The wolves

di biscotti_panati
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1





Agosto 2010

 

A Georgia, nel Vermont, l'estate sembrava non essere mai arrivata. La calura era durata il tempo di due settimane poi, come per magia, la città era piombata in un autunno precoce.

Da tre giorni ormai pioveva ad intervalli regolari e l'azzurro del cielo se ne stava coperto dietro uno spesso strato di nuvole grigie. Le previsioni meteo parlavano di temperature insolite e di un cambio di stagione improvviso.

Gli alberi avevano già cominciato a mutare i colori. Le foglie, che prima erano di un verde brillante, si stavano facendo gialle e se ne stavano curvate all'ingiù, pronte a volteggiare nell'aria da un momento all'altro.

La vecchia Volvo sfrecciava silenziosa lungo l'autostrada 89, verso sud. La stazione radio locale aveva lasciato spazio ad una playlist che riportava alla luce canzoni vecchie e dimenticate. Le note di A Boy Named Sue facevano rivivere gli anni '70.

Taehyung non era mai stato un fan di Johnny Clash, ma doveva ammettere che quella era una canzone piacevole.

Si chiedeva cosa avrebbe fatto lui se avesse ricevuto alla nascita un nome tanto orribile come Sue. Probabilmente avrebbe cercato di nasconderlo sotto un soprannome qualsiasi, uno di quelli che lo avrebbe fatto sembrare un duro. O almeno, questo era quello che credeva.

Prese l'uscita 18 e fece scivolare la macchina verso la statale 7, seguendo la strada. In realtà la 7 collegava bene St.Albans con Georgia, ma l'autostrada permetteva di viaggiare ad una velocità maggiore e di accorciare i tempi, per questo le volte in cui Taehyung usava la statale si potevano contare sulle dita di una mano.

Presto fu nei pressi della biblioteca locale, ma la superò alla svelta lasciandosela alle spalle. Avrebbe dovuto restituire dei libri, ma non li aveva portati con sé e non aveva tempo per fermarsi. Probabilmente questo gli avrebbe inimicato ancora di più la Signora Fisher; quella donna aveva un modo di fare intimidatorio.

Ogni volta che si apprestava a concedere un prestito, faceva scivolare gli occhiali a mezzaluna sulla punta del lungo naso sottile, incurvando eccessivamente un sopracciglio. Squadrava il tesserato da testa a piedi, come a valutare se questo fosse degno o meno, dava una masticata alla sua gomma alla fragola e con aria di sufficienza registrava il libro.

Jin diceva che era un modo di fare che si portava dietro da anni e che non le si doveva fare troppo caso, ma Taehyung non poteva che storcere il naso quando doveva chiederle consiglio.

Senza che davvero se ne accorse, era già arrivato a Georgia Center. Superò la scuola locale, dove aveva fatto le elementari, e a quel punto abbandonò anche la 7.

Si stava addentrando sempre più nel fitto della foresta e adesso la sua visuale era occupata da alberi ad alto fusto. Le foglie dei pioppi e delle grandi querce rosse svolazzavano veloce al suo passaggio e i piccoli abitanti del bosco correvano via quando sentivano l'avanzare dell'auto.

Quando, un'ora prima Jin lo aveva chiamato, Taehyung era nel bel mezzo del suo turno di lavoro. Non dovette faticare molto per rispondere, perché il mercoledì pomeriggio la caffetteria era quasi vuota. Il fatto che l'avesse chiamato in un momento come quello e che fosse stata una conversazione concisa, lo aveva insospettito. Jin gli aveva semplicemente intimato di andare al rifugio subito dopo il lavoro e di non fermarsi altrove. Dal suo tono sembrava avere fretta di dirgli qualcosa di importante. Così alle 5 spaccate di pomeriggio Taehyung, slacciato il grembiule, salutò Bete, la titolare, e lasciò Il Green Mountain Cafe.

Se quella con Jin fosse stata una conversazione come le altre avrebbe quanto meno provato a intavolare una finta protesta per scappare a quell'ordine tanto autoritario, ma qualcosa nel tono del suo interlocutore gli suggerì di fare esattamente quello che gli consigliava.

Alla radio Johnny Clash aveva lasciato il posto a John Denver. Take me home, Country Road gli lasciava addosso una strana sensazione di malinconia con la quale non voleva avere a che fare, quindi spense lo stereo. Avrebbe perso troppo tempo a cercare una nuova stazione radio che gli piacesse e, ad ogni modo, era già arrivato.

Davanti al rifugio era parcheggiata la Land Rover di Jin. Sia lo sportello del guidatore, sia quello del sedile posteriore erano aperti, ma di Jin non c'era traccia.

Taehyung si affrettò a parcheggiare, si slacciò la cintura e uscì velocemente dall'abitacolo. Percorse la distanza che lo separava dalla veranda e si accorse che anche la porta interna era aperta.

"Jin" urlò prima ancora di essere dentro.

Il rifugio sembrava essere stato investito da un uragano. Fece un passo all'interno, e qualcosa di bagnato schizzò sui suoi pantaloni leggeri e inzuppò le sue scarpe.

I libri della libreria erano stati riversati per terra, pagine strappate galleggiavano nello strato di acqua che allagava le assi di legno del rifugio. I cuscini del divano erano stati squarciati a metà e le piume erano sparse per la stanza. Alcune, zuppe com'erano, restavano attaccate alle gambe delle sedie rovesciate sul tappeto, altre si spostavano lentamente seguendo il flusso d'acqua. La grande lampada ad uovo, collocata sulla cassettiera nell'angolo, era caduta per terra. Il paralume si era ammaccato e i cocci della ceramica colorata erano sparsi in ogni dove. Anche le poche fotografie, appoggiate da Jin con cura sul tavolino da caffè del salotto, erano rovesciate e le cornici rovinate. L'unica luce che rischiarava la scena era quella che proveniva dalla cucina.

Il cuore di Taehyung perse un battito. Deglutì a vuoto, ma si fece coraggio e proseguì. Più avanzava nell'abitacolo allagato e più sentiva il rumore dell'acqua che continuava a scrosciare.

"Jin" chiamò di nuovo, ma senza risposta.

Dalla sua posizione riusciva a vedere che il lavello della cucina era stato tappato. Si affrettò a chiudere l'acqua, ma appena toccata la manopola ritrasse la mano. Era bollente, e lui che aveva camminato in quel lago fino ad adesso, nemmeno se ne era accorto. Un brivido gli percorse la schiena.

Doveva trovare Jin alla svelta.

Velocemente imboccò lo stretto corridoio e si diresse in bagno. La porta era spalancata e la scena che si apriva alla sua vista lo fece ghiacciare.

Il tappeto ai piedi della vasca, quello che aveva sempre odiato perché bianco e sterile, ora era ricoperto di macchie. Nella stanza, aleggiava un lieve odore metallico e la vasca era stracolma d'acqua rossa e densa.

Gocce di sangue erano schizzate ovunque: sulle piastrelle lucide del pavimento, sul tappeto, sulla parete, persino sullo specchio, ovunque. Sul bordo della vasca era stata appoggiata una lametta da barba la cui bordatura era di rosso violaceo insolitamente brillante. Non sapeva perché, ma in tutta quel agglomerato rosso cremisi, la lametta sembrava quasi una nota stonata.

Non ci fu bisogno di entrare a controllare per capire che anche l'acqua della vasca doveva essere bollente.

Cercando di non farsi prendere dal panico alla vista di quella scena, Taehyung deglutì a vuoto. Due, tre, quattro volte. Era una cosa talmente stupida, se ne rendeva conto, ma la vista del sangue lo terrorizzava.

Con mano tremante, afferrò il pomello della porta. I suoi piedi sembrano essersi fusi con il pavimento e ogni passo gli costava una forza sempre più grande. Si richiuse la porta del bagno alle spalle e cercò inutilmente di proseguire.

Cercò di prendere aria, ma nella sua testa la vista di tutto quel sangue denso che galleggiava nell'acqua della vasca non lo lasciava stare. Respirò a fondo, ma ciò nonostante la sensazione di un attacco di panico cominciava a diffondersi dentro di lui.

- Ti prego. Ti prego, no. -

Appoggiò prima le mani e poi la fronte alla porta. Si sforzò di pensare alla consistenza liscia del legno, cercando di metterne a fuoco il colore chiaro e di captare ogni più piccolo suono rimbombasse all'interno del rifugio. Per un attimo, ebbe come la sensazione di poter sentire i rumori di quello che era successo lì dentro; delle urla che avevano riempito quelle stanze prima del suo arrivo. Era come se le sentisse ancora intrappolate tra le mura a rimbalzare da una parete all'altra. Erano assorbite e rigettate via, assorbite e rigettate via, assorbite e rigettate via. Come se tutta la struttura fosse fatta di spugna: nulla poteva essere trattenuto troppo a lungo, ma nulla poteva scappare via per davvero.

Presto però, quella distorsione finì e riuscì a percepire solo il rumore del suo respiro affannato.

Ebbe la sensazione di riflette su quelle cose inutili per pochi minuti, ma probabilmente impiegò un tempo molto più lungo. A volte era come se il suo cervello passasse in modalità slow motion.

Quando fu abbastanza solido da non sentire le sue gambe fuse con il pavimento, cercò di uscire dal rifugio e di andare verso il giardino sul retro.

Probabilmente, se Jin era ancora in casa, si trovava nello scantinato.

Passò nuovamente dalla cucina e spalancò la portafinestra che dava sulla veranda. Di fronte a lui il piccolo giardino di Jin precedeva di poco il fitto bosco.

Il rifugio era un posto sicuro proprio perché isolato. Circondato com'era dagli alberi e dalla foresta, lontano da tutti, garantiva protezione e stabilità. I vicini più prossimi distavano 7 km in direzione sud-ovest. Una distanza ragionevole per non permettere a nessuno di sentire nemmeno un rumorino.

Taehyung aveva ancora le gambe tremanti quando scese i tre gradini che separavano il portico dal prato. L'erba era alta e restava attaccata ai suoi vestiti bagnati mentre, passo dopo passo, avanzava più velocemente che poteva.

Come immaginava, il lucchetto che sigillava lo scantinato era stato tolto e il pesante portone in acciaio era accostato.

Taehyung sollevò la grande porta, lasciando che la luce naturale entrasse ad illuminare le scale interrate che procedevano verso il fondo.

La temperatura sprigionata dal basso era altissima. Sembrava di aver trovato la strada verso l'inverno.

Scese tutti i gradini e quando fu giunto ai piedi della scala una mano gli afferrò il polso.

Se non fosse stato per il forte odore di bosco che Jin si portava sempre dietro, Taehyung si sarebbe certamente messo ad urlare.

Quando i suoi occhi si adattarono alla mancanza di luce, poté vedere la faccia magra di Jin stagliarsi ad un palmo dal suo naso. I capelli neri gli ricadevano sulla fronte lasciando appena visibili le sopracciglia rade. Negli ultimi mesi, il suo taglio era diventato sempre più selvaggio e adesso i capelli risultavano un po' più lunghi sui lati. Gli occhi a mandorla, in genere dolci e gentili, ora sembravano più neri della pece.

Senza dire niente, si portò uno dei suoi indici storti alla bocca e gli intimò di fare piano, poi con un movimento appena accennato del capo indicò l'angolo più buio della stanza.

Lì, accanto alla stufa accesa, erano state ammassate una quantità non calcolata di coperte pesanti. Taehyung non si accorse subito della testa castana che sbucava da quegli strati di lana.

"Si è addormentato mezz'ora fa". Sussurrò Jin prima di lasciargli il polso. Gli diede le spalle e fece qualche passo nella direzione del ragazzo ammantato per poi accucciarsi ai suoi piedi e controllare che stesse bene.

Il cuore di Taehyung prese a battere velocemente. Fu come un lampo a ciel sereno, ma capì subito cosa era successo. Lo capiva, eppure stentava a crederci.

Si ripeteva che non poteva succedere adesso, non a Jungkook.

Deglutì a vuoto. Le sue gambe ripresero a tremare e per un attimo ebbe la sensazione di non riuscire a reggersi in piedi, ma ciò nonostante non cadde al suolo.

"Che cosa è successo?" Trovò infine il coraggio di chiedere. Era una domanda puramente formale, ma aveva bisogno di sentirsi dire come stavano le cose.

Jin fece un respiro profondo prima di dire "Si stava trasformando".

"N-non può essere" balbettò "Non siamo nemmeno ad Ottobre".

"Già". Jin allungò una mano e carezzò piano la testa del ragazzo, come a volerlo cullare lentamente in un sonno senza sogni. "Ma le cose stanno così, se fossi arrivato un'ora fa avresti visto tutto con i tuoi occhi".

Fece una pausa prendendosi un attimo di tempo per sistemargli i capelli, prima di continuare a dire "Sembrava una furia. Non l'ho mai visto trasformarsi così velocemente. Stava cercando di resistere in tutti i modi, ma ha cominciò a tremare e dopo meno di dieci minuti gli sono venute le convulsioni".

"Impossibile, ci vogliono ore per trasformarsi".

"Lo so. Ma questa volta è stato davvero veloce. Le dita si sono ritratte in un lampo e dopo poco sono uscire fuori le zanne. Sembrava come impazzito, come se fosse un animale in gabbia. Alternava momenti di lucidità ad altri in cui non capiva cosa gli stesse succedendo. Continuavo a chiamarlo ma era come se non mi sentisse. Ha distrutto tutto quello che ha trovato, credo tu abbia visto".

"Si, ho visto". Taehyung mandò nuovamente giù a vuoto cercando di non farsi sovrastare dai ricordi. "Ha-Hai provato a metterlo nella vasca?"

"Si, ho provato a riscaldagli il corpo ma non è servito a niente, così ho dovuto ..." Jin si interruppe di colpo come se un nodo gli stesse strozzando la gola.

"Hai dovuto tagliarlo". Concluse Taehyung.

Fu come se quelle parole avessero bruciato l'anima di Jin. La mano che poco prima stava carezzando i capelli di Jungkook, fu ritratta velocemente. Abbassò il capo come se si sentisse colpevole di un crimine orribile e tirò rumorosamente su col naso.

Taehyung gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla "Hai dovuto, Jin. Non è colpa tua".

"Non capisci. Non è stato un semplice taglio. Gli ho... Gli ho quasi aperto un braccio" la sua voce si fece debole "Io-io continuavo a tagliuzzarlo, ma non riusciva a stare fermo e allora... Allora ho dovuto - ho dovuto andare più in profondità e c'era ... c'era sangue ovunque e-e non sapevo come farlo smettere...". Jin piangeva in silenzio cercando di soffocare i singhiozzi più rumorosi. Il senso di colpa che provava trasudava dal suo corpo.

"Non è colpa tua". Ripeté di nuovo Taehyung, ma la sua voce era poco più di un sussurro. "Hai dovuto farlo. Se non fosse stato per te, ora non sarebbe qui con noi".

"No, no. Non- non capisci, urlava così forte. Era ancora umano. Chiamava il mio nome".

Una morsa si strinse attorno al cuore di Taehyung. Sapeva che cosa stava passando Jin e sapeva cosa aveva passato Jungkook.

Jungkook era diverso dagli altri del branco, odiava essere un lupo, odiava perdere se stesso e scomparire nel bosco. Ogni volta che arrivava il tempo di trasformarsi cercava di reprimere il suo lupo più che poteva. Si forzava, forzava la sua natura in una lotta contro se stesso.

All'inizio cercava di rubare al tempo qualche settimana, poi qualche giorno, e infine poche ore. Le sue trasformazioni erano sempre precoci, e anche quando riusciva a resistere fino a metà autunno, lasciando che fosse Jimin il primo a trasformarsi, non riusciva ad andare oltre. Il suo tempo da lupo era il più lungo di tutti. Riusciva a tornare umano solo a primavera inoltrata, ma sentiva i sintomi della trasformazione anche dopo essere tornato dal bosco. Tremava spesso, anche in pieno maggio, e sembrava sempre sul punto di doversi trasformare di nuovo.

"Lo so che è difficile, ma hai fatto la cosa giusta. Non era il momento per lasciarlo andare, sai quanto sia pericoloso trasformarsi da solo. Avrebbe potuto morire senza un branco".

"Ma con che coraggio potrò di nuovo guardarlo in faccia?"

"Ti perdonerà. Anzi, non credo nemmeno che sia arrabbiato con te. Lo conosci, per lui è importante rimanere umano".

"Gli avrò sicuramente lasciato una cicatrice. Ho provato a ricucirlo ma non è venuto un buon lavoro".

"È un ragazzo forte, non si fa scrupoli per una cicatrice e sicuramente non è la prima che si procura. È sempre stato spericolato".

"Ma se..."

"Jin" lo interruppe Taehyung "datti pace. Hai fatto tutto quello che doveva essere fatto. Nessun altro avrebbe saputo fare di meglio".

Jin si ammutolì. Taehyung sapeva di non averlo convinto con quanto gli avesse detto, ma in ogni caso lui non disse più una parola.

Di fronte a loro Jungkook ebbe un sussulto. Era posto a meno di trenta centimetri dalla stufa e aveva il corpo riporto da coperte, eppure sembrava tremare ancora.

La sua testa si alzò e i suoi occhi assonnati cercarono quelli di Jin.

"Jin" disse.

"Ehi ragazzino".

"Perché stai piangendo?"

"È-è la polvere. Gli scantinati mi mettono allegria". Jin si passò velocemente la manica della camicia sugli occhi, per togliere ogni traccia di pianto. Si stava sforzando di fare finta che niente fosse diverso da prima. Il suo tono di voce era dolce come una cucchiaiata di melassa e il suo sorriso tirato cercava di trasmettere serenità.

Jungkook si guardò intorno spaesato. Mise a fuoco Taehyung e il resto dello scantinato scuro, ma prima che poté effettivamente ricomporre il puzzle di eventi di cui lui stesso era stato protagonista chiese "Perché siamo nello scantinato?"

Il viso di Jin si fece bianco di colpo. Era già stato difficile spiegare quello che era successo a Taehyung, come avrebbe potuto spiegarlo anche a Jungkook?

"Non ricordi niente?" Chiese allora Taehyung in soccorso.

Jungkook scosse la testa.

"Stavi per trasformati così Jin ha dovuto portati qui giù. Fa un caldo del diavolo, non lo senti?"

Il ragazzo scosse nuovamente la testa, ma la sua espressione cambiò di colpo. Nel suo sguardo si fece largo quella sensazione di malinconia che arrivava ogni volta che doveva trasformarsi.

"Hai fatto un bel casino ragazzino. Hai distrutto tutto al rifugio". Proseguì Taehyung.

"D-davvero? M-mi dispiace". Balbettò raggomitolandosi ancora di più tra le coperte.

"Non dispiacerti. Hai finalmente fatto fuori anche quell'orrenda lampada ad uovo, ora possiamo sostituirla con il modellino di guerre stellari in vendita su ebay. Oppure con qualcos'altro".

"La mia povera lampada ad uovo". Borbottò Jin. "Era un pezzo unico del 1930 apparteneva alla madre della madre di mia madre".

"Quella roba aveva più anni di tutti noi messi insieme. Ha fatto il suo corso".

Nonostante Taehyung e Jin si stessero impegnando per non far pesare a Jungkook l'accaduto, il ragazzo riuscì solo ad imbastire un debole sorriso. Probabilmente l'unica cosa che riusciva ad occupare la sua mente era la mancata trasformazione. Anche se non ricordava niente, l'idea che il suo lupo fosse arrivato così presto doveva averlo destabilizzato.

"A proposito, forse è il caso che vada su a sistemare. Ci metterò un po'. Tae resti tu con Kookie vero?"

"Certo".

Quando Jin si richiuse alle spalle la porta dello scantinato, Taehyung si sedette per terra accanto a Jungkook.

Appoggiò la schiena al muro e lasciò che la sua spalla si scontrasse con quella del ragazzo. Jungkook adagiò lentamente la sua testa nell'incavo del collo di Taehyung tirandosi dietro le coperte per coprire anche lui.

Taehyung avrebbe voluto ricordargli che dovevano esserci almeno trentasei gradi in quello scantinato, ma decise di non dire niente. Il corpo del ragazzo era ancora provato dalla trasformazione e non avvertiva la temperatura come lo faceva lui, che invece era stabile nella sua forma umana.

"Mi dispiace Taehyung". Sussurrò Jungkook cercando di nascondere ulteriormente la faccia nell'incavo del suo collo. Era mortificato, lo si capiva dal tono di voce.

"Non dispiacerti Kookie. Sono felice che tu sia ancora con me. Era troppo presto per lasciarti andare".

"Ma ho fatto un casino. Ho distrutto il rifugio e nemmeno me lo ricordo".

"Ah, non è importante. Il rifugio si può sempre sistemare, e poi Jimin ha fatto di peggio in passato".

"Non è vero".

"Dici così solo perché tu non lo conoscevi ancora durante i suoi primi anni. All'inizio non riusciva proprio a controllarsi, ma adesso è migliorato tanto".

Jungkook si ammutolì, tornando a rannicchiarsi nella sua coperta. I suoi grandi occhi da cervo fissavano intensamente le punte delle converse di Taehyung bagnate e sporche d'erba. Nella sua testa doveva esserci un caos infinito di eventi non compresi.

"Come fa Jimin a contenersi? Come riesce a gestire il suo lupo?" chiese infine.

"Non lo so". Ammise Taehyung. Non aveva mai avuto problemi con il suo lupo come succedeva a Jungkook e Jimin. Era sempre l'ultimo a trasformarsi e il primo a tornare umano. Proprio lui che desiderava tanto fuggire via da quella forma.

Forse, più si desiderava una cosa e meno la si poteva avere.

"Io ci provo a resistere, cerco di fare l'impossibile, ma mi batte sempre. È più forte di me. Mi sento così debole". La voce di Jungkook era appena un sussurro.

"Forse è per questo che vince. Perché cerchi di combatterlo e non gli lasci spazio. Se magari capissi come farlo uscire, piano piano, non farebbe tante storie, no?"

Jungkook si ammutolì nuovamente.

Non aveva nemmeno diciassette anni, ma era incredibilmente riflessivo. La vita non era stata giusta con lui. Avrebbe potuto avere tutto, invece si era ritrovato a non avere niente.

"Dovresti provare a chiedere a Jimin. Sarebbe felice di aiutarti".

"Dici?"

Taehyung annuì, poi in un gesto affettuoso alzò una mano e gli scompigliò i capelli. Era proprio un peccato che questa vita fosse toccata a lui.

"Sai" cambiò discorso "Jin si sente un po' in colpa".

"Perché?"

"Ha dovuto tagliarti per tenerti così".

"Oh. Non me ne sono nemmeno accorto". Jungkook si scoprì appena il corpo per cerca i segni del taglio.

Quando rimosse lo strato di coperte anche Taehyung poté vedere la manica stracciata della camicia. I bordi del tessuto lacerato erano sporchi di sangue, ma non fu per quello che dovette distogliere lo sguardo.

Il braccio sinistro era stato ricucito talmente male da sembrare la copia brutta di un salame da affumicamento. La cicatrice era lunga e ampia e si prolungava fino all'avambraccio. I suoi bordi erano frastagliati e qua e là la pelle maciullata non trovava un giusto punto di chiusura.

"Wow. Devo aver fatto qualcosa di terribile".

Taehyung deglutì a vuoto "Non riusciva a farti restare qui. Ha dovuto farlo, capisci?"

"Non sono arrabbiato. Non mi importa di una stupida cicatrice. Non deve nemmeno sentirsi in colpa". Si affrettò a ricacciare il braccio sotto lo strato di coperte e tornò ad appallottolarsi sulla spalla di Taehyung.

"Beh, preparati comunque a mangiare pancake da 'mi-dispiace-di-averti-tagliato' per tutta la settimana". Disse Taehyung cercando di mettere su un sorriso che potesse essere convincente anche per Jungkook.

Trascorsero in silenzio alcuni minuti, ognuno perso nei propri pensieri. Nonostante fosse una situazione assurda, Taehyung non poté non trovare l'intimità di quel momento come un qualcosa di piacevole. Era nei momenti in cui gli altri avevano più bisogno della sua spalla dove poter riposare, che lui si rendeva conto di quanto fosse bello essere vivo.

Considerava Jungkook e Jimin come dei fratelli e Jin come suo padre.

Jin era molto giovane quando l'aveva trovato, eppure non si era tirato indietro e l'aveva preso con sé. Aveva cresciuto prima lui, poi Jimin e infine Jungkook. Ora, dopo undici anni, Taehyung poteva dire di sentire che loro erano una famiglia e Jungkook era il fratellino che aveva bisogno di supporto e sostegno.

"Taehyung" sussurrò Jungkook dopo un po'.

"Si?"

"Mi porteresti a vedere il tramonto?"

La macchina andava piano sul sentiero sterrato. Taehyung aveva accettato di portare Jungkook a guardare il tramonto solo a patto che si portasse dietro tutte le coperte in cui era infagottato e che non uscisse dall'auto. Attorno a loro il bosco era silenzioso.

California Dreamin' dei The Mamas & Papas risuonava a basso volume nell'abitacolo.

Jungkook non lo diceva, ma era emozionato all'idea di aspettare il tramonto. Taehyung sapeva che i colori del cielo gli piacevano e gli davano serenità. A volte Jungkook lasciava trapelare ancora quegli istinti da bambino che lo rendevano adorabile.

Taehyung procedette sullo sterrato per diversi chilometri dirigendosi al laghetto artificiale al centro del bosco.

In primavera, quel luogo era magico. I giunchi seguivano il soffiare del vento, e se si era fortunati, qualche volta si poteva trovare le ninfee a riempire la superficie dello stagno. I colori del tramonto si rispecchiavano nell'acqua, e per un magico attimo si finiva a pensare che la vita potesse durare in eterno. Ma quella era una magia limitata ai primi giorni di aprile, quando non c'era troppo caldo, poi tutto spariva.

Durante quel periodo, Jungkook non era mai umano.

Taehyung si domandava se il ragazzo avesse mai visto lo stagno fatato dei suoi ricordi o se godeva solo della vista che offriva in estate, quando ce lo portava lui.

Sterzò a destra e con qualche sobbalzo arrivò finalmente in prossimità dello stagno. Qualcuno, non sapeva bene chi, aveva creato una piazzola, larga abbastanza per poter permettere ad una macchina di parcheggiare e di riuscire a vedere tutto lo specchio d'acqua circondato dagli alberi.

Mancava poco meno di mezz'ora al tramonto. Benché fossero arrivati, non spense il motore in modo che il riscaldamento potesse continuare a diffondersi nell'abitacolo.

"Era da tanto che non venivamo a vedere il tramonto". Disse Jungkook.

"È vero. Sarà passato un anno. L'ultima volta che ci siamo stati era prima dell'incidente di Jimin".

L'estate scorsa Jimin si era rotto un braccio ed era finito all'ospedale. Benché non fosse stato un incidente molto grave, si erano preoccupati tutti per il suo recupero ed erano diventati iperprotettivi. Pensandoci a posteriori, quell'incidente non aveva fatto altro che accrescere spropositatamente il suo bisogno di attenzione. Jimin si era ritrovato ad essere al centro del loro mondo per più di un mese, un mese nel quale gli era stato permesso di fare di tutto.

"Chissà come starà adesso. L'hai sentito?" Chiese Jungkook.

"Si, mi ha mandato un messaggio stamattina. Una volta varcata la frontiera ha avuto difficoltà a trovare un aggancio che potesse portarlo da lui. Ora crede di essere sulla giusta pista, ma è preoccupato che possa essere difficile convincerlo a venire da noi. Non lo biasimo, ma Jimin ha dei metodi persuasivi molto efficaci, quindi direi che sono tranquillo".

"Fa freddo in Canada?" Jungkook fece la domanda che faceva sempre. Il freddo era l'elemento che condizionava la sua vita.

"Non tanto. È estate anche da loro".

Il ragazzo allungò una mano verso la manopola della radio per alzare un pochino il volume, e contemporaneamente disse "Non glielo dire quando torna, però mi manca." Sussurrò appena.

Jungkook si vergognava un po' ad esprimere i suoi sentimenti, ma si sforzava sempre di farlo. Magari cercava di nasconderli appena, come aveva fatto in quel momento, ma in fondo bastava guardare i suoi grandi occhi da cervo per capire quello che provava.

"Tornerà presto. Altre due settimane e ce lo ritroveremo a ballare per il rifugio in mutande, come sempre".

Jungkook sorrise.

Il sole stava cominciando a calare.

"Sai Tae, ho sempre creduto che ogni singolo giorno avesse almeno due momenti che valessero la pena di essere vissuti. Il tramonto è uno di quelli".

"E l'altro qual è?"

"L'altro è l'alba".

Taehyung si girò a guardarlo "Per quale motivo?"

"Perché sono l'inizio e la fine di tutto. Sono l'unica luce e l'unico calore che danno senso al tuo tempo, non trovi?"

"E che ne è del resto della giornata?"

"Il resto della giornata è solo un proseguimento dell'inizio e un'anticipazione della fine".

Taehyung rise "Cos'hai mangiato a colazione stamattina? Bacon e filosofia?"

"Non ricordo cosa ho mangiato stamattina, ma sono sicuro che questo tramonto è del colore del tuorlo d'uovo". Gli occhi di Jungkook già stavano andando oltre l'orizzonte. Oltre lo stagno e il bosco, oltre quello che c'era dopo. La sua mente era persa altrove, da qualche altra parte. Forse era ferma alla trasformazione mancata, forse era concentrata solo sulla bellezza di quel tramonto.

Taehyung allungò una mano per stringere quella del fratello.

"Tae, se questo fosse l'ultimo momento della mia vita, sarei felice di essere con te".






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Ciao,
è la prima volta che scrivo qualcosa. Probabilmente sarà una storia insolita, ma vediamo cosa ne esce fuori.
Non aggiornerò con molta frequenza, anzi sarò un po' lenta perché non ho nulla di scritto e dunque procederò pian piano. Spero possa piacervi e intrattenervi un po'. 

Stay healthy

Biscotti_panati

 

P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso, scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!! 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2





Settembre 2010

 

Alla guida della Volvo Taehyung stava accompagnando Jungkook alla Bellows Free Academy, il liceo statale di St.Albans.

Taehyung non capiva il senso di dover portare Jungkook a scuola. In fin dei conti, i giorni nei quali il ragazzo frequentava le lezioni non erano poi molti, ma Jin si ostinava a dire che bisognava permettergli di condurre una vita normale.

Ovviamente, si trovava in disaccordo con quell'idea: fare finta di avere una vita normale era molto più difficile che convivere con il fatto di averne una fuori dal comune.

Doveva ammettere però che capiva le buoni intenzioni di Jin.

Taehyung era riuscito a diplomarsi studiando da casa, ma aveva avuto la fortuna di avere Jimin con il quale condividere tutto: gli studi, la vita da umano e quella da lupo.

Dopo il loro diploma, avevano deciso di iscriversi ad un'università telematica, così in estate avrebbero potuto lavorare da qualche parte e non gravare troppo sulle spalle di Jin.

Ma questo era diverso per Jungkook; lui era più piccolo e studiare da casa non gli piaceva.

Quando Taehyung e Jimin erano al loro ultimo anno del liceo, lui aveva appena cominciato il primo e, una volta che i due più grandi si diplomarono, Jungkook perse ogni interesse per lo studio.

Per motivarlo, Jin aveva proposto di mandarlo in una scuola pubblica e lui ne era sembrato subito entusiasta. Era andato su di giri e aveva continuato a ripetere "Davvero portò andare in una scuola pubblica, Jin? Davvero?".

Taehyung entrò nel parcheggio della scuola e spense la macchina. L'entrata dell'edificio irregolare, basso e squadrato, spiccava rispetto al complesso retrostante che presentava un'architettura più articolata. Nel nome della scuola, scritto in rilievo a grosse lettere verdi, mancava la S di Bellows, o meglio, qualche ragazzaccio doveva averla staccata. Taehyung immaginava che per un vecchio professore scorbuto e stanco, quel dettaglio doveva essere ironico all'inverosimile.*

"Ricordati di presentare alla segreteria degli studenti il certificato medico". Disse al ragazzo.

Jin aveva dovuto fare carte false per trovare il modo di evitare a Jungkook di essere bocciato per il numero di assenze.

Nessuno di loro era stato contento di dover supportare una bugia che inscenasse una malattia inesistente, ma quello era l'unico modo per riuscire ad avere un permesso speciale. Anche se era un'azione politicamente e moralmente scorretta, non c'era altro da fare per riuscire a insegnare qualcosa a quel ragazzino.

"Certo". Farfugliò Jungkook armeggiando con il suo zaino. Era smanioso di scendere dalla macchina e cominciare il suo ultimo anno di liceo.

Nonostante si fosse diffusa la voce che non godesse di buona salute, Jungkook non era mai stato additato come 'quello strano'. Al contrario, era molto popolare tra i suoi coetanei e si faceva voler bene da tutti. Inoltre, anche se non lo avrebbe mai ammesso, Taehyung era sicuro che tutte le ragazze della scuola avessero una cotta per lui.

"E mettiti il maglione! Anche se oggi c'è il sole ricordati che non devi prendere freddo".

"Certo".

"E se c'è un problema, se ti senti strano, devi assolutamente chiamarmi okay?"

Erano passate due settimane dall'incidente e Jungkook sembrava essersi ripreso a pieno, ma la preoccupazione nei suoi confronti non accennava ad attenuarsi.

"Certo. Ora posso andare?"

"No".

"Come sarebbe a dire no?"

"Beh visto che Jin è impegnato e che Jimin non è ancora tornato dal Canada, tocca a me farti tutte le raccomandazioni del caso. Quindi, raccomandazione numero uno..."

"Oh dai, Tae" cominciò lui con un tono di lamentela "le so già tutte le raccomandazioni del caso. Se inizio a tremare ti chiamo, se mi escono le zanne ti chiamo, se mi vengono le convulsioni ti chiamo, se ho anche solo un leggero sentore da lupo ti chiamo. Ti prometto di chiamarti perfino se starnutisco troppo forte. Ora posso andare?"

"Divertente" lo apostrofò Taehyung. "Sappi che nemmeno a me piace farti tutte queste storie, ma l'ho promesso a Jin e..."

"Lo so Tae, ma questo è il mio ultimo anno, non il primo. So già come funziona, quindi non preoccuparti". Disse aggiustandosi lo zaino su una spalla.

Era impossibile non preoccuparsi, soprattutto se c'era di mezzo Jungkook.

"Va bene, ma sta attento". Si arrise alla fine.

"Da quando sei diventato più apprensivo di Jin?" Lo canzonò il ragazzo, un sorrisetto furbo ad illuminargli il volto; quel giorno era semplicemente raggiunte.

In risposta alla sua provocazione, Taehyung si portò teatralmente una mano al cuore deformando la sua espressione in una smorfia che avrebbe dovuto essere di dolere, come se le sue parole lo avessero ferito dritto nel profondo.

Jungkook emise un risolino divertito, ma non ebbe il tempo di replicare.

Una mano aveva preso a tamburellare insistentemente sul finestrino della Volvo. Dall'altra parte del vetro, un ragazzino smilzo con un cappellino da pescatore nero e un paio di occhiali da sole dalle lenti aranciate, stava rumorosamente urlando il suo nome.

Jungkook regalò a Taehyung un sorriso, poi aprì lo sportello e sgusciò fuori dalla vettura.

"Ohhhhh Jungkook! Jungkookie! Kookie! Wooow hai sempre i maglioni più belli di tutta la scuola".

"Ehi amico" i due si scambiarono una stretta di mano, poi il ragazzo con il cappellino da pescatore si abbassò a introdusse la tesa all'interno dell'abitacolo della Volvo.

"Ciao Taehyung, oggi non c'è Jin?"

"Ciao Hobi". Salutò allegro lui "Oggi è toccato a me scarrozzare il ragazzo d'oro. Stacci attento mi raccomando!"

"Ceerto, con me sta in una botte di ferro, vero Jungkookie?" Hobi passò un braccio attorno alla spalla dell'amico e da dietro le lenti dei suoi occhiali da sole gli strizzò un occhio.

"Dove sono Suga e Blake?" Chiese Jungkook.

"Oh beh ci stanno aspettando dentro. Li ho mandati a prendere i posti migliori". Hoseok fece un risolino.

"Okay, vedo che voi due teste vuote vi siete ritrovati, quindi io posso anda-" cercò di dire Taehyung prima di accendere il motore dell'auto.

Non fece in tempo a finire la frase che Jungkook aveva già sbattuto lo sportello della macchina e aveva cominciato a fare ciao ciao con la mano intrappolata in un maglione più grande di lui.

Taehyung scosse la testa ma sorrise, fece inversione, uscì dal parcheggio e si rimise in strada. Quel ragazzino! Lo avrebbe fatto impazzire.

 

"Ancora TaeTae! Ancora!"

Lidia spinse in aria le piccole manine paffutelle, esprimendo la richiesta di essere presa in braccio più evidente della storia.

Taehyung dovette appoggiare per un attimo il vassoio su un tavolo già sparecchiato e assecondare la volontà di quella piccola peste.

Se la caricò velocemente sulle spalle e aspettò che, come sempre, tuffasse le manine tra i suoi capelli, cominciando a tirarli come se fossero le redini di un cavallo. Dal momento che non lo faceva troppo forte, Taehyung non se ne lamentava. Con una mano armeggiò con il vassoio mentre con l'altra si assicurava di tenere stretta la gambina di Lidia, in modo da non farla scivolare via. Dovette spingere la porta della cucina con il sedere e abbassarsi un po' per non farle picchiare la testolina, ma le risate della bambina gli riempivano il cuore.

Aveva sempre amato i bambini e a volte si chiedeva se mai fosse arrivato il giorno in cui anche lui sarebbe diventato padre. Ma quando quel pensiero gli balzava in mente, si affrettava a scacciarlo.

Non sarebbe mai successo.

Armeggiò ancora con le stoviglie, poi quando ebbe finito di sistemare, prese tra le braccia Lidia, che come una scimmia se ne stava aggrappata alla sua testa, e cominciò a farla volare per tutta la cucina industriale della tavola calda. Era una fortuna che in quel momento ci fossero solo loro due, o si sarebbe beccato una bella lavata di capo da Carl, il cuoco.

"Lidia per l'amor del cielo, lascia stare Taehyung". Bete era appena entrata in cucina con un vassoio carico di piatti da lavare.

Solo pochi giorni prima c'era stato un guasto alla lavastoviglie e ora quell'enorme numero di piatti doveva essere lavato a mano. Il che era un problema durante le ore di punta, ma dal momento che mancava poco meno di un'ora alla fine del suo turno, Taehyung si era offerto di fare l'ultimo carico.

"Mamma Tae può venire a casa da noi sta sera?" Chiese innocentemente la bambina una volta che il ragazzo l'aveva rimessa con i piedi per terra.

"Taehyung ha da fare". Cercò di liquidarla Bete.

"Ma io voglio che venga da noi. Possiamo fare un pigiama party Tae!"

Taehyung si abbassò in modo da poterla guardare in faccia. Era la bambina più dolce e bella che avesse mai visto. Aveva la pelle delicata come i petali di una rosa e gli occhietti color nocciola vispi come quelli della madre. In pratica, Lidia era una Bete in miniatura con i suoi capelli color carota e il nasino pieno di lentiggini.

"Sarebbe molto bello fare un pigiama party Lidia, ma non è proprio possibile".

"Perché no?" I suoi occhioni erano fissi in quelli di Taehyung.

"Perché Jin piange tanto quando non ci sono. È triste senza di me".

"Gli manchi così tanto?" Chiese stupita la bambina, poi con quel fare che tutti i bambini hanno, si portò un dito in prossimità della bocca come se stesse riflettendo su qualcosa di essenziale.

Taehyung non poté evitare di sorridere a quella vista.

"Beh allora possiamo invitare anche lui". Concluse alla fine.

"Oh bambina mia, dove le hai lasciate le buone maniere oggi?" Chiese Bete. "Adesso basta, Taehyung deve lavorare, su vai di là e prendi tutte le bottiglie di Ketchup che sono rimaste sul tavolo".

"Ma mamma ..."

"No, niente mamma, vai su!"

Anche se scontenta, Lidia fece quanto le fu detto.

"Non lo so che le prende ultimamente, ma ha sempre in testa l'idea che deve fare un pigiama party. Mi dispiace ti dia così tanto fastidio".

"No, no, non mi da fastidio". Si affrettò a dire Taehyung prima di avvicinarsi al lavabo pieno d'acqua e versare del detersivo su una spugna.

"Sicuro che non ti dispiaccia fare i piatti?"

"Certo".

"Va bene, ma finisci e vai a casa. Mi sembra di averti fatto sgobbare troppo ultimamente".

Taehyung annuì e cominciò a lavare la pila di piatti che Bete aveva portato in cucina. Lavare non gli dispiaceva e poi gli permetteva di poter rimuginare con calma sugli avvenimenti della sua vita, senza dover essere per forza affabile con i clienti.

E di avvenimenti su cui rimuginare, Taehyung era pieno. A cominciare dall'incidente di Jungkook.

Da quando Taehyung era arrivato al rifugio, non era mai successo che qualcuno di loro si trasformasse in piena estate. C'era sì stato un netto cambiamento climatico, ma era strano che solo Jungkook ne fosse stato influenzato. Certo, Jungkook era molto più sensibile agli sbalzi di temperatura, ma lui e Jin avrebbero comunque dovuto sentire qualcosa, un campanello d'allarme comune. Invece, non avevano sentito assolutamente niente.

Da che Jin avesse ricordo, tutti i lupi, anche quelli che ormai non facevano più parte del branco, si erano sempre trasformati in inverno.

Non era troppo chiaro perché il freddo innescasse la trasformazione.

Tra le tante supposizioni che erano state fatte, Jin sosteneva un'ipotesi, vagamente scientifica, secondo la quale, quando il corpo iniziava a tremare, perché smosso dal freddo o per qualche altro fattore, si risvegliava un sentore di pericolo. A quel punto, l'istinto aveva la meglio e loro si trasformavano in lupi.

Ma questo non succedeva ugualmente per Jungkook. I suoi tempi erano diversi, erano più lunghi e, a quanto pareva, fuori stagione.

Questo non era affatto un bene.

Anche se lui non ne faceva parola, la mancata trasformazione doveva averlo sconvolto parecchio. Dopo l'accaduto aveva cominciato a riporre molta più attenzione del solito ad ogni suo singolo gesto. Aveva smesso di indossare pantaloncini e vestiva solo maniche lunghe.

In realtà, la questione magliette a maniche lunghe era dovuta anche alla brutta cicatrice sul braccio. Jungkook voleva nasconderla soprattutto agli occhi di Jin, per non farlo sentire in colpa.

Anche Jin si comportava in maniera strana dall'incidente. Era diventato silenzioso ed era sempre perennemente occupato. In genere, quando Taehyung tornava dal suo turno di lavoro, trovava Jin intento a cucinare qualche nuova ricetta, ma da qualche settimana era un miracolo se riusciva a rincasare in tempo per la cena.

Taehyung credeva stesse architettando qualcosa. Qualcosa di cui magari non voleva parlare. Aveva del tutto scartato l'ipotesi che a preoccuparlo potesse essere il suo lavoro stagionale, perché non era il tipo da finire tardi o da lasciare arretrati. Forse lo preoccupava l'assenza di Jimin, o quello che era accaduto a Jungkook, ma se così fosse stato ne avrebbe sicuramente parlato con loro.

No, doveva essere qualcos'altro, qualcosa di importante e che lo stava consumando da dentro.

Come se non bastasse al mucchio di preoccupazioni che già aveva, doveva aggiungersi il fatto che era da una settimana che Jimin non si faceva sentire.

Non un messaggio, non una chiamata, nemmeno un emoticons, niente.

Non aveva mai trascorso così tanto tempo senza ricevere sue notizie; e Jimin non era affatto il tipo di persona che si dimenticava improvvisamente di mandare il messaggio della buona notte.

Nemmeno Jungkook e Jin avevano ricevuto sue notizie. Taehyung era preoccupato che gli fosse potuto succedere qualcosa. Da qualche giorno, poi, aveva cominciato a tormentarsi, talmente estenuato dalla mancanza di Jimin da arrivare ad attribuirsi colpe che non lo riguardavano. I pensieri stavano cominciando a scavare nel suo subconscio e ad arrovellargli l'esistenza.

Forse non avrebbero dovuto mandarlo da solo a cercare un tizio comparso su un inserto del giornale anni prima. Forse avrebbe dovuto insistere di più per partire con lui, per aiutarlo nella ricerca e averlo sempre sotto controllo. Forse, se fosse stato con lui, la situazione sarebbe stata diversa.

Ma sopra ogni altra cosa, nella mente di Taehyung, si ripeteva sempre la stessa domanda: cosa sarebbe successo se, anche Jimin come Jungkook, avesse sentito l'istinto di trasformarsi?

Era vero, né lui, né Jin avevano avuto anche solo un minimo sentore dalla trasformazione imminente, ma Jimin si trasformava sempre abbastanza in fretta. Se si fosse trasformato anche lui e ora fosse stato sotto forma di lupo in Canada, sarebbe dovuto passare un intero inverno prima del suo ritorno al rifugio. Sempre se fosse riuscito a tornare sano e salvo.

L'idea di Jimin disperso nelle foreste del Canada non gli dava pace. Persino nei suoi sogni l'immagine di un lupo bianco, sperduto, impaurito e senza un branco, non riusciva a farlo riposare sereno.

Il legame che li univa era forte, talmente forte che Taehyung si sentiva come se gli mancasse un arto. Non riusciva ad essere lo stesso senza il suo migliore amico.

Jimin era più importante dell'aria e la sua assenza lo ingrigiva più di ogni altra cosa. Doveva fare qualcosa o avrebbe sentito quel peso schiacciargli il cuore fino alla fine del suo periodo umano. Doveva trovare un rimedio a quella sua implacabile angoscia.

Si disse che avrebbe fatto passare altri 2 giorni e che se non fosse riuscito ad avere sue notizie sarebbe partito a cercarlo. Quella sera a cena lo avrebbe comunicato agli altri e non avrebbe accettato nessuna discussione in merito.

Strizzò la spugna e asciugò il lavabo. Nemmeno si era accorto di aver già finito la sua ultima mansione, i suoi pensieri dovevano averlo assorbito completamente.

Si slacciò il grembiule ed uscì dalla cucina.

"Bete, ho finito, io vado!" disse.

"Va bene, ci vediamo domani".

"Ciao TaeTae". Lidia corse a dargli un bacetto sulla guancia. Taehyung colse l'occasione per stringerla di nuovo tra le braccia e farle fare un ultimo volo.

"Ciao principessa. Ci vediamo la prossima volta okay?"

Quando uscì dalla caffetteria in cielo c'era ancora una bella luce, ma lui si sentiva stanco e desiderava solo stendersi sul letto e addormentarsi. Era come se i suoi pensieri l'avessero consumato infinitamente.

Guidò fino al rifugio, desiderando solo di poter sprofondare in un sonno profondo il più presto possibile.

Era terribilmente stanco.

Avrebbe dovuto mettersi a cucinare sapendo che Jin non sarebbe tornato in tempo, ma in fin dei conti rimandare di un paio d'ore non avrebbe ammazzato nessuno.

Jungkook non era ancora tornato da scuola. Probabilmente era uscito con i suoi amici dopo le lezioni. Gli scrisse un messaggio, chiedendogli se fosse tutto okay e se avesse avuto bisogno di un passaggio. Fortunatamente rispose subito rassicurandolo e dicendogli che lo avrebbe riportato a casa Hoseok prima di cena.

Taehyung si diresse allora verso la camera che condivideva con Jimin e Jungkook.

Non era una stanza molto spaziosa, e in tre ci stavano davvero stretti. C'era a malapena lo spazio per incastrare un letto singolo e uno a castello.

Un tempo, prima dell'arrivo di Jungkook al rifugio, Taehyung e Jimin avevano anche condiviso un armadio. Armadio che avevano dovuto spostare nella stanza di Jin per far entrare anche il letto di Jungkook.

Non c'era spazio per una scrivania, quindi qualsiasi tipo di elaborato doveva essere redatto sul bancone della cucina o sul tavolino da caffè del salotto.

Il rifugio non era certo una casa comoda per quattro uomini ormai adulti, ma nessuno se ne lamentava. Il fatto che Jin avesse messo a disposizione la proprietà che aveva ereditato dalla nonna era un qualcosa di cui essere grati.

Salì le scale del letto a castello. Il letto di sopra era in realtà quello in cui dormiva Jimin, ma sapeva che l'amico non si sarebbe lamentato se l'avesse usato in sua assenza.

Appoggiò la testa sul cuscino, chiuse gli occhi e in poco tempo sprofondò in un sonno pesante.

Sognò quello che sognava sempre: suo padre.

Nel suo sogno, Taehyung era tornato ad avere 8 anni, era di nuovo un ragazzino tutto pelle e ossa un po' troppo alto per la sua età. Sul suo viso pallido grosse lacrime avevano lasciato una scia umida speculare, arrivando ad incontrarsi nell'angolo sotto il mento.

Anche questa volta, il sogno non era diverso dai precedenti. Suo padre lo teneva fermo sul tavolo che usava per scuoiare la selvaggina.

L'uomo aveva trafitto, nella spalla sinistra del bambino, uno dei suoi coltelli da caccia. La lama d'acciaio aveva facilmente perforato la carne, aveva scalfito l'osso e si era andata a conficcare nel legno del tavolo.

Anche questa volta, Taehyung aveva urlato di dolore più forte che poteva, aveva consumato tutta l'aria nei polmoni.

Lo pregava, lo implorava, di lasciarlo andare.

"Ti prego papà. Non farlo papà". Ma non serviva a niente.

Il suo sangue caldo stava ricoprendo l'intera superficie del piano, colando oltre il bordo e cadendo in piccole gocce sul pavimento.

Sul viso dell'uomo uno strano sorriso contorto stava già prendendo forma.

"Sei un bambino cattivo, ora dovrò ripulire tutto". Disse prima di conficcare il secondo coltello nella spalla buona del ragazzino.

Taehyung si svegliò di soprassalto con un'intensa sensazione di bruciore alla spalla. Sapeva che era solo il frutto del condizionamento psicologico e che la sua spalla non fosse veramente ferita, ma non poté fare a meno di massaggiarsela.

Lentamente si mise a sedere sul letto, ingobbendosi per non picchiare la testa contro il soffitto, incrociando le gambe e infilando i piedi tra le giunture delle ginocchia.

Cercò di far calmare il ritmo martellante del cuore e di riprendere un respiro normale.

Il sole stava tramontando, ma nella casa sembrava non esserci nessun'altro oltre a lui, Jungkook non era ancora tornato. Scese le scalette del letto a castello e andò in cucina a prendere un bicchiere d'acqua fredda.

-Calmati, è solo un sogno- si ripeteva, ma la mano destra non accennava a voler lasciare la sua spalla.

Come previsto, il rifugio era deserto.

Si avvicinò al lavandino, prese un bicchiere e lo riempì con dell'acqua poi buttò giù qualche piccolo sorso.

-Solo un sogno-.

In quel momento, uno strano rumore attirò la sua attenzione.

Era un rumore metallico forzato, come se qualcuno stesse cercando di estrarre il manico di un piede di porco da una cassetta degli attrezzi chiusa.

I suoi occhi si rivolsero veloce verso la porta d'ingresso e, dalla finestrella di vetro opaco al centro della porta, riconobbe la sagoma di un uomo.

Qualcuno stava cercando di entrare in casa.

Dal rumore che faceva non poteva essere né Jin, né Jungkook, loro avevano le chiavi, e inoltre avevano l'abitudine di accendere la luce della veranda prima di rincasare.

Il rumore si fece più intenso.

Sembrava che un oggetto di metallo fosse stato infilato nella toppa per cercare di avviare il meccanismo d'apertura.

Il cuore di Taehyung prese ad accelerare. Non poteva succedere adesso. Non ora che era da solo. Non aveva mai dovuto fronteggiare un'intrusione e si sentiva stringere dalla paura. I suoi muscoli, rigidi come quelli di uno stoccafisso, cercarono disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi.

-Fa che sia un incubo- ebbe il tempo di pensare.

Il panico sembrava non volergli dare tregua, e si costrinse a respirare per riprendere il controllo di sé stesso, per cercare di azionare il cervello, mentre quel rumore di ferro non accennava a quietarsi.

Cercando di essere più silenzioso possibile Taehyung aprì il cassetto più vicino al lavabo.Dentro c'erano degli utensili da cucina tra cui dei coltelli da pesce che Jin usava per sfilettare il salmone. Deglutì a quella vista, ma si fece forza e con mano tremante ne afferrò uno.

Tornò a focalizzare il suo sguardo all'ingresso.

Taehyung ebbe appena il tempo di deglutire per una seconda volta, prima che il cigolio della porta che girava sui cardini riempisse l'abitacolo.

 

 

 

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*Bellow in inglese è il muggito delle mucche. 

P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3






Settembre 2010


La porta si aprì cigolando rivelando la figura di un uomo alto almeno quanto Taehyung. Non aveva una stazza particolarmente grossa, ma aveva spalle larghe e ben piazzate.

La cosa che lo stupì era che non indossava né un passamontagna, né tanto meno una maschera a coprirgli il volto.

Chiunque fosse, il ladro doveva aver pensato di trovare la casa disabitata. 

Aveva capelli corti e scuri che lasciavano ben in vista la fronte ampia. Un paio di occhiali dalla montatura sottile se ne stavano in bilico sulla punta del naso poco pronunciato, nascondendo per bene gli zigomi alti. La pelle del viso era leggermente abbronzata: un ladro che era andato in vacanza, si sarebbe detto. Aveva vestiti comuni, nessuna strana tutina nera sintetica, solo una camicia, pantaloni neri molto attillati e un paio di scarponi neri. 

Taehyung ebbe appena il tempo di squadrare l'intruso prima di stringere bene il coltello tra le mani, deglutire e avanzare una mossa.

In vita sua non gli era mai capitata una situazione simile e uno strano formicolio stava cominciando a scorrergli tra le vene. Un miscuglio di adrenalina e panico si stava facendo largo dentro di lui, ne allertava il cervello, rendendolo guardingo verso ogni piccola mossa. Era come se sentisse l'impulso di dover difendere il suo territorio a qualsiasi costo. 

Ciononostante, malgrado il suo istinto si stesse facendo sempre più forte, in quel momento doveva fronteggiare una situazione di emergenza e alla svelta. E lui, non aveva la più pallida idea di come muoversi. 

Come si doveva agire in caso di un'intrusione domestica?

Nella sua mente confusa si fecero avanti le opzioni che gli sembravano più corrette all'evenienza: magari avrebbe dovuto cercare di spaventare il ladro in qualche modo o forse avrebbe dovuto dargli addosso e provare un combattimento corpo a corpo. 

Deglutì poi cercò di fare quello che gli riusciva meglio.

Aveva sempre avuto una buona mira e non aveva mai fatto a pugni in tutta la sua vita. La cosa che gli parve più logica fare, dunque, era provare a lanciare il coltello.

Non voleva colpire l’intruso, non lo voleva morto, voleva solo spaventarlo e farlo scappare via, ma se quello non fosse bastato avrebbe dovuto fare ricorso velocemente al mestolo riposto nel cassetto. 

Mosso dall'istinto, mirò all'infisso della porta, forse non prese bene la mira perché, quando il coltello si conficcò nel legno, riuscì anche a sfiorare la spalla dell'uomo, strappando appena la camicia e procurandogli un leggero graffio. 

Il ladro si immobilizzò di colpo. Rimase interdetto per qualche secondo prima di riuscire a comprendere da dove proveniva quell'attacco. Quando mise a fuoco l’individuo all’interno del rifugio, i suoi occhi increduli si sgranarono ulteriormente. Ma quel contatto visivo ebbe solo il risultato di agitare ulteriormente Taehyung che deglutì a vuoto e cercò maldestramente di recuperare il mestolo dal cassetto ancora aperto della cucina. 

Quando lo vide con l'arnese in mano, il ladro alzò le mani, nemmeno fosse lui quello a subire una rapina. "Woh woh woh woh woh, aspetta, aspetta" farfugliò cercando di fare qualche altro passo dentro al rifugio come se fosse un pacificatore. 

Taehyung brandì il mestolo e si scagliò contro di lui urlando con tutte le sue forze. Cercò più volte di attaccarlo direttamente, ma con sua sorpresa non era abbastanza veloce per mettere in sesto un colpo. L'intruso era più agile di quanto si aspettasse e riusciva a schivare ogni sua mossa senza molti problemi. L'unica soluzione era metterlo con le spalle al muro e fargli perdere conoscenza. 

Taehyung provò a coordinare i suoi arti. Mentre con la destra scagliava il mestolo vicino alla faccia del ladro, con la gamba sinistra cercò di assestare un calcio sullo stinco. 

Quando il suo piede nudo entrò in contatto con la gamba dell'intruso, quello si lasciò scappare un grido di dolore e cercò di accovacciarsi al suolo. 

-Ci siamo-. 

"Taehyung, che diavolo stai facendo?" 

In quel momento, qualcosa scattò nella testa di Taehyung; qualcosa che lo distrasse da tutto il resto.

Da dietro le larghe spalle del ladro proveniva una voce dolce e sottile che avrebbe saputo riconoscere tra mille. Lo sguardo di Taehyung si spostò oltre la porta spalancata. Lì, sulla veranda semibuia che delimitava l'ingresso del rifugio, Jimin se ne stava in piedi, due borsoni pesanti tra le mani e un sopracciglio inarcato, a guardare l'amico brandire un mestolo a mezz'aria. 

"Jimin". Riuscì solo a farfugliare mentre un mezzo sorriso si dipingeva sulle sue labbra. Senza pensare più a niente, lasciò la presa sul mestolo, che cadde con un rumore sordo sul parquet, e si affrettò a raggiungere l'amico. 

"Non sto sognando, sei proprio tu Jimin, vero?" Disse prendendogli il volto tra le mani per poi pizzicare le guance lisce. 

"Ahi! Taehyung, ma che ti prende?" 

"Ah Jiminie". Taehyung lo strinse forte in un abbraccio "Come sono contento di vederti! Sapessi come era preoccupato! Tutti eravamo preoccupati. Ho temuto che ti fossi trasformato e che ti fossi perso nelle foreste del Canada. Avevo già deciso di partire a cercarti, avrei ribaltato tutto il mondo pur di trovare il tuo grosso sedere da lupo! Ma perché non ti sei più fatto sentire? Non hai più chiamato, non mi hai nemmeno mandato un messaggio e la segreteria diceva sempre che avevi il telefono spento. Sei un irresponsabile, lo sai? Non hai pensato nemmeno un attimo a cosa potevamo pensare? Ah, ma che importa? Alla fine sei tornato a casa, sei tornato mio stupido, stupido Jimin. Ma perché diavolo non hai mandato almeno un messaggio, razza di incosciente che non sei altro?" Il suo discorso isterico fu talmente articolato e veloce che non fu colto a pieno da nessuno. 

"Si è rotto il telefono". Riuscì a dire Jimin a malapena. Stretto com'era nell'abbraccio da orso di Taehyung non riusciva nemmeno a muoversi "Non pensavo foste preoccupati… Tae lasciami, non respiro più". 

Taehyung lo lasciò finalmente andare, ma prima che potesse allontanarsi del tutto pizzicò ancora le guance dell'amico. 

"Ahia, Tae! Se vuoi essere sicuro che non stai sognando devi pizzicare le tue di guance, non le mie". 

"Sono così felice di vederti che non mi arrabbierò nemmeno per il fatto che tu sia sparito senza dirmi niente!" disse prima di tirargli uno scappellotto sul retro della nuca. 

"Ahia! Ma che diavolo!" 

"Questo era perché comunque mi hai fatto preoccupare". 

"Chi ti capisce è bravo. Sto lontano da te per un mese, tu diventi iperprotettivo…" borbottò Jimin, ma si alzò comunque sulla punte per annusare il collo di Taehyung. "… e ci mancava poco che non ammazzavi il nostro gradito ospite". Concluse strofinando il naso sulla pelle del ragazzo.

"Ospite?" 

Di colpo, il cervello di Taehyung riprese a funzionare nel verso giusto.

Quando aveva sentito la voce di Jimin, si era completamente dimenticato di tutto. La sua voce sicura, la voce che non sentiva da così tanto tempo, lo aveva distratto dal presente reale. Era una cosa che capitava spesso. Quando un membro del branco faceva ritorno dopo tanto tempo, si risvegliava uno strano istinto di sicurezza e protezione.

Era una legge chimica che c'era tra di loro, una di quelle che non si attenuavano nemmeno quando non erano lupi. Come se il loro legame, già forte di per sé, si cementificasse e diventasse un qualcosa di indispensabile per la loro vita quotidiana. Una volta ritrovato un membro del branco, tutto il mondo attorno spariva inesorabilmente.  

Per questo Taehyung era riuscito a dimenticarsi persino dell'intrusione di un ladro nel rifugio. 

Si girò di scatto a guardare l'intruso. 

Questo, stranamente, non sembrava sorpreso dal comportamento di Taehyung, ne tanto meno da quello di Jimin, che stava ancora strusciando la sua faccia nel collo del fratello. Nemmeno la conversazione che c'era stata tra i due sembrava averlo smosso. Al contrario, era come se si aspettasse quel genere di reazione. 

Il gradito ospite, come l'aveva definito Jimin, era ancora accovacciato sul parquet del rifugio e si stava massaggiando lo stinco dolorante. Si era sforzato di mettere su uno di quei sorrisi di convenienza, uno di quelli finti che si fanno quando non si sa bene che cosa dire. Taehyung trovò curioso che se ne stesse zitto a scrutare l'interazione tra i due, ma ancora più curiosi erano i suoi occhi indecifrabili. 

"L'ospite" ripeté in quel momento Jimin, alzando le braccia e mostrando i borsoni che aveva ancora in mano. 

Taehyung restò interdetto. Quando Jin aveva detto a Jimin di partire per il Canada, gli aveva dato la specifica missione di trovare Kim Namjoon e di fare l'impossibile per convincerlo a venire nel Vermont, ma nessuno, Jimin in primis, si sarebbe aspettato di riuscire nell'intento.  

"L'ospite". Asserì infine Taehyung, realizzando chi fosse quell'uomo. "Jimin, per quale diavolo di motivo il nostro gradito ospite stava scassinando la porta di casa nostra?" Chiese allora. 

Jimin si affrettò a mettere su un sorriso angelico "Ho dimenticato le chiavi prima di partire e sembrava che non ci fosse in casa nessuno. Lui ha detto che sapeva aprire una porta chiusa a chiave, così l'ho lasciato fare". 

Taehyung alzò un sopracciglio poi si rivolse a Kim Namjoon "Mi dispiace, davvero davvero tanto. Non pensavo che tu, cioè io… la foto che ho visto… sei cambiato davvero tantissimo… eri un bambino e adesso sei diventato grande e grosso… la tua gamba e … la tua camicia, io l'ho… mi dispiace tanto, pensavo fosse un… mi dispiace tanto". Farfugliò a disagio, mangiandosi le parole per l'imbarazzo.

Forse, appellarsi ad uno sconosciuto chiamandolo ladro, non era la cosa migliore da fare al primo incontro, per questo Taehyung si ritrovò a balbettare delle scuse che non sapeva formulare. 

Kim Namjoon alzò una mano come a voler dire che fosse tutto okay, ma qualcosa nella sua espressione lasciava trapelare il contrario. Nascosti dietro gli occhiali da vista, i suoi occhi sembravano a disagio. Quando si rialzò in piedi, fece appena qualche passo dentro il rifugio, guardandosi attorno con fare critico. Squadrò il salotto e la libreria leggermente impolverata, la piccola cucina e il bancone dove avevano sempre fatto i compiti di scuola. Squadrò il pavimento scricchiolante, le pareti con le assi di legno chiare e persino il soffitto. 

"Non c'è tanto spazio qui". Disse infine, una volta che ebbe finito di soppesare la situazione. 

Jimin, con ancora i borsoni in mano, oltrepassò Taehyung ed entrò nell'abitacolo. Respirò a pieni polmoni l'aria del rifugio, sorridendo appena.

Finalmente era tornato a casa. 

"Non preoccuparti" disse poi "il salotto potrà diventare il tuo spazio personale. Sposteremo i divani, e collocheremo provvisoriamente il tavolino sulla veranda, dovrebbe esserci sufficiente spazio per incastrarlo là fuori. Ti troveremo anche una sistemazione per la notte, anche se probabilmente dovrai condividere la stanza con Jin, ma non preoccuparti, quando dorme è come se staccasse le pile, non si muove di un millimetro".

Kim Namjoon annuì appena. Non sembrava troppo contento del suggerimento di Jimin, ma non si lamentò della cosa. 

"Ehi, ma che fine ha fatto la lampada a uovo di nonna Jin?" Chiese ad un tratto Jimin. 

"Ah, quella…" Taehyung non ebbe il tempo di finire la sua risposta che uno strano rumore attirò l'attenzione di tutti. 

Tutti e tre voltarono in capo in direzione della veranda. Taehyung non si era minimamente accorto che fuori dal suo campo visivo erano state appoggiate delle altre borse. Tra queste, c'era un trasportino da animali dal cui interno proveniva il latrato di un cane evidentemente stanco del viaggio. 

Kim Namjoon si avvicinò al trasportino, lo aprì con cura e ne fece uscire un cane di piccola taglia. L'animale aveva un folto pelo nero e marrone molto lungo che arrivava a coprirgli le piccole zampette chiare. Gli occhi, piccoli e porcini, scrutavano il mondo con curiosità, mentre si affrettava ad annusare tutti gli odori provenienti dal bosco. Namjoon passò una delle sue grandi mani sulla testolina del cagnetto e quello chiuse gli occhi, come a volersi beare delle carezze del padrone. 

"Jimin…" disse Taehyung senza distogliere gli occhi da quella scena. 

Jimin si grattò appena la testa, mettendo su un'espressione angelica pronta da essere rivolta all'amico. 

"…che cosa… che cos'è quello?" riuscì infine a snocciolare Taehyung. 

"Tae, amico mio, fratello, membro del mio branco, mia anima gemella… ti ricordi che dicevi che non ti saresti arrabbiato perché ti sono mancato troppo ed eri così preoccupato per me che …" 

Taehyung lo fulminò con lo sguardo. 

"Tae è solo un cucciolo!” Disse allora Jimin, consapevole del fatto che prenderla alla larga non avrebbe cambiato le cose “Ed è molto bravo, è stato bravissimo per tutto il viaggio, te lo assicuro". 

"Come ti è saltato in mente di portare un cane al rifugio?" 

"Non potevamo lasciarlo in Canada! Hai idea di quanto costino i canili? Jin non si lamenterà tanto". 

"Ma io si". Disse Taehyung piccato. 

"Ti prego Tae. Guarda come è piccolo! Ed è il cane più buono del mondo intero. Non abbaia praticamente mai". 

"Non mi interessa". 

"Ma Tae… prova a pensare a quanto sarà felice Jungkook, lui ha sempre voluto un cane!" 

"Ne ha già tre in casa!" 

"Tecnicamente, noi siamo lupi". Jimin si ammutolì alla svelta dopo aver visto la seconda occhiataccia che l'amico gli aveva lanciato. 

La cosa peggiore che poteva accadere al rifugio era che arrivasse anche un cane. Ironia della sorte, a Taehyung i cani non piacevano per niente. E non solo perché sporcavano, facevano pipì ovunque, sbavavano, lasciavano impronte dappertutto, puzzavano e abbaiavano ad ogni ora del giorno e della notte, ma soprattutto perché lui non aveva un bel ricordo di animali domestici. Inoltre al rifugio non c'era spazio per una singola persona in più, figurarsi per un cane. 

"Tannie è ben educato". La calma voce di Kim Namjoon non sembrava essersi scomposta anche dopo aver compreso il malcontento di Taehyung. "Non ti darà fastidio". Concluse. 

Taehyung avrebbe voluto ribattere che la sola vista di un cane nel posto dove dormiva gli dava fastidio, ma si morse la lingua. 

"È vero, credimi è molto educato". Disse piano Jimin, guardandosi i piedi per evitare un'altra occhiataccia da parte dell'amico. 

Taehyung si portò una mano a massaggiarsi le tempie. Come era potuto passare dall'essere preoccupato a morte per il suo amico ad avere l’istinto di strozzarlo? Rientrò nel rifugio senza dire una parola e andò a chiudersi in camera sua. Aveva bisogno di stendersi. Dall'altra parte della porta sentì Jimin dire a Kim Namjoon: "Beh, l'ha presa molto meglio di quanto mi aspettassi. Devo essergli davvero mancato un sacco".

 

Taehyung non uscì dalla sua stanza fino a quando non fece ritorno Jin, ma dal momento che le mura del rifugio erano fatte di legno, aveva sentito tutti i rumori che Jimin e Kim Namjoon facevano a pochi metri di distanza da lui. Namjoon aveva insistito per sistemare subito tutto quello che si era portato dietro. Da quanto aveva visto sulla veranda, c'erano almeno sette valigie da disfare. Considerando che una era di Jimin e che l'altra era il trasportino del cane, avevano un bel po' da sistemare. 

La piccola bestia di satana, con suo sommo malcontento, non aveva ancora emesso un verso. Quel cane era davvero bene educato, e la cosa infastidiva Taehyung ancora di più. Se avesse fatto rumore quantomeno avrebbe potuto impuntarsi per farlo dormire fuori. Anche se sapeva già che non sarebbe mai successo. Figurarsi, quel traditore del suo migliore amico non lo avrebbe mai permesso. 

Taehyung sbuffò prima di soffocare la faccia nel cuscino. Era un po' geloso di tutte le attenzione che Jimin stava dedicando nell'aiutare Namjoon a spacchettare tutte le sue cose.

Jimin era talmente occupato ad essere servile con il suo gradito ospite che quando Jin tornò a casa, era intento a liberare un anta nel bagno per far posto ai prodotti da viso di Namjoon. Quante diavolo di cose poteva mai tenere un uomo nel bagno? 

"E tu chi saresti?" Taehyung sentì chiedere la voce di Jin da dietro la porta "E perché diavolo il mio salotto sembra essere diventato lo scenario dove ambientare un film di Frankenstein?".

Diversi rumori di sottofondo gli lasciarono intendere che nel salotto si stava ancora armeggiando con le valige. Le assi di legno scricchiolavano ad ogni passo che Namjoon faceva. Benché fosse agile, non aveva di certo un passo aggraziato. 

Taehyung si maledisse da solo: moriva dalla voglia di vedere la faccia di Jin mentre il nuovo arrivato si presentava. Così si alzò e, silenziosamente, uscì dalla stanza giusto in tempo per godersi la scena. 

"Sono Namjoon". Disse solo. 

La faccia di Jin fu memorabile.

"Oh, wow, tu sei… così diverso dalla foto del giornale". Farfugliò sorpreso Jin, massaggiandosi il collo con una mano. Effettivamente lasciava trapelare una sorpresa più grande di quella che ci si potesse aspettare e la cosa divertì Taehyung ulteriormente.  

"La mia foto deve essere famosa tra di voi". Commentò Namjoon. 

"Sì" disse Jin senza riflettere, per poi affrettarsi a rettificare "Cioè no. Non famosa… non la guardiamo spesso… cioè non la guardiamo mai… non la guardiamo proprio… era solo comparsa sul giornale… ed era stampata bella grossa… è solo che quando l'abbiamo vista tu eri … e adesso sei … ecco io non mi aspettavo tu fossi così…" 

Namjoon alzò un sopracciglio. 

"Lascia perdere. Farnetico solo perché non mi aspettavo di vederti qui così presto, se l'avessi saputo avrei… preparato qualcosa o…". 

"Ti aspettavi davvero che venisse?" Chiese allora Taehyung, introducendosi nel discorso a gamba tesa. Si sarebbe detto che avesse appena salvato Jin da un discorso imbarazzante, ma il fatto di essere stato sorpreso a balbettare davanti al nuovo arrivato dovette imbarazzarlo ancora di più. 

"Ehi, tu, non ti ho detto che non devi origliare le conversazioni altrui!" Strillò isterico.

"Questa casa è fatta di legno, Jin. Si sente anche quando respiri la notte". Disse Taehyung con un'alzata di spalle per poi lanciare uno sguardo al salotto, o meglio, a quello che ne restava del salotto.

Nel giro di un'ora i divani erano stati spostati, ammassati contro la finestra, il mobile ad angolo convertito in un piano d'appoggio e il tavolino da caffè scomparso. Al posto del salotto, una serie infinite di ampolle e provette se ne stavano allineati sulle superficie rimaste libere. 

Un computer era stato acceso e collegato al vecchio televisore, che ora era faceva le veci di un monitor secondario dove una serie infinita di numeri scorreva a velocità non percepibile ad occhio umano. Qua e là erano ancora ammassati strani oggetti di ferro che Namjoon era stato intento a montare prima di essere interrotto. 

"Wow. Allora sei davvero uno scienziato pazzo". Commentò Taehyung. 

"JIN!" Jimin fece capolino dal bagno, seguito dal mostro di satana che scodinzolava tranquillo. 

Appena vide Jin, Jimin si fiondò tra le sue braccia, appendendosi al suo collo e rimanendo sollevato da terra per qualche secondo. 

"Oh, oh Jimin, mi spezzi la schiena". Rispose abbracciandolo caloroso, mentre il suo sguardo si addolciva. 

"Sono mancato anche a te tanto quanto sono mancato a Taehyung?" Chiese civettuolo Jimin.

"Certo, certo, anche se io non mi sono lasciato impallidire per la tua assenza". 

"Ehi, io non mi sono lasciato impallidire!". Disse Taehyung con un finto tono di lamentela. 

"Certo che no. Avevi solo le occhiaia, una faccia da morto e il telefono sempre in mano". 

Jimin ghignò contento. Quelle dichiarazioni lo mandavano in un brodo di giuggiole. Gli piaceva sentirsi speciale per i membri del branco, gli piaceva che si lamentassero della sua assenza e che si preoccupassero per lui. Jimin aveva sempre costantemente bisogno di molte attenzioni, e se veniva ignorato, diventava invadente e impiccione.  

"Jin, hai visto come sono stato bravo. Ho convinto Namjoon a venire con me. Non è stato facile, ma alla fine ha dovuto cedere al mio charm". Disse Jimin stringendo Jin ancora di più nel suo abbraccio. 

Namjoon fece ruotare gli cielo, ma non disse niente. Probabilmente doveva già aver preso la mano con il carattere di Jimin. 

"Non ho mai dubitato di te. Per questo ti ho chiesto di andare". Disse Jin lasciando che Jimin infilasse la testa nell'incavo del collo per annusare il suo odore "Sono solo molto sorpreso del fatto che tu abbia fatto così in fretta. Avevo ancora delle cose da sistemare". 

"Che genere di cose avevi da sistemare Jinie?" Chiese Jimin strofinando per bene il viso sulla spalla del più grande, lasciando intravedere il lupo dentro di lui che si agitava perché felice di ritrovare i suoi compagni. 

Jin spostò lo sguardo da Jimin a Taehyung. "Ci sono delle cose che dovrei dirvi, ma forse è meglio aspettare Jungkook". Disse lui, lo sguardo un po' spento. 

-Lo sapevo- pensò Taehyung. - Jin è stato strano per tutto questo tempo perché c'era sotto qualcosa, lo sapevo!-

"A proposito, dov'è Jungkook? Mi sono perso il suo primo giorno dell’ultimo anno di liceo". Chiese Jimin. 

"Arriverà a breve". Rispose Taehyung.

 "E siccome sarà affamato come sempre, forse è il caso che inizi a cucinare qualcosa". Disse Jin quando riuscì a liberarsi dalla stretta di Jimin. "Forse dovrei fare una cena speciale di ritorno. Namjoon, cosa ti piace mangi-" Jin si interruppe nel bel mezzo del suo discorso quando notò un ammasso di pelo con le zampe seduto ai piedi del suo padrone. 

"E tu chi sei?" Chiese inginocchiandosi e porgendo una mano al cane perché potesse annusarla. Quello la studiò con attenzione, annusandolo e lasciandogli qualche lappata qua e là, prima di fissare i suoi occhi porcini in quelli di Jin. 

"Lui è Yeontan" disse tutto felice Jimin "è il cane di Namjoon. Non è bellissimo?" 

Jin allungò una mano per accarezzarlo. "Si, ha un bel musino”. 

"Può restare con noi vero Jin?" 

"Non darà fastidio, te lo assicuro". Disse Namjoon. 

Jin soppesò Namjoon per qualche secondo, poi spostò lo sguardo su Taehyung. 

"Tae?" chiese. 

-Fantastico-.

In risposta, Taehyung fece ruotare gli occhi al cielo, ma non disse niente. Non era felice della cosa, ma non poteva nemmeno opporsi. Era lui contro tutti. 

"Beh, immagino che Jungkook sarà contento di avere in casa un cane". Concluse Jin. 

 

 

Jungkook fece ritorno al rifugio mentre Jin era intento a cucinare, Jimin a risistemare il salone e Namjoon ad avvitare… beh qualsiasi cosa stesse avvitando. Taehyung era semplicemente seduto al bancone del tavolo e stava pelando una carota. 

"Di chi è quella grossa macchina nera parcheggiata qui davanti?" fu la prima cosa che disse Jungkook appena mise piede in sala, ma non ebbe nemmeno il tempo di mettere a fuoco la situazione che Jimin gli fu subito addosso. 

In quel momento, Jin e Taehyung avvertirono una sensazione scorrere nelle loro vene che gli fece venire un brivido lungo la schiena.

Muovendosi come se fossero una sola persona, cercarono di scrollarsi quella sensazione di dosso, ma non poterono fare a meno di sorridere. Il branco era stato riunito.

Jimin e Jungkook saltellarono in sincrono urlando come ragazzine per qualche minuto, prima che l'attenzione di Jungkook venisse risucchiata da Namjoon, al quale strinse velocemente la mano e, subito dopo, dal cagnetto ai suoi piedi. 

Il ragazzo sembrò sorpreso di sapere che la missione di Jimin era stata davvero portata a termine. Evidentemente, l'unico che aveva pensato che Jimin potesse davvero riuscire nell'intento era stato Jin. 

Jungkook non lasciò stare il cane nemmeno quando fu il momento di cenare. 

"Namjoon, posso dargli un pezzetto di carne?" chiese, una volta che si fu avvicinato al bancone della cucina. In cinque ci stavano un po' stretti, ma nessuno si lamentava.

Namjoon se ne stava con la schiena troppo dritta a fissare il piatto che Jin gli aveva messo davanti. Non sembrava essere troppo a suo agio a cenare con degli estranei. Taehyung non ne capì il motivo. In fondo, sapeva a cosa stava andando in contro quando aveva accettato la proposta di Jimin.  

"Si certo, ma non gliene fare mangiare troppa, non beneficeremo degli effetti negativi che il cibo umano ha su di lui". Disse Namjoon. 

“Effetti negati?” chiese Jungkook mentre era intento a selezionare con attenzione un pezzetto di carne.  

“Si, ecco Tannie… soffre di meteorismo”. Disse Namjoon tecnicamente, portandosi un dito al ponte degli occhiali per aggiustarli meglio sul naso.  

“Meteorismo?” 

“Scoreggerà tutta notte Jungkook”. Tradusse Taehyung. 

"Ahh!"

“Buona cena” fu il commento di Jimin, prima di inserire le bacchette nel suo riso e cominciare a mescolare gli ingredienti tutti insieme. 

Jin buttò giù il boccone di pollo che si era già portato alla bocca prima di dire "Bene, ora che ci siamo tutti, forse è il caso di fare due chiacchiere".










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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4





Marzo 2010
 

 

Taehyung si risvegliò con una mano immersa in una pozzanghera fangosa e il petto schiacciato contro la terra fredda del bosco. Il pallido sole primaverile filtrava tra gli alberi stiracchiando appena i suoi raggi e arrivando ad accarezzare la sua schiena nuda. Fango e terra gli imbrattavano la pelle bianca arrampicandosi sui suoi arti, sul torace e arrivando anche a sporcargli il naso. Qualche foglia rinsecchita aveva trovato riparo nelle giunture del suo corpo e nel nido che i capelli, selvaggi e spettinati, formavano.

La notte prima doveva esserci stata una tempesta, ma ovviamente non ne aveva ricordo. Con la luce del giorno, però, tutto quello che rimaneva dal temporale era un sottile odore di pioggia che aleggiava nell'aria.

Le ossa gli dolevano, non si era azzardato a compiere un singolo movimento, ma il dolore sembrava essersi adagiato sul suo corpo come una mantellina. Succedeva sempre dopo la trasformazione. Cercò di alzare la testa e di guardarsi intorno, ma dovette fare piano per attenuare la morsa pungente delle fitte.

I capelli neri gli ricaddero sugli occhi. Erano cresciuti troppo.

Quanti mesi aveva trascorso da lupo?

Era quasi sicuro che fosse stato novembre quando si era trasformato, ma una volta tornato a stazionare nel suo corpo non avrebbe saputo dire che mese fosse.

Non aveva molti ricordi nella sua forma da lupo. Vivere le sembianze di un animale era simile alla sensazione del sogno: si ricordava la sua vita nella foresta per le prime ore, poi tutto diventava sbiadito, opaco, come se un velo gli impedisse di ricordare bene quelle immagini che avrebbe gelosamente voluto conservare per sé. E più si sforzava di ricordare, più i ricordi scivolavano nel buio della sua mente.

Taehyung sapeva che la vita da lupo gli piaceva. Sapeva che quando non era umano passava le sue giornate a rincorrere il lupo di Jimin nel bosco, che giocava con lui, che lo mordeva, lo annusava e lo proteggeva come si protegge un fratello.

Aveva un odore dolce, lo stesso che aveva il Jimin umano, quello che riusciva a stringere con mani dai pollici opponibili.

Sapeva anche che la notte dormiva accoccolato a Jungkook, con il muso dell'altro incastrato tre le sue scapole, e che la mattina lo svegliava con dei morsetti sulle orecchie. Jungkook era un lupo molto grosso, più grosso di lui, e questo lo faceva sentire al sicuro.

Ma la caccia era un'attività che affrontava in compagnia di Jin, attaccavano sempre insieme, erano loro a procacciare maggiormente il cibo per gli altri. Non si allontanava mai dal suo branco, non passava nemmeno un minuto senza averli intorno.

Conosceva questa sua vita come conosceva l'alba e il tramonto: senza che qualcuno avesse mai dovuto insegnarglielo, ma non aveva ricordi di quello che succedeva.

Negli anni la sua mente aveva provato a ricostruire immagini precise, ma Taehyung non era sicuro se fossero veri e propri ricordi o fantasie ben costruite.

Una parte di lui odiava non sapere come passava i giorni quando non pensava con il suo cervello. L'altra parte si diceva che forse era giusto così, d'altronde anche mentre era in forma di lupo non si ricordava la sua vita d'umano. Era per questo che essere lupo gli piaceva.

Un soffio di vento lo fece rabbrividire. Benché facesse sufficientemente caldo per innescare una trasformazione, la temperatura era ancora bassa e lui era nudo come un verme nel bel mezzo del bosco.

Taehyung era spaesato. Non sapeva con esattezza dove si trovava. Quando era lupo si spostava molto più velocemente e arrivava a percorrere tragitti più lunghi di quando era umano. Jin gli aveva raccontato che, una volta, due lupi del vecchio branco erano riusciti ad arrivare nelle foreste del New Hampshire in tre giorni, percorrendo una distanza di più di duecento chilometri.

Taehyung non si era mai spinto così oltre, e dubitava che quella volta fosse differente dalle altre.

Si mise in piedi lentamente, stringendo i denti per il dolore, e si guardò intorno.

Sui rami degli alberi spogli stavano cominciando a prendere posto i primi germogli. Piccole foglioline e boccioli ancora inumiditi dalla condensa mattutina regalavano tocchi di colore al bosco spoglio. La neve si era sciolta del tutto, ma il suolo era freddo e umido sotto il suo corpo.

Doveva essere mattina presto. Non più tardi delle otto. Con buona probabilità e con un po' di fortuna, non avrebbe trovato escursionisti curiosi nei dintorni. In caso contrario avrebbe dovuto architettare una scusa sufficientemente buona per spiegare perché un ragazzo di appena vent'anni se ne andasse in giorno da solo e tutto nudo tra i boschi.

In un gesto più automatico che ragionato, cercò di fiutare l'aria, ma subito dopo si accorse che era inutile. Non aveva più l'olfatto da lupo, non poteva cercare una scia olfattiva da seguire. Cercò allora di aguzzare l'udito: se avesse sentito il rumore di una macchina avrebbe potuto orientarsi con la strada. Gli occorreva un punto di riferimento dal quale potesse partire per capire come muoversi. Dovette concentrarsi parecchio, ma alla fine riuscì a sentire il rumore di acqua. Acqua quasi stagnata, che scorreva placidamente nel letto di un canale, senza correnti particolarmente forti. Con tutta probabilità era l'acqua del lago Champlain. Quello sarebbe bastato per orientarsi. Se avesse seguito il corso del lago e dei suoi affluenti, sarebbe sicuramente riuscito a tornare a casa. Tirò un sospiro di sollievo: era stato più facile delle altre volte. Se avesse avuto la coda, Taehyung si sarebbe messo a scodinzolare per la contentezza.

Cercò di muoversi velocemente, o almeno, quanto più velocemente le sue ossa doloranti potevano permettergli. Ci mise poco più di venti minuti per arrivare in prossimità del lago, da lì, trovare un orientamento verso il rifugio era facile. Non sapeva spiegarsi se il fatto di aver vissuto da lupo in quelle foreste per tutto questo tempo avesse affinato il suo senso dell'orientamento, ma nel giro di tre ore, Taehyung fece ritorno a casa.

La macchina di Jin e quella che condivideva con Jimin erano ancora parcheggiate davanti al rifugio, dove le aveva lasciate l'ultima volta. Con molta probabilità nei giorni seguenti si sarebbe trovato a lavarle perché erano sporche di pioggia, terra e polveri atmosferiche.

La chiave di scorta era esattamente dove l'aveva lasciata l'ultima volta. Era stato l'ultimo a trasformarsi e aveva avuto il tempo di sistemare le cose prima di sgusciare via dal suo corpo.

Taehyung e Jin erano gli unici che riuscivano a capire quando sarebbe arrivata la trasformazione, come se i loro lupi volessero avvisarli in anticipo. Jimin e Jungkook invece non riuscivano a controllarsi a dovere.

Taehyung ricordava di aver passato i suoi ultimi giorni di novembre nello scantinato di Jin. Aveva chiuso le finestre, spento il gas, serrato la porta e nascosto la chiave tra le assi di legno che rivestivano la parete esterna sotto il porticato, come faceva sempre. Poi era disceso nello scantinato e aveva lasciato la grande porta di ferro aperta il modo tale che il freddo potesse stringerlo nella sua morsa e dare inizio al processo di cambiamento.

Una volta che inserì la chiave nella toppa diede due mandate prima di sentire il rumore della serratura che veniva sbloccata.

L'aria all'interno del rifugio sapeva di muffa e di chiuso. Lentamente si richiuse la porta alle spalle. Le assi di legno scricchiolarono sotto il suo peso ad ogni suo passo. Stava lasciando impronte di terra ovunque, ma doveva arrivare in bagno più velocemente che poteva e infilarsi in una vasca d'acqua calda o le sue ossa lo avrebbero fatto impazzire.

Dopo aver buttato qualche sale profumato nell'acqua bollente, rimase immerso per almeno mezzora. Il calore gli ridava vigore e poi, tutto solo nel rifugio, nessuno si sarebbe lamentato del tempo che ci stava mettendo.

Così com'era, con l'acqua che gli arrivava sotto al naso, si chiese quanto avrebbero impiegato gli altri a trasformarsi, quanti giorni avrebbe dovuto restare da solo. Si chiese anche quale giorno di quale mese fosse e quanto tempo mancasse all'inizio dell'estate e poi, di nuovo, al prossimo inverno.

Quando uscì dall'acqua, pulito e rigenerato, cercò dei vestiti che potessero tenerlo al caldo. Benché una parte di lui avrebbe voluto provare ad esporsi al vento freddo della sera, per innescare un nuova trasformazione, sapeva che quell'azione non sarebbe servita a niente, e che, al contrario, le sue ossa avrebbero cominciato a bruciargli maledettamente. Negli anni precedenti aveva tentato più volte quell'impresa.

Nel 2007 Taehyung si era inspiegabilmente ritrasformato a causa di una giornata particolarmente calda che aveva registrato l'aumento della temperatura di un grado centigrado. Un misero grado che gli aveva tolto tempo prezioso.

Era febbraio, decisamente troppo presto perché anche gli altri potessero seguire i suoi passi.

Era rimasto da solo per un mese e mezzo. Il mese e mezzo più terribile della sua vita, nel quale aveva disperatamente provato a trasformarsi in lupo.

Ma per quanto lo desiderasse, per quanto ci provasse, rimaneva intrappolato nel suo corpo umano, un corpo che aveva cominciato a dolere ogni volta che prendeva freddo. Il dolore era insopportabile, le ossa bruciavano, la carne bruciava, persino la sua pelle bruciava. 

Alla fine dovette cedere e rinunciare all'idea di tornare ad essere lupo. Dovette restare da solo, cercando di non sprofondare nel vortice dei suoi pensieri che lo portavano sempre più in basso, verso un abisso che non riusciva a colmare.

Scosse la testa, come a voler scacciare il pensiero di quell'inverno, e poi si recò in camera di Jin per prendere quel maglione di bianca lana soffice che gli aveva regalato Jimin l'estate scorsa. Era ormai una tradizione quella di farsi i regali di Natale nel bel mezzo di agosto, anche se recuperare vestiti caldi era quasi sempre un'impresa.

Non appena finì di vestirsi, Taehyung perlustrò la stanza con occhi malinconici. Avrebbe dovuto cambiare le lenzuola del letto matrimoniale di Jin, prepararglielo per quando avrebbe fatto ritorno.

Era così che cercava di ammazzare il tempo quando non c'erano gli altri.

La stanza di Jin, se possibile, era più piccola di quella dei ragazzi. Entrava a stento un armadio e un letto matrimoniale con un piccolo comodino al suo fianco. Nient'altro.

Le pareti però erano decorate con quadretti di disegni infantili. Taehyung ricordava il momento in cui aveva realizzato per Jin il primo di una lunga serie di disegni. Non aveva ancora compiuto 9 anni quando era passato sotto la sua tutela legale. Si era sempre chiesto come avesse fatto un ragazzo di appena diciotto anni ad assicurarsi la custodia di un minorenne. Ma questo era uno dei tanti segreti burocratici che Jin non si dava la pena di spiegare a nessuno. Doveva avere degli agganci piuttosto importanti tra le alte sfere, ma se quella supposizione fosse fondata o meno, Taehyung non era mai stato in grado di saperlo con certezza.

Di fianco al disegno che aveva fatto per lui, c'era il disegno colorato di Jimin. Jimin era arrivato al rifugio nella sua forma umana la primavera dello stesso anno in cui c'era arrivato Taehyung.

La storia dell'amico però, era differente dalla sua: era entrato a far parte del branco quando sia lui che Jin erano lupi.

Il primo ricordo che Taehyung aveva era quello di un piccolo lupetto bianco che se ne andava in giro per la foresta odorando l'aria con il naso all'insù. Ma questo era un ricordo umano, era uno dei primi ricordi che aveva dopo aver sperimentato, per la prima volta, il risveglio dal lupo.

Quella volta era stato più difficile tornare al rifugio e vivere da solo nelle settimane avvenire. Le cose erano migliorate molto quando si erano ritrasformati prima Jin e infine Jimin.

Il nuovo arrivato era una grande fonte di interesse per Taehyung. Il fatto che avessero la stessa età e che da quel momento in avanti avrebbe potuto avere qualcuno con cui condividere la sua vita, riempiva il suo piccolo cuore fino a farlo traboccare di speranza e amore.

Sorrise a quei ricordi e fece correre il suo sguardo lungo tutta la stanza di Jin.

Il resto della parete era occupato dai disegni di Jungkook. Quel ragazzino era molto più dotato nel disegno di Jimin e Taehyung e, se si impegnava, era capace di fare delle vere e proprie opere d'arte. Lui era stato l'ultimo ad arrivare al rifugio.

Taehyung se lo ricordava bene il suo arrivo, era uno di quei ricordi che non si sarebbe mai dimenticato. Gli occhi da cerbiatto di Jungkook, così impauriti e scuri più della notte in cui si era accasciato sulla loro veranda, sarebbero rimasti impressi nella sua memoria per sempre.

Taehyung distolse lo sguardo dai quadri sulle pareti. Solo allora notò il quaderno di pelle che era stato riposto sul comodino.

Sapeva che non avrebbe dovuto frugare tra le cose di Jin, ma la curiosità era troppo alta per non farlo. E poi, se anche ci avesse sbirciato dentro, non lo sarebbe mai venuto a sapere.

Si sedette sul letto e afferrò l'agenda. Era uno di quel quaderni molto vecchi, rilegati in pelle con un sottile segnalibro di tessuto dall'estremità sfrangiata. Doveva essere il diario che Jin aggiornava quotidianamente, perché sembrava piuttosto consunto ed era già stato scritto per i suoi due terzi. Seguendo la pagina del segnalibro Taehyung aprì il diario. Lesse:

12 novembre 2009

Sta arrivando. È da tutta la settimana che lo sento muoversi dentro di me. Credo succederà domani, anzi ne sono sicuro. Credo che quest'anno succederà prima a me che a Jimin. So che Tae sarà l'ultimo. È sempre l'ultimo ad andarsene. Mi auguro che quelle due teste vuote non brucino la casa in mia assenza. Taehyung non mi preoccupa, ma Jimin... Spero non provi di nuovo a cucinare con le mie pentole, ormai me ne rimane solo una. Se brucia anche quella saremo costretti a vivere di ramen istantanei.

Ormai sono due settimane che Jungkook è lupo. Spero solo che stia bene. La vita là fuori è difficile senza un branco.

Devo ricordarmi di riparare la grondaia o ci ritroveremo il pavimento allagato al nostro ritorno.

Jin non ebbe il tempo di riparare la grondaia, ma il pavimento non si era allagato. Il tetto reggeva ancora bene. Taehyung fu felice di quella svista e prese mentalmente nota di ripararlo prima del suo arrivo, quantomeno per tenersi un po' occupato.

Quell'inverno Jin si era trasformato prima di Jimin, ma solo di un giorno, poi Taehyung aveva dovuto trascorrere almeno sedici giorni in totale solitudine. Sedici giorni di silenzi che lo logoravano internamente e ne risucchiavano il corpo e l'anima. Taehyung odiava stare da solo nei giorni prima della trasformazione. Il senso di solitudine lo opprimeva e l'angoscia gli stringeva il cuore. La notte non riusciva a prendere sonno e quando lo faceva, incubi oscuri animavano le ore in cui cercava di non pensare a niente.

Chiuse il diario di Jin per riporlo sul comodino, ma in quel momento un pezzo di carta cadde ai suoi piedi.

"Oh" disse a nessuno in particolare, la voce rauca per l'inutilizzo.

Quello che era caduto sul pavimento in legno era un pezzetto di carta di giornale ingiallito, accuratamente piegato e conservato. Benché il tempo e, con tutta probabilità, il peso delle pagine l'avessero assottigliato molto, la carta era stata ripiegata in sei parti.

Taehyung l'aprì con cautela prendendosi poi qualche secondo per stirarlo per bene, in modo da eliminare le grinze. Emanava un odore di polvere e vecchio.

Il titolo scritto in carattere grosso recitava: GIOVANE PROMESSA DELLA SCIENZA AL COLLASSO "MIO FRATELLO SI È' TRASFORMATO IN UN LUPO".

Taehyung non poté impedire ad una moto di sgomento di impossessarsi del suo corpo. Che qualcuno avesse forse scoperto il loro segreto?

Era l'articolo di un giornale locale di una cittadina canadese che riportava la data dell'ottobre 1997, due anni prima che Taehyung arrivasse al rifugio.

Dopo aver letto la data si rasserenò un poco. Erano passati troppi anni perché la questione potesse essere ancora risollevata a presa in esame. Eppure, un dubbio stava cominciando ad insinuarsi nel suo cervello. Perché mai Jin avrebbe dovuto conservare un articolo di giornale risalente a quasi tredici anni prima? E soprattutto un articolo di un giornale canadese.

Shannon, periferia di Québec city. È ormai da tre giorni che vanno avanti le ricerche del giovane Kim Minho scomparso nelle foreste della Laurentides Wildlife Reserve durante un'escursione con gli amici. Il gruppo composto, oltre che dal ragazzo scomparso, anche da due ragazzi Sullivan Jake e Jung Homon (16 anni) e dal fratello di Minho, Kim Namjoon (12 anni), era solito inoltrarsi tra i sentieri della riserva alla ricerca di insetti da studiare.

"Stavamo seguendo il percorso battuto" afferma Sullivan "non ci siamo allontanati. Non lo facciamo mai. Ma c'era un rumore strano tra gli alberi e Minho è andato a controllare. Solo che non è più tornato". Dopo più di un'ora dall'assenza di Minho, il gruppo di ragazzi, allarmato, ha cercato di ritrovare il compagno, ma calato il sole si sono rivolti alla guardia forestale.

"Era strano che Minho non tornasse. Minho non mi lascia mai da solo" afferma Kim Namjoon, fratello minore del ragazzo scomparso "Così ci siamo divisi e ci siamo detti che ci saremmo rivisti al cancello principale entro il calar del sole. Allora mi sono un po' addentrato nella riserva. Ho abbandonato il sentiero principale, non avrei dovuto farlo, lo so, ma a quel punto l'ho visto. Era nel fitto del bosco. Minho era a terra e continuava a tremare così forte, non l'ho mai visto così, ma era... diverso. Aveva i vestiti tutti strappati ed era sporco di sangue. C'era sangue ovunque. E poi si è trasformato in lupo ed è scappato via. L'ho visto. Ve lo giuro".

La confessione del giovane è stata fatta alla polizia solo due giorni dopo la scomparsa del ragazzo. Kim Namjoon è stato portato in ospedale, secondo i medici, è affetto da uno shock post-traumatico per la scomparsa del fratello. I medici sono preoccupati per lo stato mentale alterato che, a loro dire, può continuare a degenerare.

"Adesso ha bisogno di serenità, potrebbe essere che il suo stato cognitivo possa peggiorare ulteriormente. Il legame con il fratello era molto forte, la sua scomparsa deve avergli causato una grave mancanza". Afferma lo psichiatra John Davidson, responsabile del reparto di psichiatria infantile. "Se la situazione continua così, il ragazzo non farà che degenerare. È un vero peccato per un giovane del suo calibro... così promettente".

Kim Namjoon infatti era la promessa della scienza. Con i suoi ottimi voti a scuola e un quoziente intellettivo di 148 alla giovane età di 12 anni, si era classificato primo nei concorsi matematici, scientifici e chimici del paese. La sua intelligenza sopra la media ha permesso al giovane di saltare una classe e di avere un programma di studio avanzato. Ma ora ci chiediamo che influenza possa avere questo risvolto nella sua vita e nella sua carriera. Una giovane promessa che non vedrà mai un futuro?

Nel frattempo le ricerche di Kim Minho continuano, la polizia spera di riuscire a ritrovare al più presto il giovane vivo.

Taehyung lesse fino all'ultima parola e poi si fermò a guardare l'immagine sfocata allegata all'articolo. Nella foto, un ragazzino paffuto con un taglio di capelli a scodella e occhiali dalla spessa montatura sorrideva alla fotocamera mostrando una dolce fossetta. In mano reggeva una targa che attestava il primo posto nella prova di scienze.

Era strano.

Non tanto leggere di un ragazzo che si trasformava in lupo, quello, per Taehyung, era la normalità. Era strano il fatto che Jin avesse conservato per anni un pezzo di carta dove era stata riportata una notizia del genere di un paese che non fosse nemmeno il suo.

Per quale motivo l'aveva fatto?

Taehyung non riusciva proprio a capirlo.

Decise di sfogliare velocemente le pagine del diario a ritroso, giusto per controllare che Jin non avesse scritto aggiornamenti su quella vicenda. In fondo, si disse, se aveva tenuto con sé l'articolo per tutto quel tempo, poteva anche aver scritto qualcos'altro a riguardo.

Non dovette scorrere a ritroso per molto prima di trovare, attaccato con un pezzo di shock ad una pagina totalmente bianca, un altro articolo di giornale. Questa volta, la carta non aveva avuto il tempo di ingiallirsi e l'articolo di giornale era solo un trafiletto di poche righe senza nessuna foto. Non era stata riporta la testata giornalistica, ma la data segnava il 4 giugno 2009.

CI TRASFORMEREMO IN MUTANTI! LA SCIENZA DEL FUTURO.

Ebbene sì, non stiamo parlando di un film di fantascienza dove un ragazzino viene morso da un ragno ed acquisisce i super poteri, ma di vita vera e propria, reale al 100%. 

A Montreal, in Canada, un gruppo di scienziati è sulla buona strada per scoprire come modificare il DNA umano. Secondo gli ultimi studi, modificare il DNA è possibile anche senza scissioni, lavorazioni e macchinari costosi. Basta avere un paziente dal corpo sano, una particella di innesco e un particolare stimolatore di adrenalina. Dopo aver introdotto la particella di innesco nell'organismo tramite un'iniezione endovena, bisogna sottoporre il corpo ad un'incubazione di quale giorno. A quel punto il cervello, stimolato da una dose di adrenalina, porterebbe il soggetto preso in esame a mutamenti non da poco. La teoria sembrerebbe molto semplice, ma la pratica realizzazione è ancora lontana. "Devono essere condotti studi molto più approfonditi. Non sappiamo come l'innesco possa influenzare il DNA e a quali sequenziamenti va ad attaccarsi" affermano gli studiosi. La teoria, momentaneamente non ancora testata su un corpo umano, sembra aver suscitato l'interesse di molti facoltosi uomini d'affare, che si sono interessati a finanziare le ricerche. Un team di ricercatori canadesi, sotto la guida di Kim Namjoon, brillante scienziato e chimico, è ora intento a studiare gli scenari di questa realtà. Per il momento, non ci resta altro da fare che aspettare pazientemente e tenerci aggiornati sui prossimi sviluppi.

Kim Namjoon, ancora quel nome. Sarà stato lo stesso Kim Namjoon di 13 anni prima?

Lo stesso brillante ragazzino che si era classificato primo in ogni concorso scientifico e matematico?

Stava conducendo ricerche sulla mutazione genetica da umano a lupo? Stava forse studiando il corpo cangiante del fratello?

La lettura di quegli articoli scombussolarono la mente di Taehyung. In testa continuava a ruotargli la domanda del perché Jin tenesse per sé quel tipo di articoli di giornale. Ma soprattutto non riusciva a spiegarsi perché non ne avesse mai fatto parola. Non aveva mai saputo niente di un ragazzino che credevano impazzito in una città di provincia canadese, non sapeva nulla di ricerche sulla mutazione umana.

Quelle informazioni avrebbero potuto interessare tutto il gruppo, perché non dirlo allora?

Ma, si disse anche, in fondo era passato quasi un anno dalla pubblicazione di quell'ultimo articolo. Se fosse stato qualcosa di rilevante Jin ne avrebbe sicuramente parlato con tutti loro, no?

Quindi forse non c'era nulla che li riguardava, forse se non aveva detto niente era perché non c'era effettivamente niente di cui parlare. Al giorno d'oggi poi, i giornalisti erano capaci di scrivere le notizie più false del mondo solo per riuscire ad occupare tutte le pagine dei loro giornali.

Eppure qualcosa continuava a solleticare la mente di Taehyung e a tenerlo in uno stato di perenne turbamento. Doveva esserci una ragione per la quale Jin avesse conservato quei ritagli.

Il ragazzo fece nuovamente scorrere le pagine del diario, ma non trovò più niente. Nessun tipo di notizia che riguardava Kim Minho o Kim Namjoon, solo i pensieri ordinati di Seokjin che si preoccupava di cose ordinarie: del rifugio, delle spese, del conto in banca e soprattutto di Jungkook e delle sue trasformazioni instabili.

Come si sarebbe dovuto comportare allora Taehyung? Forse avrebbe dovuto fare finta di niente e non dire niente a Jin, anche perché lo avrebbe sicuramente rimproverato per aver ficcato il naso tra le sue cose. Però...

-Però deve esserci un motivo per il quale ha voluto tenersi aggiornato su quel ragazzo. Jin non fa le cose a casaccio, tanto per farle-. Si disse.

Deglutì a vuoto, di colpo nervoso della situazione.

-Non c'è niente di male se, quando torna, provo a chiedergli qualche informazione no? Posso fare finta di aver letto qualcosa al riguardo in biblioteca. Magari non è davvero niente. Magari sto solo facendo degli enormi castelli in aria. Sì, è così sicuramente. Farò solo finta di essere curioso e nient'altro. Non si accorgerà di niente e io mi metterò l'anima in pace-.

Con quel piano improvvisato velocemente si rasserenò, mise a posto il diario di Jin e cercò di rendere quella giornata produttiva. Doveva sistemare molte cose al rifugio, era stato via per troppo tempo e le mansioni pratiche erano un ottimo metodo per distrarsi da ogni pensiero contorto.

Quello che Taehyung ancora non sapeva, era che quello sarebbe solo stato l'inizio di un viaggio che forse non avrebbe voluto percorrere.










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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!! 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5




Aprile 2010

 

 

L'aria della mattina era fresca e pungente e sembrava quasi volergli irritare la pelle, colorandola di rosso.

La vecchia radio portatile, quella che riusciva a ricevere solo la stazione radio locale che trasmetteva musica degli anni '60-'70, aveva appena finito di annunciare il meteo orario. Sarebbe stata una giornata di pallido sole e le temperature, nelle ore pomeridiane, sarebbero arrivate a sfiorare i diciotto gradi. Alle 6.30 del mattino, però, bisognava ritenersi fortunati se si riusciva ad averne quattordici.

Accovacciato sulla sommità di una scala posta in un precario equilibrio, Taehyung aveva cominciato a smontare la grondaia per riparare le parti danneggiate.

La scorsa primavera una famiglia di rondini aveva nidificato nel loro condotto di scolo e sembrava che i residui dei loro insediamenti stessero ancora ostruendo parte delle condutture.

Con il braccio sinistro applicò un po' di pressione e, aiutandosi con la penna d'acciaio del martello, riuscì finalmente a sollevare la lamiera di rame, sfilandola poi dalla posizione nella quale era incastrata. Facendo attenzione a non sbilanciarsi, appoggiò gli avambracci sulla sommità del tetto per usarlo come base d'appoggio, e cominciò a martellare la parte della lamiera ammaccata. Avrebbe potuto andare a comprare un ricambio, ma non aveva ancora ripreso a lavorare e, benché avesse una somma di denaro messa da parte, avrebbe preferito utilizzarla in caso di emergenza. Inoltre la grondaia non era messa così male da non poter essere riparata con un po' di olio di gomiti.

Penny Lane dei The Beatles stava ora suonando nell'aria mattutina. Quella canzone gli metteva allegria e, in qualche modo, alleviava i suoi tormenti.

Anche quella notte, come tutte le precedenti, si era svegliato di soprassalto e non era più riuscito a riposare decentemente. Taehyung sapeva di avere grosse occhiaia a contorno degli occhi. La sua pelle era diventata pallida e smorta, ma non poteva farci granché. Era un effetto della solitudine.

Erano quasi venti giorni che non parlava con nessuno. Non era nemmeno riuscito ad andare a fare una capatina in biblioteca per farsi consigliare dei libri da leggere dalla bibliotecaria antipatica.

Aveva fatto a stento avanti e indietro dal supermercato e nient'altro.

Taehyung sapeva che questo stato di isolamento autopunitivo non lo avrebbe portato a niente di buono, eppure senza gli altri membri del branco gli sembrava quasi di non esistere. Come se tutto il suo essere entrasse in funzione solo se c'era qualcuno ad affrontare la vita insieme a lui.

In quei giorni, il suo cervello si era arrovellato a riflettere sulla sua esistenza. Come faceva sempre quando era da solo. La sua mente trafficava velocemente ogni tipo di informazione e di pensiero, sovrapponendo l'immagine di sé stesso e quella degli altri abitanti del rifugio. I ricordi che aveva di loro, quelle proiezioni della mente, erano belli e rassicuranti. I suoi amici erano belli.

Teayhung non si riferiva solamente ad una bellezza estetica, piuttosto a quella interiore. La bellezza del loro animo e della loro essenza.

Ed erano, oltretutto, incredibilmente capaci. Capaci di sognare e avere un obiettivo.

Gli sembrava che, senza di lui, tutti gli altri sarebbero andati avanti comunque. Ognuno aveva un qualcosa che lo rendeva speciale, che rendeva la loro vita degna di essere vissuta. Ma lui cosa aveva?

Quando si faceva quelle domande, una serie infinite di congetture e pensieri ipotetici iniziavano a susseguirsi nella sua testa, come a voler ribattere il punto della sua inutilità.

Se nessuno di loro avesse mai ricevuto il morso, se nessuno di loro si fosse mai conosciuto, se non avessero mai vissuto insieme, ognuno sarebbe stato in grado di portare avanti la propria vita egregiamente. Ma di lui, tolto il suo branco, tolto il suo lupo, non rimaneva niente.

Se non era con gli altri, allora non esisteva per davvero. Se era da solo, allora moriva.

A volte arrivava a chiedersi se la sua vita avesse davvero senso.

Taehyung non pensava di avere niente di speciale, certo in inverno si trasformava in un'altra creatura, ma quello non era un talento con il quale si nasceva. Non aveva caratteristiche che lo distinguessero: non era una persona particolarmente simpatica o divertente, non era più intelligente degli altri, o più volenteroso, o più atletico, o più bello. Non aveva uno scopo e un obiettivo. Non sapeva dove andare e brancolava nel buio più totale.

Era sempre alle dipendenze di qualcuno, e senza un gruppo di persone era spento e logoro, corroso da un peso che se ne stava comodamente fermo a schiacciargli il cuore.

Se Taehyung un giorno non si fosse più trasformato in umano, cosa sarebbe cambiato? Assolutamente niente.

Diede un altro colpo di martello alla lamiera della grondaia. Il suono del rame pesto rimbombò nelle sue orecchie come il suono d'una campana, riscuotendo i suoi pensieri e scrollandoli via.

Sapeva che era sbagliato pensare quelle cose. Più e più volte Jimin lo aveva pregato di non lasciarsi andare a congetture del genere. 

Eppure non poteva evitare di formularle. 

Si sforzò di rimanere concentrato sul lavoro manuale che stava ultimando e di non far vagare la sua mente a pensieri che, sapeva, non avrebbe dovuto abbracciare.

Dovette trafficare con la grondaia ancora per qualche minuto prima di ritenersi soddisfatto e affrettarsi a rimontare tutto.

Un soffio di vento lo fece rabbrividire e lui si strinse ulteriormente nella giacca felpata che aveva accuratamente tirato su fino al collo. Ringraziò il cielo di aver indossato, sotto al pantalone della tuta oversize, un paio di pantaloni termici, degli scaldamuscoli e un paio di calzettoni di lana.

Frugando in tasca estrasse un chiodo abbastanza lungo e appuntito. Se lo portò alla bocca e lo tenne stretto tra le labbra per qualche minuto mentre con le mani cercava di posizionare la lamiera della grondaia in modo che fosse dritta e funzionale. Una volta che tutto sembrava essere in ordine riprese il chiodo e cominciò a martellare per saldare la lamiera con il resto della conduttura.

-Sono davvero inutile-. Non riuscì a evitare di pensare. Sembrava quasi che, più li reprimeva, e più quei pensieri premevano per emergere.

Con grande disappunto del ragazzo, sistemare la grondaia fu più semplice del previsto e non impiegò più di un ora per quel lavoro.

-Inutile e senza niente da fare-.

Si chiese se non avesse dovuto smontare tutto e rimontarlo esattamente com'era prima, giusto per occupare tutta la sua mattinata.

La voce calda dello speaker radiofonico, che stava scemando in diffusione, aveva appena finito di annunciare il nuovo pezzo. Nel giardino si sentiva solo il suono degli uccelli mattutini che si scambiavano richiami da un ramo all’altro. 

Taehyung stava per scendere dalla scala quando sentì un fruscio di foglie schiacciate provenire dal bosco. Benché attorno a lui il bosco avesse ripreso un colore verdognolo, segno che la primavera era finalmente arrivata a colorare gli alberi e a far rivivere ciò che aveva perso vita, uno spesso tappeto di foglie secche ricopriva ancora il terreno.

Dall'alto della scala sulla quale era appollaiato, Taehyung si guardò attorno cercando la fonte del rumore.

Se avesse dovuto soppesare il suono ad orecchio avrebbe detto che non poteva essere un animale di piccola taglia. Uno scoiattolo o un topolino avrebbe fatto un rumore quasi impercettibile. Doveva essere un qualcosa di più grosso e di molto più pesante. Escluse anche il fatto che potesse essere un lupo. Gli unici lupi in quella foresta erano loro, e Taehyung sapeva quanto fossero silenziosi. Anche quando arrivavano a spingersi fino al confine del rifugio, quasi mai riusciva ad accorgersi della loro presenza.

Era sicuramente qualcosa di grosso e che non si curava del fatto che potesse essere sentito. Qualcosa tipo... Qualcosa di simile ad un cinghiale.

Per un attimo, gli balenò per la testa l'idea di rimanere bloccato sul tetto del rifugio perché un cinghiale aveva preso possesso del suo giardino. Quello sicuramente sarebbe stato un ottimo modo per occupare la sua mattina, ma uno dei meno piacevoli.

Molto prima che riuscisse a fare qualsiasi altra congettura, una testa nera fece capolino dal margine del bosco. I capelli, più lunghi del solito, spettinati e sporchi, erano stati tirati indietro più per comodità che per estetica, lasciando libera la visuale e scoperta la fronte. Gli occhietti dolci e neri scrutavano il percorso con attenzione, ma anche da lontano Taehyung poté scorgere una punta di sollievo quando il rifugio entrò nel suo campo visivo. Era sporco di terra sul viso e sulle spalle larghe e camminava troppo piano, come se il dolore alle ossa lo stesse uccidendo internamente.

"Jin" urlò Taehyung, la voce uscì fuori talmente aspra da graffiargli le corde vocali. Quasi lasciò cadere il suo corpo dalla scala e si affrettò a correre in direzione del ragazzo che camminava piano verso di lui.

Automaticamente, un sorriso si formò sulle sue labbra.

Senza che potesse farne a meno, artigliò le braccia alle spalle di Jin, stringendolo forte in un abbraccio. Sentì l'altro lamentarsi, probabilmente aveva stretto troppo forte, eppure non gli chiese di separarsi da lui, anzi appoggiò il mento sulla spalla di Taehyung e respirò forte l'odore del ragazzo.

Forse, un occhio esterno avrebbe trovato quella scena molto insolita. Due ragazzi fermi ad abbracciarsi ai confini del bosco, uno nudo, l'altro fin troppo coperto e la radio che trasmetteva It's my party di Lesley Gore.

 

Taehyung non preparò una semplice tazza di cereali, come era solito fare tutte le mattine. Si occupò del bagno caldo per Jin e, mentre aspettava l'altro, ruppe un uovo in una terrina per fare dei pancakes. Al rifugio i pancakes si facevano solo in circostanze considerate speciali; il ritorno di uno dei membri dal bosco rientrava in questa categoria.

Si mise a fischiettare un motivetto qualsiasi che aveva inventato sul momento mentre mescolava gli ingredienti tra di loro. Poi prese una padella, la imburrò e ci  versò dentro una parte dell'impasto. Perse qualche minuto a guardare le piccole bollicine che si formavano sulla superficie del pancake, affascinato dalle reazioni chimiche della vita quotidiana. 

Taehyung non aveva molte doti culinarie e lo strumento più accurato che usava tra i fornelli era il suo occhio. Fino a quando riusciva a dare vita a qualcosa che, anche se non delizioso, era quantomeno commestibile, si faceva andare bene piatti non invitanti ma nutrienti.

Una volta ultimati i pancakes Taehyung decise anche di tagliare della frutta. Si maledisse perché non aveva comprato dei mirtilli, a Jin piacevano molto, ma sapeva che in fondo si sarebbe fatto andare bene anche le banane.

Una volta che sistemò tutto, si fermò ad aspettare l'altro seduto al bancone della cucina, il piede che si muoveva freneticamente su e giù senza sosta. Era felice come un cucciolo al ritorno dei suoi padroni. Sentiva che, dentro di sé, il suo lupo stava scodinzolando.

Dopo poco più di quaranta minuti, Jin si presentò in cucina, vestito di tutto punto con un maglione di lana a collo alto e un paio di pantaloni della tuta oversize che dovevano nascondere dei pantaloni termici al di sotto. Le punte dei capelli erano ancora bagnate, segno che doveva averli semplicemente frazionati con un asciugamano prima di ributtarli indietro.

Si strinse un po' nelle spalle, come alla ricerca di calore e avanzò verso il suo posto.

Taehyung gli regalò un sorriso e lui lo ricambiò subito.

"Che giorno è?" Domandò Jin.

"È martedì 6 aprile". Rispose.

La domanda più frequente dopo la trasformazione era sempre inerente al giorno del risveglio. C'era una qualcosa di stranamente affascinante nel calcolare l'arco di tempo in cui si era rimasti scollegati dalla realtà, come se il proprio cervello vivesse uno stato di stand-by dal quale bisognava uscirne aggiornati. In cinque mesi, la vita riusciva a cambiare parecchio.

"Come vanno le ossa?" Chiese premuroso Taehyung, spostando con il piede una sedia per permettergli di sedersi accanto a lui.

"Stanno letteralmente urlando. Mi fanno male anche se sto fermo, credo di averle sforzate troppo". Disse Jin, sedendosi e afferrando un paio di pancakes da mettere nel piatto. Era molto più magro rispetto all'ultima volta che lo aveva visto, per lo meno nella sua forma umana. Taehyung si chiese se avesse avuto problemi a procacciarsi il cibo nel bosco durante la sua assenza e si ripromise di cercare di cucinare più spesso per fargli riprendere il peso perso.

"È da molto che sei sveglio?"

"Umh, sì" rispose Jin, che nel frattempo si stava ingozzando con la colazione "mi sono svegliato stanotte, ho praticamente visto l'alba arrivare".

"Davvero? Dove ti sei risvegliato?" Taehyung mise in bocca qualche pezzo di banana. Si prese un attimo per degustare la consistenza morbida e dolce del frutto, masticò un paio di volte e poi mandò giù.

"Ero ancora nella foresta, nella zona di Waterville".

"Waterville? Ma saranno almeno 35 chilometri". Quasi si strozzò. Non poteva credere che Jin avesse camminato per tutto quel tempo. Lui in confronto non aveva fatto il minimo sforzo per tornare a casa. 

"Già... per fortuna era notte. Mi sono risvegliato ai margini del bosco, vicino ad una strada provinciale. Mi è bastato seguirla per non perdere l'orientamento".

"Vicino ad una strada?"

"Sì, ma non ti preoccupare, nessuno mi ha visto. Era troppo tardi ed ero comunque coperto dagli alberi".

Taehyung annuì ficcandosi in bocca un pezzo di pancake per poi masticare grossolanamente.

"Sai" continuò Jin "credo che anche quando sei un lupo senti l'altra parte di te arrivare".

"Tu dici?"

"Sì. O meglio, non lo so con certezza, perché non ricordo praticamente niente, però sento che è così. È come se il mio lupo cercasse di spianare il terreno per quando non sarò più un lupo, capisci? Magari mi fa trovare una strada al mio risveglio, oppure mi porta vicino casa, o mi da una scia da seguire. Lo sa che sto tornando". Punzecchiò con la forchetta la superficie soffice di un pancake senza affondarci dentro. I suoi occhi erano fissi nel mondo reale, ma la sua mente sembrava volare via in un luogo inarrivabile.

Taehyung ci pensò sopra. Effettivamente tornare a casa non era mai stato un grande problema per lui. A volte seguire le scie e le piste per orientarsi era stato più difficile di altre, ma non si era mai davvero perso nel bosco e non aveva mai smarrito l'orientamento.

Ma se Jin avesse avuto ragione significava che anche il suo lupo sapeva. Non era l'animale tutto istinto e niente razionalità che si era immaginato lui, non viveva in uno stato mentale di pura incoscienza. Era una cosa così strana: aveva vissuto più della metà della sua vita come un lupo e non sapeva veramente cosa significava essere un animale.

"Sono felice di essere tornato. Mi mancava vedere la tua faccia". Disse Jin, cambiando repentinamente discorso e sottraendo entrambi dal vortice di pensieri nei quali stavano per cadere.

"Anche a me sei mancato e sono felice che proprio tu tra tutti sei tornato per primo". Taehyung allungò una mano per posarla sulla spalla dell'altro.

"Ah davvero? E perché volevi proprio me più degli altri?" Chiese curioso.

Taehyung si maledisse mentalmente. Avrebbe dovuto mordersi la lingua e non dar voce a pensieri del genere.

La verità è che Taehyung non era ancora riuscito a superare la strana sensazione che quegli articoli di giornale gli avevano lasciato. Voleva chiedere a Jin di parlargliene, voleva chiedergli perché li avesse conservati o se avesse mai avuto l'opportunità di constare la veridicità di quanto detto. Voleva essere rassicurato.

In fin dei conti Jin era sempre stato il primo ad insistere sul fatto che il loro segreto doveva restare tale a tutti i costi e non lasciava mai niente al caso.

Però non era ancora il momento per affrontare quel discorso. Avrebbe voluto aspettare ancora un po', giusto il tempo perché si riprendesse del tutto dalla trasformazione e passassero del tempo insieme. Era troppo felice di vederlo per aprire una discussione così seria in quel momento. 

"P-perché mi mancava la tua cucina". Balbettò cercando di salvarsi da ogni sospetto.

"Solo per quello mi volevi indietro?" Chiese Jin mettendo su un finto broncio arrabbiato che in realtà gli dava un'aria adorabile.

"E anche perché dai gli abbracci migliori di tutti". Aggiunse Taehyung con un finto sorriso angelico.

"E...?" Lo spronò a continuare, affinché le sue qualità migliori potessero essere elencate.

"E perché mi lasci sempre dormire nel tuo letto quando non voglio stare da solo".

"E...?"

"E perché adoro le tue battute da vecchio cinquantenne che in realtà non fanno ridere".

"Ehi, le mie battute fanno ridere!"

"Oh certo, questa che hai appena fatto è la più divertente tra tutte". Taehyung cercò di scansare la mano di Jin, pronto a pizzicargli un capezzolo solo per il semplice gusto di dargli fastidio. Anche se era il più grande, a volte sembrava un ragazzino di otto anni.

Il resto della giornata la passarono a dormire nel letto di Jin. 

Jin sfinito dalla camminata notturna, Taehyung stanco di non avere una notte decente da giorni.

Taehyung appoggiò la testa sulla spalla dell'altro, lasciando che le sue narici si riempissero dell'odore di bosco che caratterizzava così tanto l'amico.

Per la prima volta, dopo un tempo che gli parve infinito, riuscì a dormire. Sprofondò in un lungo sonno senza incubi dal quale ne uscì rigenerato.

 

La questione degli articoli di giornali fu presa in esame solo il giorno in cui la testa biondo platino di Jimin fece capolino dentro al rifugio. La discussione esplose in maniera caotica e, qualche tempo dopo, Taehyung si sarebbe pentito del suo modo irruento e dell'aver urlato contro Jin.

Era un venerdì pomeriggio piacevolmente tiepido. La temperatura al di fuori del rifugio era di 21 gradi e il sole, che ancora non scottava la pelle a nessuno, era attenuato dal venticello che, di tanto in tanto, faceva danzare i fili d'erba e le foglie.

Taehyung era appena tornato dal lavoro al Green Mountain Cafe. Aveva ripreso a lavorare quel giorno stesso perché si sentiva volenteroso di riprendere a vivere una vita normale. La verità era che da quando Jin era tornato, il suo umore era notevolmente migliorato.

Varcata la soglia del rifugio, Taehyung si era subito reso conto del dolce aroma che aleggiava nell'aria. Non ebbe dubbi su chi avesse fatto ritorno. Ogni volta che si trasformava, Jimin si portava dietro un odore particolarissimo, quasi fruttato, e così sorprendentemente intenso da essere percepito anche con i suoi semplici sensi umani.

Muovendosi velocemente, si diresse verso il bagno dove trovò il corpo pallido del suo migliore amico rannicchiato sotto un'immensa moltitudine di piccole bollicine. Jin dovette acchiapparlo per il cappuccio della felpa per impedirgli di tuffarsi dentro la vasca provocando un'inondazione d'acqua non richiesta.

"Taehyungie, mi fanno malissimo le braccia". Disse Jimin una volta che l'amico aveva appoggiato il suo corpo al lavandino aspettando così che l'altro finisse di lavarsi. Jimin aveva affinato la voce per renderla più civettuola e i suoi occhi si erano allargati come quelli di un cucciolo.

Taehyung alzò un sopracciglio, spronandolo a continuare il discorso per vedere dove andasse a parare.

"Non è che mi faresti lo shampoo?"

"Lo shampoo?" ripeté Taehyung.

"E poi anche il balsamo... e visto che ci sei anche la maschera al cocco che mi piace tanto. Ho i capelli sfibratissimi!"

"Però, la vita nel bosco ti distrugge proprio". Commentò Jin con tono sarcastico.

"Che c'è di male se voglio tornare ad essere carino?" Chiese Jimin innocentemente.

"Sei carino anche con i capelli sfibrati". Affermò Taehyung, facendo storcere il naso al ragazzo ancora dentro alla vasca.

"Lo dici perché non vuoi farmi lo shampoo".

"No, lo dico perché non voglio che mi rubi la piazza".

Era stato bello sentire la risata di Jimin a quelle parole e ancora più bello era stato sentire, qualche minuto dopo, la sua voce dolce canticchiare mentre si faceva lo shampoo. Taehyung aveva tentato di armonizzare insieme a lui quando Jimin si era messo a cantare Put Your Head On My Shoulder di Paul Anka, portando il doccione dell'acqua all'altezza della sua bocca come se fosse un microfono, ma rivolgendo il getto dalla parte opposta.

"Jimin, chiudi l'acqua, mi stai bagnando tutto". Urlò Taehyung.

"E stai bagnando un pavimento che non intendo asciugare!" Continuò Jin.

"Ah, mi rovinate sempre il divertimento. Avrei dovuto restare nella foresta a cantare le mie canzoni d'amore alla natura". Disse lui sistemandosi meglio nella vasca cercando di rilassarsi. Se ne stava a mollo come una lontra in un fiume, con la testa appena sopra alla superficie dell'acqua impregnata di sapone.

"Certo, e così tutti avrebbero visto un mezzo lupo alla luce del sole". Jin aveva buttato lì quella frase con un tono leggero, di scherzo, ma la reazione di Jimin non fu quella che tutti si sarebbero aspettati.

Di colpo, il sorrisetto furbo che lo contraddistingueva venne sostituito da un'espressione tanto seria quanto insolita. I suoi occhi si rabbuiarono e le sue mani si strinsero attorno al bordo della vasca.

La situazione degenerò così velocemente che nessuno riuscì a capire come quel momento così gioioso si fosse trasformato in un'accesa discussione.

"Ho paura che qualcuno mi abbia visto mente mi trasformavo". Disse Jimin con un filo di voce quasi percettibile. Se avesse potuto sopravvivere senza respirare, probabilmente avrebbe infilato la testa sott'acqua e non avrebbe più fatto ritorno in superficie.

"Come sarebbe a dire che qualcuno ha visto mentre ti trasformavi?" Jin, che fino a quel momento era rimasto seduto sulla tavoletta abbassata del water, con i piedi incrociati sotto le cosce magre, rizzò la schiena.

A quella affermazione anche Taehyung voltò la testa in direzione del suo migliore amico.

"Non ne sono sicuro" balbettò abbassando lo sguardo, come sentendosi in colpa della cosa "e non so quanto abbia visto, ma c'era un bambino. Quando ho aperto gli occhi e l'ho guardato è corso via. Credo fosse spaventato da me. Forse il fatto di avermi trovato lì l'ha sorpreso o forse... forse ha visto mentre tornavo ad essere umano. Non lo so con certezza, non ho una trasformazione rapida".

Jimin aveva detto di essersi risvegliato poche ore prima, vicino al lago. Il lago era sempre stato un luogo di ritrovo piacevolissimo per una moltitudine di ragazzini e di famiglie che cercavano refrigerio dalla calura. Persino Jungkook e il suo gruppo di amici passavano le giornate a nuotare indisturbati. Ma quello succedeva nella stagione estiva. Adesso, all'inizio di una pallida primavera e di venerdì pomeriggio, non avrebbero dovuto esserci grandi problemi. Com'era possibile che un ragazzino lo avesse visto?

"Era da solo? Quanto a visto?"

"Non lo so Jin. Ero frastornato. Magari non ha visto niente. Magari si è solo spaventato perché ero nudo e ha pensato che fossi un maniaco".

"Non scherzare. Perché non l'hai detto subito? Avremmo potuto fare qualcosa". La sua voce era così seria che avrebbe dovuto fare paura.

"E che cosa avremmo dovuto fare Jin?" Intervenne Taehyung "Non possiamo cancellargli la memoria. Poi, se Jimin si ricorda del bambino, vuol dire che probabilmente lo ha visto quando era già umano. Potrebbe davvero essersi semplicemente spaventato perché ha visto un ragazzo accasciato al suolo nel bosco. Avrà pensato ad un scena da film dell'orrore".

"Si, ma dovremmo esserne sicuri, totalmente sicuri. Non pensate a cosa potrebbe succedere se va in giro a raccontare quello che ha visto?". Jin era sempre stato paranoico sul fatto che bisognava stare attenti quando ci si trasformava.

Come se la cosa dipendesse da loro! Non era un qualcosa che potevano programmare.

"Cosa vuoi che succeda? Ovviamente nessuno gli crederà, e poi anche volendo, Jimin non avrebbe potuto farci niente comunque". Disse Taehyung in difesa dell'amico.

"Beh avrebbe quanto meno potuto provare a nascondersi meglio, poteva trasformarsi in un luogo più appartato. L'erba inizia già ad essere alta, sarebbe bastato che si fosse schiacciato al suolo e magari non l'avrebbero visto, ma probabilmente aveva paura di sporcarsi i capelli". Jin stava lentamente scivolando in quello stato in cui l'agitazione si trasformava in rabbia. Il tono era duro e accusatorio e, anche se era dettato da un impeto di panico, era affilato come non mai.

Jimin incassò la testa tra le spalle e prese a fissare l'acqua del suo bagno. A quella vista, Taehyung si sentì montare dalla rabbia.

"Ma che stai dicendo? Parli come se avesse scelto di farlo di proposito, quando sai che non è così".

"Ne sei sicuro Taehyung? Sei sicuro al cento per cento di non avere coscienza di quello che fai quando sei un lupo?". I suoi occhi, sempre così dolci e gentili, erano diventati due pozze piccole e nere. Era talmente allarmato che la sua voce era diventata un urlo.

"No che non lo sono, come non lo sei nemmeno tu. Però lo stai comunque rimproverando come se dipendesse da lui". Ora il suo corpo si era mosso per fronteggiare Jin che si era alzato in piedi, arrivando così ad avere un contatto visivo diretto.

"Questo perché avrebbe dovuto fare attenzione. Cosa penseranno le persone se dovessero vederci? Hai idea di quanto ci abbia messo in pericolo?"

"Pericolo? È assurdo!"

"No, Taehyung, non lo è. Se ci vedono la situazione si mette male per tutti".

"Sei semplicemente paranoico".

"Non sono paranoico, è la verità dei fatti".

"Perché ti scaldi tanto? È già successo che un bambino vedesse qualcuno trasformarsi in lupo, ma noi siamo ancora qua mi pare, no?" Gridò allora Taehyung. Se fosse stato più accorto, non avrebbe tirato fuori l'argomento in quel modo, ma in quel momento l'insistenza di Jin nei confronti di Jimin era un qualcosa che gli annodava il petto. Non era colpa del suo migliore amico se il suo lupo aveva deciso che era il momento di mutare pelle.

"Ma di che diavolo stai parlando?"

"Del fatto che più di dieci anni fa, qualcun altro ha visto un umano trasformarsi in lupo. Un ragazzino, in una foresta canadese, e indovina un po', tutti hanno pensato che fosse pazzo. Se oggi un ragazzino qualsiasi ha visto Jimin trasformarsi da lupo in umano penseranno comunque che sia pazzo".

Probabilmente fu il modo in cui lo disse che frastornò Jin più del dovuto.

Da quando Jin aveva cominciato a prendersi cura di lui, le volte in cui avevano litigato potevano contarsi sulle dita di una mano e trovare anche lo spazio per aggiungerne di nuove. Anche adesso che si stavano urlando addosso la sensazione che quella discussione lasciava a Taehyung era sgradevole e viscida. Jin aveva sempre fatto così tanto per lui e avanzare un qualunque tipo di lamentela ad una sua richiesta era una cosa da ingrati.

Se fosse stata una situazione normale, non ci avrebbe pensato due volte ad abbassare la testa e sottostare ad una sua richiesta o ad un suo rimprovero, ma quando lo aveva sentito urlare contro Jimin la ragione aveva smesso di starlo a sentire.

"E tu come fai a saperlo?" Lo sguardo di Jin sembrava pieno di un qualcosa che Taehyung non aveva mai visto negli occhi dell'altro. C'era del risentimento tra le sue pupille, della rabbia, della rabbia vera nei confronti di Taehyung, e questo lo spaventò terribilmente.

"I-io, l'ho letto da qualche parte". Balbettò.

"Da qualche parte?" Ripeté Jin e la voce gli uscì fuori come un ringhio.

"In un giornale, in biblioteca". Adesso Taehyung si sentiva con le spalle al muro.

"Da quando frughi anche tra la mia roba?" Chiese l'altro.

Taehyung chiuse gli occhi strizzandoli per un attimo. Sapeva che non avrebbe mai creduto al fatto che l'avesse letto in biblioteca, ma non pensava avrebbe dato per scontato che l'avesse guardato dal suo diario. La cosa lo ferì e lo sorprese allo stesso tempo. Lo ferì perché non ci aveva pensato due volte a puntargli il dito contro e lo sorprese perché lo conosceva così bene che aveva capito subito che mentiva.

"Forse dovresti imparare a nascondere meglio i tuoi segreti".

"Di che cosa state parlando?" Chiese Jimin, di colpo ritornato dal mondo delle acque. Taehyung si girò verso di lui prima di dire: "Jin ha degli articoli di giornale che parlano di un ragazzino che ha visto un uomo trasformarsi in lupo e che, anni dopo, questo ragazzino sia diventato qualcuno che conta davvero e stia facendo degli esperimenti su quelli come noi".

"Cosa?" Il tono di voce di Jimin, già alto quando parlava normalmente, ora si elevò ulteriormente.

"Non sta facendo nessun esperimento su quelli come noi". Intervenne Jin.

"Oh quindi lo conosci e sei aggiornatissimo sulle sue ricerche". Dedusse Taehyung, di colpo frustrato all'idea che Jin potesse avere contatti con qualcuno di così lontano dal loro stile di vita.

"No che non lo conosco, ma non ci vuole un genio per capire che le stronzate che erano scritte lì sopra non sono veritiere..."

"E tu che ne sai?"

"Non è questo l'importante ora. L'importante è..."

"L'importante è che un ragazzino abbia potenzialmente visto Jimin mentre si trasformava, ma non è importante sapere se qualcuno fa ricerca o meno su gente come noi?" Affermò Taehyung, i suoi occhi non erano mai stati così vitrei e fermi.

"Stai leggendo la cosa nel modo sbagliato".

"Non c'è altro modo di leggerla".

I secondi che seguirono furono carichi di tensione e di astio. Non si erano mai guardati tanto in cagnesco prima di allora, ma la lite era troppo fresca perché potesse risolversi tutto con un 'mi dispiace' .

Jin uscì dal bagno con passo veloce, senza dire più una parola. Il rumore di una porta che veniva sbattuta con rabbia testimoniò che aveva lasciato il rifugio.

A quel suono, Jimin ebbe un sussulto che smosse l'acqua ormai tiepida nella quale era immerso. Il ragazzo si sentiva mortificato, quella discussione era avvenuta per colpa sua e della sua incuranza, e ad andarci di mezzo era stato Taehyung.

Taehyung, che sapeva bene lo stato emotivo nel quale doveva trovarsi Jimin, si avvicinò alla vasca con andamento lento.

Sospirò, prendendosi qualche secondo per guardarlo bene negli occhi.

Provò a trasmettergli tutta la calma e la tranquillità di cui aveva bisogno in quel momento e, in qualche modo, ci riuscì perché Jimin abbandonò le sue spalle contro la parete della vasca.

Taehyung avrebbe voluto morirci nello sguardo del suo migliore amico. Avrebbe fatto di tutto per lui.

Non disse niente, ma sapeva che non ce n'era veramente bisogno. Cercava solo di sforzarsi di apparire calmo per non turbarlo ulteriormente. In fondo non era colpa sua se Jin si era comportato in quel modo.

Allungò una mano e selezionò una bottiglia di balsamo dal cestello dove riponevano i prodotti e le lozioni per il corpo. Ne spruzzò un pochino sul palmo, soppesando la quantità per non eccedere, poi cominciò a lavare i capelli di Jimin.












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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6






Settembre 2010


"Jimin, per favore, sbrigati". Sbuffò Jungkook.

"Non è colpa mia se qualcuno ha fatto ritardo" sentenziò l'altro mentre spingeva appena un po' di più sull'acceleratore.

Taehyung ruotò gli occhi al cielo. La sera prima avevano parlato fino a tardi, non aveva sentito la sveglia e dunque la loro routine giornaliera era slittata in avanti di cinque minuti. Una vera tragedia per Jungkook. Il ragazzino avrebbe dovuto incontrarsi con i suoi amici prima delle lezioni per confabulare di qualcosa che nemmeno gli dei avrebbero potuto sapere. Se non fosse che Taehyung conosceva bene Hoseok e Yoongi, i suoi migliori amici, avrebbe pensato che ci fosse sotto qualcosa di losco.

"Va bene, ho fatto tardi, mi dispiace. Ma ora parliamo di cose serie, hai chiamato Heath?" chiese Taehyung a Jimin cercando di archiviare la questione. Considerando gli sviluppi della sera precedente, fu facile fargli cambiare discorso.

Una parte di lui ancora non aveva realizzato che Kim Namjoon, lo scienziato, avesse davvero deciso di interessarsi a loro. O meglio, era comprensibile che uno scienziato avesse deciso di raccogliere baracca e burattini per andare a studiare un caso più unico che raro, ma chissà perché quando ne avevano parlato con Jin, mesi prima, era sembrato a tutti loro un'impresa impossibile.

Taehyung sapeva che Jin avesse taciuto diverse questioni di quella storia così insolita e ingarbugliata, eppure si fidava di lui abbastanza da non forzare ulteriormente la conversazione.

"Sì, ha detto che posso ricominciare, ma non sembrava troppo contento". Disse Jimin con un tono un po' sconfortato. Il ragazzo sollevò una mano dal volante per spostarsi indietro i capelli ed avere una visuale della strada migliore.

La sera precedente avevano concordato che sarebbe stato lui a scarrozzare gli altri in giro per quella mattina. Avrebbe accompagnato Jungkook a scuola e Taehyung a lavoro e poi, con suo sommo dispiacere, sarebbe andato a lavorare anche lui.

Jimin lavorava come receptionist, ma il suo impiego non gli piaceva affatto. Rispondere alle chiamate ed accogliere i clienti dell'hotel, sempre con un sorriso forzato sulle labbra, era un qualcosa che non lo soddisfaceva. Amava stare a contatto con le persone, ma il suo sogno più grande era quello di diventare un ballino. Sogno che, per ovvie ragioni, aveva dovuto archiviare in un cassetto. Eppure non si era mai lamentato. Il bisogno di soldi era maggiore ad ogni malcontento. Se in aggiunta a questo si considerava che, la sera prima, Jin avesse finalmente vuotato il sacco, il ragazzo non poteva proprio metter becco in scelte come quella.

Con un certo dispiacere Jin aveva fatto intendere che erano al verde e non potevano più permettersi nessun tipo di spesa extra. Non che se ne concedessero poi molte, ma negli ultimi mesi persino riuscire a pagare la tassa della scuola statale di Jungkook era diventato un problema.

"Non mi stupisce che fosse arrabbiato. Sei sparito per un intero mese, potevi almeno dirglielo che saresti mancato per un po'". Continuò Taehyung, guardando la strada fuori dal finestrino.

Quel giorno il cielo era coperto e il vento soffiava forte. In maniera del tutto naturale, non poté fare a meno di ritrovarsi felice del fatto che Jungkook avesse indossato un maglione molto pesante.

"Se avesse saputo che sarei mancato per un tempo così lungo mi avrebbe licenziato in tronco. Lavoro solo sei mesi l'anno, secondo te mi avrebbe concesso anche ferie retribuite?"

"Avresti potuto provare". Disse con una scrollata di spalle, senza attribuirgli nessuna colpa.

"Non importa, tanto mi farò perdonare".

E Taehyung ci credeva che si sarebbe fatto perdonare. Jimin sapeva essere incredibilmente persuasivo. Aveva uno charm così affabile e civettuolo, così sorridente e lascivo, ma mai volgare. Era semplicemente il ragazzo che tutti volevano avere intorno, con cui si desiderava parlare anche solo per pochi minuti.

"Perché nessuno ha pensato di prenotare una stanza per Namjoon all'hotel?" Chiese innocentemente Jungkook dal sedile posteriore sul quale era scompostamente seduto.

Jin non aveva voluto informarlo della loro situazione economica solo per non fargli pesare la storia della retta scolastica, e ovviamente Jimin e Taehyung avevano assecondato il suo volere.

Taehyung aveva anche assicurato che aveva soldi a sufficienza per sopperire a piccole spese e si era offerto di condividerli con gli altri. Jin non era sembrato molto contento, ma non poté fare altro che accettare il suo aiuto.

"Non sappiamo quanto si fermerà e onestamente quell'hotel non vale i suoi soldi". Rispose sbrigativo Jimin.

"Secondo voi si troverà bene con noi?" Domandò ancora il ragazzino.

Taehyung storse il naso. Non aveva avuto molte occasioni per parlare con Namjoon e dai quei pochi scambi di battute non gli era sembrato un tipo troppo amichevole. Allo stesso tempo, lo conosceva troppo poco per poter parlare male di lui.

Si vedeva quanto fosse incredibilmente intelligente e che non parlasse mai a sproposito. Era attento, e gli sembrava che i suoi grandi occhi scuri scrutassero anche la più piccola delle loro interazioni come se fossero degne di nota. Come si fa quando si studia un topo da laboratorio. Eppure, anche se i suoi occhi indagatori non si lasciavano sfuggire mai niente, era discreto e stava sempre un passo indietro. Ma Taehyung continuava ad avere un certo risentimento nei confronti di quel ragazzo, e la cosa lo irritava.

Il modo in cui aveva soppesato il rifugio il giorno prima, come aveva imposto la presenza del suo cane, il suo essere sempre a disagio quando era attorniato da tutti loro... Taehyung credeva, anzi era fermamente convinto, che avesse un moto di repulsione, che li snobbasse.

"Non lo so, ma non mi sembra che i nostri mondi collimino". Concluse, dando voce ai suoi pensieri.

"A me sta simpatico". Proruppe Jimin.

Taehyung non si stupì nemmeno di quello. Jimin provava un senso di attrazione verso tutte le persone che possedevano una certa aurea indecifrabile. Forse era il mistero ad attirarlo, o il fatto che gli piacesse andare in fondo alle cose, scavare fino a ricavare qualcosa che poteva definire prezioso. E si impegnava maledettamente per arrivare a scovare anche il più piccolo dei segreti; era tenace e sempre pronto a prendere tutto quello che poteva ricevere, anche gli scarti più miseri. Forse era per questo che loro due erano così uniti.

"Dite che Jin lo farà impazzire oggi?" Domandò Jungkook lanciando un’occhiata a Taehyung. Sapeva quanto l'altro fosse obbiettivo su questioni del genere, e il suo parere per lui era più prezioso dell'oro. Ma non fu Taehyung a rispondere.

"Oh no, secondo me andranno fin troppo d'accordo". Un sorrisino si formò sulle labbra di Jimin.

I due ragazzi girarono la testa nella sua direzione, sospettosi e incuriositi dal tono canzonatorio che aveva utilizzato.

"Perché lo dici?" Chiese Taehyung.

"Intuito". Rispose soltanto, ma quella semplice risposta li fece comunque dubitare. In ogni modo, Jimin non aggiunge niente e loro, dopo essersi scambiati uno sguardo di sbieco, decisero di non chiedere oltre.

Seguendo il corso della strada, l'auto si fermò ad un incrocio prima di svoltare a destra. Era ancora presto e il traffico non era eccessivo.

Jimin aveva una guida solida, sicura e restava sempre sotto il limite di velocità. Al contrario di Taehyung non prediligeva l'autostrada, anzi la provinciale andava più che bene per lui, che guidava in maniera rilassata pure quando era in ritardo.

Il luogo dove Jungkook e i suoi amici si sarebbero dovuti incontrare prima di andare a scuola era un diner che, per colazione, vendeva ciambelle glassate e caffè americano a basso prezzo. Quello era il luogo di ritrovo dei ragazzi nelle giornate più fredde. Jungkook era sicuro del fatto che i suoi amici continuassero ad incontrarsi lì anche in inverno, quando lui non era con loro. Quella consapevolezza lo rassicurava da una parte e lo rattristava dall'altra.

"Va bene anche se mi lasciate all'angolo, non c'è bisogno che mi accompagnate fino a destinazione". Disse Jungkook, cominciando a trafficare con gli spallacci dello zaino con una certa smania.

In quella richiesta, non poté fare altro che sembrare l'adolescente più comunque che potesse esistere. Lasciare la cerchia di familiari fuori dalla portata dei propri amici era sempre la prima cosa da fare per evitare figuracce. Benché Jimin e Taehyung non fossero dei veri e propri familiari, in occasioni così fugaci, era sempre meglio evitare il contatto tra i due mondi.

"Non puoi vergognarti di noi Kookie!" Protestò Taehyung, capendo subito le intenzioni di Jungkook e girando la testa verso i sedili posteriori per guardare l'altro.

"Già. Ti puoi vergognare di Jin, ma noi siamo quelli fighi". Gli diede man forte il ragazzo alla guida.

"Molto fighi!" Ribadì Taehyung.

"Hobi mi adora!" esclamò Jimin.

"Non mi vergogno di voi..." Jungkook tentò disperatamente di salvare la situazione, coprendo la verità con una bugia mal costruita.

"Si invece. Ci hai detto di non accompagnarti! Questa cosa ci ha ferito". Taehyung stava usando un tono di voce che non suonava per niente offeso.

"L'ho detto perché dovete andare a lavoro, non vorrei faceste tardi".

"Abbiamo ancora tanto tempo, non è vero Chim?".

"Già! Non ti farai problemi se ci fermiamo a salutare i tuoi amici, no?" Chiese Jimin alzando gli occhi in direzione dello specchietto retrovisore. Nel riflesso del vetro, il suo sguardo deciso si scontrò con quello imbarazzato di Jungkook.

"Non potete semplicemente lasciarmi all'angolo?" Parve implorare il ragazzo.

"Non vorremmo mai ti affaticassi troppo". Taehyung voleva godersi l'imbarazzo di Jungkook ancora per un po'. Forse era cattivo, ma lo divertiva metterlo alle strette con i suoi amici, farlo vergognare un po' raccontando verità scomode che lui trovava adorabili.

Jungkook abbandonò la schiena contro il sedile dell'auto, reprimendo a stento uno sbuffo di amarezza. Non lo avrebbe mai ammesso apertamente, perché era troppo educato per farlo, ma li stava odiando.

Quando Jimin parcheggiò la macchina, Yoongi e Blake erano già arrivati e stavano attendendo gli altri fuori dal diner.

Nel gruppo di amici di Jungkook, Blake era l'unica ragazza e, anche se all'apparenza poteva sembrare minuta e graziosa, in realtà aveva un carattere forte e determinato.

"Ciao ragazzi!" Salutò Jimin dirigendosi verso di loro con un andamento sinuoso.

Anche se era un po' più basso rispetto agli altri due, il suo fisico asciutto e tonico, stretto com'era nella maglietta a maniche lunghe, risaltava tanto da rubare gli sguardi di tutti. A suo confronto Jungkook, avvolto nel maglione oversize nel quale avrebbero potuto entrarci tutti e tre in una volta sola, sembrava un ragazzino inconsapevole di cosa poteva valorizzare la sua figura slanciata.

"Ehi Jimin!" Lo accolse Yoongi con un sorriso che riuscì ad increspargli appena le labbra "Come stai?" Chiese guardandolo in maniera così intensa da poterlo quasi consumare.

"Benissimo, voi?"

"Tutto okay". Rispose neutra Blake per tutti e due.

"Non ti vedo da tanto, dove eri sparito?" Domandò Yoongi.

"Oh io..." le guance di Jimin si colorarono leggermente di rosso; era chiaro che non si era preparato una risposta a quella domanda. Ma nessuno se ne accorse perché, un'altra cosa che lo rendeva desiderabile, era il suo modo adorabile di arrossire. "...ho dovuto seguire un corso di formazione in Canada, per il lavoro". Inventò, accompagnando la bugia con dei gesti della mano che riuscirono a trasformare la menzogna in un sincero e modesto imbarazzo.

"Non sapevo l'Hampton Inn organizzasse dei corsi di formazione per i suoi dipendenti". Si accigliò Yoongi.

"Sì, sono piuttosto rari" buttò lì Jimin "Sono stato molto fortunato ad essere sorteggiato... davvero".

"In Canada? Non è un po' lontano per un corso di formazione?" Blake alzò un sopracciglio.

"Lo è" sorrise a disagio lui "ma ecco... abbiamo in corso un working exchange con un hotel canadese e le spese erano pagate da loro. Sospetto sia per questo che mi abbiano permesso di partecipare". Fece una risatina alquanto finta.

Taehyung, al suo fianco, represse un sorriso.

-Avrebbe dovuto fare l'attore quel bugiardo patentato-. Pensò

Yoongi, che parve soddisfatto della risposta, annuì con la testa.

Scansato l'imminente pericolo Jimin cercò repentinamente di cambiare discorso "Hobi non viene?"

A Taehyung parve che l'espressione affabile di Yoongi si fosse rabbuiata a sentire quelle parole ed evidentemente anche Blake se ne accorse, perché rispose alla domanda prima che potesse farlo il diretto interessato.

"È in ritardo..." disse, per poi aggiungere "come sempre".

Tra gli amici di Jungkook, Blake era l'unica con cui Taehyung non aveva mai intavolato conversazioni molto durature. Non gli era mai capitato di incontrarla da sola e quando stava con gli altri, per lo meno in sua presenza, tendeva ad ascoltare senza dire la sua opinione.

Jungkook diceva sempre che se cominciava a parlare non la finiva più, ma questa sua qualità era un qualcosa che il ragazzo non aveva mai avuto il piacere di constatare.

Anche per questo, la risposta a salvataggio che diede a nome dell'amico catturò l'attenzione di Taehyung.

"A quanto pare sono circondato da persone ritardatarie". Borbottò Jungkook, lanciando un'occhiata di sottecchi a Taehyung. Quest'ultimo, con uno scatto rapido e imprevedibile mise un braccio intorno al suo collo in una solida presa e, spingendo verso il basso, fece in modo che il più piccolo curvasse la testa quel tanto che gli bastava per strofinare forte le nocche sulla sua cute, scompigliandogli tutti i capelli.

"Ah- Taehyung!" Urlò cercando di divincolarsi senza successo.

"Rimangiati quello che hai detto".

"Tae, mi scombini tutti i capelli".

Jungkook cercò di combattere contro la forza di Taehyung e, così facendo fece spuntare un sorriso spontaneo sul volto di Yoongi. A quel punto Taehyung lasciò la presa sul collo del ragazzo, permettendogli di rialzarsi.

Per quanto ne sapesse, Yoongi era estremamente riservato, calmo e un po' solitario, eppure per Taehyung era davvero facile leggere le sue espressioni. A volte non capiva il motivo per il quale si rabbuiava, o sembrava essere pensieroso, ma quando lo vedeva così gli veniva spontaneo cercare di spingerlo a sorridere.

"Ehi! Avete cominciato a far festa senza di me?" Il tono di voce incredibilmente alto di Hoseok giunse alle loro orecchie e li spinse a girarsi nella direzione del nuovo arrivato. A guardarlo si sarebbe detto: il solito Hoseok.

I capelli color castagna, un po' lunghi sui lati, erano mossi dal vento. Il maglioncino a righe colorate metteva in risalto la sua figura asciutta e i pantaloni di jeans larghi lasciavano in bella mostra i calzettoni a strisce rosse e gialle che uscivano dalle scarpe. Attaccato all'asola della cintura pendeva un marsupio colorato e impreziosito con delle perline degli stessi colori dei suoi calzini, che dava al look un tocco ancora più stravagante.

Si poteva dire tutto di Hoseok, che fosse rumoroso, che fosse iperattivo, che fosse anche un pochino invadente e stravagante, ma quel ragazzo viveva nel suo mondo e aveva il suo stile.

"Hobi". Disse Jungkook, ancora preso a sistemarsi i capelli.

"Oh Tae, Chim, ci siete anche voi?" Il nuovo arrivato sfoggiò un sorriso a trentadue denti quando vide anche Jimin.

"Hobi!" chiamò dolce Jimin, allungo un po' la o e mettendo le sue braccia attorno al collo secco dell'altro appena ne ebbe l'opportunità. Lo strinse in un abbraccio che durò il tempo di qualche secondo. Ciò nonostante il gesto fece storcere il naso a Yoongi, che si rintanò in uno dei suoi classici silenzi.

Era da qualche tempo che a Taehyung balenava l'idea che Yoongi potesse essere geloso del rapporto che si era creato tra Jimin e Hoseok. In effetti poteva essere comprensibile, Hobi era il suo migliore amico e Jimin aveva la tendenza involontaria a rubare i riflettori a chiunque. Forse al ragazzo non piaceva essere messo così in secondo piano.

"ChimChim, quanto tempo! È dall'ultima volta che sono venuto a vedere i tuoi allenamenti che non ti vedo più in giro, e sai una cosa? Non riesco a smettere di pensare alla tua coreografia. Voglio rivederla, e non ti permetterò di darmi buca anche questa volta".

Hoseok e Jimin condividevano insieme la passione per la danza. Era grazie a quella, in realtà, che i due si erano avvicinati. A Jungkook la cosa andava bene solo perché sapeva che, quando uscivano tra di loro, non parlavano d'altro che dei loro sogni.

"Va bene, ma tu devi starmi dietro o non se ne parla".

"Facciamo due stili diversi Chim, non so starti dietro". Hoseok era un invasato di Hip-hop, mentre Jimin aveva studiato classico da bambino e adesso si era dato alla danza contemporanea.

"Si invece, sei incredibilmente bravo, anche se sporchi un po' il movimento lo fai risultare ugualmente armonico". Disse Jimin, umettando appena le labbra secche con la lingua.

A Taehyung sembrò di scorgere uno strano luccichio negli occhi di Hoseok. "Solo se sarai tu ad insegnarmi i passi". Cedette alla fine. 

"Va bene fanatici della danza, continuate il vostro valzer di conversazione da esaltati dopo colazione, io ho uno stomaco da riempire qui". Intervenne Blake prendendo a braccetto Yoongi, pronta a trascinarlo dentro al locale "Jimin, Taehyung, venite con noi?" Chiese lei fissando i grossi occhi color nocciola dentro quelli più scuri di Taehyung.

Per un secondo, una frazione di secondo davvero irrisoria, Taehyung si stupì di quanto fossero profondi e dolci, e ne fu turbato e sorpreso.

"Oh, n-no" balbettò, colto in contropiede dai suoi stessi pensieri "noi... ehm, noi abbiamo solo accompagnato Kookie e abbiamo pensato di fermarci a salute". Per cercare di calmare la sua irrequietezza pizzicò con appena un po' di forza la guancia di Jungkook, provocando un lieve rossore sulla pelle nivea del ragazzo e beccandosi così un'occhiataccia.

"Già e volevamo anche chiedervi di stare attenti al nostro piccolo Jungkookie, sapete è molto delicato". Aggiunge Jimin, con un tono di voce canzonatorio.

"Piantatela". Jungkook, che aveva abbassato lo sguardo, di colpo interessato solo alle punte delle sue scarpe, stava lentamente arrossendo.

"Kookie non te la devi prendere, sono solo in pensiero per te". Hoseok parve infilare il coltello nella piaga.

"Esatto. Vogliamo solo che tu torni a casa sano e salvo". Disse Taehyung.

"Proprio così, inoltre Jin ha promesso che stasera ti preparerà i biscottini a forma di stellina. Hai presente? Quelli che mangi sempre con il tuo latte alla banana prima di andare a dormire". Rincarò la dose Jimin.

"Andate via".

Jungkook, esasperato di essere il centro di quelle indesiderate attenzioni, afferrò la mano di Blake per trascinarla dentro al diner. Lei, ancora a braccetto con Yoongi si tirò dietro il ragazzo e lui ebbe appena il tempo di afferrare Hoseok per il maglione prima di essere trainato altrove.

Quella catena umana di ragazzini, capitanata da Jungkook e dalle sue orecchie rosse, non poté fare altro che far sbellicare dalle risate Jimin e Taehyung. 

 

Quando Taehyung tornò a casa, si sentiva stanco per la giornata di lavoro e l'unico desiderio che aveva era quello di farsi un bagno caldo. Dal momento che il Green Mountain Cafe non distava molto dall'hotel dove lavorava Jimin, camminò fino al punto di lavoro dell'amico per riprendere la macchina e poter tornare al rifugio. Jimin sarebbe dovuto rimanere a fare il turno di notte ed, essendo mancato per così tanto tempo senza aver fornito una reale motivazione, non provò nemmeno a lamentarsi con il suo capo.

Quando era entrato alla reception per farsi consegnare le chiavi, Taehyung l'aveva trovato a disperarsi sopra ad un registro di contabilità. Era talmente intento a capirci qualcosa del guazzabuglio che avevano fatto i suoi sostituti durante la sua assenza, che non ebbe tempo di fare altro se non allungare la chiave della macchina e tornare ad immergere la chioma biondo platino tra quelle carte fittamente scarabocchiate.

Però quando Taehyung aprì la porta del rifugio la scena che gli si parò davanti non fu solo inaspettata, ma anche davvero molto lontana dalla normalità.

Benché il rifugio non fosse mai stata una casa molto grande e capace di adattarsi perfettamente alle loro esigenze, era sempre stato un luogo sicuro, dove potevano essere solamente sé stessi. Eppure, una strana sensazione attraversò il suo corpo quando trovò Jin steso sul divano con una serie di elettrodi applicati sulle tempie e sul petto nudo.

Al suo fianco, Namjoon se ne stava seduto su uno sgabello da laboratorio con la schiena dritta. Sopra la cassettiera era stato riposto lo schermo del televisore che aveva collegato con dei cavi ad un computer portatile dell'ultimo modello. Il risultato era che adesso il televisore stava trasmettendo in diretta le attività vitali di Jin.

"Qualcuno di voi ha mai fatto una TAC?" Chiese Namjoon portandosi una mano al mento mentre scrutava, attraverso le lenti degli occhiali, quelle linee incomprensibili che riempivano il monitor improvvisato.

"No, cerchiamo di evitare gli ospedali, sai... per ovvie ragioni. Ma Jimin si è rotto un braccio l'anno scorso e ha fatto delle lastre, se vuoi controllare le ossa".

I due sembravano così presi dalla situazione che non si accorsero nemmeno dell'arrivo di Taehyung, e avrebbero continuato ad ignorare la sua presenza, se non fosse stato per il cane.

Yeontan arrivò scodinzolando e abbaiando ad accogliere Taehyung, facendogli delle feste spropositate che il ragazzo non gradì per niente. Il cucciolo si alzò in piedi per raggiungere la sua mano e ricevere una carezza, ma essendo così piccolo arrivò appena a sfiorargli le ginocchia. Ad ogni modo, Taehyung cercò di scacciarlo senza attenzionarlo troppo. Non ebbe molto successo visto che quello si sedette ai suoi piedi e rimase a fissarlo curvando appena la testa di lato.

"Tae, sei tornato". Disse casualmente Jin, senza nemmeno rifilargli un'occhiata, ma rimanendo concentrato a fissare lo schermo del televisore-monitor, come se potesse veramente capirci qualcosa di tutte quelle linee.

Jin aveva il giorno libero dal lavoro e aveva deciso di spenderlo aiutando Namjoon a sistemare le sue attrezzature nel rifugio. Questo Taehyung lo sapeva perché lo avevano concordato la sera precedente, ma quello che non sapeva, e che di certo non si sarebbe aspettato, era che Jin si sottoponesse a... qualunque cosa Namjoon gli stesse facendo.

"Già... cosa... che sta succedendo?" Balbettò, grattandosi la testa con una mano e continuando ad osservare quella scena così insolita.

"Oh, Namjoon voleva solo controllare che i miei neuroni fossero a posto". Rispose sbrigativo Jin, come se fosse la cosa più normale del mondo.

"Che pensiero gentile". Commentò Taehyung sarcastico.

"Precisamente, voglio cominciare a monitorare i tuoi nocicettori". Specificò "Ovvero i tuoi recettori del dolore, e assicurarmi che gli impulsi a livello neurologico periferico siano regolari. Se è vero che la mutazione avviene attraverso uno stimolo sensoriale esterno, come sostieni tu, allora la parte muscolare e nervosa del tuo corpo potrebbe esserne interessata. Dubito che questo esame potrebbe portarci ad avanzare nella ricerca, ma è sempre una strada da percorrere. Ora ti darò un pizzico, non troppo forte, voglio solo capire se questa linea si impenna". Disse Namjoon senza distogliere nemmeno per un secondo lo sguardo dallo schermo del televisore. Allungò una mano alla cieca arrivando appena a sfiorare il bicipite di Jin, ma quello sussultò.

"Perché ti sei mosso, non ti ho nemmeno pizzicato?" Chiese Namjoon lanciandogli un'occhiataccia.

"Hai le mani fredde!" Si lamentò Jin.

"Cerca di stare fermo o i risultati saranno falsati". E così dicendo gli rifilò un pizzico sul braccio. Fissò lo schermo, e poi lo pizzicò una seconda volta. Altro silenzio, e un nuovo pizzico. Evidentemente l'ultima volta dovette metterci un po' troppa forza perché Jin si lasciò sfuggire una smorfia.

"Ora ti pizzico sul petto". Disse ancora, prima di ripetere nuovamente l'operazione.

"Allora?" chiese Taehyung dopo che Namjoon ebbe pizzicato anche l'addome, il fianco e le guance di Jin.

"Purtroppo i tuoi nervi sembrano rispondere normalmente". Disse, e nella sua voce si poteva scorgere una certa delusione.

"Per fortuna vorrai dire". Asserì Jin, contento di sentire che fosse sano e funzionante. Lentamente si mise a sedere e cominciò a staccare gli elettrodi dal corpo.

Namjoon, che ignorò totalmente il suo commento, vece girare lo sgabello dal verso dal divano sul quale era seduto l'altro. Così facendo, le loro ginocchia cozzarono insieme per via del poco spazio, ma nessuno dei due parve curarsene particolarmente.

"Come reagiresti se ti chiedessi di sottoporti ad un esame per controllare i tuoi muscoli?" Chiese lo scienziato, tirandosi su gli occhiali dal ponte del naso.

"Devi attaccarmi altri elettrodi?"

"No, devo infilare una sonda ad ago nel tuo braccio e scavare un pochino, ma non fa tanto male". Spiegò sbrigativo, mentre si alzava per andare a prendere quello che gli serviva, di colpo animato da un fuoco che lo spingeva ad agire.

"In quale razza di posto sono finito ad abitare?" Commentò sbigottito Taehyung, ma nessuno lo stese a sentire.

"Non uscirà sangue?" Chiese Jin e a quelle parole Taehyung rabbrividì.

"Non credo. O meglio, in teoria non dovrebbe succedere, ma non sono troppo pratico con questi macchinari da dottore, quindi potrei romperti qualche capillare o al massimo farti uscire un ematoma di poco conto, ma nulla di mortale chiaramente".

"Chiaramente". Enfatizzò Taehyung.

Si sentiva come se fosse impazzito. Era nel salotto della casa dove aveva abitato per gli ultimi undici anni della sua vita, salotto che era stato totalmente smantellato e allestito come se fosse il laboratorio di un vecchio film dell'orrore. Non solo: Jin, la persona che legalmente doveva prendersi cura di lui, si stava sottoponendo ad esami improvvisati da Namjoon, che non era per niente esperto nel settore, solo per testare il funzionamento del suo corpo umano. E riusciva a mantenere un tono di voce che trasudava lo stesso ardore con il quale si poteva ordinare un caffè in caffetteria.

"A Taehyung non piace molto la vista del sangue". Disse Jin sovrappensiero.

"Oh grazie per esserti ricordato che esisto anche io".

Quella frase sembrò riportare al presente i due che finalmente si girarono per guardarlo. Gli occhi di Jin si focalizzarono sulla figura del ragazzo e parvero vederlo per la prima volta dopo un tempo estremamente lungo.

"Tae..." un lampo gli attraversò lo sguardo, e finalmente tornò ad essere il Kim Seokjin di sempre "scusaci, ti avremo spaventato. Stavamo solo..."

"Facendo esperimenti. Lo vedo da me". Disse ovvio Taehyung senza nascondere il velo di frustrazione che stava provando.

"È colpa mia" la voce pacata di Namjoon arrivò dritto alle sue orecchie. Ora che non era più intento a trafficare con le sue diavolerie da scienziato sembrava che quella strana bramosia che aveva animato il suo corpo fosse scivolata fuori da lui. "Ci siamo messi a parlare. Jin mi ha raccontato un po' della vostra vita, ed io mi sono fatto prendere la mano e gli ho chiesto se fosse stato disposto a sottoporsi a qualche stimolo esterno. Ma ho esagerato".

"Direi". Commentò piccato Taehyung. Tutta quella storia gli sembrava assurda. Pochi mesi fa Jin non voleva sollevare nemmeno la questione, e odiava l'idea che qualcuno potesse venire a conoscenza del loro segreto. E adesso era il primo che era disposto a farsi infilare un ago nel braccio per farsi controllare i muscoli.

"Dovremmo finirla qui per sta sera. Siamo andati troppo oltre". Namjoon ripose al loro posto gli elettrodi con i quali aveva ricoperto il corpo di Jin poco prima, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere "Però... Jin potresti prendere in considerazione l'idea di farti fare un prelievo in questi giorni? Anche se riuscissi a fornirmi gli esiti di vecchie analisi non troverei quello che cerco perché risulterebbero solo i valori più comuni o la presenza di virus non identificati". Spiegò pacato.

"Non avrei comunque delle analisi da fornirti. Non ricordo di aver mai fatto un prelievo in vita mia, lo stesso vale per i ragazzi".

"Non vi siete mai controllati?" Chiese sbigottito Namjoon, alzando un sopracciglio nella sua direzione.

"No". Questa volta a rispondere fu Taehyung con un tono di voce secco "Non sappiamo cosa i dottori possano trovarci dentro il sangue. Non possiamo esporci tanto".

"Certo, dimenticavo".

Namjoon si grattò il capo. Era chiaro che quella risposta lo mettesse a disagio e che non approvasse uno stile di vita così smoderato, ma non poteva effettivamente obbiettare nulla.

"Quanto meno lo sai fare un prelievo?" Chiese Taehyung dopo qualche secondo di silenzio, squadrando l'ultimo arrivato da capo a piedi. Il fatto che fosse uno scienziato non lo rassicurava per niente.

Sapeva bene che scienziati e medici avessero competenze diverse, e benché lui fosse un genio e potesse arrivare all'origine del mutamento, di certo non era pratico di medicina.

"Certo. Li ho fatti un paio di volte..." tentennò un attimo prima di aggiungere "a dei conigli, ma non credo sia troppo diverso".

"A dei conigli?" Ripeté sbigottito Jin. "Anche se ci trasformiamo in cani hai comunque prelevato il sangue alla specie sbagliata".

Inoltre, Taehyung avrebbe voluto fargli presente che fare delle analisi ad un coniglio da laboratorio non era uguale che farle ad un essere umano.

"Lo so, non è tanto ortodosso come metodo di paragone, ma visto che non possiamo rivolgerci effettivamente ad un ospedale per avere analisi certe... per favore prendi solo in considerazione l'idea okay?" Disse Namjoon aggiustandosi nuovamente gli occhiali sul naso.

"Non c'è bisogno di prenderla in considerazione" rispose dopo pochi secondi di silenzio Jin "sei venuto qui per questo no? Non avrebbe senso non collaborare, ti renderei solo le cose più difficili".

A quella verità Taehyung storse il naso. Era vero, Namjoon era venuto a Georgia perché loro glielo avevano chiesto. Certo, non tutti erano stati favorevole al fatto di chiedergli aiuto. E anche se Taehyung non lo era stato, non avrebbe dovuto mettere i bastoni tra le ruote a chi, invece, avrebbe voluto scoprire di più. In fondo, quelle non erano scelte che riguardavano lui. E anche se la cosa gli faceva male, non poteva impedire agli altri di sapere cosa erano veramente.

"E poi..."continuò Jin "...mi fido di te". I suoi occhi si fissarono per un secondo interminabile in quelli di Namjoon. Fu davvero questione di poco, ma Taehyung si sentì incredibilmente a disagio per aver intercettato quello sguardo. C'era qualcosa di intimo, di celato, in quella occhiata. Gli era sembrato di scorgere qualcosa di intenso e pregno di significato. 

Come poteva Kim Seokjin, il prudente e sempre accorto Kim Seokjin, fidarsi di un totale estraneo? Che fosse uno dei suoi soliti segreti taciuti?

A Taehyung parve di scorgere un sorrisino appena accennato sulle labbra di Namjoon, ma anche quello fu un qualcosa di repentino e scomparve prima ancora che potesse avere il tempo di controllare una seconda volta.

Distolse lo sguardo da quei due per cercare un qualsiasi altro oggetto del loro salotto sul quale potersi concentrare. In quel marasma di macchinari scientifici e oggetti personali, l'unica cosa che il ragazzo riuscì a trovare fu un guinzaglio rosso ciliegia accuratamente sistemato su una valigia vuota.

Non ci pensò nemmeno, lo afferrò e disse "Va bene, sbrigatevi a fare... qualunque cosa dobbiate fare. Io porto fuori il cane. Non voglio sentire strani odori di sangue quando rientro".

Yeontan parve felice di sapere che il ragazzo lo avrebbe portato a passeggiare, perché cominciò a scodinzolare e si lasciò mettere il guinzaglio senza opporre resistenza.

"Tae... sei sicuro?" Chiese Jin stupido dalle sue azioni. Jin sapeva che a Taehyung i cani non piacevano e che gli portavano alla mente ricordi non molto allegri.

"Si. Preferisco il cane al sangue. Sbrigatevi". Uscì senza dire altro preceduto da Yeontan.

Taehyung doveva ammettere che quel cane era fastidiosamente ben addestrato, talmente tanto addestrato da non tirare nemmeno al guinzaglio. Anzi, ogni volta che si fermava per annusare qualche odore, i suoi occhietti porcini sembravano chiedergli il permesso anche per fare pipì sopra una foglia. E questo era qualcosa di estremamente irritante.

Non si era accorto che le nuvole che avevano coperto il cielo al mattino si fossero diradate e che adesso il sole si stesse poggiando all'orizzonte, lasciando sfumare i suoi colori arancioni. A guardarlo così era uno spettacolo bellissimo, il cielo stava bruciando, lasciando che il colore si allargasse tra le nuvole e si abbassasse fino a toccare le foglie degli aceri e dei pioppi del bosco.

Anche se non avrebbe voluto, Taehyung si ritrovò a pensare a suo padre. Forse era stata la presenza del cane o la passeggiata solitaria in quel tramonto a ricordargli i momenti in cui suo padre aveva una giornata buona.

In quei giorni era il papà che Taehyung avrebbe sempre voluto avere, dolce e premuroso. Uno di quei padri che gli permetteva di poggiare la testa sulle sue gambe e gli accarezzava i capelli fino a quando non si addormentava. Quando questo accadeva il suo cuoricino poteva traboccare di felicità.

Era un peccato che quei momenti così preziosi fossero davvero pochi.

Un soffio di vento lo fece rabbrividire e lui si ritrovò ad annusare l'aria insieme a Yeontan.

Taehyung tirò appena il guinzaglio e i due avanzarono verso il bosco.
















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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7





Ottobre 2010

 

 

Il sabato era quel giorno della settimana in cui Taehyung poteva infilarsi nel letto di Jin insieme a Jungkook e restare a parlare sottovoce fino all'ora di pranzo.

Era il giorno di riposo per eccellenza, quello in cui non programmava niente e in cui non aveva voglia di fare assolutamente niente. E questo era una routine che nessuno aveva mai intaccato... fino a quel momento.

Ma da due settimana a questa parte, della sua routine non era rimasto poi molto.

Quel sabato di inizio Ottobre Taehyung non poté sgattaiolare nel letto di Jin dopo la sua colazione per via di Kim Namjoon, che ormai occupava anche quella stanza e che dormiva russando talmente forte da essere sentito da tutti gli abitanti del rifugio. Taehyung si domandava come Jin riuscisse ad addormentarsi la sera accanto a lui. Aveva sempre avuto un sonno leggero e, a rigor di logica, doveva essere infastidito dalla sua presenza, eppure la mattina lo trovava fresco e riposato.

Trovava estremamente sorprendente il modo in cui tutti si fossero abituati alla presenza dell'ultimo arrivato: in maniera così naturale. Era come se Namjoon fosse un'amico di vecchia data, piuttosto che un estraneo piombato in casa loro per un tornaconto personale.

Eppure nessuno sembrava pensarla così. Non Jimin che ormai aveva una confidenza tale da fargli battute inappropriate, né Jungkook che gli chiedeva una mano con i suoi compiti di scuola; tanto meno Jin, che sembrava ronzargli attorno come un'ape su un fiore.

In particolare, Taehyung trovava incredibilmente fastidioso tutta l'attenzione che Jin gli dedicava, tutte le gentilezze che gli porgeva e gli sguardi indecifrabili che condividevano.

Ogni volta che li guardava interagire, un nodo si formava all'altezza del suo stomaco.

Non ci voleva molto per capire che la sua presenza non gli piacesse. Taehyung era fermamente convinto che il modo di fare di Namjoon non fosse congeniale al suo. Non gli piaceva quel suo modo di dettar legge, come se la scienza infusa avesse sempre ragione. Più di quello, non gli piaceva minimamente il cambiamento che la sua vita aveva subito da quando era arrivato lui. Un esempio era proprio quella piccola abitudine di poltrire fino a tardi.

Per questo, quel sabato, Taehyung non poté fare altro che accontentarsi del letto singolo di Jungkook.

Non ci mise molto ad alzare il pesante piumone e a spingere Jungkook un po' di lato in modo che potesse stendersi insieme a lui pur restando stretti.

Avvolse un braccio attorno al corpo del ragazzo e portò una mano al suo volto paffuto pizzicandogli le guance solo per infastidirlo.

"Le tue dita sanno di caffè". Commentò con voce roca Jungkook, senza aprire gli occhi.

"Le ho pucciate dentro la tazza".

Taehyung infilò i piedi freddi tra sue le gambe facendo comparire sul viso dell'altro una smorfia.

"Perché sei nel mio letto e non in quello di Jin?" Chiese Jungkook.

"Perché Namjoon sta dormendo". Rispose piccato.

"Magari a lui piacciono i tuoi piedi freddi". Sorrise appena.

"Magari a me non piacciono i suoi."

"Cos'è, hai un fetish solo per i miei?"

Taehyung sorrise.

A volte ringraziava che Jungkook fosse ancora in quella fase dell'adolescenza in cui si azzardava a dire tutte le cose stupide che gli passavano per la testa.

Quelli erano i suoi momenti preferiti con lui, quelli in cui Jungkook faceva il ragazzino di diciassette anni e basta, quelli in cui era felice e spensierato.

"Perché dovrebbero piacermi i tuoi brutti piedi puzzolenti?"

"Ma se li esfolio tutte le sere con uno scrub alla lavanda! Senti come sono lisci" Jungkook fece in modo che i suoi piedi si scontrassero con quelli freddi di Taehyung, per permettergli di constatare la veridicità di quanto detto.

"Smettila di farmi piedino, è imbarazzante e inopportuno". Scherzò Taehyung.

"Non voglio sentire le vostre avance impacciate mentre parlate di piedi puzzolenti e scrub alla lavanda nel mio unico giorno libero". Dall'alto del suo letto, Jimin si era appena schiacciato un cuscino in faccia pur di non sentire i discorsi inutili dei suoi compagni di stanza. Si era rintanato ancora di più tra le coperte, come se le lenzuola potessero proteggerlo dalle scemenze degli altri.

Quel commento fece sorridere i due ragazzi, ma non smorzò il loro entusiasmo, né interruppe la loro conversazione.

"Sei solo geloso perché i tuoi piedi sono callosi e rovinati dalle ore che passi in sala prove". Borbottò Jungkook.

"I suoi piedini da ballerino tutti rovinati". Rincarò Taehyung con una vocina sottile, volutamente canzonatoria.

"Siete insopportabili. Preferivo quando stavate a parlare nel letto di Jin". La voce dolce di Jimin arrivò più ovattata per via del cuscino.

"Mi dispiace, ma da ora parleremo qui". Disse Taehyung con nonchalance.

"Sai, non credo che sarebbe un problema se parlassimo di là. Joon non sente niente quando russa così forte". Sussurrò Jungkook. Se non avesse avuto gli occhi ancora ben chiusi, si sarebbe sicuramente accorto dalla smorfia che si era dipinta sulla faccia di Taehyung.

"Mi piace di più il tuo letto Kook". Rispose solamente.

Jungkook sospirò.

Di certo non era stupido e si era accorto del fatto che, all'amico, non piacesse per niente avere Namjoon al rifugio.

Da quando era arrivato Namjoon, l'atteggiamento di Taehyung era cambiato. Era sempre un po' troppo sulla difensiva e sembrava pronto a giudicare tutto quello che l'altro faceva.

"Tae, non riesco a capire, perché non ti piace Namjoon?" Domandò allora, premendo la sua faccia contro il corpo caldo di Taehyung. Annusò un po' il suo odore e si prese qualche momento per sfregare il naso nella sua felpa. Così, con la testa schiacciata contro il suo petto, sembrava un bambino.

Quella volta toccò a Taehyung sospirare prima di spostare gli occhi al soffitto.

Più ci pensava, più credeva che tutta quella faccenda fosse inutilmente assurda.

"Perché non mi piace che un estraneo metta il naso nelle nostre cose". La sua risposta fu vera solo in parte.

"Ma pensavo che fossi d'accordo anche tu sul fatto che Namjoon venisse qui". Disse Jungkook in un sussurro.

Quello che aveva appena detto Jungkook non corrispondeva alla completa realtà dei fatti.

Taehyung esitò, ripensando al momento in cui, per la prima volta, avevano preso in considerazione l'idea di incontrare Kim Namjoon.

Per un attimo chiuse gli occhi e tornò con la mente a qualche mese prima, quando Jin aveva ammesso di conservare dei pezzetti di carta con quel nome, ma senza spiegare perché li tenesse ancora con sé dopo tutto quel tempo.

Si era nascosto dietro alla giustificazione che, a volte, le persone fanno cose senza ragione, ma né Taehyung né Jimin ci avevano creduto. Ciò nonostante, avevano deciso di non calcare troppo la mano e di non chiedere ulteriori spiegazioni.

E malgrado quella misera rivelazione non avrebbe cambiato il corso delle cose, Jin sembrò sollevato di non doversi giustificare.

 

Aprile 2010

"Hai mai pensato di incontrarlo?" Aveva chiesto Jimin, come se incontrare un ragazzo che faceva ricerca su geni mutanti fosse la cosa più normale al mondo.

"Si, ci ho pensato".

"Ma?"

"Ma come potrei fare? Rintraccio il suo studio a Montreal e gli faccio una chiamata? E cosa gli dico Ciao sono un uomo che si trasforma in lupo, ti va di fare due chiacchiere?" Benché avesse usato un tono di voce sarcastico, il discorso di Jin era serio.

"Io non credo che dovresti mai cercarlo, anzi, credo che per nessuno di noi sia una buona idea parlare con questo tizio". Taehyung aveva preso parola dopo che si era creato qualche secondo di silenzio.

Il salotto del rifugio, illuminato dalla luce calda del primo pomeriggio, era stato inondato da confezioni vuote di ramen istantaneo.

Taehyung era seduto sul divano e teneva ancora pigramente una mano tra i capelli di Jimin che, steso con la testa sulle cosce dell'altro, guardava Jin mangiarsi le unghie sul pavimento.

Accanto ai resti del pranzo era stato appoggiato il diario di Jin e ora la faccia di un ragazzino paffuto e sorridente era esposta agli occhi di tutti.

"Perché dici così Taehyung?" Chiese Jimin, muovendo appena la testa per rivolgere all'amico un'occhiata di sbieco.

"Come sarebbe a dire perché? Se realmente questa persona sta studiando... qualsiasi cosa ci succeda in corpo, vogliamo davvero rivelare la nostra esistenza? Cosa succederebbe se si diffondesse la notizia? Se c'è finito lui sul giornale, credete davvero che non potremmo finirci anche noi?" Chiese alzando un sopracciglio.

Jimin ammutolì e fece vagare il suo sguardo sul pavimento del rifugio. Rintanato nel suo silenzio pareva soppesare la realtà dei fatti.

"Hai paura di questo?" Chiese Jin "di finire sui giornali ed essere additato come quello strano?"

"Tu sei il primo che mi ha insegnato a tenere un profilo basso. Te lo sei dimenticato per caso?" Nella voce di Taehyung c'era ora una punta di incredulità. La metafora del bue che dice cornuto all'asino esisteva davvero, a quanto pareva.

"Certo che no, però..."

"Però non vale se quello a cui riveli cosa sei è uno scienziato che fa ricerca e ha una comunità scientifica attenta ai suoi progressi?" Chiese sarcastico.

Anche Jin ammutolì.

"E comunque no". Riprese il discorso "Non sono preoccupato di essere additato come quello strano, ma di finire il resto dei miei giorni come una cavia da laboratorio. Quello sì che mi preoccupa".

Taehyung si stava sforzando di restare calmo e pacato, ma il suo tono di voce si era fatto più duro.

Da quando aveva letto quegli articoli di giornale, l'idea che quel tipo, quel Kim Namjoon, potesse fare esperimenti sul fratello non lo aveva abbandonato nemmeno per un secondo. E certo, quella poteva essere una congettura insensata, ma poteva anche essere la verità.

"Credi sia possibile?" La voce di Jimin era bassa e salda.

"Credo sia un'ipotesi che non possiamo non considerare". Disse Taehyung.

Jin tornò a mangiarsi le unghie per qualche secondo. Da quando aveva tirato fuori quella mezza verità infognata era diventato strano. Taehyung non lo aveva mai visto così nervoso e sembrava esitare prima di ogni parola, come se stesse considerando l'ipotesi di snocciolare il suo pensiero davanti a loro.

"Io credo invece che dovremmo provare a contattarlo". Asserì infine "Voglio dire, questa cosa ha cambiato la sua vita. Tutti gli anni che sono passati non lo hanno smosso di una virgola dal voler trovare delle risposte a quello che è successo. Potrebbe aver scoperto qualcosa in più di quello che sappiamo noi, potrebbe avere delle risposte reali e concrete su cosa siamo e perché ci capita di trasformarci quando cambia il tempo".

Di nuovo il silenzio cadde nel salotto per qualche secondo.

Come diavolo erano finiti a parlare di un argomento del genere Taehyung proprio non riusciva a ricordarselo, ma sapeva che aveva odiato ogni singolo istante di quella conversazione.

Quando aveva sbottato con Jin, buttandogli in faccia quelle cose, non si sarebbe aspettato un retroscena del genere. Se solo l'avesse saputo, si sarebbe curato bene dal prendere in esame l'argomento.

"Jin ha ragione". Disse infine Jimin "Non sappiamo che tipo è, potrebbe avere anche delle buone intenzioni. Magari vuole curare il fratello, magari vuole farlo tornare normale".

L'espressione di Jin cambiò in maniera così rapida che Jimin non riuscì ad accorgersene. Una strana inquietudine rimase ad aleggiare nei suoi occhi per qualche secondo per poi nascondersi dietro il velo di indifferenza che aveva forzatamente costruito.

"Cosa c'è Jin?" Chiese allora Taehyung, non potendo negare di averlo visto.

"Niente". Farfugliò appena.

"Non è vero. Lo so che c'è qualcosa". La sua voce era ferma ma non accusatoria. Voleva solo capire cosa stesse succedendo.

Di nuovo, Jin si morse le unghie prima di rispondere "È solo che..." sospirò, incerto se continuare. Il suo volto era una maschera indecifrabile.

Taehyung non si era mai accorto, in tutti quegli anni, di come Jin avesse accumulato tanti segreti. Lo aveva sempre considerato perfetto, il modello ideale da seguire, l'uomo che sarebbe voluto diventare anche lui. Ma da qualche settimana a questa parte cominciava a domandarsi se la visione che aveva dell'altro non fosse dovuta a una questione di prospettiva.

Il fatto era che lo aveva sempre considerato il meglio del meglio perché lo aveva posto al centro di una stanza buia; la luce che riusciva ad entrare era appena un bagliore opaco. Vedeva la sua figura e i contorni, i lineamenti del volto sembrano rassicuranti. Non era stato difficile per lui affezionarsi all'idea che, dietro a quella sagoma, si celasse l'uomo migliore che avesse mai conosciuto.

Adesso però, un set di luci pareva illuminarlo per intero e lui poteva accorgersi di tutte le crepe che la sua bella faccia presentava.

"...non chiedetemi come, ma so per certo che Kim Minho..." la voce di Jin tremò un po' quando riprese il discorso e a Taehyung sembrò che si incrinasse ulteriormente quando pronunciò quel nome "...lui è morto".

"Morto?" Jimin si tirò su lentamente, mettendosi a sedere sul divano, frastornato da quella rivelazione. Taehyung lo vide mordersi le labbra per evitare di porre la domanda che Jin aveva appositamente chiesto di evitare.

"Già". Jin abbassò la testa, nascondendo il suo volto agli altri.

-Quindi...- pensò Taehyung.

"È per questo che credi che quel Kim Namjoon sia uno dei buoni?" Diede voce ai suoi pensieri "Perché suo fratello è morto e lui non è riuscito ad andare avanti?"

Lo disse senza usare nemmeno un minimo di tatto, ma non riusciva ad avere per qualcuno che non conosceva.

"Taehyung!" Lo riprese Jimin.

"Che c'è? È vero. E lo sai anche tu, scusa se non ho edulcorato la realtà, ma è di questo che stiamo parlando".

"Stiamo parlando anche della vita di un ragazzo, uno come noi". Replicò Jimin.

"E mi dispiace. Ma c'è in ballo anche la mia di vita, e se voi due volete davvero parlare con quello scienziato pazzo lasciatemi almeno dire che non sono per niente d'accordo".

"Che c'è di male nel voler scoprire qualcosa in più su di noi? Non sei curioso di sapere perché ci trasformiamo in lupi? Non sei curioso di sapere qualcosa di più su te stesso?"

A volte Jimin sembrava così innocente che Taehyung si chiedeva come diavolo avesse potuto sopravvivere nel mondo fino a quel momento.

"Hai ragione. Non c'è niente di male nel voler sapere qualcosa in più su di noi, ma questa informazione vale un prezzo troppo alto, non ti pare?"

"Non puoi saperlo". Disse Jin, continuando a tenere la testa bassa.

"Non puoi saperlo nemmeno tu. E poi a che scopo rischiare tanto? Solo per sapere perché ci trasformiamo in inverno? Non cambierà niente comunque".

"Magari sì". Jimin parlò con un filo di voce appena percettibile e quello bastò per far piombare la stanza nel silenzio più totale.

Taehyung buttò giù a vuoto.

Quella era proprio la cosa che non voleva sentirsi dire.

La verità era che lui non voleva che le cose cambiassero. Lui non voleva tornare ad essere solamente Kim Taehyung, il ventenne allampanato che lavorava in un caffè e faceva un'università telematica. Non voleva vivere la vita come un normale ragazzo della sua età e, a fine giornata, rimpiangere il fatto che, di normale, lui non avesse nulla.

Non era la trasformazione in lupo a renderlo fuori dall'ordinario. Non lo era mai stata. Niente nella sua vita aveva seguito un corso regolare, a partire dalla sua famiglia fino ad arrivare al morso che aveva ricevuto all'età di otto anni. Al contrario, era stata l'insensatezza degli eventi che aveva reso i suoi giorni accettabili.

In tutti quegli anni Taehyung si era sempre aggrappato al mondo che quella nuova vita gli aveva donato, il mondo che si era costruito con Jin, Jimin e Jungkook. Ed era stato terribilmente grado della sciagura che gli fosse capitata. Terribilmente grato di aver trovato qualcuno che gli permettesse nuovamente di respirare. Nel suo mondo insano, aveva trovato delle persone molto più sane di quelle che avesse mai conosciuto.

Essere un lupo era la cosa più bella che gli fosse potuta succedere, e non l'avrebbe cambiata con nient'altro, nemmeno con la normalità più assoluta.

Non la voleva.

E ne era terrorizzato.

Taehyung aveva il terrore che quella bolla perfetta potesse esplodere. Perché in fondo quella vita che si erano creati era stata dettata da una necessità, da una condizione che li aveva accomunati. Però, se quella condizione fosse venuta meno, non ci sarebbe più stato niente a tenerli insieme.

"È questo che volete?" Chiese con voce tremante "una soluzione al problema?"

Jin alzò finalmente il capo per rivolgergli un'occhiata diversa dalle precedenti, più dolce, più da lui "Tu non lo vorresti Tae? Non vorresti tornare a vivere la normalità?"

No.

No, no e no.

Dio, no, non la voleva.

Taehyung buttò già a vuoto, prima di dire "E tu Jimin? Anche per te è così? Perché se è così, se tutti voi pensate che sia giusto..." deglutì nuovamente, era un boccone più amaro del veleno "...mi farò da parte e basta".

"Tae..." esitò l'altro.

Un brivido percorse la spina dorsale di Taehyung. Una chimica forte che gli elettrizzò tutti i neuroni del corpo. Un istinto, poi un odore e un attimo irrazionale.

Come se fossero dei giocattoli a molla, i tre ragazzi saltarono in piedi e girarono la testa in direzione della porta finestra della cucina. Dalla loro posizione riuscivano a vedere bene il grosso lupo dal manto bruno. Occhi da cerve in un corpo da lupo.

Jungkook, ai piedi della veranda, se ne stava ritto, tre zampe ben piantate nel terreno e una ferma a mezz'aria, con lo sguardo fisso su di loro. Anche lui doveva aver ricevuto un segnale di qualche genere che gli indicasse la presenza degli altri perché era rimasto perfettamente immobile.

Taehyung non si accorse subito di quanto la sua figura si fosse deperita, troppo felice di vederlo anche solo in forma di lupo. Era da così tanto che non sentiva la sensazione di averlo vicino. E ancora più lungo era stato il tempo dall'ultima volta che aveva rivisto la sua faccia. Ma quando si focalizzò sul suo corpo, un nodo parve stringergli la gola fino a farlo soffocare.

Era magro, talmente tanto che riusciva a vedere le ossa sporgenti delle spalle, degli arti, il segno delle costole, e il muso scavato. Il naso sembrava secco e il manto spento e poco lucente.

Ogni volta che faceva ritorno dal bosco, Jungkook era tutto pelle e ossa. E certo, non ci metteva molto a recuperare considerata l'ottima cucina di Jin, ma doveva soffrire molto la solitudine e la fame nei mesi in cui loro non c'erano.

"Kookie" si lasciò scappare Jin con un tono di voce nostalgico.

Il cuore di Taehyung si strinse in una morsa.

-Se solo Jungkook fosse con noi- si ritrovò a pensare.

Come se avesse sentito i pensieri dell'altro, Jimin distolse gli occhi dal lupo alla finestra per poggiarli sul viso del suo migliore amico.

Mai il suo sguardo gli era parso così pesante.

Jimin non parlò, non disse assolutamente niente, ma Taehyung sentì urlare la sua risposta forte e chiaro.

Se solo Jungkook fosse stato al rifugio avrebbe sicuramente voluto provare a contattare Kim Namjoon. Avrebbe voluto riprendersi la vita umana che desiderava.

Ma Kookie non era in quel rifugio e, con ogni probabilità, non sarebbe tornato prima di un mese.

La vita nel bosco, da solo, non era facile.

La notte lo avrebbero sentito ululare rimpiangendo i suoi compagni, il giorno avrebbero provato a cercarlo con lo sguardo, tra gli alberi, mentre sfrecciavano sulla strada diretti al lavoro.

Taehyung deglutì nuovamente.

Una nuova paura stava cominciando a prendere piede dentro di lui, logorando il suo animo lentamente. Rimase in silenzio fino a quando non vide Jungkook muovere il naso per fiutare l'aria. Rivolse agli altri un'altra singola occhiata poi, silenzioso come era arrivato, se ne andò.

"Va bene". Cedette infine. "Cercatelo se volete, ma non contate su di me. Non vi darò una mano".

 

"Taehyung, ti sei addormentato?" La voce di Jungkook lo riportò al presente.

"Eh?" Farfugliò. Si era perso troppo nei suoi pensieri e aveva avuto un altro di quei suoi momenti di black-out. Gli sembrava che durassero sempre poco, ma la maggior parte delle volte non era così.

"Ti eri perso nel tuo mondo?" Chiese il ragazzo.

"Sì, scusa".

"Non fa niente".

Il silenzio tornò ad avvolgere il rifugio.

Jin era uscito presto quella mattina per sbrigare delle faccende e parlare con un conoscente della loro questione finanziaria. Era stato costretto a chiedere nuovamente dei soldi a Taehyung quella settimana. Soldi che l'altro non gli avrebbe mai negato, ma che Jin faticava a chiedere.

Namjoon doveva essersi svegliato, o quanto meno doveva aver trovato una posizione che non lo facesse russare come un trombone.

Taehyung si sforzò per non essere infastidito anche dal silenzio che aveva lasciato. Si rendeva conto che il suo era un atteggiamento da bambini, ma anche se si impegnava per non farlo apparire davanti agli altri, non riusciva a sopprimere i sentimenti negativi che provava verso quel giovane uomo invasato di scienza.

"Ehi Tae". Lo chiamò Jungkook.

"Dimmi Kookie".

"Ti va se andiamo a fare shopping oggi? Mi servirebbero dei guanti pesanti e qualche sciarpa. Ultimamente sento molto più freddo".

Non era mai un bene che Jungkook sentisse freddo. Taehyung avrebbe voluto imbottirlo dalla testa ai piedi ogni volta che usciva di casa, per preservare il più piccolo dal sgusciare via da lui. Ma, anche se era preoccupato, sorrise rincuorato dall'idea che, quanto meno, rintanato nelle coperte e stretto in un abbraccio caldo il ragazzo sembrava stare bene.

"Certo, andiamo ai magazzini di St.Albans. Lì trovi sempre cose utili a basso prezzo".

"Chiediamo anche a Chim?"

Taehyung annuì.

Era da tanto che loro tre non facevano qualcosa tutti insieme e fu felice della proposta di Jungkook.

"Ci andiamo dopo pranzo, così possiamo poltrire anc-" non riuscì nemmeno a finire la frase che un esserino minuscolo e peloso riuscì a passare attraverso la porta accostata della stanza. Zampettò fino al letto di Jungkook e fece cadere qualcosa che provocò un tonfo secco.

Yeontan abbaiò una singola volta, richiamando l'attenzione dei ragazzi. Jungkook si sporse oltre Taehyung e sorrise guardando la scena.

"Che carino, vuole essere portato a spasso". Disse indicando con il dito il guinzaglio a cui il cane era seduto di fianco.

Taehyung ruotò gli occhi al cielo.

Il sabato era stato ufficialmente rovinato.

Odiava quel cane.















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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8






Ottobre 2010

 

"Come mi sta?" Jimin si era messo in testa un cappellino di lana grossa. Di un bel colore rosso ruggine e con ricamati dei cervi bianchi stilizzati, l'indumento non lo faceva passare di certo inosservato. I pompon pendevano lunghi, ricadendo sul suo petto e dandogli quell'aria sognante che hanno i bambini nei film di Natale.

"Sei adorabile". Lo canzonò Taehyung, restando a guardare l'amico fare una smorfia e riporre l'oggetto al suo posto.

Non era importante quante volte Taehyung potesse varcare le porte scorrevoli dei magazzini Macy's, lì dentro riusciva sempre a trovare qualcosa.

"Ne avevo uno uguale una volta, ma mi stava talmente largo che mi cadeva sugli occhi". Si limitò a dire Jimin, scrollando le spalle.

"Quindi adesso vuoi rivendicarne uno della giusta misura per il tuo testone?"

"Perché no? Sta cominciando a fare freddo e i colori si abbinano al mio cappotto. Anche se questo berretto non è bello come quello che avevo da bambino, saprà tenermi al caldo". Jimin afferrò la cordicella dalla quale pendeva il pompon e la agitò in aria per qualche secondo. Forse era stato il tono di voce che aveva usato, o forse era stato quel gesto, ma per un attimo, sembrò davvero essere tornato bambino.

"Che aveva di speciale?" Chiese Taehyung.

"Il berrettino? Lo aveva fatto a mano mia madre; credo ci avesse spruzzato sopra uno di quei profumi per stoffe che sapeva di biscotti al forno". Sorrise al ricordo "Lo aveva fatto più grande a posta, così poteva andare bene per un paio di anni. Era il mio preferito, non uscivo mai di casa senza".

Questa volta, anche a Taehyung scappò un sorriso.

A volte Jimin raccontava la storia di una vita vera, vissuta prima del rifugio. Taehyung non glielo aveva mai detto, ma quando Jimin si perdeva tra gli anfratti dei suoi ricordi, rimaneva affascinato dalle sue parole e, in un modo o nell'altro, finiva sempre per farsi trascinare dal suo tono nostalgico. In quelle occasioni gli piaceva fantasticare e fare finta che quelle cose fossero successe a lui.

Gli piaceva fare finta di aver vissuto la vita di Jimin.

"Ce lo avevo anche quando mi hanno morso". Continuò il suo discorso, ma ora il sorriso che si era dipinto sulle sue labbra era scemato del tutto, e un'ombra nera aveva preso il suo posto.

"L'ho perso quella notte, per strada. È stata l'ultima cosa che ho visto. Era caduto per terra, sull'asfalto e si era sporcato di nero. Quel nero che perde la pace quando è bagnata. Ricordo che mi aveva dato fastidio vederlo così sporco e pieno del mio sangue. Così ho provato ad allungare una mano per prenderlo, ma non ci sono riuscito e quando è arrivata l'ambulanza, nessuno si è preso la briga di raccoglierlo e restituirmelo. Chissà se qualcuno lo avrà trovato e riportato a mia madre. È un pensiero piuttosto stupido, però…" Jimin sospirò, prendendosi un attimo prima di continuare "però mi farebbe piacere sapere che lo abbia lei".

Taehyung cercò di mettere su un sorriso che potesse sembrare vagamente rassicurante, ma si ritrovò a sentirlo poco veritiero. Lui non sapeva cosa poteva significare aveva dei genitori che fossero in pensiero per l'incolumità del proprio figlio.

Così allungò una mano e afferrò il berrettino dallo scaffale sul quale l'amico lo aveva riposto, poi glielo porse.

"Sono sicuro che lo starà conservando con cura. Avrà una scatola con tutte le tue cose, con i tuoi dentini da latte, i tuoi compiti di scuola e il tuo berretto preferito".

"Lo pensi davvero?"

"Certo. In fondo persino Jin ha conservato quegli orrendi disegni che facevamo da piccoli. Li tiene ancora fieramente esposti per tutti coloro che varcano la soglia della sua camera". Disse Taehyung con un po' di ironia.

Jimin si sforzò di fare una smorfia divertita.

"I tuoi erano orrendi, i miei erano sublimi".

"Giusto. I tuoi sono dei veri Picasso".

Pensando a quei disegni dalle forme strane e scomposte, Jimin sorrise per davvero. Era appena una curva leggermente all'insù su una pagina bianca; era piuttosto triste come sorriso, ma era sincero. Taehyung ne fu rincuorato e sentì la morsa che gli aveva stretto il cuore allentarsi un pochino.

"Ehi Tae". La voce di Jungkook gli arrivò chiara e forte, interrompendo quel momento e costringendo i due a mettere un punto alla loro conversazione.

Da mezz'ora il ragazzo girava tra gli scaffali ammucchiando il maggior numero di indumenti pesanti che le sue braccia riuscissero a contenere. Fino a quel momento aveva impilato sul suo braccio destro almeno tre maglioni pesanti, due berretti e quattro sciarpe.

"Tieni questi". Gli disse, porgendogli un paio di calzettoni pesanti.

Taehyung alzò un sopracciglio.

"Per sabato prossimo, i tuoi piedacci ghiacciati mi mettono i brividi". Spiegò. Il sorriso che prese spazio sul viso del ragazzino avrebbe dovuto essere sarcastico, ma Taehyung lo trovò solo adorabile.

Jungkook sapeva essere incredibilmente dolce senza nemmeno rendersene conto, eppure, come tutti gli adolescenti, cercava di nascondere questo suo lato. Taehyung non capiva se lo facesse per pudore o per cercare di sembrare più grande di quello che era, ma riusciva a scaldargli sempre il cuore.

"Grazie Kookie".

"Carini, a me non regali mai niente però". Si imbronciò Jimin, cercando di mascherare lo stato di inquietudine nel quale i suoi ricordi lo avevano accompagnato. Per distrarsi aveva affondato le dita, piccole e paffute, nella lana del cappello e ogni tanto martoriava i pompon con le unghie.  

"Tu non hai bisogno di nient'altro per essere perfetto". Rispose sornione Jungkook, non accorgendosi di nulla e concedendo all'amico del tempo per calmare il suo animo. 

"Tu non hai bisogno di nient'altro per essere perfetto". Scimmiottò Jimin, prima di aggiungere "Ruffiano".

Poi, ancora turbato, allungò la mano e con un gesto veloce scompigliò i capelli del ragazzo per il mero gusto di infastidirlo.

"Ehi, perché lo hai fatto?" Chiese Jungkook, cercando in fretta di sistemarsi.

In risposta, Jimin alzò le spalle.

"Ah si?" Riprese in tono allegro e, storcendo il naso e trafficando con i vestiti che aveva ancora in mano, cercò di bloccare le braccia di Jimin dietro la schiena.

Taehyung non ebbe il tempo per prendere parte a quella zuffa che una voce proveniente dall'altra parte del magazzino li fece sobbalzare tutti quanti.

"Ma tu guarda se quello non è Jungkookie con tutta la sua crew!".

Hoseok sapeva essere incredibilmente rumoroso, eppure né Yoongi, né Blake sembravano imbarazzati dal suo comportamento. Al contrario, non si erano nemmeno accorti che il tono di voce del loro amico fosse così alto e squillante da attirare l'attenzione di tutti gli altri clienti. Probabilmente, ad avere sempre intorno Hoseok con i suoi modi di fare stravaganti, si faceva il callo a comportamenti del genere.

Anche quel giorno, il ragazzo indossava vestiti capaci di attirare gli sguardi di tutti. La maglietta a maniche corte, di un colore arancione fluo, doveva essere di due taglie più grossa del necessario, facendolo sembrare ancora più smilzo di quello che era. Ad un look così morbido, aveva abbinato un paio di neri guanti lunghi senza dita, di un materiale piuttosto aderente che faceva risaltare le sue braccia ossute. I pantaloni invece erano attillati, adornati con diverse catene che gli pendevano fino a metà coscia. A coprire i capelli color castagna, il solito cappellino da pescatore.

A suo confronto, gli altri due ragazzi, quelli che stavano sempre un passo dietro di lui, sembravano sciatti e senza personalità.

In verità, chiunque, posto al suo fianco, sarebbe risultato senza nessun tipo di personalità.Yoongi e Blake, non erano esclusi, soprattutto perché entrambi erano vestiti con un paio di jeans e una felpa.

"Ragazzi" la voce di Jungkook pareva essergli morta in gola "che ci fate qui?"

"Un giro. Suga doveva comprare un paio di mutandoni di lana". Disse Hoseok con nonchalance.

Dietro di lui, Yoongi arrossì fino alla punta delle orecchie.

"N-non sono per me". Balbettò soltanto cercando di nascondersi ancora di più dietro le spalle del suo amico per poi tirargli uno scappellotto sulla nuca.

"Ahi!"

Blake cercò di nascondere una risata, ma non fece nessun commento.

Taehyung si disse che era la loro presenza, quella sua e di Jimin, che rendeva l'ambiente teso. Probabilmente, se non ci fossero stati loro, si sarebbero tutti fatti una risata.

"Beh è una fortuna avervi incontrati, almeno avrò dei pareri sinceri su questo cappello". Jimin decise di prendere in mano la situazione, evitando a Yoongi di sprofondare nel mare di imbarazzo nel quale stava annegando.

Si ficcò in testa il berretto e cominciò a far ciondolare il collo, in cerca di pareri.

"Sembri un bambino Chimmy". Hoseok lasciò che un grosso sorriso illuminasse il suo volto, arrivando a contagiare anche i suoi occhi. La cosa bella di Hoseok era che quando sorrideva lo faceva con tutto se stesso.

Non si trattenne, non ne sarebbe stato capace, e arrivò a pizzicare le guance di Jimin.

Anche Jungkook sorrise, ma Taehyung non avrebbe saputo dire se per la reazione di Hoseok o per il fatto che il loro amico risultasse terribilmente tenero.

In ogni caso, Jimin storse il naso.

"Mi rende infantile? Non dovrei comprarlo quindi?" Chiese soppesando lo sguardo degli altri per avere un commento.

Jimin si nutriva anche di quello, delle attenzioni che gli altri gli davano. Era come se volesse sempre essere sul palcoscenico con un riflettore puntato contro. Tutti dovevano guardare lui, ammirare lui, pendere dalle sue labbra. Ma lo faceva senza quasi rendersene conto. Senza doppi fini e senza voler ferire nessuno. Semplicemente amava terribilmente essere guardato.

"Certo che dovresti comprarlo, ti sta bene, e ti da un'aria da cucciolo. Farai strage di cuori con questo. Non è vero ragazzi?" Disse Hoseok, cercando la collaborazione anche dei propri amici.

"Si, ti sta bene". Yoongi guardò Jimin.

Non c'era bisogno di molto per capire che Yoongi pensasse che Jimin fosse bello. Taehyung non credeva nemmeno che il ragazzo si sforzasse di nasconderlo. Ma quello che non sapeva era che Yoongi era per davvero affascinato dal suo migliore amico.

Terribilmente affascinato dal modo naturale che aveva di apparire perfetto. Sempre così fresco e curato, come se essere una specie di idolo fosse una cosa che non gli costasse nemmeno il minimo sforzo. E meno si sforzava di apparire bello, più lo era, e più si agghindava con accessori inutilmente ridicoli, e più era bello.

E Yoongi, questa cosa, non la sopportava.

Era, in qualche modo, geloso di Jimin. Del fatto che fosse una calamita per gli sguardi di tutti, e che fosse così gentile, che avesse sempre una buona parola, che fosse simpatico e attraente e che tutti, tutti, il suo migliore amico incluso, avessero un debole per lui.

"Dovreste comprarne uno ciascuno, così sarete davvero una crew". Disse Blake, e le sue parole parvero risvegliare Yoongi dal vortice nel quale era caduto.

La ragazza, forse accortasi dallo strano comportamento del suo migliore amico, decise di prendere in mano la situazione. Avanzò quel tanto che le serviva per sfilare un indumento preciso dalla pila che Jungkook teneva stretta a sé.

Il berretto era uguale a quello di Jimin, ma invece di essere rosso era di un bel verde petrolio.

Blake fece abbassare la testa a Jungkook prima di infilargli il berretto e fare un fiocco con le stringhe dei pompon sotto il suo mento.

"Ecco". Soddisfatta, osservò Jungkook arrossire prima di spostare la sua attenzione su Taehyung, prendere un berretto dallo scaffale di fianco, e infilarlo anche sulla sua testa corvina.

Ritrovatosi a calare il capo per facilitarle il movimento, Taehyung sentì una vampata di imbarazzo prendere il sopravvento. 

Non era mai stato bravo con le ragazze, e dopo aver provato quella strana sensazione l'ultima volta che si erano visti, aveva accuratamente evitato di ripensare a quell'episodio.

Non sapeva, e forse non voleva nemmeno spiegarsi, il perché di quella sensazione. Era davvero una cosa stupida da parte sua. Non era successo niente, si erano solo parlati e lui già gridava alla stranezza. E poi era solo Blake. Solo una ragazza carina con cui stava avendo una conversazione, e anche piuttosto sterile visto che a malapena spiccicava parola.

Forse era solo dovuto al fatto che Blake fosse carina per davvero e che ne subisse un po' il fascino, ma Taehyung si sforzava comunque di non pensarci.

"Ah! ora si che siete proprio stupendi". Proruppe Hoseok soddisfatto.

 

Quando uscirono da Macy's i tre abitanti del rifugio avevano le orecchie ben coperte da un berrettino di lana pesante. Era ancora pomeriggio, e di quel pallido sole che avrebbe dovuto scaldare la giornata, si intravedeva solo la forma sferica, nascosta dietro ad uno strato di nebbia alto. L'aria era umida e fredda e il vento soffiava gelido.

Jungkook rabbrividì e incassò le spalle, rintanandosi nel suo maglione pesante. Si affrettò a tirare la lampo del cappotto fin sotto al mento e ad infilarsi il paio di guanti che aveva appena comperato, poi si strinse più vicino a Taehyung.

Il suo corpo sembrava scosso da piccoli brividi, ma non disse una parola al riguardo.

"Ehi Chim, qualche giorno fa avevo chiesto al pastore della chiesa se potessi usare la sala conferenze per fare delle prove. Non è certo lo studio di danza a cui sei abituato, ma è gratis. Il piano era di andare a sgranchirmi un po' e cercare di fare sgranchire anche questi pezzi di legno". Disse Hoseok, indicando con un pollice Yoongi e Blake; entrambi avevano l'aria di due che di sgranchirsi non avevano voglia. "Perché non venite anche voi? Mi avevi promesso che avremmo ballato insieme".

Gli occhi di Jimin si accesero in un istante.

"Oh, i-io… n-non saprei… vedi" Cominciò a balbettare prima di rivolgere il suo sguardo verso Jungkook e Taehyung.

Se non fosse stato per il fatto che Taehyung conosceva Jimin da quando aveva nove anni, avrebbe detto che il suo comportamento mirasse a chiedere un silenzioso pretesto per declinare quella proposta. Invece era tutto il contrario: stava cercando di sondare il terreno per assicurarsi che i suoi amici non si fossero sentiti costretti ad assecondarlo.

"Se vuoi andare per me va bene". Disse dunque Taehyung "È davvero da troppo tempo che non ti vedo ballare. Potresti trovare spunti per la nuova coreografia che stavi mettendo su, quella di cui continui a parlare".

"Lo stesso vale per me". Lo assecondò Jungkook, battendo un po' i denti per il freddo.

Taehyung gli passò una mano sulla schiena con forza, cercando di scaldarlo. Non vedeva l'ora di portare il ragazzo in macchina e accendere la stufa per farlo smettere di tremare.

Jungkook doveva restare al caldo.

"Ma, insomma, non deve essere poi così tanto divertente vedermi ballare. Siete davvero sicuri che vada bene?" Chiese Jimin, ma i suoi occhi tradivano già la felicità e l'emozione che non riusciva a celare.

"Certo". Risposero all'unisono.

"Davvero davvero?" Diede un ultimatum, se ancora avessero risposto in maniera affermativa avrebbe proprio dovuto dire a Hoseok che accettava la sua proposta. Il sorriso che si formò sul suo viso andava già da un orecchio all'altro.

"Sì Jimin, davvero davvero". Disse Taehyung.

"Okay, beh, allora certo! Sarà fantastico, sembra una vita che non ballo più con qualcuno. Cavolo non ho nemmeno portato un cambio".

"Nessun problema Chim, ho un paio di pantaloni in più nel borsone. Ci cambiamo quando arriviamo". Sorrise Hoseok, felice di aver finalmente ottenuto quello che voleva: ballare insieme a Jimin.

Concordato che avrebbero passato il resto del pomeriggio insieme, i due gruppi di ragazzi si separarono di nuovo, ciascuno rivolti verso la propria macchina. Una volta dentro l'abitacolo della Volvo, Taehyung alzò il riscaldamento al massimo. Suggerì che fosse Jungkook a sedersi sul sedile anteriore, in modo che potesse avere un accesso diretto ai bocchettoni dell'aria calda.

Jimin non protestò nemmeno, e prese posto sul sedile posteriore. Doveva essere parecchio emozionato dall'idea di ballare insieme ad Hoseok perché non la smetteva più di parlare e di chiedere se davvero non fosse un problema passare il resto del pomeriggio nella sala conferenza di una chiesa pastorale.

Anche se era attento ai suoi discorsi, con la coda dell'occhio Taehyung non perdeva di vista Jungkook, che se ne stava rannicchiato a cercare di reprimere il freddo che provava.

"Senti tanto freddo?" Chiese dunque al ragazzo, sfruttando l'unico momento morto che Jimin avesse concesso loro.

"Sopportabile". Rispose Jungkook sfregandosi le mani insieme prima di soffiare sulla stoffa dei guanti.

"Lo sai che non ti devi sforzare vero? Se è troppo per te, devi dircelo subito e andiamo dritti filati al rifugio".

"Ce la faccio Tae".

"Oh Kookie… io…" Balbettò Jimin. Era stato così tanto concentrato sui suoi desideri che nemmeno si era reso conto del fatto che Jungkook stesse tremando come una figlia.

"Non ti preoccupare Jiminie" Jungkook girò appena la testa per rivolgergli un sorriso "a volte vale la pena congelarsi per vedere una buona esibizione, no?"

Al suono di quelle parole, il cuore di Jimin si sciolse e un urletto davvero poco virile scappò dalle sue labbra.

"Smielato" lo canzonò Taehyung "vedi solo di coprirti bene quando scendi dalla macchina".

Prese una curva larga e fece scivolare la vettura sull'asfalto ancora per un centinaio di metri.

Dai magazzini Macy's fino alla First Congressional Church la strada era breve; poco più di dieci minuti d'auto. Jungkook non ebbe nemmeno il tempo di sentire il corpo riprendere torpore che Taehyung già stava fermando la macchina nel parcheggio, davanti all'entrata secondaria della chiesa.

La First Congressional Church era un grosso edificio di mattoni rossi in stile gregoriano, costruito negli anni Cinquanta da un gruppo di pastori protestanti emigrato dal Maine. La torre campanaria era la più alta tra le chiese di St. Albans, e l'abside, ben visibile dal parcheggio nel quale si trovavano, presentava una serie di cinque absidiole dalla pianta a semicerchio, che ricordavano quasi i petali di una margherita. Una margherita rossa.

Per accedere all'ingresso principale bisognava percorrere un sentiero asfaltato e ben curato che dal parcheggio costeggiava la chiesa per i suoi due terzi. Lì, a pochi passi, c'era la sala conferenze. 

Benché fosse stata una costruzione recente rispetto alla struttura originaria, la sala conferenza non era molto utilizzata. Il pastore se ne serviva solo quando doveva prendere delle decisioni collegiali per la comunità, ma per la maggior parte del tempo era libera ed inutilizzata. Per questo, da buon uomo di chiesa, la metteva a disposizione per tutti quei giovani che avevano bisogno di un luogo di ritrovo.

Dall'esterno non sembrava una struttura particolarmente curata ed appariva molto più brutta rispetto alla mastodontica casa di Nostro Signore. Sembrava quasi come se gli architetti avessero voluto schiacciare un cubo di mattoni forati per poi sormontare la struttura con un tetto spiovente.

A prima vista, più che un luogo per le riunioni della comunità, sembrava il capannone degli attrezzi di un giardiniere. L'unico elemento che faceva gridare alla fede era la grossa croce in ferro battuto, saldata sulla parete esterna dell'ingresso. 

Hoseok trafficò con la serratura per un paio di minuti, prima che uno scatto metallico potesse avvertire che la porta era stata aperta.

Taehyung buttò giù a vuoto. Era dal 1998 che non aveva alcun contatto con la religione. 

Jin non era credente e nemmeno lui aveva una particolare vocazione religiosa, ciò nonostante non storse il naso quando annusò quell'aria di polvere e sacralità che si respirava al suo interno.

Si prese qualche secondo per guardarsi intorno.

Se all’esterno la sala conferenze era sembrata come un capannone, dall’interno sembrava un piccolo auditorium. Ad occhio e croce si poteva dire che la stanza -perché di stanza si stava parlando- era giusto qualche metro più grande del salotto del rifugio. Era stata organizzata in uno spazio unico aperto, che sembrava essere molto più ampio di quanto non fosse in realtà.

L'elemento più di spicco tra quelle quattro mura, era un palchetto in legno, grande quanto metà della stanza e posto in rialzo, rispetto al piano pavimentato, di appena un gradino. Le assi scure erano vecchie e consunte, e sebbene scricchiolassero ad ogni passo, sembravano solide e capaci di sopportare salti e giravolte.

Al centro era stato collocato, probabilmente dal parroco, uno di quei leggii da comizi, anch'esso in legno. Non essendo stato fissato al pavimento però, si poteva spostare per lasciare grande spazio di movimento.

Alla spalle del palco, una grande vetrata colorata occupava per lungo gran parte del muro, ed era l'unica fonte di luce. Le restanti pareti, affrescate di bianco, era spoglie e immacolate.

Tutt'intorno, in un semicerchio ordinato, una schiera di seggiole di plastica aspettavano di essere utilizzate.

Hoseok fece scattare l'interruttore, e la fredda luce delle lampade al neon cadde dritta come un riflettore sulle assi di legno.

"Non è molto, ma può andare". Disse soddisfatto il ragazzo, appoggiando il borsone per terra, prima di frugarci dentro e cercare un paio di pantaloni da lanciare a Jimin. Senza avere altre possibilità, i due cominciarono a cambiarsi.

Blake distolse lo sguardo, ma senza manifestare nessun segno di imbarazzo. Più che altro cominciò a trafficare con il telefono cellulare, cercando nella sezione musica qualche canzone da poter collegare ad un piccolo amplificatore che si era portata dietro.

E se Blake era sembrata così tranquilla alla vista di due ragazzi che si spogliavano, quello che invece non era affatto tranquillo era Yoongi. 

Taehyung non poté evitare di constatare come si fosse irrigidita la sua schiena e lo sguardo, quasi possessivo, sembrava attento ad ogni piccolo movimento di Hoseok. Le sue orecchie poi, erano rosso fuoco. 

"Cosa vuoi che ti metta Hobi?" Chiese Blake con gli occhi ancora incollati sul telefono, incerta su cosa selezionare.

"Metti una canzone qualsiasi di Ricovery, per riscaldarci andrà più che bene". Rispose sbrigativo l'altro, intento a fare un fiocco ai pantaloni della sua tuta in modo che non gli scivolassero sui fianchi. Si cambiò anche la maglietta ma lasciò i guanti lunghi a fasciargli le braccia.

"Non ho altre magliette per te Chimmy. Mi spiace". Disse continuando a frugare nel borsone.

"Non fa niente, quella che ho adesso va bene". Jimin si tolse la felpa e rimase unicamente con una maglietta nera a maniche lunghe.

"Pronti?" Chiese Blake, facendo partire la traccia di On Fire. La voce graffiante di Eminem accompagnò i due ragazzi fino al palco per dare inizio al loro riscaldamento.

Taehyung prese posto di fianco a Jungkook che, nel frattempo, si era andato ad appollaiare su una sedia di plastica al centro della sala. Il ragazzo aveva incassato la testa ancora di più nel suo giubbotto caldo e aveva ritirato i piedi in posizione fetale per farsi più calore. 

Senza pensarci due volte, Taehyung si sfilò il cappotto e lo passò al ragazzo.

"Non c'è bisogno Tae". Tentò di dire lui.

"Invece sì. Mettilo tu, io non ho freddo". Disse poggiandolo sulle sue gambe e cercando di coprirlo interamente.

"Davvero non c'è bisogno…"

"Ti prego Kookie, fammi stare tranquillo".

A quella richiesta Jungkook abbassò il capo e assecondò il volere di Taehyung.

"Senti freddo Kookie?" Blake si sedette sull'altra sedia, alla destra di Jungkook e gli posò una mano sul braccio, cercando di scaldarlo come prima aveva fatto Taehyung.

"Un po', ma non ti preoccupare. Sto bene". Le rivolse un sorriso.

Quella scena turbò Taehyung. A lui le bugie non piacevano proprio. Soprattutto non gli piaceva dirle a coloro che non lo meritavano e che, al contrario, si erano sempre dimostrati gentili e generosi.

Gli amici di Jungkook erano convinti che il ragazzo avesse una strana malattia rara, che sparisse per lunghi periodi dell'anno per sostenere delle cure farmacologiche a Boston, in Massachusetts. Di quella bugia architettata, al rifugio nessuno ne andava fiero, eppure non avrebbero trovato altri modi per spiegare l'assenza prolungata del ragazzo.

Taehyung non sapeva con esattezza cosa si era dovuto inventare Jungkook per fare in modo che tutto suonasse plausibile, ma era riuscito a cavarsela bene fino a quel momento. Forse, la storia della malattia combinata a quella dell'affidamento spingeva i suoi amici a non fare troppe domande sul suo passato.

In ogni modo, sembrava che tutti fossero molto attenti ai suoi bisogni e che lo aiutassero senza mortificarlo né trattarlo come un essere fragile e caritatevole.

"Sicuro? Se ti senti debole ho una barretta di cioccolato nella borsa". Disse Blake.

"No, davvero, ti ringrazio".

"Io mi sento debole. Debolissimo". Disse Yoongi, cercando di impietosire l'amica.

"Tu sei solo ingordo". Ribatté lei.

"Ehi non è vero. Guarda come sono pallido e sudato, ho chiaramente una carenza di zucchero".

"Non credo che la carenza di zuccheri centri con il sudore Yoongs". Disse Jungkook, un sorrisetto sornione ad illuminargli il viso.

"Questo perché tu non ne sai assolutamente niente di scienza del corpo umano". Fece l'altro.

"Scienza del corpo umano? Quanto tecnicismo. Quando torno a casa chiedo a Namjoon, così ti farò vedere che ho proprio ragione".

"Namjoon? E chi sarebbe?" Chiese Blake.

Jungkook spalancò gli occhi in maniera quasi impercettibile.

Avrebbe dovuto mordersi la lingua. 

Era ovvio che i suoi amici non sapessero niente di Namjoon. Nessuno sapeva che, nascosto nel rifugio decadente di una piccola cittadina, uno scienziato stesse facendo ricerca sul branco di lupi che popolava il bosco.

"Nam-Namjoon è…" balbettò il ragazzo.

"Un mio amico". Intervenne Taehyung per salvare la situazione "È all'ultimo anno di università. Vuole diventare uno scienziato. Da quando gliel'ho presentato, Kookie è diventato il suo fan numero uno". Disse cercando di allentare la tensione. E ci riuscì alla svelta.

"Non sono il suo fan numero uno". Protestò il ragazzo.

"Ma se ti brillano gli occhi quando lo vedi".

"Non è vero!" Jungkook arrossì.

In realtà era vero. Jungkook ammirava molto Namjoon e restava incantato quando lo vedeva trafficare con i suoi arnesi da scienziato. Taehyung sapeva che a Jungkook sarebbe piaciuto diventare come quel ragazzo: intelligente e con una marcia in più. A volte sembrava non crederci abbastanza, forse perché non aveva la costanza nello studio e aveva sempre bisogno di essere stimolato, ma da quando aveva conosciuto Namjoon, a Jungkook si era aperta una porta sul mondo.

"Sappi solo che sono molto geloso." Disse Taehyung, ma nella sua voce c'era una sfumatura dolce. E anche se quello che disse fu vero, voleva solo prenderlo un po' in giro.

"Sei comunque il mio preferito". La voce del ragazzo fu solo un sussurro, ma ciò nonostante le sue orecchie divennero del colore del fuoco.

Blake, che era stata attenta alla conversazione, sorrise in silenzio, e Taehyung la imitò senza dire altro.

"Ehi Blake, metti la traccia 6 per favore?" Chiese Hoseok dal palco sul quale aveva appena finito si riscaldarsi.

"Okay capo". Disse la ragazza, riprendo il telefono e smanettando per cercare la canzone richiesta.

Quello che partì dalla cassa fu una musica Hip-hop con un beat molto forte e accentuato realizzato al mixer e che segnava un ritmo molto scandito.

"All'inizio faccio sempre un po' di improvvisazione, ti spiace?" Hoseok si rivolse a Jimin.

"Affatto. Anzi, inizia a muoverti, io ti vengo dietro". Rispose, facendo sorridere l'altro.

"Okay, ma sta bene attento. Io sono veloce".

Hoseok cominciò a muoversi come a scatti seguendo il tempo della base.

Taehyung era abituato a vedere ballare Jimin, con il suo stile contemporaneo, le sue linee dritte e i movimenti ampi e cadenzati, ma quello che faceva Hoseok era tutto un'altra cosa. 

Si muoveva con movimenti rigidi, decisi, precisi al millimetro, che sembravano seguire una sequenza predefinita e alla stesso tempo incredibilmente unica. Se alzava un braccio poi doveva dar seguito a quel movimento accompagnandolo con la mano. Se era un piede quello che muoveva, allora era la gambe che si spostava per far risultare il movimento del busto meno rigido.

Controllava con precisione ogni articolazione, stoppandosi giusto un attimo per muovere quella successiva. Eppure niente di quello che faceva sembrava sgraziato. Al contrario, nel complesso, quel suo movimento robotico era incredibilmente armonico e fluido e a guardarlo Taehyung restò incantato.

Mentre la base dava vita ad un suono più magnetico, il ragazzo si mosse quasi spasmodicamente, come se un'onda attraversasse tutto il suo corpo. Le assi del palco scricchiolarono quando le toccò prima con un ginocchio e poi con l'altro. Accompagnò quell'onda di energia con le braccia, poi si rimise in piedi velocemente, senza il minimo sforzo, come se pochi secondi prima non fosse inginocchiato, come se fosse una molla.

Ed era davvero veloce.

"Sembra una marionetta". Bisbigliò senza nemmeno accorgersene.

"Hobi è un mago del popping". Sentì dire a Blake, ma la ragazza non distolse lo sguardo dal suo amico.

Era impossibile farlo. Hoseok ballava così bene che non era concepibile l'idea di distogliere lo sguardo da lui. Taehyung riuscì a leggere sul suo viso le emozioni che quella base, così poco significativa, voleva comunicare.

Jimin stette a guardare Hoseok con attenzione per qualche minuto, studiando bene i suoi gesti prima di cominciare a muoversi a specchio. Ma i movimenti di Jimin non erano niente in confronto a quelli dell'altro. Erano giusti, corretti al cento per cento, perché li stava copiando dal ragazzo al suo fianco, eppure apparivano meno intensi, più delicati e leggeri. Rispecchiavano il suo animo e la sua danza.

Poi ad un certo punto Hoseok fermò il corpo con un movimento netto. Portò le mani in avanti, e per un attimo Taehyung pensò che avrebbe fatto ballare anche le sue dita. Ma poi fece ballare le sue dita per davvero. Le mosse così velocemente e con una tale fluidità che il ragazzo non riuscì a cogliere i movimenti in sé, eppure le immagine delle figure che componeva e scomponeva risultarono ugualmente chiare.

Jimin rise. 

Non ci provò nemmeno a copiare quel movimento, ma la sua risata fece ridere di cuore anche Hoseok che si fermò del tutto e si girò verso l'altro.

"Sei stato al passo?" Chiese.

"Fino a quando non hai cominciato a fare tutting. Me lo devi insegnare!" Urlò un po' Jimin per sovrastare la base che ancora stava risuonando nella stanza.

Hoseok fece un segno con la mano a Blake che doveva significare di spegnere la musica e si accostò a Jimin.

"Metti le mani davanti alla tua faccia". Cominciò a istruire per poi muovere lentamente le dita spiegando a Jimin ogni singolo movimento, in modo che lo potesse replicare.

"Wow". Taehyung si voltò verso Jungkook.

"È la prima volta che lo vedi ballare?" chiese il ragazzo.

Jungkook non era nuovo alle esibizioni di Hoseok, come anche non lo erano Yoongi e Blake, eppure guardare il suo amico che muoveva ogni sua articolazione era sempre affascinante.

"Già. Non mi avevi detto che era così bravo".

"Saranno anni che lo guardo fare le stesse cose" disse Yoongi, entrando nel discorso a gamba tesa "Le stesse canzoni, gli stessi movimenti, le stesse coreografie. Eppure non mi annoio mai".

"Lo stesso vale per me con Jimin". Asserì Jungkook rannicchiandosi ancora di più sotto il giubbotto di Taehyung per nascondere l’ennesimo brivido. "Quando lo guardo ballare non riesco mai a distogliere lo sguardo".

"Deve ballare piuttosto bene se riesce a stare dietro ad Hobi". Rifletté Blake.

"È sublime". La voce di Taehyung non era mai stata così decisa. "Prima, quando copiava i movimenti di Hobi, era bravo e sapeva stargli dietro, ma se lo vedi ballare un suo pezzo non riesci a guardare nient'altro che lui. Vorresti che si muovesse a quel modo in eterno".

"Addirittura?" Sfidò Blake.

Taehyung girò appena la testa e incontrò lo sguardo della ragazza. "Dopo vedrai".

Per qualche secondo, nessuno disse niente, poi lei sorrise e distolse lo sguardo da quello di Taehyung.

Il gruppo di spettatori dovette aspettare almeno un'ora, il tempo necessario ad Hoseok per insegnare qualche mossa di Hip-hop e popping a Jimin, prima di fruire di un'altra esibizione mozzafiato.

"Fammi fare una pausa Chim. Vuoi dell'acqua?" Disse Hoseok.

"No grazie, sono a posto".

"Perché allora non fai vedere agli altri qualcosa di tuo, scommetto che rimarranno tutti a bocca aperta". Sorrise, andando poi a sedersi sulla seggiola a fianco a Taehyung.

Benché fosse sudato e accaldato dallo sforzo fisico, Jimin arrossì nel modo adorabile in cui sapeva arrossire. Annuì appena e poi chiese a Blake se potesse prendere il suo telefono e selezionare un pezzo di musica classica da far risuonare nello stereo. A Taehyung bastò ascoltare la canzone per capire cosa avrebbe ballato.

Jimin lasciò che alcune note si perdessero nello spazio attorno a lui, spostando appena il collo da destra a sinistra.

Quando avanzò, lo fece in maniera così delicata da non sembrare umano. Aprì le braccia, stese i gomiti e cominciò a muoversi piano. Non c'era una singola parte di lui che stesse fermo. Il suoi movimenti partivano dalle caviglie, arrivando a contagiare le gambe, le cosce, il torso, le braccia, i polsi. I suoi piedi sembravano non toccare terra, i suoi gesti erano leggerissimi. Nei punti dove la musica era più forte e decisa, accelerava, dove era più lieve rallentava.

Era estremamente diverso da Hoseok, che aveva una forza esplosiva. Tutta un'altra cosa, eppure non meno spettacolare.

Forse era la musica, forse era il fatto che sembrava non avere peso, ma Jimin appariva come un angelo. I suoi lineamenti bellissimi e raffinati, il modo di muoversi leggiadro, la sua attitudine naturale a stare sul palco.

Fece un passo avanti e aprì le braccia, arrivando ad accarezzare l'aria come se fosse la sua migliore amica. Il suo sguardo vagò lontano, oltre le sue dita stese. Ancora un passo, poi un altro, sollevò i gomiti e mossa gli avambracci come se fossero le ali di un uccello. Ruotò su se stesso, le gambe toniche e muscolose rigide come stecche di metallo. Poi, seguendo l'andamento naturale della musica, si lasciò cadere delicato come una piuma che si poggia sul terreno.

Taehyung già sapeva quale sarebbe stato il prossimo movimento, quale sarebbe stata la prossima espressione, ma quando la vide, la trovò diversa dalle altre mille volte in cui aveva assistito alla sua esibizione.

Era un'arte particolare quella di Jimin, capace di stregare i cuori.

Fece un salto, uno di quelli acrobatici dove ci si ritrova a volare a testa in giù. La luce della vetrata illuminò la sua schiena e per un attimo a Taehyung sembrò davvero di vedergli spuntare le ali.

La musica finì e Jimin si accasciò al suolo.

Le assi di legno scricciolarono. Nella stanza si sentiva solo il respiro irregolare del ragazzo angelo, stremato dal volo, ma con il sorriso più grande di sempre.

"Allora…" chiese una volta rialzato, appoggiando le mani sulle ginocchia e curvandosi un pochino in avanti, cercando di riprendere fiato "com'era?"

Hoseok lo fissò estasiato "Sei bellissimo". Rispose solo.

Jimin arrossì di nuovo.

"Già. Meraviglioso, non ho mai visto niente di simile". Gli occhi di Yoongi erano appena umidi, le labbra secche e la faccia incantata.

"Davvero?" Jimin sorrise, asciugandosi con una mano la fronte. Il suo sorriso non era mai stato così grande.

"Davvero". Rispose Yoongi "Hai qualcosa che non ha nessun altro, Jimin".

La faccia di Jimin era rossa come un peperone "Oh Yoongi, grazie… io… non so cosa dire".

"Te lo concedo". Disse Blake girandosi verso Taehyung, gli occhi che cercavano quelli del ragazzo "è stato memorabile".

Questa volta fu Taehyung a sorridere.

 

Quando uscirono dalla sala conferenza della Fist Congressional Church il sole era calato e il vento aveva preso a soffiare di più. Era una serata fredda, e la temperatura era notevolmente cambiata rispetto al pomeriggio.

Jimin era sudato dalla testa ai piedi perché non aveva fatto un minuto di pausa. Dopo il suo assolo, aveva cercato di insegnare ad Hoseok un pezzetto della sua coreografia. Doveva ammettere che il ragazzo era riuscito a cavarsela malgrado quello stile non fosse nelle sue corde. 

"Dobbiamo davvero rifarlo. Siamo due stupidi. Perché abbiamo fatto passare così tanto tempo dall'ultima volta che abbiamo provato insieme?" Chiese Jimin mentre ripercorrevano il vialetto che costeggiava la chiesa per arrivare al parcheggio. 

Era estasiato dalla giornata appena trascorsa. 

"Non lo so, ma è davvero bello ballare con te". Concordò Hoseok, mettendosi in testa il cappellino da pescatore.

Il vento soffiò forte di nuovo, facendo accapponare la pelle a Jungkook. 

Il ragazzo non aveva fatto altro che tremare per tutto il tempo, e ormai non riusciva a reprimere gli spasmi. Taehyung cominciava ad essere davvero preoccupato.

"Devo riportare le chiavi al pastore. Mi aspettate? Ci metto giusto un minuto". Disse Hoseok avviandosi verso la porta secondaria della chiesa, quella che dava sul parcheggio. E siccome Jimin non la smetteva di parlare ed era troppo esaltato, dovettero restare ancora esposti al vento di Ottobre.

Ogni minuto che passava era un minuto di angoscia per Taehyung che avrebbe solo voluto accelerare l'attesa. Si avvicinò a Jungkook e gli passò un braccio attorno alle spalle, non sapendo come altro fare per tenerlo al caldo. Ma quando sentì il suo corpo smosso da brividi troppo forti e i denti battere per il freddo, non resistette più.

"Jimin, forse è meglio se andiamo". Disse alla fine, troppo preoccupato per poter aspettare anche solo altri due minuti.

Jimin finalmente interruppe lo sproloquio che aveva in atto con Yoongi e si girò a guardare il ragazzo.

"Oh certo. Scusatemi tanto". Proferì appena i suoi occhi si posarono su Jungkook.

"Ehi, è tutto okay?" Chiese Yoongi guardando il suo amico essere smosso da uno spasmo più forte degli altri. Taehyung si trovò costretto a stringerlo per evitare che cascasse al suolo.

"Si. Deve solo riscaldarsi un po'. Lo portiamo in macchina. Ci dispiace, salutate voi Hobi da parte nostra". Disse Jimin affrettandosi verso Jungkook per poi affiancarlo e posargli una mano sul braccio. "Andiamo".

Dalla bocca di Jungkook uscì un ringhio. Il tono di voce era basso e gutturale, ma il lamento risuonò chiaro nella notte fredda.

"Jungkook". Lo chiamò Taehyung cercando inutilmente di trascinarlo via. Il suo corpo non rispondeva più ai comandi e il tremore era inarrestabile.

"Kookie, stai bene?" Chiese Blake confusa, cercando di avvicinarsi al ragazzo.

"Blake, per favore, sta lontana". Disse di getto Taehyung, in maniera così decisa che l'altra non poté che fare un passo indietro."Jungkook, ti prego, andiamo via". Continuò prendendolo per mano e trascinandolo sempre di più verso la macchina.

Jungkook, che fino a quel momento era rimasto con la testa calata, alzò il volto in direzione di Taehyung. 

Lo sguardo che il ragazzo gli rivolse non aveva nulla di umano.

Taehyung non poté che inorridire non appena vide un rivolo di sangue colare dalla sua bocca, proprio dove due canini aguzzi avevano lacerato la pelle. Come triangoli, quei denti affilati, svettavano più alti di tutti gli altri, lucenti e del colore della luna. 

Il sangue colava lentamente, marcando due scie ai lati della bocca che arrivavano ad intrecciarsi sotto il mento. Piccole goccioline scure si depositavano lì, nell’attesa di farsi sufficientemente pesanti per cadere al suolo.

Bastò quella vista per bloccare il cervello di Taehyung che, involontariamente allentò la presa sul braccio del ragazzo.

"Taehyung!" Cercò di richiamarlo Jimin, che nel frattempo tentava ancora di tenere in piedi Jungkook. Il ragazzino aveva preso a tremare talmente forte da non riuscire più a rimanere dritto sulle sue gambe. Malgrado la presa che l’amico esercitava su di lui, le ginocchia crollarono e le mani si aprirono sull'asfalto del parcheggio.

"Jungkook!" Chiamò Yoongi, cercando di avvicinarsi per aiutare il ragazzo, ma trovando il braccio di Jimin a tenerlo a distanza.

"No Yoongi, sta lontano". Cercò di dire, prima di urlare il nome di Taehyung ancora una volta. 

"Taehyung, ti prego". Implorò alla fine. 

Taehyung cercò di riscuotersi e di non farsi impressionare dalle macchie di sangue sull'asfalto. Quante volte aveva visto una scena del genere? 

Mandò giù a vuoto un paio di volte poi, con mani tremanti, cercò di aiutare Jimin nell'impresa di rimettere in piedi Jungkook. 

Ma non appena Taehyung cercò di afferrargli il braccio, quello gli ringhiò di nuovo.

Le dita, che fino a quel momento si erano aggrappate all'asfalto con forza, cominciarono ad affinarsi. Le sue unghie smangiate crebbero in maniera troppo veloce, portandosi dietro residui di sangue e pelle. Le falangi si ritrassero, producendo un rumore di ossa compresso. Il pollice sembrò quasi sparire completamente, diventando poco più di un’unghia affilata. 

In maniera troppo rapida, i suoi arti si riempirono di una lieve peluria scura che cresceva sempre più folta di secondo in secondo. 

"Jungkook…" provò nuovamente a richiamarlo Taehyung, la voce un sussurro disperato. Dovevano andare via di lì alla svelta. Ma Jungkook ormai non c'era più e quello che emergeva era solo il suo lupo che cercava di prendere il sopravvento.

Dalla labbra del ragazzo uscì un urlo animalesco, di puro dolore, che non fece altro che sovraccaricare l'aria di tensione. Si sentì il rumore delle sue ossa che si spezzavano e si ritraevano.

"È troppo tardi". Bisbigliò Jimin, il cuore stretto in una morsa.

La stoffa del giubbotto si ruppe, lasciando esposta la schiena nuda di Jungkook, e le scarpe si forarono lì dove, poco prima, c’erano stati le sue dita. I suoi piedi, ricoperti di sangue, erano mostruosamente deformati.

Jimin tentò ancora di afferrarlo per trascinarlo via, ma Jungkook lo morse squarciando la tenera pelle del suo braccio. Il grido di dolore di Jimin si unì a quello di Blake. 

La ragazza aveva gli occhi spalancati, fissi sul volto trasfigurato del suo amico.

Su quella bocca che si apriva a dismisura, come se fosse un buco nero pronto a risucchiare tutto. Il rumore della pelle che si lacerava e la vista delle gengive nere che disegnavano il contorno delle fauci del lupo, le fecero orrore. 

Altro sangue colò sull'asfalto e altro ancora rimase bloccato sul pelo che spuntava sempre più fitto dalla sua pelle. 

Il visto si contorse, il naso parve allungarsi in avanti, rimpicciolendosi prima di cominciare a farsi sempre più scuro. La testa si appiattì e i capelli si accorciarono.

Sembrò quasi che la faccia di Jungkook si sciogliesse per poi ricomporsi in un’altra faccia, una che non era la sua.

Taehyung non aveva mai assistito ad una trasformazione così veloce. 

Di Jungkook ormai non restava altro che il suo lupo, tremante dalla testa ai piedi e impaurito fino alla morte.

L'animale mosse la testa in più direzione sentendosi accerchiato e cercando una via di fuga. Jimin provò ad avvicinarsi di nuovo a lui, ma quello ringhiò scoprendo i denti. Inclinò il corpo in avanti, puntellandosi sulle zampe anteriori, pronto a saltare e a difendersi da ogni attacco. Quando vide Jimin che provava ad avanzare lentamente verso di lui, si scansò con un gesto rapido e corse a perdifiato nel vasto spazio del parcheggio.

"Jungkook". Chiamò Jimin, cercando inutilmente di corrergli dietro: Jungkook era troppo veloce. Il lupo si lanciò nella strada deserta e ben presto sparì alla vista di tutti.

Taehyung cadde a terra stremato, guardando il punto in cui il ragazzo lupo se n’era andato.

"Cosa diavolo ho appena visto?" Chiese Hoseok fermo sull'uscio della chiesa.











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P.S. 
Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi, ma il mio cervello è fuso e riesce più a vederli!!

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9





Ottobre 2010


 

Taehyung si svegliò in un bagno di sudore. Il suo cuore batteva talmente veloce che quasi lo sentiva rimbombare nelle orecchie. Appoggiò le mani sul petto, come se desiderasse trattenere quel motore scalpitante.

Dovette aspettare qualche minuto prima che il suo respiro tornasse ad essere regolare, e che l'inquietudine dell'incubo appena avuto scivolasse via. Solo allora, quando ebbe la certezza che più nulla avrebbe potuto fargli del male, mise i piedi fuori dal letto e cominciò a guardarsi intorno.

Cosa cercasse in quella stanza illuminata dalla notte, non lo sapeva nemmeno lui.

Sopra la sua testa, il letto di Jimin, ancora disfatto, era vuoto. Taehyung sapeva bene che, in quel momento, il suo migliore amico era all'Hampton Inn eppure le orecchie si ostinavano a cercare un qualche tipo di rumore che testimoniasse la sua presenza. Era la quinta volta in quella settimana che Jimin faceva il turno di notte e la sua assenza gli pesava come non mai.

A pochi passi da lui un altro letto era rimasto vuoto e freddo, ma al contrario di quello di Jimin, quello di Jungkook era stato rifatto. Le lenzuola sporgevano un pochino da sotto il piumone pesante, lasciando intravedere l'orlo bianco e, sul pavimento al di sotto, si era accumulato un leggero strato di polvere. Era trascorsa una settimana da quando quel letto non veniva usato. 

Una strana sensazione prese il sopravvento di Taehyung. Non era mai successo che quella piccola stanza senza spazi personali potesse sembrargli così grande e vuota. 

Taehyung si alzò e uscì dalla sua camera cercando di non far rumore.

Dalla stanza di Jin proveniva il silenzio più assoluto e lui non voleva svegliare nessuno dei suoi coinquilini. Camminò in punta di piedi per il breve corridoio, e solo allora si accorse che quel silenzio avrebbe dovuto insospettirlo.

Dalla finestra della sala riusciva a vedere che la luce della veranda era accesa e un vociare consunto era articolato fuori dalle mura del rifugio. Cercando di fare più piano possibile si avvicinò alla porta esterna quel tanto che gli bastava per cogliere stralci di conversazione.

"Charle, donne moi un peu plus de temps, s'il vous plaît".

La voce era quella di Namjoon, ma il suo tono era così nasale e modulato che impiegò qualche secondo per riconoscerla. Dal modo in cui articolava la conversazione intuì che doveva essere al telefono perché le sue frasi si perdevano nel silenzio della notte senza una risposta. 

Bastò quel breve scambio di battute per far intuire a Taehyung che Namjoon era agitato come non lo aveva mai visto. 

"Je me fiche des prêteurs".

Taehyung non aveva mai studiato francese e non riusciva a capire nemmeno una parola di quello che l'altro stava dicendo.

"Tu ne peux pas inventer une excuse?" 

"Ils sont aussi importants". Pausa "Charle, Charle, š'il vous plaît". Pausa "Ce n'est pas une affaire personnelle, c'est une question de travail".

Frustrato dal non capire nulla, si allontanò dalla porta e si diresse verso la cucina per recuperare un bicchiere dove poter versare dell'acqua.

Il fatto che Namjoon stesse parlando in francese poteva significare che, all'altro capo del telefono, ci fosse un suo conoscente di Montreal; la cosa lo stranì. Non si era preso la briga di controllare la sveglia prima di alzarsi dal letto, ma era ancora buio pesto. Tra la città canadese di Namjoon e il Vermont non c'era fuso orario; questo implicava che, chiunque fosse il suo interlocutore, doveva essere rimasto sveglio nel cuore della notte. 

- Una notte movimenta per tutti - pensò per un attimo, cercando di scacciare inutili preoccupazioni.

Fu mentre afferrava un bicchiere però, che si rese conto, per la prima volta dopo quasi un mese di convivenza, della voce di Namjoon. 

Era curioso come non avesse mai fatto troppo caso al fatto che Namjoon non avesse per niente l'inflessione tipica del Canada francofono. Al contrario sembrava un americano di Boston, che si mangiava le consonanti a fine parola e allargava i suoni in maniera innaturale. Taehyung si chiese da chi diavolo avesse imparato a parlare inglese. Persino in quel momento, mentre stava parlando al telefono, il suo francese sembrava contaminato. 

L'acqua del rubinetto riempì il bicchiere per metà. Rimase così incantato a guardarlo per qualche secondo, perso nei suoi pensieri, poi senza accorgersene, lo sollevò in aria e lo fece roteare. Il liquido al suo interno si mosse in maniera circolare, come se stesse facendo ossigenare del vino. Quando ne bevve un sorso, un brivido lo percorse per interno.  

Buttò giù un altro po' d'acqua, fermandosi a pensare a quanto tutto fosse fastidiosamente strano. A partire dall'uomo strano che sembrava essere arrivato dal nulla e se ne stava a blaterare cose strane nella veranda del rifugio dopo che uno strano evento aveva sconvolto le sue giornate. 

Poco dopo, il vociare sommesso dall'esterno si acquetò, la luce venne spenta e Namjoon scivolò di nuovo dentro al rifugio.

Dal momento che Taehyung non si era preso la briga di annunciare la sua presenza in alcun modo, lo vide sussultare quando si accorse della figura che se ne stava in piedi contro il lavabo della cucina.

"Oh non ti ho sentito arrivare". Borbottò. Indossava una vestaglia di lana a quadrettoni rossi e neri che gli arrivava lunga fino alle caviglie. I pantaloni grigio chiaro del pigiama si intravedevano di sfuggita. Appena lo vide, Namjoon si affrettò a nascondere, in una delle tasche, il telefono cellulare, come se fosse l'arma di un delitto. Doveva risentire della conversazione appena ultimata perché la sua voce era scossa tanto quanto lo era lui. "Da quanto sei qui?" Chiese.

"Abbastanza". Rispose Taehyung.

"Abbastanza da aver sentito tutto?"

"Già".

Namjonn sospirò.

"Troverò una soluzione". Si affrettò a dire senza riflettere. Senza pensare minimamente che in realtà per Taehyung quello che stava dicendo non aveva senso; e questo solo perché la stessa conversazione che si era ritrovato ad origliare era priva di significato per lui. 

Eppure in quel momento Namjoon sembra colto dal panico più totale. La mente in subbuglio come se cercasse di occultare, con parole di poco conto, un problema più grande di lui. 

Fu solo grazie a quel suo stato di panico che Taehyung poté indagare senza destar sospetto. Perché quella era un'occasione d'oro che non poteva farsi sfuggire.

Assottigliò lo sguardo, ma dovette autoimporsi di non alzare un sopracciglio. 

"E come pensi di fare?" Chiese allora cauto, la voce più neutra possibile.

"Ho alti contatti, ci sono ancora molte persone a cui posso rivolgermi".

"Ah si?"

"Si. Non devi preoccuparti".

"Invece mi preoccupo".

Taehyung guardò Namjoon mordersi il labbro con gli incisivi quasi fino a spaccarselo. 

"Conosco qualcuno che potrebbe darmi una mano. Non farà domande, se gli chiedo di non farle, perciò puoi stare tranquillo. Se dovessimo essere a corto di fondi, lo chiamerò io stesso, ma per il momento siamo ancora a bordo".

Taehyung si morse una guancia. A corto di fondi? L'istinto gli suggerì che in realtà era quella la risposta che stava cercando, ma non poteva fare una domanda così diretta, o si sarebbe fregato da solo. Perciò chiese: 

"Ancora a bordo dici? Ne sei convinto?" Era ben consapevole che quelle domande così incalzanti erano vuote, del tutto prive di significato e volte solo ad arginarlo in una conversazione più simile ad un interrogatorio che ad un confronto. 

Ad un interlocutore attento la cosa sarebbe apparsa lampante, ma Namjoon era in panico e il suo cervello sembrava non funzionare come quello dell'uomo più intelligente che Taehyung avesse mai conosciuto.  

"Sì. I finanziatori sono sempre così. Ti finanziano perché vogliono quello che puoi offrirgli e si spazientiscono se ci metti troppo per darglielo. Ci hanno solo dato un ultimatum, ma non significa che ci leveranno i fondi dall'oggi al domani".

Taehyung dovette sforzarsi di non stupirsi. Mise insieme le informazioni e diede forma ai suoi pensieri. Finanziatori. Era questo il problema? Il laboratorio di Namjoon non aveva più fondi per la sua ricerca?

Per un attimo il cuore del ragazzo si alleggerì e si ritrovò a sperare, a pregare, che tutti i piani di Namjoon andassero in fumo. Che la gente smettesse di credere nelle sue ricerche, che le ritenesse impossibili, noiose, non idonee.

Se l'interesse nei confronti della loro esistenza fosse calato, Namjoon se ne sarebbe andato e li avrebbe lasciati in pace. Li avrebbe lasciati a vivere la vita che vivevano prima della sua venuta.

Ma poi la realtà lo colpì in faccia più duramente che mai. E la realtà era che Namjoon, in quel momento, si trovava proprio nel salotto del rifugio. 

"E cosa succederebbe se va male? Se si stancassero e basta?" Chiese.

Namjoon storse il naso "Te l'ho detto, avrei un piano di riserva".

"Giusto, quel qualcuno che non fa tante domande...  e sentiamo, chi sarebbe questo piano di riserva?"

"Un vecchio amico".

"Se è un vecchio amico perché non lo contatti subito?" Sondò. 

"Noi... Abbiamo avuto qualche divergenza in passato". Namjoon abbassò lo sguardo sui suoi piedi, come se di colpo quelli fossero molto più interessanti di qualsiasi altra cosa.

"Niente di grave. Solo non la pensiamo allo stesso modo. Ma lo chiamerei, se fosse necessario".

Taehyung non aveva dubbi al riguardo. Sapeva che Namjoon avrebbe anche venduto la sua anima al diavolo pur di ultimare le ricerche che stava portando avanti su di loro, ma non perse comunque occasione per provocarlo.

"Non mi sembri molto convinto".

"Lo sono".

"Io non..."

"Senti, so di non starti simpatico e onestamente non mi importa. Non mi interessa se non ti fidi di me come fanno gli altri, non sono qui per piacere a tutti. Ma questo è il lavoro di tutta la mia vita, e non mi sognerei mai di metterlo a rischio per nulla al mondo".

Taehyung lo sapeva già, eppure quelle parole lo irritarono ugualmente.

"E questa è la mia vita, e tu ci sei finito in mezzo e adesso stai giocando a fare lo scienziato trattandoci come animali da laboratorio". La sua voce fu tagliente tanto quanto lo sguardo che gli rivolse. Anche se non avrebbe dovuto, non riuscì a frenare l’istinto di metterlo a tacere. 

"Non vi tratto come animali da laboratorio". Ripeté Namjoon di getto.

"Certo, probabilmente nemmeno te ne accorgi, ma noi siamo questo per te".

"Non è assolutamente vero. Ho molto rispetto per voi e non vi tratterei mai come cavie". 

"E che mi dici di Jin allora?"

Le immagini di Jin sdraiato sul divano di casa e con una serie di elettrodi attaccati al corpo, con lo sguardo fisso su un monitor improvvisato, gli riempirono la testa in un secondo.

"Jin? Che c'entra Jin con la storia della cavia?"

"Oh dai non fare il finto tonto. Lo hai reso il primo delle tue cavie. Te lo sei rigirato come hai voluto, lo hai manipolato. Non so se te ne sei accorto, ma c'ero anche io quel giorno e ho visto quello che gli hai fatto fare, e so per certo che sei stato tu a convincerlo ad abbandonarsi a te. Lui non si sarebbe mai sognato di mercificarsi così". 

Gli occhi di Namjoon si spalancarono a dismisura, come se qualcuno gli avesse gettato addosso un secchio di acqua ghiacciata. Per la seconda volta in quella sera, Taehyung rivide Namjoon agitato, nervoso e preoccupato. Quello fu ancora più strano. 

"I-io non... n-non ho fatto niente a Jin". Ma dietro quelle balbettanti parole si nascondeva qualcos'altro e Taehyung lo fiutò come si fiuta l'odore del tacchino durante il giorno del ringraziamento.

Una voce nella sua mente, subdola e strisciante, cominciò a farsi sentire sempre più forte; una voce che gli suggeriva che quello non fosse più il vero fulcro della conversazione. Che Namjoon avesse presunto, ancora una volta, qualcosa che Taehyung in realtà non aveva capito. 

O forse Namjoon non aveva presunto niente. Forse aveva semplicemente frainteso. Aveva letto le sue parole in un modo tutto diverso da quello che erano e aveva tratto conclusioni affrettate. Ma come poco prima Taehyung aveva preteso di sapere di cosa avesse parlato a telefono lo scienziato, adesso desiderava comprendere e strappare dalle labbra di quell'uomo un'ennesima verità celata troppo a lungo. 

Una verità che forse Jin stesso aveva nascosto troppo a lungo. 

Nuovi dubbi si insinuavano nella mente di Taehyung. Lo spingevano a cercare una soluzione a quella realtà insensata. E come un lampo, un'intuizione vincente, un fulmine a ciel sereno, arrivò a considerare ipotesi a cui non aveva voluto dar credito fino a quel momento.

Una, in particolare, cominciò a solleticare la sua mente e a sgomitare per essere ascoltata. 

Tutte le verità che Jin nascondeva dovevano aver molto più senso se si considerava il fatto che lui e Namjoon si conoscevano già da prima. Prima che lui scoprisse quello strano legame tra loro e lo riportasse alla luce.

D'altro canto, troppe cose non tornavano nel racconto che Jin aveva ricostruito. Come faceva lui a sapere che il fratello di Kim Namjoon era morto? E perché cedere così velocemente all'idea di contattare un perfetto sconosciuto senza sapere come la cosa sarebbe potuta andare a finire? Jin aveva fatto leva sui sogni degli altri, sui sogni di coloro che avrebbero voluto vivere una vita normale. Ma per farlo doveva per forza avere qualcosa di più concreto in mano, qualcosa di più concreto di un nome. Doveva conoscerlo, doveva averci parlato.

E Namjoon, dal canto suo, non aveva impiegato troppo tempo per decidersi ad andare via da Montreal, seguire Jimin nel fitto della foresta del Vermont. Non aveva dubitato di lui quando si era presentato? Non aveva voluto fare delle ricerche più accurate, impiegare del tempo per constatare la veridicità di quanto quello strano ragazzo piovuto dal nulla dicesse? Era come se si aspettasse di essere contattato. Era vero, c'era voluto poco meno di un mese per averlo lì con loro, ma Taehyung aveva avuto come l'impressione che la fatica per cercarlo, raggiungerlo e organizzarsi fosse stata maggiore rispetto a quella che era servita a Jimin per convincerlo a partire insieme a lui.

Inoltre, Jin non dubitava minimamente del fatto che Namjoon sarebbe arrivato.

Ma allora perché fingersi così stupito di rivederlo? Perché imbarazzarsi la prima volta che ci aveva parlato? Taehyung sapeva che non stava fingendo. Jin non sarebbe stato in grado di mentire così su emozioni del genere. Se si fossero conosciuti prima, lo avrebbe accolto in maniera del tutto diversa perché Jin era fatto così. Si sarebbe tradito da solo e questo Taehyung sarebbe stato pronto a giurarlo.

C'era qualcosa di strano tra quei due. C'era troppa complicità, troppa intesa, troppa collaborazione e fiducia. E questa cosa non poteva instaurarsi con un perfetto sconosciuto.

Eppure, contemporaneamente a tutti i sospetti che Taehyung aveva cominciato a nutrire su Jin, non poteva ignorare il senso opprimente di preoccupazione che lo investì cogliendolo in pieno petto. Perché quelle parole di Namjoon gli fecero credere che in realtà qualcosa fosse successo per davvero. Qualcosa che non si limitava ai semplici controlli di routine che gli aveva visto fare. Qualcosa che poteva essere ben diverso dall'esaminare un campione di sangue.

Che avesse fatto qualcos'altro? Che avessero un accordo segreto? Che gli stesse facendo qualcosa di male?

Magari lo voleva morto. Magari voleva ucciderlo per dissezionarlo, proprio come si faceva con una cavia da laboratorio. Stava lavorando troppo di fantasia? Oppure era la verità? 

"Che cosa hai fatto a Jin?" Chiese di nuovo, ormai incurante del fatto che fare la domanda sbagliata avrebbe smascherato il suo gioco. 

- Che cosa avete fatto tu e Jin?- Si ritrovò a pensare. 

"Non ho fatto niente a Jin". La voce di Namjoon tremò un po'.

Taehyung fissò il suo sguardo negli occhi di Kim Namjoon e li trovò spaventati come non mai.

"Stai mentendo".

"N-no io..."

"Non ti azzardare mai più a toccarlo".

"Taehyung..."

"No. Qualsiasi cosa tu stia facendo qui, qualsiasi segreto tu stia nascondendo, non ti permetterò di avvicinarti a lui mai più. E quando i tuoi finanziatori ti lasceranno con un pugno di mosche in mano, te ne andrai e basta".

Namjoon scosse la testa. La paura dilaniò nel suoi occhi, lo rese rigido e incapace di nascondere la preoccupazione. Eppure le parole che uscirono dalle sue labbra, appena accennate e tremanti, furono "Non posso farlo". 

Un ringhio, basso e cavernoso, proruppe dalle labbra di Taehyung. Se si fosse ritrovato a vivere un momento diverso si sarebbe stupito di sé stesso. Quel suono non aveva niente di umano. Era il latrato di un cane, un cane grosso e molto arrabbiato. 

"Te ne andrai e basta Kim Namjoon, o potrei non rispondere di me". Il suo tono di voce era calmo e piatto, come se quelle minacce altro non fossero che le chiacchiere che stava scambiando con un vecchio amico. Ma erano secche e incisive ed erano sovraccariche di verità.

Gli occhi di Taehyung si riempierono di una luce diversa. Uno strano essere, rimasto celato nel suo corpo, dormiente e indisturbato, parve svegliarsi di soprassalto dal suo lungo sonno. 

Udì un suono secco nel suo cervello. Quello che precedeva l'avvento di ricordi spiacevoli e che gli faceva percepire il mondo come un qualcosa di ovattato. 

A volte, la testa di Kim Taehyung non funzionava bene, ma lui non ne era sempre consapevole. 

Per un attimo, un lunghissimo attimo, credette davvero di odiare Namjoon. Un odio profondo e mai sperimentato, crudele e cruento, che lo spaventava e lo spingeva ad agire. 

"Io farò quello che ho sempre fatto". Disse Namjoon. Anche se stava facendo di tutto per non darlo a vedere, tremava da capo a piedi. Taehyung poté annusare l’odore acre della paura riempire l’aria intorno a sé. Sentiva che Namjoon era ferito nell'orgoglio e vagamente risentito, ma non per questo meno sicuro di sé stesso. 

Taehyung si mosse così velocemente che in pochi secondi già era ad un palmo dal naso di Namjoon. Le sue lunghe dita si chiusero attorno al colletto della sua vestaglia, strattonandolo fino a quando tra i loro visi non rimase che lo spazio di qualche centimetro. 

Namjoon annaspò, preso alla sprovvista, gli occhi spalancati. Occhi grandi ed immensi come la luna piena che aveva popolato quella fredda notte di Ottobre e che piano piano stava lasciando posto all'alba. 

"Devi stare fuori dalle nostre vite o giuro che ti ucciderò".  Sulle labbra di Taehyung si dipinse un sorriso, grande abbastanza da arrivare a contagiare gli occhi. 

L'immagine che si proiettò nella sua mente avrebbe spaventato a morte il ragazzo chiamato Taehyung che viveva in lui, ma non toccava minimamente il Taehyung del mondo reale.

Nella sua testa ora c'era solo spazio per un corpo senza vita. Un cadavere. Un morto circondato da una pozzanghera di sangue denso e scuro, appiccicoso. Il sangue arrivava a lambire i contorni di quella figura umana fredda. Una pozzanghera nera come la notte che sporcava i capelli castani di quell'uomo rivolto a faccia in un su. Le lenti degli occhiali spezzati a metà, gli occhi grandi e scuri spenti. Lo sguardo bloccato davanti a sé per l'eternità.

La vestaglia a quadrettoni rossa e nera era aperta e sporca, zuppa persino dell'odore metallico che aleggiava nel salotto del rifugio. La maglietta bianca del pigiama era in parte schizzata di sangue, in parte irreparabilmente fatta a brandelli. Il ventre dell'uomo era stato aperto. L'intestino, riverso fuori, aveva tutte le sembianze di un lombrico. Un grosso lombrico sanguinolento che si stava insinuando in una carcassa vuota. 

Poteva vedere le ossa delle costole, insanguinate e sporgenti. Sembravano volessero premere sui contorni della pelle maciullata per fare un buco, forarla e fuoriuscire all'esterno. 

Poco distante da quella scena, il lupo grigio aveva ancora brandelli di pelle e carne attaccati al muso. Un grosso grumo di sangue e saliva gli colava dai denti. 

Per la prima volta da quando ne ebbe ricordo, non rabbrividì al pensiero del sangue, ma solo perché quello non era più Taehyung.  

"Non ne saresti capace". Namjoon sussurrò, reprimendo a stento il terrore. 

"Lo farò." Sussurrò Taehyung, in una maniera così dolce che la sua voce ricordava la carezza di una madre "Mi trasformerò e pianterò i denti nella tua tenera carne fino a quando non sentirò l'osso del collo spezzarsi. Te lo romperò e masticherò le tue ossa. Le sbriciolerò. Le schiaccerò tra le mie fauci in maniera così sottile da sembrare farina. Ti ucciderò Kim Namjoon. Ti squarterò lentamente. Senza fretta e berrò il tuo sangue e mangerò il tuo cuore ancora caldo e pulsante. Lo ingoierò e quella sensazione di averti tolto la vita renderà vivo me. Di te non resterà più nulla. E te lo prometto, ti prometto che farò in modo che tu possa soffrire con ogni cellula del tuo corpo". 

Taehyung piantò gli occhi in quelli terrorizzati dell'altro e strinse di più la presa che aveva sulla sua vestaglia fino a quando le sue nocche non divennero bianche. 

Non notò che l'ansia di Namjoon si era condensata in gocce di sudore e che quelle avevano, piano piano, cominciato a solcare le tempie. Non notò nemmeno che all'altro erano cedute le ginocchia e che adesso lo stava sorreggendo lui. Una forza non sua si era impossessata del suo corpo. 

Rimasero semplicemente a fissarsi senza dire nulla. Namjoon troppo spaventato anche solo per muoversi, Taehyung perso in una realtà lontanissima. 

Il silenzio attorno a loro crebbe e li fagocitò catapultandoli dentro l’ombra di un incubo. Il tempo parve essersi fermato. Taehyung poteva giurare che le lancette avevano smesso di ticchettare e che loro erano rimasti fermi a metà di un secondo rendendo eterno quell’attimo. Ma che cosa era l’eternità se non poteva essere misurata? Niente, se non un mondo statico e senza vita. 

Chissà quanto ancora sarebbero potuti rimanere fermi a fissarsi, ma il rumore della porta d'ingresso che si apriva ruppe ogni illusione.  

"Taehyung". 

Fu Jimin a ridestarlo e farlo tornare alla realtà dei fatti. Non il suo nome pronunciato dalla voce dolce del suo amico. Fu proprio la presenza di Jimin. 

Taehyung lasciò la vestaglia di Namjoon all'improvviso, facendolo incespicare e scivolare a terra. Il gesto fu talmente repentino da dargli la sensazione di aver stretto, fino a quel momento, un corpo che non fosse solido, ma inconsistentemente fluido. 

Anche se era nella sua forma umana, l'odore fruttato dell'amico gli arrivò più chiaro e forte del normale. Penetrante e opprimente, talmente familiare da soffocarlo e turbarlo all’istante. In tutti quegli anni non era mai stato infastidito dall'odore del suo migliore amico. 

"Che sta succedendo?" Jimin gli poggiò una mano sulla spalla. 

Quando si era avvicinato? Taehyung non si era accorto di niente. Gli era parso di essere fermo a guardare la scena da un altro punto di vista. 

Non rispose. Lo sguardo fisso sulle assi di legno sotto i suoi piedi. 

"Niente. Stavamo solo discutendo". Disse infine Namjoon. La sua voce sembrava provenire dalle assi del pavimento per rompere un silenzio che era durato anche fin troppo, ma che Taehyung non aveva percepito. La voce dello scienziato, ora che la figura di Jimin si era frapposta tra i due, sembrava essersi fatta più sicura. 

"Non mi sembra un buon modo per discutere. Che ti è preso Taehyung?" 

Ancora una volta Taehyung non proferì un suono. 

"Non è niente. Davvero Jimin". 

Un rumore proveniente dall'altra stanza lo distrasse appena. 

"Taehyung!" Lo richiamò l'amico. 

"Ehi, che sta succedendo?" Jin, i capelli ancora arruffati e una copertina sulla spalle, si stropicciò gli occhi cercando di prestare attenzione alla situazione. 

Questa volta, lo stomaco di Taehyung si smosse e lui avvertì il senso di nausea cominciare a farsi sentire. Trattenne il respiro.  

"Non lo so. Sono arrivato e li ho trovati..." 

"Non è successo niente". Intervenne Namjoon, spezzando di netto il discorso di Jimin.  

"Non mi sembrava niente. Sembrava che vi stesse per azzuffare". 

"Come, cosa? Io non vi ho nemmeno sentito". Spalancò gli occhi Jin. 

"Già beh, direi che li ho fermati in tempo. Mi sorprendo di te Taehyung. Mi spieghi che diavolo è successo?" Chiese Jimin. 

"Non hai sentito Namjoon. Non è niente". Il suo tono fu brusco e incontrollatamente alto. Le mani gli tremavano freneticamente e le gambe sembravano si fossero incollate al pavimento. 

Un silenzio denso cadde sul rifugio. 

"Taehyung..." il sussurro parve scivolare fuori dalle labbra di Jin come una preghiera. 

"Ho detto che non è niente". Disse ancora prima di cercare una via di fuga a quella situazione. 

Con una veloce occhiata soppesò la situazione. Jimin non aveva chiuso la porta, ed ora le prime luci dell'alba avevano cominciato a rischiarare l'abitacolo. 

Non rimase molto a pensare. Quella situazione gli stava stretta. Adocchiò le vecchie scarpe da ginnastica che aveva lasciato sull'uscio della porta. Quelle con cui andava a fare jogging. Le infilò e si sporse appena per prendere le chiavi della macchina che l'amico, entrando, doveva aver appoggiato sulla libreria. 

Ignorò i richiami degli altri. Scese i gradini della veranda e si infilò quanto più velocemente possibile nell'automobile. Il sedile era ancora tiepido e l'abitacolo era impregnato dell'odore soffocante di Jimin e per un attimo ebbe la sensazione di dover vomitare. 

Taehyung storse il naso e abbassò il finestrino. Girò la chiave nel quadro, ingranò la retromarcia e diede gas.












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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10






Ottobre 2010 

 

I The Animals alla radio stavano cantando House of the rising sun e Taehyung pensò sarcastico che fosse la perfetta colonna sonora per accompagnare il suo peregrinare senza meta. Erano le 7.40 del mattino e benché venti minuti prima si fosse fermato al diner e come un automa avesse fatto colazione, il buco che aveva all'altezza dello stomaco non sembrava essersi riempito.

Gli avvenimenti di quella notte lo avevano scosso e spaventato. Gli avevano fatto provare timore persino di sé stesso.

Quando il suo stato di confusione mentale si era quietato, Taehyung si era riscoperto orripilato. Non riusciva a capacitarsi dei suoi stessi pensieri e delle minacce infondate che aveva rivolto a Kim Namjoon.

La sua mente continuava a vagare tra i ricordi di quegli avvenimenti, ma gli apparivano sfocati e poco chiari, rarefatti. Ricordava l'odio spropositato che sembrava avergli colmato il cuore, riempiendolo fino all'orlo, e il ricordo gli fece paura. 

Malgrado tutto, non riuscì a darsene una spiegazione sensata. Per quale motivo aveva minacciato Namjoon? Non lo avrebbe saputo dire con certezza. Perché gli aveva promesso di compiere atti indicibili? Non riusciva a capacitarsene. Forse era stato il senso di minaccia che provava ogni volta che la vita di quell'uomo si intrecciava con la sua, o la paura che a Jin potessero capitare cose terribili. Ma era davvero quello il motivo? Erano stati davvero il suo affetto spropositato per Jin e il suo senso pratico di autodifesa ad averlo smosso, o c'era dell'altro?

Lacrime dense spingevano agli angoli dei suoi occhi cercando di rompere un argine invisibile. Non si riconosceva più. Non era lui. Quella persona che aveva sussurrato dolci parole di morte, non era lui. Si fissò le mani strette attorno al volante. 

Di chi erano quelle mani? Di chi erano quegli occhi? E quel corpo?

Taehyung lo avrebbe giurato, non erano suoi. 

Di colpo gli sembrò di essere lontano anni luce da tutto. Dal suo mondo terribilmente instabile, dal suo branco, da sé stesso. Fu quest'ultimo pensiero a proiettargli addosso una sensazione di inquietudine. 

Taehyung non era niente. Non lo era mai stato. Né quando aveva qualcuno al suo fianco, quando aveva i suoi amici, né quando era un lupo, eppure la nuova consapevolezza di non funzionare a dovere gli cadde addosso con pesante irruenza. Perché adesso gli sembrava che nemmeno il suo cervello era in grado di funzionare a dovere. O meglio. Funzionava, ma era come...

Come se qualcun'altro avesse preso il sopravvento. Qualcun altro lo aveva preso e portato via per poi prendere il comando e manovrare i fili del suo corpo, della sua mente.

- Chi sei tu?- Chiese alla voce dentro la sua testa.

Scalò una marcia e rallentò. Non sapeva nemmeno dove stava andando. All'uscita della 104 da St. Albans aveva svoltato a destra per prendere la VT-36, allontanandosi ancora di più da Georgia, dal rifugio e dal suo mondo. La strada provinciale davanti a lui gli offriva la vista di terreni incolti che si apprestavano ad affrontare l'inverno.

Taehyung rallentò fino a fare accostare la macchina sul ciglio della strada deserta. Le ruote anteriori sprofondarono nell'erba, quelle posteriori rimasero precariamente ancorate all'asfalto, vicino alla linea che ne delimitava la corsia. Non appena girò la chiave nel quadro, lo stereo si ammutolì. House of the rising sun smise di diffondersi per l'abitacolo nel momento in cui la chitarra elettrica stava dando sfoggio di sé. 

Il silenzio era totale. Non si sentiva il canto degli uccelli o il passare delle macchine che avrebbero dovuto trafficare la strada. Nessuno prendeva mai la provinciale per Fairfield alle 7.40 del mattino.

- Che cosa stai facendo?- Si chiese. 

Che senso aveva avuto quella sua sottospecie di fuga oltre a sprecare benzina e riversare gas di scarico in una già inquinata aria americana? Perché era andato via dal rifugio e perché continuava a scappare dalla sua casa? 

La testa gli stava scoppiando. Non capiva più niente, e il demone dentro di lui sembrava divertirsi ad abbracciarlo sempre più stretto. 

Sul sedile del passeggero accanto a sé il telefono cellulare prese a squillare per l'ennesima volta. Si era accorto di averlo in tasca solo un'ora prima, dopo che Jimin aveva provato a contattarlo quattro volte. Quando lo aveva tirato fuori, lo aveva guardato come se fosse un oggetto non identificato magicamente piovuto tra le sue mani.

Se non fosse stato per il nome segnato sullo schermo, avrebbe giurato che quell'aggeggio non fosse suo. Questa volta non ci fu bisogno di leggere il nome sul display, ma come era già successo, il telefono squillò a vuoto.

Taehyung non voleva parlare con Jimin. Il senso di colpa nei confronti del suo migliore amico lo stava divorando dall'interno. Non riusciva a spiegarsi la sensazione di soffocamento che aveva provato quando lo aveva avuto vicino, quando il suo odore gli era parso più forte e intenso che mai. Troppo dolce da respirare senza che un conato di vomito potesse cercare di risalire tra le pareti del suo esofago. 

Il suo migliore amico era l'unico che lo aveva sempre capito, eppure in quel momento, nell'ora più buia che precedeva la soglia dell'alba, qualcosa sembrava essere cambiato. 

Jimin gli era sembrato distante. Così distante che si era sentito la notte senza luna che era stato dodici anni prima, quando ancora non lo conosceva. E così aveva rivissuto quel momento fino a quando era rimasto solo con Namjoon; ma quando poi alla soglia del nuovo giorno era spuntata la sua luna e aveva cominciato a splendere alta nel cielo, a Taehyung era parso che quello fosse il satellite di un altro pianeta, che non potesse girare attorno a lui. 

Era sbagliato che una luna di Giove gravitasse attorno a Plutone. Totalmente sbagliato.

Le lacrime ruppero gli argini e cominciarono a cadere calde sulle sue guance. Presto il corpo del ragazzo fu scosso da una serie di brividi e spasmi. Singhiozzi così potenti da fargli vibrare il petto e fargli tremare le corde vocali presero il sopravvento. Un rantolo senza significato uscì dalle sue pallide labbra spezzando finalmente il silenzio. Fu quello il momento in cui i suoi singhiozzi divennero la colonna sonora della sua sosta. 

L'aria nei suoi polmoni sembrava essersi esaurita e lui cercava disperatamente di immagazzinarne quanta più poteva, aprendo la bocca, risucchiandola a forza. 

Perché si sentiva così? Stava forse impazzendo? Era solo a combattere contro lo scorrere del tempo e delle sue emozioni. 

Il telefono squillò di nuovo e il buio che adombrava la sua mente crebbe ancora. 

Con gli occhi bagnati dalle lacrime e il naso gocciolante, lo afferrò e premette il tasto verde. 

"Taehyung! Santi dei, finalmente hai risposto". La voce di Jimin esplose talmente alta nel ricevitore da poter bucare un timpano. Era più allarmato che mai.  

"J-Jimin". Balbettò soltanto il ragazzo, a corto di fiato. 

"Tae, ti prego, torna. Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo. Sono un idiota, non avrei dovuto darti addosso a quel modo. Ti prego torna indietro e parliamo". 

Taehyung aveva un groppo in gola che non riusciva a buttare giù. Gli bloccava la trachea, gli fermava le corde vocali e gli impediva di spiccicare parola. Quando si costrinse a respirare di nuovo gli sembrò che un tizzone ardente gli fosse scivolato tra i bronchi. 

Il dolore lo avvolse. 

- È solo Jimin.- Si disse - Perché non riesci a parlargli?-. 

Ma le parole non gli uscivano. Non era fisicamente in grado di pronunciare nemmeno un suono, non una consonante, non una vocale, niente. Voleva disperatamente parlare con il suo migliore amico. Voleva dirgli come si sentiva, voleva permettergli di capire quanto stesse male, ma non riusciva a pronunciare nemmeno il suo nome. 

Si sentiva così stupido. Stupido e vuoto, intrappolato all'interno di un'auto con il raggi del sole a riempirgli gli occhi, e il buio a mangiargli il cuore. 

"Taehyung? Taehyung?! Sei ancora in linea? Ti prego Tae, dimmi qualcosa. Parlami! Dimmi dove sei. Ti vengo a prendere. Taehyung resta con me. Non scappare, ti prego non scappare via". Dall'altra parte del telefono Jimin aveva cominciato a piangere. 

Il cuore di Taehyung si ruppe in mille pezzi. Come poteva far piangere l'unica persona al mondo che amava più della sua stessa vita? Come poteva ridurre così quel fratello che adorava e a cui doveva la sua esistenza? Quegli anni passati con Jimin erano tutto quello che di bello potesse avere, perché li stava rovinando così? Perché stava scappando da lui? 

Ignorando il bruciore al petto, inspirò profondamente e cercò di deglutire il groppo che gli ostruiva la gola. Doveva sforzarsi di dire qualcosa. Doveva provare a formulare una frase. 

Si sentiva come uno di quei bambini piccoli che arrancavano, che si sforzano per formare un pensiero e alla fine erano stremati e frustrati dall'impresa. Ma lui non era un bambino piccolo, lui era un uomo di vent'anni. 

"Sono fermo sulla strada provinciale in direzione di Fairfield. Ti prego vienimi a prendere". Gli sembrò di aver detto, ma la parole rimase a rimbombare nella sua mente mentre Jimin piangeva disperato nel suo orecchio. A stento aveva aperto la bocca. 

"Ti vengo a prendere - ti vengo a prendere - scusami Tae... non te ne andare". Il discorso di Jimin, come un disco rotto, saltava da una frase all'altra senza connessioni. 

Taehyung urlò dentro se stesso. Non voleva immaginare Jimin in quello stato, non voleva sentire la sua voce piangere per lui. Era colpa sua. Solo colpa sua. Doveva fare qualcosa. Doveva rimediare alla svelta. 

La chiamata stava mangiando minuti interi dalla scheda telefonica, e lui stava continuando a tergiversare senza sapere che dire. Si sentì ancora più stupido e più in colpa che mai. 

Perché Jimin stava perdendo così tanto tempo con uno come lui? Uno che non riusciva nemmeno a parlare come fanno le persone normali? 

 "Sono fermo sulla strada provinciale verso Fairfield. Ti prego vieni". Provò di nuovo, ma senza risultati. Nuove lacrime presero a scorrere sul suo viso, ma i singhiozzi, nemmeno quelli sembravano capaci di uscire dalla sua bocca.

"Sono fermo sulla strada provinciale verso Fairfield. Vieni". Niente. 

"Taehyung non mi lasciare - non mi lasciare. Anche se non dici niente, non buttare giù". Jimin stava cominciando a dare segni di esplodere in una crisi isterica. Doveva fare qualcosa subito. 

"Sono fermo sulla strada provinciale verso Fairfield". Non disse quelle parole, ma quanto meno un rantolo di voce riuscì a venire fuori. Jimin si ammutolì per un secondo. 

"Cosa?" Gli chiese tra i singhiozzi. 

Una lacrima rigò la guancia arrossata dal pianto di Taehyung e un singhiozzo gli scosse le spalle. Tirò su con il naso un paio di volte. Strizzò le palpebre e appoggiò la fronte contro lo sterzo dell'auto. La lacrima sulla guancia solcò il suo mento e cadde sul tappetino, dove i suoi piedi avevano abbandonato la leva di freno e pedale.

"Cosa? Cosa hai detto?" Chiese di nuovo incalzante Jimin. 

"F-Fairfield". Disse in un sussurro flebilissimo, talmente flebile che si chiese come Jimin avesse fatto a sentirlo. 

"Sto arrivando. Aspettami lì. Taehyung ti prego non ti muovere. Arrivo tra cinque minuti". 

Lo sentì trafficare con un mazzo di chiavi, tirare su col naso e aprire una porta, solo a quel punto la conversazione fu interrotta. 

Jimin non ci avrebbe mai messo cinque minuti. Nemmeno volando sarebbe riuscito a percorrere venti chilometri in cinque minuti, ma ce ne mise dieci e per questo, quando Taehyung vide l'auto di Jin fargli i fari lunghi scoppiò in un pianto irrefrenabile. 


All'inizio era stato terrorizzato che il profumo potesse dargli la nausea, ma quando Jimin aveva aperto lo sportello della macchina, si accorse che non percepiva più gli odori in maniera così intensa. Ciò nonostante non gli aveva permesso di toccarlo, o di avvicinarlo. E per un po' il suo amico se ne stese al suo posto, lasciandolo a piangere da solo, senza nemmeno appoggiargli una mano sulla spalla.  

Quando lo abbracciò non fu nulla di avventato. Lentamente, con piccoli gesti di una cura minuziosa, talmente ben calcolati da non poter essere invadenti, si sporse verso di lui e lo strinse forte. Jimin con le sue manine piccole e paffute, freddissime, gli accarezzò le guance bollenti e gli spazzò via le lacrime. Le sue gambe sbatterono contro il cambia dell'auto e dovette fare attenzione a non colpire il freno a mano. Il suo viso bellissimo ed etereo si incastrò nell'incavo del collo di Taehyung per annusarne l'odore. 

A quel gesto, Taehyung spalancò gli occhi e trattenne il fiato, terrorizzato dall'idea di sentirsi di nuovo soffocare. Rimase in apnea per almeno un minuto, ma poi, quando i suoi polmoni non ce la fecero più e ricominciarono a bruciargli nel petto, dovette prendere aria dalla bocca. 

Jimin se ne accorse e si allontanò un pochino.

"Che succede?" Chiese, ma ancora non ricevette risposta. Le manine ferme sulle guance di Taehyung, si spostarono velocemente per sistemargli qualche ciocca di capelli ribelle che gli ricadeva sul viso. 

"Ti da fastidio che ti stai così vicino?" Chiese con voce dolce, continuando a regalargli piccole attenzioni. 

Taehyung scosse la testa. Non gli dava fastidio che stesse così vicino, ma la cosa lo spaventava. 

Jimin si allontanò comunque, risistemandosi meglio al suo posto. Lasciò però che la sua mano continuasse ad accarezzare il viso del suo migliore amico, per tranquillizzarlo. 

"Fai un respiro". Disse piano "Prenditi un po' di tempo. Tutto quello che vuoi. Quando ti sentirai al sicuro, poi parleremo un po'". 

Jimin era un angelo. Non lo era solo quando ballava o quando il suo lato più civettuolo lasciava intravedere il suo aspetto attraente e bellissimo. Era un angelo perché era buono, paziente e sapeva sempre quale fosse la cosa giusta da fare. 

Così passarono davvero tanto tempo senza dirsi niente. 

Anche dopo che Taehyung smise di piangere del tutto, non si dissero niente. Eppure andava bene. Gli occhi dolci di Jimin non lo lasciarono nemmeno per un secondo e le sue manine alternavano momenti in cui stavano ferme, racchiuse in quelle più grandi di Taehyung, ad altri in cui gli sistemavano i capelli. 

Quando a Taehyung tornò la voce, fu in maniera del tutto spontanea e liberatoria. 

Verso l'ora di pranzo Jimin poggiò un dito sul tasto dello stereo e lasciò che la stazione radio li accompagnasse agli anni '60. Anche se non gli piaceva particolarmente quel tipo di musica, non cambiò frequenza, e fu felice di quella scelta quando, poco dopo, la radio trasmise proprio quella canzone che gli piaceva tanto. 

Poco prima che Paul Anka si mettesse a cantare Put your head on my shoulder Jimin sorrise agli accordi che si disperdevano nell'aria. Rivolse uno sguardo al suo amico e poi cominciò a canticchiare a bassa voce.

"Put your head on my shoulder, hold me in your arms, baby" e mentre diceva quelle parole, Jimin si sporse un po' verso il lato del guidatore e poggiò la testa bionda sulla spalla di Taehyung in modo del tutto naturale.

"Squeeze me oh-so tight". Strinse il braccio di Taehyung, abbracciandolo come se fosse una ragazzina in cerca di attenzioni, sorridendo al punto tale da mostrare i denti. 

"Show me, that you love me too". Canticchiò facendogli un occhiolino. 

"Put your lips next to mine..."

E finalmente, Taehyung fece un sorriso. "Non provare a mettere le tue labbra vicine alle mie". Disse e Jimin scoppiò in una risata suonante. 

"Speravo che mi volessi almeno dare un bacino dopo quello che mi hai fatto passare". Scherzò senza allontanarsi da lui, ma sistemando meglio la testa sulla spalla del suo amico. 

Ora Taehyung si era tranquillizzato e non pareva voler scappare via da lui. 

Paul Anka continuò a cantare in sottofondo mentre Taehyung, abbassando il capo, diceva "Mi dispiace" e Jimin tornava a stringergli la mano.

"No, è a me che dispiace. Avrei dovuto stare dalla tua parte". 

"Tu hai fatto solo la cosa giusta. Non avrei dovuto comportarmi in quel modo". 

"Comunque non dovevo sgridarti. Dovevo cercare di capirti, ma non l'ho fatto e quando sei scappato via..."

"Jimin, non giustificarmi. Ho sbagliato". Tagliò corto Taehyung tornando a focalizzarsi sul volante davanti a lui e appoggiandoci sopra la mano che non era intrecciata a quella di Jimin. 

Il suo migliore amico deglutì a vuoto, e aggrottò un po' le sopracciglia. Se in quel momento Taehyung lo avesse guardato in faccia, avrebbe capito che la domanda che da lì a pochi minuti avrebbe posto non gli sarebbe piaciuta. 

"Perché l'hai..." tentennò un po' prima di dire "aggredito?" 

Anche se non lo aveva detto con un tono aggressivo, Taehyung deglutì a vuoto quando sentì quel termine. Era così che era apparsa dell'esterno? Come se lo stesse aggredendo? Era davvero quello l'effetto che faceva?

Di nuovo, Taehyung si ammutolì. Jimin non lo pressò e non gli chiese altro, ma gli lasciò del tempo per cercare le risposte. 

Come poteva spiegare a Jimin un qualcosa che non sapeva nemmeno lui? 

"Non lo so". Rispose alla fine "Non so perché, ma lui... mi ha fatto arrabbiare così tanto. Lo so che non è una buona giustificazione, ma è l'unica che credo sia reale". 

"L'unica reale? Cosa vuoi dire?" Jimin era confuso.  

Taehyung si lasciò sfuggire un piccolo sospiro e aspettò prima di dargli una risposta. Era ancora bloccato in una sensazione che non gli dava pace e confidarsi con Jimin, per quanto bello e liberatorio avrebbe potuto essere, gli metteva addosso una sensazione sgradevole. 

C'era un tarlo che aveva preso a scavare i suoi pensieri. Lo stesso tarlo che aveva contraddistinto ogni giorno della sua vita da umano, e per quanto lui non volesse ascoltarlo, quello tornava sempre a ronzargli in mente e lo spaventava. Aveva paura ad ammetterne la realtà. Gli faceva paura persino pronunciare quelle parole ad alta voce. Forse era per questo che si era ammutolito ed era rimasto in silenzio per così tanto. 

Eppure la concretezza di quell'ipotesi era talmente pesante da non poter essere taciuta. 

Deglutì e inspirò a fondo. 

Nel frattempo, lo speaker radiofonico parve sfruttare quel minuto di silenzio che Taehyung si era preso per annunciare You don't have to say you love me di Dusty Springfield. 

"Io credo di non saperlo con certezza. Non ero... non ero cosciente, credo". Pronunciò quelle parole molto lentamente, come se le stesse cercando con molta cura, timoroso che l'altro non avrebbe potuto accettarlo fino in fondo.  

Jimin si mise a sedere composto e spostò il suo sguardo in quello di Taehyung. 

"Non eri cosciente?" Domandò appena. 

Taehyung scosse la testa in risposta. 

"Puoi - puoi provare a spiegarmi un po' meglio? Non riesco ancora a capire a pieno". 

Gli occhi di Taehyung tornarono a farsi umidi. "Io... io". Balbettò "Non ero in me. Non ero io. Era come se..."

"Come se?" 

"Come se ci fosse qualcun altro al mio posto. Cioè ero sempre io, ma in quel momento, io non c'ero per davvero e allora qualcun altro ha preso il mio posto". 

"Qualcun altro come..."

"Come me stesso, ma non io... non so se ha senso, ma... ho visto delle cose mentre me la prendevo con Namjoon... delle cose davvero brutte". I suoi occhi si riempirono di lacrime e le mani cominciarono a tremargli senza sosta.

Jimin se ne accorse e, per l'ennesima volta, gliele afferrò subito "Ehi, spiegami con calma". Sussurrò dolcemente. C'era qualcosa nel tono calmo e rassicurante di Jimin, che spaventava Taehyung, come se tutta quella comprensione sarebbe svanita se avesse saputo la realtà dei suoi pensieri. Deglutì a vuoto, poi, sospirando, si fece forza per riprendere il suo discorso.

"Ho visto che gli facevo male". Le lacrime tornarono a rigare le sue guance "Era una scena orribile. Non so come abbia fatto a non vomitare quando l'ho vista ma..." Di nuovo, bloccò il suo racconto e di nuovo, Jimin, pazientemente, non cercò di mettergli fretta. 

"Quando dici che l'hai visto, intendi dire che hai avuto come una sorta di visione?" Chiese ad un certo punto. 

Taehyung annuì anche se la parola visione non era perfettamente corretta. La parola giusta era allucinazione. Un'allucinazione potente e vividissima, talmente forte da dargli l'impressione di aver percepito realmente anche l'odore del sangue oltre che lo sguardo assente e vuoto di quel Namjoon riverso morto sul pavimento. 

Se fosse stato turbato da quella rivelazione, Jimin non lo diede a vedere, al contrario trattò la vicenda come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

"E nella tua visione, tu cosa facevi nello specifico a Namjoon?" 

Taehyung deglutì, poi rivolse il suo sguardo umido di pianto verso Jimin. 

"Non ero io a fargli qualcosa. Era il mio lupo... lui lo aveva ucciso e se lo stava mangiando." La sua voce avrebbe dovuto tremare, ma rimase salta su quelle parole. 

Questa volta, Jimin non riuscì a nascondere lo sgomento che quella rivelazione gli aveva lasciato. Era stato colto impreparato. 

Negli anni, aveva imparato a capire che Taehyung era fragile e che nascondesse un passato oscuro. Lo aveva sempre saputo e, col tempo, alcuni dettagli erano riusciti a venire fuori, ma i più restavano ancora celati dentro al suo tenero cuore. 

Jimin avrebbe voluto ascoltare il suo lungo racconto. Credeva che una confessione lo avrebbe reso libero e gli avrebbe permesso di voltare pagina, di andare avanti con la sua vita. Ma non era così facile. Taehyung non era così facile. Era delicato e c'era bisogno di usare perseveranza e dolcezza con lui. Una grande dose di perseveranza e dolcezza. Per questo non si era arrabbiato quando era scappato di casa, per questo era entrato in panico all'idea che il suo amico potesse essere andato lontano da lui e per questo non poteva permettersi di farlo sentire giudicato. 

Non riusciva ancora a comprendere tutto di lui e della sua realtà. Però sapeva. Sapeva che in quel momento nel suo corpo si stava consumando una battaglia incredibilmente complessa. Lo vedeva dalla sua espressione, dal modo esitante che lo spingeva a calcolare ogni parola. 

"Jimin, e se ci fosse qualcosa che non va nella mia testa? Se stessi impazzendo anche io?" Quando Taehyung disse quelle parole fu dopo che la seconda canzone finì. Il tiepido sole pomeridiano di metà Ottobre stava surriscaldando il tetto della macchina e creava al suo interno una piacevole cappa di calore. Ciò nonostante, Jimin si sentì gelare.

"Non dire sciocchezze". Si affrettò a dire. 

"E' possibile. Lo sai che è possibile." La voce di Taehyung era così calma che non sembrava appartenere a lui. 

"E' stato solo un momento Tae. Solo un momento. Non c'è niente che non va nella tua testa". Affermò Jimin, stringendogli le mani. 

"Non lo so se è stato solo un momento. A volte è come se andassi in blackout. A volte mi perdo nei ricordi. Recenti o lontani. A volte non capisco come passa il tempo". Mano a mano che parlava, il suo sguardo si velava di una strana emozione accondiscendente e rassegnata. "Sarebbe plausibile, se fossi pazzo. Sarebbe molto più che plausibile. Lo sai anche tu". Concluse.

Jimin scosse la testa con forza. Si rifiutava categoricamente di credere a quello che il suo migliore amico stava dicendo. 

"Non sei pazzo".

"Chim..."

"Non lo sei". Il suo sguardo non era mai stato così deciso. "Non lo sei perché l'ho deciso io". 

Taehyung sorrise "Non funziona così". 

"Invece sì. Non puoi essere pazzo. Magari sei un po' anticonvenzionale e magari, a volte, ti perdi un po' nel tuo mondo, ma questo non significa niente. Esistono un sacco di persone così. I grandi artisti sono sempre persone molto singolari, magari diventerai come uno di loro". La sincerità che animava il suo discorso traspariva a pieno dalla sua voce. 

"Jimin". 

"No, non dire Jimin a me". 

"Non sto dicendo che sono sempre fuori di testa, ma che forse è plausibile dal momento che..."

"Non dirlo nemmeno". 

"Jimin! Sii obbiettivo". 

"Lo sono". 

Non lo era. Non poteva esserlo se il suo migliore amico stava vivendo con un peso così grosso a gravargli sul cuore. Avrebbe inventato di tutto pur di non farlo cadere in quel baratro così profondo. 

Taehyung gli sorrise di nuovo e di nuovo tornò a chiedersi cosa avesse fatto di così meraviglioso per meritarsi accanto una persona come Jimin. 

"Sarebbe normale se ci fosse qualcosa che non va nella mia testa. E' genetico". Disse infine. 

Jimin si morse il labbro con gli incisivi. Taehyung non glielo aveva mai detto, ma adorava il fatto che i suoi denti davanti fossero accavallati in maniera quasi impercettibile. Anche quel dettaglio riusciva a valorizzarlo, a conferirgli ulteriore bellezza. 

"Beh, allora sai cosa? Che c'è di male? Non sei uno squilibrato. Sei assolutamente normale. Magari qualche volta hai i tuoi momenti, ma ogni persona nasconde qualcosa. E fino a quando non sbranerai davvero Kim Namjoon, io non crederò al fatto che tu sia pazzo". Disse in un impeto di irrazionalità, perché in quel momento non voleva credere a niente che non fosse stato stabilito da lui.  

"Cosa farei senza di te?" Gli chiese allora Taehyung. 

"Niente. Assolutamente niente. Per questo non devi scappare mai più". Affermò serio Jimin. 

"Non sarei andato troppo lontano". 

"Non mi importa. Da ora in poi, dovunque andremo, ci andremo insieme. Devi giurarmelo, Tae". E se il suo sguardo non fosse stato così maledettamente serio e pregno di apprensione, Taehyung gli avrebbe detto che c'era dei luoghi in cui non voleva portarlo con lui; il bagno era uno di questi. 

"Te lo prometto". Disse quindi, legando il mignolo a quello dell'amico per poi sigillare la promessa facendo combaciare i pollici. 


Quando tornarono al rifugio il sole era quasi calato. Alla guida della Volvo Taehyung ascoltava pigramente la radio, lanciando, di tanto in tanto, fugaci occhiate allo specchietto retrovisore. Alla guida della Land Rover di Jin, Jimin sembrava ancora più piccolo e carino. 

Taehyung sorrise a quella visione, facendo scivolare la macchina lentamente verso la strada di casa. 

Aveva cercato di rimandare quel momento per tutta la giornata. Tornare al rifugio significava incontrare Namjoon e non sapeva come si sarebbe dovuto comportare con lui. Avrebbe dovuto chiedergli scusa, avrebbe dovuto cercare di chiarire con quell'uomo strano, ma la cosa lo metteva a disagio e lo faceva sentire sbagliato. Certo, avrebbe anche potuto nascondersi in camera sua e cercare di evitare l'altro, ma il rifugio era troppo piccolo per permettere a due inquilini di coltivare un silenzio pesante. 

Aveva saputo, da Jimin, che Namjoon aveva accompagnato Jin a lavoro con la sua auto e che era rimasto con lui tutto il giorno. L'idea di Namjoon che si nascondeva nell'ufficio di Jin per evitarlo sarebbe stata esilarante se il motivo scatenante non fosse stato lui stesso. 

Ad ogni modo, Jin stava ancora lavorando e con ogni probabilità non sarebbe rincasato prima di un'ora. Avrebbe avuto tempo a sufficienza per imparare un discorso a memoria e ripeterglielo come scusa. Si sarebbe fatto aiutare da Jimin, lui sapeva sempre come cavarsela in situazione come quelle. 

Taehyung prese una curva larga e rallentò, ormai in prossimità del rifugio. I suoi pensieri erano fermi sull'eventualità di quello che sarebbe successo. Sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi per sembrare credibile e, anche se Namjoon non gli era mai piaciuto poi tanto, era preoccupato che potesse non accettare quelle blande scuse. 

Ma appena svoltò l'angolo e immise l'auto nel vialetto sterrato del rifugio, la realtà che gli si parò davanti fu ben diversa da quella che si sarebbe aspettato. 

Perfettamente parcheggiata nel piazzale una vecchia Buick Riviera verniciata grigio perla metallizzato sarebbe stata capace di attirare gli sguardi di tutti. Quel vecchio catorcio doveva essere stato rimesso a nuovo perfettamente. La sua fisionomia sembrava gridare anni Ottanta, ma Taehyung ci avrebbe scommesso che sotto il cofano era stato installato un motore truccato. 

Quella era l'esempio calzante di macchina magica. 

Anche se non aveva mai visto quell'auto prima di allora, non impiegò molto per capire a chi apparteneva. Hoseok non sarebbe stato capace di scelte sobrie nemmeno per quanto riguardava le sue auto. 

Per quanto non fosse felice di scorgere tre teste ferme sulla veranda di casa loro, Taehyung non ne fu sorpreso. Sapeva che, prima o poi, la resa dei conti sarebbe dovuta arrivare. Avevano cercato di evitarli per troppo tempo. 

Taehyung parcheggiò la sciatta Volvo di un colore grigio commerciale di fianco all'auto di Hoseok e aspettò che Jimin facesse lo stesso con la Land Rover. 

Quando aprì lo sportello fu consapevole di andare incontro all'ennesimo problema che la sua esistenza gli stava presentando. 









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P.S. Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11






Ottobre 2010

 

Blake teneva stretta la mano di Yoongi come se, da un momento all'altro, un uragano avrebbe dovuto abbattersi sul rifugio e lui fosse la sua unica ancora di salvezza.

Seduta lì sul quel divano logo, stretta tra i suoi due amici, si guardava intorno con un'espressione indecifrabile. A Taehyung pareva di sentire i ragionamenti che il suo cervello le proponeva. Si stava domandando Questo rifugio microscopico è davvero il posto dove Jungkook ha vissuto per tutto questo tempo? 

Dal canto suo, credeva che, se fosse stata in lei, sarebbe rimasto inquietato dagli strani oggetti che riempivano quel salotto trasandato. La sensazione di essere bloccati nella microscopica stanza di un laboratorio non poteva essere ignorata.

Blake lanciò un'occhiataccia a Hoseok quando allungò una mano per prendere un'ampolla. La  sollevò per portarla in controluce e poi la agitò smuovendo lo strano liquido giallognolo presente al suo interno. Nemmeno lui avrebbe saputo dire con che diavolo di sostanze lavorasse Namjoon. 

Rimase zitto mentre aspettava Jimin che, da bravo uomo di casa, stava preparando del tè caldo. Il silenzio che era calato tra di loro era spesso, pesante e Taehyung, che era reduce da una giornata impegnativa, non trovava le forze per spezzarlo. Si rese conto di essere incredibilmente stanco, troppo stanco anche solo per sedersi composto sulla sedia che aveva disposto al centro del salotto per fronteggiare gli ospiti. Quella situazione doveva sembrare irreale tanto ai suoi occhi quanto a quelli dei tre ragazzi. Mai si sarebbe aspettato che Jungkook potesse trasformarsi così all'improvviso, lasciandoli sommersi nei guai. 

"Ecco qua". Disse Jimin offrendo il vassoio con le tazze di tè ai ragazzi. Quasi contemporaneamente, tre paia d'occhi si rivolsero nella direzione del suo amico, ma lui non sembrò minimamente a disagio.

Yoongi afferrò una tazza con diffidenza, annusando il contenuto senza berne neanche un sorso. Hoseok invece non ci pensò due volte prima di assaggiarlo. 

"È ottimo." Commentò. A Taehyung sembrava l'unico del gruppo a non essere ostile nei loro confronti e gliene fu riconoscente. 

"L'ingrediente segreto è la marmellata". Sorrise amabile Jimin, senza però mostrare i denti. 

"Buono a sapersi". Borbottò Blake, alzando un sopracciglio. La ragazza appariva restia a trovarsi in quell'ambiente insieme a quei tipi strani. 

Taehyung si disse che forse era spaventata da loro. In fondo non capitava tutti i giorni di vedere un amico trasformarsi in lupo davanti ai propri occhi. Era normale che Blake non si sentisse a suo agio a stare con loro. 

Quello che era successo una settimana prima, doveva averli senz'altro sconvolti. 

Era stata una faticaccia cercare di rassicurare i ragazzi sull'accaduto. In realtà era stato Jimin ad occuparsi di sistemare, almeno temporaneamente, la faccenda; Taehyung era troppo scosso e non sarebbe stato capace di articolare bene i suoi pensieri. 

Jimin li aveva pregati immensamente di non proferire parola con nessuno di quanto avessero visto e di tenere il segreto. Aveva promesso che avrebbero dato spiegazioni più concrete nei giorni seguenti, ma poi questa priorità era lentamente scivolata sul fondo della lista di cose da fare. Per prima cosa, dovevano assicurarsi che il lupo di Jungkook avesse lasciato la città e che non girasse per le strade seminando il panico. 

Non avevano perso tempo. Avevano piantato in asso quei poveri ragazzi e si erano fiondati in macchina; Taehyung aveva guidato senza sosta per quattro ore. Erano stati in giro fino a notte tarda, abbagliando l'asfalto con i fari dell'auto, ma ciò nonostante non lo avevano trovato. Così, il giorno dopo, lo avevano passato a setacciare la foresta, nella speranza di scovare delle tracce del passaggio del ragazzo-lupo. Tracce che gli permettessero di intuire che fosse tornato ad abitare il bosco, lontano dagli occhi degli altri. C'era voluta tutta la giornata, ma per fortuna avevano trovato impronte fresche vicino ad una pozza d'acqua, nel folto degli alberi. Evidentemente Jungkook voleva ritrovare la sua casa tanto quanto lo volevano loro. 

"Dunque..." Ancora una volta fu Hoseok a rompere il silenzio. 

"Si?" Chiese cordiale Jimin, prendendo posto sulla sedia che aveva disposto di fronte al divano e vicino a quella di Taehyung. 

Il ragazzo esitò un attimo prima di rispondere timidamente con un "Non so". Alzò un braccio magro e portò una mano a grattarsi il retro della testa. Quel giorno, Hoseok era stravagante come al solito. Indossava una camicia Hawaiana a mezze maniche di un bel blu cielo, aperta sul davanti e che metteva in mostra la t-shirt bianca con il logo delle Spice Girl. La faccia giovanile di Melanie C ammaliava tutti con un sorriso suadente. I blue jeans attillatissimi erano stati adornati da spillette e toppe, e ai piedi portava un paio di converse rovinate. 

"Perché non cominciate voi a dirci come state?" Provò Jimin, che per tutta la settimana era stato preoccupato per loro. 

"Non è per questo che siamo venuti qui". A parlare fu Blake, la voce tagliente e affilata come il kunai di un ninja. 

Benché Taehyung immaginasse quanto fossero scossi, non poté evitare di sentire una punta di irritazione e fastidio crescergli nel petto dopo averle sentito pronunciare quelle parole.  

"E per cosa siete venuti allora?" Le chiese, non riuscendo a mordersi la lingua e lasciando che il suo tono provocatorio prendesse posto tra loro due. 

"Beh, di certo non per sapere che diavolo mette Jimin nel suo te". Rispose pronta lei. 

"Blake". Yoongi strinse la mano della sua amica, cercando di intimarle di star calma e Hoseok le lanciò un'occhiata. 

"Cosa! È la verità. Non riprendermi solo perché io gliela sbatto in faccia. Ci hanno trattato come scemi e sono spariti senza darci nemmeno l'ombra di una spiegazione. Scusami se non sono gentile, ma devono dirmi che diavolo sta succedendo". Disse concitata. 

Taehyung si morse il labbro. Si era sbagliato: Blake non era spaventata, era arrabbiata. Terribilmente arrabbiata. Quella ragazza che aveva urlato in preda alla disperazione nel parcheggio della First Congressional Church sembrava sparita nel nulla. I suoi occhi colmi di terrore adesso erano stati rimpiazzati da un atteggiamento aggressivo e pretenzioso e, chissà perché, Taehyung percepiva che il suo astio fosse diretto proprio a lui. Non a lui e Jimin, unicamente a lui. Come se il fatto che Jungkook si trasformasse in lupo fosse una sua colpa, non la colpa di qualcun altro.

E fu strano. Strano perché non si sentì minimamente infastidito dal suo rancore, bensì provò una segreta lusinga nelle attenzioni che gli stava rivolgendo. Normalmente Taehyung sarebbe stato indispettito dal quell’atteggiamento, ma nelle ultime ore si era reso conto che di normale non c’era più nulla. Per cui si lasciò travolgere dalla sorpresa di quello che lui stesso stava provando e decise semplicemente di assecondare i suoi sentimenti, scendendo a patti con le proprie emozioni.  

"Cosa vuoi sapere? Fammi una domanda, cercherò di rispondere a tutto quello che mi chiedi". Affermò allora, cercando di usare un tono deciso per farsi bello ai suoi occhi. Forse voleva provocarla un po' o forse voleva davvero rispondere alle sue domande. Non lo sapeva nemmeno lui.

Jimin stranito, gli rivolse un'occhiata. Entrambi sapevano che l'atteggiamento che stava avendo era insolito, e Taehyung se ne vergognò. In genere non era così audace, eppure qualcosa doveva averlo acceso. Che fossero stati gli eventi di quella giornata o la ragazza di fronte a sé, non avrebbe saputo dirlo. Per questo decise di ignorare lo sguardo indagatore del suo amico. 

Blake piantò gli occhi color nocciola dentro quelli di lui. Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Taehyung sarebbe morto. 

"Perché non cominci col dirmi cosa diavolo ho visto sabato scorso". La sua non fu una richiesta, ma una pretesa e Yoongi al suo fianco dovette nuovamente farle cenno di stare calma. Il ragazzo aveva una tremenda paura che la discussione poteva prendere una piega sbagliata: cosa sarebbe successo se Blake avesse detto qualcosa che a quei due non fosse andato giù? Il suo sentore di pericolo era alla massima allerta e stare in quella casa lo preoccupava. 

"Quello che hai visto sabato scorso era Jungkook che si trasformava in lupo". Disse tranquillo Taehyung. Jimin cercò subito di mettere a tacere il suo amico rifilandogli un colpetto sul petto.

"Tanto lo hanno visto con i loro occhi Chim. Se avessero voluto avrebbero potuto dirlo a tutti". Taehyung gli rivolse appena un'occhiata veloce, tanto per mettere in chiaro che non avrebbe più mentito. 

"Non fare il finto tonto Taehyung. Sai cosa intendo". Blake non si era nemmeno scomposta. 

Quella era la prima volta che la ragazza diceva il suo nome. Involontariamente, gli venne da sorridere e dovette abbassare il capo per non esporsi agli occhi degli altri. Facendo finta di sistemarsi la zazzera di capelli neri, prese qualche secondo per ricomporsi prima di replicare "È quello che mi hai chiesto. Se non ti piace come risposta fai una domanda più precisa".  

"Brutto..."

"Okay". Gridò Yoongi per fermare l'amica. Quella fu una sorpresa per tutti: Yoongi non alzava mai la voce. "Adesso vi faccio io una domanda e vorrei che ci rispondeste in modo più esaustivo." Non incrociò lo sguardo di nessuno quando disse "Questa cosa... da quanto va avanti?". 

Jimin scoccò un'altra occhiata a Taehyung, insicuro di quanto l'amico volesse andare in fondo alla vicenda. Se ci fosse stato Jin in casa avrebbero potuto semplicemente lasciare che fosse lui a spiegare tutto ai ragazzi. Jin era capace di rendere il loro mondo surreale, assolutamente logico e coerente. Utilizzava parole talmente giuste che avrebbero spinto anche il più scettico dei realisti a credere che quella altro non fosse che la pura verità. Ma Jin adesso non c'era. Perciò, Taehyung rivolse a Jimin un cenno con il capo, facendogli capire che non c'era motivo di nascondere più nulla. Era il momento della verità. 

"Jungkook si trasforma in lupo ogni inverno". Disse infine Jimin, dopo essersi schiarito la gola "È così da quando ho memoria di lui, da quanto è arrivato al rifugio...". 

"Da quando è arrivato? Pensavo che fosse stato preso in affido da Jin". Lo interruppe Hoseok. 

"Sulla carta, per motivi legali e burocratici, è così". Rispose Jimin "Abbiamo sempre detto che Jin lo ha preso in affido, come ha preso in affido me e Taehyung, perché è la cosa più facile da dire. Ma la verità è che lo abbiamo trovato sulla veranda di questa casa una notte di sei anni fa". 

Jimin fece una pausa, sistemandosi meglio sulla sedia prima di continuare "Jungkook non parla molto della sua vita prima del rifugio, ma per lui non è stata facile. Aveva dei genitori, ha dei genitori, ma c'erano delle altre complicazioni..." Jimin tentennò "Non so se posso raccontarvi la sua storia, non sta a me farlo... Comunque è scappato quando ha capito che c'era qualcosa che non andava in lui e che questa cosa lo rendeva diverso. Quando è arrivato qui... era stremato. Deve aver corso per decine e decine di chilometri e poi era bagnato fradicio, il che ci ha fatto presupporre che abbia tentato di attraversare il lago a nuoto. Se ci penso... è incredibile... che sia riuscito a fare tutto questo, è incredibile". Jimin cercò lo sguardo prima di Hoseok, poi di Blake e infine di Yoongi. "Non credo sia arrivato da noi per caso, penso che sia arrivato da noi perché è così che doveva essere. Non sapeva che questo rifugio era abitato da qualcuno. Semplicemente gli era sembrata una fortuna aver trovato una casa dispersa nel nulla. Era notte fonda, era piccolo e tremava da capo a piedi. Quel bambino pallido e magrolino, con due occhi enormi, faceva tenerezza solo a guardarlo". Jimin sorrise interrompendo nuovamente il suo racconto. Spontaneamente sorrise anche Taehyung. Il ricordo di quella notte era più vivido che mai nella sua coscienza: Jungkook sembrava piccolissimo e fragile. Non aveva nemmeno compiuto undici anni, ed era totalmente solo. 

Lo capirono subito. Che anche lui era un lupo come loro. Impiegarono giusto il tempo di un'occhiata. 

"Non ci abbiamo pensato due volte a prenderlo con noi". Jimin riprese il suo racconto "Da quel momento in poi, è semplicemente cresciuto qui ed è diventato nostro fratello a tutti gli effetti. Magari non sembra perché siamo una famiglia un po' raffazzonata, ma gli vogliamo bene e cerchiamo di proteggerlo come meglio possiamo. Lui è molto delicato e soffre molto il cambio di stagione... Noi, ehm, non sappiamo ancora bene come funzioni questa cosa, come fa il corpo a cambiare, a trasformarsi in qualcun altro... in qualcos'altro. Ma quando fa freddo, allora... il corpo inizia a mutare..." Jimin era in difficoltà. Come avrebbe potuto spiegare una cosa del genere a dei ragazzi? 

"È per questo che sparisce ogni inverno?" Hoseok, forse accortosi della sua difficoltà, cercò di andargli incontro. 

"Sì". 

"Nessuna clinica privata in Massachusetts?" Chiese ancora.

"No, nessuna clinica". Jimin si grattò il capo con una mano "Ci dispiace avervi mentito. Ma cos'altro potevamo dirvi? Questa è una storia un po' fuori dagli schemi, ci avreste presi per matti". 

"Che è come ci sentiamo noi adesso". Disse Blake, lanciando un'occhiata di fuoco a Jimin. Era lampante che la commovente storia di Jungkook non l'avesse smossa dalle sue convinzioni. 

"A maggior ragione dovreste intuire cosa poteva significare dirvi una cosa del genere". Intervenne Taehyung "Perché non è una verità facile da accettare. Non è certo all'ordine del giorno". 

"Direi di no". Disse Hoseok sistemandosi meglio sul divano di casa. Quel ragazzo stravagante era sicuramente molto più calmo dei suoi amici e decisamente molto più curioso. Avrebbe voluto ascoltare per ore ed ore quello che quei due avevano da dire a riguardo. 

"Ma torna indietro vero? Cioè... sta bene no?" Yoongi balbettò quelle domande senza specificare davvero nulla. Era difficile per lui, credere a una realtà simile. Era assurda, insensata, metteva i brividi, e lui la paura non riusciva a soffocarla o a trasformarla in un sentimento che avrebbe potuto dargli più energia.  

"Sì, torna indietro e, sì, sta bene". Rispose Jimin, comprendendo le sue difficoltà e sforzandosi per andargli incontro.  

"Prossima domanda". Blake si introdusse aggressiva nel discorso e cercò gli occhi di Taehyung prima di dire "Anche voi siete come lui?" 

- Dritta al punto.-

Taehyung non aveva potuto fare a meno di notare quanto cauto fosse stato Jimin nel formulare il suo discorso fino a quel momento. Non aveva mai parlato al plurale. Non c'era mai stato un noi, ma solo un Jungkook. Sapeva che, se il suo amico era stato così accorto, era solo perché non voleva spaventare ulteriormente i ragazzi e metterli in condizione di avere paura di loro. Ma se quella era la domanda… 

"Sì". Rispose secco. 

Yoongi deglutì; al contrario Blake non parve turbata dall'essere in una casa con animali potenzialmente pericolosi. Lo sapeva già, Taehyung ci avrebbe potuto giurare. Lei già sapeva che quella non era una supposizione, ma un dato di fatto. 

"E per quale motivo voi siete ancora così e Jungkook invece non lo è? Avete detto che è colpa del freddo, ma a me sembrate ancora voi." Chiese Blake. Con l'indice tracciò in aria una linea immaginaria, proprio di fronte alla figura di Taehyung, come a volerlo tagliare a metà.

"Come Jimin ha già detto, lui è il più sensibile al freddo tra noi del branco." Yoongi sussultò appena all'udire quella parola e Taehyung, di conseguenza, esitò prima di continuare "Inoltre, è una questione molto soggettiva. Non è come succede nei film, non ci trasformiamo con la luna piena, tutti nello stesso giorno o quando vogliamo noi. Non è una reazione a catena. Avviene quando deve avvenire. Certo abbiamo un arco di tempo nel quale succede e, più o meno, è uguale per tutti. Ad eccezione di Jungkook, evidentemente". Cercò di spiegarle. 

"E qual è quest'arco di tempo?" Hoseok prese un altro sorso del tè che Jimin gli aveva offerto, assaporandolo per bene prima di buttarlo giù. 

"Più o meno ci trasformiamo tutti a novembre, un po' prima dell'inizio dell'inverno. Chi prima chi dopo. Ritorniamo più o meno in primavera, in genere. Ma ripeto, è una cosa soggettiva. Il nostro tempo da lupi può variare da persona a persona". 

"Tu quando ti trasformi?" Chiese curioso Hoseok, stupendo Taehyung per la domanda così diretta.

"Beh, io... in genere verso fine novembre sento che devo cambiare forma, e poi quando mi risveglio è sempre marzo. Jimin inizia un po' prima. Lui a metà novembre è già un lupo e quando torna è la fine di marzo o i primi di aprile". 

"E Jungkook?" A parlare era stato Yoongi. Per un attimo a Taehyung parve che il beanie che avesse indosso il ragazzo gli stesse mangiando la testa. Di colpo Yoongi gli sembrò così piccolo e indifeso e gli fece tornare in mente la notte in cui Jungkook fece la sua comparsa al rifugio. 

"Jungkook è quello che resta lupo più a lungo di tutti. Ma anche per noi è stato uno shock che si sia trasformato così presto quest'anno. Se lo avessimo saputo, chiaramente non saremmo andati in giro così a cuor leggero". Jimin cercò di sviare la risposta, addolcendola con un sorriso. Probabilmente anche lui aveva percepito tutta la fragilità che Yoongi trasmetteva in quel momento e voleva cercare di rassicurarlo.

"Quando potremo riaverlo con noi?" Domandò ancora, e questa volta Jimin non poté più tergiversare. Chissà perché, ma rivelare che ci avrebbe impiegato più del dovuto sembrava quasi un'ingiustizia. 

"Credo che potremo riaverlo" Jimin si sforzò di utilizzare le parole che aveva appena sentito pronunciare per rendere la cosa più semplice "quando la primavera si fa più calda. L'ultima volta si è trasformato a metà maggio. Credo che abbia bisogno una temperatura piuttosto stabile". 

"Così tardi?" 

"Temo di sì". 

Yoongi annuì sconsolato e abbassò lo sguardo dispiaciuto. 

Taehyung si rese conto, in quel momento, che avevano commesso un'errore. Evitarli per tutto quel tempo era stato uno sbaglio. Quei tre ragazzi erano preoccupati per Jungkook tanto quanto lo erano loro. Gli volevano bene per davvero e riempiendoli di bugie non avevano fatto altro che aumentare il loro senso di sconforto. 

"Come si fa?" Chiese ad un tratto Hoseok. 

"Come si fa?" Ripeté Jimin, non capendo a pieno la domanda. 

"Si insomma, voglio dire, è una cosa genetica oppure..." Lasciò la sua frase in sospeso, ma agitò le mani come a voler intendere altro. 

"No, non è genetico". Gli spiegò Taehyung "Noi, ehm..." Lanciò un'occhiata a Jimin domandandosi quanto quel genere di risposta poteva sembrare la brutta copia di un film di fantascienza mal assortito. 

Jimin scrollò le spalle, come a dire: In fondo è questa la verità, quindi Taehyung riprese "Noi siamo stati morsi da un lupo. Tutti noi. Anche Jungkook e Jin". 

"Un lupo? Intendi dire uno come voi?" Chiese Blake e Taehyung si limitò ad annuire. 

"E chi sarebbe questo lupo?" La domanda era lecita anche se venne posta con una nota di arroganza e scetticismo. Ancora una volta, Taehyung non poté evitare di compiacersi della cosa. 

Forse fu per questo che, dandole una risposta che non le sarebbe piaciuta, si sentì comunque soddisfatto della cosa "Bella domanda. Non abbiamo idea di chi possa essere stato". 

"Come sarebbe a dire che non ne avete idea? Voi non eravate d'accordo? Non è forse stato qualcuno del... branco?" Hoseok tentennò, insicuro su quale fosse il termine più corretto da usare. 

"No. Nessuno di noi era a conoscenza di quello che sarebbe successo, né tanto meno ha avuto scelta". Jimin aggrottò la fronte "Semplicemente, ci siamo trovati un lupo a sbarrare la nostra strada; uno particolarmente arrabbiato direi. Non so perché ci abbia morso, in genere, non è una cosa che facciamo. Personalmente, non credo di aver mai sentito l'istinto di mordere una persona per renderla come me".  

"Non credi?" Blake alzò un sopracciglio.

Jimin scosse la testa "È... complicato da spiegare. Anche noi non sappiamo spiegarci bene alcune dinamiche, quindi immagino che non basterà un solo giorno per rendere le cose chiare a voi". 

"Ma dovrai pur sapere se vuoi o meno mordere una persona quando la vedi, no?" Chiese Blake concitata. 

"Davvero, non è così facile". Intervenne Taehyung "Quando ci trasformiamo in lupi... noi non abbiamo dei veri ricordi umani o una coscienza umana. È come se la nostra mente cambiasse assetto. Ci interessiamo alla natura e a quello che è intorno a noi, a problemi da lupo. Mordere le persone non è la nostra priorità. Cacciare per mangiare, stare in branco, sopravvivere nella foresta, sono queste le nostre priorità". 

Ciò che disse, lo disse con convinzione, ma in realtà non ne era sicuro. Non ricordava praticamente niente della sua vita da lupo e non sapeva se quelli fossero davvero le esigenze che sentita una volta che non vestiva più i panni dell'umano Taehyung. 

"Però qualcuno vi ha morso". Constatò Hoseok. 

"Sì". Gli concesse "Ma non conosciamo altri branchi oltre al nostro". 

"Altri branchi?" 

Taehyung annuì. "È scontato ce ne siano altri. Non siamo gli unici, inoltre, se ci penso è l'unica spiegazione plausibile. Non ci siamo creati dal nulla; qualcuno ha voluto renderci così. Anche se non sappiamo chi". 

"Non avete mai conosciuto altri come voi?" Chiese Hoseok. 

"No, mai". 

"Già". Concordò Jimin "Non ci è mai capitato di conoscere qualcuno come noi oltre beh, a noi. Ma devono per forza esistere altri branchi". 

Yoongi mise su una faccia come a voler dire "Per forza?" e Jimin annuì a conferma. 

"Prima dell'arrivo mio e di Taehyung" spiegò "Jin faceva parte di un altro branco e, da quanto ne so, era piuttosto numeroso. Noi siamo solo in quattro, ma al vecchio branco di Jin... beh erano molti di più. Penso fossero almeno dodici o tredici". 

Taehyung rabbrividì. Ognuno al rifugio aveva una storia personale difficile, ognuno aveva i suoi demoni, ma quella di Jin incuteva angoscia e agitazione. 

"Jin faceva parte di un altro branco?" Chiese Hoseok, stupido. 

"Sì. Risiedevano tra il Vermont e lo stato di New York, anche se ogni tanto sconfinavano in Canada. Piccole scappatelle di poco conto, ma quando sei lupo non fai caso allo Stato in cui ti trovi. Jin si è stabilito qua solo perché aveva una proprietà, che poi sarebbe questo rifugio. Lo ha ereditato da sua nonna e non ci ha pensato due volte ad aprirci le porte. È stata una fortuna trovare qualcuno come lui". Spiegò Jimin. 

"Se faceva parte di un altro gruppo, saranno stati loro a mordervi, no?" Blake suonava tanto ovvia quanto interrogativa. 

"Dubito". Rispose secco Taehyung. 

"Perché? Non è un'opzione da prendere in considerazione? Magari erano indispettiti dal fatto che se ne fosse andato e volevano vendicarsi". Disse, cercando di seguire un filo logico di ragionamento. 

Taehyung trovò fastidiosa la sua supposizione. Dare per scontato una cosa del genere era come affermare che tutti i lupi fossero cattivi e vendicativi, ma non era così. Vivere in branco non significava vivere come animali e non li rendeva meno umani.  

Ciò nonostante, nel dare la sua risposta, cercò di suonare il più neutro possibile.

"È improbabile. Jin non se ne è andato dal suo vecchio branco. È stato lasciato solo". Fece una pausa per cercare le parole giuste, ma poi si rese conto che non c'erano parole giuste, c'erano parole e basta. Lui non era così bravo a raccontare i fatti come lo era Jimin, e non sapeva rendere la storia più dolce di quella che fosse, quindi disse solo "Sul finire degli anni Novanta, nello stato di New York, la popolazione di lupi era aumentata e numerosi branchi avevano cominciato a spostarsi. Il Canada era un luogo ancora inesplorato, e il nord del paese era sembrato un buon posto dove risiedere senza destare troppi sospetti. E poi, c'erano foreste piuttosto estese da quelle parti, lì il branco poteva stare al sicuro per un po'. Quello che non era stato preso in considerazione però erano gli altri lupi, quelli locali. A quel tempo, anche la popolazione di lupi puri, se vogliamo chiamarli così, era aumentata. Per un po' le cose procedettero tranquillamente, ma poi..." Taehyung sospirò "Poi beh, le leggi naturali fecero il loro corso". 

"E questo che significa?" Domandò Blake. 

"Significa che è iniziata una competizione tra i due branchi. In natura, quando inizia il processo di selezione, c'è chi muore e chi resta in vita. Solo il più forte si salva, ma da quello che dice Jin, i due branchi non arrivarono mai ad un vero scontro. I lupi, i puri, si accorsero che i rivali non erano come loro. Quando ci trasformiamo noi abbiamo un odore diverso, particolarmente forte e distintivo, a me piace definirlo personale. Loro devono aver avvertito un sentore di pericolo e per questo cominciarono a... cercare un'alternativa. Si spinsero in città e cominciarono a farsi notare. All'inizio non erano aggressivi, e l'unico segno delle loro visite erano i cassonetti dei rifiuti rovistati da cima a fondo. Cercavano avanzi, tutto il cibo commestibile che poteva essere ingerito. Quei lupi dovevano essere affamati e spaventati". 

Taehyung sentiva ancora il suono della voce di Jin che gli raccontava quello che era successo dopo, e fu costretto ad interrompersi. Uno strano brivido gli percorse la schiena e lo fece ghiacciare. 

Quella storia non gli era mai piaciuta. 

"Una sera" prese parola Jimin, e Taehyung si sentì grato per il suo intervento e lo lasciò fare. "Il branco di lupi puri ha aggredito una persona. Anche in natura, questo è un fatto insolito, ma dovete capire che la situazione non era facile per loro. Erano stremati dalla competizione e sentivano il pericolo. Era novembre e il branco di Jin era quasi interamente trasformato, mancavano pochi membri per renderlo completo. Jin era ancora umano. Era giovane e aveva difficoltà ad adattarsi alla sua nuova vita, ma si trovava bene con gli altri ed era felice. Per questo restò molto sconvolto quando successe l'aggressione... tutta la popolazione ne rimase sconvolta. Sui giornali non si parlava d'altro e l'opinione pubblica fu divisa in due. Ovviamente avevano paura e quello che volevano era evitare un altro attacco. Per questo fu deciso che bisognava respingere il branco, farlo tornare al loro habitat, verso le foreste. Almeno così venne detto ufficialmente. La verità era che a nessuno interessava di rimettere le cose a posto, ed era molto più facile eliminare il problema alla radice". 

Anche Jimin interruppe il suo racconto. 

Era strano, il racconto di un altro branco non avrebbe dovuto suscitare tanto empatia, ma forse, il fatto che ora Jin facesse parte del loro di branco, rendeva il dolore collettivo. Era spaventoso, morire da lupo, quando si poteva vivere da umano. 

"Che è successo dopo?" Chiese Blake, cercando di nuovo gli occhi di Taehyung. Voleva che fosse lui a raccontargli il resto della storia, ma questa volta lui non stette al suo gioco e lasciò che fosse Jimin a concludere il racconto. 

"C'è stata una grossa caccia al lupo. Gli ambientalisti hanno protestato, ma non ha funzionato. Il branco di Jin è stato sterminato". 

Il silenzio cadde nel soggiorno e per qualche secondo, nessuno disse niente, come se anche i tre ragazzi facessero fatica ad assimilare un'informazione del genere.  

"Hanno ucciso il branco di Jin?" Chiese alla fine Yoongi con voce tremante. 

"Sì". 

"Hanno ucciso delle persone". Sussurrò ancora. 

"Non sapevano che fossero delle persone. Non potevano saperlo. In quel momento erano lupi, solo lupi". 

Il nuovo silenzio che seguì alle parole di Jimin fu spezzato dai cardini della porta che, girando su loro stessi, cigolarono. In quel momento, come se fosse stato richiamato in scena, Jin fece il suo ingresso nel rifugio portandosi dietro Namjoon. Soppesò il salotto di casa sua, scrutando i ragazzi all'interno, dedicando a ciascuno di loro una rapida occhiata. Il suo sguardo sembrava dolce come al solito e Taehyung si sentii male. Rispolverare quella vecchia storia e sommarla agli eventi dell'ultima notte, gli fece piombare addosso sensi di colpa. 

"Ragazzi, mi chiedevo quanto questo momento sarebbe arrivato". Disse semplicemente, come se quella fosse la tipica frase di benvenuto. Poi, spostò lo sguardo su Taehyung e gli sorrise "Tae, tu stai bene?" Chiese. 

Taehyung annuì e, istintivamente, i suoi occhi corsero oltre la figura di Jin. Lì, nascosto all'ombra delle sue spalle large, Kim Namjoon teneva la testa bassa. Per un attimo si ritrovò a ringraziare che la situazione fosse tanto ingarbugliata da permettergli di rimandare il momento in cui avrebbe dovuto porgergli delle scuse e affrontarlo in un confronto aperto.

"Bene, basta così per oggi". Disse Yoongi, riportando l'attenzione su di sé. Senza aspettare oltre, si alzò dal divano e sfilò di fianco alla figura di Jin senza rivolgergli nemmeno uno sguardo.

"Suga..." Lo richiamò Hoseok, ma questa volta la sua voce tremò un po'. 

"Ho detto qualcosa che non va?" Chiese allora Jin ai due rimasti in casa. 

"No. Nessuno ha detto niente che non va. Suga... lui è solo un po' sensibile". Disse, rivolgendo un sorriso appena accennato a Jin. Lui annuì, ma era chiaro che non sapeva come avesse dovuto reagire a quell'evento. Doveva aver intuito, dal fatto che l'aria sembrasse sovraccarica di tensione, che la conversazione era stata parecchio intensa. Tanto intensa da non aver nemmeno sentito l'auto di Namjoon parcheggiare sul vialetto sterrato. 

"Vado a parlare con lui. È scosso". Anche Hoseok si alzò per raggiungere il suo amico. Quando varcò la soglia, Taehyung poté sentire la sua voce richiamarlo e i passi muoversi fuori dalla casa. 

"Tu chi saresti?" Blake, che era rimasta sola, non sembrò minimamente turbata dalla mancanza dei suoi amici al suo fianco. Il suo sguardo era rivolto verso Namjoon che adesso la fissava con un certa preoccupazione negli occhi. 

"Io?" Chiese dunque, indicandosi da solo con l'indice. 

"Si tu".  

"Sono Kim Namjoon". Rispose. 

Quel nome doveva aver rispolverato qualcosa nella memoria della ragazza. Lasciò per qualche secondo che il suo sguardo vagasse sulla figura dell'estraneo davanti a sé, prima di tornare a posarsi su quella di Taehyung. Lui non l'aveva persa di vista nemmeno per un momento. 

"Lo scienziato?" Gli domandò alzando un sopracciglio. 

Taehyung fu sorpreso che si ricordasse quel dettaglio e in risposta accennò un sorriso, come a volerle chiedere scusa. 

"Anche questo è da spiegare, vero?" Chiese ancora. 

"Non oggi". Le rispose. "Per oggi direi che basta così". 

Si alzò. Era rimasto seduto immobile per così tanto tempo che il suo corpo sembrava essersi addormentato. Taehyung si sentiva a pezzi ed era stremato. Troppe cose, troppo velocemente, tutte insieme. Piegò appena il collo per sgranchirsi un poco e involontariamente rivolse il suo sguardo fuori dalla finestra. 

Nel piazzale davanti al rifugio, Hoseok aveva stretto Yoongi in un abbraccio. Le sue braccia ossute gli circondavano il collo, e una delle sue mani sembrava essere saldata al capo dell'altro con le dita aperte sulla stoffa del berretto. Probabilmente gli stava sussurrando qualcosa a bassa voce perché il suo volto era leggermente spostato in avanti e le sue labbra vicine all'orecchio del suo amico. 

Qualsiasi furono le parole che utilizzò dovettero funzionare. Yoongi strinse il corpo di Hoseok saldamente. Le sue braccia si intrufolarono tra la camicia hawaiana e la t-shirt delle Spice Girl e lo tirarono ancora più vicino. Se lo appiccicò al corpo, petto contro petto senza lasciare il minimo spazio tra i due. Come se averlo più vicino fisicamente avrebbe fatto avvicinare anche le loro anime e le avrebbe fatte attaccarle l’una all’altra. Cucite insieme. Strette. 

Taehyung distolse lo sguardo. Era un semplice abbraccio tra amici, eppure gli sembrava troppo intimo e personale. Non avrebbe dovuto intromettersi. 

"Se non me lo spieghi oggi, quando me lo spieghi?" La voce di Blake richiamò la sua attenzione all'interno del rifugio. La ragazza non si era mossa nemmeno di un millimetro e non sembrava intenzionata a farlo. 

"Domani". Rispose "Venite dopo scuola. Riprenderemo il discorso. Va bene Chim?"

Jimin fece una smorfia "Ho il turno, domani non torno". 

"Allora troverete solo me. Pensi che possa andare bene?" 

Blake si alzò dal divano e mosse qualche passo. Non arrivò a fronteggiarlo, ma non si discostò molto dal suo viso. 

"Se mi risponderai onestamente". 

Uscì di casa sfilando di fianco a Namjoon, accennando appena un saluto con il capo a Jin, che ricambiò impacciato. Blake si richiuse la porta alle spalle con naturalezza. Taehyung la seguì con lo sguardo fino a quando non sparì dalla sua vista e poi, spiò fuori dalla finestra i tre ragazzi risalire sull'auto di Hoseok e allontanarsi dal vialetto del rifugio. 










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P.S. 
Questo capitolo è stato revisionato. Spero non ci siano errori di battitura. Nel caso scusatemi ma il mio cervello è fuso e non riesce più a vederli!!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12






Maggio 2010 


Jimin si era accasciato a terra, sfinito. Taehyung lo aveva guardato ballare per due ore di fila, senza darsi un attimo di tregua. 

“Dovrei provare ancora una volta”. Disse, con il respiro pesante per lo sforzo. I capelli biondo platino se ne stavano acconciati alla bell'e meglio in un codino sbarazzino. Alcune ciocche, troppo corte per essere tirate nella presa dell’elastico, si allungavano verso l’altro, dandogli un’aria da bambino irrequieto e capriccioso. 

Taehyung guardò una goccia di sudore scendere dalle sue tempie fino allo zigomo, lasciando una scia luminosa. 

“Non credi di avere provato abbastanza per oggi?” Gli chiese.

“No. Non tengo bene le linee e mi cedono le gambe dopo i salti; e poi posso ballare fino a quando non mi sanguineranno i piedi”. 

“Si, beh, vorrei evitare di vederlo”. Affermò Taehyung, alzandosi dal divano per offrirgli una bottiglietta d’acqua. 

Quel giorno la scalcinata sala prove, per la quale Jimin si ostinava a voler buttare i suoi venticinque dollari settimanali, era prenotata. Da due giorni il proprietario stava allestendo una festa in onore del bar mitzvah del figlio, perciò non era ammesso nessuno che non si desse da fare per i preparativi. 

Jimin si era dovuto accontentare del minuscolo salotto del rifugio. In uno spazio così ristretto e ostacolato dalla mobilia, i suoi movimenti erano terribilmente limitati. Nemmeno uno dei passi a cui stava dando vita prendeva forma nel modo in cui avrebbe dovuto, eppure c’era qualcosa di incredibilmente bello in quello che faceva. Forse Taehyung si era fatto abbindolare da quello strano fascino e aveva così facilmente ceduto alle richieste del suo amico. Era stato facile per Jimin convincerlo a utilizzare tutta la batteria rimanente nel suo telefono cellulare per riprenderlo mentre danzava. Ogni singola volta che ricominciava la coreografia. Era ammirevole che volesse riguardarsi per correggere i suoi errori, ma adesso Taehyung aveva il braccio intorpidito e non sopportava più il motivo principale della canzone. 

Jimin bevve un lungo sorso d’acqua cercando di regolare il respiro, seguendo un ritmo più calmo di ispirazione ed espirazione. Si passò una mano sulla fronte, raccogliendo il sudore con un polsino, e strabuzzò gli occhi. 

Faceva caldo. La sua maglietta a maniche corte era zuppa di sudore e rimaneva incollata alla pelle della schiena e i pantaloncini erano di un materiale troppo pesante per dargli sollievo dalla calura. 

“Okay, pronto?” Chiese infine, rimettendosi in piedi. 

“Dovrei essere io a chiedertelo”. Taehyung prese in mano il telefono del suo amico, tornò a sedersi sul divano e fece partire per l’ennesima volta la traccia del balletto. 

Jimin aspettò il momento giusto prima di cominciare a muovere le braccia. Taehyung era costretto a guardare i suoi movimenti intrappolati dalla fotocamere del telefono. Sullo schermo il gioco di prospettiva faceva apparire il suo amico più piccolo di quanto non fosse in realtà. La cosa non gli piaceva. Non sapeva spiegarsi perché, ma in qualche modo sembrava che la magia della sua danza si perdesse una volta che veniva riprodotta da una videocamera. 

Jimin era un performer, la sua bellezza era questa: produrre un movimento nella vita reale e dargli una piccolissima sfumatura diversa ogni volta che lo eseguiva. 

Seguendo la coreografia, mosse un piede, curvando la gamba e facendo un movimento in affondo. I pantaloncini lasciavano intravedere il lavoro dei muscoli delle cosce e lo sforzo che faceva per mantenere la posizione. I suoi adduttori erano tirati e sottoposti al un lavoro faticoso, eppure Jimin faceva apparire ogni suo passo come il movimento più facile e naturale del mondo. Come se non ci fosse alcuna fatica a gravare sull’esibizione. 

Taehyung in realtà non capiva perché si impegnasse tanto. Jimin aveva un grande talento e una predisposizione naturale per la danza, ma le ore ininterrotte di pratica, l’ossessione nel voler migliorare la qualità di ciò che faceva, quello proprio non riusciva a capirlo. Perché impegnarsi tanto per un qualcosa che non gli sarebbe servita a nulla? Non poteva vivere di danza, non poteva essere ingaggiato in qualche compagnia teatrale e girare il mondo. Cambiare teatro, cambiare folla, cambiare occhi che si nutrivano di quella sua ballezza; nulla di tutto questo era alla sua portata, quindi perché estenuare il suo corpo fino a quel punto?

Forse Taehyung non poteva capirlo fino in fondo perché non aveva mai avuto una passione come la sua che gli bruciasse dentro e lo spingesse a migliorare solo per sé stesso. Forse avere amore e fede in qualcosa era il segreto giusto per migliorare sé stessi e forse lui stava sbagliando tutto perché non era bravo in niente. 

Un rumore sordo, talmente forte da sovrastare la musica metallica che fuoriusciva dalle casse del telefono, li interruppe. 

Nocche che sbattevano contro il vetro. I due ragazzi dentro al salotto voltarono il capo verso la portafinestra della cucina, scattando sull’attenti all'unisono. 

Jungkook aveva i capelli lunghi e arruffati, il viso scavato e gli occhi enormi. Quando si accorsero della sua presenza, il più piccolo gli sorrise debolmente. Era nudo e molto più magro di come Taehyung se lo ricordava. Le ossa delle clavicole sporgevano tanto che tra il collo e la spalla si era creato una conca triangolare. Sul petto si intravedeva la sagoma dello sterno. Le costole spingevano sulla pelle chiara del ragazzo come a voler essere messe in mostra. I fianchi magri e ossuti, le cosce secche e senza tonicità. 

“Kookie!” Urlò Jimin smettendo all’istante di ballare per andare ad aprirgli.  

Taehyung trafficò per spegnere velocemente il telefono, ma senza successo. Trafelato com’era, e colto dall’emozione, decise di abbandonare tutto sul divano e di raggiungere gli altri in cucina, dove Jimin già stava stringendo Jungkook in un abbraccio spaccaossa, ficcando il suo naso ovunque per sentire l’odore del nuovo arrivato.

Non c’era bisogno di annusarlo tanto. Quell’odore era così intenso che in poco tempo aveva riempito tutto il rifugio. D’altronde, Jungkook si era appena trasformato e aveva ancora tutta l’essenza del suo lupo addosso. Odore di frutta secca. Taehyung avrebbe potuto giurare di sentire profumo di noci e nocciole nell’aria. 

Stretto com’era tra le braccia di Jimin e stordito dai suoi schiamazzi, Jungkook non poteva fare altro che sopportare. Sorrise debolmente, mentre con lo sguardo cercava Taehyung, rimasto qualche passo più indietro a godersi la scena. 

 

Jimin stava aiutando Jungkook a preparare il suo bagno e, dal rumore che quei due stavano facendo, Taehyung potè intuire che in realtà Jimin aveva intenzione di preparare una vasca per sé stesso. 

Ridacchiò, spense il fornello e impiattò. Aveva cucinato quanto più carne era riuscito a recuperare e si era impegnato per farla rimanere succosa. Un chilo di petti di pollo troneggiava con fierezza sul piatto nel quale era stato impilato, rilasciando un profumino delizioso. Recuperò una forchetta e si diresse verso il bagno con passo leggero.

“Ahi, Jungkook, non tirarmi calci!” 

“Questa è la mia vasca rigenerante, perché ci sei dentro anche tu?”

“Perché ti sono mancato”. 

“Non mi sei mancato affatto”. 

“Bugiardo. Dai fammi spazio Kookie”.

“Lasciami in pace”.

“Ahi! Jungkook, stavi per beccare la zona proibita!” 

“Sarà Jin a beccare la tua zona proibita se bagni di nuovo il suo pavimento”. Disse Taehyung appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta del bagno, godendosi la scena. Jimin aveva gettato via i suoi vestiti sudati e si era fiondato dentro la vasca insieme al corpo magrissimo di Jungkook. Il povero ragazzo stava disperatamente tentando di far riposare le sue ossa in un bagno d’acqua calda, ma con Jimin ad importunarlo non doveva essere facile. 

È carne quella?” La testa bionda si girò nella sua direzione non appena l’odore di cibo si diffuse nell’aria. 

“È per Jungkook”. Affermò Taehyung, raggiungendo gli altri che lo guardavano dal basso della vasca con la bava alla bocca. Taehyung infilzò un petto di pollo con la forchetta, come avrebbe fatto un primitivo delle caverne, e lasciò che questa si ergesse in verticale, poi porse il patto al ragazzo. 

“Sto morendo di fame”. Disse Jungkook, dedicandogli un sorriso incredibilmente ampio. I muscoli della faccia si stirarono e la pelle sulle guance si assottigliò come se dovesse spaccarsi da un momento all’altro. 

Anche Taehyung sorrise. Jungkook aveva perso peso perché cacciare da solo nel bosco era difficile. Anche per questo loro cercavano di aiutarlo come potevano. In genere ogni fine settimana organizzavano dei sopralluoghi per piazzare del cibo in giro per la foresta. Dovevano essere accorti e cercare posizioni strategici che tornassero utili: la conca di un albero caduto, le radici di un cespuglio, grossi massi ricoperti di muschio. Per non dare troppo nell’occhio, compravano coniglietti d’allevamento non scuoiati. Così persino gli escursionisti inesperti che bazzicavano da quelle parti, non si sarebbero straniti nel vedere un coniglio morto. 

Ma piazzare cibo era comunque un rischio: un pasto così facile poteva richiamare altri predatori nell’area, inoltre, se Jungkook non avesse trovato da mangiare entro un arco di tempo relativamente breve, i parassiti avrebbero potuto banchettare al posto suo. Un’intossicazione sarebbe stato sicuramente un guaio ben peggiore, e bisognava tenere conto anche del caldo incalzante di maggio che facilitava l’imputridire della carne. Inoltre non era un bene che Jungkook fosse abituato a consumare pasti con una certa regolarità, come se fosse un animale in cattività. Un lupo doveva essere in grado di procacciarsi da mangiare da solo, ma lui non ne era capace. 

“Danne un morsetto anche a me. Sono affamatissimo”. Jimin allungò una mano dentro la vasca, cercando di raggiungere la forchetta del ragazzo per rubargli il cibo. 

“Ahi. Jimin mi stai schiacciando”. Si lamentò l’altro. 

Taehyung spinse prontamente indietro la testolona di Jimin, tentando di rimetterlo al suo posto. “Dagli tregua Chim”. 

“Uffa, lo stai trattando troppo bene, con me non lo fai mai”. Sbuffò Jimin, mettendo su un finto broncio offeso. 

“Non fare il geloso”. Gli sorrise, spostandosi dietro di lui. Abbassò il coperchio del water e ci si sedette sopra, portando le mani sopra la spalle del suo migliore amico e cominciando a massaggiarle. Lui si lasciò scappare un sospiro di sollievo.

Con lo sguardo, Taehyung seguiva i movimenti di Jungkook che si ingozzava di cibo mentre il suo corpo se ne stava a mollo nell’acqua calda. Erano passati più di sei mesi dall’ultima volta che lo aveva visto eppure, se non si teneva conto della perdita di peso e dei capelli lunghissimi, Jungkook gli sembrava sempre lo stesso. 

La pelle del più piccolo era segnata da minuscole cicatrici biancastre; la testimonianza di tutte quelle volte che si era tagliato pur di restare umano, lottando contro l’avvento del suo tempo. Era anche più pallido di quanto lo ricordasse, come se rintanato nel folto della foresta per anni, non si fosse più esposto alla luce del sole. 

“Che giorno è?” Chiese il ragazzo, tra un boccone e l’altro. 

“È domenica. Il 23 di maggio”. Rispose calmo Taehyung, continuando a far scorrere i polpastrelli sulle spalle di Jimin. 

Jungkook spalancò gli occhioni. Erano così grandi che avrebbero potuto risucchiare l’intero mondo e annegarlo nelle iridi nere come la notte. 

“23 Maggio? Non pensavo fosse così tardi”. 

“In effetti lo è, ma ormai non c’è niente di cui preoccuparsi. Sei con noi ora”. Sorrise cercando di rassicurarlo. 

In realtà tutti loro erano stati in apprensione per il fatto che il più piccolo non fosse ancora tornato dal bosco, ma Taehyung non glielo disse, né tanto meno accennò ai problemi che la sua lunghissima assenza aveva causato. La scuola aveva chiamato. Jungkook mancava da troppo tempo e, malgrado tutto, il preside non poteva ignorare che da più di sei mesi non avevano nessun tipo di notizia del ragazzo. Avrebbe dovuto fare miracoli per recuperare il programma durante le vacanze estive se non voleva rischiare di ripetere l’anno. 

Jungkook accennò un piccolo sorriso e si ficcò in bocca un altro boccone di pollo. Questa volta masticò lentamente, assaporando la succosità della carne e lasciando che i suoi denti la riducessero in poltiglia. 

“Ci sei mancato un sacco”. Disse Jimin appoggiando la testa contro il braccio di Taehyung. 

In pochi secondi, Jungkook arrossì fino alla punta delle orecchie “A-ah sì?” Balbettò. 

“Sì. Mi mancavi così tanto che cominciavo a sentire come se ci fosse qualcosa che non andava. Come un dolore al petto”. 

Jungkook si fece ancora più rosso. Quelle dichiarazioni d’affetto lo imbarazzavano e lui non era per niente bravo ad assimilare l’amore incondizionato che Jimin gli riversava addosso. 

“Sei esagerato”. Sussurrò lui in risposta, abbassando lo sguardo sull’acqua piena di sapone per evitare quello di Jimin che sembrava volergli bucare lo sterno e stringergli il cuore.  

“No invece. Noi non siamo noi se non ci sei anche tu. Il branco non è al completo quando sei lontano”. 

Jungkook non resse. Lasciò la forchetta nel piatto e, tenendolo ben in alto, fece scivolare il corpo in fondo alla vasca. Le sue ginocchia urtarono contro quelle di Jimin, ma questo non gli impedì di farsi scivolare ancora più in fondo, fino ad immergere la testa nell’acqua. Taehyung scoppiò a ridere e diede uno scappellotto sul retro della nuca bionda del suo amico.

“Smettila Chim. Lo sai che non gli piacciono queste cose”. 

“Ma è vero! Non siamo al completo se non c’è lui. Non hai sentito anche tu un dolore al petto?” Gli chiese tranquillo, sistemandosi meglio nella vasca per dare più spazio al ragazzo che stava tentando di affogarsi. 

“No. Non ho sentito niente. Sento solo che adesso siamo quasi completi. Quando sta sera tornerà Jin ci renderemo conto della differenza”. Gli rispose.

“Beh io sentivo che c’era qualcosa che non andava invece. Non solo non mi sentivo completo, ma sentivo come se avessi un peso sulle spalle. Mi angosciava al punto che a volte mi mancava il respiro e sentivo una grande nostalgia. Una nostalgia fortissima”. 

Taehyung si sporse un po’ in avanti, verso il suo amico. Non voleva fissargli la testa mentre diceva cose così importanti. Quando portò il viso vicino al suo, cercò i suoi occhi, ma Jimin li teneva chiusi. Stava cercando di rilassarsi con la testa ancora adagiata tra le sue braccia e il corpo immerso nella stessa vasca di Jungkook. Anche quello gli bastò per capire che Jimin non aveva mentito nè aveva esagerato i suoi sentimenti solo per mettere in imbarazzo il ragazzo di fronte a lui. Aveva sofferto e adesso stava cercando di scacciare quella sensazione che lo aveva accompagnato per tutto quel tempo.

“Ora che è tornato mi sento meglio. Mi sento sollevato”. Disse Jimin, come rispondendo alla domanda silenziosa che Taehyung non aveva ancora posto. 

Jungkook riemerse annaspando prendendo una boccata d’aria. I suoi lunghi capelli castani ora gli ricoprivano il viso per metà, gocciolando rapidamente come una cascata. L’acqua che aveva smosso sciabordò nella vasca sollevandosi avanti e indietro verso le sponde, schizzando le braccia di Taehyung.  

“Non sapevo nemmeno cosa fosse quella strana sensazione. Sentivo solo che c’era qualcosa che non andava. Che fosse l’assenza di Jungkook a preoccuparmi, l’ho capito solo poco fa. Quando l’ho rivisto”. Continuò Jimin. 

È strano”. Commentò Taehyung. 

“Lo è. Ma credo sia una cosa soggettiva. Forse sentivo solo la sua mancanza e basta”. Disse Jimin, non perdendo quel suo fare rilassato. 

“Dici che potrebbe essere un problema per te?” Chiese Taehyung “Per quando partirai?” 

A quelle parole, Jungkook parve riscuotersi. Con una mano, spazzò via i capelli bagnati che ancora gli coprivano gli occhi e assunse un’espressione sbigottita. 

“Partirai? Che significa che partirai? Dove vai? Quando torni? Perché parti?” Chiese concitato. 

Jimin sorrise. “Rilassati Kook. Non è niente di ché”. 

“Si che lo è! Se tu parti dobbiamo partire tutti. E poi dove andiamo? E perché dobbiamo partire? Non possiamo andare dove c’è troppo freddo o io...” 

“Kookie, sta tranquillo”. Lo interruppe Taehyung. “Jimin non starà via per molto e tu non dovrai andare da nessuna parte. Noi staremo qui”. 

“Non capisco. Perché Jimin deve partire?” Gli occhi di Jungkook facevano avanti e indietro tra il viso di Taehyung e quello di Jimin. Erano bastati una manciata di secondo per farlo sprofondare nel panico. 

Taehyung si sentiva un po’ in colpa. Tornare umano dopo aver trascorso così tanto tempo lontano dal proprio corpo era già abbastanza traumatico. Non avrebbe dovuto tirare fuori la questione in quel modo. Avrebbero dovuto spiegargli così tante cose e sperava che potesse essere Jin ad occuparsi di tutto. Lui era più indicato per quel genere di spiegazioni. 

“Non devi preoccuparti di niente Kookie. In realtà mi sono fatto scappare qualcosa che non avrei dovuto dire. Non prima del ritorno Jin, almeno. Ma ti spiegheremo ogni cosa non appena saremo di nuovo tutti insieme”. Si affrettò a chiarire. 

Jungkook storse il naso, ma non disse nient’altro. Era chiaro che quella situazione non dovesse piacergli affatto. 

“Davvero. Non devi preoccuparti di niente se non di finire quel pollo delizioso”. Concordò Jimin, prima di scrollare le spalle. Taehyung abbandonò la prese che aveva tenuto solida fino a quel momento, allontanandosi da lui. Senza curarsi del piccolo tsunami che avrebbe potuto generare sul pavimento del bagno, Jimin si alzò in piedi. Aspettò qualche secondo che l’acqua finisse di scivolare giù dal suo corpo e poi uscì dalla vasca. Non si curò nemmeno di recuperare un asciugamano o un paio di ciabatte, semplicemente zampettò via, nudo come un verme verso la camera, lasciando le impronte dei suoi piedi bagnati ovunque. 

Taehyung fece roteare gli occhi al cielo. 

“Non asciugherà il pavimento, vero?” Chiese Taehyung.

“No”. Rispose Jungkook. 

“Vado a prendere il mocio. Tu rilassati, finisci il tuo cibo e non pensare a niente”. 

 

Spiegare la situazione a Jungkook fu più facile del previsto e lui fu molto più collaborativo di quanto Taehyung si era aspettato. Sapeva che Jungkook avrebbe voluto trovare un modo per rimanere fermo nella sua forma umana, e l’idea di farsi aiutare da qualcuno gli era piaciuta subito. Allo stesso tempo però si era mostrato molto preoccupato per Jimin: mandarlo in Canada da solo non era stata una notizia che aveva preso a cuor leggero. 

“Siamo sicuri che ci si può fidare?” Chiese dopo aver tirato su rumorosamente dei noodles dalla scodella. Piccole goccioline di brodo caldo schizzarono in aria e ripiombarono a picco sul bancone della cucina. Poco prima avevano ordinato ramen di manzo per festeggiare il ritorno di Jungkook e avevano chiesto a Jin se, rientrando dal lavoro, potesse ritirare l’ordine. Avevano rischiato la cena quando una scarica elettrica aveva attraversato la colonna vertebrale di tutti e quattro, mettendo in serie difficoltà Jin che stava cercando di destreggiarsi con le ordinazioni. 

“Vacci piano, o stanotte ti sentirai male”. Jin tolse il secondo piatto di ramen dalle grinfie di Jungkook approfittando del momento in cui il ragazzo aveva preso di mira le patate arrosto. 

“Ehi! Avevo intenzione di finirla”. Jungkook sputacchiò pezzi di patate dappertutto. 

“La finirai domani”. 

“Guastafeste. Comunque non è questo il punto del discorso”. Disse concitato Jungkook con la bocca ancora piena. “Siamo sicuri di voler mandare Chimmy tutto solo in Canada? Non credo sia molto sicuro”. 

“Io invece sono assolutamente sicuro di potercela fare anche senza di voi. Devo solo arrivare laggiù, quanto può essere difficile?” 

“Ma se ti succedesse qualcosa? Se fa freddo e ti trasformi o se questo tizio non ti lascia più andare via? Che ne sappiamo noi che tipo è!”

“Jimin non diventerà un ostaggio”. Intervenne pronto Jin, alzando gli occhi al cielo con fare teatrale, come se le parole del ragazzo fossero il risultato di troppi film d’avventura. 

“Non possiamo saperlo con certezza”. Disse invece Taehyung. Dando man forte a Jungkook, sorpreso della lungimiranza del ragazzo. 

“Okay, allora. Diciamo pure che c’è un margine di rischio”. Affermò Jimin. “C’è il rischio che mi possa succedere qualcosa di terribile. C’è il rischio che io possa non tornare indietro. Ma per come la vedo è solo una percentuale irrisoria”. 

“Irrisoria? Non sai cosa potrebbe succedere una volta di là. Non è esattamente una cosa legale quella che stiamo facendo. Senza contare che non sai nemmeno che faccia abbia questo tizio. Non sappiamo niente di lui. Non puoi dare un giudizio se non ti basi su qualcosa di concreto”. Il tono di voce di Taehyung uscì fuori più alto di quanto avesse voluto. 

“È comunque un mio rischio Tae. Non sto mettendo in pericolo nessuno di voi. Non spiattellerò tutti i nostri segreti al primo scienziato che incontro. È ovvio che voglio prima capire se c’è da fidarsi o meno, e quando lo saprò allora gli chiederò di venire qui, da solo. Ad essere onesto, questa è la parte che mi spaventa di più”. 

“Ti spaventa che lui non voglia venire da noi e non il fatto che potrebbe approfittarsi di te? O che potrebbe mettere in giro il nostro segreto?”. 

Anche il modo in cui erano seduti attorno al bancone della cucina sembrava sottolineare che tra di loro si fosse creata una fazione: Jin e Jimin da un lato, Taehyung dall’altro, Jungkook a capotavola, nel mezzo. In qualche modo, l’ultima parola spettava a lui. 

“Non lo farà”. Jin si mosse sulla sedia di fianco a Jimin.

“Come puoi esserne così sicuro?” Strepitò Taehyung. Come diavolo era possibile che Jin non dubitasse minimamente di una cosa tanto importante? 

“Perché vorrà lavorare con noi. Sta facendo ricerche su quelli come noi. Vorrà avere la nostra fiducia e farà esattamente quello che gli chiederemo”. 

“Quello ha un’intera equipe di studiosi sotto di lui che sarebbero disposti a fare carte false pur di vedere la riuscita del loro assurdo progetto, e tu pensi che voglia scendere a patti con noi?” 

“Proprio perché vuole vedere la riuscita del loro assurdo progetto, farà come gli diremo”. Jin congiunse le mani, intrecciando le dita tra di loro. Era calmissimo. Il suo atteggiamento era completamente diverso dalla prima volta in cui si erano ritrovati a parlare dello stesso argomento. Per ironia della sorte, gli eventi sembrano essersi ripetuti a loop. Le vicende nella vasca da bagno con Jungkook, meno caotiche di quella con Jimin, e la discussione a cena. A Taehyung sembrò di avere un déjà vù. 

“Ma c’è sempre la possibilità che non mi creda e che non voglia seguirmi oltre la frontiera. Gli stiamo chiedendo di vivere nascosto come un ratto di fogna, da solo e senza aiuti, lavorando fino al giorno in cui non ci trasformeremo di nuovo, e per quanto tempo poi? Credo sia molto probabile che non voglia scendere a patti con noi”. Disse Jimin. 

“Già”. Concordò Jungkook “Non è detto che voglia farsi coinvolgere; potrebbe non ritenerla una scelta valida. Magari crederà che tu sia un pazzo squilibrato”. 

“Quella sarebbe comunque la soluzione più piacevole. Almeno ti lascerebbe andare”. Boffonchiò Taehyung.

“Sono serio Tae”. Asserì Jimin. 

“Lo sono anche io”. 

Jimin lo ignorò “Stiamo facendo un sacco di congetture, quando probabilmente lui non sarà interessato o non accetterà le nostre condizioni. Credo che sia questa la vera sfida”. 

“Portarlo da noi?” Chiese Jungkook. 

“Già. Se io fossi al suo posto, non accetterei mai”. 

Ci fu un attimo di silenzio nel rifugio che fu rotto solo dopo che Jin si schiarì la voce “Vero, potrebbe non voler accettare”. Disse “Però sono fiducioso che tutto andrà bene. Non credo che Jimin corra nessun rischio e sono altrettanto convinto che riuscirà a portare a termine la missione”. 

“Come fai ad esserne così sicuro?” Jungkook sembrava sovrappesare ogni decisione. 

“Sesto senso”. Rispose solo, e Taehyung avrebbe voluto sotterrarlo. Stavano mettendo tutta la loro vita in bilico per un sesto senso a cui lui non credeva. Era terribilmente frustrante. 

Jungkook posò le bacchette ancora unte di cibo sul tavolo e fissò i suoi occhi in quelli di Jin. Gli occhi da cervo dell’uno erano perfettamente in sincronia con gli occhi dolci dell’altro, in un gioco di sguardo che non sembrava avere un senso. 

Jimin non disse niente, e nemmeno Taehyung si azzardò a dire una parola. Sembrava che Jin e Jungkook stessero parlando abbastanza per tutti, ma in quel momento c’era solo un grande silenzio a pesare sulla stanza. 

“Okay”. Disse infine Jungkook. 

“Okay?” Ripeté Taehyung. 

“Sì okay”. Ripeté il ragazzo. “Mi fido di Jin”. 

“Tutto qui? Mi fido di Jin? Un minuto fa non volevi mandare Jimin in Canada da solo e adesso saresti…”

“Non mi piace ancora l’idea che Jimin vada da solo”. Lo interruppe “Ma lui sembra sicuro di sé stesso e io ho piena fiducia in Jin. La sfida sarà portarlo qui”. 

Taehyung temette di avere un infarto. Era bastata una semplice occhiata per cedere? Erano tutti impazziti? 

Deglutì a fatica il grumo di amarezza che gli si era formato in gola e abbassò gli occhi sul bancone al quale era appoggiato. Non voleva incrociare lo sguardo di nessuno, né quello di Jin e Jimin, né tanto meno quello di Jungkook. Non avrebbe nemmeno dovuto essere così frustrato. Sapeva già quale sarebbe stato l’esito di quella conversazione. Era stupido che si fosse permesso di sperare in un’altra fine. 

Il silenzio calò sul rifugio per qualche secondo di troppo, poi Jin disse “Siamo tutti d’accordo allora?” 

Ed eccola, l’ultima possibilità di Taehyung. Se non avesse detto niente la discussione sarebbe stata archiviata e lui avrebbe iniziato un altro capitolo della sua vita. Uno che non voleva iniziare. Eppure, nel rifugio il silenzio era così denso che si poteva sentire chiaramente il ticchettio dell’orologio scandire i secondi. Uno, due, tre, quattro, cinque. 

“Bene. Allora partirò all’inizio di agosto, quando il clima è più caldo e quando saremo pronti”. Jimin si alzò facendo strisciare la sedia a terra rumorosamente e sparecchiò la sua scodella di ramen vuota. 

Taehyung rimase seduto con lo sguardo basso anche dopo che tutti gli altri avevano lasciato la stanza. 

 

“Puoi dormire con me stanotte?” Jungkook aveva aspettato che Taehyung fosse sgusciato nella stanza senza accendere le luci. Era notte fonda e Jimin stava già dormendo nel suo letto a castello. Il suo respiro regolare riempiva l’aria di un dolce suono cadenzato. 

Il rifugio era riempito dalla notte. Il buio sembrava estendersi come una nebbiolina sottile, dall’alto in basso, lasciando l’aria piacevolmente calda. 

“Pensavo stessi già dormendo”. Sussurrò Taehyung, voltando lo sguardo in direzione della voce. 

“Ti stavo aspettando”. 

Taehyung si affrettò verso il proprio letto e scavò sotto il cuscino, in cerca del pigiama. Si cambiò velocemente e si diresse verso il letto del ragazzo, ancora attrezzato con coperte pesanti e piumone. Faceva caldo per riuscire a sopportare di dormire stretti e coperti fino ai denti, ma Taehyung sapeva che Jungkook avrebbe preferito sudare tutta la notte pur di sentirsi umano. 

Scostò le coperte, facendolo rabbrividire, e si posizionò sul materasso morbido. 

“Sei arrabbiato con me?” Chiese Jungkook non appena riuscì a stringere la vita di Taehyung in un abbraccio. 

“Certo che no, perché dovrei?” Rispose. 

“Perché mi sembrava che non ti piacesse molto l’idea che Namjoon sapesse di noi”. 

Namjoon. Quel nome, pronunciato in maniera così confidenziale, fece contorcere le budella di Taehyung. Quante volte lo aveva già sentito quel nome? Quante ancora lo avrebbe udito. 

“Non sono sicuro di potermi fidare. Tutto qui”. Ammise infine, storcendo un po’ il naso. 

Jungkook cercò di attirare la sua attenzione facendo entrare in contatto i loro occhi, e Taehyung dovette cedere. 

“Avresti voluto che fossi rimasto dalla tua parte?” Gli domandò, con quegli occhi neri che si confondevano con la notte. 

Taehyung deglutì, di colpo in soggezione “Non devi stare dalla mia parte se non è quello che vuoi. Devi mandare avanti le tue idee Kook”. 

“Ma avresti voluto che avessi detto no”. Concluse, perché in fondo la verità la sapeva anche lui. 

Taehyung scosse la testa “No. Se tu avessi detto di no solo perché era una cosa che volevo io mi sarei sentito in colpa. E se io fossi stato tanto contrario non sarei di certo rimasto zitto, non credi? In più, se questa cosa dovesse andare a buon fine…” esitò. Se questa cosa fosse andata a buon fine la sua vita sarebbe stata stravolta. “Se questa cosa dovesse andare a buon fine,” riprese “tu potresti essere solo tu”. 

Jungkook rimase in silenzio per qualche secondo. Taehyung sentiva il cuore del ragazzo battere velocemente sopra il proprio petto e sentiva il suo sguardo addosso, ma la sua testa, quella già stava vagando altrove. 

“Secondo te è possibile?” La sua voce era talmente bassa che fece fatica a sentirlo. “Sarebbe possibile per me essere solo me?” 

“Se questa cosa funziona, sì”. Gli rispose. 

“Senza trasformazioni?” 

“Senza trasformazioni”. 

“Sarei solo io?” 

“Saresti solo tu, Kook”. 

Jungkook accennò un piccolo sorriso e finalmente nei suoi occhi esplose quella scintilla. Quell’emozione che Taehyung aveva cercato dentro di lui per tutta la sera si fece prepotentemente spazio in quel momento. Jungkook non era stato maturo e responsabile prima, quando tutti erano seduti al tavolo e stavano discutendo della partenza di Jimin. Jungkook non aveva preso in considerazione l’idea in maniera seria. Non l’aveva ancora realizzata. Non aveva soppesato cosa avrebbe significato essere solo sé stesso, perché era un qualcosa di così lontano dalla realtà da apparire impossibile. Un sogno, un desiderio nascosto, una piccola speranza.  

“Sarebbe bellissimo. Non mi ricordo nemmeno cosa significa essere solo me”. Disse il ragazzo. 

È più facile di quello che pensi. In questo momento sei solo tu”. 

“Si ma con te è diverso. Con te posso essere quello che voglio e sono io anche da lupo; ma con la gente normale, con loro non sono mai io. Con i miei amici non sono io. Con l’altra famiglia…” Jungkook lasciò cadere il discorso e Taehyung non lo obbligò a continuare. Rimasero in silenzio per qualche secondo, ascoltando solo il respiro calmo di Jimin riempire la stanza. 

“Se dovessi tornare io,” riprese il discorso dopo un po’ “se non fossi più vincolato al questo mio strano corpo, la prima cosa che farei sarebbe buttarmi nella neve”. 

Taehyung sorrise “Buttarti nella neve?” 

“Sì. Buttarmici dentro fino al collo. Starei una giornata intera immerso nella neve senza paura di cambiare forma”. 

“Potrebbe essere un po’ difficile sai, non nevica poi tanto spesso qui”. 

“La nonna di Hobi ha una baita. Gli chiederei di prestarmela per il resto dell’anno e starò a sorseggiare cocktail di neve in una vasca fatta di ghiaccio”. 

“Potresti morire congelato”. 

“Non mi importa, se devo morire voglio morire nel mio corpo, sommerso dai brividi di freddo, ma con la mia pelle”. 

“Non è un po’ estremo come pensiero?” Chiese Taehyung, ma nella sua voce si poteva intuire l’ombra di un sorriso. 

“Forse lo è”. Concordò Jungkook “Forse non dovrei cercare di morire per ibernazione. Non subito almeno. Forse prima dovrei cominciare a viaggiare un po’. Fare tutte quelle cose che adesso ho paura di fare”. 

Taehyung allungò un braccio per stringere il fragile corpo di Jungkook più vicino al suo. Parlare di neve gli aveva fatto venire i brividi lungo la schiena. Avvolse con la mano il suo fianco asciutto. Poteva toccare l’osso sporgente del bacino anche sotto il pigiama pesante che aveva indossato. 

“Dove vorresti andare?” Gli chiese sistemandosi meglio con la testa vicino alla sua. Respirò l’odore dello shampoo dei suoi capelli e socchiuse un po’ gli occhi. 

“In Canada”. Rispose il ragazzo. Le sue labbra sottili disegnarono un ampio sorriso. 

“Dovresti approfittarne allora. Non so se lo sai ma ad Agosto Jimin varcherà la frontiera. Se sopporti il suo costante bisogno di attenzioni potresti avere un valido compagno di viaggio”. 

Jungkook cercò di soffocare un risolino nel petto di Taehyung, ma quella spensieratezza durò poco. 

“Non adesso. È troppo presto per me. Viaggiare senza avere nessun timore, non è una cosa che posso fare. E poi non ho ancora diciassette anni. Sarei solo d’impiccio a Jimin”. 

“Tu dici? Secondo me potresti tirarlo fuori dai guai”. Taehyung sorrise e con lui anche Jungkook. 

“Ti voglio bene”. Gli disse il ragazzo di punto in bianco. 

“Anche io te ne voglio”. 

“No Tae, io ti voglio bene per davvero”. Disse ancora, lo sguardo basso, le guance leggermente arrossate. Il cuore di Taehyung mancò un colpo. 

“Perché me lo stai dicendo in maniera così seria?” Gli chiese. 

Jungkook sollevò le spalle senza alzare lo sguardo verso di lui. Taehyung lo strinse più forte. Il suo corpo, un blocco solido, era tutto quello a cui avrebbe voluto aggrapparsi per il resto della notte. Era Jungkook. Era tornato dopo tanto, troppo tempo, era lì con lui. Taehyung pensò di essere fortunato a stringerlo tra le braccia in quel momento. Fortunato ad avere il suo affetto e la sua considerazione. Voleva proteggerlo a qualsiasi costo. Qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe solo voluto che Jungkook fosse al sicuro e felice. Voleva vederlo felice sempre. 

“Anche io ti voglio bene per davvero”.










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Capitolo revisionato

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13






Ottobre 2010


“Quindi ti piace Blake?” 

Taehyung spalancò gli occhi. La voce di Jimin gli era arrivata forte e chiara nonostante avesse pronunciato quelle parole con un tono basso e pacato. 

Era sera, i due ragazzi avevano da poco finito di rimpinzarsi di hot dog e avevano deciso di rintanarsi sotto le coperte calde, ognuno nel proprio letto. Erano stremati. 

Jimin non chiudeva occhio da più di 24 ore e il giorno dopo gli sarebbe spettato un turno massacrante. 

Taehyung era stanco e provato dalla moltitudine di avvenimenti delle ore precedenti, ma la sua stanchezza era più mentale che fisica. Era confuso e irrequieto, insicuro di sé stesso e della persona che sarebbe potuto diventare. L’unica cosa che desiderava era un sonno senza incubi. Avrebbe voluto dormire intensamente, come faceva quando era piccolo. Appoggiare la testa sul cuscino e sprofondare lontano dalla realtà, in un mondo di pace. 

Evidentemente però il suo migliore amico non era dello stesso avviso. 

Considerò l’idea di non rispondere alla sua domanda e far finta di essere già addormentato, ma sapeva che se lo avesse fatto avrebbe solo procrastinato la conversazione al mattino seguente. Sapeva anche che portare quei discorsi imbarazzanti in macchina sarebbe stato peggio. 

“Non c’è niente di male, sai?” Continuò Jimin, avendo intuito il suo imbarazzo “Blake è una ragazza molto carina”. 

“Non mi piace Blake”. Farfugliò con gli occhi piantati sulle doghe di legno del letto di sopra. Taehyung ringraziò che dalla sua posizione Jimin non potesse notare come le sue orecchie fossero diventate rosse. 

“Non la facevo il tuo tipo, però”.

“Infatti non è il mio tipo”. 

“Tae, dovresti smetterla di dire le bugie”. La voce di Jimin si acuì in un dolcissimo rimprovero. Le orecchie di Taehyung divennero ancora più rosse. Non sapendo cosa dire, mandò giù a vuoto; era imbarazzato come non mai. 

“Non ti ho mai visto così. In genere sei impacciato con le ragazze, ma prima la guardavi e le parlavi come se steste già insieme. Quando si è alzata per andare via l’hai praticamente squadrata dalla testa ai piedi”. 

“Non l’ho squadrata”. Borbottò. Lo aveva fatto? Non se n’era accorto. Doveva essere rimasto un po’ ammaliato da lei. In verità non sapeva dove era riuscito a trovare tutto quel coraggio. Non era mai stato così. Forse era la stanchezza che si portava dietro, lo stress e tutti gli avvenimenti delle ultime settimane. Forse era semplicemente la pressione. Forse doveva trovare una valvola di sfogo e lei sembrava avercela a morte con lui. 

Il ricordo di Blake che lasciava il rifugio insieme agli altri ragazzi gli fece venire la pelle d’oca. Spaventato da sé stesso, Taehyung cercò di liberarsi in fretta di quel pensiero. 

“L’hai squadrata eccome”. Commentò Jimin con tono sarcastico. 

“Io… Jimin dormi”. Sbottò, le guance rossissime, lo sguardo ancora incollato alle doghe del letto del suo amico. Chissà perché ma aveva paura che Jimin potesse sporgersi per guardare di sotto e prenderlo in giro per il modo in cui era arrossito. Per precauzione tirò le lenzuola fin sotto al naso e sperò che il buio della stanza potesse salvarlo da sguardi indiscreti. 

“Senti, non voglio creare disagio…”

“Allora sta zitto”. 

“Dico solo che se vuoi puoi parlarmene...”

“Non c’è niente di cui parlare”. 

Il rifugio era fastidiosamente silenzioso e Taehyung si chiese se Jin e Namjoon stessero già dormendo. Jin forse sì, ma Namjoon sicuramente no o avrebbe sentito quel suo russare cadenzato. Non aveva ancora avuto modo di parlare e scusarsi con lui. Era letteralmente fuggito via alla prima occasione buona, ma era davvero troppo stanco per pensare a come affrontare anche quel problema. 

“Va bene, sei imbarazzato, lo capisco”. 

“N-non sono imbarazzato. Solo… è un discorso stupido”. 

“Pensi di farcela da solo con lei domani?” Chiese Jimin. 

“C-certo. Perché non dovrei?” Balbettò. L’idea che i ragazzi sarebbero tornati al rifugio il giorno dopo gli metteva addosso ancora più pressione di quanta non avrebbe voluto ammettere. I rapporti umani non erano il suo forte e spesso mancava di tatto.  

“Beh perché oltre ad essere circondato da ragazzi confusi, una certa brunetta mi da l’idea che sarà particolarmente incalzante con te”. 

“Ce la farò”. Disse solo, sviando tutti i sottintesi che Jimin stava lasciando aperti. 

“Se vuoi posso chiedere un cambio turno…”

“No Chim. Non preoccuparti, lavora. Per una volta posso pensare io a queste cose”. 

In effetti, Jimin si era sempre addossato le responsabilità di ogni cosa. Lui e Jin avevano sempre cercato di non fargli mai pesare nulla, di collaborare e riempire tutte le lacune che lui lasciava scoperte. Si erano sempre occupati di tutto in qualsiasi occasione. Quella era la volta in cui Taehyung poteva dimostrare che anche lui era parte attivo del branco, che potevano contare su di lui, e che si sarebbe preso quella responsabilità per alleggerire il carico sulle loro spalle. 

“Va bene”. Cedette Jimin. “Allora ti lascerò da solo con i ragazzi e la tua bella”.

“Jimin, davvero, smettila!”

Taehyung lo sentì ridere di quel risolino che si lasciava sfuggire quando stava in realtà cercando di contenersi. 

“Sei adorabile. Mi sono sempre chiesto quando sarebbe arrivato il momento in cui ti saresti preso una cotta”. 

“Non ho una cotta”. 

“Certo che ce l’hai mio inesperto amico”. 

“Inesperto io? Ma se nemmeno tu hai mai avuto una relazione”. 

“Ehi! Io l’ho avuta una ragazza, anche se in veste non ufficiali”. 

Per un attimo Taehyung pensò di aver sentito male, ma si riscosse all’istante. “Cosa? E quale pazza ha voluto mettersi con te? Perché non mi hai mai detto niente?” 

“Non era niente di serio”. 

“Si ma chi è? Quando l’hai conosciuta?” 

Taehyung era allibito. Come diavolo era possibile che non si fosse accorto di nulla? Jimin non era mai stato un tipo riservato e non pensava che avrebbe preferito tenere per sé una notizia del genere. 

Avrebbe dovuto immaginare che un ragazzo come lui non sarebbe di certo passato inosservato. Jimin era bellissimo, ma semplicemente pensava che non avesse mai avuto tempo per le ragazze. Tra il lavoro e la danza, lo studio e il branco, quando era riuscito a farsi una fidanzata? 

“Veniva a danza con me”. Spiegò, la sua voce era dolce e sembrava accarezzare ricordi lontani con una certa nostalgia “Abbiamo iniziato a frequentarci verso la fine dell’estate, due anni fa, ma non è durata molto. Solo qualche mese. Quell’anno mi sono trasformato agli inizi di novembre. È stato come se l’avessi piantata in asso. Mi hanno detto che si è arrabbiata molto quando sono sparito così, da un giorno all’altro, senza dirle niente. Quando sono tornato sono subito andato alla scuola di danza. Volevo chiederle scusa e cercare di farmi perdonare in qualche modo, ma non l’ho più vista. 

Lei è davvero bravissima, danza in modo sublime, ed è la ragazza più bella che abbia mai visto. Perciò non sono rimasto sorpreso quando ho saputo che ha vinto un concorso e che si è fatta notare. Adesso è in un’accademia privata a New York. Sono felice che i suoi sogni si siano realizzati”. 

Taehyung lo sentì deglutire e tirare su col naso. Una gran pena prese posto dentro di lui. Era ingiusto che la sua vita avesse preso quella piega. Jimin non poteva danzare, non poteva amare, né sperare in un futuro. Poteva solo vivere all’ombra del proprio lupo. 

“Ti piaceva tanto?” Riuscì solo a chiedergli.

“Immagino di sì, ma doveva andare così”. Cercò di usare un tono risoluto, ma le sue emozioni gli spezzarono la voce. 

“Perché non hai cercato di contattarla? Su facebook o da qualche altra parte”. 

Per qualche secondo, Jimin non disse niente, lasciando quella domanda sospesa a mezz’aria, poi rispose “Perché siamo davvero troppo diversi. Lei ha una bella vita adesso, ha la carriera che ha sempre desiderato, la possibilità di esibirsi nei teatri e di vivere tutti i suoi sogni. Ha degli amici, una famiglia che la supporta e magari anche un ragazzo che la ama. Non vuole accanto a sé un tipo strano. Uno che c’è solo sei mesi all’anno e che non può offrirle una spalla su cui piangere o due braccia che la stringono nel momento del bisogno. Lei è umana Taehyung, e ha bisogno di vivere nel mondo degli umani”. 

Il cuore di Taehyung si contrasse dolorosamente e per un attimo riuscì ad avvertire quel forte sentimento malinconico che stava vivendo Jimin. Come se entrambi stessero condividendo le stesse emozioni. Per questo balbettò quando disse “Non puoi saperlo. Magari ti aspetterebbe comunque”. 

“E accetterebbe accanto a sé un uomo come me? Guarda questi ragazzi, gli amici di Jungkook. Guarda come hanno reagito loro. Non sanno come comportarsi. Questa è una cosa che cambierà per sempre le loro vite e con la quale dovranno imparare a convivere”. Si interruppe per un attimo, lasciando il discorso incompleto. Voleva cercare le parole migliori per non suonare ridicolo o pietoso. “Se io le dicessi cosa sono realmente, ammesso che non mi creda pazzo, come potrebbe prendere seriamente in considerazione di restare con me? Cosa potrei mai offrirle per farla restare legata a me? Un vecchio rifugio, un grande segreto e una vita in solitudine? Non ho niente che potrebbe piacerle”. 

“Jimin...” 

“Non importa”. Tagliò corto lui, le parole gli uscirono taglienti e il suo tono di voce non ammetteva nessuna replica. Jimin sentiva che era arrivato al limite, non poteva permettersi di piangere sopra una relazione finita. “Me ne sono fatto una ragione, non è un problema. Ormai è passato tanto tempo”. Ma tirò su col naso e fece un piccolo colpo di tosse per schiarire la gola. 

Taehyung non insistette oltre. Aveva capito che non voleva più toccare l’argomento. Forse era per quello che non ne aveva mai parlato, perché sapeva che quella storia non sarebbe durata. Voleva evitare di sperarci fino in fondo. In effetti, nessuno di loro poteva permettersi di stringere troppi legami o il rischio era quello di mettere in pericolo il resto del branco. Quello che era successo a Jungkook ne era una prova. 

“Sei fortunato”. Disse di nuovo Jimin, dopo che il cuore di entrambi aveva rallentato. “Ti piace una ragazza che sa cosa sei e che, nonostante tutto, sembra disposta a starti intorno”.

Taehyung deglutì a vuoto. Non se la sentiva più di negare il fatto che Blake non gli piacesse. Non lo sapeva se gli piacesse o meno, ma il fatto che il suo migliore amico non poteva avere la possibilità di scelta lo faceva sentire un egoista. 

Jimin se ne accorse “Non dici più che non ti piace? Siamo già arrivata alla fase dell’accettazione del sentimento?”

“No è solo che…” 

“Non devi farti condizionare da me Tae”. Lo interruppe, perché sapeva sempre come Taehyung si sentiva e sapeva comprenderlo più di quanto lui stesso poteva comprendersi. “Se ti piace ti piace, e se non ti piace… beh allora puoi dirmelo e basta”. 

Taehyung scostò appena il lenzuolo che ancora gli ricopriva mezza faccia. “Non lo so se mi piace”. Ammise infine con le guance in fiamme. 

È normale. Tu lo capirai con un po’ di tempo, ma per me è chiaro come il sole”. 

“Come fai ad esserne così sicuro?” 

“Perché hai l’occhio da triglia innamorata”. Spiegò semplicemente facendo crescere di nuovo l’imbarazzo di Taehyung. 

“N-non ho l’occhio da triglia”. Balbetto in risposta. 

“Siamo tornati alla fase della negazione?” 

“N-no, è solo che…”

Jimin rise e a quel suono il cuore di Taehyung si alleggerì un pochino. “Sei davvero adorabile, ma va bene. Niente occhio da triglia. Però ti prego, finiamo la conversazione domani. Sono sfinito”. Sentì Jimin muoversi, facendo cigolare la struttura in metallo del letto a castello. 

Taehyung ebbe l’impressione che la chiacchierata lo avesse sconvolto più del dovuto. I vecchi ricordi lo avevano ferito e Jimin preferiva non pensarci più. Dal canto suo, fu felice di chiudere il discorso in quel modo un po’ repentino. Non voleva più provare quello che stava provando. Né l’imbarazzo per Blake, né il dolore per la storia finita del suo amico. 

Taehyung gli augurò la buona notte e, anche lui, chiuse gli occhi. Malgrado fosse stanco, il sonno non sopraggiunse subito come aveva sperato. 

 

Quando Taehyung tornò a casa dopo una giornata stancante di lavoro, uno strano odore chimico aleggiava nel salotto del rifugio. I fornelli erano stati usati per scopi scientifici; una strana sostanza rosa era esplosa sul piano della cucina e sulla parete fin sotto la cappa cottura. E soprattutto, i capelli di Kim Namjoon erano diventati totalmente bianchi. 

Taehyung lo trovò ad urlecchiare parole incomprensibili mentre stava tentando di infilare un braccio in quello che aveva l’aria di essere il manicotto del macchinario per misurare la pressione. 

“Che stai facendo?” Gli chiese, grattandosi la fronte con l’indice e sforzandosi per non dar vita ad un’espressione scettica.

Namjoon era talmente assorto nel suo lavoro da non essersi nemmeno degnato di girarsi per controllare chi fosse arrivato al rifugio. O forse si era accorto della sua presenza e non voleva parlare con lui di proposito. Ad ogni modo non diede segno di averlo sentito e continuò a mostrargli le spalle. 

Taehyung si morse un labbro. Possibile che fosse così arrabbiato da non voler nemmeno intavolare una conversazione? Lui aveva quantomeno avuto il buon proposito di chiedergli scusa e aveva cercato di costruire un discorso che potesse essere abbastanza convincente. Lo aveva ripetuto interamente per almeno tre volte mentre guidava piano, eppure ancora non si sentiva sicuro. Non era bravo ad ammettere di aver sbagliato, ma quantomeno ci stava provando. Quello che di certo non si aspettava era Namjoon che lo ignorava a quel modo. 

“Namjoon”. Lo chiamò ancora, ma di nuovo non ricevette risposta. 

Taehyung cercò di reprimere la sensazione fastidiosa che si stava agglomerando dentro al suo petto. Si avvicinò a grandi falcate e gli poggiò una mano sulla spalla, facendo pressione per direzionare il corpo dell’altro verso di sé. 

Namjoon urlò e si lasciò sfuggire di mano la pompetta che avrebbe dovuto riempire la camera d’aria del manicotto di tela attorno al braccio. Quella specie di bracciale, che non era ancora stato gonfiato, si sfilò velocemente cadendo per terra facendo un gran baccano. Trafelato, si portò una mano al cuore mentre con l’altra sfilava velocemente la cuffietta dal suo orecchio. 

“Gesù, mi hai fatto prendere un infarto. Quando sei arrivato?” Parlò con un tono di voce incredibilmente alto. Era spaventato e ancora stordito dalla musica.  

“A-adesso”. Balbettò Taehyung, imbarazzato da quella svista. “Mi dispiace, non mi ero accorto avessi le cuffiette”. 

“Avevo bisogno di rilassarmi”. Disse Namjoon come se fosse lui a doversi giustificare.  

Taehyung annuì e, senza poterlo evitare chiese “Che diavolo hai fatto ai capelli?” avrebbe voluto alzare un braccio e toccargli la chioma ossigenata, ma trattenne l’istinto. 

“Oh beh” Namjoon scosse la testa leggermente, lasciando che le ciocche disordinate si muovessero appena da destra a sinistra “stavo solo tentando di registrare i miei recettori del dolore. Ho pensato che sperimentare la decolorazione fosse un buon metodo. Lì per lì mi era sembrata una grande idea, ma adesso che che ho i capelli bianchi e ne parlo ad alta voce sembra…” 

“Un'idiozia?”

Namjoon fece una smorfia “Già”. 

Taehyung tornò a squadrarlo. Non sapeva più cosa pensare di lui. Lo spavento di poco prima aveva smosso la sua faccia annoiata ed imperturbabile giusto per qualche secondo. Poi era tornato ad essere quello di sempre: il viso calmo e i muscoli rilassati che sembravano essere stati programmati per non sorridere mai. Nulla avrebbe potuto increspare quell’espressione tanto austera, tranne un lampo di genio, l’ispirazione scientifica capace di scaldargli il cuore. 

“Ha funzionato almeno?” Si azzardò a chiedere. 

“Oh si certo”. Rispose lui. “Beh, quanto meno ho registrato dei dati oggettivi. Cominciavo a pensare che il macchinario fosse difettoso”. 

“Meno male che non lo è ”. 

“Già, meno male”. 

Un silenzio imbarazzante scese sul rifugio. Taehyung non aveva idea di come poter proseguire il dialogo con lui. Sapeva bene che avrebbe dovuto scusarsi, aveva rimandato quel momento anche fin troppo, eppure il fatto che non riuscissero a trovare un punto di incontro lo imbarazzava ancora di più.  

“Namjoon” cercò, dentro al suo corpo, un filo di voce che gli permettesse di pronunciare quel nome “io volevo scusarmi per ieri”. Disse solo, prima di far calare di nuovo il silenzio tra di loro. Quello non era affatto il lungo discorso che aveva provato in macchina per ben tre volte e si diede mentalmente dell’idiota. 

“Ah. Non importa”. Fu la risposta evasiva che non si aspettava di ricevere. Namjoon si affrettò a recuperare il suo sfigmomanometro. Lo spolverò leggermente con le sue dita lunghe, come se lasciandolo sul pavimento per pochi minuti lo avesse reso un relitto ricolmo di polvere. 

“Invece sì. Devo dirti che non avrei dovuto comportarmi in quel modo”. Si costrinse a dire Taehyung. 

“Davvero, non importa”. Tagliò corto l’altro, spingendo frettolosamente indietro gli occhiali sul ponte del naso “Capita a tutti di sbottare”. 

“Già”. 

Taehyung aveva come la sensazione che stesse cercando di archiviare la conversazione prima possibile e si domandò il perché. Probabilmente non voleva aprire nuovamente il dibattito, o magari si era impaurito. Però, se fosse stato lui al suo posto, quelle scuse le avrebbe pretese e avrebbe anche un po’ rigirato il coltello nella piaga. 

“Io non ti sto tanto simpatico”. Proruppe Namjoon ad un certo punto. Per un attimo Taehyung pensò che sarebbe stato educato smentire quell'affermazione, ma rimase comunque in silenzio. “È normale. Non si può stare simpatici a tutti. Non è un problema per me, ma vorrei solo che tu capissi che sono qui per aiutarvi”. 

Gli incisivi di Taehyung si piantarono con forza nel suo labbro inferiore. Non voleva mettersi a parlare di una cosa del genere. Davvero non voleva farlo. Adesso che era consapevole di poter perdere il controllo con così tanta facilità, non voleva più imbarcarsi in quel tipo di conversazioni. Soprattutto non con Namjoon. 

Inspirò, cercando di prendere ancora qualche secondo di tempo per scavare all’interno della sua mente e cercare delle parole che potevano essere adeguate. 

“Tu non puoi aiutarmi”. Disse infine, il petto che gli bruciava per la foga e la paura di usare termini che potevano innescare una reazione inaspettata. “Non puoi farlo perché io non voglio il tuo aiuto. E non vorrei che aiutassi proprio nessuno, ma per quanto possa sembrarlo, non sono irragionevole e non ho il veto sulle scelte degli altri”. Lasciò andare l’aria che gli era rimasta nei polmoni. 

Namjoon abbassò la testa e si fissò le mani per qualche secondo. Non sapeva perché, ma si aspettava quasi che avrebbe fatto cadere anche quella conversazione. Invece non lo fece. 

“Va bene. Voglio dire, capisco che non vuoi essere aiutato, ma perché non dovrei aiutare gli altri?” Parlò senza guardarlo negli occhi. Nella sua voce non c’era nulla. Non un tono che potesse sottintendere una reale curiosità e nemmeno uno che incitasse ad una sfida. Sembrava un essere vuoto al punto tale che se non avesse visto la paura nei suoi occhi, quando poco prima lo aveva sorpreso alle spalle, Taehyung avrebbe pensato che era lui quello a non essere umano.  

“Perché credo che tu non li voglia veramente aiutare. Credo che tu li voglia sfruttare. È per questo che sei qui. Perché hai degli interessi e vuoi portarli a termine”. 

“Tu vedi tutto come un business. Non riesci a capire che cosa significa questo per me, vero?” 

Taehyung alzò un sopracciglio. Significava soldi, fama, vita da ricchi. Una scoperta del genere avrebbe modificato le leggi della natura umana. Sarebbero impazziti tutti, il suo nome sarebbe stato sulla bocca di tutti e lo avrebbero ricoperto d’oro da capo a piedi. Sarebbe stata la giusta ricompensa per gli sforzi di una vita e, allo stesso tempo, una grande ingiustizia. 

“Significa qualcosa più del business, dei soldi e della fama?” Chiese. 

Namjoon alzò lo sguardo per cercare i suoi occhi. Strinse la mascella e finalmente Taehyung vide qualcosa. Un guizzo che arrivò a deturpare il volto calmo di sempre, ma che non riuscì a scomporlo del tutto. 

“Non mi importa del business e non sono minimamente interessato ai soldi. Non lo faccio per nulla di quello che credi tu. Lo faccio perché là fuori possono essercene altri come te, come voi, e voglio che queste persone tornino a casa dalla propria famiglia. Che passino insieme il giorno del Ringraziamento e il Natale. È giusto che possano avere questa possibilità”. 

Un nodo si aggrovigliò proprio intorno alla gola di Taehyung. Qualsiasi altra persone sarebbe stata toccata delle sue parole, ma non lui. Taehyung non solo non ne fu toccato, ma sentì montare, dal fondo del suo cuore, un certo fastidio. 

Si era quasi dimenticato che anche Namjoon aveva avuto un fratello, un tempo, che era stato come loro. Kim Minho. Tutto era partito da lui, e anche se Taehyung avrebbe dovuto mostrarsi comprensivo nei confronti di un altro lupo, non lo era per niente. Gli sembrava che quei due fossero in combutta contro di lui. 

Senza poterlo impedire, un sorriso scappò fuori dal suo controllo. I muscoli si curvarono prima ancora che lui potesse effettivamente capire che stesse ridendo in faccia al fratello di una persona morta. Sapeva che non era giusto quello che stava facendo, sapeva che stava sbagliando, eppure quello che disse fu “Questo farebbe di te un benefattore?”

Nonostante tutto, Namjoon non si scompose e calmo rispose “Questo fa di me un umano”. 

Quelle parole lo bruciarono più di quanto avrebbe dovuto. Perché quella frase non voleva mettere in risalto le qualità dell’uomo che gli stava di fronte, ma voleva denigrare le sue. Dovette deglutire e cercare di mordersi la lingua. Doveva ricordarsi che doveva restare calmo e che non poteva superare quella linea sottile che demarcava la rabbia dallo stato di quiete. 

Si sforzò di pensare che erano pari. Si sforzò di pensare che non era un affronto. Dunque fece scorrere la lingua sulle labbra, inumidendole appena. 

“Resto sempre della mia idea”. Riuscì infine ad articolare. Era meglio chiudere la conversazione il più in fretta possibile. Si era scusato, avevano cercato di chiarire, c’erano riusciti solo a metà, ma comunque era meglio di niente. Ora doveva mettere fine a quel dibattito e prepararsi per l’arrivo dei ragazzi. 

“Vi si gonfia la vena”. Disse però Namjoon di punto in bianco. 

“Cosa?” Chiese Taehyung, senza guardarlo in faccia.

“Proprio qui”. Lo scienziato allungò una mano e con fare deciso posò la punta di un polpastrello sulla sua fronte, annullando la breve distanza che c’era tra di loro. Taehyung poté chiaramente sentire il suo dito scorrere appena sulla sua pelle e schiacciare delicatamente una piccola protuberanza. “Quando vi arrabbiate, quando avete un brivido di freddo o vi ritrovate dopo tanto tempo. Se c’è qualcosa che non va. In questo punto, vi esce fuori una vena piccolissima. Non credo che te ne sia mai accorto”. 

Velocemente si scostò dal suo tocco, come se le sue mani fossero state bagnate con l’acqua santa e lui fosse il diavolo. 

“Bene Sherlock e allora?” Disse, nascondendosi dietro al sarcasmo per smorzare quell’aria pesante che aleggiava attorno a loro. 

“Allora è un po’ troppo curioso che succeda a tutti voi, non trovi?” La voce di Namjoon era perfettamente calma. “Anche l’altra sera ti si era ingrossata. Magari è da lì che viene tutto. Ci hai mai pensato?”

No. Non ci aveva mai pensato, non ci voleva pensare e, benché gli scocciasse ammetterlo, nemmeno si era mai accorto che gli si gonfiava una vena sulla fronte. 

“Sinceramente, non mi interessa da dove viene. Te lo ripeto, io non cerco il tuo aiuto, o la tua spiegazione scientifica. Non è per me che sei qui e non mi presterò ai tuoi esperimenti”. 

“Non te l’ho mai chiesto; e se non vuoi il mio aiuto mi sta bene. Ma non credi che forse potresti aiutare i tuoi amici?” 

Malgrado tutto, Taehyung rise “Certo. Io dovrei prestarmi a farmi fare tutto quello che vuoi solo per aiutare i miei amici e tu dovresti imparare a manipolare meglio le persone, così è davvero troppo evidente”. 

Non credeva di poter reggere ancora. Voleva mettere un punto a quella situazione e basta.

“Taehyung, hai troppi pregiudizi”. Disse Namjoon “Non era questo che intendevo dire. Quello che volevo dire è che se cercassimo di andare d’accordo, il clima in casa sarebbe molto più disteso”. 

È molto difficile andare d’accordo con te”.  

Taehyung era un muro. La verità era che non voleva sentire ragione, per questo rigettava tutte le parole che usciva dalla bocca dell’altro. Namjoon voleva dare vita ad una tregua tra di loro e anche lui voleva farlo. Aveva creduto di volerlo fino a quella mattina, fino a quando aveva ripetuto il suo discorso di scuse in macchina. Eppure, proprio quando era l’altro a servirgli quell’opzione, lui era reticente.

Namjoon fece un lungo sospiro, era come se stesse cercando di spiegare qualcosa di semplice ad un bambino che si ostinava a non voler capire “Non credo che mi fermerò con voi ancora per molto. Tra poco diventerete lupi e io dovrò smontare tutto” fece un gesto della mano per indicare la stanza attorno a loro “e dovrò andare via. Vorrei solo che fino a quel momento io e te avessimo un rapporto civile. Un rapporto che mi permetta di aiutare chi ha richiesto il mio aiuto e di non interferire con il tuo stile di vita. Non mi sembra di chiedere tanto”. 

Taehyung deglutì di nuovo. Era infastidito da quei ragionamenti così logici e pacati quando invece lui stava facendo davvero di tutto per trattenere l’astio e temperare il suo comportamento. Però quello che aveva detto era vero. Presto se ne sarebbe andato e lui sarebbe potuto essere solamente un lupo. Si sarebbe dimenticato della sua presenza fino a marzo e per quel tempo… chissà, magari le ricerche sarebbero state inconcludenti e i finanziatori non avrebbero concesso altro tempo. 

“No. Non chiedi tanto”. Borbottò dopo qualche secondo. “Io mi sto già sforzando di andare d’accordo”. 

“Lo vedo”. Gli rispose “Sono felice che tu lo stia facendo”. La sua faccia era sempre la stessa e per un attimo Taehyung pensò che lo stesse prendendo in giro. Evidentemente le emozioni di Namjoon esplodevano solo sotto la sua pelle, contenute nel suo corpo come sotto reazione controllata.

“Bene, ora dovrei tornare al mio lavoro”.

“Sì”. 

Era già pronto per andare a rifugiarsi nella sua stanza quando Namjoon gli chiese “Potresti aiutarmi con questo?” Mise in mostra lo sfigmomanometro con il quale, poco prima, stava cercando di controllare la sua pressione.  

Taehyung mandò giù a vuoto. Era un test quello? Avevano siglato una pace e adesso lo stava testando per metterlo alla prova? 

Non aveva nessuna voglia di aiutarlo, né tanto meno di passare altro tempo con lui, ma allungò la mano per ricevere lo strumento “Certo”.

Namjoon si tolse la felpa e stese il braccio davanti a sé. Taehyung lo aiutò a sistemare il manicotto grigio nella parte alta del suo arto e represse la voglia di strizzare l’oggetto attorno alla sua carne solo per il gusto di fargli male. Quando ebbe sistemato tutto cominciare a pompare aria. Per qualche secondo non si sentì nulla se non il suono meccanico dello strumento, quello strano fruscio del manicotto che si gonfiava sotto sforzo. Vide la stanghetta rossa della camera d’aria schizzare in alto e poi in basso, quando Namjoon gli fece un cenno, si fermò e restò a fissare quel quadrante con i numeri senza davvero capire cosa significassero. 

“Se posso darti un consiglio non richiesto…” Cominciò a dire Namjoon “dovresti farti degli esami. Prima che tu lo dica, non sto dicendo che dovrei essere io a farli, solo che dovresti controllarti per accertarti della tua salute da umano”.

“Grazie, ma sto bene così”. 

“Taehyung, pensaci seriamente e non perché sono io a dirtelo. Non è normale che tu non ti sai controllato negli ultimi dieci anni”. 

Taehyung sorrise sarcastico “Se non te ne sei accorto, nulla in me è normale”. 

Namjoon scosse la testa, si sfilò il manicotto dal braccio e si rivestì poi si avvicinò al cassettone del salotto che da più di un mese ormai gli faceva da scrivania.  Taehyung non se ne era accorto prima, troppo occupato a guardare la testa bianca dell’uomo di fronte a sé, ma un’accozzaglia di fogli era stata seminata sul vecchio mobile. Tutti erano scritti a mano con una calligrafia talmente piccola e fitta da far venire il mal di testa. Rigirandosi la penna tra le dita per qualche secondo, Namjoon andò in cerca di qualcosa sul suo stesso foglio e, quando lo trovò, annotò a fianco qualche nuovo numero.

Da quel che pareva, Namjoon aveva passato la mattina a fare esperimenti su sé stesso. 

“A cosa dovrebbero serviti i tuoi stessi risultati?” Chiese Taehyung, non riuscendo a frenare la curiosità. “Pensavo che fosse di noi che dovevi occuparti”. 

“Certo, ma mi serve comunque un metro di paragone che sia umano, e non conosco nessuno in città, quindi…” Namjoon lasciò la frase in sospeso, ma non ci fu veramente bisogno di aggiungere nient’altro. 

“Un metro di paragone? Siamo così tanto diversi?” La domanda era stata posta in maniera sarcastica, ma la risposta fu seria. 

“In realtà sì. Esternamente sembra che siate perfettamente sani e in salute, ma le analisi del sangue di Jin hanno i valori tutti sballati”. 

“E questo non ci accomuna ad un normale americano medio? Nessuno ha delle analisi perfette”. 

“Non sto parlando di valori come il colesterolo o la vitamina D. Parlo del numero spropositato di globuli bianchi che circola nel suo sangue. È tecnicamente impossibile che non abbia costantemente la febbre o qualche altro tipo di malattia che avrebbe già dovuto manifestarsi. La sua pressione è terribilmente bassa e nelle sue urine c’era tracce di… non so nemmeno io che diavolo sia quella roba. Se dovessi basarmi solo su questi dati, direi che non sta per niente bene”. Concluse. 

Taehyung si irrigidì un po’.

Non era davvero possibile. Jin stava benissimo e aveva una salute di ferro. Da quando lo conosceva lui, non ricordava di avergli mai visto fare nemmeno un raffreddore. Mangiava regolarmente frutta e verdura e non eccedeva con alcol, dolci o carne rossa. Aveva un’alimentazione sana e, qualche volta, usciva persino a fare jogging. Com’era possibile che non stesse bene? Namjoon si stava sbagliando. 

“Non può essere”. Disse infatti. 

“Beh ti assicuro che è così. Anche a me sembra impossibile per questo ho chiesto anche a Jimin di fare delle analisi, ma ultimamente lavora troppo e quando torna a casa non me la sento di stressarlo ulteriormente”. 

“Jimin sta benissimo”. Si affrettò a dire Taehyung, come se fosse stato punto nell’orgoglio. “Fa sport tre volte alla settimana, è in piena forma e mangia bene. Magari dorme un po’ poco e, sì, ultimamente è un po’ stressato, ma sta benissimo”. 

Namjoon si girò a guardarlo. Si rese conto che le sue parole lo aveva turbato e per un attimo si sentì in colpa. Non voleva mettere in allarme nessuno, per questo si affrettò ad aggiungere “Non metto in dubbio che voi vi sentiate bene. È solo un fatto davvero insolito. Personalmente credo che questo possa essere un effetto collaterale del fatto che vi trasformiate in lupi, ma non ne sono certo. Non ho dati a sufficienza per dirlo con certezza. Quando avrò le analisi di Jimin allora potrò cominciare ad avanzare un’ipotesi”. 

Taehyung di morse un labbro. Non sapeva cosa pensare. Era una notizia inaspettata e per questo si ritrovò a considerare l’idea che in realtà fosse una bugia; che fosse Namjoon a pilotare quella conversazione solo per deviarlo dalle sue convinzioni. Stava cercando di aggirarlo e di coinvolgerlo nelle sue ricerche con sotterfugi. Non c’era da fidarsi di quello che diceva. Doveva fidarsi di quello che i suoi occhi e la sua conoscenza gli dicevano. Giusto? Ma quando lui stesso si sentiva totalmente inaffidabile, come poteva non considerare tutte le opzioni? 

“So cosa stai pensando”. Disse lo scienziato, che evidentemente era riuscito a leggere la sua espressione “Ma non è così. Non mi piace far preoccupare te e tutti gli altri, e se ancora non l’ho detto a Jin è solo perché non sono sicuro di cosa potrebbe essere. Per ora posso fare solo supposizioni sulla base dei dati che ho. Se devo considerare solo quelli, dovrei ritenermi preoccupato anche io”. 

Non sapeva se credere davvero alla sua preoccupazione, ma non lo contraddisse, né cercò di alimentare una discussione. Era evidente che Namjoon stesse cercando di tendere una mano nella sua direzione e Taehyung non voleva sputarci sopra. 

È per questo motivo” Namjoon riprese il suo discorso “che prima ti ho consigliato di fare un controllo. Potresti rivolgerti all’ospedale di un altro Stato. Non credo che ti facciano tante domande se fingi di essere un turista che ha avuto un incidente. Non per delle analisi del sangue, almeno”. 

Taehyung scosse la testa “Non ho una buona assicurazione sanitaria e poi…” lasciò la frase in sospeso. Non aveva intenzione di farsi un prelievo. 

“E all’ospedale dove è stato Jimin?” Tentò allora l’altro. 

“Cosa?” 

“Quando si è rotto il braccio. Jin mi ha dato le sue lastre e gli ho dato un’occhiata. Magari i prezzi sono più abbordabili. E poi, se si sono limitati a rimettergli a posto l’osso e non gli hanno detto niente, con delle lastre del genere, è un posto abbastanza sicuro, no?” 

Di nuovo a Taehyung parve di non aver capito quello che gli fosse stato detto. 

“Di che diavolo stai parlando?” Chiese allora, con il tono di voce più concitato di quando avesse voluto. 

Per un attimo, anche l’imperturbabilità di Namjoon parve vacillare “Della sua lastra”. Parlò lentamente, come a voler sondare il terreno parola per parola. “Jimin ha delle ossa fragilissime. In alcuni punti sembra quasi che ci siano dei buchi. Mi sorprende che possa anche solo camminare”. 

“Non può essere”. 

Namjoon si mosse velocemente, allontanandosi dalla cassettiera-scrivania per andare a scartabellare tra una serie di documenti che aveva lasciato sparsi alla rinfusa sul divano. Pochi secondi dopo gli pose la vecchia cartella clinica di Jimin. La lastra mostrava chiaramente un arto spezzato a metà, quello che Jimin si era rotto, ma la superficie dell’osso sembrava cosparsa da piccoli cerchiolini cavi non uniformi. Namjoon gliene indicò un paio di quelli più grandi con l’indice della mano. 

“Li vedi? Questi sembrano dei veri e propri buchi. Sembra come se le sue ossa si stessero corrodendo lentamente dall’interno. Jimin non te ne ha mai parlato?” 

Taehyung scosse la testa, non sapendo che cosa dire e come dirlo. Non esisteva suono nel mondo capace di esprimere quello che stava provando. A forza si costrinse a distogliere lo sguardo dalle foto delle ossa di Jimin. I suoi occhi erano colmi di terrore e Namjoon se ne accorse. Insicuro poggiò una delle sue grandi mani sulla spalla di Taehyung. 

“Taehyung ascoltami, è ancora troppo presto per saltare a conclusioni affrettate. Potrebbe significare tutto e niente. Okay? Se ti può far star tranquillo chiederò a Jimin di prestarsi per delle analisi il prima possibile. Sono sicuro che ci sarà una spiegazione più che logica per tutto. Non preoccuparti”. 

Ormai era tardi per non preoccuparsi. Ormai l’unica cosa a cui riusciva a pensare, era che i lupi dentro di loro li stessero ammazzando. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14





Ottobre 2010

 

“Per quale motivo stiamo camminando nel bosco? E che diavolo avrà dentro a quel sacco?” Yoongi stava cercando di parlare a bassa voce con Hoseok, ma Taehyung poté comunque sentire la domanda del ragazzo forte e chiaro. 

“Non ne ho idea”. Rispose tranquillo l’altro, senza nemmeno provare a tenere un tono di voce più basso. 

“Stiamo andando a piazzare il cibo per Jungkook”. Disse allora Taehyung, senza voltarsi indietro, continuando a camminare tra il fogliame. 

Da qualche minuto il gruppetto aveva abbandonato il sentiero principale che, dal giardino del rifugio, si inoltrava nella foresta, allontanandosi dalle abitazioni e dai rumori del mondo umano. Il terreno irregolare sotto ai piedi affaticava la camminata e lo spesso strato di foglie che aveva ricoperto il suolo sembrava voler ostacolare ogni loro passo. Era come se camminassero dentro all’acqua di un lago, ogni movimento sembrava pesante e trattenuto. Forse era la suggestione del luogo, ma l’attrito tra i loro corpi e il mare di foglie era più forte di quanto sembrasse.  

Yoongi, che non era abituato ad escursioni come quelle, stava avendo qualche problema a rimanere al pari con altri e, lentamente, era scivolato in fondo al gruppo. 

Attorno a loro l’aria era spettrale. Una nebbiolina sottile aleggiava alta e oscurava, ancor di più, la luce del cielo coperto dalle nubi. La corteccia di faggi e liquidambar aveva assorbito un po’ dell’umidità presente nell’aria e si era fatta più scura. I tronchi svettavano alti sopra le loro teste e i rami si intrecciavano formando una cupola di braccia secche e nere. 

Qualche foglia dalla forma stellata sembrava persistere ancora ferma al suo posto, ma l’intenso colore rossiccio lasciava intendere che non avrebbero avuto lunga vita. Pochi giorno ancora e tutte si sarebbero staccate, avrebbero volteggiato piano nell’aria e si sarebbero accasciate al suolo insieme a quelle già cadute, ormai morte. 

“Piazzare il cibo?” Balke gli stava alle calcagna. Era più vicino di quanto Taehyung avesse davvero voluto. Più cercava di mettere una distanza fisica tra di loro, più lei sembrava accorciarla. Senza contare che, da quando si erano rivisti, aveva fatto l’impossibile per non avere un contatto visivo diretto con lei. 

Non ne andava fiero, ma aveva cercato di ignorarla quanto più possibile, rivolgendosi a Hoseok o a Yoongi pure quando era lei a porre una domanda. In verità, scappare nel bosco non appena i ragazzi erano arrivati era stato l’unico escamotage a cui aveva pensato. Si era detto che, se fosse stato distratto dall’attività fisica e se li avesse tenuti occupati, avrebbe potuto gestire meglio le sue emozioni instabili. Inoltre, dopo la chiacchierata con Namjoon, scappare lontano era l’unica cosa che voleva. 

Ma Blake… 

Taehyung sapeva che era stata la conversazione con Jimin ad avergli lasciato addosso uno strano imbarazzo, ma lei non sembrava volergli facilitare le cose. Continuava a ronzargli intorno, a guardarlo, a cercare un qualche tipo di contatto. Anche in quel momento si sentiva sotto osservazione, con il suo sguardo appiccicato addosso. 

“Sì. Quando sei un lupo ed hai un branco alle spalle è più facile cacciare. Puoi attaccare una preda grossa e sfamarti senza problemi. Ma se sei da solo procacciarsi il cibo è molto difficile, soprattutto se non hai troppa esperienza. Per questo, anche da umani, cerchiamo di aiutare Jungkook come possiamo”. Le spiegò, senza distogliere lo sguardo dal bosco di fronte a lui. 

I tronchi degli alberi si susseguivano, tutti neri, tutti uguali, uno dietro l’altro, quasi a voler creare un labirinto indisitino. Eppure il paesaggio sembrava essere così familiare agli occhi di Taehyung. 

“Che c’è dentro quel sacco?” Chiese ancora la ragazza. 

“Un coniglietto”. Rispose dopo qualche secondo. Non sapeva spiegarsi perché, ma si sentiva quasi incriminato ad avere con sé la carcassa di un povero animaletto innocente. 

“Non finiremo per perderci?” Domandò Yoongi insicuro se tenere lo sguardo fisso sui suoi piedi o sulla strada davanti a lui. Colpa l'indecisione, inciampò in una radice e per poco che non finì lungo disteso vicino ai funghi selvatici. Steli bianchi e cappelli rossi, crescevano alla base degli alberi ed erano velenosi solo alla vista. 

Hoseok, più agile di lui, stava cercando di segnare un percorso in modo che Yoongi potesse ripercorrere i suoi stessi passi. 

“Tu potresti mai perderti a casa tua?” Chiese retorico Taehyung. “Non correte alcun rischio, ve lo posso assicurare. Conosco questo bosco come le mie tasche”. Scostò il ramo di un albero particolarmente basso e aggirò il suo tronco. 

Erano arrivati in prossimità del lago, dove grossi blocchi di rocce friabili, alte almeno una decina di metri, facevano da schermo naturale ad un basso precipizio che dava direttamente sull’acqua. Lo scorrere placido e calmo della corrente si sentiva appena. 

Taehyung soppesò la situazione. Jungkook sarebbe sicuramente passato da quelle parti per bere o per cercare riparo dal vento freddo della notte. Si erano inoltrati nel fitto della foresta ed erano ormai lontano da occhi indiscreti. Bisognava solo cercare un posto dove sistemare il coniglio. Con un po’ di fortuna, tutto sarebbe andato secondo i piani e Jungkook non avrebbe impiegato troppo per trovare la cena pronta. 

“Che succede se incontriamo Jungkook?” Chiese Blake sgusciando sotto il ramo basso dell’albero e riproducendo le stesse azioni che poco prima aveva visto fare a Taehyung. 

“Cosa dovrebbe succedere?” Chiese in risposta lui, mentre con lo sguardo stava ispezionando le rocce. Ai piedi di due enormi massi c’era una una spaccatura grossa abbastanza da permettere perfino ad un bambino mingherlino di sgusciare dentro. 

“Beh sai, potremmo correre il rischio di essere sbranati, o morsi”. Replicò sarcastica. Forse la notte aveva reso Blake più pacata perché non aveva più quell’aria di sfida e aggressività che tanto l’avevano fatta sembrare furente il giorno prima. 

“Ah, Jungkook non lo farebbe mai”. 

In quel momento, Taehyung e Blake erano tornati ad essere quelli di sempre e malgrado tutto lui se ne rammaricò un po’. Solo ventiquattro ore prima sarebbe stato capace di fronteggiare qualsiasi avvenimento, ma adesso si era di nuovo chiuso in se stesso. 

“Secondo il senso comunque, Jungkook non si sarebbe nemmeno dovuto trasformare in lupo”. Disse Yoongi. Era sempre scettico, ma Taehyung non se la sentiva di contraddirlo. Aveva capito che accettare quella realtà era molto difficile per lui. 

Procedettero fino ad arrivare all'apertura tra i due massi che Taehyung aveva adocchiato. Quando si arrestò, i ragazzi si disposero attorno a lui, come una scolaresca in gita ad un museo. I loro occhi lo fissavano mentre allentava il nastro che teneva chiuso il piccolo sacco che si era portato dietro. Infilò dentro la mano ed estrasse la carcassa dello sfortunato coniglio. Il corpicino dell’animale era freddo e rigido, ma il pelo grigio era ancora morbido e soffice. Il collo rotto faceva penzolare la testa da un lato, portandosi dietro le lunghe orecchie un po’ ammaccate. Tra le sue mani, quel coniglio sembrava essere leggero come una piuma. 

Hoseok deglutì e distolse lo sguardo, ma nemmeno una parola uscì dalle sue labbra. 

“Bene, lo sistemeremo qui”. Taehyung si accovacciò per nascondere il coniglio nella spaccatura della roccia. Aiutandosi con le mani, cercò di spazzare via dal terreno le foglie morte che il vento aveva trasportato in quella insenatura naturale. In questo modo Jungkook avrebbe potuto fiutare meglio l’odore della preda. 

Una volta che ebbe finito, si rialzò e si girò nella direzione dei ragazzi, che lo avevano guardato in silenzio. 

“Torniamo al rifugio adesso?” Gli domandò Yoongi sotto il peso del suo sguardo. 

“Di solito faccio un giro di perlustrazione. Vi dispiace?” 

“Perlustrazione? Perché dovresti perlustrare?” Da quando Taehyung aveva tirato fuori quel coniglio, la faccia di Hoseok era sbiancata. Forse non gli piaceva avere quel tipo di contatto con la natura, ma era chiaro che si stesse sforzando al massimo per non far pesare la sua negatività a nessuno. 

“Solo per accertarmi che Jungkook sia in zona. Quando si è lupi la concezione dello spazio e del tempo è diversa”. 

“E tu riesci a capire se è da queste parti o meno?” Chiese Blake, la sua espressione era un misto tra il sorpreso e lo scettico. 

“Certo. Tutti noi siamo capace di leggere le tracce. Non è troppo difficile, devi solo essere attento”. Cominciò a spiegare. “Con il tempo impari a riconoscere gli odori nell’aria e a notare le impronte sulla terra, il modo in cui alcune foglie sono disposte o i segni di unghie e denti sugli alberi. Quando sei un lupo persino un pezzetto di legno sembra qualcosa di estremamente divertente. A volte troviamo i segni di quello che Jungkook ha provato a procacciarsi. Resti di scoiattoli, uccelli, se è fortunato procioni. Basta solo fare attenzione a queste piccole cose per capire dove è stato di recente e quanto potrebbe essersi allontanato”. 

“Affascinante. Davvero affascinante”. Blake gli lanciò un’occhiata che pareva quasi ammirata e Taehyung sentì la gola seccarsi e il cuore accelerare un pochino. Deglutì a vuoto e si girò dall’altra parte, cominciando a camminare nel fitto del bosco di buon passo. 

“Bisogna sbrigarsi o si farà troppo tardi. Tra mezz’ora calerà la sera”. Farfugliò, le guance lievemente arrossate. Pregò che gli altri pensassero che quel rossore fosse dato dallo sforzo fisico della camminata e, per cercare di non farsi vedere, accelerò l’andatura. 

Per qualche minuto procedettero in silenzio, concentrati a districarsi nel sentiero del bosco. Ma più Taehyung procedeva, più la fatica si faceva sentire. 

“Hobi, va più piano e aspettami”. Sentì lamentarsi Yoongi. 

“Sei tu che dovresti sbrigarti”. 

“Se non mi fisso i piedi inciampo in una radice e mi rompo l’osso del collo”. 

“Va bene, allora dammi da la mano. Se cadi ti rimetto in piedi io”. 

Malgrado la distanza, con la coda dell’occhio Taehyung vide Yoongi diventare rosso mentre Hoseok intrecciava le dita con le sue. La cosa lo intenerì e, senza poterlo evitare, un sorriso sfuggì dal suo controllo. 

C’era qualcosa di intenso tra di loro, qualcosa che lo faceva sentire come se fosse sempre di troppo. Si respirava un’aria particolare tra quei due. 

Taehyung aveva la sensazione che a Yoongi piacesse Hoseok in un modo che andava oltre l’amicizia. C’era qualcosa nei suoi occhi quando lo guardava, una luce adorante e sincera. Ma non solo. Era anche il modo in cui gli occhi di lui si posavano sul suo amico, con infinita dolcezza, come se lo stesse guardando per la milionesima volta e lo trovasse affascinante come la prima. Come se non ci fosse nulla di più meraviglioso sulla faccia della Terra. 

Jungkook non aveva mai accennato al fatto che Yoongi potesse provare qualcosa di più per Hoseok. O, più in generale, che a Yoongi potessero piacere i ragazzi.

Si chiese se non gli avesse mai detto nulla per pudore, per salvaguardare i suoi amici dal pensiero della società, o semplicemente perché non se ne fosse mai accorto. 

Ad ogni modo ai suoi occhi appariva chiaro. Le emozioni di Yoongi erano troppo pure e trasparenti per poter essere negate o sporcate da qualche pregiudizio, ma Hoseok? Taehyung non lo capiva. Se le emozioni di uno erano così chiare, le emozioni dell’altro erano un mistero. Hoseok era sempre allegro e sorridente, aveva una parola buona per tutti ed era sempre disposto ad aiutare il prossimo. Questo trattamento era riservato anche a Yoongi, ma se avesse un secondo fine, oltre alla semplice amicizia, non riusciva a capirlo.

“Quando finirai di spiegarci tutto il resto?” Chiese Blake, la sua voce era piuttosto bassa. Era una domanda che stava rivolgendo solamente a Taehyung, sfruttando il fatto che i suoi amici fossero rimasti indietro. 

“Tutto il resto?” Domandò di rimando. 

“Sì, ci sono un sacco di cose che non mi hai ancora detto”. 

Taehyung venne percorso da un brivido quando intuì che la conversazione che stava portando avanti era ormai a tu per tu con Blake. 

Di colpo si pentì di aver tenuto un passo così veloce. Aveva desiderato porre un po’ di spazio tra se stesso e Blake, ma era finito per rimanere isolato con lei. 

“E cosa vorresti sapere?” Cercò di usare un tono di voce neutro. 

“Un sacco di cose”. 

“Ad esempio?” 

“Ad esempio che fine hanno fatto i genitori di Jungkook… e quelli di tutti voi”. 

Taehyung deglutì. 

Era comprensibile. Chiedersi come avevano fatto a finire a vivere tutti insieme, chiedersi come un ragazzo così giovane come Jungkook non avesse più una famiglia, era comprensibile. Eppure restava un tasto dolente; uno di quelli a cui Taehyung non avrebbe voluto rispondere. Se fosse stato insieme a Jimin, avrebbe lasciato parlare lui; sarebbe stato sicuramente capace di spiegare tutto in maniera chiara. Ma Jimin non c’era e Taehyung non poteva sempre rifugiarsi nella sua ombra ogni volta che la situazione era scomoda. 

Perciò si schiarì la voce. 

“I genitori di Jungkook sono vivi e credo siano ignari del fatto che persino loro figlio lo è. Il loro rapporto era un po’ complicato e penso che per loro sia stata una benedizione quando lui è scappato ed è stato dato per disperso. Jungkook è nato nello Stato di New York e, quando è arrivato da noi, Jin gli ha passato il suo cognome per evitare tracciabilità. Dovevamo tenerlo al sicuro. Per Jimin invece, è un po’ diverso. I suoi genitori lo credono morto”. Spiegò velocemente. Non voleva addentrarsi troppo nei dettagli: erano comunque le vite private di altri membri del branco, non spettava a lui parlarne. 

Camminando erano arrivati ai piedi di un grosso tronco caduto, spaccato a metà. La corteccia era bruciata, ma al suo interno il legno era chiaro e si vedevano bene gli anelli concentrici che disegnavano il corso della vita. Doveva essere stato colpito da un fulmine e, cadendo, si era scontrato con un altro albero. Molti rami si erano spezzati e ora giacevano sparsi sul terreno foglioso. 

Per aggirare quell’ostacolo, Taehyung dovette far forza sulle braccia e arrampicarsi sulla sua superficie. I polpastrelli si sporcarono appena del nero carbone rilasciato dalla corteccia bruciata. Quando fu dall’altra parte, si voltò indietro e porse una mano a Blake per aiutarla. Lei la afferrò senza pensarci, ma una volta dallo stesso lato, fu lenta a lasciarla andare. 

Di nuovo il cuore di Taehyung si lasciò andare ad un ritmo irregolare. 

Yoongi e Hoseok erano rimasti troppo indietro perciò decise di fermarsi ad aspettarli. Appoggiò la schiena al tronco dell’albero, senza curarsi di poter sporcare i vestiti. Non potendo fare altro, lasciò che i suoi occhi entrassero in contatto con quelli color nocciola della ragazza di fronte a sé. 

Quando la guardò, ebbe la sensazione che lei non avesse aspettato altro fino a quel momento, e sentì di nuovo il rossore prendere possesso delle sue guance. 

Aspettò qualche secondo, il tempo per abituarsi al suo sguardo, prima di riprendere “Il padre di Jin era un lupo. E’ stato lui a morderlo quando aveva sedici o diciassette anni”. 

“Il papà di Jin era un lupo?” Chiese Blake stupita. 

“Già. È stato tutto un grande incidente. Stavano facendo delle escursioni tra i boschi, ma involontariamente si sono separati. Jin si era perso ed è rimasto a vagare in cerca di un sentiero per due giorni interi. Pensava che sarebbe morto quando ha visto un lupo corrergli incontro”. 

Blake esitò prima di chiedere “E suo padre faceva parte del branco che hanno…” le sue parole si persero nel nulla, ma la domanda era chiara. Voleva sapere se il padre di Jin faceva parte del branco che era stato sterminato. 

Taehyung si limitò ad annuire. 

“Cavolo”. Disse solo, non sapendo che altro aggiungere. Il silenzio cadde tra di loro per qualche secondo, prima che la ragazza tornasse a domandare “E sua madre?” 

“Non ha mai conosciuto sua madre. Credo fosse una hippie o una girovaga. Non si è mai occupata veramente di lui, ma so che per un periodo hanno mantenuto dei rapporti. Non sappiamo che fine abbia fatto comunque”. 

“Lo hai abbandonato” L’affermazione presentava un’intonazione amara nella voce. Taehyung scosse la testa. 

“A Jin non piace pensare che lo abbia abbandonato. Lei semplicemente non sarebbe stata una buona madre, non aveva un lavoro, non aveva una casa. L’avventura di una notte con un uomo molto più giovane di lei non poteva costringerla a mettere radici. Non sarebbero stati felici. È convinta di aver agito nel verso giusto lasciando Jin a suo padre, sapeva che lui poteva occuparsene meglio; e lo ha fatto. Fino a quando era in vita, il padre di Jin non gli ha mai fatto mancare niente”. 

Blake storse la bocca in una smorfia. Non sembrava essere troppo d’accordo ma stranamente non lo contraddisse. Sembrava che si stesse sforzando per non incappare in un dibattito acceso tra di loro. In quel momento stavano conversando in maniera tranquilla e confidenziale e la cosa le piaceva. 

Lei credeva che Taehyung si stesse aprendo, che le stesse rivelando alcuni segreti, e si sentiva emozionata. 

Lui, al contrario, era spaventato da Blake. Dal modo in cui lo osservava, dalla sua comprensione, da come gli parlava. Gli faceva provare delle sensazioni che non sapeva gestire. 

“E i tuoi di genitori?” Chiese infine Blake. 

A Taehyung scappò una smorfia “Mia madre non l’ho mai conosciuta. Lei ha avuto una gravidanza difficile e delle complicazioni durante il parto. Non ce l’ha fatta. Mentre mio padre… lui, semplicemente non ha retto il colpo”. Fece un sospiro, valutando se dirle la verità o meno, ma alla fine cedette.

“Lui non ha tutte le rotelle a posto. È sempre stato un tipo piuttosto sensibile, ma è sicuramente uno di quegli uomini che sa amare la propria donna fino alla pazzia. Crescere con lui è stato un po’ difficile”. 

“Difficile?” 

Un sorriso amaro si formò sul suo volto e, in qualche modo, si sentì costretto a distogliere lo sguardo da quello della ragazza. “Diciamo che le volte in cui usava il bastone erano molte di più di quelle in cui mi dava una carota. Non sento la sua mancanza, se te lo stai chiedendo, e non credo che lui senta la mia. Non credo nemmeno che si sia accorto della mia assenza. Il suo cervello è lento, e non è mai vigile. Non capisce quello che fa. Non capisce chi o cosa gli stia intorno. A volte vede cose che non ci sono e sente cose che non esistono. La sua realtà è totalmente falsata. Ad essere sincero, credo che adesso non sia nemmeno più lui”. 

“Che vuoi dire?” 

“Non ho notizie recenti di lui. Non mi interesso di quello che fa e di come vive, ma ho saputo che è stato messo in un istituto. Forse lo avranno imbottito di farmaci per farlo stare tranquillo. Forse in posti come quelli uno smette semplicemente di fare il matto perché c’è troppa tristezza e squallore. Non lo so e non mi interessa. In ogni caso, io non sono più suo figlio. Sono passato sotto la tutela legale di Jin quando avevo nove anni. Mi ha dato il suo cognome, mi ha dato un tetto sopra la testa e una famiglia con la quale poter vivere. Questo è tutto ciò che mi importa”. 

Di nuovo, ci fu un attimo di silenzio. Gli uccelli si lanciavano tra di loro qualche verso di richiamo e il vento soffiava piano. Alle loro spalle, i passi di Hoseok e Yoongi erano scanditi dal rumore delle foglie. 

Blake non disse niente, ma Taehyung sentiva il peso dello sguardo che gli teneva puntato addosso. 

Fu rassicurante. Sentire il silenzio di lei. Sentirlo mischiarsi con il suo. Un accordo tacito tra di loro. Era la prima volta che diceva quelle cose a qualcuno che non faceva parte del branco e questo sarebbe stato sufficiente per renderlo nervoso. Eppure uno strano senso di calma prese la meglio su di lui, come se quella confessione lo avesse reso un po’ più libero. Si sentiva fragile, così esposto davanti agli occhi di quella ragazza, ma non sentiva di dover cadere a pezzi da un momento all’altro. 

Blake si avvicinò di qualche passo e gli prese una mano. La strinse con appena un po’ di forza, senza dire niente.

Per un attimo Taehyung valutò l’idea di far intrecciare insieme le loro dita. La mano della ragazza era così piccola dentro la sua, ed era calda, rassicurante e morbida. Gli faceva venire il batticuore. 

“Mi dispiace”. Disse Taehyung “Questa non è la storia spensierata che bisognerebbe raccontare mentre si va per boschi in Ottobre”. Accennò un sorriso prima di sciogliere la presa dalle sue dita. 

Un’espressione delusa si dipinse sul volto di Blake e lui si pentì di averla allontanata in maniera così repentina. Però era tutto un po’ troppo: troppa la verità a cui quei ragazzi erano stati sottoposti, troppo le sensazioni opprimenti della sua vita passata, e troppo persino le emozioni che lei gli stava facendo provare.

“Ehi, ragazzi, ci avete aspettato!” Dall’altra parte del tronco sbucò la testa di Hoseok, Yoongi alle sue spalle aveva il respiro un po’ affannato. 

“Sì. Ci siete?” Chiese Taehyung, facendo in modo di mettere di nuovo distanza tra sé e Blake. Non sapeva se era felice di rivedere i due ragazzi. L’idea che ci fossero stati anche gli altri con lui lo rendeva meno nervoso, eppure allo stesso tempo, avrebbe voluto passare ancora qualche minuto in solitaria con Blake. 

“Sì, riprendete pure. Ora vi stiamo dietro”. E detto questo, Hoseok scavalcò con agilità il tronco e si rigirò in direzione di Yoongi. “Vieni, ti aiuto a passare”. Si allungò verso di lui e lo sostenne per un braccio, timoroso che potesse cadere. Yoongi era sempre stato un po’ impacciato e goffo persino quando camminava sul suolo piano. 

“Okay allora andiamo”. 

“Di che stavate parlando voi due?” Chiese Hoseok, una volta ripresa la mano di Yoongi, attento a seguire il cammino dietro a Taehyung. 

“Niente di importante”. Rispose Balke, e Taehyung gliene fu grato. Non aveva la minima voglia di ripetere agli altri quello che aveva appena finito di raccontare. Non era un segreto, non più almeno. Magari lei lo avrebbe raccontato più tardi, mentre tutti e tre sarebbero tornati a casa sfrecciando sulla macchina magica di Hoseok. In quel momento, però, aveva voglia di sgombrare la mente. 

“Okay allora possiamo dare il via alla seconda sessione di domande, vero?” 

Taehyung sorrise appena mentre avanzava, questa volta con più calma. “Certo”. 

Scrutò il terreno attorno a lui. Le foglie si erano accatastate a formare un tappeto troppo fitto perché un animale di grossa taglia come Jungkook potesse essere passato di lì. 

“Bene allora”. Disse Hoseok “Avete qualche super potere?” 

“Hobi”. Lo riprese Yoongi, ciò nonostante Taehyung scoppiò a ridere. 

“Superpotere? Mi spiace deluderti amico, ma no, niente superpoteri per noi”. 

“Come è possibile? Non siete super forti o super veloci? Non riuscite a sentire a chilometri di distanza? Non avete una vista sviluppatissima o un fiuto migliore dei segugi?” 

Taehyung rise di nuovo. Quel ragazzino aveva fatto correre le sue fantasie davvero troppo oltre, ma la cosa lo divertiva. Forse ciò che si aspettava un tipo come Hoseok era proprio quello: una storia al pari di spiderman, una storia da fumetto Marvel. Taehyung fu quasi dispiaciuto di dover distruggere le sue aspettative. 

“Nulla di tutto questo. Siamo solo dei normali umani, l’unica cosa che abbiamo di speciale è che, quando torniamo dopo un lungo periodo dal bosco, abbiamo un odore molto intenso. Ognuno di noi ha il suo, ed è così caratteristico che potremmo riconoscerci anche senza riuscire a vedere. Ma sono piuttosto sicuro che chiunque potrebbe sentirne l’essenza. Non serve avere un fiuto migliore di quello dei segugi”. 

“Super odore?” Si imbronciò Hoseok, chiaramente si aspettava qualcosa di più emozionante. 

“Deludente vero? Mi spiace”. 

“Non fa niente, ma sappi che continuerò a credere che siete più forti delle persone normali”. 

Involontariamente quel commento gli fece tornare alla mente la conversazione ultimata con Namjoon poco prima. Come potevano essere dei superuomini quando non era nemmeno sicuro che avessero una buona salute? 

“Che altro volete sapere?” Chiese Taehyung, cercando di scacciare quei pensieri con tutto se stesso.

I suoi occhi continuarono a perlustrare la zona. La conversazione con i ragazzi stava assorbendo la maggior parte della sua attenzione. Se continuava così, avrebbe rischiato di perdere le tracce di Jungkook, ma più procedeva, più non sembrava esserci nessun segno del passaggio del ragazzo. 

“Chi è quell’uomo?” Fu Yoongi a domandarlo, come se avesse letto, dentro la testa di Taehyung, la preoccupazione che quell'individuo gli aveva proiettato addosso. 

“Namjoon”. Disse, rallentando la sua avanzata. “Vi avevo già accennato qualcosa su di lui. Diciamo che è il nostro ultimo acquisto. Starà al rifugio con noi per un po’”. 

È un lupo?” 

“No, è un umano, uno scienziato. Ci sta aiutando a capire chi siamo”. Spiegò con un po’ di reticenza. Quelle non erano esattamente le parole che avrebbe usato normalmente per descrivere Kim Namjoon, ma non voleva confonderli e complicare ulteriormente la situazione. 

“E non ha paura di vivere con voi?” Chiese ancora Yoongi, strappando involontariamente un sorriso a Taehyung. 

“Non siamo così cattivi come puoi pensare. Siamo banalissime persone, non più pericolosi di un essere umano qualsiasi”. 

“Vi trasformate per magia?” Domandò Hoseok. Benché ormai stessero tenendo tutti la stessa andatura non aveva lasciato andare la mano di Yoongi nemmeno per un secondo. Sembrava volerlo trascinare addirittura dentro le sue conversazioni. 

“Forse sì. Non lo sappiamo con certezza. Namjoon è qui anche per questo. Per quanto sia soprannaturale, pensiamo comunque che quello che ci succede sia dettato da delle leggi chimiche. Ma tutto potrebbe essere il contrario di tutto. Solo il tempo ci dirà”. 

“Può farlo smettere? Cioè, può fare in modo che voi smettiate di trasformarvi?”

“Chi lo sa. Forse”. Rispose solamente. Era la speranza di molti, al rifugio, ma da quando Namjoon era arrivato non aveva fatto troppi passi avanti e Taehyung non sapeva più se essere felice o meno. Se avesse avuto ragione, se il lupo che avevano dentro, quello in circolo nel loro sangue, li stava lentamente uccidendo, aveva senso desiderare di essere ancora come era? Aveva senso non chiedergli aiuto?

La sera stava calando, la luce scemava velocemente, come se avesse fretta di spuntare dall’altra parte del globo. L’immagine delle loro ombre si proiettava sempre più allungata sul terreno e presto Taehyung avrebbe dovuto abbandonare la ricerca. 

- Aspetta ancora un po’-. Si disse - Jungkook non si allontana mai tanto -. 

“Taehyung”. Lo richiamò Hoseok. 

“Si?” 

“La trasformazione è sempre così improvvisa?” Chiese.

“Ehm, non proprio”. Cominciò a spiegare prima di fermarsi per qualche secondo a scrutare il tronco di un albero. La base sembra essere stata rovinata, ma erano segni troppi indistinti per stabilire che fosse l’operato di un lupo. 

“Come vi ho già detto, la trasformazione è molto soggettiva. Ognuno ha i propri tempi e ognuno lo avverte in modo diverso. Jungkook non sente mai che sta per arrivare. Gli anni scorsi, quando pensavamo che il suo periodo stesse per finire, cercavamo di tenerlo nascosto al rifugio. Anche Jimin non riesce ancora a capire quando arriverà il suo momento di andare via. Però riesce a controllarsi meglio”. 

“E tu invece?” Domandò Blake “Tu riesci a capire quando sta per avvenire?” 

“Si, io e Jin riusciamo a capirlo. Ma non chiedetemi perché succeda, non ne ho la minima idea”. 

Ripresero a camminare ancora più lentamente di prima, attenti ad ogni minimo particolare. 

Fu allora che le vide. Taehyung si avvicinò velocemente, accuciandosi al suolo per controllare meglio. 

Il terreno era stato smosso e molte foglie erano state spezzate e schiacciate. Nonostante l’analisi sommaria, si vedeva ancora chiaramente, dal modo in cui il fogliame era stato appiattito, la posizione che Jungkook doveva aver assunto. Probabilmente si era acciambellato per ripararsi dal vento. Proprio di fianco, le impronte delle sue zampe erano impresse nella terra umida. 

Taehyung sorrise e immerse i polpastrelli nel terreno umido. Sovrappose le sue dita alle impronte del lupo. Jungkook non si era allontanato troppo. 

“Le hai trovate?” Chiese retorico Yoongi, sporgendosi oltre le spalle di Taehyung per guardare quello che stava facendo. 

“Sì”. Disse soddisfatto. “Ora sappiamo che è da queste parti”. 

“Che fortuna”. Commentò sarcastico il ragazzo, per niente elettrizzato all’idea di ritrovare il suo amico sotto forma di lupo. 

“Mi dispiace avervi rubato tutto questo tempo, ma dovevo accertarmi che fosse ancora in zona. Ora possiamo tornare indietro”. 

“Non fa niente”. Replicò pronto Hoseok, parlando a nome di tutti. “Ci fa piacere sapere che sta bene. È bello fare questo tipo di cose, tutti insieme. Ci fa sentire come se stessimo passando del tempo con lui. Non so se questa cosa ha senso per te”. Abbozzò un sorriso imbarazzato e strinse di più la presa che aveva sulla mano di Yoongi. 

Taehyung trovò le sue parole incredibilmente dolci. Fece qualche passo nella sua direzione e, quando fu sufficientemente vicino, gli batté sonoramente una mano sulla spalla. 

“Certo che lo capisco. Succede sempre anche a noi”. 

Lentamente il sorriso imbarazzato del ragazzo si trasformò in un sorriso soddisfatto. Jungkook era fortunato ad avere degli amici così, ora Taehyung ne era certo. 

Senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro, i quattro ripresero a camminare in direzione del rifugio. La sera era ormai imminente e dovevano affrettarsi o si sarebbero trovati immersi nel bosco nel buio più totale. 

“Fa male?” Domandò Yoongi, ad un certo punto. 

“Cosa?” 

“La trasformazione. Quando è successo a Jungkook, sembrava che stesse morendo di dolore. Ho visto anche del sangue e... non so, mi domandavo se facesse tanto male”. 

La trasformazione del loro amico era stata davvero troppo cruenta. Repentina persino per gli altri membri del branco. Quei ragazzi non erano abituati a quel genere di cose, nessuno lo sarebbe stato. Non si aspettavano che il proprio migliore amico potesse celare, all’interno del suo corpo, un’altra creatura. Per loro doveva essere stato semplicemente spaventoso. 

“Un po’.” Rispose Taehyung, che non voleva dirgli una bugia. “All’inizio, quando cambi da una forma all’altra, fa male. È come se sentissi le tue ossa bruciare e rompersi in mille pezzi, perciò stare in piedi, o seduti, o camminare, è un po’ doloroso. Hai bisogno di molto calore”. 

“Non c’è un modo per non provare dolore?” Chiese Hoseok. 

“Purtroppo no, ma non dura molto. Mezza giornata e poi sei di nuovo a posto”. Cercò di addolcire la pillola per non farli preoccupare troppo. 

“Taehyung”. Lo chiamò Hoseok. 

“Si?”

“Pensi che potremmo rifarlo?” 

“Rifarlo?”

“Si. Voglio dire, venire con te a piazzare il cibo per Jungkook. Pensi che potremmo rifarlo qualche volta?” Spiegò lui. Il ragazzo guardava fisso davanti a sé cercando con lo sguardo qualche segnale che fosse un punto di riferimento per riprendere l’orientamento. 

Taehyung avrebbe voluto sorridergli apertamente. Hoseok era estremamente dolce e il senso di lealtà e amicizia trasudava in maniera del tutto naturale dal suo corpo. 

“Certo. Fino a quando qualcuno di noi non si trasformerà potrete venire a bazzicare nel bosco ogni volta che vorrete”. Gli disse. Capiva che la nuova realtà era affascinante e difficile da assimilare. Convivere con quel segreto sarebbe stato impegnativo per loro e se passare del tempo ricordando Jungkook poteva essere d’aiuto, allora li avrebbe lasciati fare. 

“E possiamo restare in contatto con te?” Chiese Blake. “Per sapere novità su Jungkook”. 

“S-si”. Balbettò Taehyung. Quella frase lo aveva preso un po’ alla sprovvista. Chiaramente volevano rimanere in contatto con lui per avere notizie di Jungkook, eppure il cuore di Taehyung aveva cominciato a battere un po’ troppo velocemente. 

“Fino a quando saremo umani noi, ehm…” Si schiarì la gola rumorosamente “p-potremmo sentirci, se volete”. Le orecchie si colorarono di rosso.

Taehyung avvistò il tronco caduto che poco prima avevano scavalcato e si affrettò nella sua direzione. 

In quel periodo dell’anno, la sera calava sempre troppo velocemente e attorno a loro si vedeva poco e niente. Ci voleva ancora un quarto d’ora di cammino per il rifugio e dovevano restare uniti o si sarebbero sicuramente persi. 

Sorpassò per primo l’ostacolo e si fermò per aiutare gli altri a fare lo stesso. 

“Chissà che cosa faremo, quando nessuno di loro sarà più umano”. Sentì dire a Yoongi.

Nessuno però disse niente. Nemmeno Hoseok provò ad abbozzare una risposta. 

Gli uccelli avevano smesso di cantare e il vento si era fatto più forte. Rimasero zitti tutti e quattro fino a quando non arrivarono al rifugio. 

La luce della veranda era accesa e nello spiazzale davanti casa era stata parcheggiata la Land Rover di Jin, proprio di fianco all’auto di Hoesok. 

I quattro si avviarono verso l’entrata, ma i ragazzi rimasero indietro, fermi davanti alla vecchia Riviera. 

“Allora, è tutto per oggi?” Chiese Taehyung, insicuro se invitarli ad entrare o meno. 

“Credo di sì”. Rispose Hoseok. Taehyung non poté fare a meno di notare che, malgrado si fossero ormai allontanati dalla foresta, la mano del ragazzo non aveva ancora abbandonato quella di Yoongi. Come se nemmeno si fosse reso conto del fatto che fossero ancora unite. 

“Bene”. 

“Ci rivedremo presto, vero?” Gli occhi di Blake cercarono i suoi. Taehyung trovò quei grandi occhi colmi di emozioni e sentì una punta di incertezza crescergli nel petto. 

“Certo”. Le disse, ma il suo tono non era forte e sicuro come avrebbe voluto. 

Si fissarono per qualche secondo di troppo e Taehyung sentì arrossire le punte delle orecchie. Improvvisamente, si ritorvò a pensare che non voleva che lei andasse via. Voleva che entrasse al rifugio e che si fermasse con lui. Avrebbe voluto sentirla parlare ancora un po’ e averla di nuovo al suo fianco. Voleva stringere di nuovo la sua mano e tenerla stretta. 

Distolse lo sguardo e salutò gli altri. 

Per la seconda volta li guardò allontanarsi, ma un senso di nostalgia prese a gravargli sul cuore. Più si allontavano, più aveva la sensazione che una parte di sé, stesse andando via con loro.

 

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