Estel e Efneviel

di Merry brandybuck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri ***
Capitolo 2: *** La mia bambina ***
Capitolo 3: *** i guai capitano tutti insieme ***
Capitolo 4: *** Prima di scendere in campo ***
Capitolo 5: *** Sono alle tue spalle, sono la tua ombra ***
Capitolo 6: *** I pugni in faccia che mi dai mi restano nell’anima... ***
Capitolo 7: *** Ti ricordi di me, Snaga ? ***
Capitolo 8: *** Ti sei soffocata per farmi respirare ***
Capitolo 9: *** A me la punizione, a te la benedizione ***
Capitolo 10: *** Silenzioso e letale come un Nazgul ***
Capitolo 11: *** Troppo orgoglio e poco cervello, ragazzino ***
Capitolo 12: *** Da ragazzi siamo diventati uomini ***



Capitolo 1
*** Incontri ***


Soffiava una leggera brezza. Merry la sentiva sfiorargli il volto, come fosse la mano di una dama, e scompigliargli i capelli biondi e ricci: era giunto a Minas Tirith per primo insieme a Pipino, poi erano arrivati Faramir ed Eowyn da Osgilat, seguiti da Sam e Frodo insieme a Gimli e ,infine, Legolas con suo padre Thranduil. Aragorn li aveva richiamati a Gondor sotto ordine di Gandalf, per disquisire su un argomento piuttosto importante.

 

Merry era arrivato davanti all’ imponente torre argentea che dominava incontrastata la Cittadella, aspettandosi di essere accolto da uno dei suoi amici ma, ciò non era avvenuto: era venuto ad accoglierlo un paggetto esile, gracile, con i capelli rossi tagliati a spazzola e una chiostra di denti leggermente ingialliti. Il paggetto lo aveva condotto tra i floridi giardini della tenuta, nei tortuosi corridoi salendo fino alla sala dove avrebbe dovuto attendere il re Elessar: quando il paggio lo aveva visto fermarsi davanti al portone d’Ebano che conduceva alla sala del trono, era  sbiancato, visibilmente impaurito, e aveva cercato gentilmente di condurlo nella sua stanza. Ma Merry non voleva muoversi senza aver almeno salutato il padrone di casa : ma proprio mentre il ragazzo, in preda alla disperazione, stava per afferrargli un braccio e trascinarlo di peso in camera la porta si spalancò e un uomo dal viso scarno uscí dalla stanza; Merry non poteva credere ai suoi occhi: quello era Aragorn, col viso stanco e martoriato da notti insonni e i capelli leggermente screziati d’argento, ma era Aragorn. Quando l’uomo l’aveva visto, il suo volto si era riempito di viva gioia e sorridendo gli disse: “ benvenuto meriadoc Brandybuck! Sinceramente ti aspettavo sul più tardi ma sono contento che tu sia venuto” e Aragorn lo condusse personalmente alla sua stanza chiacchierando allegramente.

 

Ora Merry si trovava sulla terrazza della Torre Bianca a godersi la mattinata assolata  con Pipino mentre rifletteva sul proprio arrivo nella capitale: guardando verso il basso vide Legolas e Gimli passeggiare nei giardini sottostanti. “ Guardali !” disse al cugino indicando l’elfo e il nano; Pipino accorse e quando vide i due amici ridere e scherzare, cinquecento metri sotto di loro venne preso da un improvviso attacco d’allegria : “ Dovremmo tornare anche noi a divertirci così, Merry” gli sussurrò dolcemente in un orecchia, mentre gli accarezzava i riccioli dorati che gli ricadevano sulle tempie e poi si andò ad adagiare su una delle due sedie lì vicino. Merry ripensò alle parole di Pipino con attenzione e stava per andare a sedersi in fianco al cugino quando un soldato salí sulla terrazza e urlò: “ Meriadoc Brandybuck, scudiero di Rohan e Peregrino Tuc, soldato di Gondor sono chiamati nella sala del trono di re Elessar”. “ Ebbene il momento è giunto” sospirò, sollevato, Pipino mentre alzava la sedia e se la caricava in spalla.

*

 

Frodo e Sam erano seduti sulle candide lenzuola di lino del loro letto: erano arrivati due settimane prima, avviluppati nei manti ,donati loro dalla dama del Bosco D’Oro, per via di un violento nubifragio che li aveva colpiti negli ultimi tre giorni di viaggio. Frodo si sentiva ancora dentro il tumulto di emozioni che avevano avvolto il suo cuore quando erano giunti in vista dell’enorme capitale e che non lo avevano lasciato più andare; dal momento in cui avevano oltrepassato il nuovo cancello di mithril, progettato e realizzato magnificamente da Gimli e i suoi nani, tutti i cittadini si inchinavano e per le strade si sentivano solo dei leggeri mormorii e il fruscio della stoffa sui corpi delle persone che si scostavano al loro passaggio. Al loro arrivo alla Torre Bianca erano stati accolti dalla dama Arwen che li aveva condotti garbatamente nella sala dove li attendeva il Re; Sam aveva notato il ventre leggermente gonfio della dama, ma non aveva osato fare domande per via della poca confidenza che aveva con lei e per le proprie umili origini .

 

Adesso erano finalmente asciutti e riposati, e avevano avuto il permesso di fumare un po’ di erba pipa proveniente da Pianilungone. Trasalirono quando qualcuno batte tre colpi secchi contro la porta: un uomo vestito di cotta di maglia e schinieri rilucenti si inchinò, ossequioso, e annunciò con voce calma e cortese: “ Il signor Frodo Baggins e il signor Samvise Gamgee sono chiamati all’udienza di Re Elessar”. “ È arrivata l’ora tanto attesa”  mormorò Frodo tra sé e sé.

*

Sire Thranduil continuava a misurare la stanza a grandi falcate e ogni tanto lanciava occhiate fugaci al figlio, seduto su una sedia: il principe stava passeggiando e chiaccherando amabilmente con Gimli il nano quando due guardie di Minas Tirith, vestite di tutto punto, lo avevano chiamato e condotto nella stanza dietro la sala del trono, dove era già atteso dal padre; “ Calmati ada, manca ancora tempo prima della tua sorpresa” sospirò Legolas: “ Sei proprio sicuro di non volermi dire di cosa si tratta, yondo ?” Chiese il re degli elfi con evidente impazienza “ Non so nemmeno io che genere di sorpresa sia, ada. Aragorn mi ha solo detto che quando ci verrà a chiamare vorrà dire che la sorpresa sarà pronta e che fino a quel momento dobbiamo rimanere in stanza” rispose il principe ridendo: suo padre sembrava un bambino impaziente di scartare i regali che chiedeva continuamente ai genitori il permesso.

 “ Te sei identico a tuo nonno Oropher: non sapete mai niente di quello che mi sta per succedere !” ribatté Thranduil divertito: ma Legolas vide un velo di tristezza passare sugli occhi azzurri  del padre, prima che si sedesse sulla sedia di fronte alla sua. 

Il re iniziò a torturare la lunga veste cerulea con le dita mentre continuava a guardarsi intorno, cercando invano un indizio per capire di quale sorpresa si trattasse. Legolas sopportava pazientemente gli sbuffi e i tremori di impazienza del padre, mentre si intrecciava i capelli argentei con le lunghe dita affusolate e lasciava vagare lo sguardo fuori dalla finestra immaginandosi la sorpresa che li attendeva.

*

Aragorn era seduto sul trono di marmo candido, tenendosi il setto nasale stretto fra l’indice e il pollice mentre sospirava per la tediosa attesa; la sua testa era un turbine di pensieri e malumore. Si alzò dal proprio seggio e scese lentamente gli scalini regolari della lunga scalinata di pietra che lo separavano dal lindo pavimento dove stavano le guardie; lanciando delle occhiate tese ai soldati che ricambiarono con sguardi ubbidienti e carichi di fiducia, si avvicinò al capitano delle proprie guardie personali e gli ordinò gentilmente: “ Fai chiamare tutti ,tranne il principe e il re di Bosco Atro, e radunali qui: conduci gli elfi nel vestibolo sinistro e dì loro che c’è una sorpresa ad attenderli”. L’uomo annuì inchinandosi e poi impartì secchi e veloci ordini agli altri soldati che sparirono nella penombra delle colonne in diverse direzioni ; dopo soli due minuti Re Elessar si ritrovò solo nell’imponente salone di gelida pietra.

Dovette attendere solo pochi minuti prima di veder comparire Merry e Pipino, seguiti Da Frodo e Sam: i quattro hobbit si fermarono a una decina di metri dal Re, inchinandosi profondamente mentre questi si avvicinava. Aragorn prese quattro seggiole da un angolo del salone e le posò delicatamente in fianco allo scranno del Sovraintendente, invitando gli ospiti a sedersi: “ Dovremo attendere ancora un po’ per iniziare la discussione, amici miei: non siamo tutti presenti” si scusò il re: Frodo sorrise e si mise comodo sulla seggiola. Gli altri suoi coetanei lo imitarono e ben presto Aragorn iniziò a dare evidenti segni di nervosismo: si sedeva e si rialzava di scatto, si artigliava le gambe e sbuffava mentre camminava su e giù per i gradini. Il portone si spalancò e Gimli entrò: a ogni suo passo gli stivali tintinnavano e l’ascia batteva contro la sua anca; la sua lunga barba castana era intrecciata e infilata nella cintura. Il nano prese una sedia e la trascinò vicino agli hobbit : Gimli era palesemente irritato per via dell’improvvisa interruzione della sua chiacchierata con Legolas, ma rimase calmo e si sedette in silenzio. Il portone si aprì di nuovo e Faramir e Èowyn entrarono: il Sovraintendente era pulito e impomatato ma gli occhi del giovane Pipino si fermarono sulla donna: aveva i lunghi capelli color miele intrecciati in una finissima acconciatura che ondeggiava leggermente mentre la consorte di Faramir camminava. Indossava una tunica bianca molto larga sui fianchi: al giovane hobbit continuava a cadere lo sguardo sulla pancia della donna, gonfia per via della gravidanza. Èowyn era rimasta incinta otto mesi prima e Faramir l’aveva portata con sè per evitare di lasciarla sola a Osgiliath durante la propria permanenza al fianco di Re Elessar; la donna camminava più lenta rispetto al marito ma era pur sempre molto veloce per gli hobbit. Appena Merry la vide, capitombolò giù dalla propria sedia e la offrì alla donna mormorando saluti in onore della signora di Rohan; i portoni si richiusero alle loro spalle con un tonfo sordo, e tutti si disposero a semicerchio intorno allo scranno del Sovraintendente dove era posata una carta di Minas Tirith e i dintorni: “ Dovremo attendere ancora qualche ora al massimo” si scusò Aragorn con aria impacciata. Sam sbuffò e guardò il re di sbieco “ Si può sapere chi dobbiamo aspettare ?” si lamentò; Frodo si sporse verso di lui con occhi apprensivi, mettendogli una mano sulla spalla per acquietarlo, con scarso successo: anzi, lo hobbit scostò la mano del padrone con forza e balzò in piedi, mentre le guance gli si imporporavano leggermente “ Deve essere una persona particolarmente importante se si passano due settimane ad aspettarla” qualche suono acuto tradiva la stizza che si celava nella voce apparentemente calma del giardiniere “ Capisco la vostra impazienza, Mastro Gamgee ma vi assicuro che il mio ospite non tarderà più di qualche ora” rispose il Re: Faramir tirò un sospiro di sollievo nel vedere che il sovrano aveva ripreso i modi e la sicurezza di sempre. Lo hobbbit non demordeva e continuò a passeggiare tra le sedie esponendo la propria arringa contro tutto quel mistero “ almeno sire ci deve dire il nome di questo suo ospite così prestigioso, oppure egli è così mistico da non avere neppure un nome !” esclamò il giardiniere con l’ira che cresceva e si faceva strada sempre più nella sua mente. “ Calmiamoci. Quest’ospite arriverà sicuramente entro oggi secondo le parole del Nostro Sire e quindi, caro Sam, è perfettamente inutile strepitare” lo zittì Merry: non avrà avuto la classe della dama Èowyn ma aveva una buona forza di persuasione. Lo hobbit si risedette, brontolando sommessamente; passarono la mezz’ora successiva a discutere di alcune strategie di attacco nel caso dei gruppi di orchetti avessero avuto l’intenzione di attaccare Osgiliat. Aragorn iniziava a sudare e a graffiare la stoffa dei pantaloni con le unghie: sentiva i passi agitati del re di Bosco Atro nella stanza a fianco; sapeva perfettamente che non bisognava far arrabbiare il sovrano degli elfi poiché egli era un avversario temibile. Dopo un’altra mezz’ora, mentre tutti si iniziavano ad innervosire e ad esasperarsi, un soldato aprì di colpo la porta facendola cigolare sui cardini : in risposta agli sguardi interrogativi che gli vennero rivolti da tutti i  presenti, si inchinò per qualche secondo e poi si rimise in posizione eretta, guardando il Re con il terrore dipinto negli occhi

“ Dal campo di battaglia sta arrivando un cavaliere non identificabile, mio sire” disse il soldato con voce isterica. Aragorn rimase interdetto per pochissimi attimi prima di uscire correndo dal salone diretto alla terrazza, seguito da tutte le persone nella sala.

 

Quando tutti furono sul piano rialzato, Aragorn si sporse dalla balaustra: la figura di un soldato a cavallo si stagliava sul pianoro e si avvicinava alla città con passo spedito. Il re rimase perplesso ma quando vide meglio la figura, un sorriso gli tagliò il volto a metà “ È arrivato” si disse “ Finalmente è arrivato”

*

Tutti erano tornati nella sala del trono e si erano riseduti; Aragorn aveva dato comando alle guardie di far passare lo straniero e di condurlo nella Cittadella il prima possibile. Era agitato “ … dieci anni… mamma mia quanto tempo è passato dal nostro ultimo incontro” pensò sorridendo: aspettava quel momento con ansia e ora che era arrivato si sentiva le gambe cedere e il respiro venir meno mentre pensava a che cosa sarebbe successo quando lo avrebbe rivisto. La sua mente era in tilt, il caos imperversava nel suo essere ma era pronto; sì, era pronto; proprio mentre si faceva coraggio un rumore lo riportò alla realtà: le porte si stavano aprendo.

Frodo si voltò e vide una figura imponente entrare: era un soldato alto sul metro e ottanta, la pelle del collo candida e il portamento importante. 

 

Indossava una cotta di maglia finissima sotto il pettorale nero con l’albero bianco di Gondor; sulle mani portava dei guanti d’arme uniti a dei bracciali di pelle consumata, mentre le gambe erano protette da schinieri impolverati e stivali quasi a pezzi. Il volto era celato alla vista da un elmo leggermente ammaccato sulla nuca che era coperta con il cappuccio di un manto nero : ma la cosa che colpì maggiormente lo hobbit era che il soldato non portava armi alla cinta, solamente una lunga sacca di cuoio a tracolla, portata di traverso sulla schiena. Lo strano sconosciuto attraversò il pavimento lindo fino a che non fu ai piedi  della scalinata che portava al trono del re: rimase in silenzio per attimi che sembrarono interminabili e poi si inginocchiò inchinandosi fino a sfiorare il pavimento con la fronte; Aragorn rimase fermo sino a che non sentì lo straniero dire “ Mio re, Mia luce Mia ragione a te è votato ogni mio battaglione” la voce sembrava ovattata ma risuonava alta e armonica. L’uomo scese le scale e battè delicatamente sulla spalla dell’altro: questi si alzò ma rimase con il capo chino “ Nogma it togh, daug”( togli il tuo elmo, soldato ) disse il re con dolcezza; lo straniero esitò ma poi eseguì l’ordine. Tutti i presenti esclamarono di sorpresa quando videro una cascata di capelli color nocciola cadere sulle spalle del guerriero: una donna dalla pelle candida si ergeva in tutta la sua statura davanti al re. “ Lei è mia sorella Aralis, comandante generale della guardia di Gondor da quasi cinque anni” annunciò Aragorn, poggiando il braccio sulle spalle della ragazza e sorridendo compiaciuto; il comandante si voltò, si diresse verso il Sovraintendente e si inchinò profondamente. Poi si spostò verso Èowyn: la dama del Mark vide che il volto della ragazza era ovale, snello ma molto più rimpolpato rispetto a quello del fratello e anche la pelle era di un rosato chiaro, la fronte era alta tre dita mentre il mento due, le sopracciglia erano ad ali di gabbiano, ben definite, spesse un dito e di un bel castano scuro mentre il naso era a patata con la punta leggermente all’insù ; gli occhi erano di un castano noce luminoso, screziato di un giallo dorato come i capelli mossi, lunghi fino a metà del seno e scalati in avanti. Aralis si inginocchiò e baciò la mano della consorte di Faramir, prima di rialzarsi e guardare i coniugi “ Sono onorata di servire la vostra famiglia e continuerò a farlo anche a costo della vita” disse, portandosi una mano al cuore; il Sovraintendente stava per commuoversi di fronte a tanta devozione ma la mano della moglie della moglie lo riportò alla realtà. La giovane era passata a salutare gli hobbit: appena sentì il nome di Frodo, si inchinò fino a che i capelli non toccarono il suolo : “ È meraviglioso conoscere un eroe della vostra portata, mister Baggins” disse Aralis rimanendo sempre china; poi voltò il capo verso Sam e lo salutò con l’appellativo di “ Samvise, l’impavido”. Questo fece gonfiare il petto dell’hobbit d’orgoglio che si spense quando la ragazza si rivolse a Meriadoc con l’aggettivo di valoroso ma il giardiniere non se la prese troppo a male; la ragazza salutò Pipino col saluto militare e poi si spostò verso il nano. Gimli fu affascinato dalla cortesia della giovane e notò che una collana era uscita dalla cotta di maglia: era un’ancora realistica legata ad un cordino marrone. Intanto il Re Elessar aveva fatto cenno a una guardia di aprire la porta del vestibolo : ivi uscì Legolas, che si massaggiava i muscoli rattrappiti, seguito dal padre.

 

 “ Allora Aragorn, quale sarebbe a sorpresa ?” chiese l’elfo sorridendo: il Re indicò l’ammasso di gente intorno al tavolo. Quando Aralis ne uscì, il re degli Elfi la guardò inorridito “ La sorpresa per un re elfico è un semplice soldato di Gondor sudato e maleodorante ?” La ragazza chinò il capo e, con voce desolata e occhi lucidi, chiese: “ Non ti ricordi più di me…”

 

“... Ada ?”

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Capitolo 2
*** La mia bambina ***


Capitolo 2: La mia bambina

 

Il re rimase indifferente qualche secondo, poi strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca; Legolas rimase imbambolato per un istante e si sedette. Aralis aspettò in silenzio sotto gli sguardi sbigottiti dei presenti, credendo sia Thranduil che Legolas ignari della sua esistenza fino a che il principe non si alzò e le si parò davanti : i suoi capelli erano più lucenti di quanto se li rammentava e il suo viso si era fatto più duro dal loro ultimo incontro   “ Non ricordo chi lei sia…”  disse; la ragazza rabbrividì ma l’elfo continuò “... ma di sicuro sei diventata bellissima, muinthel”( sorella) . I suoi occhi erano lucidi ma Aralis li vide per poco tempo, prima di sentire le braccia del biondo stringerla con forza; passarono svariati minuti prima che Legolas si rialzasse e contemplasse la giovane, ammirato “ Com’è che dicevi tu in dialetto ? Ah sì: te se na bea tusa !” esclamò ridendo cristallino e scostandosi per far passare il padre. 

 

Il re elfico rimase impalato davanti alla ragazza: “ Sire Thranduil” disse lei inchinandosi. Lui sorrise e si abbassò sino a prenderle il viso tra le mani: la guardò con uno sguardo amorevole e sussurrò: “ Sei tornata, bambina mia. Credevamo di averti perso per sempre” ;rimasero fermi a guardarsi per un minuto circa, poi la giovine si rimise dritta e si avvicinò al tavolo “ Gli orchi mi hanno attaccata venendo qua: ho potuto notare il loro schieramento triangolare scoperto sul retro. Basta accerchiarli in fretta” disse passando il dito in circolo sulla carta “ E la vittoria sarà nostra !” esclamò battendo un pugno sul tavolo “ Vedo che non sei cambiata in fatto d’entusiasmo” ridacchiò Legolas “ Peccato che il tuo piano abbia una pecca: non siamo in un gruppo ristretto di persone ma in un esercito” ribattè Aragorn sorridente “ Dovremo pensare ad un altro piano” . Stettero tutto il pomeriggio a rimuginare su piani, eventuali ritirate, spostamenti dei fronti, coordinazione dei soldati e organizzazione delle truppe sino a che non trovarono una soluzione; tutti furono d’accordo e, avvertiti i soldati e i capitani,andarono a prepararsi per passare una buona cena. Mentre passava  nel corridoio che portava alle stanze per gli ospiti, Gimli udì Aragorn e Aralis parlottare: “ Ora che il piano è pronto possiamo passare alla cena: vai a farti il bagno” ordinò il maggiore “ Preferirei una pezza bagnata se non ti dispiace” rispose lei, ridendo.

*

Legolas era seduto nei giardini dell’Albero bianco di Gondor, a godersi il venticello che rinfrescava il crepuscolo; ascoltava le foglie frusciare e le bisce serpeggiare, quando udì un lievissimo rumore provenire alle sue spalle: “ Merry, Pipino fatemi la cortesia di uscire da dietro quell’albero” disse calmo l’elfo. I due hobbit uscirono da dietro il tronco di una grande quercia secolare e si appressarono al principe “ Cosa vi porta in questi giardini mezz’ora prima di cena ?” Merry rispose per entrambi: “ Saremmo qui per farti delle domande…” prese un respiro “ … su quella ragazza che è arrivata oggi”. Il biondo sorrise e accavallò le gambe “ Domande legittime. Chiedete pure” “ Ecco…” cominciò Meriadoc visibilmente imbarazzato ma Pipino venne subito in suo soccorso “ Ci chiedevamo come fate a essere fratelli tu e quella giovane se lei è umana e tu elfo ? E poi come fa a essere sorella sia tua che del re ? Non c’è legamedi parentela fra voi” Legolas rise “ C’è stato un errore: lei non è mia sorella naturale, è stata adottata da mio padre quando era piccolina perché i suoi genitori sono morti e suo fratello, Aragorn, era tra i raminghi e non poteva badare a lei. Come potete notare è una strana combinazione che entrambi siano stati allevati dagli elfi” i due hobbit lo guardarono perplessi e lui sorrise di nuovo: “ Circa vent’anni fa mio padre venne convocato da Sire Elrond a Gran Burrone: la dama Gilraen stava male e quindi Aragorn era tornato a casa. Quando io e mio padre arrivammo venimmo accolti da Lindir che ci portò dalla dama, ma non vi racconterò altro del nostro incontro; comunque dopo ci fu un litigio per l’adozione della bambina: Lord Elrond aveva già tre figli, come anche sire Celeborn e rimaneva soltanto mio padre con due figli quindi l’abbiamo presa noi” concluse soddisfatto. Merry e Pipino scossero la testa e si avviarono verso le loro stanze per prepararsi alla cena; l’elfo rimase seduto a guardare il cielo plumbeo, soddisfatto per essere riuscito a mantenere il segreto.

*

La sala da pranzo era calda e ben illuminata; il Re era seduto a capotavola in fianco a dama Arwen, entrambi vestiti di bianco e perfettamente acconciati. Frodo fece il suo ingresso seguito dal fedele Sam, ambedue con panciotto e vestito di gala indosso, succeduti da Merry e Pipino, anche loro tirati a lucido; Legolas e Gimli arrivarono correndo e facendo svolazzare le vesti elfiche e la ricca mise nanica, mentre Thranduil si presentò con i capelli sciolti e posati su una lunga veste celeste dai riflessi bluastri e la testa adorna della sua corona di foglie autunnali. Aralis fu al cospetto del re in camicia bianca smanicata e pantaloni di cuoio poco sopra la caviglia: aveva le braccia abbronzate e forti, percorse da innumerevoli cicatrici e su entrambe le sue ulne, vicino ai polsi vi erano tatuate delle parole in nanico. Aragorn notò subito che la sorella non aveva perso la cattiva abitudine di usare abitudini naniche davanti agli elfi; infatti il re elfico non notò l’ingresso del Sovraintendente e della sua consorte, vestiti semplicemente ma in modo elegante, e si concentrò sulle braccia della ragazza, passando le dita sui segni bianchi che rigavano la pelle della giovane “ Quando partisti avevi la pelle integra” commentò Thranduil “ È perché sono sempre in prima linea a combattere” rispose lei pacata. Il re e il Sovraintendente sedettero dando il via alla cena: “che inizino i festeggiamenti prima della battaglia” annunciò Faramir, facendo sedere Èowyn tra sé e il comandante di Gondor. Tutti si accomodarono sulle sedie imbottite di velluto e vennero serviti dai valletti. Sarebbe stata l’ultimo momento confortante prima dello scontro a cui tutti loro avrebbero partecipato.

 

La tana della scrittrice 

Salve a chiunque stia leggendo ! Per prima cosa ringrazio tutti i lettori silenziosi e quelli che vorranno commentare ( please fatelo in modo che possa capire i pregi e i difetti di questa storia); non ho scritto il mio commento allo scorso capitolo perché credevo che sarebbe stato superfluo ma in questo penso che occorra: te se na bea tusa in milanese, vuol dire “ sei una bella ragazza” ( non so se nella terra di mezzo si parli in milanese ma mi piaceva come suonava XD). Mi scuso anticipatamente per eventuali errori o ritardi nelle pubblicazioni ma avendo molto da studiare ho preferito scrivere due capitoli ( uno di transizione e uno normale) e poi postarli separatamente. Mi sto divertendo molto a scrivere questa fan fiction e spero che piaccia anche a voi ! Buon ottobre 

Sempre vostro 

Merry

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Capitolo 3
*** i guai capitano tutti insieme ***


Capitolo 3 : i guai capitano tutti insieme

 

Fuori la pioggia si schiantava contro i vetri accompagnata da un turbinio di foglie secche e dai rombi dei tuoni. Aralis si era dilungata a parlare con suo padre, sire Thranduil, e i suoi fratelli, dei bei tempi andati quando la ragazza viveva ancora a Bosco Atro e poi si erano raccontati gli ultimi fatti avvenuti nei dieci anni passati separati: la giovine era entusiasta dei progressi dei suoi fratelli durante la Guerra Dell’Anello ed era così felice di essersi ricongiunta con i suoi parenti. Il suo cuore era gonfio di gioia e di orgoglio per le gesta del biondo e del moro, e quella sensazione di pace e gaudio le era rimasta sino a quando era andata a letto: aveva anche chiacchierato con gli hobbit e si era accorta di essere più simile a loro rispetto a quanto pensasse: sia lei che gli hobbit amavano mangiare, fumare e bere fiumi di buona birra scura. La ragazza era rientrata nella propria stanza solo a notte inoltrata;

si era svestita e lavata, notando uno strano luccichio di felicità nei suoi stessi occhi, e poi si era buttata di peso nel letto, avviluppandosi con estrema facilità nelle candide coperte.

*

Mentre la pioggia continuava a scrosciare fuori dalle tende, Aralis sentì uno strano picchiettio irregolare che la fece svegliare: trasalì quando si accorse che lo strano rumore proveniva da dietro la porta d’Ebano della stanza. Tirò su il capo molto lentamente e voltò la testa a sinistra; diede uno sguardo alla clessidra d’argento posata sul comodino di noce in fianco al letto: la finissima sabbia bianca che rifletteva la luce dei lampi, era arrivata sino al terzo segno e quindi dovevano essere circa le tre di notte. “ Che cosa vogliono a quest’ora lo sa il cielo” brontolò la ragazza premendo la faccia nel cuscino di piuma; i colpi si fecero più forti e veloci facendo mugolare la giovane dal proprio giaciglio che, dopo mezzo minuto circa, si decise ad andare alla porta per aprire. Aralis si mise a sedere sul letto, ancora intontita, e poi molto lentamente uscì dalle coperte per mettersi in piedi; i battiti continuavano sempre più forti mentre la ragazza si alzava. Percorse la stanza barcollando e prima di aprire si diede un’occhiata allo specchio: indossava solamente dei pantaloni di cuoio slisi che le arrivavano a mezzo stinco e degli spessi strati di bende in cotone  che le cingevano il petto al quale erano attaccati due pugnali gemelli. Si stropicciò gli occhi guardandosi i capelli scarmigliati e poi se li legò con un laccetto di velluto verde; prese un respiro profondo e poi aprì la porta : “ Cosa succ…” la giovine si bloccò a metà frase quando vide Faramir sulla soglia : era trafelato, ansante, con la fronte imperlata di sudore e il volto sconvolto. Il ragazzo riprese un attimo fiato e poi, guardando lo sguardo interrogativo di Aralis, le annunciò: “ A Èowyn si sono rotte le acque !”

 La ragazza ci mise un paio di secondi a capire il significato della frase, ma appena compreso si tirò la porta alle spalle e iniziò a correre come una forsennata, sbattendo contro le pareti nelle curve, seguita a ruota da Faramir con un candelabro in mano.

Quando giunse davanti alla porta della camera di Èowyn venne accolta da uno strano scenario: gli hobbit fischiettavano o davano le spalle alla porta, Gimli guardava il soffitto giocherellando con l’ascia mentre Legolas discuteva animatamente con Aragorn. “ Non serve a nulla chiamarla” disse l’elfo “ E invece sì : lei è una donna saprà come si fanno cose di questo genere” ribatte il re : “ È cresciuta in una famiglia di uomini, nessuno glielo ha insegnato” “ Non serve una scienza, lei lo saprà” “ LEI È UN UOMO, ARAGORN !” urlò il biondo spazientito. Aralis si sentì stringere il cuore per qualche secondo dopo quell'affermazione così veritiera, ma avanzò e andò sotto la luce delle candele: gli hobbit si voltarono e avvamparono  nel vederla vestita in quel modo mentre Aragorn si diresse in sua direzione: “ Ti abbiamo chiamato perché…” la frase venne interrotta da un urlo atroce che squarciò l’aria, facendo rabbrividire tutti i presenti. “ Ho saputo ma io non posso farci nulla: non so niente di queste cose” rispose la ragazza “ Cosa ?!?” Esclamò stupito il re“ Io sono un comandante dell’esercito mica una levatrice !” Rispose, parecchio infastidita, la giovine al fratello. “ Ma dovrai pur saperne qualcosa, avrai visto dama Arwen far nascere qualche bambino” disse Gimli; la giovane sorrise e poi rispose : “ si ricorda che gli elfi mi chiamano Efneviel ?”( distruzione). Il nano tacque mentre la ragazza si sedette per terra, con il capo tra le mani: dopo qualche minuto chiese a Faramir: “ Avevate delle levatrici a palazzo ?” Il giovane scosse il capo: “ Non ve ne sono più da quando è morta mia madre”. La giovine guardò Legolas per qualche istante e poi disse con voce stanca: “ Vai a chiamare Ada, per piacere”;  l’elfo annuì e poi si voltò, sparendo nell’oscurità. Passarono vari minuti prima di vedere l’alta figura del re degli Elfi comparire alla luce delle candele : aveva i lunghi capelli biondi spettinati e indossava una lunga vestaglia blu sopra il pigiama. La ragazza si alzò da terra e iniziò a passeggiare a grandi falcate per il corridoio mentre Thranduil disse: “ Mi dispiace Efneviel, ma io non ho assistito al parto di Legolas quindi non posso dirti molto”. Aralis continuò a camminare fino a che non alzò il viso e chiese ad alta voce: “ Cosa si fa a un soldato f

erito gravemente allo stomaco ?” Tutti rimasero di stucco fino a che Merry provò a replicare: “ Non credo si faccia così…” “ Frodo, lasciala fare, saprà quel che fa” lo zittì Frodo intimorito da tutta quella situazione demenziale. “ Lo si mette sdraiato e lo si tiene fermo per non farlo dissanguare” disse Aragorn dopo una breve pausa. La ragazza lo guardò raggiante e poi gli si avvicinò dicendo: “ Toron, vai a chiamare la tua sposa per aiutarci. Fa in fretta” “ Ná, seler” ( fratello- sì sorella) rispose lui e poi si allontanò correndo. Thranduil si recò nelle proprie stanze per evitare di essere di intralcio mentre Gimli decise di usare il metodo più semplice per far calmare Faramir : prenderlo a ceffoni. Aralis era entrata nella stanza e si era trovata davanti a uno spettacolo impressionante : Èowyn era sul letto che si contorceva e strillava per il dolore, immersa in una pozza di strano liquido gelatinoso. I quattro hobbit sgranarono gli occhi mentre la sorella di Aragorn si inginocchiava sul letto e accarezzava la fronte dell’altra giovane; tra le grida la dama riuscì a sussurrare: “ dì a Faramir che lo ucciderò per avermi fatto questo !” “ Riferirò” rispose l’altra. Poi la bionda strinse forte la mascella, digrignando i denti e Aralis si accorse di aver dimenticato una cosa fondamentale; si avviò verso l’uscita dicendo a Merry : “ Bada alla tua signora Mezzuomo, è un ordine” e sulla soglia chiamò Legolas porgendogli un lembo delle bende che che le cingevano il petto: “ Otorno, svolgi la benda e tagliane un pezzo considerevole” ( fratello non di sangue) L’elfo eseguì la richiesta, mozzando uno dei tre strati di bende che costituivano la parte superiore del pigiama della sorella. La giovine rientrò nella stanza, piegando il pezzo di benda che aveva in mano e porgendolo a Merry: “ Mettilo in bocca alla tua signora, così che non si morda la lingua per il dolore” ; lo hobbit seguì le indicazioni e poi si alzò per far posto al comandante: dopo dieci minuti circa sulla soglia della stanza si presentò dama Arwen , con la pelle diafana e i capelli corvini che rilucevano alla luce delle candele, e pregò tutti di uscire per poter “ finire l’opera”.

 

Passarono circa due ore.

Legolas, Aralis e Aragorn erano in piedi di fianco alla porta con le gambe divaricate e le braccia incrociate: Thranduil aveva poggiato sulle loro spalle la propria vestaglia perché entrambi i suoi figli si trovavano praticamente a torso nudo. Gli hobbit erano seduti sul pavimento di marmo che chiacchieravano con foga: Gimli aiutava Faramir a calmarsi raccontandogli tutta la storia dei nani che riconquistarono la Montagna Solitaria. Dama Arwen era uscita correndo e si era accostata ad Aralis mormorandole qualcosa in un orecchia; Faramir si era alzato di scatto, con gli occhi velati dall’impazienza posati sulle due donne mentre gli hobbit ammutolivano e si giravano. La sorella di Aragorn annuì lentamente e poi prese il lembo delle bende e lo mise in mano a Legolas: “ Taglia” disse la ragazza facendogli segno con le dita; si sentì il guizzo della lama del pugnale che usciva dal fodero e poi lo schiocco secco delle fibre di cotone che si laceravano. “ Grazie” disse la Stella del Vespro e, mentre rientrava nella stanza, aggiunse: “ Cambiati in fretta, che ho bisogno dell'aiuto di due persone”. Aralis corse via e tornò dopo pochi minuti rivestita: indossava la camicia del battaglione, albero bianco in campo nero, i pantaloni di stoffa rinforzata che usava per combattere, degli alti stivali e aveva i capelli legati in una stretta coda di cavallo; prese Faramir per un braccio e lo condusse alla porta. Lì si fermò e ,guardandolo con occhi di ghiaccio, gli disse: “ Lei aspetti qui: se le cose si mettono male potrà entrare” e poi la ragazza si voltò ed entrò nella stanza sbattendosi la porta alle spalle. Dopo una ventina di minuti, il vagito di un bambino squarciò il silenzio e la tensione come fossero di burro: Faramir si fiondò nella stanza e vide dama Arwen con un fagottino urlante tra le braccia. Un bambino con gli occhietti chiari si dibatteva tra le braccia della dama elfica, mentre il comandante della guardia rideva di pura gioia: quando il bambino fu messo tra le braccia della madre, subito si acquietò : “ È...bellissimo” Mormorò Èowyn fissando il piccolo dolcemente: “ Amore perdonami se ti ho fatto subire così tanto dolore” si scusò  Faramir, inginocchiandosi in fianco alla moglie e baciandole le tempie con tanto amore e dolcezza: “ Come lo chiamerete ?” Chiese Aralis “ Pensavamo Elboron … sì Elboron è il nome perfetto !” dissero all’unisono i due sposi. Non ci volle molto tempo per vedere una fila di persone pronte per dare la propria benedizione al bambino: Aragorn lo prese in braccio: “ Tu hai la benedizione di Re Elessar e della Stella del Vespro, Elboron, ricordatelo sempre” gli disse baciandolo sulla fronte. Fu poi il turno degli elfi : Thranduil e Legolas poggiarono le mani sulla fronte del bambino e poi gli augurarono, scambiandosi delle occhiate indagatrici con gli occhi ghiacciati: “Jal milek it wie’b , hinà”( porta con te la fortuna degli elfi, bambino) I loro occhi continuarono a fondersi in uno sguardo che aveva della misticità fino a quando il lattante cedette voltando lo sguardo verso la madre, che lo cullava dolcemente. Gli elfi diedero il posto agli hobbit, i quali benedissero il neonato uno alla volta e poi fecero posto al comandante della guardia : quest’ultima prese il pargolo tra le braccia e sfilò uno dei due pugnali gemelli dal fodero; tutti ammutolirono, guardando atterriti la giovine mentre Sam, Frodo, Merry e Pipino si lanciarono verso di lei per evitare l’infanticidio che sarebbe avvenuto di lì a poco. Con grande sorpresa dei presenti, Aralis avvicinò il coltello al viso del neonato e con un movimento deciso incise sulla fronte del fanciullo una stella: un rivolo di sangue vermiglio solcò la fronte del nascituro mentre tutti tiravano un sospiro di sollievo. “ Fra sedici anni verrò a prenderti e ti porterò con me nelle terre selvagge, primo figlio delle stelle” disse la giovane mentre posava il bambino tra le braccia della madre; poi si voltò e uscì a grandi passi dalla stanza con il viso cupo: mentre passava in fianco ad Aragorn, la giovine gli prese una spalla e gli sussurrò, duramente “ Non rimanderemo la battaglia per queste cavolate” la sua voce era serissima, per nulla simile alla risata gioiosa sentita poco prima, e aveva una nota di disprezzo, di rabbia, di tristezza e di paura.

Tutti uscirono dalla stanza lasciando i due sposini a godersi il loro bambino.

 

La tana della scrittrice 

Un saluto a tutti voi che state leggendo ! Come va ? Passato un buon Halloween ? Per prima vi ringrazio di aver letto sia questo che i precedenti capitoli, e vi chiedo, se vi è possibile, di commentare; un’altra cosa è che il prossimo capitolo non sarà troppo lungo. Allora, partendo dal fatto che non ho mai visto un parto 😅quindi non so bene come sia, ho provato a immaginarlo e a descrivere la mia immaginazione; mi voglio scusare come sempre se il capitolo ha degli errori o se non è stato di vostro gusto. Proverò a migliorare sempre, promesso ! XD Ora vi devo lasciare; saluti e baci hobbit

Sempre vostro

 

Merry

 

 
 

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Capitolo 4
*** Prima di scendere in campo ***


Capitolo 4: Prima di scendere in campo 

 

Legolas sentì le tende aprirsi con un fruscio; erano le sette del mattino e lui sarebbe dovuto essere in testa alle truppe entro quarantacinque minuti, pronto per la partenza verso il campo di battaglia. Avendo dormito solo un’ora per colpa della nottata travagliata, l’elfo era intontito ma non stanco: si mise a sedere e vide il valletto moro che aveva aperto i drappi di velluto che chiudevano fuori la luce : “ Il Re chiede se il Principe ha bisogno di aiuto per vestirsi” chiese il ragazzo; Legolas sorrise e scosse il capo “ No, grazie”. Il bruno fece un piccolo inchino e lasciò la stanza silenziosamente; il biondo rimase a contemplare la camera vuota in cerca dei propri abiti anche se sapeva già dove fossero: i pantaloni e la casacca elfica era posati sul letto mentre il manto e i bracciali erano appesi dietro la porta insieme all’arco di frassino e alla faretra piena di frecce. Dopo essersi vestito, il principe degli elfi si mise seduto su uno sgabello e iniziò a intrecciarsi le lunghe ciocche bionde dietro la testa: si stava preparando psicologicamente alla battaglia anche se di per sé non la considerava difficile: erano solamente qualche decina di migliaia di orchi ribelli, che per un guerriero esperto come lui erano una bazzecola e in più era aiutato da fidati compagni, anche loro ben addestrati. Mentre ripensava al piano, una decina di minuti più tardi, finì di intrecciare l’ultima ciocca e si alzò; prese la faretra e l’arco prima di uscire dalla stanza in fretta e furia: nel corridoio incontrò Merry e Pipino, anche loro in ritardo, insieme a Gimli. Passando davanti alla stanza di Aralis, l’elfo mise la testa dentro: la ragazza stava cercando di allacciarsi il pettorale ma per il resto sembrava pronta “ Efneviel, Tuvok !” ( distruzione, veloce ! ) La giovine prese di fretta l'elmo, il manto e la grande e misteriosa borsa a tracolla che si portava sempre appresso: l’allegra compagnia dei ritardatari si scapicollò giù per le strade della Cittadella, con un clangore non indifferente. Arrivati al confine tra la settima cerchia e la Cittadella, i soldati si ricomposero e continuarono la lunga discesa verso la periferia della città; Legolas era ordinato, pulito e perfettamente armato invece Gimli era spettinato e stava cercando di intrecciarsi la barba mentre correva per le strade di Minas Tirith. Gli hobbit erano leggermente trasandati ma per loro era normale, mentre Aralis era riuscita a finire di vestirsi e correva in testa al gruppo insieme al fratello adottivo; ai lati delle strade chi riusciva a riconoscerli li salutava ossequiosamente, inchinandosi oppure li guardava allarmato. 

Riuscirono a giungere sul campo di partenza in soli venti minuti, e raggiunsero la tenda del Re per fare le ultime revisioni; Aragorn era seduto su una seggiola, accerchiato dai capitani e dai sergenti che discutevano con lui. Appena vide i suoi amici sorrise “ Ce l’avete fatta pelandroni ! Siete arrivati in orario” disse battendo le mani; Aralis e gli altri ritardatari tennero un atteggiamento sobrio anche se alcuni soldati fuori dalla tenda iniziarono a ridacchiare e a far battute. Il Re li guardò e dopo qualche secondo decise sua sorella e l’elfo avrebbero dovuto fare un giro del campo per controllare che i battaglioni, ormai ridotti a poche persone per via della guerra dell’anello, fossero pronti. Legolas prese delicatamente la ragazza per il braccio, stando attento a non toccare la scritta in nanico vicina al polso, e la condusse fuori; mentre gli hobbit e il nano stavano nella tenda in compagnia del Sire di Gondor, le due alte figure si incamminarono per l’accampamento. Il comandante dell’esercito era totalmente assorta nella contemplazione di ogni soldato in cerca di qualche punto debole da sistemare, quando il biondo le poggiò una mano sulla spalla e le lanciò uno sguardo severo: “ Perché lo hai detto ?” Aralis lo squadrò per un istante“ Uhm ?” “ Ti ho chiesto perché lo hai detto ” “Che cosa, Otorno ?” le sopracciglia dell’elfo si inarcarono ancora di più in un cipiglio contrariato “ Sai benissimo che cosa, seler” “ E ora dimmi perché lo hai detto” la giovine socchiuse gli occhi e rimase vaga: “ Mi diresti che cosa ho detto per cortesia ?” “ Non prendermi in giro: ho l’udito molto fine. E per questo ho sentito quello che hai detto ieri sera ad Aragorn riguardo a oggi” la ragazza riaprì gli occhi di scatto.Il biondo prese un respiro: odiava quando suo padre gli faceva le ramanzine ma adesso toccava a lui fare i soliti rimbrotti da fratello maggiore “ Tu conosci il valore della famiglia, Efneviel: chiamare “cavolata” la nascita di un bambino è stato un atto profondamente irrispettoso nei confronti sia del padre che della madre del pargolo, peraltro tuoi signori. Devi loro delle scuse ma a questo ho già pensato io” Aralis stava per aprire bocca e chiedere che cosa avesse fatto, ma l’elfo la battè sul tempo: “ Il Sovraintendente non parteciperà ai combattimenti: prenderai tu, il suo posto” la ragazza chinò il capo, annuendo “ Non ti deluderò, Otorno, è una promessa”. Il biondo rise “ So che sei leale, ma seler, ma ti ho cresciuto e so ogni tanto fai promesse al vento. Sappi che comanderai due legioni invece di una” concluse Legolas soddisfatto. La bruna annuì a testa bassa e sorpassò il fratello con due balzi: tutti i soldati la guardavano ammirati o la chiamavano agli angoli delle stradine del campo per chiederle dei consigli su qualsiasi cosa potesse essere utile. I minuti scorrevano in fretta e presto furono pronti a partire: l’elfo e il comandante dell’esercito, dopo aver girato tutto l’accampamento, tornarono alla tenda per assistere il re nelle manovre di spostamento; mentre riorganizzavano le truppe, le trombe emisero degli alti squilli che annunciavano l’arrivo del Re degli Elfi. Era bardato in un’imponente armatura lucente di mithril e portava la spada dei Silvani appesa alla cinta: i capelli erano filamenti di luce bianca che ricadevano scompostamente sulle spalle del guerriero circondati dal diadema argenteo, in analogia con la pelle diafana. Era in sella all’alce preistorica che lo serviva da innumerevoli anni e si stava dirigendo con portamento elegante verso il centro nevralgico delle operazioni: Aralis aveva terminato i suoi compiti e quindi si slanciò verso la marmaglia di gente che circondava il sovrano, per accogliere il genitore “ Efneviel sii prudente e non fare scemenze come al solito, intesi ?”. La voce del Re era chiara e cristallina anche in mezzo a quel trambusto e la ragazza rispose con un cenno affermativo ma sottomesso: “ Perché oggi tutti mi trattano come se fossi ancora bambina ?  Per i Valar, ho venticinque anni e combatto autonomamente a capo di più legioni da dieci” imprecò a bassa voce la giovine mentre montava a cavallo e lo spronava verso l’inizio della lunga coda che si era venuta a creare per seguire il manipolo di uomini scelti del Re. I trombettieri suonarono la partenza e le file di uomini si mossero quasi meccanicamente in avanti, capitanate dai Re e dai comandanti; Aragorn vide la sorella che oscillava sulla sella e dalla sua bocca usciva una gloriosa melodia che si perdeva nel vento: “... Adie adie mus ta de adie adie mus…” 

 

Ci volle un bel po’ di tempo per giungere sul luogo in cui si sarebbe svolta la battaglia; quando gli hobbit, bardati di tutto punto, lo videro non rimasero molto straniti: era una piana di terra brulla, scurita e bruciata per il sole, irta di sassetti acuminati misti a punte di picche e lance, disseminata di ossa probabilmente di combattenti caduti. Era una landa dimenticata da Dio e dagli uomini, inadatta  all’agricoltura, colpita dai venti e dalle intemperie ogni giorno dell’anno e perciò gli orchi lo utilizzavano spesso come campo per gli scontri da quando Sauron aveva ampliato i confini di Mordor, conquistando un terzo del pianoro; nell’esatta metà dell’ampio spiazzo vi era la terra di nessuno, che stava a dividere le due fazioni da circa cinquecento anni, quando l’Oscuro signore aveva mandato per la prima volta gli uruk-ai a fare i sopralluoghi delle frontiere del grande regno di Gondor. All’orizzonte si poteva scorgere un ribollire continuo di creature bizzarre, gradienti dal marrone al grigiastro che continuavano ad ammassarsi e disgregarsi attorno a quello che sembrava, almeno agli elfi, un fatiscente deposito di armi; le prime linee nemiche erano già state messe in piedi, armate di lancieri e fanti seguiti da spadaccini e arcieri uruk-ai. Il viso di Legolas si contrasse in un’espressione corrucciata per qualche istante e poi si rilassò: le file di soldati si stavano disponendo e gli squadroni erano pronti e carichi all’imminente scontro. Quando tutti i combattenti furono in posizione, protetti e istruiti su tutti i piani per ogni eventualità: mancava solo il discorso di incoraggiamento da fare alle truppe e poi sarebbero partiti; Aralis si sentiva morire dentro, lei che poteva sterminare decine di nemici in pochi attimi tremava come una foglia al vento davanti a dei suoi sottoposti che volevano solamente sentirsi apprezzati. “ Roba da matti” si disse dolcemente, come per rincuorarsi da sola; tutti erano al loro posto ma ancora incerti se attaccare per primi, cioè perché andare incontro alla morte e non attenderla dove si trovavano ? Si riusciva a vedere il terrore che ballava tra le file ma i comandanti avevano intenzione di prenderlo per la gola a due mani: il Re Elessar prese un profondo respiro e si guardò intorno, cercando l’appoggio degli amici che aveva al suo fianco. Gli hobbit lo supportavano con degli sguardi eloquenti mentre il Re degli elfi osservava l’altra fazione, nel tentativo di trovare una falla nella formazione; Legolas girò il cavallo,  mise una mano sulla spalla di Aragorn e, con gli occhi azzurri fissi sui suoi, gli sorrise, annuendo “ Vai Estel, vai” gli sussurrò in un orecchio. Il re si voltò verso i soldati e li richiamò a gran voce: quando tutti furono zitti davanti a lui, urlò spronando il cavallo davanti alla prima linea: “Restate fermi, restate fermi…Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei! Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l’era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest’oggi combattiamo… Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella Terra vi invito a resistere! Uomini dell’ovest!”* Poi frenò lasciando una piccola nuvola di polvere che si volatilizzò quasi subito; con un gesto solenne passò la parola alla sorella. La ragazza si alzò sulle staffe, scostò il mantello dalle spalle e imitò il fratello a braccia alzate: “Soldati, amici, fratelli: avete sentito quello che vi ha detto il vostro Sovrano. Combattete per tutti i vostri cari, per quelli che non sono tornati, per i mutilati, per le donne e i bambini, per i mutilati nello spirito, per tutta la gente che crede in voi ! Fate di tutte le voci sofferenti in città, un solo grido !  Unitevi a noi e combattete per i vostri ideali, per la vostra libertà, per i vostri principi. Uccidete quei bastardi che vogliono togliervi la vostra civiltà, combattete per i vostri figli e per i figli dei vostri figli ! Fatemi sentire la forza di Gondor” incitò i soldati e in risposta ricevette il ruggito di tutto l’esercito, di ogni singolo soldato: appena tutti furono acquietati la giovine riprese: “ Bene ! Siete guidati da grandi Reggenti, da possenti Guerrieri e dalle tre Morti dell’Ovest !” e indicò le persone che l’affiancavano. Poi fece girare la cavalcatura, si sistemò il cappuccio del manto sulla testa lasciando i capelli sciolti sulle spalle e infine prese la sacca di cuoio tra le mani; con un movimento lento e ampio estrasse un’enorme falce a mezza luna: la lama era liscia e perfettamente affilata, con il manico lunghissimo, circa sei quinti dell’altezza della donna, di legno d’ebano, riempito di segnature e con una profonda tacca all’incirca al centro. Mentre rimetteva la sacca dietro la schiena, Aralis passò le dita sull’arma e facendo dei piccoli sussulti, l’alzò verso il cielo e lanciò un urlo: “ Portate alto l’onore !”. E tutti i soldati si lanciarono in avanti, preceduti dai capitani e come un solo essere furente, si avventarono sul nemico.

 

La tana della scrittrice 

Un saluto a chiunque stia leggendo ! Come state ? Tutto bene ?Per prima cosa mi scuso preventivamente per eventuali errori o ritardi nella pubblicazione; allora il punto che ho evidenziato con l’asterisco è il discorso che Aragorn tiene alle truppe prima della battaglia contro l’oscuro signore. Non so se si è notato ma io ho un feticismo per le falci (owo) (sarà perché vengo da una famiglia di contadini ma ho sempre avuto questa passione). Mi scuso se il capitolo non è stato di vostro gradimento (se vi è piaciuto sono felice) ma in entrambi i casi vi chiederei di commentare per avere un’idea di come questa fiction impatti sulla gente. Detto questo vi lascio: buon Natale, buone feste a voi e alle vostre famiglie e al prossimo mese ! 

Sempre vostro 

 

Merry

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Capitolo 5
*** Sono alle tue spalle, sono la tua ombra ***


Capitolo 5: Sono alle tue spalle, sono la tua ombra

 

L’impatto che ebbero sugli orchetti fu devastante: le prime linee vennero sfondate e gli avversari furono travolti. I soldati di Gondor riuscirono a battere i nemici sul tempo ma i rivali riuscirono comunque a trovare una falla nella formazione: Aragorn stava decapitando decine di creature, con la lama lucente della “Spada distrutta e riforgiata” puntata al cielo, in segno di forza per i propri combattenti, si guardò intorno e notò sua sorella. Aralis era in testa alle truppe, in mezzo ai soldati mentre con il falcione elegante stroncava gli orchetti invasori: la sua armatura segnata dalle numerose le battaglie, il manto scuro e i capelli nocciola sciolti al vento le davano un che di mistico; sembrava un erede di Tulkas, un’eroina delle antiche leggende, quelle che venivano narrate ai ragazzi per convincerli a intraprendere la carriera militare e adesso si era materializzata lì, su quel campo di battaglia per assistere dei miseri rimasugli di un possente esercito in uno scontro che avrebbe potuto determinare la perdita di preziosissimi territori per il Regno. I calzari e i bracciali in pelle consunta lasciavano intravedere le scritte naniche che la donna portava sui polsi e sulle caviglie; ad ogni ondata di nuovi nemici la giovine urlava una frase incomprensibile ai più “ Onoha, gheiekt uim” e poi distruggeva chiunque le si mettesse sulla strada. Incrociando il suo sguardo si poteva vedere tutta la furia che la scuoteva dall’interno e si vedeva che era pronta anche a morire pur di vincere e far guadagnare prestigio e terre alla sua famiglia: quando un gruppetto disorganizzato di Uruk-ai si stava richiudendo su uno sfortunato alfiere, il comandante si lanciò nella mischia e con pochi ma rapidi movimenti di falce ben assestati, il soldato era libero. I Valar guidavano i suoi arti in ogni movenza e sembrava essere fusa con un flusso di magia, che sgorgava in un canto cupo e ombroso dalle sue labbra; si muoveva con forza ed eleganza degna di un elfo, tenendo conto di ogni singolo fattore che potesse portare alla sconfitta e stando attenta a qualunque cosa fosse immobile nel suo campo visivo. Il Re voltò il capo verso gli altri compari: Sire Thranduil combatteva con grazia e potenza, frutto degli innumerevoli anni che si portava sulle spalle, mentre tutta la sua maestria creava intorno a lui un’aura, come, ultraterrena. Invece Legolas e Gimli sembravano ragazzini: si divertivano a uccidere gli avversari, gareggiando uno contro l’altro, determinati e letali come due sciabole; l’elfo scagliava decine di frecce sulla marmaglia di orchi che gli si avventavano contro con incredibile prodezza e, solo per quelli che osavano avvicinarsi troppo, riservava il trattamento speciale di due coltellate nel costato. Il nano prendeva ad accettate qualunque cosa gli capitasse a tiro, con incredibile forza e foga, mentre la sua armatura sferragliava ad ogni movimento: gli hobbit sembravano delle schegge impazzite mentre si battevano eroicamente a partire da Sam, che da pacifico giardiniere della Contea era mutato in un alquanto particolare guerriero per proteggere il padrone. Frodo era un gentil-hobbit e lo dimostrava combattendo in un modo molto signorile e disperato mentre Merry e Pipino erano molto affiatati e si battevano valorosamente sul campo; dopo essersi accertato che tutti se la cavassero egregiamente con i nemici, il re Elessar iniziò a roteare la spada sopra il capo e iniziò a recidere colli, mentre i nemici  emettevano degli ululati straziati ogni qualvolta Ànduril sfiorava i loro corpi e squarciava le loro carni. La battaglia ormai era diventato un marasma di persone, le une avvinghiate alle altre nel tentativo di sbranarle e di ottenere il diritto da Manwë di continuare a vivere; i soldati di Gondor arretravano di qualche passo ad ogni ondata di orchetti e molti venivano trucidati dagli spietati nemici. Passarono lente e inesorabili le ore e le truppe si stavano affaticando; ormai i combattenti erano stanchi e ridotti a stracci, brandelli del mitico esercito che un tempo rappresentavano il più evoluto degli stati dei Secondogeniti, ma loro continuavano a combattere contro l’invasore: “ Sarà meglio ritirarci, Estel” urlò Aralis, ma il fratello non sentiva per tutto il trambusto che si interponeva tra loro e le fece segno di ripetere “ Ho detto che dobbiamo ritirarci prima che da battaglia si tramuti in massacro !” ululò la ragazza, continuando a brandire il falcione per evitare di essere assalita dagli orchetti avversari. Le trombe di Gondor squillarono alte e i soldati si voltarono verso i comandanti: mentre le schiere, gli hobbit e il nano si giravano verso le tre morti dell’Ovest per guardarle, Legolas si voltò verso i suoi  fratelli e delle occhiate fugaci gli fecero comprendere quello che avrebbe dovuto fare per la salvezza delle genti “ RITIRATA !” ordinò, rivolse un cenno ai suoi sottoposti e partì al trotto, spronando il cavallo verso le retrovie. Gli uomini iniziarono a seguirlo e, se prima era un putiferio adesso era divenuto il finimondo: tutti correvano, si calpestavano, martoriavano con le proprie pedate i caduti, i feriti arrancavano per ultimi, tentando di restare al passo col gruppo mentre i nemici erano alle loro calcagna; il re Elessar vide che i lenti erano più di quanti avesse pensato e si affiancò a un gruppo di soldati che tentavano di trasportare due mutilati e chiamò gli altri due principi ad assisterlo: i tre smontarono dalle loro cavalcature,ci issarono sopra i tutti gli invalidi che riuscirono a recuperare e batterono una forte sberla sul posteriore delle bestie, facendole partire a velocità folle verso la testa delle truppe. Il moro e la castana rimasero fermi a chiudere la lunga coda mentre i due elfi presero il comando; Aragorn era determinato a riuscire a salvare quanti più uomini era possibile, sacrificandosi se fosse stato necessario, e sapeva che la sorella avrebbe fatto lo stesso, anzi forse lo avrebbe fatto con molto più piacere di lui: sapeva che lei aveva una missione e quando questa sarebbe stata portata a compimento, la ragazza avrebbe pregato Mandos di prenderla e condurla nelle sue aule, mentre tutti quelli che l’avevano a cuore in terra avrebbero pianto la sua morte e cantato a lei come la più valorosa tra i Secondogeniti. Ma ora non c’era tempo per pensare al futuro più remoto: il Re si ricordò una frase che la minore soleva ripetere allo sfinimento “ Non pensare nel lungo periodo, perché nel lungo periodo saremo tutti morti”; ebbene adesso doveva combattere per la propria esistenza, per sua moglie, per quella quella piccola vita che lei portava in grembo che l’avrebbe reso l’essere più felice di tutta Eä, per tutte quelle persone che contavano su di lui per rivedere i volti dei propri figli, per Legolas che l’amava come un fratello e per ultima, ma non per importanza, per Aralis che sarebbe ammattita senza di lui, povera fanciulla. Intanto la sorella di era messa in posizione di difesa, puntando il falcione contro i nemici e ruotandolo vorticosamente per creare ciò che lei stessa definiva il “Vuoto”: questo le era stato insegnato, che serviva per non far capire all’avversario le intenzioni che si avevano e perciò, colpire con facilità estrema e creare un varco, danneggiando al massimo delle possibilità l’altra fazione; oramai gli orchetti erano così vicini che se avesse rotto l’equilibrio di quell’importantissima fase di preparazione al combattimento, ne avrebbe trinciato i crani con un unico e micidiale colpo. Ma farlo sarebbe costato l’effetto sorpresa e le conseguenze si sarebbero sentite sui risultati di quella ritirata imprevista: le schiere ingrigite si stavano stabilizzando e il Re stava prendendo lo slancio per dare il primo colpo ma si vedeva che non era ancora totalmente sicuro di come prenderli  per fargli realmente del male. Oramai i primi combattenti orchetti erano, praticamente, tra le braccia dei due Gondoriani quando Aralis decise che era il momento perfetto. Doveva rompere “ il Vuoto” prima che fosse stato troppo tardi. La lama della falce schizzò in avanti di un metro e mezzo, facendo cadere le prime tre linee di orribili creature; Anduril si infilò nel varco creato dall’altra lama, distruggendo tutto ciò che le si contrapponeva: i due regnanti si battevano coraggiosamente per far indietreggiare i nemici e riuscirono a sterminare il drappello che li aveva attaccati per destabilizzare le truppe. La lotta continuò per quasi due ore ma gli avversari si ritirarono nel loro campo, dall’altra parte della terra di nessuno; quando la baraonda sul terreno si spense in un lamento, i due combattenti tornarono indietro, contenti per la piccola vittoria di non aver perso territorio, ma accorati per tutti quegli uomini valorosi che erano andati persi, feriti, inutilizzabili per sempre, coloro che non sarebbero più tornati a vedere la luce delle stelle, quelle stesse stelle che ora stavano nel cielo illuminato di quella che i posteri avrebbero chiamato la Prima Notte di Sangue.

Aragorn e Aralis erano riusciti ad arrivare al campo dove erano stanziate le truppe solo per via delle lanterne che gli elfi solevano lasciare intorno ai posti dove alloggiavano, e con la loro luce celestiale li avevano guidati sino agli ingressi delle tende; i perimetri delle zone erano sorvegliati da numerose guardie armate e anche nei passaggi interni dell’accampamento presidiavano dei soldati. Le tende erano suddivise per importanza: nella parte più esterna erano state messe quelle della fanteria, poi vi erano quelle della cavalleria e degli ufficiali, quelle degli artiglieri, quelle dei trasporti e materiali con le munizioni e le provviste, poi quelle dei cosiddetti “Messi”, coloro che trasportavano i messaggi, e infine quelle dei geni, i sabotatori professionisti, e dei grandi capi. Gli Elfi si erano dispersi un po’ dove volevano, recando consiglio e ausilio dove venivano richiesti: le tende dove venivano portati i feriti erano un via vai continuo di donne e silvani, che aiutavano portando erbe, medicamenti, soluzioni, bendaggi, disinfettanti, coperte, lenzuola e bacinelle ricolme di liquidi. Il campo era punteggiato di fuochi dove le genti si erano ammassate per scaldarsi, alcuni soldati si medicavano a vicenda mentre altri battevano le spade e le armature che si erano ammaccate durante gli scontri; il buio era sceso come un manto a coprire ogni cosa, e il Re constatò quanto poche ore di battaglia avessero sfiancato e decimato le truppe, ferendo gravemente molti dei loro componenti: questo rendeva necessaria la riadattazione del piano originale, con conseguenti cambi di posizione da parte dei ben pochi alleati di cui disponevano e ulteriori mal di testa da procurasi prima di riuscire a mangiare qualcosa. La sorella lo guidò fino ad arrivare alla tenda che ospitava i sovrani elfici e lì, quasi si schiantarono al suolo dalla stanchezza: il principe biondo afferrò appena in tempo l’amico, prima che cascasse in terra, lo mise seduto, togliendogli i bracciali e pulendogli il volto dalla polvere, sotto lo sguardo di rimprovero del padre, che stava aiutando la ragazza a togliersi i guanti d’arme e gli schinieri; Aragorn si riebbe in qualche minuto e convocarono gli hobbit, che arrivarono in compagnia di Gimli, per creare una nuova mobilitazione da usare il giorno successivo, in un nuovo scontro. I loro visi erano provati, ma non dalla fatica, bensì dalla preoccupazione e non riuscivano a nasconderlo, ciò nonostante dovevano andare avanti; il nano, col suo solito pragmatismo ereditato dalla sua razza, si mise a guardare la carta stesa sul suolo e a grattarsi la barba, scuotendo il capo: “ Oggi sono riusciti ad aprirci come fossimo una verza; io ho notato qualche problema nella formazione del battaglione sei” precisò, indicando una linea di schieramento sul fronte due. Il Re degli Elfi osservava con occhiate sprezzanti il nemico giurato, mentre Legolas ascoltava pazientemente le idee dell’amico e apportava piccole modifiche: “ Se, come dici tu, la parte di esercito affidata a mia sorella è troppo aperta e dovessimo  restringerla, rimarrebbe questo spazio vuoto a lato: lì potremmo metterci la metà dell'esercito elfico, che coprirebbero gli altri in caso di ritirata e eviterebbero un accerchiamento” propose, ottenendo i consensi di tutti i reggenti. Passarono un paio d’ore a ridisegnare gli schemi di attacco, ma alla fine riuscirono a giungere ad un piano,degno di questo nome: i fanti sarebbero stati messi su un fronte di forma ellittica, seguiti dai lancieri che li avrebbero protetti, mentre i lati e il terzo strato sarebbero stati formati da cavalieri e arcieri elfici e, al contempo, le catapulte avrebbero sparato le munizioni una lega più avanti rispetto ai combattenti; se si fossero dovuti ritirare, le armi da tiro sarebbero indietreggiate, i soldati si sarebbero girati e avrebbero battuto in ritirata coperti dai cavalieri. Tutta la faccenda sarebbe stata eseguita sotto la supervisione di cinquanta comandanti minori e sei capitani maggiori, il braccio destro di Sire Thranduil e gli altri capi in carica al momento; Aragorn decise che bisognava anche lavorare d’astuzia e, quindi, i genieri sarebbero andati a sabotare alcune delle linee nemiche mentre, su idea di Aralis, dei messaggeri sarebbero tornati verso la città per far accorrere dei giovani e delle donne, che avrebbero preso il posto di rimpiazzo dei caduti: gli hobbit si dedicarono all’analisi curata e meticolosa, del piano d’attacco nemico, andando a scovare le minime imperfezioni e agendo di conseguenza per mirare e ottimizzare le azioni, impegnando meno risorse possibili nel procedimento. Merry e Pipino modificarono i tempi di sparo delle catapulte rispetto all’avanzamento dei soldati in prima linea, in modo che i proiettili non li centrassero ma aprissero le file degli orchi al loro passaggio; invece Frodo e Sam pensarono a come riqualificare l’area per sopravvivere in caso di un eventuale assedio, arrivando persino a pensare delle coltivazioni a rapida crescita per sfamare le truppe. Revisionarono il piano per due o tre ore, definendo, ripulendo, spostando e ricompattando sino ad avere qualcosa di molto simile a una planimetria completa di ogni possibile mossa che avrebbero potuto fare e il risultato li soddisfò assai; la luna stava ancora salendo negli più alti punti della sua orbita celeste, quando uscirono dalla tenda per andare ad occuparsi di altre questioni: il Re di Bosco Atro si andò ad accertare che fosse tutto a norma nei confini del campo, mentre i Mezz’uomini si misero accanto a dei fantaccini che attorniavano un fuoco, dove dei pezzi di legno mescolati ad ossa ardevano scoppiettanti, e provarono ad infondere in loro un po’ di coraggio. Gimli, figlio di Gloín, aiutava alcuni soldati ad affilare le armi e a riparare le armature, canticchiando: “Spuntar lame neanche poco, romper bottiglie e tappi al fuoco,

scheggiar coppe con tutto il resto...questo Bilbo lo detesta! La tovaglia per mangiar,

sopra il letto le ossa lasciar, in dispensa il latte versar, vino ovunque può schizzar.

Le stoviglie nell'acqua e poi, nel mortaio le puoi pestar, e se qualcuna si salvò, 

sempre in terra gettar si può...Questo Bilbo lo detesta!! ”* Il Re Elessar si mise a controllare le vie periferiche dell’accampamento, mentre Legolas e Aralis si avviarono verso l’infermeria per dare una mano: i loro passi riecheggiavano nei luoghi bui e le ombre della notte rendevano i loro visi più austeri di quanto non sembrassero già: dalla tenda uscivano degli elfi e delle donne che s’affrettavano verso il fiumiciattolo, che serviva per lavare i bendaggi. I due capi scostarono i lembi della tenda maggiore e avanzarono lentamente, verso l’anziana signora che dirigeva tutto il dipartimento e durante il tragitto voltarono lo sguardo alle persone che li circondavano: le curatrici erano sudate, imbrattate, stanche morte ma comunque operose e sembravano non curarsi affatto del forte odore di sangue di cui era pregna l’aria; i curatori elfici si affaccendavano nel medicare i feriti, preparando gli oli e gli unguenti, incoraggiando le colleghe e raccogliendo le bacinelle contenenti i fluidi corporei dei pazienti. Molti uomini erano ancora sdraiati sulle lettighe con cui li avevano trasportati e la maggior parte di loro non aveva ancora ricevuto assistenza per via del grande lavoro che bisognava fare sugli altri compari: i mutilati e i feriti gravi erano stati fatti passare avanti ma anche coloro che non erano stati soccorsi esibivano degli squarci mica da ridere. Il principe silvano stava per chiedere alla sorella di andare avanti, quando un suo confratello lo urtò mentre camminava con un composto da rimescolare tra le mani: “ Scusi Altezza non l’avevo vista” farfugliò lui, mentre cercava di rimettere in bilico la ciotola; il reggente osservò la strana poltiglia: “ Se questo è disinfettante, ti consiglio di aggiungere un po’ di corteccia di salice triturata per aumentare l’effetto analgesico” consigliò lui e pazientemente attese che il conpatriota tornasse, tenendo tra le dita il risultato. Ne sembrava estasiato e li guidò sino alla barella di colui che doveva medicare, offrendo il prodotto al figlio di Thranduil per apprendere un miglior metodo di stesura; il biondo si inginocchiò in fianco alla barella, tenendo ferma la pelle con una mano e il pennello di legno con l’altra ,mentre Aralis reggeva la scodella e i bendaggi, e iniziando a miscelare controllò lo squarcio che era stato inferto lungo tutta la lunghezza della gamba sinistra di un soldato: il taglio era profondo qualche centimetro, troppo poco per far dissanguare ma abbastanza per far vedere gli strati muscolari, grassi e cutanei ma percorrendo tutto l’arto lo immobilizzava. La pelle si era stracciata in alcuni punti e le dita delicate di Legolas tenevano ferme le estremità della ferita mentre le setole della pennellessa  strusciavano sulla carne viva, con lunghe e graduali pennellate, per stendere il medicamento in modo uniforme e comportando il minor disagio possibile al ricoverato; la sorella stava ungendo le garze di stracci in una soluzione di acqua marina scaldata su uno dei fuochi, per disinfettarle, mentre le altre infermiere le lanciavano qualche sguardo per vedere cosa stesse facendo e poi proseguivano con le loro faccende. L’uomo sbuffava sofferente, ma provava comunque a resistere al dolore e sopportò sino a che la ragazza non ebbe terminato di fasciare la gamba per poi tendere le mani ai propri curatori e ringraziarli: “ Voi portate la luce dove regna l’oscurità, miei Signori. Già il fatto che siate qui infonde coraggio in noi che abbiamo sbagliato, in noi che siamo gli ultimi a servire il regno, noi che siamo inutili” Aralis si chinò a prendere l’arto del soldato e tentò di rincuorarlo: “ Non è così che ragiona un combattente di Gondor: voi avete saputo che era il momento di lanciarsi davanti agli altri e di fregarsene di quanto fossero armati i nemici, siete stati coloro che hanno avuto la prodezza di sacrificarsi per primi, dando il via a tutte le grandi azioni che si compiranno; siete stati valorosi e il vostro nome non andrà perduto nelle pieghe del tempo” disse lei, prima che il medico elfico fece notare loro che bisognava sgombrare il posto letto e il gondoriano venne portato in un altro ricovero. Legolas si fece largo nel marasma di gente che attorniava l’anziana caporeparto; ella stava suturando, con dita abili e veloci, il cranio di un uomo che era stato preso a mazzate sul capo: quando il principe le chiese che cosa dovevano fare, la testa canuta e il dito rugoso  della donna gli fecero segno che poteva andare ovunque a portare il proprio aiuto. L’elfo decise di spostarsi e, dopo aver adocchiato dei feriti, prese la mano del comandante e le disse: “ Dai una mano a questi disgraziati che hanno bisogno di te e poi forse ci potremo addormentare” lei annuì e sparì tra la folla.

 

Passarono ancora un paio d’ore e il ragazzo biondo si ritrovò esausto, come svuotato dal lavoro che aveva compiuto per portare il proprio ausilio ovunque ce ne fosse il bisogno; uscì dalla tenda, inspirando quell’aria fresca e umida, casta dall’odore del sangue, lanciando lo sguardo in ogni possibile direzione in cerca della bruna. Non trovandola decise di mettersi in marcia; mentre camminava nella semi oscurità, accompagnato solo dallo scalpiccio delle sue suole che impattavano sul terreno, la sua mente iniziò a partorire delle emozioni che non aveva mai provato che erano scaturite da delle domande che non si era mai posto: “ Se le fosse successo qualcosa ? Dov’è ? Se non ha più voluto restare con noi mio padre rischierebbe di ammattirsi ! Non può essere successo di nuovo …” Aveva corso con l’angoscia che gli premeva con forza nel petto e non trovando la giovine si stava disperando, quando giunse al limitare del campo: Aralis era seduta per terra, a fissare l’aurora con gli occhi castani che sembravano due globi di vetro e la lingua stretta tra i denti bianchi; aveva l’aria assorta che aveva un condannato a morte mentre guardava la forca o la picca che lo avrebbe ammazzato. Lui si avvicinò lentamente e, non vedendo alcuna reazione, le mise un braccio intorno alle spalle, credendo che si stesse sentendo male; la ragazza voltò lentamente la testa e tirò un piccolo sospiro: “Kail, otorno” lo salutò cordialmente “ Cosa ci fai qui selér ? Lo sai che abbiamo bisogno di te per comandare l’esercito” la giovine sospirò di nuovo: “ Ho finito il mio turno di lavoro mezz’ora fa e sono venuta qui per pensare” Anche Legolas aveva finito tempo prima, quindi ciò voleva dire che la sorella era andata via mentre lui stava uscendo per cercarla: il viso della donna era teso e ciò rendeva il fratello dubbioso: “ Posso entrarti nella mente ?” le chiese, sedendosi al suo fianco “ Va bene…” rispose titubante e iniziò a raccontargli i suoi pensieri: “ Ho medicato tante persone quest’oggi, persino un uomo che aveva quasi perso un arto ma continuava a non sentire dolore e a chiacchierare con me; nel guardare tutti i soldati che riuscivo a sistemare mi sentivo bene eppure quando qualcuno moriva sotto le mie dita, mi sentivo come quel giorno… ho riconosciuto quelle ferite su ogni corpo che ho visto: non erano state inferte per uccidere bensì per deabilitare, per sfiancare sino alla fine. Volevano prenderli a battaglia conclusa e portarli da un loro capo come schiavi. Solo un tipo di orchi possono fare un’azione così deplorevole e ciò mi fa star male: io-io ho paura, Legolas” L’elfo si allarmò: la sua sorellina aveva un lato combattivo particolarmente pronunciato, alimentato anche dalla sua abilità e dalle sue esperienze, e quando dimostrava di avere paura voleva dire che era una cosa praticamente impossibile da sopportare per un uomo normale; la testa della sorella era poggiata sul suo petto e lei stava iniziando a tremare: “ Io ho paura; se mi prendono mi faranno finire come loro… e io non voglio provare la loro sofferenza, voglio morire con gli stivali ai piedi, voglio morire al vostro fianco… non voglio fare la loro fine” In quelle parole vi era riposta tutta la disperazione che la voce lasciava trasparire, con quegli innaturali alti e bassi che denotavano quanto fosse difficile per la ragazza rimanere calma; le braccia di Legolas si strinsero attorno alle spalle della sorella: “ No, che non tornerai tra loro; dovranno passare sul mio cadavere per prenderti, non finirai come loro, non fino a quando io sarò in vita: io ti proteggerò sempre, ricordatelo” le disse, accarezzandole i capelli e le guance illacrimate “ Io vorrei che ci fosse lei, qui con noi…” sussurrò la donna, col viso premuto contro il suo seno: “ Ma lei qui non c’è: Aralis…” le sollevò il mento con due dita “... io ti prometto che sarò la tua ombra” “ E io sarò sempre alle tue spalle” rispose lei; aveva smesso di tremare e ora si era accucciata nell’incavo tra le sue gambe. In poco tempo fu addormentata, crollata dal sonno nel posto più sicuro al mondo: le braccia del fratello che l’aveva cresciuta. Mentre le carezzava la chioma, Legolas fece una silenziosa promessa al cielo: Nessuno avrebbe torto un capello a quella magnifica creatura senza assaggiare tutta l’ira degli elfi di Arda.

 

La tana della scrittrice 

Salve a tutti ! Come state ? Tutto bene ? Buon anno ( sperando che sia migliore del precedente); l’unico asterisco che ho inserito si riferisce alla canzone cantata da Gimli ed è anche la stessa che suo padre ha cantato con i suoi amici della compagnia di Thorin Scudodiquercia, tanto per infastidire Bilbo. In questo capitolo ho voluto far vedere che Legolas non è solo un freddo elfo aristocratico, ma anche un fratello maggiore dolce e premuroso: chissà a chi pensava Aralis quando voleva essere consolata ? Boh, per scoprirlo dovrete aspettare un altro po’. Saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry 

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Capitolo 6
*** I pugni in faccia che mi dai mi restano nell’anima... ***


Capitolo 6: I pugni in faccia che mi dai mi restano nell’anima...

 

I giorni che seguirono furono ardui; il quarto mattino dall’inizio della battaglia, giunsero i rinforzi dalla città di Minas Tirith: donne, giovani e uomini ormai in età avanzata, tutti impauriti e assolutamente non preparati a combattere. Quando Aralis vide arrivare la lunga carovana che stava solcando quelle terre quasi sterili, lanciò una breve imprecazione: già da come si muovevano si poteva capire che erano praticamente incapaci di fare azioni violente coordinate e ciò richiedeva molto più allenamento di quanto avesse programmato “ Manwe, dammi la pazienza perché se mi dai la forza faccio una strage”  pregò, alzando gli occhi al cielo e facendo sorridere Legolas: “ Potremmo metterti fra i nemici se ti dona la seconda. Saresti molto utile” rispose lui, mettendole una mano sulla spalla; l’elfo fece appena in tempo a spostarsi, prima che il manico del falcione si abbattesse contro le mattonelle in pietra della pavimentazione “ Andiamo, che non voglio arrivare in ritardo, Otorno” sibilò e la ragazza lo trascinò giù dalla torre di vedetta. Il campo era in fermento e trepidante di attesa; l’olezzo dei morti era ancora nell’aria e le lacrime bagnavano ancora gli occhi dei commilitoni, ma i nuovi arrivati portavano la speranza, insieme a un nuovo stendardo che andava a sostituire quello semidistrutto dalla guerra precedente. Il re e il comandante andarono ad accogliere la bandiera, portando un piccolo drappello di soldati; i messaggeri cavalcavano come fossero piume al vento e gli altri fecero appena in tempo ad aprire i portoni perché essi non li sfondassero “ Le trombe di Gondor suoneranno ancora” mormorò assorto, Aragorn “ Ben detto” rispose Gimli. Il soldato migliore di tutto l’esercito* prese i cittadini impauriti e li condusse dove tenevano le armature, senza lasciarli respirare un attimo, per iniziare il prima possibile l’addestramento. La sorella del re si aggirava tra i giovanotti e dava delle aggiustatine alle armature; la sua attenzione venne catturata da un ragazzo di circa tredici anni, che stava tentando di allacciarsi i gambali e, nel frattempo, di aiutare alcuni bambini a vestirsi: “ Come ti chiami, ragazzino ?” chiese, mentre si avvicinava; quest’ultimo la guardò con gli occhi carichi d’orgoglio e rispose: “ Io sono il primo dei figli di Naemerio; mi chiamo Ieimerio” Nel frattempo, gli altri fratelli scorrazzavano in giro senza un minimo di contegno, infastidendo con la loro curiosità i combattenti già esperti; la ragazza li afferrò per la collottola e li trascinò col sedere in terra fino a dove stava l’altro giovinetto e li aiutò a indossare una maglia d’arme che dovette stringere con dei metodi alquanto alternativi; la donna si commosse quando vide il primogenito che tentava di proteggere i più piccoli e un ricordo le tornò a flagellare la mente “ Sei disarmato, ma io vedo in te più potere di quanto non ne ve sia in tutti gli uomini che ti circondano: tu ti badi anche degli altri figli di tua madre e perciò sei più che degno di combattere per la tua patria. Ora, ti darò qualcosa che potrà aiutarti nel tuo dovere e che alla tua morte sarà dato ai tuoi eredi” Lei mise una mano del piccolo sulla sua e con l’altra si mise a frugare nella sacca di cuoio; ne estrasse un lungo coltello dal manico di legno, con la lama lucente, avvolto da uno spesso strato di bende in pelle e lo poggiò sul palmo del ragazzo, stando attenta che non si tagliasse: “ Abbine la massima cura, usalo per supportare i tuoi compatrioti, non per ucciderli” gli raccomandò prima di andarsene e lasciò il tredicenne inginocchiato sul suolo. Intanto Sire Elessar si stava preparando ad allenare le nuove reclute, mettendosi al centro di uno spiazzo di terra battuta: i novellini si stavano distribuendo in quella specie di piazzetta, sferragliando impacciatamente nelle loro nuove vesti, graffiando le corazze già riciclate dai corpi dei caduti, urtandosi l’un l’altro, facendo scalpitare i destrieri e ridere i soldati più anziani “ Allora, prestate attenzione tutti a me” disse, battendo le mani perché tutti lo guardassero “ Quest’oggi sarò io a darvi le istruzioni base al combattimento: attaccheremo domattina alle prime luci dell’aurora, passando sulle due catene montuose che delineano il perimetro del campo avversario e perciò voglio che abbiate almeno le nozioni che serviranno a non farvi ammazzare; sono stato chiaro ? Bene, iniziamo dai fondamentali: taglio, parata e affondo. Non provate a strafare e state sempre con una guardia chiusa, seguendo i miei movimenti. E uno, due, tre e quattro…” Le movenze di Aragorn era fluide, molto eleganti e particolarmente adattate per far apprendere la sottile arte della guerra anche ai principianti; gli occhi vigili di Legolas erano fissi sul migliore amico e lo scrutavano con minuzioso riguardo da sopra la palizzata che circondava il campo. Il suo corpo sembrava essere stato scolpito nel marmo e lasciato sotto il respiro di Illuvatar sino a che i muscoli non avevano iniziato a guizzare sotto il sottilissimo strato di grasso e i pensieri a fluire liberamente in quella mente misteriosa e contorta; la cute sembrava dipinta dalla mano esperta di un pittore celestiale, tanto era uniforme il suo colore e candide le cicatrici che esaltavano il volto benigno e le iridi azzurre: era stato toccato dall’aspirazione alla perfezione che caratterizzava tutti i discendenti di Elros. Quei suoi modi così paterni e confortanti erano il riflesso di come Elrond lo aveva educato, come se lo avesse avvolto in una benda di lino per dargli una forma; invece la sorella era stata stritolata in un sacco di iuta per costringerla a stare buona, ma erano finalmente riusciti a reprimere gli istinti meno consoni e ad imporle dei blocchi mentali: forse era per questo che la preferiva a molti personaggi che aveva incontrato nell’arco della sua intera vita, oppure era per via di quell’aria indomita e fiera che assumeva ogni tanto e che lo faceva ridere. “ E chi lo sa !” si disse alzando le spalle e decise di fare una visita a Gimli: aveva fatto pace con quel nano e oramai erano divenuti ottimi amici, contro qualsiasi pronostico; dividevano il sacco a pelo, nonostante la barba del commilitone lo pungesse sul collo e gli desse un fastidio pazzesco, ma tanto l’altro lo accusava di soffocarlo con i capelli, quindi erano pari. Quando riuscì a trovarlo, l’amico era seduto su un ciocco di legno e stava osservando un pezzetto di carta che teneva stretto tra le dita; le pupille si spostavano velocemente da una parte all’altra dello scritto, ma il viso non denotava alcun segno di preoccupazione “ Ehilà, che vai leggendo di bello ?” domandò, mettendo una mano sulla spalla del compagno e sbirciando; quest’ultimo non alzò lo sguardo dal foglio “ Un messaggio dai miei cugini di Erebor: ci augurano buona fortuna con la battaglia” disse con tono distratto, mentre l’elfo stava andando in confusione: “ Aspetta, quale dei tuoi cugini ? Fili e Kili ?” “ Esattamente; tuo cognato e suo fratello” il biondo gli afferrò una ciocca barbuta e la strattonò violentemente verso il basso; nel frattempo che il nano sbottava insulti a mezza voce, Legolas si puliva le mani da qualche pelo che gli ci era rimasto appiccicato “ Non osare più dire ciò che hai appena detto, poiché Aralis non sa nulla del matrimonio che si è tenuto due anni fa e che tutt’oggi sussiste, legando la mia famiglia alla tua” spiegò in modo chiaro e coinciso, prima di allontanarsi a grandi passi; il nano era ancora un po’ refrattario all’atteggiamento chioccio che l’amico teneva nei confronti della ragazza, ma lo lasciò andare senza proferir parola.

*

Sire Thranduil scrutava l’orizzonte con aria assorta: l’adrenalina gli scorreva sotto pelle, facendolo fremere e rabbrividire ogni qualvolta la mente tornava alle immagini del campo disseminato di carcasse in putrefazione, dilaniate dai becchi affilati dei corvi. Non era stato più partecipe a un conflitto così importante da quando si era svolta la battaglia delle Cinque Armate: il suo esercito aveva subito delle gravissime perdite per via delle forze oscure provenienti da Mordor, ma ora era pronto a vendicarsi andando a colpire nei punti più inaspettati e reconditi del nemico. Non  sapeva precisamente se aveva fatto bene a tramandare il proprio cinismo ai figli, ma lui era fermamente convinto che la vendetta era un piatto che andava servito freddo, esattamente come il ferro affilato e ribattuto quando trapassava gli arti e spegneva vite: i fiotti di sangue maleodorante che macchiava i vestiti erano il suo bagno di latte, vedere la morte danzare tra le file di soldati era il suo trastullo ed essere considerato sovrano illuminato e sapiente, anche se sanguinario e capace di ammazzare i suoi stessi fratelli pur di far rimanere intonso il buon nome della casata, lo faceva sentire ineluttabile. Era certo che anche il suo primogenito avrebbe fatto le stesse cose, nonostante avessero punti di vista totalmente diversi; Tauriel, invece, lo aveva aiutato a difendere il regno con la sua prodezza e il suo spirito d’osservazione e in più aveva beccato due piccioni con una fava facendola sposare col principe cadetto della famiglia più facoltosa della razza nanica ( e l’unica di loro pari rango). L’ultima figliola era palesemente adottata, ma ciò non le aveva impedito di divenire molto abile nelle arti elfiche: naturalmente non quelle femminili come il ricamo o la pittura, bensì quelle maschili tra cui il combattimento, la lettura e la musica, in cui era molto dotata ed era stata istruita dai migliori insegnanti per far fruttare i suoi talenti. Era riuscita a ingraziarsi tutta la corte servendosi della sua più grande abilità: mentire. Si divertiva a plasmare la realtà a suo piacimento col solo ausilio delle parole ( il fatto di parlare perfettamente quattro lingue l’aveva molto aiutata in questo) e a usare le frottole in modo così tanto naturale da far credere all’interlocutore che stesse raccontando un fatto realmente accaduto; nascondeva piccolissime parti di verità tra milioni di bugie ed era realmente complicato distinguere il vero dal falso. Ma ora ciò non era più importante, visto che lei era scappata e ormai viveva isolata da tutti i familiari, mentre la sorella abitava in uno sporco covo di nani e il ragazzo era diventato un girovago: lui, Thranduil figlio di Oropher, era rimasto solo in compagnia di un alce gigante. Stravedeva per quei giovani e non riusciva a figurarseli come dei grandi guerrieri che ammazzavano altre persone tutti i giorni per lavoro;  nella sua testa erano ancora le sue piccole pesti che distruggevano i vasi della reggia e tornavano piangenti da lui quando si sbucciavano le ginocchia sul selciato. Però adesso non era il momento di pensare a come aveva sprecato larga parte della propria interminabile vita: oggi bisognava decidere se continuarla.

*

La notte continuava a scorrere leggera e a Frodo stavano iniziando a gelare anche le ossa: non aveva certamente la stessa prestanza fisica di Sam e questo lo faceva patire particolarmente il clima freddo, quindi si continuava a rigirare nelle coperte, nel vano tentativo di prender sonno; dopo un po’ di tempo si mise a sedere e vide una luce calda e invitante che brillava nelle vicinanze. Si alzò e si mise a camminare in direzione del bagliore: trovò un piccolo focolare che continuava a bruciare nonostante la tenebra che l’avvolgeva ed era attorniato dagli hobbit; Pipino si accorse per primo della sua presenza, dato che gli altri due stavano parlando per mormorii. Il viso di Merry si distese in un sorriso che andava da orecchio a orecchio e l’attenzione si spostò sul nuovo arrivato “ Neanche tu riesci a dormire, eh ?” lo schernì il cugino e gli offrì un pezzo di pane di rapa scaldato; insieme chiaccherarono per varie ore, stando a sedere sui ciocchi di legno o sulla nuda terra, mangiando cibo ancora più povero di quanto non ne mangiassero quando erano a casa loro e fumandosi un po’ di Erba Pipa che gli rimaneva dal loro viaggetto a Isengard: parlarono anche di donne, in particolare di Rosie Cotton “ Oh com’è bella !” sospirò il giardiniere e in risposta ricevette una risatina: “ Non quanto Estella Bolgeri, credi a me” gli disse il figlio dei Brandybuck e Peregrino fece uno sguardo sognante; mister Baggins sorrise “ Siete sempre stati e sempre sarete dei bambinoni” mormorò, stando ben attento a non farsi sentire dagli altri amici. Sapeva quanto desse loro fastidio essere considerati immaturi e non voleva essere un peso per coloro che non avevano il carattere plasmato dall’aver portato un grosso fardello: lui era rimasto segnato dall’esperienza e oramai si aggirava in un mondo immutato in sola compagnia dei suoi pensieri profondi e intricati come le radici della quercia di Thorin, il re riuscito a sopravvivere alla battaglia contro gli orchetti e ad Azog il Profanatore, che Bilbo aveva piantato nel giardino di casa sua appena tornato dal suo viaggio; Frodo non era ritornato come prima, anzi a differenza di suo zio, non riusciva più a passare troppo tempo con una persona, detestava essere toccato e soffriva di dolori lancinanti che lo piegavano sempre in due da quando era stato ferito: ora aveva in mente un progetto che avrebbe tenuto segreto fino alla sua realizzazione completa, ma adesso non voleva gravare con incombenza sui suoi compagni. Si congedò e si assicurò che anche gli altri andassero a riposare, prima di rimettersi a rivoltarsi nelle sue lenzuola misere; la sua mente obnubilatasi con l’avvento del sonno iniziò a fare pensieri folli: l’unico sicuro era che doveva tornare indenne dallo scontro del giorno successivo.

***

Il cielo iniziò a rischiarare quando Aralis si legò i capelli: era sveglia da un bel po’ di tempo, intenta a mettersi l’armatura in modo tale da non poter essere colpita in punti vitali con troppa facilità, e ora si chiedeva se anche Aragorn si fosse destato; per rispondere al quesito, iniziò a passeggiare per il campo facendo attenzione a non fare un eccessivo baccano e svegliare tutti. Le ci volle molta della sua buona volontà e del suo intuito per trovare il fratello in pochissimi tentativi: sembrava che loro due fossero in grado di capire se l’altro fosse in pericolo anche a chilometri di distanza, assomigliavano alle facce di una medaglia, una coppia di calamite, lui polo positivo e lei polo… negativo. Anche se il fratello di sangue non era stato presente durante la sua infanzia era comunque riuscito a esercitare su di lei una buona influenza e a darle dei preziosi consigli, come ad esempio quello di non fidarsi delle apparenze oppure di non agire troppo impulsivamente; era sempre stato un punto di riferimento per lei, un eroe da imitare, un caposaldo per l’impero di Gondor, una stella polare in un cielo scuro, una via sicura da percorrere quando tutte le altre l’avrebbero uccisa, un senso di calore quando fuori gelava e, in ultima analisi, perfetto esempio di virtù. Lo trovò intento a fissare l’alba rosata da una sporgenza rocciosa a ovest dell’attendamento, masticando un pezzettino di Lembas che teneva stretto tra le labbra morbide; gli si avvicinò silenziosamente stando a carponi per evitare di svegliare tutto l’accampamento “ Kail seler… bella mattinata per distruggere gli invasori in uno scontro sanguinario, nevvero ?”( Ciao sorella) Uno spavento madornale prese la ragazza facendola quasi capitombolare su un piccolo fazzoletto di muschio umidiccio; l’uomo si scostò e le fece segno di accomodarsi al suo fianco: lei eseguì l’ordine senza emettere un fiato “ Cosa ti porta qui a quest’ora ? Tra a momenti partirà la sveglia e tu dovresti essere alla guida dei soldati…” la sua voce era pacata, nonostante la stesse rimproverando pesantemente “ Volevo vederti un'ultima volta come Aragorn invece che come Sire Elessar” “ Permesso accordato soldato. Perché sei venuta a cercarmi, Aralis ?” adesso la squadrava coi suoi occhi gelidi “ Qualcosa ti turba, Estel, io lo sento nelle ossa” un riso amaro “ Hai una fervida immaginazione, sorellina” “ Tu soffri ma non vuoi darlo a vedere” insistette lei “ NO ! SMETTILA DI PARLARE SE NON SAI NULLA” la ragazza si fece intimorire per qualche secondo, ma vedendo che l’interlocutore stava per abbandonarla lì, tornò in sé e si alzò “ Daro Estel, daro…”( fermati, Estel, fermati) mormorò dispiaciuta; il maggiore riappoggiò il fondoschiena alla pietra compatta, continuando però a dirigere lo sguardo verso l’orizzonte che stava aprendosi davanti a loro: le nubi stavano aprendosi lentamente, lasciando intravedere uno sprazzo di eterno immacolato da stelle e  delicatamente roseo che segnava l’arrivo di un nuovo giorno in cui dare il massimo di ciò che si è per aiutare le generazioni future. La pelle brunita dell’erede di Isildur risplendeva sotto quella luce morbida e soffusa, facendolo sembrare più dolce di quanto non fosse in realtà; le candide dita del comandante gli  accarezzarono una gota e le sue labbra si schiusero in un sorriso esprimente tutta la sua mitezza “ Scusami Efneviel, mi sono lasciato prendere dal nervosismo” ruppe il silenzio, turbato solo da un lamento del vento “ I pugni in faccia che mi dai mi restano nell’anima a fianco a tutti i “ ti voglio bene”*1 e in più io dovrei essere meno saccente” commentò lei “ La tua capacità di mettere a risalto le debolezze di un uomo equivale a mettere a nudo i suoi intenti; era ciò che nostra madre più apprezzava di te” un suo braccio le cinse le spalle “ La tua saggezza e il tuo coraggio erano quello che lei ammirava maggiormente in suo figlio” aggiunse la ragazza: le parole erano divenute melodia persa tra i monti e vennero interrotte dal suono lontano del corno che segnava l’inizio degli spostamenti precedenti la battaglia. “ Vai, ti raggiungo subito”  la incitò la gemma elfica e la giovine balzò in piedi, iniziando a discendere i massi a gran velocità; quando si trovò ai piedi dello sperone roccioso, si fermò un attimo a guardare il fratello, ormai divenuto una figura nera che si stagliava sul fondale luminoso e poi si voltò, correndo a perdifiato lungo il pendio sterile. 

 

La tana della scrittrice 

¡Hola chicos ! ¿Cómo estás ? Spero bene; questo capitolo è molto corto poiché avevo poco tempo per scriverlo visto che sto progettando anche altre fan fiction ( non linciatemi vi supplico: continuate a seguire il racconto che il prossimo capitolo sarà sicuramente migliore di questo. Ve lo giuro su Aragorn XD)  Comunque sia, il primo asterisco si riferisce a un’espressione comune con cui definire un comandante, mentre il secondo è una frase tratta dalla canzone “ Nonono” dei “ Pinguini tattici nucleari”che mi ha messo in testa mia sorella; essendo un capitolo molto tranquillo eviterò di commentarlo. Al prossimo mese con il prossimo capitolo, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

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Capitolo 7
*** Ti ricordi di me, Snaga ? ***


Capitolo 7: Ti ricordi di me, snaga ?

 

L’esercito stava iniziando a muoversi quando la ragazza giunse a destinazione; Legolas era già in testa alle truppe, Gimli lo seguiva a ruota, mentre il Sire elfico stava portando avanti gli altri soldati sul lato orientale della valle: infatti il comandante e suo padre avrebbero attuato la parte più complessa del piano, ovvero salire sulle montagne che circondavano tutto lo spiazzo di terra e attaccare il nemico di sorpresa ferendolo gravemente sulle retrovie, nel frattempo che i restanti capi avrebbero rischiato la pelle colpendolo frontalmente e facendo da diversivo. Aralis aveva ricevuto questo compito perché era stata addestrata sin dalla tenera età a combattere in ambienti ostili, come ad esempio sui ponti di barche, sugli alberi o sulle alte cime rocciose; fin da quando era bambina, aveva amato con tutto il suo cuore i combattimenti con la falce, la spada ( anche se odiava pensare ad Andúril, la daga di suo fratello) oppure gli allenamenti estremi come scalare quasi allo sfinimento e poi forgiare il proprio spirito buttandosi nelle correnti ghiacciate. Il principe elfico invece aveva deciso di seguire il suo migliore amico anche in caso di morte ed era stato irremovibile sulla scelta di combattere faccia a faccia con l'invasore: una scelta stupida e avventata, a detta del suo stesso genitore; il nano gli era rimasto vicino, essendo loro diventati molto uniti dopo il viaggio con la compagnia dell’Anello, e anche lui si era dimostrato impavido nella sua deliberazione di restare a guidare tutti coloro che avrebbero provocato la morte per spada e non per infamia “ Gli eredi di Durin sono uomini e donne d’onore, si assumono l’onere degli ordini che danno e non si macchiano di sangue ottenuto grazie a degli atti così deprecabili e detestabili” aveva dichiarato e sostenuto lui fino alla mattina prima della discesa in campo. Mentre Merry e Pipino avrebbero partecipato attivamente ai combattimenti, Frodo e Sam avrebbero comandato gli ultimi ed, eventualmente, la ritirata; se avessero perso anche questa battaglia non avrebbero più avuto forze militari da mandare in campo e avrebbero solo potuto sperare di riuscire ad organizzare una resistenza in tempo, prima che gli avversari prendessero la capitale dei Gondoriani: il fallimento non era più un’opzione contemplabile. Tutti i soldati si erano smistati nei gruppi a loro assegnati, tentando di fare meno rumore possibile per non “ svegliare il can che dorme”, e adesso erano pronti e operativi; i comandanti stavano apportando le ultimissime modifiche, ma erano pronti anch’essi: Efneviel si diresse un ultima volta da suo fratello maggiore. “ Vedi di non farti ammazzare, mi raccomando” le disse lui, stringendole la mano avvolta nelle bende “ Ci hanno già provato e gli è andata male; questa volta tocca a me prendermi la rivincita” “ Sai che ti aiuteremo ad ogni costo” “ Non dovresti metterti contro di me perché se lo facessi ti inimicheresti la mia famiglia” dice il detto, e so che gli elfi sono particolarmente ligi ai proverbi: abbi riguardo anche di te, Verdefoglia” sentenziò lei e poi si mise in marcia verso le pareti rocciose; odiava gli addii troppo lunghi, le davano rogna: l’ultima volta che ne aveva fatto uno era finita in carneficina. Lei e i suoi commilitoni si avviarono con passo cadenzato in direzione dei monti; in qualche minuto voltarono l’angolo per uscire dal campo e furono nascosti alla vista: il barbuto dovette battere un paio di volte la mano sul fianco del compare, perché questo si svegliasse dal suo stato di torpore, con le pallide labbra strette in una smorfia che esprimeva resilienza e i denti serrati. Benché non fosse la prima volta che la sua sorellina lo mollava lì col cerino in mano, ancora adesso si sentiva tanto amaro in bocca da poterlo masticare; prese il suo arco, la faretra e partì con Gimli alla volta della testa delle truppe. I soldati si mossero tutti uniti come un'ombra grigia dai riflessi argentei, gli scudi e le spade tintinnarono, cozzando le une contro le altre, i corni diedero un ultimo segnale e i cavalli galopparono in direzione dell’enorme spiazzo: la grande fatica ebbe finalmente il suo inizio, in tutta la sua raccapricciante bellezza.

***

Sire Thranduil conduceva il suo destriero per la cavezza, seguito dagli altri combattenti: quei sentierini, che i loro antenati avevano tracciato con le loro orme e col sudore della fronte, erano così stretti che ci si riusciva a passare solamente in fila indiana e i suoi seguaci erano costretti ad avanzare con un’andatura più lenta “ Che fatica ! Avrei preferito sinceramente essere in primissima linea a guardare le palle degli occhi di quegli orchetti, figli di cagna maledetta, piuttosto che stare qua ad annaspare nella fanga che arriva fino al collo !” uno sbuffo lasciò le labbra dell’elfo; gli stava bene il pensiero che era un evento alquanto tremendo andare in guerra, anche se continuare con questi piagnistei rendeva la cosa ancora più estenuante: lui era della sua Razza, con le sue forme sinuose ed aggraziate, che gli consentivano di muoversi agilmente ovunque, anche sulle vette innevate del Caradhras, e di non stancarsi sui pendii, ma anche un semplice Umano avrebbe potuto stare al passo di marcia su quelle strade ( anche perché altro modo di salire sui monti non c’era). Continuavano a camminare in mezzo alle sterpaglie, senza emettere un fiato, mentre esso si condensava in nuvolette di vapore e l’alba diveniva sempre più viola; la mente del regnante era obnubilata dai ricordi:

“ … I corridoi erano stranamente silenziosi quella mattina, fuori c’era la nebbia e lui si sentiva strano: un'inquietante sensazione gli gravava sulle spalle, ma non era certo che fosse importante; oggi avrebbe dovuto passare un po’ di tempo con i suoi figli Legolas, Tauriel ed Aralis. La “ piccolina” era rimasta scossa dopo l’ultimo scontro che avevano avuto con quelle creature di Melkor: era tornata alla magione con le pupille di fuoco, quasi fossero quelle di Sauron, e aveva iniziato a chiedere cose strane a cena, come ad esempio moltissime Lembas o della carne secca del tipo che si usava durante i lunghi viaggi; la sera prima aveva chiesto commiato molto presto e poi non si era più fatta vedere. I passi del Sire risuonarono contro la pavimentazione e poi si fermarono davanti alla porta della ragazza; la aprì lentamente e il panico gli prese il cervello: non era lì ! Corse verso l’uscita più vicina, la terrazza, e un secondo spettacolo terrificante era pronto ad attenderlo: il suo primogenito si stava sporgendo dalla balaustra mentre la ramata urlava il nome della sorellina al vuoto plumbeo che le stava davanti; i loro volti sconvolti erano autoesplicativi ma era sempre bene chiedere per essere sicuri: “ Che accade miei adorati ? Cosa vi turba ?” Le guance rigate dalle lacrime dei giovani si contrassero in un sorriso forzato e la donna riuscì a rispondere: “ Continuava a parlare del Giuramento che disse tempo fa, voleva rispettare la sua promessa e lo ha fatto: se n'è andata…” le loro menti erano accorate e torturate dalla cupa idea che non sarebbe certamente tornata a bussare all'uscio, chiedendo cosa c’era per pranzo: non credevano di rivederla trotterellare sul viale, bensì pensavano che l’avrebbero riportata avvolta in un lenzuolo, spogliata dalle armi e dall’onore che tanto millantava…”

Il suo cuore era quasi scoppiato dalla gioia, quando aveva incrociato il suo sguardo nella sala del trono: era davanti a lui, ancora in piedi, cogli stivali indosso e il suo solito sorrisetto da peste; non si capacitava ancora di come fosse riuscita a sopravvivere per quel lunghissimo periodo che sono dieci anni, ma l’importante era il risultato finale. Una giovane bella, intelligente, dal cipiglio fiero e orgoglioso, come ogni Thranduillion che si rispetti doveva essere; aveva fatto successo dove molti avrebbero fallito e non aveva mai, nemmeno per sbaglio, pronunciato il nome di suo fratello nel tentativo di ottenere qualcosa: anche se ogni tanto mostrava quanto il soprannome che le aveva dato Elrond fosse azzeccato, era una figlia di cui non si può che andar fieri. La sua piccola fogliolina, invece, si era dimostrato molto maturo e intraprendente nell’andare a combattere con la Compagnia dell’Anello, dimostrando il suo eroismo, ma avrebbe potuto evitargli molti principi di malore e rischi di morir di crepacuore semplicemente avvisando; comunque rimaneva il suo bimbetto da accudire, non riusciva a rimproverarlo più di tanto: in realtà, sin da quando la sua sposa Nuniél e madre del pargolo era venuta a mancare, lui era divenuto inerte nei confronti del comportamento del, all’epoca, ragazzino. Adesso gli sembrava di poter finalmente essere libero concedersi qualche piacere che in giovinezza gli era stato strappato da qualche dolore di sorta: avrebbe avuto il suo erede a regnare al suo posto e tutto sarebbe stato quasi perfetto; forse avrebbe avuto anche la possibilità di partire per il Reame beato di Valinor e di lasciare Arda per un’esistenza serena e spensierata. Anche l’aiuto di Tauriel sarebbe stato prezioso; lei era esempio di ogni virtù per il popolo che doveva condurre, anche se aveva un unica pecca: aveva trovato l’amore in un covo di zozzi nani. Lui aveva insistito fino alla nausea per farle cambiare opinione su quegli avidi infami, ma aveva potuto constatare che era testarda come un mulo; sia lui che Thorin si erano barcamenati per mesi ad organizzare un matrimonio che potesse far collimare i gusti di tutti e alla fin fine ce l’avevano fatta: era venuta su una roba un po’ bizzarra, ma sia gli sposi che gli invitati erano risultati abbastanza soddisfatti. Pensare a quelle cose in un momento simile faceva sentire il Sovrano molto stupido, ma aveva ancora circa mezz’ora per fare pensieri da papà preoccupato: dovevano aspettare che anche l’altro gruppo arrivasse ai punti prestabiliti per poi discendere sul pianoro; nel caso non fossero stati perfettamente coordinati il nemico sarebbe potuto scappare dalla risacca e addio possibilità di vittoria per l’esercito dell’impero. Non se lo potevano permettere, se volevano mantenere gli stessi confini ed evitare che nel loro reame entrassero quelle usanze che da sempre ogni essere con una coscienza non corrotta dal male aborriva; adesso dovevano rimanere pronti e concentrati per non perdere di vista l'obiettivo finale: abbattere tutte quelle orde di bestie spregevoli e distruggere la loro civiltà. Nel frattempo che pensava a queste cose, lui e i suoi uomini avevano scorto le vecchie rovine del posto in cui avrebbero atteso l’avanzata: un Acnomba. Un tempo erano delle torrette di vedetta, create sotto l’ordine di Tar-Minastir durante la costruzione della cittadina di Umbar; servivano per controllare Morgoth da punti nascosti dalla vegetazione ed erano fatte appositamente per non poter essere vedute da lontano o essere incendiate: erano state costruite con pietre accatastate e un collante ignifugo sviluppato nelle prime ere, nel Beleriand e la cui ricetta era andata perduta in un incendio appiccato negli anni del regno di Tar-Ciryatan che aveva preso tutta la grande biblioteca delle terre dell’Ovest. Queste torri erano state molto utili per il loro scopo fino a che i confini di Gondor non sono indietreggiati e queste non furono abbandonate; adesso ne rimanevano solamente i ruderi, a cui erano state ridotte dalle intemperie. I presenti si misero comodi sul basamento e i capitani di brigata si arrampicarono sugli alberi per guardare i monti che stavano dirimpetto loro, attraverso un buco tra i rami rinsecchiti: sapevano che quando l’altra compagnia sarebbe giunta avrebbe acceso un fuoco di segnalazione e poi si sarebbe scesi in campo quando i fumi generatisi avrebbero raggiunto la cima della montagna. I minuti scorrevano lenti e inesorabili e nel frattempo che attendevano, i soldati stavano iniziando a confabulare con aria sempre più angosciata sul fatto che le avvisaglie tardavano ad arrivare: era possibile che fosse successo qualcosa ? 

***

Aralis stava per mettersi a imprecare in curdo: il versante roccioso era particolarmente friabile, nonché abbastanza ripido, e coi suoi sottoposti continuavano a scivolare in quel pantano maledetto; non le era stato detto che una frana aveva rivoltato come una calza tutta la boscaglia ed era praticamente impossibile ritrovare i punti di riferimento per arrivare alla costruzione. Erano tutti sudati, stremati e oltremodo demoralizzati dal fatto di non poter avere il controllo della situazione; le loro armature stavano peggiorando certamente le cose: erano veramente pesanti e trascinavano i combattenti verso il basso, limitandone l’abilità di movimento e la velocità. Sembrava che non ci fosse una luce in fondo al tunnel, perché se già prima della battaglia tutto ciò sembrava così tragico pensare a dopo avrebbe solamente fatto abbassare il morale delle truppe fino a farlo arrivare sotto i tacchi; non bisognava comunque mollare, dovevano tenere i denti stretti e arrivare al punto in cui il sentiero non era stato distrutto dallo scivolamento della parete: si inerpicavano sui massi calcarei, col vento che iniziava a soffiare impetuosamente costringendoli a socchiudere gli occhi, tentando di non andare fuori tempo e giungere il prima possibile. Tutt’a un tratto qualcosa distolse il comandante dalla fatica che provava nel fare da guida in un ambiente ostile e terrificante: uno dei suoi compagni la stava richiamando; lei si avvicinò. “ Cosa c’è, Nân ?” chiese asciugandosi il volto sporco col dorso di una mano; l’uomo le fece un sorriso che sembrava ancora più luminoso dal sollievo sulla faccia lurida “ Guardi là, mio superiore” disse, indicando una sporgenza col dito indice: c’era una roccia molto più in quota, sopra il quale si riusciva a scorgere un cammino di terra battuta attorniato da flora rinsecchita: i commilitoni si riebbero improvvisamente e una vita rinnovata si rimise a fluire nelle loro vene. Ricominciarono a salire con nuova lena e riuscirono ad arrivare alla strada; si issarono fino al livello della pista e poi continuarono la marcia con le ali ai piedi: nemmeno il fiato corto poteva infilarsi tra loro e la vittoria. La loro folle corsa si arrestò solo quando videro la loro meta; l’infrastruttura si ergeva davanti a loro e non avevano più tempo da perdere: si affrettarono a raccogliere ed accatastare il legname, mentre alcuni si indaffaravano a tirar fuori le sacche contenenti l’olio di lino, usato per facilitare la combustione. Allestirono il tutto in pochissimi minuti e presero a sfregare dei sassi per far scattare la scintilla: una piccola fiammella fu ciò che fece divampare il fuoco che rese tale il falò. Osservando la montagna di fronte alla propria il messaggio sembrava essere stato recepito a pieno e ciò significava che dovevano muoversi alla svelta: l’avanzata era agli inizi… 

***

Il Re elfico si prese un colpo: le fumare si erano levate dalle marmaglie ingrigite. Lui e i suoi praticamente cascarono giù dagli alberi su cui erano appostati; frettolosamente si misero a cavallo, raccattando le proprie cose e discendendo il dirupo. Thranduil si voltò un’ultima volta a guardare verso la cima; si fermò un attimo e, in un momento di pazzia, un pensiero gli attraversò la mente: chissà se quelle alte vette avrebbero potuto vedere della neve intonsa, pulita dal sangue che la macchiava… 

***

L’aria si stava alzando; gli stendardi sventolavano nel vento alle sue spalle e tutto sembrava immobile. Aragorn prese un respiro profondo e riaprì le palpebre: l’altro campo era ancora dormiente, perfetto, e il silenzio regnava sovrano; non si poteva chiedere di meglio. Tutti schierati, i combattenti aspettavano solamente il suo segnale per attaccare, armati di tutta la loro irruenza e bramosia di vendetta malcelata; chi li biasimava evidentemente era cieco: avevano la necessità di sopravvivere, se non per l’impero per le loro famiglie. Molti di loro erano contadini ed erano stati richiamati nell’esercito solo in via del tutto eccezionale, per caso di forza maggiore, e avevano avuto solamente una leggera infarinatura delle tecniche per uscire vivi da uno scontro di tali proporzioni; era sua responsabilità fare in modo che a pagare le conseguenze della battaglia definitiva fossero pochi tra essi, quelli la cui anima sarebbe stata richiamata nelle aule di Mandos: lui doveva riportarne a casa il più possibile. Alzò lentamente la lama scintillante sopra la testa, anche se questo lo lasciava scoperto: se avesse dovuto morire lo avrebbe fatto in modo molto teatrale. Il Greenleaf incoccò due frecce con l’arco e la corda tesi oltre misura, mentre Gimli osservava il filo della sua ascia e prendeva le misure; tutto era pronto, mancava solo l’unica cosa che andava fatta, volenti o nolenti: attaccare. Un ultimo fiato gli uscì dalle labbra e gli fece capire che il momento propizio era arrivato: tirò su la mano, come a toccare il cielo. Fu qualcosa di più simile al finimondo: i soldati correvano con le spade e le daghe levate, chiudendosi negli scudi e urlando, creando una visione agghiacciante per chiunque avesse la possibilità di assistere; intanto i nemici si erano accorti della loro presenza e stavano raccapezzandosi per contrattaccare. Troppo tardi, pensò il re: in pochi secondi distrussero le prime linee, investendo quelle bestie immonde e trafiggendole con una violenza inaudita; le teste volavano, gli arti venivano trinciati, i gridi riempivano l’aria come fossero dei vapori malefici e il dolore tagliava in due gli animi. La furia si scatenava tra i fiotti di sangue e gli ossi spezzati, meraviglia, nel suo modo di generare il terrore; quegli infami provavano a riaggregarsi ma venivano colpiti da troppe direzioni per poter prestare attenzione ad altro. Sentendo lo scalpitio di un certo numero di equini, molti poterono capirono che un’altra sorpresina era corsa in loro aiuto: dal lato destro dei monti venne giù l’intera compagnia guidata dall’Elfo e sfondò il fianco della massa plumbea, seguito subito dopo dal gruppo del comandante in capo sulla sinistra; gli occhi appallati e le facce una via di mezzo tra l’intontito e l’atterrito erano un’immensa soddisfazione. Come avrebbero detto le persone semplici, li stavano riempiendo di mazzate fino a levargli il respiro ed era una cosa positiva; le voci erano stridenti esprimevano tutto il male che ricevevano e inveivano contro di loro con maledizioni che suonavano, oramai, ridicole: avevano perso ogni tipo di potere. O forse no. Dalle retrovie apparvero delle figure di dimensioni mastodontiche: delle mostruosità orripilanti s’avvicinavano a gran velocità; erano piene di porri e bitorzoli, con la muscolatura prorompente ed innaturale, le dita ornate d’unghioni lerci, la pelle coriacea e coperta da uno stopposo vello scuro come la pece. Gli occhi erano come di bragia, incattiviti e furenti, mentre dalle loro bocche sbucavano delle zanne affilate e un alito fetido; sopra le loro schiene, vi erano delle selle in cuoio su cui stavano dei fantini che portavano il caos: avevano delle lunghe pertiche di metallo di riciclo, con cui percuotevano quelli che provavano a contrastarli e si aprivano dei varchi verso il fronte opposto. Insieme a loro erano arrivate anche delle truppe composte da soldati che sembravano pressoché umani, sia per l’altezza che per la fisionomia; il problema era il loro numero: saranno stati circa un migliaio senza contare anche gli innumerevoli orchetti che si erano mischiati a loro per dare un ausilio e così avevano ottenuto una quantità tale di combattenti che, se anche non fossero stati tutti forti ed abili, avrebbero vinto comunque. L’angoscia prese tutti; il Re Elessar si gettò nella mischia, colpendo qualunque cosa gli capitasse a tiro: doveva generare scompiglio. Intanto Legolas si attaccava al pelo degli animali e accoltellava i guidatori; fermare gli esseri era invece più difficile: per arrestare un Olifante bastava conficcargli un paio di frecce nella nuca, ma questi roiti dovevano essere praticamente fracassati dall’interno con un’arma pesante. In questo gli era venuto in soccorso Gimli: il biondo levava di torno i soldati e il barbuto abbatteva la propria scure su più punti della spina dorsale di quegli obbrobri, così che a questi ultimi cedessero le zampe e cascassero in terra; quando si schiantavano al suolo, spalancavano le fauci ed emettevano dei gemiti strozzati prima di spirare. I, forse, umani venuti da Mordor erano straordinariamente resistenti: se ricevevano delle botte abbastanza potenti da rompergli le ossa, continuavano ad andare avanti, imperterriti, anche se spesso erano costretti a stringersi gli arti per rallentare il dissanguamento; infine, morivano accasciandosi ed ululando delle parole in un dialetto della Lingua Nera. Quello che inquietava gli unici due hobbit sul campo di battaglia era che il sangue di tutti i feriti, meno che degli orchetti e delle bestie di Melkor, fosse esattamente uguale al loro, rosso vermiglio: le altre creature perdevano un liquido acido, corrosivo, nero e ribollente, con un odore ripugnante che faceva venire il voltastomaco ed era ben diverso da quello perso dagli altri provenienti dalla terra maledetta; non si capacitavano di come dei Gondoriani si fossero potuti unire all’Oscuro Signore e farsi uccidere tra le sue schiere. Nel frattempo Aralis era sempre più convinta che ci fosse qualcosa di strano: uno dei nemici invece di darle una bastonata per stordirla, aveva provato ad aggrapparsi al suo mantello e a dirle qualcosa; non gli aveva fatto caso all’inizio e si era difesa da altri esseri che la stavano attaccando, ma poi aveva notato che questo la seguiva e tentava di agevolarla. Pericolosa stranezza che, però, passava in secondo piano al momento; gli eserciti liberi stavano prendendosi una bella batosta: con l'arrivo dei supporti per i nemici, le loro forze schierate avevano provato a ripiegare un poco e poi, vedendo che ciò non era possibile, avevano tentato di proteggere almeno gli organi di comando. Quella manovra stava riuscendo molto bene perché gli altri avevano perso le armi pesanti durante l’ultimo scontro a cui aveva partecipato Gandalf e non avevano modo di far breccia se non con le uniche braccia: almeno qualcosa non andava storto in tutta sta’ situazione, si disse la giovine; ma la baraonda continuava e lei si sarebbe battuta, andando fino in fondo a ciò che aveva iniziato. 

 

Erano lì da circa otto ore; il sole aveva fatto quasi tutto il suo giro completo e adesso stava tramontando, toccando tutta la landa con i suoi raggi rossastri. Era uno spettacolo meraviglioso a confronto dello schifo che vi era in terra; la battaglia stava via via scemando, ma nessuno poteva ancora dire di aver vinto o cosa e soprattutto aveva logorato del tutto gli eserciti: vi erano dei gruppi di soldati che stavano lottando ed erano esausti, il suolo interamente coperto di cadaveri e intriso di sangue in alcuni punti divenuto viscoso, arti senza padrone, teste mozzate di netto, armi spezzate e scudi infranti, gente che provava a nascondersi e moribondi che urlavano dal male prima di cascare tra le braccia della morte. Non c’era modo di molcere il loro dolore se non sperare che questi crepassero in fretta, senza troppe sofferenze, e resistere in loro memoria: Gondor non doveva cadere. Adesso che il casino era diminuito, le tre Morti dell’Ovest cercavano i punti di riferimento per finire una volta per tutte i nemici; Aragorn era sempre più guardingo e quando vide un piccolo manipolo di troll che circondava un punto preciso comprese: bingo, aveva trovato un capoclan e la sua scorta personale. Aveva prontamente richiamato la sorella ed il principe; la ragazza li aveva implorati di poter avere lei l’onore di farlo fuori ed essi avevano acconsentito: era legata da un giuramento e non avrebbe fatto male a nessuno darle questa goduria. La risacca si era aperta e se non volevano che l’essere immondo scappasse dovevano fermarlo e affrontarlo nel piccolo piano sopraelevato dove si trovava; avevano messo su una strategia su due piedi e se avesse funzionato sarebbe stato per la maggior parte frutto di una fortuna sfacciata: tutti e tre avrebbero percorso la distanza che li separava dall’obiettivo, poi Estel sarebbe rimasto in testa alle truppe mentre gli altri due avrebbero neutralizzato l’unico nemico sufficientemente importante per essere preso in considerazione. Legolas e Efneviel si misero a correre nella direzione prestabilita, schivando le frecce e le spade che minacciavano di ferirli gravemente; continuavano a saltare da un punto all’altro, facendo il possibile e il non per evitare di pestare i corpi accasciati al suolo e per non martoriarli: in qualche modo riuscirono ad arrivare in tempo, prima che il sole fosse sceso del tutto, senza che il loro fiato andasse perso del tutto e che i loro muscoli si strappassero. Sopra un piccolo cumulo di rocce calcaree stava un’orrenda creatura umida dalla testa ai piedi, scompigliata, lercia, col viso incrostato, i “ capelli” unti e lo sguardo di chi probabilmente non ha né un’anima né una coscienza; portava un’armatura evidentemente già usata da qualcun altro in precedenza e aveva un’arma a lama lunga: era ignaro di un loro possibile attacco, eccellente. I due giovani si inerpicarono su per il pendio cercando di non farsi scoprire subito; quando giunsero vicini alla cima, la giovine prese delicatamente la falce tra le dita e la fece scivolare fino a che non toccò il bordo di un masso con il manico: un’occhiata d’intesa era il segnale e saltarono sopra il piccolo cordolo. Atterrarono in piedi ed erano già in posizione prima che l’altro avesse il tempo di dire bah: solo la sua faccia instupidita era una gioia al pensiero; comunque il tempo di reazione fu brevissimo e loro dovettero buttarsi di lato per non essere centrati in pieno da un manrovescio. L’elfo prese ad uccidere la scorta con una velocità impressionante e la giovane isolò il nemico; la tensione era palpabile e le braccia di lei tremavano mentre guardava il suo avversario “ Ti ricordi di me, Snaga ?” sussurrò ella “ Tu sei un miraggio !” una voce stridula le giunse ai padiglioni auricolari “ Ti avrebbe fatto comodo fossi due metri sotto terra” lo sconcerto lo prese “ Non è possibile: ti uccisi personalmente quindici anni fa… ma se torni a perseguitarmi ti rispedirò dritta dritta all’inferno !” “ Provaci se ne hai il coraggio…” un affondo andò mancato, l’essere scansò un colpo al costato, una freccia si incastrò nel terreno, uno squarcio le si aprì in una guancia, il falcione si abbattè contro il braccio della creatura, mancato di nuovo, si misero a correre, girare in tondo, cadere, scivolare, rotolare, colpo e contraccolpo. Il respiro di lei le si fece pesante: doveva finirla con questa farsa; suo “ fratello” lo aveva notato e si era avvicinato “ Sorellina, ti farò da spalla: metti un piede sul mio ginocchio e al mio via saltagli addosso, va bene ?” Gli fece un cenno affermativo e gli si affiancò; alzò il piede sinistro e si appoggiò “ Uno, due, tre… adesso !” Il vento le passò tra i capelli mentre il vuoto la sorreggeva, il tempo si era congelato; nella frazione di un secondo cadde addosso allo squallido essere: questo era bloccato, inorridito dal suono del pugnale che guizzava fuori dal fodero e gli si piantava nel petto. Aralis rimase in silenzio qualche attimo e, intanto che gli orchi battevano in ritirata, si mise a ridere sguaiatamente: nella testa le frullava continuamente l’idea di avercela fatta; con le lacrime che le solcavano le gote urlò al cielo “ Sì, io ce l’ho fatta ! Fra poco ti renderò fiera di me, Onoha, e poi ti potrò raggiungere…”. La partita era finita e loro avevano vinto, ora dovevano solo riprendere i feriti. 

 

Tutti si erano messi alla ricerca dei mutilati e l’olezzo del sangue avrebbe potuto stomacare chiunque; gli hobbit erano particolarmente bravi e i regnanti cercavano disperatamente di salvare quanta più gente possibile: dovevano riportarne molti a casa. La ragazza si stava chiedendo che fine avesse fatto quello strano inseguitore che le aveva tirato il manto: aveva guardato ovunque e ormai pensava che se ne fosse andato anche lui insieme ai sopravvissuti, quando sentì dei rantoli provenire da sotto un mucchio di corpi; si avvicinò e iniziò a spostare i morti fino a che non vide qualcosa che si contorceva. Un giovane in armatura si stava dissanguando tra gli spasmi; dopo un primo momento di schifo, lei ne provò compassione: anche se era un nemico non meritava di soffrire così tanto. Si inginocchiò accanto a lui e gli sfilò l’elmo; cacciò un urlo spaventato: tra i capelli neri incrostati di sudore e gli occhi scuri aveva riconosciuto un volto familiare “ Ana...” “ Ryeco, non dire quel nome per favore” Lei prese a slacciargli il pettorale; nel mentre egli continuava a farneticare “ La donna delle divinazioni lo aveva predetto che avresti passato incolume quella notte e anche l’uomo della musica lo diceva sempre…” “ Stai zitto, risparmia le forze: ti cureremo noi” Sul suo petto vide una scritta in alfabeto Nero; non era possibile che lo avesse fatto, ma ormai non aveva più importanza: non era recuperabile. Lui le rivolse un sorriso tristo e le tese una mano tremula “ Fallo” disse; Aralis prese il coltello e glielo ficcò con violenza dritto al cuore: quando lui esalò l’ultimo respiro, la giovane lo abbracciò dondolando e singhiozzando. Il suo amico di infanzia era finalmente libero. 

 

La tana della scrittrice 

みなさん、こんにちは ! お元気ですか ? Allora partiamo spieghiando che le acnombe sono delle cose che ho creato io e che non esistevano nell’opera originale ( così come il luogo dove tutto ciò è ambientato non esiste sulla cartina). Non ci sono altre cose da dire se non che ho adorato scrivere questo capitolo, anche se ho dovuto scrivere in fretta e furia perché ero in ritardo, quindi… mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento. Saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

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Capitolo 8
*** Ti sei soffocata per farmi respirare ***


Capitolo 8: Ti sei soffocata per farmi respirare

 

Erano passate due settimane dalla grande vittoria e Aralis si era rimessa in viaggio con Legolas e il padre per tornare a casa a salutare tutta la comunità elfica che l’attendeva; erano quasi arrivati alla loro meta, circondati dall’inquietante bosco, costellato di bestie malefiche e fetenti effluvi del fiume, che ricordavano alla ragazza l’odore di famiglia. Il principe degli elfi indicò un punto all’orizzonte, esclamando “Bentornata a casa, sorellina !” : vi era una collinetta erbosa che si ergeva, alta, tra gli alberi aranciati, divisi in due dal rivolo oscuro del fiume, che scorreva vorticoso a scernere le due sponde rocciose: sulla sponda più a est vi era un’enorme porta in pietra che si apriva su quello che il comandante sapeva essere in mondo a sé, che aveva come unico collegamento con il resto delle terre un piccolo ponticello di e corda, robusta certo ma mai quanto la roccia, come ripeteva sempre Aragorn, e lei era totalmente d’accordo. Con i cavalli continuavano a galoppare tra le grandi file di alberi che si stagliavano sotto il cielo al tramonto e l’aria scompigliava i capelli lunghi dei tre fantini, oramai giunti alla loro destinazione tanto agognata; l’alce gigante del Sire elfico era in testa al gruppo con il suo fare elegante e aggraziato, che la rendeva perfetta per il proprio cavaliere, con il manto castano-brunito che sfoggiava la migliore delle lustrate per l’occasione. Seguiva, con baldanzoso andamento, la cavalcatura del principe, un perfetto piebald strigliato e bruscato e infine il morello della giovine, che non veniva pulito da un paio d’anni cioè da quando lei lo aveva barattato con una tunichetta elfica regalatale da un suddito tempo prima; furono nel colonnato del portone in solo un’ora e poi rallentarono il passo per non rompere la quiete del regno. Il Re prese un enorme mazzo di chiavi luccicanti realizzate in mithril e provò a infilarne una nella grande toppa; dovette armaggiarvi per vario tempo prima di riuscire ad aprire, ma poi un forte odore di legno misto a quello del mosto li investì. L’Umana buttò lo sguardo oltre la spalla del genitore e un sorriso le tagliò a metà il volto: il corridoio era in penombra, illuminato dai raggi del sole che filtrava dalle altissime vetrate verdi, il pavimento di mattonelle in pietra, le soglie in legno delle porte, i dipinti appesi alle pareti e quei portalumi che reggevano le candele spente; si incamminarono lentamente nella reggia anche se la donna continuava a sentire che c’era qualcosa che non andava. Il silenzio, la mancanza delle guardie, delle vedette, il buio che avvolgeva ogni cosa e l’assenza della popolazione rendeva tutto più strano, facendo stringere le dita diafane di lei sul calcio del pugnale; proseguirono fino al passaggio che conduceva sul giardino interno e lì si fermarono: la castana appoggiò l’orecchio contro la porta lignea e attese un suono dall’altra parte. Sentì dei sussurri e comprese; il genitore le diede una carezza e girò la maniglia: la luce illuminava l’immenso prato e la quercia millenaria che stava al centro dello spiazzo, l’acqua delle fontane zampillava limpida, gli uccelli cinguettavano, la quiete era sovrana e cosa stupefacente una massa di elfi eleganti li guardava battendo le mani, in ovazione. Non aveva mai ricevuto una sorpresa così bella prima di allora: aveva sempre vissuto una vita solitaria e non pensava che a qualcuno dei Primogeniti sarebbe importato particolarmente se lei fosse scappata e non fosse più tornata indietro, ma evidentemente si sbagliava; le lacrime le solcavano le guance e si mise a correre incontro alla folla. I cugini Elrohir ed Elladan la stavano aspettando a braccia aperte e la presero al volo; loro padre Elrond sorrideva con un’espressione beata che non si sarebbe scordata mai e la guardava come fosse ancora la sua piccola bimba adorata: non la vedeva da almeno dieci anni e il suo cuore straboccante di felicità si rifletteva nei suoi occhi. Tra i compaesani festosi la ragazza riuscì a scorgere una figura vestita in modo funereo: era alta, con le mani candide, avvolta in un lungo manto nero, dal cappuccio sbucavano delle lunghissime ciocche dorate, mosse e s’accompagnava a un uomo alto e canuto, che somigliava al Sire di Lothlorien. Attratta come una calamita da quell’Elfo così tristo, si avvicinò con calma: “ Chi siete, nobile dama ?” “ Lei sollevò il capo, mostrando gli occhi celesti, i lineamenti perfetti, proporzionati e puliti, la bellezza senza pari e il meraviglioso volto, a lei conosciuto: “ Mi conosci Efneviel, colei che viene dal mare”  Dama Galadriel era terribilmente tetra: normalmente era sempre stata esempio di grazia e gaudio ma ora sembrava che le avessero tolto tutta la voglia di vivere: “ Cosa affligge vossignoria ?” la sua interlocutrice contrasse i muscoli delle sopracciglia e il consorte rispose al suo posto“ Il nostro primogenito, Haldir, fu ucciso da ignobile creatura qualche mese fa, durante la battaglia del fosso di Helm; siamo ancora accorati della perdita” “ Condoglianze; se desiderate posso fare io il panegirico al defunto…” l’Uomo della Musica le aveva insegnato a dire così quando abitava ancora al villaggio: ogni anno, quando tornava a trovarli, soleva dire questo alle famiglie che avevano avuto dei morti durante la sua assenza ed essendo un grande cantore e poeta tutti acconsentivano; i signori elfici la guardarono sorridendo cordiali, e si ritrassero con la loro solita leggerezza: “ Ringraziamo, ma non occorre: il discorso è già stato fatto tempo addietro” Prima di sparire tra la marmaglia di gente, la bionda guardò i due tatuaggi che la giovine portava sui polsi, li sfiorò e li strinse per poi essere trascinata via da altre elfe più “ anziane”; era una bellissima sensazione quella di essere avvolti dal un ammasso di emozioni, forme, colori, odori e ricordi che ti trasportano a tempi lontani, dove il dolore era ancora debole dentro di te e non ti spezzava spina dorsale. 

Legolas e il padre stavano discutendo amabilmente con dei nobili sulle battaglie che avevano fatto e, mentre Aralis cercava di prendere un attimo di pausa, i gemelli la presero per le braccia e la trascinarono in un luogo più appartato; ella tentò di divincolarsi, ma poi optò per tirare un poderoso schiaffo all’uno e all’altro “ Si può sapere cosa vi prende ? Non è rispettoso portarmi via in quel modo…” i due l’avevano schiacciata contro un muro; “ Dobbiamo parlarti” “ Bastava chiedere” rispose, piccata “ Non dovrai mai menzionare questa conversazione con nostro padre, chiaro ?” Elladan era tremendamente serio, anche mentre si massaggiava spasmodicamente la guancia; lei tirò un sospiro: “ Di che si tratta ? Qualcosa su vostra sorella ? Su vostro cognato ?” Questi scossero il capo: “ Mentre eri via ci siamo ritrovati a frugare tra i fogli di papà e abbiamo trovato delle lettere di uno degli uomini che lo ha cresciuto…” le misero in mano un foglio ingiallito e spiegazzato: le lettere stavano scomparendo e l’inchiostro si era stinto; non era quasi più leggibile, ma un disegno era ancora visibile. Era un elfo bello, moro e accompagnato da un altro fulvo e da due bambini perfettamente identici “… e improvvisamente ci sono venuti in mente i discorsi con cui ci assillavi, quelli sull’Essere Melodioso; vorremmo che tu ce ne parlassi un’altra volta” concluse, funesto. Lei chiuse le palpebre, strinse gli occhi e si premette gli indici e i medi sulle tempie per concentrarsi meglio; vedendo le sue difficoltà, Elrohir le mise una mano intorno alle spalle “ Cugina forza ! Prova a descriverlo in ogni particolare” le ci volle molto impegno a riportare alla mente tutto e, in uno stato di apparente trance, si mise a declamare con innaturale lentezza: “ Era alto, portava i capelli neri lunghi fino alle caviglie, aveva una cicatrice che andava dalla clavicola alla cintola, aveva i tratti femminei e la voce dolce; era gentile, in modo particolare coi bambini, veniva da noi per un mese all’anno, combatteva con strabiliante destrezza e possedeva delle conoscenze miracolose in ogni campo, mai viste da noi comuni mortali. Il suo nome era sconosciuto anche agli anziani e noi giocavamo ad indovinare quale fosse, ma lui continuava a prenderci bonariamente in giro e a dirci che le nostre proposte erano sbagliate: solo uno tra noi fece giusto e da allora non vidi più il nostro Maestro…” I due compari sembravano soddisfatti e si misero ad elogiarla per lo sforzo compiuto, ma lei non lo era ancora: si rimise a pensare fino a che non sentì il battito cardiaco rimbombarle dentro il cranio; arrivò ad essere praticamente sfinita e sconsolata, ma ancora nulla, fino a che… “ Eureka ! Ora rammento: aveva i palmi bruciati e parlava con i morti !” Ai corvini cadde la mascella; non reagirono subito, ma poi l’abbracciarono e presero a scuoterla, pieni di gioia: “ Sei un dannatissimo genio ! Sei una benedizione mandata dai Valar !” continuarono a fare mossette insensate per festeggiare la scoperta e lei scoppiò a ridere come una pazza: erano sempre stati matti come dei cavalli. Quando si furono placati, tutti insieme ritornarono nel cortile; mangiarono lembas e altri gustosissimi cibi elfici, discorrendo di avventure, ricordi, esperienze e culture incontrate durante i loro viaggi: l’atmosfera era meravigliosamente rilassata e pacifica; una leggerissima brezza mitigava il clima e rendeva ancora più piacevole il fatto d’essere all’aria aperta in compagnia di amici di vecchia data. Tra le voci morbide che facevano da sottofondo, una piccola goccia di serenità penetrò lentamente nel cuore della giovine, sterilizzato dall’arsura di una vita costellata di ingiustizie e di sfortune… 

 

I pomeriggi della sua intera esistenza non erano mai stati così brevi; e tutti le continuavano a dire che il bello doveva ancora arrivare: lei non credeva potesse esserci qualcosa di meglio di tutto ciò, ma poi dovette ricredersi. Il sole stava calando e le lucciole iniziavano a danzare tra gli ospiti quando una delle servitrici giunse, correndo all’impazzata, per comunicare loro l’arrivo di un importantissimo personaggio; dopo questa notizia così improvvisa, la ragazza entrò in uno stato di trepidante attesa alimentato da un piccolo presentimento che man mano si fece strada nel suo cervello: si fidava del suo sesto senso più di qualunque altra cosa e infatti, quando vide i piedi dell’avvenente sconosciuto, si mise a gongolare. Sollevò il capo e la gioia le prese tutto il volto; lunghi riccioli rossi, incarnato perfettamente omogeneo e chiaro, iridi verdi, orecchie appuntite, profumo fresco e primaverile, arti lunghi, pulizia impeccabile, mise da caccia e manto da cavalcata: Tauriel, la prima figlia adottiva del Re e la sua sorellona, era venuta a casa solo per vederla. “ Dimmi come hai fatto” le disse sorridendo l’Elfa; gli altri invitati si scostarono, facendo spazio alle due donne, e la minore si avvicinò “ Credevi veramente che mi avessero ammazzato ?” in risposta una risata gentile: “ All’inizio non ci potevo credere ma poi il dubbio ha iniziato ad attanagliarmi le viscere; devi essere stata davvero un fenomeno per nasconderti per dieci anni filati ! Mi hai fatto pensare che fossi fatta d'aria tanto sei brava a sparire…” la ragazza arrivò a un palmo dal naso dell’amica e le rivolse uno sguardo eloquente: “ Sono fatta d’aria, neh ? Ebbene uno spirito potrebbe fare questo ?” Le strinse la vita con un abbraccio e la sollevò da terra, con la facilità con cui una persona normale beve un bicchiere d’acqua; la maggiore si mise a prenderla in giro e prese a tentare di strattonarsi dalla presa stritolante: tra le battute deficienti e i parenti che le osservavano contenti, la giovine la mollò e la lasciò respirare. “ Come vedi sono viva e vegeta, tornata a casa anche se leggermente rovinata…” disse, indicando le cicatrici sulle braccia “ … ma ho una piccola domandina per te, sorella adorata: perché non eri a casa ?” Quella si fece muta come una tomba e l’espressione grave per un momento, ma subito tentò di reprimere i timori e la guidò verso un angolo del cortile vicino all’entrata principale; non era sicurissima di cosa l’attendesse, ma la piccola si affidò alla ramata e si lasciò che la portasse dove voleva: strinse l’ancora che portava come pendaglio, per proteggersi dall’avvenire. Quando arrivarono la assalì un misto di stupore e sgomento: un gruppo di nani sozzi e spelacchiati la guardavano con interesse “ Ahhhh, ho capito: sei diventata un’ambasciatrice e questa è la delegazione della razza Nanica !” I suoi interlocutori si piegarono in due dalle risate e un personaggio austero si fece avanti, staccandosi dal resto del gruppo: “ Io sono Thorin ScudodiQuercia, Re di Erebor, Colui che uccise Azog il Profanatore, il Non-morto e uno degli ultimi tre Figli di Durin ancora in vita” l’Umana si inchinò con deferenza e fece tutti i convenevoli con quasi eccessivo ossequio. Un’altra coppia di vivacissimi nani le si avvicinò in modo alquanto sgraziato: erano entrambi estremamente belli nonché interessanti e sembravano istruiti ed intelligenti, pur rimanendo esponenti di una popolazione a lei non particolarmente gradita; le fecero una profonda riverenza e si presentarono con entusiasmo: “ Noi siamo i Principi Fili e Kili, prole di Dis e legittimi Eredi al trono di Erebor; al vostro servizio, madamigella” l’altra rispose con estrema cortesia: “ Aralis, detta Efneviel, comandante generale delle truppe di Gondor, al vostro” il minore sorrise con una vitalità non indifferente: “ Un grande giubilo mi prende nel sentire il suo nome pronunciato dal sul possessore; mia moglie mi ha parlato di lei come di una donna straordinaria e di un’eccezionale parente: averla come cognata sarà uno spasso !” e detto ciò, poggiò una mano sul ventre della fulva. Notando con orrore crescente la fede al dito dei due, la castana di irrigidì come una tavola di legno e provò a contenersi: quelle effusioni le davano il voltastomaco e sembravano orripilare anche il Signore della Montagna; optò per una sempreverde grazia stupita “ Che lieta novella ! Felicitazioni e tanti figli maschi ! Che contentezza che mia sorella di sia maritata in così precoce età; e il nostro genitore cosa ha commentato di questa faccenda ?” L’Elfa assunse quella faccia di chi ha capito tutto sin dal principio: “ Ha benedetto l’unione quasi tre anni fa, qualche mese prima della cerimonia” rispose mantenendo la sua naturale compostezza. Poi si dispersero, andando a chiacchierare con gli altri ospiti e la bruna li seguì; per tutto il resto della festa tentò di essere educata, gradevole, addirittura simpatica alla maggior parte dei membri della combriccola in visita: non poteva inimicarseli tutti se no avrebbe avuto dei problemi seri sia nell’immediato che in futuro.

 

A notte fonda nel palazzo erano rimasti solo i padroni e la congregazione mentre il silenzio regnava sovrano; in quell’inturbabile quiete, la giovane rimuginava sul giorno trascorso, passeggiando su e giù per la sua stanza: non aveva niente da fare e finalmente poteva rilassarsi senza la fastidiosa presenza di suo cognato e degli altri parenti di questo. Era già pronta per infilarsi tra le lenzuola e mettersi a dormire quando qualcuno venne a bussare alla sua porta; mannaggia a lei che andava ad aprire: si ritrovò davanti un servo che fu così solerte nel dirle che doveva andare nella stanza della sorella che non le rimase di mettersi a correre verso l’altra camera: non capiva perché la chiamasse con così tanta sollecitudine ad ora tarda. Quando giunse, si fermò sulla soglia: Tauriel era seduta sul suo letto e guardava un punto fisso davanti a lei; il consorte non era presente. “ Hai recitato molto bene oggi pomeriggio, ma sai che con me la tua pantomima non regge” nella sua voce si sentiva un fortissimo e malcelato disappunto: “ Sapevo mi avresti scoperto” ammise l’altra “ È la tua indole a fregarti: non riesci a non assumere un’espressione di immenso odio quando vedi qualcosa che ti infastidisce” si era alzata “ Cosa mi rimproveri, sorellina ?” chiese con astio “ Di aver sposato un disastro simile, un idiota, un… nano” le rispose quella con crescente livore: “ Ti faccio notare che “ quell’idiota”, come lo chiami tu, fu mio promesso sposo per trent’anni prima che tu arrivassi in questa casa e dopo vario tempo che tutti ti consideravano morta e lo stretto periodo di lutto era finito ho coronato il sogno di una vita: sposare la persona che amavo. Non capisco perché tu voglia impedirmi di essere felice…”. Intanto che la sua interlocutrice iniziava a praticamente declamare tutte le motivazioni che trovava, qualcuno si avvicinò all’asse lignea: Legolas si era accovacciato vicino alla porta semiaperta quando suo cognato e il fratello si avvicinarono “ Che cosa stai facendo ?” domandarono quando lo videro; gli fece segno di tacere e di venire ad osservare la scena. Rimasero lì fermi per un bel pezzo prima di poter parlare: “ Deve amarti davvero se riesce a fare questo per te…” mormorò l’Elfo “ Perché ?” chiese l’interpellato: “ Lei ha sempre protetto quella bambina quasi fosse sua figlia e vederla litigare con la sua protetta significa che sta facendo un grandissimo sacrificio solo per te…” 

I tre esaminarono le donne che si urlavano addosso ( tutto per colpa di quella sfortunata unione) ancora per vario tempo quando la situazione subì improvvisamente un tracollo: la rossa di cranio aveva abbassato la testa, remissiva, e le parole faticavano ad uscirle di bocca: “ Com’è possibile… io ho provato ad educarti, a darti una nuova identità, ma evidentemente ho fallito” l’altra rise “ Sì, è vero ! Ti sei rotta la schiena per farmi sentire viva, hai perso la testa in preghiere senza fine e ti sei soffocata per farmi respirare, ma per la gente come me la redenzione non arriverà mai qualunque cosa tu faccia; tutto ciò che hai fatto è stato inutile !” In quel momento qualcosa in Tauriel si ruppe: alzò lo sguardo, furibonda, e levò un braccio; la sua mano si abbatté sul viso dell’altra con una potenza devastante. La minore fu presa alla sprovvista e, non essendosi difesa, il suo corpo volò verso la parete, schiantandosi con un tonfo assordante; fortunatamente era riuscita a girarsi su un fianco prima dell’impatto, salvandosi il capo, e adesso era inginocchiata sul pavimento: gli spettatori più bassi cercarono di reagire e aiutarla, ma il terzo li tenne fermi “ Non dobbiamo intervenire: non andranno oltre, almeno spero…” mormorò. La castana si rimise in piedi, irata, e provò a reagire lanciandosi addosso alla sua aggreditrice; quando era con le unghie a pochi centimetri dalle sue spalle, questa si girò di scatto e l’afferrò con una mano per il polso e con l’altra per i capelli: la sollevò da terra e, mentre questa stringeva i denti perché troppo orgogliosa per mostrare il dolore, le strillò a un palmo dal naso: “ Tu sei una ragazza molto buona, ma alquanto testarda: so di per certo che se io stessi morendo sulle mie stesse ginocchia, tu sola sapresti rassicurarmi: e sicuramente se tu stessi affogando io mi strapperei i polmoni pur di donarti dell’aria ! Tu questo lo sai, ma pur di farmi saltare la mosca al naso decidi di fare la piccola ribelle e mettere in discussione le mie scelte solo perché il mio prescelto è di una razza diversa rispetto alla tua o alla mia: quindi se non la pianti di comportarti come una perfetta deficiente sai quanto mi possa adirare ! Infine, ti chiedo, prego, imploro e impreco di usare quello che hai dentro quella capoccia dura che ti ritrovi !” Il suo tono fortemente minaccioso e il fatto di essere appesa per la chioma a mezzo metro d’altezza, facevano paura ad Efneviel e, vedendo che non era minimamente intenzionata a lasciarla andare, provò a dondolare e a divincolarsi, ma con scarsi risultati; con la gote che bruciava per il ceffone, si mise a chiedere la cortesia, ma quando vide una mossa troppo veloce della sorella reagì d’istinto: si raggomitolò e le sferrò un calcio sotto il mento. Immediatamente venne lasciata cadere e nel frattempo che la ramata si reggeva la mascella in preda al dolore, chiese velocissimamente commiato e corse via. Quelli che avevano assistito sconcertati si divisero: Kili andò a confortare la sua sposa, Legolas si mise di buona lena a cercare la giovane e Fili rimase nel corridoio; quello che riuscì a sussurrare fu quello che tutti pensavano ma non osavano dire:

… “ Non so se è perché gli Elfi e i Nani hanno culture diverse, ma se questi trattano così i fratelli non oso immaginare come trattino i nemici”...

 

La tana della scrittrice 

Halo kila mtu! Habari yako ? Auguro una buona Pasqua a voi e alle vostre famiglie; come potete notare oggi vi ho proposto un capitolo più leggero ( tralasciando la rissa che, come metodica, è accaduta realmente tempo fa tra me e mia sorella 😅) e che spero possa farvi rilassare almeno un pochino fino al prossimo mese: non credo ci sia molto da spiegare, quindi…mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento; saluti e baci hobbit 
Sempre vostro

Merry

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Capitolo 9
*** A me la punizione, a te la benedizione ***


Capitolo 9: A me la punizione, a te la benedizione

 

Il principe elfico si aggirava sempre più ansioso per i corridoi della reggia: quella situazione gli dava il tormento manco fosse una zecca attaccata ad una coscia; era notte fonda e non poteva certamente svegliare tutta la magione per questo disdicevole atto, quindi decise di andare alla cerca da solo. Corse verso uno dei cortili dell’ala est, guidato da un cieco presentimento, e senza nemmeno che il fiato gli si facesse grosso percorse tutta la casa a spron battuto; sorpassò un’infinità di varchi e di sale, di guardie e di inservienti ancora intenti a pulire fino a che non giunse al muro di Makar ( una parete di mithril e quello che si pensava, ma non si era mai accertato, fosse tilkal): prese una chiave metallica appesa a una catenella e la girò velocemente nella toppa. Si aprì su uno spazio buio e tetro, illuminato solo dalla luce delle stelle e chiuse l’entrata inserendo il paletto; camminò con estrema lentezza sulle mattonelle in pietra bianca e nera, reggendo una candela in mano: come tutta la sua stirpe non aveva paura di nulla ma i quadri appesi gli incutevano un certo timore. Arrivato alla porta che dava sull’esterno, sul giardino più vicino al perimetro di una muraglia affacciata sul lato malato del Bosco, vi appoggiò l’orecchio e non udendo nulla, la spinse con estrema delicatezza: un cigolio sinistro ruppe il silenzio e le suole delle sue scarpe entrarono in contatto con l’erba umida. Iniziò ad aggirarsi guardingo, provando a tenersi le spalle coperte e a scrutare in quella tenebra lumeggiata solo dalle stelle; quando era intimorita da qualcosa, la sorella diventava come un animale braccato: potenzialmente pericoloso. Non vi era manco un suono, ma l’Elfo sapeva benissimo dove andare a cercare, senza essere costretto ad aspettare che la giovane si tradisse: si avvicinò con tutta calma a un enorme albero morto situato in mezzo allo spiazzo, l’unico vegetale che anche se non era resistita agli influssi malefici di Sauron era riuscita a preservare la propria stabilità. Accarezzò quel tronco ingrigito e nodoso, da cui partivano quei rami contorti così macabri, inquietanti e tristi, soprattutto per chi si rammentava ancora quando la vita fluiva in quell’essere: era un’amarezza il ricordo di quell’accanimento irreprensibile che i Silvani avevano manifestato per tenere in vita la pianta, quasi pari a quello dei Gondoriani nei confronti dell’Albero Bianco, ma era stato tutto inutile; gli abitanti avevano assistito al lento declino dell’essere, inerti, mentre il Male anneriva la sua corteccia e lo dissacrava, rubandogli la linfa vitale. Con le sue dita delicate toccò un solco vicino alle radici e riconobbe immediatamente un’orma freschissima: evidentemente nel frattempo che lui la stava seguendo, la giovine era salita in simultanea su per il fusto; iniziò ad arrampicarsi, con un po’ di precauzioni nel tentativo di non atterrire il suo obiettivo più del dovuto. Mentre passava tra i rami avvizziti vide la castana seduta con il volto rivolto verso il muro di cinta; le strinse le spalle, provando ad abbracciarla per confortarla ( o neutralizzarla, a scelta): lei si spaventò per l'improvvisa comparsa del maggiore e di istinto balzò all’indietro, rischiando di cadere di sotto. Fortunatamente lo schianto non avvenne perché il biondo l’aveva afferrata in modo tale che non potesse accaderle nulla, ed ella dopo un primo momento di timorosa riverenza gli fece posto a fianco a sé: “ Perché ?” provò a essere gentile vedendo quegli occhi atterriti e quelle guance bagnate di lacrime; mantenne comunque una punta di gelido distacco anche quando lei lo fissò in cerca di compassione: “ L’ho vista muoversi troppo in fretta e ho preso paura… non era assolutamente mia intenzione arrecarle dolore” rispose la minore con immenso rammarico. L’Immortale le fu molto grato di essere stata così ermetica, anche perché non era suo solito tediarlo esponendogli lunghi sproloqui sui suoi stati d’animo, e fu ancora più lieto di vederla predisposta all’accondiscendenza quando si mise a farle notare le conseguenze del suo folle gesto: come fratello più grande era suo dovere metterla in guardia. “ La tua azione non resterà impunita, lo sai vero ?” “ Com’è giusto che sia…” un velo di amarezza “ Fortunatamente nostro padre potrà darti la sua clemenza e la sentenza sarà diminuita” “ Non voglio essere sgravata dalle mie colpe: pretendo d’esser punita secondo le usanze del mio popolo d’origine” aveva uno sguardo fiero, segno distintivo di tutti i Dunedain, anche quando aveva deciso per il castigo peggiore; oltre il danno avrebbe avuto anche l’umiliazione pubblica, ma sapeva che era una condanna corretta per il danno apportato.

Comunque, avrebbero dovuto aspettare ancora molte ore prima della grande pena ed entrambi erano troppo tormentati per rimettersi nei propri giacigli, quindi optarono per restare lì a chiacchierare fino a che non sarebbe giunto il fatidico momento; dopo aver atteso il tempo necessario per essere sicuri di essere soli, alla donna si ruppe la corazza di serietà e rivelò il suo carattere leggermente ridanciano, con delle risate sguaiatissime: naturalmente anche l’altro venne contagiato da questo attacco di stupidera e si ritrovarono a discutere di argomenti senza senso in men che non si dica. Era disturbante come avessero celermente cambiato stato emotivo, ma forse erano abbastanza distratti per non accorgersene: “ Un giorno vorrei giocare nuovamente a nascondino con Elrohir e Elladan, tanto per divertirmi: voglio vedere se sono ancora imbranati come quando ero piccola” il Greenleaf sorrise: “ Dopo la punizione potremmo andare tutti insieme a prendere qualche seguace di Melkor: negli ultimi tempi gli orchetti sembrano essersi duplicati” Efneviel fece una smorfia rattristata: “ Io partirò verso le Terre Selvagge prima del mezzogiorno” il biondo rimase esterrefatto: “ Ma sei appena arrivata !” lei tentò di tranquillizzarlo accompagnando il suo discorso con un gesto lento e ampio: “ Sono un comandante, devo stare attenta ai miei doveri: mio fratello conta su di me per la difesa del suo impero. E poi tra l’altro, molti degli uomini delle mie truppe sono ancora laggiù ad attendermi” “ Ah, comprendo… Ma non capisco come tu possa correre incontro alla morte con la stessa gioia di uno scellerato” “ Come mi hanno sempre insegnato il mio fato è già stato scritto da Iluvatar nella notte dei tempi e cantato dagli Ainur; se la Nera Sorte mi aspetta voglio vivere una vita che verrà ricordata da tutti nei canti: userò bene il tempo che mi rimane. E poi è meglio andare incontro alla bella Morte invece di aspettarla come un babbione” Quelle parole facevano terribilmente male e rimarcavano quanto fosse effimera e manipolabile la vita degli Uomini: qualunque cosa avrebbe potuto fargli del male e molti di loro venivano colpiti dalle febbri di potere infuse da Melkor nelle loro deboli menti. In quel momento Legolas si sentì solo e abbandonato come quando era venuta a mancare sua madre e desiderò con tutto sé stesso di poter frenare la veloce corsa di Anar; effettivamente congelando il tempo avrebbe potuto evitare tanti di quei problemi, ma nemmeno i Valar avevano questa possibilità: non gli rimase che arrendersi alla realtà e smettere di provare a dissuadere la sorella dalle sue convinzioni.

 

L’ora funesta giunse in fretta ed entrambi i ragazzi si ritrovarono seduti a fissare l’aurora che illuminava il vespro; la castana era pallida, col volto scavato dall’attesa, gli occhi appallati, il fare trasandato, le unghie piantate nella carne delle cosce e l’espressione di chi sa che la sua fine è ormai vicina. Con i muscoli tesi e guizzanti sotto pelle lei si apprestò a discendere la pianta; con il suo fare scattante appesantito dalla responsabilità sul suo destino, fece per dirigersi lentamente verso la corte che l’avrebbe giudicata: con un’enorme peso sullo stomaco era comunque preparata a ciò che sarebbe successo. Stava andando ma prima però il Principe le tese una mano: “ Come ultima volta in confidenza, in tenerezza, io ti saluto ma seler; la mia porta è sempre aperta, vai e vieni quando vuoi sapendo con certezza che io sarò sempre qui ad attenderti e non azzardarti a sparire di nuovo: saremo lieti di accoglierti, anche Tauriel, e non farti problemi a chiedere qualcosa se ti serve. Vedi di non farti ammazzare, servi il tuo impero con tutta la tua destrezza e la tua sagacia e non portare disonore sulla nostra casata; porti alto l’onore, signor generale” Lei rimase immobile a fissare quelle dita candide e, dopo un attimo d’esitazione, le strinse vigorosamente: “ Non mancherò mio Signore” un ultimo incrocio di sguardi ed entrambi ne lèssero il desiderio ardente di vivere insieme per sempre: un volere impossibile da realizzare. Con un sospiro si lasciarono e lei abbassò il capo, come da tradizione per chi deve essere punito, e indugiò nel proseguire, aspettando che lui la prendesse per la spalla e la conducesse verso il patibolo; si incamminarono lentamente e quando giunsero al portone lo sentirono chiudersi con fragore dietro di loro. Tra le flebili luci dell’alba che filtravano dalle altissime finestre, loro proseguivano in ossequioso silenzio; dovettero girare per vario tempo fino al cortile del Tribunale: era un’enorme piazzola, pavimentata di mattonelle marroni in pietra, delle mastodontiche tribune di legno, un gigantesco tavolo, una compatta lastra di ardesia al centro del cortile e una campana che serviva a convocare i giurati; il Primogenito si appese alla fune della martinella e si mise a suonare come un dannato. La gente impaurita iniziò a sporgersi dai balconi per vedere: “ Che succede ?” si misero a gridargli: “ Riunite la Corte dei Saggi ! Alla svelta !” rispose lui, concitato; una curiosa fu sopraffatta dall’istinto e, prima di sparire, questionò: “ Che disgrazia accade, Sire ?” Il Thranduillion non fece in tempo a dirle di andarsene che la sorella le diede una motivazione sufficiente a farla stare muta: “ La Principessa deve essere processata”. Sire Elrond aveva assistito a questo scambio di battute ed era accorso più in fretta che aveva potuto; comparve sulla soglia insieme ai suoi figli e segnato dall’ansia gli si precipitò incontro: “ Che intendete fare, o voi folli ?” chiese, col dito puntato in loro direzione: non ottenne un gran che di reazione. “ Mi è stata insegnata la giustizia: ho recato un danno e ora pago” Aralis continuava a essere ostinata intanto che si inginocchiava sul piano nero; il Mezzelfo si battè una mano in fronte, in preda allo sconforto: “ La via della pace è la più perigliosa per voi, vero ? Visto che hai il cranio duro come un muro abbi la decenza di non far vedere questo pietoso spettacolo a tua sorella, povera crista…” senza aspettare una loro replica se ne andò, lasciando la sua prole alle prese con questa ingestibile bega. Nel frattempo sempre più persone si stavano affollando per vedere l’emanazione del giudizio; tra il trambusto generale arrivarono i giudici, perfetti e impeccabili nella loro grazia, che si sedettero con l’emblematico silenzio dei Primogeniti attendendo l’arrivo del Re: dopo si sarebbe cominciato in modo tempestivo.

 

Attesero per quasi mezz’ora, il tempo necessario perché il sovrano arrivasse dall’altra ala del palazzo e poi finalmente lo videro giungere in tutta la sua momentanea e strascicata afflizione; mentre camminava lento, con gli occhi finalmente liberi dalla tracotanza e la schiena curva dalla stanchezza, la sua protetta riuscì a scorgere il suo viso tirato: sembrava una maschera di granito piena di crepe. Si accomodò maestosamente: “ Spiegatemi, di grazia, che cos’è successo” le rivolse un cenno infastidito per darle la parola: “ Padre, feci un grave torto a mia sorella e ora chiedo di essere punita secondo il terzo articolo delle Leggi di Elros: il vostro consiglio deve decidere come somministrare la medicina” lei non osava alzare la testa per evitare di incontrare lo sguardo di ghiaccio del genitore; il Consigliere più vicino al Sovrano gli si accostò e confabularono per un paio di minuti buoni: il Sire si erse in tutta la sua statura e con voce tonante le annunciò: “ La tua colpevolezza è certa ed indiscutibile, ma devi dire a questa corte se davvero sei disposta a pagare con un pegno maggiore dell’affronto dato” Ella annuì e il tutore contrasse il muscolo della mascella; si strinse il setto nasale fra l’indice e il pollice e si lasciò cadere sulla sedia, tirando un sospiro: “ E così sia ! Il verdetto ti dichiara colpevole e la pena verrà applicata sul momento”. A tutti i presenti si gelò il sangue nelle vene, sapendo che a qualcuno sarebbe toccato l’odiato ruolo; la ragazza si sfilò la camicia nera e stropicciata, facendola volare in terra, e mostrò di non portare alcun tipo di protezione da i colpi che avrebbe ricevuto: si posizionò meglio sull’asse e stette immobile con il torso nudo in offerta. Un soldato della Guardia Reale le si mise appresso con una lunga pertica di mithril tra le mani e prese accuratamente le misure per colpire in pieno la schiena: non era facile capire dove avrebbe fatto male, visto che i dorsali erano molto sviluppati e in un punto mancava una costola; la pelle era coperta di cicatrici bianche e rosse, piaghe, lividi, bozzi e ferite fresche, segnacci scuri, ricordi di precedenti castighi e le ossa risaltavano tra i muscoli resistenti. Dopo averci ragionato un attimo, l’Elfo alzò le braccia e con forza poderosa abbattè il bastone sulla giovine; questa strabuzzò gli occhi ma non emise un lamento: sarebbe anche potuta crepare dal male, giammai sarebbe uscito neanche un fiato dalle sue labbra, per quanto pallide potessero essere. Le vergate si susseguirono una dopo l’altra e il sangue iniziò a sgorgare dalle botte; la castana stringeva i denti e le unghie artigliavano le cosce, lasciando le strisciate sui pantaloni: la carne aperta bruciava all’aria, le ossa dolevano mandando scariche elettriche fino al capo, il cuore batteva nella scatola cranica, la vista le si annebbiò e tutto intorno divenne viola, cominciò a girare, il dolore si propagava con potenza inumana e gli arti si intorpidivano lentamente, cadendo in sfacelo. Le sembrava improvvisamente di essere stata colpita da un fuoco di Sant’Elmo o affetta dal fuoco di Sant’Antonio e oltre alle scudisciate le scottava anche la vergogna di essere sotto gli occhi del padre oltraggiato e, anche se non sarebbe riuscita mai a provarlo, della sorella: il castigo non le era mai stato così gravoso…

***

Tauriel scostò la tenda e guardò fuori: nel cortile stavano punendo Aralis e lei non avrebbe voluto guardare. Kili era seduto in fianco alla porta e la osservava sconfortato: “ È un bene che abbia deciso da sé la sua pena, ma credo che sarebbe meglio se ti ricongiungessi a lei” la fulva si voltò, poggiandosi al davanzale e cercando in lui una certa dose di comprensione: “ Dammi un solo motivo perché dovrei metterci una pietra sopra e ti giuro che quella bimba non sarà mai più fonte di dispiacere per me” al Nano scappò un risolino: “ Io penso che il fratello maggiore non debba gettare troppi sassi sugli errori del minore; immaginati se lo avesse fatto Fili: probabilmente io non sarei nemmeno qui” la ramata si riebbe grazie alla sua ironia e decise che avrebbe fatto qualcosa: spalancò il suo baule e con l’aiuto del consorte tirò fuori un canovaccio bianco; intanto la punizione dell’altra giovane era finita ed ella era rientrata barcollando nell’edificio, provata e distrutta. L’Elfa uscì dalla sua stanza e in estremo silenzio si diresse verso la camera della punita; cercò di non farsi vedere il più possibile mentre percorreva i corridoi: aveva il presentimento che la castana volesse andarsene e tentò di non smuovere le acque intorno ad essa più del necessario. Arrivata sulla soglia, si fermò e prese aria nei polmoni; buttò dentro la testa e vide la ragazza seduta sul letto davanti allo specchio che fissava i segni lasciatele dai colpi: sembrava abbastanza fiera di ciò che aveva compiuto per rimediare al suo sbaglio. Entrò con la massima calma e poggiò una mano sul collo dell’altra; questa era stupita e commossa al punto di abbracciarla, ma l’Immortale la fermò: “ Voltati” le disse con tono materno, intanto che immergeva la pezzuola in un catino d’acqua posato sul tavolo della toilette. Successivamente ad averla strizzata un paio di volte la strofinò delicatamente sulle ferite per pulirle dal sangue e dallo sporco; la sua assistita fremette un paio di volte al suo tocco, ma si abituò quasi subito alla sensazione: “ Ti ringrazio…” essendo quest’ultima di spalle il suo viso era nascosto: “ Di niente; dopo quello che hai fatto per meritarti il mio perdono è il minimo” “ Mi scuso, è stata tutta colpa mia” “ Adesso che riparti alla volta delle Terre Selvagge non lo ritengo più importante: vai con l’anima in pace, per carità dei Valar” entrambe sorrisero: “ Come sta tuo marito ?” “ Quell’idiota, come lo chiami tu, sta meglio di noi due messe insieme; presumo che adesso stia gongolando qua fuori, ma non ne sono sicura” il riso le contagiò con infima lentezza e ben presto l’Umana si rimise indosso la sotto cotta; la sorella la aiutò a indossare i parastinchi, gli schinieri, il pettorale e per ultimo il mantello: dovevano prendere tutto e andare subito. Uscirono in fretta e furia, una con la sacca delle armi tra le mani e l’altra con un bastone, andando verso le scuderie; sorpassarono i soldati e le mura esterne, giungendo dagli animali silenti: per ora la situazione stava andando bene. La bruna prese le briglie del suo pie-bald e stava per salire in sella, quando Tauriel la bloccò: “ Efneviel, torna intera prima di dieci anni, vieni a vedere i tuoi prossimi nipoti; promettimi che verrai qui presto” quella sospirò: “ Ho fatto una sola promessa in vita mia e ho capito che è una gran fregatura: non posso garantirti nulla, tranne che i tuoi figli avranno una grande sorpresa una volta cresciuti abbastanza” con le lacrime agli occhi la maggiore le diede un bacio sulla fronte e le poggiò l’elmo sul capo. La giovane le fu molto grata e montò a cavallo; con un calcio nelle reni partì in una nuvoletta: l’elfa rimase a guardarla andare via e, nel mentre, pregò: “ Che Eru la protegga e magari gliela mandi buona”

 

La tana della scrittrice 

안녕하세요 여러분! 어떻게 지내세요? Come ogni mese eccoci qui: non so quanto questo capitolo sia stato esaltante, ma devo dire che la storia sta prendendo piede; i prossimi capitoli penso saranno più fluidi, ma non posso dirvi di più. L’idea di questo tipo di punizione corporale l’ho presa dall’anime Mo dao zu shi: il fondatore del culto demoniaco ( se vi interessa lo potete trovare comodamente su YouTube sottotitolato in inglese). Come sempre mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry 

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Capitolo 10
*** Silenzioso e letale come un Nazgul ***


Capitolo 10: Silenzioso e letale come un Nazgul

 

In un piccolo villaggio dalle parti di Umbar

 

La vecchia filava tranquilla, davanti a un misero focolare; fissava la pioggia fuori dalla finestra e ogni tanto lo sguardo le cadeva sui tre pugnali appesi al muro: non scintillavano più come un tempo. Il primo lo aveva rubato a uno di quegli orripilanti orchetti che li seviziavano da quando l’oscuro Signore era tornato; quell’essere infido e bastardo stava sfilando per le strade coi suoi compari, ostentando l’arma come un trofeo, come se se la fosse guadagnata e non l’avesse rubata da un corpo esanime: appena aveva scorto il simbolo sul manico, si era ripresa quel che era suo. Suo marito sarebbe stato fiero di lei: sarebbe stato contento di essere sepolto con la sua lama; peccato che la salma non fosse mai tornata. Il secondo le era stato riportato dalla settima batteria d’attacco dell’armata Ovest; i compagni di sua figlia lo avevano levato dal cadavere dopo che questa era stata ammazzata durante un’avanzata contro l’esercito di Gondor, ma sapendo che vigeva una maledizione su chiunque tenesse per sé uno di quegli oggetti, lo avevano riportato alla famiglia: quei giovani erano gli unici ad avere onore in quel branco di luridi cani. L’ultimo, invece, l’aveva fregato lei stessa dalle carcasse; un giorno prestabilito del mese, come da ricorrenza, i soliti protestanti agli oppressori si erano riuniti al centro del villaggio e avevano iniziato a urlare ingiurie e denunce contro gli orrori perpetrati dagli occupanti e coperti dal velo dell’omertà: come ogni volta puntualmente Coyeco era andato a vedere, non riuscendo a resistere alla curiosità che tenta ogni ragazzino. Si era nascosto dietro un cadente muro di pietra a guardare i rivoltosi che si scatenavano contro le forze degli oppressori; dopo un’ora circa erano arrivati i rinforzi più pesanti, come da copione, e i manifestanti erano dovuti fuggire alla velocità del vento: il giovanotto non era stato abbastanza svelto. La folla si era stretta intorno ad alcune aree dirute, formando delle risacche, e il ragazzo era rimasto bloccato in una di esse; tutti fuggivano in ogni direzione possibile e immaginabile tranne lui, che era rimasto pietrificato dalla paura: una guardia grande e grossa gli si era piazzata dinanzi e per il suo figliolo non c’era più via di scampo. L’anziana scosse il capo canuto: senza l’aiuto di nessuno era andata a sfilare il coltello dalle tasche dell’ultimogenito, finito decapitato e col cranio esposto sulla cima di un palo perché la punizione fosse esemplare, e aveva riportato alla sua abitazione solo lo stretto necessario; nemmeno uno dei suoi compaesani, compagni di sventura era venuto a darle una mano. Ora all’appello dei morti mancava solo il suo erede, Ryeco; di quelli del suo battaglione ne erano partiti centocinquanta e di questi ne erano tornati solamente dieci: nessuno sperava nel ritorno di qualcun altro da quel massacro. Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando qualcuno bussò alla porta: sono arrivati a prendere anche me, mormorò; strinse le dita intorno al fuso e si avvicinò all’ingresso, titubante. Con la convinzione di lottare fino all’ultimo momento, strinse la maniglia e la girò con uno scatto sonoro; era già pronta ad avventarsi sull’indesiderato visitatore, ma quando vide la sagoma oscura sull’uscio rimase pietrificata… 

 

Sotto l’acqua scrosciante stava una figura slanciata, ammantata di nero, col viso celato dal cappuccio e la pelle diafana che somigliava a uno spettro; indossava vesti umili, sporche e bagnate, ma non sembrava darle particolare fastidio, mentre le scarpe, piene di sassi e di palta, facevano dei suoni assai inquietanti. L’anziana signora prese uno spavento quando notò uno strano luccichio sul petto dello straniero: una piccola ancora di metallo dondolava appesa a una cordicella. “ S-sei un fantasma to-tornato dal mare… non c’è altra spiegazione !” Lo sconosciuto rimase in silenzio, senza muovere un dito: “ Non sono stata io a parlare, lo giuro mia Signora, non sono stata io !” lei si mise a piangere, inginocchiata in terra, dimenticando il coraggio dimostrato prima: è bene aver più paura dei morti che dei vivi. Il misterioso essere si portò una mano alla cintura; lei era sicura che fosse per picchiarla e poi portarla alla dimora dei Nazgûl, ma si stupì un’altra volta: una lama splendente era tesa all'altezza del suo volto. “ Vengo a riportarti il coltello di tuo figlio, ergo sono viva; comunque non avere timore dei demoni della mia famiglia: il traditore ha già pagato con la sua vita” La dama afferrò l’arma e la strinse con forza, per avere la certezza che ci fosse almeno qualcosa di vero in quella scena surreale; la creatura mollò il manico dell’oggetto e indietreggiò, prima di allontanarsi in mezzo alla pioggia. Con l’ultimo sguardo che la vecchia le lanciò, fu in grado di vedere un'altra cosa che la fece rabbrividire: un lampo squarciò il cielo e sui polsi bianchi comparvero due tatuaggi neri, in nanico.

***

Un po’ di tempo dopo, nella città di Minas Tirith 

 

Aragorn sentì una specie di tonfo; si mise seduto sul letto, stando attento a non svegliare la moglie che stava riposando al suo fianco, e si guardò intorno: la sua camera da letto era buia, ma una flebile luce filtrava da sotto l’ingresso. Dopo qualche minuto di silenzio stava per ridistendersi, ma un lievissimo passo risuonò nuovamente nell’aria; si avvicinò all’entrata, la spada stretta tra le dita, e uscì cheto cheto. Il corridoio era in penombra e tutto sembrava normale, tranne che per un piccolo particolare: la porta della stanza di Eldarion era aperta; il bambino, nato da solo pochi giorni e messo nella sua culla per ordine della madre, non poteva certo camminare e in quell’ala del palazzo non erano ammesse guardie nel bel mezzo della notte, quindi qualcuno doveva essere penetrato nell’edificio passando dai merli della settima cerchia. Proprio mentre pensava a quanto fosse stato silenzioso l’intruso, un essere nascosto da un mantello si affacciò sulla soglia; quando si accorse della sua presenza, l’individuo si mise a correre verso l’uscita più vicina: Elessar prese a inseguirlo con foga sovrumana. Il loro respiro affannato e il rumore delle loro suole sulle mattonelle candide rimbombava sui muri creando un effetto ancora più macabro di quanto già non fosse; il figlio di Arathorn doveva prenderlo quel bastardo, costasse quel che costasse: il suo cuore gli batteva con forza nella testa, quasi volesse rompergli in due la scatola cranica, ma proseguì imperterrito. La preda braccata si diresse sempre più celermente verso uno dei balconi che davano sull’esterno e spalancò la finestra; uscì all’aria aperta e riempì i polmoni con una sola, lunghissima inspirazione: il cielo era un immenso velo scuro punteggiato di stelle, posato con delicatezza sul mondo dalle potenti mani di Eru Illuvatar, che adesso la nascondeva dallo sguardo della capitale addormentata. Estel giunse, col fiato grosso, e menò un veloce fendente per tentare di colpire l’estraneo: questi si spostò con impressionante agilità, balzando sul parapetto; altri quattro colpi volarono all’aria, ma nessuno andò a segno. Il bersaglio continuava a saltellare in giro con la stessa leggerezza di una foglia al vento e ridacchiava goliardicamente quando Anduril sfiorava le sue vesti; il Sire iniziò a sudare e aumentò la velocità con cui tentava di colpire: il gioco si fece più difficoltoso per l’equilibrista. Dopo un po’ quest’ultimo si stufò e fece un movimento brusco per scalzarsi via l’avversario; per il Signore il tempo si congelò: alla luce della luna piena un sorriso luccicò da sotto il cappuccio e un’ancora di metallo scivolò fuori dal collo della mise. In un attimo di lucidità il Sovrano riconobbe il gioiello e provò a tirare a sé quel giovane; questi gongolò leggermente e compì un atto estremo: svicolò dalla presa e, con una specie di ghigno divertito, saltò all’indietro. Il gondoriano assistette alla caduta nel vuoto, sporgendosi, e quando non riuscì più a vedere il corpo corse a chiamare delle guardie: scese le scale fino alla sala del trono e fece chiamare da un inserviente uno svelto manipolo di valenti uomini per recuperare il cadavere; questi corsero immediatamente alla ricerca, intanto che l’uomo tornava verso i suoi appartamenti. Percorse la strada fino alla stanza del figlio a spron battuto e accese le candele per far luce sulla situazione; si avvicinò preoccupatissimo alla culla e atterrito strinse il  neonato tra le braccia, prima di guardarlo con occhi allarmati: rimase sconcertato e inquieto. Il bambino dormiva beato, con l’espressione distesa, non accorgendosi del rivolo vermiglio che solcava inesorabile il suo volto prefetto; la goccia di sangue e partiva da una ferita sull’attaccatura dei capelli: una stella a otto punte era stata incisa sulla fronte con tale maestria e precisione che quest’ultimo non si era nemmeno svegliato. Lady Arwen sembrò materializzarsi alle sue spalle: “ Amore che succede ?” Quando vide il segno sul viso del bimbo, le cadde la mascella: “ Questo significa solo una cosa…”  il marito annuì tristemente: “ Sì, hai ragione; lo ha scelto. Lo ha già fatto, quindi lui è il secondo… il secondo dei figli delle Stelle…” L’elfa scoppiò a piangere, non sapendo se per gioia o disperazione, cingendo il coniuge e il pargoletto; il Re provò a confortarla con il proprio calore, con delle parole dolci sussurrate all’orecchio, con qualche strofa del canto di Beren e Lúthien, ma tutto fu inutile: la sua sposa stava davanti a lui, in preda ai singulti e immersa nelle lacrime, cercando di ridarsi un contegno. Intanto il responsabile del gruppo di ricerca si presentò a rapporto; sembrava terrorizzato: il suo volto era contratto in una smorfia atterrita. Aragorn si staccò lentamente dalla sua amata e ascoltò con attenzione cosa aveva da comunicargli; dopo fece chiamare un messo per lanciare un allarme generale: il morto era sparito, neanche una traccia del suo schianto, sangue o qualsiasi segno del suo passaggio.

***

Qualche mese più tardi, a Erebor

 

La notte era una delle più tranquille che ci fossero mai state da dopo la riconquista del regno sotto la Montagna da parte del re Thorin, figlio di Thráin e l’impero era in pace; i corvi erano finalmente tornati, i commerci con la città di Dale non erano mai stati così floridi, l’estate era stata abbastanza calda da consentire alle coltivazioni di crescere rigogliose, il fiume portava acqua a tutti consentendo ad ogni attività di svolgersi in piena sintonia con le altre, il clima era stato mite e favorevole, l’estrazione dei metalli preziosi era migliorata tantissimo e le lavorazioni avevano fatto passi da giganti: nulla avrebbe potuto rompere l’armonia di quel momento. La gente del popolo era molto felice di essersi finalmente ripresa dalla grande depressione economica e amava il suo governo: i figli di Durin erano degli strepitosi egemoni, che guidavano con estrema saggezza e prudenza, stando attenti anche ai bisogni più blandi dei loro sottoposti; da quando la splendida Tauriel aveva sposato il secondo principe Kili, anche i rapporti con gli elfi erano migliorati nettamente. Ora che le guerre erano scongiurate, il territorio protetto e i centri abitati ricostruiti un’altra gioia aveva colto il paese: la nascita dei figli dei due fratelli ereditari; le mogli della prole di Dis avevano dato al mondo rispettivamente un nanetto in perfetta salute e due gemelli, nati tutti nello stesso giorno uggioso di autunno. Si erano fatti enormi banchetti per festeggiare la venuta dei nuovi successori del grande Sire Scudodiquercia e gli arrivi degli invitati si erano protratti, insieme ai balli, per oltre un mese dal magnifico evento; erano giunti visitatori da ogni angolo della terra di Mezzo solo per poter dare un’occhiata ai tre poppanti, portando i doni più strabilianti, pegno di adorazione dei loro popoli natii. Non si era parlato d’altro per molto tempo e chiunque in ogni dove era stato informato del lieta novella; in un’epoca in cui nascevano ovunque discendenti di grandi casate come quella del Re di Gondor o del Sovraintendente, nulla passava inosservato: anzi, forse una cosa soltanto… 

 

Adesso l’inverno era inevitabilmente arrivato e con lui anche le grandi gelate che avevano indurito tutti i terreni intorno alla Montagna Solitaria, rendendoli incoltivabili ( fortunatamente avevano scorte a sufficienza per sopravvivere ad almeno dieci lunghi freddi imeali); il volgo sarebbe sopravvissuto senza fare nemmeno troppi sacrifici, almeno, così dicevano i comandanti: l’immortale principessa aveva le sue riserve, ma provava a fidarsi del consorte. Dopo il parto lei aveva deciso di riposare il più possibile, quindi aveva lasciato allo sposo le sue mansioni: era un miracolo che non fosse ancora successo un macello. La seconda figlia di Thranduil si era addormentata ridacchiando al pensiero di quanta distruzione avrebbe portato il coniuge se non fosse sempre assistito da Fili e dal consiglio nanico; si era avviluppata nella sua sontuosa coperta e aveva chiuso gli occhi, ascoltando il respiro tranquilla del compagno che le stava a fianco: non si immaginava mai quel che avrebbe sognato. Era immersa in un buio immenso e non vedeva nulla; un getto di aria fresca le sollevò il leggero vestito che indossava e una musica lontana iniziò a risuonare intorno a lei: non riuscì subito a capire da dove veniva. Piano piano iniziò a muoversi nell’ombra per cercare la fonte del suono e tentò di ascoltarlo meglio: era una specie di melodia fischiata, molto alta e travolgente, che in alcuni punti raschiava come un pezzo di metallo contro la roccia, mentre in altri era dolce come il miele; continuava sempre più forte man mano che continuava a camminare. A un tratto il sottofondo sparì, lasciando posto a dei respiri smorzati, e un’immagine sfocata si fece sempre più nitida nella mente della fulva: una losca creatura avvolta in una cappa di tenebra stava accovacciata sopra a un lettino; le due iridi gialle la seguivano e dalla bocca colava del liquido rosso e viscoso. I capelli castani sembravano peli di animale che incorniciavano la faccia bestiale e le mani sembravano artigli delle aquile di Thorondor; l’essere teneva tra le grinfie due corpi, da cui succhiava il sangue dalla giugulare: l’elfa si accorse con orrore che quei poveri infelici somigliavano paurosamente ai suoi bambini. Iniziò a urlare, in preda al panico, e cercò di colpire il nemico; questo continuava a spostarsi e ridere di lei: non riusciva a colpirlo e tra le risate maligne, la disperazione si fece strada nel suo cuore, mentre la scena si scioglieva come burro al sole.

Si svegliò col batticuore e subito corse a vedere come stavano i figlioletti; uscì dalle coperte e si diresse spedita fino alla culla: le si stava sconquassando il capo. Spalancò la porta e scostò i lenzuoli dei suoi figli; le prese un colpo: sulle fronti di entrambi i gemelli c’erano due ferite profonde pochi millimetri, a forma di stella e della linfa vitale sgorgava copiosa dalla carne esposta da poco. I suoi timori erano fondati dopotutto e il suo sogno era divenuto una spaventosa realtà; quella notte da Erebor partirono decine di messaggeri diretti in ogni angolo delle terre conosciute per avvisare del nuovo pericolo che, ci si era accertati, minacciava molti bambini dei regni della Quarta Era… 

***

In pochi mesi la notizia dell’uomo “ ferita” aveva fatto il giro di tutte le terre emerse e tutti ne avevano paura; la gente si barricava in casa dopo il tramonto e si aveva il terrore di avere figli per via del fatto che si temeva potessero essere marchiati o peggio uccisi dalla creatura misteriosa: anche se non era ancora accaduto nessuno aveva la garanzia di essere al sicuro. C’erano stati alcuni casi anche a Rohan, con il figlio di Éomer, e nella Contea, con gli eredi dei Tuc e dei Brandybuck: non si parlava d’altro che del mostro degli infanti. Anahim era seduta su una murella, coi piedi a penzoloni, ed era piegata in due dalle risate: non riusciva a capacitarsi di quanto un semplice taglietto avesse potuto tanto portare scompiglio… 

 

La tana della scrittrice 

Halo a h-uile duine! Ciamar a tha thu ? Per questo mese vi ho riservato un capitolo un po’ ansiogeno: spero di cuore che vi sia piaciuto ( ditemi cosa ne pensate nei commenti). Non essendoci molto da aggiungere, mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

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Capitolo 11
*** Troppo orgoglio e poco cervello, ragazzino ***


Capitolo 11: Troppo orgoglio e poco cervello, ragazzino

 

Sedici anni dopo, città di Minas Tirith 

 

La sala era ricolma di gente, quasi accalcata l’una sull’altra, e per Elboron era difficile muoversi senza urtare qualcuno o andare a sbattere contro qualche bambino che scorrazzava libero in giro; sembravano essere venuti tutti gli abitanti della Terra di Mezzo al compleanno del suo migliore amico, Eldarion: beh dopotutto era l’Erede dell’Impero di Gondor, in figlio di Aragorn, non ci si poteva aspettare altrimenti. Anche se era più piccolo di lui di solo quattro mesi, il suo compare di sventure sembrava non aver mai passato i dieci anni: si nascondeva dietro gli angoli, faceva scherzi e credeva a storielle infantili; mentre stava pensando a che tipo di regno ci sarebbe stato sotto il comando di quel matto, un sorriso gli spuntò sulle labbra. “ Non la pianterai mai di essere un bambino che si nasconde tra le ginocchia dei servi, vero ?” La ragazza che gli stava di fronte, vestita con un semplice abitino grigio e le chiome argentee acconciate modestamente, lo fissò coi suoi occhioni tendenti al viola: “ Mi perdoni mio lord, ma il principe mi ha chiesto di nasconderlo; se le ho fatto un torto le chiedo scu-” il giovane le prese una mano e se la tirò appresso: “ Non preoccuparti, Taeth: sta solo cercando di fare il cretino” “ CHI HAI CHIAMATO CRETINO ?!?” Il principe erede saltò fuori dal suo nascondiglio: i suoi capelli lunghi e mori ballonzolavano sulle spalle in onde morbide, gli occhi azzurri che scintillavano come quelli di un bimbo, il sorriso sempre stampato su quel volto dai caratteri delicati e la cicatrice che spiccava sulla sua fronte: anche il castano aveva un segno simile, nello stesso punto, che gli era stato fatto alla nascita. “ Io sono pure più intelligente di te: i miei esami, sia fisici che mentali, hanno avuto risultati migliori dei tuoi, caro Elb” ostentava sempre la sua solita spavalderia, quel suo tanto amato deficiente; improvvisamente due voci li fecero sobbalzare: “ A dispetto delle tue nobili origini tu sei proprio uno smidollato, Eld” una giovine nanica della loro stessa età, ramata-bruna, le iridi verdi, la stella incisa in fronte, coperta da calde pelli conciate, si stava avvicinando a braccetto con un ragazzo identico a lei, solo alto quanto un elfo. “ Eddai, mi stai costringendo a dare ragione a mia sorella !” disse quest’ultimo; il figlio di Faramir li riconobbe subito: quei due erano i gemelli Kiliel e Taurielion da Erebor, prole di Kili e Tauriel. Tutti si misero a ridere, tranne Taeth; lei si chiuse nelle sue braccia scarne e pallide, nascondendo il viso: il suo cavaliere lo notò e reagì prontamente. “ Amici miei lasciate che vi presenti Taeth, figlia di Theth, protetta del nostro amato Re Elessar” i gemini le strinsero educatamente la mano, come la loro tradizione imponeva. “ Quindi è questa la tua amata ? Quale graziosa fanciulla di rara beltà !” Stella Brandybuck e il suo lontano cugino Adalgrim Tuc camminavano in loro direzione: due hobbit alti per la loro razza, i tratti somatici di entrambi rispecchiavano quelli dei loro padri e il loro carattere era quello bonario dei Mezzuomini: “ Benvenuti adorati confratelli ! Come state ?” Il figlio di Aragorn fu molto solerte bei convenevoli e ricevette stritolanti abbracci dagli altri due, che come lui erano “ marchiati” da una cicatrice appena al di sopra dell’arcata sopraccigliare; quando i saluti terminarono la bassetta tornò a fissare la bionda: “ Io sono la figlia di Meriadoc Brandybuck, mentre lui è il figlio di Peregrino Tuc; veniamo spesso qui in visita, ma non vi abbiamo mai vista”. Il fanciullo di Èowyn deglutì con molta difficoltà, le sue guance che imporporavano: “ Beh lei è stata presa durante un rastrellamento in un mercato della zona povera, davanti a un bordello…” gli arrivò di risposta una delle reazioni peggiori che potesse aspettarsi: “ Ah”. L’erede al trono fu il primo a rompere la coltre di imbarazzo che si era venuta a creare e che li avvolgeva: “ Chi si interesserà delle sue origini il giorno in cui sarà tua moglie ? Un accidente di nessuno, dico io !” Un suono distolse la loro attenzione: un soldato, l’unico che portava anche l’armatura completa di elmo, rideva alle loro spalle; tutti erano perplessi: “ Che hai da gongolare, Ser ?” La figura si riscosse leggermente e si eresse in tutta la sua statura: “ Niente, mio principe: stavo solo pensando a ciò che ha detto” il ragazzino era confuso: “ Non mi pare che il mio commento fosse particolarmente spassoso…” l’altro tirò un sospiro rassegnato: “ Per me lo è, visto quando ero più piccolo di voi pensavo la stessa cosa: peccato che la vita vera sia diversa dai vostri sogni e prima vi sveglierete meglio starete in futuro”. Il castano si mosse per andare a proteggere la sua cotta; stava iniziando a intendere di cosa stesse parlando il tizio: “ Che cosa intende, di grazia ?” chiese, mettendo mano alla daga che portava appesa alla cintura; un altro sorriso sardonico da sotto la celata: “ Voglio dire che sicuramente per lei sarà scelta una sposa più adatta che la figlia di una puttana, senza offesa; chi non le dice che non l’ha sedotta solo per avere accesso al potere ?” La giovane emise un verdetto inorridito e strabuzzò gli occhi, terrorizzata: “ IO NON SONO QUEL GENERE DI PERSONA !” Ammalianti occhi castani la derisero nella penombra: “ Ma certo, e io allora non sono figlio di una troia; tutti mirano al potere, se no perché pensi che tua madre ti abbia venduta ? Lei voleva avere il potere sulla propria vita e per avere questo le serviva del denaro: tu sei stata solo pedina che lei ha usato per giocare meglio…” “ ORA BASTA COSÌ !” Il prossimo sovrano dell'Ithilien urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni e levò l’arma; l’ibrido tra l’elfo e il nano lo fermò prima che potesse scagliarsi in avanti, tenendolo per un braccio: “ Non farlo: quell’uomo è troppo strano per i miei gusti; potrebbe nascondersi un essere malvagio sotto quella maschera…” gli mormorò all’orecchio; ma l’altro non gli diede ascolto: paonazzo si buttò a capofitto contro il suo bersaglio: “ Non ti permetterò di oltraggiare in questo modo la mia signora un minuto di più ! Ti spedirò dritto all’inferno con le mie mani !” Questo sbuffò, spazientito: “ Questa frase me l’hanno ripetuta così tante volte che ormai mi da noia” la lama era a qualche pollice dal suo petto quando si spostò di lato; condusse le danze, schivando ogni fendente e saltando da ogni parte gli fosse possibile, fino a che non si stufò del tutto: “ Troppo orgoglio e poco cervello, ragazzino, ecco che cos’hai: tu vedi solo il lato buono delle cose, la luce, l’amore, la speranza, ma dimentichi che esistono anche il buio, l’odio e … la disperazione” fece scivolare una sacca di cuoio tra le braccia e ne estrasse una lunga falce lucente . La fece roteare davanti a sé e continuò a punzecchiare l’avversario; infine il ragazzetto cadde per terra e per un attimo credette che sarebbe presto stato ucciso. Ma qualcosa andò storto nelle sue previsioni. Il bastone nero che era puntato contro il suo pomo d’Adamo venne smosso dalle mani gentili di Pipino: “ Comandante della guardia ! Che piacere rivederla dopo così tanto tempo !” esclamò, deliziato come al solito. Il figuro si mise in posizione di riposo e si tolse la protezione alla testa: una cascata di capelli colore delle nocciole ricadde sulle spalle, i tratti delicati di una donna si erano induriti col tempo, non sembrava avere più di ventisette anni, i modi erano quelli di un austero capitano responsabile di un intero impero; si inchinò, facendo dondolare un pendaglio fuori dalla cotta di maglia e mostrando i tatuaggi neri sui polsi: “ L’onore è mio, Mastro Tuc; sarei voluta tornare prima per vedere un po’ i miei nipoti, ma purtroppo i miei doveri nelle Terre selvagge mi hanno trattenuta. E devo dire che ho fatto bene a non fare i salti mortali per arrivare prima; il gioco non valeva la candela: questi qua sono un po’ tocchi…” Nessuno dei giovani capiva qualcosa e ben presto la situazione sarebbe peggiorata…

***

Aragorn, Faramir e Tauriel arrivarono di corsa in compagnia dei loro consorti: “ Che ci fai qui sorella ?” chiese, piacevolmente stupito, il primo; un sogghigno comparve sulle labbra del’altra: “ La tua memoria vacilla, fratellone: io mantengo sempre le promesse !” Gli altri la guardarono commossi: i figli delle stelle; non se ne era affatto dimenticata… Ora veniva a rivendicare ciò che spettava a lei di diritto.

 

… “ Fra sedici anni verrò a prenderti e ti porterò con me nelle terre selvagge, primo figlio delle stelle”…

 

La tana della scrittrice 

Hemmelere salam! Ýagdaýlaryňyz nähili ? Scusate se il capitolo è molto breve, ma non ho avuto molto tempo per scrivere dati i numerosi impegni; spero che vi piaccia comunque ( fatemelo sapere nella sezione recensioni). Non penso ci sia altro da dire, quindi… mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

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Capitolo 12
*** Da ragazzi siamo diventati uomini ***


Capitolo 12: Da ragazzi siamo diventati uomini

 

Svariato tempo dopo, da qualche parte nelle Terre Selvagge…

 

Elboron rigirò la carne sul fuoco; lanciò un’occhiata in giro, per assicurarsi che Yieris non fosse nei paraggi: quella ragazza era capace di sbranarsi un cervo intero. Yieris era una bruta delle Terre Selvagge, cresciuta insieme alla sorella e alla nipote; presa come prigioniera in un’incursione degli Uruk-ai, era stata poi liberata dalle truppe di Aralis ed era divenuta una delle sue guardie personali a soli undici anni: una vera fortuna a prima vista. Erano passati tre anni da allora e adesso la giovane era una specie di montagna che cavalcava: alta, muscolosa, abbronzata, con la chioma nera che le arrivava alla vita, gli occhi verdi e magnetici, le pellicce di varie fiere usate come vesti e i bracciali da schiava; era scorbutica e mascolina ai massimi livelli, ma su di lei si poteva contare dato il suo grande cameratismo. Il grasso si mise a sfrigolare e un profumo prelibato saturava l’aria; degli sbadigli si levarono dalle tende del minuscolo accampamento: dovevano essersi svegliati tutti, dannazione. Il primo a farsi vivo fu Adalgrim: con la chioma cresciuta, un paio di cicatrici e la sua oramai fidata lancia dalla punta avvelenata in pugno, lo hobbit sembrava un temerario eroe delle antiche leggende; di fatto era solo un ottimo combattente, ben allenato. “ Ehi amico mio, è già pronta la colazione ?” chiese, mentre gli si sedeva accanto; l’attendente sorrise: l’addestramento non gli aveva certo tolto il suo spirito Tuc. “ Che se magna ?” Stella comparve da dietro un drappo di pelle d’orso: “ Maiale salato e infuso di Athelas caldo” le risposero; la Mezzadonna alzò le braccia al cielo: “ Siano Benedetti i Valar ! Mangiamo finché ce n’è” il parente la rimproverò: “ Il lord comandante non vuole che si desini fino a quando non siamo tutti presenti” lo seguì un sospiro infastidito: “ Chi c’è c’è e chi non c’è si arrangi” la ragazza usava il suo motto di battaglia in modo ardito anche quando non aveva i pugnali tra le mani. “ Sempre gentilissima, a quanto posso notare” la voce melodiosa di Eldarion li raggiunse; il principe arrivò ridacchiando, la daga appesa alla cintura che gli batteva contro la gamba, segnando il suo passo: “ Ognuno di noi ha lo stesso diritto che hai tu sul cibo, quindi aspetterai come noi” non si poté ribattere nulla a quel tono regale; quanto somigliava a suo padre quando faceva così… La bruta arrivò correndo dal turno di guardia notturno e per poco non investì i compagni: “ FAME, FAME, FAME !” urlò, battendo due rocce tra loro: era un’usanza del suo popolo, per compiacere gli dèi, una specie di preghiera che la disciplina ferrea non era riuscita a eliminare, ma spesso si rivelava estremamente insopportabile, specialmente di primo mattino. “ Smettila di far canaio, santo Sulimo, o giuro che uso la falce !” Il carattere da nano di Kiliel si rivelò essere abbastanza gagliardo da mettersi contro la barbara: “ Io potrei incoccare una freccia, sorella mia adorata” aggiunse Taurielion, ancora intento a infilarsi il camicione nelle braghe di cuoio liso; prima che potessero dire alcunché d’altro, una figura catturò la loro attenzione. “ Dimmi che gusto c’è a colpire con un dardo una testa mozzata di netto; dovresti almeno provare a lanciarla in aria” l’ibrido mezzelfo digrignò rumorosamente i denti: la presenza di Edirel il Tetro gli dava sempre il nervoso. Quest’ultimo era un giovane della razza degli umani, abile con le armi, di modeste origini, con una condotta impeccabile e nessuna esitazione in combattimento; in più due belle iridi azzurre, i capelli corvini e la pelle emaciata erano sempre un salvavita con le donne. Peccato che le attenzioni così cavalleresche del combattente andassero tutte alla testarda erede della Montagna Solitaria, con grande rabbia del fratello di lei; il fulvo non riusciva a mandar giù la bile tutte le volte che la gemella concedeva a quel tizio un dolce sorriso o che si allenavano assieme con inumano fervore: se avessero fatto la pazzia di chiedere ai loro genitori di convolare a nozze probabile che quell’ ” avvenente” sconosciuto potesse diventare gentil consorte della futura Regina di Erebor. Fortunatamente, un’altra cosa rendeva questo tipo un marito inadatto a sua sorella, oltre al fatto che non avesse nobili natali: il ragazzo aveva ricevuto un duro colpo d’accetta alla gola che gli aveva praticamente dimezzato le corde vocali riducendo le sue grida a poco più di un sussurro; la gente voleva solamente guide capaci di farsi sentire anche nel marasma più assordante. Il giovine si sedette su un ceppo e prese a lucidare la mazza con un panno; gli ibridi, il Tuc e la Brandybuck iniziarono a parlare, mentre il figlio di Arwen appoggiò la testa alla spalla di quello di Faramir: questi lo lasciò riposare dato che non era affatto pesante e si avvalse del diritto di fargli una carezza. Tanto non avrebbe disturbato il suo sonno pesante…

 

Il capitano arrivò in capo a una mezz’oretta, con un’espressione solare sul viso e l’arma di traverso sulla spalla; Ed fu il primo a salutare: “ Buongiorno milord! Dormito bene ?” La donna rise: “ Prima cosa, se proprio volessi, dovresti chiamarmi milady, seconda cosa io sono il signor capitano e terza cosa sì, grazie”; Ald le passò una fetta di carne e Ki le versò l’infuso, mentre Yier e Tau le esponevano il rapporto della guardia notturna: non era successo niente di rilevante, ma era loro dovere riportare qualunque cosa. Il capo mangiò la colazione in silenzio e poi diede loro il consenso di di consumare, intanto che lei finiva di ispezionare le loro divise e le armi; quando ebbe finito era assai soddisfatta e sedette per dare loro il programma della giornata: esordì con una frase assai strana. “ Oggi preparate i cavalli ben sellati e tirate su l’intero accampamento: si parte per la città di Minas Tirith, capitale dell’impero di Gondor” ci mancava davvero poco che i ragazzi si strozzassero col cibo: il Mezzelfo strabuzzò gli occhi: “ Intende QUELLA Minas Tirith, mia signora ?” Quella sorrise, sorniona: “ Ne esiste un’altra per caso ?” “ Ma perché dobbiamo partire ? È successo qualcosa al Re mio padre o alla Regina ?” Eld era già nel panico al sol pensiero; la zia si diede una sonora pacca sulla pancia dura come la pietra: “ Mi venisse un accidente se fosse vero; no, non è per quel motivo: ritengo che il vostro addestramento sia egregiamente concluso” Vedendo che nessuno rispondeva, continuò imperterrita : “ Dopo la vostra ultima missione ho visto quanto siete migliorati e penso che siete pronti a mostrare ai vostri tutori quanti avete imparato” Sì la loro ultima missione: era stata quella di salvare un villaggio dalla depredazione e dallo stupro che avrebbe portato una banda di razziatori di Rhovanion; peccato che anche se erano alcuni tra i più grandi combattenti della Terra di Mezzo avevano rischiato di lasciarci la pelle. Loro erano solo in otto, mentre gli altri saranno stati in cinquecento almeno; avevano attaccato in tre fazioni: erano riusciti a passare a fil di spada le prime due, ma la terza li aveva presi di sorpresa e per poco non ci avevano rimesso le penne. Efneviel era arrivata in tempo e li aveva aiutati a finire il lavoro; ma ora non aveva più importanza: le ferite si stavano sanando, l’insegnante li aveva promossi a pieni voti e loro stavano per tornare a casa. “ Da ragazzi siamo diventati uomini” iniziò a mormorare a ripetizione il figlio del Sovraintendente; si rese conto di ciò con stupore e non seppe se esserne lieto o spaventato: il tempo avrebbe sicuramente contribuito a prendere la decisione con più sicurezza…

 

La tana della scrittrice 

សួស្ដី​អ្នក​ទាំងអស់គ្នា ! អ្នក​សុខសប្បាយ​ទេ ? Essendo stata in vacanza non ho avuto tantissimo tempo per scrivere un contenuto lungo e di qualità, me ne pento e mi scuso con voi: cercherò di migliorare, promesso ( se avete qualche consiglio da darmi scrivete pure nella sezione commenti). Detto ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto e… mi scuso per eventuali errori nel testo o se non è stato di vostro gradimento, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

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