Promessa di Fuoco

di SkyDream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


~ Promessa di Fuoco ~
 
«Ti capita spesso ultimamente, Generale Mustang».
«Hai ragione, Knocks, ma sai anche che, senza una buona dormita, l’ascesa al potere non è esattamente semplice».
Il medico sorrise e gli allungò un flaconcino scuro con due dita. Lo fissò come se, solo con lo sguardo, potesse entrargli dentro la testa.
«Solo cinque gocce, Generale, o non le darò più nulla. Chiaro?» Spiccicò le parole una ad una, sottolineandole con il tono della voce che lo contraddistingueva.
«Limpido. Grazie ancora per l’aiuto, dottore!».
 
Roy si incamminò lungo le strade deserte di Central City, di notte si intravedeva solo qualche luce provenire dalle case. Gli mancava un po’ East City, le strade avevano lampioni più decorati e  meno luminosi che permettevano una visione delle stelle decisamente migliore, nell’aria si respirava sempre il sapore della buona cucina degli Amestriani e poi ad East City era ricominciata la sua nuova vita.
Quella che l’avrebbe portato un giorno a diventare Capo Supremo. C’era quasi, d’altronde.
Gli Ishvaliani avevano ripreso a fidarsi dell’esercito di Amestris, presto sarebbe stata rifondata Nuova Ishval. Amestris sarebbe diventata una democrazia.
L’alba del nuovo mondo sarebbe dovuta essere davanti i suoi occhi.
Eppure.
Roy non riusciva a dormire, ogni sera - da qualche settimana - la sua mente non faceva che ritornare agli orrori che aveva commesso, alle volte in cui non era riuscito ad intervenire lasciando che uomini, donne e bambini innocenti fossero uccisi dalle sue stesse fiamme. Le stesse che Riza odiava, ne era sicuro, ma che nonostante tutto aveva imparato ad accettare pur di stargli vicino e cercare insieme la redenzione.
«Che poi bastava guardarti in viso per capire quanto ti facesse male. Eri fuoriposto come un fiore in un campo minato, eppure sei riuscita a mimetizzarti bene, Maggiore Hawkeye.»      Sussurrò l’uomo cercando di scorgere le stelle nascoste dalle luci dei lampioni.
Continuò il suo cammino, la lunga sciarpa bianca gli copriva il volto quel tanto che bastava per non permettere al vento di ferirlo.
 
«Stamattina mi sono trattenuta, ho fatto un bel respiro e ho fatto finta di nulla. Stavolta no, stavolta mi deve delle spiegazioni!» Riza non si scompose minimamente mentre percorreva a lunghe falcate il corridoio che portava all’ufficio del suo superiore.
Con la schiena ben dritta e il pugno teso - se verso la porta o verso la testa dell’uomo, non avrebbe saputo dirlo - dopo un momento di esitazione, bussò.
«Generale, la aspettavamo alle diciotto nella sala centrale, si può sapere perché non si è -» Riza si arrestò sul posto, cambiando leggermente atteggiamento.
Roy aveva appena sollevato la testa dalla scrivania su cui erano ancora posti i plichi di fogli che lei stessa aveva poggiato sul tavolo nel primo pomeriggio.
Il Generale si passò le mani prima sul volto e poi sui capelli, arruffandoli. Sconcertato da quell’improvviso risveglio, uscì il suo orologio da taschino buttando una rapida occhiata.
Erano le ventuno.
«Sono un idiota!» Asserì senza mezzi termini sbattendo una mano sulla fronte. Era così stanco da aver ignorato le raccomandazioni di Knocks sul numero di gocce e si era ritrovato a dormire in ufficio. Che scivolone per un uomo del suo livello!
«Su questo punto non abbiamo mai avuto dubbi!» .
Solo in quel momento sembrò accorgersi della presenza di Riza, mise a fuoco i suoi capelli biondi così in contrasto con quella divisa blu. Da qualche mese li teneva raccolti solo a metà, in una mezza coda che fissava sempre con lo stesso fermaglio blu, regalo che proprio lui gli aveva fatto dopo aver riacquistato la vista.
Il fermaglio che teneva sempre prima, a cui ormai anche lui stesso era affezionato, era stato irrimediabilmente rotto durante la lotta con Envy.
Non voleva che venisse sostituito con un altro accessorio anonimo, così ne aveva approfittato per fare un regalo - di nascosto - alla sua cara sottoposta.
«Preparo del tè e vengo a darti una mano con quei fascicoli!» Riza si voltò per dirigersi nella saletta accanto, non aveva proferito nessun altra parola.
Roy sapeva bene che lei aveva capito che qualcosa non andasse, che non si trattava dei soliti postumi da sbronza. Era qualcosa di più serio, di più profondo.
La donna tornò poco dopo con un vassoio colmo su una mano, con l’altra riuscì a far scattare due volte la chiave nella toppa, per essere certi che nessuno li disturbasse.
Non che a quell’orario insolito circolasse più qualcuno.
Prese a suddividere i plichi di fogli in fascicoli più piccoli, alcuni li passò al suo superiore e altri prese lei stessa a compilarli. Tra una pagina e l’altra sorseggiava il tè nella sua solita tazza seria, senza mutare espressione.
Nonostante ciò Roy, anziché concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto fare già ore prima, prese a guardarla di sottecchi. Aveva come l’impressione che dietro quell’impassibilità, Riza attendesse qualcosa.
Tipo una spiegazione.
«Non dormo bene ultimamente.» Buttò lì facendo finta di continuare a scribacchiare.
«Troppe donne tra le lenzuola?» Chiese la donna prendendo un fascicolo e sfogliandolo senza sollevare gli occhi.
Roy per poco non si strozzò con la bevanda, rischiò perfino di rovesciarla sui documenti e sarebbe stato anche peggio.
Riza lo avrebbe fulminato. Non che con quella domanda non lo avesse ferito comunque.
«Co-cosa? Donne? No! No!» Deglutì poi il Generale.
«Ormai sei diventato un uomo popolare, non mi sarei di certo stupita. Metti una firma qua, tra poco abbiamo finito.» Riza rimase impassibile, quasi si aspettasse quella risposta.
Roy firmò distrattamente e poi riprese il discorso.
«Da un paio di settimane mi sono tornati in mente i giorni a Ishval e continuo a svegliarmi, ho chiesto a Knocks delle gocce ma credo di aver esagerato».
Per la prima volta in quell’ora, Riza posò la stilografica sul tavolo e sollevò lo sguardo su quello dell’uomo.
Roy aveva il viso pallido, più del solito, e quei piccoli occhi scuri che teneva nascosti dietro i ciuffi di capelli sembravano molto più profondi, forse complice anche la scarsa luce della stanza.
«Ti sono tornati in mente i giorni di Ishval?» Chiese quasi cercando conferma.
L’uomo annuì portando le mani giunte sotto il mento, come quando rifletteva.
«Non credo tu debba preoccuparti - riprese la donna - è probabile che ti siano tornati in mente perché adesso ti stai impegnando per costruire Nuova Ishval. Io sono certa che quelle anime, ovunque siano, non possano fare altro che sostenerti».
Il Generale sentì il petto scaldarsi a quelle parole, seppur si fosse già confidato a Knocks, con Riza era diverso. In un certo senso, lo faceva sentire compreso.
Tutti loro avevano messo piede nella strage di Ishval, nessuna delle loro anime era stata esente dal peccato eppure solo lei, tra tutti, riusciva davvero a rincuorarlo.
Forse perché più volte si era ritrovato, durante quella guerra, a vederla come una donna indifesa. Più volte ancora aveva temuto che potesse togliersi la vita, ma da quando le aveva rivelato lì ad Ishval che voleva lei a fianco per raggiungere il suo sogno, ecco che aveva visto davvero di cosa potesse essere capace.
Riza era diventata, piano piano, il suo braccio destro, seguendolo come un’ombra rassicurante, guardandogli le spalle e ascoltandolo.
Nei suoi momenti di debolezza, sapeva che poteva contare sulle sue spalle.
Gli sarebbe piaciuto, almeno una volta, poter essere il suo sostegno, vederla abbastanza vulnerabile da poterla stringere in un abbraccio.
Si conoscevano da tantissimi anni eppure, neanche una volta, aveva potuto abbracciarla davvero.
«Abbiamo finito tutto, Generale, possiamo tornare a casa.»
Roy sembrò ridestarsi dai suoi pensieri, Riza aveva praticamente svolto tutto il suo lavoro del pomeriggio in una manciata di ore.
«Domani dovrò presentare qualche scusa credibile al Comandante Grumman!» Si lagnò Roy portando una mano sulla fronte e sospirando.
«Scusa? Quale scusa? Tu oggi sei stato convocato d’urgenza per la cattura di un criminale nei bassifondi della città, non hai potuto avvertire per evitare che si sapesse in giro.» Rispose Riza prendendo il cappotto e infilandolo.
Roy la ringraziò con un sorriso immenso.
Guardò l’orologio da taschino e si offrì almeno di accompagnarla, prima di aprire il portone si assicurò che lei avesse messo la sciarpa attorno al collo.
 
«Non avrai mica pensato che fosse pericoloso per una donna tornare da sola di notte, vero?» Chiese Riza rivolgendo uno sguardo al Roy sepolto sotto la sciarpa.
«Io penso che sia pericoloso per una donna tornare da sola di notte, Riza, ma nel tuo caso ho più paura per i malintenzionati che per te.» Ammise lui ricambiando lo sguardo.
Riza sorrise e sollevò gli occhi al cielo.
«Ad East City si vedevano meglio, vero?» Disse l’uomo riferendosi alle piccole stelle che si scorgevano appena.
«Decisamente. Vorrei tornarci un giorno, rivedere la mia vecchia casa e il vecchio ufficio».
«L’ufficio dove avevo macchiato la moquette con il tuo tè e ti ho chiesto di darmi una mano a riposizionare i mobili perché non si vedesse?» Roy scoppiò a ridere e riuscì a trascinare Riza con sé.
Sentendola ridere in quel modo pensò, per la prima volta, che sarebbe riuscito finalmente a dormire.
Poi lei aggiunse un dettaglio.
«E’ per questo motivo che non sono voluta andare con lui, Roy.» Ammise lei continuando a camminare verso casa.
«Perché il Generale Koichi non rovescia le bevande ovunque?» Chiese Roy affondando il suo disappunto dentro la sciarpa bianca attorno al collo. Quel generale gli aveva quasi fatto venire un colpo quando aveva scoperto le sue reali intenzioni.
Portarsi Riza fuori da Central City, non se ne parlava proprio.
Anzi, per la precisione, Riza non sarebbe proprio uscita dal suo ufficio. Ma neanche per sogno! Sarebbe rimasta con lui fino alla fine.
O almeno sperava, d’altronde non poteva obbligarla.
«Più o meno, però c’è una cosa che non ti ho ancora detto, Roy. Non potevo dirtela tra le mura dell’ufficio.» Riza deglutì senza farsi sentire.
L’uomo si fermò all’improvviso, erano quasi giunti a casa di lei.
«Cosa c’è?»
«Il Generale Koichi aveva insistito più volte per farmi partire con lui e far parte della sua divisione e, dopo i miei netti rifiuti, mi ha chiesto almeno di rappresentare la tua divisione ad una cena che, a quanto pare, si terrà nella villa del Generale Grumman e di andare con lui».
Roy fissò Riza negli occhi un paio di secondi buoni, lei stessa inizialmente sostenne lo sguardo prima di cominciare ad arrossire. Non le piaceva avere quegli occhi addosso.
«Non sono adatta a rappresentare la tua divisione?» Chiese.
«Fino a prova contraria sono io il Generale! Avrebbe dovuto chiedere a me prima!» Sostenne l’altro chiudendo i pugni. Se solo pensava a Riza accanto a quell’uomo, provava una gran voglia di mandare tutto a fuoco con un solo schiocco di dita.
«Non posso che darti ragione, ma evidentemente Koichi non era dello stesso parere, inoltre avresti saputo di questa cena se avessi letto quei fascic-».
«Koichi? Siete già entrati in confidenza?» Sbottò l’altro sentendo le guance andare in fiamme.
«In confidenza? Ci ho parlato una volta sola!».
«Ci hai messo anni per chiamarmi senza utilizzare la parola Colonnello prima!» Roy si pentì quasi subito per quello che aveva detto.
Era vero, aveva sperato per tanti anni che Riza cominciasse a chiamarlo per nome o, almeno, per cognome senza aggiungere il suo grado superiore. Almeno quando erano soli.
«Generale Mustang, mi sa che è arrivato l’orario di andare a dormire, o domattina non si alzerà dal letto. Non crede?» Riza non avrebbe voluto provocarlo, provava dei sentimenti molto forti nei confronti di quell’uomo e sapeva - non poteva ignorarlo - che anche lui provava del sincero affetto per lei.
D’altronde lo aveva dimostrato più volte nel Giorno della Promessa.
Eppure, non seppe spiegare il motivo per il quale non accettava il fatto che Roy dovesse reagire in quel modo quando la allontanavano da lui.
«Perché non me l’hai detto in ufficio?» Chiese lui mentre si girava per andare verso casa sua.
«Perché le tende nuove mi piacciono particolarmente».
-
«La ragazzina non vuoterà facilmente il sacco. Ma è sicuramente lei, non ci sono dubbi.»
«Guarda quell’altro come tiene le distanze! Si vede proprio che è cotto di lei».
«Che razza di maledizione, innamorarsi di un altro membro dell’esercito pur sapendo che non potrete mai stare insieme. E’ una bella gatta da pelare.»
«Anche una bella sfortuna, sì.»
Uno dei due ragazzi mise in moto e fece partire l’automobile.

Angolo autrice: Buonasera a tutti! Eccomi approdata anche su questo fandom con una mini-long Royai <3 Impossibile non innamorarsi di loro due.
Specifico il fatto che ho visto Brotherhood, quindi nella long verranno rispettati i punti di trama originali del manga. Spero che questi cinque capitoli (forse sei?) vi piacciano e possano regalarvi qualche minuto di distrazione, ne posterò uno a settimana! 
A presto <3


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


~ Promessa di Fuoco ~
 
«E’ un bel casino, vero Black Hayate?» Riza fece scivolare un osso di pollo davanti il musetto del suo amico, solo dopo si concesse qualche carezza.
Era ormai inutile fare finta di nulla, i suoi sentimenti per Roy erano sempre stati forti ma, dopo quel maledetto Giorno della Promessa, era andata sempre peggio.
Si era riscoperta ad ardere di desiderio per lui, per quanto ammetterlo - soprattutto a se stessa - le costasse una fatica immane.
Loro non avrebbero mai potuto avere un futuro insieme se non come colleghi, se l’esercito avesse avuto il minimo sospetto, non avrebbe esitato a buttarli fuori entrambi.
Teneva troppo a lui per permettere di mandare a monte il suo piano, coltivato con impegno per anni, di portare avanti la Nazione come una democrazia.
Avrebbe soffocato i suoi sentimenti piuttosto. Stargli accanto e poter proteggere - finalmente - i cittadini le bastava.
Doveva bastarle.
«Tanto ci sei già tu che mi dai affetto, no?» Riza si accoccolò accanto al cagnolino e riuscì per un po’ a non pensare alla conversazione di poco prima.
Le campane della chiesa centrale suonarono la mezzanotte.
 
-
 
Roy continuò a camminare ancora per qualche minuto prima di giungere a casa, non riusciva a non pensare alle parole della donna.
Sembrava aspettarsi da lui una reazione così, la sua era stata pura gelosia, non poteva che ammetterlo.
Sospirò.
Che tenesse a Riza più di ogni altra cosa, non era una novità per lui. Ricordava bene quanto aveva sofferto nel vederla sanguinare a terra, respirando a malapena quando lo volevano costringere ad effettuare una trasmutazione.
E poi, quella notte, sarebbe rimasta per sempre impressa nella sua memoria.
 
«Riza?».
«Si?».
«Se ne sono andati tutti?».
«Sì, siamo da soli in stanza».
Roy si sollevò dal letto, seppur con qualche dolore alle coste, e si voltò verso di lei. Avrebbe tanto voluto vederla un’ultima volta, voleva vederla sorridere.
Invece era rimasto cieco, si sarebbe accontentato di sentirla viva al suo fianco. O almeno sperava che sarebbe rimasta.
«Volevi chiedermi qualcosa?» Chiese lei sollevandosi a sua volta, lo sguardo perso di Roy continuava a ferirla come una pugnalata.
«Come ti senti?» Chiese il Colonnello all’improvviso.
«Sto bene, May è riuscita a fermare l’emorragia appena in tempo e i medici hanno fatto un ottimo lavoro con la fasciatura. Non ti nascondo che per un momento ho sudato freddo anche io!» Roy giurò di averla sentita ridere appena.
«Vorrei accertarmene io stesso, ma non posso. Chissà come finirà alla mia divisione adesso! Magari finirà in mano tua, lo spero.» Roy immaginò per un momento Riza seduta al suo posto.
Avrebbe fatto tremare anche i muri con la sua aria autoritaria. Rise.
«Mi stai prendendo in giro? Tu rimarrai al tuo posto, Roy, nessuno ti sostituirà!» La voce di Riza era decisa, aveva un tono che non ammetteva repliche.
«Guardami, Tenente Hawkeye, credi che io possa governare una Nazione senza poterla vedere?».
L’uomo sentì un rumore di lenzuola che si spostavano, poi dei piccoli passi per terra, era a piedi nudi, e in fine una presenza al suo fianco.
«Roy, sei sopravvissuto ad Ishval, non ti sei mai arreso e hai lottato per i tuoi ideali senza farti abbattere. Hai salvato centinaia di vite, compresa la mia, sei sopravvissuto ad una trasmutazione, hai lottato fino alla fine anche dopo aver perso la vista dando il tuo contributo per salvare l’intera Nazione. Non hai bisogno dei tuoi occhi per guidarla, basta il tuo cuore. E smettila di fare il pappamolle! Non si addice ad un Colonnello del tuo rango!».
Roy per tutta risposta aveva allungato una mano sul suo viso, carezzandolo appena con i polpastrelli. Riza aveva le guance calde e morbide, sollevando le dita aveva finito per toccarle le ciglia sottili, le palpebre, fino alla punta del naso.
Provava il desiderio di sfiorarle le labbra, sarebbe stata la sua unica occasione per saggiarne la consistenza e la morbidezza.
Non lo sfiorava nemmeno l’idea di un possibile bacio.
Resistette all’impulso optando invece per il suo collo, fino a sfiorare lì dove vi era la fasciatura che le copriva la ferita che l’aveva quasi uccisa.
Si soffermò su quel punto ricordando il momento in cui aveva tentato di fermare l’emorragia.
Dopo Ishval, dopo Hughes, mai avrebbe pensato di poter soffrire così. Eppure aveva dovuto ricredersi.
«Roy…» Riza lo chiamò con voce dolce, che poco si addiceva al suo temperamento autoritario. Quel contatto così intimo le aveva fatto venire la malsana idea di baciarlo, ma provò a trattenersi.
«Scusami!» Roy allontanò immediatamente le mani dal suo corpo, perdendo l’unico appiglio che aveva con il mondo esterno, riscivolò nuovamente nel buio.
«Non fa nulla. Solo, smettila di sparare sentenze! Tu rimarrai nell’esercito e se dovessero farti problemi -»
«Se dovessero farmi problemi?» Roy sorrise spontaneo.
«Se la vedranno con me!».
 
Non avrebbe permesso mai e poi mai che la portassero lontano da lui. Lontano dove lui non potesse proteggerla.
Entrò in casa e chiuse la porta alle sue spalle. Sospirò pesantemente.
D’altronde, si disse, Riza un giorno avrebbe pur messo su famiglia. Si sarebbe senz’altro sposata e avrebbe avuto dei figli da portare al seno e accudire.
Eppure, al suo fianco, Roy non poteva immaginare nessuno che non fosse lui stesso.
Aprì la porta del bagno scegliendo di fare una doccia per poter sistemare le idee prima di provare a dormire.
Le campane della chiesa centrale suonarono la mezzanotte.
 
«Dici che dovrei truccarmi? Non vorrei apparire poco seria, ma è pur sempre una cena e sono pure in divisa!» Riza sospirò davanti lo specchio della sua camera e si decise a truccare leggermente gli occhi, solo per farli risaltare un minimo.
Niente rossetto né guance rosse, troppo poco professionale. Era pur sempre il Maggiore Hawkeye ormai, doveva mantenere una certa linea.
Infilò gli stivaletti  e guardò Black Hayate  che, confuso, non fece altro che avvicinarsi alla sua padroncina cercando un po’ di affetto.
«Sei proprio un giocherellone, Black, ma io adesso devo andare. Speriamo che Roy non abbia una delle sue pensate!» Riza infilò il giaccone e si passò una sciarpa attorno al collo poi, decisa, scese le scale per andare in contro al Generale Koichi.
 
-
«E’una pessima idea, Roy Mustang. Ti invito a ripensarci!» Una voce al telefono rimbombò nella cucina del Generale.
«Non se ne parla nemmeno, Jean! Mi spieghi perché il Generale Koichi avrebbe dovuto chiedere a Riza di rappresentare la MIA divisione e non a me? C’è sicuramente sotto qualcosa!» Sbuffò Roy mentre infilava gli scarponi. La serata prometteva un freddo pungente.
«C’è sotto che il Generale Koichi si sarà preso una cotta per la bella Hawkeye e sta provando a portarla a letto, non credo nemmeno che abbia intenzioni serie, Roy, lo sai che tra due membri dell’esercito-».
«E’ vietato avere relazioni sentimentali, sì, ne sono consapevole. Ma comunque non sono convinto. Mi dà fastidio il fatto che le ronzi intorno!» Esclamò il Generale finalmente pronto ad uscire.
«Fai come vuoi, testa calda, ma telefonami se hai novità scottanti. Domani in ufficio mi racconterai tutto.» Havoc sbadigliò rumorosamente.
«Puoi contarci, ora vado!».
Roy prese le chiavi della macchina e scese rapidamente le scale, pronto a sorbirsi anche l’ira di Riza se ve ne fosse stato bisogno.
 
Arrivò alla villa Grumman in una manciata di minuti, luci, suoni e voci si mescolavano già all’ingresso della residenza. Roy bussò un paio di volte, la signora Grumman aprì il portone poco dopo, facendolo accomodare.
Roy ringraziò di cuore, riversandosi nella mischia di Tenenti, Colonnelli e Generali di ogni genere e grado.
Provò una fitta allo stomaco: non ricordava nemmeno la metà dei loro nomi. Era sempre stata Riza quella brava a ricordare.
Girò tra i tavoli e i commensali, strinse la mano chiamando tutti con il loro grado anziché i loro cognomi. Poi finalmente la vide, composta in un angolo della stanza, dallo sguardo serio, sembrava far cenno alla moglie di quello che era stato King Bradley.
«Buonasera, Maggiore Hawkeye. Il tempo promette fitte piogge questo fine settimana.» Roy tossì in modo indifferente mentre si avvicinava alla donna.
Riza sollevò gli occhi nella sua direzione, per nulla sorpresa.
«Generale di brigata Mustang, credevo non sarebbe venuto stasera.»
«Sono qui solo di passaggio, domattina il lavoro si preannuncia piuttosto pesante. Sono lieto che almeno lei possa godersi questa divertente serata».
«Divertente?!» Riza tossì leggermente, poi tornò a rivolgersi seria e composta al suo Generale, che intanto se la rideva.
«Non me ne voglia, Maggiore, è stata lei a scegliere di venire qui insieme al Generale Koichi. A proposito, avrei proprio voglia di complimentarmi con lui per le sue ultime imprese, ma non lo vedo.» Roy aggrottò le sopracciglia cercando tra la folla la testa rossiccia del suo nemico.
«Sì è assentato, a quanto pare il Comandante Grumman ha richiesto il suo parere per un certo affare.» Riza per un momento perse il suo tono composto, ammorbidendo i tratti del viso e voltandosi nella direzione in cui lo aveva visto sparire ormai quasi un’ora prima.
«Grumman ha chiesto a lui un consulto?» Roy sembrò piuttosto perplesso, si avvicinò alla Maggiore per cercare di scorgere quei due, quasi infastidito dal fatto appena saputo. Grumman era sempre stato dalla sua parte, si era sempre rivolto a lui per tutto. Che bisogno aveva di rivolgersi a quel -
«Ti farò sapere qualche dettaglio domattina.» La voce di Riza era diventata pacata e soffusa, sembrò quasi un sussurro alle sue orecchie.
Roy si perse un momento a guardarla mentre lei era ancora rivolta verso il corridoio.
Non l’aveva mai vista con del trucco sugli occhi, le risaltavano le iridi scure e glieli facevano sembrare ancora più grandi e profondi.
Sorrise, così accecato dalla gelosia aveva finito per dimenticare che Riza non aveva smesso nemmeno un momento di essere il suo braccio destro.
«A domattina, Maggiore Hawkeye».
«A domattina, Generale di brigata Mustang».
-
«Insomma, nessun attentato alla sua persona.» Havoc rise dall’altra parte del telefono.
«Smettila di prendermi in giro! Mi sono solo assicurato che fosse tutto a posto. La moglie di Bradley poi per poco non mi incastrava lì dentro con le sue chiacchiere, non vedevo l’ora di scappare.» Roy si gettò sulla sedia versando le gocce di Knocks dentro un bicchiere.
«Roy, sai che io non sono la persona più adatta per i consigli sentimentali ma non pensi che dovresti conoscere qualche donna fuori dal lavoro?» La voce di Havoc divenne quasi fraterna.
«Una donna fuori dal lavoro? Per assicurarle cosa, oltre ad un uomo stacanovista che passa così tanto tempo in ufficio da non poter disfare gli scatoloni nella propria casa?» Roy guardò le scatole piene di vecchi ricordi, vestiti e libri. Erano lì da quando si era trasferito a Central City, quasi un anno prima. Non aveva mai avuto né il tempo né le forze per sistemarli.
Forse sperava davvero di tornare ad East.
«Roy, ti conosco da anni. Non cercare di nascondermelo. Hai bisogno di trovare una donna che ti distragga, o questa storia finirà per metterti nei casini e sarebbe un bel problema per te e per Nuova Ishval. Non credi?».
«Ci penserò su, Jean. Al momento è meglio che provi a dormire, vedi di riposarti anche tu e non strafare».
«Agli ordini, Generale!».
 
-
 
«Deve tornare subito in ufficio? A quest’ora della notte?» Riza si affrettò a mettere la sciarpa attorno al collo. Lì dove le era rimasta la cicatrice, ogni volta che prendeva freddo, finiva per pulsarle dolorosamente.
«E’ una questione molto importante. Non si preoccupi, non mi sarà di alcun disturbo, Maggiore, anzi!» Koichi le sorrise portando le labbra ad un livello di estensione quasi inquietante. Si portò una mano dietro l’orecchio, cacciando via un ciuffo di capelli rossicci.
«Sì, Generale. Nessun problema.» Riza avvertì un brivido lungo la schiena. Istintivamente poggiò la mano alla federa della sua arma.
«Un’ultima cosa, Maggiore».
«Dica».
«Non sono ammesse armi nel mio ufficio».

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


~ Promessa di Fuoco ~

 
«Che faccia scura stamattina, Generale.» Havoc entrò in un ufficio con la sua solita stampella, la fisioterapia faceva progressi e presto sarebbe tornato abbastanza in forma da potersi dare alle missioni.
«Taci, Havoc. Queste scartoffie mettono già a dura prova la mia pazienza.» Rispose Roy con tono lapidario. Il volto pallido e le occhiaie scure facevano presagire una giornata poco divertente per tutta la divisione.
«Più tardi le consiglio una pausa caffè, Generale. Avrei delle cose inerenti il lavoro da chiederle.» Havoc si allontanò dalla scrivania di Roy prima che quest’ultimo potesse lanciargli uno di quei fermacarte di marmo con cui adorava giocherellare.
L’orologio della chiesa lì vicino suonò le otto del mattino.
Gli altri membri della divisione scambiarono quattro chiacchiere e qualche sbadiglio prima di dedicarsi nuovamente ai loro compiti.
La costruzione di Nuova Ishval e la trasformazione dell’intera Amestris non era facile da amministrare, ma ognuno di loro continuava a lavorare assiduamente senza mai lamentarsi.
Erano felici di poter finalmente cambiare qualcosa.
Roy perse una buona ora del suo tempo concentrandosi su un fascicolo particolarmente ostico, si era immerso talmente tanto che quando finalmente terminò di leggerlo gli scoppiò un tremendo mal di testa.
«Cielo, la settimana prossima mi dedico solo a dei casi che prevedano pedinamenti e inseguimenti!» Sbottò portando le mani al viso e lasciandosi scivolare sulla sedia.
«Quello è compito dei pesci piccoli, Generale di brigata Mustang! A lei tocca il lavoro sporco.» Havoc rise dietro i baffi, aspettando il suo trauma cranico che - stranamente - non arrivò.
Roy sembrava perplesso. Teneva in mano il suo orologio da alchimista di Stato e fissava le lancette senza mutare espressione.
«Sono quasi le nove.» Asserì serafico.
«Sì, è strano che il Maggior Hawkeye non sia ancora arrivata. Che si sia addormentata?» Fury era quello che maggiormente ne risentiva della mancanza di Riza, le era sempre molto utile a lavoro grazie al suo acume.
Roy non proferì parola, si alzò dalla sedia e uscì richiudendosi la porta alle spalle.
«Generale Mustang! Mi aspettavo la sua presenza ieri, o almeno quella di uno dei suoi uomini!» Il Comandante Grumman si avvicinò zoppicando leggermente. L’età si faceva evidentemente sentire.
«Comandante, ho delegato l’invito alla mia sottoposta, il Maggiore Hawkeye».
«Mustang, ieri non mi è parso proprio di vedere il Maggiore.» Grumman si grattò la testa come se cercasse di ricordare qualcosa. Effettivamente era successa una cosa strana, si era addormentato di punto in bianco durante la festa e sua moglie aveva dovuto insistere un po’ per svegliarlo. Era senz’altro colpa del troppo vino che aveva bevuto, ne era certo.
«Il Maggiore doveva essere in compagnia del Generale Koichi, Comandante.» Roy cominciava a sentire l’ansia mordergli lo sterno. Provava l’irrefrenabile voglia di scappare da lì e cercare Riza.
Troppe cose cominciavano a non piacergli.
«Certo che ne dice di cose strane stamattina. Io non conosco alcun Generale Koichi, né qui né nelle altre città mi è sembrato di sentirlo mai nominare».
 
-
«Cosa diavolo è successo?»  Riza si sollevò dal letto e finì per sbattere la testa contro un’asta di metallo. Si portò una mano alla fronte, trovandola leggermente sanguinante.
Quella piccola botta doveva averle riaperto la ferita.
La ferita? Quando si era ferita alla testa?
Cercò di ricordare mentre, lentamente, si sedeva sul materasso. Si sentiva indolenzita come se avesse lottato corpo a corpo con qualcuno.
Cercò la sua pistola di ordinanza, ma vanamente. Dov’era?
Si strofinò gli occhi, ritrovandosi stavolta le dita colorate di ombretto.
«Trucco? Già, stavo andando alla cena del Comandante. E poi? Ero con il Generale Koichi.» Lentamente i ricordi si fecero spazio nella sua mente.
 
«Generale Koichi, il suo ufficio è all’interno del carcere abbandonato?» Chiese Riza rimanendo al suo fianco.
La lunga struttura si stagliava verso l’alto, come un edificio fatiscente ormai in disuso. Anni prima ne era stato indetto lo smantellamento ma, nell’effettivo, non era mai avvenuto.
Molti senzatetto si rifugiavano lì dentro, spesso Riza e Roy vi erano dovuti andare per cercare delle informazioni. Lo conosceva bene.
«Entra pure, Maggiore Hawkeye.» Il Generale Koichi la spinse in avanti con una mano, poi le chiese la pistola d’ordinanza.
Riza la afferrò e, senza dire alcuna parola, la puntò contro la fronte dell’uomo davanti a sé.
Non mutò minimamente espressione.
«Non credo ti convenga.» Ammise lui rivolgendo lo sguardo ai tre uomini che le circondavano le spalle. Tutti e tre avevano armi diverse: un fucile, una pistola ed un coltello.
Riza poggiò la pistola tra le mani dell’uomo, in silenzio continuò a farsi guidare lungo i corridoi.
Arrivati di fronte ad una stanza, Koichi le aprì la porta.
Facendo finta di entrare, la donna lo assalì piegando l’avambraccio contro il suo collo e spingendolo verso di se, tentando di strangolarlo.
L’uomo, si abbassò prendendole la schiena e scaraventandola davanti a sé.
Riza vide tutto ruotare e poi il buio.
 
Sospirò pesantemente cercando un modo per poter uscire di lì. Non aveva nemmeno la più pallida idea del perché l’avessero rapita.
Sicuramente aveva avuto la conferma di come non fosse interessato sentimentalmente a lei, quasi si sentì sollevata.
«Vediamo se si è svegliata?» Una voce proveniente dal corridoio la riportò alla realtà. Sperando di venire a capo di qualcosa, Riza finse di essere svenuta.
Udì il rumore della serratura che veniva aperta e poi, dietro di se, poteva sentire il respiro pesante dei due scagnozzi di Koichi.
«Dorme ancora. Sarà bene che si svegli presto se non vuole che il Boss si arrabbi.» Disse uno dei due, sbuffando alla fine.
«Pare che lei sia la fantomatica Alchimista di Fuoco. Davvero insospettabile!».
«Già, menomale che i nostri informatori ci hanno avvertito che si trovava nell’esercito e che aveva avuto contatti diretti con il famoso alchimista Hawkeye. Chi meglio di sua figlia poteva ereditare il suo grandioso potere?» Chiese retorico l’altro prima di abbandonare la cella.
«Speriamo che si sbrighi a rivelarci i suoi segreti su quest’alchimia, si risparmierà un bel po’ di grane.
I due individui richiusero la cella e continuarono il loro percorso senza aggiungere altro.
“Mi hanno scambiata per Roy?” Pensò lei aprendo a sua volta gli occhi. Avrebbe potuto vuotare il sacco immediatamente, ma l’idea non la sfiorò neppure.
Doveva evitare che Roy venisse coinvolto, avrebbero potuto fargli del male se davvero erano interessati al suo potere.
Cosa fare? Cosa?
 
-
«C’è nessuno?! Maggiore Hawkeye, apri, te lo ordino!» Roy continuava a battere i pugni contro la porta della casa di Riza.
Aveva capito immediatamente che o non era in casa o non stava bene.
Urlare era inutile, ma aiutò a farlo sentire meglio.
Dietro la porta, leggeri, si sentivano i graffi di un animale.
«Black Hayate! Sei tu?» Roy poggiò l’orecchio all’anta di legno e provò ad ascoltare. Il cagnolino sembrava volerlo chiamare con dei versetti, inoltre continuava a graffiare la porta con gli artigli.
«Perdonami, Riza, prometto che ripagherò i danni.» Sussurrò a se stesso. Fece scattare una scintilla sulla serratura, liquefacendola.
«Acciaio sarebbe riuscito senz’altro a fare un lavoro più pulito.» Roy assottigliò un momento le sopracciglia di fronte quella considerazione.
Casa di Riza era ordinata, seppur anche lei non avesse ancora disfatto molti scatoloni. Aprì la porta della camera da letto, trovandola perfetta, con il letto ben stirato e ogni cosa al suo posto.
Provò ad andare in cucina, ma neanche nel lavandino aveva trovato alcun indizio utile.
Black Hayate si avvicinò alle sue ginocchia tentando di salire.
«Buono bello, stai buono.» Roy abbassò lo sguardo, il cane teneva qualcosa in bocca e sembrava porgerlo. Era il distintivo di Riza.
«Se il distintivo è qui, significa che Riza non è mai uscita per venire in ufficio».
Il terrore si fece largo negli occhi del Generale.
Le ciotole dei croccantini e dell’acqua erano vuote, segno che non venivano riempite già da un po’.
Riza la sera prima non era tornata a casa.
 
-
«E’ silenziosa, Maggiore Hawkeye. Il trattamento non è di suo gradimento?»
Uno degli scagnozzi di Koichi rise alle sue spalle, con una mano le teneva le manette dietro la schiena, con l’altra aveva poggiato il pugnale sul suo collo.
Camminarono tra i lunghi corridoi del carcere, Riza si sentiva come uno dei condannati che sta per salire al patibolo.
Cercò di rilassarsi e tenere la mente fredda, con la coda dell’occhio cercò di frugare tra le stanze.
Erano per lo più vuote o ricolme di scatoloni polverosi, solo una colse la sua attenzione: era buia ma potevano essere ben distinte delle armi.
“Devo ricordarmi di questo corridoio” Pensò mentre continuava a camminare con il coltello alla gola.
Era stanca di gente che tentava di ucciderla nella stessa maniera. Avrebbe preferito almeno variare.
Sospirò.
«Ehi tu, smettila di sospirare. Stiamo andando da Koichi, sarà ben per te se vuoterai immediatamente il sacco senza fare storie.» Lo scagnozzo la spinse poi dentro una botola con degli scalini.
Portava ad un corridoio buio e maleodorante, Riza ci mise un po’ per mettere a fuoco il grande cerchio alchemico disegnato per terra.
Delle torce di fuoco erano impresse ai lati del pentagono e al centro, in piedi e con la testa fieramente rivolta verso l’alto, vi era Koichi.
I capelli rossicci gli ricadevano sugli occhi conferendogli un’aria ancora più malvagia. Sorrise.
«Riza Hawkeye, figlia del grande alchimista Hawkeye, ultima Alchimista del Fuoco nonché detentrice del suo ultimo segreto. Allora, ci dirai dove lo nascondi? E’ un libro, una mappa?» Koichi la osservò mentre i suoi scagnozzi la buttavano per terra, ancora con le mani legate.
«Non so di cosa stiate parlando, mio padre non aveva alcun segreto.» Riza sollevò lo sguardo sul suo per mostrargli che non aveva paura.
«Mi hanno raccontato di ciò che l’Alchimista del Fuoco ha fatto ad Ishval, di ciò che ha fatto durante il colpo di Stato qui ad Amestris e non poteva che trattarsi di un livello superiore di alchimia. Allora, Hawkeye? Devo puntarti un altro coltello alla gola?».
«Non puoi uccidermi, non sapresti dove trovare il grande segreto. Eppure, anche se mi lasciassi in vita, non lo sapresti lo stesso.» Riza lo guardò con gli occhi sottili, quasi potesse ruggirgli contro.
Koichi perse le staffe, la afferrò per il colletto della divisa e lasciò che l’energia nel cerchio magico affluisse prima alle torce e poi fino alle sue mani, dove lampi di fuoco cominciarono a incenerire le vesti.
Riza si morse le labbra per non urlare, quel fuoco le stava bruciando la pelle lentamente oltre a consumarle la camicia.
“Il tatuaggio sulla schiena! Se si brucerà la stoffa lo vedranno!” Gli occhi le si riempirono di paura, con un salto riuscì a portare il ginocchio sotto il mento di Koichi, allontanandolo di botto ed esaurendo le sue fiamme.
Riza fece scivolare le manette giù dai polsi e corse via, fino alle scale della botola, uno dei due scagnozzi la seguì, ma lei riuscì a occupargli la vista tirandogli la giacca della divisa sul viso. Mentre era distratto riuscì a sollevarsi con degli anelli incastonati nel muro, spiccò un salto e gli tirò un calcio in faccia talmente forte da farlo rotolare indietro, finendo sull’altro scagnozzo.
«E’ riuscita a liberarsi!» Urlò qualcuno afferrando le manette ormai a terra.
“Noi donne abbiamo tanti segreti e tante forcine per capelli!” Pensò Riza continuando a scappare.
Koichi era infuriato, le fiamme si dilungavano verso l’alto come serpenti eppure - notò Riza - senza il segreto della stoffa d’accensione, non poteva realmente dominarle. Le fissava quella camicia bruciata con occhi ardenti.
Aveva visto.
Riza corse per i corridoi fino a raggiungere la sala delle armi: era una normale stanza da prigione, su due letti erano poggiati dei fucili ed un coltello, in alto si stagliava una piccola finestra con delle inferriate.
Sapeva di non poter fuggire da lì, non sarebbe nemmeno riuscita a far fuori quei tre che la seguivano, inoltre ne mancava ancora uno all’appello. Era sicura di aver visto un terzo scagnozzo.
Afferrò un fucile e si arrampicò sul secondo piano del letto, ebbe il tempo di premere quattro volte il grilletto fuori dalla finestra prima che una lama le si conficcasse su un polpaccio.
«Ottimo, mi mancava solo il tuo sangue, Hawkeye».
Era arrivato.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


~ Promessa di Fuoco ~
«Dannazione, dannazione, dannazione!» Roy battè un pugno sul tavolo così forte che finì per lacerarsi la pelle e sanguinare.
Che sanguinasse! Cosa poteva importargliene in quel momento? Riza era scomparsa senza lasciare traccia, il Generale Koichi era un impostore e lui si era ritrovato con un pugno di mosche senza sapere cosa fare.
«Calmati, Roy, non è da te perdere le staffe in questo modo. Sei un Generale.» Havoc continuò a bere il suo caffè senza però smettere di fissarlo. Non poteva di certo uscire con lui e andarla a cercare, nelle sue condizioni a stento riusciva a camminare.
«Calmarmi? Non ho la più pallida idea di dove si trovi!» Urlò l’altro sentendo i nervi salire a fior di pelle.
«Il Maggiore Hawkeye non è una sprovveduta, dovresti saperlo. Per quanto in pericolo, sono più che certo che stia bene.» Havoc poggiò la tazza sul tavolo e guardò il suo amico, stava sudando e la fronte gli si era imperlata leggermente, anche le occhiaie si erano accentuate e, in generale, tutto il suo fisico sembrava urlare una pressione psicologica enorme.
«E’ perché sei innamorato.» Disse poi semplicemente riportando la sigaretta tra le labbra. Roy per poco non si soffocò.
«Cosa vai blaterando, qui in ufficio poi! Tieni la bocca chiusa!» Il Generale uscì la testa dalla piccola cucina, tirò un sospiro di sollievo quando notò che nessuno aveva potuto sentirli.
«Si, tu provi qualcosa di molto forte per cui saperla in pericolo ti dà doppiamente fastidio, anche il saperla con un altro uomo ti fa perdere il senno, non è così?» Havoc continuò a fissarlo come se non avesse alcun dubbio.
«Non dire scemenze, non mi preoccupo certo perché si tratta di un uomo! Il Maggiore è stata rapita, potrebbero ferirla e in quanto suo superiore devo fare qualcosa e anche alla svelta!».
«Superiore, sì, come no …» Havoc quasi sorrise. Dei passi per il corridoio li interruppero. Roy portò un dito alle labbra facendo segno di non dire una parola su quel discorso così privato.
«Generale di brigata Mustang! E’ appena arrivata la denuncia di una donna, sostiene di essere stata vittima di un attentato ai suoi danni. Pare che qualcuno abbia sparato quattro colpi di fucile a piccolo calibro alla porta di casa sua.» A comunicarlo era una giovane Tenente appena arrivata. Roy la guardò con un sopracciglio alzato.
«Mi perdoni, Tenente - si intromise Havoc - per quale ragione lo comunicate a noi? Non dovrebbero occuparsi i nostri sottoposti di queste faccende?».
«Il Comandante Grumman ha richiesto esplicitamente che ne fosse al corrente anche il Generale Mustang.» Spiegò l’altra senza battere ciglio.
«Dove ha detto che si trova questa casa?» Chiese Roy sempre più sospettoso.
«Di fronte il vecchio carcere, Generale!».
-
 
«A cosa ti serve il mio sangue?» Chiese Riza fissando l’altro negli occhi, non riusciva nemmeno a muovere il fucile.
«Mai sentito parlare di Alchimia Sensoriale? Pare che attraverso dei cerchi alchemici e l’utilizzo del suo sangue, io possa mutare le sue sensazioni, Hawkeye.» L’uomo entrò in camera e si poggiò alla porta per poi scivolare a terra in ginocchio, aveva anche lui dei capelli rossi raccolti in un piccolo codino ed una carta tra le mani. Vi fece scorrere sopra delle gocce di sangue e subito Riza avvertì una scossa lungo la schiena.
«E’ un po’ come l’Alchimia della trasmutazione. Riesco a creare degli impulsi nelle tue cellule in modo che esse sentano dolore, oppure non ne sentano affatto. Vogliamo provarla? Ad esempio, se prendo questa carta qui, cosa succederà?» Il cerchio alchemico si attivò a contatto con il sangue e sotto le mani dell’Alchimista, dando a Riza l’impressione che la cicatrice sul collo cominciasse a riaprirsi. Portò una mano alla gola convinta che vi avrebbe trovato un’emorragia, ma così non fu.
La cicatrice non era realmente stata riaperta, seppur il dolore fosse lo stesso provato un anno prima.
Quasi le mancò l’aria a quel ricordo, non riusciva a fermare quella sensazione finendo per sentire tutto ovattato. Cominciò a sudare freddo.
«Hai la faccia di una che chiede “Per favore, fallo smettere”! Sei proprio carina, Hawkeye, lasciatelo dire. Dammi il fucile ora e scendi dal letto.» L’uomo si sollevò e si avvicinò porgendo una mano alla donna.
Riza imbracciò malamente il fucile puntandoglielo contro. Non aveva intenzione di ucciderlo - non lo avrebbe mai fatto - ma ferirlo sì.
«Chi sei?» Chiese sostenendo il suo sguardo.
«No, non mi hai capito - L’uomo schioccò le dita - Ho detto dammi il fucile e scendi dal letto».
Riza, a quello schiocco, sentì la carne quasi lacerarsi, il dolore si intensificò al punto che l’arma le scivolò dalle mani.
«Ti ho chiesto chi sei.» Gemette senza smettere di fissarlo negli occhi.
«Mi chiamano Force. Sei contenta ora?».
Riza cercò di respirare profondamente per non pensare al dolore, nonostante ciò i sensi le vennero meno.
Prima di perderli del tutto sentì solo altri passi che si avvicinavano.
 
-
«I colpi di pistola sarebbero questi?» Roy fissò i proiettili conficcati nella porta. Erano tre vicini, poi vi era una targa d’acciaio allungata e un altro punto vicino.
Non davano l’idea di un tentato omicidio.
«Sì, Generale! Io ero in casa ai fornelli quando ho sentito questi colpi sparati uno dietro l’altro, sono stati in tutto quattro. Sono uscita immediatamente a vedere ma non c’era nessuno per strada!» La donna sembrava agitata, continuava a farsi aria con un piccolo ventaglio, la figlioletta le teneva le mani come a rassicurarla.
Roy riprese a fissare la porta. I proiettili sembravano provenire dall’alto e poi quei tre punti, la targa lunga e il punto dopo gli ricordavano …
«Il codice Morse. E’ un SN!» Roy si voltò in direzione del carcere, sicuramente gli spari erano partiti da una delle stanze del terzo piano.
Prese a correre in direzione dell’entrata.
“Diavolo, è una richiesta d’aiuto. Devo sbrigarmi, Riza deve essere senz’altro qui!”.
Il Generale continuò a saltare tra le scale del carcere, arrivò davanti delle stanze apparentemente identiche. Prese la pistola d’ordinanza e la impugnò davanti al viso ricaricandola e togliendo la sicura.
Diede un’occhiata alla prima stanza, sembrava disabitata da anni e ormai fatiscente. Continuò, senza far rumore, ad entrare in tutte le stanze del corridoio.
Alla sesta camera, dalla porta stranamente aperta, trovò il fucile da cui erano partiti i colpi. Il calibro corrispondeva, inoltre la traiettoria portava direttamente alla porta della donna che aveva sporto denuncia.
I colpi erano partiti da lì.
Roy notò una macchia di sangue ancora fresco sul materasso del letto superiore. Perse un battito. Non sembrava far parte di una copiosa emorragia, ma questo non significava certo che Riza non potesse essere ferita gravemente.
Continuò la sua ricerca anche nelle stanze successive, solo alla fine notò una strana botola sul pavimento.
Era in legno e si mimetizzava perfettamente alle altre assi. La aprì scoprendo un corridoio buio e maleodorante. Decise di riporre l’arma nel fodero e di affidarsi solo alla sua alchimia.
Non la utilizzava dalla guerra contro il Padre, aveva provato qualche nuova tecnica senza cerchio alchemico, ma solo per pura curiosità e in luoghi in cui non avrebbe arrecato danno a nessuno.
Schioccò due dita creando una piccola fiammella. Continuava ad utilizzare i guanti con la stoffa d’accensione, non perché ve ne fosse reale bisogno, ma per pura abitudine.
Scendendo le scale, cominciò a sentire dei mormorii sempre più forti finchè non furono del tutto udibili.
«Fai presto, Force, non so per quanto tempo ancora riuscirò a tenerla ferma».
«Non mettermi pressione, se dovessi sbagliare a riattivarle le cellule, finiremmo per non poter ricreare il cerchio e non poterlo attivare facendo scorrere l’energia alchemica. Chissà come ha fatto a diventare un’alchimista tanto potente senza poter vedere il cerchio, suo padre aveva uno strano senso dell’ironia.» L’uomo rise in modo acido mentre continuava a passare le dita sulla schiena nuda di Riza.
La donna era riversa a terra a torso nudo, le mani legate stavolta con della corda e gli occhi appena socchiusi. Aveva il viso pallido e lo sguardo confuso e dolorante, come se fosse stata rintontita da qualcosa.
Roy si avvicinò facendo capolino da dietro il muro che li separava, i loro occhi si incrociarono e le pupille di Riza si allargarono, felice di quella apparizione.
Inizialmente aveva deciso di non coinvolgere Roy, d’altronde era lui che cercavano, ma poi aveva capito che ciò a cui realmente aspiravano non era altro che il segreto che teneva lei stesso nascosto sotto i vestiti.
Roy, con la sua forza, li avrebbe sterminati in un solo momento.
«Lasciala stare!» Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
«E tu chi sei? Oh, sembra che abbiamo davanti un Generale, Koichi!» Uno dei due scagnozzi si mise davanti con un coltello tra le mani, rivolgendo la lama verso il collo di Roy.
L’altro non lo degnò nemmeno di uno sguardo, gli afferrò il polso sbattendolo a terra con tutta la forza di cui era capace. Continuava ad avvicinarsi a Riza stringendo bene i pugni.
«Ti ho detto di lasciarla stare!» Roy guardò Force come se potesse dargli fuoco solo pensandolo. Portò le mani giunte di fronte al viso e lasciò che una fiamma avvolgesse il suo nemico sbattendolo contro il muro.
«E’ lui l’Alchimista di Fuoco?» Koichi si mostrò sorpreso, si allontanò da Riza per potersi avvicinare. Il Generale ne approfittò per catturare il suo sguardo e sfidarlo.
Intanto portò una mano alla tasca laterale e poi, con un solo gesto, fece scivolare qualcosa.
Koichi si abbassò per terra attivando il cerchio magico che aveva disegnato e su cui avrebbero lottato, subito una fiamma prese vita cominciando a ruotare su se stessa come un piccolo tornado.
Roy non ebbe bisogno nemmeno di voltarsi, sapeva perfettamente dove si trovava il fuoco e quali gesti delle mani avrebbe dovuto compiere per domarlo.
Prima il segreto di Hawkeye, poi la Porta della Verità. L’Alchimia del Fuoco aveva smesso di avere segreti per lui.
Koichi si mostrò sorpreso ma continuò a dar alito alle sue fiamme che, nemmeno una volta, colpirono il Generale.
«Hai fatto del male alla mia sottoposta solo per sapere come domare un fuocherello? Sei davvero un inetto, Koichi, non te la caverai facilmente.» Roy aprì i palmi delle mani creando un muro che lo disorientasse.
Due colpi di pistola poi lo fecero trasalire, si voltò.
Era riuscito a bruciare le corde che tenevano prigioniera Riza durante l’attacco contro Force e aveva fatto scivolare apposta la sua pistola d’ordinanza in modo che lei potesse afferrarla. Ora lei era lì, in ginocchio per terra con la camicia dello scagnozzo legata al collo e alla vita per coprire il seno, la schiena doveva bruciarle al punto da non reggere nemmeno della stoffa.
Nonostante la sofferenza e l’umiliazione, Riza teneva in mano la sua arma con cui aveva appena ferito ai piedi il secondo uomo di Koichi.
«I due pesci piccoli sono sistemati!» Annunciò lei per fargli capire che sconfiggere gli altri due non sarebbe stato altrettanto semplice.
Roy continuò ad avvolgere Koichi con lunghe fiamme, l’altro però sembrava cercare con gli occhi il suo tirapiedi, quando lo individuò che stava per rialzarsi da terra.
«Force, tieni ferma quella ragazzaccia e continua ad attivarle il cerchio!» Koichi non ebbe il tempo di terminare la frase che si ritrovò Roy addosso, non resistette alla tentazione di tirargli un pugno in faccia talmente forte da fargli correre del sangue dal naso.
L’altro si sollevò prendendolo di peso e scaraventandolo contro il muro, da lì il Generale potè vedere Riza che puntava la pistola stavolta contro Force.
Le tremavano le mani e le labbra che continuava a mordersi, tutto il suo corpo sembrava scosso da fremiti, eppure non versava una lacrima, anzi, teneva lo sguardo fieramente dritto di fronte a sé.
«Fa male, non è vero? Te lo avevo detto che non sarebbe stato bello. Ora voltati, se farai la brava eviterò di farti sentire dolore.» Force si avvicinò a lei tenendo una carta in mano su cui colava del sangue.
Riza si sollevò a fatica in piedi ed indietreggiò tenendo sempre l’arma puntata di fronte a sé. Il dolore che provava lungo tutto il corpo era insostenibile eppure, si disse, non sarebbe svenuta.
«Ti coprirò le spalle.» Urlò lei rivolta al Generale, Roy si avvicinò in modo da essere schiena contro schiena. Come sempre d’altronde. Erano l’uno il guardiano dell’altro.
«Che ore sono, Maggiore?» Chiese.
«Le undici e cinque, Generale».
Roy portò le mani giunte di fronte al viso, una scia infuocata circondò la donna dietro di se che non si mosse di un millimetro, come un serpente che va dritto sulla sua preda, la fiamma colpì Force dritto in faccia.
Riza strinse la pistola tra le dita e sparò due colpi dritti uno al piede e uno alla spalla dell’uomo.
Poi cadde in ginocchio.
Koichi era già parecchio provato dalla forza e dalle fiamme di Roy, annaspò in cerca d’aria e riportò nuovamente le mani sopra il cerchio per dar alito ad una nuova fiammata.
Il Generale scese con le ginocchia al fianco della sua sottoposta e innalzò un muro di fuoco. Le due fiamme si scontrarono dando vita ad una pioggia di scintille.
«Non preoccuparti per me, Roy.» Riza gemette appena e cercò di risollevarsi per mostrargli che non doveva assolutamente preoccuparsi.
L’altro, dal canto suo, la prese in braccio e correndo la portò fuori dal cerchio, lì le fiamme non avrebbero potuto colpirla in pieno.
Mentre tornava in campo, però, uno degli scagnozzi - dopo essersi ripreso - cercò di colpirlo al petto con un coltello. Roy riuscì ad evitarlo di striscio, ferendosi al braccio solo superficialmente, con un colpo di braccia riuscì a metterlo nuovamente al tappeto.
«Certo che siete ostinati!» Commentò risentito mentre cominciava a mancargli il fiato. Si gettò verso Koichi, ormai allo stremo per l’utilizzo dell’alchimia, e riuscì a travolgerlo con una fiamma facendogli perdere i sensi.
Era così arrabbiato per quello che era successo a Riza da provare l’immenso desiderio di ucciderlo con le sue stesse fiamme. Cadde in ginocchio.
Riza aveva ancora un proiettile nell’arma, lo avrebbe utilizzato contro di lui se si fosse azzardato a compiere una cavolata simile. Inoltre avrebbe perso la sua fiducia e solo il pensiero lo feriva.
Non solo quello, qualcos’altro cominciava a fargli del male.
Improvvisamente si sentì stanco e le ossa, i muscoli, cominciarono a bruciargli e pulsare come se lo avessero riempito di calci e pugni.
Gemette mentre non riusciva ad evitare di stringersi a terra. Da dove proveniva un dolore simile?
L’ultima cosa che sentì fu un colpo di pistola assordante.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


~ Promessa di Fuoco ~


Il colpo della pistola rimbombò per tutta la stanza buia, colpendo nell’avambraccio Force. Quello lasciò cadere per terra la carta con il sangue di Roy prelevato dal coltello, con uno stramazzo si sdraiò sulle mattonelle fredde.
Riza tremava ancora con la pistola tra le mani.
«L’ho ucciso?» Chiese con gli occhi sgranati, sentiva i denti battere. Aveva ucciso un uomo. Di nuovo.
Roy si alzò a fatica in piedi, il dolore era cessato ma gli aveva lasciato addosso uno strascico di sofferenza. Si avvicinò a Force e vide che uno dei primi due proiettili lo aveva colpito solo di striscio, sanguinava da una gamba e ora anche da un braccio.
Si avvicinò, gli strappò un lembo dai pantaloni e lo divise in due prima di avvolgerlo sulle ferite.
Riza rimase a bocca aperta mentre osservava il Generale medicare un suo nemico - che avrebbe volentieri fatto fuori fino a poco prima -.
«Non morirà, ma rimarrà di certo buono per un po’.» Roy le sorrise, in mezzo a quell’inferno di fiamme, sangue e urla che si era consumato attorno a loro, Roy sorrideva.
Un rumore di passi pesanti e voci li fecero sussultare, Riza riconobbe solo la voce di Fury e Falman.
«Devono essere arrivati i ragazzi, sono riuscito ad avvertirli prima di entrare qui.» Spiegò velocemente Roy facendo per andargli in contro, poi si fermò un momento a guardare Riza. La donna sembrava stringersi a quella camicia che le copriva solo il petto con immenso disagio.
«Sta’ tranquilla, ti porteremo in ospedale per farti medicare».
«Non voglio andarci. Non voglio che vedano cosa sono.» Riza si voltò dall’altro lato per non guardare il viso dell’uomo, vi avrebbe letto della compassione e non voleva accettarlo. Si morse un labbro.
La schiena le era stata deturpata da suo padre con quel cerchio quando era ancora una ragazzina, Roy poi le aveva reso illeggibile il cerchio e ora Force non solo le aveva riportato alla luce la parte di cerchio non visibile, ma aveva ustionato anche il resto del tatuaggio facendogli passare dell’energia alchemica dentro.
Sentì gli occhi pizzicare ma si impose di non piangere, non davanti un suo superiore e non in quel momento in cui sarebbero arrivati anche gli altri Tenenti. Non poteva permetterselo.
Qualcosa le si posò sulle spalle, era caldo.
«So che ti fa male sentire la stoffa sull’ustione, ma cerca di resistere.» Roy si era tolto la giacca e ora le sorrideva con solo la sua camicia bianca messa.
Riza si sforzò di sorridere di rimando e si strinse a quella divisa come se fosse la cosa più preziosa.
Entrarono alcuni soldati capitanati proprio da Falman e Fury. Roy diede loro delle istruzioni prima di avvicinarsi a Riza e farle segno di alzarsi, quando furono soli tra i corridoi - dopo essersi accertato di essere realmente soli - si concesse il lusso di prenderle la mano. Riza a stento camminava, ma non avrebbe accettato di certo di essere portata in spalla o, peggio ancora, in braccio.
Roy rise pensando alla sfuriata che gli avrebbe fatto.
«Dobbiamo chiamare qualcuno per quelle ferite, è inutile che fai tanto la dura, le ho viste. E -» Roy si morse la lingua per non parlare a sproposito.
«E?» Chiese l’altra rivolgendosi verso di lui.
«E avrei tanto voluto prenderli a pugni ancora, ma sapevo che avevi l’ultimo colpo in canna e che avresti fatto la cosa giusta.» Roy sapeva bene che Riza non gli avrebbe sparato immediatamente, prima avrebbe cercato in tutti i modi di riportarlo alla luce della ragione.
L’altra gli strinse la mano ancora tremando. Non aveva proprio voglia di far vedere il suo segreto a nessun altro. Già in troppi ne erano a conoscenza.
«Knocks, va bene?» Le chiese il Generale mentre la faceva accomodare nella sua auto.
«Vuoi farmi visitare da Knocks? A casa sua?» Riza non aveva proprio pensato al dottore, sarebbe stato un buon compromesso. Di lui si ci poteva fidare.
«No, lo chiamerò da casa mia. Potrà visitarti lì, non preoccuparti per la notte, ho un divano in soggiorno, io dormirò lì.» Roy mise in moto e si concentrò sulla strada.
«Non c’è bisogno di tanto disturbo, dopo la visita posso tornare a casa mia, non c’è alcun problema e poi ho lasciato…».
«Ho dato io i croccantini e l’acqua a Black Hayate. E comunque non voglio che tu stanotte rimanga da sola, sono ordini da un superiore, vedi di rispettarli!» Roy arrossì. Non era da lui dare ordini a Riza, ormai vivevano praticamente in simbiosi.
«Hai visto Black Hayate?» La donna sollevò un sopracciglio, confusa.
Roy pensò alla maniglia sciolta che doveva ripagarle.
«Diciamo che ho dei debiti nei tuoi confronti, ma questa è un’altra storia.
-
«E’ un’alterazione cellulare alchemica, non si risolverà dall’oggi al domani. Dovrà avere pazienza e mettere spesso questo unguento, si prenda qualche giorno di assoluto riposo, le farà bene. E non dimentichi le pillole che le ho dato per le infezioni!» Knocks richiuse la valigetta con gli strumenti del mestiere. Aveva appena finito di medicare Riza e le aveva fasciato tutto il torace con delle ampie garze.
La donna si osservò allo specchio posto di fronte al letto. Anche se senza maglietta, finalmente era totalmente coperta sia davanti che dietro.
Sospirò sollevata.
Knocks richiuse la porta della stanza e chiamò a sé il Generale.
«Il Maggiore Hawkeye è davvero resistente, non so come abbia fatto a rimanere cosciente con quelle ustioni profonde. Molto probabilmente le verrà la febbre, anche se mi ha detto che abita da sola con il suo cane, non so come farà.» Knocks esternò le sue preoccupazioni prima di infilare il cappotto e uscire.
«Non si preoccupi, troverò personalmente qualcuno che si possa occupare del Maggiore. Non lascerò certo che i miei sottoposti rimangano in difficoltà!» Roy gli strinse la mano per ringraziarlo ancora prima di vederlo sparire lungo le scale.
Quella mattina, mai si sarebbe immaginato di ritrovarsi Riza stesa sul suo letto. No, non l’avrebbe lasciata sola.
Entrò in camera dopo aver bussato, Riza stava sdraiata su un fianco e gli dava le spalle, vederla ricoperta di bende profumate alle erbe gli fece sentire un colpo allo stomaco.
«Come ti senti?» Le chiese sedendosi dall’altro lato del letto e cercando i suoi occhi. Riza fissava il tramonto oltre la finestra.
«Sto bene, questa roba fa un po’ il solletico.» Rispose continuando a fissare il cielo. Avrebbe voluto piangere, sentiva la carne lacerarsi e cominciava a sentire davvero freddo.
«Hai gli occhi lucidi, forse ti sta salendo la febbre. Infilati sotto le lenzuola.» Roy le aveva già prestato dei pantaloni puliti per cui non si fece problemi e le gettò sulle gambe un paio di coperte per poi sistemarle meticolosamente.
Riza arrossì nel vederlo così premuroso nei suoi confronti.
«So che non dovrei chiedertelo, - cominciò lui mentre stirava il tutto - ma cosa ne diresti di passare questi giorni qui? Posso portarti anche Black, ovviamente. Non lo saprà nessuno ma saperti qui mi farà stare più tranquillo, chiederò di lavorare per mezza giornata per domani e dopodomani, almeno finchè non ti riprendi».
Roy aveva assunto lo stesso colore del tramonto mentre glielo diceva, deglutì a vuoto.
«Non c’è bisogno di così tanto disturbo, Roy, posso anche cavarmela da sola.» Riza socchiuse gli occhi, accolta da quel calore e con il suo Generale sdraiato a fianco, si sentiva talmente al sicuro che il suo corpo stava abbandonando la scarica di adrenalina che fino a quel momento l’aveva tenuta in piedi.
«Riza, se hai bisogno di me io voglio esserci.» Roy pensò che quella era proprio l’occasione che aspettava per poterla abbracciare, ma temeva di ferirla. Le prese una mano invitandola a poggiarsi sul suo petto.
Il cuore gli batteva all’impazzata eppure, si disse, sembrava la cosa più naturale del mondo.
Avrebbe voluto svegliarsi tutte le mattine con quella massa di capelli biondi sul petto.
«Ci sei sempre stato, Roy. Non ricordo volta in cui avevo bisogno di te e non c’eri.» Riza cominciò a respirare un po’ più profondamente, segno che la temperatura stava continuando a salire e che presto si sarebbe addormentata.
«Voglio continuare così per tutta la vita, Riza. Ti chiedo solo di aspettarmi.» Roy chiuse gli occhi e portò una mano sulla fronte della ragazza. Scottava.
«Aspettare cosa?» Le sue parole erano ormai un sussurro.
«Che io diventi Comandante. Quando lo sarò, nessuno potrà dirmi chi devo o non devo avere accanto. Fonderò una Nuova Ishval e una nuova Amestris sulla libertà, e voglio avere la libertà di averti vicino sia in divisa che non, Riza. Mi aspetterai?».
L’altra sorrise come a prenderlo in giro, segno -a detta di Roy - che non dovesse poi stare così male.
«Certo che ti aspetterò. L’ho fatto finora.» Fu la risposta prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare al sonno. Dopo qualche secondo però sembrò ridestarsi, si sollevò appena.
Il Generale si spostò leggermente per poterla guardare in viso, in quegli occhi lucidi e le guance rosse.
«Roy, perché non hai mai attivato il mio cerchio? Quando ti ho mostrato il tatuaggio io pensavo che tu avessi fatto tutto quello che dovevi».
L’uomo si prese la libertà di carezzarle la testa e i lunghi capelli.
«Sapevo che se avessi messo dell’energia alchemica nel tuo cerchio completo, probabilmente ti avrebbe lacerato la carne. Siamo esseri umani, Riza, e pretendere di fonderci con l’alchimia và contro ogni legge morale, proprio come la trasmutazione. Leggerlo soltanto mi ha dato modo di scoprire il segreto sulla stoffa d’accensione, non avevo bisogno di ulteriori informazioni, e anche se attivare il cerchio avrebbe significato avere più poteri non mi importava. Tutto qui.» Roy sospirò. Sperava che non lo avrebbe mai scoperto, e soprattutto non sulla sua pelle.
«Già da allora?» Gli chiese stringendosi al suo petto caldo.
« Ti avevo promesso che ti avrei protetta, no? Che non ti avrei fatta soffrire, e le promesse di fuoco si mantengono sempre».
Riza si addormentò con il sorriso stampato sul volto. Roy avrebbe voluto rimanere lì per tutta la notte, ma si disse che se davvero voleva dimostrarle le sue intenzioni, si sarebbe preso cura di lei sul serio.
Si alzò cercando di non disturbarla e con degli asciugamani umidi le circondò la fronte, solo quando si fu accertato che la febbre fosse scesa, uscì rapidamente per andare a prendere Black Hayate.
Sulla strada del ritorno, mentre litigava con il guinzaglio del cane che continuava a passeggiare allegro, una macchina scura si accostò al marciapiede.
«Buonasera Generale Mustang!» Havoc scese il finestrino e si sporse con la sigaretta arpionata alle dita.
«Jean! Mi hai fatto prendere uno spavento. Com’è andato il rientro?» Roy continuava a trattenere il cane che invece spingeva per spostarsi verso avanti.
«Siamo riusciti a metterli al fresco e a quanto pare se la vedranno con il Comandante Grumman in persona. Pare abbia una strana simpatia per il Maggiore Hawkeye.» Havoc si lisciò la barbetta con aria pensierosa.
«Non importa, domani mattina vedrò io stesso di andare a scambiare quattro chiacchiere con loro, non hanno ancora pagato il giusto prezzo per quello che hanno fatto!» Roy strinse i pugni fino a sentire le unghie contro i palmi delle mani. La tensione non era ancora calmata e continuava a provare una profonda voglia di farli a fette.
«Come sta lei piuttosto?».
«Parli di Riza? Non molto bene, le hanno -» Roy sussultò. Non poteva tradire così la fiducia della donna e raccontare tutto. Si morse la lingua.
«Okay, okay, c’è qualcosa che non vuoi dirmi. Non fa nulla, un medico l’ha controllata?».
«S-sì, ho chiamato Knocks in persona e le ha dato dei farmaci e l’ha medicata. Spero rimanga a casa un paio di giorni, almeno il tempo di ristabilirsi».
Havoc scoppiò in una fragorosa risata, dovette togliere la sigaretta dalle labbra e asciugarsi le lacrime prima di rispondere.
«E’ interessante notare come tu non abbia specificato in quale casa e, visto che stai portando via Black Hayate, credo si tratti proprio di casa tua! A quanto pare non ho fatto male a portarti questi.» L’uomo uscì dei fogli da compilare e li passò all’altro, Roy era arrossito fino alla punta delle orecchie e borbottò qualcosa mentre dava un’occhiata.
Erano delle richieste di congedo per malattia. Inarcò un sopracciglio.
«D’altronde siete stati coinvolti entrambi, nessuno si stupirà né si farà problemi se richiederete qualche giorno di riposo. Anche se, conoscendo il Maggiore, tornerebbe in ufficio domattina stesso».
Roy non potè fare a meno di accennare ad un sorriso, Havoc oltre ad essere un sottoposto era davvero un ottimo amico, degno della sua più totale fiducia.
«Grazie».
I due si diedero un piccolo pugno a vicenda prima di salutarsi inoltre, prima di rimettere in moto, Havoc fece una battutina sull’utilizzo di protezioni per evitare inconvenienti. Per tutta risposta Roy e Black Hayate urlarono qualcosa contro di lui.
 
Il Generale si rimise sui suoi passi, entrò in casa e poi in camera, facendo segno al cucciolo di non fare troppo rumore.
Riza dormiva profondamente nel suo letto, si avvicinò per rimboccarle le coperte e metterle una mano sulla fronte. Le medicine cominciavano a fare effetto.
Roy si perse a guardare quel viso candido e rilassato, sembrava una normalissima ragazza indifesa eppure, pensò, aveva vissuto al suo fianco le pene dell’Inferno che non avrebbero mai smesso di perseguitarli.
Ma si sa, i pesi sono più leggeri se si portano in due.
Le afferrò una mano dolcemente e, mentre si sdraiava al suo fianco, immaginò una vita intera con lei. Con dei bambini.
Ascoltando il suo respiro caldo sul suo petto finalmente, dopo giorni, riuscì a dormire.

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