Perché tu?

di P_Mary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- Un poveretto pestato per bene ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Joe, Addison, Erika ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Bestie ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Ferite ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Cena ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Daniel ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Colpi di scena ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Vai al diavolo! ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Compleanni a go go ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Vodka alla fragola ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Confronto ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Parla ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Oltre le apparenze ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Confessione ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Desiderio ***
Capitolo 16: *** CAPITOLI ASSENTI E IN REVISIONE DAL Capitolo 16 - So tutto ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Divertirsi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Falò ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 (ESPLICITO) - Salvami ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Fiamme o cenere? ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - La scelta ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Ti voglio ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Toccami (EROTICO) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- Un poveretto pestato per bene ***


NB: • coscienza cattiva •
| coscienza buona|

~~~

Ariel, con il suo mp3 impostato al massimo volume, stava tornando a casa in sella alla sua usatissima bicicletta.

Casa, poi...
Luogo in cui dormiva e mangiava!

Una casa è un luogo differente.
Un luogo dove non vieni lasciata sola dieci mesi l'anno a causa del lavoro sulle crociere dei tuoi genitori.

Suo padre era un cameriere, mentre sua madre si occupava della pulizia delle cabine.
Entrambi finalmente trovarono lavoro dopo anni passati in ristrettezze economiche, per colpa delle quali riuscirono con sforzi enormi e grosse rinunce ad acquistare la casa indipendente in cui abitava da sola.

L'abitazione era sufficientemente grande per quattro persone ma esagerata per una sola.

Aveva due ingressi.
Uno principale, dal quale si accedeva superando il cancello automatico per le automobili e calpestando il viottolo di sassi attorniato da erba e fiori colorati.
Nel giardino, insieme ai fiori, era piantato un rosmarino.
La pianta era diventata enorme e diffondeva il suo profumo inconfondibile accompagnando chiunque stesse raggiungendo il portone blindato d'ingresso.

Il secondo ingresso era al lato della casa, munito di un cancelletto smesso di legno.
Sorpassandolo, su un fazzoletto di cemento come marciapiede, c'era il suo amato dondolo e a lato di esso la veranda totalmente di vetro.
Da qui si entrava andando verso l'ingresso di servizio della casa.

L'interno non era nulla di speciale.
Al piano terra il salone in stile etnico, con strani portacenere e specchi di vetrini tutti colorati e con qualche strano simbolo disegnato sopra, era la stanza preferita dalla madre.
Affianco si trovava la cucina, totalmente il legno bianco in cui il padre si divertiva a preparare i suoi famosi piatti 'da tutto il mondo'.

Salendo le scale, al piano superiore si trovavano le loro camere da letto, due bagni e una stanza in più che, al momento, ospitava le cianfrusaglie che i suoi portavano dai viaggi in crociera.

Nonostante la sua età a volte ai affacciava nella stanza dei genitori e sperava, come per magia, di trovarli nel letto a dormire.
Questo suo desiderio però non si avverava mai, trascinandola in uno sconforto improvviso.

Ovviamente voleva loro molto bene, ma il fatto era che sentiva di non conoscerli davvero, proprio a causa del poco tempo trascorso insieme.

Anche i due probabilmente soffrivano di questa situazione e infatti, almeno una volta alla settimana, sua zia faceva 'stranamente' capolino per controllarla e le proponeva sempre di trasferirsi nel suo paesino ad un'ora di macchina da lì.
"Almeno finché non tornano i tuoi genitori" le diceva, cercando invano di convincerla.

Lavatrici, lavastoviglie, pulizie... tutto fatto. Sua zia Claire era sempre stranita quando si rendeva conto di come Ariel appena diciannovenne che abitava praticamente da sola da quattro, si occupasse delle faccende domestiche come una donna adulta. Il primo anno sua zia andava quasi ogni giorno da lei, spesso rimanendo a dormire...
Non aveva marito ne figli, ma sapeva che la donna la considerava come una figlia.

Del mutuo e delle bollette non si era mai dovuta fare carico... ormai si sentiva autonoma e sua zia aveva allentato il guinzaglio!

Persa in questi pensieri, mentre i Coldplay cantavano all'interno degli auricolari, si dirigeva verso casa dopo un estenuante turno di lavoro come cameriera part time al ristorantino dall'altra parte della città.
Non era particolarmente soddisfatta dell'impiego, visto che la pagavano poco ed era anche molto stancante, prima o poi avrebbe mollato.

Era già alla ricerca di qualcosa di più vicino a casa sua perché un'ora di metropolitana per l'andata e il ritorno era davvero troppo, troppo tempo sprecato. Inoltre moriva dalla voglia di usare la sua bici! Adorava pedalare, sentire il vento fra i capelli, inebriarsi del profumo dei campi fioriti...

È vero, usava quelle ore di metro per guardare i suoi drama.
Coreani, giapponesi, cinesi, thailandesi... Poco conosciuti dal resto delle persone, ma così coinvolgenti da farla stare con il naso spiccicato allo schermo del pc anche fino le tre del mattino.

Mentre stava inserendo le chiavi nel portone di casa e ragionava su quale drama iniziare quella sera, sentì un gemito provenire dal fondo della via.

Probabilmente la stanchezza dovuta al lavoro le stava giocando brutti scherzi.

Strinse gli occhi per vedere più nitidamente e le parve di scorgere un'ombra. Incuriosita si avvicinò cautamente verso la figura, avvolta nella semi oscurità.

Questa, sembrava immobile ma il respiro affannato, che poteva distintamente sentire, le fece capire che era viva. Qualsiasi animale fosse...

Un grosso cane, forse?

Era sdraiato e appoggiato al muretto in fondo alla via e, nonostante il buio pesto della notte estiva, notò subito il parecchio sangue che colorava il cemento.

Accelerò il passo andando incontro alla povera bestiola mentre la sua immaginazione era già partita in quarta: maltrattamento, percosse, bastonate, sevizie...

Con qualche passo ben piazzato lo raggiunse con affanno, preoccupatissima, chiedendosi se ci fosse un veterinario in zona.

Lei di animali non ne aveva mai avuti perché i suoi ritenevano che era troppo impegnativo occuparsi di un cagnolino. Aveva provato a invogliarli con la descrizione di un soffice gatto ma, figurarsi se cedevano, manco a parlarne per carità.
Rischiare che potesse graffiare tutti i mobili nuovi di zecca era qualcosa d'impensabile per sua madre.

Non appena la vicinanza e la luce fioca del lampione le permisero di vedere meglio, si rese conto che non era un cane bensì una persona.

Il poveretto le dava la schiena, sdraiato su un fianco.
Si reggeva con la mano una ferita aperta che continuava a buttare fuori sangue.

"Ehi! Ehi! Mi senti?"

Il ragazzo, dopo svariati richiami, emise un suono strano come a dire che la sentiva.

"Non preoccuparti, ora chiamo i soccorsi."

Lui riuscì a voltarsi quel poco che bastava per guardarla, nonostante un occhio fosse completamente gonfio e quasi del tutto chiuso.

"No"

"Devi andare SUBITO in ospedale" replicò lei, cercando di mantenere un tono sicuro che in quel momento era pura ostentazione.

"No" le ribadì con un filo di voce appena udibile ma deciso, che non ammetteva repliche.

Che razza di situazione spiacevole e assurda... chissà chi aveva ridotto in quel modo quel poveretto.

Estraendo il cellulare dalla borsa si accorse suo malgrado che su quell'inutile aggeggio elettronico, quando serviva davvero, non ci si poteva fare affidamento.

Batteria al 5%.

Merda!
In casa non aveva nemmeno il telefono fisso e chissà dove si era nascosto il carica batterie. Difficile trovarlo in quel campo da guerra che era la sua stanza!

Avrebbe forse potuto chiedere ai vicini di chiamare loro stessi i soccorsi.

Si pentì di averlo pensato, era comunque notte fonda. Il ragazzo era peraltro cosciente e continuava a fissarla facendole cenno di no con la testa.

Mise in moto il cervello per trovare una soluzione immediata e quella che trovò quasi subito le sembrò la migliore: se ne sarebbe occupata lei.

La mamma mi darebbe della Candy Candy!

Aveva fatto dei corsi di primo soccorso in passato e da quello che si vedeva c'erano solo grosse ferite dovute a pugni.

Niente buchi causati da pallottole, ne accoltellamento. Poteva gestirlo.

•Santo Dio! Cosa siamo? Nel Far West?•

Il ragazzo nel frattempo era svenuto e lei lo trascinò tirandolo dai piedi nel cortile di casa sua, appoggiando a terra uno dei cuscini del dondolo usandolo come poggiatesta.

Era pesante, nonostante sembrasse in gran forma, perciò impensabile per lei tirarlo su a sacco di patate!
Trascinarlo a mo' di sacco dell'immondizia era molto più comodo.

Dio, ti prego, se esisti fa che non gli causi qualche danno spostandolo.... Poi potrai punirmi per tutte le messe mancate, ma ti prego.

Gli sbottonò delicatamente i primi bottoni della la camicia blu cobalto che stava indossando e notò subito i graffi accompagnati da lividi, che partivano da appena sotto il collo e che gli stavano sporcando la pelle perfetta.

Qualcuno lo aveva picchiato. Però, a giudicare dalla condizione delle sue mani, anche lui doveva aver ricambiato il favore.

Sgattaiolò velocemente in casa a cercare la valigetta medicale, sempre pronta nella specchiera del bagno.

Delicatamente finì di sbottonargli la camicia, trovandosi di fronte il petto totalmente nudo del ragazzo.

Ispezionandolo meglio, con occhi attenti, si rese immediatamente conto che la ferita più brutta era un taglio molto profondo a livello dell'addome, appena sopra l'ombelico.

Con le mani leggermente tremolanti avvicinò la valigetta a sé e frugò al suo interno, per poi estrarre un batuffolo di cotone e inumidirlo di disinfettante. Cercò di non premere troppo forte quando lo appoggiò sopra il taglio che esponeva pelle lacera, onde evitare di procurargli ulteriore dolore. Sostituì il batuffolo vecchio ormai madido di sangue con un nuovo, per poi continuare a picchiettare leggermente sulla decina di centimetri del taglio.

Quando insistette in un punto più ostico degli altri, il ragazzo emise un rantolo di dolore strizzando gli occhi.
"Scusami" gli sussurrò, cercando di placare il respiro del giovane ora in affanno. "Cerca di resistere, devo disinfettare bene o ti verrà un'infezione".
Lui aprì a fatica un occhio e fece un impercettibile cenno di consenso con la testa, mordendosi le labbra per cercare di trattenere il più possibile i mugolii di dolore. Dopo circa una decina di minuti si assicurò di aver ripulito tutta la zona e utilizzando delle cerotti lunghi e stretti riuscì ad applicare dei punti di fortuna, avvitando le estremità finali su loro stessi.

Se gli venisse un'emorragia e gli capitasse qualcosa di brutto mi mettono in galera seduta stante.

•Avete visto tutti, vero? Col cavolo che lo fa di nuovo!•

Lo ripulì dal sangue rimanente con una pezza bagnata, presa dal bagno, ben inzuppata di acqua tiepida contenuta all'interno di un contenitore di plastica.
Fortunatamente la ferita più grave su cui si era concentrata aveva smesso di sanguinare ma altro sangue, per lo più secco, gli colorava aveva anche sul petto, sulle braccia e sul viso.
Per poco non scoppiò a ridere ripensando a come la 'miracolosa pezza bagnata' nei drama sembrava poter curare anche il cancro, mentre nella realtà era solo una cazzo di pezza bagnata.

|Che volgarità... Nervosetta eh?| la prendeva in giro la sua coscienza buona.

Ok Ariel, rilassati. Stai facendo del tuo meglio, cercò di mantenere la calma... fallendo clamorosamente.

Pulendogli il volto, molto delicatamente, capì di non averlo mai visto prima. Cosa ci faceva un ragazzo così giovane nella sua via era ancora un mistero.
In quella vietta il suo vicino più giovane al momento aveva sì e no cinquant'anni!

E il fatto che un ragazzo così malconcio era comunque uno schianto, era degno di nota.

E mettiamola questa nota! la sua coscienza cattiva sembrava più eccitata di lei.

I capelli lisci e mori erano madidi di sangue e sudore.
La camicia aperta lasciava agli occhi il piacere di pettorali scolpiti e ricoperti da peli scuri, che rendevano la visione a dir poco sexy.
Gli addominali avevano almeno sei gobbette.

Il six pack.
Non l'aveva mai visto dal vivo e, sinceramente parlando, ci stava indugiando sopra fin troppo.

Con pazienza lo ripulì centimetro dopo centimetro, gobbetta dopo gobbetta, pettorale dopo...

|ARIEL! CRISTO! Sembri una cagna in calore| che carina la sua coscienza buona a darle della cagna.

Sorvoliamo, che è meglio. Ognuno ha i suoi problemi mentali. Per Ariel la coscienza buona e quella cattiva, che facevano le veci del grillo parlante di Pinocchio, rappresentavano esattamente il suo disturbo mentale.

Tirò un grosso sospiro di sollevo quando fu chiaro che il suo pseudo paziente stava dormendo profondamente, con il viso disteso e l'espressione non più sofferente.

Senza nemmeno rendersene conto, complice la preoccupazione che andava via via svanendo, il sonno si impossessò di lei e con ancora in mano la salvietta sporca di sangue appoggiata sul petto del ragazzo si addormentò accanto a lui.

Ciao ciao adrenalina, benvenuta endorfina.

~~~

~Tre settimane dopo

Trascorsero settimane dall'incidente, ma del giovane nemmeno l'ombra.

Non si aspettava nulla da un perfetto sconosciuto, ma almeno un ringraziamento rivolto a chi si era preso la briga di medicare le tue ferite per tutta la notte, pensava fosse quanto meno doveroso!

Questi fastidiosi pensieri passarono non appena realizzò che, con ogni probabilità, il ragazzo si era svegliato completamente frastornato ed era andato via senza nemmeno guardare in faccia il suo salvatore.

•A differenza tua che hai guardato ben altro...•

Inutile.
Quando uno è bello così mal ridotto, chissà quanto lo è quando nessuno lo ha appena pestato a sangue.

~~~

Arrivò silente la mattina della svolta.
Ancora non sapeva che sarebbe stata una di quelle che cambiano il corso della propria storia.

Era una mattina normalissima di un normalissimo martedì di Luglio, un mese dopo il caotico incontro con lo sconosciuto.

Era piena estate e il caldo si era fatto insopportabile durante il giorno, ma la sera il venticello rinfrescava piacevolmente la città.
Non c'era niente al mondo che le dava più pace del momento in cui si abbandonava al dolce movimento del suo dondolo, con in mano una bella birra ghiacciata.

Quella sera stessa però il dondolo non l'avrebbe nemmeno visto da lontano.
Si era appena truccata e si stava vestendo di tutto punto per andare a sostenere un colloquio in un locale notturno poco lontano da casa sua.

Chissà, forse sarebbe riuscita a lasciare quell'odioso lavoro da cameriera sottopagata.

Si guardò un'ultima volta allo specchio mentre si stirava la camicetta con le mani.

Andrà bene non fare la vigliaccasi incoraggiò da sola.

Poi si avvicinò ancor di più allo specchio per mettersi il rossetto rosato, il suo preferito, che le rendeva le labbra ancora più carnose e delineate.

Dopo aver sistemato il contorno labbra si passò una mano fra i capelli morbidi, lunghi, lisci e castani. Poi passò a punzecchiarsi le ciglia folte e incurvate con la punta delle dita, per assicurarsi che il mascara fosse asciutto.

Occhi grandi, ramati, espressivi.

Corpo snello, slanciato e ben proporzionato.

Viso dolce e sbarazzino.

•Petto, coscia, ali. Cosa sei, un pollo arrosto?•

Dopo l'ultimo rodaggio prese la sua borsa e uscì dal portone di casa per andare al night, anche se non era del tutto convinta di lavorare in un locale notturno.
Non avrebbe certamente fatto la ballerina o la spogliarellista, ma un lavoro come barista sarebbe stato l'ideale.
Più di lì non poteva proprio andare!

Mentre raggiungeva la sua bicicletta, legata al palo della luce mezzo rotto in fondo alla via, notò un cartello nella casa sfitta da almeno tre anni proprio di fronte alla sua.

"Venduta"

[Sai Ariel, giorni fa parlavo con mia mamma.
Ha detto di aver messo un salvadanaio sotto il tuo dondolo. L'ha fatto per Erika che, sotto il consiglio della psicoterapeuta, deve scrivere ciò che sente in un foglio e poi sbarazzarsene.
Però nostra madre non sopportava l'idea di bruciare un pezzo del suo cuore. Quindi ha inventato questo rito in cui il bigliettino, invece di finire in cenere, è inserito nel maialino di ferro.
E la cosa più assurda è che lo abbiamo iniziato a fare anche io, Jack e Johanna.
Torna in punta di piedi senza farti notare, se non vuoi.
Prendilo e leggi i suoi contenuti, poi... poi torna da me.
Ti prego... non tardare troppo.
Joe]

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🐔Angolo polli🐔
Ciao a tutti, e grazie per aver letto il primo capitolo!
A voi è mai capitato di soccorrere qualcuno per strada, come è successo ad Ariel🤕?
E cosa avete fatto?

Vi piacciono le coscienzeIo mi diverto sempre quando la coscienza cattiva fa la sua comparsa hahahah

Spero che questo primo capitolo introduttivo vi sia piaciuto anche solo un pochino!

Un abbraccio virtuale che vi stritoli tutti😎!

P'Mary

P.S: Se doveste trovare errori grammaticali/di battitura/refusi vi chiedo la cortesia di lasciare un commento affinché provveda a correggere. Grazie!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Joe, Addison, Erika ***


Venduta.
Davvero?

Quella casa era un po' malconcia.

Logico, nessuno se ne curava da tempo.

Rampicanti impazziti ovunque, finestre rotte da ladri...
Chissà quali bestie vivevano lì, ormai.

Tarantole, serpenti a sonagli, pipistrelli, pesci con le zampe, uccelli mutati, gatti grossi come pantere, cani con tre teste...

|No! Fuffi no, cara|

Ah già.
Fuffi fa la guardia a una botola, lo sanno tutti.

Ok, i suoi ragionamenti degni di aprire un libro di King stavano decisamente degenerando.

Per cosa poi? Ribrezzo?

Non era una ragazza schizzinosa, gli insetti non le davano troppo fastidio.
Fino a quando non avevano troppe zampe e troppo pelo...

Quell'abitazione, vista dall'esterno, dava proprio l'idea che al suo interno si fosse svolto qualche oscuro rito satanico.

Guardandola con occhi critici era comunque una casa interessante, tutto sommato.

Su due piani, con un ampio cortile che girava sui tre lati dell'abitazione e che terminava proprio di fronte all'ingresso secondario di casa sua, davanti al cortiletto che ospitava il dondolo.

A dividerlo con l'amaca rotta e logora degli ex vicini erano solo i tre metri della via.

I vicini precedenti li aveva conosciuti poco, erano marito e moglie con tre bambini.

•Oddio, bambini... mostri!•

Il rumore che esserini alti quanto un manico da scopa potevano produrre era incredibile!
A qualsiasi ora del giorno, oltretutto.

Non importava che fosse mattina o notte fonda... loro urlavano, urlavano e urlavano ancora!
Così, quando la signora venne a salutare dicendo che si trasferivano per lavoro era immensamente felice. Anche se questo, ovviamente, non lo diede a vedere.

Ipocrisia o forse solo educazione, il confine è molto labile.

•Chissenefrega, idiota! I mostri se ne stanno per andare!• le urlò quel giorno fortunato la sua coscienza.

Mentre stava cercando la chiavetta che apriva il lucchetto della bici, vide il camion di una ditta di trasloco parcheggiare nei pressi della casa dei vicini.
Quattro uomini in divisa spostavano, dal retro del veicolo all'interno della casa, ogni sorta di oggetto.

Letti, mobili, scatoloni...
Un trasloco a tutti gli effetti.

Poco dopo fece capolino una macchina scura che si fermò proprio dietro al camion.

Dapprima scese una donna di mezza età, una bella signora. Formosa e castana, con parecchie collane e anelli.

Poi scese impacciata una bella ragazza che la signora stava prontamente prendendo per mano e che doveva chiamarsi Erika, a giudicare da quello che sentiva.

Sicuramente era sua coetanea, ma era evidente che qualcosa non andava.

La ragazza non alzò lo sguardo in direzione di uno dei facchini, quando le rivolse la parola.
Usava i suoi capelli biondi, lisci e lunghi come schermo, facendoseli cadere in avanti coprendo il visino.

Per ultimo, dal lato del guidatore, uscì dalla macchina un ragazzo molto alto.
Non lo vide bene in viso perché indossava gli occhiali da sole e una bandana.
Aveva qualcosa di familiare.

"ARIEL? SEI A CASA?" la ragazza presa alla sprovvista si girò di scatto e andò incontro a sua zia, che si era intrufolata dal cortile dall'ingresso principale.

Ah già è martedì.
E lei veniva sempre il martedì.

Raggiunse sua zia Claire e la pregò di aspettarla in casa per un'oretta. Giusto il tempo di sostenere un colloquio per un posto in un night club.
Per fortuna, dopo aver visto il locale e conosciuto le altre ragazze, era sicura fosse andato bene.

Ne era certa perché la titolare, Sarah, la rassicurò dicendole che l'avrebbe chiamata il prima possibile, non appena la ragazza rimasta incinta fosse entrata in maternità.

Inoltre era molto sollevata perché la donna, signorotta di mezza età con i capelli cotonati, era estremamente cordiale e gentile.

Tornata a casa passò un po' di tempo con la zia a chiacchierare mostrandole alcune foto, che la madre le aveva inviato dalla crociera in Egitto, di qualche giorno prima.

~~~

~Una settimana dopo

Dopo svariati giorni Ariel ancora non aveva conosciuto i nuovi vicini. Non li aveva disturbati perché sapeva bene quanto tempo ci vuole a sistemare tutti gli oggetti e gli scatoloni.
Inoltre, era indecisa se prenderli per simpatici o assurdi, quando sentiva frasi come "Dov'è la scatola delle tazze a forma di animale?" oppure "Erika, hai visto le tende della doccia? Lo sai che tuo fratello non si fa problemi a farsi vedere nudo in mondovisione, però vorrei evitare!"

Assistere a una scena in particolare però la lasciò a occhi sgranati...

"Hai chiamato ancora quell'idraulico idiota? Non va di nuovo l'acqua calda. Dannazione!" domandò con tono scocciato quello che doveva essere il ragazzo del mondovisione.

Ariel, che era seduta sul dondolo di casa sua sorseggiando una birra, vedeva perfettamente all'interno della loro sala grazie alle grandi finestre ancora non munite, per l'appunto, di tende.

Il figlio della donna era un adone.

Si era presentato di fronte alla madre con un asciugamano legato alla vita e ne teneva un più piccolo in mano.

Non riusciva a distogliere lo sguardo da quella bellezza prorompente che aveva davanti agli occhi.

Gambe muscolose, pettorali, braccia possenti e definite, addominali ben scolpiti e capelli neri ancora sgocciolanti che gli coprivano leggermente gli occhi.

•Che manzo di prima scelta•

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei tartarughe spuntavano dall'addome...
Ma... MA!
C'era anche una settima gobba che si intravedeva fin troppo bene.

|ARIEL! Per l'amor di Dio!|

"Devo decisamente farmi vedere dal migliore" disse con un filo di voce, prima di riportare l'attenzione dentro la casa.

È mai possibile girare di fronte alla madre e alla sorella con il pisello fasciato così stretto da un misero asciugamano?
Per altro bianco?
Per altro di cotone leggero?
Per altro di fronte ad una finestra senza tenda?

•GIÙ L'ASCIUGAMANO AMORE! FACCI VEDERE COSA TI HA DONATO NOSTRO SIGNORE!•

Il bel ragazzo dopo che la madre borbottò qualcosa d'incomprensibile fece per girarsi accigliato, tamponando i capelli con la seconda pezza di cotone, quando i loro sguardi si incontrarono.

Ariel si sentì male al pensiero dell'espressione che, probabilmente aveva stampata in viso.
Riusciva benissimo a immaginarla perché sentiva le guance andarle a fuoco.

Stava arrossendo come una dodicenne innamorata del capitano della squadra di basket che le chiede di fargli copiare gli appunti!

Ebete!
Con la fortuna che aveva l'aveva di sicuro beccata a fissargli il pisello e gli addominali.

Si osservarono qualche secondo quando finalmente, con suo enorme sollievo, il ragazzo che aveva scoperto chiamarsi Joe salì le scale facendo finta di nulla.

~~~

~Due settimane dopo

Le acque sembrarono calmarsi e decise ad andare a presentarsi.

Chissà se avrebbe incontrato quel bellissimo ragazzo di persona...
Magari con l'asciugamano addosso.

•Con quello addosso...•

|Piantala, pervertita! Sei un'arrapata del cavolo pure tu! Ok, Ariel non tromba dai tempi di Cleopatra ma... non peggiorare le cose!|

•... con solo quello addosso•

|Ci rinuncio. Sei una causa persa|

Non era sicura della coscienza buona, ma quella cattiva era piuttosto in fotta per il ragazzo.

~~~

~Qualche ora dopo

Quel pomeriggio, portando con sé una bottiglia di buon vino rosso, suonò al campanello dei vicini.
Una festosa signora la accolse facendola accomodare in sala.

E che sala! Da fuori la casa non valeva nemmeno un terzo di quello che era dentro, era bellissima e con un tocco rustico.

Di strani animali nemmeno l'ombra.

"Erika, vieni tesoro!"

La ragazza bionda che aveva già visto i giorni addietro, molto carina, si avvicinò timidamente a loro senza mai guardarla direttamente negli occhi.

"Piacere, mi chiamo Ariel. Abito nella casa di fronte"
si presentò porgendo la mano prima ad Addison e poi alla ragazza.

Quest'ultima non allungò la mano ma le guardò timidamente la bocca, come se fosse incapace di fissare negli occhi un perfetto estraneo.

"Lei si chiama Erika" intervenne la madre della biondina, rivolgendo uno sguardo di finto rimprovero alla figlia.

La donna indietreggiò di un passo rispetto a Erika e mosse le labbra per far arrivare un messaggio indirizzato solo ad Ariel.
'Autismo'

Lo sguardo della sua nuova vicina era ben interpretabile:
'Non offenderti se sembrerà maleducata'

Notò, nel frattempo, che la ragazza le fissava insistentemente le labbra colorate. Il suo rossetto sembrava piacesse anche a lei.

Lei d'istinto ritrasse la mano e con il sorriso più dolce che poteva sfoggiare, pronunciò delle semplici parole che sembrarono sortire uno strano effetto sulla giovane, tanto che ella sbarrò gli occhi continuando a fissare il pavimento.

"Domani volevo comprare un nuovo rossetto, ma quello che indosso è ancora nuovo e non volevo buttarlo via. Posso regalartelo?"

|Da quando in qua bisogna buttare via un rossetto per comprarne uno nuovo? Ti sei fatta scema tutto d'un botto?|

Sì, ok. Faccio schifo a inventarmi le storie.

Erika non parlò, ma Ariel comprese di aver fatto bingo quando un impercettibile sorriso incorniciò il volto della bionda.
Si ritenne soddisfatta, per il momento.

"Ci vediamo domani, allora! Arrivederci signora, è stato un piacere conoscerla"

Si avviò verso l'uscita, lasciando nelle mani di Addison la bottiglia di vino.

Appena rientrata in casa propria, si precipitò in bagno per cercare questo benedetto rossetto e, dopo pochissimo, lo trovò appoggiato sopra al lavandino.

Era sicura di fare la cosa giusta! Erika doveva essere estremamente timida e faticare moltissimo a socializzare... forse a causa dell'autismo di cui era afflitta.

Il giorno seguente glielo avrebbe portato, sperando di farla sentire la benvenuta in città.
O, perlomeno, nella via.

Voleva così tanto compiere una buona azione verso quelle due donne, che le sembravano tanto due brave persone, che si dimenticò perfino del ragazzo!

|Sì, sì come no! Come se non lo facessi per evitare che altri mostri vengano ad abitare in quella casa e disturbare le tue noiosissime giornate con i loro calci e urla alle sette del mattino|

~~~

Passarono altri giorni e poteva serenamente affermare che con le sue vicine ormai era in buoni rapporti.

Invece con il figlio maggiore di venticinque anni, ancora non aveva mai parlato.

Le uniche cose che sapeva di lui erano queste:

-Era la persona che curò mesi prima, lo aveva riconosciuto dalle foto sparse un po' ovunque e, con il senno di poi, anche dagli addominali.

•Io me lo ricordo anche per il pisello sotto l'asciugamano!•

-La sua stanza era al secondo piano e la finestra era di fronte a quella di Ariel

-Aveva una vita privata molto... poco privata

Non che lo avesse spiato per scoprire quest'ultima sua inclinazione verso la beneficenza femminile ma, facendo spesso notte tarda per guardare i drama, aveva notato che almeno tre volte alla settimana due figure nella penombra del cortile si avvinghiavano baciandosi con passione.

Vedeva chiaramente mani che si toccavano reciprocamente con foga e udiva gemiti sommessi.

Molto spesso poi intravedeva la bandana che il suo vicino portava di consuetudine. Come a confermare che sì, era davvero lui.

La scenetta era sempre la stessa!

Prima si baciavano, poi entravano furtivamente all'interno della casa e trascorsi esattamente tredici secondi si accendeva una luce molto soffusa.
Questa luce si spegneva solo dopo che Joe accompagnava la ragazza fuori da casa. A volte ci volevano un paio d'ore, a volte solo mezz'ora.

•Mi sa che ho visto un film con questa trama...•

"Stasera non aveva troppa voglia di scopare" si disse ironicamente, quando vide la ragazza di turno uscire prima del consueto.

La particolarità di tutto ciò è che quasi mai era la stessa persona, il suo vicino era un gran donnaiolo.

Capibile, per carità, era bello come un attore Hollywoodiano.

"Ariel, piantala di dire cazzate!" si ammonì dandosi qualche schiaffetto sul viso.

Che pensieri ridicoli! Quello era solo il suo vicino!

Il quale, tra l'altro, non si era nemmeno reso conto che era stata lei a fargli da 'infermierina della notte' settimane addietro.

•Ecco sì, ora mi ricordo il nome! Il film si chiamava 'La spada nella doccia'•

|Ti prego taci. Il buon Walt si sta rivoltando nella tomba|

Ormai stanca tirò le tendine di camera sua, si mise a letto e in breve tempo si addormentò.

~~~

Invece Joe, che era tutt'altro che assonnato, tra sé stava sorridendo malizioso.

Aveva già notato parecchie volte che la sua vicina lo spiava nel cuore della notte e la cosa non gli recava fastidio.
Anzi, lo divertiva parecchio.

Se voleva vedere due scopare non sarebbe stato di certo lui a fermare questa sorta di voyeurismo.

E poi, a dirla tutta quella ragazza era proprio un bel vedere.

[Ciao tesoro, dovunque tu sia spero che stai sorridendo felice. Non ti scriverò molto, sai che ho la lacrima facile e non posso farmi vedere in difficoltà da Erika. Però ci tenevo a farti sapere che lei, quel rossetto che le regalasti, lo conserva ancora gelosamente. Addison]

~~~~~~

Eccovi il secondo capitolo!
Forse un po' lungo, ma spero vi stia piacendo!

Cosa ne pensate di Ariel? E di Joe?

E a voi è mai capitato di scaricare per errore un film porno? A me sì!

Dirò solo il titolo: Porcahontas🤦

Un abbraccio!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Bestie ***


Finalmente il locale notturno dove fece il colloquio tempo prima la contattò. Avrebbe iniziato a lavorarci la sera seguente!

Sia lodata la maternità.

|Sempre sia lodata|

Sapeva che non poteva considerarlo un lavoro 'per tutta la vita' ma almeno avrebbe guadagnato bene, considerando che era totalmente svolto in ore notturne.

Si sarebbe limitata a indossare pantaloncini corti con calze a rete e una camicetta attillata.

Niente di disdicevole, insomma.

Avrebbe servito da bere e, oltre all'alcool e al lime, doveva "accompagnare il suo più bel sorriso per la gioia dei clienti", come le ripeteva spesso la titolare.

~~~

~Due settimane dopo

Avrebbe potuto girare ad occhi bendati in quel locale ormai, lo conosceva a memoria da cima a fondo.
Si trovava in una zona industriale circondato da aziende metalmeccaniche e uffici, il che rendeva la posizione perfetta. Di notte erano solo loro ad essere aperti e potevano concedersi la musica alta, anzi altissima senza attirare troppo le cattiverie delle zitelle acide che gridavano al peccato.

Il night internamente era enorme e ben arredato!

Una stanza gigantesca fungeva da comunissima pista da ballo, munita di un palco nel quale sorgevano cinque tubi che scomparivano nel soffitto.
Quella era la terra delle pole-dancer. Lì si esibivano, provocando i polli da spennare ben benino, con movenze sensuali.
Attorno a questa enorme pista si trovava il bancone del bar e tantissimi tavoli e divanetti di pelle nera lucida.
Invece, a lato di questa, se si percorreva il corridoio lunghissimo si sorpassavano i bagni, i camerini e infine si sbucava in un cortiletto esterno, patria grigia e polverosa dei fumatori.

Era presente anche un piccolo privè che veniva aperto solo per spettacolini costosi, adornato di poltrone in velluto rosso.
I soldi spesi dai clienti per sbavare su una bella donna in topless intenta a strusciarsi contro un tubo di metallo... erano fuori da ogni logica.

Inoltre, per ingranare qualche soldo in più, Sarah spesso organizzava eventi di ogni genere come concerti, feste, raduni... tutti vi partecipavano, comprese le ragazze.
Queste si accalcavano in queste occasioni, dove avevano sempre il pass gratuito per entrare.
Nessuno rifiuterebbe del buon divertimento gratis!

Comunque per la maggior parte del tempo il locale era un night e i clienti, ovviamente, quasi esclusivamente uomini.
Aveva imparato a catalogarli nello stesso modo in cui catalogava le figurine delle Spice Girls, collezionate da bimba.

Per la maggior parte erano persone tranquille che andavano lì solo per vedere una bella donna muoversi in modo provocante e dire volgarità con gli amici.

Poi c'erano quelli che speravano di portarsele a letto tutte, nessuna esclusa, ma che alla fine concludevano poco o niente.

E infine c'erano quelli infidi, gli scorretti.

Questi ultimi erano pericolosi alcune volte perché, dopo essere andati con una dipendente che magari si era anche stupidamente innamorata, si sentivano dei supereroi e volevano farsi tutte le ballerine e bariste del locale, sfociando nella molestia.

Non era così raro, infatti, sentirsi qualche manata nel sedere o udire distintamente un fischio accompagnato da un complimento.

Che poi, complimento, non lo è per niente.

Anzi, si sentiva molto un cane richiamato dal suo padrone.

Solo che al posto del guinzaglio loro indossavano calze a rete nere e una gonna di pelle nera cortissima, nella quale una camicietta bianca era rimboccata.

Ebbe la tentazione di andarsene più volte quando la situazione degenerava, ma la paga era buona e anche con le sue colleghe si trovava molto bene.
Soprattutto con la barista Johanna, con la quale aveva sempre il turno in contemporanea.

La ragazza era rossa, riccissima di capelli e con due occhioni azzurri da far impallidire un laghetto d'alta montagna.
Molto simpatica e socievole... assolutamente unica nel suo genere.
La sua più grande particolarità era il suo modo di reagire a situazioni imbarazzanti o scomode!

Il sabato precedente erano entrambe di turno e, quando si presero una pausa, Ariel la accompagnò all'esterno del locale per la solita sigaretta e qualche chiacchiera conoscitiva.

Aveva scoperto che era una grande amante dei film, soprattutto di quelli fantasy e che adorava le feste. 

Le disse anche che lavorava in quel locale solo per racimolare in fretta i soldi per frequentare il college senza gravare sui genitori, che erano in una situazione precaria a causa dei farmaci costosi per curare la malattia del padre.

L'osteoporosi l'aveva colpito diciassette anni prima e la madre era diventata una badante a tutti gli effetti. Dovette quindi lasciare il lavoro da fiorista per potersi occupare di lui e al momento vivevano con i sussidi dello stato.

Tra l'altro 'curare' non era il termine giusto.

Quando una malattia come quella colpisce, non c'è proprio niente da curare. Si possono solo attenuare i sintomi.

Perciò voleva raccogliere i soldi necessari per trasferirsi a casa dei nonni, che abitavano a New York, dove sperava di frequentare il college.

Mentre Ariel ascoltava interessata i piani futuri di Jo, come le impose amichevolmente la rossa di chiamarla, da lontano quest'ultima intravide un cliente abituale.
Era il solito 'supereroe' che non mancava mai, un signorotto di bell'aspetto ma viscido come pochi altri.

"Oddio, che palle Ariel!" sussurrò alzando gli occhi al cielo.

"Lo so, è una piaga quello lì" concordò, guardandolo di sfuggita.

"Ci penso io" ridacchiò con un sorrisetto che non preannunciava niente di buono, per poi alzare il tono di voce quando l'uomo si stava avvicinando a passo svelto verso di loro,

Se osa sfiorarci il culo anche solo con il pensiero, gli faccio fare una passeggiata all'altro mondo con il diavolo in persona pensò acida, riconoscendo il lui il tizio che l'aveva molestata più volte le sere precedenti. 

Fu Johanna a interrompere il flusso di pensieri poco carini che le venivano in mente, uno dietro l'altro.

Prese a parlare a voce alta.
"ESATTO! Proprio così! Lucas ha sguinzagliato la nostra Tina contro quell'omuncolo che ci provava con me! Dovevi vedere come l'ha ridotto! Per poco non lo accecava!"

"Tina?"

"La nostra oca! È molto protettiva e cattiva. A un altro tizio gli ha persino beccato il pisello! Sono qua fuori che mi aspettano, i miei amori!" 

|Per la prima volta sono contenta di essere la tua coscienza, Arieluccia|

Probabilmente l'espressione di Ariel era la medesima dell'uomo.

Dopo aver sgranato gli occhi esterrefatto se n'era andato, toccandosi i gioielli di famiglia.

"Non brava... magnifica!" esordì, ridendo come una matta!

Un'oca! Ok, le oche erano molto territoriali ma non credeva proprio avrebbero potuto essere protettive verso una persona. Chissà! Era stato esilarante!

Che tipa che era questa Johanna! La adorava di già!

~~~

La sera dopo si recò nuovamente al lavoro ma alla fine del turno, attorno alle due del mattino, avvenne qualcosa di davvero inaspettato.

Non potevo davvero trovarmi in un posto migliore nel momento migliore, si disse in seguito ripensando all'accaduto.

Sentì chiaramente risate di uomini ubriachi che, nemmeno a dirlo, erano usciti dal night.

Li aveva riconosciuti!

Erano quel gruppetto che con i loro fischi e le battutine si erano fatti riconoscere per tutta la notte.
Gli avrebbe volentieri spaccato in testa una bottiglia di quel cazzo di costosissimo vino che ordinavano e scolavano, ordinavano e scolavano, ordinavano e scolavano...

Ubriachi o no, in quel momento stavano importunando una ragazza in una viuzza mezza buia attorniata da fabbriche non operative a quell'ora di notte.

La poveretta era schiacciata contro il muro con il viso coperto dalle mani.

"Dai bambolina, vieni con noi" la scherniva uno.

"Che bel corpicino che hai" la canzonava l'altro.

Quando si mise a piangere, in preda a quella che sembrava una crisi di panico a tutti gli effetti, uno dei tre uomini la schiaffeggiò violentemente in volto, facendole perdere l'equilibrio.

Ariel sbiancò.

"Così impari a fare la figa di legno, mongola!"

Ancora non credeva ai suoi occhi.
Certe scenate non si vedevano solo in quei programmi che raccontavano di psicopatici stalker?

Dopo un altro schiaffo che la biondina ricevette, non ci vide più e si avvicinò a loro per intervenire.
Solo allora si rese conto che la persona stesa a terra con il viso rosso e rigato di lacrime era Erika, la sua vicina.
Lo sguardo era basso, fisso sulle scarpe.

Raggiunse il gruppetto mossa da un istinto di protezione fortissimo, spintonando il primo uomo che si trovò di fronte.

Ben presto gli altri due intervennero e la bloccarono. Le immobilizzarono le braccia e la schiacciarono malamente contro il muro, per poi ridere come matti.

"ERIKA! VATTENE DA QUI!"

La ragazza ancora a terra non si mosse, visibilmente sotto shock.

"HO DETTO VATTENE!" urlò.

Non aveva paura per se stessa in quel momento, ma era terrorizzata che potessero fare qualcosa a un'anima innocente come quella della sua vicina.

Non si riprenderà mai, fu il pensiero che le balenò in testa quando realizzò che un atto del genere, per quanto orrendo, avrebbe arrecato meno danni a lei...

•ARIEL! Non dire stronzate...•
Anche la sua coscienza, nonostante cercasse di protestare, sapeva che era la pura verità.

Se proprio devono stuprare qualcuna, fa che sia io.

Non perché lei fosse Madre Teresa o una santa.

Lo fece perché usare quel tipo di violenza con una ragazza innocente e inesperta come Erika l'avrebbe definitivamente uccisa.
Molto più di quanto potesse uccidere lei.

"Sì vattene, tesoro. Noi abbiamo di meglio qui" biascicò uno dei tre, mentre allungava le mani dentro la scollatura, guardandola languidamente.
Essa, era resa indecente a causa dei bottoni saltati della camicetta.

"VATTENE ERIKA, CAZZO!"

La ragazza finalmente si girò come per allontanarsi, ma si scontrò contro qualcuno che la tenne ferma davanti a lui.

Ariel tremò pensando che un altro uomo si era aggiunto a quell'orribile trio.

Le cose si mettevano veramente male.
Più si dimenava per liberarsi dalla presa dei maniaci più loro la tenevano immobilizzata.

Il viscido che le aveva poco prima allargato la scollatura, si fiondò a leccarle il collo con foga.

Il disgusto che provava era enorme, ma non poteva permettere che Erika fosse nuovamente presa di mira.

Per cui con tutta la repulsione che provava in quel momento, stringendo forte gli occhi e i pugni, cercò di non pensare a quella boccaccia che le stava letteralmente divorando il collo e il viso con violenza.

Cercò di sopportare quanto più tempo possibile quell'assalto per distogliere totalmente l'attenzione da Erika, ma quando le mani dell'uomo le palparono senza riguardo il sedere provò un'insopportabile rabbia.

Momento.

Momento.

Momento.

Sua zia le aveva dato uno spray anti-aggressione qualche giorno prima.

Come aveva fatto a scordarlo era un bel mistero.

In realtà era stato suo padre a volere che lei l'avesse a portata di mano.

'Con il lavoro che hai adesso e l'ora in cui ti riduci a casa è meglio che tu stia più attenta. Non farmi preoccupare, sai che sono dall'altra parte del mondo. Ok, piccola?' le aveva scritto in un messaggio, preoccupato e poco convinto del nuovo lavoro che si era trovata la figlia.

Raccolse un po' di saliva e sputò in faccia al tizio che la bloccava e a quello che la stava toccando. D'istinto la liberarono.
Infilò subito la mano all'interno della borsa afferrando la sua arma e spruzzò gran parte del contenuto mirando agli occhi di quel porco che era ancora davanti a lei.

Lui, ovviamente, non reagì bene e dopo averle dato della puttana le diede un manrovescio così potente da farla cadere a terra.

Sentì immediatamente una fitta alla caviglia e un dolore acuto vicino al labbro, ma ebbe comunque la forza di cercare con lo sguardo Erika.
La preoccupazione era sempre maggiore e si augurò solo che stesse bene.

La giovane, poco prima, si era allontanata di qualche passo da lì e qualcuno le afferrava il braccio.

Ormai era esausta di quella situazione e senza più difese.
Lo spray era rotolato lontano da lei.

Cercò di rialzarsi con uno sguardo fiero e arrabbiato allo stesso tempo, sperando di sortire un qualche effetto sui tre uomini.
Purtroppo però nel momento in cui appoggiò il peso sulla gamba avvertì un dolore acuto alla caviglia.

"Ahi" disse alzandola leggermente.

Uno di quei bastardi rise maliziosamente e si gettò per la seconda volta su di lei mirando al suo collo, ma questa volta la sua lingua non la raggiunse...

Una mano comparve dal nulla dietro l'uomo e, afferrato il colletto della maglia, lo trascinò lontano dalla ragazza.

I suoi occhi brillarono, mai visione fu più celestiale!

Ariel vide Joe prendere a pugni, uno per uno, quei poco di buono.

Vennero malmenati e picchiati dal ragazzo, che era arrivato prontamente a salvarle.
Proprio come un vero supereroe.

Di quelli buoni.

Nei suoi occhi però non c'era proprio niente di nobile.

Erano solo lividi di rabbia. Quel tipo di rabbia che gli conferiva un'espressione disumana stampata sul volto.

Incassò qualche pugno anche lui, ma tanto era il rancore che sembrò non sentirli nemmeno.

Ariel si ricompose in fretta e furia per correre velocemente da Erika, la quale piangeva disperata ferendosi le braccia con le unghie.
Non fece più caso al dolore che la caviglia e il profondo taglio nel labbro le stavano procurando, in quel momento doveva assolutamente occuparsi della sua amica.

La biondina infatti si stava auto lesionando senza sosta.

Le afferrò saldamente la mano e d'istinto la abbracciò.

In quel momento non ricordò che le persone con autismo non amano essere toccate, né avere un contatto fisico in generale.

Semplicemente la abbracciò sempre più forte, sino a quando la ragazza smise di procurarsi graffi sulle braccia.

"Erika, andiamo a casa" intervenne ansimante Joe da dietro la schiena di Ariel, sorprendendola.

Ariel mollò la presa e si voltò verso il loro salvatore, che la stava fissando intensamente.

Si guardarono entrambi, senza proferire parola.

Notò un profondo graffio sulla guancia del ragazzo e d'istinto allungò la mano, per asciugare il rivolo di sangue che gli stava colando sulla mascella.

Quel contatto le provocò una sensazione strana, una scossa elettrica, che aumentò quando lui come risposta strinse gli occhi fissandola con ancor più intensità.

"Principessa"
Intervenne Erika puntando un dito in direzione di Ariel.
Gli occhi del fratello erano assolutamente confusi e increduli.

Ormai di battute sulla sirenetta ne aveva sentite a bizzeffe e ne aveva piene le palle, ma questa volta le fece sinceramente piacere.

Joe finalmente si dedicò alla sorella e dopo averla accarezzata e consolata la accompagnò fin dentro casa.
Mai una volta si era girato indietro.

Non mi sta minimamente considerando.

Il fatto che ogni tanto si fermava per accendersi una sigaretta oppure per rispondere a un messaggio, non significava che stesse aspettando che lei si avvicinasse di più a loro.
Giusto?
Perché poi ripartiva subito a passi lenti.

•Allora sei cretina•

|Cretina forte!|

Lentamente aprì il cancello dell'ingresso secondario di casa  sua, mentre con la coda dell'occhio vide i due fratelli fare altrettanto.

Quando finalmente entrò si appoggiò sul dondolo e osservò delicatamente la caviglia.
Stava via via diventando più gonfia e aveva anche un graffio abbastanza profondo.

Poco dopo avvertì distintamente un sapore metallico in bocca, e si osservò le dita sporche di sangue rosso vivo.

Cercò con gli occhi la valigetta del primo soccorso, che non aveva mai riportato in casa, e si alzò per afferrarla.
Era sicuramente rimasta dove l'aveva lasciata quando fece da infermiera improvvisata a Joe.

Mentre gli occhi vagavano alla ricerca del kit non poté fare a meno di volgere uno sguardo verso la casa dei vicini.

Erika era rientrata in casa, mentre Joe era fermo davanti al loro cortile a parlare con una ragazza, per poi liquidarla subito dopo.

Dopo poco Ariel lo vide avvicinarsi a casa sua.
Rimase stupefatta quando il ragazzo gettò a terra il mozzicone di sigaretta e la osservava con uno sguardo, che la portò a deglutire nervosamente.

Come poteva essere così dannatamente sexy!

Lui entrò e la raggiunse.

Bum, bum, bum.
Il cuore le stava scoppiando!

Mi sono improvvisamente rincretinita?

•Seh, improvvisamente... credici•

Perché sono così nervosa?
Perché questo ragazzo mi fa sentire una dodicenne, di fronte al suo idolo?

[Senti Ariel, quella notte sei stata la sua principessa.
Tu eri la principessa coraggiosa che era comparsa dal nulla salvandola.
E lo eri, lo eri davvero.
Chi si farebbe violentare per salvare un'altra ragazza?
Un'anima pura e buona, ecco chi.
E se ripenso al modo in cui ti ho lasciato indietro tornando a casa, una morsa mi stringe lo stomaco.
Scusami, anche se in ritardo.
Tu non meritavi quel trattamento, ma a quel tempo non lo sapevo.
Joe]

~~~~~~~~

Ciao, super woman! Vi sta piacendo il libro?

Ricordate sempre di tenere uno spray anti-aggressione in borsa 🙅
Lo avete già?

Lasciatemi un commentino... non perdetevi il prossimo capitolo! Ci sarà una svolta!

Un bacio.
PMaryy

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Ferite ***


Joe afferrò la valigetta del pronto soccorso per poi inginocchiarsi di fronte, aprendola completamente.

•Aprendole cosa, scusa?•

|AprendolA. Prima o poi ti ucciderò|

"Non ho bisogno di aiuto, me la cavo da sola" gli disse, allungando la mano aperta verso di lui mentre si stupiva della voce tremante, che non si era resa conto di avere.

Lo spavento c'era stato, innegabile.

Coraggiosa sì, ma Rambo lungi da me.

Joe non rispose ma, semplicemente, iniziò a bagnare un batuffolo di cotone con il disinfettante, per poi poggiarlo sopra la cute ferita.

"AHI! BRUCIA!" gridò dolorante ritraendo la gamba, non appena il liquido si posò sul taglio aperto della caviglia.

"Non muoverti" la ammonì severo, afferrandola saldamente.

Una volta pulita la ferita prese un nuovo tampone e si spostò sul viso. In seguito raggiunse il collo, sul quale c'era un rivolo di sangue ormai secco.

Era disposta a giurare che il suo cuore perse un battito nel momento in cui la mano del ragazzo si posizionò poco sopra al seno, esposto più del dovuto a causa della camicetta ancora mezza aperta.

Joe si immobilizzò per poi mordersi leggermente il labbro inferiore.

Quel piccolo e innocente gesto era così ammaliante che dovette sforzarsi per distogliere lo sguardo e non fissare più quelle labbra, che sembravano invitarla verso di loro.

Era davvero bello, con i suoi occhi verde scuro così penetranti.

•Chi penetra? Cosa?•

|Oggi non batti lì, cara mia|

Era certa di non averne mai visti di così belli, particolari e unici nel loro genere... rispecchiavano perfettamente il loro proprietario.

Mentre questi pensieri si facevano sempre più imbarazzanti, Ariel arrossì.

Quando avrebbe smesso di arrossire come una dodicenne si sarebbe fatta un applauso da sola.

Era un tratto caratteristico di lei che non sopportava.
La rendeva debole, mentre avrebbe voluto apparire sempre al top, sempre forte... desiderava essere sempre la Christina Yang della situazione.

E lui, invece, era senz'altro come Mark Sloane.
Bello e dannato.

Si sarebbe accorto che non riusciva a togliergli gli occhi di dosso?
Certamente, un grande conoscitore di donne come lui se ne sarebbe accorto senz'altro.

E infatti vide comparire sul suo viso un sorrisetto malizioso.

Mamma santa, che imbarazzo del cazzo!

Odiava farsi vedere paonazza dalle persone!

Joe le premette il batuffolo bagnato sul labbro, proprio sopra al taglio che continuava a gorgogliare sangue.

"Le labbra sono una zona sfortunata, sanguinerà per un po''' disse, mentre il suo sguardo si fece livido.
Probabilmente al ricordo dei tre uomini.

"Ti ringrazio, ora ci penso da sola" rispose afferrandogli la mano, per eliminare quel contatto fisico che la stava facendo sentire così vulnerabile.

Senza nemmeno rendersene conto, Ariel lo fissava di nuovo.
Prima gli occhi, poi le labbra...

Si stava lentamente avvicinando al suo viso, come in preda a una incontrollabile trance.

La ragazza sentì una strana sensazione, un formicolio e il battito del cuore farsi improvvisamente veloce.

Soprattutto quando lo sguardo di lui si posò sulle sue labbra, nello stesso momento in cui lei gli si stava pericolosamente avvicinando.

Dopo qualche secondo, che sembrò infinito, il ragazzo si mise in piedi di scatto e gettò il batuffolo sporco di sangue per terra.

"Ricordati di premere sul labbro, smetterà si sanguinare prima o poi"

Era ancora scossa dalla sensazione che aveva provato pochi istanti prima, quando i loro visi erano così vicini, che non afferrò al volo il senso della frase.

"Ora siamo pari" le disse, riportandola alla realtà, prima di ritirarsi in casa.

Ariel, capì ben presto che quello era il suo modo per ringraziarla dell'aiuto che le aveva dato con la sorella.

Ancora rossa in viso, se ne andò silenziosamente in casa.
Si stese sul divano e tentò in tutti i modi di metabolizzare quanto era appena successo.

No.

O meglio, che stava per accadere.

No!

Cosa stavo per...?

Non aveva davvero fatto quello che pensava, impossibile.
Non si era davvero mossa verso il viso di Joe.

Non aveva avuto l'istinto di baciarlo.

Non l'ho davvero fatto.

NO!

Non doveva vederlo come qualcosa di diverso da un Casanova mozzafiato!

Era stato gentile solo perché aveva aiutato sua sorella, niente di più.

Un ragazzo così bello, così sensuale, così affascinante...
Non l'avrebbe mai guardata in quel modo.
Era tutto nella sua testa, e il fatto che lui non l'avesse baciata... era la prova.

Inoltre, non era nemmeno un problema di passione!
Ne aveva vista molta con le ragazze che gli piacevano ma, evidentemente, non provava quel tipo di trasporto per lei.

|Autostima, questa sconosciuta...|

D'improvviso le venne in mente l'ultima frase che le aveva rivolto...

"Siamo pari"

Cosa intendeva? Si è bevuto il cervello?

Poi, una lampadina le si accese come un albero di natale addobbato di tante palline si accende il giorno dell'Immacolata.

•Di che tipo di palle stiamo parl-•

|TACI, PER L'AMORE DI DIO|

Joe, l'aveva riconosciuta finalmente!

Con quell'affermazione aveva voluto farglielo sapere e dirle che il 'baratto era completato'.

Una volta l'aveva aiutato lei e una volta l'aveva aiutata lui.

Ora erano pari, per l'appunto.

|Veramente tu l'hai aiutato due volte. Ma va be...|

Riuscì ad ammettere con sé stessa che, probabilmente, avrebbe faticato a smettere di cercare un suo sguardo, un segnale, un suo sorriso...
Le aveva stregato anima e corpo.

•Attenzione signori e signore! Il mister Darcy dei poveri è con noi•

Morfeo arrivò più velocemente di quello che si aspettasse, e trascinandola con sé nel mondo dei sogni. I quali, quella notte, avevano un colore verde scuro.

~~~

Il giorno dopo Addison bussò alla sua porta, insieme a tanti abbracci commossi e tanti ringraziamenti.

Mentre sorseggiavano il caffè scadente della vecchia caffettiera, la donna le raccontò che la sera precedente lei ed Erika erano uscite per andare a trovare, come di consuetudine, la nonna dei suoi figli che abitava ad appena venti minuti a piedi da casa loro.
Si erano però addormentate sul divano, dopo l'ennesima puntata della soap opera che sua madre le costringeva a guardare dopo cena.

Però, dopo il primo episodio se ne erano aggiunti altri quattro.

Non poteva portare il peso di sapere che la donna sarebbe andata a letto con il pensiero di quale delle due figlie il bell'argentino avrebbe scelto, obbligandola a una nottata insonne fatta di congetture e ipotesi poco credibili.

E dopo l'ennesimo pippone noiosissimo dell'amica della protagonista che le dava consigli scontati e assurdi, il sonno le aveva catturate.
Sia lei che Erika.

Erano solite andare ogni settimana camminando dall'anziana, se il tempo lo permetteva.

Le spiegò che la psicoterapeuta, che seguiva Erika, le consigliò vivamente di farla 'interagire' per quanto possibile con il mondo esterno.

Nel momento in cui stavano tornando le loro mani, strette l'una all'altra, si slegarono quando la donna rispose alla chiamata sul telefono.

"Era quel disgraziato del mio ex marito" continuò il racconto, acida.

Da quello che le aveva raccontato, l'uomo non voleva più partecipare alle spese mediche di Erika nonostante sapesse quanto gravassero per la famiglia.

Joe frequentava ancora l'università di architettura anche se la stava terminando, mentre sua madre svolgeva dei lavori precari.

Che pezzo di merda d'uomo!
Alexander, si chiamava.

|Merda secca, si chiamava|

Sembra, quindi, che mentre stava sbraitando come una pazza in piena notte, si allontanò dalla ragazza, camminando nervosa come non mai su e giù per la via.

Con gli occhi lucidi confessò ad Ariel che fu lì che sua figlia, probabilmente, si allontanò.

"Erika non sopporta sentire me o suo fratello litigare o urlare. In realtà non lo tollera in generale, quando succede se ne va da un'altra parte oppure si procura delle ferite da sola"

Addison era visibilmente sconvolta.

"Ho chiamato subito Joe quando mi sono accorta che non la riuscivo a trovare ma se non ci fossi stata tu non so davvero cosa..."

Ecco come mai era comparso come un supereroe.
Ecco perché era riuscito a salvarle in tempo.

"Addison, non preoccuparti.
Mi sono affezionata tanto a Erika, le voglio bene come a una sorella ormai! Quindi piantala di dire certe cose e bevi questo caffè" la ammonì, porgendole lo zucchero.

Dire che le voleva bene come una sorella era senza dubbio azzardato, ma le stava davvero a cuore e voleva tranquillizzare la donna.

Con gli occhi ancora lucidi Addison la abbracciò calorosamente e le confidò, con espressione raggiante, che anche la figlia si era affezionata a lei.

"Ti cerca spesso e molte volte vedo che fissa la finestra del tuo soggiorno" le confessò, soffiandosi il naso.

"Credo proprio che sei la sua terza ancora di salvezza.
Joe mi ha detto che si è fatta toccare da te, oltretutto!
Anche la dottoressa ha detto che per il suo bene sarebbe perfetto che passasse un po' di tempo insieme a qualcuno che non è della famiglia. Non so se tu... giusto una o due sere a settimana... potresti..." incespicò imbarazzata, grattandosi la testa.

Lo sguardo speranzoso della sua vicina la fece sorridere.
Che tenerezza!

Quando parlava in quel modo percepiva distintamente l'amore che provava per Erika, e sentiva ancora di più la mancanza di sua madre.

"Ma certo! Non c'è nemmeno bisogno di dirmelo!" disse sorridendo, sorseggiando con una smorfia poco convinta il caffè orribile.

Carina però la tazzina a forma di elefante.

"Che ne dici Addison, se vengo da voi due o tre sere a settimana? Prima di andare a lavorare magari."

La donna le fece uno dei sorrisi più dolci che avesse mai visto.

"Ha ragione a chiamarti principessa" disse, con lo sguardo commosso.

Cercò di congedarla senza troppe cerimonie ma vi riuscì solo dopo averle promesso che la sera stessa sarebbe stata ospite loro a cena.
Solo loro tre però, perché Joe sarebbe uscito.

In seguito, una volta uscita da quella casa, si accomodò sul suo dondolo.
Il suo pensiero andrò dritto dritto a Joe.

La parola "uscire" la madre la calcò con le mani, a mo' di virgolette.

Sarcasticamente voleva intendere che il figlio avrebbe avuto un incontro amoroso.

[Principessa, non ti vedo più dalla finestra.
Il mio fratellone dice che ti sei trasferita con tua zia, ma ha sempre gli occhi strani quando me lo dice.
Non posso venire a trovarti perché l'aereo fa rumori che mi spaventano e ci sono troppe persone nella cabina.
Non ho mia capito perché te ne sei andata. Ho fatto qualcosa di male? È stato Joe a fartene? Erika]

~~~~~~~

Vi piace come sta proseguendo la storia? ☕🐘

Che ne pensate di Erika? Conoscete qualcuno affetto da autismo?

Un abbraccio!

PMaryy

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Cena ***


Come promesso si presentò alle 19:00 in punto a casa delle vicine e, con stupore, si rese conto che anche Joe era presente seduto a bordo tavola.

Era sempre dannatamente bello, con la sua camicia bianca leggermente aperta sul collo e quegli occhi magnetici che la guardavano senza tradire alcunché d'interpretabile.

Perché deve sempre fissarmi, maledizione! Non capisce che mi fa morire con lo sguardo che si ritrova?

Nonostante tutto, comunque, la cena trascorse molto serena.
Tante chiacchiere in allegria.

Addirittura, anche il moro si allargò più del solito e sorrise spesso quando la ragazza rideva forzatamente alle pessime battute della madre.

Più di una volta si riscoprì a fissarlo nei gesti più semplici...
Sicuramente stava perdendo il senno.

Come quando macinava il sale e delle grosse vene gli comparivano sull'avambraccio, segnandolo come una cartina stradale, osservarlo era inevitabile.
Era una di quelle cose che faceva impazzire tutte le donne... un richiamo ormonale allo stato brado.
Lo stesso effetto prodotto dal movimento delle mani aperte sul volante mentre questo veniva ruotato.

Notò anche che, quando usava il fazzoletto per pulirsi la bocca, esibiva un tatuaggio a forma di anello sul pollice, che gli dava quell'aria da bello e dannato. Tremendamente sexy.

O ancora, quando si sbottonava due bottoni della camicia per rinfrescarsi un po', Ariel non poteva fare a meno di apprezzare i pettorali scolpiti che si intravedevano.

Sono una maniaca!
Fissare così una persona non era buona educazione, lo sapeva.

Nel frattempo Addison non aveva mai smesso di parlare. 

Probabilmente non doveva essere abituata ad avere ospiti a cena e raccontò più del dovuto a una che, dopotutto, era poco più di una sconosciuta.

Le raccontò di come suo ex marito, il padre dei ragazzi, aveva sofferto di cancro una decina di anni prima e di come i medici lo operarono d'urgenza di trapianto al polmone, salvandolo in tempo.

"Il maledetto ha ben pensato di mollarci per andare a fare la bella vita in Thailandia" parole che, evidentemente, disgustavano la donna tanto quanto facevano male ai suoi figli.

Il viso di Joe si fece serio riportandolo a essere il ragazzo taciturno che aveva conosciuto.

Non che quella sera fosse diventato improvvisamente David Letterman, intendiamoci.
Perlomeno aveva sorriso e fatto ridere le tre donne, con qualche battutina ben piazzata.

Era molto simpatico se voleva, ma non voleva quasi mai. Non con lei, comunque.

Ariel ora, estremamente a disagio a causa del suo coinvolgimento in una discussione così delicata e personale, cercò di smorzare il clima teso raccontando dei suoi genitori che ora si trovavano in crociera in Giappone.
Fece vedere loro una foto, immortalante sua madre in una via ricoperta di ciliegi in fiore, ripristinando un clima nuovamente sereno.

Un paio d'ore dopo la cena terminò e la ragazza salutò tutti.

Baciò infine la guancia di Erika, sotto gli occhi stupiti dei due che ancora non si erano abituati al fatto che la bella biondina si facesse toccare così intimamente senza dare di matto.

A lei veniva naturale avvicinarla e la ragazza non sembrava infastidita.

Era un'amica particolare, assolutamente. Però ci teneva a lei e le faceva tanta tenerezza.

Così innocente, così impaurita dal mondo.

~~~

I giorni seguenti, quando la sera si ritirava in camera da letto, spesso sentiva i gemiti di Joe che prendeva a pugni un vecchio sacco da box.

Era sempre più bello... e lei sempre più cotta.

Per qualche strano e incerto motivo voleva avvicinarsi di più a lui.

Non era più un estraneo ormai e quei pochi istanti passati insieme per lei erano stati significativi.
Sentiva che doveva provare ad avere un qualche rapporto con il bel ragazzo.

Una sera, prima d'iniziare il turno di lavoro gli si avvicinò con fare sicuro di sé, con una birra ghiacciata in mano.

Cosa ci fa in piena notte lì, ogni santa sera? Non ha più le sue amichette?

•Pensi che sia diventato Don Abbondio, per caso?•

Certo che le aveva, ma probabilmente lei evitò, senza volere, di guardare fuori dalla sua finestra nell'ultimo periodo.

Avvicinandosi notò una fascia blu che gli adornava la fronte ma il sudore sgocciolava comunque sul viso, tracciando una linea invisibile.

"Prendi" gli disse.

Il ragazzo, che non l'aveva vista entrare nel suo cortiletto bloccò di colpo il sacco da boxe, che ancora stava ondeggiando dopo un suo potente pugno.

Aveva proprio l'aria di un sacco da box vecchio quanto i dinosauri! Era brutto, malconcio e con qualche crepa nel tessuto.

"Dopo una birra ti sentirai come rinato" lo esortò, porgendoli la bottiglia di vetro.

Joe la ringraziò con un sorriso e si sedette sulla panchina nuova di zecca, che aveva preso il posto della vecchia amaca.

Le gocce di sudore, che gli segnavano il collo, sembravano suggerirle qualcosa, ma non sapeva cosa.

•'Asciugaci'•

|Asciugati la bava, per carità|

Se c'era qualche aspetto di lui che non trovasse affascinante era il momento di scoprirlo. E subito!

"Che lavoro fai?" le chiese improvvisamente, dopo aver dato uno sguardo alle calze a rete nere che si intravedevano sotto il trench color panna.

"Barista in un ristorante" rispose stringendosi attorno al corpo l'indumento, per coprirsi il più possibile per non mostrargli il top bianco mezzo trasparente e striminzito che lasciava poco all'immaginazione.

Non voleva dirgli che lavorava in un night, avrebbe certamente pensato male.

Lui si girò a guardarla con espressione ironica, facendo un tiro con la sigaretta per poi espirare una nuvoletta di fumo grigio e denso.
"Ristorante? Eri vestita così anche quella sera che è successo il casino con mia sorella"

Ok, aveva detto una cazzata enorme.
Anche un bambino ci sarebbe arrivato che non si lavora vestite così succinte in un ristorante.
Odio mentire.

"D'accordo..." sospirò, stringendo i pugni "in un night. E allora?"

Si rese conto che le era uscito un tono talmente accusatore che fu lei stessa a capire di essere troppo prevenuta!

"Era per chiedere" le rispose, allargando le mani come per arrendersi, per poi tirare fuori una Marlboro e accenderla.
"In quale night? Ne conosco un paio qui in zona"

"Lo immagino"

Non aveva avuto l'intenzione di dirlo ad alta voce, ma lo fece senza volerlo.
E soprattutto non voleva dirlo con quel tono sarcastico! Dannazione!

Il ragazzo, che era a un passo da lei, le si avvicinò con la sigaretta accesa che penzolava sulle labbra. Non appena le fu di fronte con due dita la sfilò dalla bocca e la inondò di una nuvola di fumo. Il battito del suo cuore accelerò improvvisamente quando, con il suo solito sorrisetto malizioso, le mise un dito sotto al mento sollevandolo verso di lui. Occhi verdi in occhi castani.

Acqua e sabbia.

Una piccola scossa elettrica le attraversò il punto dove l'aveva delicatamente sfiorata.

"Non sono un prete, sai?" Rise malizioso, squadrandole ogni centimetro del viso.

•Visto? Ho pur detto che non è Don Abbondio!•

Ariel non riuscì a spiccicare parola.

Occhi profondi, labbra disegnate, capelli ribelli, maglietta attillata...
Era imbambolata a fissarlo di nuovo.
Lui se ne accorse, a giudicare dal sorrisetto che sfoggiò, prima di alzarsi e riprendere a pugni il sacco.

Che vergogna, sembro una ragazzina...

Si divertiva davvero a prenderla in giro e sicuramente aveva capito che lei provava una sorta d'interesse, nei suoi confronti.
Lui però non si sbilanciò mai.

Ariel, da brava testarda che era, non si arrese e continuò per settimane a portargli la birra, l'acqua, un asciugamano...

Dopo quasi un mese di questa tiritera, era finalmente felice di poter affermare che avevano un rapporto un po' più intimo.

Parlavano a volte anche fino tarda notte, quando non aveva il turno al night.

Si raccontavano, ad esempio, delle loro passioni.
Del fatto che in breve tempo si sarebbe laureato in architettura e dei viaggi che avevano fatto.
Parlavano tanto anche di Erika e della malattia che la affliggeva.

Si capiva, da come cambiava tono di voce, che le voleva un bene dell'anima ed era sinceramente sollevato che la sorella avesse trovato qualcun altro a cui appoggiarsi nei momenti di crisi.

"Continua a chiedere di te... 'Principessa, principessa'"

"Davvero?"
Che dolcezza!

"Sì, l'hai salvata quella sera. Le devi essere sembrata come l'eroina di quei film smielati che guardate voi donne" le spiegò roteando gli occhi verdi all'insù, come se non esistesse femmina sulla terra che non ama il genere romantico.

"A me non piacciono però. Eppure sono una ragazza anche io, come la metti?"

Joe le accarezzò dolcemente la testa, un contatto che Ariel non si aspettava ma che le fece provare imbarazzo.

Dio, come le piaceva però!

"Eh, ma tu non sei una ragazza comune" le sussurrò, più vicino al suo viso.

Dio, come avrebbe voluto baciarlo!

DIO, DIO, DIO!

~~~

I giorni passarono e il loro rapporto diventò sempre più amichevole.

Amichevole... per lui senz'altro.
Lei sapeva di essere andata ben oltre alla semplice amicizia.

Lo pensava continuamente e non vedeva l'ora di vederlo. Ogni giorno la stessa storia.

Quando lo vedeva baciarsi con altre ragazze si ritrovava con un'espressione così triste che era grata di essere chiusa fra quattro mura, al riparo da occhi indiscreti.

Lei lo desiderava.

Smettila idiota, lui non fa per te.

Troppo bello, troppo sensuale, troppo corteggiato, troppo tutto.

Quando si guardava allo specchio era carina, questo sì.
Nulla di fuori dal comune.

Le ragazze che portava a casa invece loro sì che lo erano.

È come paragonare Angelina Jolie a un blob. Non si fa.

Più passava il tempo con lui e più gli piaceva il suo modo di essere. Soprattutto in quei momenti in cui le confidava piccoli segreti, che era sicura non dicesse alle altre. Come ad esempio la sua passione per manga e anime.

A volte le raccontava una storia di uno di questi fumetti e il suo sguardo si accendeva. In quei momenti sembravano essere amici da sempre e, di questo, era così contenta che lo ascoltava sempre volentieri con un sorriso sincero stampato sul volto.

~~~~

Erano passati ormai tre mesi da quando erano diventati abbastanza amici... ma i sentimenti di Ariel, invece che cambiare direzione, stavano traboccando.

Traboccava anche la gelosia, nei confronti di quelle donne che continuavano a passare la notte con lui.
Non sopportava più la situazione però, comunque, non poteva dirgli nulla.

Che diritto aveva? Non si era nemmeno accorto di lei, in quel senso.

Ogni tanto le lanciava qualche sguardo equivoco ma sapeva che non doveva illudersi perché, quegli sguardi, li lanciava a tutte da buon Casanova qual era.

Se avesse provato qualcosa per lei probabilmente avrebbe notato un cambiamento in questo senso, ma zero.

Joe sapeva bene dei suoi sentimenti, ne era assolutamente sicura.
Troppo evidenti da celarli, ma li ignorava deliberatamente.

Erano già diversi giorni che faticava a trattenersi.
Era stata sul punto di saltargli addosso già parecchie volte, si era sempre trattenuta.

Non voleva rovinare quella bella amicizia che si era creata.
Anche perché ormai a Erika si era affezionata così tanto da ritenerla davvero come una sorella minore.

Lui però, di riguardo verso i suoi sentimenti non ne aveva proprio per niente.

La gelosia è davvero una brutta bestia, non era mai stata così ossessionata da qualcuno.

Joe nonostante tutto, continuava ad andare a letto con diverse ragazze poco dopo averle dato la buonanotte.

Ogni volta si sentiva morire dentro, non sapeva quanto ancora avrebbe resistito.

Nelle ultime settimane, infatti, si vedevano meno. Lei aveva sempre una scusa pronta, per evitare di passarci tutto quel tempo insieme.

A volte era un turno extra, a volte era l'uscita con un Johanna, altre volte la chiamata di sua madre...

La cosa le faceva male perché sentiva la sua mancanza, ma era arrivata al punto da sentire di più il dolore.

Quando poi, quell'idiota, le raccontava delle sue ex e dei bei viaggi che avevano fatto  avrebbe solo voluto scappare per non ascoltare quelle storielle del cappero.

Davvero non ho fatto breccia nel suo cuore? Nemmeno un pochino?

La risposta la sapeva già, ma si sa che è la speranza l'ultima a morire.

~~~

Una sera, una di quelle nelle quali era impossibile evitarlo, la situazione divenne insostenibile.

Il cellulare del giovane non smetteva di suonare e vibrare, tra chiamate e messaggi continui.

Poteva giurare di aver letto Samantha e Jenny nello schermo.

Alle chiamate non rispondeva e buttava giù ma ai messaggi invece sì, non considerando di striscio la sua vicina di casa, che stava impazzendo dalla gelosia.

Lo odiava, lo odiava davvero in quel momento.

Cazzo!

Era lì con lei e faceva finta che non esistesse.

•'Sto stronzo•

"Joe, che tesi discuterai in sede di laurea?" cercò di distrarlo.

Nessuna risposta.

"Joe..."

Gli occhi puntati sul cellulare.

Ariel allora mise una mano sopra lo schermo e gli bloccò la visuale.

"ARIEL, CRISTO SANTO!"

Il tono esasperato del ragazzo la fece trasalire. Non si aspettava una reazione tanto forte.

Non glielo aveva mica gettato a terra, quel dannato cellulare!

Della sua gelosia e sofferenza non gli importava niente.

È cosi maledettamente evidente, pensò con una fitta che le colpì il centro del cuore.

"Non essere appiccicosa" la avvertì, spostandole la mano dal suo preziosissimo e odiosissimo cellulare di merda.

Appiccicosa, ecco cos'era lei per lui.

Le sue amichette erano mille volte più importanti.

Sentì gli occhi pungere e, prima di farsi vedere piangere, si alzò per uscire dal cortile di quel fotta-man vivente.

Il dolore che sentiva era troppo. Non avrebbe più potuto, ne voluto sopportare di essere trattata in quel modo.

Non badò nemmeno al fatto che una voce la stava chiamando "ARIEL! Dove vai?"

Doveva tagliare i ponti fintanto che aveva ancora la forza di allontanarsi da lui.
Continuare in quel modo era sadico e la rendeva costantemente infelice.

Quel bacio a stampo che c'era stato, era davvero solo un 'grazie'.

~Flashback di due giorni prima
"JOE! JOE! JOE!" Ariel aveva appena parcheggiato la sua bicicletta
per poi correre verso il suo vicino, intento a prendere a pugni il sacco da boxe.
La ragazza ebbe quasi un mancamento nel vedere sul petto tutte quelle goccioline di sudore fare a gara a chi scendeva più veloce.

"Ariel..." sorriso sornione, non promettendo nulla di buono "ho già tante donne che gridano il mio nome..." la ragazza roteò gli occhi verso il cielo, sapendo già dove lui volesse andare a parare "ma urlato da te mi fa fare pensieri poco nobili" finì, dandole un buffetto tenero sul naso.

"CAMBIANDO ARGOMENTO" Ariel parlò quasi facesse lo spelling di una parola russa a un cinese "guarda cos'ho qui".
Tirò fuori, dalla mega borsa stile Mary Poppins, un grande foglio arrotolato su se stesso e glielo porse sorridente, battendo poi le mani come una bimba.

|Un foglio... che eccitazione...|

•Non vedi? Sono tutta bagnata...•
La volgarità fatta a coscienza ovviamente era la sua!

Joe, dapprima confuso, nel momento in cui lo srotolò, fece un sorriso talmente grande che se i denti brillassero di luce propria, lei sarebbe diventata cieca.
Chiaramente il moro era in disaccordo con le coscienze di Ariel.

"Come... come..."il verde dell'iride animato di gratitudine mista a sorpresa.
"Beh, è un segreto" gli strizzò l'occhio, contenta di averlo reso felice lei, quella sera.

Non gli avrebbe di certo detto che quando il padre le mandò la foto di un mercatino dell'usato in Giappone, lei e i suoi occhi da felino, notarono in basso a destra tra i tanti fumetti un poster giallo sbiadito in bella e nitida vista.
Il disegno era vecchio stile e la scritta "Doctor Strange, edizione limitata 1970" con tanto di scarabocchio autografo di Stan Lee, sembrava autentica.

O almeno così le disse il padre per telefono.

Ariel, comunque, gli chiede di comprarlo e spedirglielo al più presto visto che sarebbe stato il 'regalo di compleanno per un'amica nerd'.
L'uomo non aveva posto ulteriori domande e fece come richiesto.
Non seppe mai nemmeno quanto venne a costare, ma probabilmente non molto considerando quanto il padre fosse tirchio.

Avere un tesoro tra le mani e non saperlo, pensò all'indirizzo dell'omino sprovveduto del mercato che, a giudicare dagli oggetti immortalati nella foto, vendeva di tutto un po' a cuor leggero.

Joe la abbracciò calorosamente,  stringendola come mai aveva fatto fino a qual momento.
Con il naso tra i capelli lunghi e profumati della sua vicina, lui sorrideva nascondendosi.

"Non potrò mai ripagarti" le sussurrò all'orecchio.
"Non preoccuparti, non è stato nien-" tentò di rincuorarlo, ma non finì mai la frase.
Joe, staccatosi dall'abbraccio che le scaldava l'anima, le prese il viso fra le mani e le stampò un lungo bacio a stampo.

Ariel non reagì ma rimase ferma, con le labbra assetate di lui.
Sapeva perfettamente che il suo era stato un gesto istintivo e, quel bacio innocente, il ringraziamento più sentito che Joe potesse rivolgerle.
Le parole evidentemente non gli sembrarono sufficenti.
L'unica cosa che lei, invece, pensò fu solo una...
Miglior 'grazie' non esiste.

~Fine flashback

[Sai Ariel se ripenso a quella sera e a quello che ci siamo detti, sorrido.
Mi torna in mente come ti eri messa sulla difensiva quando ti ho chiesto il lavoro che, evidentemente, ti vergognavi di fare.
Ti ricordi? Ti dissi che non ero un prete.
Non lo sono nemmeno adesso.
Però a differenza di anni fa nei loro occhi, mentre le faccio mie, cerco solo una ragazza testarda e adorabile.
Solo che dentro quegli occhi io non riesco mai a trovarti.
È te che voglio guardare, dopo aver fatto l'amore.
Loro sono solo un tuo pallido riflesso. Rimarranno tali e non potrebbe essere diversamente, perché il mio cuore non vuole sentire ragioni e ti sta aspettando.
Non importa se sono già passati due anni.
Ti aspetterà ancora, ancora e ancora. Joe]

~~~
Ciao, belle gioie✨
Come state? Spero che il capitolo vi piaccia.

E voi, siete mai state ignorate dalla vostra cotta? Come è andata a finire? 👩‍❤️‍💋‍👨 o 😭?
Ariel, non la sopporta più questa situazione.
Anche detta Friendzone.

Bacioni!
PMaryy

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Daniel ***


Dopo qualche giorno, prima del quale non si erano più rivolti la parola, fu Joe ad avvicinarla mentre montava sulla sua bici.

Quanto voglia aveva avuto di fermarsi e di parlargli...
solo lei lo sapeva.

Si era ripromessa di piantarla. Non poteva più essere sua amica finché non avesse sentito più quei sentimenti.
Si chiedeva sempre più spesso quando sarebbe successo, considerando che non accennavano a diminuire.

Dopo l'ultima discussione che avevano avuto lei lo aveva evitato come la peste e nemmeno gli aveva dato spiegazioni.

Non che lui ne avesse mai chieste, comunque.

Lo vedeva spesso allenarsi a box e percepiva il suo sguardo quando lo superava velocemente, per poi rintanarsi in casa, quasi in apnea tanto era agitata.

Però quella volta, non ebbe scampo. Per quanto veloce potesse essere...

Joe le sbarrò la strada.

Sembrava in procinto di parlare ma si bloccò a guardare le gambe esili della ragazza con uno sguardo strano.

Ho i pantaloni sporchi?

Abbassando gli occhi sulle gambe si diede della cretina da sola. Aveva dimenticato di essersi messa la divisa a casa invece che direttamente al lavoro, quella sera.

Calze a rete, shorts con il cappottino sbottonato.
Era un bel po' 'esposta'.

Frettolosamente se lo avvolse attorno al corpo.

Ok, era decisamente troppo succinta per trovarsi fuori da un night... per di più da sola!

"Hai bisogno?" gli domandò, stizzita.

Joe la squadrò dalla testa ai piedi, anche se ora sembrava più infastidito che altro.

"Mia madre vuole che ti inviti al party in giardino per il mio compleanno, il prossimo week end" la informò con tono quasi scocciato.

Ariel, sentì il sangue ribollirle nelle vene quando le rivolse quel tono odioso.

"Ti ringrazio, ma ho da fare" gli rispose, schivandolo e montando nuovamente sulla sella per poi iniziare a pedalare.

Era sicura di aver usato un tono anche più maleducato del suo. Quindi, senza dubbio, il ragazzo si era accorto che era stata una bugia bella e buona.
A essere sincera però, non le interessava per niente.

Era troppo arrabbiata con lui in quel momento e voleva solo andarsene lontano.
Magari in qualche isola del Pacifico, giusto per non vederlo mai più.

•Zihuatanejo, arriviamo!•

|E che ci andiamo a fare?|

La sua coscienza cattiva spaziava dai porno a film drammatici, che brava.

Fece poche pedalate quando si sentì bloccata di colpo, dal portapacchi.

"ODDIO!" urlò in procinto di cadere, buttando violentemente i piedi a terra.

Se lo trovò di fronte al manubrio.

"Ti chiedo scusa per l'altra sera" le dissi con un filo di voce.

Ariel non rispose ma si limitò a staccargli le mani dal manubrio, che le impedivano di proseguire per la sua strada.

"Andiamo! Ti ho chiesto scusa!" a quel punto la ragazza lo guardò dritto in viso.

"Cosa vuoi?"

"Perché sei così arrabbiata?"

"Non lo sono" negò, distogliendo lo sguardo.

Ahi, primo segno del mentire.

Sentì la sua classica, fastidiosa risatina sarcastica che le fece ribollire il sangue.

"Fottiti, stronzo!" biascicò con aria di sfida e spingendo nel pedale come per muoversi, ma lui teneva ancora ferma la bicicletta.

Doveva divertirsi un mondo a prenderla perennemente in giro.

"Avrei dovuto lasciarti affogare nel tuo sangue quella volta in fondo al vicolo" borbottò con rancore, quasi fra sé e sé.

Ariel, ormai in un fiume di rabbia, non riuscì più a controllarsi e non si rese conto di aver esagerato con l'ultima affermazione. Non sino a quando vide Joe con espressione cupa stampata sul bel viso.

"Se non verrai mia madre ci rimarrà male" rispose dopo secondi interminabili di silenzio, facendo finta di non aver sentito il commento della ragazza.

Alla fine si voltò e rientrò in casa senza nemmeno attendere una qualsivoglia risposta.

Era davvero mortificata e allo stesso tempo ancora arrabbiata.

Aveva esagerato e la cosa peggiore era che l'aveva fatto con l'intenzione di ferirlo.

Orribile, sei orribile Ariel.
Si disse ancora più sconfortata del solito.

Joe doveva essersi incavolato sul serio.
Non si aspettava una reazione del genere al posto della sua solita risposta a tono.

Eccola lì, la cretina.
Ancora una volta a preoccuparsi di quel ragazzo.

Beh, per una volta era stata lei a farlo arrabbiare e si sentì un po' meglio al pensiero.

Ovviamente non sarebbe andata al suo compleanno... sarebbe stata completamente fuori luogo e ignorata.

~~~

Le sere successive continuò a spiarlo dalla finestra della sua camera da letto.

Moriva dalla voglia di andare da lui, ma non poteva!

Le ragazze, nemmeno a dirlo, erano sempre regolari come un orologio svizzero e Ariel, ogni volta che li vedeva baciarsi, provava sempre quella dannata morsa al petto e quella tristezza.

Avrebbe voluto vederlo ridere nuovamente verso di lei. Come quando le raccontava dei suoi manga o le parlava dell'ultimo esame universitario che aveva sostenuto.

Era ormai assodato che lei provasse qualcosa per lui, ed era altrettanto chiaro che lui non era della stessa idea.

•L'avrai detto mille volte. Cambia musica•

Le piaceva tutto di lui! Dal suo sguardo, al suo modo di sorridere, alla sua risata, al modo di fissarla, al suo sarcasmo, al suo modo di proteggere la sorella...

Il suo era un sentimento a senso unico e questa era la cosa peggiore.

|Ha detto: cambia musica!|

Non osava pronunciarlo ad alta voce, troppo rischioso.

Se poi si fosse accorta che ormai era davvero 'quello' cosa avrebbe fatto?

Non c'è niente di peggio che provare qualcosa per una persona senza essere nemmeno visti da questa.

Con il suo mp3, che le faceva sempre compagnia nei suoi viaggi in bicicletta, la canzone che era riprodotta sembrava perfetta in quel momento.

La tristezza e lo sconforto che si erano impossessati di lei erano sensazioni che non aveva mai provato così intensamente, prima d'ora.

Avrebbe tanto voluto sua madre in quel momento...
Parlare con una persona più grande di cui si fidava, sicuramente l'avrebbe aiutata.

Non era ancora abbastanza adulta da darsi risposte a ogni domanda.

Perché? Perché riesce a rattristarmi per una cazzata così?
La parte razionale di lei non capiva che risposta darsi, ma la parte irrazionale lo aveva già capito da un pezzo.

•Forrest Gump, spostati proprio!•

|Ecco, adesso mi hai fatto venire voglia di cioccolatini. Che diamine!|

[L'importante è avere voglia]

Le sue coscienze erano pronte per qualche sketch comico.

~~~

I giorni passarono e con Joe le cose proseguivano sempre nello stesso identico modo.

Si disse che doveva andare a casa loro e spiegare ad Addison che non poteva andare alla festa perché aveva un impegno con un ragazzo.

Come aveva previsto, la donna si dimostrò dispiaciuta ma anche molto curiosa e iniziò a farle mille domande.

"Come si chiama?"

"Daniel"

"Quanti anni ha?"

"La mia età"

"Vi conoscete da tanto?"

Iniziava a essere seriamente a disagio, per fortuna che in casa sembravano esserci solo loro.

"Si da quando abbiamo quattordici anni, in realtà" le rispose semplicemente.

Ed era effettivamente così.

Daniel era un compagno delle scuole superiori che ai tempi del liceo ebbe una stratosferica cotta per lei, mai ricambiata.

Tuttavia, proprio in uno dei momenti più tristi di quel periodo, tornò nella sua vita come un fulmine a ciel sereno.

Era una boccata di ossigeno in un'atmosfera piena di merda.

Lo aveva incontrato dopo molto tempo al night la settimana precedente. Da quel momento cominciò ad assillarla di richieste di amicizia sui social e le messaggiava a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Era sempre stato carino con lei, la chiamava spesso e andava nel locale dove lavorava per 'tenerla d'occhio', come amava sottolineare sempre.

Era stato innamorato di lei per anni, non era certo un segreto, e a giudicare da come si comportava doveva piacergli ancora molto.

Ariel lo vedeva solo come un caro amico anche se in effetti era piuttosto carino!

Molto alto, biondo con gli occhi chiari e dalla parlantina fluente.

Il classico ragazzo dal buon cuore, che ricordava con nostalgia quando ai tempi della scuola le passava sempre le risposte ai compiti in classe.

Lui sì che era bravo nello studio, mica come lei!

Talmente bravo che in terza superiore cambiò istituto per andare in uno più adatto alle sue notevoli capacità.

Da quel momento in poi si erano sempre tenuti in contatto, ma ovviamente vedersi era più difficoltoso perché la nuova scuola di Daniel si trovava a due ore di metropolitana e il ragazzo finì per trasferirsi a casa dei nonni che abitavano in un paesino lì vicino.

Sperava che gli anni passati lo avessero reso più uomo e quindi più attraente ai suoi occhi...

In fondo al suo cuore si augurava che il detto 'chiodo scaccia chiodo' davvero funzionasse, perché per Joe provava ancora quei sentimenti forti di prima e voleva davvero sbarazzarsene.

Raccontò ad Addison di come si erano conosciuti e come si erano incontrati a distanza di anni.

"Ti piace?" le chiese sottovoce con un sorrisetto malizioso, proprio come quelli che vedeva fare a Joe.

"Si, mi piace" mentì spudoratamente.

"CHE BELLO!" urlò tutta eccitata abbracciandola.

Era il momento di sganciare la bomba, avrebbe capito che non poteva andare alla festa di suo figlio visto l' appuntamento.

"Spero non ti arrabbierai se non verrò alla festa di compl-"

"Siete tornati finalmente!" la interruppe la donna, sciogliendo l'abbraccio, guardando oltre.

Non aveva bisogno di girarsi per conoscere l'identità dei nuovi arrivati.

La madre del ragazzo si alzò e lo raggiunse, aiutandolo a togliersi la giacca.

"Ariel non potrà venire sabato sera, Joe"

La sfortunata protagonista della conversazione, sentendo nominare il suo nome istintivamente si girò verso i due.

Era da tempo che non lo vedeva da così vicino, infatti il suo cuore iniziò a palpitare più forte. Era sempre bellissimo, anche se in viso poteva scorgere il suo sguardo vuoto e annoiato.

Avrebbe fatto meglio a continuare a dargli la schiena...

"Ha un appuntamento galante" sghignazzò la madre, coprendosi la bocca con la mano a mo' di ventaglio.

Ariel si sentì sprofondare perché non voleva farglielo sapere.
Ora, infatti, era estremamente a disagio.

Joe non rispose, non si mosse.

Semplicemente come suo solito continuava a fissarla quando, improvvisamente, girò i tacchi e sparì al piano superiore.

Fu sollevata di questa risoluzione degli eventi e dopo aver salutato le due uscì da casa loro.

~~~

La sera del compleanno arrivò presto e a casa dei vicini c'era un gran trambusto.

Musica alta soprattutto, sulla quale almeno quindici invitati stavano ballando.

Cercò di scrutare meglio gli estranei... A occhio e croce non conosceva nessuno.

Perché dovrebbe farmi conoscere i suoi amici, comunque?

Constatare di persona che conosceva così poco del ragazzo che le aveva fatto perdere la testa la rattristò più di quanto volesse ammettere.

D'altronde era stata lei a tagliare i ponti proprio sul fiorire della loro relazione... inutile perdere tempo a tergiversare.

[Ariel, tesoro.
Quel giorno mi parlasti del tuo amico Daniel. Ero così contenta di sapere che uscivi con un ragazzo che mi sembrò di essere tornata giovane.
Poi però, hai guardato solo Joe che ti ha fatto male e ancora male.
Senti, mi capita di pensare che se tu non avessi guardato mio figlio con occhi così innamorati forse ora staresti con Daniel e magari, saresti ancora la nostra vicina di casa.
Il destino si fa beffe di noi, quindi sono rimasta in silenzio e ora guardo lo stesso dolore negli occhi di Joe.
Possibile che due persone fatte per stare insieme non possano farlo perché non è il momento giusto per loro?
Io non voglio crederci, non farlo nemmeno tu.
Addison]

~~~

Angolo #MaiUnaGioia!

Spero che la storia vi stia piacendo e vi incuriosisca. Vi prego, lasciate un commento o una stellina!

Detto questo, anche voi avete avuto a che fare con qualcuno che era preso da voi ma voi eravate più prese dalla farfalla che passava proprio da lì?

Un bacio!

PMaryy

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Colpi di scena ***


Quella sera doveva uscire con Daniel, che dopo infiniti tentativi l'aveva convinta ad andare con lui a cena e poi al cinema.

Non che ne avesse ch

Quella sera doveva uscire con Daniel. Dopo infiniti tentativi l'aveva convinta ad andare con lui a cena e poi al cinema.

Non che ne avesse chissà che voglia, ma stare a rodersi il fegato ogni volta che sentiva le risatine delle ragazze invitate alla festa non era qualcosa che avrebbe sopportato.

Non dopo tutta la fatica e l'impegno che ci aveva messo negli ultimi tempi per evitare di guardare fuori dalla finestra ogni santa sera.

Si diede un'occhiata poco interessata allo specchio...

Non ci aveva messo troppo pensiero nel farlo ma si era vestiva bene, aveva ancora buon gusto!

Il vestitino attillato non troppo lungo le stava a pennello e anche gli stivali con il tacco si abbinavano perfettamente. A completare il look c'erano boccoli morbidi e trucco perfetto.

Prese la borsetta e si diresse verso l'uscita quando il telefono squillò.

"Daniel? Arrivo, sono uscita ora"

"Aspettami due minuti, dolcezza. Faccio gas e arrivo da te" la pregò allegramente per poi buttare giù la chiamata.

La sua voce era molto eccitata... chissà da quanto tempo aspettava l'occasione per uscire con lei.

Dopo aver rimesso il cellulare in borsa sia appoggiò sul muretto di casa.

Aveva detto 'due minuti' quindi lo avrebbe aspettato lì.

Da dov'era poteva curiosare all'interno del cortile della casa nella quale la festa stava proseguendo.

Addison stava porgendo un bicchiere pieno di uno strano liquido verde a Erika, che era seduta da sola con i suoi capelli lunghi ai lati del viso a farle da muro.

Le fece una gran tenerezza. Sicuramente non le piaceva che in casa ci fosse tutta quella gente!

"Ciao, bellezza. Ti va di unirti a noi?"

Un rosso di bell'aspetto con la sigaretta in mano si era mostrato in tutta la sua bellezza, venendo sotto la luce del lampione.

Dietro di lui Ariel intravide un'ombra che lo seguiva silenziosamente.

"Grazie, ma ho un impegno" gli rispose, impacciata.

Ti prego Daniel, muoviti! pensò imbarazzata guardando verso la via principale dove l'auto si sarebbe fermata.

"Si Jake, deve andare a un appuntamento galante stasera. Non ha tempo"
Una voce maschile profonda e roca che lei conosceva fin troppo bene interruppe quel momento imbarazzante rendendolo, però, scomodo.

Ecco chi era l'ombra dietro lo sconosciuto.

I due si fissarono e Ariel si riscoprì come al solito infastidita dal ghigno stampato sul viso del ragazzo.

"Non temere, il regalo te l'avevo già comprato. L'ho lasciato vicino al dondolo, vai a prendertelo da solo altrimenti puoi anche buttarlo via" gli rispose a tono, come a fargli credere che pensasse che l'unico motivo per cui l'aveva invitata al suo compleanno era ricevere un regalo in più.

Ovviamente era un'idiozia, ma desiderava comunque rispondere a tono.

Joe indirizzò lo sguardo verso un grosso pacco verde con fiocco giallo appoggiato al muro del cortile della vicina. Strinse gli occhi per guardarlo meglio nella penombra della veranda.

"Non dovevi" il tono di Joe era diventato più pacato nei suoi confronti e la guardava con un'espressione per lei indecifrabile.

Quegli occhioni verde oliva la facevano ancora vacillare...
Però ripensare a come l'aveva trattata poco tempo prima e come la stava schernendo adesso di fronte a uno sconosciuto le faceva salire l'istinto omicida.

Soprattutto, essere perfettamente consapevole che per Joe quello appoggiato al muro era solo uno dei tanti regali del mucchio le provocava brividi di tristezza.

Lo so non dovevo. Sei solo uno stronzo.

Fortunatamente il clacson della macchina di Daniel suonò tre volte e la salvò da quella situazione imbarazzante, evitandole di replicare a qualcuno che non meritava nessuna risposta.

Salutò lo sconosciuto con la maggior educazione possibile ma in cambio non degnò di uno sguardo Joe.

Questo le fece più male di quanto si aspettasse, perché lei avrebbe voluto abbracciarlo e fargli i più grossi auguri di buon compleanno...
Lui, dapprima sarebbe rimasto stupito e immobile ma poi l'avrebbe riabbracciata sicuramente.
O almeno era così che lo aveva immaginato.
Però si era ripromessa di non farlo, niente dimostrazioni d'affetto.

Anche se cercava di ostentare indifferenza e nessun interesse nei suoi confronti ciò che sentiva dentro di sé era tutto un altro paio di maniche.

Non si accorse nemmeno dei pugni grossi del ragazzo che si stringevano sempre di più nel vederla allontanarsi da lì.

~~~

La serata passò piacevolmente.

Daniel era il ragazzo carino che ricordava e passare il tempo con lui era ancora divertente come quando frequentavano la scuola.

Non le dava grosse emozioni, ma almeno era piacevole stare in sua compagnia.

Di quella serata si sarebbe dimenticata presto.
D'altronde si sa, il cervello tende a eliminare le cose inutili.
E quindi ci si ritrova a non ricordare più cosa si è mangiato il 15 Dicembre di sei anni prima ma ricordare perfettamente la notte di Capodanno dello stesso anno.
Il cervello umano funziona in un modo tutto suo.

Quando si fece piuttosto tardi e stavano uscendo dalla sala dopo il film 'The Notebook' la riaccompagnò a casa che era ormai notte fonda.

Grazie a Dio abitava da sola, perché il rossore delle gote e degli occhietti era ancora evidente.
Maledetti film strappa lacrime...

Si chinò a livello del finestrino di Daniel e lo salutò con due baci sulla guancia, raccomandandogli d'inviarle un messaggio per farle sapere che non era morto per strada o non lo avevano rapito gli UFO.
Lui, di diverso avviso, non rispose ma le prese il viso fra le mani e la baciò delicatamente in bocca.

Non provò assolutamente nulla, ma non si tirò indietro.
Erano solo due pezzi di carne appoggiati sopra due pezzi di carne.
L'odore della sua pelle poi, non le suscitava nessuna sensazione.

Non si aspettava che il suo amico fosse diventato così disinvolto ma, in fondo, a guardarlo bene era un bel ragazzo e di sicuro aveva avuto delle esperienze in campo amoroso che l'aveva reso più sfacciato dei vecchi tempi.

Si avviò immediatamente verso casa, perché avvertiva l'impeto di ripulirsi la bocca da quel contatto totalmente sbagliato e fuori luogo. E mentre camminava gettò un'occhiata alla casa dei vicini, la festicciola era terminata.

Aprì la porta di vetro della veranda, sognando una doccia e un'altra puntata del drama che stava seguendo ora.

"Ti sei divertita stasera?" la voce profonda e dura, che ormai riconosceva perfettamente, interruppe la sua camminata verso l'ingresso.

Joe era entrato nel suo cortile e spalancò la porta in vetro, raggiungendola. La luce riflessa della luna candida lo rendeva ancora più mozzafiato.

Mai dimenticò il tono sgarbato con cui le aveva rivolto la parola qualche ora prima.
Se perdeva la fiducia era difficile riconquistarla...

Non aveva forza per litigare, sentire i suoi deliri. Era stanca e stressata perciò decise d'ignorarlo e con un passo ampio varcò la soglia di casa.

Mentre armeggiava le chiavi per inserirle nella serratura della porta blindata, si sentì prendere per un polso e girata di scatto.
Per poco non inciampò tanto forte fu l'impatto con il petto del ragazzo.
E sarebbe senza dubbio inciampata, se lui non l'avesse afferrata per la vita appena prima di sbatterla contro il muro.
Ariel tentò di divincolarsi da quel contatto cercando di tirare i polsi per sciogliere quella morsa. Più lei tirava, più Joe stringeva la sua mano attorno ai polsi, sovrastandola con il suo imponente corpo.

"Lasciami" gli ordinò, quando si ritrovò con le mani imprigionate ai lati della testa, ancora sotto la sua presa ferrea.
Evidentemente però, ordine e obbedienza erano parole che non esistevano nel suo vocabolario.

Le tornò alla mente la medesima scena, comunissima nei drama. Quelle situazioni succedevano spesso nei telefilm.
Viverle sulla propria pelle non era esattamente piacevole come guardarle in uno schermo.

"Lasciami subito" gli intimò ancora con tono severo che, ovviamente, non esordì l'effetto desiderato.
Anzi, le si avvicinò a pochi centimetri dal viso fissandola con una strana espressione che animava quel bel verde oliva dei suoi occhi.

Da una distanza così effimera non riuscì a evitare di essere dolcemente invasa dal profumo caratteristico della sua pelle, che in qualche modo le ricordava l'odore che aleggia nell'aria appena prima di un temporale.
Adorava quel profumo inebriante.

"Ti sei divertita, eh?" soffiò investendola di un odore acre di fumo.
Quel ragazzo fumava peggio di una ciminiera.

"Fatti gli affari tuoi" il tono scocciato era assolutamente voluto.

"Ti ha scopata per bene?" domandò stringendole di più i polsi fino a farle male, mentre in lei un sentimento simile all'odio si faceva spazio nel suo cuore.

"Fatta i cazzi tuoi, Joe! E allenta la presa. Non sono fatta di plastica, mi fai male" dire che era arrabbiata era poco! Come si permetteva lui di farle domande così personali con una delicatezza degna di Sheldon Cooper.

Non erano più amici e tanto meno lui l'aveva più cercata.
E a dirla proprio tutta non gli avrebbe dato la soddisfazione di sapere che quella sera Daniel era andato in bianco a causa sua.
Perché sì, era stato a causa dei sentimenti che provava per quel moretto che non riuscì nemmeno a formulare l'ipotesi di andarci a letto.

"Ti è piaciuto scopartelo?" le chiese ancora con una strana luce negli occhi verdi che li facevano brillare sempre di più.

"Quanto a te piace scoparti le tue troiette!" un serpente velenoso probabilmente sibilava meno di lei, ma voleva ferirlo almeno una volta.
Non era nobile come azione, certo... ma era maledettamente sincera.

Joe a quella risposta sembrò non vederci più e, come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno volto, riportò un po' di distanza allontanandosi di qualche centimetro da lei.
La fissava senza batter ciglio, con le labbra tese.
Assottigliò gli occhi come per vederci meglio e lei capì che stava cercando di capire se davvero aveva fatto sesso con il biondo.

"Anzi, se mi lasci devo chiamarlo per ringraziarlo della splendida serata"
Che cazzata enorme, come il Monte Bianco.

"Sei come tutte le puttanelle che mi scopo... Sei uguale a loro" le rovesciò addosso una sentenza acida e senz'anima.

"Ha parlato San Francesco, oh" Il nomignolo che le aveva affibbiato poco prima le fece male causando occhi gonfi che pizzicavano paurosamente. Per cui aveva solo ricambiato il favore.

Aveva una gran voglia di piangere e dargli una martellata in testa ma si rese conto che essere accusati rispetto a qualcosa che non si è o non si è fatto è una delle cose peggiori.

Una rabbia nera crebbe in lei come una pianta... il semino stava germogliando velocemente.

"Sarà perché te sei solo buono a essere stronzo e a scopare! E non osare mai più darmi della troia come le tue amichette!" arrabbiata più che mai cercò di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano sempre più di tradirla. Con uno strattone colmo di risentimento liberò la sua mano che, fremente, gli stampò una bella cinquina sulla guancia... L'aveva caricata di tutta l'odiosa amarezza provata in quei mesi.

Il moro spalancò gli occhi, con il volto ancora girato verso destra. La guancia di fronte ad Ariel era rossa e con l'impronta di tre dita sopra mentre il suo palmo le bruciava dall'urto.

•Vai ragazza, vorrei avere due mani per applaudirti come si deve•

Non si sarebbe fatta dare dalla poco di buono da nessuno. Specialmente da lui, che senza motivo apparente aveva deciso di farle quella scenata nel cuore della notte.

"Hai proprio ragione" replicò Joe, con un sorrisetto maligno. Quando riportò i suoi occhi in quelli marroni di lei Ariel rabbrividì. Si sarebbe aspettata uno schiaffo indietro o per lo meno un insulto bello pesante per quel gesto degno degli uomini degli uomini delle caverne, invece  il moro si dimostrò imprevedibile come suo solito.

Riportando i loro corpi incollati l'un l'altro e riappropriandosi della mano che l'aveva schiaffeggiato con rancore la costrinse ai lati della testa insieme all'altra e con violenza la baciò.

Ad Ariel sembrò di essere una scogliera sulla quale si sfrange prepotente un'onda. 

La lingua del moro entrò impaziente nella bocca di Ariel, che non riuscì a resistergli tanto la obbligava immobilizzata contro il muro.

Cercò di divincolarsi, ma più lei cercava di allontanarlo più lui la baciava con impeto, intrecciando le loro lingue in una danza divina.

Prima la schiena, poi il braccio, la pancia... la stava esplorando, come Indiana Jones con il Tempio.

Quando arrivò nei pressi del seno si sentì invadere da un desiderio irrefrenabile che aveva trattenuto a fatica da quando aveva capito di essersi presa una cotta per lui.

Rispose involontariamente e con grande passione a quell'assalto, intrufolando le dita nei capelli del moro e non appena Joe mollò la presa anche sull'altra mano, gli avvolse il collo da dietro intensificando il bacio spingendolo verso di lei. Le loro lingue e i loro sapori erano perfetti insieme e si mescolavano alla perfezione.

Lui sembrò accendersi ancora di più, divorandola con ancora più foga.

Dal collo la mano curiosa della ragazza scese fino alla scapola, saggiando i pettorali perfettamente scolpiti ma ancora coperti dalla camicia. Inserì le dita fra le aperture dei vari bottoni che non le permettevano di vedere ciò che voleva vedere.

Fu un bacio lungo e passionale come non ne aveva mai dati e lei di esperienze ne aveva avute, non era certamente una santarellina.

Persa ormai nel desiderio che provava verso quel ragazzo sentì le mani di lui afferrarle le gambe per poi palpeggiare il sedere.

Quando la toccò in quel modo sapeva che non sarebbe più riuscita a fermarsi.

Lo voleva, lo voleva troppo. Una persona sana di mente non si sarebbe fatta nemmeno sfiorare da chi poco prima le aveva dato della puttana.

Ormai però era fregata... Joe sapeva davvero farci con le donne.

La mano che stava accarezzando il petto del ragazzo sbottonò i primi bottoni della camicia e si intrufolò al suo interno tracciando linee immaginarie mentre Joe continuava a baciarla con passione.

Ed era assolutamente giusto così, le loro labbra erano esattamente dove dovevano essere.

Quando Ariel, si direzionò dal pettorale verso l'ombelico una mano bloccò quella lenta discesa al successo.

Joe interruppe il bacio per fissarla con uno sguardo che mai, mai, le aveva rivolto prima d'ora.

"Ariel..."

Lui la desiderava tanto quanto lo desiderava lei, gli occhi colmi di desiderio intensificavano questa sua convinzione.

Lei non era da meno. Non riusciva a staccare gli occhi da quelle labbra così ipnotiche e d'istinto si morse il labbro inferiore, inconsapevole di quanto sensuale fosse un gesto simile in una situazione come quella.

Joe emise un gemito sommesso e la baciò di nuovo, mordicchiandole quel labbro che già era stato torturato.

Il bel moro spostò lo sguardo sul vestito più scollato del dovuto che lui stesso aveva contribuito a rendere così e, con occhi improvvisamente cupi, si allontanò da lei con quello che sembrava essere uno sforzo immane.

Ariel era ancora piena di desiderio si avvicinò e cercò di riappropriarsi delle sue labbra, peccato però, che fu lui a interrompere il bacio.

Lo voleva come mai prima d'ora e non si sarebbe fermata ne arresa, perciò prese a stuzzicargli il collo con la lingua. 

"Non mi sta bene che te lo scopi" le confessò, con voce che tradiva un desiderio represso mentre cercava chiaramente di trattenersi.

Lei non riuscì a replicare, ma continuò invece a leccargli la pelle leggermente ruvida della mascella. Non riuscì nemmeno a capire cosa le avesse detto in realtà.

Lo tirò dal colletto della camicia verso sé e le loro lingue si incontrarono di nuovo, come se fossero fatte per quello.

Lui, per la terza fottuta volta, la allontanò da sé senza guardarla ma le diede invece la schiena e mosse frettolosamente le braccia. Quando si girò Ariel notò che la camicia era stata appena abbottonata. 

Ariel dovette appoggiarsi al muro o sarebbe caduta come un'idiota... I suoi cambiamenti di umore le facevano girare la testa.

Si chiese se era davvero così difficile prendere una posizione, scegliere se volerla o no.

Poco dopo Joe la lasciò sola con i suoi dubbi e i suoi pensieri su ciò che era appena avvenuta in quella stanzetta visibile dall'esterno, con i vetri al posto delle pareti.

Tornando alla realtà, quando il cuore tornò a battere i suoi 80 battiti al minuto, prese un bel respiro e analizzò il tutto da brava persona razionale che era.

Lui si era indispettito perché la sua cagnolina, che sbavava per lui, era andata a scodinzolare da un altro. L'aveva baciata perché la cagnolina mostrava i denti e si sa, più il cane è aggressivo più gli si dedicano le attenzioni necessarie. 

Ripensò anche a come si era comportata lei stessa poco prima e si domandò retoricamente quand'era diventata così sfrontata. Non era mai stata timida nell'intimità, ma mai così audace.

Con altre domande simili che le rimbombavano in testa, si denudò per poi lasciare all'acqua calda che scendeva dal soffione della doccia di  doccia il compito di lavare via i brutti pensieri.

[Senti Ariel, ti saresti mai immaginata che saremmo diventati amici?
Io me la ricordo ancora la sera in cui ci siamo conosciuti.
Eri uno schianto e stavo per provarci con te, ma qualcuno era già così geloso che si è intromesso.
Ancora ridiamo di come gli hai tenuto testa. Su di lui hai lasciato un'impronta indelebile, quel luccichio negli occhi quando parliamo di te credo proprio non gli passerà mai. Vorrei tanto poterti riabbracciare e averti rubato all'imbecille che aspettavi sotto casa. Col senno di poi ti avrei fatto ballare con me e raccontandoti una delle mie battutine formidabili avresti riso. Avrei conosciuto prima la tua risata così particolare che metteva allegria a tutti. Mi manchi. Jack]

 

issàche voglia, ma stare a rodersi il fegato ogni volta che sentiva le risatine delle ragazze invitate alla festa non era qualcosa che avrebbe sopportato.

Non dopo tutta la fatica e l'impegno che ci aveva messo negli ultimi tempi per evitare di guardare fuori dalla finestra ogni santa sera.

Si diede un'occhiata poco interessata allo specchio...

Non ci aveva messo impegno nel farlo ma si era vestiva bene, aveva ancora buon gusto!

Il vestitino attillato, non troppo lungo le stava a pennello ed anche gli stivali con il tacco si abbinavano perfettamente per completare il look con boccoli morbidi e trucco perfetto.

Prese la borsetta e si diresse verso l'uscita quando il telefono squillò.

"Daniel? Arrivo, sono uscita ora"

"Aspettami due minuti, dolcezza. Faccio gas e arrivo da te" la pregò allegramente per poi buttare giù la chiamata.

La sua voce era molto eccitata... chissà da quanto tempo aspettava l'occasione per uscire con lei.

Dopo aver rimesso il cellulare in borsa sia appoggiò sul muretto di casa.

Aveva detto 'due minuti' quindi lo avrebbe aspettato li.

Da dov'era poteva curiosare all'interno della casa dove la festa stava proseguendo.

Addison stava porgendo un bicchiere pieno di uno strano liquido verde ad Erika, che era seduta con i suoi capelli lunghi ai lati del viso a farle da muro.

Le fece una gran tenerezza. Sicuramente non le piaceva che in casa ci fosse tutta quella gente!

"Ciao, bellezza. Ti va di unirti a noi?"

Un rosso di bell'aspetto con la sigaretta in mano si era mostrato in tutta la sua bellezza, venendo sotto la luce del lampione.

Dietro di lui Ariel poteva intravedere un'ombra che lo seguiva silenziosamente.

"Grazie, ma ho un impegno" gli rispose, impacciata.

'Ti prego Daniel, muoviti' pensò imbarazzata guardando verso la via principale dove l'auto si sarebbe fermata.

"Si Jake, deve andare ad un appuntamento galante stasera. Non ha tempo."

Ecco chi era l'ombra dietro lo sconosciuto. Era Joe!

I due si fissarono, Ariel come al solito infastidita dal ghigno stampato sul viso del ragazzo.

"Non temere, il regalo te l'avevo già comprato. L'ho lasciato vicino al dondolo, vai a prendertelo da solo altrimenti lo butterò via" gli rispose a tono, come a fargli credere che lei pensasse che l'unico motivo per cui l'aveva invitata al suo compleanno era ricevere un regalo in più.

Ovviamente era un'iddiozia, ma voleva comunque rispondere a tono.

Joe indirizzò lo sguardo verso un grosso pacco appoggiato al muro del cortile della vicina.

"Non dovevi"

Il tono di Joe era diventato più pacato nei suoi confronti.

'Lo so non dovevo. Sei solo uno stronzo!' pensò.

Fortunatamente il clacson della macchina di Daniel suonò tre volte e la salvò da quella situazione imbarazzante.

Salutò lo sconosciuto con la maggior educazione possibile ma in cambio non degnò di uno sguardo Joe.

Questo le fece più male di quanto si aspettasse, perché lei avrebbe voluto abbracciarlo e fargli i più grossi auguri di buon compleanno... ma si era ripromessa di non farlo.

Anche se cercava di ostentare indifferenza e nessun interesse nei suoi confronti ciò che sentiva dentro di sé era tutto un altro paio di maniche.

Non si accorse nemmeno dei pugni grossi del ragazzo che si stringevano sempre di più nel vederla allontanarsi da lì.

~~~
La serata passò piacevolmente.

Daniel era il ragazzo carino che ricordava e passare il tempo con lui era ancora divertente come quando erano a scuola.

Non le dava grosse emozioni, ma almeno era piacevole stare in sua compagnia.

Quando la riaccompagnò a casa, era ormai notte fonda ed anche la festicciola a casa dei vicini era terminata.

"Grazie della serata, sono stata bene" gli disse proprio di fronte all'entrata della veranda, di fianco al dondolo.

Daniel non rispose ma le prese il viso fra le mani e la baciò delicatamente in bocca.

Non provò nulla, ma non si tirò indietro.

Non si aspettava che il suo amico fosse diventato così coraggioso ma, in fondo, a guardarlo bene era un bel ragazzo e di sicuro aveva avuto delle esperienze in campo amoroso che l'aveva reso più sfacciato dei vecchi tempi.

Quando lui finalmente risalì in macchina anche lei aprì la porta di vetro della veranda, sognando una doccia e un'altra puntata del drama che stava seguendo ora.

"Ti sei divertita stasera?"

Joe era entrato nel suo cortile e non poté fare a meno di notare che la luce riflessa della luna lo rendeva ancora più mozzafiato. Notò però anche il tono sgarbato con cui le aveva rivolto la parola.

Se gli stava così antipatica perché continuava a infastidirla?

Non aveva forza per litigare, era stanca e stressata perciò decise di ignorarlo e con un passo ampio varcò la soglia di casa.

Mentre spingeva la maniglia della porta per chiuderla, Joe si mise in mezzo e la spalancò con una forza tale da farla quasi inciampare.

E sarebbe senza dubbio inciampata se lui non l'avesse afferrata al volo per poi spiccicarla contro il muro, mentre le teneva bloccati i polsi ai lati della testa.

Le venne subito in mente la medesima scena comunissima nei drama, quelle situazioni succedevano spesso nei telefilm.

Ma viverle sulla propria pelle non era piacevole come guardarle in uno schermo.

"LASCIAMI SUBITO" gli ordinò con tono severo, che non esordì l'effetto desiderato visto che le strinse ancora di più le mani e le si avvicinò fissandola con una strana espressione.

"Ti sei divertita, eh?"

"Fatti gli affari tuoi"

"Ti ha scopata per bene?"

"FATTI I CAZZI TUOI, JOE!"

Non le aveva mai parlato in modo così volgare, che cosa diavolo voleva adesso da lei?

"Ti è piaciuto scopartelo?"

Che modo era quello di parlarle? 

"QUANTO A TE PIACE SCOPARTI LE TUE AMICHETTE!"

Joe a quella risposta sembrò non vederci più e i suoi occhi furono attraversati da un lampo che non aveva mai visto prima.

"Sei come tutte le troie che mi scopo... Sei uguale a loro."

Quell'affermazione le fece male, le fece venire gli occhi gonfi.

Perché doveva trattarla in quel modo? Essere accusati di qualcosa che non si è o non si è fatto è una delle cose peggiori.

"Sarà perché te sei solo buono a scopare!" incalzò lei, arrabbiata più che mai, ricacciando le lacrime che minacciavano di spuntare.

Il moro spalancò gli occhi, sembrava incredulo di quello che aveva appena sentito.

Ariel riuscì a liberarsi da quella presa e gli rifilò uno schiaffo, nel quale caricò tutta l'amarezza provata in quei mesi.

Non si sarebbe fatta dare dalla poco di buono, soprattutto visto che quella scenata nel cuore della notte era veramente senza senso.

"Hai proprio ragione" replicò con un sorrisetto maligni, poco prima di bloccarle nuovamente i polsi ai lati della testa.

Con violenza la baciò.

La lingua del moro entrò prepotente nella bocca di Ariel, che non riuscì a resistergli tanto la obbligava immobilizzata contro il muro.

Cercò di divincolarsi, ma più lei cercava di allontanarlo più lui la toccava.

Prima la schiena, poi il braccio, la pancia...

Quando arrivò nei pressi del seno Ariel si sentì invadere da un desiderio irrefrenabile che aveva trattenuto da quando aveva capito di essersi presa una cotta per lui.

Rispose involontariamente e con grande passione a quell'assalto.

Lui sembrò accendersi ancora di più, baciandola con ancora più foga.

Le mani della ragazza si infilarono tra i capelli scuri e morbidi del ragazzo per poi portarle dietro il collo e attirarselo ancora più vicino.

Le sue mani si mossero da sole verso la sua camicia e sentì i pettorali perfettamente scolpiti che si muovevano su e giù in un respiro affannoso.

Fu un bacio lungo e passionale, come non ne aveva mai dati.

E lei di esperienze ne aveva avute, non era certamente una santarellina.

Persa ormai nel desiderio che provava verso quel ragazzo sentì le mani di lui toccarle le gambe per poi arrivare al sedere.

Quando si sentì palpeggiata in quel modo sapeva che non sarebbe più riuscita a fermarsi.

Lo voleva, lo voleva troppo.

Una persona sana di mente non si sarebbe fatta nemmeno sfiorare da chi poco prima le aveva dato della puttana.

Ma ormai era fregata...
Joe sapeva davvero farci con le donne.

La mano che stava accarezzando il petto del ragazzo sbottonò i primi bottoni della camicia e si intrufolò al suo interno.

A quel contatto Joe interruppe il bacio per fissarla con uno sguardo che mai, mai, le aveva rivolto prima d'ora.

"Ariel..."

Lui la desiderava tanto quanto lo desiderava lei?

Non riusciva a staccare gli occhi da quelle labbra così ipnotiche.
D'istinto si morse il labbro inferiore.

Joe emise un gemito e stringendola ancora più a lui la baciò di nuovo.

Ma dopo poco lui spostò lo sguardo sul vestito più scollato del dovuto, che aveva contribuito a rendere così e si allontanò da lei con sguardo cupo.

Perché aveva interrotto quel momento?

Ariel era ancora piena di desiderio e avvicinò le sue labbra al collo del ragazzo.

Lo voleva come mai prima d'ora e non si sarebbe fermata.

"Non mi sta bene che te lo scopi" le confessò, con la voce che tradiva un desiderio represso mentre lei gli stuzzicava il collo.

Ecco, ora stava cercando di trattenersi.

Lei non riuscì a replicare... Non riuscì nemmeno a capire cosa le avesse detto in realtà.

Lo tirò dal colletto della camicia verso sé e le loro lingue si incontrarono di nuovo, come se fossero fatte per quello.

Lui, con quello che sembrava uno sforzo immane, la allontanò da sé riabbottonandosi lentamente la camicia, continuando a guardarla.

La ragazza, ancora frastornata, gli si rigettò addosso ma questa volta lui non cedette.

Ariel dovette appoggiarsi al muro o sarebbe caduta come un'idiota.

I suoi cambiamenti di umore le facevano girare la testa!

La voleva o no? Era così difficile?

Poco dopo Joe la lasciò sola, con i suoi dubbi e i suoi pensieri.

Cos'era stato quel bacio?

Che significato aveva avuto?

Quindi lui provava qualcosa per lei? O aveva solo voglio di fare sesso quella sera?

Ripensò anche a come si era comportata poco prima e si chiese da quando era diventata così sfrontata...

Non era mai stata timida nell'intimità, ma mai così audace.

Quel ragazzo che incantesimo le aveva fatto?

Con altre domande simili si mise finalmente sotto la coperta e tentò, invano, di addormentarsi.

 

[Senti Ariel, ti saresti mai immaginata che saremmo diventati amici?
Io me la ricordo ancora la sera in cui ci siamo conosciuti.
Eri uno schianto e stavo per provarci con te, ma qualcuno era già così geloso che si è intromesso.
Ancora ridiamo di come gli hai tenuto testa. Su di lui hai lasciato un'impronta indelebile, quel luccichio negli occhi quando parliamo di te credo proprio non gli passerà mai. Vorrei tanto poterti riabbracciare e averti rubato all'imbecille che aspettavi sotto casa. Col senno di poi ti avrei fatto ballare con me e raccontandoti una delle mie battutine formidabili avresti riso. Avrei conosciuto prima la tua risata così particolare che metteva allegria a tutti. Mi manchi. Jack]

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Vai al diavolo! ***


Inutile dire che la scena del loro bacio si ripeté nella testa di Ariel almeno un milione di volte.
Il problema era che le era piaciuto, le era piaciuto troppo.

Nessuno le aveva mai fatto provare quelle cose, nemmeno il suo primo amore con il quale stette per un paio d'anni.

Stephan era stato un suo compagno di classe al liceo e, al contrario di Joe, era un ragazzo espansivo e sempre sorridente. Non appena si diplomarono dovette però trasferirsi in Canada dalla sorella maggiore per occupare il posto d'élite nell'azienda del marito di questa.

Aveva anche pensato seriamente di andare insieme a lui, ma dopo qualche settimana di lontananza il loro rapporto andava via via scemando. Non funzionava più.

Per fortuna ebbe la lucidità di capire che la partenza sarebbe stata una decisione impulsiva.

Le storie d'amore a distanza erano delle emerite stronzate, punto.

Purtroppo per il ragazzo, fu Ariel ad avere dei dubbi e quindi a lasciarlo proprio durante le vacanze natalizie, appena prima del di lei compleanno.

•Che bel compleanno di merda•

|Che bel Natale di merda, anche|

Le sue coscienze avevano ragione. Quando si lascia qualcuno non significa che ci si senta necessariamente felici, anzi. A volte la solitudine ti inghiottisce come una nebbia densa e umida. Innumerevoli coppie stavano insieme, magari anche da molti anni, per i motivi sbagliati: figli, soldi, abitudine, paura del cambiamento...

Ariel, quando lui le chiese spiegazioni, rispose molto semplicemente che 'relazione' a 'distanza' erano due vocaboli che insieme non stavano affatto bene, come il formaggio sul pesce.

Per fortuna Stephan capì e non ne fece dramma, anche se ancora ne era innamorato, non si poteva di certo dire che fosse un ragazzo stupido o rancoroso.

Infatti, qualche giorno prima del il suo compleanno, che era il 24 Dicembre, le spediva sempre un regalo. Poco importava se erano passati già quattro anni... lui c'era sempre stato e continuava, in qualche modo, a esserci.

Ormai ne era passata di acqua sotto i ponti, ma ricordarsi di quel brutto periodo le faceva ancora venire il magone alla gola.
Era stata innamorata di quel ragazzo un tempo e gli voleva ancora molto bene.

Se fosse stato davvero amore se lo chiese parecchie volte nel corso del tempo.

Si può definire amore un sentimento che si è affievolito nel giro di tre settimane di lontananza?

Chissà se anche questo Natale Stephan non l'avrebbe dimenticata... chissà se anche quest'anno, attorno il 15 Dicembre, il postino avrebbe suonato alla sua porta e le avrebbe consegnato un grosso pacco con appiccicato un bigliettino che la esortava a non aprirlo fino alla data.

Il regalo dell'anno precedente era accompagnato da un foglietto su cui c'erano poche righe, che la misero immediatamente di buon umore.

'Buon compleanno e buone feste, Faussssta! Non aprire il regalo prima del 25 o ti sssstritolerò quando torno!'

•No ti prego, i Fausti no. Non ancora•

Si erano dati quel nomignolo a seguito della domanda che tutte le coppie sane di mente si fanno "Che animale sarei?"
Entrambi avevano risposto all'unisono "Serpente"

E due nomi adattissimi a due serpenti erano Fausta e Fausto.

Anzi, Faussssta e Faussssto come il serpentese imponeva.

Ero fuori di testa già all'epoca, andiamo bene.

Ed era davvero grata al fato, Dio o chi per lui per averle dato la possibilità di passare gli anni del liceo con quel ragazzo simpaticissimo e logorroico!

Ovviamente anche Daniel era amico del suo ex. Insieme erano l'Assurda Trinità, come venivano chiamati dai restanti compagni di classe.

Sempre insieme, sempre inseparabili.

Quando litigava con Stephan c'era sempre Dan a risollevarla di morale! Era un grande amico.
Chissà se lui aveva mantenuto i contatti con il suo ex anche dopo il suo trasferimento.

Rivangare in questo modo il passato le faceva bene, ma un magone alla gola era sempre dietro l'angolo.
Tutto era perfettamente scolpito nella sua mente e nei suoi ricordi.

Stanca di pensare a quello che, ormai, era solo un lontano ricordo si diresse in bagno pronta per una doccia.

Di quelle belle ustionanti, come piacevano a lei.

~~~

Esattamente sette giorni dopo quel bacio che le martellava in testa come un picchio martella un tronco, decise che era il momento di andare a trovare Erika.

Addison il giorno prima l'aveva chiamata chiedendole quando poteva passare da loro, magari fermarsi per pranzo e fare compagnia a Erika.

Aveva sempre la speranza d'incontrare Joe, ma i giorni seguenti anche se andò ogni giorno a pranzo dalle vicine, che oramai erano diventate quasi di famiglia... lui non si vide.

Anzi l'unica volta in cui si trovarono nella stessa stanza lui, alle prese con una cassetta VHS incastrata nel lettore difettoso, la fissò sorpreso di vederla nel suo salotto.

Conscia del fatto che probabilmente non avrebbe avuto occasione di parlargli di nuovo faccia a faccia prese parola.

"Possiamo parlare un attimo?" gli si avvicinò lentamente, quasi con timore.

Doveva chiedere, doveva capire se per lui quel bacio aveva significato qualcosa e soprattutto... perché c'era stato un bacio.

Il moro alzò lo sguardo su di lei, scrutandola con assoluta indifferenza come fosse la postina, e con un cenno della testa la invitò a seguirla.

Dopo poco erano uno di fronte all'altro, vicino al sacco da boxe.

Non realizzò subito, ma quando si rese conto che il regalo che gli aveva comprato per il compleanno lui era andato a prenderlo e lo aveva addirittura appeso, si sentì scioccamente felice.

Il sacco da boxe che gli aveva regalato era davvero bello appeso.
Totalmente blu con strisce verticali gialle che sbrilluccicano grazie la materiale lucido di cui era composti.

Un sorrisino le comparve sul volto.

"Parla" ordinò lui, appoggiandosi al muro mentre si accendeva una sigaretta.

Sigaretta e posa degna di un divo di Hollywood, bandana che donava un'aria sportiva, jeans chiari strappati che fasciavano alla perfezione le gambe muscolose, maglietta con logo degli ACDC ...

•Attenzione, ovulazione in corso!•

"Il bacio" sussurrò con un fil di voce Ariel.

Joe alzò un sopracciglio con fare confuso, bloccando la mano e la sigaretta a mezz'aria.

"Credi che io abbia l'udito di Clark Kent?" roteò gli occhi al cielo.

|Un semplice 'puoi ripetere?' era troppo educato per te, vero?|

Che grandissimo stronzo... anche in quell'occasione doveva per forza sfotterla.

Si divertiva un mondo a prenderla per i fondelli e imbarazzarla con le sue frecciatine maleducate.

L'amicizia doveva contare davvero poco per lui. Tutti quei discorsi sui viaggi, sui fumetti e sugli esami li aveva presi, buttati nel cesso e tirato lo sciacquone.

"IL BACIO" scandì più forte, incrociando le braccia con aria di sfida.

Lui tornò a guardarla con i suoi occhioni verdi che le stavano provocando dei capogiri, e senza mai spostare lo sguardo fece un ultimo tiro, espirò la nuvoletta di fumo in sua direzione e gettò a terra il mozzicone della sigaretta, atterrandoci sopra con le scarpe che, con un lento movimento del piede, la spensero.

Mentre compiva questo gesto innocuo Ariel era un tripudio di ormoni viventi.
La salivazione le salì improvvisamente, le guance si fecero calde e la mano prese a spostare convulsamente i capelli dietro l'orecchio, in un tic di nervosismo.

Era talmente sensuale e attraente che se avesse dovuto descrivere cosa sentiva dentro di lei era certa che nemmeno un poeta gli avrebbe reso giustizia.

Ogni piccolo gesto la ammaliava,
la sua voce le dava davvero alla testa.

"Prendilo"

Era talmente presa a osservare come gli donavano le vene esageratamente grosse sulle braccia che non si era resa conto che ora ce lo aveva di fronte e le stava porgendo un fazzoletto.

L'espressione confusa non tardò a mancare.

Un fazzoletto?

Joe le indicò il mento.

"Hai la bava" sorrise, arrogante.

Dapprima diventò rossa per l'imbarazzo.
Un imbarazzo degno della volta nella quale in piscina le diventarono turgidi i 'bottoni', come li chiamava Stephan, a causa dell'acqua gelata e quest'ultimo le si era gettato addosso tenendola abbracciata e nascosta dagli sguardi dei marpioni presenti.

Peccato che Joe al suo posto le avrebbe riso in faccia invece di aiutarla!

Poco dopo si ritrovò rossa di rabbia a quel pensiero.

Strappò violentemente il fazzoletto che il cretino le stava porgendo.

"BAVA? DIO! QUANTO SEI MONTATO!" urlò tirandoglielo sul petto.

"Sarà..." lasciò cadere la supposizione, tornando ad appoggiarsi con la schiena al muro dietro di lui.

"Togliti quel maledetto ghigno che hai sulla faccia o te la cucio nella notte, quella maledetta bocca" lo minacciò, con i pugni stretti e un tono di voce poco amichevole.

Avrebbe voluto girarsi e lasciarlo lì, come uno stoccafisso.
Avrebbe voluto lasciarlo lì, senza dargli modo di replicare.
Avrebbe voluto lasciarlo lì, godendo di una sua espressione esterrefatta o quantomeno sconvolta.
Avrebbe voluto, quindi si girò e fece un passo in direzione di casa sua.

Avrebbe voluto.

Invece si ritrovò con la schiena contro il muro e con i polsi, sopra la testa, bloccati uno sopra l'altro.
La grande mano di Joe era sufficiente per bloccarli entrambi.

Due grandi occhi verdi le si avvicinarono pericolosamente, a una spanna dal naso.

Ci risiamo, pensò con il batticuore.

"L'altra volta non mi sembravi tanto intenzionata a cucirmela" la canzonò con strafottenza guardandola intensamente, mentre con la mano libera le sfiorava delicatamente la guancia.

Colpita e quasi affondata.
L'orgoglio stava per capitolare.

Non riusciva a mantenere la lucidità con quel buon profumo muschiato che le arrivava dritto al cuore, passando per le narici.

"Lasciami" lo intimò, ma lui ovviamente le si avvicinò ancora di più.

Non gli avrebbe permesso di prenderla ancora per il culo.
Per quella sera decise che ne aveva abbastanza di essere schernita e umiliata.

Inutile negarlo, lei era pazza di Joe.
Gli piaceva in un modo che mai avrebbe creduto possibile, era capace di smuovere qualcosa dentro di lei che era morto da anni ormai.

Il fatto che, nonostante i giorni passati a ignorarsi bellamente, lei volesse baciarlo una seconda volta...
ne era la prova inconfutabile.

"Invece di rimuginarci sopra..." Joe interruppe il flusso dei suoi pensieri tirandole una ciocca di capelli in dietro e costringendo rivolgere il viso all'insù "dovresti davvero prendere lezioni di cucito la sera..."si avvicinò e Ariel percepì il suo sussurro accarezzarle il collo "ed evitare di spiarmi dalla tua finestra" finì la frase con un risolino sarcastico.

Suo malgrado, nessuno aveva tanto potere come Joe di farla nel farla sentire incavolata e nervosa come una leonessa affamata in periodo di magra.
E nemmeno di farle perdere totalmente il controllo.

Sì, perché lei avrebbe davvero desiderato strappargli quella bandana e affondare le mani nei suoi capelli e poi impossessarsi delle sue labbra, della sua lingua...
Ovviamente, non lo diede a vedere.

Lo spintonò via con tutta la forza che aveva, sperando di spegnere il sorrisetto del suo vicino che la mandava ancora di più in bestia.

"Vai all'inferno, stronzo" biascicò guardandolo dritto negli occhi.

Avrebbe voluto urlargli contro gli insulti peggiori, ma non poteva permetterselo. Non se dentro casa c'erano Addison ed Erika che potevano sentirla.

"Io andrò nudo. Tu vieni in topless?" le chiese guardandole insistentemente il seno.

|Inizia a starmi seriamente sulle palle|

Ariel si rintanò in casa, furiosa e abbattuta più di quanto volesse ammettere.
Non era nemmeno riuscita a farsi dare la risposta che voleva davvero!
Tutto sommato non serviva.

Era chiaro che per lui il bacio era stato solo un passatempo, uno scherzo.

Quante altre volte deve dimostrarmi che non gliene frega?

"AL DIAVOLO! CHE VADA ALL'INFERNO LUI E IL SUO EGO DEL CAZZO!" urlò frustrata nel silenzio e solitudine della sua cucina.

Quei giorni di pace e risate erano andati, finiti, caput.

Eppure il tarlo del dubbio rimaneva.

Perché parlavamo fino a tardi? Perché mi ha raccontato di viaggi e passioni per poi far finta che nulla fosse successo?

E se la sera del compleanno si fosse offeso perché ho preferito un altro uomo a lui?
Non sapeva come ne quando, ma prima o poi il discorso sarebbe venuto fuori.

Insomma, non pensava davvero che non avrebbero mai più parlato...
Non si era comportata bene rinfacciandogli le cure che gli aveva prestato, è vero. Lui però era stato un stronzo a darle della puttana.
Perciò era certa che primo o poi avrebbero ripreso un qualche rapporto.

Oppure sto sbagliando di grosso e mi sto illudendo... vai al diavolo, vai al diavolo, vai al diavolo!

[Senti Ariel, ti ricordi quando mi hai mandato al diavolo? O forse era all'inferno, non ricordo più.
Ieri con Erika ho visto un film con quell'attore che ami tanto... quello del dottore strambo che fa immergere la vecchia in una piscina di spaghetti.
In questo film lui va all'inferno per ritrovare l'anima dannata di sua moglie morta suicida... Alla fine dice una frase che mi ha lasciato perplesso e pensieroso per tutta la sera.
"Ti ho trovato all'inferno. Dici che non ti trovo nel New Jersey?"
Ecco, è questo il punto.
Quello che ti è capitato è orribile, senza parole.
Sei finita in un tuo piccolo inferno personale. Ti prego, se me ne dai l'occasione io sono disposto a gettarmi tra le fiamme per venirti a prendere.
Joe]

~~~~~
🙊Angolo scimmie urlatrici🙊

Ciao, bananine 🍌!
Come state?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche solo un po'.

Spero mi lascerete un commento e una stellina!

Un bacio.
PMaryy

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Compleanni a go go ***


"Jo ma io ti amo! Sposami!" esclamò Ariel ridendo come una povera cretina, dopo l'ennesimo assurdo racconto di questo finto fidanzato che la sua amica tirava in ballo di continuo, per liberarsi dei clienti troppo insistenti del night.

Se davvero esistesse un Lucas, sarebbe stato creato apposta per stare insieme a lei. Se lo era plasmato a sua immagine e somiglianza.
Il pensiero la fece sorridere ironicamente.

Lei e Johanna, nonostante non fossero così simili, erano diventate ottime amiche.

Di queste creature mitologiche non aveva mai avute prima d'ora o, quelle che pensava lo fossero, si erano dimostrate talmente acide che sembrava avessero cambiato improvvisamente il Ph.

Da sempre andava più d'accordo con i maschi, perché loro se hanno da dire qualcosa te la dicono in faccia. Non quando giri il culo e te ne vai.
E comunque anche i ragazzi erano da scansionare sotto raggi X facendo una bella scrematura, se consideriamo che i più vogliono solo portare a letto l'amica o tutt'al più tastarle le tette al triste gioco della bottiglia di Capodanno.

Anche Daniel ad esempio, che lei aveva sempre considerato un amico, ci provò più volte prima di Stephan nella vana speranza di un qualcosa che mai e poi mai sarebbe capitato.

Perciò prima di usare questa parola mitologica ci pensò diecimila volte.
Trovare un'amicizia sincera e duratura era difficile tanto quanto trovare l'amore vero.

Con la rossa collega qualcosa era diverso, anche se cosa non avrebbe saputo dirlo con esattezza.

Forse il modo in cui Jo la faceva ridere, così genuinamente.
O forse il fatto che, quando si salutavano a inizio turno, Ariel si sentiva così a suo agio che oltre al bacio sulla guancia le rifilava anche un buffo leccotto.
O ancora, quando terminando insieme il turno e decidendo di bere un drink, allontanava tutti gli uomini che si avvicinavano perché "Sto parlando di sozzerie con la mia migliore amica. Perciò, aria"

Migliore amica...

Sicuramente usò quel termine senza rifletterci troppo su, ma comunque su Ariel sortì un certo effetto.

Tempo addietro lesse una frase, in uno di quei giornalini da vecchiette con ricette e cruciverba sparsi qua e là, che ora iniziava a comprendere.

'La migliore amica è colei che ha la capacità di far germogliare un fiore in un cumulo di letame'

Ed era così!
Da quando si erano conosciute si sentiva molto meno sola e la solitudine dovuta alla mancanza dei suoi genitori invece di pesarle quanto un macigno di cemento, aveva il peso di un macigno fatto di pongo.

Fu proprio a lei che raccontò di Joe e di tutto quello che era successo da quando si erano conosciuti.

L'ascoltò senza mai giudicarla. Anche quando le confessò che se si trattava del ragazzo il suo lato innocente andava a farsi fottere, prendeva il sopravvento quello di una morta di fame e il suo orgoglio tendeva a essere messo troppo da parte.
La rossa, a parte le risate che si fece, aveva espresso la sua sola opinione definendolo come "il classico Dio greco, trombatore seriale".

Ebbe modo di apprezzare questa qualità immensa di cui era dotata Johanna che, nelle donne specialmente, spesso mancava:
Se non puoi comprendere una persona, fai silenzio.

"Ma secondo te..." la disincantò dai suoi pensieri "uno può davvero credere che i 'Man in black' esistono davvero? E che il mio fidanzato ne fa parte ed è sempre sotto sorveglianza perché ha l'inclinazione di uccidere senza motivo?" le domandò, riferendosi al tizio che aveva appena dileguato.

"Oddio Jo, ma te sei davvero un genio!" rideva senza sosta, con gli addominali che iniziavano a reclamare pausa da quella sgrigna che sembrava non voler cessare.

"A quanto pare Darwin aveva ragione!" se ne uscì, sorseggiando un sorso del suo cocktail.

Il drink, tra le altre cose, era stato gentilmente offerto a tutte le dipendenti come festeggiamento per il quarantacinquesimo compleanno della proprietaria del night.
Quella Sarah era proprio forte.

"Gli idioti come quelli prima o poi si estingueranno, vedrai. Darwin l'aveva vista lunga" finì, tamburellando l'indice sulla tempia.

"Ariel a proposito! La prossima settimana è il mio compleanno. Pensavo di festeggiare al night. Fortuna vuole che è anche il mio giorno libero!"

Quanti compleanni ci sono in questo periodo?

•Beh, vediamo... se andiamo indietro di nove mesi ci troviamo a Gennaio. Evidentemente durante le vacanze natalizie la gente ci dà dentro come ricci africani•

|Con tutto quello zucchero che pompa sangue nelle vene...|

•Ho l'idea che non pompi solo sangue•

La sua coscienza cattiva peggiorava di volta in volta...

"Allora direi che chiederò un cambio turno a Michelle! Me lo deve" la rassicurò lei, cercando di non pensare ciò che il sangue pompava a Joe.

Ed era comunque vero, Michelle le aveva chiesto cambio turno almeno quattro volte nell'ultimo mese.
Ora toccava a lei ricambiare il favore.

"Sai che quel giorno suonerà una band qui? Sono abbastanza famosi, ci sarà il pienone" era visibilmente eccitata dall'idea.

"Davvero? Chi?"

"Non ne ho idea, ma ho sentito le ragazze che ne parlavano nei camerini"

Sia lodato il cambio turno.

|Sempre sia lodato|

Non aveva piacere d'incontrare qualcuno che conosceva mentre serviva ai tavoli mezza scosciata.

"E te invece Jo? Che mi dici dei ragazzi?" quello era forse l'unico argomento che la rossa sembrava non avere troppa voglia di approfondire.

Di Johanna si poteva dire tutto, ma non che fosse una tipa timida e introversa.

Le aveva raccontato della sua vita, dei suoi studi, della sua città natale, della sua sorellina Martha e anche di un ex con il quale era stata per due anni e che le aveva fatto un torto grave.

Questo torto, per ora, era avvolto in una nuvola di mistero e decise di non approfondire l'argomento perché, citando questo 'maledetto lentigginoso del cazzo', Jo si era tramutata da ragazza allegra e pazzoide a cupa e rabbiosa.

L'unica cosa che aveva scoperto riguardava l'aspetto fisico.
"È bello da star male. Con i suoi capelli rossi, le lentiggini e gli occhi grigi come il cemento... spero ci affoghi dentro quando è fresco!
Lo sai che anche Hitler aveva i capelli rossi vero? Ho detto tutto" si sbatté scenicamente una mano sulla fronte.

Lei sui rossi conosceva solo un modo di dire sessista e retrograde, che era meglio non dire ad alta voce.

•LA SO! La so! Rossa di capelli, golosa di...•

|RAVANELLI!|

Vabbè, lasciamo perdere queste minchiate.

Chissà che diavolo aveva combinato per farsi odiare tanto e per essere paragonato al Führer. Un giorno avrebbe chiesto di più, ma non era quello il giorno.

~~~

Il mattino dopo mentre faceva colazione con la sua amata tazza di latte caldo e cereali al miele, le tornò in mente una frase che Addison le disse giorni prima riferendosi alle persone che in passato la compatirono per la condizione di Erika e le parlavano alle spalle, quando il minuto prima le avevano offerto tutto il loro supporto.

Esatto, amicizia...

"La gente è annoiata e quando si annoia diventa frustrata. A volte non indugia oltre, a volte invece si crede il Padre Eterno e crede di poter giudicare ogni cosa. Ci sono situazioni in cui sarebbe meglio non ascoltare, per evitare di starci male inutilmente"

Inizialmente non era d'accordo con questa sua affermazione, in fondo se la persona vale zero l'offesa è nulla.
Però ora la condivideva appieno.

Non c'era un solo motivo al mondo per farsi dare della poco di buono dai personaggini gretti che incrociava spesso in città, sentendosi addosso le occhiate bigotte delle sue compaesane.

~~~

La settimana della festa di Johanna andò due volte a casa di Erika, per farle compagnia e leggere un libro insieme.

Cioè, lei leggeva e la biondina ascoltava silenziosa e nel frattempo disegnava con i gessetti colorati su un foglio.

La psicologa della ragazza continuava a spronare Addison a mantenere questa sorta di amicizia che si era formata fra Ariel ed Erika.
Aveva consigliato questo 'trattamento d'urto' attraverso la lettura, ma solo con Ariel.

La sua vicina non le chiarì mai questo punto ma immaginarlo non era difficile!
La donna quando si trattava di Erika tendeva a essere iperprotettiva e ad allarmarsi per ogni idiozia, finendo per trasmettere alla figlia queste emozioni malevole.

Mentre, se era Ariel a leggere il libro, Erika disegnava senza nessun allarmismo di alcunché.

Fu così che un giorno, ascoltando la storia di Harry Potter piena zeppa di momenti speranzosi e felici, lei invece disegnò la morte dei genitori del protagonista e poi dell'elfo domestico.
In quel momento la psicologa confermò e spiegò alla madre la paura folle di perdere le persone amate.

Ad Ariel comunque non parve cosa strana questa paura perché conosceva l'inclinazione della ragazza nell'innervosirsi e agitarsi di fronte a un litigio o toni troppo alti.

La prossima volta sarebbe stato il turno di orgoglio e pregiudizio... cosa mai potrà disegnare di brutto?

Frequentava la casa delle vicine anche per captare un sorriso, uno sguardo o qualsivoglia gesto da parte dell'uomo di casa, ma niente.

Joe, dopo quello pseudo litigio non si era più fatto vedere e lei non lo aveva più disturbato.
Anche se, doveva ammette, diventava sempre più difficile resistere all'istinto di andare da lui quando era intento a tirar pugni potenti al sacco da boxe.

Potremo mai essere anche solo amici?

Magari con il tempo i suoi sentimenti si sarebbero affievoliti e
un ragazzo assolutamente perfetto avrebbe bussato alla sua porta.

Magari uno Stephan 2.0?

Chissà, forse anche lei si sarebbe innamorata di questo fantomatico ragazzo.

"Sì, accadrà" si consolò ad alta voce, nel tentativo di dare più adito alle sue stesse parole.
Sperò segretamente di avere una bacchetta magica capace di accelerare il processo e far apparire una persona del genere dentro al suo armadio.
Magari qualcuno disposto a mettere in pericolo la sua auto per lei senza farla sentire una merda.

~Flashback di settimane prima

"Dai scusami Joe, non l'ho fatto mica di proposito!" si sentiva una vera merda, uno scherzo della natura dato che Joe non faceva che ignoratla da almeno un'ora.
Se mai si sarebbe reincarnata in un oggetto, di sicuro non sarebbe stata una pergamena egiziana ma un rotolo di carta igienica del discount.

|'Sta cretina crede che gli oggetti si reincarnino|

•Io sarò un asciugamano nella prossima vita! Deciso•

"ARIEL" il ragazzo si premeva gli occhi con le dita, come se fosse d'improvviso stanchissimo.
"Joe..." le mani unite in preghiera di Ariel speravano in un qualche perdono.

Ma ci voleva ben più di semplici mani congiunte per far passare la rabbia infernale del moro, che ancora non si capacitava delle condizioni della sua macchina.

Oh insomma, lei aveva preso da poco la patente ed era stato proprio lui a dirle di fare pratica considerando che prima o poi, sarebbe arrivato il freddo. La bici non sarebbe più stata utilizzabile per andare a lavoro, mentre la vecchia auto della madre aspettava con tanta paura il momento in cui l'avrebbe assicurata.

"Ariel..." negli occhi rabbia mista incredulità " se dall'altra parte ti vengono incontro altre auto, significa che sei nella corsia opposta cazzo" si interruppe riportandosi le dita sugli occhi "non posso crederci... non posso crederci... la mia auto..."
"SCUSA TANTO SAI" interruppe il ridicolo commiato funebre nei confronti di quello che era un cartoccio di metallo "Potevamo morire e tu pensi a quella... cosa?" indicò stranita l'auto.

Si trovavano dal meccanico di fiducia del padre di Ariel, visto che il suo amico non ne conosceva in zona.
"Joe?"
"Ariel..." emise un sussurro che quasi lei non sentì, mentre si toglieva la bandana per sedersi afflitto su una sedia.
"Joe!" battè un piede a terra scocciata da quella reazione esasperante.
"ARIEL!" la guardò ancora più rabbioso.

D'accordo allora, diamoci al gioco dei nomi!

Prese a leggere una targhetta appesa al muro della reception, con la stesa enfasi di quando a scuola leggeva gli esercizi di matematica assegnati come compito.

"Jason il gommista, Carl l'elettrauto, Ian il carrozziere, David il verniciatore, Mattew il contab-"
"CRISTO SANTO! CHIUDI LA BOCCA!"
Ok, era davvero nervoso.

|Anche Padre Pio si innervosirebbe, cara mia|

Joe parve ricomporsi nel giro di dieci secondi, tornando a guardarla senza sguardo omicida.
Grazie a Dio.

"Alla fine suppongo che il fatto che stiamo bene sia l'unica cosa che conta" fece un grosso sospiro, alzandosi.
"Dai, andiamocene via da qui prima che mi metta a piangere" la prese per mano trascinandola fuori dall'officina, dando un'ultima occhiata alla sua macchina mal ridotta.
"Scusami" ripeté Ariel.
Questa volta però era sincera al pensiero del danno causato a livello economico e di comodità sulla sua famiglia.

Un sorriso meraviglioso comparve sul viso impeccabile del moro.
"Sei scusata. Ma è meglio che ti dai al monopattino" sorrise divertito.
"Te la ripagherò" lei era ancora con il pensiero in officina.
"Era vecchia e da rottamare fra massimo un anno. Non preoccuparti"
Avrebbe voluto rispondergli che invece l'avrebbe ripagata fino all'ultimo Penny e che avrebbe iniziato subito a restituirgli i soldi, ma una fitta dolorosa alla caviglia le fece perdere l'equilibrio.
Culo a terra. 

•Meraviglioso•

"Tutto bene?" Joe la guardava con un sorrisetto stupido in viso.
"Aiutami invece di stare lì imbambolato" lo sgridò, allungando la mano verso di lui.
Quando però il moro le si avvicinò, invece di assecondarla, si inginocchiò di fianco a lei, le cinse spalle, le gambe e la tirò su come una sposa.

"Sei proprio un tipo tu" sorrideva, fintamente sconfortato.
"Sono magnifica" doveva pur dire qualcosa di idiota pur di non pensare al profumo della sua pelle così vicina o al fatto di avere le sue mani plasmate sul corpo.
"Sei magnificamente un tipo"

Il tuo..?

Pochi istanti dopo una macchina parcheggiò a pochi metri da loro e un rosso, da dietro il finestrino che si stava abbassando, li invitava a entrare.

Dio ti benedica, Jack.
 

[Senti Ariel, ti ricordi quando ti ho parlato per la prima volta di Jack?
Mi aspettavo di essere riempita di domande, ma tu non hai fiatato.
Hai ascoltato la descrizione patetica che ti ho fatto senza mai andare oltre.
Ecco, volevo dirti che mi dispiace di non aver dimostrato la tua stessa sensibilità ma di aver scherzato su Joe usando nomignoli idioti. Sono stata davvero superficiale.
Sappi però che mi pento ogni dannato giorno di non averti detto fin da subito di stare lontano da una persona di quel tipo.
Non fraintendere, so che i vostri sentimenti erano reali e sai che voglio bene a entrambi, ma all'epoca non avevo ancora capito quanto profonda tu fossi.
Johanna]

~~~
🌬️Angolo Dee greche🌬️

Come state?
Spero che la storia vi piaccia!
Accetto volentieri critiche se ne avete, o consigli!✍️

Un bacio!

PMaryy

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Vodka alla fragola ***


La sera della festa arrivò e lei e Johanna andarono al night pronte a festeggiare, ballando sulle note della band emergente.
Non li aveva mia sentiti nominare questi Dark Flower, non era nemmeno il suo genere quella musica elettronica, ma si difendevano bene dopotutto.

Jo era vestita di tutto punto, con un abitino color panna e degli stivaletti bassi.
"Senta, col cazzo che mi metto i tacchi. Se volevo fare l'equilibrista a quest'ora ero al Cirque du Soleil" aveva risposto acida alla commessa del negozio di scarpe, che per la quinta volta continuava a proporle solo scarpe con tacco dodici.

Lei invece si era messa degli shorts blu jeans e una camicetta rosa chiaro, il tutto completato da delle ballerine.
Adorate, amate, fantasmagoriche, comode ballerine.

Siano lodate!

|Sempre siano lodate|

"Eccole!" Johanna indicò un tavolo con delle ragazze sedute attorno.
"Ariel vieni, vi presento" e, prendendola per mano e facendosi spazio fra la folla, arrivò proprio a quel tavolo.

"Loro sono la mia amica Christine e scusa... non ricordo il tuo" la riccia congiunse le mani in segno di scusa verso la ragazza, seduta al fianco dell'altra.

"Tranquilla..." le rivolse un sorriso gentile in viso "io sono Catherine"

Aveva lunghissimi capelli lisci di colore blu scuro e magnifici occhi azzurro ghiaccio.
Non era magra, ma in carne e formosa, con le curve al posto giusto.
La classica bellezza del sud.

"Piacere mio" le afferrò la mano.

"Ora..." Johanna riprese la parola alzando la bottiglia di vodka alla fragola, che aveva appena comprato al bancone "ORA SI BEVE!" urlò dando tre sorsi belli lunghi.

"Jo! Ma proprio vodka alla fragola? Che schifo dai" si lamentò Christine.

Sembrò davvero inorridita mentre guardava la bottiglia. Le sembrò di captare un commento come "Preferisco affogare nello zucchero"... ma con tutto il frastuono chissà.

"Amica... Lo stile non è acqua ma VODKA ALLA FRAGOLA!" urlò, bevendo di nuovo direttamente dalla bottiglia.

Ok forse qualcuno era già alticcio.

Christine e il suo piercing in mezzo agli occhi così singolare, le stattero subito simpatici.
Per certi versi le ricordava Johanna.
L'altra ragazza invece non si scompose mai, bevendo in silenzio senza guardarsi troppo in giro.

Parecchi drink dopo, le quattro si stavano scatenando da più di un'ora in pista, senza fermarsi.

"EHI CULONA! Togli quell'ammasso di lardo dalla mia vista!" urlò schernitrice una voce maschile, ai danni di Catherine.

Tutte lori si bloccarono, ghiacciate da quel commento orribile proveniente da un omarino alto quanto uno gnomo.

'Manuale di come rovinare la serata di un gruppetto di ragazze che si facevano comodamente i fatti propri, parte 1'

Stupido elfo di babbo Natale dei miei coglioni!

Dire una cosa simile a una ragazza era inconcepibile... non era nemmeno vero, tra l'altro!
Aveva sicuramente i fianchi un po' larghini quello sì, ma non le stavano affatto male visto le proporzioni in sintonia con il resto del corpo.
E, cosa non meno importante, sua madre diceva sempre che sono la perfetta prima culla per una nuova vita.

Avrebbe voluto dire alla ragazza ferita di fregarsene del piccolo aiutante di babbo Natale e d'insultarlo così malamente da farlo sbiancare.
O prenderlo a calci nei maroni, se l'avesse fatta sentire meglio.

•La miglior difesa è l'attacco!•

Anche rispondergli a tono con un pungente "Prima di offendere il mio culo pensa a te, che ti hanno battezzato con l'acqua del cesso" sarebbe stato perfetto.
Catherine però non era sfacciata come Jo, perciò era prevedibile che non reagisse come sperò.

Rimase immobile per qualche secondo, con il viso totalmente rosso e gli occhi di ghiaccio lucidi
quando le labbra presero a tremare si girò e uscì piangendo dalla pista.

Anzi, scappò.

Gliene avrebbe cantate quattro a quel coso, adesso.
I maschi quando sono ubriachi diventano dei totali imbecilli e parlano sempre a sproposito.

Stava per fare da paladina della giustizia femminile, quando Jo la precedette.

"Lei almeno qualcosa di grosso ce l'ha" lo schernì con le braccia incrociate sotto al seno e la schiena all'indietro, mentre gli fissava la patta dei pantaloni.

Le risate di chi le circondava, ovviamente, non tardarono a mancare quando con indice e pollice fece un gesto che voleva intendere 'è corto'.
L'ubriacone venne portato via dai suoi amici con un cenno di scuse.

Sia lodato Gesù!

|Sempre sia...|

•E basta! Che palle!•
Le sue coscienze bisticciavano fra di loro come Birba e Gargamella.

"Dobbiamo trovare Cath" la voce di Christine tradiva agitazione.

"Sarà uscita a prendere un po' d'aria. Tornerà vedrai" cercò di calmare la situazione Johanna.

Ariel sapeva che l'imbarazzo era un'emozione orrenda, una delle peggiori. Nessuno vuole essere visto se è imbarazzati... il più delle volte si ha solo bisogno di rimanere soli.

"No, non capite. Non è un buon momento per lei questo..." la mora dalle punte viola, Christine, lasciò cadere la frase a metà per poi uscire dalla pista.

In che senso non è un buon momento?

~~~

Era più di mezz'ora che cercavano di contattarla ma il cellulare squillava a vuoto.
"Dividiamoci" sentenziò Ariel stufa di quella situazione infelice "Io controllo in bagno"
"Io nel parcheggio" disse la rossa.
"Ti accompagno Jo, non è sicuro andare lì da sola. Ariel, mandale un messaggio se la trovi" indicò con l'indice la rossa, per poi scomparire sotto i suoi occhi.

Ariel raggiunse in fretta il corridoio che portava ai bagni, camminando a passo svelto.

Un brutto presentimento sembrava pesarle sulla schiena come un mantello fatto di lana bagnata peserebbe sulla schiena.
E la sensazione era a dir poco spiacevole, fastidiosa in entrambi i casi.

E se Catherine è davvero a piangere disperata da qualche parte? Se ha con se una lametta nascosta nel reggiseno? Se ha ingoiato dell'acido muriatico?

|Ok Ariel, è arrivata l'ora di conoscere il magico mondo dei tranquillanti|

Poi, di fronte a se vide ciò che non si sarebbe mai aspettata di vedere.

Joe.

Catherine.

Joe e Catherine erano all'entrata del cortiletto dell'area fumatori.

Lui come suo solito stava fumando e sembrava ascoltare la ragazza di fronte a lui, che parlava visibilmente scossa.

Ovviamente non sentì cosa gli diceva, ma dallo sguardo gentile di lui era evidente che i due si conoscevano.

D'un tratto le diede una pacca sulla testa e un buffetto affettuoso sulla guancia, come si farebbe per dare il contentino ad una bambina.
Poi si allontanò incamminandosi verso il corridoio che lo portava dritto dritto da lei.

Avrebbe voluto nascondersi per non passare da spiona, prima di darsi della cretina da sola.
Lei non lo stava mica spiando, oh!
Perché nascondersi quindi?

Rimase lì, vedendo quel ragazzo che cercava con tutte le sue forze di dimenticare, avvicinarsi sempre di più a lei.

Quando le passò di fianco per sorpassarla non la degnò di uno sguardo. Era sicurissima che l'avrebbe ignorata completamente.

"Vedo che non smetti di spiarmi" fu quasi un sussurro il suo, che la ragazza non ebbe il tempo di elaborare.

E dopo tutti quei giorni passati a pensare a lui, a cosa dirgli se avesse avuto la forza di affrontarlo e sentendo dentro di lei l'energia di mille bombe atomiche... non riuscì più a tacere.
Doveva chiederglielo.

"Davvero non siamo più amici per quella discussione del cazzo?"
Joe si bloccò a pochi passi da lei, con il viso rivolto verso la fine del corridoio.
"Davvero ti sono così tanto indifferente?" si avvicinò alla sua schiena imponente.
Joe non rispose e dopo qualche secondo riprese a camminare per allontanarsi.

Eh no, carino! Questa volta voglio io l'ultima parola.

Dimenticandosi egoisticamente di Catherine girò attorno alla sua figura alta e gli si parò davanti.

Due occhi stupendi in quel momento la guardarono dritta dritta in viso.

Bum, bum, bum.
Il suo cuore prese a correre la maratona di New York.

Bum, bum, bum, bum.
Il suo battito cardiaco era più veloce di quello di un coyote.

Bum-bum-bum-bum-bum-bum-bum
Ti prego, fa che non mi venga un infarto. Ti prego.

[Sai Ariel, se tu tornassi da me ti prometto che faremo l'amore una, due, tre volte...
Ti farei capire quello che sei per me.
Non sono ancora riuscito a smettere di cercarti. Ogni tanto, vado ancora in quel night e spero di trovarti in quel corridoio ma, uno schiaffo violentissimo mi arriva dritto al cuore quando realizzo che tu non ci sei. Joe]

~~~

🍸Angolo piccole alcoliste anonime🍸

Mi ci metto comoda comoda anch'io, in quest'angolino🌞

Spero che la storia vi stia piacendo!
Qual è il vostro drink del corazon? Il mio senza dubbio la mitica Vodka alla fragola!👀

Sono curiosa di sapere che ne pensate di Johanna!
Avete un'amica così?
Io no, forse è per questo che le ho dato vita in questa umile storia👭

Un abbraccio.

PMaryy

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Confronto ***


"Continuerai a evitarmi ancora per molto?"
"Ma chi ti caga" disse senza riguardo, mentre liberava il braccio con uno strattone.
"Eravamo amici"
Ariel avrebbe giurato, mettendo tutte e venti le dita sul fuoco, che anche lui l'aveva considerata tale in quei mesi passati.
Voleva distruggere questa sorta di cuscinetto para-urti-para-rotturadipalle che si era cucito addosso, della serie: 'No alle amiche-sì alle trombamiche'.

D'altronde, quel giovane stupido uomo, non aveva ancora imparato una delle lezioni più importanti che la vita possa insegnare: le cose, le persone, i luoghi, le conversazioni, i viaggi migliori che si possano fare sono dall'altra parte della propria comfort-zone.

Gli occhi ridotti a due fessure che sembravano volerla bruciare viva erano spietati, e tutti rivolti a lei.

"Volevo solo farmi una scopata" la scherní, mostrando un sorrisetto cattivo.

A farle del male ci riusciva anche troppo bene.

Quelle parole dure le provocarono una fitta al centro dello stomaco, nonostante sapesse benissimo che erano tutte menzogne.
Non aveva di certo bisogno di una come lei per scopare.
Jenny, Martha o chi per loro sarebbe stata ben felice di calarsi le braghe e donargli il suo fiore.
"Sono solo cazzate. Non ti mancano le puttanelle con cui sfogarti"
Affondava continuamente il suo pino in così tanti boschetti diversi da far impallidire una foresta.
Peccato che non metteva mai radici.

"Hai ragione..." le si avvicinò all'orecchio facendole aumentare il respiro "volevo verificare quanto lo fossi tu"

La mano destra di Ariel prese a formicolare fortissimo, come se il sangue stesse ribollendo nelle vene.
Uno schiaffo partì involontariamente e tuonò sul viso perfetto di quel bastardo.
La stessa mano subito dopo si mise a palmo aperto di fronte al cuore, in un gesto inconscio di protezione verso quel muscolo dolorante.

Se Joe avesse saputo quello che lui rappresentava per quel pezzo di carne tamburellante, probabilmente si sarebbe preso a schiaffi da solo.

Come poteva dirle una cosa del genere...
Come può darmi della puttana?

Se avesse potuto avrebbe estratto a forza il suo cuore dal petto con un cucchiaino da tè per mostrargli le crepe che lui e solo lui, le stava causando rifiutandola.
Ma soprattutto denigrandola, umiliandola e riducendola un mero oggetto sessuale.
Come poteva dirle che voleva sapere quanto troietta fosse...
Come?
Come poteva quando tutto quello che desiderava come una sciocca era un suo bacio, un abbraccio o un gesto d'affetto.
Come?

Poche cose l'avevano ferita nel profondo oltre questa.

Scoprire che babbo Natale era suo nonno travestito, ad esempio.
Le parole che Stephan le disse per informarla che se ne sarebbe andato e che tutto sarebbe cambiato, senza dubbio.
O forse quando morì sotto una macchina il suo amato e scodinzolante Flipper, che quella sera l'aveva seguita come fosse la sua ombra, diretto con lei ai bidoni dell'immondizia. Non sapeva che c'era la morte quel giorno che lo aspettava...

Più di tutte però, quella frase detta da quel preciso ragazzo l'aveva umiliata veramente troppo.
Occhi lucidi fecero capolino in men che non si dica, accompagnati da una voce tremolante e un bel magone alla gola.

Che odio aveva per la sua emotività del cazzo!
Odiava palesare davanti a Joe quanto potere avesse su di lei ma purtroppo era inevitabile e proprio per questo sentiva l'impulso di prenderlo a botte, fino a farlo implorare di smetterla.

Invece, peggio di uno stoccafisso, lo schiaffo che gli aveva appena rifilato era tutto quello che riuscì a infliggergli prima che il pizzicorio, dovuto a un'amarezza fin troppo conosciuta, le arrivasse agli occhi.
Gli stessi occhi che lo guardavano immobili, così come faceva il resto del suo corpo.

"Lo so che non lo pensi davvero" disse Ariel, guardandogli la guancia arrossata dall'urto mentre lui girava lentamente il viso appena schiaffeggiato e la guardava rabbioso.

Le afferrò la mano incriminata con prepotenza e, in uno scatto d'ira, gliela strinse talmente forte da rallentare la circolazione sanguigna.
La sensazione di tante formichine che camminavano sulla pelle arrivò subito dopo.

Formiche dappertutto, formiche ovunque per la seconda volta in una sera.

"Sei diventata imbecille tutto d'un tratto?" voce bassa che tradiva chiaramente il rancore che provava per quel gesto.
"Tu invece stronzo lo sei sempre stato" alzò il naso sfidandolo.

Un gesto che iniettó qualcosa nel moro che scattò quasi nell'immediato, spaventandola.
Provò un gran senso d'inquietudine nel vederlo avvicinarsi sempre di più con lo sguardo da cane inferocito.

E poi eccola lì, la sua solita smorfia di derisione disegnata in volto.
"Che cazzo hai ancora da ridere? Ti diverte tanto il fatto che credevo fossimo amici e invece tu mi dici che cercavi solo una scopata?" si sentiva gli occhi gonfi e brucianti. Inconfondibile preludio di piccole goccioline salate e della loro voglia di fuoriuscire da un corpo e un'anima pieni di graffi.

Emozioni di merda!
Lo sguardo del ragazzo si illuminò di un bagliore che profumava di divertimento, mentre il sorrisino si ampliava man mano che si avvicinava alla ragazza.
Le loro labbra non si sfiorarono per un solo chilometrico centimetro a dividerle.

Occhi negli occhi.

"Non fare la santarellina. Lo so benissimo che anche tu vuoi la stessa cosa. Credi che non noti come mi mangi con i tuoi begli occhietti?" le domandò retorico, accarezzandole una guancia.

Questo si credeva un tiramisù, ma si sbagliava.
Non lo era, per niente.

•È un pandoro farcito di mascarpone infatti!• la sua coscienza cattiva aveva delle strane voglie quel giorno.

"Tu non hai capito un cazzo come al sol-" non terminò la frase.
Joe lasciò il suo polso e in un attimo le sue possenti mani la circondarono in vita, per poi sbatterla contro il muro del corridoio e bloccarla fra lui ed esso. L'impatto fu forte abbastanza da farle sentire una fitta di dolore alla schiena.

|Questa scena l'ho già vista...|

•Nella 'Spada nella doccia', vero?•

|Dio ti prego dammi la pazienza perché se mi dai la forza la ammazzo!|

Cercò di liberarsi dalla sua presa premendo le mani sull'imponente petto del moro, ma più lei si dimenava... più lui la stringeva.

"Dai ammettilo, Ariel" la voce vicino all'orecchio era decisamente provocatoria e sensuale.
"Joe, lasciami" lo incenerì con lo sguardo.

"Prima voglio sentirtelo dire"

Se l'umiliazione si fosse reincarnata in una persona, quella sarebbe stata lei.

"Lo sai vero che darti un calcio nelle palle appena mi lascerai sarà un vero onore per me?"

Il ragazzo rise.

"Ma la vuoi piantare di prendermi per il culo? Sei insopportabile, cazzo!" sbottò.

E lo pensava davvero! Sì, ne era anche attratta e lo desiderava più di quanto volesse ammettere ma al contempo non lo sopportava, anzi... lo odiava!

"Come insopportabile? Non eri tu che mi consideravi un tuo amico?"

Ma quale amico, un amico non si comporta così.

Un amico non rinnega mai l'amicizia, diversamente non potrebbe definirsi tale.

Quindi cosa sono io per lui? Un semplice piacevole passatempo? Tutte quelle risate erano finte come l'ottone?

Queste domande se le era già fatte mille e mille volte ancora, sperando di avere una risposta diversa.
Invece era sempre la stessa.

"Non mi sono mai sbagliata tanto su una persona" pronunciò questa frase con tono talmente triste e rassegnato che qualcosa d'incredibilmente incazzato saettò negli occhi verdi del moro, che si fecero più scuri e cupi in un secondo...

Joe mollò leggermente la presa sul bacino di Ariel per poi afferrarle entrambi i polsi con forza e tornare a essere quel ragazzo colmo di risentimento che aveva conosciuto all'inizio.

|Questo qua passa da schernitore provetto a furioso nel tempo di due capriole|

•È lunatico da far paura•
La sua coscienza buona aveva proprio ragione ma quella cattiva aveva centrato in pieno il segno.

Prima la sbatte contro il muro, poi le sorride.
Prima la deride, poi la provoca.
Prima passa ore con lei a parlare amichevolmente e poi le dà della puttana dal nulla.
Una contraddizione vivente.

"Credi di conoscermi? Di poter sputare sentenze su di me solo perché qualche sera ti ho raccontato di un manga o parlato di un viaggio fatto?"
Oddio, legge pure il pensiero.

A ogni modo non voleva più discutere con lui, era inutile cercare di scalfire a mani nude un muro fatto di cemento armato.

"Ho.detto.di.lasciarmi" gli ordinò con più severità possibile.

"Chi cazzo ti credi di essere per giudicarmi" i suoi occhi verdi si spostarono sulle sue labbra carnose e leggermente rossastre che si stavano piegando nel suo solito ghignetto.

"Però posso darti quello che vuoi sin da quando ci siamo trasferiti" un sorriso malizioso comparve mentre insinuò la gamba destra fra le sue, sfregandole l'inguine.

"Lo so che lo vuoi, non mi offenderò se vorrai giudicarmi in questo campo" l'espressione esterrefatta e incredula di Ariel era sicuramente degna di partecipare al Guinnes primati.

"Giudicami, tanto mi darai il voto migliore"

Ariel sentì il suo respiro caldo abbattersi contro il collo.
Un respiro eccitante che le risvegliava i sensi.

•ARIEL, CAZZO! Non farti trattare come una bambola gonfiabile!•
La sua coscienza le stava gridando di non cedere, di non farsi trattare come una puttanella da quattro soldi ma, anzi, di mantenere la propria dignità.

|Ci manca solo che ti chieda 'Ti sei persa bambolina?' e siamo alla frutta|

•Senti, quel film ha fatto schifo pure a me! Non me la deviare, la ragazza•
Povere coscienze... sempre a discutere di film.

"Mi metto a urlare se non mi lasci" lo minacciò voltando la testa dalla parte opposta a lui, per mantenere più possibile la distanza con quei boccioli di rosa.
In realtà avrebbe tanto voluto sentirli su di lei, invece stava cercando di rifilargli un secondo schiaffo.

Poi, d'improvviso, un urlo isterico.

"LASCIALA BRUTTO PORCO MALEDETTO SCHIFOSO!" il secondo dopo una Johanna tutta preoccupata e incavolata si era precipitata in suo soccorso dando una borsettata nella schiena di Joe, il quale non accennava a liberare la sua preda né a muoversi dalla sua posizione.

"LASCIAMI JOE!" urlò, riuscendo a colpirlo finalmente in viso.

Contro ogni previsione  il ragazzo le liberò entrambe le mani continuando a tenerla in gabbia con il suo sguardo magnetico.

"JOE! Ti fai menare da due donne?" una voce di scherno arrivò da dietro i tre.
Le due ragazze indirizzarono il loro sguardo verso la quarta voce.
La persona in questione era circondata da altri due amici che si facevano beatamente i fatti loro al cellulare.

Ariel non poté fare a meno di notare gli occhi spalancati di Jo e dell'amico del suo pseudo assalitore.
Si stavano fissando esterrefatti, con la bocca a forma di O.

"Johanna..." fu il rosso a parlare per primo.

La sua amica deglutì senza proferire parola.
Sembrava in catalessi ed era sbiancata come un lenzuolo appena lavato a 90°.

Chi diavolo è questo tizio?

Poi, come in un flashback, lo riconobbe.
Le tornò in mente la sera della festa e di quando un rossastro, proveniente dal giardino dei suoi vicini, le si era avvicinato chiedendole se voleva parteciparvi.

Con tanto di corpo snello ma comunque ben piazzato, il ragazzo era davvero ben messo.
Il capello rosso e i bei lineamenti del viso, macchiato di milioni di piccole lentiggini, lo rendevano piuttosto attraente.

Mentre la sua mente era tornata a quella serata e si era soffermata sull'aspetto fisico del ragazzo appena comparso, si rese conto troppo tardi che Jo stava uscendo dal suo campo visivo a una velocità tale da far invidia ai marciatori olimpionici.

Notando Joe distratto a guardare l'amico prese l'occasione al volo e si liberò di lui con una ginocchiata negli zebedei.
Com'era prevedibile il moro la lasciò all'istante piegandosi su se stesso con le mani a mo' di conchiglia, di fronte ai gioielli di famiglia.
"O ti levi... o ti levi" gli disse ironicamente, con una puntina di soddisfazione personale.
Guardandolo lamentarsi però, ammetteva che un po' le dava qualche senso di colpa...

|'Il senso di colpa è quel dono che non si smette mai di ricevere', dicevano|

Intuì che nella scala del dolore di un uomo gli zebedei dovevano essere sul podio.

•C'era bisogno d'intuirlo?•

Corse via da lì e si mise a cercare Johanna come una pazza.
Jo, che cazzo è successo stavolta?

[Sai Ariel, ripenso spesso a quel calcio che mi hai dato quella notte.
Ero stato crudele con te, quelle parole non le credevo ma volevo fortemente che fossero la realtà.
Quegli occhi lucidi di rabbia vorrei ancora rivederli.
Ti chiederei di evitare i maroni possibilmente, ma la mia guancia è qua pronta per un tuo schiaffo.
Torna, torna, torna... Joe]

~~~
🤼Angolo karate🤼
Ciaoooo!

Come state? 

Joe ed Ariel sono arrivati ai ferri corti. 🙅🏻 Ho tifato per Ariel!
Il calcio nelle parti basse di Joe ci stava proprio, no?😇

Nei prossimi capitoli ci concentreremo proprio su Jack e Johanna.

Non dimenticate di votare e lasciare un commento! Grazie!

PMaryy

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Parla ***


Jo era uscita dal locale senza curarsi di nulla e nessuno, con il viso totalmente viola e gli occhioni lucidi.
Sbagliò anche a individuare la sua auto da quanto era sconvolta e cercò di aprire violentemente lo sportello di una simile alla sua.
"Jo..."
"Porca troia maledetta indiavolata" biascicò nervosa la rossa.
"Jo..."
"Domani chiamo quel cazzo di meccanico decrepito e lo denuncio"
"Jo"
"CHE CAZZO VUOI?"

Porca puzzola.

"Ti prenderanno per scassinatrice se non la pianti subito" disse cercando di farla ragionare, indicando un gruppetto di ragazzi poco distante da loro che la guardavano come l'ispettore Zenigata guardava Lupin.
La riccia sembrò tornare nel mondo reale, come se qualcuno l' avesse risvegliata da un lungo sonno.
"Scusa Ariel, sono stata una stronza" ammise portandosi via con rabbia una lacrima che le rigava la pelle diafana.
Da come si era asciugata quel piccolo pezzo di acqua salata era facile immaginare da cosa fosse originata, cosa rappresentasse.

Rabbia, delusione e vergogna.

Rabbia, per chissà quale motivo.
Delusione, verso quel ragazzo o qualcosa connesso a lui.
Vergogna, per essersi fatta vedere in quello stato da tutti quelli che aveva spintonato nella folle corsa verso l'uscita.

Beh, che dire, era davvero poco su cui basare qualche ipotesi.

|È davvero nulla su cui basarsi! |

Ma in ogni caso... passi tutto ma la vergogna proprio no, quella non l'ammetteva.

Nessuno doveva vergognarsi delle proprie emozioni, soprattutto quando rabbia e dolore avevano un volto ben preciso. Soprattutto se il volto era bello come quello di Lentiggini.

Esatto, l'avrebbe chiamato così d'ora in poi perché già gli stava sul cazzo.

"Ma si può sapere che ti ha fatto quel Jack?" le domandò, dopo aver intrecciato le loro mani per portarla di fronte all'auto giusta.
Johanna spalancò gli occhi, fissandola incredula.
"Vi conoscete?"
" No, me l'ha presentato Joe la sera del suo compleanno in casa. Ti ricordi, sono uscita con Daniel quella sera"
"Sì, giusto" passandosi una mano fra i capelli color del fuoco si appoggiò con fare stanco allo sportello chiuso della sua auto.
Tutto d'un tratto lo sguardo della ragazza da triste divenne serio e Ariel non ebbe il coraggio di dirle nulla.
A volte stare accanto silenziosamente a qualcuno era meglio di spendere mille parole.

Poi d'improvviso la rossa afferrò saldamente le spalle dell'amica e fece scontrare le loro fronti con un'espressione che non prometteva niente di buono.
"Ora guardami dritta nelle palle degli occhi" disse, naso contro naso "Promettimi una cosa ...o ti infilo un arriccia spiccia direttamente nel cranio"

Mi auguro che non stia davvero citando l'uccello della Sirenetta.

"Cosa?"
"Tu promettila"
"Prima dimmi cosa"
"Prima promettila"
"Prima dilla"
"Possiamo fare questo giochetto fino domattina Ariel, non ho un cazzo da fare tanto" puntualizzò roteando gli occhi al cielo.

Ok, non ci avrebbe cavato un ragno dal buco, tra l'altro iniziava a piovigginare e si stava alzando un vento freddo. Sarebbe stato meglio salire in auto il prima possibile o ciao ciao lavoro per i prossimi giorni e benvenuta influenza.

"Va bene" si arrese, sospirando.
Lo sguardo di Jo, prima vittorioso divenne confuso nel giro di tre secondi.

"Non mi ricordo più cosa volevo farti promettere" si grattò la testa disorientata mostrando un sorriso timido e imbarazzato.

Più la conosceva più capiva che Johanna era senz'altro buona, carina, gentile, acida, impertinente, lunatica e, soprattutto, completamente pazza.
"Luna Lovegood... sei tu?" ruotò le dita a livello della tempia in un gesto d'inconfondibile interpretazione. "Sei una pazza" terminò, sorridendole affettuosamente.

"Io non vivo nella follia, è la follia a vivere in me" le rispose innocentemente, sicuramente conscia di esserlo davvero un po'.
"Su questo non c'erano dubbi... ma qual era la promessa?"
"Te lo farò sapere quando mi tornerà in mente" allargò le braccia come in segno di resa.

Ariel era sbigottita.
Ok, la sua amica era strana forte!
Come faceva una persona sana di mente a passare dalla depressione alla spensieratezza in pochi attimi e non ricordare cosa voleva dire... sempre nel giro di pochi istanti?

•Questa è più pazza di me•

"Io, seriamente..." cominciò, mettendole a sua volta una mano sulla spalla con fare teatrale "Io seriamente lo penso"
Jo la guardò ancora più confusa.
"Cosa vai blaterando?"
Silenzio stampa.
"Ariel, porca boia incasinata!"imprecò sbuffando impaziente. 'Sono già incazzata come una iena per quel mongoloide deficiente del mio ex ragazzo e te ti ammutolisci come un pesce pagliaccio?"

Troppi animali e troppe parolacce si erano appena susseguite.

"Io penso seriamente che se tua madre non ti avesse partorita qualcuno ti avrebbe creata"
La sua amica la fissò per poi spostare lo sguardo lontano, chiaro segno che la sua mente malata stava pensando a qualcosa di assurdo.

" Uhhhh sììì!" sbatté le mani come una bimba di cinque anni "Come Edward mani di forbici?"

Ariel rise di cuore, era davvero fuori come un balcone!
Non era triste fino dieci secondi fa?

D'altronde ha sempre pensato che il cappellaio matto avesse sempre avuto dannatamente ragione...
'Le persone migliori sono tutte pazze'

"Esatto, come lui!" si unì a lei, mimando delle forbici con le dita.
Nel frattempo erano salite in macchina e Jo stava uscendo dalla zona industriale del night.
"Ti rendi conto che faceva venire le donne del paesino tagliandogli i capelli? Ti immagini... se fosse vero?"
"Parrucchiere tutte le settimane!" rispose ovvia Ariel, grata del fatto che la sua amica era, tirando le somme, più unica che rara.

La invidiava perché invece lei quando era incavolata nemmeno le battute sagaci e maligne di Stewie Griffin riuscivano a risollevarla.
E con questo aveva detto tutto.

"Ma quando mai!" si fece aria con la mano, come se improvvisamente stesse morendo di caldo "Ogni giorno, cara!"
Scoppiarono a ridere insieme per poi alzare i finestrini dell'auto, per mettersi al riparo dalla pioggia che via via diventava più intensa.

Ma non era finita lì. Voleva sapere che era successo con l'amico di Joe, quel caspita di Lentiggini.

"Ti leggo nel pensiero, cara mia" la anticipò arrendendosi all'idea di riportare alla luce vecchie ferite.
"Ma mi serve una buona dose di gelato per raccontare il fattaccio. Vieni da me?"
"Non vorrei disturbare"
In realtà si sentiva in tremendo imbarazzo a intrufolarsi in piena notte a casa degli altri.
"Non dire cazzate, andiamo! E poi ho della birra ghiacciata come l'Antartide in frigorifero"
L'aveva colpita nel suo punto debole, nella cosa che più le piaceva nella vita... la birra.
Sleale la ragazza ma adorabile, impossibile da non assecondare.

Dopo qualche semaforo e qualche incrocio si ritrovano parcheggiate di fronte a una bellissima e imponente villa, circondata da un immenso giardino.
La bocca spalancata, gli occhi serrati.
Ma quanto è...è..., difficile trovare parole adatte di fronte ad una maestosità tale. Non l'aveva mai vista perché non si trovava proprio a Flanders, la cittadina modesta dove viveva, ma fuori città.
"Sì, lo so."
"Ma cosa sei... una contessina?"
"Ma come osi!" urlò con il palmo portato a contatto con la fronte e la testa girata di lato, per inscenare un'indignazione enorme "Sono la Gran Duchessa Anastasia Romanoff!"

Sì, certo. E io sono la figlia di re Tritone! Pensò mentre piegava di lato la testa e la sgridava con lo sguardo.

"Ce l'hanno lasciata in eredità i miei nonni paterni quando sono morti" le spiegò infine, dall'auto.

"Ma che culo immenso!" anche Ariel aveva lasciato l'abitacolo.

|Complimenti per il tatto, deficiente|

"Ma no dai..." fece spallucce, mentre si indirizzava verso il portone blindato, con Ariel al suo seguito " erano anche carini i miei nonni. Soprattutto quando il nonno si lamentava che era inutile andare a letto presto tanto 'non si combina mai niente'" scimmiottò la voce grossa e burbera classica degli anziani che avrebbe fatto ridere chiunque.
Ma non lei, che invece sbiancò accortasi di come il suo commento risultasse incredibilmente indelicato e la facesse passare da mera materialista.

"Ma no Jo! Cosa vai a pensare, scema! Intendevo per la casa!" si batté una mano sulla fronte.

Ci mancherebbe che fosse contenta che i suoi nonni erano concime per i fiori!
Che poi, davvero diventavano concime i resti del corpo umano?

Si diede dell'imbecille da sola per quello che aveva appena partorito la sua mente.
Sto diventando come lei, che ragionamenti allucinanti sto facendo...

Passando per una maestosa sala, dove primeggiava un enorme lampadario di cristallo, quadri enormi e tre divani in pelle, imboccarono le scale.

Jo le raccontò di come suo nonno paterno provenisse da una famiglia ricchissima e di come suo padre perse tutti i soldi dell'eredità, tentando di salvare la fabbrica in malora di un cugino.
Johanna iniziò il racconto della storia della sua villona, con il pathos con cui si racconta la lista della spesa.

Tanto meglio, meno drammi per stasera.

"L'azienda del cugino del mio bisnonno era affermata e molto ricca. Tutto grazie al mio bisnonno che diede un po' di capitale a suo cugino per farla avviare, convinto che un'azienda che produceva navi transatlantiche e che promuoveva il turismo avrebbe sfondato.
E fu così in effetti. In breve tempo diventò una delle più importanti aziende marittime del mondo e il cugino, come ringraziamento al mio bisnonno Carlos, gli comprò questa villona e gli ridiede il prestito iniziale con un bel gruzzoletto d'interessi. Un gruzzoletto enorme."
Jo riprese fiato aprendo la porta e invitando Ariel a entrare nella sua camera da letto, allungando il braccio al suo interno.
"Peccato che poi successe la tragedia del Titanic" la rossa si accomodò seduta sul letto e le indicò la sedia di fronte la scrivania, come a dirle di sedersi lì.
Ariel obbedì e rapita dal racconto, del quale in lontananza poteva già immaginare il triste epilogo, si sedette e le intimò di continuare.
"Sì, insomma... quando affondò il Titanic, in borsa tutte le quote delle aziende nel marittimo crollarono vertiginosamente nel giro di due giorni. Per non parlare della crisi economica..."
"Dalle stelle alle stalle. Poveretti"
interruppe il monologo esternando il suo pensiero di commiserazione per gente che dall'essere ricca sfonda si era ritrovata a non possedere nulla nell'arco di un tramonto.

"Infatti. In moltissimi si suicidarono, altri emigrarono, altri ancora come il cugino Gabriel chiesero aiuto. Lui si rivolse al mio bisnonno cercando di convincerlo a restituirgli gli interessi, per risollevare l'azienda.
E lui accettò, credendo davvero che la ditta sarebbe riuscita a sopravvivere. Il piano era quello di cambiare destinazione d'uso e farla diventare un'azienda per il trasporto merci."
Jo, come se avesse avuto l'idea del secolo, si scusò velocemente con Ariel scomparendo dietro la porta mezza aperta per poi riapprodare due minuti dopo in stanza, con una meravigliosa vaschetta di gelato, due cucchiai e due invitanti birre.

"Ma non finì bene per la ditta, immagino" sentenziò, infilandosi un cucchiaio colmo di gelato alla nocciola in bocca.
Mmm, che bontà!

"Eh già. Persero tutti i soldi e il mio bisnonno riuscì a salvare solo questa baracca" finì il racconto, ruotando l'indice per indicare la 'baracca'.
"E il famoso cugino?" la storia l'aveva presa quasi quanto un film.
"Ah di lui non si è più saputo un cavolo. È scappato dall'America senza salutare nessuno e facendo perdere completamente le sue tracce. Chissà che fine avrà fatto?Beh, questa è una domanda che il mio bisnonno si è posto fino alla morte."

A interrompere questo rivangare sul passato della famiglia della sua amica ci pensò la radio, che era stata lasciata accesa e aveva preso a trasmettere.

'Tu, si proprio tu. Tu che sei all'ascolto. Raccontaci della tua vita sentimentale, raccontaci da quanto sei fidanzato. Raccontaci della tua vita sessuale! Non risparmiarci nulla. Mandaci un messaggio vocale al 3234..."
Jo raggiunse la radiolina rossa sopra alla scrivania e ne abbassò il volume, rendendo il conduttore radiofonico una lieve sporca nota di sottofondo.
Le venne quasi da ridere quando notò dei piccoli stickers tondi e neri appiccicati sul rosso della radio.
Pareva tanto una coccinella, che carina!

"La mia vita sentimentale è come quella di un pappagallo esotico trapiantato al Polo Nord."
Rispose stizzita al DJ come se lo avesse avuto davvero davanti.

Cercando di non soffermarsi sull'ultima frase pronunciata dall'amica pazzoide, Ariel si spostò sedendosi sul letto e battendo la meno su di esso per attirare la sua attenzione.

| Questa poi! Vuoi anche fare una doccia, tanto che ci sei?|

• No, mai fai pure come fossi a casa tua eh! Tranquilla e serena•

E forse il punto era proprio quello! Le era venuto spontaneo sedersi senza chiedere nulla alla proprietaria perché si sentiva davvero ben voluta.

"Non mi scappi. Hai qualcosa da raccontarmi, cara" le ricordò sorridendo.

Jo, consapevole che avrebbe vuotato il sacco di lì a poco, aprì le due birre e ne diede una alla sua ospite.
Si sedette di fianco a lei e... una lunga serata ebbe inizio.

[Senti Ariel, ho deciso.
Quella promessa che non ho mai riscattato la voglio riscattare ora.
Non ti chiederò di tornare, non sarò più egoista.
Voglio sapere solo dove sei, lo vogliamo sapere tutti.
Magari sei al Polo Nord, insieme al mio pappagallo immaginario... Jack mi ha dato della pazza dicendo che un uccello esotico non potrebbe mai vivere in un posto gelido.
Io credo fortemente che il tuo posto invece, sia a Flanders, insieme a noi.
Quando sarai pronta ti accoglieremo a braccia spalancate.
Ma... posso essere egoista un'ultima volta?
Fa presto a tornare perché ho bisogno della mia migliore amica.
Ti voglio bene.
Johanna]

~~~

🐧Angolo pinguini🐧

Ciao belle creature ❤️

I prossimi capitoli saranno concentrati su Jo e Jack🙊🔥
In fondo, in copertina la frase recita "Due grandi amori" per cui non li metterò in secondo piano.
Anzi!

Chi è il vostro personaggio preferito fino a questo capitolo?

Ah, inoltre aggiungerò un Prestavolto prima o poi. Per dare l'idea dei volti che, per la mia immaginazione, si avvicinano ai personaggi🧖🧖‍♀️🎥

Stay Tuned!

PMaryy

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Oltre le apparenze ***


"Da dove cominciare?" Jo si grattava la testa guardando un punto fisso nel vuoto.

"È quell'ex di cui mi parlavi, vero?

" Sì, proprio quel bastardo" disse, digrignando i denti.

"Allora direi di raccontare tutto dal principio"

E fu così che il flashback ebbe inizio.

~~~

Tre allucinanti anni prima

"Senti COSO! Vedi di non finire tutte le birre!" gli urlò Johanna incazzata.

Ma perché questo deficiente di un rosso è alla festa di compleanno di Christine?

Non lo sopportava e il sentimento era reciproco, perché litigavano peggio di cane e gatto.

Tra l'altro, la sfiga ci vede sempre col mirino, difatti Christine decise di festeggiare il suo compleanno in spiaggia.
Johanna amava l'oceano e il rumore delle onde che si infrangevano a riva, ma odiava invece quella cazzo di sabbiolina che ci si ritrova fin sopra l'utero non appena il culo ci si poggia sopra.
Tutte le donne potrebbero confermare quanto fastidiosa fosse la sensazione di simil carta vetrata tra le chiappe.

Comunque, nella sfiga, quella sera ebbe fortuna perchè la festa venne spostata in un localino fronte spiaggia.
Stava infatti piovendo a catinelle con tanto di lampi e saette che coloravano il cielo, disegnandovi meravigliosi dipinti.

Chiappe al riparo, per stasera.

Per cui si ritrovarono tutti e undici attorno a questo mega tavolo a sorseggiare birre, drink e qualsivoglia porcheria il barista brasiliano portava al tavolo.

Certo che di temporali del genere non se ne vedevano da un po' a Noyack beach.

Noyack beach era un piccolo squarcio di paradiso terrestre ai lati di New York City, con una meravigliosa spiaggia bianca e lo sconfinato oceano Atlantico del Nord a rendere il tutto un incantevole quadretto.

In più distava relativamente poco da Flanders, la sua città, che con appena i suoi quattromila abitanti necessitava davvero di un luogo simile a quello per fuggire dalla sua monotonia.

C'era a malapena un night e una discoteca in città.
Lei poi non abitava nemmeno in centro città, ma leggermente fuori.

Con appena trenta minuti di auto... eccoti là.
Sdraiato sotto il cocente sole ad abbronzarti.

Ma quella sera Zeus doveva essersi incazzato sul serio e stava riversando tutta la pioggia dell'Olimpo sopra a quel fazzoletto di spiaggia.

"Come potrei sopportare la tua voce gracchiante che racconta per la dodicesima volta la storia di quel maledetto uccello e del tuo gatto obeso? DEVO berci su!" la schernì il rosso, portandosi alla bocca una nuova bottiglia di birra che ancora schiumava.

Ignoralo Johanna, non dire una cazzata come tuo solito, cercò di ammonirsi.
Dargli corda era controproducente. Al massimo la corda poteva dargliela per impiccarsi.

"Ti ho ferita nel cuoricino, piccola Jo?" se la rideva come un matto insieme ai loro amici presenti alla festa.
Loro due insieme erano un vero fenomeno da baraccone.
Anche se, da come le sorrideva bonariamente divertito, si vedeva che non aveva l'intenzione di ferirla, ma solo punzecchiarla.

Domanda-risposta, risposta-domanda... all'infinito.
O per meglio dire, frecciatina-offesa, offesa-frecciatina.

"L'indifferenza è un vaffanculo silenzioso" gli rispose per le rime, provocando nel gruppo un urletto simile a quello dei Telettabies, che ora ridevano di lui e non più con lui.

"E come farai a rimanere indifferente a questo pezzo di manzo?" sorrise sornione, indicandosi tutto il corpo.

"Pensi di essere l'unico bello sul pianeta Terra? Ripigliati!" rispose di getto, senza pesare le parole.

Maledetta boccaccia.

Nemmeno a dirlo, sul viso del rosso comparve un sorrisetto malizioso indirizzato unicamente a lei.
Jack si alzò facendo il giro del tavolo e le si sedette di fianco, provocandole sulla schiena peli lunghi in direzione Croazia.

"Finalmente l'hai ammesso" le fece l'occhiolino compiaciuto.

Era rossa, oltre che di capelli, anche di rabbia e imbarazzo.
La pazienza poi, stava per abbandonare non solo il localino, ma addirittura l'America.

La persone non apprezzano abbastanza, né capiscono, lo sforzo che faccio per non diventare una serial killer.

"Ammetterò solo che è un vero peccato che con un temporale del genere nemmeno un fulmine ti abbia preso in pieno" lo prese in contropiede con il suo sarcasmo e ancora di più quandò gli fregò la bionda ghiacciata dalla mani per scolarsela.

"RAGAZZI! BAAAAASTA!" Christine era sempre la solita paciera della situazione, ma adesso sbuffava vistosamente.

Aveva anche leggermente ragione in effetti!
La spiaggia sotto i colori del temporale era meravigliosa, il localino tutto per loro, la birra c'era, la musica buona anche...

Ma lei e Jack non riuscivano proprio starsene zitti e ignorarsi, perché c'era qualcosa di elettrico fra di loro.

Ormai erano tutti abituati a vederli litigare ogni minuto che passavano insieme.

Il film era sempre lo stesso:
lei lo offendeva e lui le rispondeva a tono per poi ricomiciare di nuovo, in un loop infinito.

Purtroppo l'ultima parola ce l'aveva quasi sempre Jack perché, con il suo sarcasmo insuperabile, a volte la lasciava senza nulla da ribattere.

Ma oltre a questo rapporto fatto di fuoco e fiamme loro erano anche, non meno importante, amici.
Soprattutto per Johanna, che ci teneva tantissimo al rosso.

Le era stato vicino in momenti in cui altri erano scomparsi.
Anche Christine, per quanto ritenesse sua amica non era 'L'Amica'.

Come se non bastasse, c'era una verità inconfessabile...
Una verità che per ammettere a sé stessa impiegò mesi e una buona dose di coraggio.

Sapeva perfettamente che non sarebbe dovuto succedere perchè Jack era impegnato.
Sapeva anche che lui, probabilmente, se lo sarebbe fatto un giro di giostra insieme a lei, a giudicare da come le guardava tette e culo, ma sarebbe finita lì.
Soprattutto sapeva che se voleva continuare a essere sua amica doveva trattenere il suo lato iper impulsivo che le gridava di andare e prenderselo, a costo di tirar fuori i forconi.

Era anche vero però, che se avesse dato ascolto al suo istinto ogni sera si sarebbe ritrovata a scrivere messaggi di 'Vai a farti fottere' e 'Tuo nonno scoperebbe meglio' a tutti gli idioti con cui era uscita.
Meglio evitare di palesare troppo il suo Es.

Jack questo glielo ripeteva di continuo.
Non sopportava quando parlava volgarmente o quando usava parole poco consone a una ragazza.

Ma francamente, che si fottano tutti.

Lei era così, niente e nessuno l'avrebbe fatta diventare un'insipida, educata, sottomessa, donzella da salvare dal drago sputa-fuoco della torre.

Il drago era lei.

Ma non la classica bestia che mangiava tutti per protezione del suo oro nella montagna, no.

Magari.

Lei assomigliava al drago di Dragonheart, con il cuore gentile e innamorato.

Come il protagonista di quel film, non era scampata all'amore.

Amava e odiava allo stesso tempo quel coglione che conosceva da due lunghissimi anni.

Lo amava perché anche se era uno sbruffone idiota era anche simpatico, intelligente, sagace, sexy, un amico, sincero, divertente...
In fondo era davvero una brava persona.

Bastava uno suo sguardo prolungato per più di cinque secondi per farle sentire immediatamente il sangue ribollire e il cuore battere come un martello pneumatico.

La conferma dei suoi sentimenti inopportuni l'ebbe più volte, ma non lo ammise subito.

A volte dava la colpa al ciclo che le sballava gli ormoni, a volte al troppo alcool della sera prima e a volte al suo modo di scherzare con lei sorridendole.

L'assoluta certezza venne con un triste episodio: la morte del cagnolino della ragazza.

Due settimane prima si era chiusa in casa da tre giorni, tra fazzoletti madidi di lacrime e film come 'Hachiko' che guardava a ripetizione, da brava autolesionista qual era.

La tristezza che aveva provato quando il veterinario le scrisse nero su bianco l'appuntamento con data e ora per sopprimere il suo amato bobtail, non era ancora passata e l'aveva lacerata dentro.
La malattia era troppo avanzata e il suo amico scodinzolante stava soffrendo terribilmente.

Sapeva di non avere alcun diritto di prolungare la sofferenza di chi l'aveva amata senza riserve, ma il pensiero di dire addio a Max rimaneva comunque insopportabile.

L'idea di uscire con gli amici e divertirsi le faceva venire il voltastomaco... avrebbe passato tutto il tempo possibile con il suo amico, fino alla fine.
Voleva che vedesse lei per ultima e non uno con un camice che nemmeno conosceva.

I ragazzi del gruppo, ovviamente, le scrissero frasi di conforto ma nessuno se ne era davvero interessato.

Tranne lui.

Si dimostrò l'amico più sincero di sempre standole accanto nel giorno più difficile quando inaspettatamente bussò al portone della sua villa... ed era bello come un sogno.
Come un pezzo di immacolata spiaggia thailandese.

Indossava jeans neri strappati alle ginocchia e una maglietta che gli fasciava perfettamente quei muscoli perfetti che si pompava tanto accuratamente in palestra.

'Armani' recitava l'elastico delle sue mutande, che fuoriusciva dal pantalone.

Avrebbe voluto vederlo con quelle addosso... con solo quelle addosso.

Nonostante gli occhi gonfi di pianto e il suo aspetto osceno si sentiva ardere per lui.

La sua sola presenza la mandava in tilt anche in quella situazione, maledizione.

Tutto ciò venne amplificato a dismisura nel momento in cui lui le offrì la spalla, sulla quale farsi forza, per accompagnarla nell'ultimo viaggio del suo amico peloso.

Mai sarebbe riuscita a varcare la soglia della porta di quella clinica maledetta, che ora odiava peggio della maionese sul gelato, senza il suo aiuto.

Mai.
Probabilmente l'intento sarebbe stato quello di andare ma era quasi certa che avrebbe scaricato questo macigno ai genitori poco prima di salire in auto.

Jack invece sapeva che il tempo, una volta lenito il dolore, avrebbe dato spazio ai rimpianti e rimorsi.
Sapeva, perché la conosceva bene, che lei si sarebbe incolpata di non essere stata abbastanza forte e di aver fatto la cosa più egoistica della sua vita:

Lasciare morire da solo il suo amico.

Non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza.

Al rientro da quel posto infernale sapeva di essere un fascio di nervi tremolanti e difatti una marea di lacrime scesero giù copiosamente, inumidendole tutto il viso.

Vedere nei sedili posteriori quel sacco nero, contenente quello che un tempo era un musino umidiccio che la leccava la faccia, la stava facendo uscire di testa.

Il suo cuore, colmo di piccole lame taglienti, si tranquillizzò solo quando Jack le raccontò della leggenda del 'ponte dell'arcobaleno'.
Era una vecchia leggenda indiana, utile per rasserenare i cuori tristi degli umani lasciati indietro dai loro Fido.

"Gli animali che ci lasciano aspettano insieme giocando fra di loro immersi nel verde di un giardino paradisiaco. Il tempo lì non passa lentamente come per noi. E, quando sarà il tuo momento lo andrai a riprendere e sarà come esservi separati solo per qualche ora. Ma vedi di andarci solo quando sarai talmente vecchia e rugosa da far invidia alle mummie egiziane"

Con la sua presenza e qualche frase sarcastica era riuscita a farla ridere dopo giorni di tormento.

La cosiddetta risata lacrimogena.

Soprattutto perché sapeva perfettamente che Jack a quelle cose non credeva nemmeno per scherzo.

Fu in quell'esatto momento che capì di amarlo. Le fu chiaro come era chiaro il cielo notturno macchiato da un lampo bianco scintillante.

E dopo quell'episodio eccoli lì, a litigare per delle stupide birre.

Non lo avrebbe mai, mai, mai, mai ringraziato abbastanza.

Ma col cazzo che sarebbe diventata carina e coccolosa! Il loro rapporto era quello che era, inutile tentare di cambiarlo.

Cane e gatto!

Certo, il gatto amava il cane, ma questo era unicamente un suo problema.

La cosa sarebbe rimasta segreta, lui non l'avrebbe mai saputo... e il motivo era tanto semplice quanto imprescindibile.

Era fidanzato.

Anzi, fidanzatissimo, anche se nessuno di loro l'aveva mai vista, questa ragazza del mistero.
Si vociferava che l'avrebbe presentata al gruppo da lì a poco, chissà.

Non parlava mai di lei, come se volesse tenere separata la vita amorosa dalle amicizie.

L'unica volta che si espose la dipinse come una ragazza molto timida, introversa e che faticava a socializzare.

Voci maligne dicevano che era così esageratamente magra e senza forme da far invidia ai manici di scopa.

Voci peraltro fondate, dal momento che confermò lei stessa il tutto dopo averla vista una sera di fronte alla fermata dell'autubus mentre i due erano insieme.

Ed era proprio per questo che Johanna non gli avrebbe mai confessato i suoi sentimenti!

Nemmeno in un universo parallelo ci si può interessare a qualcuna che è l'esatto opposto della propria ragazza.

È impossibile.

Perciò, tutto ciò che provava doveva seppellirlo dentro sé stessa e farselo passare.

SUBITO CAZZO!
 

[Sai Ariel, quella volta ti ho raccontato la storia di Max.
Mi ricordo perfettamente i tuoi occhi accendersi quando ti ho parlato della leggenda del ponte dell'arcobaleno.
Credo non la conoscessi.
Con quel cucchiaio di gelato in bocca e gli occhi lucidi che ti erano venuti mi facevi sorridere, eri un personaggio. E se lo dico io deve essere vero perché tutti non fanno che dirmi che sono io quella strana.
Mi manchi.
Johanna]

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Confessione ***


Qualche tempo dopo la festa di compleanno di Christine, le due ragazze decisero di andare al parco aquatico appena aperto. Carino ma niente di straordinario.

Due piscine di diversa altezza e dimensione a seconda della destinazione d'uso, scivoli più o meno pericolosi, un campo da beach-volley e per tutto il perimetro lettini con tanto di ombrelloni.

Non andavano certo per gli scivoli spacca-collo ma solo per fare le lucertole spiaggiate sotto il sole cocente, quando la spiaggia di Noyak Beach era strapiena
di turisti. Proprio per questo gli abitanti dei paesini lì vicino erano davvero contenti di questo nuovo posto. Nessun turista andrebbe mai in un banale parco acquatico quando ha a disposizione quel pezzo di paradiso marittimo.

Tra l'altro per essere fine Settembre faceva ancora un caldo infernale e i turisti ronzavano peggio delle zanzare.

"Vorrei morire qui" la sua amica si stiracchiò comodamente sopra il lettino, con la pancia rivolta verso il basso.

Christine indossava un top lilla e un tanga in pendant che facevano intravedere le natiche bianco latte della ragazza.
Non che Johanna fosse da meno con la sua brasiliana bianca semi trasparente e il pezzo di sopra molto scollato con frappa, che le dava quell'aria super fru-fru.

"Culo all'aria senza ritegno, eh?"

"Ovvio" le sorrise scherzosamente la bionda.

Suppongo che la birra ghiacciata me la berrò io. Tanto meglio.

Tirò fuori dal borsone la prima birra, abilmente camuffata in un termos... c'erano pur sempre dei bambini e non voleva passare la giornata trucidata dagli sguardi delle mamme rompicoglioni che non si ricordavano più cosa vuol dire essere giovani.

Adorava bere quella bevanda al contempo saporita e dissetante che riusciva a farle dimenticare per un po' i pensieri che la tediavano.

Se la stava scolando come se non ci fosse un domani e stava sicuramente alzando il gomito, visto il leggero giramento di testa.

Sfiga voleva che il posto che assegnarono a lei e Christine fosse tremendamente vicino al campo da beach-volley dove un rumoroso stuolo di ragazzi urlava ad ogni punto segnato.

Ogni tanto, diciamo ogni due urletti, buttava un occhio veloce per vedere quel ben di Dio che il vecchio bigliettaio gli aveva concesso di vedere.

Non era solo lei a fare un 'controllo qualità' comunque.
Avvertiva nitidamente sul suo sedere e sul seno una sensazione di calore e disagio, dovuta dagli sguardi ben celati dei maschi arrapati nei dintorni.

A un certo punto in mezzo al 'ben di Dio' vide un ragazzo identico a Jack e ne diede la colpa all'iniziale sbornia.
Capello rosso, stessa risata, stesse spalle... stesso tutto.

Bevo per dimenticarlo e invece lo vedo doppio. Che schifo.

Poi d'un tratto, la sua pace dei sensi fu interrotta bruscamente.

"ATTENZIONE! PALLA!" un urlo proveniente dal campetto dove c'era il sosia del rosso squarciò il clima sereno del parco.

Poi il disastro fu talmente immediato che quasi non si rese conto di nulla.

BOOM.

Una botta in pieno viso e un dolore tonfo al naso.

"Dannazione! Jo, stai bene?" Christine si era alzata di scatto dal suo lettino per raggiungerla e aiutarla a mettersi seduta.

"Il n-naso" balbettò intontita mentre si guardava inorridita la mano sporca di sangue rosso vivo.

"JOHANNA! CAZZO!" una voce maschile fece capolino dietro di lei.

Nonostante la testa le rimbombasse da morire, le stesse salendo un mal di testa allucinante e perdesse sangue come una mucca appena macellata... trasalì.

Quella voce, la sua voce, l'avrebbe riconosciuta anche tra la folla di Tokio.

Sentì lui e Christine parlottare in modo non definito captando solo toni nervosi.
"Siete dei bifolchi" e "...voi mezze nude con quei bikini avete fatto deconcentrare Peter dalla palla!"

In men che non si dica Jack la sollevò a mo' di sposa dirigendosi negli spogliatoi maschili raccomandandole di tenere la testa reclinata verso l'alto.
Il mancato cavaliere non si rendeva conto che più le diceva di stare calma e di avere pazienza... più lei si innervosiva.

Sono grata di non avere il porto d'armi, pensò infastidita a causa del naso che ora aveva preso a pulsare.

"Ahi cazzo..." una fitta la fece imprecare.

Mentre sbuffava addolorata si chiese che cavolo aveva Jack da sorridere tanto divertito.

"Tra portar pazienza e volere il porto d'armi è un secondo, lo so" replicò visibilmente divertito.

"L'ho detto ad alta voce?" chiese quasi retoricamente Jo.

Che figura di merda.

"Che tipo che sei" Jack rideva ancor piu divertito.

Si ritrovò delicatamente adagiata in una delle panchine dello spogliatoio. Lui si era allontanato per frugare dentro un armadietto prendendo un asciugamani, per poi sparire in uno stanzino e aprire un rubinetto facendo scorrere l'acqua.

Sentiva ancora le sue mani plasmate su di lei, il suo respiro che le sfiorava la fronte e la sua voce che le diceva parole di conforto.

Quando il ragazzo le si inginocchiò di fronte le appoggiò la pezza bagnata sul naso.

"AHHH! BOIA MISERIA ADDOLORATA! È FREDDA! CAZZO, CAZZO, CAZZO!"

Il liquido, che colava fino al collo e sul suo décolleté abbondante, le parve ghiaccio sciolto sulla pelle bollente e la fece malamente rabbrividire.

Un sorriso beffardo si fece spazio nel volto del giovane.
"Un'altra volta tesoro"

Lei gli lanciò uno sguardo di rimprovero "Non ti smentisci mai tu eh"
Jack non ebbe il tempo di replicare quando sentirono voci maschili si fecero via via più vicine alla porta dello spogliatoio.

Jack la squadrò velocemente, soffermandosi nella zona del seno.

Quando anche lei guardò in quella direzione divenne rossissima.

Il costume bianco da bagnato era diventato quasi trasparente, lasciando ben poco all'immaginazione e il freddo aveva fatto spuntare qualcosa che non sarebbe dovuto uscire allo scoperto.

Rientrate in casa amici miei... non fate questi scherzi.
Avrebbe dato un penny a qualsiasi altra donna per sapere di non essere la sola a parlare ai propri capezzoli sull'attenti.

Sì sentì ancor più a disagio quando udì delle voci maschili avvicinarsi velocemente verso di loro. Probabilmente entro dieci secondi non sarebbero più stati soli nello spogliatoio.

Cercò attorno a sé una maglietta o qualcosa con cui coprirsi ma non vide niente perché, giustamente, tutti avevano messo al sicuro negli armadietti i propri effetti personali.

Jack prese in mano la situazione ed entrò in una delle docce munite di serratura, trascinando con sé una Johanna ancora incredula di essere in quella situazione.

Il corpo del ragazzo era così vicino a lei che poté percepirne tutto il profumo e ammirarne la maestosità. Qualcosa si smuoveva tra le sue cosce, qualcosa le mandava a fuoco l'inguine...

Stai calma Johanna, rilassati.
Davanti a te hai a pochi centimetri uno dei ragazzi più belli di sempre, ma placa i bollenti spiriti, pensa al naso mezzo rotto! Pensa al sangue, sangue ovunque, sangue a fiotti...

Ma ragionare con lui a una coccinella di distanza era pressoché impossibile.

"... e le due fighe che prendevano il sole?" uno dei tre ragazzi appena entrato nello spogliatoio interruppe i suoi pensieri porno.

"Tutti hanno fatto la radiografia a quelle due" l'amico parlava con tono lussurioso.

"Quella che si è beccata la pallonata ha un costumino bianco che le fa due bocce da degna spagnola" risero come se fosse la battuta del secolo.

Ok, stava per vomitare.

"Una così mi piacerebbe tanto metterla a pecorina"

Ok, stava per incazzarsi.

I suoi ormoni, solitamente calmi e pacifici, misero l'armatura e le avevano già fatto afferrare la maniglia della porta.

Jack però, anticipando le sue azioni la bloccò, intimandole il silenzio con l'indice eretto di fronte alla bocca.

"Te lo spezzerei quell'indice. Mica parlano di te come un giocattolino da quattro soldi." gli sussurrò alterata afferrandogli il dito con la mano.

Grazie a chissà quale Dio la radio che trasmetteva musica attraverso gli altoparlanti permetteva loro di sussurrare senza farsi sentire.

"Taci" la fulminò a sua volta con lo sguardo.

"C'è qualcuno?" uno dei tre si era accorto del loro battibecco quando il sussurro divenne leggermente più alto.
Maledetta radio che non trasmetteva mai musica metal al momento giusto.

Cos'è una specie di pipistrello con il super udito?

Jack le stava tappando la bocca con una mano cercando di tenere a bada la sua impulsività per evitare che rispondesse ai tre pervertiti facendosi così scoprire.
Dapprima guardò con disapprovazione Johanna per poi rivolgersi direttamente al pervertito là fuori, non distogliendo mai lo sguardo dai suoi occhi... incatenati inesorabilmente ai suoi.

Sassi grigi e acqua cristallina che si mischiavano creando un perfetto fondale marino.

"Stavo cercando di levarmi di dosso tutto questo cazzo di cloro e invece sono capitato in una discussione tra tre ragazzini arrapati per due tette"

Quegli occhi grigi le facevano perdere la testa da mesi ed ora li aveva vicinissimi ai suoi.

Poteva distinguere le minuscole pagliuzze verdi che spezzavano la monotonia del colore predominante.

Chissà perché non voleva che lei scatenasse il suo femminismo.
In fondo era il suo passatempo preferito vederla incazzata.
Poi le balenò in testa il pensiero che magari lui stesse cercando di proteggerla dallo sguardo voglioso dei tre sul seno quasi del tutto esposto.

Non illuderti Jo, non essere stupida.

"Amico, ma l'hai vista quella? Su una così potrei farmi delle seghe fino a domani mattina"

Madonna santa benedetta incoronata!

Ora basta, era finito il tempo del 'tu non hai visto niente'.

Niente 'carina e coccolosa' per oggi.

Jack ormai la conosceva come le sue tasche e sapeva che il silenzio a momenti sarebbe stato interrotto, perciò blaterò a raffica parole che la riccia quasi non comprese.

"Se parli ci faremo scoprire da quei tre, che poi lo spiffereranno al loro amico bagnino, che ci proverebbe con te subendo un rifiuto, che per vendetta informerà il titolare, che per tenersi buone le mamme bigotte ci bandirà da qui..."

"Che al mercato mio padre comprò" sussurrò divertita Jo, ma lui nemmeno la badò.

"Col cazzo che ci rinuncio ad un posto del genere per la tua testolina bacata!"

Pochi minuti dopo lo spogliatoio era di nuovo vuoto, ma il cuore della riccia invece era ricolmo di desiderio.

Quei muscoli perfetti la tormentavano giorno e notte, quelle labbra carnose bramavano di essere baciate.

"Scusa come hai detto?" gli chiese non appena si rese conto di una cosa detta poco prima dall'oggetto della sua disperazione.

"Eh?"

"Come fai a sapere che avrei dato il due di picche al bagnino, scusa?"

Un sorrisone dolce ma con un retrogusto di strafottenza si allargò sul viso del rosso.

Clic.

Jack, sentendosi al sicuro, aveva riaperto la porta ed era appena uscito dalla cabina doccia sedendosi su una delle panchine.

Il sangue sporcava ancora il pavimento.

"Perché in fondo lo so che sei pazza di me" si prese gioco di lei, come al solito.

E lei sapeva esattamente cosa lui si aspettava di sentire:
Col cazzo che lei era pazza di lui, che piuttosto si sarebbe fatta una delle mamme bigotte, che nemmeno se fosse stato l'ultimo uomo sulla terra si sarebbe avvicinata a quelle lentiggini contagiose.

Invece decise di prendere un bel respiro profondo e con una buona dose di coraggio la loro routine di litigio-offesa-litigio si interruppe.

"È vero"

O la va, o la spacca.

[Senti Ariel, tu credi nel destino... giusto?
Io no, per me sono tutte cazzate.
Ma forse quel naso sanguinante era voluto da qualcuno... chissà da chi.
Mi ricordo ancora quando mi hai detto che il fatto che io e Jo ci siamo innamorati era un qualcosa di predestinato. Adesso voglio crederci.
Jack]

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Desiderio ***


"Perché in fondo lo so che sei pazza di me" si prese gioco di lei, come al solito.

Johanna decise a prendere un bel respiro profondo e con una buona dose di coraggio la loro routine di litigio-offesa-litigio si interruppe.

"È vero"

O la va, o la spacca.

Jack divenne una statua di pietra e la guardava come se non l'avesse mai vista prima, con gli occhi grigi serrati e animati da un luccichio strano.
Il cuore le batteva talmente forte da farle quasi credere che entro tre secondi avrebbe iniziato a pulsare fuori dal petto. 
Esso perse qualche battito a causa della tristezza e dell'imbarazzo che si impadronirono di lei; si pentì subito della confessione appena fatta.

Aveva sperato di vederci qualcosa di più in quei dannati occhi, magari felicità, magari sollievo ma leggeva solo stupore e nulla di più.
Lei e la sua dannata boccaccia stavano tremando senza freno.
Si sentiva desolata dei sentimenti che provava verso qualcuno per il quale era solamente una pazzoide stramba. Al contempo, si sentiva anche mortificata nell'orgoglio per aver messo a nudo una verità che sarebbero divenuta, di lì a poco, uno scomodo imprevisto.

L'espressione del rosso era esterrefatta e confusa, come a palesare che era stato preso contro piede. In quel momento l'unica cosa che lei bramava era una sua parola, un gesto, un sorriso, uno sguardo... qualsiasi cosa era meglio di quel silenzio assordante.

Le farfalle che avevano preso a volteggiare nello stomaco erano non una o due, ma almeno cento.
Se fossero state però banali farfalle bianche non avrebbero avuto la capacità di provocarle con il loro battito d'ali una sensazione di vuoto, simile a un buco nero.

No, non erano farfalle.
Dentro di lei aleggiavano falene della notte.

Tutto questo la metteva tristemente a disagio... cosa che, per il suo modo di essere, era al quanto strana.
Si sentiva umiliata, fragile, esposta, mortificata, indesiderata e tremendamente stupida.
Con tutto quello che si portava dentro era una fortuna che pesasse solo cinquantaquattro chili.

Sperò fino all'ultimo minuto che lui interrompesse quel momento e invece rimase a fissarla come in trance.

La delusione che definitivamente fece morire tutte le sue falene insieme nacque quando Jack abbassò lo sguardo e le diede la schiena.
Era così insopportabile quel sentimento che l'unico modo di soffocarlo fu dirigersi verso l'uscita di quel maledetto spogliatoio.

Probabilmente qualsiasi altra persona avrebbe reagito incazzandosi verso chi ignora deliberatamente la propria dichiarazione d'amore.
L'ira infiamma gli animi e dimostra quanto ci si tiene... perché per arrabbiarsi ci vuole energia, fatica e tempo.
Lei invece sentiva chiarissimo il bisogno di allontanarsi dalla fonte del suo malessere.

"Senti, fai finta di niente" gli disse procedendo verso la porta mentre un magone alla gola si stava facendo sempre più grande.

Non poteva permettersi di stare lì dentro un minuto di più.

"Non mi piaci, Johanna" finalmente lui interruppe il silenzio, affondandole però nel petto un coltello con la punta inzuppata di umiliazione. 

"Sì, lo sapevo già" pregò di non piangergli davanti ma gli occhi erano umidi di afflizione, ogni parola era una coltellata inflitta al cuore con mira invidiabile.

"Sei l'esatto opposto della mia ragazza, che amo" si decise ad andarle incontro nell'esatto momento in cui lei d'istinto circondò il proprio bacino con le braccia, come a tirar su una corazza per proteggere il suo corpo da quelle parole che la ferivano come tante piccole lame taglienti. Martoriandola.

"So anche questo" d'improvviso la mattonella verde smeraldo era diventata molto interessante da osservare e capì che se non fosse uscita subito da lì non sarebbe finita bene per lei.

Perciò allungò le dita sulla maniglia e aprì di qualche centimetro la porta che venne prontamente richiusa dalla mano del ragazzo che le era venuto di fianco.
Era così vicino che riusciva a sentire il suo respiro su quella misera e fragile barriera rivela-emozioni che era la sua pelle. I peletti le si rizzarono subirò a causa dei brividi.

"E allora che cazzo mi vieni a dire? Pensi davvero che potrebbe piacermi una come te?"

Le sputò quelle parole quasi fossero un insulto orribile e sembrò trattenersi dall'urlarle in faccia tutta la frustrazione che provava.  C'era anche qualcos'altro che tentava di uscire ma era tenuto in gabbia.

La riccia si girò verso sinistra per mettere distanza fra i loro corpi ma il braccio di Jack, tendendosi contro la porta, bloccò la sua fuga.

Johanna lo guardò fisso negli occhi glaciali, mentre prendeva rabbiosamente atto che i suoi si stavano riempiendo di amare lacrime per l'umiliazione subita.

"Vaffanculo"

Detto questo urtò il braccio della pila di merda che aveva di fronte maledicendo il coraggio che era riuscita a mostrare, ma che non era servito a un emerito cazzo.

Finalmente la collera stava imperversando e per la seconda volta stava già riabbassando la maniglia della porta, desiderosa di scappare da lui e sterminare lei stessa le falene appena resuscitate nel suo stomaco che le causavano una fitta fastidiosissima.

Il dolore poteva esternarsi fisicamente?

Si ricordò di un detto terribilmente calzante con la situazione:
Quando la giornata inizia male non può far altro che degenerare.

Difatti risentì nuovamente voci maschili avvicinarsi alla stanza, diventata improvvisamente piccola e soffocante.

Ma che palle! 

"Che rottura di coglioni" il riccio richiamò l'attenzione della ragazza con le sue imprecazioni "Ci sono ancora quei cazzoni" le disse sottovoce trascinandola ancora nello stanzino della doccia, mano nella mano.

Di nuovo mille emozioni la investirono, con la stessa potenza distruttiva con cui il tornado spazzò via la casa di Dorothy in Kansas, quando si ritrovarono nuovamente vicino in quella microscopica cabina doccia.

Il suo profumo, le sue labbra così piene...

Proprio come quel devastante tornado, anche Jack si portava via pezzi di lei... non aveva alcuna intenzione di chiederglieli indietro. Se li poteva tenere tutti e farci un falò.

È molto più umiliante elemosinare che non possedere qualcosa che non è nostro.

"Ma che fanno ancora qua? Si sono scordati di sgrullarselo a vicenda per caso?" la sua parte sarcastica uscì allo scoperto per difenderla dalla sua parte in sofferenza.

Jack roteò gli occhi "Certo che ne spari di cazzate"

"Amico hai bisogno di una rivista di culi in quella doccia? Sei lì da almeno venti muniti. Penso tu abbia problemi d'impotenza a questo punto!" asserì divertito lo sgrullatore.

Avrebbe dato in beneficenza le sue mutandine di Dior per immortalare l'espressione di scazzo che Jack aveva in viso. Se la situazione non fosse stata così assurda e avesse avuto il cellulare dietro, probabilmente lo avrebbe ricattato con una fotografia fino al prossimo millennio e lo avrebbe avuto in pugno per sempre.

Era, tra le altre, una delle espressioni più autentiche che le riservava praticamente ogni minuto passato insieme e lei aveva imparato ad amarla.

Il rosso le premette forte la mano sulla bocca intimandole di chiudere il becco.

Ci risiamo. 

Era impossibile trattenere le risate quando, tentando di liberare la bocca, morse la mano del ragazzo che spalancò gli occhi a mo' di pesce palla. Sentiva che entro breve le sarebbe venuta un'esilarante ridarella e allora sì, che il loro nascondiglio poteva andare a farsi benedire.

"Preferisci che ti portiamo quella che avete ridotto un catorcio? Con il culo che si ritrova se la metti a novanta fai in un secondo, fidati" detta questa porcata Jo non riuscì più a controllarsi.

"Stai buona" la ammonì, tappandole sempre la bocca.

Visto che il morso non aveva sortito l' effetto desiderato passò all'attacco con un enorme leccotto alla mano del rosso, che schifato mollò improvvisamente la presa.

"Mi avvalgo della facoltà di fare come cazzo mi pare e non doverti dare spiegazioni" fulmini e saette ravvivavano di amor proprio i suoi laghetti di montagna.

Stava già pregustando il momento in cui avrebbe urlato addosso a quel caprone; una mente umana non partorirebbe mai ciò che avrebbe detto nemmeno dopo un'attenta ricerca su internet.

Invece, contro ogni previsione, si ritrovò bloccata contro le piastrelle fredde della parete.
Jack, facendo aderire completamente i loro corpi, le impediva la scenata... lui e le sue lentiggini avevano già intuito le intenzioni della ragazza.

Ma non sarebbe stata zitta e buona a sentirsi dare della bambola gonfiabile da dei perfetti idioti che probabilmente le uniche tette che avevano visto erano quelle delle madri.
Da neonati.

"Senti COSO, levati dai coglioni" sussurrò a due centimetri dalle sue labbra.

La sua parte irrazionale tutto avrebbe voluto, tranne che lui si allontanasse... dover combattere contro se stessi è estenuante.

Lo stupore la invase come un treno in piena corsa quando si rese conto che nessun insulto sarebbe partito dalla sua bocca.

Quel maledetto aprì il getto di acqua fredda gelata che la investì come uno tsunami e la fece sussultare.

D'istinto con una grossa spinta, si staccò dalla parete e gli arpionò il collo inarcando a più non posso la schiena per evitare che la cascata gelida, infrangendosi come spilli sulla sua pelle calda e delicata, le provocasse ulteriori fitte.

Ora era lui a essere contro il muro, mentre Johanna gli era addosso spalmata come una scimmietta infreddolita.
D'istinto la mano del ragazzo le coprì la nuca, quasi volesse proteggerla da un possibile contraccolpo della botta causata dallo schianto al muro.

Quando si rese conto della posizione in cui si trovavano lo guardò incredula. Come in shock poggiò le mani sui suoi pettorali muscolosi per distanziarsi.

Jack a quel contatto parve accendersi e con ancora l'acqua gelida che li costringeva attaccati fece scivolare, in una dolce tortura, la sua imponente mano dal collo alla schiena coperta solo dai lacci del pezzo di sopra. Quando sentì le dita di lui scorrere proprio sopra quel blando filo di cotone pensò che avrebbero sciolto il nodo...

Invece le dita proseguirono libidinose sulla sua schiena e con una pressione sicura avvicinò i loro due corpi fino a farli collidere.

Il respiro le si mozzò in gola andando quasi in apnea non appena avvertì il respiro di lui talmente vicino da non farla ragionare lucidamente.

Come poteva farlo con le sue labbra a una coccinella di distanza da quelle dell'oggetto dei suoi desideri...

Una scossa le attraversò il corpo, arrivando fino alla sua intimità, nel momento stesso in cui le mani del rosso ricominciarono a scendere arrivando al fondo schiena. Con una sfacciataggine incredibile Jack le strinse il gluteo sodo nelle mani, intrappolandola con lo sguardo eccitato che le sussurrava verità inconfessabili, per un ragazzo fidanzato.

Johanna gemette.

Il tocco si fece più deciso mentre la sua grossa ed esperta mano stava stuzzicando l'elastico delle mutandine. Sapeva che avrebbe dovuto starsene zitta e subire quell'esplorazione che sognava da tempo, ma come uno schiaffo a mano aperta, le tornò in mente un pensiero che la scosse non poco.

Lui era fidanzato.

Le aveva confessato di esserne innamorato e confermato che lei non le sarebbe mai piaciuta.

Quello che stava succedendo dentro quella cabina doccia non era un cazzo, ma solo mero istinto primordiale scaturito dall'avere una donna mezza nuda e infreddolita spiccicata al proprio uccello. 

"Lasciami" ordinò a denti stretti con il cuore strappato, sapendo di valere troppo per essere solo la 'botta e via' di qualcuno.
O almeno, di quel qualcuno che non mollava la presa su di lei.

Ovviamente Jack doveva sempre fare il cazzo che voleva e non diede ascolto alla sua richiesta, anzi,  continuava a far mescolare il grigio con l'azzurro.
Occhi negli occhi.

Si susseguirono diverse emozioni che rimasero per lei indecifrabili... tranne l'eccitazione.
Quella no, gliela leggeva fin troppo bene.

Il desiderio sessuale era l'unico motore di tutti quei gesti e riuscì a distinguerlo e accertarsene con assoluta certezza quando il rosso fece scorrere gli occhi vogliosi sulle sue labbra a mala pena colorate di rossetto, per poi morsicarsi il labbro inferiore compiendo uno dei gesti più sensuali che Johanna avesse mai visto.

Dopo averla guardata in quel modo si avvicinò sempre di più a lei e premette d'urgenza le sue labbra sulle sue.

La mano tornò a premere dietro la nuca di Johanna e le impediva di ritrarsi da quel contatto.

Non appena la lingua del rosso punzecchiò le sue labbra lei perse definitivamente la testa e le loro lingue finalmente si incontrarono in una danza di puro desiderio e necessità.
Incapaci di ritornare ognuna nella propria solitudine.

Fanculo all'amor proprio.

La divorava con un impeto selvaggio, incontrollabile mentre i loro sapori si mischiavano e completavano alla perfezione... pura libidine. 

Se il paradiso avesse avuto un sapore sarebbe stato sicuramente quello dei suoi baci e della sua pelle.

Si ritrovò inconsciamente a pensare che in un bacio del genere c'era molto di più che la danza di due bocche, l'incontro di due lingue... c'era tutto ciò che era stato taciuto fino a quel momento.

Le baciò il collo con ferocia quasi avesse fame della sua pelle, mentre le mani sapienti la spingevano ancora di più contro di lui ed esploravano ogni millimetro delle sue rotondità, provocandole mille e mille brividi.

Sentì distintamente l'erezione del ragazzo premere sulla sua coscia e in un attimo si ritrovò a desiderare ogni porzione del suo corpo muscoloso. 

Non aveva timore ad ammettere che neanche il suo membro era escluso dal suo desiderio, perché la voglia che aveva di lui era insopportabile e mai provata prima.

Dopo interminabili minuti si ritrovarono entrambi senza fiato e si staccarono per riprendere a respirare. Jo cercò in tutti i modi di far calmare il suo cuore che batteva alla velocità della luce.

Le mani curate di lei indugiarono ancora di più sugli addominali scolpiti, senza distogliere mai lo sguardo dalla persona che per lei rappresentava la perfezione fatta uomo.

Un insopportabile freddo le si abbatté addosso quando Jack si allontanò da quell'unione e soprattutto, quando abbassò i suoi meravigliosi occhi grigi.

Non appena riuscì a farsi passare un minimo la voglia e la bramosia che ancora prepotentemente la invadevano, portò lo sguardo sul viso del ragazzo sperando in un lieto fine.
Peccato però che invece della felicità fu una terribile fitta, ormai familiare, a colpire il suo cuore quando negli occhi del ragazzo lesse il senso di colpa misto desiderio.

Jack uscì dalla cabina e anche dallo spogliatoio, ormai vuoto.

La mollò lì, senza mai voltarsi indietro e senza accorgendosi delle gambe che le tremavano ancora dall'emozione per quello che era appena successo.

Il respiro si fece affannoso guardando la schiena del rosso allontanarsi verso l'uscita e si chiese cosa avrebbe dovuto fare... lasciarlo andare o tentare il tutto per tutto?

"Voglio essere tua" le parole le uscirono senza avere il consenso del cervello, che evidentemente aveva già preso la sua decisione.
In fondo, come volevasi dimostrare, erano precisamente lo specchio dei suoi desideri più nascosti e inconfessabili.

Una flebile speranza si accese non appena lo vide bloccarsi in mezzo alla stanza.

Speranza che morì nel momento in cui, stringendo i pugni così forte da rendere le nocche bianche, lui proseguì la sua camminata senza nemmeno risponderle.

Fammi tua, voglio essere tua... 

Lacrime invisibili le segnarono le gote rosa che ancora profumavano dei suoi baci e del suo sapore muschiato.

Se avesse potuto si sarebbe strofinata la pelle fino a escoriarla per eliminare quell'inebriante odore, ma in fin dei conti sapeva benissimo che non sarebbe servito né farsi del male né sottoporsi a un'operazione chirurgica per cercare di cancellare qualcuno per il quale si ha già perso la testa.

L'amore fa schifo.
A volte la vita ti fa amare qualcuno che non ricambierà mai il tuo sentimento. 
Desiderava che il dolore sparisse come il male al naso era svanito.

A volte, l'amore è la tortura peggiore.

A volte, l'amore è la tortura peggiore

 

 

 

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Capitolo 16
*** CAPITOLI ASSENTI E IN REVISIONE DAL Capitolo 16 - So tutto ***


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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Divertirsi ***


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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Falò ***


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Capitolo 19
*** Capitolo 19 (ESPLICITO) - Salvami ***


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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Fiamme o cenere? ***


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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - La scelta ***


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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Ti voglio ***


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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Toccami (EROTICO) ***


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