We wanna be forever young

di MauraLCohen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maschere Calate ***
Capitolo 2: *** Come una coppia sposata ***
Capitolo 3: *** La prima volta a Newport ***
Capitolo 4: *** Solo cinque minuti ***
Capitolo 5: *** Pollo fritto ***
Capitolo 6: *** Rimettiti a studiare ***
Capitolo 7: *** Kiki? Seriamente? ***
Capitolo 8: *** Studio matto e disperatissimo ***
Capitolo 9: *** Pezzi di un puzzle ***
Capitolo 10: *** Sveglia di notte ***



Capitolo 1
*** Maschere Calate ***



La seguente One Shot ha partecipato al Fall Event del gruppo Facebook We are out for prompt. 
Il prompt è di Lucilla Incarbone, che ringrazio.

Testo del prompt: "Indossiamo tutti delle maschere, e arriva un momento in cui non possiamo toglierle senza toglierci la pelle."



Maschere calate 


Giovedì era sinonimo di grandi feste nei dormitori della UC Berkeley. Per i corridoi l’inconfondibile e nauseabondo odore di erba e birra scadenti si propagava impietoso, attaccandosi alla moquette e ai vestiti di chiunque passasse di lì. Anche la musica diventava presto udibile, bastava aspettare che il sole calasse e che le prime ragazze bussassero alla porta. In fondo, a che serviva ballare se non c’erano belle ragazze con cui farlo? 
Questa era la filosofia dei maschietti, soprattutto dei più grandi, e per molto tempo, era stata anche quella di Sandy Cohen, che di festa non ne perdeva una. 
Per la gioia delle ragazze, avrebbe aggiunto Paul, rischiando di cadere dalla sedia per le troppe risate (come spesso succedeva). 
Ma da qualche tempo, ormai, il giovane e aitante Sandy Cohen si vedeva sempre meno appoggiato al banco di qualche cucinino, intento a riempire i bicchieri di birra di tutte le ragazzette in minigonna che gli si avvicinavano: il modo migliore per attaccare bottone, pensava, e aveva ragione. Quante conquiste aveva fatto così: un sorriso spavaldo, due moine da niente e qualche bicchiere buttato giù senza neanche respirare. Tutte cose che, ormai, gli sembravano così sopravvalutate da quando aveva conosciuto Kirsten Nichol.
Uscivano insieme da due mesi e lui era certo che non si era mai sento così per nessuna prima d’ora. Kirsten aveva il potere di teletrasportarlo in un altro mondo, lontano da tutto e tutti, e in cui l’unica cosa che contava erano loro due. 
Si sentiva stordito, ogni volta che ci pensava: se gli avessero detto solo qualche mese prima che si sarebbe ritrovato completamente perso per una ragazza bionda, presbiteriana e ricchissima, avrebbe riso in faccia al suo interlocutore. Quello, decisamente, non era il suo tipo. Eppure Kirsten ai suoi occhi sembrava talmente perfetta, che faticava a ricordare come fosse la sua vita prima di averla con sé. Erano perfetti insieme, al di là di tutto quello che le persone potevano dire o pensare. Loro stavano bene, si divertivano, ridevano e giocavano come bambini, e parlavano... Parlavano tanto. Sandy, a volte, si rendeva conto di averle confessato segreti che prima d’allora non aveva mai avuto il coraggio di rivelare a nessuno solo dopo che le sua voce si perdeva nell’aria. E si era reso conto, tra le altre cose, che avrebbe potuto rimanere ad ascoltare lei per ore e ore senza mai stancarsi: guardava muovere quelle labbra sottili e rosate, che lui aveva la possibilità di assaggiare ogni volta che lo desiderasse, mentre davano vita ad ogni suo pensiero, svelandogli man mano sfumature di lei che gliela facevano amare ancora di più. 
Aveva una mente bellissima, Kirsten. Questo Sandy lo aveva capito già dal loro primo caffè. Nonostante fosse cresciuta in un ambiente spocchioso, arido e  superficiale, lei non si era fatta corrompere: studiava a Berkeley perché voleva essere qualcosa di più di un cognome altisonante; beveva birra scadente ed era sempre gentile e disponibile con tutti, anche con chi non se lo meritava. Poi era intelligentissima, ma non quell’intelligenza pesante, artificiosa, che ha chi non ha mai alzato il naso da un libro. Lei aveva un mondo dentro alla testa, fatto di arte, di bellezza, e di ragionamenti complessi che, di tanto in tanto, gli esternava con un’espressione talmente buffa sul viso, che lui non riusciva a trattenersi dal portarle le mani sulle guance per avvicinarla a sé e baciarla. 
Si era ritrovato smarrito, nella sua bellezza, e nemmeno se n’era accorto. 
Ed era proprio per questo motivo che, quel giovedì, Sandy Cohen era sì, in piedi davanti ad una porta, ma ad aprirgli non stava andando qualche suo amico, pronto a far baldoria; tutt’altro, quando la porta si aprì: il profumo delicato di vaniglia di Kirsten gli invase i sensi, provocando in lui un sorriso spontaneo, a cui lei rispose immediatamente. 
Ecco, il sorriso. Quella era un’altra sua caratteristica che gli aveva fatto perdere la testa. Non esagerava quando diceva che qualcosa di così meraviglioso, non l’aveva mai visto. Il sorriso di Kirsten era magico, innocente e aveva il potere di renderla ancora più bella, quando esplodeva all’improvviso sul suo viso, facendole brillare le iridi azzurre come il mare. 
Ed era bastata quella dolce curva rosata a fargli andare il respiro di traverso. 
Si concesse di guardarla ancora un secondo: indossava una canotta leggera, verde pastello, che le lasciva scoperte le spalle, evidenziando i suoi seni piccoli e sodi e i fianchi sottili; aveva abbinato quell’indumento leggero ad un paio di pantaloni bianchi, fini ed elastici: perfetti per stare in casa. 
E aveva i capelli legati, Sandy lo notò subito, perché i suoi occhi faticavano a staccarsi da quel collo invitante, a cui dopo, con la scusa di farle il solletico, mentre ridevano, si sarebbe dedicato per bene. 

« Ehi! » Lo accolse con un bacio innocente sulla guancia, che lui sfruttò per respirare meglio quel profumo che aveva il potere di stravolgere completamente una brutta giornata. 

« Ehi » le mormorò, contro la guancia. « Guarda che ti ho portato » aggiunse, alzando una busta color cartone che rimaneva perfettamente rigida ai lati. Sul fronte, scritto in rosso, si leggeva a chiare lettere: Shen Hua. Un ritornare cinese che aveva aperto da poco ma di cui lei già andava matta. Amava la cucina cinese, ma a Newport non la mangiava spesso perché il padre la detestava. “Non sa di niente e rischi pure di ammalarti.” Kirsten glielo aveva raccontato, camuffando la voce di Caleb. Così a Berkeley si sbizzarriva, sperimentando tutto quello che la incuriosiva. 
Ogni tanto, pensando a questo, la vocina nella sua testa lo portava a chiedersi se anche lui fosse solo un esperimento, qualcosa di cui era curiosa, ma poi lei si addormentava con il viso sul suo petto e lo abbracciava, inconsciamente, mugugnando qualcosa che Sandy proprio non riusciva a decifrare. Poco importava, però, perché quando lo faceva, lui riusciva a percepire la serenità e la fiducia che lei provava tra le sue braccia. 

« Mmh! Sei il mio eroe. Sto morendo di fame! » gli disse, prendendogli la mano per trascinarlo con sé sul letto, dove si sedette all’Indiana, sistemando la busta piena di delizie tra le sue gambe. 

Sandy le si sedette accanto, lasciandosi cadere all’indietro, con la testa sul cuscino. « Come sei messa? Ti senti pronta per domani? » 

« Mica tanto » rispose lei, tirando fuori un contenitore d’allumino che sapeva di aceto e carne. Glielo porse, prendendone un altro per sé. 

« Ho finito di ripetere tutta la prima parte, ma mi manca da ripetere ancora tutta Archeologia moderna e devo rivedere un capitolo, perché non l’ho capito benissimo. Dio... » Stava iniziando ad entrare in crisi, spaventata dall’idea di non eccellere come sempre. 
Era testarda, decisa ed anche tremendamente competitiva, proprio come lui. 

« Andrai alla grande, come sempre » la rassicurò, girandosi su un fianco e sorreggendo la testa con una mano, mentre con l’altra prendeva le bacchette. « Hai studiato tanto queste ultime due settimane, ora sei solo agitata, ma domani ti tornerà tutto alla mente. Già lo vedo quel vecchio bavoso del tuo professore che ti guarda incantato dalla tua precisione. »

« Geloso? » ridacchiò lei, facendo sorridere anche lui. 

« Oh sì, anche io vorrei far innamorare quel vecchiaccio parlando di Architettura Moderna. » Lo disse improvvisando un’espressione sofferente, che la fece scoppiare a ridere. 

« Quanto sei scemo! » esclamò, accompagnando quella frase con un colpo leggero sul braccio. 

Passarono così le successive due ore: sgranocchiando qualsiasi cosa la busta avesse da offrire e ridendo di tanto in tanto delle cavolate che Kirsten diceva cercando di ricordane cognomi impossibili da pronunciare. Si erano messi comodi, nel frattempo: Sandy stava seduto con la schiena poggiata alla spalliera, mentre lei si era accoccolata tra le sue gambe, usando il petto di Sandy come schienale. Teneva gli appunti e l’enorme libro che sapeva d’antico davanti a sé e Sandy, che aveva le braccia avvolte alla sua vita,  girava pagina ogni volta che lei terminava di ripeterne una. 
Di tanto in tanto le posava qualche bacio innocente sul collo, giusto per convincerla a distrarsi per qualche manciata di minuti e dedicarsi solo a lui. A volte era geloso di quei libri e del modo in cui la rapivano, ma poi lei si voltava e sfiorandogli le labbra riusciva a fargli dimenticare tutto.

Sbuffando, Kirsten si portò entrambi i palmi delle mani sugli occhi, cercando di alleviare la tensione che sentiva tirarle la testa. 

« Dio! Non ce la faccio più » disse, poggiandosi nuovamente al petto di Sandy, che subito la avvolse in un abbraccio. 

« Perché non fai una pausa? Sei preparatissima, anche più di chi ti farà l’esame domani » le suggerì lui, avvicinandogli la bocca all’orecchio, prima di baciarle una guancia. 

« Mmh! » Lei lo accolse di buon grado, stringendosi a lui per sentire ancora meglio il contatto delle sue labbra sulla pelle. « Non ti annoi stando qui a guardami studiare? Helen mi ha detto che lei e Paul dovevano andare ad una festa. Se vuoi raggiungerli non c’è problema. »

Ma lui non si mosse da dov’era, continuando a baciarla sul collo, dietro l’orecchio, mentre le accarezzava il ventre con un due dita. 

« Non mi diverto senza di te » le sussurrò, mordicchiandole il lobo. « E poi, non potrei mai lasciarti da sola ad impazzire su un libro. »

Sandy pensava ogni parola che le stava dicendo e sperava che, questo, Kirsten potesse sentirlo dalla sua voce. Voleva che capisse che lui era lì con lei e che ci sarebbe stato sempre, non importava che fosse per un esame o perché aveva bisogno di qualcuno accanto che la sorreggesse quando da sola non ce la faceva. Lui era lì e non aveva alcuna intenzione di andarsene. 

« Lo sai? Sei incredibile » gli mormorò, girandosi verso di lui senza sciogliersi dalla sua presa.

Continuava a guardarlo negli occhi, cercando di penetrare in quelle meravigliose iridi blu come il cielo d’estate, nella speranza di riuscire a leggere quei preziosi pensieri che la sua mente celava. Kirsten non si era mai sentita così con nessuno: era innamorata. E per la prima volta in vita sua ne era sicura. Sentiva le farfalle nello stomaco ogni volta che lui la guarda; aveva voglia di vederlo ad ogni ora del giorno e desiderava averlo con sé ogni notte. Amava ogni cosa di Sandy Cohen: quel sorriso sornione con cui la puzzenchiava, la chioma ribelle che le solleticava il viso quando dormivano insieme, ma soprattutto amava ciò che la sua testa nascondeva al mondo e che lui aveva iniziato a svelarle piano piano. A volte passavano le giornate distesi sul letto, l’uno nelle braccia dell’altro, a non fare assolutamente nulla. 
Ridevano e giocavano come bambini, si rubavano baci, carezze, senza aspettarsi nulla dopo. Ma soprattutto parlavano. Parlavano di tante cose. Sandy le raccontava della sua vita a New York, di come fosse stata o difficile arrivare fin lì e di quanto l’assenza del padre e la freddezza della madre continuassero a ferirlo; lei lo ascoltava senza perdersi una parola, ammirando la forza e la determinazione con cui aveva saputo prendere la vita di petto per realizzare i suoi sogni. Parlavano anche del futuro e di come Sandy volesse cambiare il mondo è aiutare i più deboli. 

“Voglio fare qualcosa che aiuti davvero le persone. Voglio poter fare la differenza per chi è solo.” Diceva così, lui, mentre le prendeva le mani e allacciava le loro dita insieme. E lei moriva, ogni volta. Moriva per quella caparbietà, per quella passione che i suoi occhi le trasmettevano. 

« Ti amo. » Quelle parole le scapparono dalla bocca con così tanta naturalezza che quasi credette di non averle dette. Ma lo aveva fatto. E poteva vederlo chiaramente sul viso di Sandy, che sorrideva, impietrito e incapace di pensare. 

Per un attimo Kirsten ebbe paura di ave rovinato tutto, di averlo detto troppo presto; ma più di tutto aveva paura che lui non rispondesse, che se ne andasse. 

Stava per rimangiartelo, dunque, ma lui le prese le spalle con entrambe le mani e la tirò su, fino ad avere il suo viso a pochi centimetri dal proprio. 

« Erano mesi che volevo dirtelo. Mesi che lo sento dentro e che cerco di dimostrartelo, senza poterlo dire ad alta voce per paura di spaventarti. » Gli occhi gli divennero lucidi. « Ti amo anch’io. Ti amo così tanto. È qualcosa che non ho mai provato prima, con nessuna. »

Kirsten non riusciva più a respirare, sentiva le fitte allo stomaco e il cuore battere all’’impazzata nel petto. Stava rischiando che le esplodesse, ma non le importava. Era felice. Felice come non lo era mai stata in vita sua. 

Sandy Cohen l’amava. E la guardava, la guardava con quegli occhi blu in cui lei voleva perdersi per sempre. Gli prese il viso tra le mani, schiudendo le labbra per accogliere il suo labbro inferiore. Lo bacio piano, lo assaporò, mordicchiandolo, succhiandolo, tirandolo a sé. 
Iniziò a muoversi piano, su di lui, incerta di cosa stesse facendo, di dove volesse arrivare, ma era certa che quella notte non voleva che Sandy se ne andasse. 

« Ti amo » continuava a ripetergli, a fior di labbra, tra un bacio e l’altro, e Sandy rispondeva ogni volta, lasciandole mantenere il controllo. Era lei doveva dirigere le danze, dare il ritmo al loro gioco, e lui avrebbe accettato qualsiasi cosa, nonostante ogni centimetro del suo corpo gli stava gridando di intrappolarla sotto di lui, contro il letto, per esplorare il sapore di quella pelle diafana e raggiungere finalmente quel piacere che agognava da mesi.
Sandy sentì le labbra di Kirsten abbandonare le sue, per scendere sul suo collo. Le sue mani erano scivolate sotto la t-shit che lui aveva scelto con cura prima di uscire, accarezzandogli il petto villoso e scolpito da anni di surf all’alba. Con un gesto fluido gliela sfilò facendola passare dalla testa e subito la tirò lontano, senza prestare attenzione a dove andasse a finire. 
Lui la guardò estasiato, prendendole il viso tra le mani per tornare a baciarla. « Sei sicura di volerlo fare? » le chiese, ribaltando la situazione con un abile colpo d’anche. Lei scoppiò a ridere. « Possiamo aspettare ancora. »

« Sandy, non voglio più aspettare. » Nella sua voce non c’erano tracce di esitazione, così come nei suoi occhi, e questo lo rassicurò, facendogli comparire un sorriso furbetto sul viso. Le diede un bacio sul collo, poi un altro nell’incasso dei seni, scostandole la maglia col mento. 
Lei reclinò il capo sul cuscino, lasciandosi scappare un sussulto. Aveva atteso quel momento per così tanti mesi, rimanendo a sbirciare Sandy di nascosto mentre si preparava per andare a fare surf o mentre studiava quell’enorme manuale di diritto privato, con una penna intrappolata tra le labbra e i capelli disordinati. Era tutto diverso, con lui. Tutto nuovo. E quella notte, mentre le sfilava i vestiti, ripetendole quanto l’amava, Sandy fece molto più: le tolse una ad una, tutte le maschere che Newport l’aveva costretta ad indossare, fino a creare una seconda pelle, di cui ora, finalmente, poteva liberarsi.

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Capitolo 2
*** Come una coppia sposata ***


La seguente fanfiction partecipa al Fall Color Event del gruppo Facebook di We are out for prompt. 
Il prompt è di Glass Heart, a cui spero piaccia il fill.
Parole
: 1479.
PromptKirsten/Sandy, Sono giovani e frequentano ancora l'università. Un giorno, Sandy si presenta davanti a lei, la prende per mano e inizia a correre.
"Sandy! Dove stiamo andando? Nevica."
"Fuggiamo come una coppia sposata."
"Ma noi non siamo sposati."
"Non ancora ma vedilo come un allenamento.”

 


Note dell'autrice:
Questo capitolo (e qualche altro che posterò nei prossimi giorni) verrà inserito all'inizio di questa raccolta, perché è cronologicamente antecedente a quelli già pubblicati. Altra piccola nota: so che la descrizione della scena in classe è più in linea con un liceo, ma concedetemi questa licenza poetica.

 


 
Come una coppia sposata 
 

Lui e Kirsten uscivano insieme solo da qualche mese e avevano deciso di andare con calma, di dare ad ogni cosa il giusto tempo; fu soprattutto di Sandy, quella decisione, perché sapeva quale fosse la reputazione che aleggiava attorno al suo nome dopo la rottura con Rebecca e non voleva che Kirsten credesse che la loro storia fosse un’avventura o che lei fosse solo un’altra futile conquista con cui passare una notte e basta.
Era innamorato di lei, di ogni sua più piccola mania e  di quel naso a bottoncino che si arrossava ai primi accenni di freddo. 

“A Newport non ci sono queste temperature. Lì non piove neanche” si giustificava ogni volta che lui la prendeva in giro per come si imbacuccava appena iniziava a soffiare un po’ di vento. 

Aveva completamente perso la testa per quella ragazza e sentiva dentro che non era solo una cosa temporanea: non aveva mai provato niente di simile con nessun’altra, neanche con Rebecca. Kirsten lo aveva cambiato, con quel suo modo di fare innocente, con quelle fossette che le impreziosivano il viso; aveva dato un senso a tutto il male che Sandy aveva vissuto e aveva cancellato dal suo cuore tutta quella rabbia che aveva covato dentro per tutta la vita.
Lo aveva migliorato, lei che, a bassa voce, sotto le coperte, gli confessava di aver paura di poterlo corrompere col proprio passato, col cognome che portava. 

“Non me lo perdonerei mai” gli diceva, mentre giocava con le loro dita intrecciate per cercare di ricacciare dentro le lacrime. Allora lui la stringeva a sé, pressando la sua schiena contro il proprio petto, e iniziava a baciarle il collo mentre continuava a ripeterle che l’amava più di ogni altra cosa al mondo. 

“Tu sei la persona migliore che io conosca, la più buona, la più intelligente. Non c’è una sola cellula di cattiveria dentro di te.” Poi iniziava a ridacchiare contro il suo orecchio per farle il solletico. “Sei solo un po’ spocchiosetta” le diceva, e lei scoppiava a ridere, con quella risata contagiosa, spontanea, di cui Sandy non era mai stanco. Si sarebbe reso ridicolo per il resto della sua vita, se questo fosse servito a non farla mai smettere di ridere in quel mondo. 
Però, accadeva che smettesse. I suoi occhi non brillavano più come piccoli diamanti, quelle labbra sottili e appena rosate rimanevano impassibili ad ogni battuta o complimento, e lei sembrava spenta, svanita. 

Succedeva sempre quando arrivavano telefonate da Newport; ogni volta che lei parlava con il padre, poi affrontava giorni di inferno, in cui nulla riusciva a tirarla su di morale. Sandy, ormai, aveva capito l’antifona: Caleb Nichol rivoleva sua figlia a casa, ma lei non aveva alcuna intenzione di tornare. 

“Questa storia deve finire, vuoi studiare? Puoi farlo alla USC.” Kirsten le aveva raccontato la sua ultima telefonata col padre, ripetendogli esattamente quelle parole. Le stesse che ormai Caleb le ripeteva da mesi, ignaro - o forse no - del male che così le faceva. 

“Io non voglio tornare a casa. Non voglio studiare alla USC. Qui ho la mia vita, i miei amici, ho te. Possibile che mio padre non lo capisca? Conta così poco per lui che io sia felice?” 

Kirsten gli si buttava tra le braccia, piangendo come una bambina indifesa, e a volte Sandy aveva paura che avrebbe potuto romperla, se solo l’avesse stretta un po’ di più. In quei momenti, aveva paura anche lui. Si ritrovava spiazzato e con le spalle al muro: avrebbe smosso mari e monti per renderla felice, per far sì che nulla le togliesse quel meraviglioso sorriso che aveva, ma quando la vedeva così, capiva di non poterla sempre proteggere da tutto e quel senso di impotenza lo umiliava, come se non fosse all’altezza di stare con lei e tenerla al sicuro. 
E quella mattina, era uno di quei momenti. Kirsten stava a lezione, mentre lui aveva deciso di andarsene: tanto non riusciva a seguire quello che il professore di diritto privato stava spiegando; aveva in testa l’espressione atterrita con cui Kirsten aveva lasciato la camera all’alba, dopo aver passato la notte a piangere tra le sue braccia perché Caleb le aveva intimato che presto avrebbe fatto in modo che lei tornasse a Newport. 

Vagava per il campus senza meta, cercando di trovare un modo per alleviare il suo dolore, per farla sorridere di nuovo, ma tutto sembrava o troppo banale o inutile. In fondo, chi meglio di lui poteva capire cosa si provasse a sapere che per il proprio padre non conti niente? 
Sentì i primi fiocchi di neve posarsi tra i suoi capelli corvini, inumidendogli le punte. 

“Perfetto!” pensò, “Ci mancava solo questo.”

La neve era un altro bel fardello con cui fare i conti: significava niente surf, niente uscite con Paul e gli altri, ma soprattutto era un ulteriore ridimensionamento dei suoi piani per Kirsten. 
Arrivò davanti alla facoltà di Arte e corse sotto la tettoia per ripararsi, sbirciò dentro dalle vetrate del portone, per cercare di capire se fosse fattibile imbucarsi. E lo era, fortunatamente, così lo fece. Varcò la soglia e si fiondò nel corridoio principale, passando in rassegna, aula dopo aula, tutte le porte che incontrava. Cercava quella che nascondeva Kirsten, meditando, intanto, come farla uscire di lì e, soprattutto, cosa fare una volta che sarebbero stati insieme. 

Le avrebbe fatto dimenticare tutto il resto, questo era certo. 

Come un matto, iniziò a gesticolare alla rinfusa per cercare di attirare la sua attenzione dalla piccola finestrella che stava sulla porta, ma non funzionò. Così, senza pensarci due volte, e già sghignazzando, entrò in aula con disinvoltura, interrompendo la lezione. Tutti si voltarono verso di lui e poi verso Kirsten, che intanto si stava già nascondendo il viso tra le mani. 

« Scusi, signor Miller! Non volevo interromperla, ma mi manda la segreteria. La signorina Nichol è richiesta. » 

L’ometto baffuto, la cui pancia a stento stava nello spazio tra la sedia e la cattedra, rivolse lo sguardo al ragazzetto che stava al lato, sulla porta, e lo osservava in attesa di una risposta. Si sistemò gli occhiali rotondi sul naso, consapevole del fatto che gli fosse appena stata raccontata una balla. 

“Va bene!” disse, comunque. “Signorina Nichol, può andare!” L’uomo ricordava bene come fosse avere vent’anni, essere alle prese con i primi amori; conosceva Sandy Cohen, spesso lo incrociava sui gradini della facoltà che attendeva paziente la sua ragazza. 

“Una strana accoppiata, questi due” pensò, mentre osservava la sua studentessa raccogliere libri e quaderni per avvicinarsi alla sua scorta. 

« Arrivederci, professore » disse lei, educata, rivolgendogli un sorriso garbato e rispettoso. 

« Buona giornata, signorina! Anche a lei, giovanotto. » 

Con un cenno del capo, Sandy si congedò dal professore e dalla classe, aprendo la porta a Kirsten per farla passare.
Nessuno dei due proferì parola finché non superarono l’aula, arrivando all’ingresso. 

« Tu sei tutto matto! » ridacchiò lei, portandogli le braccia al collo per sfiorargli le labbra con un bacio. 

« Lo so! Ma è colpa tua, mi mancavi troppo. Non potevo aspettare fino a pranzo per vederti. » La prese per i fianchi, attirandola a sé ancora di più, per esortarla ad approfondire quel bacio. 

« Ruffiano » lo incalzò lei, trascinandolo fuori dalla facoltà, ma continuando a tenere i loro visi vicini con l’ausilio della mano che gli premeva sulla nuca. « Dove vuoi andare? » domandò, convinta che quel bacio fosse una piccola anticipazione di ciò che Sandy voleva fare. 
Lui, invece, non aveva alcuna intenzione di richiudersi in casa, per quello avrebbero avuto tutta la notte. Aveva avuto un’idea geniale, mentre attendeva la risposta del professore e aveva tutta l’intenzione di metterla in atto. 
Così le prese la mano e si mise a correre sotto la neve, con lei dietro. 

« Sandy! Dove stiamo andando? Nevica! » protestò lei, cercando di stare al passo. 

Sandy sorrise, anche se Kirsten non poteva vederlo. 

« Fuggiamo come una coppia sposata » chiosò, mente la conduceva fuori dal campus.

« Ma noi non siamo sposati. »

« Non ancora, ma tu vedilo come un allenamento » ridacchiò, ma quelle ultime parole congelarono Kirsten sul posto, obbligando anche lui a fare lo stesso. Si voltò a guardarla e la vide con un sorriso indescrivibile stampato sul viso mentre i suoi occhi gli trasmettevano mille emozioni diverse, le stesse che stava provando lui. 

« Non ancora, eh? » fece da eco lei, avvicinandosi a Sandy, tremante. 

Lui fece spallucce, sorridendo sornione. « Beh, prima o poi dovrai acconsentire a sopportarmi per sempre. Meglio che inizi a rassegnarti. » E dicendolo, lasciò scivolare le mani sotto le sue natiche per issarla come se non pesasse niente, portandola abbastanza in alto da farla sembrare più alta di lui. 

« Ti amo da morire » le mormorò, mordendole il labbro inferiore. 

« Io di più » gli rispose lei, rispondendo al bacio con un ampio sorriso.

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Capitolo 3
*** La prima volta a Newport ***



Contesto: Sandy deve incontrare Caleb e Rose per la prima volta a Newport 
Prompt: claustrofobia 
Parole: 218


La prima volta a Newport 
 

« Ecco papà. » La voce entusiasta di Kirsten interruppe per qualche istante i pensieri confusi di Sandy, che si era perso nell’ammirare la grande e lussuosa sala del Newport Country Club. 

Era la prima volta che Sandy incontrava i genitori di Kirsten e questo lo rendeva estremamente nervoso. Sapeva che Caleb Nichol non avrebbe mai accettato che lui uscisse con la figlia e il timore di poter perdere Kirsten dopo quella sera lo pietrificò davanti all’ingresso. 

« Amore, stai bene? » gli domandò Kirsten con aria preoccupata, notando lo sguardo attonito sul viso di Sandy. Questi intanto aveva preso ad allentare il nodo della cravatta, sentendo a fatica l’aria entrare nei polmoni. Le grandi volte e le luci intense gli fecero girare la testa, dovette stringersi al braccio di Kirsten per non cadere. 

« Mi manca l’aria » sussurrò, sofferente e lei gli fu subito accanto, prendendogli il viso tra le mani. 

« Va tutto bene » gli disse, calma. « Qualsiasi cosa dica mio padre, non potrà mai cambiare il fatto che ti amo. Capito? » Ora gli sorrideva dolcemente mentre gli accarezzava la guancia. Nel guardarla, Sandy si sentì subito meglio. Sorrise anche lui e la sensazione di claustrofobia pian piano iniziò a sparire. 

« Ti amo così tanto » le rispose, prima di baciarla.

 


 
Note dell'autrice: la storia nasce per partecipare al Drabble Day di Writer's Wing, ma poiché io e le drabble non andiamo d'accordo, alla fine è venuta fuori una flashfic.

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Capitolo 4
*** Solo cinque minuti ***



Contesto: uno dei tanti risvegli di Sandy al campus con Kirsten vicino.
Prompt: maglietta;
Parole: 322


Solo cinque minuti
 

Il sonno di Sandy venne interrotto dal rumore di qualcosa che aveva sbattuto contro il pavimento. Gli occhi del ragazzo si spalancarono di colpo e ancora un po’ appannati si guardarono intorno confusi. 

« Ah, sei sveglio allora. » Si sentì dire da una voce femminile. Lo sguardo di Sandy andò spedito alle sue spalle, verso l’altra parte del letto, dove Kirsten era in piedi, intenta a rivestirsi. 

« Mi hai svegliato tu » osservò lui. 

« Non è colpa mia se hai il sonno leggero » rispose lei, voltandosi a guardarlo ridendo. Sandy assottigliò gli occhi, accennando un sorriso birbante. « Ah sì? » protestò scherzando mentre si sollevava sugli avambracci. Kirsten fece un cenno d’assenso con la testa per prenderlo in giro, dandogli nuovamente le spalle per infilarsi la maglietta. Sandy osservò ogni singolo movimento del suo corpo che si distendeva verso l’alto, la maglia che le scivolava lungo i fianchi e le mani che lavoravano, esperte, per sistemarla dentro ai jeans. Si protese verso di lei, prendendola per un braccio e tirandola giù su di sé. Il gesto la colse alla sprovvista, facendole sfuggire un gridolino. 

« Faccio tardi a lezione » obiettò, cercando di allontanare Sandy che intanto aveva iniziato a baciarle il collo. Lui la ignorò, catturandole le labbra per zittirla. Le afferrò il labbro inferiore con i denti tirandolo verso di sé, mentre con le mani armeggiava per sfilarle di nuovo la maglia. 

« Sandy… » Nemmeno Kirsten sapeva se fosse una protesta o un ansimo. Lui la ignorò ancora, scendendo lungo il seno usando solo il labbro superiore e istintivamente lei inarcò la schiena. 

Sandy le sorrise sulla pelle, soddisfatto, sapeva di averla in pugno. Le sfilò la maglia e si riportò vicino al suo viso per baciarla. 

« Solo cinque minuti, giuro. Poi ti lascio andare » le sussurrò all’orecchio e Kirsten sapeva che era una bugia. La più bella che le potesse dire. 
 


Note dell'autrice: Ehilà, come procede il vostro rewatch di The O.C., siete sopravvissuti alla seconda stagione? Io a stento, ma fortunatamente mi consolo con le fanfiction. Soprattutto con quelle in inglese. 

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Capitolo 5
*** Pollo fritto ***


 

Contesto: una mattinata qualsiasi all'università di Berkeley. Sandy e Kirsten escono già da qualche mese. 
Prompt: pranzo;
Parole: 761

 
Pollo fritto
 

« Sandy? » 

La voce gentile che lo chiamava per lui era facilmente riconoscibile, cercò di individuare Kirsten tra la folla di ragazzi e ragazze che, insieme a lui, stava lasciando l’aula di diritto penale. La trovò seduta sulla panchina dall’altra parte del corridoio che gli faceva un cenno con la mano, sorridendogli, bella come sempre. 

« Ehi tu… » le sorrise, sedendosi vicino a lei. Lasciò che la cartella scivolasse sul pavimento vicino a loro mentre lui le avvolgeva le spalle con un braccio. « Che ci fai qui? » le chiese, baciandole una guancia. 

« Ti cercavo » gli rispose Kirsten, voltandosi verso di lui con un’espressione di ovvietà dipinta in volto. « Hai programmi per dopo? » 

Sandy non parve ascoltare la sua domanda, troppo impegnato a baciarle gli angoli della bocca. Lei lo allontanò dolcemente, ridacchiando, e intanto qualche sguardo curioso li sbirciava di soppiatto mentre passava davanti a loro. 

« Devo studiare » sbuffò, scontento, lasciando che la sua testa crollasse contro il muro. 

Kirsten gli accarezzo i capelli con le dita, cercando di sistemare  qualche ciocca ribelle. « E se ti rapissi per pranzo? » gli propose. 

Sandy si tese verso di lei per catturarle le labbra, si staccò qualche secondo dopo assumendo un’espressione contenta. 

« Sembra interessante » le sussurrò con fare malizioso, spostandole i capelli dietro la spalla. 

« Potrei anche farti compagnia mentre studi e assicurarmi che tu non ti distragga. » Stavolta fu lei a baciarlo, tirandolo a sé per la maglia. 

« Sarà difficile non distrarmi se mi starai intorno, ma correrò il rischio. » Sandy le sorrise restando vicino alle sue labbra. Già sapeva che non avrebbe toccato libro quella sera, non avrebbe potuto concentrarsi avendola vicino. 

Kirsten gli prese la mano e mettendosi in piedi, lo trascinò su con sé. « Allora, cosa ti va di mangiare? » gli chiese, portandogli le braccia al collo. 

« Pollo fritto e patatine. Una valanga di patatine. » Kirsten scoppiò a ridere vedendo Sandy scuotere i pugni in preda all’entusiasmo. 

« Vuoi restare leggero? » osservò lei, mentre si dirigevano fuori dalla facoltà di Giurisprudenza.

« Avrò bisogno di energia se devo studiare tutta la sera. » 

Il cielo sopra Berkeley quella mattina era pulito da ogni nuvola, il sole batteva alto e le temperature stavano salendo alle stelle. L’idea di pranzare davanti all’oceano si prospettava la migliore davanti agli occhi di Sandy e anche Kirsten parve essere d’accordo. Camminavano mano nella mano per il campus, raccontandosi la loro giornata, quando incrociarono Helen e Paul1, seduti sotto ad un albero, anche loro intenti ad andare a pranzo. 

« Venite con noi? » propose Kirsten, fermandosi davanti agli amici, che accolsero di buon grado l’offerta. 

« Dove si va? » indagò Helen, scrutando attentamente Sandy. Era lui la guida gastronomica dei fast food di Berkeley e nessuno osava contraddire la sua opinione. 

« Sol y mar. Prendiamo cibo da asporto e lo mangiamo alla marina. » Sandy parve estremamente soddisfatto del suo piano come un bambino che segna il goal della vittoria.

« Messicano a pranzo? Leggero » obiettò Paul, facendo scoppiare tutti a ridere, intanto che si sollevava da terra insieme a Helen.

« È quello che gli ho detto anche io » disse Kirsten tra una risata e l’altra, poggiando la testa sulla spalla del proprio ragazzo mentre riprendevano a camminare. Sandy le pizzicò un fianco, fingendosi offeso. « Da che parte stai? Hai detto tu che potevo  scegliere io cosa mangiare. »

« Ho anche detto che mi sarei assicurata che avresti studiato » lo canzonò lei, restituendogli il pizzico sul braccio. 

« Ahii! » si lamentò lui, massaggiandosi all’altezza del tricipite, e tutti scoppiarono di nuovo a ridere. « Studierò dopo aver fatto un'indigestione di pollo fritto. » 

Paul e Kirsten si scambiarono uno sguardo d’intesa; Paul era il compagno di stanza di Sandy, nonché uno dei suoi migliori amici, perciò sapeva bene quanto facilmente il giovane Cohen si lasciasse tentare da una bella pennichella post abbuffata. Lo aveva trovato a ronfare sul letto tante di quelle volte, che ormai non gli credeva più quando gli diceva: un cheeseburger e poi a capofitto sui libri.

« Finirai a dormire per tutta la sera, come sempre » lo ammonì Paul e Sandy alzò gli occhi al cielo, non avrebbe vinto quella conversazione. Si voltò verso Kirsten e le appoggiò le mani sulle spalle. « Non corro il rischio. Ci pensa lei a tenermi sveglio. » disse, facendola camminare davanti a sé, mentre lei cercava di scansarlo con i gomiti. 
 


Note dell'autrice: Paul Glass appare nella terza stagione di The O.C. e viene presentato come un ex compagno dei tempi del college di Sandy e Kirsten. Mentre sono tutti a cena, Paul racconta a Seth e Ryan che fu lui ad organizzare uno dei primi appuntamenti dei genitori, perché Kirsten era la compagna di stanza della ragazza con cui usciva. Di questa ragazza non si sa niente, ergo  Helen (nome recuperato dalla long ambientata a Berkeley che sto buttando giù) è un mio OC.

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Capitolo 6
*** Rimettiti a studiare ***



Contesto: Sandy e Kirsten stanno studiando insieme nella stanza del dormitorio di Berkeley in cui alloggia Sandy. Lui, però, non pare essere molto concentrato sui libri. 
Prompt: studiare;
Parole: 712.

 
Rimettiti a studiare 
 

Le stanze del dormitorio di Berkeley non erano certo le più confortevoli che si potessero avere, ma per Sandy e Kirsten erano diventate il rifugio perfetto in cui isolarsi dal resto del mondo per passare una serata tranquilla, magari per fare l’amore o, come quella volta, per preparare l’ennesimo esame che li stava mandando fuori di testa. 

Kirsten sedeva al bordo del letto con le gambe incrociate e sulle quali teneva un enorme mattone dalla copertina flessibile, fatto di pagine evidenziate in più punti con il giallo e il rosa. Sandy, invece, stava dal lato opposto, con la schiena contro la spalliera e le gambe distese. Il suo libro era ormai abbandonato di fianco a lui, nello spazio di letto che lo divideva da Kirsten. Si portò le mani al volto e sbuffò, lasciandosi andare ad un sonoro lamento. 

« Non ne posso più » piagnucolò spazientito, mentre Kirsten alzava lo sguardo dal suo manuale per portarlo su di lui. 

« Torna a studiare. Dobbiamo finire » lo canzonò, rimettendogli il libro sulle gambe. « Coraggio! » aggiunse, con tono deciso, puntando con gli occhi l’enorme raccolta di codici e articoli. 

Sandy non parve entusiasta. Prese un mazzetto di pagine, lo piegò leggermente e lo lasciò scorrere rapidamente: i fogli corsero uno appresso all’altro, fino a che non gliene rimase nemmeno uno in mano. 

« Mi serve una pausa » commentò, stiracchiando le braccia, « Rischio l’esaurimento. »

Kirsten ormai non gli dava più retta, rimanendo concentrata sul paragrafo che stava evidenziando in rosa. 

« Ne hai fatta una meno di un quarto d’ora fa » replicò, secca, « Se continui così, l’unica cosa che rischi è di non passare l’esame. »

Sandy la fissò per un istante: Kirsten aveva addosso solo una delle sue t-shirt grigie in cui lei poteva starci dentro almeno due volte, i lunghi capelli biondi erano raccolti con una matita e gli occhi iniziavano a far trasparire la stanchezza, ma nonostante tutto non accennavano a staccarsi da quelle pagine. 

Era fatta così: se iniziava qualcosa, poi la doveva portare a termine e doveva farlo sempre meglio che poteva. Era determinata, spesso anche troppo, ma quella era una delle cose di lei che Sandy amava di più. L’ammirava e ne era fiero, perché volendo Kirsten non avrebbe dovuto faticare nemmeno un giorno della sua vita per avere ciò che voleva, avrebbe tranquillamente potuto sfruttare il proprio cognome per ottenere qualsiasi cosa le passasse per la testa; invece era lì, con lui, a studiare per costruire da sola il proprio futuro, per dire al mondo che lei non era solo la figlia del ricco e potente Caleb Nichol. 

Sandy sorrise istintivamente mentre si avvicinava a Kirsten, le sfilò il libro dalle mani e posò le proprie labbra sul suo collo, risalendolo con calma in una lunga scia di baci. 

« Che fai? » provò a fermarlo lei, respingendolo con l’ausilio di una mano; Sandy, però, non si lasciò fermare, acciuffandole voracemente le labbra. Stavolta Kirsten non si oppose, rispondendo a quel bacio. Si allontanò da lui poco dopo, per riprendere fiato e gli sorrise. « Hai deciso di non far studiare neanche me? » scherzò, accarezzandogli il viso. 

Sandy annuì, divertito. 

« Forse » replicò, portando le proprie mani sui suoi fianchi per attirarla a sé. Si sdraiò nuovamente con la schiena contro la spalliera del letto, lasciando che Kirsten gli si rannicchiasse vicino, con la testa poggiata sul suo petto. Lei continuò a studiare e lui non si mosse più da quella posizione, rimanendo assorto a guardarla mentre le accarezzava un braccio con la punta delle dita. 

« Ti ho già detto che ti amo? » le chiese, avvicinando la bocca al suo orecchio. 

Kirsten ridacchiò, inclinando il capo verso il viso di Sandy. « Sì » gli rispose, con fare giocoso. « Ma puoi ripeterlo, se vuoi. »

Sandy le portò un braccio intorno alla vita per attrarla a sé con più decisione e sorrise ancora mentre le sollevava il mento con due dita per farsi guardare. 

« Ti amo » ripeté con occhi languidi. 

Kirsten si protese verso di lui. 

« Anche io. Tanto » ammise e il suo sguardo si illuminò come quello di una bambina mentre gli poggiava una mano sul viso per baciarlo. 

 


Note dell'autrice: devo ammettere che mi diverto davvero tanto a scrivere di Sandy e Kirsten durante il periodo del college. Avrei voluto vedere molti più riferimenti e/o flashback di loro due a quei tempi, soprattutto avrei gradito che almeno quei pochi racconti che ci sono nella serie fossero stati costruiti con più cura e con maggiori dettagli, ma tant'è... Non si può avere tutto dalla vita, no? In ogni caso, credo che questa raccolta non terminerà con il quinto capitolo (come invece accade di solito), vorrei tenerla aperta per eventuali ispirazioni future, ma ancora non ho deciso con sicurezza. Vedremo nei prossimi giorni.

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Capitolo 7
*** Kiki? Seriamente? ***



{La seguente quasi-drabble partecipa al Drabble Day indetto dal gruppo Facebook di Writer's wing.}
***
Contesto: Sandy è  nella stanza del dormitorio di Kirsten, aspettando che lei finisca di struccarsi. I due chiacchierano del più e del meno e Kirsten rivela a Sandy qual è il soprannome che Caleb usa con lei.
Prompt: labbra;
Parole: 167.


Kiki? Seriamente?
 

« Kiki? Seriamente? » Sandy scoppiò a ridere, portando la schiena contro la spalliera del letto. 
Kirsten, impegnata davanti allo specchio, si voltò in direzione del ragazzo, fulminandolo con lo sguardo. 

« Scusa, la smetto » bofonchiò lui, alzando le mani in segno di resa. 

No, non l’avrebbe fatto. Kirsten lo sapeva bene. Finì di struccarsi e si avvicinò a Sandy, che l’accolse tra le braccia. 

« Mio padre mi chiama così da quando ero piccola, e non c’è modo di farlo smettere. Lo odio » spiegò lei seguendo il tono divertito del ragazzo, mentre poggiava la testa sul suo petto. 
Sandy le accarezzò i capelli, continuando a ridacchiare sotto i baffi. « In effetti, è davvero un soprannome troppo brutto per una ragazza così bella » osservò, divertito e Kirsten sollevò di poco il viso per poterlo guardare negli occhi. 

« Tu promettimi che non mi chiamerai mai così » 

Sandy annuì. « Te lo prometto » aggiunse, chinandosi su di lei per baciarle le labbra
 


Note dell'autrice: bentrovati a tutti! Come procede il rewatch? Vi state godendo la bellezza dirompente della quarta stagione o avete abbandonato la nave dopo il finale della terza?
Devo ammettere che sono sempre molto indecisa su quale sia la mia stagione preferita tra le terza e la quarta; insomma, nella terza c'è il ritorno a casa di Kirsten, tutto il suo percorso evolutivo e le scene Kandy non mancano di certo; ma nella quarta il mio cuore di fangirl rischia sempre di rimanerci secco. Sandy e Kirsten sono eccessivamente adorabili in quella stagione. 
Comunque, bando alle ciance, ditemi un po': vi siete mai chiesti perché Sandy sia effettivamente l'unico - fatta eccezione per Seth e Ryan - che non ha mai chiamato la moglie Kiki, nemmeno per scherzo. Ecco, secondo me è per questo.


 

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Capitolo 8
*** Studio matto e disperatissimo ***


 

Contesto: Kirsten è in piena sessione e non si concede neanche cinque minuti di pausa, mandando la sua coinquilina fuori dai gangheri. Sandy è preoccupato per quanto studia, così decide di assicurarsi che almeno mangi.
Prompt: studio;
Parole: 1022.

 

Studio matto e disperatissimo 
 

Due colpi leggeri contro la porta distrassero Kirsten dalle sue letture. 

La ragazza aveva il letto ricoperto da enormi libri di testo che ritraevano opere d’arte di ogni tempo e gli appunti sparsi qua e là tra le lenzuola e sul pavimento. 

« Helen, apri tu? » chiese, senza staccare gli occhi dalla pagina che stava evidenziando. 

La compagna di stanza era sdraiata a pancia in giù sul letto di fronte al suo, intenta a sgualcire le pagine di una rivista di gossip. Provò a ribattere, perché non aveva voglia di alzarsi, ma Kirsten era completamente assorbita dai suoi studi e non parve nemmeno farci caso. 

« Diventerai matta prima di fine semestre » la canzonò la mora, mentre con un gesto secco spalancava la porta. Kirsten continuò a tenere lo sguardo basso, evidenziando una riga da parte a parte, e così non si accorse del ventiduenne con i capelli disordinati che le stava sorridendo appoggiato allo stipite della porta. 

« Buona fortuna per farti notare. Non si stacca da quei quaderni da stamattina » commentò Helen, alzando gli occhi al cielo, prima di uscire dalla camera e chiudere la porta senza aspettare la risposta di Sandy. Il ragazzo la seguì con lo sguardo e si fece scappare un sorriso: Kirsten in piena sessione è in grado di far uscire di testa pure lei, pensò, prima di fare due passi dentro la stanza, riportando la propria attenzione su Kirsten, che intanto aveva continuato ad ignorare la presenza di qualsiasi altra cosa che non fosse il suo manuale. Stava seduta sul letto con le gambe incrociate e la schiena contro la spalliera, mordicchiando nervosamente il beccuccio di una bic nera. Aveva i lunghi capelli biondi raccolti tra due bacchette e indossava una lunga felpa grigia con la scritta Berkeley al centro, dentro la quale lei avrebbe potuto starci almeno due volte. Sandy riconobbe subito la felpa e sorrise: era la sua.

« Kirsten? » provò ad attirare la sua attenzione senza spaventarla.

« Hei! » sospirò lei, spostando di fianco  il libro che aveva sulle gambe. Era stanca, stava studiando da otto, nove ore? Bah! Aveva perso il conto. All’esame mancavano solo pochi giorni e a Kirsten sembrava di avere ancora tutto il programma da studiare e più cercava di memorizzare le informazioni, più sentiva di non ricordare niente. Doveva ancora ripetere tutto e rivedere un mazzo di appunti infiniti, non aveva tempo di fare una pausa. 

Sandy le sorrise ancora: gli era bastato incrociare il suo sguardo per capire cosa le stava passando per la mente. Camminò verso il letto, facendo attenzione a non calpestare le centinaia di fogli che Kirsten aveva sparpagliato per tutto il pavimento. Solo quando le fu vicino, lei poté notare il sacchetto di carta marrone che il ragazzo teneva in una mano e lo guardò curiosa. 

« Cinese! » esclamò Sandy, alzando la busta all’altezza del petto. « Qualcuno deve assicurarsi che mangi o rischi di digiunare fino a dopo l’esame. »

Kirsten gli sorrise di rimando. Sandy riusciva sempre a trovare il modo giusto per farla sentire meglio e spesso non se ne rendeva neanche conto. 

« Ci sono i ravioli di carne? » chiese lei, strofinandosi le mani, mentre lui le si sedeva accanto. 

« Porzione doppia e tanta, tanta salsa di soia » rispose soddisfatto, avvolgendole le spalle con un braccio. 

Kirsten si lasciò tentare dall’idea di fare una pausa. In fondo, un boccone non poteva che farle bene. Incrociò lo sguardo di Sandy che confermava i suoi pensieri, così si stiracchiò, appoggiando la propria testa sulla sua spalla. 

« Mio eroe! » disse entusiasta, pregustando il sapore degli Jiaozi.

Sandy tolse dalla busta tutti i contenitori in alluminio e li sistemò sul letto, prese la salsa di soia e spezzò le bacchette, porgendone un paio a Kirsten. 

Per il resto della serata lui rimase accanto a lei, sdraiato sul letto, ascoltandola ripetere ogni capitolo, guardandola evidenziare i paragrafi, annotare piccoli appunti ai margini di libri e quaderni. Ogni tanto la interrompeva, ridacchiando, prendeva uno degli jiaozi con le bacchette e lo intingeva nella salsa di soia. 

« Mangia! » diceva, poi, rivolto verso Kirsten, mentre le avvicinava il bocconcino di carne alla bocca, evitando con una mano che la salsa di soia gocciolasse sul letto. Lei smetteva di studiare quel tanto che bastava per mangiare e ritornava subito a concentrarsi sui libri. 

Era incredibile quanto tempo Kirsten  riuscisse a passare studiando, Sandy a volte non capiva proprio come facesse. Ammirava il fatto che  lei si impegnasse così tanto, ma era esagerata. C’erano giorni in cui rischiava l’esaurimento nervoso: restava chiusa in camera a leggere e ripetere per ore e ore, non si accorgeva di ciò che le capitava intorno e, spesso, si scordava persino di mangiare. 

Sandy, ormai,  aveva perso il conto di quante volte era successo. Kirsten era una perfezionista e finché non era certa di sapere ogni singola cosa al meglio, non smetteva di tenere la testa china sui libri. Così spettava a lui evitare che la sua ragazza impazzisse durante gli esami. Sandy sapeva che quello era il modo migliore per aiutarla: non poteva impedire all’ansia di tenerla sveglia la notte, ma poteva restare lì con lei e cercare di darle tutto il supporto di cui aveva bisogno.

Ora la guardava mentre piano piano lasciava scivolare i fogli degli appunti al bordo del letto. Era esausta e a stento riusciva a tenere gli occhi aperti. Si rannicchiò su un fianco, poggiando la testa contro il petto di Sandy e lui fui pronto ad accoglierla tra le braccia.

« Stai bene? » le chiese, accarezzandole la schiena. 

Lei annuì, tenendo gli occhi chiusi e rilassandosi sotto il tocco delicato di Sandy.

« Ti amo » gli sussurrò a fior di labbra.

Lui la strinse a sé più forte. 

« Anche io » rispose Sandy, afferrando la coperta con una mano per trascinarla sopra di loro. 

« Buonanotte » le disse, notando che ormai si era già addormentata profondamente. Le sorrise, chinando il viso su di lei per baciarle la fronte. 

Per Sandy quello era il modo migliore di finire una serata. 




 
 

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Capitolo 9
*** Pezzi di un puzzle ***


 

One shot scritta per la #MakeyoursummerDE indetta dal gruppo Facebook We are out for prompt .

*** 

Il prompt è di Frida Rush

***

Testo del prompt: oltre l'orizzonte.

***

Parole: 3386.



Pezzi di un puzzle
 
 

Sandy sbuffò, rigirandosi nel letto della sua stanza ed individuando il telefono sul comodino. 

« Vuoi chiamarla, eh? » La voce arrivò dal letto accanto. Era Paul, il suo compagno di stanza, seduto con le gambe incrociate e un enorme libro poggiato su di esse. 

Paul stava studiando per diventare un docente di legge, perché, rispetto all’amico, non andava matto per l’azione. All’aula di tribunale, lui preferiva l’aula dell’Università, in cui poteva formare le giovani menti dei futuri avvocati della California. 

« Da morire » rispose Sandy, mettendosi a sedere con uno scatto. Aveva i capelli disordinati e schiacciati da un lato, come se il cuscino gli fosse rimasto incollato alla testa. « Sono giorni che non mi parla. Non risponde alle mie chiamate, mi evita quando mi incontra per il campus. Che dovrei fare secondo te? Stare qui con le mani in mano ad aspettare che le passi?  » 

Paul fece spallucce. « Non ho detto niente » si giustificò, notando il tono infastidito di Sandy. « Le passerà, vedrai » concluse, riportando la testa sui libri. 

Anche da quella posizione, però, Paul poteva sentire i pensieri di Sandy e le sue mani che si torturavano a vicenda. 

« Sandy! » tuonò Paul, alzando lo sguardo per osservare di sottecchi il compagno. « Ho un esame domani e non posso concentrarmi con te che dai di matto. Perciò prendi quel telefono e chiamala. Helen è con lei. » 

In realtà a Paul non importava dell’esame del giorno dopo, era preparato ed era certo di passarlo, ma sapeva anche che Sandy non si sarebbe mosso da quel letto se lui non lo avesse spronato a farlo. 

Il giovane Cohen non era mai stato il tipo che si lasciava intimidire dalle situazioni. Era arrivato in California dal Bronx quando aveva sedici anni, completamente solo e spaesato, ma non si era fatto spaventare. Aveva concluso gli studi in uno dei licei più prestigiosi di Berkeley e poi aveva sbaragliato tutti i concorrenti all’università. Era il migliore del suo corso, anche grazie alla spavalderia di cui la natura lo aveva dotato. 

Eppure con Kirsten diventava docile come un agnellino. 

Era orgoglioso, quindi non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce; ma se litigavano e lei non gli parlava, lui ci stava male. Male a tal punto da restare a letto, in pigiama, di giovedì sera, quando metà campus era coinvolto nella consueta festa in qualche camera più in là della loro. 

« Non esiste » sbuffò Sandy, mettendosi in piedi per recuperare t-shirt e felpa dal comò. « Tanto non mi risponderebbe. »

Paul lasciò scivolare il manuale di lato, usando la matita come segnalibro, così da potersi concentrare sull’amico. 

Tra i due, il ruolo dello psicologo spettava a lui. Era così da sempre. 

« E cosa intendi fare? » gli chiese, lasciandosi cadere all’indietro con le mani dietro la testa. 

Sandy alzò gli occhi al cielo. « Ma cosa ne so. Se devo essere sincero, non ho nemmeno capito perché è così arrabbiata. Ha chiamato il padre e due minuti dopo stava urlando come una pazza. » 

« Vuoi che chieda ad Helen? » propose Paul, mentre Sandy infilava la maglia. 

Liberando la testa dal tessuto della felpa, il ragazzo si voltò a guardare il compagno di stanza e scosse il capo. « No, non coinvolgerla. Se Kirsten scoprisse che uso Helen per capire cosa le passa per la mente, ammazzerebbe prima me e poi lei. L'importante è che almeno si sfoghi con qualcuno. » 

« Uno di questi giorni ti faranno santo. » 

Sandy scoppiò a ridere, alzando gli occhi al cielo. Si avvicinò al comodino per prendere il portafoglio e lo infilò nella tasca dei jeans, prima di cercare il giubbetto. 

Ormai la fase delle chiamate senza risposta era superata. Sandy era stanco di aspettare. Qualsiasi cosa avesse Kirsten, era tempo di parlarne. 

Non capiva perché lei dovesse fare così: ogni volta che c’era un problema, si chiudeva in se stessa e lo teneva a distanza. 

Lui sapeva che Kirsten era perfettamente in grado di badare a se stessa e la sua indipendenza era una delle cose che più amava di lei, ma voleva poterle stare vicino quando stava male. Essere sicuro che lei si sentisse abbastanza a suo agio con lui da permettergli di aiutarla se ne aveva bisogno. 

« Io vado da lei » annunciò, infine, finendo di aggiustare il suo riflesso allo specchio. « Almeno così non potrà ignorarmi. »  Dicendolo, abbozzò un sorriso sornione e uscì dalla stanza, permettendo a Paul di tornare al suo ripasso. 

 

Nel tragitto dalla sua camera a quella di Kirsten, Sandy dovette attraversare tutto il campus, incrociando di tanto in tanto qualche studente che studiava all’ombra degli alberi, nell’ampia area verde. 

Rispetto al Bronx, Berkeley era molto più calda. Pioveva solo un mese all’anno e le temperature non scendevano mai sotto i dieci gradi. Il clima era decisamente una delle cose che il giovane Cohen amava di più della California, subito dopo Kirsten e il mare, s’intende. 

 

Finalmente si ritrovò dinanzi all’imponente ingresso del dormitorio femminile. Tra lui e Kirsten ora c’era solo una manciata di gradini. 

Stavolta, se avesse voluto evitarlo, sarebbe dovuta scappare dalla finestra. 

Guarda tu cosa mi tocca fare – pensò tra sé e sé Sandy, mentre schivava un gruppetto di ragazze ubriache fradice che barcollavano per tutto il corridoio. 

« Alle sette di sera? Che classe! » osservò l’unica ragazza apparentemente sobria del gruppo, che aiutava le altre due a restare in piedi. Sandy non poté fare a meno di sorridere nel vedere tutta la scena, prima di fare qualche passo in avanti e ritrovarsi di fronte alla porta della stanza di Kirsten. Bussò due volte con l’indice, aspettando paziente che qualcuno gli aprisse. In sottofondo si sentivano la musica e le risate che provenivano dalla camera dietro l’angolo. 

« Sandy! » esclamò Helen, una volta aperta la porta. La ragazza mora lo guardava un po’ stupita, tenendo la mano sulla maniglia e impedendogli così la visuale dell’interno della stanza. 

Solidarietà femminile – scherzò il ragazzo, senza dirlo ad alta voce. 

« Kirsten c’è? » chiese, invece, rimanendo immobile sull’uscio. 

Era sicuro che fosse lì, seduta sul letto che la porta gli nascondeva e non riusciva ad impedire ai propri occhi di puntare esattamente in quella direzione. Helen lo notò e sorrise. Sandy sapeva essere davvero cocciuto quando si trattava di Kirsten. 

Più lei lo allontanava, più lui provava disperatamente a starle vicino ed Helen sapeva bene che quello era esattamente ciò di cui l’amica aveva bisogno: qualcuno che non si lasciasse spaventare dai suoi muri. 

Kirsten era tendenzialmente diffidente, colpa dell’ambiente in cui era cresciuta, e difficilmente abbassava la guardia, specie se si trattava di ragazzi. Stando con Sandy aveva fatto passi da gigante, Helen dovette riconoscerlo, ma le vecchie abitudini erano dure a morire, soprattutto quando queste riguardavano il padre. 

« Sandy… » Helen tese una mano verso il petto dell’amico che aveva fatto un passo in avanti. 

« Voglio solo parlarle » rispose questi, rivolto più alla ragazza nascosta che a quella con cui stava effettivamente parlando. 

« Lo so, ma dalle tempo. Le passerà. Ora è sdraiata, non ha voglia di vedere nessuno. »

Sandy, però, non l’ascoltò. Gli bastò un solo gesto della mano per spalancare del tutto la porta, rivelando così l’interno della camera e il letto su cui Kirsten era seduta. 

La ragazza aveva i capelli raccolti e una maglia bianca con un paio di jeans. Teneva le gambe premute contro il petto e il viso poggiato sulle ginocchia. 

Sandy incrociò il suo sguardo, stanco. Non doveva aver dormito granché negli ultimi giorni. 

Notò anche gli occhi arrossati, segno che aveva appena finito di piangere.

Maledizione, Kirsten! – pensò, senza smettere di guardarla. – Perché devi fare così? Perché devi sempre affrontare tutto da sola? 

« Uhm… V-vi lascio soli. » La voce di Helen riportò Sandy alla realtà, obbligandolo a voltarsi nella direzione della ragazza che aveva appena parlato. 

Simulò un grazie con le labbra, annuendo appena. 

Prima di andare via, Helen rivolse un’ultima volta il suo sguardo verso Kirsten, per accertarsi che stesse bene. Dopodiché lasciò i due nel silenzio della camera, chiudendo la porta alle proprie spalle. 

 

Per la prima volta, dopo quello che a Sandy parve un periodo interminabile, erano soli, uno di fronte all’altra, senza possibilità di scappare. 

Era il momento di parlare. 

Sia lui che Kirsten lo sapevano, ma nessuno dei due si azzardò ad emettere un fiato o muoversi da dov’erano. Rimasero semplicemente a fissarsi, lei seduta sul letto mentre tratteneva il respiro nei polmoni e guardava Sandy che le stava davanti. 

Nessuno dei due sapeva cosa dire, come iniziare. Erano semplicemente stanchi di ignorarsi. 

A Kirsten, Sandy mancava e sapeva che, in fondo, anche per lui era lo stesso; ma era più forte di lei, non voleva scaricargli addosso il peso dei suoi problemi e Sandy continuava a non capirlo. Lo amava, tanto, ma non spettava a lui salvarla dal caos di Newport. Non era per quello che stavano insieme e non voleva fargli pensare il contrario. 

Poteva cavarsela da sola. E in ogni caso, ormai doveva farlo per forza. 

« Mi dici cos’hai? » Finalmente Sandy ruppe il silenzio, notando che Kirsten era sul punto di piangere.

Istintivamente, lei nascose il viso contro le ginocchia, impedendogli così di vedere le lacrime che le rigavano le guance. 

« Kirsten… » tentò di dire Sandy, avvicinandosi a letto e sedendosi accanto a lei. « Ehi, non piangere » la rassicurò, prendendola tra le braccia. « Sono qui. Va tutto bene » continuò a ripeterle, affondando il viso tra i suoi capelli e stringendola a sé con più forza. 

Kirsten continuò a piangere contro il petto di Sandy. 

Non se lo meritava. 

Non meritava che qualcuno come Sandy l’amasse. 

Non aveva fatto altro che respingerlo negli ultimi giorni e nonostante ciò lui era ancora lì a prendersi cura di lei. 

Come poteva dirgli cosa le aveva detto il padre? 

Come poteva chiudere la loro storia quando ogni centimetro del suo corpo si contorceva al solo pensiero? 

« Che succede? » le mormorò lui, continuando a tenere il viso nascosto tra i suoi capelli. 

Lei non rispose. 

« Kirsten, andiamo, parlami » insistette Sandy, portandole due dita sotto al mento per obbligarla a guardarlo. « Cosa c’è che non va? »

Kirsten respirava a fatica, tra le lacrime e i singhiozzi. Stava per dire qualcosa, ma il suono del telefono glielo impedì. 

Maledizione! – pensò Sandy, volgendo lo sguardo verso l’apparecchio. 

« Vuoi rispondere? » le chiese, asciugandole una lacrima con il dorso del pollice. 

Lei fece cenno di no col capo. « Tanto è mio padre » disse, finalmente, in un lungo sospiro. « Pronto a ricordarmi che non importa quanto lontano io sia, resterò sempre una sua proprietà. » Dicendolo, accennò un sorriso sarcastico, accentuando le guance bagnate dal pianto. 

Allora Sandy mise insieme tutti i pezzi del puzzle, capendo che non era lui ad aver fatto qualcosa che l’aveva mandata fuori di testa; era Caleb. E chiaramente, qualsiasi cosa fosse, riguardava o loro due o Berkeley. Solo in quel caso Kirsten avrebbe potuto dire una cosa del genere. 

« Che ha fatto? » le domandò, mentre alzava la cornetta e la risbatteva contro la piattaforma con un colpo deciso. Il tono irritato al solo pensiero. 

« Se te lo dico... » Kirsten fece una pausa, prendendo la mano di Sandy tra le sue. « Se te lo dico, devi giurarmi che rimarrai calmo e che non farai nulla di stupido. È una cosa che devo risolvere da sola. » Lo guardò supplicante. Gli occhi azzurri sembravano piccoli diamanti. 

« Okay. » Fu tutto ciò che le rispose Sandy, rimanendo impietrito davanti a quelle parole. 

« Okay? » ripeté Kirsten, con un filo di voce e lui annuì. 

Così lei iniziò il suo racconto, partendo dalla prima telefonata del padre, avvenuta tre giorni prima. Caleb aveva deciso che la fase-Berkeley – come l’aveva definita – era durata abbastanza e che era tempo di finirla con quella inutile ribellione. 

« Sai anche tu che il tuo posto è alla BSU, con Jimmy » le aveva detto. « Ho parlato con il rettore. Per questo semestre non si può fare nulla, ma è disposto a farti accedere ai corsi a partire dal prossimo gennaio. Nel frattempo starai qui, a Newport. » 

Kirsten soppresse il nuovo attacco di pianto che stava avendo la meglio su di lei, cercando di mantenere un tono pacato mentre ripeteva le parole del padre. Sandy, intanto, la ascoltava senza emettere nemmeno un fiato. Sentiva la rabbia divampargli dentro come fuoco, desiderando con tutto se stesso di prendere a pugni quel figlio di puttana che trattava la figlia come se fosse un oggetto. Non si accorse nemmeno di aver stretto la mano a pugno talmente forte da essersi conficcato le unghie in profondità nella carne del palmo. 

« Vuole che torni a casa, sabato. Ha già predisposto tutto. Ha perfino parlato con il rettore di Berkeley senza nemmeno chiedermi cosa ne pensassi. Gli interessa solo della sua stupida società. Non gli importa niente del fatto che mi sta rovinando la vita. » Kirsten si lasciò cadere contro il petto del ragazzo, il quale fu subito pronto ad accoglierla, stringendola come se da quello dipendesse la vita di entrambi. 

« Non volevo dirtelo » proseguì lei e Sandy poté sentire il solletico delle sue parole contro la propria maglia. 

« Perché? » gli chiese lui, accarezzandole la schiena. 

« Perché se te lo avessi detto, sarebbe stato reale. Non voglio andarmene, Sandy. Non voglio lasciarti. » Pianse, ancora. 

« Non gli permetterò di portarti via » la rassicurò lui, baciandole il capo. « Non può farlo. »

Kirsten si lasciò scappare una risata isterica. « È Caleb Nichol, può fare tutto quello che vuole. » 

« Questo lo vedremo » ringhiò Sandy, resistendo al desiderio di prendere Caleb per il collo e picchiarlo fino a lasciarlo agonizzante sul pavimento. 

Kirsten alzò il viso di colpo per incontrare gli occhi di lui. Era terrorizzata. « No! No! Sandy! Me lo hai promesso » protestò, scuotendo il capo energicamente. « È una cosa che devo gestire io. Non voglio che tu venga coinvolto. Conosci mio padre. Sai com’è fatto. Se ti metti in mezzo, se lo ostacoli, dio solo sa quello che può inventarsi per distruggerti. » 

« Non puoi chiedermi di rimanere a guardare mentre quello stronzo ti tratta così. » 

« Sandy… » provò a rispondere Kirsten, ma il ragazzo la zittì. 

« No! Ho capito. Non vuoi che se la prenda anche contro di me e lo apprezzo, davvero. Ma non posso rimanere fermo e lasciare che ti porti via senza fare assolutamente niente. Ci sono già dentro, Kirsten, e se non lo capisci, sottovaluti quello quello che provo per te. » Sandy le sorrise, sfiorandole il mento col dorso dell’indice e facendola ridere. 

Finalmente – pensò il giovane, lasciandosi beare dalla bellezza di quel sorriso. 

 

Ormai stavano insieme da sette, forse otto mesi – non era bravo con le date –, ma su una cosa Sandy Cohen non poteva sbagliarsi: Berkeley gli aveva regalato l’amore della sua vita, la persona che un giorno – ne era certo – avrebbe sposato. E averla lì, poter guardarla ridere, era l’unica cosa che chiedeva per il resto dei suoi giorni. 

 

Dopo Rebecca, Sandy aveva passato due anni infernali; aveva perso completamente la capacità di fidarsi del prossimo, soprattutto delle donne. Si era ripetuto allo stremo che non si può conoscere davvero qualcuno, anche quando ne sei estremamente  convinto, perché tanto la gente ti mostra solo quello che vuole. E lui non voleva essere ferito di nuovo, non in quel modo. 

Così per tutto il tempo successivo alla fuga della sua ex, il giovane Cohen si era dedicato a capofitto ai suoi studi, all'attivismo studentesco, ma si era tenuto ben alla larga dalle relazioni. 

Per due lunghi anni, si era reso emotivamente inaccessibile, concedendosi solo di uscire qualche volta con Paul e il resto del gruppo per fare serata nei locali frequentati da studenti. Capitava, di tanto in tanto, di imbattersi in un po’ di sesso occasionale, ma nulla più di quello. 

Almeno finché un giorno, mentre era completamente preso dalla campagna per Mondale e Ferraro, Sandy aveva incontrato Kirsten e quello splendido sorriso che ora lei gli stava rivolgendo. 

Era stato un momento, qualcosa nella sua testa gli aveva suggerito che se avesse lasciato andare via quella ragazza se ne sarebbe pentito per sempre e quella vocina non poteva essere più vicina alla verità di com’era. 

« Ti amo. » La voce di Kirsten lo richiamò alla realtà. Sandy sentì le sue braccia cingergli il collo e fare pressione perché lui le si avvicinasse. Senza aggiungere altro, le loro labbra si incontrarono a metà strada, sovrapponendosi dolcemente. Sandy poteva ancora sentire su di lei il sapore salato delle sue lacrime e l’unica cosa che voleva era tenerla stretta a sé, giurarle che sarebbe andato tutto bene. 

Perché sarebbe andato tutto bene.

Non avrebbe mai permesso a Caleb di portarla via da Berkeley, non aveva paura di lui né di ciò che poteva fare. 

Voleva riportare Kirsten a Newport? 

Doveva solo provarci. 

Kirsten non avrebbe fatto un passo per tornare in quel covo di borghesucci imbellettati, viziati e capricciosi, senza la minima cognizione del mondo reale. 

Lei non era così e non si sentiva parte di quella realtà. Voleva altro dalla vita, desiderava più di qualche festa lussuosa e dei soldi del padre; c’era molto di più di quello che Newport poteva offrire, un futuro che non la costringeva ad essere Kirsten Nichol, la figlia di Caleb Nichol, la moglie perfetta di Jimmy Cooper, ma in cui poteva essere semplicemente se stessa, fare ciò che davvero le piaceva e la rendeva felice. 

E sapeva che in quel futuro, al suo fianco, l’unica persona che voleva era Sandy. Glielo aveva confessato la prima volta in cui gli aveva detto di amarlo e lui era rimasto pietrificato, incredulo, senza spiccicare parola. 

Mai in vita sua si era immaginato con qualcuno come Kirsten. Mai in vita sua aveva creduto di poter incontrare qualcuno come lei. Eppure quel primo, innocente ti amo lo aveva fatto sentire come mai prima di allora.
Nemmeno con Rebecca aveva provato qualcosa di tanto forte e totalizzante. Lui e Kristen sembravano completarsi alla perfezione, come due tessere di un puzzle, riuscendo ad offrirsi quello che nell’altro mancava.

Quando Sandy si allontanò dalle sue labbra per riprendere fiato, le sorrise, raccogliendo un paio di ciocche dietro il suo orecchio. Seguì la linea dell’attaccatura dei capelli con l’indice, solleticandole leggermente  la pelle e facendola ridere. 

« Mangiamo qualcosa? » le propose, senza staccare gli occhi dai suoi. 

Kirsten annuì, per poi andare in bagno a sciacquarsi il viso e rimuovere i residui di mascara che, colando, le avevano marcato di nero il contorno occhi. 

 

(...)

 

Un’ora dopo si ritrovarono sdraiati, Sandy con la schiena poggiata ad un masso e Kirsten accovacciata tra le sue gambe e contro il suo petto, in una piccola insenatura tra gli scogli, isolata dal resto del mondo, mentre sentivano le onde dell’oceano infrangersi contro le rocce sotto di loro. 

Quel piccolo anfratto di spiaggia era uno dei posti in Berkeley che Kirsten amava di più. Era stato Sandy a scovarlo, una mattina di qualche mese prima, durante la sua consueta escursione alla ricerca di nuovi scenari in cui fare surf. 

Da allora, quello era diventato il loro rifugio quando avevano voglia di stare lontani dal resto del mondo.

« Hai freddo? » chiese Sandy, sentendo Kirsten rabbrividire tra le sue braccia. 

« Un po’ » rispose lei, affondando il mento sul suo petto per guardarlo in viso. 

Senza aggiungere altro, il ragazzo si mise seduto e appoggiò il pezzo di pizza che aveva in mano nel cartone quasi vuoto, per poi afferrare il retro della felpa bordeaux che aveva indosso e tirarlo su per la testa, così da riuscire a sfilare l’indumento senza difficoltà. Fece cenno a Kirsten di sollevare le braccia e lei lo assecondò, permettendogli così di aiutarla a mettere la felpa.  Provò a riscaldarla un po’ sfregando delicatamente le mani lungo le sue braccia e le sorrise.

« Va meglio? » le chiese, riportandola giù con sé. 

Lei annuì, sentendosi avvolgere dal calore del tessuto e dal profumo di Sandy. 

« Grazie » gli mormorò, prima di sistemarsi meglio tra le sue gambe, la schiena contro il suo petto, mentre in silenzio ammiravano entrambi il sole morire all’orizzonte. 


 

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Capitolo 10
*** Sveglia di notte ***



Contesto: Sandy e Kirsten sono tornati nel dormitorio femminile dopo la cena, ma lei non riesce a dormire e non è l'unica quella notte.
Prompt: pensieri;
Parole: 1.993.
__________________

 

VIII parte

Sveglia di notte
 

Ormai era notte inoltrata quando gli occhi di Kirsten si spalancarono, fissi sul soffitto bianco sopra la sua testa. 
Aveva avuto un incubo, l’ennesimo, per quella notte. 
La discussione che aveva avuto al telefono con Caleb qualche giorno prima l’aveva scossa più di quanto credeva e questo la faceva sentire ancora peggio; si era giurata, lasciando Newport, che non avrebbe mai più permesso al giudizio del padre di farla sentire insignificante. E invece eccola lì, sveglia alle quattro del mattino - così diceva la sveglia sul comodino - rimuginando su quello che Caleb le aveva detto qualche giorno prima. 
 
« Questo capriccio è durato fin troppo, signorina. È tempo che tu torni a casa e ti decida a raggiungere Jimmy alla USC. »
 
Capriccio. 
Signorina. 
 
L’eco di quelle parole rimbombò nella sua testa, chiudendole lo stomaco. 
 
Non è un capriccio. 
Non è una fase o uno stupido tentativo di farti arrabbiare. 
Maledizione, papà. Non può girare sempre tutto intorno a te. 
Ho bisogno di stare qui. 
Voglio stare qui. 
Devo capire chi sono. 
Cosa voglio. 
E Newport… Newport non è il mio posto. 
Il nostro posto. 
 
Al pensiero di Sandy, Kirsten rivolse istintivamente lo sguardo di lato, dove il corpo languido del ragazzo era appena coperto dalle lenzuola. 
Sandy dormiva sulla pancia, con la schiena scoperta e il viso completamente affondato nel cuscino. Il suo braccio destro avvolgeva saldamente la vita di Kirsten, impedendole ogni movimento.
 
Anche quando non era padrone di ciò che faceva, Sandy era iperprotettivo con lei. 
 
Kirsten gli sorrise, cercando di sistemarsi meglio tra le sue braccia. Addormentato com’era, non si accorse neanche della testa che si appoggiava alla sua spalla né delle dita affusolate che avevano iniziato a giocare delicatamente con qualche ciocca di capelli che gli copriva la nuca. Di tanto in tanto russava con la bocca semi aperta e Kirsten rideva, ripensando a tutte le volte in cui lui l’aveva presa in giro per lo stesso motivo e così, per qualche momento, la voce di Caleb uscì dalle sue orecchie, permettendole di godersi semplicemente la presenza di Sandy accanto a lei. 
 
Era davvero felice a Berkeley, con Sandy. 
 
Non è questo che un padre dovrebbe volere per la propria figlia? Che sia felice?  
 
E di nuovo, le parole di Caleb parvero schiaffeggiarla. 
 
« Io voglio il meglio per te. »
 
« Allora non portarmi via da Berkeley. » Era ciò che lei gli aveva risposto, prima di sbattere la cornetta con violenza contro la base. 
 
Il meglio. 
Tu non sai cos’è meglio per me, non lo hai mai saputo. 
Pensi di saperlo, ma non è così.
Non ascolti mai. 
Non ascolti me, la mamma, Hailey. 
Non ci conosci. 
 
Kirsten sentì gli occhi riempirsi di lacrime e iniziare a bruciare.
 
Non piangere.
 
NON. PIANGERE.
 
Continuava a ripetersi mentre si mordeva la gengiva con forza.
 
Non devi piangere, non ne vale la pena.
 
Ma faceva male, dannatamente male sapere che il proprio padre non riesce a vedere chi sei, cosa vuoi.
 
« Non sai nulla di me » singhiozzò a bassa voce, affondando il viso nella spalla di Sandy.
 
Ed era la verità, Caleb non la conosceva, non la capiva. 
L’uomo se lo ripeté per l’ennesima volta e intanto versava un altro dito di Whisky nel bicchiere, stando seduto nella poltrona dell’ufficio nella sua immensa e altrettanto silenziosa villa.
Amava la sua bambina e forse era proprio questo il vero problema. Kirsten era sempre stata indipendente, fin da piccola; aveva i suoi interessi, le sue idee… Non importava cosa lui le dicesse, cosa le consigliasse, lei continuava a fare quello che si sentiva. Era un piccolo tornado che aveva travolto la vita di Caleb ed era proprio quell’aspetto della figlia, quel carattere forte e indipendente, che gliela faceva amare così tanto. In fondo, lo aveva ereditato da lui. 
 
In pochi riuscivano a tenere testa a Caleb Nichol e quasi nessuno aveva il coraggio di farlo, ma Kirsten… Lei non ci pensava due volte. Era testarda, decisa e se voleva qualcosa faceva di tutto per ottenerla.
 
« Tu mi farai diventare matto, vero, Kiki? Io già lo so… » le aveva detto la prima volta che la prese in braccio mentre la guardava far sapere a tutti a pieni polmoni che Kirsten Nichol era nata. 
 
Forse sbagliava, ma Caleb lo faceva a fin di bene. 
Voleva proteggere la sua bambina, anche adesso che bambina non lo era più. 
 
L’aveva vista andare via di casa un giorno, con i bagagli fatti e senza preavviso, pronta ad intraprendere quella nuova strada che l’avrebbe portata a Berkeley, lontana da lui e Rose.
 
« Non te lo sto chiedendo, papà. Te lo sto dicendo: io studierò a Berkeley, che ti piaccia o no. » Quelle erano state le esatte parole di Kirsten la sera in cui gli aveva comunicato che aveva lasciato Jimmy e che non avrebbe frequentato la USC. Inutili furono le urla, le liti, le porte sbattute: niente riuscì a farle cambiare idea e alla fine, sconfitti, sia lui che Rose dovettero arrendersi e dargliela vinta.
 
Una parte di Caleb, in realtà, fu felice di averlo fatto perché capiva cosa spingeva la figlia a volersi allontanare da Newport per mettersi alla prova. Buon sangue non mente si disse, svuotando il bicchiere, che subito tornò a riempire con quel liquido marrone e amaro.  
Caleb sbuffò, fissando una fotografia che aveva sulla scrivania. La cornice in oro conteneva l’immagine di una piccola bambina bionda con un sorriso furbetto. I capelli corti, arricciati dall’acqua del mare e il costume rosa ancora visibilmente umido. Si stringeva a un giovane uomo e lo guardava felice, con amore.
 
Le due persone ritratte in quella foto erano lui e Kirsten, quando lei aveva quattro anni. Era stata Rose a scattare la foto, dopo che con fatica erano riusciti a convincere la loro figliola ad entrare in acqua.
 
« Ma ci sono i pesci, papà! » aveva piagnucolato, mentre lui la teneva in braccio per farla immergere gradualmente.
 
« Non essere ridicola, Kiki, i pesci non ti faranno niente » ricordava di aver risposto, continuando a bagnarle le gambette, che si dimenavano con rabbia.
 
« Mi mordono. »
 
Al ricordo, Caleb non poté fare a meno di ridere.
 
Oh Kiki, quando sei cresciuta?
 
Il sorriso sul suo volto sparì immediatamente.
Era proprio perché poteva comprendere appieno la natura del carattere della figlia che lo temeva. Sapeva che doveva proteggere Kirsten da se stessa, dalla sua impulsività. 
E Berkeley… Berkeley era stata una scelta impulsiva. 
Proprio come quel ragazzo del Bronx. 
 
Stranford?
Sanfort?
 
« Sanford, papà. Lo sai benissimo come si chiama. » A Caleb parve di sentire la voce di Kirsten alle sue spalle che lo rimproverava. 
 
« E comunque, preferisce essere chiamato Sandy. » 
 
Sandy. 
Sandy Cohen. 
 
Era quello il nome del ragazzo con cui doveva contendersi il cuore della figlia e, per principio, Caleb non aveva alcuna intenzione di impararlo. Aveva capito subito, dal modo in cui la sua Kiki ne parlava, che quel ragazzetto del Bronx sarebbe rimasto in circolazione per un bel po’ e questo gli faceva venire il sangue amaro. 
 
Con Kirsten ne faceva una questione di divario sociale, perché la verità non poteva certo dirgliela. Nessun ragazzo sarebbe potuto essere all’altezza della sua bambina e almeno Jimmy era qualcuno che Caleb poteva controllare, prevedere. Quel Sandy, invece, gli aveva dato contro fin dall’inizio e per lui Kirsten sembrava disposta a rinunciare alla vita che Newport poteva offrirle. Un vita piena, ricca, lontana da ogni problema. 
 
« Lui non appartiene al nostro mondo, Kiki. Sai bene che non potrà mai offrirti la vita che avresti con Jimmy » le aveva detto durante la loro ultima telefonata. E con tutta la rabbia che possedeva, Kirsten gli aveva ringhiato contro che non le importava nulla del denaro. 
 
« So che vita avrei avuto con Jimmy, papà, e ti do una notizia che forse ti è sfuggita: ho scelto di non viverla. Voglio stare qui a Berkeley. È questa la vita che voglio. » 
 
Certo che è quella la vita che vuoi. 
Sei giovane. 
Sei innamorata. 
Tesoro mio, due cose che ti rendono stupida e cieca. 
Un giorno ti sveglierai e ti renderai conto che quello che volevi a vent’anni non corrisponde con quello che vuoi a quaranta. 
Ma tu sei troppo testarda per capirlo, per darmi retta. 
 
Caleb sospirò, lasciando che la poltrona girevole su cui stava ruotasse su se stessa fino a far aderire parte dello schienale al bordo della scrivania. La finestra davanti a lui aveva le persiane aperte e in lontananza, riflessa nell’acqua limpida della piscina, si vedeva la luna piena in tutto il suo pallore. 
Caleb prese l’ultimo sorso di Whisky che aveva nel bicchiere e appoggiò la testa contro la poltrona, rimanendo in silenzio a pensare al modo per sbrogliare quella situazione. 
 
Kirsten nel frattempo non era ancora riuscita a chiudere occhio e non si era mossa. Le sue dita avevano continuato ad arricciare le ciocche dei capelli di Sandy, che intanto si era girato sulla schiena, permettendole così di appoggiare la testa sul suo petto. 
 
Era davvero innamorata di quel ragazzo ed era la prima volta che si sentiva così al sicuro con qualcuno. 
 
Sandy conosceva cose di lei che nessuno poteva immaginare; segreti che non erano mai stati pronunciati ad alta voce ed era bello avere al fianco qualcuno che vedeva la sua vera essenza e con cui poteva semplicemente essere se stessa, senza dover pensare alle conseguenze. Anzi, con Sandy poteva non pensare affatto. 
 
« Che ci fai sveglia? » Kirsten alzò lo sguardo verso di lui e lo vide con gli occhi ancora chiusi e le labbra che si muovevano appena, trasformando la sua voce in un flebile sussurro. 
 
« Ti ho svegliato? » chiese e il tono lasciò trasparire un accenno di senso di colpa. 
 
« Non fa niente. » Sandy strizzò gli occhi, passandosi la mano che non era poggiata sulla schiena di Kirsten sul viso per svegliarsi. « Non riesci a dormire? »
 
Lei sospirò, voltandosi sulla pancia, così da poter posare il mento sul petto di Sandy e guardarlo meglio in faccia. 
 
« Ho fatto un brutto sogno. Nulla di grave. » 
 
« C’entra tuo padre? » Sandy non aveva bisogno che lei rispondesse, sapeva già che era così. Per questo era rimasto lì quella notte. 
 
« Avresti dovuto svegliarmi » aggiunse, senza aspettare la sua risposta. 
 
Kirsten lo guardò colpevole: non voleva che Sandy si sentisse in dovere di prendersi cura di lei. « Dormivi come un bambino. Non volevo farlo. » 
 
« Ora sono sveglio » le fece notare lui, portando anche l’altro braccio attorno alla sua esile figura per stringerla a sé con maggiore decisione. « Ti va di parlarne? » 
 
Kirsten scosse il capo vigorosamente, nel farlo arricciò un poco il naso e agli occhi di Sandy parve una bambina. 
 
« Sei adorabile » le mormorò, chinandosi sul suo viso per baciarle la punta del naso. 
 
Sandy aveva imparato col tempo che l’argomento Caleb Nichol era un tasto dolente per la sua ragazza e che lei non amava parlarne. Sapeva che quando si sarebbe sentita pronta, quando ne avrebbe avuto bisogno, lo avrebbe fatto senza bisogno di stimoli e lui lo aveva accettato. Così non insistette. Le portò una mano sulla guancia, accarezzandola con il dorso del pollice e le sorrise, sfiorandole delicatamente le labbra con le proprie. 
 
« È ancora presto » notò Sandy, indicando con gli occhi la sveglia. « Perché non provi a dormire un po’? »  
 
Kirsten posò il capo tra la spalla e il petto del ragazzo, cingendogli la vita con un braccio. Lui fece lo stesso. Le diede un bacio sulla fronte, accarezzandole la schiena per farla rilassare. Continuò a sfiorarle la pelle scoperta con le dita finché non sentì il suo respiro farsi più profondo.
Abbassò lo sguardo su di lei e il suo viso ora aveva un’espressione serena e rilassata. Le sorrise. 
 
« Andrà tutto bene » le sussurrò, abbracciandola. « Vedrai. »
 
 

Note dell'autrice
Eccomi tornata, siete contenti? Ne dubito, ma non ditemelo. 
Perdonate il ritardo con cui sto postando questo aggiornamento, anche se a mio discolpa posso dire di aver specificato nella mia bio di avere un'ispirazione parecchio altalenante. Motivo per cui ho passato tre mesi a scrivere e postare come se non ci fosse un domani e ora sto avendo una battuta d'arresto, seppure non volontaria. 
Lo stess da immatricolazione non aiuta il mio cervello ad essere creativo e spero davvero tanto che dalla settimana prossima tutta questa ansia per l'università possa in qualche modo diminuire. Intanto, però, sappiate che cotninuo a lavorare per cercare di mantenere attiva la sezione di The O.C.
Ho quasi ultimato il capitolo della mia nuova long e ho diverse OS da finire, che spero possano piacervi. Ho pure pensato di creare una nuova raccolta che dovrebbe contere tutti i missing moments Kandy delle diverse stagioni, visto che sono in vena di fare un altro rewatch. 
Dite che dovrei iniziare a cercare aiuto? Esistono gruppi di supporto per la disintossicazione da Kirsten e Sandy Cohen? Dubito, ma dovrebbe proprio esistere qualcosa del genere. Noi povere fans abbiamo bisogno di supporto psicologico. 

 

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