Il bel paese

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una gara fuori dagli schemi ***
Capitolo 2: *** Retebiella presenta ***
Capitolo 3: *** L'arte del riso ***
Capitolo 4: *** Si alzi il sipario ***
Capitolo 5: *** Il tesoro della Carboneria ***
Capitolo 6: *** Ancora un giro di pedale ***



Capitolo 1
*** Una gara fuori dagli schemi ***


 
Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro.
[Storia partcepiante alla challenge "Il giro d'Italia in 80 storie" indetta da Ghostmaker sul forum di EFP]




     

[…] il bel paese ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe” (CXLVI, Canzoniere, Petrarca, vv. 13-14)

 



                   Una gara fuori dagli schemi
 


 
«Signor De Vecchi, la Ministra sarà qui a momenti».
Adriano De Vecchi era un uomo di mezz’età, arguto, intuitivo e ormai considerato uno dei migliori nel suo campo. All’ingresso della segretaria aveva sollevato gli occhi dalle carte che stava sfogliando e le aveva rivolto la sua piena attenzione.
«Bene, appena arriva falla accomodare immediatamente nel mio ufficio».
«Naturalmente».
«Per il resto è tutto pronto?». Erano mesi che lavorava assiduamente a quel progetto e l’idea era ancora più antica: quanto tempo aveva impiegato per convincere la Ministra e il direttore della sua rete televisiva che avrebbe avuto successo! Per non parlare delle lunghe trattative con i Comuni, i vari enti e gli sponsor. Era stata una fatica erculea, ma era certo che ne sarebbe valsa la pena.
«Sì, stia tranquillo» rispose la segretaria con un sorriso rassicurante e probabilmente annoiato.
Adriano, però, non aveva intenzione di rovinare tutto all’ultimo secondo per superficialità o stanchezza, anche al costo di farsi odiare a causa della sua scrupolosità. Incrociò le dite di fronte agli occhi e fissò la sua collaboratrice finché non la mise a disagio ed ella si congedò. Com’era prevedibile. Sbuffò e chiuse il computer: per quel giorno non avrebbe lavorato ulteriormente. Non nel suo ufficio, comunque.
Si alzò e si affacciò alla finestra. Aosta era davvero una città gradevole, in quelle settimane trascorse lì si era trovato veramente bene. Avrebbe dovuto portarci la famiglia in vacanza appena possibile. D’altronde egli stesso aveva necessità di un periodo di tranquillità e di certo la capitale con il suo traffico e caos non sarebbe stata l’ideale.
Battute concitate scambiate frettolosamente nel corridoio, lo agitarono per un momento, ma s’impose immediatamente di mantenere la calma: era la sua occasione e non l’avrebbe sciupata. Si raddrizzò il nodo della cravatta e si voltò verso la porta, proprio mentre la sua segretaria bussava e apriva.
«Signor De Vecchi, è arrivata la Ministra Giannizzi».
«Buongiorno, ministra. Benvenuta» disse subito Adriano con il suo miglior sorriso.
La donna, dalla figura asciutta e altera, ricambiò il saluto e si accomodò in una delle sedie di fronte alla scrivania.
«Posso offrirle un Génépy? È un liquore di questa zona. Ha un gusto particolare, leggermente amarognolo. Devo dire che è molto buono. Oppure del…» propose Adriano affaccendandosi intorno a un piccolo mobile bar e tirando fuori una bottiglia contenente un liquido giallo verdognolo.
«No, la ringrazio. Solitamente non bevo alcolici di mattina» lo interruppe ella con fermezza.
«Oh, certo, mi scusi… Posso farle portare un caffè, se preferisce…».
«Un caffè, effettivamente, lo gradirei… I viaggi in aereo mi scombussolano…».
«Capisco… Mi scusi un attimo…». Adriano lasciò l’ufficio il tempo necessario per spedire la segretaria al bar più vicino, raccomandandole di non farsi attendere. «Il viaggio non è stato tranquillo, allora?».
«Sì, sì, non ci sono stati problemi…» replicò ella con un vago gesto della mano come a dire che non fosse rilevante. «Diciamo che preferisco rimanere con i piedi ben piantati a terra… In compenso sono molto contenta che lei abbia accettato di partire proprio da questa città, vi venivo spesso in vacanza da piccola e il tragitto da Saint-Christophe fino a qui è stato come mangiare una madeleine di Proust…». L’ultima frase l’aveva pronunciata con un tono sognante e per un attimo aveva perso la sua aria severa, che riapparve immediatamente alla vista dello sguardo perplesso del suo interlocutore. «Non apprezza Proust?».
«Oh, sì, naturalmente» ribatté Adriano, conscio di averla contrariata, eppure aveva solo una vaga conoscenza dello scrittore francese perciò decise di cambiare discorso al più presto. «Sono contento che lei abbia apprezzato e sostenuto il mio progetto».
«Immagino che il suo obiettivo principale sia di natura meramente economica» intervenne tagliente la Ministra Giannizzi, «nonostante ciò non ho potuto non coglierne il potenziale vantaggio per il nostro turismo e, specialmente, per rivalutare allo stesso tempo il nostro patrimonio culturale».
«Entrambi tentiamo di compiere nel miglior modo possibile il nostro lavoro» rispose diplomaticamente Adriano.
«Da come parla, lei potrebbe benissimo lavorare in politica».
L’arrivo provvidenziale della segretaria con il caffè, sollevò Adriano dall’onere di dare una risposta adeguata. Non era sorpreso dal comportamento della donna, dopotutto aveva avuto occasione di saggiarlo nei loro incontri precedenti.
La Giannizzi sorseggiò il caffè e per tutto il tempo rimasero in silenzio, sebbene tale situazione stesse innervosendo l’uomo.
«Direi che è ora di andare. Non mi piace arrivare in ritardo» dichiarò la donna, appoggiando la tazzina sulla scrivania.
«Prima lei» disse Adriano galantemente, ma la Ministra appariva immune a simili gesti.
Fuori dall’ufficio attendeva la scorta che li accompagnò fuori dall’edificio.
Piazza Chanoux era gremita e i due riuscirono a raggiungere il palco senza difficoltà, poiché era stato eretto strategicamente proprio sul lato su cui si apriva l’ingresso principale dell’edificio.
Il sindaco, già arrivato, andò loro incontro.
Adriano aveva preteso che il palco fosse allestito quasi come un salottino, come se fossero nel suo studio televisivo e non all’esterno. Il conduttore selezionato per l’occasione era un giovane sui trent’anni, di bell’aspetto e decisamente colto e intelligente. Senz’altro la Ministra l’avrebbe apprezzato.
Il giovane lo accostò appena lo vide. «Signor De Vecchi è tutto pronto per la diretta».
«Perfetto, inizieremo tra breve» ribatté Adriano, raggiungendo nuovamente le Autorità. «Possiamo accomodarci» disse loro.
Il sindaco, l’assessore ai Beni Culturali di Aosta, la Ministra dei Beni e Attività Culturali e Turismo presero posto insieme ad Adriano sul palco.
«Buongiorno a tutti e benvenuti! Quest’oggi la città di Aosta ospita una competizione straordinaria, a cui non avete mai assistito» esordì il giovane conduttore, appena furono in onda. Il cameraman provvide a dare una panoramica dall’affollata piazza, che applaudì. «È stata organizzata in collaborazione del Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo e dei vari Comuni che hanno aderito all’iniziativa».
A quel punto il conduttore diede la parola agli ospiti.
«L’obiettivo è quello di promuovere il turismo nel nostro bel paese» concluse il proprio discorso la Ministra.
«È arrivato il momento di conoscere le regole della competizione e i nomi dei concorrenti… Le regole sono abbastanza semplici: due squadre, formate da tre componenti ciascuna, trascorreranno i prossimi due mesi a girare l’Italia, sostando in città prestabilite. In ogni città dovranno affrontare delle sfide. Ogni sfida avrà un punteggio. Le due squadre si sposteranno con mezzi a loro scelta e chi raggiungerà per primo la tappa successiva si vedrà assegnato un bonus. Alla fine della competizione chi avrà più punti vincerà un premio a sorpresa. Ai vincitori delle sfide che si svolgeranno nei capoluoghi verranno assegnati dei premi aggiuntivi dagli sponsor… Bene conosciamo i concorrenti. Sono due famiglie… Vi presento la famiglia Silvestri». Due donne e un ragazzino salirono sul palco. «Ecco, abbiamo Penelope e Ambra, sorelle e il giovane Samuele di tredici anni. Allora chi è il caposquadra?».
«Io» disse Penelope.
«La seconda squadra, la famiglia Rinaldi».
Altri tre salirono sul palco, questa volta due uomini e una ragazza.
«Saverio, Ludovico e Maria. Benvenuti!» li presentò il giovane conduttore. «Chi è il caposquadra?».
«Io» fece un passo avanti il più grande dei tre, Saverio.
«Bene. Possiamo finalmente iniziare» riprese il conduttore. «La prima tappa si svolgerà in questa bellissima città. Oggi vi sfiderete in una gara ciclistica: partirete dalla stazione e giungerete al castello di Fénis… Preoccupata signora?».
Penelope aveva fatto una strana smorfia. «Dobbiamo gareggiare tutti?».
«Assolutamente sì» sorrise il giovane fin troppo divertito. «È stato calcolato che per compiere l’intero percorso sia necessaria un’ora. Il punteggio sarà assegnato secondo questa modalità: dieci punti al primo se raggiunge il traguardo entro un’ora e mezza, nove punti se dovesse impiegare più tempo; il secondo classificato otterrà 9 punti se compie il percorso entro un’ora e mezza, in caso contrario 8; infine il terzo classificato ne avrà 8 oppure 7 se impiega più di un’ora e mezza; infine il quarto prenderà 6 punti, il quinto 5, il sesto 4. Naturalmente il punteggio per le due squadre è unico, perciò alla fine si sommeranno i singoli risultati… Sì, sì mi rendo conto che possa sembrare un po’ complicato… Non lo è? Oh, naturalmente, non vi ho ancora presentato i nostri concorrenti…». Fece un attimo di pausa e si avvicinò a Penelope. «Prima le signore. Penelope insegna Fisica al Politecnico di Milano. La sorella Ambra, commessa. E infine il giovane Samuel di tredici anni».
I tre furono spinti avanti. Ambra e Penelope sembravano a loro agio davanti a tutto quel pubblico, al contrario Samuele era palesemente turbato.
«Altra squadra. Saverio Rinaldi insegna Fisica al Politecnico di Torino. Ludovico, diciottenne, frequenterà a settembre il quinto liceo scientifico e sua sorella Maria, sedici anni, frequentante il liceo artistico». Il conduttore tacque per qualche secondo, poi riprese: «Vi starete chiedendo se sia una coincidenza che i nostri capisquadra facciano lo stesso mestiere e la risposta è no. Signori, Penelope e Saverio sono in costante competizione e hanno deciso di sfidarsi persino in quest’occasione!».
I due capisquadra si guardarono male.
«Ci sarà da divertirsi» commentò allora il conduttore. «Un ultima cosa: il premio speciale di questa prima tappa è una mountain bike… Detto ciò, vi prego di approfittare del ricco buffet offerto dai cittadina di Aosta. Alle tre in punto alla stazione vi sarà la partenza delle due squadre, siete tutti invitati».
I concorrenti scesero dal palco e furono raggiunti da De Vecchi, la ministra Giannizzi e il sindaco di Aosta.  
Penelope e Saverio, in qualità di capisquadra, si lasciarono intervistare non mancando di lanciarsi frecciatine. I loro compagni, fin troppo abituati al loro comportamento, preferirono dedicarsi al cibo, specialmente i ragazzi.
 
 

«Ancora biscotti mangi?».
Samuele era un ragazzino timido, ma ormai aveva imparato a conoscere la zia Penelope per cui si limitò ad annuire. «Queste tegole valdostane sono buonissime, non le ho mai viste da noi».
«Hai la minima idea di quanta strada dovremo fare in bicicletta?».
«No» borbottò Samuele. «Non credo che sia molta».
«15 km».
«Sul serio?».
«Sì e non credo che tu possa solo pensare che io o tua madre saremmo mai in grado di arrivare per prime».
«Mamma va in palestra una volta a settimana».
«Non so quand’è stata l’ultima volta che siamo salite su una bici, Samuele!».
«Ma scusa quando ci hai iscritto a questa gara non sapevi quali prove avremmo dovuto affrontare?».
«No. Ma non ascolti? Le sveleranno a poco a poco… Smetti di ingozzarti!».
«Ma dai, da noi non ci sono!».
«Probabilmente perché non abitiamo qui» replicò Penelope. «Ascolta, tocca a te vincere, questo l’hai capito?».
Samuele sbuffò: odiava quando la zia s’imponeva in quel modo. L’aveva odiata per aver trascinato lui e la madre lì, almeno finché non aveva scoperto di poter vincere una mountain bike nuova di zecca. «Voglio la bici» le rispose sinceramente.
«Ottimo! Si è più determinati se si ha un proprio obiettivo» ribatté ella contenta e si allontanò per andare a punzecchiare Saverio Rinaldi. Samuele scrollò le spalle e, dopo aver controllato che la zia non lo stesse osservando, tornò ai biscotti.
 
 

Poco prima delle tre le due squadre furono accompagnate alla stazione ferroviaria di Aosta, la cui piazza era gremita ancor più di quanto lo era stata quella mattina la Chanoux.
I meccanici facevano il giro tra i concorrenti per sistemare le selle delle bici in modo che fossero alla giusta altezza o risolvere qualsivoglia problema di natura tecnica.
«Ci sai andare in bici, Silvestri?» ghignò Saverio Rinaldi.
Penelope non rispose, ma trascinò la bicicletta nella parte opposta a quella dell’uomo. «Vedi di vincere» sibilò al nipote passandogli accanto.
Samuele a malapena l’ascoltò troppo impegnato a rimirare la bellissima mountain bike rossa messagli a disposizione.
«Belle, vero?» gli chiese Maria Rinaldi.
«Oh, sì» replicò egli dimenticandosi gli ordini assurdi della zia di non dar confidenza al nemico. Era un gioco, no?
«Scommetto quello che volete che dopo un paio di chilometri ci lasceremo gli adulti alle spalle» interloquì Ludovico, un giovane alto e palesemente muscoloso. Samuele lo fissò dal basso, sentendosi minuscolo.
«Ma tuo padre poco fa prendeva in giro mia zia» bofonchiò Samuele incerto.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Figurati, mio padre passa il suo tempo a studiare, preparare lezioni, lavorare al computer, fare calcoli strani, studiare…».
«…e ancora studiare…» gli fece eco Maria ridacchiando.
«È più sedentario di un camionista» tagliò corto Ludovico, montando in sella e avviandosi verso la linea di partenza. «Ci vediamo al castello».
«Ehi. Non ci pensare neanche» sbottò Maria seguendolo. «Buona fortuna, eh» soggiunse a beneficio di Samuele.
«Grazie, anche a voi» mormorò il ragazzino titubante, ma ben desideroso di diventare il proprietario di quella bicicletta.
«Sulla linea di partenza, prego». Il conduttore della mattina li sollecitò a posizionarsi. «Buona fortuna a tutti! E buona passeggiata».
Un fischio acuto diede il via alla gara.
Samuele ebbe qualche difficoltà a partire repentinamente, al contrario Ludovico scattò immediatamente seguito dalla sorella; i tre adulti persero parecchio tempo prima di ingranare.
I tre ragazzi li distanziarono in pochi minuti, raggiungendo rapidamente il ponte sulla Dora Baltea.
«Ma quella è l’autostrada?» bofonchiò leggermente preoccupato Samuele, che aveva raggiunto i due avversari.
«Paura?» lo provocò Ludovico con un fastidioso ghigno stampato in volto.
«No, no» borbottò il ragazzino.
«La pista ciclabile passa attraverso i sottopassi» spiegò mitemente Maria, incurante della boriosità del fratello maggiore.
«Conosci la strada?» domandò sorpreso Samuele.
«Mio padre ha comprato una mappa dopo pranzo e ce l’ha mostrata» rispose la ragazza.
«Ah». Saverio Rinaldi era stato maledettamente furbo, non poté fare a meno di pensare Samuele, sua zia avrebbe dato di matto appena lo avesse saputo.
«Stai tranquillo. Devi solo seguire i segnali» disse Maria notando un’espressione smarrita sul volto del più piccolo.
«E, caso mai sbagliassi strada, ti ripescherebbero in due secondi» s’intromise Ludovico indicando con un dito un elicottero che volava in cielo. «Ci stanno filmando, se non l’aveste capito. Non ci perderanno di vista nemmeno un millisecondo».
A Samuele non piaceva la sbruffonaggine del ragazzo, comunque non ebbero più tempo per parlare e soprattutto fiato man mano che avanzavano.
Procedettero vicini per gran parte del tragitto, solo un paio di volte i due fratelli si sfidarono allontanandosi da Samuele, che si sentì in dovere di aumentare l’andatura e raggiungerli: non poteva perdere la bicicletta posta in palio.
I tre cominciarono a sentire la fatica e rallentarono. Degli adulti non si vedeva neanche l’ombra, chissà dov’erano rimasti!
«Ora!» disse Ludovico all’improvviso intensificando la pedalata e spingendosi avanti.
Maria lo seguì, cossicchè Samuele comprese che dovevano essersi messi d’accordo in precedenza, ma provò a tenerli testa nella volata finale. Adesso vedeva anche lui la doppia cinta muraria merlata del castello apparire sempre più vicina.
Ludovico era troppo veloce e li distanziò. Maria e Samuele allora si contesero il secondo posto, mantenendosi testa a testa fino alla fine.
Solo sulla linea del traguardo Samuele, però, con un ultimo sforzo, la superò.
«Ed ecco i primi ad arrivare!» gridò il conduttore, che si era spostato sicuramente in macchina ed era fresco e riposato.
I tre accolsero con sollievo l’acqua e il cibo offerti.
Trascorse più di un’ora e mezza prima che Saverio Rinaldi giungesse.
«Vai papà!» gridò contenta Maria, non trattenendo una risatina vedendolo tutto sudato e sconvolto.
«Sì… ha bisogno di una bombola d’ossigeno» sbottò Ludovico ridendo sguaiatamente, mentre la sorella portava una bottiglietta d’acqua al padre.
Quando finalmente giunsero anche Ambra e Penelope - quest’ultima trascinando la bici a piedi e imprecando sonoramente contro l’inventore della bicicletta.
«I membri delle due squadre hanno concluso il percorso. Vi comunico immediatamente i singoli punteggi: al primo posto Ludovico con nove punti, avendo impiegato un’ora e quaranta minuti; al secondo posto Samuele, otto punti; al terzo, con pochi millisecondi di differenza dall’avversario, Maria, 7 punti; al quarto posto Saverio con 6 punti, al quinto Ambra con 5 e al sesto Penelope con 4… Riprendete le energie, tra qualche minuto vi comunicherò la squadra vincitrice di questa prima tappa!».
«Non dovevi arrivare primo?» sbottò Penelope rivolgendosi al nipote, dopo aver gettato con stizza la bici nel selciato.
«Penny, dai» intervenne Ambra. «Non è ancora detto che non abbiamo vinto».
Penelope la guardò malissimo. «Sai cos’è la matematica?» ringhiò. «E soprattutto non ti azzardare a chiamarmi Penny. Te l’ho detto un milione di volte. Ho una dignità io! Se ti sentissero i miei studenti!».
«Lo sai che siamo in diretta nazionale?» chiese Saverio avvicinandosi con un ghigno enorme. «Hai fatto una pessima figura».
«Non ti vantare solo perché tuo figlio ha vinto» ribatté Penelope.
«Io non sono dovuto scendere dalla bici».
«Avvicinatevi, avvicinatevi» li chiamò il conduttore, accanto a lui vi erano De Vecchi, la Giannizzi e il sindaco. «Ringraziamo il sindaco e gli Aostani per averci accolti oggi e la Ministra Giannizzi per aver avallato questo progetto» cominciò il giovane. «Ora, un po’ di istruzioni. Questa sera saremo ancora ospiti di questa bellissima città. Addirittura i concorrenti potranno visitare il castello di Fénis ed essere accolti nelle sue accoglienti stanze per questa notte. Domani separatamente dovranno partire. Destinazione Biella, in Piemonte. Vi rammento che potrete usare i mezzi che preferite. Lì avrete ulteriori indicazioni e a chi arriverà per primo verrà assegnato un bonus. E ora ecco il punteggio di oggi». Fece pausa. «Vince la squadra di Saverio Rinaldi con 22 punti contro i 17 di quella di Penelope Silvestri. Capisquadra, ecco il vostro compito per la serata, dovrete scegliere, insieme ai vostri compagni s’intende, un nome per la vostra squadra. Avete tempo fino alla prossima sfida. Grazie a tutti. Ci rivediamo a Biella!».

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Capitolo 2
*** Retebiella presenta ***


 
 “Biella tra ‘l monte e il verdeggiar de’ piani/lieta guardante l’ubere convalle, / ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti/ camini ostenta” (Rime e Ritmi, Carducci)

 
 
 
Capitolo secondo


 
Retebiella presenta…
 

 


«Puoi smetterla di sbuffare? Sei fastidioso».
Samuele distolse gli occhi dal paesaggio, che sfrecciava rapidamente al di là del finestrino, e fissò la zia. «Ma mi sto annoiando!» si lamentò.
«Non hai uno dei tuoi preziosi libri fantasy?» replicò la donna intenta a scrivere non si sa cosa sul suo computer portatile.
Samuele ignorò il suo tono derisorio. «Non mi hai fatto portare quello che sto leggendo» ribatté, invece, in tono accusatorio. «E non me ne hai fatto neanche comprare uno alla stazione di Aosta!».
«Dobbiamo concentrarci sulla gara» rispose Penelope con gli occhi fissi sullo schermo. «Siamo già in svantaggio, ti ricordo. E io non posso farmi battere da Saverio Rinaldi!». E qui si prese la briga di sollevare gli occhi, quanto bastava per lanciare un’occhiataccia al nipote.
Il ragazzino sbuffò. «Fammi almeno giocare con il tuo computer».
«Neanche per sogno».
«Daai» la supplicò.
«No».
«Uffa che sei!» sbottò il ragazzino mettendosi a braccia conserte e fissandola truce.
«E tu sei una piaga» replicò la donna.
«Ho fame» si lagnò allora Samuele.
«Se non la smetti…» s’irritò allora Penelope.
A quel punto intervenne Ambra. «La potete smettere entrambi? Io stavo cercando di dormire un po’, se non ve ne foste accorti!».
«Ma mamma mi sto annoiando» si lamentò il ragazzino. «E ho fame!».
«Samu, siamo quasi arrivati» sospirò Ambra raddrizzandosi.
«E comunque prenditela con tua madre, Samuele» disse a un certo punto Penelope. «Fosse stato per me avremmo noleggiato una macchina, l’hai dimenticato?».
«Fossi matta» commentò Ambra. «Con la testa che hai in questo momento avresti percorso la E25 battendo ogni record. Già immagino la prima pagina del Corriere della Sera: “Quarantenne brucia gli autovelox della E25 e quasi investe gli agenti al casello”».
Samuele scoppiò a ridere, mentre sua zia s’incupì maggiormente.
«Ti credi spiritosa?» sibilò alla sorella.
«No. Sono maledettamente seria» ribatté l’altra. «Ti ho seguito in questa folle gara, trascinando mio figlio con noi, non ti permetterò di mettere a rischio la nostra vita o di farci finire in carcere».
«Esagerata» sbuffò Penelope. «Ma adesso Rinaldi sarà in vantaggio. Il treno impiega quasi due ore in più della macchina!».
«Non è una gara di velocità» sospirò Ambra. «Piuttosto non abbiamo ancora scelto un nome per la nostra squadra».
«Figli di Albert» disse Penelope, chiudendo il computer.
«Nostro padre si chiama Marco» replicò interrogativa Ambra.
«Albert! Albert Einstein! Ignorante» sbottò Penelope alzando gli occhi al cielo.
«È un nome terribile» commentò Samuele orripilato.
«Concordo» disse Ambra. «Che problemi hai?».
«Allora proponetelo voi».
Per qualche minuto lo scompartimento divenne silenzioso, mentre il treno continuava a sferragliare ormai in territorio piemontese.
«Strange Threesome» propose Samuele.
«Che significa?» gli chiese la madre.
«Trio strano» rispose il ragazzino. «È inglese. Dopotutto siamo una squadra un po’ strana. Ci avreste mai pensato che avreste collaborato così?».
«No» risposero in coro le due donne.
«Appunto». Un sorriso sghembo illuminò leggermente il suo viso ancora delicato e infantile.
Improvvisamente il treno iniziò a rallentare e lentamente si fermò.
«Oh, oh, questa è la nostra fermata. Andiamo, dobbiamo recuperare il tempo perso» esclamò Penelope fiondandosi fuori dallo scompartimento con la sua sacca sulle spalle.
Sul cartello azzurro con il contorno bianco risaltava la scritta Biella S.P.
«Per cosa sta S.P.?» chiese Samuele curioso.
«San Paolo» rispose gentilmente un uomo di mezz’età con la divisa delle FS. Samuele non avrebbe saputo dire che ruolo ricoprisse.
«Sono il Capostazione. Benvenuti a Biella. Voi siete qui per la competizione televisiva, vero?» chiese loro. Sembrava divertito e contento all’idea.
«Sì. Ci ha visti in televisione?» chiese Samuele.
«Certo che ci ha visti» sbuffò Penelope. «Lo share è stato altissimo».
«Beh, in realtà, non guardo molto la televisione… Visto e considerato che sapevo che sareste venuti qui, non ho resistito…».
A Samuele quel signore fece immediatamente simpatia in quanto gli ricordò il padre. Tentò di scacciare quel moto improvviso di nostalgia e si costrinse a concentrarsi su quanto accadeva intorno a lui.
Il Capostazione porse un foglio alla zia. «Mi è stato chiesto di consegnarvi questa».
«Che cos’è?» replicò la donna corrugando la fronte.
Samuele e Ambra si avvicinarono per vedere meglio. L’immagine rappresentava degli uomini in divisa, leggermente sfumati nei contorni, ma al ragazzino saltò subito agli occhi il simbolo sulla fascia che portavano al braccio. Impiegò qualche secondo a ricordarne il nome. «È una svastica… Sono nazisti?» domandò ai tre adulti.
«A quanto pare» replicò sua madre meditabonda.
«E noi che dobbiamo farci con questa?» domandò Penelope al capostazione.
«È un indizio. Vi porterà al luogo dove vi verranno spiegate le regole della prossima gara».
«E cioè?» ribatté Penelope.
«Oh, non posso aiutarvi, mi dispiace».
«Ma lei conoscerà senz’altro la città a menadito» sbottò la donna infastidita.
«Sì, naturalmente. Sarei lieto di mostrarvi la mia bella Biella. Non dipende da me. Mi è stato chiaramente detto che non devo fiatare».
«E che fanno la multano?» sbottò sgarbatamente Penelope. Irritata di non poter controllare con i propri occhi le mosse del suo rivali.
«Ne dubito» sospirò l’uomo rimanendo cortese. «Ma voi sareste squalificati».
«Magnifico! Grazie tante» sbuffò Penelope avviandosi verso le scale che portavano al sottopassaggio, sventolando astiosamente il foglietto.
«Grazie. Arrivederci» mormorò, invece, Samuele con un lieve sorriso.
«E dai calmati Penelope» sospirò Ambra. «Chiediamo un po’ in giro».
Quella giornata si profilava calda e afosa. La stazione era abbastanza caotica tra turisti e pendolari, ma, con sollievo di Samuele, mai quanto quella di Milano. Quando c’erano stati qualche giorno prima per raggiungere la zia, si era sentito completamente perso. Quella di Biella era tutto sommato abbastanza simile a quelle a cui era abituato a casa.
Tentarono di muoversi come aveva proposto Ambra, ma a quanto pare gli organizzatori della gara si erano premurati di vietare a tutta la popolazione di collaborare in alcun modo. La maggior parte, però, li riconobbe eccitata. Samuele non avrebbe saputo dire se era più imbarazzato da quelle attenzioni o dal comportamento dalla zia Penelope, sempre più irritata da quella situazione di stallo, che stava per distruggere l’Iphone di una ragazza che aveva chiesto di fare un selfie con loro.
«C’è un bar lì. Andiamo a fare colazione?» chiese a un certo punto il ragazzino non potendone più.
«No» sibilò sua zia con un’occhiataccia.
«Penelope, fare colazione non farebbe male a nessuno di noi» intervenne Ambra.
«Vizi troppo tuo figlio…».
«Ah, questa è bella» sbottò Ambra.
Samuele sospirò affranto, ben conscio che avrebbero potuto litigare a lungo. «C’è il Wi-Fi, possiamo collegare il tuo portatile zia e cercare informazioni. Hanno vietato alla gente di dirci qualcosa, ma non di avere supporti elettronici».
Le due si zittirono. «Ottimo, allora diamoci una mossa» replicò Penelope, avviandosi verso il bar e lasciandoli indietro.
«Papà l’avrebbe già mandata a quel paese» sussurrò Samuele alla madre, ella ridacchiò e gli fece cenno di procedere.
 
Il bar non era molto grande, ma per fortuna non troppo affollato. Samuele si avvicinò immediatamente al bancone. «Ma’ posso prendere latte macchiato con il cacao e la viennese al cioccolato?».
«Prendi quello che vuoi» replicò Ambra distrattamente. «Io devo andare un attimo in bagno. Penelope mi accompagni?».
«Assolutamente, no. Ragazzino, ma insomma non hai capito che siamo in netto ritardo? Quel pallone gonfiato di Rinaldi… non mi ci fare pensare! Tieni il computer!».
«Samu, ordina. Prendi un caffè per me e tua zia. E, tu, viene con me!».
«Ehi, fino a prova contraria sono io la maggiore» si lamentò Penelope, mentre veniva trascinata dall’altra verso la direzione che gli aveva indicato un cameriere.
Samuele scosse la testa, fissandole sconcertato. Che fosse lui il più maturo del gruppo? Scrollò le spalle e ordinò proprio come gli aveva detto la madre. Dopo prese posto in un tavolino non troppo in vista, troppo terrorizzato all’idea che qualcuno si avvicinasse a chiedergli fotografie o simili. Accese il computer e rifletté su che cosa avrebbe potuto cercare. Ebbe, però, qualche difficoltà con la connessione a internet ma, fortunatamente, un cameriere gli venne in aiuto fornendogli la password.
«Allora hai trovato?» gli chiese sua zia, prima ancora di prendere posto.
Samuele la ignorò e scrisse nella barra di ricerca biella e il nazismo. Scorse la prima pagina dei risultati e comprese di aver colto nel segno. Attese che il cameriere servisse le ordinazioni e poi si rivolse alle due donne. «Credo di aver trovato» annunciò.
«Di già? Sei stato bravo» lo lodò la madre.
«Avresti potuto anche metterci di meno» bofonchiò sua zia, sorseggiando il suo caffè.
«Qui a Biella c’è una villa che è diventato un luogo di memoria della dominazione nazi-fascista».
«Perfetto. Andiamo».
«Ehi» disse indignato Samuele. «Io devo ancora mangiare!».
«E sbrigati» sbuffò Penelope.
Prima di uscire chiesero al barista come raggiungere Villa Schneider e fortunatamente questi glielo spiegò senza problemi.
«20 minuti a piedi? Ma siamo pazzi».
«Penelope» sospirò Ambra.
«No, torniamo alla stazione. Questa volta decido io. Prendiamo un taxi».
«Wow non ho mai preso il taxi!».
«Vedi che esperienze ti fa fare la zia? E tu ti lagni sempre».
Ambra alzò gli occhi al cielo e non commentò.
Il taxi, come previsto da Penelope, impiegò meno di dieci minuti a raggiungere la meta.
«Ecco, questa è piazza Lamarmora… e qui…» disse il tassista, «c’è Villa Schneider. Buona fortuna».
I tre ringraziarono e scesero velocemente.
«Oh, no! Ecco i Rinaldi!» quasi ringhiò la zia.
Samuele seguì il suo sguardo e vide Maria e Ludovico appoggiati al passamano di pietra della scala che conduceva all’ingresso della villa. Saverio Rinaldi era, invece, impegnato a parlare con il signor De Vecchi, il produttore del programma, il giovane conduttore, che avevano conosciuto il giorno prima ad Aosta, e il sindaco di Biella, o almeno come tale lo identificò il ragazzino notando all’istante la fascia tricolore.
Penelope a passo di marcia raggiunse i tre.
«Vado a controllarla» sospirò Ambra.
Samuele annuì e raggiunse i due ragazzi. «Ciao».
«Ehilà. Allora ce l’avete fatta?» lo accolse Ludovico con un ghigno. Maria si limitò a fargli un cenno con la mano impegnata a giocare a Candy Crash Sugar con lo smartphone.
«Abbiamo preso il treno. Mamma non si fidava di mia zia alla guida».
I due ragazzi più grandi risero divertiti.
Non ebbero modo di parlare ulteriormente, poiché furono raggiunti dagli adulti.
«Meno di un minuto e siamo in onda» li avvertì un cameraman. Ludovico si lisciò i capelli, beccandosi un’occhiata divertita dalla sorella.
«Buongiorno a tutti! Siamo pronti per la seconda gara di questo viaggio lungo il nostro bel paese!» cominciò il giovane conduttore. «Ed ecco le nostre due squadre: i Silvestri e i Rinaldi. Com’è andato il viaggio da Aosta?».
Penelope e Saverio risposero a turno laconicamente lanciandosi continue occhiate di sfida.
«Mi sembra che siate carichi» commentò il conduttore con un ghigno. «Spero abbiate apprezzato il piccolo enigma con cui vi abbiamo accolti».
«Tantissimo» mormorò a denti stretti Penelope.
«Conoscevo già Villa Schneider» disse, invece, Saverio non evitando un tono pomposo e un’occhiata di superiorità tutta per la collega.
«Eh, ma lei è della zona, no?».
«Sono nato in provincia di Torino» ammise Saverio.
«Bene, per chi, invece, non lo sapesse, Villa Schneider è una di quelle ville denominate Triste poiché i nazi-fascisti le usavano per compiere le loro torture ai danni degli oppositori» spiegò con la dovuta serietà il conduttore. «Abbiamo ritenuto fosse d’obbligo visitare un luogo di siffatta memoria prima di passare alla gara vera e propria. Seguitemi».
Samuele, Maria e Ludovico si affiancarono mentre il sindaco li guidava all’interno e narrava la storia della villa.
«La terribile storia di questa villa inizia nel 1943, immediatamente dopo la firma dell’armistizio. Le SS e la Repubblica Sociale Italiana la requisirono ed essa divenne il quartier generale del loro comando di Polizia Militare…».
«Dite che la prova avrà a che fare con questa roba?» sussurrò Ludovico, palesemente annoiato dall’inaspettata lezione di storia.
«Sei il solito insensibile» sibilò Maria.
«Neanche a te piace la storia».
«A me piace» tentò Samuele, che in realtà avrebbe voluto ascoltare il racconto. Se davvero la gara avrebbe riguardato quel periodo storico, allora avrebbe potuto contribuire alla vittoria della sua squadra con la sua buona memoria e predisposizione a ricordare date storiche. Conoscendo la zia e la madre probabilmente in quel momento si erano già estraniate.
«E ti pareva?» commentò Ludovico.
«E questa è la Sala della Memoria» stava dicendo il sindaco. «È una mostra permanente allestita negli anni duemila».
Samuele, mentre i grandi si sparpagliavano per osservare meglio la mostra, si avvicinò a una foto, quasi di dimensioni reali, di un generale nazista e lesse il cartellino accanto: era il comandante del posto. E al ragazzino fece veramente impressione sia nella persona sia per il grosso pastore tedesco che l’accompagnava.
In un’altra sala al centro vi era una radio di vecchia fattura e il sindaco spiegò loro che indicava la presenza nella villa di Radio Baita, diretta da due Italiani, il cui fine principale era stato la propaganda nazifascista in contrasto con Radio Libertà dei partigiani.
La visita non durò a lungo, ma Samuele ne rimase senz’altro colpito.
«Biella fu la prima tra le città del Nord Italia ad autoliberarsi dal giogo nazifascista» concluse con un’inequivocabile punta di orgoglio il sindaco.
«E sicuramente non è l’unico primato di questa cittadina» riprese la parola il conduttore. «Infatti nel 1971 qui nacque la prima tv libera: Telebiella. Oggi, dopo varie vicissitudini, nota come Retebiella… Ringraziamo la direttrice che oggi è qui con noi».
La signora, che Samuele aveva notato distrattamente aggiungersi al loro gruppo all’interno della villa, sorrise e pronunciò i soliti convenevoli.
«Retebiella ha collaborato alla progettazione di questa seconda prova, perciò ritengo che tocchi a lei spiegare le regole del gioco» disse il conduttore.
Un nuovo sorriso di circostanza da parte della signora e poi finalmente vennero a conoscenza di quello che avrebbero dovuto affrontare questa volta.
«Spero niente bicicletta» mormorò Penelope. Senz’altro lei e Saverio erano quelli più seri.
«In realtà la richiesta è molto semplice» dichiarò la direttrice di Retebiella. «Vorremmo che giraste dei video… diciamo dei documentari… che abbiano come soggetti dei luoghi importanti della città. Avrete tempo fino alle 19 di questa sera per consegnare il vostro lavoro. Chi consegnerà per primo vincerà un bonus di cinque punti. In seguito una giuria valuterà i lavori e, a conclusione della cena, verrà annunciata la squadra vincitrice. Le regole sono molto semplici: dovrete usare i soli mezzi che avete già a disposizione, vietati aiuti esterni e l’unico limite alla scelta del soggetto è che deve trovarsi nei confini appartenenti al comune di Biella. Spero sia tutto chiaro».
«Aggiungo» intervenne il conduttore, «che entrambi i video verranno trasmessi su Retebiella e quello vincitore andrà in onda domani sul canale nazionale. Prima di dare ufficialmente il via alla gara, mi rivolgo ai capisquadra: avete deciso i nomi delle vostre squadre?».
«Strange Threesome» dichiarò Penelope.
«Leones» disse, invece, Saverio.
«Benissimo!» strillò il conduttore. «Allora, signore e signori, ecco a voi gli Strange Threesome e i Leones. La seconda gara ha inizio. Buona fortuna a tutti. Ci rivediamo questa sera».
 
 
 
«E dovremmo parlare di questo rudere?» si accigliò Ludovico.
«Non è un rudere» ribatté Maria, che aveva trascinato padre e fratello fin lì. «È un battistero romanico».
«Odio la storia dell’arte».
«Odi tutto quello che ha a che fare con l’arte e la letteratura! Sei un ignorante».
«Disse quella che non sa fare neanche due più due».
Maria sbuffò fissandolo male.
«Smettetela. Non abbiamo tempo da perdere» intervenne Saverio seccato. «Vi ricordo che entro le sette di stasera dovremmo consegnare il video».
«È un’infinità di tempo» replicò Ludovico. «Che ci vuole? Dieci minuti e abbiamo finito».
«Dieci minuti? Non si monta un video in dieci minuti».
«Montare?» replicò stranito e annoiato Ludovico. «Oh, non voglio sapere che ti sei messa in mente».
«Tu a che soggetto pensavi?» chiese Saverio al figlio maggiore.
«Fantastico! Tu sei d’accordo con lui» accusò Maria imbronciandosi. «Siete fatti della stessa pasta».
«Potremmo fare un documentario sulla squadra di basket della città, la Pallacanestro Biella» rispose Ludovico. «Gioca in A2».
Maria lo fissò trasecolata: ma era davvero fissato con il basket! «No, io non sono d’accordo. Sul serio, papà, non vorrai andare a suo favore? Sicuramente un luogo d’interesse culturale verrà più apprezzato dai giudici».
«Ma non sai manco chi sono questi giudici! Potrebbero essere personalità in vista della città e quindi anche il presidente della Pallacanestro Biella» insisté il fratello.
La ragazza gemette a quelle parole e si voltò verso il padre, sperando che almeno una volta tanto desse ragione a lei.
«Credo che il Battistero sia la scelta migliore» dichiarò Saverio dopo qualche secondo.
«Alleluia! È un miracolo! Hai dato ragione a me».
«Diamoci una mossa» brontolò Saverio, che mal sopportava quel genere di accuse, non del tutto velate, da parte della figlia. «Come procediamo?».
«Intanto prestami il tuo cellulare, è senz’altro migliore dei nostri per quanto riguarda video e foto» disse Maria con praticità prendendo in mano la situazione.
Saverio obbedì.
«Forse è meglio che delle riprese ce ne occupiamo a turno» continuò la ragazza, senza veramente aspettare una risposta dagli altri due. «Dubito che voi sappiate qualcosa di storia dell’arte, quindi le spiegazioni toccano a me… Ludo, visto che sei alto sicuramente vedi l’edificio da un’altra prospettiva, perciò allontanati e riprendilo a distanza… poi faremo delle riprese più ravvicinate, ok?».
«Hai intenzione di farmi andare avanti e indietro?» replicò stizzito il ragazzo.
«Papà, digli di collaborare!».
«Spero che non abbiate intenzione di discutere tutto il giorno» sospirò Saverio.
«Io ho già fame. Tra poco vado a pranzare e le varie prospettive te le cerchi da sola» dichiarò Ludovico.
«Sempre a mangiare pensi!».
Saverio rimase molto sorpreso dalla sicurezza con cui lavorò la figlia per tutto il tempo e, specialmente, delle sue conoscenze. Doveva ammetterlo aveva sempre considerato il liceo artistico come una scuola di serie B e non aveva mai veramente approvato, anzi se non fosse stato per la moglie non l’avrebbe neanche permesso alla figlia. A quel punto, però, vedendola sciorinare con tanta tranquillità i vari termini tecnici con cui descriveva il piccolo edificio, fu costretto a ricredersi: sua figlia non trascorreva tutto il suo tempo a disegnare.
E ancora più sorpreso fu quando, seduti comodamente in un bar – Ludovico aveva preteso di far merenda a un certo punto, affermando di star ancora crescendo all’occhiata basita della sorella che non aveva di certo dimenticato l’abbondante pranzo – Maria prese in mano il suo computer e cominciò a montare il video come se non facesse nient’altro dalla mattina alla sera.
Ben presto Ludovico si stancò di aspettare e si allontanò con la scusa di farsi un giro; Saverio, invece, decise di rimanere a far compagnia alla figlia, nonostante fosse ben consapevole di non saperla aiutare in nessun modo. Soltanto verso le sei e mezza, osò fiatare e attirare la sua attenzione. «Mari, il tempo è quasi scaduto. Ti manca molto?».
«No, ci sono quasi. Hai tu la pen drive di Retebiella?».
«Sì, eccola» rispose Saverio tirando fuori dalla tasca l’unico supporto di cui alla fine erano stati dotati.
«Perfetto, dammi solo qualche altro minuto» disse la ragazza prendendo distrattamente la pen drive dalle mani del padre.
 
 

«Ma come ti è venuto in mente di venire qui? Ci abbiamo messo un sacco di tempo!» sbuffò Penelope contrariata fissando il nipote.
«È bellissimo» si difese il ragazzino aprendo le braccia e guardandosi intorno. Erano circondati dalla natura.
«A me sembra una buona idea» intervenne Ambra.
«E ti pareva?» borbottò Penelope.
«Il parco della Burcina è un’area protetta e in più, per tre quarti, appartiene al comune di Biella. Uscirà un buon video».
«Va bene» concesse Penelope. «Come procediamo?».
«Il genio dell’informatica non ha idee?» la derise Ambra.
«Io sono una fisica teorica! Non un’informatica. Non perdo tempo con simili sciocchezze».
«Oh, perdonami».
Samuele scosse la testa ben conscio che avrebbero potuto continuare a battibeccare per ore; così sfilò il cellulare dalle mani della zia, recuperò dei fogli dal suo zaino, iniziò ad appuntare informazioni sul parco e chiese informazioni ai responsabili del posto. Concluso questo lavoro preliminare, tornò dalle due donne che si fissavano imbronciate.
«Dove sei stato? Non ti devi allontanare senza dire nulla» sbuffò sua madre vedendolo.
«Ero da queste parti, ma eravate troppo occupate a discutere per accorgervene» brontolò il ragazzino in risposta. Ambra gli lanciò un’occhiataccia e fece per aprire bocca, ma Samuele la precedette ben intenzionato a evitarsi qualsiasi rimprovero: «So come procedere: parliamo del parco e di alcuni anfratti più belli. Potremmo intitolare il video “Passeggiata nel parco”. Ho preso degli appunti in modo da aggiungere delle descrizioni a voce… Potreste fare a turno e io vi riprendo…» spiegò, anche perché lui non aveva alcuna intenzione di parlare davanti a una telecamera.
«Come vuoi, anche perché non mi sembra che abbiamo idee migliori e il tempo scorre» ribatté Penelope.
«Cominciamo dall’ingresso e mi raccomando, se non riuscite a leggere, improvvisate… non possiamo ricominciare dall’inizio ogni volta… io non so come montare scene diverse…».
«Tranquillo, ci impegneremo» disse Ambra.
«Bene, mettetevi vicino all’ingresso e fate proprio come le conduttrici della tv».
«Chi l’avrebbe mai detto che avrei preso ordini da un bimbetto di tredici anni» borbottò Penelope.
«Non mi sembra che tu abbia una spiccata fantasia» ribatté Ambra.
«Pronte? Comincio a riprendere» strillò Samuele per zittirle.
Fortunatamente Penelope era abituata a parlare in pubblico e Ambra non aveva mai avuto difficoltà del genere.
Il parco era molto grande, quindi sarebbe stato impossibile visitarlo tutto in poche ore, in più l’afa del primo pomeriggio si faceva sentire. Le stradine lastricate, tra ampie aiuole di fiori coloratissimi e dall’odore inebriante, erano piacevoli da percorrere. I fiori che più attirarono la loro attenzione furono le ortensie blu. A loro vantaggio vi era anche il fatto che luglio era proprio il loro mese di fioritura e Samuele era sicuro che avrebbero fatto un’ottima impressione con alcuni boccioli che avevano trovato.
Il ragazzino ebbe l’intuizione di stoppare la ripresa ogni qual volta era necessario confrontarsi sulla strada da prendere tra i vari sentieri, anche perché in caso contrario il video sarebbe durato fin troppo tempo.
«Quanti minuti sono alla fine?» chiese sua zia buttandosi su una panchina in attesa del taxi che li avrebbe riportati al centro di Biella.
«Una trentina» rispose il ragazzino che lo stava riguardando con la madre.
«Mi sembra buono» commentò Penelope. «Oh, ecco il taxi. Speriamo di fare in fretta. I cinque punti bonus farebbero comodo».
Samuel sperò ardentemente che arrivassero per primi, così non avrebbe dovuto ascoltare le lamentele della zia; ma non ci contava troppo perché Ludovico e Maria erano più grandi e sembravano una bella squadra.
 
«Buona fortuna» augurò loro il tassista fermandosi di fronte alla sede televisiva della città.
«Grazie» disse Ambra gentilmente, mentre Penelope pagava.
Samuele strinse nella mano la pen drive mentre entravano.
All’ingresso vennero accolti da alcuni impiegati che sorridenti li accompagnarono nella sala dove si erano riuniti, in attesa, la direttrice di Retebiella, De Vecchi e il giovane conduttore.
«Ecco i primi» dichiarò De Vecchi.
«Davvero?» chiese felice Samuele.
«Oh, sì, direi che i cinque punti bonus toccano allo Strange Threesome» lo rassicurò De Vecchi. «Ora siete liberi fino alle 21. La cena sarà offerta da un noto ristorante del luogo a Biella Piazzo, il centro storico della città. Non dovreste aver problemi a trovarlo».
I tre congedati erano veramente contenti di quel piccolo risultato, tanto da dimenticarsi i precedenti battibecchi.
«Bene, andiamo a cercare un posto dove vendano qualcosa di dolce» decise Penelope. «Mi sento gentile».
Samuele le trotterellò accanto ben deciso ad approfittarne. Con sua somma delusione scoprì che al Nord non facevano gelati come quelli ai quali erano abituato, ma comunque gradì parecchio la cioccolata e si disse che in inverno sarebbe stato ancora meglio.
Ancora più divertente fu quando le due donne acconsentirono a raggiungere il borgo vecchio della città con la funicolare. Fu un’esperienza veramente strana, visto che la prima e ultima volta in cui il ragazzino aveva usato un simile mezzo di trasporto era stato anni prima in montagna, ma era stato completamente diverso. La funicolare biellese era una specie di vagoncino chiuso, da cui finestrini, però, si poteva osservare tutta città sottostante. Meraviglioso se si considera che si stavano avvicinando al tramonto e le sfumature nel cielo stavano lentamente cambiando.
«La prendiamo anche al ritorno?» chiese eccitato.
«Non dipende da noi» rispose Penelope. «Bisogna vedere dove ci condurrà la competizione».
Come predetto da De Vecchi non ebbero difficoltà a trovare il ristorante.
«Oh, che strano». Samuele non era abituato ai ristoranti, ma quello era davvero particolare.
Penelope arricciò il naso. «Mi aspettavo qualcosa di più elegante».
«Che forza» disse Samuele raggiungendo Maria e Ludovico che curiosavano tra i libri presenti in una delle tante librerie che affollavano il piccolo locale.
«I libri mi perseguitano» borbottò Ludovico, parecchio contrariato.
«Lascialo stare» disse Maria a Samuele con gentilezza. «È arrabbiato perché nostro padre si è rifiutato di andare a visitare la sede della Pallacanestro Biella».
«Oh, era arrabbiato per i punti bonus?» chiese Samuele quasi sentendosi in colpa.
«Oh, no, figurati. È che mio padre non ama lo sport. In compenso abbiamo fatto un giro nel centro storico. È proprio carino».
«Ragazzi» li chiamò Saverio avvicinandosi, «venite a tavola».
 


La cena fu a base di formaggi e salumi, che dominavano la tavola biellese, specialmente la toma biellese, protetta dal marchio DOP, e la tradizionale paletta, prosciutto di spalla di maiale. Per quanto tendesse a essere schizzinoso con il cibo, Samuele gradì abbastanza e, nonostante i vari tipi di cioccolata provati, mangiò con gusto.
«Non dovresti berlo» mormorò Ambra indicando il ratafià che il proprietario aveva versato anche ai più piccoli.
«E dai solo un goccio, mamma, è fatto con le ciliege».
«Va bene, ma non berlo tutto. È pur sempre un liquore».
«Signori, vi presento alcuni colleghi di Retebiella» disse a un certo punto De Vecchi attirando l’attenzione dei presenti.
Per tutta la cena le telecamere erano rimaste spente, ma adesso ai soliti cameramen si erano aggiunti quelli della rete locale.
«Annunceremo il nome del vincitore in diretta» disse la direttrice. «Al telegiornale della sera. Saranno solo pochi minuti per video, la versione completa sarà mandata dopo il telegiornale. Ecco sta andando in onda».
Il proprietario del locale si affrettò ad alzare il volume.
Fu con un certo imbarazzo che Samuele vide il proprio video in televisione e con scoramento si rese conto che quello dell’altra squadra era molto più complesso.
Finiti i pochi minuti dedicati alla proiezione dei due video, il giovane conduttore prese la parola.
«Buonasera a tutti. Siamo alla fine della seconda gara, tra pochi minuti annunceremo la squadra vincitrice… Lasciate che vi presenti i componenti della giuria…».
Samuele li fissò con attenzione, nonostante l’avesse già fatto durante la cena: il sindaco e l’assessore comunale alla cultura, la direttrice di Retebiella, un produttore della rete locale, un storico della città e un regista esordiente.
«Innanzitutto vorrei ringraziarvi per il vostro impegno» esordì il sindaco, a capo della giuria, «abbiamo apprezzato molto i vostri video che hanno messo in ottima luce alcuni dei pregi e delle bellezze della nostra città. Pertanto abbiamo deciso di assegnare il punteggio di 10/10 ai Leones, poiché è stata notata una maggiore qualità tecnica, e 9/10 agli Strange Threesome. Complimenti a entrambi».
Samuele sorrise ugualmente perché non si era aspettato esito molto diverso, ma era contento che avessero apprezzato lo sforzo. Maria, invece, apparve molto soddisfatta.
«Considerando i cinque punti bonus assegnati agli Strange Threesome, questa gara è vinta da questi ultimi con 14 punti contro i 10 dei Leones» annunciò il conduttore. «Anche questa volta vi sono premi a sorpresa messi in palio da Retebiella e dalla squadra di pallacanestro locale… prego direttrice…».
«Innanzitutto un piccolo omaggio floreale alle signore» s’intromise il sindaco che galantemente porse delle ortensie a Penelope, Ambra e Maria.
«Il premio per il secondo posto è un pallone da basket firmato dai giocatori della squadra» disse la direttrice. «Purtroppo la squadra è in ritiro al momento, ma i giocatori avrebbero gradito conoscervi».
«Accidenti» esultò Ludovico. «Che fortuna!».
«La tua è propria una fissazione» sospirò Maria, decisamente delusa di aver perso solo per uno stupido bonus.
«Per gli Strange Threesome, invece, c’è questa telecamera digitale offerta da Retebiella».
«Bella» commentò Samuele, osservando la zia, con un ghigno enorme rivolto a Saverio Rinaldi, prenderla.
«Molto bene, anche questa tappa è andata e mi sembra che vi siate divertiti» disse il conduttore a quel punto. «Non resta che dare uno sguardo alla classifica generale. I Leones conducono ancora con 32 punti, gli Strange Threesome sono a 31. Ancora siamo solo all’inizio, per cui mettetecela tutta, mi raccomando!». Fece un attimo di pausa, poi concluse: «La prossima gara si svolgerà a Vercelli, perciò ci rivediamo lì domani in tarda mattinata».

 

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Capitolo 3
*** L'arte del riso ***


Capitolo terzo




 
 
L’arte del riso

 
 
 




 
“Vi sono assai belle contrade con buoni casamenti, per le quali si vedevano anche molti gentiluomini andare innanzi e indietro per i fatti loro. Per la città passa una certa acquetta, che porta fuori tutte le immondizie, tirata di qua e di là per le contrade, come usano fare in molti luoghi del paese”
(Andrea Minucci, medico, arcivescovo e scrittore, 1512-1572).
 
 
 



 
Sospirò estasiata mentre il cielo si colorava di azzurro e si affrettò a ritrarre sul foglio le ombre che si formavano sulla parte sommitale della Torre dell’Angelo. Peccato che avesse lasciato la sua scatola di colori a casa! Ma non aveva proprio potuto portarsela in viaggio, anche perché suo padre era stato chiaro con lei e suo fratello: un borsone ciascuno, non di più.
Maria Rinaldi sbuffò nuovamente, questa volta infastidita, per non poter riprodurre degnamente quel bellissimo panorama. Si rannicchiò sul divanetto del balcone e tese le orecchie per ascoltare la città che si svegliava. Non erano nemmeno le sei del mattino e si prospettava una giornata calda e faticosa, non per nulla molti sconsigliavano di visitare Vercelli nel periodo estivo a causa dell’afa.
Piazza Cavour, su cui si affacciava il balcone del bed & breakfast, iniziava a brulicare di commercianti, che aprivano le proprie attività. Il padre le aveva promesso che avrebbero fatto colazione in un dove preparavano una buonissima tartufata, una specialità della zona.  
Quella storia della gara in giro per l’Italia era veramente strana e Maria non si sarebbe mai aspettata che un uomo razionale e rigoroso come suo padre si lasciasse trascinare: che cosa sarebbe stato capace di fare in nome della rivalità con Penelope Silvestri?
«Maria! D0a quanto tempo sei in piedi?».
«Da un po’, mi sono svegliata e non riuscivo più a riprendere sonno, così ne ho approfittato per disegnare un po’… questa gara è così frenetica» rispose ella senza neanche alzare lo sguardo0.
«Bella Vercelli, eh?».
Maria annuì e appoggiò il mento sulla ringhiera. «È una delle città d’arte più importanti del Piemonte. Ci sono venuta un paio di volte con la scuola, ricordi?».
«Sì, sì… ora però ti conviene andare a prepararti, così poi andiamo a fare colazione. Non voglio arrivare in ritardo all’appuntamento».
«Non mi dire che hai passato tutta la notte a pensare alla gara anziché dormire».
«Ho dormito, ho dormito».
«Ludovico ancora dorme?».
«Ti risulta che abbia il sonno leggero?» replicò Saverio alzando gli occhi al cielo. «Stanotte ha dormito persino con quel suo benedetto pallone da basket».
Maria scoppiò a ridere. «Stai scherzando?».
«No» sbuffò Saverio. «A un certo punto mi sono svegliato e me lo sono ritrovato a pochi centimetri dalla faccia».
Maria rise ancora più forte, ignorando i borbottii paterni, e corse a prepararsi.
Svegliare Ludovico fu un’impresa, ma Maria decise di sedersi su una poltrona e godersi i tentativi man mano più disperati di suo padre.
«Posso?» chiese ghignando.
«Fa’ pure, basta che ci sbrighiamo».
Maria sorrise, recuperò il suo smartphone e si avvicinò a letto. Una volta lì posizionò il cellulare vicino all’orecchio del fratello e fece partire Numb dei Linkin Park al massimo volume.
Ludovico si svegliò di soprassalto e quasi scivolò giù dal letto urlando: «Mamma, mi sto alzando!».
Saverio e Maria scoppiarono a ridere e si batterono il cinque.
«Quando chiamiamo mamma00 dobbiamo raccontarglielo assolutamente» trillò contenta Maria.
«Stasera stessa» concordò Saverio. «Ludovico, muoviti. Ti aspettiamo giù».
Maria si trattenne nella camera il tempo necessario per fare la linguaccia al fratello che, ne era sicura, non le aveva urlato contro solo perché era presente anche loro padre.
La colazione non deluse minimamente Maria, nonostante l’afa sempre più pesante.
Alle dieci lasciarono il bar e raggiunsero De Vecchi e i Silvestri, che avevano intravisto poco prima.
L’appuntamento era in piazza Cavour sempre più gremita di turisti e cittadini curiosi di assistere all’inizio di quella gara che vedeva protagonista la loro città.
«Ma quello è il cuoco della tv?» proruppe Maria scorgendo una delle figure vicino al sindaco.
Un piccolo palco, su cui svettava lo stemma della città – croce rossa su sfondo bianco, raffigurante una corona costituita da cinque torri, mentre0 lo scudo era contornato da due rami intrecciati. Il motto: “Potius mori quam foedari” -, era stato innalzato al centro della piazza e i vari addetti del programma correvano da una parte all’altra per prepararsi alla diretta.
«Ciao».
Maria distolse lo sguardo dal vicesindaco al quale aveva appena stretto la mano –non si sarebbe mai ricordata tutti quei nomi! – e sorrise a Samuele che le si era avvicinato.
«Ciao. Come va?».
«Bene, stavolta siamo riusciti ad arrivare prima e abbiamo dormito».
«Buon per voi» ridacchiò Maria, alla quale non era sfuggito come suo padre e Penelope Silvestri si stessero squadrando.
«Non la smetteranno mai, vero?» le chiese Samuele seguendo il suo sguardo.
«Figuriamoci» borbottò Maria. «Dai, avviciniamoci, credo sia ora».
«Speriamo bene».
«Io rinuncerei a sperare se fossi in voi» s’intromise Ludovico. «Fino alla fine della gara ci proporranno infinito e sfide strambe».
«Buongiorno a tutti!» disse il giovane conduttore con la consueta calma. «Benvenuti a una nuova sfida della nostra gara volta alla riscoperta e alla rivalorizzazione del patrimonio culturale del nostro paese… gara nata con il supporto del Ministero dell’Istruzione e del Turismo… l’onorevole Giannizzi, che ha seguito con grande attenzione e interesse il progetto fin da principio, oggi purtroppo non potrà esserci. Ci troviamo nella Città delle 8 ore e sapete perché si chiama così? Perché nel 1906 coloro che lavoravano alla monda del riso ottennero che la giornata lavorativo fosse fissata a otto ore… il resto dell’Italia ci arriverà solo nel 1919, ben dieci anni dopo quando il re emanerà una legge in merito… dieci avanti nella lotta per condizioni di lavoro più dignitose! Non qualcosa da poco, se mi permettete».
Un applauso sentito e composto seguì le sue parole.
Il giovane conduttore chinò leggermente la testa in avanti mentre l’applauso si spegneva e attese alcuni secondi prima di parlare, tanto che si sentì solo il rumore delle macchine in lontananza.
«Questa città è detta anche dei sette scudetti» sorrise il conduttore, suscitando anche qualche risatina da chi forse conosceva il significato di quella espressione. «Sì, fu detta così perché la Pro Vercelli, squadra di calcio della città, vinse sette scudetti tra il 1908 e il 1922». Un nuovo applauso lo costrinse a tacere. «Ricordiamo anche che Vercelli ottenne la Medaglia d’oro come “Benemerita del Risorgimento nazionale” ed è una delle città d’arte più importanti della regione insieme ad Asti. Lascio ora la parola al sindaco».
Probabilmente nessuno dei ragazzi ascoltò veramente la lunga sfilza di saluti istituzionali che seguì.
«Bene, ringraziamo ancora voi cittadini e il signor sindaco per averci accolti qui oggi» riprese nuovamente il giovane conduttore. «Lo so, lo so che tutti non aspettate altro che sapere a che cosa andranno incontro oggi i Leones e gli Strange Threesome, ma c’è una cosa che non vi ho ancora detto di Vercelli… no, no state tranquilli, niente lezione di storia, ma credo sia fondamentale che tutti noi Italiani siamo coscienti del fatto che una delle nostre città è la capitale europea del riso!» si fermò un attimo e poi riprese, «A Vercelli c’è la Stazione sperimentale di Risicoltura e delle Coltivazioni irrigue e la Borsa azionaria del Riso più importante del paese… A che servono tutti questi dati vi chiederete, ma naturalmente hanno a che fare con la prossima sfida in cui le nostre squadre, alle quali ci stiamo affezionando, si affronteranno… Siete curiosi? Bene, allora permettetemi di presentarvi il nostro ospite d’eccezione…».
In quel momento il cuoco, notato prima da Maria, salì sul palco accanto al conduttore. La maggiorparte dei presenti lo riconobbe e lo accolse con un caloroso applauso.
«Siete contenti? E vi dirò di più, il nostro ospite sarà anche il presidente della giuria di questa sfida! E che altro potremmo fare se non mettere alla prova le capacità culinarie dei nostri concorrenti?».
«Mi rifiuto» borbottò Ludovico, ma fortunatamente lo sentirono soltanto Maria e Samuele che erano i più vicini.
«Dovrete preparare voi la cena per la giuria» continuò il conduttore, ignorando le facce di Penelope e Saverio, che si erano irrigiditi alla notizia. «0Il menù dovrà contenere un antipasto, almeno un primo, almeno un secondo e il dolce. Avete piena libertà nello stabilirlo, ma uno dei primi dovrà essere obbligatoriamente la panissa e il dolce dovrà essere la tartufata o i bicciolani – sia la panissa sia i bicciolani sono piatti tipici, a voi toccherà scoprire come si preparano – e, dolci a parte, tutti gli altri piatti dovranno essere categoricamente a base di riso, non dimenticatelo… Bene, questa mattina il sindaco ci farà l’onore di accompagnarci nelle risai, quando rientreremo qui sarete liberi di decidere i vostri menù e andare a fare la spesa. Sono state preparate delle postazioni apposite per voi, avete tutto il pomeriggio. Si cena alle otto e trenta, mi raccomando!»
«Ma dico, Vercelli è una delle principali città d’arte del Piemonte e loro ci portano a vedere le risaie?!» bofonchiò Maria.
«Questioni di priorità» ridacchiò Ludovico.
Al di là dell’ironia iniziale, i tre ragazzi e, in fondo, anche gli adulti si lasciarono coinvolgere dalla visita alle risaie e nella spiegazione del processo di coltivazione del riso, l’uso di attrezzi - trattori e mietitrebbie - le differenti varietà di riso.
Gli estesi campi verdi, illuminati dalla uno sole splendente, che si stendevano a perdita d’occhio dando un senso d’impotenza e di inferiorità nei confronti della Natura.
«È stato molto interessante» commentò Maria tornando in città. «Però le zanzare le avrei evitate».
«Le avresti evitate?» sbottò Ludovico. «Ma non mi dire!».
«Potete evitare di discutere?» chiese infastidito Saverio. «Dovremmo decidere che cosa cucinare!».
«Che ci pensi Maria. È una donna!» dichiarò Ludovico.
«Se vuoi essere preso a calci, basta che lo chiedi» proruppe ella.
«Assolutamente, no» intervenne Saverio allontanando la figlia dal fratello. «Ludovico, il fatto che tua sorella sia una ragazza non conta nulla, tua madre è un’ottima ingegnere, tanto che al momento sta tenendo una serie di lezioni in Giappone, e sa cucinare a malapena un piatto di spaghetti senza scuocerli…».
«E tu? Una volta quand’ero piccolo ti ho visto che calcolavi il momento preciso in cui l’acqua avrebbe raggiunto il punto di ebollizione, nel frattempo quella si è consumata e la pentola bruciata» borbottò Ludovico.
«Ti ricordi male» bofonchiò Saverio imbarazzato.
«Va bene» mormorò Maria, tentando di non scoppiare a ridere. «Proviamo a cercare su internet».
«Qualcosa di facile» quasi la supplicò Saverio.
«Mmm allora potremmo provare con le crocchette di riso… è un classico…» propose Maria.
«Quella frittata con il riso sembra invitante» intervenne Ludovico sporgendosi verso di lei.
«La cucini tu?».
«Le crocchette andranno benissimo» s’intromise Saverio. «Segnati gli ingredienti su un foglio».
«Per i primi abbiamo sicuramente la panissa» riprese Maria pensierosa. «Direi che basti».
«No» disse Saverio. «Sicuramente quell’oca di Ambra Silvestri ne sceglierà almeno due!».
«Ma non siamo in grado neanche di fare la panissa» sbottò Ludovico e Maria annuì convinta.
«Facciamo un risotto con i frutti di mare?» propose allora Saverio.
«Non mi dispiacerebbe mangiarlo» concordò Ludovico.
«Certo come no!» disse Maria. «Ma siete seri?».
Sì, lo erano e la ragazza si ritrovò a segnare una sfilza di ingredienti che non aveva la minima idea di come avrebbero assemblato senza rischiare di avvelenare i giudici o chiunque altro avrebbe osato provare i loro piatti.
«E allora i signori cosa ordinano come secondi?».
«Vediamo» disse Ludovico strappandole il cellulare dalle mani. «Riso in tortilla e arancini, che ne dite?».
«Voglio la mamma» replicò Maria.
«Dai, mi sembra una buona idea» tagliò corto Saverio. «E, naturalmente, direi entrambi i dolci».
«Io ci rinuncio» sospirò Maria.
«Andiamo a fare la spesa. Non abbiamo tempo da perdere» decretò Saverio.
 


 
*
 


«Allora, voi due, credevo di essere stata chiara!?».
Samuele e la zia, intenti a contendersi una confezione di tonno, si bloccarono al richiamo imperioso e fissarono Ambra che ricambiava lo sguardo con cipiglio severo.
«Mamma…».
«Mamma un corno! Ti sembra il modo di comportarti a tredici anni?».
«Infatti diglielo» intervenne Penelope.
«E tu» continuò imperterrita Ambra, «che stai combinando? Perché vi siete fissati con delle semplicissime scatolette di tonno?».
«Non capisci? Apri una o due di queste e le svuoti nel riso e abbiamo il secondo primo!».
Samuele si chiese perché la zia continuasse a contraddire la sorella nonostante sapesse che stava per esplodere.
«Allora parlo veramente ostrogoto! Vuoi vincere?».
«Certo» rispose con sicurezza Penelope.
«E allora lascia fare a me e taci». Penelope s’imbronciò e provò a ribattere, la sorella la zittì all’istante. «Samuele sa cucinare meglio di te, osi negarlo?».
«Certo».
«So fare la pasta e le patate al forno» intervenne il ragazzino.
«E anche il caffè» aggiunse Ambra e osservò eloquentemente la sorella.
«Con la pasta sto migliorando… Comunque hai vinto tu, hai carta bianca… Però dobbiamo vincere!».
«Tranquilla» sorrise Ambra. «Un fisico come te e due ragazzini non possono battermi».
«Ottimo, mi piace questa determinazione».
«Solo perché non hai altra scelta» borbottò Ambra. «Ora, mettiamoci a lavoro, non abbia tempo da perdere. Dobbiamo metterci ai fornelli al più presto, quindi comportatevi bene».
Samuele era contento che per una volta comandasse la madre ma la prospettiva di cucinare non lo allettava per nulla. Non che a casa ogni tanto non lo facesse per aiutare la madre, ma lì era un’altra cosa.
«Ambra, si può sapere perché hai tutta questa fretta? Che ci vorrà mai a cucinare un po’ di riso?».
Samuele fissò incredulo la zia e disse: «Vado a prendere la cioccolata».
«No, devo sceglierla io» lo bloccò Ambra dopo aver lanciato un’occhiataccia alla sorella. «E, per vostra norma e regola, l’impasto dei biscotti deve lievitare per sei ore, perciò se non ci diamo una mossa non saranno mai pronti per cena».
«Sei ore?» sbottò Penelope.
«Esattamente, quindi io vado a scegliere la cioccolata per la tartufata, voi due comprate quello che manca e ci vediamo alla cassa. Non fate guai e sbrigatevi».
Samuele annuì, rassegnato all’idea di dover rimanere in compagnia della zia. Fortunatamente erano rimaste solo un paio di cose e non ebbero motivo di discutere.
Comprato il necessario tornarono a piedi in una via attigua alla piazza Cavour. A Samuele Vercelli stava piacendo: si spostavano sempre a piedi e non era esageratamente trafficata, per non parlare di una torre che l’attirava tantissimo e – come aveva letto nella guida loro consegnata per orientarsi - si chiamava Torre degli Angeli e secondo una leggenda un angelo vi aleggiava intorno, l’idea gli metteva i brividi e lo incuriosiva allo stesso tempo. Naturalmente era inutile chiedere di andare a visitarla, persino la madre sembrava lanciatissima in quella sfida e sarebbe stata impossibile dissuaderla.
Gli organizzatori avevano messo loro a disposizione la cucina di un ristorante e il proprietario li accolse in compagnia del cameraman, che aveva il compito di riprenderli durante il lavoro. Probabilmente non avrebbe mandato in onda ogni momento, ma al ragazzino dava comunque fastidio essere continuamente al centro dell’attenzione.
«Ottimo, sapevo che li avrei trovati già a mollo» sorrise soddisfatta Ambra appena entrò in cucina e adocchiò una ciotola sul bancone. Samuele si avvicinò, sbirciò e arricciò il naso: erano semplicemente dei fagioli.
«A che servono?» chiese Penelope, quando il proprietario li lasciò soli.
«A fare la panissa» replicò Ambra lavandosi le mani. «Dobbiamo lavorare di squadra o non saremo pronti per le otto e trenta. Ascoltatemi bene, io impasto subito i biscotti, siamo già in ritardo, poi mi dedico alla panissa; voi due invece cominciate a fare il pan di Spagna».
«E come si fa?» domandò Penelope accigliandosi. «E poi avevo capito che ti saresti occupata tu della cena».
«Non provarci nemmeno, non posso fare tutto da sola, quindi datevi una mossa. Vi darò io indicazioni e c’è la ricetta su internet».
Samuele trovò abbastanza seccante e difficile montare le uova a neve e la zia non fece che peggiorare le cose. Impiegarono quasi un’ora a mettere l’impasto in forno.
«Spero per te che esca bene» lo punzecchiò Penelope.
«Per me? Io ho seguito tutte le istruzioni! Sei tu quella che stava per scambiare lo zucchero con il sale!».
«Sei un impertinente!» esclamò punta sul vivo Penelope. «Abbassa un po’ la cresta» soggiunse lanciandogli un pugno di farina addosso.
Samuele la fissò a bocca aperta e istintivamente restituì il colpo.
«Vuoi la guerra, ragazzino?».
Ambra abbandonò la cottura del riso in tempo per fermarli: Penelope aveva in mano il pacco della farina e Samuele, nel tentativo di difendersi, aveva preso il cacao in polvere.
«Non commento nemmeno» sbuffò Ambra fulminando entrambi con lo sguardo. «Penelope comincia a fare la crema chantilly per favore».
«Eh?».
«Versa il latte in un pentolino e scaldalo» specificò Ambra alzando gli occhi al cielo. Samuele si lasciò scappare un sorrisino che non sfuggì alla madre. «C’è poco da ridere» lo rimbeccò. «Abbiamo un sacco di cose da fare!».
Il ragazzino annuì e si rimise a lavoro: sarebbe stato un bel pomeriggio. Chissà che cos’era il primo premio questa volta. Aveva piena fiducia nella madre, quindi sperava che fosse un bel computer portatile o magari un’altra bicicletta. 
 


 
*
 


«Papà, togli quella pentola dal fuoco o ci chiederanno di pagare i danni!» sbottò Maria. «E, Ludovico, smettila di mangiare!».
Maria si passò una mano in volto, pentendosene subito visto che era sporca di farina, e borbottò: «Hanno inventato le presine, non pensavo di dovertelo dire» sentendo il padre imprecare per aver tentato di togliere la pentola senza protezione alcuna.
Fortunatamente avevano rinunciato a fare il bicciolani, poiché non ci sarebbero mai riusciti: leggendo con attenzione la ricetta avevano scoperto che l’impasto doveva lievitare per ben sei ore. Inoltre avevano perso un sacco di tempo a fare la spesa0: suo fratello si fermava ogni due minuti e aveva trovato persino divertente civettare con alcune ragazze che l’avevano riconosciuto; mentre loro padre leggeva ogni singola etichetta dei prodotti in quanto riteneva che i giudici avrebbero gradito la preferenza per quelli a kilometro zero e si era preso persino la briga di segnarsi le origini origini in modo da non dimenticarli ed elencarli ai giudici. Il che sicuramente era un ottimo proposito, sennonché suo padre non avesse mai fatto la spesa a memoria sua.
Quindi non solo avevano iniziato abbastanza tardi a cucinare, ma Maria era al quanto disperata: erano più di due ore che lavoravano sui primi. Lei si era presa il compito di preparare la panissa, suo padre e suo fratello stavano ancora pulendo i pesci da mettere nel risotto ai frutti di mare.
Solo un miracolo avrebbe potuto salvarli da una figuraccia epocale!
«Chi avrebbe mai detto che avrei vivisezionato un gambero» bofonchiò schifato Ludovico.
«È un calamaro» lo corresse Maria esasperata, aveva ripetuto quella frase per ogni calamaro pulito!
«Non puoi vivisezionare un animale morto» soggiunse Saverio seccato dalla situazione e ancor meno incline a tollerare gli strafalcioni del figlio. «Al massimo lo stai dissezionando, ma non abbiamo alcuno scopo accademico».
«Vivisezionare… Dissezionare… è la stessa cosa in fondo…».
«Lasciamo perdere» sbuffò allora Saverio. «Procediamo. Mi sembra che le cozze siano pronte».
Maria li fissò accigliata per un attimo e poi tornò alla panissa, a cui aggiunse altro brodo. Non invidiava i giudici che avrebbero mangiato i loro piatti.
«Ma nel forno che c’è?» chiese Ludovico qualche minuto dopo.
«Il pan di Spagna!» sbottò Maria, correndo. «Non si è bruciato… non tanto almeno…». A quel punto la ragazza, non perdendo d’occhio la panissa che cuoceva, iniziò a preparare la crema per il ripieno della tartufata, sempre ben convinta che sarebbe stato molto più piacevole mangiarla che cucinarla, ma non l’avrebbe mai ammesso in presenza di Ludovico.
Finire la torta fu decisamente un’impresa e Maria, sconsolata, si arrese al fatto che l’aspetto fosse ben lontano da quello della torta mangiata per colazione quella mattina – sembrava che fossero passati giorni, invece era solo poche ore! – e dall’immagine su internet. Assaggiò la crema residua nella ciotola e si consolò pensando che almeno avesse un buon sapore, cosa che, al contrario, dubitava si potesse dire del risotto cucinato da suo padre e da suo fratello.
A quel punto Maria si dedicò alle crocchette dell’antipasto, sperando di sbrigarsi al più presto: sia perché desiderava farsi una doccia prima di cena sia perché Ludovico si era offerto 00per fare la tortilla di riso, affermando che doveva essere così semplice che ci sarebbe riuscito a occhi chiusi e Maria voleva evitarsi l’imbarazzo di essere presente quando i pompieri sarebbero intervenuti.
Le crocchette erano state una scelta oculata e non ebbe difficoltà a prepararle, quanto di più a friggerle perché sembrava che l’olio saltasse sempre; almeno in questo il padre le venne incontro e s’incaricò di friggerle lui. Ella accettò contenta, ma aspettò finché non avesse finito in modo che non si distraesse e le bruciasse. Prima di andarsene raccomandò loro di non fare guai, sebbene non ne fosse molto convinta delle loro rassicurazioni.
Fortunatamente quando li raggiunse, meno di un’ora dopo, la cucina del ristorante messali a disposizione era ancora perfettamente integra; stessa fortuna non aveva avuto la tortilla di riso: al suo arrivo il fratello era al tentativo numero cinque. Alla fine accettarono per buono il sesto che sembrava solo leggermente bruciacchiato.
«Mi avete messo fretta, ecco perché non è riuscita bene» bofonchiò Ludovico testardamente.
«Mi stressi da quando sono nata, ma non uso questa scusa quando non so fare qualcosa».
«Evitiamo, per favore? I Silvestri sono già arrivati» disse Saverio senza nemmeno voltarsi a guardarli tanto era abituato ai loro battibecchi.
«C’era da aspettarselo, Samuele mi ha detto che sua mamma cucina molto bene» commentò Maria.
Appena arrivati al centro di Piazza Cavour un addetto della televisione si avvicinò e li indicò un tavolo dove avrebbero dovuto appoggiare le pietanze0.
«Speriamo bene» sospirò Saverio. «Una sfida del genere proprio non ci voleva».
«Vabbè, ma non saranno tutte uguali» replicò Maria.
«Eccoci, finalmente, alla tanto attesa cena!» trillò il conduttore.
Al centro era posizionato un tavolo apparecchiato finemente e i giudici vi avevano già preso posto.
Vi erano molti spettatori, che gremivano la piazza ancor di più rispetto alla mattina.
«L’attuale classifica vede i Leones in testa per soli 32 punti sui 31 degli Strange Threesome, per questo motivo saranno proprio questi ultimi a iniziare. Vi chiedo solo un attimo per spiegarvi come verrà assegnato il punteggio questa volta. I giudici assegneranno un punteggio da 1 a 10 a ogni portata, naturalmente chi otterrà il punteggio più alto sarà di fatto il vincitore di questa sfida. Alla classifica finale, però, andremo ad aggiungere solo la media dei voti assegnati dai giudici. I vincitori avranno un robot da cucina super accessoriato, mentre i secondi classificati un completo sportivo – uno per ciascun membro della squadra – offerto gentilmente dalla Pro Vercelli».
Samuele gemette.
«Per una volta sono contento di arrivare secondo» bisbigliò Ludovico quasi leggendo nella testa del ragazzino.
«In effetti» concordò Maria, che di certo non sapeva che farsene di un robot da cucina.
Saverio e Penelope, i due capisquadra, si occhieggiavano quasi in attesa che uno dei due facesse un passo falso. Decisamente nessuno dei due sembrava essere interessato ai premi messi in palio, quanto alla vittoria in sé e per sé. Maria si chiese se davvero suo padre pensasse che loro avessero qualche possibilità di vincere.
«Molto bene, detto questo, Strange Threesome, potete iniziare» annunciò il giovane conduttore.
Ambra si fece avanti con il vassoio degli antipasti e lo appoggiò sul tavolo. «Allora, abbiamo polpette di riso allo zafferano, frittata di riso e crocchette».
«Quella frittata ha un aspetto molto diverso dalla tua» bisbigliò Maria a Ludovico.
«Sta zitta» borbottò il ragazzo palesemente infastidito.
«Un antipasto semplice, ma gradevole» commentò il cuoco, unico esperto presente; gli altri sembrarono gustare il tutto senza problemi.
«Ora è il turno dei Leones, che cosa avete preparato di buono?».
«Vai tu» borbottò Saverio alla figlia.
«No, tu» replicò ella tirandosi alle spalle di Samuele, che trattenne a stento una risatina.
Saverio fulminò la ragazza, ma non ebbe scelta e servì le crocchette come poco prima aveva visto fare ad Ambra.
Maria sospirò sollevata quando, benché non fossero perfette, il cuoco sembrò apprezzare il suo lavoro. Dopotutto il suo metro di giudizio doveva essere molto più basso rispetto a quello usato nei programmi televisivi che conduceva di solito: nessuno di loro era un cuoco.
«Ora il punteggio per gli Strange Threesome». I cinque giudici scrissero un voto su un cartoncino e dopo qualche secondo lo sollevarono in aria in modo che tutti potessero vederlo. «8…9…9…8…9… Ottimo 43 punti per il loro antipasto! Ora vediamo i Leones». Nuovamente i giudici scrissero la loro valutazione e la mostrarono. «Ecco 7…8…8…7…8… In tutto 38. Il momento dei primi, prego Strange Threesome».
«Noi abbiamo preparato solo 0la panissa» spiegò Ambra. «La cui preparazione è stata abbastanza lunga».
«Non esattamente un piatto estivo» commentò il cuoco ironicamente.
«In effetti con tutte le cose che ci ho messo dentro» sussurrò Maria, «è tutto tranne che leggero».
I cinque giudici sembrarono apprezzare la panissa di Ambra e a maggior ragione Maria era tesa: era solo una gara, ma, a parte gli scherzi, non voleva avere sulla coscienza l’avvelenamento di cinque persone; chissà come facevano suo padre e suo fratello ad essere così tranquilli. Almeno lei era ancora minorenne!
Effettivamente, sebbene Maria non l’avesse compreso, Saverio non stava sudando solo per il caldo ma anche per la tensione quando presentò la loro panissa e il risotto ai frutti di mare.
Maria non sapeva se ridere o piangere quando vide l’espressione del cuoco, gli altri non apparvero troppo entusiasti ma nemmeno troppo schifati.
«La panissa, non certamente una scelta semplice, è un piatto elaborato» commentò il cuoco. «Ed è quello più rappresentativo di questa zona, insieme naturalmente ai bicciolani e alla tartufata, perché non utilizza soltanto il riso vercellese, ma anche il salamino della duja e i fagioli di Saluggia. Il salamino dev’essere ben sbriciolato prima di essere cotto, perché in caso contrario non cucina bene e comunque stona mangiando».
Maria annuì e gli rivolse un sorriso di circostanza, imprecando nella sua mente e pensando che sbriciolato o meno non facesse grande differenza e comunque le era sfuggito.
«Ecco il punteggio per gli Strange Threesome… 6…7…8…7…7… In totale 35. Decisamente il primo era uno scoglio difficile, ma non è andata tanto male. Invece i Leones hanno preso… 5…6…6…4…6… 27 punti. Potete servire i secondi».
«Poteva andare peggio» borbottò Maria.
«Il risotto ai frutti di mare è stato un azzardo» replicò in un sussurro Saverio. «Il cuoco sembrava volesse sputarlo, non ha parlato per pietà».
«Chissà come avete pulito quei pesci» bofonchiò Maria.
«Speriamo che almeno gradiscano il secondo» sospirò Saverio, avendo compreso che i giudici avevano apprezzato parecchio la torta di riso con funghi e pomodorini di Ambra Silvestri. «Noi abbiamo preparato una tortilla di riso».
Le speranza di Saverio non furono corrisposte.
«Gli Strange Threesome guadagnano ben 44 punti! Complimenti! Vediamo i Leones… 6…7…7…6…7… In totale 33. Prego, servite pure i dolci…».
Samuele sorrise orgoglioso alla vista della torta preparata dalla mamma: era meravigliosa!
«Oh, oh, gli Strange Threesome hanno preparato sia la tartufata sia i bicciolani… come li troveranno i giudici?».
Naturalmente i giudici gradirono, Maria avrebbe tanto voluto sapere come Ambra Silvestri fosse riuscita a dare quell’aspetto da pasticceria al suo dolce: a lei non capitava mai.
«Anche la tartufata dei Leones è stata gradita. 45 punti per Strange Threesome e 40 per i Leones. Ottimo, ottimo, signori, credo che le nostre due squadre se la siano cavate bene».
A quel punto prese la parola il cuoco commentando il lavoro e ringraziandoli, il tutto soprattutto per dare il tempo per calcolare i punteggi finali.
«I vincitori della sfida di oggi sono» annunciò il giovane conduttore, «gli Strange Threesome con 167 punti contro il 138 dei Leones».
La gente presente nella piazza applaudì forte e Penelope trascinò i due compagni di squadra sotto i riflettori, ignorando totalmente l’occhiataccia che le riservò Samuele.
«I nostri autori hanno calcolato la media dei voti ottenuti oggi dalle due squadre: 41 gli Strange Threesome e 34 i Leones… Aggiornando la classifica finale vediamo per la prima volta gli Strange Threesome primi con ben 72 punti contro i 66 dei Leones».
Un nuovo applauso travolse gli Strange Threesome e Samuele, nonostante l’imbarazzo, non poté fare a meno di sentirsi euforico per quel successo.
«Come promesso i primi classificati vincono un nuovissimo robot da cucina… mentre i Leones i completi offerti dalla Pro Vercelli… I nostri concorrenti ora potranno rifocillarsi in uno dei ristoranti della città a loro scelta e noi ci rivediamo domani ad Asti. Vi aspettiamo carichi!».
 
                  
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Si alzi il sipario ***


Capitolo quarto
 



 
 
«... Ed Asti repubblicana. Fiera di strage gotica e de l'ira
di Federico, dal sonante fiume ella, o Piemonte, ti donava
il carme novo d'Alfieri.»
 
(da Piemonte, Giosuè Carducci)
 
 





 
 
 
Si alzi il sipario
 
 
 



 
La stazione di Asti era stata costruita nella seconda metà dell’800, ma sicuramente era stata restaurata e rimodernizzata più volte. Nella piazza antistante vi era riunita una folla di persone che attendeva loro. Samuele sospirò chiedendosi se si sarebbe mai abituato. Probabilmente la zia aveva ragione: sarebbe stato meglio noleggiare un’auto come i Rinaldi.
Fortunatamente quel giorno oltre i soliti curiosi, vi era anche un drappello composto da una giornalista, un cameraman e un altro signore, che li avvicinò all’istante con l’aiuto della polizia, che tenne a distanza la folla.
Penelope Silvestri si lasciò intervistare volentieri e Samuele e la madre si limitarono a un sorriso di circostanza.
Soddisfatta la giornalista e qualche fan – la zia doveva aver dormito proprio bene a Vercelli, visto il suo buon umore, o probabilmente dipendeva dal punteggio: per la prima volta erano in vantaggio sui loro avversari, i Leones; era stata molto gentile persino con la sorella, unica vera responsabile della loro vittoria e rimonta -, si avviarono verso il parcheggio.
Chissà che cosa avrebbero dovuto affrontare quel giorno! Samuele era molto curioso, ma cominciava anche a sentirsi stanco di quei continui spostamenti da una città all’altra e il pensiero, che fossero appena all’inizio e che avrebbe trascorso la sua intera estate in quel modo, un po’ lo sconfortava. Fu sollevato quando vennero invitati a salire su una macchina dai vetri oscurati, lontano da tutti quelli sguardi e, a quanto pareva, dalla telecamera.
«I giornalisti non vengono con noi?» non poté fare a meno di chiedere sorpreso: era sicuro che l’avrebbero perseguitato fino a settembre!
«Non è necessario» rispose il signore che li aveva attesi con la giornalista e che li aveva seguiti. «Mi chiamo Altiero Dalmasso, insegno Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea presso l’Università degli Studi di Torino, ma sono nato e cresciuto qui ad Asti».
Samuele, Ambra e Penelope si presentarono a loro volta, mentre l’autista partiva.
«Vi farò fare un tour del centro storico della città, poi raggiungeremo l’altra squadra in Piazza San Secondo».
Dalla faccia della zia, Samuele fu sicuro che lei avrebbe preferito saltare il giro turistico e raggiungere immediatamente gli altri, tanto per tenere d’occhio Saverio Rinaldi.
«Il centro storico non è molto esteso… Asti è una città piccola, non come Milano…». Dalmasso lanciò un’occhiata a Penelope, la quale si limitò a un secco cenno del capo: evidentemente trovava inutile e noiosa tutta quella storia. «Si sviluppa lungo corso Alfieri, che è area pedonale… noi abbiamo un permesso speciale… il corso va dalla Torre Rossa, eccola qui, si fermi un attimo, per cortesia…». L’autista obbedì e il professore fece loro cenno di scendere. «… fino alla torre Troyana».
Samuele osservò la torre con interesse: quel genere di costruzioni avevano un alone di mistero degno di un fantasy medievale. Avrebbe potuto immaginarsi cavalieri che combattevano per difenderla.
«In Piemonte ci sono molte torri» borbottò il ragazzino.
«Abbiamo un luminare» lo schernì la zia Penelope scorrendo l’e-mails sullo smartphone; Ambra le diede una gomitata intimandole di posarlo. Samuele ridacchiò ben sapendo quanto la madre mal sopportasse l’uso dei cellulari quando si parlava o in presenza di estranei come in quel momento.
«In effetti è vero» disse il professor Dalmasso.
«Che mio nipote è un luminare? Si fidi, non ha mai avuto la sventura di fare matematica con lui».
Samuele le lanciò un’occhiataccia.
«No, che in Piemonte vi sono molte torri. Asti è nota come la “città delle 100 torri”, sebbene in passato, si dice, ve ne fossero ben centoventi. La più antica è proprio la Torre Rossa, costruita prima ancora della nascita di Cristo».
«Addirittura?» esclamò incredulo Samuele.
Penelope gli fece il verso e si beccò un’occhiataccia da Ambra.
Dalmasso dedicò la sua attenzione al ragazzino, conscio che fosse l’unico veramente interessato alle sue parole. «Già. Straordinario, vero?».
Samuele annuì.
Penelope fu sul punto di commentare, ma si trattenne all’occhiata di monito della sorella.
«Si dice che facesse parte della porta romana da cui si accedeva in città e che fu anche la prigione del martire San Secondo, oggi patrono della città».
«Lei, per caso, sa in che cosa consisterà la prova di oggi?» interloquì Penelope.
Dalmasso si accigliò, ma all’espressione corrugata si sostituì quasi subito un bel ghigno. «Sì, ma non sono autorizzato a parlare».
«Neanche un piccolo spoiler?».
«No. E non amo gli spoilers». Sorrise e tornò a rivolgersi a Samuele. «Naturalmente ai tempi dei Romani non era così come la vedi oggi. Il secondo piano fu costruito soltanto nel Medioevo».
«Ha una forma strana» commentò il ragazzino indicandola.
«Probabilmente ti sembra strana perché ha sedici lati».
«È un esadecagono» borbottò Penelope altezzosa, ma fu bellamente ignorata dagli altri.
«Wow, sembra molto armonioso. Probabilmente a Maria piacerà molto».
«Maria?».
«Fa parte dell’altra squadra. Studia al liceo artistico».
«Capisco, allora la mia collega si starà divertendo» dichiarò Dalmasso, lanciando un’occhiata eloquente a Penelope.
«Si può visitare?» chiese Samuele.
«Sì, ma oggi non è possibile. Ci aspettano in Piazza San Secondo e io vi vorrei mostrare ancora qualcosa… Risaliamo in macchina».
Samuele s’imbronciò e provò a cercare lo sguardo della madre, ma Ambra lo evitò accuratamente: probabilmente non sopportava più né il figlio né, specialmente, la sorella.
«Andiamo alla Torre Troyana» disse Dalmasso all’autista. «È una Torre medievale, conosciuta anche come Torre dell’Orologio».
«Prende il nome dai Troiani di Enea?» gli domandò Samuele.
«No, dalla famiglia Troya, particolarmente nota a quel tempo. Era guelfa».
Una volta giunti a destinazione, scesero nuovamente dalla macchina, ma questa volta si trattennero di meno, poiché, a dire di Dalmasso, i tempi erano stretti e li stavano già attendendo.  
Effettivamente, al loro arrivo, Piazza San Secondo era già gremita di spettatori, giornalisti e addetti del canale che mandava in onda la gara. Samuele gemette a quella vista e prese un bel respiro prima di scendere dalla macchina e seguire la madre e la zia verso il palco allestito al centro, per una via laterale in modo da non dover passare in mezzo alla folla. Dopotutto sarebbe stato impossibile! Samuele si chiese che cosa pensassero i calciatori o i cantanti quando i fan li pressavano in quel modo.
Come al solito De Vecchi li accolse con un leggero sorriso e presentò loro il sindaco della città e l’assessore alla cultura.
«Ce l’avete fatta».
La provocazione di Saverio Rinaldi colse immediatamente nel segno e Penelope non rispose a tono, solo perché era arrivato il momento della diretta.
Samuele si affiancò a Maria e in un sussurro le chiese se aveva visto le torri.
«Sì, ci hanno fatto un giro, ma io c’ero già stata con la scuola».
Dopodiché De Vecchi e il sindaco presero la parola e non ebbero la possibilità di dire null’altro.
«Ma non hanno detto nulla sulla prova!» esclamò sorpresa Penelope alla fine del discorso rivolta a Saverio Rinaldi.
«Ne so quanto te».
«È la prima volta!» insisté Penelope come se fosse colpa del collega.
«Siamo solo all’inizio della gara, non vorrai mica conoscere già il modus operandi degli organizzatori» la beffeggiò lui.
«Stiamo andando a mangiare, a me sembra un’ottima cosa» commentò Ludovico. «Peccato che hanno promesso una nuova lezione di storia nel pomeriggio, dovrebbero almeno lasciarmi il tempo di digerire».
«Io ci rinuncio» borbottò Maria affiancando Samuele.
 
 

La pausa pranzo durò all’incirca un’ora, durante la quale le due squadre poterono scoprire alcuni piatti tipici della città.
«Non mangeremo qui questa sera?» chiese perplessa Penelope a Dalmasso. «Di solito dopo la prova…».
Dalmasso doveva aver preso in antipatia la donna, perché ghignò nuovamente: «Potrete benissimo rimanere qui, immagino, ma sarete liberi subito dopo la prova».
«Di cui non vuole dirci ancora nulla».
«No, naturalmente» replicò il professore.
Samuele, Maria e Saverio risero all’espressione indignata di Penelope; mentre Ludovico era troppo impegnato a servirsi e Ambra a far finta di essere figlia unica.
Fu con una certa apprensione che Samuele intinse un pezzo di sedano nella bagna cauda, ma non capì comunque che cosa ci trovasse Ludovico che si avvicinò il tegame assicurandogli che l’avrebbe finita lui; invece apprezzò molto la robiola di Roccaverano e quella di Cocconato, così come gli amaretti di Mombaruzzo, morbidissimi biscotti con le mandorle, ma meno la polentina astigiana poiché non gli piaceva l’uvetta.
«Ti sei strafogato» borbottò Maria, alla fine del pranzo, fissando disgustata il fratello.
«Credevo che avessimo chiarito che devo ancora crescere» replicò tranquillamente il ragazzo.
Samuele ridacchiò.
«Ancora?» sbottò Maria, che, effettivamente, era molto più bassa di lui.
«Già» rispose con un sorrisetto divertito. «E comunque ora cammineremo no? Cos’è che dobbiamo fare?».
«Tour alfieriano» rispose Maria.
«Mia zia non reggerà» bofonchiò Samuele scuotendo la testa al pensiero.
«Nemmeno io s’è per questo» replicò Ludovico. «E se mi defilassi? Ci vediamo tra un’oretta e…».
«Non ci pensare nemmeno».
I tre ragazzi sobbalzarono e si voltarono al tono imperioso di Saverio Rinaldi. «Voi tre camminerete davanti a noi, così non ci sarà neanche la tentazione…».
«Quella veramente c’è» bofonchiò Ludovico infastidito.
«L’ultima volta che ti sei ‘defilato’, sei stato quasi sospeso».
«La prof è un’esagerata».
«Te ne sei andato in giro per Ginevra da solo… come no…» commentò Maria alzando gli occhi al cielo.
«Dettagli» sbuffò Ludovico.
«Andiamo» tagliò corto Saverio.
La prima tappa del tour fu Palazzo Alfieri.
«Oh, che originalità» borbottò Ludovico, ma Maria e Samuele lo ignorarono.
«Questo palazzo appartiene alla famiglia Alfieri dal XVII secolo» spiegò il professor Dalmasso, ben ritto con le mani dietro la schiena. Accanto a lui vi era Luana Fernandi, una collega dell’Università, che l’avrebbe affiancato per il resto della giornata.
«Oggi è sede della Fondazione Centro Studi Alfieriani e del Museo Alfieriano» continuò la Fernandi.
«Che noi non visiteremo, vero?» proruppe Ludovico, non riuscendo proprio a tacere.
«Sono d’accordo con il ragazzo» intervenne Penelope.
«Devo cominciare a preoccuparmi per la salute mentale di mio figlio» borbottò Saverio.
«Invece sì. Grazie al Museo ripercorreremo le tappe fondamentali della vita di Alfieri» ghignò Dalmasso.
«Ma che senso ha?» insisté Penelope.
«Oh, lo scoprirete molto presto» sentenziò Dalmasso, facendo cenno alla collega di ignorare simili interruzioni.
Nel cortile del Palazzo li accolse il busto di Vittorio Alfieri, che li scrutò quasi con durezza, come se lo stessero disturbando.
Dalmasso e la Fernandi li guidarono su per uno scalone di pietra fino a una sala riccamente arredata e successivamente nella camera natale di Alfieri.
«E in questa stanza nacque Vittorio Alfieri» spiegò la Fernandi.
«Adesso possiamo uscire dal palazzo e recarci nel giardino» continuò Dalmasso precedendoli.
Il tour durò un’oretta scarsa, ma il sole del primo pomeriggio picchiava forte e il gruppo non apprezzò molto l’idea dei due professori di fermarsi sotto la statua di Toiu – il nomignolo affettuoso con cui a quanto pare gli Astigiani chiamavano Vittorio Alfieri, consueto luogo d’incontro della gioventù locale.
Samuele cominciava a sentirsi stanco e a chiedersi se per una volta la zia Penelope non avesse ragione a innervosirsi tanto: che senso aveva insistere su Alfieri e non rendere nota la gara che avrebbero dovuto affrontare?
«Bene, seguiteci» disse la Fernandi rimettendosi a camminare e ignorando i mugugni di protesta dei più giovani del gruppo e di Penelope. «So che fa caldo, ma vi prometto che è l’ultima tappa».
«Meno male» commentò Ludovico a voce tutt’altro che bassa.
«Oh, sì, non uscirete per un bel po’ da lì» soggiunse soddisfatto Dalmasso.
«Sono io, o sembra l’incipit di un horror?» borbottò Maria. Samuele le riservò un’occhiata turbata, ma gli altri non le fecero nemmeno caso probabilmente a causa del troppo caldo.
I due professori si fermarono di fronte a tre eleganti porte in vetro, la targa in alto recitava Teatro Comunale Vittorio Alfieri. «Prego, accomodatevi, è arrivato il momento che scopriate la prova che dovrete affrontare» disse Dalmasso.
De Vecchi e il giovane conduttore della trasmissione li attendevano sul palco pronti per una nuova diretta.
«Ecco, signori e signori, gli Strange Threesome e i Leones hanno appena fatto il loro ingresso!» trillò il conduttore.
Samuele avrebbe voluto confondersi con il pavimento: non si aspettava quell’accoglienza televisiva!
Le due squadre salirono sul palco e si posizionarono ai lati del conduttore, che riprese immediatamente a parlare: «Vi ricordo che la classifica vede al primo posto gli Strange Threesome con 72 punti e al secondo i Leones con 66». Penelope e Saverio si lanciarono un’occhiata di sfida. «Vi abbiamo fatto attendere a lungo questa volta, ma è finalmente arrivato il momento di svelare la prova che affronteranno i nostri concorrenti!». Il conduttore sembrava il più felice di tutti: sicuramente lui non aveva camminato sotto il sole subito dopo pranzo! «La prova consisterà in una gara di recitazione. Stasera alle 21 vi esibirete. Tutta la città di Asti è stata invitata ad assistere al vostro spettacolo e l’incasso della vendita dei biglietti verrà devoluto in beneficenza». Il suo sorriso era enorme, sembrava quasi un bambino al quale era stato promesso un enorme cono gelato. De Vecchi appariva divertito: segno che l’espressione dipintasi sul volto dei sei poveri concorrenti doveva essere veramente esilarante.
«Può ripetere?» chiese esitante Penelope al conduttore.
«Oh, ma è molto semplice, non preoccupatevi! Il professore Dalmasso e la professoressa Fernandi sono qui proprio per aiutarvi a organizzare lo spettacolo e imparare le battute!».
Ed ecco spiegato l’atteggiamento di Dalmasso: si sarebbe vendicato ben bene dell’arroganza di Penelope.
«I giudici saranno il sindaco di Asti, l’assessore comunale alla cultura, il presidente del Centro di Studi Alfieriano, il signor De Vecchi e i professori Dalmasso e Fernandi» riprese il conduttore. «Alla fine dello spettacolo ogni giudice assegnerà un voto a entrambe le squadre, il totale segnerà il vincitore di questa prova. Vi auguro buon lavoro!».
In pochi minuti De Vecchi e i suoi collaboratori abbandonarono il palco, lasciando i concorrenti nelle mani dei due professori.
«Bene» principiò Dalmasso – e quel bene lo disse con la soddisfazione di un professore che sta per appiopparti un bel due, a parer di Ludovico - «io e la mia collega abbiamo pensato che i due capisquadra possano dividersi l’introduzione durante la quale bisognerà presentare Alfieri e le sue opere… dopotutto allo spettacolo saranno presenti gli studenti di tutte le scuole di Asti e una presentazione è sicuramente doverosa, non credete?».
L’espressione di Penelope lasciava intendere benissimo il proprio disaccordo.
«Ogni squadra avrà all’incirca trenta minuti a disposizione per esibirsi» continuò la Fernandi. «Noi vi aiuteremo a scegliere i brani da recitare, a impararli e a organizzarvi».
«Noi dovremmo imparare… cosa? Una poesia qualsiasi?» chiese Penelope.
«No, dovrete mettere in scena un passaggio di un’opera alfieriana» replicò Dalmasso, che palesemente si stava godendo lo sconcerto della donna.
«E dobbiamo impararlo a memoria?» domandò basita Maria.
«Sì, solitamente funziona così» confermò Dalmasso.
«Naturalmente, visto il poco tempo, uno di voi potrà fare da gobbo» aggiunse la Fernandi.
«Gobbo?» ripeté perplesso Samuele.
«Quello che suggerisce» gli spiegò Maria con una smorfia.
«Ecco, questa è la parte dei capisquadra» disse Dalmasso porgendo delle fotocopie a Penelope e Saverio. «E ora direi che possiamo dividerci: la scelta delle due squadre dovrà rimanere segreta fino al momento dell’esibizione».
 
 


I Leones seguirono la Fernandi in una saletta del teatro senza lasciarsi contagiare dal suo sorriso.
Si sedettero e rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Ludovico disse: «A me va bene fare l’attore».
«E ti pareva» sbottò Maria.
«Io non so dove ho sbagliato con te» bofonchiò Saverio. «O forse è la vicinanza della Silvestri?».
«Non abbiamo molto tempo, dovremmo scegliere anche i vestiti» ricordò la Fernandi.
«I vestiti? Quindi anche la scenografia?» s’illuminò Maria.
«Se proprio vuoi, ma non credo che ne avremo il tempo».
«Oh, ma a me basta un computer… Posso vedere il sistema elettrico del teatro?».
La Fernandi fissò di sottecchi la ragazza, come se avesse paura che desse fuoco al teatro. «Magari più tardi».
«Quindi che dobbiamo fare?» chiese perplesso Saverio, che per un attimo aveva sperato che potesse risolvere tutto la figlia come a Biella.
«Dovete scegliere che cosa recitare».
«A caso?» chiese Maria.
«Tra le opere di Alfieri. Qual è quella che vi è piaciuta di più?».
I tre si rivolsero un’occhiata confusa.
Saverio si schiarì la voce, comprendendo che non avrebbe ricevuto alcun aiuto dai figli, e chiese: «Ehm Alfieri è quello che scrisse… ehm…».
«Ah, sì, l’ho studiato! È quello del giovan signore!» disse come folgorato Ludovico.
«No» sibilò la Fernandi con uno sguardo glaciale.
Cadde un silenzio imbarazzato, rotto dopo un po’ da Maria che bofonchiò: «Mi sa che quello era Parini». Ludovico si strinse nelle spalle.
«Non siamo molto ferrati sull’argomento» sospirò Saverio, tentando di essere cortese nei confronti di quella che in fondo era una collega. Anche se, fortunatamente, appartenevano a due Dipartimenti diversi. «Potrebbe suggerirci qualcosa lei. Come sa, io mi occupo di fisica ed è trascorso un bel po’ di tempo da quando ho studiato Alfieri al liceo».
La Fernandi non apparve particolarmente ammorbidita, ma probabilmente decise che quella dovesse essere la scelta migliore per portare a termine quell’ingrato compito che le era stato assegnato.
«Potreste recitare la scena IV del primo atto del Saul».
I tre annuirono.
«Bene, ecco il testo». Su un tavolo era stata preparata l’Opera Omnia di Alfieri ed ella trovò immediatamente quello che cercava. «Tu, Maria, interpreterai Micol; Ludovico sarà David, mentre lei, professor Rinaldi, Gionata».
«Ma è tantissima!» borbottò Ludovico. «Dovremmo studiarlo veramente?».
«Direi di sì».
«E chi fa da gobbo se siamo tutti e tre in scena?» chiese Maria.
«Beh, allora scegliete voi» sbuffò la donna. «Vado a fumarmi una sigaretta».
«L’abbiamo fatta scappare» commentò Maria.
«Chissenefrega, scegliamo qualcosa di breve» disse Ludovico mettendo mano ai libri. «Tu fai una bella scenografia e facciamo colpo sui giudici».
Maria annuì e Saverio pensò che non tutto fosse perduto.
 
 
 
*
 
 

«Avete mai recitato?» chiese Dalmasso, che aveva condotto gli Strange Threesome in una saletta in cui erano accatastate delle sedie e vi era un unico tavolo accostato al muro.
«Le sembro il tipo? Io mi occupo di questioni ben più importanti» replicò Penelope seccamente.
«Gli atomi» bofonchiò Samuel tossendo per finta.
«Esattamente» lo fulminò con gli occhi la zia.
Dalmasso sbuffò: «Sa, l’avevo capito».
«Me ne compiaccio».
«Senta» interloquì Ambra, «nessuno di noi tre ha particolari capacità in quest’ambito».
«Peccato, signora, lei sarebbe una bellissima attrice».
Ambra arrossì, mentre Penelope sbottò: «Ma per favore!».
«Lei, invece, è così scorbutica che…».
«Per piacere» intervenne nuovamente Ambra allarmata: Penelope aveva uno sguardo assassino. «Professor Dalmasso, eviti questi commenti, anche perché sono una donna felicemente sposata. Penelope, ricordati il tuo obiettivo: vincere».
Dalmasso e Penelope si squadrarono.
«Ma, prima, ha detto che Alfieri ha scritto delle poesie, sono molto lunghe?» chiese Samuele deciso ad aiutare la madre.
«Dipende. Ha scritto dei sonetti. Sempre se sapete che cosa sono dei sonetti» rispose infastidito Dalmasso.
«È una poesia breve formata da due quartine e due terzine» disse Samuele.
«E tu come lo sai?» lo fissò sorpresa Penelope, distogliendo per la prima volta la sua attenzione da Dalmasso.
«L’ho studiato a scuola. La professoressa d’0italiano ci ha fatto studiare a memoria Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri».
«Allora questa famiglia ha qualche speranza» commentò caustico Dalmasso.
«Ci può suggerire qualche sonetto? Ne reciteremo uno ciascuno» decise Ambra trattenendo la sorella per la vita. «Se ferisci un giudice, ci squalificheranno» aggiunse.
«Oh, senz’altro. E vi denuncerei» ghignò Dalmasso.
«Chissà perché non mi sorprende» sbuffò Penelope. «Avanti, iniziamo, o dirò che non ha fatto il suo dovere!».
Dalmasso li aiutò a scegliere un sonetto ciascuno dalla Rime di Alfieri e spiegò loro anche il significato – ignorando stoicamente i continui sbadigli di Penelope -, alla fine sospirò: «Non vi resta che studiarli. Buona fortuna… Ah, professoressa Silvestri, si fidi, non ho mai avuto una studentessa peggiore di lei».



 
*
 



«Buonasera a tutti! Stasera siamo al Teatro Comunale Vittorio Alfieri di Asti» annunciò il giovane conduttore.
Maria, dietro le quinte, sospirò tentando di concentrarsi sulle possibili angolature che i cameramen stavano usando per le riprese.
«Sei agitata?» sussurrò Saverio appoggiandole una mano sulla spalla.
«Perché dovrebbe?» bisbigliò Ludovico intromettendosi. «Deve dire solo due parole e la scenografia è perfetta».
«Non è perfetta, l’ho realizzata troppo velocemente… è banale…».
«Non litigate» intervenne Saverio lanciando un’occhiata di monito al figlio maggiore, che si strinse nelle spalle.
«Tocca a noi» disse Penelope avvicinandosi.
Saverio annuì e le fece cenno di precederlo sul palco.
«Buona fortuna, papà» sussurrò Maria.
Saverio la ringraziò e si avviò.
Penelope e Saverio, a turno, raccontarono la vita di Vittorio Alfieri.
«Li abbiamo annoiati» borbottò la prima tornando dietro le quinte.
«Hai usato una voce così monocorde che non mi stupisce» replicò Saverio.
«Io? E certo tu sei un pagliaccio nato!».
«Che c’entrano i pagliacci? Devi cambiare il tono della voce ogni tanto o i tuoi interlocutori si addormentano, specialmente i ragazzi. Fai così anche a lezione? Immagino che i tuoi studenti si annoino terribilmente durante le tue lezioni».
«Si esibiranno per primi i Leones» annunciò il conduttore.
«Salvato in extremis» quasi ringhiò Penelope.
Saverio sorrise divertito.
Come da programma, Maria fu la prima a entrare in scena, imprecando su quanto odiasse gli spettacoli teatrali. I tecnici mandarono sullo sfondo il video che aveva preparato ed ella presentò il Saul e il monologo che avrebbe recitato il fratello di lì a poco. Conclusa la sua parte si defilò lasciando il posto a Ludovico che avrebbe interpretato David, sperando che non combinasse guai.
Ludovico aveva indossato un’armatura finta trovata nei camerini: la ricostruzione storica non era certamente attendibile, anche perché lui indossava un paio di Adidas bianche.
Maria pensò che il fratello fosse veramente bravo ad atteggiarsi: si posizionò al centro del parco e si passò una mano tra i capelli.
«Qui freno al corso, a cui tua man mi ha spinto,
onnipossente Iddio, tu vuoi ch’io ponga?».
Ludovico non aveva minimamente idea di che cosa significassero i versi che stava declamando, ma si era rifiutato di ascoltare la spiegazione della Fernandi – che esasperata era andata a fumarsi un’altra sigaretta – ed era evidente a tutti i presenti: le ragazzine ridacchiavano e si beavano della sua presenza – che cosa trovassero in suo fratello, Maria non lo comprendeva proprio -, altri spettatori ridevano apertamente, altri lo fissavano torvamente.
«Ma, da Saùl deggio… deggio…» Ludovico si fermò e si voltò verso il padre, nel ruolo di gobbo, che, però, si era distratto e il ragazzo ebbe il suo bel daffare per attirare la sua attenzione arrivando a sbracciarsi. Maria decise di non voler vedere null’altro, quando il pubblico iniziò a ridere.
«Esci, Filiste iniquo…» borbottò ancora Ludovico dopo un po’, cominciando l’ultima frase.
«Iniqua» lo corresse Saverio.
«Esci, Filiste iniquo» ripeté testardamente Ludovico.
«Iniqua!» sbottò Saverio alzando la voce e suscitando un nuovo scroscio di risa.
«Ma non è maschio?» replicò il ragazzo dimenticandosi di essere sul palco.
«No, dici iniqua!» ribatté Saverio.
«E va bene, ma dopo che viene?».
Il pubblico ormai era piegato in due dalle risate, ma Saverio che usciva dalla buca del gobbo leggendo ad alta voce «“Esci, Filiste iniqua; esci, e vedrai se ancor mio brando uccida”. Ma che ci vuole?», lo stese definitivamente.
«Io non vi conosco» dichiarò Maria quando tornarono dietro le quinte.
Trascorsero almeno dieci minuti prima che il pubblico si acquietasse e il giovane conduttore dovette mandare la pubblicità; alla fine giunse il turno di un tremante Samuele.
«Tanto peggio di loro non possiamo fare» commentò trionfante Penelope.
«Così non lo aiuti» sbottò Ambra.
Samuele le ignorò, deglutì ed entrò in scena. Il teatro era gremito, molti erano ragazzi come lui ma questo non aiutava minimamente come il concentrarsi sulle telecamere e su quanti lo stessero guardando da casa.
«Inizia, che aspetti» sibilò Penelope.
Samuele era paralizzato, ma sapeva che la zia gliel’avrebbe rinfacciato in eterno. Puntò gli occhi sul pavimento e iniziò: «Tacito orror di solitaria selva di Vittorio Alfieri
 


 
Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea
che in essa il par di me non si ricrea
tra’ figli suoi nessuna orrida belva…».
 


Con la voce tremante e senza mai guardare davanti a sé recitò tutto il sonetto e poi, dalla fretta di dileguarsi quasi inciampò.
Ambra recitò il sonetto Uomo di sensi, e di cor, libero nato ed ebbe bisogno di qualche suggerimento dalla sorella che faceva da gobbo; mentre quest’ultima recitò Greca fronte nomar deggio, o divina e dimostrò di aver un’ottima memoria, ma una pessima capacità interpretativa: avrebbe usato lo stesso tono per leggere la lista della spesa.
«Bene, ringraziamo gli Strange Threesome e i Leones per questa bellissima e divertente performance. Dopo la pubblicità annuncerò il vincitore» prese la parola il giovane conduttore. Nel frattempo le due squadre furono invitate sul parco: tutti e sei, questa volta, avrebbero voluto essere ben lontani da lì. «Bentornati, bentornati» esclamò il conduttore a un segnale della regia. «I giudici sono pronti a pronunciare il loro verdetto. Vi ricordo che ognuno di loro può assegnare un voto da zero a dieci. Iniziamo dai Leones… ecco il sindaco… oh, un bel 7…» Maria lo fissò sorpresa. «L’assessore assegna un 6… il direttore De vecchi... oh, un 9! Il presidente del Centro Studi su Vittorio Alfieri… un 5, ma va bene dai… il professor Dalmasso un 4… la professoressa Fernandi un 4… per un totale di 38 punti! Bene, complimenti Leones! Ora vediamo gli Strange Threesome!».
Samuele sorpreso vide i numeri in successione: 8, 8, 8, 8, 6, 6. Cavoli se l’erano cavata meglio del previsto! La zia Penelope ghignava, segno che aveva già calcolato il risultato.
«Gli Strange Threesome hanno totalizzato ben 44 punti! E sono i vincitori di questa prova! Complimenti!».
«Che cosa ti aspettavi?» sibilò Maria al fratello. «Sei il solito presuntuoso!».
«E adesso è il momento dei premi!» esclamò il giovane conduttore. «I Leones, secondi classificati, si aggiudicano una cassa di spumante Asti di quest’anno».
«Meglio di niente» borbottò Saverio ai figli, che, però, non apparvero contenti del premio di consolazione.
«Gli Strange Threesome, invece, si aggiudicano l’opera omnia di Alfieri!».
Ludovico scoppiò a ridere.
«Questa sera abbiamo un terzo premio, un premio speciale possiamo dire… l’Oscar alfieriano per il migliore attore della serata… Voterà per acclamazione il pubblico in sala…».
«Ludovico! LUDOVICO! Ludovico!».
Le ragazzine presenti sovrastarono di gran lunga tutti gli altri spettatori e Ludovico regalò loro un inchino e un bacio al volo, che suscitarono un conato di vomito a Maria.
«Il premio è una maschera d’argento!».
Ludovico la prese e sorrise, pavoneggiandosi ancora con le ragazze.
«Per con concludere, la classifica finale vede ancora in vantaggio gli Strange Threesome con 116 punti e a seguire i Leones con 104. In più ho qui due pergamene al cui interno vi è un indovinello… risolvetelo e saprete dove ci incontreremo domani. Buona serata a tutti!».
Appena la diretta si concluse, Ludovico scese dal palco reclamato dalle sue fan, ma gli altri si affrettarono a srotolare la pergamena:
 
 



 
Oh, viandante, dirigi i tuoi passi
verso millenaria città, che si erge nobile
signora di quattro fiumi.
 
Laddove un toro d’oro con corna d’argento veglia,
troverai ciò che cerchi.
 
Oh, viandante, volgi lo sguardo
al mancato tempio israelitico,
inciso anche su povera moneta.
 
Vieni, o viandante,
ti attendo dove vittorioso cavaliere risiede.

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Capitolo 5
*** Il tesoro della Carboneria ***


Capitolo quinto
 
 


 
Il tesoro della Carboneria
 
 



 
Un fascio di luce penetrò nella camera, annunciando che una nuova trionfale giornata di sole era appena sorta.
Maria sbuffò e nascose la testa sotto il lenzuolo. Era stata una reazione spontanea, ma, man mano che il sonno l’abbandonava, ricordò dove si trovava. Si scoprì e si guardò intorno ancora frastornata: la camera era un vero delirio. La sera prima, o meglio la notte, quando erano rientrati, aveva letteralmente lanciato zaino e vestiti a terra e  aveva occupato il bagno prima ancora che Ludovico potesse dire a, dopodiché si era fiondata nel suo letto.
Era incredibile trovarsi in quella stanza, anche se in realtà non si era partita da nemmeno una settimana, ma sembrava un’infinità. A dire la verità quando suo padre aveva coinvolto lei e suo fratello in quell’assurda gara, non si aspettava di rivedere casa sua prima di settembre e dell’inizio della scuola, ma si era totalmente sbagliata.
Si coprì il volto con le mani: non era per nulla sicura che fosse stata una buona idea tornare a casa. In quel momento percepì quanto le mancasse la sua vita prima della gara. Ok, sì era melodrammatica. Ludovico non avrebbe mai dovuto conoscere quei pensieri! Fortunatamente non era dotato di poteri paranormali.
Suo padre era un uomo particolarmente dedito al lavoro, il tipo di persona che quasi si dimentica anche del mondo che lo circonda, per cui Maria non ricordava quando fosse stata l’ultima vacanza tutti insiemi e, per giunta, così lunga. Per questo quando qualche settimana prima suo padre aveva loro annunciato che avrebbero partecipato a quella gara non si era rifiutata: per un’estate i suoi amici avrebbero potuto aspettare.
Respirò profondamente, quasi a farsi coraggio, e si alzò. Recuperò lo zaino, lo svuotò e scelse dei vestiti adatti: ora sapeva a che cosa andava incontro, a differenza di quando era partita. Prese anche il suo computer - quello di suo padre non aveva buoni programmi di grafica e video - e il suo mp4 che aveva dimenticato, in modo da non doversi sorbire Ludovico e i suoi monologhi anche durante i viaggi. Ne era sicura, anche suo padre, a volte, faceva finta di ascoltarlo. Si sentiva l’assenza della madre in questo.
Maria costatò che suo padre e Ludovico ancora dormivano e ne approfittò per prepararsi con calma, solo dopo si premurò di svegliarli.
«Come facciamo con la colazione?» chiese con una punta di crudeltà visto che il padre stava riemergendo dal mondo dei sogni troppo lentamente.
«Mmm» replicò lui in modo tutt’altro che intellegibile.
«Non c’è niente in frigo».
«Io ho fame» disse Ludovico raggiungendoli.
«Sparite» borbottò Saverio. «Lasciatemi il tempo di alzarmi».
«Se ci fosse mamma» borbottò Ludovico.
«Facciamo colazione fuori» sbottò suo padre. «Insomma dobbiamo andare in piazza Carlo Alberto, no? Ci sono un’infinità di bar lì… E, Ludovico, non ti azzardare a dire a tua mamma che non ti do da mangiare!».
Maria scoppiò a ridere e andò in camera a recuperare le sue cose per portarle nell’ingresso. Li attese disegnando. «Prendiamo la macchina?» chiese al padre quando finalmente fu pronto.
«Non credo ci convenga».
«Non vorrai prendere l’autobus?» borbottò Ludovico.
«Quanto ci hai messo? Nemmeno fossi una ragazza» lo redarguì Saverio. «Prendiamo un taxi, ma non ti ci abituare».
Maria si accigliò, ma non disse nulla: prendere un taxi era uno spreco e avrebbe contribuito a inquinare quella città. Casa loro non era particolarmente lontana dal centro, trovandosi proprio ai margini del quartiere San Paolo. I suoi avevano preso casa proprio vicino al Politecnico.
«Allora muoviamoci» disse Maria precedendoli.
Il taxi impiegò un buon quarto d’ora ad arrivare, così attesero nell’ingresso visto che il sole cominciava ad essere molto caldo.
Maria non aveva avuto troppa difficoltà a risolvere l’indovinello: aveva studiato la Mole Antonelliana a scuola e sapeva che, in origine, avrebbe dovuto essere un tempio israelitico, ma poi gli Ebrei non l’avevano più voluto e l’aveva acquistato il Comune, tanto che poi era diventato simbolo della città.
Piazza Carlo Alberto la conosceva fin troppo bene e quella mattina era affollatissima a causa dell’alta presenza di turisti, perciò il taxi gli lasciò in una via laterale.
«Finalmente colazione!» trillò Ludovico.
«No» lo fermò Saverio. «Prima cerchiamo di capire perché ci hanno detto di venire qui».
«Ma io ho fame».
«Non sei un bambino» sbottò Saverio. «Resisti cinque minuti».
«Che siano cinque minuti però» ribatté il ragazzo.
Saverio si passò una mano tra i capelli, segno che era nervoso.
«Dove andiamo?» chiese Ludovico petulante.
«Direi di avvicinarci alla statua» replicò Maria precedendo una rispostaccia di suo padre. «L’indovinello dice che ci aspettano dove cavaliere vittorioso risiede».
«Ottima idea».
Non fu facile spostarsi in mezzo alla folla e con quel caldo.
«Cinque minuti stanno passando» ricordò Ludovico ignorando le occhiatacce che ricevette in risposta.
«Non vedo nessuno della tv, voi?» disse suo padre guardandosi intorno.
«Nemmeno io» sbuffò Maria che cominciava a sudare e sentire fame tanto quando il fratello.
«Mi sa che hanno lasciato qualcosa» disse Ludovico attirando la loro attenzione. Il ragazzo gli superò e si appoggiò alla statua.
«Che cavolo fai?» strillò Maria indignata. «Non ti puoi arrampicare!».
«Se devi dedicarti al vandalismo non lo fare in pieno giorno e davanti a tuo padre!» sbottò Saverio.
«Oh, calmatevi» ribatté Ludovico tirando con il braccio una delle due buste che erano state appiccicate sulla parte alta della base di pietra. «Ecco a voi».
Maria e Saverio, sorpresi, fecero per prendergliela dalle mani, ma lui  la tenne alta ben lontana dalla sorella e facendo sbuffare il padre. «Io l’ho trovata, io l’apro».
«Sbrigati!» lo incitarono in coro Saverio e Maria.
«“Oh, cercatore, un quesito semplice ti pongo per iniziare il nostro viaggio”» lesse Ludovico, poi si bloccò. «Che lingua è?» disse mostrando il foglio agli altri due.
C’era scritto: oiroif èffac.
I tre si fissarono incerti.
«Sembra uno di quei giochi enigmistici» borbottò Saverio.
«Già, ma non è un rebus, non ci sono immagini da collegare alle parole» aggiunse Maria.
Si scervellarono per una decina di minuti, poi all’improvviso Ludovico gridò entusiasta. «Ho capito! Questa gara così mi piace! Dai, seguitemi!».
 
 
 
*
 
 
Samuele appoggiò la fronte sul vetro, ma non ottenne nessun sollievo al caldo che provava, né chiudere gli occhi lo aiutò a isolarsi e ignorare la voce gracchiante della zia: erano ore che si lamentava per l’indovinello che li era stato consegnato ad Asti. A Samuele sfuggì un sorrisetto al pensiero della notte precedente: la zia si era fissata che dovevano risolvere l’indovinello prima di dormire e le sue proteste e quelle della madre non erano servite a nulla. Penelope Silvestri era riuscita a sparare interpretazioni una più fantasiosa dell’altra; stanco e desideroso di dormire, Samuele aveva sentenziato che il simbolo del Torino era il toro, quindi l’indovinello parlava di Torino ed era quella la loro prossima metà. Naturalmente la zia lo aveva immediatamente zittito, affermando che il calcio non c’entrasse nulla, ma fortunatamente Ambra era intervenuta e l’aveva fatta ragionare: Torino era il capoluogo del Piemonte, non avrebbero mai potuto non recarsi anche lì e il ragionamento filava. Così finalmente avevano dormito almeno finché la zia non li aveva buttati giù dal letto per non perdere il treno.
«Bene, non perdete tempo!» strillò Penelope mentre il treno si fermava.
Ambra sospirò.
Samuele le seguì, evitando di commentare: non gli dispiaceva visitare città mai viste, ma la zia era veramente pesante quando era in modalità competitiva.
Per essere una fisica, il suo approccio alla ricerca del loro nuovo problema, ossia scoprire chi fosse il vittorioso cavaliere dell’indovinello, si rivelò alquanto discutibile: stava fermando tutti i passanti per chiedere dove potesse trovare la statua di un cavaliere. Decisamente un ottimo piano.
Samuele sospirò e, dopo aver convinto la madre, alquanto esasperata dal dover controllare la sorella, si mise a fare qualche ricerca su Google: internet non era la risposta a tutto, ma sicuramente in quel momento sarebbe stato più efficace che interrogare tutti i pendolari presenti alla stazione di Torino in una calda mattina di luglio. Lanciando un’occhiata alla madre e alla zia per essere sicuro che non si allontanassero troppo, scrisse statua cavaliere vittorioso torino e attese i risultati della ricerca. Aprì il primo articolo chiedendosi se non stesse sbagliando tanto quanto la zia: quante statue del genere esistevano a Torino? Scosse la testa e provò a cercare su vari siti.
«Mi prendono tutti per pazza!» sbottò Penelope avvicinandosi.
«Ma se sembra che stai per saltar loro addosso» sbuffò Ambra.
Samuele alzò gli occhi al cielo, poi notò le ricerche correlate.
«Smettila di giocare» lo rimproverò la zia. «Stai perdendo tempo. Usciamo da questa stazione».
«Piazza San Carlo».
«Cosa?!» chiesero in coro le due donne.
«C’è una piazza molto importante che si chiama così».
«È perché mai dovremmo andare lì?» chiese Penelope come se avesse a che fare con uno stupido.
Samuele si trattenne dal farle la linguaccia e disse: «Al centro della piazza c’è la statua di Carlo Alberto, che è stato un re importante del Regno di Sardegna. La piazza poi è nella parte centrale della città».
«Potremmo provare» disse Ambra.
Penelope assunse un’espressione scettica, ma non ebbe motivo di non seguire quel suggerimento.
Samuele sperò per tutto il tragitto in taxi di aver ragione: la zia avrebbe dovuto ricredersi sulle sue capacità!
La piazza era molto grande e affollata, ma non impiegarono molto a raggiungere la statua posta al centro, anche perché Penelope sembrava un piccolo treno in corsa ben decisa a non fermarsi davanti a niente e nessuno e la maggior parte delle persone tendeva a spostarsi vedendola.
Con grande soddisfazione di Samuele trovarono una busta alla base della statua, ma fu una sensazione di durata fin troppo bene: Penelope, dopo aver aperto con foga la busta e lettone il contenuto, gettò uno strillo.
«Ma che fai?» la richiamò Ambra. «Ci guardano tutti!».
«Un nuovo giochino!» sbottò Penelope come se fosse una risposta sufficiente.
 
 
oiroif èffac
 
Samuele sbuffò e comprese che se non avessero risolto anche quell’enigma, non avrebbe mai convinto la zia ad andare a fare colazione. Sospirò e con la madre si sedette su una panchina libera. Penelope andava avanti e indietro borbottando.
«Forse è scritto in un’altra lingua o in dialetto torinese» propose Ambra e cominciò a fare diversi tentativi con il traduttore dello smartphone.
A Samuele quell’ipotesi non convinceva per nulla: quelle due parole non sembravano avere il minimo senso né in italiano né in nessun’altra lingua. Magari era un anagramma, così tirò fuori un quadernino dallo zaino e fece qualche tentativo.
«Non è nemmeno portoghese» borbottò Ambra.
Samuele la ignorò: la prima parola non gli aveva suggerito nulla, ma la seconda sì. Si raddrizzò e scrisse a lettere maiuscole: Caffè. Aveva senso in italiano, anche se non capiva a che cosa si riferisse. Ma se fosse stato un anagramma avrebbe dovuto trovare una parola di senso compiuto anche con le lettere di oiroif. In effetti usciva fiori, ma rimaneva la o. Caffè o fiori: avrebbero dovuto scegliere? Ma non era troppo vago? Insomma di fiorai e bar ce ne dovevano essere infiniti a Torino. In più non lo convinceva la o in più.
Tornò ad appoggiare le spalle alla panchina e sospirò: quella scritta gli ricordava qualcosa. Ma che cosa? Poi ebbe l’illuminazione. «Lo Specchio delle Brame!».
«Eh?». Ambra sollevò gli occhi su di lui. «Che hai detto?».
«Lo specchio dell’Emarb!». Sua madre lo fissò stranita. «Lo specchio di Harry Potter! La scritta al contrario!».
«Quello in cui si può vedere il desiderio più profondo?» chiese Ambra tentando di capire.
«Sì».
«Ma che stai farneticando?» sbottò Penelope.
«Si deve leggere da destra a sinistra. Semplice».
Le due donne si fissarono, poi Ambra prese il foglio e lesse lentamente: «Caffè Fi-Fio-rio. Caffè Fiorio».
«Dev’essere un bar» disse Penelope.
«Chiediamo» decise Ambra alzandosi e avvicinandosi al primo passante.
Samuel sorrise alla zia e quella sbuffò. «Ok, ok, ti devo un favore».
Il ragazzino si diresse nella direzione indicata dal passante con grande soddisfazione.
 
 
 
*
 
 
Ludovico era stravaccato su un divanetto e ben intento a consumare la sua meritata colazione; mentre Maria non aveva occhi che per gli arredi ottocenteschi, le sedie di velluto rosso, la tappezzeria che decorava le pareti, gli affreschi e le sculture, i giochi dei riflessi degli specchi che decoravano le salette e infine il pianoforte a coda che occupava un angolo: quel posto era stupendo. Naturalmente conoscevano quel bar, era uno dei più antichi di Torino, tanto antico che si diceva che fosse stato il ritrovo dei nobili durante la Restaurazione, degli intellettuali e politici durante il Risorgimento e continuasse a esserlo ancora oggi. Sospirò chiedendosi come fosse possibile che suo fratello, impegnato a ingozzarsi, e suo padre, annoiato, non si lasciassero trascinare da quell’atmosfera meravigliosa. Maria si alzò e si allontanò per ammirare più da vicino i quadri di Francesco Ganin e Giuseppe Baglioni.
Il Caffè Fiorio sembrava gridare da ogni angolo Arte e Cultura.
Purtroppo non era il genere di locale che un’adolescente squattrinata potesse permettessi normalmente, ma quella volta era la rete televisiva che offriva la colazione. Eppure Maria non sentiva fame, la sola bellezza di quel posto sembrava saziarla e appagarla come raramente le capitava.
«Maria».
Ed ecco che Saverio Rinaldi con il suo solito tempismo rompeva l’incanto del momento. Era mai possibile che non potesse allontanarsi? Nemmeno fosse una bambina! Si voltò e si accorse che il padre e il fratello erano stati raggiunti da un cameraman e da altre due persone, probabilmente degli addetti della televisione. Forse finalmente avrebbero scoperto la prova che avrebbero dovuto affrontare, sospirò e si avvicinò.
«Ora ci siamo tutti» disse Saverio.
«Bene» disse il cameraman. «Per ora abbiamo cercato di seguirvi dall’alto, con delle telecamere poste alla stazione e in Piazza Carlo Alberto, ma adesso i miei colleghi vi microfoneranno e vi consegneranno dei berretti con delle telecamere incorporate, così vi seguiremo in tutti i vostri spostamenti».
I Leones annuirono e si lasciarono microfonare.
«In che cosa consiste la gara di oggi?» domandò Saverio.
«Non l’avete ancora capito?» replicò il cameraman.
«No» rispose Ludovico che era tornato alla sua colazione. Come faceva a non ingrassare con tutto quello che mangiava?
«È una caccia al tesoro, naturalmente».
Maria sgranò gli occhi per la sorpresa: effettivamente avrebbero dovuto comprenderlo.
«Questo è vostro, anche se immagino voi conosciate bene la città» continuò il cameraman indicando uno zaino che fu consegnato a Maria. «Dentro ci sono delle borracce con acqua fresca, una mappa della città, una di quelle turistiche, ci sono anche delle cose da mangiare. Dovrete spostarvi a piedi».
«Ah, questo è il prossimo indizio. Buona fortuna» disse il gestore del bar con un sorriso.
 
 
 
*
 
 
«Bello» sospirò Samuele a bocca aperta. Non aveva apprezzato la visita guidata al Museo Egizio, ma quella sala era fantastica. Vi erano due file di statue enormi, che dovevano rappresentare i faraoni egizi, i visitatori vi passavano in mezzo - e il soffitto era blu notte e trapuntato di stelle - e non potevano che sentirsi totalmente minuscoli e impotenti. Samuele sapeva che era tutta una sceneggiatura, ma lo colpiva profondamente.
«Questa volta la vedo dura» borbottò Penelope asciugandosi la fronte con un fazzoletto.
Samuele non poteva darle torto: quando erano arrivati al Caffè Fiorio avevano scoperto, anche se avrebbero dovuto intuirlo, che quella volta avevano in serbo per loro una caccia al tesoro. Naturalmente era un ottimo modo per percorrere la città a piedi e visitarla meglio, ma Penelope Silvestri non l’aveva presa per nulla bene, in quanto perfettamente consapevole del loro enorme svantaggio rispetto ai Leones che vivevano in quella città e la conoscevano perfettamente. Per conto suo sperava che gli organizzatori della gara li avrebbero permesso di gareggiare anche nella loro città.
Comunque al Caffè Fiorio, oltre l’equipaggiamento, era stata consegnata loro una pergamena. Penelope aveva chiesto una bevanda alcolica, stupendo un po’ tutti, tranne Ambra, ma, al di là del suo evidente terrore, c’era poco da interpretare in quel caso: sulla pergamena vi erano strani simboli, probabilmente geroglifici, ma non era servito leggerli. La soluzione era semplice: il Museo Egizio di Torino, la stessa Penelope vi era arrivata subito.
«E falla finita! Sei sempre esagerata» sbottò Ambra e la sua voce risuonò nella sala. «I Leones hanno un forte vantaggio, ma non mi dire che vuoi arrenderti».
«No, ma sicuramente ci supereranno in classifica».
«E allora? La gara è appena all’inizio! Com’è che si dice? Vincere una battaglia, non basta a vincere la guerra».
«Una cosa del genere» ammise Penelope.
«E poi non abbiamo ancora perso. Proviamoci».
Penelope sbuffò e annuì. «E sia. Non permetterò a Rinaldi di prendermi in giro».
Ambra alzò gli occhi al cielo, ma non replicò.
I Threesome Strange avanzarono nella sala affollata di visitatori osservando tutte le statue alla ricerca di un nuovo indizio che li avrebbe indirizzati alla tappa successiva.
Si rivelò più difficile di quanto avessero immaginato: i turisti non li aiutavano e questa volta l’indizio era stato ben nascosto.
Tornarono sui loro passi, ma ancora una volta non trovarono nulla.
«Non è possibile!» sbottò Penelope.
«No, infatti. L’indizio dev’essere in questa sala. Ci hanno invitato esplicitamente a venire qui, insomma non avremmo potuto cercarlo per tutto il Museo!» replicò Ambra.
«Ci dev’essere sfuggito» disse Samuele alquanto annoiato.
«Sicuro» concordò Ambra. «Ricontrolliamo, questa volta con maggiore attenzione e ognuno per conto proprio».
Gli altri due annuirono e si allontanarono. Samuele, memore della busta appiccicata alla base della statua di Carlo Alberto, decise di avvicinarsi e controllare ogni centimetro delle statue. Fece così, per almeno un paio di volte, ma senza successo.
«Ragazzino, che stai facendo?».
Samuele sobbalzò e si voltò verso una guardia che lo guardava malissimo. Balbettò conscio che avrebbe dovuto spiegarle che lui era quello della gara televisiva, ma la guardia non sembrava per nulla contenta; in più si ricordò in quel momento che gara o non gara in fondo quello era un museo e non poteva toccare ciò che era esposto a suo piacimento. «Ehm».
«Sei solo? Dove sono i tuoi genitori?» riprese la guardia.
Samuele si guardò intorno, ma della madre e della zia non c’era traccia. «Non sono solo».
«Ti sei perso?».
Non era un bambino piccolo! «No, no, mia madre e mia zia sono da queste parti» rispose. «Mi dispiace, non sapevo che non potevo toccare».
«Fai lo spiritoso?» replicò la guardia. «C’è un cartello enorme all’ingresso».
Samuele boccheggiò. E chi l’aveva visto?
«Mi scusi» rispose per essere il più diplomatico possibile e per cacciarsi fuori dai guai.
«Tua madre è qui?».
«Sì» rispose prontamente Samuele. Da qualche parte.
«Allora, vieni, aspettala fuori».
«Ma perché?».
«Perché così ti tengo d’occhio».
Samuele si trattenne a stento dallo sbuffare. Quello poi! «Non le tocco più le statue» borbottò.
«Fuori» replicò la guardia.
Il ragazzino decise di obbedire pur di non attirare l’attenzione di tutti, sarebbe stato molto imbarazzante.
Una volta fuori si accostò al muro a braccia conserte e lanciò un’occhiataccia alla guardia. Annoiandosi cominciò ad andare avanti e indietro evitando di urtare la gente che passava. A un certo punto l'occhio gli cadde su un tubo in un angolo. Lo ignorò pensando a qualche reperto. Poi il suo sguardo tornò lì. Che ci faceva sul pavimento e soprattutto con quei colori sgargianti. Si guardò intorno, ma la guardia non era nei paraggi. Il suo cuore batteva a mille sia perché non era sicuro che non si sarebbe messo nei guai sia perché pensava di essere vicino alla soluzione.
C’era scritto Threesome Strange. Si trattenne dallo strillare.
Doveva dirlo alla mamma e alla zia, ma non aveva cellulare. Magari questa era la volta buona che gliel’avrebbero comprato! Si strinse nelle spalle e decise di aprilo da solo. Prima o poi sua madre e la zia sarebbero uscite.
Dentro il tubo c’era una pergamena, la aprì e la srotolò.
 
Quello sì che era un codice da decifrare! Era proprio come i giochi che trovava a volte sul Topolino!
Si passò una mano tra i capelli e decise di mettersi al lavoro. Quella mattina la zia si era sbilanciata affermando che se avessero vinto, gli avrebbe fatto un bel regalo e alla zia non mancavano i soldi. Non che fosse una persona venale, ma perché rifiutare? In più in ogni città gli sponsor mettevano in premio cose interessanti e non sarebbe stato male vincere.
Tirò fuori il blocchetto dallo zaino e ricopiò i simboli. Di solito riusciva a risolvere quel genere di giochi del fumetto. Segnò i simboli uguali, poiché dietro di essi doveva celarsi la stessa lettera.
Erano due parole e c’erano tre lettere che si ripetevano.
«Allora» si disse, «le ultime dovrebbero essere delle vocali… in italiano ci sono poche parole che finisco per consonante…».
Si segnò le cinque vocali in un angolo del foglio in modo da fare i tentativi.
«Allora sei qui! Accidenti, mi stavo preoccupando!».
Samuele sobbalzò per la seconda volta nel giro di poco, ma questa volta era sua madre al quanto arrabbiata e non la guardia. Il che era peggio. Si affrettò a spiegarle che cos’era successo e a mostrar loro il codice. Come prevedibile la zia Penelope lo trascinò con sé, tacitando i rimproveri di Ambra sul nascere, il che per una volta tornò utile a Samuele.
«Che se poi gli compraste un cellulare, sarebbe anche meglio» borbottò Penelope in modo fin troppo udibile.
Ambra sbuffò. «L’anno prossimo».
Samuele condivise con loro i suoi ragionamenti e sedettero insieme in un bar.
«Beh, queste sono due consonanti» disse indicando i due rettangoli nella prima parola.
«Come fai a esserne sicuro?».
«Beh è difficile che ci siano parole con due vocali uguali no?».
«E comunque dev’essere un posto importante di Torino» disse Ambra.
«Facciamo dei tentativi» propose Penelope. «Torre è troppo piccola, però ha la doppia».
«Villa… è troppo piccola…» tentò Ambra.
«Palazzo!» strillò Penelope. «Prova» ordinò al ragazzino.
Samuele scrisse le lettere sopra i simboli e in effetti aveva senso, poi riportò quelle uguali nella parola di sotto. Adesso avevano Palazzo ??al?
«C’è il Palazzo Madama» disse Ambra. «È abbastanza importante per farcelo visitare».
«Sì, ma non ci va» sospirò Samuele.
«La luna sarà una vocale» ragionò Penelope. «Ua… Ia… Ea…».
Samuele provò la tattica più vecchia del mondo e ripeté tutte le consonanti ad alta voce. «Buale non esiste… al massimo ducale… ».
«Duale» propose Penelope.
«Ma così la seconda lettera non è uguale all’ultima» ribatté Samuele.
«Scusate, reale?».
Penelope e Samuele si voltarono verso Ambra e strillarono. «Reale!».
«Se abbiamo ragionato giusto, dovremmo cercare un Palazzo Reale» sospirò Ambra ignorando le loro espressioni eccitate.
Ma questa parte non fu difficile perché comunque bastò chiedere informazioni e tutti erano molto felici di farsi riprendere dalla telecamera che portavano con loro.
Il tragitto a piedi non fu lungo, ma sotto il sole di tarda mattina fu comunque pesante, neanche a dirlo avevano già svuotato tutte le bottigliette che gli avevano dato in dotazione.
«Ah, Ah!» quasi urlò Penelope facendo pensare ad Ambra che la sorella doveva essersi presa una bella insolazione, ma quando vide dove si dirigeva a passi di marcia sbuffò.
Nel cortile del Palazzo Reale c’erano i Leones!
«Vi abbiamo raggiunto!» urlò ancora Penelope facendo girare molti turisti. «Di fronte alla nostra intelligenza non serve a nulla la vostra conoscenza della città, che tra l’altro trovo molto sleale».
Saverio alzò gli occhi al cielo. «Ma quale intelligenza? La tua?».
«Come osi?».
«Vi stavo cercando» disse una voce costringendoli a voltarsi: era il professore di Storia dell’Arte che avevano conosciuto ad Asti. «Ma ho riconosciuto la sua voce».
Samuele si coprì la bocca con una mano per nascondere il suo sorriso divertito: quello era decisamente un insulto.
Penelope Silvestri gonfiò il petto e gli lanciò un’occhiataccia. «Adesso dovrei dire qualcosa come “è un piacere rivederla”, ma sinceramente non mi va di dire bugie».
«Sentimento reciproco» replicò lui. «Sarò la vostra guida».
«Perché?» chiese Penelope.
«Perché sto scrivendo un saggio sul Palazzo Reale e mi è stato chiesto esplicitamente di farlo».
«Ed è anche pagato».
«Naturalmente, in caso contrario non sprecherei il mio tempo con lei».
Gli occhi di Penelope lampeggiarono, ma Ambra le strinse il braccio e le fece cenno di tacere.
«Come senz’altro saprete» e qui lanciò un’occhiata a Penelope, «il Palazzo Reale è uno degli edifici più antichi di Torino. Nelle stanze di questo imponente palazzo sono stati ospitati nobili, politici e rappresentati di Stato stranieri. Come potrete vedere quando entrerete all’interno, i saloni sono molto belli».
«Ci vuole una laurea per sapere queste cose» borbottò Penelope beccandosi varie occhiatacce.
«Il palazzo è stato progettato dall’architetto Amedeo di Castellamonte ed è stato residenza dei Savoia fino al 1865. Volutamente, con il suo evidente significato politico, lo stile architettonico si rifà alla reggia di Versailles».
Penelope sbadigliò palesemente. «Scusi, parlerà ancora a lungo?».
Il professore le lanciò un’occhiataccia. «No, ho finito. Visitatelo da soli».
«E dove troveremo l’indizio?» chiese Saverio.
«Non lo so».
«Lo sta facendo apposta!» lo accusò Penelope.
«Lo dimostri» replicò il professore. «Buona visita». Fece un breve inchino, alquanto derisorio, e si allontanò.
«Complimenti, ora ci toccherà cercherà in ogni angolo di questo palazzo! E se non te ne sei accorta, è enorme!» sbottò Saverio. «Andiamo» disse ai figli.
«Beh, Rinaldi ha ragione» sbuffò Ambra. «Non puoi stare zitta almeno quando serve?».
«Non sopporto quell’uomo. Muoviamoci, è la nostra possibilità di superare i Leones».
Ambra lanciò un’occhiata sconsolata al palazzo e si avviarono verso l’ingresso.
 
La più felice di quella visita, però, era Maria. Era già stata da piccola nel Palazzo Reale, ma era passato troppo tempo.
All’ingresso aveva comprato una brochure che descriveva il Palazzo. «Questo piano è definito Primo Piano Nobile…» disse leggendo ad alta voce.
«No, ti prego» la zittì Ludovico. «Ha appena finito quello. Stai zitta, troviamo l’indizio e andiamo a pranzare».
Maria sbuffò e s’imbronciò: non trovava mai nessuno con cui condividere la sua passione per l’arte. In compenso la necessità di trovare l’indizio li costrinse a visitare tutte le meravigliose sale, da quella Cinese, - rimase per tutto il tempo con il collo in alto per ammirare gli affreschi della Galleria di Daniel, pittore austriaco di fine ‘600, la sala del Trono, l’appartamento d’inverno del re. Tutto. Ogni stanza. Fu meraviglioso. Non disse nemmeno di aver visto  una busta rossa sotto una sedia particolarmente rifinita al secondo piano, si godette il giro e solo dopo li condusse lì e fece finta di accorgersene.
«Oh, era ora» commentò Ludovico.
«C’è solo una busta» sbuffò Saverio. «Penelope Silvestri ci ha fregati! Come abbiamo fatto a non vederla prima?».
«Chissà» replicò Maria. «Che cosa dice?».
Saverio si schiarì la gola e lesse: «Oh, viandante quasi a metà del tuo viaggio già sei.
Orsù, fermati e ristora le tue membra e il tuo animo laddove anche il Conte Benso di Cavour prese posto».
«Ottimo, si va a mangiare» disse Ludovico.
«Ma dove?» chiese Maria.
«Ristorante del Cambio» rispose Saverio mettendo il biglietto in tasca.
«Ci offrono il pranzo lì? Che forza!» strillò Ludovico precedendoli a grandi passi fuori dal palazzo.
 
Il Ristorante del Cambio era veramente meraviglioso: sale più antiche si intrecciavano a quelle più moderne. A Maria piacque molto. Non ci era mai entrata. Suo padre invece doveva esserci stato altre volte, probabilmente con i colleghi. Era decisamente un ristorante di lusso.
Furono fatti accomodare dai camerieri e li fu servito persino un piccolo aperitivo. Poi andò il cuoco a salutarli e disse loro che, considerata la natura della gara, era già stato scelto un menù tipico, anche se a lui piaceva rinnovare un po’ i piatti.
Ludovico fu senz’altro il più felice.
Per antipasto mangiarono il vitello tonnato, un piatto della tradizione torinese molto delicato e servito freddo. Il cuoco li spiegò che era stato realizzato con uno taglio di carne di fassone, marinata nel vino bianco e aromatizzata variamente. Il nome del piatto deriva dalla salsa tonnata che ricopre le fette di carne.
A Maria quasi divertiva sentir parlare lo chef, perché assomigliava a artista che descriveva la propria opera.
Per primo, invece, furono serviti gli agnolotti alla piemontese. In questo caso vennero deliziati con la narrazione del fantomatico cuoco Angiolino, ipotetico inventore della ricetta. Maria aveva sempre pensato che fosse solo della pasta ripiena! Ciò che la colpì maggiormente fu la tendenza dei contadini – alla cui tradizione sembrava appartenere quel piatto - a non sprecare nulla tanto da creare quella pasta per riutilizzare gli avanzi di arrosto.
Infine il dessert fu il Bonét del Cambio, che altro non è che un budino servito freddo e preparato con amaretti, rum e ricoperto di caramello. Era difficile che mancasse sulle loro tavole nei giorni di festa.
Maria mangiò con vero piacere e Ludovico fece il bis di tutti i piatti.
«Ecco a voi signori, speriamo che sia stato di vostro gradimento».
«Oh, sì, tutto fantastico» replicò Ludovico.
«Quello è il conto?» chiese allarmato Saverio indicando il foglio arrotolato su un piattino, che il cameriere porgeva loro.
«Oh, no, signore. Come saprà è tutto offerto dal programma. Questo è il vostro indizio. Buona fortuna».
«Grazie» replicò Maria per tutti.
Ludovico, contento e sazio, aprì l’indizio e lesse:

“Tonio è un personaggio secondario de I promessi sposi di Manzoni. E insieme a Gervaso presenziò, in qualità di testimone, al matrimonio segreto. Agnese, la madre di Lucia, non era convinta di tale tentativo, ma cedette. Trovata, però, che fu fatale. Risoluto il curato don Abbondio mandò tutto a monte. Ordunque Renzo e Lucia, questi i nomi dei due fidanzati, dovettero trovare una soluzione. Cara a tutti costò quella notte. Arditi furono i due giovani a lungo da quel giorno. Rimasero divisi per molto tempo e vissero molte avventure. Innanzitutto, lui fu accusato di sedizione. Gertrude poi incontrò Lucia, ma era tutto tranne una suora. Nottetempo Lucia fu rapita. Ancora ardimento fu richiesto e non mancò a nessuno dei due, così come l’aiuto del Signore. Noi ora possiamo raccontarvi il lieto finale. Orbene i due tornarono nella loro casa e vissero felici e contenti”.
«Penso che la mia digestione ne risentirà» commentò Saverio.
«Credo che un caffè non sarebbe male» disse invece Ludovico cercando di attirare l’attenzione di un cameriere.
Maria sospirò: quella giornata si stava rivelando fin troppo lunga.
 
 
 
*
 
 
 
Samuele sedette immediatamente su una poltroncina rossa e si beò del fresco che regnava nella vasta platea.
«Samuele, non mi sembra il caso di stravaccarsi così. Non siamo a casa» lo richiamò Ambra.
«Lascialo stare» intervenne sorprendentemente Penelope. «Fa un caldo terribile e mi sa che abbiamo mangiato troppo».
Ambra sospirò, ma non ribatté: non era da tutti i giorni mangiare in un ristorante di lusso come quello in cui erano stati ospiti, quindi logicamente non si erano trattenuti. Naturalmente, dato il caldo e la caccia al tesoro in corso, avrebbero dovuto mantenersi leggeri.
«Il Teatro Carignano» disse Penelope guardandosi intorno.
«A quanto pare è molto antico» borbottò Ambra.
«Basta che non riappaia quel professore da quattro soldi».
Ambra si accigliò, ma non commentò.
Samuele, per conto suo, continuava a guardarsi intorno: era un posto enorme e la loro voce riecheggiava in modo impressionante.
«Dite che dovremmo cercare l’indizio a caso?».
«Non abbiamo molta scelta» replicò Penelope alzando le spalle. «Forza, Samuele, datti una mossa».
Samuele sbuffò. «Andate avanti voi» replicò. «Vi raggiungo».
«Sì, sì, molto furbo. Muoviti» lo redarguì Penelope.
«Lo sai che mi dà fastidio perderti di vista».
«Forse dovremmo dividerci le zone nelle quali cercare» disse Penelope, fissando le gallerie con aria stanca e seccata.
«Io controllo tutta questa fila» disse Samuele decidendo di alzarsi. «Voi l’altra. L’indizio potrebbe benissimo essere sotto una sedia».
«Va bene» assentì Ambra. «E poi controlliamo il palco».
«Dopo Asti avrei preferito non vederne più un uno» borbottò Penelope e Samuele, per una volta, non le poteva dare torto.
Nella platea non trovarono nulla e nemmeno sul palco.
«Oh, guarda chi c’è».
«Rinaldi» sbuffò Penelope. «Speravo proprio di non incontrarti per un po’».
«È reciproco» replicò Saverio avanzando in compagnia di Maria e Ludovico.
Samuele sorrise all’istante ai due ragazzi: Maria aveva i capelli legati in una coda stretta e leggermente disordinata, ma era comunque molto carina.
«Bene, allora sparisci» ribatté Penelope palesemente infastidita.
«Con vero piacere, ma prima, per caso, avete trovato qualcosa?».
«No, ancora n-» iniziò Samuele sorridendo a Maria.
«Zitto tu! Sono i nostri avversari!» lo redarguì la zia con un’occhiataccia.
Samuele si zittì dispiaciuto: avrebbe volentieri continuato la ricerca con Maria anziché con la zia che stava diventando sempre più irritabile.
«Diamo un’occhiata ai palchi allora» disse Saverio ai figli.
«Eh, bravo, lo stupido!» sbottò Penelope fulminando Samuele. «Ora ti sbrighi e ti fai il giro dei palchi anche tu».
Samuele sollevò gli occhi, scorse rapidamente le file di palchi e poi tornò a fissare la zia chiedendosi se fosse pazza.
«Tranquillo, ti aiuteremo anche noi» sospirò Ambra.
E così ripresero a cercare. Samuele fu fortunato e, in caso contrario chi l’avrebbe sentita la zia, in uno dei palchi, adagiato su una sedia di velluto rosso, trovò due Vangeli. Ne prese uno e lo guardò con attenzione, accorgendosi che un segnalibro dorato segnava una pagina ben precisa con dei versetti sottolineati. Quello doveva essere l’indizio, ma non gli sembrava che vi fosse nessun gioco enigmistico: era un brano della Passione di Cristo, precisamente la parte finale dedicata alla sepoltura.
Non aveva la minima idea come comportarsi questa volta, ma comprese che era meglio non mettersi a urlare e attirare l’attenzione: i Leones stavano controllando i palchi opposti e la zia non avrebbe gradito se li avesse aiutati. Prese il Vangelo e lo ripose nello zaino, poi andò a cercare la mamma e la zia. Dovevano svelare il nuovo indizio e procedere, magari preservando il vantaggio che avevano guadagnato.
 
 
 
 
  *
 
 

«Ma che ci dobbiamo fare qui?» si lamentò Ludovico.
«Zitto» lo redarguì Saverio. «Siamo pur sempre in chiesa».
«La cappella della Sacra Sindone è molto bella» bisbigliò Maria guardandosi intorno. C’erano stati più volte naturalmente, grazie a visite d’istruzione varie. «Hanno impiegato più di ottanta anni per costruirla».
«Sai che roba» borbottò Ludovico, beccandosi un’occhiataccia dal padre.
Maria lo ignorò e continuò a osservare il lavoro compiuto secoli prima dall’architetto barocco Guarino Guarini, che aveva portato a termine il progetto di Bernardino Quadri. Si chiese se un giorno il suo nome sarebbe mai stato legato a un’opera del genere. L’unico modo per rendere eterno l’uomo.
«Cominciamo a rovistare?» chiese Ludovico, ma poi alzò le mani in segno di resa quando vide l’espressione dei suoi compagni di squadra. «Va bene, va bene, siamo in chiesa. Allora che facciamo?».
Saverio si passò una mano tra i capelli: non ne aveva la minima idea.
«Guardate la cupola» attirò la loro attenzione Maria. «Non è fantastica? Sei giri di archi sovrapposti e disposti in modo da restituire in pianta la proiezione di esagoni ruotati in degradazione prospettica…».
«Dov’è l’indizio?» la interruppe Ludovico.
Maria lo fulminò. «Quale indizio?».
«Quello che stiamo cercando».
«Sei un ignorante!».
«Ragazzi, per favore» sbuffò Saverio. «Fa un caldo terribile e sono le tre del pomeriggio. Maria non è il momento di fare la guida turistica».
Maria si gonfiò per la rabbia e strinse le braccia al petto. «Bene, allora arrangiatevi. Chiamatemi quando avrete trovato l’indizio».
«Non abbiamo bisogno del tuo aiuto» replicò Ludovico.
Saverio sospirò, ma lasciò perdere non avendo alcuna intenzione di discutere con loro.
Come promesso Maria non mosse un dito e i due uomini impiegarono almeno un quarto d’ora per trovare il nuovo indizio.
«Eccolo» disse Ludovico strappando un foglietto dalla recinzione di marmo che divideva l’altare, dov’era conservata la Sacra Sindone, dal pubblico. «È un articolo di giornale» aggiunse perplesso mostrandolo al padre.
Maria li raggiunse subito, segno che non li aveva persi d’occhio nemmeno per un istante.
«È datato 11 gennaio 1821» lesse Saverio.
«Wow, prepariamoci a un viaggio del tempo» celiò Ludovico.
«Te l’hanno mai detto che sei proprio stupido?» proruppe Maria che ancora non l’aveva perdonato.
«L’articolo parla dell’arresto di alcuni studenti universitari, accusati di far parte di un’associazione segreta. Il giorno dopo sono scoppiati disordini e proteste da parte del corpo studentesco».
«E quindi?» chiese perplesso Ludovico.
«E quindi andiamo a dare un’occhiata nel luogo di cui parla l’articolo» disse Saverio. «Il Cortile del Palazzo dell’Università».
«Questa abbuffata di arte e cultura mi ucciderà» mormorò Ludovico. «Non possiamo fare merenda prima? Ho fame».
«Ma se hai mangiato un sacco a pranzo!» sbottò Maria.
«Ho digerito» replicò Ludovico, come se fosse ovvio.
 
 
*
 
 
Il silenzio pomeridiano, interrotto solo dall’ansimare affaticato e accaldato dei Threesome Strange, aleggiava sul cortile e sembrava quasi essere tornati indietro nel tempo.
Il porticato, le statue e i busti commemorativi di regnanti e accademici importanti colpiva la fantasia di Samuele. «Ma tutte le università sono così?» chiese affascinato.
«Dipende» rispose Penelope, visibilmente provata dal caldo e dalla stanchezza.
«Da cosa?» insisté Samuele.
«Da quanto tempo sono costruiti i locali che occupa» spiegò Penelope impaziente.
«Se te lo stai chiedendo, da noi le strutture sono abbastanza recenti. D’altronde l’università stessa è stata fondata alla fine degli anni ‘60» intervenne Ambra prima che il figlio facesse scoppiare la zia con le sue domande. Non ci teneva a sentirla sbraitare. Anche lei cominciava a sentirsi stanca.
«Non ci resta che cercare. Dappertutto» sospirò Penelope guardandosi intorno affranta.
«Almeno è più piccolo del Teatro Carignano» disse Samuele, guadagnandosi, però, un’occhiataccia della zia. «Che ho detto?» si lamentò.
«Lascia stare» ridacchiò Ambra.
Osservandole Samuele si chiese se da vecchio sarebbe diventato anche lui in quel modo: faceva caldo sì, ma non così tanto da lamentarsi in continuazione. Si mise a lavoro sperando che la zia fosse abbastanza allo stremo per cedere a una pausa in gelateria.
«Facciamo così» propose Ambra. «Samu, tu guardi tutte le statue; Penelope, tu il muro interno e io il colonnato esterno e il pavimento».
Samuele e Penelope non ebbero nulla da obiettare e così si misero a cercare seguendo uno schema per quanto possibile logico per non farsi sfuggire nulla. O almeno quella era la speranza.
Attaccata a una statua, verso la metà del portico, il ragazzino trovò la ormai familiare busta rossa e gridò in modo da richiamare l’attenzione della madre e della zia.
Penelope quasi gliela strappò di mano e l’aprì. Dopodiché imprecò abbastanza sonoramente da far ridacchiare Samuele e suscitare i rimproveri di Ambra.
Il ragazzino riuscì a impadronirsi del biglietto, mentre la madre cercava di tranquillizzare la sorella in preda a un principio di crisi di nervi.
Era un altro indovinello, com’era prevedibile: d’altronde se avessero raggiunto la meta ci sarebbero stati quelli della tv ad attenderli.
Lesse a bassa voce:


Oh, viandante, un ultimo sforzo devi or compiere.
Ormai la meta è vicina.
Recati laddove il fiume scorre placido e cammina fino al falso borgo.
Orsù, con attento occhio cerca e vedrai, presto, troverai la chiave del tesoro”.
 
Non suonava tanto male: dopotutto diceva che erano vicini alla fine e che avrebbero addirittura trovato la chiave del tesoro! Chissà perché la zia proprio non sopportava quei giochi, dopotutto era divertente!
Certo, bisogna capire quale fosse la prossima tappa: dal primo indovinello avevano scoperto che Torino era sorta su quattro fiumi, anche se, naturalmente, il più importante era il Po. E il fiume scorreva tutto sommato placidamente per tutta la città, anche perché erano in estate. Quindi avrebbero dovuto scoprire qualcosa su un falso borgo. Che fosse un cartellone pubblicitario o qualcosa di simile?
«Andiamo a prendere un gelato?» chiese alla madre.
«Sì, meglio» disse Ambra.
«Sì, un posto con l’aria condizionata» assentì stranamente Penelope.
«Non è che ti sei presa un’insolazione? Già sei insopportabile di norma» borbottò Ambra, ma non ricevette risposta.
 
 
 
*
 
 
 
«Adoro questo posto» sospirò Ludovico espirando.
«Si muore di caldo» ribatté Maria. «Avrei preferito un luogo al chiuso e con l’aria condizionata».
«Siete sicuri che questo è il posto giusto?» chiese Saverio, guardandosi intorno. «Sono d’accordo che il fiume dell’indovinello è il Po, ma il falso borgo…».
«È il borgo medievale dentro il parco» lo interruppe Maria. «È falso perché è stato costruito alla fine dell’‘800 in occasione di un’esposizione universale».
«Se lo dite voi».
«Prima ci fermiamo al chiosco» disse Ludovico precedendoli.
Saverio e Maria lo seguirono, anche perché anche loro avevano bisogno di una pausa.
Il parco del Valentino era affollato di turisti nonostante il caldo ed era difficile muoversi senza urtare qualcuno. Il borgo doveva essere strapieno, anche se si avvicinava l’ora della chiusura.
Fu impossibile trovare un tavolino o una panchina libera, così i tre consumarono il loro gelato in piedi in un punto meno affollato.
«Secondo voi in che cosa consiste il tesoro?» chiese Ludovico.
«Non lo so» replicò Maria pensierosa. «Speriamo che sia qualcosa di bello».
«L’importante è che finiamo e recuperiamo qualche punto in classifica» borbottò Saverio.
«La tua rivalità con Penelope Silvestri raggiungerà vette parossistiche» sospirò rassegnata Maria.
Conclusa la pausa, la ragazza si assicurò che le bottigliette nello zaino fossero piene e poi si misero in cammino. Anche lei amava molto quel parco, ma, a differenza del fratello, lo preferiva in primavera quando c’era una temperatura accettabile e pochi turisti.
Il borgo medievale era stato costruito tra il 1882 e il 1884 e, nelle intenzioni dei suoi creatori, avrebbe dovuto essere rimosso subito dopo l’Esposizione, ma, com’era accaduto molte altre volte, alla fine la costruzione era rimasta.
Si avventurarono all’interno del borgo con una certa fatica.
«Dov’è che dobbiamo andare?» chiese Ludovico.
Maria estrasse l’indovinello dalla tasca e lo rilesse: «Niente. Dice solo di cercare con attenzione».
«Magnifico».
«Un ago in un pagliaio» sbuffò Saverio osservando affranto la fiumana di turisti che si riversava in quelle stradine dalla foggia antica.
«Ci dividiamo o rimaniamo uniti?» chiese Maria.
«Rimaniamo uniti. C’è troppa gente» borbottò Saverio.
«Guarda che non siamo bambini» si lamentò Ludovico.
«Lo so, ma vostra madre è stata categoria: se vi manca un solo capello al suo ritorno, se la prende con me».
Maria ridacchiò.
«Veramente pensavo di rasarmi» commentò Ludovico con un ghigno.
«Chiama tua madre e diglielo» replicò Saverio.
«Muoviamoci» gli esortò Maria scuotendo la testa.
Lì faceva ancora più caldo e non fu per nulla una visita rilassante, tanto che la ragazza arrivò a invidiare i turisti che allegramente erano interessati soltanto a farsi più selfie possibili.
Nonostante le premesse sconfortanti, fu, però, molto semplice trovare l’indizio successivo. Nella via del borgo dedicata ai prodotti tipici trovarono un vero e proprio comitato di benvenuto. Per un attimo pensò con sollievo che fossero giunti alla fine, ma in realtà erano solo commercianti torinesi, felici di un po’ di pubblicità su scala nazionale, che li offrirono tutte le loro specialità.
Ludovico e Saverio apprezzarono molto, Maria per conto suo trovava ironico che cercassero di farle conoscere la città in cui era nata e cresciuta.
Alla fine, dopo che ebbero ripreso fiato e si furono rinvigoriti a sufficienza – Ludovico sembrava leggermente brillo, ma non c’era da stupirsi dato l’entusiasmo con cui aveva degustato i vini ˗, un uomo, in abiti di foggia medievale, con un inchino le consegnò un sacchetto rosso di medie dimensioni.
I Leones ringraziarono e si allontanarono alla ricerca di un posto all’ombra. Solo a quel punto Mara tirò i lacci del sacchetto e ne tirò fuori il contenuto: una mappa muta, senza nomi delle vie, e con un enorme x nera disegnata su un punto, e una chiave.
«Proprio come Jack Sparrow» si esaltò Ludovico.
«Peccato che tu non assomigli per nulla a Johnny Depp» bofonchiò Maria.
«Sei solo gelosa. Le ragazze ad Asti non la pensavano così» ghignò Ludovico.
«Ragazzi, credo di aver capito dove dobbiamo andare».
«Davvero?» chiese Ludovico. «Allora andiamo! Non vedo l’ora di scoprire che cosa c’è dentro il forziere».
 
 
 
*
 
 
«Siete i Threesome Strange?» chiese loro un signore in giacca e cravatta.
Samuele lo soppesò per un attimo.
«Sì, ma non concediamo autografi» lo liquidò acidamente Penelope.
«Sono una tassista. Mi è stato chiesto di accompagnarvi alla prossima tappa».
«Non dovevamo spostarci a piedi?» chiese sorpresa Ambra.
«Sì, ma l’ultima tappa è lontana e impieghereste troppo tempo».
I tre seguirono l’uomo fino al suo tassì e si accomodarono.
Vi fu un momento di silenzio: loro tre si erano stretti nei sedili posteriori e il tassista li fissava dallo specchietto senza dar segno di voler mettere in moto.
«Che aspetta?» sbottò Penelope.
«Che mi diciate dove andare» replicò con ovvietà il tassista.
Penelope spalancò la bocca, ma era tanto sorpresa che non ne uscì nemmeno un improperio.
«Signora, al parco non vi hanno dato una mappa?».
«Sì» rispose Ambra, poiché Penelope non dava segni di ripresa, «ma non c’è scritto nulla. Solo una x». Gliela mostrò e il tassista annuì.
«Dovete guidarmi voi».
«Ah, ok» sospirò rassegnata Ambra. «Allora, vada dritto».
«Per quanto, signora?» chiese il tassista mettendo in moto.
Ambra osservò la mappa e bofonchiò: «Finché non raggiungiamo una curva che ci porta più vicino al fiume?».
L’autista si passò una mano tra i capelli. Samuele si coprì la bocca con una mano per non farsi vedere mentre ridacchiava: chissà se l’uomo si stesse chiedendo se l’avessero pagato abbastanza per sopportare un simile supplizio in un caldo pomeriggio di luglio.
«Dammi qui, lo guido io» intervenne Penelope. «Giri qui» urlò a un certo punto facendo saltare il povero autista, che però tirò dritto. «Che fa non sente?».
L’uomo, con una mano sul cuore, mormorò: «C’era il divieto d’accesso».
«E quindi? Non possiamo perdere tempo! La nostra è una gara, lo sa?».
Nessuno le rispose.
«Allora giri alla prossima».
«Ne è sicura?».
«Certo!».
Samuele si accigliò e, quando si rese conto che la zia stava seguendo una strada tutta sua, e non quella più lineare, si adagiò meglio sul sedile convinto di potersi concedere un pisolino.
«Signora, ma ne è sicura?» chiese nuovamente dopo un po’ l’autista. Ormai si era già asciugato la fronte con un fazzoletto almeno un paio di volte.
«Faccio io» sbottò Ambra riprendendosi la mappa ed estraendo una penna dallo zaino. Colorò il percorso di blu e poi porse la cartina all’autista. «Ecco, noi vorremmo che lei seguisse questo percorso».
Samuele fissò la madre: la disperazione rendeva geniali.
«Quanto ci vuole?» si lamentò Penelope dopo un po’.
«Se, come al solito, non avessi fatto di testa tua, non avremmo perso tanto tempo» replicò Ambra.
Samuele nel dormiveglia si accorse che stavano salendo in alto e che si stavano allontanando dal centro, che avevano visitato durante la giornata.
«Eccoci» disse l’autista parcheggiando.
«Era ora!» sbottò Penelope scendendo dalla macchina.
«Grazie» dissero Ambra e Samuele.
«Questa è la Basilica di Superga. Buona fortuna» concluse il tassista.
Alcuni addetti della televisione li affiancarono all’istante per controllare i microfoni e la telecamera che era stata loro affidata.
«Siamo pronti per la diretta finale» gli avvertì uno.
In effetti Samuele riconobbe immediatamente il giovane conduttore, il signor De Vecchi, la sindaca della città con la sua fascia tricolore, l’assessore Giannizzeri e un gruppo di uomini in giacca e cravatta di cui, avvicinandosi, distinse gli stemmi ricamati in alto vicino alla spalla sinistra: era senza parole, doveva essersi sbagliato per forza, eppure alcuni di loro li conosceva!
«Oh, no! Ci hanno fregato!» sbottò Penelope. Samuele seguì il suo sguardo e notò subito i Leones poco distanti dalle autorità.
«Oh, finalmente» li accolse Ludovico. «Quanto ci avete messo? Ci hanno costretto ad aspettarvi per vedere cosa c’è nel forziere!».
Maria salutò gentilmente, sebbene fosse altrettanto curiosa.
Penelope incrociò le braccia al petto e s’imbronciò.
Per fortuna sia lei sia Saverio sembravano troppo stanchi per litigare.
«Bene, signore e signori, benvenuti a questa quinta tappa del nostro meraviglioso viaggio attraverso il nostro bel paese!» trillò il giovane conduttore, segnando l’inizio della diretta e quindi della conclusione della gara. «Vi invito a un minuto di silenzio per ricordare il Grande Torino e la strage del 4 maggio 1949».
Un silenzio quasi irreale si dispose sulla spianata di fronte alla basilica. Samuele conosceva quella storia, avendola sentita più volte. Era triste pensare che un’intera squadra di giovani calciatori fosse finita in quel modo. Alle volte il destino era spaventoso. Si costrinse a non pensarci e a prestare attenzione al conduttore che aveva ripreso a parlare. Fu più noioso del solito, in quanto oltre i soliti ringraziamenti e i saluti istituzionali, riepilogò gli indovinelli e i vari luoghi visitati.
«Concludiamo la caccia al tesoro» continuò il giovane conduttore e fece segno a Ludovico, che, tutto contento, si avvicinò allo scrigno, posto al centro, brandendo una chiave. Samuele si accorse che a loro mancava. Di quella ce n’era una sola.
«Wow» disse il ragazzo.
Maria e Saverio si avvicinarono per guardare.
«Siamo ricchi!» disse estasiato Ludovico, riempiendosi le mani di monete d’oro.
«Non per deluderti» intervenne il giovane conduttore, «ma sono di cioccolata».
Ludovico lo fissò a bocca aperta, poi sospettoso ne aprì una e se la ficcò in bocca imbronciato.
«Bene, inoltre abbiamo deciso di fissare un punteggio in base alla difficoltà dell’indovinello da decifrare e in base all’ordine d’arrivo nel luogo prestabilito. 10 punti per quelli difficili come il primo, quello di Palazzo Reale, Ristorante del Cambio, il parco del Valentino e infine quello che vi ha portato qui. I dieci punti vanno a chi è arrivato per primo, l’altra squadra ne avrà punti; per le altre tappe avranno 6 punti i primi, 3 i secondi. Bene, al primo posto abbiamo i Leones con 52 punti, secondi i Threesome Strange con 28».
«Anzi» sospirò Penelope, lanciando occhiatacce a Saverio.
«I vincitori di questa tappa saranno premiati dal presidente del Torino».
Samuele quasi non stava fermo per l’emozione.
«Che hai?» gli chiese la zia.
Come che aveva? Se i Leones venivano premiati da quelli Torino, allora loro sarebbero stati premiati da quelli della Juventus!
«Il premio è un borsone con la divisa e tutto il completo da calcio del Torino più un pallone firmato dall’intera squadra».
Ludovico si appropriò del premio.
«Bene, mi accontento delle cioccolate» borbottò Maria.
«I secondi vengono premiati dal presidente della Juventus».
Samuele era eccitatissimo quando strinse la mano del presidente, senza contare i tre giocatori portati in rappresentanza! Quasi svenne quando Dybala accettò di farsi un selfie con lui. I suoi compagni di scuola non ci avrebbero mai creduto.
«Il punteggio finale vede i Leones nuovamente in testa con ben 156 punti e, invece, secondi i Threesome Strange con 144» annunciò il conduttore. «Signori e signori, grazie, per l’attenzione, ci rivediamo domani ad Alessandria!».
 
 
Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!
Questo capitolo è molto più lungo degli altri, ma spero che vi piaccia lo stesso!

Il titolo naturalmente rimanda all'associazione segreta, la Carboneria, in quanto era mio intento far visitare luoghi alle due squadre legati al Risorgimento. 

I monumenti e i luoghi visitati sono tratti dagli Itinerari del Risorgimento realmente presenti su museotorino.it:

Itinerario 1 – I luoghi di comando
Cappella della Sindone

Itinerario 2 – Moti e cospirazioni
Cortile del Palazzo dell’Università degli Studi
Caffè Fiorio

Itinerario 3 – La modernizzazione
Parco del Valentino

Itinerario 4 – I padri della patria
Ristorante del Cambio
Museo egizio
Teatro Carignano
 

Ho voluto inserire la Basilica di Superga  in ricordo della strage del 1949. Sarebbe stato perfetto se fossi riuscita a pubblicare il capitolo a maggio, ma spero valga lo stesso.

Per quanto riguarda il Museo Egizio, ricordo di aver visto la sala descritta anni fa, ho provato anche a cercare delle immagini su internet ma quelle che ho trovato sono ben diverse dai miei ricordi.

A presto,
Carme93

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Capitolo 6
*** Ancora un giro di pedale ***


Capitolo sesto
 
 





 
Ancora un giro di pedale
 







 
“Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,
quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
diè a l'aure per primo il tricolore, 
Santorre
 di Santarosa

(“Piemonte” di Giosuè Carducci)
 
 
 




 
Il cielo era terso e luminoso. Si prospettava un’altra calda giornata di luglio.
Samuele si passò una mano tra i capelli e sorrise: la camera era inondata dal sole e, a parer suo, non c’era modo migliore di svegliarsi. Lanciò un’occhiata al letto accanto al suo e si rese conto che la madre dormiva ancora, così scese dal letto silenziosamente e si avvicinò all’ampia finestra per sbirciare fuori.
Erano arrivati ad Alessandria la sera prima, o, per essere pignoli, la notte prima: avevano preso l’ultimo treno della giornata per un pelo – sennò chi l’avrebbe sentita la zia Penelope? Personalmente avrebbe preferito pernottare a Torino e spostarsi la mattina a un orario decente, ma la zia non aveva voluto sentire ragioni. In compenso li aveva portati in uno degli hotel più belli della città – o almeno così aveva garantito lei - e sito nel centro storico, a pochi passi dalla stazione (anche se a Samuele dopo la caccia al tesoro, la distanza tra la stazione e l’hotel era sembrata infinita).
Adesso doveva ammettere di essere contento di trovarsi già nella città della nuova gara e di non dover alzarsi presto per viaggiare, ma la sera prima era troppo stanco per considerare ragionevole la decisione della zia.
Lui e la madre dividevano una camera doppia, mentre la zia ne aveva presa una singola per sé. Ricordava vagamente che, dopo un’estenuante discussione – che tra l’altro aveva rischiato di svegliare gli altri ospiti dell’hotel -, la mamma e la zia si erano accordate per incontrarsi per la colazione alle nove e mezza e in seguito avrebbero compiuto un tour della città, come suggerito dagli organizzatori del programma televisivo. A quanto sembrava avrebbero dovuto attendere l’ora di pranzo per scoprire che cosa avrebbero dovuto affrontare questa volta.
Erano ancora le nove meno dieci, ma non aveva voglia di tornare a letto, così approfittò del bagno ancora libero e si preparò con calma. Solo quando fu pronto, scosse la madre. Lei mugugnò, ma si alzò quasi subito.
«Volevi dormire ancora?» le chiese Samuele.
«No, non sia mai che tu zia venga a buttare giù la porta per un minuto di ritardo».
Il ragazzino ridacchiò e approfittò del momento libero – e dell’assenza della zia ˗ per chiamare il padre e raccontargli con calma della caccia al tesoro, ma soprattutto del completo e del pallone autografato della Juventus.
«È possibile che andiamo solo in città dove non c’è il mare?» si lamentò restituendo il cellulare alla madre.
«No» replicò Ambra pazientemente, mentre sistemava il proprio zaino. «L’Italia è una penisola, no?».
«Speriamo di andare presto in Liguria allora, lì il mare è bello, no?».
«Oh, sì, ma stai tranquillo. Stiamo facendo una vacanza fuori dal comune e quasi gratis, non succede nulla se per un’estate non vai a mare».
Samuele le rivolse un’occhiata scioccata e non replicò.
Ambra sbuffò. «Su, andiamo a fare colazione».
La zia Penelope li attendeva già fin troppo combattiva, ma Ambra la costrinse a tener per sé i suoi piani strategici durante la colazione.
«Che ha il ragazzino?» chiese Penelope alla sorella, mentre procedevano sul largo marciapiede antistante l’hotel. Samuele procedeva davanti a loro, leggermente imbronciato.
«Nostalgia del mare e di casa, immagino» replicò Ambra stringendosi nelle spalle.
«Per il mare forse potremo rimediare. Ieri ho sentito delle indiscrezioni: a quanto pare questa è l’ultima tappa del Piemonte».
«Davvero? E dove pensi che andremo domani?».
«Non sono riuscita a carpire nulla» sbuffò Penelope. «Ma potrebbe benissimo essere la Liguria, no? Insomma dalla Valle d’Aosta siamo passati in Piemonte, quindi sarebbe logico andare in Liguria adesso».
«Speriamo, così almeno Samuele si distrae un po’».
«Dove andiamo?» chiese Samuele interrompendole.
«Potremmo andare al Duomo, a quanto pare il campanile è il terzo più alto d’Italia».
Penelope e Samuele annuirono non avendo proposte migliori.
 


 
*
 
 

 

«Basta» si lamentò Ludovico.
Maria lo ignorò e continuò a passeggiare tranquillamente. Non aveva mai avuto la possibilità di visitare Alessandria, ma era antica – da quanto affermava la guida loro consegnata, era stata fondata nel 1168 - e ricca di palazzi e, avendo l’intera mattina libera per visitarla, non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare il momento dal fratello. Personalmente aveva preteso di andare a visitare la cittadella, uno degli edifici militari più importanti d’Europa, costruita per volere del re Vittorio Amedeo II nel 1728. Non che apprezzasse particolarmente quel tipo di architetture, ma doveva ammettere che le immagini dall’alto erano sorprendenti: la pianta della cittadella è a forma di stella, con sei baluardi circondati da fossati. Un luogo decisamente impressionante. In più proprio lì per la prima volta era stato alzato il tricolore italiano nel 1821.
Perché Ludovico non si lasciasse travolgere dalla Storia che bisbigliava in quei luoghi, proprio Maria non riusciva a comprenderlo.
 Peccato che alcune costruzioni fossero rovinate, specialmente nella parte sommitale era evidente la mancanza di molte tegole.
Uno degli edifici, Salle d’artifice, era stato voluto da Napoleone Bonaparte.
 
«Dimmi che cosa c’è d’interessante in questo posto in rovina» borbottò Ludovico.
«Sei il solito ignorante!» sbottò Maria. «Lo vedi quel cippo?» gli chiese indicando il bastione di Santa Barbara. «È stato posto in ricordo di alcuni partigiani fucilati qui nel 1945».
«Ci sono gli spiriti, quindi?».
Maria gli tirò un pugno sulla spalla. «Idiota! È una cosa seria!».
«Lo so» sbuffò Ludovico. «Ma possiamo fare qualcos’altro?».
«Andiamo a vedere il Teatro delle Scienze» propose Saverio parlando per la prima volta.
«Basta che ci sia l’aria condizionata» disse Ludovico.
Maria incrociò le braccia al petto e li seguì seccata.
Il Teatro delle Scienze di solito il sabato apriva solo di pomeriggio, ma eccezionalmente per loro – il potere della televisione ˗ aprì anche la mattina.
La visita non fu terribile come Maria si sarebbe aspettata, ma anzi fu quasi interessante.
Il Teatro delle Scienze comprende il Museo di Scienze Naturali e il Planetario con il laboratorio di Astronomia.
Furono accolti da un video sull’origine e l’evoluzione della Terra e dopo seguirono un percorso che li portò fino al centro del pianeta, dove poterono toccare con mano delle rocce di origine vulcanica.
Ciò che, però, lasciò senza fiato Maria fu il circadiano: la registrazione dei suoni diurni e notturni della natura. Fu fantastico. Altrettanto la colpì la ricostruzione dei miti legati alle costellazioni che ascoltò nel laboratorio astronomico.
«Non mi dispiacerebbe studiare scienze in un posto così» mormorò Maria.
«Nemmeno a me» disse Ludovico.
«Un miracolo» borbottò Saverio, scuotendo la testa ben consapevole di quanto Maria odiasse le discipline scientifiche.
La visita al Teatro aveva portato via quasi tutta la mattina ed erano in ritardo per il pranzo.
«Tanto senza di noi non iniziano» disse Ludovico.
Saverio gli lanciò un’occhiata di rimprovero, mentre Maria ridacchiò convinta, però, che per una volta avesse ragione.
 


 
 
*
 
 


 
La produzione aveva organizzato un pranzo ricco di piatti tipici della città. Leones e Strange Threesome furono invitati a sedere allo stesso tavolo, ma per fortuna sia Saverio sia Penelope erano troppo accaldati e affamati per battibeccare tra loro. E di ciò ne furono tutti grati.
Samuele, Maria e Ludovico presero posto vicini in modo da poter chiacchierare lontano dagli adulti.
«Non è che i tuoi figli voglio circuire mio nipote per strappargli informazioni sulle nostre tattiche?» chiese a bruciapelo Penelope.
Ambra le lanciò un’occhiataccia e si assicurò che il signor De Vecchi e il giovane conduttore, a tavola con loro, non avessero sentito. Alle volte Penelope era veramente imbarazzante.
«Circuire?» sbottò Saverio abbandonando il pane che stava sbocconcellando in attesa del primo. «Ma sei seria?».
«Serissima» ribatté Penelope. «Quei due sono figli tuoi si vede benissimo, ne sapranno una più del diavolo».
«Smettila» sibilò Ambra.
«Ora che mi hai dato la tua benedizione, non dovrò correre a effettuare il test di paternità» ribatté Saverio tagliente.
In quel momento per fortuna giunse il cameriere che servì gli antipasti: dei tavolieri pieni di salumi e formaggi vari. In particolar modo attirò l’attenzione degli ospiti sui salamini di Mandrogne, alcuni crudi altri cotti al forno al cartoccio con aromi e vino Barbera.
Il cibo non impedì a Penelope di replicare, anche se a voce bassa, beccandosi un calcio sotto il tavolo dalla sorella.
«Non esagerare e non diventare volgare» la rimbrottò. «E mangia».
«Guarda che non sono tuo figlio» borbottò lei che voleva per forza l’ultima parola.
Il resto del pranzo trascorse tranquillamente e la conversazione si spostò sulla gara. Nonostante le insistenze di Penelope, però, il signor De Vecchi non lasciò trapelare nulla sulla prova del pomeriggio né sulla meta successiva.
Gli agnolotti in brodo furono colti con un certo scetticismo dai presenti che avrebbero preferito rinunciare a un piatto tipico della città pur di non dover mangiare qualcosa di così caldo in una giornata estiva di per sé rovente.
Tutti, però, apprezzarono i rabaton – piccole polpettine ripiene di ricotta, erbette di campo e spinaci ˗ cotte al forno e non nel brodo, com’era anche tradizione e il pollo alla Marengo.
I dolci furono quelli accolti con maggior entusiasmo: tartufata di amaretti, polenta dolce di Marengo, la Giacometta – crema spalmabile alle nocciole ˗, amaretti, i biscotti della salute di Ovada e molti altri ancora.
«Magnifico» sospirò soddisfatto Ludovico stravaccandosi sulla sedia e ignorando il monito della sorella di star seduto più composto. «Dicono che questa è l’ultima tappa qui in Piemonte, come faremo senza il nostro buon cibo?».
Maria alzò gli occhi al cielo. «Non hai mai sentito dire: “Non di solo pane vive l’uomo”».
«Una volta ho litigato con la catechista per questa cosa».
«Il cibo è molto buono anche in altri posti» disse, invece, Samuele piccato. «Soprattutto al Sud».
Ludovico roteò gli occhi. «Non è vero».
«Sì, che è vero» ribatté il ragazzino.
«Trovate un altro modo, possibilmente più silenzioso e costruttivo, per digerire» sbottò Maria che non aveva alcuna voglia di sorbirsi discorsi sul cibo, soprattutto dopo tutto quello che avevano mangiato.
«Qualcosa di costruttivo? Io di solito dormo dopo pranzo, va bene lo stesso?» chiese Ludovico.
Samuele suo malgrado rise alla battuta.
«Non puoi dormire qui. Io proporrei di uscire fuori, così ci facciamo qualche foto mentre gli adulti chiacchierano. Ludovico, se vuoi, puoi dormire sul marciapiede».
«Oh, ma quanto sei spiritosa» borbottò il ragazzo.
Samuele sorrise e li seguì volentieri, consolandosi con il pensiero che prima o poi sarebbero andati anche nella sua città e allora li avrebbe fatto vedere e poi non poteva rinunciare a delle foto con Maria.
 


 
 
*
 
 


 
Nel pomeriggio il signor De Vecchi e il giovane conduttore li condussero al Museo della bicicletta, nato qualche anno prima da un’esposizione divenuta di fatto permanente. L’allestimento è nel Palazzo Monferrato nel pieno centro storico della città.
Qui li attendavano, oltre la solita squadra di cameraman e addetti della televisione che provvidero subito a microfonarli, anche una pletora di sindaci, assessori alla Cultura e addirittura il presidente della regione.
«Non staranno esagerando?» mormorò Maria, a disagio per quel dispiegamento di autorità e personaggi importanti.
Samuele gemette e non replicò: effettivamente le telecamere erano già difficili da sopportare.
Vennero accolti in una sala elegante del palazzo, dove già si erano posizionati un’infinità di giornalisti.
Le due squadre si schierarono alle spalle del giovane conduttore; le poltrone in prima fila erano riservate ai vari ospiti illustri, mentre il sindaco di Alessandria affiancava il presidente della regione entrambi accanto del signor De Vecchi e del conduttore.
«Buonasera a tutti!» esordì quest’ultimo. «Eccoci all’ultima tappa piemontese di questa magnifica gara! Non per nulla questa sera, ci ha onorati della sua presenza il presidente del Piemonte».
A quel punto si susseguirono i soliti noiosi e retorici saluti e discorsi di benvenuto pronunciati dal presidente e dal sindaco.
«Bene, non lasciamo ancora i nostri concorrenti nell’incertezza! In fondo è da stamattina che attendono trepidanti di scoprire che cosa dovranno affrontare» riprese la parola il giovane conduttore. «Signori e signore, le nostre due squadre dovranno affrontare una corsa in bicicletta… Oh, sì, sì, lo so che cosa state mormorando “Di nuovo?”, “Hanno già esaurito la loro invettiva?”. Eh, vi assicuro che non sarà una corsa normale e ci sarà da divertirsi».
«Non per noi» borbottò Penelope che non aveva dimenticato la ‘passeggiata’ in bici ad Aosta.
«Prima, però, visiteremo insieme il Museo della bicicletta. Sono sicuro che vi piacerà!».
«Ad Alessandria si ha la prima attestazione della presenza di un velocipede in Italia» prese la parola il sindaco. «Era l’estate del 1867 e all’improvviso un giovane, Carlo Michel, si mise in mostra con quello che venne definito un ‘ferreo destriero’, attirando l’attenzione di tutta la popolazione. Si trattava, nello specifico, di un ‘bicicletto’ e veniva prodotto in Francia. Il giovane l’aveva comperato all’Esposizione Universale di Parigi di qualche settimana prima. Alessandria nel 1898 è stata addirittura scelta come sede dell’Unione Velocipedistica Italiana. Nel 1896 venne fondata anche la fabbrica di bicicletta Maino, su una delle quali corse persino Girardengo! Senza contare il grande Fausto Coppi che è stato un nostro concittadino! Seguitemi e vedrete con i vostri occhi molte altre storie fantastiche nel nostro museo».
E così tutti si spostarono nella sala dedicata alla mostra. La visita fu decisamente impressionante, in quanto nessuno dei ragazzi e nemmeno degli adulti si era mai posto il problema di quanti modelli, alcuni anche abbastanza strani, avevano preceduto le biciclette alle quali siamo abituati oggi: alcune avevano manubri completamente ricurvi, altre delle ruote enormi.
Alla fine il giovane conduttore li condusse all’ingresso del palazzo e disse con un ghigno preoccupante: «La gara di corsa è particolare perché dovrete usare un velocipede. Sarà divertente, no?».
Penelope sbiancò, ma Saverio non fu più contento così non provò neanche a deriderla. I ragazzi, invece, ridacchiarono alla prospettiva e forse credendo che fosse uno scherzo.
Un lungo tratto di strada era stato chiuso e la polizia vigilava attentamente. Su un lato del marciapiede, coperti fino a quel momento da un telone, vi erano sei velocipedi. I ragazzi smisero di ridere.
«Come si sale su quei cosi?» borbottò Maria.
«Tu non puoi, hai le gambe troppo corte» replicò Ludovico. Maria gli pestò un piede, lanciandogli un’occhiataccia.
Effettivamente sembravano molto scomodi rispetto alle mountain bike o alle bici da passeggio alle quali Samuele, ma anche gli altri era abituati.
«Molto bene» continuò il conduttore, «il percorso è semplice, dovete seguire i segnali e la delimitazione – molto chiara, grazie anche all’aiuto della Polizia di Alessandria ˗, arrivare fino in fondo e tornare indietro. Verrà assegnato un punteggio in base all’ordine di arrivo: il primo otterrà 35 punti, il secondo 30 e man mano scalando di cinque punti. Naturalmente la squadra che otterrà più punti, vincerà questa tappa. Ora portate i velocipedi sulla linea del traguardo».
Probabilmente quello faceva parte della prova, perché i velocipedi erano allineati uno accanto all’altro e le due squadre cominciarono a spintonarsi e a imprecare –Ludovico, Saverio e Penelope – nel tentativo di eseguire le istruzioni ricevute.
«Signori, con calma, la corsa non è ancora iniziata!» tentò il conduttore preoccupato che si ferissero ancora prima di cominciare.
Saverio sbuffò e cercò di darsi una calmata: spinse la ruota fuori dal blocco che la teneva ferma e, lentamente, condusse il velocipede alla linea del traguardo. Si chiese se cominciasse a essere troppo vecchio per quel genere di attività. Comunque calcolò che con una buona spinta non avrebbe dovuto avere troppe difficoltà a partire. Si voltò e sussurrò quanto pensato ai figli che, nel frattempo, l’avevano raggiunto. Ludovico assentì all’istante e si strinse nelle spalle come se fosse troppo semplice per lui, mentre Maria lo fissò scettica.
«Lascia stare, lei può anche arrivare ultima» disse Ludovico prendendo posizione. «Ci penso io a raccogliere un po’ di punti».
Maria avvampò e replicò: «Lo vedremo!».
Anche gli Strange Threesome erano riusciti a portarsi sulla linea del via, così il giovane conduttore tutto felice strillò: «Pronti… Via!».
Saverio, con più difficoltà di quanto avesse previsto, mise in atto il suo piano e un po’ si dispiacque perché non vide Penelope cadere di sedere sull’asfalto, ma sentì solo le sue delicate parolacce che probabilmente, in prima serata, sarebbero state coperte da tanti bip. Ridacchiando rischiò di perdere l’equilibrio, ma riuscì a non cadere e non fare brutta figura. Ludovico lo superò senza problemi. Non poteva voltarsi e cercare Maria, ma poco dopo, barcollando in maniera preoccupante, lei gli si affiancò.
«Questa gara è pazzesca» strillò la ragazza. «Meno male che ci hanno dato dei caschi!».
Il percorso da compiere constava di circa due chilometri e sui lati della strada si era raccolta una folla di curiosi, che li additava, li fotografava, probabilmente girava video e ridacchiava. Sarebbe stato come quando passa il Giro d’Italia se non fosse stato che i sei ciclisti sembrassero quasi ubriachi.
 
Saverio rallentò l’andatura perché il caldo, nonostante fosse pieno pomeriggio, era ancora soffocante; in più Ludovico e Maria avrebbero guadagnato abbastanza punti per ottenere un buon risultato. D’altronde dei Strange Threesome, solo il più piccolo sembrava tenere testa a Maria, ma probabilmente non sarebbe riuscito a raggiungere Ludovico, che, grazie al basket, era molto più allenato.
A quel punto, però, apparve al suo fianco Ambra Silvestri cogliendolo di sorpresa. Ella sbandava leggermente, aveva il volto imperlato di sudore ma sembrava ben determinata a non mollare. Saverio si preoccupò rendendosi conto di aver sottovalutato gli avversari. Non ebbe il tempo di chiedersi che fine avesse fatto Penelope che un tonfo fece sobbalzare lui e Ambra. I due si voltarono all’indietro di scatto perdendo così l’equilibrio: Saverio strinse il manubrio per riprendere l’assetto precedente e imprecando contro i freni così diversi da quelli odierni; Ambra ebbe meno fortuna, ma riuscì a cadere allungando le mani davanti a sé e senza farsi schiacciare dal velocipede.
E, naturalmente, la causa di tutto ciò era stata Penelope! La donna, totalmente incapace a stare su due ruote, indipendentemente dalle fattezze del veicolo, era andata a sbattere contro un palo della luce facendo scappare gli spettatori e, straordinariamente, senza investire nessuno.
Furono le Forze dell’Ordine a intervenire per soccorrerla, ma Penelope con la sua consueta testardaggine non aveva alcuna intenzione di abbandonare la gara. «Rimettetemi in sella!» gridò ai due poliziotti.
Ambra, dopo aver costatato che la sorella stesse bene, con non poca fatica risalì sul velocipede e tentò d’inseguire Saverio che, nel frattempo, si era allontanato.
Nel gruppo di testa, come nella precedente gara ciclistica che avevano affrontato, c’erano i ragazzi: Samuele era ben intenzionato a superare Maria questa volta e non lasciarsi fregare, mentre Ludovico scherzava e si metteva in mostra con le ragazze ai bordi della strada e un paio di volte si fermò anche per concedere dei selfie, suscitando l’irritazione della sorella.
Samuele, all’ennesima pausa di Ludovico, decise che ne avrebbe approfittato come la tartaruga con la lepre, doveva solo impegnarsi un po’ di più e non ricommettere l’errore della volta precedente: avrebbe rallentato prima e poi ci avrebbe dato dentro alla fine. Arrivato alla fine del percorso girò con una certa fatica, ma, a differenza di Maria, non fu costretto a scendere e questo gli diede un certo vantaggio su di lei. Ludovico sembrava instancabile, nonostante il caldo.
Il ritorno sembrò più veloce dell’andata e i tre ragazzi avevano distanziato abbastanza gli adulti; Saverio e Ambra si affiancavano e avevano già concluso metà del percorso, mentre Penelope aveva molte difficoltà e rallentava per insultare gli spettatori che ridevano di lei.
«Attenzione, signori, i primi stanno per giungere al traguardo» strillò il giovane conduttore.
Samuele accelerò proprio come si era ripromesso, ma Ludovico era una persona molto competitiva e, ben diversamente dalla lepre, si concentrò sull’ultimo tratto e tagliò il traguardo per primo. Il ragazzino si accontentò del secondo posto. Maria giunse poco dopo di lui.
Saverio si aggiudicò il quarto posto e Ambra il quinto; Penelope con molta fatica completò il percorso una decina di minuti dopo gli altri, questa volta però raggiunse il traguardo in sella al velocipede.
«Bene, signori, mentre le due squadra riprendono fiato i giudici provvederanno a calcolare i punteggi» disse il conduttore.
I membri delle due squadre si riunirono ai margini della strada, dove alcuni addetti presero in custodia i velocipedi, altri si affrettarono a portar loro da bere e da mangiare.
«Ecco il punteggio, signori e signore… I vincitori di questa gara sono i Leones con 80 punti!».
Il pubblico presente, che ormai aveva imparato a conoscerli grazie alla televisione, applaudì ed esultò. Ludovico salutò alcune ragazze più vicine.
«Smettila» sibilò Maria imbarazzata.
«Gli Strange Threesome hanno totalizzato 55 punti» continuò il giovane conduttore. «I Leones vincono un cappello ciascuno firmato Borsalino, mentre gli Strange Threesome si aggiudicano un paio di scarpe da tennis offerte gentilmente dalle associazioni sportive della città».
Ludovico si appropriò subito del suo cappello elegante e cominciò a mettersi in mostra, ignorando le lamentele di Maria.
Samuele per conto suo non si dispiacque troppo, anche perché la zia era troppo stanca per lamentarsi.
«Prima di annunciare l’attuale classifica, abbiamo un altro premio d’assegnare, il Premio Piemonte. Come saprete, Alessandria è l’ultima tappa di questa regione e abbiamo deciso di assegnare questo premio alla squadra che ha totalizzato più punti dalla seconda tappa della gara».
Le due squadre si avvicinarono al giovane conduttore in attesa di conoscere il risultato.
«Allora» riprese quest’ultimo, «il Premio Piemonte è dei Leones!».
Nuovi applausi e strilla riempirono la strada. Il presidente della regione consegnò una medaglia ciascuno ai tre membri della squadra e una targa a Saverio.
«Ancora un attimo di pazienza» intervenne il giovane conduttore tentando di attirare l’attenzione, «la classifica finale è la seguente: i Leones al primo posto con 236 punti, al secondo gli Strange Threesome con 199. Ringraziamo il presidente della regione, il sindaco di Alessandria e tutti gli altri primi cittadini del Piemonte che ci hanno accolto in questi giorni o che ci avrebbero voluto accogliere. Domani ci rivedremo a Pavia! La prossima regione è la Lombardia! Buona serata a tutti!».

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