AMNESIA

di pippobaudo_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 12 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 14 ***
Capitolo 16: *** ENIGMA ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 15 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 16 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 17 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 18 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 19 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 20 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 21 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 22 ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 23 ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO 24 ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO 25 ***
Capitolo 28: *** INSOMNIA ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO 26 ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO 27 ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO 28 ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO 29 ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO 30 ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO 31 ***
Capitolo 35: *** CAPITOLO 32 ***
Capitolo 36: *** CAPITOLO 33 ***
Capitolo 37: *** CAPITOLO 34 ***
Capitolo 38: *** CAPITOLO 35 ***
Capitolo 39: *** CAPITOLO 36 ***
Capitolo 40: *** CAPITOLO 37 ***
Capitolo 41: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


AMNESIA
 


PROLOGO
 
Una luce bianca la investì impedendole di distinguere l'ambiente intorno a sé, i suoni le sembravano ovattati, incomprensibili; l'unica cosa certa era il dolore, esteso a tutto il corpo: i muscoli non rispondevano ai suoi comandi, le tempie le pulsavano sempre più, procurandole la nausea, era quasi sicura di vomitare da un momento all'altro.


Improvvisamente, una figura nera le si avvicinò.

'Signora Wallis?' fece questa. 'Riesce a sentirmi?'.



E tutto si fece nero.
 
 
 
§
 

 
Avrebbe dovuto farla fuori come da programma, eppure ogni volta qualcosa andava storto. Ci aveva provato molte volte ormai: la sua figura era così piccola e snella, quasi fragile, che sarebbe bastato fare un po’ di pressione in più sul punto giusto per porre fine a quel calvario, ma i suoi occhi, quei maledetti occhi color cioccolato pieni di ammirazione e amore per lui, e il modo con cui lo chiamava, dolce, quasi un soffio all’orecchio, mandavano i suoi piani in frantumo. Bastava così poco per eliminarla, ma altrettanto poco perché lui facesse dietrofront.
Lasciarla viva? Lo avrebbe fatto, sul serio, ma avrebbe sicuramente continuato a tenere in vita tutto ciò che c’era di più buono e puro in lui, la parte di sé che più odiava in assoluto.
E ciò non gli era consentito. Non se era deciso ad investire il suo tempo in un'attività come quella.
L'unica alternativa possibile era lasciar fare il lavoro sporco agli altri e togliersi dalla lista dei sospettati.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


SABATO 18 LUGLIO 2020
 
COURTNEY
Si svegliò lentamente, con la fronte madida di sudore e lo stomaco in subbuglio. Cercò di alzarsi da quel maledetto letto, voleva capire per prima cosa dove si trovasse esattamente.
Si guardò intorno: la sua perfetta camera da letto era sparita, sostituita da una stanza completamente bianca con grandi finestre sulla sinistra; alla sua destra vi era una flebo i cui fili, si accorse solo in quel momento, le stavano penetrando la carne. Quasi sbiancò alla vista delle proprie braccia contuse e i lividi violacei; si tastò la testa dolorante percependo al tocco qualcosa di ruvido, le bende.
Urlò terrorizzata.
Una porta al centro della camera si spalancò e due figure alte e snelle si precipitarono sul suo letto. 'COURTNEY, come stai tesoro?' disse la donna preoccupata. Era magra e alta sulle sue zeppe grigie e nere, indossava una leggera camicia bianca, in contrasto con la carnagione scura, e un pinocchietto verde salvia. Gli occhi erano grandi e di un bel color nocciola e i capelli castani erano raccolti in un elegante chignon.
 
'Mamma, papà! Cosa è successo? Dove sono?' domandò Courtney nel panico.

'Calmati, Courtney. Ti sei appena svegliata' fece suo padre, un uomo sulla cinquantina alto e dalla pelle olivastra. 'Sei al sicuro ora'.

'Al sicuro, dove?' chiese Courtney quasi spaventata.

'In ospedale, tesoro' rispose dolce la madre. 'I dottori dovrebbero visitarti da un momento all’altro'.

'C-cosa mi è successo?' fece la ragazza, il cuore a mille e le tempie che pulsavano.

'Courtney, qual è l'ultima cosa che ricordi?' chiese il padre cauto. Lei si concentrò e iniziò a raccontare.

'Ero in camera mia, in appartamento, a studiare per un esame. Basta, è tutto ciò che ricordo' concluse la ragazza fissando intensamente i due innanzi a lei, visibilmente preoccupati dal racconto della figlia. 'Sto bene, vorrei solo andare a casa da Heather, bere una buona tazza di caffè e sprofondare con la faccia nel libro di diritto internazionale'.
I genitori si scambiarono velocemente un'occhiata, perplessi da quell’affermazione.
 
'Vedi, tesoro' iniziò il padre vedendola confusa dalla loro reazione. 'A quanto pare la situazione è più complicata del previsto' e deglutì a fatica. 'Tu non devi più studiare o fare alcun esame, ti sei già laureata e con il massimo dei voti'.
 
'Sì, e lavoro anche per un famoso studio legale' scherzò l’ispanica.
 
'Beh, non propr...' cercò di parlare la madre, ma fu subito zittita da un'occhiataccia del marito, che riprese il discorso: 'Quello che tua madre ed io stiamo cercando di dirti è che la tua carriera universitaria è terminata, ogni esame è già stato superato... quattro anni fa. Siamo nel 2020, Courtney' e nel dire questo, l'uomo puntò l’indice sul calendario dell'ospedale, appoggiato sul comodino, vicino a un vaso di fiori.

'CHE COSA?!' gridò la ragazza, il cuore a mille, il respiro affannato. 'NON È POSSIBILE!'.

'Calmati. Tesoro, va a chiamare qualcuno' disse la donna accarezzando i capelli della figlia; mentre il padre usciva frettolosamente dalla stanza alla ricerca di un medico. Courtney cominciò a dimenarsi e a gridare, voleva togliersi tutti quei fili dal corpo, voleva ritornare a casa, la sua, quella che condivideva con Heather. Rivoleva la sua stanza, il suo letto e la sua scrivania colma di libri pesanti.
Degli infermieri fecero capolino dalla porta, seguiti dal padre di lei; Courtney ripresasi a dimenarsi con più foga di prima, fu immobilizzata fino a quando uno di loro iniettò una dose di morfina e, di nuovo, tutto divenne nero.


 
 
§


 
 
'Dobbiamo dirglielo'.

'Cosa? Sei matta?!' fece l’uomo alla moglie. 'Questa è una benedizione!'.

'Il fatto che tua figlia abbia avuto un incidente, la chiami benedizione?' chiese la donna con un pizzico di disgusto nel tono.

'Ovvio che sono preoccupato per lei, quello che le è successo è stato orribile… ma questo è il punto di partenza per impedire altre disgrazie' proseguì lui guardando la consorte negli occhi. 'Dobbiamo proteggerla'.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


DOMENICA 19 LUGLIO 2020
 
HEATHER
Il bussare frenetico alla porta di casa accompagnato di tanto in tanto dal suono del campanello la svegliarono di soprassalto, obbligandola ad alzarsi dal letto. Sperava fosse veramente qualcosa di importante, altrimenti Dio solo sapeva cosa avrebbe fatto all’idiota dall’altra parte della porta, che dovette aprire di malavoglia, meravigliandosi della presenza di quell’uomo in casa sua.
'Signor Barlow?! Che ci fa lei qui… a quest’ora?' domandò Heather con la voce ancora impastata dal sonno, ma scandendo bene le ultime parole con un cenno di fastidio. L’orologio accanto la porta segnava le sei del mattino.

'È presto, lo so, ma ho bisogno di scambiare qualche parola con te. Posso?' e senza aspettare alcun invito, entrò. 'Vedo che l’appartamento è in ordine, e la nuova coinquilina?'.

'Non c’è nessuna coinquilina, signor Barlow' fece Heather tagliente. 'Cosa le serve?' aggiunse sbrigativa pur di toglierselo di torno.

'Interessante' continuò lui studiando attentamente l’ambiente che lo circondava. 'E con le finanze?'.

Heather alzò un sopracciglio, era a metà tra la sorpresa e l’indignazione. 'Vanno' tagliò corto, lanciando una stilettata all’uomo di mezza età in piedi di fronte a lei.

'Vanno…' ripeté lui quasi sussurrando. '…male però' e fissò l’asiatica dritto negli occhi. Heather si strinse nelle spalle, colta in flagranza, ma non aveva intenzione di cedere: portò le braccia al petto e aggrottò la fronte, lanciando uno dei suoi soliti sguardi carichi di odio e sfida.

'Non glielo ripeterò ancora, signor Barlow' parlò lei cercando di controllare il tono della voce. 'Perché è qui?'.

'Courtney' rispose lui con molta nonchalance; Heather, al contrario, sgranò gli occhi. Era passato molto tempo dall’ultima volta che l’aveva vista. 'Penso tu abbia sentito dell’incidente, ai notiziari'.

'Questo cosa c’entra con me?' chiese lei cedendo alla curiosità.

'Vedi, Courtney si è miracolosamente ripresa: sta bene, si è svegliata e tutto il resto. L’unico problema è che non ricorda nulla di quello che le è successo e non sto parlando solo dell’incidente in strada'. Heather cercò di seguirlo con molta attenzione e, soprattutto, con tanta pazienza. 'Ha perso la memoria, non ricorda nulla degli ultimi quattro anni. L’unico ricordo che ha risale al periodo dell’università' concluse l’uomo facendo calare il silenzio nella stanza.

'Ancora non vedo cosa questo c’entri con me' commentò Heather aspra.

'Vorrei che Courtney ritornasse a vivere qui dal momento che il suo ultimo ricordo vede te e lei abitare sotto lo stesso tetto. Vorrei che tutto tornasse com’era prima'.
Heather rise. Una risata priva di felicità: il signor Barlow era un uomo sgradevole e viscido sotto tutti i punti di vista; e in quel momento, quell’enorme stronzo era in casa sua, a chiederle un favore tra l’altro. L’asiatica lo scrutò per un istante, indecisa sul da farsi.
'Ovviamente ne trarrai beneficio anche tu' proseguì lui. 'Con Courtney qui dividerete le spese'.
Heather rimase in silenzio, lo sguardo di fuoco; se avesse potuto lo avrebbe incenerito sul posto. L’uomo le sorrise di rimando sicuro di averla in pugno. 'Non ti sto chiedendo molto, solo che Courtney torni a stare qui con te. In cambio, oltre alla compagnia di mia figlia, avrai anche il suo denaro'.

'Se lui lo scopre?'.

'Non ti preoccupare, di questo me ne occuperò io'.



 
§
 


Il piano era pronto, studiato nei minimi dettagli; a breve avrebbe preso il comando.
'Sapete cosa fare' disse con tono autorevole ai tre individui innanzi a lui. 'Dopo oggi, le cose cambieranno radicalmente'.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


LUNEDI’ 20 LUGLIO 2020
 
COURTNEY
Era passato un giorno da quando aveva ricevuto la tragica notizia del suo incidente: a quanto pareva si era risvegliata nel futuro, precisamente quattro anni dopo il suo ultimo ricordo. Dai racconti dei suoi genitori aveva appreso di essersi laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti e di aver cominciato la pratica forense presso un prestigioso studio legale; per il resto aveva continuato a vivere nello stesso appartamento con Heather e la sua vita amorosa era sotto lo zero.
Courtney non ne era rimasta sorpresa o scioccata, aveva già stabilito con largo anticipo che cosa volesse esattamente fare della sua vita, ma il fatto di non ricordarsi avvenimenti così importanti come la laurea o il primo giorno da praticante la rendeva isterica. Anzi, l’intera situazione la rendeva così, per non parlare delle svariate domande e le enormi lacune che aveva in testa.
 
Aveva passato l’intero pomeriggio seduta sul letto, a sfogliare i quaderni dell’università pieni di appunti, segni a matita, frasi più volte sottolineate ed evidenziate, cerchi o quadrati rossi qua e là… un quadro astratto insomma.
Stanca, posò tutti quegli schemi sul comodino vicino e accese la televisione. Due figure a mezzo busto comparvero: a sinistra vi era una donna bionda con gli occhi azzurri; a destra stava un uomo con un sorriso smagliante sul volto.
 
 
 
'Buongiorno e bentornati a TG Drama, io sono Blaineley Stacey Andrews O’Halloran' fece lei entusiasta, interrotta poco dopo dalla tosse dell’uomo. 'E lui è Josh'. Lui le lanciò un’occhiataccia, ma riprese subito la conduzione del programma.

'Notizia sconvolgente è giunta stamane: questa notte una coppia di giovani è stata aggredita da un energumeno nel parco centrale della città. La ragazza, Zoey Mamabolo, originaria del Canada, si è spenta a soli venticinque anni dopo aver riportato gravi lesioni interne dovute alle percosse ricevute; inutile è stato l’intervento dei medici'.

'Il fidanzato, Mike Doran, è fortunatamente sopravvissuto all’attacco' proseguì Blaineley. 'In questo momento si trova in ospedale, sotto osservazione'.

'Non sappiamo cosa ha spinto questo criminale a commettere tale azione, forse una rapina finita male, ma i nostri agenti di polizia stanno lavorando duramente per identificarlo. Per ulteriori aggiornamenti, vi aspettiamo all’edizione serale del Tg' concluse Josh. 'Ma ora passiamo ad un altro servizio'.
 
 
 
La porta si aprì e una donna alta e magra varcò la soglia, sua madre. Courtney spense la televisione e cominciò ad osservarla: con sé aveva delle borse di carta colme di vestiti di vario genere. 'Cos’è tutta quella roba?'.
 
'Non conosco il tuo stile, quindi ho comprato un po’ di tutto' rispose lei aprendo le buste. 'Secondo i dottori stai bene, puoi tornare a casa, da Heather' e prese un vestitino aderente color cremisi. 'Questo si sposa bene con la tua carnagione'.
Courtney, per la prima volta da quando era rinchiusa lì dentro, sorrise raggiante. Finalmente sarebbe tornata a casa, da una faccia conosciuta, da qualcuno che forse le avrebbe raccontato come stavano veramente le cose. Era dura da ammettere ma c’era qualcosa che non quadrava nel racconto dei suoi genitori, aveva la strana e spiacevole sensazione che le stessero omettendo alcune informazioni.
Infatti, stando alla loro versione dei fatti, lei, la ragazza più diligente e rispettosa delle regole, al momento dell’accaduto, era intenta ad usare il cellulare mentre si trovava alla guida della sua auto; e, distratta dall’arnese, era uscita fuoristrada finendo contro un albero.
Courtney non ci aveva creduto nemmeno per un secondo, non poteva essere stata così tanto stupida.
 
L’ispanica balzò giù dal letto, eccitata dall’idea di abbandonare quel posto e la sbobba marrone che rifilava ai pazienti come pasto. Indossò il vestito cremisi e vide che la fasciava perfettamente, mettendo in mostra le curve giuste del suo corpo ancora malandato.
'Mi raccomando, una volta al giorno devi pulire le ferite e cambiare le bende. Se hai difficoltà chiedi a Heather' disse sua madre premurosa e abbracciandola dolcemente. Courtney ricambiò e, aiutata dall’adulta, preparò la borsa.
 
Iniziò finalmente ad assaporare la libertà.
 
 
HEATHER
Si trovava in vasca, immersa nell’acqua calda e nella schiuma bianca e rosa. Era appena tornata a casa e aveva bisogno di rilassarsi prima che giungesse Courtney.
Le parole del signor Barlow continuavano a rimbombarle in testa, l’aveva istruita su cosa dire alla figlia nel caso in cui questa avesse cercato di indagare sul suo passato e aveva lasciato un generoso anticipo in denaro per il suo silenzio, denaro che aveva ovviamente già speso per pagare le bollette arretrate. In circostanze diverse non avrebbe mai accettato una cosa simile, ma era al verde e il suo conto in banca era al di sotto dello zero.
Il suo era solo un misero lavoro come commessa di vestiario: non era eccezionale come impiego data la sua grande ambizione, ma la vita le aveva riservato quello.
Karma, si disse. Le stava bene visto gli anni del liceo passati a tormentare le povere anime, anche se, a quel tempo, a giustificazione di ciò, aveva ad a che fare con una condizione a dir poco sgradevole in “casa”.
Si alzò in piedi e si coprì con un asciugamano viola. Percorse tutto il corridoio prima di giungere nella propria stanza; raccolse i capelli corvini in una lunga coda di cavallo, sul viso si passò uno strato di fondotinta, sugli occhi il mascara e la matita neri. Indossò una canottiera bordeaux, dei jeans lunghi strappati a livello delle ginocchia e delle semplici zeppe ai piedi.
Non passarono nemmeno cinque minuti che il campanello suonò e dalla porta di casa fece capolino la famiglia Barlow al completo. Courtney le piombò addosso, felice di rivederla. Non era cambiata affatto: alta e snella, dalla carnagione abbronzata; aveva un vestito color cremisi che le donava molto e che le copriva la maggior parte dei lividi e delle bende.
'Heather, finalmente! Mi devi raccontare tutto' esclamò lei staccandosi dalla coinquilina. 'Spero che la mia camera sia rimasta la stessa anche dopo quattro anni!'.

'Scaffali colmi di libri, appunti e fogli sparsi qua e là sulla scrivania, armadio pieno… sì, è la stessa' sorrise Heather. Guardò i genitori dell’ispanica rimasti in silenzio dietro la figlia, lo sguardo soddisfatto del signor Barlow era fisso su di lei esaminando ogni singola mossa o parola.
 
'Perché non mi sei venuta a trovare?' domandò Courtney all’improvviso, spiazzando l’altra.

'La colpa è mia, tesoro, ho chiesto espressamente ai medici di non far entrare nessuno' intervenne il signor Barlow. 'Comunque, adesso sei in buone mani. Ricordati gli antidolorifici e le bende' e le stampò un bacio sulla fronte.

'Chiamaci se hai bisogno' aggiunse la madre abbracciandola.

'Arrivederci signori Barlow, a presto' fece Heather guardandoli dirigersi verso l’uscita. Ovviamente non poteva mancare un ultimo sguardo d’intesa tra lei e l’uomo. La porta si chiuse e le due ragazze rimasero finalmente sole.
 
'Okay, se ne sono andati… spara!' esclamò l’ispanica. 

'Come, scusa?' fece Heather confusa.

'Voglio sapere cosa è successo in questi quattro anni. So che i miei mi nascondono qualcosa, quindi spara. Cosa devo sapere?' insisté. Heather la scrutò: era passato solo qualche giorno dall’accaduto e, oltre ad essere ritornata a casa e a stare miracolosamente in piedi davanti a lei in così poco tempo, aveva il cervello già in moto.

'Non so a cosa tu ti riferisca in particolare' ed era vero, in quegli anni ne erano successe di cose. 'Ti sei laureata, hai cominciato una specie di tirocinio…'.

'Tutto qui?' chiese l’altra delusa. Heather si limitò ad annuire, memore delle indicazioni datele il giorno prima dal genitore di Courtney.

'Beh, siamo state a varie feste in discoteca, abbiamo rimorchiato qualche ragazzo, ma niente di nuovo se è quello che intendi'.
Courtney sospirò e trascinò le sue cose in camera. Odiava mentirle ma d’altra parte era per il suo stesso bene.



 
§
 
 
Stava esaminando ogni cartella clinica in suo possesso. Voleva assicurarsi che le voci fossero vere e che lei non fosse più una minaccia per loro.
Tutto stava procedendo per il meglio, mancava, però, il gran finale.
 
 
 
§
 
 
 
COURTNEY
Stava comodamente seduta sul divano, i capelli ancora bagnati legati in un codino. Si era concessa una lunga e rilassante doccia dal momento che il nauseante odore di ospedale e medicinali le era rimasto appiccicato.
Il suo sguardo si era posato su ogni singolo dettaglio dell’appartamento: dopo quattro anni era rimasto, fortunatamente, tale e quale, gli stessi mobili semplici ma eleganti, la stessa parete color carta da zucchero in soggiorno (decisamente il dettaglio della casa che le piaceva di più) e la stessa camera da letto riempita perlopiù di scaffali per i libri. Ritornare a casa era stato un toccasana per lei, voleva – anzi, doveva – riprendere in mano la propria vita, cercando qualsiasi genere di informazioni, universitarie o professionali che fossero; ma ciò che forse le premeva di più era mettere le mani sui filmati dell’incidente stradale, solo per verificare la versione dei suoi genitori. Sicuramente una notizia del genere non doveva essere passata inosservata, soprattutto alla televisione nazionale e al suo celeberrimo telegiornale, la cui sigla, ormai nota, aveva cominciato a rimbombare per tutta la stanza.
 
 
'Buonasera, questa è l’edizione serale di TG Drama, io sono Blain…'.
 
'Josh' s’intromise lui mettendosi addirittura davanti alla sua collega. 'E lei in realtà si chiama Mildred!'. La donna digrignò i denti e spinse via l’uomo, dedicandosi alle notizie.

'Vi avevamo promesso di tenervi aggiornati con il caso della ragazza uccisa, Zoey. La nostra corrispondente è riuscita a strappare una piccola intervista a Mike, il fidanzato. A te la linea, Sierra!'.

 

L’immagine cambiò e una ragazza di colore dai capelli viola attrezzata di microfono si presentò ai telespettatori.
 
'Buonasera, qui è Sierra Obonsawin che vi parla e, come potete vedere, sono in compagnia del povero e sfortunato Mike' cominciò indicando un ragazzo magro dalla carnagione scura, seduto su un lettino d’ospedale. Il collo presentava diverse ecchimosi e l’occhio destro era più gonfio del sinistro. 'Come ti senti, caro?'. Il ragazzo cominciò a tirare su con il naso cercando di trattenere le lacrime.

'Come volete che stia, la mia ragazza non c’è più…' commentò triste.

'Ci dispiace davvero tanto per la tua perdita' proseguì la giornalista. 'Ma sappiamo che hai contribuito a renderle giustizia, vero?'.

'Se lo dice lei…' e fece un respiro profondo. 'H-ho fornito alla p-polizia un identikit del malvivente che ci ha aggredito, s-spero che quel poco che ricordo serva per le indagini' e cominciò a singhiozzare. Sierra ritornò al centro dell’inquadratura, coprendo il ragazzo alle sue spalle.

'Proprio così, gli inquirenti stanno analizzando l’identikit in questione sperando che questo combaci con qualche foto segnaletica presente nei database' sorrise alla telecamera. 'A voi la linea'. Le figure di Blaineley e Josh riapparvero, con il sorriso stampato in faccia, totalmente fuori luogo con la vicenda.

'Grazie mille, Sierra. Chiedici pure la linea se ci sono novità' fece l’uomo. 'Ora parliamo del nuovo singolo dei Drama Brothers, “When I cry”'.
 

 
'Questa sì che è una notizia' commentò Heather con sarcasmo. 'La cena è pronta'. Courtney si portò in cucina, ignorando le notizie sulla boy band del momento e prendendo posto di fronte all’asiatica.
Cominciarono a mangiare in silenzio, la televisione faceva da sottofondo a quello strano scenario.
 
 
 
'Grazie, ragazzi, attenderemo con molta ansia ed eccitazione l’uscita del video' proseguì la bionda con aria sognante.
 
'Aspettate!' esclamò Josh entusiasta. 'Sierra ci sta chiedendo la linea. A quanto pare sono giunti i risultati della polizia'.

'Esattamente' fece Sierra una volta concessole la parola. 'Fortunatamente c’è stato un riscontro, l’identikit fornitoci da Mike ha dato i suoi frutti! Il nome del colpevole è presente nei database, stiamo parlando del “famoso piromane”, e ora omicida, Duncan Nelson' continuò la ragazza eccitata dalla scoperta.
 
 
Heather sputò la cena in faccia all’ispanica che, disgustata, cominciò ad inveire contro l’amica: 'Ma sei pazza?!'. L’ispanica strofinò via lo sporco dal proprio pigiama lanciando di tanto in tanto qualche stilettata in direzione dell’altra, mentre questa tossiva. 'Cos’hai visto di così spaventoso?'. Courtney alzò il volume della televisione curiosa di sapere quale notizia avesse stravolto la compare; dal canto suo, Heather cercò di strapparle il telecomando di mano strattonandola energicamente. 'MA CHE TI SALTA IN MENTE?!'.

'Dammi quel maledetto telecomando!' quasi urlò l’asiatica. L’arnese scivolò dalle mani di entrambe e finì sotto il divano, l’ispanica si buttò di scatto per recuperarlo ma, una volta riemersa da vari strati di polvere, qualcosa la bloccò. La foto del ragazzo, Duncan Nelson, era apparsa sullo schermo: i tratti del viso, adornato da diversi piercing, erano spigolosi, il naso era all’insù e il pizzetto sul mento era nero, come i capelli ai lati della testa, sovrastata da un’orrenda cresta verde fluo. Ciò che colpì Courtney, però, furono gli occhi, azzurri, freddi.
La testa iniziò a girarle, le immagini di Heather e della stanza attorno a sé sbiadirono lasciando spazio ai ricordi, più vividi che mai.
 

 
LUNEDI’ 05 SETTEMBRE 2016
Stava scendendo frettolosamente le scale, in ritardo più del solito per la sua lezione privata in palestra.
Giunta finalmente al piano terra, si era ritrovata faccia a faccia con l’ultima persona che mai avrebbe voluto incontrare in vita sua.
'DUNCAN!' quasi aveva urlato l’ispanica. 'Che ci fai quaggiù?'. Il ragazzo si era limitato a mostrarle la posta che teneva in mano, perlopiù pubblicità.
Un imbarazzante silenzio era calato sui due vicini.
 
'Courtney' aveva cominciato lui un po’ impacciato. 'Volevo parlarti di una cosa'.

'Guarda che ora si è fatta, devo proprio scappare' e aveva messo la propria mano sul pomello della porta. Aveva capito perfettamente l’oggetto del discorso di Duncan e ne aveva avuto paura.
Lui l’aveva fatta girare su se stessa, appoggiando la schiena di lei alla vetrata del portone, lo sguardo di lui incatenato al suo, le labbra dei due a pochi centimetri di distanza.
'D-duncan, d-devo veramente andare'.

'Ci metterò poco, promesso' e aveva posato il braccio sinistro sopra la sua testa e la mano destra sul suo fianco: era in trappola.
 

 
'COURTNEY!' urlò Heather china su di lei. La testa le doleva ed era certa che la cena, prima o poi, sarebbe uscita da dove era entrata. L’asiatica la aiutò a rialzarsi e a sedersi sul divano adiacente.

'L-lui a-abitava qui' balbettò. 'Quel criminale era nostro vicino… e mi ha toccata!'.

' “Abitare” è una parola grossa, stava più fuori che dentro' fece Heather porgendole un panno bagnato da mettere sulla fronte. 'Niente di rilevante'.

'Come sarebbe a dire “niente di rilevante”? Nella mia visione mi stava toccando… in senso r-romantico?!' fece Courtney massaggiandosi le tempie con i polpastrelli.

'Okay, hai avuto qualche “momento intimo” con lui ma niente che valga la pena ricordare, fidati' continuò Heather sedendosi sulla poltrona. Courtney la fulminò con lo sguardo, possibile che la sua amica non capisse quanto era rimasta sconvolta da quella scoperta? Era affamata di informazioni e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sapere che tipo di relazione avesse intrapreso con quel criminale.
La sola idea di essere stata con quell’individuo la fece rabbrividire.
Heather sembrò leggerle nel pensiero: 'Tutto è cominciato nell’estate tra il terzo e il quarto anno di università. Lui, una volta uscito di galera, si è trasferito nell’appartamento sopra al nostro; quindi puoi ben capire come siamo entrate in contatto con lui' narrò l’asiatica massaggiandosi la fronte. 'Vi siete conosciuti e, inizialmente, detestati: lui era – ed è tuttora – un amante del crimine, mentre tu eri il “difensore della legge”, sempre rigida e attenta alle regole. All’inizio vi sembrava tutto, come dire, molto eccitante - d’altra parte si dice “gli opposti si attraggono”, no? - ma poi questa diversità vi ha portato a svariati litigi che a loro volta hanno portato alla fine della vostra relazione, e per fortuna visto quello che ha combinato ora'.
Courtney, in silenzio, cercò di assimilare le informazioni sperando che altre immagini del suo passato riaffiorassero, ma nulla.
 
'Meno male che non era successo “niente di nuovo” in questi quattro anni' la citò l’ispanica un po’ amareggiata.
 
'Senti, se non ti dico le cose è per il tuo stesso bene e il fatto che tu non riesca a ricordare un tipo del genere è solo meglio' proseguì Heather dirigendosi in cucina. 'Il resto della pizza è nel microonde, se dovesse venirti di nuovo fame'.
L’ispanica annuì, restando in silenzio. Se da una parte era lieta di aver ricordato un frammento di quegli anni, dall’altra la cosa la spaventava. Altri dubbi, ora, erano sorti in lei e certamente sia Heather sia i suoi genitori le stavano nascondendo molto altro, “per il suo bene”.
 
Ma qualsiasi cosa fosse, buona o cattiva, sarebbe andata in fondo a quella faccenda.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


MARTEDI’ 21 LUGLIO 2020
 
HEATHER
La mattina seguente Heather si svegliò di buon'ora; si diresse in cucina dove trovò Courtney seduta a tavola con una tazza di caffè in mano e due vistosissime borse sotto gli occhi i quali erano rossi e gonfi. 'Brutta nottata?' domandò l’asiatica versandosi del caffè bollente.

'Ho passato tutta la notte al computer a fare ricerche su quel teppista. A quanto pare a sedici anni è finito in riformatorio per aver venduto il parrucchino del padre spacciandolo per un cucciolo; a diciassette anni, invece, ci è andato per la bravata del “buon anno nudo” '.

' “Buon anno nudo”? ' ripeté Heather sedendosi di fronte alla coinquilina.

'In pratica ha girovagato per tutta la città nudo con addosso solo gli addobbi dell’albero di Natale' rispose Courtney quasi schifata. 'E, lo stesso anno, ha organizzato una festa in piscina nella fontana del municipio chiedendo addirittura al sindaco di prendervi parte. Altro che criminale, questo è un imbecille'.
Entrambe sorseggiarono la propria bevanda, gli occhi di Courtney scorrevano sullo schermo del computer.
'In seguito è stato arrestato per incendio doloso e altri atti di vandalismo, poi nulla' continuò l’ispanica.
 
'Fino a ieri' terminò Heather versandosi dell’altro caffè nella tazza. Scrutò l’ispanica di fronte a sé: a parte qualche informazione presa dagli articoli di giornale e il ricordo della sera prima, non aveva alcuna idea di chi fosse in realtà Nelson, ed era meglio così altrimenti tutto quello lo avrebbe collegato certamente ad un’altra persona il cui nome, come aveva promesso al signor Barlow, doveva rimanere oscuro…
 
'Per caso c’è altro che dovrei sapere?' chiese Courtney improvvisamente.
 
'Perché questa domanda?' e continuò a sorseggiare la bevanda calda.

'Ieri mi hai quasi morso la mano per riavere il telecomando'.

'Non vorrei che facessi qualcosa di stupido' mentì l’asiatica ignorando lo sguardo indagatore dell’altra. 'Oggi lavoro, sicura di stare bene a casa da sola?'.

'Non sono mica una bambina' rispose Courtney quasi offesa.

'No, ma sei pericolosa'.
Detto ciò si diresse in bagno e cominciò a prepararsi per la stressante giornata che l’aspettava. Il lavoro di per sé non era molto pesante, ciò che non sopportava proprio, invece, era la presenza di quell’oca bionda di Lindsay; non poteva credere che al mondo esistessero persone così tanto stupide e credulone. Si vestì in fretta e partì, non prima di lanciare qualche monito in direzione dell’altra: 'Non fare cazzate. Anzi, non pensarle neanche'. L’ispanica, al contrario, le fece la linguaccia.


 

Il tragitto fu breve e arrivò a lavoro con qualche minuto di anticipo; iniziò così a sistemare i vestiti sugli appendiabiti. Alle nove in punto arrivò Dakota, una ragazza dal fisico slanciato e magro, bionda con gli occhi verdi. Indossava un top aderente rosa, dei pantaloni lunghi fucsia e delle ballerine.
'Ciao, Heather! Sei arrivata presto' salutò Dakota girando il cartello in entrata. Appoggiò la propria roba nella stanza dietro la cassa e iniziò a pulire con uno straccio la vetrina.
 
Dopo un quarto d’ora abbondante arrivò anche Lindsay, una ventenne alta con dei lunghi capelli biondi e una bandana azzurra, gli occhi del medesimo colore. Era vestita con una canotta rossa che metteva in risalto il suo seno prosperoso, una minigonna arancione e degli stivaletti da cowgirl con una stella ricamata sopra. 'Ciao ragazze!' fece Lindsay iniziando a vestire i manichini in fondo al negozio.
 
'Sei in ritardo' la rimproverò Dakota.

'Scusatemi, ieri sera sono stata ad una festa e sono tornata a casa tardi… solo che non ho ancora capito di chi fosse il compleanno…' si giustificò. 'Oh, è stato davvero divertente e c’erano dei ragazzi super carini ma io ero presa solo dal mio Tyler'. Heather roteò gli occhi.
Entrarono le prime clienti della giornata, una signora di mezza età con la figlia adolescente. Dakota le accolse calorosamente con un sorriso a trentadue denti, e passò lo strofinaccio ad Heather intimandola di pulire la grande vetrata. Lindsay vestì anche i manichini in entrata canticchiando allegramente. 'E tu, Heather? Qualche gossip da raccontare?' domandò curiosa.
 
'No' rispose Heather secca. Odiava raccontare gli affari propri agli altri e men che meno a quell’oca pettegola di Lindsay.

'Oh, andiamo! Avrai qualche novità, no?!' insisté la bionda. Heather ci pensò su: essere quasi minacciati dal padre della propria coinquilina e mentirle riguardo la sua vita passata contava come gossip?

'No, niente' fece infine appoggiando lo straccio sul bancone dove Dakota, il grande sorriso ancora dipinto sul volto, stava facendo lo scontrino alle due clienti.

'Ecco qui, grazie e arrivederci!' salutò la bionda affabile. 'Heather, ci sarebbero degli scatoloni da riordinare in magazzino e tra un’ora dovrebbe arrivare Justin con gli altri'. Heather eseguì senza proferire parola… sarebbe stata una mattinata lunghissima.


 
COURTNEY
Era ancora in cucina, davanti allo schermo del computer. Aveva lasciato perdere le ricerche su quel Duncan Nelson ed era passata ad esaminare i video sul suo incidente trasmessi al telegiornale. L’accaduto si era verificato nei pressi del centro storico, accanto, fatalità, allo studio legale in cui, a detta del padre, era praticante; fortunatamente non c’era stato alcun ferito al di fuori di lei, che, stando al servizio, si trovava alla guida del veicolo. I suoi genitori le avevano raccontato la verità, dopotutto…
Amareggiata dalla cruda realtà e dalla sua stupidità, spense il computer e si buttò sul divano esausta a causa della notte insonne, passata a cercare di ricordare qualcos’altro del suo passato, soprattutto se legato a quel Duncan. Voleva delle risposte, e le voleva subito; per questo le era balenata una indecente quanto sciocca idea di fare una certa visita in prigione… Di ciò non sapeva se rendere partecipe Heather visto che glielo avrebbe impedito in qualsiasi modo. Anzi, ormai era palese che la coinquilina facesse di tutto pur di non rivelarle nulla di succoso, e qualcosa le diceva che sotto c’era lo zampino dei suoi genitori, più del padre che della madre ad essere onesti.
 

 
§



 
Anche l’ultima parte del piano era stata portata a compimento.
Ora, doveva solo sparire per un po’ dalla circolazione e dedicarsi interamente, anima e corpo, a ciò che gli interessava di più: eliminare la concorrenza e diventare il primo in quel campo.










–-––––––––––
ANGOLO AUTRICE:

Se siete giunti fino a qui: GRAZIE <3
Non nascondo di aver tentennato parecchio prima di decidermi a pubblicare questa storia, spero vi possa intrattenere e interessare, tanto quanto io mi sono divertita a scriverla! :)
Alcune precisazioni: i cognomi usati per i personaggi sono quelli dei loro doppiatori originali: ho visto molte fanfiction usare questo espediente quindi ne ho approfittato anch'io. Inoltre, nel corso della narrazione troverete situazioni e/o dialoghi tra i protagonisti presi dalla serie stessa, adattati logicamente alla storia :)

Grazie mille a tutti voi lettori, alla prossima <3

PB
 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


MARTEDI’ 28 LUGLIO 2020
 
DUNCAN
Si svegliò infastidito dalla luce del sole mentre filtrava dalla finestra sbarrata; indolenzito a causa di quello scomodo lettino, si alzò in piedi - la schiena a pezzi - per affacciarsi al corridoio che separava le celle della prigione.
Le guardie controllavano, come ogni giorno, i detenuti camminando tra le celle sudice e sporche; essere tornato in quel fetido posto non lo rallegrava affatto, soprattutto se accusato di un crimine da lui non commesso…
A tal proposito, aveva chiesto ai genitori (legali, tra l’altro) di studiare il suo caso e di tirarlo fuori di lì, ma questi, come aveva previsto, si erano rifiutati, in particolar modo suo padre dal momento che il vecchio si vergognava ad avere per figlio un criminale. Non poteva dire di non averci provato…
'Nelson, sei desiderato' fece una guardia tirando fuori le chiavi della cella. La notizia lo sorprese, e non poco, dopo il rifiuto dei suoi genitori non si aspettava di ricevere una telefonata o una visita da parte loro. A meno che non fosse uno dei suoi compari, ma la cosa era alquanto improbabile: erano criminali come lui, dopotutto.
In manette e scortato da una guardia, percorse vari corridoi fino a giungere in una sala al cui centro era posta una grande vetrata divisa per scompartimenti, ognuno dei quali conteneva due telefoni, uno per il prigioniero e l’altro per i visitatori. Prese posto e sgranò gli occhi, stupito dalla presenza della donna corrucciata che sedeva di fronte a lui, al di là del vetro.
 
'Hai una faccia da schifo' commentò lei scrutandolo con i suoi grandi occhi neri.

'E tu non mi sei mancata affatto' fece lui di rimando. 'A cosa devo questa deliziosa visita?'.

'Sia chiaro: non sono qui per te, ma per Zoey' rispose lei avvicinandosi sempre più al vetro che li separava, la cornetta premuta contro l’orecchio destro. 'Lei era mia amica, come hai potuto farle questo?'.

'Io non ho fatto nulla, non la conoscevo nemmeno'. Il tono del ragazzo si era fatto più serio, bisognava giocarsela bene, forse lei era la sua unica salvezza per uscire da lì.

'La polizia ha prove che dicono il contrario'.

'La polizia mente. Senti, non so perché quel Mike ha fatto la descrizione della mia faccia, era buio e si sarà confuso, il punto è: io non ero lì al momento del fatto. Stavo… ehm… lavorando' mentì. 'Qualcuno sta cercando di incastrarmi, mi vuole fuori dalla circolazione. Il problema è che non so chi sia, sono in tanti che mi detestano ora' sospirò lui guardando la donna negli occhi, questa si rilassò appena e il tono di voce divenne quasi dolce.
 
'Se non sei stato tu – e, supponiamo, neanche uno dei tuoi amichetti - dove stavi “lavorando” quella sera?' domandò disegnando le virgolette in aria. Duncan esitò, non era proprio sicuro di dove avrebbe portato la sua risposta, certamente ad altre domande ancora, ma alla fine si rassegnò se voleva qualche possibilità di riuscita nella sua impresa.

'Ero in un vicolo… quello dietro all’“All Stars”…' disse infine.

'Cosa cavolo ci facevi in quel locale? Per te è praticamente zona vietata!' quasi urlò l’interlocutrice. 'Non ti hanno visto, vero?!'.

'Tranquilla, nessuno mi ha visto. Ho solo dovuto incontrare una persona'.

'Un cliente vorrai dire' concluse la donna massaggiandosi la fronte. 'Senti, forse so chi ti può aiutare, ma se scopro che mi hai mentito giuro che mi batterò per farti avere la pena più grave'. Lei si alzò lanciandogli un ultimo sguardo. Stava per andarsene ma il punk le riservò un ultimo commento, quasi urlandoglielo dall’altra parte del vetro.

'Per quanto valga, mi piacciono i tuoi capelli, Gwen'.


 

HEATHER
Sedeva su una sdraio in terrazza a prendere il sole, un bicchiere di thè al limone, con tanto di ghiaccio e cannuccia colorata, si trovava sul tavolino alla sua destra.
Finalmente il negozio aveva chiuso e tre settimane di meritato riposo si erano concretizzate davanti ai suoi occhi; niente sveglia la mattina, nessuno scatolone pesante da trasportare e, cosa più importante, Lindsay non l’avrebbe più importunata con le sue idiozie sull’abbronzatura. Ciò che le interessava in quel momento era potersi rilassare sorseggiando del buon thè zuccherato.
Era sola in casa, Courtney si trovava dal padre per aggiornarlo sulle sue condizioni fisiche (decisamente migliorate dal momento che non portava più alcuna benda) e a farsi dare la documentazione dei casi che lo studio legale per cui lavorava aveva cominciato ad esaminare durante la sua convalescenza. O almeno questo era quello che il signor Barlow aveva fatto credere alla figlia giacché lei, la pratica forense, l’aveva abbandonata prima ancora del suo sfortunato incidente…
Fece un lungo e profondo respiro prima di rilassarsi completamente, tutto ciò invano: qualcuno aveva bussato alla porta. Si alzò dalla sdraio e si diresse con riluttanza verso la fonte del suo malumore, qualche imbecille aveva deciso di infastidirla; ma mai si sarebbe aspettata lei.
 
'DARKETTONA?!' esclamò sorpresa. La ragazza di fronte a sé aveva la carnagione molto chiara, quasi bianca, in contrasto con il rossetto nero che portava alle labbra e il trucco pesante che aveva sugli occhi; i capelli erano diversi dall’ultima volta che l’aveva vista: non avevano più quelle strane meches verdi, erano completamente neri, al naturale.
 
'Wow, anch’io sono contenta di vederti, Satana' rispose lei a braccia conserte e con un piccolo ghigno sulle labbra. 'So bene che non ti piacciono i giri di parole, quindi vado dritta al punto: dov’è Courtney?'.
 
'Esattamente cosa ti fa credere che io lo sappia?' chiese l’asiatica. 'Eri la sua migliore amica, se non lo sai tu…'.
 
'E tu eri la sua coinquilina prima che se ne andasse' rispose Gwen aggrottando la fronte.
Le due si squadrarono dalla testa ai piedi, entrambe con aria di sfida, la tensione alleggiava nell’aria. Qualcosa le diceva che non sarebbe stato facile togliersi quella gotica di torno, anzi.
 
'Entra'. E senza farselo ripetere una seconda volta, Gwen obbedì.


 
COURTNEY
Erano le tre del pomeriggio e Courtney sedeva scomodamente in autobus con le cuffie alle orecchie. Era di ritorno dallo studio di suo padre, il miglior psichiatra della nazione, il dottor Barlow.
L’ufficio del genitore non era cambiato affatto: mobili in legno di mogano, librerie colme di tomi sulla psicoanalisi e una chaise longue in pelle al centro della stanza. Dopo i vari convenevoli con il padre, questi le aveva consegnato il materiale necessario per il tirocinio, che aveva già iniziato ad analizzare durante il tragitto di ritorno a casa ma niente che avesse catturato la sua attenzione.
Scese dal mezzo di trasporto e si avviò verso il portone del palazzo.
Durante quella settimana aveva preso un’importante decisione, voleva andare a visitare Duncan, che Heather fosse stata d’accordo o meno. Non aveva avuto più alcuna visione e la curiosità la stava lentamente divorando.
'HEATHER!' entrò Courtney dalla porta, una volta salita la rampa di scale fino all’appartamento. Heather sobbalzò sentendosi chiamare in quel modo facendo scivolare il contenuto del bicchiere sul suo nuovo bikini rosso.
 
'Ma sei cretina?! Mi hai fatto paura' la sgridò lei cercando di pulirsi alla bell’e meglio. 'Guarda cosa mi hai fatto fare!'.
 
'Lascia stare il costume, senti ci ho pensato a lungo e sono dell’idea che…' si interruppe, qualcuno aveva catturato la sua attenzione: sul divano, accanto alla coinquilina, sedeva un’altra ragazza dalla carnagione quasi bianca; aveva la sensazione di conoscerla molto bene finché, a conferma di ciò, un insopportabile mal di testa la costrinse in ginocchio sul tappeto. Immagini della sua vita passata cominciarono a passarle davanti agli occhi.
 

 
 
LUNEDI’ 25 SETTEMBRE 2017
Stava correndo giù per le scale, saltando i gradini tre alla volta con il rischio di cadere e farsi male; finiti i piani dell’edificio, era andata a sbattere contro una ragazza che, a differenza della spagnola, stava cercando di salire e raggiungere il proprio appartamento.
'Ahia, Courtney! Dannazione, mi hai dato una bella testata sul mento' si era lamentata Heather portando la mano destra sulla parte lesa. L’ispanica aveva portato lo sguardo a terra, le lacrime avevano cominciato a rigarle il volto; stava per andarsene ma la corvina l’aveva afferrata per il polso:' Courtney…'.

'Sto bene, n-non mi s-sono fatta n-nulla' ma un singhiozzo l’aveva tradita, poi un secondo, e alla fine non era più riuscita a trattenersi ed era scoppiata. Aveva provato a nascondere il viso tra le mani cercando di soffocare e mettere a tacere non solo il pianto ma anche i singhiozzi.

'Courtney, c-cosa è successo?' aveva provato di nuovo Heather accarezzandole i capelli. La ragazza aveva alzato il viso e aveva guardato l’asiatica dritta negli occhi. Stava per aprire bocca, aveva voluto dire qualcosa tra un singhiozzo e l’altro, ma qualcun altro aveva preso a scendere le scale, delle risate a riempire il vuoto tra un passo e l’altro, ed eccoli là: i due traditori, mano nella mano, bloccarsi alla vista di Courtney appoggiata alla spalla di Heather.
Il silenzio era calato con prepotenza sui quattro ragazzi e la tensione era diventata insopportabilmente palpabile.
 

 
GIOVEDI’ 16 NOVEMBRE 2017
Stava piovendo. La pioggia batteva prepotentemente sui finestrini dell’autobus.
Dopo una lunga ed estenuante giornata all’università, era arrivata, finalmente, a casa.
Ombrello alla mano, si era diretta verso l’alto edificio bloccandosi successivamente alla vista di una figura rannicchiata a terra davanti all’entrata. Era molto pallida e i vestiti scuri che aveva addosso erano inzuppati fradici.
'Gwen?!' aveva esclamato l’ispanica un po’ sorpresa. 'Duncan non è in casa?' aveva aggiunto sprezzante. La gotica aveva alzato la testa dalle ginocchia, gli occhi erano leggermente arrossati e gonfi.

'L’ho mollato' aveva risposto secca. Courtney era rimasta spiazzata da quella risposta, cosa avrebbe dovuto fare? Forse sorridere? Ma non era per nulla contenta di quella scena. 'Sono qui per sistemare le cose con te, ma tu mi odi a quanto pare', si era alzata, un po’ barcollante sulle gambe; da quanto tempo era rimasta rannicchiata in quel modo?

'Vuoi salire ad asciugarti?' le era uscito così, dal nulla. 'Ma sia chiaro, non ti ho ancora perdonata'. Gwen aveva sorriso ugualmente, ed insieme si erano recate verso l’appartamento dell’ispanica.
 
 
 
'GWEN!' esclamò Courtney tutto d’un tratto. Heather la aiutò a rialzarsi e a mettersi comoda sul divano, di fianco alla gotica troppo scioccata per poter parlare.

'Tranquilla, fa così quando ricorda qualcosa' spiegò l’asiatica sedendosi sulla poltrona accanto e continuando a sorseggiare la sua bevanda come se niente fosse.

'Quando mi hai detto che aveva problemi di memoria non pensavo fosse così grave…' commentò Gwen fissando l’ispanica. Quest’ultima si alzò di scatto e, arrabbiata, diede un leggero schiaffo alla gotica.

'Questo è per avermi rubato il ragazzo' si giustificò lei. 'E questo è perché so che dopo quell’“incidente” sei diventata la mia migliore amica' e le diede un abbraccio. Heather roteò gli occhi quasi disgustata. 'Perché sei qui?'.

'È qui per farti visita, no?' s’intromise Heather. 'L’hai detto tu che è la tua migliore amica' e fissò intensamente la gotica, aspettandosi che questa confermasse quanto appena detto.

Gwen sembrò combattuta, poi sospirò:' Sì e no, ti ricordi di Duncan?'. Heather si diede un colpo sulla fronte, mentre Courtney la guardò incuriosita. 'Vedi, la ragazza che è stata uccisa, Zoey, era mia amica. Stamattina sono andata a far visita a Duncan, volevo sapere perché ha fatto quel che ha fatto, ma…'.

'Non è stato lui' concluse Courtney al suo posto. Aveva quel sospetto anche lei, non si poteva passare da una semplice bravata ad un omicidio a sangue freddo in così poco tempo. 'Anch’io, in realtà, avevo pensato di fargli visita'.

'C-COSA?! NO' intervenne Heather frapponendosi tra le due ragazze. 'Tu sei pazza, non posso lasciartelo fare. Ho promesso a tuo padre di tenerti al sicuro. E tu – indicò Gwen – non devi permetterti di darle strane idee, non dopo quello che ti ho raccontato sulla sua condizione'.

'Non sono una bambina, Heather, sono in grado di prendere delle decisioni e se una di queste può aiutarmi a recuperare la memoria ben venga' e squadrò la coinquilina a braccia conserte. Lo sguardo dell’asiatica era colmo di rabbia e sfida, ma Courtney non avrebbe permesso, né a lei né a suo padre, di mettersi in mezzo. Poi, facendo da parte Heather, parlò nella direzione di Gwen, quest’ultima un po’ a disagio per la piega presa da quella conversazione:' Cosa ti serve?'.

'Sei stata una delle migliori studentesse di legge, sei brava nel campo giuridico e vorrei che mi aiutassi a raccogliere più prove possibili per scagionare Duncan. So che questo è chiederti molto, soprattutto dopo l’incidente che hai avuto, ma sento che devo scoprire la verità, per Zoey' terminò la gotica guardando il pavimento, non sicura della risposta che avrebbe ricevuto.

'Da dove cominciamo?'.
 
 
GWEN
Era passato un quarto d’ora da quando avevano lasciato la macchina nel grande parcheggio.
Le due, dopo aver speso il pomeriggio a cercare un modo per scarcerare quell’idiota di Nelson, si erano proposte di fare visita all’“All Stars”, uno dei locali più in voga della città, al fine di ottenere i video della telecamera nascosta nel vicolo in cui il punk si era ritrovato a spacciare la sera dell’omicidio di Zoey.
 
Se solo fosse stato così semplice…
Una volta dentro, infatti, Gwen avrebbe dovuto attirare l’attenzione dei dipendenti mentre Courtney, seguendo le istruzioni della gotica su come muoversi, sarebbe sgattaiolata nella stanza delle telecamere e avrebbe rubato i video in questione. Ovviamente, Heather si era rifiutata di dar loro una mano definendo il piano “stupido e illegale, soprattutto per gli standard di Courtney”.
Stava di fatto che erano rimaste solo loro due e in quel momento erano all’ingresso dell’edificio: dall’esterno sembrava abbastanza grande da contenere almeno mezzo migliaio di persone, con un giardinetto delimitato da alte siepi, mentre un’insegna luminosa con il nome del locale sovrastava il tutto.
'Ripetimi ancora una volta: perché non possiamo chiedere “gentilmente” di avere quello che vogliamo?' chiese la spagnola ammirando le luci del cartello che pendeva sopra le loro teste.
 
'Forse non te lo ricordi, ma tra Duncan e i proprietari del pub ci sono stati dei dissapori in passato, a causa dei quali lui è stato bandito a vita da questo posto. Ergo, dubito seriamente che ci darebbero una mano a scagionarlo' rispose la gotica. 'Sei sicura di voler andare fino in fondo? Se hai cambiato idea siamo ancora in tempo per tornare indietro'.
 
'E darla vinta a Heather? No, grazie' disse l’ispanica più determinata che mai. Così, insieme, varcarono la porta.
All’interno, le due furono investite da una serie di luci stroboscopiche che cambiavano colore seguendo il ritmo della musica. La sala era divisa in tre parti: a sinistra vi era un soppalco per il dj che sovrastava la pista da ballo dove la gente ballava spensierata, al centro erano posti tavolini e divanetti imbottiti, pronti ad accogliere i clienti affamati o stanchi di ballare e a destra vi era la zona bar ben rifornita di qualsiasi cibaria esposta al di là del bancone di legno lavorato. Di fianco, vi erano dei tavoli da biliardo dove un gruppo di ragazzi parlava e rideva allegramente tra una buca e l’altra.

'Okay, ci siamo. Ti ricordi dove andare, vero?' chiese Gwen.
 
'È la porta nera dietro la colonna destra in fondo alla sala' rispose Courtney cercando di individuarla.
 
'Ottimo. Io cerco di intrattenere chi ci interessa il più a lungo possibile, se ti beccano dì che stavi cercando il bagno o qualcosa di simile'.
 
'Oppure spruzzo loro lo spray al peperoncino che ho nella borsa e scappo' fece l’ispanica ghignando. 'Fammi gli auguri' e si dileguò tra la folla.
 
Gwen, al contrario, si diresse verso l’area bar in cerca dei suoi bersagli. Li vide: una ragazza bionda con una maglietta azzurra e un ragazzo con in testa un cappello da cowboy stavano servendo dei clienti al bancone.
La gotica sospirò, sperava che il loro piano funzionasse anche perché, a dirla tutta, aveva omesso all’ispanica un piccolissimo particolare, ossia che anche lei, Gwen, era stata in passato cacciata dal locale, più precisamente lo stesso giorno in cui Duncan era stato tagliato fuori.
Raccolse tutto il suo coraggio e s’incamminò verso il suo obiettivo.
'Non vi siete ancora stufati di lavorare qui?' domandò ad alta voce per sovrastare l’alto volume della musica. Cercò di essere il più naturale possibile, anche se in quel momento i due biondi la stavano fulminando da capo a piedi. Passarono secondi, minuti, ore… non sapeva nemmeno lei quanto, finché Bridgette non parlò.
 
'Hai una gran faccia tosta a presentarti qui' fece la bionda pulendo un boccale con uno strofinaccio.
 
'Sei ancora arrabbiata con me per quella storia? Ne è passato di tempo da allora…' fece Gwen avvicinandosi cautamente al bancone.
 
'Non ti sei comportata molto bene' s’intromise Geoff avvicinandosi alla bionda. 'Sei fortunata che lui non sia qui'. Gwen li osservò più attentamente, era la stessa coppia affiatata con cui aveva condiviso molte avventure anni prima, con la differenza che all’anulare della mano sinistra di entrambi era comparso un anello dorato, la fede.
 
'Vedo che vi siete sposati…' commentò la gotica. 'Potevate invitarmi'.
 
'È stata una cerimonia intima, con poche persone' disse il ragazzo. 'SOLO amici e parenti'.
Gwen sorrise amaramente a quell’affermazione.
 
'Io ero vostra amica, poi avete deciso di voltarmi le spalle'.
 
'Vorrei che te ne andassi' ordinò la bionda.
 
'Non sei la benvenuta qui' e Geoff schioccò le dita prima di avviarsi in un punto imprecisato del locale.
 
Gwen cercò di protestare. Erano stati amici per tanto tempo, prima ancora che lui arrivasse, ed ora la stavano trattando in quella maniera? Non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca che due alte figure la presero sottobraccio e, sotto gli occhi incuriositi di molti clienti, la scortarono all’uscita del pub. Era già la seconda volta che le succedeva, dannazione.
Arrabbiata e frustrata, sperò solo che le cose per Courtney andassero meglio.
 

COURTNEY
Senza intoppi era riuscita ad arrivare alla stanza ed era già alla ricerca del video di Duncan. Aveva esaminato un bel po’ di cassette prima di trovare quella che le serviva. La guardò: fortunatamente, era a colori e poteva chiaramente distinguere il verde fluo dei capelli del ragazzo, il quale stava palesemente aspettando qualcuno – il cliente - nel vicolo.
Gwen le aveva raccontato della strada che Duncan aveva intrapreso dopo la loro rottura e di come aveva cercato di mantenersi attraverso quell’attività illegale. Alla notizia, aveva inconsciamente dato ragione a Heather: forse non ricordare un individuo simile era un bene per lei, ma sapeva che l’avrebbe portata a scoprire qualcosa di grosso sul suo passato, qualcosa che sia suo padre sia la coinquilina le stavano nascondendo.
Mise in borsa la videocassetta e cercò di eliminare qualsiasi traccia della sua presenza in quella stanza. Era pronta ad andarsene, la mano era quasi sulla maniglia della porta ma questa si mosse prima ancora che lei potesse toccarla. Presa alla sprovvista e nel panico, si nascose sotto la scrivania sperando con tutta se stessa di non essere scoperta; la presa salda sulla bomboletta spray al peperoncino.
La porta si spalancò e un uomo fece la sua comparsa; Courtney, sportasi per vedere, notò che era al telefono e alla ricerca di una videocassetta, pregò che non si trattasse di quella che lei stessa aveva appena rubato.
 
'Sì, si è presentata qui come se nulla fosse, ma l’abbiamo cacciata via' disse questo al suo interlocutore. 'Non sappiamo cosa volesse, forse riallacciare i rapporti con noi dal momento che il suo ex-ragazzo è in cella. Ad ogni modo, anche questa è fatta' proseguì lui cambiando argomento, prese una videocassetta e ne aprì la custodia ma questa, notò l’ispanica, era vuota; subito dopo, il biondo la riempì con un libricino nero. 'Hanno pagato tutti quanti, ogni debito che avevano con noi è stato estinto; mandare Lightning ad incoraggiarli ha avuto i suoi frutti'.
 
Okay, in quel locale c’era qualcosa di sbagliato.
A conferma di quel pensiero, Courtney vide il biondo prendere una pistola dal cassetto lì accanto e infilarla nei pantaloni. Il cuore le batteva a mille, se l’avesse beccata neanche lo spray che stringeva in mano avrebbe potuto salvarla da una pallottola; al suo ritorno a casa – se mai ci fosse arrivata illesa – aveva molto di cui discutere con Gwen.
'Tranquillo, boss, ci penso io'. Chiuse la chiamata e, dopo un’ultima occhiata agli schermi della stanza, se ne andò. Courtney avrebbe dovuto darsi una mossa e filare via da lì prima che il biondo tornasse, ma la curiosità fu più forte di lei: velocemente, uscì dal suo nascondiglio e si precipitò alla ricerca del libricino fra le tante videocassette presenti. Lo trovò e senza tante cerimonie se lo intascò.
 
 
 
Riuscì ad uscire da quel locale senza farsi beccare, Gwen era vicino all’auto ad aspettarla.
'Finalmente! Pensavo ti avessero scoperta>> disse la gotica preoccupata. 'Ce l’hai?'.
 
'Sì, ce l’ho' confermò l’ispanica. 'Andiamocene prima che ci vedano, anche se a dirla tutta è impossibile passare inosservate con quest’auto' aggiunse indicando la macchina della gotica, una Mustang del 1967.
 
'Tanto sanno che è mia ed è solo me che hanno visto, quindi rilassati'.
Il motore ruggì e poco dopo l’elegante automobile scomparve dietro l’angolo.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


GIOVEDI’ 30 LUGLIO 2020
 
GWEN
'Grazie per l’aiuto, Cam' disse la gotica schioccando un sonoro bacio sulla guancia dell’amico.
 
'È il minimo' rispose lui arrossendo leggermente.
 
Quella mattina si era presentata a casa di Cameron, uno degli amici di Mike e Zoey, sicura che il ragazzo avrebbe aiutato lei e Courtney in quella “missione di salvataggio”; d’altra parte anche lui voleva scoprire cosa fosse realmente accaduto quella triste e traumatica sera, soprattutto dopo aver visualizzato e passato in chiavetta il video che l’ispanica era riuscita a rubare al locale.
Infatti, una delle questioni da risolvere era capire perché Mike avesse fornito un identikit dettagliato di Duncan se quest’ultimo, in primis, non era nemmeno presente nel luogo in cui si era stato consumato il delitto. Per questo motivo, come se quello che avevano già combinato non fosse stato abbastanza, avevano stabilito di introdursi nella stazione di polizia spacciandosi per gli avvocati difensori del signor Nelson ed assicurare al punk dalla cresta verde la libertà. Era qui che entrava in gioco Cameron: in quanto genio dell’informatica, avrebbe procurato alle ragazze i documenti necessari per accedere senza problemi alla stazione, aggirando qualsiasi agente di polizia.
Era strano a dirsi, ma quell’idea era stata suggerita loro da Satana in persona.
 
 
 
MARTEDI’ 28 LUGLIO 2020
'Duncan aveva ragione!' aveva esclamato Gwen davanti allo schermo del televisore. Courtney e Heather, al suo fianco, stavano esaminando la scena come lei: la prima era intenta a pensare a chissà che cosa, la seconda le era sembrata del tutto indifferente alla scoperta.
 
'Non ha senso' aveva commentato l’ispanica grattandosi la testa. 'Se quel demente non c’entra nulla, perché farne una descrizione?'.
 
'Secondo Duncan, qualcuno l’ha incastrato'.
 
'Dobbiamo andare dalla polizia e consegnare il video' aveva sbuffato Courtney.
 
'La polizia lo ha arrestato basandosi soltanto su un identikit e senza controllare la sua versione dei fatti, pur di salvare le apparenze sarebbe in grado di eliminare il video stesso' aveva proseguito la gotica. 'Per non parlare del fatto che per loro qualsiasi scusa è buona pur di riuscire a incastrarlo e toglierlo dalla circolazione una volta per tutte'.
 
'Potete sempre spacciarvi per i suoi avvocati e scagionarlo' aveva suggerito Heather con sarcasmo.
 
'Non è una cattiva idea, e tu, Heather, ci aiuterai' e il cervello di Courtney aveva iniziato a lavorare.
 
'Non ci penso proprio, e togliti quell’espressione dalla faccia: voi due non farete proprio nulla!' aveva esclamato l’asiatica puntando loro il dito indice.
 
'Me lo devi visto che da quando sono tornata non hai fatto altro che nascondermi la verità' aveva ribadito la spagnola aggrottando la fronte. 'Quanto ti ha offerto mio padre per stare in silenzio, eh?'. Heather aveva spalancato gli occhi, sbiancando leggermente. 'Come immaginavo. Quindi, vedi di darmi una mano o mi trasferirò altrove e dovrai arrangiarti con le spese'.
 
 
 
 
'Le carte che mi hai chiesto sono quasi pronte, devi solo darmi delle generalità false e le fototessere' disse Cameron armeggiando con il computer. Gwen tirò fuori dalla tasca destra dei pantaloncini due fototessere e un bigliettino in cui si era segnata i nomi che avrebbero usato, cioè quelli di due ragazze che Heather conosceva e odiava. Visto che l’asiatica era stata costretta a prendere parte al piano, qualcosa doveva pur deciderla anche lei…
 
'La bionda si chiama Lindsay Mills, mentre la mora è Elizabeth Gadon' dettò Gwen. 'Senti, Cam, non è che potresti parlare con Mike nei prossimi giorni e fargli qualche domanda? Magari era confuso, non lo so…'.
 
'Mi piacerebbe, credimi, ma dopo il funerale di Zoey ha deciso di partire, prendersi del tempo per sé, e non lo biasimo' rispose Cameron inserendo gli ultimi dati al computer. 'Era molto triste, non sembrava nemmeno lui da quanto era sconvolto…' aggiunse. Gwen sospirò delusa dalla notizia. 'Documenti pronti, e questi sono un mio regalo'.
Cameron porse alla gotica tre piccoli auricolari neri: 'A me non servono e con questi potrai tenerti in contatto con Courtney e Heather'.
 
'Wow, non so cosa dire…' disse lei sorpresa.
 
'Promettimi solo che non ti caccerai nei guai, e semmai avessi bisogno di me sai dove trovarmi'.
Gwen abbracciò forte l’amico.
 
'Scoprirò la verità, per Zoey'.
 
 
HEATHER
Courtney e Heather si trovavano sul ciglio della strada, ad attendere l’arrivo di Gwen.
L’asiatica, corrucciata, non faceva altro che lamentarsi e sbuffare, non solo per essere stata coinvolta nel piano di quelle due folli – che involontariamente lei stessa aveva suggerito – ma anche per lo stupido e insulso travestimento che le era toccato indossare: non solo doveva interpretare una delle persone che più odiava sulla faccia della terra, addirittura assomigliarle. Indossava una pruriginosa parrucca castana, degli occhiali quadrati e una stupida dentiera; per assomigliare al suo personaggio aveva dovuto ingrossare le sopracciglia con una matita marrone e aggiungersi qualche neo sulla faccia. Come se ciò non fosse bastato, Courtney aveva deciso per lei l’outfit del giorno: un tailleur nero sopra una camicetta bianca dallo scollo a V, e due scarpe di vernice nera; niente da obiettare se solo in quel momento non stessero aspettando l’arrivo dell’altra squilibrata sotto il sole cocente di luglio.
Courtney, in piedi al suo fianco, aveva in testa una parrucca bionda e agli occhi portava due lenti colorate; per assomigliare in tutto e per tutto a quella svampita di Lindsay, l’asiatica l’aveva obbligata a indossare sotto il vestito grigio un reggiseno push-up imbottito di carta igienica… una piccola rivincita che aveva fatto ghignare Heather.
Improvvisamente, il suono di un clacson le fece sobbalzare: una Mustang del 1967 si trovava ferma in mezzo alla strada, il motore ancora acceso.
'Così sì che non daremo nell’occhio' commentò Heather sarcastica salendo in auto.

'Come siete… diverse' rise Gwen osservando attentamente i costumi delle due. 'Nel cruscotto trovate le vostre nuove carte d’identità, qualche modulo legale e degli auricolari neri, così possiamo comunicare a distanza. Cameron si è introdotto nel database della polizia ed è riuscito a inserire tutte le informazioni necessarie per eludere i controlli'.
Le due coinquiline, stupite da cotanta diligenza, indossarono gli auricolari.
L’auto partì veloce, liberando la strada davanti al condominio. Courtney, seduta sul sedile anteriore, stava controllando morbosamente di aver messo tutto l’occorrente nell’enorme borsa; Heather le lanciava ogni tanto delle occhiate sbuffando. Non poteva credere di essersi spinta così lontano, soprattutto per quelle due sceme…
 
 
e per salvare un criminale da strapazzo.
 

 
COURTNEY
Finalmente arrivarono, Gwen parcheggiò in un vicolo a pochi metri dalla stazione, lontano da sguardi indiscreti o dalle telecamere di sorveglianza; a malapena riuscì a scendere dal mezzo di trasporto da quanto le tremavano le gambe, non era mai stata in un posto simile… almeno da quando ne aveva memoria. Si concesse una pausa e respirò profondamente cercando di riprendere il controllo di sé. Quello che stavano per fare andava decisamente al di là della sua fervida immaginazione; questa volta, dovevano mettere in pratica tutta la loro abilità recitativa e retorica, essere convincenti insomma.
'Accendete gli auricolari, io vi aspetto qui in macchina; se avete bisogno di informazioni al volo basta chiedere' fece Gwen, e, nel pronunciare quelle parole, tirò fuori un computer portatile e lo posizionò sopra le proprie gambe.
 
'Se non te la senti possiamo sempre tornare a casa' suggerì Heather osservando l’ispanica.

'Scordatelo! Non mi sono lasciata mettere queste tette finte per poi abbandonare tutto' replicò Courtney determinata, e si incamminò verso l’entrata dell’edificio con l’asiatica alle calcagna.

Superarono il parcheggio all’ingresso della stazione e la rampa di scale che le divideva dalla porta a vetri; pochi passi e si portarono davanti all’agente messo alla reception: era basso e leggermente in sovrappeso, aveva il naso schiacciato, come quello di un porcellino, e il doppio mento; per non parlare dei capelli viola melanzana. 'Maximilian Stering, al vostro servizio' cominciò lui stringendo loro la mano. 'Benvenute nel mio mondo, se non fosse per me questi agenti non sarebbero in grado di mandare avanti la baracca!'. Courtney e Heather si scambiarono un’occhiata, qualcuno qui aveva un ego smisurato…

'MAX!' lo sgridò una ragazza dai capelli rossi. 'Hai di nuovo rubato il mio posto all’entrata?!'. L’uomo fece un balzo per lo spavento e si dileguò prima che la collega potesse raggiungerlo. La rossa sospirò, quasi infastidita da quello che, a quanto pareva, le toccava subire ogni singolo giorno lavorativo. Questa si avvicinò alle due, elegante nei movimenti. 'Vogliate scusare il mio collega, non sa ancora cosa voglia dire essere seri… ad ogni modo, come posso esservi utile?'.
 
'Buongiorno' iniziò Courtney con fare professionale. 'Sono Cou… ehm… Lindsay Mills e questa è la mia collega, Elizabeth Gadon, dell’ufficio legale “Fleckman, Fleckman, Cohen and Strauss”. Siamo qui per conto del nostro cliente Duncan Nelson, vorremmo costruire la sua difesa in merito all’omicidio di Zoey Mamabolo ma ci serve ogni tipo di documentazione redatta a seguito del suo arresto e le prove analizzate dalla scientifica'.

'Prima devo identificarvi' rispose la donna dall’altra parte del banco aggiustandosi gli occhiali sul naso.

'Senz’altro' e le due ragazze tirarono fuori i tesserini preparati da Cameron per l’occasione. La poliziotta cominciò ad analizzare i documenti di entrambe e a premere i tasti del computer innanzi a lei; l’ispanica sembrò preoccupata, mentre Heather, al contrario, non sembrava trasparire alcuna emozione, mantenendo, Dio sapeva come, il sangue freddo.

'Sembra tutto a posto, se mi date qualche minuto vi chiamo le detective MacArthur e Sanders per la consegna delle copie dei verbali e delle prove'.

'Grazie mille' fece Heather quasi sputando per sbaglio la dentiera finta, e strappando una mezza risata a Courtney.

- Allora, come sta procedendo? - una voce rimbombò nelle orecchie delle due facendole trasalire dalla paura.

'Gwen, deficiente, parla più piano!' esclamò Heather mettendosi una mano al petto.

- Ops -

'Per ora tutto a posto' riferì l’ispanica.
 
Nel giro di qualche minuto, la donna alla reception, seguita da altre due figure femminili, emerse da dietro il bancone; tra le mani teneva diverse cartelle sopra le quali era impresso lo stemma della polizia. 'Queste sono le detective che si sono occupate del caso Nelson, MacArthur e Sanders' e indicò rispettivamente una donna in carne ma robusta, che indossava un giubbotto antiproiettile e un berretto; e una ragazzina di colore dai capelli cortissimi e scuri. Poi continuò: 'Loro, invece, sono gli avvocati della difesa, le signorine Mills e Gadon. Ora, questi sono i verbali originali del caso, se mi date qualche momento chiedo immediatamente che vi siano fornite delle copie; nel frattempo sono sicura che le nostre agenti non avranno problemi a scortarvi in sala conferenze ad esporre il proprio operato'.

'Niente affatto' disse la più giovane delle due detective.

'Come se non avessimo di meglio da fare' mise il broncio quella più robusta. 'Muoviamoci, prima cominciamo, prima finiamo questo strazio'.

- Simpatica -
 
GWEN
Gwen si trovava a bordo della sua auto, un thermos contenente caffè in una mano e il computer sulle ginocchia. Aveva già effettuato delle ricerche in internet sulle due poliziotte: aveva scoperto, per esempio, che MacArthur, la più vecchia, aveva abusato più di una volta della sua posizione pur di sbattere qualche criminale in galera. Oltre ad essere una maniaca del controllo, tendeva ad essere aggressiva più del dovuto… per farla breve, recitava la parte del “poliziotto cattivo”. Sanders, al contrario, era l’allieva modello, sempre ligia alle regole e al proprio lavoro.
Fuoco e acqua, insomma.
 
Sorseggiò il suo caffè, quando una figura bassa e snella si insinuò dentro la macchina, nel posto passeggero accanto al suo. 'Cosa ci fai tu qui?!' domandò la gotica dopo lo spavento iniziale: temeva di essere stata beccata da qualche sbirro.

'Volevo darvi una mano' rispose Cameron. 'Ho pensato volessi un po’ di compagnia'.

'Lo sai che potremmo finire nei guai, vero?'.

'Nessun problema! Allora, cosa abbiamo?' fece lui guardando il computer della gotica.

'Le agenti che si sono occupate del caso sono MacArthur e Sanders, ho fatto qualche ricerca su di loro e la cosa strana è che prima dell’entrata in polizia di MacArthur non ci sono informazioni sulla sua vita…'.

'Sì, è strano' confermò Cameron scorrendo il cursore sullo schermo. 'Però devi ammettere che, abusi a parte, ha un curriculum niente male: ha persino aiutato una persona ad uscire da una caverna sott’acqua alle Bahamas'.
Gwen affidò il computer al ragazzo e finì di bere la propria bevanda, fortunatamente il vicolo in cui si trovavano era all’ombra, altrimenti sarebbero schiattati sotto il sole.
Si mise una mano all’orecchio pronta a captare altri suoni, finché non li sentì.
 

 
COURTNEY
Dopo aver camminato lungo tortuosi corridoi ed essere scese di qualche piano, giunsero nella famigerata sala conferenze: il color bianco dominava la scena, alte pareti di vetro dividevano i reparti tra loro, al centro della stanza c’era un lungo tavolo in legno.
'Dunque, voi due siete qui in difesa di quel mascalzone…' cominciò la donna più robusta, MacArthur, portandosi alla bocca una ciambella colma di glassa rosa e zuccherini.
 
'Esattamente, abbiamo prove che dimostrano la sua innocenza' parlò Heather. 'Ma prima, se non vi dispiace vorremo poter dare un’occhiata ai verbali e all’identikit che sono stati redatti'.

'Ovviamente'.

In quel momento esatto giunse la receptionist e porse ad entrambe le parti i documenti in questione; Courtney prese parte dei fogli e cominciò a leggerli avidamente.
'Non troverete nulla, fidatevi. Il vostro cliente passerà il resto dei suoi giorni in carcere'.

'Credo che qui ci sia un problema' affermò Courtney facendo scorrere gli occhi sulle carte. 'Nella testimonianza fornita dal nostro cliente, viene detto che quella sera lui era nei pressi del locale “All Stars”. Avete verificato il suo alibi?'.

'Nessun testimone, ha detto di essere uscito a fare una passeggiata… da solo' disse quasi trionfante MacArthur continuando a sorseggiare allegramente il caffè.
 
'Peccato che non fosse vero' proseguì Heather capendo le intenzioni della coinquilina, prese il proprio portatile e avviò il video che scagionava Duncan. 'Abbiamo fatto visita al locale in questione, e sono stati così gentili da darci la cassetta della loro telecamera di sorveglianza. Come potete vedere, la data e l’orario coincidono con quelli dell’aggressione. Se avete dei dubbi potete pure chiedere ai vostri esperti di controllare l’autenticità del video'.

'Se vi ha mentito è perché quella sera si è dedicato ad un altro tipo di reato, come potete vedere dal video, ma di gran lunga meno grave dell’omicidio' continuò Courtney seria.

'Ma il signor Doran ha fornito un identikit' disse Sanders al fianco della collega.

'Era sera, c’era buio… magari ha visto male; o magari è stato spronato da qualcuno a raccontare il falso' ipotizzò Courtney lanciando un’occhiataccia all’agente più in carne.
 
'Oppure ha semplicemente mentito; e il fatto che sia partito e che non sia più rintracciabile lo rende alquanto sospetto' fece Heather. 'Ciò che è certo, è che il signor Nelson è stato incastrato, e voi non siete altro che delle incompetenti'.

MacArthur avvampò a quelle parole, il viso divenne rosso dalla rabbia; Sanders, al contrario, cercava di calmarla, nonostante fosse sbigottita dalla cosa. 
'Potremmo aver sbagliato nel condannarlo per omicidio, ma in galera ci sarebbe comunque finito per spaccio di droga!' protestò MacArthur, cercando di rilassarsi.

'La cui pena è oltremodo inferiore, inoltre teniamo in considerazione che ha già scontato una settimana abbondante in carcere' aggiunse Courtney con aria vittoriosa.
 
'E “una settimana” non è la durata prevista per lo spaccio' ribatté Sanders. 'A meno che non vogliate pagare una generosa cauzione'.
 
'È vero' ammise l’ispanica. 'Ma pensate come la prenderebbe il vostro superiore se il nostro studio facesse ricorso in tribunale contro lo Stato per la negligenza usata dalla polizia nelle indagini. Vedo già i giornalisti godere di questa succosa notizia…'.
 
Ammutolirono.
 
'Come immaginavamo' fece Heather compiaciuta. 'Vorremmo che compilaste le carte per il rilascio del nostro cliente'.
Così, rassegnate, le poliziotte cominciarono a compilare di malavoglia i documenti richiesti che, su esortazione della spagnola, avrebbero portato al rilascio di Nelson il giorno seguente.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 ***


VENERDI’ 31 LUGLIO 2020
 
DUNCAN
'Nelson, datti una mossa, sei fuori' fece una guardia aprendo la cella. Il ragazzo sgranò gli occhi dalla sorpresa, che ci fosse lo zampino di Gwen? Non pensava potesse aiutarlo sul serio, e così in fretta per giunta.
Seguì la guardia, e finalmente poté sbarazzarsi di quell’orrenda tuta arancione; prese le sue cose senza fare troppe domande e, dopo aver firmato varie carte, raggiunse l’uscita.
Non vedeva l’ora di assaporare di nuovo la libertà, poter incontrare gli amici e, come giusto che fosse, ringraziare quell’anima pia che aveva permesso tutto quello.
Attraversò l’intera lunghezza del cortile fino a raggiungere il cancello di ferro che circondava quel posto infernale.
'Nelson, non voglio più vederti qui' disse la guardia congedandolo.

'Ohh, mi mancherai anche tu, Don!' sorrise il punk sarcastico; l’agente alzò gli occhi al cielo e lo cacciò fuori.
Contento, Duncan diede un ultimo sguardo all’edificio - pregando di non tornarci mai più – prima di dirigersi verso la parte opposta. Una figura alta e slanciata lo affiancò (facendogli quasi venire un infarto), aveva i capelli castani, gli occhiali quadrati e delle folte sopracciglia.
 
'Abbiamo molto di cui discutere' cominciò la donna.

'H-heather?! Sei tu?' domandò il punk sorpreso. Ne era passato di tempo dall’ultima volta che l’aveva vista, ma mica se la ricordava così brutta… il tempo trascorso non doveva essere stato clemente con lei… 'Però! Ti sei imbruttita…' e si beccò un cazzotto in faccia.

'È un travestimento, imbecille! Ci sono telecamere ovunque in questo posto' spiegò lei, e lo obbligò a seguirla in una stradina deserta, dove parcheggiata ad attenderli c’era una Mustang blu scuro, la macchina di Gwen. Okay, non ci stava capendo nulla: Gwen aveva chiesto aiuto a Heather? Da quando erano diventate amiche?
Si avvicinarono di qualche metro alla macchina e Duncan osservò che al suo interno non vi era solo la gotica, ma anche un’altra figura a lui ben nota; cominciò a sorridere e, senza saperlo, gli occhi azzurri presero a brillare. Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Heather riprese il discorso: 'Penso tu sappia dell’incidente che ha avuto, quindi per farla breve: lei non ricorda nulla di questi ultimi quattro anni; a malapena sa chi sei, mentre di Tu-sai-chi non sa assolutamente nulla'.
 
'Aspetta, vuoi dirmi che non sa di essere sposata?!'.
 
'No, Duncan, e ti pregherei di non farne parola' quasi lo supplicò l’asiatica; quasi eh, mai una volta che si sbilanciasse quella ragazza.
Heather gli aprì la portiera e, una volta lanciata la sacca che teneva in mano sui sedili posteriori, Duncan montò osservando le ragazze che lo avevano soccorso: al volante c’era Gwen, indossava una T-shirt nera e dei semplici pantaloncini in jeans; il trucco, come al solito, era pesante: ombretto grigio e un bel blu elettrico sulle labbra, i capelli, totalmente neri, erano raccolti in due codine. Al fianco della gotica stava Courtney: pelle abbronzata, occhi grandi e neri, capelli a caschetto, non era cambiata di una virgola. Infine, c’era Heather che, seduta sul sedile posteriore accanto al suo, si stava togliendo il travestimento che aveva indossato per quella strana occasione.
In poche parole era in auto da solo con tre bombe sexy.
 

 
Il tragitto fu abbastanza lungo da permettere alle tre di spiegargli nei dettagli come erano riuscite a portarlo fuori di lì, non pensava potessero essere così trasgressive, e la cosa, dovette ammettere, lo eccitava parecchio.
'E questo è quanto' concluse Gwen dopo un quarto d’ora di spiegazioni. 'Ora, la stampa non è al corrente del tuo rilascio, dunque è meglio per tutti quanti che tu rimanga nascosto per un po’, almeno finché le acque non si saranno calmate'.
 
'Lontano dai tuoi amichetti e dai tuoi loschi affari s’intende' aggiunse Heather guardando il proprio riflesso su uno specchietto.
 
'Starai da me' terminò Gwen svoltando in una strada laterale; attraversarono un largo viale, limitato da grandi alberi posti ai lati della strada; il cielo stava sfumando dall’arancio al blu, segno del tramontare del sole.
 

 
GEOFF
Aveva chiuso il locale in anticipo rispetto al solito: Topher, alla cassa, era intento a contare l’incasso della serata sorseggiando di tanto in tanto un daiquiri; Beardo, il dj, era sul soppalco a mettere via la propria attrezzatura, le cuffie alle orecchie; Anne Maria sedeva ad un tavolo a cotonarsi i lunghi capelli scuri; e sua moglie, Bridgette, era dietro al bancone insieme a lui a pulire i boccali di birra sporchi. Di lì a qualche minuto il resto della squadra li avrebbe raggiunti per festeggiare un altro colpo andato a segno.
'SHABAM! Indovinate chi ha guadagnato un altro milione di dollari?!' esclamò Lightning, un ragazzo muscoloso di colore, appena varcata la soglia del pub. 'Siamo SHAforti!'.
 
'Dovevi vederci, amico, siamo stati grandi!' fece un ragazzo robusto e slanciato battendo il cinque a Geoff.

'Lightning, Brody, vedete di darvi una calmata, il boss ha semplicemente concluso una trattativa: soldi a noi, armi a loro' disse una ragazza di colore incredibilmente alta e snella sedendosi di fronte a Bridgette.

'Con una pistola puntata alla testa' aggiunse una profonda voce maschile. Tutti i presenti si zittirono all’entrata di un uomo alto e muscoloso, il boss. 'Ma avete mantenuto il sangue freddo e avete eseguito gli ordini, dunque vi concedo la serata libera per sbronzarvi' e si avviò verso l’ufficio, al di là della porta posizionata in fondo alla sala, dietro una colonna. Con molta probabilità era andato a segnare sul libretto nero l’affare andato a buon fine.
Senza aspettare ancora, Geoff prese le bottiglie e i bicchieri rimasti sullo scaffale, dall’altra parte del bancone. Stappò le prime e dispensò i secondi assicurandosi che tutti quanti avessero da bere in mano, poi alzò il proprio boccale e fece un brindisi.
 
'Alla nostra squadra, perché siamo belli e bravi!' e bevvero.
 
'Al boss' fece Brody contento.
 
'A Lightning!' fece questo, ma bevve solo lui.
 
'E un altro brindisi va a…'.
 
'GEOFF!' gridò una voce dal fondo.
 
'A me?! Perché un brindisi a me?' chiese il biondo aggrottando la fronte. Topher continuò a bere, iniziando a barcollare a destra e a manca.
 
'No, idiota!' quasi urlò il boss. 'Dove hai messo il libretto?'.
 
'Nel solito posto'.
 
'Beh, non c’è nel “solito posto” altrimenti non te l’avrei chiesto' disse infine cercando di mantenere il controllo. Geoff non capiva: l’ultima volta che l’aveva visto era stato martedì, lo stesso giorno in cui gli ultimi debitori avevano pagato, lo stesso giorno in cui Gwen era venuta a trovarli…
 
'GWEN!' esclamò, lo sguardo di tutti su di lui; poi il biondo si rivolse alla moglie, ferma al suo fianco:' Non ti sembra strano che l’ultimo giorno in cui abbiamo usato il libretto sia lo stesso in cui Gwen, fatalità, ha deciso di venire al locale?'.
 
'Noi l’abbiamo cacciata via, non può essere stata lei a rubarlo' pensò la bionda grattandosi il mento.
 
'A meno che non fosse un diversivo per permettere a qualcun altro di accedere alla stanza' concluse il boss bevendo un bicchiere di vodka tutto d’un fiato. Poi prese uno straccio e concentrò tutta la sua ira e frustrazione sul bancone degli alcolici, pulendo da cima a fondo l’intera superficie piana.
 
'E chi mai dovrebbe aiutare?' chiese Brody improvvisamente. 'Duncan no di certo, lui è in gattabuia!'. Il silenzio calò, nessuno sapeva che dire; perdere una cosa così preziosa come il libretto non ci voleva: numeri dei clienti, soldi e munizioni prestati, debiti estinti… tutto era lì dentro e chiunque avesse preso quelle informazioni poteva incastrarli da un momento all’altro.
 
'Seguitemi' disse il boss. La squadra eseguì, Geoff e Bridgette in testa al gruppo; Lightning e Beardo sostennero un ubriaco Topher che non riusciva a mettere un piede dietro l’altro. 'Come sapete il locale ha una serie di telecamere, in particolare ce n’è una collocata sulla colonna, in direzione della porta… vediamo cos’ha da rivelarci'.
Presero posto attorno alla moltitudine di schermi, ognuno collegato ad una telecamera diversa, interna o esterna all’edificio; il boss ne azionò solo uno e prese la videocassetta del giorno indicatogli da Geoff.
In silenzio guardarono lo spettacolo.
 
 
 
'COURTNEY?!'.







____________
ANGOLO AUTRICE:
Se siete giunti fino a qui, grazie a tutti voi! Mi rendete felice :D
Dunque, per quanto riguarda il capitolo precedente devo ammettere di aver improvvisato parecchio: per le procedure usate dalla polizia mi sono fatta ispirare dalle serie tv e dalla mia fantasia (soprattutto dalla mia fantasia!). In merito a questo capitolo, non so perché ma ne è uscito fuori un Topher alcolizzato, cosa, che sappiamo, non è affatto; non so perché me ne sia uscita fuori con quest'idea...
Ad ogni modo, rinnovo i ringraziamenti e ci vediamo alla prossima!
Un bacio!!

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 ***


LUNEDI’ 10 AGOSTO 2020
 
COURTNEY
'Heather! Perché non mi hai svegliata?!' sbraitò Courtney spalancando violentemente la porta del bagno. 'C-che cosa ti sei messa in faccia?'.

Sotto lo spesso strato di crema verdognola Heather corrugò la fronte in un’espressione di rabbia. 'È una maschera, non lo vedi? Almeno una volta al mese per distendere la pelle' disse l’asiatica. Poi osservò l’altra: 'Ti servirebbe, hai delle occhiaie… hai pure il segno delle pagine sulla guancia'.

'Non chiudo occhio da giorni per studiare quei maledetti casi' rispose Courtney. 'Perché diamine non mi hai svegliata?! Tra mezzora devo essere in studio!'.

'Allora muoviti' fece Heather iniziando a limarsi le unghie.

'AHHHH'. Courtney, urlando, uscì dal bagno sbattendo con forza la porta alle sue spalle. Si diresse in camera a darsi una sistemata, non prima d’aver preso qualcosa da sgranocchiare dalla cucina.
Fortunatamente aveva già preparato tutto l’occorrente la sera prima: si vestì con una semplice camicetta bianca che risaltava sulla sua carnagione abbronzata, dei pantaloni neri tenuti fermi da una cintura dello stesso colore e delle ballerine; si lasciò i capelli sciolti e si mise solo un filo di trucco sul viso per non sembrare troppo volgare.
Salutò velocemente la coinquilina e si avviò verso lo studio “McCord”, quello per cui apparentemente aveva iniziato a lavorare.
Le settimane trascorse dopo il suo incidente erano state alquanto movimentate e spericolate, ancora non credeva di essere stata in grado di fare tutte quelle cose, illegali per giunta; e ora, ironia della sorte, si stava recando in uno dei più prestigiosi studi ad apprendere come applicare la legge in un’aula di tribunale.
In poche parole, la vecchia e noiosa Courtney Barlow era tornata a governare.
Giunse nel luogo indicatole dal padre: era un palazzo alto e piuttosto antico, fatto interamente di pietra, ad eccezione dell’ambiente interno ovviamente, in cui le più varie tonalità di marrone dei mobili in legno accoglievano chiunque varcasse la grande porta in vetro. Courtney si guardò intorno, estasiata dall’imponenza dell’edificio, sarebbe stata bene là dentro.

O almeno così credeva fino a quando una voce femminile non richiamò la sua attenzione.
'Bene, bene, bene… guarda un po’ chi ha deciso di tornare'.

Courtney sgranò gli occhi: 'TU!'.




Quanto detestava Emma Chang.
 
 
 
 
 
DUNCAN
Più di una settimana era passata e lui era rinchiuso là dentro, nella casa degli orrori di Gwen; alla gotica, infatti, piaceva cimentarsi nella creazione di nuove e sempre più terrificanti opere d’arte che poi venivano esposte in ogni dove all’interno dell’abitazione. La camera concessagli dalla proprietaria era, forse, la stanza meno inquietante di tutte: le pareti erano bordeaux scuro, simile a sangue; da un lato, primeggiava un’alta libreria nera colma di libri e dvd horror, varie tele raffiguranti paesaggi e ritratti raccapriccianti, colori e pennelli di ogni tipo sparsi qua e là. Dalla parte opposta, invece, vi era una scrivania, sopra la quale era posata una grande teca contenente gli animaletti domestici di cui Gwen si occupava amorevolmente: due lucertole, Angus e Vampira. Infine, accanto all’armadio (nero anch’esso), si trovava il letto, coperto da lenzuola grigie, su cui lui era beatamente sdraiato.
Non poteva lamentarsi della sua nuova sistemazione, il carcere era di gran lunga peggiore ma c’era da dire che almeno lì era concessa un’ora di svago in cortile mentre lui ora aveva un brutto terrazzo in cui andare solo a fumare.
Affamato, scese le scale e si recò in cucina dove la ragazza che lo ospitava era intenta a leggere un libro sull’arte moderna: indossava una semplice T-shirt bianca, lunga fino alle ginocchia, con qualche buchetto sulle maniche, e degli shorts; i capelli erano tenuti insieme da un elastico nero, legati in una piccola coda di cavallo.
'Donna, che c’è per pranzo? Sto morendo di fame' parlò Duncan sedendosi di fronte a Gwen e poggiando i piedi sul tavolo.

'Non ti aspetterai che ti dia una risposta' fece lei non distogliendo lo sguardo dal libro. 'Se hai fame cucinati qualcosa'. Duncan sbuffò, e, sconfitto, prese pentole e padelle improvvisandosi cuoco per la giornata. 'Lo sapevi che Geoff e Bridgette si sono sposati?'.

'L’ho sentito dire, le voci girano' buttò lì Duncan. 'E non sono stato invitato nemmeno al matrimonio precedente' e mescolò il sugo nella padella. Gwen sbatté il libro sul tavolo e si portò al fianco del punk.

'Non fare cazzate, Duncan! Non approfittare del fatto che Courtney non ricordi nulla per riprovarci' lo ammonì la gotica. 'So che ce l’hai ancora impressa nella mente ma lasciala in pace'. Il ragazzo grugnì fissando le alte fiamme del fornello.
 


LUNEDI’ 05 SETTEMBRE 2016
Stava tranquillamente rovistando tra la posta ma non aveva trovato granché: pubblicità e bollette varie; dopo un’ultima occhiata scocciata alle carte, aveva cominciato a incamminarsi per tornare nel proprio appartamento finendo però faccia a faccia con la ragazza che da un po’ di tempo a quella parte aveva riempito i suoi pensieri.
 
'DUNCAN!' quasi aveva urlato l’ispanica rendendolo sordo ad un orecchio. 'Che ci fai quaggiù?'. Il ragazzo si era limitato a mostrarle le scartoffie che teneva in mano.
Un imbarazzante silenzio era calato sui due vicini.
 
'Courtney' aveva cominciato lui un po’ impacciato. 'Volevo parlarti di una cosa'.
 
'Guarda che ora si è fatta, devo proprio scappare' aveva detto lei mettendo la propria mano sul pomello della porta.
Ma Duncan non aveva voluto sentire ragioni, aveva deciso di parlarle seriamente e di confessarle i propri sentimenti; così l’aveva fatta girare su se stessa, appoggiando la schiena di lei alla vetrata del portone, lo sguardo di lui incatenato al suo, le labbra dei due a pochi centimetri di distanza.
'D-duncan, d-devo veramente andare'.

'Ci metterò poco, promesso' e aveva posato il braccio sinistro contro la porta e la mano destra sul fianco della vicina. 'Non so come, ma tra noi c’è qualcosa, c’è chimica e non provare a negarlo'.
Lei aveva deglutito, leggermente in imbarazzo, il viso le si era imporporato e le pupille si erano dilatate. Duncan le si era avvicinato ancor di più, stanco di quell’attesa che a poco a poco lo stava divorando; senza attendere oltre l’aveva baciata.
E lei aveva risposto.
Con una ginocchiata.
Lì dove non batteva il sole.

E rossa in viso, se ne era andata.
Duncan aveva voluto rincorrerla e prenderla di nuovo tra le sue braccia, ma si era limitato a guardare la silhouette della spagnola correre verso la fermata dell’autobus, e salire su quest’ultimo prima che potesse partire. Era maledettamente bella in tenuta sportiva: pantaloncini corti e aderenti che avevano lasciato ben poco spazio all’immaginazione e una maglietta bianca a maniche corte con un accenno di scollatura. Dannazione.
Sospirando amaramente, aveva abbandonato lo stipite del portone ed era rientrato in casa.
 


Gwen lo destò dai propri ricordi: a quanto pareva, aveva bruciato il sugo.




 
§
 



'RILASCIATO? COME SAREBBE A DIRE RILASCIATO?' sbraitò.

'È quanto ci ha riferito la nostra fonte: Nelson ha trovato degli avvocati che sono riusciti a scagionarlo' spiegò una seconda voce.

'Due avvocatesse' lo corresse una terza voce maschile. 'Lindsay Mills e Elizabeth Gadon, dell’ufficio legale “Fleckman, Fleckman, Cohen and Strauss”'.
Si infuocò, aveva studiato ogni minimo dettaglio, la sua fonte poi gli aveva promesso di sistemare e nascondere qualsiasi discrepanza, quindi com’era possibile che fossero riuscite, due donne, a scagionarlo...? Non lo accettava, non ci voleva credere. 'Cercatele, voglio sapere tutto di loro, minacciatele se serve. Nel frattempo ho un’altra persona a cui pensare'.








–––––––––––––
ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti! 
Chiedo scusa per l'attesa e per avervi dato solo questo piccolo capitolo, ma i prossimi saranno carichi di contenuti... diciamo che questo è un capitoletto di transizione!
Come sempre grazie per dedicare il vostro tempo a questa storia, e grazie mille per le recensioni, siete fantastici :D
Alla prossima, un abbraccio!

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 ***


LUNEDI’ 17 AGOSTO 2020
 
HEATHER
Lindsay le aveva fatto venire un terribile mal di testa quella mattina parlando ininterrottamente del matrimonio di sua sorella. Rimpiangeva amaramente quei giorni di sole e pace (sempre se aiutare due svitate a liberare un criminale poteva definirsi tale), ma ora era tornata al lavoro, in quello stupido negozio, a sistemare scatoloni su scatoloni con un’assillante biondina alle calcagna, decisa a mostrarle le foto dell’evento dal suo costosissimo cellulare.
'Guarda, Heather!' disse Lindsay eccitata. 'Questa sono io al ristorante'.
Heather roteò gli occhi grigi, non la sopportava più. Pur di farla smettere, fece scivolare il pesante scatolone che teneva in braccio sui piedi della collega che, dolorante, cominciò a saltellare per tutta la grandezza del negozio, sbattendo subito dopo contro un cliente intento a valutare un paio di pantaloni.
'Oh, mi scusi…' cominciò lei imbarazzata. Heather, al contrario, stava trattenendo a stento le risate.

'Non è nulla, señorita' rispose l’uomo cordialmente. L’asiatica lo scrutò più a fondo: era alto più o meno come lei, atletico e molto abbronzato; aveva i capelli color marrone scuro raccolti in un codino, gli occhi di un verde smeraldo e la barba ben curata. Al collo indossava un ciondolo a forma di testa di toro, argentato, immacolato e pulito, nessun graffio e nessuna macchia, la lettera “C” nera era incisa sulla fronte dell’animale.
Il moro, accortosi di Heather, spostò lo sguardo in direzione dell’asiatica e le sorrise; lei, al contrario, gli lanciò una stilettata e gli diede le spalle, pronta a rientrare nel sudicio magazzino a sistemare gli ultimi scatoloni e a gustarsi il pranzo.
Fece appena tre passi quando un’alta figura sbucò dal camerino lì vicino: un ragazzo alto e muscoloso le si parò di fronte, aveva la carnagione molto abbronzata, i capelli marroni scuro e lunghi fino alle spalle; gli occhi erano di un incredibile color verde e sul mento portava il pizzetto. Indossava una camicia aderente bianca, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e dei jeans neri, tenuti su da una cintura dello stesso colore. Heather lo squadrò da capo a piedi, soffermandosi in particolare sui pettorali ben scolpiti che facevano risaltare una testa di toro, un ciondolo identico a quello del cliente di Lindsay, ma con incisa sulla fronte la lettera “A”.
 
'Ti piace quello che vedi?' domandò lui quasi sussurrando. La ragazza avvampò, presa alla sprovvista.

'No, per niente' rispose lei incrociando le braccia. 'Ti sta tutto male'.

'Ne sono sicuro' disse lui ironico continuando ad osservarla.
Heather sputò fuoco dagli occhi, come si permetteva? Si allontanò da quell’imbecille e dal suo sguardo oltremodo malizioso cercando di raggiungere il magazzino, ma una mano piccola e morbida le afferrò il braccio fermandola nel suo intento.

'Non fare la maleducata e aiuta quel cliente' disse Dakota guardandola minacciosamente. 'O faccio rapporto a Justin'. Heather si liberò dalla presa e le lanciò a sua volta un’occhiata malevola.
 
'Vai tu, è il tuo lavoro e non stai facendo nulla' continuò l’asiatica.

'Vuoi essere licenziata?'.
Heather, arrabbiata e riluttante, fece dietrofront e si accostò al camerino in cui il ragazzo si stava cambiando; Lindsay, invece, si stava occupando della copia spiaccicata ma più vecchia del suo cliente, consigliando vari tipi di pantaloni.

'Sono Alejandro, a proposito' disse il ragazzo all’improvviso, una volta uscito dal camerino. Si era cambiato e ora indossava una giacca scarlatta che lasciava intravvedere una canottiera bianca e i suoi bei pettorali, dei pantaloni grigi con una cinta nera e stivali marroni firmati.

'Non te l’ho chiesto' commentò lei acida squadrandolo da capo a piedi. Un ghigno fece capolino sulla bocca del latino; Heather dovette ammettere che era dannatamente attraente.

Immersa nei suoi pensieri, non si era accorta di quanto lui le si fosse avvicinato. Deglutì pesantemente.
'LINDSAY!!' urlò nel panico, non sapendo cosa fare. 'Aiuta Alejandro, per favore'.

'Alejandro?!' domandò perplessa la bionda sbucando da dietro due manichini.

'Quello è il mio nome' spiegò il latino.
 
'Ed è un gran bel nome. Alejandro, potrei dirlo fino a stasera' enfatizzò la ragazza facendo gli occhioni al cliente.

'Fallo pure' la incoraggiò lui suadente.

'Heather, lui è Carlos' fece la bionda entusiasta, indicando il ragazzo di spalle lasciato a decidere tra tre paia di pantaloni esposti su un banco al centro del negozio.

'E sono entrambi tuoi, complimenti!' esclamò l’asiatica sparendo dietro la porta del magazzino, lasciando Lindsay in balia dei due latini.




 
GWEN
'È ridicolo!' esclamò il ragazzo.

'Senti, Duncan, se vuoi uscire da qui devi camuffarti!' lo rimproverò Gwen, tenendo un flacone di colore in mano. 'È giunto il momento di dire addio a quella cresta verde… e anche ai tuoi piercing'.
Il ragazzo sospirò amareggiato e lentamente si levò i cinque piercing: tre alle orecchie, uno al naso e uno sul sopracciglio sinistro; obbedendo alla gotica, si mise seduto sul bordo della vasca da bagno con un asciugamano intorno alle spalle.
Gwen, aperto il flacone, iniziò a tingere la prima ciocca verde del punk, facendo attenzione a ricoprire tutta la sua lunghezza: sapeva alla perfezione cosa fare, era come se le sue mani si muovessero meccanicamente da sole da quante volte lei stessa aveva effettuato quel lungo processo, negli anni passati. Tinse anche il resto dei capelli e lasciò la propria opera d’arte in posa, aspettando che asciugasse.
 
'Addio verde, benvenuto nero' commentò la ragazza sorridendo al punk che, al contrario, teneva il broncio. 'Vedrai che starai bene e, cosa più importante, nessuno ti riconoscerà… almeno spero' e fissò intensamente il riflesso di lui allo specchio.



 
SABATO 17 GIUGNO 2017
Come previsto, quella sera lei e Duncan si erano ritrovati di fronte allo schermo del televisore, nell’appartamento di quest’ultimo, a gustarsi uno dei film horror più epici di sempre: "Il campo estivo - Regno del terrore”.
 
Dj, quell’estate, aveva intrapreso la carriera di aiuto cuoco, cogliendo l’opportunità al volo e affiancando il rinomato Chef Hatchet; Bridgette e Geoff, al contrario, avevano preferito passare la serata per gli affari loro, mentre Courtney, in quel preciso istante, si trovava al piano di sotto, nel proprio appartamento, a studiare pile e pile di libri, in piena sessione estiva (con il risultato di avere ad a che fare con un punk oltremodo frustrato).
'Adoro quando l'assassino blocca la mano della vittima nel tagliaerba' aveva commentato Gwen portando alla bocca dei popcorn.

'E quando butta la ragazza giù dal molo e lei atterra sull'elica del motore che la taglia in due?'.
 
'E hai visto quando spinge la testa di quell'omaccione nel truciolatore?!' avevano parlato entrambi in coro sorridendosi a vicenda. La gotica aveva iniziato a vacillare, non riuscendo più a reggere quegli occhi di un azzurro penetrante.
 
'Sei carina quando arrossisci…' aveva ghignato lui facendola imbarazzare ancora di più. 'Gwen, hai del caramello proprio qui' aveva continuato spostando il pollice sulle labbra di lei, ad accarezzarle. I loro sguardi si erano incrociati nuovamente. Ed era stato un attimo: dal divano del salotto erano passati alla camera da letto di lui.


Quella notte si erano fusi, anima e corpo.
 
E più di una volta.
 


 
Il ragazzo si accorse dell’insistente sguardo di Gwen su di lui e le sorrise di rimando.
'Le cose si sistemeranno e tutto tornerà alla normalità' quasi sussurrò lui e le strizzò leggermente la mano destra, ancora chiusa sul flacone. 'Te lo prometto'.
 


 
COURTNEY
Quella giornata l’aveva stancata, aveva solo bisogno di calma e tranquillità, cosa che sapeva avrebbe ritrovato nella sua adorata camera.
Aveva passato l’intera mattinata a riordinare in ordine alfabetico e cronologico vecchi casi che l’ufficio aveva chiuso e archiviato, mentre il pomeriggio aveva dovuto correre a destra e a manca ad eseguire gli ordini e le richieste degli altri praticanti… il colmo!
Non sopportava nessuno là dentro, e, più di tutti, odiava Emma Chang, acerrima nemica sin dai tempi del liceo: seria, motivata e, soprattutto, molto competitiva. In tal senso, lei e la Chang avevano molto in comune, e quasi poté capire con che cosa avesse ad a che fare Heather ogni volta che avevano una discussione tra coinquiline.
 
Sospirando, svuotò la borsa lasciando cadere tutto il suo contenuto sul letto, compreso un libricino nero…
Lo afferrò e, una volta appoggiata la testa sul morbido cuscino, prese a sfogliarlo… dire che era indecifrabile era poco: numeri e lettere maiuscole, in due diverse calligrafie disordinate, erano incisi sulla carta quasi a caso. Ovviamente dietro c’era un codice, inventato dal suo autore, ma questo non le avrebbe di certo impedito di scoprirlo e tradurre le innumerevoli pagine di quell’agenda.



 
DUNCAN
Quella sera aveva mangiato l’ultima pizza surgelata e in frigorifero non era rimasto più nulla, nemmeno una lattina di birra. Rassegnato e annoiato, si era buttato sul divano a guardare la televisione con un bicchiere d’acqua sul tavolino di fronte. Fece zapping e l’unico programma che catturò la sua attenzione fu uno stupido reality show, i cui concorrenti erano costretti a superare tutta una serie di ostacoli impossibili pur di vincere il premio finale di un milione di dollari.
Era il momento dell’ultima manche, quando il campanello suonò. Svogliato e irritato, si recò alla porta sperando fosse qualcuno per cui valesse la pena far schiodare il sedere dal divano.
A dirla tutta sperava fosse Courtney; ma a differenza delle aspettative, dall’altra parte della porta vi era un ragazzo biondo con gli occhi azzurri: Geoff. Quest’ultimo sgranò gli occhi, incredulo di chi gli si era presentato davanti, e non poteva biasimarlo dal momento che tutti credevano lui, Duncan, in prigione.
 
'Chi è?' domandò una voce femminile alle spalle del punk. Gwen sopraggiunse pietrificandosi sul posto non appena vide il biondo sulla soglia di casa.

'Che carino, sei venuto a trovarci!' iniziò il punk sarcastico rompendo il ghiaccio.

'Che cos… che diavolo ci fai qui?! Tu eri in prigione!' esclamò Geoff ancora sorpreso.
 
'Appunto: ero' fece notare Duncan. 'Quindi, dal momento che non sei qui per me, la mia domanda è: perché sei venuto ad importunare Gwen?'. La ragazza era rimasta in silenzio, alle spalle del suo nuovo e temporaneo coinquilino.

'Dove si trova Courtney?'. Gwen e Duncan si scambiarono un’occhiata, entrambi preoccupati.

'Perché lo chiedi a noi? Non sappiamo nulla di lei' parlò la gotica portandosi al fianco del punk.
 
'Quindi è soltanto una coincidenza che la sera in cui sei venuta al locale Courtney ci ha derubato?' e il biondo si limitò a mostrare ai due lo schermo del proprio cellulare, dal quale partì un video: sullo sfondo scuro illuminato dai diversi colori provenienti dalle luci stroboscopiche, una figura femminile, Courtney, entrava e usciva dalla porta posta dietro un’alta colonna, guardandosi attentamente intorno con fare losco. Al punk mancava poco che scoppiasse a ridere in faccia al loro ospite.
Alla fine del video sia lui che Gwen si guardarono con aria perplessa.
Il biondo sbuffò: 'Dopo la visita di Courtney è sparito il libretto nero. Sai a che cosa mi riferisco, Duncan'.
Gli occhi di Duncan sgranarono. Ricapitolando: Courtney aveva sottratto a Geoff e a compagnia bella (anche) un libro, e ora la stavano cercando per riaverlo indietro. Dato il tipo di attività svolta nel locale, non gli ci volle molto a capire il contenuto di quell’agenda.
Il punk rise; la gotica, invece, aggrottò la fronte non capendo appieno la situazione creatasi.
 
'Una spietata gang messa al tappeto da una donna' fece lui.
 
'Mi sembra che anche tu sia stato messo al tappeto da Courtney, e più di una volta' disse Geoff a braccia conserte. 'In ogni caso, sai benissimo che non le torceremo neanche un capello: ordini dall’alto'.
 
'E dimmi, come mai l’“alto” ha mandato te invece di venire qui personalmente? Il “barone” è troppo impegnato a fare il capo per occuparsi della moglie?' disse Duncan con sarcasmo rincarando la dose. 'Sai che c’è? So dove si trova Courtney e spero vivamente che riesca a decifrare il libro e a sbattervi tutti quanti in galera'.
 
'Sei matto?! Parte di quell’impero l’hai creata tu stesso!' sbottò Geoff.
 
'E se non ricordo male voi mi – anzi, ci - avete sbattuto la porta in faccia; ed è esattamente quello che io farò adesso con te!' e Duncan, senza lasciare tempo all’altro di rispondere, sbatté con veemenza la porta d’ingresso.
 
'Di che cosa stavate parlando tu e Geoff? Quale libro?!' chiese Gwen preoccupata.

'Non ora, Gwen. Non ora…' e si ributtò a peso morto sul divano pensando a come avrebbe dovuto approcciarsi a Courtney nei giorni seguenti.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 10 ***


MERCOLEDI’ 19 AGOSTO 2020
 
HEATHER
Heather si trovava nel retro del negozio, in pausa pranzo, a mangiare dell’insalata di riso preparata apposta la sera prima. Al suo fianco c’era Lindsay, seduta su uno scatolone con le gambe penzoloni; Dakota, al contrario, era ancora in cassa ad occuparsi dell’ultima cliente della mattinata.
'Hai visto la nuova collezione, Heather?' domandò Lindsay addentando un panino.

'Certo, ho scaricato io la roba' fece Heather lanciandole un’occhiataccia. Con ogni nuovo arrivo, la storia era sempre la stessa, sembrava che Lindsay si divertisse a romperle le scatole e a farle pesare il fatto che lavorasse in magazzino, ma la biondina non lo faceva apposta, era soltanto stupida.

'I nuovi vestiti da mare sono bellissimi! Mi sa che me ne prenderò uno. Facciamo due… o tre' e se ne scelse uno lungo fino alle ginocchia con delle sfumature blu e azzurre; si cambiò rapidamente, buttando vestiti e stivali griffati addosso a Heather. Come faceva quella decerebrata a indossare gli stivali con questo caldo?

'Ehi, Bigfoot! Guarda che fai' le urlò l’asiatica agitando un pugno in aria in segno di minaccia. Intanto la bionda si stava guardando entusiasta allo specchio.

'Guarda che bello! Lo compro!' e cominciò a scattarsi qualche fotografia da mandare alla sua migliore amica Beth, un’altra poco di buono che non faceva altro che sputacchiare in giro mentre parlava. Dopo tutto quello che le avevano fatto passare, non si sentiva minimamente in colpa ad aver rubato loro l’identità per intrufolarsi nella stazione di polizia, anzi.
 
 


Finita la pausa pranzo riprese a scaricare altra roba in magazzino, ignorando completamente il chiacchiericcio allegro delle due oche bionde che, sfortunatamente, aveva per colleghe.
Cercò di tenere in perfetto equilibrio due scatoloni pesanti, uno sopra l’altro, ma la ragazza inciampò sul gradino di fronte a lei e cadde a terra lasciando che le scatole le piombassero rovinosamente sulla testa. Le bionde trasalirono per lo spavento; stavano per andare incontro all’altra, ma un uomo alto e muscoloso, entrato nel negozio, fu più veloce: con uno scatto felino la raggiunse e la aiutò a rialzarsi. 'Tutto bene?'.
 
'Sì, grazie' rispose lei massaggiandosi la testa. Poi, senza guardare chi fosse il suo soccorritore, si chinò a raccogliere i vestiti sparpagliati al suolo.

'Lascia che ti aiuti' fece il ragazzo afferrando qualche indumento.

'Sono in grado di arrangiarmi' parlò tagliente la corvina alzando lo sguardo sull’uomo, incrociando due magnifici occhi color smeraldo. 'ALEJANDRO!'.
 
'Sì, chica, è il mio nome!' esclamò lui accennando a un sorriso. La corvina roteò gli occhi e lo sorpassò, senza prima aver posato lo sguardo sul petto muscoloso che si intravvedeva dalla maglietta nera aderente di lui. 'Devono esserti piaciuti molto i vestiti che Lindsay ti ha rifilato per essere ritornato in questo buco'.

'A proposito di Lindsay, cosa sai dirmi su di lei?' domandò lui con tono suadente. Heather lo squadrò dalla testa ai piedi: veramente?

'Perché non lo chiedi a lei? È a due metri di distanza' rispose scocciata indicando la bionda mentre si stava fotografando, insieme a un manichino, con il cellulare. I ragazzi la fissarono sconcertati. 'Ho un paio di infradito che sono molto più intelligenti di lei…'.

'LINDSAAAAAAY, EHIII' urlò dal nulla una ragazza mora entrata in negozio. Heather si massaggiò le tempie, a fatica riusciva a sopportare una di loro ma entrambe… era un invito al suicidio.
 
'BETH!' esclamò la bionda gridando. 'Guarda, ti ho messo da parte il vestito da mare che mi hai chiesto! È bello, vero? Ah, ti presento Alejandro, il ragazzo di cui ti ho parlato' e indicò il latino, ancora al fianco di Heather. Non appena la mora si avvicinò a loro, vari sputi giunsero nella direzione dei due, disgustati e, soprattutto, irritati. 'Alejandro, lei è Beth, la mia migliore amica… ed è single!' continuò Lindsay facendogli l’occhiolino. Il ragazzo trasalì, quasi spaventato e inorridito al tempo stesso.
 
'Ciao, Al! Non ti dispiace se ti chiamo Al, vero?' sputacchiò Beth guardando il ragazzo con aria sognante; Heather vide il latino rabbrividire. Meglio lui che lei.
 
'Dispiacerebbe al mio appuntamento di stasera' commentò lui pulendosi la faccia con la maglietta nera, scoprendo così gli addominali ben definiti; inutile dire che Lindsay e Beth ci sbavarono sopra…
 
Okay, d’accordo. Anche lei ci sbavò sopra.
Ma poco.
 
'Q-quindi hai già una ragazza?' chiese Lindsay confusa.
 
'Sì, è lei' e Alejandro cinse con il braccio la vita dell’asiatica, scioccata quanto le altre due.
 
'COSA?!' fecero in coro le tre ragazze.
 
'Ti offro la cena se mi dai una mano' sussurrò Alejandro all’orecchio di Heather, e chi era lei per rifiutare un pasto gratis?
 
'Sì, mi ha chiesto di uscire lunedì, quando ci siamo conosciuti' affermò la corvina. 'Infatti, è venuto qui a confermare orario e posto per la cena di stasera, scusate ragazze'.

La bionda diede delle pacche di conforto all’amica mentre l’accompagnava in camerino a provare il vestito da mare tenutole da parte.
'Su, Beth, non essere triste'.
 
'È il secondo ragazzo in tre giorni che mi dà picche' singhiozzò la mora sparendo dietro la tenda del camerino.

Sollevato, il latino sorrise calorosamente a Heather, la quale però era intenzionata a reclamare il suo premio per quella performance.
'Stacco alle sei, vestiti bene e non farmi aspettare' ordinò lei prima di dirigersi dietro il bancone.




 
GWEN
'Perché siete qui?' domandò la ragazza dopo aver invitato Gwen e Duncan ad entrare in casa.

'Geoff, il proprietario del locale, ci ha fatto una visitina' iniziò Duncan sprofondando sul divano.

'A quanto pare, qualcuno gli ha rubato un libretto' continuò la gotica fulminando l’ispanica.

'Intendi quello?' e Courtney indicò un’agenda nera posata sul tavolino ai piedi del sofà, circondata da un portatile e da fogli sparsi qua e là; il punk lanciò un’occhiata alle ricerche iniziate dalla spagnola.

'Hai la più pallida idea di che cosa hai scatenato?!' sbottò Gwen. 'Geoff ti darà la caccia per riaverlo! Perché hai dovuto prenderlo?'.

'Primo: ero curiosa. Secondo: ero pronta a negoziare con la polizia se non fossimo riuscite a liberare Duncan al primo tentativo' spiegò Courtney. 'So che all’“All Stars” si nasconde un altro tipo di attività e ho pensato per un momento che alla polizia potesse interessare…'. La gotica si batté la fronte con la mano; la ragazza non sapeva con chi avesse veramente ad a che fare.

'Hai scoperto qualcosa?' domandò Duncan rigirandosi il libretto tra le mani.

'Speravo potessi aiutarmi tu dal momento che sei del settore…' parlò Courtney, ma Duncan aggrottò la fronte, a quanto pareva non sapeva decifrare tutti quei codici alfanumerici. 'Ho provato a decifrarlo ma nulla'.

'E il fatto che tu non conosca i clienti ti viene più difficile' sospirò Gwen. 'Non ti arrenderai, vero?'. Courtney scosse la testa, determinata. 'Allora chiamo Cam, magari si inventa qualcosa'.

Duncan, sul divano, si guardò intorno disorientato: 'Ma la panterona dov’è?'.



 
HEATHER
La cena era stata sublime: Alejandro l’aveva portata in uno dei ristoranti più costosi della città, avevano mangiato deliziose portate a base di pesce e bevuto dell’ottimo vino.
Ora, i due erano diretti verso l’appartamento del latino, al primo piano di un edificio sfarzoso, dall’altra parte della città. Una volta varcata la porta, l’asiatica si guardò intorno per studiare l’ambiente. A destra dell’ingresso c’erano l’angolo cottura con un enorme piano da lavoro in marmo nero e un’isola dello stesso tipo, affiancata da tre sgabelli alti, che divideva la cucina da quello che era il salotto, al centro del quale si trovavano un confortevole divano e una poltrona color panna. A sinistra dell’entrata, invece, c’era una porta a specchio oltre la quale doveva esserci il guardaroba del latino, o, almeno, questo era quello che lei presumeva. Sempre sulla sinistra, una volta sorpassato lo specchio, la stanza si apriva lasciando spazio a un tavolo a sei posti. 'Wow, ti tratti bene vedo' commentò Heather affascinata dall’appartamento, decisamente più grande del suo.

'Solo il meglio' fece Alejandro portandosi dietro alla ragazza e scostandole i capelli. Iniziò a baciarle delicatamente il collo, lei inclinò la testa di lato permettendogli maggior accesso. Non si concedeva mai al primo appuntamento, ma dovette ammettere a se stessa che con il latino era tutta un’altra storia; per di più, da quando Courtney era riapparsa sullo scenario, questa non aveva fatto altro che metterla in situazioni scomode e stressanti… che male c’era quindi a spassarsela per una sera?
Alejandro la girò e, stringendola a sé, la baciò sulle labbra: il bacio, da dolce e casto, accompagnato da movimenti lenti delle labbra e qualche morso delicato, divenne sempre più passionale e spinto, la mano destra di lui dietro sulla nuca di lei e il braccio sinistro intorno alla sua vita. Heather, dal canto suo, aveva le proprie mani immerse nei capelli marroni del ragazzo.
Lui schiuse le labbra chiedendo silenziosamente il permesso di entrare con la lingua, cosa che ottenne; da lì in poi, le mani di Alejandro presero a vagare per tutto il corpo dell’asiatica, fino a scendere lungo i fianchi e stabilizzarsi un po’ più su del sedere. A quel tocco Heather gemette e dei brividi di piacere le percorsero la schiena; infine il latino scese ulteriormente fino a raggiungere le cosce e stringerle, prendendo la ragazza in braccio e posandola sul piano da lavoro in cucina. Heather cinse istintivamente le gambe intorno alla schiena di lui che continuava a stringerla con trasporto e desiderio.
Si staccarono per qualche secondo, giusto per riprendere fiato, entrambi immersi a guardare gli occhi di chi avevano di fronte. Verde mischiato a grigio.
'Che ne dici di trasferirci in camera da letto?' propose lui mordendole il lobo dell’orecchio.

'Direi che è un’ottima idea'.




Sì, aveva deciso che quella sera se la sarebbe spassata.

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 11 ***


GIOVEDI’ 20 AGOSTO 2020
 
DUNCAN
Erano le tre del mattino e gli unici rimasti svegli erano lui e Courtney: Gwen, rannicchiata sulla poltrona, aveva preso sonno poco dopo la mezzanotte, mentre Cameron, il nerd chiamato dalla gotica per aiutarli con il codice, si era appisolato con la faccia sulla tastiera del portatile e la bava che usciva dalla bocca spalancata.
Courtney era seduta sul divano, con il libretto nero appoggiato sulle ginocchia e gli occhi che vi scorrevano sopra, avidi; lui, al contrario, occupava l’altro lato del sofà.
Era la prima volta che i due rimanevano soli, e, dopo tutto quello che avevano passato insieme (cosa di cui lei non ricordava niente di niente), non sapeva in che modo approcciarsi alla ragazza.
 
'Basta! Non ce la faccio più!' si arrese lei mettendosi le mani tra i capelli castani e distendendo le gambe, che finirono addosso al punk. 'Ops, scusa' fece poi ripiegando le ginocchia.

'Tranquilla, principessa'. Courtney lo squadrò, piegando il capo di lato. 'Scusa, era così che ti chiamavo… tempo fa…'.

'Non è che mi racconteresti come conosci Geoff? E, magari, come ci siamo conosciuti noi due…' iniziò lei mordendo il labbro inferiore. Duncan sospirò, odiava quando faceva così.
 
'Per rispondere alle tue domande, partiamo dal principio: io e Geoff ci siamo conosciuti alle scuole superiori, eravamo in banco insieme. Io, lui e DJ, un altro nostro compagno, eravamo degli scapestrati, sempre pronti a far baldoria, ad uscire con le ragazze più carine della scuola e a pianificare degli scherzi strepitosi, soprattutto se la vittima era il secchione di turno. Per farti un esempio, una volta, a una festa a bordo piscina, abbiamo obbligato Geoff a strappare il prato e ripiantarlo davanti all’atrio della scuola; quello scemo ha fatto un’enorme buca e messo una bandierina e, così, abbiamo giocato tutti insieme a golf prima che ci trovassero. Il Preside ci ha dato la punizione più lunga nella storia del liceo' ridacchiò Duncan ricevendo un’occhiataccia dall’ispanica. Tossicchiò e riprese la narrazione: 'Ehm… comunque, una sera, siamo andati a sballarci in un locale e lì abbiamo conosciuto Bridgette e Gwen. Da allora noi cinque siamo sempre stati uniti, in particolar modo Geoff e Bridgette… ora sono sposati!'.

'Anche loro sono finiti in riformatorio?'.

'No, cercavo di non coinvolgerli più del dovuto nelle mie bravate'.

'Beh, devono aver fatto comunque qualcosa dal momento che portano avanti un “mestiere” alquanto discutibile' osservò Courtney abbracciando il cuscinetto del divano.

'Più che Bridgette è Geoff che manda avanti l’attività: lui non vuole che lei vi prenda parte, anzi vuole un futuro migliore per sua moglie; se ha iniziato con questi “loschi affari”, come li chiama Heather, è per riuscire a pagare gli studi a Bridgette, se non erro dovrebbe essere specializzanda in chirurgia…'.

'Caspita! Non è cosa da tutti' commentò l’ispanica. 'Una ragazza così intelligente e talentuosa perché mai vorrebbe rovinarsi stando con un tipo così?'. Duncan trattenne a stento un sorriso: forse era meglio saltare la parte in cui Courtney aveva preso esattamente la stessa decisione della bionda.
 
'Tornando a noi' e cercò di ricordare in che punto della narrazione Courtney lo aveva interrotto. 'Ah, sì! I miei scherzi! Beh, uno di quelli mi ha fatto finire in galera'.

'Un incendio doloso tu lo chiami scherzo?!' esclamò la ragazza, gli occhi spalancati.

'Non era doloso' protestò Duncan. 'Non volevo appiccare un incendio… volevo solo spaventare il cane del vicino: non faceva altro che abbaiare e io volevo che smettesse, così ho lanciato un petardo in casa, la tenda ha preso fuoco e con lei anche il resto della stanza'.
 
'Non posso credere che tu abbia incendiato la casa del tuo vicino!'.

'Almeno sono riuscito a spaventare il cane' disse lui sorridendo, ma ricevette solo un pugno sulla spalla da parte della ragazza. 'Alla fine mi hanno sbattuto dentro e i miei amati genitori, legali oltretutto, non hanno mosso un dito per difendermi, anzi speravano che passando tanto tempo in carcere io mettessi la testa a posto… una volta uscito di lì (per buona condotta e dopo infinite ore di servizio sociale) mi hanno sbattuto fuori di casa e ho dovuto trovare un’altra sistemazione'.

'L’appartamento sopra al nostro' interruppe Courtney.

'Già' confermò il punk. 'Così ho conosciuto te e Heather. Ci odiavamo a morte, soprattutto quando mettevo la musica a palla o davo feste con un paio di amici'.
 

 
 
DOMENICA 17 LUGLIO 2016
Era solo all’inizio ma la festa stava procedendo piuttosto bene, vedeva gente che rideva e scherzava, alcuni che ballavano e altri che facevano nuove conoscenze. Stava per dirigersi al centro della stanza, quando il bussare alla porta e il suono fastidioso del campanello lo avevano destato dal suo intento: sulla soglia si era presentata la topina irritante del primo piano, in compagnia di quella panterona della sua coinquilina.
'Se volevate prender parte alla festa bastava chiedere' aveva cominciato lui appoggiato allo stipite della porta.


'ABBASSA QUESTO STRAZIO!' aveva urlato di rimando l’ispanica. 'DOMANI HO UN ESAME IMPORTANTE, DEVO STUDIARE!'.

'E io vorrei dormire' si era intromessa l’asiatica.

DJ e Geoff erano sbucati alle spalle del punk: 'Dai, Duncan, la festa è dentro!' aveva esclamato il secondo. Duncan non lo stava più a sentire, ispezionando le vicine innanzi a lui: l’ispanica stava indossando un top rosa e dei pantaloncini dello stesso colore; la panterona, invece, aveva una maglietta color crema con un coniglietto rosa stampato sopra e delle culotte color lavanda.

'Senti, tu e la tua amica non siete niente male… che ne dite di passare la notte con me e con il mio caro amico DJ? Geoff è off-limits, mi dispiace' gli erano scivolate fuori le parole, le aveva pronunciate senza pensarci due volte.

Le mani della spagnola si erano chiuse in due pugni, le nocche quasi bianche, l’espressione sul suo viso era diventata più feroce, più aggressiva, quasi a deformarne i lineamenti. Ed era stata questione di un attimo: lo aveva schiaffeggiato, il segno rosso delle dita sul viso di lui.
'Non ti permettere mai più!'.

'Oh, la principessa si è offesa' aveva commentato lui massaggiandosi la guancia colpita e accennando a un sorriso. La ragazza aveva caricato il braccio per sferrargli un altro schiaffo, fermata però in tempo dall’asiatica.

'È ora di andare' aveva detto quest’ultima strattonando l’altra per riportarla a casa.

'Quando vuoi, io sono qui, principessa' aveva gridato il punk in cima alle scale facendo l’occhiolino all’ispanica che di rimando gli aveva mostrato il dito medio.
 

 
Courtney lo guardò arrabbiata.
'Non guardarmi così, quello arrabbiato dovrei essere io: mi hai fatto molto male!' fece lui.

'Ben ti sta, così impari a fare proposte indecenti!' e gli diede un poderoso calcio sull’addome. 'Se ti odiavo così tanto come siamo finiti insieme?' chiese poi ricomponendosi. Duncan ci pensò su. Già, com’era successo?

'Non ne ho idea' confessò. 'All’inizio ci odiavamo, ci stuzzicavamo molto e ci prendevamo in giro; poi… è accaduto, così, all’improvviso. Heather non sopportava l’idea di noi due insieme, soprattutto perché passavo più tempo in casa vostra che nella mia… Dopo essere diventati una coppia, all’inizio del 2017, credo, ti ho presentato ai miei amici: Geoff, Bridgette, DJ e Gwen' il punk fece una pausa e sospirò.

'Perché ti sei fermato?'.

'Adesso viene la parte peggiore'. Duncan fece un lungo e profondo respiro e continuò il racconto: 'Con l’inizio della sessione estiva, abbiamo smesso di vederci: tu dovevi studiare e imparare a memoria ogni virgola del libro, ed io mi sentivo sempre più solo. In quel periodo, DJ era partito per chissà dove a fare successo come assistente cuoco del famoso Chef Hatchet, mentre Bridgette e Geoff non facevano altro che stare per gli affari propri a sbaciucchiarsi, per nulla di compagnia…'.

'Così sei rimasto solo… con Gwen' disse Courtney fissandolo con i suoi grandi occhi neri.

'Esatto… ed è successo' sussurrò quasi impercettibilmente fissando il pavimento. 'Mi dispiace'.

'Non devi, tanto non ricordo nulla della nostra relazione e solo parte del giorno in cui ti ho scoperto' riprese lei guardandosi i piedi.
 



 
LUNEDI’ 25 SETTEMBRE 2017
Il silenzio stava dominando la scena circostante: Duncan e Gwen si trovavano di fronte alle due ragazze, pallidi (sebbene Gwen avesse la carnagione chiarissima) e con gli occhi spalancati dal terrore. Il viso dell’ispanica era affondato nella maglietta della coinquilina; Heather dal canto suo aveva cominciato ad accarezzarle i capelli.
La gotica, cercando di reprimere le lacrime, stava fissando il pavimento lanciando di tanto in tanto un’occhiata verso Heather, il punk non aveva avuto problemi a sostenere quegli occhi grigi penetranti, ma aveva ceduto in direzione di Courtney: la ragazza stava singhiozzando e piangendo sulla spalla dell’amica. Il ragazzo aveva tentato di dire qualcosa ma le parole gli erano morte in gola.
'Non fatevi più vedere' aveva semplicemente detto l’asiatica sorreggendo e trascinando la coinquilina in appartamento; ma, una volta passate accanto agli altri due, Courtney si era voltata e un pugno era finito sul viso del punk buttandolo a terra.

'Se fossi in te, mi troverei un’altra sistemazione'.

E Duncan era rimasto a terra, soccorso da Gwen; entrambi immersi nei sensi di colpa.
 
 

 
'Così ti ho preso in parola e me ne sono andato. Quando Geoff e Bridgette hanno scoperto che ti avevamo tradito, ci hanno tagliato fuori dalle loro vite' concluse Duncan triste. 'Ecco perché detestano me e Gwen'. Il punk era rimasto in silenzio, in attesa che la ragazza dicesse qualcosa; ma non arrivò nulla: Courtney dormiva beata abbracciata al cuscino.


 
§
 

 
'Sì, capo, li ho pedinati come mi hai chiesto' fece Geoff al telefono. 'Non crederai mai dove sono andati…'.


 
§
 


 
HEATHER
Heather si svegliò piano strofinando leggermente la fronte sul petto del ragazzo che aveva di fianco. Aprì gli occhi, alzò lentamente la testa e si guardò intorno un po’ spaesata. La stanza era sui toni bianchi e grigi, alla sua destra c’erano delle grandi finestre, di fronte si trovava uno spazioso armadio ed uno specchio verticale. Al centro c’era il letto su cui ora lei e Alejandro si trovavano sdraiati, abbracciati l’uno all’altra.
Heather osservò attentamente il latino… era fottutamente sexy: i capelli color cioccolato erano arruffati, la fronte era distesa e rilassata, il naso, alla greca, era perfetto e le labbra, carnose e calde, erano ancora chiuse a formare un piccolo sorriso soddisfatto.
Lentamente, spostò il braccio del ragazzo e scese dal materasso. Con l’aiuto di un solo spiraglio di luce entrato dalla finestra, raccattò gli indumenti della sera prima e si vestì. Voleva andarsene prima ancora che il latino potesse svegliarsi, ma sfortuna volle diversamente.
'Di solito sono io quello che cerca di sgattaiolare via' commentò Alejandro con voce roca.
 
'Difficile quando la casa da cui sgattaiolare è la tua' rispose Heather legandosi i capelli in uno chignon.

'Non ti fermi per la colazione?'.

'Per quanto sia allettante scroccare un altro pasto da te, non posso rimanere oltre: Courtney mi romperebbe le scatole, e ho il negozio che mi attende…' rispose lei recuperando la borsa ai piedi del letto.

'Courtney?'.

'La mia insopportabile coinquilina' spiegò velocemente lei avviandosi verso la porta.

'Ti rivedrò?' domandò Alejandro puntando i gomiti sul materasso, ricevendo solo spallucce.



 
COURTNEY
Aprì gli occhi e le ci volle un bel po’ prima di capire su cosa fosse appoggiata, anzi, su chi.
'Ciao raggio di sole' fece Duncan piano sorridendo. La spagnola si alzò immediatamente dal petto del punk puntandogli un dito accusatorio.
 
'Oh, mio Dio!' esclamò. 'Ti ho visto, mi stavi abbracciando!'.

'Alt, chiariamo la cosa' disse lui. 'Io ero tranquillamente sdraiato sulla schiena a ronfare, sei tu che eri abbracciata a me'.

'Sei un orco chiodato!'.

'Ne ho sentite di peggio' e si sdraiò di nuovo sul divano, con la testa sul cuscino.

Courtney si mise in piedi trattenendosi dal dare uno schiaffo in faccia a Duncan; si guardò in giro: il punk era disteso sul morbido sofà a fissarla con i suoi occhi color ghiaccio, Gwen era immobile sulla poltrona e Cameron aveva la faccia sulla tastiera del computer ancora acceso.
Esausta, prese la moka e preparò del caffè.
'Anche per me, principessa'.

'Vienitelo a prendere' gli urlò Courtney di rimando bevendo da una tazza presa a caso tra le stoviglie pulite. Duncan la imitò, riempì la propria tazza quasi fino all’orlo e si mise sulla sedia più vicina all’ispanica. 'Non starmi troppo attaccato'.

'Stanotte non eri dello stesso parere però' ammiccò lui, la ragazza arrossì leggermente, non fece in tempo a replicare che sentì le chiavi di casa girare nella toppa.
Heather sbucò, paralizzandosi di fronte a quello scenario.
 
'Ma che diavolo sta succedendo qui?!' chiese l’asiatica guardando dapprima Gwen e Cameron ancora addormentati e poi i due seduti a tavola.
 
'Dove sei stata?' domandò Courtney studiandola: indossava i vestiti del giorno prima, due enormi occhiaie le solcavano il viso e i capelli, anche se raccolti in uno chignon, erano arruffati più del solito.
 
'Ho dovuto sbrigare delle faccende in negozio ieri, sono rimasta fino a tardi e così ho deciso di dormire lì' mentì l’asiatica.
 
'E queste faccende hanno un nome?' la punzecchiò il punk con un ghigno, armeggiando con il telecomando; Heather roteò gli occhi, poi si limitò ad indicare il disordine all’interno della stanza.
 
'Te lo spiego dopo' sospirò l’ispanica sorseggiando il proprio caffè. La coinquilina l’avrebbe ammazzata una volta raccontata tutta la storia, sicuramente.
 
 


 
'Buongiorno cari telespettatori, e bentornati a TG Drama'.
 
'Sono stati scoperti questa notte, nei pressi della campagna, i resti di un corpo; la scientifica lo ha identificato, si tratta di Rodney Ronningen, trent’anni' disse Josh.

'Secondo la polizia il ragazzo è morto più di una settimana fa' proseguì Blaineley. 'Prove dimostrano che il poveretto sia scivolato nel fango e abbia sbattuto la testa al suolo, il colpo è stato fatale'.



 
'Ma si può essere così idioti?' commentò Duncan mangiando qualche biscotto alle gocce di cioccolato.

 


'La famiglia, abituata alle “sparizioni” di Rodney, non si era preoccupata dell’assenza del ragazzo finché uno dei fratelli minori non ne ha ritrovato il corpo, in parte divorato dai maiali che la famiglia stessa alleva' inorridì Josh. 'Per nuovi aggiornamenti, state connessi'.
 


 
'Che fine di mer…'.

'DUNCAN!!'.


 
§
 

 
Stava seduto, impaziente, ad attendere l’arrivo dei suoi scagnozzi, e con loro delle buone notizie.
Molte cose erano successe da quando aveva dato il via a tutto: una persona era morta per permettergli di incastrarne un’altra, aveva cercato altri soggetti da arruolare nel proprio gruppo ed ora stava progettando un modo per disfarsi di quello nemico…
'Capo?'.
Una voce lo destò dai suoi pensieri.

'Spero abbiate buone notizie' cominciò.

'Abbiamo fatto ulteriori ricerche e abbiamo scoperto che l’ufficio legale “Fleckman, Fleckman, Cohen and Strauss” non è mai esistito' disse una voce maschile. 'Inoltre abbiamo sorvegliato le due presunte avvocatesse come ci è stato ordinato ma si sono rivelate alquanto… ehm… diverse da come ce le aspettavamo'.

'Stupide e goffe vorrai dire!' sbottò un altro ragazzo. 'Quella più cessa mi ha anche sputato addosso!'.

'Crediamo che qualcuno possa aver usato le loro identità per intrufolarsi nella stazione indisturbato' proseguì il proprietario della prima voce lanciando un’occhiataccia al collega accanto.

'Allora scoprite di chi si tratta, magari è uno degli amichetti di Nelson' suggerì il capo. 'Adesso andate, lei sta arrivando'.

'Ah, capo! C’è un’ultima cosa' disse la seconda voce. 'Uno dei nostri compagni, Rodney, è morto'.

'Lo so: l’ho ucciso io'.








__________________
ANGOLO AUTRICE:
come sempre, se siete giunti fino a qui grazie :D
Ora però vi dovrò lasciare per un po', ahimé a settembre ho degli esami che mi aspettano e al momento devo dare priorità allo studio D: sto già male al pensiero. Ma ritornerò carichissima, anche perché mancano solo tre capitoli alla fine di questa prima parte! Ma sono curiosa, avete per caso delle vostre teorie?!
Un bacio a tutti, ci vediamo a settembre!

<3

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 12 ***


LUNEDI’ 07 SETTEMBRE 2020
 
COURTNEY
Era seduta sulla chaise longue, nello studio del padre: questi l’aveva lasciata ad attenderlo per sbrigare qualche faccenda in segreteria, con la promessa, però, che al suo ritorno avrebbero consumato insieme il pranzo: sushi, il preferito di entrambi.
Fissò il soffitto pensando a cosa avrebbe dovuto raccontare al genitore… la pratica forense era iniziata nei peggiori dei modi, al servizio di quella bisbetica della Chang che non faceva altro che impartirle ordini a manetta o, peggio, rubarle le soluzioni dei casi; Heather, dopo il racconto del furto del libretto, rimasto ancora indecifrabile, aveva deciso di non rivolgerle più la parola, almeno fino a quando la spagnola non fosse rinsavita. Per quanto riguardava la sua memoria, di certo non poteva raccontargli di Duncan…
Duncan.
L’ultima volta che lo aveva visto risaliva alla notte passata insieme, scervellandosi su come decifrare il codice. Aveva pensato – e sperato - che ascoltando la sua storia, qualcosa potesse riaffiorare in lei, flashbacks o – perché no – sentimenti che fossero. Ma aveva provato solo la più totale indifferenza.
 
Sbuffando, cominciò, annoiata, a camminare avanti e indietro per la stanza, studiò ogni sopramobile, carta e fascicolo presenti sulla scrivania, finché una cartella psichiatrica catturò la sua attenzione: “Mike Doran”. Perplessa, sfogliò il suo contenuto: ad ogni parola, una nuova ruga si faceva largo sulla fronte.
'Questa sovrapposizione di appuntamenti deve finire' sbottò tra sé il signor Barlow aprendo la porta. Courtney, mise il fascicolo al proprio posto e cercò di apparire il più naturale possibile. 'Ho una segretaria incompetente, quando avrai un ufficio legale tutto tuo circondati di persone affidabili' le consigliò l’uomo alzando un indice nella sua direzione. 'Allora, quanta fame hai?'.
 
'Molta!' esclamò Courtney sorridendogli. 'Vai avanti, prendo la borsa e ti raggiungo' aggiunse la ragazza pregando che il genitore la assecondasse in quella piccola richiesta.
 
'D’accordo, chiudi la porta, tesoro'. Courtney tirò un sospiro di sollievo vedendo il padre dileguarsi verso il corridoio; veloce, fece quello in cui ormai era diventata brava: afferrò il fascicolo e lo infilò nella borsa.
 



 
HEATHER
Si stava mettendo accuratamente lo smalto rosso sulle unghie, leggendo distrattamente una rivista di moda rubata a Lindsay, quando il campanello appeso alla porta a vetri suonò, segno che un cliente era entrato. 'Siamo chiusi'.

'Lo siete sul serio o non hai voglia di lavorare?' le rispose una voce calda e molto familiare. Alzò lo sguardo dal giornaletto e in un attimo i suoi occhi furono incatenati a quelli del ragazzo. 'Le altre dove sono?'. Heather alzò un sopracciglio in disappunto.

'Perché? La nottata passata in mia compagnia non ti è bastata?' chiese lei soffiando sulle unghie della mano affinché lo smalto asciugasse. Il ragazzo ghignò leggermente avanzando verso di lei. 'Comunque non ci sono, giorno di ferie alla SPA. Quindi hanno affidato a me la gestione del negozio'.

'E com’è che lo staresti gestendo?' domandò Alejandro portandosi dietro al bancone con l’asiatica. 'Lo sai che ci sono le telecamere, vero?'.

'Lo sai che le so spegnere, vero?' terminò lei ignorando la sua vicinanza, finché non sentì qualcosa di freddo accarezzarle la spalla sinistra. L’asiatica notò di traverso la collana che il ragazzo era solito indossare; incuriosita ne prese il ciondolo, messo in risalto dai pettorali di Alejandro, e lo studiò attentamente soffermandosi su ogni dettaglio, accarezzando con le dita la lettera incisa sulla fronte dell’animale.

'È un oggetto di famiglia a cui sono molto legato' cominciò lui. 'Siamo in tre ad averla, io e i miei fratelli, Carlos e… José' sospirò amaramente.

'Non ti piace José?' chiese Heather scrutandolo.
 
'Odio mio fratello' dichiarò Alejandro quasi irritato e arrabbiato. 'Lui deve sempre vincere, ogni volta. José vive per umiliarmi, mi dà sempre dei pugni sul braccio e mi chiama “Al” solo per farmi dispetto'.

'Che discorsi da ragazzino, Al' lo provocò Heather con le mani ai fianchi. Il ragazzo la fissò intensamente negli occhi e con uno scatto felino la afferrò per le cosce e la mise a sedere sul bancone della cassa. La ragazza non fu per niente stupita da quel gesto, anzi, sapeva di avere una certa influenza sul latino, ma il momento e il luogo che lui aveva scelto per darsi alla spensieratezza le sembravano alquanto discutibili. 'Non mi pare il caso'.

'Che ne dici allora di andare via prima e pranzare insieme?' suggerì il latino; e lei non se lo fece ripetere due volte.



 
COURTNEY
Rientrò in casa, esausta e con la pancia piena dopo la grande abbuffata al ristorante giapponese; non vedeva l’ora di buttarsi sul morbido divano e godersi quel pomeriggio di riposo in compagnia della televisione. Gettò con malagrazia la borsa sul tavolo e… che diamine stava accadendo?
Sgranò gli occhi dalla sorpresa: i cassetti di ciascun mobile erano stati svuotati, il divano era stato completamente smontato, ogni vaso rovesciato: il caos regnava sovrano. Che fosse stato un ladro? Impossibile, televisione e oggetti di valore erano stati gettati a terra; eppure, chiunque fosse stato, doveva essere alla ricerca di qualcosa per fare tutto quel casino… si catapultò in camera, preoccupata per quello che non avrebbe più potuto trovare nel doppio fondo della cassapanca ai piedi del proprio letto.
Fortunatamente il libricino nero era ancora lì, in perfetto stato.
Fece qualche passo in direzione del salotto, ma sentì improvvisamente due grandi mani afferrarle il colletto della camicetta e scaraventarla con prepotenza contro il muro, perdendo la presa sull’agenda. A quel colpo, Courtney si sentì mozzare il fiato, un dolore lancinante cominciò a percorrerle la schiena.
Il suo aggressore - con tanto di calzamaglia nera sul volto - si chinò per prendere il libretto, ma la ragazza, per niente sprovveduta e poco impaurita, gli assestò un bel pugno sulla mandibola, si riappropriò dell’oggetto e cercò di uscire di lì prima che l’uomo potesse reagire.
Intravide il portone di casa, qualche passo e sarebbe uscita da quell’inferno; era a pochi centimetri dalla libertà ma qualcosa di pesante le piombò addosso facendola sbattere a terra, il libretto stretto tra le sue braccia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non darglielo… e l’uomo doveva averlo capito: la voltò supina e, messosi sopra di lei, in ginocchio, portò le proprie mani sul suo esile collo facendo pressione al centro con i polpastrelli.
L’aria cominciò a mancarle, il viso sfumò sul blu. Cercò di svincolarsi da quella presa muovendo braccia e gambe, prese addirittura a graffiare viso, collo, spalle dell’energumeno arrivando a strappargli la collanina in argento che indossava. Non avrebbe resistito a lungo, quella sarebbe stata la sua fine, se lo sentiva; le immagini cominciarono a sfocare, sbiadendo sempre più, il suo corpo non aveva più la forza di controbattere e gli occhi si stavano lentamente chiudendo...

 
Fu all’improvviso, una boccata d’aria le invase i polmoni. Courtney iniziò a tossire e a massaggiarsi il collo dolorante; a fatica si mise a sedere e riaprì gli occhi. La vista era leggermente sfocata ma riuscì comunque a distinguere le figure intorno a sé: innanzi a lei c’era Heather con un vaso tra le mani e lo sguardo rivolto verso l’aggressore steso a terra. 'H-heather…' balbettò Courtney. L’amica si precipitò su di lei, aiutandola lentamente a rialzarsi.

'Come stai?' domandò l’asiatica preoccupata.

'N-non preoccuparti per me, chiama qualcuno e lega quel tipo' fece la spagnola. L’altra annuì, ma una volta giratasi l’uomo non c’era più e con lui anche il libretto nero.



 
DUNCAN
Lui e Gwen, non appena ricevuta la notizia dell’aggressione di Courtney, si erano immediatamente catapultati nell’appartamento di lei, ancora a soqquadro. Era preoccupato e arrabbiato al tempo stesso, semmai avesse scoperto il responsabile di tutto quel casino lo avrebbe sistemato lui, a mani nude tra l’altro.
'Courtney, come stai?' domandò per prima cosa Gwen una volta entrata nel caotico salotto. L’ispanica si trovava sdraiata sul divano, il collo presentava dei vistosi lividi violacei. Qualcosa avvampò dentro di sé, dire che era furioso era un eufemismo, lo avrebbe fatto fuori lo stronzo che aveva osato toccarla.
 
'Un po’ dolorante ma sto bene' rispose la ragazza mettendosi a sedere a fatica. Duncan, contrariato, la invitò nuovamente a sdraiarsi spingendola pacatamente sul divanetto. 'Sto bene, sto bene…'.

'Mica tanto' commentò il punk accanto alla gotica.

'Beh, vedessi l’altro: Heather gli ha tirato un vaso in testa' commentò Courtney. 'Fortuna che hai smontato prima da lavoro, altrimenti a quest’ora non sarei qui a parlarne'.
Il silenzio calò sui quattro, Duncan tenne il suo sguardo fisso sulla figura di Courtney, che, accortasi delle sue insistenti occhiate, gli sorrise appena come a volerlo rassicurare. Quel sorriso, però, si spense quasi subito lasciando spazio al dispiacere. 'Mi dispiace, non ho potuto fare niente per il libretto, è riuscito a prenderlo e a scappare via'. Il punk le si avvicinò, guardandola intensamente negli occhi, non le avrebbe permesso di prendersi la responsabilità di quello che le era capitato, inoltre quel maledetto libricino non conteneva nulla che potesse mettere nei guai uno di loro, dunque perché disperarsi?
 
'Non è colpa tua, Courtney' commentò lui.

'Anche se la brillante idea di rubare quel libro è stata tua' aggiunse Heather ricevendo le occhiatacce di tutti.

'Ad ogni modo, sono riuscita a sfilare questa all’aggressore' proseguì Courtney mostrando la collanina. Duncan la esaminò, non l’aveva mai vista prima: era fatta interamente d’argento, compreso il ciondolo a forma di toro, sulla cui fronte era incisa una “J”. 'Sapete di chi possa essere? Qualcuno che lavora all’“All Stars”?'.

'Non è stato nessuno di loro' rispose Gwen, analizzando anche lei quello strano cimelio. 'Geoff ha detto che hanno ordini dall’alto dunque non possono toccarti. Devono attenersi strettamente alle regole'.

'Altrimenti?'.
 
'Verrebbero uccisi seduta stante' terminò Duncan mimando una pistola con la mano destra e portandosela alla tempia. Sospirò, e solo dopo svariati minuti, notò Heather quasi pietrificata sul posto, lo sguardo fisso sulla collana stretta in quel momento tra le mani della gotica. 'Panterona, tutto bene?'.

'Oh, ehm, sì sì' fece lei. 'M-mi è venuto in mente che forse Lindsay sa il nome della gioielleria da cui proviene la collana…' e, alzatasi in piedi e afferrato il cimelio, si diresse verso le scale lasciando tutti quanti perplessi. 'Non starò via molto'.



 
HEATHER
Aveva appena parcheggiato l’auto rossa davanti al condominio in cui abitava il latino, decisa a estorcergli una confessione: ormai aveva intuito le reali intenzioni di Alejandro, legarsi a lei per arrivare a Courtney. Amareggiata con se stessa per non averlo capito prima e per essere stata causa di dolore ai danni dell’amica, trafficò con il contenuto del cruscotto, tirandone fuori un coltellino.
Scassinata la serratura del portone, si precipitò sulle scale salendo due gradini alla volta, affrettò il passo e raggiunse l’appartamento di lui.
 
'Buonasera, chica' salutò una voce suadente.

'Questo lo dici tu' rispose Heather entrando e colpendolo con una spallata al suo passaggio.

'So che non riesci a stare lontana da me, ma per quanto voglia spendere del tempo con la mia ragazza preferita, stasera non posso, querida' fece lui chiudendo la porta e dandole le spalle. 'E prima che tu possa fare qualche battuta: no, non devo uscire con nessun’altra'.
 
'Tuo fratello, José, ha fatto visita alla mia coinquilina oggi pomeriggio' commentò lei andando al punto, notò come la schiena di Alejandro si fosse irrigidita a quelle parole. 'E non provare a negarlo dal momento che ho qui un suo souvenir' e giratosi, il latino sgranò gli occhi alla vista della collana e del ciondolo. ' “Un oggetto di famiglia”, “ce l’abbiamo in tre, io e i miei fratelli” ' proseguì lei instancabile parafrasando le parole pronunciate da lui quel giorno e lanciando il gioiello ai suoi piedi. 'Allora, Al, per chi lavorate? Perché vi interessa avere quel libretto, scommetto che è stato il vostro capo a volerlo…'. Alejandro riprese il controllo di sé e un ghigno compiaciuto prese vita sul proprio viso.
A quell’immagine Heather perse le staffe: repentinamente gli si avvicinò, e il sorriso beffardo di lui si spense; Alejandro sbiancò quasi subito, non solo perché notò lo sguardo omicida della ragazza, ma anche l’oggetto metallico che questa teneva in mano, e, più precisamente, puntato al suo collo. Lei lo scrutò un secondo, dopodiché lo costrinse con le spalle al muro. 'Quel giorno al negozio, la prima volta che ci siamo visti, tu e Carlos stavate controllando Lindsay, non è vero? Avete scoperto che Duncan era stato rilasciato, che dietro a tutto quanto c’erano lei e la sua amichetta Beth, quindi avete pensato bene di sorvegliarle e fare domande in giro…' continuò l’asiatica più a se stessa che al ragazzo. 'Ma non avete scoperto niente, fino a quando…'.
 
'Abbiamo saputo che quelle avvocatesse alla stazione in realtà non erano Lindsay e Beth' la interruppe Alejandro, il coltellino ancora puntato al pomo d’Adamo. 'Ma fino ad ora non sapevamo chi avesse preso il loro posto… siete state tu e la tua coinquilina Courtney?'. Heather si maledisse mentalmente, avendo saputo prima che il ragazzo ignorava questo piccolo dettaglio lo avrebbe di gran lunga omesso. 'Devo ammetterlo: sei dannatamente brava' proseguì lui, beccandosi una stilettata dall’altra. 'Ma io lo sono di più' e dettò ciò, con lo scatto felino che lo contraddistingueva, il latino invertì le posizioni: girò Heather, appoggiando la schiena di lei al proprio petto, con il braccio sinistro bloccò il suo corpo, mentre la mano destra si chiuse su quella di lei che teneva il coltello, ora pericolosamente appoggiato al collo niveo ed esile dell’asiatica. 'Allora, adesso che vogliamo fare?'.
Heather deglutì pesantemente, forse affrontare da sola un ragazzo alto e muscoloso non era stata proprio una brillante idea…
Il cuore iniziò a martellarle nel petto, ma doveva mantenere il sangue freddo, non voleva cedere così facilmente sebbene la pressione che sentiva sul collo le impedisse di muoversi e liberarsi.
Ad Alejandro ormai bastava un colpo secco, e lei non sarebbe più stato un problema.
 
 



 
E così fu.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO 13 ***


MARTEDI’ 08 SETTEMBRE 2020
 
GWEN
'Come sarebbe a dire che non l’hai vista?!' quasi urlò Courtney in faccia alla bionda.

'Senti, Cathy…'.

'Mi chiamo Courtney!' esclamò la spagnola inferocita; Gwen si portò al suo fianco cercando di calmarla.

Si trovavano al negozio in cui Heather lavorava a chiedere informazioni sull’asiatica stessa; infatti, dopo averle abbandonate il giorno prima, con tanto di collana dell’aggressore in mano, questa non era più rientrata in casa lasciando tutti quanti in uno stato di agitazione. Courtney, in particolare, si era data malata allo studio non solo a causa di quello che le era capitato ma anche per capire dove si fosse cacciata l’altra.
'Ad ogni modo, Greta, dovresti proprio rivedere il tuo guardaroba' accennò la bionda osservando la gotica dalla testa ai piedi con aria quasi disgustata. Gwen si guardò allo specchio accanto al camerino, non le sembrava di stare così male: corsetto nero con delle maniche corte verdi e azzurre, una minigonna con tasche verde scuro, collant e anfibi neri. Scosse la testa, ricordandosi il motivo per cui erano lì dentro, a sopportare i commenti di quella svitata. 'E quel foulard, Kristin, non ti dona affatto'. Courtney cercò di calmarsi, facendo dei profondi respiri.

'Ehm… Lindsay, quando è stata l’ultima volta che hai visto Heather?' domandò Gwen prendendo in mano le redini.

'Venerdì… o era sabato?'.

'E ieri no?' insisté.

'No, io e Dakota siamo state tutto il giorno alla SPA: abbiamo fatto la sauna, la pulizia del viso, raschiato i gomiti, dei magnifici massaggi shiatsu…' continuò Lindsay con occhi sognanti. 'Ieri c’era solo Heather al negozio'.

'Ecco perché ha smontato prima' sussurrò Courtney all’orecchio dell’amica.

'E per fortuna' aggiunse Gwen facendo un cenno al collo della spagnola. 'Beh, grazie Lindsay, sei stata gentilissima!'.

'Non volete provare queste deliziose camicette?' domandò lei alzando alcuni indumenti colorati. 'Tu, Greta, ne avresti proprio bisogno!'.

'Andiamocene prima che la strangoli con la camicia rosa' fece Courtney digrignando i denti e dirigendosi a passo spedito verso l’uscita. La gotica la seguì, accennando un saluto con la mano in direzione della bionda, ancora con le stoffe tra le braccia.
 
Montarono sulla Mustang, pronte a fare ritorno all’appartamento dove Duncan le stava aspettando.
'Se Heather non è andata da Lindsay, dove diamine è finita?' cominciò Courtney imperterrita. 'La sua auto è sparita, quindi da qualche parte deve pur essere andata'.

'Forse conosceva l’aggressore' indovinò Gwen. 'Quando hai tirato fuori quella collana ha fatto una faccia… era pietrificata'.

'Dici che magari lo ha affrontato da sola?' buttò lì l’altra guardando la gotica in tralice.

'Conoscendola… forse pensava di farcela' e le opzioni che le vennero in mente erano due: o era ancora con lui a discutere, oppure questi l’aveva sopraffatta. 'Una cosa è sicura: chiunque sia entrato in casa vostra era alla ricerca del libretto. Dunque: chi sapeva che ce l’avevi tu?'.

'Tu, Heather, Duncan, Cameron e dopo la visita di Geoff anche quelli del locale…' pensò la spagnola. 'A meno che qualcuno di voi non lo abbia raccontato ad altri'.
Gwen sospirò amaramente, se Courtney avesse avuto ragione, questo avrebbe significato una cosa sola: qualcuno lì dentro stava facendo il doppiogioco.
 
'Non credevo di dirlo ma… dobbiamo tornare all’“All Stars”'.




 
COURTNEY
Il locale era gremito di gente che beveva o ballava; le luci colorate e la musica ad alto volume le invadevano rispettivamente occhi e orecchie, come la prima volta che aveva messo piede in quel posto. Guidate dal punk, vestito interamente di nero, Gwen e Courtney si aprirono tra la folla giungendo dopo spinte e spallate varie al bancone, dietro al quale due facce note stavano servendo da bere. Tutti e tre erano stanchi della situazione che si era creata cercando di ottenere ad ogni costo delle risposte; Duncan era quello più deciso, tant’è che aveva insistito molto per essere lì presente, insieme alle ragazze.
Bridgette diede una gomitata al marito, accennandogli la loro presenza.
'Ancora?!' sbuffò Geoff infastidito. 'Devo chiamare la polizia, Duncan?'.
 
'Anche se ti dicessi che io e Gwen abbiamo una sorpresa per il “barone”?' rispose il punk intrepido. Courtney dovette ammettere che l’atteggiamento da spaccone gli si addiceva molto, e stranamente le piacque. Senza aggiungere altro, il punk le prese la mano e la avvicinò al bancone; inutile dire quanto fossero sgranati gli occhi dei due biondi, sembrava avessero visto un fantasma.
 
'D-duncan, lei non può stare qui…' riprese il biondo con la fronte imperlata di sudore.
 
'Senti, a causa di quel libretto abbiamo ricevuto una visita indesiderata, e questo ne è stato il risultato' delicatamente scoprì il collo della spagnola; per quanto Duncan fosse rozzo e manesco, quel tocco, al di là di ogni sua aspettativa, era dolce e gentile.
Sul volto di Bridgette e Geoff comparvero preoccupazione e agitazione. 'Ora, io non vorrei insinuare nulla, ma mi pare di aver capito che avreste fatto qualsiasi cosa pur di riavere quella dannata agenda…'.
 
'Che cosa?! Come osi! Non le avremmo mai fatto una cosa simile!' esclamò Geoff offeso e arrabbiato al tempo stesso.
 
'Strano, avrei giurato di aver visto la tua auto parcheggiata fuori dal suo condominio qualche sera fa…' ghignò il punk, la sua mano ancora stretta in quella della spagnola, un po’ spaesata da quell’affermazione. 'Sapevi che prima o poi ti avremo condotto al libretto. Ora, portami da lui, immediatamente' fece imperioso.
 
Geoff lanciò un’occhiata alla consorte, poi, rassegnatosi, fece loro cenno di seguirlo e li condusse oltre la porta sul fondo, dietro all’alta colonna, la stessa in cui si era intrufolata Courtney qualche settimana prima. Il biondo fece loro percorrere uno stretto corridoio, e infine giunsero all’interno di un ampio ufficio al cui centro vi era una grande scrivania in legno nero, davanti la quale stavano due comodi divanetti; Duncan, senza troppe cerimonie, si spaparanzò su uno di questi occupando tutta la sua lunghezza. 'Ehi!' lo riprese subito l’ispanica. 'Lascia un po’ di spazio anche a noi' e gettò le gambe di lui sul pavimento, prendendo poi posto alla sua destra.
 
Geoff bussò appena alla porticina dietro la scrivania e una figura fece capolino: l’uomo era alto e magro, aveva i capelli rossi e gli occhi di un blu intenso, in grado di intimidire chiunque; al viso vi era un accenno di barba.
'Si può sapere che diamine succede adesso?!' disse infastidito con voce profonda. Il biondo, non nascondendo il nervosismo, gli indicò i tre ospiti seduti sui divanetti; stupore e felicità modificarono i tratti del suo viso, una volta che gli occhi di lui si posarono su di lei, Courtney.
 



Un’emicrania, più forte di quelle avute in precedenza, si fece subito sentire; si portò le mani alla testa, le vertigini minacciavano di farla cadere, ma due braccia forti, quelle di Duncan, la sostennero.
 



MERCOLEDI’ 31 OTTOBRE 2018
'Non puoi neanche immaginare quanto sia felice in questo momento' aveva esordito Courtney davanti ad un bicchiere di Martini.

'Sarà la decima volta che lo dici, quindi mi sono fatta un’idea' le aveva risposto Heather, lo sguardo rivolto verso la sala da ballo.

Finalmente aveva terminato gli studi, laureandosi con il massimo dei voti alla facoltà di giurisprudenza, surclassando quella antipatica e invidiosa di Emma Chang, sua – ormai ex – compagna di corso. Per festeggiare, lei e Heather si erano date alla spensieratezza, davanti a un drink in uno dei locali più popolari della città.

'È un peccato che Gwen non sia potuta venire…'.

'Per dirle quanto sei felice?' aveva ghignato Heather sorseggiando un Daiquiri e ricevendo un’occhiataccia dall’altra. 'Andiamo a ballare?'.

'Ti raggiungo più tardi'.

'Vorrà dire che quel ragazzone con gli occhi chiari sarà mio' e l’asiatica si era diretta verso il centro della pista, sotto lo sguardo divertito dell’altra.

'Un altro giro, per favore' aveva ordinato Courtney al barista il quale aveva afferrato un’elegante bottiglia bianca al suo fianco e riempito il bicchiere vuoto della ragazza.

'Offro io' aveva pronunciato un ragazzo accanto a lei, seduto su uno sgabello. L’ispanica l’aveva osservato: alto, magro e molto carino; indossava dei jeans scuri e un giubbotto in pelle nera.

'Non farti strane idee, non sono qui per un’avventura' gli aveva detto Courtney, bevendo lentamente il suo secondo Martini.

'Non avevo in mente nulla del genere. Un ragazzo non può essere gentile con una ragazza senza aspettarsi nulla in cambio?'. La spagnola l’aveva squadrato, alzando appena un sopracciglio. 'Okay, come non detto'.

'Courtney'.

'Piacere Courtney, io sono Scott'.
 



MARTEDI’ 15 GENNAIO 2019
L’appuntamento era andato benissimo: Scott l’aveva viziata tutto il tempo, portandola dapprima al cinema e poi offrendole una costosa cenetta. In quel momento erano di ritorno a casa, passeggiando sotto le stelle, immersi nel clima freddo ma piacevole di gennaio.
I due avevano cominciato a frequentarsi giorni dopo il loro primo incontro, ma nulla di serio: avevano semplicemente bisogno l’uno della compagnia dell’altra, di qualcuno che li capisse e comprendesse, e lei in tutto ciò apprezzava il fatto che il ragazzo rispettasse i suoi spazi, senza pressione o altro.
Ma dopo mesi di assidua frequentazione aveva capito di nutrire dei profondi sentimenti per Scott, voleva altro, voleva rischiare, amare ed essere amata.
'Quindi alla fine hai scelto lo studio “McCord” per il tuo tirocinio?' aveva cominciato lui camminando al suo fianco.
 
'Alla fine sì, inizierò tra due settimane' aveva detto Courtney stringendosi nel pesante giubbotto.
In poco tempo erano arrivati davanti al condominio della ragazza, pronti a concludere la serata.
'Sono stata bene, Scott. Grazie' aveva detto lei guardandolo con i suoi grandi occhi neri.
 
'Anch’io' aveva risposto l’altro ricambiando lo sguardo.
 
Una certa tensione aveva iniziato ad alleggiare nell’aria, era giunta l’ora di ritirarsi in casa, sotto le coperte calde del proprio letto, ma il suo corpo sembrava non assecondarla, chiedendo qualcosa in più all’uomo innanzi a lei. Imbarazzata per quei pensieri inopportuni e per niente puri, si era avviata verso il portone di casa, le chiavi pronte nella mano destra; ed era stato lì che aveva pronunciato le fatidiche parole: 'Senti' lo aveva richiamato; Scott era rimasto fermo dove lo aveva lasciato, intento ad osservarla. 'Non è che… vorresti s-salire?'.
Lui aveva sgranato gli occhi, quasi a non crederci; lentamente si era avvicinato, forse per accertarsi di aver capito bene quello che gli era stato chiesto.
I loro volti erano a pochi centimetri di distanza, Courtney era agitata, spaventata da un possibile rifiuto. D’altra parte non avevano mai definito il loro rapporto nei dettagli, non erano una coppia ma neanche “solo amici”… quella situazione la stava mandando in crisi, aveva addirittura cominciato a torturarsi il labbro inferiore con i denti.
 
'Sei sicura?'.
 
E lei aveva annuito.
 
 
 
 
MERCOLEDI’ 15 GENNAIO 2020
'Respira, Courtney' le aveva suggerito Gwen sistemandole sul capo il lungo velo bianco.

'Questo corpetto è troppo stretto!' si era lamentata l’ispanica tenendosi l’addome.

'Sei solo agitata' aveva cominciato Heather ritoccandosi il trucco.
Si era guardata allo specchio: aveva un voluminoso e tradizionale abito da sposa a bustier, con un’ampia gonna e uno stretto e rigido corpetto con scollo a cuore, decorato con ricami floreali incorniciati da piccoli brillanti. Il trucco era leggero ed elegante intorno agli occhi, mentre un rossetto color nude solcava le labbra morbide e carnose. Gwen aveva finito di aggiustarle il velo sull’elaborata acconciatura.
 
'Sei bellissima' aveva commentato la gotica, che per l’occasione aveva optato per un trucco classico.
 
'Sì, passabile' si era aggiunta l’asiatica, portandosi davanti allo specchio, alla sinistra della sposa, le altre due avevano alzato gli occhi al cielo.
 
Suo padre e sua madre si erano categoricamente rifiutati di prendere parte ad uno dei momenti più importanti della vita della loro unica figlia, non soddisfatti dell’uomo che da lì a breve sarebbe diventato suo marito… Così, al posto del genitore, si era ritrovata Geoff a braccetto, entrambi pronti a percorrere la navata, sotto gli occhi emozionati degli ospiti – perlopiù amici stretti.
Tutto ciò le era sembrato surreale, presto sarebbe diventata la signora Wallis…
La marcia nuziale era iniziata e lei e Geoff avevano preso a camminare; il cuore a mille e lo stomaco in subbuglio, gli occhi avevano già cominciato a lacrimarle. Se non fosse stata per la presenza del biondo a sostenerla al suo fianco, sarebbe certamente inciampata più e più volte su quel magnifico ma al tempo stesso dannato vestito.
Lo sposo era lì, sull’altare, ad attenderla con un grande sorriso sulle labbra - e Courtney aveva notato come i suoi occhi blu fossero più lucidi del solito, almeno non era l’unica in preda alle emozioni.
Alla sua sinistra, Bridgette, Heather e Gwen – le damigelle - erano perfettamente allineate, tra le mani un bouquet di fiori bianco, messo in risalto dal colore dei loro abiti da cerimonia… carta da zucchero! A destra, accanto a Scott, stavano Topher e Lightning, rigorosamente in smoking nero.
Geoff l’aveva lasciata nelle mani di Scott, raggiungendo il proprio posto tra il rosso e Topher.
 
'Sei bellissima' le aveva sussurrato Scott una volta cessata la musica. Lei era arrossita vistosamente e, dopo tutta quella agitazione e tutto quel panico, finalmente le era spuntato un sorriso.
 
 
 
 
 
Tutto si fece nero e Courtney perse i sensi.
 

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Capitolo 15
*** CAPITOLO 14 ***


MERCOLEDI’ 09 SETTEMBRE 2020
 
SCOTT
Era scoccata la mezzanotte quando distesero Courtney su uno dei divanetti. Rivederla era stato come ricevere una scossa, come tornare a respirare dopo essere stato per molto tempo senza ossigeno… d’altra parte lei era tutto il suo mondo. Con estrema lentezza percorse con le dita i contorni del suo viso per assicurarsi che tutto quello non fosse un sogno, che in quel momento lei fosse lì… ed era davvero bella.
 
'Barone Scott, CAPO!!!' una voce femminile alquanto stridula gridò dall’altra parte della porta. Una ragazza formosa e dalla carnagione abbronzata entrò in ufficio, fermando la sua avanzata una volta accortasi della presenza di tutti loro.
 
'Bussare per te è un optional, vero?' fece Scott irritato. 'Che vuoi, Anne Maria? Come puoi vedere sono occupato'. Gli occhi scuri di lei si soffermarono su ognuno di loro come ad analizzare ogni singolo dettaglio, indugiando soprattutto sulla donna distesa.
 
'Volevo solo avvisare che io smonto' disse. 'Se non hai bisogno d’altro – il tono malizioso – io vado'.

'Addio' commentò Scott indifferente.

'Allora ci vediamo' salutò lei in procinto di andarsene, ma poi sembrò ripensarci: 'Duncan, tesoro, ti stanno bene i capelli… semmai avessi bisogno di sfogarti con qualcuna… il piacere è tutto mio' e gli fece l’occhiolino, al punk andò di traverso la saliva, fissando Anne Maria andarsene sculettando più del solito. Scott lasciò correre il comportamento poco professionale e irrispettoso della ragazza, ora la sua priorità era un’altra.
 
'Perché siete venuti qui?' chiese.
 
'La domanda giusta è: perché non l’hai cercata?' domandò Duncan a sua volta, aggrottando la fronte per la rabbia.
 
Già, perché?
Perché aveva capito che la vita di Courtney, stando con lui, era messa costantemente in pericolo.
Perché non le poteva dare la sicurezza che dopo ogni missione lui sarebbe tornato a casa sano e salvo, lasciandola, fino al suo ritorno, in balia della preoccupazione e del terrore.
Perché entrando prepotentemente nella sua vita, le aveva privato di costruirsi un futuro diverso, quello che lei aveva da sempre desiderato da quando era solo una ragazzina.
Perché, alla fine dei conti, lui non sarebbe mai stato in grado di offrirle quello che lei meritava: il meglio.
Ma, soprattutto, perché ormai non poteva più definirsi sua…
'Ho i miei motivi' buttò lì. A quella risposta, Duncan avvampò, corrugò la fronte e una ruga profonda cominciò a farsi strada, le labbra parvero assottigliarsi sempre più. Stava per aprir bocca e replicare, sicuramente con un commento acido, ma Courtney aveva deciso di fermare la lite sul nascere: cominciò a muoversi e lentamente, dopo vari secondi, aprì gli occhi neri, rivolti verso il soffitto.

'Serve aiuto, principessa?' fece Duncan mettendo un cuscinetto sotto la testa della spagnola.
Scott percepì un leggero fastidio all’altezza dello stomaco. Principessa? PRINCIPESSA??

'No, faccio da sola' rispose Courtney mettendosi seduta e guardandosi intorno, quasi spaesata. Duncan e Geoff erano uno accanto all’altro, stranamente senza ringhiarsi contro; Gwen stava passeggiando nervosamente avanti e indietro, le dita della mano destra alla bocca, a mangiucchiarsi le unghie nere; e poi c’era Scott, in ginocchio sul tappeto, quasi faccia a faccia con la spagnola. Quest’ultima lo guardò accigliata, forse era troppo vicino…
Si alzò di scatto, dandole le spalle e grattandosi nervosamente la nuca.
 
'Non dovreste essere qui' riuscì a dire in un bisbiglio.
 
'Non saremmo venuti se non fosse stato importante' disse Duncan freddo facendo un cenno con il capo in direzione dell’ispanica, la quale a quel tacito comando si sfilò delicatamente il foulard dal collo; degli ematomi viola comparvero sotto gli occhi di tutti, quelli del rosso erano i più sgranati.
 
'Qualcuno è entrato in casa per rubare il libretto che noi avevamo rubato a voi, io l’ho colto sul fatto e sono stata aggredita' fece Courtney fissando il pavimento. Scott si portò le mani tra i capelli, incredulo da tutta quella faccenda, c’erano diverse cose che non capiva ancora e la sua testa era piena di domande che pretendevano urgentemente delle risposte.
 
'L’hai rubato per lui?' domandò alla ragazza indicandole il punk, lei negò.
 
'È una storia molto lunga' intervenne Gwen, a braccia conserte, appoggiata all’unica finestra dell’ufficio.
 
'E io ho molto tempo' rispose Scott sedendosi dietro la scrivania e invitandoli a procedere con la narrazione. Così fu: gli raccontarono del primo flashback avuto dall’ispanica, di come quest’ultima e la gotica si erano intrufolate all’interno dell’“All Stars” per rubare il video che scagionasse il punk e il libretto nero, di come Courtney e Heather si erano camuffate per introdursi nella stazione di polizia e rendere giustizia a Duncan; tutto ciò nell’ammirazione di Geoff e Scott in persona.
Aggiunsero addirittura come avevano cercato di tradurre inutilmente il codice ideato dal rosso, il quale apparve compiaciuto e sollevato dalla notizia, l’identità dei propri clienti era salva… almeno per il momento.
L’ispanica gli narrò anche l’aggressione, come Heather l’aveva salvata e come poi questa fosse sparita nel nulla.
 
'Quindi non sapete dove possa essere...?' chiese cauto il biondo, ottenendo solo un no come risposta.
 
'Pensiamo conoscesse l’aggressore' disse la gotica. 'Forse è andata ad affrontarlo da sola… e qualcosa è andato storto'.
 
'Inoltre sospettiamo ci sia una talpa' buttò Courtney, i ragazzi si voltarono improvvisamente verso le due. 'Non fate quelle facce, pensateci un attimo: gli unici a sapere dov’era il libretto eravamo io, Heather, Gwen e il suo amico nerd, Duncan e il personale dell’“All Stars”'.
 
'Noi non ne abbiamo fatto parola con nessuno, voi, invece?' punzecchiò Gwen, mentre Geoff e Scott si scambiavano un’occhiata. Davvero qualcuno all’interno del gruppo aveva detto qualcosa di troppo? Impossibile, non dopo gli anni passati insieme.
 
'O magari è stata Heather a spifferare tutto all’aggressore, questo spiegherebbe come fosse a conoscenza della sua identità' pensò Scott. 'Per ora non abbiamo altro se non delle supposizioni, senza prove concrete non si va da nessuna parte' e cominciò a tamburellare le dita sulla scrivania in legno, immerso nei suoi pensieri; la fronte aggrottata, lanciando qualche sguardo in direzione di sua “moglie”, nello specifico verso il suo collo. Giurò mentalmente che l’avrebbe vendicata per l’affronto subito, quel bastardo meritava di soffrire nella peggior maniera possibile.
Ci furono diversi minuti di silenzio: Gwen era rimasta attaccata alla finestra, lo sguardo in direzione della strada e delle macchine; Duncan si era spaparanzato sul divano sbadigliando sonoramente; Geoff e Scott erano entrambi rimasti dietro la scrivania, il primo in piedi e il secondo seduto, con una sigaretta tra le dita pronta per essere consumata; Courtney sembrava avere mille pensieri per la testa, indecisa a quale fra i tanti dar voce, finché non parlò.
 
'Quindi… io e te… siamo sposati…' fece scrutando il rosso, che iniziò a frugare nel primo cassetto alla sua destra, dal quale estrasse in seguito una scatoletta in velluto blu. Con lo sguardo fisso su questa, ed accarezzandola più e più volte con le dita, si alzò per porgerla alla ragazza, la quale, aprendola, rimase sbigottita dai due anelli: quello di fidanzamento in argento con un diamante incastonato al centro e la fede in oro.
 
'Quando l’ospedale mi ha chiamato per avvisarmi del tuo incidente, mi sono letteralmente precipitato a vedere come stessi ma non mi hanno lasciato entrare' raccontò Scott con una certa amarezza.
 
'Ma avrebbero dovuto, insomma: sei mio marito!' protestò Courtney, facendosi scivolare le parole di bocca. 'Cioè, io intendevo… non importa'. Scott sorrise, per la prima volta da quando quei tre avevano varcato l’entrata del suo ufficio; in quel momento avrebbe voluto prendere la spagnola tra le sue braccia, se solo non fossero stati in compagnia di altre persone. Tuttavia, il sorriso si spense quasi subito.
 
'ERO tuo marito'.
 
 

 
DOMENICA 19 LUGLIO 2020
'Perché non mi permetti di vederla? Ne ho tutto il diritto, lei è mia moglie!' aveva sbottato il rosso in faccia ad un uomo sulla cinquantina. 'Sarai suo padre, ma non mi pare tu sia stato così presente negli ultimi mesi'.

'Questo è a causa tua!' lo aveva rimproverato il signor Barlow. 'Mia figlia stava bene fino a quando non ha cominciato a frequentare gente inutile: quel criminale dalla cresta verde, quella ragazza tetra dai capelli inguardabili e ora te, Scott! Pensi non sappia il tipo di lavoro che svolgi? Vendere droga e armi, quale mostruosità!'. Il rosso lo aveva guardato con rabbia, non replicando alle sue parole; d’altra parte non sapeva come dargli torto.

'Sarà anche così, ma pur sapendo il mestiere che faccio, sua figlia ha scelto me'.

'E pensi che lo farà nuovamente?' aveva chiesto l’uomo con un piccolo ghigno sul volto, notando lo sguardo confuso dell’altro. 'Devi sapere che Courtney non ricorda nulla degli ultimi quattro anni: non sa di essersi laureata, di aver cominciato il tirocinio, di aver sposato un individuo come te… potremmo dire che è ritornata a quel periodo in cui provava disgusto per i criminali. D’altra parte c’era stato un motivo se all’epoca aveva scelto di intraprendere la carriera di avvocato: mettere in gattabuia gente come quel Nelson, o come te, Scott. Pensi che con questa mentalità e con questi ideali lei ti voglia ancora? Se così è, sei soltanto un patetico illuso' aveva proseguito pulendosi le lenti degli occhiali con una pezza apposita.

'Tu menti'.

'Sapevo l’avresti detto' e gli aveva messo sotto al naso una cartellina gialla. 'La cartella clinica di Courtney, direttamente dall’ospedale, guarda tu stesso' e aveva esaminato ogni documento contenuto lì dentro, TAC e altre radiografie comprese.

'E questa robaccia?' aveva domandato mostrando all’altro dei fogli.

'Quella “robaccia” sono le carte del divorzio' aveva spiegato il signor Barlow. 'Come puoi vedere c’è già la firma di mia figlia: io e mia moglie le abbiamo spiegato la situazione e ha deciso di risistemare la propria vita, a cominciare da te'.

'Chissà perché non ci credo neanche un po’' aveva risposto lui con sarcasmo. Come se i Barlow non avessero cercato di persuaderla, magari raccontandole bugie su bugie pur di riaverla con loro.

'Non mi interessa quello a cui credi, ma pensaci: stare con te farebbe di lei un bersaglio, non vorrai mica che uno dei tuoi nemici le faccia del male, no?'.
 
 



'Così ho firmato, ed è per questo che sei stata ricoverata in ospedale sotto il nome di Courtney Wallis e ne sei uscita come Courtney Barlow' terminò Scott giocherellando con la propria fede, ancora al suo posto, all’anulare della mano sinistra. 'Senza contare che i tuoi genitori sono ricchi e hanno molte conoscenze, tra cui avvocati divorzisti e giudici; per questo sono riusciti in così poco tempo ad ottenere quanto volevano'.

'Ma io non ho firmato nulla…' fece l’ispanica quasi triste.

'Lo sospettavo' ammise Scott. 'Ma su una cosa tuo padre aveva ragione: se avessi continuato a stare con me, la tua vita sarebbe stata in continuo pericolo'.

'Come se adesso stesse bene!' sbottò Duncan indicando il collo di lei.

'Solo perché ha rubato qualcosa a Scott!' esclamò Geoff a braccia conserte. 'Se non lo avesse fatto a quest’ora non saremmo qui a parlarne'.

'A quest’ora non saprei nulla di tutto questo' commentò Courtney sospirando e portandosi accanto alla gotica, lo sguardo verso l’esterno della finestra. Era la prima volta che Scott la vedeva così: impotente, vulnerabile e indifesa. Avrebbe voluto confortarla, stringerla a sé, dirle che andava tutto bene, che a lei ora ci pensava lui.

Iniziò a fare qualche passo verso l’ispanica, proprio per rassicurarla, quando Duncan cominciò a parlare: 'Courtney?' la chiamò il punk, lei si voltò, con aria interrogativa. 'Riprendiamo da dove ci eravamo fermati la volta scorsa, prima che ti addormentassi' e il rosso lo squadrò da capo a piedi, non capendo di che diamine stesse parlando; Duncan continuò il discorso: 'Dopo la rottura con Gwen, lei si è dedicata alla sua carriera d’artista e a riallacciare i rapporti con te. Quando poteva, però, usciva anche con me, Bridgette e Geoff, come una volta' spiegò. 'In tutto ciò io e Geoff eravamo alla ricerca di un lavoro, avevamo entrambi bisogno di soldi e io dovevo cercarmi una sistemazione altrove, ma chi mai assumerebbe un ex criminale come il sottoscritto?'.

'Un altro criminale?' buttò lì la spagnola indicando Scott.

'L’ho conosciuto ad un bar, mentre facevo domande in giro per un posto di lavoro; lui mi ha sentito e “siamo entrati in società”' disse il punk mimando le virgolette. 'Geoff e Bridgette compresi'.

'Abbiamo messo su un gruppetto niente male' commentò Scott compiaciuto accendendo finalmente la sigaretta che si era portato alla bocca.

'“Der Schnitzel Kickers”' fece Duncan allegro.

'Un nome stupido' tagliò corto Gwen beccandosi un’occhiataccia dal punk.

'Sta di fatto che in poco tempo abbiamo accumulato tantissimi soldi' s’intromise il biondo. 'Dapprima… ehm… spacciando droga, poi vendendo armi' e ricevette sguardi sorpresi dalla spagnola.

'Gwen non è mai venuta a sapere quello che stavamo combinando fino a quando Bridgette non si è lasciata sfuggire che stavamo progettando di aprire un locale' sbuffò il punk.

'Mi era sembrato strano che avessero così tanti soldi per un locale, così le ho fatto il terzo grado ed è crollata' spiegò la gotica con molta nonchalance.

'Aspetta un attimo' fece Courtney improvvisamente rivolgendosi a Duncan. 'Tu mi hai detto che una volta scoperto come ci siamo lasciati, Bridgette e Geoff hanno deciso di non rivolgere più la parola a te e a Gwen…'.

'E così è stato, ma lo hanno scoperto moooolto tempo dopo, quando eravamo già entrati in attività' spiegò il punk. 'Precisamente il giorno in cui Scott ha presentato a tutti la sua nuova ragazza…'.
 
 


LUNEDI’ 11 FEBBRAIO 2019
'Scott, sei sicuro che piacerò ai tuoi amici?' aveva chiesto Courtney preoccupata.

'Ne sono più che certo' aveva detto lui posandole un bacio sulla mano e aprendole la porta del locale. 'Prima le signore'.

'Così puoi fissarmi il sedere, non è vero?' aveva domandato lei con un sopracciglio alzato, ricevendo dal suo compagno un largo ghigno. La ragazza si era limitata ad alzare gli occhi al cielo e a sorpassarlo verso l’entrata del pub, permettendogli così una meravigliosa visuale. Musica ad alto volume era giunta alle loro orecchie, mentre luci colorate inondavano la pista da ballo; Courtney era stata condotta da Scott verso il lungo bancone alla loro destra.
 
'Lui è Topher, il contabile' aveva detto il rosso indicando un ragazzo dalla carnagione chiara, con occhi verde scuro e capelli castano chiaro, con un ciuffo tenuto su da un enorme quantitativo di gel. 'Lui è Beardo, colui che dà vita alla pista da ballo'. Un ragazzo robusto leggermente più alto della media con i capelli stile afro e la barba lunga e incolta li aveva salutati.
L’ispanica aveva nel frattempo preso posto su uno degli sgabelli, già pronta ad ordinare un drink.
'Fammi indovinare, un Martini?' le aveva domandato Scott restando in piedi alle sue spalle, tenendo le mani strette ai fianchi di lei. Courtney aveva leggermente annuito, lasciando che il proprio ragazzo ordinasse per entrambi e cominciando a guardarsi intorno, sbalordita dalla grandezza del luogo. Scott aveva sorriso vedendo lo sguardo di lei posarsi su ogni singolo dettaglio.
Improvvisamente, una voce calda li aveva avvertiti dei drink: una ragazza alta e bionda con addosso una maglietta azzurra con il logo del locale, si era presentata a loro, con un’espressione sorpresa alla vista della spagnola.
'Bridgette?!' aveva esclamato Courtney.
 
'Ciao, Courtney!' aveva sorriso l’altra leggermente imbarazzata.

'Ehi, piccola! Abbiamo finito il vino di là' aveva commentato un ragazzo biondo e muscoloso uscendo da una porticina sul retro, la cantina. 'Ehilà, Scott, quand’è che arriva la tua nuova ragaz… COURTNEY?!'. Sentendo il proprio nome, la ragazza lo aveva salutato allegramente, dopo aver sorseggiato il suo drink.

'Beh, vedo che loro due li conosci già, questo mi fa risparmiare tempo' aveva detto Scott bevendo il suo Whiskey.

'È lei la tua ragazza?' aveva chiesto la bionda, ricevendo un cenno affermativo dal rosso. 'Wow, non ne avevo idea, ehm… complimenti ragazzi!'.

'Volete muovervi voi due?! Ho dei clienti che vogliono bere!' aveva quasi gridato un ragazzo per farsi sentire. Questo si era portato di fronte ai baristi, quasi infastidito dalla lentezza dei due a versare drink. 'Eravate ancora in cantina a sbaciucchiarvi, vero?! Scott, fa’ qualcosa, insomm… COURTNEY?!' e si era pietrificato sul posto.

'TU?!' aveva pronunciato lei furiosa.

Scott non ci stava capendo più nulla; poi un vago ricordo di quanto gli aveva raccontato l’amico sul suo passato era riaffiorato nella mente.
 'È lei la tua ex? Quella per cui tu e la ragazza dark vi siete lasciati?!' aveva domandato il rosso un po’ scosso.

'Aspetta, cosa?!' aveva chiesto Geoff alquanto sorpreso. 'Tu e Gwen siete stati insieme?!'.

'Esatto, quando lui avrebbe dovuto stare con me' aveva commentato Courtney acida mettendo l’oliva del Martini sotto i denti. Scott stava ribollendo di rabbia in quel momento. L’amico gli aveva raccontato esattamente com’erano andate le cose tra quei due, tralasciando soltanto il nome della ragazza; ma non aveva mai immaginato che la ex di Duncan potesse essere la sua attuale compagna. Solo pensare a come gli aveva parlato di lei, dei suoi baci e delle loro notti “di fuoco”… avrebbe voluto tirargli un bel pugno in faccia.
Dal canto suo, Duncan sembrava paralizzato, lanciando solo qualche occhiata di tanto in tanto ai due biondi e al rosso, alquanto arrabbiati dalla scoperta.
 
'CIAO RAGAZZI!!' aveva salutato una ragazza pallida. 'Indovinate chi è tornata dalla Francia dopo aver esposto la sua primissima collezione d’arte?! Ehi, perché quelle facce?'.
 
'Ciao, Gwen' aveva detto Courtney con molta semplicità, ordinando un secondo Martini.
 
'Ciao, Courtney!' aveva risposto la gotica con un enorme sorriso mettendosi al fianco della spagnola. 'Mi dispiace essermi persa la tua laurea, ma adesso che sono tornata dobbiamo rimediare!'. Solo dopo aver pronunciato quelle parole, Gwen si era accorta del clima gelido che era calato sui ragazzi. 'Ma, insomma, che succede?'.
 
'Tu e Duncan siete stati insieme?' aveva chiesto Bridgette a bruciapelo; la gotica, se possibile, era sbiancata ancor di più.
 
'Beh, ecco… è passato tanto tempo… non abbiamo detto nulla perché è durata solo qualche mese…' aveva risposto Gwen un po’ impacciata cercando l’appoggio di Duncan, cosa che non era avvenuta. In compenso aveva ricevuto diverse occhiate malevoli dai biondi.
 
'Ragazzi, datele tregua' era intervenuta Courtney. 'Io e lei siamo amiche ora, abbiamo risolto la faccenda tempo fa'.
 
'Il problema qui è un altro' aveva affermato Geoff a braccia conserte. 'Ci hanno mentito, soprattutto tu, Duncan: ci hai raccontato che è stata lei a mollare te per un altro'.
 
'CHE COSA?!' avevano esclamato Gwen e Courtney all’unisono. Duncan aveva iniziato a grattarsi la nuca, piuttosto nervoso.
'Non è assolutamente vero!' aveva continuato la spagnola stringendo il proprio bicchiere più del dovuto. Il rosso, accortosene, le aveva tolto il drink di mano, impedendo così che i pezzi di vetro la potessero ferire. 'È stato lui a tradire me, non il contrario!'.
 
'Beh, scusa tanto, mi serviva una balla al volo e non pensavo ti avrei mai più rivista' si era giustificato il punk una volta ripresosi.
 
'Come osi?! Questa è diffamazione, potrei denunciarti!'.
Scott aveva sorriso, adorava come lei riuscisse a tirare fuori termini giuridici in ogni situazione.
 
'Ti sfido a farlo' aveva risposto Duncan intrepido. 'Comunque, posso sapere come mai sei qui, di grazia?'. L’ispanica, rossa in viso e con i denti che digrignavano, si era limitata ad ignorarlo, non dovendogli alcuna spiegazione in merito alla sua presenza; al contrario, Scott aveva alzato la sua mano destra, le cui dita erano intrecciate a quelle della mano sinistra di Courtney. A quella vista, il punk aveva spalancato gli occhi, scioccato e forse infastidito, mentre, involontariamente, un sorriso beffardo era sorto sulle labbra del rosso. 'È lei la tua nuova ragazza?! NO, NON POTETE!'.
 
'Perché?'.
 
'Perché lei è la mia ex, tu non puoi starci insieme!' aveva protestato Duncan furibondo aggrottando le sopracciglia. Scott, dentro di sé, sapeva di dar ragione in qualche modo al punk; erano amici, e le ragazze degli amici non si toccavano mai…
Ma Duncan aveva mentito a tutti loro, e lui, Scott, ormai stava con Courtney, la quale in così poco tempo era riuscita ad entrare nella sua testa e ad occupare tutti i suoi pensieri, diventando tutto il suo mondo. Se solo il punk avesse rivelato il nome della ragazza quando gli aveva raccontato tutte le sue peripezie…
 
'Duncan' aveva iniziato il rosso serio. 'Non ho intenzione di scaricarla per un tuo capriccio – e nel pronunciare quelle parole aveva stretto ancor di più la mano della spagnola – io e lei stiamo insieme adesso e credo tu debba fartene una ragione'.
Il ragazzo dalla cresta verde lo stava fissando deluso e arrabbiato al tempo stesso.
 
'Bene, vorrà dire che me ne andrò via io'.
 
'Se varchi quella porta, non prenderti la briga di tornare'. Il punk, dopo aver lanciato a tutti i presenti un’occhiata gelida, aveva dato loro le spalle, dirigendosi verso la porta sul retro.
 
'Penso te ne debba andare anche tu' aveva continuato Bridgette in direzione della gotica, rimasta in silenzio fino a quel momento.
 
'Come, scusa?'.
 
'Vattene, Gwen. Non c’è posto per i traditori in questo locale' aveva dato man forte Geoff, posando una mano sulla spalla della propria compagna.
Courtney si era alzata in piedi, pronta ad aiutare e sostenere l’amica, ma una presa salda sul proprio fianco le aveva impedito di prendere qualsiasi iniziativa.
 
'Questo non riguarda te, Courtney' le aveva sussurrato Scott all’orecchio. 'Con Gwen parlerai domani'.
La gotica aveva cominciato a protestare, calpestando più volte i piedi a terra e richiamando l’attenzione di molti clienti lì dentro; gli occhi neri erano diventati lucidi e rossi e la voce si stava leggermente affievolendo a furia di gridare.
Una lacrima aveva rigato il viso di Courtney e qualcosa nel petto di Scott si era incrinato.
Quest’ultimo, infine, aveva ordinato a due dei suoi dipendenti di scortare la macabra ragazza fuori dal locale, cosa che avevano fatto all’istante, sotto gli sguardi curiosi degli altri clienti.
 
 
 
 
'Io e te ci siamo chiarite il giorno dopo' disse Gwen all’ispanica. 'Invece, per quanto ci provassi con Bridgette e Geoff, loro non mi volevano più vedere, mi hanno ignorata persino al tuo matrimonio'.
 
'Già, ci siamo sposati…' bisbigliò Courtney con le guance imporporate per l’imbarazzo. Lanciò un’occhiata a Scott, compiaciuto e divertito.
 
'Yuppie' commentò Duncan sarcastico. 'Dopo quel litigio, il gruppo si è diviso: c’è chi è stato fedele a Scott e chi invece ha apprezzato la bellezza di questo ragazzone' sorrise il punk indicandosi e ammiccando in direzione delle ragazze.
 
'E a seguito del tuo arresto chissà in quanti ti avranno voltato le spalle, che peccato' ghignò Scott, strappando mezzo sorriso all’ispanica e guadagnandosi una stilettata da parte dell’altro ragazzo. 'Abbiamo dovuto cambiare il nostro nome, così sono nati i “Vultures”, lasciando a Duncan i meravigliosi “Der Schnitzel Kickers”… e parte dei clienti, dal momento che ce li ha rubati quasi tutti. Per tale motivo, ho provveduto personalmente a cambiare i codici'. Questa volta fu il turno del punk a sghignazzare. 'Comunque, fattasi sempre più seria la nostra relazione, ho dovuto raccontarti quello che facevo per vivere e… la cosa non ti ha nemmeno scalfita, anzi, sapevi già tutto!'.
 
'Tanto più che hai abbandonato lo studio per dare una mano a lui' s’intromise Gwen indicando il rosso.
 
'Come sarebbe a dire che ho abbandonato lo studio?!?!'.
 
'Quello che ho detto…' affermò la gotica. 'Per di più, dopo il matrimonio hai deciso di non frequentare più me e Heather per paura che potesse accaderci qualcosa'.
 
'Potrebbe andare peggio di così?' fece Courtney portandosi una mano sulla fronte.
 
'Potrebbe piovere' rise Duncan, beccandosi uno schiaffo in testa da Geoff.




Improvvisamente, però, tutte le luci si spensero e il buio li inghiottì completamente.
 
 



 
COURTNEY
Impiegarono parecchi minuti prima di ambientarsi all’interno dell’ufficio: il buio impediva loro di individuare i mobili e più volte si calpestarono i piedi a vicenda.
Lei finì tra le braccia di Duncan e, sentendo qualcosa percorrerle i fianchi, lanciò un piccolo grido.
'Che c’è, principessa? Hai paura del buio per caso?' la schernì Duncan ghignando.

'Non proprio: ho paura di te al buio. Chissà dove potresti mettere quelle sudice manacce da teppista che ti ritrovi' finì la ragazza a denti stretti scrollandosi di dosso le dita di lui dai suoi fianchi. 'E non chiamarmi principessa!'.

'Ragazzi, state buoni, è solo un blackout, può capitare' disse Gwen pestando i piedi di Geoff, il quale emise un urlo. 'Ops'.

'No, non è normale' disse Scott spaventando la spagnola, andata a sbattere contro il petto di lui; pochi secondi più tardi, il rosso accese una torcia. 'Avrebbero dovuto azionarsi le luci di emergenza'.

'Ehi, non sentite anche voi puzza di bruciato?' domandò Courtney all’improvviso inspirando l’aria e guardando in direzione del punk.

'Io non ho fatto nulla… per ora' si giustificò lui alzando le mani all’altezza del viso. 'Ad ogni modo, la topina ha ragione, c’è qualcosa che non quadra, qualcuno deve aver manomesso i cavi'.
Inconsciamente, forse presa dal panico, Courtney si fece sempre più vicina a Scott aggrappandosi al colletto della camicia bianca che il ragazzo portava quella sera; sentì qualcosa di duro sfiorarle la coscia e subito divenne paonazza in viso, mentre il resto del corpo s’irrigidì.
 
'Non farti idee strane' le sussurrò lui, attento a non farsi sentire dagli altri tre. 'È solo la pistola' e detto ciò la estrasse dai pantaloni, impugnandola con decisione.
Sinceramente non sapeva se esserne sollevata o meno.
Anche Gwen sembrò preoccupata, al contrario i due ragazzi aprirono un cassetto rifornendosi di torce. 'Ragazze, statemi dietro; Duncan chiudi la fila. Vediamo di raggiungere la pista da ballo e di recuperare il resto della squadra'.
 
 
 


Giunsero al centro del locale e, lanciando una fugace occhiata in giro, aiutati dalle torce, notarono come tutto fosse in ordine: le sedie erano state capovolte sopra i tavoli, così come gli sgabelli sul bancone, e il pavimento era stato spazzato. Courtney aggrottò la fronte: 'Ma che ore abbiamo fatto?'.

'Quasi le tre' le rispose Duncan guardando l’orologio digitale al polso. 'Il locale ha già chiuso'.

'Almeno non dovremmo vedercela con i clienti' sospirò Scott sollevato avanzando con cautela verso il bancone e afferrando la cornetta del telefono accanto alla cassa. 'Staccato'.

'Gli altri che fine hanno fatto?' domandò Gwen guardando il bancone vuoto.

'A casa' rispose Geoff. 'Come ogni fine turno'.

I tre ragazzi si divisero, lasciando Courtney e Gwen sole, al centro della sala. Il cuore dell’ispanica prese a battere all’impazzata, quella situazione non le piaceva per niente e una strana sensazione che qualcosa di brutto potesse accadere da un momento all’altro le ronzava furiosa nella testa. Si spostò leggermente verso il bancone, con estrema lentezza, Gwen a braccetto, convinta di aver udito qualcuno mugugnare. Appoggiò d’istinto il proprio orecchio sulla porta della cantina, al di là del lungo tavolo in legno; il suono si fece più forte.
'Gwen, qui dentro c’è qualcuno' disse cercando alla cieca la maniglia; le due provarono a turno ad abbassarla ma invano, la porta era chiusa a chiave.
La spagnola, allora, al confine con una crisi isterica, alzò la gamba e con un poderoso colpo sfondò il legno formando un pertugio nel centro. Gwen, per nulla sbalordita da cotanta forza, infilò la testa nel buco: solo quando i suoi occhi si adattarono completamente al buio distinse vagamente i lineamenti dolci e femminili del viso di…
 
'BRIDGETTE!' gridò la gotica. 'Resisti, ti tiriamo fuori! Courtney, aiutami!'. Questa non se lo fece ripetere e caricò la gamba, scardinando del tutto la porta e producendo un grande frastuono. Gwen si diresse a soccorrere la bionda, cercando di slegarla; nel frattempo i ragazzi le avevano raggiunte. Courtney, strappando la torcia dalle mani di Duncan, la puntò dentro lo stanzino per agevolare il lavoro dell’amica: a terra, con la testa ricoperta di sangue, comparvero altre due figure, questa volta maschili.

'Topher, Beardo!' esclamò Scott andando incontro a entrambi, ancora doloranti e tremanti.

'Piccola!' fece il biondo abbracciando la compagna. 'Che è successo? Chi vi ha ridotto così?'.

'N-non lo so' balbettò lei con le lacrime agli occhi. 'A-abbiamo mandato a casa il resto della squadra, noi invece siamo rimasti qui anche dopo la chiusura ad aspettarvi quando qualcuno ci ha aggredito. Ho avuto così tanta paura, mi sono risvegliata al buio tutta legata e imbavagliata'.

'Non ha senso, perché mai dovrebbero attaccarci?'.

'Un attimo… cos’è questo ticchettio?' domandò Duncan.
 
Scott, con le orecchie ben tese, si portò vicino alla sorgente di quello strano rumore, che, constatò, proveniva da una delle casse da dj posizionata sul soppalco. Afferrò l’arnese e con l’ausilio della torcia lo illuminò; tutti sbiancarono a quella vista: una bomba grande quanto la mano del rosso e munita di un orologio digitale era pronta a scoppiare in meno di tre minuti. 'MERDA!' esclamò Scott preoccupato. 'Ce ne dobbiamo andare, subito!' e senza pensarci molto afferrò la mano di Courtney, determinato a portarla via da lì.
 
'Ce n’è una anche qui, cazzo' aggiunse Duncan alzandosi da sotto un tavolino, al centro della sala.
 
'Anche qui' affermò Geoff, accanto ad un tavolo da biliardo. 'BRIDGETTE, CORRI!' urlò poi prendendo la mano della consorte e dirigendosi verso la porta d’ingresso, seguiti da Gwen e Duncan.
 
'Il portone è bloccato!' esclamò il punk dando qualche energica spallata alla porta a vetri.
 
'Lascia perdere, tutti sul retro!' gridò Scott con quanto fiato aveva in gola. Si precipitarono nello stretto corridoio, sbattendo contro vari mobili e tavolini a causa del buio; ma finalmente uscirono da quell’inferno correndo a perdifiato in direzione del grande parcheggio. 'Andate avanti, vi raggiungo' e il rosso lasciò la mano di Courtney pregandola silenziosamente di andare con gli altri.
 
'COSA?! No, tu sei pazzo!' lo rimproverò lei. 'Muovi il culo e corri!'. Un dolce sorriso si dipinse sulle labbra di Scott. 'Perché ridi?! Non c’è niente di divertente!'.
 
'Non pensavo ti affezionassi a me così presto' disse lui continuando a sorridere, ma ad un suo segnale Duncan si issò Courtney sulle spalle e la condusse nel parcheggio prima che questa potesse decidere di inseguirlo e farsi seriamente male.
 
'Mettimi giù!' esclamò lei scalciando e riempiendo di botte il petto e la schiena del ragazzo. 'Non possiamo lasciarlo andare, morirà!'. Una lacrima cominciò a solcarle il viso, poi un’altra, e un’altra ancora fino a quando non scoppiò; provò a trattenerle, ma il suo corpo era deciso a non rispondere ai suoi comandi.
Duncan si buttò di lato, dietro ad un’auto; abbracciò Courtney, tenendole la testa al riparo.
 
 


Un’esplosione perforò le loro orecchie, e alzò un’enorme nuvola di polvere; fuoco e fiamme presero d’assalto i resti dell’edificio; l’antifurto delle macchine ancora intatte – tra cui quella di Gwen - cominciò a suonare incessantemente.
Courtney lasciò la presa del punk e, barcollante sulle gambe e con il viso rosso e sporco di polvere, iniziò a camminare verso l’incendio. Gli occhi le bruciavano da morire a causa di tutto quel fumo e respirare le divenne sempre più difficile.
'COURTNEY!!' la chiamò Gwen da dietro la Mustang. 'Cosa fai?! Dobbiamo andarcene, la polizia potrebbe arrivare a momenti!'. La ignorò: la sua priorità in quel momento era un’altra. Cominciò a spostare le macerie che intralciavano l’entrata sul retro, solo che due braccia forti la fermarono nel suo intento.
 
'Principessa, non puoi entrare' le fece la voce profonda di Duncan.
 
'Se non hai intenzione di aiutarmi, puoi andartene' rispose fredda, con altre lacrime pronte a scoppiarle.
Non capiva cosa le stesse succedendo in quel momento, perché darsi tanta pena per una persona conosciuta qualche ora prima?
Non sapeva come spiegarlo, ma c’era qualcosa dentro di lei che le diceva che quella persona ora era intrappolata là dentro, tra le macerie, ancora viva e bisognosa d’aiuto. E lei avrebbe fatto di tutto pur di salvarla. Si divincolò una seconda volta dalla presa del ragazzo cadendo rovinosamente con le ginocchia a terra.
 
'Principessa…'.
 
'NON CHIAMARMI PRINCIPESSA!' gli urlò lei con voce spezzata e piangendo a dirotto. Poi, dal nulla, cominciò a battere i pugni sulla pietra, arrabbiata con se stessa e con il mondo. Qualcuno che conosceva a malapena, ma per cui sentiva di provare qualcosa di tanto grande persino per lei, aveva messo in pericolo la propria vita per salvare la sua. Per salvare quella di tutti loro.
Si sfogò con tutta se stessa, gridando e sferrando di tanto in tanto dei pugni al suolo, lasciando che la dura pietra le lacerasse la carne.
Gli altri, riunitisi attorno a lei, rimasero in silenzio ad osservare la scena intristiti e, soprattutto, impotenti.
 
Consumate le energie, l’ispanica si accasciò al suolo. Che facessero di lei ciò che volevano, ormai non le importava più nulla. Infatti, lasciò che Duncan, aiutato da Geoff, la sollevasse da terra per fuggire il più lontano possibile, prima che le sirene della polizia potessero raggiungerli.
In silenzio, la sorressero nel fare qualche passo in avanti.
Fu in quel momento che sentirono il rumore di altre macerie spostarsi; si voltarono e con loro stupore, una figura alta e muscolosa, ricoperta interamente di polvere e con qualche ustione qua e là, emerse, tossendo a causa del fumo e cercando affannosamente di respirare. Courtney sgranò gli occhi e il grosso macigno che fino a quel momento aveva sentito sullo stomaco, com’era apparso, improvvisamente svanì nel nulla.
Corse incontro all’uomo, aiutandolo a liberarsi. Si guardarono per un momento negli occhi, quelli della ragazza avevano ripreso a lacrimare.
Scott accennò a un sorriso prima di lasciarsi cadere, svenuto, tra le braccia di lei.
 
 


 
DUNCAN
Era pomeriggio inoltrato e pochi di loro, privati delle forze, dormivano.
Dopo la tragedia consumatasi quella notte, avevano trovato riparo presso la casa di Gwen, l’unica con la fedina penale pulita e che non fosse in quel momento bersaglio dei loro nemici. Con immane fatica, erano riusciti a convincere l’ispanica a lasciare Scott nelle mani dei suoi compagni e a svignarsela prima dell’arrivo delle forze dell’ordine e di tutti i soccorsi necessari.
Il gruppetto del rosso, infatti, aveva passato l’intera mattinata a rispondere alle domande della polizia, la quale, una volta soddisfatta, aveva lasciato andare i ragazzi con la promessa di trovare il responsabile dell’attacco. Ed era stato proprio in quei colloqui che gli agenti avevano comunicato loro la morte di Beardo, trovato sotto le macerie dopo ore e ore di lavoro estenuante da parte dei vigili del fuoco. Detta sinceramente, il punk non si era minimamente accorto della sua assenza durante la fuga dal locale, troppo preso dal panico del momento…
Una volta raggiunta la casa di Gwen, Bridgette, dopo aver medicato con cura le mani dell’ispanica, si era coricata insieme alla gotica sul letto di quest’ultima, mentre Topher aveva occupato una delle altre camere. Poi, c’era chi come Duncan non riusciva proprio a chiudere occhio, preoccupato per quello che il futuro avrebbe riservato loro. Di certo non rose e fiori.
Geoff, appostato davanti alla finestra del salotto, controllava che la strada non pullulasse di gente poco gradita pronta a terminare quanto cominciato quella notte; Scott, con braccia e busto fasciati, restio a passare il tempo in ospedale, era disteso sul divano ad osservare una Courtney ancora turbata dall’accaduto, seduta sulla poltrona adiacente, a fare zapping alla televisione.
 
 

 
'Buongiorno, cari telespettatori! Qui TG Drama con una notizia BOMBA!' rise Josh per la battuta fatta.
 
'Letteralmente!' continuò la collega, Blaineley. 'Stanotte una forte esplosione ha messo K.O. uno dei più popolari locali della città, l’“All Stars”. Stando alle nostre fonti pare che questa sia stata causata da diverse bombe piazzate in quasi tutto l’edificio'.
 
'Sfortunatamente anche le telecamere sono andate distrutte, quindi non sapremo mai chi c’è dietro a tutto questo!'.

 
 



'Questo lo dicono loro' commentò Scott facendo incredibili sforzi per mettersi seduto.
 
'Che intendi dire?' chiese Duncan porgendogli una tazza di caffè. Il rosso si limitò ad indicargli una videocassetta posata sul tavolino di fronte; il punk lo squadrò finché non capì. 'Sei tornato indietro solo per prendere quella dannata videocassetta?'.
 
'Per scoprire chi ci vuole morti' commentò Geoff allontanandosi dalla finestra.
 
'Anche se in realtà penso che quello di stanotte sia stato solo un avvertimento, altrimenti avrebbero sigillato anche l’entrata sul retro o fatto subito fuori Bridgette e gli altri quando sono stati aggrediti' fece il rosso pensieroso.
 
 



'Ma ora diamo la parola al nuovo Capitano della polizia, pronto a lasciare una dichiarazione'.
 
Un ragazzo muscoloso dalla carnagione chiara comparve sullo schermo del televisore. Aveva il mento grosso con una fossetta, capelli e occhi neri; indossava una maglietta a maniche corte verde e un pantalone blu scuro, attorno al collo portava due piastrine militari di riconoscimento.
 
'Il sottoscritto, il Capitano Brick McArthur, e tutto il dipartimento di polizia giuriamo di trovare, per la sicurezza dei cittadini, il responsabile di questa tragedia. Troppe sono  state le disgrazie accadute in queste ultime settimane, troppe sono state le sviste da parte nostra e di queste, sappiamo bene, non bastano delle scuse accorate' iniziò. 'Sappiamo che per i cittadini, sono solo parole; quindi eccovi i fatti, i primi provvedimenti presi da quando ho preso servizio nella vostra città, questa notte: due dei nostri agenti sono stati sospesi senza paga fino a data da destinarsi, sono stati tanti gli errori commessi, tra cui la negligenza nel non aver adeguatamente ed esaustivamente studiato il caso a loro assegnato permettendo così l’arresto di un innocente, e l’aver permesso che persone non autorizzate venissero a conoscenza di informazioni di vitale importanza per la polizia' fece una pausa.
'Aumenteremo la sicurezza nelle strade e nei luoghi pubblici, ogni farabutto verrà catturato, e tra questi colui che ha provocato l’esplosione dell’“All Stars” e la morte di uno dei suoi dipendenti, Beardo Bennett. Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia, troveremo chi è causa di così tanto dolore.
Con me al comando, nessun criminale avrà vita facile'.






I ragazzi si scambiarono delle occhiate, tristi e preoccupate.
'Sanno che ci siamo intrufolate alla stazione…' quasi bisbigliò la spagnola. 'Le due agenti sospese devono essere Sanders e MacArthur'.
 
 
Già, si disse Duncan, non sarebbe stato tutto rose e fiori.
 


 
§
 
 


Spense il televisore e si concesse qualche momento di pace, sdraiato a contemplare il soffitto.
'EHI, TU!' urlò una voce femminile. 'Razza di psicopatico, fammi uscire da qui!'.
Un ghigno gli solcò il viso e con estrema lentezza si portò davanti alla cella dove la teneva prigioniera.
Non poteva negarlo era una bellissima ragazza, alta e slanciata con una carnagione chiara, presentava alcuni elementi asiatici come il taglio degli occhi, grigi e profondi, le labbra erano grandi e prominenti e il naso era all’insù; i capelli erano lunghi e neri come la pece. Per non parlare di quella piccola fossetta che le solcava il mento.
 
'Mia piccola e dolce Heather, sai bene che se lo facessi poi dovrei ucciderti' disse spietato.

'Non sono tua'.

'Se per questo neanche piccola e dolce' ghignò lui. 'Vediamo se i tuoi amici correranno a salvarti'.

'Lo faranno' ringhiò lei determinata.

'Lo spero, così quando arriveranno noi li faremo fuori…




Uno a uno'.







____________
ANGOLO AUTRICE:
Ciao, ragazzi! Dunque, questo era l'ULTIMO capitolo della PRIMA parte del racconto "AMNESIA": non serve che vi dica il perchè di questo titolo ;) 
La seconda parte, invece, si intitolerà "ENIGMA" e tratterà tutti (o quasi) i misteri ancora irrisolti: chi ha ucciso Zoey? Rodney? Chi ha piazzato le bombe, e perché? Dove si trova Heather e con chi?! e tante altre domande ancora... la data di uscita - se nulla andrà storto - sarà sui primi di ottobre!
Come sempre, siete gentilissimi e preziosi <3 vi ringrazio per aver letto la storia, di aver condiviso le vostre opinioni e teorie, VI ADORO!!! <3
Augurandovi un buon ritorno a scuola, o comunque un buon inizio di qualcosa (e, a chi è uno studente universitario, la fine del calvario di questa interminabile sessione, perché diciamocelo, a causa del Covid mi è parsa pià lunga, da gennaio in poi tipo), rinnovo i ringraziamenti, e spero di rivedervi anche nella seconda parte!

Un bacio e un abbraccio enorme <3


 

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Capitolo 16
*** ENIGMA ***


ENIGMA
 
PROLOGO
Non sapeva dire con esattezza quanto tempo fosse passato da quando era stata rinchiusa in quell’orribile cella: le pareti erano sudice, piene di crepe e muffa; qualche ragno pendeva dal soffitto, altri se ne stavano rintanati sotto l’orrendo lettino. L’unica fonte di luce era una minuscola finestra sbarrata.
Mai in vita sua avrebbe immaginato di trovarsi in quell’angosciante situazione e sì che tempo addietro ne aveva passate molte…
 
Rivolse lo sguardo verso l’esterno, ma a parte alberi incolti non vi era nulla.
 
 
 
 
 
§
 
 
 


 
'Allora?' fece una voce maschile richiamando l’attenzione del suo interlocutore. 'Credi verranno a salvarla?'.

'Ormai ne è passato di tempo, temo di no'.
 

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 15 ***


GIOVEDI’ 01 OTTOBRE 2020
 
GEOFF
Erano passate tre settimane dall’esplosione dell’“All Stars” e da quando la polizia aveva iniziato a ficcanasare in giro. Fino alla nausea aveva dovuto raccontare quanto avvenuto, rivivendo racconto dopo racconto quella terribile notte – ovviamente alterando e/o omettendo qualche particolare tra cui la presenza di Duncan, Gwen e Courtney e il fatto di aver consegnato le proprie armi ai tre prima dell’arrivo delle forze dell’ordine.
Cosa strana, che aveva messo tutti in allarme, era stata la menzione del nome di Duncan durante l’interrogatorio, che il capitano sospettasse un suo coinvolgimento era palese.
 
 
 
 
MERCOLEDI’ 09 SETTEMBRE 2020
Ore 05.30.
Aveva due enormi borse sotto gli occhi rossi e lucidi, un po’ per il sonno e un po’ per i pensieri rivolti a quella notte. Nonostante ciò, si trovava in una stanza piccola e semibuia, seduto al tavolo centrale.
'Geoffrey Fairlie?' lo aveva chiamato il nuovo capitano del dipartimento di polizia, Brick McArthur, facendo il suo ingresso nella sala interrogatori; il biondo aveva fatto un piccolo cenno di assenso.
Il poliziotto aveva preso posto innanzi a lui, posando alcuni fogli sul tavolo. 'Mi dispiace per l’ora, ma date le circostanze sarebbe opportuno raccogliere le testimonianze il prima possibile. Dunque, stanotte era di turno?' aveva chiesto controllando alcuni appunti scritti con una grafia spigolosa, probabilmente le altre dichiarazioni rese dai suoi amici prima di lui.
 
'Sì, dalle sei di sera alle due del mattino' aveva risposto mantenendo calma e compostezza.

'Chi c’era con lei?'.

'Quasi tutti: mia moglie Bridgette, Topher, Beardo, Jasmine, Anne Maria e Scott; Brody e Lightning avevano il giorno libero' aveva detto, cercando di ricordare gli avvenimenti della nottata.

'A che ora avete lasciato il locale?'.

'Anne Maria e Jasmine hanno smontato prima, a mezzanotte credo, mentre il resto di noi è rimasto fino alle tre circa'.

'Come mai così tardi?'.

'Gli altri hanno sistemato il casino e lo sporco lasciato dai clienti, Beardo tra l’altro ha anche la propria attrezzatura da dj da riporre; io e Scott, invece, siamo stati nel suo ufficio a redigere il rendiconto' aveva mentito in parte Geoff.

'E non avete notato niente di strano?'.

'Nulla, fino a quando le luci del locale non si sono spente all’improvviso: io e Scott ci siamo diretti sulla pista da ballo a vedere cosa fosse successo, ma non c’era nessuno. Abbiamo girovagato a vuoto nella sala, finché non abbiamo sentito come una specie di mugugno provenire dalla cantina… erano Bridgette, Topher e Beardo legati e imbavagliati'.

Il capitano McArthur aveva annuito imperterrito a quelle parole, sbuffando poco dopo; Geoff era certo che la polizia non aveva ottenuto nulla dalle testimonianze di tutti loro. 'Poi che è accaduto?'.
 
'Abbiamo sentito dei ticchettii: erano delle bombe, una trovata da Scott sulla cassa da dj, un’altra invece era sotto un tavolo da biliardo. Siamo andati nel panico e siamo andati velocemente verso la porta, dapprima quella all’ingresso ma era bloccata, così siamo usciti dal retro'.
 
'Avete dei nemici? Non so, magari qualcuno della concorrenza…'.
 
'Non saprei, il nostro è – cioè era - un semplice locale notturno, uguale a tutti gli altri in città. Solo un pazzo avrebbe potuto fare una cosa simile…' aveva sospirato, portando lo sguardo a terra.
 
'Conosce Duncan Nelson?'. La domanda lo aveva spiazzato, che loro sapessero? 'Dunque?'.
 
'Perché questa domanda?'.
 
'Risponda per favore'.
 
'Beh, ecco, siamo stati compagni di banco a scuola e abbiamo aperto il locale insieme. Poi, però, ci sono state delle… ehm… divergenze tra lui e Scott, abbiamo dovuto cacciarlo…'.
 
'Che tipo di divergenze?'.
 
'Hanno litigato per una ragazza, Courtney Barlow'.
 
'Capisco. Ultima domanda: ha mai visto queste ragazze nel suo locale?' e gli aveva mostrato le foto di una mora e di una bionda in piedi di fronte ad una specie di reception, quella della stazione di polizia; ma il biondo aveva negato. 'Dunque, nessuna di loro si è presentata al locale chiedendovi di revisionare una videocassetta..?'.
 
'No, perché?'.
 
'Da quanto sappiamo, sono le “avvocatesse” del signor Nelson le quali, per scagionarlo, hanno usato un video preso da una telecamera posta, guarda caso, all’esterno dell’“All Stars”' e lo aveva squadrato con un sopracciglio alzato. 'Beh, questo è tutto, signor Fairlie' aveva continuato l’altro meditabondo. 'Le chiediamo solo di restare nei paraggi e di rimanere in contatto nel caso scoprissimo qualcosa o le venisse in mente un dettaglio rilevante per le indagini. A nome di tutto il dipartimento, sentite condoglianze per la vostra perdita'.
 
'Quale perdita?' aveva domandato il biondo disorientato.
 
'Non le è stato detto nulla? Oh, cielo…' fece il capitano mortificato. 'Signor Fairlie, è con grande dispiacere che le comunico che uno dei suoi colleghi, Beardo, è stato trovato morto sotto le macerie dai nostri soccorritori. Non c’è stato nulla da fare'.
 
 
E il mondo gli era crollato addosso.
 
 
 


 
Scott, dal canto suo, aveva obbligato Courtney a riprendere, dopo qualche giorno di pausa, il praticantato presso lo studio legale per non destare troppi sospetti, e a trasferirsi a casa di Gwen, giacché il suo appartamento poteva essere preso nuovamente di mira.
Geoff ricordava le peripezie che avevano passato lui e Lightning per riuscire a recuperare tutta la roba della spagnola e, su richiesta di questa, anche della coinquilina, ancora scomparsa.
 
 



 
VENERDI’ 11 SETTEMBRE 2020
Lui e Lightning erano sul pianerottolo, fuori dall’appartamento dell’ispanica, carichi di bagagli di qualsiasi dimensione. Il biondo aveva chiuso la porta, pronto insieme all’amico a dirigersi verso la casa della gotica, finché una vecchietta non si era avvicinata a loro. 'Buon pomeriggio, signora' aveva salutato Geoff, cercando di apparire il più naturale possibile.

'E voi chi siete?! Non vi ho mai visto qui!' aveva quasi gridato la signora scrutandoli dalla testa ai piedi attraverso gli occhiali a mezzaluna. 'Siete testimoni di Geova?! Chi vi ha fatto entrare?'.

'Testimoni di Sha-cosa?!' aveva esclamato Lightning perplesso.

'Ma no, signora, si sbaglia...' aveva continuato Geoff.

'Allora siete quelli che vanno nelle case delle povere vecchiette a derubarle, ma io sono armata eh!' e aveva tirato una bastonata sulle ginocchia del compagno.

'SHA-AHIA'. La vecchietta aveva caricato per un secondo colpo e aveva colpito Geoff sulla spalla. 'Lei è SHAPAZZA!'.

'Signora, la prego, si calmi!' quasi aveva urlato il biondo.

'ANDATE VIA O CHIAMO LA POLIZIA!' aveva sbraitato lei pronta ad attaccarli nuovamente.
 
In quel momento un uomo aveva fatto capolino dall’appartamento accanto, la faccia ricoperta da uno spesso strato di crema nera, un asciugamano in testa a raccogliere i capelli. 'La smettete di fare tutto questo baccano?! Sto cercando di rilassarmi' aveva detto lui con tono alterato.

'Oggi non c’è più il rispetto di una volta, signor McLean' aveva commentato la vecchietta guardando i due ragazzi con rimprovero, Geoff le aveva lanciato una stilettata. 'Soprattutto per noi poveri vecchi' e qui l’uomo era diventato rosso.

'Vecchia sarà lei!' aveva urlato lui prima di scomparire al di là della porta del proprio appartamento; lasciando la terrificante e armata vecchietta da sola, i ragazzi se l’erano svignata giù per le scale, ciascuno con delle pesanti valigie.
 
 



 
Affievolitesi le ricerche della polizia, l’intera squadra dei “Vultures” si era occupata – e preoccupata - di mettere in sicurezza le case di ciascun componente, per evitare spiacevoli sorprese, e, con il locale distrutto, la casa di Gwen era diventata un vero e proprio quartier generale nello sdegno, ovviamente, della gotica, già costretta a nascondere e a non usare per un periodo di tempo non precisato la vistosa macchina.
Per quanto riguardava Heather, non avevano fatto alcun passo avanti: avevano rintracciato la sua auto rossa, stranamente appostata in uno dei parcheggi adiacenti al parco, ma di lei non vi era alcuna traccia.
A parte loro, nessun altro era preoccupato della sua assenza (nemmeno quelle bionde svitate del negozio), il che era un bene giacché permetteva loro di evitare di denunciare la sua scomparsa alle autorità. Meno la polizia si intrometteva, meglio era.
Al momento, l’unica cosa su cui mettere le mani, era la videocassetta della telecamera interna presa dal capo poco prima che l’“All Stars” esplodesse e andasse a fuoco. Speravano vivamente che chiunque avesse piazzato quelle bombe, fosse stato così stupido da non indossare alcuna maschera, convinto che anche le telecamere andassero distrutte. Cosa certa era che avrebbero vendicato la morte di Beardo.
'Allora, che abbiamo qui?' chiese Geoff avvicinandosi al tavolo della sala da pranzo, sul quale Topher e l’amico nerd della gotica, Cameron, stavano trafficando con cavi e altra strumentazione ancora.

'Dobbiamo ancora assemblare il computer' fece Topher aggrottando la fronte.

'Inoltre, dobbiamo evitare che possano rintracciarlo o hackerarlo' aggiunse Cameron armeggiando con uno spesso filo nero. 'EHI! Ci potete aiutare?' disse poi guardando il gruppetto di ragazzi seduti comodi sul divano: Gwen stava abbozzando un disegno sul proprio blocco; Duncan, svogliato, guardava uno scadente reality show alla televisione, e Bridgette stava semplicemente giocherellando con una ciocca di capelli. Si girarono di scatto e videro Cameron indicare dei fili aggrovigliati.
 
'No, grazie' fece spallucce Duncan, riportando gli occhi sullo schermo; le due ragazze, invece, si avvicinarono e cominciarono a districarli. Bridgette separò un cavo da tutti gli altri e lo porse al ragazzo con gli occhiali, lo stesso fece la gotica con l’altro. Geoff, convinto di essere solo di intralcio nel ristretto spazio a loro disposizione, si portò al fianco del punk, attendendo che quei quattro finissero, o che Scott facesse ritorno con Courtney al seguito.
Parlando del diavolo, la porta si spalancò e i due fecero capolino: lui indossava una camicia nera, le maniche arrotolate fino al gomito e il colletto sbottonato mettendo in mostra le fasciature; lei, impeccabile come sempre, aveva una camicetta bianca e una gonna nera a vita alta attillata che le metteva in risalto le curve. Lei alzò la mano in segno di saluto, abituatasi ormai all’idea di avere gente intorno ogni volta che tornava dal tirocinio.
 
'Ehilà!' salutò Geoff contento.
 
'Ci sono novità?' chiese il rosso guardando il casino sul tavolo.
 
'Non ancora, ma ci stiamo lavorando' rispose Duncan portando alla bocca una bottiglia di birra.
 
' “Ci stiamo lavorando”?' fece la gotica lanciandogli un’occhiataccia. 'È tutto il giorno che hai il sedere piantato su quel divano' e finì di disfare gli ultimi cavi con l’aiuto di Bridgette.

'Non è vero!' protestò lui. 'Mi sono alzato ad un certo punto per andare a fumare…' e ricevette una manata sulla nuca da parte di Scott. 'AHIA!'.

'Quanto ci vorrà ancora?' domandò il rosso a braccia conserte.
 
'Qualche ora' rispose Topher accendendo il computer. 'Dobbiamo installare tutta una serie di programmi di protezione per evitare manomissioni, hackeraggi e cose di questo tipo; poi toccherà alla videocassetta'.
 
'Ci sarà da attendere' confermò Cameron cominciando a digitare qualche tasto.
A quelle parole, quasi tutti sbuffarono.
Per ingannare il tempo, si diedero a svariate attività: Gwen, munita di pastelli colorati – esatto: colorati! -, proseguì con la sua bozza; Courtney, sulla poltrona, stava analizzando alcuni documenti, probabilmente dello studio, accompagnando il tutto con un buon bicchiere di vino rosso; Duncan e Scott erano insieme (stranamente) sulla piccola terrazza al primo piano a fumare, mentre lui e Bridgette stavano accoccolati l’uno all’altra sul divano.
 
 
 


 
Passarono due noiosissime ore in cui Cameron e Topher non avevano fatto altro che schiacciare tasti qua e là, parlottando a lungo su come procedere. Era calata la sera, e l’ora di cena si avvicinava sempre più.
Geoff sbadigliò, desideroso che quella tortura finisse presto per tornare a casa, rimpinzarsi di cibo spazzatura e infine buttarsi sul suo comodo letto abbracciato alla moglie.
Annoiato, decise di instaurare una conversazione tra i presenti. 'Tu e Scott state di nuovo insieme, no?' chiese il biondo guardando la spagnola riempirsi il bicchiere.
 
'NO' rispose Courtney in imbarazzo spandendo qualche goccia di vino.
 
'Però ti piace, eh?'.
 
'No, non mi piace, per niente' disse orgogliosa.
 
'Sì che ti piace' affermò deciso Geoff, sorridendole. Scott, che dopo la sigaretta si era appostato ai piedi del divano a guardare la televisione, le fece l’occhiolino, lei di rimando la linguaccia.
 
'È pazza di me' concluse il rosso in direzione di Geoff; Duncan, invece, roteò gli occhi. 'Sei carina quando arrossisci' proseguì il capo, Courtney, rossa in viso, non riuscì a replicare, distaccando lo sguardo da tutti loro e concentrandosi sulle carte che aveva davanti.

'Che ne dite di una storia raccapricciante?' parlò Duncan distogliendo l’attenzione sull’ispanica.

'Ancora con queste stronzate?' sbuffò Scott.

'Racconta, piercing!' lo incoraggiò Geoff, anche se in realtà era da un bel po’ che il punk non indossava del ferro in faccia.

'Ne sei sicuro? Perché la storia a cui sto pensando è veramente estrema'.

'Uhh, sto morendo di paura' commentò Courtney con sarcasmo appoggiando carte e bicchiere di vino sul tavolino a lato, accanto alla lampada, Gwen la imitò riponendo la propria roba ai piedi del lungo sofà.
 
'E va bene, io comunque vi ho avvisato. Una sera, una sera tipo questa…' e la narrazione proseguì. Scott roteò gli occhi, era evidente che conosceva nei minimi dettagli quella storia a dir poco agghiacciante; Courtney tenne per la maggior parte del tempo gli occhi spalancati e le ginocchia abbracciate al petto; Gwen sembrava meravigliata ed eccitata al tempo stesso, mentre Bridgette, spaventata, strinse istintivamente la propria mano intorno al braccio di Geoff il quale sperò vivamente che il racconto si facesse ancora più estremo. 'E all’improvviso sentirono come un picchiettio sul fianco della macchina. La ragazza iniziava a dare i numeri e ormai anche il ragazzo cominciava ad avere un po’ di paura, così accese la macchina e si allontanò. Quando tornarono a casa della ragazza, lei aprì lo sportello e si mise a gridare perché agganciato alla maniglia della sua portiera c’era l’uncino insanguinato. Si dice che questo killer sia ancora vivo e che vaghi proprio in questa città; ovviamente potrebbe essere ovunque… magari anche… IN MEZZO A NOI!' e Duncan estrasse all’improvviso, dal nulla, un uncino acuminato e lo puntò contro la bionda, la quale si alzò in piedi lanciando un urlo quasi isterico; Courtney, al contrario, fece un piccolo salto sul posto. Il resto dei ragazzi non poté fare a meno di ridere davanti alla scena.

'Duncan, non è stato affatto divertente!' esclamò Bridgette battendo un piede a terra. 'E l’uncino da dove salta fuori?'.

'Fa parte dei miei effetti personali' rispose Duncan con le lacrime agli occhi. 'Se avessi saputo che avrei riso così tanto, ti avrei raccontato questa storia ancora tempo fa' e continuò a ridere sotto lo sguardo inceneritore della ragazza.
 
'Sei un coglione' lo rimproverò Courtney tirandogli addosso il cuscinetto su cui era appoggiata. Duncan stava per ribattere, lanciandole addosso lo stesso cuscino, ma furono interrotti da un urlo di gioia proveniente dal tavolo alle loro spalle.
 
'Ragazzi, ci siamo!' esclamò Topher contento. 'Abbiamo il video!'.
Si alzarono quasi in contemporanea e si posizionarono alle spalle dei due nerd, incuriositi dalle immagini che da lì a breve avrebbero visionato.
Lo schermo del computer illuminò tutti loro: il video raffigurava l’interno del locale, più in particolare la zona bar dove tre figure erano intente a svolgere le proprie mansioni. Topher contava i soldi accumulati quella sera, sorseggiando allegramente un bicchiere di Scotch, Bridgette stava riordinando sedie e sgabelli, mentre Beardo le dava una mano con lo straccio.
 
'Povero Beardo…' commentò la bionda triste, ricevendo dal marito una carezza sulla schiena.
 
'Manda avanti' ordinò Scott. Topher eseguì e fece ripartire il video qualche secondo più tardi. Diverse figure, vestite di nero con annessi guanti, emersero dalla porta sul retro: tre di quegli energumeni aggredirono i loro amici alle spalle; Geoff contrasse la mascella a quella visione, chiunque avesse osato toccare sua moglie avrebbe risposto personalmente con la vita.
 
'Fermo! Ritorna un attimo indietro' fece Duncan indicando due figure in particolare.
 
'Quelli sono…'.
 
'Chet e Lorenzo' tagliò corto il punk come se a tutti fosse chiara la loro identità. Courtney aggrottò la fronte spaesata, ma prima di poter fare domande, Duncan continuò: 'Sono in squadra con me e, peggio ancora, essendo esperti di armi da fuoco e bombe, sanno come costruirle'.
 
'Wow' fece Scott sbalordito. 'Devono proprio odiarti se ti vogliono morto'.
 
'O odiano te' rispose Duncan. 'Il che è altamente probabile visto che nessuno sa che sono stato rilasciato'.
 
'Eccetto la talpa…' suggerì Gwen quasi canticchiando quelle parole.
 
'Smettila, non c’è nessuna talpa' disse Geoff sicuro. 'Magari pensano ci siamo noi dietro l’arresto di Duncan e hanno deciso di vendicarlo'.
 
'Quelli chi sono?' notò Courtney, posizionata tra il rosso e il punk, indicando il resto delle figure, due donne e due uomini.
 
'La bionda è Amy, sempre del mio gruppo' spiegò Duncan confuso quanto loro. 'Gli altri non ne ho idea…'.
 
'Fortunatamente pensavano di riuscire a far esplodere tutto, altrimenti non si sarebbero azzardati ad andare in giro senza maschera' aggiunse il biondo stringendo a sé la compagna.
Improvvisamente lo schermo si fece nero, momento esatto in cui, quella notte, il blackout li aveva sorpresi. 'Topher, Cam, potete scoprire chi sono?'.
 
'Domani avrete i risultati'.

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Capitolo 18
*** CAPITOLO 16 ***


VENERDI’ 02 OTTOBRE 2020
 
COURTNEY
Situazione peggiore non le poteva capitare, intrappolata in una casa che non era la sua e, per giunta, con un criminale sempre alle calcagna: dandosi il cambio ogni giorno, gli scagnozzi di Scott avevano il compito di scortarla ovunque lei avesse deciso di andare, che sia allo studio legale o a fare compere; e quando non era occupata con il tirocinio era a casa con uno snervante punk, pronto a mettere il naso nei casi a lei assegnati o, più semplicemente, a romperle le scatole.
La maggior parte del tempo la spendeva con Scott, quando questi si offriva di accompagnarla andata e ritorno allo studio, o si fermava a casa di Gwen (diventata ormai la nuova base operativa) per informarsi sugli sviluppi di qualche missione.
Da quando il rosso aveva rischiato la vita per salvare quella di lei e dei suoi compagni di squadra aveva capito di nutrire un profondo sentimento nei suoi confronti e ogniqualvolta si trovavano l’uno in presenza dell’altra la tensione era alle stelle, per non parlare delle figuracce che entrambi facevano.
 
 

 
VENERDI’ 11 SETTEMBRE 2020
Stava controllando l’orologio che aveva al polso: 08.45. A breve avrebbero raggiunto l’antico edificio presso il quale una certa Emma Chang le avrebbe fatto patire le pene dell’inferno, soprattutto dopo la sua assenza causa “malattia”.
La macchina si era fermata di fronte all’ultimo semaforo rosso, l’attesa era diventata piuttosto snervante.
 
'Mi piacciono i tuoi occhi' aveva detto Scott all’improvviso, messo un po’ a disagio da quel silenzio attorno a loro. 'Tutti e due, quelli che hai in faccia… sono favolosi!' aveva aggiunto, maledicendosi subito dopo per la fesseria pronunciata. Courtney aveva trovato quella versione impacciata di lui alquanto adorabile.
 
'Grazie, lo sono anche i tuoi… tutti e due' si era complimentata a sua volta, regalandogli un sorriso raggiante. Ed era vero, al primo scambio di sguardi, avvenuto nell’ufficio di lui, aveva pensato che quelli fossero gli occhi più belli che avesse mai visto: blu, profondi, magnetici.
 
Il semaforo era diventato verde e la Volvo nera era ripartita, portandola a destinazione.
 
 


Scosse leggermente la testa, fermando il flusso di quei pensieri e riportando la mente sui fogli che aveva sotto il naso.
Erano le sette di sera e in quel momento si trovava seduta al tavolo della cucina in compagnia di Gwen, la cui testa era china sul grande e pesante libro di storia dell’arte medievale, e Topher intento a svolgere una serie di calcoli bancari, lasciando che Cameron si occupasse di dare un nome ai volti sconosciuti del video.
Un Duncan a petto nudo fece capolino, sbadigliando sonoramente e portandosi di fronte al frigorifero.
'Non emozionatevi troppo, pollastre' ammiccò lui cercando qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti e dando loro le spalle.
 
'Esistono le magliette, lo sai?' gli fece notare la gotica guardandolo con la coda dell’occhio.
 
'Fa caldo qui dentro' si giustificò lui con lo yogurt in una mano e il cucchiaino nell’altra. 'A proposito, non c’è più nulla in frigorifero' e si beccò un’occhiataccia dalle coinquiline.
 
'Tranquillo, per il cibo ci sono io' commentò Scott sbucando dalla porta della cucina tenendo in perfetto equilibrio dei cartoni di pizza fumante, seguito da altri membri della squadra. A quella bellissima visione, il punk gettò via yogurt e cucchiaino e prese la prima pizza dalla cima. 'Ingordo'.
 
'PROTEINE!!' urlò Lightning entusiasta prendendo per sé due interi cartoni di pizza.
 
'Ehi!' protestò Jasmine, la ragazza alta di colore. 'Ci siamo anche noi!'.
 
'Oh, bene, vedo che state già festeggiando' s’intromise Cameron con il portatile tra le mani. 'Sono riuscito a identificare il resto di quei criminali ed è con vero piacere che vi presento Josee, Ryan e José' e mostrò loro tre fotografie: la prima era quella di una ragazza dalla carnagione chiara, con molto trucco – ma meno appariscente rispetto a quello di Gwen; aveva gli occhi e i capelli scuri, questi ultimi raccolti in un’alta coda di cavallo. La seconda fotografia rappresentava un ragazzo di colore, muscoloso e ben pompato con le spalle larghe e possenti, i bicipiti ben sviluppati e il collo taurino.
Infine, l’ultimo personaggio era alto e abbronzato, con i capelli e gli occhi color nocciola, al mento portava il pizzetto; ma ciò che catturò l’attenzione di Courtney (e molto probabilmente anche quella di Gwen e Duncan) fu il ciondolo che indossava al collo: una testa di toro. Se non fosse stato per l’intervento repentino della gotica Courtney avrebbe sicuramente rischiato di soffocare con la mozzarella della pizza.
 
'È LUI!' disse infine tossendo. I presenti la osservarono interrogativi. 'Quello che mi ha aggredita'.
 
'Ne sei sicura?' chiese Scott afferrando bruscamente il computer e scorrendo il cursore avanti e indietro. Courtney annuì convinta: la collana che aveva sottratto era la sua, quella di José. 'Okay. Dobbiamo scoprire qual è il nesso tra lui e Heather…'.
 
'La panterona una volta è stata via tutta la notte ed è tornata a casa la mattina dopo' buttò lì Duncan rubando una fetta di pizza dal cartone di Lightning. 'Una botta e via?' suggerì poi.
 
'Può essere che lui si sia avvicinato a lei per arrivare a Courtney, e quindi al libretto' ipotizzò Gwen pensierosa. 'Forse quella svampita di Lindsay può dirci qualcosa, potremmo farle visita' e guardò la spagnola alla ricerca di assenso.
 
'Potrebbe esserci utile, sì…' confermò lei anche se un po’ titubante, memore dell’ultima visita al negozio.
 
'Bene, manderemo qualcuno allora' decretò Scott mettendo il computer da parte.

'Ci offriamo io e Gwen' propose Courtney venendo squadrata dal rosso.
 
'No' fece lui secco. 'Abbiamo già abbastanza problemi senza che voi due finiate nei guai' tagliò corto il ragazzo aprendo per sé e i compagni una bottiglia di birra.
 
'Come, scusa?!'.
Courtney si alzò in piedi, i grandi occhi neri puntati su quelli blu di Scott, in attesa di una risposta; ma il ragazzo scrollò le spalle, stanco di quella giornata, afferrò un cartone di pizza e si dileguò lasciandoli basiti attorno al tavolo. La spagnola lo seguì determinata a non far cadere la conversazione, rischiando, forse, di farlo infuriare ancora di più. 'Scott!'.
 
'Courtney, non ora, sono esausto' fece lui dirigendosi verso il terrazzo del piano superiore.
 
'Guardami quando ti parlo' disse lei accelerando il passo per superarlo e bloccargli il passaggio, a braccia conserte e lo sguardo inceneritore. 'Perché non ci posso andare?'.
 
'Te l’ho già detto' rispose lui paziente.
 
'Potrebbe rivelarsi utile!'.
 
'Allora dammi l’indirizzo e ci mando qualcuno'.
 
'Tu non capisci: voglio farlo io!' gli urlò addosso Courtney. 'Io qui dentro mi sento soffocare, sono sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro, e mi sento inutile! Voglio fare qualcosa di concreto che non sia assecondare i tuoi ordini e andare su e giù tra casa e ufficio'.
 
'Io lo faccio per te!' sbraitò Scott a sua volta, stringendo troppo la presa sulla pizza. 'Hai rischiato di morire più di una volta a causa di quelle persone, se ti lasciassi andare…' esitò portando lo sguardo a terra, dispiaciuto e triste. '…potrei perderti. È successo una volta e non hai minimamente idea di come io mi sia sentito. Quindi la mia risposta alla tua richiesta è no, Courtney: starai ai miei ordini e non uscirai di casa se non per andare a lavorare. Basta anche con le compere'. La spostò di lato, lo sguardo ancora basso, facendosi spazio per raggiungere il balcone e consumare la propria cena ormai fredda.
 
'Questo… n-non è giusto…' balbettò lei. Se ne andò senza proferire altra parola, fiondandosi in camera. Chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò con la schiena, come si sentisse in quel momento non ne aveva idea: era arrabbiata con il rosso per non averla assecondata in quella piccola richiesta, ma soprattutto con se stessa per aver ceduto così in fretta e per non aver replicato; era amareggiata dal momento che non sapeva in che modo rendersi utile per la squadra, costretta a restare rinchiusa in casa; si sentiva anche in colpa, era stata lei a combinare alcuni dei casini in cui si trovavano e forse Scott aveva ragione a non fidarsi… e questo la faceva sentire triste.
Cacciò via quei pensieri e provò a cancellare quell’ondata di emozioni; esausta, si coricò sul comodo letto e, lentamente, svuotando la mente di tutto ciò che quella settimana le aveva procurato, si addormentò, sprofondando nel mondo dei sogni.
 
 
 
 
 
SCOTT
Era triste ed irritato, non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe retto tutta quella tensione: l’esplosione del locale e la conseguente morte di Beardo, la squadra che dipendeva quasi esclusivamente da lui, il boss, che qualunque fosse stata la circostanza avrebbe trovato una soluzione e incoraggiato, o consolato, ogni membro di quella che ormai poteva definire la sua famiglia, seppur sgangherata… poi c’era lei, Courtney, costretta ad abbandonare il proprio appartamento e a vivere sotto lo stesso tetto di Duncan e Gwen.
 
Courtney.
Lei, da sola, riusciva a mandarlo fuori di testa.
 
'Non credi di stare esagerando?' sentì improvvisamente la voce profonda del punk, questi lo raggiunse sul terrazzo con una sigaretta accesa in mano e lo sguardo fisso su alcune bottiglie di birra vuote a terra.
 
'No' rispose seccato.
 
'C’è qualcosa che non va?' chiese cauto Duncan lanciandogli varie occhiate, forse per studiare la sua reazione. 'A parte l’esplosione, la morte di un nostro compagno e la polizia che ci sta col fiato sul collo, s’intende'. Scott alzò lo sguardo, fulminandolo. Faceva sul serio?
Lo ignorò, preferendo concentrarsi sull’ennesima birra appena stappata; bevve un lungo sorso. Duncan lo scrutò a fondo, fece passare qualche secondo prima di ricominciare: 'Per quanto valga detto da me, penso tu stia facendo un ottimo lavoro, io non avrei saputo fare di meglio, anzi… sarei scappato con la coda fra le gambe in qualche paese sperduto, senza lasciare tracci'. Al rosso scappò un piccolo sorriso, ma ritornò nuovamente serio, lo sguardo perso nel panorama della città.
 
'Ma sto facendo davvero un “ottimo lavoro”?' chiese più a se stesso che all’altro, sospirando amaramente.
 
'Dalle tempo' consigliò il punk consumando un po’ alla volta la sigaretta. 'Courtney vorrebbe solo sentirsi utile'.
 
'Lo so, ma ha già rischiato molto'.
 
'Non per causa tua' fece Duncan lanciando il mozzicone al di là del parapetto. 'È grande e vaccinata, sa a cosa va incontro, e noi sappiamo che farà comunque di testa sua'.

Scott annuì distrattamente, Duncan aveva maledettamente ragione; sapevano entrambi che sarebbe stata questione di tempo prima che la ragazza decidesse di fare qualche altra stupidaggine. Lui solitamente aveva il controllo di tutto, ma quando c’era di mezzo Courtney, le regole del gioco cambiavano e a dettarle era lei in persona.
'Non perderla mai di vista' decretò il rosso infine.
 
'Anche quando è sotto la doccia?' ghignò Duncan ma come risposta ricevette solo un gancio destro sulla mandibola.









__________________
ANGOLO AUTRICE:
Ben ritrovati :D come sempre grazie mille a chi legge questa storia, siete preziosi <3
Ci tenevo per prima cosa a salutarvi, e a scusarmi: nell'ultimo capitolo di AMNESIA, nella parte dei ricordi, ci sono stati alcuni problemi... giuro che io avevo messo tutto in grassetto, ma il sistema ha fatto quello che ha voluto ed è uscita fuori una cosa a metà D: chiedo perdono!! E lo chiedo anche nel caso in cui ci siano errori di qualsiasi tipo (battitura, grammatica, ecc). Io rileggo e rileggo sempre quello che scrivo ma ahimé un errore può scappa sempre...
Ultimissima cosa! A volte ho la tendenza a pubblicare capitoli in giorni attaccati (come i due di ieri e quello di oggi), quindi vi avviso di guardare sempre i numeri dei capitoli... non vorrei che ne leggeste uno saltando però quello precedente. Più che altro che non andiate a perdere informazioni ;) Ecco, tutto qui :)

Vi mando un grosso abbraccio, e vi ringrazio ancora <3
Alla prossima settimana!
 

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Capitolo 19
*** CAPITOLO 17 ***


LUNEDI’ 05 OTTOBRE 2020
 
GWEN
Le giornate cominciavano sempre presto a casa Fahlenbock da quando questa era diventata un rifugio per criminali e psicopatici: nel grande soggiorno, una Gwen assonnata, in compagnia di una altrettanto stanca Bridgette – il cui turno in ospedale era terminato da poco -, era in procinto di bere del buon caffè bollente, l’ideale per quelle frizzantine mattinate di ottobre. In silenzio, porse alla bionda una tazza, con l’aggiunta di due cucchiaini di zucchero.
Sulla poltrona di fronte a lei, Duncan frantumò in tanti piccoli pezzi dei biscotti al cioccolato e cominciò a lanciarli addosso a Lightning, ancora dormiente sul divano, tentando di fare canestro nella bocca spalancata dell’amico; Geoff, ai piedi della moglie, finì in fretta e furia il proprio yogurt per aggiungersi al punk.
'Voi due siete proprio degli immaturi. Spero che siate fieri di voi stessi' commentò Courtney disgustata una volta entrata nello spazioso salotto.
 
'Vuoi spiegarmi perché sei sempre così rigida?' domandò Duncan lanciando un altro pezzo.
 
'Non sono rigida'.
 
'Non ti lasci mai andare e vuoi che tutti seguano sempre le regole alla lettera'.
 
'E tu le infrangi sempre'.
 
'Disse la ladra di collane, libretti e identità altrui' commentò sarcastica Gwen gustandosi la bevanda calda dalla propria tazza nera personalizzata. Courtney sbuffò dirigendosi in cucina, dove lì presente vi era già Scott.
Dopo il litigio di alcuni giorni prima, i due si erano totalmente ignorati durante il weekend: il rosso aveva mandato i suoi uomini a monitorare la situazione in casa, tra cui Lightning durante il turno di notte; la spagnola dal canto suo, aveva approfittato dell’assenza del capo per allestire in camera una lavagna magnetica con tanto di foto, nomi e qualsiasi altro tipo di informazione inerente alla gang avversaria, determinata a trovare Heather.
 
Il rosso entrò in sala riservando uno sguardo di rimprovero a Duncan e Geoff, ancora intenti a lanciare biscotti.
'Avete finito?' disse Scott con una punta di irritazione e la fronte aggrottata: evidentemente il trattamento del silenzio di Courtney non era di suo gradimento. 'Geoff, sveglia quel cialtrone e muovetevi, abbiamo del lavoro da fare. Vi aspetto in macchina… e chiamate Courtney'.
 
'Buongiorno anche a te…' commentò Bridgette sottovoce roteando gli occhi, una volta però dileguatosi il capo. Geoff svegliò in malo modo Lightning, e lo trascinò via facendolo sbandare contro vari mobili. 'E ciao anche a te, amore…' sbuffò la bionda.
 
'Quando il capo chiama…'.
 
'… tutti rispondono, ahimè' concluse Bridgette un po’ scocciata.
 
'COURTNEY, MUOVITI!' sbraitò Scott in strada suonando ripetutamente il clacson. Meno male che non dovevano attirare l’attenzione…
 
La spagnola, irritata più che mai, uscì dalla cucina con il thermos del caffè in una mano e la valigetta nera nell’altra. 'Gwen, sei occupata all’ora di pranzo?' chiese questa portandosi innanzi alla gotica, la quale scosse la testa. 'Avevo intenzione di fare un salto al negozio per interrogare Lindsay, ci stai?'. A Duncan andò di traverso un biscotto. 'Sono più che sicura che Scott non abbia mandato nessuno a verificare'.
 
La gotica la squadrò, incerta sul da farsi. Da una parte voleva disperatamente uscire da quella casa, annoiata com’era e senza alcuno spazio per sé dove dedicarsi alla sua arte, dall’altra sapeva che sarebbero finite in un mare di guai se le avessero scoperte.
Tuttavia la prima opzione prevalse.
'Ci sto' rispose senza ulteriore esitazione. 'Bridgette, ti unisci a noi?'. La bionda sgranò gli occhi sorpresa e intimorita al tempo stesso.
 
'Preferisci stare a casa a fare la muffa con lui?' fece la spagnola indicando Duncan, che le scoccò un’occhiataccia. Courtney non fece in tempo a dire altro tanto era forte e fastidioso lo strombazzare del clacson. Sbuffando, la ragazza salutò con la mano e si diresse verso l’uscita.
 
'Allora?' persisté Gwen guardando la bionda.
 
'Va bene'.
 
 
 

 
 
Le due ragazze erano già davanti la porta a vetri del negozio, sovrastata da un’insegna color fucsia, quando la spagnola le raggiunse correndo a perdifiato.
'Sei in ritardo' le fece notare Gwen indicando il proprio orologio al polso. Courtney la ignorò, stremata com’era per risponderle a tono, e invitò le ragazze a precederla all’entrata. Il negozio era tale e quale all’ultima volta che lo avevano visto, eccezion fatta per i nuovi arrivi e gli striscioni indicanti i saldi di stagione. Alla cassa vi era Dakota, la ragazza bionda più alta; Lindsay, limandosi allegramente le unghie, si trovava accanto ai camerini in attesa che un cliente uscisse; mentre davanti ad uno specchio, un loro coetaneo non faceva altro che ammirare la propria figura.
 
'Ehi, ma quello non è Justin Reid, modello e componente dei “Drama Brothers”?' chiese Bridgette eccitata.
 
'E proprietario del negozio' aggiunse Courtney esaminando i vestiti neri sugli appendiabiti. 'Heather lo detesta'.
 
'In questo momento sembra l’unico a non essere occupato quindi…'. Gwen prese l’iniziativa e si diresse verso il ragazzo, ancora davanti allo specchio ad esercitarsi nelle pose. 'Scusami, Justin Reid? Il proprietario del negozio?'.
 
'Sì, sono io' rispose lui sistemandosi il ciuffo ribelle e lanciandole un sorriso smagliante: era a dir poco affascinante.
 
'S-salve, sono Gwen, un’amica di Heather. Volevo farti alcune doman…'.
 
'Heather, chi? È una persona famosa?' replicò lui ritornando ad osservare la propria figura riflessa. La gotica lo guardò sbalordita; sbuffando si recò, allora, da Lindsay, accanto ai camerini, dove Bridgette, estasiata dai saldi di stagione, si stava provando diversi abiti da sera.
 
'Sei seria?' le domandò Gwen con un cipiglio sulla fronte.
 
'Già che ci sono…' si giustificò la bionda chiudendo la tenda viola.
Roteò gli occhi al cielo, quasi indignata dal tempismo scelto… dall’amica? Poteva ritornare a definirla tale dal momento che passava più tempo con lei, Gwen, che con il marito?
 
Immersa nei propri pensieri, non si accorse della figura maschile sbucata dal camerino accanto: ci andò a sbattere contro e finì con il sedere per terra.
'Oh, scusami, non ti avevo vista' disse il ragazzo aiutandola a rialzarsi: questi aveva il viso allungato, con due bellissimi occhi verdi e i capelli neri, una piccola fossetta solcava il mento; indossava una maglietta verde e dei pantaloni neri. Gwen lo riconobbe all’istante: era Trent McCord, chitarrista e cantante dei “Drama Brothers”.
 
'Tr-tranquillo, s-sto bene' balbettò in imbarazzo.
 
'Come sto?' domandò Bridgette sbucando fuori dal camerino e posando nel suo abito blu; sbiancò non appena vide il chitarrista accanto alla gotica, lui, leggermente a disagio, si limitò a sorriderle. 'Tu sei… TRENT MCCORD!' esclamò eccitata. La spagnola, avendo assistito alla scena, si avvicinò al trio e obbligò la bionda a ritornare nella stanzetta a cambiarsi.
 
'Ciao, Courtney' salutò il ragazzo. 'Attenta, la pausa pranzo sta per terminare, non vorrai far arrabbiare mio padre'.
 
'Per questo direi di muoverci' e lanciò un’occhiata eloquente alla gotica, la quale si catapultò su Lindsay per interrogarla.
 
La bionda, armeggiando con il cellulare, era intenta a scattarsi qualche selfie. 'Oh, ciao Greta!' salutò lei. Gwen sorvolò sul nome cercando di velocizzare i tempi di quella visita. 'Sei molto, ehm, nera oggi'. Sorvolò anche su quel commento.
 
'Senti, Lindsay, ho delle domande su Heather se non ti dispiace. L’hai mai vista con un ragazzo?'.
 
'Ohhh, sì, Alejandro!' rispose la bionda con aria sognante e gli occhi che le brillavano. 'Alejandro' ripeté nuovamente rapita. 'Per non parlare di suo fratello Carlos'.
 
'E dimmi, questo ragazzo lo hai già visto?' chiese la gotica mostrandole una foto di José dal proprio cellulare. Lindsay la scrutò a fondo, stranamente ben concentrata.
 
'Sembra la versione più grande di Carlos e Alejandro, sai loro due sono fratelli… e hanno addirittura la stessa collana con quello strano toro… aspetta! È il ragazzo che Beth, la mia migliore amica per la pelle, ha conosciuto! Dovrei avere una loro foto insieme' disse con il cellulare in mano alla ricerca di un’immagine specifica. 'Eccola!'. La gotica la osservò: una ragazza piuttosto brutta e bassa teneva il proprio viso schiacciato a quello di un ragazzo bello e abbronzato, dall’aria un po’ schifata e al tempo stesso stupita. Non c’era alcun dubbio, quello era José, con tanto di collana fieramente messa in mostra.
Stava per fare ulteriori domande, ma Dakota le si parò subito di fronte, con un’espressione arrabbiata sul volto.
 
'Stai cercando Heather?' chiese in malo modo, le braccia conserte. La gotica si limitò ad un cenno del capo. 'Se la trovi, dille che è licenziata: sono settimane che non si fa viva, non ha avvisato nessuna di noi due, e ho dovuto sbrigare io le sue mansioni! Guarda le mie povere mani: necessitano di una manicure!'.
 
'Ma se ho fatto io tutto il lavoro…' sussurrò Lindsay, ricevendo un’occhiataccia dalla collega.
 
'Ehm… glielo dirò…' si limitò a risponderle la dark. Voleva aggiungere altro, chiedere informazioni, quando alcuni poliziotti, tra cui il capitano Brick McArthur, irruppero dalla porta d’ingresso. Il cuore di Gwen prese a battere velocemente, intimorita dal fatto che potessero aver scoperto qualcosa riguardo la notte dell’esplosione e arrestarle tutte e tre; la spagnola, prontamente, s’infilò in camerino con Bridgette, giacché il fatto di essere lì poteva non essere visto come una semplice coincidenza - cosa che in effetti non era.
 
'Signorina Mills?' fece McArthur. Lindsay, confusa e spaesata, annuì. 'Deve seguirci in centrale per alcune domande'.
 
'C-cosa? Ma io non ho fatto nulla!' esclamò lei, mentre due poliziotti la presero sottobraccio, uno per parte.
 
'È solo un accertamento, la sua amica Elizabeth le farà compagnia' cercò di rassicurarla l’altro scortandola fuori dal negozio, sotto gli occhi sconcertati di tutti i presenti (eccetto Justin, ancora occupato a sistemarsi qualche ciuffo ribelle in testa).
 
'No, fermi! Non potete portarla via!' protestò l’altra commessa. 'Chi sposterà gli scatoloni?! Non voglio farlo io, non sono psicologicamente pronta!' e si portò le mani ai capelli. 'TU!' e si rivolse alla gotica, prendendola per le spalle. 'Mi rimangio quello che ho detto prima: dì a Heather di tornare presto!'.
 
'Questa è una cosa che non si vede tutti i giorni' commentò invece Trent, gli occhi ancora sgranati.
La porta si chiuse e Courtney e Bridgette fecero capolino dal camerino.
'Justin, andiamo, le prove della band cominceranno a breve' poi, spingendo energicamente il modello verso l’esterno, il cantante salutò il resto delle ragazze. Bridgette emise un gridolino eccitata nel salutarlo.
 
Appena l’ambiente circostante si fece più tranquillo, la gotica partì alla carica, raccontando alle due le scoperte fatte da quel breve (ma intenso) interrogatorio. 'In conclusione: la gang avversaria non stava sorvegliando noi, ma Lindsay e Beth!' esclamò Gwen. 'Devono aver scoperto le identità delle “avvocatesse” dietro il rilascio di Duncan e mandato qualcuno a controllarle, cioè José per quanto riguarda Beth, e i suoi due fratelli, questi Alejandro e Carlos, per quanto riguarda Lindsay. Questa è l’unica spiegazione che mi viene in mente'.
 
'Una volta capito che le due non c’entravano nulla, hanno iniziato a cercare altrove chi potesse aver usato le loro identità' ragionò Courtney, lievemente sorpresa per la presenza di altri due membri avversari.

'Ed essendo Heather quella “più vicina” ad entrambe, ed avendolo uno dei fratelli, Alejandro, intuito...'.

'Lui l’ha sedotta per capire in che cosa era invischiata!' completò la frase l’ispanica. 'Quella “famosa” notte deve averla passata con lui, non con José come aveva teorizzato Duncan'.

'E siccome tutti e tre i fratelli possiedono la stessa collana, Heather deve averla riconosciuta e fatto visita ad Alejandro per ottenere delle risposte' concluse Gwen.

'Wow, siete brave' esclamò la bionda rimasta sbalordita dal dialogo delle sue compagne, il vestito azzurro ancora avvolto attorno al suo corpo. 'Ma rimane una questione: come hanno saputo che Duncan è stato rilasciato se la polizia non l’ha detto ad anima viva, stampa compresa?'.
 
'Forse a passare le informazioni è stata quella MacArthur: lei non me la racconta giusta, non ho trovato alcuna informazione sulla sua vita privata prima dell’entrata in polizia. Magari il capitano ha scoperto un suo collegamento con i nostri nemici e l’ha messa fuorigioco, compresa la sua partner per non destare sospetti' suggerì Gwen.

'Non credi di esagerare?' le domandò Bridgette. 'Ehm, Courtney?'.

'Mmm?'.

'La tua pausa pranzo è finita'.

'Merda!' e piombò verso l’uscita inciampando di tanto in tanto sui vertiginosi tacchi, lasciando le altre due ragazze in preda alle risate.




 
HEATHER
Era sdraiata su quello scomodo e sudicio materasso da molto tempo ormai, prigioniera di uno psicopatico e dei suoi stupidi scagnozzi, tra cui un certo Alejandro Burromuerto. Solo menzionare il suo nome la mandava su tutte le furie e un velo di tristezza la ricopriva interamente; si sentiva stupida ad aver ceduto quasi subito alle sue avances, ma ancor di più a non aver intuito che era uno dei loro acerrimi nemici. Pensare poi di affrontarlo da sola era stata una vera e propria follia.
La cella si aprì e un ragazzo, provvisto di un vassoio colmo di nauseante cibo, entrò.
'Per cena abbiamo del polpettone' disse lui. 'Di nuovo'.
 
'Fate prima a spararmi in testa' rispose lei acida mettendosi a sedere. Squadrò il proprio avversario: alto, muscoloso, abbronzato, la barba sul viso ben curata e i capelli color cioccolato raccolti in un codino. Quanto avrebbe voluto avere di nuovo con sé il proprio coltellino, ci avrebbe pensato lei a togliergli quel sorriso strafottente dalla faccia.
 
'Sei piuttosto coraggiosa, nonostante la situazione in cui ti trovi' replicò questo girandosi verso l’asiatica.
 
'Questo perché non ho niente da perdere'. Il ragazzo sorrise amaramente, avvicinandosi sempre più al materasso, dopodiché prese posto accanto a Heather, pronta, se necessario, a cavargli gli occhi con le dita se solo avesse provato a toccarla.
 
'Lo so, abbiamo fatto delle ricerche su di te: hai perso i genitori e la sorella minore in un incidente stradale quando avevi solo sei anni; tu e tuo fratello Damien siete stati affidati ai nonni paterni, e…' iniziò a raccontare lui.
 
'Vedo che qualcuno ha fatto i compiti' commentò lei acida alzandosi in piedi e accostandosi alle sbarre di ferro. Non voleva più sentirlo, non voleva rinvangare quell’orribile e difficile passato.
 
'All’età di sedici anni, tuo fratello è riuscito ad ottenere un monolocale per entrambi e dare a te, Heather, la possibilità di proseguire gli studi. In seguito, hai voluto dargli una mano e ti sei trovata un “lavoretto”' continuò l’altro, facendo solamente irritare la ragazza. 'Messi da parte un bel po’ di soldi, hai abbandonato quello squallido quartiere – e il tuo amato fratellino – preferendo un bell’appartamento in centro e uno striminzito stipendio da commessa'. Il ragazzo sospirò, mettendo la parola fine a quel breve racconto.
 
'Breve e conciso' concluse lei acidamente, stringendo le mani sulle fredde sbarre. 'Se non ti dispiace preferisco mangiare da sola, ora' aggiunse secca fissandolo intensamente negli occhi color smeraldo, simili a quelli del fratello.

'Sì, mi dispiace' replicò lui con un ghigno. La ragazza corrugò la fronte lanciandogli una gelida stilettata. 'Ma ti lascerò in pace'.
 
Aspettò che se ne andasse e chiudesse la cella alle sue spalle, prima di afferrare il vassoio del pranzo e lanciarlo al di là delle sbarre: aveva mangiato schifezze migliori. Si accasciò sul letto sporco e, inconsciamente, si chiese come se la stesse passando in quel momento quel teppista sfaticato di Duncan, adesso sapeva con certezza come si era dovuto sentire in prigione… solo, in cattiva compagnia, e con la paura costante di venire malmenato – o, peggio, ucciso – nel sonno da altri energumeni.
Chiuse gli occhi sperando di addormentarsi, cercando di ingannare il tempo fino all’arrivo dei suoi amici e della sua conseguente liberazione, ma ovviamente nuove voci in vicinanza la discostarono dal suo intento. Le riconosceva, erano di José e del suo malato capo.
Questi si avvicinarono alla cella, ignorando completamente il piatto gettato a terra poc’anzi dall’asiatica.
'Abbiamo un problema, mia dolce Heather' disse quell’uomo viscido facendole aggrottare la fronte. Cominciava a stancarla quel nomignolo. 'Sembra che a nessuno importi della tua vita'.

'Sembra che tu abbia sbagliato persona da tenere prigioniera' rispose lei con un pizzico di sarcasmo.

'Non hai tutti i torti' proseguì lui studiandola dall’alto verso il basso. 'Forse, se al posto tuo ci fosse stata Courtney, quello stupido di Scott sarebbe accorso qui in uno schiocco di dita, pronto a farsi uccidere pur di salvarla, peccato che ora sia sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro'.
 
'Sta di fatto che rimani inutile' commentò il latino, alla destra dell’altro. 'Sei solo una bocca in più da sfamare'.
 
'Come se quello fosse cibo vero' sbraitò Heather digrignando i denti e portandosi vicino alle sbarre. Lo guardò, malevola, con il fuoco negli occhi; avrebbe tanto voluto prenderlo a sberle, sennonché le venne in mente un’idea migliore: fece scivolare le proprie mani tra le sbarre, al di là di queste, repentinamente afferrò il colletto della camicia blu del latino e con un energico strattone tirò il ragazzo a sé facendogli sbattere la testa sul ferro freddo. Un rivolo di sangue scese lentamente dalla fronte aggrottata di José, furioso per il colpo subito. 'Questo è per Courtney' aggiunse infine l’asiatica.

'Sei soltanto una putt…'.

'Modera i termini, José' disse il capo senza battere ciglio, a quelle parole l’altro si ricompose. 'Tanto lei non va da nessuna parte… per ora'.




 
COURTNEY
Con molta fatica, era riuscita a trascinare fino al pianoterra la pesante lavagna magnetica che teneva in camera: fotografie, nomi e teorie solcavano quel piano bianco e liscio. Insieme a Gwen e Bridgette, stava illustrando a Cameron, Topher e Duncan, pendenti dalle loro labbra, le scoperte fatte durante la giornata e aveva già steso una lista di nominativi degli appartenenti alla gang avversaria: finora conoscevano le identità di otto membri, ma era lapalissiano che ve ne fossero di più.
'E questo è quanto' terminò la gotica scrivendo l’ultimo nome della lista, quello di un certo Alejandro Burromuerto, il probabile ragazzo con cui Heather aveva passato la notte. 'Non siamo riuscite a scoprire altro dal momento che è arrivata la polizia e ha portato via Lindsay'.

'Dove è arrivata la polizia?' chiese improvvisamente Geoff facendo capolino dalla porta d’ingresso. Velocemente, Gwen girò la lavagna con l’ausilio dell’ispanica, mostrando il retro di questa, colmo di termini giuridici e documenti dei casi assegnati a Courtney dallo studio.

'Niente, stiamo parlando di un caso' inventò la spagnola indicandogli la lavagna accanto. Al momento non aveva alcuna intenzione di farsi beccare a parlare di quanto scoperto da uno dei più fidati leccapiedi di Scott, e tantomeno da Scott in persona giacché era stato molto chiaro sul non prendere iniziative di qualsiasi genere. 'Vuoi unirti a noi?'.

'Scusa, Courtney, ma mi sembra una cosa noiosa' commentò il biondo grattandosi la nuca.

'Non immagini quanto' fece il punk con un pizzico di ironia, le ragazze non poterono fare a meno di lanciargli delle occhiatacce.

Il biondo si mise in panciolle sul morbido divano, tra Duncan e la moglie Bridgette. 'Allora, Topher, niente di nuovo?'.

'Fortunatamente il locale era assicurato da danni di questo tipo così abbiamo potuto ricevere i soldi dell’assicurazione. Spero solo che alla polizia non venga in mente che siamo stati noi a far esplodere l’edificio pur di incassarli' rispose il castano smanettando al computer. 'Lightning e Jasmine sono ad un meeting con il capo dei Kobra, nostri possibili alleati, Anne Maria, invece, è con Scott alla ricerca di un immobile per aprire un nuovo locale che mascheri la nostra attività'.

'Scott è con Anne Maria?' domandò Courtney un po’ irritata, un fastidioso malessere al livello dello stomaco la investì.

'Non aveva niente da fare e si è offerta' continuò Topher con molta semplicità.

'Certo, come no' replicò lei acidamente ritornando a studiare il caso che aveva davanti agli occhi. Non la sopportava proprio quella ragazza, e non era l’unica: anche Bridgette e Gwen facevano fatica a non metterle le mani addosso pur di farla tacere.
Senza farlo apposta, Anne Maria entrò in casa, seguita da uno stanco Scott. L’italiana aveva una leggera giacca color fucsia sopra a un top corto che – come sempre da quando l’aveva conosciuta – lasciava l’ombelico totalmente scoperto. Fosse stata magra, questo avrebbe giustificato la sua scelta di stile, invece era alquanto in carne, cosa che ad alcuni ragazzi faceva però impazzire, tra cui quel pervertito di Duncan che in quel momento non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Ma quella, pensò l’ispanica, era solo ed esclusivamente astinenza che si era protratta per molto tempo ormai.

'Questa è stata una giornata stressante!' esclamò Anne Maria prendendo posto “casualmente” accanto al punk sul divano, facendo quasi cadere Bridgette seduta sul lato opposto; successivamente sfilò dal nulla una lametta e prese a sistemarsi la manicure sotto lo sguardo inceneritore di Scott: evidentemente l’italiana non aveva mosso un dito quel giorno, lasciando che fosse il capo a svolgere tutto il lavoro.
 
'Trovato qualcosa?'.

'Nessun posto che mi piaccia' fece il rosso sbuffando e lanciando qualche sguardo all’ispanica, o, meglio, la lavagna dietro di lei. 'Quello cos’è?'.

'Il caso di questa settimana' spiegò Courtney con molta nonchalance senza distogliere lo sguardo dal proprio materiale cartaceo.

'Non sapevo avessimo una lavagna…'.

'Non mi aspettavo diversamente, visto che sei stato assente negli ultimi due giorni' ribatté la spagnola continuando con il suo lavoro. Il punk rise di gusto a quella rimbeccata. Scott, frustrato, calciò la sedia davanti a sé spostandola di parecchi centimetri dal tavolo, richiamando così l’attenzione di tutti, soprattutto quella di Courtney.

'Dobbiamo parlare'. Senza pensarci su due volte, il rosso la afferrò per il braccio e la trascinò sulle scale, lontano da orecchie curiose. 'Sei ancora arrabbiata con me perché non ti ho lasciata andare al negozio, vero?'.

'No' rispose lei secca, il che era vero dal momento che al negozio c’era stata ugualmente quel giorno. Comunque, non poteva dire che non ci fosse qualcosa che in quel momento la stava turbando e infastidendo...

'Allora, mi dici qual è il tuo problema?'.

'Non ho nessun problema' rimbeccò lei intrecciando le braccia sotto il seno, mettendolo ancor più in evidenza. Scott, uomo qual era, lo notò e un piccolo ghigno gli solcò il viso. 'Sei un idiota, perché non vai a fissare quelle di Anne Maria, eh?'.
 
'Dunque è questo il problema… sei gelosa' concluse lui gongolando.

'Non sono gelosa' e la spagnola con uno spintone cercò di far da parte il ragazzo, il quale, per sua sfortuna, si aggrappò ai fianchi di lei trascinandola giù. Erano sul pianerottolo del primo piano quando entrambi caddero, una sopra l’altro. Rimasero a terra doloranti, massaggiandosi le parti del corpo lese. Courtney, in imbarazzo, alzò lentamente lo sguardo finendo per incrociare gli occhi blu e penetranti del ragazzo, quanto erano belli…
Lui puntò i gomiti a terra, permettendosi così di alzare la testa per guardarla meglio. Solo in quel momento l’ispanica realizzò su che cosa fosse seduta, era qualcosa di duro e scomodo e, roteando gli occhi, capì per esperienza di che cosa si trattava. Perché non se la levava mai?
'Scott, perché indossi sempre la pistola?' chiese portando i pugni ai fianchi. 'Potrebbe essere pericoloso, pensa se fosse partito un colpo…'.
 
'Courtney' la chiamò lui con un bellissimo ghigno sulle labbra e l’aria maliziosa. 'Non sto portando la pistola in questo momento'.
Passarono secondi, forse minuti, prima di realizzare cosa le aveva confessato; divenne paonazza e, cominciando a balbettare parole a casaccio cercando di porgergli delle scuse, si rialzò velocemente pronta a catapultarsi in camera e a nascondersi. Una mano, però, la trattenne, forse Scott voleva parlarle ancora ma era talmente in imbarazzo da non riuscire a guardarlo negli occhi.
'Prendi un bel respiro e rilassati' disse lui dolcemente, scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio per vederla meglio. 'Ti chiedo scusa, non lo faccio apposta, ma è difficile controllarmi con te in giro… soprattutto con quella gonna attillata'.
Courtney sentiva caldo in quel momento, nonostante fosse ottobre e facesse un po’ freddo, ed era certa che le sue gote si fossero colorate di un bel rosso; aveva lo sguardo fisso sulle scarpe di lui e non trovava il coraggio di alzarlo, non voleva guardare quegli occhi perché sapeva fin troppo bene che si sarebbe persa in quel blu magnetico; senza saperlo aveva preso a torturarsi il labbro inferiore.
Scott, dal canto suo, sorrise e le stampò un bacio sulla testa prima di lasciarla alle sue faccende.
 
Ma lei non ci stava, non più ormai: voleva altro, di più, aveva bisogno di sentire il suo tocco sulla propria pelle, voleva sentire le sue labbra su ogni parte di lei, e per questo lo richiamò. 'SCOTT' quasi urlò. Il ragazzo si girò, guardandola interrogativo, non fece in tempo a proferir parola che le labbra di lei erano già incollate alle sue, così morbide e calde; il suo tocco era dolce e leggero, l’esatto opposto di quello che si sarebbe immaginata.
Portò le proprie braccia attorno al muscoloso collo di lui, le cui mani presero a vagare sul suo corpo, massaggiandole ogni curva. Preso dalla foga del momento, Scott la sollevò da terra e, trasportandola come se fosse una principessa, la condusse in camera da letto. Le loro labbra si staccarono per osservarsi a vicenda, e un sorriso raggiante solcò il volto di entrambi.
Il ragazzo la adagiò sul morbido letto, ponendosi sopra di lei; cominciò a baciarla, dapprima le guance, poi scendendo verso il collo. 'Scott' bisbigliò lei leggermente imbarazzata. 'V-volevo solo dirti che non sono brava in queste cose…'.
 
Il ragazzo le sorrise intenerito schioccandole un bacio a fior di labbra.
'Fidati, lo sei' commentò il rosso facendo arrossire ancor di più la ragazza, le cui mani presero a muoversi al di sotto della maglietta bianca dell’altro, finché questi con un gesto veloce non se la tolse; Courtney inconsciamente sorrise davanti a quei pettorali e addominali, per non parlare delle spalle, larghe e muscolose.
Scott, famelico, ritornò a baciarle e a morderle il collo lasciando dei lievi segni rossi.
Si beò di quelle attenzioni, decisa a lasciarsi esplorare dal ragazzo tutta la notte.
 
 
 

 
 
§
 
 



 
'Vedo che finalmente ti sei dato alla pazza gioia' commentò Duncan raggiungendo il compare sul terrazzo, una sigaretta accesa tra le dita. Il rosso non riuscì a trattenere un enorme sorriso. 'Alla fine hai mandato Jasmine a controllarla al negozio?'.

'Sì' confermò Scott. 'Le ho detto di appostarsi fuori con l’auto e di intervenire solo in caso di bisogno'. Il punk si limitò ad annuire a quelle parole, posando lo sguardo sulla cittadina circostante. 'Grazie per la soffiata'.

'Grazie a te per averle dato fiducia e non essere intervenuto subito' disse il punk, lanciando al di là del parapetto la sigaretta ormai consumata.

'Dì a Lightning di andare a casa: stanotte rimango io'.











________________
ANGOLO AUTRICE:
Ho dato vita alla SxC e demolito ogni speranza riposta nella Duncney? SI, L'HO FATTO. Mi odierete? Probabile, ma per Duncan ho altro in serbo.
Se siete giunti fino a qui: GRAZIE :D il prossimo appuntamento sarà...

...DOMANI?! E prevedo che sarà una cosa lunga!

Un bacio a tutti <3

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Capitolo 20
*** CAPITOLO 18 ***


MARTEDI’ 06 OTTOBRE 2020
 
ALEJANDRO
Percorse a grandi passi il lungo corridoio desideroso di poter tornare a casa dopo quella lunghissima giornata.
Erano le due passate, il buio e il freddo autunnale della notte circondavano quella villa ancora in ristrutturazione, usata dai suoi compagni di squadra come quartier generale; tutto lì dentro era incompleto, non una stanza ridefinita, mentre la flora attorno cresceva rigogliosa e selvaggia coprendo addirittura le grandi finestre dell’abitazione, la quale, dovette ammettere, al buio era alquanto terrificante – quasi come la persona che aveva deciso di stabilirsi lì.
 
Tutto era cominciato all’incirca un anno prima.
Prima di conoscere quello che sarebbe divenuto il loro capo, Alejandro e i suoi fratelli, figli di due grandi diplomatici spagnoli, vivevano nel lusso più sfrenato, godendosi i privilegi – ma adempiendo anche ai doveri - che spettavano a chi, come i loro genitori, ricopriva cariche prestigiose.
Per un po’ la loro vita era stata a dir poco perfetta: case grandi dal mobilio costoso, macchine lussuose, eventi esclusivi, tanti viaggi internazionali e tante ragazze. Tutto questo finché quel giorno maledetto non arrivò, portandosi via quello che di più caro avevano al mondo.
 
 
 

MERCOLEDI’ 18 SETTEMBRE 2019
Le tombe erano lì, bianche e immacolate, i nomi in rilievo sulla pietra liscia.
 
'Una nuova vita ci aspetta altrove' aveva annunciato Carlos al suo fianco, appoggiandogli una mano sulla spalla per confortarlo.
 
'Non sono tanto sicuro di voler partire' aveva dichiarato Alejandro pensieroso, facendo sospirare il fratello. Sapeva che Carlos e José avevano fatto i bagagli già da un pezzo e organizzato il viaggio nei minimi dettagli, desiderosi più che mai di abbandonare la terra natia.
 
'Non possiamo stare qui' e a quelle parole si era irritato. 'Vieni con noi, Ale, ricominciamo da capo' aveva continuato il secondogenito cercando di persuaderlo, e una parte di sé lo odiava per questo, non era mai riuscito a dirgli di no.
 
 

 
Da quel giorno in poi, tutto era cambiato: si erano trasferiti in un altro paese, avevano conosciuto un uomo viscido e subdolo, il quale aveva dato loro un lavoro che li pagasse bene, anche se illegale, e che aveva promesso di aiutarli e proteggerli. Ed ora eccoli là, in quella baracca avvolta dal nulla se non dall’oscurità, a sporcarsi le mani ogni giorno che passava.
 
'NON MI TOCCARE!' si riscosse, sentendo improvvisamente una voce femminile rimbombare lungo le pareti spoglie dello stretto corridoio, sicuro che provenisse dalla cella di Heather. Accelerò il passo, seguendo le urla della ragazza; nel farlo, qualcosa nel petto del latino si incrinò. Non l’aveva mai sentita gridare in quel modo, dal tono non solo riusciva a percepire la rabbia di lei, ma anche paura e agitazione.
Girò l’angolo e si accostò alle sbarre della cella. Una scena raccapricciante si presentò innanzi ai suoi occhi: José, il suo odiato fratello maggiore, era a cavalcioni sopra la ragazza a bloccarle braccia e gambe.
 
'STA’ ZITTA! ME LA PAGHI' la sovrastò lui schiaffeggiandola sul viso. 'Questo è per il vaso, e questo è per avermi fatto fare una figuraccia davanti al capo'. Caricò in aria un pugno, pronto a colpirla nuovamente sul volto ma Alejandro si precipitò ad aiutarla. Strinse il proprio braccio attorno al collo del fratello facendo pressione e soffocandolo appena, poi, con un forte strattone, lo trascinò a terra, lontano dal materasso, lontano da lei. 'Levati dalle palle, cabrón!'.
 
'Lasciala in pace!' lo ammonì lui.
 
'Come?' chiese José rialzandosi in piedi, lo sguardo carico di ira e odio - come sempre d’altronde – e i pugni in aria pronto a colpirlo.
 
'Che succede qui?!'. Una terza voce, più profonda, li fece voltare: Carlos, il secondogenito, era lì, di fronte a loro, con la schiena appoggiata alle sbarre di ferro, quasi a godersi lo spettacolo.
 
'Vattene, Carlos. La questione non ti riguarda' commentò Alejandro risoluto riportando lo sguardo sul fratello maggiore, i pugni stretti lungo i fianchi.
 
'Mi riguarda eccome dal momento che sono io di guardia' rispose Carlos tranquillamente.
Come poteva stare calmo in un momento simile? Represse l’istinto di tirare un pugno anche a lui.
'José, il tuo turno è finito. Dammi le chiavi e sparisci' e protese la mano aperta verso il primogenito, il quale, prima di assecondare quelle richieste, lanciò uno sguardo sprezzante ad Alejandro e Heather, in piedi alle sue spalle, sputando a terra. Attesero in silenzio, finché Carlos non ritornò a parlare, prima di uscire anche lui dalla cella: 'Ale, avete cinque minuti'.
Non capì che cosa intendesse dire, ma poco importava dal momento che alle sue spalle si alzò un suono strozzato: Heather stava cercando di mascherare i singhiozzi e di trattenere le lacrime invano, non la biasimava, d’altra parte tutta quella situazione e quel posto la stavano veramente mettendo a dura prova, e forse pensava di non uscirne mai più… almeno non da viva. L’asiatica prese un lungo e profondo respiro.
Prima di uscire e sparire, Alejandro la afferrò delicatamente per il braccio costringendola a guardarlo.
 
'Che vuoi, Burromuerto? Non ti pare che per stanotte possa bastare?' chiese brusca Heather colta alla sprovvista, le lacrime che le rigavano il viso. Lui non le diede retta, passando le proprie dita sulla parte lesa del volto della ragazza, lo zigomo sinistro; in seguito, le si avvicinò e la circondò tra le sue braccia, in un gesto spedito, non calcolato, sincero; al contrario, lei rimase lì impalata, rigida, quasi pietrificata dalla sorpresa.
 
'Mi dispiace, è tutta colpa mia' sussurrò lui accarezzandole i capelli, l’asiatica rimase impassibile. 'Non volevo ti trovassi in questa situazione, credimi'.
 
'Peccato che sia qui proprio a causa tua' e lo spinse via, pulendosi il viso con le maniche della stessa felpa che indossava da settimane.
 
'Io ho cercato di evitare tutto questo'.
 
 

 
LUNEDI’ 07 SETTEMBRE 2020
Se l’era ritrovata improvvisamente dentro casa, da un lato incuriosito dalla sua presenza, dall’altro desideroso che se ne andasse subito giacché i suoi due fratelli si trovavano nella stanza adiacente ad aspettare il suo ritorno.
'So che non riesci a stare lontana da me, ma per quanto voglia spendere del tempo con la mia ragazza preferita, stasera non posso, querida' aveva detto lui sperando che Heather assecondasse quella semplice richiesta a tornare in un altro momento. 'E prima che tu possa fare qualche battuta: no, non devo uscire con nessun’altra'.

'Tuo fratello, José, ha fatto visita alla mia coinquilina oggi pomeriggio' aveva commentato lei andando al punto. Le sue parole erano state fredde e taglienti, e la schiena del ragazzo si era irrigidita come non mai; ottimo, ora avrebbe dovuto risolvere il problema causato dal suo maledetto e maldestro fratello.
La prima cosa venutagli in mente, era stata quella di negare tutto, di non sapere di che cosa stesse parlando, idea destinata a sfumare poiché lei aveva ribattuto: 'E non provare a negarlo dal momento che ho qui un suo souvenir' e giratosi, perplesso, il latino aveva sgranato gli occhi alla vista della collana e del ciondolo. ' “Un oggetto di famiglia”, “ce l’abbiamo in tre, io e i miei fratelli” ' aveva proseguito lei instancabile parafrasando le parole pronunciate da lui quel giorno e lanciando il gioiello ai suoi piedi. 'Allora, Al, per chi lavorate? Perché vi interessa avere quel libretto, scommetto che è stato il vostro capo a volerlo…'.
Non sapeva che dire o pensare, li aveva beccati in flagranza, il respiro stranamente gli si era fatto sempre più affannato e il cuore aveva iniziato a battergli prepotentemente nel petto.
Alejandro aveva scosso la testa riprendendo il controllo di sé e, senza volerlo, un ghigno compiaciuto era sorto sul proprio viso, quasi eccitato dalla piega presa.
Repentinamente, però, lei si era fatta più vicina spegnendo il sorriso beffardo di lui e facendolo impallidire: lo aveva costretto al muro, puntandogli un coltellino sul pomo d’Adamo.
'Quel giorno al negozio, la prima volta che ci siamo visti, tu e Carlos stavate controllando Lindsay, non è vero? Avete scoperto che Duncan era stato rilasciato, che dietro a tutto quanto c’erano lei e la sua amichetta, quindi avete pensato bene di sorvegliarle… ma non avete scoperto niente, fino a quando…'.
 
'Abbiamo saputo che quelle avvocatesse alla stazione in realtà non erano Lindsay e Beth' l’aveva interrotta lui riassumendo il proprio colorito naturale. 'Ma fino ad ora non sapevamo chi avesse preso il loro posto… siete state tu e Courtney?'.
Heather aveva cambiato espressione, evidentemente non era a conoscenza del fatto che lui non sapesse nulla riguardo l’identità delle due ragazze, beccata! 'Devo ammetterlo: sei dannatamente brava' aveva proseguito, beccandosi una deliziosa stilettata dall’altra, quanto gli piaceva. 'Ma io lo sono di più' e con uno scatto quasi felino, aveva invertito le posizioni: ora era lui quello ad aver messo l’asiatica alle strette. L’aveva girata in modo tale che la schiena di lei aderisse perfettamente al proprio petto, incatenandola tra le sue grandi braccia, il coltello puntato questa volta al collo niveo ed esile di lei. 'Allora, adesso che vogliamo fare?'.
Gli sarebbe bastato muovere il braccio, un colpo secco per eliminarla definitivamente, ma qualcosa lo aveva arrestato dal suo intento. Non sapeva che fare, cosa dire; erano rimasti in quella posizione per chissà quanto tempo, il respiro di entrambi era affannato e il cuore di lui batteva più vivo che mai.
Stava per lasciarla andare, fino a quando dei passi nei pressi del corridoio non si erano fatti sentire. Così, aveva caricato il braccio e le aveva assestato, nolente, un colpo alla nuca facendola svenire tra le sue braccia.
 
'Quanto ci vuole a mandare via qualcuno?!' aveva sbottato il fratello maggiore facendo la sua comparsa nel grande soggiorno insieme al secondogenito; successivamente, entrambi avevano sgranato gli occhi, sbigottiti dalla scena presentatasi.
 
'Cosa è successo?' aveva domandato Carlos.
 
'EHI! Quella è la stronza che mi ha colpito in testa!' aveva poi urlato José arrabbiato. 'Che ci fa qui? Come la conosci?'.
 
'È una lunga storia, il punto è che sa chi è entrato in casa sua, razza di cialtrone' ed Alejandro, una volta sdraiata l’asiatica sul comodo divano, gli aveva lanciato addosso la collana, sprezzante nei confronti del fratello. 'Ti sei fatto beccare, complimenti!'. Il maggiore aveva sbuffato, disinteressato alle sue prediche.
 
'L’ho preso il libretto, no? Il resto sono solo dettagli' e aveva scrollato le spalle. 'Uccidiamola, sa troppo'.
 
'NO!'.
I fratelli lo avevano scrutato a lungo, in attesa di una spiegazione plausibile. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto raccontar loro come l’aveva conosciuta, ma aveva deciso di tardare il momento delle spiegazioni, così, brevemente, si era inventato una scusa: 'Sappiamo tutti e tre che nascondere un cadavere e le tracce è difficile, inoltre lei è la coinquilina di Courtney, potrebbe avere delle informazioni utili, no?'. Aveva guardato intensamente Carlos, l’unico che lo aveva da sempre supportato e sperava ardentemente che quella volta facesse altrettanto.
 
'Ale ha ragione' aveva dichiarato infine il secondogenito. 'Lasciamo che se ne occupi il capo, magari ha qualche idea'.
 
 
 
 
'Ed eccoti qua' concluse il latino guardando la sua interlocutrice, la quale sembrava del tutto impassibile alla sua spiegazione.

'Avrei preferito morire quella volta che subire tutto questo, sappilo' concluse lei fredda indicandogli dapprima il luogo angusto in cui era stata rinchiusa, poi la botta al viso. Non sapeva come ribattere, era distrutto tanto quanto lei, anche se ciò poteva non sembrare. 'Lasciami in pace'.




 
COURTNEY
La sveglia sul comodino suonò: 06.45.
Uno spiraglio di luce entrò dalla finestra accecando sia Courtney sia Scott, il quale strizzò gli occhi e si girò su un fianco appoggiando la propria fronte a quella dell’ispanica, il braccio sinistro al di là della schiena di lei, alla ricerca della fonte del fastidiosissimo suono.
'Buongiorno, bella signorina' disse lui teneramente stringendo la spagnola più forte, una volta spenta, finalmente, la sveglia.

'Buongiorno' sussurrò lei di rimando accoccolandosi a lui.

'Tutto bene?' le chiese accarezzandole piano il corpo nudo sotto le coperte. Lei annuì rimanendo abbracciata al suo caldo petto, disegnando con le sottili dita dei cerchi sui pettorali di lui; scendendo sempre più giù, arrestandosi sugli addominali ben definiti.
 
Notò l’anello dorato all’anulare sinistro di lui, e subito un dubbio si insinuò nella propria mente. Decisa a chiarire le cose portò lo sguardo su quello del ragazzo. 'Scott, io e te cosa siamo?'.
 
Il ragazzo la fissò intensamente nei grandi occhi neri, ci fu un momento di silenzio, forse per elaborare una risposta soddisfacente per entrambi. 'Io una risposta ce l’avrei, ma se lo chiedessi io a te?'.
 
Courtney strabuzzò appena gli occhi, ad essere onesta si aspettava una risposta completamente diversa. Inspirò profondamente, inebriandosi del suo dopobarba, misto a fumo; raccolse tutto il suo coraggio e parlò: dopo quella notte passata insieme non aveva più alcun dubbio, non poteva negare di provare dei sentimenti per quell’uomo. 'I-io v-vorrei provarci…' fece imbarazzata abbassando lo sguardo. A quella affermazione, il rosso si fiondò sulle sue labbra carnose, la baciò con una passione mai provata prima e questo le piacque immensamente.
Ma per far funzionare (di nuovo) il loro rapporto doveva prima confessargli una cosa. 'A-aspetta!' e si staccò a malincuore da quelle labbra e dal quel petto muscoloso. 'Ti devo dire una cosa'. Si mise a sedere portandosi le lenzuola al seno. 'I-io ieri sono stata al negozio anche se me lo avevi proibito…'. Al di là di ogni aspettativa, lui le sorrise dolcemente, accarezzandole la guancia.
 
'Lo so, quand’è che mi farai vedere quella lavagna?'.
 
 
 
 
Scesero velocemente le scale portandosi in cucina, dove facce sorridenti li stavano accogliendo calorosamente.
'Bene, bene, bene' commentò Duncan con un ghigno sul volto. <>.
 
'Siete ritornati insieme vedo' aggiunse Gwen portandosi una tazza alle labbra. Courtney divenne paonazza, desiderò che ai suoi piedi si aprisse un’enorme voragine. 'Prima che tu possa negare, sappi che stanotte ho sentito tutto'. Ecco, ora voleva sprofondare sul serio.
 
 


'Buongiorno, qui è TG Drama, io sono Josh'.

'E io sono Blaineley! Apriamo il notiziario di oggi con un’intervista esclusiva che farà certamente impazzire le fan più sfegatate dei DRAMA BROTHERS! Voci dicono che la boy band stia programmando un tour in tutto il mondo! Dicci Sierra, è così?!' e la linea passò alla ragazza dai capelli viola.
Questa si trovava al centro dell’inquadratura, affiancata dai componenti del gruppo, uno dei quali stritolato da un forte abbraccio di lei. Sulla sinistra stava un ragazzo alto e magro, dai capelli rossi; accanto stava il modello, Justin, intento a specchiarsi e a sistemarsi in continuazione dei ciuffi ribelli. Sulla destra, invece, c’erano un ragazzo mingherlino, il cui colorito stava lentamente sfumando sul blu, stretto sempre più dall’entusiasta giornalista, e il chitarrista se non cantante, Trent.
 
'Eccoci qua, sono in compagnia dei Drama Brothers, ma soprattutto del mio tesoruccio Cody!' esclamò Sierra eccitata, mentre il più mingherlino stava annaspando in cerca di aiuto. 'Allora, ragazzi. “When I Cry” ha avuto un enorme successo in questo periodo e molti dicono che farete a breve un tour che toccherà le città più importanti del mondo!'.

 
 


'Per favore, qualcuno cambi canale…' protestò Topher sorseggiando il proprio caffè corretto con della grappa.
 


 
'P-potremmo suonare anche canzoni su richiesta del p-pubblico' improvvisò Cody biascicando. 'M-magari fare anche un karaoke, così, per divertimento'.

'O un duello di beatboxing' aggiunse Harold, ma gli altri membri del gruppo lo guardarono male.

'Bomba H, sai che adoro il tuo stile ma noi dobbiamo dare alle fan quello che cercano' disse cauto Trent, il chitarrista.

'Stai parlando delle fan che mi implorano di fare un album da solo?!'.

 
 


'Oh, mio Dio! Quello sfigato è ancora in circolazione?' fece Duncan alzando gli occhi al cielo.

'A quanto pare non se ne è prese abbastanza al liceo…' commentò Geoff, di fianco al punk. Tutti li guardarono interrogativi. 'Veniva a scuola con noi'.
 
'In sintesi: noi eravamo quelli fighi, lui il secchione di turno' e Duncan sorrise.
 
 


'Nessuno vuole sentirti sputare sul microfono' commentò Justin.

Harold corrugò la fronte offeso. 'Quella è un’arte, per fare il beatboxer ci vuole il diaframma iper-espanso tipo cantante lirico' e fece alcuni rumori con la bocca.

'Smettila, stai sputacchiando sulle mie scarpe firmate!'.

'Io almeno faccio qualcosa di concreto, tu neanche sai suonare!' sbottò Harold arrabbiato rivolto al modello.

'Alle mie fan questo non importa' e i due si guardarono in cagnesco rimanendo in silenzio.
Trent e Cody invece si scambiarono un’occhiata sconcertati.
 
'Ehm… per oggi è tutto, a voi la linea' disse Sierra, e l’immagine cambiò proprio quando Justin e Harold stavano iniziando a picchiarsi.
 
I conduttori del telegiornale ritornarono sullo schermo, stavolta con le foto di due ragazze, una bionda e una mora, alle loro spalle. 'Ma passiamo alla cronaca' proseguì Josh. 'La polizia ha confermato lo stato di fermo di Lindsay Mills ed Elizabeth Gadon, le ragazze alle nostre spalle. Stando alle informazioni che possediamo, entrambe sono accusate di essersi spacciate per gli avvocati difensori del delinquente Duncan Nelson, arrestato questo luglio per l’omicidio della venticinquenne Zoey Mamabolo e in seguito rilasciato per mancanza di prove - a quanto sembra, esiste un video che lo scagioni'.
 
'Gli inquirenti non sanno quale possa essere il legame fra i tre in questione, la giornata di oggi infatti sarà dedicata ad ulteriori accertamenti'.
 
'Sta di fatto che le due sono riuscite nel loro intento, scarcerando Nelson, e il nuovo Capitano, Brick McArthur, è sulle sue tracce, desideroso di poter sentire anche lui in merito'.
 
'In merito a questa faccenda e anche sull’esplosione dell’“All Stars”: ricordiamoci che Nelson prima di tutto è un piromane… dove ti stai nascondendo Duncan?' fece la donna sorridendo alla telecamera. 'Se lo avvistate, non esitate a contattare la polizia'.
 
'Anche se finora non si è dimostrata molto efficiente: nascondere a tutti i cittadini il rilascio di un criminale del calibro di Nelson?! Che brutta figura!'.
 

 
 


'Fatemi capire: gli sbirri mi stanno incolpando per l’esplosione ora?' domandò Duncan furente.

'Ho sempre detto che sono stupidi'.
 


 
HEATHER
Stava cercando di dormire (brutti pensieri permettendo) quando un rumore l’aveva riscossa, facendole quasi fare un infarto. Arrabbiata, aveva cercato di alzarsi per dirgliene quattro all’imbecille che aveva osato infastidirla, ma una figura forte e possente le si era parata davanti, a cavalcioni su di lei, bloccandole braccia e gambe. Due occhi color nocciola la stavano osservando minacciosi e spietati, trapassandola da una parte all’altra. Mai in vita sua si era sentita così vulnerabile, nemmeno quando tempo addietro Alejandro le aveva puntato contro il suo stesso coltello.
Alejandro.
Non l’avrebbe mai ammesso ma sperava si facesse vivo e la salvasse da quella che da lì a breve sarebbe diventata una spiacevole situazione dall’esito disastroso.
'Io e te abbiamo un conto aperto' le aveva sussurrato José con voce strascicata bloccando con una mano le braccia di lei sopra la testa e percorrendo con l’altra le forme del suo corpo.

'NON MI TOCCARE!' aveva urlato, finalmente, riuscendo a superare, ma solo momentaneamente, la paura. Voleva davvero pestarlo di botte, aveva provato a divincolarsi ma la presa dell’uomo si era fatta più forte impedendole qualsiasi tipo di movimento.
 
'STA’ ZITTA! ME LA PAGHI' aveva ribattuto lui caricando con la mano libera e schiaffeggiandola sul viso. 'Questo è per il vaso, e questo è per avermi fatto fare una figuraccia davanti al capo'. Era pronto a colpirla nuovamente sul volto, questa volta con un pugno; aveva chiuso gli occhi, che avevano cominciato a inumidirsi, preparandosi al doloroso colpo.
Ma qualcosa era avvenuto: il peso di lui sul suo corpo era diventato sempre più leggero fino a scomparire del tutto.
'Levati dalle palle, cabrón!'.
 
'Lasciala in pace!' lo aveva ammonito una seconda voce maschile a lei conosciuta, aveva riaperto gli occhi, lucidi più che mai, e aveva scorto la figura atletica di Alejandro. Un sospiro di sollievo era uscito dalle sue labbra, le sue preghiere erano state esaudite e in quel momento lui era lì a soccorrerla.
 
'Come?' aveva chiesto José rialzandosi in piedi, con lo sguardo carico di ira e odio – lo stesso che aveva riservato anche a lei - e i pugni in aria pronto a buttarlo giù. Lesta, si era rialzata da quel sudicio materasso, intervenendo in aiuto del fratello minore nel caso le cose fossero precipitate; stranamente, con l’arrivo di Alejandro, la sicurezza e la forza che l’avevano da sempre caratterizzata erano ritornate ed era pronta a suonargliele allo stronzo che le aveva messo le mani addosso.
 
'Che succede qui?!'. Una terza voce, più profonda, li aveva fatti voltare: Carlos, il secondogenito, colui cui era stato assegnato l’ingrato compito di servirle i pasti e di farle di tanto in tanto da guardia, era lì, con la schiena appoggiata alle sbarre di ferro, a godersi lo spettacolo.

'Vattene, Carlos. La questione non ti riguarda' aveva commentato Alejandro risoluto riportando lo sguardo sull’altro.
 
'Mi riguarda eccome dal momento che sono io di guardia' aveva risposto Carlos tranquillamente. In quel momento stava tentando di reprimere l’istinto di tirare un pugno in faccia anche a lui, non riusciva a capire come potesse essere così calmo di fronte ad un litigio simile.
'José, il tuo turno è finito. Dammi le chiavi e sparisci' e aveva proteso la mano verso il primogenito che lanciò uno sguardo sprezzante a lei e ad Alejandro, prima di rifilare in malo modo le chiavi della cella al fratello. Questi aveva atteso qualche secondo, assicurandosi che l’altro si fosse effettivamente allontanato da lì, dopodiché aveva proseguito: 'Ale, avete cinque minuti' e li aveva lasciati, basiti.

Heather, rimasta sola con il latino, era esplosa: aveva cercato di mascherare i singhiozzi e di trattenere le lacrime invano; aveva resistito finché aveva potuto ma era crollata. Dopo quella nottata era più che sicura che da lì non vi sarebbe più uscita viva.
Alejandro, accortosi di quel suo momento di debolezza, l’aveva afferrata delicatamente per il braccio costringendola a guardarlo. 'Che vuoi, Burromuerto? Non ti pare che per stanotte possa bastare?' aveva chiesto brusca con le lacrime che le rigavano le guance. Lui non pareva calcolarla (quando mai lo aveva fatto?), dapprima passando le dita sullo zigomo sinistro, poi circondandola con le sue muscolose braccia; e per un piccolo istante era come se si fosse sentita di nuovo al sicuro. Successivamente, ricordando che se era lì era solo ed esclusivamente per colpa del ragazzo, si era irrigidita.
 
'Mi dispiace, è tutta colpa mia' aveva sussurrato lui accarezzandole i capelli. 'Non volevo ti trovassi in questa situazione, credimi'.

'Peccato che sia qui proprio a causa tua' e lo aveva spinto via, pulendosi il viso con le maniche della felpa, ormai logora.
 
'Io ho cercato di evitare tutto questo' e le aveva raccontato tutta la storia, di come aveva dovuto stordirla all’arrivo dei fratelli in salotto e di come aveva persuaso José a lasciarla viva trascinandola in quel posto lugubre.
'Ed eccoti qua' aveva terminato il latino guardandola negli occhi.
 
'Avrei preferito morire quella volta che subire tutto questo, sappilo'. Non sapeva nemmeno lei come le erano uscite quelle parole, e con una tale freddezza da riuscire a raggelare chiunque; gli aveva indicato la piccola e angusta cella circostante, poi il viso ferito. Era stanca di tutto quello.
'Lasciami in pace' l’aveva congedato, portandosi di fronte alla piccola finestra sbarrata, dandogli le spalle.
 
 
E lì era rimasta, immersa nei propri pensieri.

'Pensierosa?'.

Sperava di non dover mai più sentire quella sadica voce. Quello psicopatico si trovava al di là delle sbarre in ferro ad osservarla indifferente con i suoi grandi occhi vuoti. Lei lo ignorò, non aveva abbastanza energie per affrontarlo nuovamente.
'Presto porrò fine a tutte le tue sofferenze, non io direttamente almeno…' proseguì, facendosi affiancare da un’alta figura, quello stronzo di José, con un fottuto sorrisino stampato sulle labbra.
Il ricordo di quella notte ritornò prepotentemente e con esso anche una rabbia indescrivibile, mai provata prima; senza sapere come, aveva annullato la distanza che li separava ritrovandosi a pochi centimetri da quei due bastardi, la mascella contratta e gli occhi che ardevano. 'Sono stupito, dico davvero. Potresti essere una grande risorsa per la squadra'.
 
'Preferirei morire che unirmi a degli esseri come voi' digrignò i denti.
 
Il boss sorrise mefistofelico.
'A tal proposito' continuò. 'Dal momento che i tuoi “amici” non si prendono la briga di venire qua a salvarti e tu non vuoi unirti a noi, sono costretto a fare a meno di te. Spero tu non te la prenda, ma sei inutile'.
Il battito cardiaco accelerò, così come il suo respiro, obbligando il proprio petto ad alzarsi e abbassarsi velocemente. 'Ma non qui. Se dobbiamo stare ancora nascosti non voglio avere puzza di morto in giro… è tutta tua José, facci quello che vuoi'.
 
'In realtà, pensavo di lasciar fare il lavoro sporco a qualcun altro' iniziò José sadico. 'Alejandro non ha ancora provato la sua lealtà verso la squadra come invece hanno fatto tutti gli altri membri…'. Heather sgranò gli occhi, non poteva averlo detto realmente…
 
'Hai ragione. Bene, informalo tu e che sia un lavoro pulito, non mi interessa se questa è la prima volta che ammazza qualcuno'.
 
 
 
 
 
 
§
 
 

 
Il ragazzo si sentì tirato per un braccio, finendo in un corridoio secondario se possibile ancor più stretto e buio di tutti quelli che aveva percorso fino a quel momento in quel dannato posto.
Una figura un po’ più bassa di lui gli si parò di fronte, il dito indice premuto contro le labbra, segno di stare in silenzio e di non fare alcun tipo di rumore. 'Che intenzioni hai?' fece questo con voce profonda.
 
'Di che cosa stai parlando?'.
 
La figura sbuffò, quasi esasperata.
'Non fare il finto tonto, ho sentito dell’incarico che José ti ha affidato!'. Il fratello lo guardò triste. 'Ho visto come la guardi, Ale. Non vorrai assecondare quei due psicopatici!' bisbigliò il più basso, assicurandosi più e più volte di essere soli, lontano da orecchie indiscrete. 'Dobbiamo nasconderla'.
 
'È un mio problema, Carlos, non ti intromettere… non voglio che tu finisca nei guai a causa mia' rispose Alejandro, cercando di mettere fine a quella conversazione.
 
'Lascia che ti aiuti'.
 
'Perché?'.
 
'Primo: sei il mio fratellino. Secondo: è la prima volta che il mio fratellino prende SERIAMENTE una cotta per una ragazza. Terzo: Heather non merita tutto questo… nessuno lo merita' rispose lui serio. 'E poi sono curioso di sapere com’è che ci sei finito a letto'.
 
 
 
 
 
Ah, ecco.

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Capitolo 21
*** CAPITOLO 19 ***


MERCOLEDI’ 07 OTTOBRE 2020
 
SCOTT
Era passata da poco la mezzanotte e lei era ancora lì, sveglia e vigile, davanti a quell’ormai scarabocchiata lavagna magnetica, decisa a studiare nuovamente ogni singolo dettaglio e a ottenere magari qualche indizio in più. Aveva preso molto a cuore la scomparsa di Heather, ed era determinata più che mai a trovarla e a riportarla a casa. 'Avete sorvegliato l’appartamento di Alejandro?' chiese lei improvvisamente.
 
'Nessun movimento sospetto' affermò il rosso brevemente. 'Cameron ha provato anche ad agganciarsi al GPS della sua auto ma nulla; non siamo gli unici a saper usare questi aggeggi'. Courtney sospirò, chiudendo per alcuni secondi gli occhi e appoggiando la fronte sul piano liscio della lavagna, rischiando di cancellare le informazioni scritte con il pennarello nero. 'Devi dormire Courtney, vieni a letto' proseguì il ragazzo indicandole il lato destro del materasso.
Ancora non ci poteva credere. Gli sembrava che quello della notte prima fosse stato tutto un sogno, eppure in quel momento lui era lì, in quella stanza, con la ragazza che più amava al mondo, la quale, arresasi di fronte a tutti quei dati scritti con una minuta calligrafia, aveva cominciato a infilarsi sotto le morbide e calde coperte, al suo fianco.
Una volta accolta tra le sue braccia, fu come se tutti i problemi fossero stati spazzati via, fu come essere ritornati a mesi prima, prima ancora di quel maledetto incidente in cui tutti loro erano tranquilli e più o meno spensierati, il locale era intatto e Beardo ancora vivo, con un sorriso sulle labbra e le solite cuffie da dj sulla testa.
 
'Scott?' lo richiamò Courtney dolcemente, puntando i suoi occhioni neri sui suoi. 'A cosa stai pensando?'. Lui le sorrise e le diede un leggero bacio sulla fronte.
 
'Niente di che, solo a cosa mi aspetterà domani con i clienti' mentì lui. Dopo l’esplosione non avevano più avuto molti contatti e dubitava che il meeting del giorno dopo andasse meglio… quella catastrofe aveva fatto perdere credibilità e potenza alla squadra dei “Vultures”, ormai in difficoltà e forse vicina alla fine. Troppo vicina. Non voleva rendere Courtney partecipe di quei lugubri pensieri, già in preda ad un esaurimento nervoso pur di ritrovare la compare… per non parlare poi dei poliziotti, sempre alle calcagna, appostati ad ogni angolo della città con l’intento di scovare il nascondiglio del punk.
 
'Anche noi dello studio avremo un cliente domani, un sospettato per l’omicidio della moglie' buttò lì Courtney accarezzando le braccia muscolose del rosso, il cui sguardo in quel momento era rivolto al soffitto bianco.
 
'Emma ti dà ancora del filo da torcere?' chiese tirandole qualche ciocca dei capelli castani.
 
'Come sempre. Una cosa positiva però c’è: la competizione riesce a distrarmi da tutto questo'.
 
 
 
 
ALEJANDRO
La nebbia era scesa, riducendo di molto la visibilità, il che in parte era un bene se volevano mettere in atto quanto lui e il fratello avevano programmato. Arrivato a destinazione, avvertito dalla voce femminile del navigatore, accostò il veicolo in un’area di sosta, dove ad attenderlo c’era Carlos, appoggiato a una ruota della sua Mercedes.
'Lei dov’è?' chiese quest’ultimo notando solo la presenza del latino nel mezzo.

'José me l’ha fatta rinchiudere nel bagagliaio, legata e imbavagliata…'. Il fratello lo squadrò, quasi incredulo dalla risposta. 'Doveva sembrare credibile, no?' e Alejandro aprì il retro dell’auto, con l’unico scopo di liberare l’asiatica.
Heather, rannicchiata sul fianco sinistro, imbavagliata, con caviglie e polsi legati saldamente con delle fascette nere, stava bofonchiando contro il fazzoletto sporco; gli occhi gonfi e lucidi presero a sgranare dalla paura, le guance erano rigate dalle lacrime. Le mani di lei erano coperte di sangue: si era rotta le unghie cercando il modo di uscire da lì, addirittura graffiando e prendendo a pugni la macchina. Alejandro le accarezzò i capelli, legati in un disordinato chignon, cercando di tranquillizzarla invano.
 
'Heather, tranquilla' fece Carlos. 'Non vogliamo farti del male, vogliamo portarti al sicuro' e lentamente cominciò a slegarla, non prima di averle tolto il bavaglio.
 
'C-come no…' balbettò lei, la voce spezzata dai singhiozzi e dalla tosse.
 
'Ascoltami, io e Ale abbiamo un piano, devi solo fidarti di noi'.
 
 

 
 
Non sapeva dire come il fratello fosse stato in grado di convincerla, stava di fatto che l’asiatica aveva dato loro una possibilità e, uscita finalmente dal bagagliaio coperta con una delle grandi felpe dismesse del latino, si era messa ad ascoltare attentamente il secondogenito sul da farsi, addentando di tanto in tanto un sandwich preparato apposta per lei.
Alejandro ne approfittò per lanciarle qualche occhiata fugace: studiò le lunghe gambe di lei, incorniciate da un paio di leggings neri, gli stessi con cui si era presentata tempo prima nel suo appartamento dando così inizio alla sua prigionia; la pesante felpa nera, che lui stesso le aveva procurato, era lunga abbastanza da coprirla fino a metà coscia. Era trasandata, ma anche così conciata gli sembrava la donna più bella con cui fosse mai stato.
'Se non hai domande, Heather, direi di procedere' concluse Carlos battendo le mani.

'Guarda un po’ chi c’è qua' fece dal nulla una voce sprezzante. I tre si guardarono intorno alla ricerca del suo proprietario, la nebbia era diventata più fitta, dell’ambiente circostante riuscivano a distinguere solamente alcuni contorni. 'L’avevo detto al capo che eri solo una palla al piede, Al, ma non ha voluto darmi retta perché comunque sia “avevi delle potenzialità invidiabili da poter sfruttare”, quante balle!' commentò la voce fattasi più vicina. Solo allora Alejandro riuscì a capire a chi appartenesse, e non era una buona notizia.
José, appropinquandosi lentamente verso di loro, teneva stretta nella mano destra una pistola, puntata ad altezza uomo. Alejandro gelò sul posto, sentendo solo vagamente la piccola mano di Heather stringergli il braccio, mentre il secondogenito si frappose tra loro. 'E tu, Carlos, che fai?! Li vuoi aiutare?'.
 
'José, sono giorni che non sei in te… posa la pistola, per favore' lo pregò il fratello portando le mani in avanti in segno di resa.
 
'Hai paura che possa spararvi?' domandò l’altro. Partì un colpo, e una delle ruote dell’auto di Alejandro scoppiò, rendendo il mezzo inutilizzabile per un’eventuale fuga. Al rumore di quello sparo, il fratello minore si ridestò, ricambiando la stretta al braccio della ragazza.
 
'José' supplicò Carlos chiamandolo più e più volte. 'Lei non ha fatto nulla, lasciala andare'.
 
' “Non ha fatto nulla”?' e un secondo colpo partì mettendo fuori uso anche la Mercedes. 'MI HA COLPITO E UMILIATO, DI FRONTE AL CAPO PER GIUNTA!' urlò con quanto fiato aveva, le vene sul collo risaltarono, pulsando violentemente. 'E tu? Ti sei unito a loro… ad un traditore e ad una… puttana!'.
 
'Non stai dicendo sul serio, José, sei solo arrabbiato' provò di nuovo l’altro. 'Abbassa la pistola, non spareresti ai tuoi fratelli, sangue del tuo sangue'.
 
'Hai ragione' convenne il maggiore. In un primo momento abbassò l’arma, facendo prendere a coloro che gli stavano davanti un sospiro di sollievo, ma poi la rialzò sparando una terza volta. 'Ma a lei sì'.
Heather cadde all’indietro, il corpo esile sostenuto dalle forti braccia di Alejandro: una macchia rossa gli sporcò viso e collo, accorgendosi solo più tardi della sua provenienza; la spalla sinistra dell’asiatica stava via via perdendo sangue. Alejandro tenne la mano premuta contro la ferita bloccandone l’emorragia, non poteva evitare però di procurarle dolore.
 
'TU SEI PAZZO!' ringhiò Alejandro furioso, senza smettere di fare pressione sulla ragazza.
José rise malignamente; il riso gli deformò il volto rendendolo più grottesco. Il sangue gli gelò nelle vene, mai in vita sua aveva solo pensato di potersi trovare con una ragazza ferita tra le braccia e la pistola del fratello, i cui occhi sembravano uscire dalle orbite, puntata alle loro teste.
Carlos provò ad avvicinarsi al primogenito, cautamente, le mani ancora alzate, forse per calmarlo e addirittura disarmarlo.
 
'Non provarci' lo ammonì José capendo le intenzioni dell’altro.
 
'Per favore, José… basta'.
 
Heather gemette dal dolore, la felpa era impregnata del suo stesso sangue nonostante le attenzioni e le cure del latino; i denti di lei batterono per il freddo, le serviva aiuto e subito. 'Carlos, non credo possa resistere ancora' disse Alejandro quasi in un sussurro ma bastò per mettere in moto il secondogenito: questi si avvicinò dapprima lentamente, passo dopo passo, poi con uno scatto afferrò il polso di José riuscendo a rivolgere l’arma verso l’alto, la quale sparò altri due colpi. I due cominciarono a dimenarsi, permettendo al fratello più piccolo di prendere in braccio l’asiatica e appoggiarla delicatamente sui sedili posteriori della macchina di José, legandole la cintura di sicurezza attorno alla ferita. Fortunatamente, le chiavi dell’auto erano inserite; questione di poco tempo e presto se ne sarebbero andati, proseguendo con il loro piano. 'Adesso ce ne andiamo, promesso' disse Alejandro premuroso, guardando la ragazza negli occhi; e un ulteriore colpo rimbombò in aria. Si girò di scatto, Carlos era accasciato a terra, le mani premute contro l’addome, mentre José, sorpreso, guardava le proprie mani tremare, la pistola gettata a terra. 'CARLOS!!'.
 
'V-VATTENE! PORTALA VIA!' gridò. 'S-sto bene, Ale, mi ha preso di striscio'.
 
'Ma…'.
 
'VA’ VIA, CAZZO!'.
Alejandro eseguì a malincuore, consapevole del fatto che l’amato fratello stava mentendo.
Sperando che José rinsavisse e aiutasse l’altro, ancora accasciato al suolo, si mise alla guida dell’auto e partì.
 
 


 
Il sole era sorto da un po’, non sapeva dire con esattezza quanto tempo fosse trascorso ma non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quel veicolo, solo per il semplice fatto che appartenesse a quel malato del fratello maggiore. Mai in vita sua lo aveva visto così, sapeva che se spinto entro un certo limite avrebbe potuto essere spietato, ma non fino a quel punto…
'D-dove siamo?' chiese debolmente l’asiatica interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
 
'Al momento, lontano dai guai' rispose Alejandro controllando con la coda dell’occhio il suo stato.
Una volta assicuratosi di essere abbastanza lontani, si era fermato in un’area di servizio, aveva comprato tutto l’occorrente per disinfettare la ferita della ragazza e fasciargliela, lasciando però la pallottola al suo interno, non sapendo come muoversi in quel frangente.
 
'Mi fa molto male la spalla' disse lei socchiudendo gli occhi.
 
'Lo so, siamo arrivati'.

'Arrivati, dove?'.
 
'A casa della tua amica Gwen, sanno che la squadra è nascosta lì quindi serve qualcuno che li avvisi. E quel qualcuno sei tu' concluse Alejandro posteggiando l’auto davanti ad un vialetto. Heather si girò verso di lui: il suo sguardo diceva tutto, un mix di gratitudine e paura. Da quando la conosceva, l’asiatica aveva sempre tenuto nascosto ciò che provava e pensava; ma non quella volta, con lui aveva deciso di lasciarsi andare.
 
'Vieni con me' pronunciò lei fissandolo supplichevole. Era debole, non riusciva a muovere alcun muscolo, e forse in quel momento non riusciva nemmeno a ragionare a dovere.
 
'Non posso' rispose lui. 'Mi sparerebbero a vista'.
 
'Mi opporrò' fece lei risoluta appoggiando la mano minuta su quella di lui. Era testarda e determinata, molto, ed era per quello che gli piaceva da impazzire: anche in quello stato aveva un certo potere su di lui, gli occhi grigi che lo scrutavano nel profondo. Imbambolato da quella visione, si limitò ad annuire alla sua richiesta.




 
GWEN
Se ne stava lì, seduta a tavola a gustare una buona e sostanziosa colazione preparata inaspettatamente da Duncan per tutti i presenti. Ad accompagnare i propri pancake al mirtillo, vi erano le bozze della sua – sperava – futura mostra. Non poteva dire di non aver avuto ispirazione in quell’ultimo periodo tra esplosioni, spionaggi e la paura costante di ritrovarsi i poliziotti in casa ed essere arrestata per complicità da un momento all’altro.
Alla sua destra, Scott sbadigliava, già esausto per la giornata di lavoro che da lì a poco gli sarebbe aspettata, al suo fianco Courtney stava preparando gli ultimi documenti del nuovo caso, un uxoricidio da quanto aveva capito. Alla sua sinistra, il punk stava terminando l’ultimo vasetto di cioccolata, svuotandolo completamente sul proprio piatto. Appariva fin troppo calmo, quasi alla pari di una persona normale… se solo non avesse avuto la polizia col fiato sul collo… come riusciva a rimanere impassibile a quella situazione, Gwen non sapeva capacitarsene. O almeno questo era quello che credeva, finché qualcuno suonò il campanello di casa.
'GLI SBIRRI!' e Duncan tutto d’un colpo si precipitò sotto il tavolo rovesciando sul pavimento i pancake.

'È Geoff, gli ho chiesto di accompagnare Courtney al mio posto' gli disse Scott roteando gli occhi al cielo.

'Ah… lo sapevo, ovviamente' commentò Duncan imbarazzato uscendo dal nascondiglio, un lembo della tovaglia ancora in testa.
 
'Ovviamente' fece Gwen con sarcasmo dirigendosi verso la porta di casa. Con un piccolo scatto la aprì, lanciando un grido di stupore misto a paura: Heather era lì, davanti ai suoi occhi ma non era sola. A sostenerla vi era un uomo accanto, colui che riconobbe subito come uno dei nemici. Paralizzata da quell’insolita e confusa scena, non si accorse della presenza di Scott e Duncan al suo fianco, emersi dalla cucina con le pistole puntate verso l’ingresso.
'OH, MIO DIO!' esclamò la spagnola trattenendo il fiato. 'HEATHER!'. La presa salda di Scott sul suo braccio le impedì di avanzare ulteriormente per soccorrere la ex coinquilina. 'Lasciami, Heather ha bisogno di aiuto, è ferita!'.

'N-non sparate, l-lui è con n-noi' biascicò l’asiatica, gli occhi stanchi e rossi.

'Courtney, Gwen, allontanate Heather da lui' ordinò il rosso, la pistola in direzione del latino. 'Duncan, controlla le finestre e chiama il resto della squadra. E tu, Burromuerto, entra e non fare scherzi'.
Tutti obbedirono al rosso: Gwen e Courtney si avvicinarono con molta lentezza verso la ragazza cercando di afferrarla e sostenerla senza causarle altro male. La gotica si passò il braccio sano di lei attorno al collo, mentre l’ispanica la prese per i fianchi. Insieme si avviarono verso le scale, in direzione del bagno, pronte a lavarla e medicarla. L’ultima cosa che sentirono prima di chiudere la porta alle proprie spalle fu l’invito di Scott al latino a prendere posto su una sedia, e le imprecazioni del punk al telefono.
 
'Heather, come ti senti?' domandò Courtney sedendo l’amica sul bordo della vasca per analizzare la gravità della ferita sotto la manica squarciata della felpa. Aveva alcune fasce attorno alla spalla, con rivoli di sangue che fuoriuscivano da queste, mani e unghie erano rovinate e sporche. Gwen afferrò delle forbici dal primo cassetto del lavabo e tagliò la felpa, trovando il modo di liberare l’asiatica dai vestiti.
La scena che si presentò non fu delle migliori. Il corpo niveo di Heather era ricoperto da ematomi violacei estesi su addome e fianchi; Courtney e Gwen si scambiarono velocemente delle occhiate sbalordite e preoccupate al tempo stesso. 'Farà un po’ male, ma dobbiamo spogliarti e lavarti' riprese la spagnola riempiendo la vasca con dell’acqua calda.
 
'M-m…' balbettò Heather esausta, gli occhi vuoti su un punto imprecisato davanti a sé.
 
'Non sforzarti' fece la gotica togliendole anche scarpe e calzini. Heather, con le ultime forze che le erano rimaste, la bloccò.
 
'M-mike'.



 
SCOTT
Riattaccò il telefono dopo essersi assicurato che Geoff avesse eseguito per filo e per segno tutte le sue istruzioni sia nell’accompagnare la spagnola sia nel montare la guardia presso lo studio legale con Brody, al fine di sorvegliarla. Ovviamente, non erano mancate le proteste e le lamentele da parte di Courtney, ma non poteva rischiare che la sua assenza a lavoro destasse sospetti e, di conseguenza, recasse danno anche a tutti loro.
Lui e Duncan avevano legato il latino ad una sedia, pronti ad estorcergli più informazioni possibili sulla gang rivale, in attesa che anche gli altri membri li raggiungessero. Al contrario, Heather si trovava al piano di sopra, soccorsa da una preoccupata Gwen, speranzosa che una persona molto più esperta di lei in medicazioni e pallottole sopraggiungesse.
Il rosso si avvicinò al nemico lasciando cadere il cellulare sulla superficie piana del tavolo adiacente.
'Allora, Burromuerto, vogliamo cominciare?' chiese in modo retorico tirando fuori dai pantaloni un coltello affilato.

Il ragazzo di fronte a sé sospirò, poi ruotò gli occhi al cielo. 'Vi dirò tutto, non occorre minacciarmi' fece lui esasperato. Scott alzò un sopracciglio, lanciando un’occhiata a Duncan, il quale si limitò a fissarlo leggermente sorpreso. 'Mancano delle persone'.
 
'Tranquillo, a breve arriveranno anche gli altri' disse Duncan a braccia conserte.
 
'Su questo non ho dubbi, ma parlavo della lavagna' e Alejandro fece un cenno con la testa in direzione dell’oggetto. 'Non ci sono solo loro nel gruppo'.
 
'Parla dunque. Dal principio'.
 
'Al capo servivano delle persone “competenti”, che sapessero il fatto loro. Così, ha reclutato chi in passato avesse preso parte a una gang: Josee e Jacques provengono dalle Akuma, una gang del sud della Francia; Ryan e la sua ragazza, Stephanie, vengono dal gruppo delle Iene; Rodney, invece, era un sempliciotto, trovato in campagna, ma era abbastanza forte; infine, quello psicopatico ha voluto dalla sua i membri di uno dei più grandi gruppi della città, il tuo, Nelson. Amy, Chet e Lorenzo hanno accettato subito pur di salvarsi, al contrario tutti gli altri ti sono stati leali… fino all’ultimo' e mentre raccontava, Scott si premurò di segnarsi alla lavagna tutti i nomi pronunciati.
 
'In che senso “fino all’ultimo”?' domandò il punk sconcertato.
 
'Alcuni sono morti, altri sono riusciti a fuggire come le due ragazze mascoline e un tipo basso con il berretto'. Duncan cominciò a boccheggiare, alla ricerca di aria; la notizia della morte di alcuni dei suoi più cari amici lo aveva lasciato di sasso.
 
'Aspetta… hai detto Rodney?'.
 
'Sì, quello trovato morto nel fango, mangiato dai maiali…' proseguì il latino senza batter ciglio. 'Si era rivelato essere soltanto un chiacchierone e dopo la sua missione per il capo non aveva più alcuna utilità, così lo ha fatto fuori' e Scott fece una grande X con il pennarello rosso sul nome del campagnolo.
 
'Infine, ci siete tu e i tuoi fratelli'.
 
'E quello psicopatico del boss' concluse il latino sospirando. Il rosso esaminò la lavagna, contando mentalmente con quante persone avrebbero avuto ad a che fare.
Dieci. Erano in dieci, Alejandro escluso s’intendeva. Non sapeva che cosa se ne sarebbero fatti di un tipo simile, ma al momento si stava rivelando utile per carpire le informazioni di cui avevano bisogno; senza tener conto che aveva riportato Heather viva e vegeta da loro, da Courtney.
 
'Come siete organizzati?' chiese Duncan in maniera fredda sistemandosi su una sedia innanzi al loro ospite.
 
'In realtà non c’è ancora un’organizzazione vera e propria' rispose l’altro, le cui mani stavano leggermente cambiando colore, tanto era stretto lo scotch che le legava dietro la schiena. 'Il piano iniziale era quello di formare ed allargare il gruppo, possibilmente eliminando quelli rivali. È così che ci siamo mossi con i “Der Schnitzel Kickers”, ci siamo sbarazzati prima del leader – e con la testa fece un cenno davanti a sé, dove stava il punk – e poi abbiamo proposto ai membri di unirsi a noi'.
 
'Quindi siete stati voi a uccidere quella ragazza, Zoey, dopodiché avete incolpato me…' rifletté Duncan ad alta voce. 'Scommetto avete minacciato il suo fidanzato affinché raccontasse il falso'.
 
'Non esattamente'. Alejandro fece una pausa, la suspense li stava divorando. 'È Mal, il nostro capo è Mal! È stato lui a ordinare la sua morte!'. Scott aggrottò la fronte, non aveva mai sentito quel nome prima di allora, cosa che invece non poteva dirsi del compare: Duncan aveva gli occhi sbarrati, boccheggiando di tanto in tanto. Notando le reazioni di entrambi, il latino proseguì: 'Lui si fa chiamare Mal, ma voi lo conoscete come Mike Doran, il fidanzato di Zoey'.
 
'Oh, cazzo!' esclamò il punk tutto d’un tratto. 'Mi pareva di aver già visto quel Mike! Quand’ero un umile delinquentello in riformatorio, lui era il boss al tempo. Si faceva chiamare Mal ed era un PESSIMO SOGGETTO!'.
 
'Quello è un eufemismo se pensate che ha fatto uccidere la sua stessa ragazza per poter incolpare uno di voi' fece Alejandro scaldandosi. 'Avrebbe potuto scegliere una persona qualsiasi, no?'.
 
'Un pessimo soggetto, appunto' concluse Duncan.
 
'E Heather?'. Il latino portò lo sguardo sul pavimento, si sentiva in colpa per quello che le era successo, si vedeva. Alejandro raccontò loro tutto quanto, ed era impressionante come la sua storia coincidesse con la versione ipotizzata giorni prima da Courtney e Gwen.
 
'In sostanza, ha scelto il momento sbagliato per presentarsi in casa mia…'.
 
'Perché non l’avete ammazzata subito?' domandò secco Duncan a braccia conserte.
 
'Lui sperava che veniste voi a recuperarla, per poi farvi fuori tutti quanti'.
 
'Come Lord Voldemort che attende Harry Potter nella Foresta Proibita per poterlo avadakedavrare!' esclamò un Topher eccitato, entrando dalla porta d’ingresso con la pistola tra le mani.
 
'Era ora!' disse Scott scontroso, guardando il proprio team sfilare nella stanza, prendendo posto attorno al loro ospite lanciandogli alcune occhiate miste a curiosità, rabbia e compiacimento. 'Topher, controlla l’area, voglio essere sicuro che non ci sia nessuno nei paraggi e che questa non sia una trappola; Jasmine, Bridgette andate di sopra: Heather è ferita, le serve aiuto. Anne Maria, vai anche tu con loro, due mani in più fanno sempre comodo' e la bionda, munita di una valigetta del pronto soccorso, sparì oltre la cima delle scale seguita dalle due ragazze di colore. 'Signori, abbiamo i nomi di tutti i componenti della gang avversaria. Numericamente li battiamo ma quanto a forza fisica e capacità di combattimento ho, purtroppo, dei seri dubbi'.

'Non tutti i nomi' s’intromise Alejandro richiamando l’attenzione di tutti quanti. 'Da quello che so, hanno un infiltrato nella polizia e…'. Fece una pausa, incerto se continuare o meno, passando lo sguardo su ognuno di loro.

'… e c’è una talpa in mezzo a noi' terminò Scott. Non voleva credere che uno dei suoi amici, un membro della sua famiglia, potesse venderli ad un gruppo rivale, troppe cose, però, non tornavano: il fatto che José sapesse del libretto e del luogo in cui era tenuto nascosto, l’esplosione del locale proprio quando al suo interno vi era anche Duncan, che avevano già cercato precedentemente di togliere dalla circolazione… non erano delle semplici coincidenze. Si guardarono attorno, cercando di individuare inutilmente chi di loro li avesse traditi. 'Chi è?'.

'Mal ce lo ha tenuto nascosto, ma so per certo che si tratta di una donna'. Il rosso annuì lentamente, lo sguardo si fece sempre più vuoto. 'È così che siamo venuti a sapere del libretto: Mal ha dato l’ordine di rintracciare Courtney e di prenderlo... precisando di non torcerle un capello, il che questo è abbastanza strano'.
Topher fece ritorno, dando il via libera.

'Ma se aveva il collo violaceo!' esclamò il rosso arrabbiato.
 
'Può essere che José sia stato messo nella condizione di agire diversamente'.

'Se c’è una spia vuol dire che sanno anche che siamo nascosti qui …' s’intromise Duncan. 'Perché non ci hanno attaccato prima?'.

'Siamo in centro città, avrebbe dato troppo nell’occhio, per non parlare dell’aumento dei poliziotti ad ogni via. Ciò non toglie che dovremmo andarcene da qui. E si sposteranno anche loro temo' affermò Topher.

'Non ne sarei così sicuro, vedete lui voleva che lo trovaste quando abbiamo rapito Heather' fece il latino. 'Ed era certo che lo avreste raggiunto dal momento che l’immobile in cui ci siamo rifugiati è tuo, Scott'.
Un silenzio quasi innaturale calò, non sapendo come valutare i fatti appena raccontati. Gli occhi di tutti erano incollati sulla figura del rosso, rimasto basito da quelle affermazioni.
 
'Che cosa vorresti dire?' chiese Duncan curioso.
 
'Mal ha scoperto di un immobile intestato a Scott Wallis. Sicuri che uno di voi lo avrebbe prima o poi scoperto, ci siamo posizionati lì. Ve l’ho detto, quello è pazzo! Voleva essere trovato, voleva che foste voi ad andare da lui'.
 
'Scommetto che avrebbe fatto scoppiare l’intera abitazione con noi dentro' commentò il punk. 'Come il locale'.
 
'Okay, basta, facciamo così' sbottò Scott, la testa che gli girava. 'Oggi io e Topher ci occupiamo dell’ultimo incontro con i Kobra, sperando che l’affare vada a buon fine; Duncan sorveglia la casa, se hai bisogno al piano di sopra hai le ragazze, ma non menzionare nulla in merito alla “spia” ' aggiunse subito dopo scoccandogli un’occhiata abbastanza eloquente. 'Lightning, tu cerca un nuovo locale dove poter riprendere l’attività: dobbiamo andarcene da qui al più presto. Nel frattempo qualcuno contatti l’amico nerd di Gwen e chieda di intensificare la sicurezza della casa fino all’eventuale trasferimento'.

'Ma Lightning non ha ancora preso la sua DGP!' protestò il ragazzo di colore parlando di sé in terza persona. Inutile dire che tutti i presenti lo guardarono perplessi. 'DGP: DOSE GIORNALIERA PROTEINE' spiegò poi Lightning come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Tutti rimasero in silenzio, ad eccezione di Duncan che lo mandò calorosamente a “quel paese”.




 
HEATHER
Ne era passato di tempo da quando aveva riposato su un materasso morbido, l’unica pecca era la ferita alla spalla che la costringeva a stare bloccata a letto; perlomeno non sentiva più il dolore lancinante di qualche ora prima, placato da una generosa dose di antidolorifici. Inspirò l’aria circostante e il profumo che emanava il cuscino: muschio bianco, così buono, dolce e inebriante, altro che la cella nauseabonda in cui era stata rinchiusa. Si sentiva debole, prosciugata di tutte le energie, ma volle fare un ultimo sforzo, per lui, per la persona che le aveva salvato la vita, che aveva deciso di rischiare tutto pur di liberarla.
Si mise a sedere sul bordo del materasso, molto lentamente e con enorme fatica. Una volta alzata, appoggiò un piede dietro l’altro, trascinandosi per il corridoio e rallentando ancor di più il passo una volta raggiunte le scale; impiegò svariati minuti per arrivare in salotto, aggrappandosi al corrimano e maledicendo mentalmente tutto e tutti.
Fuori dalle finestre vide buio, non credeva di aver dormito tutto il giorno, ma d’altra parte doveva recuperare la stanchezza accumulatasi in quei giorni infernali.
Passo dopo passo, intravide tutti gli altri riuniti intorno ad una specie di lavagna magnetica, scarabocchiata e adornata con varie foto. Dalle informazioni che aveva acquisito dai loro nemici quand’era in cella, sapeva che le sue compari e Duncan si erano aggregati al resto dei “Vultures”, ma la visione del gruppo al completo faceva un certo effetto: accanto alla spagnola si trovava Scott, il capo della gang, il braccio sinistro di lui sul fianco dell’ormai ex coinquilina… i due dovevano essersi riappacificati mentre lei non c’era. Su una poltrona stava la gotica, affiancata da quel nerd di Cameron intento a smanettare al computer, sotto gli occhi attenti di Topher, il cassiere. Geoff e Bridgette occupavano il divano, abbracciati stretti stretti a sussurrarsi all’orecchio paroline dolci (che schifo!) sotto lo sguardo perplesso di Brody; quella – a suo parere – insulsa di Anne Maria si stava acconciando i capelli spruzzandosi un’intera bomboletta di lacca.
Al centro, legato ad una sedia e sorvegliato da una ragazza altissima e un ragazzo di colore (quell’imbecille di Lightning), c’era lui. Era stanco, non riposava bene da molto tempo; gli occhi infossati e rossi, la testa che di tanto in tanto ciondolava. Caviglie e polsi erano legati e pesantemente segnati dallo scotch.
Si avvicinò, ignorando le occhiate e i commenti di tutti, compresi quelli di una agitata e preoccupata Courtney, e si accostò al latino; le mani si mossero da sole e, forze permettendo, sciolse la presa.
'HEATHER, SEI PAZZA?!' domandò sbraitando il punk, ma l’asiatica lo ignorò, concentrandosi solo su Alejandro, che la guardava sollevato, un piccolo cenno di sorriso sulle labbra.
 
'Perché è legato? Mi sembrava di avervi detto che era dalla nostra parte' fece lei tagliente.
 
'Non ne siamo sicuri' rispose Duncan sbrigativo.'  
'Non possiamo fidarci' aggiunse Geoff.
 
'Mi ha salvato la vita, vi dovrebbe bastare e avanzare' disse lei acida posando lo sguardo gelido su ognuno di loro. 'Dove eravate voi quando ne avevo più bisogno? Non avete idea di cosa ho passato: ogni dannato giorno, ogni dannato minuto, rinchiusa lì dentro è stato un incubo, l’ho trascorso con la speranza che qualcuno mi venisse a liberare e ho aspettato… invano'. Forse non pensava davvero quello che stava dicendo, o forse sì, stava di fatto che avrebbe detto di tutto pur di salvare l’uomo seduto innanzi a lei. 'Lui c’era' e passò un ultimo sguardo sui presenti. Nel silenzio generale, finì di slegare il latino accarezzandogli i segni rossi su polsi e caviglie.
 
'Heather' la chiamò Courtney. 'Non voglio che tu pensi che non ci siamo dati da fare… la lavagna è frutto di ricerche che abbiamo svolto per riuscire a trovarti…'. Guardò le scritte alle spalle dell’ispanica: nomi, frecce e foto erano lì, indicati dalle dita minute dell’altra.
 
'Courtney ha ragione, abbiamo interrogato anche le tue colleghe di lavoro' riprese la gotica seduta sulla poltrona, alcuni fogli colorati sul grembo. 'Cameron ha provato a rintracciare la tua auto e ha persino ispezionato le telecamere stradali'.
 
'Per non parlare degli appostamenti presso l’appartamento di Burromuerto' aggiunse Geoff, al fianco della moglie.
 
'Ma ciò che conta è che tu sia qui, sana e salva' concluse Courtney scoccando un’occhiata ad ognuno di loro cercando di placare i bollenti spiriti. 'Come va la spalla?'.

Heather si guardò la ferita, data la rabbia del momento si era dimenticata di avere avuto una pallottola conficcata sotto la carne fino a diverse ore prima. Il dolore era passato, ma temeva potesse riaffiorare una volta terminato l’effetto degli antidolorifici. 'Meglio, grazie a tutti voi' fece sbrigativa. 'Vorrei che aiutaste anche Alejandro'.
 
'Heather, lascia perdere' bisbigliò lui stanco.
 
'Deve dormire' continuò l’asiatica.
 
'Tu sei pazza!' esclamò Duncan. 'Quel bastardo potrebbe aver ucciso i miei compagni di squadra!'.
 
'L’ha confessato?' continuò lei, lo sguardo di fuoco. Il punk rimase in silenzio.
 
'I-io non ho mai ucciso…' fece il latino in un sussurro. 'Heather doveva essere la prima, per dimostrare la mia lealtà al gruppo. Beh, potete vedere i risultati'.
 
L’asiatica terminò di slegarlo dalla sedia, lentamente lo fece alzare e lo condusse sulle scale, ovviamente scortati da un insopportabile punk e il biondo, braccio destro di Scott. Voleva protestare, ma lasciò perdere, il fatto di portarlo in camera a riposare era più di quanto si aspettasse da quei testardi rompiscatole. Per usare parole gentili.
Lo accompagnò sottobraccio nella stessa camera dalla quale era uscita poco prima e lo distese sul letto, pochi secondi e il respiro di Alejandro si fece profondo. Dolcemente gli accarezzò le guance, seguì i contorni del viso, soffermandosi poi sulle labbra calde.
Improvvisamente, sentì dei leggeri passi avvicinarsi; l’esperienza le diceva che quelli appartenevano a Courtney, quindi, senza tante cerimonie, disse: 'Tu e Scott siete tornati insieme' e continuò a sentire il corpo del ragazzo sotto le sue dita magre, incurante di quello che avrebbe potuto pensare o dire l’altra.
 
'È così' affermò la spagnola un po’ imbarazzata. 'Questo però non significa che non mi sia preoccupata per te'.
 
'Lo so' e si voltò a guardarla. Solo allora si rese conto delle enormi occhiaie sul viso abbronzato dell’altra. 'Come sono andate le cose mentre non c’ero?' si limitò a chiedere l’asiatica.
Courtney prese la sedia della scrivania e la pose di fronte a lei; le raccontò di tutti gli avvenimenti dopo la sua scomparsa, a cominciare dalla loro visita al negozio (non soffermandosi particolarmente sulla stupidità delle colleghe), l’esplosione al locale, di cui lei, Heather, sapeva già tutto, e del loro improvvisato nascondiglio che a breve avrebbero dovuto abbandonare. Le narrò le scoperte e le ricerche fatte in quelle settimane e di come le informazioni di Alejandro si fossero rivelate vitali, tutte scritte sulla lavagna magnetica che aveva notato in salotto.
 
'Heather, tu come stai?' domandò in seguito Courtney a racconto finito. L’asiatica distolse lo sguardo, posandolo nuovamente sul ragazzo, che dormiva profondamente. 'Qualsiasi cosa tu abbia passato, qualsiasi cosa ti abbiano fatto… la pagheranno'.
 
'Non farti trascinare dalle emozioni, lascia che se ne occupino i ragazzi. Questi non scherzano, soprattutto il capo, Mal o Mike Doran, come si chiama, è uno psicopatico, così come José'.
 
'Aspetta, come hai detto?'.
 
'Sono tutti psicopatici!'.
 
'No, intendevo… sono stata una stupida, perché non ci ho pensato prima! Eppure ce l’ho sempre avuta sotto il naso!' parlò la spagnola a raffica sotto lo sguardo perplesso dell’altra. Che diamine stava farfugliando ora?
'Vai con tutti gli altri in salotto, io vi raggiungo' e corse verso il corridoio.
 



 
COURTNEY
Ritornò nell’ampio salotto, con una cartellina gialla tra le mani, attesa dal resto del gruppo. Sprofondò sul divano e aprì il fascicolo davanti agli sguardi interrogativi di chi aveva intorno; schiarita la voce cominciò a spiegare: 'Questa è una cartella che ho… ehm… preso in prestito…'.
 
'Dì pure che l’hai rubata, ormai lo sappiamo tutti che è diventato un vizio' commentò Duncan con un ghigno sul volto. Courtney si limitò a lanciargli una stilettata.
 
'Come stavo dicendo prima di essere interrotta da un maleducato cavernicolo, questa cartella, che ho PRESO IN PRESTITO – e guardò il punk di bieco – da mio padre, appartiene a uno dei suoi pazienti: Mike Doran' riprese l’ispanica orgogliosa. 'Per chi non lo sapesse mio padre è uno psichiatra'.
 
'Mi stai dicendo che Mike era in cura da lui?' domandò Cameron esterrefatto da quella notizia.
 
Courtney annuì e cominciò a sfogliare le pagine fino a raggiungere un punto in particolare. 'Dal testo: “Ho già decodificato i meccanismi della personalità di Mike: ogni volta che si leva la camicia viene fuori Vito, in un ambiente stimolante dal punto di vista acrobatico si trasforma in Svetlana, quando si sente frustrato ecco che si manifesta Chester, e c’è anche Manitoba Smith con il suo fedora” ' lesse l’ispanica dagli appunti del padre.
 
'Con il suo cosa?!' chiese Duncan aggrottando la fronte.

'Fedora, è un tipo di cappello: per essere questo “Manitoba Smith” deve indossarne uno' gli rispose Gwen paziente.

' “Ma la personalità più pericolosa di tutte, la più metodica e cattiva è quella di Mal: gode nel far soffrire gli altri ed è in grado di dominare completamente tutte le altre personalità, compreso Mike, e il suo passato in riformatorio ne è la prova” e qui in allegato mio padre ha messo la fedina penale e dei documenti: vandalismo, spaccio e consumo di droga, reati contro il buon costume, tortura sugli animali, tortura sulle persone… questo è proprio pazzo' proseguì Courtney facendo scorrere gli occhi sul lungo elenco dei capi d’accusa, tutti commessi ancora prima dei quindici anni. Il senso di colpa la investì, Heather aveva passato settimane circondata da gente del genere…

'Psicopatico, appunto' commentò l’asiatica.

'Però non dice a quali condizioni può essere “invocato” ' notò Cameron.
 
 'No, infatti' convenne Courtney cercando tra le carte. 'Forse dovrei parlare con mio padre'.

'E dirgli cosa, esattamente? “Papà, ho frugato tra le tue cose e ho rubato la cartellina di un pazzo che soffre di disturbo della personalità multipla” ' commentò Duncan con sarcasmo cercando di imitare la ragazza sia nella voce sia nelle movenze.

'Potrei dirgli che sto lavorando ad un caso…'.

'Troppo rischioso' concluse Scott a braccia conserte.
 
'Come è andato l’incontro con i Kobra?' chiese Anne Maria cambiando improvvisamente argomento.

Il rosso prese a massaggiarsi la fronte, mentre Topher sospirò amaramente. 'Cattive notizie: i seguaci di Mal ci hanno preceduto' rispose il castano. 'Li abbiamo visti discutere con due della gang… siamo rimasti nascosti, sperando di sentire qualcosa, ma nulla'.

'Ce ne siamo andati prima che potessero vederci' concluse Scott amareggiato. 'Ora, siamo anche in svantaggio numerico'.

'Non è detto che abbiano convinto i Kobra a unirsi a loro' buttò lì Gwen speranzosa.

'Sei proprio un’ingenua' commentò Anne Maria non smettendo di limarsi le unghie.
 
La gotica la guardò malevola, dopodiché posò la propria mano sul braccio di lei e la spinse giù dalla sedia. Gwen si guardò il palmo, stranamente non più bianco, come il resto della sua carnagione, ma sulle sfumature arancio-marroni: l’autoabbronzante. 'Eww, cos’è questo schifo?!' fece lei disgustata.
 
'Oh, no! Nessuno disprezza la mia tintarella, ora te le prendi di brutto' fece Anne Maria minacciosa, l’impronta di una mano sul braccio sinistro. La gotica digrignò i denti e corrugò la fronte, le mani alzate pronta a dar battaglia; Bridgette, dal canto suo, le si era avvicinata cercando di calmarla. I ragazzi lì vicino si portarono davanti alle due per impedire che la lite degenerasse. 'Non finisce qui, mozzarella!'.

'Lasciami andare, Duncan!' esclamò Gwen.

'Calmati' fece lui mettendola a sedere sul divano e indicandole lo schermo del televisore - e l’ormai familiare sigla del telegiornale.
 
 

 
 
'Buongiorno e bentornati a TG Drama' sorrise l’uomo affabile.
 
'Stamane gli inquirenti hanno rilasciato Lindsay Mills e Elizabeth Gadon, le ragazze arrestate per aver vestito i panni di due avvocatesse qualificate' pronunciò la donna, Blaineley. 'A quanto pare, è stata effettuata una scrupolosa analisi delle telecamere di sorveglianza presso la stazione di polizia; è emerso che la corporatura delle due indagate non combacia affatto con quella delle donne presenti nei video'.
 
'Tra l’altro le due hanno fornito un alibi schiacciante, il tutto documentato sui profili social di Lindsay' continuò l’altro. 'Stando alle affermazioni del nostro nuovo capitano, chiunque sia in quei video è collegato al delinquente più famoso della città, Duncan Nelson' fece l’uomo sorridendo alla telecamera.
 
 
 
 
§
 

 
'Ora che i Kobra sono fuori dai giochi ci servono altri membri, o degli alleati' sussurrò Scott.

'Se vuoi me ne posso occupare io, potrei chiedere al resto della mia squadra, quelli che sono riusciti a scappare dalle grinfie di Mal…' rispose Duncan, una sigaretta tra le dita pronta per essere accesa. 'So qual è il loro rifugio'.

'Non puoi uscire di casa'.

'Buttati nel cesso, Scott' commentò l’altro cercando l’accendino nella tasca dei jeans. 'Per una volta, fidati'.

'Già devo stare attento a quel Burromuerto, non voglio farti anche da babysitter' e il rosso alzò gli occhi al cielo.

'Dovresti preoccuparti più di lui che di me: io di quello non mi fido' e finalmente, una volta accesa, inspirò dal filtro della sigaretta.
 
 

 
§
 


 
Cadde a terra, il coltello impiantato sulla gamba. Urlò, il dolore era lancinante.
'Nonostante tutto, hai avuto coraggio a presentarti qui' affermò la voce di fronte a lui, un secondo coltello tra le mani. 'Dovrei ucciderti' e continuò a rigirarsi l’arma tra le dita fischiettando “In the hall of the mountain king”. 'Hai lasciato che quei due scappassero, ora gli altri sanno da chi è composto il gruppo e, cosa più importante, sanno chi sono io… dovrei ucciderti, sì'.
Si avvicinò al ragazzo, ancora a terra, il quale stava premendo la mano contro la ferita.
'D’altra parte, però, vedo che la morte di Carlos ti sta divorando… quella sarà la tua punizione' e continuò a fissarlo dall’alto verso il basso. 'Sai chi dovresti incolpare di tutto ciò? Quel tuo patetico fratellino, è a causa sua se Carlos non c’è più, no? Ha preferito una donna alla sua famiglia, sangue del suo sangue. Quindi dovrai ucciderlo'.

'S-sarà fatto'.

'Eccellente' e il secondo coltello gli venne conficcato nella carne.

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Capitolo 22
*** CAPITOLO 20 ***


VENERDI’ 09 OTTOBRE 2020
 
DUNCAN
Quella mattina si svegliò supino sul divano-letto, la testa che gli scoppiava.
'Buongiorno, Bella Addormentata' disse il rosso seduto sulla poltrona con un pacchetto di biscotti tra le mani ricevendo come risposta un grande sbadiglio.
 
'Alejandro?' chiese poi Duncan portandosi di fronte all’amico.

'A farsi una doccia, con Lightning e Topher alle calcagna' rispose Scott porgendogli una tazza di caffè bollente in mano; senza volerlo, fissò incessantemente le ragazze lì presenti, una ad una, ognuna occupata in qualche attività: Bridgette, per esempio, stava medicando con cura la ferita di Heather, seduta immobile sul tavolo da pranzo, dei deliziosi pantaloncini a scoprirle le gambe lunghe; Gwen, attrezzata di un blocco da disegno e di una matita, portava alle orecchie delle cuffiette nere, ispirata con molta probabilità da alcune canzoni dei Gothic Mind Explosion, il suo gruppo musicale preferito, mentre una indaffarata Courtney era intenta a riordinare le carte dell’ennesimo caso da risolvere. 'Allora, chi tra le ragazze pensi possa essere?' riprese Scott sussurrando appena.
 
'Heather è da escludere, abbiamo ricevuto informazioni dalla talpa anche quando era rinchiusa' fece Alejandro comparendo all’improvviso alle loro spalle, facendoli sobbalzare.

'Ehilà, Al' salutò il punk.

'Non chiamarmi Al' rispose Alejandro mascherando l’irritazione.

'Va bene, Al' e il latino rabbrividì appena.

'Anche Courtney è da escludere' s’intromise Scott mettendo in bocca un biscotto. 'Altrimenti avrebbe consegnato il libretto direttamente a Mal'. Duncan annuì leggermente. 'E Bridgette non ci farebbe mai del male, anzi morirebbe lei al posto di suo marito'.
 
'Gwen?' chiese distratto il latino.

'Non è il tipo' commentò Duncan. 'Io mi preoccuperei di Jasmine, quella mette i brividi, potrebbe ucciderci tutti quanti se solo lo volesse'.

'Avete finito, voi tre?!' disse Heather brusca cogliendoli alla sprovvista. 'Sono due giorni che non fate altro che sussurrarvi cose all’orecchio. C’è qualcosa che dobbiamo sapere?'. I tre si scambiarono delle occhiate fugaci, non sapendo come rispondere. Certo, avrebbero potuto essere un po’ più discreti…
L’asiatica continuò a squadrarli da capo a piedi in attesa di una risposta.
 
'Ehm…' iniziò Duncan. 'Stavamo commentando il vostro vestiario'. Le ragazze aggrottarono la fronte, per poi rivolgere lo sguardo verso il proprio abbigliamento. 'Hai un pigiamino striminzito, panterona' ammiccò il punk, e in effetti era vero: quei maledetti pantaloncini neri lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.
Inutile dire che si beccò una stilettata dal latino, infatuato com’era della ragazza.
 
'Crepa' fece l’asiatica rossa in faccia pestandogli il piede, ma l’espressione del ragazzo rimase impassibile, il ghigno strafottente solcava il viso dai tipici lineamenti duri.

'Calma, Heather' intervenne Courtney lanciando un’occhiataccia ai ragazzi. 'Lo sai che Duncan è volgare, rozzo e fastidioso come vuole fare credere' e l’accompagnò in cucina, a fare colazione. Il punk tirò un sospiro di sollievo, così come gli altri due.
 
'Voi tre non me la raccontate giusta' s’intromise Gwen. 'Come ha detto Heather, è da un po’ che non fate altro che confabulare, e non di come ci vestiamo' e scoccò un’occhiata verso di loro prima che potessero replicare. 'Sta accadendo qualcosa e non volete dircelo'.
 
'È per la vostra sicurezza' ammise Scott. 'Meno sapete, meglio è'.
 
'Quindi è vero che c’è qualcosa sotto' aggiunse Bridgette.
 
'Cioè?' domandò la spagnola ritornata nell’ampio salotto a recuperare i documenti della giornata.
 
Duncan portò gli occhi al cielo, stanco delle continue domande. Mai una volta che le ragazze lasciassero perdere o si disinteressassero a qualcosa dentro quella maledetta casa. 'Io e Scott vogliamo allargare il gruppo' buttò lì. 'Chiederemo ai miei vecchi compagni di aiutarci… se in città ne è rimasto qualcuno'.
 
'Spero solo non sia altra gente strana' commentò Heather portandosi al fianco di Courtney con una tazza di caffè fumante tra le mani.

'Potete stare tranquille'.

'Come no'.
 
 
 
 
Non era stato per nulla semplice convincere Scott a lasciarlo uscire di casa, ma eccolo lì, davanti ad una palestra, il cui edificio era composto da due piani, il secondo ricoperto interamente da grandi vetrate dalle quali si intravvedevano ragazzi e ragazze correre sopra dei tapis roulant o esercitarsi su altri attrezzi ancora.
Duncan entrò, lasciando che il compare Scott lo attendesse in macchina, dirigendosi speditamente verso lo spogliatoio femminile al pian terreno, incurante delle eventuali lamentele provenienti dalle ragazze.
Al suo passaggio, riuscì ad intravvedere le sue prede: Jo, una ragazza bionda dai capelli corti e gli occhi di un particolare color indaco, ed Eva, mora con un enorme monociglio nero a solcarle gli occhi color rame. Entrambe erano mascoline… non tutta ‘sta bellezza, insomma…
Spalancò l’ultima porta, in fondo al corridoio, e attese, guardandosi attorno. Lo spazio era piccolo, le pareti bianche e spoglie se non per qualche poster; su lati opposti vi erano dei tavoli adibiti a scrivania con sopra varie carte e altra robaccia ancora tra cui dei manubri blu da palestra. Su un angolo un sacco della boxe era stato appeso al soffitto e legata ad esso con del nastro isolante vi era una stropicciata foto segnaletica, la sua.
Due voci femminili stavano percorrendo l’intera lunghezza del corridoio, avvicinandosi un poco alla volta finché entrambe le proprietarie non misero piede nella piccola stanza. 'Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra di sentire odore di… TESTOSTERONE!' esclamò la bionda inspirando l’aria circostante e indicando subito dopo il punk, felpa nera e cappuccio in testa, appoggiato al tavolo alla loro destra, nell’ombra, le braccia conserte e un piccolo ghigno dipinto sul volto.
 
'Signore, è un piacere rivedervi' fece Duncan con un piccolo inchino.
 
'Non si può dire che lo stesso valga per noi, DunCANE' commentò acidamente Jo, la bionda, chiudendo violentemente la porta. 'CHE VUOI?'.
 
'Dacci un valido motivo per cui non dovremmo prenderti a calci nel didietro' aggiunse Eva schioccandosi le nocche e mostrando i pugni alti, pronta allo scontro.
 
'Piano, piano, piano' disse il ragazzo alzando le mani in segno di resa. 'Perché tutta questa rabbia? Non vi ho fatto nulla'.
 
'Hai ammazzato una ragazza e aggredito il suo fidanzato per rubar loro qualche spicciolo' iniziò Jo rossa in volto. 'Ti sei fatto beccare dalla polizia e adesso sei pure un fuggitivo!'.
 
'Mi hanno rilasciato loro per mancanza di prove'.
 
'Allora perché gli sbirri ti stanno cercando?' domandò Eva retorica. 'Quegli avvocati non erano neanche veri'.
 
Duncan sospirò e portò gli occhi al cielo, scocciato nel dover raccontar loro tutta la storia dal principio; se non fosse stato solo in quella minuscola stanzetta con due orsi grizzly pronti a sbranarlo e divorarlo avrebbe delegato ben volentieri la scocciatura ad altri. Le ragazze cominciarono a picchiettare il piede a terra impazienti nell’udire una più che plausibile risposta. Il punk cominciò e raccontò loro tutto, perdendo, ovviamente, del tempo prezioso, più di mezzora forse.
'Incredibile…' commentò la mora alla fine.
 
'Lo so' affermò Duncan passandosi una mano tra i capelli.
 
'Incredibile che tu ti sia fatto infinocchiare così' concluse Eva incrociando le braccia al petto.
 
'E che a salvarti siano state delle donne, ma di questo non mi stupisce' disse la bionda con un ghigno mettendo in risalto i bicipiti. 'Ora a comandarti è Scott'.

Il punk sbuffò quasi irritato. 'Nessuno mi comanda, è lui che fa quello che gli dico, è per questo che sono qui' parlò lui fiero con il sorriso, che si spense quasi subito allo spalancarsi della porta alle sue spalle. Saltò sul posto, una voce profonda e irritata lo chiamò, due occhi blu cominciarono a fissarlo malignamente.
 
'È quasi un’ora che aspetto, meno male che era, per citare le tue parole, cosa da poco' fece Scott.
 
'Guarda un po’ chi abbiamo qui, ho sentito che il tuo locale ha fatto BOOM!' commentò Jo con un ghigno.
 
'Infatti' rispose il rosso apparendo indifferente alla cosa. 'Allora che ne pensate? Siete con noi?'.

'Aspetta, cosa?!' chiese sbalordita Eva sgranando gli occhi.

'Non ci ero ancora arrivato, idiota!' esclamò il punk schiaffandosi la mano sulla fronte.

'E che cosa avete fatto per tutto questo tempo?!'.



 
JO
Era passata più di un’ora da quando sia lei sia Eva avevano messo piede in quella piccola stanza. Trovare il suo ex capo, lì in piedi, appoggiato al tavolo e con un ghigno sul volto, era stata veramente una sorpresa, soprattutto dopo tutto quello che avevano passato. Non sapeva se gioirne o meno: da una parte lo detestava per aver abbandonato la squadra e aver deciso di saltare fuori come se niente fosse solo dopo due mesi dal rilascio. Certo, la polizia lo stava cercando ma niente in passato lo aveva mai fermato, almeno questo per il Duncane che aveva imparato a conoscere.
Dall’altra parte, invece, non vedeva l’ora di ritornare in pista e vendicare i propri compagni deceduti, nonostante fosse pienamente consapevole del pericolo che avrebbe corso, ma non prima di aver fatto sudare sette camicie a quegli imbecilli, seduti sulla panca a spiegare la situazione.
'Quanto pagate?' chiese Eva a bruciapelo spiazzando i due. 'Voglio dire, ci state chiedendo di tornare a lavorare per voi per cercare questi tizi, farli fuori e rischiare che a morire siamo noi. Questo è completamente diverso da quello che facevamo, Duncan. Prima non rischiavamo la vita: vendevamo la “roba” e basta, al massimo qualche pestaggio se ce ne era bisogno'.

'Lo so, è diverso ora, ma volete davvero continuare a fare finta di nulla?' fece il punk guardandole con i suoi occhi azzurri.

'Quello che ci stai chiedendo è troppo: hai già perso parte della squadra, altri ti hanno voltato le spalle o si sono fatti un’altra vita' continuò Eva.

'Esatto, parte della squadra è stata fatta fuori… pensavo che voi due, più di chiunque altro, avreste capito. Non si tratta solo di pararci il culo e difenderci da questi individui, o fare a gara a chi vende più roba e fa soldi; dei nostri compagni, amici, sono morti, e chi ha fatto questo deve pagare' detto ciò si alzò dalla panca e si diresse verso la porta, il braccio teso, la mano sulla maniglia. 'Scusate se vi abbiamo fatto perdere tempo'.
Al cenno del punk, anche il rosso si alzò, pronto a seguirlo.
 
Ma lei, Jo, parlò.
'Non sappiamo come, ma quel dannato giorno lui ci trovò'.
 


 
MERCOLEDI’ 22 LUGLIO 2020
Erano nel “covo” (una stanzetta di uno di quei sudici motel, non un granché ad essere sinceri, soprattutto se a passarci le giornate erano in dieci, per non parlare poi del caldo soffocante), tutti incollati al piccolo schermo del televisore, a guardare gli aggiornamenti dell’arresto del proprio capo, esterrefatti ovviamente dall’avvenimento.
Non poteva ancora crederci: quel maledetto di Nelson aveva ucciso una ragazza, un’innocente.
Era un criminale, ma non era mai arrivato a tanto.
 
'Non può essere, non si spingerebbe mai fino a questo punto' aveva iniziato Rock, il biondo, appoggiato dal suo migliore amico Spud.
 
'Il ragazzo ha dato la sua descrizione…' aveva fatto notare Shawn, e tutti avevano abbassato lo sguardo a terra.
 
 

 
'Stavamo discutendo del tuo arresto, eravamo sorpresi che tu avessi compiuto un’azione simile' ammise Jo triste. 'Poi, improvvisamente…'.
 

 
 
Qualcuno aveva bussato alla porta ed era come se fosse suonato un campanellino d’allarme nella sua testa; si era precipitata a prendere la pistola, sotto il letto. Con l’arma in mano, si era avvicinata lentamente all’ingresso della stanza. 'Chi è?' aveva chiesto Jo, il dito impaziente sul grilletto.
 
'Il locatore, il vicino si è lamentato di voi' aveva risposto una voce maschile dall’altra parte della porta in legno. Jo aveva lanciato un’occhiata a Eva, accanto alla finestra la cui tenda era stata leggermente scostata per permettere la visuale verso l’esterno.
 
'Sembra innocuo' aveva comunicato la mora.
Jo aveva tirato un sospiro di sollievo nascondendo la pistola nei pantaloni della tuta. Scoccando uno sguardo d’intesa al resto del gruppo allo scopo di mettere via qualsiasi tipo di arma, aveva aperto lentamente la porta trovandosi davanti un uomo basso e dall’aspetto bizzarro con i capelli viola e il naso a porcellino. Neanche il tempo di aprire bocca che degli uomini armati di pistole e fucili avevano irrotto nella camera, obbligandoli in ginocchio e con le mani intrecciate dietro la testa.

'Chi siete, che cosa volete?!' aveva domandato Eva, la fronte aggrottata, ma l’unica risposta ricevuta era stato uno schiaffo al volto.
 
'Zitta' aveva detto l’uomo spietato. 'Capo, sono inermi' e aveva calciato via le pistole, lontane dalla loro portata. Una figura alta e magra aveva fatto ingresso fischiettando una melodia. Jo, come forse tutti gli altri suoi compari, lo aveva riconosciuto all’istante: il fidanzato di Zoey Mamabolo, la ragazza uccisa dal loro leader.
 
'I famosi “Der Schnitzel Kickers”' aveva iniziato lui con voce profonda e alquanto inquietante. 'Pensavo meglio ad essere sincero, ma sono comunque intenzionato a prendervi sotto la mia protezione' aveva proseguito guardandoli uno ad uno dall’alto verso il basso.
 
'Protezione da cosa?' aveva chiesto Jo guardandolo furente, non capendo nulla. Era lì per vendicarsi perché Nelson aveva ucciso la sua ragazza? Voleva soffiargli la gang da sotto il naso? Chi era veramente quel tipo?
 
'Tu devi essere Jo, il braccio destro di quel miserabile. Vedo che siete al corrente della faccenda' e aveva indicato il televisore ancora acceso sul canale delle notizie che mostrava la foto segnaletica di Nelson. 'Protezione da lui, per esempio. È un vigliacco, sa come funziona il carcere e pur di uscirne è pronto a vendere i propri compagni…'.
 
'T-tu non sai n-niente di lui, non è una s-spia' aveva ribattuto Shawn un po’ spaventato.
 
'Ed è un amico leale' aveva continuato il biondo, Rock.
 
'Come lo era stato per Scott?'.
 
'Tu che ne sai?'.
 
'Unitevi a me e tutti i vostri desideri diventeranno realtà'.
 
'Oppure?'.
 
'Morirete'.
 
 

 
'Amy, Chet e Lorenzo accettarono subito pur di avere salva la pelle e andarsene via illesi, ma dovettero provare la loro lealtà al nuovo boss' continuò Jo fissando le mattonelle del pavimento.

'In che senso?' chiese Duncan perplesso.

'Secondo te chi premé il grilletto uccidendo Rock, Spud ed Ezekiel quella sera? Li presero e li uccisero a mo’ di esecuzione' terminò Eva, gli occhi lucidi. 'Noi due fortunatamente riuscimmo a scappare, così come Shawn'.

'Solo che quel nano infame è andato avanti come se nulla fosse unendosi ad un altro gruppo' sbottò Jo piena di rancore. Il silenzio era calato, il gruppetto si era scambiato qualche sguardo, quello del punk sembrava inespressivo, puntato a terra. Doveva essere stato un brutto colpo: lo scioglimento della gang, il tradimento di alcuni e la morte di altri per mano dei primi. 'Sappiamo con chi abbiamo ad a che fare per questo siamo un po’ titubanti'.

'A meno che non ci paghiate tanto' affermò Eva sicura. 'Quando voi due lavoravate insieme fruttavamo di più, Duncan da solo invece ci dava una miseria'. Scott rise, mentre il punk sbuffò contrariato.

'Con l’esplosione dell’“All Stars” sarà difficile accontentarvi ad essere onesti' ammise il rosso un po’ amareggiato da quella frustrante situazione. 'Ora la nostra preoccupazione è trovare un posto adatto, dove siamo adesso non è più sicuro'.

'Tra l’altro non possiamo muoverci prima di aver scovato la talpa' aggiunse Duncan.
Le due sgranarono gli occhi incredule.
 
'Noi abbiamo visto i volti di quelli che ci hanno attaccato ma nessuno di familiare' disse Eva. 'Ma vi aiuteremo, atti del genere non passano impuniti'.
 



 
COURTNEY
'Mi fa piacere che tu voglia portarci in un locale diverso ogni volta che ci vediamo, ma così rischiamo di far fuori tutti i tuoi risparmi, tesoro' disse l’uomo seduto di fronte a lei.

'Per non parlare della linea' aggiunse la donna accanto.

“Chez Hatchet”.
Uno dei più rinomati ristoranti della catena Hatchet, chef stellato e capo di uno degli ex compagni di scuola di Duncan. La sala era elegante e sontuosa, illuminata da grandi lampadari a sospensione in cristallo; le tavole erano adornate da una fiandra monocolore, sopra la quale giaceva la migliore argenteria.
'Una ragazza in ufficio me l’ha consigliato e ho voluto portarvici' spiegò lei sbrigativa, anche se, col senno di poi, sarebbe stato meglio optare per un ristorante meno caro. Di certo non poteva invitarli a casa sua: da quando era stata strozzata non ci aveva più messo piede lasciando tutto nel caos più totale.
Ovviamente aveva loro omesso di aver liberato un criminale, aver ritrovato la sua migliore amica ed essersi stabilita in casa sua, insieme all'ex marito e alla sua banda di scagnozzi. Così, ogni volta che chiacchieravano gli argomenti principali erano la pratica forense, il lavoro di suo padre e i viaggi intercontinentali della madre, sorvolando se possibile sulle domande di quest’ultima in merito alla vita amorosa della figlia.
 
'Allora, hai conosciuto qualche bel giovanotto allo studio?'. Ecco, appunto.
 
'No, mamma. L’unica cosa di cui vorrei occuparmi allo studio è il mio lavoro e come surclassare quella Chang' rispose Courtney assaggiando il proprio piatto di salmone.
 
'Ben detto' affermò il signor Barlow. 'Prima la carriera e poi tutto il resto. Heather come sta?'.
 
'Bene, anche se disperata, vorrebbe lasciare quel manicomio in cui si trova a lavorare' mentì lei.
 
'Suppongo non sia facile trovare un altro lavoro se si è passato il resto della propria vita a fare la magazziniera' commentò la signora Barlow facendo irritare la figlia.
 
'Non tutti sono fortunati come me, mamma. Io ho avuto il supporto di voi due, lei, al contrario, ha perso i genitori quand’era solo una bambina' fece la spagnola finendo il filetto e pulendosi la bocca con il tovagliolo. 'A proposito, papà, non ti sembra strano che il signor McCord mi abbia voluto con sé dopo l’incidente? Insomma, ho perso la memoria e con quella anche tutte le varie nozioni base di diritto, hai idea del lavoro immane che sto facendo per recuperare ed essere alla pari con tutti gli altri praticanti?' continuò cercando di cambiare argomento.
 
'Non lo so, Courtney, ti avrà trovato… ehm… un elemento interessante per il suo studio' rispose lui assaporando il vino rosso, non prima di aver lanciato un’occhiata alla moglie. Il che era tutto strano.
 
'Pensavo c’entrassi tu, non sei amico di McCord?' domandò lei curiosa.
 
'Vero, ma questo non vuol dire che lui non veda delle potenzialità in te; sei in gamba, Courtney, dovresti darti più credito'.
 
'Sì, ma…'.
 
'Che ne dici di un dessert, tesoro?' intervenne la madre aprendo il menù dei dolci. 'Il tiramisù dev’essere delizioso'.
Già, era tutto strano.
 
 
 
 
Terminato il pranzo con i suoi e finito quel lungo pomeriggio presso lo studio sotto le direttive di quell’insopportabile Chang, fece ritorno a “casa” scortata da Scott e dalla sua elegante Volvo nera.
Le cose con lui stavano andando bene, un po’ alla volta stava imparando a conoscerlo volendo recuperare il rapporto che i due avevano in passato. Ultimamente però era diventato molto più chiuso e riservato, scambiando poche parole quando lei osava fare domande sui progressi della squadra. Gli unici con cui parlava apertamente erano i ragazzi, la gang appunto.
'Sei silenzioso. Tu e Duncan non siete riusciti a rintracciare gli altri?' domandò lei, speranzosa di ricevere risposte.
 
'Due di loro sono dalla nostra' rispose lui conciso immettendosi in una stradina.
 
'Bene, no?'. Lui annuì.
 
Silenzio.
Girò a destra e poi a sinistra, pronto a percorrere una strada tutta dritta.
 
'Scott? Sono giorni che ti vedo assente, c’è qualcosa che non va? E non dirmi di no perché tu, Duncan e Alejandro non fate altro che bisbigliare e cambiare argomento appena qualcuno vi si avvicina' continuò lei.
 
'Dobbiamo trovare una nuova base' fece lui.
 
'Hai visitato vari locali, non ce n’è nemmeno uno che ti soddisfi?' domandò lei instancabile.
 
Giunsero presso la casa della gotica, il rosso parcheggiò e spense il motore.
Rimasero in silenzio mentre attraversavano a piedi il vialetto di casa, Scott con le mani in tasca e lo sguardo di Courtney, dietro di lui, a trapassargli la nuca.
'C’era un posto a cui avevo pensato' fece poi il ragazzo sospirando. 'Era una cosa che avevamo progettato insieme, tu ed io'. La spagnola lo guardò interrogativa. 'Tipo una casa dei sogni' disse lui guardando l’espressione perplessa di lei. 'Ancora in ristrutturazione però'.
 
'Ma Scott, questo è stupendo! Potremmo trasferire la base lì, no?'.
 
'No, non possiamo: Mal l’ha già occupata' dichiarò lui, spiegandole per filo e per segno quello che aveva rivelato loro Alejandro. 'Era ancora in ristrutturazione l’ultima volta che ho fatto una visita… non so in che diavoleria l’abbia trasformata poi quello psicopatico' e prese a sbuffare, grattandosi la nuca e pensando velocemente sul da farsi. Dopo quelli che parvero minuti, si guardò intorno, certo di non essere visto o sentito. 'Io adesso ti dico una cosa, un segreto, che NESSUNO dovrà sapere, intesi?'. La spagnola annuì, un po’ preoccupata. 'È una cosa grossa, quindi vedi di controllare le tue reazioni, semmai ci stessero spiando'.
 
'Spiarci..? Chi mai dovrebb…' e gli occhi di lei si spalancarono leggermente. 'C-c’è una spia, v-vero?'. Un groppo le si formò in gola e il cuore cominciò a batterle all’impazzata, il solo pensiero di aver condiviso discussioni, piani e opinioni con qualcuno che li stava tradendo e portando dritti dritti nelle fauci del loro nemico le stava togliendo il respiro. Ma aveva promesso a Scott di mantenere la calma e così fece, cercando di mascherare le proprie emozioni. 'S-sai chi è?'.
 
'No, sappiamo solo che è una delle ragazze' sussurrò il rosso circondando la ragazza con le sue muscolose braccia cercando di tranquillizzarla. 'Mi serve solo che tu mantenga il segreto, anche con le altre'.
Sebbene fosse incerta, annuì.
 


 
§
 
 
 
Distrusse tutto ciò che aveva intorno, irritato e arrabbiato più che mai.
Degli incapaci, ecco chi aveva come seguaci, dei veri e propri incompetenti: un traditore scappato con una prigioniera, alcuni inetti nello stipulare un semplice accordo con i Kobra e far cambiare loro idea su una possibile alleanza con i Vultures e una spia rivelatasi decisamente inutile, ed è a lei che si rivolse. 'Dimmi che hai buone notizie'.
 
'Non esattamente: Jo e Eva sono state reclutate da Duncan questa mattina, mentre Scott è ancora alla ricerca di un posto in cui nascondersi' fece questa. 'È diventato molto più discreto'.

'Perché a quest’ora avrà saputo che nella sua squadra c’è una talpa, il che ti rende inutile' e detto questo la afferrò per il collo, premendo con forza ed energia alzandola di qualche centimetro da terra. Il colorito della ragazza sfumò sul blu, la bocca spalancata in cerca d’aria e le piccole mani su quelle del proprio aggressore con l’intento di sciogliere la presa.

'M-ma non s-sanno che s-sono io' biascicò lei. 'P-pensano sia Jasmine, p-potrei farglielo credere e mettere l’uno c-contro l’altro' e le mani del boss la lasciarono facendola cadere a terra. La ragazza tossì, portandosi istintivamente una mano al collo.

'Spero per te che funzioni' e prese posto su una poltrona. 'Comunque ci serve un’ulteriore distrazione, giusto per farci guadagnare un po’ di tempo per preparare la prossima mossa'.

'P-potremmo dar loro delle… attenzioni indesiderate…' buttò lì una terza voce.
Il boss fissò intensamente negli occhi il ragazzo, intimorendolo ancor di più (se possibile), invitandolo con un cenno della mano a proseguire. 'S-sappiamo che le famose avvocatesse sono Courtney e Heather, quindi perché non spingere la polizia verso quella pista?'.
 
'Questo potrebbe momentaneamente distrarli da noi, e soprattutto da me' commentò la spia ancora intenta a massaggiarsi il collo. 'Saranno così occupati a proteggere quelle due da abbassare la guardia'.

Un largo ghigno gli deformò i tratti del viso quando diede l’incarico al suo uomo.







___________________
ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti, come state? :))
Dunque, per questa settimana direi di aver fatto abbastanza!!!
Venendo a noi, come avete sicuramente capito non sono brava a scegliere i nomi, ergo li copio altrove: il capitolo precedente, ad esempio, parla delle "Akuma", la gang da cui provengono Josee e Jacques. Ecco, sappiate che "Miraculous" mi ha aiutato, LOL. Le "Iene", invece, dal nome della squadra di Stephanie e Ryan su "Missione Cosmoridicola" e così via.
Devo ammettere che ne sono successe di cose in questi pochi capitoli, spero solo di riuscire alla fine di tutto a spiegare e a far incastrare tutto D: (vi confesso che in questo momento sono ad un impasse, saprei anche come risolverlo in realtà ma questo vorrebbe dire eliminare scene che ho già scritto e francamente mi piacciono troppo per non inserirle nella storia D:).
Staremo a vedere...
Come sempre, un GRAZIE a tutti voi che siete arrivati fino a qui! <3 se avete teorie, perplessità o vi va solo di mandarmi a quel paese per aver sciolto una delle vostre ship  preferite *cough* DXC *cough* sapete dove trovarmi!

Un bacio e un abbraccio a tutti! <3

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Capitolo 23
*** CAPITOLO 21 ***


GIOVEDI’ 15 OTTOBRE 2020
 
GWEN
Come se non fossero già abbastanza in quella casa, viavai esclusi, si erano aggiunte poco meno di una settimana prima altre due ragazze… se così poteva definirle…
Alla gotica Eva e Jo non erano mai piaciute: arroganti, aggressive, super pompate e per nulla femminili – beh, non che lei lo fosse particolarmente. Ma di certo non era l’unica a non sopportarle; rispetto a loro, Anne Maria era quasi più simpatica. Quasi, però.
In quell’esatto momento, infatti, Jo, la bionda, se la stava prendendo con Cameron, giunto lì su richiesta del boss per aggiornare il sistema di sicurezza della casa. 'Spero non vi serva supporto fisico, preferirei qualcosa di più “accademico” ' ribatté lui ad una frecciatina dell’altra in merito alla sua utilità all’interno del gruppo.
 
'Ne ero certa, stuzzicadenti! Ma dimmi come fa quel corpicino a sostenere quel testone?'.
 
'Perché la mia forza è la mente!'.
 
'E allora sei mentalmente instabile se pensi di poter aiutarci senza usare il fisico. Stammi lontano' concluse lei decisa affiancando la compare Eva intenta ad allenarsi con i manubri in mezzo al salotto. Gwen e Heather si scambiarono degli sguardi consolatori, consapevoli delle giornatacce che sarebbero loro spettate da lì in poi.
'Cerca di starmi alla larga se ci tieni ai gioiellini' continuò Jo in direzione di Topher, che la stava tenendo d’occhio da un bel po’.

'Ma chi ti si fila' disse lui riportando la sua attenzione sullo schermo del computer su cui stava smanettando Cameron, strappando un mezzo sorriso alla gotica.

'E tu, mozzarella, che scarabocchi?' continuò Eva, il sudore che le imperlava la fronte.
 
'La mia prossima mostra' rispose Gwen tranquillamente aggiungendo del nero alla propria bozza.

L’asiatica si spostò quel tanto che le bastava per scorgere il suo disegno. 'Sempre più allegra, vedo' fece Heather sarcastica sorseggiando da una tazza.

'Invece di criticare, pensa a cosa raccontare oggi a Dakota' disse la gotica picchiettandola sulla testa con la matita.

'Che se me ne sono andata è perché volevo stare lontana da quelle imbecilli oche bionde che non muovono un dito se non per i propri porci comodi' rispose Heather togliendole di mano la matita e scoccandole un’occhiataccia.

'Dì solo che ti licenzi e siamo a posto'.
 
 


 
COURTNEY
Era intorpidita: aspettava seduta già da mezzora, in attesa che qualcuno si presentasse in sala riunioni.
La polizia era giunta quella mattina presso lo studio legale, nel bel mezzo di un meeting tra colleghi, chiedendo “gentilmente” di poter avere un “colloquio” con l’ispanica. Inutile dire quanto lei fosse nervosa, non sapendo esattamente che cosa le sarebbe spettato, di sicuro mettere in pratica (di nuovo) le sue doti recitative: nella migliore delle ipotesi se la sarebbe cavata egregiamente, riuscendo a tornare a casa a fine lavoro; nella peggiore, invece, l’avrebbero forse arrestata… benissimo.
Incrociò le braccia al petto e accavallò le gambe, facendone così dondolare una, impaziente, con il signor McCord alla sua destra a volerla rappresentare.
Finalmente, un poliziotto fece capolino nell’ampia stanza e, percorsa l’intera lunghezza della tavola ovale, prese posto innanzi a loro. 'Signorina Barlow, le dice niente il nome “Fleckman, Fleckman, Cohen and Strauss”?' chiese l’uomo senza molti giri di parole.
 
'Buongiorno anche a lei' fece Courtney cercando di rimanere impassibile. 'Comunque no, dovrebbe?'.
 
'Penso sia a conoscenza della vicenda Nelson e delle due “avvocatesse”, la stampa non fa altro che parlare e alimentare le voci' continuò lui, la spagnola annuì appena. 'Bene, abbiamo confrontato una delle due figure femminili presenti nel video risalente il 30 luglio - il giorno prima del rilascio di Nelson per intenderci - con quella dei video ancora custoditi alla stazione di qualche tempo fa, quando lei ha cominciato a lavorare per il signor McCord. Cosa strana, la sua figura e quella della presunta avvocatessa combaciano' e il poliziotto le mostrò i due video da un tablet. Nel primo, avente data marzo 2019 e di cui non aveva il ben che minimo ricordo, c’era lei in primo piano, con un tailleur nero, accanto al signor McCord, tenente tra le braccia una serie di carte e documenti; nel secondo, invece, era in compagnia di Heather, entrambe travestite ovviamente.
Al termine dei video, il poliziotto la fissò negli occhi, probabilmente alla ricerca di qualche cedimento. 'Dove si trovava giovedì 30 luglio alle ore 14.00?'.
 
'Mi sta per caso accusando di aver vestito i panni di un avvocato pur non avendo fatto l’esame di stato? Conosco la legge e quella non sono io' affermò decisa, corrucciando la fronte e fingendosi offesa per quell’insinuazione.
 
'Risponda alla domanda, per favore'.
 
'Non ricordo che cosa ho fatto quel giorno, signore. So solo che una volta uscita dall’ospedale ero disperata dato che, a causa dell’incidente che ho avuto, non ho alcun ricordo degli ultimi anni'.
 
'Posso confermare' fece l’avvocato accanto a lei. 'Sta facendo un enorme lavoro qui allo studio per mettersi in pari con tutti gli altri'.
 
'Quindi non ha proprio idea di chi sia Duncan Nelson?' continuò il poliziotto ignorando il signor McCord e mostrandole una foto segnaletica del punk, identica a quella mostrata in televisione.
 
'È quello del notiziario, il criminale, no?'.
 
'A parte questo, non le viene in mente altro?'.
 
'Perché dovrei sapere qualcosa su di lui? È stato un nostro cliente?' domandò in direzione del suo mentore, il quale però scosse la testa. 'In tal caso, le ripeto che non so nulla' fece, cercando di rimanere nel personaggio.

L’uomo innanzi a lei sbuffò. 'Quindi non ha un alibi per il 30 luglio'.
 
'Il fatto che non ricordi nulla non significa che non ce l’abbia' continuò lei cercando di controllarsi dal tirargli uno schiaffo. 'Comunque, non ho più intenzione di rispondere ad una sola domanda, data la mancanza di prove'.
 
'Il video è una prova'.
 
'Se è così perché non ho addosso le manette?!' e detto ciò si alzò dalla sedia, riuscendo a strappare un risolino all’avvocato. 'Le auguro una buona giornata'.
Uscì alla svelta, gli sguardi dei suoi colleghi puntati addosso, incuriositi da quanto avvenuto nella sala riunioni; assottigliò gli occhi, fissando malevolmente ciascuno di loro. Cercò di fingere più che poté fino a quando non raggiunse il bagno. Assicuratasi che non ci fosse nessuno, si catapultò dentro ad una delle cabine e cedette: vomitò. Ansia, paura, tutto quello che aveva in corpo in quell’esatto momento lo stava buttando fuori. Pensava di essere forte abbastanza, ma a dire il vero la situazione le stava sfuggendo di mano, anzi le era già scivolata tra le dita.



 
HEATHER
Era già buio, le giornate si erano accorciate sempre più portando con sé un repentino cambio di temperatura. Quel giorno poi, come se non bastasse, aveva piovuto a dirotto: nel pomeriggio, lungo il tragitto verso il negozio, lei, Alejandro e Lightning erano stati colti alla sprovvista dalla pioggia ritrovandosi inzuppati fradici dalla testa ai piedi. Per non parlare della sfuriata ricevuta da Dakota per aver bagnato il suo “adorato” pavimento in legno… Fortunatamente, però, aveva detto addio a persone come la suddetta e aveva cercato di porre fine al suo rapporto di lavoro il più sbrigativamente possibile pur di non perdere altro tempo prezioso con la bionda, evitando accuratamente di rispondere a qualsiasi domanda in merito alla sua assenza.
Tornati subito al “quartier generale” – aka la “casa degli orrori di Gwen” – si era liberata dei vestiti estivi sostituendoli con quelli un po’ più pesanti, tra cui dei leggins felpati e un maglione nero di qualche taglia più grande, preso in prestito da Alejandro, dal momento che quello scemo di Lightning aveva preso dal suo appartamento, sì e no, qualche maglia.
 
Alejandro.
 
Non sapeva che tipo di relazione avesse intrapreso con lui: inizialmente passionale, governata dal desiderio, poi tormentata, fase questa in cui lo aveva odiato più di qualsiasi altra cosa al mondo; non a caso, era a causa sua se era stata rapita, rinchiusa in quella fetida cella e aggredita da quell’infame del fratello. Tuttavia bisognava riconoscergli il giusto merito per averla salvata dalle grinfie del nemico, mettendo in pericolo la sua stessa vita e quella di Carlos.
 
Carlos.
 
Di lui non sapevano nulla, se non che era stato ferito da José. Era ancora vivo? Oppure… no, non ci voleva pensare, non voleva credere all’altra alternativa altrimenti per Alejandro sarebbe stato un durissimo colpo, e questo avrebbe fatto male persino a lei. (S)fortunatamente per il latino, a distrarlo ci pensava quel buono a nulla di Duncan: più di una volta, infatti, li aveva sorpresi a confabulare e a bisbigliare tra loro, di cosa però non aveva colto.
 
Improvvisamente, risvegliandosi dai propri pensieri, udì la voce di Courtney, di ritorno dallo studio, intenta a discutere animatamente con Scott. 'Te l’ho detto, nel video non si vede la mia faccia! Non hanno prove, altrimenti mi avrebbero già arrestata!' esclamò lei sbattendo la propria valigetta sul tavolino in salotto e buttandosi a peso morto sulla prima poltrona libera. Si passò le mani tra i capelli castani, esausta.
 
'Quel poliziotto potrebbe tornare, dovremmo montare su una storia credibile, ora' parlò Scott, più a se stesso che ad altri.
 
'Aspetta, aspetta, aspetta… COSA?!' chiese sorpreso Duncan mettendosi a sedere sul divano.

La spagnola sospirò. 'Oggi un poliziotto si è presentato in ufficio e ha voluto farmi qualche domanda' spiegò Courtney. 'Hanno scoperto che una delle due avvocatesse alla stazione ero io'. Heather sgranò gli occhi preoccupata più di tutti i presenti lì dentro: che avessero scoperto che l’altra ragazza era lei? La stavano cercando per interrogarla? E se fossero già andati all’appartamento e non avessero trovato nessuno? Questo avrebbe potuto sembrare alquanto sospetto agli occhi della polizia. Merda. 'Non penso sappiano di te, Heather' continuò l’ispanica notando la sua faccia allarmata. 'Mi hanno beccata a causa di un vecchio video in cui ero alla stazione con il signor McCord a rappresentare un detenuto, di cui, tengo a precisare, non ricordo assolutamente nulla' e prese a massaggiarsi la fronte e a strizzarsi le palpebre.
 
'Devono aver confrontato i due video' affermò Topher. 'Ma come facevano a sapere che era Courtney quella da controllare tra tutte le donne passate in quel posto?'.
 
'Mal ha una talpa, ricordi?' fece Duncan a braccia conserte.
 
'TALPA, CHE TALPA?!' esclamò sorpresa Anne Maria, gli occhi fuori dalle orbite; Scott tirò uno scappellotto al punk. Ah, ecco di cosa confabulavano gli uomini di casa negli ultimi giorni…
 
'Mal ha una talpa nella polizia' specificò Topher. 'Ma non avendo contatti lì non sappiamo chi possa essere'.
 
'Io punto tutto su quella MacArthur' intervenne Gwen. 'Io e Cameron non abbiamo trovato sue informazioni prima dell’entrata in accademia di polizia'.
 
'Questo perché ha cambiato identità' s’intromise Cameron con il portatile in mano. Lo appoggiò sul tavolino, al centro della stanza e a portata di tutti. 'Vi presento Valentina Escobar, colei che ha contrabbandato frutta e verdura lungo il confine da quando aveva cinque anni, in più ha anche una fedina lunga un chilometro ed è per questo che si è dovuta iscrivere in accademia con un altro nome'.
 
'Ah, ve l’avevo detto io!' esclamò Gwen dando una gomitata al punk. 'È sicuramente lei la talpa!'.
 
'Non lo so…' pensò Duncan un po’ scettico grattandosi il pizzetto. 'Ma è bene prendere in considerazione qualsiasi ipotesi. Topher!' chiamò poi. 'Aggiorna la lavagna'.
 
'Non sono il tuo schiavetto!' fece il castano; tuttavia scoprì la lavagna magnetica e la aggiornò con il nome della poliziotta.
 
'Ehi, cos’è quella?!' domandò sorpresa Jo indicando la superficie adornata di scritte, nomi e foto relativi alla gang nemica. In effetti non avevano più guardato la lavagna da quando la spagnola aveva appuntato il nome di quello psicopatico del loro nemico e del suo disturbo della personalità.
Courtney spiegò alle nuove arrivate il lungo lavoro da lei svolto durante la sua permanenza a casa della gotica, indicando uno ad uno i volti appesi, e ricevendo dalle altre la più totale attenzione. 'Mi sa che te ne manca uno: il locatore del motel'.
 
'Sapreste descriverlo?' domandò Gwen attrezzandosi di carta e penna. 'Potrei provare a fare un ritratto'.
 
'Non diciamo idiozie, e se quello fosse stato sul serio il locatore? L’avranno poi ammazzato per non lasciare testimoni' dissentì Duncan.
 
'Ci sarebbe stato un corpo in quel caso' pensò Eva.
 
'Ti ricordo che hanno freddato anche i nostri amici quella sera, eppure i corpi non li hanno trovati. Zero' rincarò il punk. 'E tu dov’eri quando tutto ciò accadeva?' chiese poi arrabbiato in direzione del latino. Non seppe dire il perché, ma il cuore di Heather aveva preso a pompare più velocemente. Sapeva che i compari del punk erano stati uccisi per mano di quel pazzo di Mal, ma Alejandro che ruolo aveva giocato in tutto quello? Lui aveva giurato di non aver ucciso nessuno, quindi cosa stava facendo?
 
Il latino deglutì appena prima di rispondere: 'Carlos mi ha detto di aspettare in macchina e di scaldare il motore in caso di fuga'.
 
'Dev’essere così perché noi non lo abbiamo visto quella sera' affermò Eva squadrando il ragazzo da capo a piedi; Heather tirò un sospiro di sollievo. Dopodiché, ignorando i commenti e i brontolii del punk, le due palestrate si misero ai lati di Gwen a descrivere il locatore in maniera minuziosa, dettaglio dopo dettaglio.
 
 
 

 
La gotica impiegò una mezzora abbondante prima di ultimare il lavoro.
'Allora, che ve ne pare?' disse girando il ritratto verso di loro. L’asiatica spalancò gli occhi: quella persona l’aveva già vista, e lo stesso valeva per Courtney, in piedi accanto all’ex marito con la bocca spalancata dall’incredulità. Mai avrebbe immaginato che un tipo simile, pateticamente sicuro di sé, sarebbe stato in grado di fare il doppiogioco. Poi però capì perché Mal avesse mandato in prima linea uno come lui: se quel giorno ci fosse stata lei al motel, al posto delle due palestrate, e un tipo alto e muscoloso - e sospetto - come José o Ryan avesse bussato alla porta, col cavolo che gliela avrebbe aperta!
 
'Adesso basta fare una ricerca al computer e il gioco è fatto' commentò Topher.
 
'Non ce ne sarà bisogno' intervenne Courtney seria. 'Ragazzi, vi presento Maximilian Stering, il poliziotto alla reception che io e Heather abbiamo avuto il “piacere” di conoscere. La spia è lui'.
 
'Frena un attimo' fece la gotica perplessa. 'E come me la spieghi questa Valentina Escobar?' ma dalla spagnola ricevette solo spallucce.
 
'Forse è solo una ragazza che si è costruita una nuova vita…' buttò lì Bridgette.
 
'Se così fosse, io avrei in mente qualcosa' propose Heather; nella sua testa iniziò lentamente a prendere forma un piano, in grado di eliminare i riflettori sulle due avvocatesse una volta per tutte, cercando di allontanare sempre più la polizia e mettere a tacere i media.
Tutti la fissarono, in attesa che parlasse.
 
 
 

 
§
 
 
 

 
'Ho saputo che oggi la polizia ha interrogato mia figlia, tu ne sai qualcosa?'.
 
'Può essere' rispose l’altro.
 
L’uomo lo squadrò, in attesa di spiegazioni; un piccolo registratore tra le mani.
'Ora le staranno con il fiato sul collo! Potrebbe venire a conoscenza di fatti che fino ad ora le sono stati celati'.
 
'Se ti riferisci a Scott, beh, mi duole dirtelo, ma a quest’ora si trova proprio con lui… e con altre persone che tu e tua moglie ritenete pericolose'.
 
'Che intendi dire?' chiese l’uomo stupito.
 
'Scusa se non ti ho informato prima, ma la tua dolce bambina non abita più in quel piccolo appartamento' fece il ragazzo quasi compiaciuto. 'Non ti sei mai chiesto come mai ogni volta che vi vedevate preferiva farlo in un bar o in un ristorante, invece che a casa propria?' e l’uomo boccheggiò. 'Lei e Heather si sono stabilite a casa di Gwen, insieme a Duncan, Scott e la loro banda di sfigati'.
 
'C-CHE C-COSA?!' urlò il cinquantenne innanzi a lui, quel dannato registratore ancora stretto in mano, se solo avesse potuto strapparglielo dalle sue grinfie. 'IO TI HO PAGATO PER METTERE FUORIGIOCO QUEI DUE FARABUTTI E PROTEGGERE COURTNEY!'.
 
'Le cose si sono rivelate più complicate del previsto, soprattutto a causa di tua figlia' rispose tamburellando le dita sul bracciolo della sedia. Entrambi sospirarono cercando di riprendere il controllo di sé, in particolar modo lui, Mal.
 
'Andrò a trovarla di persona e mi farò dire tutto. Ha la mentalità di quattro anni fa, dovrei riuscire a convincerla a stare dalla mia parte' riprese il vecchio.

Dalle labbra di Mal uscì una risata quasi divertita. '
Parli della stessa ragazza che ha difeso un piromane, è andata a convivere con una dark depressa e i membri di una gang “spietata”, e magari scopato con il capo di questa?' e sorrise alla vista del padre di lei impallidire sempre più, ovviamente scioccato da tutte quelle scoperte in una volta sola. 'Vuoi che distrugga Nelson e Wallis? Dammi tempo; sono riuscito a mettere in galera quel punk demente una volta e mi sono avvicinato tanto così da far fuori l’altro'.
 
'Infatti i risultati si vedono' commentò acidamente il vecchiaccio.
 
'Finora ho soltanto voluto giocare con la preda' ghignò.
 
'Beh, adesso che ci hai giocato smettila! Porta a termine quello che hai cominciato, Mal, altrimenti sai cosa succederà' e gli mostrò il registratore con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto.
 
 
 
 
 
 
 
Finito quel calvario avrebbe ucciso anche lui.
Promesso.
 
 

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Capitolo 24
*** CAPITOLO 22 ***


SABATO 17 OTTOBRE 2020
 
MACARTHUR
Pareti rosa, tavolini bianchi sormontati da tovaglie a scacchi fucsia e palloncini color pastello circondavano l’enorme sala gremita di bambine urlanti e qualche adolescente.
E lei. Circondavano anche lei, MacArthur, ex poliziotta, la cui fama di donna dura e spaccona era tramontata in tempo zero, costretta ad indossare un’orrenda uniforme rosa e acconciare i capelli con due codine e tanto di cerchiello con un corno argentato al centro.
'Un succo arcobaleno Pegaso, per favore' fece una ragazzina seduta al tavolo. Annotò l’ennesima ordinazione sul taccuino (rosa anch’esso) e si diresse verso il bancone, dietro al quale si trovavano le persone più insopportabili che avesse mai incontrato. Rispetto a loro i criminali erano più simpatici e interessanti.

'Due succhi arcobaleno Pegaso, un Celestia muffin e cinque Rainbow brownies' disse lei svogliata.

'Arrivano subito' parlò eccitata la ragazza davanti a sé.

In attesa degli ordini, prese posto su uno sgabello pensando a cosa di sbagliato avesse fatto nella vita per ritrovarsi in quell’orribile casa rosa delle Barbie, la vita presente s’intendeva perché in quella passata sapeva perfettamente cosa aveva combinato.
Valentina Escobar, era questo il suo vero nome: criminale (se così si poteva definire) dall’età di cinque anni, ovviamente non per sua scelta ma a causa della povertà e miseria in cui la sua famiglia era costretta a vivere, aggiungendo il fatto che non era nata nel Paese – e quartiere – giusto. Ma, fortunatamente, era riuscita a fuggire sotto falso nome da quel fetido posto trascinando con sé i suoi cari, cambiando sottosopra il loro stile di vita.
Era fiera di essere diventata una poliziotta e aver trovato una partner con cui andasse d’accordo… finché non le avevano sospese senza paga. Il solo pensiero le faceva ribollire il sangue dalla rabbia. D’altra parte, però, sapeva di non aver adempiuto ai propri doveri in modo ottimale, ma aveva preso – forse fin troppo – alla lettera le parole proferitele dal capo: togliere dallo scenario Nelson “a qualunque costo”.
 
 


 
MERCOLEDI’ 09 SETTEMBRE 2020
Erano sulla scena del crimine: i vigili del fuoco avevano domato le fiamme e gli artificieri erano già all’interno di quello che restava dell’edificio ad assicurarsi che tutte le bombe fossero esplose. L’area era stata delimitata con il solito nastro giallo, al di là del quale dei curiosoni stavano osservando e commentando la scena, tra cui la stampa ovviamente. 
Alla sua destra erano appostati i medici con l’ambulanza, intenti a curare le ustioni e le ferite riportate da alcuni individui: il rosso era quello messo peggio di tutti.
Aveva dato una gomitata a Sanders, la sua partner, accennandole una coppia di biondi con l’obiettivo di far loro qualche domanda e cominciare le investigazioni, intenzione destinata a sfumare giacché entrambe erano state richiamate all’ordine dal nuovo capitano.
'MacArthur, Sanders' aveva chiamato autoritario. Aveva preso servizio da qualche ora – informandosi in tempo record di tutti i crimini avvenuti negli ultimi mesi in città - e già non lo poteva più sentire o vedere. Malvolentieri si era portata di fronte al superiore, salutandolo come previsto dalle formalità: mano tesa sulla fronte, schiena dritta, pancia in dentro e petto in fuori.
'Ci sono degli sviluppi' aveva cominciato lui. 'Gli artificieri hanno dato il via libera, alcuni dei nostri sono già dentro; per quanto riguarda i testimoni – e aveva indicato i ragazzi nei pressi dell’ambulanza – li ascolteremo una volta medicati, sperando ci voglia poco: si sa che più passa il tempo più si fatica a ricordare le cose. Voi che idea vi siete fatte?'.
 
'È ancora presto per trarre delle conclusioni, ma questo mi fa pensare si tratti di Nelson: lui in quanto ad esplosioni e incendi è un maestro' aveva detto MacArthur, e non lo avesse mai fatto.
 
'Come Nelson? Pensate possa aver commissionato un lavoro dal carcere? E perché colpire l’“All Stars”?'.
 
'Beh, tanto per cominciare tra lui e il proprietario, Scott Wallis, ci sono dei dissapori. E abbiamo il movente' aveva parlato Sanders. 'Inoltre, lui è stato rilasciato quindi potrebbe aver agito da solo'.
Un misto di confusione e sorpresa aveva solcato il viso del capitano, preludio della loro fine.
 
'È STATO RILASCIATO? QUANDO?' aveva sbottato aggrottando le sopracciglia e fulminandole con lo sguardo; e gli avevano raccontato tutto, dall’arresto alla presenza di quelle due maledette avvocatesse in stazione, al rilascio di quel mascalzone avvenuto il giorno seguente. 'Quindi avete arrestato e sbattuto in cella una persona senza prima verificare il suo alibi?'.
 
'A nostra discolpa c’è da dire che lui ci ha dato una versione diversa dalla realtà e come prova avevamo un suo identikit…' aveva cercato di giustificare il loro operato.
 
'Identikit fornito da un soggetto che poi è stranamente scomparso, non vi ha suscitato qualche dubbio? Dovevate andare fino in fondo con le indagini invece di fermarvi alle apparenze' aveva sbuffato l’uomo con disappunto. 'Siete sollevate da questo caso'.
 
'C-CHE COSA?' aveva fatto Sanders colta alla sprovvista.
 
'NON PUO’ FARLO' aveva aggiunto MacArthur.
 
'Non ho intenzione di mettere a repentaglio ancora una volta la reputazione della polizia' aveva affermato lui. 'Ci vediamo in centrale' e pronunciate le ultime parole si era avviato verso il locale distrutto.
 
 
 
 
'Non posso credere che siamo state sollevate dal caso' aveva iniziato Sanders accanto alla macchinetta del caffè, all’entrata della stazione. 'Voglio dire, stiamo parlando di un’esplosione! Non capita tutti i giorni'.
 
'Siete state sollevate?!' aveva chiesto Scarlett dalla sua postazione all’ingresso.
 
'A quanto pare non siamo state abbastanza scrupolose nel caso Nelson' aveva commentato la donna robusta. 'Vorrei non aver mai incontrato quelle due avvocatesse'.
 
'E fai bene a dirlo…' aveva aggiunto poco dopo la rossa timorosa della reazione delle due. MacArthur l’aveva guardata interrogativa, invitandola con un cenno a proseguire. 'Beh, ecco, ho fatto delle ricerche e ho scoperto che non esiste nessuno studio legale “Fleckman, Fleckman, Cohen and Strauss”. Penso che siamo state circuite'.

Entrambe le agenti avevano sgranato gli occhi dalla sorpresa, non potevano crederci. 'Ma tu avevi controllato nel database…'.
 
'Credo si siano servite di un hacker, ho trovato parecchie cose che non andavano nel sistema. Non solo in galera ci è finito un innocente, ma abbiamo lasciato che persone non qualificate accedessero ai file…'.
 
'MACARTHUR, SANDERS!' aveva urlato una voce maschile dagli uffici.
 
'…e ho dovuto fare rapporto al capitano. Mi dispiace'.
 
 
 
E la sospensione era giunta quello stesso pomeriggio.
 
 
 

 
'Eeeehhh, guarda Mac, un’altra cliente!' esclamò quasi urlando una ragazza grassa e di media statura, che, come MacArthur, portava due codini legati con due perline rosa, con l’unica differenza che alla prima piacevano sul serio. 'Vai, su!'. Roteò gli occhi e con manifesta malavoglia si diresse verso il tavolino occupato dalla nuova entrata, sorpresa da quella vista: era diversa dalla solita clientela; non era “colorata” o appariscente, e già da tempo non era più una teenager. Era fuori posto rispetto a tutto il resto: maglioncino e leggins neri, con tanto di anfibi ai piedi; capelli scuri, trucco pesante su occhi e labbra; unghie nere e anelli su ogni dito. La fronte era aggrottata, gli occhi assottigliati nell’intento di leggere il menù di quello stupido bar in cui si era ritrovata a lavorare.
 
'Benvenuta a “Unicorni e arcobaleni”, ha già deciso cosa prendere?' domandò lei, taccuino alla mano. La donna la scrutò e la bocca curvò riservandole un leggero sorriso, quasi compiaciuto. La odiava già.
 
'In realtà, avevo proprio bisogno di parlare con lei, MacArthur' fece questa indicandole con la mano la sedia vuota innanzi a lei.

L’ex poliziotta alzò un sopracciglio, sospettosa. 'Come sa il mio nome?' chiese squadrandola.
 
'C’è solo un modo per scoprirlo' e la invitò nuovamente a prendere posto.
 
'Senta, io qui lavoro, non ho tempo per queste cose'.
 
'Ci metterò poco' continuò l’altra. 'Sempre se è interessata a riavere indietro il suo vecchio lavoro'. Sgranò gli occhi a quelle parole: come diamine faceva a saperlo?
Si guardò intorno con aria circospetta, dopodiché, accertatasi che non ci fossero minacce, si sedette. Rimase in silenzio, le braccia conserte in attesa che fosse l’altra a cominciare.
Lentamente, la tetra donna sfilò dalla borsa una serie di fogli ponendoli poi sul tavolo, in bella vista affinché anche l’ex poliziotta potesse leggerne il contenuto. Si sorprese delle informazioni scritte, anzi chi riguardavano: quel cialtrone di Stering.
 
'Non capisco' ammise aggrottando la fronte.
 
'Il discorso è molto semplice: noi aiuteremo lei e Sanders a riavere il vostro posto in polizia' cominciò la donna mettendosi comoda e appoggiando il gomito sullo schienale della propria sedia. 'In cambio le chiediamo un piccolo favore, una cosa da poco in realtà'.
 
' “Noi”, chi?'.
 
'Questa è l’unica cosa che non le è data sapere' fece l’altra seria. 'Ora, queste che vede qui sono informazioni su uno dei suoi colleghi, Maximilian Stering. Scorrendo nella lettura lei e la sua partner troverete delle cose assai interessanti; fatto questo saprete come mettere di nuovo piede in centrale e tornare operative. Il favore che chiediamo è di eliminare qualsiasi prova, traccia, o indizio che possa identificare le due avvocatesse che l’hanno “incastrata” con il rilascio di Nelson'.

Avvampò, ora le cose si erano fatte più chiare.
'Lei è una di quelle avvocatesse per caso?!' domandò MacArthur arrabbiata. 'Non aiuterò lei e la sua compare a far cadere i sospetti che la polizia ha su di voi' e afferrò velocemente il fascicolo, un ghigno compiaciuto prese forma sul volto. 'Questo però lo accetto comunque: una volta riavuto indietro il nostro lavoro, sempre che queste informazioni siano veritiere ed utili, ci assicureremo di sbattere in galera lei e la sua complice'.
 
'Francamente dubito, se lei e la sua famiglia vogliate continuare a stare qui, signorina Escobar'.
Si drizzò sulla sedia, il suo corpo si irrigidì, cominciò a sudare freddo. Deglutì pesantemente, il cuore che pompava a mille. Quella donna sapeva. Adesso poteva sì dire di essere nella merda, e non solo lei, anche i suoi cari. 'Sapevamo non sarebbe stata facile da convincere, almeno non con le buone maniere' continuò la sua interlocutrice, fissandola con un sorrisetto sulla bocca. 'Legga il fascicolo, sbatta fuori quella maledetta spia dalla polizia, riottenga il lavoro ed elimini quanto richiesto. Ah, già che ci sono vorrei anche dei cupcake da portar via'.




 
GWEN
Era nel vialetto di casa, di ritorno da quell’orrendo bar, troppo rosa per i suoi gusti.

Dopo aver spaventato a dovere MacArthur, aveva pensato di acquistare qualche cupcake colorato per la ciurma che l’attendeva a casa, naturalmente in uno stato di agitazione, e di risollevare in qualche maniera gli spiriti tormentati di tutti loro. Sapeva perfettamente di aver corso un enorme rischio mostrandosi a quella poliziotta, ma in fondo era stata lei in primis ad insistere sulla questione “talpa” ed era più che giusto che quell’incarico lo sbrigasse lei e nessun altro. Ah, un premio più che meritato andava all’inventiva dell’asiatica, artefice del ricatto.
Girò le chiavi nella toppa, nemmeno il tempo di aprire la porta che la spagnola le corse incontro facendole venire un infarto, desiderosa - come sempre - di conoscere l’esito del piano. 'Allora, come è andata? Ha ceduto, ha detto che ci sta? Oppure ci sbatterà tutti quanti in galera?' chiese a raffica, preoccupata e spaventata. 'Perché non rispondi? Oddio, è andata così male?!'.
 
'Courtney, calmati!' ordinò Heather dietro di lei, le braccia conserte. 'È appena arrivata, lasciala respirare'. L’ispanica alzò gli occhi al cielo ma recepì il messaggio e lasciò andare Gwen, la quale si diresse in cucina a scartare gli acquisti.
 
'Ho fatto la mia parte' iniziò ponendo i dolci su un piatto apposito seguita dal gruppetto di amici. 'L’ho minacciata di rivelare la sua identità se non ci avesse aiutato. Non mi ha dato alcuna conferma ma sono sicura che non ci deluderà. Cupcake?' e guardò i presenti con un sorrisetto soddisfatto, indicando loro il dolcetto che teneva in mano.
 
'Io passo, grazie' fece Heather.
 
'Sei a dieta per caso?' chiese il punk sarcastico. L’asiatica lo ignorò, dando a tutti le spalle e allontanandosi, dirigendosi verso le scale. 'Beh, più cupcake per noi' commentò poi Duncan afferrandone uno al cioccolato e addentandolo con ingordigia; così come la maggior parte degli altri.
 
'La ragazza ha ragione, non vorrete mica che ingrassi?!' fece Anne Maria mettendo in mostra il proprio fisico, attirando l’attenzione di alcuni maschietti lì presenti, in particolare del punk: il poveretto ormai doveva essere in astinenza da un bel po’.
Fortunatamente, il campanello suonò distogliendola da quella disgustosa scena, ma mai avrebbe immaginato che a breve avrebbe assistito a qualcosa di peggio: il signor Barlow, incazzato nero, si trovava al di là della porta, lo sguardo omicida puntato su di lei attraverso lo spioncino. Merda, merda, merda.
Che cosa voleva questo?
 
'APRI! COURTNEY, SO CHE SEI QUI!' sbraitò l’uomo cominciando a battere i pugni sul legno; il panico prese il sopravvento e il cuore le salì in gola.

La spagnola si precipitò immediatamente al fianco della gotica, pronta all’attacco, anche se sorpresa quanto lei da quella visita.
 'Voi! Nascondetevi al piano di sopra e non fate rumore! Cameron, stai in sala, oscura i monitor e gira la lavagna' ordinò Courtney categorica al resto della banda, scuotendo energicamente Gwen per le spalle. Tutti obbedirono in silenzio, e solo quando anche l’ultimo membro sparì sulla rampa delle scale, aprì la porta, le mani tremanti e il battito accelerato.
Senza troppe cerimonie, l’uomo entrò travolgendo le due al suo passaggio; prese a camminare avanti e indietro, quasi a voler ispezionare tutta la casa, ignorando il nerd seduto a capotavola. 'P-papà, che sorpresa…' iniziò Courtney incerta grattandosi la nuca. 'Ehm, come facevi a sapere dov’ero?'.
 
'Sono stato nel tuo appartamento, e non c’era nessuno' rispose lui indignato. 'Il locatore se l’è presa con me perché tu e Heather siete indietro con l’affitto: ho dovuto pagare io per voi due. Esigo una spiegazione! Ma prima di tutto, dove si trovano?'. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata, ansiose.
 
'Di chi stai parl..?'.
 
'Non fare la finta tonta con me, Courtney!' e si precipitò verso le scale. 'Se non me lo vuoi dire tu, ci penserò io a scovare quei manigoldi'.
 
'Ma chi?'.
 
'Nelson e Wallis'.




 
HEATHER
'Si può sapere che diamine fate qui?!' esclamò lei furibonda con il solo asciugamano viola avvolto attorno al corpo. Aveva deciso di farsi una bella doccia calda, quando quella massa di cretini depravati aveva deciso di irrompere nel piccolo bagno e chiudersi dentro insieme a lei, l’acqua lasciata lì a scorrere.
 
'Potresti non urlare?!' fece Duncan, un orecchio appoggiato alla porta pronto a captare qualsiasi tipo di suono. 'Il paparino ha deciso di fare visita alla figlioletta'.
 
L’asiatica lo guardò interrogativa non capendo di che diamine stesse parlando; notando il suo smarrimento, a darle qualche delucidazione ci pensò Alejandro. 'Il padre di Courtney è qui' rispose il ragazzo con la sua solita voce profonda.
 
'CHE COS-' ma non fece in tempo a finire la frase che la mano del latino, premuta contro la sua bocca, la mise a tacere.
 
'Zitta, querida, altrimenti siamo spacciati' e lentamente la lasciò andare.
 
'Potevate nascondervi altrove' commentò lei a bassa voce. Infatti, lì dentro, ammassati, c’erano quasi tutti: quell’oca giuliva di Anne Maria, la gigantessa Jasmine, quell’imbecille di Lightning, le palestrate Jo ed Eva, Topher, Scott, Duncan ed Alejandro.
 
'Sento dei passi' sussurrò il punk allontanandosi improvvisamente dalla porta e sgranando gli occhi. 'È qui in corridoio' e premette l’indice contro la bocca facendo segno a tutti di rimanere in silenzio.

Dei colpi decisi li fecero saltare sul posto.
'APRI QUESTA PORTA!' sentirono urlare dall’altra parte.
 
'Papà, che cosa credi di fare?!' chiese Courtney.
 
'SENTO DELL’ACQUA, CHI C’E’ QUA DENTRO?!' e seguirono altri colpi, più forti rispetto a quelli precedenti.
 
'Non si arrenderà tanto facilmente' commentò Scott camminando avanti e indietro alla ricerca di una soluzione.

Heather roteò gli occhi, possibile che quei ragazzi grandi e grossi avessero paura di un viscido ometto di mezza età? D’accordo, il signor Barlow sapeva essere terrificante quando voleva, ma i suoi compari facevano parte di una pericolosa gang dopotutto. Sbuffò leggermente, sapendo di dovere intervenire (ancora una volta) per salvare il culo a tutti. 'Nascondetevi dietro la tenda della doccia, ci penso io' disse risoluta facendosi largo tra la folla per raggiungere la porta.
 
'Alt, che intenzioni hai?' protestò Duncan afferrandole la piccola mano, già appoggiata sul pomello della porta.
 
'Fate come vi dico' e lanciò una stilettata ad ognuno di loro. Jasmine, Jo ed Eva eseguirono, trascinandosi dietro Lightning e Topher.
 
'Spero per te che funzioni' e anche Scott sparì dietro la tenda.
 
'Che cosa?! Siete tutti impazziti forse? Non ho intenzione di entrare nella doccia e bagnarmi i capelli, sapete quanto ci metto ad acconciarli così?!' si lamentò Anne Maria portandosi le mani ai capelli, la fronte corrucciata in segno di disapprovazione.
 
'Credimi, la doccia potrà solo che migliorarli' commentò Duncan spingendola da dietro.
 
'Duncan, è una pistola quella che sento o sei felice di vedermi?' chiese lei con tono alquanto malizioso; la cosa imbarazzò il punk a morte, tanto era rosso in volto. Heather e il latino si scambiarono un’occhiata, entrambi sbalorditi da quella scena.
 
'Ma che cazz…' cominciò Duncan abbastanza confuso.
 
'Sentite piccioncini, potete continuare a fare le vostre cose anche dentro la doccia. Muovetevi!' esclamò Alejandro nascondendo tutti i membri dietro la tenda azzurra, l’acqua calda che li bagnava.
 
La porta stava per essere scardinata, tanta era la (pre)potenza usata nei colpi, quando l’asiatica, raccolto il coraggio e preparatasi ad una delle sue migliori performance teatrali, la aprì ritrovandosi faccia a faccia con il genitore di Courtney. Ricambiò il suo sguardo furente con un altro carico di astio, quanto detestava quell’uomo.
'Signor Barlow, a cosa devo l’“onore”?' parlò lei per prima. 'Stavo giusto per farmi una doccia…'.
 
'Non fare la furba con me, Heather. Come hai potuto lasciare che mia figlia venisse ad abitare in un posto simile?! Ti avevo chiesto di tenerla d’occhio! Forse i soldi che ti ho dato non erano abbastanza per te?!'.
 
'C-come hai detto, papà?' domandò la spagnola fissando prima l’uomo e poi l’amica.
 
'Tuo padre mi ha pagata per tenerti buona e rinchiusa in casa, ricordi?' confermò l’asiatica a braccia conserte aggrottando la fronte. Il suo sguardo rimase fisso sul padre dell’altra, i cui occhi però erano rivolti alla ferita sulla sua spalla, quella dello sparo.
 
'Cosa ti sei fatta? L’ultima volta che ti ho vista non avevi i punti' notò l’uomo sospettoso. Heather fu colta alla sprovvista, non sapeva cosa raccontare. Quasi boccheggiò.
 
'È il motivo per cui ho chiesto a Heather di andare a vivere altrove, da una sua conoscenza. È così che ho incontrato Gwen' spiegò l’ispanica. Heather e Gwen la guardarono spaesate: nella sua testa si era già preparata una scusa plausibile da rifilare al genitore, fortunatamente per loro; sperò solo che fosse abbastanza buona da rabbonirlo e mandarlo via da lì. 'Qualcuno è entrato nel nostro appartamento e ci ha aggredito. Heather ha cercato di reagire ma quell’uomo l’ha ferita' continuò Courtney seria. 'Non so cosa volesse da noi, ma ha detto che ci avrebbe uccise e tu saresti stato il prossimo'.

L’uomo sgranò gli occhi, dai quali si leggeva la sua confusione mista a paura. 'Perché non me lo hai detto? Hai denunciato la cosa alla polizia? Lui ti ha toccato? Chi è stato, sapresti riconoscerlo?' chiese a raffica preoccupato a morte.
 
'Ci ha minacciate di ritornare se avessimo sporto denuncia, e per precauzione mi sono rivolta a Gwen. Ho dovuto farlo' continuò l’asiatica reggendo il gioco all’altra.
 
'Sappiamo chi è stato' buttò lì Courtney. 'Era il tipo del telegiornale, il fidanzato della ragazza morta, Mike Doran mi sembra'.
Al signor Barlow quasi mancò l’aria, dovette sedersi sul pavimento per riprendersi dalla notizia – inventata di sana pianta dalla figlia. Si tolse gli occhiali per strofinarsi le palpebre, poi passò le dita tra i capelli.
'P-papà, tutto bene?' domandò cauta Courtney inginocchiandosi accanto a lui. 'Chi è Mike Doran, cosa hai fatto per avercelo contro?'.

L’uomo fece un lungo e profondo respiro per calmarsi, iniziò a biascicare qualcosa ma fu interrotto da un tonfo proveniente dal bagno, alle spalle di Heather, la quale fece un balzo per la paura. 'C’è qualcun altro in questa casa?' domandò il signor Barlow.
 
'Beh, al piano di sotto c’è Cameron, un amico di Gwen…' ma il cinquantenne si alzò velocemente, dirigendosi verso Heather che si paralizzò sul posto.
 
'Chi c’è in bagno con te? Chi state nascondendo?' proseguì lui notando le facce delle tre ragazze colte dal terrore e spostando in malo modo l’asiatica dalla soglia. Presto avrebbe scostato la tenda e avrebbe scoperto tutto, ora più che mai serviva un miracolo.


 
Ed arrivò.
Un bagnato Alejandro a torso nudo con addosso il solo asciugamano, legato alla vita, si palesò innanzi a loro facendo quasi trasalire il vecchio per la sorpresa.
 'Heather, mi amor, perché ci metti così tanto, sei stata tu a insistere per fare la doccia insieme' dichiarò il latino affabile. Alla visione di quei meravigliosi pettorali e degli addominali scolpiti, le ragazze andarono in un brodo di giuggiole.
 
'E tu chi saresti?' fece il signor Barlow scorbutico.
 
'Il suo ragazzo' e indicò l’asiatica, paonazza in volto. 'E lei..?'.
 
'Io non voglio sapere nulla di quello che avete in mente di fare voi due' affermò deciso mettendo tra loro una certa distanza. 'Courtney, ti aspetto di sotto' e si diresse verso le scale.
 
'Ottima pensata' commentò la gotica tirando un sospiro di sollievo in direzione di Alejandro. 'Se non stessi con Heather ti bacerei'.
 
'Lui non sta con me!' esclamò l’asiatica lanciandole una stilettata.
 
'Quindi posso baciarlo?'.
 
'NO' rispose l’altra asciutta, provocando dei risolini. 'E tu che cosa ti sei messa in testa?'.
 
'È l’unico modo che ho per far parlare mio padre. Non so se lo hai notato, ma ha reagito male quando ho menzionato Mike' rispose Courtney. 'Sotto c’è qualcosa di strano, te lo dico io' e si avviò verso il salotto, evitando di far aspettare ulteriormente il genitore; meglio, pensò Heather, altrimenti sarebbe stato capace di torchiare Cameron con qualche domanda delle sue fino allo sfinimento, e certamente il nerd non avrebbe retto ad uno dei suoi scrupolosi interrogatori. La gotica la seguì, non prima di aver lanciato uno sguardo eloquente all’asiatica e al latino al suo fianco.
Questi ultimi ritornarono nel piccolo bagno assicurandosi di chiudere bene la porta alle loro spalle.
Heather costrinse quei pelandroni ad uscire dalla doccia, ancora furiosa per la loro intrusione.
 
'Chi è il deficiente che ci ha quasi fatto scoprire?!'.
 
'Lightning' disse Scott, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, così come tutti gli altri.
 
'Non è colpa mia, mi ha spinto Jasmine'.
 
'Non vi sopporto più, fuori!' ordinò Heather spalancando la finestra e invitandoli calorosamente ad andarsene.

Duncan aggrottò la fronte. 'Sei pazza per caso? Siamo al primo piano, potremmo farci seriamente male' commentò poi. 'E fa freddo fuori'.
 
'Bene, allora stattene qui rinchiuso in eterno con Anne Maria' replicò l’asiatica indicando l’altra mentre mandava al punk segnali non affatto confusi su quanto avrebbe voluto provare la sua “pistola”.

A quella vista, il ragazzo deglutì pesantemente e si affacciò alla finestra. 'Tutto sommato non è così alto'.
 
'Rammollito, ti mostro io come si fa' ed Eva si buttò senza alcun problema, atterrando con maestria senza farsi alcun graffio.
 
'Io mi rifiuto categoricamente' disse Anne Maria pettinandosi i capelli zuppi e cercando di sistemarli alla bell’e meglio; ma Jo le afferrò la spazzola e la scaraventò di sotto costringendo la compare a saltare giù pur di recuperarla. Cosa non avrebbe fatto quell’oca pur di ritoccarsi la messa in piega…
 
'Eccellente! Fatti da parte, coscine di pollo!' fece Jo spostando il punk. 'Sei pronto, fratello?'.

'Io sono nato pronto' rispose Lightning gasato a mille, e i due seguirono le altre, così come Jasmine, la quale si lanciò senza problemi, talmente era alta che per lei la distanza finestra-giardino sarebbe risultata una passeggiata.

'Bene, ne restano quattro' commentò Heather scrutando i ragazzi rimasti.
 
Scott fece spallucce e si issò sul cornicione, borbottando qualcosa sul fatto che, nonostante il boss lì dentro fosse lui e nessun altro, gli altri si erano presi fin troppa libertà a trattarlo diversamente. 'Muovetevi voi o giuro che vi sparo a una gamba' e si calò, seguito da uno svogliato punk e un nervoso Topher, il quale atterrò prepotentemente di sedere beccandosi le risa di Duncan. L’asiatica portò le braccia al petto e scrutò il latino, ancora a torso nudo, le goccioline d’acqua che percorrevano le linee dei muscoli.

'Ancora così sei? Vestiti e buttati' disse Heather indicandogli la via. Il latino mostrò un ghigno e si avvicinò alla finestra: la chiuse con uno scatto secco e si portò di fronte alla ragazza, imbarazzata e con un lieve rossore a colorarle le gote. 'Che fai?'.

'Beh, dobbiamo far credere al signor Barlow che noi due stiamo insieme. Non sappiamo per quanto ancora starà qui, e se non mi vedrà più potrebbe insospettirsi' spiegò lui.

'Non fare il furbo con me, Burromuerto'. Lui sembrò non ascoltarla e difatti l’afferrò per i fianchi; camminò, obbligandola ad indietreggiare ed entrare nella doccia.

'ALEJANDRO, RAZZA DI IMBEC…' ma le sue parole furono soffocate da un bacio. Le loro labbra si incontrarono, esigenti di sentire il sapore dell’altra persona, intrecciando di tanto in tanto le lingue. Si baciarono con foga, quasi a recuperare il tempo perduto dall’ultima volta. Gli asciugamani scivolarono lentamente verso il basso, scoprendo piano piano il proprio corpo e sentendosi ancora una volta vulnerabili; l’acqua calda che scorreva sopra le loro teste.




 
COURTNEY
Mai in vita sua aveva visto suo padre così impotente: stava seduto sulla poltrona di fronte a lei, lo sguardo basso, le mani intrecciate sul grembo. Gwen fece capolino, portando con sé un vassoio d’argento, sormontato da tazze fumanti di the e alcuni cupcake avanzati, che posò delicatamente sul basso tavolino. 'Si serva pure, signor Barlow' disse la gotica prendendo posto accanto a Courtney, che stava già sorseggiando la bevanda calda. Suo padre afferrò a sua volta una delle tazze e bevve lentamente.
 
Courtney si schiarì la gola e cominciò: 'Dunque, papà, cosa c’è tra te e questo Mike?'.

L’uomo sospirò amaramente e l’ispanica gli lasciò tutto il tempo necessario prima di rispondere. 'Mike Doran è – o meglio era – un mio paziente' parlò lui. 'Si è presentato nel mio studio verso i primi di marzo e mi ha raccontato di avere un disturbo della personalità: per fartela breve, in determinate situazioni si trasforma, diventa una persona completamente diversa'. Fece una breve pausa nella quale sorseggiò dell’altro the. 'In tutto possiede sei personalità, e tempo fa quella principale, in grado di prevalere sulle altre, era la versione buona di Mike'.
 
' “Tempo fa”? Vuol dire che è stata sostituita?' domandò la gotica recitando la parte della finta tonta.
 
'È accaduto così in fretta' proseguì suo padre. 'Durante una delle nostre sedute si è trasformato, non so di preciso cosa avesse “innescato” la nuova personalità, ma è stato devastante. Prima hai detto che vuole farmi fuori, giusto?' chiese poi scrutando la figlia. 'Forse so il perché. Vedi, io ho scoperto cosa può riportare Mike tra noi: Zoey'. Le ragazze si scambiarono uno sguardo, un po’ spaesate a dirla tutta.
 
'Ma Zoey è morta' affermò Courtney.
 
'Esattamente, chi pensi sia stato ad ucciderla?' chiese il padre retoricamente, finendo la propria bevanda e appoggiando la tazza sul tavolino ai suoi piedi. 'A mio avviso, non è stato quel dannato Nelson: la parte malvagia, Mal, vuole dominare su tutte le altre personalità e per farlo è costretto ad eliminare tutto ciò che potrebbe farle riemergere. A tal proposito, vuole fare fuori me per arrivare a questo' e mostrò alle due un registratore. Alle loro facce perplesse, schiacciò un pulsante e una voce femminile iniziò a parlare, chiamando più e più volte il nome di Mike. 'Questa è Zoey. Mal sa che ho questa registrazione e sa che potrei usarla in qualsiasi momento contro di lui'.
 
'Come fai ad averla?'.
 
'Zoey aveva notato dei cambiamenti in Mike, e sapendo che faceva regolarmente visita allo psichiatra – e si indicò – si era rivolta a me per dei chiarimenti'. Bloccò la registrazione e s’intascò l’arnese. 'Odio dirlo, ma sono contento che tu ed Heather abbiate trovato rifugio qua da Gwendolyn, anche se penso fosse stato meglio parlarmene'.
 
'Volevo evitare di coinvolgerti ulteriormente, hai già abbastanza casini, non trovi?' si giustificò l’ispanica.
 
'Come faceva a sapere che Courtney ed Heather si trovavano qui? Insomma, tra tutti i posti in cui potevano essere…' commentò Gwen.
 
'Chiamalo intuito' la liquidò lui. 'E poi, diciamoci la verità, non è che Heather abbia tanti amici qui in giro' e si fece scappare un sorrisetto, prima di rivolgere la parola alla figlia. 'In ogni caso, ti stavo cercando oggi – prima di scoprire che non abitavi più nell’appartamento – perché ho sentito da McCord che la polizia ti ha interrogato'.
 
'Mi hanno fatto delle domande su Duncan Nelson, come se ne sapessi qualcosa' rispose Courtney cercando di sembrare il più sprezzante possibile: aveva saputo da vari aneddoti come il padre odiasse a morte il punk e il resto della compagnia, Scott più di tutti per averla portata via dai genitori e dalla vita che questi avevano programmato per lei. 'Hanno addirittura insinuato che avessi qualcosa ad a che fare con quello lì, ti rendi conto?'.
 
'Capisco… Beh, grazie per il the e i pasticcini, ma ora devo proprio andare' fece improvvisamente guardando l’orologio che aveva al polso. 'Volevo solo assicurarmi che tu stessi bene, Courtney. Gwen, non ti dispiace avere qui mia figlia fino a quando non sistemerò le cose con questo Mal, vero?'.
 
'Niente affatto, signor Barlow. Ci faremo compagnia a vicenda' rispose la gotica contenta.
 
Il genitore camminò spedito – e sollevato - verso la porta di casa, pronto ad andarsene.
'PAPA’, ASPETTA!' urlò Courtney, bloccando il padre sulla soglia; questi si voltò e la guardò, in attesa. 'Quando sei piombato in casa stavi cercando Nelson e anche un certo Wallis…'.
 
'Oh, mi sono sbagliato' rispose lui. 'Mi raccomando, abbiate cura di voi' e sbatté la porta alle sue spalle.
 
'Come faceva a sapere che qui ospito anche Duncan e Scott?' chiese Gwen, rimasta in piedi innanzi alla porta d’ingresso e le braccia conserte.
 
'Mi sono chiesta esattamente la stessa cosa' rispose Courtney, accanto all’amica, lo sguardo ancora rivolto verso l’entrata della casa. 'Andiamo a recuperare gli altri… Gwendolyn'.
 
'Ah-ah molto divertente'.



 
DUNCAN
'ETCIUUU' starnutì Duncan seduto sul divano con una coperta attorno alle spalle a scaldarlo. 'Maledetta, questa me la pagherai molto cara' proseguì poi in direzione dell’asiatica, la quale stava sorridendo compiaciuta.
 
'Tieni, misurati la febbre' disse Gwen porgendogli un termometro. 'Raccontatecelo ancora: cos’è successo in bagno dopo che ce ne siamo andate?'.
 
'Quella pazza di Heather ci ha obbligati a saltare giù dalla finestra dopo essere stati per chissà quanto tempo sotto la doccia!' esclamò Topher prendendo un’aspirina contro il raffreddore, seduto su una ciambella a causa della botta ricevuta al sedere. 'Eravamo bagnati fradici, fuori faceva freddo e tirava vento'.
 
'Potevate andare a casa di qualcun altro' osservò la spagnola consegnando vestiti asciutti e puliti al gruppo delle ragazze.
 
'Ci avevamo pensato ma le finestre del salotto danno sul vialetto, tuo padre ci avrebbe sgamato. ETCIU’!' rispose Duncan controllando la temperatura: trentanove, perfetto. 'ETCIU’!'.
 
'Mi stai sputando addosso, che schifo!' fece Topher assestandogli una gomitata sulle costole.
 
'Tu come ti senti?' chiese Courtney appoggiando la mano sulla fronte del rosso, il quale sembrava godere di buona salute, come Lightning e le ragazze. Duncan riservò a tutti loro degli sguardi malevoli, sapeva sarebbe stata una pessima idea uscire con quel freddo, e bagnati per giunta.
 
'Perché tu non - ETCIU’ – sei saltato giù con noi?' chiese il punk in direzione del latino, seduto bello comodo su una poltrona.
 
'Avevo da fare' fece l’altro con molta nonchalance ammiccando in direzione di Heather, che arrossì imbarazzata, lanciando comunque ad Alejandro una stilettata. Duncan roteò gli occhi, quasi invidioso della vita amorosa degli altri suoi compari; infatti, era da un po’ che non se la spassava con qualcuna e la cosa lo rendeva alquanto frustrato e irascibile. Era arrivato al punto di apprezzare addirittura le avances di Anne Maria, persona che aveva da sempre reputato priva di un carattere interessante.
Senza farlo apposta, questa prese posto accanto a lui: indossava dei vestiti asciutti piuttosto stretti per la sua corporatura e troppo sobri per i gusti della ragazza e, spazzola alla mano, stava pettinando i propri capelli color cioccolato. Non seppe perché ma rimase incantato da quella visione.
 
'Okay, signorini, voi due dormirete insieme stanotte' parlò la gotica passando il termometro a Topher. 'Appena tutti se ne vanno vi preparo le coperte' e ricevette uno starnuto di Duncan come risposta.
 
'Io non dormo con lui, sparge germi in giro!' disse il castano proteggendosi da un altro starnuto del punk.
 
'Beh, non che tu sia messo meglio. Hai trentanove e mezzo di febbre' continuò Gwen.
 
'E hai il culo rotto' commentò Scott ridendo sotto i baffi.
 
'Aspetta, e noi dove dovremmo dormire?' domandò Jo parlando di sé ed Eva.
 
'Sul pavi – ETCIU’ – mento'.
 
 
 

 
§
 
 


 
'Sono stato da mia figlia' fece il signor Barlow. 'È vero che hai aggredito lei e Heather nell’appartamento?'.

Corrugò la fronte, non sicuro di quello che aveva appena udito. Di che cosa stava parlando quel vecchio ora?
'Non so a cosa tu ti riferisca'.
 
'Stai molto attento, Mal. Questa volta non scherzo' e premette un tasto sul registratore.

Una voce calda e suadente chiamava il nome di Mike una, due, più volte. Un tremendo dolore s’insinuò nella sua testa, si accasciò al suolo respirando a fatica.

'B-basta…' si mise a supplicare. Dopo qualche secondo, il dolore cessò e un poco alla volta il respiro divenne regolare.
 
'Questo è solo un assaggio, Mal. Se non vuoi che Mike ritorni a prendere il controllo del corpo esegui i miei ordini'.










____________________________
ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti! Se siete giunti fino a qui, GRAZIE MILLE <3
Dunque, che dire? Avrebbero potuto rinchiudersi in un'altra delle stanze al piano di sopra? Sì. Avrebbero potuto sgattaiolare via a piedi da qualche altra parte invece di rimanere in giardino a prendersi la pioggia? Certamente.
Ho dato loro la possibilità di farlo? OVVIAMENTE NO. Era una scena che mi piaceva e divertiva e allora l'ho lasciata, semplice xD
... Avevo in mente di scrivervi tante cose in questo piccolo spazio e ora non ne ho in mente manco mezza... benissimo.
Vi mando un enorme bacio e un grosso abbraccio! GRAZIE ANCORA, SIETE FANTASTICI <3

Alla prossima <3

 

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Capitolo 25
*** CAPITOLO 23 ***


LUNEDI’ 19 OTTOBRE 2020
 
DUNCAN
'ETCIUUUU'.
Aveva passato tutto il weekend sotto le coperte, insieme a quel lagnone di Topher che non aveva fatto altro che calciarlo durante la notte; non che per il resto riuscisse a dormire tra mal di gola, dolori alla testa, naso chiuso e un incessante raffreddore.
'ETCIU’ '.

'Datti una controllata!' ordinò Topher allontanandosi dal punk e sedendosi lentamente sulla ciambella posta su una delle poltrone, munito di coperta e aspirine.

'Non lo faccio apposta, sai?' ribatté lui rimboccandosi le coperte. Gli occhi erano rossi e gonfi, si sentiva privato delle energie e il solito viavai di persone all’interno della casa non migliorava affatto la situazione.
 
'Teniamoci a distanza da quei fenomeni da baraccone!' fece Jo riferendosi ai due malati in salotto trascinando Eva e Lightning all’esterno dell’abitazione a fare un po’ di jogging, routine questa che andava avanti da quando le due ragazze si erano unite alla squadra. 'Passo di corsa, involtino di proteine!'.
 
'Chi ti ha nominato capo?!' protestò Lightning.
 
'Beh, se non vuoi essere capitano del nostro gruppo di allenamenti…' disse la bionda cercando di manipolarlo.
 
'IO sono il capitano di qualunque gruppo, diamoci dentro!' e il ragazzo di colore schizzò fuori dalla porta, sotto lo sguardo soddisfatto di Jo ed Eva, che lo raggiunsero poco dopo correndo a perdifiato.
 
'Come ti senti, splendore?' domandò Anne Maria giungendo con il vassoio della colazione carico di dolci e succhi di frutta e distaccando l’attenzione di Duncan dal trio. La ragazza prese posto accanto a lui, una mano posta sulla sua fronte. 'Scotti ancora' constatò poi.
Forse la colpa era da attribuire alla febbre, ma gli sembrava che Anne Maria fosse più carina del solito: maglioncino rosa con un’ampia scollatura (dentro la quale il punk sbirciò allegramente) e jeans stretti che risaltavano le curve del sedere. Quella visione, molto probabilmente, era stata la prima cosa positiva dopo quel lungo weekend di merda passato a impasticcarsi di aspirine di fianco ad un frignone del calibro di Topher.
'Che ne dici se oggi mi occupo io di te?' continuò guardandolo dolcemente.
Duncan, rapito da lei e da quella offerta, accettò.




 
GWEN
I suoi grandi occhi neri continuavano a fissarli: Duncan e Anne Maria stavano andando d’amore e d’accordo, accoccolati com’erano sul divano-letto intenti a guardare un programma televisivo di dubbio gusto. Di tanto in tanto il punk lanciava delle occhiate all’altra e ogni volta che Gwen lo beccava a farlo, sentiva le gambe cederle e un incredibile malessere salirle alla bocca dello stomaco. Sapeva di non averlo dimenticato del tutto ma non pensava di tenerci ancora così tanto, dopotutto era stata lei a scaricarlo e il motivo era stato una certa ispanica di loro conoscenza…
 
 
 
GIOVEDI’ 16 NOVEMBRE 2017
'PENSI ANCORA A LEI, NON È VERO?!' aveva sbraitato Gwen, furiosa, in direzione del ragazzo, reggendo le lenzuola bianche al petto. Lacrime amare presero a scorrere lungo le guance bianche, rovinandole il trucco.
 
'Gwen, smettila, sai che non è così' aveva replicato Duncan sdraiato supino sul letto intento ad accendersi una sigaretta.
 
'Hai fatto il suo nome durante il sesso, questo come lo giustifichi?!'.
 
'È stato solo un lapsus, non volevo' e aveva inspirato il fumo dal filtro.
 
'SEI SOLO UNO STRONZO!' e gli aveva lanciato contro la prima cosa che si era ritrovata tra le mani, il posacenere, che Duncan aveva scansato per un soffio. 'E io stupida che pensavo potesse esserci davvero qualcosa tra noi due'.
 
'SEI FUORI DI TESTA?!'.
Ma Gwen aveva smesso di ascoltarlo: in uno schiocco di dita si era ripulita e vestita, intenzionata ad allontanarsi da lui.
'Dove stai andando? Fuori piove'.
 
'Quando torno meglio per te che tu sia sparito'.
 
'Cosa vorresti dire?'.
 
'È finita, Duncan'.
 
 

 
Spostò lo sguardo da quella sofferente scena e prese posto accanto a Heather nel salone, riportando l’attenzione sulla sua nuova bozza, nera e tetra come sempre. Forse era per la sua pessima personalità che nessuno osava avvicinarla; difatti, oltre al punk non aveva avuto nessun altro ragazzo…
Alejandro raggiunse le due ragazze sedendosi alla destra di Heather. Osservò il comportamento del latino, il quale, con il trucco più vecchio del mondo, stiracchiò le braccia provando a circondare con quella sinistra le spalle dell’asiatica, ma la ritirò subito quando vide questa lanciargli una stilettata di sbieco.
'Non ci provare, Burromuerto' fece Heather soffiando sullo smalto ancora fresco. Alla gotica scappò un risolino. 'Stammi a un metro o te ne pentirai'.
 
'Non ho nessuna intenzione di starti a un metro' le bisbigliò lui all’orecchio. La ragazza lo ignorò. 'Sei bellissima quando fai la preziosa'. Come Gwen, anche l’asiatica odiava le smancerie, soprattutto quelle in pubblico, Alejandro lo sapeva bene ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di richiamare l’attenzione di Heather anche se questo significava farla arrabbiare.

Continuò il proprio schizzo sui fogli quando sentì la porta sbattere con veemenza: uno Scott piuttosto arrabbiato li sorpassò, diretto al piano di sopra.
'Avrà litigato di nuovo con Courtney' ipotizzò Heather facendo spallucce. 'Alejandro, renditi utile e vai a verificare' continuò spingendolo leggermente sulla spalla, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di toglierselo di torno... Il latino alzò un sopracciglio ma decise di darle retta – per una volta -, si alzò e sparì in cima alle scale alla ricerca del boss.






 
SCOTT
Si diresse speditamente sul terrazzo, la sigaretta pronta tra le dita come sempre più frequentemente avveniva in quel periodo di stress e sotterfugi. Tirò un pugno sulla pietra, arrabbiato e frustrato.
Quella mattina aveva scoperto da una fonte sicura che i Kobra, da lì a una decina di giorni, avrebbero dato inizio ad un nuovo giro d’affari, quello che all’epoca di una probabile alleanza avrebbe dovuto essere anche il loro, di Scott e dei Vultures.
Frugò nelle tasche dei jeans alla ricerca dell’accendino, invano, realizzando solo qualche momento dopo di averlo dimenticato nella Volvo. Imprecò ad alta voce scalciando il pavimento e spaventando degli uccelli appollaiati sugli alberi vicini. Si lasciò scivolare a terra, la schiena appoggiata al parapetto, le mani tra i capelli e la collera che ribolliva nel sangue.
Stava perdendo tutto quello che aveva costruito con fatica e da zero, se lo sentiva. Gli ultimi clienti rimastigli avrebbero presto voltato loro le spalle e lui avrebbe dovuto dichiararsi fallito e, a malincuore, lasciare sul lastrico i suoi compagni.
L’unica soluzione balenatagli in testa era quella di un sopralluogo presso il locale dei Kobra, in modo tale da sondare il terreno, studiare i nemici e il loro modus operandi (oddio, ora parlava persino come Courtney!), con l’aiuto naturalmente dei suoi compari, attento però a non farsi scappare alcuna informazione davanti alle ragazze. Difatti, non avevano ancora individuato la talpa anche se i sospetti erano tutti puntati su Jasmine, la gigantessa dell’Australia... Ma quelle dei compagni erano solamente illazioni, e nessuna certezza.
 
'Ehi, amigo, tutto bene?' fece una voce calda alle sue spalle.
 
'Oh, sei tu' rispose Scott alzando la testa e lanciando uno sguardo veloce al latino, appoggiato allo stipite della porta-finestra. 'Tranquillo, solo un intoppo' continuò sospirando.
 
'Questo intoppo ci costerà la vita?'.
 
'No, ma se non agiamo in fretta ci lascerà tutti col culo per terra' e cominciò a narrare ad Alejandro le scoperte di quella mattina con annesse preoccupazioni e improbabili piani d’azione. Non l’avrebbe mai ammesso ma il latino si era dimostrato meritevole della sua fiducia, sperava solo di non avere fatto un grave errore di valutazione, giacché più di una volta si era ritrovato a pensare che in realtà quella della spia fosse solo una balla usata da Burromuerto per creare diverbi e problemi nella squadra, ma aveva assecondato Courtney e gli aveva concesso il beneficio del dubbio.
 
'È rischioso' commentò Alejandro a fine racconto.
 
'Lo so, ma adesso che sappiamo che Mal è un loro alleato avranno sicuramente cambiato qualcosa rispetto a quello che avevamo concordato insieme tempo fa, e l’unico modo per sapere cosa è spiarli da vicino mentre lavorano, o rubare delle informazioni importanti'.
 
'Quando volevi agire?'.
 
'L’inaugurazione del locale sarà il 31 ottobre, il che è furbo da parte loro dato che tutti, compresi ipotetici clienti, indosseranno delle maschere'.
 
'Beh, questo va anche a nostro vantaggio se non vogliamo farci riconoscere' pensò Alejandro appoggiandosi al parapetto, gli occhi rivolti verso la strada e al resto delle case lì attorno. 'Scommetto che alle ragazze non diremo nulla…'.
 
'Infatti' affermò il rosso al fianco dell’altro. 'Primo: non sappiamo con esattezza chi sia la spia. Secondo: ci chiederebbero di portarle con noi. Già una sola fa casino per dieci, immaginatele tutte insieme'.
 
'Quindi chi porterai con te?'.
 
Scott fece per rispondere quando delle voci richiamarono l’attenzione di entrambi. Guardarono verso il basso e scorsero tre figure in tenuta sportiva fare rientro in casa. 'Sì, ho vinto!' fece Eva entusiasta.
 
'Ti avevo detto di correre più forte!' esclamò Jo reggendosi in piedi a fatica.
 
'E io… ti ho già detto… che non sei… il mio capo' ribatté Lightning cercando di riprendere fiato.
 
Il rosso li fissò dall’alto della sua postazione fino a quando le due ragazze, seguite dall’altro palestrato, non scomparvero dietro la porta, il suono delle loro voci che via via si affievoliva.
'Chiunque tranne loro' fu il commento finale del latino, prima di dargli le spalle e rientrare.
 
 



 
COURTNEY
Era in tribunale, seduta accanto a quella rompiscatole di Emma Chang, ad ascoltare l’arringa finale dell’avvocato, nonché loro mentore, McCord, di fronte alla giuria che pendeva dalle sue labbra: un’altra vittoria schiacciante, a suo avviso. Finalmente, avrebbero potuto archiviare quell’intricato caso che aveva tenuto occupato lo studio già da troppo tempo.
Sbadigliò, non prestando in realtà molta attenzione a quello che le accadeva intorno, i suoi pensieri erano rivolti agli avvenimenti di quel weekend: la “missione MacArthur”, l’irruzione del padre in casa di Gwen, le scoperte sul conto di Mal e la marea di bugie che aveva dovuto rifilare al genitore. Ricordarsele tutte sarebbe stata un’impresa.
 
'Sai' iniziò la Chang alla sua sinistra. 'Mi sto ancora domandando che cosa ci faccia tu qui… Qualsiasi cosa tu abbia fatto, che cosa aspetta la polizia ad arrestarti?'.
 
'Sì, Emma, hai ragione' rispose l’ispanica con, stranamente, molta calma. Di solito gliene avrebbe cantate quattro ma pur di liquidarla e farla stare zitta avrebbe detto o fatto di tutto.
 
'Non so cosa aspetti McCord a tagliarti fuori: è solo lunedì e sei già a pezzi' riprese l’altra. 'Dev’essere stato tuo padre: li ho sentiti parlare in ufficio una volta e voleva che il nostro capo gli facesse un favore visto che lo ha aiutato a superare la separazione con la moglie…'. Courtney a quelle parole si riscosse: sapeva che sotto c’era lo zampino dei suoi genitori, era impossibile che McCord la rivolesse di nuovo con sé dopo quel brutto incidente, ma il fatto che a rinfacciarglielo fosse stata nientepopodimeno che la sua acerrima nemica… le bruciava parecchio.
 
'Pensassi più a risolvere i casi da sola invece di copiare le mie soluzioni forse darei più peso alle tue parole' rispose la spagnola carica, non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa. 'Il fatto che tu sia qui, alla fine della fiera, è grazie a me. Adesso taci e impara qualcosa' e spostò i propri capelli castani dietro la schiena colpendo apposta la sua rivale in pieno viso.
Vide la giuria ritirarsi per prendere una decisione e il loro mentore salutare il cliente prima di avvicinarsi con un enorme sorriso stampato in faccia, sicuro della vittoria.
 
'Non so voi, ragazze, ma sto morendo di fame' fece lui. 'Pranziamo insieme? Offro io naturalmente'.
 
'È stato straordinario!' commentò Emma, ruffiana come sempre.
 
'Sei molto gentile, Emma, ma ricorda che il merito è stato anche il tuo' le sorrise lui in modo affabile. 'Courtney, dovresti prendere esempio' continuò incoraggiandola. Inutile dire che la Chang le lanciò un ghigno prima di recarsi al ristorante.
 
 
 
 
Sì, la odiava a dismisura.






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ANGOLO AUTRICE:
Ciao ragazzi!
Dunque, il prossimo capitolo uscirà ad Halloween e sarà una cosa luuuuuunghissiiiiima >.<
Come sempre, vi ringrazio per il tempo che dedicate a questa storia, vi mando un grande abbraccio virtuale!
Alla prossima <3

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Capitolo 26
*** CAPITOLO 24 ***


SABATO 31 OTTOBRE 2020
 
GEOFF
Halloween, finalmente, era arrivato e Geoff era più elettrizzato che mai: gli era stata spiegata da Scott, ancora tempo addietro, la missione che da lì a breve avrebbero messo in atto, decisamente diversa dal solito dato che comprendeva l’uso di maschere e costumi. Un po’ di moto era quello che ci voleva dopo mesi passati a nascondersi all’interno di quella casa, e i quadri di Gwen non aiutavano affatto, tristi e tetri com’erano.
Lui e Brody avevano deciso di travestirsi da cowboy, indossando degli enormi cappelli e dei fazzoletti rossi al collo che, in caso, avrebbero potuto utilizzare per coprire il volto. La missione era pericolosa, certo, ma nulla avrebbe impedito loro di sballarsi un po’, almeno fino all’individuazione dell’ufficio del capo dei Kobra, Damien, e il furto di tutte le informazioni ritenute necessarie per sabotare il nuovo giro d’affari. Una sfortuna non chiedere alle ragazze di prendervi parte: Courtney era diventata un’esperta nel rubare le cose altrui, e usare quello schianto di Heather come diversivo non sarebbe stato male. Questo, ovviamente, senza nulla togliere a Bridgette, ma mai l’avrebbe coinvolta in un’operazione simile, e tantomeno l’avrebbe data in pasto agli uomini lì presenti pur di distrarli.
A proposito di quest’ultima, l’aveva appena accompagnata insieme a Brody a casa della gotica, dove il resto della gang stava aspettando il loro arrivo.
'Ora che ci siamo tutti, possiamo cominciare' disse il rosso scoccando uno sguardo nella loro direzione. 'Dunque, come vi ho anticipato giorni fa, stasera avremo un incontro con un potenziale alleato ispanico, per cui mi servirai tu, Alejandro: prendilo come modo per sdebitarti con noi per non averti preso a calci nel didietro' parlò mentendo spudoratamente di fronte alle ragazze. 'Duncan, voglio anche te, stranamente hai un certo ascendente sulle persone, e ci serve uno alla guida'.
 
'DUNCAN? Ma lui è praticamente ricercato dalla polizia' osservò Courtney sorpresa.
 
'Le cose sarebbero più divertenti se non ti prudesse sempre il sedere' commentò Duncan stiracchiandosi la schiena.
 
'Ma se sono la persona più rilassata del mondo!' protestò lei.
 
'Oh, sei rilassata come un elastico teso' ribatté l’altro.
 
'Tornando a noi' proseguì Scott facendo cadere nuovamente il silenzio nella stanza. 'Geoff, Brody, anche voi con me. Il resto ci aspetterà qui' e passò in rassegna la squadra attendendo una conferma. In molti annuirono, sebbene riluttanti (come Jo ed Eva) all’idea di passare un’altra serata al chiuso. 'Non so dirvi quanto tempo impiegheremo ma ci terremo in contatto con questi' e mostrò degli auricolari. 'Datici cortesemente dal nostro nerd di fiducia' e diede una pacca energica a Cameron che quasi spiaccicò la faccia sul tavolo. 'Se non ci sono domande…'.
 
'Dove sono Anne Maria e Jasmine?' chiese l’asiatica.
 
'Alla ricerca di un nuovo immobile, prima o poi dovremo andarcene da qui' rispose Scott sicuro. 'Se stasera riusciamo a concludere un accordo avremo abbastanza denaro da allestire un nuovo posto'.
Il rosso scoccò un ultimo sguardo ai presenti, prima di caricarsi sulle spalle una pesante sacca e baciare a fior di labbra l’ispanica. 'Non mi aspettare alzata' e le diede un altro bacio sulla fronte prima di recarsi fuori dalla porta, sotto il portico in entrata.
 
'A più tardi, cicci picci!' salutò Geoff baciando appassionatamente la moglie, mettendo a disagio il gruppo. Poco gli importava, lui teneva molto a lei ed era disposto a dimostrarlo in qualsiasi modo.
 
'Nessun bacio prima che vada?' domandò Alejandro rivolgendo all’asiatica uno smagliante sorriso.
 
'Ma vai a lavorare' e questa si dileguò.
 
I cinque montarono nell’auto del biondo, Duncan alla guida contento come non mai di far rombare il motore. 'Lo sapevo che avresti gradito venire' commentò il boss al fianco del punk, rovistando nel borsone. 'Ti ho preso la maschera di “Venerdì 13”, può andare?' e il compare al volante gli rispose con un sorriso raggiante. 'Machete finto incluso'.
Lasciarono il viale di casa e iniziarono a percorrere una strada lunga e dritta. 'Per Alejandro invece ho quest’abito da… boh, non so cosa sia ma è alquanto osceno' proseguì il rosso sghignazzando e passando il costume sui sedili posteriori. 'Ha pure il mantello, è Batman?!'.
 
'Questo è il fantasma dell’opera' affermò Alejandro una volta afferrata la maschera bianca. 'Grande illusionista, mago, ventriloquo, architetto di talento e abile nel canto'.
 
'E deforme' rise Duncan. 'Per questo si nascondeva dietro la maschera'.
 
'Sì, e si dice anche che fosse un assassino' terminò il latino lanciandogli una stilettata dallo specchietto retrovisore facendolo zittire.
 
Geoff e Brody cominciarono a cambiarsi e a indossare cappello e stivali da cowboy.
'Io faccio lo sceriffo' disse l’amico indossando la spilla stellata al petto. 'E tu, Scott?'.
 
'Mi vesto di nero con una stupida maschera: sono qui per lavorare. E così anche voi' rispose lui serio. 'Una volta entrati nel locale, ci divideremo. Occhi aperti e ad ogni movimento sospetto usate gli auricolari per avvisare gli altri. Poi vedremo sul daNCAN RALLENTA, CAZZO!'.
 
 
 
COURTNEY
'Io non ho nessuna intenzione di stare rinchiusa qui dentro con quegli sfigati' sussurrò Courtney attenta a non farsi sentire.
 
'Sottoscrivo. Due volte' affermò Heather a braccia conserte.
 
'E cosa avete intenzione di fare, scusa?' domandò la bionda. 'Non potete mica cacciarli fuori: Scott non lo permetterebbe, per non parlare del fatto che Eva e Jo vi farebbero secche in un secondo'.
 
'Beh, che ne dite di questo?' s’intromise la gotica mostrando loro un volantino oro e nero di una festa. 'Sia chiaro: indipendentemente dalla vostra risposta io vado, non perdo mai un’occasione per festeggiare Halloween'.
 
'Chissà perché la cosa non mi sorprende' commentò l’asiatica. 'Ma contami pure'.
 
'Anch’io' affermò la spagnola decisa. Le tre, in seguito, fissarono Bridgette, incerta sul da farsi. 'Tesoro, quand’è stata l’ultima volta che ti sei divertita?'.
 
'Ehm…'.
 
'Appunto, Bridg. Tu verrai con noi e questo è quanto' terminò Gwen. 'Adesso dobbiamo trovare un modo per eluderli… Con Topher e Cameron è facile: stanno sempre attaccati al computer o al cellulare. Cosa potrebbe distrarre invece la compagnia dei super pompati?'.
 
'Se avete fatto caso, Jo ed Eva si astengono sempre dal fare cose “troppo femminili” ' osservò Heather disegnando le virgolette in aria.
 
'Per quello ho un’idea' fece Courtney. 'EHI, RAGAZZE!' urlò poi richiamando l’attenzione delle palestrate. 'Io e le altre abbiamo intenzione di fare un pigiama party, in camera di Gwen, siete dei nostri?'.
 
'Ci trucchiamo e pettiniamo a vicenda, per non parlare della manicure!' continuò l’asiatica reggendo il gioco. Passarono pochi secondi nei quali le due ragazze mascoline si scambiarono degli sguardi incerti con un’espressione di puro terrore sul volto. 'E soprattutto spettegolare sulle vite amorose di ognuna di noi'. Se prima erano terrorizzate, ora era addirittura peggio.
 
'No, grazie' rispose Jo determinata. 'Non siamo interessate a queste cose da femminucce. Solo a sentirvi parlare mi viene voglia di fare altri piegamenti a terra' e si mise a terra a fare gli esercizi.
 
'Come non detto' fece poi Gwen. 'Noi ci chiudiamo in camera allora'.
 
'Come vi pare' concluse Eva con i manubri in mano.
 
'Perfetto. La finestra dà sull’albero, usciremo arrampicandoci da lì e per il passaggio, beh, abbiamo la mia auto' bisbigliò la gotica con un ghigno sul volto.
 
'Peccato che dia un po’ troppo nell’occhio' fece l’asiatica. 'E se usassimo l’auto di Cameron?' e sfilò dalla tasca della felpa le chiavi dell’autovettura, sotto lo sguardo sbalordito di tutte. 'Courtney non è l’unica in grado di sgraffignare le cose altrui'.
 
'O-okay, abbiamo il mezzo. Ora mancano solo i costumi'.
 
'I vestiti della darkettona andranno più che bene'.
 
'Aspettate un secondo!' intervenne Bridgette. 'C’è l’allarme ad ogni entrata e ad ogni finestra, come facciamo ad uscire senza farlo scattare?'.
 
'Con le minacce'.



 
DUNCAN
Arrivarono al locale, decisamente più ampio dell’ex “All Stars”, con musica a palla e luci colorate in ogni dove, il fumo che fuoriusciva dal palco e cubi e pali sui quali alcune ragazze si stavano esibendo. Finalmente un po’ di moto dopo mesi rinchiuso in casa tra cui un weekend pietoso trascorso sul divano con Topher, a starnutire e sputacchiare ovunque.
Anche gli altri studiarono il posto da cima a fondo, incuriositi. 'Bel posticino' commentò Brody eccitato, il cappello da cowboy in testa, in pendant con il gilet a frange.
Misero in atto il piano e si divisero: Geoff e Brody da un lato, quello della pista da ballo, Alejandro, Scott e Duncan dall’altro con comodi divanetti posti di fronte a dei cubi sormontanti da belle ragazze in costume; il compito era quello di scorgere tra la moltitudine di persone gli appartenenti dell’altra gang, cosa difficile dal momento che il punk si era distratto più di una volta a contemplare i sederi sodi delle gattine lì presenti.

'Courtney mi ucciderebbe se lo sapesse' iniziò Scott ordinando da bere.

'Ma non lo sa, quindi rilassati e goditi lo spettacolo' rispose Duncan, la voce ovattata a causa della maschera e gli occhi impressi sulle curve della ragazza. 'Allungami una banconota…'.

'Non ti do del denaro per infilarlo negli slip striminziti di quella' protestò il rosso guardando al di là del cubo alla ricerca di qualche faccia conosciuta. Il punk roteò gli occhi, non avrebbero ottenuto nulla da quella serata: quasi tutti lì dentro indossavano una maschera compresi i loro bersagli, e se anche così non fosse stato avrebbero comunque perso del tempo prima di trovarli. Meglio per lui, si disse, per una volta che si godeva una serata diversa dal solito mortorio.
Anzi, a dirla tutta qualcosa di diverso era avvenuto dentro quelle quattro tetre mura di casa Fahlenbock: aveva trovato, stranamente, Anne Maria più attraente del solito. Forse era l’astinenza a parlare, o il fatto che nessuna delle donne in casa pareva calcolarlo (e lui, Duncan, adorava le attenzioni, soprattutto se provenienti dal pubblico femminile), stava di fatto che lei c’era stata quando tutti gli altri lo ignoravano, e scommetteva tutto quello che aveva – zero – che la spia era Jasmine: sempre taciturna e, sebbene altissima, silenziosa e nell’ombra. Insomma, qualcuno di cui non si sospetterebbe mai.
La pole dance di una delle ragazze lo riscosse e il fatto che né il rosso né il latino ne fossero attratti lo lasciò esterrefatto, ma d’altra parte erano entrambi occupati con due belle sventole, una delle quali – la spagnola - aveva il sedere più sodo ed invitante che avesse mai visto.
'Andate a ballare altrove, non vedo nulla!' esclamò Scott infastidito cacciando via le donne, beccandosi insulti e occhiatacce.

'Ma sei impazzito?!'.

'Abbiamo da fare' tagliò corto lui prendendo dal vassoio del cameriere il proprio drink. 'Occhi aperti e attenti agli auricolari'.




 
COURTNEY
Finalmente arrivarono.
A malapena riuscì a scendere dal mezzo a causa di quegli stupidi e alquanto attillati pantaloni in pelle. Si sgranchì le gambe ancora doloranti a causa del lungo viaggio, come faceva Gwen a indossare e sopportare un fastidio simile non ne aveva la ben che minima idea.
Diede un’ultima occhiata allo specchietto per controllare che tutto fosse in ordine: occhi marroni risaltati da matita e eyeliner blu elettrici e labbra carnose color nude; la parrucca bionda, la stessa utilizzata alla stazione di polizia, le incorniciava il viso. Nell’insieme sembrava una persona completamente diversa.
'Allora, siete pronte?' chiese poi rivolta al resto del gruppo: a parte la gotica, non era l’unica ad aver avuto bisogno di qualche ritocco.
 
'Questa parrucca mi prude' osservò Heather grattandosi la testa.
 
'Ti avevo detto di usare lo spray colorato' rispose Gwen indicando la propria chioma nera con qualche sfumatura azzurra in memoria dei vecchi tempi. 'Bridgette, ci sei?'. La bionda uscì dall’auto, rossa in viso… e anche in testa. 'Ti donano i capelli rossi'.
 
'A me preoccupa la gonna, non trovate sia troppo corta?' chiese lei titubante. 'E se qualcuno ci provasse?'.
 
'Gli mostri la fede e gli dici che tuo marito è lì in giro' rispose Gwen.
 
'O gli spruzzi questo' aggiunse la spagnola mostrandole una bomboletta spray al peperoncino.
 
'O gli tiri una ginocchiata dove non batte il sole' concluse Heather incipriandosi il naso.
 
Le ragazze si strinsero nei cappotti e si diressero spedite verso l’entrata sorvegliata da due grossi bodyguard. Impiegarono un quarto d’ora abbondante prima di riuscire a varcare la soglia e a depositare il vestiario in eccesso nel guardaroba. 'Carino' commentò Courtney squadrando l’interno e guidando le altre verso il bancone; gli occhi di molti ragazzi si soffermarono – un po’ troppo – su di loro mentre si facevano sempre più largo tra la folla.
 
'Ragazze, diamoci dentro!' esclamò Gwen sorridente, ordinando da bere per tutte.
 
 

 
GWEN
Courtney e Bridgette si trovavano al centro della sala a ballare e a scatenarsi, la sottana della seconda che svolazzava da una parte all’altra mettendo in mostra le gambe. Lei e Heather erano sugli sgabelli, di fronte al bancone, a sorseggiare qualche cocktail, accompagnato da una ciotola di patatine portata cortesemente dal barman (che per la cronaca non aveva fatto altro che sbirciare dentro la sua scollatura).
Doveva ammettere che quel locale aveva fatto le cose in grande per l’inaugurazione, tra cui offrire cocktail e qualche stuzzichino gratis al gentil sesso.
'Un altro giro, per favore' fece la gotica indicando il proprio bicchiere vuoto, il cameriere la servì lanciando un’altra sbirciatina alle sue grazie.
 
'Ehi, un po’ più di rispetto' commentò una voce maschile alla sua sinistra, volendo rimproverare così il ragazzo al bancone. Sorpresa, si girò rimanendo investita dalla bellezza dell’uomo che le sedeva accanto, anzi dai suoi grandi occhi verdi. Posò lo sguardo sul loro proprietario e ne aveva catturato ogni lineamento del viso scoperto, sapeva di averlo già visto da qualche parte, ma la maschera che portava le rendeva difficile ricordare dove.
 
'EHI RAGAZZE!' urlò la spagnola portandosi accanto alle due. 'Non venite a ballare?'.
 
'Tra un po’' rispose l’asiatica sorseggiando allegra dalla sua cannuccia.
 
'Ciao, Courtney!' salutò il ragazzo che Gwen stava continuando a fissare. 'Sembri un’altra persona vestita così'.
 
'Oh, ci sei anche tu, Trent' rispose l’altra con un cenno. 'Ti credevo a casa a preparare le valigie per il tour'.
 
'Vedo che mio padre parla di me quando lavora' replicò in imbarazzo. 'Comunque avevo bisogno di un po’ di svago prima di mettermi al lavoro'.
 
'Come se essere una rockstar fosse così estenuante' commentò Heather acida, ricevendo una gomitata alle costole da parte di Gwen.
 
'Lasciala perdere, è solo invidiosa perché è disoccupata'.
 
'Questo è un colpo basso, darkettona' disse l’asiatica ordinando qualcos’altro da bere.
 
'Ti chiedo scusa, Trent' fece la gotica in direzione del ragazzo; era realmente dispiaciuta, mai una volta che Heather tenesse i commenti per sé e se ne stesse zitta. 'Ti offro da bere, ti va?'.
 
'Mi piacerebbe' rispose lui sorridendole dolcemente.
 
'Grazie, per noi i cocktail sono gratis'.
 
'HEATHER!'.




 
ALEJANDRO
Si stava annoiando a morte, seduto su un divanetto in compagnia di Scott e Duncan, entrambi vigili, pronti a cogliere qualsiasi movimento sospetto. Beh, più il rosso che il punk.
 
'Ehi, guardate la bionda laggiù, al bancone'.
 
Appunto.
 
'Duncan, non siamo qui per rimorchiare' dichiarò il latino bevendo del whisky.
A dirla tutta, anche se non fossero stati in missione, lui non se la sarebbe sentita di abbordare un’altra ragazza, per quanto carina potesse essere. Da mesi ormai ne aveva in mente solo una, e in quel momento si trovava a casa molto probabilmente a inveire contro un gruppetto di palestrati decerebrati. Solo l’immagine di lei a sbraitare e urlare in mezzo alla sala lo rallegrò.
 
'Non intendevo quello' continuò il punk roteando gli occhi. 'Anche se potremmo parlare con qualche pollastra invece di rimanere con il culo piantato qui'.
 
'E allora cosa intendevi?' domandò Scott portandosi il bicchiere alla bocca.
 
'Guardale il sedere' e il rosso sputò la vodka, colto alla sprovvista.
 
'S-sono… coff coff… sposato, i-imbecille!' esclamò l’altro tossendo.
 
'Tecnicamente non sei sposato, non più' fece notare Duncan. 'E comunque dovresti riconoscere tua “moglie”…' continuò alzando le sopracciglia, un largo ghigno dipinto sul volto, e indicando nuovamente la bionda, ora intenta a raggiungere un corridoio buio, verso la toilette.
 
'In effetti quel sedere l’ho già visto…'.
 
'Forse perché è quello di Courtney' ghignò il punk, lanciando un’occhiata maliziosa al boss, il quale, realizzata la cosa, cercò in tutti i modi di negare il fatto.
 
'No, no. Impossibile' disse. 'In questo momento si trova a casa, a studiare i casi della settimana prossima'.
 
'C’è solo un modo per scoprirlo' e Alejandro gli aveva indicato l’orecchio, anzi l’auricolare.



 
JO
'Sei un vero schianto' parlò Lightning guardando la propria immagine allo specchio. 'Un look meraviglioso' e si baciò i bicipiti. 'Sono proprio un eroe'.
Jo lo guardò schifata, non aveva mai conosciuto un tipo talmente egocentrico; di certo non gli era mancato passare del tempo con lui dopo lo scioglimento del gruppo.

Il computer di quello stuzzicadenti di Cameron suonò e una voce a loro familiare parlò. - Ragazzi, mi sentite? -

'Certo, boss!' esclamò Topher. 'Come sta procedendo? Qualche novità?'.

'Ehi, è musica quella che sento?!' domandò Eva, i manubri ancora in mano.

- La missione è più complicata del previsto. Le ragazze? -

'Al piano di sopra a fare cose da femminucce: trucco, smalto e cose strane' rispose Jo un po’ disgustata.

- Potresti andare a controllare? -
 
Jo, svogliatamente, si avviò verso le scale salendole tre alla volta, atleta qual era; si portò davanti la camera della gotica, il volume della musica al massimo. Batté forte sul legno imprecando di tanto in tanto: 'GWEN!!' gridò furibonda. Nessuna risposta. Mise la mano sulla maniglia spingendola invano verso il basso. Era chiusa a chiave. 'Aprite la porta, è un ordine!' e continuò a battere i pugni.
Andò avanti così per un altro minuto finché, spazientita, non scardinò la porta con un calcio. Sbarrò gli occhi una volta entrata nell’inquietante stanza: non c’era nessuno, era vuota. Spense quel fastidioso rumore proveniente dallo stereo e controllò le finestre, una delle quali dava su un albero in giardino, dovevano essere scese da lì. Ma come erano riuscite a eludere l’allarme? Sarebbe dovuto scattare appena aperta la finestra…
Furiosa, ritornò in soggiorno con passo risoluto; al resto di quel penoso gruppo si erano aggiunte nel frattempo anche Jasmine e Anne Maria, di ritorno dalla loro piccola missione, aggiornando il boss sui risultati.
'Sono scappate' annunciò infine a braccia conserte, in direzione più del computer che degli altri suoi compari. 'La stanza è vuota'.
 
- S-SONO SCAPPATE?! -
 
'Una delle finestre dà sul giardino, in particolare su uno degli alberi più grandi: è facile per chiunque arrampicarsi o scendere da lì. Inoltre, hanno acceso lo stereo in modo che non potessimo sentire alcun rumore' spiegò Jo scrutando ciascuno di loro, in particolare lo stuzzicadenti il quale stava grondando di sudore. 'Le hai aiutate tu, non è vero?! Ti hanno chiesto loro di disattivare l’allarme, per questo non è suonato!' continuò lei aggrottando la fronte.
 
'E VA BENE! SONO STATO IO: HO MOMENTANEAMENTE DISINSTALLATO L’ALLARME PER PERMETTERE LORO DI USCIRE E PRENDERE LA MIA AUTO' gridò Cameron levandosi un enorme peso. 'SONO STATE HEATHER E COURTNEY, MI HANNO MINACCIATO'.
 
'Bella pensata, peso morto' rispose a tono Jo.
 
'Tse, debole' commentò Eva mostrandogli i pugni terrorizzandolo. 'Usciamo a cercarle'.
 
- No, sappiamo dove potrebbero essere. Le raggiungiamo appena finito qui -
 
'E se Mal venisse a sapere dove si trovano?' chiese Jasmine.
 
- State tranquilli: abbiamo tutto sotto controllo. La prossima volta che assecondi un loro capriccio, Cam, io ti ammazzo - e riattaccò, facendo deglutire pesantemente il nerd, il quale ricevette diversi sguardi di disapprovazione a cominciare dal suo compare di giochi, Topher.
 
'Beh, visto che è tutto “sotto controllo”, io me ne torno a casa' fece Jasmine avviandosi verso la porta.
 
'Io seguo la gigantessa' affermò Anne Maria. 'Senza offesa, ragazzi, ma qui c’è una noia mortale, ed è Halloween, ho bisogno di svagarmi. Le ragazze hanno fatto bene ad andarsene' e seguì l’altra verso l’uscio sculettando eccessivamente.
 
'Femminucce, puah!'.




 
COURTNEY
Raggiunse lo specchio al di sopra del lavabo per una sistemata veloce al trucco temendo che qualche sbavatura dovuta al caldo avesse potuto rovinarlo. Sembrava tutto in ordine, eccetto che dovette togliersi la parrucca dato che questa aveva cominciato a pruderle: i capelli castani ricaddero sulle spalle nude, dandole un certo sollievo. Si lavò velocemente le mani, pronta per un secondo round di Martini, se non fosse stato per una strana presenza alle sue spalle. Fece un salto sul posto, quando si accorse del riflesso allo specchio di un uomo in maschera alle sue spalle, intento a scrutarla da cima a fondo.
'EHI! Questo è il bagno delle donne, vattene, pervertito!' lo rimproverò lei senza alcun segno di cedimento, anche se per precauzione fece scivolare la mano all’interno della borsetta alla ricerca dello spray al peperoncino che era solita portarsi appresso. 
L’uomo sembrava non ascoltarla, anzi fece qualche passo nella sua direzione, la fronte aggrottata sotto la maschera nera.
La ragazza aumentò la stretta sulla bomboletta, attendendo che l’energumeno si avvicinasse abbastanza da poterlo colpire. La tensione era alle stelle: stava per sferrare il suo attacco quando delle risate provenienti dal corridoio spaventarono entrambi.
Era salva.



 
O così credeva.
L’uomo mascherato la afferrò, tappandole la bocca con la mano, e la trascinò dentro ad una delle cabine chiudendo la porta alle loro spalle. Courtney cominciò a scalciare cercando di richiamare l’attenzione delle ragazze nell’antibagno, innervosendo il suo assalitore.
'Vedi di darti una calmata, tesoro' sussurrò l’altro. Lentamente la lasciò andare, sfilandosi al tempo stesso la maschera. Si sorprese alla vista del suo compagno, guardarla arcigno dall’alto verso il basso.

'SCOTT?!' esclamò lei, venendo però zittita dall’uomo. 'Che ci fai tu qui?' continuò a bassa voce.

'Potrei farti la stessa domanda, non dovevi essere a casa?'.

'E tu non dovevi essere in missione?'.

'SONO in missione' la corresse lui frustrato. 'Questo è il locale dei Kobra, siamo qui per monitorarli da vicino'.

'Perché nasconderci una cosa simile?!' continuò la spagnola arrabbiata.

'Perché avreste insistito per venire, anche se a questo punto tanto valeva' spiegò lui a braccia conserte. Rimasero in silenzio, in attesa che l’antibagno si svuotasse lasciando loro il via libera. Scott la stava squadrando da capo a piedi spogliandola con gli occhi e mettendola leggermente in imbarazzo. 'Da cosa saresti vestita, esattamente?'.

'Ehm, da Gwen…?'.
 
'Sei un po’ troppo scoperta per essere Gwen' la rimproverò lui. Non aveva tutti i torti: oltre ai pantaloni attillati e i tacchi vertiginosi, portava al torace una semplice fascia elastica lasciandole scoperti spalle e addome. 'Catturi l’attenzione di troppi maschietti là fuori, e non mi piace' continuò con la fronte aggrottata e lo sguardo di fuoco. 'Soprattutto quella di Duncan, è stato lui ad accorgersi per primo della tua presenza e solo fissandoti il fondoschiena'.
Wow, sapeva che Scott poteva essere geloso, ma non fino al punto di “disprezzare” anche uno dei suoi migliori amici (bisticci del passato a parte). Non seppe perché ma un sorriso le solcò il volto mandando il rosso in confusione. Seguì l’istinto, lo afferrò e lo baciò con foga.
Scott ricambiò e con altrettanta passione la spinse contro il muro bloccandole le braccia sopra la testa.
Si fermò solo un secondo per chinare il capo e sussurrarle: 'Ci vorrà un po’ prima che l’antibagno si svuoti…'.
 
'Signor Wallis, non starà per caso proponendo di farlo in un luogo pubblico, è reato contro il buon costume' commentò lei lasciandosi coccolare dai baci di lui sul collo.
 
'Fortunatamente per lei, signorina Barlow, io sono un criminale'.
 
 



 
HEATHER
Bridgette se la stava spassando sulla pista da ballo.
Courtney si era assentata per rinfrescarsi un attimo.
Gwen – stranamente – stava abbordando un fico da paura, nello specifico Trent McCord, cantante dei Drama Brothers nonché figlio di uno dei migliori avvocati del Paese e capo di Courtney.
L’avevano abbandonata, lasciata sola al bancone a sorseggiare un cocktail colorato dietro l’altro, sperava solo di non attirare troppo l’attenzione dei ragazzi, anche se conciata com’era risultava difficile: vestito rosso con una scollatura a V, una parrucca color platino e un cerchiello con le corna, tocco di classe voluto dalla darkettona ovviamente.
 
'Buonasera' fece all’improvviso una voce calda e suadente alle sue spalle.
 
'Ora non più' rispose Heather ignorando il ragazzo e continuando a gustare il proprio cocktail rosa. Continuò ad ignorarlo sperando vivamente o che se ne andasse o che Courtney spuntasse da un momento all’altro a salvarle il culo.
 
'Non ci siamo presentati…' ricominciò lui instancabile.
 
'E spero che questo non cambi' lo interruppe Heather, irritata più che mai. Perché alcuni ragazzi non recepivano il messaggio? No era no.
Sentì il fiato caldo dell’uomo sul collo, il profumo del dopobarba invaderle le narici… profumo che le sembrava alquanto familiare. L’individuo si avvicinò ancor di più, bloccandola al bancone.
Se prima era irritata, ora era furibonda.
Si girò di scatto, la mano tesa pronta a tirargli un ceffone, se non fosse che il suo braccio fu bloccato in tempo dall’uomo. Ne rimase sorpresa, pensava di colpirlo e di fargli male. Molto male.
 
'Quando ti arrabbi sei ancora più carina' commentò lui. Quella voce… possibile che fosse…?
 
'Lasciami andare, ce l’ho già il ragazzo' ribatté l’asiatica. Lo osservò attentamente: era poco più alto di lei, bello nel suo completo nero, capelli legati in un codino e una maschera bianca a coprirgli l’intero volto, però intravide gli occhi al di là di quella, di un particolare color smeraldo.
 
Alejandro.
Gli occhi che aveva davanti erano i suoi.
 
'Un ragazzo?' proseguì lui. 'Dev’essere molto fortunato…'.
 
'Non sai quanto' e gli si avvicinò con fare suadente, cosa che lo sorprese piacevolmente; scambiò le posizioni, spingendolo contro il bancone e premette il proprio corpo contro quello di lui. Le labbra di lei percorsero la sua guancia destra fino a raggiungere l’orecchio. 'Allora, Burromuerto, come mai da queste parti? Ti credevo in missione, ma a quanto pare tu e il resto di quei cialtroni avevate solo bisogno di svagarvi un po’ con qualche stupida ragazzina' sputò quelle parole staccandosi da quel contatto e lanciandogli una stilettata.
 
'Sbaglio o quella che sento è gelosia?' chiese lui avvicinando il viso coperto a quello dell’asiatica per scrutarlo meglio.
 
'Non sono gelosa, non siamo una coppia, puoi fare quello che ti pare' sentenziò lei a braccia conserte.
 
'Ma se poco fa hai detto di avere un ragazzo…' commentò divertito. Anche se coperto dalla maschera, la ragazza percepì il ghigno strafottente di lui.
 
'Mica mi riferivo a te' e detto ciò si portò sulla pista da ballo, Alejandro la inseguì.
 
'Mi concedi almeno un ballo, hermosa?'.
 
'E farmi calpestare i piedi da te? No, grazie' replicò guardando divertita il latino, la cui maschera era stata abbandonata al bar.
 
'Si vede che non sei capace' commentò lui con un ghigno in volto e l’aria di chi la sapeva lunga.
 
'Non provocarmi… Al' ghignò di rimando Heather circondando le proprie braccia al collo di lui e muovendo i fianchi a ritmo.
Ballarono in quella posizione per quanto? Minuti, ore?
Forse non l’avrebbe mai ammesso ma si sentiva a suo agio con Alejandro: nonostante il passato di lei non l’aveva giudicata, neanche una volta, e, cosa più importante, la faceva sentire bella sotto qualsiasi aspetto, sia fuori che dentro.
 
'Mi piace molto questo caschetto platinato' sussurrò lui accarezzandole i capelli finti, Heather arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo e trovando improvvisamente interessante il colore della sua giacca. 'Anzi, mi piaci tu, e tanto. Provo qualcosa per te che non ho mai provato per nessun’altra…' proseguì lui; il battito di lei che accelerava sempre più ad ogni sua parola ed era certa che Alejandro potesse sentirlo da quanto erano vicini. 'E anche tu provi qualcosa per me' concluse con uno dei suoi soliti ghigni strafottenti. Le prese il mento tra il pollice e l’indice e la obbligò ad alzare la testa e a guardarlo.
Maledetto lui e maledetti quegli splendidi occhi.
Le loro labbra si avvicinarono, dopodiché lui azzerò la distanza: la baciò, teneramente e lei… beh, non poté fare a meno di rispondere.
'Sii la mia ragazza, Heather'.
 




 
GEOFF
Non sapeva dire con certezza quanto tempo fosse passato da quando avevano messo piede dentro il locale e si erano divisi. Lui e Brody, sempre “prestando attenzione alle persone attorno a loro” come promesso al capo, per prima cosa si erano catapultati sulla pista da ballo a mostrare le loro mosse segrete, sotto molti sguardi divertiti e sbalorditi. Esausti, si erano in seguito portati al bancone a bere delle birre, guardandosi attorno.
'Non abbiamo notato nulla qui' commentò il biondo improvvisamente all’auricolare.
 
- Ci credo, ve la siete spassata tutto il tempo - fece la voce del punk. - Guardatevi intorno, le ragazze sono in giro da qualche parte nel locale -

'CHE CAZZO, le ragazze sono qui?!' sbottò Brody aggrottando la fronte. Il biondo, al contrario, rimase impassibile alla notizia, preso com’era a contemplare la figura di una donna al centro della pista da ballo, solo in quel momento si era accorto della sua presenza: aveva i capelli ricci e rossi, la pelle del colore della sabbia e a fasciarle il corpo atletico ci pensavano un corpetto e una gonna piuttosto corta; inconsciamente si avvicinò, gli occhi ridotti a due fessure per carpirne ogni dettaglio, talmente in sovrappensiero da non essersi nemmeno reso conto che qualcuno, alle sue spalle, lo stava richiamando.
'GEOFF!' urlò Brody a squarciagola, e questo gli si parò davanti. 'Che cosa ti prende?!'.
 
'Quella ragazza…' si limitò a rispondere indicando l’oggetto dei suoi pensieri all’amico, il quale seguì il suo dito fino a posare gli occhi sulla rossa.
 
'No, no, non se ne parla, fratello. Hai una moglie, ricordi? Si chiama Bridgette: alta più o meno così – e fece dei gesti con le mani -, bionda, occhi verdi con qualche sfumatura marrone…'. Geoff lo squadrò non capendo cosa stesse insinuando. 'Non puoi fare il cascamorto con un’altra'.
 
'C-che cosa?! Non ci stavo minimamente pensando!' esclamò lui offeso. 'Quello che intendevo dire è che mi sembra di conoscerla, guarda come si muove…'. Brody la osservò più attentamente concentrandosi su ogni sua mossa, fino a quando non sgranò gli occhi, quasi incredulo. 'Quella è Bridgette!' affermò infine Geoff.
 
'Duncan ha detto che le ragazze sono qui, nel locale' aggiunse il moro. Geoff divenne rosso in volto, furioso, non solo perché la moglie non era rimasta a casa di Gwen, al sicuro, ma anche perché in quel preciso momento un ragazzo corvino a torso nudo si era posto di fronte a lei con l’intenzione di strusciarsi e chissà che altro.
Il biondo, incazzato più che mai, ruppe con la sola forza della mano il manico del boccale di birra e, con un gesto rapido, avanzò, azzerando la distanza e portandosi innanzi alla moglie, a mo’ di scudo, afferrò il corvino per il collo e lo scaraventò di prepotenza contro il muro, sotto lo sguardo sconcertato di tutti i presenti. Alcuni di loro iniziarono a riprendere la scena con i telefonini, altri a chiamare aiuto per placare la lite sul nascere.
 
'COME TI SEI PERMESSO ANCHE SOLO DI SFIORARE MIA MOGLIE?!' quasi urlò Geoff strattonandolo violentemente.
 
'N-non sapevo f-fosse s-sposata' balbettò l’altro facendo fatica a respirare.
 
'Non dirmi che non hai visto l’anello al dito?!'.
 
'G-geoff?!' esclamò Bridgette spaesata e impaurita al tempo stesso, mentre il colorito del viso del corvino cominciò a sfumare sul blu. 'Geoff, ti prego, così lo soffochi…' lo stava supplicando. Nel momento stesso in cui il biondo lasciò la presa, il ragazzo innanzi a sé si accasciò al suolo, tenendo la schiena appoggiata al muro, l’aria gli invase nuovamente i polmoni.
 
'Che cosa ci fai qui, si può sapere come ti è venuto in mente di piombare in un posto simile?!' domandò lui arrabbiato.
Silenzio. La bionda spalancò gli occhi, cercò di dire qualcosa ma nessun suonò le uscì dalla bocca.
 
'La colpa è mia' s’intromise Gwen frapponendosi tra i due. Geoff le guardò con disapprovazione e delusione.
 
'Fatti portare a casa, ci vediamo quando torno' disse semplicemente, sicuro che prima o poi si sarebbe appalesato Scott sgridandolo per aver fatto saltare la copertura; alle sue spalle, il tipo giaceva ancora stremato e accovacciato al suolo. 'Andiamo, Brody. Abbiamo del lavoro da far-'.
 
'Dovete seguirci' fece un uomo lapidario. Era alto e magro, con un accenno di barba sulla faccia, i capelli e gli occhi di un nero intenso, dato il taglio di questi ultimi doveva essere di origine cinese; al suo fianco stava una ragazza alta e snella, dalla carnagione color pesca, occhi neri e minacciosi e i capelli di un marrone scuro. 'Il capo non tollera questo tipo di atteggiamento, vi vuole vedere nel suo ufficio' e posò lo sguardo su ciascuno di loro, scostando di poco la maglietta in modo tale da far notar loro l’impugnatura di una pistola.
Senza proferire parola, i quattro li seguirono.
 
 
 
 
§
 
 



 
'Capo, ho delle notizie che potrebbero interessarti' fece una voce femminile al telefono. 'A quanto pare la via è libera'.
 

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Capitolo 27
*** CAPITOLO 25 ***


DOMENICA 01 NOVEMBRE 2020
 
ANNE MARIA
Ricevuta la notizia della fuga delle ragazze, non aveva esitato un solo momento ad avvertire il suo adorato Vit… ehm, Mal. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, anche ingannare e mentire a quel gruppetto di idioti; la parte più divertente era che non sospettavano nulla, anzi, erano certi che la spia fosse Jasmine dato il suo terrificante aspetto.
Era riuscita a raggiungere il locale in cui si trovavano Duncan e gli altri: fortunatamente era riuscita tempo addietro ad agganciare il telefono del punk, mentre questi era semicosciente a causa dell’influenza, e ad ottenere la posizione esatta dei suoi spostamenti, sicura che prima o poi sarebbe uscito in un modo o nell’altro da quell’inferno di casa. Si mise una maschera dorata al viso e una parrucca in testa, facendo un enorme sforzo dato il grande amore che nutriva verso i propri capelli cotonati, ma d’altra parte lo stava facendo per entrare nuovamente nelle grazie di Mal, e possibilmente nel suo letto…
Trovare Duncan sarebbe stata un’impresa, ma conoscendolo bene avrebbe indossato una di quelle stupide maschere dei suoi film horror preferiti; anche se fosse riuscita a scovarlo, il problema rimaneva la presenza degli altri due stalloni, Scott e Alejandro, e di quegli scemi di Geoff e Brody.
Si avviò verso il bancone e ordinò un drink, giusto per scaricare un po’ la tensione. Con il bicchiere in mano, osservò il posto e dovette ammettere che il proprietario aveva deciso di fare le cose in grande: un’enorme pista da ballo, un palco per il dj e pali e cubi circondati da divanetti; l’angolo bar, in cui si trovava, tra l’altro, era ben fornito… altro che il vecchio “All Stars”.
Improvvisamente, vide una figura a lei nota ballare al centro della pista: Alejandro, estremamente affascinante - come i suoi due fratelli - in quel elegante completo nero. Beh, se non poteva avere informazioni da Duncan le avrebbe avute da qualcun altro, no? Cominciò a farsi strada, il cocktail con sé, sorseggiandolo a mano a mano che si avvicinava alla sua preda. Ma dovette arrestarsi. Alejandro, infatti, non era solo bensì con una ragazza alta e slanciata, le gambe lunghe e snelle, i capelli color platino; la riconobbe quasi all’istante, era Heather, e se lei era lì ciò significava che anche il resto di quelle bisbetiche erano al locale. A conferma di ciò, vide Courtney seguita da Scott, mano nella mano e rossi in volto far capolino da uno dei bagni.
Roteò gli occhi e abbandonò il suo intento di abbordare il latino.
Fece dietrofront e si avviò su uno dei divanetti, attendendo speranzosa la buona sorte.




 
GWEN
La ragazza stava continuando a spingere, alle sue spalle, intimando il gruppetto a percorrere un corridoio buio, verso l’ufficio del loro capo. Non aveva la minima idea di che cosa stesse succedendo: prima di tutto, che diamine ci facevano Geoff e Brody lì? La loro presenza equivaleva anche a quella degli altri ragazzi, che l’incontro con l’alleato ispanico di cui parlavano fosse in quel locale?
Finalmente una porta scura si aprì innanzi a loro accogliendoli in un raffinato studio: vi erano alte pareti bianche illuminate da lampadari a sospensione in cristallo, qualche quadro a rallegrare l’ambiente; un tavolo in legno massiccio ampio e dal design elegante e sofisticato era collocato al centro della stanza, incorniciato ai lati da scaffali versatili dalla forma semplice e lineare. Di fronte a quella sorta di cattedra, dietro la quale – si accorse solo in quel momento – prendeva posto un ragazzo, stavano due poltrone nere, ed era lì che Bridgette e Gwen furono messe a sedere, mentre gli altri loro compari venivano perquisiti da cima a fondo da due soggetti: un ragazzo di colore mingherlino e alquanto strano vestito da mago, con tanto di cappello a punta e una finta barba grigia, e… 'COLE?!' esclamò Gwen esterrefatta, gli occhi quasi fuori dalle orbite.
 
'Ciao anche a te, sorellona' commentò il ragazzo.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto, anni: era cresciuto di parecchi centimetri, i capelli erano del colore della pece così come gli occhi, teneva la barba ben curata e dei piercing sul sopracciglio destro, mentre il tatuaggio di un cobra gli copriva il braccio sinistro. Si era fatto uomo.
Aprì bocca con l’intento di dire qualcosa, ma le parole non vollero uscire, fece molta fatica a trovare quelle giuste: doveva scusarsi per aver preso le parti del padre quando egli aveva deciso di divorziare, scusarsi per averlo lasciato solo ad occuparsi della madre mentre lei rincorreva il proprio sogno di artista, oppure scusarsi per non averli cercati e non essersi fatta sentire?

Smisero di perquisire i ragazzi - le pistole di questi depositate in una cassaforte - e li fecero accomodare su delle sedie girevoli, accanto alla porta d’ingresso, dalla quale improvvisamente emersero altre quattro figure, spintonate da diversi energumeni.
'Levami quelle manacce di dosso!' ruggì Courtney, i capelli castani scompigliati, la parrucca gettata chissà dove. 'Sono in grado di camminare sulle mie gambe'. Ignorando le lamentele e le proteste della spagnola, una ragazza cinese la spinse in avanti, tra lei e Bridgette, ancora sedute sulle poltroncine in pelle. Scott e Alejandro subirono lo stesso trattamento di Geoff e Brody, venendo perquisiti dal mago e da Cole, Heather fu l’ultima a varcare l’entrata sbiancando e facendosi sempre più piccola tutta d’un tratto: gli occhi grigi di lei guardavano nella direzione del ragazzo seduto al tavolo il cui sguardo inquietante e intimidatorio studiava tutti quanti loro. L’asiatica indietreggiò fino a scontrarsi con il muro preferendo rimanere in disparte, all’oscuro.
 
'Allora, Kobra, cos’è questa storia?' ruppe il ghiaccio Scott guardando arcigno il capo della gang.
 
'Kobra?!' esclamò sorpresa Gwen strabuzzando gli occhi. 'Sei uno di loro, adesso?!' continuò alzandosi in piedi e fissando intensamente il fratello appoggiato alla porta con la schiena. 'Hai lasciato la mamma da sola?!'.

'Da che pulpito' replicò lui aggrottando la fronte. 'Dopo che te ne sei andata ha sentito talmente tanto la tua mancanza da dover pagare una ragazza del nostro quartiere affinché fingesse di essere te!'.

'È per cavolate del genere che papà ha voluto il divorzio' commentò lei rassegnata.

'In ogni caso, ho cambiato vita: qui siamo come una grande famiglia!'.

'Una famiglia grande e disfunzionale' disse Courtney indicando il ragazzo di colore accanto a Brody estrarre un bastoncino e puntarlo sul loro compare bofonchiando formule magiche a caso. Allora non era solo un costume il suo…

'S-scusate, ma dov’è Duncan?' chiese Bridgette dal nulla; ma Scott fece spallucce.
 
 


 
DUNCAN
Si stava annoiando a morte da quando quei due erano spariti alla ricerca delle loro pollastre, per non parlare del caldo insopportabile che aveva cominciato a sentire dopo la terza birra. Aveva dovuto levarsi la maschera, gli toglieva il respiro quell’affare.

'Ehi, fustacchione' fece una voce suadente al suo fianco: una ragazza travestita da Cleopatra sexy con tanto di maschera dorata prese posto sul divanetto porgendogli un forte drink. 'Cosa ci fa un bel ragazzo come te tutto solo?'.

'Sono stato abbandonato dai miei amici' rispose lui bevendo il drink offertogli tutto d’un fiato.

'Che razza di amici sono a lasciarti qui senza alcuna compagnia'.

'Beh, adesso ce l’ho' ammiccò lui. Scott e gli altri erano alla ricerca delle proprie ragazze, non vedeva perché non poteva cercarsene una tutta per sé durante l’attesa. 'Ti va se ti offro qualcosa, dolcezza?' continuò ricevendo dei risolini come risposta: aveva fatto centro.
Dimenticando la maschera, avanzò verso il bancone in compagnia di quella sventola, deciso a darsi alla pazza gioia… almeno fino a quando non avrebbero avuto bisogno di lui.



 
SCOTT
La tensione si poteva tagliare con un coltello: il capo dei Kobra era alla scrivania a squadrarli dalla testa ai piedi, senza ancora aver proferito parola; quello che aveva capito essere il fratello di Gwen sorvegliava la porta e altri individui (tra cui quello strano mago da quattro soldi) li stavano circondando, controllando ogni loro mossa. Per non parlare del fatto che erano disarmati, beh, tutti eccetto Courtney e la sua bomboletta spray al peperoncino: poco ci mancava che la usasse contro di lui in bagno.
'Sapevo sareste venuti qui' parlò finalmente il boss. 'Solo non pensavo sareste venuti anche con loro' e accennò alle ragazze.

'Neanche noi in realtà' e il rosso scoccò uno sguardo alla spagnola, la quale divenne rossa per l’imbarazzo. 'Ma veniamo a noi, a cosa devo così tanta ospitalità?' proseguì allargando le braccia e facendo un giro sul posto.

'Davvero me lo stai chiedendo? Prima non ti presenti agli incontri, poi rifiuti le mie chiamate e infine appari con i tuoi tirapiedi e le vostre fidanzate nel nostro locale che, per inciso, poteva essere anche tuo e dei Vultures se solo avessi avuto la decenza di portare a termine quanto iniziato con noi' replicò il giovane. Sì, preferiva ritenerlo tale data l’età, non solo la sua ma anche quella dei singoli componenti della gang.

'Forse perché vi siete uniti a Mal' fece il rosso serio. 'Lo avete già avvertito della nostra presenza? Siamo qui rinchiusi in attesa che giunga ad ucciderci personalmente?'. A quelle parole i suoi amici si irrigidirono, soprattutto le ragazze: queste non avevano la ben che minima idea in che cosa si erano cacciate.

Il boss dei Kobra si alzò e cominciò a camminare intorno alla scrivania, appoggiandosi poi al bordo di questa: 'Credi che mi sia alleato con un gruppetto senza nome, senza soldi e… senza clienti?' e nel dirlo estrasse un familiare libretto nero dalla giacca e glielo lanciò al petto: era lo stesso che Courtney aveva sottratto ai Vultures. Il suo sguardo perplesso passò dal libretto al ragazzo e viceversa. 'Il giorno del nostro incontro - al quale non vi siete presentati - io e Devin ci siamo ritrovati un tipo molto alto e muscoloso e un biondino tutto frou-frou con quel libretto in mano. Volevano farci sapere che dopo l’esplosione all’“All Stars” voi non eravate più nulla, che fare affari con voi sarebbe stato tempo perso tanto più dopo la sparizione di quell’agenda e i clienti lì menzionati' iniziò a spiegare. 'Ma gli unici a guadagnare qualcosa in tutto quello sarebbero stati loro, non noi, ergo li abbiamo liquidati gentilmente' e giocherellò con un coltellino, facendo trasalire la povera Bridgette, quella più vicino a lui in quel momento. 'Inoltre, ci tenevo molto ad avere un’attività con te, Wallis, e con persone in grado di farla sotto il naso della polizia, vero, MacArthur?' e una donna robusta e massiccia uscì da dietro una scaffalatura.

'Non voglio parlarne' rispose questa in modo burbero, le braccia conserte.
 
'Lei lavora con voi?!' domandò la gotica. 'Lo sapevo che era una spia!' e si rivolse a ciascuno di loro.

'Un po’ inutile come spia dopo la sua sospensione, senza offesa' proseguì il capo ricevendo un piccolo grugnito dalla poliziotta. 'Ma grazie alla sorella di Cole, Gwendolyn, lunedì riprenderà il servizio insieme a Sanders; per quanto riguarda quel sempliciotto di Stering in questo preciso momento si trova in stato di fermo: al primo interrogatorio cederà e farà il nome di Mal, mettendo la polizia sulle sue tracce'.
Scott rimase a fissare il vuoto per qualche secondo, assimilando le notizie ricevute, tutte ottime: i Kobra avevano rifiutato qualsiasi contatto con i loro nemici, lasciando questi ultimi in svantaggio numerico; il piano ideato da Heather aveva dato i suoi frutti facendo riottenere il lavoro a MacArthur e mettendo alle strette quel cialtrone di Max, il quale, una volta confessato, avrebbe smascherato Mal e la sua serie di delitti, lasciando loro un attimo di tregua.
 
'Ehm… q-quindi non volete ucciderci?' chiese intimorita Bridgette guardando la moquette grigia.

'Non potrei mai uccidere i compari di mia sorella' rispose Cole facendo un occhiolino alla gotica.

'O della mia' aggiunse il capo. 'Perché ti nascondi lì in fondo? Non è da te, sorella'. Tutti si voltarono: l’asiatica camminò, incerta, portandosi davanti al ragazzo, gli occhi lucidi ma fissi. 'Heather'.

'Damien'.

'La famiglia si è riunita'.



 
 
HEATHER
 
MERCOLEDI’ 30 SETTEMBRE 2015
Aveva piegato e infilato in valigia tutti i suoi vestiti, pronta ad andarsene da quella topaia. Aveva messo da parte abbastanza soldi da permettersi un appartamento, con una stanza in più per ospitare un’altra persona e dividere le spese se necessario. L’unica cosa rimasta da fare era stata parlare con il fratello della sua improvvisa decisione: era stufa di far parte di quel mondo, costretta a sedurre ragazzi (e all’occorrenza ragazze) per poi drogarli e rubar loro tutto quello che possedevano, per non parlare del lavoro da cameriera che il fratello era riuscito a rimediarle dopo il liceo, con una divisa decisamente squallida. Stava di fatto che più di una volta se l’era cavata, senza finire in galera o ammazzata in chissà che vicolo, ma ora era arrivato il momento di non sfidare ulteriormente la fortuna.
Aveva chiuso la cerniera del proprio bagaglio e si era concessa qualche momento di pace sul divano-letto, sdraiata a contemplare il sudicio soffitto, in attesa dell’arrivo di Damien. Non se ne sarebbe andata senza avergli dato una spiegazione, non era così codarda, e, soprattutto, non se lo sarebbe meritato dopo tutto quello che aveva fatto per lei.
Aveva sentito scattare la serratura e prontamente si era messa a sedere, preparandosi a rispondere alla raffica di domande che da lì a breve si sarebbero succedute. Damien era entrato dalla porta, il sacchetto del cibo da asporto in mano, paralizzandosi subito dopo notando la valigia ai piedi della sorella. 'Vai da qualche parte?' aveva chiesto.
 
'È così infatti' aveva deciso lei. 'Vado in centro'.
 
'Ah, okay. Quanto starai via?'.
 
'No, non hai capito' e aveva sospirato. 'Mi trasferisco. Me ne vado da questo posto, per sempre'. Suo fratello non aveva detto o fatto nulla, si era limitato a riporre il contenuto del sacchetto nell’angolo cottura, evitando il contatto visivo. 'Ho lasciato il lavoro, ne troverò un altro più… dignitoso'. Ma aveva smesso di ascoltarla. 'Damien, per favore, dì qualcosa'.
 
'Cosa vuoi che ti dica? Sembra che tu abbia già fatto la tua scelta' aveva ribattuto lui dandole le spalle.
 
'Non posso continuare a vivere così, con il terrore di essere scoperta da un momento all’altro. Questo può andare bene a te ma… io voglio cambiare'.
 
'Allora cosa aspetti? VATTENE!' aveva sbraitato lui gettando a terra il microonde e scalciando le sedie, la mano di lei stretta sul coltellino che teneva nella tasca posteriore dei jeans, semmai il fratello avesse avuto uno dei suoi tipici scatti d’ira. Lo sguardo grigio dell’altro si era posato sul braccio di lei dietro la schiena. 'VUOI TAGLIARMI LA GOLA, PER CASO? INFILARMI IL COLTELLO NELLA CARNE? AVANTI, HEATHER, FAI PURE. MIRA AL CUORE GIA’ CHE CI SEI' e si era fatto più vicino, superandola in altezza. L’asiatica aveva sfilato dai pantaloni il coltello con l’intento di tenere una buona distanza tra lei e Damien, il quale però aveva appoggiato il proprio petto sulla punta dell’arma.
 
'Damien, non fare stronzate. Allontanati' lo aveva intimato Heather indietreggiando verso la valigia; l’aveva afferrata velocemente, e una volta spinto via il fratello con un calcio all’addome, era corsa verso la porta.
L’ultima cosa di cui aveva ricordo era l’urlo di rabbia proveniente dalla stanza.
 
 
 

 
'Pensavi non riuscissi a riconoscerti con quella parrucca?' domandò lui accendendosi una sigaretta e inspirando fumo dal filtro. Heather si tolse il caschetto platinato e i lunghi capelli neri ricaddero morbidi sulla schiena.

'Fai il capetto, ora?' fece solamente lei, non trovando altro da dire. Mai si sarebbe immaginata di rivederlo così presto, o di rivederlo e basta.

'Sai qual è la cosa più buffa in tutto ciò?' proseguì lui sempre rigirandosi il coltellino tra le mani. 'Hai fatto di tutto per allontanarti da me e da questa vita, e ora eccoti qui. Dimmi, Heather, che cosa è cambiato? Frequenti ancora dei pazzi criminali'.

'Non l’ho voluto io' ribatté lei.
 
'Potevi andartene… come hai fatto con me'.
 
'Senti, brutto stronzo…' e Heather gli si avvicinò, viso contro viso, vomitandogli in faccia parole acide in giapponese, lingua imparata dalla madre. Ovviamente, Damien non poté fare a meno di replicare a sua volta, in un giapponese più stretto, finché non le puntò il coltellino sulla guancia sinistra.
Alejandro scattò, parandosi di fronte a lei; a quella visione, tutti gli scagnozzi di Damien avanzarono, alcuni di loro con la pistola in mano. Tuttavia, ad un segnale del loro capo, le fecero sparire ricomponendosi nelle loro posizioni iniziali.
 
'Ragazzi, per favore, costruiamo dei ponti, non dei muri. Proviamo ad andare d’accordo' parlò Bridgette.
 
'Un po’ difficile quando ti puntano un coltello in faccia' fece Heather guardando arcigna il fratello, il quale ghignò di rimando. 'Cosa vuoi da noi, pazzo psicopatico?'.
 
'Per cominciare, dei ringraziamenti: vi ho restituito l’agenda e non mi sono coalizzato con Mal. In secondo luogo, sono intenzionato a portare avanti il progetto di Wallis, il locale è solo l’attività di facciata, c’è ben altro da fare e un’alleanza con i Vultures è ciò che mi serve. Insieme potremmo diventare ricchi da far schifo' e squadrò tutti quanti loro, quasi a coglierne le reazioni.
 
'NO' fecero Courtney, Heather, Bridgette e Gwen all’unisono, sconvolgendo forse i loro compagni.
 
'Abbiamo già abbastanza problemi senza che vi intromettiate anche voi' tagliò corto l’asiatica.
 
'Per non parlare della polizia che ci sta alle calcagna' continuò la spagnola scoccando un’occhiata alla poliziotta.
 
'Vi potremmo aiutare: sono certo che MacArthur sarà in grado di far sparire qualsiasi prova contro di voi' s’intromise Cole; sembrava un tipo interessante a differenza della sorella.
 
'Perché mai dovreste aiutarci…'.
 
'C’eri anche tu all’“All Stars” quando è esploso' fece Cole guardando Gwen.
 
'E Mal ti ha rapito e torturato' parlò Damien riferendosi all’asiatica. 'La cosa che vogliamo è la vendetta. Nessuno la passa liscia con i Kobra'.
 
 


 
ANNE MARIA
A fatica trascinò il punk in ascensore, barcollante sulle proprie gambe.
Era ubriaco marcio, quanto bastava per convincerlo ad andare in un hotel, il più lussuoso ovviamente, a regalarle una notte mozzafiato. Dopo il suo amato Vito, Duncan era il ragazzo con cui avrebbe tanto voluto spassarsela: era alto, magro, bello e con una forte personalità. Un vero macho.
Giunsero in camera, entrambi impazienti di togliersi quei costumi di torno.
Anne Maria lanciò il ragazzo sul letto, si disfò del proprio vestito e si mise a cavalcioni su di lui, eccitato più che mai a giudicare dal cavallo. Lo baciò con foga ondeggiando i fianchi, aumentando ancora di più l’eccitazione di lui.
'Per fortuna ci sei tu a rallegrarmi la nottata' ansimò lui tra un bacio e l’altro.
 
'La nottata e la mattinata se lo vorrai' lo stuzzicò lei togliendogli la felpa e la maglia nere, lasciandolo a torso nudo. Percorse con le mani i pettorali e le spalle di lui, passando le dita sui suoi tatuaggi. Repentinamente, il punk invertì le posizioni, bloccando la ragazza sotto il suo peso; Duncan la baciò sul collo, scendendo sempre più giù e strappandole dei gemiti di piacere. Il ragazzo si tolse anche il resto degli indumenti rimanendo completamente nudo, e Anne Maria dovette ammettere che madre natura con lui aveva fatto davvero un ottimo lavoro. 'Wow' si fece scappare dalle labbra, facendo ghignare divertito l’altro. 'Mi chiedo come mai nessun’altra ragazza ti abbia portato via da me questa sera'.
 
'Perché prima di divertirmi con te ero con degli amici' spiegò Duncan ritornando a baciarle e a morderle il collo avidamente. 'Ma mi hanno abbandonato per delle pupe sexy, e io pure' e le fece un occhiolino. Anne Maria avvampò, ma prima di sciogliersi completamente doveva portare a termine la missione a lei affidata.
 
'Se non se ne fossero andati, molto probabilmente io e te non ci saremmo mai incontrati' proseguì lei cercando di non farsi distrarre troppo dai suoi ardenti baci. 'Tanto non avevi altro da fare, giusto?'.
 
'Niente di speciale, sorvegliare qualcuno' rispose lui, evidentemente ubriaco.
 
'Dev’essere stato eccitante' disse Anne Maria con fare suadente e stringendo le proprie gambe attorno al suo busto. 'E questo qualcuno è pericoloso?'.
 
'È un’intera gang, tesoro: i Kobra' e si avventò sulle sue labbra, più vorace di prima. 'Per di più si sono alleati con degli assassini spietati' continuò Duncan accorgendosi solo in quel momento della maschera dorata della ragazza. Fece per rimuoverla ma Anne Maria glielo impedì, un’espressione perplessa si fece strada sul viso dai lineamenti duri del punk.
 
'È una mia fantasia' trovò lei una scusa, distraendolo dal costume e trascinando le sue minute mani sui glutei scolpiti di lui, il quale, colto quel segnale, riprese da dove era stato interrotto.





 
ALEJANDRO
Quanto tempo era passato da quando erano entrati in quell’enorme locale? Decisamente troppo.
Era accanto a Heather, gli occhi grigi e penetranti di lei ancora puntati sul fratello, in quel momento appostato comodamente sulla sedia al di là del tavolo bianco in legno, i piedi appoggiati su di esso; Gwen e Bridgette non si erano mosse dalle poltroncine, limitandosi di tanto in tanto a lanciare qualche sguardo fugace, la prima a Cole e la seconda al marito, Geoff (il biondo dal canto suo stava facendo di tutto pur di evitarla); mentre una Courtney stranamente calma teneva ben stretta a sé la borsetta a tracolla. Per quanto riguardava il resto del gruppo, Scott era in attesa – di cosa non sapeva dire – e Brody… stava guardando affascinato MacArthur? Ma cosa diamine…?
 
'Come sapete tutte queste cose?' domandò l’asiatica.
 
'Prima di cacciare via quei due buoni a nulla che Mal aveva inviato, ci siamo fatti dare qualche informazione: abbiamo fatto credere loro che fosse per prendere una decisione in merito alla “coalizione” ' spiegò un ragazzo cinese. 'Ma l’unica cosa che ci interessa in questo momento è far fuori quel gruppetto affinché vi lasci in pace. Così avreste più tempo da dedicare a noi e all’attività'.
 
'Non potete far fuori Mal' decretò la gotica all’improvviso. 'Non è colpa sua se è così'.
 
'Quello che intende dire' aggiunse Courtney sospirando. 'È che Mal soffre di un disturbo della personalità multipla: in lui convivono altre persone, tra cui Mike, un amico di Gwen'.
 
'Ha incastrato Duncan e vi ha quasi fatto saltare in aria. Un tipo del genere non merita comprensione, anzi la comunità dovrebbe ringraziarci per levarlo dalla circolazione' commentò Cole arrabbiato.
 
'A proposito di Duncan, come mai lo avete lasciato marcire in prigione?' chiese Scott alla poliziotta.
 
'Colpa mia' intervenne Damien accendendosi un’altra sigaretta. 'Pensavo ti creasse problemi dato che ha cercato più di una volta di rubarti i clienti o di vendere roba nei pressi dell’“All Stars”, così ho chiesto a MacArthur di occuparsene a qualsiasi costo' e buttò fuori il fumo.
 
Scott sospirò, era chiaro che avesse mille cose per la testa: 'C’è altro?' fece dopo accarezzandosi i capelli.
 
'Rifletti su quanto detto, sulla nostra futura attività insieme, e sappimi dare una risposta' terminò Damien. 'Fino ad allora, non abbiamo più niente da dirci' e ad uno schiocco di dita, i suoi scagnozzi aprirono la cassaforte con le loro armi mentre Cole aprì loro la porta.
 
'Andiamo a recuperare Duncan e spariamo da qui' affermò il latino riprendendo la propria pistola.
 
'Non sarà facile, se ne è andato' s’intromise un ragazzo basso e dalla carnagione scura mai visto prima. Mostrò loro un monitor e le riprese dell’interno del locale. 'Come potete vedere dalle nostre telecamere, il vostro amico ha trovato compagnia' e indicò una ragazza formosa travestita da Cleopatra. Successivamente l’immagine cambiò portandosi all’esterno dell’edificio. 'E qui è quando ha lasciato il pub'.
 
'Non avrei dovuto lasciare solo quel coglione…' si limitò a commentare Scott riprendendosi l’armamentario e trascinando la spagnola fuori da quello studio. 'Ce ne occuperemo noi'.

'Attendo vostre notizie' e se ne andarono chiudendo la pesante porta nera alle loro spalle.





 
COURTNEY
Raccolti i cappotti al guardaroba e avviatesi verso il parcheggio, Courtney, Gwen e Heather seguirono Scott e Alejandro verso l’auto con cui le ragazze erano giunte sul posto, lasciando la bionda da sola in balia del marito e del suo migliore amico. Da quando avevano abbandonato lo studio, il silenzio era calato tra di loro, quelle più a disagio, forse, dovevano essere le sue amiche soprattutto dopo l’incontro con i rispettivi fratelli.
Salirono in macchina, lei nei sedili posteriori tra la gotica e l’asiatica.
Fecero qualche chilometro, ma nessuno di loro era intenzionato ad intraprendere una conversazione o anche solo dare aria alla bocca, ma diamine, Duncan era sparito, il fratello della sua ormai ex coinquilina era a capo di una gang mentre il suo braccio destro altri non era che il fratello di Gwen. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rompere il silenzio, finché non notò il ciondolo a testa di toro al collo di Heather e fu a questa che si rivolse: 'Ma tu e Alejandro…?' chiese Courtney alla ragazza accanto, la quale divenne paonazza.
 
'Stiamo insieme' rispose il latino con molta nonchalance, dal sedile anteriore, confermando i suoi dubbi. La gotica non si trattenne più e cominciò a ridere a crepapelle.
 
'Oddio, scusate' disse Gwen asciugandosi le lacrime. 'È solo che mi sto immaginando Heather incartapecorita con quel cuore nero che si scioglie e si accende d’amore!'.
 
'Oh, sì! Tipo il Grinch che si prende una cotta per qualcuno' sorrise la spagnola dando una gomitata a Heather, la quale corrucciò la fronte e assottigliò gli occhi.
 
'Perché invece non parliamo della nuova fiamma di Gwen…' ghignò l’asiatica facendo deglutire pesantemente la gotica e mandando, al contrario, in confusione Courtney. 'La tua migliore amica ha preso in ostaggio il tuo amichetto Trent, dovevi vedere quant’erano affiatati su quei divanetti'.
 
'Abbiamo soltanto parlato, non pensare male' commentò la gotica a braccia conserte in direzione di Courtney. 'Ci sono tante cose che abbiamo in comune: per esempio, i miei genitori sono divorziati mentre i suoi sono separati. La madre lo ha abbandonato andando a vivere chissà dove con il suo nuovo fidanzato senza prendersi il disturbo di contattarlo'.

'Come hai fatto tu con tuo fratello' commentò Heather.

'E tu con il tuo'.
 
'Beh, ehm… qualcuno qui si è preso una bella cotta!' canzonò Courtney cercando di cambiare argomento.

'Anche se c’è da dire che alla darkettona piace ancora Duncan, non hai mai notato gli sguardi pieni d’amore e passione che gli lancia?' rincarò la dose Heather. 'Per non parlare delle stilettate che riserva ad Anne Maria ogni volta che gli si avvicina'.
 
'Quelle gliele lancio anch’io se per questo' commentò la spagnola. 'Non so spiegarmelo ma ha qualcosa che non mi convince… Non potrebbe essere lei la talpa del gruppo?' chiese poi al rosso che, colto alla sprovvista, inchiodò.
 
'Quale talpa?!' strabuzzarono gli occhi le altre due.
 
'COURTNEY!'.
 
'Ops, scusami. Mi è scappato' provò a giustificarsi lei.
 
'Sapevo glielo avresti detto' commentò il latino guardando Scott far ripartire l’automobile di Cameron. 'Visto che il danno è fatto… Mal ha una spia all’interno del nostro gruppo, una ragazza'.
 
'E ce lo avete tenuto nascosto perché pensate che possa essere una di noi?' domandò l’asiatica con un pizzico di rabbia nel tono.
 
'Mi sento offesa' rincarò la dose la gotica fulminando i due, i quali però non le diedero retta concentrati com’erano a tenere gli occhi fissi sulla strada. 'Maleducati'.
 
'Non dirlo a me, in questo momento vorrei dare a quell’idiota patetico e arrogante di Burromuerto un ceffone su…'. Heather non fece in tempo a terminare la frase che il sonoro gorgoglio dello stomaco di qualcuno si levò alto nell’auto.
 
'Ho fame' confessò il rosso.
 
'Pure io' si unì a lui Alejandro. 'Uh, guarda! Quel ristorante cinese per asporto è aperto'.
 
'Alle quattro del mattino?'.
 
'È aperto ventiquattr’ore su ventiquattro' confermò la gotica roteando gli occhi al cielo.
 
'E cinese sia'.




 
GWEN
La macchina si arrestò qualche isolato prima di raggiungere casa.
Si sporse in avanti, verso i ragazzi, non capendone il motivo. Tuttavia, il solo scenario innanzi ai loro occhi, al di là del parabrezza, fu più che sufficiente a rispondere alle sue domande: la sua amata casa era circondata da un nastro giallo oltre il quale stavano molte persone curiose; le luci rosse e blu delle volanti della polizia risplendevano nella notte, e accanto ad esse dei medici prestavano soccorso spostandosi avanti e indietro dall’ambulanza. A quella visione sgranò gli occhi scioccata, e non fu l’unica.
'Che cazzo è successo?!' fece il rosso preoccupato e agitato, le mani ancora chiuse sul volante.
 
'Qualsiasi cosa sia, cerchiamo di mantenere la calma' disse Heather slacciandosi la cintura di sicurezza. 'Gli sbirri non devono accorgersi di noi, soprattutto dopo la visita a Courtney'.
 
'Heather ha ragione' affermò Scott armeggiando con il proprio cellulare non trovando, però, alcuna chiamata da parte dei suoi compari. 'Cazzo'.
 
'Metti in moto e andiamocene da questo inferno' suggerì Courtney respirando profondamente.
 
'Non possiamo, o meglio, Gwen non può' disse il latino. 'La casa è la sua, se non la trovano lì potrebbero insospettirsi'.
 
'COSA?! Col cavolo che vado lì a farmi arrestare' commentò la gotica nel panico.
 
'Non ti arresteranno, se c’è l’ambulanza significa che qualcosa dev’essere accaduto mentre non c’eravamo' continuò Alejandro. 'E se non ti vedono potrebbero farsi qualche domanda'.

Odiava ammetterlo ma aveva dannatamente ragione: se fosse scappata, la polizia le avrebbe chiesto il motivo e molto probabilmente avrebbe scoperto ben altro sotto.
In quell’esatto momento intravide due figure a lei familiari, quelle di Topher e Lightning, uscire dal portone di casa e raggiungere i paramedici per alcuni controlli, le magliette sporche di rosso e lo sguardo cupo. Doveva essere successo qualcosa di davvero grave.
'Allora, cosa dovrei fare?' cedette alla fine, sebbene ancora incerta.
 
'Prendi il sacchetto del cibo da asporto' ordinò l’asiatica. 'Dirai loro di esserti assentata per andare a prendere del cibo per tutti quanti per festeggiare Halloween, o qualcosa del genere'.
 
'E che hai preso in prestito l’auto di Cameron perché già sul vialetto' continuò la spagnola. 'Dobbiamo lasciare qui l’auto, ragazzi' e ottenne l’assenso dei presenti, troppo stanchi per obiettare. 'Andremo temporaneamente in appartamento'.
La gotica fece una serie di respiri profondi, cercando di calmare il cuore, il quale batteva a mille nel petto. Senza proferire alcuna parola, ma distribuendo sguardi rassicuranti ai propri compagni, scese dall’auto, prese una bella boccata d’aria e iniziò a camminare, il sacchetto del cibo d’asporto stretto in mano. Cercò di mantenere la calma, mettendo un piede dopo l’altro e sistemandosi di tanto in tanto la sottana.
Si girò, solo una volta, e sorrise al resto del gruppo ancora in macchina, gli occhi fissi su di lei a volerla in qualche modo incoraggiare. Fece loro un cenno con la mano come a volerli tranquillizzare a sua volta.
Non seppe come, ma ce l’avrebbe fatta.
Ce l’avrebbero fatta.





 
HEATHER
'E a-adesso c-cosa f-facciamo?' domandò Courtney battendo i denti per il freddo una volta giunti innanzi al grande portone in legno del condominio.
 
'Se hai una forcina, posso provare a forzare la serratura…' fece calma Heather. 'Io ho perso il mio coltellino'.
 
'Non esattamente' la corresse il latino sfilandosi dalla manica della giacca il piccolo coltello con il quale l’asiatica l’aveva minacciato tempo addietro. Stupita, glielo sfilò dalle mani e cominciò a lavorare sul portone.
 
'Sono colpito' ammise il rosso una volta scattata la serratura e messo piede nell’edificio. Salirono silenziosamente le scale, giungendo poco alla volta nel piccolo appartamento, rimasto tale e quale a come lo avevano lasciato: cassetti vuoti, armadi spalancati e cianfrusaglie di qualsiasi tipo alla ribalta. Un gentile regalo da parte di quello stronzo di José. Le ragazze si distesero sul morbido divano, Courtney a sinistra e Heather a destra, le gambe esauste e infreddolite.
'José non si è risparmiato' commentò Scott calpestando di tanto in tanto qualcosa al suo passaggio, distratto dal cellulare per qualche aggiornamento. Il ragazzo sospirò amareggiato sedendo sulla poltrona.
 
Erano quasi le cinque del mattino, eppure nessuno lì sembrava avere sonno. Quanto accaduto a casa Fahlenbock li aveva messi in allarme e si aspettavano di ricevere notizie da un momento all’altro.
'Ora che si fa?' chiese la spagnola al rosso.
 
'Niente. Si aspetta' decise Scott toccandosi nervosamente i capelli. 'Intanto, mando un messaggio a Geoff e agli altri: dico loro di chiamarmi appena svegli'.
 
'E Duncan?'.
 
'È un coglione, si arrangia' commentò acidamente il boss, premendo velocemente i tasti del cellulare. Gli occhi di Courtney ancora fissi nella direzione di Scott, il quale, accortosene, sbuffò. 'È in gamba, se la caverà'.
 
'Beh, qui ci vuole un aiuto' fece l’asiatica alzandosi all’improvviso e recandosi nella piccola cucina. Aprì l’anta di un armadietto e tirò fuori una grande bottiglia di Vodka. 'Non so voi ma io un goccetto me lo faccio'. I presenti la guardarono sbigottiti ma nessuno osò rifiutare un bicchierino prima di coricarsi, lasciando che Heather versasse per tutti fino all’orlo. Bevvero all’unisono, la gola cominciò a bruciarle, ma ciò non le impedì di versare, ancora e ancora.
 
'Non credi di esagerare?' domandò l’ispanica guardandola preoccupata, ma a contraddirla ci pensarono i due ragazzi, che dopo il secondo bicchierino, fecero un altro giro. Scott tolse, addirittura, la bottiglia dalle mani di Heather per un quarto round ma a distoglierlo da quell’intento ci pensò Courtney afferrandolo per un braccio e obbligandolo ad andare a riposare. I due, dunque, diedero la buonanotte e si coricarono insieme nella camera da letto della ragazza, lasciando lei ed Alejandro soli con la Vodka.

Il latino si accomodò sul divano facendole segno di raggiungerlo, dopodiché iniziò ad abbracciarla affettuosamente. 'Come stai?' domandò lui, Heather sospirò stanca.
 
'Non lo so'.
Aveva ritrovato il fratello, come si sentiva non lo sapeva nemmeno lei.
Si era allontanata da Damien e da quello schifo di vita che conduceva per poi ripiombare al punto di partenza, bello scherzo del destino. Quali sarebbero stati i piani di Scott, di certo lei non ne avrebbe preso parte, anche se, alla fine dei giochi, con o senza il fratello la sua vita era stata messa più volte in pericolo.
'Tu come stai?' chiese invece in direzione del ragazzo, il quale si limitò a sdraiarsi sul seno di lei.
 
'Adesso bene' e molto lentamente Alejandro prese sonno, coccolato dalle dolci e molto rare carezze di lei.
 
 


 
GEOFF
Dopo aver passato una mattinata quasi insonne a causa della sfuriata con Bridgette, aveva deciso quel pomeriggio di schiodarsi dal letto della camera degli ospiti. Entrò in cucina e fu sorpreso nel vedere Brody seduto al tavolo a bere del caffè, affiancato da sua moglie che, al contrario, stava parlando animatamente al telefono con una voce più acuta del normale. 'Preparati al peggio' lo avvertì il moro con sguardo spento.
 
'Oh, Dio!' esclamò Bridgette ansimando e cominciando a tremare dalla testa ai piedi. Geoff, dimentico della litigata avuta ore prima con la donna, la fece sedere sulla poltrona e cominciò a calmarla tirandole qualche ciocca. 'Cosa facciamo?!' proseguì lei con il telefono premuto all’orecchio. 'D’accordo, riferirò tutto. Fateci sapere' e riattaccò. La bionda sospirò, gli occhi a terra. 'Era Scott' fece subito dopo anticipando le domande del marito. 'È successo qualcosa a casa di Gwen la scorsa notte, a quanto pare è una scena del crimine'.
 
'È-è morto qualcuno?' chiese. Non era sicuro di voler sentire la risposta, ma tanto valeva togliersi subito il dubbio.
 
'Quando sono arrivati a casa la polizia era già lì; hanno dovuto lasciare l’auto di Cameron a qualche isolato di distanza e mandare avanti solo Gwen dato che la casa è la sua. Hanno solo intravisto Topher e Lightning, per il resto sanno tanto quanto noi' rispose lei un po’ triste. 'Per rispondere quindi alla tua domanda, non si sa'.
 
Geoff accarezzò teneramente la schiena della moglie, pentendosi di averla incolpata per aver lasciato il rifugio e di averle tenuto il muso: se fosse rimasta con gli altri – come lui stesso le aveva detto di fare – forse non l’avrebbe più avuta accanto a sé in quel momento, tra le sue braccia. 'Mi dispiace' le sussurrò all’orecchio. 'Non avrei dovuto sgridarti, col senno di poi è stato un bene che tu e le altre ve ne siate andate'.
 
'Non fa niente' e gli regalò un piccolo sorriso, non nascondendo però nei suoi grandi occhi la paura. 'Di Duncan non si sa ancora nulla' sospirò. 'Cosa facciamo?'.
 
'Aspettiamo'.
 



 
DUNCAN
Si svegliò nudo sul letto, stranamente più morbido del solito.
La testa gli doleva da morire, dovette chiudere nuovamente gli occhi per placare il senso di nausea. Molto lentamente si mise a sedere e… dove cazzo era finito? Quello non era il soggiorno di Gwen…
Si guardò intorno spaesato, il lusso lo circondava: un ampio open space, con zona notte e area living dal mobilio raffinato, precedeva una bellissima terrazza arredata con tavolo, sedie e chaise-longue da cui poter ammirare il panorama.
Duncan s’irrigidì improvvisamente non sapendo come diavolo ci fosse arrivato fin lì, anche se le immagini di una avvenente e molto formosa Cleopatra non facevano altro che emergere violentemente nella sua testa. Si guardò intorno alla ricerca, appunto, della ragazza non trovandola in nessun angolo di quella strepitosa stanza.
In fretta, si rivestì con l’intento di sgattaiolare via senza essere visto da qualcuno, d’altronde col cavolo che poteva permettersi quel posto. Si assicurò di non aver dimenticato nulla, era in procinto di abbandonare la camera quando un frenetico bussare alla porta lo precedette. 'POLIZIA, DUNCAN NELSON APRA LA PORTA! SAPPIAMO CHE È LI’ DENTRO'. Riconobbe immediatamente quella voce: il capitano Brick McArthur.
Si impietrì sul posto non sapendo che pesci pigliare.
Si diede dell’imbecille: Scott gli aveva dato fiducia decidendo di portarlo con sé, anche solo per fargli fare qualcosa di diverso dal solito, e lui come lo aveva ripagato? Abbandonando i propri compagni nella tana del lupo per assecondare i suoi desideri e quelli di una sconosciuta, la quale, pensandoci molto bene, aveva insistito affinché lui bevesse un drink dietro l’altro facendolo ubriacare fino a non ricordare più nulla. Una trappola per costringerlo in quel dannato hotel? O, forse, sotto c’era dell’altro?
Si portò sul terrazzo, escogitando una via di fuga. Era troppo in alto, la signorina Cleopatra doveva aver optato per la suite all’ultimo piano, come l’avrebbe pagata solo Dio lo sapeva.
Il rumore alla porta si fece più forte, finché questa non fu scardinata da uno dei poliziotti. Fecero irruzione in molti, le pistole puntate su di lui, il quale alzò le mani in segno di resa. McArthur si fece strada, portandosi al centro della camera, rendendosi visibile al punk. 'Nelson, l’abbiamo cercata dappertutto. Deve seguirci'.
 



 
§
 
 



 
 
Nonostante le previsioni chiamassero pioggia, quel giorno non poteva essere più solare di così.
Stava nella sua decappottabile, gli occhiali da sole a ripararle gli occhi, in attesa che il suo bersaglio uscisse da quel lussuoso hotel accompagnato dalla polizia.
Cellulare alla mano, fece il primo numero salvato in rubrica, una volta visti i poliziotti scortare quello stallone di Duncan all’interno di una volante. 'Nelson è sistemato, capo' disse lei con aria compiaciuta mettendo il suo interlocutore in vivavoce. 'Gli sbirri lo stanno portando ora in centrale. Per quanto riguarda i Kobra, Scott e gli altri pensano siano tuoi alleati, ma questo già lo sapevi'.
 
'Eccellente' ghignò l’uomo. 'Anche José ha fatto la sua parte'.
 
'La prossima mossa?' chiese Anne Maria con un sorrisino sulle labbra.
 
'Aspettare'.
 







_______________________
ANGOLO AUTRICE:
Ciao ragazzi, buon Halloween e ... festa dei santi? xD
Come sempre un "GRAZIE MILLE" per essere giunti fino a qui!! 
Allora, le vostre teorie e supposizioni erano esatte? Avete indovinato chi era la spia?! :P 
Vi anticipo già che più avanti userò sia i personaggi del capitano Brick McArthur che quello della poliziotta MacArthur, dunque vi invito a fare attenzione dal momento che i due cognomi differiscono per una sola vocale!!
Altra cosa riguarda i Kobra, nello specifico Damien e Cole: all'inizio devo dire che ero molto scettica nell'inserirli... Damien non compare mai nella serie ma sappiamo della sua esistenza, mentre Cole compare in un'intervista ma il suo nome me lo sono dovuto inventare io... non lo so, ero un po' titubante, in caso attendo un vostro feedback!
Vi ringrazio nuovamente, ci vediamo alla prossima... domani!!!
E con due capitoli!!!! D: :D D: :D D: :D
 

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Capitolo 28
*** INSOMNIA ***


INSOMNIA


PROLOGO
 
Si trovava in un’enorme stanza, circondata dal buio. Incerta, cominciò a camminare dritta davanti a sé. Si spostò leggermente alla sua destra raggiungendo e tastando il muro al suo fianco alla ricerca di un pulsante, quello dell’interruttore. Dopo quelli che parevano secoli, finalmente riuscì a trovarlo.
La stanza prese vita, illuminata da un elegante e familiare lampadario.
Continuò a camminare lungo il corridoio, svoltando poi l’angolo una volta giunta alla fine.
Scivolò e cadde in avanti, facendosi seriamente male. Maledicendo tutto e tutti, si massaggiò il braccio sul quale era caduta percependo solo in un secondo momento la sostanza viscosa tra le dita. Le guardò, erano rosse. Ma cosa… si voltò per capire su che cosa fosse scivolata.
Era una pozza di…
 




 
SANGUE?!
 
 
 





 
 
 
 
Si svegliò di soprassalto, il battito accelerato. Fortunatamente era soltanto un sogno.
Senza far rumore, accese la lampada che giaceva sul comodino e si portò allo specchio accanto all’armadio, due enormi occhiaie le solcavano il viso, era la seconda notte di fila che passava insonne. Si scostò dalla superficie e ritornò distesa sul morbido letto dalle lenzuola bianche.
Chiuse gli occhi cercando di riprendere sonno, ma ogni volta che ci provava, le immagini di quell’incubo terrificante le comparivano nuovamente nella mente; e il russare di Scott, sull’altro lato del materasso, non aiutava affatto.













_____________________
ANGOLO AUTRICE:
Benvenuti alla terza e ultima parte di questo racconto! :D
Che dite, sto esagerando? La storia sta diventando troppo lunga? D: argh! 
 
 

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Capitolo 29
*** CAPITOLO 26 ***


LUNEDI’ 02 NOVEMBRE 2020
 
ALEJANDRO
Notte fonda.
Alejandro dovette aspettare un bel po’ prima che la ragazza sdraiata al suo fianco si addormentasse. Si alzò dal letto con molta cautela, attento a non svegliarla e si recò in cucina.
'Ehi' fece improvvisamente una voce. Si sorprese nel vedere la spagnola seduta composta al tavolo, sorseggiare lentamente da una tazza. 'Problemi col sonno?'.

'A quanto pare siamo in due' le rispose lui frugando in un armadietto finché non trovò la bottiglia di vodka del giorno prima.

'Davvero così male?' chiese lei stupita. Si limitò a fare spallucce e si versò un bicchiere bello pieno.

'Anche per me, grazie' fece all’improvviso una terza voce ancora impastata dal sonno, quella di Scott.

'SCOTT! Mi hai fatto quasi venire un infarto, idiota' offese l’ispanica digrignando i denti. 'Stavi russando fino a qualche minuto fa'.

'Vero, ma poi ho sentito il tuo lato del materasso vuoto e freddo e mi sono allarmato' e prese posto accanto a lei, un braccio posato attorno alle sue spalle.

'Prendo anche io qualsiasi cosa stiate bevendo' fece il suo ingresso Heather, gli occhi rossi e lucidi. Il latino si portò immediatamente al fianco della ragazza porgendole due dita di vodka, che bevve tutto d’un fiato.

'Pensavo fossi riuscita ad addormentarti' commentò Alejandro riempiendole nuovamente il bicchierino su richiesta di lei.

'Lasciamo perdere' e buttò giù il contenuto del bicchiere.
Heather non glielo aveva detto apertamente ma sapeva che l’aver ritrovato il fratello l’aveva scombussolata parecchio; di certo lui non le avrebbe chiesto nulla al riguardo, semmai avrebbe lasciato a lei l’iniziativa, sempre se avesse sentito il bisogno di sfogarsi con qualcuno. D’altronde anche lui aveva evitato di parlare di Carlos, e lei, rispettando i suoi spazi, non gli aveva domandato nulla.
Riempì nuovamente i bicchieri di tutti e bevvero fino a scolarsi l’intera bottiglia.
'Ed è finito il divertimento' commentò l’asiatica osservando l’ultima goccia di Vodka sparire tra le labbra del latino. 'Anche tu non riesci a dormire per via della polizia?' aggiunse poi portando il suo sguardo sulla spagnola.
 
'Non esattamente' fece questa sorseggiando dalla tazza fucsia. 'Ho fatto un brutto sogno'.
 
'Almeno prima riesci ad addormentarti' fece il latino abbracciando Heather da dietro e poggiando la fronte sulla schiena nivea di lei.
 
'Difficile con il russare di qualcuno' e Courtney scoccò un’occhiataccia al rosso, il quale sorrise colpevole. 'Ad ogni modo, visto che nessuno ha intenzione di andare a letto, qual è il piano? Non possiamo aspettare e basta'.
 
'Beh, è lunedì' rispose Scott. 'Tu lavori'. L’ispanica gli riservò uno sguardo inceneritore. 'Devi lavorare se non vuoi che facciano domande' si giustificò il rosso reggendo senza problemi quegli occhi neri.
 
'Lo so, intendevo cosa possiamo fare per contattare Gwen, oppure…' e Courtney scrutò tutti loro prima di proseguire. 'Non possiamo chiedere ai Kobra di aiutarci e darci MacArthur?'.
 
'NO' fecero Scott e Heather in coro aggrottando la fronte; la spagnola fece fatica a trattenersi, ma non replicò. 'Aspetteremo che Gwen e gli altri ci chiamino prima di fare qualsiasi cosa' continuò Scott deciso. 'Al momento, è meglio andare a letto'.
 




 
GWEN
Guardò l’orologio innanzi a sé: 05.41.
Avevano avuto la gran faccia tosta di tenerla in quel postaccio per un giorno intero; l’avevano già interrogata, perché, dunque, non lasciarla andare?
Soprattutto dopo aver appreso quell’orribile notizia.
 
 
 
DOMENICA 01 NOVEMBRE 2020
Dopo aver lasciato il gruppetto di amici in macchina e averli salutati con l’intenzione di rassicurarli, si era diretta verso casa, ormai palese scena di un crimine.
Le gambe, passo dopo passo, avevano preso a tremare, a fatica era riuscita a stare in equilibrio su quegli infernali trampoli che Courtney le aveva obbligato a indossare. Il respiro aveva cominciato ad accelerare, così come il battito cardiaco. Non aveva saputo dire come, ma aveva iniziato a correre a perdifiato alla vista di Topher e Lightning vicini all’ambulanza, entrambi ricoperti di sangue.
Si era aperta un varco tra la folla di curiosi tirando spallate a destra e a manca e ignorando le lamentele e le maledizioni lanciate nella sua direzione. Aveva addirittura bisticciato con il poliziotto lì accanto per riuscire a fargli capire di essere la proprietaria della casa e farla passare oltre il nastro giallo.
'RAGAZZI! CHE COSA DIAMINE È SUCCESSO QUI?!' aveva chiamato lei avvicinandosi ai due amici.
 
'G-GWEN?! Ma cos…?' aveva cominciato Topher, ma lei lo aveva interrotto bruscamente.
 
'Sono tornata ora con il cibo da asporto, ricordi? Lo so che volevi mangiare altro ma aperto a quest’ora assurda c’era solo il cinese' aveva continuato lei pregando che i due compari afferrassero al volo.
 
'Mi scusi, lei chi è?' aveva domanda il medico che stava fasciando il braccio di Lightning.
 
'Sono Gwen Fahlenbock, abito qui' aveva risposto. 'Cosa è successo? Mi sono assentata per andare a prendere da mangiare per tutti quanti per festeggiare Halloween e quando sono tornata ho trovato il disastr…' ma non aveva fatto in tempo a terminare la frase che un lettino dell’ambulanza con tanto di sacco nero posto sopra le era passato accanto. Era sbiancata a quella vista: qualcuno era morto in casa sua. Chi?
'Quello là dentro è un c-cadavere?!' aveva proseguito poi portando lo sguardo sui due ragazzi, i quali si erano limitati ad annuire e ad abbassare gli occhi al terreno. 'C-chi è morto?'. Ma non aveva ottenuto risposta, gli occhi tristi e stanchi avevano cominciato a lacrimare e a divenire sempre più rossi. 'TOPHER, RISPONDIMI, CAZZO!'.
 
'Mi dispiace Gwen…' aveva parlato Lightning. 'Abbiamo fatto di tutto per tenerlo in vita, ma non ce l’ha fatta. Cameron non c’è più'.
 
Le ci era voluto un po’ prima di comprendere quello che le era appena stato rivelato.
'No…' aveva bisbigliato. 'No, no, no, NO! NON È VERO, NON CI CREDO!' e fiumi di lacrime avevano preso a scorrere lungo le guance, rovinandole l’eccentrico trucco. Aveva mollato il cibo a terra, portando le mani a coprirle il viso. Non ci poteva credere, prima Zoey e adesso Cameron. Non le era rimasto più nessuno.
 
'Lei è la signorina Fahlenbock?' aveva chiesto un uomo improvvisamente alle sue spalle.
 
'M-mi l-lasci in pace!' aveva gridato tra i singhiozzi, ignorando completamente l’autorità che le aveva parlato. Successivamente aveva deglutito alla vista del capitano Brick McArthur, gli occhi neri di lui a scrutarla affondo quasi a volerle cavare di bocca una confessione.
 
'So che è sconvolta, ma devo farle qualche domanda' aveva parlato lui senza distogliere quei suoi occhi freddi. 'A lei e ai signori Kinnen e Jackson'.
 
 
 
 
Erano ormai le due del pomeriggio e nessuno si era ancora preso la briga di interrogarla, lasciandola sola in una piccola stanza, la faccia sul tavolo e le braccia a mo’ di cuscino. Era riuscita a dormire una o due ore forse, dopo aver versato chissà quante lacrime. Si era detta che quello era stato soltanto un brutto sogno, ma, una volta alzato il viso dal tavolo in legno, la realtà l’aveva investita in pieno. La testa aveva iniziato a dolerle, la nausea a salire, stava proprio da schifo.
 
'Tieni!' aveva detto in modo brusco una donna, porgendole del caffè e una ciambella e scaraventandole sotto agli occhi dei fogli. Gwen era saltata sul posto, colta alla sprovvista: una MacArthur piuttosto compiaciuta le si era parata di fronte, le braccia ai fianchi. La gotica l’aveva fissata un po’ spaesata, non aveva detto che sarebbe ritornata in servizio il giorno dopo? 'So a cosa stai pensando: “Cosa ci fa lei qui?” ' aveva proseguito la poliziotta imitando la voce dell’altra – o, almeno, provandoci. 'Beh, non immagini lontanamente i casini venuti fuori in questi due giorni: il capitano aveva bisogno di altre due paia di mani e ha anticipato il nostro rientro. Ad ogni modo, ti consiglio di leggere e memorizzare quei fogli se vuoi uscire da qui'.
 
'Che roba è?' aveva domandato Gwen gradendo il caffè e adocchiando quelli che sembravano essere degli appunti presi malamente e molto velocemente.
 
'Quella “roba” sono le risposte che il tuo amichetto con quel ciuffo ridicolo ha dato al capitano. Memorizzale se vuoi sembrare credibile' le aveva ordinato la donna. 'Tra poco tocca a te'.
 
'E Lightning?'.
 
'Lui deve ancora essere sentito: è stato sotto i ferri a causa della pallottola che lo ha colpito al braccio, ma niente di grave, il pompato si rimetterà' aveva risposto con molta nonchalance. 'Studia e mangia'.
 
 
 

 
E così aveva fatto, rispondendo poi perfettamente alle domande del capitano in modo che combaciassero con la versione di Topher: lei, Gwen, aveva invitato Topher, Lightning e Cameron a casa sua, a festeggiare insieme Halloween - del perché Jo ed Eva fossero state omesse dal racconto dell’altro non ne aveva la più pallida idea, ma riflettendoci bene non le aveva nemmeno viste quella notte, assorta com’era dai propri pensieri; e come biasimarla, aveva scoperto che una delle persone a lei più care era morta…
Comunque, stando a quella versione dei fatti, lei aveva organizzato una festa che sarebbe dovuta durare tutta la notte, sennonché era venuto loro in mente di prendere qualcosa d’asporto data la scarsità di cibo in casa (ed era vero: dopo aver posto lì il nuovo quartier generale i viveri finivano quasi subito a causa del numero elevato di persone che vi vivevano). Così la gotica si era proposta di cercare qualcosa da sgranocchiare, nonostante le possibilità fossero minime data l’ora tarda, ma ci aveva provato prendendo in prestito l’auto di Cameron e trovando, dopo quelle che parevano ore, un ristorante cinese aperto. E il resto era storia.
Sperava solo di essere stata abbastanza convincente, ma se così fosse stato perché allora si trovava ancora lì?
Non fece in tempo a formulare quel pensiero che MacArthur la colse nuovamente alla sprovvista porgendole una tazza di caffè insieme a carta e penna. 'Non dirmi che devo mettere per iscritto quanto dichiarato' commentò la gotica esausta.
 
'Vedo che afferri al volo'.

'Se serviva solo questo potevate scomodarmi anche prima' fece acida cominciando a scrivere. 'Sono invecchiata di cent’anni qua dentro'.

'Per un giorno non muori mica, e poi dovevamo sentire anche il pompato in ospedale: fortunatamente il capitano era troppo stanco per pensarci e ha affidato le domande a me e a Sanders' e le mostrò i bicipiti. 'Ringrazia, poteva andarti molto peggio soprattutto dopo tutte quelle cose che sono accadute dalla nostra ultima conversazione' rispose MacArthur prendendo posto di fronte a lei. Le sembrava di essere ritornata indietro nel tempo, in quell’appariscente bar rosa fornito di qualsivoglia leccornia color pastello.

'Tipo?'.
 
'Beh, tanto per cominciare hanno fatto fuori quel Stering' buttò lì la donna robusta come se niente fosse. 'Fortunatamente ha confessato tutto prima di essere ammazzato, il problema è che se speravamo facesse il nome di Mal, beh… non l’ha fatto e siamo di nuovo a punto e a capo'. Gwen ne rimase sconvolta, tutto quel lavoro di indagine che lei e Cameron avevano svolto era andato a farsi benedire… ciononostante continuò a scrivere la propria dichiarazione volendo uscire da lì il più in fretta possibile. 'Inoltre, durante il tuo soggiorno qui abbiamo ricevuto una chiamata anonima che ci ha dato informazioni sulla posizione di Nelson, la polizia lo ha acciuffato ed ora è in centrale'. La mano scivolò tracciando un segno pesante e fuori dal foglio.

'D-duncan è qui?!' chiese la gotica deglutendo pesantemente. 'Come?'.

'Te l’ho detto, una chiamata anonima' fece la poliziotta. 'L’unica cosa che so è che ha alzato troppo il gomito, deve aver fatto lo stupido in giro ed è per questo che è stato riconosciuto'.

Gwen fece un lungo e profondo respiro e ritornò a scrivere sul foglio, avrebbe pensato dopo a cosa fare per aiutarlo – ancora una volta – ad uscire da lì. 'C’è altro?'.

'Effettivamente sì'.

'Peggio di così dubito'.

'Beh, lo scoprirai tu stessa, è scaduto il tempo'.

'Ma di cosa stai parl…'.

La porta si spalancò e Sanders fece capolino, due tazze di caffè fumante tra le mani. 'Non capisco perché tu abbia voluto mandarmi così lontano per questi caffè' fece la ragazza di colore. 'Ah, vedo che ti sei portata avanti con la signorina Fahlenbock'.
Gwen finalmente mise l’ultimo punto a quell’infinito racconto, che consegnò subito alle due, sperando vivamente di poter lasciare finalmente quell’inferno.
'Può andare, signorina Fahlenbock, le chiediamo scusa per averci messo tanto ma ne sono successe di tutti i colori in questi due giorni' proseguì Sanders. 'Inoltre, ha un altro posto dove andare? Casa sua per un po’ di tempo sarà invasa dalla polizia e dalla stampa'.
 
'Sì, certo' rispose la gotica alzandosi dalla sedia.
 
'La accompagno all’uscita. Sanders, ci pensi tu a consegnare la dichiarazione?' domandò MacArthur ricevendo un segno affermativo. S’incamminò al fianco di Gwen, aiutandola a raccogliere i propri effetti personali. 'Un avviso. Forse ti staranno col fiato sul collo, se puoi evita di portare gli sbirri dai tuoi amici. Va’ altrove'.
 
 


E l’unica persona che le venne in mente, disponibile in quel momento e a cui chiedere aiuto e ospitalità, per sua sfortuna, fu lui.
Suo fratello.







 
SCOTT
Aveva riattaccato il telefono: Topher, una volta interrogato e uscito dalla stazione, gli aveva spiegato per filo e per segno tutto quello che era accaduto la sera del trentuno, assicurandogli che la polizia si era bevuta la storia della festa di Halloween a casa di Gwen. Quest’ultima non li aveva ancora contattati – così come Lightning, occupato com’era a farsi curare la ferita al braccio - ma sperava che questo avvenisse il più in fretta possibile, soprattutto per calmare un’irascibile spagnola, ora (fortunatamente per la sua sanità mentale) impegnata allo studio legale.
Come se non bastasse, aveva ricevuto anche la notizia della morte di Cameron, preso di mira da uno degli scagnozzi di Mal. Non conosceva bene il ragazzo, a parte essere un genio dell’elettronica per Scott non era a tutti gli effetti un membro della gang; poteva sembrare stronzo ma francamente parlando non era triste per lui, almeno non tanto quanto lo era stato per Beardo. Tuttavia, raccontarlo agli altri sarebbe stato comunque difficile.
Si sdraiò sul divano e accese il televisore, aveva giusto bisogno di qualche distrazione. Era rimasto solo in quel piccolo appartamento, affidando ben volentieri a Heather ed Alejandro l’ingrato compito di cercare Eva e Jo in palestra, da sempre il loro “rifugio preferito”, almeno stando alle parole di Duncan.
 
Duncan.

Dove si fosse cacciato quel coglione non ne aveva la più pallida idea. Cosa ovvia era che aveva passato una serata migliore della loro, occupati com’erano con i Kobra e il loro psicopatico leader, che, come se non bastasse, altri non era che il fratello dell’asiatica. Com’era piccolo il mondo.
Non aveva ancora deciso che cosa fare con quella gang, se accettare o meno l’offerta di Damien, e Courtney non lo aiutava affatto: se da una parte la spagnola premeva per chiedere il suo aiuto, dall’altra invece voleva che Scott e il resto dei Vultures non intraprendessero più la vita criminale; mentre i Kobra, dalla loro, non avrebbero mai accettato di fargli un favore senza prima essersi assicurati un’alleanza. Per non parlare poi dei vari conflitti che, eventualmente, sarebbero potuti emergere, in primis quello tra Heather e il fratello.
Sbuffò, premendo a caso i tasti del telecomando.
 
 
 

 
'Buongiorno, qui TG Drama, l’edizione del mattino' sorrise un uomo, diverso dal solito conduttore che erano stati abituati a guardare. 'Sono Tom Geddis, e al mio fianco c’è la splendida Jen Botting' e indicò una ragazza mora, gli occhiali da sole di questa collocati sulla testa.
 
'Buongiorno a tutti, parecchie sono le notizie ricevute dai nostri corrispondenti in merito agli eventi succedutisi tra la notte di Halloween e il primo novembre' pronunciò la donna seria arrivando al punto. 'La prima di queste riguarda una sparatoria avvenuta in casa, durante dei festeggiamenti: si parla di un ferito e, purtroppo, di una giovane vittima'.
 
'La polizia tiene ancora riservata la sua identità volendo prima comunicare la tragica morte alla famiglia, una volta interrogati i testimoni e capita la dinamica dei fatti' continuò l’altro, Tom. 'Ma guardiamo il servizio della nostra corrispondente'.

 
 
 
 

La scena cambiò: una ragazza dai capelli viola si trovava nel vialetto di casa Fahlenbock, ancora recintata con del nastro giallo e colma di uomini in tuta bianca.
Scott sapeva già com’era andata – dopo la lunga telefonata avuta con Topher – perciò andò in cucina a prepararsi del caffè per stare sveglio. Anche quella notte, come quella precedente, non aveva dormito un granché, senza contare poi i continui calci che provenivano dall’altro lato del letto: Courtney, a differenza di tutti loro, riusciva ad addormentarsi ma a causa degli incubi non faceva altro che scalciare e urlare nel sonno, svegliando, ovviamente, il rosso con dei terribili mal di testa e mal di schiena.
 
 
 

 
'Cambiando scenario, un altro delitto si è consumato nella notte, ossia l’omicidio di uno degli ex agenti, Maximilian Stering, licenziato dalla polizia dopo aver confessato sotto interrogatorio di aver reso note a dei criminali informazioni importanti sulle indagini inerenti al caso Nelson e alle due apparenti avvocatesse. Ancora non sappiamo quale sia l’identità di chi ha ricevuto tali dati, l’unica cosa certa è che il ragazzo ha subito da queste persone diverse minacce e pressioni per ottenerli. In serata avremo più chiarimenti da parte del capitano' dichiarò la donna, sistemando alcuni fogli sul tavolo e passando poi la parola al collega.
 
'Visto che lo abbiamo accennato, ci sono stati ulteriori sviluppi sulla vicenda Nelson. Quest’ultimo, infatti, è stato scovato dalla polizia in un hotel di lusso, ecco a voi la scena ripresa da un cellulare'.
 
 
 
 
Scott sputò il caffè alla vista del punk scortato da due uomini all’interno di una volante della polizia, e le parole che aveva pronunciato a Courtney tempo addietro iniziarono a rimbombargli nella testa: “È un coglione, si arrangia”, “È in gamba, se la caverà”. Quanto aveva avuto torto - beh, tranne sulla parte del coglione.
Avrebbe dovuto stargli vicino quella sera, invece lo aveva abbandonato per spassarsela con la sua ragazza nei bagni della discoteca. Si stropicciò gli occhi, sforzandosi di trovare una soluzione a tutto quel disastro, che non implicasse l’intervento dei Kobra s’intendeva.
Ma nulla. Era veramente stanco, e, soprattutto, solo: non aveva più l’appoggio dei suoi compagni, ognuno era per conto proprio, e già l’essere stato contattato da Topher così in fretta dopo l’accaduto era stato un azzardo, la polizia avrebbe potuto pedinarlo e sorvegliarlo…
Cazzo.
 
Il telefono squillò, il nome di Jasmine comparve sullo schermo. Sbuffò e rifiutò la chiamata, nel loro gruppo c’era ancora una talpa dopotutto e le possibilità erano ridotte a due: la gigantessa dell’Australia oppure l’irritante Anne Maria. Si spremé le meningi pensando al da farsi.
 
 

 
 
'Notizia appena giunta in redazione, non meno impressionante delle precedenti' continuò quel Tom catturando l’attenzione del rosso. 'Vi avevamo parlato ancora quest’estate di Rodney Ronningen, il cui cadavere era stato ritrovato nel fango, la buona parte di esso divorato dai maiali. Stando alla scientifica, non solo lì presente vi era il corpo del ragazzo, bensì anche le ossa di altri soggetti ancora non identificati: ecco che quella che sembrava una sfortunata morte, archiviata dagli inquirenti come semplice incidente, potrebbe essere in realtà l’ultima di una serie di omicidi'.
 

 
 

 
Okay, quel Mal andava fermato una volta per tutte.
Fu così che, cellulare alla mano, compose il numero degli unici suoi uomini a non avere gli sbirri appresso. 'Geoff, ho un lavoretto per te e Brody'.
 
 
 




 
HEATHER
Dopo aver recuperato finalmente la sua preziosa macchina rossa - che i fratelli Burromuerto avevano gentilmente spostato la sera del suo rapimento - Heather e Alejandro si erano diretti verso il luogo indicato da Scott, la palestra in cui Jo ed Eva avrebbero potuto nascondersi. Trovarono subito parcheggio, tra la Volvo di Scott e la macchina di quello stronzo di José, il perché fossero lì e non più davanti la casa di Gwen rimaneva un’incognita.
Entrarono e percorsero il corridoio al piano terra, diretti allo spogliatoio femminile, attirando l’attenzione di qualche ragazza – beh, più Alejandro che lei. Lanciando occhiatacce a destra e a manca, Heather s’insinuò all’interno di una stanza dalla quale provenivano dei rumori: trovò Eva tirare pugni al sacco, e una Jo piuttosto dolorante cambiarsi le bende a livello della coscia; sobbalzarono all’improvvisa entrata in scena dell’asiatica e del latino. 'Che cosa fate qui?!' chiese la mora stupefatta.

'Vi stavamo cercando' rispose Alejandro con molta nonchalance. 'Al momento, siete le uniche in grado di dirci che cosa è successo'.
 
'Mi sembra di avere un déjà vu' sospirò Jo stringendosi le bende. 'Come potete vedere siamo stati attaccati da quegli stronzi' continuò la bionda indicando l’attrezzatura medica sul tavolo accanto: garze impregnate di sangue, pinze e pallottole estratte vi giacevano disordinatamente. 'È avvenuto tutto così all’improvviso: l’allarme è cominciato a suonare dal nulla, io ed Eva abbiamo fatto in tempo ad estrarre le pistole e rispondere al fuoco urlando a tutti gli altri di abbassare la testa e ripararsi dietro a qualcosa'.

'Sono riuscita a ferire uno di loro, penso fosse Chet' s’intromise Eva continuando, arrabbiata, a colpire il sacco. 'Ma lo stuzzicadenti è rimasto ferito durante l’attacco, e prima di andarcene da lì con le vostre auto e le ricerche fatte da Courtney lo abbiamo affidato ai ragazzi perché lo aiutassero… sapete per caso qualcosa?'.

'No, sappiamo tanto quanto voi' fece Heather lasciandosi cadere, stanca, su una sedia. Per un momento, il silenzio riempì la stanza, interrotto di tanto in tanto dai colpi tirati al bersaglio dalla mora e dalle imprecazioni di Jo mentre cercava di ripulire alla bell’e meglio il disastro fatto sulla sua postazione.
Alejandro prese ad ispezionare quel luogo, concentrandosi perlopiù sul materiale che le palestrate erano riuscite a portar via: mossa furba se la polizia stava per arrivare, e per polizia intendeva quel palestrato del capitano; con lui al comando sembrava che l’intero dipartimento si fosse svegliato.
 
'M-mi ha salvato la vita' singhiozzò all’improvviso la mora, aumentando l’intensità dei pugni. 'Lorenzo aveva mirato a me, ma… quello stuzzic- Cameron… s-si è messo in mezzo e… la pallottola ha colpito lui'.
 
'Se penso a tutte le volte che l’ho preso in giro… alla fine si è comportato da eroe' commentò Jo. 'Spero solo che l’ambulanza sia arrivata in tempo'. Sospirò. 'Voi invece? Che fine avevate fatto?' e raccontarono della serata del trentuno ottobre senza omettere nulla, nemmeno il piccolo dettaglio che suo fratello altri non era che il capo dei Kobra: prima o poi l’avrebbero scoperto quindi tanto voleva essere sinceri già dal principio. Inutile dire quanto le loro bocche fossero spalancate.

'Beh, almeno vi siete salvate' concluse Eva. 'Scott che intenzioni ha con i Kobra?' ma l’asiatica fece spallucce. Sinceramente, non le importava più di tanto; anzi, semmai il rosso avesse optato per un’alleanza lei se ne sarebbe chiamata fuori.

'Al momento, l’unica cosa da fare è aspettare' terminò Alejandro, indicando la gamba ferita di Jo.
 


 
Furono di nuovo fuori, le chiavi della Volvo di Scott nelle mani del latino.
'Sei sicuro di voler lasciare qui l’auto di tuo fratello?'.

'Non ho più intenzione di guidarla' rispose Alejandro fattosi serio tutto a un tratto. 'Heather' la chiamò piano. 'Avvicinati'.

'C-cosa?! Ma sei scemo?' fece lei un po’ rossa in viso. 'Lo sai che non mi piacciono le smancerie in pubblico'.

'Non intendevo quello, a meno che tu dopo non voglia…' ma ricevette una gomitata sulle costole. Sempre a fare il cascamorto.

'Che cosa intendevi, allora?'.

'Ce l’hai il coltellino?'. Heather lo guardò non capendo un accidenti. 'Qualcuno ci sta seguendo' specificò lui prendendola per mano e svoltando in una stradina laterale; il latino fece aderire le schiene di entrambi alla parete di un edificio, le orecchie in ascolto, in attesa che qualcuno prima o poi li raggiungesse e si affacciasse. Heather infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans, la presa sul coltellino.

Fu un attimo.
 
Alejandro afferrò la figura sbucata dietro l’angolo e la sbatté contro il muro, l’asiatica con uno scatto puntò l’arma contro il suo collo. Poi, entrambi, realizzarono: di fronte a loro stava uno degli scagnozzi di suo fratello. 'E io che pensavo di non essermi fatto sentire' commentò questi alzando le mani in segno di resa. I due lo lasciarono, tuttavia Heather non mise via il coltello pronta, se necessario, ad attaccare. 'Non sono qui per farvi del male: Damien mi ha mandato a sorvegliarvi dopo aver sentito dell’attacco al vostro rifugio e dell’arresto di Nelson'.

'Duncan è stato arrestato?!' esclamò il latino sorpreso.
 
'Certo, non lo sapevate? È su tutti i notiziari' e si mosse per afferrare qualcosa dall’interno giacca; Heather scattò in avanti, puntandogli l’arma. 'Calma, tigre, questo cellulare potrebbe farti male' fece il tipo in tono sarcastico mostrando loro il telefono, in particolare la sezione dedicata alle news colma delle foto segnaletiche del punk. 'MacArthur dice che è stata una telefonata anonima a incastrarlo'.

'Ecco cosa succede a fare l’imbecille in giro' commentò lei acida, scorrendo tra le notizie fino a quando lo schermo del cellulare non divenne scuro, il nome del fratello in rilievo accompagnato da una piccola vibrazione. Senza pensarci su due volte, rispose lei.

- Devin, come sta andando? -

'Magnificamente' disse lei. 'Allora, psicopatico, cosa vuoi?'.

Dopo una breve pausa, una risata raggiunse il suo orecchio.
- Sapevo sarebbe finita così. Volevo solo avere tue notizie, tutto qui -
 
'Non hai avuto mie notizie da anni e adesso ti preoccupi?! Lasciami in pace' e lanciò il cellulare al suo legittimo proprietario. 'Alejandro andiamocene'.
 


 
§
 
 
 


 
'Ora che Max è morto non dovremmo preoccuparci della polizia' constatò José. 'Non al momento almeno'.
 
'È stata una bella pensata quella di attaccare la loro base la notte di Halloween per distrarre gli sbirri da José' commentò Ryan. 'Ottimo lavoro, a proposito' e diede una pacca sulla spalla al primo.
 
'Un po’ improvvisato come attacco dato il preavviso breve da parte di Anne Maria, nonostante ciò mi aspettavo comunque di meglio' disse una voce alle loro spalle, facendoli pietrificare sul posto. 'Su cinque persone ne avete ferite due e ammazzata una sola'.
 
'Deludente, infatti' s’intromise una seconda voce più matura. Tutti si voltarono, la figura alta e slanciata del signor Barlow li fissava da dietro gli occhiali, facendoli sentire quasi inadeguati. 'Dimmi, Mal, esattamente che cosa volevi ottenere da questa sparatoria?'.
 
'Ci serviva un diversivo per poter far fuori indisturbati quel traditore di Max, no? Un altro interrogatorio con quel capitano e avrebbe fatto i nomi di tutti, compreso il tuo'. L’uomo innanzi a sé annuì, rigirandosi il registratore tra le mani. 'Inoltre, i “Vultures” adesso sono divisi. Se prepariamo bene la prossima mossa, possiamo attaccarli uno ad uno e farli fuori una volta per tutte'.
 
'E che mi dici di mia figlia?'.
 
'Con molta probabilità è scappata con Scott e l’unico posto che mi viene in mente in cui nascondersi è l’appartamento' rispose Mal. 'Adesso, però, tocca a te: vuoi che Courtney non venga coinvolta in qualche attacco? Vai a riprendertela'.

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Capitolo 30
*** CAPITOLO 27 ***


MARTEDI’ 03 NOVEMBRE 2020
 
BRICK MCARTHUR
Guardò il tabellone nel suo ufficio: foto, nomi, collegamenti con mille colori diversi. Tutto ciò per tre casi che solo all’apparenza non avevano nulla in comune: un omicidio, un’esplosione e una sparatoria. E doveva ancora aggiungere la morte misteriosa di Maximilian e il ritrovamento di diversi resti umani alla lista.
Si strofinò gli occhi rossi: non aveva dormito quella notte, così come quelle precedenti pur di riuscire a visualizzare il quadro completo della situazione e a dare un senso all’impossibile. Sospirando, diede un’altra letta ai suoi appunti, in particolare quelli del suo ultimo interrogatorio.
 
 
 
DOMENICA 01 NOVEMBRE 2020
Sedeva di fronte al famoso Duncan Nelson, i capelli completamente neri e zero piercing sul volto. Si erano squadrati a lungo prima che qualcuno avesse cominciato a parlare. 'Perché sono qui?' aveva domandato lui.
 
'Come se non lo sapesse, era su tutti i notiziari' aveva parlato il capitano.
 
'Quello che intendevo dire è che non ho commesso alcun crimine'.
 
'Sarà intralcio alla giustizia se non collabora, signor Nelson' e gli aveva messo sotto il naso le foto delle signorine Mills e Gadon. 'Le conosce?'.
 
'Dalla televisione, personalmente no'. Poi gli mostrò le immagini delle famose avvocatesse. 'Mai viste' ma il capitano gli aveva sbattuto in faccia un’altra fotografia, quella presa dalle telecamere esterne, quella in cui Nelson, il giorno del rilascio, era in compagnia di una delle due ragazze, la mora ad essere precisi. Il criminale aveva sospirato. 'Mi ha avvicinato lei, prima di allora non sapevo chi fosse, e sinceramente non lo so tuttora, aveva una specie di travestimento addosso'.
 
'Che cosa vi siete detti?' aveva chiesto McArthur appuntandosi le risposte su un block-notes, aveva sempre avuto la mania di segnarsi tutto ciò che gli veniva riferito, da quando era solo una semplice recluta. Aveva imparato a sue spese che ogni dettaglio poteva essergli utile. Nelson però non aveva ancora parlato. 'Visto che non vuole parlare, che ne dice se prima le espongo la mia teoria?' e aveva sfogliato le pagine cariche di inchiostro innanzi a sé. 'Tanto per cominciare, il nostro specialista ha confrontato due video in nostro possesso ed è riuscito a risalire all’identità di una delle ragazze, Courtney Barlow. Ora, noi sappiamo che con lei ha avuto una storia in passato, ma anche che la signorina Barlow di tutto ciò che la riguarda non ha memoria a causa dell’incidente che ha avuto… almeno così vuole far credere' e aveva fatto una pausa per scrutare il corvino seduto di fronte a sé in cerca di qualcosa che potesse tradirlo: aggrottamento di ciglia, il tirare degli angoli della bocca, e così via. Ma niente, Nelson sembrava impassibile, le braccia conserte. 'Vede, io credo che la signorina Barlow abbia ricordato qualcosa, saputo del suo arresto e voluto aiutarla, ma serviva che qualcuno le desse una mano, qualcuno come lo staff dell’“All Stars”, e così veniamo al video che l’ha scarcerata'.
 
'Una storia davvero avvincente' aveva commentato Duncan ghignando. 'Supponiamo che sia così, perché mai Courtney avrebbe voluto aiutarmi, o meglio, perché avrebbero dovuto farlo quelli dell’“All Stars”? Noi non siamo esattamente in buoni rapporti'.
 
'Infatti Geoffrey Fairlie mi ha confermato che nessuno è passato al locale a chiedere la videocassetta. Ergo, deve essere stata rubata da qualcuno che conosceva bene il posto… la signorina Gwendolyn Fahlenbock non è forse venuta a farle visita in carcere il 28 luglio? Magari in quel momento avete discusso i dettagli dell’operazione, ed ecco trovata la seconda avvocatessa' aveva concluso, e ora stava aspettando che l’altro crollasse e confessasse tutto. Tuttavia, Nelson si era messo a ridere, e di gusto anche, le lacrime agli occhi.
 
'Non male, davvero. Ma fuori pista' aveva commentato poi ricomponendosi sulla sedia.
 
' “Fuori pista”? Quindi sa più di quello che lascia intendere. Continui dunque' lo aveva spronato il capitano cercando una pagina bianca.
 
Nelson si era fatto improvvisamente serio, si era schiarito la gola prima di parlare: 'Quando sono stato rilasciato non sapevo nulla – chi mi avesse aiutato, come e perché – fino a quando non mi si è avvicinata una donna: alta, mora, brutta, con gli occhiali e tutta in ghingheri. Mi ha detto di essere stata lei, con una sua compare, a farmi uscire da lì in cambio… diciamo in cambio dei miei servigi' aveva cominciato. 'Le ho detto che non volevo avere nulla a che fare con loro, le ho anche riso in faccia. È stato in quel momento che mi ha detto per chi lavorava, un tipo di nome Mal, e mi ha minacciato di farmi fare la stessa fine dei miei compagni se non mi fossi unito a loro'.
 
'I suoi compagni? Intende forse i “Der Schnitzel Kickers”?'.
 
'Vedo che ha fatto i compiti a casa' aveva sorriso amaramente. 'Sì, loro. A quanto pare, mentre ero dentro, sono stati attaccati da questo Mal e fatti fuori. Logicamente non le ho creduto, andiamo, chi mai penserebbe di riuscire a battere un’intera gang? Eppure, una volta a “casa”, di loro non ce ne era traccia. Così ho deciso di nascondermi per evitare che potessero fare secco anche me… questo fino a ieri, devo aver esagerato con l’alcol…'.
McArthur aveva preso nota di ogni singola parola, che Duncan avesse detto o meno la verità, questo lo avrebbe verificato personalmente.
 
'E come mai questo “Mal” dovrebbe avercela con lei?'.
 
'A saperlo' aveva semplicemente risposto lui facendo spallucce. 'Ma non era la prima volta che sentivo quel nome: c’era un ragazzo che si faceva chiamare così in riformatorio, piuttosto inquietante'. Il capitano lo aveva squadrato, la penna sospesa a metà. Francamente, non ci stava capendo più nulla.
 



 
'Capitano?' lo chiamò piano Sanders, un block-notes tra le mani. 'Scusi se la disturbo, ma ho notizie dalla scientifica: non sappiamo ancora a chi appartengano le ossa ritrovate nella proprietà dei Ronningen, ma sappiamo trattarsi di quattro soggetti diversi, tre uomini fra i venti e i trent’anni e una donna sulla cinquantina. Abbiamo anche interrogato i Ronningen, ma niente che ci possa aiutare a identificare le vittime'. McArthur sbuffò, più di qualsiasi cosa odiava aspettare.

'Ci sono sviluppi sul caso Stering?' ma l’agente si limitò a scuotere la testa.

'Stiamo riguardando il video dell’interrogatorio per cercare qualche indizio in più su chi possa essere la persona cui Max passava le informazioni. Chiunque sia, siamo per la teoria che sia stata proprio questa persona a farlo fuori temendo rivelasse il suo nome'.

'È una pista, meglio di niente comunque…' sospirò l’uomo.

'CAPITANO!' esclamò MacArthur fiondandosi nel suo ufficio. 'Sono riuscita ad avere la lista dal riformatorio come aveva richiesto, non c’è nessun “Mal” tra i detenuti ma guardi che nome è spuntato fuori' e gli porse un elenco, un solo nome evidenziato più e più volte: Mike Doran. Sgranò gli occhi sorpreso, rivolgendosi poi alle altre due. 'Ho chiamato per avere qualche notizia sul conto del signor Doran, a quanto pare tutti avevano paura di lui, personale compreso, e indovini che nomignolo usavano per riferirsi a lui…'.

'Mal…'.

'Bingo'.
 


 
Forse quanto raccontato da Nelson ero vero, dopotutto… 
 





 
GEOFF
'È la missione più pallosa cui abbia mai preso parte!' esclamò Brody sbadigliando rumorosamente sul sedile passeggero accanto al biondo.

'Sempre meglio che finire in una sparatoria' commentò Geoff con un velo di tristezza.
 
'Sempre meglio della giornata di ieri' protestò l’altro. 'Come si fa a perdere cinque ore per scegliere un vestito?!'.

'È Anne Maria, dovevi aspettartelo da lei'. Brody sbuffò, buttandosi di peso contro lo schienale. 
 
Caffè alla mano, i due erano appostati ormai da un’ora nel parcheggio di un supermercato, a sorvegliare la gigantessa Jasmine, su gentile richiesta del capo, deciso – finalmente – a scovare la talpa nel gruppo, la stessa che aveva avvertito la gang rivale del libretto a casa di Courtney e che, molto probabilmente, era la causa dietro l’esplosione al locale e la sparatoria in casa Fahlenbock, e le morti che ne sono seguite. Pensare che la spia potesse essere la ragazza che in quel momento stavano pedinando gli faceva ribollire il sangue: Jasmine, francamente parlando, non gli era mai andata a genio, e se si aggiungeva il fatto che da sola riusciva a incutere timore in tutti loro… chi mai avrebbe avuto il coraggio di affrontarla faccia a faccia?
 
'Spero che Topher e Lightning si riprendano presto' continuò il moro alla sua destra. 'Così la prossima volta si appostano loro'.
 
'Ammettilo: hai paura di Jasmine'.
 
'Chi è che non ha paura di Jasmine?' ribatté Brody, gli occhi fissi davanti a sé una volta individuato il loro obiettivo: era appena uscita dal negozio, il carrello carico di cibo. 'Pensi davvero che possa essere lei?'.
 
'Beh, Anne Maria non mi sembra così sveglia…' commentò Geoff sorseggiando dal thermos. 'Se pensi che per un vestito ha impiegato cinque ore, per architettare tutto questo quanto ci metterebbe?'.




 
 
COURTNEY
Stava archiviando dei vecchi casi in ordine alfabetico, cosa che in ufficio avveniva molto più spesso, purtroppo. La cosa non le piaceva per niente, soprattutto se a ordinarglielo era miss perfettina Chang, che poi perfetta non lo era affatto, altrimenti si sarebbe arrangiata a risolvere i problemi allo studio invece di sbraitare il suo nome a destra e a manca perché la servisse e riverisse.
Per non parlare poi della stanchezza accumulata in quei giorni, a causa di quelle maledette notti insonni: incubi di lei mentre percorreva un lungo corridoio, quello dello studio legale, per poi scivolare su una pozza di sangue, occupavano la sua mente addirittura durante la giornata, e aveva la netta sensazione che avessero un significato ben preciso.
Sbadigliò, terminando finalmente con l’ultimo fascicolo. Si stiracchiò, pregustando il momento in cui sarebbe tornata a casa, insieme agli altri, a mangiare schifezze e ad architettare chissà che piano per contattare Gwen e salvare – di nuovo - quel cialtrone di Duncan dalle grinfie della polizia. Salutando tutti – tranne quella smorfiosa della Chang – si diresse verso l’uscita ma si arrestò immediatamente vedendo la figura del padre torreggiarla. 'P-papà, che ci fai qui?!' chiese sorpresa.
 
'Che ci faccio qui?! Sono due giorni che provo a chiamarti!' sbottò lui arrabbiato. 'Ho visto quello che è accaduto ai telegiornali! Io e tua madre eravamo preoccupati!'.
 
'Papà, io e Heather siamo andate a divertirci in un locale quella sera' fece lei un po’ incerta avviandosi verso i gradini all’esterno. 'Stiamo bene'.
 
'Non direi dato che qualcuno è morto!' continuò l’uomo afferrandole il braccio per voltarla. 'Dove stai adesso?'.
 
'Sono ritornata nell’appartamento, con Heather'.
 
'Dopo quello che mi hai raccontato? È fuori discussione!' esclamò il padre aggrottando la fronte. 'Tu torni a casa con me e tua madre' e strinse ancor di più la presa sul suo braccio impedendole di dargli le spalle e andarsene in qualsiasi momento.
 
Le persone lì attorno si erano fermati a guardarli, compresi alcuni dei suoi colleghi che, come lei, avevano finito di lavorare. 'Papà, mollami. Mi stai mettendo in imbarazzo'.
 
'IO ti starei mettendo in imbarazzo?! Non sono io quello che si è sposato un criminale!' sbottò lui realizzando solo in un secondo momento quanto detto: i suoi occhietti color nocciola sgranarono da dietro gli occhiali e la mano sul braccio della figlia si aprì. L’uomo tossicchiò e prese a sistemarsi la giacca cercando di ricomporsi. 'Non sono uno stupido: so che lo sai e chiunque nella tua situazione avrebbe cominciato a fare domande. Se io e tua madre te lo abbiamo nascosto è stato solo per la tua sicurezza'.
 
'È per questo che quando sei entrato in casa di Gwen pensavi ci fosse anche Scott?' indagò la spagnola fissandolo dritta negli occhi. Lui si limitò ad annuire. 'Ma non capisco perché pensavi ci fosse anche Nelson'.
 
'La tua amica Gwendolyn e quel Nelson erano molto più che amici, pensavo si stesse nascondendo là'. Non gli credette neanche per un secondo, d’altra parte da qualcuno aveva pur imparato a mentire. 'Comunque, se Mike è ancora in giro è bene che tu stia con me e tua madre. Non vorrai mica che Heather finisca nei guai a causa nostra, no?'. Come se di Heather gli importasse veramente qualcosa.
Ma avrebbe potuto cogliere la palla al balzo e indagare di più sul padre, no?
 
 



 
DUNCAN
Sbuffò annoiato, dondolandosi avanti e indietro con la sedia sulla quale stava seduto da quasi due giorni.
Alla fine gli sbirri lo avevano beccato, tutto per colpa di qualche drink di troppo e di una ragazza avvenente. Se solo fosse stato più accorto e discreto a quest’ora sarebbe stato insieme agli altri, a casa di Gwen, a mangiare cibo spazzatura e a prendere per i fondelli il suo amico nerd e quel culo rotto di Topher.
Il telegiornale aveva trasmesso qualcosa in merito alla sua cattura? Pensava di sì vista la folla che si era creata attorno alle volanti pur di riuscire a riprenderlo con i cellulari. Che gli altri, quindi, avessero visto la notizia e si fossero presi la briga di salvarlo (ancora)? Erano almeno preoccupati per lui?
Si portò le mani ai capelli, tirandoli leggermente, i gomiti puntati sul tavolo e la faccia abbassata. Una volta portato in centrale gli avevano tolto tutto, cellulare e auricolare incluso: aveva perso qualsiasi contatto con il mondo esterno.
La porta si aprì, il capitano fece capolino seguito da due agenti, una in carne e l’altra alta e magra. Il punk guardò le tre figure con aria interrogativa. McArthur si era bevuto la sua storia oppure lo avrebbe spedito dietro le sbarre?
'Abbiamo fatto delle ricerche' cominciò l’altro prendendo posto di fronte a Duncan, il quale continuò a scrutarlo con i suoi occhi azzurri. 'E sembra che su questo Mal, lei, signor Nelson, ci abbia detto la verità' e gli mostrò dei fogli, un solo nome evidenziato. 'Come può vedere, qui – e indicò il cerchio giallo – c’è il nome di “Mike Doran”, uno dei detenuti insieme a lei al riformatorio. Indovini come si faceva chiamare dai suoi compagni'.
 
'Mal' affermò lui. Il capitano annuì. 'Perché mi sembra di aver già sentito questo nome?' continuò Duncan facendo il finto tonto.
 
' “Mike Doran”? Perché è il ragazzo che ha fatto la sua descrizione alle autorità accusandola di aver aggredito lui e ucciso la sua ragazza, Zoey Mamabolo' rispose McArthur serio. 'Sembra che lei non stia così simpatico a Mal. Quindi la mia domanda è: perché incriminarla per un reato e poi, stando alla sua testimonianza, chiedere a delle “avvocatesse” di liberarla? Non ha molto senso'. Ops, beccato.
 
'Io non posso entrare nella testa di una persona, non so come quello psicopatico ragioni' fece Duncan cominciando a sentire caldo, sotto lo sguardo indagatore del capitano.
 
'Beh, un modo ci sarebbe' continuò quest’ultimo. 'Le faccio una proposta'.
 
 
 
 

 
HEATHER
Con la scusa di dover usare il bagno, era riuscita ad allontanarsi e a prendersi una pausa da tutto quello: suo fratello era lì, nel suo appartamento, in compagnia di Devin, a discutere con Scott in merito all’alleanza. Alla fine ce l’avevano fatta ad accordarsi, quei due, e la cosa le faceva solo venire la nausea.
Era rinchiusa lì da molto e non aveva alcuna intenzione di uscire, almeno fino a quando il fratello non se ne sarebbe andato; ma ogni suo proposito andò a farsi benedire non appena udì, dall’altra parte della porta, la voce di Courtney, evidentemente di ritorno dal lavoro. Uscì e si recò nel soggiorno, sotto lo sguardo preoccupato di Alejandro. 'Quindi alla fine avete deciso di unirvi?!' domandò la spagnola, il tono sorpreso ma arrabbiato al tempo stesso.
 
'Fino a prova contraria sei stata tu ad insistere perché chiedessi il loro aiuto' rispose Scott.
 
'Appunto: il loro aiuto. Non ho mica chiesto di allearti' ribatté la ragazza, le braccia conserte.
 
'Non funziona così: o tutto o niente' la liquidò Damien. 'Allora, Wallis, ultima possibilità: ci state oppure no?' e gli aveva porto la mano. Il rosso spostò lo sguardo da Damien e il suo – falso – sorriso rassicurante al cipiglio severo della spagnola, e viceversa. Alla fine, deglutendo pesantemente, strinse la mano del primo. 'Eccellente!'.
 
'Oddio' sospirò Courtney buttandosi a peso morto sul divano, la mano destra alla fronte.
 
'Avanti, esseri nostri compari non è così male' commentò Damien. 'Giusto, H?' proseguì in direzione della sorella ricevendo però una stilettata.
 
'In ogni caso da oggi in poi non potrò farci nulla' disse la spagnola. 'Mio padre si è presentato allo studio, e dopo quanto avvenuto in casa di Gwen vuole che mi trasferisca da lui'.
 
'Concordo' fece Scott nello sbigottimento generale.
 
'Wow' commentò Courtney fulminandolo. 'Gli avevo già detto di sì così da approfittare della situazione e indagare di più su di lui, ma non pensavo mi scaricassi alla prima occasione buona'.
 
'Non ti sto “scaricando”' rispose Scott mimando le virgolette in aria. 'Ritengo solo che sia più sicuro per te stare con lui che con noi. Hai rischiato di morire più di una volta, quattro per l’esattezza… pensa cosa potrebbe accadere ora che siamo in combutta con i Kobra' e indicò Damien il quale lanciò un occhiolino. Disgustoso.
 
'Odio ammetterlo, ma ha ragione' s’intromise Heather. 'Inoltre, come hai detto tu, potrai indagare su tuo padre e su come sia a conoscenza di certe cose. Cosa più importante, poi, potrai rubargli il registratore con la voce di Zoey: potrebbe essere la nostra arma contro Mal'.





______________________
ANGOLO AUTRICE:
Ciao ragazzi, come state? Spero bene :)
Spero che questi capitoli vi stiano piacendo ed entusiasmando, e ci stiamo sempre più avvicinando alla fine di questa mia pazzia: sto pregando perché io riesca alla fine di tutto ad incastrare perfettamente tutti gli avvenimenti!!
Come sempre io vi ringrazio perché siete dei lettori davvero preziosi, e anche se non vi conosco e voi non conoscete me sappiate che vi adoro <3 dopo questo capitolo ci saranno dei giorni di pausa perché devo recuperare un po' di cose con l'università e mi sta venendo da piangere al solo pensiero D: ma sappiate che non sono una che molla tanto facilmente e questa storia ho intenzione di portarla a termine (sul come chi lo sa...).
Alla prossima, un bacio virtuale :*

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Capitolo 31
*** CAPITOLO 28 ***


VENERDI’ 13 NOVEMBRE 2020
 
COURTNEY
Stava cercando di rialzarsi, nonostante le gambe tremassero e il pavimento fosse più scivoloso che mai. Lentamente, ricominciò a camminare, seguendo le tracce di sangue e lo strano odore che aleggiava nell’aria, il cuore che le batteva a mille, lo stomaco in subbuglio.
Alzò lo sguardo e lo vide, il corpo di una donna a terra, il vestito bianco macchiato di rosso.


 
Courtney si svegliò di nuovo nel cuore della notte.
Era diventata parte della sua routine: quasi ogni notte dall’inizio di novembre quel maledetto incubo le veniva a far visita... immagini di lei in ginocchio sul pavimento sporco di sangue e il volto di una donna mai vista prima erano marchiati nella sua mente. Inutile dire che nei giorni precedenti aveva fatto le sue ricerche (in internet, nei libri presso lo studio del padre…) per cercare di dare un significato a tutto quello, ma zero. Era addirittura arrivata ridicolmente ad ipotizzare che quei sogni fossero il simbolo di qualcosa di nefasto che da lì a breve sarebbe potuto accadere data la situazione che tutti loro stavano vivendo.
Sospirando, accese la lampada alla sua sinistra e dovette sbattere le palpebre più e più volte per abituarsi alla luce.
Non era più nell’appartamento. La stanza in cui si trovava era nella casa dei genitori. Ancora non credeva di aver acconsentito a tutto quello, certo stando con il padre avrebbe potuto scoprire altre cose interessanti ma dopo quasi una decina di giorni nulla era accaduto e non vi era traccia da nessuna parte del registratore, nemmeno nello studio del genitore.
Non avendo più sonno, si portò alla scrivania e cominciò a sfogliare alcuni documenti: ormai si era ridotta a fare quello nella maggior parte del tempo, non a caso riusciva a trovare le soluzioni più adatte ad ogni problema; ma la cosa più frustrante avveniva quando doveva proporle in ufficio davanti ai suoi colleghi, per poi finire per non essere ascoltata affatto se non dalla Chang, che, riproponendole a sua volta parola per parola, riceveva consensi e lodi. Perché nessuno si prendeva la briga di ascoltarla pur sapendo che quanto diceva era corretto? Che avesse ragione quella bisbetica e c’entrasse qualcosa suo padre, dato che questi era amico del suo capo? Quindi, alla fine, era una raccomandata. Ecco perché tutti la odiavano. Ottimo. Veramente ottimo.
Passò più di un’ora quando la sveglia sul comodino suonò. Aveva scritto più di due pagine di osservazioni e questa volta giurò a se stessa che alle riunioni avrebbe tenuto la bocca chiusa.





 
JASMINE
Come ogni mattina, alle sei in punto, uscì di casa per percorrere la solita stradina. Cuffiette alle orecchie, asciugamano al collo e borraccia alla mano, cominciò a correre.
Tredici giorni. Tredici fottuti giorni senza alcuna notizia da parte del boss o degli altri membri, e a quanto pareva l’unica nella sua stessa posizione sembrava essere Anne Maria, la quale, come lei, aveva cercato più e più volte di mettersi in contatto con il resto della squadra invano. Infatti, le poche informazioni di cui disponevano entrambe erano quelle fatte passare alla televisione: la sparatoria a casa della gotica e la morte dell’infiltrato di Mal nella polizia, per non parlare dell’arresto di Duncan. Era evidente che qualcosa quella sera era andato storto, se solo uno di loro si fosse deciso una buona volta a rispondere al telefono…
Fece una piccola pausa per riprendere fiato e dedicarsi allo stretching, e in quel momento la vide: l’auto di Geoff era parcheggiata a pochi metri da dove si trovava. Finalmente si erano decisi a contattarla. Alzò il braccio in aria salutando i due sui sedili anteriori, i quali sembravano piuttosto sorpresi. Strano, dopotutto erano lì per lei. Jasmine si avvicinò e bussò al finestrino, dall’altra parte del quale stava Geoff, le mani ancora sul volante.
'Ho sempre fatto una gran paura agli uomini corpulenti, anche a quelli magrolini, e anche alle ragazze… ora che ci penso faccio paura a tutti' iniziò lei. 'Ma non pensavo che ciò comprendesse anche voi due'.

'Noi, paura? Tse! Quando mai!' esclamò il biondo non troppo convinto.
 
'Noi non abbiamo mica paura di una ragazza!' aggiunse Brody nervoso.

Jasmine alzò un sopracciglio. 'Dunque, ragazzi, vedo che Scott si è deciso a riprendere i contatti. Mi dite che cosa è successo la sera del trentuno dopo che me ne sono andata? E le ragazze, stanno bene?'.

'Beh, ecco' cominciò Geoff cercando le parole giuste. 'Come sai noi non c’eravamo e… ehm… le uniche cose che sappiamo sono quelle dette al telegiornale'.

'Esatto. Non che Topher abbia provato a contattarci, no, no!' disse il moro grondando sudore. Faceva davvero così paura?

'Comunque pensiamo che dietro ci sia Mal' proseguì Geoff lanciando un’occhiataccia all’amico. 'Per quanto riguarda le ragazze, loro stanno bene, ma la squadra al momento è divisa. Il capo ha cercato di capirci qualcosa prima di contattare il resto di noi… soprattutto dopo, beh, l’arresto di Duncan'.

'Sì, ho sentito le notizie… avete in mente qualcosa per tirarlo fuori di lì?' chiese Jasmine sinceramente curiosa. I due si scambiarono un’occhiata. Okay, si stavano comportando in modo strano e non capiva il perché. 'State bene? C’è qualcosa che dovrei sapere?'.

'Oh, ehm, no' rispose Geoff con un sorriso tirato. 'S-solo che al momento è meglio non dare nell’occhio. Appena avremo un piano ti contatteremo noi, come oggi per esempio'.

Decisamente molto strano.




 
HEATHER
Sfogliò velocemente il giornale fino ad arrivare alla sezione che più interessava ai disoccupati come lei, alla ricerca di qualche lavoretto.
Da quando Courtney se ne era andata, lei era diventata l’unica donna di casa costretta ad occuparsi di quei due bambini fin troppo cresciuti del suo ragazzo e del boss, sicché, portata al suo estremo, aveva deciso di trovarsi qualcosa da fare per uscire da quell’inferno di appartamento e mettere una certa distanza tra lei e quegli idioti.
'Che fai?' chiese Alejandro curiosando da sopra la sua spalla.

'Cerco un lavoro'.

'Perché non riprendi gli studi, invece?'.

'E con quali soldi?' ribatté lei continuando la sua ricerca, cerchiando di tanto in tanto le proposte che le sembravano le più appetibili.

'Adesso che abbiamo formato l’alleanza Scott e Damien pagheranno bene'.

'Primo: “abbiamo” chi? Io non ho formato alcuna alleanza. Secondo: io non voglio i soldi di mio fratello' replicò lei lanciandogli una stilettata. Alejandro si sedette al suo fianco, il braccio le circondò la vita. 'Non voglio parlarne'.

'Non ho aperto bocca' rispose lui.

'No ma posso leggerti nella mente ormai' fece Heather scorrendo velocemente la penna sul giornale.
 
'Pensa a che livello è arrivata la nostra relazione allora!' gongolò lui rifilandole un sorrisetto compiaciuto. Lei, nascondendo il rossore al viso con l’aiuto del quotidiano, si limitò a scrollarselo di dosso e a sdraiarsi sul divano. 'Scherzi a parte, pensaci, a riprendere gli studi dico. Parli il giapponese, con una laurea potresti fare da interprete'. La ragazza lo squadrò un attimo. 'Quella sera, al locale dei Kobra, hai discusso con tuo fratello, e lo parlavate entrambi'.

'Alejandro, non dirmi che conosci il giapponese… C’è qualcosa che non sai fare?' chiese lei retoricamente riportando lo sguardo sulla rivista e cerchiando l’ennesima offerta di lavoro. Meno male che la sera del trentuno si era limitata ad insultare pesantemente il fratello e a non dire altro, non che avesse qualcosa da nascondere al latino, anzi. Quando era stata prigioniera, infatti, avevano fatto diverse ricerche su di lei e il breve racconto che gli aveva rifilato Carlos ne era la prova; era solo che si vergognava del suo passato e di quello che lei e il fratello avevano combinato per sopravvivere, per non parlare dei diversi epiteti con cui l’avevano chiamata. Ergo, non avrebbe mai menzionato nulla al riguardo, nemmeno ad Alejandro.
Quest’ultimo le sorrise intenerito e le schioccò un dolce bacio sulla fronte prima di dirigersi sul terrazzo a fare compagnia al rosso, al telefono con Geoff per gli ultimi aggiornamenti.
 
 



 
DUNCAN
Forse il carcere non era così male.
Almeno in confronto a quello che stava passando ora, costretto a seguire come un bravo cagnolino al guinzaglio quel palo nel sedere del capitano Brick McArthur, perché questi non poteva lasciarlo andare, no, doveva per forza tenerlo sotto controllo. Ed eccolo lì, in centrale, a fargli da collaboratore, anzi da partner.
La cosa positiva era che aveva scoperto di avere un’alleata lì dentro.
 
 
 
MERCOLEDI’ 04 NOVEMBRE 2020
Era in sala conferenze, circondato da numerosi poliziotti, ognuno dei quali lo stava silenziosamente giudicando. Aveva sbadigliato più volte, disinteressato al resoconto della giornata.
Finito quel supplizio, i poliziotti si erano recati verso l’uscita, ad eccezione di quelli di pattuglia per la notte, tra cui Sanders e MacArthur. 'Allora, sei ancora sveglio?!' gli aveva chiesto quest’ultima tirandogli una pacca sulla spalla facendolo scivolare dalla sedia. 'Il capitano vuole che ti facciamo da babysitter'.
 
'No' aveva risposto lui lanciandole un’occhiataccia. 'Sono stanco, voglio solo dormire'.
 
'Puoi sempre farlo in auto sui sedili posteriori' aveva aggiunto Sanders. 'Vado a prendere le chiavi' e si era diretta verso l’entrata della stazione.
 
Aveva sbuffato rumorosamente: se avesse potuto tornare indietro nel tempo col cazzo che avrebbe accettato la proposta di McArthur a diventare suo collaboratore. Gli erano toccate due ragazze come babysitter e una di queste, la grassona, si stava guardando intorno con circospezione.
'Senti, Nelson, non so quanto tempo abbiamo ma cercherò di spiegarti l’essenziale' e aveva iniziato a fargli il quadro della situazione a partire da quanto avvenuto durante la notte di Halloween: gli aveva parlato dell’incontro tra Scott e i Kobra e di una probabile alleanza tra le due squadre, ed altre cose ancora tra cui la triste morte di Cameron. Per tutto il tempo l’aveva fissata incredulo, non sapendo sinceramente se crederle o meno. 'Ora, tu puoi scegliere se credermi o no, ma non sei solo: in me hai… ehm… un’amica?' aveva concluso lei con aria quasi disgustata. 'Non pensavo che dirlo ad alta voce mi avrebbe fatto così impressione'.
 
'Ecco le chiavi!' aveva esclamato Sanders di ritorno. 'Ancora a terra?'. Solo in quel momento si era accorto di stare ancora seduto sul pavimento, tanto era preso dal racconto della poliziotta più in carne. 'Avanti, alzati!'.
 
'Posso avere anch’io una pistola?' aveva domandato lui, invano date le occhiate che aveva ricevuto dalle due. 'Neanche il mio cellulare? Lì ho tutti i miei giochi!'.
 
'Soprattutto il tuo cellulare' aveva commentato MacArthur facendogli strada verso la volante. 'Non so se lo sai, ma sembra che il tuo telefono sia sorvegliato da qualcuno e stiamo cercando di capire chi possa essere'. Il punk aveva smesso di camminare. Qualcuno gli aveva hackerato il cellulare? Come, e perché? Lui non era così interessante, non come il resto dei suoi compagni di squadra. 'Quindi, per sicurezza, meglio far credere a queste persone che sei chiuso in cella, no?' e lo avevano invitato a salire in auto.
 
 
 
Da quel giorno in poi aveva passato del tempo in compagnia delle due agenti, e - odiava ammetterlo – MacArthur gli stava pure simpatica. Al contrario, i momenti più noiosi erano stati quelli con il capitano nel suo ufficio, a fargli la paternale su “quanto il suo aiuto avrebbe potuto aiutarli”, che addirittura “avrebbe potuto mettere una buona parola nei suoi confronti” e che “ormai era diventato un membro effettivo nel dipartimento”, bla bla bla, e tante altre parole ancora con cui riempirsi la bocca.
Tuttavia, dal momento che era diventato un nuovo “membro” del corpo di polizia tanto valeva adattarsi, no? Ecco che si era ritrovato più spesso a frugare nella scatola delle ciambelle, e quel giorno non era stato da meno: ne prese una colma di zuccherini e l’addentò, prendendo posto a capotavola incurante del fatto che quello spettasse al “suo” superiore: che cosa poteva fargli il capitano, licenziarlo?
Parlando del diavolo, questi entrò seguito da Sanders e MacArthur e vedendolo seduto sulla propria sedia a rotelle lo spinse via energicamente puntando il piede sulla sua gamba, poco ci mancava che cascasse a terra. Permaloso.
Il resto degli agenti prese posto attorno al tavolo e aspettò che il capitano parlasse. 'Dunque, vediamo di avere un quadro più o meno chiaro della situazione. Abbiamo delle novità sul caso “Mamabolo”: pensiamo che l’assassino possa essere il fidanzato, Mike Doran, ma che noi chiameremo d’ora in poi “Mal” ' e cominciò a scrivere sulla lavagna dietro di lui. Quasi sorrise pensando a quanto tutto ciò gli fosse familiare, dato che qualche settimana prima quelle stesse azioni le compieva Courtney sotto i suoi occhi. 'Sappiamo che Mal ha passato del tempo in riformatorio, precisamente nello stesso periodo del nostro nuovo acquisto – e indicò il punk. Abbiamo interrogato il personale e sembra che il nostro sospettato soffra di un disturbo della personalità multipla. Infatti, nella primavera di quest’anno, ha cominciato a vedere uno specialista, il signor Barlow' e riprese a scrivere alle sue spalle, appiccicando diverse foto.
 
'Quindi questo individuo ha più di una personalità?' chiese un poliziotto in fondo alla stanza. 'Anche se lo catturiamo difficilmente rimarrà dietro le sbarre, sfrutterebbe l’incapacità di intendere e volere'.
 
'Per questo dobbiamo interrogare il signor Barlow, per capire qualcosa in più su questa… ehm… malattia'.
 
'Aspettate, “Barlow” come la ragazza che ho interrogato allo studio?' s’intromise un secondo ragazzo ricevendo un “sì” come risposta. 'Non so voi ma non mi sembra una coincidenza questa. Sia il padre che la figlia devono nascondere qualcosa'. Per un attimo, giurò di aver visto il capitano lanciargli un’occhiata: se pensava di ottenere da lui qualche reazione davanti a quelle affermazioni, sbagliava di grosso. D’altra parte c’era un motivo se lo aveva fatto suo partner: Brick McArthur non si fidava di lui, e, sveglio qual era, non si era bevuto la storia inventata di sana pianta dal punk.
 
'A proposito' aggiunse Sanders. 'Una delle due avvocatesse sappiamo essere, con altissima probabilità, la signorina Barlow, ma l’altra? Vedete, io continuo a chiedermi perché, tra tutte le persone, scegliere proprio Lindsay Mills e Elizabeth Gadon… penso che con queste avvocatesse avessero un contatto diretto, potremmo vedere tra le loro conoscenze se c’è un profilo che corrisponde…'. Merda. In quel momento cercò di rimanere davvero impassibile, nonostante il fugace scambio di sguardi con MacArthur, in piedi accanto alla porta.
 
'Affido a te e MacArthur questo compito, allora' concluse il capitano. 'Per quanto riguarda l’esplosione all’“All Stars” c’è qualche progresso?'.
 
'Tutte le telecamere sono andate distrutte, nessuna si è salvata' rispose una ragazza alla sua destra. 'Per quanto riguarda le bombe, beh… non è un lavoro da principianti. Questi ci sanno davvero fare'. Già, Lorenzo e Chet erano i migliori in circolazione e Mal glieli aveva soffiati da sotto il naso.
 
'Nelson!' lo chiamò il capitano facendogli fare un mezzo infarto. 'È il momento di rendersi utile. Conosce qualcuno nel mondo criminale avente queste “abilità”?'.
 
'In effetti conosco un paio di persone in grado di costruire bombe' rispose lui. 'I fratelli Frost'.
 
'Agente Friday, può occuparsi lei di rintracciare questi individui sul database della polizia? Grazie' e la poliziotta con gli occhiali e i capelli rossi, che di solito occupava la reception, uscì dalla porta.
 
'Continuiamo' fece McArthur controllando alcuni fogli scritti a mano sul tavolo. Non gli era sfuggita la maniacale tendenza del capitano ad appuntarsi qualsiasi cosa, e scommetteva tutto quello che aveva – che continuava ad essere zero - che buona parte di quelle note se le leggeva la sera prima di andare a dormire, una sorta di “favola della buonanotte”. 'Novità sulla sparatoria a casa Fahlenbock?'.
 
'La scientifica ha analizzato il sangue trovato sulla scena: abbiamo il DNA di ben quattro persone, tra cui la vittima e Lightning Jackson, il ragazzo che i medici hanno soccorso sul posto e che abbiamo già interrogato' rispose una bionda sul lato opposto del tavolo. 'Gli altri due campioni sono di Chet Frost e Jo Elliott, i presunti aggressori'. Dovette fare un enorme sforzo per non ridere. Jo, una dei “presunti aggressori”? Il solo pensiero della sua foto sui notiziari lo faceva sghignazzare, immaginare poi la reazione di questa di fronte alla televisione… era oro.
 
' “Frost”? ' chiese conferma il capitano. La bionda annuì. 'Mi state dicendo che è probabile che uno degli aggressori abbia preso parte anche all’esplosione del locale?!' e guardò il punk, il quale gli mostrò un’espressione scioccata (e falsa) tanto quanto quella degli agenti lì presenti. McArthur, prima di ritornare a scrivere sulla lavagna, lo squadrò in cerca di un qualsiasi indizio, che però non arrivò. 'D’accordo, se non c’è altro questo è tutto. A parte le mansioni affidate ad alcuni, tutti gli altri possono andare, eccetto chi ha il turno di notte s’intende. Mi raccomando: non una parola con la stampa'.






 
GWEN
Non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma stare con suo fratello e la sua banda di amici - incasinati tanto quanto i suoi - le piaceva immensamente: erano davvero come una grande famiglia lì dentro, certo c’erano alcune persone strane (come Leonard che indossava ventiquattr’ore su ventiquattro il costume da mago) ma insieme funzionavano, ed ora che a loro si erano uniti pure i “Vultures” la cosa la gasava a mille.
I primi tre giorni aveva passato la maggior parte del tempo con Kitty, una ragazzina cinese amante dei selfie e dei videogiochi (tanto più che aveva un proprio canale social con milioni di follower), nonché sorella minore di Emma Chang, l’acerrima nemica di Courtney. Era davvero piccolo il mondo. Ovviamente Emma non sapeva nulla di quello che lei combinava al di fuori dei suoi due hobby, altrimenti Dio solo sapeva cosa le avrebbe fatto.
Successivamente, verso il quinto giorno, aveva addirittura fatto una scoperta sconvolgente: Shawn, ex compagno di squadra di Duncan e uno dei sopravvissuti all’attacco di Mal al motel, era stato preso sotto la protezione di Damien in cambio di qualche informazione circa i suoi amici. Non lo biasimava, e come avrebbe potuto dal momento che anche lei era fuggita e aveva chiesto aiuto a uno di loro, più precisamente al fratello? Avevano conversato civilmente, come vecchi amici, e aveva potuto constatare che la sua ossessione per gli zombie non era sparita affatto: proprio per questo ogni tanto, per passare il tempo, si divertiva a spaventarlo nascondendosi dietro gli angoli più bui del locale, aiutata nientepopodimeno che da Cole.
Con il fratello era come se tutto fosse tornato com’era prima (o quasi): le aveva parlato della mamma, di come si fosse trovata un hobby e di come se la stesse passando a casa, addirittura era riuscito a fornirle qualche informazione circa il padre. Fino a quel momento non si era mai resa conto di quanto lui e le loro conversazioni a notte fonda le fossero mancati.
'A parte Duncan non hai avuto nessun altro?!' chiese Cole curioso.
 
'Nessun altro' confermò Gwen con una tazza di the tra le mani, l’ideale per serate fredde come quella.
 
'E io che pensavo facessi conquiste'.
 
'Forse ti sarà sfuggito ma non sono facilmente gestibile' replicò lei con sarcasmo, sistemandosi successivamente sotto le coperte alla ricerca di calore.
 
'Hai freddo, vuoi altre coperte?'.
 
'Sto bene. In realtà era da tanto tempo che non mi sentivo così' fece Gwen abbozzando un piccolo sorriso. 'Ti chiedo scusa per come mi sono comportata in questi anni. Non sono stata una brava sorella maggiore per te, e dovrei essere io ad occuparmi e risolvere i tuoi problemi, non il contrario'.
 
Il fratello la abbracciò forte lasciandola in un primo momento sbigottita. Era stato davvero così semplice, l’aveva già perdonata?
'Non cantar vittoria' ruppe Cole il flusso dei suoi pensieri. 'Hai degli anni da recuperare ma questo è un buon inizio' e le sorrise teneramente. Poi, controllando l’orologio al polso, aggiunse: 'È tardi, Damien mi aspetta'.
 
'Mi raccomando, non finire nei guai'.
 
'Tranquilla, non sono come te' la schernì guadagnandosi una cuscinata in faccia. 'Buonanotte, Gwen'.
 
'Buonanotte'.
Stanca, si acciambellò sotto le coperte portandosi alle orecchie le cuffiette nere di Cole. Mise la prima canzone della playlist e, svuotandosi di tutti i pensieri, si addormentò profondamente.

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Capitolo 32
*** CAPITOLO 29 ***


SABATO 14 NOVEMBRE 2020
 
BRICK MCARTHUR
Era ovvio che Nelson gli stesse mentendo, sapeva di non potersi fidare di un tipo simile e proprio per questo lo aveva voluto come partner. Poche volte nella sua carriera aveva avuto ad a che fare con un collega che sedesse assieme a lui in auto, infatti era sempre stato un tipo che lavorava in solitaria, ma pur di risolvere quell’intricato puzzle era disposto a qualsiasi cosa. Ecco che per quella giornata aveva programmato un’interessante visita presso casa Barlow per interrogare un certo psichiatra. 'Dove siamo?' domandò il punk svogliato come al solito, una volta percorso il vialetto e suonato il campanello.
 
'Ne sarà sorpreso' rispose il capitano con un sorrisetto stampato in faccia.
Aprirono alla porta e un uomo di mezza età fece capolino. Sia lui che Nelson sgranarono gli occhi per la sorpresa, sostituita subito dopo dall’irritazione.
'Signor Barlow? Le chiedo scusa per il disturbo, sono il capitano Brick McArthur – e gli mostrò il distintivo – mentre lui è…'.
 
'Un criminale!' lo interruppe l’uomo a braccia conserte e un’espressione feroce sul viso.
 
'Non le do torto, mi creda' continuò lui come se niente fosse. 'Ma dall’inizio del mese è diventato un collaboratore della polizia' e ricevette un’occhiata incredula da parte del signor Barlow. Effettivamente la cosa sembrava inverosimile a chiunque, tanta era la fama che precedeva Nelson. 'Stiamo indagando su un suo paziente, Mike Doran. Le dispiace se entriamo?'.
 
'P-prego' balbettò il signor Barlow un po’ titubante facendosi da parte per farli passare; ovviamente si riservò di lanciare uno sguardo carico di disprezzo al ragazzo alle sue spalle.
 
Entrarono nel grande e luminoso soggiorno moderno dai colori neutri, in contrasto con il quadro posto sopra il lungo divano in stoffa color crema, sul quale stava seduta una giovane donna intenta a leggere un libro. Questa alzò lo sguardo nella loro direzione: lo stupore disegnò i lineamenti del suo viso. 'Lei deve essere la signorina Barlow' iniziò lui. 'Chiedo scusa per l’intrusione, io sono il capitano McArthur e lui è il mio partner, Duncan Nelson'. I due ragazzi si squadrarono in silenzio, la tensione aleggiava nell’aria.
 
'Ci conosciamo già' parlò Duncan per primo.
 
'Io non credo' parlò piccata l’altra aggrottando la fronte.
 
'Vuoi che ti rinfreschi la memoria?' fece il punk a braccia conserte.
Se non avesse avuto dei dubbi su quei due, di certo avrebbe dato loro il premio per la miglior performance. Era sicuro che lei avesse ricordato qualcosa e avesse già incontrato prima di allora il ragazzo, in primis sotto forma di avvocatessa.
 
'Prego, prendete posto' li invitò il signor Barlow indicando le due poltrone. 'Vedo che avete già conosciuto mia figlia, Courtney. Tesoro, per favore, potresti lasciarci soli?'.
 
'Non ce n’è bisogno, può partecipare anche lei' affermò McArthur sfilandosi dalla tasca della giacca un block notes. 'Signor Barlow, siamo venuti a conoscenza che lei era lo psichiatra di Mike Doran, può confermarlo?'.
 
'S-sì, è così' rispose lui lanciando un’occhiata alla figlia seduta accanto a lui sul divano.
 
'Da quando?'.
 
'Da questa primavera. Aveva chiamato in segreteria per fissare un appuntamento'.
 
'Con che frequenza lo vedeva?'.
 
'Tre volte a settimana… il suo è un caso molto particolare' e l’uomo portò lo sguardo verso il basso, sulle mani che teneva in grembo. 'Ha un disturbo della personalità multipla, in lui vivono circa sei personalità, Mike compreso. Nel corso delle sedute sono riuscito a decodificarle quasi tutte'. L’uomo cominciò a farsi sempre più piccolo sul divano. Courtney parve accorgersene dato che gli strinse leggermente la spalla.
 
'Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo? Una tisana, magari?' domandò lei piano quasi in un sussurro.

'Sarebbe d’aiuto, grazie'.

'Volete anche voi una tazza?' continuò lei nella loro direzione.
 
'No, grazie. Siamo in servizio'.
 
'A me andrebbe, grazie!' s’intromise Duncan beccandosi una stilettata da Courtney. Ovviamente il suo partner non poteva starsene buono e in silenzio. 'Anzi, vengo ad aiutarti' e si alzò velocemente.
 
'Sono in grado di preparare una semplice tisana' replicò lei con un cipiglio sul volto iniziando un interminabile e sfiancante battibecco con il punk al punto che il capitano dovette tenersi la testa tra le mani da quanto questa gli doleva.
 
'Andate entrambi, basta che la smettiate!' quasi urlò. Quasi, doveva pur sempre tenere un certo contegno e decoro in quanto rappresentante delle forze dell’ordine.
La signorina Barlow sbuffò, brontolando sommessamente, dirigendosi verso la cucina seguita da un irritante punk. Sì, se non avesse avuto un presentimento su quei due, avrebbe consegnato loro un oscar per la miglior sceneggiata.
 
 


 
DUNCAN
'Ottima interpretazione!' commentò lui socchiudendo la porta, concedendo loro un minimo di privacy.
 
'Che cos’hai in quella zucca, razza di orco chiodato?!' sbraitò Courtney in direzione di Duncan.
 
'Fa’ silenzio o ci scopriranno' fece lui tappandole la bocca.
 
'Che ci fai tu qui?!'.
 
'Come avrai saputo dai notiziari, la polizia mi ha beccato' e raccontò brevemente tutta la storia alla spagnola, adocchiando di tanto in tanto fuori dalla porta i movimenti dei due uomini in salotto. 'Per concludere, sono diventato un loro collaboratore e, nello specifico, partner di quel piedipiatti. Avrei tanto voluto contattarvi, credimi, ma quello sbirro mi ha privato di tutto'.
 
'Come si può essere così idioti?!' commentò lei a bassa voce mettendo a bollire l’acqua sul fornello e tirando fuori da un’anta l’infuso.
 
'Tutti voi mi avete scaricato quella sera, e non vi siete neanche presi la briga di venirmi a recuperare o di mandare quegli stupidi dei Kobra ad avvisarmi'.
 
'Ti prego, non nominarli' fece Courtney sospirando amaramente. 'Scott ha deciso di fare un’alleanza con loro'.
 
'Lo so, MacArthur me lo ha detto. Mi ha anche raccontato che se sei qui è perché hai intenzione di smascherare tuo padre' spiegò rapidamente il punk, guardando dalla fessura della porta. Il capitano e il signor Barlow stavano discutendo, probabilmente su quali fossero le sei personalità di Mike, tra cui quella più cattiva e famosa di tutte. 'A proposito, non è che i Kobra hanno i filmati della notte di Halloween? Voglio vedere chi è la ragazza che mi ha rimorchiato al locale'.
 
'Qui sta accadendo il finimondo e a te interessa sapere chi c’è dietro la maschera di Cleopatra?!' fece la spagnola indignata.
 
'Ho una teoria' cercò di spiegare lui. 'Sono sicuro che fosse una trappola per mettermi fuori dai giochi'.
 
La ragazza sospirò incredula, l’acqua per la tisana che bolliva al suo fianco. 'Avevi l’auricolare quella sera?'. Lui annuì. 'Quindi ha registrato qualsiasi cosa sia avvenuta quella notte, giusto? Le registrazioni vengono salvate nel computer di Cameron che, stando alle informazioni raccolte da Heather e Alejandro, si trova nella palestra di Jo ed Eva. Se ci tieni così tanto a scoprire chi si cela dietro quella stupida maschera sai dove andare. Magari riconosci la voce, non so' terminò massaggiandosi le palpebre degli occhi, rossi e stanchi.
 
'Notti in bianco?' chiese lui allontanandosi dalla porta e togliendo il bollitore dal fuoco.
 
'Dall’inizio del mese' confermò lei. 'C’è questo sogn… incubo che non fa altro che perseguitarmi'.
 
'Sicura sia un incubo?' domandò il punk preparando le tazze. 'Magari è un ricordo'.
 
 
 
 

 
MACARTHUR
Sbadigliò rumorosamente in attesa dei risultati dal laboratorio, l’aspetto più noioso e deprimente di tutto il suo lavoro. Perlomeno era in ufficio, al caldo, e non fuori in pattuglia, con una bella tazza di caffè fumante tra le mani e una scatola di dolcetti in mezzo alla tavola. Altra cosa positiva era la momentanea assenza del punk: tempo due settimane e si era già permesso di dare confidenza a tutti là dentro e – cosa più importante - di sgraffignare le ciambelle più buone, come quella con gli zuccherini che in quel momento lei stava addentando allegramente. 'Dovresti smetterla di rimpinzarti di dolci' la ammonì Sanders.
 
'S-fto rafforzando i gluftei' si giustificò lei, la bocca piena.

'Più che altro li stai ingigantendo' bisbigliò l’altra a bassa voce beccandosi un’occhiataccia.

'Ragazze, abbiamo gli identikit' decretò Scarlett facendo il suo ingresso in sala e porgendo loro i risultati.

'Incredibile che cosa si riesce a scoprire da delle semplici ossa' commentò MacArthur adocchiando la documentazione sul tavolo.

'In realtà la cosa è molto semplice: per esempio, in base alla lunghezza si può conosc-'.

'Sì, sì, non interessa a nessuno' la liquidò lei facendole segno con la mano di non continuare oltre. MacArthur e Sanders lessero avidamente i fogli stupendosi sempre più dei nomi ivi presenti. 'Ezekiel Oldring, Spudnick Carter, Rockie Diaz e… o mio Dio! Tu credi nelle coincidenze, Sanders?'.

'Direi proprio di no. Chiama il capitano'.





 
COURTNEY
Era passata circa mezzora da quando aveva portato una tisana al padre, questi era riuscito a calmarsi e a rispondere alle domande del capitano, tutte relative a Mal e in merito a cose che sia lei sia Duncan erano già al corrente, solo che avevano dovuto fingere al meglio delle proprie capacità. A proposito, un oscar alla performance di quello scemo del compagno di squadra, ora costretto ad eseguire gli ordini di quell’insopportabile poliziotto, il cui telefono non stava facendo altro che squillare ininterrottamente.
'Vogliate perdonarmi, è la centrale' si alzò e si portò nella sala da pranzo per rispondere. Attorno al tavolino rimasero in tre, due dei quali non facevano altro che lanciarsi occhiatacce. Sospirò battendosi la fronte con la mano sperando che entrambi gli uomini avessero la decenza di rimanere in silenzio fino all’arrivo del capitano, ancora al telefono con la fronte aggrottata.
Finalmente, dopo quelli che parvero imbarazzanti e infiniti minuti, il poliziotto riattaccò e si sedette al proprio posto, sulla poltroncina bianca accanto a Duncan. 'Chiedo scusa' cominciò lui. 'Ma ci sono stati ulteriori sviluppi su un altro caso. A breve le mie colleghe dovrebbero inviarmi il materiale' e si sentì una vibrazione provenire dalla giacca di questo. 'Oh, bene!'. McArthur guardò attentamente lo schermo del cellulare, soppesando le informazioni ricevute e lanciandole di tanto in tanto diverse occhiate. Il cuore cominciò a batterle furioso nel petto, che cosa avevano scoperto ora? Anche Duncan sembrava disorientato. 'Lei lavora per lo studio McCord, giusto?' domandò improvvisamente.
 
'S-sì, perché?' quasi balbettò lei.
 
'Ha mai visto o scambiato qualche parola con la signora McCord?'.
 
'No, mi dispiace. Non so nemmeno che faccia abbia'. Ed era vero. Anche supponendo di averla incrociata per caso nei corridoi dello studio del marito, lei continuava purtroppo a non averne memoria.
 
'Beh, la faccia è questa' replicò McArthur mostrandole lo schermo: l’immagine di una donna bianca dai lineamenti dolci, gli occhi verdi e i capelli neri le si palesò davanti. Le sembrava vagamente familiare, era sicura di averla già vista da qualche parte, forse nel periodo precedente al suo incidente?
 
Improvvisamente era come se fosse ritornata nel corridoio buio, a vagare senza una meta precisa, fino a scivolare nuovamente sulla pozza di sangue, quel sangue che proveniva da un corpo, quello di una donna il cui viso era identico a quello della signora McCord. Non seppe spiegare come ma si ritrovò inginocchiata sul pavimento, annaspando, alla ricerca di aria.
'COURTNEY!' la chiamò il padre cercando di aiutarla. 'Guardami. Respira con me, così' e le mostrò come fare. Riuscì a calmarsi, non del tutto ma meglio di nulla.
Con le gambe tremanti provò a rialzarsi.
 
'Serve un aiuto?' fece la voce profonda di Duncan.
 
'N-no, faccio da s-sola' rispose Courtney cercando di mettersi a sedere sul divano con gran fatica. 'S-se non è un problema, preferirei buttarmi a letto'.
 
'Sicura, Courtney?' chiese nuovamente il ragazzo più serio.
La spagnola si accorse dell’improvviso cambio di tono, doveva essere davvero in difficoltà in quel momento se perfino quell’orco chiodato voleva aiutarla, per di più di fronte al padre e al capitano della polizia; nonostante ciò, rifiutò l’offerta, ma, ovviamente, il punk non le diede retta e la sollevò con facilità e poco sforzo. 'Così facciamo prima' commentò lui.
 
'B-bene, ma non pensare che mi serva il tuo aiuto' replicò lei cercando di apparire disgustata dal suo tocco per non destare altri sospetti.
 
'Non osare toccare mia figlia!' esclamò suo padre.
 
'Signor Barlow, per favore. Garantisco io per lui' fece McArthur sbalordendola, e non poco. 'Finché il mio collega si occupa della signorina, potrebbe gentilmente dirmi lei se ha mai avuto rapporti con questa donna?' e i due ragazzi sparirono in cima alla rampa di scale.
 
Seguendo le sue istruzioni, Duncan riuscì a condurla fino in camera sua e a distenderla sul letto.
'Hai ricordato qualcosa, non è vero? Hai sempre le vertigini quando ricordi qualcosa' domandò lui improvvisamente.
 
'La donna della foto è la stessa dei miei sogni: la vedo distesa a terra, morta, con una ferita profonda all’addome' rispose lei. 'Se quello che rivivo ogni notte è un ricordo, vuol dire che ho assistito a qualcosa di grande'.
 
'Hai visto chi l’ha ammazzata?'.
 
'No, ma è probabile che ci fossi vicina…' disse lei massaggiandosi le tempie e sospirando preoccupata. E se andando avanti con il sogno scoprisse qualcosa di più? E se una volta scoperto il cadavere avesse incontrato l’assassino? No, in quel caso non l’avrebbe mai lasciata viva, avrebbe cercato di far fuori anche lei…
Poi un pensiero le si insinuò fastidiosamente. 'D-duncan… e se l’incidente che ho avuto non fosse stato solo un incidente..? Se avessero cercato di farmi fuori per impedirmi di parlare?'.
 
'Non dire assurdità, hai detto di aver visto i video e letto ogni articolo di giornale in merito: non c’erano manomissioni di alcun tipo, solo la tua distrazione al cellulare' la rassicurò lui sebbene avesse qualche dubbio.
 
Qualcuno bussò alla porta, gli occhi freddi del capitano li stavano squadrando da capo a piedi. 'Andiamo, Nelson' esortò. 'Buona giornata, signorina Barlow. Spero si rimetta presto' e trascinò il suo nuovo partner fuori dalla stanza.
Courtney aspettò qualche secondo prima di scendere dal letto e seguire i due, fermi sulle scale a discutere faccia a faccia. Lei rimase nascosta in un angolo, la schiena contro la parete. 'Allora, scoperto qualcosa?' domandò McArthur.
 
'Dovrebbe dirlo lei a me'.
 
'Disse colui che ha passato tutto il suo tempo con la signorina Barlow. Da solo'.
 
'Disse colui che ha passato tutto il suo tempo con il signor Barlow. Da solo' lo imitò Duncan. 'E se non sbaglio eravamo qui per lui, no?'.
 
'Non le conviene provocarmi' lo avvertì il capitano. 'Io la tengo d’occhio, Nelson. Un passo falso e la sbatto dentro'.
 
'E con quale accusa? Aver preparato una tisana e aiutato una ragazza che a malapena riusciva a stare in piedi da sola?' continuò il punk.
Raramente lo vedeva fare lo spaccone, ma quando accadeva… wow.
I due uomini si fissarono in cagnesco, dopodiché, distogliendo per primo lo sguardo, il capitano si avviò verso l’uscita di casa seguito da Duncan, il quale, prima di sparire in fondo alle scale, si voltò per lanciarle un occhiolino.
 
 


 
§
 
 


 
 
'Perché hai voluto che ci incontrassimo a quest’ora?' fece l’uomo guardando il costoso orologio che aveva al polso.
 
'La polizia è venuta a farmi delle domande. Io, ovviamente, ho recitato la parte del povero vecchio impaurito, ma credimi ho fatto parecchia fatica quando mi hanno mostrato la foto di tua moglie' e, come previsto, l’altro sbiancò a quelle parole.
 
'T-tu mi avevi garantito che ci avrebbe pensato il tuo amico, che IO ho addirittura pagato'.
 
'Lo so' rispose l’altro. 'Ma lo stupido ha usato lo stesso modus operandi per sbarazzarsi anche degli altri corpi. Se l’hanno trovata è stato solo perché lì c’era anche quel campagnolo'.
 
'La cosa mi rassicura molto' continuò McCord con sarcasmo. 'Tu non hai nemmeno idea di quante bugie io abbia dovuto raccontare a mio figlio per giustificare l’assenza della madre'.
 
'Oh, poverino. Io ho dovuto mentire anche alla polizia, ed è un reato'.
 
'Anche l’omicidio!' gli urlò l’altro. Poi fece un profondo respiro per calmarsi. 'La stampa parla di crimini seriali, quindi si concentreranno a delineare il profilo di un serial killer… cosa difficile dato che i morti non hanno nulla in comune tra loro, ne perderanno di tempo'.
 
'Non saprei. Ora che quel Nelson lavora per la polizia le cose potrebbero farsi più complicate'.








___________________
ANGOLO AUTRICE:
CIAO RAGAZZI <3
eccovi altri due capitoli, spero siano di vostro gradimento! Come sempre, grazie per essere giunti fino a qui! E come sempre, io avevo tante cose da dirvi e ora che sono qua a scrivere non me ne viene in mente neanche una, perfetto! :D 
UN BACIO ENORME! :*

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Capitolo 33
*** CAPITOLO 30 ***


LUNEDI’ 16 NOVEMBRE 2020
 
GWEN
'Buongiorno, qui TG Drama, io sono Blaineley Stacey Andrews O’Halloran' salutò la donna entusiasta.

'E io sono Josh' continuò l’uomo sorridente al fianco dell’altra. 'Come potete vedere la produzione ha deciso di fare molti cambiamenti - tra cui assumere due dilettanti per le notizie di cronaca' commentò lui mascherando il tutto con una forte tosse. 'Quindi, ecco a voi una nuova rubrica: “A caccia di celebrità”! La puntata di oggi, la prima in assoluto, l’abbiamo dedicata a lui: Trent McCord'.

'Il leader dei Drama Brothers è stato avvistato questa notte fare ritorno a casa' e varie foto del cantante scattate mentre era in aeroporto comparvero alle loro spalle. 'Cosa alquanto insolita dopo solo due settimane scarse di tour, che sia accaduto qualcosa? Il suo gruppo gli ha dato il benservito?'.
 



 
Spense quell’aggeggio infernale, scaraventando il telecomando dall’altra parte del divano. Se solo quei due mentecatti dei conduttori sapessero…
Da quando MacArthur aveva ripreso servizio aveva sempre tenuto i Kobra aggiornati sulle varie vicende alla stazione tra cui la scoperta dell’identità dei proprietari delle ossa rinvenute in aperta campagna, tre di queste appartenenti ad alcuni dei vecchi compagni di squadra di Duncan, quelli che Mal aveva provveduto a far sparire la notte al motel.
L’unica pecca dell’essere separata dai suoi amici era il non poterli consolare in situazioni del genere, dopotutto lei per prima ci era passata (e ci stava passando tuttora), prima con Zoey e poi con Cameron, ed era certa che per il punk lei sarebbe stata un’ottima spalla su cui piangere. Anche se in realtà era altamente probabile che Duncan, più che triste, fosse incazzato nero, e conoscendolo avrebbe mosso mari e monti pur di far fuori con le sue stesse mani quello stronzo di Mal.

Alcuni di quei resti, poi, appartenevano alla signora McCord, ossia la madre di Trent: ecco spiegato il ritorno improvviso del figlio in città. E pezzi di una delle conversazioni avute in macchina la sera del trentuno riguardanti il chitarrista le si erano palesati: “… i suoi sono separati” e “La madre lo ha abbandonato andando a vivere chissà dove con il suo nuovo fidanzato senza prendersi il disturbo di contattarlo”.
“Senza prendersi il disturbo di contattarlo”… perché era già morta.
 
Gwen sospirò, un’espressione triste le solcò il viso.
'Ehi, cos’è quel muso lungo?' chiese il fratello sedendosi al suo fianco.

'Cole, non so quanto ancora durerà' iniziò lei. 'Ma finito questo incubo voglio andare a trovare mamma'.




 
MACARTHUR
Il capitano entrò in sala conferenze sbattendo la porta alle sue spalle (e quasi in faccia al punk), facendola sobbalzare per lo spavento. 'Siamo stati allo studio' esordì indicando sé e un Duncan piuttosto corrucciato. 'A quanto pare quest’estate McCord ha perso qualsiasi contatto con la moglie. Stando alle sue parole, lei lo avrebbe lasciato per un altro ma non sappiamo chi sia'.

'E noi gli crediamo?' chiese Sanders alla sinistra di MacArthur.

'Non saprei. In caso contrario, questo è un ottimo movente, non credi?' rispose il capitano analizzando la lavagna alle sue spalle.

Duncan, svogliato come sempre (ma era davvero un criminale questo qui?!), prese scompostamente posto al fianco della poliziotta, i piedi buttati a caso sul tavolo. L’impertinenza.
Gli lanciò un’occhiataccia in tralice. 'Togli quei maledetti piedi dal tavolo' ordinò lei sottovoce, a denti stretti.

'Non rompere' sbadigliò il ragazzo incrociando le braccia dietro la testa prima che la poliziotta potesse tirargli un bello scappellotto. 'Li tolgo se mi fai un favore' continuò lui ammiccando.
Gli avrebbe volentieri tirato un ceffone. Tuttavia, decise di ignorarlo e di concentrarsi sulle carte che in quel momento la sua partner stava esaminando: quest’ultima aveva deciso di scovare la vera identità delle avvocatesse, perciò si era ritrovata a fare ricerche su ricerche sulle persone che Lindsay ed Elizabeth avevano in comune. Auguri, la signorina Mills aveva tante conoscenze, le più disparate possibili, per non parlare del numero esorbitante di follower sui social… il che faceva guadagnare loro un bel po’ di tempo per poter escogitare qualche tipo di rimedio. Fino ad allora, il massimo che aveva potuto fare – senza farsi sgamare – era stato quello di disfarsi di qualsiasi collegamento tra Heather e le due.
'MacArthur!' la chiamò il punk sottovoce guardandola supplichevole.

'Che vuoi?!' rispose infastidita.
 
Duncan si guardò intorno con circospezione, dopodiché, assicuratosi che gli altri due fossero occupati, le si avvicinò all’orecchio e cominciò a bisbigliare: 'Ho bisogno che tu ti metta in contatto con Topher e gli chieda di analizzare la registrazione del mio auricolare nel computer di Cameron'.

MacArthur aggrottò la fronte e gli rifilò un’occhiataccia. 'Perché?'.

'Ho una pista' tagliò corto lui. 'Voglio l’audio della notte di Halloween'.

'Correzione: tu vuoi sapere con chi te la sei spassata' sussurrò lei.

'Perché forse è la stessa persona che ha fatto la chiamata anonima e mi ha fatto arrestare'.

Lei lo fissò negli occhi, in silenzio. 'Tu sei paranoico' constatò alla fine. 'Sei solo stato stupido quella sera e hai preferito dare retta al gingillo che hai tra le gambe che a questa' e premette il proprio dito indice sulla testa dell’altro, il quale, irritato, allontanò con uno schiaffo la mano della poliziotta.

'Smettetela voi due, non riesco a pensare!' li richiamò il capitano.

'Beh, non è una novità' lo schernì Duncan con un ghigno beccandosi subito dopo un pennarello nero in pieno volto. 'Ahia!'.

'E metti giù quei piedi!' ordinò l’altro. Il punk, maledicendolo a bassa voce e a denti stretti, lo ascoltò e si ricompose immediatamente sulla sedia, facendo sghignazzare la ragazza al suo fianco.

'Mi fai un po’ pena, devo ammetterlo' commentò piano MacArthur beccandosi una gomitata. 'Quindi ti darò una mano. E prega il Signore che tu abbia ragione altrimenti ti frantumo con le mie stesse mani'.




 
COURTNEY
Era ora di pranzo quando suo padre si era presentato allo studio, una volta saputo del breve colloquio di uno dei suoi più cari amici, l’avvocato McCord, con la polizia.
Quest’ultimo non aveva retto il colpo quando, nel weekend, gli avevano riferito la tragica morte della moglie; e trovarselo comunque in ufficio a lavorare era stato alquanto scioccante per i suoi dipendenti e soci, ma a detta sua sembrava essere l’unico metodo per non permettere a brutti pensieri di prendere il sopravvento, non volendo soprattutto far agitare ancor di più il figlio, Trent, già completamente devastato.
 
In quel momento era come trovarsi di fronte ad uno scenario alquanto sovrannaturale: il padre era accanto al signor McCord a confortarlo e a tirargli delle pacche sulla schiena, mentre Trent, gli occhiali da sole sul naso, era affacciato alla finestra al di là dell’ampia scrivania in legno. Le tendine dell’ufficio erano abbassate dividendoli da tutto e tutti e dando loro una certa privacy.
Lei se ne stava seduta su una comoda poltroncina, del perché si trovasse in quella stanza non ne aveva la più pallida idea, per quanto curiosa fosse le sembrava solo di intromettersi nella vita del proprio capo e nello specifico in una faccenda piuttosto delicata... Quindi era rimasta in silenzio da quando aveva messo piede lì dentro, giocherellando con le dita delle mani e i capelli.
Improvvisamente, la sveglia che aveva impostato sul cellulare suonò, segno della fine della pausa pranzo… che non si era minimamente goduta rinchiusa com’era in quell’ufficio con quello strano trio. 'Scusate, ma la pausa è finita, devo tornare a lavoro'. Si alzò e stirò le pieghe del vestito.

'Ma non hai mangiato nulla, anzi, non abbiamo mangiato nulla' constatò suo padre controllando l’orologio a pendolo posto vicino alla libreria. 'Anche voi due avete bisogno di mettere qualcosa sotto i denti'.

'N-non ho appetito' fece il signor McCord strofinandosi le palpebre.

'Nemmeno io' aggiunse Trent togliendosi gli occhiali e voltandosi nella loro direzione. Gli occhi erano rossi e infossati, lo sguardo stanco e triste.

'Figliolo, devi mangiare qualcosa e riposarti' disse Barlow. 'Courtney, perché non lo porti fuori a prendere una boccata d’aria? Fermatevi a sgranocchiare qualcosa in giro, e portate un caffè a questo povero uomo' e diede un’altra pacca a McCord. 'Va bene se mia figlia si prende una pausa un po’ più lunga, vero?' e l’altro annuì piano.

 
 
In pochi minuti si era ritrovata a passeggiare lungo le stradine del centro, stretta nel suo cappotto, con accanto il chitarrista munito di occhiali da sole. Il silenzio tra i due era diventato pesante: a parte fargli sottovoce le condoglianze non sapeva di che altro parlare, in fin dei conti aveva perso uno dei genitori, e il modo in cui era avvenuto era stato davvero orribile. Come lo sapeva? Quel dannato incubo non faceva altro che perseguitarla e il volto spento, con quegli occhi vacui, della signora McCord era marchiato a fuoco nella sua mente.
'Non credo ci sia mai stato un fidanzato' parlò tutto a un tratto Trent.

'Che vorresti dire?' domandò lei cauta.

'Mio padre è sempre stato troppo vago circa la separazione: non faceva altro che attribuire la colpa alla mamma dicendo che aveva lasciato entrambi per andare a convivere con il suo amante' spiegò lui con tono triste. 'Una parte di me non gli ha mai creduto'.

Che cosa pensi le sia successo?'.
 
Lui smise di camminare, ispezionando l’interno di un bar quasi vuoto. 'Ti va bene pranzare qui? Sai, meno gente c’è, meglio è'.

'Certo, nessun problema'.
 
Non ci volle un genio per capire perché quel locale fosse così vuoto: più che un bar sembrava di stare in una topaia, l’igiene non era il massimo e il cibo al di là del vetro non così invitante. Però cercò di fare buon viso a cattivo gioco e se al ragazzo andava bene essere lì, allora andava bene anche a lei.
Più o meno.
Anzi no, per niente dato che il suo sandwich sembrava tutt’altro che un panino, dopo il primo morso lasciò lì il resto cercando di eliminare quel saporaccio bevendo del caffè annacquato.
'Ti chiedo scusa' fece Trent guardando la faccia disgustata di lei. 'Anche per i paparazzi'.

'Paparazzi?' chiese lei perplessa, le sopracciglia alzate.

'Ci sono dei fotografi fuori' spiegò lui bevendo dal suo bicchiere.
Lei si girò lentamente e con suo stupore notò diversi individui scattare loro delle foto; immediatamente, si voltò dalla parte opposta dando loro le spalle e maledicendo sia il padre per averla messa in quella situazione sia la fama del chitarrista. Sperava almeno che non l’avessero ripresa fare smorfie strane al cibo…
Trent rise alla sua reazione. 'Tranquilla, a parte qualche foto sono innocui' ma ricevette solo una stilettata.






 
ALEJANDRO
'E questo, che ne pensi?'.

'Ho già fatto un colloquio sabato ma a quanto pare il barista ha le mani lunghe' rispose lei leggendo di sfuggita l’annuncio indicato dal ragazzo.

'Ho capit… Aspetta, CHE COSA?!' esclamò lui alzando leggermente la voce.

'Attento, Al, se continui ad avere quell’espressione arrabbiata sul viso potrebbe uscirti una ruga in mezzo alla fronte' scherzò lei sdraiandosi sul divano e accendendo la televisione. 'Guarda, potrei benissimo fare il loro lavoro, sarei di certo più brava' commentò poi indicando i due volti ormai familiari del telegiornale, facendo scappare un risolino ad Alejandro.
 

 
 
'Buonasera, qui la nuova rubrica: “A caccia di celebrità”!' esclamò entusiasta la bionda.

'Vi avevamo lasciati questa mattina con la notizia del ritorno a casa di Trent McCord' proseguì il collega. 'E a quanto pare sappiamo il perché!' e foto del cantante in compagnia di una ragazza dalla carnagione olivastra e i capelli scuri invasero lo schermo del televisore facendo sgranare gli occhi a Heather e ad Alejandro.
 

 
 
'È finita l’acqua calda' urlò Scott dal corridoio.

I due scattarono subito sull’attenti alla ricerca del telecomando. 'Dove l’hai messo?!' bisbigliò la ragazza cercando tra i cuscini.

'Ce l’avevi in mano tu!' sussurrò il latino spostando le coperte.

'Che state guardando?' chiese il rosso comparendo nel piccolo soggiorno, un asciugamano bianco intorno alla vita, il secondo in testa a frizionare i capelli.

Heather e Alejandro si pararono di fronte al televisore, le braccia aperte per impedirgli di fissare lo schermo. 'Niente' fecero i due all’unisono.

'O mio Dio. Vi prego, ditemi che non stavate guardando un por-'.

'NO!'.
 
 
 
 
'Che sia una nuova fiamma?' continuò la voce femminile. 'Comunque sia sembrano molto legati, tu che dici, Josh?'.

'Beh, hanno pranzato insieme e successivamente si sono recati nello stesso luogo, lo studio legale McCord!'.
 
 


 
Merda.
'Ma di cosa stanno parlando?' domandò Scott squadrandoli dalla testa ai piedi. 'Toglietevi'. Ma non si mossero. 'Ho detto “toglietevi”' ripeté seccato. 'Devo prendere la pistola?'.
I due si scambiarono un’occhiata, dopodiché, con molta lentezza, si spostarono lasciando che l’altro guardasse le foto di Courtney insieme ad un altro ragazzo. 'E lui chi cazzo è?!'.

'Trent McCord, il leader dei Drama Brothers'.

'Io adesso la chiamo!' esclamò il rosso arrabbiato, afferrando il proprio cellulare dal tavolo. Alejandro glielo tolse dalle mani, lanciandolo successivamente all’asiatica, e placcò l’amico da dietro impedendogli di compiere una mossa falsa. 'LASCIAMI!'.

'Sei stato chiaro in merito: limitare i contatti alle sole emergenze'.

'QUESTA È UN’EMERGENZA!' e Scott tirò una poderosa testata al latino liberandosi così dalla sua presa e inseguendo Heather attorno alla tavola della cucina. Si accasciò al suolo, premendosi le mani al viso; il dolore era talmente lancinante che gli occhi presero a lacrimare.  

'Andiamo Scott, conosci Courtney, farà parte di un piano, no?' cominciò Heather, il cellulare ancora stretto tra le mani. 'Pensaci un attimo: le ossa di una donna, che caso vuole sia la signora McCord, moglie del capo della tua ragazza, vengono trovate “stranamente” insieme a quelle degli ex compagni di Duncan, uno con un po’ di cervello penserebbe che dietro a tutto vi sia Mal, no? Ma come collegare la donna a lui? E qui entra in gioco l’“investigatrice Courtney”. Se per avvicinarsi alla soluzione è costretta ad interagire con Trent ben venga'.

'Esatto, inoltre hai insistito tu perché stesse dal padre' fece Alejandro massaggiandosi il naso dolorante.

'Il quale, ti ricordo, è uno degli amici più fidati di McCord…' continuò l’asiatica con fare eloquente.

A quelle parole Scott si arrestò, gli ingranaggi del suo cervello, finalmente, cominciarono a girare. 'Cosa vorresti dire?'.
 
Ecco, il momento tanto atteso era giunto: il segreto che lui e Heather avevano mantenuto stava per venire a galla. Infatti, la ragazza sospirò, poi guardò Alejandro il quale non poté far altro che rivolgerle un cenno con il capo, un invito a proseguire. 'C’è una cosa che devi sapere'.
 

SABATO 17 OTTOBRE 2020
'Ancora così sei? Vestiti e buttati' aveva detto Heather indicandogli la via per il giardino. Il latino aveva ghignato e richiuso la finestra con uno scatto secco, per poi portarsi di fronte alla ragazza, imbarazzata e con un lieve rossore a colorarle le gote. Semplicemente deliziosa. 'Che fai?'.

'Beh, dobbiamo far credere al signor Barlow che noi due stiamo insieme. Non sappiamo per quanto ancora starà qui, e se non mi vedrà più potrebbe insospettirsi' aveva spiegato lui.

'Non fare il furbo con me, Burromuerto'. Aveva smesso di ascoltarla e l’aveva afferrata per i fianchi, trascinandola verso la doccia. 'ALEJANDRO, RAZZA DI IMBEC…' ma aveva unito le loro labbra, intrecciando di tanto in tanto le lingue. L’aveva baciata con foga e con una certa esigenza, gli asciugamani di entrambi a terra e l’acqua calda sopra le loro teste. Heather aveva iniziato a lasciargli una scia di baci, a partire dal collo fino a scendere, sempre più giù, ma aveva dovuto fermarla. 'Che cosa c’è?'.
 
'Devo dirti una cosa' aveva risposto lui. 'Quell’uomo, il padre di Courtney, io l’ho già visto. Al covo di Mal'. Gli occhi di lei erano sgranati. 'Non so che cosa ci facesse, ma ho visto che stava passando a quello psicopatico una busta con del denaro… tanto denaro'.
 
Heather aveva fatto un profondo respiro, aveva chiuso gli occhi e rivolto il mento verso l’alto, beandosi per qualche momento del calore dell’acqua sopra di lei. 'Finora noi abbiamo dato per scontato che Mal fosse il capo, ma se a muoverlo dietro le quinte ci fosse qualcun altro? Qualcuno così ricco da permettergli di rifornirsi di armi sofisticate ed esplosivi…'.
 
'Non necessariamente il padre di Courtney è al vertice, potrebbe essere semplicemente qualcuno che ha commissionato e pagato un lavoro'.
 
'Come farci uccidere tutti quanti? In effetti ci odia parecchio' aveva sospirato la ragazza poggiando la schiena alla parete bagnata.
 
'Uccidervi tutti E proteggere Courtney, se vi considera una minaccia per lei' aveva aggiunto Alejandro cominciando ad insaponarsi.
 
'Non una parola' aveva deciso Heather togliendogli di mano la spugna. 'Courtney ne ha passate tante, sa che il padre è coinvolto in qualche modo, ma così è troppo…' e aveva iniziato a sfregare la spugna sui suoi pettorali. 'Quindi, fino a quando non ne saremo certi, rimarremo in silenzio' e le sue mani erano scese verso il basso.
 
 
 
'E VOI ME LO DITE SOLTANTO ORA?! L’HO PRATICAMENTE MANDATA NELLA TANA DEL LUPO!' gridò Scott camminando avanti e indietro.
 
'Non le farà del male, è pur sempre suo padre' commentò Heather ricevendo lo sguardo inceneritore del rosso. 'Se le ha mentito sin dall’inizio è solo perché voleva proteggerla, ed è meglio che stia con lui in questo momento… o preferivi un’altra visita come quella di José?'.
 
'O peggio, un attacco come quello a casa di Gwen' rincarò la dose il latino. 'Supponiamo che tra il signor Barlow e Mal ci sia un accordo, e che a tirare le redini sia il primo, il secondo non la sfiorerà nemmeno con un dito. Non a caso aveva ordinato a José di rintracciare Courtney e di rubarle il libretto senza torcerle un capello'.
 
'Ma quello è un pazzo! Chi ti dice che prima o poi non faccia fuori anche quello stronzo del mio ex suocero, e Courtney subito dopo?'.
 
'Gli servono soldi, e Barlow ce li ha' concluse Alejandro.
 
'Okay, okay' disse Scott facendo una pausa e sedendosi sulla poltrona. 'Dunque, supponiamo che tra lo stronzo uno e lo stronzo due ci sia un accordo… tutto questo cosa c’entra con McCord? Perché l’unica cosa che sappiamo è che tra lui e il padre di Courtney c’è un rapporto di amicizia e che molto probabilmente Mal ha fatto secca la moglie, ma la ragione?'.
 
I tre si scambiarono delle occhiate, non sapendo che pesci pigliare, almeno fino a quando Alejandro non riuscì a connettere un puntino alla volta. 'E se fosse stato McCord invece? Per un motivo che ancora non conosciamo, ha ucciso la moglie e chiesto poi aiuto a qualcuno per sbarazzarsi del corpo… il signor Barlow conosce questo qualcuno e il gioco è fatto'.
 
'Se così fosse sarebbe… wow' commentò il rosso esterrefatto. 'Spero solo che Courtney non si cacci nei guai'.
 
 


 
ANNE MARIA
Era immersa nell’acqua calda in completo relax, un bicchiere di vino sulla sedia accanto e un romanzetto rosa tra le mani, circondata inoltre da candele profumate.
Erano giorni che Mal non la contattava, l’aveva infatti avvertita che dopo la sparatoria i “Vultures”, ormai stanchi dei continui attacchi, avrebbero cominciato la caccia alla talpa e lei avrebbe dovuto mantenere un basso profilo. Lei, però, non gli aveva dato tutta questa importanza, almeno fino a quando non si era ritrovata l’auto di Geoff in ogni dove: centro commerciale, estetista, parrucchiera, e così via.
Ecco che l’unica cosa che le era rimasta da fare, non ricevendo altre istruzioni, era stata quella di recitare la propria parte: aveva fatto la finta tonta circa gli ultimi avvenimenti e chiamato ogni membro, lasciando vari messaggi in segreteria se necessario. Logicamente Scott, così come il resto degli altri, non le aveva mai risposto, conscio che potesse essere la spia, ma lei sapeva che il dito puntato era sulla gigantessa Jasmine, la quale, come Anne Maria, era stata tagliata fuori dal gruppo.
Ad essere del tutto onesti, in un primo momento si era divertita a far correre avanti e indietro quei due buoni a nulla di Geoff e Brody, ma alla lunga si era stancata e aveva preferito rimanere rinchiusa in casa e dedicarsi alle attività che più le piacevano, cercando di evitare qualsiasi tipo di tentazione che la spingesse a contattare Mal o qualcuno a lui vicino per cose futili. “Solo in caso di aggiornamenti utili” l’aveva infatti ammonita il boss.
Ma ciò che le mancava di più era, forse, il suo gruppo di compari: Amy, Josee e Stephanie. Con loro si era sentita libera di esprimersi in qualsiasi maniera, di non aver paura di essere se stessa, cosa che nel gruppo di Scott non era mai accaduto dato che lì le ragazze erano pronte ad azzannarla non appena apriva bocca, soprattutto quella bianca cadaverica di Gwen… un motivo in più del perché non si sentiva minimamente in colpa per il tradimento.
L’unico per cui le dispiaceva in realtà era Duncan: alto, bello, e dopo quella nottata molto focoso. Se il suo cuore non fosse appartenuto ad un altro, sicuramente un pensiero o due sul punk come potenziale fidanzato li avrebbe volentieri fatti. Tuttavia, da quanto aveva capito, Duncan si era dimostrato un donnaiolo, volando di fiore in fiore non appena ne aveva avuta l’occasione, dunque dubitava su una sua ipotetica fedeltà… non che l’uomo con cui aveva scelto di stare fosse tanto meglio, d’altra parte era proprio così che aveva conosciuto Mal…
 
 
 
SABATO 11 GENNAIO 2020
Era dall’altra parte della città, in un locale aperto da poco, precisamente su uno sgabello al bar a sorseggiare uno dei suoi cocktail preferiti: Scott l’aveva mandata a studiare la concorrenza, non facendolo lui in prima persona indaffarato com’era ad organizzare quello stupido matrimonio con quella sciacquetta della sua ragazza.
'Dov’è finito il barman? Come fa un povero diavolo a divertirsi da queste parti?!' aveva urlato un tipo comparso alla sua destra, rendendola quasi sorda da un orecchio. Si era voltata con l’intento di cantargliene quattro, ma alla vista di quell’adone si era arrestata, ammirando tutta la mercanzia messa in mostra: il ragazzo era alto, magro e abbronzato; la camicia azzurra era totalmente sbottonata mettendo in mostra la tartaruga e i pettorali, sui quali solcava un ciondolo a forma di corno. Gli occhi erano marroni, così come i capelli tirati indietro.
Lui si era accorto del suo sguardo e le aveva lanciato un occhiolino facendola diventare rossa in viso.

'Finalmente ti ho trovato!' aveva esclamato una ragazza mingherlina dai capelli rossi intromettendosi tra lei e l’adone e cercando di abbottonare alla bell’e meglio la sua camicia.

'Ehi, oh, mozzarella! Se vuoi toccare Vito devi prendere un appuntamento' aveva detto l’altro scacciando via le mani dell’altra in malo modo. In un primo momento la rossa aveva sgranato gli occhi, sbalordita dalle parole e dal gesto di lui, successivamente però, ignorando il commento dell’altro, aveva ripreso da dove era stata interrotta, impedendo così ad Anne Maria di gustarsi oltre quella meravigliosa visione. 'Non la voglio questa camicia!'.

'Devi tenertela se vuoi stare qui, in più fa freddo'.

'Non mi importa' e sorprendendo entrambe le ragazze, si era levato completamente l’indumento… Questo voleva dire essere veri uomini!

'Rimettitela subito'.

'Ah, sì? Dovrai passare sul mio corpo abbronzato' aveva risposto lui con un ghigno sul volto. 'BARMAN!'.
La rossa lo aveva guardato scandalizzata, dopodiché aveva scosso la testa e, arresasi, se ne era andata dal locale lasciandolo lì al bancone a scolarsi il suo drink.
 
Beh, dal momento che la principessa santarellina si era fatta da parte tanto valeva approfittarne, no?
Si era avvicinata all’altro con fare sensuale, facendo scorrere appena la cerniera del proprio giacchetto verso il basso: 'Allora, ce l’hai un nome?'.
 
'Vito' aveva risposto lui flirtando a sua volta e facendosi sempre più vicino a lei.
 
 
 
Non sapeva come, ma dopo qualche drink si erano ritrovati a casa di uno dei due, stesi sul letto, a darsi alla pazza gioia.
'Ti prego, Vito, dammi un po’ di zucchero' gli aveva sussurrato lei all’orecchio, mentre l’altro le baciava e mordeva il collo; dei gemiti le erano scappati dalla bocca, eccitandolo ancor di più.
In un battito di ciglia, si erano entrambi spogliati e messi sotto le coperte, pronti a dare e ricevere piacere.
 


 
Quella era stata la prima volta che aveva conosciuto il suo futuro capo. Quella era stata la prima volta che aveva davvero perso la testa per amore.

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Capitolo 34
*** CAPITOLO 31 ***


VENERDI’ 20 NOVEMBRE 2020
 
COURTNEY
Gli occhi della donna erano fissi nella sua direzione.

Il cuore prese a battere furioso, il respiro divenne sempre più affannato e le gambe sempre più molli. Nonostante ciò, si armò di tutto il suo coraggio e continuò a camminare, lentamente. Finché non le udì, delle voci.

'Conosco un ragazzo che ti può aiutare. L’ho già chiamato'.

'Oh m-mio D-dio, che c-cosa ho f-fatto?!'.

'Andrà tutto bene, nasconderà lui il corpo' e vide un uomo di spalle inginocchiarsi verso un altro. Courtney spinse leggermente la porta per vedere meglio i due volti, ma questa cigolò. 'CHI È LA’?'.
 
 
 
Si svegliò, il cuore che sembrava uscirle dal petto. Accese subito la luce per accertarsi di non essere più in quel postaccio: il sogno quella volta era stato più vivido che mai, le mani le tremavano ancora e il cuscino era completamente bagnato. Respirò a fondo, una, due, più volte finché non si calmò del tutto.
Guardò la sveglia: erano le tre passate. Sospirando, prese in mano il cellulare per distrarsi un po’, ma un messaggio di qualche minuto prima apparve sullo schermo
Era Trent.
Si erano sentiti spesso durante la settimana, lei si era persino offerta come spalla su cui piangere e lui avrebbe potuto approfittarne in qualsiasi momento qualora ne avesse avuto bisogno, addirittura durante la notte dati i suoi problemi di insonnia e i conseguenti orari bislacchi che faceva. Inoltre, aveva limitato qualsiasi tipo di contatto con gli altri alle sole emergenze o nel caso in cui avesse scoperto qualcosa di succulento riguardo il padre (eccetto qualche messaggino a Heather all’insaputa dei ragazzi), quindi pensava non ci fosse niente di male nel farsi dei nuovi amici pur di non sentirsi abbandonata a causa della sua “missione”.
A tal proposito, si era imposta di scoprire il collegamento tra suo padre, Mal e il signor McCord anche se ad andarci di mezzo, con suo più grande dispiacere, sarebbe stato proprio Trent… o la reputazione di lei dopo le varie foto e i pettegolezzi passati alla televisione – e non erano mancati i ridicoli epiteti e le battute pessime sulla “nuova fiamma” del chitarrista da parte della Chang.
I suoi pensieri andarono a Scott: aveva visto la notizia della nuova rubrica di Tg Drama? Se sì, cosa aveva pensato? Le dita cominciarono a pruderle dal desiderio di scrivergli, di fargli sapere che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi… ma cambiò destinatario e, sospirando, indirizzò il messaggio al leader dei Drama Brothers.
 



 
TRENT
Il cellulare si illuminò improvvisamente, la risposta di Courtney lampeggiava sul suo schermo. Lei gli aveva raccontato dei suoi problemi d’insonnia ma non si sarebbe mai immaginato che la ragazza gli rispondesse sul serio. Cominciarono a scambiarsi qualche messaggio, le risposte erano quasi immediate dato che, logicamente, nessuno dei due era occupato a quell’ora della notte.
 
Aveva passato una settimana da incubo da quando aveva ricevuto la terribile notizia. Aveva abbandonato tutto e tutti senza alcuna spiegazione e aveva preso il primo volo disponibile, sul quale aveva passato delle ore infernali senza poter far nulla di concreto se non pensare, e quello lo aveva divorato un poco alla volta facendosi migliaia di domande, dubitando addirittura dell’altro genitore.
Quando Courtney, quel famoso giorno in centro, gli aveva chiesto che cosa secondo lui fosse successo alla madre, aveva preferito tacere e distrarla indicandole il primo bar vuoto, seppure dall’aspetto scadente; tutto questo perché se solo avesse dato voce ai propri pensieri avrebbe reso realtà ciò che non aveva ancora metabolizzato e che difficilmente voleva accettare: sospettava che dietro all’omicidio della madre ci fosse il padre. Aveva provato ad estorcergli qualche informazione chiedendo delucidazioni su come fosse avvenuta la separazione, su iniziativa di chi e perché… ma niente di nuovo o di diverso che non avesse già comunicato alla polizia.
 
Si distese supino sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto, cercando di trattenere le lacrime. Andava avanti così da giorni, non riusciva a dormire divorato da quei macabri pensieri.
Fortunatamente, a rendere meno pesanti quelle giornate c’era Courtney, il cui messaggio spiccò sullo schermo del cellulare seguito da una breve vibrazione.
Nonostante avesse solo voglia di piangere, sorrise leggermente ad una battuta su quella “ruba-soluzioni” della Chang.
 
 



 
BRIDGETTE
Appese il proprio camice con cura nell’armadietto, prese le chiavi della macchina e si avviò verso l’uscita dell’ospedale. Il turno era stato devastante: l’installazione del bypass coronarico prevista per quel giorno era durata più del previsto e ora aveva solo voglia di sprofondare sul letto, possibilmente accanto al marito, cosa diventata quasi improbabile data la nuova missione che gli era stata affidata; in pratica passava più tempo con due donne che non erano sua moglie.
A dirla tutta, gli aveva anche suggerito chi secondo lei fosse la famosa talpa, ma figurarsi se le dava retta di tanto in tanto. Anne Maria non le era mai piaciuta, mai, così arrogante e in cerca di attenzioni, e tutto ciò che non le ruotava attorno non aveva alcuna importanza. Per questo si era insospettita quando la mora aveva cominciato dal nulla a fare domande e commenti vari, e il modo con cui si era avvicinata a Duncan… ma secondo Geoff quelle erano “tutte supposizioni non supportate dai fatti”, solo a sentirlo parlare in quella maniera si poteva intuire il tempo speso a sorvegliare Courtney. Pure il “legalese” aveva imparato!
Lasciò la macchina nel vialetto e si diresse verso la porta di casa. Una volta aperta, constatò con stupore che suo marito si trovava sul divano, a ronfare tra le coperte e i cuscinetti, la televisione ancora accesa. Sorrise a quella scena e senza far rumore gli posò un bacio sulla fronte.
Il biondo, però, arricciò il naso solleticato per un momento dai lunghi capelli di lei, strizzò gli occhi e, lentamente, si svegliò.
'Scusa, non volevo svegliarti' sussurrò lei dolcemente accarezzandogli la guancia.
 
'In realtà ti stavo aspettando, ma devo essermi appisolato' rispose lui con la bocca ancora impastata dal sonno, posando la propria mano su quella di lei. Dopodiché alzò un lembo della coperta: un tacito invito a sdraiarsi accanto a lui. 'Come è stato il turno?'.
 
'Atroce' rispose lei accoccolandosi tra le sue braccia in cerca di calore. 'A te come è andata?'.
 
'Odio questa missione' commentò solo, stringendo ancor di più la moglie.
 
'Mi mancava' continuò quest’ultima a bassa voce, il viso premuto sul petto di lui. 'Stare così, dico'.
 
'A me mancava anche altro' e Geoff si mosse ponendosi sopra di lei, baciandola dolcemente dapprima sulle labbra, poi sul collo, scendendo sempre più giù, sbottonandole via via il giacchetto.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che erano stati così, abbracciati l’uno a l’altra, a scambiarsi effusioni sempre più spinte? Troppo.
Bridgette invertì le posizioni mettendosi a cavalcioni su di lui e togliendogli con una certa urgenza la maglia, sfiorando poi il corpo perfetto di chi aveva sotto. Senza saperlo, aveva sorriso raggiante, prima di avventarsi con voracità sulle labbra del suo uomo.




 
JO
Era mattina quando lei ed Eva si erano ritrovate quei cialtroni di Lightning e Topher a bussare alla loro porta; tuttavia, la cosa le fece molto piacere, finalmente avevano qualche contatto con il mondo esterno - soprattutto lei dato che con la gamba ancora malandata non aveva potuto lasciare la palestra. Anche se c’era da dire che non tutte le notizie ricevute erano state buone: Cameron, nonostante gli sforzi per tenerlo in vita, era morto prima ancora dell’arrivo dell’ambulanza. Eva aveva pianto a dirotto, sapendo che al posto del piccolo eroe ci sarebbe potuta essere stata lei.
Dopo un’ora abbondante era riuscita fortunatamente a calmarla e ad ascoltare il resto. I due, infatti, erano riusciti, tramite un’agente di polizia, a entrare in comunicazione con Duncane, il quale, al momento, era preda del capitano: detta francamente ben gli stava, così imparava ad andare a bighellonare in giro per la città senza alcun travestimento addosso, e ubriaco oltretutto. A tal proposito, per ricordare quanto accaduto quella notte, il punk aveva chiesto di revisionare il computer in loro possesso ed ottenere le registrazioni del suo auricolare, e Topher era al lavoro già da un bel pezzo ormai.
 
'Che ti dicevo? Quei manigoldi si sono arresi dopo che mi hanno quasi dissanguato, sono il miglior giocatore!' commentò Lightning entusiasta innanzi a lei, le braccia alzate in segno di vittoria, quello ferito dalla sparatoria ancora fasciato.
 
'Veramente sorprendente' gli rispose sarcastica. Si poteva essere più scemi?
 
'Ehi, voi, silenzio!' intimò Topher battendo le dita sulla tastiera del portatile.
Improvvisamente, due voci a loro familiari, una maschile e una femminile, riempirono la stanza.
 
 
 
- Mi chiedo come mai nessun’altra ragazza ti abbia portato via da me questa sera -
 
- Perché prima di divertirmi con te ero con degli amici. Ma mi hanno abbandonato per delle pupe sexy, e io pure -
 
- Se non se ne fossero andati, molto probabilmente io e te non ci saremmo mai incontrati. Tanto non avevi altro da fare, giusto? -
 
 
 
'Aspettate, questa è la voce di Anne Maria!' esclamò Jo esterrefatta.
 
 
 
- Niente di speciale, sorvegliare qualcuno -
 
- Dev’essere stato eccitante. E questo qualcuno è pericoloso? -
 
- È un’intera gang, tesoro: i Kobra - e si sentirono dei rumori simili a baci. - Per di più si sono alleati con degli assassini spietati -
 
 
 
'Duncan è un imbecille' commentò Eva colpendosi la fronte. 'Almeno allora non sapeva nulla dell’eventuale alleanza'. Successivamente, i due protagonisti della registrazione smisero di parlare e la parte dopo fu un susseguirsi di sussurri e gemiti in continuo aumento. Jo aveva la bocca ancora spalancata per lo stupore, mentre, Eva, al suo fianco, era enormemente imbarazzata. I ragazzi, al contrario, avevano un enorme sorriso dipinto sul volto, e poco ci mancava che si dessero pure il cinque. Dopo alcuni secondi, sembrati ore, la bionda ruppe l’atmosfera chiudendo improvvisamente il portatile, facendo calare il silenzio sui quattro.
 
'Dunque' tossì Topher. 'Cleopatra si è rivelata essere la nostra Anne Maria. Ci saremmo potuti arrivare anche senza audio visto i commenti e gli sguardi che lanciava a Duncan, per non parlare della scenetta dell’amorevole infermiera'.
 
'Essere stati insieme una notte non fa di lei una talpa' commentò Lightning.
 
'Ma sei scemo, non hai sentito il tipo di domande che gli ha fatto?!' esclamò Jo roteando gli occhi.'
 
'A quanto pare il cellulare di Duncan era sorvegliato' disse il castano meditabondo. 'Comunque, vediamo di metterci in contatto con MacArthur e darle la notizia'.
 

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Capitolo 35
*** CAPITOLO 32 ***


MERCOLEDI’ 25 NOVEMBRE 2020
 
DUNCAN
Stava camminando avanti e indietro attendendo che MacArthur trovasse quella maledetta registrazione.
Aveva scoperto da Topher e gli altri l’identità dietro la maschera di Cleopatra. Sembrava stupido, lo sapeva già dal fatto che quella sera lo aveva fatto bere molto e dal tipo di domande che gli aveva rivolto che si era portato a letto la talpa, ma voleva… sperava… in una smentita? Non poteva – non doveva – essere Anne Maria; voleva convincersene, e non perché gli piacesse (anche se nell’ultimo periodo aveva cominciato a sentire una certa attrazione, ma diamine era stata l’unica ragazza a degnarlo di uno sguardo!), ma perché non voleva essere stato così scemo da cascarci.
Così si era mosso per andare più a fondo in quella faccenda obbligando la poliziotta a fargli sentire la chiamata anonima che lo aveva portato al suo arresto.
'Smettila di andare su e giù!' fece l’altra scrutando attentamente il monitor.

'Non ce la faccio più ad aspettare!' sbottò lui gettandosi su una sedia. Se la voce della chiamata era quella di Anne Maria, era fatta, fine dei giochi. Quella nottata di fuoco altro non era stata che una trappola ben architettata per metterlo in panchina. Come sapeva dove trovarlo? Semplice: il suo cellulare, come riferitogli dalle due poliziotte tempo addietro, era sorvegliato. Ecco così spiegati gli atteggiamenti che la ragazza aveva avuto nei suoi confronti: i complimenti, le allusioni, persino il ruolo della crocerossina… tutto pianificato per avvicinarsi a lui e al suo telefono. Si maledisse più e più volte, e bravo coglione!

'Ehi, Casanova, l’ho trovata' lo chiamò l’altra.

Si catapultò di fronte al monitor, non sapendo nemmeno lui il perché dato che gli bastava solo drizzare le orecchie. E ciò che sentì confermò la propria stupidità. 'Anne Maria' quasi bisbigliò.

'Avevi ragione' constatò la donna smanettando al computer. 'Ho mandato il file al boss così lo passa al tuo amico rosso'.
Lui si limitò ad annuire, non prestando in realtà alcuna attenzione: in quel momento voleva solamente nascondersi dalla vergogna.





 
SCOTT
'L-la talpa è Anne Maria?' domandò lui incredulo.

'L’ho sempre saputo che dietro c’era lei' commentò Heather sprezzante.

'Certo che lo sapevi, tra serpi ci si riconosce' la provocò Damien.

'Infatti, eccone qua un’altra' ribatté lei indicandolo.

'Touché'.

Scott si passò le mani tra i capelli, ancora scioccato dalla notizia appena ricevuta. Si diede del cretino: in primo luogo, per aver negato (almeno all’inizio) l’eventuale presenza di una talpa, poi per essersi attivato troppo tardi per scovarla, infine per aver pensato che fosse Jasmine e solo per il suo “mostruoso” aspetto. Tuttavia, ciò che lo infastidì più di qualsiasi altra cosa al mondo era che il primo ad arrivarci e a prendersene il merito (tralasciando, ovviamente, il sesto senso - e la forte antipatia nei confronti di Anne Maria - delle ragazze) fosse proprio Duncan, cioè lo stesso coglione che si era fatto abbindolare dalla talpa.

'Io esco' fece Heather risvegliandolo dai suoi pensieri. 'Non incendiate casa mentre sono via' e afferrò, con la solita grazia che la contraddistingueva, la borsa nera.

'Fa’ attenzione'. Alejandro la accompagnò alla porta schioccandole un piccolo bacio sulla fronte.

'Sempre' disse lei mostrandogli il coltellino nascosto nella manica del maglione. 'Spero a mai più, psicopatico' si rivolse successivamente al fratello.

'Speri troppo' ribatté lui salutandola con la mano. Chiusa la porta, Damien li fissò con un’espressione interrogativa sul volto.

'Sono giorni che fa colloqui di lavoro in giro' spiegò il rosso. 'E prima che tu dica altro, no: non vuole lavorare né per me né per te' lo anticipò non appena vide il capo dei Kobra aprire bocca. 'Adesso veniamo a noi'. I quattro ragazzi si misero attorno al tavolo sul quale stavano appoggiate in bella mostra le planimetrie della villetta in cui il rosso aveva programmato di vivere con Courtney… bei tempi!
 
'Al primo piano ci sono le stanze' parlò il latino per primo. 'Il piano terra è tutto vuoto, usato perlopiù per le riunioni. Mentre qui – e indicò un piccolo rettangolo nel disegno - è dove… ehm… abbiamo rinchiuso Heather'. Damien scoccò ad Alejandro un’occhiataccia, diffidente nei suoi confronti: come biasimarlo, era stata a causa del latino se la sorella si era ritrovata prigioniera in quel covo di psicopatici. 'Le entrate sono tre: la porta principale, quella sul retro e la porta-finestra'.

'Noi abbiamo il vantaggio numerico: ci possiamo dividere in quattro squadre, tre per ogni entrata e una di cecchini all’esterno. Io, Shawn e Sky non abbiamo problemi ad arrampicarci ed appostarci sugli alberi' propose Devin sicuro.

'Ho bisogno che voi Kobra stiate tutti fuori ad attendere un mio segnale' disse Scott meditabondo. 'Mal non sa della nostra alleanza, e vorrei sfruttare l’effetto a sorpresa'.

'Senti, Scott, è un lavoro facile: entriamo, ammazziamo tutti quanti e ci disfiamo dei corpi. La casa così sarà sgombra e ritornerà ad essere tua' ragionò Damien armeggiando con l’accendino, pronto ad accendersi una sigaretta.

'No' rispose secco il rosso aggrottando la fronte: suo il problema, sua la gestione dell’operazione. 'Noi entreremo, prenderemo Mal vivo, lo faremo confessare per tutti i reati che ha commesso e lo consegneremo alla polizia'. Era un criminale ma mai si era azzardato a privare qualcuno della propria vita. Certo, era arrivato a minacciare e picchiare qualche cliente per sollecitare i pagamenti, ma non era mai andato oltre. Per quanto riguardava le pistole che possedeva… tutta scena, e l’unica volta in cui aveva premuto il grilletto era stata per autodifesa e il tizio se l'era cavata con pochi punti.
'Useremo questi' e mostrò gli auricolari, gli stessi dati loro da Cameron – pace all’anima sua. 'Avrò bisogno di Topher e del vostro genio informatico insieme'.

'Parli di Noah? Certo, nessun problema'.
 
Improvvisamente la vibrazione ovattata di un cellulare, proveniente dai jeans di Devin, catturò la loro attenzione; il ragazzo, quasi infastidito, sfilò l’arnese dalla tasca, rimanendo impietrito quando vide lo schermo. 'Oh-oh' commentò, mostrandolo in seguito al resto del gruppo. Le foto di Jo e dei fratelli Frost spiccavano nella sezione dedicata alle notizie, che cazzo succedeva ora? 'La polizia pensa che Jo sia uno degli aggressori'.
 
Mancò poco che urlasse e prendesse a calci la sedia per la frustrazione.
Aveva smesso già da molto tempo ormai di chiedersi se le cose sarebbero potute andare peggio: la risposta sarebbe stata sempre la medesima, affermativa.
 
 


 
§
 
 



 
'Signore e signori, vediamo di ricapitolare la situazione' cominciò José. 'Abbiamo seguito i movimenti della mia auto e dalla casa Fahlenbock si è spostata qui – e indicò la mappa appesa a un muro -, nel parcheggio di una palestra, il rifugio di Eva e Jo. Non si spostano molto, soprattutto Jo a causa della ferita alla gamba. Potrebbero essere un bersaglio facile'.
 
'L’ultima posizione rilevata dal cellulare di Duncan è la stazione di polizia; grazie al padre di Courtney, sappiamo inoltre che il capitano Brick McArthur lo ha fatto suo partner: la polizia lo protegge ma al tempo stesso lo limita impedendogli qualsiasi contatto con gli altri o comunque iniziative di ogni genere. Ergo, siamo sicuri di non ricevere alcun attacco da lui' e Ryan disegnò un punto di domanda accanto alla foto segnaletica del punk, impreziosita da due baffi disegnati dal latino stesso.
 
'Ma anche noi non possiamo fargli nulla con gli sbirri a parargli il culo' commentò Lorenzo a braccia conserte. 'Sa sempre come farla franca, è una cosa che non ho mai sopportato'.
 
'Jasmine è sola, pensano sia lei la talpa… Dunque, o aspettiamo che la facciano fuori loro oppure, dal mio punto di vista, senza perdere del tempo prezioso, possiamo toglierla di mezzo noi' spiegò il latino.
 
'Concordo' disse solamente Mal, seduto di fronte a loro, le mani congiunte e il mento appoggiato ad esse.
 
'Poi abbiamo la coppia di sposini: se prima Geoff accompagnava ogni volta la moglie a lavoro, ora a causa della “caccia alla talpa” non ha più tempo. Anche Bridgette è un bersaglio facile. Inoltre, con Geoff e Brody potremmo usare Anne Maria in modo che lei li attiri in qualche luogo isolato e colpirli' s’intromise Josee sghignazzando.
 
'Al contrario, non sappiamo dove sia Gwendolyn, sembra scomparsa nel nulla' affermò Ryan. 'Mentre nell’appartamento rimangono Alejandro, Scott e Heather, con qualche viavai di Topher e Lightning sempre più rari'.
 
'Però abbiamo notato due figure sospette. Non abbiamo idea di chi siano, stanno sempre incappucciati e con una mascherina al volto' avvisò Amy. 'Pensiamo a due nuove reclute nella squadra dei “Vultures” '.
 
'Infine, c’è Courtney che, stando con il padre, non ci sarà d’intralcio' concluse Ryan. 'Undici bersagli, mentre noi siamo in dieci. Quando attacchiamo?'.
 
'Non avere fretta, dobbiamo ancora studiare tutto nei dettagli' lo redarguì José.
 
'Potete sparare anche alla cieca per quanto mi riguarda' lo contraddisse Mal.
In realtà, fosse stato per lui, avrebbe impiegato altro tempo ancora per mettere a punto i singoli attacchi per non ricevere sorprese poi, ma quel viscido di Barlow gli stava con il fiato sul collo e voleva vedere uno straccio di risultato dalla sua squadra, e lui glielo avrebbe dato. Eppure non poteva ignorare quel campanellino d’allarme che aveva in testa, aveva una spiacevole sensazione che qualcosa di inaspettato potesse accadere, cogliendolo impreparato, e la cosa non gli piaceva affatto. 'Chet, Lorenzo' chiamò quindi. 'Come ve la cavate con telecamere e allarmi silenziosi?'.







 
____________________
ANGOLO AUTRICE:
CIAO RAGAZZI :)
Dunque, come avrete intuito, ci stiamo avvicinando alla fine e il prossimo capitolo sarà una cosa assurdamente lunga!! Non so quanti POV ci siano dentro, ma insomma... è quasi la fine, no?
Come sempre, io vi ringrazio per essere giunti fino a qui, significa molto per me!

Ci vediamo ai primi di dicembre, un bacio e un abbraccio virtuali!! <3

 

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Capitolo 36
*** CAPITOLO 33 ***


GIOVEDI’ 03 DICEMBRE 2020
 
GWEN
C’era tensione nell’aria.

I Kobra si stavano preparando per la missione: armi, munizioni e altri aggeggi ancora che non aveva la ben che minima idea di come si utilizzassero erano disposti lungo i tavoli, controllati dall’occhio esperto del fratello e di Devin.
Si soffermò a guardare Cole, vestito interamente in nero (come il resto del gruppo) con un maglione a collo alto, dei pantaloni comodi e un paio di scarponi. Per certi versi le ricordava Duncan con quell’apparenza e l’aria da spaccone, l’unica differenza era che sembrava avere più buon senso rispetto al punk, e a conferma di tale pensiero c’era la notte di Halloween passata in compagnia di Anne Maria. Quando Cole glielo aveva raccontato ne era rimasta scioccata, non tanto che la spia fosse quella stronza, quanto il fatto che Duncan ci fosse andato a letto. Cosa provasse in merito non ne aveva idea, era sì dispiaciuta ma era anche consapevole che ne era passata di acqua sotto i ponti dalla loro rottura e lui era libero di fare ciò che gli pareva, per non parlare del fatto che si era meravigliata nel ritrovarsi sempre più spesso a pensare ad un certo chitarrista…
'Se i borsoni sono pronti caricateli in auto' ordinò Damien sfilandosi dalla tasca del giaccone un pacchetto di sigarette.

Cole e Devin eseguirono caricandosi dell’attrezzatura e avviandosi verso l’esterno, quando un ragazzo con un alto ciuffo in testa si palesò di fronte alla porta, la mano destra in aria, chiusa a pugno, con l’intento di bussare. 'Tu devi essere Topher' constatò Cole spostandosi di lato per farlo passare.

'Sì, piacere' salutò lui. 'Ciao, Gwen'.

'Ciao, Topher!' esclamò lei entusiasta, finalmente una nota positiva in quell’angosciante e tesa situazione.
Infatti, come aveva già immaginato, le era stato ordinato di starsene zitta e buona a casa, sorvegliata dal “mago” Leonard e da Kitty, lasciando lavorare in santa pace Topher e Noah. Non aveva protestato, sapeva sarebbe stata una battaglia persa in partenza, però il broncio lo aveva mostrato ugualmente.
Seguì il suo secondo informatico preferito (il primo sarebbe sempre stato Cam) nella stanzetta dei computer, volendo essere in qualche modo partecipe alla missione e fregandosene altamente delle raccomandazioni del fratello sullo starsene buona buona sul divano. 'Noah, ti presento Topher' fece lei in direzione dell’indiano sulla sedia girevole; dopodiché si rivolse al castano 'Topher, lui è…'.

'Noah Hayden' la interruppe lui. 'Canadese con origini indiane, laureato con il massimo dei voti in informatica, matematica e fisica, e con eccezionali doti intellettuali di intuito e analisi degli eventi. Ho fatto le mie ricerche, e poi… sono un suo grande fan' aggiunse notando la sguardo perplesso della gotica. 'E lo era anche Cam' e le accarezzò la spalla con fare rassicurante, un modo per dirle che le era vicino, che condividevano lo stesso dolore.

'Spero di non deluderti, allora' rispose Noah con un sorriso quasi impercettibile. 'Mettiamoci al lavoro'.
 
 


 
DUNCAN
Sbuffò, annoiato a morte, quella era decisamente la giornata più pallosa che avesse mai passato alla stazione, in particolare nell’ufficio del capitano a guardarlo camminare su e giù pensando a Dio sapeva cosa. All’omicidio di Zoey? No, entrambi sapevano a questo punto che era stato quello psicopatico di Mal. L’esplosione all’“All Stars”? McArthur era a conoscenza del coinvolgimento di Chet e Lorenzo, così come nella sparatoria in casa di Gwen, credendo però, erroneamente, che tra i cattivi ci fosse anche Jo, la cui foto si era ormai sparsa in giro a causa dei media… quanto avrebbe pagato per vedere l’espressione scioccata e furibonda della ragazza di fronte alla notizia.
L’accenno di un sorriso gli solcò il viso, dire che non vedeva l’ora che tutta quella storia finisse per poter stare nuovamente con tutti gli altri era un eufemismo. Perlomeno aveva avuto la fortuna di rivedere Courtney, sebbene in circostanze poco piacevoli e in presenza di quel vecchiaccio viscido del padre. Il sorriso si fece più largo, non poteva negare che pensare alla topina gli faceva sempre quell’effetto, se solo si fosse comportato meglio con lei, se solo fosse stato più paziente… altro che Scott, a quest’ora sarebbe stata sua, e sua soltanto.
Tuttavia…

'Nelson, smettila di ridere sotto i baffi!' lo richiamò il capitano, gli scoccò un’occhiata malevola. 'Se ti annoi vai a prendere del caffè per entrambi' aggiunse poi prendendo posto dall’altra parte della scrivania, sfogliando quasi morbosamente il solito block-notes.

Non facendoselo ripetere una seconda volta, se la svignò in direzione del cucinotto dove, spaparanzata su una sedia, trovò MacArthur, una tazza di caffè fumante tra le mani. 'Chissà perché non sono sorpreso nel vederti qui' commentò Duncan facendo il suo ingresso.
 
'E io, al contrario, sono sorpresa nel vederti a bighellonare per la stazione per gli affari tuoi senza Brick “spaccaballe” McArthur alle calcagna. Devi averlo esasperato se ti lascia libero di vagare per gli uffici' replicò l’altra sorseggiando lentamente la propria bevanda calda.

'In realtà ero lì zitto a pensare agli affari miei'.

'Sa che lo stai prendendo in giro in qualche modo, e il fatto che a commettere quei crimini siano stati gli ex membri della tua banda… insomma, è dura non pensare che tu possa esserne complice'.
Duncan roteò gli occhi al cielo versandosi successivamente del caffè… alla tazza del capitano avrebbe pensato in un secondo momento (magari aggiungendoci un ingrediente extra), ora voleva solo approfittare di quell’attimo di respiro. O almeno questa era l’intenzione finché la poliziotta non decise di caricarlo di un altro peso ancora sulle spalle. 'Oggi è il giorno' bisbigliò. 'Scott e gli altri attaccheranno'.

Il punk sgranò gli occhi. 'Come, come, come?!' ma ricevette uno scappellotto.

'Zitto, imbecille! Vuoi che ci becchino?'.

'Quando e dove?' la ignorò lui.

MacArthur gli lanciò un’occhiata indagatrice, poi fissò l’orologio appeso al muro. 'Tra circa un’ora, nel covo di Mal'.

'Indirizzo?'.

'Non vorrai mica andarci?!' esclamò l’altra sempre mantenendo un tono di voce basso.
 
'Senza offesa, ma mi sono rotto i coglioni di fissare quel palo in culo di McArthur fare avanti e indietro per l’ufficio alla ricerca di non so che cosa lanciandomi di tanto in tanto sguardi difficili da interpretare'. Ed era vero, non sapeva se il capitano volesse saltargli addosso per ucciderlo, oppure per… oddio, inorridì al solo pensiero.

'No, non voglio finire di nuovo nei guai'.

'Neanche se ti corrompo con delle deliziose ciambelle, quelle con gli zuccherini sopra che ti piacciono tanto…?'.
 




 
COURTNEY
Fece ritorno dallo studio, fiondandosi immediatamente davanti al caminetto a scaldarsi. La temperatura era scesa ancora in quei giorni, e il suo viso rosso e le labbra screpolate la dicevano lunga. Prese la morbida coperta del divano e se la mise sulle spalle, trovando quasi subito calore.
Quei giorni freddi l’avevano sfiancata parecchio, non solo perché il lavoro allo studio era raddoppiato ora che il suo capo riceveva un giorno sì e l’altro pure la polizia, ma anche perché tutte le pause a sua disposizione le passava in compagnia di Trent. Aveva cercato di fare il possibile per sollevargli il morale (e già che c’era a cavargli informazioni sulla madre e sul padre, non negando però di sentirsi immensamente in colpa per ingannarlo in quel modo), ma la parlantina di lui sulla musica e la sua ossessione per il numero nove l’avevano un poco alla volta prosciugata delle energie.
Così, aveva deciso che quella sera avrebbe staccato da tutto e tutti: la borsa contenente i fascicoli di alcuni casi l’aveva gettata all’entrata, col cavolo che si sarebbe messa a lavorare, e chi glielo avrebbe potuto rinfacciare? Il signor McCord no di certo visti i casini in cui era invischiato, e la Chang, cercando di mandare avanti la baracca al posto del loro mentore (ma chi l'aveva nominata capetto là dentro?!), non la calcolava neanche per sbaglio.
Si diresse in camera per mettersi qualcosa di più caldo e comodo addosso: aveva deciso che sarebbe andata a trovare i suoi amici nel piccolo appartamento, soprattutto perché necessitava di aggiornamenti e di attenzioni da parte di Scott.

Era in corridoio quando udì la voce del padre. Doveva ancora avvisarlo di essere rientrata, ma si bloccò appena fuori dalla porta del suo studio quando lo sentì dire con tono preoccupato: 'Fa’ un bel respiro. Vuoi venire qui stasera, così beviamo qualcosa insieme? Anche Trent è il benvenuto, lo sai'.

Oh, no. No, no, no, no.
Velocemente e in punta di piedi, scese le scale, afferrò le chiavi che le servivano ed uscì di casa.




 
JASMINE
Smontarono dall’auto, lasciata a qualche chilometro di distanza dalla villetta, dirigendosi a piedi al punto di ritrovo con i Kobra. Ancora non poteva crederci di essere lì, tra la boscaglia, in una missione suicida, e con compagni che fino a qualche giorno prima avevano dubitato della sua lealtà. Il colmo.
Più sbalorditivo, però, era stato apprendere che la spia altri non era che Anne Maria, partner con la quale aveva condiviso le più varie informazioni, utili o meno, e addirittura le sue preoccupazioni legate al silenzio del boss nei loro confronti dopo l’episodio della sparatoria. Si era data della stupida da sola, non avendo fiutato prima il pericolo, anche perché, alla fine dei conti, era lei il membro della squadra ad aver passato la maggior parte del tempo con la italo-americana.
Tirarono fuori tutto il loro armamentario, lei si preparò al meglio rifornendosi di munizioni e indossando per precauzione un giubbotto antiproiettile sotto la felpa nera. Non attesero molto dato che dopo qualche minuto furono raggiunti dall’auto dei Kobra, dalla quale scesero cinque figure: un ragazzo con il giaccone dall’aria intimidatoria, i cui occhi iniziarono a studiare ciascuno di loro, mettendola un po’ a disagio; il guidatore, vestito completamente in nero, insieme ad un altro ragazzo cinese; una ragazza e un nanerott… SHAWN?
'Shawn?' lo chiamò piano lei. Il ragazzo la fissò, gli occhi leggermente sgranati e le gote colorate di rosso – e non per il freddo.

'C-ciao, J-jasmine' balbettò lui in evidente imbarazzo.

Riscossasi dalla sorpresa iniziale, e ricordatasi di come i due si conoscessero, lo squadrò dalla testa ai piedi con un’espressione rabbiosa sul volto. 'Vedo che non hai perso tempo a voltare le spalle anche a Duncan'.

Shawn deglutì pesantemente. 'Q-questo non è il momento adatto per parlarne'.

'Mi ero dimenticata che voi due stavate insieme prima che i “Der Schnitzel Kickers” si sciogliessero' s’intromise Jo quasi contenta di essere lì, con una mitraglietta tra le mani.

'Intendi dire prima che mi voltasse le spalle e decidesse di stare dalla parte sbagliata' commentò acidamente la gigantessa incrociando le braccia al petto.

'Adoro i drammi, credetemi, ma rinviamo tutto a missione conclusa' intervenne uno dei Kobra, quello con il giaccone, accendendosi una sigaretta. 'Allora, Wallis, sei pronto?'.





 
ANNE MARIA
'Sicura di volerlo indossare? È di due taglie in meno…'.

'Zitta, mozzarella, nessuno ha chiesto il tuo parere!' inveì contro la biondina afferrando l’abito rosa dall’attaccapanni e trascinandolo in camerino con sé.

Si era stancata di stare rinchiusa in casa e aveva deciso di svagarsi un po’ alla faccia di Mal e di quei due scemi che Scott aveva mandato a sorvegliarla. Anzi, a dire il vero quel giorno non li aveva ancora visti pedinarla sotto casa o in qualunque altro posto avesse deciso di andare, come ad esempio quel negozietto in centro gestito da due biondine senza cervello; una di loro, quella che la stava importunando solo stando fuori dal camerino, era sicura fosse Lindsay Mills.
Si guardò allo specchio, il vestito stretto avvolto sulle curve, alla faccia dell’ochetta che pensava che non le stesse! Spostò la tendina per rinfacciare alla bionda la sua magnificenza sennonché due tipe a lei ben familiari le si pararono davanti, il sorriso smagliante sui loro volti. 'Ti siamo mancate?' domandò Josee. 'Mi piace il colore' aggiunse poi guardando l’abito che indossava.

'Sembri scioccata' commentò Amy con un risolino.
Non poteva crederci, le sue compagne erano lì: felice come non lo era da molto tempo, si catapultò su di loro abbracciandole. 'Ehi, se continui così moriremo soffocate!'.

'Ma cosa ci fate qua?'.

'Siamo di turno per prendere le provviste' spiegò Josee. 'Ma già che c’eravamo ne abbiamo approfittato per mangiare qualcosa in centro: i pasti cucinati da Ryan ci hanno stancato, soprattutto quello schifo di polpettone' continuò disgustata. 'E girovagando tra i negozi ti abbiamo vista litigare con la commessa' e risero.

Anne Maria, però, per quanto rivederle potesse averle rallegrato la serata, iniziò ad allarmarsi e a guardarsi intorno con attenzione alla ricerca, nello specifico, di un’auto con due scemi a bordo. Ma niente di niente. 'Che hai?' domandò Amy con la fronte aggrottata.

Anne Maria raccontò loro tutto, ovviamente a bassa voce dato che le due commesse stavano girovagando per il negozio preparandosi per la chiusura. 'Vi chiedo scusa ma a breve finiamo il turno' fece appunto la ragazza bionda più alta.

'Nessun problema, mi cambio e ce ne andiamo'.

 
Acquistato il tanto agognato vestito, Anne Maria aveva seguito le altre due verso l’auto spettegolando del più e del meno, ma sempre facendo attenzione alle persone che le stavano attorno. 'Tranquilla, non c’è nessuno in giro' commentò Josee con aria divertita sfilando dalla tasca del giubbotto il cellulare; l’espressione del viso mutò facendosi più seria a mano a mano che gli occhi scorrevano sullo schermo. 'È Jacques' disse notando le facce preoccupate delle amiche. 'Gli allarmi silenziosi sono scattati, siamo sotto attacco'.
Anne Maria ne fu sorpresa, ma a ben vedere le cose ora avevano iniziato ad avere un senso: Scott e gli altri avevano smesso di pedinarla poiché in missione, a distruggere il loro covo e a far fuori il resto della loro banda, il suo amato Vito compreso. Almeno, Amy e Josee erano riuscite a cavarsela. 'Che cosa possiamo fare?' riprese quest’ultima portandosi le mani tra i capelli e camminando avanti e indietro sul marciapiede come un’isterica. 'Dobbiamo aiutarli!'.

'No' fece Anne Maria categorica. 'Se Mal ha fatto installare questi allarmi silenziosi vuol dire che una mossa così azzardata da parte dei “Vultures” se l’aspettava, ergo deve avere con sé anche un piano per uscirne illeso'. Non aveva l’intelligenza di Courtney o la furbizia di Heather, ma sprovveduta non lo era mai stata. 'Se sono in missione, vuol dire che hanno lasciato le ragazze da qualche parte sorvegliate da qualcuno come la notte di Halloween, giusto?'.

'Che cosa hai in mente?' chiese la bionda incuriosita.

'Le ragazze non sono una minaccia reale, fisicamente parlando, con loro basta un dito per metterle al tappeto' continuò la ragazza di colore. 'Tutt’altra storia è chi le sorveglia…'.

'Beh, caso vuole che l’auto con cui siamo venute sia munita di pistole e dardi tranquillanti firmati dai fratelli Frost che potrebbero mettere K.O. un orso' fece Josee con un enorme ghigno.


 
Quella noiosa giornata stava per prendere finalmente una divertente piega.
 




 
GEOFF
Si erano addentrati in quella specie di boschetto (dove cavolo aveva deciso di costruire la sua futura casa Scott?!), facendo silenzio e attenzione a dove mettere i piedi, con quel pazzo di Mal era meglio essere i più prudenti possibile. Armi in mano, stavano percorrendo ormai il sentiero da più di quindici minuti aguzzando la vista e tendendo le orecchie. Si erano divisi in piccoli gruppi: tutti i Kobra erano spariti, alla ricerca di un buon appostamento dal quale, all’occorrenza, poter intervenire facilmente al segnale concordato; Alejandro e Scott erano in testa a guidarli verso l’abitazione, seguiti dalle tre ragazze a verificare che non ci fossero problemi sulla destra, mentre ad occuparsi del lato sinistro ci pensavano lui e Brody, in coda.
La tensione era alle stelle, le dita delle mani gli formicolavano già da un po’ strette all’arma e al grilletto, e i piedi erano congelati. Non vedeva l’ora che quel supplizio terminasse, di sistemare definitivamente Mal e tornare a casa da sua moglie, che al momento si trovava nell’appartamento a fare compagnia a Heather, entrambe sorvegliate da Lightning, lasciato a riposo dal boss a causa della ferita al braccio. Anche Jo sarebbe dovuta rimanere in panchina, tuttavia era riuscita a convincere Scott a trascinarsela dietro; per carità, si arrangiava e camminava sulle sue stesse gambe ma alla lunga la ferita si faceva sentire. Infatti, vide la bionda davanti a sé stringere i denti e farsi forza per proseguire.
 
Finalmente, videro la villa.
'Ragazzi, ci siamo' sussurrò il capo a loro e ai compagni dall’altra parte dell’auricolare.
Guardarono l’esterno dell’abitazione, Geoff fu un po’ sorpreso, era buio già da un po’ eppure dalle finestre non si intravvedeva alcuna luce… c’era almeno qualcuno lì dentro?
 
'A me sembra sospetto' diede voce ai suoi pensieri Jasmine. 'Siamo sicuri che non si siano spostati nel frattempo?'.
 
'Forse è una trappola, dovremmo mandarci il membro più sacrificabile' commentò Jo guardandosi intorno con circospezione.
 
'Nessuno è sacrificabile!' esclamò Scott scoccandole un’occhiataccia.
 
'Vuoi fare il buonista o vuoi disfarti di Mal una volta per tutte?!'.
 
'Perché allora non vai tu? Saresti dovuta stare a casa e la tua foto è su tutti i giornali, non sei di grande aiuto' replicò piccato il rosso.
 
'D’accordo, stammi dietro, collo a matita!' concluse la bionda rispondendogli a tono. Si fece largo tra loro, spintonandoli da una parte all’altra, mettendosi in testa al gruppo – e a quanto pareva infischiandosene del resto del piano. Con la mitraglietta tra le braccia, avanzò decisa nel buio, svoltando poco dopo l’angolo. In seguito, fece loro cenno di avanzare: la via era libera.
 
'Eva, Jasmine, voi due andate con lei. Noi quattro ci divideremo e entreremo dalle altre porte' ordinò il rosso. 'Non mi importa cosa facciate agli altri, Mal deve restare vivo. In bocca al lupo a tutti, e tornate sani e salvi'.
 
'Bel discorso di incoraggiamento' fece una voce profonda alle loro spalle. D’istinto, il biondo si girò puntando l’arma contro il nuovo arrivato. 'Calma, calma. Sono io' e sfilò via il cappuccio della felpa nera.
 
'DUNCAN? C-come…?' balbettò Scott incredulo.
 
'Ho le mie fonti' rispose Duncan con un ghigno avanzando lentamente, la pistola stretta tra le mani. E quella a chi gliela aveva rubata?
 
'Fermo, fermo, fermo. Dobbiamo separarci'.
 
'Ma tu li hai mai visti i film horror?! Non possiamo dividerci!'.
 
'Qui non siamo in un film!' esclamò Scott. 'Se non agiamo così diamo loro delle vie di fuga!'.
I due continuarono a discutere aumentando involontariamente il tono della voce. Alcuni cercarono di intervenire pur di calmarli e di non farsi sgamare dal nemico, ma una strana sensazione gli deformò le viscere.
 
'Ehm, ragazzi…' provò a richiamarli. C’era qualcosa che non andava e forse Jo poteva avere ragione sul fatto che quella potesse essere una trappola. Infatti, nonostante le imprecazioni dei suoi compari, sentì uno strano rumore alla sua sinistra. 'RAGAZZI!' gridò.
Le luci si accesero all’improvviso accecandolo e un forte bruciore alla nuca lo mise in ginocchio. Tastò a terra, alla ricerca dell’arma. Zero. Non la trovava più. Proteste e lamentele di dolore raggiunsero le sue orecchie, e solo allora aprì e sbatté più volte gli occhi: erano tutti sul pavimento, disarmati, circondati dai loro nemici, sotto tiro.
 
'Guardate chi ha deciso di farci visita' fece una voce dal nulla, il tono derisorio. Un’ombra si pose davanti al biondo, colpendolo successivamente al volto, un suono sommesso non poté non uscire dalle sue labbra. 'Finalmente ci incontriamo di persona, “Vultures” e quello che rimane dei “Der Schnitzel Kickers”… ma non preoccupatevi, presto raggiungerete i vostri amici' e mostrò loro l’arnese che teneva nella mano destra: un detonatore. Gli occhi di tutti quanti loro sgranarono a quella visione, eccetto quelli di Duncan: con enorme sorpresa dei presenti, il punk rise, sguaiatamente anche.
 
'Certo, premi pure il pulsante, esplodi anche tu con noi' scherzò lui. 'Ma prima narraci la tua patetica storia, sono curioso'.
 
'Non siamo come in quei patetici film: è ora di porre fine a tutto' disse Mal con un ghigno dipinto sul volto.

'Stiamo per morire, ce lo devi' insisté Duncan, inginocchiato a terra. 'E poi lo sappiamo tutti che non vedi l’ora, altrimenti avresti già dato l’ordine ai tuoi uomini di premere il grilletto'.

'Zitto!' fece Ryan colpendolo alla testa con il calcio della pistola. Un rivolo di sangue colò subito dalla fronte del punk, accecandogli momentaneamente l’occhio destro.
 
'Hai ragione' e con un sorriso mefistofelico, Mal prese posto su una sedia lì vicino rigirando tra le dita il detonatore, attendendo ancora qualche attimo. 'Ma ogni cosa ha un suo prezzo. Che ne dite di un pugno a domanda?'.

'C-come, scusa?' e Ryan colpì Duncan allo stomaco.

'Grazie per l’esempio. Dunque, chi vuole cominciare?'.




 
COURTNEY
Nessuno aveva risposto al citofono, ma lei fortunatamente aveva con sé il proprio mazzo di chiavi - e meno male che si era ricordata di prenderle, memore dell’episodio di Halloween, quando erano stati costretti a servirsi dell’aiuto di Heather e del suo "magico" coltellino.
Non ci mise molto a salire le scale e a portarsi innanzi alla porta del piccolo appartamento: con uno scatto questa si aprì permettendole di avere accesso al salotto, avvolto stranamente nella semioscurità. Piano piano si addentrò nella stanza, cercando di capire che diamine stesse accadendo, dov’erano finiti tutti quanti?
Lungo il tragitto trovò quell’imbecille di Lightning addormentato sulla poltrona con la bocca spalancata verso il soffitto, la televisione ancora accesa. Si guardò intorno: l’igiene e la pulizia per lui erano alquanto sconosciute; cartacce ovunque e flaconi di proteine vuoti erano sparsi sul pavimento. Non che in cucina trovò di meglio: cestino pieno e straripante di roba, tra cui diversi cartoni della pizza.
Ritornò nel salotto fissando quasi disgustata il palestrato. Lo scosse leggermente, ma nessuna reazione. 'Svegliati, pelandrone!'. Questi rispose con un grugnito per poi girarsi sull’altro lato e ritornare a ronfare. 'LIGHTNING!' e con una spinta lo scaraventò al suolo.
Il ragazzo non reagì, continuando a russare come se nulla fosse.
'Heather, ci sei?' continuò la spagnola camminando verso le camere con uno spiacevole presentimento. 'Scott? Alejandro?' chiamò, la voce che si spezzava passo dopo passo. 'Dove siete tutti?!'. Sotto i piedi sentì degli scricchiolii, e più di una volta andò a sbattere contro il mobilio della casa… nei punti in cui non doveva esserci.
Sentì il cuore in gola, il respiro affannato, e immagini simili di qualche mese prima quando aveva trovato l’appartamento sottosopra a causa di José presero vita nella sua testa mettendola nel panico. La paura di non essere da sola – Lightning a parte - le fece fare dietrofront, cercando di uscire da lì il più in fretta possibile e contattare qualcuno, ma non riuscì mai a vedere la porta d’ingresso.




 
MAL
Erano a letto, uno sdraiato sull’altra a scambiarsi baci e carezze, fino a quando entrambi non erano diventati più esigenti: la sua bocca aveva cominciato ad assaggiare ogni centimetro di quella vellutata pelle e le sue mani a percorrere ogni singola curva del suo corpo, giungendo a sfiorarle il collo… ed era stato un attimo, la parte più marcia di sé aveva cominciato a stringere, aumentando poco per volta la presa. 'M-mike' l’aveva chiamato lei, guardandolo un po’ stranita.
Come era giunto, repentino, quell’attimo se ne era andato e lui era ritornato ad accarezzarla.
Erano finiti con il fare l’amore quella notte, più volte, risvegliandosi il mattino seguente con lei tra le sue braccia, ed erano in quei momenti che si fermava a contemplarla in tutta la sua bellezza: era riuscito addirittura a capire Mike, del perché l’aveva sempre voluta al suo fianco, nel bene e… nel male.

Ma, già da tempo, aveva preso una decisione: lui doveva regnare in città, e per farlo lei doveva morire.



 
'Oddio, che palle, non puoi arrivare al dunque?' fece Duncan all’improvviso.

'Sbaglio, o quella era una domanda?' constatò Mal dando l’ordine al suo uomo, il quale con un potente colpo riuscì (di nuovo) a piegare in due il punk.

'Come stavo dicendo, prima di essere interrotto con così tanta maleducazione, avevo deciso che Zoey sarebbe dovuta morire, per permettere a me, Mal, di prendere il possesso di questo corpo. Così, ho ordinato a tre dei miei uomini di tenderci un agguato'.



 
DOMENICA 19 LUGLIO 2020
Il piano era pronto, studiato nei minimi dettagli; a breve avrebbe preso lui il comando.
'Sapete cosa fare' aveva detto con tono autorevole ai tre individui innanzi a lui. 'Dopo oggi, le cose cambieranno radicalmente'.

 
Stavano attraversando il parco, passeggiando tranquillamente mano nella mano di ritorno da un appuntamento al cinema. Avevano visto una di quelle commedie romantiche che tanto piacevano a Zoey: quella volta aveva fatto scegliere a lei il film, cercando con quel piccolo gesto di farla felice… un’ultima volta.
'Veramente gironzolare di notte nel parco lo trovi romantico?' aveva domandato la rossa stringendosi ancor di più al braccio di lui, spaventata dal gufare improvviso alla sua destra.

'Calmati, Zoey, è solo un gufo' l’aveva presa in giro lui ricambiando la stretta.

Un leggero venticello si era alzato, rendendo la passeggiata più piacevole, il frinire dei grilli a riempire il silenzio tra un breve scambio di battute e l’altro.
Zoey stava ridendo piano ad una delle sue pessime barzellette finché due figure minacciose avevano incrociato il loro cammino arrestandosi a pochi passi da loro. Istintivamente, lui era indietreggiato scontrandosi però con il petto di un ragazzo di colore più alto e più muscoloso di lui. 'C-chi siete, n-non vogliamo g-guai…' aveva balbettato la rossa aggrappandosi alla sua maglietta blu. 'V-volete del denaro, e-ecco, ma non fateci del m-male' e aveva porto ai tre energumeni la propria borsetta.
Uno di loro – José - l’aveva afferrata controllandone successivamente il contenuto, ed era stato in quel momento che Zoey aveva reagito tirando al secondo accanto – Rodney - un calcio in mezzo alle gambe mettendolo in ginocchio. Lui non ne era stato per nulla sorpreso, lo aveva previsto: la sua ragazza dopotutto era cintura nera di karate, non si sarebbe lasciata intimidire così facilmente, ecco perché gli erano serviti tre dei suoi seguaci.
Mentre quei due se le stavano suonando, il terzo individuo – quello che gli era sbucato alle spalle, Ryan – lo aveva preso di mira sferrandogli pugni in tutte le direzioni, logicamente rendendogli semplice il compito di schivarli.
Il problema era stato il non accorgersi dell’attacco di Rodney il quale, ripresosi dopo la batosta ai gioielli di famiglia e arrabbiato più che mai, si era inserito a caso nella mischia finendo per colpirgli l’occhio. Una rabbia mai provata prima gli aveva invaso le viscere, ma si era calmato cercando di non mandare il piano all’aria prendendo a calci nel sedere quel campagnolo buono a nulla (anche se si era già segnato mentalmente di farlo fuori prima o poi).

'MIKE!' aveva urlato la ragazza alle sue spalle, in difficoltà.

Una fitta lo aveva messo in ginocchio, la sua parte buona stava ritornando a galla con prepotenza, le mani erano premute sulla sua testa. 'Z-Zoey' aveva biascicato facendosi strada a quattro zampe verso la ragazza, ormai circondata e presa a pugni da due dei bestioni, mentre José l’aveva tenuto a terra, impotente.
 
 

 
'Quando mi sono svegliato ero su un letto d’ospedale, con la consapevolezza che lei era già morta' e passò il suo sguardo su tutti quanti loro. 'Ma la prudenza prima di tutto: già che c’ero quindi ho controllato la sua cartella clinica e… anche quella di tua moglie' aggiunse soffermandosi sul rosso, in ginocchio come gli altri, sottomesso, alla sua mercé. Un ghigno gli deformò il viso. 'Poi sono arrivati gli sbirri, mi hanno interrogato e ho fatto la descrizione di Duncan, sia per impedire che sospettassero dell’amorevole fidanzatino, sia per togliere dalla circolazione quel piromane: due piccioni con una fava'.
 
'Peccato che le cose non siano andate come previsto' replicò Duncan, ancora a terra, con un sorriso beffardo. Lo guardò con disprezzo, nessuno poteva ridere di lui; alzò la mano per dare l’ordine quando il punk lo troncò, il sorriso beffardo ancora stampato in faccia. 'Alt. La mia non era una domanda, ma una semplice constatazione'.
 
'Hai ragione, non è una domanda' affermò Mal. 'Quindi vale due calci' e schioccò le dita. Duncan urlò dal dolore, il sangue che gli usciva dal naso.
 
'Duncan, taci!' sussurrò Jo al suo fianco.
 
'Dicevamo? Ah, già “le cose non sono andate come previsto”: due certe “avvocatesse” hanno deciso di intromettersi e salvare il culo a Nelson, il perché poi non lo capisco, dopotutto sei soltanto un verme…'.
 
'I-io almeno mi sporco le mani, non mando gli altri' commentò Duncan guardandolo arcigno. Mal gli rivolse un sorriso, pregustando quello che da lì a poco sarebbe avvenuto: Ryan lo colpì altre due volte al viso, il sangue che colava ininterrottamente dal naso. Il punk tossì, cercando di liberare le vie respiratorie.
 
'In seguito, ho mandato i fratelli Burromuerto ad indagare, e qualcuno qui deve essersi invaghito, al punto da tradirci e spiattellare tutto' guardò Alejandro, la pistola di José puntata alla sua testa, si leccò il labbro superiore prima di schioccare le dita nella sua direzione. Il più anziano dei Burromuerto colpì la nuca del fratello obbligandolo con la faccia a terra. 'Penso vi abbia già raccontato dell’attacco ai “Der Schnitzel Kickers” e della morte di Rodney: in sostanza erano inutili, e chi è inutile è destinato a morire'. Detto ciò, ghignò nella direzione di Chet, la cui camminata era diventata lenta e barcollante dopo la sparatoria di Halloween. All’istante, sfilò la pistola dalla cinghia e, puntandola contro il suo stesso uomo, sparò sotto gli sguardi increduli e spaventati di molti, soprattutto del fratellastro.
Chet cadde a terra, gli occhi ancora sbarrati dal terrore.
 
'CHET!' chiamò Lorenzo abbandonando la propria postazione e accovacciandosi al suolo. Strinse il fratello tra le proprie braccia facendo il suo nome più e più volte senza ottenere una risposta; gli occhi saettarono in direzione di Mal, carichi di lacrime e odio. 'PERCHE’?'.
 
'L’ho detto: questa è la fine che fanno coloro che sono inutili' rispose monotono, poi riprese la narrazione come se nulla fosse. 'Stavamo cercando nel posto sbagliato: le due avvocatesse non erano chi credevamo, così abbiamo accantonato momentaneamente la cosa, soprattutto dopo un’interessante soffiata su un certo libretto… Devo ammetterlo, Anne Maria ha fatto proprio un buon lavoro'.
 
 
 
 
LUNEDI’ 07 SETTEMBRE 2020
Stava aspettando con eccitazione l’arrivo dei fratelli Burromuerto, anzi, quello di una certa agenda che aveva saputo contenere per certo tutti gli affari di Wallis. Ancora non sapeva come cogliere quell’occasione: stando alle informazioni di Anne Maria, il libretto era scritto in codice e nessuno al di fuori di Scott e Geoff sapeva leggerlo… ma mai dire mai, avrebbe potuto usarlo per consegnare i “Vultures” alla polizia, o ricattarli se necessario.
'Capo, missione compiuta' lo aveva riscosso José dai suoi pensieri mostrandogli l’oggetto dei suoi desideri. 'Ma abbiamo avuto un piccolo inconveniente' e aveva indicato alle sue spalle il fratello minore trasportare una ragazza. Aveva aggrottato la fronte, perplesso più che mai. 'La ragazza è la coinquilina di Courtney Barlow'.

'E perché è qui?'.

'Ci ha colti sul fatto'.

'E perché non l’avete uccisa?'.

'Potrebbe avere delle informazioni'.

'Abbiamo già una talpa, no?'.

'E se la usassimo come esca?' aveva proposto il secondogenito, Carlos. Lui sì che gli era sempre piaciuto, l’unico tra i Burromuerto ad avere un poco di sale in zucca. 'Farebbero di tutto per riaverla viva, anche venire nella tana del lupo. Non per questo hai deciso di occupare la casa di Wallis'.
Aveva scrutato a fondo i tre, in particolare il più giovane, o meglio, il modo in cui aveva guardato la ragazza tra le sue braccia e di come i suoi occhi color smeraldo fossero più vivi che mai.
 
 

 
'L’ho capito dalla prima volta che ho messo gli occhi su di lei che ci avrebbe dato del filo da torcere, e devo dire che non mi ha deluso, ha tenuto duro… fino a quando Alejandro e Carlos non hanno deciso di remarmi contro' e schioccò nuovamente le dita. Josè colpì il fratello allo stomaco più e più volte finché non ricevette l’ordine di arrestarsi. Alejandro tossì sputando sangue e premendosi le mani sull’addome. Mal aveva un sorriso a trentadue denti, ma non aveva ancora finito: non era solo l’altrui dolore fisico a farlo stare bene, anzi, un certo psichiatra gli aveva dimostrato quanto devastante potesse essere quello psicologico. 'Non so se lo hai notato, Al ' continuò quindi. 'Ma tuo fratello Carlos qui non c’è' e vide entrambi i latini sbarrare gli occhi. 'E per “qui” intendo “in questo mondo”: ci ha pensato José a farlo fuori'. La faccia di Alejandro era rivolta al suolo ora, impedendogli di leggere le sue espressioni, ma il petto prese ad alzarsi e abbassarsi velocemente e un singhiozzo uscì dalle sue labbra. 'Non fare così, José l’ho punito personalmente'.



 
 
MERCOLEDI’ 07 OTTOBRE 2020
José se ne stava a terra con il coltello che Mal gli aveva piantato sulla gamba; le sue urla erano pura poesia per le sue orecchie. 'Nonostante tutto, hai avuto coraggio a presentarti qui' aveva affermato rigirandosi un altro coltello tra le mani. 'Dovrei ucciderti' e aveva cominciato a fischiettare “In the hall of the mountain king”, uno dei suoi brani preferiti. 'Hai lasciato che quei due scappassero, ora gli altri sanno da chi è composto il gruppo e, cosa più importante, sanno chi sono io… dovrei ucciderti, sì'.
Si era avvicinato al ragazzo.
'D’altra parte, però, vedo che la morte di Carlos ti sta divorando… quella sarà la tua punizione. Sai chi dovresti incolpare di tutto ciò? Quel tuo patetico fratellino, è a causa sua se Carlos non c’è più, no? Ha preferito una donna alla sua famiglia, sangue del suo sangue. Quindi dovrai ucciderlo'.

'S-sarà fatto'.

'Eccellente' e, avendo aspettato anche troppo, gli aveva conficcato nella carne il secondo coltello, beandosi delle lacrime e delle urla di dolore dell’altro.
 
 


'Dimmi: ne è valsa la pena, salvare la ragazza?' continuò Mal con un perfido ghigno. 'Però devo ammetterlo: te la sei scelta bene. Mi chiedo che cosa stia facendo ora'.





 
HEATHER
Si svegliò lentamente, ancora stordita e confusa.
Il buio la stava divorando, tutto attorno a lei era nero.
Cercò di percepire e studiare il proprio corpo, assicurandosi che nulla le facesse male e che gambe e braccia fossero ancora lì, al proprio posto. Era seduta, polsi legati dietro la schiena, così come le caviglie ai piedi della sedia, con qualcosa di duro e resistente, delle fascette, pensò. Lentamente, mosse le braccia alla ricerca del coltellino, infilato nella manica del maglione. Fortunatamente era ancora lì.

'Chi sei?!' chiese improvvisamente una voce femminile accanto a lei.
L’asiatica fece un salto per lo spavento, rischiando di cadere rovinosamente a terra insieme alla sedia.

'COURTNEY? Che ci fai tu qui?'.

'Ero venuta a passare la serata con voi, ma CHE CAZZO SUCCEDE?!'.

'Secondo te?!' rispose lei con sarcasmo, facendo sforzi immani nel tentativo di far scivolare il coltellino verso il buco della manica. 'Ci hanno legate a queste stupide sedie!' esclamò poi arrabbiata e frustrata.

'Come sottolineare l’ovvietà' fece l’altra di rimando saltellando sulla sedia. 'Chi c’è alla mia sinistra? Tutto bene?'.

'B-bridgette, e s-sì, al momento sto bene' balbettò la bionda terrorizzata. 'Lightning? Dov’è?'. Silenzio, nessuno rispose.

'Se la sarà data a gambe' commentò acidamente Heather, portando l’arnese per cui si stava dimenando quasi all’esterno del maglioncino.

'No, penso sia stato drogato' rispose Courtney muovendo le braccia. 'Scott e Alejandro?'.

'In missione con il resto della squadra' rispose debolmente Bridgette.

'Stai dicendo che forse siamo sole?'.

'Credimi, sarebbe peggio il contrario' continuò l’asiatica.
 
'E fai bene a dirlo' e la luce bianca, come era andata via lasciandole al buio, improvvisamente, ritornò, accecandole. Tre figure femminili, appartenenti alla squadra rivale, stavano innanzi a loro. Heather si bloccò: non voleva che la scoprissero con il coltellino, la sua - loro - unica salvezza.

'Bene, bene, bene. Guardate chi abbiamo qui' disse una seconda voce, avvicinandosi alla spagnola. 'Lascia che mi levi uno sfizio' e sentì il suono di uno schiaffo, seguito da una serie di imprecazioni da parte di Courtney e la risata sadica dell’altra.

'Anne Maria' la chiamò piano. 'Sei soltanto una stronza'.

'Tranquilla, Heather. Ti dimostrerò che qui dentro non sono l’unica' e fece un cenno alle sue due compari: la francese Josee e l’ex compagna di Duncan, Amy.
'Ragazze, ci sarà da divertirsi. Sceglietevene una, eccetto l’avvocatessa dei miei stivali, sapete che lei non si tocca, ahimé'.

'Soffrirà in ogni caso guardando le sue amiche morire senza poter fare qualcosa per impedircelo' sorrise Josee malignamente mostrando loro un affilato coltello, molto più grande di quello che Heather nascondeva nella manica.
 


Merda.




 
MACARTHUR
Se la stava ridendo sotto i baffi mentre il capitano, sbraitando di qua e di là, era alla ricerca di quel buono a nulla di Duncan, che ormai doveva trovarsi nel luogo del misfatto. 'Qualcuno ha visto quel cialtrone?!' sentì urlare il suo superiore dal corridoio. Si portò la tazza alla bocca per coprire la risata che da lì a breve le sarebbe uscita.

'Tu ne sai qualcosa?' domandò Sanders al suo fianco, china su un mucchio di fogli.

'No, ma è divertente vederlo perdere il controllo' rispose lei adocchiando il lavoro dell’altra. La sua partner era ancora alle prese con l’identità della seconda avvocatessa, determinata a capire chi vi si celasse dietro. Erano giorni che Sanders passava così i loro momenti di riposo, e poté giurare che la pila di fogli con il tempo era diminuita sempre più e molto velocemente. 'Fidati, non troverai nulla'.

'E questo allora cos’è?!' esclamò lei super eccitata, gli occhi che le brillavano. Possibile che qualcosa le fosse sfuggito durante il suo sabotaggio?
'Qui dice che Courtney Barlow divide un appartamento con una certa Heather Wilson, e su quest’altro documento si scopre che la Wilson ha lavorato per quasi cinque anni nello stesso negozio di Lindsay Mills: ecco il nostro collegamento!'. MacArthur la guardò con aria stralunata, e l’altra parve accorgersene. 'L’unica conoscente che Lindsay e Courtney hanno in comune è questa Heather Wilson, dev’essere stata lei a scegliere che identità usare per entrare qui in stazione'.

'Ma questa è solo un’ipotesi'.

'Che potrebbe essere confermata' puntualizzò Sanders alzandosi dalla sedia e afferrando le chiavi della volante. 'L’unico modo è sentire la ragazza'. Gli occhi di MacArthur sgranarono leggermente, non poteva crederci… Damien l’avrebbe fatta fuori per questa piccola svista. Facendo dei lunghi respiri per calmarsi e non esplodere, seguì la sua partner pensando ad un modo per dissuaderla da quell’idea.
 
 


'ALLORA?! DOV’È QUEL FANNULLONE DI NELSON?!'.




 
MAL
Scott sputò sangue: lo stupido aveva deciso di prendere il posto di Duncan e con esso la sua parte di botte. Rise a quella visione.
'Il libretto dici? Sarò onesto, ho pensato di barattarlo con i Kobra in cambio di un’alleanza, ma a quanto pare ho degli inetti come seguaci' rispose con malcelata irritazione: Lorenzo era ancora accovacciato a terra, le braccia che non volevano abbandonare il corpo del fratello che via via stava perdendo colorito. 'Per farla breve, siamo passati ad altro e abbiamo puntato nuovamente i riflettori sulle due avvocatesse sperando che la polizia vi rallentasse'.

'C-così hai mandato alla carica il tuo schiavetto Max' e due pugni colpirono Scott al viso.

'Diciamo che ha contribuito alle indagini' confermò Mal con un ghigno. 'Ma lo stupido si è fatto beccare: il capitano ha scoperto che passava informazioni a destra e a manca e lo ha sbattuto in sala interrogatori. Max era uno che si atteggiava molto… tutta apparenza, sapevo avrebbe ceduto e spifferato i nomi di tutti quanti noi, così José ha provveduto a farlo fuori: è bastato il suo fascino latino e… un diversivo'.

'La sparatoria a casa di Gwen' bisbigliò Jo, la fronte aggrottata.

'Dalla quale sei uscita un po' malandata' e Mal lanciò un’occhiata alla gamba della ragazza; le si avvicinò, il sorriso che gli deformava i tratti del viso, posò il pollice sui jeans di lei, macchiati da qualche goccia rossa, dove stava la ferita, e premé forte. La bionda urlò, stava per tirargli uno schiaffo ma Ryan si mise alle sue spalle, bloccandola. 'Fa male, vero?' continuò retoricamente osservando l’espressione di dolore dipinta sul volto della ragazza. 'Suvvia, per così poco. In fondo a te è andata meglio di altri, no? Come si chiamava il vostro amichetto… Cameron?' e per un attimo gli occhi color indaco di Jo si fecero più scuri, carichi di rabbia e odio.

'H-hai l-lasciato che Anne Maria mi s-seducesse e mettesse fuorigioco' disse il punk facendo un enorme sforzo. Mal lasciò andare la ragazza, spostandosi successivamente accanto a Duncan, il viso ricoperto di sangue. 'L-la chiamata anonima alla p-polizia l’ha fatta lei'.

'Vedo che ti sei divertito a fare il poliziotto insieme al capitano' sogghignò. 'La sparatoria in realtà l’abbiamo usata solo per uccidere indisturbati Max, che vi siate separati in seguito è stata solo che fortuna: avevamo le posizioni di ognuno di voi, infatti stavamo preparando un piano per farvi fuori uno alla volta, tuttavia c’era questa sensazione che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Così ho chiesto a Chet e Lorenzo di installare telecamere e allarmi silenziosi in giro, vi è piaciuta la sorpresa?'. C’è chi teneva lo sguardo basso, altri che lo fulminarono sul posto, tra cui quel piagnucolone di Lorenzo ancora stretto al fratello, quale scocciatura. Afferrando i capelli corvini di Duncan, fece scontrare il volto del ragazzo con il suo ginocchio: un nuovo fiotto di sangue uscì dal naso di quest'ultimo, ormai rotto.

'Max non era l’unico ad atteggiarsi' sentì improvvisamente alla sua sinistra. Alejandro si era rialzato, un sorriso canzonatorio stampato sulla faccia, sporca e bagnata dalle lacrime versate qualche attimo prima. 'Fingi di essere il capo, quando in realtà c’è qualcun altro in cima, vero? Il nome Barlow suona familiare?'.
 
 
 


 
HEATHER
Il coltello era vicino, pericolosamente vicino al suo collo. Se prima quella stronza si era divertita a puntarglielo sul volto e a lasciare qualche taglio, ora era sicura che si sarebbe data da fare sul serio.
Il suo coltellino era pronto, tra le sue mani, eppure non poteva muoversi senza destare qualche sospetto. Se solo Anne Maria non fosse stata lì in piedi ad osservare la scena con quel sorrisetto compiaciuto a solcarle quella sua brutta faccia…
Dietro di lei, Bridgette urlava, tra le lacrime, supplicando le presenti di lasciarle andare; mentre Courtney, al suo fianco cercava in qualsiasi modo di liberarsi dalla presa ferrea delle fascette.
'Se ti annoi, Anne Maria, in camera steso sul letto c’è sempre Lightning' fece la mora di fronte a sé, intenta ad osservare ogni dettaglio dell’asiatica. 'Ma da addormentato non sarebbe poi così divertente'.
 
'Mi va bene così, in realtà' rispose l’altra. 'Non voglio sporcarmi le mani, dato che ho fatto da poco la manicure'.
 
'Cosa non farebbe la ragazza per apparire al meglio per il suo… come si chiama?' continuò la biondina alle sue spalle, Amy.
 
'Vito' disse Anne Maria con aria sognante. Heather sgranò gli occhi: il motivo per cui quella stronza aveva tradito i suoi compagni era una cotta presa per una delle personalità di Mike? Non ci poteva credere.
 
'Non starà mai con te' sputò acida l’asiatica.
Improvvisamente, fu come se il tempo si fosse fermato: ciascuna di loro aveva smesso di tormentarle, gli occhi puntati sulla ragazza di colore il cui sguardo era di puro odio. 'Toccato un nervo scoperto?' provocò Heather, conscia di rischiare molto. E infatti il pugno di Anne Maria non tardò ad arrivare, dritto dritto sulla mandibola, talmente era forte che perse addirittura un dente.
Non seppe nemmeno lei il perché, ma sorrise. In quell’occasione tutti avrebbero dovuto tremare, presi dal terrore, ma non lei. Sorrise ancor di più. E la cosa stava dando enormemente fastidio alla sua avversaria: bene, se necessario l’avrebbe distratta così, e lentamente cominciò a tagliare le fascette attorno ai suoi polsi.
 
'Tu non puoi capire' sussurrò Anne Maria a pochi centimetri dal suo viso. 'Io e lui ci amiamo'.
 
'Uno così non è in grado di provare amore' ribatté Heather. 'Non hai visto che cosa ha fatto a Zoey?'.
 
'Lui non la amava veramente' affermò l’altra. 'Altrimenti non l’avrebbe mai tradita con me'.
 
'È stato con te solo perché gli servivi, niente di più' rincarò la dose Courtney, ritrovandosi all’improvviso due occhi gelidi a squadrarla.
 
'Io e Vito siamo fatti l’uno per l’altra!' e il suono di uno schiaffo risuonò nel soggiorno. 'Ma ora basta, fatele stare in silenzio, non voglio sentire più alcuna parola' e Anne Maria passò alle altre due del nastro isolante: l’asiatica fu la prima ad essere messa a tacere, una volta sputato sangue e saliva in faccia alla francese, Courtney la seguì lanciando imprecazioni e sguardi inceneritori. 'Bene, adesso la biondina'.
 
'N-no, vi prego. L-lasciateci andare' sentì Heather alle sue spalle, la voce impastata e interrotta dai singhiozzi. 'N-non fate d-del male al b-bambino'.
Gli occhi le uscirono dalle orbite, COSA?

'Quale bambino?' domandò Amy infastidita, lo scotch pronto tra le mani.
 
'SONO INCINTA!'.
 
 
 
E ad interrompere il silenzio che seguì, ci pensò il citofono di casa.
 
 


 
MACARTHUR
'Visto? Non c’è nessuno in casa, andiamocene!'.
 
'C’è la macchina della signorina Wilson laggiù, dev’essere in casa' spiegò Sanders risoluta.
 
'Adesso le persone non sono più libere di andare a fare una passeggiata?' fece notare MacArthur a braccia conserte.
 
'A quest’ora e con quasi cinque gradi?'.
 
'Ce n’è di gente strana in giro'.
 
'POLIZIA, POLIZIA!' sentirono gridare da una finestra dell’edificio. Un uomo con un turbante in testa e una strana maschera color caccola sulla faccia le stava chiamando agitando in aria le braccia per farsi notare.
 
'E questo conferma quanto detto' continuò MacArthur fissando il vecchio sbracciarsi senza tregua per catturare la loro attenzione. 'La prego, signore, non urli o disturberà i vicini'.
 
'Io disturbare il vicinato? Sono le ragazzine che mi abitano accanto a rompere le scatole! Per fortuna siete arrivate, vi prego fate qualcosa per farle smettere!' replicò quello con sguardo supplichevole.
 
'D’accordo, ci pensiamo noi' disse Sanders accondiscendente. 'Ci apra il portone'.
 

In un attimo erano già sulle scale: altro che aiutare quell’ometto, Sanders aveva in mente di interrogare una certa asiatica, non a caso il pianerottolo sul quale si fermarono era il suo. La sua partner ispezionò ogni campanello fino ad individuare quello della Wilson. Attesero.
Nessuna risposta.
Senza demordere, Sanders suonò nuovamente, aggiungendo dei fastidiosissimi colpi al legno della porta. Strano però che nessuno rispondesse: MacArthur non era riuscita ad avvertire del loro arrivo nessuno dei suoi compagni durante il tragitto fino a lì con la volante di servizio. La cosa la preoccupò e non poco.
'Polizia, apra la porta!' si annunciarono poi continuando a battere.
 
'Te l’ho detto che non era in casa' commentò la donna più robusta cercando di smorzare l’atmosfera – la tensione sulle proprie spalle. Dove erano finiti quegli imbecilli? Certo che Wallis se li era cercati bene i suoi membri quella volta, tra uno svogliato punk, uno scemo palestrato e delle ragazze-attira-guai che non gli davano retta manco a pagarle, tra cui l’ex moglie, eh!
 
Lei e Sanders si guardarono per qualche secondo prima di decidere di battere in ritirata. Tuttavia, un tonfo seguito da un piccolo mugugno fece drizzare loro le orecchie. 'Polizia, signorina Wilson apra questa porta!' ripeté la poliziotta più magra. Seguì un mugugno, e un altro ancora. 'Qui c’è qualcosa che non quadra, pronta?' chiese estraendo la pistola dalla fondina.
 
MacArthur la imitò facendole un cenno d’intesa e contando mentalmente.
Al tre sfondarono la porta, le armi puntate a una stanza buia. Sentendo degli strani rumori alla sua destra, l’istinto la portò ad abbassarsi e a tastare l’ambiente in cerca di riparo. Seguì un tonfo, proveniente dalla parte della stanza che aveva appena lasciato: probabilmente anche Sanders si era gettata a terra come lei.
Frugò tra il suo armamentario legato alla cintura, alla ricerca della torcia. A parte qualche spiraglio di luce lasciato entrare dalla porta sfondata, non c’era nulla che potesse darle una mano (maledetto interruttore lontano dalla sua portata!). In parte avrebbe tanto voluto ridere, quella situazione era al limite del ridicolo: e se avessero sentito male? Se Heather e gli altri stessero bene e si stessero solo nascondendo da loro? No, impossibile, non erano così imbecilli… beh, ad eccezione del super-pompato.
Finalmente trovò la torcia, la strinse forte tra le mani, non sicura in realtà se accenderla o meno non volendo segnalare ad eventuali estranei – aggressori – la sua posizione… a proposito, dove cavolo stava? Piano e in silenzio cercò di rialzarsi e muoversi, ma come si mosse una botta alla testa la fece imprecare a denti stretti: involontariamente era finita sotto un fottuto tavolo!

'Eccola, è lì!' esclamò una voce femminile mai sentita prima di allora.
Al diavolo! Si spostò, abbandonando la torcia e giocandosi il tutto e per tutto, finché la luce di quel maledetto posto non si accede e la scena non fu delle migliori: al centro, legate ad una sedia ed imbavagliate, stavano Heather, Bridgette e Courtney (che cazzo ci faceva lì Courtney, non doveva essere a casa dei suoi?!), mentre di Lightning nemmeno l’ombra. Sanders era a terra, tramortita accanto alla porta, con un… dardo? sulla gamba, sparatole dalla biondina in piedi dietro gli ostaggi, tra una mora e l’amante di quello scemo di Nelson.
 
Lasciando da parte le mille domande che le frullavano nella testa (anche se non ci voleva un genio per capire che cosa fosse successo), puntò la propria pistola contro le tre ragazze. 'Polizia, posa l’arma o sarò costretta a sparare' ordinò lei minacciosa.
 
'Fossi in te non lo farei' rispose la mora con un accento francese, chinandosi verso la sua partner e puntandole un grosso coltello alla gola.
Merda.
Se avesse sparato alla francese, la biondina l’avrebbe messa K.O. con i dardi, viceversa se avesse sparato a quest’ultima Sanders avrebbe potuto dire addio a questo mondo. Maledetto quel giorno in cui aveva deciso di entrare in accademia.
 
'Da brava, metti giù la pistola' continuò Anne Maria.
 
Fanculo. Stava per cedere, se lo sentiva, la presa divenne via via più debole, sennonché incontrò lo sguardo di Heather perforarla da una parte all’altra, scuotendo impercettibilmente la testa. Forse aveva qualcosa in mente… tanto valeva provarci a questo punto.
'Tu sei quella Cleopatra che ha sedotto Nelson se non sbaglio' iniziò la poliziotta temporeggiando e indirizzando la pistola verso la ragazza di colore. 'Sai, è colpa tua se poi hanno scoperto che la spia in realtà non era Jasmine… un errore da pivelli che sta costando caro al vostro boss'. La vide sgranare leggermente gli occhi e deglutire pesantemente. 'Anche Nelson ha voluto dare un contributo, ormai deve avere già raggiunto il vostro nascondiglio' e notò solo in quel momento il coltellino con cui Heather stava trafficando dietro la schiena cercando di liberarsi, e ci riuscì, passando a slegare i polsi della spagnola al suo fianco. Doveva solo distrarre quelle tre ancora un po’. 'Il capitano sa che sono qui' mentì. 'Se non mi vede rientrare potrebbe sospettare qualcosa e arrivare con i rinforzi. Mettete giù le armi'. Intimò allora, anche se sapeva che sarebbe stato del tutto inutile dato lo sguardo da pazza psicopatica che aveva quell’Anne Maria. Le ragazze se le sceglieva proprio bene Duncan.
 
'Come fai a sapere queste cose?' domandò la biondina con ancora l’arma tra le mani.
 
'Diciamo che in questi giorni io e Duncan abbiamo legato molto' la liquidò MacArthur in un fascio di nervi. Quanto ci metteva Heather a tagliare quelle maledette fascette? 'Avanti, siate furbe, gettate le armi'.
 
'Sarai anche una poliziotta, ma ora non hai proprio voce in capitolo' commentò la francese scorrendo lievemente la lama del coltello sul collo della sua partner. Dannazione!
Adocchiò l’asiatica e poté constatare con un certo senso di sollievo che era riuscita nel suo intento, liberando anche le mani della spagnola. Quest’ultima, lanciando un fugace sguardo a MacArthur, quasi a suggerirle il passo successivo, spostò con uno scatto la canna della pistola spara dardi della bionda la quale finì con il sedere a terra, dando così a MacArthur la possibilità di puntare la sua arma su Josee e spararle alla spalla, facendola urlare per il dolore.

Heather era china, sfregando il coltellino sulle fascette intorno alle caviglie di entrambe, spezzando finalmente la loro morsa.
 'È ora della resa dei conti!' fece l’asiatica scattando in piedi e incenerendo con lo sguardo il nemico.




 
COURTNEY
Finalmente era libera.
Si massaggiò i polsi rossi, gli occhi neri puntati sulle tre ragazze: Josee era seduta a terra, appoggiata al muro, a premere sulla ferita alla spalla, Amy, per loro fortuna, aveva perso la presa sulla propria arma, le mani alzate in segno di resa di fronte alla pistola della poliziotta, e Anne Maria indossava un’espressione furiosa sul viso. Quest’ultima, infatti, perdendo totalmente il controllo, si catapultò su di lei afferrandola per i capelli; le due fecero una piroetta andando a sbattere contro il tavolo e cadendo una sopra l’altra. Anne Maria sovrastò l’ispanica e una serie di pugni colpirono il suo volto, Courtney al contrario le tirò una poderosa gomitata riuscendo, così, ad allontanarla.

'Smettila, o sarò costretta ad intervenire!' la ammonì MacArthur, il dito sul grilletto. Ma la mora, più arrabbiata che mai, ritornò all’attacco, fermata, però, da Heather che, intromettendosi nella rissa, spinse violentemente a terra Anne Maria.
 
'Anne, smettila. Così ti farai ammazzare' la supplicò Amy, indietreggiando lentamente, approfittando del caos per recuperare la spara-dardi. Peccato che a rovinarle i piani ci pensò la spagnola, la quale afferrò per prima l’arma e sparò facendo finire con la faccia a terra la bionda, addormentata; MacArthur, invece, si preoccupò di ammanettare ad uno dei termosifoni la francese, rovistando poi tra i cassetti in cucina alla ricerca di un panno da applicare alla ferita.
 
'MALEDETTE!' gridò Anne Maria furiosa digrignando i denti. Rialzatasi, si precipitò su Heather che riuscì a difendersi da alcuni colpi e a contrattaccare, dandole qualche schiaffo sul volto e graffiandole le braccia. Courtney la aiutò cercando di far perdere l’equilibrio all’altra con uno sgambetto, indirizzandole l’arma contro per metterla a dormire, ma questa si inceppò.
L’italo-americana rise alla scena, una risata che le fece accapponare la pelle, per non parlare del coltello che la sua avversaria era riuscita a rimediare, lo stesso con cui Josee aveva minacciato e torturato la sua amica e che successivamente aveva perso a causa dello sparo. 'Lui voleva che ti lasciassimo in vita, ma se quello che ha detto lo sbirro è vero… presto al covo non rimarrà più nessuno' parlò, gli occhi fuori dalle orbite. 'Ci vediamo all’inferno' e alzò il braccio pronta ad affondare nella carne della spagnola.
Questa non riuscì a reagire in alcun modo, i suoi ultimi pensieri furono per i suoi amici, e per Scott.
L’unica cosa che fece fu chiudere gli occhi, una sola lacrima a bagnarle la guancia, attendendo che il dolore la investisse.
 

 
Non arrivò.
Non sentì nulla.
Udì un rumore cupo e sordo, un rantolio e poi il silenzio.
 
Molto lentamente, aprì gli occhi: ai suoi piedi, in una pozza di sangue, stava Anne Maria, a pancia in giù, gli occhi e la bocca spalancati.
Con mani tremanti, appoggiò due dita sul suo collo.
Nessun battito.
Era davvero morta.
 
Non riusciva a capire cosa fosse accaduto, finché non si voltò in direzione di Heather, il coltellino insanguinato gettato a terra ai suoi piedi.
'H-heather, come stai?' ma l’asiatica non rispose facendosi scivolare lentamente lungo il muro, gli occhi spalancati, incredula. 'Heather, guardami' continuò la spagnola accucciandosi di fronte a lei. 'Respira. Non hai fatto nulla di male, lei ci stava aggredendo e tu hai cercato di fermarla. È stata legittima difesa'. Stava tremando. Una delle persone più forti e coraggiose che avesse mai conosciuto stava tremando, gli occhi umidi e puntati sul cadavere della italo-americana. 'Guarda me, non lei'.
 
'Br..Bridgette' cominciò l’asiatica combattendo con un groppo alla gola. 'Sl-slegala'.
La spagnola sbarrò gli occhi e, incurante del dolore, si alzò di scatto per soccorrere l’altra, ancora legata e imbavagliata alla sedia. Si scusò un’infinità di volte per averla lasciata lì ad assistere a quell’orrore, ma date le circostanze in cui ora versava, in fondo, era stato meglio così.
 
'I miei poveri polsi' parlò Bridgette guardandosi i lividi sulla pelle.
 
'Sempre meglio di lei' continuò MacArthur indicando il corpo di Anne Maria in una pozza di sangue. 'Io chiamo i rinforzi, voi aspettate qui'.
 
'MacArthur, aspetta' fece improvvisamente Courtney. 'Qui nascoste in casa ci sono le prove che io e Heather siamo coinvolte nel caso Nelson e chissà quant’altro, se la polizia arriva perquisirà tutto da cima in fondo'.
 
'Sanders è determinata a scovare quelle due avvocatesse… forse possiamo accontentarla' commentò la poliziotta fissando intensamente Amy e Josee ammanettate al termosifone. 'Vediamo di mettere un punto a questa parte della storia'.

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Capitolo 37
*** CAPITOLO 34 ***


VENERDI’ 04 DICEMBRE 2020
 
GWEN
Erano in cinque davanti al monitor ad ascoltare, ma soprattutto a registrare le parole di Mal.
Il viso della gotica era a chiazze rosse, gli occhi infossati e umidi: aveva sentito – finalmente – com’era morta Zoey e un’infinita tristezza l’aveva invasa, sostituita poi dalla rabbia, una rabbia mai provata prima di allora pronta per essere riversata sul loro nemico. Ma lo voleva davvero? D’accordo, Mal era un pazzo psicopatico che andava assolutamente fermato, tuttavia, la sua parte più buona, Mike, era ancora lì, nascosta chissà dove nell’inconscio, e sapeva che questa non si sarebbe mai perdonata per il dolore e il dispiacere causati da una delle sue personalità.
Il piano di Scott di ottenere una confessione stava avendo successo, Noah era già all’opera con la registrazione, ma non poté fare a meno di chiedersi se ne sarebbero usciti vivi: Duncan era stato picchiato ripetutamente (maledetta la sua lingua lunga!), Jo e Alejandro torturati, ed ora era il turno del rosso. Quando avrebbero dovuto intervenire suo fratello e gli altri, cosa aspettavano ad irrompere là dentro?
L’attesa la stava divorando a poco a poco, voleva che quel calvario finisse, voleva poter ritornare a casa sua, a guidare la sua amata Mustang, poter uscire e passeggiare sotto le stelle senza la costante paura di essere presa di mira da uno degli scagnozzi di Mal, e, in particolare, voleva riappacificarsi con il resto della famiglia prima che fosse troppo tardi, prima che qualche tragedia come quella capitata a Trent li colpisse.
 
Altri tonfi e lamenti sommessi riempirono la stanza: Scott era stato colpito, ancora e ancora, e Gwen si chiese se fossero veramente in grado di reagire e difendersi – malmenati com’erano – una volta che sarebbero intervenuti i Kobra. A quel pensiero una strana sensazione di malessere la costrinse ad afferrare la prima sedia libera e a buttarcisi sopra.
 
'C’è una chiamata in arrivo' la riscosse Topher, gli occhi verdi incollati su un altro schermo. 'MacArthur'.
 
'Metti in vivavoce' ordinò Noah.
 
Il castano eseguì e improvvisamente il faccione della poliziotta fu di fronte a loro. 'Sarò breve' iniziò lei guardandosi attorno. 'Le ragazze sono state attaccate dalle leccapiedi di Mal, fortunatamente eravamo nei paraggi e abbiamo sventato il peggio. Stanno tutte bene' e inquadrò Courtney, Heather e Bridgette sedute sul divano, piuttosto malconce ma in compenso vive; poi spostò la telecamera su quelle che dovevano essere Josee ed Amy ammanettate al termosifone. 'C’è anche Anne Maria… o meglio, il suo corpo… ma i dettagli ve li racconto un’altra volta: i rinforzi stanno arrivando. L’importante è che noi stiamo bene. Inoltre, abbiamo piazzato delle prove nella decappottabile di Anne Maria: faremo credere alla polizia che due di loro erano le avvocatesse. Spero funzioni' e, sentendo i propri colleghi farse sempre più vicini, riattaccò.
 
'Porca miseria!' esclamò Topher portandosi le mani ai capelli. 'Non erano tutti nel covo?!'.
 
'A quanto pare no. Avviso Damien e Scott' fece Noah comunicando da un auricolare.
 
Gwen buttò fuori l’aria che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento. Le sue amiche erano state aggredite, Anne Maria era morta… e lei cosa aveva fatto? Era rimasta lì impalata ad ascoltare le confessioni di un folle senza poter far nulla. Nascose il viso tra le mani, cercando di fermare sul nascere le lacrime.
'Gwen, va bene così' commentò Kitty battendole dolcemente la spalla. 'Sono vive. È questo quello che conta' e senza pensarci su due volte abbracciò la ragazza, in cerca di conforto, con la speranza che anche il resto dei suoi compagni ne uscissero indenni.
 



 
MAL
'Non vi siete ancora stancati? Non fraintendetemi, potrei andare avanti all’infinito'.
Osservò ognuno di loro, quello messo peggio era indubbiamente Nelson: accasciato a terra, in posizione fetale, con il naso rotto e il viso ricoperto di sangue, uno speciale ricordo che gli aveva lasciato più che volentieri. Scott aveva seguito il punk a ruota libera, rialzandosi però ogni volta, fieramente; mentre Alejandro dopo la mazzata della morte del fratello gli era sembrato non voler più reagire... sembrato, appunto. Gli occhi color smeraldo avevano cominciato ad ardere di una nuova luce. Poteva fare lo smargiasso quanto desiderava, ma presto avrebbe posto fine alle loro misere vite, con l’aggiunta alla lista di quella di Lorenzo, ancora abbracciato al corpo freddo del fratellastro. Schioccò la lingua con disappunto a quella patetica scena, non poteva permettersi debolezze nella propria squadra.
 
'Non hai ancora risposto' fece il latino, schivando con maestria un attacco di José.
Che lo avessero beccato in combutta con Barlow non lo meravigliava affatto: il vecchio lo aveva criticato molto per il suo operato, quando lui non era stato da meno intromettendosi più del dovuto. Lui e sua figlia.
Inspirò, rincuorandosi con il pensiero che finita la sua missione avrebbe sparato anche a quel subdolo psichiatra. Certo, avrebbe potuto spifferare tutto quanto a quella massa di idioti, tale era il desiderio di vederlo dietro le sbarre... d’altronde sapeva che Scott e il resto della sua combriccola stavano indossando gli auricolari, dunque che confessasse uno o più reati non gli faceva né caldo né freddo: in ogni caso aveva gli sbirri addosso per l’omicidio di Zoey, e, semmai lo avessero preso, dalla sua aveva l’infermità mentale da poter sfruttare, e qui entrava in gioco Barlow che lo avrebbe sicuramente aiutato se non voleva finire in gattabuia a fargli compagnia.
'E le ossa della donna ritrovate insieme a quelle dei compari di Duncan?' continuò il latino difendendosi meglio che poteva dagli attacchi del fratello maggiore.
Lo ignorò e cominciò a giocherellare con il detonatore, meditando sul da farsi. Avrebbe potuto far esplodere tutto e attribuire la colpa a Lorenzo… No, questo avrebbe fatto i nomi di tutti alla polizia... ucciderlo insieme ai loro nemici? Ucciderli tutti quanti - la sua inutile squadra compresa - e ricominciare altrove? Cazzo, se avrebbe voluto, ma sarebbe stato solo un capriccio. Senza tener conto che Josee ed Amy non erano lì, e quelle due insieme erano pericolose, se si aggiungevano poi Stephanie e una certa italo-americana...
 
'Anne Maria è morta'.
Improvvisamente, sentì un malore al petto, senza accorgersene il respiro accelerò così come il battito cardiaco. Perché si sentiva così?
Guardò in direzione del rosso: certo, Topher doveva avergli comunicato la notizia all’orecchio.
 
'Come?'.
 
'Lei, Amy e Josee hanno attaccato le ragazze' rispose Scott, un’espressione preoccupata solcò i volti di tutti i presenti. 'Le nostre stanno tutte bene' aggiunse poi il rosso con una scintilla negli occhi. 'Adesso tocca a voi'.
 
Mal lo guardò, un sopracciglio alzato. 'Ah, sì? E come pensi di fare?'.
 
'Ci sono degli amici che vorrei presentarti' e detto ciò diverse figure in nero irruppero nell’edificio sorprendendoli.
Il rumore degli spari riempì la stanza, e il primo ad essere colpito fu Ryan.
Digrignò i denti, alla ricerca di una via di fuga: detonatore alla mano, fece esplodere la prima bomba.
 
 




 
ALEJANDRO
Era ancora a terra, stordito a seguito della piccola esplosione causata da Mal.
Tossì, mettendosi molto lentamente a gattoni, tastando il terreno alla ricerca della pistola che era riuscito a sottrarre al fratello poco prima dell’irruzione dei Kobra, ma un nuovo colpo alla nuca lo costrinse con la faccia a terra. 'Cercavi questa, forse?' fece José guardandolo dall’alto verso il basso con un accenno di disprezzo negli occhi.
 
'Hai intenzione di uccidere anche me, così come hai fatto con Carlos?'.
 
'Io non volevo!' urlò il primogenito. 'È stata tutta colpa tua!'. Gli tirò un calcio all’addome. 'Tutto perché hai voluto fare le cose a modo tuo!' e gli assestò un altro colpo, più forte del precedente, mozzandogli il fiato. 'Tutto perché hai preferito una ragazza alla tua famiglia, sangue del tuo sangue!'.
 
'E per questo io gli sono molto grato' commentò un’altra voce, alle spalle di suo fratello: Damien, con il viso ricoperto di sangue e polvere, lo sguardo omicida e un grosso tubo di ferro tra le mani, colpì José alle ginocchia facendogli perdere l’equilibrio.
Alejandro approfittò di quell’attimo per sovrastarlo e lottare per togliergli l’arma dalle mani. Presero a rotolare sulle macerie, cercando di imporsi l’uno sull’altro, incuranti dei proiettili vaganti sopra le loro teste.
Alejandro con la coda dell’occhio vide Jo ed Eva rispondere al fuoco, riparandosi dietro un tavolo rovesciato, insieme ad uno dei Kobra. Duncan era a pochi metri dalle due ragazze, dietro una colonna, a premersi il fianco sanguinante, facendo dei respiri profondi e gemendo per il dolore. Era ferito, e aveva bisogno di aiuto. Subito.
 
Un pugno alla mandibola lo riportò a pensare prima a se stesso che agli altri, il fratello lo stava sovrastando, a cavalcioni su di lui. 'Ironico' parlò José con una strana espressione sadica sul volto. 'Ricordi? Questa era la stessa posizione che ho usato con Heather. Pensa a tutte le cose che avrei potuto farle se solo non ti fossi intromesso…'.
Gli occhi color smeraldo sgranarono a quelle parole. 'Ricordo ancora l’espressione terrorizzata sul suo volto, la sua voce incrinata… il suo esile collo stretto nella mia mano'. La rabbia stava salendo a dismisura, parola dopo parola. Cercò di divincolarsi muovendo fianchi e gambe, le braccia inutilizzabili, bloccate dalla stretta ferrea del più grande. 'È tutto inutile' continuò l’altro con un largo ghigno. 'Tu hai salvato lei quella notte, ma chi salverà te, ora?'.
Si guardò intorno, inutilmente alla ricerca di aiuto: i suoi amici o stavano rispondendo al fuoco, cercando al tempo stesso di ripararsi, oppure stavano combattendo a mani nude, come Damien e Devin.
Sentì il cuore in gola, poi, quando notò una mano sbucare fuori da alcune macerie.
'Chissà, magari una volta concluso qui, potrei fare una visita anche alla tua ragazza…' e questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
D’istinto, gli tirò una testata sul naso - memore, forse, di quella che lui stesso aveva ricevuto da Scott. Sgusciò via dalla presa del fratello, inginocchiato al suolo, le mani che premevano sul viso. 'MALDITO!'.
 
Raccolse la pistola e gliela appoggiò sulla fronte, l’indice sul grilletto. José alzò lo sguardo nella sua direzione, sorpreso ma mantenendo una certa compostezza e fierezza. 'Dammi un buon motivo per cui non dovrei ucciderti'.
 
Il primogenito rise, sembrava di essere tornati indietro nel tempo, alla notte in cui Carlos perse la vita, e dei brividi percorsero la sua schiena. 'Sono tuo fratello'.
 
'Non mi basta' affermò Alejandro accarezzando con il dito il grilletto.
 
'Carlos non avrebbe voluto' disse allora José, e la sicurezza scemò tentennando sul da farsi.
Non riuscì a prendere una decisione: una seconda bomba esplose, perforando loro le orecchie. L’ultima cosa che vide furono le spalle del fratello mentre questo si allontanava verso l’uscita, prima che Damien si lanciasse su di lui, Alejandro, evitando che uno spesso strato di cemento gli cadesse addosso.
 
 

 
SCOTT
Si buttò di lato, evitando per un pelo di cadere al piano di sotto.
Dopo la prima esplosione, non ci aveva pensato su due volte ad inseguire quel bastardo di Mal in cima alle scale, attento a ripararsi dietro porte e pareti quando quest’ultimo cercava di prendere la mira e sparargli.
Finalmente lo raggiunse, erano l’uno di fronte all’altro, la pistola puntata contro il suo petto... ma se i suoi calcoli erano esatti (e sperava vivamente che lo fossero) doveva essere rimasto a secco. Mal premé il grilletto, ma nessun proiettile uscì. Sogghignò. 'È finita' disse lui. 'Arrenditi, Mal, Mike, Chester o chiunque tu sia'.
 
'Per te forse' affermò l’altro mostrandogli il detonatore tra le mani, il pollice che sfiorava il bottone al centro.
 
'Avanti, premilo' fece il rosso avanzando deciso. 'Non puoi uccidermi senza rischiare la tua stessa vita'.
Mal indietreggiò lentamente portandosi innanzi ad una delle finestre dell’ampia stanza, quella che avrebbe dovuto essere sua e di Courtney. Promemoria: finito lo strazio, avrebbe venduto il terreno, altro che casa dei sogni.
'È alto' continuò, i pugni stretti ai fianchi.
 
'Non troppo' commentò il moro cercando di aprirsi una via di fuga.
 
'Non ti muovere'.
Alle sue spalle, sbucò Cole, una semiautomatica tra le mani. Con lo sguardo inceneritore, si avvicinò, frapponendosi tra loro.
Zoppicava.
'Giuro su Dio che se tocchi ancora quella maledetta finestra ti sparo!'.
 
Mal si arrestò, le mani alzate in segno di resa, sebbene una di queste stringesse con forza quel dannato aggeggio esplosivo.
Involontariamente, Scott si guardò attorno alla ricerca di eventuali bombe: non ne individuò alcuna, molto probabilmente erano state piazzate solo al piano di sotto, con la speranza che i suoi nemici crepassero durante il suo tentativo di fuga.
 
Cole si avvicinò ancor di più, la pistola all’altezza della testa dell’altro. 'Avanti, mollalo' ordinò.
 
'D’accordo, d’accordo' fece Mal sornione, lanciando diverse occhiate alla gamba malandata dell’altro, e difatti, attendendo che questi si avvicinasse ancora di più fino a premere la canna sulla fronte, gli assestò un colpo sicuro al polpaccio facendolo cadere all’indietro.
Mal si fiondò su Cole, una mano stretta al polso di quest’ultimo per impedirgli di usare l’arma.
 
Scott avanzò con l’intento di sottrargli il più cautamente possibile il detonatore, ardua impresa però: quei due cominciarono a rotolare da una parte all’altra, bloccando le rispettive armi.
Fece a malapena due passi, dopodiché un boato lo costrinse a terra, le mani premute sulle orecchie, mentre il pavimento sotto ai suoi piedi iniziava a tremare, finché una grande voragine non si aprì: l’ultima cosa che vide prima che uno spesso strato grigio di fumo lo circondasse fu le sagome dei due uomini precipitare. Tossì più e più volte, muovendo le mani innanzi a sé per cacciare via tutta quella polvere e riuscire così ad individuare il buco – magari prima di fare un passo di troppo e ritrovarsi con la faccia spiattellata al piano terra.
Portandosi il colletto del maglione sopra il naso e la bocca, si affacciò all’apertura: due figure in nero erano distese a terra, sulle macerie, i loro lamenti che facevano da eco. Sospirò, lasciando andare l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento.
Con suo stupore, incrociò successivamente lo sguardo di Damien fissarlo dal basso verso l’alto, un tubo di ferro tra le mani. 'Tutto bene laggiù?' gli chiese inspirando suo malgrado nuvole di polvere.
 
'Qui abbiamo finito. Se vuoi scendere ti tocca saltare: le scale sono andate distrutte' rispose il suo alleato, il quale, individuato il detonatore, lo afferrò per frantumarlo in tanti piccoli pezzi – e già che c’era una botta gliela tirò anche a Mal, soddisfatto dei gemiti di dolore di questo.
 
Sospirando, Scott si lanciò di sotto atterrando malamente; imprecò a bassa voce.
Si guardò intorno, dire che il caos regnava sovrano era poco, lì dentro era stata combattuta una vera e propria battaglia tra bombe, spari e cazzotti.
E i morti.
Armatosi di tutto il suo coraggio, con estrema lentezza si trascinò al centro della sala principale, quella dove tutto era cominciato: proiettili incastonati nelle pareti, muri e vetri sfondati, pezzi di cemento… erano ovunque. Ogni lato di quell’enorme stanza sembrava uguale a quello adiacente.
Vide Jasmine e Shawn abbracciarsi in un angolo, con le lacrime agli occhi, grati per essere ancora vivi e per aver avuto la possibilità di rivedersi e riconciliarsi; Eva e Jo stavano estraendo dei corpi da sotto le macerie, quelli dei loro ex compagni di squadra, Lorenzo e Chet, il primo ancora abbracciato al fratellastro a mo’ di scudo, quasi a volerlo proteggere da quelle enormi masse di mattoni.
'Ragazzi, come state?' chiese con voce quasi tremante.
 
'Ho il corpo a pezzi' rispose Alejandro, sdraiato a terra tra i residui.
 
'Ci credo, hai dei lividi grandi quanto una casa' commentò Devin tenendo a terra il francese Jacques con la sola forza del piede, mentre al suo fianco Sky stava facendo altrettanto con Stephanie.
 
'Spero di avergli lasciato anch’io un bel ricordo' parlò Alejandro prendendo fiato e mettendosi a sedere. 'Voi come state?'.
 
'A parte qualche graffio, bene' dichiarò Eva completamente esausta, chiudendo le palpebre ai cadaveri, come se volesse che riposassero in pace.
 
'I-io gradirei una m-mano'.
Si girarono: Duncan era appoggiato ad una colonna, la mano che premeva forte sul fianco a bloccare l’emorragia. Tossì un paio di volte e del sangue gli uscì dalla bocca. In molti si lanciarono su di lui, soprattutto il rosso: lo fece distendere a terra e gli spostò lentamente la mano per studiare la ferita.
 
'Il proiettile è ancora dentro' disse Scott. 'Vedi di non morirmi qui'.
 
'N-non ci pensavo n-nem…' e i suoi occhi azzurri si chiusero lentamente, la testa che ciondolò alla sua destra.
 
Le sue mani presero a tremare sulla ferita. 'No, no, no, non può finire così'. Gli tirò giù la zip della felpa e cominciò il massaggio cardiaco, una, due, tre compressioni. 'Vedi di svegliarti, non ho intenzione di farti la respirazione bocca a bocca!'.
 
Dieci, undici, dodici compressioni.
Il punk sembrava non volerne sapere di riaprire gli occhi.
 
Sedici, diciassette, diciotto.
'Andiamo, brutto stronzo!'.
 
Ventidue, ventitré, ventiquattro.
Il sangue continuava ad uscire, sotto le compressioni del rosso, il colorito del punk che via via iniziava a sfumare.
 
'Fanculo!'.
Alzandogli il mento con una mano e tappandogli il naso con l’altra, portò le loro bocche a contatto e buttò dentro aria, due volte. Vide il petto di Duncan gonfiarsi, grazie alle sue respirazioni, ma nient’altro. Il suo corpo non reagiva.
Riprese quindi con le compressioni. Una, due, tre, quattro, cinque.
Niente, non rispondeva. Gli occhi di Scott si riempirono di lacrime, alcune di queste caddero sulla t-shirt imbrattata dell’amico. Quindici, sedici, diciassette.
'M-mi d-dispiace, v-va bene? Non avrei dovuto s-sbatterti fuori dal locale quella sera'. Ventuno, ventidue, ventitré.
 
Sentì i suoi compagni avvicinarsi, uno di loro gli strinse una spalla.
Li ignorò, non poteva fermarsi ora. Si calò nuovamente sulla bocca dell’altro, gonfiandogli ancora una volta il torace, quella dannata ferita che non la smetteva di perdere sangue.
 
'S-scott' lo chiamò qualcuno.
Ignorò pure quello, e si avventò sullo sterno, ricominciando ancora una volta a spingere, vacillando solo quando sentì una costola rompersi.
Sei, sette, otto.
 
'Scott'.
Dodici, tredici, quattordici.
 
'Wallis'. Ignorò anche Damien, fanculo pure lui.
Venti, ventuno, ventidue.
 
'SCOTT!'.
 
'CHE CAZZO C’È?!' sbraitò infine girandosi verso tutti quanti loro, gli occhi lucidi, le guance rigate, la gola che gli bruciava e il resto del suo corpo che tremava.
L’unica risposta che ricevette fu un cenno verso la sua sinistra: vicino a dei resti di un muro, inginocchiato a terra e con la schiena rivolta ai presenti, stava Brody, le spalle che si alzavano e abbassavano velocemente e in maniera irregolare, le mani al viso cercando di trattenere dei singhiozzi.
Solo dopo si accorse che lì, sdraiato accanto all’amico piangente, stava Geoff, con un rivolo di sangue alla bocca e gli occhi azzurri spalancati, fissi su di lui.








_____________________
ANGOLO AUTRICE:
vi avevo avvertito che sarebbe stata una cosa assurdamente lunga! D:
Sono le 02.19 e prima di quest'ora non avevo buttato giù nulla per Scott... e questo ne è stato il risultato. Avevo previsto tutto quello che ho scritto? Certo che no. Io improvviso, come sempre ahaha
Tornando seri, questa era la battaglia finale, ma ci sono ancora alcune cosette da sistemare (vedi le domande che Alejandro rivolge a Mal)... non so se manchi uno o due capitoli + l'epilogo per terminare TUTTO D: D: 

Come sempre, io vi ringrazio e vi mando un caloroso abbraccio <3 siete preziosi! :)
Attendo con ansia recensioni, soprattutto per queste due parti!

Alla prossima!!
 

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Capitolo 38
*** CAPITOLO 35 ***


MERCOLEDI’ 09 DICEMBRE 2020
 
BRICK MCARTHUR
Si diresse verso la sala interrogatori, ancora incredulo per quanto avvenuto nei giorni precedenti.
 
Tanto per cominciare, Nelson era sparito. Lo aveva cercato in ogni dove: nel cucinotto, nei bagni, addirittura dentro le volanti della polizia, sui sedili posteriori, nel caso il signorino avesse avuto la brillante idea di prendersi una pausa e sonnecchiare lontano da tutti o, meglio, lontano da lui. Ma nulla. Aveva persino preso in considerazione la possibilità di setacciare tutta la città pur di scovarlo, e difatti, chiavi alla mano, si era diretto verso la propria auto, nel parcheggio a lui riservato… se solo il veicolo fosse rimasto dove lo aveva lasciato quella mattina. Quel maledetto punk glielo aveva sottratto da sotto il naso alla prima occasione buona e non solo quello ma anche la sua pistola di servizio, abbandonata nel portaoggetti. Nonostante ciò, non aveva osato lamentarsi, dato che la colpa era stata solo ed esclusivamente sua che gli aveva concesso di andare a zonzo.
Rosso in viso, aveva fatto dietrofront, verso l’ufficio, incrociando lungo il suo cammino delle trafelate Sanders e MacArthur mentre uscivano dall’edificio a passo spedito borbottando qualcosa in merito ad una certa signorina Wilson.
Aveva chiesto quindi all’agente Friday di rintracciare il GPS della propria auto e capire dove quel dannato Nelson si fosse cacciato, ma non avevano ottenuto alcun riscontro… almeno fino alla mattina del giorno dopo, quando, di ritorno da un appartamento nel centro, con due ragazze ammanettate e una terza in un sacco per cadaveri, non scorse la sua preziosa Alfa Romeo 156 all’ingresso della stazione, con una sorpresa inaspettata: legato e imbavagliato sui sedili posteriori se ne stava uno dei loro sospettati principali, Mike Doran, con tanto di chiavetta USB lasciata in bella vista sul cruscotto. La pistola di nuovo al suo posto, nessun proiettile andato sprecato.
 
Ed ora, dopo giorni in gattabuia, eccolo lì, Mike o Mal – come doveva chiamarlo? -, davanti a sé, con le manette ai polsi, legate alla sbarra in ferro al centro del tavolo, lo sguardo truce e le labbra chiuse a disegnare una linea sottile.
Senza dire nulla gli rifilò sotto il naso la chiavetta contenente la confessione di tutte le sue malefatte.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, a squadrarsi, finché l’altro non parlò. 'Lo sa che tutto il suo contenuto potrebbe essere stato manipolato' disse indicando il piccolo oggetto con un cenno del capo.
 
'È quello che ha confermato il nostro esperto' annuì il capitano. 'Tuttavia, se prendessimo in considerazione quanto viene da lei detto nella registrazione, molte cose comincerebbero ad avere più senso. L’omicidio della signorina Mamabolo è, per esempio, una di queste'.
 
Mal si passò la lingua sulle labbra cercando di inumidirle. 'Se lei pensa che l’artefice di tutto ciò sia io, mi spiace contraddirla ma, come dire, i soldi non crescono sugli alberi. Detto ciò, voglio il mio avvocato' decretò infine.
 
'Penso che ne avrà proprio bisogno'.
 
'E il mio psichiatra' aggiunse.
 
'Naturalmente' acconsentì il poliziotto abbandonando la stanzetta e sbuffando infastidito, non che si aspettasse qualcosa di diverso da quell’uomo, anzi, il suo istinto gli diceva che quel pazzo aveva un piano di riserva. 'Friday!' chiamò poi. 'Contatta il dottor Barlow e l’avvocato del signor Doran, per cortesia. Ho il presentimento che andremo avanti per le lunghe'.
 
'Subito, capitano' e la rossa si dileguò velocemente.
 
Si recò negli uffici, alla ricerca di due poliziotte nello specifico. 'Sanders, ci sono novità?'.
 
'Abbiamo fatto visita alle detenute, ma niente di nuovo: continuano a negare di essere loro le avvocatesse nonostante le prove trovate nel bagagliaio della loro auto' e indicò una busta di plastica chiusa contenente i documenti falsi. 'Francamente, io credo alla loro versione, d’altronde hanno confessato reati più gravi di questo. Io continuo a sostenere che siano state le signorine Barlow e Wilson. Abbiamo il confronto dei due video per quanto riguarda la prima, facciamo analizzare anche la corporatura della seconda avvocatessa con quella di Heather'.
 
'C’è un problema' e lo sguardo dell’uomo si rabbuiò. 'Quei video non ci sono più, le uniche prove che avevamo sono state eliminate'.
 
'Nelson?'.
 
'Chi altri pensi possa essere stato?!'.
 
'Ehi' salutò MacArthur sbucando alle loro spalle con una ciambella tra le mani. 'Mal ha parlato?' e ne addentò un bel pezzo spostando lo sguardo da un collega all’altro, la bocca ricoperta di glassa e zuccherini colorati.
 
'No, ha voluto il suo avvocato'.
 
'Quanto scommettete che se la caverà a causa della sua infermità mentale?!'.
 
'Lo manderanno in uno di quei centri appositi' sbuffò il capitano esausto.
Sapevano dell’omicidio di Zoey, di quello di Rodney e degli ex compagni di Nelson, sapevano della sparatoria a casa Fahlenbock, avvenuta in contemporanea con l’assassinio di Maximilian. Addirittura, grazie ad un patteggiamento con le nuove detenute, erano riusciti ad ottenere informazioni circa l’esplosione dell’“All Stars”.
Tutto ciò per togliere dalla circolazione i “Der Schnitzel Kickers” e Wallis. Fino a qui tutto cominciava a quadrare, però c’era dell’altro che non gli tornava: cosa ci facevano le ossa della signora McCord insieme a quelle dei nemici di Mal? Perché quest’ultimo aveva interesse a farla fuori? Comprendeva il perché togliere di mezzo gli altri due ragazzi, dopotutto erano suoi rivali nel mondo criminale - la notizia (ricevuta con la confessione di Amy e Josee) che lo fosse anche il rosso lo aveva lasciato a dir poco spiazzato -, ma lei?
E, soprattutto, come diamine c’era arrivato Mal nella sua auto? E dove si era cacciato Duncan?
Forse tutto quello era stata opera sua e dei suoi amici, ma questo voleva dire che per tutto quel tempo era stato in contatto con qualcuno di loro… come? Con l’aiuto della Barlow dopo averla incontrata in casa propria?
 
Urlò richiamando l’attenzione dei suoi colleghi: era frustrato, pensava che una volta catturato Mal le cose sarebbero migliorate, ma delle lacune, anche belle larghe, continuavano a rimanere, e Doran si rifiutava di parlare e forse l’avrebbe addirittura fatta franca a causa del suo stupido disturbo della personalità multipla - eppure gli sembrava che intendesse perfettamente, anche per architettare tutto quel caos.
Al momento l’unica cosa che aveva ottenuto duramente (tra registrazioni e confessioni precedute da patteggiamenti per la riduzione della pena) era stato l’elenco dei nomi dei seguaci di quello psicopatico, e i suoi uomini, in quel preciso istante, erano alla ricerca dei rimanenti.
 



 
DUNCAN
Molto, ma molto, veramente molto lentamente, alla pari di un bradipo mezzo addormentato strafatto di antidolorifici, si appoggiò alla stampella per dirigersi verso l’auto grigia parcheggiata accanto al covo dei Kobra.
 
Erano stati dei giorni di merda, costretto a letto con una costola rotta e una ferita al fianco curata alla bell’e meglio da una conoscenza di Devin. E tutto ciò dopo aver fatto ritorno dal regno dei morti: era infinitamente grato a Scott per aver continuato, senza nemmeno alternarsi con qualcun altro, il massaggio cardiaco, fino a quando il suo cuore non aveva ricominciato a battere e i suoi polmoni a respirare autonomamente, mentre l’emorragia si arrestava sotto la pressione delle mani del latino. In stato d’incoscienza, erano riusciti a trasportarlo fino ad un luogo sicuro e a prestargli le prime cure, togliendogli quel dannato proiettile dalla carne.
Risvegliarsi, diverse ore dopo, era stato un incubo, rincoglionito come non lo era mai stato prima, sotto l’effetto dei farmaci, senza riuscire a muovere alcun muscolo, combattendo con le palpebre pesanti. Aveva passato il weekend in quelle condizioni, intravvedendo sì e no gli amici fare a cambio per assisterlo, per poi ripiombare nuovamente – e continuamente - tra le braccia di Morfeo.
Come se tutto quello non fosse stato già abbastanza, una volta conscio e libero dai farmaci più forti, lo avevano aggiornato di tutto, ed era stato in quell’istante che avrebbe preferito ritornare a dormire e non svegliarsi mai più.
 
Geoff se ne era andato.
 
Schiacciato da un enorme masso staccatosi dal soffitto dopo una delle esplosioni, sotto lo sguardo del suo migliore amico. Una fine orribile.
E se quello era stato devastante, la notizia che ne era seguita lo aveva spinto oltre, scoppiando a piangere: Bridgette stava aspettando un bambino. Il bambino di Geoff, il bambino che lui e la moglie, ne era certo, avrebbero cresciuto e allevato amorevolmente, trasmettendogli ogni loro passione… il bambino di cui Geoff non sapeva ancora nulla, e che mai avrebbe saputo.
 
'Avete preso tutto?' sentì Gwen in lontananza aiutando le ragazze a caricare i bagagli in auto. Eva annuì.
Sarebbero partiti. Lui, Jo ed Eva avevano deciso di lasciarsi questa brutta storia alle spalle, allontanandosi il più possibile dal paese o, meglio, dalla polizia, soprattutto quando il capitano di questa era alla ricerca della bionda (scambiata per una dei complici di Mal) e, dopo il prestito dell’Alfa Romeo e della pistola di McArthur, anche di Duncan. Per l’occasione, infatti, i due si erano sottoposti ad un cambio look, mora lei e castano chiaro lui.
 
'Tenete, queste sono le vostre nuove carte d’identità' fece Noah porgendo loro passaporti vari e altri documenti ancora. 'Sono come quelle che avevamo fatto per Valentina Escobar. A meno che non dobbiate affrontare un genio dell’informatica come lo era Cameron, non dovreste avere problemi'.
 
Duncan guardò i gradini posti in entrata, pensando già al dolore che avrebbe sentito scendendoli uno alla volta.
Quando alzò il piede sinistro, però, sentì qualcuno afferrargli delicatamente il bacino, aiutandolo a trovare il giusto equilibrio. 'Fatti aiutare' disse piano Courtney spostando il braccio di lui sopra le sue spalle minute.

Ah, già. Come dimenticare l’attacco che Anne Maria aveva programmato contro le ragazze… Sante Sanders e MacArthur che si erano ritrovate nel posto giusto al momento giusto!
A parte qualche taglio sul volto e i segni lasciati su polsi e caviglie stavano tutte e tre bene, fisicamente almeno: Heather, con la morte di Anne Maria impressa nella mente, faceva fatica sia a mettere qualcosa sotto i denti, sia a dormire la notte – ed era sicuro di averla sentita una volta piangere non-stop per un’ora intera; Courtney, invece, rimasta ancora nella casa dei genitori, quelle poche volte in cui riusciva ad addormentarsi, non faceva altro che rivivere lo stesso incubo, ancora e ancora.
Ma quella che stava peggio era in assoluto Bridgette, completamente devastata. Se non fosse stata per la costante presenza di Brody a farle forza molto probabilmente avrebbe speso il resto delle giornate a trascurare se stessa e il bambino.
Da una parte era lieto di essere stato incosciente abbastanza a lungo per non vederla ricevere la brutta notizia.
 
Un lamento uscì dalle sue labbra, muoversi faceva un male cane, pensare di dover affrontare un lungo viaggio per sfuggire alle ricerche della polizia poi…
'Piano' commentò la spagnola stringendolo a sé. Quanto gli erano mancati i suoi abbracci, il suo calore, le sue attenzioni… se solo non fosse stato così stupido. Appunto, se.
 
'Scusa' sussurrò lui.
 
'Tranquillo, non ho problemi ad adeguarmi alla tua velocità'.
 
'No, non intendevo quello' specificò lui, raggiungendo finalmente la fine di quelle maledette scale. Lei lo fissò perplessa. Duncan si guardò intorno constatando di essere abbastanza lontani dal resto del gruppo, tutti alle prese con gli ultimi saluti. 'Mi dispiace per quello che ti ho fatto passare, e non solo in questi mesi, anche quando stavamo insieme… avrei dovuto comportarmi meglio, scusa'.
 
'Duncan, ti ho già detto che non devi scusarti, io non…'.
 
'…“ricordo nulla” ' terminò lui la frase. 'Lo so, e da una parte ne sono sollevato, almeno hai dimenticato tutti i nostri litigi, il tradimento… ma dall’altra… non sai quanto questo mi ferisca' continuò con un sorriso amaro sulle labbra. 'Sei sempre stata tu, Courtney. Anche dopo tutto questo tempo, sei sempre stata tu' confessò il punk guardandola intensamente in quei grandi occhi neri, leggermente spalancati dalla sorpresa. 'Senza parole, topina? Sarebbe la prima volta' commentò lui con un piccolo ghigno.
Mise la propria fronte a contatto con quella di lei, nascosta dalla frangetta, inebriandosi un’ultima volta del suo profumo. 'Sono sicuro che Scott si prenderà bene cura di te, non finire nei guai'.
 
Si staccò, ponendole un dolce bacio sulla testa. 'Addio, principessa'.
 
 
 
 
§
 
 

 
'Finalmente sei arrivato' disse il ragazzo lanciando uno sguardo carico di rabbia al vecchio, il quale si limitò a lanciargli un’occhiataccia. Se non fosse stato per quelle stupide manette, legate a quella stupida sbarra sul tavolo, lo avrebbe volentieri strozzato con le sue stesse mani. 'Dunque, alla polizia non ho raccontato nulla, ho solo detto di volere un avvocato e il mio psichiatra di fiducia. Useremo l’infermità mentale. Anche se mi rinchiuderanno in uno di quei postacci per mentecatti comunque con il tuo aiuto e le tue conoscenze sarà una barzelletta uscire da lì'.
 
'C’è solo un piccolo particolare' lo interruppe l’uomo sfilandosi dalla tasca della giacca il piccolo registratore. Mal sbarrò gli occhi. <
 
'Non puoi farlo, ci sono le telecamere'.
 
'Ma questa è una seduta tra medico e paziente, coperta dal segreto professionale. Niente telecamere a riprenderci'.
 
'Racconterò tutto'.
 
'Deciditi, Mal: o ti dichiari infermo di mente rendendoti un testimone inattendibile, oppure rinunci a questa opzione, parli, e finisci in carcere a farmi compagnia' fece Barlow pulendosi gli occhiali con la pezza. 'Inoltre, sai meglio di me che le tue personalità non sanno quello che le altre combinano quando prendono possesso del corpo. Una volta fatto tornare Mike, dubito che ricordi qualcosa di quanto da te architettato'.
 
'IO RITORNERÒ. TORNO SEMPRE!' sbraitò Mal portandosi di fronte all’altro, inutilmente data la presa sui suoi polsi.
 
L’uomo non si scompose, anzi, in tutta risposta, azionò il registratore.
Una voce femminile, calda e dolce riempì la stanza. Mal urlò più forte che poté, cercando di sovrastarla, invano. Una fitta gli percorse le tempie, attraversandogli la testa da una parte all’altra; il dolore lo mise al tappeto, le mani sempre più rosse, i polsi pesantemente segnati dalle manette. Scalciò con prepotenza, non sapeva quanto ancora avrebbe resistito, finché, improvvisamente, non vide tutto nero.
 
 
 
 
 
Si svegliò in una strana posizione, sul pavimento di una piccola camera, le mani che gli dolevano da morire, la fronte madida di sudore e il mal di pancia.
Una figura gli si avvicinò con molta lentezza, inginocchiandosi in seguito. Era il signor Barlow. 'M-mike?'.


Annuì piano.
Lo aiutò a mettersi seduto, e solo in quel momento si accorse del perché i suoi polsi gli bruciassero così tanto.
 
'C-cosa è s-successo? Dove mi trovo?!' domandò impaurito, la voce spezzata.
 
'Tranquillo, Mike. Ti spiegherò tutto' cominciò il suo psichiatra trafficando con una valigetta nera. 'Vedi, Mal è riuscito a prendere il controllo del tuo corpo in questi mesi e se sei rinchiuso qui, nella sala interrogatori della polizia, è solo a causa sua' e appoggiò sul tavolo un computer e una chiavetta USB. 'Qui dentro ci sono le prove del tuo arresto, è una copia della confessione che hai lasciato alla polizia: una volta ascoltata ti sarà tutto più chiaro… anche su come procedere dopo' e senza aggiungere altro, gli fece ascoltare la registrazione avvicinandogli il computer.
 
 
 
 
 
E una lametta.

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Capitolo 39
*** CAPITOLO 36 ***


VENERDI’ 18 DICEMBRE 2020
 
COURTNEY
'Conosco un ragazzo che ti può aiutare. L’ho già chiamato'.

'Oh m-mio D-dio, che c-cosa ho f-fatto?!'.

'Andrà tutto bene, nasconderà lui il corpo' e vide un uomo di spalle inginocchiarsi verso un altro. Courtney spinse leggermente la porta per vedere meglio i due volti, ma questa cigolò. 'CHI È LÀ?'. Si girò di scatto, il suo volto – a lei ben conosciuto – in un’espressione sorpresa e spaventata. 'C-courtney?'.
Nonostante stesse tremando dalla testa ai piedi, cominciò a correre nella direzione opposta, verso l’uscita, la voce del padre che la chiamava ripetutamente.
Con il fiato corto, raggiunse l’auto, spalancò violentemente la portiera (come questa fosse rimasta ancora integra non ne aveva idea) e in fretta e furia si allontanò dall’edificio, la figura del padre in piedi sulla soglia del portone ad ordinarle di fermarsi.
Con mani tremanti frugò nel vano portaoggetti, alla ricerca del cellulare senza staccare gli occhi umidi dalla strada. Doveva chiamare qualcuno che la aiutasse, e il primo che le venne in mente fu suo marito. Fece fatica a premere i tasti, tra le lacrime che minacciavano di scendere e la macchina che avanzava lungo la strada.
 
Fu un attimo, una svista di un secondo: si ritrovò fuoristrada, troppo lenta a reagire e a premere il pedale del freno.
 
 
 
 
Spalancò gli occhi.
Grondava di sudore, aveva caldo e freddo al tempo stesso, nonostante ciò non fece nulla per combattere quelle sensazioni contrastanti, restando immobile sul proprio letto, le coperte gettate chissà dove, puntando lo sguardo al soffitto.
 
L’aveva finito. Dopo settimane trascorse a sognare corridoi bui, finalmente era giunta al termine di quell’incubo, ora almeno poteva dire di sapere cosa fosse accaduto il giorno del suo incidente. Certo, nutriva ancora dei dubbi: quanta affidabilità poteva avere un sogno? Ma era anche vero che se solo di quello si fosse trattato, non avrebbe passato più di un mese a contorcersi tra le coperte e a svegliarsi ad orari improponibili della notte.
 
Finalmente si mosse: con una mano girò il cuscino dalla parte più fresca e asciutta, mentre l’altra era alla ricerca del piumone tastando il materasso al livello dei suoi piedi, velocizzando quell’operazione quando un brivido di freddo le percorse la schiena.
Acciambellandosi sotto le morbide coperte alla ricerca di calore, trascinò con sé il cellulare. Lo schermo la accecò e solo dopo diversi secondi riuscì a distinguere i numeri sullo sfondo. Erano le cinque passate, la sveglia sarebbe suonata in poco più di un’ora e dubitava seriamente di riuscire a riaddormentarsi.
Decise di dare un’occhiata alle news, continuando a bearsi del caldo della trapunta. La bacheca straripava di notizie sulla morte di Mal: quest’ultimo aveva preso una decisione drastica togliendosi la vita in una delle celle della prigione, i polsi tagliati, prima ancora che la polizia potesse sottoporlo ad un vero e proprio interrogatorio. Appresa la notizia dai telegiornali, una settimana prima, ne era rimasta sconvolta, era impossibile che un tipo come lui avesse fatto una fine simile: intelligente e subdolo com’era doveva avere avuto un piano di riserva…
 
E se da una parte Mal era sparito, dall’altra il registratore con la voce di Zoey era magicamente riapparso sulla scrivania dello studio in casa, svuotato però di tutto il suo contenuto.
Solo allora aveva compreso il buonumore del padre in quei giorni: la morte di Mal, anzi, Mike equivaleva alla salvezza e alla libertà, sue e del suo amichetto McCord. Ignorava i dettagli ma sapeva che ad istigarlo al suicidio ci aveva pensato il genitore stesso.
Certo, il pensiero di dividere il tetto con un uomo simile le faceva accapponare la pelle, ma neanche Scott poteva definirsi uno stinco di santo tra attività illegali e alleanze con altri gruppi criminali, per non parlare del piano che aveva architettato con Damien alle sue spalle - e per quest’ultima cosa aveva davvero voluto cantargliene quattro (preoccupata come non lo era mai stata), tuttavia aveva evitato non appena il rosso, dopo settimane senza sentirsi, le era corso incontro baciandola e abbracciandola forte prima di scoppiare a piangere. Lo aveva stretto a sé, accarezzandogli i capelli fino a calmarlo, donandogli tutto il tempo e l’amore di cui aveva avuto bisogno.
E come se quel turbinio di emozioni non fosse bastato, quel giorno anche qualcun altro le aveva svelato il suo lato più vulnerabile: Duncan aveva praticamente confessato i suoi sentimenti per lei, per poi salire su un’auto e volatilizzarsi nel nulla – e per fortuna dato che non aveva saputo come replicare, non ricordando quasi nulla del tempo passato assieme. Sembrava che la sua memoria selezionasse per lei i ricordi più importanti, quasi a volerle indicare la strada giusta da percorrere.
 
E dopo quelle notti insonni, a causa di quello stupido sogno, era decisa più che mai ad affrontare il boss finale.
 
 

 
SCOTT
'Ti sei alzato presto, vedo' disse Heather a bassa voce entrando nella stanza.
 
'Non ho mai chiuso occhio in realtà'.
 
'Allora siamo in due' e la ragazza versò ad entrambi del caffè caldo.
 
Dopo mesi di inferno tutto era finito, Mal e i suoi scagnozzi non c’erano più… finalmente potevano rilassarsi un po’ pensando a come ricominciare da capo, insieme.
Eppure quei giorni per lui erano stati i peggiori della sua vita, ritrovandosi a fine giornata, sotto le lenzuola nella stanza concessagli dai Kobra, a pensare alle mille e più maniere con cui avrebbero potuto agire durante quella missione suicida. In qualche modo sapeva che non sarebbero tornati a casa tutti integri, le probabilità bassissime, ma ci aveva sperato ugualmente. Ed era così che passava le notti, a chiedersi che cosa sarebbe successo se solo avesse fermato Mal prima… Geoff sarebbe stato ancora vivo, un giorno sarebbe diventato un padre bravissimo.
 
'Smettila' parlò Heather seduta di fronte a lui. La guardò spaesato, un sopracciglio alzato. 'So a cosa stai pensando, non è colpa tua. Tutti, Geoff compreso, sapevano a cosa stavano andando incontro quando hanno iniziato a lavorare per te'. 
 
'Le decisioni per tutti le ho prese io' replicò Scott passandosi le mani tra i capelli. 'Mi chiedo, se solo avessi preso quelle giuste…'.
 
'E come avresti saputo che lo sarebbero state? Avresti potuto fare scelte diverse, certo, ma chi ti assicura che le cose sarebbero andate meglio? Dal mio punto di vista, scusa la franchezza, partire per una missione contro una banda governata da uno psicopatico - che in breve tempo ha fatto fuori circa una decina di persone - e tornare indietro con un solo morto è già tanto. Forse, avessi preso altre decisioni, sarebbero stati di più i morti su cui piangere' terminò l’asiatica sorseggiando lentamente dalla tazza, e nascondendosi subito dopo dietro questa.
 
Un moto di tenerezza lo portò a sorridere, impercettibilmente sì ma stava comunque sorridendo. 'È il discorso più lungo che ti abbia mai sentito fare, e senza imprecazioni nel mezzo'. Le gote della ragazza si colorarono di rosa, nascoste dietro la tazza bianca. 'Tu, invece, come stai?'.
 
'Sono stata peggio… ma anche meglio' sussurrò lei abbracciando le ginocchia al petto.
 
'Lo sai che il tuo discorso vale anche per te, vero?'.
 
'Lo so. È solo che è… difficile' ammise Heather sospirando. 'So che se non fossi intervenuta, Courtney sarebbe potuta morire, ma ogni volta che mi butto a letto e provo a chiudere gli occhi, le immagini del corpo di Ann- del suo corpo, in mezzo a tutto quel sangue… togliere la vita ad una persona, cattiva o buona che sia, legittima difesa o meno, è…' un singhiozzo le impedì di aggiungere altro.
 
'Ne hai parlato con Alejandro?'.
 
Lei annuì. 'È così paziente con me: nonostante abbia i suoi di problemi, per me c’è sempre'.
 
'Siete una coppia a tutti gli effetti ormai, mi stupirebbe il contrario' e la vide diventare sempre più rossa, mentre le sue dita lunghe accarezzavano la testa di toro al collo.
 
'Non so che cosa preveda la tua alleanza con mio fratello, ma preferirei non coinvolgessi Alejandro' parlò poi mutando repentinamente il tono della voce.
 
'Damien ha stretto la mano a me, solo ed esclusivamente a me' cominciò Scott guardandola dritta negli occhi. 'Saranno i miei uomini a scegliere se proseguire o meno… dopo quanto successo non me la sento di coinvolgerli nei miei problemi'.
 
Heather fece un cenno con il capo prima di finire il caffè e sciacquare la tazza.
'Scott' lo chiamò seria. 'Riferisci questa conversazione a qualcuno e ti spezzo le gambe'.
 
 
E il moto di tenerezza che aveva sentito sparì.
 
 

 
TRENT
Non aspettò molto, nell’atrio dello studio, prima di scorgere una chioma castana fare il suo ingresso. Ammirava come la ragazza vestisse sempre elegante e professionale, senza mai risultare volgare nonostante le gonne attillate. Non che le piacesse in quel senso ma, oh, era pur sempre un uomo, e con Courtney lì in giro, risultava difficile non far cadere l’occhio…
'Trent, come mai la polizia è qui?' chiese la ragazza togliendosi scompostamente la sciarpa di lana. Trent la fissò con un’espressione confusa. 'Ho visto McArthur e due poliziotti qua fuori, hanno di nuovo interrogato tuo padre?'. Il corvino scosse la testa. 'Allora credo lo faranno a breve'.
 
'Ma interrogarlo su cosa? Pensavo fosse stato quel Mal ad ucciderla'.
 
'E non ti sei chiesto il perché?'.
 
'Certamente, ma poi Mal è morto. Non ci sono altre persone a cui chiedere a parte quelli che la polizia sta ancora cercando' ragionò lui accompagnandola alla propria scrivania. Era stato un sollievo sapere che il vero colpevole non era chi credeva che fosse, anche se non poteva negare che il padre negli ultimi giorni era stato molto strano. Tuttavia, la notizia della morte di chi aveva fatto quelle atrocità a sua madre lo aveva rincuorato, e non poco ad essere onesti.
Courtney lo fissò per un secondo inclinando la testa di lato, con un’espressione dispiaciuta. La cosa lo fece insospettire. 'Perché quella faccia? Courtney, io cerco sempre di non essere malizioso, ma sembra che tu stia nascondendo qualcosa in questo momento'.
 
La ragazza si morse il labbro inferiore, lo sguardo a terra. 'Vedi, Trent-' ma non proseguì oltre.
 
McArthur, accompagnato da altri due agenti, fece il suo ingresso nello studio, le manette pronte all’uso. Gli occhi del chitarrista erano sbarrati, sorpreso all’inverosimile, passando lo sguardo dalla figura del capitano a quella della spagnola al suo fianco, e viceversa. 'Signor McCord' chiamò il poliziotto.
Suo padre sbucò fuori dal proprio ufficio, impallidendo alla vista di quei tre uomini. 
'Signor McCord, lei è in arresto per l’omicidio di sua moglie. Abbiamo controllato le sue finanze e abbiamo notato un versamento di diecimila dollari in un conto estero. Ci è voluto un po’ ma siamo risaliti all’identità del destinatario: Mike Doran. È stato lei a commissionare il lavoro sporco a quest’ultimo'.
 
'No' scosse la testa il cinquantenne. 'No, no, no. Non è così!'. Cominciò a piangere, mentre le mani venivano legate dietro la schiena. 'N-non ho commissionato n-nessun omicidio'.
 
'Avete sentito cosa ha detto?! Non è stato lui!' urlò Trent avvicinandosi.
 
Il padre lo fissò dritto negli occhi. 'Trent' la voce spezzata. 'M-mi dispiace'.
 
'Che cosa stai dicendo?!'.
 
'I-io non volevo… tua madre voleva lasciarmi e… e io non potevo permetterglielo… non… non volevo… uno scatto d’ira' farfugliò cogliendolo alla sprovvista.
Lo sconcerto tramutò all’istante in dolore e rabbia, il corpo si mosse da solo, e senza pensare alle conseguenze gli tirò un pugno sulla mandibola. Fu solo grazie all’intervento degli agenti se non gli diede il resto.

'COME HAI POTUTO!' sbraitò il ragazzo trattenuto a terra da un grosso poliziotto, dando spettacolo di fronte ad avvocati e assistenti lì presenti, la bocca spalancata per lo stupore. 'SEI UN PEZZO DI MERDA! NON HAI FATTO ALTRO CHE RACCONTARE BUGIE!'.


 
E con le lacrime agli occhi e la gola che bruciava, vide il padre e il capitano uscire dall’edificio.



 
§
 
 
 

Stava sorseggiando del vino rosso, seduto comodamente sulla poltrona in soggiorno. Erano mesi che non si sentiva così libero e in pace con il mondo. Finalmente aveva posto fine a tutti i suoi problemi, discutibili i metodi utilizzati ma “a mali estremi, estremi rimedi”.
 
'Hai aiutato tu il signor McCord a nascondere il corpo di sua moglie'. L’uomo impallidì a quelle parole. Girandosi, vide la figlia guardarlo con disappunto. 'E non contento hai dovuto ricattarlo, per questo mi ha accolta nel suo studio come se niente fosse'.
 
'Non so-'.
 
'Di cosa io stia parlando? Io dico di sì' continuò Courtney a braccia conserte. 'Ricordo tutto, papà. Tutto quello che è accaduto la sera del mio incidente: ti ho sentito dire a McCord che lo avresti aiutato. Bastava solo persuadere Mal con diecimila dollari'.
 
'T-tu come fai a saperlo?'.
 
'La polizia ha arrestato il tuo amico oggi. Ha già confessato di aver fatto fuori lui la moglie, preso da uno scatto d’ira, o così dice… mi chiedo quanto gli ci vorrà per crollare e spifferare il tuo di nome'.
 
'Non ha prove materiali contro di me. È la sua parola contro la mia'.
 
'Ultimamente vi siete scambiati molte telefonate… sono sicura che la stessa cosa sia accaduta anche la sera dell’omicidio. La polizia controllerà tutto, tabulati telefonici compresi. Ora, non riusciranno a collegarti alla morte di Mal, ma per occultamento di cadavere forse sì' concluse lei girando i tacchi, un piede sul primo gradino delle scale. 'E se la cosa non ti fosse chiara, me ne vado. Torno con Scott'.

'Non puoi andare da quel... criminale!'.

'Papà, ti sei visto allo specchio?'.






_______________________
ANGOLO AUTRICE:
E questa è la fine della spiegazione di tutto il caos che ho creato (sperando ovviamente di non aver tralasciato nulla per strada D:).
Come potete vedere dalla data ad inizio capitolo, questo sarebbe dovuto uscire ieri ma ho terminato di scriverlo solo alle 00.30 di oggi, e devo dire di non essere proprio soddisfatta, non l'ho nemmeno riletto quindi in caso di errori di battitura, grammatica o quant'altro chiedo scusa, però DOVEVA essere pubblicato in settimana.
Ora, non so se scrivere già l'epilogo... avevo in mente un ultimo capitolo *speciale* in tema natalizio (un po' come quello di Halloween per intenderci) per tirare un po' su di morale i nostri protagonisti e magari ridefinire gli ultimissimi dettagli! Staremo a vedere, in questi giorni sono veramente stanca e piena di cose da fare, a proposito di insomnia...

Come sempre, grazie per essere giunti fino a qui <3
un abbraccio!!




 

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Capitolo 40
*** CAPITOLO 37 ***


VENERDI’ 25 DICEMBRE 2020
 
SCOTT
Era una sensazione di cui non sapeva di aver avuto la mancanza, fino a quel momento.
Si erano riuniti attorno ad una tavola imbandita di ogni leccornia, dal tacchino ripieno con tanto di portate di accompagnamento – tra cui patate al forno, verdure e salse di ogni genere – ad uno dei suoi piatti preferiti, la tourtière canadese. Le sue papille gustative erano andate in tilt davanti a quell’esplosione di gusti, e il tronchetto al cioccolato era stata la botta finale.
Con la pancia piena e le palpebre pesanti si era gettato su uno dei divani nella saletta adiacente con il resto dei ragazzi, Alejandro alla sua sinistra, davanti al fuoco scoppiettante del caminetto (per non parlare del cliché della neve a Natale, al di là della finestra).
Rispetto a giorni prima, quello che stava vivendo sembrava qualcosa di surreale, un cambio di scena inaspettato, ed era contento di poterlo condividere con Courtney e i suoi amici… meno qualcuno, però. Bridgette e Brody avevano rinunciato a passare le vacanze natalizie con tutti quanti loro, per non rovinare le festività al gruppo e, soprattutto, ritenendolo un torto nei confronti di Geoff. Sospirò cercando di mettere da parte (almeno a Natale!) quella ferita aperta.
 
'Sigaro?' domandò Damien dal nulla, seduto su una poltrona.
 
'Passo' rispose il rosso con uno sbadiglio.
 
'Io non fumo' affermò il latino, gli occhi fissi sul paesaggio bianco alla finestra.
 
'A che pensi?'.
 
'José è scappato e non so se sia un bene o un male' disse Alejandro rabbuiandosi.
 
'E i due che abbiamo catturato, Jacques e Stephanie?' deviò il discorso Scott portando lo sguardo sui due Kobra, Damien e Devin.
 
'Mio caro Wallis, non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta' disse il primo con fare molto eloquente; al suo fianco, Devin si portò un pollice all’altezza della gola, tracciando un’immaginaria linea retta, parallela al terreno. 'Ma tranquillo, Wallis: il nostro è stato un lavoro pulito'.
Scott ebbe quasi paura quando notò lo scintillio negli occhi grigi di Damien… meglio tenere la guardia alta con un tipo simile. 'Comunque, non voglio importunarti più del dovuto dato che è Natale, ma ti rammento che abbiamo un accordo noi due'.
 
'Che io intendo rispettare, ma per quanto riguarda i miei uomini decideranno loro se proseguire o meno visto quanto accaduto'.
 
'Beh, credo che uno di voi abbia già fatto la sua scelta' e Devin indicò loro un angolo della stanza dove, appartanti a sussurrarsi cose all’orecchio e con i volti rossi, si trovavano Jasmine e Shawn, sorridenti come non mai. In un certo senso gli ricordavano Bridgette e Geoff… basta con questi pensiere, Scott!
 
'Per non parlare del duo di nerd' commentò Lightning facendo un cenno nella direzione di Topher e Noah, i bicchieri di vino in alto, mentre cantavano terribilmente e biascicavano parole a caso, il tutto sotto lo sguardo inceneritore di Sky, disturbata dal frastuono inutile che stavano creando.
 
'Ma ditemi, come avete rimediato quello lì?' chiese invece Scott curioso accennando al tipo camuffato da mago, Leonard, rintanato in una specie di fortino composto da coperte e cuscini con uno strano libro tra le ginocchia e un lungo bastoncino nella mano destra.
 
I Kobra si scambiarono degli sguardi confusi. 'Io… non ne ho proprio idea' confessò Devin. 'Ce lo siamo ritrovato nel gruppo di punto in bianco'.
 
'Apparso dal nulla' commentò Damien meditabondo. 'Quasi per magia'.
 
'Ora che ci penso la cosa è abbastanza inquietante' terminò Cole raggiungendoli con un vassoio. 'Chi vuole un caffè?' continuò poi nella loro direzione, un sorriso stampato in faccia. Non appena Scott vide le tazzine colme di liquido marrone, con tanto di panna e biscotti farciti al cioccolato in una ciotola a parte, lo stomacò cominciò a fare le giravolte. 'O preferite un digestivo?'.

 
 
 
HEATHER
Lei, Courtney e Gwen erano in cucina a lavare le stoviglie o a salvare gli avanzi del pranzo – o meglio, avevano accampato quella scusa per rintanarsi in una stanza a parte, lontano da tutti, per parlare tranquillamente. Figuriamoci se lei si metteva a pulire qualcosa.
'Ergo, avevo ragione io' concluse l’ispanica asciugando un tegame. 'Sapevo che dietro il mio incidente si celava dell’altro'.
 
'Sì, sì, va bene' la assecondò Gwen mettendo un punto a quel racconto infinito. 'Piuttosto, come sta andando allo studio legale?'.
 
'I soci lo stanno mandando avanti, ma francamente non so come funzioni ora la gestione… dovrei informarmi'.
 
'E… tuo padre?'.
 
Courtney stava dando loro le spalle, rivolta al lavandino, il rubinetto aperto. La vide alzare ed abbassare le spalle lentamente, forse per fare un profondo respiro. 'In carcere se la spassa. D’altra parte è con il suo amico McCord, no?'.
 
'Mi dispiace, Court'.
 
'Anche a me' confessò la spagnola, stringendo il bordo del lavabo. 'Ma quella che mi ha delusa più di tutti è stata mia madre: la polizia le ha raccontato per filo e per segno cosa quei due hanno combinato eppure si ostina a difendere suo marito; e cosa peggiore ha nascosto a me, sua figlia, la verità' e Heather poté sentire la voce spezzata dell’amica. Era la seconda volta che la vedeva così distrutta a causa dei genitori, la prima volta quando questi avevano deciso di tagliare i ponti a causa di Scott – cosa di cui ovviamente Courtney non aveva memoria.
Non seppe come ma il suo corpo si mosse in automatico, così come quello della gotica, le braccia di entrambe si spalancarono e avvolsero la spagnola in un forte abbraccio di gruppo. Doveva essersi davvero rammollita se ora si trovava avvinghiata a quella maniera. Ma ciò che la sorprese ancor di più fu l’aggiunta di altre braccia (muscolose) attorno a loro.
 
'Non so che cosa state festeggiando, ma io sono piuttosto bravo con gli abbracci' disse Cole con un sorriso raggiante.
 
'Ehi, ehi, ehi' quasi urlò una voce accanto alla porta. 'Non vorrete mica escludermi, vero?' e Topher si gettò su di loro, più euforico del normale. Per quel giorno di festa lasciò correre, ma si ripromise che prima o poi avrebbe preso da parte il castano e gli avrebbe fatto un bel discorsetto sull’alcolismo.
Dio, da quando si preoccupava per gli altri?!

'Che bel quadretto' commentò Damien gustandosi la scena con un sigaro tra le labbra, seguito a ruota libera da Scott e Alejandro, forse richiamati dagli schiamazzi di Topher.
Il latino la osservò con un leggero sorriso tra le labbra, e in quel preciso istante si sentì più rasserenata, consapevole che con i suoi amici accanto avrebbe potuto abbattere – nuovamente - qualsiasi ostacolo.





___________________
ANGOLO AUTRICE:
Ciao ragazzi! Scusate per l'enorme ritardo ma tra lo studio e la sessione il tempo è sempre poco. Comunque, con questo (breve) capitolo ho voluto regalare un attimo di pace ai nostri protagonisti e sistemare le ultime questioni (vedi il destino di Stephanie e Jacques, o quello del padre di C). Il prossimo sarà l'EPILOGO e la fine di tutto. Mi mancherà questa storia D:

Se siete giunti fino a qui, grazie mille di tutto <3
 

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Capitolo 41
*** EPILOGO ***


EPILOGO


 

Era passato più di un anno da quelle terribili vicissitudini.
Giorno dopo giorno erano riusciti a vedere sempre più la luce, e la bambina che teneva in braccio era la prova che qualcosa di buono, alla fine, era accaduto.
 
La spagnola percorse il vialetto di casa a grandi passi, raggiungendo l’auto al di là della staccionata in legno, parcheggiata in strada. Il bagagliaio era spalancato, e le valigie erano ancora sul marciapiede, pronte per essere caricate.
La piccola sbadigliò, strofinandosi gli occhi con i pugnetti, gesto che fece sorridere Courtney, la quale cominciò ad accarezzarle dolcemente la testa ricoperta da morbidi ciuffetti biondi. 'Mancherai tanto a tutti' affermò lei passando poi il dito sul delicato profilo della bambina.
 
'A me di sicuro' comparve Gwen al suo fianco. 'E anche se non lo vuole ammettere, pure a Heather'.
 
'Soprattutto a Heather' Bridgette si fece scappare un risolino, chiudendo finalmente il bagagliaio.
 
'Lo sapete che sono qui, vero?' parlò l’asiatica lanciando stilettate a raffica – non molto efficaci viste le risate dei presenti.
Courtney salutò un’ultima volta la bambina prima di affidarla alla madre che la accolse tra le sue braccia con un dolce sorriso.
 
Bridgette aveva deciso di lasciare la città e trasferirsi altrove vista la prospettiva di un lavoro ben pagato come chirurgo, portandosi anche più vicino a qualcuno che potesse darle una mano con la piccola, i suoi genitori – i nonni di Chloé. La capiva perfettamente, anche lei avrebbe colto al volo la possibilità di lasciare tutto e tutti se avesse avuto un’esperienza drammatica come la sua. In questo senso poteva ritenersi fortunata, aveva ancora Scott, ora al suo fianco, un braccio attorno alla vita, e presto gli avrebbe dato una notizia bomba, qualcosa di cui nessuno era al corrente perché aveva deciso che il suo uomo avrebbe dovuto essere il primo in assoluto – come giusto che fosse.
La bionda fece il giro di addii e abbracci, ringraziandoli uno ad uno per l’aiuto e il sostegno datole durante la gravidanza e nei primi mesi di vita della figlia. La spagnola ricordava ancora le notti insonni che lei e Scott avevano passato con la piccola durante i turni bislacchi in ospedale dell’amica, con l’ausilio di tanto in tanto di Alejandro e di una Heather notturna fornita di caffè intenta a studiare per qualche esame importante.
Già, il latino era riuscito a persuaderla ed ora l’asiatica stava studiando sodo per ottenere una laurea e trovare un vero lavoro. Se tempo addietro era Heather a sopportare i suoi indecenti orari di studio, adesso era Courtney a dover sopportare quelli dell’altra - almeno fino a quando l’asiatica non si sarebbe decisa ad andare a convivere con il suo ragazzo, nell’appartamento di quest’ultimo.
 
'Mi mancherete tutti quanti' iniziò Bridgette con le lacrime agli occhi, soffermandosi perlopiù sulla figura di Brody.
 
'E voi due mancherete a noi. Telefona quando arrivi a destinazione' disse Gwen con un leggero sorriso sulle labbra.
 
'Sono solo due ore di macchina alla fine, di sicuro verremo a trovarvi' aggiunse Scott lasciando una carezza alla bambina e assicurandosi che la cintura del seggiolino fosse chiusa e ben salda.
Bridgette lanciò loro un ultimo sorriso, e con un cenno della mano li salutò prima di prendere posto al volante e avviare l’auto. Pochi secondi e il veicolo divenne solo un piccolo puntino nero all’orizzonte.
 
'Chi vuole un caffè?'. Heather fu la prima a rientrare in casa, seguita poi dal resto del gruppo.
 
'Posso stare solo altri cinque minuti, ho una mostra da organizzare' fece la gotica rispondendo ad un messaggio sul cellulare.
 
'Per me puoi andartene anche ora' ribatté l’asiatica, beccandosi una gomitata dall’altra ragazza; e così battibeccarono fino alla porta.
 
'Scott, un momento' lo fermò Courtney afferrandogli la mano e voltandolo nella sua direzione. 'Ti va di fare un giro al parco qui di fronte?'.
 
 
 

 
Era una bellissima giornata di maggio, gli uccellini cinguettavano allegri, spostandosi da un ramo all’altro, gli alberi erano verdi e rigogliosi e vari tipi di fiore riempivano le aiuole. I due sostarono su una panchina, un piacevole venticello ad accarezzare i loro visi.
Courtney afferrò la mano del ragazzo, accarezzandone il dorso con il pollice, finché non si decise a guardarlo negli occhi. 'C’è una cosa che ti devo dire, e spero ti farà piacere' e prendendo un grande respiro si armò di tutto il suo coraggio. 'Non ne abbiamo mai parlato, specie in questo periodo occupati com’eravamo a ricostruire da zero quanto perso a causa di Mal… Io non so quali siano le tue intenzioni per il futuro, fatta eccezione per la tua attività intendo… oddio, non so neanche come dir-'.
 
'Presto saremo in tre, giusto?'.
La spagnola sgranò gli occhi, esterrefatta. Scott si limitò a sorriderle e a portare le loro mani ancora unite alla bocca e porre su quella più piccola di lei un bacio.
'Nausee mattutine, fastidio agli odori, stanchezza… aggiungerei anche irritabilità, ma con quel cialtrone di Lightning è difficile non provarla' rise lui.
 
'L’hai notato…' si limitò a dire a bassa voce. 'Perché non hai detto nulla?'.
 
'Volevo me lo dicessi tu… quando saresti stata pronta'.
 
'Q-quindi a te va bene…?'.
 
'E lo chiedi anche?'. Scott la avvicinò a sé stringendola forte e riempiendola di baci. Courtney rise, appoggiandosi sulla spalla di lui e dandosi della stupida per aver dubitato anche solo per un secondo che al rosso potesse non interessare mettere su famiglia – beh, non così presto e fuori programma almeno, c’erano ancora tante cose da fare prima.
'Questo è stato un periodo di ripresa per tutti, e ci sono altre faccende da sbrigare come l’immobile che avevo acquistato per noi due, il locale da tirare su…' proseguì poi l’altro. 'Ma vedrai che ce la faremo, e quando lui nascerà saremo pronti'.
 
'Lui?'.
 
'È un maschietto, me lo sento!'.
 
La spagnola sorrise raggiante tra le braccia forti di Scott, lo sguardo fisso sulla propria mano sinistra, nello specifico sull’anello che portava all’anulare.






_____________________
ANGOLO AUTRICE:
FINE, THE END, C'EST LA FIN.
Io vi ringrazio per essere giunti fino a qui, per aver letto questo storia e per le recensioni e il supporto che mi avete dato <3
Mi mancherà AMNESIA, è una storia che ho cominciato a scrivere ancora nel 2016, e devo dire di aver pensato ad un eventuale seguito con i FIGLI dei nostri protagonisti (e qualche capitolo l'ho già scritto ad essere onesti) ma avrei allungato ulteriormente la storia, quindi fermiamoci qua. Ma mai dire mai, io prevedo una cosa poi ne faccio altre mille diverse!
Citengo a ringraziare nuovamente voi lettori, e in particolare una mia carissima amica a cui ho rotto le scatole per leggere questo racconto e che mi ha persuasa a pubblicarlo perché volevo rimandare il tutto per altri 5 anni ahahah

UN ABBRACCIO VIRTUALE <3
CI SI SENTE IN GIRO <3
 

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