Riverside

di FreddyOllow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***


Non so quanti giorni o settimane sono passate. Ormai un giorno vale l'altro. Mi sto spingendo sempre più lontano per trovare da mangiare e da bere. Quasi tutti i negozi alimentari sono stati presi d'assalto durante i primi giorni della pandemia. Ho visto pile e pile di cadaveri lungo le strade, a ridosso delle mure o recinzioni metalliche o di cemento. 
Nelle strade c'è un fetido odore di decomposizione. I vermi abbondano nelle carcasse della gente, come anche gli infetti.
Ho imparato a gestirli. Non accendo mai la torcia e cerco di muovermi come un gatto. Ah, quanto mi manca il mio gatto Leon.
Non ho mai usato l'Uzi. Credo che le armi diano fastidio agli infetti e ne attirano altri. 
Ho una visto una giovane coppia venire massacrata da una centinaio di infetti. Solo dopo che sono morti, gli infetti si sono allontanati. Quei due non sono tornati in vita. Sono rimasti morti.
Credo che non tutti possano trasformarsi. Forse nemmeno io posso trasformarmi. 
Ogni tanto passo accanto alle recinzioni installate dai militari. A Riverside ci sono pochi posti di blocco. L'intera cittadina è stata divisa in settori di contenimento. Non so se la parola 'contenimento' sia quella giusta. Inutile dire che non sono servite a niente.
I militari sono stati schiacciati dagli infetti. Alcuni di loro si sono alzati dopo essere morti, altri sono rimasti sull'asfalto.
Sento spesso degli spari in lontananza, ma non durano più di dieci secondi.
Niente dura a Riverside.

Mentre ero in cerca di cibo e acqua in un supermercato, ho intravisto quattro sopravvissuti. Mi sono nascosto dietro un bancone per non farmi vedere e ho cercato di ascoltare quello che dicevano.
"Odio le città." Disse un uomo con un gilè di pelle nero.
"E' una cittadina, Francis. Una cittadina." Rispose un uomo dalla carnagione scura e una camicia bianca.
Francis grugnì.
"Guardate, delle munizioni." Aggiunse un uomo con un berretto militare in testa.
"Finalmente." Rispose una giovane donna. 
I quattro si chinarono sul pavimento e raccolsero le munizioni. 
Io restai immobile. Li guardai battibeccare, mentre l'uomo con la camicia bianca rideva per qualcosa che aveva detto Francis.
"Ok, Francis." Disse l'uomo con il berretto militare. "Visto che sei così ansioso di far fuori quei figli di puttana infetti, facci strada."
"Bill." Urlò la donna. "Un Hunter. Dietro di te!"
Io non mi ero accorto di nulla. Di solito gli Hunter ringhiano prima di attaccare.
Bill si voltò. I tre spararono all'Hunter in mezz'aria, che si schiantò sopra una scaffale.
Rimasi stupefatto dalla loro reazione. Erano stati rapidissimi e avevano una mira impeccabile. Avevano gestito la situazione con una calma surreale. Nemmeno i militari erano capaci di fare questo, anzi, spesso sparavano sulla gente scambiandola per infetti.
"E' morto?" Chiese Bill.
"Ehi, faccia da morto." Gridò Francis. "Sei morto?" Grugni, mozzando un sorriso.
"Ah ah ah. Davvero divertente." Sorrise falsamente la donna.
"Zoey. Dovresti essere un po' più... Divertente. Sei troppo seria."
"Continuiamo a muoverci." Disse l'uomo con la camicia bianca.
"Aspetta un attimo, Louis." Rispose Francis. "Devo andare in bagno."
"Ma ci sei andato già un ora fa."
Francis aprì una porta. "E' colpa della birra." Ed entrò dentro.
"Tenete gli occhi aperti." Disse Bill. "C'è troppa calma. Non mi piace."
"Sei il solito paranoico, Bill." Rispose Louis. "Abbiamo fatto una strage di quegli stronzi lungo la strada. Forse abbiamo ripulito l'intera cittadina per quanto ne so." Sorrise.
Bill si accese una sigaretta. "Meglio prevenire che curare."
Louis sbuffò irritato. "Ora mi sembri l'uomo della chiesa. Merda, quello lì si che era fuori di testa. Ci ha fatto quasi ammazzare."
"Fottuto figlio di buona donna." Disse Bill fra i denti, mentre dalla sigaretta partì un sbuffo di fumo.
Francis uscì dal bagno. "Cazzo, ci voleva proprio." Disse mentre li raggiungeva. "Forse è meglio se non entrate. Il bagno è chiuso per... per manutenzione." Scoppiò a ridere.
Stavano per passarmi accanto, quando sentii un gorgoglio alle mie spalle. Non feci in tempo a girarmi che vidi la faccia di un Boomer a dieci metri da me. Mi correva incontro agitando il ventre pieno di bile. Quando mi alzai per indietreggiare, Francis mi spinse sul pavimento, forse scambiandomi per un infetto, e sparò al Boomer. Esplose in mille pezzi, lanciando pelle in decomposizione e bile ovunque.
Per mia fortuna non fui ricoperto dal quel getto.
Quando mi voltai verso i quattro, mi accorsi che mi puntavano le armi e mi fissavano guardinghi, come se non credessero che fossi...
"E' vivo." Disse Francis, abbassando la canna del fucile d'assalto dalla mia testa.
"Ma va." Rispose Louis.
"Come stai, ragazzo?" Mi chiese Bill, porgendomi una mano. Il suo sguardo rimase sospettoso.
"Bene." Balbettai, alzandomi con il suo aiuto. "Grazie per avermi salvato."
"Sei da solo?" Mi domandò Zoey.
"Sì."
"Siamo troppo numerosi." Disse Francis guardandomi negli occhi. "Non farti strane idee."
"Strane idee?" Risposi.
"Non verrai con noi. Scordatelo."
"Francis!" Disse Zoey stizzita.
Francis grugni e ci diede le spalle.
"Sei il primo uomo che incontriamo da chissà quanto tempo, tolto lo stronzo della chiesa." Aggiunse Zoey.
"Padre Carl?" Domandai.
"Lo conoscevi?"
"Sì, ma..." Mi fermai nel dire cosa aveva fatto quell'uomo.
"Ma?" Incalzò Bill.
"Com'è morto?" Chiesi.
"Si è trasformato." 
"Cosa stavi dicendo sul suo conto?" Disse Louis.
"E' impazzito. Ha ucciso un sacco di persone suonando la campana. I militari hanno cercato di fermarlo, ma è stato inutile. So che si era rinchiuso nel campanile e suonava. Suonava in preda alla follia, mentre gli infetti affollavano i piedi della chiesa. Credo che da solo abbia ucciso mezza città con quella fottuta campana."
"Lo sapevo." Disse Louis con un sorriso in faccia. "Ho fatto bene a crivellarlo di colpi, Bill. Che ti ho detto? Quello stronzo meritava tutto il mio caricatore."
"Ci ha fatto quasi uccidere." Aggiunse Francis. "Diceva che era stato morso e non poteva farci entrare. Fottuta testa di cazzo!"

Alla fine, dopo esserci presentati, li convinsi a venire nel mio appartamento. Stava facendo buio, perciò forse più che convinti, stavano cercando un posto sicuro dove riposare. Non incontrammo infetti, il che mi insospettii. Forse i quattro avevano davvero ripulito Riverside. Con la loro mira e la rapidità di mano, non mi stupirei se fosse così.
"Sistematevi dove volete." Dissi.
I quattro si guardarono intorno. Il mio appartamento era buio, illuminato da qualche candela. C'erano divani e poltrone che avevo preso dagli appartamenti accanto. Prima dell'epidemia vivevo con un letto e una sedia. Mi era appena trasferito per lavorare in una fabbrica di scarpe. Lavoro che non ho mai iniziato per via della pandemia.
"Dove caghi?" Mi chiese Francis senza mezzi termini.
Rimasi spiazzato dalla quella domanda, ma risposi. "Dal terrazzo. Uso i secchi per..."
"Capisco. Lanci la merda dal terrazzo. Ecco perché c'era tutta quella merda secca sul marciapiede."
I tre smorzarono una smorfia schifata. Io abbassai gli occhi per l'imbarazzo.
"Ok. Io dormo sul divano." Disse Francis, gettandosi su di esso.
Bill scelse la poltrona, Louis il letto del mio inquilino sparito durante l'epidemia e Zoey il mio letto, dopo che le dissi che io dormivo sempre sulla sdraia. Non so se mi aveva creduto, ma dormivo veramente lì con l'Uzi appoggiato sul ventre. Non dormivo sul mio letto da quando era scoppiata l'epidemia. Mi faceva sentire esposto, la sdraia invece, mi faceva sentire più sicuro, più reattivo. Anche se forse era tutto un fattore mentale. Un fattore che non so nemmeno come spiegare a parole senza fare confusione.
Alla fine i quattro si addormentarono profondamente. Forse non dormivano da giorni? 
Mi addormentai anch'io dopo un ora.

L'indomani fui svegliato dalla faccia burbera di Francis.
"Colazione." Grugnì, porgendomi un piatto di fagioli.
Fagioli a colazione non erano il massimo, ma meglio di niente.
Quando finii di mangiare, mi accorsi che non avevano usato il mio cibo, ma il loro.
"Potevate usare il mio." Dissi.
Quelli non capirono a cosa mi riferivo, finché Bill guardò il mio piatto. "La prossima volta."
Ma non ci fu mai una prossima volta.
Feci i miei bisogni sul terrazzo e gettai il tutto dal cornicione. Gli altri fecero come me.
Poi si mise a piovere.

Tornati nel soggiorno del mio appartamento, i quattro si sedettero sul divano. 
"Tu sei nato qui, giusto?" Mi chiese Bill. "La situazione è sempre stata critica?"
Annuì. "I militari hanno creato diversi posti di blocco, tra cui anche case sicure, come quella che avete visto nella chiesa. Erano come fortezze. Nessuno infetto poteva entrarci. Poi sono arrivati gli infetti speciali." Abbassai lo sguardo. "Io ero in una casa sicura prima di venire qui. Ero con la mia ragazza e altre quaranta persone. Ho portato il mio gatto Leon con me e anche altri avevano fatto lo stesso con i loro animali. I militari li hanno... li hanno uccisi. Dicevano che erano troppo pericolosi, che potevano infettarci o qualcosa di simile.
I quattro si rattristirono.
"Questa fatto ha creato molto nervosismo. Poi c'è stata la sommossa e siamo riusciti a prendere le armi dei soldati. Mentre li stavamo cacciando via, ecco che apparvero gli infetti speciali, seguiti da centinaia di infetti. Alcuni militari ci hanno implorato di entrare e non-so-chi, ha aperto la porta." Feci una pausa al ricordo. "E' stata una strage. Ho perso la mia ragazza trascinata via dalla lingua di uno Smoker e sono fuggito solo per puro caso, spintonato dalla folla. Poi è comparso il Tank..." Sospirai triste. "Sono venuto direttamente qui, l'unico posto che sapevo sicuro."
"Sono tutti morti?" Mi domandò Francis.
"Non lo so. Mi capita di sentire degli spari in lontananza, ma non sono sicuro che... Insomma, forse sono loro, non lo so."
"Abbiamo incontrato molti militari." Aggiunse Zoey. "I loro cadaveri."
"Dove siete diretti?" Chiesi.
"Inizialmente qui." Rispose Louis. "Pensavamo che Riverside fosse sicura, protetta dai militari e invece..." Spalancò le braccia frustrato.
"Ci hanno provato." Dissi. "Ma sono stati sopraffatti dagli infetti. Molti di loro hanno abbandonato la città, non prima di sigillarla."
"Ecco spiegato le numerose recinzioni." Aggiunse Bill. "Abbiamo trovato anche molte armi in giro, per non parlare delle munizioni, tubi bomba e bile."
"Tubi di bile? Quelli che usava la CEDA?"
"Sì, quelli là." Bill prese un tubo di bile da sotto la giacca. Lo scosse un poco, facendo ondeggiare il liquido verdastro. "Questo tubi di bile ci hanno salvato un sacco di volte da situazioni davvero spiacevoli."
"Già. Una manna dal cielo." Grugnì Francis.
"I militari non la utilizzavano spesso." Aggiunsi. "L'hanno fatto solo prima di fuggire dalla città sui loro fuoristrada."
"Codardi. Ecco cosa sono." Rispose Francis.
Un lampo squarcio il cielo, seguito da un tuono.
"Credo che per oggi resteremo qui." Disse Bill. "Riposatevi. Partiremo appena smette di piovere."
"Per dove?" Chiesi ansioso. Non volevo rimanere da solo. Per la prima volta dopo giorni o settimane avevo compagnia. Anche se non li conoscevo, separarmi da loro mi avrebbe ucciso. Non so se avrei retto di nuovo la solitudine.
"Ovunque, purché sia lontano da qui." Rispose Bill. 
"Già, odio questo posto." Sottolineò Francis.
"C'è qualcosa che non odi, Francis?" Chiese Louis.
Come sempre, Francis grugnì e ci diede le spalle.

Tre ore dopo smise di piovere.
Avevamo passato il tempo in silenzio, da quando avevamo sentito tossire uno Smoker, che si arrampicava lungo la facciata dell'edificio di fronte, seguito da un Hunter. Poi erano apparsi centinai di infetti. Non so se erano disorientati dai tuoni, ma più di una volta avevo giurato di sentire degli spari, assopiti dai tuoni. Anche Bill li aveva sentiti, ma non ne era sicuro.
"Credo sia giunto il momento di separarci." Disse Bill, porgendomi una mano.
Sentii una fitta allo stomaco. Non volevo rimanere da solo. Mi vennero le lacrime agli occhi e cercai subito di nasconderle. Non so se i quattro se ne accorsero, ma cercai di essere un duro. Un uomo che sapeva cavarsela da solo.
"Grazie per il rifugio." Aggiunse Louis alle mie spalle. 
Perché volevano lasciarmi da solo? Perché? "E' stato un piacere." Dissi con un sorriso, mentre dentro sentivo l'inferno agitarsi.
I quattro mi salutarono. Li vidi scendere dalla scala antincendio e allontanarsi lungo il vicolo, sparendo per sempre dalla mia vita.
Rimasi fermo alla finestra. Guardai l'angolo da cui erano scomparsi, mentre fulmini e saette squarciavano il cielo.
Poi mi voltai ed entrai in casa.
L'appartamento era vuoto, silenzioso, come la mia anima.

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Capitolo 2
*** 2 ***


 

E' passata una settimana da quando Bill, Louis, Francis e Zoey sono andati via. 
Non ho fatto altro che pensare a quando li rivedrò e se li rivedrò. E se mai incontrerò altri sopravvissuti. Pensavo di essermi abituato alla solitudine, ma invece non è così. Mi sveglio in piena notte e camminò per tutto l'appartamento con la folle idea di uscire a cercare altri sopravvissuti. So che sto delirando e questa consapevolezza mi aiuta a non fare cazzate.

In una fredda mattina dal cielo nuvoloso, andai a cercare provviste nel condominio di fronte. Pensavo che fosse vuoto, ma invece mi ritrovai a pochi passi da una dozzina di infetti nelle scale. Quando mi videro, si precipitarono verso di me infuriati; le bocche spalancate e raggrumate di sangue, gli occhi giallastri e le vene nere sul collo e sulla faccia sembravano quasi voler implodere sotto la pelle. 
Rabbrividì. 
Fuggì appena in tempo in un appartamento alla mia sinistra e con un divano sbarrai la porta. Gli infetti cominciarono a sferrare pugni sulla porta, quando mi diressi in cucina. Afferrai tutto quello che poteva essere commestibile, misi lo zaino in spalle e mi diressi verso la scala antincendio. Quando feci per salirci, la porta d'ingresso venne giù. Vidi gli infetti sciamare nell'entrata e scavalcare il divano. 
Mentre scesi rapidamente i gradini, un infetto uscì dalla finestra. Un'altro cadde giù; la testa implose contro l'asfalto.
Guardai l'Uzi, ma non la usai.
Una volta a terra, corsi lungo il vicolo. Prima di svoltare l'angolo, diedi un occhiata alle mie spalle. C'erano frotte di infetti che si lanciavano dalla finestra a una velocità assurda. Molti di loro si schiantavano sull'asfalto senza più rialzarsi.
Non persi tempo e mi diressi verso il mio appartamento.
Salii la scala antincendio e quando feci per entrare dalla finestra, sentii uno schiamazzo sul balcone di fronte. Capii dalla risatina isterica che era un Jockey. Mi voltai e feci partire una raffica di mitra. La maggior parte delle pallottole lo falciarono. Il suo corpo senza vita rimase a penzolare sul cornicione del balcone.
Quando entrai in casa, realizzai la stronzata che avevo fatto. Presto il mio appartamento si sarebbe riempito di infetti. Così ridiscesi le scale e fuggii verso un parchetto, puntellato di cadaveri e sangue. Svoltato l'angolo, mi ritrovai a 60 metri da un centinaio di infetti. Sobbalzai dallo spavento e corsi da dove ero venuto. 
Ero fottuto. Letteralmente.
Arrivai davanti a un muro di cemento installato dai militari. Non potevo scavalcarlo, poiché era alto cinque metri. Mi girai e li vidi. Gli infetti correvano verso di me; gridavano, scattavano la mascella. Alzai l'Uzi e feci fuoco. Alcuni infetti furono travolti dalle pallottole. Quelli alle loro spalle scavalcarono i loro corpi e si lanciarono verso di me. 
Poi sentii un CLICK! Ero rimasto senza munizioni. Per la rabbia, lanciai l'Uzi per terra. Mi feci prendere dal panico, ma cercai di guardarmi intorno. Scorsi una porta di ferro socchiusa vicino a un bidone pieno di immondizia. Corsi da quella parte ed entrai. 
Ero completamente al buio, eccetto per una flebile luce che proveniva da sotto una porta a diversi metri da me. Sentii un lieve odore di uova marce e carne andata a male.
Poi fui sospinto in avanti. Gli infetti stavano cercando di entrare, ma non avevo nulla con cui bloccare la porta. Mentre mi precipitai verso la porta di fronte, due infetti entrarono dentro. Alle loro spalle, un fascio di luce illuminò un bancone e un fornello. Capii di essere nella cucina di una ristorante. Arrivato davanti alla porta, Girai la maniglia e mi ritrovai un grande salone. Sedie e tavoli erano ribaltati sul pavimento cosparso di sangue raggrumato. Poi, senza perdere altro tempo, uscì dal ristorante.
Le strade erano bloccate dai veicoli e mezzi militari abbandonati sui marciapiedi o messi di sbieco. La maggior parte avevano tutti la carrozzeria danneggiata, i finestrini in frantumi e il parabrezza crepato. Mentre correvo, mi imbattei in molte pile di cadaveri. Spesso non erano nemmeno infetti, ma persone crivellate di pallottole di grosso calibro. Superai un posto di blocco militare, scavalcai uno spartitraffico e continuai a correre. 
Girovagai per circa venti minuti, quando mi parve di vedere una donna sul ciglio della strada.
Piangeva. 
Confuso, mi avvicinai con cautela. Mi sembrava surreale che una donna se ne stesse tutta sola a piangere in mezzo alla strada dopo quello che era successo a Riverside.
Quando feci per toccarla, lei si girò. 
Non era una donna. 
Non era nemmeno viva.
I suoi occhi si dilatarono rabbiosi e la sua bocca si spalancò. Alzandosi in piedi, allungò le mani verso di me. Aveva cinque artigli affilati al posto delle dita.
Lanciò un urlo terrificante.
Sussultai spaventato e indietreggiai. La Witch si lanciò contro di me.
Fuggii con il cuore in gola e percepii i suoi artigli sfiorami la felpa. Girai l'angolo di un negozio di abbigliamento che aveva la facciata distrutta e saltai sul cofano di un auto. La Witch era ancora dietro di me.
Saltai dall'auto e zigzagai tra i veicoli imbottigliati lungo la strada. Arrivai di fronte a un recinzioni di ferro. Quando feci per arrampicarmi, un artiglio mi sfiorò il pantalone all'altezza del polpaccio. Poi, balzando, la Witch si afferrò alla recinzione e lanciò un urlo agghiacciante che mi stordii per un istante. 
Imprecai e saltai dall'altra parte. Quando mi misi a correre, sentii degli spari alla mia destra. I proiettili fischiarono tutt'attorno. Mi voltai e vidi la Witch distesa sull'asfalto. 
Perplesso, mi fermai e mi guardai intorno. Dapprima non vidi nessuno, finché un uomo sbuco da dietro un furgone.
Indossava una larga giacca nera sbiadita, sotto una maglietta bianca e un pantalone grigio. Non doveva avere più di cinquant'anni; con un incolta barba grigia e capelli rasati.
Si fermò davanti a me con un fucile AK-47 puntato alla faccia. Poi abbassandolo, disse ad alta voce. "Non è infetto."
Tre uomini sbucarono dietro a delle finestre. Erano armati di mitra e mitragliette.
L'uomo con la barba grigia mi fissò. "Non ti ha mai detto nessuno di non spaventare quella stronza?" Indicò la Witch con la canna dell'AK-47.
"Non so nemmeno cos'è." Risposi. Infatti non avevo mai visto una Witch. Se così non fosse, non mi sarei avvicinato per nulla al mondo.
"Come cazzo sei sopravvissuto fino adesso?"
"Ho evitato gli infetti."
L'uomo sbuffò un sorriso. "Sei da solo?"
"Sì."
"Vieni con me." 
L'uomo fece per andare, ma io rimasi fermo. Non lo so perché, visto che avevo una voglia matta di incontrare qualcuno. Ma ora che l'avevo incontrato, ecco che mi immobilizzai. Forse avevo paura? Forse non volevo che succedesse come con Bill, Francis, Louis e Zoey, che mi avevano lasciato da solo?
"Allora?" Mi incalzò l'uomo. "Pensi che ti spareremo? Saresti già morto a quest'ora, non credi?"

Mi portò dentro un enorme magazzino, illuminato da lampade sospese al soffitto. C'erano decine di persone sparpagliate un po' ovunque; parlavano, ridevano, scherzavano. Mi sembrava così irrealistico, visto il caos che c'era la fuori. Ero tentato di prendermi a schiaffi, perché pensavo di stare sognando.
Su una passerella vidi uomini e donne armati di mitra e pistole. Alcuni grandi scatoloni erano posati in un angolo, mentre due furgoni neri erano parcheggiati poco vicino. Notai anche molti letti a castello o giacigli fatti di vestiti e lenzuola. Inoltre, sentivo un forte odore di sudore.
Mentre seguivo l'uomo con la barba, la gente mi guardava incuriosita. Mi accorsi solo in quell'attimo della presenza di bambini. Erano otto in tutto. Se ne stavo insieme vicino a un pallone da basket e mi fissavano mezzi spaventati.
L'uomo mi condusse in una piccola stanza, che capii essere un ufficio o qualcosa del genere. L'uomo andò a sedersi dietro la scrivania e mi fece segno di accomodarmi.
"Non incontro un superstite da giorni." Disse. "I miei amici ti avevano scambiato per un infetto. Per tua fortuna Denise ci ha fatto cambiare idea. Sono Steve Goodman."
"Isaac Stone."
Steve incrociò le dita sul ventre. "E' difficile che qualcuno sfugga alla Witch. Ho perso molti amici per quella fottuta puttana. Comunque sei molto veloce."
"Prima della pandemia amavo correre."
"Penso che la corsa ti abbia salvato la vita. Ad ogni modo, puoi restare qui, se vuoi."
Quando udii quella frase, il mio cervello fu percorso da un formicolio intenso. Non ci credevo. Finalmente non sarei stato più da solo. Abbozzai un sorriso, che subito feci sparire.
"Se intendi restare, dovrai essere utile come tutti noi. Pulire, cucinare, sorvegliare il magazzino o cercare delle provviste nei paraggi."
"Accetto." Dissi entusiasta.
"Accetto?" Rispose Steve con un sorriso divertito. "Non è mica un contratto scritto. Noi ci aiutiamo l'un l'altro. Solo così impediamo a quei figli di puttana di massacrarci. E non sono nemmeno l'unico nemico che abbiamo."
Mi accigliai confuso.
"Ci sono alcuni bastardi che cercano di rubarci le provviste. Di rapire le nostre donne o di ammazzarci. Hanno il cervello in pappa, come se l'infezione non avesse già incasinato tutto."
"Io pensavo che non ci fosse più nessuno a Riverside." Risposi.
"Da quale zona vieni?"
"North Side."
Steve scosse la testa. "Lì non è rimasto più nessuno. L'ultima volta che un nostro gruppo è partito per cercare sopravvissuti e provviste, hanno trovato solo infetti. Non parliamo poi degli infetti speciali. Non so come diavolo hai fatto a sopravvivere lì. Il North side è la bocca dell'inferno."
"Sono lì da settimane." Dissi. "Non ho mai visto tanti infetti, se non sta mattina in un condominio di fronte al mio appartamento."
"Ti assicuro che ci sono centinaia di infetti, se non migliaia a North Side. La zona meno infestata è quella delle rimesse della barche. Sai dov'è, vero?"
Annuì.
"Stavamo pensando di spostarci lì, ma con tutta questa gente è impossibile. Attirerebbero gli infetti. Recentemente abbiamo ucciso un Tank sulla Duty Street, quindi già questo ti fa capire come sia impossibile spostare tutti senza che ci sia un massacro. Inoltre, da quelle parti, non abbiamo trovato ancora un luogo sicuro. Quindi, per farla breve, abbiamo accantonato l'idea."
"Io conosco un po' la zona." Dissi. "Ci andavo a pesca con mio zio."
Steve serrò gli occhi interessato. "Quanto di preciso?"
"Conosco i boschi che costeggiano il quartiere residenziale, la rimessa delle barche e un po' le colline."
"C'è qualche luogo sicuro in cui spostare tutti?"
"No, che io sappia. Ci sono solo casolari, capanne e qualche cottage. Non credo siano luoghi sicuri. Sono fatti di legno."
Steve si alzò dalla sedia. "Bene, Isaac." 
Mi alzai anch'io.
"Trovati un letto e sistemati." Lanciò un occhiata al mio zaino. "Se hai delle provviste con te, portale in cucina. Qui condividiamo il cibo."
"Va bene." Gli strinsi la mano e uscì dalla stanza.

Appena cercai di guardarmi intorno, una donna mi raggiunse. Era una bella ragazza sui trent'anni, viso leggermente squadrato, occhi chiari e naso all'insù. Indossava una verde camicia con quadretti rossi sporca di terra e un jeans un po' largo. 
"Sono Denise Hill." Disse, accennando un saluto con la mano.
"Isaac Stone." Risposi.
"Resti o vai via?"
"Resto."
Denise sorrise. "Bene. Allora dobbiamo trovarti un letto. Seguimi."
La seguì sotto una passerella, mentre la gente mi guardava sottecchi. 
"Non fare caso alle loro occhiate." Mi disse. "Sono sempre così con gli estranei. Da quando gli uomini di Wellington ci hanno attaccati, sono diventati sospettosi con chi non conoscono."
"Capisco. Lo sarei anch'io."
"Mi fa piacere che tu capisca." 
Superammo una fila di letti a castello, che lasciarono spazio a quelli singoli. Poi Denise si fermò vicino a un letto singolo. Su di esso c'erano diversi libri dalle copertine stropicciate e magliette da uomo. Una valigia era messa di sbieco accanto al materasso.
"Dormirai qui." Disse Denise.
"Sembra che ci dorma già qualcuno."
Denise abbassò gli occhi rattristiti. "Apparteneva a Carlos. Un Hunter l'ha..." Si zittì e alzò gli occhi. "Metti le sue cose qui. Manderò qualcuno a prenderli." Fece per andare, quando si fermò. "Quasi dimenticavo. Se hai del cibo in quello zaino, saremmo grati se tu lo condividessi con noi."
"Sì, certo." Presi lo zaino dalle spalle e glielo diedi.
Denise buttò un occhio all'interno. "Cibo in scatola." Sorrise. "Ottimo. Dirò agli altri che mangeremo per un altra settimana grazie a te. Così capiranno che sei a posto."
"Grazie."
Denise si mise lo zaino in spalla e, abbozzando un sorriso, andò via.

Dopo aver tolto dal letto i libri e le magliette che appartenevano a Carlos, mi sdraiai sul materasso. Era molto comodo. Per la prima volta dopo settimane mi sentivo al sicuro, ma sopratutto mi ero steso sul letto. Pensai alla mia sdraia, alle notti insonne e al senso di ansia perenne.
Ora potevo respirare. Finalmente non ero solo.

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Mi appisolai per un ora, quando venni svegliato da Steve. 
"Vieni. Ti presento agli altri." Disse.
Stropicciando gli occhi, lo seguii fino all'angolo sud-ovest del magazzino. Qui c'era un finto muro di cartongesso che divideva quella che doveva essere la mensa comune dell'edificio. Molta gente era seduta sulle panche o sulle sedie. Quando passai in mezzo a loro, tutti si girarono a guardarmi.
Steve si fermò vicino a un rialzo di legno. Sembrava una specie di palco improvvisato e ci salimmo sopra.
"Ascoltate, gente." Disse Steve. La gente smise di vociferare. "Questo è Isaac Stone. Resterà con noi, quindi trattatelo bene." Alcune persone risero all'ultima frase. "Date il benvenuto a Isaac."
Tutti mi salutarono per nome o dicendo semplicemente "Ehi." o "Ciao." Notai in quel momento che c'erano più donne che uomini. Sui loro visi lessi solo diffidenza, ma non mi aspettavo diversamente.
Poi Steve si voltò verso di me e mi strinse la mano. 

Dopo essere stato presentato agli altri, Steve tornò nel suo ufficio seguito da tre uomini e quattro donne. Io rimasi nella mensa a stringere le mani di chi mi dava il benvenuto. Nessuno tentò di conoscermi e si dileguarono in fretta.
Poi Denise mi prese da parte.
"Ci siamo passati tutti." Mi disse. "Non preoccuparti per i musi lunghi. Fanno sempre così. Comunque sono qui per chiederti che lavoro vorresti fare."
"Vorrei andare la fuori."
Denise si accigliò. "Che vuoi dire? Vuoi andartene da qui o vuoi far parte di un gruppo di ricerca?"
"Il gruppo di ricerca." Risposi. "Mica sono pazzo da andarmene da qui." Sorrisi. In effetti non avevo capito perché Denise pareva confusa su quello che avevo detto.
"Lo so, ma c'è stata gente che se ne andata dopo la presentazione. Ecco perché ho detto così."
"Davvero?"
Denise annuì. "Qui siamo in democrazia. Non tratteniamo nessuno."
"Capisco."
"Seguimi. Ti presento Nora." 

Salendo le scale e proseguendo lungo la passerella, arrivammo di fronte a una porta sorvegliata da uomo armato di mitra. Denise girò la maniglia e mi fece entrare in una stanza dalla pianta rettangolare. C'era una scrivania, vari tavolini, sedie di legno e una lavagna con su fisso una mappa di Riverside e cerchietti rossi che non capivo. Quadri paesaggistici era appeso sui muri.
Una donna mulatta si girò verso di noi, si alzò dalla sedia e ci raggiunse. Era molto bella, sulla quarantina. Occhi chiari da cerbiatto, quasi bianchi, labbra carnose, capelli neri raccolti in una coda di cavallo e un lungo collo. Indossava una canottiera nera, un pantalone verde scuro e stivali neri sporchi di fango.
"E' nuovo?" Disse Nora a Denise.
"Sì. L'ho messo nella tua squadra."
"Sa usare un arma?"
Denise mi guardò.
"Sì, la so usare." Risposi.
"Sei arrivato appena in tempo per un rastrellamento." Mi disse Nora. "Siediti lì."
Stavo per dirle cosa volesse dire rastrellamento, ma decisi di tacere.
Denise mi salutò con un cenno della mano e uscì dalla stanza con Nora.

Rimasi seduto per più di cinque minuti, quando entrarono un uomo e una donna, seguiti da Nora. I due che non conoscevo mi guardarono un istante. 
Poi l'uomo si avvicinò. "Ehi." Disse sedendosi accanto a me. "Peter Dustin." Il suo tono era molto amichevole.
"Isaac Stone." Gli battei pugno contro pugno.
La donna invece, si mise a parlare con Nora. Quando finirono, si sedette vicino a me. "Ciao. Sono Angela Lopez."
Le strinsi la mano. "Isaac Stone."
"Non hanno perso tempo a rimpiazzare Carlos." Disse, ma sembrava che non stesse parlando con me, seppur mi stava guardando.
Non risposi.
"Già." Rispose Peter. "Povero bastardo."
"Isaac." Aggiunse Nora accanto alla lavagna. Poi mi fissò con fare austero. "Ascoltami. Loro due sanno già cosa faremo, quindi ascoltami attentamente." Ci diede le spalle e indicò con un dito un cerchietto rosso sulla mappa. "Questa zona, tra la Main Street e la Dalton Street, è infestata dagli infetti." Sbatté il dito sul cerchietto e si girò verso di noi, anche se stava guardando solo me. "La squadra di Ulman ha contato una cinquantina di infetti e nessun infetto speciale. Quella via è cruciale per i rifornimenti, visto che le case non sono ancora state saccheggiate. Il nostro obiettivo è far fuori i rabbiosi senza attirare troppo l'attenzione."
"Rabbiosi?" Mi lasciai scappare.
"Infetti. Io li chiamo rabbiosi. Ora non interrompermi più." Disse stizzita.
Sorridendo, Peter mi toccò con una gomitata. "Già, amico. Ti consiglio di non farlo mai più."
"Useremo i mitra con i silenziatori." Nora mi raggiunse. "Se rimani senza proiettili, non usare la pistola che ti daremo. Quella usala solo in caso di... Beh, in caso sei spacciato. Ha solo quattro proiettili. Come quattro sono i membri della squadra. Tutti hanno una pistola così." Si allontanò, prese una mazza da baseball da un armadietto e tornò da me. "Usa questo se sei accorto di pallottole. E sei ti farai mordere o graffiare, saremmo costretti a farti fuori. A meno che tu non sia asintomatico. Lo sei?"
"Che vuol dire?"
Peter mi toccò con un dito per avere la mia attenzione, si alzò di poco il pantalone a livello del polpaccio e mi mostrò il morso. "Vuol dire questo." Disse.
"Se sei stato già morso o graffiato," aggiunse Nora "e non hai mostrato segni di infezione, allora sei asintomatico. Noi tre lo siamo, anche Carlos lo era."
Se Peter aveva un morso sul polpaccio, io avevo ben altro. Mi alzai, mi tolsi la giacca e mostrai loro la schiena.
Rimasero impietriti.
"Merda, amico." Disse Peter. "E' stato un Hunter?"
"No, la mia ragazza." Risposi. Poi mi rimisi la giacca e mi sedetti. "Si era appena trasformata."
"Come hai fatto a sopravvivere con tutte quelle lacerazioni?" Mi domandò Angela incredula.
"Ho avuto la fortuna di essere stato medicato da un mio amico. Era un medico."
"L'hai uccisa?"
"Chi?"
"La tua ragazza." Domandò Angela. "L'hai uccisa?"
"No, non so che fine abbia fatto. Prima che si trasformassi, ero con lei in una casa sicura. C'era anche altra gente. Poi qualcuno si è trasformato ed è stata una strage. Mentre fuggivamo tra la folla che ci spintonava, un infetto l'ha morsa sul fianco. Si è trasformata davanti ai miei occhi. E' stato un secondo. Poi qualcuno mi ha spinto a terra e lei saltata sopra la mia spalla. Ancora oggi riesco a sentire le sue unghie strapparmi la carne dalla schiena. Non so come feci a liberarmi, ma mi alzai e corsi via. Non mi ero nemmeno accorto che avevo la schiena mezza squarciata. Fu in un vicolo che incontrai Fredrik e mi portò in un ambulatorio medico. Mi disse che ero stato fortunato, che gente con simili ferite non sopravvive o qualcosa del genere. Ero troppo fatto per ascoltarlo, visto che mi diede della morfina per non sentire dolore mentre mi ricuciva."
"Io ho perso una sorella." Disse Angela. "Lei era..."
"Non è il momento per raccontarci storie strappalacrime." Disse Nora. "Abbiamo un compito da svolgere."

Entrammo nella porta vicino alla lavagna. Era una piccola stanza illuminata da una lampada sospesa al soffitto con finestre sbarrate da assi di legno. Lungo le pareti verde chiaro, c'erano delle rastrelliere con fucili d'assalto, mitragliette e delle magnum. Due panche erano sistemate vicino agli armadietti.
"Questo è il tuo armadietto." Disse Nora. "Ci sono ancora gli oggetti personali di Carlos. Svuotalo e metti la sua roba su quel tavolo."
Aprii l'armadietto e notai una foto di un uomo e una bambina. La presi e la guardai, quando Angela mi posò una mano sulla spalla. 
"Quella era Dana, la figlia di Carlos." Mi disse. "E' scomparsa quattro giorni prima che Carlos morisse."
"Com'è successo?" Le domandai.
"Lei e gli altri bambini erano andati a giocare nel retro del magazzino. Lì c'era un parco giochi. Gli avevamo avvisati di non andare fuori senza la supervisione di un adulto, ma sai come sono i bambini. Non ascoltano mai. Stavano giocando, quando uno Smoker l'ha trascinata via. I bambini sono fuggiti e ci hanno avvisati, ma ormai era troppo tardi... Carlos era distrutto." Abbassò gli occhi. "Due ore dopo è andato a cercarla ed è tornato con il suo corpo. L'abbiamo seppellita vicino il parco giochi."
Posai la foto sul tavolo.
"Carlos si è lasciato andare... Si è lasciato morire."
"Non dire stronzate." Disse Peter. "Carlos era distrutto, ma non voleva morire."
"E tu che ne sai?"
"Lo conoscevo meglio di te."
"Non vuol dire nulla." Disse Angela stizzita. "Tu non hai visto com'era ridotto dopo la morte della figlia."
"Ero lì, Angela. Come noi tre. L'Hunter l'ha sorpreso. Non ha avuto il tempo di reagire."
"L'Hunter era a 40 metri da lui. Aveva tutto il tempo di farlo fuori, ma invece è rimasto fermo. Ha buttato a terra il fucile e ha spalancato le braccia, come se volesse che l'Hunter lo uccidesse. L'ho visto con i miei occhi. Noi tre l'abbiamo visto..."
Peter rimase in silenzio.
"Avete finito di lamentarvi come mocciosi?" Aggiunse Nora con un SMG silenziata nelle mani. "Prendete le armi e seguitemi."

Prendemmo tutti una SMG Silenziata. Come arma bianca io presi una machete, Nora la mazza da baseball, Angela la mazza da Cricket e Peter un ascia. Uscimmo dalla porta metallica rossa, che prima non avevo notato, poiché era immersa nella penombra. 
Ci ritrovammo in uno stretto vicolo, chiuso a destra da una rete metallica alta tre metri. Proseguimmo in fila unica e sbucammo in una strada a due corsie. C'erano molti veicoli abbandonati e sangue raggrumato sull'asfalto. Ci dirigemmo a sinistra e dopo qualche minuto, avvistammo a 30 metri un avamposto militare. Scorsi diversi spartitraffici di cemento, delle transenne pedonali della polizia e un camion militare, oltre a un gazebo con sotto un tavolino e due sedie. Diversi cadaveri di infetti puntellavano la strada. Ai piedi di una barriera metallica, militari e poliziotti erano ammassati uno sopra l'altro. Alcuni erano infetti, altri no. 
Nora si diresse nel gazebo, prese la mappa sul tavolo, ci diede una rapida occhiata e tornò da noi. 
"Questo potrebbe tornarci utile." Disse mettendo la mappa nella tasca.
"L'hai controllata?" Chiese Peter. "Può essere una copia delle altre mappe che abbiamo già."
"Non è una mappa di Riverside."
"No?"
"No."
"Allora cos'è?"
"Credo sia un mappa delle campagne qui intorno. C'erano diversi cerchi rossi, forse sono avamposti. Lo scopriremo in seguito. Ora andiamo."

Camminammo per una decina di minuti, quando ci fermammo davanti a un palazzo di tre piani. Nora lanciò uno sguardo intorno, poi bussò tre volte al portone.
Rimanemmo in ascolto.
Bussò di nuovo. 
Aspettammo.
"Io e Angela passiamo dal retro." Disse Peter a Nora.
"Aspetta." Rispose Nora accigliata.
"Cosa c'è?"
"Lo sentite?"
"Cosa?"
"Fa' silenzio."
Mi misi in ascolto, ma sentivo solo il vento frusciare tra gli alberi. 
"Non sento nulla." Dissi.
Nora mi lanciò un occhiata per dirmi di stare zitto.
Anche gli altri non sentivano nulla. Quando Peter fece per andare nel retro del palazzo, ecco che sentimmo uno stridio acuto.
Ci mettemmo spalla contro spalla, lanciando occhiate a finestre e balconi delle case e dei palazzi. Io controllai pure gli angoli degli edifici. Sentivo solo quell'orrendo stridio. Le strade erano deserte, desolate, imbrattate di sangue, arti mozzati e bossoli di pallottole.
Poi udii uno sputo. Non so se gli altri lo sentirono, ma vidi qualcosa di verde nell'aria. Cadde a sei centimetri dai piedi di Peter e iniziò a espandersi a macchia d'olio, ribollendo come magma.
Era acido.
Ci allontanammo da quella pozzanghera di acido, quando notai una barcollante e sbavante Spitter precipitarsi contro Angela, che fissava la pozzanghera. 
Sparai due colpi. 
La spitter cadde di faccia sull'asfalto, mentre una pozza di acido ribolliva sotto di essa.
Angela guardò la Spitter, poi me. "Grazie." Disse un po' scossa.
"Tieni gli occhi aperti, Angela!" Disse Nora irritata, quasi volesse gridare. "Se non era per Isaac, a quest'ora saresti morta."
Angela abbassò la testa, prendendosi il rimprovero.
"Ottima mira, Isaac." Aggiunse Peter allungandomi un pugno. Battei il mio pungo contro il suo.
"Isaac, vieni con me." Disse Nora. "Voi due entrate dal retro."
"Era quello che stavo facendo." Rispose Peter quasi fra sé.

L'ingresso del palazzo era un corridoio lungo otto metri e largo tre, illuminato debolmente da una piccola e polverosa finestrella rettangolare posta sopra alla porta da dove eravamo entrati. Una scala sul lato destro del muro conduceva al secondo piano. Diverse valige erano raccolte vicino a un tavolino con un vaso di fiori appassito. Schizzi di sangue imbrattavano i gradini.
Ci guardammo intorno per un attimo, poi Nora disse. "Tu controlla le due porta a sinistra. Io mio occupo di quelli a destra. Se trovi un gruppo di infetti, e quando dico gruppo intendo più di sei infetti, spara e indietreggia nel corridoio, dopodiché chiudi la porta e aspettami, ok?"
Annuii.
"Non accendere la torcia per nessun motivo al mondo." Mi guardò dritto negli occhi. "Ci siamo capiti?"
"Capito."
"Sicuro?"
Annuii.
"Un'ultima cosa." Nora indicò il machete legato a lato della mia cintura. "Se sono pochi, utilizza quello. Un colpo secco, deciso alla base della testa, ok? Le pallottole riservale per i gruppi o per gli infetti speciali."
Annuii nuovamente. Ero eccitato, quasi euforico, oltre che terrorizzato.
Ero pronto a perlustrare le due stanze.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Diedi un ultima occhiata a Nora e aprii la porta. 
Mi ritrovai in un piccolo e lungo ingresso immerso nella penombra. Sul muro, un quadro ritraeva una serie di scogli in mezzo al mare mosso. Alla mia sinistra, un arco conduceva nel soggiorno. 
Qui non c'era nessuno.
Mi diressi in cucina e avvistai un infetto. Dondolava in piedi con la testa tra le mani. Poi, barcollando in avanti, posò una mano sul muro, chinò la testa e vomitò bile nero sul pavimento.
Estrassi il mio machete, mi avvicinai con il cuore il gola e gli sferrai un fendente alla nuca. La testa volo via dal corpo, rotolando fino al frigorifero. L'infetto cadde di spalle, con un tonfo sordo. Dalla ferita non sgorgò sangue, ma intravidi muscoli, ossa e pelle in putrefazione.
Voltandomi, notai una porta vicino al bancone. Assicurai il machete alla cintura e puntai l'SMG silenziata davanti a me. Feci per girare la maniglia, quando la porta si spalancò. 
Un infetto crollò in avanti sul pavimento. 
Lo fissai perplesso, finché vidi improvvisamente la faccia di un altro infetto vicino alla mia. Era una donna. Cercò di mordermi l'avambraccio, ma indietreggiai appena in tempo. Puntai l'SMG e sparai tre colpi.
La testa dell'infetta esplose e pezzi di cervella e cranio imbrattarono le mura, il pavimento e i banconi della cucina. Poi si accasciò al suolo.
Rimasi a fissare la porta da dove era uscita. Oltre la soglia, oscurità totale. Le parole di Nora mi risuonarono in testa. "Non accendere la torcia per nessun motivo al mondo."
Fui tentato di farlo, ma non lo feci. Restai immobile per decina di secondi, poi decisi di entrare in quell'oscurità. Quando lo feci, sbattei la testa contro uno scaffale. Sentii il frastuono di alcuni oggetti schiantarsi sul pavimento. In quel buio vidi solo una palla da baseball rotolare sul pavimento e fermarsi accanto al gambo di una sedia. 
Poi delle urla laceranti ruppero la quiete. Gli infetti stavano arrivando per colpa mia.
Feci per precipitarmi fuori dall'appartamento, quando inciampai su un lembo di un tappeto. Crollai a terra e l'SMG mi volò di mano. Quando urtò il pavimento, l'arma sparò da sola un colpo che forò l'armadietto di un comodino.
"Merda!" Dissi quasi ad alta voce. Presi l'SMG e corsi fuori. 
Nora era sulla soglia da dove eravamo entrati. Guardava in strada con fare ansioso. Poi una mano si posò sulla mia spalle. Sussultai spaventato e quasi premetti il grilletto, quando mi accorsi che erano Angela e Peter.
"Che cazzo è successo?" Domandò Peter.
"Ho fatto..." Balbettai.
"Questo idiota ha allertato gli infetti." Mi interruppe Nora, ma non mi degnò di uno sguardo.
"Davvero un ottimo lavoro." Sbuffò Peter, scuotendo la testa.
"Da dove arriveranno?" Chiese Angela a Nora.
"Non lo so. Per questo sto guardando la strada."
Ma non arrivarono da lì. Arrivarono, o meglio, scesero dal secondo e terzo piano.
Lo capimmo solo all'ultimo istante, quando tre infetti scattarono verso di noi.
Angela fu la prima a sparare. Colpì due infetti, mentre il terzo si lanciò contro di me. Peter gli sparò un colpo in testa, prima che potesse staccarmi un dito.
Poi vedemmo dozzine di infetti precipitarsi giù dai gradini.
"Fuori!" Gridò Nora. Coprì la nostra ritirata sparando alla cieca.
Una volta in strada, fuggimmo verso l'avamposto militare che avevamo visto. Gli infetti uscirono dal palazzo, alcuni balzarono fuori dalle finestre o dai balconi. Gridavano e si muovevano freneticamente, quasi a zig zag, tenendo il busto lievemente in avanti.
Erano veloci. Molto veloci, e quanto urlavano.
Mentre correvamo, sparammo senza voltarci. Colpimmo forse cinque o sei infetti, ma solo Peter poteva saperlo, in quanto era l'ultimo del gruppo. Io mi trovavo in cima al gruppo, essendo più veloce.
Angela fu quasi raggiunto da un infetto, quando Nora gli sparò in testa. Quello cadde sull'asfalto e fece inciampare i suoi simili che correvano alle sue spalle. 
Guadagnammo terreno.
Raggiunto l'avamposto, Peter strappò l'M60 dalle mani cadaveriche di un militare e fece fuoco, falciando i primi infetti che arrivavano. Io presi il fucile automatico, Angela e Nora i fucili da caccia.
In un attimo, una raffica di proiettili li spazzò via. 
Era tornata la quiete. Erano tutti morti.
Restammo in silenzio per due minuti, con le orecchie tese. Potevano arrivarne degli altri o persino degli infetti speciali. Poi Nora si rivolse a me agitando un dito. "Ci hai fatto quasi ammazzare, idiota. Dove diavolo avevi la testa, eh?"
Non sapevo cosa rispondere, perché aveva ragione. Era tutta colpa mia.
"E dai, Nora." Rispose Peter, prendendo le mie difese. "Magari si è fatto prendere dal panico. Capita anche ai migliori."
"Capita anche ai migliori?" Ribadì Nora irritata. "Non è mai capitato a nessuno di noi. A nessuna squadra è mai capitato una cosa del genere." Ci diede le spalle e fece un breve pausa. "Un pivello. Ecco cos'è. Non sa stare sul campo."
"E' stato un incidente." Mi azzardai a dire.
Nora si voltò di scatto e mi fulminò con lo sguardo. Forse voleva sferrarmi un pugno in faccia per quanto era incazzata.
"Non dire niente." Mi sussurrò Peter, ammiccando.
Nora si voltò di nuovo, fece qualche passo in avanti e guardò il cielo.
"Devi scusarla." Mi disse Angela con un sorriso. "Lei fa così perché ci tiene a noi. Prima che Carlos morisse, non era così."
"Perché era innamorata di Carlos, ecco perché." Aggiunse Peter. "Certi sguardi so riconoscerli. Nora sta soffrendo e non sa come sfogarsi."
Angela non gli rispose.
Dopo qualche secondo, Nora si voltò e ci disse di tornare indietro. 

Mentre eravamo a due minuti dal nostro rifugio, Angela si accostò a me. Peter e Nora proseguivano in avanti, adocchiando tetti, balconi, finestre e angoli delle strade.
"Quanto tempo sei rimasto da solo?" Mi chiese.
"Settimane, forse, ma prima di arrivare da voi ho conosciuto quattro sopravvissuti."
"Sì? Chi erano?" Angela sembrava piuttosto sorpresa.
"So soltanto i loro nomi. Bill, Francis, Louis e Zoey."
Rimase in silenzio per un attimo. "Credo di conoscerli."
"Davvero?"
"Sono passati vicino al nostro rifugio. Steve ha parlato di quattro persone. Penso siano loro."
"Si sono rifiutati di restare con voi?" Domandai.
"No, non credo sapessero di noi. Sono passanti accanto al nostro rifugio inseguiti da un orda di infetti. Noi non potevamo aiutarli."
"O non volevate aiutarli?"
Angela mi guardò e abbassò lo sguardo. Poi raggiunse Nora e Peter.
Restai nella retroguardia, finché scorgemmo da lontano il nostro rifugio.

Una volta nell'armeria, lasciammo i SMG silenziati e le nostre armi bianche. Dopodiché ci sedemmo nell'altra stanza dove li avevo conosciuti. 
Nora prese la mappa dalla tasca e la spiegò sulla scrivania. La fissò per un minuto o forse più, poi si rivolse a noi. "Questa mappa segna alcuni punti vicino alla rimessa delle barche. Sapevate che proprio in quel posto c'è un avamposto militare?"
Ci guardammo tra noi, ma nessuno rispose.
"Steve deve essere informato. Se a questi punti ci sono delle risorse importanti, possiamo recuperarli."
"Sono tutti avamposti militari?" Domandai.
Nora mi lanciò un occhiata malevola. Era ancora incazzata con me, ma rispose. "Forse. Alcuni sembrano avamposti militari, altri no."
"Che vuol dire sembrano?" Chiese Peter.
"Che su alcuni c'è scritto avamposto militare. Su altri invece non c'è scritto nulla."
"Forse non sono tutti avamposti? Magari sono dei rifugi, centri di evacuazione della CEDA o..."
"La CEDA a Riverside?" Sbuffò Nora con un mezzo sorriso finto. "Non credo proprio. Sono stati i militari a creare gli avamposti e le case sicure. La CEDA non è arrivata fin qui."
"Magari in quei posti troveremo altri sopravvissuti?" Risposi.
"Come i Wellington?" Rispose Nora. 
Rimasi zitto, perché non sapevo chi erano i Wellington.
"I Wellington sono sempre stati dei figli di puttana," disse Peter. "ancor prima che scoppiasse questa pandemia. Non credo che ne incontreremo di simili."
"L'ultima volta abbiamo rischiato grosso. Se non era per quel Tank che li ha messi in fuga, a quest'ora saremmo morti o infetti."
Nessuno parlò.
Nora abbassò gli occhi sulla mappa. "Andate a riposarvi. Io resterò qui."

Verso sera, saranno state le dieci, tutti i sopravvissuti si riunirono in mensa, davanti a quello che era un palco improvvisato. Queste mi diede l'opportunità di contarli. C'erano 38 persone, eccetto gli otto bambini e cinque o sei sentinelle di guardia sui tetti del magazzino. Steve era su di esso e stava parlando con due donne, che sembravano espressivamente identici a Nora.
Quando ebbe finito, si rivolse alla folla. "Come tutti sapranno, quattro giorni fa i Wellington hanno cercato di ucciderci. Da allora ho istituito un gruppo di fuoco e insieme, abbiamo preparato un piano per farli fuori."
Si levò un mormorio tra la gente. Non capivo se fosse assenso o dissenso.
"L'operazione avrà inizio alle sei di domani. Se il piano fallirà, dobbiamo prepararci alla controffensiva. Sapete meglio di me che se non facciamo qualcosa, loro primo o poi torneranno. Quindi è meglio sorprenderli con il nostro attacco. Con un po' di fortuna, non avremo più i Wellington tra i piedi."
Qualche sopravvissuto esultò, ma tutti gli altri rimasero ammutoliti, guardandosi tra loro. Capii dagli sguardi che erano contrari a ciò che voleva fare Steve. E penso che anche lui se ne accorse, ma scese giù dal palco come se fosse tutto già deciso. Mentre s'incamminava tra la folla, seguito alle spalle dalle due donne, un uomo sulla sessantina gli bloccò la strada.
"Tu ci farai morire tutti!" Disse puntandogli il dito. La folla rumoreggiò positivamente.
Steve lo guardò, ma non rispose. Fece per superarlo, quando l'uomo lo afferrò per l'avambraccio. Le due donne si misero in mezzo e uno di loro lo allontanò.
Quando Steve lasciò la mensa, la folla si disperse e io andai a dormire.

Fui svegliato da urla e imprecazioni. 
Mi misi seduto sul mio letto e, con gli occhi assonnati e la vista mezza sfocata, guardai verso l'entrata del magazzino. Scorsi un piccolo gruppetto di sopravvissuti. Un fascio di luce filtrava dal lucernario polveroso. Illuminava le spalle della guardia sulla passerella intenta a guardare ciò che stava succedendo. Molta gente si era svegliata e altri se ne stavano per conto loro.
Mi alzai e mi diressi con passo incerto verso il gruppetto. 
"Non andrete da nessuna parte." Disse un uomo. Mi resi conto che era lo stesso uomo di ieri.
"Ma non capisci, Lerry. Se non lo facciamo noi, lo faranno loro." Rispose Steve. "Dobbiamo attaccarli per primi. L'ultima volta siamo stati fortunati a non aver combattuto anche contro un orda di infetti, mentre i Wellington ci sparavano addosso."
"Tu ci farai ammazzare, Steve. Sei in cerca di rogne. Te lo leggo negli occhi."
"Non sono in cerca di nulla. Voglio solo il bene della gente. Mi avete eletto come leader e credo che questa situazione  vada affrontata in questo modo."
"Con le armi?" Lerry sbuffò sprezzante. "Le armi non risolvono nulla, Steve. Non vedi cosa c'è la fuori? Non vedi cosa è rimasto del mondo? Invece di fare fronte unito, non facciamo che saltarci alla gola. Le armi peggiorano le cose. Lo fanno sempre in questi casi. Io credo che dobbiamo cercare un dialogo con i Wellington."
Alcuni dei sopravvissuti furono d'accordo con Lerry.
"Pensi che non l'abbia già fatto? Ho provato e riprovato. E sapete bene com'è andata a finire."
Tutti si ammutolirono e abbassarono lo sguardo, come se ricordassero qualcosa di spiacevole.
"Quei ragazzi possono essere stati uccisi dagli infetti." Disse Lerry. "Non abbiamo nessuno prova che siano stati i Wellington."
"Ah no? Allora perché ci hanno attaccato, Lerry?"
Lerry lo guardò dritto negli occhi. Mi parve di capire che lui sapesse qualcosa su Steve, ma era indeciso se dirlo o meno pubblicamente. Tutti lo guardarono, ma non disse nulla.
Steve si voltò verso il gruppo di fuoco. Erano quattro uomini e quattro donne armati con fucili d'assalto e fucili da cecchino. Non avevano più di trent'anni.
"Come vi ho già detto ieri, è importante che vi teniate distanti." Disse Steve. "Lanciate le molotov contro le finestre del cottage, non contro i muri o il tetto. Il fuoco spingerà i Wellington fuori dal loro rifugio e sarà in quel momento che sparerete per uccidere."
Oltre me, anche Lerry e il suo gruppetto di sostenitori lo stavano ascoltando.
Quando Steve fece per augurare buona fortuna al gruppo di fuoco, Lerry disse. "Katrin."
Steve si girò lentamente, come se quel nome gli ricordasse qualcosa di orrendo. Il gruppo di fuoco si fermò sulla soglia della saracinesca. Parevano perplessi.
"Cosa?" Rispose Steve turbato.
"Che fine ha fatto Katrin?" Domandò Lerry.
Steve lo fissò per un attimo. Sembrava cercare qualche risposta nella sua mente, ma si limitò a stare zitto.
"Katrin Wellington." Sottolineò Lerry scandendo il cognome.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Steve rimase in silenzio e vagò con lo sguardo. Il gruppo di fuoco e i sostenitori di Lerry lo guardarono.
"Allora, Steve?" Lo incalzò Lerry. "Fai sapere a tutti cosa hai fatto a Katrin? E perché i Wellington ci vogliono morti."
Gli occhi di Steve si serrarono minacciosi. Strinse la mano a mo' di pugno. 
"Sei solo un codardo." Ringhiò Lerry tra i denti.
Steve gli si lanciò contro, lo afferrò per i fianchi e lo buttò giù. Cercò di tirargli pugni in faccia, ma Lerry riuscì a proteggersi con le braccia. Il gruppo di fuoco e i sostenitori di Lerry intervennero per separarli. Mentre li trascinarono via per qualche metro, i due non smisero di dimenarsi.
Gli altri sopravvissuti, allertati dalle grida, si avvicinarono, formando un cerchio.
"Sei uno lurido bugiardo!" Gridò Steve.
"Tu sei un fottuto bugiardo!" Rispose Lerry.
I sopravvissuti mormorarono fra loro, cercando di capire cosa avesse scatenato la lita.
Poi Nora si fece largo tra la folla e si mise in mezzo ai due uomini. Li ammonì con lo sguardo. Nulla a che vedere con l'occhiata malevola che mi aveva lanciato il giorno prima. Questo sguardo era carico di rabbia.
"Voglio sapere da voi due cosa diavolo è successo?" Disse Nora, fissandoli.
Steve fece per parlare, ma rimase zitto. 
"Vuole farci ammazzare tutti." Disse Lerry. "Quello stronzo vuole farci morire."
Nora gli si avvicinò. "Ah sì? Perché, Lerry?"
"Perché? Mi domandi perché? Ha ucciso Karen!" Urlò. Poi si rivolse alla folla. "E' per colpa sua se i Wellington ci vogliono uccidere! Lui ha ucciso la figlia di Norman!"
Tra la folla calò il silenzio. Gli occhi di tutti erano puntati sull'ammutolito Steve.
Nora si girò verso di lui, aspettandosi una risposta che non arrivò. "E' vero, Steve?"
Steve le lanciò un occhiata. "E' un folle. Dice solo stronzate. Lo sapete meglio di me."
"Tu sei un folle, figlio di puttana." Lerry fece per dimenarsi, ma i suoi sostenitori lo mantennero fermo.
Onestamente non stavo a capirci nulla. Non conoscevo né Karen, né i Wellington. Si può dire che non conoscevo nulla di quei sopravvissuti. 
"Conoscevo bene Karen." Disse una voce femminile tra la folla. Tutti si guardarono le spalle. 
Con gli sguardi puntati addosso, Angela camminò tra la gente, fermandosi accanto a Nora. "Karen è stata uccisa. Non sarebbe mai andata via. Lo so io, come lo sapete tutti voi." Fece una pausa per guardare i volti dei sopravvissuti. "Lei ha creato questo posto. Lei e suo padre hanno creato questo rifugio. Quando i militari ci hanno abbandonati, lei e suo padre si sono presi cura di noi. Ci hanno accolto, fatto mangiare, protetto. Questa guerra è stupida."
La folla rumoreggiò positivamente. Poi un uomo corpulento disse. "Sì, ci hanno aiutato, finché non li siamo serviti più."
I sopravvissuti mormorano assenso.
"Chi lo dice questo?" Disse Angela. "Chi? Siamo stati noi a cacciare i Wellington, vi ricordate? O avete dimenticato. Quando Karen è morta, Norman si è chiuso nel suo ufficio. Non sapevamo cosa fare senza di lui. Così abbiamo eletto Steve come Leader temporaneo." Lo indicò con una mano. "E la prima cosa che ha fatto qual è stata?" Guardò i sopravvissuti, aspettandosi una risposta che non arrivò. "Lo ha cacciato. Tutti noi l'abbiamo cacciato. Ecco cosa abbiamo fatto."
Tutti tenevano la testa bassa.
"Steve l'ha uccisa." Aggiunse Lerry. "Questo casino è opera di Steve. E' sua la colpa. Sua!"
Steve si limitò a guardarlo. Poi con un rapidissimo gesto, estrasse la pistola dalla fondina e fece fuoco. Gli spari rimbombarono nel magazzino. Lerry cadde morto sul pavimento, gli occhi fissi sul lucernario.
Dalla folla si levarono grida disperate. Alcuni fissarono spaventati la pistola nella mano dell'assassino. Nora fece per strappargliela, quando Steve si fece saltare le cervella.
Rimasi senza parole. 
La gente gridava, fuggiva via. Alcuni si limitarono a guardare i due cadaveri senza fare o dire nulla. 
Angela sollevò la testa di Steve, che aveva una parte del cranio dilaniata dal proiettile. Cercava di svegliarlo, inconsapevole che fosse morto. Forse era sotto shock.
Nora era rimasta immobile. I vestiti e il viso macchiati di sangue e cervella.
Poi vidi il gruppo di fuoco e i sostenitori di Lerry lanciarsi sguardi carichi di odio. Alcuni di loro avevano le armi puntate. Non so cosa aspettassero a saltarsi alla gola. Forse non ne avevano il coraggio, o forse aspettavano che uno dei loro compagni facesse la prima mossa. 
Ma nessuno fece niente, perché arrivò Denise con fare serio. Non l'avevo mai visto con questa espressione. Anzi, mi era sembrata una persona molto dolce e amichevole. Ora invece, aveva un espressione da soldatessa o meglio ancora, da generale.
Guardò i due cadaveri sul pavimento. Uno sguardo freddo, come se sapesse che primo o poi sarebbe successo. Non credo provasse qualcosa per i due.
"Ripulite e portate i cadaveri nel retro." Disse come se fosse lei a comandare ora. "Gli spari avranno attirati gli infetti nei paraggi." Guardò il gruppo di fuoco. "Voi andate sui tetti e tenete d'occhio balconi e strade." Poi si rivolse ai sostenitori di Lerry. "Voi invece, raggiungete il retro, montate il mitragliatore e tenete gli occhi aperti."
I due gruppi fecero come ordinato. Sembrava che Denise avesse assunto il ruolo di Leader anche se nessuno l'aveva scelta.
"Nora." Disse Denise. "Dati una ripulita. Ti voglio qui tra cinque minuti. Armata fino ai denti."
Nora la guardò con fare apatico e lentamente si allontanò.
Angela si alzò con le mani insanguinate. "Non pensavo che..."
"Era questione di tempo." Rispose Denise. "Non avevamo prove contro Steve, ma credo che quasi tutti sapessero che l'aveva uccisa."
"Lerry sapeva. Sapeva cosa era successo. Voleva parlare, ma..." Si zittì e la guardò. "Ma nessuno gli dava retta. Nessuno di noi l'ha mai fatto." Era piuttosto scosso.
"La gente non voleva che la morte di Karen creasse divisioni tra loro. Non con gli infetti là fuori."
"L'ha uccisa per cosa?" Disse Angela quasi fra sé. "Perché non voleva stare più con lui. La morte di Karen è anche sulle nostre mani. Noi sapevamo. Abbiamo visto cosa gli aveva fatto l'ultima volta che l'abbiamo vista. Il viso tumefatto, gli occhi gonfi dalle botte. Noi sapevamo, ma abbiamo scelto di ignorare. Ignoriamo sempre. Ignoriamo finché non è troppo tardi."
Denise non parlò. Posò una mano sulla spalla di Angela per confortarla. "Noi..."
D'un tratto, dall'esterno del magazzino, si udirono delle forti grida.
"Arrivano!" Urlò un uomo sulla passerella.
Sentii una fitta allo stomaco.
I sopravvissuti cominciarono a fuggire in preda al caos.
Denise si guardò intorno e urlò nel fracasso generale. "Chi non ha un arma, vada nell'armeria! Peter vi darà delle armi. Chi è già armato, raggiunga il tetto o la barricata sul retro. Fate presto!" Salì sulla passerella e sparì nella porta che conduceva sul tetto.
Rimasi a fissare la gente completamente terrorizzato, finché qualcuno mi mise sul petto una mitraglietta. "Muoviti, coglione! Gli infetti saranno qui a momenti." E sparì tra la folla.
Fissai l'arma per un attimo. Lentamente salii i gradini e corsi sulla passerella. Di sotto notai Angela che si alzava, come se aveva appena compreso cosa stava succedendo. 
Aprii la porta. 
Una ventina tra uomini e donne erano sul tetto, a ridosso dei cornicioni su cui correva del filo spinato. Sacchi di sabbia e blocchi di cemento erano disseminati sul tetto. Molti sopravvissuti tremavano, altri fissavano la strada ansiosi, altri ancora cercavano di smorzare quella situazione ridendo. Mai i più se ne stavano silenti.
Mi avvicinai a Denise. Parlava con un uomo vicino a un mitragliatore, posto tra due tubi di ventilazione. "Fai come ti ho detto." Disse all'uomo, che posò il dito sul grilletto del mitragliatore. Poi si voltò verso di me. "Con quella mitraglietta farai poco o nulla sui tetti, Isaac. Fatti dare un M60 da Victor. Si trova laggiù." Mi indicò un uomo di colore alto, robusto e con folti capelli afro. 
Fece per dirigermi da lui, quando comparve una Spitter sul tetto dell'edificio alla mia destra. Lo sputo colpì una postazione di sacchi di sabbia. La pozza d'acido, che si andava espandendo, divorò i piedi di due uomini che erano lì. Poi, cadendo, furono avvolti dal liquido che corrose loro la carne fino all'osso. 
Tutti si voltarono verso le grida. 
La Spitter balzò dal tetto accanto, ma a mezz'aria fu crivellata dai proiettili. Si schiantò sulla strada.
Da quel punto, un centinaio di infetti stavano arrivando come un fiume in piena.
I sopravvissuti aprirono il fuoco. Molti infetti furono travolti dalle pallottole. 
Io mi accostai a un cornicione, vicino al mitragliatore. Quello sparava assordandomi del tutto. Cercai di prendere la mira, quando una donna accanto a me fu avvolta dalla lingua violacea di uno Smoker. Sparai una breve raffica e con un sbuffo di fumo verdastro putrescente, lo Smoker cascò giù dal balcone. 
Il sole si affacciò per un attimo tra le dense nubi. 
Sentii il ringhio di due Hunter. Mi voltai alle mie spalle, solo per vedere una figura stagliarsi in cielo e atterrare su una donna. Le squarciò il busto con le sue mani affilate, finché qualcuno gli fece saltare la testa. 
Quando tornai a voltarmi, vidi il secondo Hunter balzare verso il mitragliatore. Ma prima che potessi sparare, quello l'aveva già fatto fuori. 
Gli infetti si arrampicarono sui tubi pluviali e sui balconi. Molti vennero uccisi, schiantandosi sul marciapiede. 
Reggemmo lo scontro per più di un minuto. Poi un Boomer vomitò bile su tre persone. 
A quel punto, fummo sopraffatti. 
Sbucarono dai tetti ai lati del magazzino, saltarono dalle finestre come una cascata. Tra di loro vidi un Jockey, un Boomer e un Charger.  
I sopravvissuti furono travolti dall'orda. Il mitragliatore venne squartato da un Hunter. La donna al mio fianco fu caricata da un Charger che la fece cadere dal tetto. Le grida di dolore si mischiarono con i gemiti e versi gutturali di quegli orrendi abomini.
Sparai raffiche in tutte le direzioni. Ero nel panico più totale.
Poi una vampata di fuoco prese vita su una parte del tetto. Le fiamme avvolsero una quarantina di infetti. Per un momento, vidi delle molotov volare in arie e schiantarsi al suolo. Fuggii verso l'uscita dal tetto, quando lo vidi crollare sotto una manata di un Tank. 
Colonne di fumo si alzarono nel cielo. 
Il Tank staccò una parte del pavimento del tetto e lo lanciò contro un gruppetto che sparava nella sua direzione, colpendoli in pieno. Poi, battendo i pugni contro il possente petto, caricò i sopravvissuti. Al suo passaggio, uomini e donne vennero lanciati contro i muri. Alcuni volarono giù dal tetto o furono fatti a pezzi sotto i martellanti pugni del Tank.
Sparai contro le frotte di infetti che arrivavano verso di me. Uno mi raggiunse e mi strappò la mitraglietta dalle mani. Un altro mi colpii debolmente alla schiena con un pugno, spingendomi in avanti. Riuscii a divincolarmi dalle loro mani e fuggii verso l'unica direzione che mi parve possibile. L'unica direzione a non essere invasa dalle fiamme. In altre situazioni non avrei mai fatto quello che stavo per fare.
Correndo, saltai dal tetto; di colpo il tempo sembrò rallentarsi. Vidi i miei piedi a mezz'aria. Sotto di me, sul freddo asfalto, giacevano i corpi senza vita di infetti e sopravvissuti. I suoni mi arrivavano distorti, come se fossi sott'acqua. Poi il tutto si velocizzò e finii contro la finestra. Per mia fortuna la vetrata era già rotta e atterrai contro lo schienale del divano, rotolando sul pavimento. Mi alzai di scatto e corsi verso la finestra da cui ero arrivato. 
Gli infetti stavano risalendo i tubi pluviali del magazzino. Altri si precipitavano in massa nel retro. Sentii spari, urla, il gorgoglio lontano di un Boomer e il ruggito del Tank. Poi le grida diminuirono, gli spari cessarono. 
Capii che era andato tutto a puttane. 
Forse era l'unico sopravvissuto. Forse qualcun'altro si era messo in salvo. Angela, Peter, Nora, Denise, uno di loro doveva essere sopravvissuto. Non volevo credere che fossero morti tutti.
Mentre riflettevo, dalla finestre sbucò un infetto. Mi colse di sorpresa e quasi mi atterrò con una larga manata. Afferrai la prima cosa che mi capitò tra le mani, un vaso di fiori, e glielo ruppi in testa. Dell'acqua marrone scura si riversò sulla sua maglietta putrescente. L'infetto indietreggiò stordito e, caricandolo con una spallata, lo gettai fuori dalla finestra. Quando toccò il suolo. la testa implose in mille pezzi.
Gettai un ultimo sguardo al magazzino e, con gli occhi lucidi, mi allontanai dalla finestra.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Mi diressi in cucina e aprii il frigorifero. Un tanfo di uova marce mi fece quasi rimettere. Chiusi il portello e cercai cibo nei cassetti e nelle ante. Non trovai nulla. La solita fortuna.
Da fuori sentivo i gemiti degli infetti. 
Prima di uscire dall'appartamento, diedi un occhiata alle varie stanze e non trovai nulla. Poi quando fece per girare la maniglia, mi fermai. Ero stato uno stupido. Non avevo controllato se nel corridoio ci fossero gli infetti.
Andai in cucina, presi un grosso coltello e tornai alla porta. Bussai tre volte. Non sentivo nulla. Ribussai, ma ancora nulla. Forse non c'era nessuno.
Aprendo la porta, sbirciai nel corridoio. Era immerso nella penombra. La luce del giorno filtrava tra le assi di legno che sbarravano la finestra. 
Camminai nel corridoio e scesi le scale al terzo piano. Anche qui non trovai nessuno. Forse gli infetti erano tutti usciti, ma non potevo esserne sicuro. Non si è mai sicuri di niente in queste situazioni. 
Mi misi a controllare le porte, ma erano tutto chiuse a chiave. Feci lo stesso al secondo piano e qui trovai due appartamenti saccheggiati con la porta sfondata. Ebbi la fortuna di mettere sotto i denti una barretta di cioccolato finita sotto il divano.
Scesi al primo piano e vidi molti cadaveri ammassati vicino al parete crivellato. Erano tutti infetti. Il sangue macchiava quasi tutto il muro e il pavimento. Qui la finestra aveva i vetri frantumati. Notai un ascia antincendio in una mano mozzata. L'afferrai e lascia il coltello. Con questo avevo più possibilità di difesa contro gli infetti. 
Seguendo la scia di sangue raggrumato, scesi circospetto i gradini che conducevano all'ingresso, gli occhi puntati sul portone spalancato. Qui ebbi la conferma che l'edificio era completamente vuoto. Non che fossi sorpreso, visto che tutti gli infetti nei paraggi si erano diretti al magazzino dopo aver sentito gli spari.
Mi fermai sulla soglia e lanciai uno sguardo in strada. Avvistai una ventina di infetti. Barcollavano, vomitavano bile o si sedevano a terra. Con la mia ascia avrei fatto poco o nulla contro quel numero. Mi chinai e mi diressi lentamente dietro un auto della polizia. Quando feci per spostarmi accanto un muretto, notai un infetto che si alzava in piedi.
Mi aveva sentito.
Quando si voltò verso di me, lo decapitai con la mia ascia. Mi guardai intorno. Nessuno di quei mostri si ere allertato. Aspettai ancora un po' prima di andare. Poi raggiunsi il muretto e, chinando la testa, camminai fino a un pino dal folto fogliame. 
Superato l'albero, mi vidi la strada sbarrata da un centinaio o forse più di infetti. Vagavano vicino al retro del magazzino. Scorsi un uomo con la schiena squarciata su una postazione di sacchi di sabbia. Tra i piedi degli infetti vaganti, intravidi i corpi dei superstiti. 
Lanciai uno sguardo sui balconi e sui tetti. Non vidi nessun Smoker, ma neanche il Tank. Che fine aveva fatto? Si era dileguato?
Rimasi lì per dieci minuti. Non sapevo cosa fare. L'unica strada che conduceva alla rimesse delle barche era sbarrato da una piccola orda. Cercai di farmi venire in mente un idea, quando sentii un rumore alle mie spalle. Mi voltai per sferrare un colpo, ma fermai l'ascia a tre centimetri dalla faccia di Angela. 
Era scossa. Gli occhi arrossati dal pianto e le occhiaie nere. 
"Sei vivo." Mi disse incredula.
"Sssh. Non fare rumore." Risposi. "Pensavo di essere l'unico sopravvissuto."
"L'ho pensato anch'io."
"Quindi... Quindi sono morti tutti?"
"Sì..." Angela abbassò lo sguardo rattristita. "Voglio dire, non ne sono sicura."
Le guardai le mani. "Non hai nessun arma?"
"No. Ho buttato il fucile quando ho finito il caricatore."
Alcuni infetti si stavano allontanando lentamente dal retro, ma erano ancora tanti.
"Dove hai preso quell'ascia?"
"Dal palazzo accanto." Lo indicai con l'ascia. 
"Ora cosa facciamo?" 
"Voglio andare alla rimessa delle barche. Nora ci aveva detto che forse è un posto sicuro."
"Allora vengo con te."
"Beh, non ti avrei lasciata di certo qui." Sorrisi.
"Attento!"
Mi voltai e un pugno mi colpii in pieno volto. Caddi a terra, stordito. La mia ascia mi scivolò di mano e finì sull'erba. Quando l'infetto fece per colpirmi di nuovo, Angela gli squarciò mezzo busto con la mia arma. 
Mi alzai rapidamente e per un momento vidi doppio. Angela mi ridiede l'ascia.

Restammo lì per altri dieci minuti, finché gli infetti lentamente sciamavano altrove.
"Guarda!" Indicai una parte di muro crollato nel retro del magazzino. "Se ci muoviamo bassi tra quei cespugli, possiamo entrare dentro."
"A fare cosa?" Mi chiese Angela.
"Ci servono delle armi."
"Attireranno gli infetti."
"Lo so, ma non possiamo girare disarmati."
"Tu hai l'ascia. Io posso prendere quella lì." Puntò il dito verso il machete conficcato nel cranio di un infetto.
"Ok, ma non possiamo fare nulla contro gli infetti speciali. Ci servono armi da fuoco. Lo sai meglio di me."
Angela non disse nulla, ma intuii che aveva capito.
Muovendoci silenziosamente dietro la fila di cespugli, arrivammo di fronte a una rete metallica, che bloccava il vicolo. Un sopravvissuto con il collo mezzo staccato era poggiato di spalle. Ai suoi piedi, c'era l'infetto con il machete nel cranio. Angela afferrò l'arma. Poi saltammo il muretto e, facendo attenzione a non far rumore, superammo le macerie. 
Quando entrammo nel magazzino, rimanemmo pietrificati per ciò che vedemmo. Schizzi di sangue imbrattavano muri, letti e tavoli. I cadaveri degli infetti e dei sopravvissuti giacevano sul pavimento completamente cosparso sangue. La maggior parte della passerella era distrutta, sotto i detriti del tetto. 
Avvistai quattro infetti barcollare senza meta. 
"Ferma." Dissi a Angela. "Li vedi? Quei quattro, là? Tu prendi i due a destra, io i due sinistra, ok?"
Angela annuì.
Uscimmo allo scoperto e ci avvicinammo con calma. I quattro, vedendoci arrivare, gemettero e si lanciarono contro di noi. 
Angela decapitò un infetto e colpì l'altro sul ventre. Io staccai un braccio al primo e squarciai dalla scapola in giù il secondo. Fummo veloci. Settimane prima non avrei mai pensato di raggiungere questa freddezza e velocità in un corpo a corpo.
Ci dirigemmo verso l'armeria e la trovammo chiusa a chiave. Cercai di rompere la porta con l'ascia, ma non servii a nulla. 
"Ci serve la chiave per entrare." Disse Angela. Poi guardò i cadaveri dei sopravvissuti. "Non abbiamo tutto questo tempo per metterci a cercarla, non credi?"
"Se troviamo Nora, forse..." Risposi.
"Non sappiamo se è morta. Potrebbe essere viva. Magari è da qualche parte qui fuori con il resto della gente."
"O magari non c'è nessuno."
Angela si accigliò. "Non essere pessimista."
"Non lo sono. Dico solo..." Mi interruppi, sentendo il gorgoglio di un Boomer.
"Lo senti?" Mi disse.
Annuii. "Forse non sa della nostra presenza."
"Beh, cambia poco. Se rimaniamo qui faremo la fine degli altri. Prendiamo le armi dai cadaveri e andiamocene."
"Non sappiamo quali armi siano cariche. Dovremmo controllare i caricatori."
"Non c'è tempo, se..."
D'un tratto udimmo il rumore di una chiave girare nella serratura e la porta dell'armeria si aprii.
"Nora." Disse Angela sorpresa.
"Forza, entrate!" Bisbigliò, guardando oltre la soglia.
Quando fummo dentro, Nora richiuse a chiave. Nella stanza c'era anche Peter. Dall'altra parte, dove un tempo c'era la porta che conduceva nell'armeria, ora c'era solo un cumulo di macerie.
"Ehi, siete vivi?" Aggiunse Peter contento. Mi abbracciò come fossimo vecchi amici. Stessa cosa fece con Angela.
"Siete solo voi due?" Disse Nora.
"Sì." Rispose Angela. "Ci sono altri sopravvissuti?"
Nora scosse la testa.
"Denise?" Domandai. "L'avete vista?"
"Non abbiamo visto nessuno oltre voi due." Rispose Peter. 
"Come ti sei salvato?" Mi domandò Nora.
"Sono saltato dal tetto e sono finito contro una finestra." Aggiunsi.
"Cosa?" Disse Peter quasi a bocca aperta. 
"Mi sembrava l'unica possibilità d'uscita."
"C'era gente che volava giù dal tetto." Disse Angela. "E' stato orrendo..."
"E' stato il Tank." Risposi. "Voi come avete fatto a fuggire?"
"Io ero già qui quando gli infetti sono entrati nel magazzino." Disse Nora.
"Io mi trovavo nel retro." Aggiunse Peter. "Ero appena arrivato, quando la postazione è stata invasa. Così sono fuggito da dove sono arrivato e sono corso all'armeria. Mi sembrava il posto più sicuro in quel momento."
Angela abbassò lo sguardo. "Io... Io mi sono nascosta. Avevo paura. Vedevo quei mostri ovunque."
Nora la strinse con un braccio. "Tutti siamo rimasti scossi dall'attacco."
Il gesto di Nora mi rese perplesso, poiché non l'avevo mai mostrare affetto. 
"Cosa è successo all'armeria?" Chiesi.
"Non lo vedi?" Rispose Nora. "Il tetto è crollato."
"Abbiamo perse anche le armi." Disse Peter. 

Lasciando il magazzino, ci dirigemmo verso la rimessa delle barche, finché ci fermammo di fronte alle recinzioni metalliche della polizia. Dovevamo passare per Main street e per farlo, dovevamo aggirare questo ostacolo.
Entrammo in un bar. Sedie e tavoli erano rotti o ribaltati. Un donna giaceva di schiena sul bancone con in mano un coltello insanguinato. Attraversammo la sala sporca di sangue, puntellata da cadaveri e uscimmo dall'altra parte della recinzione metallica. 
A 100 metri scorgemmo un terrapieno alto tre metri, che andava da un marciapiede all'altro. Ai suoi piedi, c'erano quattro spartitraffici. Un bus era messo di traverso, vicino a un tavolo e una cassa militare.
"I Militari l'hanno fatto per davvero." Disse Nora. 
"Cosa?" Domandai.
"Avevano radunato la gente per innalzare un terrapieno. Credevano di fermare gli infetti."
"A quanto pare non è servito a niente."
"Già." Disse Peter. "Hanno solo rovinato Main Street. L'unica parte di Riverside decente." Sbuffò.
"Ma da dove hanno preso la terra?" Chiese Angela.
"Da sotto l'asfalto." Rispose Nora. "Hanno usato i veicoli da cantiere dei Wellington."
"Sei ben informata." Disse Peter.
"Perché ero qui, prima che si mettessero all'opera. Quel bus doveva evacuarci da Riverside. Poi hanno cambiato idea e detto alla gente di aiutarli a costruire il terrapieno. Così me ne sono andata, senza farmi vedere. Sapevo che niente avrebbe fermato gli infetti."
"Questo spiega l'ammasso di corpi laggiù." Dissi.

Raggiunto il terrapieno, ci salimmo sopra e vedemmo una centinaio o forse più di infetti morti sulla strada. Rimanemmo senza parole.
"Qualcuno è già passato di qui." Disse Angela. 
"Come fai a esserne sicura?" Chiese Nora.
"I bossoli, le ferite sugli infetti."
"Gli infetti sono morti. Non puoi sapere da quanto sono morti."
"Beh, è una sensazione. Non so descrivertela."
"Poco importa." Aggiunse Peter. "Hanno fatto davvero una carneficina."
"Forse sono stati i quattro che ho incontrato prima di stare con voi?" Domandai.
"Sì, possono essere loro." Rispose Angela. "Ricordo di averli visti l'ultima volta dirigersi verso Main street. Erano armati e mi hanno dato l'impressione di sapere come usare le armi."
"Se hanno preso questa strada," disse Nora "allora si sono diretti alla rimessa delle barche."
"Non resta che scoprirlo." Aggiunse Peter.

Superato il terrapieno, che continuava per venti metri, aggirammo un bus messo di sbieco e ci ritrovammo di fronte a un'altra serie di rete metalliche. Questo ci costrinse a inoltrarci in un vicolo mal illuminato. 
Una debole luce filtrava attraverso una finestra della lavanderia. Notammo molti più infetti morti qui, che nella strada da dove eravamo venuti. Procedemmo lungo il vicolo, finché una recinzione ci costrinse a salire una piccola rampa di scale che ci condusse dapprima in una piccola stanza perlopiù vuota e poi su un tetto. Da qui procedemmo su un asse di legno che collegava il tetto con l'altro edificio. Anche qui fummo costretti ad entrare in una piccola stanza, per poi uscire sul tetto tramite una finestra e dirigerci sull'altro lato della recinzione. Quando fummo a terra, vedemmo una porta di ferro rossa. Doveva essere un altro rifugio sicuro installato dai militari.
"Allora è questo il punto senza nome." Disse Nora.
"Ti riferisci a ciò che hai visto nella mappa?" Chiesi.
"Sì. Dopo questo rifugio, c'è la rimessa delle barche."
Entrati nel piccolo rifugio, ci accorgemmo che su un tavolo c'erano armi e munizioni, oltre a quattro sacchi a pelo.
"Non è un postazione militare." Disse Nora. "Sembra più l'opera di uno o più sopravvissuti."
"Lo credo anch'io." Disse Angela.
Peter afferrò un M60 tutto contento. "Finalmente un arma come si deve."
Io presi un fucile automatico, Nora un Ak-47 e Angela un fucile da cecchino. 
"Guardate." Disse Angela. "C'è una cicca di sigaretta, qui. Sembra recente."
"Merda, allora è vero." Disse Peter. "Qualcuno ha davvero fatto fuori l'orda di infetti là fuori."
"Non qualcuno, ma i quattro sopravvissuti." Dissi. Ormai sentivo che erano stati loro a fare quella carneficina. 
"Basterebbero loro quattro per ripulire completamente Riverside dagli infetti." Aggiunse Nora. 
"Sono peggio di un fottuto esercito." Disse Peter.

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Capitolo 7
*** 7. Epilogo ***


Passammo lì il resto della giornata, mangiando cibo in scatola che avevamo trovato nel fondo di una cassa. C'era persino un secchio maleodorante in un angolo, dove facemmo i nostri bisogni. Quando fu sera, dormimmo nei sacchi a pelo e alle prime luci dell'alba, ci alzammo, mangiammo e ci preparammo mentalmente e fisicamente a raggiungere la rimessa delle barche.
Quando Nora aprì la porta di ferro rossa, che dava in una stanzetta buia illuminata lievemente dalla luce proveniente dalla soglia di un altra stanza, sentimmo un gemito acuto. 
"E' una Spitter." Disse Peter.
"Me ne occupo io." Rispose Nora, mettendosi di spalle al muro. Lentamente sbirciò nella stanza illuminata. Non so cosa vide, ma fu rapida a uscire allo scoperto e sparare. Il singolo colpo uccise la Spitter.
Uscimmo nella stanza illuminata, dove vidi un furgone bianco, due stanzette e un scaffale pieno di cartoni. Alcuni infetti giacevano morti sul pavimento. 
"State attenti alla pozza di acido." Dissi.
Muovendoci verso l'ingresso che conduceva all'esterno, aprimmo la porta. 
Una quarantina di infetti barcollavano in strada. Tanti altri erano stesi senza vita ai loro piedi. Un Jeep militare era parcheggiata di traverso. Alla mia sinistra, due auto si erano schiantate frontalmente.
"Merda." Disse Peter. "Non mi aspettavo così tanti figli di puttana dopo la strage di mostri che abbiamo visto ieri."
"Che facciamo?" Chiese Angela.
"Dobbiamo ucciderli. Non abbiamo altra scelta." Aggiunse Nora.
"Attireremo gli infetti." Dissi.
"Forse, o forse no. Non sappiamo quanto ce ne sono nei paraggi. Se tutti si sono diretti al magazzino, allora forse ci imbatteremo in pochi di loro."
"Non puoi saperlo." Aggiunse Angela. "Non è meglio aggirarli?" Indicò la fila orizzontale di Bunglow dalle finestre infrante o sbarrate da assi. "Possiamo passare da lì."
"Non vedi le recinzioni metalliche?" Disse Peter. "Ci sono altri infetti là dietro. Riesci a vederli?"
Angela sbuffò.
Nora si guardò intorno, puntando gli occhi in diverse direzioni. "Non c'è altro modo. Dobbiamo affrontarli."
Ci mettemmo in posizione; io e Angela ci abbassammo, mentre Nora e Peter si misero in piedi dietro di noi. Davamo le spalle al muro e la maggior parte degli infetti erano alla nostra sinistra, vicino a una casa. Un tempo doveva essere un avamposto militare, visto che all'entrata c'erano sacchi di sabbia e del filo spinato. Un ammasso di cadaveri era a ridosso di un altra Jeep militare.
"Non fateli avvicinare." Disse Nora. "Sparate a colpo sicuro."
"Non è così semplice." Rispose Peter. "Sono fottutamente veloci quei bastardi."
"Fai come dico!"
Aprendo il fuoco, uccidemmo i primi infetti girati di spalle, ma ben presto tutti gli altri si precipitarono verso di noi e li crivellammo di colpi. Solo un infetto riuscì a raggiungerci e mi tolse di mano il fucile automatico, mentre stavo ricaricando. Ma Nora gli fece saltare via la testa.
"Grazie." Dissi.
Nora si limitò a guardarmi.

Aspettammo in quella posizione per tre minuti, quando capimmo che non ci avrebbe raggiunto nessuno, ci avvicinammo alla casa. Non mi ero sbagliato a dire che era un avamposto militare, perché all'interno trovammo delle armi e un tubo bomba, oltre a due cadaveri. Perlustrammo il soggiorno, la camera da letto e la cucina senza trovare nulla, ma nel bagno trovammo degli antidolorifici. 
Lasciammo la casa e ci inoltrammo nel giardino nel retro, circondata da una recinzione di legno alta due metri. Quando la superammo, vedemmo altri infetti lungo lo spiazzò, un piccolo gabbiotto che precedeva la fitta foresta e tre auto, tra cui una Jeep militare. Anche qui, sul terreno, c'erano moltissimi infetti morti. Quelli vivi, invece, erano una ventina. Li affrontammo assumendo nuovamente la stessa posizione. Furono falciati dai proiettili, ancor prima di fare quindici metri. 
Ci avvicinammo al gabbiotto e trovammo una molotov. Poi, salendo un lieve pendio, ci fermammo accanto un bidone in cui ardeva un fuoco. Avvistammo una piccola casetta nel fitta vegetazione, mentre davanti a noi una strada sterrata serpeggiava tra gli alberi fino a un gazebo di legno.
Ci inoltrammo verso la casetta e uccidemmo due infetti sulla nostra strada. Quando entrammo dentro, udimmo un forte ruggito. 
Gli infetti stavano arrivando.
Ci barricammo dentro e aspettammo che l'onda di non-morti si abbattesse sulle nostre teste. Poi un Hunter iniziò a colpire e grattare la porta, ma Angela lo uccise. 
Gli infetti arrivarono a gran numero. Molti di loro sbucarono tra gli alberi, arbusti e alcuni si gettarono giù da un piccolo dirupo alto cinque metri poco lontano dalla casetta.
Io e Angela ci mettemmo accanto alla porta da dove eravamo entrati, mentre Nora e Peter coprirono l'altra entrata. Gli infetti si scagliarono contro le porte, rompendone una parte. Ora, dallo squarcio, potevo vedere i loro visi cadaverici, l'iride gialla accesa e la bocca sbavante di liquido nero. Aprimmo il fuoco e facemmo fuori i primi infetti, mentre altri si arrampicavano sul tetto. C'erano due piccole finestre nella casetta da cui potevano entrare. Io e Peter ci guardammo e ci girammo verso di queste per non farli entrare. Non appena puntammo le nostre armi, cinque infetti si schiantarono contro i vetri. Nora lanciò un tubo bomba dalla finestra e tutti gli infetti lo seguirono, infastiditi dal bip. Dopo cinque secondi, l'ordigno esplode, facendo a pezzi la maggior parte degli infetti. 
Resistemmo per altri due minuti, finché non li uccidemmo tutti. 
Aspettammo un po' nella casetta, dopodiché uscimmo e seguimmo una piccola stradina. Ci portò davanti alla rimessa delle barche. Un edificio di legno con un piano, sul cui balcone si trovava un mitragliatore. Avvistai anche dei sacchi di sabbia. Quando entrammo, una donna ci puntò l'AK-47.
"Denise!" Disse Angela con un sorriso, prima di abbracciarla.
"Sei viva." Aggiunse Peter. "Come hai fatto?"
Abbracciamo tutti Denise. Poi lei disse. "Quando le cose sono andate in malore, sono fuggita dal magazzino. Ho seguito i cadaveri in strada, quelli riempiti di piombo. Pensavo di trovare qualcuno qui che sapesse come difendersi, ma appena sono arrivata una nave si è staccata dal molo con abbordo quattro persone."
"Tre uomini e una donna?" Chiesi.
"Forse, non ne sono sicura."
"Devono essere loro. Quindi si sono salvati." Sorrisi.
"Parli di quei quattro che avevi incontrato?" Mi domandò Angela.
"Sì. Proprio loro. Forse possiamo chiamare l'imbarcazione."
"E come?" Disse Peter.
Mi guardai attorno, ma prima che potessi parlare, vidi Nora accanto a un radio con in mano un microfono. "C'è qualcuno." Disse.
"Cosa fai?" Le chiese Angela.
"Non vedi? Cerco aiuto. Forse quei..."
"Chi parla?" Disse una voce da uomo dalla radio.
Tutti sobbalzammo dallo stupore.
"Oh mio Dio!" Aggiunse Angela con le mani sulla bocca.
"Sono Nora. Con me ci sono quattro persone. Con chi parlo?"
Udimmo solo una scossa statica. Poi varie voci in altre lingue soppresse continuamente da un fruscio.
"Merda." Disse Peter. 
"Prima non funzionava." Aggiunse Denise. "Ho controllato personalmente. C'era solo un fruscio di sottofondo."
"Mi sentite?" Continuò Nora. "Sono Nora."
"Nor..." La voce fu soppressa da una interferenza. "Siete... Quanti..."
"Sono con altre quattro persone."
Attendemmo una risposta, ma c'erano solo un susseguirsi di voci in altre lingue, interrotta da statiche.
"Chiamo... Slater..." Disse la stessa voce interrotta da un fruscio. "Dovrò fare... giro... Dovete... Infetti."
"Non ho capito. Ripeta." Disse Nora.
"Infetti... Arrivano... Attenti..."
"Infetti?" Disse Angela.
Quando ci girammo, attraverso la finestra sbarrata da assi di legno, vedemmo gli infetti correre verso la casa.
"Tutti al primo piano!" Gridò Denise.
Salimmo e uscimmo sul balcone. Nora si mise al mitragliatore e iniziò a sparare, mentre noi la coprimmo. Gli infetti furono travolti dal nostro fuoco congiunto, ma altri sbucarono fuori dagli alberi. Un Hunter balzò in cielo, ma Peter lo ucciso prima che atterrasse su Denise. Alcuni infetti riuscirono a salire la scala che portava sul balcone e vennero crivellati. Mentre combattevamo, sentimmo il gorgoglio di un Boomer, accompagnato da una risatina isterica del Jocker.
Individuai quest'ultimo sulla scala e lo uccisi, ma il Boomer riuscì a vomitare addosso a Peter.
"Cazzo! Cazzo! Fottuto grassone del cazzo!" Gridò Peter, facendo saltare in aria il Boomer.
In un attimo, una moltitudine di infetti si riversarono da tutte le parti. Nora ne uccise la metà, mentre l'altra, sotto i nostri colpi, moriva sui corpi ammassati sulla balconata accanto alla scala.
Come se le cose non fossero già di merda, ecco arrivare il Tank. Ruggì, staccò un pezzo di pietra dal terreno e lo lanciò contro Nora, che lo deviò all'ultima istante. 
"Distraetelo, mentre Nora usa il mitragliatore." Disse Denise.
Ci portammo al pianterreno e sparammo contro il Tank che ci inseguiva irato. Nora cercò di abbatterlo con le pallottole di grosso calibro del mitragliatore, mentre il resto di noi lo attornio, per non far dirigere la sua furia contro Nora. Poi Denise gli lanciò addosso una molotov e il Tank prese fuoco, facendolo incazzare.
Gli svuotammo addosso dodici caricatori ciascuno, più duecento colpi del mitragliatore per abbatterlo. 
Quando facemmo per tornare sulla balconata, sentimmo la tromba dell'imbarcazione. I quattro sopravvissuti che avevo conosciuto giorni fa, poggiarono i fucili sul parapetto della barca e aprirono il fuoco verso gli infetti che sciamavano dalla foresta. 
La barca si fermò al molo.
"Forza! Saltate su!" Disse una voce dal megafono della barca.
Mentre correvamo verso la barca, gli infetti ci assalivano dalla vegetazione che correva lungo le basse acque del molo. Riuscimmo a ucciderne una buona parte, quando Nora venne afferrata dalla lingua di uno Smoker e trascinata tra i fitti arbusti, scomparendo dalla nostra vista. 
"No!" Gridò Angela, cercando di dirigersi verso di lei, ma venne fermata da me e Peter. La portammo a forza sull'imbarcazione, mentre Francis, Louis, Bill e Zoey ci coprirono e uccisero dozzine di infetti.
L'imbarcazione iniziò a muoversi. Angela piangeva e singhiozzava. Io, Denise e Peter guardammo nel punto in cui era scomparsa Nora, mentre gli infetti si lanciavano nel fiume con la speranza di raggiungerci, colando a picco.
Eravamo salvi, ma a che prezzo? Nora era morta. Era stato un attimo, e lei non c'era più. 
Scomparsa. 
Inghiottita per sempre dalla foresta.

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