Ombre strette nel raso verde di shilyss (/viewuser.php?uid=21848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'abito color smeraldo ***
Capitolo 2: *** Sussurri di parola ***
Capitolo 3: *** La danza macabra ***
Capitolo 4: *** La sposa rubata ***
Capitolo 5: *** Confessioni di un malandrino ***
Capitolo 6: *** L'innocenza perduta ***
Capitolo 7: *** La pietra vichinga ***
Capitolo 1 *** L'abito color smeraldo ***
Ombre strette
nel raso verde
I'm falling
In all the good
times I find myself
Longing for
change
And in the bad
times I fear myself
(Shallow, A star
is born OST)
I
L’abito
color smeraldo
Londra,
primavera 1857
Il
pendolo batté le sei di pomeriggio e fu quello il preciso
istante in cui Loki alzò
lo sguardo dal tavolo ingombro di fiale e boccette, posò la
penna nel calamaio
e si ritrovò a stirare le labbra in un sorriso sbieco e
laterale, compiaciuto.
Controllò l’orologio da taschino per sincerarsi
che quello alla parete non gli
avesse mentito e poi, semplicemente, fece quanto doveva: chiuse gli
appunti che
teneva sempre con sé, s’infilò il
soprabito, prese il cappello e uscì senza
voltarsi indietro. Lei,
probabilmente, a quell’ora stava ammirando la sua immagine
riflessa nello
specchio in cerca del dettaglio stonato, dell’imperfezione.
Loki Odinson si
concesse un ghigno breve a quel pensiero.
La
delicata e bionda Sigyn non avrebbe trovato niente che non andasse,
scrutando
il suo doppio imprigionato oltre la superficie riflettente. La sua
pelle chiara
avrebbe spiccato irrimediabilmente sul magnifico abito color verde
smeraldo che
le fasciava il busto con assoluta precisione, accarezzando le sue forme
femminili,
soffermandosi sulla curva dolce dei seni, sulla vita stretta dove una
volta
aveva osato posare le dita – lei aveva sussultato sorpresa,
ma non si era
ritratta – per poi dipanarsi nelle volute
dell’ampia e fluttuante gonna.
Avrebbe
raccolto la sua chioma bionda in un’acconciatura sofisticata
in grado di
lasciarle scoperti ed esposti il collo elegante e la nuca? Oppure
alcune
ciocche si sarebbero arrotolate fin sulla scollatura ampia e generosa?
Che
incantevole capolavoro aveva
creato.
Salì
in carrozza con un movimento fluido e scandì
l’indirizzo con voce ferma, per
farsi udire dal cocchiere infradiciato e, mentre le ruote correvano
veloci
sull’acciottolato di una Londra lucida e buia già
ghermita dalla notte, si
concesse di stringere tra le mani il pomello intarsiato del bastone, di
poggiare le spalle larghe, ma tese, sullo schienale. Era pazzo.
C’è
un prezzo da pagare per ogni cosa, anche per la vendetta e
l’amore e la morte.
Gli
tornò in mente la vecchia nenia
che una strega di New Orleans gli recitava nel quartiere francese,
mentre
invocava i fantasmi di una terra perduta e lontana – come la
sua – indecisa,
fino all’ultimo, se svelargli gli intrugli creoli, le formule
magiche e i
misteri che rendevano più oscuro il Nuovo Mondo. Stregonerie
che Loki avrebbe
sommato a quelle, altrettanto antiche e insidiose, apprese in India e
in
Oriente, in mezzo ai fumi dell’oppio. Chiuse gli occhi
mormorando a mezza voce
una formula perduta in una lingua dimenticata e morta, ma
l’invocazione,
anziché calmarlo, gli regalò una consapevolezza
nuova e terribile. Per quanto
il corrispettivo che aveva deciso di pagare fosse ignobilmente alto,
lui era
disposto a versarlo con l’acuta freddezza con cui aveva fatto
ogni cosa, svolto
qualsiasi compito, ingannato anche il destino avverso. Il suo spirito
affamato
era incapace di farsi bastare quello che aveva e mirava sempre in alto,
all’irraggiungibile conoscenza perduta negata agli uomini da
un cielo impietoso.
Non era capace di accontentarsi del destino che taluni definivano
benigno che,
pure, gli era toccato in sorte, non lo era affatto. Piegò le
labbra sottili in
una smorfia, quando finalmente la carrozza si fermò di
fronte al sontuoso
portone d’ingresso della bella dimora londinese di Lady
Vanheim.
Loki
attraversò l’atrio con
l’elegante sicurezza che gli era propria, sostenendo
fieramente gli sguardi
incuriositi e sospettosi degli altri invitati. La sua comparsa
incrinò il
sorriso divertito di Lady Freya, congelò per un momento le
battute e le risate
dei gentiluomini e delle gentildonne presenti. Fu Thor il primo e il
solo ad
avvicinarsi.
“Non
dovresti essere qui. La tua presenza suona come sgradita, inopportuna e
persino
offensiva.”
Gli
puntò addosso i suoi occhi quasi trasparenti.
“È un piacere vederti anche per
me, fratello.” Lo disse ghignando, senza mascherare affatto
la punta di scherno
racchiusa nella sua bella voce vibrante, crudele. Spostò lo
sguardo sulla sala
affollata in cerca della ragione che giustificava la sua presenza. Si
leccò le
labbra, trovandola.
Se
solo le sue intenzioni fossero state meno spietate.
Lei
era bella da far male ed era esattamente come l’aveva
immaginata. L’abito, di un
verde acceso, accarezzava davvero ognuna delle sue forme sinuose, tanto
da far
quasi risplendere la sua carnagione sana e rosata; le ciocche bionde,
diligentemente arricciate, scendevano con delicata grazia sulle spalle
appena
scoperte, lasciando nudo il collo. L’unico dettaglio non
considerato era il
nastro di raso nero da cui pendeva un ciondolo d’agata verde
– un gioiello
perfetto, antichissimo: un regalo che aveva osato farle pensando che
sarebbe
rimasto dentro uno scrigno smaltato di bianco, nella sua stanza di
ragazza. Invece,
era stata tanto sfrontata da indossarlo, quasi sapesse che non avrebbe
avuto
nessun’altra occasione per posarlo sulla propria pelle.
Proveniva dal corredo
funebre di una strega veggente, una profetessa danese morta mille
anni prima,
protagonista di una storia oscura di cui era rimasta una sola traccia
in un’antica
saga giunta incompleta.
Lei
era bella da mozzare il respiro e trattenne il suo, quando
incrociò i suoi
occhi verdi e lupeschi. Non gli sorrise, non poté, sarebbe
stato oltremodo
sconveniente, ma schiuse le labbra piene e perse per un momento il filo
del
discorso che stava intrattenendo. Loki riuscì a indovinare
il fremito che
l’aveva scossa nel bagliore rapido capace di illuminarle, per
un istante, lo sguardo
grigio. Ricordò il profumo dolce della sua pelle,
intuì la morbidezza della sua
bocca – no, bugia, quella già l’aveva
assaggiata nel silenzio della notte,
mentre lei affondava le dita nella massa nera e scomposta dei suoi
capelli e
gli sussurrava sulle labbra che aveva paura di loro, di quello che
c’era ed era
nato senza che lo volessero. Tremava e aveva le mani gelate e Loki si
era tolto
il soprabito per posarglielo sulle spalle sottili. Anche quella notte
le sue
dita sarebbero state fredde, ma lui non avrebbe potuto fare nulla per
scaldarle.
Nel
Regno dei Morti c’è un girone
fatto apposta per chi inganna e mente come te, Lingua
d’Argento. Uno dove la
tua anima brucerà fino alla fine dei tempi e anche oltre, in
eterno.
Bevve,
cacciando via la voce del fantasma di suo padre – Lord
Odinson, immobilizzato
dalla gotta e mezzo cieco, che lo malediceva prima che partisse per le
Indie,
che gli scriveva mentre si ubriacava d’assenzio a Baltimora,
che gli mandava
oscuri messaggi mai aperti abbandonati presso una casella di posta di
New
Orleans. Al suo ritorno in Gran Bretagna, Thor lo aveva condotto nella
cripta
di famiglia per fargli vedere la lapide. Si era messo a fissarlo
cercando sul
suo volto i segni della commozione, anzi, di un pentimento tardivo o,
meglio
ancora, di una rappacificazione con lo spirito volitivo e crudele del
defunto.
Si era fermato di fronte al suo sguardo liquido, alla mascella che
tremava, all’ira
che aveva scosso il suo corpo asciutto, arrendendosi momentaneamente
all’idea
di averlo smarrito in qualche tempio indiano, in una sala
d’oppio a White
Chapel, nelle paludi della Louisiana o dietro qualsiasi altro segreto
oscuro;
Loki glielo aveva lasciato credere. La realtà, in fondo, non
è che un mero
punto di vista.
Si
avvicinò a Sigyn, nonostante tutto. Si liberò
della presa del fratello che
ancora gli stringeva la spalla e, ignorando gli sguardi degli ospiti
che si
posavano su di lui, straniero in patria, le si accostò. La
vide arrossire
lievemente, scorse il seno stretto sotto il corsetto color smeraldo
alzarsi e
abbassarsi ansioso. Desiderò posare le labbra sulla pelle
morbida e invitante
della scollatura, spogliarla di quell’incanto d’un
verde brillante fatto
apposta per lei, tinto di quella particolare sfumatura solo per la
serata che
stavano vivendo. L’avrebbe ricordata così per
sempre, pensò. Con quella
maschera di determinata disperazione addosso che solo lo sguardo
liquido e
grigio tradiva.
Oh
Sigyn, era l’unico modo.
Thor
avrebbe detto che non era vero. Non si sarebbe fatto scrupolo alcuno
nell’accusarlo di essere un pazzo egoista, che
l’Asia e i Tropici avevano
irrimediabilmente corrotto, come sempre succedeva ai cadetti inglesi,
costretti
dalle Compagnie a vivere presso oceani troppo caldi e in terre assolate
eppure
misteriose. Il vecchio Odino diceva, senza mezzi termini o filtri, che
la sua
follia non era da imputarsi ai lunghi viaggi che lo avevano tenuto
lontano
dalla Gran Bretagna per quasi dieci anni, ma aveva il suo seme altrove,
nel
sangue. Sì, Lord Odinson soleva spesso sedersi
accanto al camino acceso,
con i suoi due segugi accucciati ai piedi e un bicchiere di porto in
mano, a
raccontare di come il sangue magiaro per parte di madre che scorreva
nelle vene
di Loki lo avesse,
alla fine, infettato, regalandogli uno spirito inquieto e ribelle,
incapace di
accontentarsi dei privilegi legati al suo nome. Era stato per evitare i
continui contrasti e punirlo per le sue sregolatezze che lo aveva
mandato in India
e poi in America, a cercare le stoffe più pregiate, il
cotone migliore, a
scoprire le ricette antiche che permettevano di ottenere tinte
brillanti e
vivaci.
“Il
vostro ultimo cavalier servente già vi lascia
sola?” Loki si permise di
squadrarla in maniera sfacciata e lei alzò leggermente il
mento, sostenendo
quello sguardo intenso, lupesco.
Sigyn
piegò la testa di lato. “È nella
biblioteca, con mio padre e mio fratello.
Potete raggiungerlo, se lo desiderate,” lo
stuzzicò.
Una
risata breve. “Temo non sarebbe un incontro piacevole per
nessuno. È di tuo
gradimento?” aggiunse, riferendosi all’abito.
La
ragazza fu colta da una lieve esitazione e la sua sicurezza venne meno.
“Il
raso più bello, il colore più acceso.”
Loki
dondolò distrattamente il bicchiere. “Ha un
prezzo.”
Le
labbra di lei fremettero. “Come ogni cosa,
suppongo.”
“No,”
scosse la testa l’uomo, “tu non sai.”
Sigyn
lo guardò intensamente, ma non rispose nulla.
Sfiorò con le dita il ciondolo, come
se il gioiello potesse darle la forza di pronunciare un’altra
battuta
ammiccante e faceta. Il brusio di sottofondo apparentemente innocuo che
li
circondava – avvolgeva – era creato da uomini e
donne in cerca di un nuovo
pettegolezzo che li riguardasse. Lei era l’eterea erede
d’un conte, lui lo
scapestrato figlio d’un duca morto maledicendolo –
o implorando che tornasse.
Se solo il sorriso laterale di Loki non fosse stato così
carico d’una oscura
bellezza, forse Lord Vanir gli avrebbe concesso la mano della sua unica
figlia
femmina, nata quando la giovinezza era ormai un ricordo lontano; si
sarebbe
sforzato di considerarlo meno pericoloso di quanto gli era sembrato,
arrivando
a permettergli di corteggiare la molto amata e spesso insofferente
Sigyn. Ma
questo non era successo e lei, curiosa di sapere com’era il
mondo, impaziente
di vivere, si era avvicinata a quell’inglese quasi straniero
sventolando graziosamente
un ventaglio, domandandogli come fossero le Indie e le Americhe. Loki
l’aveva
soppesata con quei suoi occhi verdi e penetranti, per poi affascinarla
con un
discorso divertente e brillante, che nascondeva, al suo interno,
qualcosa di
cupo, il riflesso di chissà che considerazione affilata.
Sigyn, scorgendo una
simile ombra, aveva agitato con più vigore il ventaglio per
nascondere
l’agitazione oscura e annichilente che le saliva dalle gambe
fino ad arrivare
al petto e al cuore. Era rimasta affascinata dal fratello di Lord
Odinson anche
se sapeva che non doveva farlo.
La
conoscenza s’era infittita nel corso di tutte le occasioni
mondane che aveva
offerto la fredda Londra quell’inverno. A teatro, durante i
canonici intervalli
tra un atto e l’altro, nell’anticamera ben arredata
di qualche salotto alla
moda, nei giardini rarefatti delle case di campagna che circondavano la
città. Luoghi
in cui si erano create, involontariamente
e non, tutta una serie di
circostanze
che avevano portato i loro sguardi a incrociarsi, a cercarsi. Loki
Odinson
aveva sempre la battuta pronta e le sue risposte erano ogni volta
tremendamente
argute, pungenti, e Sigyn non riusciva a fare a meno di ascoltarle, per
poi
rispondere e domandare ancora.
La ragazza
non sorrideva più. Si sentiva oppressa da un peso che le
stringeva il cuore,
annodandolo con mille lacci neri. “Non mi chiedete di
ballare, stavolta?”
mormorò a bassa voce.
Loki
scosse la testa. “Abbiamo troppi occhi su di noi.”
“Potrebbe
essere la vostra ultima occasione.
Mia cugina mi attende nel Lincolnshire per l’inizio del
prossimo mese,”
aggiunse lei vaga, come se l’informazione non avesse poi
tutta questa
importanza. Non era mai stata brava a mentire e quello era uno dei
motivi per
cui le cose erano precipitate in modo così drammatico e
rapido. Aveva rifiutato
due pretendenti in nome di cosa, per chi?
Lui
finse di non sapere del viaggio imminente. “Credevo fosse una
festa di
compleanno, non una d’addio.”
“Appropriato,
non credete?” La ragazza inclinò il capo di lato.
“Più
di quanto immaginiate,” commentò Loki. Si accorse
della figura frettolosa di
Theoric che si avvicinava rapidamente alla sorella con la chiara e
manifesta
intenzione di allontanarla da lui. Gli rivolse un sorriso sghembo e
insolente e
poi alzò il calice di cristallo nella sua direzione, come a
voler brindare
idealmente con lui. Il giovane s’accigliò e,
raggiunta Sigyn, la prese per un
braccio.
“Dovresti
circondarti di compagnie migliori, Sig cara,” le
bisbigliò severo all’orecchio.
La
giovane donna s’irrigidì. “Come i tuoi
amici, per esempio?”
“Sono
gentiluomini, loro,” fu la secca
risposta, data fissando Loki negli
occhi e calcando sull’ultima parola. Cercava di mettere
idealmente un segno tra
sé e ciò che l’altro non avrebbe mai
potuto essere veramente, ma l’avventuriero
poteva avvertire come, dietro la pesante coltre di disprezzo sfoggiata
dal figlio
di Lord Vanir, ci fosse un pozzo senza fondo di terrore. Con amarezza
pensò che
se Theoric fosse stato più determinato, coraggioso e
consapevole, Sigyn non
sarebbe morta.
La
ragazza si morse le labbra, per trattenersi e non ribattere ancora in
maniera
piccata, ma, mentre il fratello l’allontanava, non resistette
all’impulso di
osservare un’ultima volta la figura alta e slanciata di Loki.
Lui si era già voltato in direzione di qualche vacuo conoscente in comune.
“Abbi
almeno la decenza di non far vedere a tutti che lo fissi,” la
rimbrottò l’altro,
guidandola verso le altre stanze affollate.
Sigyn
si bloccò sotto l’arco di una porta, incapace di
rimanere in silenzio. “La
reputazione di una ragazza adesso si compromette con uno
sguardo?”
Qualche
testa si voltò nella loro direzione, spinta dalla pigra
curiosità di osservare
perché i figli di Lord Vanir battibeccassero. Theoric se ne
accorse e le sue
guance divennero rosse.
“Quante
altre volte dovremo farti questo discorso?”
“Possiede
rendite ingenti, più delle nostre,” gli
ricordò lei severa. “È colto, la sua
famiglia antica. È tornato,” aggiunse,
aggrappandosi a parole che, lo sapeva,
non avrebbero mutato l’idea del fratello sull’uomo
che amava.
“Sai
quello che si dice su di lui.”
“Come
su tutti quelli che trascorrono qualche anno di troppo
dall’altra parte del mondo.
Che diventano selvaggi, che hanno per amanti le donne del posto, che
fumavano
oppio. Cose che hai fatto anche tu e i tuoi amici, mi pare.”
Theoric
fu scosso da un brivido. “Non capisci. Lui è
diverso.”
Sigyn
si voltò di scatto, liberandosi dalla presa
dell’altro. “Se mi chiedesse di sposarlo
la mia risposta sarebbe sì. È
sì.”
♥
In un
angolo della sala affollata, una pianista dall’aspetto magro
e nervoso suonava
con incerto talento un brano di Mozart; Thor Odinson le rivolse
un’occhiata veloce,
per poi tornare a concentrarsi sul volto affilato e severo del
fratello, ritto
davanti a lui. Lo vide inumidirsi le labbra col ricercato champagne
rimasto
nella coppa,
mentre insultava tra i denti e senza troppi scrupoli Lord Njord Vanir.
La
disapprovazione per la senz’altro inopportuna incursione
fatta da Loki era
stata velocemente soppiantata dal viscerale senso di protezione che
provava nei
suoi confronti in qualità di attuale capofamiglia. Thor
reputava la presenza dell’altro
lì come una sfida, ma non riusciva a tollerare che suo fratello venisse considerato alla
stregua di un ospite
sgradito. Il richiamo del sangue e il fiero orgoglio glielo imponevano,
perché
gli Odinson avevano combattuto con Riccardo Cuor Di Leone durante la
Terza
Crociata e seguito Enrico V sul campo di battaglia di Azincourt,
distinguendosi in ogni conflitto per il valore e la ferocia.
Appartenevano
a un casato potente e antico d’origine normanna,
che spesso s’era legato alla dinastia regnante. Un rifiuto
secco come quello
che era stato inflitto a Loki colpiva non solo lui, ma generazioni e
generazioni di Odinson. Eppure, la notizia che Lord Vanir disapprovava
il
corteggiamento dell’altro tanto da voler spedire la figlia
lontano lo aveva
lasciato, allo stesso tempo, irritato e sgomento, ma sorpreso no,
affatto. La
spiacevole decisione in fin dei conti era comprensibile, viste le voci
che
giravano sul conto di Loki.
“Che
stai tramando? Qualunque cosa tu abbia in mente, ripensaci,”
l’avvertì.
Non fu
in grado di usare lo stesso tono severo del loro defunto padre, ma si
chiese
cosa avrebbe pensato di loro vedendoli, e come avrebbe preso
l’infelice, ma
saggia, presa di posizione di Lord Vanir. Forse si sarebbe deciso a
fargli
recapitare un invito per partecipare a una battuta di caccia nella loro
tenuta di
campagna; lì, davanti a un sorso di buon liquore, gli
avrebbe parlato, con tono
solo all’apparenza svagato, delle rendite e degli
investimenti della loro
famiglia, allettandolo poi con la promessa di condividere con lui
opportunità e
guadagni. Sì, il buon vecchio Odino sarebbe riuscito a
manipolare e convincere
Njord tanto da fargli vedere l’unione tra Loki e Sigyn come
il punto di
partenza per un futuro sfavillante. In questo, nella bieca
capacità di piegare
il destino al proprio volere con crudele precisione, suo fratello
assomigliava
fin troppo al loro padre, pensò Thor.
Loki
increspò le labbra in una smorfia carica di dispetto.
Nonostante la sconfitta
palese e visibile, scrutava la sala altero come il principe che quasi era, puntando lo sguardo verde e
sprezzante sugli astanti curiosi.
“È
troppo tardi,” sibilò incrociando i suoi occhi.
“Per
cosa?”
L’altro
s’accigliò e scosse la testa, vuotando con un solo
gesto la coppa. Non gli
avrebbe risposto, lo sapeva. Si erano messi in moto troppi eventi e lui
non poteva
più tirarsi indietro. Era troppo tardi.
La vendetta che l’aspettava in
caso di un fallimento sarebbe stata atroce –
immaginò di essere seppellito,
vivo, di svegliarsi dentro una tomba, incapace di muoversi e di
scappare, urlando
nel buio finché non avrebbe perso il respiro.
Thor
lo riscosse dai suoi pensieri. Lo teneva per una spalla e stringeva.
“Per
cosa?” gli ripeté a denti stretti.
“Comportati in maniera degna!”
Loki
gli puntò addosso quel suo sguardo chiarissimo e rapace.
“Altrimenti?” lo sfidò.
“Il
nostro nome non ti proteggerà per sempre,”
l’avvertì il giovane lord. Avrebbe dovuto
fermarlo. Lo sentiva nelle ossa e nella carne – suo fratello
stava per
commettere qualcosa di irreparabile: Ahmed Dall,
il suo fidato maggiordomo, gli aveva raccontato di come Loki
s’intrattenesse in
compagnia di personaggi malfidati e oscuri, più corrotti di
quanto non fosse
lui stesso.
“Non
parli come nostro padre,” notò il cadetto con uno
scintillio divertito negli occhi,
per poi spostare la sua attenzione sulla porta del salone principale.
La figura
di Sigyn, avvolta nello splendido abito di raso verde, lo
catturò, di nuovo. Loki
increspò le labbra in una smorfia feroce e lupesca.
Avvicinarsi a lei era stato
un compito dolce, un inganno piacevole da mettere in atto, ma il
pensiero che
quella notte la ragazza sarebbe morta, che, presto, quel magnifico
vestito l’avrebbe
soffocata strappandola alla vita, lo rendeva inquieto. Per un momento,
un solo
istante, si chiese se la verità non si fosse confusa con la
menzogna, se la recita
non avesse preso i colori della realtà. Alzò la
coppa ormai vuota in direzione
di lei, stupenda nel suo vestito color smeraldo, ignorando la fitta di
rancore
e di desiderio che gli infiammava il petto.
L’angolo
di Shilyss
Care
Girls,
Questa
storia ha una genesi strana e particolare, tanto che preferirei
parlarvi di
come e quando è nata alla fine. Per ora vi basti sapere che
tempo fa la mia
cara Ciop mi mandò un articolo di moda e
costume che mi ispirò moltissimo.
Iniziai a scriverla più di un anno fa, ma sopraggiunte
problematiche e altre
storie presero il sopravvento oscurando questa. La quarantena, molte
chiacchierate e un momento problematico per me, mi hanno convinta che
oggi
fosse il momento giusto per postarla. Dovevo – devo
– evadere.
Penso
che sarà una minilong – voglio disperatamente che
sia una minilong. L’ambientazione
squisitamente vittoriana mi ronzava in mente da diverso tempo e quindi
ecco
qua. Tutto quello che trovate sul passato dello scapestrato Loki
Odinson, su
Sigyn e su Thor è plausibile con il contesto scelto, ovvero
la metà del XIX
secolo, l’Ottocento. Questo racconto, che spero sia di vostro
gradimento, non
sarebbe possibile senza l’appoggio della sopracitata E. e
delle cosette mie, _Lightning_
e Miryel, che hanno aspettato e minacciato per
questa storia che, ve lo
anticipo già… no, meglio di no!
La
dedico a chi mi ha sostenuto fin qua e chi continuerà a
farlo o inizierà a
farlo. Grazie di cuore, voi non sapete quanto un commento anche
semplice possa
fare per chi scrive. Se vi è piaciuta, fatemelo sapere
listando (in alto a
destra ♥) o recensendo.
Vostra,
Claudia
Shilyss
|
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Capitolo 2 *** Sussurri di parola ***
2
Sussurri di
parola
Avrà
il silenzio la voce che ho,
e mani lunghe
abbastanza,
sarà
d’attesa e d’intesa, però
saprò
quello che ancora non so.
[…]
ci sarò e non ci sarò, ti parlerò
con ogni fragile
accento
e
sarò traccia sulla neve, neve sarò,
mi dirai di
sì o mi dirai di no.
(L’apprendista
stregone, Angelo Branduardi)
Sigyn
sentiva su di sé il peso del ciondolo che indossava.
L’agata verde le sfiorava
la pelle infondendole una forza particolare, ma forse era la sua mente
a
illudersi che quel gioiello antico avesse su di lei qualche potere. Era
un dono
che non avrebbe dovuto accettare, come l’abito, anzi, la sua
stoffa;
gliel’aveva offerta Loki personalmente – metri di
raso color smeraldo brillante
per un vestito cucito apposta perché lui la guardasse e a
lei mancasse il
respiro. Si era incantata di fronte alla bellezza di quella tinta che
univa
assieme la vanità e il mistero e, guardandosi allo specchio,
per un momento non
si era riconosciuta: nel contrasto che si era venuto a creare tra la
pelle del
collo, del seno e delle braccia e lo stupendo abito, si era vista
diversa, più donna.
E, di nuovo, quella fitta bassa e dolorosa l’aveva fatta
tremare, rivelandole
un’oscurità che non credeva di possedere,
infestando i suoi sogni e i versi che
componeva di notte, quando tutta la casa dormiva. Rime fosche,
febbrili,
inadatte, che la lasciavano inquieta, ma di cui era schiava.
“Parlatemi
della profetessa che lo indossava,” aveva domandato a Loki
quando lui aveva
osato regalarglielo. Passeggiavano l’uno accanto
all’altra e l’avventuriero
aveva riso buttando la testa all’indietro.
“Dissero
che riuscì a sedurre un ricco conte,”
iniziò, concedendole un sorriso lupesco e
affascinante, che gli scopriva i denti bianchi e ben fatti.
“Uno che per lei
rischiò di dannarsi l’anima o, forse, la perse
davvero.” Lo sguardo acuto di
Loki celava immagini di oceani perduti. Teneva le mani allacciate
dietro la
schiena e camminava come se il sentiero fosse suo e così gli
alberi, il prato,
il cielo. Sigyn pensò che avesse il portamento di un
condottiero e ne ammirò la
figura slanciata e forte. Rigirò
tra le
dita la bella pietra. “E poi?”
“Forse
lui morì pazzo in un monastero o forse lei divenne la sua
concubina e poi se ne
tornò nelle terre del Nord.” I suoi racconti
l’incantavano. Sapeva trasportarla in
luoghi mai visti e c’era, nella sua voce roca e accattivante,
qualcosa in grado
di attrarla. Bugia, erano i suoi ragionamenti acutissimi e il suo modo
cinico e
affascinante di parlare, a stregarla. Ascoltandolo, aveva appreso che
il mondo
era un magnifico incubo e che i suoi versi concitati tendevano verso il
precario equilibrio esistente tra la luce e
l’oscurità: ed era lì, su quel filo
sottilissimo e traballante, che, a volte, Sigyn si perdeva.
“La
storia è incompleta,” ammise lui, “i
frammenti superstiti non dicono altro.” Si
fermò scrutandola con un’occhiata lenta, da
cacciatore. Sigyn sentì quello
sguardo verde percorrere il suo corpo fatto di carne, sangue e palpiti
nascosti.
Era riuscita a percepirlo mentre indagava nella sua anima protesa verso
qualcosa che non poteva avere. Avrebbe voluto essere come la strega
pagana del
racconto; libera di amare un feroce conte guerriero, di offrirgli le
sue labbra,
il suo corpo inviolato, il suo spirito febbricitante. Invece,
sventolò un
ventaglio e scosse i capelli in un gesto leggero e aggraziato che
nascondeva,
però, il dolore per non poter essere diversa, per dover
recitare costantemente
la parte della figlia perfetta, della ragazza graziosa di buona
famiglia. In
bocca le erano rimaste incastrate parole che avrebbero divertito e
forse
stupito il fratello di Lord Odinson: desiderava chiedergli se avesse
visto il
sepolcro della profetessa – s’immaginò
una strega affascinante e potente e
rimase incantata da quell’immagine anche se, probabilmente,
era un peccato. E
poi, ancora, avrebbe dato ogni cosa per poter essere abbastanza
sfacciata da
domandargli quale fosse il ricordo più scuro e spaventoso
che aveva portato con
sé dai suoi viaggi. Loki le aveva regalato un ciondolo
appartenuto a una
veggente vichinga, portando una ventata d’insondabile mistero
nel salotto
troppo rigoroso di suo padre, spazzando via, col suo ghigno ironico e
beffardo,
le teorie razionali che riempivano l’aria assieme al fumo
acre dei sigari
d’importazione. Era l’ultimo degli alchimisti o il
primo degli scienziati, corrotto
dai Tropici e poi tornato a Londra per fissarla con quei suoi occhi
acuti,
indagatori, che troppe volte aveva sorpreso sulla sua pelle.
Un
altro uomo l’avrebbe già chiesta in moglie
dichiarandole il proprio amore. Era
già successo. Loki no. Non aveva
accampato scuse imbarazzanti per giustificare
le sue occhiate attente e sfrontate e si era preso le sue labbra senza
vagheggiare di fidanzamenti. Era irriverente e sconsiderato e non
glielo
nascondeva. Vedeva ciò che lei si sforzava di celare dietro
un comportamento
inappuntabile, riconoscendo la scintilla di curiosità che le
illuminava lo
sguardo, svelando quanto la sua anima bruciasse dalla voglia di
conoscere, di sapere,
di liberarsi dai sorrisi rarefatti e dai discorsi vuoti di zie e cugine.
Lo
cercò nella sala, di nuovo. Sperò che non fosse
già andato via, perché alle
volte era così che faceva: appariva e scompariva come un
fantasma; le parve di
scorgere la sua figura slanciata, di spalle, vicino a Thor. Erano
accanto a una
porta finestra. Pensò che attraversare la sala avrebbe
attirato nuovamente
l’attenzione degli ospiti e scelse di passare per la stanza
accanto e il
giardino: così facendo, nessuno l’avrebbe notata.
Seguì il suo proposito, ma a
un tratto iniziò a mancarle il respiro. Si fermò
un momento e le venne
istintivo il gesto di sfiorarsi il seno stretto nel vestito di raso.
Qualcuno
le domandò se stesse bene e volesse dell’acqua;
rispose di no, ma si ritrovò a
bere un bicchiere, con le orecchie che le ronzavano. Le
sembrò che quel semplice
gesto la facesse sentire meglio e, ostinata, si diresse verso la
finestra che
dava sull’esterno, nella penombra di una notte lucida e
bagnata. L’aria
pungente odorava di pioggia. Fece pochi passi e di nuovo il mondo prese
a
girare. Gli cadde tra le braccia. Loki la sorresse cingendola per la
vita e la
strinse a sé, svelto e rapace. Erano soli, suo fratello
forse era tornato nel
salotto, da dove proveniva l’eco distante del piano. Sigyn si
toccò la gola
sfiorando il gioiello d’agata. Boccheggiava, e un formicolio
le intorpidiva le
braccia e le gambe, uno che si trasformò in un tremito
convulso, in una nausea feroce.
Loki non le chiese nulla, ma la condusse al riparo nel gazebo che
distava solo
pochi passi.
“Devi
ascoltarmi,” le disse, “stai per morire.”
Il
giardino sapeva di pioggia ed erba fradicia, la luna non si era
affacciata nel
cielo: Sigyn lo guardò nel buio e strinse tra le dita un
lembo della sua
elegante giacca scura, in una muta e disperata richiesta
d’aiuto. Se solo lei
avesse potuto guardarlo negli occhi, se solo la tenebra non li avesse
avvolti.
Ti
ho appena uccisa. Ti ho condannata a una morte tremenda, stupenda
ragazza.
Non
sempre il male aveva una spiegazione o una ragione; Sigyn tremava tra
le sue
braccia e Loki era cosciente del fatto che avrebbe dovuto lasciarla
lì, da
sola, a tremare nel gelo di una sera autunnale in attesa che il cuore
le rallentasse
nel petto. Tenerla avvinta a sé e sfiorarle i bei capelli
d’oro significava tradire
intenzioni e progetti in cui era invischiato da mesi. Sigyn era sottile
e
incantevole e spaventata e forse Loki era ancora in tempo per cambiare
l’esito
di quella serata. La prima volta che aveva risposto a un suo sorriso
regalandole
un ghigno sfacciato sapeva già di doverla uccidere. Aveva
dato un volto al nome
pronunciato troppe volte sulla nave che lo aveva riportato dalle Indie
a Londra,
che si era rigirato in bocca apprezzandone la musicalità e
la forza: Sigyn.
Che ora teneva stretta a sé in attesa che il respiro
spaventato si affievolisse
fino a interrompersi, stordito dal profumo dolce della sua pelle che
non
avrebbe dovuto offuscare la sua mente, ma che, invece, lo inebriava.
Era sull’orlo
di un precipizio e, nella sua tasca, l’orologio segnava lo
scorrere del tempo
con implacabile precisione. Sapeva che il coperchio intarsiato toccava qualcos’altro
di freddo e utile.
Perché,
mormorò Sigyn con un filo di voce
strozzata.
Cosa
l’aveva spinto a forzare una recita già pericolosa
dandole quella collana? Come
mai lei aveva scelto di sfoggiarla, esibendola con fierezza, come se
fosse il
dono di un fidanzamento impossibile e inesistente? Non avrebbe dovuto
cercarlo.
Sarebbe stato infinitamente meglio se fosse rimasta nella sala, a
ballare e a
morire tra le braccia di un altro.
Ma
così no, era ingiusto.
Pensò
a quello che avrebbe detto il vecchio Odino, dall’inferno in
cui senz’altro bruciava;
piegò le labbra sottili in una smorfia amara, mentre il
tempo gli scivolava via
tra le dita che s’impregnavano di veleno. Lo
avrebbe chiamato impostore, traditore,
ladro, assassino, pazzo, perché anche lui, nella parte
più vecchia della loro
tenuta nell’Asgardshire, aveva tentato di trasformare il
piombo in oro,
ma di violare la morte no, non aveva avuto il coraggio, mai.
C’era stato
un tempo in cui il fu Lord Odinson aveva condiviso col suo figlio
cadetto le
inquietudini di uno spirito volitivo e brillante, l’anelito
verso una
conoscenza che avrebbe spezzato il confine tra la vita e la morte, il
bisogno
di sperimentare e scoprire i meccanismi che governavano il mondo. Era
un
sostituirsi a Dio che, nella maggior parte degli uomini, suscitava
raccapriccio
e terrore, ma non in loro. Per curare un uomo, per capire quella magia
che era
la vita, bisognava paragonarlo a una macchina e vedere come, in quale
modo,
funzionasse: non ci si poteva né doveva fermare di fronte ai
precetti e alla
morale che parlavano d’inviolabilità,
perché la conoscenza non aveva prezzo.
Poi, un giorno, Odino Odinson si era accorto che il confine tra
chimica,
medicina, galvanismo, scienza e stregoneria era una blasfemia e gli
avrebbe
dannato l’anima.
Guardando Loki, aveva ritrovato una versione di sé
più giovane e spregiudicata
e incontrollabile. Quando lo aveva chiamato macellaio augurandogli di
marcire
in prigione? Il giorno in cui lo aveva sorpreso a sfruttare il loro
laboratorio
non per ottenere colori vivi, resistenti e brillanti capaci di tingere
le
stoffe delle principesse d’Europa, ma veleni, pozioni,
intrugli ed esperimenti.
Lo aveva cacciato, sperando che tornasse con qualche segreto rubato ai
maghi
che, ancora, vivevano in Asia o in Africa. L’Asgardshire, del
resto, ospitava
da secoli una delle più importanti sedi manufatturiere in
cui venivano filati i
migliori tessuti della Gran Bretagna tutta, tanto sottili e compatti da
venire
paragonati alle stoffe indiane. Non poteva diventare la sede degli
esperimenti
di un duca che si dilettava con veleni e magie e anteponeva la
conoscenza a
qualsiasi cosa, anche alla propria anima. Le ultime parole che si erano
scambiati in questa vita erano state accuse reciproche cariche di
rancore: Loki
ricordava di averlo chiamato ipocrita e bugiardo.
♥
Lord
Laufey era stato un volto conosciuto in mezzo ai fumi
dell’oppio, comparso all’improvviso
nella penombra di un locale, a Hong Kong. All’inizio lo aveva
scambiato per una
curiosa allucinazione, ma l’illusione solo apparente gli si
era avvicinata,
vestita di tutto punto, per chiedergli cos’avesse scoperto,
nel corso dei suoi
passaggi repentini dal sonno alla veglia.
Forse era entrato in contatto, come gli sciamani, con qualche
entità superiore
capace di rivelargli i perché della vita? Loki gli aveva
riso in faccia senza
ritegno – non lo possedeva più, del resto. Si era
abbandonato al caos e
scottava, preda della sostanza fumata, riverso a terra, con la camicia
slacciata e il corpo lucido e febbricitante, in cerca di un ordine che,
nel
caos personale della sua esistenza, non riusciva ad afferrare.
Laufey
non gli aveva raccontato subito della ragazza. Si era messo
d’impegno per
rimetterlo in sesto quel tanto che bastava per parlargli ed essere
sicuro che
lui lo ascoltasse. Disse di averlo cercato per mesi, e
confessò come fosse
certo che anche Loki avesse tentato di rintracciarlo. Non aveva del
tutto
torto. Sapeva dei suoi dissidi con Odino, intuiva che aveva mescolato
troppo
spesso l’utile al dilettevole. A Londra dicevano di lui che
avesse rapporti con
la Compagnie delle Indie e fosse alla ricerca delle stoffe
più belle, degli
ingredienti per ottenere i colori più brillanti, ma Laufey
conosceva la vera
natura di suo padre e intuiva la sua. Erano tutti e tre ossessionati
dalla
stessa cosa – scoprire se si poteva sconfiggere la morte o
fare ritorno da essa,
sapere se le anime si disfacevano come neve al sole o erano eterne e
immutabili. Per dare una risposta ai suoi dubbi, l’uomo
davanti a lui non aveva
esitato a rovinarsi la reputazione e la carriera, trasformandosi da
scienziato
in orco. Odino lo aveva fatto espellere da ogni club
e associazione
scientifica, facendogli perdere persino la cattedra
all’università. Loki lo
ricordava, perché era stato per colpa di Lord Laufey se suo
padre aveva
cominciato a dubitare che le loro ricerche fossero legittime, giuste.
Cosa li
separava dagli esperimenti morbosi del professore rinnegato? La
morale,
quella che tu non hai, Loki.
Spariti
gli effetti dell’alcool e dell’oppio, non aveva
potuto fare a meno di
ascoltarlo nonostante sapesse bene perché lo stesse
cercando: una spirale di
vendette accumulate per una vita intera, la possibilità di
avere al proprio
fianco qualcuno che potesse aiutarlo, cui lasciare
un’eredità in caso la morte
non fosse stata sconfitta.
“Cosa
c’è di meglio che far sapere a tuo padre di averlo
tradito, scegliendo come mentore
il nemico che ha avuto per una vita? Di fatto vi ha esiliati entrambi,
Loki, ma
mentre Thor è tornato e prenderà il suo posto, a
te, che sei rimasto accanto a
lui, rimarranno le briciole e il biasimo per aver seguito una strada
che lui
stesso ti ha indicato,” gli aveva suggerito Laufey, maligno.
Lui si
era limitato ad annuire con un cenno del capo, stabilendo che i suoi
piani
sarebbero variati – ma di quanto, il suo nuovo socio non lo
avrebbe saputo mai.
Gli
aveva parlato per la prima volta della ragazza alcuni mesi dopo. Di
nuovo, la
sua reazione era stata quella di ridere in faccia al professore
radiato, perché
quella era una follia impossibile da assecondare persino per lui. Si
erano
imbarcati da qualche giorno sulla nave che li avrebbe riportati a
Londra ed era
una notte stellata, ma fredda. Ascoltandolo, la risata gli si era
smorzata in
gola trasformandosi in un ghigno tirato: aveva compatito il grande
scienziato,
l’alchimista mancato. Si era accorto di avere di fronte un
uomo che, come suo
padre, era debole e temeva la morte. Eppure, doveva necessariamente
esistere un
confine netto che separasse ricerca scientifica e magia. Laufey non
poteva
sperare di avere una donna facendola diventare un’altra. Era
una passione
malsana – prendere la figlia perché, al tempo, non
si era potuta avere la
madre. Come poteva un uomo brillante e spregiudicato come quello,
capace di
opporsi, da solo, contro un’intera comunità
scientifica, invaghirsi di un
sogno?
Con
un misto di pietà e d’interesse, nelle sere
seguenti aveva continuato ad
ascoltare i piani forsennati dell’altro guadagnandosi la sua
fiducia notte dopo
notte, raccogliendo confidenze, idee, strategie e, soprattutto, quello
che più
gli interessava: formule.
Sì,
Loki aveva scelto di aiutarlo nella sua impresa perché era
il solo modo per
avere accesso alle sue ricerche sugli spiriti e sulla morte e su
ciò che rimane
di ogni individuo dopo il trapasso: le avrebbe unite ai bisbigli
confusi che
gli avevano confidato gli sciamani in trance e così,
finalmente, il percorso
fatto dalle anime sarebbe stato rivelato e così i molti
misteri che
circondavano l’uomo e la sua anima forse immortale. Una
simile conoscenza
avrebbe avvicinato chiunque al concetto di divinità.
Laufey
voleva Sigyn perché un tempo aveva amato da lontano sua
madre senza mai averla:
la desiderava, trovando che fosse persino più incantevole
dell’altra, di cui
era il riflesso, l’immagine perfezionata. Una volta tornati a
Londra, aveva
chiesto a Loki di avvicinarla al posto suo e di studiarla, per
alimentare
quell’insana passione con una serie di racconti precisi e
puntuali. Per quanto
la fama che si portava dietro lui stesso era dubbia e
tutt’altro che limpida,
non era additato come un reietto agli occhi della società.
Grazie al buon nome
di Thor Odinson poteva ancora entrare in qualsiasi
salotto: il difficile
era rimanerci, ma quello non era un problema. E che un uomo giovane e
prestante
come il fratello del duca d’Asgardshire corteggiasse, anche
solo per passare il
tempo, una ragazza, era qualcosa di socialmente accettabile, che
rientrava alla
perfezione nel modo di condurre i rapporti tra uomo e donna.
Così, mentre Loki
frequentava la casa di Lord Vanir, Laufey languiva e fremeva, in attesa
di
poter immaginare lei attraverso la voce arrochita del proprio socio.
Solo che
lui avrebbe dovuto spiare, riferire, studiare e descrivergliela al
punto da
rendergliela quasi reale, non corromperla, sedurla o desiderarla.
Era
successo che una sera, ebbro d’assenzio e col bicchiere
ancora in mano, Loki gli
aveva raccontato di lei per l’ennesima volta, ma con
più particolari del solito
e si era ritrovato a volerla lui stesso. Gli aveva descritto la pelle
soda e
compatta, lo sguardo attento e grigio e liquido – ma,
talvolta, ammaliatore, e
il seno che s’alzava e abbassava dopo una corsa e aveva
sentito la gola farsi improvvisamente
secca, il desiderio tormentarlo con una fitta improvvisa e profonda.
All’inizio,
aveva dato la colpa di tutto all’assenzio e alle
proprietà dell’artemisia,
ma poi, lentamente, aveva compreso cos’era successo: a forza
di raccontarla,
era rimasto incastrato nella sua stessa rete di parole. Laufey non si
era
accorto di nulla, troppo bramoso di sapere per accorgersi di come la
mascella
affilata di Loki si contraesse e lo sguardo gli bruciasse, quando il
discorso
toccava Sigyn: parlava di lei tra i denti, perché
condividere la sua immagine lo
disturbava ogni sera di più – e, alla fine,
l’aveva baciata.
E ora,
protetti dall’oscurità della notte e dalla
struttura leggera del gazebo, la
stringeva tra le braccia, eppure avrebbe dovuto comunque ucciderla,
lasciando che
Laufey agisse nell’ombra, come contava di fare da anni;
quando l’effetto del
veleno l’avrebbe fatta risvegliare, sarebbe stata inerme e
preda degli
esperimenti e dei sortilegi oscuri dell’altro, capaci di
renderla, per
sempre, sua schiava in nome di una donna morta anni prima.
Sigyn pagava con
la vita un sorriso che non aveva scelto di avere, due occhi grigi che
erano
appartenuti anche a un’altra, ma ora erano solo suoi. Era un prezzo altissimo,
troppo.
Lo
pagherò anche io, il costo di tutto questo. Avrebbe
desiderato dirglielo, svelando quanto
costasse quell’inganno e ricordarle come l’unica
certezza stesse nella formula
che gli era servita per tingere la stoffa di un colore vivo e vibrante.
Tutto
il resto, erano vaghe pratiche apprese nel corso dei viaggi troppo
lunghi che
aveva passato alle estremità del mondo, mentre suo fratello
ereditava la tenuta
e il titolo, com’era nell’ordine delle cose che
fosse. Ma le regole esistono
per essere ribaltate, distrutte, annullate; com’era successo
non troppi anni
prima in Francia e nel Nuovo Mondo, in quella colonia orgogliosa che
aveva
osato ribellarsi alla madrepatria e all’Impero. Ma poteva e
voleva farlo?
Laufey
era un uomo orrendo, corrotto, servo di una serie di passioni
esecrabili e
sbagliate, a metà strada tra lo stregone e il macellaio, ma
tradirlo voleva
dire gettarsi in un abisso privo di ritorno. L’immagine della
tomba gli avvelenò
la mente, di nuovo.
Gli doveva la vita e invece lui, irriconoscente, aveva tentato di
portargli via
ciò che l’altro bramava ignorando i patti,
rubandogli i segreti della sua arte.
Condividevano le stesse passioni e non se ne era reso conto –
non lo aveva voluto
ammettere – fino a quella notte, quando aveva visto Sigyn
indossare l’abito
maledetto. Avrebbe preferito che lei fosse come qualsiasi altra donna
con i
capelli chiari raccolti in bande laterali: una fragile fanciulla che si
occupava di cucito e di beneficenza, capace solo di abbassare gli
occhi quando
le parlava. Ma Sigyn sosteneva il suo sguardo quasi avidamente e beveva
ogni
sua parola. Deglutì, chiedendosi non come potesse agire, ma
se desiderasse
ancora che la vendetta si concludesse così come era stato
deciso. Si accorse di
non avere alcuna risposta. Il ciondolo della strega vichinga
catturò un raggio
di luce o forse brillò nella notte perché
conteneva ancora la magia infusa
dalla veggente morta da secoli.
Loki
scosse Sigyn per le spalle, la strinse a sé con
più forza. Il respiro di lei si
era fatto corto e irregolare – non doveva assolutamente
perdere i sensi. Armeggiò
sostenendola con un braccio e infilando la mano in tasca per trovare
ciò che
gli serviva, ma probabilmente era già troppo tardi e non
solo perché Theoric o
Thor sarebbero venuti senz’altro a cercarli. Tolse con un gesto secco il
tappo alla fiala
che teneva in tasca, accanto all’orologio.
“Bevi
o morirai,” le disse. Aveva usato un tono perentorio, deciso,
ma in realtà non sapeva
se e in quale modo la pozione avrebbe potuto salvarla. Forse, se fosse
morta
immediatamente, tra le sue braccia, sarebbe almeno riuscito a evitare
che Laufey
l’avesse.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Grazie per essere
giunte/i fino a qui. Non vi sto a tediare con tutti i riferimenti
gotici e vittoriani
e storici presenti in questa storia: sapete che mi diverto a sfruttare
dettagli
realistici e non lo sapete, mo’ ce lo sapete. Alcuni dettagli
futuri… nah, non
ve lo dico XD! Vi informo solo che il consumo dell’oppio e
dell’assenzio nel
corso del XIX secolo era fatto su larga scala (bambini, sono tutte cose
che
fanno malissimo). Come guest star in questa storia troviamo Laufey, che
nell’MCU
è il padre naturale di Loki. Qui, come spero avrete capito,
il padre naturale è
Odino e Laufey è un padre nel senso di mentore. No,
aspettate, una cosa molto
importante: la questione della vendetta non è ancora stata
esplicitata del
tutto e avrà un senso e una spiegazione nei prossimi
capitoli, perché le cose
sono appena un po’ più complicate di quanto
stabilito a fine capitolo.
Prossima settimana
arriverà Scintille nel buio mentre
questa storia non dovrebbe avere più
di 4/5 capitoli.
Spero
che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando
leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Anche se non
rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e
mi
commuovo ogni volta♥.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo – e io lo so
perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non
sapete quanto mi
faccia piacere. Ricordo
che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
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Capitolo 3 *** La danza macabra ***
3
La
danza
macabra
Sono io la
morte e porto corona
Io son di tutti voi signora e padrona
E davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
E dell'oscura morte al passo andare […]
Sei
l'ospite
d'onore del ballo che per te suoniamo
Posa la falce e danza tondo a tondo
Il giro di una danza e poi un altro ancora
E tu del tempo non sei più signora
(Ballo
in fa diesis, Angelo Branduardi)
Theoric
non trovava sua sorella da nessuna parte. La musica nel salotto si era
fatta
più allegra e nervosa, disturbante. Cercò tra gli
ospiti il vestito color
smeraldo o la figura slanciata di Loki Odinson e, nel farlo,
passò accanto al
ritratto della sua defunta madre, che aveva donato il suo sorriso largo
e
solare a Sigyn. Se la ricordava appena e non sapeva dire se sua sorella
le
assomigliasse anche nel carattere; forse nelle intemperanze, nella
curiosità
spesso sfacciata, nell’animo appassionato. E adesso lei
sembrava sparita,
scomparsa, inghiottita dalla notte umida e fredda, che odorava ancora
di
pioggia. Vide il duca di Asgardshire che discorreva con un paio di
banchieri e
fumava un grosso sigaro e gli si avvicinò.
“Dove
sono?” domandò, livido in volto. Gli uomini di
quella famiglia, pensò,
assomigliavano tutti agli antichi cavalieri normanni sbarcati sulle
coste inglesi
insieme a Guglielmo il Conquistatore. Avevano uno sguardo duro e
magnetico e il
portamento di un guerriero.
Thor
lo soppesò con lo sguardo e tirò una lenta
boccata. “Mio fratello è andato via;
a vostra sorella dovreste pensare voi.”
“È
ancora una ragazzina.”
“Ma
è
graziosa e Loki possiede rendite e terre in abbondanza. Capisco bene
perché non
vi piace e, se fossi al vostro posto lo avrei già preso a
pugni,” rise il duca,
“ma l’interesse della mia famiglia dovrebbe
lusingarvi,” terminò, senza celare
affatto una nota di severo rimprovero.
“Ed
è
interesse, Vostra Grazia?
Lord Odinson non si è mai sbilanciato,”
sibilò Theoric. “E vostro padre voleva
diseredarlo.”
Thor
si stufò del sigaro. “È una diceria
priva di fondamento e non voglio che la
ripetiate mai più,”
l’avvertì, ma in cuor suo sapeva di non potersi
offendere eccessivamente
col figlio di Lord Vanir: Loki aveva fatto di tutto per sporcare la
propria
reputazione, per esibire ciò che suo padre nascondeva:
ricordò con feroce
nostalgia il tempo in cui andavano ancora a caccia insieme e lui era solo
uno
studente ironico e brillante, prima che la febbre della conoscenza gli
appannasse lo sguardo.
Theoric
uscì in giardino, sempre più teso: temeva e
sperava di vedere il sorriso
sardonico e beffardo di Loki Odinson e ripensava alle parole del duca
su suo
fratello. Non sarebbe bastata tutta l’Inghilterra a rendere
quella specie di
alchimista un partito accettabile. C’era qualcosa, in lui, di
corrotto,
sbagliato, oscuro, capace di contrapporsi totalmente alla sua
incantevole e
radiosa sorella. Aveva intercettato i loro sguardi, negli ultimi mesi;
un paio
di occhiate sfacciate, un mezzo sorriso di troppo: si desideravano,
null’altro
che questo.
Nell’oscurità,
un’ombra si staccò dal gazebo: Sigyn. La fievole
luce che proveniva dal salotto
la illuminava appena, rendendola una figura sottile ed evanescente e
lui la
raggiunse con un paio di falcate: quando le fu vicino, si accorse che
era
pallida e si guardava attorno, inquieta. L’acconciatura aveva
un che di
disordinato e in lei stessa c’era qualcosa di dissonante.
“Che
ti
è successo?” chiese con un brivido. La
abbracciò e lei non fece obiezioni,
anzi, gli posò la fronte sulla spalla. Era esile e leggera
– ultimamente, a
pranzo e a cena, spiluccava appena, tormentata dal sentimento
impossibile che
nutriva per il fratello del duca. Lo amava? Soffriva per la sua
assenza?
Theoric conosceva la risposta, ma non voleva dirlo ad alta voce
né accettare
che la sorella potesse scegliere, tra tutti, Loki
l’alchimista, lo scienziato,
l’esploratore che non aveva riguardo né di Dio
né degli uomini.
“Ho
un terribile mal di testa, perdonami,” boccheggiò
lei. Si sentiva debole e
confusa e viva. Sulle labbra aveva il sapore di un bacio e di una
pozione in
grado di bruciarle la gola. Aveva sete e le tremavano le gambe.
“Vorrei andare
a riposare nelle mie stanze. Saluta gli ospiti da parte mia.”
Theoric
si accorse che le sue braccia nude
erano gelate. Fu sul punto di domandarle dove fosse lui o
perché si ostinasse a
ignorare qualsiasi regola per quell’uomo, ma
preferì essere indulgente e non le
fece alcuna domanda. Se ne sarebbe pentito, più avanti.
♥
Il
cielo si era fatto cupo, carico delle nubi che, presto, avrebbero
rovesciato
una pioggia lugubre e insistente su tutta Londra. Sigyn era nella sua
stanza e
indossava ancora l’incantevole abito che le aveva tolto il
respiro, ma ne
ignorava la pericolosità, come sapeva vagamente di aver
bevuto l’antidoto che
l’aveva strappata alla morte e di essere viva per un caso,
nulla più. Quando
aveva detto alla sua cameriera che si sarebbe spogliata da sola, quella
le
aveva risposto con un sonoro sbuffo, ma non aveva insistito solo
perché la casa
era piena di ospiti. Era l’occasione perfetta –
stava compiendo una follia,
tanto grande e spaventosa che occorreva abbracciarla senza esitazione o
rimanerne schiacciate. La casa dormiva, la borsa con i suoi pochi
effetti
personali era già pronta. Aveva scelto di utilizzare parte
del bagaglio preparato
con anticipo in vista del periodo che avrebbe dovuto trascorrere da sua
cugina,
ma le girava la testa e sentiva le palpebre pesanti. Quel viaggio
programmato
da tanto tempo a casa dei suoi zii non si sarebbe verificato mai,
perché Sigyn
stava per infilarsi un mantello e fuggire. Avvertì
l’impulso di lasciarsi
cadere tra le candide e rassicuranti coltri del suo letto, ma lui
l’attendeva già e lei aveva promesso:
gliel’aveva sussurrato mentre la teneva
tra le braccia.
Non
era quello che volevo? Che mi chiedesse di andare via con lui?
Forse
non avrebbe dovuto fidarsi di Loki, ma era troppo tardi. Si
appoggiò a una
delle colonne del baldacchino sfiorandosi il corsetto aderente.
L’orologio
batté le due del mattino e la ragazza si avviò
verso la porta cercando di non
fare il benché minimo rumore. Con una mano reggeva la borsa,
con l’altra gli
stivaletti che avrebbe indossato solamente nel patio.
Cos’avrebbe fatto l’antica
sacerdotessa danese che aveva sedotto un conte, di cui lei indossava
una parte
del corredo funebre? Sarebbe scappata con l’uomo che amava,
assumendosene il
rischio, lei che, fiera e pagana, si era unita a un cristiano,
corrompendolo.
La
casa dove aveva trascorso una vita intera era un labirinto buio fatto
di ombre
note e scricchiolii di cui conosceva l’origine e la
provenienza. Attraversò il
corridoio facendo attenzione a poggiare i piedi scalzi sui tappeti
orientali,
scese le scale trattenendo il respiro. Il bagaglio era leggero, eppure
le sue
mani faticavano a sorreggerlo. Si aspettava di vedere comparire da un
momento
all’altro una delle cameriere con la cuffia da notte in
testa, Theoric o,
addirittura, suo padre, ma la casa era come sotto l’effetto
di un incantesimo:
addormentata, immobile, stregata, buia. S’inoltrò
nelle stanze che conosceva
tanto bene da non avere bisogno della luce per muoversi, individuando,
nell’oscurità, il profilo di un mobile o di un
arredo. Le sembrava di camminare
in un sogno. Quando, finalmente, raggiunse il soggiorno, vide che le
pesanti
tende non erano completamente accostate e lasciavano filtrare una
flebile luce
che proveniva dall’esterno. Si fermò a osservare
la lama illuminata e si
accorse che la stanza aveva assunto dei contorni sinistri e
sconosciuti. Sbatté
le palpebre e si accorse troppo tardi del respiro accanto a lei. Una
mano
l’agguantò per la vita, un’altra le
tappò la bocca. La voce di Loki, suadente,
roca e pericolosa, le accarezzò la pelle facendole tendere
la schiena. Poteva
sentire il profumo dei suoi abiti e sapeva, sentiva,
che anche lui
doveva trattenersi dallo sfiorarle con le labbra il collo, le guance,
la bocca.
“Dobbiamo
sbrigarci,” le disse prendendole la borsa. Sigyn
annuì, riconoscendo con una
stretta al cuore che Lord Odinson era riuscito a violare la sua
abitazione
scassinando la finestra e, ora, si muoveva
nell’oscurità con l’agilità e
la
sicurezza di chi è abituato ad agire di nascosto. Era un
brigante col sangue
blu nelle vene, il figlio reietto di un duca morto chiedendo perdono
per i
peccati di entrambi. E lei, Sigyn, che sapeva tutto questo e molto
altro
ancora, stava commettendo una follia. Nel gazebo, Loki le aveva
raccontato che la
sua vita era in pericolo: se voleva vivere, doveva seguirlo quella
stessa
notte, perché non avrebbero avuto mai
più un’altra occasione. Per
convincerla, si era visto costretto a rivelarle un particolare
spaventoso, che
nessuno, a eccezione della sua famiglia, avrebbe dovuto conoscere, ma
era
chiaro che le stesse nascondendo dell’altro.
Sigyn poteva sentire il
filo scarlatto che univa le loro vite trascinandoli in qualcosa di
più grande e
ineluttabile. Era attratta dal caos che lui
emanava, come le farfalle
che, danzando, si avvicinano sempre più alle fiamme.
Perché non le aveva fatto
alcuna proposta di matrimonio? Cosa voleva da lei? Nel giardino
l’aveva stretta
a sé e baciata con rancore e desiderio, assaggiandole le
labbra per imprimere
meglio nella sua testa il loro sapore, la consistenza, come se stesse
perdendola
per sempre e non sapesse rinunciare a lei. La voleva e sapeva di avere
il mondo
contro – ne erano consapevoli entrambi. Il suo corteggiamento
era stato
insistente, sfacciato, a volte persino velato
dall’ambiguità, ma lui era stato
il solo per cui aveva provato un fremito basso. Le mancava il respiro
ogni
volta che Loki la fissava troppo intensamente, la sfiorava o erano
tanto vicini
da potersi toccare, ma non lo facevano. Con che parole poteva esprimere
sensazioni tanto violente e improvvise?
Quante
volte gli aveva permesso di arrivare con i suoi baci fino allo scollo
del
vestito, alla morbida consistenza dei seni, pregando, mordendosi le
labbra, che
osasse domandarle ciò che lei non poteva chiedere?
Come poteva fidarsi tanto da salire in carrozza con lui, nel cuore
della notte?
Si conoscevano, stuzzicavano e parlavano da mesi e, sebbene non
avessero mai affrontato
apertamente il discorso, conoscevano il destino che li attendeva a
meno che.
Ma la
loro non era una fuga d’amore. Qualcosa di terribile stava
avvenendo e Loki non
le aveva rivelato che un frammento troppo piccolo di verità,
una che Sigyn voleva
conoscere e, per farlo, doveva seguirlo, perché dopo aver
bevuto a forza la
fiala che le aveva avvicinato alla bocca, ogni malessere si era
calmato.
Dicevano che fosse un alchimista, un medico, uno scienziato, un
esploratore, un
farabutto: era ogni cosa e nessuna – era tutto questo e molto
di più, ma se
Lord Odinson era un uomo dall’anima nera, lei non poteva dire
di essere
totalmente candida. I sogni che spesso la svegliavano erano fatti di
nebbie
voluttuose e immagini innominabili. Scenari onirici di cui non riusciva
a
pentirsi, ma che, al contrario, desiderava solo approfondire e rendere
reali,
abitati dal fantasma beffardo e virile di lui, che ora la sorreggeva
mentre lei
s’infilava gli stivaletti, per poi guidarla nella notte resa
meno oscura dal
fascio di luce di una lanterna cieca. C’era un servitore di
casa Odinson
dall’aria truce, ad attenderli.
Sigyn
non era più in tempo per tornare indietro e scelse di
fidarsi, di seguirlo nel
giardino dall’erba fradicia, nella carrozza che li attendeva
poco distante –
abbastanza perché il rumore delle ruote
sull’acciottolato non svegliassero suo
padre. Era stata sul punto di morire, quella sera, eppure le labbra di
Loki,
che sapevano di un liquore dolce e sconosciuto, le avevano ridato il
respiro e la
vita. La stessa che, altrimenti, sarebbe rimasta incastrata dentro un
sorriso
finto, come quelli dipinti sulle porcellane, o rinchiusa in una sonata
eseguita
con disperazione, ma costretta a disperdersi nel vento. Poteva vivere
solo accanto a lui, a quel gentiluomo protervo che non
s’interessava delle sue
ricchezze e si era seduto davanti a lei nella carrozza, imponendosi una
calma
che la mascella serrata e lo sguardo mobile e ardente tradivano. Poteva
vivere
solo scegliendo – e ne avrebbe pagato il prezzo.
L’acconciatura
si era quasi disfatta e l’umidità notturna le
aveva gonfiato i capelli,
rendendoli ancora più ribelli e vaporosi. Loki
pensò che fosse bella – il
tesoro più prezioso che avesse mai rubato – e
Sigyn approfittò dell’occhiata
sfacciata e diretta dell’uomo per catturare la sua attenzione.
“Che
tipo di fuga è la nostra, Lord Odinson?” Il seno
avvolto nel raso verde si
alzava e abbassava ansioso.
Lui
si concesse d’ammirarla. “Una che condanna
entrambi. Ma necessaria.”
Sigyn
tremò di fronte a quell’ammissione fatta con un
sorriso storto e uno sguardo
feroce, lupesco. “Cosa avreste fatto, se non fossi
scesa?”
“Sarei
salito nella vostra camera e vi avrei portata via.”
“E se
avessi gridato?” lo sfidò. Si sentiva ancora
debole, ma l’emozione per la fuga
le conferiva l’energia necessaria per rispondere a ogni
battuta con la forza di
sempre – quella stessa che lo divertiva e affascinava, ne era
sicura.
Loki
scosse il capo, lasciandosi sfuggire una mezza risata. “Non l’avresti
fatto, Sigyn.”
“Dove
mi stai portando?”
“In
un rifugio sicuro. Una delle mie case.” Lo sguardo tagliente
di Odinson si
puntò oltre i vetri della carrozza. “Non
abbastanza degna di una lady,
ma dove nessuno ci verrà a cercare,”
considerò.
Per
qualche minuto rimasero in silenzio. Avevano gettato via ogni
convenevole
parlandosi direttamente,
ma Sigyn aveva ancora troppe domande incastrate in gola e Loki era
laconico. Si
accarezzò la gemma d’agata che le ornava il collo
e non aveva più tolto.
“Come
sapevi di mia madre? Cosa c’entra lei, con noi? Non lo
abbiamo mai detto a
nessuno, a parte il prete,” mormorò a voce tanto
bassa che credette di non
essere stata udita.
Loki
tornò a fissarla col suo sguardo attento, rapace, valutando
il pallore delle
sue guance, gli occhi mobili e grigi, grandi e rotondi. “Chi
vuole farti del
male,” iniziò con lentezza, scegliendo con cura le
parole, “è colui che ha
aperto la sua tomba.”
Sigyn
impallidì, raggelata dalla rivelazione. Dalla cassa non era
stato portato via
niente a eccezione di un libro di preghiere e di un medaglione che
conteneva,
al suo interno, una treccia d’oro – la sua. Erano
state dette tante cose su
quella profanazione dolorosa.
“Tu
come lo sai?” soffiò.
“Io
so molte cose, Sigyn, e conosco troppe persone e non tutte sono
raccomandabili,”
le spiegò lui con voce calma, lenta, senza trattenersi dal
piegare le labbra
sottili in un ghigno di cui la ragazza non riuscì a cogliere
il sarcasmo. Lo
avrebbe fatto, poi.
♥
Sigyn
stringeva tra le dita una tazza di latte caldo che non osava bere.
Dentro, Loki
aveva versato qualche goccia della stessa pozione già
ingerita nel gazebo. L’aveva
salvata. Da un passato che le chiedeva il conto di una
somiglianza troppo
spiccata, da una vita in cui si sentiva in trappola – già
morta,
costretta a cantare graziosamente come un usignolo rinchiuso in una
gabbia.
Invece ora era viva e libera e l’altro
non sapeva dove fosse e non
avrebbe dovuto scoprirlo, mai. Importava solo questo. Il suo nome era
un
dettaglio irrilevante, il perché
un’ossessione di cui lei stessa non
desiderava parlare: una parte del passato della sua famiglia era fatto
di
bisbigli e di segreti da cui era sempre stata tenuta lontana. Ricordava
brandelli di discussioni catturati quand’era bambina,
nient’altro. Parole di
cui non era riuscita a cogliere il senso, che le restituivano
un’immagine di
sua madre diversa dalla donna che le intrecciava i capelli
d’oro intonando
vecchie filastrocche. Una che si era macchiata della colpa di ridere di
un
uomo. E Lord Odinson, dal canto suo, si era rifiutato di dirle quale
fosse il
piano che aveva così abilmente sventato, come avesse fatto a
conoscerne tanto a
fondo i dettagli. Così finsero che quella notte lei non
fosse quasi morta, ma
in fondo anche questo era un inganno in cui si stavano smarrendo. Lo
avrebbero
capito, poi.
Loki
l’aveva salvata e il perché gli si leggeva negli
occhi lupeschi e attenti,
carichi di rancore e desiderio. E, di fronte alla proposta folle di
fuggire
insieme, Sigyn non si era tirata indietro. Le era mancato il respiro,
aveva
sentito la vita scivolarle via e lui era riuscito a ridarle aria,
spalancando
la gabbia in cui era intrappolata, facendole tremare le vene dei polsi.
Tutto
il resto – l’orrore –
doveva sparire, o l’avrebbe inghiottita. Ci sarebbe
stato il tempo per le domande, ma non quella notte, non dopo che la
vista le si
era appannata e solo la pozione dolciastra inghiottita quasi a forza
l’aveva riportata
indietro. Loki era riuscito a salvarla e Sigyn voleva ripagarlo e
sentirsi
viva.
Erano
in una stanza da letto sobria ed elegante, in una casa posta in un
quartiere
raffinato pieno di famiglie benestanti e perbene. Facevano eccezione
loro due,
in silenzio, colpevoli di aver violato ogni norma sociale in nome di un
desiderio che scorreva nelle vene di entrambi e non aveva ancora
trovato un
nome. Che infiammava lui e bloccava lei. Da fuori,
l’abitazione si presentava
come l’austera dimora di un avvocato spesso assente per
lavoro, ma all’interno
le camere erano arredate col gusto sofisticato di chi ha viaggiato per
il mondo,
esplorandone gli ultimi misteri e cercando reperti e tesori: scaffali,
mobili e
librerie contenevano antichità e cimeli mai visti ed erano
stati sistemati
secondo un gusto particolare. Tra le meraviglie esposte,
c’era un manoscritto conservato
sotto una teca in vetro, scritto in un’elegante carolina
e miniato con cura.
“Dove
lo hai trovato?” boccheggiò Sigyn. Aveva
riconosciuto la grafia, ma non
riusciva a leggerla correntemente; tuttavia, individuò
l’argomento osservando
le immagini che decoravano la pagina: raccontavano la storia del conte
che
s’invaghì della strega pagana.
“Lo
raccolse mio nonno. C’è chi dice che sia una
leggenda di famiglia,” spiegò
l’alchimista piegando le labbra nell’ennesimo
sorriso storto.
A
quelle parole, il cuore della ragazza batté più
forte nel petto. Sentiva che le
vicissitudini dei due amanti lontani nel tempo e nella storia erano
legate a
lei, a loro. Il mito le parlava, calmando
l’incubo che era giunto a
ghermirla da vicino e che sapeva di morte, annullando il presente. Era
fuggita come
l’ultima delle cameriere, seguendo l’uomo che
amava, obbedendo al cuore e alla
testa che, insieme, gridavano e sanguinavano di nostalgia per un
sorriso sbieco
che non riusciva a dimenticare, per due occhi verdi che non poteva
smettere di
sognare. Se non era destino che fosse sua moglie, capì
tremando, sarebbe stata
la sua amante, quella notte o un’altra. Era un fato cui
nessuno poteva opporsi,
né suo padre, né Theoric, né il duca
Thor né lei e Loki.
“È
per questo che hai cercato la sua tomba?” gli
domandò sfiorando il vetro. Loki
sembrava non volerle rendere le cose facili. L’osservava
tenendo le mani
allacciate dietro la schiena, facendo attenzione a ogni suo movimento,
sussulto, sguardo.
“Era
una leggenda interessante, sì. Dovresti berla,”
l’invitò, riferendosi alla
tazza. “E indossare qualcosa di meno bello, ma più
comodo,” concluse con voce
roca, strappandola alle sue considerazioni per riportarla
lì, in una delle sue
stanze, nel cuore della notte.
Sigyn
strinse le labbra. C’erano ancora troppe domande sospese, tra
loro. E non di
tutte era certa di voler conoscere le risposte.
“Fuggire
era l’unico modo? Io non capisco mai i tuoi intenti, Loki. Mi
corteggi, ma non
ti esponi. Dici di avermi salvato la vita, ma lasci intendere di essere
immerso
nell’oscurità.”
L’alchimista
parve compiacersi di quella confessione così sincera.
Attendeva che Sigyn gli
ponesse il quesito giusto. “Ed è così.
Non mi avrebbero mai lasciato avvicinare
a te. E lui voleva portarti via. Ho agito in
fretta.”
L’accenno,
pur lieve, fece rabbrividire Sigyn, spingendola a scacciare via
l’orrore da cui
era fuggita e a concentrarsi sul viso affilato di Loki, sul suo ghigno
sempre ironico
che aveva lasciato il posto a una smorfia tirata. Nascondeva
un’infinità di
segreti: glielo leggeva nelle ombre inquiete che danzavano nei suoi
occhi quasi
trasparenti.
“In
nome di cosa?” l’incalzò rapida,
facendosi avanti finché lui non resistette
all’impulso di carezzarle la guancia serica, il collo
elegante, il nastro di
velluto nero che reggeva l’agata verde, per poi risalire con
lentezza fino alle
labbra piene, di cui ricordava il sapore.
Loki
deglutì, al pensiero di quanto fosse assurdo e folle il suo
piano e dei rischi
che comportava, ma Sigyn si era avvicinata troppo per lasciarla andare.
La strinse
a sé lasciando scorrere le dita sulla schiena che tremava al
suo tocco, sulla
vita stretta dal corsetto. In nome di cosa? Del
rancore e del desiderio,
avrebbe dovuto risponderle. Laufey sognava d’averla e Loki si
era svegliato
scoprendo di nutrire la stessa disperata brama, di essere stretto dai
lacci del
medesimo incanto. E ora Sigyn era sua, tra le sue braccia, con ancora
l’abito
avvelenato addosso, che solo il suo antidoto aveva reso non mortale.
Era
splendida e fremeva sotto le sue dita, vittima stupenda dei suoi baci
sfacciati, scorretti, dati ovunque tranne che sulle labbra bramate
– doveva
perdersi, graffiargli con più forza le braccia, sciogliersi
e supplicarlo.
“In
nome di cosa, rispondi: io rinuncio al mio nome, stanotte,”
gli sussurrò, infilando
le dita tra i suoi capelli scuri. Sigyn aveva le labbra piene e uno
sguardo
febbricitante, dolce, liquido e deciso. Voleva dimenticare e vivere,
annullarsi
con lui, smarrirsi per poi ritrovarsi. Cosa sarebbe stato di loro,
l’indomani? Sarebbe
tornato da Lord Vanir, avvertendolo che l’onore di sua figlia
era compromesso e
non rimaneva nessun’altra via che sposarla?
L’avrebbe portata in Francia o in
Germania, dove pochissimi avrebbero fatto domande? E Laufey, come
impedire che
Laufey si vendicasse di entrambi? Poche ore prima, Thor lo aveva
implorato e
minacciato di comportarsi come un gentiluomo, ma Loki non era capace di
rimanere dentro i limiti imposti dalla società rarefatta dei
suoi pari. I
confini entro cui si muoveva erano labili e incerti, a metà
strada tra il regno
dei vivi e quello dei morti. Si muoveva tra il bene e il male, tra
scienza e
magia, tra esperimento e maleficio. E Sigyn, desiderata con ferocia per
mesi,
era finalmente tra le sue braccia, inquieta e bellissima e viva,
avvolta in un
vestito che avrebbe dovuto essere il suo sudario e invece ne esaltava
il corpo
snello, fremente, ancora vivo per merito suo, che ora le baciava la
pelle candida
del collo inebriandosi del suo profumo di donna, del desiderio che
avvertiva
nelle dita sottili, impazienti e nervose di lei, sfacciata, perduta, sua.
“La
soddisfazione non è nella mia natura. Non voglio cederti,”
rivelò con
voce roca. Laufey l’avrebbe sepolto vivo: così
faceva con i suoi nemici.
“Cedermi?”
Sigyn si mise in punta di piedi per sfiorargli le labbra, tentandolo
con un
bacio mancato che non ci sarebbe stato, sfiorandogli il naso con la
punta del suo.
Era sfrontata e priva di malizia a un tempo. Una
fitta di desiderio lo colse, spingendolo a
prenderla tra le braccia, ad adagiarla senza grazia sul bel letto.
Sigyn
lo fissò da sotto le ciglia scure artigliando le coperte con
le dita, spaventata
e decisa. “Sono io che scelgo: quando sono uscita dalla mia
stanza, ho scelto,”
mormorò.
Il corsetto
s’alzava e abbassava a un ritmo irregolare e Loki si stese su
di lei, cercando
con le dita abili e veloci i nastri dell’incantevole abito
color smeraldo,
raccogliendo i suoi sospiri, cercandole, finalmente, le labbra dolci,
prima lambite
appena, poi ghermite in un bacio fatto di molti altri baci, feroce e
intenso e
impaziente, come non lo erano le mani lente, sicure, che la spogliavano
senza
fretta, uno strato dopo l’altro. E lei disse che si sarebbe
mostrata a patto
che anche lui si svestisse, per valutare con curiosità il
torace asciutto e
scolpito, i muscoli nervosi e tonici, il fisico agile e virile di un
uomo giovane
e forte abituato a cavalcare, a navigare a esplorare terre insidiose e
lontane.
Il verde
è un colore insidioso e stupendo: per ottenere una tinta
vibrante e piena occorreva
usare, tra gli altri ingredienti, l’arsenico, un veleno.
Non si contavano le dame e i gentiluomini che avevano fatto tappezzare
le
pareti e rifatto il guardaroba con il color smeraldo abbracciando la
morte come
lui stringeva Sigyn. Nella sostanza usata per tingere il raso
dell’incantevole
abito della ragazza, Loki aveva usato quello e molti altri ingredienti
segreti:
Laufey voleva preservare la bellezza della propria preda –
lui, all’inizio, era
curioso solo di vedere gli effetti della sua pozione maledetta. Ora,
invece, scopriva
la pelle morbida e soda di lei, nascosta dall’abito:
carezzava la linea sinuosa
delle gambe sottili, dei fianchi rotondi, della vita stretta e dei seni
sodi,
dalle punte dure prima ancora di sfiorarle con le labbra, di carezzarle
con la
lingua fino a farla implorare. L’aveva immaginata e sognata e
voluta, ma l’aspettativa
non si avvicinava alla realtà e il bisogno di averla era una
febbre capace di
fargli dimenticare la prudenza e i suoi piani capaci di variare di
minuto in minuto,
certo, ma sempre presenti. Sigyn. Invocò
il suo nome, quando la liberò
dall’ultimo strato di stoffa. Fuori pioveva e
l’alba non era lontana, ma il bisogno
di cercarsi a vicenda la pelle, di rendere reali quelle che erano state
fantasie
brucianti li avvolse, li strinse come si serrarono le loro mani, si
avvinghiarono
i loro corpi, corrosi dal desiderio, tesi verso un’unione
necessaria, anelata,
che avvenne. Fu dolce e brusca. Rotta da sospiri, carezze e labbra che
si lambirono,
sfiorarono, gustarono, ora lente ora impazienti, come le attenzioni
nervose e
urgenti che si scambiarono. Sigyn l’accolse e
scoprì che tra le coperte del
letto iniziava e finiva il mondo. Si sentì libera e viva,
perduta e ritrovata e
accarezzò la schiena larga e scolpita di Loki, dopo,
stupendosi del respiro
rapido dell’altro, del battito accelerato del cuore che
sentiva all’altezza del
seno e si mescolava al suo. Lo amava. Lo pensò mentre,
ancora ansante, gli
chiese cosa sarebbe accaduto, ora.
Loki si
sollevò sui gomiti strappandole un bacio lento e irriverente
e scostandole una
ciocca bionda dal viso.
“Ho
anticipato le sue mosse. Il suo piano era venirti a prendere prima
dell’alba. Ci
cercherà, ma non ci troverà,”
spiegò con un ghigno perfido. L’ammirò
ancora,
compiacendosi che fosse nuda sotto di lui, e, crudele, le
tormentò un seno con
spietata lentezza. Sigyn s’inarcò e
boccheggiò di fronte a quell’attenzione
imprevista. Loki la scioglieva, l’incantava, la faceva
vibrare e tendere con
una facilità disarmante e spaventosa, cui lei non aveva mai
voluto resistere. E
ora, che aveva scoperto il doloroso piacere di averlo, non voleva
rinunciarci
mai più.
“Come
fai a conoscere così bene le sue
intenzioni?”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Scusate l’assenza
di questi giorni e scusate il capitolo particolarmente lungo (supera di
poco le
4000 parole), ma le cose da dire erano tante e i passaggi introspettivi
complessi. Spero anche di non aver lasciato troppi refusi, dato che la
prima parte
l’ho riletta tipo duecentocinquanta volte e
l’ultima tipo due. Eh, lo so :(.
Non è
semplice entrare nella mente di una ragazza dell’Ottocento e
io sono una grande
amante dei grandi romanzi del periodo, soprattutto inglesi, russi e
francesi. Per
una ragazza aristocratica come Sigyn decidere di donarsi a Loki
è qualcosa che
va contro ogni morale o regola, un atto da
“cameriera”: questo discorso
classista va chiaramente inserito nella mentalità elitaria
dell’epoca. Il fatto
che lei osi andare contro le regole non significa che non le condivida.
Semplicemente,
le infrange, coerentemente con l’epoca.
Come i più
attenti avranno notato, ho inserito l’avvertimento “Fable!AU”
ma non ho
specificato quale fiaba sia stata rappresentata, perché sono
almeno due e se vi
avessi svelato quali sono avreste capito troppe cose della trama.
Spero
che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando
leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Anche se non
rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e
mi
commuovo ogni volta♥.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo – e io lo so
perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non
sapete quanto mi
faccia piacere. Ricordo
che il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
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Capitolo 4 *** La sposa rubata ***
Capitolo 4
La
sposa
rubata
Come luce lei
brillava
Quando sposa
andò
Dove mai
l'avrà portata
Il signore che
la rubò
Da tre notti non
riposo
Resto ad
ascoltare:
È la
vipera che soffia
Soffia presso
l'acqua
(La sposa
rubata, Angelo Branduardi)
Era
una domanda che doveva porgli, di nuovo, perché in carrozza
Loki le aveva detto
qualcosa di vero, quando aveva fatto riferimento agli oscuri legami di
cui si
era circondato nel corso della sua scapestrata esistenza. Anche lei era
uno di
quelli? Sentiva il suo corpo vibrante e vivo come non era mai stato e
provava
già nostalgia per le sensazioni intense vissute solo pochi
istanti prima. Aveva
conosciuto il desiderio e l’amore e le sue gambe cingevano
ancora i fianchi
stretti di Lord Odinson.
E lui
non le aveva promesso niente – né Sigyn si era
messa a chiedere altro se non di
essere amata come le sue mani, la sua bocca e i suoi sguardi feroci
promettevano. Gli sfiorò con la punta delle dita la mascella
diritta e virile risalendo
fino allo zigomo affilato, in una carezza stupita, ammirata: quante
notti aveva
sognato di essere tra le sue braccia e come era diversa ogni cosa, ora
che lui
la stringeva a sé? Piegò le labbra in un broncio
lieve. Avrebbero dato a Loki
la colpa e la responsabilità di quella fuga. Ecco
l’ennesima storia dell’avventuriero
spavaldo e giramondo che seduce la fanciulla e la rapisce: un dramma di
cui Sigyn
era la protagonista di nome, ma non di fatto, la cui voce non contava
nulla. A
chi sarebbe importato che lei desiderasse fuggire e che amasse Loki? A
nessuno. La sua volontà, che l’aveva
spinta nel cuore della notte a
scappare in punta di piedi, veniva vista come il capriccio di un
animaletto
grazioso e raggirabile. Ma Sigyn non si sentiva così
innocente. Era
diventata l’amante di Lord Odinson perché la sua
anima non era del tutto pura;
provava ancora fitte di gelosia cocente al pensiero delle donne che lui
aveva
amato nel corso dei suoi lunghi viaggi; vederlo ridere o scherzare con
altre
dame la rendeva insofferente e di malumore quanto le attenzioni di Loki
euforica. L’estate prima aveva fatto ogni cosa per rimanere
sola con lui,
finché un pomeriggio si erano ritrovati troppo vicini e Lord
Odinson l’aveva
guardata nell’identico modo in cui la fissava ora: con
curiosità e desiderio e
soddisfazione e qualcosa d’indefinibile e oscuro, accentuato
dal sorriso
laterale e sbieco che le aveva rivolto. Si erano baciati fino ad avere
le
labbra gonfie, a perdere il senso del tempo. Lui aveva riso dicendole
che il suo
aspetto delicato era quello di una fata, ma il suo lo spirito
appassionato era
di una strega – ma non una qualunque, specificò,
quella che condannò un famoso
conte alla perdizione.
“Colpa
sua, che si lasciò incantare,” aveva ribattuto
Sigyn, altera e sfacciata e
felice.
Loki
era rimasto in silenzio, come se fosse in cerca della risposta giusta
da darle.
Quando aveva parlato, la sua voce le era parsa più bassa e
roca del solito. “Oh,
avete ragione, mia signora. Voleva perdersi con lei e abbandonarsi al caos.”
Sigyn
lo sapeva: suo padre, temendo uno scandalo, non sarebbe mai andato a
denunciare
la sua scomparsa a Scotland Yard,
ma l’avrebbe fatta cercare e, quando l’avesse
trovata, non sarebbe rimasto
nemmeno un momento ad ascoltare le sue spiegazioni. L’avrebbe
fatta sposare con
l’uomo che reputava giusto per lei, condannandola a
un’esistenza piatta e
perbene: una settimana prima si era messo in testa di presentarle un
conte già
vedovo e con figli, manierato e cortese, ma capace solo di fare
discorsi vecchi
e vuoti. L’idea di essere sfiorata da lui la ripugnava nella
misura in cui
desiderava le mani di Loki su di sé. Sì, il suo
amore per il fratello del duca
sarebbe stato bollato come una fantasia o, peggio ancora, un capriccio
indotto
in cui era caduta perché ingenua. Al pensiero si
sentì ribollire il sangue
nelle vene, perché sentiva di appartenere
all’alchimista e a nessun altro,
anche se percepiva, era cosciente, di quanto lui fosse spregiudicato.
“Tu
sapevi,” insistette, “sapevi abbastanza da avere
con te l’antidoto,” sussurrò.
Non voleva spezzare l’incanto, eppure era necessario
sollevare il velo del
dubbio, dopo essere stati corrosi dall’urgenza di aversi.
Loki,
sopra di lei, volle assaggiare una volta ancora le sue labbra,
appropriarsi
della loro morbidezza. Infilò un braccio sotto la sua
schiena ghermendole la
nuca, come se Sigyn potesse fuggire o lui volesse possederla ancora
più intimamente
di quanto non aveva fatto.
Lei
lasciò che la baciasse, tremando al pensiero della risposta
che avrebbe ricevuto,
vittima del desiderio che scuoteva ancora entrambi, avvinghiati uniti,
vicini.
Loki sapeva troppo – l’aveva salvata, ma a che prezzo?
Lord
Odinson si aspettava quella domanda. L’attendeva da quando
aveva scoperto di
ricercare l’attenzione della giovane figlia di Lord Vanir non
per Laufey, ma
per sé. Nelle lunghe sere trascorse nel suo studio, con un
bicchiere di whisky
ormai vuoto posato sulla scrivania ingombra di carte, appunti e formule
proibite, aveva immaginato nel dettaglio cosa sarebbe successo se
avesse
tentato di salvarla. Ogni piano elaborato, però, era stato
scartato; Loki si
era convinto che Sigyn sarebbe stata la sua rovina, ma la soddisfazione
non era
nella sua natura e, lentamente, senza nemmeno rendersene conto, aveva
cominciato
a cercare per proprio conto l’antidoto che
l’avrebbe strappata al suo mentore e
alla morte. Doveva portargliela via, rubargliela, farla sua, vederla
abbandonare ogni resistenza e invocare il suo nome, tenerla tra le
braccia come
stava facendo in quel momento. E Laufey era già sulle sue
tracce, probabilmente.
I suoi servitori a quell’ora erano entrati nella camera di
Sigyn e, non
trovandola, avevano sicuramente avvertito il loro capo. Laufey lo
avrebbe fatto
chiamare, sospettando immediatamente di lui? E Lord Vanir come si
sarebbe
mosso, scoprendo che la figlia era svanita nel nulla? Il vecchio
avrebbe
coinvolto Thor, senza dubbio. Sì, Loki aveva previsto ogni
mossa dei suoi
avversari, compresa quella domanda che veniva proprio dalle squisite
labbra della
sua incantevole e desideratissima amante, ma aveva lasciato spazio
anche
all’imponderabile, al caos che stravolgeva ogni piano.
Avrebbe messo a tacere
Vanir, conquistato il favore di Thor, ucciso Laufey prima che la
vendetta di
quest’ultimo si abbattesse su di lui.
E poi,
forse, le avrebbe confessato di aver avvelenato la stoffa usata per il
magnifico abito che l’aveva fasciata fino a poche ore prima,
che lui aveva
accarezzato e toccato incurante dell’arsenico mischiato ad
altre rare erbe indiane
– ma aveva bevuto anche lui un goccio d’antidoto,
mentre attendeva che la festa
a casa Vanir finisse.
Così,
seguendo l’intricata rete di trappole che aveva messo a
punto, rispose a Sigyn
negandole una completa verità che sarebbe stata troppo
difficile da spiegare o
da accettare, ma dandole una risposta che, pure, era abbastanza vicina
a essa.
Un inganno sottile e necessario, tanto da potersi spezzare in ogni
momento,
eppure, proprio per questo, più robusto.
“Conosco
le sue intenzioni, sì,” ammise. “So cosa
ha usato per avvelenarti. Mi ha
chiesto aiuto per la pozione,” le rivelò con voce
roca, sottilmente compiaciuta.
“E io ho creato il veleno e
l’antidoto.”
La
sentì irrigidirsi sotto di lui, la vide sgranare i begli
occhi grigi. Intuiva
che c’era dell’altro, aveva colto la
pericolosità insita nelle sue parole, si
era affacciata oltre il precipizio oscuro che era la sua anima contorta
e
assetata di conoscenza. Un sapere che non aveva prezzo, per cui era
disposto
anche a sacrificare la vita sua e degli altri, ma questo Sigyn ancora
non
poteva saperlo, né conosceva l’imponderabile, la
bestia oscura che gli
graffiava il petto. Lo avrebbe scoperto, però.
“Perché
hai atteso stanotte?” gli sibilò flebile e decisa.
L’alchimista
piegò le labbra in un ghigno ironico e mesto; con la mano
libera, scostò una
ciocca bionda dalla sua fronte.
“Avrebbe
trovato un altro modo. Dovevo impedirglielo, facendogli credere fino
alla fine
che il suo piano si sarebbe realizzato stanotte.”
Di nuovo,
non si trattava di una menzogna, ma nemmeno della totale
verità: era qualcosa
nel mezzo – un inganno, volto a celare la parte
più bieca della vicenda, quella
che Sigyn sospettava e Loki, ancora, nascondeva. L’avrebbe
persa, altrimenti, e
non era disposto a farlo. Non era sazio di lei, di loro, della sua
pelle morbida
e dorata, delle sue labbra dolci, del suo corpo snello e teso
intrappolato
sotto il suo. L’aveva catturata e la desiderava ancora.
L’avrebbe persa
comunque, forse, ma non quella notte maledetta che
già si trasformava in
un’alba grigia e fredda.
Sigyn
legò l’una all’altra le informazioni
scoperte. L’intrigo in cui Loki era
invischiato le apparve davanti in maniera più nitida; non
immaginava ancora che
ad avvelenarla era stato il bell’abito che lui le aveva
sfilato di dosso, ma
era un dettaglio trascurabile rispetto alla portata del gesto in
sé.
“Mi
hai avvelenata.” Ora che lo aveva detto le sembrò
più vero – e spaventoso. Ed
era nel suo letto, stretta a lui, senza difese. Aveva l’odore
di Loki addosso,
il sapore dei suoi baci su ogni curva del suo corpo. Aveva seguito il
drago
nella sua caverna lasciandosi irretire dalle sue carezze e ora si
trovava tra
le sue spire meravigliose crudeli.
“Ti
ho salvata.” Loki la strinse con più forza
strappandole un bacio sul collo
capace di farla comunque tendere; la sua voce aveva assunto un tono
secco e
graffiante, che non ammetteva repliche. “Era il modo
più sicuro. L’unico
sicuro,” puntualizzò torvo.
Sigyn
doveva – poteva – credere alle
sue parole? Aveva offeso la sua famiglia
fuggendo con un uomo dall’anima oscura, ma nel suo sguardo
lupesco la ragazza
riconobbe una scintilla del tormento in cui Loki era rimasto incastrato
nei
mesi in cui l’aveva baciata, corteggiata e frequentata
sapendo che un altro
voleva farla sua.
“Stavo
per morire, eppure non sono mai stata così viva come
stanotte,” gli confessò.
“Perché
sono qui?”
L’alchimista
non le rispose, ma nella penombra le loro labbra si cercarono ancora,
insolenti
e disperate, nervose come le loro mani e i corpi avvinghiati e corrosi
da un
desiderio sublime e maledetto. Non era destino che si amassero, ma
questo,
ancora, Sigyn non poteva immaginarlo, Loki non voleva dirlo.
♥
Thor
era ancora in veste da camera quando Lord Vanir e Theoric bussarono
alla sua
porta. Li ricevette e ascoltò il racconto della sparizione
di Sigyn e l’accusa
che vedeva coinvolto il suo introvabile fratello. Gli chiesero dove
fosse, lo
pregarono di non proteggere ulteriormente Loki, colpevole di aver
corrotto una ragazza
innocente, invaghita dei suoi modi affascinanti e insolenti. Era stato
davvero
lui? Aveva osato macchiarsi di un gesto così orrendo, capace
di rovinare per
sempre la vita di una donna? La voleva fino a quel punto?
Pensò alla sera prima
e decise che suo fratello era senz’altro degno
di un piano tanto crudele.
Si
chiese cosa avrebbe detto o fatto il vecchio Odino e fu preso dalla
voglia di
risolvere la questione personalmente, una volta per tutte, e
intervenire a
costo di mettersi definitivamente contro Loki, così
sfuggente e perfido,
incapace di accontentarsi di ciò che la vita gli offriva o
di conquistare ciò
che desiderava se non con l’inganno. Se avesse dimostrato
alla famiglia di
Sigyn di voler essere per lei un buon marito, loro avrebbero davvero
rifiutato
a oltranza la sua proposta?
Ma su
suo fratello correvano voci orrende e Thor sapeva che non tutte erano
semplici maldicenze;
aveva cercato di scoprire qualcosa di più sui suoi
esperimenti, sui veleni e i
segreti proibiti cui si dedicava seguendo una tradizione che affondava
nei
secoli, al tempo dei primi alchimisti o di quando veggenti e streghe
camminavano su questo mondo. In parte, la fascinazione di Loki per
l’oscurità
derivava dagli interessi altrettanto oscuri del loro defunto padre. Da
lui Loki
aveva ereditato l’astuzia e la spregiudicatezza, assieme
all’arte di
architettare trucchi e trappole. Erano due farabutti con un titolo
nobiliare
addosso, pirati incapaci di fermarsi di fronte ai divieti morali
– e ce
l’avevano nel sangue, quell’insaziabile desiderio
di conoscere. Sigyn era
rimasta intrappolata dalla brama feroce di suo fratello di avere ogni
cosa, si
era lasciata incantare dal suo sorriso beffardo e dalle sue battute
argute e
ora lui, Thor, doveva rimediare. Eppure, tradire Loki non era nei
piani. Doveva
trovarlo prima che altri lo facessero e convincerlo a ragionare.
Lord
Vanir era invecchiato di dieci anni in una notte. Le rughe che gli
solcavano il
volto magro si erano fatte più profonde, gli occhi chiari,
liquidi e mobili, si
guardavano attorno come se Sigyn potesse comparigli davanti
all’improvviso; gli
tremavano le mani nodose, su cui spiccavano le vene bluastre. Chiamava
la
figlia bambina mia e raccontava di come
assomigliasse a sua madre. Thor ricordò
che, anni prima, l’uomo aveva sofferto per la perdita
improvvisa dell’amata
moglie, ma pensò anche che Sigyn era una giovane donna
innamorata. Gli sembrò
fragile e patetico nella sua supplica, quanto Theoric nervoso e
incapace di
fare altro che chiedere il suo aiuto.
“Loki
non è qui,” sospirò. “Vi
accompagnerò nella nostra tenuta di campagna, ma vi
devo avvisare: dubito che lo troveremo lì o in qualsiasi
altra delle nostre
proprietà.”
“La
sua casa in città è vuota,” disse
Theoric. “Dove altro può averla portata? In
un ostello? In un altro paese?” azzardò.
“Se
sono insieme.” disse. Loki la voleva, certo, ma agire in
maniera tanto plateale
e rischiosa non gli si addiceva non perché mancasse di
coraggio: un simile
atteggiamento cozzava con la sua natura calcolatrice e infida. Thor lo
conosceva bene e il doloroso ricordo delle giornate passate a cacciare
insieme
gli ferì il petto.
“Vostra
Grazia! Così ci offendete!” esplose Vanir.
“Se
sono insieme, mio lord, varrebbe la pena di considerare
l’idea di unirci non
solo nella loro ricerca. Se l’ha convinta a fuggire, avete la
dimostrazione che
mio fratello è davvero interessato a
Sigyn,” sottolineò Thor con forza,
fissando entrambi i suoi ospiti negli occhi. Lo stava facendo ancora
una volta.
Stava difendendo Loki come aveva fatto per una vita intera, giurando di
combatterlo per poi proteggerlo alla prima occasione utile, nonostante
sapesse
quanta oscurità si celasse nell’animo
dell’altro, ma senza sospettare nulla
dell’abito avvelenato.
♥
La
casa di Odino è piena di traditori.
Loki
si aspettava che Laufey lo guardasse negli occhi scandendo con lentezza
quella
frase vera, dal sapore di una condanna. Ogni muscolo e nervo del suo
corpo
agile e nervoso era pronto a scattare, a pugnalare al cuore o alle
spalle il
vecchio mentore, ma l’altro si limitò a guardare
il giardino che si stendeva
sotto la propria finestra con le braccia allacciate dietro la schiena e
la
bocca piegata in una smorfia dolorosa. Le dita di Lord Odinson
sfiorarono il
bracciolo in pelle della poltrona su cui si era seduto con
l’abituale
noncuranza, cercando di mascherare la tensione.
“Indossava
l’abito, ieri sera?” gli domandò a un
tratto Laufey con voce roca, gracchiante.
“Sì,”
rispose Loki. Se l’avesse scoperto, la sua fine sarebbe stata
quella di essere
sepolto vivo sotto sei piedi di terra, ma fuggire o sparire equivaleva
ad
ammettere di aver nascosto Sigyn. Doveva lasciare Londra non appena i
sospetti
su di lui si fossero allentati e, per fare questo, aveva bisogno di
dirottare
l’attenzione dei suoi molti nemici altrove.
Il prezzo per un piano così
ardito era rischiare il collo andando a fare visita proprio al proprio
maestro,
il più pericoloso dei suoi avversari.
“Com’era?”
insistette l’uomo stringendo le dita fino a farsi sbiancare
le nocche.
L’alchimista
ricordò il raso verde che accarezzava le curve di Sigyn, la
sfumatura viva di
colore che ne esaltava la carnagione dorata, la bocca appena schiusa
che lui
aveva assaggiato dopo averle dato una fiala con l’antidoto.
Non voleva
condividere col mostro che aveva davanti l’immagine di lei, eppure.
“Incantevole,”
decise infine.
“Dove
può essere andata? La sua famiglia sospetta di te:
stamattina è andata da tuo
fratello,” l’informò Laufey voltandosi
con lentezza nella sua direzione.
Lord
Odinson non si mosse e sostenne lo sguardo del mentore con fermezza.
“Se
sospettano di me,” ghignò, scandendo ogni parola,
“è perché tu mi hai
chiesto di avvicinarla. Era nei nostri piani che immaginassero una
nostra fuga
d’amore, ricordi? E mentre loro avrebbero cercato
d’incastrare me, tu avresti
fatto con lei ciò che dovevi,” concluse tra i
denti.
Il
vecchio studioso soppesò il discorso dell’altro.
Non c’erano falle né dubbi
nelle sue frasi puntuali e acute. Era stato lui a coinvolgerlo in quel
piano
che, all’improvviso, si era trasformato in un orrendo incubo.
“L’hai
mai desiderata?” lo affrontò infine a bruciapelo.
Loki
rise buttando il capo all’indietro, ma nei suoi occhi
scintillava un bagliore
sinistro. “Mi sono esposto, Laufey,”
puntualizzò alzandosi. “Ho avvelenato il
vestito che indossava. Per te. Perché fosse finalmente tua,”
insistette,
nascondendo abilmente il brivido che gli correva lungo la schiena al
pensiero
di lei tra le sue braccia: aveva ancora il suo profumo addosso, il
sapore dei
suoi baci sulle labbra. Si era macchiato di una colpa infinitamente
grande –
aveva tradito l’uomo che lo aveva riportato in Inghilterra e
lei, lasciandosi
corrodere da un fuoco che gli aveva infiammato l’anima fino a
bruciarla, ma
nonostante fosse consapevole della rete in cui si era invischiato e che
lui
stesso aveva contribuito a tessere con pazienza, non provava alcun
rimorso.
Voleva Sigyn a tutti i costi. L’idea che Laufey, con le sue
mani sciupate e
macchiate dal sole dei Tropici, con le sue spalle già curve
e i denti marci,
potesse sfiorarle la bocca, i fianchi rotondi o il seno sodo, gli era
intollerabile e faceva scaturire nel suo petto un rancore sordo e senza
nome,
una gelosia smisurata che gli serrava lo stomaco e la gola. Avrebbe
dovuto
ucciderlo in quell’istante; valutò la
fattibilità di una simile azione,
considerò che nessuno al mondo si sarebbe messo a piangere
per la morte di quel
grandissimo bastardo.
Lo
studioso reietto lo aveva ascoltato in silenzio. Era a conoscenza delle
voci
che circolavano sul suo giovane amico e Sigyn. Era vero, aveva fatto di
tutto
per alimentarle, invitando l’altro a visitare il
più spesso possibile la casa
di Lord Vanir e qualsiasi altro ambiente la ragazza frequentasse per
soddisfare
il suo bisogno di conoscerla tramite la voce dell’altro. Non
si era mai
concesso di sospettare di Loki perché troppo sicuro di
sé, del suo piano e,
soprattutto, della bramosia che il figlio di Odino nutriva verso le
arti
occulte. No, l’uomo di fronte a lui non avrebbe sacrificato
la conoscenza del
mistero della vita e della morte per amore di una ragazza, eppure
Laufey sapeva
quanto il desiderio, troppo spesso, infiammasse i lombi offuscando la
ragione.
“E
allora lei dov’è, amico mio?”
insistette.
L’alchimista
lo squadrò dall’alto in basso. “Verrei
qui, se fosse con me? Sarebbe un gesto
stupido e folle,” sentenziò freddamente.
“A
meno che tu non voglia imbrogliarmi,” ragionò il
vecchio.
“Chiedi
che fine ha fatto agli uomini che dovevano portartela. Forse ti fidi
troppo di
loro,” insinuò Loki crudele, consapevole di aver
condannato degli innocenti a
una fine tremenda. Un altro sorriso sghembo e astuto gli
attraversò le labbra.
“Pensaci, Laufey. Lei era incantevole, inerme,”
sibilò. “Il suo cuore aveva
appena cessato di battere, ma era ancora calda.”
Scoprì i denti bianchi e
regolari vedendo l’altro impallidire e credergli, almeno
per il momento
– gli faceva comodo farlo, doveva allontanare dal suo braccio
destro i
sospetti, ne aveva bisogno per non annaspare nella disperazione.
Loki
sentì il sangue fluire nelle sue vene al ritmo sostenuto del
suo battito
accelerato. L’ennesima trappola era scattata e, con tutta
probabilità, aveva
guadagnato qualche giorno di respiro. Com’era patetico il suo
mentore, che si
struggeva per una ragazzina appena entrata in società,
com’era pericoloso il
suo piano – ucciderla per evocare un’altra
– quanto era stato insistente nel
chiedergli che profumo avesse la sua pelle, ignaro che
quell’aroma lo inebriava
e acuiva il suo desiderio! Ora ne pagava il prezzo e il dolore che lo
dilaniava
era solo una minima parte di quello che lo attendeva in futuro.
Eppure,
Laufey non era l’unico pazzo nella stanza. Era quasi sera, e
Sigyn era rimasta
nella casa in cui l’aveva nascosta, di cui nessuno, nemmeno
Thor sapeva niente.
Si congedò, allontanandosi con passi lunghi e misurati e
facendo attenzione che
nessuno lo seguisse, ripetendo mentalmente le prossime mosse da
compiere. Avrebbe
passato un’altra notte con lei, sarebbe riuscito ad
allontanare da sé l’attenzione
di Laufey e di Vanir convogliandola su qualcun altro e poi
l’avrebbe portata
sul continente. Il padre e il fratello di Sigyn erano già
andati a bussare alla
porta di casa Odinson e credevano certamente che lui fosse fuggito
nella tenuta
di famiglia, in campagna; al loro ritorno, Loki li avrebbe attesi
dimostrando
come nella sua casa londinese non ci fosse traccia alcuna della
ragazza. A quella
dove Sigyn l’aspettava non sarebbero mai riusciti a risalire,
perché intestata a
un nome fittizio.
Non si trattava della soluzione migliore, ma certamente era quella
più
indolore. Ciò che avrebbe dovuto fare, sarebbe stato pararsi
di fronte a Laufey
e sparargli in mezzo agli occhi, per poi dare la sua casa alle fiamme,
non
prima di aver rubato ogni suo appunto utile e distrutto il resto.
♥
Il pomeriggio
aveva lasciato il posto a una sera fredda e umida e Sigyn non era
ancora
riuscita a finire la lettera che si era ripromessa di scrivere a suo
padre. La fuga
con Loki era stata troppo repentina per comporre anche solo un
biglietto, e la
ragazza sentiva di dover giustificare le proprie azioni di fronte a una
famiglia molto amata che l’avrebbe cercata fino allo
sfinimento. Per tre volte si
era convinta di aver messo su carta le sue motivazioni in maniera
chiara e
precisa e altrettante aveva stracciato ogni foglio. Il suo desiderio
più grande
era che accettassero la sua decisione e si convincessero della forza
dei suoi
sentimenti verso Loki Odinson: il ricco fratello di un duca che le
avrebbe
permesso di vivere nell’agio – anche questo aspetto
si era premurata di
sottolineare, nelle varie versioni della missiva, ma le rendite
dell’affascinante
e astuto alchimista non l’interessavano come avrebbero
dovuto. Era lui, col suo
sguardo chiarissimo e aguzzo perennemente tormentato da una sete
insaziabile,
con la sua ironia pungente e taglientissima, col suo modo di fare
misurato e
sicuro di sé, a incantarla. Indossava un abito color avorio
che lui l’aveva pregata
di indossare e il ciondolo danese appartenuto alla strega.
Dell’abito di raso
verde non c’era più traccia. Tirò su le
gambe accoccolandosi meglio sulla poltrona,
in attesa che lui tornasse. Al pensiero che avrebbero trascorso di
nuovo la
notte insieme, strusciò senza accorgersene le ginocchia tra
loro, lasciando
scorrere una mano sulla gonna chiara che la copriva: lo voleva.
Il suo
corpo fremeva al pensiero delle labbra di Loki che lo percorrevano
accarezzando
ognuna delle sue curve tremanti. Allo stesso modo, le sue mani
desideravano
esplorare ancora il corpo agile e scattante contro cui si era stretta,
fatto di
muscoli tonici che spiccavano sotto la pelle. Il dolore piacevole e
imprevisto
che aveva provato facendo l’amore con lui
era qualcosa di cui si era
accorta di aver bisogno. Eppure, c’era qualcosa, in Loki, che
ancora le
sfuggiva. Aveva creato il veleno e
l’antidoto, mettendo a repentaglio la
sua vita per salvarla. Sigyn credeva alle sue parole e non dubitava di
essere l’oggetto
della vendetta di un uomo che già si era accanito con la sua
famiglia, eppure
la freddezza con cui Loki aveva organizzato il suo personale piano per
salvarla
la spaventava, il racconto che le aveva fatto nascondeva ancora delle
ombre. In
attesa che l’alchimista tornasse e nelle pause necessarie
dovute alla mancanza
d’ispirazione per la difficile lettera per suo padre, aveva
visitato ogni
stanza della casa, curiosando in cerca di dettagli o indizi che le
rivelassero
qualcosa in più dell’uomo che amava. Aveva vagato
per corridoi e sale, soffermandosi
sui titoli dei volumi contenuti nelle numerose librerie, su qualche
spada
antica dall’elsa istoriata con pietre preziose che
campeggiava appesa nei vari
salotti. Si era fermata unicamente di fronte a una porta chiusa a
chiave.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Mi stavate
già dando per dispersa **? È stata una settimana
veramente brutta e ha ragione
un noto scrittore contemporaneo, si scrive quando si sta bene, pure
quando si
regalano sfighe ai personaggi. Alcuni di voi hanno azzeccato quale,
anzi quali
fiabe siano racchiuse in questa “Fable!AU”.
Credo di aver detto tutto quanto
nelle note. Come sempre, ogni dettaglio inserito, anche caratteriale,
è
assolutamente coevo con i personaggi del periodo.
Il
riferimento incessante al ciondolo della strega ovviamente
avrà un senso e prima
che lo diciate: no, Loki non poteva fuggire immediatamente da Londra.
Nella prima
versione di questa storia (mentale) faceva esattamente così,
ma c’erano troppe
cose che non mi tornavano e nel prossimo capitolo Loki ve le
spiegherà.
Spero
che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando
leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Anche se non
rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e
mi
commuovo ogni volta♥.
Ah, prossima
settimana arriva DAVVERO “Solo un accordo”!
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo – e io lo so
perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice, e vedere
che alcuni di voi
tengono nel proprio spazio su Efp le mie storie o trovano il tempo di
lasciarmi
due righe mi rende felice come Loki mentre abbracci il Tesseract, ecco.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che
trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
|
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Capitolo 5 *** Confessioni di un malandrino ***
Capitolo 5
Confessioni di
un malandrino
Buona notte alla
falce della luna
Sì
cheta mentre l'aria si fa bruna,
Dalla finestra
mia voglio gridare
Contro il disco
della luna
La notte
è così tersa,
Qui forse anche
morire non fa male,
Che importa se
il mio spirito è perverso
E dal mio dorso
penzola un fanale
(Confessioni di
un malandrino, Angelo Branduardi)
Sigyn
pensò che varcare la soglia di quella stanza, qualora avesse
trovato la chiave,
sarebbe stato un errore fatale. Fu un pensiero lucido e assoluto, che
spazzò
via tutti i dubbi possibili, ma che si legava anche a
un’altra considerazione:
sarebbe entrata, in un modo o nell’altro. Sfiorò
la maniglia e l’abbassò di
nuovo. Quasi senza alcun dubbio era lo studio nascosto di Loki,
l’uomo che
amava nonostante la tenebra che avvolgeva il suo passato oscuro, quello
che
conteneva i libri proibiti di cui tutta Londra vociferava.
Dov’era, lui? Le
aveva parlato di un appuntamento necessario e improrogabile, e lei non
aveva
fatto domande per non dover ascoltare qualche menzogna. Si
allontanò misurando
i passi e tormentando il ciondolo d’agata; si sentiva viva
come non era mai
stata, protagonista del suo destino, eppure sul suo cuore gravava il
peso di
una consapevolezza senza nome: aveva la sensazione di stare assistendo
a
qualcosa di già visto o scritto, d’ineluttabile,
capace di stringerla
con lacci di seta stretti e impossibili da sciogliere.
Le avevano presentato lord Odinson una sera piovosa e tetra: era uscita
con sua
cugina e la zia Freya per partecipare a una seduta spiritica indetta da
una
famosa medium, ma la donna, un’anziana dalle labbra tremanti
e le pupille
acquose, pochi minuti dopo averle incontrate aveva manifestato un
improvviso e
destabilizzante malessere, tanto invalidante da spingerla ad annullare
l’incontro
che, per una serie di coincidenze, non si era ripetuto mai
più. Un’ora dopo,
gli occhi chiari e indagatori di lord Loki Odinson l’avevano
spogliata di ogni
sua difesa, scrutandola come se dovesse valutarla. Ricordò
che, in
quell’occasione, l’alchimista aveva parlato con
perfida ironia dell’arte di
interrogare gli spiriti.
Si era divertito definendola una pratica incerta e troppo facilmente
manipolabile, usata da ciarlatane di dubbia fama. Lei, punta sul vivo,
si era
difesa accusandolo di aver intrapreso una serie di lunghi viaggi in
giro per il
mondo allo stesso scopo: la conoscenza
dell’insondabile. A
quell’affermazione, gli occhi verdi di Loki scintillarono di
soddisfazione. Era
irriverente. Affascinante. Astuto. Capace di farla avvampare con una
battuta
salace, ma sempre nei limiti della cortesia necessaria tra un uomo e
una
giovane donna. Confini che lui si era divertito a lambire molte volte,
ma non all’inizio.
Nel primissimo periodo della loro conoscenza, Sigyn si era convinta che
Loki la
giudicasse costantemente, soppesando il suo modo di rispondere,
vestire,
parlare. La teneva d’occhio e rispondeva in maniera faceta
alle sue battute, ma
con la stessa grazia sfacciata che tributava agli altri ospiti. Erano
attenzioni
fredde, le sue, figlie di calcoli impossibili da immaginare che la
spingevano
inesorabilmente verso di lui, in un insieme di attrazione e repulsione
che
aveva la sua origine in un punto così nascosto di lei da
vivere solo nell’ombra
dei sogni. Quando erano cambiate le cose? Quale era stato il momento in
cui Loki
Odinson si era trasformato da spettatore a cacciatore? La prima volta
che
avevano ballato insieme, le sue dita le avevano sfiorato la schiena
facendola tendere
e sussultare proprio come l’ultima?
All’inizio,
fascino e timore si erano mescolati, rivelandole, solo mentre dormiva,
che quel
perenne sospetto in grado di morderla quando lui la fissava per un
secondo di
troppo l’infiammava di sdegno e non solo.
Poi, una sera, Loki aveva
stretto tra le dita un bicchiere colmo di whisky e si era messo a
parlare dei
suoi viaggi col tono che avrebbe usato per raccontare una fiaba. Non
erano
soli, nella sala, ma era come se lo fossero e il mondo attorno a loro
non
esistesse più.
Un
rumore la distrasse dal flusso dei suoi pensieri. Lo sentì
rientrare e ragionò
sul fatto che non aveva completato la lettera da spedire a suo padre.
Mentre gli
andava incontro, comprese che non c’erano parole giuste per
spiegare una fuga
d’amore. La sua famiglia avrebbe dovuto convincersi che il
patrimonio ereditato
dal duca d’Asgardshire era abbastanza ingente da garantirle
per sempre una vita
agiata, prendendo atto che lei e Loki vivevano sotto lo stesso tetto
come un
uomo e una donna, come due amanti, come marito e moglie, anche se
nessun
contratto o cerimonia li aveva resi tali, se non i baci ansiosi e le
carezze
sfacciate e intense che si erano scambiati mentre la notte lasciava il
posto
all’alba. Ma Loki non le aveva promesso nulla se non di
salvarla dalle mire di
un altro. Un uomo che, per Sigyn, era un’ombra venuta
direttamente dal passato
della sua famiglia, ma da cui si sentiva estranea. L’aveva
mai incontrato? Come
poteva aver organizzato il suo assassinio e da quando lord Odinson
sapeva? Il
piano per salvarla era nato nel momento stesso in cui gli era stato
proposto di
avvelenarla, come diretta conseguenza di un sentimento che
l’affascinante
alchimista già provava per lei?
Non
aveva risposte, ma solo domande. E Loki era davanti a lei, col suo
ghigno
perenne.
♥
Non
c’era traccia di Loki e Sigyn nella grande tenuta di famiglia
fuori Londra.
Erano svaniti nel nulla, inghiottiti nella nebbia, scomparsi in mezzo
alle vie
trafficate e un po’ grigie della città o nella
brughiera aspra e ventosa,
dominata da un cielo metallico e dall’erica ostinata. Il duca
di Asgardshire,
però, non ne era affatto sorpreso. Aveva accompagnato il
padre e il fratello di
Sigyn fino alla tenuta ben sapendo che mai, per nessuna ragione, Loki
si
sarebbe rifugiato nella dimora preferita del loro defunto padre. Anzi,
osservando le torri austere della grande casa pensò che, con
tutta probabilità,
quella caccia intrapresa nella direzione sbagliata non aveva fatto
altro che
favorire i piani di suo fratello. Forse Loki era ancora a Londra o lui
e Sigyn
si erano imbarcati su un piroscafo alla volta di Calais. Quando il
pomeriggio
aveva lasciato il posto alla sera, si era offerto di ospitare lord
Vanir e suo
figlio nella tenuta per la notte, ma quelli avevano rifiutato;
così, i tre si
erano rimessi in viaggio verso Londra, fermandosi unicamente
all’ufficio
postale per telegrafare i loro spostamenti. Era stato lì che
Thor aveva mandato
un messaggio nella propria casa londinese indirizzato, però,
a suo fratello.
C’era una remota possibilità che Loki bussasse
alla sua porta o che qualche
servitore, fedele a entrambi, gli recapitasse in un modo o
nell’altro il
messaggio. Aveva scritto poche parole, secche e perentorie; sperava
suscitassero
nel destinatario una sola reazione: quella giusta per lui, per Sigyn,
per il
vecchio tormentato dagli occhi lacrimosi che gli sedeva di fronte.
Lord
Vanir raccontò a Thor Odinson una storia, quella sera. Lo
fece nonostante le
rimostranze di Theo, stringendo il suo bastone da passaggio con tanta
violenza
da farsi sbiancare le nocche ossute. Disse che le donne della sua
famiglia
erano maledette, perseguitate, e che c’era una ragione se si
era sempre opposto
all’idea che Loki Odinson frequentasse sua figlia, la sua
delicata Sigyn che
assomigliava tanto alla defunta madre tragicamente scomparsa.
“Quale?
Se mio fratello ha rischiato tanto per lei, se si è esposto,
è per fare la sua
mossa e impedirvi di ostacolarlo,” precisò Thor.
Era una questione d’onore.
Sigyn era bella e possedeva un’intelligenza vivace, ma suo
fratello senz’altro
la meritava, era degno di lei. Nelle sue vene
scorreva il sangue feroce dei
valorosi cavalieri normanni che avevano accompagnato Guglielmo nella
conquista
della Gran Bretagna e quello, persino più feroce, dei conti
magiari che
galoppavano nelle steppe dell’Europa più
selvaggia. C’era, in lui, qualcosa di
oscuro e imprevedibile, un caos senza nome che i mari del sud avevano
sicuramente
esasperato, ma la spregiudicatezza che gli scintillava negli occhi
discendeva
direttamente dai fieri guerrieri che, dal continente, avevano raggiunto
le
coste inglesi. La domanda era: l’aveva spinta a fuggire con
lui? Ripensò al
modo in cui si guardavano, fatto di occhiate lunghe e avide, alla
tensione che
sembrava scuoterli non appena le distanze si accorciavano, ai sorrisi
trattenuti, al desiderio nascosto dietro un mezzo inchino e uno
sventagliare
rapido. Si cercavano e si volevano – erano
senz’altro insieme. Dovevano
esserlo.
“L’oscurità,”
disse lentamente il vecchio, levando la voce oltre il rumore della
carrozza e riportando
Thor al presente. “La passione per l’occulto. Certe
frequentazioni intollerabili,”
sibilò infine, distogliendo lo sguardo dal duca e volgendolo
altrove, verso il
buio che si scorgeva oltre il finestrino. Sarebbero arrivati a notte
fonda.
Asgardshire aggrottò la fronte altrimenti serena. Gli era
parso di scorgere un
lampo di vergogna nello sguardo del padre di Sigyn. Gli nascondeva
qualcosa. Si
chiese se Loki ne fosse a conoscenza e fino a che punto si spingesse la
verità
su quelle voci già sentite – con quale feccia si
intratteneva suo fratello?
Certe maldicenze si intrecciavano alla verità e traevano la
loro linfa vitale
proprio da quest’ultima, distorta eppure, in qualche maniera,
presente. E Thor
sapeva, non poteva negare, di conoscere, almeno in parte, lo scopo
delle
ricerche di Loki, perché erano le stesse che aveva condiviso
con Odino Odinson
in persona prima che quest’ultimo, avvicinandosi alla morte,
le rinnegasse quasi
del tutto.
“Mio
fratello è uno scienziato, uno studioso. Come nostro
padre,” ribadì con
decisione.
Vanir
sospirò. “Un alchimista, un mago. Come vostro
padre.”
♥
“Come
mai hai acquistato proprio questa casa?” domandò
Sigyn giocando con quanto
rimasto nel piatto. Loki stirò le labbra in un sorriso breve
e laterale. Non
era la prima domanda che gli rivolgeva quella sera. Per tutta la durata
della
cena, l’aveva bersagliato con una raffica di quesiti volti a
soddisfare una
curiosità necessaria, questo Odinson lo capiva, ma
terribilmente pericolosa.
Eppure, se Sigyn non si fosse dimostrata arguta, se nei suoi occhi
grigi grandi
e rotondi la dolcezza non si fosse accostata a una scintilla di
consapevolezza,
Loki non avrebbe rischiato ogni cosa per lei.
Bevve
un sorso di vino e si leccò le labbra. “Mi serviva
un posto dove nessuno mi
avrebbe disturbato.”
“Ma
tu non vivi qui.”
“Non
ufficialmente,” ammise. “I miei conoscenti mi
cercano altrove. Andremo via
presto.”
Sigyn
schiuse le labbra, fissandolo in attesa. Andremo.
Era fuggita con Loki
Odinson perché lui l’aveva stretta a sé
sussurrandole di fidarsi, se non voleva
morire, e lei, che non aspettava altro che un gesto da parte sua, lo
aveva
seguito anche se non le aveva promesso niente. Nel giro di una notte,
la
ragazza aristocratica che si divertiva a intrecciare conversazioni
giocose e
vivaci si era trasformata in una donna, e non solo perché
quella mattina si era
risvegliata tra le braccia dell’uomo che le sedeva di fronte,
ma perché sentiva
di essere fuori dall’ala protettiva della propria famiglia e
di pagare il
prezzo di un desiderio che l’aveva consumata per settimane e
mesi, spingendola,
a volte, a osare fino ai limiti della decenza pur di vederlo,
incontrarlo,
scambiare una battuta o uno sguardo. Eppure lo aveva temuto,
all’inizio.
La prima volta che si erano incontrati era stata scossa da un tremore
figlio di
un presentimento antico, più vecchio di lei, di Londra, del
tempo stesso, che
solo dopo si era trasformato nel languore capace di stringerle il petto
e mozzarle
il respiro. Significava qualcosa?
“Che
progetti abbiamo?” gli chiese.
Gli
occhi verdi dell’alchimista la trapassarono una volta di
più, facendole battere
più forte il cuore nel petto, come quando, la sera prima, lo
aveva visto
comparire nel salotto pieno di gente della sua casa e lei indossava lo
stupendo
abito di raso verde che era sparito.
“Uno
in
grado di mettere al sicuro entrambi,” le ripose con voce
roca.
Per Sigyn
quella frase era una promessa pericolosa: forse voleva sposarla,
legandola a sé
con un matrimonio segreto che avrebbe trasformato la loro fuga folle e
sconsiderata in un gesto che sarebbe stato raccontato con qualche
risata
allusiva in un salotto. S’immaginò per sempre sua,
la notte trascorsa insieme
moltiplicata per cento e per mille, stretta tra le sue braccia forti,
accarezzata dalle mani che l’avevano fatta sussultare,
risvegliando una parte
di lei che la ragazza aveva solo intuito esistere nell’ombra.
Ma appartenere a
Loki Odinson voleva dire anche convivere con la sua
oscurità, con i segreti
nascosti dietro il suo sorriso affascinate e beffardo, che gli scopriva
i denti
bianchi e ben fatti.
“C’è
una stanza chiusa a chiave,” iniziò, cambiando
argomento.
L’alchimista
non si scompose. “Ah sì?”
“Quella
al piano superiore, in fondo al corridoio,”
proseguì Sigyn. Le vennero in mente
certe fiabe antiche che le raccontava sua madre, dove principesse
fuggiasche
finivano in castelli incantati. Erano destinate sempre a violare
l’ala o la
stanza proibita, e poi.
Loki scosse
la testa e rise. “Lì non c’è
niente di interessante.”
“Credevo
fosse uno studio privato o qualcosa del genere.”
“No.
Quello è accanto alla biblioteca.” Si riferiva
alla stanza curiosa ed elegante dove
Sigyn aveva visto l’antico manoscritto che riportava la
leggenda della strega.
“Allora
mostramela.”
“Non
stasera. Ci sono solo vecchi libri, qualche mobile da
buttare.”
Lei
sorrise, ma sapeva che nessuno chiude a chiave una stanza dove non
viene tenuto
nulla d’importante, e il suo pericoloso e astuto amante non
era da meno. Di
nuovo, le aveva mentito con una naturalezza spiazzante che dava ragione
alle
molte dicerie sul suo conto. È un pirata, un mago,
un pazzo. Se non fosse
per il sangue che gli scorre nelle vene, penzolerebbe già da
una forca. Era un
brillante e promettente studente, no, l’assistente di un
professore, ma
qualcosa, in lui, a un certo punto si è spezzato. Colpa di
suo padre, dicono.
Theo le aveva ripetuto quelle frasi decine di volte, eppure lei non ci
aveva
mai creduto, perché Loki Odinson era ferocemente lucido
quando parlava delle
persone che aveva incontrato, dei viaggi intrapresi nelle zone
più remote e
lontane del mondo. Sigyn aveva letto anche alcuni suoi articoli
scientifici e
li aveva trovati brillanti, figli di una mente acutissima e moderna,
desiderosa
di svelare i misteri del mondo. Quale che fosse il fuoco destinato a
corroderlo,
non era la follia a spingerlo ad agire. Forse Loki era in cerca della
gloria
personale o della conoscenza fine a se stessa; in questa prospettiva,
anche le
ricerche più ambiziose e spregiudicate assumevano un taglio
nuovo.
Sigyn
sorrise e decise che avrebbe trovato la chiave ed esplorato la stanza
perché doveva
sapere. Più tardi lasciò che
l’alchimista la spogliasse con infinita
lentezza, s’imprimesse nella mente ognuna delle sue curve,
esplorasse con le
labbra il collo che lei gli offriva come un dono, scendendo
giù, fino alle
punte dei seni tremanti, al ventre piatto che si tendeva al suo tocco,
al
bacino proteso. Non avrebbe dovuto abbandonarsi così a lui,
non finché non le
avesse mostrato la stanza chiusa a chiave, non fintantoché
tra loro c’erano
segreti, ma le carezze della notte prima erano diventate necessarie a
entrambi.
Non era come lo raccontavano sottovoce amiche più esperte o
cameriere
ridanciane; lord Odinson, a letto, la trascinava in un gioco fin troppo
serio
in cui dettava regole che poi le insegnava a infrangere. Sapeva farla
fremere
mentre le slacciava il corsetto e conosceva il modo per convincerla a
sfilarsi
piano le calze. Era una danza fatta di sguardi e di baci, in cui Sigyn
soffriva
di gelosia, perché l’inesperienza di lei era pari
solo alla sfacciata abilità
di lui nel trascinarla in un caos in cui smetteva di essere la figlia
perbene
di un gentiluomo per trasformarsi nell’amante ansiosa di un
alchimista che le
toglieva i vestiti citando con malizia evidente Ovidio e Catullo.
E
Sigyn lo voleva. Desiderava sentire di nuovo sulla sua pelle
l’odore di quella
di lui e lasciar scivolare le dita sui muscoli tesi e scattanti; le si
stringeva lo stomaco all’idea delle mani di Loki che
percorrevano le linee del
suo corpo facendolo vibrare in maniera sconveniente, in una maniera che
si
addiceva più all’ultima delle sgualdrine che
popolavano i romanzi stampati
sulla carta di poco prezzo che a una ragazza aristocratica come lei.
Era condannata, era pazza – lei, non Loki, ma ormai era sua,
voleva essere sua;
si erano lasciati incatenare a un desiderio cui non sapevano
né volevano
resistere, e Sigyn credeva di ravvisare, nell’impazienza con
cui Loki la
cercava dopo averla spogliata, la stessa sensazione di disperato
bisogno.
Ricordò
che le aveva mentito, mentre le loro mani
si stringevano e i loro corpi si cercavano, ansiosi di allacciarsi in
una danza
che avrebbe annullato il tempo e lo spazio. Glielo disse tra un respiro
rotto e
l’altro, graffiandogli la schiena e perdendosi in lui, in
loro, nei sospiri
spezzati, nei baci ansiosi.
“Se
l’ho
fatto,” le soffiò Loki sulla bocca prima di
baciarla un’altra volta ancora,
“se ti ho mentito è per evitarti l’orrore.
Non fare domande, non aprire
porte che trovi chiuse.”
Ancora
avvinghiati dopo l’amore, col cuore di lui che batteva contro
il suo petto,
Sigyn nascose il viso nell’incavo del suo collo inebriandosi
col profumo della
sua pelle, trovando conforto tra le braccia virili. Qualunque cosa ci
fosse tra
di loro, nessuno dei due sapeva né voleva arginarla. E nella
tasca sinistra
della sua giacca, Loki teneva un mazzo di chiavi.
♥
Laufey
aveva fatto uccidere i propri uomini. I loro corpi erano stati trovati
nel
Tamigi. Loki Odinson lesse la notizia senza alcuna particolare
emozione: era
responsabile della loro fine orrenda, ma non provava alcun senso di
colpa. Lui
aveva suggerito al vecchio e disgustoso mentore che, probabilmente,
quei due
avanzi di galera erano colpevoli della sparizione di Sigyn e quello, il
giorno
dopo, li aveva fatti ammazzare dopo un interrogatorio che
l’alchimista non
dubitava fosse stato orrendo. Erano morti per un crimine che non
avevano
commesso, ma non erano innocenti e nel figlio del defunto duca Odino
d’Asgardshire non c’era spazio per sentimentalismi
o rimorsi di coscienza. Lui
e Laufey combattevano una guerra di più ampio respiro: come
in tutti i
conflitti, c’era un prezzo da pagare anche in vite umane.
Sigyn era al sicuro
nella sua casa e, presto, sarebbe potuta uscire persino dalla sua
necessaria
reclusione: questo contava. Lei, che in quel momento dormiva dopo
averlo
accolto nel suo letto, era più importante di due farabutti
qualsiasi indegni di
qualsiasi sentimento di pietà – era sua,
come era stata quella sera e le
notti prima ancora. Si riempì un bicchiere di whisky
adagiandosi contro la
poltrona imbottita su cui era rimasto inchiodato nelle lunghe notti
passate a
studiare fino a consumarsi gli occhi. Bevve e si leccò le
labbra pensando,
però, che al liquore mancava qualcosa d’indefinibile.
Lentamente, aprì
un cassetto laterale della scrivania e ne trasse una piccola scatola
nera.
C’era un anello, al suo interno. Un gioiello antico,
appartenuto alla nervosa e
altera contessa ungherese che suo padre aveva sposato e da cui lui
aveva
ereditato il sangue selvaggio. Lo prese in mano, valutando la bellezza
della
montatura, lo splendore della pietra. La notte, quando lui e Thor erano
bambini, lei si sedeva tra i loro letti raccontando le storie degli
dèi del
Nord, condannati da una profezia oscura a morire dopo un inverno fatto
di sette
lunghi inverni che si erano avvicendati l’uno
all’altro, facendo sprofondare il
mondo nel caos e nel terrore. Con un sussurro di voce e il suo accento
per
sempre straniero, passava poi alla storia della strega danese che aveva
portato
alla dannazione un conte normanno vissuto prima ancora che gli Odinson
ottenessero l’Asgardshire. Sorrise, immaginandosi la bionda
incantatrice
sedurre il guerriero e pensando che, forse, l’agata indossata
da Sigyn fosse
proprio un regalo dell’uomo alla veggente. Ma queste erano
fiabe, racconti
sfilacciati che non si accostavano l’uno all’altro,
parentesi in cui era
possibile evadere mentre l’orologio segnava, implacabile, la
fine di un altro
giorno in cui il suo piano aveva retto.
Ma
l’indomani sarebbe stato altrettanto fortunato? Laufey presto
avrebbe capito
l’inganno, Thor lo cercava, lord Vanir pure, e la bella Sigyn
era a casa sua da
tre giorni e lo fissava con quei suoi incantevoli occhi grigi,
chiedendogli
silenziosamente il conto delle sue azioni passate, presenti e future.
Ammirò
ancora l’anello e buttò il capo
all’indietro. Avrebbe dovuto sposarla quella
notte stessa. Pagare un prete compiacente, rimediare un paio di
testimoni,
pronunciare i voti.
Rise
di se stesso e della follia che stava accarezzando, ma che forse non
era poi
così assurda. Forse doveva davvero ingannare le intenzioni,
correggere
definitivamente il passato e rendere onesta e pura quella passione
divorante,
magnifica e crudelissima che lo legava a doppio filo con Sigyn. Nome
ripetuto
di notte, maledetto come malediceva se stesso ogni volta che
l’amava, la cercava,
la corrompeva facendole scoprire cos’era il desiderio, per
poi lasciarsi corrodere
irrimediabilmente da lei. La sera prima aveva ricevuto un biglietto
allarmato
da parte di suo fratello – se è con te,
sii un gentiluomo e chiedi la sua
mano. Lady Odinson le donerebbe, come nome.
Aveva bruciato la lettera ed era entrato nella stanza di lei. Senza
dirle una
parola, si era inginocchiato affondando la testa tra le sue gambe
finché Sigyn
non aveva gridato, incapace di trattenersi oltre, disposta a essere
sua, di
nuovo.
Aveva
bisogno di quella ragazza; bruciava per lei, che gli infiammava
l’anima con i
suoi occhi grigi e rotondi, ammiccanti, dolci, liquidi.
L’aveva resa la sua
amante trascinandola con sé dentro l’ampia vasca,
per strapparle il virginale
pudore che la faceva sentire a disagio quand’era senza
vestiti addosso,
rivelandole il piacere di sfiorarsi e toccarsi finché il
tempo non si dilatava
o annullava.
Sposarla,
sebbene di nascosto, significava aderire a una convenzione necessaria.
Era il
giusto passo riparatore che lo avrebbe messo al riparo da qualsiasi
futura
accusa; persino l’omicidio di Laufey gli sarebbe stato
perdonato: avrebbe
raccontato la storia del marito innamorato che protegge la sua
incantevole e
sensuale sposina dalle grinfie di un mostro che la voleva usare per
degli
oscuri esperimenti. Chi lo avrebbe mai condannato, con queste premesse?
Lo
avrebbero chiamato eroe, perché quale uomo non avrebbe fatto
altrettanto, per
difendere chi amava? Sì, sposandola sarebbe riuscito a
ottenere ogni cosa –
Sigyn e gli appunti di quel pazzo di Laufey. Riflettendo su come
un’idea
assurda si era trasformata in un colpo di genio, fu preso da una fitta
d’indescrivibile esaltazione. Era come se ogni tassello della
sua esistenza
fosse appena andato nel posto giusto, nell’incastro che
qualche entità al di
fuori del tempo e dello spazio aveva previsto in un altro luogo, in un
mondo
diverso. Sul momento, però, l’astuto lord Odinson
non poté cogliere la portata
di quella riflessione tanto netta. Lo avrebbe fatto, poi.
Nonostante
l’ora tarda, decise di organizzare immediatamente il suo
piano. Mise l’anello nella
tasca destra e uscì senza contare quante chiavi erano appese
al mazzo che gli
tintinnava nell’altra. Il rumore della porta
d’ingresso che si chiudeva dietro di
lui svegliò Sigyn. La ragazza si tirò su a
sedere, rabbrividendo per il freddo.
Aveva preso la chiave dell’ipotetico studio – non
era stato difficile: era
l’unica identica a quelle delle altre stanze, ma ora che
poteva finalmente
soddisfare la sua curiosità, fu morsa dal dubbio. Era giusto
entrare in una
stanza che Loki l’aveva invitata a dimenticare? Si era
addormentata tra le sue
braccia: sulle labbra sentiva ancora il sapore dei suoi baci, il suo
corpo
infreddolito ricordava le loro carezze urgenti, l’intrusione
che l’aveva fatta
gridare fino a perdere il controllo. Varcando la soglia del presunto
studio,
Sigyn avrebbe tradito la fiducia dell’uomo che amava e
l’aveva salvata,
dell’alchimista oscuro con cui era fuggita, ma che continuava
a nasconderle parte
della verità. Pensò che voleva sapere ogni cosa
di lui. Era pronta ad
affacciarsi nell’abisso, perché si era messa nelle
sue mani abbandonandosi a
lui e meritava di sapere. Per essergli davvero fedele, come la moglie
che era
solo di notte, aveva bisogno di conoscere la verità. Le
parve di udire un
rumore provenire dalla camera in fondo al corridoio. Si mise una
vestaglia di
Loki sulle spalle e, girando la chiave nella toppa, disse ad alta voce
che non
avrebbe trovato nulla. Sobbalzò quando la luce del lume
illuminò il vestito:
l’aveva scambiato per una presenza oscura, un fantasma,
eppure, dopo l’iniziale
spavento, dovette ammettere che una parte di lei aveva sempre saputo
che
l’abito era lì. Non era uno studio, su questo
Odinson era stato sincero: si
trattava di un laboratorio. Muovendosi come in un
sogno, illuminò la
moltitudine di appunti, i libri proibiti, la corrispondenza. Fu
quest’ultima a
spingerla ad afferrare la pistola posata sulla scrivania – e
scoprì che era
pesante, molto più di quanto non immaginasse.
Così la trovò Loki: una figura
pallida con i capelli color dell’oro sciolti sulle spalle e
gli occhi che
scintillavano di terrore. Si appoggiò allo stipite stirando
le labbra in un sorriso
beffardo. Era bella, incantevole, e, come sempre,
maledettamente capace
di distruggere ogni suo piano.
Sigyn,
tremante, gli puntò l’arma contro. “Tu
chi sei?” gli gridò. Sulle labbra salate
aveva ancora il sapore dei baci dolci, urgenti, disperati, che si erano
scambiati solo poche ore prima.
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e
cari
Lettori,
Vi ho fatto
penare un
po’ con questo aggiornamento, ma sono state giornate faticose
e impegnative e
scrivo ritagliandomi il tempo, quindi mi scuso in anticipo per
eventuali refusi
– ho veramente poco tempo per scrivere e ancora meno per
revisionare. È
possibile che gli aggiornamenti passeranno da settimanali a ogni dieci
giorni,
ma non temete, non sparisco ♥, anzi, ho in mente nuove cose
e porterò a
conclusione le vecchie.
Un paio di cose
sul
capitolo: l’Ottocento e l’epoca vittoriana sono dei
periodi molto particolari
che però conosco piuttosto bene. Anche se le gambe dei
tavoli venivano coperte
per decenza le pulsioni delle donne esistevano. Il fatto che qualcosa
non sia
socialmente accettato non significa che non esisteva, tanto che la
storia della
fuga e della passione tra Loki e Sigyn in questa storia è
vagamente ispirata a
una più o meno coeva, quella tra Mary Godwin Shelley e Percy
B. Shelley (quella
Shelley). Per esempio, è considerato non accettabile e non
da bravi studenti
marinare la scuola, eppure la sottoscritta l’ha fatto
più volte (però poi
studiavo e mi impegnavo per prendere voti decenti). Idem qui. Sigyn
è una brava
ragazza, ma anche le brave ragazze fanno cose che non dovrebbero. Sulla
lunghezza della storia… vi confesso che questo doveva essere
il penultimo
capitolo, ma non sono sicura che riuscirò a chiuderla
così in fretta.
Voglio
ringraziare
coloro che recensiscono/ leggono/seguono/ricordano e
preferiscono – ogni
volta che listate o vi palesate
m’illumino d’immenso, per voi sembrerà
una cretinata ma io che ne so che non la aprite perché vi fa
schifo? C’è gente
che guarda le carogne agli angoli delle strade, mica sempre uno legge
cose
belle. A questa storia poi ci tengo per un sacco di motivi.
Prossima
settimana
vorrei aggiornare di nuovo questa storia, ma mi conoscete. Dipende
molto
dall’ispirazione del momento.
Ricordo che il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e
grazie per
tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi
lovviate me).
Shilyss
|
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Capitolo 6 *** L'innocenza perduta ***
Capitolo 6
L’innocenza
perduta
E come li
stornei ne portan l’ali
nel freddo
tempo, a schiera larga e piena,
così
quel fiato li spiriti mali
di qua, di
là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza
li conforta mai,
non che di posa,
ma di minor pena. […]
Amor,
ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del
costui piacer sì forte,
che, come vedi,
ancor non m’abbandona.
Amor condusse
noi ad una morte.
(Dante
Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto V)
Lady
Sigyn Odinson. Il
nome le sarebbe calzato a pennello. L’immaginò
padrona e signora di uno dei
possedimenti più antichi della sua famiglia, quello che
s’affacciava sul Mare
del Nord e guardava verso la penisola scaldica. Nelle notti gelide,
rese più
lugubri dal vento che veniva dalla costa, si sarebbero cercati
assecondando
quel bisogno d’aversi che li aveva quasi condannati,
così urgente da
intrappolarli in un incantesimo squisito capace di spezzare loro le
vene, mozzare
il respiro. Avrebbero vissuto lontani da Londra e dai suoi salotti
ipocriti ed
eleganti finché il suo bisogno di viaggiare non fosse stato
saziato,
spingendolo a tornare nella capitale. Forse, si sarebbe deciso a
portarla con
sé in giro per l’Europa, magnifica e solenne.
Sposarla sarebbe stato come
pugnalare Laufey dietro la schiena – cosa che, a ogni buon
conto, si era ripromesso
di fare, pregustando dentro di sé il momento in cui la lama
di un pugnale
avrebbe penetrato la carne dell’altro.
Se
solo Sigyn non fosse entrata. Se non gli avesse rubato la chiave,
varcando la
soglia di una stanza che raccontava troppo e, tuttavia, non le avrebbe
detto
abbastanza. Non la biasimava per l’eccessiva
curiosità dimostrata, in verità.
Al suo posto avrebbe fatto di peggio, perché
l’anima nera di Loki era guardinga
e diffidente. Ora però, anche quella di Sigyn si era
macchiata, perché la
conoscenza lascia sempre qualcosa a chi la tocca. Lei, per esempio,
aveva perso
del tutto l’innocenza: il mondo non avrebbe più
avuto niente di benigno, perché
le carte che aveva appena letto possedevano il potere di sollevare il
velo
della speranza lasciando solamente l’ombra. E, con lei, la
consapevolezza che
la morte non sempre equivale alla liberazione da ogni male.
Tutt’altro.
“Tu
chi
sei?” inquisì. La sua voce era appena incrinata.
“Loki
Odinson. Uno scienziato, un alchimista, un chimico. O tutte queste cose
insieme. C’è chi mi chiama mago, ma forse legge
troppi libri,” sorrise scaltro,
senza allontanarsi dallo stipite né mostrare preoccupazione
per la canna della
pistola puntata contro il suo petto.
“E
cosa
più di questo?” Sigyn prese delle lettere e le
gettò a terra. “Era un inganno,”
soffiò. “Mi hai mentito.”
Loki riconobbe
immediatamente le missive sul pavimento e, di nuovo, non
rimproverò affatto la
ragazza. Pensò che l’anello nella sua tasca fosse
diventato quasi
inutile perché lei non avrebbe mai accettato di sposarlo, non
più.
Sarebbe stato meglio vivere nel disonore che unirsi a lui. E se anche,
spinta
dalle circostanze, avesse acconsentito, sarebbe stata per sempre sua
premura
ricordargli ogni giorno l’orribile trappola che le aveva
teso. Avrebbe dovuto
distruggere la corrispondenza compromettente che, in qualche modo, lo
incastrava. In un certo senso, lo aveva fatto: si era assicurato di
rintracciare, far rubare e bruciare quelle che aveva inviato a Laufey,
ma non
aveva agito nello stesso modo con le lettere che il mentore gli aveva
spedito.
Voleva una prova tangibile del suo piano maligno, della follia che gli
avvelenava da troppi anni la mente corrotta. Ma il vecchio scienziato
non era
l’unico ad avere un’anima nera,
tutt’altro.
“Perché
l’abito è qui?” La voce di Sigyn
tremava, come il suo braccio.
“Il
verde è un colore incantevole che le ragazze,
però, dovrebbero evitare di indossare.
Questo è fatto col raso più bello, tinto con il
verde più acceso. Ma il verde,
mia dolce Sigyn, si ottiene con l’arsenico, un
veleno.”
“La
stoffa veniva dalla fabbrica degli Odinson. Era un tuo dono,”
boccheggiò lei.
“Ed
era
un sudario. Dillo, l’hai capito. La formula per ottenere un
colore così vivo
l’ho studiata io, per mesi,” confermò
scandendo con sicurezza ogni sillaba.
“Hai letto la verità, in quelle lettere. Ho
lasciato che lo indossassi perché,
ma questo tu lo sai già da giorni, prima
di salvarti io ti ho
avvelenata. L’arsenico, mescolato a piante che solo le
peggiori fattucchiere
creole usano, dà vita a un filtro. Al filtro che gli serviva.”
Allargò le braccia e mosse un passo verso di lei e
l’arma, rendendosi un
bersaglio, consapevole che la ragazza non avrebbe sparato.
“Ho dovuto farlo. E
ora sai anche come, Sigyn. E tu hai dormito con me,
sapendolo.”
Sigyn
fu scossa da un brivido al ricordo dei tre giorni di passione squisita
vissuta
con lui sotto quello stesso tetto, porgendogli molte domande giuste, ma
accontentandosi di una verità parziale, marcia.
“Hai
dovuto farlo? Eravate d’accordo. Lui ti ha
chiesto…” la ragazza scosse la
testa, sconvolta dall’orrore, disgustata per la doppiezza di
un gioco in cui
lei era la preda da catturare. L’affascinante alchimista di
cui era diventata
incautamente l’amante le aveva detto di essere stato
costretto a partecipare al
piano di Laufey, l’antico spasimante di sua madre, ma dalle
lettere che lei
aveva letto era uscita fuori una verità più
subdola. Loki l’aveva avvicinata
per conto dell’altro.
Si
era illusa che quegli sguardi attenti e feroci con cui
l’osservava sempre nascessero
dallo stesso turbamento che la sconvolgeva, ma non era così,
affatto. Non
all’inizio, almeno. Odinson la teneva d’occhio,
divertito dalla struggente e
ignominiosa passione che Laufey provava per il ricordo di sua madre,
consapevole fin dal principio della trappola in cui sarebbe caduta,
stuzzicato
– era evidente dal tono spesso sarcastico che Laufey gli
rimproverava –
dall’intrigo di cui era attore e spettatore a un tempo. Si
era innamorata del
suo cacciatore – e avrebbe pagato per tutta la vita per
quest’errore, ora lo
sapeva.
E poi
c’era l’esperimento.
Un
abominio, un atto indegno volto a violare la pace dei defunti e a porre
fine
alla sua esistenza; almeno su questo, lord Odinson era stato sincero,
ammise.
Sarebbe morta. Era l’ultima delle mogli che Laufey avrebbe
rinchiuso nella sua
cantina sperando che il suo terrificante filtro facesse effetto, la
sola capace
di restituirgli il fantasma di un amore antico, che non era mai stato
tale per
davvero.
Strinse
la pistola tra le dita e sentì il suo
destino dipanarsi assieme agli avvertimenti di suo padre, come se si
trovasse
in un sogno. Avrebbe dovuto ascoltarlo, ma non era riuscita a
farlo.
Loki
si mosse verso di lei, avvicinandosi con studiata cautela. Non la
temeva, ma
nemmeno la sottovalutava. Ed era serio. Sul suo viso affilato non
c’era più
traccia della sardonica irrequietezza di sempre. “Mi ha
chiesto di
frequentarti, di scoprire cosa ti piacesse e cosa no. Non di portarti
qui.”
Era
una puntualizzazione che nascondeva un messaggio che rimase sospeso,
perché la
lingua svelta dell’alchimista si era attorcigliata di fronte
all’impossibilità
di dirle, di spiegarle cos’erano il desiderio e la follia e
la passione. Non
avrebbe ammesso mai che stringerla tra le braccia era una sofferenza e
una
vittoria, perché nelle sue vene scorreva sangue magiaro e
normanno e il suo
spirito fiero assomigliava a quello dei personaggi che popolavano le
fiabe e i
poemi: non si sarebbe piegato di fronte a nulla, nemmeno allo sguardo
grigio e
traboccante di domande e terrore di Sigyn. Anche a costo di perderla.
“Queste
lettere sono la prova della tua infedeltà,”
sibilò lei. “Della tua…
Loki, tu volevi sapere come sarebbe andato
l’esperimento! Ti interessava
il suo risultato! Se non fossi io…”
“Ma
sei tu. Riguarda te e ti ho salvata,”
ribadì lord Odinson con forza.
“Era una trappola e ho deciso di liberarti – mi ha
chiesto di ucciderti, ho
preferito salvarti.”
Nella
penombra, il suo viso le parve ancora
più affilato, gli occhi penetranti e aguzzi più
chiari, a metà strada tra il
verde e l’azzurro, di una trasparenza inquietante e
bellissima. Poteva
convivere con l’orrore di quella scoperta?
“Dice
di essere il tuo mentore. Voi due vi assomigliate.”
Loki
pensò al rum e ai colori troppi vividi e intensi delle Indie
Occidentali, della
Louisiana, dell’Africa, ma anche al mare freddo che lambiva i
fiordi delle
terre del Nord. “Nelle intenzioni. Nel desiderio di
conoscere,” ammise, per poi
scuotere la testa. “Non saresti dovuta entrare.”
“Non
mi avresti mai detto la verità, se non lo avessi
fatto.” La pistola pesava e
Sigyn non sapeva davvero se desiderava sparargli. Le chiacchiere che
circolavano nei salotti circa gli oscuri esperimenti condotti da lord
Odinson
non rendevano giustizia alla sua sete di sapere, al bisogno di svelare
il
segreto che circondava la morte e cosa fosse l’anima,
quell’impalpabile essenza
che rendeva l’uomo vivo, quel brillio che svanisce non appena
la nera signora,
con la sua falce, la porta via con sé. Gli studi di Laufey e
di Loki volevano
proprio svelare che fine facesse lo spirito quando lasciava il corpo,
dove
andasse, se tenesse memoria della vita appena trascorsa o delle
precedenti. Soprattutto,
con opportune tecniche, sarebbe riuscito a tornare, a varcare il muro
che
separa la vita dalla morte – e che tracce avrebbe lasciato,
un simile viaggio?
“Cos’è
la verità, Sigyn? Un punto di vista, un’opinione
soggetta a diverse interpretazioni.
La conoscenza a volte pesa – questa grava in maniera
indicibile. Ingannandoti,
stavo cercando di proteggerti,” sostenne
l’alchimista accompagnando ogni
concetto con uno studiato movimento delle sue belle mani, ma
l’idea che ogni
opinione avesse, in sé, il profumo suadente di una truffa
non tranquillizzò
affatto Sigyn, anzi. In lei si svegliò qualcosa e
puntò con più fermezza l’arma
in direzione del petto dell’uomo. Lo amava, ma convivere con
l’orrore era
un’altra cosa – lo desiderava, ma temeva di cadere
ancora di più nell’abisso,
se si fosse abbandonata una volta di più al suono dei suoi
ragionamenti
suadenti e crudeli. Ricordò la sensazione di essere cercata,
amata e voluta da
lui e pensò alla freddezza che trasudava da quelle missive
sparse.
“Tu
avresti voluto saperlo,” lo accusò di rimando.
“Non ti saresti accontentato di
una versione incompleta dei fatti.”
Loki
le sorrise con orgoglio. “È vero.”
Un’altra ammissione concessa con spietata
fierezza, un altro passo verso di lei, per disarmarla. Osò
sfiorarle una ciocca
dorata che s’arrotolava in un boccolo scomposto fino a
lambirle un seno, si
azzardò a risalire con le dita verso il collo accarezzandole
la nuca,
avvicinandosi tanto da parlarle sulle labbra, assaggiarle la bocca,
incurante
dell’arma che lei continuava a tenere in mano, delle lettere,
dell’ombra che il
vestito avvelenato gettava sul pavimento della stanza. E Sigyn attese
il bacio,
rispose al suo tocco urgente, perché tremava di paura e
risentimento e quella
era l’ultima volta che poteva lasciarsi andare con lui. Lo
sentiva nelle ossa,
nel cuore, nelle vene. Il braccio dell’alchimista le avvolse
la vita sottile in
un gesto di brusco possesso e lei si tese – era una donna
perduta che, per lui,
avrebbe rifatto ogni cosa altre cento, altre mille volte. Eppure,
mentre il
bacio forse d’addio si trasformava in decine di altri baci
dolorosi e magnifici
e struggenti, negli istanti troppo brevi in cui le loro labbra si
rincorrevano
offese e ansiose di lambirsi e accarezzarsi, ebbe la sensazione di non
poter
sfuggire al proprio destino. Immaginò che fosse
già stato scritto, filato in un
immenso arazzo che conteneva il fato dell’umanità
intera.
L’abito
verde, testimone silenzioso delle loro carezze sbagliate e disperate,
era
ancora lì, a pochi passi, intriso di veleno – alle
sarte che lo avevano
confezionato era stato intimato di lavorare sempre con i guanti per non
rovinare il prezioso colore e quelle, ben pagate e sorvegliate a vista,
avevano
obbedito: una sola doveva morire toccandolo – indossandolo
– ed era Sigyn della
casa di Vanir – solo che.
♥
Il
duca d’Asgardshire si fece annunciare che era quasi il
tramonto. Portava con sé
notizie di vitale importanza, che giustificavano l’ora
inconsueta, il passo
svelto e il bussare deciso alla porta dell’altro. Lord Vanir
scelse di
riceverlo nel suo studio e si stupì, una volta di
più, della sua figura
possente e gagliarda, che sembrava riempire la stanza. Era un uomo alto
e bello,
volitivo, che conquistava i suoi interlocutori grazie alla franchezza
dei suoi
discorsi e contava di farlo anche in quell’occasione. Si
accomodò e trasse
fuori dalla tasca un biglietto stropicciato, che lesse velocemente e
poi poggiò
sulla scrivania, in modo che Vanir potesse vederlo. Il più
anziano intuì che
Thor Odinson doveva aver vagliato con attenzione ognuna delle parole
scritte
nel messaggio. Si sporse verso il foglio fu colpito dalla grafia
appuntita e
decisa, ma prima che potesse inforcare gli occhiali e leggere a sua
volta, il
duca lo anticipò.
“Vostra
figlia è con mio fratello. Sono fuggiti insieme. Lei sta
bene.”
“Dove?”
“In
una casa di cui non sapevo l’esistenza, che Loki ha affittato
sotto falso
nome,” sospirò Thor.
Vanir
illividì. Si prese il viso tra le mani ed emise un sospiro
disperato. Le dita
gli tremavano e la schiena si curvò come se il peso di
quella rivelazione che,
dentro di sé, già conosceva, schiacciasse ognuna
delle sue ossa. “Cos’ha
fatto!” disse, e lo ripeté con voce strozzata,
perché sapeva di averla perduta
per sempre. Non sarebbe più stata la sua bambina dai capelli
d’oro che veniva a
curiosare nello studio fissando ogni cosa col suo nasino
all’insù e quegli
occhi grigi sempre attenti, ma capaci d’illuminarsi quando
sorrideva. Non
avrebbe più suonato il piano o il violino per lui,
rendendo le sue serate più dolci. Era perduta, disonorata
– anche se avesse
bussato in quel momento alla sua porta, non avrebbe potuto
più accoglierla,
sapendo dov’era stata e con chi e perché.
Prima che quel pezzo di carta venisse poggiato sulla sua scrivania,
Vanir
poteva ancora crogiolarsi nell’illusione di un destino
diverso, per Sigyn.
Immaginarla da una parente o da un’amica, per quanto assurde
potessero essere
queste ipotesi, ma il biglietto cambiava ogni cosa. Lo sollevava da una
paura
tremenda che aveva confidato a Thor Odinson qualche sera prima, mentre
la sua
voce era accompagnata dal rumore delle ruote di una carrozza che li
riportava a
Londra, ma, allo stesso tempo, faceva nascere nel suo cuore
un’apprensione
ancora maggiore e la svilente sensazione che solo la conferma di un
sospetto
terribile può dare.
“Lord
Vanir, l’altra sera mi avete raccontato una storia
inquietante, mentre
tornavamo dalla mia tenuta. Mio fratello nel messaggio
l’accenna,” proseguì
Thor, implacabile e schietto, come sempre.
L’uomo
sollevò lo sguardo grigio e acquoso verso il duca e lui ne
approfittò per
continuare, sebbene non poté nascondere a se stesso di
essere rimasto turbato
dal lampo di terrore che aveva visto luccicare negli occhi
dell’altro.
“Qualunque
cosa sia successa o significhi, Loki la sposerà –
vuole farlo – e Sigyn
diventerà mia sorella. Presto, subito.” Thor fece
una pausa, per assicurarsi
che il suo interlocutore avesse compreso la portata del suo discorso e
poi
proseguì col medesimo tono incalzante e deciso.
“Io vi offro la mia parola,
amico mio, che salvaguarderò gli interessi di quella ragazza
e dei suoi futuri
figli da ogni voce malevola, da qualsiasi azione sconsiderata di mio
fratello,
passata o futura. Vi garantisco, signore, che non vi pentirete mai
della nostra
parentela.”
Se
lord Vanir fosse stato un uomo più sensibile o intuitivo,
forse si sarebbe
chiesto cosa aveva significato, per il cadetto di famiglia, vivere
nell’ombra
di un fratello maggiore tanto sicuro di sé e del proprio
trionfo, disposto a
liquidare un potenziale scandalo con poche, semplici parole. Certo,
aveva
offerto supporto, amicizia, denaro e assicurato di tenere fuori Sigyn
dai guai
di Loki, ma lo aveva fatto con l’inconsapevole tracotanza di
chi esce sempre
vittorioso da ogni scontro. Il suo obiettivo era che i piani di Loki
non
venissero intralciati e ottenesse la giovanissima donna per cui si era
compromesso. Negli occhi lucenti e azzurri del duca Odinson,
però, lord Vanir
non vide questo, così come non aveva mai scorto nessuno dei
segnali
d’insofferenza presenti, forse da sempre, in Sigyn. Tracce di
cui, invece, l’astuto
secondogenito degli Asgardshire si era reso conto fin dal primo istante
in cui
se l’era ritrovata davanti, bella e contrariata per via della
seduta spiritica
che non si era tenuta. No, l’alchimista non si era lasciato
abbagliare dalla
dolcezza della ragazza, né dai suoi modi eleganti e
squisiti; si era messo a
esaminare l’impazienza con cui muoveva il ventaglio, aveva
seguito il suo
sguardo grigio e curioso, ansioso di vivere.
“E
cosa dirà la gente, cosa diremo ai nostri comuni
amici?”
“Racconteremo
la verità. Che la passione li ha travolti e non hanno voluto
aspettare nemmeno
un giorno prima di sposarsi. La gente spettegolerà sulle
rendite di mio
fratello e sulla parte di eredità che ancora deve reclamare.
Tornerà da voi
come lady Sigyn Odinson, rispettata signora di una tenuta che abbiamo
al nord.
Loki ama quel posto. La data del suo matrimonio perderà
presto importanza,
vedrete,” concluse il duca spiccio e, nella sua previsione
finale, Vanir,
stavolta sì, riconobbe una punta malamente mascherata di
disgusto.
“Quando?”
disse solo.
♥
Le
labbra di Sigyn erano dolci da baciare quanto i suoi occhi lucenti
furiosi, ma
in loro Loki riconobbe qualcosa di utile ai suoi scopi. La
consapevolezza.
Ciò che, fino ad allora, non era riuscita a dedurre o a
immaginare, lei lo
aveva letto nelle lettere sparpagliate a terra, ammonticchiate sul
tavolo in
noce. Continuava a tenerla tra le braccia, a stringere il suo corpo di
donna
flessuoso ed elegante come se lei dovesse o potesse fuggire. La
baciò ancora,
cercandole con furia improvvisa le labbra e Sigyn rispose con un
trasporto
straziato, affondando le dita sottili nelle sue braccia e soffiandogli
sulla
bocca perché ormai vani. Aveva perso
l’innocenza – gliel’aveva
strappata via lui, velo dopo velo, ma non era bastato. Qualunque cosa
ci fosse
tra loro non era né indolore né fugace, ma si
nutriva dell’anima di entrambi ed
era penetrata nelle ossa, nelle vene, nel sangue. E Loki, lui
l’aveva
desiderata con un’intensità che lo aveva sorpreso,
sconvolto, gettandolo in un
caos che era una voragine profonda, come i suoi occhi grigi. Sigyn gli
sfiorò
con la mano libera il volto, accarezzandogli il viso affilato, la
mascella ben
rasata.
“Perché?”
gli disse. “Perché con un uomo del genere? Tu ti
sei macchiato… c’entri con
quelle donne morte?” iniziò, riferendosi agli
esperimenti segreti di cui aveva
letto qualche morboso, oscuro, dettaglio, tale da inorridirla. In
quelle carte,
nulla faceva presagire che l’alchimista fosse direttamente
coinvolto, ma la
glaciale indifferenza con cui Odinson sorvolava su un simile
particolare
l’aveva turbata. Sapeva chi era Loki – ora riusciva
a vedere quanta parte di
oscurità fosse presente nel suo petto – e aveva,
di lui, un’immagine finalmente
completa, anche se tragicamente complessa e difficile da decifrare.
Come il suo
sorriso, sempre ironico ed enigmatico, breve e laterale.
Odinson
abbassò rapido lo sguardo sulle missive in disordine e poi
lo risollevò per
sostenere con fermezza quello di lei. Di nuovo stirò le
labbra sottili in un
ghigno tetro, stregandola, confondendola, mostrandole qualcosa di
oscuro e di
antico, come la leggenda del conte e della strega di cui si accorse di
non
ricordare affatto la fine. Lei veniva sepolta nel tumulo, con indosso
la collana
che brillava sul seno di Sigyn, innamorata fino alla fine del suo uomo,
ma lui,
il conte, dov’era? Perché aveva in testa la scena
dell’amante normanno che
cadeva in un bosco, morto?
“No,”
rispose Loki distogliendola dal suo
ragionamento. “Laufey lavora al suo progetto da molto prima
di conoscermi. Lui
era ossessionato, come mio padre, dal desiderio di varcare il confine
tra la
vita e la morte. Ma, al contrario del buon vecchio Odino, aveva meno
scrupoli e
un obiettivo disgustoso,” raccontò con freddo
divertimento. “Eppure, i suoi
esperimenti gli hanno consentito di ottenere le informazioni che
mancavano a
mio padre,” spiegò. Raccolse un foglio spiegazzato
da terra e ne lisciò i
bordi. C’erano formule e disegni e schemi di
com’erano fatti gli uomini dentro,
sotto la pelle. “Il duca fu il primo a indicarmi questa via.
Mi ha trascinato
nella sua ricerca, mi ha spedito in giro per il mondo con la scusa che
gli
servivano tessuti pregiati e colori vivaci, e poi, alla fine della sua
vita, si
è pentito di ciò che era, di ciò che
voleva, rinnegandosi e rinnegandomi.”
Sigyn
rabbrividì, perché improvvisamente la voce di
Loki si era fatta tagliente e
crudele, come il suo sguardo di metallo, troppo chiaro. “Ecco
quello che è
successo.”
“E
tu, tu che vuoi, Loki?”
“Ogni
cosa,” rispose rapido. “Voglio scoprire qualsiasi
segreto nasconda questo
mondo, perché non c’è niente di casuale
o vago, nel progetto della creazione. Persino
nella più terribile e disgraziata delle tempeste
è presente un ordine supremo, che
governa tutto.”
“Anche
la morte,” soffiò lei, ammirando, suo malgrado, la
corrosiva sete di conoscenza
dell’uomo che amava. Ma lo amava ancora?
Poteva farlo?
Lo
sguardo vivace di Loki si accese ulteriormente, colpito
dall’acume di quell’affermazione.
“Dicono di me che sono un alchimista, uno scienziato. E tu
sapevi, sai chi sono.
L’altra sera hai intuito la mia parte in questa
vicenda,” l’accusò, ma
continuava a tenerla tra le braccia, perché era la sua
incantevole amante di
cui non era ancora sazio ed era la ragione della sua rovina. Non
sarebbe
scappata, eppure non desiderava lasciarla andare –
l’aveva macchiata con l’oscurità
che aveva tinto la sua anima di nero, ma ora doveva salvarla fino in
fondo. Forse
non avrebbe mai accettato d’indossare l’anello
magiaro che teneva in tasca,
eppure non si era nemmeno strappata dal collo il ciondolo della strega
che,
anzi, brillava sinistro alla fioca luce delle candele.
“Non
le hai uccise?” insistette lei.
“No,”
rispose Loki sollevando fieramente il mento. “Ma non ho fatto
nulla per
impedirlo, tranne che in un caso. Tu.”
Sigyn
decise che non le stava mentendo. Che quella verità
graffiante non era frutto
di nessun imbroglio e che l’inganno stesso in cui
l’aveva trascinata conteneva,
in sé, una traccia di verità. E capì
che riusciva ad amarlo nonostante
l’irrefrenabile sete di sapere, a prescindere dalle cose che,
quasi certamente,
ancora le nascondeva e sempre le avrebbe celato.
“Cosa
vuoi fare, adesso?”
“Salvarti
e ucciderlo. Vieni con me,” le suggerì lo
scienziato stringendola tanto a sé da
far aderire nuovamente i loro corpi, divisi dalle stoffe dei rispettivi
abiti,
ma tesi, immancabilmente, l’uno verso l’altro.
“Credevo
tu mi avessi già salvata.”
Una
pioggia violenta iniziò a rovesciarsi su Londra.
L’acqua scrosciava sulle
finestre, lustrava i tetti e i marciapiedi, inzuppava le strade che si
allontanavano dalla città rendendole quasi impraticabili.
Loki
prese la pistola dalle sue mani delicate; per ringraziarla,
avvicinò il dorso
alle labbra sfiorando la pelle liscia e morbida. La ragazza
sussultò, ma il suo
sguardo continuava a seguirlo fermo e deciso.
“Ti
ho resa la mia amante e una fuggiasca. Ritengo di dover rimediare,
almeno a una
di queste due cose,” ammise sornione.
Sigyn
piegò la testa di lato. “Per dovere? Per
vendetta?”
“Non
sarai l’ultima delle sue mogli.” La voce
dell’alchimista si era fatta roca. Lady
Odinson. Forse avrebbe accettato l’anello e, con
quello al dito, Laufey non
avrebbe potuto sposarla. No, Sigyn non sarebbe stata l’ultima
delle sue mogli, stesa
su un tavolaccio di legno senza alcun vestito addosso, pronta ad
accogliere lo
spirito di un’altra. Aveva perso l’innocenza
– la purezza – che il suo mentore
bramava e considerava un elemento imprescindibile per la buona riuscita
del suo
esperimento. Era marchiata. “Sarai la mia.
Stanotte ci sposeremo. Ho
preso accordi con un prete fuori Londra.”
Sigyn
rimase immobile. Loki le teneva ancora la mano che aveva baciato e fu
sull’anulare di quella che infilò
l’anello, leggermente troppo grande,
delicatamente lavorato per accogliere una gemma
d’incomparabile bellezza. La
pietra preziosa era trasparente, ma con delle particolari venature
verdastre
appena percettibili alla luce fioca delle candele.
Sigyn
amava Loki, ne era dolorosamente certa. Non sarebbe fuggita con lui, se
non
fosse stato così. Fissò il gioiello e poi
l’alchimista e pensò che provava una
paura cupa e folle. Forse non voleva sposarsi in quel modo, di notte,
con un
matrimonio segreto e riparatore, eppure non riusciva nemmeno a
immaginare di
dover abbandonare quell’uomo intelligente e beffardo che
sorrideva perfido e la
guardava come un drago avrebbe fissato un tesoro. Non si era
inginocchiato per
chiedere la sua mano. L’aveva pretesa, anzi, di
più: si era accordato prima
ancora di parlarne con lei.
Eppure,
Sigyn non riuscì a offendersi per quel gesto: comprendeva
che tradire il
vecchio mentore folle esigeva un prezzo molto alto e sentiva che, nel
volerle
dare il proprio nome, Loki attuava un piano di più ampio
respiro. Avrebbe
dovuto chiedergli se Laufey fosse già sulle loro tracce, se
scoprire che era
fuggita con lui l’avrebbe davvero messa al riparo
dall’esperimento cui voleva
sottoporla. Scelse diversamente.
“Quest’anello,”
domandò guardinga, “anche quest’anello
apparteneva a una veggente o a una
fata?”
Negli
occhi di Loki scintillò una luce rapida e fugace, come il
suo sorriso laterale
e furbo. “Mio padre lo usò per chiedere la mano di
mia madre,” raccontò. “Lo
fece forgiare da un orefice ungherese,
ma la pietra apparteneva alla nostra famiglia da quando i miei antenati
cavalcano ancora sulle spiagge della Normandia. È stata
montata a volte su una
spilla, altre su una tiara, più spesso su un anello. Lei
forse lo
indossò e poi lo diede a una figlia o a una
nipote,” ipotizzò, riferendosi alla
strega danese. “Ascoltami,” disse.
“Questa vecchia storia ci riguarda, ti
riguarda, perché Laufey potrebbe raggiungerci da
un momento all’altro e tu rischi
non sapere mai una cosa essenziale,” proseguì
senza lasciarle la mano né tempo
per replicare. “Nessuno desiderava che il conte sposasse la
strega. Lui era
destinato a un altro tipo di vita. Durante una battuta di caccia,
però, venne
trafitto a morte da una freccia. La veggente danese lo
riportò indietro. Pregò
i suoi dèi antichi per una notte intera. Invocò
il dio delle forche, il mago orbo
che fu impiccato per nove notti consecutive, e poi chiamò
quello della tempesta
e del tuono, col suo martello forgiato per uccidere i giganti. Infine,
dissero
che pianse e si strappò i capelli supplicando quello del
fuoco e degli inganni.
All’alba, il mio antenato, il conte, si risvegliò
dalla morte. Mio padre e io
cercavamo l’incantesimo o la medicina che ha riportato
indietro quell’uomo. Tu
hai il ciondolo della strega, quello con cui scelse di essere sepolta,
l’unico
monile che portò nella sua tomba. Lui non lo sa.”
♥
La
casa di Odino è piena di traditori. Laufey attendeva
nel buio, di fronte a un prato puntellato di
lapidi. Alcuni alberi ritorti, senza foglie e con i rami protesi verso
il cielo
come le mani ossute di un mendicante, ascoltavano le sue maledizioni
soffiate
tra i denti. Figlio d’un cane, ingrato bastardo. Si era
approfittato della sua
disperazione seducendo l’unica donna che volesse, la sola che
fosse degna di
ospitare il suo amore bugiardo, che le assomigliava come una goccia
d’acqua.
Ripensò allo sguardo vacuo e distratto che Loki gli aveva
rivolto mentre
sperimentava su di sé gli effetti dell’oppio,
al ghigno divertito che aveva stampato in faccia quando lui gli parlava
dell’amore insano e necessario che provava per Sigyn. E Loki
aveva recitato per
mesi, occupando indebitamente il posto che toccava a lui.
L’aveva sfiorata,
cercata, baciata e posseduta – si era preso ciò
che gli spettava e avrebbe
pagato con la vita, per questo.
Scoprì
di odiarlo quanto amava lei – o l’immagine che si
era costruito di Sigyn, perlomeno,
ma comprese anche di detestare allo stesso modo se stesso. Si era
lasciato
abbindolare e incantare ed era stato cieco. Non si era accorto che il
suo
giovane allievo si era invaghito della ragazza. Non avevo messo in
conto che la
vicinanza reiterata e quel continuo scambiarsi sguardi e sorrisi
avrebbe potuto
creare un terreno fertile per un desiderio che aveva reso possibile il
tradimento. Li avrebbe uccisi, e poi avrebbe avuto la sua vendetta. E
l’amore.
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e
cari
Lettori,
siamo al
penultimo
capitolo di questa storia che sto amando moltissimo e che no, non
è affatto
una AU, come potete vedere. Come sempre, è un
momento particolare: la real
life bussa prepotentemente per avere la mia attenzione e credetemi
quando vi
dico che scrivo nei ritagli di tempo, nelle pause. Il fatto
è che per me scriverli
è una necessità, nonostante soprattutto le fiabe
mi abbiano provocato un po’ di
seccature negli ultimi tempi.
Ecco
perché il
sostegno è importante – si scrive per sopperire a
un bisogno, ma la gioia che
si riceve quando questo bisogno suscita qualcosa nel prossimo
è qualcosa che non
si può spiegare. E ricordatevi che anche se non rispondo
sempre le recensioni
le leggo sempre, tutte, subito.
Nel prossimo
capitolo
parlerò meglio della fiaba di Barbablù e del
senso che ha in questa storia e
finalmente qui Sigyn ha scoperto come si otteneva il colore verde al
tempo che fu.
Vi informo fin da ora che la storia della strega danese e del conte
verrà
scritta, che dopo l’epilogo di Ombre troverete
l’aggiornamento di Accordo
e quello di Scintille e…
chissà. **
Voglio
ringraziare
coloro che recensiscono/ leggono/seguono/ricordano e
preferiscono – ogni
volta che listate o vi palesate
m’illumino d’immenso, per voi sembrerà
una cosa da niente, ma vi assicuro che ricevere sostegno per chi scrive
ha la
sua importanza.
Ricordo che il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e
grazie per
tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi
lovviate me).
Shilyss
|
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Capitolo 7 *** La pietra vichinga ***
Capitolo 7
La pietra
vichinga
There's no
saving anything
Now we're
swallowing the shine of the sun
There's no
saving anything
How we
swallow the sun
But I
won't be no runaway
'Cause I
won't run
No, I
won't be no runaway
(The National,
Runaways)
“Credi
che siano stati
gli dèi di Asgard a salvare il conte?” La carrozza
si sarebbe fermata di lì a
pochi minuti. Se ci fosse stato il sole, dai finestrini avrebbero
già potuto
scorgere l’ombra delle lapidi che circondavano la chiesetta
dalla guglia stretta,
dove li attendeva il sacerdote. Loki teneva la fronte poggiata contro
il vetro
freddo.
“Pensi
che il dio
dell’inganno abbia regalato alla strega una pozione o
suggerito un’erba capace
di riportare il suo amante in vita?” insistette Sigyn.
Era pallida e
bellissima.
Cercava di mantenere un contegno aristocratico, ma i suoi occhi grigi
lo
fissavano spaventati e lucenti. L’alchimista le prese la mano
inanellata,
sfiorando la bella pietra chiara e il dorso liscio e morbido.
“Forse.
Ma ora gli dèi di
Asgard sono morti, Sigyn. Il Ragnarok li ha spazzati via, cancellati.
Il dio
delle forche è stato sbranato dal lupo Fenrir, quello del
tuono è stato ucciso
dal serpente che avvolge il mondo. Il dio dell’inganno
è morto uccidendo il
guardiano degli dèi. Asgard è
bruciata,” disse, senza alcuna emozione nella
voce appena svagata. “Forse erano già morti quando
la strega li ha pregati,”
spiegò. “O, forse, se ne sono andati
perché nessuno credeva più in loro,”
sorrise mestamente. “Deve aver usato un’erba o una
pozione,” concluse ad alta
voce, cambiando tono. Si concentrò sul proprio respiro,
sforzandosi di
mantenerlo lento e regolare, di imbrigliare il presentimento che gli
mordeva i
sensi. Era una notte fatale e Laufey gli aveva giurato di seppellirlo
vivo, se
solo l’avesse tradito. Lui, con le labbra che sapevano di
rum, si era limitato
e ridere e ad annuire, ma quella minaccia gli si era ficcata nelle
ossa,
raggelandolo, come se evocasse ben più di un avvertimento.
Il suo mentore non
parlava mai a vuoto. Le sue frasi erano secche sentenze, ponderate con
voce
cattiva. Gli aveva promesso una morte orribile e
gliel’avrebbe data. A patto
che.
“Tu
vuoi salvarmi, ma non
sai se salverai te stesso,” sibilò Sigyn.
“Ci
troverà. E non ha
niente, niente da perdere,” ammise l’alchimista
lentamente. La carrozza si
fermò. “Per qualche giorno sono riuscito ad
allontanare i suoi sospetti, ma per
liberarmi devo ucciderlo.”
Se non
l’avesse sposata e
Laufey non fosse esistito, o se, pure morendo, l’avesse
trascinato con sé
nell’Oltretomba, lei, ripudiata dalla famiglia, sarebbe
finita in una di quelle
stanzette dei sobborghi che si affittavano già ammobiliate
per pochi soldi.
L’innata eleganza con cui l’aveva vista muoversi
nei salotti della Londra
aristocratica sarebbe stata sprecata su un marciapiede male illuminato
da un
lampione a gas; il suo viso delicato, con le labbra morbide e rosate e
il naso
dalla punta diritta e stretta, leggermente
all’insù, si sarebbe sciupato per il
cibo pessimo e scarso, per il belletto troppo vistoso.
L’avrebbero avuta altri
– tutti quelli in grado di pagarla,
almeno. E le viscere gli si
contrassero dalla gelosia e da un dolore fisico e acuto, al pensiero
che fosse
di estranei disgustosi e non più sua – che
diventasse preda di clienti rapaci,
sola, morendo, infine, tisica e infelice chissà dove. Laufey
era un rischio
calcolato e necessario, uno che doveva correre per dare un senso ai
compromessi
cui si era piegato, per rendere meno ignobile l’inganno
perpetrato a danno di
lei. Non gli interessava affatto espiare le proprie azioni,
perché erano il
frutto studiato della sete bruciante di conoscere e di sapere. E Sigyn
non
poteva più indossare l’abito di raso verde, ma
sarebbe diventata sua moglie con
un vestito chiaro, color avorio, con i bordi dorati. Prima
di aiutarla a scendere, la strinse a sé per baciarle le
labbra e non farle dire
quant’era tragico il destino di quegli dèi che
sapevano di non essere immortali
per davvero, condannati dalla Voluspa a conoscere il modo in cui
sarebbero
morti. Erano stati in grado di riportare in vita il conte, suggerendo
alla
strega la pozione o l’incanto giusto da utilizzare, ma non
avevano saputo o voluto
salvare se stessi. E poi, anche quei due amanti lontani
erano morti e, per
qualche ragione che né l’alchimista né
la ragazza conoscevano, non riposavano
insieme, nello stesso tumulo. Lei era tornata nella sua terra aspra e
selvaggia, bagnata dai fiordi, lui dimorava sotto il pavimento di
pietra di una
chiesa normanna. C’era qualcosa di terribilmente ingiusto e
crudele nel destino
della coppia antica, caduta nel sonno eterno in luoghi e tempi diversi.
Loki si
chiese se, in qualche modo, dando a Sigyn la gemma che teneva al collo,
stava
affondando in una maledizione di cui non conosceva i termini o le
parole,
stesse invischiandosi in una storia di altri, iniziata per ragioni
diverse, ormai
dimenticate.
E le labbra di
Sigyn
erano dolci e salate, bagnate di lacrime silenziose di cui non si era
accorto:
lo amava e non avrebbe dovuto farlo, così come lui non
sarebbe dovuto cadere
preda di un desiderio che lo aveva infiammato e inebriato
finché non era stata
sua completamente, totalmente. Ripensò con un brivido alla
sera in cui l’aveva
avuta e a quelle prima ancora, in cui le sue dita l’avevano
accarezzata sotto
la seta e il raso e il velluto, insinuandole nella mente che la voleva,
fissandola
con sguardi rapaci, baciandola come se da quella bocca dipendesse la
sua vita,
il suo respiro, il battito che martellava nel suo petto. Laufey
l’avrebbe
seppellito vivo, sì, vendicandosi per un tradimento
più doloroso di una picca
conficcata nella schiena, ma gliel’aveva portata via e,
insieme a lei, sarebbe
riuscito a sottrargli anche il segreto che circondava come un velo la
morte.
Gli
dèi di Asgard, che
forse lo conoscevano, avevano scelto di non salvarsi, però.
Con fierezza o
stolidità, si erano convinti che era meglio accettare il
Ragnarok che
impedirlo, consci non solo del come sarebbero morti, ma anche per mano
di chi. Perché?
Sigyn
sollevò la gonna
per non macchiare l’orlo e lo seguì sotto la
pioggia, verso la chiesa dal tetto
appuntito.
♥
Il duca
d’Asgardshire non
uscì dalla casa di lord Vanir con il cuore leggero. Aveva
stipulato a favore
della futura cognata e dei suoi figli una vantaggiosa assicurazione e,
seguendo
il desiderio di suo padre e dei suoi antenati tutti, era riuscito a
proteggere
il buon nome della famiglia Odinson, ma sulla soglia era stato
raggiunto da un
messaggio che gli aveva gelato il sangue nelle vene. Uno dei suoi
servitori più
anziani era riuscito a rintracciare la casa dove si nascondevano suo
fratello e
Sigyn, avvertendolo di aver visto i due amanti salire su una carrozza.
Stavano
andando a sposarsi da qualche parte, da soli, di notte, per tornare in
società
solamente con un certificato di matrimonio in mano? Era possibile,
probabile.
Auspicabile, persino, perché Sigyn Vanir non meritava di
finire come le donne
perdute che circolavano ai margini della società o nei
bordelli, rovinate
dall’illusione un amore lontano e perduto cui si erano
dedicate anima e cuore.
Era giovane, bella e intelligente e le spettava un marito altrettanto
acuto e
brillante. Un Loki al meglio delle sue possibilità, lontano
dai ragionamenti
oscuri e contorti che gli avvelenavano il petto. Un gentiluomo
coltissimo,
ricco e sagace, che avrebbe potuto avere una vita felice e agiata, a
condizione
che. Eppure, il messaggio rapido, che si era ritrovato ad
ascoltare sulla
porta di una casa divenuta appena meno estranea, lo turbò.
Sentì che quella era
una notte fatale, in cui il destino della sua famiglia si sarebbe
spiegato.
♥
L’immaginazione
è una
creatura strana, è un drago che spesso si avvolge nelle sue
stesse spire
creando mondi possibili, aprendo porte affacciate sulle scelte che non
abbiamo
fatto. La chiesa era buia, a eccezione di un paio di candele fioche e
lontane,
che tremavano sotto le raffiche che qualche vecchio infisso lasciava
trapelare.
Sigyn si tolse il mantello zuppo e tirò indietro una delle
sue ciocche chiare,
sfuggite all’acconciatura. I suoi passi echeggiarono tetri
lungo la navata
centrale, accanto a quelli, decisi e marziali, di lord Odinson. Nella
penombra,
la sua bellezza le sembrò totale, assoluta.
Studiò il profilo diritto e virile
dell’alchimista, seguendo la linea tagliente del naso ben
fatto, la piega che
assumevano le labbra sottili segnate da una cicatrice ormai bianca, gli
zigomi
affilati e alteri. Tutto, nella sua figura, esprimeva forza ed
eleganza:
camminava come se il mondo gli spettasse di diritto, calpestando il
pavimento
di pietra con la sicurezza dei condottieri di cui aveva ereditato il
sangue. Il
prete li attendeva e pareva avere la loro stessa identica fretta.
Sigyn non si
chiese se
lord Odinson l’avesse pagato o si fosse messo a promettere
donazioni e aiuti;
si domandò cosa vedesse quel vecchio con le spalle ricurve e
gli occhi scuri in
loro. Che impressione dessero, di fronte all’altare avvolto
nella tenebra. Due
amanti fuggiaschi in rotta col mondo, che volevano riparare un torto?
Una
coppia già formata nella sostanza, che chiedeva di piegare
la passione alle
regole? Il prete la guardò con insistenza.
“Siete
qui di vostra
spontanea volontà?” le chiese, e dal modo in cui
scandì le parole e dall’incertezza
nel suo sguardo, Sigyn capì che il religioso le aveva
già posto la stessa
domanda e lei non aveva ascoltato.
“Desidero
essere sua
moglie,” confermò con una voce più
solenne e decisa di quanto si aspettasse.
Per un momento le sembrò di essere fuori dal tempo e di
osservare la scena come
se fosse seduta a teatro. Lei non era lì, accanto a Loki,
davanti all’altare,
ma nel suo palco, chiedendosi se i due innamorati avrebbero coronato il
loro
sogno. Ascoltò l’alchimista che pronunciava i voti
con tono secco e deciso –
per lui il rito era una formalità, rappresentava un modo per
muoversi più
liberamente, visse come in un sogno il momento in cui i loro nomi
vennero
scritti sul certificato. Lo stava sposando nella tenebra, di nascosto,
senza
feste né invitati, ma il suo abito era candido e incantevole
e non avrebbe
desiderato niente di diverso, per sé. Purché ci
fosse lui a stringerle le mani
fredde, a lambirle con feroce delicatezza le labbra sussurrandole di fidarsi,
qualunque cosa fosse avvenuta.
Era
ciò che aveva sempre
desiderato, del resto. Un matrimonio d’amore, con un uomo
capace di farla
sussultare solo con uno sguardo, di capirla con un’occhiata.
Sagace e insolente nelle discussioni, ma di quell’irriverenza
giocosa che si
concede agli avversari che si considerano nostri pari. Se ne rese conto
mentre
il viso ragnesco del prete si addolciva in un’espressione
più mite e rilassata,
nel momento in cui l’espressione severa
dell’alchimista si piegava in un ghigno
furbo e, finalmente, soddisfatto.
Erano
marito e moglie. Firmò e, nel farlo,
macchiò il foglio. Spaventata, soffiò che era un
cattivo presagio. Loki rise e
la baciò ancora, rapace, stringendo a sé il suo
corpo avvolto nella seta
candida, ma non priva di ombre, figlie della notte.
Fu quello il
momento in
cui Laufey scelse di palesarsi, entrando da una porticina laterale. Lo
fece
seguito da alcuni suoi uomini, avanzando tremante verso la navata. In
mano
stringeva una pistola. Sparò due colpi senza dire una
parola. Il primo mancò il
bersaglio, andandosi a conficcare in una delle antiche colonne che
risalivano
al tempo in cui la chiesa non era ancora tale – forse era
stata qualcos’altro,
e le sue fondamenta si fondevano con quelle di un tempio di qualche
religione
perduta e dimenticata. L’altro, invece, andò a
segno, anche se non esattamente
nel modo in cui Laufey sperava. Era destinato a Sigyn, solo
che.
Lord Odinson
aveva visto
il sacerdote impallidire e fissare un punto dietro di lui e, intuendo
il
pericolo, si era gettato sulla ragazza – su sua moglie
– facendole da scudo col
proprio corpo. Assecondò l’istinto atavico di
proteggere lei, che, tra le sue
braccia, era seta delicata e pelle morbida e profumo di miele.
Fragile eppure potente – così tanto da spingerlo a
rompere un patto tremendo
col mentore che aveva seguito da un capo all’altro del mondo,
da fargli
rischiare di perdere anni interi di ricerche per avvinghiarsi a lei e
farla sua
nelle ore più buie della notte, e svegliarsi, infine, con la
sua testa posata
sul petto. Amante incantevole, che lui avrebbe dovuto irretire e
ingannare per
gioco e che, invece, alla fine aveva preteso per sé,
bramandola con lo
spasmodico desiderio di un drago verso l’oro. Il dolore lo
colse all’improvviso,
stupendolo con la sua bruciante intensità.
Lui e Sigyn
erano a
terra, il prete non c’era più – forse
era riuscito a mettersi in salvo, spinto
dall’occhiata rapida che si erano scambiati. La prima cosa
che notò fu il
sangue. Imbrattava il vestito candido di Sigyn, il suo seno diafano che
si
alzava e abbassava irregolare, sconvolto dal terrore. Lei
iniziò a tastarlo,
troppo disperata persino per singhiozzare o lasciare che le lacrime le
rigassero le guance pallide, gli occhi sgranati e persi. Poi
capì –
capirono – e lo sorpresero il dolore lancinante della fitta
che gli trapassava
la spalla, acuto e terribile, il calore del sangue che sgorgava dalla
ferita.
Lei era salva – lui no, e il passo irregolare di Laufey era
sempre più vicino.
“Tu
sei un traditore, un
ingrato, un bugiardo,” soffiò il vecchio
puntandogli nuovamente contro la
pistola. La canna era talmente vicina che sarebbe stato impossibile
sbagliare
il colpo e non ucciderlo. “Ti farò saltare il
cervello,” promise. La mano
ossuta e nodosa gli tremava per l’ira, gli occhi freddi non
esprimevano alcuna
pietà, né Loki la voleva, del resto. Aveva
un’arma, nascosta nel cappotto: un
lungo pugnale indiano dall’elsa finemente intarsiata,
eredità dei suoi viaggi
negli angoli più remoti dell’impero britannico
– del mondo. La sua pistola,
invece, era rimasta nella carrozza, ma non faceva alcuna differenza.
Non
sarebbe mai riuscito a estrarre il coltello prima che Laufey gli
sparasse. Il
vecchio lo avrebbe sacrificato senza problemi sull’altare
della conoscenza o di
qualunque altra cosa ben prima che lui gli rubasse Sigyn. Non si
sarebbe fatto
alcuno scrupolo nell’abbandonarlo a una morte impietosa, e
gliel’aveva detto
molte volte. Non importava che fosse un allievo e la cosa
più vicina a un
figlio che avesse mai avuto in vita. Aveva osato intralciare i suoi
piani,
portandosi via l’unica donna, al mondo, il cui volto
ricordava, con dolorosa
precisione, quello di un fantasma.
Loki riconobbe
che lui e
Laufey avevano in comune la spietatezza, oltre a Sigyn. Fu per questo
che
scelse di provocarlo. Era l’unico modo per prendere tempo e
distrarlo
abbastanza da tirare fuori quel pugnale o fare in modo che la
pallottola non
gli fracassasse la testa.
“È
stato più forte di
me,” ghignò. Con una mano proteggeva Sigyn, ancora
stesa sotto di lui, con
l’altra premeva il fianco offeso. Se allungava le dita,
poteva sentire il
metallo freddo dell’elsa, nascosta in una tasca della giacca.
“Come potevi
pensare che te la lasciassi? Che permettessi a un orribile vecchio come
te di…
di fare cosa, Laufey? Sua madre non ti amava da viva e non ti
amerà nemmeno da
morta, neppure se riuscissi davvero a farla tornare!”
Il vecchio
strinse le
labbra e strabuzzò gli occhi, offeso dalla beffarda
canzonatura dell’altro.
Sparò prima che Loki potesse sfoderare il pugnale,
comprendendo, per la prima
volta nella sua vita e con una chiarezza livida ed estrema, la tragedia
della
propria esistenza e il suo amore patetico per una ragazzina di nemmeno
vent’anni che lo fissava con orrore e si aggrappava disperata
al collo
dell’uomo che amava. Per tutta la vita, Laufey aveva lottato
contro il destino
e la morte. Non riusciva ad accettare l’idea che fosse
condannato a morire come
tutti, così come non era stato in grado, in
gioventù, di sopportare il peso del
rifiuto dell’incantevole e divertente ragazza che lo aveva
allontanato per poi
morire nemmeno dieci anni dopo. Sigyn era il ritratto di quella donna.
Al
contrario di lei, non lo fissava con divertita supponenza, ma con
orrore.
Eppure si affidava a un uomo, Loki, che gli assomigliava per
temperamento,
ideali, spietatezza, intelligenza. Come lui, anche il figlio cadetto
del duca
Odino era ossessionato dalla morte e desiderava scoprirne i segreti. Lo
sconcertava la paura gelida di non lasciare segni del suo passaggio
sulla
terra, di diventare polvere che si sarebbe mischiata ad altra polvere,
in un
ciclo senza fine e senso. Lo raggelava il vuoto che c’era
stato prima di lui e
che ci sarebbe stato dopo: un baratro immenso in cui la sua essenza
sarebbe
svanita. Era ossessionato da una febbre interiore e perenne, che lo
spingeva a
desiderare di poter gettare nel caos l’ordine in cui si
spiegava la vita di
ogni uomo, perché solo distruggendo è possibile
ricostruire. E desiderava
osservare quelle rovine dall’alto, studiarle e manipolarle
come la creta,
piegarle al suo volere, assoluto e dispotico. Loki voleva sfuggire alla
rete
che ingabbiava l’esistenza in un processo che, partendo dalla
nascita, arrivava
alla maturità, alla vecchiaia e alla morte. Sebbene fosse
ancora giovane,
Laufey aveva riconosciuto in lui l’ansia che assale
l’animo degli uomini quando
si accorgono che la maturità sta cedendo il passo alla
senilità e alla perdita
della forza fisica e mentale. Eppure, Sigyn lo amava, tanto da aver
risposto
con uno slancio trepidante alla domanda del prete. Entrambi erano
corrotti e,
in un altro tempo, sarebbero stati chiamati stregoni, eppure Sigyn
avrebbe
potuto amare uno solo di loro: Loki dallo sguardo fiero e quasi
trasparente,
Loki che piegava le labbra strette in un sorriso feroce, Loki col suo
portamento altero e principesco, coi suoi modi di fare sicuri e precisi.
Laufey premette
il
grilletto desiderando con ogni fibra del suo essere di uccidere quel
suo figlio
putativo che gli aveva strappato le migliori conoscenze e si presentava
al
mondo come una versione più carismatica e affascinante di
lui, ma la vecchia
pistola, forse per la troppa umidità,
s’inceppò.
Una luce
sinistra
barbagliò negli occhi di lord Odinson: era la sua occasione
per ribaltare la
situazione. Estrasse il pugnale, incurante di stare trascurando la
ferita, e
tentò di colpire il vecchio mentore, ma nemmeno questo colpo
era destinato ad
andare a segno; due degli uomini che accompagnavano Laufey scansarono
l’uomo
appena prima che la lama affondasse nella carne, facendo rimediare al
loro capo
una ferita di striscio. E Loki fu raggiunto dalla consapevolezza,
esatta come
una freccia conficcata nel bersaglio, di aver fallito. Gli sgherri si
accanirono contro di lui, prendendolo a calci sulle costole, mentre il
vecchio
mago gli strappava Sigyn dalle braccia. Lei urlava e scalciava e
graffiava – e
lui non poteva fare niente altro che immaginare il seguito con la
spietata
acutezza che lo contraddistingueva. L’alchimista si
augurò, di nuovo, che il
prete fosse fuggito e avesse raggiunto la sua carrozza: lì,
avrebbe potuto, con
l’aiuto del cocchiere, chiamare aiuto –
rintracciare suo fratello. In un altro
momento, il pensiero di doversi far salvare da Thor lo avrebbe
disturbato,
facendogli increspare le labbra in una smorfia
d’insofferenza, ma la ferita
alla spalla bruciava e il pestaggio inferto senza pietà non
gli lasciava
possibilità di alzarsi o di difendersi. Poi, fu il buio.
♥
C’era
una donna, a
Londra. Una che fingeva di credere agli spiriti, perché sua
nonna, una volta,
le aveva detto di avere il dono di parlare con i morti. Guadagnava
raccontando
alla gente quello che voleva sentirsi dire, fingendo di riportare un
messaggio dall’Aldilà.
Consolava mogli che si ritrovavano vedove troppo presto e madri che
desideravano solo poter sentire sotto le dita le guance paffute dei
loro
bambini perduti. Lavorava creando atmosfere fatte di sussurri, sospiri
e mani
che si muovevano appena, divertendo e spaventando il bel mondo
facilmente
impressionabile dell’aristocrazia inglese. A volte,
però, qualcosa c’era davvero.
Capitava raramente – la donna non ne contava più
di due o tre in tutta la sua
luminosa carriera – eppure, quelle rare manifestazioni
bastavano a farle salire
un dubbio atroce: che l’inganno perpetrato a danno delle sue
amiche e clienti,
spesso le cose si confondevano, contenesse, al suo interno, una
spaventosa
traccia di verità. La medium, però, non era come
il sagace lord Odinson o il
lugubre Laufey. Non desiderava conoscere l’inconoscibile, non
le interessava
sollevare il velo che divide le anime dei vivi da quelle, a volte
tormentate,
dei morti. Quasi un anno prima, aveva annullato una seduta
perché colta da un
fremito inspiegabile, da un freddo che nemmeno gli inverni
più rigidi le
avevano mai instillato. Un gelo sinistro, che si era acuito quando, al
suo
cospetto, era arrivata una ragazzina dell’alta
società dai capelli d’oro. Non
aveva nulla di particolare a parte un viso grazioso e un sorriso
trascinante e
luminoso, eppure, attorno a lei – a loro, per un terrificante
momento, si erano
accalcate voci che parlavano in una lingua sconosciuta. Le era sembrato
che una
delle ombre si staccasse dalla parete per ghermirla la vita sottile, il
collo abbellito
con una sottile collanina di perle, come se fosse l’ostaggio
o la preda di
qualcosa di oscuro e crudele. L’aveva mandata via e si era
impegnata a non
rivederla mai più, certa che nel destino della giovane donna
si celasse una
futura tragedia. Quella notte, alzandosi dal letto, provò la
stessa sensazione
di freddo estremo provata mesi prima, ma non volle chiedersi
perché, né ebbe la
forza di pregare. Solo di attendere, seduta sul letto, in camicia da
notte, che
il gelo passasse.
♥
“Loki!”
L’ultimo calcio
ricevuto sulle costole lo aveva quasi tramortito, offuscandogli la
vista. Si
rese conto di aver perso i sensi forse per un paio di minuti, ma
sentiva la
testa vuota. La ferita pulsava. Distintamente avvertì che
gli spietati colpi
capaci di mozzargli il respiro erano cessati; la navata della chiesa
era
tornata a riempirsi di passi, grida, movimento. Lord Odinson si
sollevò appena
e, ansante, riconobbe la voce e il volto preoccupato di suo fratello.
“Sei
ferito.” La terribile
constatazione era stata pronunciata da Thor, che, dopo averlo liberato
dal suo
aggressore, stava tentando di soccorrerlo come poteva, cercando di
capire
quanto fossero gravi le sue condizioni. Loki si riscosse,
deglutì, bevve un
sorso di whisky da una fiaschetta che gli porse il duca.
Quest’ultimo, spinto
da un presentimento inspiegabile, aveva deciso di raggiungere
l’unica chiesa il
cui sacerdote non temesse suo fratello; era giunto in tempo per
incrociare la
carrozza dove il religioso e il cocchiere stavano salendo per andare a
chiamarlo. Una circostanza così fortunata riaccese, in Loki,
la necessità di
provare a impedire che il destino terribile di Sigyn si compisse.
Immaginò che,
nel brevissimo tratto fatto insieme, il prete avesse raccontato a suo
fratello
i dettagli dell’assalto che avevano subìto.
“Lei
è ancora qui. Non
può averla portata lontano,” ragionò
– boccheggiò.
Thor lo
aiutò a sollevarsi.
“Hai perso
molto sangue.”
“Laufey
è un mostro,” fu
la replica detta senza badargli, ma aggrappandosi alla spalla robusta
dell’altro. E, nel dirlo, Loki riconobbe freddamente che le
differenze tra lui
e il mentore erano quasi insignificanti: se il vecchio non era degno di
essere
annoverato in altro modo, privo di umanità e di coscienza
com’era, cosa poteva
dire di se stesso il figlio cadetto del duca Odino Odinson? Al
contrario di
quest’ultimo, che si era pentito poco prima di raggiungere il
letto di morte,
Loki non aveva mai nemmeno pensato di rinnegare la propria natura
insaziabile.
Conoscere qualcosa equivaleva a possederla, a
saperne – condividerne – i
più reconditi segreti: lui desiderava questo, svelare i
misteri più oscuri e
indicibili del mondo, levargli la pelle, svuotarli della loro aria di
impenetrabilità, violarli. Mentre abbandonava la navata
tranquillizzando il
fratello sulle proprie condizioni, negli istanti in cui
intuì che Laufey si era
rifugiato, certamente, nella cripta nascosta sotto la chiesa, non
poté
soffocare un brivido maligno: davvero il vecchio mentore aveva trovato
la
formula per riportare indietro le anime dei defunti e sconfiggere,
così, la
mortalità che calava, come una maledizione, su tutta
l’umanità, rendendola
troppo lontana da Dio? Dubitava che l’intruglio che Sigyn
avrebbe dovuto bere
non avrebbe avuto conseguenze sul suo fisico delicato; gli esperimenti
fatti in
tal senso si erano risolti in modo orrendo, tutti. E ora lei stava per
accostare a un calice tanto venefico le labbra dolci e morbide che lui
aveva
lambito, conosciuto, sfiorato col trasporto che hanno i desideri
intoccabili
quando vengono rapiti e, finalmente, posseduti.
E se non ci
fosse stata
lei, la sua amante, la sua meravigliosa moglie, nella cripta in fondo
ai
gradini di pietra umidi e scoscesi da cui si intravedeva già
una fioca, tetra
luce, Loki seppe che si sarebbe trovato lì, a braccia
incrociate, a osservare con
perfido interesse se era possibile ingannare la morte, dominarla,
asservirla.
Varcò un arco senza leggerne le iscrizioni, ma anche se lo
avesse fatto, le
antiche frasi latine abbreviate, come l’uso del tempo
imponeva, non gli
avrebbero suggerito nulla di rilevante.
Sì,
se non ci fosse stata
la sua incantevole Sigyn dai capelli d’oro e
l’intelligenza vivace, dal fisico
snello e flessuoso, capace di inarcarsi con tanta squisita grazia
contro il suo,
lui sarebbe stato nella cripta assieme al suo maestro, malvagio come
lui, a
fissare con morbosa curiosità una donna che beveva un
intruglio, in trepidante
attesa di scoprire se le teorie di Laufey avevano un senso. Invece lei
era
bella e, con la sua curiosità lo aveva incantato, stregato,
maledetto,
condannato a un sortilegio orribile che gli imponeva di desiderare la
conoscenza, ma di non volerla sacrificare sull’altare della
sapienza.
La cripta gli si
svelò in
tutta la sua lugubre bruttezza. “Lasciala, o ti
ucciderò come un cane!” gridò,
fissando gli occhi cattivi del vecchio. Ma se gli avesse sparato,
ragionò, il
rischio era quello di colpire lei. Era arrivato troppo tardi?
Thor, dietro di
lui,
imprecò. Armati e sgomenti, i due fratelli fissarono con
occhi mobili e
inquieti la scena. Laufey era dietro la ragazza e la stringeva. Una
mano le ghermiva
il fianco, impedendole di scappare, l’altro era
vergognosamente posato sul seno
morbido coperto dalla stoffa pregiata dell’abito. Lei non era
riuscita a
impedirsi di piangere, ma invece di supplicare, prometteva al suo
rapitore la
peggiore delle sorti: il fallimento. Vedendo, oltre il velo delle
lacrime,
Loki, singhiozzò il suo nome. Intravide il sangue, lo stesso
che le macchiava
l’abito e la pelle, e riconobbe, nello sguardo feroce e
sprezzante dell’altro,
nella smorfia d’ira che gli fece scoprire i denti bianchi,
una determinazione fatale.
Lord Odinson era un lupo pronto ad attaccare alla gola il vecchio
capobranco
per riprendersi ciò che gli spettava di diritto: lei e la
conoscenza.
♥
Laufey
assottigliò gli
occhi vedendo i due uomini. Intuì che uno dei suoi famigli
era stato ucciso
davanti l’altare e che il duca Thor avrebbe ingaggiato uno
scontro col
servitore che era rimasto con lui. Loki, il suo feroce e brillante
allievo e
confidente, aveva appena sparato all’altro e, nel giro di un
respiro, sarebbe
stato libero di sfidarlo e combatterlo, di impedirgli di portare a
termine il
piano di una vita. Aveva pochi istanti per agire. Il pallore sul viso
dell’alchimista
contrastava con gli occhi lucenti e fieri; ragionò che la
ferita dovesse essere
abbastanza grave e, forse, ciò avrebbe bilanciato le loro
forze. Strinse più
forte Sigyn e alle narici salì il profumo di lei –
fiori e miele, che inalò
mentre Loki annullava la distanza tra loro e Thor parava un pugno
lanciato dal
suo sgherro.
“Era
d’accordo con me. È
curioso quanto me,” sussurrò
all’orecchio di Sigyn. La sentì irrigidirsi,
ripugnata da tale vicinanza, offesa dalla mano che ancora le ghermiva
la vita.
L’altra no, era andata in cerca della siringa dove aveva
versato una pozione
che l’avrebbe quasi certamente uccisa, ma gli avrebbe
restituito l’altra,
quella che amava e, anni prima, lo aveva schernito, bella e crudele.
“Lo
so. Mi ha detto
tutto.” La voce di Sigyn era un sussurro quasi inudibile
– assomigliava a sua
madre nella decisione, nella schiettezza.
“E lo
ami ancora,
nonostante questo?” disse, esitando, per un momento,
nell’infilarle l’ago nella
carne, ma mostrandole lo strumento fatto di vetro e di metallo,
riempito con un
liquido venefico.
Sigyn
fissò con orrore l’oggetto.
Loki era a pochi passi da lei, con una pistola in pugno, ma non poteva
sparare
di nuovo: rischiava di colpirla. “Lo amo e tu
fallirai,” predisse.
Il vecchio
scienziato la
strinse più forte e le iniettò il veleno sul
seno, sopra il cuore, vicino a
dove aveva posato le dita nodose e adunche.
E Loki
sparò, ma nel
tentativo di salvare sua moglie, mancò il bersaglio.
Comprese che lei era la
sua debolezza, e rivisse per qualche ignota ragione lo spaventoso
incubo di
quella sepoltura da vivo che il vecchio alleato gli aveva promesso e
lui
immaginava come se l’avesse già vissuta non una,
ma mille volte.
♥
La differenza,
tra lui e
il suo carismatico allievo dall’intelligenza penetrante e il
sorriso furbo, pensò
Laufey, stava nella capacità di affascinare il prossimo,
nella fortuna di
essere amato nonostante l’oscurità. Loki aveva
mostrato a quella ragazza la
parte peggiore di sé. Il vecchio recitò poche
parole di una lingua morta mentre
Sigyn gridava, si contorceva, si accasciava. Il suo viso assunse un
colorito
terreo, il corpo fiorente e sano tremò, scosso dal dolore.
E
l’alchimista, che non
aveva fatto in tempo a salvarla, era lì, davanti a lui, con
la mascella serrata
e lo sguardo carico di un rancore antico e senza nome, la rivoltella
stretta
tra le dita, Laufey finalmente sotto tiro e senza scudi. Eppure, la
priorità
non fu di piantargli una pallottola in mezzo agli occhi, ma di
picchiarlo,
avendo cura di farlo con la pistola in mano, per infliggergli un danno
ancora
maggiore e spaccargli il naso, rovinargli lo zigomo. Il colpo fece
barcollare
violentemente il maestro e Loki ne approfittò per prendere
il corpo esamine di
Sigyn tra le braccia, posarla delicatamente a terra.
“Questo
era quello che
volevamo. Si risveglierà e la riavrò
indietro,” si compiacque il vecchio
scienziato, eppure la sua soddisfazione sapeva di fiele. Aveva portato
a
termine l’esperimento, ma Thor, ormai libero, gli puntava una
pistola alla
testa e Loki non lo avrebbe mai lasciato uscire vivo dalla cripta.
Così
avveniva nella natura che l’umanità tentava
inutilmente di plagiare: chi è più
forte, coraggioso e fortunato sfida il capo ormai debole, sulla cui
testa
pesano solo rimpianti. Non ultimo, quello che il giovane alchimista
l’avesse
avuta per primo, godendone, forse generando con lei persino una
scintilla di
vita. Nell’ipotesi in cui Sigyn si fosse risvegliata,
accogliendo lo spirito
che lui aveva evocato, non avrebbe potuto averla. “Tu mi hai
tradito, tu
l’hai…” iniziò, ma il sangue
sgorgava a fiotti dal naso e le forze gli venivano
meno. Era ancora in piedi perché il pensiero che Loki e
Sigyn fossero stati
amanti accendeva in lui una gelosia cieca e disperata.
La ragazza
sussultava sul
pavimento della cripta, con gli occhi rivolti verso il cielo e le
labbra
schiuse. Il rito si era compiuto. Loki si era chinato su di lei,
tastandole il
polso e il collo. Il battito era flebile, quasi impercettibile, le dita
gelate.
La stava perdendo. Infilò le dita tra sue le ciocche bionde,
in una carezza
lenta che sapeva di stupito addio. La furia sarebbe venuta, dopo.
Montava già
nel sangue, caricandosi di se stessa e delle frasi sconnesse che
l’alleato
tradito gli rivolgeva mentre si asciugava il sangue. Covavano la
medesima ira
mortale, fatta di desiderio e rancore.
“Taci,
maledetto!” Era
stato Thor a parlare. Inorridito, fissava ora la cognata in fin di
vita, ora il
profilo terreo e affilato di suo fratello. Aveva assistito al tentativo
immondo
di forzare il muro che separa le anime dei vivi da quelle dei morti e
le sue
mani erano macchiate di sangue. Disgustato, diede un calcio alla
siringa usata
su Sigyn, caduta a terra e ormai infranta, che giudicò
troppo vicina al vecchio
scienziato.
Il rumore del vetro e del metallo che rotolava sulla pietra umida
sembrò
riscuoterla.
Loki
s’irrigidì.
♥
Forse il rito
aveva
funzionato. Lei aprì gli occhi, li sbatté
più volte, osservò la cripta, non la
riconobbe. Si sollevò appena, guardandosi attorno. Non era
la ragazza che era
stata trascinata nel sotterraneo. C’era qualcosa, nel suo
sguardo, di antico e
sconosciuto, inconsueto. L’acconciatura aveva ceduto e i suoi
capelli le ricadevano
sciolti sulle spalle esili. Il suo sguardo grigio si posò su
Loki, pallido
quasi quanto lei, che la fissava a labbra strette, per poi spostarsi
sul
vecchio scienziato. Vide un uomo ossessionato da un sogno che non gli
era mai
appartenuto e un altro corroso dalla brama di avere tutto,
dall’incapacità di
accontentarsi che, come una maledizione, lo inseguiva ogni volta, da
sempre, spingendolo
a distruggere tutto ciò che toccava. Piegò la
testa di lato. Laufey la chiamò
con molti nomi e disse di amarla, nonostante Thor lo invitasse a non
osare
pronunciare una simile sconcezza e continuasse a tenere la rivoltella
puntata
su di lui.
Loki, invece,
rifletteva
in silenzio, notando le differenze, roso dal dubbio. Cominciava a
sentirsi
debole: forse, aveva perso troppo sangue. I begli occhi di Sigyn
tornarono a puntarsi
su di lui, lucenti e fermi, ma carichi di una dolcezza infinita.
“Cosa mi hai
fatto?” gli sussurrò. “Cosa ti
sei fatto?”
“Ti ho
avvelenata e poi
ho provato a salvarti. A proteggere la tua vita e il tuo
onore,” riconobbe lui
con un sorriso mesto. “Ma sono arrivato troppo
tardi.”
Le strinse le
mani,
fredde e incolori, e lei lo baciò sulla bocca, piano,
delicatamente, come se
volesse consolarlo o ringraziarlo, ma anche scoprirlo, ritrovarlo e
perdersi.
Uno sfioramento leggero che faceva calare, su di loro, un drappo
d’incertezza. Era
un bacio come non se lo erano mai dato, eppure avevano scambiato quella
stessa
effusione decine, centinaia di volte.
“Chi
sei?” le domandò
l’alchimista, ma una parte di lui, la più
razionale, non riusciva a credere che
l’esperimento di Laufey fosse riuscito. Pensò al
discorso che aveva fatto a
Sigyn nella carrozza, prima di sposarla: agli dèi di Asgard
che conoscevano in
anticipo la loro sorte bagnata di sangue e che, nonostante
ciò, avevano scelto
di affrontare a viso aperto la Voluspa, troppo arroganti o saggi per
cambiare
il loro destino. Pensò anche alla strega danese, che si era
messa a supplicare
i suoi dèi ormai morti di salvare la vita del conte trafitto
dalla freccia e di
come loro l’avessero ascoltata. Lui e Laufey avevano aperto
la porta proibita
della conoscenza: si erano convinti che era possibile entrare nel regno
dei
morti e strapparne via le anime, ma avrebbero dovuto ricordare che le
intrusioni di questo genere lasciavano sempre una macchia indelebile,
da
qualche parte. Chiamò sua moglie e lei abbassò le
ciglia scure sulla sua
ferita.
Lo
guardò e le sue labbra
tremarono. “Tu stai morendo,” sospirò.
“Ci ritroviamo sempre, a questo punto,” aggiunse
con tristezza, carezzandogli delicatamente il viso affilato.
Loki si
tastò la ferita,
ritraendo le dita sporche di sangue. “No che non
morirò, sono stato ferito più
gravemente, in passato,” la corresse, ma c’era,
nello sguardo della ragazza,
un’ombra antica e straniera, carica di un rimpianto sordo e
straziato.
Sigyn, o
chiunque fosse,
si alzò in piedi, lieve e decisa, mostrando
l’abito bianco macchiato di sangue.
La sua schiena era diritta come una freccia e sul viso, pallidissimo,
spiccavano
gli occhi grigi che Loki ricordava scintillare divertiti a ogni battuta
o
facezia.
“Tu
non hai risvegliato
la donna che amavi,” disse, rivolgendosi al vecchio
scienziato e muovendo un
passo verso di lui. “Ma hai commesso un errore e stanotte
morirai anche tu,”
annunciò severa.
Loki si
sollevò vincendo
il dolore, frapponendosi tra moglie e il mentore tradito, fissando con
sospetto
sia uno che l’altra.
“Chi
sei?” ripeté. Lo
trafisse l’idea che la ragazza che aveva tenuto tra le
braccia, con un vestito
di raso verde addosso, non ci fosse più e, al suo posto,
fosse stata evocata
una creatura diversa, più saggia e antica.
Sigyn sorrise
mestamente
e con le dita sfiorò la bella gemma che teneva al collo. Le
era appartenuta
molte volte, perché gli oggetti in cui vengono infusi
sentimenti, desideri e
speranze diventano amuleti, talismani che ci inseguono in questa vita e
nelle
altre. “Se te lo dicessi, amore mio, tu non
ricorderesti,” confessò.
♥
Ciò
che avvenne dopo non
fu che un ricordo confuso e troppo rapido. Uno degli uomini che
accompagnava
Laufey, rimasto stordito nella navata, si era ripreso ed era sceso
nella
cripta. Non trovò, a bloccarlo, né il prete
né il cocchiere. Erano corsi in
cerca di un medico per il fratello del duca e di rinforzi.
L’uomo raggiunse il
sotterraneo in tempo per vedere Sigyn al centro della stanza, eterea e
delicata
come un fantasma, e a sorprendere Thor, che minacciava il suo capo. I
brevi
momenti di colluttazione che lo videro, comunque, perdente, permisero a
Laufey
di lanciarsi verso la donna per abbracciarla o stringerla o chiederle
chi fosse
e dove avesse nascosto lo spirito esangue che amava. E Loki ne
approfittò per
completare il suo tradimento e infilare il pugnale, fino
all’elsa, nella
schiena del maestro che aveva intravisto per la prima volta in mezzo ai
fumi
dell’oppio. Il vecchio fu scosso da un ultimo fremito e
crollò su se stesso,
senza illudersi di aver trionfato, con in bocca una frase che rimase
lì,
congelata tra i denti e la gola. Il furbo Loki Odinson, per parte sua,
pagò caro
il suo gesto. Lo sforzo di quell’estremo affondo, inflitto
per vendetta e
precauzione, annebbiò la sua vista, ottenebrò i
suoi sensi.
Si
ritrovò steso per terra,
con la testa poggiata sulle gambe di Sigyn: aveva ragione lei, stava
morendo.
Aveva perso troppo sangue. Se ne rese conto con orrore, mentre la vita
gli
scivolava via dalle dita e lui non poteva far nulla per impedirlo. Le
notti
insonni che aveva trascorso studiando formule e testi antichi, pozioni
ed
esperimenti, gli sfilarono davanti come i grani di una collana, vacui e
inutili.
“Tu
sei la strega che
incantò il conte,” mormorò, mentre il
dolore pulsante svaniva sotto il tocco
delle mani di lei, pietose e gentili. Gli carezzava la fronte e
mormorava una
nenia sconosciuta a fior di labbra, di cui non riusciva a distinguere
le
parole.
“Io
sono stata molte
cose,” ammise lei, “anche una strega, una volta, e
tu mi hai amata,” soffiò con
orgoglio. I suoi occhi, ora, erano pieni di lacrime trattenute.
“Ma non puoi
ricordarlo, né ora né mai,”
proseguì con voce bassa, appena spezzata, “e
questo
non doveva accadere – la porta della conoscenza non va
varcata, mai.
Morirò anche io, adesso. Mi tiene in vita solo il
seiðr, il veleno che scorre nel
mio corpo è troppo potente. Mi vedi? Sto già
tremando. Siamo mortali, Loki, ma
il nostro spirito no. Ti raggiungerò presto – e ti
ritroverò, amore mio.”
Lord Odinson le
rispose
che non doveva morire, che non desiderava essere seguito nel regno
delle ombre.
Con l’ultimo barlume di lucidità rimasta, ritenne
che quelle erano le fole di
uno spettro maligno o i deliri di una donna che la paura improvvisa
aveva reso
pazza. Non era la ragazza del vestito verde. Non più.
L’intuizione che gli era
servita per collegare l’antica leggenda che circolava nella
sua famiglia con
quelle spiegazioni sconnesse gli apparve debole e inconsistente, eppure
scoprì
con orrore di avere gli occhi lucidi, mentre lei, sempre più
vicina, parlava e
gli sfiorava i capelli scuri e umidi con le ultime forze rimaste.
“Perché
la tua
maledizione è questa, Loki,” proseguì
Sigyn. “Non saprai mai chi sei, né chi
sei stato: e non conoscere, per te, è il peggiore dei
tormenti. Io lo so.
Hai vissuto centinaia di vite, ma la tua natura, a
volte, ti tradisce e
replichi gli stessi sbagli fatti in passato. E come potresti
correggerli, del
resto? La memoria di ogni esistenza viene spazzata via, cancellata.
Resta solo
la mia, che, ogni tanto, riaffiora, ma quando lo fa, è solo dolore.
Come
allora, quando indossavo questa pietra e tu eri un conte, come adesso,
che so
di averti avuto e ti sto perdendo. Passeranno anni prima che potremo
incontrarci ancora. Io sono lei. Lei era me,”
confessò chinandosi verso di lui,
e pronunciò il nome più antico che avesse mai
avuto, il primo che lui, in un
altro tempo, assottigliando appena le palpebre, aveva ascoltato e
rigirato in
bocca, assaporandone il suono dolce come l’idromele.
Poi,
asciugandosi le
lacrime, la dea della Fedeltà gli raccontò del
dio degli Inganni che tradì gli Æsir
per soddisfare la sua sete di vendetta e di come evocò il
Ragnarok che bruciò
ogni cosa, riducendo la bella Asgard dalle torri d’oro a un
cumulo di macerie e
cenere, perché così era scritto; che tutti gli
dèi morissero uccidendosi l’un
l’altro. Ma la morte non bastò a fermare i loro
fantasmi inquieti, aggiunse. Le
loro essenze continuarono a vagare e a esistere, cercandosi e
combattendosi, amandosi
e lasciandosi. Alcuni di loro avevano finito per esaurirsi,
raggiungendo il
Valhalla e ritrovando il proprio antico posto e la pace, ma loro no,
erano
incapaci di fermare la ruota che girava eternamente, trascinandoli in
ogni
parte del tempo e dello spazio. Il dio degli inganni non voleva morire,
del
resto. Pur di non farlo, aveva spinto Hela, la terribile signora del
regno dei
morti, a cancellare il proprio nome dal libro dei defunti.
Ma con questo
inganno il
dio del Caos aveva finito per intrappolare se stesso, concluse la dea
della
Fedeltà con un sorriso breve. Inconsapevole della propria
vera natura,
s’incaponiva in ogni vita cercando di aprire le porte
dell’inconoscibile e
sfidando l’ordine costituito.
Era una fiaba
bellissima,
decise l’alchimista. La voce della ragazza arrivava da sempre
più lontano, o
forse era lui che si stava allontanando, perdendo le forze come perdeva
il
sangue. La ascoltava, ma non sapeva, non riusciva a ricordare le storie
cui si
riferisse, né aveva idea che la terra calpestata, Midgard,
fosse il
nascondiglio e la prigione che lui stesso aveva scelto per non
desiderare, per
sempre e ormai invano, Asgard ormai fatta di cenere e rovina, canto
perduto di
un popolo che l’aveva dimenticata, la cui memoria distrutta
non era che una
fiaba da sussurrare nelle sere d’inverno. Lei gli
raccontò, in quei brevi
momenti in cui la coscienza gli scivolava via a ogni respiro, di un
fiordo
incantato illuminato da una tenue luce dorata. E lui credette di
vederla, la
luce che colorava ogni cosa con sfumature rossastre e miele, come i
capelli d’oro
di lei. Illusione, sogno e ricordo si mescolarono come le acque di
tanti fiumi
che, alla fine, si ritrovano nel mare.
Lord Odinson non
vedeva
più. Non sapeva che Sigyn, boccheggiando, era quasi stesa su
di lui, non
sentiva Thor che, stremato dall’ultima lotta, gli gridava
invano di resistere. Non
era più nella cripta e il dolore scemava, come i sensi del
gusto e del tatto.
“Fidati
di me, Loki.
Lasciati andare. In questo mondo ci incontreremo per soffrire, ci
ritroveremo
senza sapere il perché per ancora troppe volte. Raggiungimi
nel Valhalla. Torna
a essere ciò che sei, dio degli inganni, anima mia.”
Furono le ultime
parole
che sentì. Dopo, il dolore svanì e
l’alchimista scivolò nell’oblio senza
luce
né colore della morte, nel sonno senza sogni in cui
l’ultima sensazione che lo
raggiunse fu il sapore salato delle labbra di lei, fu il singhiozzare
disperato
di un corpo scosso dai tremiti del veleno e della perdita, fu la
propria mano
che cancellava, con la penna nera di un corvo, un patto antico, fu la
promessa
di ritrovarsi in un luogo che non c’era più.
Dopo il buio, fu
la luce
del sole che illuminava il fiordo, fu l’oro che barbagliava
sull’acqua e il
cielo rosso e viola.
What makes
you think I'm enjoying being led to the flood?
We've got
another thing coming undone
And it's
taking us over
We don't
bleed when we don't fight
Go ahead,
go ahead, throw your arms in the air tonight
We don't
bleed when we don't fight
Go ahead,
go ahead, lose our shirts in the fire tonight.
The
National, Runaways
Fine
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e
cari Lettori,
è
particolarmente difficile
accomiatarmi da questa storia e scrivere le note. Mi
mancherà, sniff ♥.
Non è
stato un periodo semplice. Ho
avuto tante cose da fare e da pensare nella real life un paio di
momenti di
scoramento che mi hanno fatto sentire il bisogno di allontanarmi un
po’ da Efp,
ma Loki e Sigyn fanno parte di me in una maniera che non vi so
spiegare se
non scrivendone e se li ignoro per troppi giorni bussano con
altre storie o
con quelle che ho già iniziato.
Postare la fine
di una fiaba come Ombre
è stato complesso perché la stessa Barbablù
è una fiaba complessa – si trovano
poche altre storie che hanno lo stesso intreccio/senso: basandomi su
alcune
teorie psicoanalitiche (non fatte dal primo scemo che passa) di
studiosi che
hanno dedicato la vita all’argomento, ho abbracciato la tesi
che Barbablù sia
la storia della perdita dell’innocenza e
del tradimento, temi
affrontati anche qui. Nella fiaba originale, la sposa di
Barbablù viene
messa in guardia dal marito in procinto d’assentarsi: non
entrare nella stanza
di cui hai la chiave, le dice. Lei, ovviamente, entra e vede le mogli
morte e perde
l’innocenza. Sa cos’è
successo. Barbablù si accorge che la moglie ha
trasgredito, perché la chiave si macchia irrimediabilmente
di sangue. Come
avviene quando si hanno rapporti per la prima volta e si è
donne. Barbablù
muore perché non perdona la moglie e si fa ammazzare dai
fratelli di lei
Sigyn
è la moglie di Barbablù per
eccellenza: sposa quello che avrebbe dovuto essere il suo assassino, ma
che in
realtà si è invaghito di lei, ma il tema della
porta aperta che doveva rimanere
chiusa riguarda anche Loki e Laufey, ansiosi di svelare il segreto
della vita. E
questa non è una AU, ma una storia che si lega al canone e
che parla di un post
Ragnarok. Semmai è una soulmate!AU, dato
che Sigyn e Loki sono, come
sempre e per sempre, anime gemelle destinate a incontrarsi. Vi ho
spiegato
anche perché Thor e Odino sono presenti (anime non ancora
placate) e altri assenti.
E niente, spero vi sia piaciuta. Ogni dettaglio storico è
assolutamente coevo e
coerente, così come la mentalità dei personaggi.
La dedico a chi
ha letto le
anteprime, a chi mi ha sostenuta fino a questo momento e a chi
l’amerà. Grazie
di cuore ♥ a chi l’ha inserita nelle liste e a chi
lo farà ♥ – ogni volta
che listate o vi palesate m’illumino
d’immenso, per voi sembrerà una
cosa da niente, ma vi assicuro che ricevere sostegno per chi scrive ha
la sua
importanza e le leggo tutte, anche se non sempre riesco a rispondere.
Perdonatemi per
la lunghezza infame.
Generalmente i miei capitoli sono la metà esatta di questo,
ma non volevo
spezzarlo. Proprio per la lunghezza, spero non ci siano troppi refusi.
Non ho avuto
il tempo di rileggerlo più di due volte. Vi confermo fin da
ora che la storia
della strega danese e del conte verrà scritta, che adesso mi
metterà a lavorare
sull’aggiornamento di Accordo e quello di
Scintille e… chissà. **
Ricordo che il
personaggio di Sigyn,
tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a
ispirarvi o
peggio a questa versione o alle altre fiabe/storie da me postate
né qui né altrove
e lo stesso vale per gli headcanon su Loki o Asgard.
A presto e
grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Shilyss
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