Esercizi in lettere

di silviaoceanomare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caro Mastrocaro ***
Capitolo 2: *** Cortesi Antonia ***



Capitolo 1
*** Caro Mastrocaro ***


Caro Mastrocaro Stefano,
io ti amavo perché ti innamoravi continuamente delle donne degli altri e mai di me. Ognuno ha il diritto di farsi del male come vuole ed io mi facevo del male vedendoti soffrire per delle donne che desideravi e non potevi avere.
Ci siamo conosciuti quel giorno di fronte al castello di Miramare: tu già amavi Sorrento Marina, mia cugina, anche se i suoi occhi non ricordavano l'acqua per niente, mentre io, Germi Vittoria, già amavo te, suo pretendente sciagurato, giacché Sorrento Marina era fidanzata da tanti anni con Desiderio Ludovico, figlio dell'imprenditore edile Desiderio Filippo.
La famiglia Sorrento, come sai, era tra le famiglie rispettabili di Trieste, anche se il mare che sognavano di vedere non era di certo l'Adriatico… Ma nemmeno lo Ionio, a pensarci meglio. Tuttavia, il verde losco dell'Adriatico ricordava loro l'odore del denaro. In questa sinestesia avrebbero, infatti, voluto, come molta gente che dal sogno americano venne rapita, espatriare e solcare le coste del Nuovo Mondo, senza sapere tuttavia che, ormai, anche l'America s'era fatta vecchia e satura, senza valori né forza lavoro. Ti sei fatto rapire anche tu, Mastrocaro Stefano, dal sogno americano.
C'eravamo tanto amati, anche se tu non lo sapevi, anche se io avevo amato anche per te, anche se per te io ero solo la sublimazione temporanea dei tuoi orgasmi in cui avresti voluto urlare il nome di mia cugina, Sorrento Marina, non il mio, Germi Vittoria, ma ti sei fatto rapire anche tu dal sogno americano e, dal giorno della tua partenza, nessuno ha più notizie di te. Anzi, non le ebbe finché, qualche anno dopo, non vennero a sapere che ero stata io a organizzare la tua partenza, sì, ma all'inferno; per questo oggi, mercoledì venti marzo di un anno qualunque, io ti scrivo questa lettera presso via del Coroneo, al numero ventisei.
Ti hanno ritrovato un mese e ventuno giorni fa nei pressi della vecchia Risiera di San Sabba, quasi fossi stato un detenuto politico. Sui tuoi ormai logori vestiti sono state trovate delle tracce del mio DNA: solo perché poco prima di crepare, convinto che avresti raggiunto mia cugina a Santa Barbara, non ti eri risparmiato lo sfizio di scoparmi un'ultima volta. Così mi hai detto addio.
Mi hai detto addio sporcandoti pantaloni e giacca di un piacere che era mio, ma che non era vero, perché l'unico a provare piacere eri sempre stato tu, in quegli anni, che col corpo scopavi me ma con la mente ti scopavi mia cugina.

 
Sempre tua,
Vittoria Germi

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Capitolo 2
*** Cortesi Antonia ***


Cortesi Antonia, di anni trentatré, nata il giorno ventinove di febbraio, fatalmente è destinata a festeggiare il proprio compleanno ogni quattro anni.
Qual disgrazia, si dirà; invece no: per Cortesi Antonia, di anni trentatré, nata il giorno ventinove di febbraio, festeggiare il proprio compleanno ogni quattro anni la convince che, in realtà, lei di anni ne ha soltanto ventinove. E dall'anno bisestile caduto quattro anni fa, lei si dice che avere ventinove anni sia un destino, che ad avere più di ventinove anni è dire che Caius Iulius Caesar morì alle calende greche anziché alle idi di marzo.
Cortesi Antonia, di anni trentatré, nata il giorno ventinove di febbraio, imparò il calendario romano nella classe del liceo ginnasio “Giosuè Carducci”, mentre Astesani Umberto, figlio del notaio Astesani Enrico, tesserato al Partito Liberale Italiano, ripassava la versione della Tesmoforiazuse di Aristofane, figlio del demo di Cidateneo, conscio di non aver memorizzato, tra l'altro, non una tra le varie accentazioni perispomene e proparossitone delle parole componenti la commedia, semmai ce ne fossero, si chiedeva, o forse se lo chiedeva solo il narratore, perché ad Astesani Umberto, figlio del notaio Astesani Enrico, tesserato al Partito Liberale Italiano, non importava una cicca frusta degli accenti greci: lui il greco antico lo detestava al pari di Manzoni Alessandro, che invece amava il cioccolato: capitò di leggerlo, questo aneddoto del romanziere storico per eccellenza, in un articolo pubblicato da un quotidiano locale nella sezione dedicata agli aneddoti di cultura, ad Astesani Umberto (cioè, capite? Astesani Umberto odiava a morte il greco antico, lesse anche che Manzoni Alessandro amava a vita il cioccolato: pur essendo sentimenti diversi verso oggetti diversi, la quantità o l'intensità dei rispettivi sentimenti era l'una al pari dell'altra, si disse Astesani Umberto).
Ma torniamo a Cortesi Antonia, di anni trentatré, nata il giorno ventinove di febbraio, che ai tempi del ginnasio di anni ne aveva quindici. Dovete sapere che i primi due anni di scuola superiore con indirizzo classico non vengono considerati liceo, bensì ginnasio, la palestra di questi germogli, inseminati e non sbocciati, dalla zucca vuota, che hanno bisogno di esercitarsi nella palestra della grammatica latina e di quella greca arrivando ad avere una stazza intellettuale tale da poter essere gettati in pasto ai leoni dell'arena, come tanti gladiatori del Verbum, del Lógos… Voglia dunque il cielo che possano morire sul colpo, così da non patire troppo queste pene inflitte loro quasi avessero da scontare, qual dannati, cotanto sperma di peccati.
Guai a chi oserà farsi baciare dal sole, guai a chi oserà leggere i Carmina proibiti del Catullo, nugae che deviano il retto scolaro, che per sinistra fatalità si ritrova un pene nella mano, guai e, dico, guai! a chi oserà trovare analogie tra labbra che pronunciano e labbra in cui le dita si pucciano.
Pasolini Pier Paolo, legge Cortesi Antonia, di anni quindici, nata il giorno ventinove di febbraio, un giorno mentre, trovandosi in biblioteca per studiare letteratura italiana, insieme a due compagne che di letteratura a malapena conoscevano le lettere, mentre scorre con il dito l'alfabeto sui profili dei volumi alla lettera PPAPAS, Pascoli, le poesie del Pascoli, si ripete a bassa voce, ma l'occhio da PASC salta a PASO, così legge: PASOLINI PIER PAOLO, Pasolini Pier Paolo, legge, questo nome la incuriosisce più del Pascoli, vuol sapere, vuol saperne di più, Socrate sarebbe fiera di lei se solo avesse scritto qualcosa; se mai Socrate avesse voluto scrivere qualcosa, scrivere qualcosa a qualcuno, sicuramente avrebbe scritto una lettera di complimenti indirizzata alla sig.na Cortesi Antonia, di anni quindici, nata il giorno ventinove di febbraio, in un anno bisestile, il primo anno bisestile degli ultimi quattro anni, dopo dei quali Cortesi Giovanni e Lippi Claudia, sposati da anni otto e mesi tre, si ritrovarono a copulare come la E, congiunzione copulativa, copulò quando Lippi Claudia disse a Cortesi Giovanni: “Il mio istinto materno è maturo: facciamo un figlio” e Cortesi Giovanni non rispose niente, si limitò piuttosto ad aprire le gambe di lei quasi fossero le lame di una forbice, nelle cui estremità inserire due dita. Inserì due dita e, dopodiché, inserì quel di cui ogni femmina è deficiente, o quasi; o, almeno, quel da cui in una femmina nulla di cotal natura viene espresso.
Ancora oggi, a distanza di trentatré anni, Cortesi Antonia, di anni trentatré, nata il giorno ventinove di febbraio, si illude di non esser stata concepita in quel modo; vuol limitarsi, o forse oltremodo limitarsi, di esser stata concepita allo stesso modo di un concetto, esattamente quando fu sua madre a dire: “Facciamo un figlio”, non un minuto meno, non un minuto in più, be’ insomma Socrate, padre della dotta ignoranza, martire del governo della cicuta, si sarebbe fuor di dubbio congratulato con lei, autentica esercente della dotta ignoranza, che rende saggio colui che sa di non sapere, giacché si adopera per saperne di più.
E così Cortesi Antonia, nei giorni a venire, decise di adoperarsi per saperne di più di cotal Pasolini Pier Paolo, cosicché arrivò a una pellicola, da egli realizzata: “Salò o le centoventi giornate di Sodoma”, dopo la visione della quale si ritrovò a fare delle riflessioni molto chiare, al dispari di quelle che si facevano al liceo ginnasio “Giosuè Carducci”: dare in pasto ai leoni un corpo che tiene in ostaggio una mente è come negare al Sole che la Terra venga illuminata dalla sua luce.

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