How long?

di amirarcieri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How long? (Part 1) ***
Capitolo 2: *** How long? (part 2). ***



Capitolo 1
*** How long? (Part 1) ***


 

[Attenzione questa One Shot è una parentesi speciale della mia FF in corso su Slam Dunk "Change my rules", ma potete leggerla comunque, così magari chissà vi stuzzica la voglia di cominciarla.
Buona lettura quindi.]

 

How Long?


 

 


 

Il pomeriggio atteso con tanta impazienza da Saeko era finalmente giunto.
Finalmente avrebbe potuto ritirare la serie di foto scattate in quei pochi mesi – incredibile ma vero - e comprare un nuovo rullino nel quale intrappolare dei nuovi ricordi che sarebbero rimasti immutati nello scorrere del tempo.
«Nami, smettila di seguirmi. Te l’ho già detto. Non sto andando a ritirare le foto, ma in libreria» si lamentò questa con l’amica per stargli praticamente appiccicata alla schiena.
Saeko aveva infatti programmato di andarle a ritirare in segreto per due motivi basilari: il primo doveva disfarsi della foto superflua barra scomoda, “accidentalmente” scattata da Nami a lei e Sendoh.
“Accidentalmente, un corno” pensò Saeko ancora risentita della cosa.
E il secondo motivo, per occultare la voluminosa raccolta di foto scattate al suo Senpai, prove inchiodanti della sua farraginosa cotta per lui.
“La metà di quelle deve sparire immediatamente, altrimenti la mia vita sarà rovinata per sempre”. Pensò morta di imbarazzo al solo vedersi mettere a nudo il suo sentimento per il Senpai.
«Ma io non ti sto seguendo stiamo facendo la stessa strada. E poi ti sei scordata che stasera tua madre mi ha invitata a cena?» replicò lei rivotandogli contro il suo alibi di ferro. Alla madre piaceva da matti Nami, diceva che la metteva di un contaminante buonumore come un campanellino al collo di un gatto, per questo la invitava una volta a settimana a casa sua.
E non che a lei non piacesse passare del tempo con la vispa ragazza, era solo che in quel momento, aveva bisogno dei suoi spazi.
«Questo lo so, ma il dover mangiare a casa mia stasera non implica che tu devi stare con me tutto il giorno»
«Non avevo niente da fare» si discolpò genuina. Quella sua candida affermazione riuscì a farla sentire in colpa.
A maggior ragione perché a Saeko era da poco spuntata un’abnorme coda di paglia – figurativa - sul di dietro.
«D’accordo, vieni» permise in conclusione, tirando fuori un sospiro di rinuncia.
«E dopo la libreria passiamo a ritirare le foto» sottolineò poi con voce scostante. Era più forte di lei. Proprio non ce la faceva a fare l’infame bugiarda. E poi avrebbe potuto disfarsi di quella foto “compromettente” e le foto “incriminanti” del Senpai in un modo più nascostamente ferrato.
«Evviva» Nami fece il gesto gioioso della vittoria, per quindi aggiungere.
«Tanto lo sapevo che nonostante la deviazione in libreria, i tuoi piani originali non erano affatto cambiati» la ricciolina decise di fingere che il suo udito fosse stato disturbato da un’interferenza urbana e proseguì verso il viale.
Si trovavano in uno dei quartieri più famigerati di Chiyoda: Jinbocho.
Quando due anni fa, aveva saputo dell’ubicazione di quel posto, si era detta che era un regalo troppo astronomico della vita per poter essere considerato vero.
Così, volendone tastare la credibilità, aveva chiesto alla gemella di accompagnarla durante un pomeriggio privo di impegni e rendersi conto una volta per tutte della sua reale esistenza.
E beh, una volta poggiati i suoi piedini in quel luogo surreale, aveva come avuto la sensazione di essersi addormentata profondamente dentro un mondo eternamente incantato: quello dei suoi sogni.
In quel quartiere si respirava l’odore e il senso ancestrale dei libri. Se Saeko avesse potuto, avrebbe affittato barra comprato una casa nei suoi pressi.
“Forse chissà, quando sarò indipendente con una carriera avviata, lo farò davvero”. Pensò in grande.
Le iridi cioccolata luccicanti che si deliziavano di quei rari oggetti fatti di carta e parole di cui ne andava ghiotta la mente.
Un sorriso si disegnò sulle sue labbra nell'immaginare il suo iniziale aspetto.
La storia che riguardava quel luogo era incantevole tanto quanto quello che stava ammirando con occhi estasiati: l’origine veniva datata al diciottesimo secolo dove vennero fondate le prime librerie, ma a causa dell’orripilante grande incendio, venne compianta più della metà di quel prezioso patrimonio culturale.
La storia però, nell'ovvio, non finiva certo qui perché una delle librerie trovò il modo di risorgere dalle sue ceneri, diventando in seguito una casa editrice patriarca di tutte le librerie attualmente attive.
All'oggi il quartiere contava la bellezza di ottanta librerie, ma non solo, perché erano presenti anche altri negozi, bar a basso costo e università ed editorie di prestigio.
A Jinbocho nessuna storia antica veniva dimenticata, né libro di poco credito abbandonato.
Se non sapevi dove cercare una qualsiasi opera letteraria introvabile o inimmaginabile, avevi la certezza di poterla trovare lì.
Jinbocho era infatti diventato di voga tra scrittori e appassionati di letteratura, ad un punto tale di divenire il loro ufficiale luogo di ritrovo.
Saeko amava così follemente quel posto che se ci arrivava rigorosamente alle cinque, era di ritorno a casa verso le otto.
Però stavolta, aveva un altro posto dove passare, quindi si sarebbe concessa di gironzolarci per un’ora e mezza.
Per il tempo in cui rimasero, le due amiche se la spassarono interamente.
Nami andava in cerca di romanzi da proporre all'amica cercando di adeguarsi ai suoi gusti personali, per tanto che quando Saeko lo aggiungeva alla sua mini torre di carta, festeggiava con il pugno sollevato manco se avesse fatto un’impossibile canestro da tre punti.
Alla fine, Saeko acquistò quattro classici nella loro vecchia edizione e un nuovo romanzo che cominciò a divorare appena salite sulla metro.
Quando giunsero alla fermata in cui si trovava il negozio di fotografia dove avrebbe ritirato le foto, le due amiche fecero il loro tipizzato ingresso.
Il negozio non era enorme, bensì ristretto e trascurato. Però non mancava di nessun materiale fotografico o sussidio professionale.
A destra dell’entrata, su una scrivania, perciò davanti una sedia a rotelle, si trovava un macintosh classic acceso nella sua schermata home.
Ai lati di entrambe le pareti laterali erano esposti gli esempi di stampa grafica personalizzati, quali magliette, calendari, cuscini, cappelli.
Al centro un bancone bianco con vetrina sfoggiava una cassa datata di anni, ma ancora perfettamente funzionante, dietro viceversa, la teca straripava di ogni arnese fotografico – macchine fotografiche, polarodi, obbiettivi, rullini - che avrebbe fatto gola a qualunque fotografo alle prime armi e non.
Per finire, subito dopo alla sua metà, uno stanzino sbarrato da una tenda nera ti portava nella camera usata per scattare le foto tessere e quella obscura.
Ritrovandosi in quel luogo piccolo, ma fornito, fece pensare a Saeko che se avesse avuto la passione della fotografia più spiccata di quella della scrittura, non gli sarebbe dispiaciuto fare un mini stage in quel posto.
«Prego?» domandò il proprietario. Un uomo delle mezza età stempiato, scarno di costituzione quanto allappato, in compenso però possedeva una cordialità e parlantina che permetteva ai clienti di lanciarsi in discorsi ricreativi nell’attesa di ricevere il loro ordine.
«Sono venuta a ritirare le foto a nome di Saeko Mori» rispose lei appoggiandosi sul bancone con entrambe le braccia incrociate. Nami curiosava per i pochi metri di larghezza del negozio, troppo iperattiva per stare ferma.
E ovviamente Saeko la teneva sott'occhio come se fosse una bambina combinaguai.
«Si, vediamo» asserì raccogliendo da sotto il bancone una torre di buste contenenti le foto sviluppate di ogni richiedente.
Man mano che le passava al setaccio, Saeko afferrò due o tre cognomi passeggeri, ma nessun di loro apparteneva ad un suo conoscente.
«Eccola Mori» disse euforico spingendogliela davanti. 
«Ah, che bello» fece Nami raggiungendo l’amica con uno zompo da salto della corda. Saeko strinse la busca al suo costato, allungando simultaneamente la grana al proprietario.
Dopo aver ricevuto il resto e fatti i beneducati saluti, giunte fuori per riprendere la strada del ritorno, Nami si emozionò quasi come se dentro quella busta ci fosse la lettera d’amore di un ammiratore segreto di Saeko.
«Ah, finalmente. Vediamole. Vediamole»
«D’accordo. Ti darò le tue» concesse la ricciolina, sentendo rigarsi la fronte da una goccia di sudore. 
«Allora, uno» contò, consegnandogli la prima foto che Nami aveva scattato al suo prode atleta Sendoh: con entrambe le mani atte a custodire la palla dagli avversari, aveva disegnato sulle labbra quel suo molesto sorriso da schiaffi.
«Due» proseguì Saeko. Stavolta l’obbiettivo che l’amica aveva congelato, era stato il taciturno Rukawa che rientrava in campo dopo i pochi minuti accordagli per rigenerarsi di fiato.
Dalla maniera pacata in cui procedeva verso il campo di “guerra” e si aggiustava la gomitiera, dava l’impressione di essere già nel girone agonistico dei perni del basket.
«Tre» Saeko completò il suo conteggio con la foto in cui Nami, fotografato entrambi: Rukawa che gli correva dietro con un braccio proteso verso il pallone, Sendoh in possesso dell’oggetto a spicchi arancioni, che schizzava inafferrabile verso il canestro.
«Ah. Belle, favolose, belle» piroettò in totale escandescenza. Poi si fermò di botto come se il meccanismo vorticante del suo cervello di fosse inceppato.
«Hey, aspetta un attimo» gelò quindi l’amica al suolo, parandosene davanti.
«Ne manca una. E non dire di no, perché sono sicurissima di questa cosa» la accusò puntandogli l’indice all'altezza del naso. 
«No, erano solo queste, le tue» Saeko diede ad intendere di non aver la minima idea a cosa di preciso si stesse riferendo Nami.
«Non fare la finta tonta con me, ne manca una e sai di quale foto in particolare sto parlando» 
«Nami, quella foto finirà nella spazzatura» la ricciolina decise di essere crudelmente sincera a priori. Nami si portò una mano al cuore e indietreggiò di un passò come se fosse stata mortalmente ferita allo stomaco.
«Come fai a dire una cosa così perfida? Quindi mi stai dicendo che fa schifo?» 
«No, oggettivamente è molto bella, ma soggettivamente sono i protagonisti ad essere sbagliati»
«La stai sparando grossa. Io li trovo perfetti» obbiettò Nami andandogli dietro per riappropriarsi insolentemente della celebre foto. Saeko si scansò, ruotò di trecentosessanta gradi per poi ritrovarsi di faccia a lei.
Le due amiche si erano quindi scambiate di posizione. 
«No, che non lo sono perché il momento in cui li hai immortalati non ha nessun fondamento» tenne duro Saeko, posando la busta giallo tuorlo dentro la borsa.
«Invece si» si incaponì Nami.
«No» replicò Saeko facendo la boriosa sapientona.
«Si»
«No»
«Si» contestò Nami. A Saeko allora venne in mente di usare il caro e vecchio trucchetto della parola rovesciata.
«Si» disse perciò con l’imbroglio sedimentato sulle labbra carnose.
«No» rispose automaticamente Nami.
«Ecco vedi?» la canzonò Saeko riprendendo a camminare verso casa.
«Ma così non vale. Mi hai imbrogliata. Uffi! Dammi la foto» si lagnò quest’ultima.
«La mia risposta rimane sempre no. Ora andiamo a casa» la persuase Saeko, velocizzando il passo di qualche spanna.
Nami seguì l’amica con la metratura di un frigorifero a distanziarle. E senza mai smettere di reclamare la foto di cui era stata ingiustamente rapinata.

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Tornate a casa ebbero una seratina sonoramente spumeggiante.
Dopo aver spazzolato via la cena che la madre di Saeko - o rinominata Saeko 2.0 versione matura da Nami – aveva preparato, presero posto nel confortevole soggiorno e giocarono a Mah Jong.
Nel gioco da tavolo potevano giocare solo quattro giocatori, indi per cui Saeko era stata per cedere il posto a Nami, ma lei glielo aveva impedito stabilendo di giocare come una sola persona.
Combinare due menti, le portò a un buon punteggio, anche se a dirla tutta, la partita si ridusse ad una competizione all’ultima combinazione tra Saeko e la gemella Ayako.
Dopo l’ultima sfida, Nami si allontanò dal salotto con la scusa di dover andare in bagno, quando invece il suo obbiettivo era di appropriarsi della quarta fotografia che Saeko le aveva “confiscato”.
Intrufolandosi furtivamente nella stanza della ricciolina, accese l’abasciur viola posizionata a terra del letto, quindi si fiondò sulla borsetta penzolante dalla maniglia dell’armadio.
Perdonami, Saeko”. Pensò con la stizza che l’amica potesse coglierla sul fatto. Si sentiva peggio di una ladra, ma se lei non voleva la foto allora era doveroso farlo.
“Ma se non la vuoi tu,  va consegnata al suo plausibile secondo proprietario” Si legittimò, prendendo a setacciare una per una le foto.
Per una straordinaria botta di culo di Saeko, la fotografia si trovava tra le prime quattro – perciò Nami non poté domandarsi del perché in mezzo alle loro foto di vita amatoriale, si trovasse un intero servizio fotografico dedicato al senpai – e una volta impossessatasene, usci dalla stanza, completandone il passaggio nella sua di borsetta.
Missione compiuta” saltellò, progettando nel momento di andare a trovare il suo plausibile secondo proprietario durante le ore di buco prima dei club pomeridiani.
Poi tornò al piano di sotto come se niente avesse combinato.
Fatta un’altra partita e riaccompagnata a casa l’amica, Saeko attese il momento più adeguato per godersi le sue adorate fotografie.
E cioè, a notte fonda quando tutti se la dormivano alla grande.
Silenziosa come un gufo durante la sua caccia notturna, accese l’abasciur, si sedette a gambe incrociate sul pavimento, quindi estrasse le foto dalla busta giallo tuorlo.
La prima foto, in cima a tutte, era quella scattata a tutti e quattro la volta in cui era tornata a scuola per affrontare Nobu e la sua banda.
Gli amici gli stavano andando incontro, ma non avevano avuto il tempo di accorgersi dello scatto, perciò sui loro visi era stato immortalato un sorriso naturalmente rilassato.

La seconda raffigurava Jin e Kiyota che si davano il cinque nello spazio di un allenamento.

La protagonista delle seguenti quattro fu lei: in una stava seduta sulla sua panchina a leggere un libro esiliata dall’indiviso universo.

Nell'altra sorrideva con un sorriso sfolgorante in merito alle buffonate imperiali di Sakuragi.

La terza era la famosa celebrativa di lei con il segno della vittoria e il taccuino aperto quando aveva ricominciato a scrivere.

Nella quarta, Saeko non poteva crederci, ma i soggetti fotografati erano lei e il senpai: il senpai con la lattina ferma a mezz'aria che dava le spalle al campo di basket della palestra, lei messa di profilo intenta a gesticolare per esprimersi meglio nel linguaggio.
Entrambi avevano un’espressione fulgidamente gioiosa in viso, ed entrambi erano vicendevolmente rapiti delle parole pronunciate dall’altro.
Saeko trovava quella foto di una bellezza autentica. Ma non certo perché potevano passare per una coppia super innamorata, bensì per il risultato percettivo che arrivava all’osservatore.
Dalla foto infatti, si poteva cogliere quanto affiatati e bilanciati fossero i loro caratteri.
Non sapeva bene il perché Nami l’aveva scattata, tuttavia per una volta, era grata alle sue improvvisate non richieste.
Rimirandola per un altro minuto buono, la ragazza proseguì il suo itinerario fotografico.

Le altre foto nell’ordine a seguire furono: lei e la gemella inquadrate a metà viso in modo da dare l’illusione che fosse uno solo.

Kiyota bloccato in volo, un attimo prima di fare una delle sue superbe schiacciate.

Jin che tirava un elegante tiro da tre punti.

Rukawa che sbarellava la difesa di allenamento dello Shohoku usufruendo di una geniale mossa delle braccia.

Il Senpai Akagi e uno dei suoi mastodontici dunk.

Sakuragi che andava a canestro con il terzo tempo.

La gemella che sbraita ordini alla squadra agitando il ventaglio come se fosse una bacchetta magica.

Di nuovo Sakuragi, ma stavolta occupato a parlare frizzantemente in compagnia della sottoscritta.

Nami che legava scrupolosamente i capelli a Kiyota in una coda alta.

I tre atleti raggruppati vicino a una finestra del corridoio con la luce del sole pomeridiano che ne indorava gloriosamente le sagome.

Kiyota imbronciato, seduto a gambe incrociate sul parquet della palestra.

Nami che faceva la super girl con una super posa da fumetto Americano con un mantello viola. 

Jin più che mai sorridente.

Ancora un’altra dei tre compagni di squadra, ma stavolta disposti in ordine per una foto ricordo.

E infine, fu la volta del servizio fotografico privato fatto al senpai. Saeko contò in tutto dodici fotografie. Ne aveva perciò contate due in più.
Nella prima l’aveva folgorato in uno scatto superlativo che lo ritraeva come un veterano del basket durante un assiduo allenamento: addosso aveva un pantaloncino bianco - non aderente, ma abbastanza da fasciarne i muscoli atletici della gambe - abbinato a una canottiera nera a spalla larga con scollo a V e dei polsini dello stesso colore.
La chioma castana era ondeggiante sulla fronte per lo scatto fulmineo che stava intraprendendo, lo sguardo e il sorrisino stampato sulle labbra erano fascinosamente rilassati, guizzavano di un’impetuosa luce allietata dal muoversi all’interno della sua passione, le braccia toniche e tese stavano la destra sospesa a mezz’aria con il pallone ben fissato sotto al palmo e l’altra piegata sulla metratura del torace, pronta a prenderne il comando, mentre le gambe una l’aveva ben inchiodata a L a sospingerlo sul parquet lustrato, l’altra invece si distendeva per tutta la sua lunghezza in perpendicolare.
Appena la vide Saeko seppe di amare alla follia quella fotografia, e quando sarebbe stata spavaldamente coraggiosa, a tempi propizi, l’avrebbe piantata al muro per esporla nella sua stanza come un vanto, quindi contemplarla tutte le volte che gli andava.
Mettendola da parte, Saeko prosegui con la sua riservata galleria fotografica.

La seconda foto del senpai che Saeko vide, fu quella di tre quarti che sorseggiava da una lattina fresca. Nell’azione del bere, il suo pomo d'Adamo diveniva tenacemente marcato e nel piegarsi i suoi i muscoli del suo braccio destro ne evidenziavano il calco scultoreo di bronzo. Per non parlare degli occhi semichiusi che in quei tratti virili del viso gli donavano un’aura di monumentale pace.

Nella terza, Saeko si era spinta a tentare l’esperimento della macrofotografia del suo profilo sinistro dove sotto l’occhio faceva capolino il tanto amato neo.

Nella quarta, era stata lesta a scattarla e scrupolosa nel non farsi beccare.
Saeko aveva bloccato il tempo un’istante dopo che il senpai aveva controllato l’ora nell’orologio.
Le sue pupille ardesia appena sollevate e le sue labbra carnose schiuse erano per un’aspirante scrittrice qualcosa di non metaforicamente descrivibile.
Saeko si imbambolò a fissarla per un bel po’.

Nella quinta il senpai aveva finito di allenarsi e stava seduto in panchina con la tovaglia poggiata sulla testa.

Nella sesta, Saeko gli aveva scattato una foto sportiva. Spiccato in volo come una tigre pronta ad afferrare la sua preda, era stato immobilizzato il secondo antecedente al lancio della palla: la sua massa muscolare inarcata a cresta di sensu giapponese e le sue iridi scagliate fissamente sul canestro come se potesse vedere il futuro canestro con dieci secondi di anticipo.

Nella settima era stato colto a considerare il cielo di un azzurro spiazzante.
La sua atletica silhouette catturata di profilo, la mano sinistra distesa lungo il fianco, quella destra infilata in tasca e il suo volto pensieroso, raffiguravano qualcosa di artisticamente pregevole per un pittore.
Saeko avrebbe tanto voluto che fosse un quadro che avrebbe avuto piacere di esporre in un museo di rarità.

Mentre continuava a scorrere le foto, ad un certo punto, si fermò a analizzare la decima in cui il Senpai sprigionava un sorrisino compiaciuto in merito al gioco affinato di un suo compagno, e fu li che nella sua mente prese forma una nitida domanda.
Cosa me ne farò di queste foto fra dieci anni?magari una volta sposata con un uomo che non era lui, le avrebbe nascoste in un doppio fondo di un cassetto per tornare ricordare il suo tenero primo amore.
E magari, prese strade diverse, si sarebbero rincontrati dopo dieci anni e le avrebbe consegnate al suo legittimo proprietario, trovando finalmente il coraggio di espellere dal suo cuore l’indelebile sentimento che tanto l’aveva tormentata in quegli anni di adolescenza.
Senpai” sussurrò mestamente nella penombra della stanza. Subito dopo però si innervosì.
Ma che dico, perché rincontrati?” Saeko sperava avidamente che la loro fosse un’amicizia prolungata e stabile. Una di quelle che anche se intraprese strade disgiunte sarebbe comunque durate nel tempo mediante cene organizzate con i rispettivi figli e coniugi.
Saeko riprese quindi a sfogliare l’arsenale di foto, approdando così all’ultima che era la famosa scattata quella domenica pomeriggio in spiaggia quando lei l’aveva scattato al surfista senza riconoscerlo a causa della sua miopia.
Nel rivedere il carapace bronzeo di muscoli del senpai, la ricciolina arrossì, sentendosi un po’ pervertita. Ma poi scosse prontamente il capo, dicendosi che non potesse definirsi tale solamente perché il senpai era in costume da bagno.
E poi ad analizzarla con occhio da professionista, avrebbe potuto benissimo essere una foto usata nel magazine sportivo per rappresentare l’inizio del torneo di surf.
Riappacificata da quella convinzione, raccolse tutte le foto insieme, ma, un pensiero gli suonò forte in testa come una trombetta da tifoseria.
Un momento. Dov...dov’è la foto con quell’idiota spaccone?” il cuore di Saeko si agitò mentre ricontrollava la lunga serie di foto, tuttavia, quella di lei e Sendoh che Nami aveva accidentalmente scattato il giorno dell’amichevole con lo Shohoku, si era come, vaporizzata.
No, non può essere, era...era qui….in mezzo a tutte le altre” Saeko ricontrollò la raccolta di foto una seconda, terza, quarta volta. Fece lo stesso anche con la busta giallo tuorlo - dimenandola un po’ dove gli pareva - per fare cadere quello che conteneva: il nulla cosmico.
No. No. no. Dove può essere finita?” a quel punto, essendo Saeko una ragazza intelligentemente intuitiva, e avendo ripercorso con una meticolosa precisione la giornata ormai andata, non ci mise molto a scoprire cosa e chi fosse stato il colpevole del misfatto.
Nami” sussurrò piano come se l’amica fosse l'Arsenio Lupin della situazione che aveva ingannato lo Sherlock Holmes della situazione con una dei suoi astuti travestimenti. Il che lo rese ancora più raccapricciante.


La notte il suo sonno fu disturbato da un orrendo sogno.
La scena partiva serena con le onde del mare che danzavano lente a destra e lei e il senpai che erano sul punto di confidarsi i rispettivi sentimenti, ma all’ultimo secondo, questo veniva distratto da qualcosa alla sua sinistra.
«S – senpai?» gli chiese sconvolta da un bruttissimo presentimento. Quando anche lei si volto verso ciò che aveva attirato la sua attenzione, Saeko avrebbe quasi voluto gettarsi in mare per vivere eternamente nei suoi abissi più irraggiungibili.
Davanti a loro un cartellone pubblicitario che festeggiava la giornata di San. Valentino con la gigantografia della foto sua e Sendoh.
«A quanto pare il tuo filo rosso del destino è legato a me» parlò una voce alla quale Saeko associò un sorriso da schiaffi.
La ricciolina si alzò d’improvviso come se un conato di vomito l’avesse colta nel sonno.
«Mai. Mai nella mia vita. Mai.» mormorò serrando la mano sinistra sulla parte equivalente del volto. Saeko era decisa come non mai, se era stato scritto così, a recidere il filo rosso del destino che la univa a Sendoh. Di qualsiasi sentimento questo si fosse trattato, non gli importava.
Doveva sbozzarsene quanto più velocemente poteva. Non voleva più vederlo davanti ai suoi occhi. Eccezione fatta per le partite ufficiali della prefettura, si intende.
Perciò corse in bagno a lavarsi i denti e tutto, facendo erase totale delle immagini contenute nel suo sciagurato sogno.
Inutile aggiungere che anche stavolta saltò la colazione a causa della sua incazzatura già salita a livelli esponenziali di prima mattina. Correndo come una pazza, si fece a rotta di collo i gradini delle scale e lasciare una scia di fuoco divampante durante la strada del liceo.

 

Nel frattempo sulla strada della scuola, Nami accompagnata dai tre fenomenali atleti, era ignara della sorte che la attendeva.
«Saeko non era con te?» le chiese Jin gettando l’occhio dietro di se come per sorvegliare l’angolo dal quale solitamente compariva l’amica in sella alla sua bici.
«A quanto pare, NO» Nami disse il NO in una maniera nervosamente acuta che fece sobbalzai i ragazzi per lo spavento.
«Ma che c’hai stamattina?» commentò Kiyota già tediato della cosa perché percepiva che c’era qualcosa di losco sotto.
Nami invece aveva stampato sul viso tronfio il sorriso di chi avrebbe avuto vita comoda, ma la convinzione si spense, quando il senpai pronunciò il nome “Saeko” e lei vide la sua faccia imbestialita ad aspettarli all’entrata del liceo.
«C – ciao, Saeko» la salutò pimpante.
Saeko non parlò. Accorta come una spia sotto copertura se la tirò da parte, nella fiancata sinistra della scuola che a quell’ora era sempre in ombra, facendo del detto “Andiamo dritti al sodo” un vero e proprio tempo d’azione.
«Dammi la foto» le ordinò gelidamente.
Nami emise un sogghigno appariscente. Non gliene fregava niente di litigarci, anzi, la competizione tra loro due, la incentivava a fargli la battuta pungente di rito. 
«Vediamo, hai per caso intenzione di incorniciarla nella tua camera come una prestigiosa laurea?»
«No» Saeko fu tacitiana.
«Oh, beh, allora starà meglio nella mani di qualcun altro» sentenziò l’altra con il piede già orientato verso gli amici che si chiedevano cosa stessero tramando là dietro.
Saeko la afferrò rozzamente per il polso per impedirgli di farlo.
«Nami, ti prego, dammela» ripeté con uno sguardo di ghiaccio affine a quello minatorio e inamovibile della super matricola Rukawa.
Più passava il tempo, più Nami rivedeva in Saeko alcuni dei suoi atteggiamenti spassionatamente arroganti quanto attraenti.
«Facciamo caso che io ho intenzione di consegnartela, ma facciamo anche il caso che in cambio della foto tu mi dirai il nome e cognome del Senpai di cui sei innamorata. Che dici è fattibile come cosa?» le fece una proposta scorretta. E difatti le labbra e occhi di Saeko ebbero un leggero tremito di terrore.
Il suo nome e cognome.
Sarebbe bastato pronunciarli a voce alta per chiudere in uno schiocco di dita quell'irragionevole tafferuglio. Già, peccato che Saeko aveva deciso fissamente che il suo nome non sarebbe mai sdrucciolato fuori dalla sua lingua per nessuna ragione al mondo, né che i suoi sentimenti per lui sarebbero mai stati confessati.
«Non posso farlo» le disse a capo basso, ma voce ferma.
«Oh, perciò, la mia risposta è NO» le rispose Nami percuotendo un no di gola accentuatamente grintoso.
«Tu lo sai vero che non lascerò perdere questa storia e alla fine me la riprenderò?» la avvertì la ricciolina scura in volto.
Il messaggio era cristallino. Essendo ai ferri corti, le stava lanciando una sfida compensativa all'urgenza spericolata di stracciare quella foto, non ricordando che la competizioni facevano gola a Nami come una carpa nella stagno la faceva ad un gatto randagio di passaggio da quelle parti.
«Provaci. Accetto la tua sfida, ma se entro la fine di questa giornata non riuscirai a riprendertela, allora sarà di mia esclusiva proprietà e potrò farci quello che mi pare» Nami le presentò le clausole e i termini di scadenza quasi ad essere abituata a siglare trattative di questa portata.
Saeko si addentò l’interno guancia frenata dagli schiamazzi della ragione, ma non certo titubante.
Sapeva che si stava imbarcando in una cosa più grande e sconsigliabile della stesura del suo romanzo, tuttavia era di priorità che quella foto tornasse nella sua raccolta.
Nami era scriteriata a tal punto da ordinare delle gigantografie per attaccarle nelle pareti della scuola, a ogni fermata della metro e palo della luce.
Ad immaginare simili scenari catastrofici, il corpo di Saeko vibrò come se si fosse di colpo ritrovata nel sentiero buio di un cimitero sprangato.
Non devo farmi intimorire. In fondo dalla mia ho un cervello brillante“
Sarebbe stata la classica sfida tra una mente primatista e un corpo versatile, e come ogni favola del forcole assimilata o esperienza tastata, si sapeva che ad averla vinta era sempre l’astuzia irraggiungibile della mente.
Era matematico che la ricciolina dalla sua aveva un’intelligenza quotata al centodiciannove.
Questo sproloquio mentale le diede la tenacia di acconsentire vigorosamente.
«Beh, che vinca il migliore» le auspicò Nami porgendogli la mano così da dare il via alla loro elettrizzante sfida.
«Vedremo chi l’avrà vinta» la stretta di Saeko fu energica.
E il suo sguardo si andò a mutare lentamente in quello ardimentoso e feroce del senpai Maki che pietrificava istantaneamente un avversario nel corso di una partita.

 

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Durante la lezione di storia, Jin gettò un’occhiata al banco della ricciolina posizionata due banchi dietro al suo della fila accanto – a Jin piaceva quando l’amica ne ricambiava il sorriso raggiante – ma ciò che vide quella volta fu l’amica con un’occhiataccia che crepitava di scintille killer.
Sollevato il mento dal palmo per lo stupore, il ragazzo ne seguì la traiettoria dello sguardo, finendo per cascare con il suo, nel banco di Nami, che a differenza della ricciolina, aveva per occhi due grandi sdolcinati zaffiri.
Durante la pausa pranzo quella situazione non si chetò, anzi ne prese una caoticamente scatenata.
La prima volta, al piano delle seconde, ovvero il loro, Nami si nascose dietro Jin sfruttando la sua faccia di angioletto per rabbonire l’amica.
«Guarda quanto è adorabile. Non ti viene l’irresistibile voglia di coccolarlo?» le diceva sporgendogli il viso strapazzato tra l’indice e il pollice. Saeko pur trovando effettivamente il viso del ragazzo di una dolcezza indescrivibile, si mostrò plausibilmente impassibile, partendo a rincorrerla non appena lei scattò verso destra, ma non prima di aver poggiato una mano sul braccio dell’amico per porgergli le sue scuse.
La nostra eroina rincorse Nami per tutti i piani con una riserva di resistenza e ossigeno che lei stessa si meravigliò di avere. Ma forse a muoverla era solo l’obbiettivo di appropriarsi di quella compromettente fotografia e farla sparire definitivamente dalla faccia della terra.
Arrivate al piano delle terze, Saeko riuscì a guadagnare terreno afferrandola opportunamente per una caviglia, proprio nel momento in cui lei diceva a vociava stentorea “C’è il senpai”.
Com’è prevedibile, il susseguirsi delle reazioni a catena che ci si verificò non poco dopo, fece desiderare a Saeko di ricorrere ad un intervento chirurgico facciale: essendo agguantata per la caviglia, Nami perse l’equilibrio, trascinando nella colluttazione anche Saeko.
Ma i guai non finirono certo lì perché nel perdere l’equilibrio, a Nami scivolò di mano la fotografia incriminante, quindi si sollevò leggiadra per aria, per poi planare pigramente sul pavimento, proprio davanti agli occhi vigili del senpai.
Quando Saeko si rese conto di ciò che stava per accadere, si vide passare davanti tutta la vita - futura inclusa - cancellata completamente da ogni traccia di dignità e pudore.
Scenari mediocremente apocalittici in cui veniva ripudiata da tutte le persone a cui teneva, vagarono nella sua mente, innescandogli quasi un attacco di panico.
La reazione di Saeko a quel punto fu lecitamente recettiva e cautelativa.
«Ah, non guardare, ti prego, Senpai» e berciatogli il comando, se ne fiondò rocambolescamente addosso sollevandosi sull’estremità delle sue punte per coprigli gli occhi con la maschera delle minuscole mani.
Il senpai, non si smosse di un centimetro sotto il peso della ragazza, né tolse le mani di lei dai suoi occhi, ma lo sbigottimento stillò esplicito dalla fuoriuscita sue parole.
«Saeko!» le disse confuso.
“Oh, no. Che cosa ho fatto?” cacciatasi in quella situazione calamitosa, Saeko non seppe se dover ricorrere a quel famoso intervento chirurgico facciale a causa della sua azione maleducatamente avventata sul Senpai o contemplare la remota – remotissima – ipotesi di essere stata vista da quest’ultimo in atteggiamenti fintamente amorosi con Sendoh.
intanto, in tutto quel guazzabuglio mentale, Nami, approfittava dell’occasione favorevole che gli stava letteralmente planando addosso.
«Ah, presa!» la ragazza afferrò la foto come se fosse una banconota di 1000 yen.
Udendo la voce esuberante dell’amica, la sua spina dorsale fu attraversata da una violenta scarica elettrica che le fece scuotete tutte le ossa.
«Nami, no! Vieni qui!» le ruggì contro con le mani ancora posate sulle palpebre del Senpai.
Dopodiché si decise a toglierle e riprendere la sua caccia al ladro, ma non prima di voltarsi verso di lui per prostrasi in un inchino di umili scuse.
«Ci vediamo in giro, Senpai, e perdona la mia impudenza se puoi» così scattò in direzione di Nami che ormai era sparita in mezzo alla moltitudine di studenti.
Saeko ce la metteva tutta per tenergli testa, ma Nami aveva uno scatto di gambe inalterabile.
Questa è colpa della mia negligenza” si diede un’auto strigliata di capo. Lei era fuori allenamento da una vita, senza contare che il suo più laborioso esercizio fisico fatto .
Da domani farò un calendario di attività motoria, ognuna di un’ora e mezzo circa. Giusto per rassodare i vari muscoli del corpo” e magari avrebbe anche accettato di correre in tondo per la prefettura insieme alla sorella o il padre. Dipendeva da come gli girava quel giorno.
«Oggi le ragazze sembrano parecchio esuberanti» espresse Jin con il sorriso sulle labbra. Tutte e tre gli atleti erano addossati alla parte sinistra del corridoio in attesa di poter passare la ricreazione in loro compagnia. Ma le probabilità persistevano a depennare vertiginosamente.
«Già, sono piene di energia» apprezzò Maki.
«Mi chiedo di che tipo di droga hanno fatto uso ieri sera» commentò Kyota perplesso.
Non solo stavano dando spettacolo da praticamente mezza giornata, ma si comportavano nella maniera di un sovrintendente di polizia che si era iniettato la caffeina direttamente nelle vene.
Inizialmente Kiyota aveva pensato che l’insolita voglia di fare ginnastica di Saeko derivasse dall'inconveniente che Nami gli avesse fregato un pezzo d’intimo, gli altri due però, più razionali, avevano ponderato l’idea veritiera che si trattasse di un foglio del suo romanzo che la ricciolina non voleva fosse assolutamente letto.
Ora però realizzavano che si trattasse di una foto e ne cercavano di svelare il contenuto immortalato.
Proprio in quel momento di affossata riflessione, la ricciolina dovette fermarsi per fare rifornimento di fiato.
«Deve essere davvero importante  quella foto per portarti ad essere così caparbia» le riuscì a dire al volo Jin.
«No, non lo è. E’ solamente» Saeko stava ancora riprendendo fiato, ma ciò non gli impedì di mordersi nervosamente le labbra.
«Scomoda» e non avrebbe neanche dovuto esistere. Se esisteva era soltanto perché Nami montava su storielline passionali scadenti che manco i registi ridotti alla fame avrebbero mai approvato.
Ma proprio quelle due parole – storielline passionali - fu una lampadina di illuminazione per lei.
Girandosi a tre quarti verso il suo primo asso nella manica che non sapeva di avere.
«Kiyota» lo convocò alla sua attenzione.
«Te lo chiedo per favore. Rincorri quella pazza scatenata e riportami la foto. Ma non sbirciarci» ordinò rispettosamente, vedendo bene di rimarcarne l’ultimo punto.
«Come scusa? Come dovrei fare a...» il numero dieci del Kainan fece per opporsene, ma Saeko non gli diede molto credito.
«Non c’è tempo per le spiegazioni. Te chiedo per favore, Kiyota: acchiappa, ruba, e non sbirciare, intesi?» Kiyota che proprio non riusciva a fare il cuore di stele davanti alle richieste supplicanti della sua sorellina preferita in difficoltà, divenne ben presto un condensato di tenerezza.
«Tranquilla, lascia fare a me» la rassicurò allontanandosi in direzione delle tracce di Nami.
«Grazie, Kiyota» gli disse poggiando testa e spalla al muro per concedersi un doveroso riposo alle membra stremate.
Mettere in campo il suo primo asso nella manica fu un vero fiasco.
Kiyota venne facilmente abbindolato dalla moine da femme fatale di quest’ultima.
Con il senno di poi, Saeko pensò a come gli era potuto venire in mente di contrapporre a Nami, l’unica persona che aveva una cotta stratosferica per lei.
Così, la ricreazione finì e dopo le lezioni, seguirono in ordine uniforme “la pulizia della scuola” e l’inizio dei club pomeridiani.
Oggi quello di letteratura non si sarebbe tenuto e Saeko non perse certo tempo al ripercorrere le traccie intraprese dall’amica ladra, ergo per l’inconveniente che si fosse dileguata dalla scuola.
Presa dall’ansia, si precipitò in palestra così da domandarlo ai ragazzi e apprendendo che Nami avesse lasciato detto di stare andando a recapitare la foto al suo secondo legittimo proprietario.
Non è possibile non può averlo fatto davvero. Non è possibile” malgrado permaneva ad essere un pomeriggio luminosamente soleggiato, a Saeko parve che sopra la sua testa fosse apparsa la nuvoletta piovigginosa porta tristezza.
Nami, sei davvero la peggiore. La peggiore insieme a quella sottospecie di idiota spaccone” la ragazza non si frenò dall'ingiuriare quei due stolti ipocriti.
Proprio quando aveva deciso di andare a pescarla al liceo Ryonan, ecco che compariva in fondo al giardino con una mano sventolante come se non si vedessero da secoli.
Saeko ridusse dapprima gli occhi a due fessure per il nervoso, poi la raggiunse in un nano invisibile secondo che Nami non si seppe spiegare.
«Cavoli, che velocità!» esclamò Nami sbalordita.
«Nami,  dov’è la foto?» la ricciolina andò al sodo, e le tremò la voce nel chiederglielo, perché ahimè conosceva già la risposta.
«L’ho data al suo secondo legittimo proprietario» le disse, impettendosi con le mani sui fianchi nello stile di una super woman.
«Sono sicura che lui ne farà tesoro» le fece l’occhiolino apposta, per non dargli la possibilità di mal interpretare il suo messaggio, ovvero “Io ho smesso di essere il tuo bersaglio,. Forza, vai dalla persona che la possiede. Corri immediatamente da lui”.
«Nami, ma sei impazzita?» urlò fuori di se. La sua pazienza era sull’orlo di trasformarsi in una crisi nervosa, e se avesse raggiunto Mr. Sorriso da schiaffi, di quella parola, pazienza si intende, non sarebbe stata neanche più in grado di riesumare la sua definizione.
«Questo è un colpo basso. P- perché l’hai fatto? Non dovevi» la aggredì a parole, dopodiché la superò e prese a correre come un missile al parcheggio delle bici.
«Non dovevi. Non dovevi. Non dovevi» farfugliò febbrilmente nel mentre che saliva sul veicolo indirizzata di malanimo al liceo Ryonan.
E anche per oggi il mio compito è finito” pensò Nami, ridendosela come se si stesse deliziando del lieto fine di un film sdolcinato.
“Il filo rosso del destino che teneva uniti i due diletti”, si autodefiniva lei.
A dire il vero, Nami non sapeva se coinvolgerli in quella specie di relazione coattiva fosse la combinazione amorosa vincente per entrambi, però il riunirli nello stesso posto, l’immaginarli come una coppia fissa, le faceva sgorgare il cuore di arcobaleni, e per lei questa era una controprova sufficiente a dirgli che stesse svolgendo un buon operato in qualità di divinità dell’amore.



NOTE AUTRICE: Oh, ma guardate un po' chi è tornato? Contenti? Si? No? Va beh, nel dubbio sono tornata con questo nuovo breve progetto di due capitoli, uno speciale su "Change my rules" dedicato alla foto che Nami ha scattato. 
Beh, che ne dite di questo primo capitilo? Quella foto è sede di casini continui vero? Povera Saeko. Nel secondo come avrete compreso appariranno tutti gli altri personaggi tra cui Mr. sorriso di schiaffi e l'intero Shohoku. 
Che dire a presto e spero che apprezziate e vi fate anche due mezze risate.  
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yeeeeeeee!

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Capitolo 2
*** How long? (part 2). ***


How Long?

(part 2)


Saeko si trovava nel cortile esterno del liceo Ryoan già da un pezzo.
Seduta sulla panchina che dava di faccia alla palestra di basket attendeva la comparsa di un certo spilungone dal sorriso da schiaffi, con il fuoco che gli divampava nelle vene.
Maledetto, idiota. Starà sicuramente ronfando all’angolo di un banco” dedusse questa. Fu quasi sul punto di alzarsi impettita per andare a pescarlo dal collo attraverso l’amo del suo indice, ma in similitudine alla sua decisione, proprio quando si era alzata, dalla parte opposta alla sua, era apparso un trio di ragazze che gli stava andando incontro con un’espressione che pareva tutto fuorché amichevole: la ragazza al centro, il capo banda sicuramente, aveva dei lunghi capelli inchiostro piastrati fin giù al fondo schiena, delle lentiggini che le incorniciavano le palpebre e la corporatura sostanzialmente spigolosa.
Quella a sinistra possedeva dei capelli color carota acceso – più di quelli di Sakuragi – legati in due codine alte, gli occhi blu cobalto giganteschi e delle labbra notevolmente spiccati.
La terza invece, appariva alta, dal fisico tonico, i capelli erano legati a una coda di cavallo dondolante castana che stonava con gli occhi nerissimi.
Kami, ci mancava pure il club infoiato di Sendoh.” pensò sfibrata dalla avvenimenti, mettendoci di mezzo anche un face palm, quando ne fu raggiunta.
Oggi è ufficialmente la mia giornata della tortura.
«Senti un po’ carina, mi dici chi ti ha permesso di gironzolare così intimamente vicino ad Akira Sendoh?» la ammonì il capogruppo con gli occhi diffidentemente assottigliati e le braccia incrociate a mo di “Qualsiasi cosa dirai sarà usata contro di te”.
«Sentite, veramente, credo che ci è stato un grosso, gigantesco, elefantesco malinteso»
«Ma che malinteso e malinteso. Gli ronzi attorno continuamente come se volessi nutrirti del suo polline» affermò l’altra non volendo sentire storie. Saeko non seppe e volle interpretare con che allegoria erotica fossero state collocate le parole “nutrirti” e “polline”.
«Non ci freghi. Vuoi Sendoh tutto per te» insistette la più massiccia di corporatura.
«E chi vuole avere a che fare con quella sottospecie di feticista dei dentifrici?» Saeko gli parlò velocemente sopra. L'aveva sempre soprannominato "Idiota spaccone", ma gli era venuta la fresca idea di dargliene uno che si incorniciava interamente alla sua persona.
«Però, quello che vediamo è che tu vieni spesso qui e lui si gaza a dismisura» il capo banda gli espose i fatti per quelli che apparivano a un occhio impiccione ed invidioso esterno. Saeko decise quindi di dover prontamente stradicare le follie seminate in giro dall’amica.
«Quello è perché ho un’amica che ci azzecca poco con le intuizioni» disse questa portandosi una mano sulla fronte per poter ammansire l’asmatica ansia del cuore.
«Potete stare tranquille. Non provo nessun interesse per questo “tizio”» usò la parola tizio cos da rendere lapalissiano non solo quanto contasse per lei, ma anche dimostrargli in che reali rapporti fossero.
«Ho solo bisogno di due minuti per chiarire una cosa, poi sparirò dalla vostra vista per l’intero anno, promesso» Saeko cercò di essere più convincente possibile, battendosi addirittura un un energico pugno sul petto.
AHU!” che però gli costò un dolore immenso.
Il capo del club infoiato di Sendoh partì a squadrare da testa a piedi la ragazza. Aveva la bocca distorta e un sopracciglio sollevato come a voler comprendere se la “tizia” che le stava di fronte, corrispondeva a ciò che sosteneva di essere.
Saeko di suo sapeva che qualunque ordine avesse deciso di dare, le sue due guerriere l’avrebbero eseguito solertemente.
Se lei avesse detto «Menatela duro» quelle due, l’avrebbero ridotta un colabrodo.
Se lei avesse scelto di battere in ritira, loro si sarebbero precipitate a rincorrerla.
Se lei avesse creduto alla sue efficaci parole, non si sarebbero mosse dal suo fianco.
Alla fine, forse per pena, forse per dimostrare di non essere perfida come le sue azioni la dipingevano e quindi possedere un minuzzolo di fiducia nelle persone, il capo del club decretò con un «Lasciamola fare, se ci ha preso per i fondelli assaggerà il sapore delle nostre mazzate»
«Oh, vi ringrazio» ne fu sollevata Saeko.
Il gruppetto di giovani teppistelle se ne tornò a svolgere il proprio hobby preferito, che poteva andare dal rendere impossibile la vita a una vittima scelta a caso o immelmare le regole della scuola per protesta al preside.
Saeko stese così ad attendere quella faccia di sola per un’altra mezz’ora sotto la chioma fresca di un sempreverde.
Appena la sua figura longilinea – capigliatura inclusa – assonnata apparve nella linea orizzontale del panorama, e la vide, la salutò, come di prassi, con un’irritante buon umore.
«Si, ciao. Senti, razza di feticista delle pubblicità di dentifrici» Saeko che già di suo aveva elettricità statica per stato emotivo d’animo, con uno scatto d’ira, lo afferrò per la maglietta, lasciandolo il ragazzo ancora insonnolito, completamente spiazzato quando i loro volti si trovarono a una distanza impalpabile.
«Smettila di fare lo smaliziato. Dammi. La. Foto. Ora.» gli ordinò telegraficamente.
Per tutta risposta, Sendoh modificò l’espressività facciale, mettendone su una a sopracciglio inarcato e sorriso insolente. Nel vedersi quel suo sorriso da schiaffi spiaccicato in pieno volto, Saeko avrebbe realmente voluto prenderlo ripetutamente a ceffoni. 
«D’accordo» le disse poi sagace. Adesso fu il turno di Saeko di rimanere a corto di parole.
«Come tutto qui? Niente ricatto? Inganni?»Non mi fido. dov’è la fregatura?” aggiunse pensandolo solamente.
Intanto che la sua presa era ceduta lentamente dalla stoffa della sua maglietta bianca, Sendoh se la batté in direzione della palestra.
«Dopo gli allenamenti, te la darò» la informò a spalle voltate e passo da lumaca. 
«E tu ti aspetti che io accetti questo stupido compromesso?» gli berciò appresso questa, a pugni serrati. Sendoh si bloccò, e rimanendo di spalle, ma voltando lentamente solo la testa verso di lei, le disse.
«Se vuoi la foto si» poi riprese a camminare. 
«Lo sai tu sei davvero un...» obbiettò innervosita Saeko, tuttavia gli andò comunque dietro marciando a falcate furiosamente incandescenti.
Recuperare quella foto era la priorità quindi un minimo di sacrificio per averla avrebbe dovuto compierlo.
Entrambi si avviarono così alla palestra, stando a tre metri di distanza - precauzione ovviamente presa da Saeko per non essere invischiata in qualsiasi relazione sentimentale con quell’individuo – e una volta entrati, tutti la guadarono trucemente perché per la squadra, la sua divisa scolastica era il suo detestabile segno distintivo
Saeko odiava essere negativamente al centro dell’attenzione, per questo decise di prendere posto nell’alto della staccionata appartenente al club.
Lì c’erano poche persone e aveva l’intera vista sia dell’allenamento che dei suoi componenti.
Malgrado, nella parte opposta alla sua si trovasse il club infoiato di Sendoh che la stava eloquentemente fucilando con gli occhi.
«Chi è quella? Sai che viene dal Liceo Kainan vero?» la bandì immediatamente Uozumi con quel suo enorme labbrone. Sembrava quasi infastidito da lei, come se accanto alla sua minuta figura fosse automaticamente apparsa nella forma di un miraggio sgradito quella notoria di Shinichi Maki. 
«Tranquillo, è una mia vecchia amica» mediante quell’affermazione Sendoh cercò di chetare il suo capitano.
«Si, ma è del Kainan potrebbe pur sempre rapportare quello che ha visto alla sua preziosa squadra» protestò l’arrogante numero cinque del Ryonan.
«Non lo farà» la difese e sollevò il volto verso di lei, sorridergli pacioso. Saeko stranamente lasciò che i suoi occhi castani cioccolata si intersecassero con quelli blu notte di Sendoh. Certo era pur sempre imbronciata, ma lo stava comunque guardando dritto negli occhi come se volesse disputare un incontro di irremovibilità facciale che non aveva nessunissima intenzione di perdere.
Farai bene a non farmi perdere tempo con le tue stupide pretese, mio caro Sendoh” lo stava avvertendo con l’aggressività penetrante delle sue pupille scure.
A quella visione, Sendoh sogghignò sollazzato dalla sua presenza.
«Bene. Diamoci dentro ragazzi» li battendo le mai per radunarli nel campo. 
Con la ricciolina come spettatrice, Sendoh centuplicava il suo talento e l’umore della squadra.
L’aveva voluta lì non solo per spingere il suo orgoglio ad un limite già sormontanto, ma sopratutto per dimostrargli che quest’anno il Ryonan si sarebbe certamente piazzata al primo posto dei due che avrebbero partecipato al campionato nazionale, che lui da solo sarebbe bastato a tenere testa all’inoppugnabile Shinichi Maki, e forse, tolto lo scettro e corona così da accomodarsi sul trono come nuovo re di Kanagawa.
Saeko, infatti, fatta principalmente da un’immobile onestà, riconobbe che il Ryonan era proporzionatamente rincarata e fornita.
Ma questo l’aveva già appurato durante l’amichevole tra lo Shohoku.
Sendoh possedeva il carisma trascinante del leader che incideva da stimolo alla squadra.
Tutti si fidavano di lui e ne seguivano gli schemi riuscendo a cooperare come un unico nucleo di squadra.
Era un carisma diverso da quello di Maki più competente e impeccabile quanto fluido e superiore, ma per la sua squadra fungeva di indispensabile spinta psicologica, sovrastando anche quello del capitano Uozumi.
Avevano pur vinto contro lo Shohoku, ma per un solo punto segnato abilmente dal loro asso.
Questo parlava chiaramente che tipo di punti di forza e debolezza possedesse il loro team.
Un solo uomo non poteva cambiare le sorti della partita, aveva bisogno di essere sorretto dalle mani inamovibili dei suoi compagni.
Se volevano competere con le altre squadre delle prefetture, avrebbero dovuto migliorarsi nella resistenza, volontà e tattica che in squadre del Kainan erano d'acciaio.
Il Ryonan poteva avere la possibilità di essere tra le prime due partecipanti al campionato nazionale, ma Saeko giudicò che non sarebbe accaduto quest’anno in cui i suoi membri stavano plasmando accentuatamente i loro cangianti talenti.
Ma magari, l’anno prossimo?
Quando gli allenamenti volsero alla conclusione, Saeko scese al piano di sotto, dirigendosi velocemente all’esterno che si preparava all’ora del crepuscolo.
Non aveva bisogno di aspettarlo davanti all’entrata come una fidanzatina faceva con il suo uomo, era a conoscenza che i suoi occhi genuini, ma sagaci l’avevano seguita per tutto il corso del piccolo viaggio fatto.
Difatti il ragazzo arrivò un minuto dopo, con una tovaglia attorcigliata intorno al collo e un tenue, discontinuo affanno.
«La foto» Saeko allungò la mano sollecitandolo nel modo in cui un informatore chiedeva la mazzetta per aver svolto un lavoro disonesto.
«Tieni» Sendoh gliela porse gentilmente, tenendola tra l’indice e il medio.
Saeko, gliela scippò rozzamente dalla mano.
«Siamo sicuri che tu e Nami non ne avete una copia ciascuno?» la ricciolina continuava a diffidare della “semplicità con cui l’aveva avuta” e gentilezza d’animo di Sendoh.
«Io non ne ho. E per quanto ne so neanche Nami» parlò veritiero, grattandosi la parte bassa della chioma da porcospino sotto effetto di una perenne scossa elettrica.
Saeko passò a rassegnare con lo sguardo prima la foto e lui, poi lui e la foto.
Le sue palpebre ridussero a due fessure quasi a volergli fare un inquisizione ai pensieri.
«D’accordo. Diciamo che ti credo» lo assolse, girando subito i tacchi per andarsene.
«Aspetta» la chiamò come a volergli fare una confessione urgente.
Il nervosismo di Saeko ribollì repentinamente nelle vene.
«Cosa ne pensi della nostra squadra?» le chiese giocondo. Saeko non rimase spiazzata da quella domanda. Dopo l’invito di vedere gli allenamenti, sapeva che sarebbe arrivata oggi o domani. O fra un mese.
E Sendoh gliela aveva posta perché la conosceva dalle elementari.
Io non sono così. Non direi mai il falso solo per fare un dispetto a qualcuno che non gradisco” ricordava ancora quella frase che aveva detto nel bel mezzo del corridoio ad una viziata figlia di papà.
Lei era sempre stata così. Con un cuore grande che se anche si fosse trattato di una persona che trovava antipatica o incompatibile alla sua personalità, sarebbe stata ostinatamente e instancabilmente onesta verso i suoi confronti.
«Siete promettenti, ma avete ancora un pochino di strada da fare per poter raggiungere il Kainan» rispose lei spassionata. Anche se non comprendeva perché per lui il suo giudizio importasse così tanto.
Amava e comprendeva le regole del basket, ma non era sua sorella gemella e neanche un coach.
Il suo giudizio valeva tanto quello di un tifoso patito tra gli spalti.
«Non essere così ottimista con il Kainan. Quest’anno potremmo anche sconfiggerli in finale» la provocò lui, tamponandosi le labbra stirate con la tovaglia.
«E tu non sottovalutare chi da ormai tempo è un campione assoluto della prefettura» lo aggredì allora lei incavolata.
«E come ti ho detto l’altra volta, non prendere neanche sotto gamba la prossima partita con lo Shohoku perché sono certa che riceverete una sonora sconfitta anche da loro. Questo e poco ma sicuro, mio caro Akira Sendoh»
«Lo so. Sarà stimolante disputare un’altra partita con loro» le disse sorridendogli con serenità.
«Grazie» si sprecò studiatamente di aggiungere. Ora che aveva fatto il suo ordinario sonnellino pomeridiano, ora che si era entusiasticamente allenato e aveva avuto tra gli spalti della palestra Saeko, ora che Saeko Sendoh poteva dirsi soddisfatto della giornata passata.
«Si si, Ciao» fu la replica scocciata di Saeko, che decise di battersela perché cominciava a trovare quell’atmosfera insopportabilmente confidenziale.
Salendo sulla bici si lasciò scompigliare la chioma ricciolina dal vento refrigerato e sottile della sera ormai vicina.
Durante la sua pedalata non pensò a niente, tranne che di fare una visita ai ragazzi dello Shohoku per passare una gustosa ora in loro compagnia. O anche due.
Neanche la musica era ammessa. Le faceva pensare a cose che non voleva pensare perché voleva tenere la mente totalmente sgombra da qualsiasi pensiero.
Quando però parcheggiò la bici nel suo predestinato posto e aprì la porta scorrevole della palestra, la povera ragazza, impensabilmente, si ritrovò davanti fu il sorriso spaventosamente birbante di Nami.
«N- Nami perché sei qui?»
«Ma non lo so. Perché mai sono qui secondo te?» le rispose mettendo su una vocina frivola e una posizione eccentrica: il polso di un braccio piegato all’insù, la gamba sinistra poggiata sull’altra a formare una C neolitica e l’altro braccio deposito sul fianco snello.
«Ma non dovresti essere al club?» le ricordò deglutendo a stento. Sperava invano che qualcuno si fosse travestito da lei o si trattasse di un’impensabile proiezione da laser.
«Ce l’ho, ma come vedi sono qui, non lì» disse con ovvietà. Poi si sporse in avanti nascondendo l’angolo destro del labbro sottile con la mano corrispondente.
«Pensavi davvero che te la avrei data vinta così facilmente? Sapevo che saresti venuta qui. Vedi? A volte anche io so essere Sherlock Holmes e tu un sospettato prevedibile» se la tirò ostentando un intuito che non era suo.
Infatti, in realtà non era stato così.
Dopo aver lasciato i sue piccioncini soli, Nami ormai arresa al fatto di aver perso, si era messa in sella alla sua bici, vagabondando senza metà per la prefettura.
Il caso o l’istinto aveva voluto farla ritrovare davanti al liceo dello Shohoku, di cui si era convinta di onorare della sua breve presenza.
Le storie che fece Sakuragi quando vide che fosse sola senza Saeko furono inenarrabili e le lamentele quando il rosso vide che la ragazza sbavava su Rukawa senza ritegno ancora più comiche.
Ovviamente Nami si era messa a sparlare con la gemella di questa loro sfida e a cercarne un consiglio.
Conoscendo la sorella come i ricci che entrambe possedevano, Ayako le aveva suggerimento di aspettarla dove si trovava perché, era sicura, che sarebbe passata di lì per ricrearsi con la stravaganza di Sakuragi e gli altri. Il resto stava accadendo nelle minuti attuali.
«Si, ma tu non dovresti essere qui. Non era nei piani» Saeko lo disse boccheggiando per lo shock.
Aveva previsto tutto tranne quello.
Di essere presa per i fondelli dalla sorella a causa della sua guerriglia alla conquista della foto, di essere biasimata da Sakuragi perché non gli mostrava la foto con tanto di muso lungo, ma non quello. Nami non avrebbe dovuto essere li in quel momento, per questo sosteneva che ci fosse lo zanpino di una mente più ingegnosa.
Una mente che guarda caso portava il suo stesso volto e che proprio adesso era intenta a salutarla con la manina.
«Sae? Tutto okay?» le chiese Nami. Vedendo che la ricciolina manteneva un colorito esangue e la mente assente, ne approfittò per sfilargli la foto dalla borsa.
Quel trafugare dentro la sua roba, la riportò alla realtà, però non in tempo, perché Nami stava già sgambettando da un angolo all’altro della palestra per mostrare orgogliosamente la foto quasi che fosse quella della sua primogenita nel suo passeggino: Rukawa non parve minimamente stuzzicato dalla cosa. Gli altri curiosi come gatti nel cortile del vicino, commentarono con un “Ohhhh” corale.
«Nami no!» le urlò Saeko quando la posizionò davanti agli occhi castano fuoco di Sakuragi.
Nel momento in cui il rosso vide chi erano i soggetti della foto strillò come una nonnina che era stata appena scippata da dei ladri in motorino. Saeko si inpanicò nell’attimo.
«Saeko, come hai potuto farmi questo?» le urlò contro con lacrimuccie visibili agli angoli degli occhi.
«Sakuragi non è come pensi» si affrettò a riparare la screpolatura fatta dal malinteso. 
«Quella foto è un inganno, noi, noi, stavamo litigando»
«Se quello lo chiami litigare, non oso proprio pensare come filtri con i ragazzi» la pizzicottò ilare Nami. Infastidita, Saeko se ne impose fronte su fronte con uno sguardo imbestialito. 
«Non stavamo filtrando, non mi sognerei mai di filtrare con un feticista di sorrisi da schiaffi come quello» sbraitò indicando la foto dietro la sua schiena.
«E comunque, dammi quella foto e basta» ordinò ormai stufa da quella iellata situazione. 
«Scordatelo» le disse Nami prendendo a saltellare un po’ di qui e di là alla maniera di un cucciolo di canguro.
«Vieni subito qui!» le impose Saeko riattaccando a rincorrerla
Quello scompiglio fece partire l’embolo ad Akagi che stava proprio rientrando in palestra dopo aver parlato dal telefono della scuola con la sorella, oggi non presente.
«Ma, che sta succedendo qui?» sbraitò Akagi avendo per vena sulla fronte una bomba pulsante. Ci avrebbe scommesso una gamba che c‘era di mezzo quella testa rosso fiamma come al solito.
Una volta individuato, si sarebbe fatto carico di assestargli una dose massiccia di cazzotti, ma quando mise a fuoco le due discole giovinette, le sue sopracciglia si unirono per la barbara sorpresa.
«Hey, un momento, voi due che state facendo, qui al centro della palestra, nel bel mezzo di un nostro allenamento?» le strigliò a dovere perché se c’era una cosa sulla
quale lui non transigeva categoricamente era la reietta indisciplina.
Il tempismo delle circostanze delle volte sembrava davvero andasse in giro vestito da clown.
Saeko aveva appena avvitato le dita sull’orlo della divisa di Nami, ma proprio allora, guarda un po’, come aveva voluto il caso, il senpai Akagi le aveva marciato incontro per dirgli di levarsi di torno e smettere di disturbare la sessione di allenamento.
«Ah, senpai Akagi» proferì Saeko morta dalla vergogna. Ora capiva come si sentivano Sakuragi e Kiyota ogni volta che venivano sgridati dai loro capitani.
Nami, da ne approfittò per liberarsi della presa e scappare dall’altra parte del campo.
«Nami!» le sbraitò impanicata ad una percentuale del cento per cento.
«Allora, signorina? Sto aspettando» un sopracciglio alzato e gli occhi serrarti a due fessure.
«Ecco...senpai...io...»
In che situazione disagevole mi sono cacciata per colpa di quella maledetta foto” pensò questa umiliata. Ma anche adirata.
Tuttavia sapeva anche che l’unico modo per dimostrarsi lodevolmente superiore era quella di mostrarsi disciplinata all’età e alle regole dei suoi senpai.
«Sono imperdonabile. Scusa la mia maleducazione. E quella della mia amica» Saeko fece da ammenda anche a Nami, alla quale scoccò un’occhiataccia refrigerata di sentimento.
«Mi mi levo immediatamente di torno» finì togliendosi speditamente dal mezzo del campo.
«La ragazza è in gamba» disse Akagi evidenziando la sua perplessità dallo sbatacchiare delle palpebre.
«Oh oh oh. Modestamente è mia sorella» si vantò Ayako facendo echeggiare per la palestra una risata vanesia.
Gli allenamenti ripresero perciò indisturbati da seccatore alticcio di vitalità e follia.
Prendendo posto in piedi al fianco della sorella, Saeko sbuffò incazzata e irritata, facendo lievitare davanti agli occhi una ciocca boccolosa.
Stava perdendo terreno, e perdendo terreno, l’ora della sua sconfitta sarebbe scoccata spietatamente puntuale.
La nostra eroina fece allora evaporare fuori un sospiro demotivato.
Le bruciava tantissimo, ma doveva ammettere di star fallendo miseramente. E di essere a corto di stratagemmi inventivi.
Non è così, ne ho ancora uno, in realtà”. Si rimembrò da sola.
Saeko in effetti aveva un collaudato quanto infallibile “asso” nella manica che corrispondeva alla descrizione di un tizio alto un metro e ottantasette, pelle di un delicato rosato, occhi blu indecifrabili come il cielo ostile d’inverno, sovrastati da un tendone di ciuffi della sua corta chioma mora.
Saeko si voltò con lentezza verso l’asso in questione. Subito, un cipiglio impensierito si delineò sulla sua fronte.
Come no. Più facile a dirsi che a farsi. Io con lui non ci ho mai parlato e non saprei proprio in che modo approcciarmene. Come dovrei comunicare con lui, se io per prima faccio schifo a farlo Saeko non lo riteneva una persona perniciosa o ne provava una soggezione emotiva relativa a quella del Senpai Maki, ma avere a che fare con un tipo mutangolo e apatico oltre ogni sproporzione umana, somigliava al scrivere un romanzo senza aver un minimo di cultura generale.
Gli epiloghi dei vari tentativi sarebbero sempre stati un fallimento dato dalle sue frigide repliche “Non mi rompere le palle” o “Vai a cagare”.
Ayako come cavolo ci era riuscita?” alzando gli occhi al cielo con la sua classica espressione spassosamente crucciata.
Anche se approfondendo sull’argomento, non era poi questo encomiabile successone.
Si, okay, si conoscono dalle medie, però...però era comunque un traguardo insignificante perché anche se Rukawa ne tollerava la voce e presenza nelle vicinanze, allo stesso modo, si poteva notare che lui non era poi tutta questa inverosimile loquacità con lei.
Ho capito. Sarà meglio orbitare la mia inventiva altrove”. Saeko era stata sul punto critico di desistere, ma il millesimo sproposito di Nami, le fece ritrovare la combattività ormai sbiadita. E da sbiadita era fortemente tornata a essere di una tonalità brillante.
«Adesso basta!» ringhiò risoluta a prendersi quello che gli apparteneva.
Tutti rimasero zitti ad osservarla indirizzarsi a passo spedito verso un Rukawa ignaro che aveva appena finito di concludere uno dei suoi stellari dunk.
«Si, ecco, cioè» Saeko si schiarì la gola nel momento in cui Rukawa stava raccogliendo la palla da terra.
Kami, che ansia Saeko non sapeva sinceramente cosa fare.
L’avrebbe mandata all’altro paese o finto direttamente che a parlare fosse stato uno spettro?
«Emh...Ciao, Rukawa» disse lei incerta.
Rukawa si voltò lentamente verso di lei rumoreggiando il suo solito «Mh!» che poteva voler dire
E questa qui chi sarebbe?” o “Che vuole da me questa?” o “Levati dalle palle che devo allenarmi”
«Ecco...io...suppongo che sai chi sono, ma dato che non ci siamo presentati ufficialmente» Saeko evitò di allungargli una mano e inclinò invece la schiena in un piccolo inchino di buona creanza. «Piacere sono Saeko, la sorella gemella di Ayako» Rukawa si asciugò metà viso con la maglia come per dire “E quindi?”.
«Ti – ti chiederai il perché sono qui a parlare con te…e….» cercò di avere una conversazione agevole, ma, il suo sguardo era magnetico, si, però anche restiamente glaciale, tuttavia Saeko, notò di non provare paura, ma solo di sentirsi sotto uno schiacciante, inesorabile giudizio.
Gardare tra gli occhi di Rukawa era come leggere un libro in lingua straniera conoscendone le parole basilari: dovevi continuamente controllare, consultare la traduzione per essere sicura di aver compreso perfettamente le frasi stampate.
«Cosa sta facendo? Gli sta chiedendo un appuntamento per farmi un dispetto?»
«Dopo Sendoh, ora anche Rukawa? Perché mi fai questo, Saeko?»
«Io penso che te lo voglia sguinzagliare contro» dicevano intanto rispettivamente in ordine Nami, Sakuragi e Ayako, con i colli allungati.
«Ecco...io...» proseguì perciò Saeko. L’espressione apatica di Rukawa e la sua insicurezza, però ebbero una reazione talmente eruttiva, da farla parlare a macchinetta per il nervosismo.
«Senti, lo so che non ci siamo mai parlati, e che quello che sto per chiederti mi renderà la peggiore opportunista della prefettura, ma se lo faccio è perché ho finito le mie risorse strategiche e tu sei l’unico che può riprendersi quella maledetta foto. Perciò, ti prego, per favore, strappa la foto dalle mani di quella pazza scatenata e, ti prometto che dopo spariremo dalla palestra» dopo tutto quell’ambaradan di sproloquio supplichevole, Rukawa non commento né a voce, né a gesti. O perlomeno lo fece, ma nel mentre che si incamminava verso l’obbiettivo designato da Saeko.
«Va bene. Basta che vi levate dalle palle» le disse quando la sorpassò. A Rukawa non importava un fico secco degli inciucamenti che c’erano tra gli studenti del Kainan e le stelle nascenti del basket del Ryonan e neanche quanto impudicamente incriminante fosse quella fotografia.
Il suo unico desiderio era che il suo allenamento pomeridiano filasse liscio come un gommone su uno scivola ad acqua, così da essere carico per il campionato nazionale. E forse qualcos’altro di più che gli frullava da un po’ in testa.
«Ha davvero accettato? Fatico a crederci» la voce di Ayako era la rappresentazione totale dello stupore.
«Ah! Rukawa che cosa hai intenzione di fare? Vuoi arruffianarti anche Saeko? Non te lo permetterò lei è la mia migliore amica e...»
«E sta zitto» Sakuragi era già pronto a sferrare uno dei suoi cazzotti micidiali, ma il moro lo mise freddamente a cuccia.
Rukawa si ritrovò quindi in un battibaleno davanti una Nami che fissava il suo bel volto inespressivo come se fosse quello di una statua greca.
«Oh, Rukawa. Vuoi..» la ragazza deglutì messa in difficoltà dalla sua vicinanza. Tuttavia, nonostante le provocasse un certo effetto, questo non le impedì di filtrarci senza pudore. 
«Vuoi chiedermi un appuntamento?» argomentò Nami, retrocedendo di un passo con la foto stretta tra le dita e ben nascosta dietro la schiena.
Rukawa si mosse roboticamente in avanti, iniziando ad allungare anche il suo chilometrico braccio.
«Oh, cosa? Vuoi baciarmi qui davanti a tutti?» Nami era specializzata nel rendere le situazioni ormonalmente incandescenti. 
«Ma se vuoi posso farmi dare le chiavi della terrazza e potremo spassarcela indisturbati per tutto il tempo che desideri» lo invogliò, schiacciandogli flautatamente un occhio.
Rukawa se ne avvicinò ulteriormente, facendo della voce di Nami solo una passeggera turbolenza aerea.
Quella vicinanza confuse la ragazza a tal punto di chiudere gli occhi e attendere uno schioccante bacio, ma Rukawa ne approfittò per strappargli la fatto dalle mani ora allentate dall’oggetto.
«Ah, maledetta volpaccia. E tu te la credi tanto e poi ti sei fatta fregare» protestò Hanamichi sconvolto.
Rukawa finse che non avesse mai parlato.
Nami che sembrava essere scesa adesso dal suo immaginario castello fluttuante per aria, nel frattempo berciò senza una fine quando si accorse di non essere più in possesso della fotografia. 
Rukawa intanto era tornato di fronte a Saeko e gli porgeva con impassibilità l’oggetto.
«Tieni. Ora sparite» le intimò poi.
Sbalordita Saeko, batté convulsamente le palpebre per tre volte sembrando una bambola di porcellana effettiva.
Era certa al novantanove virgola nove per cento che la sua arma segreta l’avesse incoronata vincitrice incontestata della sfida, ma non immaginava che fosse così istantaneamente efficace.
«Incredibile. Grazie» gli disse riprendendosela. Perciò, ripresasi dal subitaneo colpo di scena, afferrò l’amica per l’orlo della divisa, si accinse a sparire dalla palestra, augurando alla squadra un buon proseguimento di allenamento.
«Non vale hai barato» Nami contestò il responso della sfida una volta che furono all’esterno che ormai aveva assunto la tinta blu notte punteggiata dal bagliore giallo delle stelle come la divisa del Ryonan. 
«E quindi? Sbaglio o nella sfida non avevamo messo regole o divieti» la rimbrottò Saeko affrontandola ad occhio per occhio.
«Quello è vero» tintinnò Nami davanti al suo raziocinio.
«Ma mandarmi Rukawa è stato un colpo basso» Nami sostenne comunque la sua sottile fetta di ragione.
«Ma io ho agito semplicemente di conseguenza a te» gliela rivoltò astutamente contro Saeko, riferendosi alla comunella che faceva con Sendoh che dava sempre sbocco a stolti e loschi piani.
Nami a quel punto non ebbe più fette di ragione da rinfacciargli.
«Uff...va bene, te lo concedo. Scacco matto per te» ammise battendo i piedi con una faccia contrita. 
«Fantastico» festeggiò Saeko sentendosi finalmente prosciolta dalle limitazioni onerose che una sfida implicava.
«Ma la prossima volta vincerò io e sai perché? Perché per quel tempo avrò scoperto chi è il senpai che ti piace e allora lo userò come tuo punto debole e mio personale scacco matto» le dichiarò come se stesse facendo un giuramento di deferenza all'imperatore.  
«Come ti pare» diede risposta per niente turbata. Una seconda sfida non ci sarebbe stata perché quell’unica esperienza gli sarebbe bastata per i prossimi vent'anni futuri.
E se per un caso misterioso fosse riaccaduto, Saeko avrebbe adottato una condotta più massimalista e guardinga del solito.
«Ciao, Nami» le disse cominciando a pedalare e sventolandogli la mano sinistra per un secondo. 
«Ciao, ciao, Sae» ne ricambiò il saluto contenta come se avesse ricavato qualcosa da quella sua perdita.
La loro amicizia era così.
Bisticciavano, polemizzavano, si accapigliavano, si criticavano entrando in una vorticosa competizione di dispetti, ma una volta concluso e risolto lo scopo del litigio, si comportavano come ordinarie migliori amiche che non avevano passato il tempo a rendersi la giornata impossibile.
Verso la strada di casa Saeko si concesse di ascoltare la musica, immaginando trame e soggetti fatui.
Questo la aiutò a rilassarsi per benino.
Saeko quindi tornò a casa di buon umore, si fece un bagno rilassante, mangiò a sufficenza a cena
Finché si ritrovò sola nella sua stanza con la foto striminzita tra le mani.
Sulle sue labbra carnose si plasmò un lento ghigno tipico dei manigoldi che guardavano la loro refurtiva con occhi avidamente esauditi.
Adesso si che mi diverto”. Pensò, abbozzandosi nella mente il modo più appagante per disfarsene.
Appallottolarla?
Perché non smembrarla direttamente e fare tante palline per vedere quante ne vanno a segno nel cestino della spazzatura?” il ghigno di Saeko si contrassegnò ancora di più sulla linea curvata delle labbra.
Niente male come idea. Si questa mi piace un sacco.”
«Ma stai ancora con quella foto tra le mani?» le domandò d’un tratto la gemerla, facendola sobbalzare allo stesso modo di una molla.
La foto ovviamente le sfuggì dalle mani, andandosi a depositare nell’angolo sinistro della libreria.
«Ayako, mi hai fatto prendere un colpo!» la rimproverò risentita dalla sua improvvisata.
«E comunque, me ne sto per disfare» la informò un attimo dopo, voltandosi verso di lei a mento sollevato.
«Grandioso» criticò la gemella appesantendo appositamente la vocalità. Saeko alzò gli occhi al cielo innervosita da quel suo insoffribile vizio. Sapeva che quando lo adoperava significava che stava per trasformarsi nella sputasentenze della saggezza universale.
«D’accordo, che vuoi? Parla» le disse quindi.
«Mah, niente. Volevo solo suggeriti di non strapparla o gettarla via»
«Cos,,,perché?» Saeko scattò furiosamente in piedi.
«Perché vuoi o non vuoi, Sendoh fa parte di uno spicchio, se pur microscopico, della tua vita, e quella li nella foto è una parte di te di cui non puoi disfarti come un documento del computer che cancelli dal cestino. Sarebbe come il non accettarti completamente. O mi sbaglio a dire che quello è un frammento dei tuo lato caratteriale che più ami possedere?» Ayako interpretò in maniera così attendibile e filata il quadro generale, che Saeko rimase muta come un pesce.
«Vabbeh, buonanotte» gli augurò quando comprese che, almeno per quella sera, nessuna replica soversiva sarebbe uscita dalla bocca rigida della sorella.
«Buonanotte» mugugnò di rimando quasi incomprensibilmente.
Saeko perciò fece quello che le riusciva meglio: ragionò, anatomizzò e assorbì quello che gli era stato appena detto.
Lei sapeva che all'ottantaquattro per cento la gemella aveva ragione.
Saeko era già instradata in quella maturità procace che negli anni a venire l’avrebbe resa un modello a cui prestare ascolto e trarne insegnamento, però non negava che la Saeko che Sendoh riusciva a fare emergere sfavillava di una una grinta stilosa, che faceva da equipaggiamento alla sua originale personalità.
Amava essere inesauribilmente assennata, di avere i suoi prolungati tempi - che a volte includevano settimane su settimane – per scomporre le opzioni e prendere la decisione più confacente per tutti, ma non schifava certo neanche quella sua parte sapientemente intrepida.
Quando la sua testardaggine e impulsività prevalevano su qualunque altra cosa era perché voleva si batteva apertamente per un suo principio o la trattavano per stupida.
La Saeko che tirava fuori in presenza di Sendoh era la stessa che si manifestava adesso con Ayako, ma anche Nami, e chiunque gli avesse fatto schizzare i nervi alle stelle per via di qualcosa di incondivisibile che aveva detto e fatto.
Ayako ha proprio ragione” Saeko aveva capito l'antifona. La gemella gliel’aveva espressa facendola suonare per come doveva essere capita. Cristallina e senza metafore.
Perché strappare quella foto equivaleva al bandire lontano dalla sua anima una parte vitale di se stessa.
Quanto detesto la mia gemella” pensò remissiva. E Un sorriso le nacque spontaneamente tra le labbra.
Sapeva dove conservare quella foto.
Saeko quindi gettò fuori un pesante sospiro, poi spostò la sedia dalla scrivania all’armadio, da dove, stirandosi sulla punte, riuscì a recuperare una scatola nera piatta e rettangolare Immacolata dal giorno in cui l’aveva comprata.
Nera come un buco nero che tutto tratteneva, ma dal quale nulla era minimamente visibile.
La sua scatola degli “oggetti invisibili” l’aveva appena battezzata, perché quella scatola avrebbe contenuto quei manufatti della sua vita che sapeva avere, e ciò nonostante avrebbe fatto finta di non ricordarsi intenzionalmente della loro esistenza.
Saeko si voltò verso la parte destra della stanza.
G
iusto ora si ricordava di avere altre due cosette da poterci gettare dentro.
Perciò si alzò e le andò a recuperare. 

 

NOTE AUTRICE: Oh, finalmente posso postare la seconda e ultima parte della One Shot.
Bene, bene. Piaciuta? Siete d’accordo che fine ha fatto la foto in conclusione? E dell’interazione con Saeko e Rukawa che mi dite? Doveva accadere prima o poi che sti due comunicassero e io non vedevo l’ora. Rukawa è uno dei più difficili dal quale scrivere e ogni volta spero di non vado in OOC. Ma qui penso di essere stata fedele al suo personaggio come per Sendoh.
Comunque sono felice di averla scritta e spero che anche voi abbiate avuto una piacevole lettura.
Alla prossima (perché sicuramente scriverò altre cose di vario genere e fandom).
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Ci si sente. Byeeee.

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