Pillole di tempo

di hunter95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Polvere nell'aria ***
Capitolo 2: *** Cemetery ***
Capitolo 3: *** Ti ho trovata ***
Capitolo 4: *** Lupi ***
Capitolo 5: *** Divoratore di cervelli ***
Capitolo 6: *** La guerra, l'inferno, la fine ***
Capitolo 7: *** Nebbia ***
Capitolo 8: *** Un vampiro, una ragazza, il dolore ***
Capitolo 9: *** Dolore per amare ***
Capitolo 10: *** Lo schiavo nero, l'uomo libero ***
Capitolo 11: *** Deserto ***
Capitolo 12: *** La sirena ***
Capitolo 13: *** Il pirata ***
Capitolo 14: *** Manicomio ***
Capitolo 15: *** Annoiato ***
Capitolo 16: *** Troppo bella ***
Capitolo 17: *** Crociata ***
Capitolo 18: *** Suona la tromba ***
Capitolo 19: *** Destino ***
Capitolo 20: *** Ira, ma non mostro ***
Capitolo 21: *** L'anima ***
Capitolo 22: *** Foto di un bambino ***
Capitolo 24: *** La casa ***
Capitolo 25: *** Lacrima ***
Capitolo 25: *** Drago ***



Capitolo 1
*** Polvere nell'aria ***


Il sole batteva pigro e caldo nell’afosa mattina estiva. Nessuno girava per le strade, rese polverose dalla continua mancanza di pioggia. L’aria bollente rendeva le immagini ondulate, era immobile ed impossibile da respirare, trasformava il mondo in un mortale inferno.
Ma una figura, a cui non importava tutto ciò, si aggirava lentamente per le strade, ignorando il caldo asfissiante e la polvere che si alzava nell’aria al suo passaggio, unico segnale che non era un fantasma ma un corpo in carne ed ossa.
Il suo sguardo era vuoto, privo di qualunque sentimento umano e non, l’uomo che era stato non c’era più.
Era morto dentro e ancora non lo sapeva e il motivo della sua morte era il corpo senza vita della ragazza che teneva fra le braccia.

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Capitolo 2
*** Cemetery ***


Era l’unico luogo in cui riusciva a pensare serenamente. Il rumore della città lì non arrivava, era calmo e tranquillo. Gli inquilini erano silenziosi. 
Era un cimitero piccolo, vecchio e immerso nel verde. Le tombe erano soggette all’incuria del tempo. Una lapide di marmo si manteneva bene, svettava in mezzo alle lapidi devastate. Era la tomba di un bambino morto a due anni nell’800 per polmonite. Doveva essere di famiglia ricca a giudicare dal pregio della lapide. 
Non gli avevano nemmeno ancora dato il nome.
Era la sua preferita. Si sedeva sempre a pensare davanti al bambino senza nome. Sentiva ancora la presenza delle lacrime della madre battezzare il marmo bianco, lo struggimento di un padre che aveva assistito alla morte del suo piccolo.
Nonostante il dolore che quella piccola tomba poteva aver provocato, a lei dava un senso di pace. 
Fuggiva dalla sua vita solo quando questa diventava insopportabile. 
Solo recentemente si era resa conto che passava più tempo in quel cimitero che in qualsiasi altro luogo. 
Nulla riusciva a farle decidere di vivere al di fuori di esso. 
Una sera scappò da un appuntamento finito male. Lui era un idiota e lei voleva solo piangere davanti al bianco marmo del bambino. 
Era notte fonda. Le fronde degli alberi accompagnavano il verso di una civetta nel buio. Mai aveva varcato il cancello arrugginito dopo il tramonto. Il suo abito bianco risaltava nella luce della luna. 
Pianse tutte le lacrime che aveva e si addormentò. Fu una carezza a svegliarla. 
Una piccola mano putrefatta giocava con i suoi capelli. 
Alzò lo sguardo  a vedere il proprietario della mano. Un occhio pendeva fuori dall’orbita, l’altro era bianco e morto, un verme lo corrodeva.
Piccoli abiti di foggia antica coprivano la carne marcia di un corpo morto nell’infanzia. 
Non ne ebbe paura però. 
- Sei tornata a farmi visita. – la voce del bambino non apparteneva alla vita terrena. 
- Sei proprio tu. – la tomba bianca aveva svelato il suo tesoro. Lacrime di commozione cominciarono a sgorgare dagli occhi di lei. 
- Vieni a giocare con me? – il bambino le tese la piccola mano putrefatta e lei la afferrò. Era gelida e morta. Nemmeno allora ebbe paura.
Il bambino senza nome la condusse dentro alla sua tomba spalancata. Si sdraiarono sulla nuda terra. La tomba si richiuse su di loro. 
Nessun vivo la rivide più. 

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Capitolo 3
*** Ti ho trovata ***


Una giornata come tante, una mattina come molte. Lo stesso treno, lo stesso posto, la stessa musica. Nulla era diverso. 
Poi alzò gli occhi. La vide. Una ragazza. Ricci d’ebano, labbra di rose, volto di pensieri.
Come lui, ascoltava la musica e nel mentre leggeva un libro. Lui la fissò a lungo. Il treno si fermò. Lei alzò gli occhi, si guardarono. Uno sguardo intenso. Durò poco. Lei uscì. E lui rimase lì. Voleva cercarla, trovarla. Era scattato qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Nei giorni successivi la cercò, aspettandola in treno, scendendo alla sua fermata e restando lì per ore, solo con la speranza di rivederla. 
E poi la vide. A 20 metri da lui, sul treno. Cercò di spingere, di avvicinarsi a lei. Ma lei scese prima che potesse raggiungerla. Scese anche lui. La folla era infinita, cercò ovunque, a lungo. Quando la stazione si svuotò della ragazza non c’era traccia. Scoraggiato, stava per andarsene, quando vide ricci d’ebano, sguardo triste, occhi grandi. La ragazza era davanti a lui. Rimasero fermi. Lui disse solo una frase:
-    Ti ho trovata. –
La ragazza sorrise. 

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Capitolo 4
*** Lupi ***


Si erano persi nel bosco.
Era inutile negarlo. Bussole, cartine e abilità non erano stati sufficienti. 
La notte stava calando e il freddo aumentava. 
Dovevano accendere un fuoco e chiamare i soccorsi. Lasciò i lupetti alle cure dei suoi colleghi, prese il cellulare e cercò di trovare una zona in cui ci fosse campo. 
Si era già allontanato parecchio, quando sentì un ringhio. 
Con terrore si voltò e vide la creatura.
Un lupo, magro, affamato e folle, gli ringhiava contro con la bava alla bocca mostrando le zanne. 
L’uomo tirò fuori il suo coltello da caccia, lieto di averlo con se’.
Il lupo attaccò, ma lui riuscì miracolosamente a salvarsi piantandogli la lama nella gola.
Solo tornando indietro gli venne in mente che i lupi non cacciavano mai da soli. 
Cominciò a correre, ma era tardi.
Grida di bambini si levarono al cielo unite ai ringhi e ululati del branco in caccia.

ok, essendo io una ex-scout, questa cosa e' altamente sadica, ma affascinante.
recensite e ditemi se questo progetto merita di andare avanti!
Hunter

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Capitolo 5
*** Divoratore di cervelli ***


Colpi, spari, urla e odore di sangue. Ci sono ovunque cadaveri, i loro cervelli sono gustosi manicaretti per quei mostri.
Si stanno avvicinando, lentamente ma senza fermarsi, perché’ non c’è nulla che possa fermarli. 
Nonostante sappia bene che sia inutile, carico il mio fucile a pompa. Sono in trappola e tra poco morirò, tanto vale cercare di portarne qualcuno con me.
I miei compagni sono tutti morti.
Negli ultimi due anni i miei amici e la mia famiglia sono stati tutti sterminati o, peggio, trasformati in quelle creature diaboliche.
Sono stato costretto a sparare al mio fratellino trasformato in zombie nel disperato tentativo di non farmi mangiare il cervello. 
E ormai è arrivato il mio turno.
Esco dall’ormai inutile nascondiglio. 
Sto urlando.
Sparo tutti i colpi che mi sono rimasti, pezzi di cadaveri mi volano addosso, ma loro continuano a camminare. 
Mi mordono ovunque: le gambe, le braccia, le orecchie, il collo, la faccia. 
Perdo i sensi.
Mi sveglio dopo non so quanto. Mi mancano pezzi di carne, ma non importa.
Ora ho solo voglia di cervelli. 

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Capitolo 6
*** La guerra, l'inferno, la fine ***


Sentiva le preghiere dei suoi compagni, il battito del suo cuore e la paura impadronirsi di lui ogni istante id più.
Era costretto a combattere una guerra per proteggere il mondo da un folle. 
E per ciò sarebbe morto. 
Lo sbarco cominciò. Il ponte della barca si abbassò.
Vide i suoi compagni correre nell’acqua bassa, gli schizzi che si levavano diventavano rossi man mano che si avvicinavano alla costa della sabbia francese, man mano che i cadaveri aumentavano. 
Corse fuori anche lui. L’elmetto gli ballava in testa, teneva il fucile serrato nelle mani. Gli stivali si inondarono di acqua rossa e salata.
Sentiva i proiettili nemici fischiargli nelle orecchie, tremendamente vicini.
Arrivò alla spiaggia, miracolosamente illeso.
La sabbia bagnata era più facile da percorrere. Cercò di ignorare che era impregnata di sangue. 
Scavalcava i cadaveri dei suoi compagni, ignorava quelli ancora vivi che chiedevano aiuto, colpiti da proiettili e granate. 
Poi fu lui a cadere. 
Il rumore assordante si placò di colpo, sostituito dal dolore allo stomaco.
Si toccò il punto e ritirò la mano sporca di sangue. 
I medici cercarono di tamponargli la ferita, ma senza successo.
Sarebbe morto anche lui, ma non aveva paura. 
Avrebbe raggiunto la sua famiglia, i suoi fratelli, i suoi amici, in pace.
E mentre chiudeva gli occhi, trovò anche la forza di sorridere. 

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Capitolo 7
*** Nebbia ***


Grigio ovattato, fredde gocce, mondo chiuso.
Nebbia ovunque, nebbia nel mondo, il cielo non esiste, la terra non c’è più, io non sono nulla, immerso nel nulla di questa grigia ovatta. 
Non vedo nulla, non sento nulla. Cammino, ma non mi muovo. Il mondo non cambia, vedo solo grigio. 
Cosa sono io? Ha senso tutto questo? Vivere? Nel nulla?
Non lo so, ma continuo a camminare. 
E andando avanti continua ad esserci solo grigio niente.
Sento i miei passi. Unico suono. Unico segno dell’esistenza del mondo.
Infine una piccola luce, un bagliore lontano che più vado avanti più si ingrandisce, diventa luminosa.
E poi la nebbia sparisce. La luce del sole mi avvolge, il rumore del mondo mi incanta.
E capisco di essere vivo. 

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Capitolo 8
*** Un vampiro, una ragazza, il dolore ***


Ho sempre sete, sempre. Voglio sangue, voglio sangue. Non voglio uccidere però. Non posso trasformare le persone in mostri come me, ciò però non toglie che non possa sterminarle se volessi, ma non voglio. 
Lei non vuole. 
Una semplice ragazza, una dolce umana mi ha rubato il cuore. 
Lei sa cosa sono, sa di cosa mi nutro. Ne ha paura, ma mi ama.
E mi nutre.
Lei mi dona il suo sangue, per tenermi in vita, per placare la mia sete, per calmare la bestia che e’ in me e che vuole uscire.
Cerco di non bere da lei, di sopportare pur di non farla soffrire, ma oggi devo. Oggi sono allo stremo.
Vado da lei, in silenzio come la mia natura esige, entro dalla finestra. 
Stesa sul letto, mi vede, si alza, mi bacia, la bacio. Sente le mie zanne. Vede i miei occhi rossi.
Sa perché sono qui.
Si siede sul letto, si scopre il collo dia lunghi capelli neri. Mi odio per il piacevole dolore alle zanne, per la mia sete.
Mi avvicino, il suo collo è candido.
E pieno di segni di morsi.
Mordo. Il sangue forte scorre nella mia bocca, nella gola. 
E’ buono, dolce, mi da forza.
Togliendomi da lei, la sento piangere piano.
Dio, sono solo un mostro. 

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Capitolo 9
*** Dolore per amare ***


Non le avrebbe fatto del male. Glielo aveva assicurato e lei gli aveva creduto. Lo amava troppo per non credergli. 
E non poteva fare altro che aiutarlo.
Lei umana, lui vampiro. 
Creature diverse, non destinate a stare insieme, non disposte a stare lontane. 
Bere sangue era l’unica cosa che poteva tenerlo in vita, ma per amore suo non era piu’ disposto ad uccidere. 
Lei aveva deciso di nutrirlo.
Eppure aveva paura.
Era terrorizzata ogni volta che lui cominciava a bere da lei, nonostante fosse in grado di fermarsi sempre prima di farle del male o indebolirla troppo. 
Si odiava per questo.
Nemmeno in quell’occasione riuscì a reprimere un singulto quando lui cominciò a nutrirsi. 
Lo sentì irrigidirsi, sapeva che vederla soffrire lo lacerava, ma nessuno dei due poteva evitarlo. 
Erano condannati a soffrire per amarsi.

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Capitolo 10
*** Lo schiavo nero, l'uomo libero ***


Raccolgo il cotone. Solo questo. Giorno dopo giorno dopo giorno. 
Nient’altro. Perché? Perché sono negro. Ed è questa la mia vita, da sempre. Cotone e frustrate. La mia schiena ’ ormai un pezzo di carne martoriata.
Eppure…
Eppure sogno il cielo, il mare. Sogno una sposa, una casa, dei figli, un lavoro dignitoso. Sogno un nome da uomo. Sogno una vita mia. 
Vorrei solo essere libero. Scegliere come vivere.
Scegliere come morire.
Sì, questo lo sceglierò io. 
E’ notte. Tutti dormono, anche la guardia. Gli rubo il fucile e la pistola. Entro in casa. Nessuno mi sente. La camera del padrone, del negriero. 
Dorme. Letto morbido. Bianche lenzuola. Comprato col nostro sudore. 
Gli sparo. La moglie accanto a lui si sveglia urlando. Sparo anche a lei. Per le frustate e l’odio. 
Mentre arrivano le guardie prendo la pistola, me la punto alla testa. Premo il grilletto.
Ho scelto solo una cosa nella vita. Quella giusta. 

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Capitolo 11
*** Deserto ***


Tre giorni nel deserto. La macchina è rotta. L’acqua è finita da tempo. Io e mia moglie abbiamo sete. Abbiamo bevuto la nostra urina, ma ormai non abbiamo più neanche quella. 
Stiamo cominciando ad impazzire. Il caldo è opprimente. La sete è una tenaglia che stringe la gola in una morsa arida, la fame crea deserto nei nostri stomaci. I soccorsi non si vedono ancora. 
Ho ucciso una lucertola. Ne beviamo il sangue e ne mangiamo le carte, cotte sul cofano incandescente della jeep. 
Ma non basta per darci energia e dopo altri due giorni mia moglie è allo stremo. Mi porge la mia pistola, mi supplica con gli occhi. Vorrei piangere, ma non ho abbastanza liquidi in corpo. 
Bacio le sue labbra secche, le dico addio. 
Poi premo il grilletto. Non esce nemmeno tanto sangue dalla sua tempia, è troppo denso.
Le chiudo gli occhi. 
Mi punto la pistola alla testa. 
E sento un elicottero. Una croce rossa sopra.
Sono i soccorsi.
Oddio.
Cosa ho fatto?

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Capitolo 12
*** La sirena ***


Osservava i detriti della nave in fiamme affondare, i suoi compagni morire affogati. Anche lui stava annegando, scendendo sempre di più verso gli abissi, mentre con gli occhi osservava il cielo e il sole allontanarsi. Allungò il braccio, nell’estremo tentativo di salvarsi, ma era troppo debole per nuotare.
L’unico sopravvissuto della nave stava morendo, la vista si appannava, il fiato era finito. 
E poi la vide. Era giovane, i lunghi capelli scuri volteggiavano attorno al viso dagli occhi blu, sul petto nudo. Al posto delle gambe aveva una lunga coda celeste da pesce. 
La sirena lo guardo; gli afferrò le braccia, lo baciò per donargli l’aria e lo strinse a se’ cominciando a nuotare per allentarsi dalle macerie e dai cadaveri. 
Sarebbe sopravvissuto. E nella beatitudine di quel pensiero chiuse gli occhi.
Si svegliò su una spiaggia deserta, stanco, assetato, ma vivo. 
Della sirena non c’era traccia. 
Non sapeva se era stato tutto vero o solo un sogno, ma guardando verso il mare decise di tornare a navigare.
L’avrebbe cercata. 

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Capitolo 13
*** Il pirata ***


 Giorno dopo giorno lo guardava. Lui non lo sapeva ma lei era lì, sempre sotto il sotto il pelo dell’acqua. 
La sirena si era innamorata del pirata. Pelle arsa dal sole, occhi di ghiaccio, capelli di luce e rudezza di spirito.
Lui non l’aveva mai notata, ma lei continuava a seguirlo dal giorno in cui lo aveva salvato da un naufragio. 
L’aveva portato su una spiaggia, lo aveva guardato dormire, affascinata. Poi era tornata in mare.
Vegliava su di lui da allora.
Aveva tremato per lui durante un arrembaggio, gioito con lui per la vittoria, sofferto per la morte dei suoi compagni.
E nuovamente ci fu una tempesta. 
Lui, il capitano, cadde in mare per salvare un suo compagno e il cannone sotto cui era rimasto bloccato. E lei tornò da lui.
Impiegò del tempo per trovarlo tra le onde. Non respirava più e non c’erano spiagge nei paraggi.
Doveva farsi vedere dagli umani, per salvarlo doveva farsi vedere dai suoi compagni.
Saltò sulla nave, la tempesta si era quasi del tutto acquietata ormai. Le urla di stupore degli uomini la intimidirono, ma ora il suo uomo aveva bisogno di lei. Riuscì a farlo respirare.
Sputò l’acqua, tossendo. Puntò gli occhi di ghiaccio su di lei, non poteva scappare come l’ultima volta. Lui sorrise.
-    Finalmente ti ho ritrovata. –
Allora la aveva vista.
-    Non sono mai andata via. – 

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Capitolo 14
*** Manicomio ***


Le sue crisi l’avevano condannata al sanatorio. I suoi genitori l’avevano sbattuta lì dentro che era ancora bambina, troppo ingenua per capire e troppo piccola per difendersi. Era cresciuta lì, senza mai smettere di avere quelle crisi che i medici non sapevano spiegarsi. 
Dicevano che era pazza, malata, schizofrenica.
Eppure lei vedeva solo la verità.
Quelle che la avevano condannata a una vita di buio, fame ed elettroshock non erano crisi, erano visioni.
Lei vedeva la morte.
O meglio, non vedeva la signora con la falce, vedeva gli spiriti delle persone che gli indicavano come i loro proprietari sarebbero morti. 
Questo capitava sempre al massimo tre giorni prima del decesso. Ma lei era la figlia di un bottegaio, vedeva tante persone. Vedeva tante morti.
Non avrebbe mai dovuto parlarne a sua madre, donna religiosa quanto superstiziosa; o a sua nonna, vedova di un predicatore.
Loro l’avevano rinchiusa lì e buttato la chiave.
Lei non poteva continuare a vivere così, non ne era più in grado.
Nemmeno era più in grado di piangere.
Quando entrarono gli infermieri per metterle la camicia di forza, vide i loro spiriti. Bruciavano, si contorcevano e urlavano nelle fiamme. Sarebbero morti in un incendio.
La stessa cosa accadde quando vide il medico che le avrebbe fatto l’elettroshock. Il metallo dei suoi occhialetti che si fondeva alla pelle.
Quando vide il proprio riflesso in una finestra capì. L’ospedale sarebbe andato a fuoco.
Il suo spirito si contorceva nel dolore, mentre la sua pelle e carne si scioglievano e i suoi capelli erano una torcia accesa.  
E lei rise, forte.
Continuò a ridere anche quando la voce di un’infermiera gridava in preda al panico che era scoppiato un incendio. 

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Capitolo 15
*** Annoiato ***


Era nato ricco, non aveva mai dovuto fare niente nella sua vita. Non aveva mai lavorato, mai sognato, mai amato. Aveva ciò che voleva quando lo voleva. Gioielli, oggetti, donne, uomini. Ogni suo minimo capriccio era sempre esaudito. Ed era annoiato. Sempre e perennemente annoiato.
Le aveva provate tutte. Caccia, casinò, bordelli, promiscuità, balli, cene, giochi.
Nulla aveva funzionato e la noia era ancora la sua unica compagnia costante.
Poi entrò in quel posto.
Fu quasi un caso, non sapeva nemmeno che esistesse, ma fu una svolta. Era una sala d’oppio.
Il fumo lo avvolgeva, lo ammaliava.
Le sue giornate passavano in nuvole di fumo, in ombre e luce.
Il giorno e la notte si susseguivano senza sosta e senza senso.
Cominciò a deperire sempre di più senza che se ne accorgesse, senza controllo.
Fino a che il gestore della sala non lo trovò senza vita.
Due monete gli furono posizionate sugli occhi.
Avrebbe pagato Caronte perché lo traghettasse fino al quinto girone dei peccatori.
Almeno però aveva smesso di annoiarsi.

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Capitolo 16
*** Troppo bella ***


Era sempre stata bella.
Troppo bella.
Ne era consapevole lei e lo erano anche la sua famiglia e il mondo intero.
Questa bellezza era la sua condanna e maledizione.
Veniva guardata, osservata, ammirata, per il suo viso e il suo corpo.
Doveva restare bellissima, doveva rimanere perfetta, nessuno l’avrebbe più voluta se fosse cambiata, non l’avrebbero guardata.
Nessuno l’aveva mai vista davvero.
Nessuno ne conosceva i desideri, i sogni, le speranze, le paure.
Tutti guardavano solo la sua pelle perfetta d’alabastro, i suoi lunghi e morbidi capelli biondi e i suoi occhi di giada.
Ed era stanca.
Nella sua stanza, al buio, seduta davanti a uno dei tanti specchi che l’adornavano, le ricordavano cosa doveva essere.
In mano teneva le forbici.
Cominciò a tagliare i suoi boccoli d’oro, ma non bastò.
Era ancora troppo bella.
La sua pelle era ancora perfetta.
Afferrò le forbici come un coltello. Si pugnalò la faccia, la pelle d’alabastro non fu più perfetta.
Ancora non bastava.
I suoi occhi di giada risplendevano ancora, vivi e luminosi.
Usò le forbici per spegnerli.
Non era più perfetta.

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Capitolo 17
*** Crociata ***


Gli avevano promesso gloria, fama, salvezza divina, onore.
Lo avevano armato, investito come cavaliere, per mandarlo a combattere.
Per mandarlo a morire.
Secondogenito di un conte, era stato mandato a combattere per Dio contro gli infedeli.
Uomini, donne, vecchi, bambini, malati.
Innocenti.
Erano questi gli infedeli che era stato mandato a uccidere.
Non era per Dio che lo aveva fatto, non ci credeva più.
Ora che stava morendo, con la spada del nemico dentro al suo ventre, rivedeva volti di chi aveva ucciso.
Non vide la gloria di Dio in quei volti.
Nella lacrima di pentimento che gli scorse lungo la guancia ne sentì però il perdono.

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Capitolo 18
*** Suona la tromba ***


L’attenzione comune era rivolta verso le normali azioni quotidiane. Tutto era normale, tutto era giusto e tranquillo. 
I cacciatori erano appena tornati con le prede che la natura aveva donato loro, le donne le stavano ora preparando. 
Le pelli e la carne erano stesi ad asciugare. 
Il suono penetrante di una tromba interruppe la pace.
Figure di uomini pallidi a cavallo in lontananza. 
Giubbe blu.
Non ci fu tempo di reagire.
I soldati bianchi cavalcarono verso il villaggio, i colpi dei fucili riecheggiavano nella valle insieme alle urla delle donne e dei bambini. 
Gli uomini morirono combattendo.
Loro furono fortunati.
Donne e bambine furono stuprate, i figli e i vecchi genitori costretti a guardare. 
Infine il villaggio fu dato alle fiamme.
I soldati probabilmente avrebbero avuto una medaglia. Tornarono a casa ridendo.
Tra il crepitio delle fiamme si udì il pianto di un bambino.
Un colpo di fucile.
Il bambino non pianse più.

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Capitolo 19
*** Destino ***


Vagava da sola nel bosco. Una bambina sporca, affamata, stanca e vestita di stracci che in quei tempi di guerra era facile incontrare, orfane di genitori morti per le epidemie, le incursioni, la fame e i saccheggi nei villaggi.
Il re non aveva più i soldi per occuparsene e quindi diventavano mendicanti o ladruncole, o peggio.
Lei non riusciva a rubare, la scoprivano sempre e doveva correre forte per non farsi prendere, ma ormai non aveva più forze per correre. 
Sulla schiena portava una spada, quella di suo padre: cavaliere morto in battaglia che le aveva lasciato solo quell’arma come eredità.   
Stava morendo anche lei.
Non aveva più forze per fare nulla, nemmeno per vivere.
Però voleva combattere.
Diventare una guerriera per porre fine a quella guerra, per difendersi da sola, per non avere più paura.
Ad un tratto vide un uomo. Era vestito di nero, seduto vicino a un fuoco con una spada che brillava alla luce delle fiamme. 
La bambina si sedette a riscaldarsi, troppo infreddolita per avere paura. 
L’uomo la guardò a lungo. Non disse nulla e le porse un pezzo del coniglio che stava arrostendo.
Lei divorò tutto, finalmente poteva saziarsi.
L’uomo continuò a guardarla, poi le porse una coperta.
Passarono la notte lì il giorno dopo l’uomo prese la propria spada e la sacca e partì. La bambina non lo seguì.
Accorgendosene, il guerriero si voltò e le disse una sola parola.
-    Seguimi. –
Lei obbedì al suo nuovo maestro. Sarebbe diventata una guerriera.

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Capitolo 20
*** Ira, ma non mostro ***


Quell’uomo l’aveva cresciuta, l’aveva allevata come sua figlia, le aveva dato amore e una casa quando non aveva più nessuno, quando era solo una vagabonda e una ladra che rischiava di essere uccisa, rapita, violentata da chiunque in qualunque momento.
Lui, guerriero errante senza re e senza vincoli, l’aveva salvata da quel mondo e addestrata al combattimento, per darle un modo di vivere, di sopravvivere, di non cadere più in quella vita.
Ed ora il suo maestro, colui che chiamava padre, era ferito, steso a terra in una pozza di sangue che si allargava inarrestabile, portandosi con se’ la vita dell’uomo.
E fu allora che la sentì. 
Quella rabbia che l’aveva emarginata, che l’aveva resa un mostro agli occhi di tutti, agli occhi del mondo, ma non a quelli di quell’uomo, scoppiò, le riempì il petto e il cuore di desiderio di sangue.
Sfoderò le spade con misurata lentezza, assaporando quell’ira che a lungo aveva tenuto sopita, nascosta per anni.
Attaccò, non per ferire, ma per uccidere chi aveva ferito il suo maestro. 
La testa del nemico volò via al taglio netto della sua spada, il sangue dell’uomo la ricopriva interamente. 
Di nuovo era stata un mostro. 
Si chinò sul suo maestro. Non c’era condanna nei suoi occhi. 
E allora pianse davanti all’uomo che non l’avrebbe mai giudicata.

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Capitolo 21
*** L'anima ***


Fissava quell’etereo corpo fluttuante davanti a se’. Non parlava, ma la fissava con grandi occhi da cui spiccava una tristezza infinita. 
Fin da piccola aveva visto quella figura. La seguiva ovunque, la consigliava senza parlare mai, ma le era sempre accanto. 
Più volte lei le aveva parlato, mentre l’anima la fissava. Solo lei poteva vederla e i suoi genitori avevano pensato fosse semplicemente un amico immaginario. Ma quando crescendo aveva continuato a vederlo si erano preoccupati e lei aveva smesso, almeno in pubblico, di parlarle.
Quella sera, anni dopo la sua infanzia, si trovava in quella stanza, in ginocchio sul pavimento, con quell’enorme e coltello affilato appoggiato sulla pelle bianca del polso.
E quell’anima continuava a fissarla.
-    Ho paura. – non si aspettava una risposta. E non ne ebbe. Solo un cenno. 
Per chiunque altro non sarebbe significato nulla, ma per lei fu come ricevere la sua approvazione.
Nella vita aveva sofferto troppo e voleva farla finita.
Premette la lama sul polso da cui cominciò a sgorgare copioso sangue vermiglio.
Indebolendosi sempre di più, i contorni delle cose cominciarono a sfocarsi, ma non quelli dell’anima.
Quando ormai stava per morire, l’anima le tese la mano e per la prima volta parlò, con voce calda e profonda e terribilmente lontana.
-    Vieni con me. – 
Afferrò la mano e con lei attraversò il fascio di luce apparso e andò all’altro mondo, felice. 

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Capitolo 22
*** Foto di un bambino ***


L’entrata della prigione era grigia e piena di guardie, sbarre prendevano il posto di porte e finestre. 
Le ci erano voluti anni per andare a trovarlo, anni dopo che era stato condannato all’ergastolo per omicidio di primo grado senza possibilità di appello. Lei aveva sofferto, certa della sua innocenza, ma poi si era resa conto di averlo sempre saputo che lui era il colpevole. Non era mai andata in prigione per lui. Aveva ucciso e tanto le bastava per non volerlo rivedere.
Però ormai glielo doveva.
Dopo cinque anni era ancora bello, con quegli occhi verdi che spiccavano dagli zigomi marcati. I capelli neri rasati non le piacevano, ma non lo peggioravano più di tanto. 
Non si salutarono, non si scambiarono stupidi convenevoli. Lei fece l’unica cosa per cui era venuta lì.
Triò fuori dalla borsetta una foto e gliela passò. Lui la prese, la guardò e cominciò a piangere. Pianse come non aveva mai fatto per la sua vittima.
Pianse per il figlio di cinque anni mai conosciuto. 

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Capitolo 24
*** La casa ***


Viveva per l’adrenalina, viveva di emozioni.
Aveva fatto di tutto, affrontato squali e vuoto, fuoco e vento, aveva provato di tutto.
Ora però voleva provare la paura.
Aveva iniziato a cercare edifici abbandonati. Manicomi, fattorie, capannoni, rimesse, fienili e case.
Anche ciò che aveva davanti era una casa.
Vecchia, di legno tarlato, vetri rotti. Era esattamente ciò che cercava.
Gli scricchiolii che accompagnarono il suo ingresso furono un gradito brivido lungo la schiena. 
La cucina fu la prima stanza che vide.
Al contrario delle altre, che erano sempre svuotate o diroccate, questa casa era perfettamente in ordine. La tavola era apparecchiata per la cena e, se non fosse stata per la polvere, avrebbe potuto dire che da un momento all’altro qualcuno sarebbe sbucato per mangiare. 
Una vecchia campana a vento risuonò, facendolo sobbalzare. 
L’aria era ferma.
Sentiva la paura contorcergli le viscere.
Ottimo.
Salì le scale, piano, con cautela. Avvertiva l’ebrezza della paura.
Il bagno era sporco e pieno di foglie marce entrare dal vetro rotto,  ma tutto sommato era una stanza normale, cosi’ come quelle che erano state le camere dei bambini: piene di giochi disseminati sul pavimento e i letti ancora sfatti dall’ultima notte in cui qualcuno ci aveva dormito, parecchi anni prima.
Fino a che non si diresse verso l’ultima stanza in fondo al corridoio. 
Quella gli parve essere la parte più fredda e buia della casa. 
Aveva una  brutta sensazione. 
Doveva andarsene.
Rimase.
Aprì piano la porta, la luce del corridoio penetrò l’oscurità. 
Due grandi occhi di ghiaccio lo fissarono dall’unico angolo buio rimasto.
Urlò.
Non uscì mai più da quella casa.  

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Capitolo 25
*** Lacrima ***


Vedo il mio sangue sulla strada, una macchia scura che diventa sempre più grande. Vedo il cofano della macchina pesantemente ammaccato dal mio corpo. C’è sangue anche sopra il telaio. Vedo l’autista fuori dalla macchina. E’ ubriaco. Vomita vedendo cosa ha causato. Lo odio? Sì. Perché’ io non ho fatto niente. Non ho bevuto e guidato, sono stata corretta, e per questo devo morire. Tutto questo non è giusto. Io ho dei sogni, ambizioni, speranze. Voglio il mio futuro, voglio invecchiare. Non voglio questa strada come ultimo ricordo. Sento arrivare l’ambulanza e la polizia. Però ormai è tardi. Vorrei chiedere scusa a chi ho fatto soffrire, dire alla mia famiglia che le voglio bene. Ma non ho tempo. Una lacrima mi scorre sulla guancia e cade sull’asfalto, nel mio sangue. E’ la ma ultima immagine. Chiudo gli occhi.

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Capitolo 25
*** Drago ***


 

 

Il drago viveva nella montagna.

Da secoli ne aveva fatto la sua dimora.

I pochi abitanti dei villaggi rimasti in quei territori vivevano rintanati nelle loro capanne, terrorizzati dall'idea di vedere il cielo oscurarsi dall'immenso corpo serpentesco e dalle ali grandi come navi del drago a caccia.

Ma la bestia erano decenni che non usciva dalla sua montagna, nutrita dai sacrifici delle genti da lui soggiogate.

Vapori sulfurei e nuvole di denso fumo nero uscivano dalle pendici della montagna, provocati dal drago che dormiva sul suo tesoro.

C'eano immense ricchezze nel cuore della montagna, rubate dal drago nelle sue scorrerie e mai dimenticate.

Troppi uomini erano partiti per recuperarli e non erano mai tornati.

Troppe donne non avevano nemmeno avuto indietro un corpo su cui piangere.

Era primavera quando l'ennesimo pazzo tentò l'impresa.

Non aveva un nome, una scorta o uno stendardo.

Aveva una spada.

Aveva uno scudo.

La spada era magica, si diceva.

Lo scudo era stregato, si pensava.

Di certo c'è solo che l'uomo entrò nel cuore della montagna.

Ne uscì con il cuore del drago.

Non badò alla gioia del popolo.

Non prese parte alle feste in suo onore.

Tornò nella montagna a prendere il tesoro.

Nessuno seppe più nulla di lui da allora.

Si dice però che al di là delle terre conosciute ci sia un regno dorato governato da un re con un mantello di pelle di drago.

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