Ash and Dust

di seamari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ash ***
Capitolo 2: *** Dust ***
Capitolo 3: *** Hope ***



Capitolo 1
*** Ash ***


Ash and Dust

Ash and Dust

“La cattiveria nasce dai sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia.

Viene da un vuoto dentro di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via."

   - Ry Murakami

 

 

 

Le tende bruciavano.

Tutto il corridoio era pieno di fumo nero, denso e intossicante.

Gli occhi di Arthur cercavano una via di fuga in quella trappola a gas ma non riusciva a scorgere niente... nè le porte delle camere, nè le armature, nè i lampadari.

Nulla.

"Maestà! "

Si girò verso le scale e con gli occhi semi chiusi intravide tre figure imponenti che venivano verso di lui.

"Per di qua maestà. Presto!"

Tossendo e barcollando Arthur corse verso Sir Lion che reggeva il mantello rosso da cavaliere davanti al viso per pararsi dal fumo.

"Avete trovato la causa di questo incendio?" Tossicchiò raggiungendoli.

"Non ne siamo certi sire." Rispose Sir Percival. "Ma prima di tutto dobbiamo portarvi via di qui"

"Il popolo...?"

"È salvo Sire. Non vi preoccupate... ci abbiamo pensato noi." Lo tranquillizzò sir Gwaine.

Scesero le scale velocemente, osservando e scansando la distruzione che quel fuoco caldo aveva creato. Arthur strinse i denti pensando al palazzo distrutto, al popolo spaventato e ai feriti che Gaius stava curando.

Voleva uccidere chiunque fosse il responsabile, affondare la spada nel suo cuore mentre vedeva i suoi occhi spegnersi lentamente. Voleva vederlo soffrire in preda al terribile oblio della morte, pagare per ciò che aveva fatto.

"Eccoci sire"

I quattro cavalieri scesero i gradini dell'ingresso, crollando al suolo e respirando a pieni polmoni l'aria pulita.

Arthur alzò lo sguardo al cielo. La notte trapunta di stelle era illuminata dalle fiamme del suo castello che si alzavano alte verso gli dei. Si alzò in piedi osservando il palazzo soccombere alla furia dell'incendio, i pugni chiusi in una morsa con le unghie che si conficcavano nella carne e un senso di vuoto al centro esatto del petto.

"Ammirate il mio capolavoro maestà? "

Il re e i cavalieri si girarono di scatto, le spade sguainate.

Di fronte a loro cinque figure incappucciate disposte a mo’ di piramide, i lunghi mantelli che sfioravano il terreno, la zona superiore del volto coperto da maschere nere ma con cinque ghigni ben visibili sulle labbra.

La figura centrale aveva la maschera nera impreziosita da morbidi e eleganti ricami e il sorriso più malvagio che Arthur avesse mai visto.

Era indubbiamente il capo di quel piccolo gruppetto ma c'era qualcosa... qualcosa in quell'ombra nera che gettava al re una profonda inquietudine.

Chi era quell'uomo?

"Vedo che siete rimasto sempre lo stesso sire. Avete la lingua lunga ma quando dovete rispondere alle domande essa si frena subito." Sussurrò con divertimento la figura.

Quella voce...

“Suvvia mio signore... Non posso credere che non avete davvero niente da dire..”

"Hai ammesso di aver dato fuoco al castello ma non vedo pire o olio incendiario con te. Deduco che tu e i tuoi accoliti siate degli stregoni." Ringhiò Arthur. "Ebbene vi pentirete amaramente di ciò che avete fatto. Non avrò pace finché non sentirò le vostre urla mentre ardete tra il vostro stesso fuoco!"

Il biondo si fece avanti alzando la spada su di se ma non riuscì a compiere due passi che questa gli volò via dalle mani con incredibile leggerezza ed atterrò parecchi metri più lontano da loro.

Le figure non si erano neanche mosse.

I cavalieri subito si avvicinarono al re sguainando loro stessi le spade e questa volta Arthur vide chiaramente un bagliore velocissimo negli occhi dell'ombra prima che le spade di Gwaine Percival e Lion raggiungessero la sua per terra.

"Siete sempre stati troppo permalosi per i miei gusti." Disse la voce con fare annoiato. "Sempre troppo pronti a difendere il vostro misero orgoglio da cavalieri."

Lo stomaco del re si contrasse dolorosamente, la sensazione di disagio sempre più schiacciante.

"Da come parli sembra quasi che ci conoscessi da molto tempo..."

La figura esplose in una risata tanto fragorosa quanto fredda, priva di divertimento... da accapponare la pelle.

Eppure conservava qualcosa di conosciuto ad Arthur.

Quella risata...

"Direi che ci avete messo poco a dimenticarvi di me sire."

Una mano dell'ombra andò lentamente ad abbassare il cappuccio dal capo rivelando capelli neri come la notte. La figura si inchinò con fare regale difronte al Re, calcando con lentezza ogni gesto.

Le viscere di Arthur si accartocciarono per il terrore di ciò che stava succedendo

Quell'irriverenza...

L'ombra si passò una mano davanti al viso lasciando che la maschera scura sfumasse come se fosse fatta d'aria mostrando quel volto familiare.

"Non salutate un vecchio amico, sire?"

 

 

Emrys guardava il viso di Arthur Pendragon precipitare dall'iniziale incredulità al terrore più puro.

Aspettava quel momento da sei lunghi mesi e finalmente erano faccia a faccia. Sorrise tra sè, eccitato dalla reazione del Re alla sua vista. Si godè quegli attimi di silenzio come solo chi aveva pazientato tanto a lungo poteva fare e assaporò il momento in cui vide gli occhi di Arthur guardare sconvolti i suoi.

Sapeva cosa avrebbe visto: due occhi dorati, luminosi e carichi di odio.

Tutto il contrario di quelli azzurri che lo contraddistinguevano ma ormai la magia aveva preso il pieno controllo di sé; poteva dire di conoscere a pieno il significato della parola potere.

Lo sentiva scorrere dentro di lui, attraverso ogni vena, ogni cellula del suo corpo, fremere nelle sue mani e ardere nei suoi occhi.

Vide Arthur disperato socchiudere la bocca e soffiare un "no" strozzato.

 

Sorrise di nuovo.

 

 

 

 

Non può essere lui... Non può...

La mente di Arthur rifiutava l'impossibile. I suoi occhi vedevano quel ragazzo che credeva di conoscere come le sue tasche e che aveva imparato ad amare ma la ragione non riusciva ad accettarlo.

Che fine avevano fatto i suoi occhi?

Quegli occhi azzurri, dolci e pieni di malizia che gli facevano tremare il cuore?

Se n'erano andati insieme a lui.. lasciando il posto a quella grottesca parodia.

Sentì le gambe tremare. Stavano per cedere, lo sapeva. La vista era quasi appannata e il respiro usciva spezzato.

Il ghigno freddo del suo ex servitore gli aveva letteralmente bloccato il cuore per un attimo.

Aprì la bocca, cercando di dire qualcosa ma l’unica parola che gli uscì in quel momento fu:

“Merlin...”

 

 

 

Il fuoco del castello gettava ombre spettrali su di loro.. illuminava e oscurava i loro visi rendendo ancora più inquietante la situazione. Lontano, il rombo di un tuono riempì il silenzio che si era creato e le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere insistenti su di loro.

"Merlin?" Sussurrò Arthur facendo un passo avanti.

"Non sono più Merlin. Non per te." Sibilò il ragazzo. "Il mio nome è Emrys."

Arthur si fermò, come se si fosse scontrato contro una parete invisibile.

"Perché?" Fu la sola cosa che riuscì a chiedere.

Il mago sorrise lievemente.  " Non dirmi che non te l'aspettavi. Non dopo avermi cacciato come se fossi un mostro pericoloso."

"Pensavo fossi tornato a Ealdor da tua madre..."

"E invece ho seguito Sigan" Lo interruppe Emrys per lui sempre sorridendo. "Ti ricordi di Cornelius Sigan vero?"

Arthur non rispose subito. Si limitò a fissarlo con gli occhi serrati per un attimo. "Il tuo maestro non è con te adesso? Ti ha mandato qui e lui è rimasto nascosto come un vigliacco eh?" Gli ringhiò contro con furia gelida.

"Oh no. No no no. Sono venuto qui per mia volontà." Rispose lo stregone come se la frase del Re l'avesse offeso nel profondo. "Mi conosci così poco, Arthur?"

Un altro ringhio da parte del biondo. "E allora dov'è lui, eh?"

L'ex servitore lo fissò per un lungo momento, il viso illuminato da una gioia perversa e gli occhi dorati che bruciavano di eccitazione.

"L'ho ucciso."

 

 

"Tu... cosa?"

Sorriso di carta.

"L'ho ucciso." Ripetè lentamente. "Avevo appreso da lui tutto ciò che poteva offrirmi. Non aveva più nessuna utilità."

Il cuore di Arthur battè più velocemente, la nausea che minacciava di sopraffarlo e una frase martellante nella testa.

'Non è vero... non è vero... non è vero...'

"Perchè." Chiese allora guardando fisso quegli occhi così sconosciuti. "Perchè fai questo?" Cercò di tenere il più possibile ferma la voce ma non potè evitare il magone in gola che gli spezzò a metà l'ultima parola.

"Perchè?" Sussurrò Emrys di rimando. "Ricordi quella notte, Arthur? La notte in cui hai scoperto che sono uno stregone. La notte in cui Sigan si risvegliò. La ricordi?"

Certo che lo ricordava, pensò il biondo.

 La notte più brutta della sua vita era impressa nella sua mente, incisa come graffito sulla pietra. La notte in cui il suo più fidato amico e la persona che... amava?... lo aveva tradito.

Dimenticare era impossibile.

"Ricordi come non mi hai nemmeno concesso di spiegare? Come hai deciso che io fossi un mostro... che avessi sempre tramato contro di te. Mi hai cacciato via minacciandomi di morte se avessi più rimesso piede nel tuo regno." Calcò le ultime parole con disgusto, il volto deformato dalla rabbia. "E fu allora Sigan che mi ha offerto di andare con lui. Mi ha promesso un posto dove non dovevo più temere chi fossi, dove potessi essere accettato... dove potessi avere la mia vendetta."

Si interruppe solo per vedere il Re inghiottire a vuoto e potè giurare di aver visto gli occhi del biondo scintillare.

"Accettando questa parte di me la magia ha preso il sopravvento. Ho passato sei mesi ad allenarmi nelle foreste del regno di Cendred, combattendo contro i miei pari e distruggendoli, diventando sempre più forte. Ed ora eccomi qua."

Faccia a faccia,  finalmente.

 

 

Lampi, tuoni, flash accecanti, urla del popolo spaventato, gente che correva spingendosi a vicenda e quasi travolgendosi per cercare di sfuggire dalla furia dei gargoyle... Camelot in tumulto.

E poi c'erano loro due; l'uno sconvolto, l'altro terrorizzato.

"Sei uno stregone.."

Il blackout.  La mente non rispondeva più ai comandi. Aveva cercato il suo servo in lungo e in largo, preoccupato per quell'idiota che riusciva sempre a cacciarsi nei guai, e l'aveva trovato nella piazza vicinissimo ad un mostro di pietra.

Stava già correndo verso di lui quando l'impensabile era accaduto.

Lo aveva visto tendere la mano semi aperta verso il gargoyle con decisione e un attimo dopo questo era esploso in mille piccole parti che erano ricadute con lentezza, in estremo contrasto con la violenza che aveva distrutto quella pietra.

Merlin aveva abbassato la mano guardandosi intorno alla ricerca di altri pericoli e in quel momento i suoi occhi incontrarono quelli spalancati di Arthur.

"Sei uno stregone"

Un sussurro, niente di più.

Aveva socchiuso la bocca cercando di dire qualsiasi cosa ma si era paralizzato alla vista dei quei vividi occhi dorati.

"Arthur"

La sua voce...

"Arthur ti posso spiegare..."

Si stava avvicinando. Lo vedeva fare dei passi incerti verso di lui e Arthur, per istinto, si era allontanato.

Merlin si era bloccato a quel gesto e lo guardava con occhi disperati.

"Arthur?"

"Stai lontano da me."

Un colpo al cuore.

"Mi hai mentito per tutto questo tempo."

Una coltellata al petto.

"No... no Arthur ti prego. TI PREGO!"

Era terrorizzato, si vedeva, ma lui non riusciva a ragionare.  Era sprofondato in un incubo: Merlin gli aveva mentito, Merlin lo aveva tradito.. Merlin era uno stregone.

"Non ti avvicinare" Gli aveva puntato contro la spada afferrandola con fermezza per non far vedere che il suo braccio stava tremando.

"Sei un mostro."

Aveva trattenuto il respiro Merlin, il dolore che gli aveva stretto la gola in una morsa e il panico che aveva reso i suoi occhi lucidi e disperati.

"Non sono un mostro" aveva mormorato. "Sono sempre io. E tutto quello che sono, tutto quello che ho fatto... l'ho fatto per voi. Per te."

Arthur aveva scosso la testa, come per scacciare una visione terribile dalla mente.

"Non ti credo..."

"Arthur..."

"... mi ero fidato di te..."

"... puoi ancora farlo..."

"... devi andare via da Camelot..."

"... no Arthur!"

"... e non tornare mai più. "

Vi prego... non fatelo.

"Io non voglio che torni più"

 

 

 

Arthur sentì i suoi cavalieri mormorare dietro di lui.

Poteva immaginare cosa stessero sussurrando, cosa le loro menti stavano concependo.

La sua, d'altro canto, era arrivata ad una sola conclusione: la persona che aveva di fronte non era il suo Merlin. Quella creatura nera dagli occhi dorati aveva distrutto il suo servitore, lo aveva annientato nel profondo.

Fece un respiro profondo sentendo la paura e l'incredulità scivolare via lasciando il posto alla rabbia.

"Che cosa vuoi stregone?" Sibilò facendo un passo avanti. "Non ti lascerò distruggere Camelot!"

"Ma io non voglio distruggere Camelot". Emrys cominciò a camminare verso il Re, con la calma degli invincibili e il mantello nero che scivolava suo terreno.

Arrivò ad un passo da lui, i visi ad un centimetro di distanza.

Un brivido antico nel cuore di entrambi.

"Voglio distruggere te." Gli sussurrò dolcemente. "Voglio vederti soffrire come ho sofferto io."

Si avvicinò ancora di più lasciando un bacio lieve e allo stesso tempo rovente sulle labbra del biondo.

"Comincia a tremare, Arthur".

 

Guardami adesso.

Non sono più un servo.

Non sono più un ragazzo.

Non sono il tuo patetico giocattolo che butti via quando ti sei stancato.

Sono il burattinaio che tira tutti i fili.

Sono io che decido se continui a ballare o se i tuoi fili sono spezzati.

 

Con lentezza, si tirò sul capo il cappuccio scuro girandosi senza un parola verso le restanti quattro figure.

Un lieve spostamento d’aria... l’attimo dopo erano spariti.

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Capitolo 2
*** Dust ***


"Maestà."

Arthur non si girò al richiamo dei suoi cavalieri.

Rimase immobile, fissando il punto dove il suo ex servitore era appena comparso. Si passò la lingua sulle labbra, sentendole bruciare nel punto in cui l'aveva sfiorato.

Non riusciva neanche a pensare. Sentiva l'orrore invaderlo a ondate e offuscargli la mente. L'unica cosa che vedeva erano quegli occhi dorati, innaturali, che lo avevano gurdato con disprezzo, odio e disgusto.

Cosa sei diventato...

Sentì la nausea minacciarlo e fece due respiri profondi per cercare di calmarsi. Era quasi riuscito a riprendere piena coscienza di sè quando, all'improvviso, un grido di terrore puro squarciò in due la notte accapponando la pelle del biondo. Si girò di scatto verso il palazzo in fiamme, con la paura di nuovo pulsante nel corpo, in tempo per vedere una della finestre del lato est esplodere con forza generando una scintillante pioggia di vetri.

“GWEN!”

Non ci pensò due volte: Arthur scattò verso il castello, afferrando la spada che giaceva più in là, il cuore in gola e ignorando ancora una volta i richiami dei suoi cavalieri.

Sperava, sperava con tutto il cuore che Gwen fosse riuscita a difendersi, a scappare...

Quello che non sapeva però, era che il burattinaio aveva appena iniziato a muovere i suoi fili.

***

Avanzava con passo sicuro in mezzo a quella distruzione con totale noncuranza verso quella che una volta era stata la sua casa.

Il fumo nero e denso non lo disturbava, al contrario, sembrava diradarsi al suo passaggio creando un corridoio libero, coperto solo da polvere e cenere.

Osservò la finestra distrutta davanti a sè: era bastato un guizzo delle iridi per farla infrangere e un incanto mormorato a mezza bocca per simulare il grido di Guenevire. Sapeva che questo avrebbe attirato Arthur in quel corridoio: l'orgoglio da cavaliere e l'affetto per la serva erano sentimenti fin troppo facili da manipolare.

Ma ora Arthur stava arrivando, lo sentiva. Così come sentiva quella forza dentro di lui che lo attirava inesorabilmente verso il Re di Camelot.

Una spinta, una pulsione al centro esatto del cuore che lo guidava verso il centro dei suoi pensieri. Era sempre stato così da che ne aveva memoria... da quando aveva abbracciato il suo Destino ma, soprattutto, da quando lui e Arthur si erano spinti ber oltre il limite consentito.

L’immagine dei loro corpi, nel letto caldo e invitante del Re, che si muovevano con decisione e con passione entrarono prepotentemente nella sua mente.

Si dovette sorreggere al muro con una mano al ricordo.

Al ricordo dei loro baci, dei loro sguardi e dei loro tocchi roventi; il dolore era troppo forte, tanto da fargli spezzare il respiro.

Strinse i denti, odiandosi per quelle debolezze e serrò le palpebre.

Cercò di calmarsi, concentrandosi sulla magia che fluiva dentro di lui ma, più provava a scacciare quei ricordi dalla testa più quelli si insinuavano prepotenti nella sua memoria.

Spalancò gli occhi: le pupille si raffreddarono, tornando di quell'azzurro ghiaccio che per mesi erano stati solo un ricordo e ridonando a quel viso la sua antica bonarietà e familiarità.

Ma fu un istante.

Strinse le palpebre, cercando di riacquistare lucidità e dopo aver preso un lungo respiro sentì il corpo sciogliersi dalla tensione.

Un breve sorriso soddisfatto.

L'attimo dopo riaprì gli occhi, oro fuso scintillante.

Sempre sorridendo si raddrizzò, guadagnando il centro del corridoio, sentendo ormai vicina la sua preda.

***

 Arthur arrivò in cima alle scale est, la spada sguainata.

Quell’ala del castello era stranamente priva di fiamme. C’era solo qualche fiammella che consumava i resti di tendaggi e arazzi ma nulla a che vedere con la distruzione di prima.

Si bloccò appena prima di svoltare nel corridoio, poggiando le spalle al muro.

Fece un respiro profondo, la spada in alto di fronte a sè. Sapeva che girato l’angolo doveva essere pronto a qualsiasi scena si sarebbe prospettata davanti ai suoi occhi. Cercò di non pensare alla possibilità di trovare Gwen a terra, in fin di vita.

Sarebbe stata colpa sua, solo colpa sua...

“Faccio così paura?”

Arthur si irrigidì di colpo.

Il tono perverso e divertito di Merlin gli arrivò con la forza di una frusta sul viso.

Aveva percepito la sua presenza, lo stava aspettando...

Bene, pensò Arthur, bene, questa volta sono pronto anche io.

Un ultimo respiro profondo e il biondo superò la colonna su cui era poggiato e si ritrovò nel corridoio.

Merlin era lì, da solo.

Dentro quel castello che li aveva visti servo e principe, amici, amanti.

E infine, nemici.

“Non ho paura di te”

Lo vide ridacchiare in risposta. Sembrava sinceramente divertito dalla risposta del biondo ma allo stesso tempo per nulla sorpreso.

“Il tuo orgoglio finirà per ucciderti, Arthur” ironizzò Merlin scuotendo lentamente la testa.

“Ci hanno provato in tanti, ma come vedi sono ancora qui.” Fu la risposta a tono del principe. Con una cupa soddisfazione vide gli occhi dello stregone stringersi per la rabbia.

“E a chi credi sia dovuto questo, mh?” Sibilò il moro avvicinandosi di un passo verso Arthur. “Chi credi di dover ringraziare per il fatto che Camelot abbia ancora un Principe reggente?”

Arthur non rispose. Si limitò a fissarlo, ingoiando a vuoto e la mente che lavorava velocemente.

“Dov’è Gwen?” sibilò dopo un attimo di silenzio. Un rapido movimento degli occhi gli confermò che la ragazza non era lì. Non vedeva tracce di sangue nè altro che gli facesse intendere che la serva era ferita, o peggio.

“Sei davvero prevedibile, Arthur.” Lo canzonò Merlin, avvicinandosi ancora. “Non mi interessa nulla di Gwen, o del popolo, o dei tuoi amati cavalieri.” Sembrava sinceramente annoiato, quasi insultato. “L’unico che voglio veder soffrire... sei tu.”
 

“L’unico che voglio veder felice sei tu”

Gli occhi azzurri di Merlin brillavano mentre guardavano i suoi. Erano abbracciati, semi sdraiati sul baldacchino nelle stanze di Arthur, precauzionalmente chiuse a chiave da qualche ora. 

“È così, Arthur. Non voglio altro.”

Il biondo l’aveva guardato intensamente per poi baciarlo di getto. Gli aveva preso il viso tra le mani per sentirlo più vicino, poi con uno slancio lo aveva portato sopra di sè, le labbra talmente vicine da mescolare i respiri.

“Sempre”
 

 

Arthur sbattè le palpebre, tornando bruscamente alla realtà. Il ricordo di quella notte passata a fare l’amore con Merlin più e più volte era esploso davanti ai suoi occhi, insieme a dolore, nostalgia e senso di colpa.

Scoccò un’occhiata al moro e lo vide sorridere, compiaciuto.

Fu quel sorrisino a farlo infuriare. Serrò la stretta sulla lama, il volto deformato dalla rabbia. Era sul punto di alzarla e sferrare un attacco quando, per la seconda volta, sentì la spada volargli via dalle mani.

Atterrò parecchio lontana da lui, troppo anche per poter solo pensare di raggiungerla. Trattenne un’imprecazione e tornò a guardare Merlin che non sembrava essersi mosso di un centimetro.

“È la vendetta quella che vuoi? È questo che cerchi?” Gridò allora Arthur. “ Sono qui, forza. Sono pronto!” Allargò le braccia, mostrandosi totalmente disarmato. Non poteva nulla contro quel livello di magia, lo sapeva. Qualsiasi mossa avesse fatto sarebbe stata inutile e potenzialmente controproducente per il suo popolo e l’intero regno.

E non l’avrebbe mai permesso.

“Sono pronto.”
 

Merlin inclinò la testa, guardando con curiosità il biondo.

Sapeva che Arthur avrebbe combattuto fino all’ultimo. Avrebbe resistito oltre il limite umano. Per il popolo, per Camelot e per sè stesso.

Sarebbe morto per proteggere il suo Regno.

Morto da eroe, da cavaliere.

Ma non era la morte di Arthur quello che lui voleva.

Era il suo dolore, che cercava.

Quella notte Arthur avrebbe provato la sua sofferenza. Quella che si era portato dietro per mesi, che lo aveva dilaniato dentro, che lo aveva trasformato, permettendo alla magia di prendere il sopravvento.

Questa era la sua vendetta.

Si avvicinò di più al principe fermandosi a qualche passo di distanza da lui. Alzò lentamente il braccio destro, la mano artigliata all’altezza del suo viso.

“Balla per me, Arthur.”

Un sussurro appena percettibile.

La sua mano tesa si serrò all’improvviso e un urlo disumano si propagò in tutto il Castello.

Arthur cadde a terra, agonizzante. Il dolore sconvolgente, il corpo in fiamme.

Urlò, urlò e urlò con tutto il fiato che aveva, finché non divenne troppo.
 

E tutto si fece buio.

 

 

Angolo Autrice:

Ciao a tutti! Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto. Questa storia è contemplata per essere di tre capitoli quindi siamo già relativamente alla fine.

Voglio ringraziare di cuore chi ha messo questa storia tra le preferite e le seguite e soprattutto per chi ha speso due minuti per lasciare una recensione! Grazie, grazie, grazie.

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, ci tengo tantissimo. Spero di far arrivare presto l'ultima parte ma temo che, causa esami, ci metterò un pò di più. Due settimane al massimo, ecco!

Un bacio a tutti e a presto!

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Capitolo 3
*** Hope ***


"È come se tu stessi urlando, e nessuno ti riuscisse a sentire.

Quasi ti vergogni del fatto che qualcuno possa essere così importante, che senza di lui ti senti niente.

Nessuno capirà mai quanto fa male.

Ti senti senza speranza, come se niente potesse salvarti.

E quando è finito, ed è passato, tu speri quasi che tutto questo male possa tornare indietro, così da poter avere il bene."

 

 

 "Arthur... Arthur, resistete... Siete più forte, resistete..."

Arthur aprì gli occhi. La luce lo accecò immediatamente. Si coprì gli occhi con le mani e cercò faticosamente di rimettersi in piedi.

Non capiva. Si aspettava di vedere il corridoio buio e le macerie intorno a sè, di sentire il crepitio delle fiamme e l'odore acre del fumo ma non c'era niente di tutto ciò. 

Guradandosi intorno il biondo realizzò di essere in un luogo a lui famigliare.

Il tavolo di legno alla sua destra, la scrivania di mogano con le sue carte, gli arazzi color rosso Pendragon sulle pareti... 

Era nelle sue stanze.

 "Arthur..." Il principe si girò di scatto. Seduto sul suo letto c'era Merlin, i capelli corvini sempre in disordine e due luminosi occhi azzurri che lo guardavano preoccupati.

"Merlin?"

Il ragazzo sorrise, addolcendo i lineamenti. "Sono qui, Sire".

Arthur fece qualche passo verso di lui, guardingo. Non sembrava la stessa persona che aveva appena incendiato il suo castello e che lo aveva minacciato. Sembrava il ragazzo che era stato il suo servitore per due anni, il goffo, maldestro servo che era diventato il suo migliore amico. L'altro lato della medaglia.

"Sei davvero tu?"

Sentiva il cuore battere forte nel petto. Non osava sperava tanto, aveva il terrore di vedere quegli occhi tramutarsi di nuovo in oro fuso, ma non riuscì a impedirsi di fare qualche passo incerto verso di lui.

"Sono io."  Merlin alzò una mano verso di lui, come un invito. Un gesto che sapeva di casa, di conforto, di amore.

Il principe si avvicinò, lo sguardo fisso su quella mano tesa. L'aveva stretta tante volte, accarezzata, baciata.

Ne conosceva ogni linea, ogni increspatura... eppure i suoi sensi erano all'erta, come se si aspettase che quella da salvezza diventasse arma. Rimase dov'era, lo sguardo fisso sulla mano.

Alla fine, il moro l'abbassò.

"Dovete resistere, Sire. Dovete combattere" ripetè il mago. Arthur inclinò la testa. Non capiva di cosa stesse parlando Merlin. Lì c'era caldo, luce e pace. Nulla contro cui combattere.

"Non abbiamo molto tempo, Arthur. Dovete ascoltarmi."

 Il Principe lo fissò, ancora spaesato. Non capiva ma voleva fidarsi del ragazzo davanti a lui. Fidarsi come una volta...

"Ti ascolto." Disse infine.

Il moro si alzò. Non si avvicinò, sembrava non potesse, come se ci fosse una barriera invisibile tra loro. Rimase semplicemente li, a qualche passo di distanza.

"Puoi mettere fine a tutto questo Arthur, sei l'unico che può. Ma dovete resistere."

Nell'istante in cui Merlin pronunciò quella frase Arthur sentì una fitta di dolore acuto attraversargli la testa. Barcollò, stordito e si prese la testa tra le mani, cercando di tener a bada il dolore.

"Ma cosa..." disse ansimando a denti stretti.

Merlin lo guardò con occhi sempre più preoccupati.

Non si era mosso di un millimetro.

"Arthur." lo richiamò. Il principe alzò faticosamente lo sguardo. La fitta era sparita, ora sentiva un dolore più tenue ma costante, che gli impediva di concentrarsi davvero su ciò che aveva intorno. 

"Il dolore diventerà sempre più forte, presto tornerete lì. Ma c'è un modo per salvarvi. Un modo per salvare me."

"Di cosa stai parlando... io non-" Arthur scrollò il capo, come per togliere un pensiero doloroso dalla mente. Non riusciva a capire, non riusciva a concentrarsi sulle parole del ragazzo. Più si sforzava, pià il dolore aumentava. "Non c'è nulla da salvare" sibilò a denti stretti. "Tutto ciò che conoscevo è diventato polvere e cenere".

Per un attimo in quella stanza calò il silenzio. I loro occhi si incontrarono, entrambi consapevoli delle parole del Principe.

"Polvere e cenere non sono sinonimi di morte, Arthur. Non necessariamente." mormorò Merlin.

Il biondo socchiuse gli occhi, sorpreso dalle parole dell'altro.

 

"Non finchè c'è speranza."

 

 

Sentiva il pavimento freddo contro la schiena e un dolore acuto per tutto il corpo, come se qualcuno lo avesse preso a calci per intere veglie. Una strana sensazione di calore sul labbro superiore gli disse che stava perdendo sangue dal naso, ma non se ne curò.

Cominciò a tossire, cercando di liberare i polmoni, ma ogni tentativo non faceva altro che procurargli ulteriore dolore. Aprì gli occhi e si girò su un fianco, cercando di tenere a bada la nausea che sentiva salire a ondate.

"Siete già stanco, Maestà?"

Arthur ignorò la voce. Continuò a tossire, non curandosi del fatto che l'altro fosse lì, in piedi accanto a lui.

Non riusciva a capacitarsi di cosa fosse successo. Era svenuto? Aveva avuto una visione? Era davvero Merlin che aveva visto?

Alzò lo sguardo sul moro e per un attimo gli si strinsero le viscere: i capelli neri, il fisico sottile, gli zigomi pronunciati. Sembrava la stessa persona con cui credeva di aver parlato.

Eppure quegli occhi... non riusciva a guardarli.

L'oro delle iridi sembrava vivo, come se la magia stessa ci scorresse dentro. Erano pieni di potere e non riusciva ad abituarsi a vederlo esplodere proprio in Merlin, in chi aveva sempre considerato più fragile. 

Quell'oro era lì, a testimonianza del suo fallimento, della sua incapacità di ammettere che non era al di sopra di tutti.

Ma soprattuto del fatto che non era stato in grado di accettare che Merlin l'avesse tradito.

Si rimise in piedi a fatica e con la manica della casacca si pulì il sangue che gli usciva copioso dal naso. Notò che aveva la mano piena di graffi e per un attimo si chiese come dovesse apparire in quel momento, coperto com'era di lividi e sangue.

La testa gli doleva terribilmente. Sentiva le tempie pulsare talmente forte da offuscargli quasi la vista. Ricacciò indietro un altro conato di nausea e si concentrò sul ragazzo.

"Sei soddisfatto?" Aveva la voce roca, come se non la usasse da tempo. Tossì di nuovo, questa volta senza distogliere lo sguardo dall'altro.

Merlin sorrise, alzando appena un angolo delle labbra. "Non so. Credo si possa fare di meglio, Arthur. Che dici?" Lo canzonò.

Arthur sembrò non sentire la risposta. Fece un passo avanti zoppicando vista una fitta acuta al ginocchio sinistro e si appoggiò al muro con una smorfia di dolore. "Merlin..."

Il sorriso del moro scomparve immediatamente. Il principe vide un lampo di odio nei suoi occhi e la mascella contrarsi. In un attimo, capì cosa stava per succedere.

"Non. Chiamarmi. MERLIN!"

L'aria intorno a lui esplose. Arthur si sentì volare e senza capire più nulla crollò a terra, colpendo con forza il muro dietro di lui.

Per un orribile momento non riuscì a respirare. I polmoni non riuscivano a far entrare l'aria nel suo corpo e rimase immobile, incapace di muoversi.

 

"Quale speranza? Il mio castello è in fiamme, il popolo è ferito, e tu... tu non ci sei più."

Merlin scosse il capo, un sorriso triste apena accennato. "Puoi ancora riportarmi indietro. Puoi ancora salvarmi.."

"Come?" chiese Arthur disperato. "Non posso combattere la tua magia."

"Non devi combatterla, Arthur." mormorò Merlin. "Devi accettarla."

 

"A-avevi... avevi ragione tu..." Arthur tossì più forte, le mani strette sulla gola in fiamme e gli occhi lucidi per la mancanza di aria. "E' colpa mia, Merlin. E' solo colpa mia..."

Il mago era ancora in pedi, le braccia spalancate per la forza della magia che era esplosa e il petto che si alzava e abbassava velocemente per lo sforzo. "Tu... tu non sai niente..." ansimò.

"Non ti ho fatto parlare, non ti ho dato la possibilità di spiegare..." Arthur si rimise in piedi per l'ennesima volta, stavolta senza avvicinarsi. "Ti ho esiliato come il peggiore dei traditori e... dopo tutto quello che avevamo... tutto quello che..." Si schiarì la gola, incapace di andare avanti. Stava richiamando a sè tutto il coraggio per non distogliere lo sguardo dal ragazzo che sembrava pietrificato.

Merlin sbarrò gli occhi, la mascella serrata. Sembrava aver perso la voce. "Cosa stai-"

"Ti chiedo scusa per quello che ho fatto. Sono stato un vigliacco." Il principe cominciò a fare qualche passo verso Merlin, lo sguardo ancora puntato sull'altro, come se stesse cercando di non spaventarlo. Gli arrivò abbastanza vicino da toccarlo ma l'altro non accennò a spostarsi.

"Io accetto la tua magia. Accetto te."

 

"Da polvere e cenere si può rinascere, lo sai." Il suo sorriso era luminoso, ora. Pieno di fiducia, calore e affetto.

Arthur cercò di avvicinarsi, attratto dalle parole dell'altro, ma il dolore alla testa era ormai impossibile, gli occhi si stavano chiudendo

"Salvami."

 

 Il pavimento iniziò a tremare.

Arthur si guardò intorno, allarmato. Gli arazzi si staccavano dalle pareti, quadri e statue crollavano a terra distruggendosi, armature si ripiegavano su loro stesse con un fragore assordante.

Cercò di mantenere l'equilibrio, anche se con enorme difficoltà e con la coda dell'occhio vide il mago barcollare all'indietro.

Merlin abbassò lentamente la testa, prendendola tra le mani.

In un attimo, Arthur capì che era lui. Lui stava causando quelle scosse..

La sua magia si stava ribellando, cercava di evadere e di trovare sfogo ma il mago sembrava stesse combattendo una battaglia interiore, nel tentativo di domarla.

Quella era l'ultima occasione, Arthur lo sapeva ormai.

E sperò.

"Non mi importa se sei uno stregone... non mi importa se e quanto potere hai. Se sei molto più forte di me, se saresti capace di distruggermi e distruggere Camelot." disse con urgenza a voce alta, cercando di superare il frastuono. "Non voglio che cambi. Tutto quello che hai fatto per Camelot... per me, lo so ora."

Lo sapeva davvero. Non poteva negare che da quando aveva scoperto il suo segreto, Arthur aveva capito molte cose. Alcuni fatti di cui non si capacitava avevano trovato una spiegazione, tutte le volte che dava a Merlin decine di incarichi impossibili al giorno e quello riusciva a portarli a termine, volte in cui credeva di aver riportato ferite troppo profonde per poter guarire...

Era grazie a Merlin se era vivo.

"Ho bisogno di te, Merlin"

 

Le scosse aumentarono.

Il mago ora era ripiegato su se stesso, le mani strette talmente forti sul capo che Arthur riusciva a vedere i muscoli tenderi sugli avambarcci.

Poi Merlin alzò la testa di scatto.

Il viso era contratto dal dolore per lo sforzo di tenere a bada la magia e l'oro nelle sue iridi sembrava quasi incandescente. "N-no... basta. Sta' zitto..." ansimò.

"Non abbandonarmi." Continuò Arthur. "Ti prego, non farlo."

Allungò una mano verso di lui, cercando di toccarlo. Sapeva che c'era l'enorme possibilità che Merlin lo sbalzasse via di nuovo, ma non gli importava.

Tutto quello che era successo era colpa sua e ne avrebbe pagato le conseguenze,

"Resta con me."

Non aspettò una risposta.

Si fece coraggio e lo abbracciò.

 

"NO!"

Merlin urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Una ad una le finestre si infransero con forza e migliaia di frammenti di vetro volarono per tutto il corridoio.

Arthur d'istinto fece scudo col il suo corpo, cercando di proteggere se stesso e il mago e trasalì al dolore di tanti, minuscoli tagli che si aprirono sulle braccia e sulla schiena.

Gli sfuggì un'imprecazione e trattenne il respiro cercando di ingnorare il bruciore ma non fece neanche in tempo a rimettersi dritto che con orrore avvertì Merlin accasciarsi a peso morto tra le sue braccia.

All'istente, il pavimento cessò di tremare.

"No, no, no... Merlin..." lo poggiò delicatamente a terra e sistemò la testa sopra le sue gambe. Il volto era arrossato e caldo, come se avesse la febbre alta, gli occhi chiusi.

Sembrava addormentato.

Arthur resto immobile. Non riusciva a muovere un muscolo, o a distogliere lo sguardo dal volto del ragazzo. Aveva gli occhi sbarrati, pieni di terrore e incredulità.

Non poteva essere morto, non poteva...

"Merlin" sussurò con voce spezzata. Cercò di smuoverlo ma l'altro rimase inerme; una mano semi aperta scivolò giù dal petto e toccò il pavimento freddo.

Il cuore di Arthur sprofondò. Sentì gli occhi inumidirsi ma non aveva le forze di alzare le braccia per fermare le lacrime.

Accostò la fronte a quella di Merlin, stringedolo a sè e cullandolo tra le braccia.

"...perdonami..." riuscì a mormorare.

D'un tratto il castello iniziò a tremare, per la seconda volta. La scossa sembrava partire da esattamente il centro del corridoio, dov'erano loro.

Arthur si staccò appena dal corpo del mago e si guardò attorno, il volto ancora rigato dalle lacrime. Sentì un boato, come se ci fosse stata un'esplosione sotto terra e il pavimento tremò ancora di più.

Poi, qualcosa di incredibile accadde. La mano di Merlin si mosse appena, arricciando impercettibilmente le dita e in quello stesso istante, tutto il corpo venne avvolto da una nebbia dorata.

Arthur si coprì gli occhi con una mano. L'aura d'oro stava diventando sempre più intensa, illuminando a giorno l'intero corridoio. Ci fu una scossa fortissima e Arthur cadde all'indietro, allontanandosi dal corpo di Merlin. La luce era talmente forte che il principe non riusciva a vedere quasi più niente. Socchiuse ancora di più gli occhi e cercò di riavvicinarsi al ragazzo ma un lampo abbagliante lo fermò.

Per un attimo. Arthur credette di vedere qualcosa liberarsi da quel bagliore... qualcosa di familiare e allo stesso tempo incredibile...

Una fenice.

 

All'improvviso, così com'era iniziato, tutto finì. Le scosse si fermarono, la luce svanì.

Con un sussulto, Merlin riaprì gli occhi.

Arthur trattenne il respiro, il cuore in gola.

“Merlin?”

Il ragazzo girò appena il viso verso di lui e Arthur credette di morire.

Azzurri.

I suoi occhi erano azzurri.

“Merlin?” ripeté con voce tremante.

Si riavvicinò al mago e gli afferrò la mano. La strinse e percepì la familiarità, il calore, la sicurezza che si infondevano in lui.

Non c’era più paura, non più timore.

Quelle mani non gli avrebbero fatto del male. Ne era certo.

“Mi hai salvato” Arthur girò la testa verso di lui.

Il volto di Merlin era pallido ora, le occhiaie gli cerchiavano gli occhi ed era coperto di sudore. Quando incontrò il suo sguardo il viso del mago si aprì in un sorriso stanco.

Il primo vero sorriso dopo tanto tempo.

 

“Grazie.”

 

***

Arthur entrò nelle sue camere.

Era sfinito, la mattinata era stata lunghissima. Era anche piuttosto soddisfatto, però: la riunione con i Re e gli ambasciatori dei Regni limitrofi era andata più che bene e aveva assicurato a Camelot altri cinque anni di pace grazie agli Accordi che avevano firmato.

Sentiva addosso un'enorme responsabilità. Essere Re non era così facile. Aveva sempre visto suo padre governare con pugno di ferro e durezza facendola sembrare la cosa più facile del mondo. Ma lui non voleva questo. Non voleva essere un Re come suo padre. Camelot meritava di più.

Voleva regnare con giustizia, con onore. Voleva ascoltare il suo popolo, i suoi bisogni e non lasciare che i suoi pregiudizi gli offuscassero la vista.

L'aveva imparato a sue spese e non avrebbe rifatto gli stessi errori.

La cerimonia di incoronazione sarebbe stata da li a qualche veglia e tutto il popolo era in festa. Suo padre, Uther era morto appena quattro giorni prima e sebbene tutto il Regno per tre giorni avesse pianto un grande leader, l'entusiasmo per il nuovo Re era più forte che mai.

Arthur era pronto a fare quel passo, a prendere il posto di suo padre. Sentiva che tutti i pezzi stavano tornando al loro posto.

Tranne uno.

Andò verso la scrivania e si sedette. Fece un respiro e prese la piccola chiave d'oro che ortava sempre con se. Aprì il cassettino della scrivania e afferrò il foglio di pergamena che iìgiaceva lì dentro.

Era qualche tempo che non lo riprendeva in mano, che non ne leggeva le parole impresse sopra.

Sembravano passate molte lune e allo stesso tempo solo qualche veglia da quando se n'era andato.

Da quando aveva trovato quella lettera sulla sua scrivania.

Merlin era rimasto nelle camere di Gaius per mezza luna dopo essere tornato in sè. Era andato a trovarlo solo una volta, mentre riposava e Gaius gli aveva detto che ci avrebbe messo del tempo a riprendersi del tutto. La sua magia si era come azzerata e ci sarebbero volute intere lune prima che riuscisse a riavere il controllo dei suoi poteri.

Lui non aveva detto niente, si era limitato a fissare il mago dormire in quel giaciglio scomodo e poi, mormorando un saluto a mezza bocca a Gaius, si era congedado.

Quella era stata l'ultima volta che l'aveva visto.

Aprì la pergamena e vide la scrittura sottile di Merlin, le lettere un pò tremanti, come se non riuscisse a tenere la piuma con fermezza mentre scriveva quelle parole.

Gli mancava.

Non riusciva a parlarne con nessuno, neanche con Gaius anche se sapeva che anche il vecchio cerusico soffriva terribilmente la mancanza del suo pupillo.

Ma la sua non era semplice mancanza. Era come se avesse perso una parte di se stesso, l'altro lato della medaglia.

E ora, ad una veglia dalla sua incoronazione, sentiva la sua assenza logorarlo dentro.

Si alzò e andò verso la grande finestra alle sue spalle. Da lì poteva vedere tutta Camelot e i boschi che dividevano il suo Regno da quello di Cenred.

Era lì che si trovava ora? In quei boschi? O era ancora più lontano, nel Nord, in terre che non avrebbe mai raggiunto?

Era un intero anno che se lo chiedeva e ormai da tempo aveva perso la speranza di scoprirlo.

Merlin se n'era andato e nonostante le parole nella sua lettera, non sarebbe tornato.

 

Sentì bussare alla porta e con un sospiro poggiò la lettera sulla scrivania.

"Avanti." fece con voce bassa. La porta si aprì e fece capolino la testa di Sir Lancelot.

"Maestà, è tutto pronto. E' ora di andare." lo informò il Cavaliere.

Arthur annuì. Buttò un ultimo sguardo alla lettera e poi seguì Lancelot per la cerimona di vestizione prima dell'incoronazione.

Una volta alla porta si girò. Diede un'occhiata alle sue spalle, ricordando quando quelle erano state il suo luogo felice, il luogo in cui era stato se stesso grazie a Merlin, grazie alla loro complicità.

Era ora di dire addio a tutto quello.

Prese un profondo respiro, poi afferrò la maniglia e chiuse la porta dietro di sè.

 

"Arthur,

sono contento di sapere che il popolo è salvo e che Camelot è tornata ad essere un luogo di pace come è sempre stata.

Ricordo quasi tutto e Gaius mi ha aiutato a riempire alcuni dei vuoti che avevo grazie anche ai tuoi racconti.

Non chiedo il tuo perdono.

Ciò che è accaduto è troppo grande per poter essere accantonato così, con delle semplici scuse.

Un giorno, forse, sapremo dimenticare, guardare avanti. Riusciremo a imparare dai nostri errori e non commetterli mai più.

Non so se questo tempo arriverà presto ma so che arriverà. "

 

Arthur era in piedi, nella sala del trono, il lungo mantello rosso Pendragon che scendeva fino ai piedi e lo scettro in mano.

Il Vescovo stava recitando il rito in latino, la Corona tra le sue mani, pronta ad essere posta sul suo capo.

Si era inginocchiato, aveva pronunciato il suo giuramento davanti ai cavalieri e davanti al suo popolo e ora era pronto.

 

"Credevo di sapere molte cose. Di sapere quale fosse il mio destino, la mia strada.

Credevo che il mio scopo fosse quello di aiutare te a diventare un grande Re, di salvarti.

Ma mi sbagliavo.

Sei stato tu a salvare me."

 

Il Vescovo terminò il suo discorso e alzò la corona.

Arthur sollevò leggermente il capo, pronto a riceverla e fu lì che lo vide.

Era in fondo alla sala, la casacca blu e un fazzoletto intorno al collo.

E il suo sorriso irriverente che gli illuminava gli occhi azzurri.

 

"Nonostante avessi sparso cenere e polvere mi hai riportato in vita."

"Lunga vita al Re!"

La Corona venne poggiata sui capelli dorati e tutto il popolo si inginocchiò ripetendo le parole del Vescovo.

Un lungo applauso risuonò per la sala ma Arthur aveva gli occhi solo per lui.

 

"Non dimenticarlo, Arthur.

Per il tuo popolo, per Camelot, per Albion, per me,

tu sei..."

 

Arthur lo vide muovere le labbra e anche se non riuscì a sentirne la voce, capì perfettamente.

 

"Speranza."

 

 

Angolo autrice:

Siamo giunti alla fine.

Due settimane avevo detto? Facciamo due mesi, meglio.

L'università mi ha tolto la vita ma spero davvero, con tutto il cuore, che questo finale sia stato degno della storia.

Scrivendo, ho immaginato ogni momento nella mia testa e spero sia lo stesso per voi.

Voglio immensamente ringraziare tutte le persone che hanno messo questa storia tra le preferite, seguite e ricordate nonostante questa infinita pausa di due mesi.

Un ringraziamento speciale però, va a quelle meravigliose persone che hanno spesso due minuti per scrivermi qualcosa. E' per voi che ho stretto i denti e sono riuscita a scrivere l'ultima parola di questa ff.

Soprattutto in questo momento così assurdo che stiamo vivendo spero che questa storia vi abbia lasciato qualcosina.

Il tema della speranza, dell'avere fede, del rialzarsi quando tutto sembra impossibilie è qualcosa che mi sta molto a cuore.

Detto questo vi saluto e spero davvero di leggere qualsiasi vostra opinione su questa parte finale.

Long Live a tutti!

Mari

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