Ti ho cercato tra le stelle

di Kameyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. The truth ***
Capitolo 2: *** 2. Find me ***
Capitolo 3: *** 3. I apologize ***
Capitolo 4: *** 4. She is a woman! ***
Capitolo 5: *** 5. La sacerdotessa degli Akaj ***
Capitolo 6: *** 6. Naruto ***
Capitolo 7: *** 7. Kowareta tamashī ***
Capitolo 8: *** 8. La prima menzogna ***
Capitolo 9: *** 9. Red eyes ***
Capitolo 10: *** 10. Incest ***
Capitolo 11: *** 11. Unfaithful ***
Capitolo 12: *** 12. Painful loneliness ***
Capitolo 13: *** 13. Hajime ***
Capitolo 14: *** 14. Owari Pt. 1 ***
Capitolo 15: *** 15. Non lasciarmi andare ***
Capitolo 16: *** 16. Illusione ***
Capitolo 17: *** 17. Invisibile ***
Capitolo 18: *** 18. Puttana ***
Capitolo 19: *** 19. Run! ***
Capitolo 20: *** 20. A new life ***
Capitolo 21: *** 21. Altri mille anni senza di te ***
Capitolo 22: *** 22. A lie to survive ***
Capitolo 23: *** 23. Poor Hinata ***
Capitolo 24: *** 24. Owari pt. 2 ***
Capitolo 25: *** 25. Pioggia di stelle ***
Capitolo 26: *** 26. Ti ho cercato tra le stelle ***
Capitolo 27: *** 27. Polvere ***



Capitolo 1
*** 1. The truth ***


Ti ho cercato tra le stelle



 

1.
The truth


 

La prima volta che accadde Sasuke era soltanto un bambino.
Il dolore arrivò all'improvviso, intenso, insopportabile, seguito da un pianto confuso e disperato. La pelle attorno all'ombelico si era bruciata, come se qualcosa di arroventato vi fosse stato poggiato sopra. Quella volta, Mikoto l'aveva curato e confortato in silenzio, tenendo il suo tesoro fuori dalla portata del suo sguardo.
Adesso, Sasuke è un uomo, un fìdia a servizio dell'Imperatore, l'ago della sua bussola gira ancora a vuoto, ma non ha importanza. Adesso, Sasuke sa.

 

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Capitolo 2
*** 2. Find me ***


 
2.
Find me




Sasuke tiene la bussola stretta nel palmo della mano sinistra, ne tocca il bordo tondo con il pollice, il legno è liscio sotto il polpastrello e la pelle scivola su di esso in una dolce carezza. Non ha ancora avuto il coraggio di guardarla, preferisce crogiolarsi nell'attesa, sentire lo stomaco contrarsi per l'aspettativa. È lì che si trova?
No.6 non somiglia per niente a Kathréptis, il pianeta è sterile, arido, di un infinito grigio; le piante, l'acqua, le piccole creature non esistono. C'è solo il silenzio, il nulla. Sasuke si chiede come abbiano potuto creare una civiltà in mezzo a tutta quella desolazione, come facciano gli abitanti a sentirsi a casa dentro delle enormi serre; le città sembrano prigioni.
Guarda i soli bianchi tramontare, il loro pallore lo angustia, non è quella la luce che cerca, non così fioca e insignificante.
Sorride senza allegria. Le labbra si stirano leggermente verso l'alto, gli occhi si socchiudono per guardare il cielo. E poi accade di nuovo, come in un déjà-vu, il suo cuore duole, la pelle si cosparge di brividi e lei si muove dentro di lui.
Dicono che la loro sia un connessione forte, unica, speciale. Nessuno è mai stato tanto legato durante il periodo di lontananza. Sasuke trova la cosa di un'ironia crudele ed è stanco di sentirselo ripetere. Non è quello il legame che vuole, ma è l'unico che possiede.
Sospira. È arrivata la notte. Non ha più bisogno di guardare la bussola per averne la certezza, ormai lo sa – lo sente – lei non vive lì. Non è quello il luogo. Non è il suo pianeta, tutto quel grigiore non le appartiene.
Continua a cercarmi.
Sasuke porta la bussola sotto il suo sguardo, odia quell'ago instancabile, perché non può fermarsi? Perché deve essere l'unico fìdia a non riuscire a trovare la sua anima gemella?
Continua a cercarmi.
Rimette l'oggetto in tasca e lascia un ultimo sguardo al cielo prima di tornare sulla navicella. Il suo viaggio sarà lungo, ma non si fermerà finché non la troverà.

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Capitolo 3
*** 3. I apologize ***


 
3.
I apologize



Naruto molla il coltello di colpo, una bestemmia muta affiora dalle labbra carnose. Il polpastrello brucia, una goccia vermiglia cade sul tagliere ancora invaso dai pomodori maturi.
‹‹Cazzo›› sussurra.
Si porta il dito tra le labbra, lecca via il sangue, poi si volta per assicurarsi che lui stia ancora dormendo. Kurama risponde alle sue preoccupazioni sospirando placido sul sofà, la coperta leggera aggrovigliata in mezzo alle gambe lunghe, i capelli rossi sparsi sul cuscino, il viso sereno, così diverso dall'espressione severa che riserva a chiunque quando i suoi occhi scuri sono aperti.
Naruto gli si avvicina piano, non vuole svegliarlo, passa una mano fra le ciocche ribelli. Si accorge che Kurama è talmente stanco da non sentire nemmeno le sue carezze, ma è meglio così – si ripete – chissà che faccia farebbe se lo vedesse. Chissà che faccia farebbe se lo scoprisse. L'affetto che prova per lui è diverso da quello che sente per lei, ma allo stesso tempo è dolorosamente simile: non riesce a raggiungere nessuno dei due. Posa una bacio sulla guancia pallida e torna in cucina a trafficare con il pranzo.
Kurama è la sua cotta infantile, il ragazzo più grande per cui prova un'infinita ammirazione, un amico. E non sarà mai altro.
Da qualche parte in quell'universo, lei lo sta cercando.
Naruto avvolge il dito con un tovagliolo per evitare di sporcare il cibo e prende il coltello da terra, lo lava e ricomincia a tagliare la sua insalata; presto sarà ora di pranzo. Mentre prepara, sente la pelle bruciare leggermente, lo infastidisce e pensa che in quel momento lei stia provando lo stesso.
‹‹Mi dispiace›› dice a voce bassissima, quasi in un sussurro. I suoi occhi sono umidi. ‹‹Mi dispiace.››
Ovunque tu sia, ti chiedo scusa.


 

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Capitolo 4
*** 4. She is a woman! ***


 
4.
She is a woman!



Sasuke si guarda le mani con un cipiglio severo sul volto, le dita della mano sinistra sono ricoperte di cerotti, quelle delle destra sono piene di cicatrici. Shisui, al suo fianco, lo fissa fischiettando un motivetto allegro.
‹‹Dovrà spiegarmelo›› afferma Sasuke deciso.
Shisui gli afferra il polso destro e si porta la mano vicino al viso, scruta le sottili linee bianche con aria critica.
‹‹Cuoco›› conclude. ‹‹La tua anima gemella vuole diventare un cuoco.››
Sasuke strattona il braccio fino a fargli mollare la presa.
‹‹Cuoca›› ribatte convinto. ‹‹È sicuramente una donna.››
‹‹Secondo me è un uomo.››
‹‹Non mi piacciono gli uomini. È impossibile che lo sia.››
Shisui gli mette le mani sulle spalle con aria teatrale, guardandolo con un misto di divertimento e finto fare paterno.
‹‹Alle volte, figliolo, il destino ci punisce per le nostre cattive azioni rifilandocele su per il culo, nel tuo caso, puoi starne certo, accadrà letteralmente.››
Si alza dalla sua postazione l'attimo dopo, evitando per un pelo il manuale per le emergenze. Sasuke ha le gote arrossate e brandisce un altro tomo voluminoso.
‹‹Non succederà mai! È una donna!›› strilla.
Itachi affaccia la testa dal corridoio, si sistema gli occhiali sul naso e poi:
‹‹È un uomo›› proclama senza dubbi.
Shisui lo afferra per una spalla e lo trascina via ridendo, prima che Sasuke possa colpirli in pieno.
‹‹Ho detto che è una donna!››

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Capitolo 5
*** 5. La sacerdotessa degli Akaj ***


5.
La sacerdotessa degli Akaj



‹‹Viaggiare fino a qui, arrivare nel luogo più vicino al Sole Azzurro... Sei forse pazzo, fìdia? O la tua disperazione ha preso il sopravvento sulla ragione?››
Sasuke guarda la sacerdotessa con gli occhi socchiusi, fatica a tenere le palpebre aperte, gli pesano come macigni. È stanco come mai prima d'ora e ha sete, così tanta da non riuscire più neanche a parlare. Presto sverrà di nuovo, se non lo aiutano a rimettersi in sesto, ma il suo pensiero fisso continua a essere Shisui, non ha idea di dove l'abbiano portato né se sia ancora vivo.
‹‹S-Shi...Shi...sui›› emette a fatica.
La sacerdotessa sorride, mentre versa del liquido marrone in una tazza, la sua bocca senza labbra mostra una dentatura storta, i cui denti appuntiti sono neri e marci. Le tre piccole cavità del suo naso piatto si dilatano, odorando il profumo che si è sparso nella piccola tenda.
‹‹Questo ti farà sentire meglio›› gli dice porgendogli la bevanda. ‹‹È un infuso preparato con il Mhasu, il fiore del nostro pianeta.››
Sasuke sente l'odore invitante solleticargli le narici, vuole berlo, ne ha bisogno, ma non tocca la ceramica.
‹‹Shi...sui›› ripete.
L'Akaj pare fissarlo intensamente con i suoi occhi ciechi e lattiginosi, sorride ancora e poggia la tazza vicino alle gambe incrociate di Sasuke.
‹‹Il tuo amico è vivo, adesso starà riposando nella casa del capo villaggio. Non devi preoccuparti per lui, noi Akaj non lasciamo morire i visitatori. Ora bevi, prima di collassare.››
Sasuke non se lo fa ripete due volte, a fatica afferra la tazza che gli è stata offerta e beve l'infuso tutto d'un fiato. Il liquido caldo cura la sua gola secca e dona nuova forza al suo corpo stanco.
‹‹Grazie›› mormora, incredulo nel sentirsi già meglio.
‹‹Siete arrivati vivi per miracolo, lo sai?››
Sasuke rimette la tazza a terra e si asciuga il sudore della fronte con la benda del polso destro. Non ricorda molto di come siano riusciti a raggiungere il villaggio degli Akaj, sa solo che a un certo punto ha iniziato a pensare che il Deserto di Shiruhma sarebbe diventato la loro tomba.
‹‹Alcuni mercati provenienti dalla capitale vi hanno trovati quasi morti sulle dune di Roja. Il tuo amico aveva già perso i sensi, ma tu...›› lo indica con il primo delle sue tre dita. ‹‹Tu non volevi cedere, hai tenuto in mano la tua bussola rotta fino alla mia casa. Quando sei svenuto ai miei piedi, credevo saresti morto.››
Sasuke si tasta di getto le tasche, impallidisce quando le trova vuote.
‹‹Dov'è?›› chiede nel panico.
La sacerdotessa estrae dalla sua tunica blu la bussola dall'ago instancabile, la mette per terra, ai piedi di Sasuke, che l'afferra immediatamente.
‹‹L'ho studiata mentre riposavi, spero non ti dispiaccia. Non ho mai sentito di un caso come il tuo, almeno non da queste parti. Di solito quando succede sugli altri pianeti, la persone se ne fanno una ragione e continuano con la loro vita, invece tu sei venuto fin qui. Quanti luoghi hai visitato finora?››
Sasuke prova una leggera vergogna nel mostrarsi così vulnerabile di fronte a una sconosciuta, non vuole raccontarle di cosa ha passato, dei pianeti che, con delusione, ha visitato e lasciato. Nessuno, a parte Itachi e Shisui, è a conoscenza della sua disperata ricerca, e preferirebbe continuare così, se non fosse che lei potrebbe aiutarlo. Stringe fra le mani il suo tesoro più prezioso, sente il cuore stritolarsi in una morsa simile.
‹‹Ho visitato tutti i pianeti della mia galassia, da No.6 ad Akka, poi sono passato alle due Galassie gemelle, Asita e Amàla, fino ad arrivare alla Galassia di Akalanka, ma nemmeno lì sono riuscito a trovarla, quindi sono venuto qui, da te.››
‹‹Ventiquattro pianeti, ventiquattro delusioni. Perché sei così ostinato? Potrebbe trovarsi chissà dove a questo punto, tra le 4000 stelle di Mahanubhava o su una galassia talmente lontana da essere irraggiungibile persino per la tecnologia dei fìdia. Potresti non trovarla mai o non arrivare in tempo. La tua vita è lunga, la sua potrebbe non esserlo.››
Sasuke allunga il braccio sinistro verso di lei, le squame lattee sono lucide di sudore, le vene blu pulsano sotto di esse.
‹‹A Vanam un uomo mi ha raccontato di cosa sei capace, ha detto che la cecità ti ha donato la vista dell'anima sui legami delle anime gemelle. Se berrai il mio sangue, potrai vedere dove vive o almeno avere qualche indizio su come trovarla. Pagherò qualsiasi prezzo.››
L'akaj drizza la schiena, il lungo collo si tende, Sasuke intravede delle chiazze più scure sulla pelle grigia.
‹‹Il mio prezzo potrebbe non essere accettabile.››
‹‹Correrò il rischio.››
‹‹E lei potrebbe essere troppo lontana, irraggiungibile.››
‹‹Correrò il rischio›› ripete Sasuke con convinzione, il braccio ancora teso.
La sacerdotessa annuisce, afferra il polso di Sasuke con entrambe le mani, l'espressione sul suo volto s'indurisce.
‹‹Allora abbiamo un accordo›› afferma, prima di morderlo.
Sasuke sente i denti dell'akaj affondare con prepotenza nella carne, il dolore gli arriva dritto al cervello facendolo gemere, digrigna i denti per impedirsi di urlare e tenta di sopportare concentrandosi sul possibile esito. Aspetta quel momento da tanto di quel tempo, che niente lo farà tirare indietro.
La sacerdotessa gli succhia il sangue per quella che gli sembra un'eternità, quando si stacca, i suoi denti sono ricoperti di rosso e i suoi occhi lattiginosi sono diventati neri come due abissi. Sasuke tira via il braccio dolorante e insanguinato, lo guarda e poi rivolge lo sguardo sulla donna. L'akaj è in ginocchio, le braccia abbandonate lungo i fianchi, respira a fatica, piega la testa verso l'alto a guardare il soffitto, il suo intero corpo trema come se avesse le convulsioni. Sasuke si alza e fa dei passi indietro, la fissa in attesa senza sapere che cosa fare. Passano due minuti, tre, quattro, cinque. Sasuke inizia a pensare che qualcosa sia andato storto, ma prima che possa chiamare aiuto, il tremore della sacerdotessa si placa e piano, tutto torna normale.
‹‹Mai›› esala stanca. ‹‹Mai ho visto... degli occhi così... così blu.››
‹‹Occhi blu›› sussurra Sasuke, senza che lei lo senta.
‹‹Luce. Lei è luce. Capelli d'oro. Il suo volto... era sfocato nello specchio. Non sono riuscita a vederlo.››
‹‹Cos'altro? Hai visto il suo pianeta? Dove vive?››
La sacerdotessa rimane in silenzio a riprendere fiato, l'espressione del suo viso si rabbuia. Sasuke ha lo stomaco accartocciato su stesso, vuole sapere, desidera che quel tormento abbia fine. Pensa a tutti quei giorni passati a sentirla così vicina da credere di poterla quasi toccare.
‹‹Oh, fìdia. La tua disperazione, è la sua disperazione. Lei ti sta aspettando, il suo cuore è stretto dallo stesso filo che stringe il tuo. Ti cerca in ogni sguardo, ma non riesce a trovarti.››
‹‹Dov'è?›› urla Sasuke al limite.
L'akaj lo fissa con i suoi occhi ciechi.
‹‹Dove vive il Sole più grande di tutte le galassie. Il suo pianeta è blu, come i suoi occhi. È un luogo che tu non puoi raggiungere, dove la vita è un battito di ciglia paragonata alla tua.››
Sasuke fissa prima lei e poi il terreno come se non li vedesse, i suoi occhi sono fissi nell'immagine di un pianeta pieno d'acqua salata, così lontano da essere quasi un miraggio.
L'ha cercata vagando tra i pianeti nella speranza di vederla, ha baciato ogni cicatrice sulle sue mani pregando che il suo gesto le arrivasse, l'ha immaginata, sentita, vissuta, e adesso che sa dove si trova, non può raggiungerla.
‹‹La Terra›› sussurra piano, come se fosse una maledizione.
Non ci incontreremo mai.






 

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Capitolo 6
*** 6. Naruto ***


6.
Naruto



Sasuke poggia la bussola sul comodino della sua camera, l'ago gira beffardo, senza sosta, non si fermerà mai. La consapevolezza si è fatta strada nella sua mente come una lama affilata, gli ha spaccato il cervello in due e gli ha spezzato il cuore irrimediabilmente. Continuerà a sentire il suo dolore, avranno le stesse cicatrici sulle dita, potrà immaginare i suoi occhi blu, i capelli biondi, ma non avrà mai la gioia di vedere il suo viso, di accarezzarle la pelle e dirle di non aver aspettato altro per tutta la vita.
Guarda lo skyline di Kathréptis dalla finestra chiusa, una luce verde illumina ogni edificio nel raggio di chilometri, il suo colore è così simile a quello del cielo da non riuscire a distinguere la linea dell'orizzonte.
Blu.
Blu.
Blu.
Vorrebbe che il cielo fosse blu, che il mare rispecchiasse il colore dei suoi occhi. Che sfumatura hanno? Si chiede. Ghiaccio? O Sono caldi? In che modo mi guarderebbero?
Sente di aver perso tutto, eppure non sa nemmeno che faccia abbia. Avrebbero potuto non innamorarsi, persino odiarsi, detestarsi, forse è un bene che non si siano incontrati, ma...
Ma.
Non ne avrà mai le certezza. Non scoprirà mai cosa sarebbe potuto essere.
Sasuke da un calcio al comodino con tutta la forza che ha, la bussola vola lontano da lui, cade sul pavimento dalla parte del vetro. La guarda. La odia. Si sposta dalla finestra e si china per prenderla, se dovesse rompersi sul serio, non avrebbe più alcun modo per trovare la strada. Quasi ci spera. Prega che sia rotta, così da non dover più vedere quel continuo vorticare.
Sospira. Lasciami in pace una volta per tutte.
Una parte di lui spera il contrario.
L'afferra, le dita tremano attorno al legno. La gira. Le viscere gli si accartocciano, il cuore si stringe fino a fargli male. È doloroso, insopportabile; gli manca l'aria. Poggia le ginocchia per terra, esausto. Si colpisce la coscia destra con un pugno, una, due, tre volte, usa tutta la forza che gli è rimasta, vuole che lei lo senta, che in qualche modo sappia.
‹‹Non posso raggiungerti›› sussurra a denti stretti. ‹‹Non posso.››
I suoi occhi si fanno umidi, la voglia di piangere lo assale. E lei arriva, quasi come se avesse sentito il suo richiamo disperato, s'insinua sotto la pelle, un dolore lancinante alla coscia sinistra gli fa capire che lo sta ascoltando, che si sta colpendo a sua volta.
‹‹Non posso raggiungerti›› urla, sbattendo il pugno a terra.
Guarda la bussola intatta, il vetro perfettamente liscio e lucido. Non ha mai odiato tanto la solitudine come in quel momento.
‹‹Luce. Lei è luce.››
Ricorda le parole della sacerdotessa sentendone il peso, le comprende, sa cosa potrebbero significare per lui, per la sua vita, per la sua intera esistenza. Se solo ci fosse un modo, farebbe qualsiasi cosa per raggiungerla e tenerla stretta a sé per sempre.
Dei passi nel corridoio lo incitano ad asciugarsi gli occhi e rimettersi in piedi, non vuole che qualcuno lo veda in quelle condizioni, ma non appena fa un passo per prendere il comodino e nasconderlo, un dolore acuto lo costringe a urlare, il braccio sinistro brucia e sanguina.
‹‹Sasuke?››
Itachi entra in camera senza bussare, lo raggiunge allarmato, il volto pallido. Sasuke alza la manica della giacca, la stoffa è impregnata di sangue, si guarda terrorizzato il braccio insanguinato e vede dei tagli lacerare la carne.
‹‹Smettila!›› urla. Di nuovo si colpisce la coscia, non capisce cosa stia accadendo, perché lei li stia ferendo in quel modo.
‹‹Che sta facendo? È impazzito?›› Suo fratello guarda il sangue colare sul pavimento, perde ancora più colore in viso.
Sasuke tenta in qualche modo di fermarla, si colpisce lo stomaco, si morde il braccio destro, sbatte la mano contro il muro, ma i tagli continuano, lei non si ferma. Itachi lo guarda sconvolto, non si muove, non ha idea di cosa fare, poi però gli viene un'idea, perché quello può essere l'unico modo.
‹‹Smettila Sasuke! Non si fermerà! Smettila di farti male! Ti sta scrivendo un messaggio!››
Sasuke si blocca, ha il fiato corto, il dolore è fortissimo, il sangue ha creato una piccola pozzanghera sul pavimento, si guarda il braccio come ad aver realizzato che Itachi potrebbe aver ragione. Vede delle linee rette, precise.
‹‹Sta scrivendo.›› La voce trema mentre l'idea si fa vivida e concreta.
Corre in bagno seguito dal fratello, mette il braccio sotto l'acqua, brucia ancor di più, ma resiste, attende che lei abbia finito. Sopportano insieme, a una vita di distanza, tutto pur di dirsi qualcosa, pur di essere più vicini.
Quando i tagli cessano, Sasuke riesce finalmente a leggere. Il suo cuore non potrebbe essere più lacerato.
‹‹Che cosa ti ha scritto?›› gli chiede Itachi piano.
Sasuke ha un nodo alla gola, deglutisce più volte prima di riuscire a rispondere.
‹‹Non posso arrendermi›› afferma. ‹‹Devo andare da lei. Devo incontrarla.››
Itachi guarda le lettere vermiglie scavate nella carne, i brividi gli pervadono la schiena; è stato un gesto folle, impulsivo, come viaggiare per le galassie e rischiare di morire in mezzo al deserto. Capisce di averli sottovalutati, di non aver realizzato quanto quel legame sia forte, distruttivo, spaventoso.
‹‹Dobbiamo medicarlo›› dice. La bocca secca.
Sasuke pare non ascoltarlo, non vederlo, tiene gli occhi fissi sul suo nome.
‹‹Naruto›› sussurra. ‹‹Non rinuncerò a te.››

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Capitolo 7
*** 7. Kowareta tamashī ***


7.
Kowareta tamashī



La brezza mattutina lo svegliò con una carezza sulla guancia, il vento si alzò leggero fino a insinuarsi fra i suoi capelli; il rumore delle onde smise di cullarlo per trasformarsi in ruggito.
Itachi socchiuse piano gli occhi, infastidito dalla fine della quiete notturna. Una ciocca ribelle gli ricadeva sul viso offuscandogli lo sguardo, la scostò con un gesto lento, ancora intorpidito dal sonno. Sbatté le palpebre. Il viso di Shisui era ad un palmo dal suo, gli occhi aperti, perfettamente svegli, le labbra morbide serrate in una linea retta dagli angoli all'ingiù.
Il sole illuminò l'orizzonte tingendo il cielo di un verde pallido, l'alba era arrivata sulla spiaggia di Calante, portandosi via gli ultimi rimasugli di un sogno fantastico.
‹‹Non hai dormito›› gli disse con amarezza, vedendo le profonde occhiaie e gli occhi gonfi e rossi, come se avesse passato la notte a piangere. ‹‹Avresti dovuto›› lo rimproverò.
Shisui si limitò a fissarlo senza rispondergli, accarezzandogli una guancia con il pollice.
Rimasero a guardarsi in silenzio finché il cielo si dipinse di un limpido verde, poi lo sguardo di Shisui divenne acquoso e Itachi lasciò che una lacrima sfuggisse alle lunghe ciglia scure. Avevano passato la sera precedente e gran parte della notte a fare l'amore, ma quelle poche ore non sarebbero mai state abbastanza.
‹‹Vieni via con me›› lo pregò Shisui in un sussurro. ‹‹Andremo su una delle stelle di Mahanubhava, non ci troveranno mai.››
Itachi chiuse gli occhi, lasciò che la dolcezza di quella proposta gli mostrasse un futuro diverso, giorni in cui sarebbero rimasti insieme, fianco a fianco, a baciarsi sotto il tramonto dei Soli di Akalanka.
‹‹Ti spazzolerò i capelli tutte le mattine e tutte le sere, l'intreccerò come piace a me e ti lamenterai di non riuscire a scioglierli›› continuò Shisui a voce bassa. ‹‹Prepareremo insieme quei dolci che ti piacciono tanto e riempirò casa nostra di fiori, te ne porterò uno diverso ogni giorno. Quando farà freddo dormiremo abbracciati e quando invece ci sarà caldo...›› rise, tra le lacrime. ‹‹Ti abbraccerò più forte solo per farti arrabbiare e poi faremo il bagno insieme.››
Itachi rise con lui, gli occhi ancora chiusi a immaginare quella vita.
‹‹Costruirò un sacco di cianfrusaglie inutili, ma tu riuscirai comunque a trovare un modo per usarle. Leggerai molto e riuscirai a dar vita alla navicella che sogni da quando eravamo bambini, e con lei visiteremo ogni angolo di questo universo e di qualsiasi altro vorrai. Qualche volta ci perderemo perché non vuoi mai chiedere indicazioni o usare una mappa decente, ma andrà bene lo stesso.›› La sua voce divenne un tremolio sommesso. ‹‹E ti sposerò sotto la pioggia di stelle Jala, nel giorno in cui Usha incontrò Vira e scoprì che le anime gemelle non possono essere separate nemmeno dalla morte.››
Itachi aprì gli occhi, il suo sguardo umido si posò sul viso bagnato di Shisui, che non riusciva più a contenere i singhiozzi. E, stanco come non lo era mai stato prima, anche lui smise di farlo, smise di trattenersi, di cacciare il dolore indietro, di nasconderlo allo sguardo dell'altro. Lasciò che le lacrime gli offuscassero la vista, permise al rimpianto e alla rabbia di mostrarsi.
Non si sarebbe mai perdonato per quello che stava per fare.
Shisui lo baciò prima che potesse rispondergli, pigiò forte le labbra sulle sue, disperato, e incastrò le dita fra i suoi lunghi capelli neri. Lo ricambiò schiudendo le labbra, donandosi alla sua anima gemella ancora una volta – l'ultima – regalandogli ciò che restava della sua anima infranta.
Se non avessero avuto lo stesso sangue, avrebbero potuto stare insieme per sempre.
Se solo le leggi glielo avessero permesso.
Se solo Sasuke non fosse stato condannato alla solitudine.
Se...


Non smetterò mai di amarti.
Le parole gli rimasero incastrate in gola.

 
***


Itachi sbatte le palpebre un paio di volte, è stanco, non riusce più a tenere gli occhi aperti, ma non vuole cedere, non ancora. Guarda i fogli sparsi sul tavolo, calcoli chilometrici, disegni da completare, idee lasciate a metà; il sogno di una vita intera messo su carta.
Il mio sogno.
Il suo sguardo cade subito su Shisui che, al suo fianco, dorme con la testa poggiata sulle braccia incrociate, ha la guancia sporca e delle spaventose occhiaie. Lo accarezza piano, scosta dai suoi occhi chiusi una riccia ciocca ribelle. Le sue labbra socchiuse lo invitano ad avvicinarsi, vorrebbe baciarle, morderle, ma più di ogni altra cosa vorrebbe stringerlo a sé e non lasciarlo andare mai più.
Il tempo non ha affatto guarito quella ferita, l'ha resa più profonda, incurabile. Quando lo guarda, non può fare a meno di pensare a quello che sarebbe potuto essere.
‹‹Avresti dovuto abbandonarmi›› ammette ad alta voce.
Le sue dita sfiorano appena il dorso della mano chiusa a pugno, lo fanno con delicatezza, quasi stesse toccando del cristallo pieno di crepe.
‹‹Perché sei rimasto.›› La sua non riesce nemmeno a essere una domanda.
Perché ti amo, dice la voce di Shisui nella sua testa.
‹‹Dovresti lasciarmi andare e dimenticarmi.››
Shisui corruccia lo sguardo nel sonno, forse lo sta sognando, come capita a lui ogni qualvolta chiude gli occhi - il suo viso è stampato a fuoco sotto le palpebre -, le sue labbra si arricciano appena, la voglia di chinarsi e baciarle è immensa. Quanto tempo è passato dall'ultima volta?
‹‹Avrei dovuto ascoltarti›› dice affranto. ‹‹Partire con te, sposarti sotto la pioggia di stelle di Jala, nel giorno in cui Usha incontrò Vira e capì che le anime gemelle non possono essere separate neanche dalla morte. Avrei dovuto dirti di sì, mille volte sì. Eri tu. Sei sempre stato tu, il mio sogno.››
D'un tratto i fogli sul tavolo sembrano scarabocchi senza senso, a che cosa servirà quella navicella se non potrà usarla?
È per Sasuke, ripete una voce maligna nella sua testa. È sempre stato tutto per Sasuke, per non lasciarlo solo, ed ora lui andrà via e a te non resterà nulla.
Itachi si alza di colpo, i pugni stretti lungo i fianchi, il fiato corto. No, si dice, ha scelto lui di restare, ha scelto lui di occuparsi di suo fratello e della sua bussola rotta, Sasuke non c'entra niente. È stata una sua scelta.
Una sua scelta. Il suo errore.
Spalanca gli occhi a quel pensiero.
‹‹Sono proprio stanco›› si dice, massaggiandosi la radice del naso.
Shisui si agita sulla sedia, si sveglierà da un momento all'altro. Decide di allontanarsi prima che accada, non vuole farsi vedere in quello stato, non vuole farsi scoprire così fragile. Esce dall'ufficio più veloce che può, senza voltarsi indietro, come ha fatto per metà della sua vita.



Shisui apre piano gli occhi.
‹‹Come diavolo dovrei fare a dimenticarti?››

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Capitolo 8
*** 8. La prima menzogna ***


8.
La prima menzogna




La lama cadde a terra tintinnando sul pavimento, gocce cremisi sporcarono le mattonelle candide. Naruto poggiò la testa sul bordo della vasca, incapace di fare alcunché, il braccio sinistro lasciato inerme sulla coscia, il suo nome inciso nella carne. Il dolore lo aveva avvolto in una bolla.
Guardò l'acqua limpida tingersi di rosso.
Lui era da qualche parte in quell'universo, disperato nel tentativo di trovarlo, distrutto nel non riuscirci, e tutto quello che era riuscito a fare per aiutarlo era stato ferirsi. Che cosa se ne sarebbe fatto del suo nome? A cosa gli sarebbe servito?
Si coprì gli occhi ricolmi di lacrime con la mano; desiderò sparire.



Kurama sbatte le palpebre inorridito, il viso pallido è una maschera di terrore, il corpo è immobile, ma può vedere le sue mani tremare. Guarda i suoi occhi scuri fissare il braccio martoriato, crederà sia diventato pazzo.
Non potrà mai capirmi.
Kurama gli si avvicina lento, quasi avesse timore di una sua reazione, ha lo sguardo fisso su quel Naruto che non si cancellerà mai più dalla pelle.
‹‹Che cosa hai fatto?›› La sua voce è un tremolio sommesso, quasi un sussurro, le sue labbra si sono mosse appena.
‹‹Aveva bisogno di me.›› È la sua unica replica, non potrebbe spiegarglielo in nessun altro modo. Quel dolore, quella solitudine, la devastante sensazione d'impotenza che fino a poco prima lo travolgevano non possono essere descritti; Kurama non sa, non sente, non potrà mai capire.
‹‹Ti sei massacrato il braccio, tu... Cazzo, Naruto.››
‹‹Non c'era altro modo. Io volevo che lui lo sapesse.››
Kurama s'inginocchia ai suoi piedi, gli stringe delicatamente il polso e osserva con attenzione la ferita che si è inferto, le sue dita tremano mentre lo fa. Poggia il palmo aperto sulla sua guancia umida in una carezza leggera, il suo sguardo si stringe, le labbra si tirano in un linea retta.
‹‹Questo è troppo›› sentenzia, alzando gli occhi per incontrare i suoi. ‹‹Non puoi farti questo. Non puoi permettergli di farti questo.››
‹‹Non è stata colpa sua. È successo qualcosa, stava male e ha cercato di mettersi in contatto con me. Aveva bisogno di me, e non sapevo in che altro modo raggiungerlo.››
Kurama gli poggia entrambe le mani sul viso, stringe le guance con rabbia, fino a fargli male. Naruto tenta di divincolarsi, di allontanarsi da quella rabbia inspiegabile, ma non ci riesce, è troppo stanco.
‹‹Perché? Perché non riesci a capire? Non hai bisogno di lui.››
Non è vero!
Naruto prende fiato per urlargli contro, nessuno può capirlo, nessuno riuscirà mai a comprendere quanto sia forte quel legame, ma prima che riesca a rispondergli, Kurama si avventa sulla sua bocca con urgenza, insinua la lingua tra le labbra socchiuse, la muove vorace in cerca della sua. Rispondere ai suoi gesti è faticoso, gli manca l'aria, e una vocina nella sua testa gli parla con rimprovero, È tutto sbagliato, ma non riesce a sottrarsi.
Ha sognato quelle carezze per tantissimo tempo.
Kurama sposta le mani verso il basso, gli accarezza il collo, le spalle, scende fino ai fianchi per poi afferrargli forte le cosce, i suoi gesti trapelano di desiderio. Naruto annaspa, sposta il viso per respirare, gli tremano le gambe e si sente fortunato a trovarsi già seduto per terra.
‹‹Aspetta›› formula a fatica. La voce nella sua testa è diventata un urlo. ‹‹Non possiamo.››
Per quanto abbia desiderato quel momento, ogni singola fibra del suo corpo non è d'accordo, quasi si ribella. Il sapore di quella bocca non è quello che vorrebbe sentire, le carezze lo infastidiscono, il profumo di Kurama ha qualcosa che non gli piace.
Non è lui.
Kurama gli stringe nuovamente il viso fra le mani, il suo sguardo cupo è lo specchio perfetto dello sbaglio che stanno commettendo.
‹‹Ma è quello che vogliamo. Non è questo l'importante?››
Naruto sente il braccio pulsare. Quello che vuole davvero è irraggiungibile, a una vita di distanza. Non riuscirà mai ad averlo vicino, a specchiarsi nei suoi occhi come sta facendo adesso con Kurama, non accarezzerà la sua pelle né sentirà sulla lingua il sapore dei suoi baci, rimarrà un sogno, un desiderio irrealizzabile, un se fosse andata così, un ma pregno di rimpianti. Quell'anima gemella che si dispera nel vano tentativo di raggiungerlo non diverrà mai realtà, resterà un posto vuoto nei giorni che avrebbero dovuto condividere, un manto di solitudine che lo accompagnerà per sempre.
‹‹Sì›› sussurra flebile, terrorizzato da ciò che non potrà mai appartenergli davvero.
Kurama lo scruta attento, prima di tornare a baciarlo con più rabbia, incapace di farsi bastare quella menzogna.


 

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Capitolo 9
*** 9. Red eyes ***


9.
Red eyes



Occhi rossi.
Ovunque posi lo sguardo.
Una seconda pelle scomoda. Un velo di tristezza ad accompagnarli.
Non lo abbandonano mai.
Sa a chi appartengono, anche se non li ha mai visti su un viso; sono i suoi.
Lo scrutano con rimprovero, ma una scintilla d'affetto brilla nel profondo, sembrano parlargli, Anche se stai sbagliando, resteremo comunque io e te.
Vorrebbe potercisi specchiare, ammirare quel colore così insolito. Vorrebbe fossero lì, una volta finito quello strano sogno.
La bussola pesa nella sua mano destra, l'ago ha smesso di girare e punta dritto verso di loro.
Sarò io. Sarò per sempre io.

Naruto sbatte le palpebre confuso, gli ultimi rimasugli di sonno gli annebbiano la mente. Nelle orecchie ha ancora quella voce, calda, con un pizzico di malinconia.
Sarò io. Sarò per sempre io.
Mette a fuoco gli occhi scuri di fronte a sé, Kurama lo fissa indecifrabile, il suo sguardo non possiede neanche la metà della luce che ha visto nei suoi occhi. Rimangono a guardarsi in silenzio per minuti interi.
Naruto non si è minimamente accorto di aver dormito con la bussola stretta nel palmo della mano, Kurama si.

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Capitolo 10
*** 10. Incest ***


10.
Incest



Indra guarda la teca che custodisce gelosamente nelle sue stanze, la veste poggiata su due strati di seta ha perso tutto il suo candore, la brillantezza del suo colore, la stoffa si è ingiallita, rovinata in più punti, il vetro non è riuscito a proteggerla come avrebbe dovuto. Gli piacerebbe saggiarne la consistenza un'ultima volta, non ricorda più cosa si provi a indossarla, ma non può toccarla, altrimenti potrebbe sfaldarglisi fra le dita. Ha conservato quel ricordo quasi fosse un tesoro, anche se Ashura non potrà più indossarla, e si pente di aver bruciato la sua, vorrebbe tornare indietro per poterla custodire allo stesso modo.
‹‹Delle vesti nuove per i figli del capo villaggio, e sono uguali!››
Ashura l'aveva indossata con orgoglio, e il suo sorriso si era allargato quando lui aveva fatto lo stesso. Vesti uguali per i figli del capo villaggio; vesti uguali per i figli di Hagoromo; vesti uguali per dei fratelli così uniti.
Guarda la bussola poggiata sulla veste, l'ago gira a vuoto da secoli, lo odia, ma è la prova che Ashura è ancora vivo, che è ancora lui l'altra metà della sua anima. Kaguya ha maledetto il loro sangue, Hagoromo ha maledetto il loro amore, ma nulla è cambiato nel suo cuore, e nemmeno in quello di Ashura, ne è certo.
Ed è per questo che lo riavrà, a qualunque prezzo.
‹‹Il progetto è ultimato, domani inizieremo con la costruzione.››
Itachi Uchiha è un fìdia maledetto esattamente come lui, lo sente affine, guardare nei suoi occhi è come trovarsi davanti a uno specchio, le crepe che vede su di lui sono le stesse che si ritrova sulla pelle.
‹‹Andrà Sasuke, quindi? Sei certo che riuscirà a trovarlo?››
‹‹Quando la vostra bussola sarà collegata al localizzatore, Sasuke lo troverà all'istante. Sakura Haruno ha quasi completato la seconda apertura del portale, ormai è questione di giorni.››
‹‹Giorni›› ripete piano. Aspetta quel momento da talmente tanto tempo da non ricordare più quanto ne sia passato. ‹‹E quando tutto sarà finito, cosa farai con Shisui?››
Itachi lo guarda impassibile, le braccia distese lungo i fianchi, i pugni chiusi, serrati, lui i giorni li sta contando.
‹‹Lo porterò dove nessuno potrà trovarci.››
Indra accarezza il vetro liscio della teca, alle sue spalle, il viso sorridente di Ashura sembra volersi dissolvere, si volta a guardarlo e gli sorride di rimando, quasi a volerlo rassicurare.
‹‹È l'unica cosa che quelli come noi possono fare.››

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Capitolo 11
*** 11. Unfaithful ***


11.
Unfaithful



Non può essere.
Sasuke è immobile sul suo letto, fuori il buio della notte.
Non puoi farmi questo.
Il suo cuore batte impazzito, il respiro è veloce, il panico sta usurpando la ragione.
Qualcuno li sta toccando dove non dovrebbe. E lui glielo sta permettendo.
Non puoi.
Sasuke sente qualcosa farsi spazio tra le sue carni, fa male, non riesce a sopportarlo. Non riesce a capirne il perché. Si alza dal letto di scatto e chiude la porta della sua camera a chiave, non vuole che la sua famiglia lo veda, non in quello stato. Si avvicina allo specchio con gambe tremanti e si spoglia completamente, fissa con orrore un succhiotto sul collo, la forma di un morso sulla spalla. Il dolore al retto è inconfondibile. La consapevolezza è devastante, lo annienta.
‹‹Che cosa stai facendo?›› sussurra al vuoto.
La sua anima gemella, l'uomo a cui è destinato, sta facendo sesso con un altro, e lui può sentire ogni cosa sulla sua pelle. Domani avrà i segni di quella notte addosso. Si sente sporco, si odia, odia lui con tutto il suo essere.
‹‹Perché? Perché non mi hai aspettato?››
Stringe i pugni per il dolore. Non lo perdonerà. Non lo perdonerà mai.
Urla alla stanza, la furia lo travolge, lo specchio si spacca in piccoli vetri taglienti, rovescia la scrivania, il comodino, colpisce l'armadio. Non si sono ancora incontrati, ma credeva lo stesse aspettando, credeva sarebbero stati insieme una volta che fossero riusciti a trovarsi. Ci aveva sperato sul serio. Credeva in quel legame così speciale, così forte da essere diverso da tutti gli altri.
Il pugno sinistro si abbatte con tutta la sua forza contro il muro, il dolore è talmente forte che per un attimo lo acceca, rifarlo sarebbe folle, ma ripensa a tutte le cicatrici non sue, a quello che adesso sta macchiando la sua pelle e non ha pietà. Colpisce il muro ancora una volta e poi ancora, lo fa fino a fratturarsi la mano e ne gioisce.
Sente Itachi prendere a pugni la porta, pregarlo di aprire, ma non ci riesce, non vuole vederlo, non vuole vedere nessuno. Se potesse sparire, lo farebbe all'istante, senza rimpianti.
Nel frattempo il dolore al retto è sparito, è rimasto solo un lieve bruciore, segno che lui ha dovuto smettere.
Si guarda la mano, ha le nocche sbucciate e il sangue cola dalle ferite aperte, ma non gli importa, niente gli farà male quanto il dolore di quel tradimento.
Perché non mi hai aspettato?

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Capitolo 12
*** 12. Painful loneliness ***


12.
Painful loneliness
 
 
 
Dolore.
Se dovesse utilizzare una parola per descrivere quel legame, sceglierebbe senza dubbio dolore.
 
Naruto guarda la parete di fronte a sé senza vederla davvero, il suo sguardo vacuo è umido, le lacrime hanno creato una piccola chiazza sul parquet. È raggomitolato in posizione fetale da quando Kurama è andato via, abbandonandolo. La mano è incrostata di sangue, è gonfia e gli fa male, lui l’avrà fratturata per punirlo.
E se lo merita. Merita tutto quello che sta provando.
Perché non mi hai aspettato?
Sente ancora quella voce nella sua testa, così vivida da sembrare quasi reale, come se qualcuno fosse stato lì solo per dirglielo e poi si fosse dissolto nell’aria. Pensarci lo fa sentire in colpa. L’ha tradito. Non importa se non si sono ancora incontrati, se non conosce i lineamenti del suo viso, quello che ha fatto è stato tradirlo. Tradirlo con qualcuno che nemmeno ama.
Tutto quello che voleva fare era andare avanti, crogiolarsi nell’idea di riuscire a sopravvivere anche senza conoscerlo. Credeva di poter nascondere la bussola e il suo significato in un cassetto e liberarsene, ma l’unico risultato ottenuto è stato quello di aver reso quel legame insolito ancora più forte.
‹‹Scusa›› mormora al vuoto. ‹‹Mi dispiace. Non volevo ferirti.››
Vorrebbe raggiungerlo, tenerlo stretto a sé, scusarsi fino al sorgere del sole.
‹‹Mi senti? Ti prego, perdonami.››
Naruto stringe le dita della mano ferita, ne bacia le nocche insanguinate; prega che il suo messaggio arrivi. Ha bisogno che lui lo perdoni.
Ma dall’altro lato c’è solo silenzio.
‹‹Ti prego. Ti prego! Non lo farò mai più, te lo giuro! Anche se avrò ancora paura di restare da solo, non lo farò! Non starò mai più con nessun altro, quindi ti prego, ti prego.››
Naruto si rannicchia ancor più in se stesso, la pelle nuda è diventata gelida, poggia la mano ferita sul cuore e stringe le carne fino lasciare il segno delle unghie, chiude gli occhi, si concentra nel disperato tentativo di raggiungerlo.
‹‹Ti prego. Ho avuto paura. Ho avuto tanta paura di restare solo, ma adesso ho capito. Io l’ho capito quanto è forte, quanto siamo uniti.››
Se non apparterrà a lui, allora non potrà mai essere di nessun altro. Non di Kurama, non della ragazza che continua a sorridergli in mensa, non di una qualsiasi altra persona di cui potrebbe infatuarsi. Se non sarà lui, non sarà nessuno.
E se non s’incontreranno mai, allora, imparerà ad amare la sua solitudine.

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Capitolo 13
*** 13. Hajime ***


13.
Hajime
 
 
 

Toneri pose la sua ultima creazione dentro un cofanetto in legno scuro, aveva indugiato molto nel farlo, conscio di cosa sarebbe accaduto una volta consegnata, ma alla fine non aveva potuto fare altrimenti; non importava quale fosse il suo pensiero, ogni bussola doveva raggiungere il proprio proprietario.
«Spezzerai i loro cuori» sussurrò rivolto all’oggetto.
Accarezzò il vetro con l’indice, l’ago era ancora immobile, in attesa che Ashura finalmente nascesse. Donargliela avrebbe rovinato la sua vita fin dal primo respiro, e avrebbe distrutto anche quella di Indra, trascinando in quel vortice Hagoromo e sua moglie.
Non posso fare niente, eppure sono io che l’ho creata.
«Crucciarti a quel modo non cambierà le cose» disse Hamura entrando nella stanza.
Toneri si voltò per pochi istanti a guardarlo, poi il suo sguardo si posò ancora sulla bussola. Non pensarci gli era impossibile, si sentiva responsabile per quello che sarebbe accaduto, per il dolore che quel dono avrebbe causato.
«E se non la consegnassi?» chiese con un pizzico di speranza nella voce.
Hamura gli mise una mano sulla spalla, i suoi occhi pallidi erano bui come quelli del nipote.
«Kaguya troverebbe comunque un modo per torturarli. La sua è una vendetta feroce, è convinta di essere stata tradita e non si fermerà finché non avrà ferito Hagoromo e tutta la sua famiglia.»
«Odia gli umani a tal punto? È suo figlio e loro sono i suoi nipoti, come può arrivare a tanto?»
Hamura chiuse il cofanetto lisciandone gli intagli, il ricordo degli occhi pieni d’odio di sua madre era ancora vivido nei ricordi, come se fosse passato un solo giorno invece di tre anni.
«Quando mio padre la tradì con un’umana, il suo cuore divenne pietra, non fu più la stessa nemmeno con me e mio fratello. Tutto l’amore che l’aveva sempre resa dolce e amorevole, la trasformò in ciò che è adesso, un essere nutrito da odio e rancore capace di maledire la sua stessa progenie.»
Toneri guardò la Terra dalla finestra, adorava farlo, la maggior parte delle bussole terrestri provenivano dalle sue mani, erano sue creazioni. Pensare alle anime gemelle riunite grazie al suo lavoro lo aveva sempre fatto sentire bene, grato di avere un tale potere, ma con la bussola di Ashura provava solo un infinito sconforto.
«Hagoromo doveva saperlo» disse. «Doveva sapere che qualcosa di terribile sarebbe accaduto se avesse sposato una terrestre, quindi perché?»
«Per lo stesso motivo per cui dobbiamo consegnare questa bussola, non si possono dividere le anime gemelle, neanche se si tratta di due fratelli dall’anima maledetta.»

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Capitolo 14
*** 14. Owari Pt. 1 ***


14.
Owari
Pt. 1
 

 
La mano di Ashura attorno al suo polso era rovente, le sue dita grandi stringevano forte, il palmo pieno di calli fastidiosi sembrava incollarsi perfettamente alla sua pelle; gli stava facendo male, ma non glielo avrebbe mai detto. Sentiva il suo cuore battere nelle orecchie, galoppava folle stremato dalla corsa e dall’idea di essere rinchiuso in uno stanzino con il fratello – e il suo fiato sul viso non aiutava di certo. Non avrebbero dovuto trovarsi lì, così stretti l’uno all’altro, con i loro odori a mischiarsi in quel luogo angusto.
«Che cosa credevi di fare?»
La voce di Ashura gli arrivò dritta all’inguine, bassa, roca, ancora ansante.
Indra tentò di appiattirsi al muro, di diventare tutt’uno con il legno per nascondere quell’ignobile segreto che andava ad ingrossarsi sempre più.
«Non so di cosa parli.»
Ashura gli prese il viso fra le mani per costringerlo a guardarlo negli occhi, il suo sguardo sembrava più preoccupato che arrabbiato, ma la cosa peggiore era che non poteva più guardarlo dall’alto, adesso erano faccia a faccia e non poteva sfuggirgli. Non più.
«Quel serpente vicino Chihiro, eri tu, vero? Stavi per morderla, perché?»
Il suo tono di voce era calmo, Indra non riuscì a captare nessun rimprovero, nessuna rabbia, solo una leggera nota di preoccupazione, ma non per lei.
«Non ero io» gli rispose gelido. «Non ho alcun motivo per ucciderla.»
A parte il fatto che dovrai sposarla.
Ashura gli accarezzò le guance con i pollici, il suo sguardo si fece triste e un sorriso amaro disegnò le sue labbra, poggiò la fronte sulla sua e sospirò stanco. Indra tentò in ogni modo di non lasciarsi sopraffare, di sopprimere quell’istinto che continuava a spingerlo verso il fratello. Era sbagliato. Impensabile. I suoi sentimenti sarebbero stati orrore puro per chiunque.
«Uccidi me» sussurrò Ashura sulle sue labbra, lasciandolo sbigottito. «Se il tuo odio e il tuo dolore sono così grandi, lascia che io me ne faccia carico. Uccidi me e tutto questo avrà fine.»
Indra trattenne il fiato, i suoi occhi si spalancarono increduli. Capì che Ashura doveva sapere, doveva aver scoperto il suo immondo segreto, quel desiderio oscuro e profondo di possederlo, farlo suo, rapirlo e nasconderlo al resto dell’universo. Ashura doveva aver capito quanto fosse disgustoso e repellente.
Ed era comunque lì con lui, così vicino, pelle contro pelle, disposto persino a morire pur di far cessare quel tormento. Provava pena per lui? Pensava di aiutarlo scomparendo dalla sua vita?
Perché? Perché faresti questo per me?
Gli afferrò i polsi con mani tremanti, lo sguardo basso, l’animo a pezzi, distrutto, e lo allontanò da sé spingendolo verso la parete apposta; aveva bisogno d’aria. Ashura si lasciò spostare fino a poggiare la schiena contro gli scaffali, ma non smise nemmeno per un istante di guardarlo, Indra poteva sentire il suo sguardo bruciargli il viso, ma con che coraggio sarebbe riuscito ad alzare gli occhi dal pavimento?
«Moriresti per me? Perché? La tua vita vale mille volte più della mia. L’avrei uccisa, se tu non mi avessi visto, e ucciderei chiunque ti si avvicinasse. Dovrei essere io a morire» disse a denti stretti, pieno di frustrazione. «Tu non conosci i miei desideri, non sai quanto vorrei… quanto io desideri…»
Sbatté un pugno contro il muro facendo cadere delle scatole sul pavimento, incapace di continuare a dar voce alla verità. Dopotutto, come avrebbe potuto confessargli i suoi sentimenti? Il sangue che scorreva nelle loro vene era uguale, così come erano uguali i loro occhi, il colore dei capelli, le loro espressioni quando qualcosa li sorprendeva e tante altre cose che adesso avevano solo il potere di ferirlo.
Non voleva essere suo fratello.
Ashura fece un passo avanti azzerando nuovamente la distanza, gli poggiò una mano sul viso, tremava anche lui.
«Quanto desideri chi?» gli chiese. «Dimmelo. Dimmelo e lo avrai. Avrai qualsiasi cosa.»
Indra alzò gli occhi per incontrare i suoi, non c’era traccia di paura nel suo sguardo, solo determinazione, fiducia, speranza. Speranza che si accese anche in lui quando si rese conto di ciò che Ashura intendeva.
«Non puoi dirlo davvero.»
«Perché non dovrei? È quello che provo. Voglio che tu sia felice, voglio che tu abbia tutto quello che desideri.»
«E se volessi te?» gli rispose con rabbia, tentando di celare la paura. «Se volessi averti, qui e ora, saresti disposto a concerti a me? A tuo fratello?»
Ashura gli sorrise triste e gli si avvicinò quel tanto da essere ad un soffio dalle sue labbra.
«Non l’hai ancora capito, Indra
Indra provò l’irrefrenabile impulso di baciarlo, gli sarebbe bastato allungare il collo e finalmente avrebbe saggiato il sapore di quella bocca, ma il corpo gli divenne piombo, il terrore di fare la mossa sbagliata lo paralizzò. Esisteva ancora una piccola parte di lui che guardava Ashura nel modo giusto, come il suo fratellino, il bambino che gli correva incontro quando tornava a casa, lo stesso a cui aveva insegnato a pescare e cacciare, lo stesso che aveva cresciuto con amore, seguendolo dai primi passi fino a quel momento. Sporgersi, avrebbe significato sporcare quei ricordi, infettare Ashura con dei sentimenti che non sarebbero dovuti esistere.
«Hai sempre creduto di essere più bravo di me a mentire» continuò Ashura piano. «Ma non è così. In tutti questi anni non ti sei mai accorto che sono innamorato di te, e che ho pregato e sperato di non essere davvero tuo fratello, perché io vorrei tanto, tanto averti solo per me.»
Indra gli afferrò i fianchi con forza e se lo spinse addosso facendo cozzare i loro corpi. Non avrebbero avuto un’altra possibilità come quella, rinunciare o lanciarsi, dovevano solo scegliere.
«Non ti permetterò di tirarti indietro» gli rispose. «Nemmeno se Hagoromo decidesse di distruggere questo mondo per punirci. Se ti avrò adesso, ti avrò per sempre.»
Ashura lo guardò dritto negli occhi e gli sorrise, il tremore delle sue mani cessò.
«Sono tuo da tutta la vita» gli disse prima di baciarlo.
 
 

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Capitolo 15
*** 15. Non lasciarmi andare ***


15.
Non lasciarmi andare
 
 
 
La chiave sbatte violenta contro il muro, il rumore crea un eco che si disperde nel laboratorio.
Shisui si toglie i guanti da lavoro con rabbia, li getta a terra, la coda non smette di muoversi, colpisce tutto ciò che gli capita a tiro. Se potesse fare Sasuke a pezzi, lo farebbe. È furioso al punto da colpirlo forte sullo zigomo; non l’hai mai fatto prima, ma la sensazione è appagante.
Sasuke barcolla all’indietro sorpreso, ma non cade, i suoi piedi restano saldamente piantati a terra. Shisui lo prende per il colletto, lo strattona, vuole colpirlo ancora, ma una voce nella sua testa – troppo simile a quella di Itachi – lo blocca.
«Abbiamo rinunciato a tutto per te» ringhia a denti stretti. «Saremmo potuti fuggire da questo maledetto posto anni fa, ma per te, per te, maledizione, ci abbiamo rinunciato.»
Il cugino rimane in silenzio a fissarlo ostile, i suoi occhi lampeggiano ira. Vorrebbe colpirlo fino a farlo svenire, ha rinunciato alla felicità a causa sua, per non lasciarlo solo, e adesso tutto è diventato inutile.
«Tu salirai su quella fottuta navicella, troverai Naruto e metterai fine a questa storia.»
«Lui mi ha tradito» sussurra Sasuke pieno di vergogna.
Shisui lo guarda con gli occhi sgranati, sente di star perdendo il controllo, ha superato ogni limite sopportabile e adesso non ce la fa più. Urla di rabbia mentre lo colpisce ancora una volta. Ha gettato al vento ogni possibilità di essere felice, accontentandosi di sguardi fugaci, tocchi lievi e occhi pieni di rimpianto, tutto per rimanere al fianco di Itachi a aiutarlo, e ora il suo piccolo mondo sta andando in pezzi; Sasuke non può rendere quel dolore vano.
«Tu non lo sai! Tu non sai niente del tradimento!» le sue urla rimbombano tra le mura.
Sasuke riesce a sgusciare dalla sua presa, si allontana, ha il naso rotto e il sangue gocciola copioso, il suo sguardo ha perso ostilità, ma non riesce a decifrarlo, è troppo arrabbiato e stanco per provarci.
«Tu non sai niente» ripete più piano. «Sei solo un moccioso attaccato alla sottana del fratello, sempre troppo occupato a pensare a te stesso per renderti conto che le persone che ti circondano hanno dei sentimenti. Naruto ti ha tradito, dici? E chi è Naruto? Che faccia ha? Che cosa ama? Che cosa odia? E tu chi sei per lui? Non conosce nemmeno il tuo nome! Non sai niente di lui, così come lui non sa nulla di te. Non sa nemmeno se v’incontrerete mai o se vivrà abbastanza per riuscirci, eppure tu lo accusi di averti tradito. Lo punisci con il tuo silenzio, respingi ogni contatto, e vieni qui a dirmi di non voler partire. Sei venuto da me, da me!» urla ancora.
Sente il dolore di quegli anni gravargli addosso come un macigno di cui non si libererà mai, il peso lo schiaccia, lo spinge verso un fondo da cui non riuscirà a risalire. Si sta preparando a morire, e ogni passo lo avvicina sempre più alla fine. Se Sasuke non partirà, la sua vita, le sue scelte, la sua sofferenza, non avranno avuto senso.
«Tu non sai cosa vuol dire guardare ogni giorno la persona che ami, averla vicina, senza poterla mai toccare. Non hai idea di cosa si provi a essere respinti perché prima viene qualcun altro. Non sai come ti corrode l’anima sapere che un’altra potrà averlo, anche se tu sei lì, a pochi passi da lui. Non sai niente. E se credi di poter torturare Naruto in questo modo, ti sbagli. Non ne hai alcun diritto. Quel ragazzo ha una vita, una vita in cui tu sei solo una sensazione sulla pelle, una vita in cui qualcuno lo ama, lo tocca, lo vive. Una vita in cui tu non sei niente, quindi come puoi parlare di tradimento?»
Sasuke tenta di avvicinarsi, i suoi occhi sono lucidi, Shisui non è sicuro se sia solo per il dolore al naso o perché abbia finalmente capito, ma non gli permette di toccarlo, è ancora troppo arrabbiato, troppo ferito.
«Va’ da lui. Se davvero vuoi che sia tuo, allora cercalo, trovalo, fagli capire che vuoi conoscerlo, che è importante! Altrimenti tutto quello che abbiamo passato non varrà nulla, e ti assicuro che col tempo ti pentiresti di non averlo fatto, di non essere partito, di non aver cercato un modo per essere felice insieme a lui.»
Sasuke lo guarda come se stesse per andare in pezzi da un momento all’altro, si avvicina cauto, quasi avesse paura di vederlo rompersi.
«Itachi non la ama» gli dice sicuro. «Non l’amerà mai.»
Shisui lascia che una lacrima sfugga la suo controllo, ha smesso di urlare, ma il suo cuore no, si dispera ancora con più intensità.
«Ma quando la sposerà, io morirò.»

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Capitolo 16
*** 16. Illusione ***


16. Illusione
 
 
 
«Perché mi hai mentito?»
La domanda di Naruto è un sussurro lieve in mezzo al frastuono del temporale, nasconde un’accusa più grande, a tratti straziante, che solo il successivo silenzio può urlare.
Perché hai permesso che ci credessi?
Kurama lo guarda tremare come uno foglia, zuppo di pioggia dalla testa ai piedi, gli occhi acquosi al limite del pianto, le labbra serrate a trattenere il fiato per la rabbia. Vorrebbe abbracciarlo, chiedergli perdono, spiegargli che quell’ago puntato a ovest non significa niente, che quella persona non sarà mai importante tanto quanto lui. Ma non può.
«Avevi detto che nemmeno la tua bussola funzionava. Avevi detto di capirmi, di sapere come ci si sente!»
Le sue parole sono lame affilate piantate dritte nel cuore, ricordi di bugie su bugie dette solo per avvicinarlo, per dargli un pretesto in più per sceglierlo, per preferirlo a quella sensazione sulla pelle troppo lontana per essere considerata reale.
Non lo incontrerai mai. Resta con me.
Quello che vorrebbe dirgli – lo sa, adesso l’ha capito – potrebbe solo ferirlo. Confessargli di amarlo non è contemplato. L’unica cosa che Naruto vuole, desidera, anela è lui, quell’incognita introvabile che crede essere l’altra parte di se stesso. Non importa cosa o chi incontrerà durante il suo cammino, quanto amore rifiuterà, quanti cuori spezzerà, Naruto avrà occhi solo e per sempre per la sua bussola rotta.
«Perché mi hai mentito?» sente ripetere da quella voce fievole, così diversa dai toni allegri a cui è abituato.
Guarda le lacrime bagnargli le guance, se potesse le asciugherebbe con tutti i baci che non avrà la possibilità di dargli; se potesse distruggerebbe quelle bussole per costringerlo a vedere la verità. Ma il tempo d’illudersi è finito. Non c’è posto per lui nella vita che Naruto sogna.
Kurama sposta lo sguardo fuori dalla finestra, l’odore della pioggia ha coperto quello del sole, o forse è lui a non volerlo sentire.
«Che importanza ha?» gli risponde fingendo indifferenza. «È finita comunque.»

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Capitolo 17
*** 17. Invisibile ***


17.
Invisibile
 
 
 
 
Kathréptis è una verde distesa di quiete, l’alba ne ravviva i colori e annuncia l’imminente risveglio della vita. Indra guarda la capitale illuminarsi pian piano, gli edifici scuri brillare al sorgere del pallido sole, il cielo diventare tenue smeraldo; vede il mare, scuro petrolio, segnare l’orizzonte, mentre la giungla si anima e i piccoli villaggi iniziano un nuovo giorno.
Un punto luminoso di una vasta galassia, un pianeta distante anni luce dal luogo a cui appartiene, la sua gabbia dorata, l’esilio imposto come regalo d’addio, ecco cos’è Kathréptis, il suo regno nell’Universo.
«Chiedo scusa per i problemi che ho causato, non si ripeterà.»
Sasuke tiene il capo chino, i capelli gli sono cresciuti davvero molto dall’ultima volta che l’ha chiamato nelle sue stanze, è più alto, più robusto, diventerà presto un adulto.
«Shisui ti ha dato proprio un bel pugno» gli risponde guardandolo, evitando di sorridere divertito.
Sasuke si rimette lentamente dritto, ha le orecchie rosse e un’espressione imbarazzata sul viso. Se Ashura fosse stato lì, gli avrebbe dato una poderosa pacca sulle spalle e avrebbe riso di gusto tentando in ogni modo di metterlo a suo agio, ma c’è solo lui in quella grande stanza vuota, e non sfiora qualcuno da troppo tempo.
«Partirai, dunque?» gli chiede quieto.
«Sì» è la risposta secca, decisa.
Ashura, alle spalle di Sasuke, sorride compiaciuto, sembra dirgli Te l’avevo detto. Indra resiste all’impulso di scuotere la testa e roteare gli occhi, come quando era un ragazzino, ma permette alle sue labbra di incurvarsi verso l’alto. Se sarà Sasuke a partire, qualcun altro potrà finalmente trovare un modo per essere felice.
«Era quello che speravo. Adesso vai, Madara e Obito ti aspettano per iniziare l’addestramento.»
Sasuke china di nuovo il capo in un movimento elegante ed esce dalla stanza in silenzio, richiudendosi la porta alle spalle.
Indra aspetta di non sentire più i suoi passi nel corridoio, e lento si avvicina ad Ashura, lo guarda, il suo sorriso è ancora lì, fermo, statico sulle sue labbra, rassicurante, ma anche lontano, talmente lontano da non essere più sicuro di saperlo riconoscere. I suoi zigomi si sollevavano in quel modo? Era quella la luce che albergava nei suoi occhi?
Ha paura di dimenticarlo, di confondere i ricordi con l’immaginazione. Ha paura di non essere più capace di ricordare la sua voce, il suono della sua risata. E che sapore avevano i suoi baci? Quelli si sono persi nel tempo, lasciandogli solo il gusto amaro delle cose dimenticate.
E se non riuscisse a raggiungerlo? Se il suo piano fallisse e non avesse altro che quel quadro per ricordarlo? Che cosa ne sarebbe di lui a quel punto? Della sua vita a metà?
Sfiora con l’indice i contorni di quel viso amato. Si chiede se in tutti quegli anni sia cambiato, se ci sia qualcosa di diverso nei lineamenti che lo hanno accompagnato fino a quel momento. S’innamorerà di lui ancora una volta o sarà come se fosse passato un solo giorno dal loro addio?
Vorrebbe averlo tra le braccia, adesso, proprio in questo istante. Vorrebbe abbracciarlo così forte da potersi fondere con lui, unire ogni organo, nervo, osso, lembo di pelle solo per non doversi più separare; non gli importerebbe di perdere il suo corpo, gli basterebbe sapere di non doverlo più lasciare.
«Vorrei che tu fossi qui.»
Le sue mani gelide si posano su quelle dipinte, il ricordo del calore del suo corpo è andato perduto per sempre, gli è solo rimasto il freddo dell’assenza, del posto vuoto al suo fianco. Lo stesso freddo che sente nel cuore da quando è stato costretto all’esilio.
«Vorrei che tu fossi qui» ripete a quegli occhi allegri che lo guardano dal passato. «Vorrei poterti bac-»
Il respiro si mozza in gola, gli occhi si spalancano, un meraviglioso calore gli scalda la guancia destra, sente un tocco lieve su di essa. Un dolce torpore che credeva non avrebbe più percepito.
«Ashura?» domanda incredulo, la voce ridotta a un lieve tremolio.
Esitante poggia una mano sulla guancia sinistra, la paura e l’aspettativa gli attanagliano lo stomaco, lo sta immaginando o è reale? Una stretta al polso destro gli fa cedere le ginocchia. E lì, lo sente.
«Ashura» pronuncia sicuro, il cuore in tempesta. «Ashura. Posso sentirti. Sei qui.»
Indra si abbraccia, conficca le unghie nella carne fino a farsi male, Ti prego, dimmi che è vero. Un dolore simile lo attraversa in punti vicini alle sue mani, ma quelle unghie che sente non sono le sue.
Sorride, tra le lacrime che bagnano il suo viso.
«Verrò a prenderti» promette.
 
 
Dall’altra parte di quell’abbraccio invisibile, Ashura è in ginocchio sull’erba gelida, sorride come in un quadro a una vita di distanza da lì.
«Ti aspetterò» sussurra al vento.

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Capitolo 18
*** 18. Puttana ***


18.
Puttana
 
 
 
Lo straccio bagnato assorbe il colore degli insulti, ne distorce le linee sprezzanti fino a cancellarle, ridona forma al banco trasformato in tavolozza del disgusto.
Naruto accarezza il legno umido, l’acqua ha lavato via lo sporco, il segno di quelle matite sprezzanti, ma le macchie indelebili del suo cuore rimarranno dove sono.
Puttana.
Lo sente sussurrare nei corridoi al suo passaggio, è la parola legata al suo nome, come se d’un tratto avesse smesso di essere il compagno di classe rumoroso, il giocatore migliore della squadra di basket, il ragazzo con la passione per il giardinaggio e fosse diventato soltanto Narutolaputtana, il ladro di destini, quello che ha cercato di rubare l’anima gemella di qualcun altro perché possiede una bussola rotta.
Chissà chi sarà il prossimo.
Chissà con chi ci proverà adesso.
Maligne, instancabili, le voci girano, lo raggiungono e lo colpiscono.
E Kurama non è altro che la sua vittima, sedotto e poi gettato via perché non abbastanza o forse per semplice noia e voglia di passare a qualcun altro.
«La sua bussola funziona, perché avrebbe dovuto volerti?»
«Gli hai allargato le gambe finché non ha ceduto.»
Matatabi con i suoi occhi ciechi e le orecchie sorde. Non importa quante volte Kurama l’allontani o la insulti, lei non smetterà di sperare che un giorno le rivolga un sorriso, scaricando su di lui la colpa di ogni rifiuto.
«Sparisci! Devi sparire!»
Sparisci.
Sparisci.
Sparisci.
È quello che vorrebbe. Smettere di esistere per non sentire più quelle voci e il dolore che provocano.
«Ma farei male anche a te, non è vero?»
Naruto accarezza la cicatrice al braccio, sorride nel farlo, e poco dopo sente la sensazione familiare di lui che si muove sotto la sua pelle.
«Non lo farò» sussurra. «Non farò niente di stupido.»
Getta lo straccio sporco nel secchio e guarda il banco immacolato, domani ci saranno nuovi insulti, altri puttana scritti di fretta e con una grafia storta, ma ha promesso di aspettarlo e non si rimangerà la parola data.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** 19. Run! ***


19.
Run!
 
 

 
L’erba su cui è sdraiato è fresca, i suoi fili accarezzano la pelle accaldata. La quiete di quel pomeriggio soleggiato lo coccola e lo trascina in un dolce torpore da cui non vuole separarsi. Naruto – ancora troppo lontano – è con lui, stringe la sua mano con forza, talmente tanta da far arrivare il suo calore fin lì.
Ti aspetto.
La sua voce è solo un’eco nella mente, ma da qualche tempo riesce a sentirla così spesso da credere non sia più solo una fantasia. Il loro legame sta cambiando, lo sente talmente vicino che alle volte si convince di poterlo toccare solo allungano una mano. Nessuno riuscirà mai a comprendere come sia possibile un tale miracolo, ma non gli importa, non più, ha smesso da tempo di chiedersi perché, l’unica cosa che vuole è raggiungerlo al più presto. Desidera scoprire quale sfumatura di blu nascondano i suoi occhi, e se i suoi capelli siano dello stesso colore del sole.
Ed io che impressione ti farò?
Sospira, beandosi della tranquillità di quel momento, finché qualcosa non disturba la sua ritrovata serenità.
«Sasuke!»
La voce di Obito è uno strillo fastidioso piantato nelle orecchie.
«Sasuke, muoviti.»
Quella di Madara un’allucinazione - deve esserlo.
Sasuke chiude gli occhi, li strizza, tenta di rimanere ancorato alla stretta di Naruto, allontana qualunque altra voce che non sia la sua, ma… Qualcuno lo sfiora con la punta del piede.
«Che c’è?» sbotta seccato, aprendo gli occhi.
Sakura è sopra di lui, lo scruta con aria annoiata dietro gli occhiali, tra le mani tiene il taccuino da cui non si separa mai.
«Credevo fossi morto» gli dice sospirando. «Il tuo corpo non è forte abbastanza, torna ad allenarti.»
L’occhiataccia che le lancia è eloquente, ma lei non sembra curarsene perché ha ragione – e lo sanno entrambi. Sbuffa seccato distogliendo lo sguardo, il suo momento di pace è andato distrutto ed è ancora stanco, ma si alza. C’è Naruto che lo tiene per mano, ed è per lui che ricomincia a correre.
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** 20. A new life ***


20.
A new life
 
 
 
«Naruto, per favore, rispondi. È la quinta volta che ti chiamo.
Non sono stato io a mettere in giro quelle voci, non ti avrei mai fatto questo.
Non so ancora chi sia stato, ma lo scoprirò.
Richiamami.»
 
«Ho saputo che vai via.
Hai intenzione di partire senza neanche salutarmi?
Matatabi ha detto di averci visti qualche settimana fa, è stata lei.
Naruto, li farò smettere, non andartene.»
 
«Scegli da solo con chi passare la vita.»
 
 
Naruto tiene lo sguardo basso, sulle labbra si è disegnato un broncio indignato, e i capelli sono più spettinati del solito. La nuova uniforme lo rattrista, il blu della giacca è troppo scuro, il nero dei pantaloni è un insulto al suo carattere esuberante, e la cravatta gli sembra più un cappio, ma «È il tuo primo giorno, devi fare buona impressione!». Resisterà due giorni vestito in quel modo, poi la preside dovrà rassegnarsi.
Guarda il nuovo cellulare dalla sfavillante cover arancione, sua madre e suo padre sorridono abbracciandolo nella nuova casa a Konoha, mentre lui si lascia stringere sopraffatto, non sa nemmeno come abbia fatto a non urlare durante lo scatto di quella fotografia.
È colpa mia se ci siamo trasferiti, avrebbe voluto dirgli, Smettetela di fingere che vada bene.
Il pianto di sua madre non lo dimenticherà mai, né lo sguardo rammaricato di suo padre. Li ha costretti a fuggire, a sradicare la loro intera vita per un suo errore.
Non riuscirà a perdonarselo.
«Namikaze?»
Un uomo dai capelli grigi e il volto coperto da una sciarpa gli sorride rassicurante, sarà il suo nuovo insegnante da quel giorno in avanti.
«Puoi entrare. Vieni a presentarti.»
Naruto ha il cuore in gola, non è mai stato il “nuovo arrivato”, ha paura di non riuscire a ricominciare, di deludere i suoi genitori ancora una volta. Ha paura che quelle voci lo raggiungano fin lì, che Kurama rintracci il suo nuovo indirizzo e cerchi d’incontrarlo; non ha più neanche la forza di sentire la sua voce.
Dimenticare.
Ricominciare.
Aspettare che lui arrivi.
Sono queste le cose che vuole adesso, ma non sa se ce la farà.
Entra in classe con gli occhi bassi, sente su di sé gli sguardi curiosi degli altri ragazzi. E se lo scoprissero? Se sapessero cos’ha fatto?
Puttana.
Non lo è, non lo è mai stato, in cuor suo lo sa, ma gli altri? Cosa diranno questi sconosciuti? Cosa penseranno di lui quando scopriranno di Kurama?
Chiude gli occhi, prende un respiro profondo.
Svuota la mente. È stato un errore. Non possono condannarti per sempre. Non lo scopriranno.
Alza il viso e guarda i sorrisi incerti, piccole speranze di nuove e durature amicizie. Può farcela, deve solo provarci e abbandonare quel terrore una volta per tutte. Sorride imbarazzato, gli angoli delle labbra che spingono per tornare giù.
Naruto.
Poi lo sente, forte, sotto la pelle, una carezza calda che scioglie i muscoli. Lui non lo sa cosa stia accadendo, ma deve aver percepito i suoi timori, e ancora una volta è pronto a stare al suo fianco. Lo sarà per sempre.
Naruto amplia il sorriso senza nemmeno accorgersene, i suoi occhi s’illuminano come in una giornata d’estate. Riprendere in mano la sua vita sarà un’impresa, alcuni pezzi del suo cuore sono troppi sbriciolati per poter essere riparati, ma ha una possibilità e vuole sfruttarla, a partire da adesso.
Guarda i suoi nuovi compagni con determinazione, lui è lì, a una vita di distanza.
«Ciao a tutti. Mi chiamo Naruto Namikaze, ho sedici anni e vengo da Uzu. Mi piace giocare a basket, amo il ramen, soprattutto se mi viene offerto, e odio dover aspettare quei tre minuti dopo aver versato l’acqua calda nel ramen in scatola. Non so ancora cosa farò dopo il diploma, ma ho un sogno, anche se non so se riuscirò mai a realizzarlo, vorrei incontrare la mia anima gemella.»

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Capitolo 21
*** 21. Altri mille anni senza di te ***


21.
Altri mille anni senza te
 
 
 
Ashura stringe i denti fino a sentirli stridere, cammina sui vetri rotti e il muro a cui si è appoggiato è cosparso di schegge appuntite. Il suo corpo si sta svegliando a fatica, i muscoli non reggono il peso del corpo, le ossa sembrano arrugginite, scricchiolano ad ogni movimento. Alzarsi dal letto è dolore, camminare un tormento, la testa pesa come un macigno ed i ricordi sono instanti sfocati che non riesce a trattenere, sfuggono dalle sue mani non appena tenta di afferrarli.
Un sonno lungo mille anni lo ha deteriorato nel corpo e nello spirito, ma da quando ha aperto gli occhi ha avuto una sola certezza:
Indra.
Invoca il suo nome dall’istante in cui si è svegliato, le sillabe esplodono dentro la sua testa in urla disperate, ma dalla sua bocca, per quanto ci provi, non esce alcun suono.
Indra è vivo, lo ha percepito per pochi attimi, ha sentito le sue dita stringere la carne debole fino a fargli male, ma il dolore è stato un dolce calvario a cui non avrebbe voluto sottrarsi. Duemila anni senza poterlo sfiorare, vedere, avere, mentre l’universo continuava a correre senza di lui, prima rinchiuso in una gabbia dorata e poi esiliato in un sonno senza sogni, colpevole di aver amato il suo stesso sangue. Scacciato, umiliato, torturato dalla solitudine per aver amato Indra e per essere stato ricambiato senza rimpianti.
Ashura si trascina fino alla porta, la apre piano, stringendo la maniglia con la poca forza rimastagli, è una cosa che fa ogni giorno per imparare di nuovo a camminare, a vivere. Ma il peso di quella punizione continua a schiacciarlo, lo spinge verso il basso, gli urla Piegati e soccombi! Chiedi perdono per il tuo peccato! con la voce di suo padre, colui che per condanna ha scelto di spaccare la sua anima in due, legando il suo corpo a quel luogo sperduto.
Una parte di me rimarrà per sempre con Indra, non potrai mai cambiare questo fatto.
Fuori, il sole estivo illumina il prato rigoglioso dell’angolo di universo in cui è stato nascosto. Non sa dove si trovi, come e quanto sia cambiato il mondo, ma non è rilevante, l’aria fresca che gli accarezza il viso lo è, perché gli ricorda di essere ancora vivo.
Dove sei?
I contorni del suo viso sono sfocati, i suoi occhi scuri si sono trasformati in buchi neri capaci d’inghiottirlo, e la sua voce è un eco indistinto troppo lontano. Dimenticherà il suo viso con il passare del tempo? Smetterà di amarlo, e suo padre avrà vinto, o morirà di dolore?
Potrò mai rivederti? Riusciremo a rincontrarci? Passeranno altri mille anni?
Ashura lascia che le ginocchia cedano e si scontrino con l’erba fresca, gli manca il fiato, un urlo muto gli ostruisce la trachea. Si porta le mani alla gola terrorizzato, si graffia la pelle alla disperata ricerca di un modo per creare uno squarcio, spalanca la bocca; gli occhi sono ricolmi di lacrime.
Sono la paura e il dolore a controllarlo ormai, l’idea di non rivederlo mai più.
Indra. Indra. Indra.
Lo vede in cima ad una collina, il volto una macchia indistinta, le braccia spalancate per prenderlo in braccio, è ancora un bambino, lo sono entrambi. È il primo ricordo che ha di lui, quel sorriso…
Altri mille anni?
Il cuore è tachicardico, i polmoni bruciano, cercano ossigeno, cercano l’aria che da duemila anni è dispersa chissà dove.
«Domani t’insegnerò a cacciare.»
«Devi migliorare, fai ancora un sacco di errori.»
«Chihiro è innamorata di te.»
«Ti proteggerò, lo sai.»
«Quello che desidero è troppo…»
«Che razza di fratello ti farebbe questo?»
«Se sarai mio adesso, lo sarai per sempre.»
I ricordi si muovono in circolo, non gli danno tregua. Indra ha radici profonde, con le quali stringe la sua anima fino a non capire dove si trovi il punto di separazione; dove finisce Indra? Dove inizia lui?
La morte è una prospettiva migliore della solitudine.
Trovami. Non lasciarmi.
Il suo mondo non ha mai imparato a muoversi senza di lui, non lo imparerà mai, ed è per questo che non sopravvivrà.
Non vivrò altri mille anni senza di te!
«Indra!»
E adesso come allora, il nome del fratello amato è la sua prima parola.

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Capitolo 22
*** 22. A lie to survive ***


22.
A lie to survive
 
 
 
«Cosa farai?»
L’alba illuminò la montagna e il villaggio ai suoi piedi, il vento mosse i lunghi capelli castani, permettendogli di assaporarne l’odore.
«Vivrò, finché non sarà giunto il momento di raggiungerti.»
«Cerchiamo di fare le cose per bene la prossima volta, niente coda d’accordo?»
La sua risata si espanse nell’aria.
Madara sorrise, avrebbe ricordato quel sogno per tutta la vita.
«Niente coda, la prossima volta» concesse.
La prossima volta, nella prossima vita.
Inspirò a pieni polmoni, Hashirama profumava di bosco.
 
 
Madara rigira fra le mani la sua bussola malconcia, il vetro ha una crepa sul lato sinistro, taglia l’ovest in due metà perfette, e l’ago è storto, arrugginito, non gira e non ha più alcuna direzione da indicare.
Non c’è nessuno, là fuori, dall’altra parte del filo.
Sasuke, seduto al suo fianco, ascolta paziente il suo silenzio e ha lo sguardo fisso sulla sua bussola inutilizzabile, perché Obito-boccalarga non sa farsi gli affari suoi. In realtà la colpa è anche sua, che non ha ancora smesso di portarsi dietro quel prezioso rottame, ma come potrebbe? È l’unico vero ricordo che gli è rimasto.
Anch’io avevo un legame.
«Si chiamava Hashirama» dice a voce bassa.
Era uno stupido con la risata da idiota.
Aveva la faccia da idiota.
E si deprimeva senza un motivo.
Era bellissimo.
«Non so quasi nulla di lui, l’ho incontrato soltanto una volta in un sogno, il giorno in cui è morto.»
Sasuke non si muove, ma può vedere le sue labbra schiudersi per lo stupore, ed è per quello che smette di guardarlo, non vuole essere visto in quel modo, lui non è una povera anima in pena, non lo è mai stato, perché il destino non gli ha concesso nemmeno quello.
Non l’ha mai conosciuto, per cui non l’ha mai amato abbastanza da poter sentire la sua mancanza.
«Mi ha parlato un po’ di sé, del suo villaggio, di sua moglie e dei suoi figli, della nipote che non avrebbe visto crescere. Io non avevo molto da dirgli, lui invece non smetteva di parlare.»
«Avrei voluto conoscerti, ho vissuto sperando di vederti entrare dalla porta di casa, o anche dalla finestra, mi sarebbe andato bene tutto.»
«Sei stato al mio fianco ogni giorno della mia vita.»
«Anche se questa è la prima volta che ci vediamo, ti conosco meglio di chiunque altro.»
«Ti amo, Madara.»
Sasuke strinse la sua bussola dall’ago instancabile tra le dita, e Madara lo invidiò, lui stava per avere quella possibilità per cui aveva pregato per anni, prima di arrendersi al fatto che non sarebbe mai riuscito ad andare sulla Terra. Le navicelle erano ancora in fase sperimentale e «È troppo lontano, ci vorranno anni prima di riuscire a progettare qualcosa che possa arrivare fin lì», ma quegli anni si erano trasformati in troppo tardi.
«Obito ha detto che potevi percepirlo in maniera diversa dagli altri, come me con Naruto. Hai mai capito come fosse possibile?»
Madara rimette la bussola in tasca, il suo peso è confortante, gli ricorda tutte le cose che non ha potuto avere, ma che potrebbe ottenere una volta finita quella vita.
La prossima volta.
«Più si è lontani e si desidera incontrarsi, più il legame si fortifica. Una coppia normale sente solo le sensazioni di dolore, ma se la voglia di raggiungersi è forte, si condividerà tutto, persino le cicatrici.»
Sasuke si tocca il braccio sinistro senza neanche accorgersene.
«Come puoi dire di non averlo conosciuto, se hai i segni del vostro legame addosso?»
Madara si alza in piedi e si pulisce i pantaloni dall’erba, il sole sta per tramontare e presto si accenderanno le luci della città. Sente lo sguardo di Sasuke su di sé, e ha quasi l’impressione che la cicatrice sul mento bruci.
«Devi pur raccontarti qualcosa per non impazzire.»
 
***
 
Il vetro si crepò all’improvviso, l’ago si torse e si arrugginì di colpo. Madara prese la bussola fra le mani tremanti.
«Hashirama?»
Si guardò intorno, il luogo illuminato dall’alba non c’era più, si trovava nella sua stanza, nel suo letto, a Kathréptis, ed era ancora notte. Di Hashirama nessuna traccia.
La consapevolezza arrivò fulminea e devastante, lo strappo al cuore fu più doloroso che mai, per minuti interi credette di stare per morire.
«Hashirama!»
E quando non accadde, pensò a come riuscirci da solo, ma…
«Devi vivere, io ti aspetterò, non importa quanto ci vorrà. Rinasceremo insieme e c’incontreremo!»
Il suo sorriso era luminoso come il sole.
Madara pianse fino a non avere più lacrime.
«Hashirama, ti amo anche io.»
 
 

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Capitolo 23
*** 23. Poor Hinata ***


23.
Poor Hinata
 
 
 
Naruto poggia le buste sul portico rischiando di rovesciarne il contenuto.
«Lo sapevo» ansima. «Non dovevo scommettere contro papà.»
Al suo fianco, Hinata ha il viso rosso per lo sforzo e non ha ancora ripreso fiato.
«Non ti accompagnerò mai più» gli comunica.
Ashura li guarda sorridendo, vorrebbe avere la loro forza per poter lasciare quella casa e girovagare per la città, ma il suo corpo non si è ancora ripreso e fa fatica e restare in piedi.
«Hai scommesso il tuo turno di consegne, di nuovo» afferma divertito. «Di questo passo inizierò a pensare che ti piaccia venire fin qui.»  
Naruto s’imbroncia e gli lancia un’occhiataccia.
«Mi piacerebbe di più se non dovessi portare tutta questa roba, e se non ci fosse lui» gli risponde scocciato, indicando il ragazzo alle sue spalle poggiato allo stipite della porta.
Ashura si volta lentamente con un sorrisetto compiaciuto, e Toneri fa finta di non vederlo, concentra però il suo sguardo su Hinata, che arrossisce all’istante.
«Non dovresti andare in giro con questo qui» le dice, come se Naruto non fosse lì a incenerirlo con gli occhi. «Entra a riposare, preparo il tè.»
Ashura poggia una mano sulla bocca di Naruto prima che possa dire alcunché, e guarda Hinata seguire Toneri in silenzio, le guance chiazzate di un tenero rosso.
«Aiutami ad entrare e non rovinare il momento» gli dice all’orecchio.
Naruto lancia fulmini con gli occhi, ma annuisce.
«Povera Hinata, che razza di anima gemella le è capitata.»
 
***
 
 
Time before…
 
 
Ashura guarda con curiosità la dispensa fredda piena di cibo.
«Quindi, quel ragazzo, Naruto, mi porterà da mangiare fino a casa e io dovrò dargli quei fogli? I soldi?»
Toneri, di spalle, annuisce in silenzio.
«E i soldi fanno avere anche questa dispensa che tiene freddo il cibo e tutto il resto? Anche quella scatola con le persone dentro? Come hai detto che si chiama, tv?»
Toneri annuisce ancora, ma senza guardarlo, sembra concentrato su qualcos’altro, il suo corpo è rigido, teso. Ashura lo raggiunge a fatica, strisciando i piedi nudi sul pavimento freddo, non sopporta che lo ignori, soprattutto dopo aver dormito per tutto quel tempo ed essersi perso così tanto del mondo. Ha voglia di sapere, di capire, di vedere, ma finché non potrà muoversi, Toneri dovrà essere i suoi occhi.
«Si può sapere cos’hai? Ti hanno messo un bastone su per il-?»
Spalanca la bocca senza parole e gli occhi si allargano per lo stupore.
«La tua bussola, punta a sud» dice in un sussurro.
«Quella ragazza» gli risponde Toneri fissando l’ago. «Quella ragazza bellissima, mi guardava e aveva la sua bussola in mano. All’inizio non l’avevo capito.»
Ashura gli da una pacca sulla spalla.
«E non è magnifico? Hai un’anima gemella!» esulta, poi ci ripensa. «E hai anche una bussola, ma da quando? Non sapevo che anche tu l’avessi.»
«Mio padre l’ha costruita per me tanto tempo fa, ma girava a vuoto e ho smesso di guardarla. Oggi però, c’era lei e mi guardava. Ed è bellissima.»
«Puoi invitarla qui! Quando la rivedrai?»
«Non ne ho idea.»
«Come si chiama? Quanti anni ha?»
«Non ne ho idea.»
«Ma ci hai parlato almeno?»
Toneri distoglie lo sguardo dall’ago, fissa Ashura che lo guarda di rimando con aria interrogativa, deglutisce.
«Come si parla con una donna?»
 
 

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Capitolo 24
*** 24. Owari pt. 2 ***


24.
Owari
Pt. 2
 
 
 
 
Toneri poggia le mani sui polpacci dolenti, le dita si muovono agili sui muscoli tesi. Ashura sospira di piacere, il dolore è ogni giorno meno intenso, il suo corpo si sta riprendendo, ma ha fretta di tornare a correre.
«Sono arrivato al terzo albero oggi, la barriera si è allargata ancora.»
Toneri smette di massaggiargli le gambe, lo scruta pensieroso. È impossibile che il sigillo imposto da Hagoromo perda potere da solo.
«Credi che si sia arreso?»
Ashura guarda la bussola poggiata sul comodino, l’ago gira in tondo alla ricerca di una via.
«Indra deve aver trovato il modo di raggiugermi. Dopo tutto questo tempo e il mio silenzio, lui sta ancora…» Si copre il viso con una mano, preso dall’emozione.
Toneri riprende il lavoro e distoglie lo sguardo.
«Hamura deve averlo finalmente convinto: le anime gemelle non possono essere separate in alcun modo.»
Ashura si asciuga gli occhi e sorride trionfante.
«Gliel’avevo detto. Gliel’avevo detto che tutto questo non sarebbe servito a niente e che Indra sarebbe tornato da me.»
 
***
 
Ashura corse giù per la collina, il cuore stretto in una morsa.
Non farlo! Non farlo!
Vicino al fiume scorse suo padre, il bastone degli dei stretto fra le mani, e il cielo pronto a colpire.
«Non farlo!» pregò.
Sentì urlare il suo nome al di sopra del frastuono e vide Indra poco lontano, lo guardava disperato.
«Non ti avvicinare! Non venire qui!» gli sentì gridare.
Lo ignorò e prese a correre più veloce, non avrebbe permesso a suo padre di punirlo, lo avrebbe raggiunto e protetto, come lui aveva fatto in tutti quegli anni.
«Scappa!» urlò. «Vai via di lì!»
Indra scosse la testa e lo supplicò di tornare indietro. Sopra di lui, il cielo si fece buio e un enorme buco nero prese ad allargarsi sempre più.
«Punisci me! Lascialo stare! Padre, punisci me! Prendi la mia vita!»
Hagoromo distolse lo sguardo dal maggiore dei suoi figli per puntarlo su di lui, i suoi occhi erano ricolmi di lacrime. Lo vide alzare il bastone e si preparò a ricevere il colpo, non gli importava di morire, voleva soltanto salvare la sua anima gemella, il suo amato fratello.
«Nessuno morirà» rispose suo padre «Ma oggi questo orrore vedrà la fine.»
Una luce accecante gli ferì lo sguardo e fu costretto a fermarsi per schermarsi il viso, sentì un boato e poi il silenzio. Pochi instanti dopo avvertì il vento alzarsi, e quando riaprì gli occhi vide Indra aggrappato al terreno, mentre l’oscurità tentava di portarlo via.
«No!» urlò distrutto. «Padre, non farlo! Non farlo! Ti prego!»
Tentò di fare un passo avanti per riprendere a correre, ma il suo corpo non si mosse. Si guardò i piedi e vide delle enormi catene strette attorno alle sue caviglie, le cui estremità erano conficcate nel terreno.
Non puoi farmi questo. Non puoi!
«Indra!» chiamò. «Padre, non farlo! Non farlo!»
Ashura combatté contro le catene nel vano tentativo di spezzarle, si sforzò di camminare, spinse in avanti le sue gambe fino allo stremo, ma l’unico risultato che ottenne fu ferirsi.
Indra lo guardò in preda alla rassegnazione, il volto arrossato per lo sforzo di rimanere ancorato a terra.
«Tornerò da te!» gli promise, prima che i suoi arti cedessero e il vento lo trascinasse via.
Ashura lo guardò sparire oltre l’oscurità senza poter fare alcunché e cadde sulle ginocchia privo di forze.
«No» esalò stanco.
I suoi occhi si riempirono di lacrime e un dolore insopportabile lo travolse. Non era arrivato in tempo, non lo aveva protetto, non aveva potuto niente contro suo padre, ed ora Indra non c’era più. Colpì il terreno con il pugno fino a ferirsi la mano. Era tutta colpa sua, dell’amore inarrestabile che provava per lui.
Aveva sempre saputo di star commettendo un errore, ma quei sentimenti erano talmente forti, talmente meravigliosi da non essere riuscito a fermarli.
Amava Indra. Lo amava da sempre. Ma poteva l’amore portare un simile dolore?
Perché erano anime gemelle? Perché erano fratelli?
Quel sangue che scorreva nelle loro vene non era altro che veleno, e il filo che legava i loro cuori era la corda con cui avrebbero dovuto impiccarsi molto tempo addietro, quando gli aghi delle loro bussole si erano tinti di rosso.
«Non mi avete lasciato altra scelta» disse Hagoromo avvicinandosi.
Ma il vero colpevole in tutta quella storia non era il loro amore, non era il loro legame, era qualcun altro.
Ashura alzò il viso verso suo padre.
«Non smetteremo» gli rispose tremante. «Non importa cosa farai, noi non smetteremo di amarci. Non smetteremo mai, perché siamo fratelli e anime gemelle. Un legame del genere non puoi spezzarlo neanche tu.»
«È stata Kaguya a legarvi, tutto questo è opera sua.»
«No» disse. «Kaguya non ha né il potere di legare né quello di dividere. Lei ha visto il legame delle nostre anime e ha donato agli Otsutsuki i suoi stessi occhi, e Hamura, con i suoi poteri, ha dato vita alle bussole senza sapere di fare il suo gioco. Non esiste alcuna maledizione, è stato il destino, l’Universo a decidere. E tu non puoi nulla contro di lui. »
Hagoromo strinse la presa sul bastone.
«Non cambia il fatto che sia sbagliato.»
Ashura strinse la stoffa dei pantaloni fino a strapparla.
«Lo è in questa vita, non sappiamo se lo fosse anche nelle altre. Le anime gemelle vivono e si reincarnano sperando d’incontrarsi ogni volta, e a noi è capitato, anche se in questo modo» sorrise amaro. «E tu non puoi fermarci. Indra tornerà, l’ha promesso, e quando lo farà, non ci separeremo mai più.»

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Capitolo 25
*** 25. Pioggia di stelle ***


25.
Pioggia di stelle
 
 
 
Il dio Usha vide Vira sorridergli mesta.
«Ti prenderai cura di questo corpo mortale, ancora una volta?»
«E tu rinascerai, ancora una volta, per tornare da me?»
Vira alzò gli occhi verso la pioggia di stelle di Jala.
«Morirò e rinascerò per te mille volte e più,
e a ogni pioggia, tu sarai qui ad attendermi.»
 
 
 
I bicchieri tintinnano in coro per quello che dovrebbe essere l’undicesimo brindisi.
«A Itachi Uchiha!»
Itachi solleva il calice mezzo pieno e sorride sincero, ringrazia per le ovazioni e vede lo sguardo orgoglioso di suo padre poggiarsi su di lui come una carezza, mentre sua madre si asciuga gli occhi commossa. Ha realizzato il suo sogno, e Kathréptis lo festeggia con fiumi d’alcol, cibo, musica e regali. Nessuno dimenticherà quello che ha fatto, il suo nome verrà scritto nei libri di storia, il suo progetto diventerà la base per la costruzione di navicelle sempre più potenti. E suo fratello troverà la felicità grazie a lui.
Non potrebbe desiderare nulla di più.
Eppure, non riesce a scacciare il malessere annidato nello stomaco.
Tra tutte quelle facce sorridenti, gli occhi che cerca non ci sono. Ha girovagato per l’enorme sala per tutta la serata, stringendo le mani tese di chiunque gli si avvicinasse, ma non una volta si è scontrato con il rosso cremisi che ha disperatamente atteso per tutto il tempo.
Shisui non c’è.
«Dovresti andare a cercarlo.»
Sasuke gli toglie il bicchiere dalla mano e lo poggia sul primo ripiano disponibile, è visibilmente preoccupato e, come lui, si guarda intorno alla ricerca del cugino.
«Non è venuto» conferma a malincuore, ma Sasuke non sembra esserne sorpreso.
«Va’ a cercarlo» ripete apprensivo. «M’inventerò qualcosa per la tua assenza.»
«Lo vedrò domani a lavoro, non preoccuparti. Abbiamo avuto qualche discussione in questi giorni, sarà ancora arrabbiato.»
Vorrebbe mentire meglio, da un po’ di tempo sembra non riuscirci più. Mentre sorride, le sue labbra tremano per lo sforzo di rimanere su, la maschera si sgretola pezzo per pezzo e non ha la forza di rimetterla insieme per andare avanti.
La verità è che ha paura di affrontarlo. Non ne ha mai avuta tanta come in quel momento. È rimasto su Kathréptis per Sasuke, ma adesso che lui andrà via, che cosa farà? Che cosa ne sarà di lui? Di loro?
«Ne ha costruita un’altra» gli dice il fratello tutto d’un fiato.
Itachi lo guarda per un attiamo interdetto, la sua mente diventa improvvisamente bianca, come se non riuscisse a pensare, qualcosa si è inceppato, persino il suo cuore sembra essersi fermato.
«Un’altra, cosa?» chiede impassibile.
Anche se la risposta la conosce già.
«L’ho vista per caso due settimane fa. Ha detto che era un prototipo, che sarebbe servita per i collaudi più rischiosi per non danneggiare quella che avrei usato, e io gli ho creduto.» Sasuke lo fissa dispiaciuto, i suoi occhi chiedono perdono. «Avrei dovuto parlartene, mi dispiace. Adesso però, devi andare da lui. Devi andare ed essere felice, e se per farlo devi partire, allora parti.»
«Andare dove?» Il nodo alla gola gli impedisce di deglutire. «Dove vuoi che vada?»
Sasuke lo afferra per una spalla, la sua stretta è forte e la sua mano è grande, dalle dita lunghe; più lo guarda e più si rende conto che non è più il bambino indifeso che aspettava per ore il suo ritorno. Il suo compito da fratello maggiore è finito, adesso deve lasciarlo andare e riprendere in mano le redini della sua vita, prima che sia troppo tardi e gli eventi lo travolgano.
«Ovunque tu voglia, purché sia con Shisui.»
Itachi non è sicuro che stia accadendo davvero, è più probabile che sia tutto dentro la sua testa, ma lo sente come se fosse reale, il mondo intero che si sbriciola sotto i suoi piedi.
«Trova Naruto» gli risponde emozionato. «Trovalo e sii felice.»
Sasuke gli sorride e annuisce. Non si rivedranno mai più, e quello è il sorriso che dovrà imprimersi sotto le palpebre, il ricordo che custodirà amorevolmente finché avrà vita, il suo fratellino che lo spinge nella direzione opposta alla sua, fra le braccia della sua anima gemella, verso la felicità.
Gli accarezza una guancia come ultimo gesto d’affetto e poi si volta, corre verso l’uscita della sala, ignorando la gente intorno, i volti che gli sorridono, le congratulazioni, la voce di suo padre che invoca il suo nome; dovrebbe dirgli addio, abbracciare sua madre, chiedergli perdono, ma non c’è più tempo, lancia loro un ultimo sguardo pieno di scuse mentre esce in strada e corre verso il deposito Uchiha.
Quarant’anni di sacrifici, sguardi fugaci, attese, carezze celate e una marea di scuse, cicatrici scavate con le unghie nella carne per non dimenticare quel legame, per ricordare che qualsiasi sia il destino scelto, ci sono cose che non posso essere cambiate.
Itachi raggiunge il deposito con il cuore in gola, gli tremano le gambe e i polmoni bruciano, ha così tanta paura da non riuscire a muoversi, ma si costringe ad arrivare fuori, dove spera di trovarlo, dove spera che lo stia aspettando. Ed infatti, Shisui è ancora lì, accanto al portellone aperto della navicella, la tuta spaziale già addosso, sul viso un’espressione di pura incredulità.
«Itachi, cosa ci fai qui?»
Itachi lo guarda in silenzio per qualche istante, dovrebbe inginocchiarsi e chiedergli perdono per tutto il dolore, per le speranze disattese, per tutte quelle volte che quello sguardo ha supplicato una tregua, una fuga, ma tutte le scuse del mondo non sarebbero abbastanza, è l’amore che deve donargli, più di tutto quello che ha ricevuto in quegli anni.
«Voglio venire con te» afferma quindi, senza alcuna esitazione. «Voglio venire con te su una delle stelle di Mahanubhava.»
Shisui spalanca gli occhi, le sue labbra si schiudono e poi si serrano, annaspa in cerca d’aria. Itachi riesce quasi a sentire il galoppare del suo cuore.
«Mi spazzolerai i capelli tutte le mattine e tutte le sere, l’intreccerai come piacciono a te e io mi lamenterò di non riuscire a scioglierli, e per dispetto scompiglierò i tuoi. Prepareremo insieme i miei dolci preferiti e tutti quegli altri piatti complicatissimi che non ti riescono mai; riempirai casa nostra di fiori e so che me ne porterai uno diverso ogni giorno, anche se non ci sarà abbastanza spazio. Quando farà freddo dormiremo abbracciati e quando farà caldo, anche se cercherò di allontanarti, so che tu mi abbraccerai lo stesso, persino più forte, solo per poter avere una scusa in più per fare un bagno insieme.»
Gli occhi di Shisui sono ricolmi di lacrime, ma la il sorriso sulle sue labbra è completamente diverso da quello sulla spiaggia di Calante, non c’è la rassegnazione di allora, né quell’immensa tristezza che non è mai riuscito a dimenticare.
Itachi gli si avvicina cauto e afferra con dolcezza la mano già protesa.
«Costruirai un sacco di cianfrusaglie inutili, ma troverò comunque modo di usarle. Leggerò tantissimo e insieme costruiremo la navicella migliore di tutte, e con lei visiteremo ogni angolo di questo universo e di tutti quelli che vorremo. Qualche volta ci perderemo, e tu m’insulterai perché odio le mappe e chiedere indicazioni agli estranei, ma andrà bene lo stesso.»
Shisui gli posa un dito sulle labbra, e Itachi si zittisce, sorride in attesa di sentirselo dire di nuovo.
«E ti sposerò sotto la pioggia di stelle di Jala, nel giorno in cui Usha incontrò Vira e scoprì che le anime gemelle non possono essere separate nemmeno dalla morte.»
Itachi lascia che una lacrima gli bagni una guancia, poi chiude gli occhi e bacia la sua anima gemella.

È l’alba su Kathréptis, e una navicella brilla nel cielo mattutino.

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Capitolo 26
*** 26. Ti ho cercato tra le stelle ***


26.
Ti ho cercato tra le stelle
 
 

 
Il tramonto della Terra ha colori che su Kathréptis si vedono solo sui fiori. Il viola fuso all’azzurro che pian piano si spegne per diventare blu, l’arancio che sfuma sul rosa mentre il Sole si nasconde tra le montagne. L’oscurità che giunge lenta, dolcemente.
Non ha mai visto niente di più bello, mai tanti colori in cielo tutti insieme.
Sul ciglio del burrone, immerso fra gli alberi, Sasuke osserva lo spettacolo con occhi rapiti. Ha il cuore ricolmo di emozioni, la testa quasi del tutto libera dai pensieri, esiste solo quel tramonto, quella luce accecante che lascia il posto al bagliore mite della Luna.
Vorrebbe condividere quel momento con qualcuno. Con Naruto. Immerso nella quiete di quegli istanti.
I suoi occhi sono blu. Lui è luce.
Naruto sarà come quel tramonto? Avrà la stessa bellezza? O sarà di più?
Sasuke sente il peso della bussola aumentare, l’ago ha iniziato a tingersi di rosso non appena è atterrato. Naruto vive nell’intricato labirinto grigio situato a valle, è lì che punta ogni parte di sé. È così vicino da fargli tramare le gambe.
«Immagino tu voglia andare a cercarlo.»
La voce di Ashura è pacata, i suoi occhi trattengono a stento la malinconia infinita di cui è pregna la sua vita. Indra arriverà non appena avrà acceso il localizzatore, lo porterà via o rimarrà lì finché la maledizione non lo ucciderà; Ashura lo seguirà in entrambi i casi.
«Aspetto questo momento da tutta la vita» risponde con la gola secca. «E adesso che sono vicino, sono terrorizzato.»
Ashura gli accarezza i capelli come se si conoscessero da sempre, la sua mano gentile somiglia a quella di Itachi.
«Posso assicurarti che anche lui ha paura, ma conoscendolo, se si è accorto che la bussola punta qui, starà già scalando il sentiero per raggiungerti. Paura o no, non si ferma di fronte a niente.»
«E se dovessi disgustarlo? Ho la coda, la pelle squamosa, le iridi rosse. Ai suoi occhi, non ho nulla di umano.»
«Se credi che il tuo aspetto lo fermerà dallo stritolarti in un abbraccio, ti sbagli» gli risponde con un sorriso. «Naruto è speciale, a suo modo. Ha un cuore grande, gentile, e ti ama profondamente da quando ti ha sentito la prima volta. Se anche tu fossi verde e avessi tre teste, il suo affetto non muterebbe.»
Sasuke guarda la città ai suoi piedi accendersi per la sera, Naruto è lì, da qualche parte. Il solo pensiero gli fa tremare il cuore dalla gioia. Può uno sconosciuto scombussolarlo a tal punto? Eppure sente di conoscerlo meglio di se stesso.
«Che cosa farai con Indra?» chiede per calmarsi, prima che il suo petto esploda.
Ashura guarda l’ultimo raggio di sole risplendere nel cielo serale, non ha dubbi su ciò che farà.
«Tornerò a casa» risponde senza esitazione. «Premerò il pulsante che mi hai detto e aspetterò. Qualsiasi cosa accadrà non permetterò più a niente e nessuno di separarci.»
«E se arrivasse la morte?»
«Morirei con lui. Ormai la mia unica paura è vivere in questo modo. L’idea di passare l’eternità in questa maniera mi terrorizza, preferirei sparire dall’universo che continuare a sopravvivere da solo.»
Sasuke resta senza fiato, lo guarda, la sua risolutezza è quasi spaventosa. È questo che si prova dopo aver conosciuto la propria anima gemella? È questa la forza del legame che si instaura?
Ashura gli sorride ancora, l’amore che trabocca dal suo sguardo gli fa desiderare d’incontrare Naruto più di ogni altra cosa.
«Ti prenderai cura di lui, non è vero?»
«Certo. È per questo che sono qui.»
Non vuole fare altro per tutta la vita.
Ashura gli volta le spalle e inizia a incamminarsi verso il bosco; Sasuke ha visto i suoi occhi velarsi di lacrime.
«Bene. Allora salutalo da parte mia, odio gli addii e vorrei evitare di piangere proprio ora che sto per rivedere Indra.»
Sasuke non gli risponde, non ne ha bisogno, lo farà e Ashura lo sa bene.
«Ashura!»
L’urlo che arriva dal sentiero gli mozza il respiro all’istante, lo riconosce. Non l’ha mai sentito prima, ma lo riconosce. Si volta a guardare in direzione del bosco, ma Ashura è già sparito fra gli alberi.
È solo, e Naruto sta per raggiungerlo.
«Ashura!»
Il corpo ha iniziato a formicolare, uno strano calore si è impossessato del suo petto, il cuore batte come non ha mai fatto prima d’ora.
«Ashura! Ti ho sentito! Lo so che sei qui! Con chi stai parlando? Maledizione questi cespugli! La mia bussola punta qui! Ashura!»
Che voce stridula.
Ha voglia di ridere e ha bisogno di tutto il suo autocontrollo per non farlo. In una situazione normale, tutta quella confusione lo metterebbe solo di malumore, ma adesso, ha solo un’immensa voglia di lasciarsi travolgere da qualsiasi emozione sia quella che sta provando.
«Ashura, devi potare questo maledetto sentiero! Giuro che se la mia anima gemella è parente di Toneri, mi butto di sotto! Perché è qui da te?»
«Non conosco nessun Toneri» ribatte prontamente.
Segue uno strano silenzio, non sente più nemmeno il rumore delle foglie. Per un attimo crede di aver fatto un errore, ma poi:
«Sei tu?» chiede la voce tremante. «Sei davvero tu? Sei qui? S-Sei venuto per me?»
Sasuke è a corto di parole, quel piccolo balbettio lo lascia inerme. Si sente sopraffatto e così felice e spaventato allo stesso tempo da non avere la più pallida idea di cosa dire.
«Ho la coda» risponde dopo un po’. «La pelle bianca e squamosa, e gli occhi rossi. Vengo da un pianeta lontano. Mi chiamo Sasuke. Non spaventarti quando mi vedrai.»
Si morde la lingua subito dopo, si dà dello stupido, ma Naruto lo sorprende:
«Sei venuto fin qui per incontrarmi?»
C’è così tanto dietro quella domanda.
Sasuke sospira, chiude gli occhi, li riapre, tenta di riprende il controllo di sé. È difficile. Lentamente mette la mano in tasca e afferra la bussola, se la porta al viso e guarda l’ago rosso puntare di fronte a lui. Una vita intera solo per quel momento. Si sente uno stupido ed è la seconda volta nello stesso giorno. Sorride e la rimette a posto. Realizza che non la guarderà mai più, non ne avrà più bisogno.
Un meraviglioso senso di pace lo abbraccia.
«Ho viaggiato a lungo prima di arrivare qui» risponde. «Non avevo idea di dove fossi e pensavo che non sarei mai riuscito a raggiungerti. Ti ho cercato tra le stelle per anni, Naruto, solo per poterti incontrare.»
Il silenzio segue ancora per qualche altro secondo, poi le foglie riprendono a muoversi e l’istante dopo Naruto è di fronte a lui, ancor più bello del tramonto appena ammirato, ancor più bello di qualsiasi essere vivente abbia incontrato nei suoi viaggi.
Lui è luce.
La sacerdotessa aveva ragione.
Naruto lo guarda con un’intensità tale da farlo sentire l’unico al mondo, il suo sorriso è così caldo e rassicurante da fargli scordare tutto il resto.  E più si avvicina, più ogni cosa intorno diventa insignificante rispetto al suo viso, al colore brillante dei suoi capelli biondi, al dolce blu oceano dei suoi occhi.
«Credi davvero che la tua coda o i tuoi occhi mi spaventino?» gli dice a pochi centimetri di distanza. «Sasuke, sei bellissimo.»
Naruto lo guarda dritto negli occhi senza paura, sono alti uguali, anche se si sente anche fin troppo esile al suo confronto.
«Ho la coda» è la sua risposta insensata, ma proprio grazie a essa Naruto ride.
La sua risata è cristallina, non ha mai sentito nessuno ridere così. Nemmeno Shisui. Nemmeno Obito.
«L’ho vista» gli risponde prendendogli le mani. «E hai la pelle bianchissima. Guarda che contrasto con la mia.»
Sasuke guarda le loro mani intrecciate, sono diverse non solo per il colore, quelle di Naruto sono lisce sul dorso, ma piene di calli sui polpastrelli, mentre le sue hanno dita lunghe e unghie affilate.
«Abbiamo un sacco di differenze, ma è importante? Per te è un problema se ho gli occhi blu e i capelli biondi? È importante se non ho la coda né i canini appuntiti?»
Sasuke scorge la cicatrice sul braccio, sulla sua pelle spicca ancora di più. Ne hanno passate così tante per arrivare a quel punto.
«No. Non me ne importa niente» gli risponde.
Naruto chiude gli occhi e poggia la fronte contro la sua, una lacrima gli riga la guancia. Le sue mani tremano e lo stringono più forte.
«Sono così felice che tu sia qui.»
Sasuke sente qualcosa spezzarsi dentro di lui, è doloroso e piacevole allo stesso tempo, è come una diga che va in frantumi e permette all’acqua d’inondare tutto.
«Sono così felice, Sasuke. Ti ho aspettato tanto, credevo non ti avrei mai incontrato. Non ti lascerò mai. Mai. Ti seguirò anche sul tuo pianeta.»
Sasuke allontana il viso e lo guarda piangere a dirotto, le lacrime scivolano via insieme a tutti quegli anni passati a cercarsi.
«Resterò qui con te» promette in un sussurro.
Naruto gli prende il volto fra le mani e lo bacia, preme forte le labbra sulle sue. Sasuke si aggrappa alle sue spalle, stringe le dita sulla maglietta, e non si accorge di star piangendo mentre risponde a quel bacio con la stessa bruciante intensità.

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Capitolo 27
*** 27. Polvere ***


27.
Polvere
 
 
 
Ashura poggia la bussola di Indra sul tavolo, l’ago punta su di lui, inesorabile, e senza Toneri a sostenerlo, quella casa silenziosa appesantisce ancor di più il peso che lo schiaccia da secoli.
Ma presto sarà finita.
«Dimmi soltanto una cosa, e per una volta sii sincero. La maledizione non esiste, non è vero? Kaguya non ha mai avuto questo potere.»
Non si volta a parlare con il suo interlocutore, preferisce dargli le spalle, non vuole guardarlo, non vuole che veda quanto lo odi per ciò che gli ha fatto, che ha fatto a loro.
«Nessuna maledizione» è l’ammissione.
Il cuore di Ashura potrebbe spezzarsi ancor di più, se non si fosse già sgretolato tempo addietro. Duemila anni senza potersi sfiorare né vedere, e alla fine non era altro che una menzogna.
«Kaguya può solo vedere i fili che uniscono le anime, esattamente come Toneri e Hamura. È per questo che ha dato loro il potere di creare le bussole, non c’è altro dietro. Nessuna maledizione per punirti, nessun sangue infetto, nessuna giustizia divina.»
«Ha visto il vostro legame e ha fatto creare le bussole per ferirmi.»
«Quindi, l’unica nostra sfortuna è di essere tuoi figli. La nostra maledizione è di essere nati fratelli, ma, così come il fatto di essere anime gemelle, anche questo è stato un caso. Tutto nella nostra vita è stato un caso e tu ci hai fatto credere che-»
Sbatte il pugno sul muro, la rabbia è tale da creare una crepa. Continua a non volersi voltare, a non voler mostrare quell’odio smisurato, non vuole che l’ultimo loro ricordo sia il suo viso contratto dall’ira, ma è l’unica gentilezza che gli riserva in mezzo all’amarezza. Non gli risparmierà altro.
«Non sarebbe cambiato nulla» afferma. «Se anche non ci fossero state le bussole, non sarebbe cambiato assolutamente niente! Ho capito di amarlo molto prima che trovarsi quelle maledette scatole! Sono la sua anima gemella, l’avrei amato in qualunque caso!»
Non può vederlo, ma lo immagina: le dita serrate attorno al bastone, il viso pieno di rughe corrugato dalla sofferenza. Suo padre non ha mai smesso di credere di aver fatto la cosa giusta, non ammetterà mai di averli distrutti con le sue stesse mani.
«Siete fratelli, condividete lo stesso sangue. Cos’altro avrei potuto fare?»
«Avresti potuto lasciarci vivere! Giri lo sguardo dall’altra parte quando non riesci più a guardare, non potevi farlo anche con noi? O avresti potuto lasciarci morire, ci saremmo reincarnati e tutto si sarebbe aggiustato.»
«Ma io vi avrei persi.»
Ashura si lascia scappare una risata disperata, ha la gola serrata dalla voglia di piangere. Vorrebbe fare a pezzi ogni cosa, la Terra stessa.
«Ci hai separati per duemila anni! Credi davvero di non averci perso?!»
Hagoromo non risponde, resta in silenzio alle sue spalle. Non vuole più neanche immaginarlo, prova troppa rabbia per poterne avere pena. Che soffra. Che si disperi come hanno fatto loro per secoli.
«Quando Indra sarà qui, voglio che ti giri dall’altra parte. So che hai già deciso cosa ne sarà di noi, ma non hai il permesso di guardarci. Che sia la vita o che sia la morte l’affronteremo da soli, io e Indra, perché prima di essere fratelli, prima di essere i tuoi figli, siamo anime gemelle e niente potrà cambiare questo fatto.»
Ashura si asciuga il viso, afferra la bussola di Indra – la sua è ben custodita in una tasca – e si avvia alla porta, prima di varcarne la soglia rivolge ad Hagoromo le sue ultime parole:
«Toneri rinuncerà all’immortalità per vivere sulla Terra con Hinata, non osare intrometterti. Hai già causato abbastanza dolore.»
L’attimo dopo è fuori, ed è certo che Hagoromo sia già sparito.
 
L’aria fresca della sera è un dolce sollievo, gli accarezza il viso e lenisce il dolore.
Ashura respira a pieni polmoni, si gode il profumo dell’erba e del bosco che lo circondano. Corre verso il precipizio e quando arriva al limite si ferma, allarga le braccia e guarda con occhi nuovi la città ai suoi piedi.
Il fiume sulle cui sponde si sono detti addio non esiste più, Konoha ne ha riempito il letto secco d’asfalto e tutto intorno ha eretto case e palazzi. Da qualche parte fra quelle luci Naruto e Sasuke finalmente si abbracciano, ma non prova più invidia per loro, è solo felice.
Si allontana di qualche passo dal burrone e guarda la bussola di Indra, sul retro il localizzatore ha un solo pulsante, gli basterà sfiorarlo…
È agitato, non ha idea di cosa aspettarsi. Si riconosceranno? Indra sarà cambiato? Cosa dirà quando lo vedrà? Si baceranno come un tempo? Sentirà ancora il familiare calore del suo tocco?
Porta la bussola al cuore, tenta di calmarne i battiti. Non importa cosa ne sarà di loro, vuole soltanto rivederlo, anche se fosse l’ultima volta.
Preme il pulsante e attende.
Uno.
Due.
Tre.
Una luce bluastra gli illumina il viso.
Quattro.
Il portale si apre.
Cinque.
Il volto di Indra appare dal nulla, poi arrivano i capelli, le braccia, le gambe.
Sei.
Indra poggia i piedi sull’erba.
Sette.
La luce svanisce esattamente com’è apparsa.
Indra è lì.
Ashura lo guarda senza parole. È un misto d’incredulità e stupore, di terrore e felicità. Possibile sia davvero davanti a lui? Possibile possa finalmente riabbracciarlo? È successo tutto così in fretta da non esserne sicuro, e lo sguardo di Indra è talmente simile al suo da riempirlo di dubbi. Lo guarda senza sapere che cosa fare, a parte tentare invano di trattenere le lacrime – quella sera non sta facendo altro che piangere.
Incerto allunga una mano, l’avvicina al suo viso, vuole toccarlo, scoprire se sia davvero lì, ma gli manca il coraggio. Ha paura di sfiorare il vuoto. Ha paura si tratti di un’illusione.
«Ashura.» La voce di Indra è un tremolio sommesso. «Sono qui» gli dice stringendo la mano tesa e portandosela al volto.
Il calore della sua pelle è lo stesso di duemila anni prima. Così come lo sono gli occhi scuri, i capelli lunghi, il profumo della sua pelle.
Indra l’ha raggiunto. Ha mantenuto la promessa. Non c’è alcuna illusione.
Non appena lo realizza, Ashura avvolge le braccia attorno al corpo del fratello, lo stringe a sé e si lascia stringere a sua volta fino a restare senza fiato. Vorrebbe dirgli tante di quelle cose da non sapere da dove iniziare, ma sa che niente varrà mai tanto quanto quell’abbraccio.
«Non ti lascerò mai più, te lo giuro.»
«Mai» ripete Ashura baciandolo piano sulle labbra. «Non ci dividerà mai più.»
Il sollievo, la gioia, il cuore leggero durano quel tanto da farli illudere per qualche attimo, ma sanno entrambi che è una menzogna. Lo sanno dall’esatto momento in cui hanno rivisto Hagoromo, e il tempo a loro disposizione ha iniziato il conto alla rovescia non appena i piedi di Indra hanno toccato il terreno.
Non avranno altre possibilità in quella vita.
Indra lo bacia ancora, gli stringe i capelli fra le dita, lo abbraccia traboccando di disperazione, e Ashura lo lascia fare, assapora ogni carezza, ogni respiro, lo farà finché non sarà finita.
Era già scritto che finisse in quel modo, lo sapevano duemila anni addietro e lo sanno adesso. Hagoromo non lo avrebbe mai permesso.
«Non voglio dimenticarti. Non voglio dimenticare questa vita, non dopo tutto quello che abbiamo passato.»
«Hamura non lo permetterebbe mai. E anche se dimenticassi, non cambierebbe quello che siamo. Ci rivedremo.»
«La prossima volta ti renderò felice.»
Indra sorride, lo guarda come se fosse l’unica cosa bella nell’universo.
«L’hai già fatto. Dal momento in cui sei nato non hai fatto altro.»
Ashura gli accarezza i capelli, ha paura, ma più di ogni altra cosa si chiede perché debba finire in quel modo, perché non possano trovare un posto nell’universo solo per loro.
Perché siamo i suoi figli.
«Credi che farà male?»
«Non lo so, ma sarò qui con te.»
Non smettono di guardarsi e stringersi neanche per un istante, nemmeno quando il sole sorge e capiscono che la loro esistenza sta per concludersi.
«Perché così poco? Perché non può darci altro tempo?!»
«Guarda me» lo implora Indra.
Ashura smette di sentire le gambe, il freddo lo avvolge, ma c’è Indra, il suo sguardo non lo abbandona.
«Ti ho aspettato per secoli e adesso devo dirti addio.»
«Ci rivedremo. Ti ritroverò.»
I capelli di Indra iniziano a scomparire. Ashura guarda il suo viso sgretolarsi a poco a poco e capisce che lo stesso sta accadendo al suo corpo. Se ne stanno andando senza lasciare traccia, come se non fossero mai esistiti, diverranno polvere e saranno trascinati dal vento.
Crudele.
Padre, non ti perdoneremo per questo.
«Ti amerò in tutte le vite che verranno» sussurra prima che la sua bocca svanisca.
Dagli occhi di Indra scende una lacrima, non sono rimasti che quelli, a entrambi. È il loro ultimo sguardo.
Anch’io. In tutte le vite che vivremo, non smetterò mai.
 

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