Bay Yanlis - il romanzo

di Iaiasdream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** puntata 1 - part 1 ***
Capitolo 2: *** puntata 1 - part 2 ***
Capitolo 3: *** puntata 1 - part 3 ***
Capitolo 4: *** puntata 1 - part 4 ***
Capitolo 5: *** puntata 1 - part 5 ***



Capitolo 1
*** puntata 1 - part 1 ***


NDA: La seguente storia è la versione scritta dell'omonima serie Turca. Ho cercato di essere fedele ai dialoghi delle puntate.

Tutti i diritti sono riservati agli autori (Bay Yanlis)

Spero vi piaccia. Buona lettura.

 

 

RELAZIONI SBAGLIATE

Era tutto pronto e perfetto.

Qualunque oggetto in quella casa faceva intendere che Ezgi e Soner erano una coppia, anche il più piccolo gingillo era personalizzato. Dalle tazze, ai cuscini, perfino l'orologio tondo appeso alla parete dell'entrata riportava la loro foto insieme: sorridenti e felici. Perché era così che Ezgi si sentiva: felice. Finalmente aveva trovato il vero amore, quello che presto l'avrebbe portata all'altare, anche se Soner non le aveva mai fatto intendere che fosse d'accordo e che in varie occasioni, quando la ragazza chiedeva quando avrebbero fatto il grande passo, lui rispondeva sempre che non era il momento e che non si sentiva ancora pronto, malgrado questo, ad Ezgi non importava, era felice. In fin dei conti, aveva un uomo al suo fianco e perciò non sarebbe invecchiata zitella.

Quanti ne aveva cambiati? La prima delusione la ebbe ai tempi dell'università. Ma perché rivangare il passato? Il presente era diverso ed era quello che contava.

Ma il futuro?

Quando Ezgi entrò furtivamente nella casa in cui viveva insieme col suo amato, mai avrebbe immaginato che i suoi castelli costruiti meticolosamente per aria si sarebbero frantumati con un soffio di vento.

Era il giorno del compleanno di Soner. Aveva organizzato un piano per una festa indimenticabile. Aveva inventata la scusa di recarsi fuori Istanbul poiché sua mamma si era ammalata e doveva starle vicino. Così facendo, aveva trovato il modo per allestire la casa con palloncini, festoni e tavoli pieni di dolci; gli amici l'avevano raggiunta all'orario prestabilito, c'erano: sua cugina Cansu un'affascinate donna dai capelli ricci e biondi, accompagnata dal suo fidanzato Levent, un chirurgo plastico dai modi eleganti e dal temperamento esageratamente calmo; la sua amica d'infanzia Denise la bellissima avvocatessa sicura di sé e incline a diffidare di ogni uomo, seguita da altri conoscenti, amici del festeggiato.

Per la seconda volta, la giovane innamorata pensò che era tutto perfetto. Doveva esserlo. Chi meglio di lei conosceva quel lavoro? Organizzare feste era il suo pane quotidiano.

Tutta eccitata, consegnò ai presenti cappellini a punta e fischietti, chiamò Soner per sapere se sarebbe rincasato presto, dopodiché ordinò agli altri di nascondersi e di prepararsi all'arrivo del giovane, mentre lei afferrava lo spara-coriandoli e si accostava dietro alla porta della sala da pranzo.

Come le aveva detto nella chiamata, Soner non tardò molto, ma invece di ricevere la sorpresa, ne fece una lui.

Fu troppo tardi per metabolizzare quello che stava accadendo, Ezgi aveva sparato e i coriandoli trionfarono nell'aria con tutti i loro sgargianti colori. Volteggiarono lentamente, come una moviola, davanti ai suoi occhi la cui lucentezza si stava repentinamente spegnendo, osservando con tutta delusione la scena che gli si stagliava difronte: c'era un'altra donna accanto a Soner, e a giudicare dagli atteggiamenti intimi e dall'espressione sgomenta del ragazzo nell'essere stato beccato, non erano affatto amici.

Ezgi vide i suoi tre anni di relazione sciogliersi come il ghiaccio.

E rimase di nuovo sola, triste e in lacrime.

TRE MESI DOPO

Denise la invitò una sera a cena. Ed Ezgi si presentò accompagnata da sua cugina.

Per tutta la serata non fece altro che parlare di Soner, esternando la sua rabbia, mentre mandava giù chicchi d'uva gialla e le sue amiche l'ascoltavano annoiate, sedute a un tavolo fuori alla veranda.

«Al posto di elemosinare il mio perdono, mi ha lasciata dicendo che la nostra relazione ha perso l'entusiasmo – diceva imitando in malo modo la voce del traditore – che ha provato a dirmelo, ma non me ne sono resa conto. Al solo pensiero, impazzisco! Non ci posso ancora credere!»

«Ed io non posso credere che stai così da tre mesi!» la interruppe esasperata Denise «Ripeti sempre le stesse cose, sei impazzita?»

«Denise!» intervenne Cansu lanciando un'occhiata di rimprovero all'amica.

«Che c'è? È ossessionata da Soner!»

«Allora dimmi!» riprese Ezgi «Se Soner avesse ragione, dov'è che starei sbagliando?»

«Non sai scegliere quello giusto!» rispose l'avvocatessa accomodandosi contro la spalliera della sedia.

Ezgi scrollò le spalle arresa.

«Esatto – aggiunse sua cugina – pensa agli uomini con cui sei stata.»

La ragazza fece una smorfia, ripensando a Koray. Anche per lui aveva preparato una sorpresa. Ricordò che quel giorno, non aveva accettato l'invito delle sue amiche di andare al cinema dopo le lezioni all'università. Come un'ingenua gli aveva fatto i suoi compiti e si stava preparando per andare a casa sua a preparargli una zuppa, poiché si era ammalato. Anche allora le ragazze l'avevano messa in guardia, ma lei non aveva voluto sentir ragioni e quando era giunta a casa del suo ragazzo, ad accoglierla era stata Burcu, una compagna di studi, seguita poi da un Koray semi nudo e imbarazzato dall'essere stato scoperto.

Fu una fine deprimente, ma a deprimerla veramente era stato Ugur, il quale le aveva regalato un'automobile rubata e per poco non era finita in carcere.

Ma quel farabutto non fu certo l'ultimo e non poté competere con Sinan. Bisognoso di soldi, le aveva fatto firmare una finanziaria, promettendole di pagare regolarmente ogni mese, dopodiché si era dileguato e qualche tempo dopo si erano presentati a casa sua degli ufficiali giudiziari.

«Va bene, ne ho abbastanza!» esclamò dopo essere ritornata al presente. «Mi sono fatta pestare i piedi da tutti e a via di ripensarci credo che diventerò pazza!»

«Se continui a metterti con certi uomini, molto presto impazzirai davvero.» sentenziò Cansu. «Ragazza mia, hai davvero voglia di dedicare la tua vita a questi tipi vuoti?»

Ezgi alzò il viso verso il cielo e gesticolando, rispose: «Non è colpa mia se lo voglio.»

«Ezgi, tu non lo vuoi. Lo scegli!» questa volta fu Denise a parlare «Tu vai dov'è l'uomo sbagliato! Sei come un parafulmine per questi tipi di uomini.»

«Ok. Non c'è bisogno di parlare ancora. Ho capito. Dopo questa ho finito con l'amore. Mi comprerò una dozzina di gatti. Sarò più a mio agio.»

«Anche un cane va bene», Denise sembrò d'accordo con quella decisione.

«Non essere stupida – la rimbeccò la dottoressa – nessuno ti sta dicendo che non devi più avere una relazione. Quello che devi fare d'ora in poi è: mirare all'uomo giusto e stare lontana da quello sbagliato. È così facile.»

«Quindi, se sei d'accordo con tua cugina, almeno prometti che non uscirai mai più con uomini sbagliati. Non lo farai!»

Ezgi allargò le labbra carnose in un sorriso perfetto e sicura di sé si fece strappare quella promessa.

***

La luna imperava sulla città di Istanbul mostrando la sua pienezza a quelle strade illuminate dalla movida. In una delle arterie principali, una jaguar* color cobalto sfrecciava a tutta velocità, lasciando la eco di una canzone al suo passaggio.

La guidava un uomo sulla trentina, bello da mozzare il fiato, sexy con muscoli che metteva in bella mostra indossando canottiere dal giromanica largo.

Sorrideva mentre si lasciava sferzare il viso privo di imperfezioni dal caldo vento estivo. Dopo qualche tratto fermò l'auto d'avanti al ristorante di lusso: la Gabbia dove lui ne era proprietario e dove ogni sera, le donne facevano la fila per incontrarlo e magari avere la fortuna di passare la notte nel suo letto.

Chi meglio di Ozgur Atasoy poteva appagarle?

Quella sera ricevette l'invito da tre ragazze, ma la sua scelta cadde sua una che ballava al centro della sala e si muoveva in modo sensuale senza togliergli gli occhi di dosso.

Ozgur non volle certo un invito, lasciò il locale in compagnia della donna e la portò nel suo appartamento.

Anche quella notte si divertì a modo suo, quello che lui voleva non era certo amore. Aveva perso interesse per quel sentimento da parecchio tempo e ormai vedeva la donna come un oggetto per sfogare i suoi istinti sessuali. E a giudicare dalla sua bellezza, non gli era difficile ottenerle.

A volte, però, dimenticava che ci sono donne alle quali non basta una notte di passione e che vivono di illusioni e convinzioni.

Ne ebbe la prova la mattina dopo. Fu svegliato dal suono del cellulare. Vedendo il nome di sua madre sullo schermo, decise di non rispondere e sprofondò la testa sul cuscino, ma ormai era sveglio e in quel barlume di lucidità si ricordò della sera prima, strisciando sul materasso, si guardò intorno e, trovando ancora gli abiti della ragazza rimorchiata nel suo locale, decise di alzarsi e cercarla. Si recò nel grande soggiorno dove il poster in bianco e nero di James Dean occupava una parete divisoria. Lì, con sua sorpresa, trovò la tavola imbandita e la ragazza, di cui non conosceva neppure il nome, stava sistemando i piatti, accogliendolo con un "Buongiorno, amore mio!"

Amore mio?!

La risposta di Ozgur fu un freddo "Buongiorno"

«Dal momento che non so cosa ti piace, ho preparato ricette diverse» trillò la ragazza tutta eccitata.

Ozgur si allontanò dal poster dell'attore e si avvicinò alla tavola, seccato.

«In frigo non c'era molto, così ho ordinato tutto. – riprese lei convinta, elencando poi i vari prodotti – a partire da oggi farò la spesa da casa.»

A quel punto il ragazzo le lanciò uno sguardo dubbioso, si grattò la testa, per poi passarsi la mano sulla barba e incrociare le braccia al petto. Ma che situazione è questa? Pensò. Decise quindi, di stroncare al più presto quell'increscioso malinteso. «Ascoltami – esordì – io non sono un tipo mattiniero. Di solito non faccio colazione la mattina, perché al mattino non mi piace nemmeno parlare – spiegò mentre lei lo ascoltava attenta, pizzicando qualche pezzo di formaggio dal vassoio centrale – Ma come puoi saperlo – riprese lui massaggiandosi nervosamente la nuca – ci siamo incontrati appena ieri sera.»

Seguì un breve silenzio, appaiato da un sospiro da parte del giovane il quale continuava a pensare a una scusa per liquidarla con galanteria. Poi gli venne un colpo di genio, tornò a guardarla e disse: «Dovrei partire, per questioni di lavoro.»

«Va bene, caro. – rispose l'ingenua – quindi riordino un po' la casa. Usciamo con il cane, oppure prepariamo qualcosa per stasera? Che ne dici se cenassimo fuori?»

Ozugur aveva trovato un osso duro. La ragazza non demordeva, così cambiò strategia per farle capire le sue intenzioni, guardò il suo cane Tesla che se ne stava a pochi passi da loro e li fissava con la lingua penzolante, poi si avvicinò a un tavolino accanto al divano e prese gli orecchini della ragazza porgendoglieli e raccomandandole di non scordarli quando se ne sarebbe andata, aggiungendo ancora una volta che aveva un aereo in giornata e che sarebbe stato a lungo fuori città, nel mentre che parlava l'accompagnò a rivestirsi e ad uscire da casa sua.

«Non preoccuparti, ti chiamerò quando torno.» le mentì sulla soglia della porta.

«Ma non ti ho dato il mio numero?»

«È vero, hai ragione. Lascia che sia io a trovarti, non ti preoccupare. Ci vediamo.» dopodiché le chiuse la porta in faccia.

Quando fu solo, si volse verso Tesla, che l'era rimasta accanto e la rimproverò amorevolmente: «Ma di che stava parlando, eh? Di che? Devi ringhiare contro di loro quando accade questo, e non essere calma! Andiamo a mangiare, adesso.»

L'unica cosa buona che quella donna aveva pensato era preparargli la colazione.

***

Malgrado la promessa fatta alla sua amica e a sua cugina, non erano passate nemmeno dodici ore che Ezgi si ritrovò stesa sul divano di quella casa che per tre anni aveva condiviso con quel lurido traditore, avvinghiata a un enorme pupazzo a forma di cane, a scorrere la sua pagina Instagram e a deprimersi ancor di più nel constatare che Soner aveva cancellato in un niente la loro relazione, lasciando il posto alle foto con la nuova ragazza.

La rabbia di Ezgi aumentò quando vide l'immagine della coppia felice, negli stessi posti che quel mascalzone aveva condiviso con lei.

«Idiota!» mormorò singhiozzando

A un tratto la schermata di Instagram scomparve e il telefono iniziò a squillare, avvisando una video-chiamata. Era sua madre.

Di scatto, la ragazza si mise a sedere sul divano e si asciugò alla bel e meglio il viso, stirando le labbra in un sorriso smagliante, intenzionata a cancellare ogni traccia della sua tristezza.

Conosceva sua madre come le sue tasche e sapeva che se le avesse fatto intendere il suo stato d'animo, avrebbe avuto da ridire. Infatti, come volevasi dimostrare, la prima cosa che la donna le disse fu: «Figlia mia, cos'è quella faccia? Non dirmi che stai pensando ancora a quel verme intestinale?»

Ezgi non rispose.

«Sono passati tre mesi, Ezgi. Tre mesi – riprese sua madre – Sai quanto durano tre mesi per una donna? Soprattutto per una donna della tua età! Quando avevo io la tua età, stavi già frequentando la scuola elementare, ragazza!»

«Mamma, i tempi sono cambiati...» disse sua figlia accennando un lieve sorriso.

«I tempi sì, ma la fisiologia femminile no. Quando avrai intenzione di sposarti e di fare un figlio, sarà troppo tardi. – si lamentò la donna, poi abbassando il tono di voce, aggiunse: - Ascoltami, verrò la prossima settimana, faremo congelare le tue ovaie. Va bene, figlia mia?»

«Va bene, mamma. Ora devo lasciarti, sono in ritardo per lavoro. Chiudo.» rispose Ezgi sconcertata, poi vide comparire davanti allo schermo Unal l'amato patrigno che le raccomandò di portarsi appresso un ombrello, avvisandola che ad Istanbul prevedeva pioggia. La ragazza ringraziò in fretta e in furia e dopo aver salutato, chiuse la chiamata e andò a prepararsi.

Si sarebbe recata all'agenzia matrimoniale in cui lavorava, sicura che i cattivi pensieri le avrebbero dato tregua.

Quando entrò nella sua cinquecento bianca, con un paio di ali finte sulla cappotta che svolazzavano al vento, accese la radio e impostò la sua stazione preferita.

Una voce che emanava tranquillità diceva: "Iniziamo il nostro viaggio mistico con respiri profondi..."

Ed Ezgi iniziò a fare come suggeriva la voce.

"Inspirate dal naso ed espirate dalla bocca. Respiriamo profondamente aria pulita..."

A quel punto dal finestrino entrò una nuvola di fumo di marmitta e la ragazza si ritrovò a tossire soffocata. Alzò subito il vetro, maledicendo l'autista che l'era passato davanti, poi cercò di riprendere la calma.

"Ripetiamo a noi stesse: sono preziosa, sono importante. Potrei aver preso le decisioni sbagliate, ma mi perdono, la mia vita è bella..."

Ezgi sorrise a quelle parole, e chiuse gli occhi.

"Sono molto fortunata..." disse la voce alla radio e in quello stesso istante: BOOM!

La testa della ragazza sbatté contro il sedile, rendendosi conto che la macchina si era fermata. Quado aprì gli occhi, davanti a sé vide un'automobile scura, e dal cofano della sua fuoriuscire del fumo bianco.

Dall'auto tamponata uscì un uomo pelato, in giacca e cravatta che la guardò torvo. Ezgi si fece minuscola, imbarazzata per quello che era accaduto, mentre la voce alla radio ripeteva la frase "molto fortunata", alzò gli occhi al cielo con esasperazione.

Anche la radio sembrava prenderla in giro.

Il carroattrezzi non tardò ad arrivare, lo vide allontanarsi trainando la cinquecento e scrollò le spalle con la consapevolezza di essere rimasta a piedi. Per di più era in ritardo per il lavoro, cos'altro poteva andare storto? Si chiese, mentre attraversava la strada.

Per fortuna che era una bella giornata e le sarebbe bastato per non stressarsi ulteriormente. Non aveva portato neppure l'ombrello con sé, non aveva intenzione di essere pessimista anche con il tempo, ma le sue aspettative in sole poche ore sembravano non accontentarla.

La pioggia cadde giù frenetica, bagnandola da capo a piedi. Ezgi si fermò sulle strisce pedonali e alzò il capo verso il cielo, gettando un urlo di rabbia, poi si mise a correre per raggiungere l'altro marciapiede e cercare di fermare un taxi.

Il primo che passò era pieno, provò col secondo e niente, il terzo non se lo fece sfuggire. Ignorò l'acqua sull'asfalto che le bagnava i piedi e corse verso il veicolo.

Entrò.

***

Il sole accarezzava la sua pelle perfetta, elargendogli un colore caramellato.

Steso sulla sdraio, fuori in veranda, all'ultimo piano di uno dei grattaceli lussuosi di Istanbul, Ozugur parlava al telefono con la sua apprensiva mamma. Pur sapendo l'argomento della donna, non aveva potuto non chiamarla, sarebbe stata capace di presentarsi a casa sua, seguita da una schiera di investigatori. Non rinunciò comunque al suo relax e lasciò che la donna si lamentasse come sempre. Da un po' di tempo si era fissata con il matrimonio. Voleva che suo figlio si sposasse, che desse un erede al cognome Atasoy. E quella mattina, non contenta dei suoi insuccessi nel tentativo di convincere suo figlio, tirò in ballo sua zia, dicendogli che la stressava a causa del fatto che non avesse ancora un nipote. «Non ho il diritto di assaporare questa felicità, figlio mio? Mio bellissimo figlio!», aveva la voce incrinata.

«Ma per fortuna Ebru si sta per sposare, mamma. Dille di sbrigarsi.»

«Che fai, cambi discorso? – lo rimproverò sua madre – Quanti anni hai? Tua sorella minore si sta per sposare e tu non mi hai ancora presentato una ragazza. Sposarsi, costruire una famiglia. Non vuoi diventare padre? Avere un figlio?»

A quelle parole, Ozgur si infastidì, ma non rimosse la sua calma, così rispose: «Mamma, non sono ragionamenti da farsi a prima mattina. Che t'importa di quello che dice la zia?»

«Oh, ma tu non sai che quando nascesti, tua zia era molto felice di sapere che fossi un maschio. Diceva che così, il cognome Atasy non si sarebbe estinto. Lo sai, tesoro: il nostro cognome sei tu! Se in questa famiglia non entra un nipote, finirà.»

Ozugr era ormai stufo di sentire sempre la stessa storia, così decise di porre fine a quella chiamata. «Mamma, ho fretta adesso. – mentì - Sono tanto impegnato con il lavoro. Possiamo parlare dopo?»

«Va bene, figliolo, va bene. Torna al tuo lavoro.» e con un paio di schiocchi di labbra si salutarono.

Il giovane si accomodò sulla sdraio, dimentico di quello che le aveva detto la madre e deciso a godersi ancora un po' il sole, prima di tornare davvero ai suoi doveri.

Quando fu in garage si accorse che la sua auto non era al suo posto, si guardò intorno, poi uscì nell'atrio per chiedere spiegazioni ad Haydar l'addetto alla sicurezza del palazzo, un ragazzo tarchiato e con un paio di baffi che celavano un costante sorriso. Lo salutò cordialmente chiedendogli se avesse visto la sua auto.

«Buongiorno, signor Ozgur. Uscì ieri mattina con la jaguar blu e tornò in taxi, quasi ventidue ore dopo.»

«Non dirlo. Ne sei sicuro?» lo prese in giro Atasoy, conscio della sua indiscutibile memoria.

«Certo, Signor Ozgur. E se non si fida, ascolti, so anche che insieme a lei c'era una tipa alta un metro e settantatré, cinquantadue chili, indossava una gonna di pelle, una camicetta rosa, con orecchini a foglia d'oro...»

Ozgur sollevò una mano a mezz'aria per farlo smettere, «Sono abbastanza convinto – aggiunse – Amico, probabilmente sto trascurando il magnesio, la B12, o qualcosa del genere. Ho degli strani vuoti di memoria.»

Risero tutti e due, poi Haydar si avvicinò al suo orecchio sussurrandogli che per lui era un idolo e che grazie a lui vedeva ogni giorno delle belle donne.

«Ti ringrazio – rispose Ozgur soddisfatto – dài, trovami un taxi.» gli disse infine.

«Immediatamente, signore.» esclamò il portinaio scattando verso la cabina per comporre il numero. Dopo un po', avvisò il giovane che non era disponibile nemmeno un taxi e che avrebbe dovuto aspettare. Ma Ozgur non aveva voglia di sorbirsi anche i ragionamenti di quell'uomo, così decise di farsi una passeggiata fino al suo ristorante.

Lo salutò ignorando l'invito che questo gli aveva fatto per trovarsi e chiacchierare e se ne andò.

Dopo qualche minuto dicammino, iniziò a piovere, si sfilò il gilet di dosso per ripararsi e corseverso l'incrocio per cercare di fermare un taxi. Ne vide uno, gli lanciò unfischio, fermandolo, aprì lo sportello posteriore ed entrò.

 

 

*Jaguar: non conosco il modello di auto che Can guida nella puntata, così ho scritto Jaguar ^^'


 

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Capitolo 2
*** puntata 1 - part 2 ***


TRA INTERVISTE E FALLIMENTI

 

 

Si guardarono per qualche istante; lui indifferente, lei con aria infastidita, cercando di scrutare i suoi occhi sotto le lenti scure.

«L'ho fermato per prima», fu Ezgi a rompere il silenzio.

«Per me non è un problema», rispose Ozgur.

«Non m'interessa! – ribatté la ragazza – potrebbe scendere, per favore?»

«È lei a sentirsi a disagio, quindi per quanto mi riguarda è lei a dover scendere.»

Quel battibecco attirò l'attenzione dell'autista che si volse verso di loro interdetto.

«Ed io le ripeto che sono stata la prima a fermarlo! Non è vero autista?» chiese a quel punto la ragazza intenta a non demordere, non aveva intenzione di sottomettersi alla pioggia. Non poteva presentarsi a lavoro in quelle condizioni.

L'uomo, sconcertato per essere stato tirato in ballo, fece spallucce rispondendo che non sapeva cosa dire, giacché li aveva visti entrare insieme. «Penso che farete meglio a parlarne tra di voi – aggiunse alzando le mani in segno di resa.

Ezgi scrollò le spalle, sconfitta, mentre Ozgur accennò un lieve sorriso, tornando a guardare davanti a sé.

«Dove siete diretti?» chiese il tassista a quel punto.

E all'unisono i due esclamarono: "Nasantasi".

Tornarono a guardarsi: lui fece un gesto con i pollici e i mignoli come per dirle "perfetto", lei gli indirizzò una smorfia, per poi mettersi comoda.

Che potesse sembrare un'assurda coincidenza al tassista non importò, ingranò la prima e ripartì inoltrandosi nella fitta pioggia e poiché il tragitto non era breve, Ozgur decise di sgranocchiare delle noccioline che aveva amichevolmente sottratto ad Haydar. Ne offrì alla ragazza che gli allontanò il braccio con riluttanza, e di certo lui non se la prese.

A tenere a bada il silenzio, che sarebbe sceso comunque, fu la radio, dalla quale una voce maschile squillò con: "Buongiorno, buongiorno, buongiorno! Aspettavamo una giornata di sole. Siamo difronte alla pioggia, improvvisa, sorprendente, inaspettata come l'amore! Proprio così. Come avrete ben capito l'argomento di oggi è l'amore..."

Ezgi ascoltò quelle parole perdendosi nei ricordi e subito la malinconia l'assalì, ma durò il tempo di un battito di ciglia, poiché l'uomo fastidioso che aveva al suo fianco la riportò alla realtà affermando che la voce alla radio diceva le stesse cose che lui stesso aveva sempre affermato e cioè che l'amore non è altro che l'aumento di ormoni nel corpo umano.

La ragazza alzò gli occhi al cielo voltandosi verso il finestrino alla sua sinistra.

Interessato a quel ragionamento, invece, parve il tassista che, abbassando lo specchietto retrovisore per rivolgersi al giovane sedutogli alle spalle, chiese: «Sembra proprio che lei sia esperto in certe questioni! Io a cinquant'anni non ho ancora capito come le donne si sentano felici nell'usarci. Paga il conto, paga le bollette, prendimi un regalo, comprami dei fiori, sposami»

«Devi sentirti pieno, amico.» mormorò Ozgur.

«Chi usa chi?» intervenne Ezgi ormai all'apice della sopportazione, attirando lo sguardo curioso dello sconosciuto che continuava a masticare con nonchalance. «Non siete in grado di togliervi i calzini dai piedi – continuò la giovane volgendogli un'occhiataccia – metterli nel cestino degl'indumenti sporchi, o di abbassare il coperchio del water. Ci trattate come schiave. Non siamo ai vostri servizi. Per non parlare della pulizia domestica: cucinare, lavare, stirare. E se c'è un bambino? Non sapete cosa sia portare avanti una gravidanze e partorire.»

Mentre lei continuava a sbraitare, Ozgur si tolse gli occhiali da sole e si pulì le lenti con un lembo della maglietta. Aveva inteso con che tipo di persona aveva a che fare. Quel suo parlare a vanvera lo aveva seccato, ma decise di stare in silenzio ad ascoltarla, e lei non si fece pregare. Lo prese come bersaglio, continuando a gettare a raffica le sue frecce.

«Se vi tagliate la punta del dito, piangete! – diceva indispettita – se gli uomini partorissero al posto delle donne, le persone di estinguerebbero!»

«È sposata?» chiese Ozgur approfittando di quel soffio di pausa.

«No!» rispose lei, acida.

Atasoy annuì intuitivo, «Non mi meraviglio che lei sia single»

«Come?»

«Mi lasci indovinare, è nervosa perché il suo ex non ha voluto sposarla, vero?»

Ezgi era irritata. Quell'uomo fastidioso aveva centrato in pieno, ma non poteva e soprattutto non doveva darglielo a intendere.

«Il mio consiglio è quello di adottare un gatto o un qualsiasi animale domestico per eliminare quel senso di solitudine. Aiuta a distendere i nervi.»

«Certo, certo!» lo zittì a quelle parole, decisa a voler scendere. Non le importava doversi fare gli ultimi metri sotto la pioggia, sarebbe stato meglio che ascoltare lezioni di vita da uno sconosciuto privo di tatto.

Si affrettò a pagare il tassista, scaturendo il disappunto del giovane che aveva intenzione di dare la sua metà del viaggio, ma lei non volle sentire altre ragioni e fermato il mezzo scese mandando al diavolo i due uomini.

Ozgur dal canto suo, dovette ammettere che quel pezzo di nervo di ragazza, non gli era stata indifferente e rimase a guardarla fino a che l'auto non ripartì e il velo di pioggia non inghiottì la sua silhouette.

 

***

 

L'agenzia di matrimoni Happy Moments si trovava proprio di fianco al famoso negozio Sephora. Ezgi lavorava in quel posto da più di sette anni, e aveva raggiunto una notevole carriera nell'organizzare eventi.

Aggiustandosi alla bell'e meglio i lunghi capelli inumiditi dalla pioggia passata, rimase ferma per qualche istante a fissare l'insegna rosa. Tirò un profondo respiro, cercando di distendere i nervi, poi sospirò ripetendosi che l'unica cosa importante per lei, da quel momento in poi doveva essere il lavoro, giacché non valeva la pena innervosirsi per qualcuno che, probabilmente, non avrebbe più rivisto.

«Non ha senso», sorrise guardandosi allo specchio dell'ascensore.

L'ottimismo aveva di nuovo fatto capolino nella sua mente.

Quando arrivò in ufficio, delle risate e dei vocii attirarono la sua attenzione. Si accorse che nella sala d'attesa, un gruppo di suoi colleghi stavano festeggiando qualcosa. Vi entrò curiosa, mentre un ragazzo alto reggeva una torta al cioccolato con sopra tre candeline e la new entry, una smorfiosa tutta tacchi e niente cervello, le spegneva in un sol soffio.

«Che sta succedendo qui?» chiese interrompendo l'atmosfera.

Quella che doveva essere la festeggiata, le mandò un'occhiata di soddisfazione, di chi ha l'ardire di giudicarti dall'alto, incrociò le braccia al petto, e pavoneggiandosi rispose: «Sono stata promossa a coordinatrice.»

Ezgi si sentì una scudisciata percorrerle violentemente la schiena, «Come? – balbettò reggendo un finto sorriso – Bebnem, hai appena iniziato a lavorare. Neanche sei mesi.»

La rivale si prese una ciocca fra le dita sorridendole beffarda.

Ezgi non sopportò oltre quella situazione e, senza aggiungere altro, si recò nello studio del suo capo. Vi entrò spedita, senza bussare.

«Cosa significa questo, signor Fahri? Il coordinamento era un mio diritto!» esordì furibonda.

L'uomo, che era occupato a guardare il suo smartphone, colto alla sprovvista lo lasciò sulla scrivania, volgendo la sua attenzione sulla ragazza. «Ezgi, hai perso due clienti, la scorsa settimana» rispose senza tanti preamboli.

«Sa che sto attraversando un brutto periodo, signor Fahri, gliel'ho spiegato!»

«Ok. Hai avuto un incidente con l'auto dell'azienda, oggi. Il nostro lavoro richiede attenzione e cura!»

«Signor Fahri. Faccio questo lavoro da sette anni, non c'è bisogno che me lo dica. Le ho portato tonnellate di soldi e clienti, quindi non può mettere al pari questi ultimi tre mesi! Ritorni sui suoi passi, altrimenti lascerò il lavoro!»

Ed Ezgi si ritrovò sulla soglia del portone con un pacco contenente tutti i suoi effetti.

No. La giornata non era incominciata bene e nemmeno era intenzionata a proseguire in meglio.

 

***

 

Gizem, l'avvenente coordinatrice de La Gabbia, si sentiva gli ormoni alle stelle. Il suo capo Ozgur Atasoy le aveva fatto un complimento, e per lei valeva molto, dato che a causa della sua posizione lavorativa ricevere attenzioni da parte dell'ambito play boy era impossibile, ciò bastò comunque a darle quella spinta in più per atteggiarsi a padrona del locale e a sciorinare il suo subdolo potere sui suoi sottoposti, il suo preferito era Emre, il barista strano e misterioso, sul quale sembrava possedere un potere di persuasione, infatti l'uomo era l'unico a conoscere il vero volto che Gizem celava dietro una maschera ben costruita dalle sembianze di ragazza gentile e amorevole.

Ad Ozgur sembrava sfuggire tutto questo, o tutt'al più non gl'importavano tali questioni. Entrò nella cucina, dirigendosi a passo spedito verso Ozan, lo chef suo migliore amico. Lo abbracciò congratulandosi per l'ottimo lavoro svolto la sera precedente, per poi fiondarsi sui piatti appena preparati, e assaggiarne il contenuto.

«Buon appetito!» rispose il cuoco, intento a mescolare le uova in una planetaria.

«Meraviglioso. Cos'è questo?» chiese il capo masticando con piacere.

«È una prova. Crema di gamberi.»

«Se l'aggiungerai al menù, sarà fantastico.» aggiunse Atasoy leccandosi le dita, «Ti do un consiglio: aggiungici un po' di noce moscata. Vedrai che sarà ancora più favolosa!»

Ozan non se lo fece ripetere due volte, grattugiò l'ingrediente indicatogli e lo assaggiò.

«Com'è?» chiese Ozgur.

«Ottimo!» rispose lo chef ritornando poi al suo lavoro.

Il capo andò ad appoggiarsi a un davanzale, dopo essersi vantato, ed estrasse lo smartphone dalla tasca dei jeans nell'averlo sentito vibrare. Lesse il messaggio di una certa Yesim: "Sto arrivando" diceva ed Ozugur si diede qualche colpetto sulla fronte intento a ricordarsi chi fosse e cosa volesse, poi ebbe l'illuminazione. «Era oggi?» esclamò seccato.

Ozan si volse a guardarlo, chiedendogli di cosa stesse parlando, prima di dare una spadellata ai peperoni.

«Ho promesso un'intervista per il giornale Magazine. Mi sono completamente dimenticato. Detto tra noi, il proprietario della rivista è una bella donna, quindi avrò sicuramente un buon punteggio. Le ho detto che possiamo farlo qui.»

Quelle parole, non passarono inosservate all'attenzione di Gizem, che discretamente fissò il suo capo, contrariata.

«Magnifico! – intervenne Ozan – già m'immagino il titolo: Ozgur Atasoy, il famoso single preferito dalle donne, ma dal cuore inespugnabile, alla fine risponde ai curiosi.» e nell'aria delineava una fascia immaginaria.

«Non dirò tutto, ovviamente. Sono bagnato per la pioggia, vado a cambiarmi.» e detto questo, uscì dalla cucina.

All'ora prestabilita, si presentò nel ristorante l'affascinante giornalista dagli occhi di ghiaccio, penetranti. Ad accoglierla fu una finta gentile Gizem, che l'accompagnò nella parte esterna del locale. Ozgur l'attendeva a un tavolo ascoltando musica dal computer. Non appena si accorse di lei, si sfilò le cuffie, si alzò, le strinse la mano e la invitò a sedersi difronte a lui.

Gizem, col suo falso sorriso disegnato sulle labbra si congedò.

«Possiamo iniziare?» chiese la giornalista estraendo i suoi strumenti del mestiere. Accese il registratore sul telefono, prese la penna, sfogliò il taccuino alla pagina bianca ed esordì chiedendo: «In primo luogo, come hai deciso di entrare in questo settore?»

«Adoro la vita notturna, e mi son detto perché non trasformare i miei piaceri in un lavoro? Mentre studiavo ho lavorato come cameriere, poi sono diventato coordinatore del luogo in cui lavoravo, l'ho lasciato e ne ho aperto uno nuovo.»

Nel mentre che parlava, una cameriera porse una tazza di caffè alla giornalista, che la ringraziò e riprese le sue domande, «Hai detto che mentre studiavi hai lavorato...»

«Non volevo essere un peso per i miei genitori. Mio padre era un uomo d'affari molto laborioso e produttivo, e mi ha sempre detto: non fermarti mai, perché la vita è una grande gara. Se ti fermi perderai. Quindi, seguo il suo consiglio. Lavoro, produco, lavoro anche divertendomi.»

«E la vita privata? – chiese Yesim sorridendo – non dirmi che non hai tempo per la privacy»

«Non credo di dire di no» la imitò Ozgur sfoggiando il suo sorriso attraente.

La donna si fece seria, i suoi occhi ora erano più penetranti, e la domanda che porse poco dopo servì come a volersi accertare del passo che stava per compiere. «Hai una fidanzata?», lo voleva e per averlo doveva assicurarsi di non trovarsi degli ostacoli di mezzo.

Tutto dipendeva dalla risposta di Ozgur e dal... dopo.

Atasoy scosse la testa, come a voler far intendere che aveva capito quel gioco di sguardi: «Non esiste una persona speciale.» rispose con voce profonda.

L'avvenente giornalista poteva dirsi soddisfatta, ma mantenne la sua professionalità e riprese con le domande, «Qual è la tua opinione sul matrimonio?»

Ozgur ripensò alla mattina passata al telefono con sua madre e gli venne spontaneo sorridere, «I miei genitori hanno avuto un matrimonio molto felice, sono cresciuto in una casa felice, quindi il mio rispetto è infinito, ma per ora, lungi da me questa decisione.»

«Bene, facciamo una pausa. Che ne dici di fare degli scatti?»

«Sei la padrona»

Durante il servizio fotografico, Yesim ne approfittò per eliminare i pochi passi che la distanziavano dal padrone del locale. Non perdeva occasione per avvicinarsi a lui e sfiorarlo con la scusa di aggiustargli i capelli per le foto, e Ozgur parve apprezzare quel contatto, facendo intendere alla donna che la via era libera, che anche lui ci stava, or sorridendole malizioso, poi sfiorandole i capelli e infine regalandole sguardi accattivanti.

Al termine dell'intervista, Yesim lo ringraziò per il tempo concessole, e soprattutto per aver risposto alle sue domande con sincerità e prima di andarsene, gli regalò l'ultimo definitivo gesto per fargli intendere il suo secondo fine: gli accarezzò il braccio.

Ozgur apprezzò mordendosi il labbro inferiore.

 

***

 

Ad ogni passo che faceva, quel pacco le sembrò più pesante, ma più pesante era quel macigno che sentiva sul cuore, con sopra scolpita la parola fallimento.

Altro che fortuna, altro che ottimismo! Ezgi si sentiva una fallita, e dopo quella disastrosa mattinata aveva inteso che non lo era solo in campo amoroso.

L'ultimo dei suoi sogni era andato in fumo. Se solo avesse tenuto la bocca chiusa, ma non poteva sopportare il pavoneggiarsi di quella mocciosa novellina.

Sette anni di duro lavoro, gettati all'aria.

Mentre rimuginava afflitta, squillò il cellulare. Lo prese dalla scatola e si fermò esterrefatta leggendo il nome di Soner sullo schermo.

La sua espressione cambiò repentinamente, lasciando il posto a una risata soddisfatta.

«Ti ho dato non più di tre mesi! – sbraitò contro il cellulare squillante. – Che ti è successo, non puoi fare a meno di me? Adesso vedrai come Ezgi ti farà strisciare! O mio Dio, quanto sei grande! Mi rendi triste da una parte, ma felice dall'altra!»

Perdendosi nei suoi deliri, il suo ex ragazzo si arrese all'attesa e la ragazza ci rimase male, ma si riprese subito dicendosi che lo avrebbe fatto aspettare. Purtroppo le decisioni che prendeva Ezgi Inal non duravano mai non più di dieci secondi, che subito cambiava idea, e in quello stesso istante iniziò a porsi domande, curiosa di sapere che cosa volesse quel traditore.

«Se non chiami, non lo saprai mai, Ezgi», a quel punto riafferrò il telefono e compose il numero di Soner il quale rispose poco dopo chiedendole se fosse libera.

«Devo controllare – rispose inacidita – inoltre, se avessi del tempo libero non lo sfrutterei per te! Non posso perdonarti dopo tutte le cose che sono successe fra di noi.»

«Quando ti ho chiesto se sei disponibile, non era per incontrarci, ma per parlare al telefono.»

«Ti ascolto...» riprese Ezgi dopo qualche istante di esitazione.

«Non sono riuscito a trovare casa, Se ricordi, il contratto dell'appartamento in cui vivevamo è intestato a me, quindi, legalmente la casa è mia»

«Aspetta. Stai cercando di dirmi che devo lasciare la casa?»

«Sì, e al più presto.»

Ezgi stava per perdere la pazienza, «Ascolta, Soner! Il contratto di casa è tuo, ma tutte le spese, finanche il deposito, ho pagato tutto io!»

«Non voglio discutere con te, Ezgi.» sospirò seccato il traditore. «Te lo chiedo per favore: lascia l'appartamento al più presto.»

«Ma non ti vergogni? Come puoi farmi una cosa del genere?»

Soner aveva riattaccato, e lei non se n'era nemmeno accorta. Non lo fece nemmeno quando si apprestò ad attraversare senza fare attenzione alle auto in corsa e continuando a parlare al telefono, si sentì spinta alle gambe, si ritrovò di testa sull'asfalto e l'unica cosa che vide prima di perdere i sensi fu la figura di un uomo che con voce ovattata le chiedeva se stesse bene.


 

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Capitolo 3
*** puntata 1 - part 3 ***


1° puntata (parte 3)
 
Quando riaprì gli occhi, si guardò intorno disorientata, sentì la testa appoggiata su qualcosa di morbido e percepì una fitta di dolore alle gambe. Poi, finalmente si accorse che non era sola, c’era un medico accanto a lei, era alquanto affascinante e la guardava con sorriso sghembo.
«Che cosa è successo?» chiese confusa cercando di mettersi a sedere sul letto.
«Signorina Ezgi, ha avuto un incidente stradale, ricorda?»
«Sì – rispose Ezgi sforzandosi per il dolore – un idiota mi ha investita con l’auto.»
Il dottore rimase alquanto sconcertato da quella risposta e, reggendo sempre la sua gentilezza, si giustificò dicendo: «Signorina, è stata lei a comparirmi davanti, all’improvviso.»
A quelle parole, Ezgi si volse a guardarlo imbarazzata e non sapendo cos’altro dire, accennò un lieve sorriso e abbassò lo sguardò. Fortuna volle che a liberarla da quella situazione furono sua cugina e Denise che entrarono nella stanza, preoccupate. La bombardarono di domande su cos’era accaduto e se si sentisse bene, ignorando completamente la presenza del dottore.
Fu Cansu ad accorgersi di lui, chiamandolo per nome, «Signor Serdar?»
«Salve, signorina Cansu.» rispose quest’ultimo in modo cordiale. «Ho soccorso io la signorina Ezgi – disse, rivolgendosi poi a Denise – A proposito, sono il dottor Serdar Ozturk» e le porse la mano.
L’avvocatessa accettò quel gesto rispondendo con un freddo “piacere di conoscerla” poi ritornò a coccolare l’inferma.
Il dottore spiegò la situazione, aggiungendo che l’urto non era stato grave e che la ragazza non aveva portato alcune ferite e che stava bene, ma Denise non parve essere d’accordo e tirò fuori le sue doti d’avvocato intenta a far rispettare la legge.
«Voglio vedere i risultati delle analisi» disse, fregandosi altamente delle parole del medico.
«Certo che può vederle – ribatté Serdar – ma dato che sono un medico, le posso assicurare che gli accertamenti sono stati fatti tutti a regola»
«Certo, signor Serdar! – intervenne Cansu lanciando uno sguardo di rimprovero all’amica – non abbiamo alcun dubbio.»
«Suppongo che la polizia sia arrivata e abbia preso le sue dichiarazioni?» aggiunse Denise intenzionata a non arrendersi.
Dal suo cantuccio, Ezgi negò con un filo di voce.
«È davvero necessario?» ammiccò Cansu.
«Certo che lo è – affermò seria l’avvocatessa – stiamo parlando di un incidente! Dobbiamo subito denunciare alla polizia.»
«Per un piccolo incidente, non ne vedo la necessità.» si difese il dottore.
«Sono d’accordo con lei – intervenne ancora Cansu – Non esageriamo. Il signor Serdar è uno dei medici più importanti nel nostro ospedale, lavoriamo insieme da anni. Dato che anche Ezgi afferma di stare bene, non preoccupiamoci oltre, non trovi Denise?»
«È vero – rispose Ezgi – ho già lasciato perdere per strada»
«Comunque, se lei insiste – replicò Serdar rivoltosi all’avvocato, sono disposto a rendere la mia testimonianza, ovviamente.»
E dopo aver avuto conferma dalla donna, si congedò augurando una pronta guarigione all’ammalata.
Quando le tre amiche rimasero sole, Denise non sembrava ancora soddisfatta della situazione e rivolta ad Ezgi le ripeté che trovava giusto informare la polizia dell’accaduto, così da scaturire un battibecco con la dottoressa.
«Denise, forse non hai capito. Stiamo parlando del dottor Serdar Ozturk, l’unico dottore del nostro ospedale ad essere bello, ricco…», mentre vantava le doti dell’uomo, volse lo sguardo su Ezgi la quale a sua volta la guardò spalancando la bocca come se fosse meravigliata.
«Ora capisco!» esclamò l’amica «si tratta di questo, il motivo per il quale dovremmo lasciar correre.»
«Certo! Guarda i film famosi, l’amore sboccia dopo un’incidente o qualcosa del genere. Non lo trovi romantico?»
«Ma succede solo nei film!»
«Perché devi essere sempre negativa?»
«Sono solo più reale!»
«Smettetela!» le zittì Ezgi stanca delle loro discussioni. «Dovreste preoccuparvi per me! Vi ricordo che sono stata investita da un’auto!»
Cansu si curvò su di lei accarezzandole i capelli e mormorando che quell’incidente non era altro che un’opportunità.
Ezgi aveva inteso dove voleva arrivare la cugina, e si coprì la faccia con il lenzuolo per non sentirla.
Quando uscirono dall’ospedale, Cansu e l’amica, apprensive, le chiesero ancora una volta se stesse bene. La ragazza confermò sorridendo. A quel punto Cansu ne approfittò per consigliarle di salutare il dottor Serdar.
«Sì, perché non ringraziarlo anche dell’incidente?» la rimproverò Denise.
Ezgi diede ragione all’amica, ma sua cugina insistette nel dire che doveva prendere al volo quell’occasione, perché non capita tutti i giorni di incontrare un ricco ginecologo, giovane, bello, con un’importante famiglia: madre pittrice e padre neurochirurgo, «Se incontri un uomo che potrebbe dare ai tuoi figli questi geni, devi ringraziare Dio se ti investe per fino con un carrarmato!»
Denise alzò gli occhi al cielo esasperata, mentre Ezgi, stanca, le rispose che non l’aveva attirata e che invece di cercarle un marito doveva aiutarla a trovare casa e lavoro.
L’avvocatessa diede la sua disponibilità per cercarle un nuovo lavoro, mentre sua cugina la invitò a stare in casa sua, aggiungendo inoltre che l’avrebbe aiutata a trovarle un marito.
«E come farai?» domandò Denise.
«Sto leggendo un libro che parla di tattiche per conquistare un uomo.»
«Un altro libro! Stai mettendo in dubbio la nostra amicizia, Cansu!»
«Come mai io non ne sono al corrente?» chiese Ezgi rivolgendosi alla dottoressa.
«Mia cara, eri talmente convinta di essere amata da Soner che non hai mai voluto sentir parlare di libri e tattiche.»
«Be, mi sa proprio che rivaluterò le mie decisioni.»
«Così ti voglio.»
Dopodiché le ragazze di divisero ricordandosi che a sera sarebbero andate a cena nel ristorante La Gabbia. La prima a mettervi piede fu Ezgi la quale, accolta dalla coordinatrice Gizem, prese posto a un tavolo per tre, ordinando un drink nell’attesa che le amiche la raggiungessero. Purtroppo per lei, dopo qualche minuto, ricevette una chiamata dall’avvocatessa, in cui l’avvisava che non si sarebbe presentata a causa del troppo lavoro in studio.
In realtà, la bella quanto determinata Denise, aveva avuto un piccolo screzio con la sua collega di lavoro: la tanto odiata Irem, che ogni giorno non perdeva tempo nel voler competere con lei e proprio quella sera, vedendo Denise prepararsi per uscire prima, l’avvisò che, giacché era intenzionata a voler avere una promozione dal capo, avrebbe fatto gli straordinari, e questo Denise non poteva sopportarlo né permetterglielo, così decise di fregarsene della cena e continuare il suo lavoro.
Ezgi, dal canto suo, rimase delusa e sperò nell’arrivo di sua cugina. Bevve il suo cocktail e si guardò intorno nel notare che i restanti tavoli del locale erano tutti occupati da coppie innamorate di tutte l’età.
Possibile che l’unica sola fosse lei?
Distolse lo sguardo schifata, affondando la sua esasperazione in quel liquido dal forte sapore, ma gli occhi non poterono allontanarsi da quelle scene smielate che le scorrevano davanti e a quel punto, per distrarsi, decise di chiamare sua cugina.
All’inizio Cansu rispose che stava per raggiungerla, ma dopo qualche minuto dovette mandarle un messaggio in cui l’avvisava che aveva avuto un contrattempo con Levent e che non si sarebbe presentata alla cena.
In realtà il chirurgo plastico si era recato nell’appartamento della donna per avere la sicurezza dei dubbi che lo assillavano da quella mattina, da quando la sua donna lo aveva avvisato che non si sarebbero più potuti incontrare in casa per via dell’ospitalità che aveva concesso a sua cugina.
Inutile negare il disapprovo del dottore, soprattutto quando intese che per incontrarsi “clandestinamente” avrebbero dovuto usare la sua di casa.
Come poteva continuare a tener nascosta la relazione con Cansu a sua figlia e alla sua ex moglie in quelle condizioni?
«Amore mio – sospirò la donna, sedendosi alla sedia e guardandolo con rassegnazione – se avessimo rivelato la nostra relazione, in questo momento non staremmo a farci domande inutili.»
A quelle parole Levent parve infastidito e per non darlo a intendere le diede le spalle grattandosi nervosamente il collo.
«Stiamo insieme da un anno – continuò Cansu, ignorando i suoi atteggiamenti – lavoriamo nello stesso ospedale, tranne i nostri amici più intimi, nessun altro è a conoscenza di noi due. Mi sembra di essere la tua amante! E ti informo che questa situazione sta iniziando a starmi sui nervi.»
E Levent coi suoi modi da attore drammaturgo sospirò dicendo: «Hai ragione. Purtroppo non posso darti la relazione che meriti.» per poi andare contro il muro e poggiarvi la mano e sopra la fronte, conscio di accattivarsi il rimorso della donna.
E Cansu cadde in quella trappola come sempre. Si scusò facendosi promettere che ben presto lui avrebbe parlato di lei con sua figlia. Ma le promesse fatte da Levent erano pari a quelle fatte da un marinaio. Fatto sta che in qualche modo la convinse a rimandare la cena con le sue amiche ed Ezgi si ritrovò sola, anche se non del tutto; le avevano fatto compagnia tre cocktail e in quel preciso istante, un cameriere gliene stava porgendo un quarto. Lo deglutì in un sol sorso, quando venne attratta da una luce e da applausi che si udirono alle sue spalle. Si voltò curiosa e la sua espressione tramutò quando si accorse di chi si trattava.
C’era Soner in compagnia della sua nuova ragazza. La causa di quel trambusto era dovuta al fatto che il traditore stava facendo una dichiarazione di matrimonio con tanto di anello.
Ezgi, per l’ennesima volta, si sentì strappare un altro pezzo di cuore.
Quanto avrebbe voluto interrompere quel momento idilliaco e spaccargli la faccia. Sarebbe dovuta trovarsi lei al posto di quella sciacquetta! L’anello avrebbe dovuto indossarlo lei!
Perché lei sì ed io no? Si chiese ritornando a guardare davanti a sé. Non fece neppure caso al messaggio inviatole da sua cugina. Si sentiva confusa e sapeva che se fosse rimasta ancora un altro po’, avrebbe potuto commettere una strage.
A distrarla, fortunatamente, fu Gizem che vedendola ancora sola le chiese quanto altro tempo avrebbe dovuto aspettare per ordinare.
«Purtroppo le mie amiche non verranno e… non mangerò.» rispose cercando di mantenere la calma.
«Capisco – riprese Gizem – A questo punto dovrebbe spostarsi al bar. Ci sono altre persone in attesa.»
Ezgi comprese e annuendo, afferrò le sue cose per poi andarsi a sedere al bancone del bar. Anche volendo, non sarebbe potuta uscire. Soner l’avrebbe sicuramente potuta vedere ed era l’ultima cosa che voleva.
«In tre mesi hai deciso ciò che non hai potuto decidere in tre anni!» sbraitò ritornando a guardarlo, ma attirando l’attenzione del barman che si volse a guardarla, ma lei inconscia, diede sfogo alla sua frustrazione maledicendo il traditore e augurandogli ogni male.
«Immagino sia una notte difficile per te.» intervenne allora il barman porgendole un bicchiere di wisky.
Ezgi lo afferrò senza farci caso, poi alzò lo sguardo verso quell’uomo e rimase interdetta nel constatare che si trattava dell’idiota incontrato in taxi.
«Non è possibile! – esclamò – e tu da dove sei sbucato?»
«Noto che sei ancora così nervosa!» rispose lui occupato col suo lavoro.
«Guardami bene, non sono solo nervosa, sono incazzata, quindi ti consiglio di non sfidare la mia pazienza.»
Ozgur annuì prendendola in giro.
Ma la ragazza non ci fece caso; la sua attenzione era ricaduta sul traditore ed era ritornata a sputare sentenze.
Mandò giù il primo wisky, poi ne chiese un altro e un altro ancora. E Ozgur versava senza battere ciglio.
Quando un cameriere si avvicinò al banco annunciando la richiesta della coppia felice, Ezgi fu sorpresa di ascoltare che quel bastardo aveva chiesto champagne per festeggiare la dichiarazione.
«Quel maledetto – intervenne rivolgendosi verso un titubante cameriere – mi ha fatto elemosinare per tre anni un sì e adesso vuole lo champagne? Dovreste dargli il veleno per topi!»
Ozgur la lasciò parlare, poi ordinò al suo dipendente di esaudire la richiesta del cliente e rivoltosi alla ragazza, disse: «Adesso è tutto chiaro.»
«Pensa a riempirmi il bicchiere.» lo rimbeccò lei indicandogli il cristallo vuoto. «Lo vedi quell’uomo? – gli chiese, poi – in tre anni non ha mai pronunciato la M di matrimonio, e adesso guardalo là… solo tre mesi.»
Ozgur la fissò intensamente cercando di leggere in quei suoi occhi lucidi per i troppi bicchieri di alcol.
La notte sarebbe stata lunga, lo aveva capito.
 
***
 
Il locale era ormai vuoto, i camerieri si apprestavano a riordinare i tavoli, al bancone Ozgur finiva il suo lavoro, o almeno tentava di farlo poiché la ragazza con problemi d’amore non era ancora andata via, aveva passato tutta la serata a ripetere le stesse frasi e ora la sua sbornia era evidente.
«Guardami, Barman! – diceva con voce impastata – tre anni… tre…»
«Ti ho capita! – esclamò allora Ozgur poggiando le mani sui fianchi – l’unica cosa che non riesco a capire è perché io? Perché ti stai sfogando con me?»
In risposta, Ezgi lo guardò spaesata, poi sbadigliando appoggiò la testa sul piano di marmo con l’intento di volersi addormentare.
La situazione non passò inosservata agli occhi di Ozan e Gizem che si accingevano a lasciare il locale. La coordinatrice diede la sua disponibilità per rimanere ad aiutarlo, ma Ozgur rifiutò augurando loro una buona nottata.
Quando rimase solo con l’ubriaca tentò di svegliarla, convinto che l’avrebbe accompagnata a casa sua.
«Ma lui mi ha detto di lasciare la casa…»
«Non m’interessa – rispose Ozgur – devo chiudere il locale. Dove vivi?»
«Istanbul»
«Oh, sei stata davvero esplicita!» esclamò spazientito, poi sentendola riprendere i suoi deliri, decise di portarla in un albergo. E di certo Ozgur Atasoy non ricordava di aver mai fatto una cosa del genere con una ragazza.
Se le portava in albergo era per scoparsele, e non per lasciarle a dormire. Ma sentì, stranamente, il bisogno di aiutare quella donna disperata.
Giunse nella stanza del Z Hotel con lei in braccio, la poggiò di peso sul letto, ripetendosi nella mente perché lo stesse facendo. Rimase a guardarla per qualche istante, poi recandosi alla porta, si augurò a voce alta di non incontrarla mai più.
A quelle parole, Ezgi riaprì gli occhi e sentendosi ancora il cuore perdere pezzi scoppiò in lacrime.
Atasoy la sentì e si girò per vedere cosa stava succedendo. Lottò tra il dispiacere e la seccatura fino a che il primo ebbe la meglio, si avvicinò al letto scrutando il viso della ragazza: «Stai piangendo?» le chiese.
Ezgi rispose di no, mettendosi su un lato contraddicendo le sue parole.
«Sei incredibilmente bugiarda.» ribatté poggiando le mani sui fianchi, poi facendosi serio domandò: «Che ti succede?»
«Ok, sto piangendo! – esclamò Ezgi voltandosi verso di lui. – Sono molto infelice. Perché è tutto così difficile?» chiese tra un singhiozzo e l’altro. «Tutto quel che volevo era solo un po’ d’amore.»
Ozgur l’ascoltava muovendosi come qualcuno consapevole di trovarsi in un posto sbagliato. Tutto quello che stava accadendo non faceva per lui, allora perché rimaneva?
Che fosse perché mosso a pietà?
«Pensi che io sia così brutta?» riprese dopo un po’ la ragazza.
L’uomo pensò prima di rispondere. «No» disse, ed era sincero. Anche se fastidiosa, non poteva non ammettere che lo aveva attirato dalla prima volta che si erano visti in quel taxi.
«Sono ripugnante?»
Ozgur sorrise «No.» rispose scuotendo il capo.
Allora Ezgi si mise a sedere sul letto senza distogliergli lo sguardo di dosso. «Dici davvero?»
Atasoy annuì ancora una volta sincero, ma non fece altro che scaturire un altro pianto di disperazione.
«L’hai detto solo per non deprimermi!»
«Ma no! – si difese sedendosi accanto a lei – no, la verità è che non sei il mio tipo, ma… - la guardò accorgendosi dello sguardo attento che gli stava indirizzando, poi stese il braccio sulla spalliera dietro di lei, e aggiunse: - penso che tu sia una donna molto bella. Per prima cosa sei naturale, sei semplice, sei una brava persona ed è una cosa difficile da trovare in una donna ai giorni d’oggi. Quindi, sei speciale. È questo ciò che leggo sul tuo viso.» concluse con voce calda, profonda, suadente. Tantoché Ezgi si ritrovò a sorridere e d’istinto gli afferrò il viso fra le mani e lo baciò, lasciandolo allibito.
Non che fosse la prima a farlo, ma Ozgur in quel bacio sentì tutt’altro che malizia, desiderio o qualunque cosa che li avesse portati a dare sfogo ai propri istinti. Sentì qualcosa di più bello, ma allo stesso tempo qualcosa che lo spaventava.
Quando sentì le labbra della ragazza allontanarsi dalle sue, si accorse che il sapore non era svanito e si ritrovò ad accarezzarle per poi vederla mentre si accoccolava sulla sua spalla come a voler essere protetta.

 

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Capitolo 4
*** puntata 1 - part 4 ***


VICINI DI CASA
 
Una leggera brezza gli accarezzò la schiena svegliandolo.
La prima cosa che Ozgur vide quando riaprì gli occhi, fu il profilo assopito della ragazza che, la sera precedente, aveva portato in hotel. A quel punto ricordò cos’era accaduto. Aveva passato una notte a dir poco d’inferno, e non gli era mai successa una cosa del genere. Si era ripromesso di andarsene e lasciarla lì, ma dopo quel bacio, era accaduto tutto così di fretta che la stanchezza lo aveva assalito e si era addormentato accanto a lei.
Finalmente era giorno. Si alzò ancora stanco; fece il giro del letto rotondo fissando la pazza che dormiva tranquilla e si servì dell’acqua senza distoglierle gli occhi di dosso. Non sapeva cosa si sarebbero detti nel momento in cui anche lei si fosse svegliata e, di certo, Ozgur non se ne stava ponendo un problema. L’unica cosa che voleva, in quel momento, era farsi una doccia per cancellarsi di dosso i rimasugli di stanchezza e mentre lui entrava in bagno, Ezgi si svegliò.
All’inizio, com’era prevedibile, rimase confusa, ma man mano che si guardava intorno, iniziò a metabolizzare la situazione.
Ok. Si trovava in un letto non suo, in una stanza non sua e… mezza nuda.
«No! – esclamò scattando in piedi – non può essere successo, no!». Raccolse i suoi indumenti dal pavimento accorgendosi che erano inumiditi.
Ma perché?
Indossò la gonna guardandosi intorno. Del barman idiota non c’era traccia. «Che bastardo! mi ha lasciata senza vergogna! Dio, che cos’ho fatto? – a quella domanda si bloccò pensierosa – un momento – disse – forse non ho fatto niente…», e in quello stesso istante sentì uno scroscio d’acqua provenire dall’altra parte della camera. Salì sul letto attraversandolo a gattoni e si fermò solo quando vide la porta del bagno aperta e il barman che si lavava indisturbato nella doccia.
È qui? Questo significa…
«Merda! Che abbia approfittato del mio stato da ubriaca?»
Lo maledisse saltando giù dal letto minacciando che gli avrebbe fatto fare una brutta fine, ma dovette bloccarsi per l’ennesima volta, poiché la sua mente le fece rivedere un scorcio di quello che era accaduto la sera precedente.
Il bacio… l’ho baciato io per prima!
Si sentì le gambe tremare e dovette sedersi velocemente sul letto per non cadere. Rimase a fissare il vuoto davanti a sé cercando di ricordare altro. Come aveva potuto baciarlo solo perché lui le aveva fatto un complimento? «Oh, Ezgi! – sbraitò a voce bassa – come sei potuta cadere così in basso?» si chiese portandosi le mani agli occhi per poi sprofondare sulle lenzuola.
Non poteva rimanere lì. Doveva andarsene e velocemente. Non aveva intenzione di affrontarlo, in quel momento si vergognava come un verme.
Arraffò velocemente le sue cose e senza infilarsi le scarpe uscì dalla stanza.
Ozgur, intanto, uscito dalla doccia, si coprì con un asciugamano e ritornò nella camera. Fu sorpreso di trovare il letto vuoto. Mancavano gli effetti personali della ragazza. Era davvero andata via. Non poté nascondere di esserci rimasto male e si ritrovò a parlare da solo: «Guarda là – disse – se n’è andata di corsa. Non ha neanche ringraziato.»
Ritornò al suo ristorante con un mal di testa. Si sedette al bancone chiedendo ad Emre di preparargli un americano doppio. Voleva qualcosa di forte per dimenticare quella nottataccia.
«Fanne due. – intervenne Ozan sedendosi accanto a lui. Lo fissò per qualche istante e capì che qualcosa non andava. – Cos’è quella faccia? – chiese – Sembra che tu abbia fatto nottata.»
«Ah, fratello ti prego! – rispose Ozgur spingendo la fronte contro il palmo della mano – Ti avviso: non passerò più molto tempo al bar.»
«Problemi con la ragazza di ieri?»
«Problemi? Quella ragazza è letteralmente pazza! Sembra innocente, ma ha dei problemi mentali davvero complessi.»
«Quanto complessi?» lo beffeggiò Ozan.
«Tanto. Mi ha tenuto sveglio tutta la notte.»
«Wow, allora sembra qualcosa di serio.»
«Non c’è niente da ridere. Non è come pensi. Ti spiego… il dolore di tutti gli uomini che l’hanno depressa l’ha scaricato tutto su di me! È stato come se si stesse vendicando»
E sotto gli occhi curiosi e interdetti di Gizem, Ozgur raccontò al suo amico chef tutto quello che era accaduto nella stanza d’albergo.
Dopo averlo bagnato sotto la doccia, la pazza aveva inveito contro di lui schiaffeggiandogli il petto e urlandogli in faccia che era un ingrato, che aveva dimenticato tutti i sacrifici che aveva fatto per lui.
Ma lui chi? Di certo non era Ozgur il diretto interessato e ovviamente non aveva alcuna voglia di farle da cavia, così si era accinto ad andarsene, ma quella era uscita completamente fuori di senno e aveva minacciato di lanciarsi dal terrazzo. Per fortuna le era corso dietro fermandola in tempo, anche se poi si era beccato schiaffi e tirate di capelli.
«Riesci a immaginare a quanto possa essere stato esasperante?» chiese allora al suo amico che a sua volta lo guardava incredulo.
«Lo immagino perfettamente.» rispose quest’ultimo, poi si volse verso Emre che aveva servito i loro caffè e gli augurò di riprendersi presto.
 
***
 
«Ho passato la notte con qualcuno di cui non conosco nemmeno il nome.» mormorava Ezgi mentre camminava avanti e indietro nella stanza della casa che per tre anni aveva condiviso col traditore.
Tra le mani reggeva un bicchiere pieno d’acqua e una bottiglia di vetro che poggiò sul tavolo del soggiorno.
«No, Ezgi. Che t’importa! Devi dimenticare.» si disse convinta e diede un altro sorso, ma per poco non le andò di traverso nel momento in cui la mente le giocò un altro brutto scherzo, facendole ricordare quello che era accaduto dopo il bacio: lei che cantava vestita sotto la doccia e il barman che tentava di fermarla, beccandosi un getto d’acqua. L’aveva bagnato dalla testa ai piedi senza alcun pudore.
«Che vergogna, Ezgi. Che vergogna!» esclamò stringendo gli occhi con l’intento di cancellare quella visione.
Poi qualcuno la distrasse suonando alla porta.
Andò ad aprire ritrovandosi una Cansu alquanto preoccupata la quale tirò un sospiro di sollievo dopo averla vista. «Perché hai il telefono spento? – le chiese – ho provato a contattarti per tutta la notte. Dov’eri Ezgi?»
«A casa!» balbettò la ragazza indicando l’ambiente.
«Ma il portinaio ha detto che sei appena arrivata…»
Ezgi non seppe cos’altro rispondere, allora Cansu entrò in casa borbottando.
Uscirono sul terrazzo e si sedettero al tavolino e a quel punto la ragazza fu costretta a raccontare l’accaduto.
Cansu rimase esterrefatta e incredula, e sua cugina si giustificò dando la colpa al suo ex. «Poteva scegliere un altro posto, invece di fare la sua proposta proprio al tavolo dietro al mio. Non sai quanto ho dovuto lottare per trattenermi e non saltargli addosso. Quindi dovresti ringraziare il cielo di essermi svegliata in una stanza d’albergo invece di una cella del carcere!»
La dottoressa la guardò allarmata.
«La colpa è anche tua! – aggiunse Ezgi – con tutti i locali che ci sono a Istanbul, dovevi proprio prenotare lì?»
«Cosa vuoi che ne sappia? Ho sentito dire che era molto popolare…»
«Che bastardo! – riprese ripensando a Soner – quando eravamo fidanzati, mi portava in posti che lui preferiva leggeri… e adesso, guarda con quella! Poi, capisco Denise che aveva gli straordinari, ma perché anche tu mi hai bidonata? Mi avete lasciata sola come un’idiota!»
Cansu tentennò cercando una scusa plausibile, poi disse che aveva avuto da fare in ospedale, non accennando nulla dell’incontro con Levent, ma Ezgi non credette a una sola parola e la costrinse a dire la verità.
Malgrado tutto fu comprensiva soprattutto perché anche lei, all’epoca, aveva dato buca alle sue amiche per i suoi flirt.
«Comunque, adesso dimentica tutto – riprese sua cugina dopo un po’ – ti consiglio di concentrarti su Serdar.»
«Serdar? – chiese Ezgi spaesata – Ah, certo! Il dottore che mi ha investita!»
«Esatto. Serdar frequenta lo stesso club di tennis di Levent. Il club organizza una festa estiva nel fine settimana, quindi ci saremo anche noi.» la informò Cansu indicandola.
Ezgi alzò gli occhi al cielo, esclamando che non sarebbe stata possibile una cosa del genere.
«Non obbiettare! Fino ad oggi hai fatto quello che volevi adesso mi ascolterai, Ezgi. Ok?»
La ragazza curvò le labbra e fece spallucce senza darle una risposta, come se si fosse rassegnata.
Dopo un po’ la dottoressa si congedò avvisandola che doveva ritornare al lavoro, chiedendole poi quando si sarebbe trasferita a casa sua.
«Sto aspettando il camion del trasloco. Poi verrò da te.» rispose sua cugina afflitta e proprio in quello stesso istante arrivò il mezzo.
Quando Cansu se ne andò ed entrarono gli operai, Ezgi rimase appoggiata al termosifone, davanti alla finestra ad osservare come tutti i suoi oggetti venivano spostati e la casa si svuotava man mano.
Cos’era stata la sua storia con Soner, se in un soffio stava tutto scomparendo? Ne sarebbero rimasti solo i ricordi, ricordi che la ragazza decise di lasciare in quella casa e di uscirne da lì senza.
Prima, però, di buttarsi tutto alle spalle, decise di lasciare un ricordino indelebile. Afferrò una bomboletta a spry e avvicinatasi al muro scrisse la parola: Coglione.
Soddisfatta afferrò la vaschetta dov’era Penelope, il suo pesce rosso, e uscì.
Arrivò a casa di sua cugina che era pomeriggio inoltrato, e mentre parlava con lei del più e del meno, ricevette una chiamata dal dottor Serdar.
Per Ezgi quella sorpresa fu palpabile. L’uomo voleva sapere come stava, aggiunse che era preoccupato e le disse di segnarsi il suo numero e di chiamarlo se ne avesse avuto bisogno. Dopo di ciò Cansu iniziò a riempirle la testa di grilli dicendole che era ovvio l’interesse che il ginecologo aveva per lei, allora, Ezgi cominciò a vedere la cosa con occhi diversi. Forse sua cugina aveva ragione, e forse avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di conoscerlo meglio.
Rimase sola, che Cansu dovette ritornare in ospedale.
Decise di uscire sul terrazzo a prender una boccata d’aria.
L’appartamento della dottoressa si trovava all’ultimo piano di uno dei grattacieli più lussuosi di Istanbul. Il terrazzo aveva una piccola piscina rettangolare, e confinava con un altro appartamento, diviso da piante.
La ragazza si avvicinò alla balaustra fatta di pannelli di vetro e ammirò il panorama.
Il vento estivo le accarezzò i capelli saggiando ogni lembo di pelle, Ezgi apprezzò quella piacevole sensazione e per un attimo credette di riuscire a dimenticare ogni suo guaio. Rimase fuori fino all’imbrunire in compagnia di una tazza di tisana fumante, poi rientrò, lasciando il posto silenzioso e tranquillo a chi comparve sul terrazzo adiacente.
Ozgur, in compagnia della giornalista, prese posto su una delle poltrone da giardino, invitando la donna accanto a lui.
Yesim si era presentata lì con l’intento di fargli vedere l’anteprima della copertina del giornale, ma il vero obbiettivo era un altro e Ozgur lo sapeva perfettamente, ma soprattutto voleva che accadesse. Dopo la nottata precedente, gli serviva un momento di svago per rimetterlo in forma.
«Il titolo è Mr Perfezione, ma come fai a saperlo?» disse mentre la donna gli mangiava le labbra con gli occhi.
«Sono sicura che conoscendoti più da vicino, lo saprò meglio…» sussurrò afferrandolo per la catena che aveva appesa al collo e tirandolo a sé per baciarlo. Non gli ci volle molto per entrare in camera da letto. Passarono una notte di fuoco, tanto che quei rumori disturbarono Ezgi. Infatti le due stanze da letto combaciavano per una coincidenza assurda.
La ragazza non riuscì a chiudere occhio. Mugolii e risatine maliziose echeggiavano da quella parete e l’imbarazzo era alle stelle.
Possibile che Cansu avesse un vicino spudorato?
Si alzò a guardare lo skyline di Istanbul che si estendeva oltre le vetrate della finestra, ma gli ansimi non riuscivano a distrarla. Allora camminò avanti e indietro per la stanza fino a che non vide dei libri che sua cugina aveva appoggiati sul comodino. Li prese fino a che non trovò quello menzionato da Cansu.
Incuriosita, si stese sul letto e iniziò a leggerlo, ma la lettura non durò a lungo, le risatine e gli ansimi divennero più forti e la ragazza ormai si era spazientita, cosi spense la luce, si stese, tirò le coperte fin sopra la testa e tentò di dormire.
 
***
 
Doveva ammetterlo: la giornalista non era stata un granché. Certo, avevano fatto baldoria fino a tarda notte, e lui l’aveva anche soddisfatta, ma lei non aveva fatto lo stesso.
Del resto cosa importava? Sarebbe uscita da casa sua e dalla sua vita proprio come vi era entrata: da perfetta sconosciuta.
Ozgur si alzò dal letto incurante di poterla svegliare, andò a farsi una doccia. Quando vi uscì, sentì un trambusto provenire dall’entrata e trovò Yesim alle prese con la sconosciuta che due giorni prima si era illusa di essere diventata la sua dolce metà.
Per la prima volta, Atasoy si sentì in trappola. Doveva dileguarsi e al più presto. Fece solo in tempo a infilarsi un paio di jeans per poi sgattaiolare fuori dal suo appartamento, lasciando le due donne a litigare tra di loro, oltrepassò la linea di divisione del terrazzo della sua vicina e fortuna volle che la finestra dell’appartamento di Cansu fosse aperta, così vi entrò senza esitare e chiuse ben bene tirando le tende color senape.
Era salvo, ma si sbagliava, e non perché la sconosciuta illusa, dopo aver cacciato di casa Yesim, lo stava cercando e in quel momento si trovava proprio sul balcone della vicina, ma bensì un urlo proveniente alle sue spalle lo fece trasalire.
Si volse di scatto trovandosi davanti la figura nuda della pazza portata in albergo, la quale era in quelle condizioni per via dell’asciugamano che le era scivolato di dosso a causa dello spavento avuto nel trovarsi in casa un uomo a petto nudo.
«Non guardare! Non farlo!» urlava quest’ultima cercando di coprirsi.
«Non gridare. Sono il vicino di Cansu» si difese lui tentando di distogliere gli occhi dalla sua nudità, ma alla fine, nel guardarsi, i due si riconobbero e dopo qualche istante di sconcerto, Ezgi ruppe il silenzio, esclamando: «Non ci posso credere! Sei di nuovo tu? Che cavolo ci fai qui?»
«Che tipo di scherzo è questo?» chiese Ozgur indignato. Si era appena svegliato e già si sentiva stanco. Subito, però, ritornò al pensiero dell’altra pazza fuori sul terrazzo e iniziò ad agitarsi.
Ezgi lo guardava confusa, e quando vide un’ombra fuori dalla finestra che bussava insistentemente, chiese: «Che diamine sta succedendo? Chi c’è là fuori?»
«Ascolta, io non la conosco – spiegò l’uomo – lei crede di essere la mia fidanzata. Si è presentata all’improvviso e, quando ha visto un’altra donna è impazzita. Mi sta perseguitando.»
«Ma come ti sei permesso di entrare qui?!» urlò la ragazza recandosi alla finestra per scorgere la situazione da dietro alla tenda.
«Ma guardala – si lamentò Ozgur – l’altra sera non ricordavi nemmeno il tuo indirizzo. Ti ho trattata in questo modo?»
«Hai fatto di peggio, portandomi in quell’hotel!» mormorò irritata avvicinandosi a lui con fare minaccioso.
«Secondo te, avrei dovuto lasciarti in quello stato?»
«Già, così ti sei approfittato della situazione, vero?»
«Io? Sei stata tu ad approfittarti di me! Sono io la vittima! Mi hai baciato e dopo mi hai aggredito! Non ti ricordi nulla?»
«No e non voglio ricordare!»
«Oh, bene! E allora lascia che ti dica che è stata la peggior notte della mia vita! Inoltre te ne sei andata via senza nemmeno ringraziarmi.»
Ezgi non sapeva cosa dire, in fin dei conti quell’idiota non aveva tutti i torti. Senza aggiungere altro ritornò a guardare la finestra e la ragazza dall’esterno che si disperava.
«Lasciamo stare quello che è accaduto! – riprese Ozgur – ti prego, guardala è impazzita, ci ucciderà tutti e due. Per favore, pensaci tu. Dille che non sono qui e mandala via. Io mi nascondo qui.» e detto questo si accucciò dietro al tavolo.
A quel punto Ezgi aprì la finestra accogliendo la ragazza con un sorriso e con naturalezza, il tipico atteggiamento di chi ignora la situazione.
«Eccomi, hai bisogno di qualcosa?» le chiese.
«Ozgur si nasconde qui?» ribatté quella, infuriata.
«Sì.» rispose Ezgi sicura di sé, mentre l’uomo dal suo nascondiglio rimase basito. «In realtà era qui ma è scappato» aggiunse la ragazza, poi le fece cenno di entrare. Si appoggiò alla spalliera del divano, mentre la sconosciuta si mise difronte a lei e, inconsapevolmente, di spalle all’uomo.
«Ti do un consiglio – riprese Ezgi – quando ho sentito dei rumori, ho cercato di evitarlo perché è un uomo poco raccomandabile. Tu invece sei limpida come l’acqua e un tipo così non ti merita affatto»
Da dietro al tavolo Ozgur fece capolino ammiccando alla sua salvatrice di continuare così.
«Credimi, chi fa questo a una come te, sarei felice di consegnartelo se sapessi dov’è. Non ci penserei per un secondo.»
L’illusa sembrava convincersi da quelle parole.
«Penso che tu non debba deprimerti.» continuò Ezgi. «Non credo ritornerà presto, anche perché si è rivelato per quello che è! L’hanno capito tutti. Quindi penso che farai meglio a dimenticarlo. È un uomo senza dignità, imbroglione, bugiardo. Non ne vale la pena arrabbiarsi per uno così. Secondo me, non conosce il valore di una ragazza come te. Meriti di meglio»
«Sì, sono d’accordo.» disse la sconosciuta, mentre Ezgi l’accompagnava all’uscita dandole altri consigli e infine chiudere la porta.
Quando ritornò al divano, trovò la preda sdraiata su un fianco accanto alla finestra che si passava una mano sul viso come a voler cancellare la tensione.
Lo guardò indignata.
«Sai, la cura della pelle è molto importante. Hai fatto bene a metterti la maschera sul viso» la elogiò lui, senza cambiare posizione.
«Alzati, per favore.»
Ozgur non se lo fece ripetere due volte, e non appena fu in piedi, prima di andarsene, rimase a fissarla dalla testa ai piedi, cosa che all’inizio non aveva avuto modo di fare e dovette ammettere che non era affatto male.
«Cosa guardi? Sparisci!» urlò la giovane intimandolo ad uscire.
Ma se Ozgur pensava che i suoi guai erano durati quanto un battito di ciglia, si stava sbagliando di grosso, poiché non aveva contato una terza donna, quella che delle tre era rimasta più delusa.
Yesim, infatti, non amava essere trattata in quel modo, si sentiva umiliata e presa in giro, così decise che gliel’avrebbe fatta pagare.
Mentre attraversava le strade di Istanbul in auto, chiamò la redazione, ordinando a un suo collega di non dare il permesso di stampare fino a quando non sarebbe giunta lì. Quando riagganciò disse a voce alta: «Te lo farò vedere io il Signor Perfetto.»
 
***
 
La sera giunse in fretta e, nonostante la casa di Cansu fosse accogliente, dopo quella sceneggiata della mattina, Ezgi aveva passato il resto della giornata i perfetta noia.
Uscì sul terrazzo mangiando un’albicocca per ammirare il panorama notturno. La bandiera turca in digitale spiccava su un grattacielo al centro della città. Istanbul illuminata sembrava un cielo stellato in terra.
Si girò verso il terrazzo del vicino e lo trovò seduto su una sdraio in compagnia di un libro. Si accorse che la stava guardando e salutando energicamente. Ezgi accennò anch’essa un saluto, ma indecisa.
«Rimani lì. Sto arrivando!» esclamò lui alzandosi, afferrando due bottiglie di sprite e andandole incontro. Ne stappò una e gliela porse. «Non ho avuto la possibilità di ringraziarti, e me ne vergogno così tanto.» disse sorridendo.
«Ti ringrazio, ma sarei felice se non si ripetesse ancora.» rispose la ragazza ancora un po’ interdetta.
«Farò del mio meglio, tranquilla. Cansu non abita più qui?» chiese lui, indicando l’appartamento.
«Sono sua cugina. Mi sono trasferita da poco perché l’idiota del mio ex mi ha cacciata di casa.»
«Capisco. Non ti sembra strano?»
«E come! Anch’io mi son detta come ha potuto farlo? In fin dei conti era la casa in cui abbiamo vissuto insieme fino a qualche tempo fa! Solo perché il contratto era suo, ma ho pagato tutte le spese…»
«Aspetta, non volevo dire questo!» la interruppe Ozgur. «Mi riferivo al nostro incontro.»
«Già è strano. Ma non intendo che lo sia tu. Dico, il trovarci costantemente così, è molto strano.»
«Ora che siamo vicini non lo sarà.»
«Vero. Comunque non ci siamo ancora presentati.»
«No, eh? Io sono Ozgur.» disse il giovane porgendole la mano.
«Ezgi» rispose lei stringendogliela.
Si guardarono negli occhi per qualche istante che parve infinito, accennando entrambi un sorriso innocente.

 

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Capitolo 5
*** puntata 1 - part 5 ***


COME CONQUISTARE UN UOMO
 
Cansu non aveva visto male. Ezgi stava sorridendo. Aveva un nonsoché di luminoso negli occhi e come splendevano i denti in quel sorriso.
Sì, sorrideva e proprio dopo essere rientrata dalla veranda.
La dottoressa scrollò le spalle poggiando una mano sul fianco poi sospirò dicendo: «Ah, non è possibile!»
«Che succede?» chiese Ezgi cancellando lentamente dal volto la sua espressione sognante.
La cugina le si avvicinò continuando a guardarla in volto con circospezione, come se stesse a contatto con un alieno. «Quell’espressione sul tuo viso…»
«Cosa c’è?» domandò ancora Ezgi imbarazzata.
«Hai conosciuto il vicino, vero?» e Cansu fu talmente schietta che sua cugina si irrigidì sentendosi come giudicata dagli sguardi e da quella domanda, e affermò con voce incerta come se avesse avuto paura nel rispondere.
L’unica che sembrava scendere ancora dalle nuvole fu Denise, che chiese chi fosse il vicino e che cosa stesse succedendo.
«Non è altri che la reincarnazione dell’uomo sbagliato. Il signor Sbagliato» rispose Cansu tutto d’un fiato. «E vi dirò, - proseguì – non l’ho mai visto due volte con la stessa donna. Non lo conosco bene, e non ho intenzione di farlo.»
Ezgi, nel suo piccolo cantuccio, si sentì accusata, e la maniera con la quale allentò i muscoli sembrò sgretolarla.
«In poche parole: Ezgi deve tenersi a distanza da lui, giusto?» sentenziò Denise avvicinandosi alle amiche.
«Assolutamente!» esclamò la dottoressa, poi rivolgendosi alla cugina, «Tesoro, ascolta. Lui è diverso da tutti gli uomini che hai avuto fino ad ora. Bastano due minuti per ritrovarti nel suo letto e altrettanti cinque minuti per ritrovarti fuori dalla porta. Non provare mai a restare sola con lui.» l’avvertì.
«No, non succederà mai!», ma quella risposta la giovane l’aveva detta balbettando, per non parlare delle sue pause spaesate che celavano censurati pensieri, quelli che si era fatti sulla veranda guardando il diretto interessato negli occhi. Con quello sguardo complice che si erano scambiati, e quella stretta di mano che voleva sancire il loro avvicinamento. Certo, questo, non poteva mica dirlo alle amiche.
«Ezgi, non ci provare!» fu Denise a riportarla alla realtà, forse avendo intuito qualcosa. Ed Ezgi chiuse gli occhi facendo una piccola smorfia acconsentendo a quell’avvertimento, ma non riusciva a togliersi dalla mente quell’attimo.
«Ricordati che hai promesso di restare lontana dagli uomini sbagliati!» riprese Cansu, rivolgendole un dolce sorriso. «E poi, ti incontrerai col dottore, questo fine settimana. Sarà la tua occasione. Entro la fine dell’estate, ti ritroverai con un anello al dito.»
Ed Ezgi ricambiò quel sorriso ma per cortesia e non perché era d’accordo con le parole di sua cugina. Solo che poi, la frase “anello al dito” la sradicò completamente dal suo chiodo fisso e le iniettò un senso di eccitazione.
«Parli sul serio?» chiese appoggiando i glutei contro il tavolo.
Cansu ammiccò.
«Quindi mi sposerò prima di Soner?»
«E perché no?»
Non vedeva l’ora di dargli una bella lezione, sbattendogli in faccia l’anulare cerchiato da un anello d’oro, provandogli che anche senza di lui il suo sogno si era avverato.
L’idea l’allettava e molto.
 
***
 
Il mattino seguente, fresche di stampa, vennero messe in vendita copie e copie del giornale Magazine, la cui copertina ritraeva il ristoratore più giovane, avvenente e ricco di tutta Istanbul. Appaiava l’immagine, in basso a destra, una scritta bianca a caratteri stampati: “SIGNOR SBAGLIATO”.
Inutile dire che andò a ruba. La curiosità dei cittadini era alle stelle, specialmente quella delle donne che erano solite frequentare il suo locale.
E anche lì arrivò il giornale e i suoi dipendenti lo leggevano seduti al bancone del bar.
«Hanno messo un titolo molto forte. Per non parlare delle critiche.» Disse Emre mentre stuzzicava delle noccioline. Di fronte a lui c’era lo chef e al suo fianco Gizem che si accarezzava una ciocca di capelli. «Chissà come reagirà quando lo verrà a sapere.» si disse sorridendo. La curiosità della ragazza non ebbe lunga durata, poiché il diretto interessato era appena giunto a La Gabbia con la sua moto e si accorse che qualcosa non andava a partire dai presenti per la strada e dal parcheggiatore che lo fissavano con sguardi titubanti.
Quando entrò in sala e salutò ebbe la conferma che non si stava sbagliando. Il barman si allontanò dal bancone e Gizem riprese il suo lavoro senza dire nulla, ma continuarono a lanciarsi sguardi complici e sorrisetti beffardi che di certo non passarono inosservati. L’unico che rimase al suo posto fu Ozan.
«Cosa c’è? – sbottò a quel punto – sorridete, vi guardate l’un l’altro farneticando qualcosa. Che cosa è successo?»
«Non è successo nulla, è tutto normale, come sempre.» rispose Emre sorridendo a trentadue denti.
«Come sempre…» Ozgur non ne era convinto. Poi si volse verso l’amico chef e guardò il giornale aperto, «Quella cos’è, la mia intervista?»
«Ah, sì! Esatto!» si scosse Ozan chiudendo la rivista. «Ma non c’è bisogno che tu la legga, stesse cose…»
«È molto bella, eh?»
Ozan si volse a guardarlo, e lui continuò sorridendo con soddisfazione, «Mi ha davvero elogiato, anche se penso che abbia esagerato un po’ troppo chiamandomi Signor Perfetto.»
I presenti non seppero cosa dire, mentre lui aggiungeva «Mi sento davvero imbarazzato per lei, sapete? Sono successe un po’ di cose ieri mattina, dovrei chiamarla e scusarmi, sperando che non si sia arrabbiata.»
«No. Non penso che si sia arrabbiata.» rise lo chef.
«Fammi capire, perché stai ridendo, amico?»
«Non importa. Dimentica, questo giornale»
«No, fai vedere!» e riuscì a sfilarglielo dalle mani. Lo guardò e lesse: «Signor Sbagliato?»
Ozan annuì.
«Cosa vuol dire signor Sbagliato? Mi ha chiamato signor Sbagliato!» e principiò a sfogliare le pagine per cercare la sua intervista.
“Le mie preferenze riguardo le relazioni bilaterali…”
«Cosa vuol dire con questo?» chiese ancora rivolgendosi all’amico. «Voglio proprio leggere…»
“Ozgur Atasoy, il businessman di successo, purtroppo non riesce a trovare lo stesso successo nella vita personale. Non crede nell’amore e nel matrimonio. Inoltre per lui le donne non sono importanti e vuole che questa sua scelta venga rispettata.”
«Le foto sono belle, comunque.» intervenne Ozan indicandone una.
 
Ozgur era a dir poco furibondo. Che cos’era quel vergognoso articolo? Quella donna aveva scritto tutto il contrario di ciò che lui aveva detto. Quando mai aveva detto di non credere nel matrimonio e nell’amore, solo perché era successo quel piccolo diverbio con quell’altra ragazza? Eppure sapeva che non sarebbe potuta durare, almeno glielo aveva fatto capire. Oh, ma perché non lo capivano?!
Sfogò i suoi pensieri con il suo amico il quale con nonchalance ammise che la donna era stata un po’ cattiva.
«Un po’, un po’?!» gli chiese credendo che stesse ancora scherzando, poi lo squillo del suo cellulare lo distrasse dai suoi deliri. Lo prese e lesse il nome di Ebru.
«Guarda, sta chiamando mia sorella. Sicuramente mia madre deve aver visto tutto.» e rispose mantenendo la calma. «Dimmi, sorellina.»
«Fratello, abbiamo letto la tua intervista.» esclamò la ragazza dall’altro capo con voce preoccupata.
«Che velocità. Ebru, ascoltami, non credere a una sola parola di quello che c’è scritto. Il giornalista ha solo brutte intenzioni, non ha a che fare nulla con me.»
«Va bene Ozgur, ma dovresti dirlo anche alla mamma. Ha avuto una crisi di nervi. Dovevi vederla. Sogna da una vita che tu formi una famiglia, e quando ha letto quelle cose si è sentita devastata. Sai com’è.»
«Sì, lo so. Comunque le parlerò, non preoccuparti.»
«Anche se non so quando possano servire le tue parole, questa volta. Vuole che tu ti sposi e mi ha fatto dire a tutti di trovare delle ragazze per te. Le ha invitate tutte al mio matrimonio per far sì che tu ne scelga una.»
«Dimmi che stai scherzando, non è possibile.» esclamò Ozgur snervato.
«Credo che le cose si stiano mettendo male per te. Ti ho chiamato per fartelo sapere.»
Il giovane si grattò la nuca non sapendo come ribattere. Sua sorella aveva perfettamente ragione, le cose si stavano mettendo male. Sua madre aveva preso una decisione a dir poco da pazzi. Salutò sua sorella e raccontò dell’accaduto a Ozan, che conoscendo Sevim, aveva intuito le sue intenzioni.
«Non dovresti andare a quel matrimonio da solo. Lo sai, vero?» gli chiese calmo come se più che una domanda gli stesse dando un consiglio.
«Ovviamente.»
Dopo quella risposta, piombò il silenzio, lo chef continuava a guardarlo, pensieroso. Poi ebbe un’illuminazione. «Fatti accompagnare da quella pazza dell’albergo! Quando zia Sevim la vedrà, dirà che è sicuramente meglio di nulla.»
Ozgur accolse quella proposta come una scudisciata dietro ai reni, ma sorrise comunque alla genialata dell’amico. «Non lo dirà, perché il suo problema non è il matrimonio. Lei vuole dei nipoti. È ossessionata da questo, comprendi?»
Arreso alla situazione, Ozan si congedò dicendo che oltre ad essere dispiaciuto doveva tornare a lavorare e, prima di andarsene, gli raccomandò di non arrabbiarsi.
Ma a cosa serviva? Ormai il guaio era fatto e, malgrado tutto, doveva trovare una soluzione. Non si sarebbe sposato con qualcuna scelta dalla mamma, anzi. Non si sarebbe sposato a prescindere.
 
***
 
“Il rapporto che hai avuto con tuo padre influenzerà le tue relazioni future, poiché è il primo uomo della tua vita”
Ezgi, seduta sul divanetto di vimini sul terrazzo, leggeva quelle parole cadendo dalle nubi, come se avesse fatto una scoperta e di tanto in tanto sottolineava con una penna le frasi che riteneva più importanti. Ma quella frase la scosse talmente tanto che sbuffò esasperata portando la tesa all’indietro e pestando i piedi sul materassino.
«È vero! Tutti gli uomini che ho avuto erano simili a mio padre. Ora capisco, è tutta colpa sua!» girò pagina chiedendo al libro cosa avrebbe dovuto fare a quel punto. E quello le rispose: “individuerai le sette caratteristiche che desideri in un uomo, senza scendere mai a compromessi”
Sospirò ancora lasciando cadere il tomo sul grembo, poi lo riprese e lesse: “Stai lontana dagli uomini sbagliati”, «Sta parlando di te» mormorò voltandosi verso la veranda del vicino il quale ignaro di tutto si affacciò andandosi ad appoggiare alla balaustra di vetro con in mano un bicchiere di limonata, a fissare il panorama. Fino a che si accorse di lei che continuava a leggere a voce alta. La osservò e ascoltò il tempo che bastava per capire che cosa stesse dicendo, poi attirò la sua attenzione esclamando: «È la prima volta che vedo qualcuno studiare per trovare un marito.»
Ezgi trasalì voltandosi di scatto. Ozgur, senza chiederle il permesso passò tra i cespugli che dividevano i due terrazzi e si avvicinò alla ragazza.
«Invece di prendere un gatto, hai preso un libro.»
«Oh! Ecco il signor so-tutto-io!» lo salutò lei infastidita.
«Dammelo, voglio leggerlo» e detto questo le sfilò il libro di mano, facendola scattare in piedi per farselo restituire. «Lascialo!» urlò Ezgi.
«Solo un secondo, voglio solo guardare. Non ho cattive intenzioni. Solo guardare un attimo – diceva il ragazzo mentre lei si dimenava nel disperato tentativo di raggiungere con le sue piccole braccia la mano di lui il quale sembrava enorme. – Questo libro non deve mai capitare nelle mani di un uomo. È stato scritto per sole donne.» lesse Ozgur portando in alto l’oggetto, mentre Ezgi gli schiaffeggiava il braccio.
“Questa è la sacra Bibbia per le donne che non sono sposate!”
Poi finalmente, il libro gli venne tolto di mano e Ezgi, livida di rabbia gli urlò contro: «Vergognati!», poi ricomponendosi si sedette sul divanetto.
Ozgur, dal canto suo, rimase in piedi a guardarla con le mani appoggiate sui fianchi, «Hai perso il cervello? Credi davvero che questo libro funzionerà?» le chiese.
La ragazza lo guardò indispettita e in tal modo rispose: «Certo che funzionerà. Se l’uomo è quello giusto!»
«Se l’uomo è quello giusto?» ripeté Atasoy, prendendo posto su una poltrona accanto a lei. «Allora dimmi: quale sarebbe l’uomo giusto?»
«Ascoltami – disse Ezgi – so perfettamente che queste cose sono estranee per te.»
«Già.»
«Però lascia che ti dica una cosa»
«Ti ascolto.»
«L’uomo giusto è leale, non egoista – iniziò ad elencare e per essere sicura di non aver dimenticato qualcosa diede un’occhiata discreta alla pagina che si era segnata – Rispettoso, sensibile» nel mentre guardava il cielo come se lo stesse immaginando.
«Hai dimenticato OBBEDIENTE!» proruppe il giovane.
Compiaciuta, Ezgi disse: «Beh, non mi dispiacerebbe se mi ascoltasse.»
«Ho un amico che farebbe al caso tuo. Te lo presento se vuoi… Tesla?!» e a quel richiamo, il pastore australiano abbaiò correndo incontro al suo padrone «Vieni qui, Tesla!»
Quando lo vide, Ezgi non si offese per la presa in giro, anzi, cercò di prendere confidenza con l’amico a quattro zampe elogiando la sua bellezza e accarezzando il pelo lungo. «Comunque sei davvero molto divertente» si rivolse al vicino di casa.
«Anche tu sei divertente, perché – non per rovinare i tuoi sogni ma- lasciati dire che non esiste un uomo così e nemmeno donne così.»
«È qui che ti sbagli. Perché io sono così e sono donna! Perciò se esisto io, esiste anche lui»
Ozgur la guardò.
«Ho incontrato qualcuno che potrebbe avere queste qualità. E pensa un po’, mi incontrerò con lui questo fine settimana.»
«Sai, anch’io avevo un amico immaginario, ma quand’ero piccolo. Non ti pare di essere troppo grande per queste cose?» la schernì serio.
«E cosa ti fa pensare che sia immaginario?» chiese la ragazza cercando di non perdere la pazienza.
Ozgur portò il suo busto in avanti avvicinandosi a lei, in modo tale che potesse parlare senza alzare la voce, «Ti ricordo che hai pianto sulla mia spalla per un altro uomo. Dove lo hai trovato?»
Ezgi si portò una ciocca dietro l’orecchio rispondendo che lei non aveva trovato nessuno e che era stato l’uomo a trovare lei. «È un dottore molto affascinante e anche molto gentile.» aggiunse fiera di se stessa.
«Ammettilo! Hai finto di essere malata per incontrarlo.»
«Non dire stupidaggini. Mi ha investito con la macchina.» e sulle sue guance comparve un velo porpora, immaginando che tipo di malattia poteva inventare per farsi visitare da un ginecologo. No, aveva ancora una goccia di pudore nel sangue.
«Ancora peggio! Sei saltata addosso alla sua macchina!»
«Ma sei pazzo! Se continui a prenderti gioco di me, torno dentro!»
«Va bene, va bene. Calmati adesso. Se ho ben capito, per prima cosa, non vuoi più avere a che fare con gli uomini sbagliati, vuoi solo stare con l’uomo giusto. Ho ragione?»
«Ovviamente!»
«Allora, ti darò qualche consiglio. Sei pronta? Ascoltami bene…Non esistono né uomini sbagliati e né uomini giusti. Uomini e donne si modellano tra loro. Io penso che siano le donne a modellare gli uomini. Per concludere, ci sono donne che si comportano bene e donne che si comportano male»
A quelle parole Ezgi rimase allibita, ma ebbe la prontezza di replicare. «Quindi è di nuovo colpa delle donne, eh? Scusa, ma perché ce l’hai così tanto con le donne, tua madre non ti ha amato abbastanza quando eri piccolo?»
Ozgur, prima di rispondere, si sfilò gli occhiali da sole e si strinse il setto nasale con due dita sospirando, «Sì, è morta dandomi alla luce.»
Ezgi rimase con la bocca aperta, dolente per essere stata così dura con lui. «Mi dispiace tanto. Non lo sapevo, davvero»
Il giovane si guardò intorno poi sbottò gesticolando nervosamente verso di lei. «È questo il tuo problema! – esclamò – credi a tutto quello che senti! Ci credi subito perché agisci col cuore non con la mente! Questo succede perché non conosci bene le regole»
Dire che era infastidita era ben poco, ma lo ascoltò lo stesso. Di quali regole stava parlando?
Secondo Ozgur Atasoy, la relazione tra un uomo e una donna è un potere che richiede una pianificazione e una delicatezza perfette. Il primo che mostra amore è destinato a perdere.
«Sei sempre tu, quella che chiama per prima, giusto? E sei sempre tu la prima che dice “Ti amo”, a scusarsi sempre, ad essere umile e a fare regali nei giorni speciali. Anche quando il tuo ex ti ha preparato dei compleanni di merda, tu hai continuato a preparare per lui delle feste a sorpresa coi fiocchi.»
«Ah! Basta. È così!» lo interruppe colpita nel suo io. Aveva centrato in pieno, perché continuava ad elencare i suoi fallimenti?
«Ecco di cosa stavo parlando. Se continui a comportarti così, continueranno a trattarti come una nullità. In parole povere rimarrai sempre sola.»
«Ma dai?! Veramente? Visto che sai tutto, perché sei single? Guardati tu per primo!»
«Ma tesoro, la mia è una scelta. Perché pensi che io sia solo? Sono io a gestire la mia vita. C’è chi sceglie di vivere in un modo, chi in un altro.»
«Non ho bisogno di ricevere consigli da un uomo come te, che pensa che l’amore sia solo questione di ormoni e che le relazioni siano solo una forma di divertimento. Non ne ho bisogno.»
Ozgur scosse la testa. Non aveva intenzione di sprecare altro fiato con quella pazza, così si alzò acconsentendo al suo volere e prima di andarsene, disse: «Poi però non venire di nuovo a piangere da me. Va bene?»
Ezgi ormai furibonda, afferrò un sassolino dal vaso che faceva da ornamento al piccolo tavolo e glielo lanciò contro urlando che non lo avrebbe mai fatto.
 
***
 
La sera di quel fatidico sabato, Ozgur si trovava sotto la doccia. Si stava preparando per andare a La Gabbia. Stava per sciacquarsi i capelli quando l’acqua dal doccino finì di cadere. Sorpreso, il giovane uscì dalla doccia avvolgendosi la sua parte virile con un asciugamano e, avvicinatosi al citofono sperava che Aydar ascoltasse il suo richiamo. Ma il portinaio sembrava scomparso.
«Ah, Aydar! – sospirò seccato – restassi al tuo posto, per una volta!»
Uscì dall’appartamento, e si avvicinò al pannello delle tubature per capire cosa fosse successo, ma qualcosa, o per meglio dire qualcuno attirò la sua attenzione.
Comparve una donna, con un lungo abito rosso scarlatto, uno spacco laterale le scopriva una gamba e onde di capelli castani le coprivano la spalla diafana. Era Ezgi ed era bellissima.
Ozgur rimase incantato per qualche istante, poi quando si rese conto che la donna si era accorta di lui, le si avvicinò spiegandole il motivo per il quale si trovava in quelle condizioni (bagnato, a petto nudo e con la schiuma che gli faceva brillare i capelli neri. Era un belvedere, altro che spiegazioni!).
Poi la fissò dalla testa ai piedi come se le stesse facendo una scansione ottica, e la ragazza gli fece gesto si spiegarle quel suo atteggiamento, ma Ozgur, nonostante tutto, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
«Da me l’acqua arriva – rispose la ragazza – però adesso non posso aiutarti, vado di fretta.»
Già, l’incontro col dottore, si disse Atasoy. «Ah, quindi hai studiato e ora sei pronta.»
Ezgi si girò lentamente aprendo le braccia come a volergli chiedere “Non si vede?”
Certo che lo vedeva e anche benissimo. Il giovane alzò i pollici, poi la porta dell’ascensore si aprì e la ragazza entrò.
«Aspetto con curiosità il risultato!» esclamò lui per farsi sentire, ma Ezgi lo ignorò. Spinse il bottone e lasciò che le porte di chiudessero, mentre Ozgur rimase fermo a guardarla, fino a quando non la vide scomparire.

 

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