginò avrebbe dovuto vedere molto nei prossimi mesi.
“Quale
è il piatto del giorno, Hannah?” aveva chiesto
Hermione subito; le due
ragazze non erano state amiche strettissime negli anni di Hogwarts che
avevano
frequentato assieme, ma si erano avvicinate durante quello che veniva
comunemente ricordato come il ‘settimo-anno-bis’
che era stato frequentato da
alcuni suoi compagni di anno. Harry no, neanche Ron e Neville.
“Venite qui, praticamente tutte le settimane” erano
stato stuzzicati, ma
Hermione non aveva fatto una piega, “Oggi
c’è la Zuppa a Sorpresa di Tom, che
onestamente vi sconsiglio. Gusto: Ceralacca!” aveva ammesso
lei poi con una
risata, “Burrobirra per tre; io predo una torta del pastore”
aveva detto Ron, “Ed anche un contorno di patate e se
possibile anche una fetta
della tua torta di zucche, dopo” aveva esclamato il suo amico.
“Sei senza fondo” lo aveva rimproverato Hermione,
“Io prendo il tortino di
ricotta e zucchine” aveva esclamato lei poi, “Ed
una fetta di quella torta
anche per me, in effetti” aveva aggiunto. “Continui
con l’alimentazione
vegetariana?” aveva domandato retorica Hannah,
“Si!” aveva esclamato la sua
amica con voce risoluta, “Lo trovo semplicemente giusto, mi
sembra ipocrita
mettermi a difendere i diritti di tutte le creature, quando
…” aveva cominciato
Hermione, mentre la loro amica, andava tranquilla con i suoi screzi,
ascoltati
da una rapita Hannah, Ron si era rivolto a lui, “Sono tre
settimane che va a
vanti, il nostro frigo è pieno di verdure; sfameremmo un
esercito di conigli”
aveva scherzato. Harry aveva ridacchiato.
Il
loro scambio era stato interrotto da Hannah, “Ma sai che
Neville, mi ha
detto che alcune specie di piante tecnicamente andrebbero considerate
come
specie animali?”
aveva interrotto Hermione, con gentilezza. Aveva le fossette quando
sorrideva.
“Parli molto con Neville, eh, Hannah?” aveva
scherzato Ron, con un tono un po’
lascivo. Se la giovane donna era stata indispettita dalla frase non lo
aveva
lasciato vedere, “Ma si, quando torna in Inghilterra viene
sempre qui” aveva
raccontato la ragazza, “Credo che in cuor suo cerchi scuse
per fuggire da
Augusta” aveva ridacchiato Hannah.
“Oh, Augusta!” aveva rimarcato Ron, guadagnando poi
una pedata dalla sua
fidanzata, a giudicare dal salto che Ron aveva fatto.
Hannah aveva ridacchiato con un certo divertimento, “Tu,
Harry, cosa prendi?”
aveva chiesto poi, accomodante. “Un fagottino cornish
per me, grazie Hannah”
aveva detto Harry, qualche anno prima era stato in cornovaglia e si era
innamorato di quel piatto. Aveva provato a rifarlo a casa, con la
validissima
partecipazione di Ginny, ma era stato un mezzo fallimento;
però al Paiolo
Magico lo servivano davvero ottimo. “Se
c’è la Eton Mess di Frullobulbo”
aveva comunicato lui, “Si, si, casualmente sta mattina gli
elfi domestici la
hanno rifatta” aveva confermato la giovane donna, ordinando
alla sua penna
d’oca di ascoltare le sue istruzioni.
Hermione aveva stretto le labbra in una fenditura dritta, per nulla
rincuorata
da quella frase, ma aveva deciso di non intromettersi, stranamente.
Harry aveva approfittato di quell’inaspettato silenzio, per
aggiungere: “E, se
possibile, portaci una bottiglia di Idromele di Vlasta”
aveva esclamato, ottenendo un segno d’assenso della
cameriera, con quel suo
sorriso carico di miele.
“Oh,
wow, Harry, festeggiamo qualcosa?” aveva domandato subito
Hermione,
“Ebbene sì” aveva risposto Harry, con un
sorriso soddisfatto, aggiustandosi la
montatura degli occhiali sul naso.
“Hai avuto una promozione?” aveva chiesto subito
Hermione, “Dopo, la storia di
Glascow?” aveva chiesto retorico Harry,
“Però avrà un nuovo partner”
aveva
raccontato Ron.
“Oh davvero?” aveva inquisito Hermione, aggrottando
le sopracciglia.
“Si, ma non è per questo” aveva chiarito
subito Harry.
Poi c’era stato un certo silenzio tra i tre.
“Allora, Harry, non farci stare sulle spine, dicci”
aveva esclamato Hermione,
pingue di curiosità, mentre un vassoio di burro birre,
perfettamente
orchestrato con gli altri era voltato delicatamente fino al loro tavolo.
Il Paiolo Magico aveva letteralmente un’altra faccia da
quando Hannah aveva
cominciato a lavorarci.
“Voglio aspettare l’idromele, ci serve un
brindisi” aveva chiarito Harry
onesto. “Amico mio, sei un uomo crudele” aveva
esclamato Ron invece, allungando
una mano per prendere la burrobirra; non lo avevano chiesto ad Hannah,
ma lei
aveva fatto recapitare loro le bevande calde e fumanti, forse complice
per il
freddo d quel periodo.
“Avete
saputo della partita di Ginny di ieri?” aveva domandato Harry
poi, “No,
ho letto la cronaca sta mattina su Quidditch e Rugby. È
stata pazzesca, se si
pensa al vento che tirava ieri” aveva esclamato Ron, pieno di
vigore; “Certo
questo non vi esula dal non avermi chiamato dopo!” aveva
aggiunto piccato il
suo amico, ma il suo malumore si era sciolto in fretta al pensiero
delle
abilità di sua sorella.
Hermione sembrava
colta da un leggero
imbarazzo, “Si, io, sarei voluta venire, ma poi ho avuto un
imprevisto in
ufficio. Ultimamente è un gran macello con lo scandalo di
Lewis Goldestain ed i
suoi legami con i mangiamorte” aveva raccontato Hermione,
“Una brutta botta per
gli Strigoi” aveva raccontato lei, “Come ci
dispiace per i conservatori” aveva
detto grigio Ron.
“E non parliamo degli esposizionisti” aveva
mormorato Harry, “Kinglsey mi ha
detto che il movimento esposizionista potrebbe entrare in sintonia con
il magico
partito liberale” aveva detto leggermente concitata.
“Ah, non te lo ha detto il
signor Kowalski?” l’aveva stuzzicata Ron, uomo che
non aveva mai fatto mistero
della sua aderenza al partito Auguray, oltre che simpatizzante
esposizionista.
Per Harry loro, fintanto che rimanevano staccati, dai benisti, andavano
bene.
“Ron, ma la pianterai mai?” aveva chiesto retorica
Hermione; la ragazza si era
voltata verso Harry, “Ho detto una volta, una, contata una,
che era un tipo
affascinante e Ron se le è legata al dito” aveva
sottolineato.
Il desiderio di parlare di Ron era stato zittito dall’arrivo
di Hanna, con il
maso il suo piatto, seguita dai vassoi volanti, “Buon
appetito ragazzi!” aveva
detto carica.
“Adoro
questo dolce!” aveva detto Harry, mentre Ron allungava le
lunghe dita per
raccogliere il collo della bottiglia di idromele, “Devi
vuotare il sacco” lo
aveva vagamente minacciato il suo amico, mentre faceva saltare il tappo
di
sughero, era sfuggito alle sue mani, aveva evitato per un miracolo la
zazzera
di riccio di Hermione, aveva raggiunto il soffitto, virando
perciò la direzione,
finendo contro una povera strega che l’aveva evitato a
miracolo, aveva
raggiunto il pavimento, era rimbalzato ancora, beccando un
pover’uomo che si
era alzato con un bicchiere di Wisky incendiario, provocando una
rottura di
quest’ultimo ed un piccolo incendio all’angolo
della sala.
“Che imbarazzo” aveva ammesso Ron, tetro.
“Versa un po’ dai” aveva detto solamente
Hermione, con più dolcezza, mettendo
una mano su quella del fidanzato.
“Questa grande notizia, no?” aveva inquisito la sua
amica, piena di interesse.
Harry si era fatto versare tre dita di idromele, “Si, avete
ragione” aveva
detto, “Mi sposo” aveva tirato fuori senza impaccio.
A Ron era quasi sfuggita la bottiglia dalle dita, Hermione era saltata
giù
dalla sedia, con i capelli dritti in testa, “Per la barba di
merlino, Harry
questo è fantastico” aveva detto, raggiungendolo
dall’altro capo del tavolo per
riempirlo di baci sulle guance e stringerlo.
“Con Ginny?” aveva chiesto Ron quasi spaesato,
recuperando una presa più ferrea
sulla bottiglia, Harry aveva accarezzato la schiena di Hermione,
soddisfatto e
soffocato assieme da tutta quella gioia. “Ma certo, Roland,
con chi altro?”
aveva esclamato Hermione scandalizzata, staccandosi dal suo amico, per
guardare
il suo fidanzato leggermente furente.
Ron aveva assorbito la notizia, poi il viso stupito si era trasformato
presto
in uno carico di vita, “Oh è fantastico
Harry” aveva detto poi, “Praticamente
sarai mio fratello!” aveva aggiunto, “Nel senso:
legalmente, mio fratello lo
sei già” aveva esclamato in visibilio.
“Ci ho quasi pensato, eh, potrei essere Harry
Weasley” aveva scherzato Harry,
riuscendo a recuperare il suo bicchiere, facendo ridere anche i due.
“Si, ma
quando lo hai deciso? Come? Dove?” aveva domandato Hermione
frenetica, “Si, con
calma” aveva risposto Harry, “Vi spiego
tutto”.
La
strana
casa a due comignoli dove viveva Luna Lovegood quasi brillava in quella
notte, illuminata
da un centinaio di luci colorati, come se enormi lucciole di diverso
colore l’accerchissero.
“Sono le Brillucciole!” aveva spiegato subito Ron
riconoscendole, “Le abbiamo
create io e George” aveva raccontato, orgoglioso del suo
operato, “Per farlo ci
siamo ispirati, almeno in una piccolissima parte a come funziona il
deluminatore” aveva detto, prendendo la mano della fidanzata.
Hermione aveva guardato, come Harry, ammirata tutte quelle luci
colorate che
costellavano la casa, che nel mezzo della campagna, dava un aspetto
fiabesco
alla scena, “Sono davvero, davvero, belle” aveva
ammesso poi.
Oltre le luci, dalla casa di Luna, proveniva anche la voce allegra di
una
famosa strega americana che aveva spopolato come cantante negli ultimi
anni,
oltre che un numero imbarazzante di persone.
“Ma che succede?” aveva domandato Hermione confusa,
riprendendosi dal primo
iniziale sbigottimento, mentre Harry attraversava il cancelletto
aperto; era
stato Mihawk, il gufo domestico di Dean Thomas a raggiungerli mentre si
appropinquavano a lasciare il Paiolo Magico, saturi di cibo e idromele.
Solo
che il messaggio era di Ginny che li invitava a raggiungerla a casa di
Luna,
per ‘festeggiare’ insieme, solo che era
evidentemente l’idea di Ginny era
andata un po’ fuori controllo.
Avevano individuato immediatamente Luna Lovegood, con indosso un abito
giallo
limone, tempestato di cuori, che cercava di intavolare una
conversazione con il
suo vecchio compagno di casa, Marcus Belby, ai piedi di un laghetto.
Aveva un
bicchiere di carta in una mano e le guance paonazze. L’altro
sembrava piuttosto
contento di essere in balia di Luna.
“Harry Potter!” lo aveva chiamato a gran voce lei,
lasciando a mezza-bocca Belby,
che doveva star dicendo qualcosa, per saltellare verso di loro, per
stringere
in un abbraccio Harry e congratularsi con lui, aveva fatto lo stesso
con Ron,
prima di raccomandargli di riguardarsi da non aveva capito quale
creatura. Poi
Luna si era rivolta ad Hermione, “Dobbiamo parlare del mio
articolista!” aveva
stabilito poi la ragazza, prendendo la mano di Hermione e trascinandola
via,
senza darle l’opportunità di sottrarsi.
Una
decina di persone dopo, che si erano fermate a stringere la mano di
Harry o
dare sonore pacche di congratulazione – abbastanza facce da
non riuscire a
distinguerle – aveva perso Ron, finito alla mercé
delle gemelle Patil, ma aveva
trovato Ginny.
La sua fidanzata, bellissima, con i capelli rossi leggermente
arruffata, che
muoveva freneticamente le mani, mimando una serie di mosse del
quidditch. Era
incastrata tra un Seamus Finnigan, ben intrigato ed un Roger Davies con
l’espressione funerea, forse non tifava per le Harpies. Tutti
e tre su un
divanetto dalla pelle sbucciata a cui i piedi era ben visibile un
tappeto verde
pisello con una M argentata e libri ovunque.
Prima di poterla raggiungere, era stato arpionato da un Ernie McMillan
piuttosto alticcio, con i capelli biondi sconvolti e gli occhi
screziati di
rosso ed appannati, “Non lo fare, Harry! Non lo fare, i
matrimoni rovinano le
relazioni” aveva singhiozzato, stringendo di più
la presa sul braccio di Harry,
“Ignoralo!” aveva cinguettato Susan Bones alle sue
spalle, cercando di far
staccare la presa ferrea del vecchio studente di tassorosso dal braccio
di
Harry, “Sai, non ha mai superato la storia di
Hannah!” aveva aggiunto la
ragazza, facendo oscillare i capelli scuri.
“Si, si” aveva detto accondiscendente Harry. Non
aveva idea di a cosa si
riferisse nello specifico; ricordava che un tempo Ernie ed Hannah erano
sempre
insieme, avevano avuto una relazione? Si erano voluti sposare?
Onestamente aveva fatto in tempo a formulare quei pensieri, che Susan
Bones
aveva trascinato un singhiozzante Ernie a ballare, accanto ad un Dean
Thomas
piuttosto scatenato, che faceva piroettare una Tracy Davis –
ecco, una vecchia
compagna di scuola che effettivamente Harry non si aspettava.
“Ma c’è Harry, Ginny,
c’è Harry!” aveva strillato una ragazza
che lui sapeva
aver frequentato Hogwarts nello stesso anno di Ginny ma di cui non
ricordava ne
il nome ne la casa; “Davvero Hattie,
non lo avevamo notato!” aveva strillato Lee Jordan da sotto
l’uscio della
porta, Verity al suo fianco, priva di tutta la sua rigidezza,
ridacchiava.
Harry
aveva concesso appena uno sguardo a tutta quella scena, catturato
unicamente da Ginny. La sua fidanzata aveva alzato lo sguardo verso di
lui ed
aveva sorriso e Harry giurò di non averla mai vista
così bella, come in quel
momento.
Ginny era letteralmente balzata su, per accoglierlo con un bacio a fior
di
labbra, che nella cacofonia di voci presente nel soggiorno e nella
musica alta
proveniente del grammofono, aveva zittito tutti i rumori nella stanza.
Per un secondo erano esistiti solamente loro.
Poi era partita letteralmente un ovazione.
“Scusa,
la festa è sfuggita un po’ di mano”
aveva raccontato Ginny,
mentre lo guidava su in mansarda, era
piena di chincaglierie, polvere e ragnatele, ma il frastuono dei piani
sottostanti non arrivava.
“Ho notato” aveva detto Harry, teneva tra le mani
un bicchierino di acquavite,
dopo l’idromele della cena non era sicuro di voler
più bere, “Di buono, fino ad
un certo punte, c’è che sicuramente
c’erano George ed Angelina, giurerei anche
Percy ed Audrey!” aveva ridacchiato Ginny.
“Tua madre si arrabbierà moltissimo nello scoprire
quanta gente lo ha saputo prima
di lei” aveva commento Harry, mentre calava d’un
fiato il suo bicchiere,
imitato dalla sua futura dolce metà. “Lo sai, no?
Non mi importa!” aveva
ridacchiato Ginny, come Luna anche le sue gote erano tinte di rosso
peperone,
come Ron, anche le orecchie erano arrossite. “Sono la donna
più felice del
mondo, Harry Potter!” aveva raccontato.
Sedendosi sul pavimento di legno della vecchia mansarda,
“Tutti i miei sogni di
bambina sono realizzati, sono qui, nella mia mano” aveva
detto Ginny, mentre
Harry si accomodava al suo fianco.
“Lo sai, no?” aveva incalzato, “Sono una
giocatrice professionista di
Quidditch, sono uscita dall’ombra dei miei fratelli, ho una
famiglia che amo”
aveva raccontato, “Ho un ficus, che credici è
importante. E sto sposando l’uomo
che amo!” aveva esclamato, “Anzi ad essere onesta,
l’uomo per cui ho avuto una
cotta per gran parte della mia vita, quello per cui ad undici anni
scrivevo un
po’ ovunque ‘Ginevra Potter’ nome che
ritengo funzioni benissimo” aveva
raccontato divertita.
Harry le aveva preso una mano e baciato le dita, “Anche Harry
Weasley, per ogni
evenienza” aveva raccontato divertito, “Sul serio
lo scrivevi?” aveva chiesto
Harry, malandrino. Ginny aveva fatto roteare gli occhi,
“Giuro” aveva ammesso
colma di imbarazzo, “L’ho scritto anche sul diario
di Tom Riddle, quante risate
deve essersi fatto tu-sai-chi e forse anche su un elaborato di
pozioni” aveva
ammesso.
“Non ci credo!” aveva riso Harry, senza vergogna.
“Avevo undici anni, dai, ero l’epitome della
ragazzina scema” aveva cercato di
scusarsi, ma doveva trovare quei ricordi quanto mai divertenti,
“Snape ha fatto
tante di quelle battute” aveva detto ridendo pingue di
imbarazzo.
Harry si era sporto per baciarla ancora sulle labbra, questa volta con
più
passione, “Anche per me” aveva sussurrato,
“Tutti i miei sogni sul palmo della
mano” aveva ammesso.
“Sono
ammirata che le mie tette abbiano tutta questa
considerazione” si era
lasciata sfuggire Ginny, nell’impeto del bacio, Harry non
aveva neanche
realizzato bene, dove fosse finita una delle sue mani.
“Intendevo una donna
meravigliosa, un posto da poter chiamare casa – incluso il
ficus – e una carriera
che amo” aveva fatto una pausa, “Ed una famiglia,
numerosa, chiassosa ed
amorevole, come non mi ero neanche permesso di sognare da bambino, nel
mio
piccolo sottoscala” aveva sussurrato, baciandola ancora.
Ginny si era lasciata coinvolgere nel bacio, tirandosi Harry su di se,
“A
sentirti così, mi fai sentire, così
superficiale” si era lagnata, con un
sorriso comunque carico d’amore.
“Ma anche la tua tetta sinistra è
notevole” aveva aggiunto Harry, infilando la
mano libera sotto la maglietta di lana, Ginny senza battere ciglio
aveva
recuperato la bacchetta dallo stivale. “Colloportus”
aveva sussurrato, puntando la bacchetta contro la porta ed eseguendo un
movimento veloce con la mano; “Silencio”
si era aggiunto Harry.
Ginny lo aveva baciato ancora, tenendolo bene per il bavero del
colletto,
mentre se lo stringeva addosso, Harry aveva infilato nuovamente la mano
sotto
la maglietta, toccando con la mano la pelle bollente della sua
fidanzata.
Lei era scivolata sulle assi di legno, costringendola seguirlo, mentre
con una
mano lasciava la giacca di Harry per direzionarla verso il bordo dei
pantaloni
del ragazzo.
Ginny
si era staccata dalle sue labbra, gemendo, quando Harry aveva fatto
scivolare il pollice, sul capezzolo sotto il reggiseno, “Ma
lo sai che
tecnicamente questa casa è di Draco Malfoy?” aveva
chiesto.
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Capitolo 5 *** Storia di un uomo ***
Scusate
se
sono sparita per un mese buono, ma è stato un periodo molto
meh, cercherò di
essere più costante, comunque torno, ma torno con un
capitolo molto filler. Da
qualche parte questa trama porterà (differentemente quella
dei Benisti, che è
lì, solo per ledere i nervi di Harry) o tutto il pezzo di
Ella Weasley che
spiega le dinamiche famigliari, sarebbe stata inutile.
Inoltre, tadan, in questo capitolo appare un personaggio Rowliniano,
che in
realtà è più caratterizzato ne
‘La maledizione dell’Erede’ per quanto
lì appaia
nelle vesti della Donna Angelo, comunque, visto che per me, quel libro
non è
canon (Scusate, posso trovare delle cose positive, ma molte poche) ho
deciso di
dare la mia interpretazione.
Comunque a breve torneremo a parlare del matrimonio – e a
vederlo, anche se non
sarà subito da Harry/Ginny (sto pensando a
George&Angelina o
Percy&Audrey). Prossimamente però dovrebbe arrivare
un capitolo sugli
inviti, so che è una cosa scema, ma non vedo l’ora
di scriverlo.
Vorrei ringraziare Miss Wendy per la recensione!
Buona Lettura,
RLandH
Storia di un uomo
“Sai
che non
ci ero mai entrata?” aveva domandato Ginny, mentre con un
movimento svelto
scivolava sulla carrozza per percorrere le profondità delle
grotte della gringott.
Sebbene fosse ufficialmente cominciata l’estate e sotto il
chiaro cielo il
tempo fosse più mite, addirittura caldo, sotto terra il
clima era umido e
freddo e Ginny era stata costretta a sistemare una felpa sulla sua
maglietta.
“Io un paio di volte!” aveva detto evasivo Harry
imitandola, il folletto che
guidava il trabiccolo lo aveva guardato con una certa sufficienza,
mentre lui
alzava il polso per far scintillare il suo braccialetto. Era un
manufatto
succhia-magia, non aveva un grande effetto, ma abbastanza per
tranquillizzare i
folletti che gestivano la banca, che Harry non avrebbe cercato di fare
qualcosa
di folle. Poteva essere l’eroe del mondo magico, ma era anche
uno dei pochi ad
aver potuto raccontare di aver svaligiato la banca più
impenetrabile di
Inghilterra, forse del mondo.
“Billy dice che dovrei richiedere una camera o almeno una cassetta
personale” aveva
cominciato a parlare Ginny, mentre il goblin, faceva partire il mezzo,
“Non lo
so, però” aveva ammesso lei, leggermente turbata,
“Anche papà ha detto che i
miei soldi dovrebbero essere i miei soldi”
aveva aggiunto Ginny con una
certa cupezza, “Adesso, con il quidditch, guadagno
abbastanza” aveva
raccontato, “Mi piacerebbe, in qualche modo, ripagare i
miei” aveva confessato.
“Pur non avendo molto, i miei non mi hanno fatto mai mancare
nulla” aveva detto
Ginny, prendendo la sua mano.
Harry avrebbe voluto dirle che poteva mettere le cose con le sue, nella
camera
dei Potter, ma una parte di se, voleva sistemare tutto in quella dei
Weasley;
prima di poter parlare, il trabiccolo prese una brusca discesa.
Harry urlò senza vergogna, colto a sorpresa dalla
repentinità della svolta.
Quando si era arrestato il marchingegno, erano stati prossimi ad una
piazzola
di pietra dura, avvolti nell’oscurità.
L’unico punto di chiarore era quella di
una fiaccola, di un fuoco azzurro, però rischiarava di una
luce fievole.
“Meglio di
quella volta che siamo saliti
sulle montagne polacche, al Luna Park due estati
fa” aveva ridacchiato
Ginny, infilando le dita tra i capelli rossi, sconvolti dal viaggio,
per
sistemarli all’indietro. “Russe.
Montagne russe” l’aveva corretta Harry
bonario, intrecciando poi le sue dita con quella della fidanza.
“Tuo cugino sta
ancora con quella ragazza carina-bassina?” aveva chiesto
Ginny con genuina curiosità.
Erano stati al Luna Park con Dudley e quella che lui aveva presentato
come la
sua fidanzata. Harry ricordava quella giornata come strana ma in
qualche
maniera anche divertente. “Non lo so, ho dimenticato di
chiederlo, ma è un po’
che non ne parla” aveva valutato, forse un anno.
Per Harry era strano pensarci, come lui e Dudley avessero trovato
quello strano
equilibrio, una corrispondenza telefonica, fatta di conversazioni brevi
ogni
cinque settimane quasi.
Il goblin li aveva guardati di sbieco, prima di trotterellare davanti a
loro
per aprire la camera blindata.
La
camera di
Jeremiah Potter era alcuni piani più sotto rispetto quello
della famiglia
Weasley, ma era alcuni piani superiore sia quello dei Lestrange, sia
quello di
Harry. Non ne aveva mai avuto la certezza, ma Harry aveva sviluppato la
teoria
era che le camere erano disposte in grandezza crescente
dall’alto verso il
basso.
“Pronto?” aveva chiesto Ginny, guardandolo.
“Immagino di sì” aveva risposto incerto
lui, mentre osservava il goblin far
scattare le serrature per aprire la camera numero sei-centotrentasette.
“Ecco
signor Potter, la camera blindata della famiglia Potter, l’altra”
aveva
detto leggermente risentito la creatura, mentre Harry entrava nella
stanza, tenendo
la mano di Ginny.
Aveva capito che i folletti non erano mai troppo inclini a sbottonarsi
sulle
loro ‘custodie’. Harry aveva ricevuto la sua chiave
della banca quando aveva undici
anni, da Hagrid, immaginava conservata da Silente, ereditando tutto
ciò che
Fleamont Potter (e poi suo padre James) avevano riposto lì,
per lui. Nonna
Weasley, però, dopo la sua visita a sorpresa al pranzo della
domenica di
qualche settimana prima, gli aveva rivelato che in quanto ultimo della
sua
famiglia poteva accedere anche all’eredità
lasciata da Jeremiah Potter, morto
nel mille-novecento-settantadue, un suo cugino di non sapeva quale
grado.
‘Oh, non che ci troverai niente di interessante, il
tuo bisnonno Henry si
beccò il tesoro della famiglia, inoltre Charlus era
divertente, ma non molte
ambiziose e Jemmy, ragazzo adorabile, ma era anche uno spendaccione’
aveva
preannunciato Ella Weasley, quando aveva rivelato l’esistenza
di quella camera
blindata.
La
camera
lasciata da Jemmy conteneva del denaro, non molto, un mucchietto
sistemato in
due colonne di galeoni d’oro splendente, non più
alte di un palmo, sistemate su
un tavolino tondo basso di legno lucido-rossastro, sorprendentemente
conservato
bene. Quello di cui era però piena la stanza erano quadri,
appesi sulle pareti,
fino a coprire la roccia di cui erano fatte. Quasi tutte ritraevano
figure
umane, piuttosto turbate dalla luce delle bacchette che aveva dovuto
disturbare
il loro buio. Non mancavano anche ragnatele degne di Aragog e della sua
progenie
né altre cianfrusaglie di dubbio gusto, che facevano
apparire la casa di Luna e
Dean, quasi, sobria.
C’erano anche un paio di spioscopi niente male e molti libri,
che avrebbero
reso Hermione piuttosto interessata, almeno credeva Harry. I libri
erano
impilati sia in ordinate file su delle mensole, sia in colonne
piuttosto
precarie che si alzavano verso il soffitto, come una piccola miniatura
della Stanza
delle Necessità in una delle sue versioni più
note.
“Non vedevo tutti questi libri da quando ho preparato i
M.A.G.O.; ricordo che
Hermione aveva cercato di seppellire tutta la Sala Comune di Grifondoro
tra le
pergamene” aveva raccontato Ginny, scavalcando un calderone
rovinato, “Oh!
Guarda Harry, qui c’è scritto,
‘Calderoni Potter, dal XII secolo’” aveva
letto
Ginny, ammiccando alla targhetta d’argento lucente, non
mangiata dalla ruggine,
sul paiolo.
Harry aveva sorriso, “Ho scoperto, anche grazie a tua nonna,
che i Potter sono
sempre stati legati al Pozionismo” aveva ammesso,
“Letteralmente il tuo nome
vuol dire vasaio” aveva sottolineato Ginny con una
mezza-risata.
Harry aveva scosso il capo, “Mio nonno ha creato la pozione
per allisciarsi i
capelli che usa perfino Hermione” aveva raccontato Harry,
“Se consideri che il
professor Slughcorn mi ha detto che mia madre era davvero brava,
allora, io
devo essere stato lo schiopposparacoda della mia famiglia”
aveva
ammesso, con una punta di rammarico.
Ginny aveva lasciato perdere il calderone, “Non credo fosse
proprio colpa tua”
aveva detto allusiva. “Ho grande stima del professor
Snape” aveva cominciato
Harry, “Ma possiamo ammettere che come insegnante aveva le
sue pecche” aveva
cercato di essere accomodante poi lui, Ginny aveva roteato gli occhi,
“Diciamo
che faceva schifo”
aveva concluso lei.
Harry
e
Ginny si erano guardati intorno, incuriositi, “Non so neanche
qualificare
queste cose” aveva ammesso la ragazza con un tono basso,
mentre raccoglieva un
libro da mostrare ad Harry, era rivestito in cuoio e sembrava antico,
sulla
copertina c’era inciso a caratteri d’oro,
‘Il mito di Prometeo’.
Harry aveva guardato gli altri libri con un vago interesse,
“Credo fosse un
collezionista di qualsiasi cosa” aveva considerato, prima di
lanciare uno
sguardo all’immagine di una foto in bianco e nero, che era
stata accatastata su
un vecchio mobile di legno mangiato da tarli. C’era un uomo
giovane, con il
viso pallido, una spruzzata appena di lentiggini ed occhi scuri
nascosti dietro
lenti.
Aveva ragione Nonna Weasley nel dire che i Potter sembravano fatti con
lo
stampino, quello nel ritratto era ovviamente un suo parente, i capelli
indisciplinati ritti sulla testa, erano riconoscibilissimi.
“Credi fosse lui,
Jemmy?” aveva chiesto retorico, “In qualche modo mi
ricorda Sirius, sai il
sorriso” aveva provato Ginny con un certo disagio, forse
spaventata nel dirlo
ad alta voce. “Si, deve essere il figlio di Charlus Potter e
la Black” aveva
valutato con un tono calmo.
“Era un grifondoro, come tutti!” aveva valutato
Ginny, riferendosi a Jemmy –
sedicenne? – nella foto, che strizzava l’occhio
verso l’obbiettivo, con indosso
l’uniforme di quidditch e la blasonatura del leone rampante.
In quella foto lì,
in quella posa, Harry poteva riconoscere tutta la sfrontatezza che
aveva veduto
in suo padre e di Sirius, nei ricordi di Piton, come aveva detto Ginny.
Qualcosa che lo disturbava e allo stesso tempo li riempiva il cuore.
“Chissà
se
era un cercato come te” aveva valutato la sua fidanzata,
passandosi una mano
sotto il mento.
Eccone un altro, aveva pensato Harry, un altro
membro della sua
famiglia, che non avrebbe mai conosciuto; non sapeva neanche quanto
lontano
fosse il suo sangue da quello di Jemmy Potter, ma sentiva in quel
momento un vuoto
allo stomaco, come quando si era trascinati via da una passaporta, solo
che in
questo caso era puro e semplice rimpianto.
Forse aveva visto Charlus e Jemmy nei riflessi di quella famiglia che
gli si
era parata davanti quando aveva guardato nello Specchio delle
Emarb, quando
aveva undici anni. Si chiese se guardandoci ancora una volta, da
adulto,
avrebbe restituito la stessa immagine.
Poi
accanto
alle foto aveva trovato un plico di fogli di carta ruvida, piegati
più volte,
l’uno sull’altro e fermati con lo spago, ne aveva
sciolto il lembo per
prenderli, mentre osservava Ginny con la coda dell’occhio, si
era allontanata
da lui, attirata da un baule
fermato con
un lucchetto.
‘Mio adorato Jeremiah,
oggi ti penso, non
meno intensamente di
come ho fatto ieri e di come temo sarà il mio avvenire.
Eternamente tua,
Laura’
La prima lettera che aveva letto, riportava solo quel breve
messaggio, la
data era sbavata nel giorno e nel mese, ma l’anno era
leggibile,
millenovecento-settantatre, un anno dopo la morte di Jeremiah Potter.
Immaginò che qualcun altro avesse posto quella lettera
lì e che il suo lontano
cugino non avesse avuto l’occasione di leggerla.
“Laura” sussurrò, neanche
sicuro di sapere come avrebbe dovuto leggere quel nome.
Era curioso di sapere cosa dicessero le altre lettere, se avesse potuto
capire
qualcosa dalle risposte che aveva ricevuto del suo parente, anzi dei
suoi
parenti.
“Qualcosa che le interessa, signore?” aveva
domandato il folletto, Harry aveva
sventolato la lettera, “Questa. Chi la ha messa
qui?” aveva chiesto poi, “Il
signor Potter, suo nonno” aveva rivelato l’elfo.
Suo nonno Fleamont, di cui
Harry conosceva l’aspetto per la foto di una vecchia edizione
della Gazzetta
del Profeta, datata negli anni trenta, e poco altro. Forse era stato il
parente
più prossimo di Jeremiah e si era dovuto occupare di
ciò che era rimasto di lui.
“Harry! Harry! Vieni” aveva sentito Ginny
chiamarlo, era con le ginocchia per
terra, vicino al baule che era riuscito ad aprire, aveva tirato fuori
una serie
di pergamene, scritte fittamente, non tutte in inglese, ma anche due
libri.
Uno dei libri era più nuovo, nel senso che era
più recente, perché nuovo
non sarebbe mai andata bene come definizione: i bordi erano rovinati,
le pagine
ingiallite, il dorso completamente scollato.
“ ‘Sanguepuro: resoconto di un
elitè decadente’” aveva letto
il titolo
Harry, “Di Rita Skeeter” aveva valutato, non
trattenendo una smorfia.
Aveva preso il libro, per guardarlo meglio; la copertina ritraeva la
figura di
un mago stilizzato, con la tunica ed il cappello appunta, una figura
totalmente
nera, cui alcuni accenni di capelli, di naso e le pieghe del vestito
era fatte
in bianco. Asoolutamente bidimensionale, il mago nero, era
scompostamente stesa
su quella che pareva un’ottomana di un prugna intensa.
L’aria era pregna di
fumi grigi che continuavano, vivi, a vorticare su una copertina verde
acido.
Il retro della copertina riportava, invece:
Esordio
alla
scrittura per la giovanissima Reeta Skeeter, un affresco affascinante,
pungente
e – notevolmente – scandaloso della giovane classe
elitaria dei maghi
purosangue, dell’Inghilterra, dal secondo dopo guerra alla
fine degli anni
sessanta.
Reeta Skeeter fa dei suoi personaggi un’analisi ardita,
minuziosa e spietata,
trasportando nella loro piena tridimensionalità le
personalità più discusse e
fosche nel mondo magico, nel secolo breve; svelando quei pettegolezzi
piccanti,
quei vizi, quelle oscenità che avevamo sempre sospettato e
mai osato chiedere.
Robaccia,
decise,
facendo cadere il libro per terra, “Mi chiedo quante
stronzate abbia scritto”
aveva detto senza vergogna Harry, facendo ridacchiare Ginny, che gli
aveva
passato l’altro libro, “Forse questo ti interessa
di più” aveva detto, dandoli
l’altro libro, era più antico ma trattato
decisamente meglio, “’Pentolai e
Calderoni: storie di vasai’”
aveva detto Ginny.
Non conosceva l’autore di questo libro, ma gli
bastò sfogliare un paio di
pagine, per vedere il cognome Potter spuntare fuori diverse volte.
“Probabilmente questo me lo prenderei” aveva detto
Harry, sentendo per la prima
volta la frustrazione del non essere mai stato capace in quella materia
che
letteralmente doveva essere corsa nel suo sangue.
“Il
libro di
Rita Skeeter lo porto a mia madre, non credo ci sia nulla di utile o di
vero,
ma se era qui, forse qualcosa di valido c’è,
no?” aveva proposto Ginny.
“Possiamo portarli fuori?” aveva chiesto Harry al
folletto, “Questa camera
appartiene alla famiglia Potter” aveva detto con una certa
riottosità quello,
però concedendo di poter portare via ciò che
desideravano.
Ginny aveva raccolto da dentro la sua tracolla la borsa espandibile di
Hermione
ed aveva sistemato i due libri al suo interno, Harry ci aveva infilato
dentro
anche le altre lettere che aveva trovato assieme a quella di Laura. Poi
si
erano messo a cercare altro, anche se Harry stesso non aveva idea
esattamente
di che cosa, qualsiasi cosa. Nel dubbio aveva preso anche la foto di
Jemmy
Potter ed il suo sorriso un po’ storto che ricordava Sirius
Black.
“C’è un ricettario scritto a
mano” aveva detto Ginny, “Ci riproviamo con i
libri di pozioni scritti a mano o lasciamo perdere?” aveva
domandato retorica,
“Prendilo, si” aveva concesso Harry.
“Salve, giovani fanciulli, è molto che qualcuno
non scendeva in questo aspro
antro; prendete anche me, sono satura dell’essere
qui!” aveva sentito una
vocina chiamarli, sul pavimento, posata contro la parete, stava il
quadro di
una bella donna.
Lei aveva il viso roseo, dalla forma tonda, e le gote arrossate, i
capelli
erano di un biondo fragola, sistemati in due trecce che scivolavano su
un petto
pieno. La donna indossava un corsetto ed una generosa scollatura a
barca, le
maniche piene, composte da diversi sbuffi, che facevano apparire le
braccia
come due fisarmoniche. “Oh!” aveva detto Harry
confuso, l’unico quadro
domestico con cui aveva avuto a che fare fino a quel momento era stato
Phineas
(o la mamma di Sirius). “Sei sicura?” aveva chiesto
leggermente in imbarazzo,
“Si!” aveva risposto la donna, “Non sono
fatta per vivere in questo buco nella
terra” si era lamentata lei.
Ginny lo aveva superato per chinarsi a raccogliere la donna,
prendendola
delicatamente dal bordo di legno, poi si era presentata ed aveva
presentato
Harry a sua volta. La fanciulla aveva sorriso quando aveva sentito il
suo
cognome, “Io fui Iolanda Potter!” aveva detto
euforica, “Potrei essere la tua
bis-bis-bis … - nonna o zia, per quel che
sappiamo” aveva stabilito lei. Ginny
l’aveva infilata nella borsa, “Fanciulla, vi
chiedo, di esser più garbata nei
modi!” aveva languido il quadro di Iolanda.
“Oh, mi scusi!” aveva strillato Ginny, prima di
alzare lo sguardo e sorridere
verso Harry.
Lui le aveva sorriso di rimando.
Si
erano
guardati ancora un po’ intorno, alla ricerca di altri
oggetti; Harry aveva
trovato un'altra cassa piena di foto, alcune erano di Jemmy Potter,
ragazzino,
forse aveva undici o dodici anni, tutto orgoglioso nella sua uniforme
con lo
stemma grifondoro, insieme a suo padre Charlus –
sì, Nonna Weasley aveva avuto
ragione con il dire che non fosse esattamente una bellezza –
e sua madre, una Black
fino alla punta dei capelli. Tutti e tre sorridevano pieni di vita e
gioia
verso l’obbiettivo, alle loro spalle, compariva
l’espresso per Hogwarts.
C’erano altre foto di Charlus e sua moglie giovani
adolescenti, da soli ed
insieme. In una Harry giurò di aver riconosciuto anche una
Ginny dai capelli
scurissimi – forse Ella – sullo sfondo, che
guardava un po’ torva l’obbiettivo.
Poi aveva recuperato un’altra foto, non aveva cornice ed era
spiegazzata,
figurava una ragazza, indossava l’uniforme di corvonero, era
seduta a gambe
incrociate su un muretto, aveva un libro aperto sulle gambe e
ciclicamente
alzava lo sguardo da quello per guardare l’obbiettivo, sempre
troppo in fretta
per studiarne bene il viso. Aveva capelli scuri e ricci, anche se il
bianco-e-nero
non permettevano di riconoscerne la tonalità precisa, che le
cadevano sul viso.
Aveva girato la foto solo per vedere se c’era scritto
qualcosa, una sola
parola: Laura. La ragazza che aveva scritto il messaggio?
Voltò di nuovo la foto e cercò di studiarla nel
dettaglio, di racimolare
qualcosa, qualsiasi cosa.
Ginny si era avvicinata a lui, per guardare la foto con lui,
“Oh!” aveva
commentato.
“I babbani hanno in fermo immagine” aveva ammesso
Harry, “Ma lei è troppo
veloce, non riesco a guardarla bene” aveva confessato.
Ginny aveva tirato fuori la sua bacchetta, “Va bene, signor
Auror” lo aveva
canzonato, “Retardat”
aveva sussurrato, un filo argenteo era scintillato dalla punta della
bacchetta,
colpendo la foto. “La Gringott non si fida a farmi praticare
la magia al suo interno”
si era giustificato Harry.
Il movimento ciclico di Laura si era rallentato, come nei video delle
vecchie
cassette babbane che Dudlay guardava da bambino.
Il viso pallido di Laura era fiorito chiaro, tra i riccioli scuri e una
sensazione di famigliarità era sorta in lui, come quando
aveva visto le foto di
Jemmy e ci aveva ritrovato suo padre e Sirius. Anche Laura somigliava a
qualcuno.
“Prendiamo anche questa?” aveva chiesto Ginny,
“La tengo io” aveva risposto
Harry, ripiegando la foto ed infilandola nella tasca sul retro dei
pantaloni.
La sua fidanzata aveva annuito, “Oh, potrei essere
gelosa” aveva cinguettato,
dandoli poi un buffetto con il gomito.
Harry aveva ridacchiato.
“Per quanto mi piacerebbe stare qui, temo di dover andare
agli allenamenti”
aveva rivelato Ginny, mettendo le mani sui fianchi, “Oh,
l’incontro con le
Valchirie andrà uno schifo” aveva aggiunto.
Era una squadra di quidditch Danese. “A proposito, ho parlato
con il Direttore,
uscirò un’ora prima da lavoro ed ho già
preso già ordinato una passaporta per
essere alla partita” le aveva comunicato Harry con un sorriso
onesto. Ginny si
era sporta per baciarlo sulle labbra, “Mi dispiace”
aveva detto lei, “Per
cosa?” aveva chiesto confuso Harry,
“Perché il campionato di Quidditch ci ha
praticamente reso impossibile scegliere una data in estate”
aveva ammesso lei.
“Personalmente, inverno, estate o quale stagione, la mia
unica richiesta per il
matrimonio e che tu ci sia” aveva ammesso lui. Dandole un
bacio sulla tempia,
Ginny aveva ridacchiato.
“Va bene, andiamo” aveva impartito la sua
fidanzata, “Dobbiamo anche passare a
casa per assicurarci che Kreacher non abbia ucciso Grattastinchi”
aveva considerato, “Più il contrario”
era intervenuto Harry.
Kinglay aveva obbligato Hermione a prendersi una settimana di ferie,
visto lo
stakanovismo con cui si era dedicata al lavoro in ministero;
perciò Ron l’aveva
portata in vacanza – se Harry non sbagliava, erano andati a
trovare Neville,
che stava svolgendo delle ricerche alle galapagos – e loro si
era guadagnati il
baby-sitting di Grattastinchi. “Ed io devo andare a lavoro,
sono Harry Potter,
ma non posso comunque prendermi tuti questi giorni” aveva
ridacchiato lui.
“Salve
signor Potter!” erano stati intervallati da un
infinito numero di ‘Oh,
ciao
Harry’ per tutto il tempo che aveva impiegato
nel percorrere i corridoi del
Ministero e l’ascensore, fino al corridoio degli auror.
Qualcuno lungo la
strada si era anche fermato a sussurare ed addittarlo, come se Harry
fossero
ancora la celebrità del mondo magico e non l’Auror
che calcava quei corridoi
cinque – se non sei – giorni la settimana.
Quando aveva imboccato il suo reparto, i salve si erano fatti
più cenni
cordiali. Harry adorava i suoi colleghi, perché avevano il
naso sempre infilate
nelle pratiche dei loro casi, da notarsi a stento l’un
l’altro.
Aveva raggiunto la sua scrivania, con un passo un po’ lento,
contrito dal
lavoro che lo aspettava.
“Di buon ora, capo” era stato accolto da una voce
appena un po’ puntigliosa,
sulla scrivania affrontata alla sua Ria era già sistemata, i
capelli scuri
raccolti in una crocchia traballante e la camicia leggerà
medita di sudore. “Il
gatto ha cercato di strapparmi via la faccia” aveva ammesso,
“Ha un infezione
alle orecchie e non gradisce prendere la medicina” aveva
raccontato.
Ria aveva sollevato lo sguardo, il viso serio si era incrinato con una
smorfia
divertita, “Il grande e potente Harry Potter, salvatore del
mondo magico e auror
indaco,
affronta l’unico nemico che non può vincere
– un gattino” l’aveva presa in giro
a spada tratta Ria.
Era la sua partner da un paio di mesi, sul campo, avevano avuto un
inizio un
po’ roccioso –
Ria d’altronde, sapeva
cavarsela meglio con le creature che con le persone – ma
Harry, ora, poteva
dire fossero sulla stessa lunghezza d’onda.
“Fidati, ho affrontato draghi più
docili” aveva detto lui, sornione, prima di
sedersi alla sua sedia.
“Novità?” aveva chiesto Harry.
“Aye” aveva risposto Ria, “Sta mani
mentre tu andavi in giro per Camere Blindate,
l’ufficio per l’Uso improprio dei Manufatti dei
Babbani, ha ricevuto una
denuncia per sospetta attività magica a Portobello
Road” aveva cominciato a
raccontare lei, aprendo una cartellina, “In realtà
queste le ha portate
personalmente il tuo futuro suocero, peccato che abbia trovato solo
me” aveva
detto, con un sorriso un po’ mesto.
Harry aveva drizzato le orecchie, mentre osservava Ria raccogliere la
sua
bacchetta, che teneva poggiata sul tavolo e dopo aver pronunciato un
incantesimo
silenzioso, un foglio era schizzato immediatamente verso Harry.
L’aveva preso a volo.
Era una foto, di un muro, dove era stata dipinta una B, aguzza.
“Benisti?”
aveva domandato Harry, “La vernice è
incantata” aveva spiegato subito Ria, “Non
viene via, neanche con i Gratta e Netta” aveva ammesso Ria,
“Però non è questa
la parte peggiore” aveva ammesso Ria, “Qual
è?” l’aveva imbeccata Harry,
“Per
tutta la via si sono verificati fenomeni magici semplici”
aveva
raccontato Ria, “Gli oblivatori si sono già
assicurati di aver ripulito tutte
le memorie babbane, però …” aveva detto
la sua partner.
Aveva fatto una pausa.
“Però è strano, no?” aveva
chiesto retorica, “Non hanno distrutto cose,
attaccato persone, no, loro hanno fatto lievitare bidoni ed animato
idranti.
Non ha senso, no?” aveva domandato retorica Ria.
“Be, si, è strano” aveva concesso Harry,
“Siamo passati, da vandalismo ai
simboli della storia magica a … bidoni volanti?”
aveva valutato lui.
“L’altro mese, hanno distrutto la Biblioteca Magica
di Glasgow provocando un
allagamento ed ora …” aveva ripreso Ria.
“Strano” aveva concordato lui.
“Era decisamente più facile, quando trovavi un
teschio gigante che vomitava un
serpente nel cielo, almeno sapevi cosa aspettarti” aveva
borbottato Ria.
Harry le aveva lanciato uno sguardo un po’ sbieco,
“Scusa!” aveva esclamato lei
poi, portandosi le mani alla bocca, cotta di imbarazzo.
“Andiamo a Portobello?” aveva domandato Harry,
sollevandosi dalla sua sedia, la
donna l’aveva imitato subito, recuperando la sua giacchetta
dallo schienale
della sedia. Era un giugno piuttosto caldo, ma Ria, come diceva lei,
non poteva
rinunciare ad uno stile impeccabile.
Harry doveva ammettere che non fosse mai stato molto conscio
sull’argomento, ma
era abbastanza certo che Ria, con i suoi vestiti sgargianti ne avesse
un’idea
tutta sua.
Non si vestiva come una strega, ma la moda babbana che seguiva era
ferma agli
anni settanta, almeno per l’utilizzo dei colori e gli
abbinamenti. Quel giorno
esibiva una giacchetta smanicata di un azzurro tecnicolor.
“Tecnicamente, sai che gli auror avrebbero una divisa
standard, si?” aveva
domandato retorico lui. Ria aveva riso, “Per sette anni ho
dovuto seguire il
codice d’abbigliamento di Hogwarts, rigidissimo, il ministero
richiede davvero
poche restrizioni” aveva raccontato lei, “Tipo
gonne non più corte del
ginocchio” aveva aggiunto, dandosi un pacca su una coscia,
avvolta da pantaloni
lunghi.
“Senti Ria, volevo chiederti una cosa” aveva
cominciato lui.
“No, non ti sta bene quel colore” aveva risposto
Ria schietta, “Un verde
bottiglia, si accorderebbe ai tuoi occhi” aveva detto,
pizzicandoli la manica
della giacca grigio tortora. Harry l’aveva ignorata,
recuperando la foto dalla
tasca dei pantaloni, quando tornato a casa si era cambiato, si era
assicurato
di recuperare anche la foto.
“Conosci questa persona?” aveva chiesto, dandole la
foto di Laura, ancora
vittima del rallentamento di Ginny.
Ria aveva crucciato le sopracciglia spesse e scure, “Uhm,
si” aveva risposto
poi, Harry l’aveva guardata, facendo un cenno con la testa,
invitandola a
continuare. La sua partner aveva questa sgradevole abitudine di non
riuscire
mai a tenere un discorso per filo e per segno, ma di aver bisogno di
continue
pizzicate. Si chiedeva come avesse affrontato le interrogazioni ad
Hogwarts.
“Oh, si, è mia zia Laura, la sorella di
papà. Sai, praticamente mia sorella, si
chiama così in suo onore. Praticamente è lo
stesso nome” si era sbottonata Ria.
Non si era sbagliato, quando l’aveva vista aveva percepito un
senso di famigliarità,
somigliava a Ria.
“Laura Greengrass” aveva
valutato Harry.
“Perché ti interessa, signor Potter?”
aveva domandato Ria, invece, aggrottando
le sopracciglia, mentre percorrevano il corridoio. Non si poteva
smaterializzare all’interno del ministero, potevano solo
prendere un camino.
“Una questione privata” aveva risposto lui incerto.
“Quando un auror zelante come Harry Potter fa domande su un
antica famiglia
purosangue, ti preoccupi, specie se è la tua”
aveva commentato Ria.
“A volte mi dimentico che sei una purosangue” aveva
ammesso Harry, sfornzandosi
di non far sembrare quella frase come un complimento.
Non era colpa di Ria la sua nascita, come non lo era mai stata di
Hermione.
Erano sempre le decisioni che ci definivano.
Ria aveva ridacchiato, per nulla offesa, “Colpa di Hattie
Bahmra ed i Queen in musicassetta
– ingegnosi questi babbani” aveva risposto la sua
partner.
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Capitolo 6 *** E venne il giorno … ***
Aggiorno in
questo tetro orario perché non avevo altro
tempo. Prima di tutto comunicazione urgente: per le prossime tre
settimane sarò
senza internet fisso (sad-story) quindi sicuramente non
aggiornerò, proverò a
ritagliare comunque il termine per scrivere.
Comunque, questo capitolo non doveva essere questo capitolo,
però mi sembrava
carino, se avete altri personaggi di cui vi piacerebbe vedere la
reazione,
ditemelo.
Detto questo, ammetto di essermi divertita nel scriverlo.
Un bacio
RLandH
E
venne il giorno …
“Devo
alzarmi” aveva detto Hermione, ma Ron le aveva messo un
braccio intorno al
braccio tirandola nuovamente verso di lui, “No”
aveva detto chiaro.
“Anche tu devi alzarti. Devi andare al negozio”
aveva chiarito Hermione, prima
di lascarsi andare ad una risata frizzantina, non così
interessata a sgusciare
alla presa di Ron.
“No. Andrò in negozio per le dieci”
aveva stabilito, “Lascerò a George tutto il
piacere di godersi le urla da Fwooper di Verity” aveva riso
Ron, baciandole il
retro dell’orecchio.
Hermione si era rovesciata prona
sulla
schiena, sfuggendo alle sue braccia, ma arrendendosi a rimanere sul
letto.
“Oggi è domenica. Io non ho fretta e tu non devi
andare al ministero” le aveva
ricordato Ron.
Hermione aveva annuito, “E che lo sai che non mi piace stare
con le mani in
mano” aveva ammesso la donna, “Ci sono sempre
così tante cose da fare, in una
giornata” aveva aggiunto.
“Potrei andare da tua madre ed aiutarla con il
pranzo” aveva proposto.
“Sareste troppe in cucina, oggi” aveva ghignato
Ron, “Ci sono già Fleur e
Audrey” aveva precisato.
Suo fratello Percy si era deciso a presentare alla famiglia la sua
nuova
fidanzatina.
Ron si era fatto un sacco di idee su come potesse essere la ragazza di
suo
fratello, per lo più aveva immaginato una virago, tutta
spigolosa con qualche
bitorzolo in faccio, una specie di Megera, doveva confessare.
Non aveva avuto torto in tutto. Audrey era una megera, nel termine
più biologico
possibile. Aveva sangue di Megera nelle vene, anche se non lo sembrava
per
niente, con il suo viso pulito, la faccia tonda e carina …
E vestiva in jeans chiari e magliette con frasi spiritose, che Harry ed
Hermione avevano trovato molto divertenti, a differenza loro.
Si erano tutti un po’ preoccupati, solo quando, aveva tirato
una guancia di
Victoire, dicendo che erano così paffute da volerle mangiare.
“Immagino che i tuoi fratelli faranno battute per tutto il
pranzo, allora”
aveva detto Hermione, gonfiando le guance.
“Mica è colpa nostra se le Megere mangiano
Bambini” aveva risposto Ron, scanzonato.
Grattastinchi, quatto, con le sue gambe storte aveva compiuto un balzo
dal
pavimento per raggiungerli sul letto.
“Ronald Bilius Weasley, sai perfettamente che sono solo
fandonie” aveva
replicato Hermione.
Ron si era sporto per baciarla sulla punta del naso.
“Lo so, ma mi diverte comunque” le aveva detto.
Grattastinchi aveva trovato la sua alcova sul ventre di Hermione, che
aveva
cominciato ad accarezzarlo mollemente.
“Mi piace Audrey, anche se mangia i fegatelli
crudi” aveva concesso la ragazza.
Ron aveva ridacchiato.
“Chi sa se Audrey accetterà di diventare Audrey
Weasley” aveva lasciato scivolare
Ron, fuori dalle sue labbra.
“Vogliamo parlarne ancora?” aveva chiesto Hermione.
Ron si era aspettato un tono più burbero ed anche seccato,
ma quello della
ragazza era stato calmo, aveva sollevato una mano mostrando
l’anello d’oro
bianco che ornava il suo dito.
“Solo che non capisco” aveva ammesso Ron onesto.
Si erano sposati di fretta e furia, mossi da un sentimento
così impellente che
Ron non credeva di aver mai provato ed anche Hermione con il tempo
aveva
ammesso di non aver mai sentito una spontaneità
così forte.
Erano andati in vacanza, letteralmente costretti, da Kingslay, e mentre
giravano per le Galapagos, erano stati mossi da quella follia.
Sua madre non gli aveva ancora perdonato l’aver perso il suo
matrimonio –
nonostante Hermione e Ron avessero giurato più volte di
rifare una cerimonia
più tradizionale, meno pomposa di quella che Harry e Ginny
continuavano a
rimandare, probabilmente dopo questi due.
“Per quanto i Weasley siano stati percepiti come Traditori
del Proprio Sangue,
rimangono una famiglia appartenente alle Sacre Ventotto, con parentele
con i
Black ed i Prewet” aveva risposto Hermione,
“Granger non vuol dire niente. Io
sono Granger”
aveva ammesso.
“Sei solo una delle persone più note del mondo
magico” aveva dichiarato Ron.
“Si, ma … lo sono io, l’ho fatto io,
nessuno mi ha regalato mai nulla” aveva
sussurrato Hermione.
“Hai ragione, a me, il mio cognome ha semplificato la vita e
mi ha aperto tutte
le porte” aveva risposto Ron, seccato.
La questione del cognome di Hermione andava avanti da mesi, ormai.
Hermione si era sporta per baciarlo sulla guancia, “Hai
ragione, sono stata
ingiusta” aveva ceduto, “Diciamo che è
una tradizione della mia famiglia” aveva
ammesso, “Anche mia madre è Helen Beuchamp e non
è mai diventata Helen Granger”
aveva chiarito.
Ron aveva un’idea un po’ offuscata della madre di
Hermione; una donna
incredibilmente ordinaria rispetto alla figlia, una figura un
po’ fumosa.
“Si, diceva che visto che sulla laurea c’era
scritto Dottoressa Helen Beuchamp,
sarebbe stato strano presentarsi come Granger, no?” aveva
chiesto retorica.
“Immagino di sì” aveva ammesso Ron, non
molto convinto.
Hermione si era tirata su, mettendosi a cavalcioni, per baciare poi Ron
sulle
labbra, “Vuoi davvero pensare a questo? In questo
momento?” aveva
chiesto allusiva lei.
Non era mai stata una persona sfacciata, almeno non in
quell’ambito, Hermione,
Ron, d’altro canto, era sempre stato più irruento
di lei, anche se spesso
piuttosto impacciato nell’azione; avevano dovuto lavorarci un
po’, avevano decisamente
trovato la loro sintonia.
“No. Direi di no. Signora Granger” lo aveva presa
in giro Ron, porando una mano
sulla collottola di Hermione e facendo pressione su un gomito per
sollvare
appena la schiena ed andarle incontro per un ulteriore bacio.
Poi qualcosa si era schiantato contro la finestra della camera.
“Ma che ..” aveva detto Hermione.
“Leo!” aveva strillato Ron, riconoscendo il suo
piccolo gufo agitato, che
continuava a picchiettare con il becco contro il vetro della
finestrella sul
soffitto.
Lui ed Hermione vivevano in una piccola mansarda a Diagon Alley.
“E
se
dovesse farci mangiare fegatelli crudi?” aveva chiesto Molly
Weasley,
continuando a dondolare ai piedi del letto, mentre se ne stava in piedi
a spazzolarsi
i capelli, al rosso ramato s’era cominciato ad aggiungere con
sempre più
insistenza fili, sempre più spessi, di grigio-bianco.
“Allora mentre nessuno guarda,
ti preoccuperai di cuocerli” aveva specificato Arthur, che
non condivideva la
stessa apprensione della moglie per Audrey.
A lui era sembrata proprio una brava ragazza che aveva la sua stessa
smodata
passione per i babbani. Sì, certo, Audrey aveva una nonna
Megera, ma nella vita
nessuno era perfetto. Inoltre, sia Percy sia la ragazza avevano
spergiurato più
volte che nessuna megera mangiasse bambini e che erano ignobili
calunnie messe
in giro dall’élite di maghi puristi e cattive
leggende babbane.
Poi Audrey rendeva Percy felice, condizione a cui, il suo figlio
mezzano,
secondo Arthur, tendeva a non essere molto avvezzo. E come padre
riteneva fosse
quella la sua priorità.
Era sempre stato difficile entrare in relazione con Percy e gli anni
precedenti
alla guerra, avevano tracciato una ferita che, ancora in quel momento,
di tanto
in tanto sanguinava.
Era brutto pensare per Arthur che a volte, tutta l’acredine
che aveva provato
per il rifiuto a cui suo figlio l’aveva costretto era
smorzato dal dolore di
poterne perdere un altro. Avrebbe perdonato Percy sicuramente, senza
ombra di
dubbio, perché era il suo bambino.
Eppure a volte, pensava che lo avessero fatto, perché
avevano già perso un
figlio. Era un pensiero meschino, il più meschino che avesse
mai avuto.
Molly,
d’altronde,
non parlava mai di Fred, non voleva mai parlare di Fred.
Voleva
che
fosse un dolore suo e solo suo, come se non pronunciandolo ad alta voce
non
fosse reale. Arthur l’aveva trovata diverse volte, seduta
nella stanza, nel
guardare le foto sorridenti dei gemelli e l’aveva vista
singhiozzare, dandosi
colpe che non aveva.
La verità era che anche Arthur non sapeva cosa fare, anche
dopo più di quattro
anni non sapeva ancora cosa fare, non sentire la sua voce, non vederlo
a
tavola, avere l’impressione di sentire la sua scesa pesante
dalle scale la
domenica mattina; qualche tempo prima sua madre, la stoica e mai
emotiva Ella,
gli aveva detto che quella frasaccia ignobile che
il tempo l’avrebbe
reso più semplice era una menzogna bella e buona.
“Il tempo, Art, lo renderà solo
più sopportabile” aveva detto con la sua
voce gracchiante e le mani gialle come la pergamena, “Non
c’è giorno in cui
prima di svegliarmi io non pensi al mio Billy e le sue guanciotte rosse”
aveva detto.
“Lo
so, solo
che non posso che essere preoccupata, no? Sono i miei
bambini” aveva detto
Molly apprensiva, “Ieri erano così piccoli ed
oggi: Bill ha una moglie ed un
figlio, Ginny sta per sposarsi, anche Harry, Ron ed Hermione che
l’ha fatto di
nascosto – disgraziati!” aveva
cominciato ad elencare la donna, con un
tono tutto sommato pieno di gioia.
“E poi ci sono quei tre sciagurati” aveva ripreso
più acre, “Percy che si è
invaghito di una megera dal giorno alla notte” aveva detto
melodrammatica sua
moglie.
“Non è proprio così Molly”
aveva provato con dolcezza ad interromperla Arthur.
“George che continua a ballare con Angelina come se fossero
due adolescenti invece
di sistemarsi per bene” aveva ripreso mordace sua moglie.
“Tesoro, George è un uomo adulto ed anche
Angelina, sono certo che i due
sappiano cosa stanno facendo” aveva provato ancora lui.
“E Charlie che proprio non ne vuole sapere di farmi
contenta” aveva languito la
donna, “Molly, è più probabile che
Charlie sposi un drago che una persona”
aveva provato Arthur con un po’ più di vigore.
Anche Bilius era stato così ai suoi tempi ed anche zia Tess,
certe persone
della loro famiglia, le relazioni romantiche sembravano abborrirle
proprio.
Poi un dolce picchiettio aveva costretto i due vecchi signori Weasley
ad interrompere
il loro divagare sui figli.
Un bel barbagianni panciuto stava sul loro davanzale.
Arthur si era alzato dal letto per andare ad aprire la finestra. Il
freddo
autunnale aveva investito in pieno la stanza, facendo sollevare la
pelle d’oca
sotto lo strato sottile del piggiama.
“Ti prego Arthur dimmi che sono quello che penso”
aveva detto subito sua
moglie, fiondandosi alle sue spalle, per strappargli direttamente dalle
mani la
sottile pergamena che aveva sciolto dalla zampina del gufo.
“Sei
sicuro
Lucius di non voler venire?” Narcissa Malfoy lo aveva chiesto
con un tono
gentile a suo marito. Draco aveva notato come suo padre avesse scosso
nuovamente
il capo, grigio come uno spettro, preferendo rimanere sul divanetto
vicino al
camino, “Sono stanco” aveva detto opaco, mentre un
bel cagnone ronfava
tranquillo ai suoi piedi.
“Non faremo tardi” lo aveva rassicurato Draco,
allungando una mano per sfiorare
quella del genitore. Gli ultimi quattro-cinque anni, erano piovuti su
Lucius
Malfoy come se fossero stati venti e Draco non si sentiva di biasimarlo.
“Staro bene” aveva risposto incolore suo padre.
Sua madre si era sporta sui suoi tacchetti per recuperare un elegante
vaso su
cui era sistemata la metro-polvere, proprio sul camino.
L’attimo dopo erano spariti in una spirale di fiamme,
apparendo in un soggiorno
molto più illuminato e discreto.
Villa Malfoy negli ultimi anni aveva vissuto uno stato di
deterioramento, non
era marcita o trasformatasi in una vecchia casa infestata, non brillava
più
della gloria passata. Era impoverita, come impolverati
erano loro, però
rimaneva una delle dimore più spettacolari del loro mondo.
Il soggiorno in cui erano giunti era invece più modesto, ma
anche decisamente
più fresco e ben tenuto.
“Siete arrivata!” la voce squillante di Daphne
Greengrass li aveva accolti
subito, indossava una lunga toga rosso rubino, particolarmente
vibrante. Al suo
fianco c’era l’elfa domestica della famiglia, con
indosso quello che sembrava
assolutamente un vestitino pieno di fiocchetti acquamarina con un
cappellino
abbinato, che tendeva verso di loro un vassoio argentato pieno di
scones.
“Ciao Daphne, pensavo fossi in America” aveva
mentito spudoratamente Draco.
Aveva saputo da Blaise Zabini, ex-compagno di scuola ed ex-fidanzato
della
suddetta ragazza, che Daphne era ritornata in terra natia –
Astoria, invece,
non ne aveva fatto menzione, stranamente.
“Oh, davvero?” aveva domandato Daphne offesa.
Avevano frequentato Hogwarts assieme per otto lunghissimi anni, lui e
la
maggiore dei Greengrass, ma non erano mai diventati amici.
Non che Draco fosse mai stato capace di farsi molti amici, aveva
sgherri e
conoscenti. Daphne non era rientrata in nessuno dei due gruppi, fino a
che non
aveva cominciato ad uscire con Blaise durante il loro Secondo Ultimo
anno.
“Non è importante!” aveva ammesso poi
Daphne, lasciandolo scivolare sulle sue
spalle, prima di schioccare un bacio sulla sua guancia e su quella di
sua
madre.
Narcissa era rimasta piuttosto turbata da tutta quella confidenza,
“Oh,
Merlino, vi ho macchiato con il rossetto!” aveva ammesso
divertita.
Daphne
li
aveva condotti fuori dal Soggiorno di Rappresentanza,
per guidarli nella sala da pranzo. I Greengrass avevano una dimora
modesta,
grande un quarto di quanto era Villa Malfoy, ma non per questo meno
pregiata,
con pavimento di marmi grigi screziati di blu-verde proconnesio, con le
pareti
pieni d’arazzi con scene di caccia, altri in campo nero,
esibivano in verde ed
oro, il monogramma dei Greengrass, due G intrecciate, circondate da
foglie
d’alloro ed intrecci viminei.
Il centro della scena sulla parete era dominato però da un
quadro. Una donna
dal capo biondo ed il sorriso enigmatico, che somigliava a Daphne,
quasi come
una goccia d’acqua; Eleanor Beutville in Greengrass, la
defunta madre di Ria.
“Cissy non riesco a comprendere come tu possa diventare
più bella ogni anno più
bella. Ringiovanisci?” aveva chiesto immediatamente Adonis
Greengrass, comparendo
nel loro campo visivo, con indosso un panciotto crema ed i capelli
scuri tirati
indietro con il lucido.
Adonis somigliava di più ad Astoria, con i ricci scurissimi,
a contrasto con un
incarnato quasi cereo.
I Greengrass erano una delle famiglie purosangue inglesi, ma la nonna
di
Astoria, Ignez Clarosangre era una strega di una nobilissima famiglia
spagnola,
i suoi tratti erano scivolati in Adonis e poi in Ria. Daphne invece era
in toto
figlia di sua madre, Eleanor, anche lei purosangue francese normanna.
“Tu
mi
lusinghi, Donnie” aveva risposto affabile sua madre.
Adonis Greengrass aveva frequentato Hogwarts intorno agli stessi anni
dei suoi
genitori, nella nobile casata di Salazar ed erano stati ottimi
conoscenti, più
con sua madre, che con suo padre.
Per anni, Draco aveva sentito Lucius definire Adonis Greengrass,
“Un
mollaccione troppo permissivo con idee insulse”.
Draco aveva scoperto cosa intendesse suo padre. Il pedigree del sangue
dei
Greengrass era indiscusso, purosangue intonso (per quanto, di quei
tempi,
questo valore fosse del tutto perso), Adonis aveva aderito al partito
Augurey
ed era stato abbastanza permissivo e progressista sulla questione,
almeno nelle
frequentazioni.
Certo in maniera più sottile, non come i Weasley, non
abbastanza da essere additati
come ‘Traditori del Proprio Sangue’ ed una volta
Draco, che era rimasto solo
con il padre della sua fidanzata, ne aveva parlato a proposito.
‘Oh, be, Draco, qualcosa che tuo padre ed i suoi
amici’ – e lo aveva
detto con un tono di sberleffo, in quelle parole – ‘Non
hanno mai capito è
che per essere migliori bisogna che esista qualcuno di
peggiore’ gli aveva
detto.
Almeno Ria, differentemente da suo padre, era onesta, in toto, nella
sua
dolcezza.
“L’altro
giorno ho visto tua sorella ‘Dromeda, per Diagon Alley, con
il nipotino, pensi
che se le chiedessi di uscire di questi tempi accetterebbe, o finirei
per
essere rifiutato ancora?” aveva chiesto sfacciato Adonis, ma
Draco non aveva
ascoltato la risposta, perché la piccola elfa, Milkey, aveva
allungato ancora
una volta il vassoio verso di lui.
Draco aveva preso un dolcetto, “Grazie” aveva detto
incerto, “Oggi non è il tuo
giorno libero?” aveva domandato lui.
Per legge: tutti gli elfi domestici dovevano avere una giornata libera,
a
settimana – o al mese, per i più reticenti
– che lo volessero o meno. “Si, ma
Milkey ha piacere nell’aiutare i padroni per il
pranzo” aveva rivelato,
“Specialmente per il signorino Malfoy” aveva
aggiunto piena di vita.
Draco che per anni aveva avuto un elfo domestico che non aveva nascosto
di
provare un profondo spregio per la loro famiglia, non poteva fare altro
che
chiedersi come Milkey provasse tanta reverenza nei suoi confronti.
Daphne
si
era affiancata a lui, “Theodor Nott si è
trasferito a New York, non so
esattamente perché” aveva cominciato lei.
Cambiare aria, immaginava Draco, suo padre era morto
ad Azkaban ed anche
se lui, differentemente da Draco, non si era unito a niente, sulle di
lui
spalle e quelle di sua madre, era caduto il fardello di aver avuto un
padre mangiamorte.
Mentre per Lucius e Draco la salvezza era venuta sotto le fattezze di
Harry
Potter, nessuno aveva salvato Theodor.
“Mi ha chiesto di uscire; dici che dovrei
accettare?” aveva chiesto lei,
sfacciata. “A scuola mi sembrava un bravo ragazzo, un
po’ taciturno” aveva
commentato.
“Theo … non è suo padre”
aveva ammesso Draco, “Non è uno che entra in
confidenza, però non è suo padre” aveva
raccontato.
Theodore era poco incline alle chiacchiere da dormitorio, ma era una
persona
che non aveva problemi ad essere amichevole quando voleva. Ed era
abbastanza
capace sia a scuola, sia sulla scopa. “Pregiudizi sui
nati-babbani?” aveva
indagato ancora Daphne.
“Oh, be, in sette anni di scuola lo ho sentito parlare male
solo della Granger
e sono quasi sicuro che non c’entrasse il suo essere
san-nata-babbana” aveva
risposto Draco.
Non poteva dirlo con la mano sull’ardemonio, ma se Theodore
aveva condivo gli
allora pensieri di Draco, non aveva sentito il bisogno di sbandierarli
al
mondo.
“Di rimando, dubito che a qualcuno piaccia sul serio la
Granger” aveva
commentato acida Daphne, prima di cinguettare: “Allora,
dirò di sì” .
Draco aveva dato per scontato che la conversazione fosse finita, ma
Daphne aveva
ripreso, “Lui e Blaise non erano amici, giusto?”
aveva indagato, “Non vorrei
gli avesse detto cose imbarazzanti come i nostri incontri
sessuali” aveva
ammesso poi un po’ più titubante.
“Blaise sembra un chiacchierone, ma sa quando deve tacere, di
rimando a
Theodore queste cose non sono mai interessate” aveva ammesso
candido Draco,
sentendo però un certo imbarazzo crescere su di lui.
“Ria, dov’è?” aveva domandato
subito.
Daphne aveva disteso le labbra rosa confetto, “Zia Laura
è tornata a vivere da
queste parti, sono da lei a rifinire dei dolci per il pranzo di
oggi” aveva
ammesso lei, “Oggi avrai l’onore di conoscere lei,
prossimamente pure nostro
cugino Apollo, la sua stucchevole moglie e suo figlio Jemmy”
aveva raccontato
Daphne, “Grazie al quale il cognome dei Greengrass non
morirà. Nonostante
Apollo sia figlio di padre ignoto” aveva
ammesso.
Probabilmente Theodore Nott avrebbe dato via l’infamia o
magari sarebbe stato
Draco a farlo.
“Possiamo cominciare a sederci a tavola” aveva
detto Adonis Greengrass
attirando l’attenzione di tutti, “Ria e Loulou
staranno per arrivare” aveva
riportato, guardando l’orologio da taschino che aveva appeso
al panciotto.
Non segnava le ore, ma luoghi fondamentali ed ogni freccia era un
membro della
famiglia; Ria glielo aveva detto.
E dopo Portobello Road, Ria aveva preteso che una freccia fosse anche
per
Draco, così che potesse essere raggiunto in ogni momento.
Era stato strano per Draco, pensare che sull’orologio di
famiglia dei
Greengrass ci fosse anche lui. Lo rendeva più ufficiale.
Ria
e sua
zia si erano smaterializzate direttamente nel salotto da pranzo, la sua
fidanzata era abbigliata come richiesto ad una maga rispettabile, con
una
lunga, fino alle caviglie, tunica, stretta alla vita da una cintura
nera.
“Ei!” aveva detto subito, correndo verso di lui per
schioccarli un bacio, tra
le mani piccole, aveva della carta da lettera. Sua zia Laura, che
sarebbe
potuta sembrare sua madre, tanto le somigliava, le andava dietro, con
una torta
gelatinosa verde che ballonzolava tra le sue mani.
“Daphne!” aveva detto subito, ammiccando a sua
sorella, “Ho una cosa che tu
vuoi” aveva detto subito.
“Ne dubito” aveva risposto schietta la maggiore.
“Neanche l’invito per il matrimonio del
secolo?” non aveva perso mordente Ria.
“Finalmente
hanno scelto il giorno, credevo non lo avrebbero più fatto.
L’Inverno mi piace
pure pià dell’estate” aveva ammesso
Seamus Finnigan, osservando la piccola
busta che aveva tra le mani. Era nel soggiorno della sua cucina, un
clima quasi
tropicale vigeva in casa, nonostante fosse novembre. Per questo aveva
rinunciato ad indossare la camicia, che inevitabilmente sarebbe finita
inzuppata a causa del sudore.
“Non so se dovrei andarci, sono, tecnicamente,
l’ex-fidanzato della sposa”
aveva valutato Dean, a capo del tavolo, sollevando lo sguardo dal suo
succo di
zucca, per guardare di nuovo il suo manuale.
Le lettere le avevano ricevute entrambi, perché non avevano
raccontato ancora a
nessuno ciò che c’era tra loro. “Puoi
venire come mio più uno” aveva scherzato
Seamus.
Luna era entrata in cucina, con indosso il pigiama intero ed i capelli
biondi
acconciati con una serie di variopinte matite. “In questa
cucina non fa troppo
caldo?” aveva domandato subito Seamus, “Non ancora
abbastanza” aveva chiarito
subito Luna, “La sto sistemando per la cova dei Tarmuraghi”
aveva chiarito
subito la bionda, “Sarà pronto tra due
giorni” aveva chiarito.
“Quanto durerà Luna?” aveva chiesto
Dean, che al posto di Seamus trovava sempre
accettabili i comportamenti della loro stravagante inquilina,
“Nove giorni”
aveva risposto allegra lei, prendendo posto al suo tavolo.
“Accettabile” aveva valutato Dean, meno per Seamus,
ma era certo che avrebbe
perso.
“Sono arrivati gli inviti di Ginny ed Harry” aveva
detto poi alla fine lui,
allungando la busta verso Luna, che probabilmente doveva aver saputo la
data
anche prima di loro.
“Oh” aveva detto quella, spalancando gli occhi
grigi. Forse no.
“Hai già un accompagnatore?” aveva
chiesto Seamus, “Vuoi farlo tu?” aveva
risposto di rimando Luna con un sorriso gentile, “Non
stuzzicarlo” aveva
ridacchiato Dean, scuotendo il capo.
“In realtà ho un accompagnatore” aveva
ammesso Luna, “Sono preoccupata per il mio
ruolo di damigella” aveva ammesso, con palpabile disagio,
“Non so cosa dovrei
fare” aveva commentato.
“Ma ti daremo una mano noi” aveva detto subito
Dean, “E Neville dovrà fare metà
del lavoro, comunque” aveva aggiunto Seamus.
Luna si era alzata in piedi immediatamente, “Adesso, gli
scrivo subito” aveva
detto Luna immediatamente.
“Si
sposano
ad Hogwarts, che cosa folkloristica” aveva detto Rolf,
osservando il foglietto
degli inviti che aveva ricevuto Neville.
Era la settima del Ringraziamento e ne aveva approfittato per andare a
trovare
il suo buon amico Neville. “Penso piacerebbe anche a me
sposarmi a Beuxbatons,
la trovo anche più bella della vostra scuola”
aveva raccontato.
Neville, che stava spremendo un bubbone della sua mimbla
mimblettonia
aveva sollevato lo sguardo, “Si, ci sono stato una volta, per
prendere un libro
dalla loro biblioteca” aveva ammesso, “Clima
sicuramente migliore” aveva detto.
“Anche giardini migliori, panorama migliore” aveva
difeso strenuamente Rolf.
“Sono certo che una Meleusina nella fontana abbia cercato di
soffocarmi” aveva
raccontato Neville, “Si, Saera ha questa abitudine”
aveva ammesso il giovane
Scamander, “Ma non avevamo un Troll nei sotterranei, un cane
a tre teste, un
basilisco nei muri ed altre pericolose creature” aveva
risposto secco.
“Come?” aveva domandato Neville, genuinamente
curioso.
“Hagrid ha cantato, come un uccellino in primavera, ed anche
Harry Potter”
aveva detto subito.
Neville aveva ridacchiato, si, aveva saputo dell’incontro
avvenuto qualche
settimana prima tra i due uomini ad Hogwarts.
“Ho trovato molto bello, comunque, il compendio sui
Thestral” aveva comunicato
poi Neville.
“Grazie, mi sono divertito moltissimo a scriverlo; questo mi
ha ricordato
quanto odi scrivere per la fottuta Gazzetta del
Profeta” aveva
raccontato Rolf, onesto.
Trovava frustratissimo il suo lavoro per il giornale.
“Comunque, vuoi venire con me al matrimonio? Se non sei
già stato invitato”
aveva espresso Neville.
“Allora” aveva cominciato lui, “Non
conosco Harry Potter così bene, e non sono
mio nonno, mica” aveva ripreso, “Anche se scommetto
che lui e zia Leta avranno
sicuramente un invito” aveva ripreso.
“Si, Ginny, mi ha scritto che la portata della festa
è andata un po’ fuori il
loro controllo” aveva ammesso Neville, “Quindi
vieni con me?” aveva domandato
Neville.
Rolf aveva riso, “Non abbiamo stabilito che tra noi non
funziona?” aveva
risposto retorico lui. Neville aveva trattenuto a malapena una risata. “Comunque, dicevo,
non ho ricevuto l’invito,
ma effettivamente sono stato già invitato a partecipare come
più uno” aveva
ammesso Rolf.
Neville aveva aggrottato le sopracciglia, “Da qualcuno che
sapeva che avrebbe
ricevuto l’invito, chiaramente” aveva detto.
“Quindi, io userei questa opportunità per invitare
la bella cameriera che ti
piace tanto, quella bionda con le gambe lunghe che lavora a Londra
… o la ninfa
della foresta di Deep Creek Lake” aveva proposto Rolf.
Anche se era certo di sapere chi delle due il suo amico preferisse;
infondo
aveva studiato a lungo il comportamento animale.
“Hannah sarà già invitata”
aveva detto Neville, carico di imbarazzo, con le
guance arrossate come pomodori maturi. Assolutamente ignorante del suo
aspetto.
“Sottigliezze” aveva risposto Rolf.
“Ma
quindi
non è la stessa, quella di prima, come si chiamava
… Betta?” aveva chiesto
Vernon.
“Britta” lo aveva corretto con
una smorfia Petunia.
Britta Dallon era stata il suo incubo.
Bassina, con il viso tondo, carino, all’apparenza adorabile,
che aveva fatto
sentire la stanca donna ancora più irritata. Confessava,
solo a se stessa, che
quelle ragazze così delicate, non facevano altro che
ricordarle quella sorella
di cui faceva finta di non provare la mancanza – o di negarne
l’esistenza.
Britta Dallon con i capelli biondo fragola le era parsa un memento dei
suoi
comportamenti.
Almeno fisicamente.
Poi … era una ragazza invadente, faceva sempre tante
domande, ignorava lo
spazio personale, non si puliva mai le suole delle scarpe, non toglieva
mai i
piatti dal lavandino.
E straparlava.
Di qualsiasi cosa.
Ed aveva un opinione su tutto. Sulla politica estera, sulle folkland,
sul
colonialismo, sui pappagallini che facevano scii d’acqua.
Ed era terribilmente irrispettosa, le aveva dato perfino del tu dalla
prima
volta che si erano conosciute.
‘Vero, Petunia?’ continuava a
ripetere quella frase, continuamente, come
se ci fosse un qualche legame tra lei: Petunia Durslay, rispettabile
donna
inglese e Britta Dallon, sciatta mezza-hippie con l’ombelico
da fuori.
Era stato puro giubileo quando il suo Didino-picciono e quella
Spudorata si erano
lasciati.
‘Britta si trasferisce in America, con la sua band’
aveva detto un giorno suo
figlio.
L’orrore che aveva provato Petunia all’idea di
vedere il suo adorabile bambino,
preso dietro una perdigiorno che strimpellava con una chitarra per
l’America.
No, mai non lo avrebbe mai permesso.
Fortunatamente Didino era un giovanotto diligente e non aveva seguito
quella
sfacciata in America.
“Troppo spudorata per me e pure perdigiorno” aveva
ammesso Vernon, dalla poltrona
da cui stava leggendo il giornale, aveva ammesso appena uno sbuffo.
Lei e suo marito erano stati d’accordo su tutto nella vita.
Petunia aveva steso la tovaglia fiorazzata sul tavolo tondo
dell’ingresso, “Didino
ha detto che è una ragazza molto posata” aveva
provato Petunia, se l’augurava.
Suo figlio non era molto sveglio in donne, aveva osato definire
più volte
Britta, adorabile, assicurandosi che lei, Petunia, l’avrebbe
anche trovata
così.
Mai nella vita.
“Ha anche detto che era un po’ esotica”
aveva riportato Vernon, con il
faccione rosso e l’incertezza su quell’aggettivo.
“Su via, Vernon” aveva detto lei, “Didino
ha detto che ha origini orientali, ma
che è nata e vissuta qui” aveva commentato,
“Sono sicura si potrà soprassedere”
aveva provato. “Basta che non ci riempia casa di riso-fritto
ed altre cose che …”
ma erano stati interrotti da un rumore.
La porta di Privet Drive numero quattro si era aperta con vigore,
“Eccoci,
siamo arrivati” aveva detto subito Dudley facendo capolineo
in soggiorno,
mentre si spogliava del cappotto.
Suo figlio si era fatto alto e spesso, grazie al pugilato.
Petunia si era subito lanciata tra le sue braccia, per schioccarli un
bacio
sulle guance, mentre toglieva il fetch dai suoi capelli.
Vernon si era alzato con fatica dalla sua poltrona per raggiungere il
figlio;
Dudley invece si era fatto da parte per presentare la sua fidanzata.
Era piccola e bassina, come era stata Britta. La donna aveva una faccia
tonda
ed il naso un po’ piatto, gli occhi a mandorla scuri ed i
capelli nerissimi
lisci. Indossava un maglioncino ed una gonna a ginocchio, entrambi in
sobri
colori di sabbia spento e grigio topo.
Accettabile.
“Tu devi essere Cho!” aveva provato Petunia ad
essere quanto mai entusiasta,
sperando di non aver sbagliato il nome. “Si” aveva
risposto stucchevole la
ragazza, “Lei deve essere la Signora Durslay, è un
piacere conoscerla” aveva
detto subito, “B-Dud parla sempre di lei” aveva
detto, quella, posata, prima di
allungare verso Petunia la bottiglia che aveva in mano. Grazie al
cielo, non l’aveva
abbracciata.
Cho
Chang –
che nome pittoresco – si era comportata proprio bene, aveva
aiutato Petunia ad
apparecchiare, aveva commentato con squisite parole la cucina, aveva
fatto
molti complimenti all’aredo della casa e sia era dimostrata
interessata ad
ascoltare Vernon parlare del suo lavoro.
Anche suo marito aveva presto messo da parte le sue riserve per
l’etnia della
ragazzina, quando aveva trovato in lei il suo giusto pubblico.
“Allora, che ne pensi?” aveva chiesto sussurrato
Dudley verso di lei, mentre le
versava dell’acqua. Sembrava cotto dall’imbarazzo,
con le guance rosse e le
mani sudaticce.
“Mi sembra una brava ragazza” aveva concesso
Petunia.
“E come vi siete conosciuti?” aveva chiesto subito
Vernon.
“In realtà è stato un po’
imbarazzante” era intervenuto Didino-piccino.
Cho aveva riso con compostezza, mettendo la mano davanti alla bocca.
“Oh, be, è
stato ad un concerto” aveva cominciato, voltandosi verso il
fidanzato.
“Si, di … Britta” aveva detto con
cocente imbarazzo il figlio.
“Ero con la mia amica Marietta, allora Piers –
avete presente Piers?” aveva
inquisito Cho.
“Si, cara, da quando ha sei anni” aveva risposto
Petunia, senza riuscire a
calmare la punta di veleno sulla lingua.
“Si, quindi, Piers cerca di approcciarsi a
Marietta” aveva ripreso lei.
Dudley aveva scosso il capo, “In realtà cercava di
approcciarsi a te” l’aveva
corretta. Cho aveva spalancato le labbra fine, “Okay, non me
l’aspettavo” aveva
confessato con assoluta ingenuità.
“Fatto sta che, conquista Marietta ed io resto con
Cho” aveva raccontato lui, “Ma
abbiamo solo parlato quella sera” aveva precisato.
“Piers e Marietta hanno cominciato ad uscire sempre,
così io ho cominciato ad
uscire con loro ed ho continuato anche quando quei due hanno
rotto” aveva
confessato Cho, con le gote un po’ rosse, guardando languida
Dudley che aveva
ricambiato il medesimo sguardo.
“Il mio ragazzo ti aveva conquistato è”
aveva detto Vernon con un sorriso
disteso sotto i baffi, “Assolutamente” aveva
confermato lei.
Prima che qualcuno potesse dire altro, però qualcosa si era
fiondato in cucina,
passando dalla finestra che Petunia aveva lasciato semi-aperta per
permettere
al calore del forno – usato per l’arrosto
– di dissiparti.
“Madre del cielo!” aveva strillato Vernon,
alzandosi in piedi e quasi facendo
rovesciare la tavola tonda, “È un dannato
gufo!” aveva gridato.
Ma tutto ciò a cui riusciva a pensare Petunia era che era
sicuramente un
messaggio da parte di quelli là.
Dudley era esangue in viso, mentre guardava il pennuto accomodarsi
bello comodo
sul tavolo della cucina tra la zuppa e l’arrosto.
Petunia aveva guardato Cho, “Giuro non ho idea di cosa
significhi, noi siamo
normali, non ci capitano mai queste cose” aveva strillato,
per assicurarsi che
la fidanzata di suo figlio non andasse a destra e manca a raccontare
cosa aveva
visto.
Ma la poverina era pure più granitica di loro, quasi sudava
freddo.
Forse aveva paura dei volatili?
“Porta un … messaggio” aveva provato
Dudley.
“Vedo” aveva sussurrato con un filo di voce Cho.
Vernon aveva preso la scopa della cucina per provare a colpire la
bestia, ma
era stato fermato da Petunia che già vedeva le sue
porcellane per terra.
Il pennuto si era rialzato, zampettando fino a Diddino, allungando
verso di lui
la zampetta.
Cho aveva sgranato lo sguardo verso Dudlay.
Cosa, chi sa, quella ragazza doveva star pensando del suo bambino.
“Una faccenda complicata” aveva borbottato Dudley,
colmo di imbarazzo fino ai
capelli, sciogliendo il messaggio dalla zampina, “Poteva
chiamare” aveva sentito
a malapena Petunia.
Didino parlava di Harry?
Didino parlava con Harry?
“Ehm,
cosa
dice?” aveva indagato Cho, cercando di spiare con gli
occhietti stretti il
messaggio, “Niente” aveva risposto Petunia,
cercando di strappare la pergamena
dalle mani del figlio, “Mio cugino si sposa” aveva
detto invece onesto Dudley.
“Aspetta tuo cugino è un …
mago?” aveva provato Cho.
“Più uno stravagante nullafacente” aveva
provato Vernon, non connettendo in
pieno la portata della domanda di Cho.
“Noi siamo gente rispettabile, non abbiamo persone come lui
nella nostra
famiglia” aveva chiarito Vernon.
Cho aveva sollevato un sopracciglio, mentre Dudlay si era colpito il
viso con
la grossa mano, “Come signor Durslay? Come chi?”
aveva chiesto Cho, leggermente
irritata.
“Oh … tu … non sarai
…?” aveva provato Petunia, colma di disagio.
“Si, mio cugino, è un mago” aveva invece
confessato Dudley, “E a me di tutto
questo non frega un cazzo” aveva chiarito, incrociando le
braccia sotto al
petto ampio.
Cho aveva strappato delle molliche di pane per darle al pennuto,
sorridendo
mesta.
“Oh, be, wow. Così non dovrò usare
snasi per trovare le perle” aveva
confessato lei.
“Cosa?” aveva provato a dire Vernon confuso.
Dudlaey aveva sorriso verso la sua fidanzata,
“C’è qualcosa che vuoi dirmi?”
aveva chiesto audace, “Sta sera” aveva risposto lei
calma, “Prima vorrei
mangiare un dolce” aveva provato.
“Ecco, perché ti amo” aveva risposto suo
figlio, allungandosi per darle un
bacio sulla punta del naso.
“’Tunia, ‘Tunia, che sta
succedendo?” aveva cercato di chiamarla Vernon.
Lei però aveva disteso nuovamente la pergamena che aveva
accartocciato, in un
elegante corsivo in inchiostro dorato scintillava una scritta.
Alla gentile attenzione del
Sig. Durslay Dudley
Harry
James Potter e Ginevra Molly Weasley
sono lieti di invitarvi alla cerimonia delle loro nozze,
in data 23.12.2002, presso la Chiesa di Westminister, il ricevimento,
nella
medesima data, avrà luogo nella Scuola di Stregoneria e
Magia di Hogwarts.
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