I will love you 'til the end of time.

di yoursmccann
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mihawk x Perona ***
Capitolo 2: *** Marco x fem!s/o ***
Capitolo 3: *** Zoro x Robin ***
Capitolo 4: *** Per Ace ***
Capitolo 5: *** Crocodile x fem!s/o ***
Capitolo 6: *** Kidd x fem!s/o ***
Capitolo 7: *** Sanji x fem!s/o ***
Capitolo 8: *** Zoro x Law ***
Capitolo 9: *** Zoro x Law ***



Capitolo 1
*** Mihawk x Perona ***


Vi do il benvenuto in questa raccolta di storielle romantiche sui personaggi del mondo di One Piece, che spero possano farvi sorridere e magari emozionare di tanto in tanto. Gli aggiornamenti saranno decisamente lenti e irregolari ma, essendo le storie non collegate tra loro, questo non sarà un problema per nessuno. Principalmente lo scopo di queste note è di spiegare che il significato di "s/o", che troverete spesso nei titoli, sta per "significant other", indicando un ipotetico partner del personaggio. Buona lettura! :)

                                                Mihawk x Perona

Rating: verde

Genere: fluff; introspettivo; slice of life

«-perché l'unico a cui fossi mai stata simpatica era Moria-sama», concluse il suo sfogo Perona, le mani che ancora giocavano con un filo scucito del suo orsetto peluche.

Quella era la consapevolezza che le affliggeva l'animo. Forse era per la sua particolare quanto originale risata, o forse per i fantasmi che spesso si divertiva a utilizzare contro qualche presuntuoso. Forse era per il vizio di urlare ogni qual volta qualcosa le andasse storto o semplicemente era troppo euforica e pimpante per i gusti degli altri. La testa di muschio che viveva con loro, tra l'altro, continuava a ricordarle ogni giorno quanto fosse fastidiosa e, si sa, prima o poi ci si convince di ciò che ci viene ripetuto quotidianamente.

Perona aveva provato a ricordare i bei tempi vissuti a Thriller Bark con Moria e i suoi soldati zombie, ma gli insulti dell'allievo di Mihawk la riportavano puntualmente alla triste realtà. A Kuraigana lei non piaceva a nessuno, se non ai suoi fantasmi -che, per quanto lei potesse tenere a loro, comunque non erano degli umani-. Occhi di Falco non si era mai pronunciato esplicitamente in merito a quella questione e solitamente cercava di ignorarla quando diventava intrattabile, ma anche lui a volte era costretto a rivolgerle occhiatacce taglienti quanto la lama della sua spada, pur di metterla a tacere.

Dopo averci pensato per un po' nella solitudine della sua stanza, Perona aveva deciso di palesare al padrone di casa le sue insicurezze, al sicuro tra le braccia di quest'ultimo, che sedeva alla solita postazione e che, stranamente, l'aveva accolta senza fare tante storie. Forse perché Zoro non era ancora rientrato al castello, chi lo sa. Che si fosse perso? A Perona non importava, non voleva proprio vederlo quello scorbutico.

Credeva che, come al solito, Mihawk si sarebbe limitato ad ascoltarla in silenzio, senza darle alcuna risposta. Perona era sicura che avrebbe mugugnato qualcosa, non prendendola minimamente sul serio, per poi chiederle se avesse preparato la cena.

Invece, lo spadaccino allungò inaspettatamente una mano per raggiungere il mento della ragazza, e le fece piegare la testa così che potesse guardarlo negli occhi. Oh, erano così belli gli occhi di Mihawk, Perona ci si perdeva dentro ogni volta. Sembravano fatti di miele in quel momento, dolci al punto da dare dipendenza.

«Smettila», le disse, il tono di voce serio tradito dal pollice che le accarezzava una guancia teneramente.

«Ma Zoro dice sempre ch-»,

«Ci parlerò io con lui», promise Mihawk, e Perona sapeva che il giorno seguente Zoro avrebbe terminato l'allenamento con più ferite di quelle che gli avrebbe guarito oggi.

«Va bene», mormorò, serrando le labbra e gonfiando le guance.

L'aveva interrotta e ciò significava che l'aveva tediato abbastanza, ma lei non aveva ancora sciorinato del tutto il suo malessere. Restò in silenzio, comunque, e Mihawk fece lo stesso, mentre contemplava meditabondo le sfumature magenta negli occhioni scuri di lei; passarono alcuni secondi prima che, spinto dallo sfavillare di quelle sfere di ossidiana, chinò il capo e premette le labbra contro le sue in un casto bacio.

«Questo era per chiedermi di portare la cena in tavola, vero?», chiese Perona sorridendo, il cuore euforico nel petto. Mihawk distese appena le labbra in uno dei suoi rari abbozzi di sorriso che, oh, Perona tanto amava.

«Prima dovrai andare a cercare Zoro.»

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Capitolo 2
*** Marco x fem!s/o ***


                                          Marco x fem!s/o

Rating: verde

Genere: angst; fluff

Erano passati diversi mesi, ma continuava a succedere ancora e ancora. Dopo le prime settimane di nottate passate in bianco, lentamente il primo comandante aveva ripreso a concedersi il giusto numero di ore di riposo. E sembrava che tutto stesse andando per il verso giusto, che avesse accettato la perdita e se ne stesse facendo una ragione.

Ma il dottore riuscì a tenere duro solo per una manciata di mesi. Il dolore nel petto non si era mai attutito, nonostante sembrava stesse imparando a gestirlo. E ora, che pochi giorni più in là avrebbe marcato un anno dalla morte di suo padre e del suo fratellino, Marco sentiva di star perdendo nuovamente il controllo.

Quei terribili ricordi, che aveva disperatamente tentato di rendere sfuocati, sembrava avessero riacquistato vividezza, e ogni giorno riviveva nella sua testa l'intera Guerra dei Vertici. Immagini dei bei momenti trascorsi in compagnia di Ace e Pops -prima che gli fosse strappata via la vita con prepotenza- scorrevano inarrestabili dinanzi ai suoi occhi lucidi di lacrime, e gli facevano perdere il contatto con la realtà, lo intontivano.

Quella notte si era alzato, come molte altre, incapace di restare a letto un secondo di più, e si era diretto in bagno. Aveva poggiato i palmi sudati contro il muro freddo, ai lati dello specchio, e aveva osservato il suo viso pallido nella superficie riflettente. Non aveva mai avuto occhiaie così segnate e scure prima di quella guerra, non aveva mai avuto il viso così smunto e soprattutto non aveva mai avuto il cuore così spezzato. Che cosa ne sarebbe stato di lui se non si fosse ripreso?

«Marco», lo richiamò lei, facendo ingresso nel bagno dalla porta alle sue spalle.

Ormai era abituata a vederlo svegliarsi nel cuore della notte, sudato e con il cuore che gli martellava nel petto. Alcune volte gli bastava farsi cullare per qualche minuto nell'abbraccio della sua donna, altre era necessario che si alzasse e che si calmasse prima di poter tornare a letto. Quella notte ci stava mettendo più del solito a tornare in stanza, perciò lei lo aveva raggiunto, per assicurarsi che non fosse svenuto. Lo trovò in piedi, che si reggeva al lavabo e teneva la testa china tra le spalle ricurve.

«Marco», lo chiamò ancora, avanzando qualche altro passo verso la schiena nuda dell'uomo fenice.

Sospirò al silenzio di lui e avvolse le braccia attorno alla vita del dottore. Nessuna parola avrebbe potuto confortarlo, perciò un abbraccio era tutto ciò che aveva per esprimergli la propria vicinanza. Lei non poteva capirlo cosa provasse lui.

Marco si irrigidì e uno sbuffo sfuggì dalle sue labbra. Era così distratto da non averla neanche sentita entrare. Davvero il trambusto nella sua anima era tanto rumoroso da renderlo sordo?

«Oh, sei tu», mormorò, rilassandosi appena. Si sentiva un po' in colpa per averla svegliata, ma sapeva che non le dispiacesse alzarsi per offrirgli conforto.

Con un sospiro Marco si voltò e lentamente si abbandonò tra le sue braccia. Aveva bisogno di un'ancora che lo tenesse con i piedi ben piantati nella realtà, impedendogli di perdersi nel caos che gli metteva in subbuglio la mente.

«Oh, Marco», sospirò lei, tirandolo a sé dalla nuca rasata e, come una bomba che non esplode, in quel momento il primo comandante implose, affogando nelle lacrime che non aveva versato per mesi. I muri che con fatica aveva innalzato attorno a quegli atroci ricordi stavano ora crollando; ed era impossibile che riuscisse da solo a raccogliere i frammenti del suo cuore che si sbriciolava, senza essere colpito e schiacciato al suolo dalle macerie.

Lei si strinse al suo petto anelante, scosso dai singulti, e in tombale silenzio gli lasciò qualche minuto per smaltire il tormento. Ascoltò il battito accelerato del suo cuore sofferente e sperò che il calore di quell'abbraccio potesse consolarlo. Tutte le lacrime che il biondo non aveva pianto in quei mesi, adesso le cadevano sulla spalla una dopo l'altra. Prese ad accarezzargli la schiena, avvertendo la tensione nelle sue membra stanche; e solamente quando si fu calmato osò allontanarlo da sé. Gli prese il viso tra le mani e alzò lo sguardo per incontrare quello logorato di lui.

«Ti va di tornare a letto?»
Marco annuì con ancora il viso imperlato di lacrime.

«Grazie», mormorò, stampandole un bacio sulla fronte.

In quel momento ringraziò mentalmente chiunque gli avesse permesso di avere al suo fianco una donna così solidale e premurosa, che guariva le ferite del suo animo. Era un dottore, ma nessuna delle medicine che conosceva era più analgesica dell'amore di lei.

«Lo sai che farei di tutto per te.»

La vide sorridere, e alzarsi sulle punte dei piedi tanto quanto bastava a raggiungere le sue labbra, che catturò in un casto bacio. E, avvertendo il sapore di lei, Marco ritrovò la sua pace.

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Capitolo 3
*** Zoro x Robin ***


Zoro x Robin

Rating: giallo

Genere: fluff; malinconico

«Questa è l'ultima volta che ci vedremo», gli dice lei, voltandosi sul fianco per osservarlo. La luce della lampada, sul comodino alle spalle di Robin, illumina i contorni di quel suo corpo dalle curve sinuose, che Zoro tanto ama percorrere con lo sguardo.
Sono ancora nudi e i loro petti hanno da poco smesso di anelare. Le lenzuola sono sicuramente finite per terra, ma a nessuno dei due importa. Si sporcheranno, dato che loro hanno varcato la porta d'ingresso con le suole sporche di fango, ma del resto quella è solo l'ennesima scomoda ed economica stanza di motel. Per così poco non vale la pena alzarsi e sottrarsi al calore del corpo dell'altro, soprattutto non quando questa è l'ultima volta che staranno assieme.

Zoro non può dire che non se lo aspettasse. Ha sempre saputo che prima o poi lei avrebbe trovato la persona giusta, matura come lei e che potesse darle la stabilità di cui ha bisogno. Ritiene più che giusto che Robin ricerchi l'agio e la serenità, data la terribile infanzia alle sue spalle, e un'adolescenza anche peggio. Lui lo sa, lei gli ha raccontato tutto. Più volte si è aperta con lui, rivelandogli i propri trascorsi, mentre si stringeva forte al suo petto dopo aver fatto l'amore. Zoro ritiene che quelle siano state decisamente le notti migliori di tutta la sua vita. Quelle notti in cui Robin gli ha mostrato il proprio cuore, intenerendo il suo.

Sapeva che un giorno o l'altro lei sarebbe finita tra le braccia di un altro, ma questo non gli aveva impedito di innamorarsi perdutamente di lei. Come poteva non dedicarle i propri sentimenti, quando era stata lei a ricordargli cosa fossero le emozioni? Non è sicuro di quando esattamente si sia innamorato, sa soltanto che inizialmente era per entrambi un'amicizia con benefici, e poi... poi per lui non lo era più. Robin era sempre stata sincera con lui, gliel'aveva detto sin da subito che prima o poi la loro frequentazione sarebbe giunta a una fine. La prima regola che avevano concordato era stata "non innamorarsi", e Zoro aveva fallito miseramente.
Ora dirle addio gli avrebbe fatto dieci volte più male.

«Hai trovato l'uomo della tua vita?», le chiede, senza scomporsi, ignorando il proprio cuore che sanguina nel petto.
«Credo di sì», risponde lei, e un sorriso sincero le si dipinge in volto. L'idea di ricominciare daccapo le è sempre stata tanto cara.
«Sono felice per te», le sorride lui di rimando, incapace di imbronciarsi di fronte alla gioia negli occhi luminosi di lei. Restano in silenzio per diversi minuti, a scrutare il viso l'uno dall'altra. Quante notti hanno passato così, ad osservarsi in silenzio, nel buio della stanza, illuminati dalla luna pallida. Non hanno mai avuto bisogno di parlare per passare il tempo, non si stancano mai della taciturna presenza dell'altro. La loro intesa e la profonda intimità che condividono li hanno quasi resi una persona sola. E ora devono dirsi addio per sempre.

«Zoro.»
Robin gli poggia una mano sulla spalla e Zoro sposta lo sguardo sul punto in cui le loro pelli si toccano, provocandogli brividi lungo la schiena ancora sudata.
«Tu non ti sei innamorato di me, vero?», gli chiede in un sussurro, incastonando i propri occhi di acquamarina in quelli di ardesia di lui, che la fissano di nuovo attenti.
«No», risponde lui. Non gli piace mentire, ma non vuole infliggerle la pena di dover аbbandonare una persona innamorata. Non vuole che lei si senta in colpa ogni volta che ripenserà a lui.
Certo, la propria anima sarebbe più leggera se le confessasse i propri sentimenti, ma non può permettere che tra di loro le cose si concludano su una nota triste.
«Ne sono lieta», mormora lei e le si può leggere in viso quanto quella risposta le faccia piacere. Chi è lui per turbare l'animo di quell'amabile donna?
«Sarai felice», le promette quando lei si stringe al suo fianco. Le accarezza il capo con tocchi leggeri, mentre Robin annuisce concorde e i suoi capelli corvini solleticano il collo di Zoro. Il verde sospira e la stringe maggiormente a sè per poterla avvolgere in un abbraccio ancora un'altra volta. Il profumo floreale di lei gli invade le narici mentre sente sotto le dita quella sua soffice pelle nivea. Oh, se gli mancherà.
«Non mi dimenticherò mai di te, Zoro», gli sussurra Robin, spezzandogli il cuore un'ultima volta con amara dolcezza.

                                         

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Capitolo 4
*** Per Ace ***



Ace        

Rating: verde

Genere: malinconico


«Mi dispiace», le dice il biondo, abbassando lo sguardo su ciò che custodisce tra le mani.

Lei alza lo sguardo e passa in rassegna i volti sconsolati dei comandanti. Dai loro occhi cerchiati traspare la tristezza e il vuoto che avvertono nel petto. Non stanno mentendo, quelle sono le facce di chi dice la verità.


«Abbiamo ricostruito la sua collana per lasciarla sulla sua tomba e abbiamo pensato che ti sarebbe piaciuto poter conservare qualcosa di lui», le dice Izo.

A quel punto il primo comandante le lascia nel palmo tremante tutto ciò che d'ora in poi le resterà di Ace: una sferetta rossa di legno della sua collana. E come se Ace stesso le avesse dato conferma della nefasta notizia, attraverso il contatto con quella preziosa reliquia, finalmente lei elabora l'accaduto.

Ace è morto.


Ace se n'è andato e questa volta per sempre. Le aveva promesso che un giorno sarebbe tornato, che sarebbero rimasto con lei, che avrebbero creato una famiglia assieme. E invece ora comprende che nessuno di quei sogni prenderà mai vita. Non vedrà mai più il suo sorriso contagioso.

Si abbandona tra le braccia di Marco, stringendo in pugni rabbiosi la sua camicia, mentre lacrime nere di mascara scorrono rapidamente lungo le sue guance arrossate, bagnando il petto del ragazzo.

Ace è morto.


Quel magma che ha scavato una voragine nel petto del suo amore, consumandogli la vita, adesso le sembra stia corrodendo il cavo del collegamento alla realtà, per imprigionarla nella sua soffocante sofferenza. E adesso che lui non c'è più le sembra che la bussola del suo cuore sia impazzita, perché non trova più la via per il Nord. Ha smarrito per l'eternità la strada per la felicità.


Scivola per terra sulle ginocchia e si lascia andare a un pianto di urla strazianti e singhiozzi, che altro non fanno che rinnovare il dolore negli animi feriti dei comandanti. Sui loro volti si dipinge un'espressione tormentata, di chi già da ore sta combattendo con il dolore della perdita di un proprio caro.


Ace è morto e tutti loro non lo vedranno mai più, se non attraverso la fiamma dell'ira che d'ora in poi brucerà per sempre nei loro cuori.


                                 

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Capitolo 5
*** Crocodile x fem!s/o ***



Crocodile x fem!s/o        

Rating: verde

Genere: fluff


Se c'era un motivo per cui Crocodile aveva accettato di partecipare al matrimonio, quello era solamente il profondo legame di amicizia che legava la sua giovane compagna alla sposa, che era anche sua cugina.
Altrimenti non avrebbe mai osato prendere parte a una festa che prevedesse tra gli invitati la famiglia di lei. Erano un branco di persone fastidiose, con la puzza sotto il naso, che avrebbe voluto tanto levar di mezzo, se solo non fossero stati i parenti della sua dolce metà.

Stringeva più forte il sigaro tra i denti ogni qual volta gli rivolgevano la parola. Sempre se aveva la possibilità di accenderne uno. Pur di non lasciarla sola con i suoi congiunti e permettere loro di sciorinarle addosso tutte le motivazioni del loro disappunto, Crocodile aveva rinunciato già a un paio di sigari quel giorno. Questo per restare lì accanto a lei, a respingere con la sua naturale espressione non-curante stampata sul volto tutte le frecciatine, sussurrate non proprio a bassa voce, che non lo scalfivano minimamente.

Non era affatto un allocco e intuiva perfettamente che le domande che gli ponevano, riguardo a quelle che erano verità lapalissiane, erano volte al solo scopo di far comprendere alla sua compagna di quale disgraziato si fosse innamorata. Ma era ovvio che lei già sapesse tutto dei suoi traffici illegali.

Come se ciò non bastasse, Crocodile non credeva nel matrimonio, quindi quel tipo di celebrazione non lo dilettava affatto. Per amarsi per sempre riteneva bisognasse impegnarsi, non bastava prometterselo. E poi che bisogno c'era di organizzare tutte quelle pagliacciate? Comunque, era suo dovere accettare l'invito, perché era in debito con la sua metà. Quante volte, infatti, le aveva chiesto di sedere accanto a lui ai suoi convegni lavorativi, solamente per godere dell'agio e della dolce tranquillità che la sua presenza infondeva in lui? Tante. Quante volte lei si era rifiutata? Nessuna. E Crocodile era ben consapevole di quanto lei odiasse dover ascoltare mentre lui metteva a punto un altro dei suoi piani malvagi con i suoi subordinati , o stringeva un nuovo accordo segreto con altri ricercati. Eppure, gli era sempre stata accanto, non importa quale nuova diavoleria stesse pianificando.

Si stava impegnando a fare in modo che lei si divertisse e non notasse le occhiatacce che tutta la sala le riservava. Infatti, proprio come degli avvoltoi, non le avevano tolto gli occhi di dosso da quando era entrata nella sala del ricevimento, con l'avambraccio ancorato a quello di Crocodile elegantemente. Erano sguardi carichi di disprezzo, delusione e rimpianto. Come può essersi innamorata di un mostro come lui?, si chiedevano. Sembrava che avessero quei pensieri scritti sulla fronte, perché Crocodile non ricordava di essere mai stato in grado di leggere nella mente umana, eppure recepiva ogni parola.

Specialmente adesso che si trovava al centro dell'ampia sala, trascinato ovviamente da quella maledetta -e al contempo benedetta- donna, contro la sua volontà. Come se fosse stato un animatore, tutti seguivano ogni suo movimento con lo sguardo, mentre lentamente oscillava seguendo il ritmo della musica. Teneva l'uncino freddo poggiato contro la parte bassa della schiena della sua donna, per poterla stringere più a sé di tanto in tanto. Quel salone era un campo di battaglia e Crocodile stava facendo scudo alla sua amata con il suo stesso corpo, per impedire che quelle occhiatacce simili a dardi velenosi le trapassassero la pelle candida e intossicassero la sua anima pura.

Crocodile non era proprio un amante dei lenti. In generale, non gli piaceva ballare. Se questo, però, significava tenerla contenta... beh, allora l'avrebbe fatto. Non si sarebbe impegnato al punto da prendere lezioni di ballo, ovviamente no. Tutto ciò che era stato disposto a fare era alzarsi dalla non-poi-così-comoda sedia, seguirla verso il centro della pista, avvolgerle la vita con il suo massiccio uncino dorato e intrecciare le dita della sua unica mano a quella delicata di lei.

Adesso era il sentimento a trasportarlo e la musica a suggerirgli i passi. Gli occhioni da cerbiatta della sua compagna puntati nei suoi gli impedivano di pentirsi di essersi alzato, o di sentirsi in imbarazzo. Anzi, Crocodile si sentiva solamente invincibile in quel momento, perché per quanto gli sguardi degli invitati potessero essere pungenti, niente poteva danneggiare un uomo fatto di sabbia, così come niente poteva impedire alla sua donna di amarlo.

                      

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Capitolo 6
*** Kidd x fem!s/o ***



                      Kidd x fem!s/o

Rating: arancione

Genere: slice of life


«Ti mancherò, vero?», gli chiede lei, sistemandosi sul fianco per osservarlo.

Kidd sta steso supino, con le mani dietro la testa. Le sue ciocche cremisi spettinate, sbavature di rossetto attorno alle labbra e di matita nera sotto agli occhi, il petto ancora anelante dopo l'intensa sessione di attività amorosa. Fissa un punto indefinito del soffitto della sua cabina, mentalmente assente fin quando non si sente rivolgere quella che -più che essere una domanda- è una provocazione.

Kidd schiocca la lingua, voltandosi appena per lanciarle un'occhiataccia. Davvero crede di potergli strappare una simile confessione?

«Chiederai a Killer di dormire con te?»,continua a stuzzicarlo lei, stringendosi al suo fianco. Fa scivolare le braccia attorno alla vita del capitano rosso e poggia la testa sul suo petto tonico. Sa bene che Kidd soffrirà la sua assenza ma non lo ammetterà, perciò cerca la sua attenzione prima che l'alba arrivi e la costringa ad abbandonare quel letto, dato che lui non muoverà un dito.

Trascorrono alcuni minuti nel silenzio, riempito solo dai loro respiri ansanti. Le dita di lei tracciano le linee disegnate dai suoi addominali e Kidd si gusta quelle carezze prima di aprire bocca di nuovo.

«Al massimo potrei sentire la mancanza del tuo corpo», ghigna, mentre la sua mano si sposta dalla propria zazzera cremisi al gluteo di lei, che agguanta possessivamente.

«Come se non la sentissi ogni giorno», ridacchia lei, nonostante vorrebbe fingere un tono seccato. Allunga una mano per ripulire le labbra del capitano rosso dal rossetto carminio, mentre lui la guarda in tralice con gli occhi che nuovamente brillano di lussuria.

«Pervertito che non sei altro», gli sorride, pensando a quanto le mancherà quella testa calda. È un uomo difficile ma, oh, lei non è affatto da meno.

«È per questo che stai con me», ribatte Kidd, e con una mano dietro la sua nuca le spinge il viso verso il proprio, per baciarla con travolgente passione. Con un movimento repentino scivola agilmente su di lei e la sovrasta con il suo peso. Nonstante la propria alterigia deve ammettere, però, che non ha speranze di ottenere il controllo nella camera da letto. Kidd è un irreprensibile tiranno tra quelle quattro mura.

«Secondo round?», le chiede, mentre già si fa spazio tra le sue gambe. Non ha bisogno di guardarla in viso per sapere che lei sta annuendo frettolosamente, impaziente di sentirsi nuovamente amata da lui. E, nonostante sappia che ne uscirà sfinito, Kidd è entusiasta. Deve approfittare al meglio delle ultime ore di buio per far scorta dell'amore di lei, così da poter sopravvivere fino al loro prossimo incontro. Gli mancherà, oh, e come se gli mancherà. Ma Kidd non vuole pensarci ora. Se ne occuperà al mattino, quando si sveglierà tra le lenzuola vuote che ancora profumeranno di lei. Tutto ciò che gli importa ora è farle capire quanto tiene a lei un'ultima volta.

 

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Capitolo 7
*** Sanji x fem!s/o ***


Sanji x fem!s/o

Rating: verde

Genere: fluff; angst

Sorseggiava il sorbetto che Sanji le aveva preparato e nel mentre osservava il riflesso della luna illuminare la superficie scura dell'oceano. La brezza notturna le scompigliava i capelli gentilmente e le onde cullavano con dolcezza il suo animo inquieto. L'idea di perdere Sanji per sempre l'aveva sconvolta, le aveva fatto perdere la fame e il sonno. Gli eventi di Whole Cake Island avevano oltremodo provato la sua resistenza fisica, ma ora la pace era tornata nel suo cuore. O quasi. C'era un solo e ultimo problema da arginare.

Il cuoco biondo, oggetto dei suoi pensieri da alcuni minuti, fece in quel momento la propria comparsa sul ponte della Sunny, dopo aver riportato la cucina in assoluto ordine.

«Il sorbetto è di tuo gradimento, Sayuri-chan?»,

«Quando mai non ho apprezzato qualcosa che tu avevi preparato?», gli sorrise, voltandosi per incrociare il suo sguardo. Si era tolto il grembiule da cucina e aveva indossato una giacca. Il vento gli scompigliava il ciuffo di capelli biondi, mentre la luna e le stelle illuminavano i tratti amabili del suo volto.

«Sembra davvero un principe», pensò Sayuri, senza avere il coraggio di ripetere quelle parole al diretto interessato. Aveva intuito che lo infastidisse parecchio parlare del suo nobile lignaggio e non desiderava vedere quel suo viso cordiale contrarsi in un cipiglio nervoso.

«Mi sei mancata, Sayuri-chwan.» Il cuoco le sorrise e allungò una mano per accarezzarle la guancia con il pollice.

Un'ondata di calore pervase Sayuri da testa a piedi, colorandole le guance. Sperò che il buio l'aiutasse a nascondere le proprie emozioni, ma Sanji ormai la conosceva come le tasche dei propri pantaloni. Non era del tutto convinto circa i veri sentimenti di lei, ma le notti che fino ad allora avevano trascorso assieme erano una testimonianza oltremodo affidabile.
I ricordi della loro passione, infatti, gli diedero il coraggio e, senza alcun tentennamento, si avvicinò a lei fino a catturarle le labbra in un bacio, per poi lasciarle andare qualche secondo dopo con un leggero schiocco.

«Temevo non avrei baciato le tue labbra mai più», le sussurrò, tenendo gli occhi puntati in quelli lucidi di lei. Intuì fosse emozionata, ma del resto anche lui sentiva il proprio cuore martellare nel petto, causa la così piccola distanza tra le loro labbra.

«Ho sempre sperato saresti stata tu la mia futura sposa, mi attanagliava l'anima l'idea di averti persa per sempre.»

«Parli come se ti sarebbe dispiaciuto sposare Pudding», rispose Sayuri arcigna, spostandosi dal viso la mano del biondo e facendo un passo indietro. Come osava prenderla in giro così spudoratamente?

Sanji, del tutto colto di sorpresa da quelle parole, restò interdetto.

«Non fingere che Pudding non ti piacesse, perché a te piacciono tutte le donne», lo rimproverò, fissandolo con sguardo accusatorio e un broncio sulle labbra.

«Non prenderti gioco dei miei sentimenti, Sanji, perché io sono innamorata per davvero.» Nonostante desiderasse mantenere un tono stabile, le si ruppe la voce nel bel mezzo del discorso a causa del doloroso magone che la soffocava. Non aveva intenzione di mettersi a piangere, ma era stanca, irritata e pazzamente innamorata. Quel mix di emozioni e sensazioni diverse l'aveva portata al limite.

«Di tutte le donne che hai corteggiato solamente io sono stata così stupida da cascare ai tuoi piedi», borbottò Sayuri, col rimpianto nella voce, trafiggendo da parte a parteil cuore già sanguinante del biondo.

«Buonanotte, Sanji», si congedò, dirigendosi in cucina non appena sentì le prime lacrime solcarle il viso. Lasciò il bicchiere vuoto sul tavolo e fece per raggiungere la propria camera, ma il cuoco le afferrò il braccio non appena fu sull'uscio della porta.

«Sayuri-chan», la richiamò Sanji gentilmente, cercando lo sguardo sfuggente di lei.

«Sono molto stanca, vorrei andare a dormire», si scusò lei, sperando di passarla liscia.

«Non posso lasciarti andare in questo stato, soprattutto sapendo che sono io la causa delle tue sofferenze», spiegò lui, stagliandosi di fronte a lei per impedire un ipotetico tentativo di fuga. Sayuri tenne la testa bassa per nascondere gli occhi pieni di lacrime, ma il suo fu uno sforzo inane perché, quando il primo singhiozzo le scosse le spalle, vennero tutte fuori copiosamente. Cercò di spingerlo via, invano, per poter sfuggire a quel confronto.

Sanji, dal canto suo, mantenne la calma come sempre, seppure internamente fosse sul punto di impazzire. Fare il cascamorto con qualsiasi donna gli capitasse a tiro aveva ferito i sentimenti dell'unica donna che lo amasse e questo non se lo sarebbe perdonato facilmente. Non l'avrebbe biasimata se avesse deciso di non rivolgergli più la parola, ma non le avrebbe lasciato la convinzione che il suo amore non fosse ricambiato.

«Sayuri-chan», la richiamò, prendendo quel suo dolce viso nelle proprie mani. Le accarezzò le gote bagnate e arrossate per cancellare i segni delle lacrime, poi fissò il proprio sguardo in quello amareggiato di lei.

«Hai ragione: non mi sarebbe dispiaciuto sposare Pudding», continuò, facendo sospirare Sayuri, che per un momento vide le proprie teorie confermate.

«Sta' zitto, ti prego. O finirò per credere a ciò che dirai», sbuffò lei.

«Ci credi perché lo sai anche tu che è la verità! Sayuri, io sono innamorato di te da sempre, come puoi credere il contrario? Mi ferisce pensare che in tutto questo tempo tu non l'abbia capito», ribatté Sanji, con una insolita nota di disperazione nella voce. Era difficile vederlo esprimersi con un tono che non fosse serio o lezioso. Sembrava seriamente dispiaciuto.

Quella confessione, comunque, sortì il suo effetto e mise Sayuri a tacere, permettendo al cuoco di esprimersi meglio.

«Ammetto di essere stato un completo idiota per aver sminuito con i miei comportamenti ciò che c'è stato tra di noi.»

Sayuri avrebbe voluto controbattere, dirgli che si pentiva di essersi comportata così con lui e che avrebbero dovuto ignorare tutto l'accaduto, ma le parole le morirono in gola. Il pentimento negli occhi di Sanji le stringeva il cuore. Era solamente colpa sua se adesso anche lui era addolorato.

«Voglio solo che tu sappia che nulla è stato intenzionale, perché non avrei mai rischiato consapevolmente di perdere il tuo amore e la tua fiducia, che sono quanto di più caro ho a questo mondo.»

Oh, era così bello in quel momento, mentre apriva il suo cuore a lei. Come poteva resistergli? Davvero avrebbe ignorato sincerità nei suoi occhi?

«Ma se mi fosse concesso di scegliere liberamente una donna con cui trascorrere il resto dei miei giorni... senza alcun dubbio quella saresti tu, mia dolce Sayuri», concluse, poco prima che le labbra di lei si scontrassero con le proprie in un bacio ardente di passione.


A/N: ho dovuto dare un nome alla protagonista femminile di questa one shot, perché non mi piace usare i soliti "Y/N" e "F/N", e un Sanji che si rispetti non può non appellare la sua ragazza senza un "chwan" o "swan" (⁀ᗢ⁀) . Non so se terrò questo nome per altre one shot o meno, ma credo questa sia una questione che non può preoccuparvi :)

 

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Capitolo 8
*** Zoro x Law ***


Zoro x Law

Rating: giallo; lime

Genere: fluff; slice of life

Law gliel'aveva sempre detto di non uscire dalla palestra con i capelli ancora umidi, gli aveva ripetuto più volte che doveva mettersi un cappello, e gliene aveva persino comprato uno. Color acquamarina, come i suoi capelli. Ma Zoro era una dannata testa calda e si ostinava a ignorare i consigli del moro, per irritarlo o perché era effettivamente cretino; Law non era ancora sicuro di quale fosse il vero motivo di tanta testardaggine.

Fatto sta che adesso il verde giaceva nel suo letto, con la febbre a trentanove e un terribile mal di gola. Law, preoccupato e al contempo irritato, aveva passato l'intero pomeriggio nella camera da letto con lui, mantenendosi però a debita distanza per esplicitare il suo disappunto.

«Gamba Nera ha ragione», pensò, «è proprio una testa d'alga. Se solo mi avesse ascoltato, adesso non starebbe così.»

Le iridi dorate di Law scrutarono lo spadaccino mentre questi pensieri gli scorrevano per la mente. Il sottotono giallastro del viso di Zoro faceva spiccare il rossore sulle sue guance, che molto diceva sulla temperatura del corpo dello spadaccino. La fronte imperlata da un leggero strato di sudore, mentre respirava con le labbra schiuse, pallide e secche. 
Gli faceva strano vedere il suo volto così smunto, privo di quella sua naturale abbronzatura che lo faceva sembrare il più sano individuo nell'universo. In effetti, lo spadaccino conduceva uno stile di vita molto più salutare del suo. Si allenava, meditava e riposava, mentre lui dormiva a stento, compensando con esagerate quantità di caffeina, e sacrificava spesso e volentieri la propria vita sociale per restare in casa a leggere libri di medicina. Perciò se Zoro si era ammalato, era proprio perché se l'era cercata. 
Law richiuse il libro che fissava già da un po' con sguardo assente, e si alzò sospirando. Non riusciva a concentrarsi sulla propria lettura con lo spadaccino che soffriva a mezzo metro da sé. Certo, non si era mai lamentato, ma questo perché semplicemente non era da Zoro sprecare il tempo in inutili piagnistei; comunque, Law sapeva che quella febbre lo stava provando più di quanto desse a vedere. 
Una volta sfebbrato sarebbe stato così difficile impedirgli di allenarsi, per evitare una rovinosa ricaduta, che probabilmente avrebbe dovuto far ricorso alle minacce. Una smorfia gli attraversò il volto a quel pensiero, mentre raccoglieva la scodella di plastica, riempita poche ore prima di acqua e aceto, per spostarla sul comodino. Avvicinò la propria sedia al letto e pigramente si lasciò cadere su di essa. Un paio di iridi scure e luminose si posarono delicate e curiose su di lui, e lo scrutarono minuziosamente mentre imbeveva un tovagliolo di stoffa nella soluzione dall'odore acre, per poi strizzarlo. 
Zoro gemette un sospiro di sollievo quando il panno umido gli fu posato sulla fronte bollente. Chiuse gli occhi per un istante, godendosi il momentaneo refrigerio, per poi riportare lo sguardo in quello dorato di Law.

«Sei carino quando ti preoccupi per me», biascicò, con un mezzo sorrisetto sulle labbra e la voce ancora impastata dalle lunghe ore trascorse nel silenzio del dormiveglia.

Law sbuffò.

«Non ci metto niente a tornare a leggere, non testare la mia pazienza.»

«Puoi farlo se vuoi, ci penso io all'impacco», propose Zoro, cercando lo sguardo sfuggente del moro. Non gli era mai piaciuto dover dipendere dalle premure di qualcun altro.

«Finiresti per sporcare tutto.»

«Starò attento, non sono mica scemo», ribatté.

«Ah, no? E allora perché ti sei ostinato ad andartene in giro con i capelli bagnati? Idiota!», sbottò Law, perdendo di vista l'autocontrollo per alcuni secondi.

Notò qualcosa che si spegneva nello sguardo di Zoro, e cominciò ad avvertire una strana sensazione nel proprio stomaco. 
Era stato più aggressivo di quanto volesse risultare, si era fatto accecare dai propri istinti irrazionali per pochi istanti, e adesso Zoro teneva lo sguardo incollato alla parete di fronte al letto, mentre il silenzio in cui cadde la stanza divenne assordante. Non l'aveva ferito, ci voleva ben altro per scalfire la marmorea corazza dello spadaccino, mentalmente, emotivamente e fisicamente parlando; ma di certo quel tono di voce così rabbioso gli aveva provocato del dispiacere. Tra l'altro Zoro non era neanche nelle condizioni di controbattere, essendo nel torto, perciò tutto quello che poté fare fu tacere e digerire in silenzio quel meritato ammonimento.
Law si morse la guancia, in un gesto di auto-rimprovero. In un tentativo di mettere a tacere il crescente senso di colpa, si accinse a spostare lo straccio dalla fronte dello spadaccino per bagnarlo nuovamente. Le dita di Zoro si mossero agilmente sotto le sue, afferrando il tessuto prima che potesse farlo lui.

«Lascia fare a me, posso vedermela da solo», lo rassicurò con un cenno del capo.

«No, io-»,

«Sul serio. Puoi tornare alla tua lettura, starò bene», continuò lo spadaccino, allungando il braccio verso il comodino.

«Sono solo un idiota, non devi preoccuparti per me», borbottò tra sé.

Lo straccio gli cadde di mano, finendo dritto nella scodella quando, inaspettatamente, si ritrovò Law a cavalcioni su di sé. Non ebbe il tempo di schiudere le labbra in risposta alla sorpresa, che quelle di Law lo assalirono con un bacio deciso. Le membra di Zoro si tesero istintivamente, per poi rilassarsi una volta riconosciuto il corpo dell'altro.

«Non sei un idiota», mormorò il corvino con ancora le labbra contro le sue. Gli diede un altro bacio, questa volta più delicato, prima si mettersi a sedere sui fianchi del verde.

«Cioè, sì, lo sei, ma... mi dispiace, ero nervoso», confessò a malincuore. Zoro ancora tentava di processare il tutto, perplesso su come Law fosse passato da sbraitargli contro a baciarlo con foga e chiedergli scusa. Non capitava mai che il dottore si scusasse con tanta rapidità dopo avergli rivolto delle offese, si domandava cosa lo avesse spinto a comportarsi così in quella situazione.

«Posso immaginarlo», sospirò Zoro, non intenzionato a farne una questione. Del resto era lui il primo a cui spesso scappavano parole inopportune. Avvolse i palmi attorno ai polsi magri del moro, ai lati della propria testa, e con i pollici gli sfiorò il dorso delle mani tatuate.

«È che mi fa rabbia vederti in questo stato, sapendo che se solo mi avessi ascoltato adesso saresti sano come un pesce», spiegò Law, prendendo il viso del verde tra i palmi freddi. Zoro rabbrividì.

«Sono un medico e mi dà fastidio che si vada contro le mie prescrizioni, cazzo», sbuffò poi stizzito.

Il verde ridacchiò a quell'adorabile reazione.

«E cosa forse anche più importante, sono il tuo ragazzo. Se ti do un consiglio, è per non vederti ridotto nel letto con la febbre a quaranta.»

«Veramente era a trentanove e due», precisò Zoro, inarcando un sopracciglio e sforzandosi di trattenere un sorriso.

«Ecco, vedi? Dimmi se non devo prenderti a testate quando fai così.»

«Ma sta' zitto, dici solo stronzate», rise Zoro, allungando una mano dietro la nuca del moro e spingendogli la testa verso la propria, fin quando le loro labbra non si scontrarono violentemente. 

Sorrise mentre stringeva le ciocche corvine dei capelli del dottore, facendogli piegare il capo in tutte le direzioni che gli facilitassero l'accesso alla sua bocca. 
Nel mentre, Law si distese completamente su di lui, e languidamente le sue mani strisciarono sotto le coperte e sotto i muscoli tonici della schiena di Zoro, lungo cui prese a far scorrere le dita con bramosia. I loro petti ansavano a causa della carenza di ossigeno, che le labbra egoiste di entrambi si rifiutavano di rifornirgli, pur di non interrompere lo scambio voluttuoso di baci.

«Non pensarci nemmeno», rise il dottore, quando sentì il palmo calloso di Zoro sotto la propria felpa, freddo contro la propria pelle. Controvoglia lasciò andare le labbra del ragazzo sotto di sé, spostandosi e sdraiandocisi affianco.

«Hai la febbre, devi stare a riposo.»

Il verde sbuffò.

«E' il dottor Trafalgar a parlare o il mio fidanzato?», chiese retorico, tirando a sé il corpo dell'altro dalla vita. Insinuò il volto nell'incavo del suo collo, inebriandosi con l'odore pungente del suo profumo.

«Il dottore, ovviamente», Law alzò gli occhi al cielo, tentando ancora una volta di impedire invano che gli spuntasse sulle labbra un sorriso, quello sincero che Zoro sempre riusciva a strappargli.


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Capitolo 9
*** Zoro x Law ***


Rating: giallo

Genere: lime, missing moments

«È il turno di Nami», aveva annunciato Usopp, quando la bottiglia si era fermata puntando verso la navigatrice rossa.

«Obbligo o verità?», le chiese, mentre quella valutava quale fosse la scelta più saggia, considerando che sarebbe spettato a Robin il compito di formulare la domanda o l'obbligo, e di quella donna non c'era molto da fidarsi in quelle occasioni. Il suo gusto per il macabro spesso la portava a suggerire degli obblighi terrificanti, come il tentare l'evocazione di spiriti, che la scorsa volta aveva quasi privato la rossa del sonno per un’intera settimana. Le sembrava quasi che l'archeologa si divertisse il doppio quando doveva decidere per lei e che ci mettesse il massimo impegno per metterla in difficoltà.

«Verità», scelse prudentemente, mentre un brivido le percorreva la schiena al ricordo della precedente occasione in cui avevano giocato a quel gioco. Nonostante spesso andasse tutto in malora, la navigatrice continuava a proporlo di tanto in tanto, durante le serate in cui esagerava con il sakè e diventava euforica.

«Bene», Robin sorrise, elaborando la domanda nella sua mente in pochi attimi. Non si stavano divertendo molto da quando il capitano col cappello di paglia aveva abbandonato il gioco, perciò l'archeologa si diede da fare per creare un minimo di scompiglio. Non aveva deciso di partecipare e rischiare di dover rivelare qualche oscuro segreto per niente.

«Dato che hai baciato sia Zoro sia Trafalgar, chi dei due bacia meglio?»

L'archeologa ridacchiò osservando gli occhi sbarrati di Nami e batté il cinque a sé stessa mentalmente.

«Aspetta, ma tu... come fai a sapere-»,

«Prima di entrare in una stanza mi assicuro sempre che non ci sia già qualcuno dentro, con i poteri del mio frutto, e mi capita di assistere a qualche oscenità», spiegò prontamente la mora, osservando la sfumatura fucsia delle guance della rossa intensificarsi. I presenti erano per metà sconvolti, all’immagine della navigatrice che scambiava effusioni con i due spadaccini, e per metà terrorizzati, all’idea che l’archeologa potesse aver sorpreso anche loro in momenti imbarazzanti a loro insaputa. Da quella sera avrebbero guardato entrambe con occhi diversi.

«Nami-san...», biascicò Sanji ferito. Come era possibile che la sua dea avesse baciato quello stupido marimo e non lui? Eppure era stato sempre il migliore dei cavalieri per lei, come poteva aver preferito quel rozzo? Non ci mise molto la sua delusione a tramutarsi in invidia.

Il verde e il moro chiamati in causa, si lanciarono un'occhiata sorpresa, poi un sorrisetto arrogante apparve sulle labbra di entrambi, celando in parte l’imbarazzo che provavano.

«E c'è bisogno che ve lo dica lei? Ovviamente sono io il migliore», si atteggiò Zoro, scrollando le spalle e alzando il mento. Restò lui stesso sorpreso delle parole che gli uscirono dalla bocca, come se a parlare fosse stata un’altra versione di sé. Perché sembrava così impaziente di affermarsi come il miglior baciatore? Non gli interessava affatto dimostrare di possedere quelle abilità.

«Ne sei proprio sicuro, Roronoa-ya?», lo canzonò il moro, consapevole delle proprie conoscenze nel campo della seduzione. Infatti, nonostante fosse un tipo silenzioso, era in realtà un gran rubacuori. Certo, capitava di rado che si concedesse quel tipo di svago, ma quando succedeva c’erano sempre numerosi volontari che se lo contendevano. 

«Avanti, Nami-ya, dì a Roronoa la verità.»

La navigatrice, che fino ad allora aveva riflettuto in silenzio, finalmente emise il proprio giudizio. Non era stato facile decretare un vincitore, anche perché aveva dovuto scavare a fondo nella propria memoria, ma alla fine si era schierata dalla parte di Trafalgar, semplicemente per vendicarsi dell’arroganza del verde.

«Vince Torao», annunciò, incrociando le braccia al petto e fingendosi dispiaciuta per lo spadaccino. Inutile dire che quello non le credette neanche per un secondo. Aveva passato troppi anni assieme a quella gatta ladra per non saper leggere il suo volto.

«Che?», sbottò Zoro irritato, mentre Sanji esultò internamente. Non che gli stesse poi così simpatico il Chirurgo della Morte, ma lo preferiva di gran lunga allo spadaccino testa d'alga.

«Tsk, lo dici soltanto perché non ricordi bene», protestò il verde, mentre Usopp faceva girare nuovamente la bottiglia.

«Certo che ricordo, idiota, sei tu che sei arrogante e prepotente.» 

«L'unica prepotente su questa nave sei tu», rispose Zoro, innescando una guerra di occhiatacce, destinata a essere interrotta un momento dopo; per essere precisi quando la bottiglia si fermò puntando proprio su di lui.

«Obbligo o verità?», chiese Usopp, schioccando le dita un paio di volte per catturare l'attenzione dello spadaccino.

«Obbligo», rispose quello d’istinto. Non avrebbe scelto verità come quella codarda di Nami.

«Bene», intervenne la gatta ladra, decisa a fargliela pagare, «bacia Trafalgar.»

«Eh?!», trasalì il verde, mentre Law inarcò un sopracciglio, colto alla sprovvista.

«SUUUUUPER!», esclamò Franky, finalmente di nuovo entusiasta, unendo i propri avambracci robotici sopra la testa e serrando i pugni.

«Almeno potrai confermare o smentire quanto ho detto», aggiunse la rossa, divertita dalla propria idea che, modestamente, considerava assolutamente geniale.

Zoro sbuffò, digrignando i denti all'idea di dover dare spettacolo. Perché si era fatto coinvolgere in quel gioco? Ah, sì, vero: Nami l'aveva trascinato fin lì ricattandolo con il sakè. Maledetta navigatrice.

Comunque, non si sarebbe certamente tirato indietro di fronte a uno stupido bacio. Sì, perché quello sarebbe stato: un veloce, piccolo e insignificante bacio. Lanciò un'occhiata al capitano dei Pirati del Cuore, che in quel momento lo fissava con un sorrisetto poco promettente sulle labbra. Chi si crede di essere questo sbruffone? Gliela faccio passare io la voglia di sorridere, pensò, alzandosi contemporaneamente all'altro.

«Pronto a ricrederti?», lo stuzzicò il moro, sistemandosi quel buffo cappello sulla testa mentre gli si avvicinava. Zoro si era sempre chiesto come potesse andarsene in giro con un accessorio così tenero e innocuo, quando lui era in realtà una mina vagante.

«Puoi scordartelo, Torao. Sarai tu a perdere.» Come al solito aveva già trasformato il tutto in una competizione.

«Non è una sfida tra me e te, Roronoa», sbuffò il capitano infastidito. Era convinto di non aver mai incontrato nessuno di più arrogante in ventisei anni di vita. Il vocabolario di Zoro sembrava non riportare il termine sconfitta, quel ragazzo era ostinato a vincere a costo di tutto, anche quando non c'era un bel nulla da vincere. Matto, lo definì Law nella sua testa.

«Lo diventa ora», ribatté lo spadaccino, afferrando agilmente i lembi della camicia del dottore e tirandolo a sé, pronto ad avventarsi su di lui.

Law, però, aveva altro in mente, e riuscì abilmente a schivare le labbra fameliche dell'altro.

«Non avere fretta, Roronoa-ya», gli sussurrò, sfiorandogli il naso con il proprio. Il fiato caldo di Law solleticò la pelle di Zoro, facendogli correre un brivido lungo la schiena.

Quando il più alto gli prese il viso tra le mani e cominciò a lasciare baci a labbra schiuse sul suo collo, Zoro trattenne il respiro, inconsciamente. Le dita del chirurgo erano fredde, ma le sue labbra calde e morbide, e delicate conto la sua pelle. Il contrasto tra le due sensazioni lo lasciava a corto di parole. La brezza notturna sfiorava con dolcezza i punti della sua mandibola lambiti dalla lingua del moro, provocandogli la pelle d'oca.

Riprenditi. Non puoi permettere che un tizio con un cappello a forma di fungo ti sconvolga con così poco, si disse Zoro. Richiamò a sé la propria lucidità e decise di prendere in mano le redini del gioco con la forza.

Sfiorò la nuca scoperta del capitano, prima di insinuare le dita tra le ciocche corvine dei suoi capelli, stringendole così da poter allontanare l'altro dal proprio collo.

Ignorò appositamente il gemito che sfuggì dalla gola di Law e con la mano libera gli tirò su il mento, sfregando il pollice contro il suo pizzetto per un secondo. Gli spinse in viso contro il proprio, fin quando le loro labbra non si scontrarono. 

Zoro era un tipo molto paziente, ma aveva voglia di mettere fine a quel supplizio il prima possibile, non poteva trattenersi oltre.

«Ci metti troppo per i miei gusti», spiegò, un secondo prima di assalire il dottore, che ancora aveva quell'espressione confusa sul viso. Come aveva fatto Zoro a ritornare in sé così in fretta? Gli era sembrato talmente perso nelle dolci premure riservate al suo collo taurino, che non si aspettava tanta prontezza nel riprendere il controllo.

La lingua di Zoro si fece spazio nella bocca di Law prepotentemente, esplorandone avidamente il sapore. Il capitano non se l’era immaginate diversamente le labbra dello spadaccino. Ruvide, bollenti, aggressive. Zoro era un amante passionale, l'aveva sempre saputo.

Non era cosa nuova per nessuno dei due avvertire attrazione per l'altro, l'avevano realizzato e accettato diverso tempo addietro. E adesso, finalmente, tutti i loro dubbi circa quali sensazioni si provassero a toccare l'altro, furono chiariti. Si scoprirono entrambi fortemente infervorati dalla presenza reciproca e, quando i loro fianchi si sfiorarono, la leggera frizione strappò un gemito alla gola di tutti e due.

A quel punto Law cercò di sottrarsi al bacio, sentendosi andare a fuoco, e desiderando di nascondersi forse per sempre. Stavano dando spettacolo, lì davanti a tutti, e a lui non era mai piaciuto essere al centro dell'attenzione. Era certo che tutti avessero già capito che lui e l'altro si erano accalorati più del previsto, perciò era il momento di mettere fine a quello scempio. Anche se, fosse stato per lui, non si sarebbe mai sottratto a quel bacio.

Zoro, però, non aveva intenzione di mettere fine alle torture di Law così presto. Doveva ancora vincere la sfida, doveva ancora far soccombere il dottore alle sue ministrazioni. Perciò lo tiro più a sé dalla camicia, sussultando quando le mani fredde del moro si scontrarono con il suo petto per cercare di tenerlo lontano.

Law era decisamente in difficoltà, la sua eccitazione aumentava e lo spadaccino testa d'alga non sembrava ancora lontanamente soddisfatto del suo lavoro. Se non si fosse fermato, presto si sarebbe ritrovato nel suo letto grazie ad uno shambles, ma non avrebbe neanche potuto minacciarlo. E non era sicuro di volere che tutti lo vedessero teletrasportare il verde in camera sua.

Fu la persona che meno si aspettava potesse aiutarlo, a salvarlo da quella situazione. E quella persona non era altri se non il ragazzino con il cappello di paglia sulla testa. Law pensò che fosse proprio uno scherzo del destino: Mugiwara-ya, che solitamente era quello che lo cacciava nei guai, adesso era spuntato fuori dal nulla, come una manna dal cielo, per salvarlo dalle grinfie dell'avido spadaccino.

«Cosa sta succedendo?», aveva chiesto quello, e tutte le teste dei presenti erano scattate verso di lui, compresa quella dello spadaccino. Law poté tornare a respirare.

«Luffy!», esclamò Nami, alzandosi con il più falso dei sorrisi e parandosi davanti al ragazzo, come se quello fosse un bambino a cui si stava nascondendo una scena sanguinolenta di qualche film horror. Anche il resto della ciurma si era alzato in tutta fretta, e si stava inventando pur di distrarre il giovane dalla scena a cui aveva assistito. Law trovava ridicolo che a un ragazzo della sua età si cercasse ancora di nascondere cose normalissime come un bacio, ma non si era mai aspettato molto da quella ciurma di strambi. Pensò che probabilmente stavano tentando di evitare a Zoro una serie di domande imbarazzanti sui suoi interessi amorosi, come se Luffy fosse stato una nonna pettegola e invadente.

E l’espressione del ragazzo che gli stava di fronte, al quale adesso si coloravano le punte delle orecchie di rosso, sembrò un valido punto di supporto della sua tesi.

Law dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere. Il cambiamento repentino nell’atteggiamento del verde lo sconvolgeva al punto da divertirlo. Lo stava divorato fino a pochi secondi prima come se la sua vita fosse dipesa da quel bacio, e adesso faceva il timido di fronte al ragazzo col cappello di paglia. Era proprio una strana testa d'alga quello spadaccino.

Afferrandogli le mani, grandi, calde e callose, se le tolse di dosso, riportando l'attenzione del verde su di sé. Fece un passo indietro e afferrò la propria katana che aveva lasciato appoggiata alla parete più vicina, caricandosela sulla spalla.

«Più tardi passa da me se vuoi continuare», mormorò, in modo che solo Zoro potesse sentirlo. Anche se, in realtà, nessuno stava comunque prestando attenzione a qualunque cosa stesse accadendo tra di loro.

Accennò uno dei suoi enigmatici ghigni, prima di voltarsi e avviarsi verso la cabina che gli era stata destinata. Non era del tutto sicuro che il verde avrebbe accettato l'invito, ma nel caso si sarebbe fatto bastare il suo sapore che ancora sentiva sulle labbra.



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