Strade interrotte di Fiore di Giada (/viewuser.php?uid=695733)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cuore di padre ***
Capitolo 2: *** Funerale di un'anima ***
Capitolo 3: *** Segnali ***
Capitolo 4: *** Suicidio ***
Capitolo 5: *** Corsa contro il tempo (parte 1) ***
Capitolo 6: *** Corsa contro il tempo (parte 2) ***
Capitolo 1 *** Cuore di padre ***
L’oscuro
oceano sospeso del cielo, libero da stelle, era illuminato dal
riflesso traslucido della luna piena.
L’astro
notturno, simile ad un globo madreperlaceo, velava d’argento le
strade e le case di Konoha e il vento risuonava tra gli alberi del
villaggio, verdi di foglie, riempiendo l’aria di deboli e
sempre diversi fruscii.
Di
tanto in tanto, la sagoma di barcollante di un ubriaco, come
un’ombra, attraversava le strade di Konoha, perdendosi subito
nell’oscurità.
Gai,
seduto davanti ad una finestra della sua casa, lasciava spaziare il
suo sguardo sul villaggio, il cuore greve d’amarezza. Ormai,
solo frammenti di esistenza restavano tra le sue mani.
Nulla
era più rimasto per lui.
Rock
Lee era morto.
L’intervento,
che avrebbe dovuto ridargli la vita, lo aveva condannato a morte.
Nemmeno
le arti mediche della potente Tsunade Senju gli avevano permesso di
riafferrare quel sogno, strappatogli dalla crudeltà di Gaara,
jinchuuriki di Ichibi.
Ormai,
di lui restava un corpo immoto, che, presto, sarebbe stato sepolto
nella nuda terra.
Strinse
il pugno e, a stento, frenò un singhiozzo. No, Gaara non era
il solo colpevole della morte del suo giovane allievo.
La
colpa della morte di Rock Lee ricadeva su di lui.
Gravava
sulle sue spalle, come un gravoso macigno.
Ho
permesso che tu morissi. E questo per compiacere un mio sogno.,
pensò. Il Fato aveva
deciso di punire la sua protervia, servendosi di un ragazzo
innocente.
Aveva
creduto alla possibilità, per un bambino privo di nobili
innate, di potere emergere dalla mediocrità, attraverso la
tenacia, priva di scorciatoie.
E,
vedendo la disperazione di Rock Lee, che, malgrado la sua indole
rocciosa, era stato condannato dalla stupidità della loro
comunità.
Per
loro, lui era un fallito.
La
sua indomita volontà, priva di doujutsu, non meritava alcun
rispetto.
O,
forse, malgrado i loro metodi discutibili, erano più
intelligenti di lui?
Non
sapeva più cosa pensare.
Sorrise,
amaro. Perché indugiava in simili pensieri?
Ormai,
il mondo, per lui, era un set grigio, popolato di spettri silenziosi.
Voci
dure, implacabili, accusatorie rinnovavano la sua pena.
Presto,
sarebbe giunto il tempo dell’espiazione.
– Sono
stato un incosciente… Pagherò anche per questo, state
tranquilli. – mormorò, il tono stanco. Le parole di
Kakashi, colme di rimprovero, dilaniavano il suo cuore e la sua
mente.
Il
suo amico e rivale aveva ragione.
Non
avrebbe dovuto insegnare ad un ragazzino le Hachimon Tonkou.
Sull’altare
del suo egocentrismo, era stato versato il sangue di un giovane dal
cuore puro.
Rock
Lee si era spento perché aveva seguito la strada da lui
tracciata.
A
causa delle sue parole, si era spinto oltre i limiti della natura.
Scosse
la testa e, a passo rapido, si avviò verso la sua camera da
letto. Erano trascorsi sei giorni dalla morte di Rock Lee e lui aveva
sentito su di sé gli sguardi carichi di biasimo della sua
gente.
Non
parlavano, ma, spesso, un’occhiata era più significativa
di mille, vuote parole.
E
i loro occhi racchiudevano una sola parola.
Assassino.
– State
tranquilli. Konohagakure presto sarà purificata dalla mia
presenza. Ho commesso un errore, ma saprò affrontare il mio
castigo. – mormorò. Non era un vile.
Era
ben cosciente del suo compito.
Aveva
bisogno di tempo, ma il momento sarebbe giunto.
Non
si sarebbe sottratto alla sua pena.
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Capitolo 2 *** Funerale di un'anima ***
La
luce del sole penetrò da una finestra semi aperta e si posò
sul pavimento.
Gai,
che era disteso sul divano, le lunghe gambe coperte da un lenzuolo
rosso, per alcuni istanti, si agitò, poi aprì gli
occhi.
Di
scatto, si alzò a sedere, poi poggiò i piedi a terra e
rimase immobile, la testa fra le mani.
–
Che
giornate penose mi aspettano... – mormorò, il tono
sofferente. Era giunto il tempo dell’estremo addio al suo amato
allievo.
Rock
Lee, presto, sarebbe stato sepolto nel cimitero di Konohagakure.
Solo
una lapide, splendente di fiori freschi, avrebbe ricordato il suo
spirito ardente.
Il
suo corpo, presto, sarebbe stato consumato dai vermi.
E
i suoi giorni, presto, avrebbero conosciuto il peso della solitudine
e della noia.
Perfino
gli altri suoi due allievi erano fantasmi privi di qualsiasi
personalità.
A
quel pensiero, un debole e spettrale sorriso sollevò le sue
labbra.
–
Perché
mi preoccupo? La punizione presto ci sarà per me... –
rifletté a voce alta. Era racchiuso un pregio in quella
promessa tanto aspra, aliena da qualsiasi pietismo.
No,
non doveva avere alcuna paura.
Non
avrebbe conosciuto il peso di giorni sempre uguali, segnati dal
rimorso e dal senso di colpa.
Presto,
il suo spirito si sarebbe spento.
Un
tocco deciso alla porta interruppe le sue elucubrazioni.
Gai
si alzò, percorse la sala da pranzo a passo deciso e aprì
l'uscio.
Scorse
Asuma sulla soglia, vestito d'un lungo abito nero.
–
Che
c'è, Asuma? – chiese Gai, stupito.
L'erede
del Terzo Hokage, sentendo quella domanda, scosse tristemente la
testa. Riusciva a vedere i segni dell'insonnia sul viso del suo
compagno.
Tre
giorni erano trascorsi dalla scomparsa di Rock Lee e Gai si era
rinchiuso dietro una maschera di silenzio e fierezza.
Ad
alcuni poteva sembrare una reazione positiva, degna di un guerriero,
ma a lui e agli altri suoi colleghi una simile calma non piaceva.
Quell'atteggiamento
era artefatto e costruito e si chiedevano cosa celasse.
–
Sono
venuto a prenderti. Voglio farti compagnia al funerale di Rock Lee. –
spiegò poi.
Gai
provò a sorridere, ma ci rinunciò.
–
Ti
ringrazio, ma ci andrò da solo. Devo stare accanto ai miei
allievi. Loro saranno più distrutti di me. – obiettò
il figlio di Dai Maito, il tono neutro.
Sarutobi,
di scatto, entrò nella casa e poggiò la mano sul
braccio dell'altro.
–
Insisto.
Tu non stai bene. Ti darà conforto la presenza di un amico al
tuo fianco. –
Gai,
con un sospiro, cedette alle insistenze dell'amico. Riconosceva le
buone intenzioni di Asuma e gliene era grato, ma non poteva non
sentire il peso di una tale premura.
Gli
sembrava assurda, ridicola e fastidiosa.
Inoltre,
lui meritava tanti riguardi?
No,
non merito nulla., si
disse. Con la morte di Lee, lui era diventato un condannato a morte,
ormai alieno all'esistenza della comunità.
Si
muoveva in un mondo grigio e silenzioso e la desolazione straziava il
suo cuore.
Il
suo passato sembrava un vecchio film, girato da pessimi attori
diretti da un regista visionario.
–
Va
bene. Dammi un po’ di tempo per rendermi presentabile. –
mormorò.
–
Stai
tranquillo. Io aspetto qui. – lo rassicurò Asuma.
Gai,
a passo rapido, quasi robotico, si avviò verso il bagno della
sua abitazione.
Un
po’ di tempo dopo, i due uomini si diressero verso il cimitero
di Konohagakure.
Di
tanto in tanto, Asuma lanciava sguardi sul compagno. Camminava a
testa alta, fissando con sfida i passanti, e il lungo mantello nero,
sfiorato dal vento, si sollevava, come la vela di una imbarcazione.
Il
suo corpo manteneva l’andatura rigida, quasi cerimoniale, di un
samurai.
Lo
sconforto invase la mente di Sarutobi. No, quello non era Gai Maito.
Sembrava
un’altra persona.
Un’energia
a stento controllata ribolliva nel suo corpo, come metallo
incandescente.
Ma
quanto sarebbe durato un simile atteggiamento?
Decine
di persone, vestite di nero, erano riunite attorno ad una bara
lignea, immersa in una nuvola di gigli bianchi e rose gialle e rosse.
Gai
si irrigidì. Aveva scelto lui quei fiori per onorare il suo
allievo.
Eppure,
in quel momento, dubitava della giustezza della sua scelta.
Certo,
la scelta dei fiori rimembrava l’autentica indole di Rock Lee,
ma gli sembravano offerte insensate.
Qualche
istante dopo, Neji e Tenten si avvicinarono ai due jonin.
–
Maestro
Gai… – singhiozzò la ragazzina.
Il
ninja, cauto, allungò la mano e le sfiorò il viso in
una gentile carezza.
–
Sono
belli i fiori che lei ha scelto. Esprimono a pieno la sua natura. –
intervenne Neji, atono. Rock Lee, con l’apertura delle Hachimon
Tonkou, era riuscito a scalfire le sue granitiche condizioni
sull’ineluttabilità del destino.
Lui
l’aveva creduto incapace e fallito, eppure era riuscito in una
simile prova.
Aveva
appreso una tecnica pericolosa, degna di un potente shinobi.
Ma
non era bastato contro la strabordante forza del jinchuuriki di
Sunagakure.
E
la sorte si era accanita contro di lui e l’aveva ucciso, quando
aveva cercato di recuperare quel sogno.
Scrutò
il viso del loro maestro e aggrottò le sopracciglia. Aveva
creduto che sarebbe crollato, straziato dalla disperazione.
Invece,
aveva assunto l’autocontrollo di un membro di una potente
casata.
E
non poteva fare a meno di ammirarlo.
Solo
i lineamenti squadrati raccontavano la sua vera origine.
–
Ehm,
Gai… – intervenne Asuma, imbarazzato.
Un
debole sorriso sollevò le labbra del maestro di taijutsu.
–
Asuma,
vai pure dal tuo team. Occupati di loro. A causa di questa vicenda,
saranno sconvolti. – mormorò il maestro di taijutsu,
pacato.
Il
soffio del vento, per alcuni istanti, si intensificò e Gai,
paziente, si avvolse il mantello attorno al corpo.
Il
ninja figlio di Hiruzen Sarutobi appoggiò la mano sulla sua
spalla destra.
–
Come
desideri. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. – gli
disse.
Sollevò
la mano in un gesto di saluto e si diresse verso la sua squadra.
Diverso
tempo dopo, il silenzio avvolse l’intero cimitero.
I
presenti fissarono i loro occhi sulla bara. Non riuscivano a
concepire la scomparsa di un giovane tanto vitale e coraggioso.
Poco
tempo prima, avevano dovuto seppellire il Sandaime Hokage, Hiruzen
Sarutobi.
Ma
la perdita di Rock Lee era assai più dolorosa, perché
avevano dovuto dare l’estremo saluto ad una speranza ormai
spenta.
Hiruzen
Sarutobi era perito tragicamente, ma aveva avuto la possibilità
di vivere una lunga vita e di combattere per la sua comunità.
A
Rock Lee questo non era stato concesso.
Con
un gesto leggero, Gai appoggiò le mani sulle spalle dei suoi
due allievi e fissò lo sguardo davanti a sé. Aveva
voglia di piangere, ma doveva frenare i suoi sentimenti.
Gli
pareva di sentire su di sé gli sguardi della loro comunità,
carichi di biasimo.
Bene,
non si sarebbe lasciato abbattere dalla disperazione.
Nessuno
doveva vedere la profondità della sua amarezza.
Neji
e Tenten, sentendo quel tocco, sussultarono e fissarono i loro
sguardi sul loro maestro.
Gai
sollevò le labbra in un debole e rassicurante sorriso. Avrebbe
lasciato ai suoi allievi un buon ricordo.
Non
dovevano essere disonorati a causa della sua sconsideratezza.
Avrete
un bel ricordo di me., pensò,
sfiorando le spalle dei due ragazzi in una tenera carezza.
Kurenai
e Kakashi lanciarono uno sguardo al loro compagno. Sì, ad un
occhio inesperto, la fierezza di Gai appariva sincera.
Ma
loro sapevano che non era così.
Avvertivano
sulla pelle quella sensazione di artefatto.
Ad
un tratto, ciascuno dei presenti cominciò a sfilare accanto
alla bara di Rock Lee e a posarvi mazzi di fiori.
Giunto
il suo turno, Gai, a passo rapido, si avviò verso il feretro,
stringendo tra le mani un fascio un fascio di rose gialle appena
sbocciate, scintillanti di gocce d’acqua.
Si
inginocchiò e, cauto, depose i fiori al centro del feretro.
Per
alcuni istanti, rimase immobile, come una statua, poi si alzò
e ritornò da Neji e Tenten.
Qualche
ora dopo, mucchi di terra coprirono la fossa, nella quale era stata
calata la bara.
Gai
fissò la buca che, a poco a poco, si riempiva, lo sguardo
stralunato. Gli sembrava di essere sempre più estraneo a se
stesso.
Era
Rock Lee il giovane sepolto in quella tomba?
Si
scosse dal suo stato di torpore. Sì, era lui.
Dormiva
sotto strati di morbida terra nera.
E
nulla l’avrebbe risvegliato.
Il
sole del tramonto imporporò il cielo di Konohagakure, che
sembrò tingersi di sangue.
Gai,
per alcuni istanti, rimase immobile, accosciato davanti alla tomba di
Rock Lee, la mano poggiata sul mento. Finalmente, si erano
allontanati.
Poteva
restare da solo, in compagnia dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.
Ricordi
che, presto, non ci saranno più., si
disse. Durante il funerale, il suo pensiero si era rafforzato.
Porre
termine alla sua vita sarebbe stato un atto di grande utilità
per il villaggio.
Pur
di compiacere il suo orgoglio, aveva distrutto la vita di un bambino
innocente, che si era nutrito delle sue parole.
E
questa era una colpa immeritevole di perdono.
Aveva
sentito su di sé il biasimo della sua gente.
I
loro sguardi vitrei chiedevano la sua punizione, pur non osando
esprimere tale desiderio.
E
li comprendeva.
La
sua comunità non aveva bisogno di un elemento come lui.
– Gai…
– mormorò una voce cauta.
Lo
shinobi si girò e vide, a poca distanza da lui, Kakashi,
accompagnato da Asuma e Kurenai.
– Perché
siete qui? Pensavo aveste anche voi degli allievi... – domandò,
meravigliato.
Asuma
scosse la testa, scoraggiato, mentre Kurenai sgranava un poco gli
occhi, stupita. Certo, la morte di Lee era stata dilaniante per lui,
ma si era tramutato in uno spettro.
Sembrava
consapevole, eppure, in alcuni momenti, i suoi occhi erano lontani,
persi in un pensiero solo a lui noto.
Kakashi
si passò una mano sulla fronte. Odiava quella finzione.
Gai
non consentiva loro di avvicinarsi.
Certo,
era trascorso troppo poco tempo dalla morte di Rock Lee e non poteva
aspettarsi nulla, ma quella fierezza artefatta lo innervosiva sempre
più.
Il
suo compagno di battaglia era diventato imperscrutabile.
Si
avvicinò all’amico e gli appoggiò una mano sulla
spalla. Tanti, troppi errori aveva compiuto.
A
causa sua, Obito si era sacrificato e Rin era morta, uccisa da lui in
un’insensata lotta contro Kirigakure.
Non
avrebbe permesso a Gai di impantanarsi nelle secche della
depressione.
Lo
avrebbe salvato.
–
Voglio
solo dirti che… se tu avessi bisogno di qualcosa, noi saremo
qui… Non esitare a chiedere. – rispose, il tono
apparentemente calmo.
–
Sì.
Non chiuderti nel dolore. Non cercare di affrontare da solo questa
prova.– intervenne Kurenai.
Gai
sollevò le labbra in un debole sorriso. Se non avesse avuto il
cuore pesante, avrebbe riso della situazione.
Era
encomiabile la premura di Asuma e Kurenai, ma ricordava bene il
rimprovero di Kakashi, quando gli aveva confessato di avere insegnato
le Hachimon Tonkou a Rock Lee.
E
aveva avuto ragione.
Proprio
Hatake si preoccupava per un individuo come lui?
No,
non meritava nulla.
–
Ragazzi,
vi ringrazio, ma non ho bisogno di nulla. Voglio tornare a casa e
dormire. Apprezzo molto l’interessamento, ma ho bisogno di pace
e tranquillità. – spiegò.
I
tre shinobi si guardarono in faccia, incerti. Erano preoccupati per
lui, ma non potevano non negare la giustezza delle sue affermazioni.
La
loro presenza, malgrado le buone intenzioni, poteva costituire un
ulteriore peso.
La
solitudine, anche se all’interno del villaggio, forse, gli
avrebbe dato requie.
Magari,
avrebbe pianto da solo le sue lacrime.
–
Come
desideri. Ma le nostre parole sono sempre valide. Se
hai bisogno, non esitare a chiamarci.–
asserì Asuma.
Con
brevi cenni della testa, gli altri annuirono.
–
Ne
prendo atto. – rispose Gai.
Poi,a
passo lento, stanco, pesante, si allontanò dal cimitero di
Konohagakure.
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Capitolo 3 *** Segnali ***
A
passo rapido, Gai correva verso il villaggio, accompagnato dai suoi
due allievi.
Il
suo mantello, ad ogni passo, si sollevava, sospinto dal vento.
I
due ragazzi, di tanto in tanto, lanciavano sguardi preoccupati al
loro maestro. Erano trascorse sei settimane dalla morte di Rock Lee e
la situazione non mutava.
Gai
Maito si era tramutato in una maschera impenetrabile di stoicismo e
fierezza.
E
loro temevano questa sua mutazione.
Era
lugubre e inquietante.
O
forse non erano abituati ad un tale aspetto della personalità
del loro insegnante?
Doveva
proprio finire così?,
pensò Neji. Molto spesso, aveva giudicato Gai Maito un
completo idiota, eppure gli dispiaceva vedere un tale stoicismo in un
simile, luttuoso contesto.
Avrebbe preferito
l’uomo esuberante di pochi mesi prima a quell’insondabile
statua, che non permetteva a nessuno di loro di avvicinarsi a lui.
–
Ragazzi,
io andrò a fare rapporto all’Hokage. Voi andate al campo
di addestramento. Dovete rafforzare ancora la vostra preparazione. –
mormorò, secco.
– Sì,
maestro. – risposero i due, all’unisono.
Fermatosi davanti
all’ingresso occidentale del villaggio, Gai mostrò i
suoi documenti ai ninja di guardia.
Questi, compresa la
situazione, aprirono le porte.
Giunti nel villaggio, i
due adolescenti e l’uomo si separarono.
Gai, a passo rapido, si
avviò verso il palazzo dell’Hokage, mentre Neji e Tenten
proseguirono verso il campo di addestramento.
Decine di persone, di
tanto in tanto, interrompevano le loro attività e gli
lanciavano lunghi sguardi.
Gai, in un gesto
orgoglioso, raddrizzò la schiena e ricambiò le loro
occhiate. No, non si sarebbe chinato davanti all’amarezza della
punizione.
Ormai, gli rimaneva
solo la dignità.
Devo
prendermi la responsabilità delle mie azioni., si
disse, lugubre. Aveva stretto un patto con Rock Lee ed era suo dovere
mantenerlo.
Si era impegnato a
porre termine alla sua esistenza.
Inoltre, aveva un
dovere verso Konohagakure.
La sua comunità
non meritava un uomo come lui, che aveva sacrificato un giovane
innocente sull’altare del suo egocentrismo, e doveva proteggere
Neji e Tenten da lui.
No, non meritava
nessuna gioia.
Si irrigidì e le
lacrime tremarono sulle sue ciglia nere. Suo padre, da tutti
dileggiato perché, ad una età relativamente avanzata,
era rimasto fermo al rango di genin, era un combattente meritevole.
Il suo cuore palpitava
di generosità e dedizione verso gli altri.
No, non avrebbe mai
commesso i suoi errori.
E lui, suo figlio, era
indegno di poterglisi paragonare.
Giunse al palazzo
dell’Hokage e, con passo rapido, entrò.
Proseguì verso
lo studio dell’Hokage e, giunto davanti alla porta, bussò.
– Avanti. –
ordinò la voce di Tsunade.
– Sono Gai Maito.
Vengo a farle rapporto per la missione nel villaggio di Komugi. –
spiegò.
– Entra pure. –
fu la risposta.
Gai inspirò, poi
aprì la porta ed entrò.
Percorse lo studio e si
fermò davanti al tavolo dell’Hokage, ingombro di carte.
Tsunade, seduta,
leggeva e firmava alcuni fogli, seguita dalla sua assistente,
Shizune.
Di tanto in tanto, i
grugniti di Tonton risuonavano nell’ambiente.
Gai girò la
testa e vide Kakashi, Asuma e Kurenai.
– Chiedo scusa,
Hokage. Se avete altre questioni in sospeso, posso anche
allontanarmi. – mormorò, pacato.
Tsunade sospirò.
Quella calma, a seguito di una tragedia tanto devastante, le sembrava
perfetta.
Troppo
perfetta.
Gai necessitava di un
sostegno, eppure si era chiuso in un silenzio assordante.
E nemmeno lei riusciva
a comprendere il senso di questo suo comportamento.
Temeva di mostrarsi
debole?
Eppure, nessuno lo
avrebbe contestato, se avesse mostrato i suoi autentici sentimenti.
Lei, quando aveva
perduto suo fratello minore e il suo amato Dan, si era abbandonata al
flusso dell’esistenza, senza dare alla stessa uno scopo.
E, per tanto, troppo
tempo, aveva continuato un’esistenza priva di direzione, dedita
a piaceri amari.
L’adrenalina
delle scommesse, pur forte, non riusciva a liberarla dal senso di
colpa per la morte di Nawaki e di Dan.
Oltre quella voluttà,
avvertiva il pungolo del senso di colpa.
Quale era il senso dei
suoi poteri? Perché aveva permesso alla morte di prendere le
due persone a lei più care?
Quelle domande, per più
di trent’anni, l’avevano tormentata.
Da poco tempo, aveva
trovato una direzione nella sua vita e aveva deciso di dedicarsi alla
protezione della sua comunità.
Perché lui si
comportava così?
– Questo lascia
che sia io a deciderlo. Piuttosto, come è andata la missione?
– domandò la donna.
Gai, con poche, precise
parole, le fece rapporto.
– Hokage, ha
bisogno ancora di me? – chiese l’uomo.
– No, puoi
andare. E riposati. – gli ordinò lei.
Il ninja accennò
un breve cenno di saluto col capo e uscì dalla stanza, la
schiena forzatamente diritta, richiudendo la porta con cautela.
– Se non lo
conoscessi, direi che sta reagendo bene. – mormorò
Kakashi, serio. Quella situazione era per lui dolorosa.
Voleva aiutare Gai, ma
non sapeva cosa fare.
E questa sua impotenza
lo riempiva di frustrazione e di angoscia.
Non poteva commettere
gli errori da lui compiuti con Obito e con Rin.
– Perfino un
cieco si accorgerebbe che sta recitando. – commentò
Asuma, sarcastico.
Kurenai fissò
sul compagno i suoi occhi carmini, lucidi di preoccupazione.
– Pensi che
potrebbe tentare un gesto estremo? – chiese.
I
due uomini, colti di sorpresa dalle parole della kunoichi, rimasero
immobili, gli occhi sbarrati. Non avevano mai pensato ad una simile,
orribile eventualità..
Per
loro, tale possibilità era dilaniante.
– Non è
una ipotesi da scartare. – intervenne Tsunade, seria.
Tutti e tre si girarono
verso l’Hokage.
Tsunade sospirò
e il suo sguardo si posò ora su Kakashi, ora su Asuma, ora su
Kurenai.
– Ho letto i
rapporti su di lui. E’ un uomo molto forte, lo riconosco. Ma
ogni persona ha un punto di rottura. E lui, probabilmente, lo ha
raggiunto con la morte di quel ragazzo. – mormorò.
– Signorina
Tsunade, è il caso di farlo seguire da una squadra di ANBU? –
si intromise Shizune.
La donna, alla domanda
della sua assistente, scosse la testa.
– No, Shizune. Se
la nostra ipotesi è vera, lui di sicuro starà attento
ad ogni nostra mossa. Non è stupido e, in questo momento, i
suoi sensi saranno acuiti. Sa che, in casi di azioni inconsulte da
parte sua, cercheremo di fermarlo. Se vuole suicidarsi, cercherà
un’occasione propizia. Possiamo solo essere discreti e sperare
che i nostri sospetti siano infondati. – mormorò, cupa.
– Non ci
sarebbero gli estremi per un ricovero in ospedale? – suggerì
Kakashi.
–
Per
cosa, Kakashi? Lui ancora non ha fatto nulla di lesivo a se stesso e
agli altri. Per quale motivo dovrebbe essere ricoverato? E’
triste, è vero, ma sono passate sei settimane dalla morte di
un allievo, che, per lui, era come un figlio. E’ un padre in
lutto ed è spiegabile il suo temperamento silenzioso. Non
possiamo pretendere da lui gioia di vivere. Non in questo momento.
–rispose la nipote di Hashirama Senju.
Kakashi, pur
sconfortato, annuì. Sì, l’Hokage aveva ragione.
Sei settimane erano
passate dalla morte di Rock Lee e il silenzio di Gai non poteva
essere considerato un segno nefasto.
Il suo amico, in quel
momento, provava gli stessi sentimenti di un genitore privato del suo
amato figlio.
E sei settimane erano
troppo poche per pretendere una ripresa totale.
– Signorina, cosa
si può fare per lui? – intervenne Shizune.
La Quinta Hokage, per
alcuni istanti, rifletté.
– Per ora
possiamo fare davvero ben poco. Tuttavia, se riuscite a sapere cosa
si sono detti prima dell’intervento, riferitemelo. Potrebbe
essermi utile. Ma, come vi ho detto, siate discreti. – ordinò
lei.
I tre jonin, con brevi
cenni del capo, annuirono e compresero. Sì, l’idea
dell’Hokage aveva senso.
Gai, probabilmente,
sentiva su di sé il peso della responsabilità per la
morte del suo allievo.
Non aveva senso una
tale angoscia, ma, data la sua indole intransigente, non erano
meravigliati.
Amava Rock Lee d'un
affetto paterno, viscerale.
In quei giorni fatali
non lo aveva lasciato mai solo, incurante del suo dolore e della sua
stanchezza.
Non aveva mai voluto la
presenza di qualcuno, quando era con Rock Lee.
Perché? Cosa
voleva dirgli?
Anzi, cosa gli aveva
detto?
– Potete andare.
E state attenti. – si raccomandò Tsunade.
I tre ninja annuirono e
si allontanarono.
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Capitolo 4 *** Suicidio ***
Gai
si svegliò.
Per
alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo fisso sul soffitto.
Finalmente, il giorno da lui tanto atteso era giunto.
Quella
sarebbe stata la sua ultima giornata di vita sulla terra.
Avrebbe
presto riveduto Rock Lee.
–
Non
devo illudermi. – si disse. A lui non sarebbe stato concesso un
simile privilegio.
Aveva
giocato con la vita di un giovane innocente e le sue mani erano rosse
di sangue.
L’inferno
lo avrebbe atteso.
–
Papà…
Non sono degno di vedere te… Ma tu sei degno di Rock Lee. Lui
doveva essere tuo figlio, non io. – ringhiò, irritato
con se stesso. Avvertiva il peso crudele dell’indegnità.
Suo
padre si era sacrificato per un individuo indegno e questo costituiva
un ulteriore fardello per il suo animo dilaniato.
Forse,
lui e Rock Lee, nel regno dei morti, si erano conosciuti e piaciuti.
Ma
a lui tale privilegio non era concesso.
Odiava
sempre più se stesso.
Il
disgusto saliva dal suo stomaco e gli riempiva la bocca d’un
orrendo sapore metallico.
Ma
non era il momento di arrendersi.
La
sua granitica volontà non poteva abbandonarlo nell’estremo
atto.
Presto,
non avrebbe avvertito quel dilaniante senso di amarezza e di vuoto.
Ma
nulla doveva essere lasciato al caso.
Un
secondo in più o in meno non avrebbe costituito alcuna
differenza.
La
quiete, da tempo ambita, era ormai vicina.
Fissò
il suo riflesso nello specchio.
Un
kimono nero, stretto in vita da un obi del medesimo colore, copriva
la sua alta figura e ai piedi calzava sandali bianchi.
I
capelli neri, dai riflessi bluastri, scendevano sul collo in una
lunga treccia, che si fermava a metà della sua schiena.
Appeso
all’obi, era presente un pugnale dalla lama serpentina, l’elsa
coperta di corno di cervo, d’un caldo colore marrone e un sacco
di cuoio.
–
Bene.
– mormorò. Quantomeno, sarebbe andato incontro alla
morte con dignità.
Nessuna
scena plateale avrebbe accompagnato il suo addio alla vita.
Non
sarebbe fuggito, ma l’avrebbe guardata negli occhi.
Rifletté.
Per fortuna, Asuma, Kakashi e Kurenai erano impegnati in altre
operazioni, necessarie al funzionamento del villaggio.
E
questo poteva valere per la squadra ANBU di Konohagakure.
La
solitudine sarebbe stata la sua compagna.
–
Meglio
così. – mormorò. Le incombenze relative alla
conduzione di un villaggio consentivano a lui di avere una notevole
libertà di manovra.
L’Hokage
aveva creduto di dargli il tempo di riprendersi e, per questo, gli
aveva concesso un lungo periodo di riposo, lontano dalle missioni.
Si
avvicinò ad un armadietto dei medicinali, lo aprì e
prese un tubetto di pillole.
Lo
aprì, ne prese una e la inghiottì.
Un
violento flusso di energia, ad un tratto, inondò il suo corpo,
come l’acqua esonda in una valle.
Un
breve sospiro voluttuoso sgorgò dalle sue labbra. Grazie a
quel tonico, poteva giungere in breve tempo alla Valle della Fine.
Il
suo corpo avrebbe sopportato ritmi insostenibili per altri shinobi.
Per
alcuni istanti, il suo sguardo spaziò sul soggiorno, posandosi
sui mobili, lucidi di cera, in un silenzioso atto di congedo. In
quelle mura era racchiusa, come in un sepolcro, la sua esistenza di
combattente.
Niente
era stato lasciato al gioco della casualità.
–
Addio.
– sussurrò.
Poi,
chiuse la porta dietro di sé e si allontanò.
A
passo calmo, si avviò verso l’ingresso orientale del
villaggio.
–
Dove
stai andando Maito? – domandò una delle guardie.
Sentendosi
chiamare, il ninja si girò e fissò il suo sguardo sui
due shinobi.
–
Eleverò
una preghiera all’anima di Rock Lee. E, per fare questo, ho
bisogno di isolamento. – rispose il jonin, pacato.
Le
due guardie, sorprese da quel tono, si scambiarono sguardi colmi di
indecisione.
Gai,
paziente, aprì il sacco ed estrasse alcuni bastoncini di
incenso.
–
Comprendiamo.
E scusaci per averti fermato. – mormorarono i due, dispiaciuti.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra del guerriero.
–
Non
importa. Avete compiuto il vostro dovere. – li rassicurò,
gentile.
I
due ninja, sorpresi da quel tono, fissarono i loro sguardi sull’uomo.
Certo, avevano veduto il doloroso funerale di Rock Lee, ma la visione
dell’amarezza scolpita sul viso di Gai Maito colpiva le loro
menti.
Il
ninja esuberante ed eccentrico da loro conosciuto era svanito.
–
Se
però l’Hokage ha bisogno di lei, cosa farà? –
chiese un ninja.
–
Manderò
Ninkame dall’Hokage. Sarà lei a rivelare la mia
posizione. – spiegò ancora.
Per
alcuni istanti, i due ninja tacquero e si consultarono.
–
Puoi
andare. – gli disse una delle guardie.
–
Vi
ringrazio. Buon lavoro. – rispose il ninja.
Con
un breve cenno della mano, li salutò e si allontanò.
Poi,
come un ghepardo, corse.
Il
vento, leggero, sfiorava i suoi capelli, mentre il sole toccava il
suo corpo, già velato d’un leggero sudore.
Gli
occhi gli si velarono di lacrime e il paesaggio, prima netto,
cominciò a sfumare davanti ai suoi occhi. Ogni passo
contribuiva ad avvicinarlo al compimento della sua promessa.
Konohagakure,
presto, sarebbe stata libera dalla sua presenza infestante.
Il
suo cuore, in quel momento, martellava le sue costole, quasi volesse
fuggire.
–
Non
devo arrendermi. Sono vicino alla meta. – si disse.
Diverso
tempo dopo, il rombo di una cascata interruppe il corso dei suoi
pensieri.
Gai
alzò la testa e vide la cascata precipitare in una vasta conca
naturale, in un nembo di gocciole scintillanti.
Un
lungo, doppio arcobaleno, simile ad una corda policroma, legava le
statue di Madara e Hashirama.
Per
alcuni istanti, il jonin fissò il paesaggio, gli occhi lucidi
di commozione. Da tanti, troppi giorni non provava un simile senso di
libertà.
I
suoi occhi, in quel momento, riuscivano a percepire la bellezza del
paesaggio e la purezza dei colori.
Era
una sensazione magnifica.
Inspirò,
poi espirò. Con suo stupore, avvertiva i suoi polmoni liberi
da quel senso di oppressione.
Quel
senso di crudele agonia si era concluso.
Finalmente,
aveva conquistato la serenità.
–
E’
giunta l’ora, allievo mio. – mormorò, ad un
tratto.
Appoggiò
il sacco coi bastoncini di incenso a pochi metri di distanza. Era
giunto il momento di deporre la maschera.
Le
statue dei progenitori ancestrali di Konohagakure avrebbero assistito
al compimento della sua promessa di sangue.
Con
la vita, avrebbe onorato la parola data al suo amato allievo.
–
E’
un bel posto per morire. – mormorò. In quel paesaggio si
fondevano in armonia natura e storia.
Sarebbe
stato un ottimo fondale per la sua uscita di scena.
Il
lungo lamento di un falco, per alcuni istanti, sovrastò il
richiamo della cascata.
Gai
sorrise, quieto. Tutto, in quel momento, era compiuto.
Non
avvertiva più quel dilaniante senso di angoscia.
Si
inginocchiò e sciolse l’obi del suo kimono, scoprendo il
petto muscoloso e le braccia tornite. Gli pareva di sentire gli
sguardi dei suoi antenati…
Prese
il kriss e, per alcuni istanti, fissò lo sguardo nel freddo
chiarore serpentino della lama.
La
lama gli restituì il riflesso del suo viso scavato, su cui
nereggiavano gli occhi, dal taglio allungato, simili a quelli di una
tigre prossima alla morte.
–
Rock
Le, allievo mio… Scusami per il ritardo. Sto venendo da te. –
mormorò.
E,
avida, la lama bevve il suo suo sangue.
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Capitolo 5 *** Corsa contro il tempo (parte 1) ***
La
lama, rapida, dilaniò la carne.
Il
sangue, d’impeto, esondò, bagnando il kimono nero del
ninja.
Gai
svelse il kriss.
Poi,
provato dalla perdita di sangue, si abbandonò sul terreno
pietroso.
Strinse
la mano attorno all’elsa dell’arma. Aveva provato un
dolore atroce, ma non gli importava.
Presto,
la sua coscienza si sarebbe spenta.
Anzi,
la sofferenza fisica, in quel momento, inondava il suo animo di
piacere.
Chiuse
gli occhi, estenuato, e un debole sorriso sollevò le sue
labbra, umide di sangue.
– Lee…
Figlio mio, ho mantenuto la promessa… – sussurrò
e le lacrime strisciarono sulle sue guance, simili a fili d’argento.
Vedeva l’immagine di Rock Lee, raggiante di gioia…
Era
giunto a prenderlo.
Ne
era sicuro, se avesse potuto alzare il braccio, avrebbe potuto
sentire il calore della sua pelle…
Una
dolente serenità invase il suo animo. Gli era stato concesso
questo dono, nonostante le sue colpe infamanti.
Rock
Lee era lì, per lui, e il suo volto era illuminato da un
gentile sorriso.
Il
suo allievo lo avrebbe aiutato a oltrepassare la linea d’ombra
tra vita e morte.
Niente
avrebbe più potuto separare le loro anime.
– Ancora
poco tempo… – mormorò.
E
la tenebra stese il suo oscuro velario sul suo sguardo.
– No!
–
Con
un frullare d’ali, si sollevò uno stormo di piccioni.
Asuma
e Kurenai, sgomenti, si bloccarono.
Come
incantati, fissarono l’alta figura di Gai abbandonarsi sul
suolo pietroso.
Non
avevano fatto in tempo.
Non
erano riusciti a impedire il suo gesto di disperazione.
Si
erano lasciati traviare dal suo apparente stoicismo.
– Andiamo!
– gridò Asuma, scuotendosi dal suo stato di sconcerto.
Non erano riusciti a fermarlo, ma potevano strapparlo alla morte.
E
non potevano perdere tempo.
Dovevano
salvarlo!
L’uomo
aumentò il passo e la compagna lo seguì.
Rapidi,
percorsero i pochi metri che li separavano da Gai..
Asuma,
sollecito, si inginocchiò, gli appoggiò le mani sulle
spalle e lo girò sulla schiena.
Il
corpo di Gai, a quel cambiamento, sussultò e un fremito di
dolore attraversò il suo viso, come una scossa elettrica.
I
due combattenti, vedendo la lesione sull’addome del maestro di
taijutsu, impallidirono.
– Questa
non è una ferita normale… – balbettò
l’erede di Sarutobi, sgomento. Il ventre del loro compagno era
dilaniato da una lesione dai bordi irregolari e da questa sgorgava
sangue, che si allargava sempre più sulla pietra in una
macchia vermiglia.
Sul
suo viso si distendeva un pallore sinistro, spettrale, mentre il suo
petto era sollevato da respiri sempre più flebili, simili a
lunghi sibili.
Ce
la faremo?, si chiese l’erede
del clan Sarutobi, scoraggiato. Temeva di non essere capace di
limitare i danni causati dall’atto di Gai.
Lo
sguardo di Kurenai, ad un tratto, fu attirato dal bagliore del kriss.
La
donna, sorpresa, prese l’arma e la mostrò al compagno.
Asuma,
vedendo l’arma, a stento trattenne una colorita imprecazione e
strinse il pugno.
– Portala
all’Hokage. Io cercherò di contenere la perdita di
sangue. Presto, non c’è tempo da perdere! – gridò
l’uomo, il tono angosciato.
La
donna annuì, si girò e si allontanò correndo.
Asuma,
deciso, si tolse la giacca, la appallottolò e la collocò
sotto la testa di Gai.
Poi
si tolse la maglietta, ne strappò una parte e la poggiò
sulla ferita del compagno.
Una
morsa di amarezza strinse il cuore dell’erede di Hiruzen
Sarutobi. Non avevano compreso l’autentica natura di Gai.
Il
suo cuore era stato catturato dalla tenebra della disperazione.
Una
smorfia di rabbia, per alcuni istanti, deformò il suo viso,
rendendolo simile a quello di una fiera, prossima all’attacco.
Perché aveva cercato di ingannarli?
Desiderava
vedere la sofferenza sui loro volti e nei loro cuori?
Gai
si era tramutato in un vile sadico, capace di offendere il suo stesso
corpo pur di annientare le persone attorno a lui?
Se
Tsunade Senju non li avesse messi in guardia, Gai avrebbe portato a
compimento il suo orribile proposito.
E
sarebbe morto solo, lontano dai suoi amici.
Anzi,
per poco, non riusciva a concludere il suo disegno di morte.
La
rabbia, ad un tratto, si spense, come una fiamma priva di ossigeno, e
alcune lacrime gocciarono sulle guance di Asuma, perdendosi sulla sua
barba. Gai non poteva avere agito con cosciente egoismo…
Il
suo isolamento non poteva essere solo una maschera per coprire le sue
intenzioni.
Non
voleva fare preoccupare nessuno, ma il suo cuore era ottenebrato dal
dolore lacerante di una perdita atroce.
E,
per questo, non riusciva a vedere la realtà da punti di vista
differenti.
Credeva
di avere perduto ogni ragione di esistenza con la scomparsa tragica
di Rock Lee.
E
non era riuscito a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni.
Sì,
doveva essere quella l’origine delle sue decisioni.
Kurenai
accelerò il passo, divorando metri.
I
muscoli si tendevano nello spasimo dello sforzo, come corde prossime
a rompersi, il cuore martellava le sue costole e i polmoni si
espandevano a ritmo sempre più sostenuto.
Non
posso. Non posso rallentare., si
ripeteva la donna. La sua mente era tormentata dall’immagine di
Gai disteso sulla pietra, il ventre dilaniato da una pugnalata.
Strinse
gli occhi, trattenendo a stento lacrime di rabbia. Come avevano
potuto essere tanto ciechi?
Se
Tsunade non avesse instillato in loro il dubbio, Gai sarebbe morto,
sotto gli occhi indifferenti delle statue degli antichi progenitori.
Lo
avevano condannato ad una solitudine opprimente.
E’
colpa nostra se è ridotto così., pensò
tra sé. Come tutti loro, Gai aveva affrontato e superato molte
dure prove, serbando la sua limpidità di spirito.
Aveva
perduto prima sua madre, poi il suo amato padre, Dai Maito, ma era
riuscito a proseguire il suo cammino, con l'indomito spirito di una
tigre.
Ma
loro, stupidi, lo avevano ritenuto incrollabile e non si erano
accorti del progressivo deterioramento del suo stato.
Avrebbero
dovuto dargli un sostegno più concreto e non lasciarsi
fuorviare dalla sua calma artefatta.
Allontanò
le lacrime e accelerò il passo. Il Fato di Gai Maito sembrava
segnato.
Ma
loro non gli avrebbero permesso di morire così.
Lo
avrebbero aiutato a riemergere da quella tenebra.
Si
guardò intorno, sorpreso.
Una
tenebra densa, simile a melassa, si stendeva davanti al suo sguardo.
Che
cosa era successo?
Gli
era parso di avere veduto il viso di Rock Lee.
Poi,
però, era svanito.
Cosa
era accaduto?
Inoltre,
aveva sentito delle voci concitate a poca distanza da lui.
Poi,
due mani ferme e forti si erano posate sul suo ventre.
Mukenin?
Ninja di Konohagakure?
Combattenti
di altri villaggi?
Chi
poteva essersi accorto della sua scelta?
Quali
motivi portavano a tali decisioni?
Una
morsa d’angoscia strinse il suo cuore. No, non poteva avere
condannato la sua terra.
Non
di nuovo...
Con
fatica, Gai sollevò le palpebre. Aveva bisogno di capire chi
fosse accanto a lui…
Doveva
sapere.
Aveva
bisogno di placare il suo bisogno, prima di oltrepassare la linea
d’ombra.
Per
alcuni, eterni istanti un velo grigio, simile a nebbia, coprì
i suoi occhi.
Che
io abbia sbagliato di nuovo?, si
domandò, in un impeto di frustrazione. Col suo suicidio,
intendeva mantenere la promessa fatta a Rock Lee e liberare
Konohagakure dalla sua esistenza …
Nessuno
doveva più patire le conseguenze delle sue azioni scriteriate.
Qualche
istante dopo, la nebbia si diradò e Gai sbatté le
palpebre con più forza.
– Asuma?
–
|
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Capitolo 6 *** Corsa contro il tempo (parte 2) ***
– A…
Asuma? –
Lo
sgomento strinse il cuore di Gai. Dunque, il suo piano non era stato
perfetto.
Era
stato seguito.
L’erede
del clan Sarutobi, a stento, frenò un ringhio di frustrazione.
–
Sì,
sono io. E sono giunto in tempo per salvarti la vita. –
mormorò, atono.
A
quelle parole, un breve ruggito d'irritazione risuonò sulla
bocca di Gai.
–
Questo
non ti riguarda. Non te l’ho certo chiesto io. – replicò
il maestro di taijutsu, la voce flebile e vibrante d’amarezza.
Asuma
non rispose, ma aumentò la pressione sulla benda di Gai. No,
doveva agire con razionalità.
La
rabbia, in quel momento, non era una valida consigliera.
E
non lo avrebbe aiutato a salvare Gai.
Devo
sapere la ragione di questo gesto. E, forse, lo aiuterà a non
perdere coscienza., si disse.
Capire l'origine di una tale, drammatica scelta avrebbe attenuato la
sua angoscia.
E
la sua razionalità ne avrebbe tratto giovamento.
–
Perché?
– domandò.
Il
maestro di taijutsu, perplesso, alzò un sopracciglio.
–
No…
Non ti capisco… – balbettò.
–
Voglio
sapere perché. Che cosa ti ha spinto a prendere questa
decisione? – domandò l’altro ninja.
Gai,
per alcuni istanti, esitò. Avrebbe dovuto rivelare l’origine
della sua risoluzione?
O
avrebbe dovuto portare con sé il segreto della sua
terrificante scelta?
Rifletté
ancora, poi si convinse. Forse, la rivelazione di un simile segreto
avrebbe permesso al suo compagno di comprendere le sue ragioni.
E,
allora, si sarebbe spento in pace e non avrebbe lasciato alcun senso
di colpa nelle persone da lui amate.
–
D’accordo.
–
Kurenai,
rapida, proseguiva il suo cammino verso il villaggio.
I
suoi piedi, sicuri, si appoggiavano sul terreno, poi si lanciavano in
ampi balzi, simili a quelli di un ghepardo durante la caccia.
Devo
arrivare a Konoha., pensò
la giovane kunoichi. L’immagine di Gai, disteso su quel suolo
pietroso, dilaniato da quella pugnalata, si stagliava davanti ai suoi
occhi, viva, dolorosa, crudele.
E
le stringeva l'anima in una morsa di dolore.
Come
avevano potuto lasciare il loro compagno in quella forte tempesta?
–
Ci
sono diversi motivi che mi hanno spinto a questa decisione… –
cominciò Gai.
Con
un cenno del capo, Asuma annuì.
– Io…
Io sono un fallito… Ho permesso che un giovane innocente
morisse, solo per compiacere il mio orgoglio... Avrei dovuto fermare
Gaara prima... – mormorò.
Deboli
singhiozzi sollevarono il suo petto e fremiti di dolore, a stento
frenato, attraversarono il suo viso.
Il
volto di Asuma si piegò in una maschera imperscrutabile. La
rabbia, prima dirompente, in quel momento si era attenuata.
Quasi
poteva toccare il rimorso sedimentato nel cuore di Gai.
– Non
affaticarti. Non c'è fretta. – lo rassicurò, il
tono di voce apparentemente calmo. In realtà, desiderava che
la sua compagna tornasse presto, assieme ai soccorsi.
Temeva
un esito infausto.
Tuttavia,
non poteva mostrare la sua ansietà.
Gai,
però, in quel momento, aveva bisogno spasmodico di una
presenza stabile.
A
quelle parole, un malinconico sorriso sollevò le labbra di
Gai.
– Rock
Lee, in me, ha veduto un esempio... Io... Io gli ho detto che lui
poteva diventare un ninja formidabile, perché si impegnava,
anche se era privo di potenti abilità innate… In lui
ardeva la fiamma della volontà… Lui aveva gli occhi e
lo sguardo della tigre... *– continuò.
Di
nuovo, i suoi occhi neri si velarono di lacrime e l'uomo strinse i
pugni. Da tanto, troppo tempo non era degno di piangere.
Le
sue lacrime erano torbide e non dovevano insudiciare lo spirito di
Rock Lee.
Il
figlio di Hiruzen Sarutobi strinse le labbra. Quelle parole vibravano
d'un forte senso di colpa.
Poteva
quasi sentire l'amarezza di quelle frasi dilaniare la sua anima.
Si
morse le labbra e una goccia di sudore scivolò sulla sua
fronte. Avvertiva lo spasmodico bisogno della nicotina...
Solo
quell'aroma penetrante gli avrebbe permesso di placare quel turbinoso
senso di angoscia.
Ma
non poteva permettersi un simile cedimento.
Un
fugace lampo, per alcuni istanti, illuminò gli occhi di Gai.
– Io...
Io ho insegnato a Rock Lee il kinjutsu delle Hachimon Tonkou... Io
gli ho insegnato ad andare oltre i limiti, che la natura, nella sua
infinita saggezza, ha posto alle membra di ciascuno di noi... Aveva
ragione Kakashi a definirmi incosciente... –
Bel
lavoro, Kakashi!, imprecò
tra sé Sarutobi. Gai, malgrado le sue parole roboanti e i suoi
proclami di rivalità, teneva molto all'opinione del figlio di
Sakumo Hatake e lo considerava un valido amico, quasi un fratello.
E
lui, Kakashi, aveva mostrato una notevole ottusità.
Lo
aveva rimproverato per un atto sì discutibile, ma
comprensibile.
Gai
vedeva in Rock Lee un fulgido esempio di impegno e aveva voluto
premiarlo, insegnandogli una tecnica potente e pericolosa.
E
non c'era nulla di sbagliato in un simile atteggiamento.
Anzi,
era giusto premiare la determinazione in un allievo.
Non
meritava di essere rimproverato e biasimato per questo.
Quelle
parole avevano esacerbato una situazione di angoscia sotterranea,
che, in quel momento, era deflagrata.
Diverso
tempo dopo, giunse davanti alle porte occidentali del villaggio.
– Kurenai,
che cosa succede? Sei molto agitata. – domandò uno dei
ninja guardiani.
– Devo
parlare con l'Hokage. E' una questione urgente. – spiegò
lei, secca.
Vedendo
l'agitazione del suo volto, i guardiani annuirono e aprirono le
porte.
La
donna salutò i due ninja con un breve cenno della mano destra
e si inoltrò nel villaggio.
Mi
sembra così lontano..., pensava,
il cuore stretto in una morsa di frustrazione. Quanto tempo era
trascorso?
Le
parevano ore eterne.
E
Gai, con quell'imponente emorragia, ad ogni secondo trascorso,
rischiava la morte.
– Non
è solo questo il motivo che mi ha spinto a questa scelta... –
proseguì Gai.
La
sua voce tremò, come una candela colpita da un refolo di
vento, e sulle sue ciglia si impigliarono le lacrime. Di nuovo,
avvertiva la brama di pianto, ma non doveva cedere a quel desiderio.
La
sua sofferenza, per quanto straziante, era indegna.
Le
sue lacrime esprimevano un rimorso tardivo, che non gli avrebbe
ridato Rock Lee.
L'altro
ninja tacque e aumentò ancora di più la pressione della
stoffa sulla ferita di Gai.
– Io...
Io ho promesso a Rock Lee che... che se fosse morto lo avrei
seguito... Perché... Perché io e lui eravamo simili e
non potevamo vivere senza il nostro credo... Tu, come tutti, sai che
la mia parola è scolpita nella pietra... Potrò anche
essere stato un buffone, ma non vengo mai meno ai miei giuramenti...
Mai. – dichiarò, serio, deciso, risoluto.
Anche
troppo..., si disse Asuma,
mantenendo a stento la sua espressione calma. L'onestà del suo
compagno era adamantina.
Nonostante
la sua indole chiassosa ed esuberante, Gai era affidabile e sincero.
E,
per questo, era divenuto un degno ninja.
Ma
il dolore gli impediva di vedere la realtà.
Certo,
aveva dato la sua parola a Rock Lee, ma una promessa fatta sull'onda
della disperazione non era valida.
Inoltre,
si era dimenticato degli altri suoi due allievi, dei suoi compagni e
della sua patria.
Eppure,
lui si riteneva moralmente obbligato a mantenere la parola, anche se
era sgorgata in un momento di poca o nulla lucidità.
E
la domanda tornava sempre alla sua mente.
Perché
non avevano veduto oltre l’apparenza?
Kurenai
si avviò verso il Palazzo dell'Hokage.
Salì
le scale, percorse il corridoio e, d'impeto, entrò nello
studio dell'Hokage.
L'Hokage,
seduta alla scrivania, leggeva e firmava alcuni documenti, aiutata da
Shizune.
Vedendo
Kurenai, la nipote di Hashirama Senju alzò la testa.
– Che
cosa succede? – chiese.
La
ninja esperta di illusioni piegò le gambe e, con un gesto
deciso, allontanò il sudore dalla fronte.
– Aveva
ragione lei... Gai ha tentato il suicidio... E' alla Valle della
Fine... Asuma è con lui... – mormorò, la voce
scossa dall'affanno.
Shizune
sbarrò gli occhi, sorpresa, mentre Tsunade scaricò un
pugno sulla scrivania.
Questa
si crepò , poi si divise in due parti, che si separarono e si
schiantarono con un tonfo sul pavimento, mentre i fogli volteggiarono
nell'aria.
– Shizune,
fai preparare subito la sala operatoria dell'ospedale. Portami quanto
serve. E chiamami Shiranui e Uzaki. – ordinò, il tono
deciso.
– Agli
ordini, signorina! – affermò la donna, decisa.
Poi,
a passo rapido, uscì dallo studio.
*
ovviamente la citazione a Rocky non manca. Gai mi ricorda molto
Balboa nella sua filosofia.
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