Tiny Love

di OneDayYoureGonnaFly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who cares about tomorrow? ***
Capitolo 2: *** Right now I do ***
Capitolo 3: *** Ordinary Man ***
Capitolo 4: *** Carry on ***
Capitolo 5: *** Love Today ***



Capitolo 1
*** Who cares about tomorrow? ***


Londra, luglio, la città sembra andare a rilento. Il caldo sale dall’asfalto e appanna la mente delle persone. “Sembrano tutti un po’ storditi e molto sudaticci” penso guardando fuori dalla finestra, appoggiato con il gomito al davanzale e la mano che mi sorregge il mento. In casa mia si sta bene, il condizionatore mi sta salvando la vita. Mi metto al pianoforte, rigorosamente in mutande, non posso pensare di sopravvivere con i vestiti, e lascio che i tasti scivolino sotto le mie dita. Passa il tempo veloce e non me ne accorgo, guardo l’orologio, sono le 13.00.
Questa mattina ho saltato la colazione, non mi capacito di come io abbia fatto a resistere fino ad ora di pranzo per mettere qualcosa sotto i denti. Mi alzo e saltando mi dirigo verso il frigorifero. Preparo un sandwich e prendo una bottiglia di acqua fresca. “È importante rimanere idratati con questo caldo” dico con voce buffa, come quella delle persone negli spot pubblicitari. Rido arricciando il naso pensandomi a condurre un qualche programma di televendita. Mangio e mi rimetto al pianoforte.
Suona il telefono, e mi chiedo a quest’ora chi possa essere. È Marc, un amico, mi chiede se stasera ho da fare, ma mi obbliga quasi a dire di essere libero. Vuole portarmi a tutti i costi ad una festa un po’ fuori città con lui e Alex. Dice che ci sarà musica e tanto da bere. “Well” - mi dico io stretto in me- “andiamo, perché no”. Ultimamente le feste non mi attirano, sarà per il troppo caldo, ma l’idea di ballare tutti sudati e appiccicosi non mi piace più di tanto. Al nascere di questo pensiero storco il naso e sulla mia faccia compare una smorfia di disgusto, ma prima che io possa ritrattare Marc con voce sorridente interrompe i mie pensieri: “Bene a dopo, alle 19.00 sono lì. Michael puntuale, mi raccomando”, “Promesso!” replico e metto giù.
Ma cosa è tutta questa fretta e voglia di portarmi fuori casa? Penso. Sicuramente Marc e gli altri stanno tramando qualcosa, o forse hanno solo voglia di vedermi. Con questo caldo non esco da settimane con loro. Scrollo le spalle e rido di nuovo pensando che forse semplicemente vorrebbe che io fossi in orario…per una volta!
Prendo una birra dal frigorifero e mi butto sul divano. Perso nei miei pensieri, mi addormento e la birra mi si rovescia addosso. “Cazzo, che bel risveglio di merda” esclamo notando di aver sporcato tutto il divano. Guardo l’orologio, ho dormito un’ora e mi chiedo come faccio a non aver fatto cadere la birra prima. “Mi piace troppo la birra e non volevo lasciarla andare, unica spiegazione possibile” dico con voce soddisfatta e ironica. Ultimamente parlo da solo e questa cosa mi fa spesso sorridere. Forse sto diventando pazzo. Mah, in realtà hanno detto che chi parla da solo è più intelligente! Stretto in questa convinzione vado sotto la doccia. I ricci bagnati mi arrivano alla punta del naso. Lascio che l’acqua cada lentamente su di me e appoggio la testa contro la muro. Nella mia testa c’è solo musica.
Ho fatto una promessa, devo essere in orario. È tardi, molto tardi. Mi sono perso via, ho cantato e ballato con una spazzola in mano e in accappatoio. Quando mi prendono i cinque minuti do il meglio di me, e penso che se dovessi essere davanti ad un pubblico la cosa che vorrei di più è che tutti si divertissero ballando, proprio come mi diverto io.
Mi infilo dei jeans scuri e una t-shirt bianca girocollo. Profumo, ne metto tanto, e deodorante. Non vorrei mai finire come quelli che alle feste ti impediscono anche di passargli vicino dalla puzza. E poi diciamocelo, il profumo è una delle cose più belle da sentire su una persona. Quando ti avvicini a lei e senti il suo profumo entri in un qualche modo nel suo mondo. Io adoro tutto ciò.
Sono le 19.00 e puntuale -mi meraviglio di me stesso-, esco di casa e aspetto. Ho le spalle appoggiate alla porta e una gamba sollevata indietro, guardo in alto e perso nei miei pensieri non mi rendo nemmeno conto che sono arrivati. 19.10, penso sia la prima volta che mi capita di anticiparli. Marc mi fa cenno con la mano destra, e sorridente mi invita a raggiungerli e salire in macchina. “Ci vorrà un po’ ad arrivare, ma niente paura la festa inizia alle 22.00, abbiamo tutto il tempo, a quest’ora uscire dalla città sarà un delirio”, dice. Prima di salire in macchina Marc mi abbraccia “Finalmente, chi non muore si rivede” ride e si sorprende per la mia strana, molto strana, puntualità. Saluto anche Alex, improvvisamente mi sento bene, ho voglia di divertirmi. Sono giovane e chissenefrega del domani, delle persone sudaticce e se starò male perché avrò bevuto troppo, voglio solo ballare e non pensare a niente!
Arriviamo al pub, è molto carino e la musica si sente già dal parcheggio. Entriamo e anche se è molto presto decidiamo di prendere una birra aspettando che arrivi un po’ di gente. La birra fresca mi bagna le labbra e adesso che ho fatto un sorso sono proprio contento che Marc non mi abbia lasciato modo di dirgli no.
Parliamo del più e del meno, mentre le birre da una diventano due e poi tre. La gente inizia ad arrivare e io mi butto a ballare nel centro del pub. Ho creato un effetto a catena, Marc e Alex mi seguono, qualcuno doveva pur rompere il ghiaccio e quando si tratta di ballare il sottoscritto si butta sempre. Il ragazzo alla console suona Pump it up the jam, con un braccio al cielo e l’altro che solleva il bicchiere di birra mi lascio andare e chiudo gli occhi.
Quando li riapro incrocio lo sguardo con quello di un ragazzo. Non l’ho mai visto prima. Ma ehi, a proposito di non vedere, gli altri dove sono? Prendo il telefono, un messaggio di Marc “Torniamo subito, Alex non sta bene… ha bevuto troppo. Facciamo due passi”, “Va bene, fammi sapere come sta” rispondo e guardo l’orario. In effetti da quando mi sono buttato in pista sono passate due ore, come ho fatto a non accorgermene? Ops, troppa birra…e poi la musica. Si dai, diamo la colpa alla musica!
Torno a guardare nel punto in cui avevo visto quel ragazzo. Non c’è più.
Dovevo trovarlo.
Il suo sguardo mi aveva catturato, qualcosa in lui mi aveva catturato.
Mi giro, è lì. Sta ballando vicino a me. Mi avvicino, sento il suo profumo. Dolce e forte. Ha qualche nota di orientale, mi piace. Alza lo sguardo, ha gli occhi azzurri che le luci della discoteca fanno risaltare ancora di più. Ha la pelle chiara, i lineamenti dolci e i capelli rossicci e dritti. È il mio opposto. Sta sorridendo. Avvicina la sua testa al mio orecchio “È per te, ho visto che balli da tanto, magari hai sete”. Noto solo ora che in mano ha due bicchieri di birra, sorrido e annuisco. Allungo la mano per prenderlo, lui fa lo stesso per porgermelo. Le nostre dita si sfiorano…

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Capitolo 2
*** Right now I do ***


Sono pervaso da un brivido che dalla punta dell’indice corre lungo le braccia arrivando al collo e sulla schiena lasciando un’evidente traccia di sé sulla mia pelle, pelle d’oca. Mai mi era successo prima, sono quasi imbarazzato. Io che con qualche birra in corpo parlerei anche con la regina Elisabetta in persona senza farmi scrupoli, ora mi ritrovo incapace di proferire parola. Ho la sensazione che se solo provassi ad aprire bocca non uscirebbe nessun suono, o peggio ancora emetterei solo un sibilo acuto che mi farebbe sprofondare nella vergogna. Sento la bocca secca, prendo il bicchiere e ne bevo più di metà sperando che possa farmi uscire da quello stato di imbarazzo. Lui si mette a ridere – ha un sorriso…si insomma uno di quei sorrisi perfetti, i denti bianchi e dritti… non riesco a distogliere il mio sguardo dalla sua bocca – “Immaginavo che avessi sete, ma così tanta…!”. Rido anche io – più per imbarazzo, ma questo lui non lo saprà mai – “Sai, sono ore che ballo e qui dentro fa veramente caldo”, mi interrompo per qualche secondo e poi non so con che coraggio – probabilmente è la birra – dico “Ti va di uscire a prendere una boccata d’aria?”. Lui fa segno di sì e con un cenno della testa indica la porta. Tiene il bicchiere stretto e sul braccio gli si vendono le vene in rilievo. Ha una t-shirt nera, la veste benissimo. Lo scollo a V risalta la perfetta postura delle sue spalle. Sembra proprio che il ragazzo vada in palestra. Solo a questo pensiero sento che sulla mia bocca nasce un sorriso ammiccante e le mie guance si infuocano.
Esco facendomi largo tra la gente, ne è arrivata davvero tanta. L’aria fresca –o forse mi sembra esserlo solo perché quella dentro è irrespirabile e caldissima – mi accarezza il viso, e le mie guance si raffreddano. Mi volto per accertarmi che mi abbia seguito. Ma udite udite…gli sbatto contro rovesciandogli addosso parte della birra! A mia discolpa posso solo dire che non pensavo mi fosse così vicino. Le mie guance, che finalmente non bruciavano più, tornano a farlo e io mi sento sprofondare. Rido imbarazzatissimo. Ma cosa mi sta succedendo? Non capisco più niente, so solo ridere e sorridere come un ebete.
“Scusami, sono mortificato davvero, non volevo, vado a prenderti dei tovaglioli”
“Tranquillo, non è successo niente, è solo un goccio”
“No davvero mi sento in colpa”
Mi mette una mano sulla spalla e mi dice con voce sottile, quasi sussurrando “Tranquillo”. Le sue labbra si uniscono e si allontanano in modo particolare, capisco che non è di Londra, nessuno avrebbe mai pronunciato così quella parola in città.
“Comunque io sono Andy, tu chi sei?” mi chiede con tono curioso. Che buffo, a me sembrava di sapere già tutto di lui solo guardandolo negli occhi, quando in realtà fino a qualche istante fa non conoscevo nemmeno il suo nome.
“M-Mika…cioè Michael, ma tutti mi chiamano Mika”
“Beh, se tutti ti chiamano Mika, io voglio chiamarti Michael” - sorride- “va bene?”
Mi sento la faccia diventare rossa, prendo un altro sorso e dico velocissimo “Certo”. Stasera proprio non mi riconosco più.
Vedo in lontananza arrivare Marc e Alex, si avvicinano a me e Andy – non credo fosse il suo nome reale, ma va bene comunque -. Temo in una qualche battuta tipica di Marc quando mi vede con un ragazzo. Ha un umorismo tutto suo, solo chi lo conosce da tanto può realmente capirlo. Come solito fare mi saluta con un braccio alzato e un cenno della mano destra.
“Mika, ti stai divertendo?” si limita a dire questo con un accento tipicamente londinese, sorridendomi e indicando con lo sguardo alla mia sinistra, proprio dove c’era Andy che ne accorge subito e allunga la mano per presentarsi.
“Ciao! Sono Andy, piacere”
“Piacere, io sono Marc e lui è Alex. Vedo che hai conosciuto il nostro Mika, spero che abbiate avuto modo di parlare perché ora sono venuto a riprenderlo. Alex sta ancora male, la passeggiata non l’ha aiutato. Pensavamo di tornare verso casa…”
Oh no, di già? Penso con estrema delusione, proprio adesso.
“Andate in città?” replica prontamente Andy, Marc annuisce, “Gli do un passaggio io… se si fida” ride soddisfatto e mi lancia uno sguardo.
“A me va bene” – Mio Dio ma con che coraggio ho detto ciò, nella mia testa mi sto dando una sberla in fronte e mi viene da ridere pensando a questa scena – “Certo va bene, nessun problema” dice Marc “scusaci se non siamo stati di compagnia, ci faremo perdonare” mi stringe il braccio e mi sorride “Ci sentiamo, mi raccomando non sparire ancora”. Lo saluto e si allontana tenendo Alex, moribondo, sotto braccio.
Dopo un attimo di silenzio, Andy prende in mano il discorso “Spero di non essere stato troppo precipitoso, ma insomma ci stiamo divertendo qui, mi sembrava un peccato ecco…” per la prima volta da quando mi si è avvicinato abbassa lo sguardo, per la prima volta noto un briciolo di imbarazzo anche in lui.
“No, non lo sei stato, anzi… hai fatto bene”. Adesso mi riconosco. Ho pronunciato questa frase a voce alta guardandolo negli occhi, poco fa non ne sarei stato capace. Lui mi guarda e piega la testa su un lato, ha notato qualcosa. Mi passa la mano sulla fronte e mi sposta i ricci “Ecco, così va meglio. Quel riccio fuori posto stonava sul tuo viso”.
Faccio per sistemarmi meglio e le nostre mani si sfiorano ancora, questa volta però non le togliamo precipitosamente. Le lasciamo esplorarsi. Seguo la sua che mi contorna il profilo e scende sul collo e sulla spalla per poi cadere…
“Andy sta per…fammi indovinare”
“Uhm” stringe gli occhi e arriccia la bocca incuriosito “sentiamo…”
“Beh, insomma Andy… Andrea?” - si Andrea ci potrebbe stare, magari ha origini italiane… -
“Fuoco…ma no, sta per Andreas”
“Beh dai, sono stato bravo, ho quasi indovinato! E dimmi un po’… Andreas… non sei di Londra vero?”
“Esatto, vivo a Londra ma hoi origini Greche” - Non avrei mai pensato fosse di origini greche, questa cosa mi intriga parecchio. Sono mezzo libanese e le culture mediterranee fanno parte di me-Voglio sapere di più di lui, sono curioso. Strizzo lo sguardo per cercare di cogliere ogni particolare di lui, quasi come se volessi metterlo a fuoco meglio.
“E dimmi, qui a Londra cosa fai?” continuo
“Sono un regista. Faccio video e catturo la realtà come la vedo io” … “se avessi una telecamera probabilmente immortalerei questa serata… con te che ballavi scatenato, come se nessuno fosse lì e fermerei il tutto sul tuo sguardo.”
Mi sento investire nel petto da queste parole, e il brivido che mi aveva fatto venire la pelle d’oca si ripresenta.
“E tu Michael, tu cosa fai?”
Ancora stordito e sognante da ciò che mi aveva appena detto rispondo timidamente “Io? Io… si insomma io scrivo musica e canto, ma sono all’inizio…” dico queste parole sperando che non mi chieda di più e invece sul suo viso compare un’espressione di ammirazione.
“Devi assolutamente farmi sentire qualcosa” dice
“Adesso?”
“Si adesso”
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, mi toglie il bicchiere dalle mani, lo appoggia su un tavolino insieme al suo. Mi prende la mano e si mette a correre verso la strada deserta. Lo seguo senza troppe esitazioni, come la notte segue il giorno, come se lo avessi sempre fatto, fidarmi di lui mi sembrava una cosa così naturale.
Intona le prime parole di Don’t stop me now, una delle mie canzoni preferite dei Queen. Tutto mi sembra un film. Appena sente che anche io inizio a cantare si ferma e mi lascia proseguire. Preso dall’entusiasmo mi esibisco – inconsapevole – in una performance solista. Smette di correre. Non capisco. Si avvicina. Mi prende la mano e la passa sul suo braccio. “Senti?”, ha la pelle d’oca, “Dove hai imparato a cantare così? Io voglio sentire qualcosa di tuo”.
Mi sento lusingato, ma ci tengo a fare il prezioso e poi… e poi dai insomma l’imbarazzo è tornato! Arriccio il naso e scoppio in una risata facendomi cadere sulla panchina che si trovava lì accanto.
“Di mio dici? Nah, ogni cosa ha il suo tempo...chissà magari un giorno ti dedicherò anche una canzone”.
Lo tiro per la maglietta e lo faccio sedere vicino a me. Passano lunghi minuti in cui non ci diciamo niente, ma semplicemente appoggiati l’uno sulla testa dell’altro, prendiamo fiato. “Che ore sono?”, interrompo il silenzio. Prende il telefono dalla tasca dei jeans scuri. Dice di averlo scarico, senza pensarci troppo gli do il mio. Non avevo voglia di guardare e farmi accecare dalla luce dello schermo. “Sono le 3.30 e ti ho segnato il mio numero”, la sua voce è sorridente, “…è tardi ma io voglio stare con te” dice.
“Stasera?”
“No per tutta la vita” Mi alza la testa, mi sposta i ricci che mi erano caduti sugli occhi e mi bacia.
Oggi mentre stavo venendo qui ho detto che non mi sarebbe importato niente del domani, volevo solo divertirmi. Ma sapete che vi dico? “Who gives a shit about tomorrow? Right, now I do :)

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Capitolo 3
*** Ordinary Man ***


Ed è così che la nostra storia è iniziata, come un lampo a ciel sereno in un giorno di piena estate. Come un treno che passa veloce in un paesaggio deserto e lo sconvolge, facendo tremare le foglie e piegare i fili d’erba.

Quella sera era il 18 luglio, un mese esatto prima del mio compleanno, una data che mi ha segnato e che non dimenticherò mai. Siamo tornati a casa tardi, era quasi l’alba, mi ha lasciato davanti alla porta di casa mia, l’unica blu in mezzo a tante altre grigie tutte uguali. “Ci sentiamo”, mi bacia sulla fronte, aspetta che io entri e solo una volta che ho chiuso girando le chiavi nella serratura, sento che si allontana. Il rombo del motore svanisce piano piano. Resto con le spalle appoggiate alla porta, ho il viso rivolto all'insù e sto stringendo l’angolo del labbro inferiore in un morso leggero. Salgo la rampa di scale con uno slancio, mi tolgo i vestiti e mi butto di pancia sul letto.
Un raggio di sole entra dalla finestra e colpisce i miei occhi ancora chiusi, mi giro e per un attimo mi sveglio pensando che fosse stato tutto un sogno. Allungo la mano giù dal letto, trovo i jeans e goffamente tiro fuori il telefono dalla tasca. Apro la rubrica e digito “Andreas”… nessun risultato. Un tuffo al cuore, forse mi ero davvero sognato tutto. Riprovo “Andy”… un risultato: “Andy ;)”. Sorrido stringendo il telefono al petto. Mi riaddormento.
La luce nella stanza si fa più forte, mi metto un cuscino sulla faccia e spingo il lenzuolo in fondo ai piedi. Anche oggi fa caldo. A pancia in su e con il cuscino sul viso la mia mente si sveglia e mi sento soffocare. Metterselo sulla faccia e schiacciarlo con le mani non è stata una grande idea! A volte mi stupisco di me stesso per queste idee geniali! Lo tolgo repentinamente e prendo aria. Sbadiglio lasciando cadere prima la gamba sinistra seguita dal braccio e mi metto seduto. Mi trascino verso il bagno e mi sembra di essere ancora un po’ ubriaco.
Con andatura dondolante sbatto il mignolino contro lo stipite della porta e mi maledico dicendomi le peggio cose. Nemmeno questo però è servito a darmi una svegliata. Appoggio entrambe le mani ai lati del lavandino, giusto per riacquistare equilibrio. Apro l’acqua con la mano destra, ci metto sotto il dito indice per verificarne la temperatura. La lascio scorrere un po’ illuso che magari possa diventare un po’ più fresca. Mi guardo allo specchio “Per Dio!!” Esclamo, che spavento, ho i capelli dritti in testa -immagine molto brutta se pensate che li ho ricci- la faccia di un colorito tra giallo e bianco, delle occhiaie che fanno sembrare che io non dorma da giorni. Ma sulla bocca... sulla bocca un sorriso di cui non mi ero ancora accorto. Una volta notato, sorrido di più emettendo una sottile risata.
Chino la testa, metto le mani sotto l’acqua e me le passo sulla faccia. Ancora gocciolante prendo lo spazzolino, ci metto una dose inquantificabile di dentifricio alla menta e mi lavo i denti energicamente -tra le mie fissazioni c’è anche la cura dei denti, me li lavo circa 7 volte al giorno.
Rialzo il viso e mi passo l’indice sulla bocca e sulla fronte nel punto esatto in cui mi aveva baciato. Mi asciugo le gocce rimaste sul mento e vado in cucina. Ho lo stomaco che brontola e penso di non avere assolutamente nulla per poter fare colazione. Alzo gli occhi e sbuffo all’idea di dover uscire. Guardo l’orologio, le 9.00. - pensavo di aver dormito di più- mi rassegno al fatto che se voglio mangiare -cosa alla quale mi è impossibile rinunciare- devo vestirmi e uscire di casa. Totalmente svogliato mi metto addosso le prime cose che mi capitano, una t-shirt nera e un pantalone bianco in lino, converse e via. Scendo le scale facendo girare la mano sul pomello in legno del corrimano, ormai a metà mi ricordo che non ho messo il profumo. Giro nuovamente gli occhi e li alzo al cielo pensando di dover tornare indietro. Torno in bagno apro l’armadietto, deodorante e profumo. Faccio mente locale. Mi tocco le tasche. Sono vuote. “Il telefono e il portafoglio, certo! Ma dove ho la testa oggi?”. Sapevo benissimo dove cel’avessi. Era persa nel ricordo di ieri sera. Torno nuovamente indietro e li prendo entrambi, il portafoglio era ancora nei pantaloni e il telefono era finito sotto al letto.
Controllo i messaggi prima di metterlo in tasca, sperando forse di averne ricevuto uno suo. Ma niente. Nascondo la delusione ed esco di casa.
Il sole è già alto e decido di andare al caffè che fa angolo. Sto camminando quando mi suona il telefono, per un attimo mi si ferma il cuore e il respiro pensando sia lui. Ma appena guardo…un tuffo nella realtà! È Jules, il mio manager che mi ricorda dell’appuntamento con il discografico e mi dice di chiamarlo subito. Da ieri sera non pensavo ad altro che ad Andy, ma la vita vera, il mio futuro mi stava chiamando. Abbandono un attimo il ricordo del suo sguardo e del suo profumo, faccio un sospiro fermandomi all’ombra di un albero e chiamo. Dopo qualche squillo risponde con tono sorpreso: 
“Mika, che fine avevi fatto? Dovevi chiamarmi ancora ieri. È l’appuntamento più importante della tua vita e tu sparisci nel nulla?”
“Si scusa, hai ragione”
“Dai non importa… sei pronto? Sarà un successone!” Jules è sempre così gentile, cerca sempre di non prendersela per i miei ritardi e il mio essere estremamente straminato. “Ci vediamo oggi pomeriggio davanti allo studio, mi raccomando questa volta non sono ammessi ritardi”
Questa sua frase mi ricorda quella di Marc ieri sera, tutti vogliono che io sia puntuale! Ma davvero sono sempre così in ritardo? Non me ne sono mai accorto… scrollo le spalle e sorrido salutando e mettendo giù. Nell'esatto momento in cui premo il tasto rosso un flash: io sto aspettando il messaggio di una persona –ovviamente sto parlando di Andy… di chi altrimenti? - che non ha il mio numero. Lui mi ha segnato il suo, ma io non gli ho dato il mio! Quando realizzo mi si ripresenta l’immagine di me che si da una botta in testa e rido arricciano il naso. Torno sulle nuvole.
Ma adesso… il dilemma. Che faccio gli scrivo? E se poi lo disturbo?...
Decido di prendere la decisione davanti ad un tazza di tè calda e un croissant. Giro l’angolo e come solito leggo il nome del bar con il mio bellissimo accento francese. Mon Petit Bistrot, tra i miei posti preferiti, mi ricorda gli anni passati in Francia e Parigi, una città che ha un posto nel mio cuore riservato per sempre.
Mi siedo fuori. I tavolini sono davvero carini, in ferro battuto bianco con delle sedie che sembrano quelle che si mettono nei giardini. I ricami sullo schienale ricordano un cuore che si intreccia.
Ordino un tè nero – si perché anche se siamo in piena estate da buon londinese il tè caldo non può mancare a colazione – e un croissant. Mentre aspetto continuo a fissare il telefono, ho deciso di scrivergli ma non so ancora cosa. La cameriera mi coglie impreparato, ero troppo immerso nel pensiero di cosa avrei potuto scrivergli per notarla. “Good mor…” non ha nemmeno terminato la frase che mi spavento e rischio di farle cadere il vassoio. Povera ragazza, chissà cosa avrà pensato di me… mi scuso e lei sorride appoggiando la mia colazione sul tavolino.
Dopo un sorso di tè e un morso al croissant appena sfornato esclamo a gran voce “Ho deciso!”, attorno a me tutti si girano a guardami, ma io non ci faccio quasi caso. Prendo il telefono con mani tremanti e digito “Ei ;) sono Michael” - Si lo so, non è molto originale, tutti vi aspettavate il messaggio del secolo… ma ora come ora non ho fantasia, dovrete accontentarvi– Cancello e riscrivo cinque o sei volte prima di chiudere gli occhi e premere sul tasto “Invio”.
Riapro gli occhi, metto il telefono in tasca. Ancora tremo.
Finisco la colazione, mi alzo per andare a pagare e la mia tasca anteriore vibra. Adesso ci sono buone probabilità che sia lui... Il respiro diventa affannoso e i battiti accelerano. Metto i soldi nelle mani della ragazza, saluto, mi scuso ancora per il danno che stavo per compiere ed esco.
Appoggio la mano sui pantaloni, esito un secondo ma poi prendo il telefono, lo apro. Mi ha risposto. Sembro un bambino di fronte all'albero di Natale pieno di regali, non riesco a contenere la mia felicità e faccio un salto.
“Michael!” recitava solo così, ma mi sembrava il messaggio più bello di sempre.
Mentre sto contemplando lo schermo, un altro messaggio. “Speravo mi scrivessi. Sono stato sciocco a non chiederti il tuo numero, avrei potuto mandarti il buongiorno ;)”
Mi sembrava di sognare, sentivo per la prima volta le farfalle nello stomaco. Una sensazione mai provata, come se mi si stesse girando e rigirando e il mio cuore fosse impazzito.
“Ti perdono, ma il tuo buongiorno lo voglio lo stesso”
Nemmeno il tempo di inviare e…
“Buongiorno Michael… ti ho sognato”
“Buongiorno a te…mi sembra di vivere un sogno” , mi sembrava di averlo accanto e l’emozione forte di ieri sera si ripresenta e mi blocca.
Per tutta la strada ci scambiamo messaggi e scopro che si trova fuori città per un video documentario sulle opere d’arte degli artisti di strada. Gli dico che oggi ho un appuntamento importante, mi augura buona fortuna e mi rassicura dicendomi che sicuramente andrà tutto bene. Ci salutiamo con la promessa da parte mia di fargli sapere come andrà.

Mi accorgo che ho camminato troppo e sono già ben oltre casa mia. Mi sento bene. Ho la testa alta e l’andatura fiera. Era tanto che gli sguardi delle persone non mi facevano sentire a disagio, giudicato. Mi sentivo sopra le righe come al solito ma ordinario nella mia poca e insolita ordinarietà. Sono sempre stato categorizzato e bullizzato per com'ero, per come sono. Ho vissuto anni infernali in cui i colori che mi piaceva indossare erano quasi un taboo. Ho sempre pensato fosse un’ingiustizia, mi svegliavo tutte le mattine proprio come ogni uomo fa, andavo in bagno a lavarmi la faccia come tutti fanno, rifacevo il letto e mi sistemavo i capelli prima di uscire proprio come chiunque fa. Cosa avevo io di diverso? Perché mi giudicavano? Perché i miei colori, la mia gioia erano mal visti? Non sono mai riuscito a rispondere a queste domande, ma dopo ieri sera qualcosa è cambiato in me. Il suo sguardo, il modo che aveva di sorridermi e parlarmi. Le attenzioni che mi ha riservato. Il modo in cui mi ha fatto sentire. Ho capito che per gli altri forse sono fuori dalle righe, ma a me basta essere ordinario per lui.

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Capitolo 4
*** Carry on ***


Entro in casa e vado di corsa a farmi una doccia. Dalla finestra del bagno posso vedere i colori della città e la gente che cammina veloce. Abito in un quartiere vicino ad un piccolo parco pieno di alberi alti e robusti. Se guardo lontano intravedo l’insegna di Mon petit Bistrot. Sembra uno di quegli antichi cartelli in legno, rovinato dalle intemperie e dal tempo che passa inesorabile sopra le cose. Regala a quel posto qualcosa di ancora più magico e suggestivo. Uno stile che unisce il vecchio al nuovo, le cose familiari e le cose lontane ed estranee. Parigi, così distante indietro nel tempo, ma così vicina al mio cuore. È stata per me e la mia famiglia simbolo di gioia ma anche di dolore prima di trasferirci qui a Londra. Mi riprometto tutti gli anni di tornarci, ma da quando vivo da solo è diventato tutto più difficile.
Di colpo l’acqua diventa fredda e penso sia il segnale che devo darmi una mossa, devo ancora scegliere i vestiti – so che sarà una cosa che mi richiederà molto tempo – e provare per le ultime volte la canzone al pianoforte.
Spengo l’acqua con il fianco, metto una mano fuori e palpo letteralmente il muro alla ricerca dell’accappatoio. Una volta trovato, lo indosso ancora dentro la doccia. Non voglio uscire, penso che sotto la doccia potrei starci ore. È tra i miei posti preferiti per pensare e per sognare. L’acqua calda che mi scorre addosso, leggera e inarrestabile mi rilassa. Sembra quasi accarezzarmi.
Metto un piede sul tappeto e mi trascino fuori. Mi asciugo quel tanto che basta. Mi passo un asciugamano sui capelli fradici e poi lascerò che il caldo asciughi il resto. Scendo in mutande e spengo il condizionatore – va bene che fa caldo, ma ho un provino e i miei capelli sono ancora bagnati, non sono così sconsiderato. Non ancora per lo meno! –
È quasi mezzogiorno e sono seduto al pianoforte, un sospiro, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla musica. Faccio esercizi per scaldare la voce e provo più e più volte. L’ho scritta due anni fa, ha un inizio allegro, un inizio che ti fa entrare totalmente nel mood della canzone. Stranezza e tenerezza, voglia di rivincita e rinascita, ma soprattutto euforia.
Miami, 3 del mattino, ho vent’anni sto tornando dallo studio e sto aspettando un amico alla stazione di servizio per andare a casa. Lì accanto a me c’è un signora, 40, 50 anni, non lo so. So solo che si chiama Carolina. Io sto tornando dal lavoro per andare a dormire e lei sta per cominciare. Una notte, dopo qualche mese, lei non c’è più. Londra 3 del mattino, ho ventuno anni, sono nel mio appartamento, seduto al mio pianoforte e scrivo questa canzone pensando a Carolina, la donna della notte.
Quella notte ho lasciato che le parole uscissero senza troppi pensieri e appena ho messo le dita sui tasti e ho premuto le prime note, come se la mia mente avesse già deciso ho prodotto dei suoni bizzarri… ma erano esattamente quello che volevo.
Tum tatari rari tum, tarari rari tum tarari rari…
Ero molto felice quando l’ho scritta, tutto stava andando bene nella mia vita. Oggi sono molto felice, tutto mi sembra andare bene. Sono molto scaramantico e questo mi sembra un segno non da ignorare. Penso proprio di aver scelto la canzone adatta per fare colpo. Provo un sentimento di euforia, che mi ha lasciato addosso l’energia della canzone, misto ad una sana agitazione. Decido di non voler lasciare andare questo sentimento. Decido di lasciare che mi accompagni per tutta la giornata. Penso che mi porterà fortuna, o almeno, lo spero.
Provo e riprovo esattamente 9 volte. E poi mi fermo. 9. Sbarro lo sguardo, lascio lentamente che i muscoli delle mani si rilassino sulla tastiera. Sorrido. Ieri era il 18.
1+8=9.
Chiudo gli occhi mentre sorrido ancora. Sento come se tutto fosse collegato. Non ho mai avuto un numero che ritenessi il mio numero fortunato, ma mi sono sempre affidato agli eventi. Se in un periodo mi capitava di fare una cosa molto bella magari la legavo al numero della data. O se magari ero su un autobus e ricevevo una telefonata importante, per un certo periodo consideravo il numero dell’autobus come mio numero fortunato. Mi è capitato anche di sbagliare, ma insomma… l’ho detto sono scaramantico e mi piace pensare a queste cose.
Oggi posso dire che mi sento legato al 9. E sento che mi porterà fortuna.
Appoggio i palmi delle mani sul bordo del piano, mi spingo indietro e mi alzo dallo sgabello. Resto per un attimo a guardare i tasti, li accarezzo e chiudo il coperchio.
L’orologio segna le pochi minuti alle 14. Mi preparo da mangiare qualcosa di veloce e poi corro a scegliere i vestiti. Penso ad alta voce: “L’appuntamento è alle 16.20” solo dicendolo mi rendo conto che anche la somma di questi numeri fa 9, e a pensarci bene anche stamattina mi sono svegliato alle 9.
“Assurdo!” esclamo sempre più sorridente. “Insomma in ogni caso se l’appuntamento è alle 16.20 devo uscire di casa alle 16 perché ho circa dieci minuti di strada a piedi, e questa volta sono io che voglio essere puntuale. Anzi, in anticipo giusto per non sbagliare” e poi non volevo deludere Jules.
Salgo in camera e apro l’armadio come fosse un sipario. Resto a fissarlo. “Non ho niente da mettere!” ma poi come un flash mi ricordo di aver comprato qualche tempo fa dei pantaloni light blue e una camicia bianca con lo scollo alla coreana e delle pieghe sul davanti. Li indosso e penso proprio che siano perfetti. I pantaloni sono leggeri e la camicia anche, spero non mi tengano troppo caldo. - Vorrei evitare di presentarmi con la pezza sotto le ascelle. -  Rido e mi si arriccia il naso come al solito.
Ho fatto in fretta a scegliere i vestiti, ed è presto. Penso di meritarmi un’altra doccia. Aver tenuto il condizionatore spento non è stato d’aiuto. Prima di stropicciare la camicia la tolgo, l’avrò tenuta su un totale di dieci secondi, il tempo di girare lo sguardo e guardarmi allo specchio, c’è ancora l’aria condizionata spenta e non volevo sudare e non poterla più mettere.
Metto delicatamente i vestiti sul letto. Apro il cassetto e prendo le calze contando 9 a partire dal fondo – giusto per dare inizio ad una serie di gesti scaramantici legati al mio numero di oggi. – Ho scelto proprio le più colorate che ho. - Vado nell’altra stanza, apro la scarpiera e con solo una mano prendo delle Converse bianchissime. Sono nuove, stavo aspettando questo giorno per metterle. Con l’outfit che ho scelto stanno benissimo, nemmeno l’avessi fatto apposta.
Faccio una doccia, mi sdraio sul letto di traverso per non stropicciare i vestiti, imposto una sveglia dopo mezzora così da essere sicuro di non arrivare in ritardo, o peggio ancora, non andarci proprio. Mi addormento quasi subito. Non era proprio mia intenzione dormire, puntavo a riposarmi un po’. Beh va beh, si vede che ne avevo bisogno, giustifichiamoci così ahah!
Bip bip, bip bip
Mi sveglio, e guardo verso i miei piedi, sono ancora in accappatoio. Mi stiracchio emettendo uno strano gridolino, ho sfiorato il falsetto... “Classico”, borbotto con voce impastata. Sul mio viso compare una smorfia tra l’essere soddisfatto di quello che avevo appena fatto e l’essere tremendamente assonnato, più stanco di prima. - Sono proprio idiota, lo so che quando faccio il riposino il pomeriggio poi mi sveglio che non so nemmeno in che galassia mi trovo. -
15.31.
Ho tempo di vestirmi e con calma e di bere del tè con lo zenzero per la voce. Come prima cosa vado a preparare il tè così che si raffreddi. Poi vado in bagno, mi lavo la faccia con l’acqua fresca e ne bevo un po’ dalle mani. Appendo l’accappatoio e vado nell’altra stanza camminando nove passi a destra e nove passi a sinistra. Certe volte mi chiedo come io faccia a inventarmi certe cose!
Mi vesto e torno giù. Bevo la tazza di tè in due sorsi e faccio dei gorgheggi. Cammino verso il pianoforte e apro il coperchio, accarezzo i primi 9 tasti delle note della canzone. Faccio un sospiro e prego che tutto vada bene. Ricordo le parole di Jules “Sarà un successone!” lui ha sempre ragione. Ha un sesto senso per le cose.
16.00
Esco di casa. Adesso l’agitazione si fa sentire. Cerco di non pensarci e di ricercare in me il sentimento di euforia che avevo detto volevo mi accompagnasse per tutta la giornata. Penso che oggi potrebbe radicalmente cambiare il mio futuro. Mi sembra assurdo che quando ero piccolo volevo fare il direttore d’orchestra e lavorare in teatro, quando adesso sto andando ad un appuntamento per incidere una canzone pop, e magari anche un disco.
Cammino per la strada investito da mille pensieri che si fanno sempre più confusi mano a mano che mi avvicino allo studio. So la strada a memoria, non c’è nemmeno bisogno che presti attenzione a dove vado. L’appuntamento è vicino ad un negozio di musica in cui andavo spesso l’anno scorso. C’è stato un periodo in cui penso di aver passato più ore lì aiutando il proprietario a sistemare mentre mi raccontava tutto quello che sapeva della cultura musicale, che in casa mia.
Alzo lo sguardo, sono arrivato e Jules è già lì. Ha la testa bassa e sta leggendo qualcosa su un fascicolo.
“Ei” dico ad alta voce rendendo la mia andatura simile ad una corsetta per raggiungerlo
“Mika!”, guarda il suo orologio, “Sei addirittura in anticipo! Non me l’aspettavo” dice ridacchiando
“Si, mi sono ripromesso che non volevo farti aspettare e che dovevo essere puntuale”, Jules sorride alle mie parole e mi mette una mano sulla spalla.
“Come stai? Sei pronto?”
“Sono agitato. Non si vede?”
“Ma no, mi sembri fresco e prontissimo a spaccare tutto!”. Sapevo che mentiva. Non sono mai stato bravo a nascondere le mie emozioni! Ma fa niente, so che mi aveva detto così per evitare che mi agitassi ancora di più.
Mi spinge delicatamente verso la porta e mi dice “Andiamo!”
Saliamo le scale e Jules mi chiede dove fossi finito ieri sera. Sul mio viso compare imbarazzo e lui inizia a prendermi in giro. Vuole sdrammatizzare la tensione e ci riesce benissimo, perché inizio a sorridere dicendogli che è uno stronzo! – si lo so, sono sempre molto gentile ahaha –
La segretaria ci dice di aspettare, ci chiamerà quando il direttore sarà pronto. Ci sediamo di fronte alla porta dietro la quale il mio futuro mi sta aspettando. Guardo la targhetta “We discover your talent since 1999”.
Lo sguardo mi si illumina e mi calmo improvvisamente. Eccolo! Il mio numero, addirittura scritto tre volte. Torna in me il sentimento di oggi pomeriggio. Ci chiamano. Esce un uomo sorridente, totalmente diverso da come me lo aspettavo.
Mi alzo, Jules mi segue. Vado verso la porta ripetendomi sottovoce “Andrà bene, andrà bene…”

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Capitolo 5
*** Love Today ***


Disclamer: da questo capitolo in poi la storia narrata attingerà sia dalla realtà che dalla mia fantasia (si più di quanto ho fatto fino ad ora) Buona lettura, spero vi piaccia ;)
La porta alle mie spalle si chiude e i miei occhi vengono colti di sorpresa da una luce accecante. Ci sono enormi vetrate su tre lati e al centro troneggia un lucidissimo pianoforte nero. Il coperchio della tastiera è alzato e posso vedere la luce del sole riflettersi nei tasti bianchissimi. Sento il mio cuore battere. Mi rimbomba nella testa. Per un attimo ho la sensazione che si possa vedere il mio petto alzarsi a abbassarsi – proprio come si vede nei cartoni animati. –
“Michael… o preferisce che la chiami Mika?”
La voce dell’uomo che deciderà il mio futuro interrompe bruscamente il suono del battito del mio cuore.
“Mika, grazie”, dico porgendo la mano.
“Bene che Mika sia” – sorride in modo genuino e mi stringe forte la mano dandomi una pacca sulla spalla– 
“Io sono Mr. Thompson, piacere di conoscerla”, si presenta anche a Jules e senza troppi fronzoli ci fa accomodare: io al pianoforte e Jules su una poltrona di fronte. Lui resta in piedi, si mette nell’angolo della stanza, proprio dove le due vetrate si incontrano, si volta verso la città dandoci le spalle. È un uomo giovane, tutto d’un pezzo. Si capisce dalla sua postura che è una persona molto determinata, sa quello che vuole.
“Prego, quando vuole”
La mia testa si affolla di pensieri – non mi aspettavo per niente che il mio incontro iniziasse così. Pensavo mi chiedesse di me, della canzone, delle mie ambizioni. Insomma ero convinto che sarebbe stato un appuntamento come tutti gli altri. Sono agitato. Non sa nemmeno chi io sia. Sa come mi chiamo e basta. O forse Jules gli ha detto qualcosa. Sicuramente si saranno parlati. – Nello stesso istante in cui questo pensiero si palesa mi volto verso Jules, sta sorridendo. Mi calmo. Faccio un respiro profondo mettendo le dita sui tasti. Andrà tutto bene. Chiudo gli occhi e pronuncio ancora incredulo e con parole sottili:
“Love Today”
Ci siamo, devo iniziare. Inizio. Tutto attorno a me sembra sparire. Mi catapulto con la mente in una stanza buia, con sedie e divanetti di velluto. Non c’è nessuno ad ascoltarmi. Solo io e la mia voce che risuona.
 https://www.youtube.com/watch?time_continue=37&v=CGKrUcDDOdI&feature=emb_logo
Riapro gli occhi e la prima cosa che faccio è guardare verso Jules. Ha gli occhi lucidi e sorride, sorride con tutti i denti in mostra.
Un applauso. Mr. Thompson si è voltato verso di me, continua ad applaudire delicatamente ma quel tanto che basta per sapere che forse, dico forse, ero riuscito a convincerlo.
“Io credo in lei Mika”
Io invece al sentire pronunciare queste parole, al contrario, non credo di sentirmi bene. Thompson si avvicina a me, si siede sulla poltrona a lato di quella di Jules.
“Bene, posso darti del tu? Sei un ragazzo così giovane. Raccontami un po’ di te”
Da queste sue parole capisco che lui e J – a volte mi piace chiamare Jules sol J – non avevano per niente parlato, il che mi sembra sempre più assurdo e totalmente fuori dall’ordinario. Ma mi piace, gli racconto di me e lui mi lascia parlare.
“So che hai iniziato a cantare quando ancora eri un bambino. Come sei arrivato alla Royal Opera House?”
È molto interessato al mio passato, mi fa molte domande, dice che è un fattore tremendamente importante per gli artisti. Si stupisce quando scopre che non leggo la musica.
Dopo un’ora, in cui mi è letteralmente sembrato di parlare con due amici e non con il mio manager e il direttore di una delle più grandi e importanti case discografiche di Londra, Mr. Thompson si alza.
“Mika lei sta per firmare il suo primo contratto per un disco. È felice?”
Cazz*, si che sono felice, vorrei saltare e urlare da quanto sono felice. Ma devo trattenermi. E mi limito a dire:
“Non vedo l’ora!”
Lui e Jules parlano di tutta la parte burocratica e nella mia testa l’unico pensiero è quello di sentire Andy. Voglio condividere con lui questa felicità. Era tanto tempo che non volevo condividere qualcosa con qualcuno e questa cosa mi riempie ancora più di gioia.
J mi porge una penna e Mr.Thompson mi allunga il foglio. Firmo il contratto per il mio primo album. Sono incredulo.
Usciamo. Appena varcata la soglia del palazzo faccio un urlo e abbraccio Jules
“Cel’hai fatta Mika! Cosa ti avevo detto io? Credo in te e da oggi anche lui crede in te. Perché non inizi anche tu a credere un po’ di più in te stesso, eh?”, pronuncia queste parole mentre siamo ancora stretti nell’abbraccio.
“Prometto che lo farò”
Tiro fuori il telefono, guardo l’ora. Indovinate un po’… 18.00.
Il mio telefono ha dei tasti così piccoli e nell’agitazione faccio fatica a digitare una frase di senso compiuto con tutte le lettere corrette.
“Hi! Ho finito. È andata benissimo. Non ci credo. Ho voglia e bisogno di vederti.”
Mi sento così fortunato.
Io e Jules facciamo un pezzo di strada insieme prima di salutarci, mi ha promesso che festeggeremo insieme un’altra volta perché ha un impegno, è già quasi in ritardo perché non pensavamo di finire così tardi. Gli dico di non preoccuparsi e lo abbraccio teneramente prima di prendere una via diversa dalla sua.
La mia tasca vibra, sono passati pochi minuti da quando ho scritto ad Andy un sms e infatti è lui. Mi sta chiamando. La sua voce è calda e sorridente.
“Michael, sono così contento!”
“Ciao! Lo sono anche io, sto ancora tremando, non ci credo che sia andata così, davvero non ci credo.”
“Io che ti avevo detto? Sapevo che tutto sarebbe andato bene. Birretta per festeggiare? Lo so che è semplice, ma penso che sia l’idea migliore”
“È davvero perfetto! Devo andare a farmi una doccia ma poi ci sono”
“Passo da casa tua per le 20.30, può andare?”
“Va benissimo”
“A dopo allora… Michael”  – Lui è l’unico che mi chiama Michael, ma a me non è mai piaciuto che mi si chiamasse in questo modo. Da quando avevo esattamente 1.05 ore di vita mia mamma ha deciso che io mi sarei chiamato Mika, anche se mio padre mi aveva messo il nome di Michael Hoolbrook Penniman Jr, proprio come il suo. Quindi nessuno mi chiama più così, se non in casi rari, mi fa un effetto molto strano. Ma pronunciato da lui posso anche accettarlo, almeno per il momento...poi forse glielo dirò, ma tempo al tempo, non voglio terrorizzarlo ahah –
Il sole sta tramontando e sta salendo un po’ di vento.
Arrivo a casa e tutta la tensione scende, mi sento stanco e affamato, tremendamente affamato. Se dovessi descrivermi con tre parole sicuramente direi: uno che ha fame. No però queste sono quattro – penso – beh n’importa – scrollo le spalle e ridacchio perché ho appena detto una cavolata, chi si descriverebbe in questo modo? Di solito tutti usano aggettivi… - Magari penserete che è molto poetica come cosa, perché si può avere fame di conoscenza, fame intesa come curiosità. E sì, in parte è vero anche questo, ma io intendo che io ho sempre e perennemente fame.
18.35
È presto e mi viene l’idea di chiedere ad Andy di mangiare insieme. Non ci penso troppo anche probabilmente spinto dal mio stomaco che brontola insistentemente e continuamente. Prendo il telefono che avevo appoggiato sul tavolo, ovviamente il suo numero mi compare tra i primi perché è stata l’ultima chiamata fatta.
Suona…
“Pronto! quanto tempo” dice ridacchiando
“In effetti non ho fatto passare molto tempo, ma sai il mio stomaco reclama cibo e mi chiedevo se ti andava di cenare insieme. Magari una pizza e poi usciamo per una birra, che dici?”
“Dico che mi hai letto nel pensiero, stavo per uscire a prendermi una pizza”
“Allora lo prendo come un sì! Per me un’enorme margherita! Grazie, ti aspetto”
Andy ride di nuovo, poi replica “Ah ma proprio così? Dai ci penso io, riposati un po’, ma non addormentarti che altrimenti le pizze devo mangiarmele da solo. A tra poco”
“Non c’è pericolo, il mio stomaco me lo impedirà. Suona il campanello quando arrivi”
Riappoggio il telefono sul tavolo e vado di corsa – si non esageriamo, diciamo le cose come stanno– lentamente e pigramente mi trascino su per le scale, butto i vestiti a terra, apro l’acqua e vado a prendere la biancheria pulita.

L’acqua è tiepida e come sempre mi faccio cullare dalle gocce che mi accarezzano il corpo, dolcemente… come il tocco di un tenero amante.
Il tempo scorre veloce quando sono sotto la doccia, anche se a me sembra andare lento. Mi faccio prendere dall’adrenalina che mi torna in circolo e canto canzoni francesi. Un vero showman.
Esco nudo e mi accorgo di aver lasciato l’accappatoio in camera da letto. Gocciolante, anzi grondante, vado a prenderlo e lascio tutte le impronte sul pavimento. Butto un asciugamano a terra e mi ci metto sopra, strisciando, a destra e a sinistra, per asciugare tutta l’acqua per evitare di scivolare – sono abbastanza sbadato e ne sarei capacissimo –
Mi preparo e torno giù. Mi sdraio sul divano e chiudo gli occhi e… inizio a sognare.
Driin, driiin…
Il mio corpo produce una piccola scossa che mi scuote. Apro gli occhi solo di una fessura…
Driin, driin
Oddio! Balzo in piedi e mi stropiccio il viso! Deve essere Andy!
“Arivo! Arivo!”
Giro le chiavi nella serratura, apro ed eccolo lì. Sento che sul mio viso è spuntato un enorme sorriso.
“Eccolo qui quello che non doveva addormentarsi” sorride.
“Eccolo qui”, dico io arricciando il naso e grattandomi la testa in segno di imbarazzo.
Regge i cartoni della pizza con la mano destra, nella sinistra ha una borsina con dentro delle birre. È bello. Indossa un pantalone chiaro e una polo blu.
“Posso entrare?”
“Certo, vieni pure e scusa per il disordine”
Entra e lascia dietro di sé un profumo di pizza che fa brontolare ancora di più la mia pancia. Gli faccio strada e lo porto nel retro. Non ve l’ho detto ma ho un piccolo giardino, veramente piccolo, ma c’è tutto quello che serve. Un tavolo, quattro sedie, un piccolo barbecue e uno sdraio. Prendo i cartoni e li appoggio sul tavolino di metallo.
“Ho pensato di portare anche qualche birra nel caso in cui tu sia troppo stanco per uscire, possiamo tranquillamente stare qui, se ti va”
“Hai avuto una bellissima idea, grazie. In effetti sono stanco, ma sono tanto felice”, mi avvicino a lui e gli do un dolce bacio sulla guancia…

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