La ragazza e il demone

di Nikita Danaan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


C’era una volta, tanto tempo fa, uno splendido castello in cui viveva un principe di bell’aspetto. Aveva i capelli neri come le ali dei corvi, occhi profondi e scuri, ma era terribilmente egoista e senza cuore, tanto che una notte una vecchia chiese asilo nel suo castello. Inuyasha – questo era il nome del principe crudele – glielo negò, inorridito dal suo aspetto.
Quest’ultima, adirata, rivelò il suo vero aspetto, ovvero quello di una sacerdotessa nera che aveva venduto l’anima ai demoni per poter acquistare la bellezza e la vita eterna.
Tsubaki, la sacerdotessa, gli disse “Non bisogna mai giudicare una persona dall’aspetto esteriore”.
Poi, per vendicarsi dell’affronto subito, lo trasformò in un demone e con lui anche i suoi servitori furono tramutati in suppellettili e oggetti della casa.
La sacerdotessa gli diede una sfera dal color rosa quarzo, che diventava nera man mano che il tempo passava.
“Se imparerai ad amare e a farti amare per quello che sei veramente, entro il tuo ventunesimo compleanno, prima che la Sfera diventi completamente nera, riacquisterai il tuo aspetto originario, altrimenti resterai un demone per sempre”.
Il principe Inuyasha, però, era assolutamente certo che nessuno al mondo avrebbe mai potuto amare la bestia che era diventato, così si rinchiuse nel castello, diventato un luogo tetro e inospitale. L’unico modo che aveva per poter osservare al mondo esterno era proprio la Sfera, vincolo della sua maledizione, la quale la fece mettere nell’ala ovest del castello, dove solo lui poteva accedervi.
Da quella Sfera rosata poteva osservare i paesini limitrofi e gli abitanti che vivevano lì e conducevano le loro semplici e frugali vite. Il principe li invidiava fortemente, anche se erano di ceto sociale inferiore al suo. Tra di loro, ogni tanto, scorgeva qualche bella fanciulla, però ogni volta si malediceva.
“Nessuno amerà mai questo essere mostruoso!” urlava, squarciando il silenzio del castello, spaventando tutti i servitori e facendoli preoccupare per la sorte del loro signore e anche della loro.
‘Chi mai avrebbe potuto amare una bestia?’ si chiedevano ogni giorno. 





Angolo dell'autrice
Qualche precisazione su questa storia: come avete letto dall'introduzione, questa storia è ambientata nel contesto de "La Bella e la Bestia" e perciò sarà una riscrittura della fiaba (farò riferimento al film Disney). 
Bene o male gli avvenimenti saranno quelli però cercherò di dare un mio tocco personale. 
Lista dei personaggi (a chi corrisponde chi): 

Kagome Higurashi – Belle
Inuyasha/Il demone (ogni tanto mi riferirò a lui chiamandolo "la Bestia" per mantenere un collegamento con il film) – Adam/La Bestia
Koga – Gaston (non sarà demone, ma umano)
Ginta, Hakkaku – Le Tont (ci saranno "due Le Tont", visto che Koga nella serie ha due compari. Saranno umani anche loro)
Maurice – Signor Higurashi, nonno di Kagome (anziché il padre ho preferito inserire il nonno, che nella serie vediamo effettivamente)
Lumière – Miroku (un candelabro col codino)
Spolverina – Sango (una scopa-cameriera)
Tockins – Myoga (una pulce-orologio)
Mrs. Bric – Kaede (una teiera con una benda sull'occhio)
Chicco – Shippo (una tazza con la coda da volpe)
Philippe – Entei (avete presente il cavallo di Hakudoshi? Ecco, lui, però non sarà un demone)
La strega – Tsubaki

Il libraio – Totosai 
Armadio – Ayame 
P.S. Qui esistono i demoni, quindi alcuni servitori del castello saranno, nelle loro forme normali dei demoni, proprio come sono nella serie. Mentre Inuyasha Bestia è come quando diventa demone completo (ovvero con i segni sulle guance viola e gli occhi rossi con l’iride blu). Il titolo è un riferimento al titolo italiano del primo episodio di Inuyasha. 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Kagome uscì di casa per dirigersi verso la libreria. Le era sempre piaciuto leggere fin da quando era piccola.
Non avendo la possibilità di spostarsi dal suo paesino, immergendosi nei libri viveva mille avventure in mondi fantastici, sognava di essere un giorno una principessa di una terra lontana, il giorno dopo una piratessa che solcava i mari alla ricerca di tesori.
Si spostò una ciocca di capelli corvini che era sfuggita dalla sua coda, mentre era persa nei suoi pensieri, ripensando all’ultimo libro letto.
L’aveva divorato in un giorno, poiché l’aveva entusiasmata! Parlava di una storia di avventura, come piaceva a lei, ma soprattutto aveva adorato la storia d’amore che si era creato tra la protagonista, un’eroina di un regno assediato da una guerra contro degli invasori, e il principe del regno che andava salvato.
Il loro legame era così puro e vero che Kagome avrebbe dato qualunque cosa per vivere anche lei una storia d’amore così.
Al villaggio veniva considerata la più bella: capelli lunghi e corvini, occhi a mandorla e color nocciola, corpo ben proporzionato, viso ovale e pelle che pareva di porcellana.
C’era solo un piccolo inconveniente. Era anche considerata la strana del villaggio, per via di questa sua malsana voglia di leggere, insieme a suo nonno, un bizzarro ed eccentrico inventore, quindi non era molto avvezza alla corte di qualcuno.
Anzi qualcuno c’era eccome, solo che non era di suo gradimento.
“Kagome!” tuonò una voce.
‘Parli del diavolo’ pensò tra sé e sé la ragazza.
Si avvicinò a lei, con fare baldanzoso, un ragazzo, che chiunque altro avrebbe ritenuto bellissimo, ma non Kagome.
Era alto. Aveva lunghi e lisci capelli neri raccolti in una coda, occhi azzurro ghiaccio. Era pure ben messo fisicamente. Braccia muscolose, pettorali e gambe tornite, vestito con una camicia rossa aperta quasi del tutto, pantaloni neri e stivali. Portava con sé un fucile. Sorrideva come se avesse il mondo intero tra le sue mani e al suo seguito vi erano due tipi, uno dai capelli bianchi pettinati a cresta e l’altro con un ciuffo di capelli nero che svettava tra gli altri grigi. Anch’essi erano vestiti simili a quello che si poteva intuire come il loro capo, ma i loro vestiti erano di fattura meno pregiata.
“Come sta oggi la mia donna?”. Il giovane si avvicinò a Kagome, troneggiando su di lei, come ad intimidirla.
La ragazza sbuffò e disse, nel modo più pacato possibile “Ciao, Koga. Mi staresti intralciando. Dovrei andare dritto”.
Si trattenne dal dirgli "sei in mezzo ai piedi, levati!".
In fondo, le era sempre stata insegnata l’educazione dal nonno e non voleva essere scortese. Ma Koga metteva seriamente a dura prova la sua pazienza.
“Hai ragione, che maleducato! Prego” si spostò e con gesto plateale, porgendo le braccia in avanti con i due palmi delle mani aperti, le fece segno di continuare a camminare.
“Se vuoi ti posso scortare” riprese a parlare, avvicinandosi col viso a quello di Kagome, ammiccandole.
“No grazie, sei gentilissimo. Devo andare in libreria, e visto che è qua dietro l’angolo, non mi ci vorrà molto”.
Koga fece una smorfia schifata, incrociando le braccia al petto “Ancora con questi maledetti libri? Kagome, dovresti pensare a cose più importanti, tipo…” alzò le sopracciglia, sorridendole più ampiamente “…me”.
Kagome fece un passo indietro e decise di fare una sorta di piroetta attorno al suo ostacolo, lasciandolo basito. I due tizi che erano con Koga la guardarono sbalorditi. Non si erano accorti subito di questo suo movimento.
“Sorella Kagome, sei proprio ganza!” disse quello con la cresta.
“Vero, ha ragione Hakkaku!” gli fece eco l’altro, di nome Ginta.
Kagome sorrise nervosamente. Ancora non capiva perché la continuassero a chiamare “sorella”.
Loro sostenevano che, essendo la donna di Koga, dovevano chiamarla così, ma lei si era sempre rifiutata categoricamente di essere definita come la donna di Koga, tuttavia il ragazzo insisteva su questa sua idea e tutti al villaggio pensavano che fossero prossimi al matrimonio, causando immenso dispiacere alle ragazze del villaggio.
Infatti, tre ragazze, avendo sentito i due battibeccare, si erano avvicinate, sperando che Koga la lasciasse perdere, così avrebbero potuto provarci loro con lui.
“Ora se volete scusarmi devo scappare. Ciao!” e, mossa una mano come gesto di saluto, la ragazza svoltò a sinistra, correndo più veloce che poté.
“Koga, hai visto? Sorella Kagome è anche una corritrice eccezionale!” esclamò Ginta.
“Sì” annuì soddisfatto Koga, sempre più euforico “Quella ragazza è la sposa perfetta per me!”.
Le tre ragazze, sentita questa sua frase, sospirarono affrante e se ne andarono deluse. Non si capacitavano del perché, la figlia dell’inventore pazzo, non comprendesse la fortuna di essere desiderata da Koga.
 
Kagome sospirò, assicurandosi di aver seminato Koga e i suoi due...tirapiedi. Non sapeva nemmeno lei come chiamarli.
Guardò la vetrina della libreria e si sentì subito meglio. Spinse la porta del negozio ed entrò “Permesso”.
Era un edificio piccolo, pieno di scaffali completamente in legno. Ogni scaffale traboccava di libri, messi in preciso ordine e con cura maniacale. Si vedeva che era gestito da qualcuno che ci teneva ai libri. Al centro della stanza vi era una scala a pioli, dove si trovava un anziano che sistemava alcuni volumi.
La ragazza vide la scala traballare leggermente, così corse verso di essa e la resse con entrambe le mani. La scala si riassestò e il vecchietto per fortuna non cadde.
Egli abbassò lo sguardo sulla ragazza “Oh, sei tu Kagome? È un piacere rivederti, mia cara”.
Il signore scese dalla scala e si mise di fronte alla giovane. Portava i capelli canuti legati in un codino, gli occhi tondi come biglie, e stava ricurvo sulla schiena.
“Anche per me, signor Totosai. Le ho riportato indietro il libro che ho preso ieri”. Estrasse un libro dalla rilegatura blu dal cestino di vimini, che teneva sul braccio.
L’uomo spalancò ancora di più gli occhi, già di per sé molto grandi. “L’hai già letto tutto?”.
La ragazza annuì energicamente, per poi guardarsi attorno estasiata. “Per caso ha altri libri da consigliarmi?”.
Quel posto le appariva magico. Era quasi pronta a scommettere che nemmeno un castello le sarebbe apparso così meraviglioso.
“A dire il vero sì, ho un nuovo arrivo” disse Totosai e avanzò verso una grossa scrivania in legno, che si trovava attaccata alla parete destra del negozio. Sopra vi erano tre pile di libri piuttosto alte, ma non abbastanza per far sì che i tomi cadessero tutti, una accanto all’altra. Da una delle pile prese il primo libro che si trovava sulla sommità, alzandosi in punta di piedi per raggiungerlo, porgendolo poi a Kagome.
“Questo secondo me ti piacerà”.
La ragazza lo prese delicatamente tra le mani e guardò la rilegatura in pelle rossa del libro. Il titolo era scritto in un corsivo elegante e in oro sulla parte alta. Guardò il retro, ma non vi era scritto nulla. Lo aprì per vedere come erano le pagine e da esse sentì provenire odore di carta stampata.
Osservò i caratteri impressi sulle pagine e le sfogliò, stando attenta a non strapparle per sbaglio. Lesse di sfuggita e le saltarono all’occhio parole come “draghi”, “castello”, “magia” e “avventura”.
Totosai ormai la conosceva bene!
“Sembra perfetto per me, signor Totosai! La ringrazio, glielo riporterò il prima possibile” esclamò sorridente.
Il vecchio mosse la mano davanti al volto “No, prendilo pure. Te lo regalo”.
“Davvero?”.
“Certo, anzi d’ora in poi, perché non vieni a prendere tutti i libri che hai letto e li porti a casa? Così li hai sempre con te e non devi fare avanti e indietro”.
La ragazza sbottò “Ma a me fa piacere venire qua da lei!”.
Totosai le sorrise “E a me farebbe più piacere che li avessi tu”.
Kagome era felicissima. Avrebbe potuto tenere in casa tutti i libri che amava!
“D’accordo, però ad una condizione. Acquisterò i libri che intendo prendere”.
L’anziano sembrò voler ribattere, ma Kagome insistette. Alla fine egli accettò e la ragazza, prima di uscire, gli lasciò cinque monete d’oro sulla scrivania.
Tornò a casa fischiettando dalla contentezza. Nemmeno quel beota di Koga le avrebbe potuto rovinare il buon umore!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


“Sono tornata!” disse la ragazza, aprendo la porta ed annunciando il suo rientro.
Kagome e suo nonno avevano sempre vissuto in quella casetta poco fuori dal villaggio, fin da quando ne aveva memoria. Era una comune e semplice casetta in legno. Al centro vi era un salotto piuttosto piccolo, però accogliente, dovuta alla presenza del camino, che utilizzavano non solo per scaldarsi ma pure per cucinare, e di due comode poltrone.
Il laboratorio – anche se era grande come uno sgabuzzino – del nonno era la prima porta a destra e quella accanto era il bagno, mentre le due porte a sinistra erano le due camere da letto.
“Ciao, tesoro!” sentì in risposta una voce provenire da sotto uno strano marchingegno, che si trovava in mezzo al salotto, tra le due poltrone.
Il signor Higurashi stava armeggiando con una grossa chiave inglese: da quel che riusciva a vedere Kagome, stava avvitando un bullone.
Il congegno era una grossa palla di metallo con attaccata una sorta di tromba, montata su un palchetto in legno e la ragazza non riusciva proprio a capire il suo scopo.
Il nonno uscì da sotto l’arnese, si tolse dagli occhi due occhialini da saldatore e corse ad abbracciare la nipote.
“Allora, com’è andata la giornata?” le domandò, mentre puliva le lenti degli occhialini sulla sua maglia sporca di grasso – o almeno Kagome lo identificò come tale.
Il signor Higurashi era un omino dalla statura non imponente. Era, come il signor Totosai, un po’ ricurvo sulla schiena a causa dell’avanzare degli anni. Le profonde rughe sul suo volto erano un altro segno della sua età. I capelli bianchi erano legati in un codino e aveva i baffi.
“Benissimo, nonno! Il signor Totosai mi ha regalato questo libro” e, intanto che lo diceva, estrasse il libro in questione dal cestino “e mi ha detto anche che d’ora in poi potrò andare alla sua libreria e prendere tutti i libri che voglio, così li posso tenere a casa!”.
Il nonno le sorrise e le diede un tenero buffetto sulla guancia “È davvero fantastico, cucciola”.
Per un attimo però si fece serio. “Te li regalerà oppure li dovrai acquistare?”.
“Gli ho detto che li avrei comprati. Non mi sembrava giusto nei suoi confronti prenderli a gratis”.
‘Altrimenti non avrà soldi per campare’ pensò Kagome.
“Hai fatto bene, cara. È giusto che ciascuno venga pagato per la professione che svolge” annuì soddisfatto l’anziano, portandosi due dita ad accarezzarsi i suoi due baffi.
Kagome sorrise lievemente. Quella scena le riportò alla memoria un ricordo dell’infanzia. Da piccola, infatti, pensava che suo nonno assomigliasse ad uno degli anziani saggi che, di tanto in tanto, incontrava nei libri che leggeva e che facevano da mentori al protagonista di turno.
Quel ricordo la faceva sempre sorridere, ma con il tempo iniziò ad associare l’immagine del nonno allo strambo – nel senso buono per lei, ma non per il loro villaggio – scienziato.
“Bene, iniziamo a preparare la cena?”.
“Certo! Ma prima” si interruppe guardando l’oggetto in mezzo alla stanza “ti aiuto a spostare la tua nuova invenzione, che ne dici?”.
Il nonno, preso dall’entusiasmo, si rimboccò le maniche e, mentre spostavano l’invenzione, raccontò alla nipote tutto il processo creativo e di costruzione. Kagome stette il più attenta possibile, ma purtroppo non avrebbe mai capito tutti i termini tecnici che usava il nonno.
Non era mai stata una appassionata di scienza e invenzioni. Nonostante suo nonno fosse uno scienziato, non le aveva mai imposto di diventarlo a sua volta. Il suo desiderio era quello di vederla felice, qualunque strada avrebbe intrapreso, e per questo le era immensamente grata.
Però, visto che il nonno si sforzava di capire anche lui il suo mondo fatto di libri, pur non essendo un lettore vorace come lei, a sua volta Kagome riteneva giusto ascoltare il nonno e fargli ogni tanto qualche domanda, in modo che lui potesse spiegargli tutto e così si creava una connessione tra i due.
Erano sempre stati solo loro due. Il nonno non era ben visto al villaggio, per via del suo essere eccentrico, e Kagome non aveva amici con cui parlare di libri, perciò erano l’uno la compagnia dell’altro.
In fondo al cuore, Kagome avrebbe dato qualsiasi cosa per avere almeno un amico. Voleva un mondo di bene a suo nonno, però desiderava che anche lui trovasse qualcuno con cui parlare delle sue invenzioni, magari un altro scienziato come lui.
Oppure un’altra scienziata.
“Nonno” lo chiamò, mentre tagliava le verdure, sopra l’unico ripiano in legno che avevano in sala. “È questo fine settimana che andrai alla fiera della scienza di cui mi hai parlato?”.
La fiera della scienza era un evento a cui partecipava ogni anno il nonno. Andava lì non solo per promuovere le sue invenzioni ma anche per cercare di venderle. Ogni tanto riusciva a racimolare qualcosa, tuttavia non sempre le sue invenzioni suscitavano interesse nelle persone. Quindi oltre a ciò per mantenersi di tanto in tanto anche Kagome faceva qualche lavoretto: per un periodo andava a pulire le case e a badare ai figli piccoli di alcune persone del villaggio, ma quando si diffuse sempre di più la notizia che suo nonno fosse uno scienziato – che per loro era solo un sinonimo di pazzo – e la sua inusuale passione per la lettura – cosa che per il villaggio era considerata assolutamente disdicevole per una donna – i compaesani smisero di richiederle quei lavori. Perciò si limitava a sostituire il signor Totosai ogni tanto nella sua libreria, però l'anziano non guadagnava abbastanza per sé stesso figurarsi per dare anche solo un esiguo stipendio alla ragazza. Erano fortunati perché la casa era di loro proprietà, quindi non dovevano pagare un mutuo ed essendo in due non avevano molte spese. Ma la vita in quel villaggio non era semplice e trasferirsi altrove in quel momento era fuori discussione.
“Esattamente!” le rispose.
“Per caso” iniziò a parlare, fingendo casualità “non ti ha mai interessato trovarti un’altra donna? Sei sempre stato solo, da quando è morta la nonna. Non ti piacerebbe, che so, sposarti di nuovo?”.
Il signor Higurashi, che stava apparecchiando il loro piccolo tavolino in legno, – che tenevano nel suo laboratorio e tiravano fuori solo per i pasti – si girò di scatto verso di lei.
“Ma che dici, Kagome? Io potrei mai tradire la nonna!” disse con tono animoso.
“Ma la nonna è morta da anni! Pensavo solo che avresti bisogno di una persona accanto, qualcuno con cui parlare” ribatté la ragazza, distogliendo lo sguardo.
Non voleva ferire il nonno, ma era sinceramente preoccupata per lui.
“Ma io non sono solo. Ho te, cucciola, e poi non devi preoccuparti per me. Ormai sono vecchio per intraprendere una relazione” concluse, dandole una pacca sulla spalla.
Kagome lo guardò con aria mortificata e continuò ad insistere “Però potresti sfruttare la fiera della scienza per fare amicizia con qualcuno con i tuoi stessi interessi. Sarebbe una cosa carina, non trovi?”.
Il signor Higurashi aggrottò le sopracciglia. Quella sera sua nipote era proprio strana. Non capiva come mai gli stesse facendo quelle domande, che non gli aveva mai posto tra l’altro.
“Sembra quasi che ti voglia sbarazzare di me”.
Quando disse quella frase, il nonno sorrideva, invece Kagome si sentì il peso di un macigno sul petto.
Abbassò lo sguardo, lasciando perdere il coltello e le verdure sul tagliere “No, non voglio liberarmi di te”.
Tirò sul con il naso prima di riprendere a parlare “Scusami, mi sono espressa male. Non volevo ferirti” non riuscì a finire di parlare, che si portò una mano alla bocca, provando a trattenere i singhiozzi.
Il signor Higurashi non capiva né perché Kagome fosse scoppiata a piangere né perché pensasse di averlo ferito.
La abbracciò accarezzandole la schiena con movimenti circolari della mano ossuta, come quando era piccola e faticava a farla addormentare.
“Sono preoccupata per te, nonno. Siamo sempre stati soli e gli abitanti del villaggio non sono mai stati amichevoli con noi, a parte il signor Totosai” si interruppe un attimo, per poi riprendere a parlare, sempre tra le lacrime “Vorrei che tu avessi qualcun altro con cui parlare oltre a me. Io ci sarò sempre per te”.
Il nonno allontanò di poco da sé la nipote, per asciugarle le lacrime. Le sorrise affettuosamente. “Lo so. Anch’io ci sarò sempre per te, bambina mia. Ti ho sempre considerata come mia figlia, anche se è ingiusto nei confronti dei tuoi poveri genitori. Che riposino in pace” sospirò un attimo, affranto “ma sappi che non devi sentirti triste per me. Io me la so cavare, ma, se questo può farti sentire meglio, mi impegnerò alla fiera della scienza per trovarmi almeno un amico”.
Le diede una dolce carezza sul viso. A quel gesto, la giovane sorrise.
“Si può fare” e lo strinse più forte tra le braccia, facendo comunque attenzione a non fargli male a qualche articolazione.
“Ti voglio bene, nonno”.
“Anch’io, cucciola” e le baciò la fronte.
Subito dopo riprese a parlare “Ti prego, non sentirti obbligata nei miei confronti a rimanere per sempre in questo buco di paese. Se avrai l’opportunità di viaggiare coglila. La vita è molto più bella se si visitano tanti posti e i viaggi descritti nei libri non rendono come quelli reali”.
Dandole un buffetto sulla guancia, iniziò a parlare del suo passato “Quando ero giovane ho viaggiato tantissimo! È così che ho conosciuto tua nonna. Ah, che donna straordinaria! Avrei dato il mondo intero per lei. Ma non era una donna facile, sai? Aveva un bel caratterino. In questo un po’ le somigli. Però la corteggiai e alla fine decise di uscire con me”.
Sentendo le ultime parole del nonno, Kagome decise di chiedergli “Nonno, hai costretto la nonna ad uscire con te?”.
L’anziano scosse la testa con forza “Mai! La prima volta che ci provai, mi respinse in malo modo. Lì per lì pensai di non avere alcuna speranza con lei. Aveva un carattere forte e un fascino ammaliante e perciò non mi ritenevo minimamente alla sua altezza, così decisi per un primo momento di lasciar perdere. Ripensando al mio approccio, realizzai che ero stato parecchio insistente, tuttavia feci un ultimo tentativo scrivendo una lettera per lei, dove sostanzialmente le chiedevo scusa se per caso si era sentita offesa dalla mia dichiarazione. L’ultima cosa che volevo era mancarle di rispetto. Lei non solo mi rispose alla lettera, ma mi spiegò che mi aveva rifiutato perché ero stato troppo irruento nei suoi confronti. Io mi scusai e le promisi che non l’avrei più forzata o fatta sentire a disagio. Lei accettò le mie scuse e iniziammo ad uscire insieme e, beh, il resto è storia”.
Concluso il suo racconto, il nonno sorrideva felice. I suoi occhi erano lucidi.
“Lo so che con te Koga è parecchio insistente. Anche se non hai mai voluto parlarmene l’avevo intuito dal tuo sguardo. È identico a quello con cui tua nonna mi guardò quella prima volta”.
Kagome sgranò gli occhi sorpresa. Non parlò di Koga al nonno per non turbarlo e perché pensava che se la sarebbe cavata da sola e che sarebbe stata solo una cosa passeggera, all’inizio. Quanto si sbagliava!
“Sappi che devi rifiutarlo categoricamente, se vuoi che ti lasci in pace” le disse severamente.
La ragazza annuì. Il nonno aveva ragione: quello era l’unico modo per liberarsi definitamente di Koga. Dirglielo chiaro e tondo, senza per forza ferirlo ovviamente, ma se non lo capiva osservando la sua riluttanza, gliel’avrebbe fatto capire in quell’altro modo.
“Bene, detto questo, continuiamo a cucinare. Non so te, ma io sto morendo di fame!”.
“Anch’io! Riprendiamo a cucinare lo stufato!” esclamò Kagome, alzando al cielo il suo coltello, brandendolo come fosse una spada magica, facendo ridacchiare il nonno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


La mattina dopo, il signor Higurashi si mise in viaggio per la fiera della scienza.
Prese il loro fedele cavallo Entei e si mise in viaggio. Sarebbe stato via almeno tre giorni, ma Kagome non era preoccupata.
Non era la prima volta che rimaneva a casa da sola e non era preoccupata nemmeno per il nonno visto che la fiera aveva luogo in un villaggio, che si trovava solo ad un giorno di distanza dal loro, quindi non vi era neanche il pericolo che il nonno si smarrisse.
Così decise di approfittare dell’assenza del nonno per pulire tutta casa. Si alzò di buona lena e si rimboccò le maniche, mettendosi subito al lavoro.
 
Intanto, in paese, Koga stava parlando ai suoi due tirapiedi. Gesticolava concitato e sembrava parecchio su di giri.
“Allora, oggi è il grande giorno in cui le chiederò di sposarla e sarà finalmente la volta buona che mi dirà di sì”.
“A chi farai la proposta, capo?”.
“Ma sei scemo, Ginta? A Sorella Kagome e a chi altri, se no?”.
“Scemo sarai te, Hakkaku!”.
“Finitela, voi due! È ovvio chi sarà la mia sposa, non c’è neanche da chiederlo”.
Koga si portò al centro della piazza del paese, dove vi erano persone che andavano avanti e indietro per allestire il mercato mattutino.
“Signori e signore, fermatevi e ascoltatemi!” urlò e alzò le mani al cielo, per attirare l’attenzione dei presenti.
Le persone che correvano si fermarono, i bambini che giocavano si girarono verso di lui e persino le galline, che beccavano le briciole per terra davanti alla panetteria lì vicino, voltarono i loro colli piumati verso il ragazzo.
“Oggi farò a Kagome Higurashi la proposta di matrimonio. Presto sarà mia!”.
Per un secondo, non si sentì volare una mosca. Poi il fornaio uscì dal negozio urlando “Evviva gli sposi!”.
Tutti si misero a saltare e a gridare in preda all’euforia. Gli uomini del villaggio si tolsero i cappelli lanciandoli in aria e andarono a congratularsi con Koga, dandogli pacche energiche sulle spalle. Le pettegole del paese borbottarono tra loro che finalmente la nipote dell’inventore squilibrato avrebbe messo la testa apposto e le bambine iniziarono a raccogliere i fiori per fare una ghirlanda da regalare alla sposa. Le uniche che non parevano contente erano le tre spasimanti di Koga che sbuffarono irritate e all’unisono incrociarono le braccia al petto indispettite.
‘Io mi merito di sposare Koga, non quell’ingrata della nipote del pazzo!’. Era il pensiero che passò nella mente delle tre giovani donne, simultaneamente.
Gli uomini che si erano avvicinati a Koga lo tirarono su e lo iniziarono a portare in trionfo verso la casa della futura ed ignara sposa, cantando canzoni sconce popolane. Le madri tappavano le orecchie ai figli, ma incuriosite seguirono gli uomini e così fecero tutte le persone presenti nella piazza.
La vita al villaggio era molto monotona. Eventi come una proposta di matrimonio, seppur non così straordinari, era comunque qualcosa che smuoveva la calma piatta, inoltre vi era il particolare che fosse la proposta fatta alla figlia dell’inventore, sempre soggetto preferito delle malelingue del paese.
Le persone non conformi allo stile di vita frugale degli abitanti, come Kagome e il signor Higurashi, non erano ben visti dalla comunità.
 
Nel frattempo, gli uomini avevano portato Koga davanti alla porta e avevano fatto allontanare le altre persone per lasciare almeno un minimo di intimità ai due, pur rimanendo a portata di orecchio per sentire la proposta di matrimonio e la risposta.
Koga si schiarì la gola e portò una mano a lisciarsi i capelli, quel giorno lasciati liberi dalla coda, e bussò.
Kagome, in quel momento, stava spazzando e si voltò titubante verso la porta. Aveva sentito schiamazzare fuori, però aveva pensato fosse per via del mercato, anche se vi era più confusione del solito, ma poi non ci aveva più fatto caso, troppo impegnata a pulire.
A casa loro bussava di solito solo il postino, ma non attendevano alcuna lettera. Appoggiò la scopa alla parete ed andò alla porta, guardando dalla lente di ingrandimento gigante, una delle invenzioni del nonno, al centro della porta.
Fuori a malapena si poteva vedere un piccolo foro, ma da dentro si poteva vedere chi ci fosse davanti alla porta, e appena vide la faccia di Koga, Kagome alzò gli occhi al cielo, esasperata.
Respirò ed inspirò cercando di mantenere la calma e trattenersi dall’urlare la propria frustrazione.
Mise su il suo miglior sorriso falso e aprì la porta.
Koga, che iniziava a pensare che non ci fosse nessuno in casa ed era girato a fare cenno agli abitanti di andarsene, vide che questi ultimi, da dietro i cespugli, gli stavano indicando la casa. Lui si voltò di scatto portando le mani dietro la schiena.
Sorrise alla ragazza nella maniera più seducente che conoscesse.
Kagome trattenne a fatica ciò che pensava in quel momento, ovvero ci risiamo.
“Buongiorno, mia diletta. È una così bella giornata, non trovi? Speravo proprio di trovarti a casa! Ero passato di qua perché volevo disperatamente vederti”.
Prima che Kagome potesse anche solo provare a ribattere, Koga avanzò e le prese le mani tra le proprie “Non faccio a meno che pensare sempre ed incondizionatamente a te. Vorresti diventare la mia donna per sempre?”.
Kagome rimase impietrita. Koga le aveva davvero chiesto di sposarla?
Questo non era completamente corretto. Le aveva chiesto di essere la sua donna, non sua moglie. Ma il termine con cui glielo chiedeva non cambiava il fatto che non l’avrebbe sposato, mai e poi mai!
Lì decise di seguire il consiglio del nonno. Di rifiutarlo definitivamente e di smetterla di pressarla con la sua corte a senso unico.
Prese un profondo respiro ed iniziò a parlare “Koga, ti chiedo scusa, ma rifiuto la tua pro-”.
“Capo, eccoci qua!”.
Ginta e Hakkaku, correndo, annunciarono il loro arrivo.
Koga girò la testa di scatto verso di loro, fulminandoli.
“Ah, capo, hai saputo che è partito il vecchio rimbambito? Così potrai chiedere a Sorella Kagome tranquillamente la mano”.
Kagome corrucciò le sopracciglia e quel vago accenno di sorriso che era sul suo volto sparì all’improvviso.
Sapeva già l'opinione che il villaggio aveva di suo nonno, ma che lo insultassero quando lui non era presente per difendersi e tra l’altro davanti a lei la faceva andare in bestia.
Si scansò con forza dalla presa di Koga ed esclamò irata “Come osate parlare così di mio nonno?”.
Koga tentò di giustificarsi, incerto. “Kagome, mia adorata, perdonali. Sono dei deficienti. Non trattengono nemmeno il piscio…cioè, loro intendevano dire…”
“Ho capito benissimo cosa intendevano dire! Non sono nata ieri. Andatevene tutti! Tanto lo so benissimo che lo credete tutti un pazzo…”.
La ragazza era sull’orlo delle lacrime. Koga si sentì un verme e tentò di avvicinarsi per consolarla, ma Kagome indietreggiò dentro l’abitazione, portando una mano davanti a sé e facendogli segno di fermarsi “Anche tu, Koga! La mia risposta alla tua proposta e a tutte le tue avance è sempre quella: no!” disse, ormai in lacrime, sbattendogli la porta in faccia.
Koga si girò, rosso di rabbia, verso Ginta e Hakkaku, e iniziò ad urlargli contro dando a loro la colpa del suo fallimento.
“L’avete sentita? Andatevene!”. Stavolta si diresse verso gli abitanti che avevano assistito alla scena. “Non c’è più niente da vedere”.
Mentre tutti se ne andavano chi deluso, chi felice (come le tre ragazze), chi borbottando (le pettegole), Kagome piangeva con la schiena appoggiata alla porta, pensando al nonno.
Quanto avrebbe voluto che fosse lì con lei!
Avrebbe saputo certamente cosa dire, invece il fatto che in casa non sentisse i rumori prodotti del nonno, che armeggiava con qualche sua nuova invenzione, era la conferma che in quel momento fosse completamente sola.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il signor Higurashi era in viaggio sul suo vecchio cavallo Entei. Quella creatura era insieme a lui e sua nipote da anni. Ricordava come Kagome da piccola adorasse salire su Entei, quando era ancora un puledro, e fingesse di essere un cowboy, ossia un mandriano, come il protagonista di un libro che le piaceva leggere in quel periodo.
Sorrise al ricordo della nipote: aveva sempre avuto una fervida immaginazione, la sua Kagome.
Un po’ come sua figlia. Anche a Yume piaceva molto leggere e sognava di fare la scrittrice. Da un lato era molto contento che la nipote avesse ereditato da sua madre questa passione.
La sua piccola Kagome aveva sempre desiderato viaggiare in lungo e in largo, tra le terre immaginarie che esplorava nei suoi libri o quelle che creava lei da zero. Non gli aveva mai fatto pesare il fatto che vivessero in un paesino rurale di campagna, dove gli abitanti li ritenevano pazzi ed eccentrici, perciò allo stesso tempo si sentiva in colpa per non riuscire ad aiutarla nel realizzare il suo sogno, ovvero quello di vivere mille avventure.
Giurò a sé stesso che appena sarebbe tornato dalla fiera della scienza avrebbe aiutato Kagome, con ogni mezzo necessario, a farle realizzare il suo sogno. Magari era la volta buona che lasciavano anche quel maledetto villaggio, dove decisamente non avrebbero sentito la loro mancanza e finalmente sua nipote si sarebbe liberata di quel perdigiorno di Koga.
Sperava che con la sua nuova invenzione avrebbe guadagnato qualcosa da mettere da parte e così spostarsi con più serenità.
Purtroppo lui e Kagome non navigavano nell’oro. Lei faceva di tanto in tanto qualche lavoretto come aiutante in cucina, donna delle pulizie, aiutava il signor Totosai in libreria, mentre lui si arrangiava riparando arnesi e oggetti vari per gli abitanti del villaggio, ma lo facevano giusto per guadagnarsi i soldi necessari a comprare solamente da mangiare e i vestiti, visto che i libri Kagome fino a quel momento li aveva presi in prestito e basta, per cui se avessero dovuto intraprendere un viaggio, anche per raggiungere il villaggio il più vicino possibile al loro avrebbero avuto comunque bisogno dei viveri.
Al pensiero che la nipote non avesse nemmeno una piccola libreria per i suoi libri gli riempì il cuore di tristezza.
Strinse con più forza le redini del cavallo.
“Eh sì mio caro Entei” sospirò “Farò in modo che Kagome sia felice”.
L’animale nitrì in tutta risposta e continuò a trottare nel bosco.
 
Passò un tempo imprecisato. Il signor Higurashi sapeva di essere dentro al bosco da un po’, ma aveva come la netta sensazione che stesse girando in tondo.
Sbagliava o quell’albero di magnolia l’aveva già visto già tre volte?
Poteva essere che in quel bosco gli sembrasse tutto uguale, perché fondamentalmente c’erano solo alberi di vario tipo, foglie secche, qualche cespuglio e ogni tanto si sentiva il verso di qualche animale notturno, per esempio le civette.
Si guardò attorno ancora un paio di volte, prima di sbuffare affranto “Entei, mi sa che ci siamo persi”.
Ad un certo punto il cavallo nitrì in una maniera strana e fece un movimento brusco che per poco non disarcionò il signor Higurashi. L’anziano si aggrappò come poté alla sua criniera bianca “Entei, piano! Così mi fai cadere!” lo rimproverò l’uomo.
Ma il cavallo era tutto concentrato a fissare l’albero di magnolia, allorché si sporse per vedere meglio cosa lo turbasse tanto in quella pianta. All’apparenza era un albero come un altro. Non vedeva sulla di strano.
“Su, Entei, andiamo! È solo un normalissimo albero di magnolia, non è un mostro assetato di sangue”.
L’uomo non fece nemmeno in tempo a dare al cavallo due colpetti con le redini per farlo ripartire, quando il cavallo nitrì di nuovo.
Stavolta era davvero terrorizzato, tanto da scaraventare a terra il signor Higurashi. Il cavallo corse via scalpitando più veloce che poté.
“Aspetta Entei, non lasciarmi qui!” urlò invano allungando una mano rugosa verso la creatura, che parve non sentirlo minimamente.
Il povero vecchio vide una cosa che lo sconvolse. Al centro del tronco dell’albero le righe che percorrevano la corteccia formarono una forma circolare.
Il vecchio guardava la scena sconvolto, non avendo il coraggio di alzarsi da terra. Egli tremava dal terrore e non riusciva nemmeno a muovere le dita di una mano.
All’interno del cerchio, esse si mossero come fossero un mulinello d’acqua e crearono una forma simile ad un volto. Infatti dentro di questo due rughe si aprirono e si allungarono.
Sgranò gli occhi non credendo a ciò che stava guardando.
Erano degli occhi!
Degli occhi dal taglio vagamente a mandorla che lo stavano fissando.
Il signor Higurashi gridò e scattò in piedi allontanandosi il più velocemente possibile da quel luogo.
Era davvero pazzo? L’aveva visto davvero o stava sognando?
Non ne aveva idea. L’unica cosa che sapeva in quel momento era che doveva scappare il più lontano possibile da quella cosa, sia che fosse un miraggio sia che fosse reale, anche se incredibilmente era molto più propenso a credere alla seconda opzione, dato che nemmeno la sua piccola Kagome avrebbe mai immaginato un albero con gli occhi, men che meno lui!

Angolo dell'autrice
Cowboy=spiego questo termine perché nel mondo della fanfiction ho immaginato che non fosse un termine di uso comune.
Yume=nome che ho dato alla mamma di Kagome, il cui significato è "sogno".            
Magnolia= è l'albero-demone Bokusenwo che appare in una puntata dell'anime.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Il signor Higurashi era ancora sconvolto da ciò che aveva visto nel bosco. Sentiva ancora i brividi freddi lungo la schiena e una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco.
Gli girava la testa, aveva la nausea e aveva perso il suo cavallo, o meglio il cavallo l'aveva bellamente abbandonato lasciandolo al suo destino. Vagava senza meta, guardandosi intorno impaurito, stringendosi tra le braccia.
Era partito indossando dei vestiti leggeri, ovvero una maglia a maniche corte e pantaloni di tela. Rimpianse di non essersi portato dietro il suo mantello, ma non lo aveva fatto poiché sperava di arrivare prima del tramonto. In quel momento, invece, era notte fonda e tirava un forte vento freddo.
Quanto avrebbe voluto una minestra calda e una coperta, seduto sulla sua bella poltrona comoda davanti al camino! 
A un certo punto si trovò davanti a un cancello in ferro che si estendeva a perdita d'occhio nella notte. Era parecchio alto e, dalla fattura della costruzione, il signor Higurashi intuì che doveva precedere la soglia o di un castello o di una villa di un qualche nobile decaduto.
Infatti, gli venne in mente che, qualche tempo fa, quella fosse una zona di scontri tra i vari signorotti locali che desideravano quei territori, che erano fertili e quindi si prestavano bene all'agricoltura. In aggiunta, nel paesino dove si stava dirigendo vi era un porto di mare, dunque faceva gola ai signori per motivi commerciali.
Quei tempi erano finiti da un po', tuttavia il signor Higurashi si ricordò che in quel territorio un tempo vi abitava addirittura un principe che fu maledetto da una strega, ma era una storiella che lui stesso raccontava a Kagome, quando era piccola, come fiaba della buonanotte.
Scosse la testa, pensando che a quel punto non gli importava molto. Decise che non aveva nulla da perdere e anche se la villa era stata sicuramente abbandonata almeno avrebbe avuto un tetto sopra la testa, dove avrebbe potuto dormire fino all'alba.
Così si fece coraggio e fece per spingere il cancello, ma esso si spalancò senza che lui lo toccasse. Rimase per un attimo perplesso, tuttavia era troppo esausto per porsi delle domande. Decise comunque di entrare.
Si trovò in un giardino, in cui si trovavano delle siepi circondanti un maniero. Avvicinandosi e mettendo a fuoco, il signor Higurashi notò che si trattava di un castello.
Le alte torri verticali a punta si innalzavano verso il cielo quasi a toccarlo. Essendo buio non riusciva a vederlo nella sua interezza, però poteva distinguere tranquillamente la forma dei contrafforti e l’aspetto rettangolare e massiccio dell’edificio.
Nonostante ciò, il vecchio rimase sbalordito dalla maestosità del castello. Ripresosi un poco dallo shock, si avviò verso il portone, che stranamente era già aperto. Spinse con la mano l’uscio e si trovò in un salone immenso. Sulla sua testa pendeva un grosso lampadario di quelli che facevano cristalli. “Chissà se sono veri” pensò il signor Higurashi.
Il soffitto era altissimo, per via dell’eccessiva altezza delle torri esterne, le pareti erano fatte in marmo bianco ed era supportato da un arco a sesto acuto. Era decorato da moltissime statue. Vi erano parecchi putti dalle guance paffute e lisce come porcellana, statue di donne vestite di tuniche svolazzanti e con corone di fiori tra i capelli e decorazioni, le quali richiamavano elementi naturali, come delle edere in marmo che si arrampicavano sui muri. C’era un’immensa scalinata al centro della stanza, che si diramava lungo le quattro pareti laterali, creando delle sorte di balconcini, sulle cui sporgenze si trovavano varie Gargoyle dall’aspetto grottesco oppure terrificante.
Una volta Kagome stava leggendo un libro, dove vi erano delle immagini di opere d’arte realizzate in quello stesso stile e gli disse che venivano denominate usando l’aggettivo sublime, ovvero qualcosa di meraviglioso, ma allo stesso tempo inquietante.
Quel castello era per l’appunto sublime.
Il signore Higurashi ingoiò la saliva, sentendosi all’improvviso a disagio. Gli pareva che le statue lo osservassero con il loro sguardo fisso.
A un certo punto notò il barlume di alcune fiammelle che si muovevano. Rimase sconcertato vedendo che stavano scendendo le scale. Poi realizzò che quello che si stava avvicinando era un piccolo candelabro, che stava camminando verso di lui!
Il vecchio sgranò gli occhi, iniziando a tremare e a sudare.
Il candelabro gli stava rivolgendo la parola!

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Il signor Higurashi era talmente sconvolto che non sentiva nemmeno cosa il piccolo essere gli stesse dicendo.
“Signore, vi sentite bene? Vi siete perso nel bosco, vero? Capita spesso. In questa zona è davvero facile perdersi se non la si conosce”.
L’anziano guardò meglio il candelabro e notò che aveva i capelli neri legati in un codino e sembrava quasi avere un viso dalle sembianze umanoidi.
L’uomo balbettò terrorizzato “T-tu…cosa sei esattamente?”.
Il candelabro inarcò un sopracciglio, per poi sbattersi uno dei suoi portacandele in fronte. “Che maleducato! Non mi sono presentato!”.
Accennò una riverenza e disse con tono solenne “Il mio nome è Miroku. Benvenuto nella dimora del principe Inuyasha”.
Il signor Higurashi chiese perplesso “Il principe Inuyasha?”.
“Non lo conoscete?”.
“Mai sentito nominare”.
Il candelabro emise un sospiro affranto e spiegò “Un tempo il mio signore regnava sulla maggior parte dei territori di questa zona”. Il vecchio pensò tra sé e sé che parlasse molto probabilmente della zona tra i due villaggi di Toki e Oseki, ma non ricordava alcun principe Inuyasha. Il candelabro continuò a spiegazione “Erano i territori conquistati dal suo nobile padre, il grande Inu No Taisho, che gli lasciò in eredità dopo la sua triste dipartita. Tuttavia” e qui il suo tono di voce si fece più cupo “dopo il sortilegio non si occupò più della gestione dei territori e la zona fu lasciata a sé stessa”.
“S-sortilegio?”.
“Eh sì. Una sacerdotessa nera gli ha scagliato un maleficio poco dopo la sua incoronazione”
Al signor Higurashi non era nuovo il nome di Inu No Taisho, quindi appurò che il principe Inuyasha non aveva avuto il tempo di governare, proprio a causa di quell’incantesimo.
Miroku sospirò nuovamente “Sarebbe fantastico se venisse qua una giovane e si innamorasse del mio signore. In tal modo spezzerebbe la maledizione, ma purtroppo l’aspetto e il carattere – che già non era particolarmente amabile – del mio signore impaurirebbero qualsiasi fanciulla”.
Il signor Higurashi impallidì e iniziò nuovamente a sudare “È davvero così terribile il tuo padrone?”.
Il candelabro alzò lo sguardo e si rese conto di aver spaventato l’uomo “Oh, stiate tranquillo, signore! Ora il padrone non c’è. Sarete nostro ospite. Le daremo da mangiare e un posto dove passare la notte, così domani mattina potrete ripartire riposato e in piene forze”.
L’anziano non si sentì molto tranquillo. Iniziò a guardarsi attorno, temendo che un mostro apparisse all’improvviso. In quella stanza, però, sembravano esserci solo lui e il candelabro parlante.
Abbassò nuovamente lo sguardo su quello strano essere “Quindi anche te sei vittima di questo sortilegio?”.
“Esattamente. Non fatevi ingannare da questo mio aspetto mediocre, per cortesia! Un tempo ero bello anch’io, sapete?”.
“Ci credi solo tu, Miroku” intervenne una voce femminile.
Una scopa, vestita da cameriera e con i capelli legati una coda alta, si avvicinò ai due, uscendo da una delle varie porte, che si trovavano nella stanza. Insieme a lei vi erano una teiera con una benda nera sull’occhio e la “faccia” di porcellana piena di rughe, al suo fianco saltellava una piccola tazzina da tè con una coda e un piccolo orologio a cucù dalle fattezze di una pulce.
“Mia amata Sango! Signora Kaede, Shippo, vecchio Myoga! Siete arrivati giusto in tempo per accogliere il nostro ospite”.
La vecchia teiera guardò Miroku, poi l’anziano e disse “Sei certo che sia una buona idea? Il padrone, se lo scoprisse, non ne sarebbe contento”.
Il signor Higurashi iniziò a temere che questo fantomatico padrone non fosse un tipo ben disposto all’ospitalità. Forse era meglio levare le tende prima che sia troppo tardi.
“Fermi tutti, state tranquilli! Il padrone adesso non c’è, ma anche se ci fosse per principio lo accoglierei. Che fine ha fatto la nostra educazione?”.
L’orologio pulce saltellò “Hai ragione, Miroku! Tanto il signorino Inuyasha non c’è quindi possiamo stare tranquilli”.
La tazzina intervenne “Dì la verità, Myoga. Se ci fosse il principe te la saresti già data a gambe dando la colpa noi, vero?”.
L’orologio balbettò “Ma c-cosa dici, Shippo? Non lo farei mai!”.
Tutte le suppellettili lo guardarono male e dissero all’unisono “Sì certo, come no”.
Il candelabro si girò verso l’uomo e gli chiese “Comunque sicuramente sarete stanco, vero signor…?”.
Hiroshi Higurashi”.
“Bene, signor Higurashi. Ci segua”.
Gli oggetti incantati gli fecero strada. Hiroshi li seguì e si trovò in una sala da pranzo moderatamente grande. Era occupata da un grosso e lungo tavolo in legno al lato sinistro di essa, dove presentava varie sedie imbottite con cuscini rossi e decorate con volute dorate. Avvicinandosi al tavolo, il signor Higurashi poté constatare che il tavolo era di ottima fattura, però non era perfettamente liscio. Era un po’ rovinato e anche le sedie, se le si osservava più attentamente, presentavano qualche ammaccatura o crepa.
Contro la parete centrale c’era un camino, da dove si sentiva il crepitio del fuoco che bruciava la legna e di fronte ad esso si trovava una bella poltrona imbottita sempre di rosso.
Alcuni oggetti della casa, che portavano in testa cappelli da cuoco oppure indossavano dei semplici grembiuli, appoggiarono al posto del capotavola un piatto con sopra del pane, qualche fetta di prosciutto e un pezzo di formaggio.
Hiroshi stava per sedersi al suo posto per mangiare, ma vide Miroku sfrecciare verso i cuochi, urlando indignato “Cos’è questa roba?”.
“La cena per l’ospite”.
“Ma quale cena? Ma stiamo scherzando?! Cos’è questo scempio? Forza, diamoci da fare! Sono anni che non abbiamo ospiti. Trattiamo il signor Higurashi come merita”.
I cuochi si guardarono perplessi tra di loro.
Il signor Higurashi intervenne imbarazzato “Non c’è bisogno di avere così tante premure nei miei confronti”.
Era un uomo di umili origini, abituato ad accontentarsi solo dello stretto indispensabile che la vita gli offriva. Non era mai stato pretenzioso e di certo non si aspettava che cucinassero per lui una cena da re. Voleva solo mangiare qualcosa e possibilmente dormire qualche ora.
Ma Miroku era irremovibile. “Assolutamente no! Forza, tornate in cucina a preparare qualcosa di più sostanzioso per il signor Higurashi”.
Gli utensili animati annuirono ed eseguirono. Sango spazzò via il piatto con il pasto frugale, mentre la vecchia Kaede, seguita da Shippo, dichiarò che sarebbe andata in cucina a preparare del tè caldo.
Myoga si avvicinò all’anziano e disse “Volete sedervi su quella poltrona intanto che aspettate? È comoda e molto più confortevole di questa vecchia sedia”.
Hiroshi osservò la poltrona in maniera scettica. “Per caso è del vostro padrone?”.
L’orologio pulce parve per un attimo in difficoltà, ma poi rispose “Beh sì, ma visto che al momento non c’è…”.
Il vecchio la guardò ancora per qualche istante indeciso sul da farsi. Ma la tentazione era troppo grande persino per lui. Si alzò e si diresse verso la poltrona e si sedette, sprofondando nella morbidezza dei cuscini.
Era comodissima! Sembrava di essere sdraiati su un letto, ma mille volte più confortevole di quello che aveva a casa sua.
Ripensando al suo villaggio, si chiese se la sua nipotina stesse bene e che quell’idiota di Koga non la infastidisse. Aveva provato varie volte a dirgli di lasciare in pace sua nipote, ma invano. Koga era quel tipo di uomo arrogante, che vuole tutto come un bambino viziato e ciò che non può avere deve essere suo a ogni costo, anche usando la violenza se necessario.
Hiroshi rabbrividì. Se fosse accaduto qualcosa a Kagome mentre era via non se lo sarebbe mai perdonato. Sua nipote era la sola persona che gli era rimasta e le voleva un bene incommensurabile. Si occupava della ragazza da quando era morta la sua amata figlia e il suo consorte e da allora la considera come fosse sua figlia.
Non poteva permettere e non avrebbe mai accettato che un infame come Koga le facesse del male.
Il vecchio si mise seduto sulla sedia, portandosi le mani rugose davanti al volto.
Myoga gli domandò “State bene, signore?”.
“No” rispose il vecchio. La sua voce era resa alterata dal fatto che avesse le mani sopra di essa. “Come ho potuto abbandonare mia nipote? La mia piccola Kagome…”.
La teiera Kaede si avvicinò al vecchio trascinando un carro da dolci con sopra un piatto caldo di minestra, un pezzo di carne inzuppata nel sugo, tre belle fette di pane caldo con sopra del formaggio fuso e la tazzina Shippo era ricolma di tè verde fumante.
Il vecchio sentì l’odore di quelle leccornie, ma al pensiero della nipote gli si era chiuso lo stomaco.
“Cosa ho fatto? Devo tornare indietro!”.
Miroku e Sango si stavano avvicinando a loro volta. Se la scopa cameriera inizialmente sembrava indispettita da Miroku – perché l’aveva palpata senza il suo consenso – appena vide il vecchio in preda alla disperazione cambiò subito espressione. “Che è successo?” chiese.
“Kagome ha bisogno di me! Come ho potuto lasciarla da sola? Se quello screanzato di Koga ha osato farle del male…”.
Miroku – la cui “guancia” era rossa e presentava il segno provocatogli da un colpo della scopa – esclamò “Aspettate! Non potete partire adesso! È ancora buio fuori!”.
“Esatto, per adesso rimanete qui. Ripartirete domani alle prime luci dell’alba, così sarà meno difficile perdervi e Bokusenwo non vi spaventerà più di tanto” intervenne Kaede.
“Bokusenwo?”.
“L’albero demoniaco vecchio di duemila anni di magnolia. Molto spesso è capitato che spaventasse i visitatori, ma in realtà è un demone piuttosto pacifico” rispose a Hiroshi il vecchio Myoga.
Il signor Higurashi si ricordò di quell’albero che l’aveva spaventato a morte e capì. Però gli venne in mente anche che in quel frangente il suo cavallo Entei era scappato, quindi non poteva comunque muoversi da lì nemmeno volendo.
“Per la miseria!” esclamò. “Il mio cavallo!”.
“Non temete! Nella vecchia stalla abbiamo ancora un cavallo, che vi possiamo prestare” lo rassicurò Miroku.
“Che anche quello appartiene al vostro padrone deduco”.
“Su su, ora non si preoccupi!”.
“Io invece mi preoccupo eccome!”. Il signor Higurashi si era alzato in piedi e ora osservava dall’alto i vari esseri.
“Miroku mi ha detto che siete tutti vittima di un maleficio, esatto? Non è che siete anche voi dei demoni? Perché se c’è un demone nella foresta non dubito che ci sia anche qui. Inoltre la sua coda” disse indicando Shippo “non mi convince. Dalla voce sembra un bambino, ma nessun bambino ha la coda di una volpe e io so che esistono dei demoni ingannatori denominati kitsune che si divertono a tormentare gli umani”.
Shippo osservò Hiroshi con le lacrime agli occhi “Ma io sono un bimbo buono! Non sono pericoloso!” e scoppiò a piangere.
La vecchia Kaede gli diede un colpetto sul dorso usando il suo beccuccio. “Signore, capisco la vostra diffidenza, ma Shippo è un demone kitsune completamente innocuo. È mio nipote, mentre invece io e il signor Myoga, che è un demone pulce, eravamo rispettivamente la balia e il precettore del principe Inuyasha. Miroku” diresse stavolta il beccuccio verso il candelabro e la scopa “era il suo ciambellano di corte e Sango una delle cameriere del castello”.
Il vecchio li guardò scettico “E cosa mi dice che non mi stiate mentendo? Inoltre è da quando sono arrivato che continuate a parlare di questo vostro fantomatico padrone abbia un aspetto spaventoso, un carattere iroso e che non sia avvezzo all’ospitalità. Che la storia del sortilegio sia tutta una farsa per farmi stare buono, quando in realtà siete tutti dei demoni, lui compreso? A proposito” si spostò e iniziò a camminare per la stanza, guardandosi attorno. “chi mi dice che non sia nascosto qua da qualche parte, in attesa di potermi uccidere?”.
Le suppellettili si guardarono tra di loro cercando di trovare un modo per calmarlo e convincerlo a fidarsi di loro, ma quando buttarono uno sguardo alle spalle del vecchio iniziarono a sudare freddo, soprattutto Myoga il quale corse a nascondersi sotto il tavolo.
Shippo iniziò a tremare come una foglia facendo addirittura cadere del tè. Miroku prese la parola a fatica, mentre Sango e Kaede erano impietrite dal terrore.
“Signor Higurashi…”.
Ma il vecchio non li stava né guardando né ascoltando. “Basta! Io me ne vado da questo posto!” ma voltandosi si trovò davanti una presenza che gli fece raggelare il sangue.
Due occhi scarlatti e dall’iride blu elettrico lo stavano osservando minacciosi. La pupilla aveva la forma ristretta tipica di certi animali pericolosi, come le tigri e i leoni. Due linee violacee si stagliavano su un viso umanoide ma sfigurato da lineamenti duri e un’espressione furente e bestiale. Dalla boccia digrignata uscivano due zanne dalle dimensioni spropositate.
Il vecchio cadde all’indietro per lo spavento. Il candelabro si frappose tra la bestia e Hiroshi “Vi prego, non fategli del male! Prendetela con me! Io l’ho fatto entrare. Me ne assumo ogni responsabilità, è colpa mia. Ma non uccidetelo ve ne prego, padrone!”.
“Oh Miroku…”. Sango era commossa da questo slancio di coraggio da parte del candelabro, però decise di non lasciarlo da solo. Corse verso di lui e si mise davanti al principe. “È anche colpa mia, vostra altezza. Punite anche me, ma non questo pover’uomo!”.
Shippo si fece coraggio e con una voce flebile disse “Deve tornare a casa da sua nipote…”.
Ma il principe Inuyasha l’aveva udito ugualmente. Scrocchiò le dita, le quali presentavano artigli lunghissimi e affilati come rasoi. Guardò il vecchio per un istante. L’uomo era terrorizzato da quello sguardo.
Sembrava non provare emozioni. Non sembrava umano, ma un mostro. Un orrendo demone, un’orrenda bestia.
Il vecchio fece per alzarsi e scappare, ma la belva lo afferrò per la collottola della maglia e lo trascinò via.
“No, aspettate! Fermatevi!” urlarono Miroku e Sango, inseguendolo. Lo stesso fece anche la vecchia Kaede. Il principe scese a passo svelto nelle segrete del castello e aprì una delle celle, gettandoci dentro l’anziano.
Chiusa la cella si aggroppò alle inferriate e ringhiò all’uomo “Non morirai, però resterai qui. Nessuno entra nel mio castello senza il mio permesso”. Si girò poi verso i suoi servitori, i quali si aspettavano di essere puniti dal padrone.
Abbassarono il capo attendendo in un silenzio tombale carico di tensione.
Il principe li scavalcò ignorandoli completamente.
“Muovetevi” e risalì le scale per uscire dalle segrete.
I tre si guardarono perplessi.
“Non ci fa niente?” chiese il candelabro.
“Forse appena usciremo” rispose la teiera. “Non abbassiamo la guardia”.
La scopa si affacciò guardando nella cella e si diresse al signor Higurashi “Non temete, troveremo un modo per farvi uscire. Riabbraccerete vostra nipote, ve lo prometto”.
Miroku si avvicinò e si appoggiò a lei con uno dei suoi portacandele. Se fosse stato umano le avrebbe appoggiato una mano sulla spalla.
“Ve lo prometto anch’io, signor Higurashi”.
“Intanto andiamocene da qui. Il padrone è stato chiaro” intervenne greve Kaede.
Gli altri due annuirono ed esclamarono “Torneremo”.
Appena uscirono dalla stanza, il vecchio si sedette e si strinse le ginocchia al petto iniziando a piangere. “Kagome…”.
 
Intanto il piccolo Shippo era riuscito ad uscire dal castello, approfittando della distrazione di tutti, specialmente di quella del principe e, sfruttando le sue piccole dimensioni, passò tra le sbarre del cancello di ingresso.
Per una volta ringraziò che la sua maledizione non fosse un ostacolo per lui, piuttosto era un vantaggio in quel caso.
Si guardò attorno facendo mente locale. Aveva capito che il signor Higurashi fosse giunto fin lì a cavallo, ma da dove? Probabilmente da un villaggio di quelle zone.
Fece mente locale, ripassando le nozioni di geografia che sua nonna Kaede aveva voluto che avesse e si ricordò che i due villaggi più vicini erano Toki e Oseki, ma quale dei due?
Poi gli venne in mente il fatto che avesse incontrato l’albero demoniaco Bokusenwo, che si trovava più vicino alla zona di Toki.
Decise che si sarebbe diretto là alla ricerca della nipote. Non solo avrebbe salvato il vecchio Higurashi, ma forse anche loro dal sortilegio della sacerdotessa nera Tsubaki. Nella sua ingenuità di bambino sperava che la nipote di quel vecchietto così affezionato a lei – quel dettaglio gli aveva fatto pensare al rapporto tra lui e sua nonna – di conseguenza fosse una brava persona. Si era mostrato diffidente verso di loro in quanto esseri bizzarri e mai visti prima da lui, però se avesse spiegato con calma a quella ragazza la situazione, preparandola anche mostrando sé stesso e facendole capire che non doveva temere nulla forse si sarebbe fidata e tranquillizzata.
Non sapeva però come fare a rassicurarla per quanto riguardava il principe, ma valeva la pena tentare, anche perché non aveva altri piani.
Tuttavia senza un mezzo di trasporto ci avrebbe messo giorni, ma non aveva tutto quel tempo! Doveva fare in fretta.
Un nitrire lo riscosse. Un cavallo si avvicinò di corsa a lui, le froge dilatate e la lingua di fuori per via dello sforzo eccessivo compiuto.
“Forse sei tu il cavallo del signor Higurashi”.
Il cavallo abbassò a fatica il muso per annusarlo e percepì l’odore del suo padrone. Così si sporge in avanti per invitare Shippo a salire su di lui. La piccola tazzina kitsune non si lasciò pregare e salì sul cavallo, il quale tornò indietro ripercorrendo la strada a ritroso da dove era venuto.
Shippo intuì le intenzioni del cavallo e sperò che lo conducesse dalla nipote del signor Higurashi.
Forse solo lei era la loro salvezza.

Angolo dell’autrice
Hiroshi: nome che ho dato io al nonno di Kagome, poiché nella serie non viene mai detto.
Toki: il villaggio dove vivono Kagome e suo nonno. L’ho inventato sulla falsa riga del nome della città di Tokyo.
Oseki: il villaggio dove si deve recare il signor Higurashi per partecipare alla fiera della scienza. L’ho inventato usando come riferimento una sonorità simile al villaggio di Toki e come esso mi sono ispirata a una città giapponese, ossia Osaka in questo caso.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Entei galoppò quasi tutta la notte, sfidando i suoi stessi limiti per ritornare il prima possibile al villaggio di Toki. Per il piccolo Shippo fu un’impresa ardua riuscire a rimanere in groppa, ma con un po' di fortuna ci riuscì. Era pressoché l’alba quando raggiunsero il villaggio, facendosi largo tra le strade del paesino praticamente deserte.
Il cavallo, con un ultimo sforzo, raggiunse la casa di Kagome. Davanti alla porta di legno, nitrì per farsi sentire dalla giovane, ma, dato che non nessuno apriva la porta, il quadrupede usò le due zampe anteriori per colpire la porta. Poco dopo la giovane aprì l’uscio, ancora intontita dal sonno e con indosso una vestaglia color malva.
Mentre si stropicciava un occhio, borbottò con voce assonnata “Ma si può sapere chi è a quest’ora?”. Poi vide il suo cavallo senza il signor Higurashi in sella e allora i suoi sensi si svegliarono immediatamente. “Entei, dov’è il nonno?!” esclamò sconvolta aggrappandosi a due ciocche della criniera dell’animale, il quale nitriva con foga. Sembrava disperato quanto lei.
I suoi occhi si inumidirono di lacrime. Kagome continuò a rivolgersi a Entei disperata, come se sperasse che il quadrupede le desse le risposte che desiderava “Dov’è il nonno, Entei? Cosa gli è successo?! Ti prego, dimmelo!”. La ragazza si staccò di colpo, portandosi le mani al volto.
“No, non può essere morto…no, perché l’ho lasciato andare da solo?! Sarei dovuta andare con lui…”.
Shippo assistette all’intera scena in silenzio, senza muoversi dal dorso dell’animale e sentì dentro di lui un moto di commozione per quella povera ragazza. Privata così brutalmente di una persona cara a causa di quel principe malvagio!
Ma proprio per quello era lì: per aiutarla a salvare suo nonno e di conseguenza anche tutti loro. Anche se il rancore che provava verso il principe era forte, decise che quella era la cosa giusta da fare in quel momento, così si fece coraggio e prese la parola.
“Scusa…”.
Kagome alzò di scatto la testa, che fino a quell’istante era stata sommersa tra le sue mani. Tirò su col naso, guardando sconvolta Entei. Era definitamente impazzita: le era sembrato che il cavallo avesse parlato! Aveva le allucinazioni. Decisamente erano allucinazioni.
Fece per avvicinarsi al cavallo per afferrargli le redini e condurlo nella piccola stalla, che si trovava accanto alla loro abitazione, a riposare un poco, quando sentì di nuovo quella vocina “Scusa, signorina!”.
La giovane fece un salto all’indietro. Sul dorso di Entei era comparsa una tazzina da tè che stava saltellando, ma soprattutto stava parlando!
Era definitivamente uscita di testa! La scoperta che il nonno non fosse tornato e il timore della sua morte, le avevano fatto perdere il nume della ragione e le sembrava che ci fosse una tazza da tè – con una coda da volpe per di più! – che le stesse rivolendo la parola.
Tazza da tè…forse era proprio quello di cui aveva bisogno. Una tazza di tè caldo e tornare a letto. A proposito di letto: forse stava solo avendo un incubo, un orribile e terrificante, ma pur sempre finto incubo. Bastava solo risvegliarsi e avrebbe trovato il nonno seduto davanti al camino oppure intendo ad armeggiare con qualcuna delle sue invenzioni, giusto?
Si diede un forte pizzicotto sul braccio, ma il dolore e il fatto che la tazzina non svanisse le fecero capire di essere completamente sveglia.
“Signorina, io so dov’è tuo nonno! Io posso aiutarti!”.
Kagome guardò la tazzina con gli occhi sbarrati. Per qualche assurdo motivo, Entei nitrì e lei credette quasi che le stesse facendo capire di fidarsi di quella tazza.
Non ancora sicura che quella che stesse vedendo fosse una cosa reale o frutto della sua fervida immaginazione, decise di portare Entei nella stalla e dargli un po’ di fieno, mentre prese tra le mani con delicatezza la tazzina – che scoprì chiamarsi Shippo – e offrirgli qualche biscotto per colazione.
La tazzina gradì molto l’offerta della giovane e dopo essersi rifocillato le raccontò in soldoni cosa era successo la notte prima. Le spiegò che suo nonno, perdendosi nel bosco – da quanto aveva capito Shippo – era finito in un vecchio maniero, che apparteneva al suo signore, il quale aveva deciso di imprigionarlo nei suoi sotterranei poiché entrato senza il suo permesso nella sua dimora.
A quella frase, la ragazza saltò in piedi facendo cadere la sedia su cui era seduta fino all’attimo prima. “Che bastardo! Perché fare una cosa del genere? Mio nonno stava solo cercando ristoro!”. Shippo pensò che non c’era alcuna speranza che la ragazza potesse innamorarsi del suo signore se quelle erano le premesse, però ormai la sua missione era aiutare quelle persone. Non voleva che quella signorina rimanesse senza il nonno. Se lui avesse perso sua nonna Kaede, l’unica persona che gli era rimasta al mondo dopo la morte dei suoi genitori, ne sarebbe stato parecchio triste.
Voleva impedire che quella ragazza e quel povero signore soffrissero.
“Scusami. Purtroppo il principe Inuyasha non è mai stato amorevole o gentile”. La tazzina balbettava leggermente, mentre parlava. Sembrava quasi timido e per certi versi le ricordava un bambino.
Kagome si avvicinò a Shippo con il volto, appoggiò le mani al tavolo dove si trovava inginocchiandosi e lo guardò degli occhi “Non è colpa tua, Shippo, anzi il fatto che tu sia venuto fin qui da solo per dirmelo significa che vuoi aiutarmi”.
Shippo sorrise e saltellò felice “Sì, è proprio così! Ti guiderò al castello e ti mostrerò dove si trova tuo nonno. Lo salveremo così poi potrete tornare alla vostra vita normale!”.
Era ancora tutto assurdo per lei, però aveva capito che non era un sogno o un’allucinazione. Era l’istinto a dirglielo che tutto era reale. La sua priorità era salvare il nonno a qualunque costo, anche se avesse dovuto fronteggiare un principe tiranno. Lo avrebbe salvato costi quel che costi!
Mentre Shippo aveva ormai rinunciato a chiederle di salvarli dall’incantesimo. Non gli sembrava giusto nei suoi confronti, dopo il dolore che le stava causando il principe. Si disse che l’importante era che la signorina Kagome e il signor Higurashi potessero tornare ad essere felici e tranquilli.
In ben che non si dica, la ragazza si vestì indossando pantaloni lunghi e comodi, una maglia di lana sotto una camicia di flanella e sopra si coprì con un mantello scuro, il quale aveva un cappuccio. Ne prese un altro con sé da dare al nonno, poiché si ricordò che era partito indossando abiti leggeri – mannaggia a lei che non aveva insistito abbastanza nel fargli indossare qualcosa di più pesante! – e lo mise in una bisaccia.
Dentro ci mise anche qualche provvista, una borraccia d’acqua e un coltello che poteva sempre essere utile. Poi corse nel retrobottega e tirò fuori il vecchio arco del nonno. Qualche volta da piccola le aveva fatto tirare e insegnato le basi del tiro con l’arco. Purtroppo non era un’esperta ma se quel bastardo avesse provato ad alzare le mani su di lei e il nonno lo avrebbe colpito con tutta la sua forza.
Finito i preparativi, prese il piccolo Shippo e lo mise nella taschina della sua borsa e poi tornò da Entei nella stalla.
La ragazza lo accarezzò dolcemente sul muso e si sussurrò “Scusami Entei, so che se stanco. Ce la fai a compiere un altro viaggio?”.
Il cavallo si limitò a nitrire. Kagome lo interpretò sperando che fosse un sì. Salendo non la disarcionò quindi era davvero una risposta affermativa. “Bravo, bello!”. Dalla bisaccia tirò fuori una mela tonda e la diede come ricompensa all’animale, il quale la gradì parecchio. Così si sistemò sulla sella e guardò davanti a sé, fuori dalla porta aperta della stalla. “Ti salverò, nonno! Sei pronto, Shippo?”. “Sì!” le rispose il cucciolo di demone volpe. “Entei?”. Il cavallo nitrì nuovamente. Lei sistemò meglio la faretra con le frecce e l’arco sulla spalla, esclamò un “Bene, andiamo!” e con un colpo deciso di redini fece partire Entei verso il castello maledetto.
 
Koga stava andando a zonzo pigramente per le strade di Toki. Teneva le robuste braccia dietro la testa guardandosi attorno annoiato. Nulla riusciva ad attirare la sua attenzione o a destare la sua curiosità. Era sempre stato così, fin da piccolo. Non trovava mai niente di interessante, fino a quando non conobbe Kagome. Quella ragazza non era come le altre, che cadevano subito ai suoi piedi senza che lui dicesse nulla, anzi quella ragazza gli rispondeva, lo rifiutava e soprattutto non aveva paura nel guardarlo negli occhi, anche se nell’ultimo periodo le era sembrata più tranquilla. Che finalmente si fosse resa conto che lui fosse l’uomo della sua vita?
Koga ripensò alla scena della mattina precedente. Kagome lo aveva respinto per l’ennesima volta, ma quella volta era colpa di quei due deficienti di Ginta e Hakkaku. Esatto! Quei due scimuniti avevano offeso il nonno di Kagome chiamandolo vecchio rimbambito. Però poteva ancora rimediare. Si decise che sarebbe andato a comprare dei fiori e che li avrebbe portati alla sua bella Kagome proprio quella mattina. Sì! – pensò tra sé e sé – E l’avrebbe anche invitata a uscire insieme! L’avrebbe corteggiata a dovere e finalmente avrebbe detto di sì alla sua proposta di matrimonio.
Sì! – annuì soddisfatto di sé stesso – avrebbe fatto proprio così!
Si diresse con passo baldanzoso verso il fioraio salutando svogliatamente di tanto in tanto qualche paesano e le tre ragazze, sue ammiratrici.
Arrivato dal fioraio gli capitò di percepire qualche frammento sparso di conversazione. Il fioraio si sporgeva dal bancone del suo negozio, che affacciava sulla strada, appoggiandoci sopra la sua pancia pingue, mentre discuteva animatamente con una vecchia dai capelli bianchi, il naso adunco con sopra un foruncolo e la pelle rattrappita. Koga l’aveva sempre chiamata la Strega di Toki per via del suo aspetto.
“Ne sei sicura?” stava chiedendo il fioraio alla donna.
“Sì, te lo posso giurare sulla mia stessa vita” rispose la Strega. “Il cavallo di quel pazzo è tornato stamattina verso l’alba. Mi ero svegliata per via del rumore di quei maledetti corvi e allora ero andata ad innaffiare le mie piante, quando ho visto quella bestia correre come un indemoniato verso la casa di quella famiglia di scellerati! Che Dio ci aiuti!”.
Koga trovò la cosa alquanto bizzarra. Intanto non sapeva nemmeno che Kagome e il vecchio avessero un cavallo, ma poi si ricordò della piccola costruzione accanto alla loro casa e intuì che fosse la stalla dove tenevano l’animale. Decise di fare finta di niente, visto che non sembrava una cosa così importante e di comprare i fiori.
“Oh, sono per la tua futura sposa? E bravo Koga!” gli disse il fioraio, dandogli una pacca energica sulla spalla. “Sì sì, bravo. Peccato sia la nipote di quello sciroccato!” sbottò la vecchia andandosene indignata. “Non preoccuparti, Koga. Nemmeno la nipote dello scienziato pazzo potrebbe resisterti”.
Esattamente! Era proprio così! Tutti lo adoravano in quel villaggio, ma allora perché Kagome lo respingeva? Quel fatto rimaneva per lui privo di senso.
Mentre si dirigeva verso la casa di Kagome, si ricordò di una frase che aveva detto uno dei due deficienti, ovvero che il nonno di Kagome era partito, presumibilmente a cavallo. I puntini si unirono ed ebbe un’illuminazione: il vecchio non era tornato sul cavallo!
Forse era smarrito da qualche parte. Chissà Kagome come doveva essere disperata! Decise che quella era la sua grande opportunità! Salvare il caro nonnino della ragazza che voleva sposare e lei le sarebbe stata riconoscente per tutta la vita, tanto da desiderare di sposarlo per ripagarlo per il suo nobile gesto!
Motivato dal suo nuovo piano, Koga corse verso la piccola casetta al margine del villaggio. Arrivato davanti all’uscio si lisciò i capelli e controllò che l’alito non puzzasse, poi bussò alla porta.
“Kagome, mia adorata, buongiorno! Sono venuto a trovarti!”.
Nessuna risposta.
Il ragazzo era perplesso. Magari stava dormendo ancora. Riprovò un altro paio di volte, ma Kagome non rispondeva.
Infastidito, decise di buttar giù la porta. Appena fece per caricare la porta, i suoi due galoppini lo chiamarono.
“Buongiorno capo!”.
“Voi due avete visto Kagome?”.
“Sorella Kagome?” esclamò Ginta. Si portò le dita sotto al mento e ci rifletté su.
“Io sì, capo!” disse Hakkaku “Stamattina, poco dopo l’alba, ora che ci penso l’ho vista a cavallo. Stavo andando a caccia nel bosco. Anche lei sembrava pronta per andare a cacciare, visto che aveva arco e freccia in spalla. Non pensavo che Sorella Kagome potesse essere così ganza!”.
Koga lo prese per la collottola della camicia “Ehi, che diavolo hai appena detto?”.
“No, scusa capo! So che è la tua donna, non volevo…volevo solo dire che è davvero degna di te, ecco…”.
“Non hai capito, idiota! Hai detto che era a cavallo?”.
“S-sì capo!”.
“E dove stava andando?”.
“Ma non saprei, capo! Di sicuro verso la foresta”.
Ripensò a tutte le informazioni che aveva: il nonno che non era tornato, il cavallo impazzito, Kagome a cavallo con arco e freccia…
Era andata a cercarlo per conto suo! Era forse impazzita? Sarebbe morta nella foresta, piccola e gracile com’era! Non l’aveva mai vista tirare con l’arco quindi pensò che avesse preso quell’arma perché era la sola cosa che avesse a casa.
Doveva andare a salvarla!
“Ginta, Hakkaku, preparatevi! Andiamo a cercare Kagome!”.
“Ma dove andiamo a cercarla, capo?” chiesero i due all’unisono.
“E che ne so! So solo che dobbiamo partire prima di subito, dunque muovetevi a prendere provviste, armi e dei cavalli”.
“Subito, capo!”. Mentre i due correvano via a procurarsi le cose da lui elencate, Koga sorrise sorpreso e soddisfatto. La fortuna era dalla sua parte. Aveva l’opportunità di salvare nonno e nipote in un colpo solo e finalmente Kagome sarebbe stata sua. Niente sarebbe potuto andare storto!
 
Intanto Kagome stava cavalcando nella foresta, seguendo le indicazioni di Shippo. Doveva sbrigarsi. Pregava che suo nonno stesse bene.
“Nonno, resisti, sto arrivando!” gridò.
In tutto questo, una persona la stava osservando da una Sfera.
Una mano artigliata accarezzò la superficie liscia dell’oggetto rosa quarzo. Il vetro colorato gli mostrava l’immagine di una giovane donna, che galoppava nella foresta verso il sentiero che conduceva verso il suo castello.
Sentì il suo urlo disperato e pensò che potesse essere quella Kagome che il vecchio nelle segrete chiamava sempre la notte. Ogni volta che gli portava lui stesso da mangiare, controllava come stesse e lo trovava intento a pregare per lei augurandosi che stesse bene e che Koga non le facesse del male.
Così, incuriosito – pensò che fosse o la moglie o la figlia dell'uomo –, volle guardare per curiosità nella Sfera per vedere chi fosse. Ma non immaginava che sarebbe rimasto abbagliato dalla bellezza della ragazza. Fiera e temeraria, teneva lo sguardo puntato davanti a sé. Il viso dai lineamenti armoniosi, i capelli lunghi e neri mossi dal vento, occhi dal taglio orientale, brillanti e determinati, di un bel color nocciola. Sembrava un’eroina pronta a combattere per proteggere la vita dei suoi cari, ma allo stesso tempo una principessa venuta da un regno lontano. Gli pareva troppo giovane per essere sua moglie, ma anche per essere una sua eventuale figlia. Dedusse che forse era una nipote.
Riuscì a vedere anche la tazza-demone Shippo. Allora era lui che era andato a chiamarla! Ecco perché non si trovava più da nessuna parte – la vecchia Kaede infatti era disperata – ed ecco spiegato anche il motivo per il quale procedeva senza timore come se conoscesse già la strada: perché era Shippo a guidarla.
Osservò di nuovo la ragazza. Kagome. Era quello il suo nome.
 
Kagome giunse davanti al castello. Aveva spinto fino allo stremo il povero Entei, che stava ansimando. Il piccolo Shippo stava riprendendo fiato nella bisaccia, anche lui stremato per aver urlato tutto il tempo le indicazioni per arrivare al maniero, in modo da sovrastare il rumore prodotto dagli zoccoli del cavallo.
Anche lei era stanca e madida di sudore, ma non le importava.
Finalmente era arrivata.

Angolo dell'autrice
Sono davvero soddisfatta per come è venuto questo capitolo. Era da un po' che non sentivo questa sensazione e ne sono felice. Finora penso sia il migliore che ho scritto della storia (modestia a parte si intende). 
Spero vi piaccia anche a voi <3

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Angolo dell’autrice
Scusate se ci ho messo così tanto per scrivere questo capitolo, ma la scuola e gli impegni mi hanno assorbito. Chiedo ancora perdono e spero che sia valsa la pena l’attesa. 

Kagome si avvicinò al cancello, tirando il cavallo per le briglie. Shippo intanto, saltellando davanti a lei, la aspettò davanti al cancello e insieme lo scavalcarono. Non potendo portarsi l’animale con loro, Kagome decise di legarlo al cancello e lasciarlo lì, seppur a malincuore, ma non aveva altra scelta. La ragazza, superato il cancello, rimase affascinata dalla costruzione che si trovò di fronte.
Il sole, ancora pallido dell’aurora, illuminava dolcemente le torri che salivano verso il cielo. Era massiccio, perciò le dava l’idea di una struttura pensata un tempo per la difesa, anche se la mancanza di un fossato la stranì. Inoltre il bel giardino in stile rococò all’inglese le fece pensare che ci fosse qualcosa di anomalo in quel castello. Avrebbe dovuto esserci tutt’altro edificio nel suo immaginario. Una reggia o un castello più elegante, non una fortezza gotica, che comunque rimaneva affascinante, tanto da ricordarle le immagini di quei castelli medievali, che aveva visto in tantissimi libri sulla storia dell’arte e nei romanzi di avventura che leggeva, ambientati nel Medioevo.
Nel mentre che lei fantasticava, Entei fremeva irrequieto dilatando parecchio le narici nell'atto di respirare. Kagome si girò verso di lui, e facendo passare le mani attraverso le sbarre, cercava di infondergli calma, mentre Shippo, sempre saltellando, avanzò verso l'ingresso.
“Kagome, dobbiamo andare!” le disse con tono agitato la tazzina. La ragazza fece per allontanarsi dall’animale, solo che quest'ultimo continuava nitrire e a scalpitare nervoso.
“No, Entei, stai tranquillo... Andrà tutto bene... Dopo ti veniamo a prendere, promesso. Io e il nonno... tutti insieme torneremo a casa…” continuava a sussurrargli Kagome, più per cercare di calmare sé stessa che l'animale, e questo il demone volpe l'aveva capito molto bene. L'odore delle lacrime che si sforzava di trattenere ne erano la conferma. Al piccolo Shippo si strinse nuovamente il cuore nel vedere quella povera ragazza prendere tra le mani il muso del cavallo e appoggiarci la propria fronte contro, parlandogli con un tono di voce quasi materno.
Giurò a sé stesso che li avrebbe fatti uscire tutti da quel castello, sani e salvi, anche a costo di far adirare enormemente il principe Inuyasha.
La ragazza si separò da Entei, che stava ancora nitrendo ma con meno foga, e raggiunse la tazzina. Stringeva quasi fino a sbiancare le nocche delle mani l'arco e la faretra. Sudava parecchio e spostava nervosamente lo sguardo dal portone al cavallo. “Kagome…” sussurrò Shippo titubante. “Se indugiamo troppo rischiamo di farci scoprire. Il fattore di sorpresa è il nostro unico vantaggio contro il principe”.
“Hai ragione, Shippo. Entriamo” rispose seria la ragazza.
Shippo e Kagome spinsero la porta, che si aprì scricchiolando ed entrarono nel maniero.
 
Appena entrata, rimase affascinata dall’ingresso in cui si trovava.
Le venne naturale alzare gli occhi al cielo e osservare l’enorme lampadario di cristallo che pendeva sopra la sua testa.
Rimase estasiata soprattutto dalla moltitudine di statue che decoravano il soffitto e le pareti. Rappresentazioni di putti, creature alate di vario tipo, divinità classiche, decorazioni che richiamavano gli ambienti vegetali, le linee sinuose e le volute dorate le facevano girare la testa da tanto erano magniloquenti. 
Ma anche in quella sala, percepì la stessa sensazione di stranezza che aveva avvertito fuori dal castello. Un ingresso così decorato e raffinato stonava in quel maniero austero. Forse solo i Gargoyle, che si trovavano sui balconcini, che sporgevano dalle pareti, mantenevano una coerenza tra interno ed esterno. Decise però di non badarci, in primo luogo perché non poteva distrarsi ma salvare il nonno e in secondo luogo perché il motivo che aveva spinto gli architetti o i loro committenti a realizzare un castello con quel pot-pourri di stili artistici non era per l’appunto la sua priorità.
Nel mentre alcune suppellettili si erano affacciate da dietro le porte e i muri per osservare la nuova arrivata. Da quanto tempo non vedevano una giovane, per di più così bella!
Alcune tazzine si esaltarono perché pensarono che fosse finalmente arrivata colei che li avrebbe liberati dal sortilegio.
Poi una di loro notò Shippo, quindi sorridendo esagitata arrivò saltellando e urlando il nome del piccolo demone volpe: “Sei tornato! Eravamo tutti così in pensiero!”.
Shippo si girò perplesso verso la sua voce e notò la tazzina “Shiori!”. Urlò saltellando avvicinandosi alla sua amica. Riconoscendo Shippo, tutte le altre suppellettili uscirono allo scoperto e iniziarono a chiamarlo a gran voce.
Kagome li osservava a bocca aperta, sbalordita e affascinata. Nei libri aveva letto di tante creature strane e fantastiche, ma mai avrebbe immaginato che un giorno avrebbe parlato con delle suppellettili animate e senzienti!
Nella piccola folla che si era creata attorno a loro due vi erano tazze, posate, bicchieri e piatti parlanti, che saltellavano e ridevano come dei bambini. Sembravano così umani.
Il rumoreggiare fu rotto dall’arrivo di un orologio, il quale, estremamente agitato e nervoso, richiamò la loro attenzione. Insieme a lui vi erano una scopa e un candelabro dall’aspetto umanoide.
L’orologio, invece, da come saltava, ricordava a Kagome una pulce.
“Fate piano, altrimenti il padrone si infurierà! Come mai tutto questo baccano?”.
Shiori si fece avanti e disse “Signor Myoga! È tornato Shippo!”.
La pulce orologio saltò sul posto. Le lancette, che si trovavano sulla sua facciotta, si iniziarono a muovere in senso antiorario per via dell’emozione. “Misericordia!”.
Shippo avanzò, piegandosi in avanti mortificato “Chiedo scusa per avervi fatto preoccupare, ma me ne sono andato per un motivo ben preciso”.
Una forchetta, che pensava che Shippo avesse proprio trovato la ragazza che li avrebbe salvati, si piegò verso la giovane “Signor Myoga, guardate!”.
Anche Myoga fece lo stesso ragionamento, perciò si avvicinò a Kagome zampettando.
“Come vi chiamate, mia cara?”.
Kagome non capì come mai le suppellettili parlanti sembrassero provare tutto questo interesse nei suoi confronti. Rispose timidamente “Kagome Higurashi”.
Miroku si avvicinò ammaliato, esclamando “Siete meravigliosa…”, facendo arrossire violentemente Kagome. Ma che stava succedendo? Strinse l’arco con forza, mentre Sango avanzava verso Shippo. Sembrava parecchio irritata “Come mai hai portato qua questa ragazza, Shippo?”.
Shippo saltellò agitato “Perché suo nonno è stato rinchiuso dal principe Inuyasha e noi dobbiamo liberarlo! Non abbiamo molto tempo! Dobbiamo sbrigarci!”.
Miroku ripensò al nome dell’uomo e infatti ricordò che avevano lo stesso cognome. Prese la parola “Ti aiutiamo noi, Shippo”. Anche le altre suppellettili si proposero di aiutarli. Per un attimo fu messa da parte la questione della loro maledizione. Ora la priorità era aiutare Shippo e la giovane Kagome.
“Shippo!”. All’improvviso apparve una teiera con la benda su un occhio e la voce roca da anziana.
“Nonna!”. La tazzina saltò verso di lei e strofinò la sua guancia di ceramica contro la teiera.
Kagome la trovò una scena estremamente dolce e sperò anche lei di poter riabbracciare suo nonno.
Sango prese la parola, dichiarando con tono grave “Vi aiuteremo a scendere nei sotterranei, però dobbiamo fare presto. Per ora il padrone non è in casa, ma potrebbe tornare da un momento all’altro”.
Kaede osservò il nipote, corrucciata e preoccupata “Cosa vuoi fare, Shippo?”.
Il bambino tazza la guardò serio “Nonna, voglio salvare il nonno di questa ragazza” e si chinò da un lato verso Kagome.
La teiera sembrava scettica. Miroku le si avvicinò, poggiando uno dei bracci su quella che se fosse stata umana sarebbe stata la sua spalla “Non ti preoccupare, lo copriremo noi nel caso qualcosa dovesse andare storto, ma dobbiamo sbrigarci”.
L’anziana non sembrò convinta al cento per cento, ma decise di fidarsi del candeliere. Anche Kagome era sorpresa da quella piccola comunità, che era come una grande famiglia, e di come si proteggessero tutti a vicenda. Erano tutti disposti ad aiutare il prossimo in una maniera così spontanea da commuoverla. Scene così al suo villaggio non si sarebbero mai viste.
Risoluta, tenne stretta il suo arco “Bene, guidatemi nei sotterranei. Non voglio che veniate puniti per causa mia”.
Tutte le suppellettili si girarono verso di lei sospirando all’unisono “Che animo nobile!” facendo imbarazzare la ragazza.
Sango allora esclamò “Seguitemi allora. Conosco un passaggio segreto. È più sicuro passare di lì. Non si sa mai”.
Miroku la affiancò, esclamando entusiasta e sorridente “Ti adoro ancora di più quando sei così risoluta!”.
Sango non disse nulla, però si vedeva che fosse compiaciuta, infatti sorrise, lievemente soddisfatta.
Così Kagome e Shippo li seguirono, mentre le suppellettili urlavano di fare attenzione, soprattutto l’anziana Kaede, e il vecchio Myoga, intanto, cercava di mantenere l’ordine.
 
In un’ala nascosta del castello, una figura si aggirava irrequieta. Osservava la stanza messa a soqquadro, i vecchi mobili appartenuti ai suoi nobili antenati rovesciati. Lo specchio che distrusse quel giorno appena vide la sua immagine mutata, riflessa su di esso. Non voleva più rivedere quella creatura abominevole che era diventato. Il solo pensiero lo disgustava e lo portava quasi a rimettere.
Si avvicinò ad un oggetto sferico, il quale emetteva una soffusa luce violacea, fonte del suo supplizio. Guardando, vide la servitù nell’entrata. Corrugò la fronte, prima perplesso, poi si indispettì. Perché non erano al lavoro? Cosa stavano combinando? Ma gli bastò spostare lo sguardo per vedere quella ragazza al centro del piccolo cerchio che avevano formato le suppellettili animate, che un tempo erano i suoi servitori, ma che continuavano a servirlo, forse per abitudine, forse per inerzia o forse perché non sapevano cos’altro fare. Ormai erano maledetti e non avrebbero potuto ambire ad un altro lavoro o andare da qualche altro posto. Per un attimo si sentì in colpa, ma scacciò quella sensazione.
Ora non aveva il tempo di pensarci. Quella ragazza era arrivata, dunque, probabilmente per liberare il nonno e ciò fu confermato dal fatto che la scopa Sango li stava conducendo verso il passaggio segreto.
Lui conosceva ogni angolo della sua dimora, anche per merito di quella dannata Sfera, la quale, in certi casi come quello, tornava utile.
Prese la sua casacca rossa e la indossò alla veloce. A piedi scalzi avanzò fuori dalla stanza, dirigendosi verso i sotterranei, dando le spalle al gioiello, sul quale una macchia nera contaminava la superficie perlacea, espandendosi come una macchia d’inchiostro su un foglio bianco.
 
I quattro procedevano in fila indiana, attaccati alla parete destra di quel passaggio estremamente stretto e angusto. Le tre suppellettili ringraziarono per una volta la loro maledizione, che gli evitavano di avere troppi problemi nel passare, mentre Kagome doveva trattenere il fiato e stringere l’addome per passarci. Sango si girò per incoraggiarla “Siamo quasi fuori. Cerca di resistere un altro po’”.
Kagome annuì in risposta, respirando dal naso. Anche se erano pressoché al buio, nonostante la luce delle candele sui bracci di Miroku, che comunque era molto fievole, riuscirono a vedere chiaramente che le guance della ragazza erano rosse.
Si mossero alla svelta, allungando il passo, per uscire alla svelta da lì. Ormai la crepa nel muro alla fine del percorso, che segnalava l’uscita, era in vista. Kagome contrasse ancora una volta l’addome e con una spinta uscì dal muro, subito dopo i suoi tre bizzarri compagni di avventura, o disavventura che dir si voglia.
Si trovò in una stanza umida e angusta. Il soffitto era basso e ciò contribuiva a rendere l’ambiente quasi claustrofobico.
Kagome si guardò attorno, sentendo crescere un certo senso di vedere suo nonno, accertarsi che stesse bene e portarlo fuori di lì.
“C-chi è là?”.
Una voce sommessa echeggiò, rimbombando per tutta la stanza. Kagome corse in avanti, portandosi una mano davanti alla bocca. Appena individuò la cella in cui si trovava l’anziano, si inginocchiò al suolo scivolando e quasi sbucciandosi le ginocchia, esclamando affranta “Nonno!”.
Allungò una mano oltre le barre della cella, cercando la mano dell’uomo, che per lei era praticamente un padre.
Il signor Higurashi cercò di sporgersi il più possibile verso la nipote “Kagome, cosa ci fai qui?”.
“Nonno, sono qui per liberarti!”.
A tale grido di disperazione gli altri tre la guardarono dispiaciuti, sentendosi quasi in colpa. Non era giusto che una ragazza così sensibile soffrisse così, ma avevano imparato a loro spese che la vita è ingiusta anche con chi non ha fatto nulla per meritarselo.
Il nonno sbarrò gli occhi e si aggrappò alle sbarre “No, devi andartene! Q-quel mostro…potrebbe tornare” terminò tossendo.
Kagome si aggrappò stretta alle sbarre, avvicinandosi all’uomo. Ormai il volto era rigato di lacrime e non riusciva più a fermarle e nemmeno voleva.
“Io non ti lascio qui!”.
Un rumore sordo si fece strada nelle segrete. Tutte e tre le suppellettili si girarono all’unisono, iniziando a sudare freddo e a temere il peggio.
Kagome, continuando con una mano a stringere quella del nonno, con l’altra tastò il terreno alla ricerca del suo arco e lo impugnò stretto.
Fu in quel momento che il signor Higurashi notò il vecchio arco che aveva realizzato lui stesso per andare a caccia e che aveva smesso di usarlo. L’aveva ripreso in mano solo di tanto in tanto quando Kagome era piccola e gli aveva fatto vedere come tenderlo. Sapeva che sua nipote non poteva essere diventata una maestra nel tiro con l’arco nell’arco di quel lasso di tempo – che lui aveva percepito come infinito ma, a giudicare da quello che gli aveva detto il gentile carrello portavivande che gli aveva portato da mangiare quella mattina, era passato solo un giorno – però quando la guardò negli occhi gli sembrò un’altra persona. Lo sguardo irrequieto, di una belva pronta ad attaccare, la faccia tesa in una maschera di pura rabbia. Ciò che vedeva non gli piaceva per niente.
Che cosa era successo alla sua dolce nipotina? Le era immensamente grato per essersi preoccupato per la sua sorte, tuttavia il desiderio di salvarlo le aveva fatto dimenticare la bontà e la compassione?
Un ringhio si diffuse in tutto il seminterrato.
Il piccolo Shippo, spaventato, si portò dietro Sango e Miroku che lo nascosero alla bell’è meglio con i loro corpi – se così li si poteva chiamare.
Una voce bassa e baritonale, che sembrava uscire da una grotta profonda, parlò, facendo tremare tutti i presenti “Cosa ci fate nel mio seminterrato?”.
Kagome lo fulminò con lo sguardo, mentre il nonno si stringeva su sé stesso, portandosi le ginocchia al petto.
Kagome pensò di non aver mai provato così tanto odio nei confronti di qualcuno, come quello che stava provando in quel momento verso quell’essere.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


La creatura avanzò lentamente verso di loro. Kagome distinse una vaga silhouette antropomorfa, che strisciava i piedi per terra. Teneva la schiena leggermente ricurva e distinse chiaramente sulle sue dita la presenza di lunghi artigli affilati.
Da un lato ne era terrorizzata, ma dall’altro, forse per l’adrenalina o per la collera, si fece coraggio e parlò.
“Siete voi il principe Inuyasha?”.
La bestia si ritrasse leggermente.
Da quanto tempo qualcuno non lo chiamava per nome!
Però poi si rese conto del tono rancoroso della ragazza e si riprese. “Sono io. Non mi piace chi entra senza permesso nella mia dimora”.
Detta quella frase, spostò lo sguardo verso i tre.
Le tre suppellettili si strinsero, facendosi più vicini tra di loro.
Kagome, a quelle parole, sentì il sangue arrivarle al cervello. Scattò all’improvviso in piedi ed estrasse dalla faretra una freccia che inforcò nell’arco e la scagliò, senza neanche pensarci, verso di lui.
Inuyasha, preso alla sprovvista, piegò la testa di lato, ringraziando – non senza una punta di risentimento – i suoi riflessi demoniaci. La freccia si conficcò nel muro alle sue spalle, facendo sospirare sorpresi i tre servitori e facendo gemere di dolore il signor Higurashi, ancora seduto per terra e acciambellato su sé stesso. Si tappò le orecchie per cercare di isolarsi, iniziando a piangere a singhiozzi.
Non voleva vedere sua nipote ammazzare un’altra persona, nonostante quest’ultima fosse crudele e l’avesse fatto rinchiudere.
Inuyasha, nel mentre, ritornando a ragionare lucidamente, realizzò che probabilmente aveva avuto fortuna, poiché la ragazza stava tremando e di conseguenza reggeva l’arco con una presa instabile. Infatti, a giudicare dalle mani delicate, non rovinate e tremanti, non era abituata ad allenarsi nel tiro con l’arco.
Ma la furia che aveva in corpo era il carburante che le dava l’energia per fronteggiarlo, nonostante fosse terrorizzata. Sentiva chiaramente l’odore del suo sudore e il suo cuore battere rumorosamente.
La ragazza aggrottò le sopracciglia. Gli occhi erano velati da lacrime di rabbia e un alone rosso li contornava, come fossero occhiaie.
 “Sei un mostro…” sussurrò a denti stretti. Tali parole ferirono Inuyasha che non disse niente, per non darlo a vedere.
Il pianto disperato del signor Higurashi riportò alla realtà Kagome, che si girò di scatto, ignorando Inuyasha. Ella si inginocchiò nuovamente e addolcì lo sguardo “Nonno, non piangere. Ora sono qui con te”.
L’uomo alzò la testa e la scosse violentemente. “Kagome, non voglio che tu uccida qualcuno…non pensare a me, vai via! Non voglio che tu distrugga la tua anima per me”.
Kagome realizzò il vero motivo per il quale il nonno stava piangendo. Lui era preoccupato per la sua sorte. Se per qualche miracolo fosse riuscita ad uccidere Inuyasha avrebbe liberato il nonno e anche tutto il personale di servizio del castello, però lei sarebbe diventata un’assassina.
Prese a due mani l’arco e lo guardò. Le sue mani tremavano mentre fissava quell’oggetto. La ragazza si sentì crollare dalla disperazione e abbassò lo sguardo.
Miroku, Sango e Shippo osservarono la scena senza dire nulla, però erano estremamente dispiaciuti per quella famiglia. Avrebbero voluto aiutarli in una maniera più concreta, ma non sapevano come. Potevano solo tenere d’occhio il principe Inuyasha per evitare che attaccasse la ragazza, però egli restava fermo vicino al muro e questo in parte li confortò.
In quel momento Kagome sollevò la testa. Aveva preso una decisione difficile, che avrebbe cambiato la loro vita per sempre, ma era l’unica cosa che poteva fare per salvare suo nonno senza uccidere o fare del male a nessuno. Anche perché non era certa che sarebbe riuscita a uccidere un’altra persona. Il tiro fallimentare, maldestro per via della sua scarsa abilità nel tiro con l’arco, era stato comunque una conferma del fatto che lei non sarebbe mai stata capace, neppur volendolo, di uccidere quella bestia.
Prese un profondo respiro, cercando di imporsi la calma. Si rialzò in piedi e buttò a terra l’arco con forza. Si morse il labbro e stringendo con forza i pugni quasi fino a graffiarsi con le unghie le nocche, trattenendo nel mentre le lacrime.
Alzò la testa e fulminò con lo sguardo la bestia che stava davanti a lei.
“Prendete me come prigioniera al posto di mio nonno” pronunciò quella sentenza con tono greve. Passò ad utilizzare il voi per rivolgersi a lui, nella speranza di apparire più convinta nella sua resa, anche se ogni fibra del suo corpo urlava. Si sentiva bruciare fin dentro l’anima di una furia incontrollabile, che non aveva mai provato prima.
Le suppellettili sgranarono gli occhi. Il volume dei singhiozzi emessi dal nonno aumentò. La bestia socchiuse lievemente le labbra, ma cercò di non far trasparire alcuna emozione sul suo volto.
Dalla voce sentì chiaramente che la ragazza stava trattenendo la rabbia. I suoi occhi sembravano quelli di una tigre in gabbia.
Voltò la testa verso la cella, dove il vecchio si era aggrappato alle sbarre, piangendo come un bambino.
“No…no, Kagome…” continuava a supplicare la nipote con voce strozzata, ma lei fu irremovibile.
“Accetterò qualunque prigione e qualunque castigo mi infliggerete senza oppormi. Pagherò io al suo posto”.
Il vecchio tremava. Aveva gli occhi sbarrati e sembrava in preda agli spasmi.
Kagome strizzò le palpebre e si morse il labbro fino a farlo sanguinare. Le piangeva il cuore vedere il nonno ridotto così, ma non aveva altra scelta. Il suo amato nonno non meritava di morire marcendo lì dentro.
L’uomo allungò una mano tremante verso il principe. “Vi prego…non fatelo”.
Inuyasha spostò lo sguardo verso di lui, poi verso la ragazza che lo stava scrutando rabbiosa da sotto la frangetta.
Inuyasha decretò “Accetto lo scambio”.
Shippo, Miroku e Sango si guardarono tra di loro, tesi. Avrebbero voluto dire qualcosa, ma non volevano peggiorare ulteriormente la situazione a cui stavano assistendo.
Il signor Higurashi, ormai annientato completamente, provò un ultimo tentativo, rivolgendosi alla nipote “No…tu sei giovane, bimba mia. Tu devi vivere le tue avventure”.
Kagome, sforzandosi di mantenere un’espressione imperturbabile, si chinò nuovamente verso di lui e allungò una mano facendola passare tra le grate della cella e gli accarezzò il volto, mentre con l’altra si aggrappò a una di esse.
Ad un’occhiata più attenta però l’anziano vide che la nipote aveva gli occhi lucidi “Andrà tutto bene, nonno. Sappi che ti voglio bene”.
“Anch’io, bambina mia. Io voglio solo che tu sia felice”.
Lei sorrise tristemente “Sapendoti sano e salvo al villaggio lo sarò. Non ti preoccupare”.
Inuyasha si sentì di troppo in quella scena. Si girò verso il muro, dando loro le spalle, cercando di non prestare troppa attenzione alle parole che si scambiavano i due, per lasciargli almeno un minimo di intimità. Non sapeva nemmeno lui perché se ne curasse così tanto.
Tanto ormai era fatta.
La ragazza avrebbe sostituito il vecchio. Era deciso, o meglio l’aveva deciso lui.
“Candelabro” ordinò, senza voltarsi, a Miroku, il quale alzò solo la testa verso il padrone, senza aver il coraggio di dire nulla. Si sentì un verme per quello.
“Apri la cella e conduci il vecchio verso la stalla. Dovrebbe esserci ancora un cavallo che lo ricondurrà al suo villaggio”.
Il candelabro annuì grave ed eseguì l’ordine. Aprì la cella e invitò con un gesto l’anziano a seguirlo. Il signor Higurashi si alzò meccanicamente. Era talmente sotto shock che si fece condurre fuori senza ribattere.
Kagome non ebbe il coraggio di voltarsi a dargli un ultimo saluto, perciò si impose di guardare verso la cella. La stessa che presto sarebbe stata la sua.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Inuyasha guardò l’uomo uscire dai sotterranei, scortato da Miroku per poi tornare ad osservare Kagome. La ragazza aveva gli occhi puntati verso la cella. Aveva certamente capito che avrebbe sostituito il nonno lì dentro.
Tuttavia, una parte di lui si sente terribilmente in colpa nel figurarsela rinchiusa tra quelle sbarre. Però il vecchio l’aveva fatto rinchiudere senza troppi problemi, anche se poi si era assicurato che mangiasse adeguatamente e non gli avesse fatto del male.
Per quanto la giovane si sforzasse di apparire ai suoi occhi come forte e risoluta, in realtà bastava osservarla con più attenzione per rendersi conto che era spaventata. In più l’odore del suo sudore e l’incessante battere del suo cuore erano un segno ancora più inequivocabile della paura che stava provando in quell’istante.
Fece per afferrarla per un polso, ma fu interrotto dalla voce squillante e infantile di Shippo, il quale aveva intuito cosa volesse fare. Saltò sul braccio che il principe stava allungando verso la giovane e iniziò a urlare istericamente “Siete una bestia crudele! Come potete chiuderla lì dentro? Ha già perso il nonno e ora è vostra prigioniera. Non vi sembra una tortura più che sufficiente?”.
“Shippo, scendi dal braccio del principe e modera il linguaggio” lo rimproverò la signora Kaede, preoccupata. Shippo, seppur controvoglia, fece come la nonna gli aveva detto. L’anziana teiera temette che Inuyasha potesse fare del male a suo nipote, ma le parole della tazzina-volpe ebbero l’effetto di stringergli il cuore. Oltre all’odore del suo sudore, aveva percepito anche quello delle lacrime che la giovane si era lasciata sfuggire poco dopo che il nonno era stato portato via. Ciò era possibile proprio a causa di quella dannata maledizione che gli aveva scagliato quella megera che lo aveva dotato non solo di una forza e una velocità sovrumane, ma anche di un mirabolante fiuto e un udito infallibile da cane.
Apparentemente quelle capacità però potevano anche essere sfruttate in positivo, però la vera maledizione era che appariva agli occhi degli altri come un demone spaventoso, visto che essa aveva modificato il colore dei suoi capelli e dei suoi occhi, in più gli aveva aggiunto dei segni violacei sulle guance, gli artigli e le zanne.
Per questo non si era mai illuso che davvero qualcuno si potesse innamorare di lui. Già quando era umano non era benvoluto per via del suo carattere tirannico, nonostante fosse fisicamente piacente, figurarsi quando anche il suo aspetto era tutto fuorché gradevole.
Come se non bastasse, le sue orecchie erano mutate in due fastidiosissime orecchie da cane, le quali si muovevano ad ogni minimo rumore, infatti poteva udire senza troppi problemi gli singhiozzi della giovane, che tentava di trattenere a fatica, mentre continuava a dargli le spalle.
Kagome fece per mettere un piede dietro la cella, capendo che era inutile aspettare che fosse la bestia a farlo.
Inuyasha attese che entrò dentro la cella per poi chiuderla. Successivamente consegnò le chiavi a Sango dicendo “Appena ritorna il candelabro consegnagli queste”. Poi si girò verso Kaede “Teiera, porta del cibo alla ragazza. Ogni giorno deve avere due pasti abbondanti, poi prendete le sue armi e buttatele da qualche parte o mettetele in una stanza che non viene usata. Non mi interessa, basta che lei non ci venga più a contatto”.
Le due si limitarono ad effettuare un cenno di assenso con il capo, mentre il principe usciva dalle segrete.
Le tre suppellettili la osservarono mentre dentro la cella si accovacciava al suolo e si circondava le ginocchia con le braccia.
Rimasero a fissarla per un po’, senza sapere cosa dire o come comportarsi, ma fu la vecchia Kaede a richiamare l’attenzione degli altri due ricordandogli che dovevano occuparsi di ciò che gli aveva chiesto il principe.
Così Shippo, mogiamente, spinse via l’arco e la faretra che Kagome aveva lasciato cadere al suolo e li spostò il più lontano possibile dalla cella.
Siccome Shippo non dava cenno di volerle lasciare in un punto preciso e avrebbe probabilmente continuato vagare per la stanza, Sango prese la parola “Shippo, tranquillo. Dopo ci penso io a portarle via”.
Il demone volpe non batté ciglio. Si limitò ad abbandonare le armi in un punto imprecisato della stanza e a raggiungere la nonna per poi risalire insieme a lei le scale, che portavano fuori dai sotterranei.
Sango si fermò qualche secondo in più, continuando ad osservarla sentendosi in colpa. Lei e quell’uomo non centravano niente in tutta quella storia. Non meritavano di soffrire così. Non poteva fare molto per lei: se l’avesse liberata o anche solo aiutata a scappare non solo lei ma anche tutta la servitù avrebbero rischiato grosso, ma si promise che avrebbe fatto del mio meglio per renderle la prigionia più sopportabile.
Già procurarle del cibo in più era già più facile, visto che il principe non si sarebbe mai preso la briga di controllare le porzioni di una prigioniera, contando anche del fatto che non si curava nemmeno delle loro. Kagome alzò per un istante la testa e la guardò. Il suo sguardo era spento. Quella ragazza era stata completamente annientata.
Sango sentì il senso di colpa montare su ancora più forte di prima, ma poi decise di non farsi prendere dallo sconforto. Non era nel suo stile, visto che era molto più brava ad agitare che a rimuginare, tuttavia per un istante provò verso il principe lo stesso odio che sentì quel giorno quando il suo fratellino rischiò la vita.
Ricambiò quello sguardo cercando di farle capere che lei era dalla sua parte. Dopo di ciò, Sango si girò e lasciò anche lei le segrete lasciando Kagome in compagnia delle sue paure e della luce fioca delle torce.
***
 
Per qualche giorno, Inuyasha osservò per tutto il tempo la ragazza dalla Sfera. Cercò di capire come si comportava con la servitù, ma non parlava né interagiva neanche quando erano le suppellettili animate a cercare di instaurare anche un piccolo dialogo con lei. Soprattutto la scopa provava a parlarle, ma lei era sempre seria, con le gambe raccolte contro il petto, una maschera di cera al posto del viso e gli occhi rossi sempre gonfi a causa delle lacrime.
A volte si trovava a fissare a lungo quel volto sofferente e a rendersi conto troppo tardi che i suoi artigli si erano conficcati nella carne delle sue mani e lo realizzava grazie all’odore ferroso prodotto dalle gocce di sangue, che scorrevano fuori dalle sue falangi.
Non capiva nemmeno lui perché si sentisse così. Anche con il vecchio in fondo aveva avvertito il peso di un macigno sullo stomaco, ma non era nemmeno lontanamente arrivato a farsi del male da solo.
Come se non bastasse, l’atmosfera al castello, già di per sé piuttosto pesante a causa del rapporto problematico tra lui e i servitori, si era fatta ancora più tesa, dato che ogni volta che circolava per le varie stanze scorgeva o comunque percepiva sempre degli sguardi puntati su di sé. Come se tutti gli abitanti del castello si fossero coalizzati per fargli arrivare un unico messaggio: liberate la ragazza.
Già quando suo nonno era stato rinchiuso nessuno aveva approvato questa sua decisione, anche se non si azzardavano a contradirlo o a farglielo notare. Stavolta però non erano sguardi lanciati di soppiatto quando erano certi che non li stesse guardando, ma erano occhiate di puro disprezzo.
Ciò gli ricordò il periodo subito successivo alla maledizione, dove tutti lo odiavano per essere stato la causa anche della loro maledizione. Ci fu anche un tentativo di rivolta che mai fu concretizzato appieno, perché si resero presto conto che non solo non avevano più un luogo dove andare, ma non potevano allontanarsi dal castello. Solo lui poteva, però non lo faceva perché non aveva altri luoghi dove andare.
Come sarebbe potuto uscire dal palazzo con quel suo aspetto mostruoso? In più non voleva comunque lasciare la sua dimora, anche perché i viveri iniziarono a scarseggiare, ma per fortuna Inuyasha era riuscito a mantenere un legame con un commerciante, il quale portava ogni due settimane varie provviste, che bastavano in un qualche modo per tutti. Se no vi sarebbe stata non solo una rivolta, ma sarebbero morti tutti di fame.
La maledizione ma soprattutto l’atmosfera di tristezza e desolazione che si respirava nel castello aveva tolto la voglia di festeggiare, ridere e scherzare, quindi si limitavano solo sopravvivere mangiando giusto lo stretto indispensabile e tenere in ordine le poche stanze del palazzo usate dal principe. Per quanto riguardava Inuyasha, vi erano giorni che non aveva nemmeno fame e quindi lasciava più cibo a loro. Non aveva lasciato indicazioni sui viveri, perciò potevano, almeno su quell’aspetto, fare come volevano.
Dato che non si potevano spostare non potevano nemmeno cercare qualcuno che spezzasse la maledizione. Non che il principe credesse davvero che ci sarebbe riuscito.
Non amava nemmeno sé stesso e nessuno con il suo aspetto si sarebbe mai innamorato di lui.
Tuttavia, appena si era manifestata quella giovane dalla bellezza ammaliante nella loro dimora, gli abitanti del castello avevano subito sperato che potesse essere una manna dal cielo e che li liberasse, ma vederla rinchiusa in ben che non si dica nelle segrete aveva distrutto ogni loro speranza.
Ma in fondo speravano ancora di poter tornare alle loro vite normali, per questo decisero come se le loro menti si fossero fuse in una sola che quella ragazza non poteva restare lì dentro.
Miroku, in tutto ciò, aveva tenuto le chiavi della cella. Non le aveva restituite al suo padrone per un motivo molto semplice: quando Sango gliele aveva portate, come il principe le aveva ordinato, aveva immaginato che fosse il suo modo per nominarlo custode delle chiavi, cosa che invece con il signor Higurashi non aveva fatto. Invece le aveva tenute lui stesso. Non sapeva il perché di quel cambiamento però, mentre era intento a camminare per il castello, si fermò all’improvviso colto da un’idea. Sapeva che era una follia, che un tale rischio avrebbe messo in pericolo gli altri, che ormai considerava come la sua famiglia – anche perché quella biologica l’aveva persa molti anni prima – perciò decise che avrebbe agito da solo.
Cambiò direzione e si diresse verso le segrete, senza rendersi conto che due figure lo stavano seguendo.
 
***
“Cosa ci fate voi due qui?”.
“Dovremmo farti la stessa domanda, Miroku”.
Di fronte al candelabro, si trovava Sango che lo fissava seria. Le piccole braccia di legno erano incrociate contro il manico che, se fosse stata ancora umana, sarebbe stato il suo busto. Accanto a lei vi era il piccolo Shippo che saltellava euforico.
“Quindi libereremo la signorina Kagome? Così potrà tornare da suo nonno!” continuava a chiedere con la sua vocetta acuta.
“Shippo, ti prego, fa’ silenzio! Se no ci scopre” lo implorò Sango.
“Sapete che vi state cacciando in un grosso guaio, vero?” una voce roca e burbera li interruppe.
I tre si spaventarono e si strinsero tra di loro. Era la loro fine, il principe li aveva scoperti!
Invece, aguzzando meglio la vista, si resero conto che di fronte a loro si trovava Kaede.
Shippo saltellò verso la teiera, esclamando con tono gioioso “Nonnina, non temere! Stavolta ci sono Miroku e Sango ad aiutarmi. Stavolta riuscirò a salvarla”.
La teiera lo fulminò con l’unico occhio visibile “È una pazzia! Appena lo scoprirà non la passerete liscia e lo sapete” spostò lo sguardo sugli altri due. “Non possiamo salvarla. La ragazza è destinata a rimanere qui”.
I tre abbassarono lo sguardo affranti. Kaede aveva ragione. Che speranze avevano di far scappare la ragazza? Nessuna.
“Almeno” sussurrò il piccolo Shippo “possiamo almeno farla uscire da quella cella e metterla in una stanza del castello? Tanto ce ne sono talmente tante! Molte non le usa nemmeno!”.
“Non possiamo farlo senza il permesso del principe...” disse Sango, sbuffando.
“Potrei parlargli io e provare a convincerlo” si propose Miroku. La scopa si girò di scatto verso di lui “Vengo con te!”. “Meglio se vado da solo”. “Ne sei sicuro? Insomma…potrebbe farti del male”.
In verità il principe Inuyasha di base non feriva o picchiava nessuno di loro. Si era limitato ad urlare in faccia e trattare male chi non obbediva ai suoi ordini, chi andava nelle sue stanze, le quali erano proibite alla servitù e poteva accedervi solo lui, oppure quando era di pessimo umore. Era un tiranno e soprattutto da quando era divenuto una bestia incuteva ancora più timore, però Miroku sapeva che la maggior parte di loro, lui compreso, svolgeva bene il proprio lavoro, quindi il principe non aveva alcun motivo di maltrattarlo. Tuttavia il timore che avesse la luna storta era sempre dietro l’angolo e in quei casi il rischio che non controllasse l’istinto della bestia e che li ferisse era maggiore.
A volte era successo. L’ultimo episodio era capitato con il fratellino di Sango, Kohaku, il quale con la maledizione fu tramutato in una paletta. Il ragazzino, ancora inesperto su quali stanze poteva visitare e quali no, entrò senza volere nella stanza dove il principe teneva la Sfera, l’oggetto che la strega gli diede quando li maledisse e che era il fulcro del sortilegio. Quando il principe lo scovò, montò su tutte le furie e lo attaccò usando i suoi artigli affilati e per poco non lo ferì mortalmente.
Per fortuna giunsero Miroku e Sango in quel momento, che stavano cercando il ragazzino. Il primo distrasse il principe, mentre la seconda prendeva il fratellino e lo portò a farsi medicare da Kaede, la quale era un’esperta guaritrice.
Da allora Sango proteggeva Kohaku vietandogli di girare per il maniero e di rimanere sempre nelle sue stanze per evitare che gli venisse fatto di nuovo del male.
Miroku lesse lo stesso terrore negli occhi di Sango di quella volta. “Stai tranquilla. Starò attento” le disse serio. Poi si avvicinò alla cella di Kagome che per tutto quel lasso di tempo era rimasta nella sua solita posizione.
“Signorina Kagome, farò del mio meglio per darle quanto meno una collocazione più dignitosa di questo lurido tugurio”.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Se avesse avuto ancora le mani, Miroku avrebbe iniziato a mangiarsi le unghie dal nervosismo. Si era recato nell’ala ovest del castello, la quale era proibita a tutti, ma solo lui aveva il permesso di recarvisi quando doveva comunicare urgentemente o veniva convocato dal suo signore.

Quello però poteva essere definito un caso di emergenza visto che riguardava una prigioniera. Il pensiero di quella parola lo inorridì. Nessuno meritava di esserlo, nemmeno quell’uomo con il quale la giovane aveva fatto scambio di posto e che aveva capito essere suo nonno.

Il profondo affetto che quella ragazza nutriva nei confronti del parente era smisurato e ciò lo aveva toccato profondamente e aveva fatto altrettanto con tutti i servitori della casa testimoni della vicenda e anche tutti gli altri che non erano presenti, a cui poi lui aveva raccontato l'accaduto. Tutti erano coscienti che lei non meritasse di stare rinchiusa nei sotterranei.

Qualcuno aveva ipotizzato che potesse essere lei la giovane che avrebbe potuto spezzare l’incantesimo e anche se infondo al cuore egli stesso ci sperava – quanto avrebbe voluto tornare umano e uscire liberamente da quel castello! – allo stesso tempo non si faceva illusioni.

Quella fanciulla non si sarebbe mai innamorata del suo carceriere e forse non sarebbe nemmeno mai uscita da quella magione, come tutti loro. Tuttavia, non meritava di rimanere nelle umide, tetre e inospitali segrete del castello.

Perciò si diresse verso la porta dove il principe teneva la Sfera e facendosi coraggio bussò alla porta.

Dopo qualche secondo la porta scricchiolò e si aprì, permettendogli di entrare. La stanza era quasi completamente immersa nell’oscurità, creata grazie all'ausilio delle spesse tende che coprivano le finestre, però una luce rosata veniva emanata dal centro della sala, in cui si trovava la Sfera.

Di fronte a quell’oggetto demoniaco si trovava in piedi Inuyasha. Non era ricurvo sulla schiena come di solito tendeva a stare, ma era in posizione eretta. Per merito della luce, Miroku notò che il suo volto fosse voltato verso di lui in attesa che parlasse.

“Mio signore, spero di non disturbarvi” disse accennando ad una riverenza. Vedendo che l’altro non ribatteva, Miroku da un lato era contento non si fosse arrabbiato con lui, ma dall’altro non riusciva a intuire che cosa gli passasse per la testa. Quando era irato era paradossalmente più facile comportarsi: bastava stargli alla larga e aspettare – e soprattutto sperare – che gli passasse alla svelta. Invece quando sembrava insolitamente calmo, come in quel momento, Miroku si sentiva ancora più sotto pressione.

Si auto comandò di tranquillizzarsi e riprese a parlare “La mia forse è una richiesta audace, tuttavia non ho potuto fare a meno di notare quanto le segrete siano un luogo umido e assolutamente inadatto ad ospitare una persona per così tanto tempo”.

Si fermò di nuovo cercando di valutare se Inuyasha avesse mutato espressione o posizione, ma non fu così. Deglutendo, continuò il suo discorso “La ragazza è qua da ancora relativamente poco, temo che se rimanesse lì potrebbe ammalarsi gravemente. L’umidità è pesante e i sotterranei non vengono puliti adeguatamente da molto tempo, perché non ve né mai stato bisogno e voi non l’avete mai richiesto”.

Altra pausa, ma Inuyasha pareva una statua. Miroku iniziò a preoccuparsi. Il suo sesto senso gli diceva che quella fosse la calma prima della tempesta, ma si obbligò a distogliere la sua mente da quei pensieri negativi e concentrarsi sul suo obiettivo primario.

“Perché mi dovrebbe importare della salute di quella ragazza?”. Il suo tono di voce era indifferente, lo sguardo glaciale.

“Anche se è vostra prigioniera potrebbe comunque far parte della servitù”.

“Sono pieno di servi, perché lei dovrebbe essermi utile?”.

Stavolta Miroku rispose immediatamente senza neanche pensarci “Potrebbe essere colei che spezzerà la vostra maledizione”.

Gli occhi già rossi del principe si tinsero ulteriormente di una tinta scarlatta intensa. Digrignò i denti mostrando le zanne “Non osare dire quella parola”.

“Pensateci! Una bella ragazza capita nella vostra dimora, perché non sfruttare quest’opportunità del fato?”.

“Perché lei dovrebbe amarmi!” tuonò la bestia “E chi potrebbe mai amare...questo?!” e si indicò con le mani spalancate.

Miroku non si lasciò intimidire. “Di sicuro tenerla nelle segrete non è una buona tecnica seduttiva. Per il momento liberatela, poi dovreste cercare di essere gentile con lei, educato, galante...”.

Una minuscola parte di Inuyasha sperava con tutto il cuore di riuscire un giorno a ritornare umano. Il pensiero che quella giovane dalla bellezza sconvolgente potesse amarlo sarebbe stato un sogno, ma appunto come tutti i sogni era bello però irreale.

Inoltre, nonostante il vecchio Myoga avesse provato quando era piccolo ad educarlo, era sempre stato insofferente all’etichetta di corte e crescendo aveva sviluppato un carattere irascibile e tiranno, respingendo qualsiasi rapporto umano. Credeva che essendo un principe era legittimato a fare così, che tutto gli fosse dovuto e che poteva anche trattare male gli altri.

Ma la sua arroganza era stata punita da quella strega e aveva capito che rinchiudersi nella stanza della Sfera fissandola ininterrottamente e arrabbiarsi con gli altri abitanti del castello e con il mondo intero, anche loro nella sua medesima condizione di maledetti, non serviva a niente.

Non era ancora per niente sicuro che sarebbe riuscito davvero a farsi amare da quella ragazza, ma tentare non costava niente. Era stanco di quella maledizione.

Alla fine disse al candelabro con tono neutro “Procura alla ragazza una stanza decente nel castello”.

Miroku eseguì.

***

Erano passati un paio di giorni da quando Kagome era stata liberata. Nonostante le fosse stato detto che poteva uscire e girare per il castello tranne nell’ala del principe la giovane si ostinava a rimanere chiusa nella stanza. L’unico contatto che aveva era con Sango e ogni tanto Kaede che le portavano da mangiare e l’armadio della sua stanza, un tempo una demone lupo cameriera di nome Ayame. Tuttavia parlava a stento, mangiava come un uccellino e la maggior parte del tempo restava seduta con le gambe raccolte attorno al petto a piangere.

Le tre donne non sapevano come consolarla. Ogni tanto entrava nella stanza anche il piccolo Shippo, il quale provava a tirarla su di morale raccontandole una barzelletta o le cose che faceva durante la giornata, ma più di una carezza e un piccolissimo e forzato sorriso non otteneva nient’altro.

Una mattina Inuyasha, spinto da Miroku, provò ad andare a bussare alla porta. Fu subito investito dall’odore acre delle lacrime di tristezza della giovane. Indugiò parecchio davanti alla soglia.

Si sentiva veramente in colpa. Pensava che non fosse degno di farsi vedere da lei, che giustamente lo odiava, quindi aveva provato a mandare Sango, Kaede e Shippo per cercare di rassicurarla con delle presenze non minacciose, ma stando dai resoconti di Miroku né le donne né il cucciolo di kitsune riuscivano a consolarla. Lei continuava a sentirsi una prigioniera, nonostante non fosse più in una cella. In più, in quel momento la sentiva mormorare il nome del nonno, distrutta dalla mancanza del parente.

Non sapeva che fare. Miroku gli aveva consigliato di parlarle in maniera pacata, cercando di farle capire che lui non la considerava una prigioniera e che voleva cercare di rimediare ai suoi errori. Ma poteva davvero una persona che si era vista mettere dietro delle sbarre e portare via la persona a lei più cara perdonarlo?

Inuyasha ne dubitava fortemente.

Però, preso da uno strano impeto, bussò alla porta.

Per un po’ sentì solo i tentativi della ragazza di placare i suoi singhiozzi. Aspettò che la ragazza smettesse di piangere e magari chiedesse chi fosse, ma ciò non accadde. Provò a ribussare.

“Sei Sango, Kaede o Shippo?”.

Un debole sussurro. Così debole che se non avesse avuto quelle maledette orecchie canine non l’avrebbe sentita.

“Sono il prin-“ si interruppe per poi correggersi “Sono la bestia”.

La ragazza rimase in silenzio. Gli sembrò che il tempo non passasse più. Visto che ci stava mettendo troppo si disse che lei non volesse assolutamente incontrarlo o parlargli, così fece per andarsene ma la porta della stanza in quell'istante si aprì.

Era la prima volta che la vedeva così da vicino, non tramite il vetro della Sfera e non era nemmeno avvolta dalla penombra come nei sotterranei. I capelli corvini erano lunghi e spettinati, la frangia non cadeva dritta sulla fronte ma era sparata in tutte le direzioni, gli occhi rossi, gonfi, cerchiati dalle occhiaie ancora lucidi, le labbra screpolate, la pelle pallida ma di un colore che sembrava quello dei malati.

Provò un misto di tenerezza, compassione e senso di colpa nel vederla. Si vedeva che non dormiva da giorni e i vestiti che portava erano gli stessi che indossava il giorno del suo arrivo. Notò infatti che quelli che aveva fatto chiedere ad Ayame di prepararle erano ancora piegati e intonsi appoggiati sopra il letto, il quale pareva inutilizzato.

Il peso della colpa era tale che gli bloccava la gola e anche se fosse riuscito a parlare non aveva idea di cosa dirle. Ogni frase che gli veniva in mente gli pareva stupida, anche il più banale degli “scusa” sarebbe risultato forzato, fuori luogo e falso.

Ma ciò che lo fece sprofondare ulteriormente fu lo sguardo di lei: nonostante tutto lo guardava dritto negli occhi a testa alta e mento alzato. Lo stava sfidando proprio come quel giorno.

Non voglio la tua pietà. Non voglio la tua compassione. Non voglio niente da te. Ti odio, ti disprezzo. Mi disgusti più di chiunque altro al mondo– era ciò che quegli occhi dardeggianti gli stavano dicendo.

Anche se era disarmata e quindi indifesa, sembrava un leone pronto a balzare. Non si sognava neanche di sottovalutarla. Se gli fosse balzata addosso per colpirlo non avrebbe opposto resistenza.

“Merito il tuo odio, merito il tuo disprezzo. Se vuoi picchiarmi, fallo. Se vuoi uccidermi, fallo. Io non ti fermerò” le disse.

La sua voce era seria, l'espressione del suo volto grave. Non stava ringhiando come quando era in preda all’istinto della belva. La ragazza inarcò le sopracciglia verso l’altro, ma non parlò né si mosse dall’uscio della porta. Si limitò a stringere ancora di più i pugni e a digrignare i denti.

Forse aveva sbagliato ad andare lì e cercare di interagire con lei. Cosa pretendeva? Che lo accogliesse a braccia aperte, che gli sorridesse, che volesse instaurare un rapporto pacifico con lui?

Povero stolto.

“Vattene”. La voce della ragazza era l’incarnazione stessa dell’odio più viscerale.

Inuyasha non seppe come mai, ma riprovò a parlarle. “Picchiami, sfogati. Almeno per stanotte non piangerai”.

“Vattene!” tuonò la giovane.

Inuyasha abbassò le orecchie e dopo un breve sguardo fugace, chinò il capo e se ne andò. La ragazza non staccò mai i suoi occhi di bragia da lui, finché non lo vide allontanarsi nel corridoio.

Prima di chiudere la porta pensò che le era sembrato di vedere della tristezza negli occhi della bestia, ma poi si riprese. Era venuto da lei e poi se n’era andato con l’aria di un cane bastonato.

Come osava farsi vedere da lei così, come se gli dispiacesse? Non era per niente dispiaciuto quando l’aveva rinchiusa in una cella e di certo non lo era quando l’aveva fatto con suo nonno.

Lo odio. Lo odio, lo odio, lo odio con tutta me stessa.

Kagome sapeva riconoscere molto bene una persona dalla quale era meglio stare alla larga. Le venne in mente Koga. Ultimamente Kagome si comportava in maniera pacata perché voleva evitare il conflitto e vivere serenamente, anche per via di una volta che aveva risposto male a Koga e lui non l’aveva presa bene. Andò in escandescenze, prima strattonandola per le spalle implorandola di ripensarci, poi all’ennesimo “No!” le urlò “Perché mi rifiuti, Kagome? Perché sei l’unica che continua a farlo?” e dopo provò in maniera subdola a farla sentire in colpa.

Ricordava benissimo cosa le disse quel giorno in cui aveva provato a respingerlo rispondendogli in maniera aggressiva, in barba all’educazione insegnatale da suo nonno.

“Solo io ti degno delle mie attenzioni, Kagome. Io, solo io. Nessun altro abitante del villaggio lo fa. Solo io ti desidero, perché sei il gioiello più prezioso di tutti. Solo io posso renderti felice, davvero felice. Io sarò la tua felicità. Il semplice fatto che io ti ricopra di attenzioni dovrebbe farti sentire riconoscente nei miei confronti. Anche perché oltre a tuo nonno chi hai? Nessuno, a parte me. Sei sola e una donna da sola non può fare niente”.

Quel giorno era riuscita a dimenarsi e a scappare via terrorizzata, ma poi il giorno dopo Koga venne a scusarsi con lei, giurandole che non le avrebbe più mancato di rispetto in quel modo. Ormai però Kagome aveva benissimo capito con chi aveva a che fare, tuttavia per evitare di causare problemi a suo nonno e di averne anche lei decise di non respingere più Koga in maniera brusca. Riprovò ad usare un approccio più diplomatico, ma nulla da fare.

Lui non demordeva perché convinto che lei fosse una sua proprietà, ma lei non era la proprietà di nessuno. Era libera e, anche se in quel momento era prigioniera della bestia, nessuno avrebbe mai messo in gabbia la sua mente, la sua immaginazione, la sua volontà. In passato voleva solo che Koga la lasciasse in pace. Ora aveva un nuovo problema, che rispondeva al nome di Inuyasha.

Tuttavia, forse Koga aveva ragione per certi versi. Da sola non poteva fare niente. Giunta a tale consapevolezza, si accasciò a terra, abbracciando le proprie gambe con le braccia, poggiandovi sopra la fronte, e riprese a chiamare il nome del nonno, ignorando i goffi tentativi di Ayame di consolarla.

***

Inuyasha giunse nella sala della Sfera. Chiuse la porta e scivolando con la schiena contro di essa si sedette per terra.

Si sentiva davvero un mostro. Avrebbe voluto cambiare, non voleva più vedere qualcuno soffrire per causa sua ciò lo faceva stare tremendamente male ma non sapeva essere qualcosa di diverso da quello che era, ovvero un’orrida bestia. Era abituato ad essere prepotente, a non rispettare i suoi sottoposti, ad avere sempre tutto quello che desiderava e di cui aveva bisogno senza che muovesse un dito, però si era reso conto da quando era una bestia che era un mostro innanzitutto nell'animo. Si era reso conto che i suoi servitori lo detestavano, ma soprattutto quella ragazza.

Oh, quella ragazza! Lei più di tutti lo disprezzava, perché le aveva portato via il nonno e poi l'aveva privata della sua libertà. Tale consapevolezza fece crollare il cuore di Inuyasha.

Non avrebbe mai potuto amarlo e come biasimarla?

Meritava di restare una bestia per sempre. Era la sua degna punizione per come si era comportato per tutta la sua vita.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Kagome spalancò gli occhi di scatto. Aveva rivisto per l’ennesima volta il momento della separazione con suo nonno. Si tirò su a sedere e si asciugò la fronte con la manica della veste da notte che indossava.

Alla fine Ayame, con l’aiuto di Sango, era riuscita a convincerla a cambiarsi per la notte e a dormire sul letto. Portò una mano a massaggiarsi la parte inferiore della schiena. Pensò che se avesse continuato a dormire per terra la sua schiena si sarebbe distrutta.

Era grata per il fatto che qualcuno si preoccupasse per lei come Ayame, Sango anche la signora Kaede, la quale ogni volta che veniva in stanza per portarle da mangiare si comportava con lei esattamente come faceva con suo nipote Shippo e se ciò da un lato le faceva piacere, dall’altro le ricordava suo nonno.

Infatti spesso si era trovata a doversi mordere il labbro e a trattenere le lacrime, per poi sfogarsi appena era sola nel bagno nella stanza adiacente alla camera da letto.

Non voleva che nessuno la vedesse e la compatisse. Era stufa di piangere in camera con Ayame che tentava di consolarla, gesto che comunque gradiva.

Voleva reagire, ma non ne aveva più la forza.

Era disarmata ed era sola. Voleva solo tornare a casa dal nonno, ma non sapeva come fare. Tentare di scappare affrontando nuovamente quella bestia era fuori discussione. Se già armati era un’impresa difficile, indifesa come lo era in quel momento era pressoché impossibile.

Sentì un singhiozzo sfuggire al suo controllo. Si rannicchiò nel letto e provò a fare meno rumore possibile, sperando che Ayame non la sentisse, ignara però del fatto che l’armadio era stato svegliata proprio dal suo urlo disperato.

***

Inuyasha non riusciva a dormire, anzi si poteva dire che lui non dormisse praticamente mai.

Passava ogni notte seduto nella poltrona distrutta della sua stanza ad osservare quella maledetta Sfera farsi giorno dopo giorno sempre più nera. Ricordava perfettamente il giorno in cui era stato maledetto.

La sacerdotessa nera Tsubaki gli disse che quand’essa sarebbe stata completamente nera, ciò avrebbe voluto dire che la maledizione non sarebbe più potuta essere spezzata. Inuyasha sarebbe rimasto un orrido demone per l’eternità, così come i suoi servi sarebbero rimasti delle semplici suppellettili.

Portò la mano artigliata a toccarsi la guancia segnata da due linee violacee, segno del suo essere demone oltre ai capelli bianchi, gli occhi rossi, le orecchie canine, gli artigli e le zanne. Quando era umano invece era moro e con gli occhi scuri, come lo era il suo defunto padre.

Avrebbe tanto voluto essere come lui da piccolo. Ma dopo la sua morte con il tempo era invece diventato egoista, collerico e senza cuore, iniziando a dando per scontare ciò che aveva - che non si era neanche guadagnato, visto che era l’eredità paterna - e trattando con sufficienza e arroganza chiunque si rapportasse con lui, compresa Tsubaki.

In quel momento gli tornarono in mente le parole che la sacerdotessa pronunciò quando gli scagliò il maleficio: “Il pulito sporco è già e lo sporco si pulirà. Tanto spesso troppo bene uguale al male è, ed il male tante volte il bene porta in sé. Vivere e morire fa e morir la vita dà”.

Erano anni che si scervellava sul significato di quelle parole. All’inizio, quando era ancora passato poco tempo da quel giorno, era ancora più nervoso del normale e sfogava la rabbia sui suoi servi iniziando a trattarli male. Tuttavia una sera ricordò che beccò una paletta la quale stava entrare nelle sue stanze e lì non ci vide più e fece per colpirlo con gli artigli. Non solo non voleva che nessuno vi entrasse, ma anche il ricordarsi che dentro vi era quella Sfera, lasciata da Tsubaki come memento, simbolo della sua nuova e assolutamente sgradita condizione, lo fece montare su tutte le furie.

Ricordava con estrema chiarezza lo sguardo d’odio della scopa che lo perforava nell’anima. Lo stesso odio che aveva rivisto negli occhi di Kagome.

Kagome.

Si portò le mani al volto.

Che cosa ho fatto?

Aveva privato della libertà tutti gli abitanti del castello, quella ragazza e prima di lei anche il nonno solo per il suo mero egoismo.

***

“Questo colore ti sta d’incanto!”.

Kagome si scrutò nello specchio senza battere ciglio. Appena svegliatasi aveva chiesto ad Ayame di porgerle il primo vestito che aveva, ma lei aveva insistito per farglieli vedere tutti e alla fine aveva preso il primo vestitino che aveva trovato, senza neanche guardarlo.

Solo dopo essersi guardata nello specchio aveva notato che fosse verde, con dei lacchi marroni che le si intrecciavano sul petto, lungo fino alle caviglie e dalle maniche a campana.

Non le importava minimamente di come fosse vestita, ma le sembrava ingrato dirlo ad Ayame che si stava sforzando di distrarla, perciò forzò un leggero sorriso e sussurrò “Ti ringrazio”.

Ayame guardò verso il basso e incrociò lo sguardo con Sango. Ad Ayame le si stringeva il cuore nel vedere quella ragazza sempre sull’orlo delle lacrime e dallo sguardo spento. Avrebbe voluto aiutarla in una maniera più concreta - se lei e Sango fossero state ancora umane l’avrebbero aiutata a fuggire - ma nella sua forma da armadio poteva solo fare quello e non sembrava comunque sufficiente.

Fece un profondo sospiro e provò ad instaurare un dialogo con la ragazza.

“Mi piacerebbe dirti che non è sempre stato così, ma ti direi una bugia, poi con la storia della maledizione è andato solo che a peggiorare”.

Kagome capì subito che si stesse riferendo a Inuyasha, ma qualcosa in quella frase accese in lei un barlume di curiosità. “Quale maledizione?”.

Sango prese la parola “Praticamente quando aveva 15 anni una sacerdotessa nera, ovvero un’esperta in sortilegi e malefici che ha venduto l’anima a demoni malvagi per avere poteri e rimanere giovane, bussò al castello per chiedere asilo, ma lui glielo negò. Lei, per ripicca, lo trasformò in una bestia, cioè un demone cane secondo quanto dice il vecchio Myoga, l’orologio che sembra una pulce”.

Kagome annuì per farle capire che la stava ascoltando.

“Ovviamente ci abbiamo dovuto rimettere anche noi. Infatti non siamo oggetti parlanti, ma un tempo eravamo persone o demoni buoni” riprese con tono sarcastico “Io ero umana e Ayame una demone volpe, il vecchio Myoga un demone pulce, la signora Kaede una donna anziana, Shippo un cucciolo di demone volpe, Miroku un pervertito e così via”.

Kagome suo malgrado si ritrovò a ridacchiare per quell’ultima frase pronunciata da Sango con tono scocciato e alzando gli occhi al cielo. Ayame rise con lei.

Sango riprese subito dopo, dentro di sé contenta di aver fatto sorridere la ragazza.

“Ora noi non possiamo uscire dal castello. L’unico nostro contatto col mondo esterno è un commerciante che ci fornisce i viveri e quindi siamo costretti a rimanere qui per sempre con quella...quell’essere spregevole” sputò con odio.

Lo sguardo di Kagome tornò a incupirsi. Era quello il suo destino? Rimanere prigioniera per sempre nel maniero di quel demone?

Ayame saltò su “La sacerdotessa però ha anche detto che se...”.

Sango la interruppe “Non succederà mai”.

“Che cosa?”.

Sango sbuffò “Se qualcuno lo amerà mai per quello che è veramente, entro il suo ventunesimo compleanno la maledizione verrebbe sciolta, ma come potrai ben intuire da sola non abbiamo questi grandi ospiti e gli ultimi due in cinque anni sono stati sbattuti nelle segrete. Inoltre anche se fosse chi potrebbe mai amare una bestia?”.

“Già...” sospirò affranta Ayame piegandosi su se stessa.

Kagome invece si fece pensierosa. Quella storia della maledizione gli aveva fatto capire alcune cose in più su di lui, tuttavia era sempre stato, stando dal racconto di Sango, un egoista dispotico. La maledizione aveva solo accentuato i lati peggiori del suo carattere come aveva giustamente detto Ayame.

Aver sofferto non era una buona scusa per trattare male le altre persone, a maggior ragione quando quelle persone ci avevano rimesso per colpa della propria arroganza.

Improvvisamente qualcuno bussò alla porta. Per un attimo Kagome pensò che fosse la vecchia Kaede che le portava la colazione e fece per dirle di entrare, ma poi sentì l’ultima voce che avrebbe voluto sentire.

“Kagome, sono la bestia...Devo parlarti”.

Kagome si girò a guardare Sango ed Ayame, le quali le facevano cenno di cacciarlo via. Eppure in quel momento una consapevolezza la colpì.

Farsi vedere vulnerabile da lui era come dargliela vinta a prescindere. Era come con Koga: lei si era sempre mostrata combattiva e non aveva mai ceduto alle sue avances. Forse non avrebbe vinto contro di lui, riuscendo a scappare da quel castello, ma almeno avrebbe conservata intatta la sua dignità.

Si diresse verso la porta e posò la mano sul pomello. Non si sarebbe più crogiolata nel suo dolore. Avrebbe reagito, per sé stessa ma anche per suo nonno, il cui ultimo desiderio prima di venir separati fu di continuare a vivere.

Aprì la porta e si trovò davanti la bestia. Represse per un istante la rabbia e il disgusto che provava e iniziò a parlare.

“Sarò anche prigioniera qui, ma sono comunque una persona. Non tollero l’arroganza e detesto chi tratta male gli altri”.

Inuyasha ribatté prontamente “Non sei una prigioniera. Non ti considero tale. Mi dispiace per come ti ho trattato finora e come ho trattato tuo nonno. Voglio ricominciare e provare a instaurare un rapporto con te”.

A quell’ultima affermazione Sango ed Ayame si guardarono sconvolte. Il principe che si scusava e che, per di più, voleva instaurare un legame con qualcuno?

Invece Kagome lo scrutò con un’espressione indecifrabile. “Perché dovrei farlo? Ma soprattutto perché dovrei fidarmi di te?”.

Inuyasha sostenne il suo sguardo. Per quanto il volto della giovane fosse una maschera di ferro, nei suoi occhi leggeva chiaramente tutto il disprezzo che nutriva nei suoi confronti.

“Non devi fidarti subito di me. Concedimi almeno una possibilità, solo una. Se non mi riterrai degno della tua fiducia allora...ti lascerò andare”.

Sango ed Ayame spalancarono la bocca in una maniera quasi comica, mentre Kagome sgranò gli occhi.

Allora c’era una possibilità di tornare a casa!

I due si continuarono a scrutare per un tempo che parve infinito. A un certo punto Inuyasha sbuffò e fece per andarsene.

Ma cosa credeva? Che avrebbe accettato? Era già tanto che avesse aperto la porta senza mandarlo al diavolo.

Non l’avrebbe biasimata se lo avesse cacciato in maniera brusca, dopotutto se lo meritava. “Non mi aspetto che tu mi perdoni” concluse per poi allontanarsi da quella porta.

Aveva capito da solo che la sua era stata una pessima idea.

Kagome invece realizzò che non aveva più nulla da perdere, per cui decise di provare ad instaurare un rapporto che sembrasse il più possibile vicino alla convivenza civile con lui.

La speranza di uscire da quel posto e tornare da suo nonno ardeva dentro di lei, ma la scacciò prontamente. Non voleva illudersi. Nulla le garantiva che lui le stesse dicendo la verità a tal proposito.

Si precipitò fuori dal corridoio e gli urlò “Dovrai trattare con rispetto tutti e non solo me, altrimenti non mi fiderò”.

Inuyasha si bloccò sul posto. Né lui né Sango né tantomeno Ayame credevano alle parole di Kagome. Si voltò e guardò la ragazza. Lo guardava seria e gli porgeva la mano, come a voler stipulare un patto. Tornò indietro e le strinse piano la mano. Ci mancava solo che a causa della sua forza bruta si bruciasse quell’opportunità.

“Hai la mia parola” sussurrò con voce tremante.

Kagome si sentiva sorpresa. Quella mano artigliata era calda e soffice e la stava stringendo con delicatezza. Gli occhi, di solito rossi e iniettati di sangue, la guardavano speranzosi e anche intimoriti. La voce era flebile e non tonante. Si disse che o sapeva recitare molto bene oppure era sinceramente intenzionato ad avere un rapporto pacifico con lei.

Fu lei a interrompere quel contatto e tornare in stanza. Appena chiuse la porta Sango le si avvicinò di scatto ed esclamò “Come fai ad accettare così su due piedi una proposta del genere?”.

Kagome sospirò abbassando lo sguardo per guardarla “Non ho altre alternative”.

Sango continuò “E se ti stesse ingannando? Se volesse, appena avrai abbassato la guardia, rinchiuderti in cella o peggio farti del male?”.

Ayame si avvicinò lentamente, considerando anche la sua stazza che non le permetteva di muoversi agevolmente.

“Sango, penso di aver capito perché Kagome abbia accettato”.

“Ah sì, e allora spiegamelo perché io non lo capisco!” sbottò la scopa girandosi verso l’armadio.

“Perché infondo spero di riuscire a tornare a casa” le rispose Kagome. Sango si girò verso di lei.

“Non posso promettervi che salverò anche voi e so che è un desiderio egoistico il mio, ma è questa speranza ciò che mi spinge almeno a provare. Poi probabilmente non me ne andrò e lui mi avrà ingannata, però...” si interruppe sorridendo amaramente “Sapete com’è, la speranza è l’ultima a morire”.

Sango sbuffò esasperata, mentre Ayame prese la parola “Come immaginavo. Comunque non è da egoista. È perfettamente normale che tu voglia tornare a casa tua e anzi spero che tu ci riesca”.

“Quindi tu gli credi?”.

“No, ci crederò solo quando lo vedrò. Come dice Kagome, la speranza è l’ultima a morire”.

Sango alzò gli occhi al cielo, ma non rispose.

Kagome rimase appoggiata contro la porta a braccia conserte. Per un po’ le tre rimasero in silenzio, rimuginando sui propri rispettivi pensieri e preoccupazioni, finché non fu nuovamente Ayame a prendere la parola.

“Kagome”.

“Mhm?”.

“Se avessi bisogno di qualcosa, qualunque cosa...una spalla su cui piangere, qualcuno con cui sfogarti, io ci sono”.

Da quelle parole Kagome capì che Ayame l’aveva sentita piangere la notte.

“Ci sono anch’io se avrai bisogno e se quel bruto ti fà qualcosa gliela faccio pagare!” prese la parola Sango.

“E come faresti nelle tue condizioni, sentiamo, ad affrontare un demone cane grosso il triplo di te?”.

“Tu mi sottovaluti, Ayame”.

“Non ti sottovaluto, constato i fatti!”.

Le due si misero a battibeccare tra di loro sotto lo sguardo di una incredula Kagome, che iniziò a ridere di gusto interrompendo i loro litigi.

Le due suppellettili si guardarono e risero a loro volta.

Mentre rideva di cuore, come non le capitava da tanto tempo, realizzò che in Sango ed Ayame aveva appena trovato delle amiche, le prime amiche che avesse mai avuto nella sua vita.

***

“Questo era il salotto dove mio padre accoglieva coloro con cui stringeva patti ed accordi” disse Inuyasha, aprendo una porta bianca.

Quella mattina era andato a bussare alla sua porta, chiedendole se volesse visitare il castello con lui. Lei rimase un attimo spaesata perché si era appena svegliata e non era in condizioni presentabili: era in camicia da notte e con i capelli sparati in aria.

Dopo un attimo di imbarazzo, gli aveva chiesto di darle qualche minuto per prepararsi e allora aveva accettato da Ayame un altro vestito verde, stavolta lungo fino alle caviglie, con le maniche a balze trasparenti che lasciavano vedere le braccia candide come neve e un fiocco legato in vita. Come accessorio per tenerle in ordine la chioma corvina, Ayame le aveva dato anche una spilla argentata con la quale aveva raccolto delle ciocche laterali e le aveva fermate al centro della nuca con essa. A Kagome non cambiava molto, ma Ayame sembrava tenerci al suo aspetto, per cui quella mattina decise di lasciar fare l’amica.

Dopo una breve colazione – in cui Kagome aveva assistito alla mancanza di buone maniere di Inuyasha, il quale si strafogava mangiando con le mani – l’aveva condotta tra i corridoi vuoti, ma dalle decorazioni eleganti sorrette da colonne in stile classicheggiante.

Kagome rimaneva incantata a fissarle. Quel posto, nonostante fosse la sua prigione, era stupendo. All’interno pareva un castello da fiaba, seppur da fuori invece sembrasse un maniero da racconto dell’orrore. Era un contrato di cui non comprendeva il senso, ma che tuttavia la affascinava parecchio.

Quella stanza, invece, in cui era appena entrata dopo che lui le aveva ceduto il passo – gesto inaspettato che l’aveva colta di sorpresa – era decorata in stile rococò. I colori predominanti di pareti e ornamenti erano il bianco e l’oro. Le forme delle decorazioni delle colonne e dell’arredamento erano complesse e arzigogolate, tanto da ricordare dei ricci. Era un salone che presentava al centro del soffitto un enorme lampadario di cristallo, anch’esso dorato ed estremamente decorativo. Gli unici mobili presenti erano in legno, da quel poteva intuire, d’ebano ed erano un armadio antico decorato con motivi floreali e un tavolo laccato con tanto di poltrona imbottita e da ornamenti in oro.

Alzando lo sguardo rimase a bocca aperta. Era rappresentato sul soffitto un affresco di ispirazione mitologia, ritraente il ratto di Persefone da parte di Ade, dio dell’oltretomba per gli Antichi Greci.

I colori erano delicati, dalle tonalità pastello, le carni morbide realizzate in maniera così realistica da sembrare vere. Kagome rimase impressionata dal dettaglio della mano di Ade che stringeva la coscia lattiginosa della giovane e nella quale le dita sembravano affondare*. La giovane cercava di dimenarsi e allontanare la divinità mortifera con le mani, il volto era ritratto in un’espressione di puro orrore.

In un qualche modo si sentì turbata da tale immagine, pur riconoscendone l’immensa maestria di colui che l’aveva realizzata.

Inuyasha invece rimaneva in silenzio ad osservarla aspettando che fosse lei la prima a prendere la parola.

Quella mattina si era consultando con Miroku chiedendogli consigli su cosa fare per poter instaurare un rapporto pacifico con Kagome e come guadagnarsi la sua fiducia. Il candelabro gli consigliò quindi di portarla in giro per il castello in modo da non farla sentire prigioniera, sempre rinchiusa nella sua stanza, e farle visitare alcune stanze, le più belle possibili.

L’inizio tuttavia non era stato dei migliori: durante la colazione infatti non aveva dato il meglio di sé, a giudicare da come l’aveva guardato Kagome, però sperava che con quel giro turistico di rimediare.

Così le aveva mostrato un po’ di stanze in quel corridoio, spiegando brevemente la loro funzione in passato, e ogni volta aveva notato come la ragazza rimanesse senza parole quando osservava la sua dimora. Sperava di riuscire ad instaurare un dialogo con lei, che lei magari gli dicesse cosa l’aveva più colpita, gli domandasse qualcosa, ma per sua sfortuna la ragazza rimaneva sempre in silenzio.

Poi l’aveva condotta in quel salotto, aveva fatto entrare prima Kagome, come gli aveva detto di fare sempre Miroku, e anche lì era rimasto zitto in attesa che fosse la ragazza a parlare. Tuttavia ella rimaneva a fissare con stupore l’affresco sul soffitto, per cui l’unica cosa che poteva fare era osservarla in silenzio.

Osservare come quel vestito verde le fasciasse la figura minuta, come i capelli corvini le cadessero sulle spalle in cascate nere, come i suoi occhi brillassero dalla meraviglia e come le sue labbra carnose e rosate si spalancassero in preda alla meraviglia.

“Questo affresco rappresenta il rapimento di Persefone” disse Kagome.

Inuyasha rimase incredulo. Gli stava rivolgendo la parola di sua volontà e non sembrava arrabbiata con lui!

“Chi è Persefone?” gli chiese. Nonostante avesse ricevuto un’educazione basilare dal vecchio Myoga, prima di smettere di frequentare le sue lezioni poiché credeva di sapere tutto e che quindi fossero inutili, e di sapere le cose generali che riguardavano quel castello, non gli era stato spiegato il significato delle varie opere d’arte.

“Per la mitologia greca, Persefone era la figlia della dea dell’agricoltura, Demetra, e del padre degli dei, Zeus. Un giorno, mentre stava raccogliendo un fiore, sotto di lei si creò una voragine che la portò dritta negli Inferi. Ella infatti era stata rapita da Ade, re dell’Oltretomba e dio dei morti, che voleva sposarla contro la sua volontà. Appena lo scoprì la madre la cercò in lungo e largo, ma invano e sulla terra venne un rigido inverno, poiché lei, troppo presa dalla ricerca della figlia, non si occupava più dei suoi doveri di dea”.

Mentre la ragazza raccontava il mito, Inuyasha l’ascoltava affascinato e rapito dal suo discorso. La sua voce dolce e il modo chiaro che aveva nel parlare si prestavano bene nel raccontare storie. Tuttavia era come se stesse raccontando quella leggenda a sé stessa, visto che continuava a osservare il soffitto.

In quell’istante si fermò e voltò di scatto verso di lui “Scusami, quando mi metto a parlare di certe cose mi perdo e non faccio più caso alle persone e a ciò che mi circonda”.

“Tranquilla” le rispose, ma tra sé e sé realizzò che si era rivisto in Ade che rapiva Persefone obbligandola a stare con lui contro il suo volere. Non era poi così diverso da ciò che lui aveva fatto con Kagome. Tale pensiero riportò a galla quella sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco che lo prendeva sempre ogni volta che ripensava a ciò che aveva fatto.

Stavolta era Kagome che lo osservava in silenzio, in attesa di una sua reazione o commento, ma a giudicare dall’espressione che aveva in volto capì che quel racconto l’aveva colpito nel profondo.

Kagome tornò a guardare l’affresco e si concentrò sulla figura di Persefone. Una fanciulla costretta contro la propria volontà a restare in un luogo, lontano dalle persone che amava.

Quella storia le era terribilmente familiare e si sorprese che anche lui avesse realizzato la somiglianza tra loro e quel mito antico.

Un’illuminazione la colse all’improvviso lasciandola incredula e senza parole. Che Inuyasha fosse...dispiaciuto per quello che aveva fatto?

Angolo dell'autrice

*Kagome rimase impressionata dal dettaglio della mano di Ade che stringeva la coscia lattiginosa della giovane e nella quale le dita sembravano affondare: mi sono ispirata, per la descrizione di questo affresco, alla statua del Bernini "Il ratto di Proserpina".
Sono tornata dopo tanto tempo con questa storia! Per farmi perdonare ho pubblicato un capitolo più lungo del solito.
Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima! 
Nikita

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Da quel giorno, contro le aspettative di ogni abitante del castello, diretti interessati compresi, Inuyasha e Kagome divennero buoni inquilini. Amici sarebbe stata una parola troppo forte, tuttavia Inuyasha si sta comportando in maniera più gentile e rispettosa sia con la ragazza che con la servitù, seppur in maniera un po’ goffa, però veniva apprezzato il suo provarci.

Inuyasha chiedeva sempre a Miroku aiuto su come poter migliorare e fu proprio il candelabro a dargli l’idea di organizzare un ballo per il suo ventunesimo compleanno, il quale sarebbe stato proprio tra qualche giorno. Tuttavia, per evitare che sembrasse una specie di conto alla rovescia di pessimo gusto, che ricordava non solo al principe ma anche a tutti loro che presto la maledizione sarebbe stata irreversibile, venne deciso dal principe, sempre sotto consiglio di Miroku, di comunicare a tutti quanti che si trattava di un ballo per festeggiare la loro ospite e per riportare gioia in quel maniero, ormai diventato l’ombra di sé stesso e della sua grandezza di un tempo.

La novella si diffuse presto a macchia d’olio nel castello. Tutte le suppellettili si misero all’opera per pulire e preparare ogni stanza, anche quelle che non venivano usate da tempo, per onorare la loro ospite. Nella mente collettiva di ognuno vi era sempre la speranza che lei fosse la loro salvatrice e visti i progressi che stavano avendo lei e Inuyasha quella speranza, da flebile, veniva sempre più alimentata come un fuoco nel camino.

La voce giunse anche alle orecchie di Kagome. «Una festa in mio onore?».

«Sì!» le rispose estasiata Ayame. «L’ha comunicato lui proprio ieri ed ora tutti si stanno dando da fare per preparare tutto!».

«Veramente è stata un’idea di Miroku...» intervenne Sango con il suo solito fare cinico.

«Sì, però ha accettato, è già qualcosa! Un tempo non l’avrebbe sicuramente fatto. Inoltre lui e Kagome stanno facendo passi da gigante, vero Kagome?».

In quel momento a Kagome venne in mente un episodio che avvenne dopo essere stati nella stanza che raffigurava il ratto di Proserpina. Successivamente, avevano fatto una passeggiata nell’enorme giardino esterno alla magione; più che un giardino però era un cumolo di rovi ed erbacce. Le piante avevano le foglie secche e rattrappite, i cespugli lunghe spine affilate come rasoi, gli alberi, o meglio quel che ne rimaneva, erano carcasse morte e i pochi ramoscelli rimasti erano piegati verso il basso.

Quella vista strinse il cuore a Kagome. Data la sua grandezza immaginò che quel luogo un tempo fosse stato bellissimo, ma ormai, esattamente come la facciata del castello, ne rimaneva solo l’involucro esterno triste e trascurato. Tuttavia, nel mentre, Inuyasha si era distanziato per consultarsi con Miroku, il quale gli riferì che fortunatamente una piccola parte del giardino si era salvata, poiché se ne occupava la vecchia Kaede. Essendo solo lei che lo faceva, non poteva occuparsi di tutto l’immenso giardino, tuttavia aveva ricavato una piccola serra in cui coltivava verdure, frutta (così non dovevano richiederle quando facevano scorte di provviste), erbe officinali e persino un piccolo roseto.

Da esso, il candelabro si era occupato di cogliere una rosa rossa, che diede al padrone. «L’apprezzerà sicuramente» gli disse sorridente.

Così il principe si avvicinò lentamente a Kagome, che continuava ad osservare il giardino con sguardo triste.

A Inuyasha si strinse il cuore nel vederla così. Il candelabro, rimasto dietro di lui, simulò un colpo di tosse. La ragazza si voltò verso Inuyasha, credendo fosse stato lui per attirare la sua attenzione, il quale pareva nervoso e non riusciva a guardarla negli occhi.

Abbassando lo sguardo vide che tra le mani teneva una rosa rossa. Inuyasha, deglutendo, le porse la rosa. Kagome sgranò gli occhi sorpresa, e dopo un momento di contemplazione accettò la rosa. Una rosa – realizzò dopo averla osservata meglio – rossa.

Sentì le guance scaldarsi. Non sapeva se lui l’avesse fatto apposta oppure no; per sfuggire dall’imbarazzo, se la portò al naso per annusarla.

Inuyasha ovviamente non era consapevole del significato che aveva la rosa rossa, perciò rimase a osservarla non capendo il perché della sua strana reazione. Tuttavia non sembrava essersi offesa o arrabbiata e ciò lo rassicurò.

«Non proprio da gigante, però devo ammettere che almeno ci sta provando» sussurrò. Sembrava quasi in imbarazzo. Imbarazzo che non sfuggì ad Ayame, la quale prima osservò la rosa nel vaso appoggiato sul comò di fronte al letto, per poi tornare ad osservare, sorridendo maliziosa, la giovane seduta per terra, abitudine che aveva acquisito quando dormiva per terra e che non aveva perso, anche se ora dormiva sul letto.

Sango roteò gli occhi sbuffando. Anche lei aveva assistito a quella scena, infatti, mentre lei osservava Kagome e Inuyasha da lontano, era di fianco a Miroku, che rideva sotto i baffi in maniera malandrina.

Allora le si avvicinò per chiedergliene il motivo. Lui si limitò a indicare la rosa rossa in mano a Kagome e la scopa intuì che non era stato un regalo nato dall’iniziativa del principe. Ad oscurarle la visuale ci pensò un’altra rosa rossa, che le stava porgendo il candelabro.

«Per te» le disse sorridendole.

Lì per lì, Sango rimane interdetta perché non se l’aspettava, ma Miroku rovinò tutto, decidendo di toccarla con l’altro manico del candelabro che non reggeva la rosa dove un tempo ci sarebbe stato il suo sedere.

Infuriata, gli ficcò la rosa in bocca e se ne andò stizzita. Anche con la maledizione quel pervertito non aveva perso le sue abitudini. Già prima, quando ancora erano umani, lui le faceva avances che lei aveva sempre respinto, soprattutto quelle fisiche. Con la maledizione aveva smesso, forse non sentendosi più sicuro di sé come un tempo in quella nuova forma non gradita, e lì Sango aveva potuto apprezzare i suoi pregi: il fatto che fosse molto intelligente, gentile con tutti specie con Shippo e suo fratello, e a modo suo anche simpatico.

Non aveva poi scordato il suo atto di altruismo nei confronti del signor Higurashi e di quanto avesse rischiato anche per aiutare Kagome. Tutto sommato sapeva che Miroku era una brava persona. Se solo si fosse tolto quel brutto vizio di allungare le “mani”.

Perché in fondo sotto sotto era stata felice quando le aveva porto quella rosa.

 

Kagome si sarebbe dovuta sentire in colpa.

Inuyasha sembrava sinceramente intenzionato a mantenere la sua parola, tuttavia non poteva scordare il fatto che aveva rinchiuso suo nonno in quella cella buia. L’aveva odiato così tanto. All’inizio era stata mossa dall’odio, che poi venne sostituito dalla rassegnazione per il fatto che non avrebbe mai più potuto andarsene da quel luogo divenuto la sua prigione. Ciò nonostante aveva giurato di non farsi vedere mai debole dal suo carceriere, di fronteggiarlo sempre a testa alta anche se non poteva combatterlo, e questo le aveva dato un minimo di forza per andare avanti.

La sua richiesta di poter avere una seconda chance l’aveva colta in fallo. Non solo perché non sapeva come avrebbe dovuto rispondere, ma da un lato, se avesse accettato, una parte di lei le continuava a dirle che voleva fregarla. Avrebbe dovuto continuare a odiarlo, anche se il nonno le aveva sempre insegnato che l’odio non porta da nessuna parte e che ne genera solo dell’altro, portando solo dolore a chi lo prova e anche alla persona odiata. Lei non aveva mai odiato nessuno, nemmeno Koga, ma in una situazione del genere come avrebbe potuto non provarlo?

Tuttavia, la sua indole non era stata annullata e nonostante tutto aveva voluto provare a fare un tentativo, vedere se veramente una bestia sapeva mantenere la sua parola.

Nel mentre che camminava nel corridoio rimuginando su tutte queste cose, sentì delle vocine parlottare tra di loro «Non riesco a sollevare questo sacco!».

«Maledizione, e ora come facciamo? Se il principe ci vede qua a cincischiare, si infurierà!».

Erano due suppellettili: un mestolo da cucina e una schiumarola.

«Ora però mi sembra più tranquillo da quando ha stretto una tregua con la ragazza...» disse la schiumarola.

«E tu ci credi anche? Fidati, appena ne avrà l’occasione non solo farà del male a lei ma tornerà a essere dispotico come prima, anzi forse ancora più di prima se non ci sbrighiamo a portare questi sacchi!».

I due utensili infatti stavano provando a sollevare due sacchi di farina, ma invano. Kagome si chiedeva il motivo per il quale fossero stati scelti quei due utensili per un simile compito, che richiedeva una notevole forza fisica.

Si avvicinò a loro. «Posso esservi d’aiuto?»

Per quanto fosse minuta, aiutava spesso il nonno quando doveva montare e smontare i suoi marchingegni, ma anche se non fosse stato così voleva aiutarli.

I due si guardarono nervosi. Li aveva sicuramente sentiti parlare male del principe. E se gli avesse riferito tutto?

La ragazza, credendo che la loro perplessità fosse riguardo il suo aspetto, li rassicurò «Sembro gracile, ma in realtà sono più forte di quanto sembro.»

La schiumarola si affrettò a spiegarsi «No, non pensavamo a quello. Temevano volessi dire al principe che stavamo battendo la fiacca.»

Kagome li guardò sgranando gli occhi «E perché mai dovrei farlo? Anche perché poi non mi sembra lo stiate facendo e anche se fosse non lo farei mai.»

I due guardarono la ragazza con occhi sgranati, poi si riguardarono tra di loro e inchinandosi dissero all’unisono «Scusaci se abbiamo pensato male di te!»

«Ma no, non serve scusarsi.» disse facendo un gesto noncurante con la mano «Dai, ora vi aiuto!»

La ragazza si chinò e fece per raccogliere uno dei due sacchi, solo che non ci riuscì. Erano veramente troppo pesanti. Mentre cercava di pensare a come fare, sentì dei passi dietro di lei.

«Che succede qui?»

La voce era inconfondibile. Il mescolo e la schiumarola si nascosero dietro la ragazza e si strinsero spaventati. Kagome invece si girò normalmente e si trovò davanti Inuyasha. «Stavo aiutando...» si rigirò e chiese «...come vi chiamate?».

«I-io sono Shion.» disse timorosamente la schiumarola.

«E io sono Asagi*.» disse il mestolo con tono diffidente.

«Molto piacere, io sono Kagome» si presentò la giovane, sorridendogli.

Intanto Inuyasha osservava la scena in silenzio. Si era avvicinato perché era sinceramente curioso di sapere cosa stesse facendo la ragazza, anche perché l’aveva vista chinarsi per terra per raccogliere qualcosa. Ora che era più vicino a lei vide che indossava un abito verde scuro dalla lunga gonna a campana. Il bustino era chiuso da tre bottoni dorati. Sotto portava una camicia bianca a balze bianca e i lunghi capelli neri erano legati in uno chignon.

Non si intendeva di moda, però pensò che le stesse molto bene.

Era la prima volta che la vedeva coi capelli legati. Le lasciavano il bel collo affusolato.

Scosse la testa scacciando via quei pensieri. “Ma cosa diavolo mi è preso?”.

Sperando che nessuno se ne fosse accorto, soprattutto la diretta interessata, cercò di fare finta di nulla spostando lo sguardo sui due utensili. Erano visibilmente impauriti dalla sua presenza.

“Certo, cosa mi aspettavo? Che bastasse così a cancellare anni di soprusi e cattiverie da parte mia?”.

Kagome, finito di presentarsi ai due bambini – i due infatti le avevano raccontato che erano fratelli ed avevano rispettivamente 8 e 10 anni* prima della maledizione –, si voltò nuovamente verso Inuyasha.

«Volevo aiutarli a portare questi sacchi, ma a quanto pare sono più pesanti di quanto pensassi.» finì la sua spiegazione con una risatina imbarazzata.

Inuyasha le si avvicinò e caricò i due sacchi sulle spalle senza batter ciglio. Abbassò lo sguardo verso i due «Vanno portati nelle cucine immagino.»

I due fratelli si limitarono ad annuire basiti.

«Posso aiutarvi nel portare qualcos’altro?».

Visto che Shion non riusciva a parlare dallo shock, Asagi prese la parola. «C’è della frutta da portare.»

«Va bene, per quella non dovrei avere problemi. Fammi strada. Shion, tu scorta...» dopo un attimo di esitazione disse «...il principe nelle cucine, per favore.»

Shion e Asagi non credevano ai loro occhi. Quella ragazza era davvero gentile, mentre per quanto riguardava il principe Inuyasha non solo non si era arrabbiato con loro, ma aveva sollevati i sacchi come se nulla fosse intenzionato a portarli lui stesso.

Forse il principe tiranno stava davvero cercando di cambiare.

 

Alla fine Inuyasha e Kagome aiutarono Shion e Asagi a portare altre cose che servivano per i preparativi della festa oltre alle cibarie.

Inuyasha per una volta fu grato alla sua maledizione che gli aveva conferito una forza sovrumana con la quale poteva aiutare a spostare molte cose insieme. Non essendo bravo con le parole, poteva cercare di farsi perdonare almeno nelle attività manuali.

Mentre lui e Kagome sistemavano la frutta nei panieri, disse tra sé e sé senza neanche pensarci «Tutto sommato, questa maledizione mi è utile...»

«Mhm?» mugugnò Kagome, per poi voltarsi verso di lui.

«No, nulla. Stavo solo pensando ad alta voce.»

Vedendo però che la ragazza lo osservava, come se si aspettasse che continuasse a parlare, disse «Finora, ho sempre pensato che questa maledizione fosse la cosa peggiore che mi fosse mai capitata. Cioè lo penso ancora, però ho notato che non mi è costata fatica sollevare quei sacchi. Molto probabilmente prima non ci sarei mai riuscito.»

La ragazza rimase un attimo in silenzio. Poi posò le due mele che teneva in mano nel cestino e disse «Una volta lessi in un libro questa teoria. In tutti noi convivono sia bene che male.»

Prese una delle due mele, afferrò un coltello e con esso la divise a metà. Prese uno dei semi e lo mostrò a Inuyasha «Questa mela ha un bell’aspetto perché è appena stata colta. Inoltre, ha un buon sapore e fa bene alla salute, ma dentro ha questi semi che inseriti in gran quantità possono portare alla morte, poiché contengono del cianuro. Anche gli esseri umani sono così: possono fare sia del bene che del male. Il segreto sta nel saperle bilanciare, ma siamo noi che scegliamo se fare del bene o avvelenare il nostro prossimo.»

Aprì il palmo di una mano di Inuyasha, ci poggiò dentro il seme e tornò a guardarlo «Sei tu a dover scegliere se vuoi che prevalga il tuo lato umano oppure quello bestiale, ma essi erano già dentro di te prima della maledizione. È questa la condizione umana: bene e male. Se in lotta tra di loro portano al caos. Se invece sono in equilibrio portano all’armonia. Sta a noi capire come tenerli in equilibrio.»

Gli chiuse la mano e tornò a lavorare.

Durante tutto il discorso, Inuyasha l’aveva ascoltata attentamente e ad occhi sgranati. Riaprì la mano e osservò il seme. Si chiese come facesse quella ragazza a sapere così tante cose, poi si ricordò che aveva detto che l’aveva letto. Un po’ rimpianse il suo non aver voluto avere una buona istruzione, ma sentì che non era solo quello.

Kagome era un’anima bella. Sensibile, pura di cuore, era gentile e trattava bene tutti. Aveva dato una possibilità persino a lui. Non era solo la sua intelligenza o la sua bellezza esteriore a renderla una persona meravigliosa.

Non meritava tutto quello che le aveva fatto passare.

Lavorarono tutta la giornata. Quando Kagome faceva per prendere delle cose visibilmente troppo pesante per lei, si fiondava a prenderle e a metterle nel posto dove dovevano stare. Kagome faceva finta di arrabbiarsi e si lamentava, ma in realtà le faceva piacere il fatto che aiutasse non solo lei ma anche gli altri.

Una forchetta doveva mettere il sale nello scaffale più in alto? Inuyasha lo metteva apposto per lei.

La vecchia Kaede aveva bisogno di altre erbe per condire i pasti? Inuyasha andava a prenderle nella serra.

Sango e le altre scope dovevano portare via il pattume con dentro tutto lo sporco che avevano tolto dalle varie stanze? Inuyasha li caricava sulle spalle come aveva fatto con i sacchi di farina e li buttava via sotto gli occhi di un’incredula Sango, la quale non l’avesse visto coi suoi stessi occhi lavorare non ci avrebbe mai creduto.

Kagome aveva osservato per tutto il giorno Inuyasha, che si prodigava nell’aiutare e mentre finiva di mettere in ordine la cucina osservando Inuyasha che sollevava il piccolo Shippo per fargli mettere qualcosa dentro la credenza – da quando aveva tolto di mano alla bambina-forchetta il sale, gli altri bambini-suppellettili avevano richiesto a gran voce che non gli venissero tolti gli oggetti di mano, così si era trovato come compromesso Inuyasha che doveva solo sollevare i bambini e che sarebbero stati loro a mettere l’oggetto nel suo posto – realizzò che aveva assistito a quella che sembrava una tranquilla giornata in famiglia. Una famiglia molto numerosa.

Infatti, i bambini si erano avvicinati a Inuyasha senza paura sia dopo esser stati rassicurati dal racconto di Shion e Asagi sui sacchi di farina, sia dopo averlo visto aiutare la forchetta. Inoltre, vide inuyasha sinceramente contento e desideroso di aiutare gli altri, quindi Kagome pensò che non lo stesse facendo solo per ingraziarsi la sua fiducia e ciò la rese molto felice.

Mentre rimetteva giù Shippo, Inuyasha voltò la testa a osservare Kagome, che si asciugava col polso il sudore dalla fronte. Per lavorare infatti si era tirata su le maniche della camicia e aveva tirato su la gonna usando due mollettoni per il bucato.

Non si era tirata indietro davanti a nessuno dei compiti facendo anche più di quanto le veniva richiesto, non lamentandosi mai e anzi essendo gentile con tutti, chiedendo anche ad ognuno il proprio nome ridonando a loro un’identità, che avevano perso con quel maledetto sortilegio.

Kagome si era guadagnata la stima, e non più solo la compassione, di tutti i domestici. Ormai la vedevano non più come una vittima, ma come una di loro.

Erano ovviamente più ritrosi nel rapportarsi a lui, però sembravano meno sulla difensiva rispetto a prima.

Fu in quell’istante che Inuyasha realizzò che, fino a quel momento, si era solamente concentrato sui lati negativi della sua condizione, ma non avrebbe mai potuto immaginare il fatto che poteva usarla anche per aiutare e fare del bene.

Ripensando alle parole di Kagome, si disse che se la sua forza poteva essere usata per rimediare ai suoi errori allora l’avrebbe fatto.

Si sarebbe riscattato non solo agli occhi dei suoi domestici – d’ora in poi non li avrebbe più considerati come dei servi – ma anche agli occhi di Kagome.

“Soprattutto ai suoi occhi.”

 

«Ora puoi aprirli.»

Kagome fece come gli era stato detto. Sbattè per un attimo le ciglia, ma non appena tornò a riabituarsi alla luce rimase senza fiato.

Si trovò davanti una biblioteca mastodontica*. Le colonne riprendevano quello stesso stile barocco che caratterizzava le sale del palazzo. Gli scaffali, alti almeno venti metri, erano in legno laccato, le colonne che li sorreggevano presentavano dei capitelli ionici, con volute enormi, e corinzi. Questi ultimi avevano delle decorazioni realizzate così meticolosamente fin nei minimi dettagli dal sembrare foglie vere.

Alzando ancora di più la testa, Kagome vide un gruppo scultoreo: tra esse riconobbe Minerva, dea della saggezza, su una quadriga. Sulle ali laterali invece vide due globi, uno retto da Atlante, il titano che sorregge la Terra, e uno invece affiancato da una figura femminile che non riconobbe.

Rimaneva sempre affascinata dalla conoscenza che doveva avere l’architetto della mitologia greca e della sua immensa bravura artistica.

Aveva chiesto al vecchio Myoga chi fosse stato l’architetto che aveva costruito il castello, ma né lui né, gli disse, il suo precedente signore, ovvero il padre di Inuyasha, sapevano chi fosse stato.

Sul soffitto invece erano presenti degli affreschi ritraenti quelle che Kagome ipotizzò fossero figure del passato. In particolare la colpì un uomo al centro della composizione, il quale vestiva con una veste nobiliare. Sulle spalle portava una pelliccia bianca, immacolata come la sua lunga chioma albina raccolta in una coda. Gli occhi erano profondi e neri come la pece.

«Quell’uomo era mio padre.» gli spiegò Inuyasha, vedendola osservare la figura centrale dell’affresco.

«Davvero?»

«Sì. Era il precedente signore del castello e delle terre circostanti. Fu il vecchio Myoga a insistere che venisse rappresentato. Mio padre non voleva. Prima al suo posto penso ci fosse qualcun altro, forse un nostro antenato che a quanto pare era albino, infatti è per quello che ha i capelli bianchi. Non riuscirono a coprire il colore precedente e per fortuna che i lineamenti erano molto simili.»

Quella era una delle poche cose che si ricordava dalle lezioni col vecchio Myoga.

«Da piccolo volevo essere come lui. Col tempo sono diventato tutto ciò che lui non avrebbe mai approvato. Mio padre era un uomo straordinario: era saggio, uno stratega eccellente. Il vecchio Myoga sosteneva che oltre ad essere un combattente inviabile era allo stesso tempo leale con i suoi avversari, un ottimo signore ma anche autoritario, perciò voleva darmi un’educazione ferrea in modo che un domani sarei stato perfettamente in grado di prendere il suo posto. Quindi mi fece seguire delle lezioni con Myoga su tutte le materie, che a detta sua, erano indispensabili per essere un buon principe. Lui non era un re, però è come se lo fosse per queste terre e per gli abitanti di questo castello, quindi fin da quando sono piccolo tutti mi hanno sempre chiamato principe.»

Ormai era nel pieno del fiume dei ricordi, così, dopo aver constatato che Kagome lo stava ascoltando, riprese il suo racconto.

«Crescendo, però, ero diventato insofferente alle regole. Inoltre, credevo che la sua eredità mi fosse già dovuta e quindi studiare per me era una perdita di tempo. Quindi iniziai a comportarmi in maniera arrogante con tutti per questo. Mio padre è morto lasciando il suo maniero, le sue terre e i suoi fedeli domestici nelle mie mani, ma se solo sapere quello che ho fatto...»

Si pensò ripensando al fatto che avesse sfidato una sacerdotessa nera, condannando tutti a una maledizione che li broccava per sempre lì in una forma che non gli apparteneva. Se potesse vederlo ne sarebbe stato tremendamente deluso, quindi per certi versi era meglio che non ci fosse più.

Che ragazzino sciocco che era stato...

Kagome non sapeva come replicare a tale confessione. Era la prima volta che Inuyasha si apriva così tanto raccontandogli il suo passato, cosa che non si sarebbe mai aspettata. Non sembrava averlo fatto per impietosirla, quanto per sfogarsi probabilmente.

Ritenendo inutile parlare, poiché qualunque cosa avesse detto sarebbe stata futile, si limitò ad accarezzargli leggermente il braccio.

Quel contatto, seppur delicato, fece trasalire Inuyasha, che non se lo aspettava. Si voltò di scatto verso di lei, la quale, temendo di averlo infastidito, si scostò. Inuyasha schioccò la lingua. Non voleva che si scostaste.

La ragazza cambiò argomento, salvandolo inconsapevolmente da quell’impasse. «Gli occhi sono stati coperti, vero? Gli albini di solito ce li hanno rossi.»

«Esatto. Per fortuna che mio padre aveva gli occhi neri, così è stato facile coprirli. Appena vide il risultato finale però si arrabbiò moltissimo, ma ormai era tardi. I domestici l’avevano fatto perché lo stimavano profondamente, però a lui non importavano questo tipo di cose.»

Kagome gli chiede dopo un attimo di silenzio. «Tu invece? Hai un ritratto di com’eri prima?»

Inuyasha indugiò per poi dire «No.» ma dal fatto che avesse esitato e dal modo in cui aveva distolto lo sguardo Kagome intuì che le aveva mentito, tuttavia decise di far finta di nulla. Era comprensibile che non volesse ricordare e di conseguenza rivedere una sua rappresentazione com’era prima.

Lei intanto si era messa a sfogliare i libri, prendendo quelli che dai titoli ricollegò a storie che aveva già letto, facendo attenzione a non rovinarli. Una parte di sé aveva un timore reverenziale nel toccarli. Dovevano essere tutti libri dalla fattura pregiatissima, vecchi di svariati decenni se non secoli. Dall’altro era allo stesso tempo curiosa di vedere come fossero anche all’interno libri di quel calibro. Non ne aveva mai visti di così: per quanto anche la libreria del signor Totosai fosse piuttosto antica e ben fornita, pur essendo piccola, non si poteva minimamente paragonare a quella.

«I miei genitori sono morti quando lei era molto piccola. Non ho alcun ricordo di loro. Mi ha cresciuta mio nonno, a cui voglio un bene dell’anima e che ha fatto il possibile per educarmi e farmi crescere nella maniera migliore possibile, facendo i salti mortali, visto che non abbiamo mai navigato nell’oro. Ha fatto tutti i lavori possibili quando ero piccola, e così ho fatto anch’io appena sono stata abbastanza grande, nonostante nel villaggio fossimo visti come lo scienziato svitato e la nipote dello svitato. Si fermò per qualche istante riprendendo fiato, per poi terminare dicendo Tuttavia ogni tanto penso al fatto che avrei tanto voluto conoscerli.»

Visto che lui le aveva parlato di suo padre, le venne quasi naturale raccontarle quelle cose sul suo passato.

Dal canto suo, Inuyasha era molto dispiaciuto per lei e ancora una volta si rese conto di quanto le avesse fatto del male privandola del nonno. Dal suo tono sentì che era sinceramente affranta per non aver mai conosciuto i suoi e per la mancanza del nonno, che per lei era più come un padre. Non sapeva cosa dirle. Non si sentiva neanche di provare a consolarla toccandola, come aveva provato a fare lei: un po’ perché dopo quel momento ne erano usciti visibilmente a disagio entrambi, dall’altro perché non osava neanche immaginarsi un ipotetico scenario, in cui le sue mani sfioravano la sua pelle delicata e candida come neve.

Ci sono situazioni in cui parlare è inutile per cui rimase in silenzio.

Kagome lo osservò realizzando che piano piano in quei giorni, in particolare quel pomeriggio, si sono avvicinati molto e ciò le aveva fatto veramente piacere. Non sapeva nemmeno lei razionalmente perché: era contenta di vedere che forse la sua fiducia non era stata malriposta, ma non pensava che ne sarebbe stata così tanto felice e ciò le provocava sensazioni contrastanti.

«Io volevo rimanere qua a leggere un po’.» disse Kagome, rompendo il silenzio che si era creato.

Inuyasha fece per andarsene. Capiva perfettamente il suo desiderio di stare da sola. Finalmente era in un luogo che le piaceva, vista la sua passione per i libri.

“E poi si sarà stufata di vedere la mia brutta faccia.”

Nonostante quelle sensazioni conflittuali però una emerse tra le altre, ovvero che non le dispiaceva stare con lui, così in un impeto esclamò «Vuoi rimanere?» si trattenne dal dire quel con me che le spingeva sulla lingua in maniera troppo insistente.

Lui si girò sconvolto da quella richiesta.

Voleva stare ancora con lui!

Tale realizzazione lo rese più felice del previsto. Cercando di contenere il suo entusiasmo, si limitò per tutta risposta ad annuire.

Si sedettero su due poltrone, le quali erano posizionate vicine l’una all’altra. Nessuno sentì il bisogno di spostarle. Kagome aprì il libro che aveva preso dalla libreria e lo mise al centro in modo che potessero leggerlo entrambi.

«Vuoi iniziare a leggere tu?» domandò Kagome. Inuyasha avrebbe preferito cominciasse lei, però non aveva il coraggio di farglielo notare, così iniziò a leggere senza protestare.

La sua lettura era incerta. Si vedeva che aveva una lieve infarinatura delle parole più semplici, ma molto spesso si fermava, leggeva una parola, e seppur continuasse andare ad andare avanti, si vedeva dalla sua faccia che non capiva quello che aveva appena letto.

Kagome fece per interromperlo, ma, vedendo che Inuyasha si stava sforzando con tutto sé stesso di soddisfare quella sua semplice richiesta, cambiò idea.

Avvicinandosi maggiormente a lui, si mise con calma a spiegargli ogni parola che non capiva. Se vedeva che un concetto era espresso in maniera troppo complessa, glielo rispiegava usando parole più facili o anche esempi, però lasciava che fosse Inuyasha a leggere.

Dopo una decina di minuti avevano letto solo una pagina, ma non le pesava. Ci tenne a dirlo subito a Inuyasha in modo che non si sentisse in colpa. Andando con calma vedeva che visibilmente era meno incerto nella lettura e piano piano acquisì più sicurezza.

Inoltre, essendo vicini, leggeva a bassa voce. Kagome non credeva che l’avrebbe mai pensato, però la voce di Inuyasha la stava rilassando.

Per quanto riguardava Inuyasha, sentiva, anche a causa dei suoi sensi amplificati da demone, ogni singolo rumore: dal semplice sfiorarsi delle loro spalle al più leggero dei respiri di Kagome e ciò minava parecchio la sua concentrazione.

Addirittura temette di non farcela quando la ragazza sfiorò la sua mano con la sua per indicare un’illustrazione. Era così vicina, così tanto dal sentire il suo alito sul collo e il suo odore.

Profumava di mele. Quale ironia!

Per un attimo desiderò affondare il naso nel suo collo, accarezzarle quei lunghi capelli corvini che quando li vedeva svolazzare nell’aria rimaneva sempre a osservarli incantato, sentendo nel mentre le mani prudergli.

Non si era mai sentito così fino a quel momento. Quelle sensazioni erano nuove per lui, e per quanto lo cogliessero alla sprovvista, lo facevano stare così bene.

D’altro canto Kagome, oltre alla realizzazione sulla voce di Inuyasha, essendo seduta alla sua destra, poteva vedere il suo viso solo di profilo. Notò che aveva un naso dritto, il viso, seppur dagli zigomi e la mascella marcati, affusolato, il collo robusto.

Nel sfiorarlo di tanto in tanto, aveva scorto le sue mani, e per quanto gli artigli la intimorissero ancora, notò che le sue dite erano molto lunghe.

Le orecchie poi quando si muovevano freneticamente per captare ogni singolo suono erano adorabili! Una parte estremamente infantile di lei voleva toccarle con tutta sé stessa, ma si disse che non era il caso.

“Decisamente no.”

In più, dopo un primo momento di iniziale perplessità, non si sentì minacciata neanche una volta dalla sua vicinanza. Inoltre lo vedeva desideroso di imparare, infatti gli poneva tante domande a cui lei era ben lieta di rispondere.

A un certo punto sentì le palpebre chiudersi sempre più spesso. Si disse che avrebbe riposato solo per qualche secondo gli occhi.

“Solo un attimo.”

Inuyasha, sentendo il respiro di Kagome fattosi più pesante, si voltò e la vide addormentata con la testa sulla sua spalla.

Stette per svegliarla ma vederla dormire così serena senza sentire l’odore delle sue lacrime, come era successo notti prima, gli riempì il cuore di gioia. Chiuse piano il libro per evitare di fare un rumore che l’avrebbe potuta svegliare, per poi scostarle dolcemente i capelli che le erano caduti davanti al viso, prenderla in braccio e portarla in camera sua.

Dopo aver avuto qualche difficoltà nell’aprire la porta con una mano sola, la posò delicatamente sul letto e le sistemò la frangetta che le copriva gli occhi.

Nel buio poteva vederla mentre dormiva serenamente. Il volto disteso, le mani delicate giunte in grembo, le labbra carnose leggermente socchiuse...

Si chinò verso di esse. Erano come calamite che lo attraevano.

Appena realizzò ciò che stava per fare, si fermò di botto. Stringendo i pugni uscì dalla stanza, appoggiandosi alla porta. Era confuso, non capiva perché si stava chinando verso di lei. Verso le sue labbra.

“Io stavo...stavo per baciare Kagome. Io...” e qua si portò una mano alla bocca mentre realizzava.

“Io volevo baciarla.”
 

Angolo dell’autrice

*Shion e Asagi: omaggio al quarto film di Inuyasha. Sono due dei bambini dell’isola, non mi ricordo se venivano dette nel dubbio le loro età, che vengono dette loro, le ho inventate di sana pianta. Li ho resi fratelli, anche se al momento non mi sovviene se lo erano oppure no. Nel dubbio anche questa è una mia libertà.

*Biblioteca mastodontica: mi sono ispirata con le dovute accortezze alla Bibilioteca Nazionale di Vienna per descriverla. Mi ricordavo fosse quella che ha ispirato la Bella e la Bestia ma guardando adesso (e non prima perché sono una pirla!) mi sa che mi sono sbagliata ed era un’altra. Nel dubbio ce la teniamo così; l’importante era avere una bella biblioteca barocca e gargantuesca.

"Mi è sempre piaciuto l'aggettivo gargantuesco. Succede raramente di poterlo usare in una frase"

E con questa citazione a Kill Bill, film che amo alla follia, annuncio il ritorno dopo millenni di questa storia!

Chiedo davvero scusa, ma gli impegni, leggasi l’università, mi impediscono di dedicarmi tanto quanto vorrei a questa storia e in generale a scrivere.

Per farmi perdonare, ho passato la giornata a scrivere il più possibile e sono venute fuori 15 pagine di Word! È un capitolo molto più lungo del solito però per farmi perdonare ci sta secondo me ;)

Fatemi sapere che ne pensate, oggi più che mai perché è il mio compleanno (anche se tra un'ora ormai è finito però gli auguri li accetto comunque, eh! Meglio in ritardo che in anticipo <3).

Alla prossima!

Nikita 

P.S. Ho cambiato le virgolette in questo capitolo. Ho usato le caporali per i dialoghi mentre le alte doppie per i pensieri, come fanno per i libri "seri". Quando farò la revisione di questa storia (ovvero tra mooolto tempo) cambierò tutto. D'ora in poi saranno così anche per tutte le altre mie storie. (Le vecchie le lascerò stare, perché altrimenti "muoro" cit.)

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Canzone del ballo tra Inuyasha e Kagome: https://www.youtube.com/watch?v=mAaiVlKkZzE

Vestito di Kagome (immagine presa da Google. Doveva essere un vestito blu, ma l’ho modificato per renderlo verde visto che è il colore di Kagome)

“Ci sono molti uomini” disse la Bella,

“Che poi si rivelano mostri peggiori di te.

Ed io ti preferisco a loro, nonostante il tuo aspetto…”.

Da La Bella e la Bestia*
 

Qualche giorno prima

 

«Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»

Hiroshi Higurashi correva per la piazza principale del paese, agitando le braccia a destra e a manca, sperando di attirare l’attenzione di più gente possibile.
«Che cosa c’è da urlare, vecchio?» esclamò con tono burbero il panettiere.
«Ho bisogno di aiuto! Mia nipote...mia nipote è prigioniera!» esclamò Hiroshi. Aveva il volto paonazzo, respirava affannosamente e gli occhi erano sgranati.
La Strega di Toki si affacciò dalla finestra «Che stai farneticando? Chi è che ha rapito quella scellerata di tua nipote?»
«Già! Che se ne fa qualcuno di una donna che legge e basta?» le diede man forte il panettiere.
Ma il signor Higurashi era talmente agitato che non fece neanche caso alle loro parole. «Una bestia...un demone orribile la tiene prigioniera nei sotterranei del suo castello!»
Il panettiere e la Strega si guardarono per poi scoppiare a ridere a crepapelle.
«Un demone? Sul serio? Te stai vaneggiando, vecchio» fece il panettiere.
«Ve lo giuro, è tutto vero! L’ho visto con questi miei occhi!»
«Baggianate! I demoni non esistono quant’è vero che io mi chiamo Hanako.*»
«Vi prego...» sussurrò il signor Higurashi mettendosi in ginocchio, mentre i suoi occhi iniziavano a inumidirsi «...ho bisogno di aiuto. La mia bambina...»
«Vecchio, prova a chiedere a Koga. Adesso si trova alla locanda. Lui potrebbe trovarla tranquillamente» gli disse il panettiere, sbuffando. Evidentemente non vedeva l’ora di levarsi di mezzo quel vecchio che era ufficialmente impazzito. Che se lo sorbisse Koga, visto che ci teneva così tanto ad averlo come parente, sposandosi la sua nipote scellerata.
Hiroshi ripensò a quel ragazzo che tanto aveva tormentato sua nipote, la quale non gli aveva mai detto nulla per non farlo preoccupare, ma lui sapeva. Sapeva e non l’aveva aiutata, sottovalutando la cosa e pensando fossero solo avances di un ragazzo insistente. Ma lei gli aveva rivelato che più lo respingeva più lui sembrava tornare alla carica proprio la sera prima che partisse per quella dannata fiera. Con il senno di poi non sarebbe mai dovuto partire. Non avrebbe mai dovuto lasciare la sua adorata nipote da sola. La sua Kagome, da sola sperduta, in una cella umida, nelle grinfie di un mostro...
Doveva salvarla a ogni costo e se per farlo avrebbe dovuto implorare Koga così avrebbe fatto. Si rialzò da terra, fece un leggero inchino con il capo verso il panettiere e la Strega e si diresse verso la locanda. Appena entrato vide Koga appoggiato al bancone intendo a bere un boccale di birra e a divorare una coscia di pollo. Riversi sul pavimento giacevano i due che si portava sempre dietro. Dovevano essersi dati alla pazza gioia a giudicare dalla mole di boccali che stava pulendo il barista con aria stizzita.
Il signor Higurashi si avvicinò a Koga, strattonandolo per una manica della camicia «Koga, ti prego. Ho bisogno del tuo aiuto!»
Koga sbatté il boccale sul bancone provocando un tonfo sonoro e si pulì la bocca col dorso della mano. Si voltò verso di lui guardandolo con aria scocciata.
«Koga, è successa una cosa orribile. Solo tu puoi aiutarmi!»
Koga in tutta risposta gli ruttò in faccia. Il signor Higurashi fece finta di nulla, seppur fosse rimasto disgustato dal suo alito, e riprese a parlare «Kagome è prigioniera di un demone spaventoso! Dio solo sa che cosa le avrà fatto!» finì il signor Higurashi scoppiando definitivamente in un pianto disperato e singhiozzante. Mentre si stava pulendo un orecchio, appena il vecchio fece il nome di Kagome immediatamente Koga si raddrizzò con la schiena, dando al vecchio la sua più completa attenzione.
«Kagome? Cosa le hanno fatto?» esclamò Koga, prendendolo per le spalle.
«È rinchiusa nelle segrete di un castello, nascosto al limitare della foresta, vicino al villaggio di Oseki» gli rispose il vecchio, singhiozzando e tirando su con il naso. Koga lo trovò incredibilmente patetico, mentre aveva il moccio al naso come un bambino piccolo. Mentre però elaborava le sue parole, capì perché lui e quegli altri due mentecatti quando erano andati nella foresta a cercarla non l’avevano trovato e quindi erano subito tornati indietro. Solo che erano passati giorni e di lei e il vecchio non c’era alcuna traccia. Dopo cena, aveva appunto l’idea di rimettersi alla ricerca di Kagome, quando il vecchio era sbucato fuori all’improvviso. Quindi Kagome si trovava prigioniera in un castello nascosto al confine con l’altro villaggio. Ci sarebbe voleva almeno mezza giornata a cavallo per raggiungere Oseki. Cavalcando al massimo nella sua velocità, il suo cavallo poteva farcela ad arrivare anche in un paio d’ore. Avrebbe solo dovuto sforzarlo al massimo.
«Come posso trovarlo?»
Il vecchio tirò su col naso, per poi rispondergli «Addentrati per la foresta, dopodiché ti troverai davanti a un albero di magnolia. Lì nelle vicinanze troverai un cancello in ferro enorme a perdita d’occhio. Varcato quello troverai il castello.»
Koga lo lasciò andare e iniziò a rimuginare su ciò che aveva appena appresso dal vecchio. Quella era la sua grande occasione. Al solo pensiero di salvare Kagome e ingraziarsi quel mentecatto di suo nonno si sentiva estremamente galvanizzato ed eccitato, ma Kagome aveva già rifiutato la sua proposta di matrimonio. A meno che...
«Va bene. Andrò a salvare tua nipote...»
Ma prima che il vecchio, il cui volto si era disteso dal sollievo nonostante le lacrime continuassero a scorrere, Koga lo interruppe «...a patto però che tu acconsentirai alle nostre nozze.»
Le sopracciglia del vecchio si aggrottarono in mezzo alla fronte e il suo volto tornò pallido. Come poteva condannare sua nipote a un matrimonio con un uomo che non amava e che anzi detestava? Ma non aveva altra scelta se voleva salvare la sua adorata Kagome...
Il signor Higurashi abbassò la testa «Va bene, Koga. Hai la mia benedizione.»
Koga sorrise, un sorriso ferino e bramoso. Finalmente Kagome sarebbe stata sua! Il vecchio l’avrebbe costretta a sposarlo per saldare il debito di gratitudine che aveva nei suoi confronti. Finalmente quella donna tanto testarda, ma anche così incredibilmente bella, dalla pelle candida come la neve, i capelli dello stesso colore delle more appena raccolte, quelle seducenti labbra carnose sarebbe stata sua. Già si immaginava la loro notte di nozze dove l’avrebbe presa e l’avrebbe resa definitivamente la sua donna. Koga si leccò le labbra in maniera lasciva, mentre ridacchiava soddisfatto. Tutto il villaggio avrebbe sentito le sue urla di piacere, parola sua.

Si precipitò a casa sua a recuperare la spada, un mantello, un coltello e il suo cavallo. Montò in sella a Nero, il suo fidato destriero dal manto scuro come la notte, grosso e possente quasi quanto un toro e partì alla volta del castello di quella fantomatica bestia che teneva prigioniera la sua Kagome. Strinse le redini di Nero, mentre lo incitava ad andare più veloce. Gli avrebbe cavato il cuore dal petto, lo avrebbe fatto soffrire come la peggiore delle belve e lo avrebbe decapitato, esponendo in trionfo la sua testa come trofeo, insieme alla sua splendida moglie. Tutto il villaggio l’avrebbe acclamato. Sarebbe stato un eroe e soprattutto avrebbe avuto la donna che tanto bramava da così tanto tempo. Koga era euforico al solo pensiero.

“Aspettami, Kagome. Presto sarai mia”.

 

Il palazzo era in gran fermento. Tutti erano impegnati nei preparativi alla festa, che si sarebbe svolta quella sera. Ayame e altre suppellettili, che in passato erano le sarte di corte, si erano date da fare nel confezionare gli abiti per Kagome e il principe. Nelle cucine si preparava da mangiare non solo per i due, ma per tutta la corte, quindi tutte le suppellettili – un tempo cuochi – realizzavano ricette e manicaretti di ogni tipo. Non si parlava d’altro; era l’argomento sulla bocca di tutti gli abitanti del castello. Era da veramente molto tempo che non vi era un evento di tale importanza. Mentre alcune posate – due forchette e un mestolo – stavano preparando la glassa per la torta, un’ombra si levò su di loro.
Terrorizzate, si strinsero tra di loro tremanti, ma presto sentirono la voce di Miroku che le rassicurò «Non temete, il principe vuole solo chiedervi i vostri nomi.»Le posate si voltarono lentamente, pensando che avessero sbagliato qualcosa e che il principe volesse punirle, ma, con loro grande sorpresa, si trovarono davanti una persona tranquilla e non presa dall’ira, con in mano una piuma e un foglio. Miroku reggeva un calamaio pieno d’inchiostro. Le posate sussurrarono i loro nomi con timore, al che vedendo il principe che se li segnava tornarono a tremare. Inuyasha le guardò e capendo il loro timore, le rassicurò «Non voglio punirvi, voglio solo imparare i nomi di tutti i domestici del castello.»
Le posate allora si guardarono tra di loro basite, ma anche leggermente scettiche. Era un comportamento che mai si sarebbero aspettate da quel principe tiranno; anche se da quando era arrivata la ragazza erano migliorate molte cose, la maggior parte di loro provava diffidenza ogni volta che gli si rivolgeva, ma soprattutto nessuno aveva dimenticato i suoi soprusi e le sue angherie nei loro confronti.
Shion e Asagi in quel momento si fecero avanti «State tranquilli, li ha chiesti anche ad altri!»
Le posate si ricordarono quando i due fratelli erano tornati nelle cucine sconvolti, raccontando del principe che li aveva aiutati a trasportare dei sacchi di farina, storia alla quale nessuno aveva voluto credere, finché non avevano visto coi loro occhi il principe entrare con i sacchi in mano, posarli e andarsene. La conferma di Shion e Asagi pertanto li rassicurò. Il principe, d’altro canto, non si arrabbiò con nessuno dei domestici a cui andò a chiedere i nomi e che segnò sul foglio.Uscì per andare a chiederlo anche agli altri. Nel farlo incrociò Kagome che, nonostante le insistenze delle suppellettili, aiutava come poteva. Si salutarono con un cenno del capo. Kagome addirittura gli sorrise, gesto che provò a ricambiare, ma fallendo poiché non essendo abituato sentì i muscoli della faccia fargli male e probabilmente la ragazza avrà pensato che il suo fosse un sorriso forzato.
Dopo essersi assicurato che la ragazza si fosse allontanata, si girò verso Miroku, che si trovava accanto a lui «Cosa dovrei fare?»
Miroku alzò lo sguardo verso l’alto e intuendo non avesse ancora finito aspettò che continuasse a parlare.
«Come dovrei tenerla mentre balliamo, perché sicuramente balleremo, no?»
«Certo, anzi sarebbe molto carino se la invitaste a ballare.»
«Sì, ma come dovrei fare? E poi come faccio ad essere...cortese con lei?»
Allora Miroku sorridendo gli mostrò mimando come si balla il valzer. Inuyasha si mise a imitarne i movimenti, prima in maniera un po’ goffa, per poi muoversi in maniera più fluida.
«Se volete essere più sicuro, potreste chiedere a qualcuno messo un po’ meglio di me in quanto ad altezza, di aiutarvi ballando con voi.»Inuyasha scosse la testa con veemenza.
«Non credo sia il caso.»
Miroku ridacchiò.
«Se può esservi di consolazione, abbiamo tutti notato come il fatto che stiate facendo vedere il vostro impegno nel redimervi possa già giocare a vostro favore e ritengo che anche la signorina Kagome l’abbia notato. Perciò penso che se continuate così siete già sulla buona strada.»
Inuyasha annuì. «È che...con lei non voglio più sbagliare. Non voglio più rischiare di ferirla.»
«Non è facile avere a che fare con gli altri, soprattutto quando ci rendiamo conto di aver ferito qualcuno.»
Dicendo quella frase non poté fare a meno di pensare al suo rapporto con Sango. Dall’alto di quale pulpito poteva dare consigli al principe quando lui non aveva neanche avuto il coraggio di parlarne con Sango? Da tutta quella storia realizzò che ne stava traendo beneficio. Tutto ciò era paradossale, però vedere il principe mettersi in discussione stava aiutando di riflesso anche lui nel capire quali comportamenti, che finora per lui erano naturali e giusti, in realtà danneggiassero gli altri. Miroku riprese a parlare con Inuyasha.
«L’averlo capito ovviamente non ci giustifica. Se si ha fatto del male dobbiamo pagarne le conseguenze e assumerci le nostre responsabilità, ma già facendo ciò e prendere consapevolezza dei nostri errori è meglio che fare finta di nulla e continuare a fare del male.»
Il principe come risposta annuì.
Miroku sorrise, ma stavolta maliziosamente «Dai, adesso pensiamo alle cose importanti! Vi devo fare una breve lezione su come baciare una ragazza?»
Le guance del principe si colorarono di viola. Si affrettò a rispondere con un «No, grazie», causando nuovamente l’ilarità del candelabro.
«Miroku?»
«Mhm?»
«Grazie.»
Miroku sorrise «Non serve ringraziarmi. Orsù, ora andate a vestirvi per stasera.»

Kagome si osservava nello specchio che le era stato portato in camera. Le varie domestiche-suppellettili l’avevano aiutata a vestirsi, a truccarsi e ad acconciarsi nonostante avesse insistito per fare da sola, ma loro erano state irremovibili. In quei giorni di preparativi si erano date da fare – tra domestiche-sarto che le avevano preso le misure, domestiche-macchine da cucire che gliel’avevano confezionato – per realizzarle quel vestito, l’avevano poi messo dentro Ayame fino a quella sera e adesso era lì a guardare le domestiche dalle sembianze di pennelli per il trucco che finivano di applicarle vari cosmetici. Visto che il colore dell’abito era verde, era stato ripreso tramite l’ombretto che le avevano applicato sugli occhi. Sango era lì che la osservava insieme ad Ayame. L’armadio le sorrise «Ribadisco, il verde è il tuo colore. Stai benissimo!»
Sango annuì. «Sì, sei proprio bella.»
Kagome sorrise a sua volta. Era il vestito più bello che avesse mai avuto. Ayame saltò sul posto – riuscendoci nonostante la sua mole – ed esclamò «Forza vai, il tuo principe azzurro ti aspetta!»
Sango roteò gli occhi, per poi girarsi a guardare la ragazza limitandosi a dire «Divertiti.»
Kagome si portò le mani al petto «Grazie, ragazze. Grazie di cuore a tutte voi» disse rivolgendosi alle domestiche che l’avevano aiutata, che erano tutte presenti nella sua stanza.
«Figurati!»
«Nah, nessun problema, tranquilla!»
Una suppellettile-rotolo di filo borbottò «Se a quel vestito succede qualcosa...»
Sango, che si trovava di fianco a lei, le diede una gomitata «Vai su!»
Kagome annuì, tirò su la gonna e uscì dalla stanza. Giunse verso le scale che sapeva l’avrebbero condotta nell’atrio principale del palazzo, dove avevano allestito la sala da ballo e il tavolo dove avrebbero cenato. L’atrio che era stata la prima stanza che aveva visto di quel maniero, da dove tutta quella storia era iniziata. Trovò tutto ciò lievemente ironico, tuttavia la curiosità di vedere come sarebbe andata quella serata prevalse in lei.
“Chissà come avranno vestito Inuyasha” pensò sorridendo.
Iniziò a scendere le scale facendo attenzione a non inciampare nelle pieghe del vestito. Infatti doveva tenere la gonna con le mani dato che erano lunghe fino al pavimento. Avevano insistito per farglielo bello lungo e non aveva avuto il cuore di chiedergli di accorciarglielo con tutta la fatica che avevano fatto per lei. Per il resto le calzava a pennello. Presa com’era dal non capitombolare sulle scale, non aveva notato che in cima alle scalinate opposte si trovava Inuyasha. Lui dapprima sbuffò, cercando di allargarsi il colletto della camicia. Inizialmente volevano mettergliene uno molto più pomposo. La tentazione di urlare quanto fosse contrario era stata forte, ma poi cercò di ricomporsi ricordandosi del suo buon proposito di non maltrattare più i suoi domestici, infatti non li considerava più come suoi servi. Alla fine, aveva trovato un accordo coi sarti i quali gli avevano lasciato il colletto libero.Indossava un completo composto da giacca e pantaloni blu. I bottoni della giacca erano dorati, la quale era lunga fino a metà polpaccio e aperta in due code. I capelli gli erano stati pettinati all’indietro e legati in una coda bassa. Portava degli stivali eleganti neri, che il vecchio Myoga gli disse appartenenti a suo padre. Si sentiva teso poiché era una grande eredità. Stava iniziando a capire cosa doveva essere davvero un signore, l’importanza di trattare bene i suoi domestici e di conseguenza i suoi sudditi. Prima o poi avrebbe dovuto farsi spiegare dal vecchio Myoga come poteva gestire quelle terre per fare in modo che tornassero a fiorire come un tempo. Lo doveva a suo padre. Non era più mosso dall’ira. Forse poteva fare qualcosa di buono anche in quella forma e perciò era grato a Kagome che gli aveva aperto gli occhi. Kagome...
L’arrivo di quella ragazza gli aveva cambiato la vita. Si sarebbe sempre sentito in colpa per il fatto che aveva obbligato prima suo nonno e poi lei a stare nelle segrete del palazzo. Mille scuse non sarebbero mai bastate a fare ammenda, tuttavia stava cercando di rimediare. Quella sera era dedicata proprio a lei, a quella ragazza straordinaria che era piombata nel castello e nella sua vita. Lei, con i suoi capelli corvini, la sua pelle candida come neve, i suoi occhi dal taglio a mandorla e color nocciola, le gote rosate, le labbra carnose...
Giunto sulla cima delle scale, guardò di fronte a sé dove stava l’inizio dell’altra rampa e ciò che si parò davanti ai suoi occhi gli fece spalancare la bocca. Di fronte a sé si stagliava la figura di Kagome in abito da sera. Era un'autentica visione. Indossava un vestito verde lungo fino ai piedi, infatti per scendere le scale doveva sorreggere l’orlo dell’ampia gonna dell’abito. Le maniche erano lunghe e fatte di pizzo, tanto che si intravedevano le braccia candide sotto di esse. Lo scollo era a cuore e il decolleté, le palpebre e le guance erano cosparsi di brillantini color argento. Come se già non fosse splendida – in tutti i sensi – il vestito era ricoperto di decori argentati. I suoi capelli, con piccoli ciuffetti che erano stati arricciati e lasciati liberi di incorniciarle il volto ovale e candido come quello di una bambola di porcellana, erano raccolti in uno chignon elaborato impreziosito da perle preziose.
«Principe Inuyasha?» lo richiamò Miroku. Inuyasha si riscosse e iniziò a scendere le scale, senza mai staccare gli occhi da quell’astro che aveva di fronte. Scendeva le scale reggendosi al cornicione in marmo. Brillava come la Stella Polare. Era semplicemente stupenda. Sembrava una principessa, di certo era molto più regale di lui. Appena si trovarono l’uno di fronte all’altra, Kagome gli sorrise. Il suo sorriso se possibile era ancora più radioso del suo vestito. Cercando di dissimulare il suo imbarazzo, Inuyasha si inchinò, piegando la schiena di 45 gradi in avanti, come gli aveva detto di fare il vecchio Myoga. Kagome prese entrambi gli orli del vestito e fece un’aggraziata riverenza. Era aggraziata come un cigno. La ragazza gli porse il braccio. Inuyasha sbatté le palpebre confuso. Non capiva cosa dovesse fare. Kagome allora si avvicinò e si aggrappò al suo, il tutto continuando a sorridergli. Inuyasha iniziò a sudare. Aveva il cuore in gola dall’agitazione e i palmi delle mani sudaticci. Pregò che lei non se ne accorgesse.
«Questo completo ti sta molto bene» gli disse Kagome.
Inuyasha deglutì, le gote ormai in fiamme «A-anche tu stai bene...»
La giovane ridacchiò. Trovò semplicemente adorabile il fatto che le orecchie di Inuyasha si muovessero nervose e che le sue guance si fossero colorate di rosso. Inuyasha invece si maledisse. Avrebbe voluto dirle che era stupenda, ma l’agitazione l’aveva mandato nel pallone! Un’enorme tavola imbandita era stata apparecchiata con una tovaglia pregiata con ricami dorati. I piatti erano in porcellana e i bicchieri di cristallo. Come pietanze vi erano un pollo arrosto con patate ricoperto da una salsa dall’odore invitante. Una suppellettile-cavatappi stava aprendo per loro una bottiglia di vino rosso. Una caraffa d’acqua dentro una brocca finemente lavorata di vetro soffiato e abbellito con decori arancioni, verdi e blu era stava appena posata da altre suppellettili. Come dessert invece c’era una torta dal soffice pan di spagna, crema pasticcera e decorata da fragoline di bosco. Kagome ringraziò una per una tutte le suppellettili. Doveva essere stato difficilissimo per loro trovare tutti quegli ingredienti solo per loro. Anche Inuyasha li ringraziò. Le suppellettili non erano ancora abituate al fatto che il loro signore le trattasse in maniera gentile, però cercarono di dissimulare sorridendo e congedandosi. Quella ragazza stava davvero compiendo un miracolo. I due si sedettero a capotavola, ai due estremi del tavolo. L’essere così lontani era una benedizione, ma allo stesso tempo una maledizione per Inuyasha. Benedizione, perché, nonostante avesse ripassato con il vecchio Myoga alcune delle regole base del galateo a tavola e come fare gli inchini, il fatto che Kagome non potesse vedere come mangiava lo faceva sentire più tranquillo. Maledizione, perché lui invece non poteva guardarla, ammirare la luce che emanava il suo sorriso, i suoi splendidi occhi color nocciola che alla luce del lampadario di cristallo che era stato lucidato e riacceso per l’occasione parevano oro liquido, sentire il suo profumo dolce, udire la sua voce armoniosa. Starle lontano anche solo per consumare la cena gli sembrò una tortura infinita. Finito il pasto – gli avanzi sarebbero stati mangiati dai domestici – un’orchestra di suppellettili-strumenti musicali si mise a suonare. Era una melodia dolce, lenta e romantica. Kagome, dopo essersi pulita le labbra, si alzò e andò a prendere nuovamente a braccetto Inuyasha. I due si diressero al centro della sala. Inuyasha si sentiva euforico, eccitato e con il cuore che batteva sempre più forte. Diede colpa al vino. Non era abituato a bere e pensò che quindi berne due bicchieri fosse troppo per lui. La ragazza posò una mano sulla sua spalla, mentre l’altra sul suo braccio. I suoi occhi lo guardavano languidi...Si diede dello stupido. Anche lei aveva bevuto. Doveva essere certamente colpa del vino. Anche le guance erano rosate. Erano così lisce, sembravano due pesche. Avrebbe voluto accarezzarle, mordergliele...Si morse la lingua. Doveva calmarsi. Non capiva che gli prendeva. Perché più guardava Kagome più la trovava così...attraente?
«Ti devo confessare una cosa...» gli sussurrò Kagome.
Inuyasha rizzò le orecchie. Cosa doveva mai dirgli? Il cuore gli batté ancora più forte fino a sentirlo dentro le orecchie. Che fosse...una dichiarazione? No, che cosa diavolo gli saltava in mente! Non avrebbe mai potuto provare qualcosa di quel tipo per lui, anche se una parte di lui, una che si voleva fare del male illudendosi, lo voleva, lo voleva così tanto. Già solo che erano riusciti ad arrivare a un punto in cui lei gli sorrideva, gli parlava, lo toccava senza guardarlo con odio era molto più di quanto potesse sperare.«...non so ballare» continuò Kagome, sorridendo imbarazzata.
Inuyasha sgranò gli occhi, per poi scoppiare a ridere, ridere della sua stupidità però ridere anche della dolcezza di quella ragazza che gli era entrata così sottopelle che non l’avrebbe mai dimenticata. Ormai il suo viso era irrimediabilmente impresso nel suo cuore e lo sarebbe stato fino alla sua morte.Kagome spalancò gli occhi e la bocca, osservando Inuyasha, colui che credeva una bestia senza cuore, ridere di cuore. La sua risata era davvero splendida e quei canini che si intravedevano leggermente non erano più così spaventosi, la mano che le reggeva la spalla era delicata, gli artigli non le facevano male. Appena Inuyasha finì di ridere, le rispose «Nemmeno io se per questo.»
«Allora cerchiamo di fare del nostro meglio per non pestarci i piedi a vicenda» rispose Kagome ridacchiando.
«Non garantisco niente» fece Inuyasha, sorridendole malandrino e mettendo in mostra i canini. Kagome sentì una ventata di calore sferzarle le guance. Perché d’un tratto aveva pensato a quanto quel sorriso fosse affascinante? E soprattutto da quando voleva che quei canini le mordessero il collo? Scosse la testa. Ma cosa le prendeva?
«Kagome, tutto bene?»
Kagome, ancora più rossa poiché colta in fallo, balbettò un «S-sì, certo» per poi tossire leggermente e riprendere dicendo «Balliamo.»
Dopo un inizio un po’ goffo in cui entrambi muovevano solo un piede in avanti e subito dopo tornava al suo posto, rimanendo immobili come stoccafissi, trovarono un equilibrio, ovvero un passo avanti e due indietro, in modo da potersi anche muovere per la stanza. Kagome prese un braccio di Inuyasha, portandogli la mano su un fianco. Lui non capì subito, le gote si fecero ancora più purpuree, ma Kagome gli continuava a sorridere radiosa per cui si calmò. D’altro canto la ragazza sentiva la testa leggera, mentre volteggiava stretta dalle forti braccia di Inuyasha. Sarà stato anche complice il vino, ma si sentiva così incredibilmente libera, senza preoccupazioni. In quella enorme sala vi erano solo lei e Inuyasha che ballavano al ritmo di un dolce valzer. Posò dolcemente la testa sul petto di Inuyasha. Inspirò il suo profumo di muschio. Si sentiva al sicuro tra le sue braccia, sensazione che mai avrebbe pensato di provare poco tempo prima. Non era minimamente preoccupata che lui potesse farle del male. Stava così bene, mentre ascoltava il battito del suo cuore farsi sempre più veloce. Che fosse colpa sua?
Alzò lo sguardo verso di lui «Ti do fastidio se sto così?»
Inuyasha si affrettò a rispondere «No, affatto. È che è la prima volta che ballo con qualcuno, anzi questo è il primo ballo a cui abbia mai partecipato.»
Kagome provò un’immensa tenerezza per lui. Non sapeva a che età avesse in quel momento, ma pensò che non dovesse essere tanto più piccolo di lei. Le sembrava che Sango avesse accennato al fatto che erano stati colpiti dalla maledizione cinque anni prima e che da allora nessuno aveva più lasciato il castello, poiché chiunque avrebbe avuto paura di loro, specie di Inuyasha, dunque era come se fossero confinati là dentro. Chissà quanto dovevano aver perso per colpa di quella maledizione, chissà quanta solitudine avevano provato...
Kagome si strinse maggiormente a lui. A un certo punto si trovarono l’uno di fronte all’altra, i propri occhi riflessi in quelli dell’altro. Erano così vicini che presto Kagome si ritrovò ad appoggiare la sua fronte contro quella di Inuyasha. I suoi occhi quando non erano irati erano di un colore oro, splendente come due gemme d’ambra, come il sole, come l’oro che decorava le poltrone e i capitelli delle colonne del palazzo. Era un colore così intenso e magnetico da sembrare oro fuso, tanto che per un attimo Kagome ebbe la sensazione di perdervisi. Inuyasha invece era completamente annegato nel cioccolato degli occhi di Kagome, occhi brillanti quasi più del suo vestito. Sentire il suo fiato contro la propria bocca gli fece provare un brivido lungo tutta la spina dorsale. Era così bella, così eterea...era decisamente troppo per lui. Mentre si muovevano per la stanza lasciandosi guidare dalla melodia prodotta dai violini, Kagome posò la testa sul petto di Inuyasha, il quale sentì le guance andare a fuoco. Tutto ciò era un duro colpo al suo autocontrollo. Averla contro di sé, sentire il suo profumo, il suo calore gli faceva girare la testa. Kagome sperò con tutto il cuore che nel suo piccolo avesse lasciato un bel ricordo a Inuyasha. Tuttavia si chiese perché le interessasse così tanto. Avevano giusto stretto una tregua, non è che dovessero diventare per forza migliori amici, ma allora perché continuava a sentire quel macigno sul petto? Era per il senso di colpa oppure per qualcos’altro? E se era così, qual era la causa del suo turbamento interiore ogni volta che vedeva Inuyasha, perché avvertiva calore alle guance e al basso ventre, perché il suo cuore correva all’impazzata come cavalli imbizzarriti? Nei libri che aveva letto tutte quelle cose indicavano solo una cosa, ma non poteva essere, era impossibile si disse, mentre osservava con la coda dell’occhio Inuyasha guardarla dall’alto con quei magnetici occhi dorati. Non poteva essere proprio quello, no?

Sango osservava Kagome e il principe volteggiare da quella che pareva un’eternità. Lei e altre suppellettili avevano messo in ordine e sgomberato il tavolo, portando gli avanzi in cucina. Non aveva saputo resistere e aveva assaggiato una fetta di quella torta con le fragole ed era paradisiaca. Aveva fatto mettere da parte un pezzo per il suo fratellino Kohaku, il quale era stato mandato a letto insieme ai più piccoli, tra cui Shippo, che quindi erano esonerati dalle pulizie per quella sera. Osservando quei due sulla pista da ballo, per un attimo, un solo minuscolo istante, provò invidia, ma poi si ricordò chi era il principe Inuyasha, il principe tiranno. Era ancora molto scettica, parecchio scettica, riguardo il suo cambiamento e come lei molti altri domestici. Mentre altri, seppur diffidenti, sembravano voler essere fiduciosi, rincuorati dalla presenza di Kagome e dalla flebile speranza che si innamorasse del principe e che grazie a ciò li facesse ritornare alla loro forma originaria e riportasse il castello al suo antico splendore. Ma lei ormai si era arresa. Non avrebbe più riavuto il suo aspetto umano. Le dispiaceva non tanto per sé stessa, ma per il suo fratellino, costretto in una forma che non era la sua. Sentì un colpetto delicato sulla sua “spalla”. Voltandosi si trovò davanti Miroku «Splendida serata, non trovi?»
«Per i due piccioncini sicuramente» rispose con tono ironico, indicando Kagome e il principe ancora al centro della sala a ballare.
Il “viso” dorato e metallico di Miroku si arricciò in una smorfia – cosa a quanto pare ancora possibile per loro anche se erano degli oggetti – «Non credi che il principe sia cambiato?»
«Io credo ai fatti. A parole siamo bravi tutti. Per ora si sta comportando bene. Bisogna vedere se è tutta una facciata solo per farsi bello agli occhi di Kagome, oppure è sinceramente pentito. Al momento ho pareri contrastanti.»
Miroku fu estremamente colpito da quelle parole. Realizzò quanto fosse stato superficiale nei rapporti umani, comportandosi da piacione credendo che fosse quella la via più semplice per ammaliare le donne, esattamente come faceva suo padre. Era l’unico modello con il quale era cresciuto, quindi lo aveva preso come quello corretto. Ma da quando era stato mutato in un candelabro aveva capito quanto in forma umana fosse patetico e soprattutto tramite Sango quanto i suoi comportamenti molesti l’avessero ferita. Non avrebbe mai scordato il suo sguardo pieno di disprezzo il giorno prima che venissero trasformati in oggetti. Come al solito le era arrivato da dietro le spalle, palpandole il sedere. La ragazza allora armata di scopa – quale ironia, ripensandoci col senno di poi – si era girata e l’aveva colpito col manico sulla nuca. Ricordava come se fosse avvenuto il giorno prima cosa gli avesse urlato contro successivamente. «Credi che tutto ti sia dovuto, vero? Non ti hanno insegnato ad accettare un no e che toccare il corpo altrui, soprattutto parti intime, è estremamente maleducato oltre che sgradevole? Sei patetico, Miroku. Solo le persone mediocri si comportano così.»
Miroku capì quanto avesse sbagliato, ma scusarsi sarebbe stato inutile. Delle parole non potevano cancellare le sue azioni passate, di cui in quel momento, al solo ripensarsi, provava solo un’immensa vergogna. Ma visto che Sango era una che si basava sui fatti e non sulle parole, decise di agire. Se non credeva al principe Inuyasha, le avrebbe almeno fatto cambiare idea su sé stesso. Si inchinò e le fece una sorta di baciamano – per quanto il loro aspetto non glielo consentirebbe in teoria.
«Vorresti concedermi una possibilità per dimostrarti che non sono così patetico come credi e che so rispettarti?»
Sango si ricordò di quella volta che l’aveva colpito con la scopa. Si stupì che lui se ne ricordasse. Il suo cinismo le faceva pensare che era stato per merito della botta in testa che se lo ricordava, ma una parte, una minuscola, piccolissima parte di lei che le sussurrava in un angolo remoto del suo cuore le diceva di provare a fidarsi di quel candelabro, che quando non la toccava senza il suo consenso era gentile, intelligente e con un senso dell’umorismo frizzante. Sango lo guardò sorridendo in maniera salace «Intanto invitami a ballare, poi si vedrà.»
Miroku sgranò gli occhi, lo stoppino della candela che aveva sulla testa si accese di colpo. Era il corrispettivo del fatto che da umano invece sarebbe arrossito. Miroku allargò le braccia. Sango gliele prese, per poi sistemarle come riteneva meglio «Toccami in maniera lasciva e io ti strozzo.»
«Non lo farò!»
«Staremo a vedere...» borbottò Sango, la quale condusse lei il ballo reggendo i bracci di Miroku, che sospirò ma almeno era contento di poter ballare con Sango e che forse gli avrebbe dato un’occasione per riscattarsi. Ma mentre volteggiavano e faceva qualche battuta per farla ridere, realizzò quanto i suoi occhi marrone scuro fossero belli quando si illuminavano ogni volta che sorrideva. Persino nella forma di una scopa Miroku era affascinato da lei. Allora Miroku pensò che forse non era così importante l’aspetto fisico di una persona quando questa ci piaceva già. A lui Sango piaceva, piaceva da impazzire già da umana. La prima volta che l’aveva vista pensò sembrasse una di quelle ninfe rappresentate negli affreschi che decoravano le mura della dimora. Non solo era bella, ma anche intelligente, arguta, dolce, gentile e con una lingua tagliente, talmente onesta e pungente nelle sue parole che feriva più la sua bocca che una spada. Bocca che avrebbe tanto voluto baciare, ma dalla quale per fortuna si era sempre tenuto alla larga, soprattutto per paura. Sotto sotto sapeva di non meritare l’amore di una come Sango, una ragazza indipendente che aveva cresciuto suo fratello minore da sola lavorando come cameriera per un tiranno come Inuyasha fin da giovanissima, che fosse troppo per un Don Giovanni da strapazzo come lui. Tuttavia non poté fare a meno di sperare che un giorno, forse, sarebbe riuscito a fare breccia nel cuore cinico di Sango, magari senza toccarle il sedere, esattamente stava facendo in quel momento, anche se la ragazza gli aveva lasciato i bracci, ma anzi l’aveva presa per quella che sarebbe dovuta essere la sua vita – in realtà era il suo manico in legno. Non voleva che lei lo odiasse. L’aveva ferita troppe volte. Doveva guadagnarsi la sua fiducia. Ci avrebbe messo un bel po’, ma ne sarebbe valsa la pena.

Kagome e Inuyasha uscirono dalla porta finestra del salone, che affacciava sull’immenso giardino che circondava il castello. SI sedettero su una panchina in marmo. Inuyasha alzò lo sguardo verso il cielo. Quella sera non vi era neanche una nuvola, tanto che la luna piena si stagliava su quello sfondo scuro in tutta la sua magnificenza, e le stelle risplendevano più luminose che mai. Ma quella sera la stella più luminosa, così tanto da far sfigurare il candido bagliore della luna, era Kagome. Ancora una volta pensò quanto una ragazza come Kagome, pura come un giglio, sfigurasse di fianco a una bestia come lui. Chi mai avrebbe potuto amare un essere come lui? Per quanto provasse a cambiare caratterialmente, il suo aspetto rimaneva sempre quello, le sue zanne e i suoi canini non sarebbero scomparsi, le sue guance sarebbero rimaste marchiate di viola, le sue orecchie avrebbero avuto ancora l’aspetto di quelle di un cane.Riabassò lo sguardo verso di lei, che era intenta a osservare la luna. Il suo profilo alla luce lunare sembrava latteo, morbido, lucente...
Inuyasha posò una mano sulla sua spalla per richiamare la sua attenzione. Kagome si voltò completamente, dandogli la sua più completa attenzione. Inuyasha prese un profondo respiro.«Devo dirti una cosa importante. Io...ti chiedo scusa, Kagome. Sono stato veramente crudele nei tuoi confronti. Non merito il tuo perdono, ma non posso fare altro che scusarmi. So che questo non cancellerà le mie azioni, ma io…» indugiò per un attimo, per poi proseguire «...vorrei provare ad essere diverso, ad essere una persona migliore, non più un mostro. Non avrei voluto fare come ha fatto Ade.»
«Inuyasha…»In quell’istante Kagome, mentre lo osservava scusarsi sinceramente pentito, con quell’aria così fragile e mansueta come un cane ferito, mentre chinava il capo verso il basso, provò per lui un’immensa tenerezza. D’un tratto le tornò alla mente cosa aveva pensato la prima volta che aveva visto il maniero di Inuyasha, ovvero che da fuori sembrasse uscito da un racconto dell’orrore, ma dentro invece sembrasse un castello delle fiabe e realizzò che quella fosse la perfetta e calzante descrizione di Inuyasha. Solo all’inizio le era sembrato un essere spaventoso e spregevole, mentre in quel momento...
«Mi dispiace per averti chiamato mostro...» gli disse Kagome.
«Ti sbagli!» la interruppe Inuyasha con fermezza «Lo sono eccome. Non solo fisicamente, ma soprattutto interiormente e in particolare per come mi sono comportato. Io ti chiedo perdono, anche se so benissimo che le mie parole non saranno mai sufficienti per guarire tutto il dolore che ti ho causato.»Kagome allungò una mano e la posò sua guancia, accarezzandogliela teneramente e guardandolo con dolcezza. Inuyasha si appoggiò ad essa, poggiando la propria mano sopra la sua. La guardò per un lungo, lunghissimo istante, indugiando sulle sue spalle lasciate scoperte, sulla curva armoniosa del suo collo, i suoi capelli corvini decorati dalle perle.
«Kagome...» mormorò. Si porse verso di lei. Kagome non si ritrasse e ciò lo incoraggiò. Le loro labbra erano ad un soffio l’una dall’altra. Sarebbe bastato avvicinarsi un altro po’. Erano così vicini...
Inuyasha inspirò profondamente, per poi chiudere gli occhi «Torna a casa da tuo nonno» sussurrò a fior di labbra.
Kagome sbatté le palpebre con aria perplessa e fece per replicare. Stavolta fu Inuyasha che timidamente fece per poggiare una mano sulla sua guancia. Temette per un istante di ferirla inavvertitamente con gli artigli, anche se Miroku glieli aveva fatti limare proprio per evitare che succedesse qualcosa di simile, tuttavia erano già ricresciuti leggermente. Delicatamente posò solo il palmo aperto su di essa, facendo attenzione e sfiorandogliela leggermente. La guardò intensamente, le sue labbra socchiuse ancora di fronte a sé, così invitanti, così vicine, ma allo stesso tempo irraggiungibili. Dopo aver preso un respiro profondo, si fece coraggio e pronunciò quelle parole che pesavano sulla sua lingua come un macigno di piombo «Vai» le sussurrò «Torna a casa.»
Lei lo scrutò attraverso le palpebre socchiuse, per poi chiuderle completamente e inspirare profondamente. Lentamente Inuyasha, quasi facendosi violenza da solo, tolse la sua mano dalla guancia di lei. La sua pelle era così soffice e profumata, così delicata che sarebbe bastato così poco per lasciarle dei segni e lui non voleva ferirla, non più. Se per renderla felice sarebbe bastato lasciarla andare così avrebbe fatto. Avrebbe sofferto come mai gli era capitato nella sua vita, avrebbe condannato tutti gli abitanti del castello, lui compreso, a rimanere in quella forma grottesca, ma Kagome sarebbe stata felice con suo nonno e a casa sua. Kagome si alzò, spazzolandosi la gonna del vestito e gli sorrise. Aveva gli occhi lucidi.
«Ti ringrazio» sussurrò e corse via. Mentre si dirigeva verso l’entrata del castello, Kagome pensò che da un lato si sentiva incredibilmente felice nel poter ritornare a casa e riabbracciare il suo amato nonno, ma dall’altra una parte di lei non voleva lasciare Inuyasha. Mentre correva vide una delle siepe della signora Kaede, dalla quale erano sbocciate delle splendide rose rosse, come quella che gli aveva regalato lui...
Si portò una mano alla bocca, mentre iniziò a singhiozzare. Si era innamorata di Inuyasha, si era inequivocabilmente innamorata di lui, come le eroine dei romanzi che amava leggere si innamoravano sempre del principe. Per certi versi anche Inuyasha era un principe, un principe dall’aspetto che inizialmente credeva spaventoso, ma col tempo aveva imparato a vedere oltre quegli artigli. Quegli occhi iniettati di sangue in realtà nascondevano un’anima dorata, quei canini gli donavano un’aria più selvaggia, certo, ma il suo sorriso rimaneva comunque radioso, e quelle orecchiette erano semplicemente adorabili quando si muovevano freneticamente! Aveva scorto tanti lati buoni di Inuyasha. Volendo era gentile, il suo tocco era delicato come se avesse avuto paura di ferirla senza volere. Nei suoi occhi aveva letto il suo desiderio di voler rimediare ai suoi errori e le era sembrato onesto. Le aveva fatto tenerezza quando avevano letto insieme nella biblioteca, aveva sussultato quando si era trovata tra le sue braccia e avevano ballato in una sala gigantesca al ritmo di un valzer romantico. Era stata la serata più bella della sua vita. Mentre piangeva ormai a dirotto, si disse che quella serata non l’avrebbe mai dimenticata e che sarebbe stata per sempre impressa nel suo cuore, così come la risata di Inuyasha. Dopotutto nel mito Persefone alla fine si era innamorata di Ade.

Inuyasha si voltò osservandola correre via. Allungò la mano verso di lei, ma la rimise subito al suo posto. Ormai aveva preso la sua decisione. Kagome era libera, doveva tornare a casa sua. D’un tratto sentì qualcosa di umido sul suo volto. Una lacrima gli aveva appena rigato il volto. Era da così tanto tempo che non piangeva che non si ricordava più quando era stata l’ultima volta. Quella ragazza aveva fatto breccia nel suo cuore. Mentre la osservava rientrare nel maniero, si rese conto che quello che era nato nel suo cuore era un sentimento che mai aveva provato prima di quel preciso momento, nemmeno per sé stesso. Si era innamorato perdutamente di Kagome e l’aveva realizzato quando ormai era troppo tardi.

Appena rientrata in camera sua, Kagome si tolse velocemente l’abito, ripiegandolo con cura sul letto – con tutta la fatica che avevano fatto per cucirglielo le sembrò il minimo, – corse in bagno a lavarsi la faccia e il petto per togliersi i brillantini e il trucco, si tolse le perle dai capelli, e recuperò i vestiti con i quali era giunta per la prima volta in quel castello. Le tornò in mente che quel giorno si era portata arco e faretra con tanto di frecce, ma che poi non aveva più dovuto usare anche perché non sapeva che fine avessero fatto. Realizzò che non li aveva mai usati, poiché Inuyasha non l’aveva mai ferita. Per quanto il loro incontro non fosse stato tra i più belli e romantici della storia, Inuyasha aveva cercato di rimediare. Era venuto di sua spontanea volontà a chiederle un’altra chance, di mostrarle che di lui poteva fidarsi. Portò entrambe le mani giunte al petto sentendo di nuovo le lacrime bussare ai suoi occhi. Doveva andare via il prima possibile, altrimenti sarebbe stato solo ancora più doloroso. Un leggero bussare la fece girare verso la porta.
«Kagome, sono Sango. Posso entrare?»
«S-sì, entra pure.»
La scopa entrò e appena trovò la ragazza vestita con gli abiti di quel giorno e in preda alle lacrime si avvicinò velocemente a lei «Cosa è successo? Quel bastardo ti ha fatto qualcosa? Dov’è che lo distruggo!»
Il suo aver alzato la voce aveva svegliato Ayame «O cielo, che sta succedendo?»
«No Sango, tranquilla. Inuyasha non mi ha fatto nulla, anzi...» fece una piccola pausa, per poi dire «...mi ha detto che posso tornare a casa.»
«Che cosa?» esclamarono Ayame e Sango all’unisono.
«Esatto. Posso tornare a casa mia.»
Kagome voleva sorridergli, ma le lacrime continuavano a rigarle le guance.
«Ma è una notizia meravigliosa!» esclamò Ayame.
«Allora perché piangi?» le chiese invece Sango.
Kagome tirò su col naso e singhiozzò un «Perché...»
Si fermò per prendere un bel respiro, ma Sango la anticipò «Sei innamorata di lui» disse lapidaria.
Ayame spalancò la bocca gigante tanto che sembrava che avesse un enorme buco al centro del suo corpo a forma di armadio.
Kagome si limitò ad annuire «È strano, non è vero? Che mi sia innamorata della persona che fino a poco tempo fa odiavo perché mi aveva rovinato la vita e aveva tenuto mio nonno imprigionato nei suoi sotterranei?»
Sango sospirò «Credimi, è meno strano di quanto credi.»
Ma Ayame non fece in tempo a chiederle a cosa si riferisse – anche se aveva già una mezza idea – che Kagome chiese a Sango «Non è che sapresti guidarmi dove si trova Entei? Altrimenti non saprei come andarmene.»
Sango annuì. Kagome prese un altro profondo sospiro, si asciugò le lacrime col dorso della mano, poi si girò verso Ayame e l’abbracciò come meglio poté «Grazie di tutto. È stato un piacere averti conosciuta.»
Ayame singhiozzò, tanto che il legno di cui era fatta scricchiolò «Anche per me, tesoro...»
Dopo averla salutata nuovamente con la mano, Kagome seguì Sango nelle stalle dove trovò Entei nutrito, spazzolato e sellato.
«Chi si è occupato di lui?» chiese la ragazza, mentre accarezzava la fronte del cavallo.
«Alcuni dei domestici che un tempo erano gli addetti alla cura dei cavalli e del bestiame in generale. Ora hanno la forma di attrezzi come per esempio dei forconi, delle cesoie, dei tagliaerba.»
Kagome poggiò la fronte contro quella di Entei «Siete stati così gentili con me...ve ne sarò grata per tutta la vita.»
Si morse il labbro e si voltò guardando verso il basso in direzione di Sango, sempre rimanendo appoggiata però a Entei «Io però non ho fatto nulla per aiutarvi.»
Sango le sorrise «Hai fatto quello che potevi. Nessuno ha mai avuto in mente di costringerti a salvarci.»
Non se la sentì di rivelarle che tutti avevano sperato nel profondo del loro cuore che lei fosse la salvatrice e che spezzasse il maleficio di Tsubaki, ma non voleva farla sentire ancora più in colpa. Era giusto così. Lei doveva tornare a casa sua, alla sua vita, essere felice con suo nonno.
Kagome saltò in sella al cavallo. Abbassò il capo verso la scopa «Abbi cura di te, Sango» le disse in lacrime.
«Anche tu, Kagome. Sii felice.»
La ragazza annuì e tirò le redini del cavallo. Mentre trottava, si voltò verso Sango muovendo una mano per salutarla «Salutami il piccolo Shippo, salutami anche Miroku e ringrazialo per avermi aiutato. Saluta tutti e ringraziali da parte mia dal profondo del mio cuore!» le urlò, rimanendo girata indietro a guardare la sagoma di Sango allontanarsi e farsi sempre più piccola.
«Lo farò!» le rispose di rimando Sango, agitando le sue manine di legno.
«Ti auguro il meglio, Kagome» sussurrò stavolta a sé stessa.

Inuyasha aveva osservato la scena dalla Sfera, ormai sempre più nera tranne per un leggero spiraglio violaceo dove poteva ancora vedere ciò che succedeva al di fuori del castello. Mentre osservava la sagoma della donna che amava allontanarsi in sella al suo cavallo, nonostante avvertisse una voragine formarsi all’altezza del suo petto si continuò a ripetere che fosse giusto così. La felicità di Kagome era la cosa più importante per lui, più importante della propria felicità e della sua stessa vita. Kagome era l’unica cosa che contasse per lui.

 

Angolo dell’autrice

*La citazione l’ho trovata su Internet. C’era scritto semplicemente da “La bella e la bestia”. Il problema è che di versioni della fiaba ce ne sono parecchio. Facendo delle ricerche credo che quella da cui è stata tratta questa citazione sia quella di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve. Il testo che ho trovato dice «Conosco degli uomini che sono più mostri di voi», disse Bella, «e quanto a me, mi piacete più voi con codesta vostra figura, di tant’altri che, sotto l’aspetto d’uomo, nascondono un cuore falso, corrotto e sconoscente», il cui senso è praticamente quello. Forse la versione trovata da me è un adattamento più semplificato.

*Hanako: Riferimento ad Hanako-san, un personaggio del folclore giapponese nonché di una leggenda metropolitana molto popolare tra i bambini e gli adolescenti. Quest'ultima narra di una bambina di nome Hanako, il cui fantasma infesterebbe le toilette delle scuole giapponesi, e per questo motivo, è meglio nota come toire no Hanako-san (“Hanako-san del bagno”). Fonte: Wikipedia. Per quanto la Strega dica che i demoni non esistano e lei è solo un’umana, però con l’aspetto di una vecchia megera, ho pensato di chiamarla così 1. Perché Hanako è un nome datato in Giappone; 2. Perché si ha sempre un collegamento con il mondo degli yokai.

Quel “quanto a me” iniziale urla adattamento di Evangelion di Cannarsi da ogni poro, ma comunque nota bibliografica a parte, sono tornata con questa storia che aggiorno ogni morte di papa (scusate!).
Penso di avervi detto tutto!
Alla prossima
Nikita

 

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