Soul Mates

di lady lina 77
(/viewuser.php?uid=18117)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentanove ***
Capitolo 40: *** Capitolo quaranta ***
Capitolo 41: *** Capitolo quarantuno ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantadue ***
Capitolo 43: *** Capitolo quarantatre ***
Capitolo 44: *** Capitolo quarantaquattro ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Aveva vent'anni quando era partito per la guerra, spinto dal padre che voleva toglierlo dai guai in cui spesso, lui che era una testa calda, si cacciava. Vent'anni, un buon nome di famiglia rispettato ed ammirato, un brillante futuro davanti e l'amore incrollabile per una delle ragazze più desiderate ed ammirate della Cornovaglia, Elizabeth Chynoweth.

C'era poi molto altro, ovviamente. Tante sfide nelle miniere di famiglia da affrontare, un gruppo di parenti più o meno uniti che lo attorniavano come solo una famiglia sa fare, due cugini che avevano più o meno la sua stessa età e con cui era cresciuto, una casa forse non elegante ma dignitosa, due servi che erano dei fannulloni senza speranza ma che erano amici sinceri e lo avevano cresciuto, una madre amatissima che aveva perso da bambino e un padre che con la vedovanza si era invece un pò perso a sua volta e che per sfuggire al dolore della morte della sua amata Grace si era lanciato in mille effimere storie di sesso e nella vita sregolata.

Quando era partito, la sua vita stava in perfetto equilibrio fra gioie e dolori ma nel cuore aveva mille speranze e tanti sogni. Tornare, cercare di far risorgere le miniere di famiglia che suo padre Joshua aveva lasciato abbandonate a loro stesse ed aiutare così le tante povere famiglie di minatori con cui era cresciuto e che considerava amiche, vivere in maniera meno ribelle e soprattutto, finalmente, sposare la sua Elizabeth. Lei, bellissima, eterea, che aveva rubato il suo cuore e che in pegno gli aveva donato un anello da cui non si separava mai, era stata il sogno in cui si era cullato durante i momenti più duri di quei tre anni sui campi di battaglia che gli avevano donato, come ricordo, una lunga cicatrice sulla guancia che ne accentuava i tratti duri del viso e gli dava un'espressione non più da ragazzino ma da uomo vissuto. Ma questo non importava, non era nulla per Ross in confronto al desiderio di tornare, riabbracciarla, baciarla e poi chiederla in moglie. Elizabeth apparteneva ad una antica e nobile famiglia, aveva dei genitori odiosi – soprattutto la madre che mal lo sopportava – era forse inarrivabile per un giovane di nobili origini come lui la cui famiglia però era caduta un pò in miseria, ma questo non gli importava. Elizabeth lo amava, lo aspettava a braccia aperte e ogni ostacolo si fosse frapposto fra loro e il matrimonio, insieme lo avrebbero superato.

C'erano molti sogni in lui, sulla via del ritorno dalla Virginia e uno su tutti, rivedere lei, gli davano speranza in un futuro finalmente roseo.

Ma quei sogni si infransero subito, nel giro di una sola serata...

Tornò e scoprì che durante la sua assenza, sei mesi prima, suo padre era morto. Un padre assente, distratto, ma che gli voleva bene e che forse, in lui, aveva trovato l'unico appiglio che aveva per non impazzire davanti alla perdita dell'unica donna della sua vita che avesse amato davvero. Suo padre Joshua aveva trovato una luce in Grace come lui l'aveva trovata in Elizabeth e forse, benché Ross ne condannasse molti comportamenti, da un altro punto di vista comprendeva come la perdita di un amore potesse portare poi alla perdita dell'anima in un uomo...

Ma quel lutto non fu tutto. Solo, smarrito da quella notizia su suo padre appresa da un pettegolezzo sulla carrozza che lo stava riportando a casa, si era recato a Trenwith da suo zio Charles in cerca di visi amici e famigliari. Trenwith, che confinava con Nampara, le due proprietà di due fratelli uniti ma anche da sempre divisi da una eredità iniqua che vedeva il fratello maggiore, Charles, proprietario della terra più ricca e Joshua, il minore, con ciò che restava del patrimonio di famiglia, erano tutto ciò che restava della gloriosa storia della famiglia Poldark.

Ma a Ross questo non era mai importato. Era cresciuto a Trenwith e lì aveva trovato una parvenza di famiglia con i suoi cugini, la dolce Verity che lui adorava e Francis, l'erede di Charles, un ragazzo invece poco dotato di carattere e autostima. Aveva voglia di rivederli, quasi quanto di rivedere Elizabeth.

Giunto in quella casa però, convinto di venire accolto come un gradito ritorno, dovette ricredersi. Visto come un fantasma il cui ritorno sembrava poco gradito, eccetto per l'abbraccio di Verity, gli ci volle poco per capire che era arrivato al momento sbagliato. Una cena, la tovaglia migliore in tavola, calici pieni di vino, l'anziana zia Agatha e zio Charles tirati a lucido, davano il senso di una occasione importante per loro: il fidanzamento di Elizabeth, la SUA Elizabeth, con suo cugino Francis.

Da lì tutto era precipitato in un abisso di dolore e rabbia. Tutto era perduto, la fede nell'amore e la speranza di un futuro migliore.

Elizabeth si era sposata, giurando di amare Francis e alludendo al fatto che dopo tutto, fra loro, non c'erano promesse formali e che pensava che fosse morto... L'amore per lei, il desiderio di lei si erano trasformati in rabbia, dolore, rancore e desiderio di possesso che mai avrebbe potuto soddisfare. C'era ancora tanto amore e ammirazione per lei ma la cenere che li aveva ricoperti ne nascondeva anche gli aspetti più nobili che da sempre avevano albergato nel cuore di Ross nei confronti dell'amata. Ed era altrettanto inaccettabile che Francis, suo cugino, che pensava di non avere le capacità di combinare granché nella vita, era riuscito dove lui aveva fallito. Era amore, il loro? Ross ne dubitava, Ross era convinto che niente e nessuno avrebbe potuto competere con lui agli occhi di Elizabeth... Eppure lei aveva sposato un altro... Li aveva dovuti vedere dirsi sì, aveva assistito alla nascita del loro primo figlio e non aveva potuto essere che un ospite che guardava da lontano la vita degli altri...

Casa sua, in rovina, era pian piano risorta grazie alla sua testardaggine nel voler salvare almeno qualcosa, al duro lavoro, all'aiuto dei suoi amici e al quasi aiuto dei suoi due servi fannulloni, Prudie e Jud, l'unica eredità, assieme a terre incolte e infruttuose, che gli aveva lasciato suo padre.

Ma Nampara, la sua casa, era vuota e fredda e nulla di quello che aveva sognato in guerra si era avverato. Non c'era accanto a lui la donna del suo cuore a ravvivargli la vita, ad attenderlo al ritorno dal lavoro, a dargli amore e sostegno, a creare insieme una famiglia...

Al ritorno la sera trovava cibo malcucinato in tavola, due servi ubriachi, lettere da parte dei suoi creditori che gli ricordavano i suoi debiti e null'altro... Si chiese se sarebbe sempre stato così e si rispondeva di sì, che sarebbe stato sempre così perché senza Elizabeth tutto sarebbe stato senza senso.

L'unica cosa che lo teneva in vita e gli impediva di sprofondare nel baratro della disperazione e di una vita sregolata e distruttiva come era stata quella di suo padre, erano i suoi amici. I minatori, persone temprate dalla vita dura che però per lui erano una famiglia ancor più vera di quella che aveva a Trenwith. Per loro aveva accettato la sfida di riaprire la vecchia miniera di suo padre, la Wheal Grace, per loro aveva accettato di entrare in affari con Francis perché gli serviva il suo aiuto finanziario, per loro aveva implorato chi poteva di prestargli capitale, per loro si era indebitato, aveva ipotecato Nampara e forse sarebbe finito nella prigione dei debitori un giorno. L'ingiustizia della vita, il fatto che esistessero persone ricche che potevano permettersi tutto e poveri che non avevano nemmeno del pane per sfamare i figli, era qualcosa che lui avrebbe combattuto sempre, anche senza denaro e col cuore spezzato.

Francis, desideroso di riallacciare i rapporti con lui che si erano logorati dopo il matrimonio con Elizabeth, aveva accettato quell'azzardo e aveva impegnato i pochi soldi che gli erano rimasti dopo la morte del padre, avvenuta poco dopo la nascita di suo figlio Geoffrey Charles. Francis, di temperamento debole, aveva perso al gioco infiniti capitali e la miniera di famiglia, la Grambler, e solo grazie a Ross aveva ritrovato uno scopo per vivere dopo che il suo matrimonio con Elizabeth era entrato in crisi quasi subito a causa delle ristrettezze economiche, delle sue scelte sbagliate e delle amanti che ne avevano allietato molte notti e alleggerito il portafoglio. In cuor suo Ross però continuava ad invidiarlo e non sapeva che Francis provava lo stesso sentimento per lui perché convinto che in fondo Elizabeth continuasse ad amarlo. Un muro invisibile li divideva ma l'apertura della Wheal Grace, nonostante i tanti fallimenti e le tante incognite che aveva portato con se, li aveva un pò riavvicinati.

Anche se le cose lasciate in sospeso, sospettava Ross, prima o poi avrebbero richiesto il conto... Nessuna delle loro anome era cheta, nessuna delle loro anime si era rasserenata e il passato di certo non era stato superato.


...


Demelza Carne era nata in una umile baracca ad Illugan, figlia primogenita di un padre minatore e manesco e di una giovanissima donna che, dopo di lei, aveva partorito uno dopo l'altro altri sei figli maschi ed era morta di consunzione.

L'infanzia di Demelza era stata segnata dalle botte, dalla fame e dalle mille responsabilità che gravavano sulle sue piccole spalle che dovevano sorreggere i tanti fratellini più piccoli di lei.

Era cresciuta senza regole, senza educazione, come una piccola bestiolina scalpitante di conoscere il mondo ma senza i mezzi per farlo. Avrebbe voluto imparare a leggere, a scrivere, scoprire cosa c'era oltre Illugan e fuggire da quel padre che verso di lei non nutriva alcun sentimento paterno e la guardava come si osserva una bestia da lavoro.

A quattordici anni però, era cambiato tutto. In un povero cucciolo solo e sporco come lei, che aveva chiamato Garrick, aveva trovato il suo primo sincero amico e pochi giorni dopo quell'incontro, ne aveva fatto un'altro, piuttosto singolare, alla fiera di Redruth dove era scappata per sfuggire alle cinghiate del padre che voleva punirla per non aver spolverato a dovere la baracca che lui chiamava casa.

Camminando sul selciato, vestita di stracci e con Garrick al suo fianco, Demelza aveva scorto un uomo non più giovane ma dall'aspetto distinto che era stato aggredito da un gruppo di monelli che avevano più o meno la sua età e che cercavano di derubarlo del suo denaro.

D'istinto, un istinto ancora selvatico ma già votato a combattere le ingiustizie, Demelza aveva raccolto dei sassi e li aveva lanciati contro a quei ladruncoli mentre Garrick, ringhiando, li aveva messi in fuga.

Fu così che conobbe Lord Falmouth, che scoprì essere uno degli uomini più potenti non solo della Cornovaglia ma dell'intera Inghilterra.

L'uomo, accigliato ma seriamente colpito dall'aiuto della ragazzina, aveva cercato di donarle delle monete per ringraziarla ma lei aveva rifiutato, adducendo che non aveva fatto nulla e che non amava la carità. E quell'uomo, colpito da quell'orgoglio e quel fuoco che sembrava divampare in lei non facendola arretrare davanti a nulla, le aveva proposto di lavorare alla sua tenuta di campagna come domestica, in modo da avere cibo, un tetto sulla testa e abiti decenti.

Stordita, incapace quasi di credere che questo stesse succedendo a LEI, Demelza accettò, con la sola opzione di poter portare Garrick con se. Falmouth, accigliato, acconsentì e la ragazza lasciò Illugan, le cinghiate del padre e una vita miserabile che prima o poi l'avrebbe portata a morire prematuramente come sua madre per iniziare un'esistenza più dignitosa. Era solo una ragazzina ma era consapevole che non avrebbe avuto altre occasioni così nella sua vita.

E da lì tutto era cambiato. Entrare in quel mondo nuovo, avere abiti puliti, regole, visi amici attorno, una grande villa come dimora, un parco dove passeggiare nelle ore libere, erano per lei un sogno. Indossare per la prima volta una semplice divisa da cameriera, l'abito più bello che avesse mai avuto, l'aveva fatta sentire una principessa e anche se doveva rassettare, occuparsi di cucinare e tenere in ordine le tante stanze della casa, quel nuovo lavoro sembrava un sogno rispetto alla vita di prima.

Pian piano il suo aspetto selvaggio scoparve e ne mostrò le fattezze di una giovane ragazza bella, con occhi chiari e capelli rosso fuoco, dallo sguardo attento e curioso e dotata di una mente aperta e brillante.

Sbocciò, facendo un lavoro che le signorine della buona società giudicavano umiliante. Ma a lei non importava, ne era fiera e sognava solo di poter fare quel mestiere, in quella casa, per sempre.

Falmouth si era dimostrato un uomo gentile anche se austero, giusto nel rapporto con i suoi lavoratori, mai sopra le righe e sempre corretto nel rapportarsi agli altri. Demelza non ricordava di avergli mai sentito alzare la voce o essere villano e questo le fece capire che al mondo esistevano uomini diversi da suo padre.

Aveva una stanza tutta sua, piccola ma confortevole, che dava sul giardino interno della proprietà, con un letto comodo, un armadio, una scrivania, un caminetto e una cassapanca dove mettere le sue cose. E una cesta dove far dormire Garrick. Si sentiva la più ricca del mondo...

Poi, dopo due anni dal suo arrivo nella dimora dei Boscawen, di ritorno da Londra Lord Falmouth aveva portato con se un suo nipote, Hugh Armitage, che in seguito a dei problemi di salute di incerta natura, aveva dovuto abbandonare l'accademia militare e rinunciare al suo sogno di entrare in marina.

Giovane, di bell'aspetto, dai lineamenti gentili e dotato di un animo poetico e sognatore, Hugh aveva da subito adocchiato Demelza, attratto dai suoi capelli rosso fuoco, dai suoi occhi trasparenti e dalla vitalità che emanava ad ogni suo passo, ad ogni sua parola.

Erano coetanei, era l'unica giovane che, in quella dimora elegante ma spersa nella Cornovaglia, potesse condividere i suoi interessi e Hugh si trovò a cercarla spesso in giardino, quando sapeva che era nelle sue ore di riposo. Era affascinato dalla sua fame di apprendere, imparare, scoprire il mondo... Le insegnò a leggere, la introdusse nel mondo della letteratura e delle poesie di cui era appassionato, si propose di insegnarle a suonare il pianoforte e la spinetta e anche se Falmouth all'inizio era contrario alla loro amicizia, alla fine li lasciò fare. Demelza sembrava una medicina per Hugh e quando c'era lei, lui pareva riprendere forza, vigore e vincere la malattia subdola e ignota che pian piano gli toglieva la salute.

Demelza guardava a quel giovane come a un principe azzurro. Nessuno era stato gentile con lei quanto lo era stato Hugh e anche se sapeva di essere una ragazzina inesperta in amore, non trovava che spiegazioni romantiche a quella emozione che sentiva ogni volta che si incontravano...

Aveva quasi diciotto anni quando Hugh la chiese in moglie, lasciandola a bocca aperta. Demelza sapeva che nessun ragazzo nobile sposa una domestica e al massimo credeva di poterne diventare l'amante, le sarebbe forse bastato questo per vivere il suo sogno d'amore. Ma Hugh non l'aveva mai sfiorata, Hugh voleva amarla da marito e lei, spaventata, aveva balbettato un sì stentato sapendo già che Falmouth avrebbe fatto fuoco e fiamme, che in fondo non aveva nemmeno torto e che lei non aveva assolutamente idea di cosa volesse davvero, di cosa fosse l'amore e soprattutto, cosa fosse un matrimonio.

Ma disse sì, spinta dall'inesperienza e da quel sentimento vago ma piacevole che provava ogni volta che vedeva Hugh. Lui, tanto istruito ed intelligente, sembrava non avere dubbi e quindi lei, che era cresciuta nel nulla, doveva fidarsi. Era qualcosa di bello ciò che li univa e Demelza non sapeva se ci fosse altro, qualcosa di più bello che potesse legare due persone che si sposavano, ma decise di non volerlo scoprire e che a lei bastava così. Certo, Hugh la viziava e la assecondava sempre e forse le sarebbe anche piaciuto discuterci ogni tanto, litigare e far valere idee diverse dalle sue, ma di fatto questo non era mai accaduto, Hugh non sembrava interessato a contrariarla e la loro vita sarebbe scorsa placida e senza scossoni. E forse era giusto così... Litigare dopo tutto era una brutta cosa, no?

Falmouth fece ovviamente strenua opposizione ma Hugh, dimostrandosi di carattere, insistette. Ricordò allo zio del giorno in cui Demelza lo aveva salvato senza chiedere nulla in cambio, di come fosse sempre stata fedele a lui e al lavoro che gli aveva dato, di come fosse sempre stata onesta e sincera e di come, soprattutto, avesse influito positivamente sulla sua salute. Fece poi leva sul fatto che la sua malattia non lo rendeva adatto a un matrimonio combinato con qualche giovane nobile di Londra e nemmeno voleva nulla del genere e suo zio sapeva bene tutto ciò. Voleva Demelza che come lui amava le poesie e il bello, che come lui amava leggere e che insieme a lui ogni tanto suonava il pianoforte, tutto quì. E che gli rimanesse molto da vivere o più probabilmente poco, era con Demelza che Hugh desiderava trascorrere il suo tempo.

Fu forse la parte che argomentava sulla sua salute malferma e su quanto fosse migliorata con la presenza della ragazza, a convincere Falmouth a dire sì. In fondo non aveva scelte migliori da proporre al ragazzo e di fatto, da sempre, lo aveva esaudito in ogni suo capriccio.

Ordinò che la cerimonia fosse intima, per pochi famigliari e senza pubblicità. Sapeva che i pettegolezzi che ne sarebbero seguito sarebbero stati feroci ma sapeva anche che era nella posizione di zittire qualsiasi malelingua sul casato, col tempo. Era un uomo potente, aveva controllo su molte persone che contavano e nessuno avrebbe potuto parlar male di suo nipote senza scatenare in lui biasimo e pericolose ire...

E così si sposarono nella piccola cappella della tenuta...

E quella notte Demelza scoprì l'amore fisico, qualcosa che la incuriosiva ma anche spaventava... Nessuno le aveva mai detto come affrontare quel passo e nonostante Hugh fosse dolce e paziente, di quella prima notte ricordò a lungo il dolore e solo verso la fine del rapporto un vago piacere che però si mescolava con sensazioni fisiche ancora spiacevoli.

Le ci volle un pò per abituarsi a quel passo e per lunghe settimane guardò con terrore all'ora di andare a letto. Hugh era sempre il suo principe azzurro, la riempiva di dolci parole ed attenzioni ma ad entrambi ci vollero molti giorni per trovarsi anche nell'intimità.

Pian piano Demelza imparò come fare, come far capire a lui come voleva essere toccata e a sua volta a capire come volesse essere toccato lui, iniziò ad abituarsi a quelle sensazioni nuove e alla fine a provare piacere.

Ma qualcosa, le gridava il suo cuore, mancava...

Una volta, quando era ancora domestica, aveva sentito il racconto di un'altra cameriera che si era appena sposata e che parlava del sesso come della fusione di corpo ed anima...

E Demelza lo sapeva, c'era fusione di corpi fra lei e Hugh... Ma la loro anima, anche nei momenti di massima passione, non era mai fusa del tutto. Lei restava Demelza e lui restava Hugh. Non erano una cosa sola e tutto continuava ad esistere attorno a quel letto, non diventava sfumato o lontano durante l'atto d'amore, come dovrebbe succedere a due amanti che non concepiscono che loro stessi in quel momento mentre tutto il resto sparisce.

Ma Hugh sembrava contento così e pian piano imparò ad esserlo anche lei. Forse l'amore era tutto quì, forse era sopravvalutato e lei sognava qualcosa che in realtà non esisteva. Forse il concetto di anime gemelle non era che una fiaba per bambini oppure esserlo significava essere come lei e suo marito, sereni e tranquilli, senza scossoni particolari né di giorno né di notte. Hugh la adorava e lei adorava lui, il resto era solo una strana utopia irrealizzabile. Di questo imparò a convincersene anche perché non aveva nessuno a cui chiedere.

Era la moglie di Hugh, era diventata una lady anche se non aveva mai sognato di esserlo e ogni suo desiderio era un ordine per coloro che fino a poco prima erano state cameriere sue pari.

Ma non iniziò mai a sentirsi superiore e sempre, anche se Falmouth spesso la riprendeva per questo, le considerò le sue migliori amiche.

Ma era anche consapevole di dover imparare a gestire il suo nuovo ruolo e cercò di fare del suo meglio senza però sacrificare se stessa. E così imparò ancora una volta una nuova vita fatta di tè, cene galanti, pomeriggi passati a suonare il pianoforte con Garrick appoggiato ai suoi piedi, abiti meravigliosi, giornate a cavallo e notti fra le braccia di un uomo che la adorava e che forse un giorno avrebbe sentito suo del tutto. E lei si sarebbe sentita a suo modo, completamente sua...


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***


La carica di esplosivo e la successiva detonazione non avevano prodotto chissà quali scoperte minerarie. La Wheal Grace si stava dimostrando un buco nell'acqua, un pozzo mangia-soldi che avrebbe condannato chiunque aveva creduto in quell'impresa a una vita votata a pagare debiti che non aveva i mezzi per estinguere.

Ross si asciugò il sudore dalla fronte, guardandosi attorno. Minatori stanchi e scoraggiati osservavano la galleria che si era aperta e anche i loro volti tradivano delusione. Non c'era denaro per altre cariche di esplosivo, si doveva proseguire con il semplice lavoro delle braccia e le possibilità di successo erano scarse.

Mentre dalla scaletta saliva verso il suo ufficio e l'esterno, la mente di Ross cercava disperatamente soluzioni, nomi a cui chiedere fondi, amici da contattare per implorarli di entrare in società anche se senza garanzie di lucro e magari come ottenere nuove ipoteche su Nampara... Non voleva il successo per se stesso, voleva che quella miniera rimanesse aperta per quei minatori che, senza un lavoro, sarebbero stati condannati con le loro famiglie alla fame. Lui era giovane, poteva rialzarsi dalla polvere e al massimo vivere del lavoro della sua terra, ma loro?

Henshawe, che lo aspettava con sguardo truce fuori dalla miniera, lo guardò accigliato. "Era l'ultima carica, capitano".

"Già... E lo sarà finché non troviamo nuovi fondi" – rispose, malinconico.

"Ne vale la pena? Altri debiti? Quando potremo ripagarli?".

Ross fissò l'uomo, grato per il suo aiuto e soprattutto per la sua amicizia saggia e sincera. "Forse mai o forse fra molti anni. Ma a parte questa miniera, che abbiamo da offrire a queste persone?".

Henshawe sospirò. "Nulla... Ma non abbiamo molte strade percorribili".

Ross fece per rispondergli quando la voce di Francis, che giungeva a cavallo, lo interruppe.

"Cugino! Henshawe" – disse Francis, alzando il cilindro in forma di saluto.

Ross lo osservò serio, non sapeva nemmeno come iniziare con lui il discorso circa il loro ultimo fallimento. Francis non partecipava quasi mai alle fasi più cruente del lavoro in miniera, non ne aveva le capacità e lo sapevano entrambi, ma da quando la Wheal Grace era stata riaperta si era dato da fare, aveva lavorato sui libri contabili, aveva scavato col piccone quando era stato necessario, aveva fatto tardi con lui a studiare mappe e soluzioni e soprattutto aveva fornito con generosità il poco denaro che gli era rimasto, ben consapevole che avrebbe potuto andare perso. "Francis, mi spiace spezzare il tuo buon umore ma devo comunicarti che l'ultima esplosione non ha prodotto, al momento, nulla. Non abbiamo trovato ancora nemmeno un filone".

Francis sospirò, senza eccessivo rammarico. "E' la storia dei Poldark, la fortuna ci sorride sempre da lontano e si fa inseguire parecchio prima di essere acciuffata".

Henshawe sorrise, prendendo a fumare la sua pipa. L'ottimismo e la strana filosofia di vita che aveva sviluppato Francis, di solito riuscivano a metterlo di buon umore. E fischiettando si allontanò, pronto a tornare sotto terra per vedere se ci fosse stato qualche sviluppo.

Anche Ross azzardò un timido sorriso. "Francis, vedo che la disperazione non fa più parte del tuo essere. Vorrei prendere in prestito un pò della tua ironia, credo di averne bisogno".

Francis osservò la miniera e il suo sguardo divenne serio. "Sai cugino, in fondo per come la vedo io, anche se al momento la Wheal Grace non produce profitti, questa è la prima fase della mia vita davvero pulita dove faccio qualcosa di utile per me e per gli altri, dove non cerco scappatoie e la sera, quando mi guardo allo specchio, non mi sento un fallito...".

Ross sussultò, colpito da quanto suo cugino fosse migliorato nell'ultimo anno. Il giovane ragazzo imbranato, di poco carattere, votato al gioco d'azzardo e al fallimento per troppa ingenuità era svanito, lasciando spazio a un giovane uomo che forse non aveva la forza fisica di molti dei suoi operai ma di certo possedeva una strana ma profonda saggezza che sapeva mettere sul giusto piano anche i fallimenti. "Mi fa piacere che tu ti senta così, ma non abbiamo più fondi per continuare".

Francis alzò le spalle, speranzoso nonostante tutto. "Basta trovare nuovi azionisti!".

"Fosse facile!" - sbottò Ross, ridendo e mettendogli la mano sulla spalla. "Vuoi venire a Nampara a bere un bicchiere di buon vino? Non garantisco ce ne sia molto, ho due servi che tendono a berlo più volentieri dell'acqua quando non ci sono, ma qualche bottiglia dovrei averla ancora da parte, nascosta".

Francis si stiracchiò, osservando il sole morente del tramonto che si stava tuffando nel mare. "Ti ringrazio ma stasera voglio tornare a casa presto e cenare con Elizabeth e Geoffrey Charles. L'ho promesso al bambino stamane, quando sono uscito".

Fingendo di non aver sentito il nome di Elizabeth e ignorando l'immagine della famiglia apparentemente felice che lei aveva formato con Francis, Ross cercò di cambiare discorso. "E allora che ci fai quì? Ti avrei aggiornato dell'esplosione domattina".

Francis esibì un sorriso soddisfatto, tirando fuori dalla tasca una lettera spiegazzata. "Volevo mostrarti questa, cugino!".

"Che cos'è?".

"La soluzione a tutti i nostri problemi".

Ross si accigliò, prendendo in mano la lettera ed osservandone l'ottima filigrana e lo stemma in ceralacca che la ornava. "Che significa?".

Francis allargò le braccia mentre con Ross si avviavano verso i cavalli. "Siamo stati invitati a una festa da Lord Falmouth".

Ross si bloccò, squadrò il cugino e poi appollottolò la lettera, lanciandola verso lo strapiombo. "Francis!" - lo rimbeccò. Santo cielo, da quella storia non ne sarebbero mai usciti! Falmouth, uno degli uomini più potenti della zona, un lord di grande importanza anche al Parlamento di Londra, lo stava tallonando da mesi senza sosta per averlo come alleato alle elezioni. E lo stesso stava facendo un altro lord, Basset, oppositore di Falmouth. Entrambi lo volevano nei loro schieramenti, attirati dal nome antico del suo casato e dalle sue gesta in guerra e non perdevano occasione per cercare di avvicinarlo. Ma Ross non amava quel mondo fatto di compromessi e dove per ottenere qualcosa, devi vendere la tua anima. Non aveva mai voluto essere un politico o un magistrato, non voleva che essere uno spirito libero e lottare a modo suo per le persone a cui teneva. Senza compromessi, senza dover dire grazie a nessuno! Ed inoltre il suo carattere fumantino lo rendeva decisamente inadatto a Westminster dove, a parte lacché e damerini, non esisteva null'altro. Falmouth e Basset avevano decisamente sbagliato cavallo su cui puntare. "Non ci provare nemmeno! Lo sai bene come la penso" – borbottò, accelerando il passo.

Ma Francis, deciso a stargli dietro, non sembrò intenzionato a desistere. "Cugino, è un ballo, non un invito a provare sul tuo collo la ghigliottina".

Ross lo guardò storto. "Un ballo fatto per un DETERMINATO motivo che vuol portare Falmouth a un DETERMINATO risultato".

"Ballare la gavotta?".

"No, mettermi in gabbia in quell'inferno che è Londra".

Francis sbuffò. "Ma che ti importa?! E' un ballo, ci vieni, ti scegli una dama, a fine serata saluti e poi te ne torni a casa. Sei bravissimo a sfuggire agli agguati, no? Se non vorrai essere braccato dalle proposte di Falmouth, un ballo e le sottane delle dame sono un buon ambiente per nascondersi".

"Francis, lo sai bene perché ci ha invitati al ballo".

"Sì, perché avere fra i propri ospiti dei membri di una antica famiglia come quella dei Poldark, gli darà prestigio".

Ross rise. "I Poldark saranno pure una famiglia antica ma al momento le nostre finanze non sono molto diverse da quelle dei nostri minatori".

"Ma resta il nome e il nostro è antico e blasonato. E se vogliamo che le nostre finanze si risollevino, dobbiamo tenerci buoni coloro che vogliono esserci amici" – gli fece notare Francis. "Falmouth potrebbe finanziare i lavori in miniera per i prossimi mesi senza problemi".

"In cambio della mia anima" – lo interruppe Ross.

"In cambio della tua amicizia e del tuo supporto" – lo corresse Francis.

Ross raggiunse il cavallo e ci montò sopra. "Se vuole un Poldark a concorrere con lui alle elezioni, ci sei tu".

Anche Francis montò a cavallo. "Avanti, lo sai bene che non sono adatto a quel ruolo. Ci vuole carisma e quello lo hai ereditato tutto tu".

Ross sospirò. "Francis, non sottovalutarti troppo e proponiti, se pensi possa essere il caso. Elizabeth sarà contenta di partecipare al ballo e con lei, insieme, potreste fare un'ottima impressione a Falmouth. Giocati questa carta e lasciami quì a capire come far fruttare questa miniera e come ottenere il denaro per altra dinamite".

"Sei testardo" – lo rimproverò Francis. "E di certo Elizabeth sarà felice di venire al ballo ma le farebbe piacere se venissi anche tu. Mi ha chiesto di insistere... Per Verity, ovviamente... Ha detto che le dispiacerebbe se venisse sola".

Ross osservò Francis e capì che nemmeno lui credeva a questa motivazione che spingeva Elizabeth a volerlo al ballo ma come il cugino, decise di fare il finto tonto. Quella disputa aveva già creato tanto dolore fra loro, riaprire vecchie ferite non sarebbe servito a nulla ed Elizabeth aveva scelto. Francis, non lui! Quindi tutto il resto non erano che stupide chiacchiere e fantasie! "Verrà anche Verity?".

"Sì. Le farai da cavaliere?".

"Ne troverà uno al ballo. Dille che la mia vecchia ferita di guerra al piede è tornata a darmi noia e che non sono in grado di ballare".

"Ross!" - lo rimbeccò Francis. "E' una festa, uno stupido ballo! Poche ore, che ti costerebbero?".

Ross spronò il cavallo a partire al galoppo. "La mia anima! E mi sembra un costo decisamente troppo alto! Cercherò altri modi per tenere viva la miniera".

Partì al galoppo senza dare modo a Francis di controbattere. Sapeva che in fondo suo cugino aveva ragione e che forse Falmouth poteva dare un pò di respiro alle loro finanze e una speranza alla miniera, ma non ce la faceva nemmeno a concepire per se stesso quel tipo di vita. E poi sentir parlare di Elizabeth... Ogni volta era difficile e ogni volta gli veniva la voglia di scappare lontano per rintanarsi come un topo a Nampara.

Arrivò fino a casa e ancor prima di entrare, si accorse di avere un ospite.

Una giovane donna dai tratti gentili e dal viso amico lo stava aspettando seduta sulla staccionata mentre teneva le redini del suo cavallo.

Ross le sorrise, togliendosi il tricorno dalla testa. Sapeva che era un nuovo assalto alle sue intenzioni, ma rivedere sua cugina era da sempre un piacere per lui. "Verity! E' stato Francis a mandarti a rinforzo delle sue tesi?".

La ragazza gli sorrise e lo salutò di rimando. E quando furono uno davanti all'altro lo abbracciò con calore. "Cugino, vedo che ci conosci bene! In effetti Francis mi ha chiesto di passare di quì nel tardo pomeriggio. Aveva una missione che credeva impossibile per lui e quindi per sicurezza mi ha chiesto di aspettarti quì perché, ha detto, a lui non sai dire di sì ma a me non sai dire di no".

Ross rise, abbracciandola nuovamente. Verity era la persona che più adorava della sua famiglia. Era dolce, gentile, sempre pronta a confortare chiunque con la sua presenza e una parola buona ed era l'anima sia di Trenwith che dei Poldark. La sua purezza teneva uniti tutti loro e lo aveva fatto anche nei peggiori momenti di tempesta quando Francis perdeva tutto al gioco e il padre era morto, lasciandoli nei debiti e con una miniera in passivo. Era un'anima dolce, candida, che metteva sempre da parte se stessa per il loro bene e Ross la adorava come fosse una sorella. "Francis mi conosce bene. Ma entrambi sapete quanto io sia ostinato...".

Verity gli accarezzò delicatamente un braccio mentre lui le si sedeva accanto, sulla staccionata. "E' un ballo".

"Un ballo nella tana del lupo".

"Hai paura dei lupi?" - chiese lei, ridendo.

"No, ma tendo a sopportarli poco".

Verity lo guardò, fronteggiandolo. "Non ho un accompagnatore e per una volta che ricevo un invito, vorrei partecipare a una festa. Se non vieni però, finirò per passare la serata a sorreggere una parete, ma con te vicino...".

"Verity" – provò ad argomentare Ross, in difficoltà.

"Ti prego" – lo implorò lei. "Con te vicino, mi sentirei a mio agio. Sarà una festa con pochi e selezionati invitati. E magari fra loro, potresti trovare nuovi soci per la miniera. Solo Dio sa quanto tu ne abbia bisogno e in tempi di crisi, non puoi permetterti di essere schizzinoso o testardo".

"Vorresti che io entrassi in politica?" - le chiese.

"Vorrei solo che tu riesca nelle cose che ami. E che per una sera non viva in questa casa sperduta, da recluso".

"Amo Nampara" – la corresse lui.

"Lo so! Ma a parte questa casa e la miniera... e Truro quando hai un appuntamento coi tuoi soci, non vai da nessuna parte. Sei giovane, hai una vita da vivere e la vivi a metà. Basto già io in famiglia per questo...".

Ross le accarezzò dolcemente la guancia, pensando fortemente che in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarla in silenzio e offrirle una vita migliore di quella sacrificata che lei conduceva a Trenwith. Verity non chiedeva mai niente per se stessa, erano gli altri a chiedere e pretendere da lei – anche lui - e forse aveva ragione, non era che un ballo e nessuno avrebbe potuto costringerlo a fare ciò che non desiderava. Ma se era bravo e scaltro, magari ne poteva anche uscire qualcosa di buono per la Wheal Grace e anche se in quel caso avrebbe dovuto ammettere davanti a Francis che aveva avuto ragione lui e questo lo irritava terribilmente... "Va bene" – disse di getto sapendo che se ne sarebbe pentito subito, non troppo convinto ma comunque consapevole che a lei, come diceva Francis, non sapeva dire di no. "Ma non aspettarti che balli la gavotta".

"Ohhh, non pretenderei tanto!". Verity rise, abbracciandolo con calore. "Grazie, GRAZIE" – esclamò contenta, saltandogli al collo e baciandolo sulla guancia. "Sei il migliore cugino del mondo!".

Ross alzò gli occhi al cielo. Più che il migliore cugino del mondo, sperava di essere il miglior affarista sulla faccia della terra. Aveva bisogno di portare a casa quanto più possibile senza cedere troppo sulle sue intenzioni e i suoi convincimenti. E forse questo dannato ballo avrebbe portato qualcosa di buono nella sua vita. Forse...



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Il fatto di aver ceduto solo per amore di Verity, di certo non servì a migliorare l'umore di Ross.

Mentre la carrozza procedeva diretta alla dimora dei Boscawen, su strade sterrate e ormai buie, Ross osservò i suoi compagni di avventura, se così si potevano chiamare...

Francis, vestito con un abito di velluto rosso e che sonnecchiava appoggiato con la testa al finestrino, aveva scelto di compiere il tragitto con la carrozza di famiglia migliore. Ci teneva a fare bella figura e sperava che quella serata avrebbe portato buoni frutti a tutti loro.

Elizabeth, seduta accanto a lui, bella ed eterea nel suo vestito color rosa pallido, guardava distrattamente il paesaggio tentando di evitare il suo sguardo forse troppo insistente ed indagatore, uno sguardo che pareva non desiderare altro che carpire i segreti del suo cuore e della sua anima. Quando c'era lei nei paraggi, per Ross diventava come una calamita, una febbre da cui non riusciva a liberarsi. Ma era una febbre che avrebbe portato a una guarigione, un giorno? O alla dannazione eterna? Non smetteva di chiederselo, mai...

Accanto a lui invece c'era Verity, vestita con un grazioso vestito color panna, eccitata e contenta, che non faceva altro che chiacchierare e raccontare dei giochi fatti col piccolo Geoffey Charles nel pomeriggio, in giardino.

A un certo punto Elizabeth decise che era stanca del suo mutismo e il suo desiderio di essere al centro dell'attenzione al posto di Verity, la spinse ad aprire finalmente bocca, facendo sussultare Francis. "Sono curiosa".

"Di cosa, mia cara?" - le chiese il marito con voce impastata, strofinandosi gli occhi.

"Di vedere l'aspetto della piccola cameriera".

Ross la fissò senza capire. "E come mai sei interessata alla servitù di Falmouth?". Era abbastanza convinto di star facendo la figura del fesso e che ci fosse qualcosa nell'aria che gli era sconosciuto a causa della sua avversione ai pettegolezzi, ma la voglia di parlare con Elizabeth fu più forte del suo desiderio di estraniarsi davanti a certe faccende.

Verity cercò di spiegare. "Elizabeth non si riferisce ad una domestica, in realtà".

"Lo era!" - la corresse subito lei.

"Ma non lo è più" – riprese Verity, con dolcezza. "Elizabeth si riferisce alla giovane moglie del nipote di Falmouth, Hugh Armitage. Fu assunta come domestica in quella casa quando era una ragazzina e col tempo ha stregato il cuore dell'erede del casato che poi l'ha sposata. Una storia d'amore da favola".

Ross alzò gli occhi al cielo. Si aspettava qualcosa di eccezionale e invece aveva dovuto mordersi la lingua per non sbottare davanti ad Elizabeth con un poco elegante... 'E' tutto quì?'.

Elizabeth dovette percepire i suoi pensieri e ne parve in qualche modo delusa. "Favola d'amore? Avanti Verity, davvero ci credi? Le conosci come sono, queste donne del popolo... Figlie di minatori, cresciute senza valori e senza educazione, volgari, pronte a tutto ed estremamente abili a letto. Quel povero giovane di buona famiglia dev'essere stato sopraffatto da una donna del genere e lei deve aver ricattato la famiglia per farsi sposare. Non ci sono altre spiegazioni logiche".

Francis intervenne, decisamente contrariato dal discorso della moglie. "La giovane moglie di Armitage è, appunto, molto giovane e dubito sia stata tanto scaltra... Non potremmo credere, per una volta, alla bontà dei sentimenti e dell'amore?".

Elizabeth gli piantò gli occhi addosso e l'atmosfera si fece incandescente. "Certe donne, giovani o vecchie che siano, sanno bene come ottenere tutto ciò che desiderano da un uomo. Guarda ad esempio Margareth Vosper...".

Lo disse in tono sibillino e Francis avvampò. Fatti, riferimenti e parole non erano per nulla casuali ed Elizabeth si stava prendendo una piccola rivincita sui suoi errori coniugali passati. "Non puoi giudicare chi non conosci" – balbettò, davanti alla moglie.

Ross intuì che la situazione, da sonnecchiosa, stava facendosi pericolosa per tutti loro. Le guerre e le divisioni passate potevano tornare in un attimo ed era necessario, per il bene di tutti e della miniera, che la pace continuasse ad albergare nel cuore di ogni Poldark presente su quella carrozza. "Perché stiamo discutendo?" - chiese. "Per una donna che non conosciamo e con cui non dovremo avere a che fare?".

"Ma..." - lo interruppe Elizabeth.

Ma lui interruppe lei. "Ma nulla. Potrebbe essere un angelo o un demonio, ma è la padrona di casa e se abbiamo dovuto accettare questo invito che io NON volevo accettare, cerchiamo di presentarci con educazione e di fare buona figura. O le motivazioni e gli scopi che ci siamo prefissati venendo quì, cadrebbero nel vuoto a causa di stupidi pregiudizi su qualcuno che nemmeno conosciamo. I pettegolezzi lasciamoli ad altri".

Francis annuì, Verity sventolò nervosamente il suo ventaglio ed Elizabeth si incupì, delusa che nessuno la pensasse come lei ma putroppo consapevole che Ross aveva ragione. "Ovviamente saremo educati. Come dici tu, per qualche strano motivo sarà la padrona di casa e la onoreremo con l'educazione che ci hanno impartito le nostre famiglie".

Ross annuì, sprofondando nel divanetto. Fine della discussione, discussione spiacevole fra l'altro... Nonostante fosse stata intavolata da Elizabeth...

E nella carrozza ripiombò il silenzio a cui anche Verity si accodò. E nessuna chiacchiera lo spezzò più fino all'arrivo nella splendida dimora dei Boscawen, incastonata in uno dei più belli scorci della brughiera di Cornovaglia, circondata da un fitto bosco e da infiniti campi e pascoli.

Ross scese dalla carrozza, osservò la dimora e rimase a bocca aperta. Tutto esprimeva potere e ricchezza, quella ricchezza che un pò sarebbe servita anche a lui e alla sua miniera. E anche se riluttante, capì che aveva fatto bene a venire e che forse da quella serata ne sarebbe conseguito qualcosa di buono.


...


Stesa sul letto a pancia ingiù, vestita solo con una semplice sottoveste, Demelza osservava suo marito vestirsi per la festa che sarebbe iniziata di lì a poco. La sua mente era in fermento e in realtà quella sera avrebbe preferito essere tranquilla e sola con Hugh per parlarle di una idea che le era balenata in mente nel pomeriggio, mentre era a Truro a far compere con una domestica, ed era frustrata davanti alla certezza di dover rimandare a causa dell'imminente arrivo degli ospiti.

Hugh, sentendosi osservato, le sorrise mentre con le mani litigava col fiocco della sua camicia che proprio non riusciva a sistemare a dovere. "Stai ridendo di me?" - le chiese.

Lei si alzò dal letto per andare ad aiutarlo. "No, è che stavo pensando a una cosa che potrei... potremmo fare insieme...". Beh, il tempo era poco ma non ce la faceva a rimandare.

Hugh si fece aiutare a sistemare la camicia, senza toglierle gli occhi di dosso. "Sai che non chiedo altro che compiacerti. Cosa desideri?".

Finito con la camicia, Demelza si risedette sul letto, dondolando le gambe nel vuoto. "In realtà per me nulla... Ma mi piacerebbe che mi aiutassi a fare qualcosa per qualcun altro".

Hugh la fissò, interdetto. "In che senso?".

Demelza sospirò. "Non ti sembra che abbiamo troppo e tanta altra gente, troppo poco?".

L'uomo le si avvicinò, accarezzandole la guancia. "Per te nulla è mai troppo, mia cara".

Era un marito dolce Hugh, che la riempiva forse troppo di attenzioni e vizi e questo le faceva piacere, certo. Ma la faceva anche sentire in colpa verso... verso il mondo, ecco! E a volte era persino soffocante... "Davvero faresti di tutto per compiacermi?".

"Certo. Vuoi abiti nuovi? Gioielli? Una nuova casa a Londra?".

"No, ciò che ho basta e avanza".

Hugh rise, sedendosi accanto a lei sul materasso. "Non si direbbe! Stiamo per dare una festa, sarai la padrona di casa e sei ancora in sottoveste! Eppure dovresti avere un sacco di abiti nuovi nell'armadio".

Demelza sbuffò, sconfortata. Era vero, era la padrona di casa e quando doveva calarsi in questo ruolo le sembrava spaventoso dover parlare alla pari con dame e gentiluomini a cui, fino a un paio d'anni prima, aveva servito del vino nel ruolo di domestica. "Ci metterò un attimo a vestirmi, non è di questo che volevo parlare".

Lui le prese la mano, baciandola. "Che cosa c'è, allora?".

Demelza prese coraggio, preparandosi a una lunga disputa, prima con Hugh e poi con Falmouth. "Oggi, a Truro, passeggiando ho notato un vecchio caseggiato, di fianco alla locanda di Sir. Tohblack. E ho pensato che in fondo sarebbe un peccato lasciarlo all'incuria e che invece, sistemandolo, potrebbe essere utile".

Hugh annuì, senza però capire il senso del suo discorso. "E allora?".

"E allora c'erano attorno a me così tanti bambini scalzi, affamati e vestiti di stracci come ero io e ho pensato che in fondo non c'è nessuno che pensi a loro e gli dia gli strumenti per costruirsi una vita migliore. Non ci sono scuole quì e noi potremmo farne una se sistemassimo quel caseggiato".

Hugh spalancò gli occhi e in Demelza nacque la speranza che a un amante dell'arte e della letteratura come lui, sicuramente quell'idea sarebbe piaciuta. Ma la speranza durò poco...

Lui rise. "Amore mio, perché? A Truro vivono principalmente figli di minatori o contadini, che se ne farebbero di una scuola?".

Esasperata e delusa, Demelza abbassò lo sguardo. "Imparerebbero a leggere e scrivere e sarebbe già molto per loro e il loro futuro. Sarebbe qualcosa di bello che ci renderebbe utili a qualcosa in questo mondo tanto difficile".

Hugh divenne serio, dopo la reazione un pò divertita di poco prima di cui si era già pentito. Le prese le mani nelle sue, le strinse e le accarezzò e poi tentò di spiegare il suo pensiero. "Non volevo prenderti in giro, scusa... E credo che il tuo cuore sia davvero nobile in ciò che vuoi fare e desideri. Ma pensaci, Demelza... Quando eri piccola, se qualcuno avesse proposto a tuo padre di mandarti a scuola invece che badare alla casa e ai tuoi fratelli, lui cosa avrebbe risposto?".

"Di no, ovviamente".

"E così ti risponderebbero, tesoro, i padri dei bambini di Truro. Hanno bisogno di denaro e di figli che portino a casa qualche moneta per il pane, non hanno certo la possibilità di permettersi di lasciarli seduti a un banco".

Demelza si sentì stupida e in fondo sapeva anche che quanto stava dicendo Hugh aveva senso, forse molto più senso della sua idea. Eppure, sentiva che non doveva rinunciare... "Ma forse, qualcuno che non la pensa come mio padre c'è... E non varrebbe la pena tentare, anche solo per una mezza dozzina di bambini?".

Hugh rimase in silenzio per un pò, riflettendo. "Perché vuoi farlo? Come vorresti farlo?" - chiese, in tono stranamente indagatore. "E' perché senti la mancanza di un figlio nostro?" - domandò in tono grave, con gli occhi piantati nei suoi.

Quella domanda, totalmente inaspettata, sembrò arrivarle addosso come uno schiaffo. Era un dolore sordo il suo, la mancanza di possibilità di essere madre a causa della malattia di Hugh sarebbe stata sempre un dolore strisciante ma mai se n'era lamentata con lui, mai aveva lasciato trasparire questo suo rimpanto, ma evidentemente Hugh doveva averlo percepito. Ma su questo quanto meno poteva rassicurarlo, il desiderio di un figlio non c'entrava con la scuola. "Non è questo, ho scelto di sposarti ed ero consapevole di tutto. Non ne sono pentita! Ma la scuola... Vorrei così tanto sentirmi utile per qualcuno, ora che ho così tanto da poter dividere...".

Hugh la baciò sulla fronte, stringendola a se e sentendosi rincuorato dalle sue parole. "Tu sei utile, tantissimo! Già ora! A me, a questa casa, al nostro giardino...".

"Ma non è abbastanza" – insistette lei, fra le sue braccia, viso a viso.

Hugh annuì, prima di baciarla sulle labbra. "Come dicevo, farei di tutto per compiacerti. E se è quello che vuoi...".

Lo bloccò. "No, non per me! Vorrei fare qualcosa con te per gli altri".

Lui la ribaciò. "Faremo sistemare quel fabbricato, se è davvero ciò che desideri. Ne parlerò domani con lo zio e cercherò di convincerlo che è una buona idea. Poi cercheremo una maestra e vedremo se questa idea produrrà qualcosa di buono. Sicuramente aumenterà il prestigio dei Boscawen, quanto meno... Sono cose che, sotto elezione, lo zio tiene molto in considerazione".

Demelza, contenta, lo abbracciò. Hugh e Falmouth l'avrebbero sostenuta, quindi. Non per il bene dei bambini, certo, uno lo avrebbe fatto per compiacerla e l'altro per accrescere il suo potere, ma il risultato era quello che contava. "Potrei essere io, la maestra?! Non ho mai nulla da fare, al mattino... Certo, non potrei insegnare un gran ché, al massimo a leggere e scrivere. Potrei avere un aiuto da una persona più esperta, certo, che potrebbe insegnare ai bimbi più grandi la storia, la geografia e a far di conto. Ma mi piacerebbe, nel mio piccolo, fare qualcosa anche io. Con te".

Hugh parve sorpreso da quelle parole. Un conto era mettere i soldi per un'opera pubblica, un conto era mettercisi a lavorare in prima persona. Per un Boscawen questo concetto doveva essere difficilissimo da capire e Demelza ne era consapevole. "Tu non puoi lavorare! Non come maestra di certo! E nemmeno io".

Lei insistette, certa che lui avrebbe capitolato a breve. "Solo qualche ora al mattino, che sarebbe? E tu? Hai insegnato l'amore per la letteratura a me, ti piacerebbe insegnarlo anche ad altri, ne sono certa. Giovani menti che potrebbero trovare una strada nelle poesie e nella scrittura... Sarebbe talmente gratificante per te esserne l'artefice...".

"Mio zio non lo accetterà MAI!" - rispose, laconico.

"Sì, se gliela metteremo nei giusti termini".

Hugh le diede un leggero buffetto sulla guancia. "Sei capricciosa ora, lo sai?".

"Ma tu volevi compiacermi, no?" - insistette lei, con un sorriso biricchino sulle labbra.

Hugh sospirò, alzandosi in piedi e porgendole la mano perché facesse altrettanto. Non sapeva dirle di no, ne era consapevole. Ma era altrettanto consapevole che non poteva dirle di sì su tutto e che dovevano cercare una buona via di mezzo fra i suoi desideri e il prestigio di famiglia. "Due giorni a settimana, Demelza. Non di più! Credo sia il massimo che lo zio potrebbe concederti e che io possa concederti! Sei una Boscawen e nonostante tu sia mossa da buone intenzioni, non puoi lavorare. Anche se in questo caso sarebbe una cosa che ti piacerebbe fare".

Demelza prese un profondo respiro, mordendosi la lingua. Non doveva e non poteva insistere e sapeva che Hugh, da quel punto di vista, le aveva già concesso fin troppo. Poteva dirsi soddisfatta, più o meno! E piuttosto felice! "Grazie!" - disse allegramente, baciandolo sulle labbra.

Hugh le diede un altro buffetto prima di scompigliarle i capelli con la mano. "E ora su, decidi che abito metterti!".

"Lo so già" – rispose lei, correndo allegra verso l'armadio. "Questo!".

Hugh osservò l'abito rosso, il primo abito che le aveva comprato quando non erano che fidanzati. Un abito tutto sommato semplice ma che le stava benissimo. E lei lo adorava... "Dovrai arrenderti a comprare qualche abito nuovo prima o poi, lo sai?".

"Io adoro questo".

Le si avvicinò, stringendola a se. "Anche io, anche se lo hai già indossato diverse volte, si adatta ancora così bene al colore dei tuoi capelli e all'azzurro dei tuoi occhi... E i capelli?".

Demelza alzò le spalle. "Li terrò sciolti, con un semplice e piccolo fiocco sulla nuca per tenerli a bada".

Hugh sorrise, adorava vederla coi suoi lunghi capelli liberi di muoversi sulla sua schiena. "Sarai meravigliosa e i nostri ospiti ti adoreranno".

E alla parola 'ospiti', Demelza ripiombò nell'ansia da padrona di casa. "Giuda, come odio avere ospiti. Ho come l'impressione che tutti mi guardino e mi giudichino e non aspettino altro che commetta un errore per ridere di me... La piccola ex-sguattera che vuole darsi delle arie...".

Hugh rise, divertito. "Nessuno oserà tanto e i nostri ospiti sono tutti educati e rispettabili. Tranquilla, ti adoreranno".

Non ne era così certa, ma con Hugh vicino si sentiva tranquilla. "Tuo zio sta impazzendo... Dice che in questa serata deve far abboccare all'amo quel tizio... come si chiama? Ne parla sempre...".

Hugh si avvicinò, aiutandola a sua volta a vestirsi. "Ross Poldark?".

"Sì, lui. Lo vuole assolutamente in Parlamento al suo fianco. Sai chi è?".

Hugh alzò le spalle. "No, lo conosco solo di fama. La sua famiglia è di antiche e nobili origini, anche se oggi decisamente decaduta. Un tizio testardo e una testa calda, pare. Un mulo che preferisce stare chiuso nelle sue miniere ad ammazzarsi di lavoro coi suoi minatori invece che lottare per ricoprire le cariche pubbliche che gli spettano di diritto".

"Oh...". Demelza sbuffò, in fondo nemmeno Hugh era così ligio ai propri doveri e ai suoi diritti acquisiti per nascita. "Anche tu, in teoria, dovresti sederti in Parlamento. E nemmeno tu vuoi quel seggio".

"Vero! Ma lo sai bene che non fa per me e che la mia salute mi rende perfettamente inutile alla causa".

Demelza lo fissò storto, scettica. "Sembrano scuse...".

"Sono ottime motivazioni!" - la corresse lui, osservandola mentre finiva di sistemarsi l'abito.

Demelza si sedette alla toeletta per pettinarsi. "Forse sono ottime motivazioni anche quelle del signor Poldark..." - lo provocò.

Hugh rise ancora, avvicinandosi alla porta. "Sarà meglio che scenda ad accogliere i nostri ospiti. Ti aspetto giù, mia cara".

"Arriverò presto" – rispose lei, mettendo a sistemarsi i capelli.

La serata in fondo era iniziata bene, avrebbe avuto la sua scuola e per questo il suo animo si sentiva leggero. Talmente leggero che in fondo non le sembrava nemmeno così spaventoso dover presenziare alla festa che si sarebbe tenuta a casa sua di lì a poco.

E con questo pensiero, finito di pettinarsi, uscì dalla stanza e scese le scale che portavano al salone dove un vociare allegro e un via vai di camerieri indicava che qualche ospite era già arrivato.

Prese coraggio, fece un profondo respiro e scese, facendo il suo ingresso.



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Quando giunse nel salone, Demelza trovò suo marito ad accoglierla sotto le scale, in compagnia di un uomo non più giovanissimo e dai tratti del viso piuttosto marcati e duri.

Demelza si guardò attorno un pò smarrita notando che ormai gli ospiti erano arrivati tutti e avevano riempito il salone e poi lo salutò con un leggero inchino, mentre Hugh le prendeva la mano. "Capitano Blamey, ho il piacere, finalmente, di presentarvi mia moglie Demelza. Demelza, mia cara, questo è l'uomo che mi ha fatto da mentore nella mia breve vita di cadetto di marina, il mio mentore e buon amico, capitano Andrew Blamey".

Demelza sorrise all'uomo. "E' un piacere conoscervi, capitano Blamey. Hugh mi ha parlato spesso di voi e vi ringrazio per esservi preso cura di lui quando era più giovane".

"E assolutamente inesperto" – aggiunse Hugh, ridendo.

Blamey, impacciato e decisamente più a disagio di quanto non fosse Demelza nel trovarsi in quel genere di festa a cui evidentemente non era abituato, sorrise di rimando. "Inesperto ma promettente. Mi auguro che le tue condizioni, al più presto, possano permetterti di tornare fra noi, Hugh".

Demelza tremò davanti a quelle parole. Sarebbe stato bello che Hugh tornasse talmente tanto in forze da rimettersi attivamente al servizio della marina ma di contro era anche consapevole che qualora fosse successo, sarebbe ricaduto interamente su di lei l'onere di rappresentare i Boscawen nell'alta società. Desiderava ardentemente che le forti emicranie di Hugh e i problemi di vista cessassero, che tornasse sano e forte, avrebbe dato un pezzo di cuore per lui se fosse servito, ma ancora non si sentiva pronta a fare senza suo marito. Forse era egoista e capricciosa ma avrebbe preferito avere entrambe le cose, un marito in salute e accanto a lei. E la consapevolezza che questo non avrebbe potuto accadere la lasciava sempre nello sconforto. "Tutti noi ci auguriamo che Hugh si senta presto meglio" – disse infine, prendendo un profondo respiro.

Blamey le prese la mano, baciandola con galanteria. "Con una moglie deliziosa come voi, sono sicuro che succederà presto" – disse, congedandosi.

Hugh indicò all'uomo il tavolo dei vini e del buffet e poi prese la moglie sotto braccio. "E' un uomo dal passato difficile e purtroppo sua moglie è morta durante un furente litigio con lui" – le disse mentre raggiungevano gli altri ospiti in sala – "Ma fu un tragico incidente, una fatalità per cui ha pagato e ora vorrebbe solo ricostruirsi una vita. E' un uomo onesto e spero che possa avere una seconda possibilità".

Demelza sentì venirle la pelle d'oca. Un uomo che aveva provocato la morte della moglie non poteva che essere stato un mostro, ma Blamey le era sembrato gentile e per nulla pericoloso ed inoltre non poteva dire di conoscere la dinamica di quanto successo. Forse era davvero stato uno sfortunato incidente e sicuramente Blamey era una persona tormentata per quanto successo... Ed inoltre non voleva giudicare chi si era preso cura di Hugh e se suo marito lo aveva tenuto nella sua stretta cerchia di amici fidati, lei non poteva che supportarlo.

Falmouth, circondato da alcuni giovani, li raggiunse. "Nipote, finalmente".

Hugh la indicò. "Colpa di mia moglie, ci ha messo un sacco a prepararsi".

Lord Falmouth scoppiò in una fragorosa risata. "Le donne, sempre uguali! Hugh, Demelza, vi presento alcuni dei nostri graditissimi ospiti: Ruth Treneglos, Constanze Bodrugan e la parte femminile del clan Poldark formata da Miss Verity e Miss Elizabeth, figlia e nuora del compianto Charles Poldark".

Hugh salutò con gentilezza mentre Demelza accennò un lieve ma impacciato inchino davanti agli sguardi non certo benevoli delle giovani dame che Lord Falmouth le aveva presentato. Ruth Treneglos, dallo sguardo da civetta incattivita, aveva esibito uno sguardo di biasimo verso Hugh, lady Constanze sembrava principalmente annoiata mentre le due Poldark beh... Una aveva un'espressione gentile e un pò spersa come lei ma l'altra, dalla bellezza eterea e perfetta, si era limitata a riservarle uno sguardo glaciale pieno di altezzosa superiorità. Ma erano sue ospiti e doveva essere gentile nonostante tutto, per il bene di Hugh, di Falmouth e di quel casato che l'aveva accolta a braccia quasi-aperte. Non poteva sfigurare, non per amor loro, anche se la sua indole più selvaggia le gridava che avrebbe fatto bene a prendere un vassoio pieno di calici ricolmi di vino per rovesciarlo in testa a quelle oche ben agghindate che si ritenevano superiori a lei e al mondo. Anzi, del brodo bollente da rovesciar loro in testa sarebbe andato persino meglio, ma purtroppo non si poteva. Uno dei limiti a cui una inferiore che si elevava di rango doveva adattarsi... Una cosa, sopra tutte, le dava fastidio... Sicuramente quelle erano donne più istruite ed educate di lei, erano lady di nascita e lei lo era diventata per caso e nemmeno le riusciva troppo bene esserlo, ma in fondo era maleducato ostentare quella differenza fra loro. Deglutì, cercando di far del suo meglio per essere o sembrare accomodante. "Spero vi troverete bene nella nostra casa. Benvenute".

Elizabeth Poldark abbozzò un sorriso tirato, puramente di cortesia. "E' un piacere essere quì, mia cara".

Era gentile, una gentilezza finta che Demelza colse subito, ma apprezzò comunque l'impegno. "Il piacere è tutto mio".

Falmouth e Hugh non colsero quelle sottigliezze e quelle battaglie silenziose fra donne, come spesso succedeva agli uomini che di certo sapevano essere esperti di tattiche belliche di sfondamento ma erano in difetto su tattiche più... sottili.

Falmouth rise, compiaciuto dal fatto di essere circondato da giovani donne e di essere al centro dell'attenzione. "Bene, vado a dare il benvenuto agli altri ospiti. Ho visto anche quella vecchia volpe di Basset con sua moglie e benché mi siano indigesti come il mal di denti, suppongo di dover andare a salutarli. E nel mentre potrò cercare i vostri due adorabili accompagnatori che al momento sfuggono alla mia vista" – disse con aria furba, rivolto alle due donne Poldark.

Elizabeth sospirò, guardandosi attorno. "Mio marito è laggiù, al tavolo dei buffet" – osservò, sconsolata, indicandolo.

Demelza e Hugh guardarono nella direzione indicata dalla donna. Un uomo dai capelli chiari, dallo sguardo pulito e dal viso simpatico stava gustando dei gamberetti mentre scambiava convenevoli con un altro ospite. Aveva un modo di fare più gioviale di sua moglie, pensò Demelza, e di certo doveva essere più gentile ed affabile di lei. Non li conosceva ma a prima vista le sembrò la coppia più scombinata e mal assortita del mondo.

Falmouth prese Elizabeth Poldark sotto braccio per avvicinarsi al marito di lei e Constanze e Ruth si spostarono in un altro lato della sala, desiderose di non darle troppa confidenza. Rimase solo Verity Poldark, impacciata e incapace di fare alcunché, da sola.

Demelza provò istintiva simpatia per lei. In fondo non dovevano essere troppo simili i loro sentimenti, in quel momento. Solo che lei aveva accanto Hugh mentre Verity era sola e senza nessuno a cui appoggiarsi. "Fa paura, vero?" - le chiese.

Verity sussultò. "Cosa?".

"La festa... Le feste in generale... Ci si sente sempre un pò spersi".

Verity arrossì. "Non sono abituata a partecipare a delle feste e sì, mi sento un pò il brutto anatroccolo della situazione".

Demelza prese una coppa di vino che portava un servitore, porgendogliela. "Questo aiuta, quando ci si sente dei brutti anatroccoli".

Verity la osservò incuriosita. "Oh, dubito che voi possiate sentirvi così. Siete talmente bella".

Demelza arrossì perché le parole di Verity erano di certo più sincere e vere di quelle di Elizabeth di poco prima. "Credo di sentirmi la più inadatta padrona di casa del mondo. Ma poi la festa finirà e passerà".

Hugh le cinse la vita. "Mia moglie è modesta e vi assicuro che non mente quando parla così. Le feste la terrorizzano, è un dato di fatto. Che non comprendo ma a cui mi adeguo...".

Verity sorrise loro, sentendosi forse meno a disagio. "Siete davvero due padroni di casa meravigliosi. Sapete come far mettere a proprio agio un ospite e la casa e il party sono degni del vostro nome".

Demelza fece per risponderle ma vedendo Blamey che si avvicinava, un pesce fuor d'acqua quanto Verity, decise che forse forse... A suo marito piaceva, sembravano entrambi spersi come pesciolini fuor d'acqua e magari potevano farsi compagnia. Lanciò un'occhiata a Hugh che però il marito non captò. "Tesoro, che ne diresti di presentare il tuo amico a Miss Verity? Credo che potrebbero tenersi compagnia a vicenda stasera".

Verity avvampò ma non ebbe tempo di battere in ritirata.

Hugh, completamente all'oscuro delle manovre della moglie, introdusse l'amico. "Miss Verity, vi presento uno dei miei amici più cari, il capitano Andrew Blamey. Capitano, vi presento Miss Verity Poldark".

L'uomo, impacciato, si tolse il cappello. "E' un onore, signorina".

"E' un onore mio".

"Posso avere l'onore di offrirvi qualcosa da bere o siete impegnata?".

Verity avvampò, impacciata e goffa, dimostrando di non essere molto esperta in questo genere di cose. "Ma no, nessun impegno. Mi farà piacere la vostra compagnia".

Blamey la prese sottobraccio, salutò e con lei si avvicinò al tavolo dei buffet dove già stava Falmouth che teneva banco in una lunga e filosofica discussione con Basset e Francis Poldark.

Gli occhi di Demelza brillavano, aveva sistemato per la serata due anime sperse e si sentiva davvero un pò meno impacciata come padrona di casa. Ma la sua gioia non durò a lungo. Falmouth, accanto a Francis Poldark, chiamò a se Hugh e lui, pur a malincuore, dovette allontanarsi da lei e lasciarla sola.

Ed ora arrivava la parte che più odiava dove era era lei a sentirsi spersa. Nella sua stessa casa! "Giuda..." - borbottò, prendendo a sua volta una coppa di vino. Era arrivato il momento di averne bisogno!

Si guardò attorno e vide che tutti, più o meno, conversavano e brindavano tranquilli, in una atmosfera elegante ma rilassata ed informale. E quindi poteva anche battere in ritirata sul grande balcone che dava sul giardino per stare un pò in pace a bersi il suo vino e ritrovare in lui il coraggio per tornare dentro a fare la padrona di casa.

Uscì di soppiatto, temendo che Falmouth la vedesse e la richiamasse dentro, e appena fuori una leggera e fresca brezza serale la fece rabbrividire.

Si avvicinò al davanzale, sorseggiò un pò di vino e poi vi appoggiò il bicchiere mezzo pieno.

E mentre osservava il suo splendido giardino, di cui si prendeva personalmente cura, mentre in quei fiori cercava di ritrovare pace e coraggio, avvertì un movimento furtivo accanto a lei, nell'oscurità.

Demelza sussultò, imprecando fra se e se. Giuda, pensava di essere sola!

Si voltò lentamente, osservò meglio e nell'oscurità, nell'angolo più buio della balconata, notò un giovane uomo dai capelli scuri e dal fisico prestante che se ne stava rintanato come lei, lontano da tutto e tutti. Era un tizio strano, ben vestito e dotato di uno strano e selvaggio fascino, pensò, acuito dal buio che lo circondava. Ma soprattutto, fascino a parte, si chiese... "E voi chi diavolo siete?" - domandò di getto, dimenticandosi per un attimo le buone maniere, piccata di non poter godere nemmeno un attimo di solitudine.

L'uomo la osservò, stupito, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. "Uno che è quì per caso, contro la sua volontà, dopo aver ricevuto un invito di cui avrebbe fatto volentieri a meno".

Demelza avvampò. Giuda, era un suo ospite! Aveva dimenticato che la sua casa ne era piena in quel momento!!! "Ohhh, scusate i miei modi... Mi avete spaventata" – balbettò, rossa in viso come un pomodoro maturo.

Lui, non muovendosi di un passo, si poggiò al muro. "Oh, non sentitevi in imbarazzo! Potete tornare ai vostri pensieri e al vostro vino, non ho intenzione né di disturbarvi né altro. Sto solo cercando una via di fuga a tutto questo, in attesa di poter tornare a casa".

Lei si sentì in un certo senso risentita. "La festa non è di vostro gradimento?".

"Nessuna festa lo è".

Beh, quanto meno avevano qualcosa in comune... "Posso sapere il vostro nome?".

"Perché volete saperlo?".

"Perché sono Demelza Armitage, la padrona di casa, e questo è il mio balcone". Al diavolo le buone maniere, quel tizio non sembrava esserne particolarmente avvezzo e quindi non lo sarebbe stata nemmeno lei.

L'uomo spalancò gli occhi, come se non avesse nemmeno preso in considerazione quella eventualità. "Oh... La moglie di... Del nipote di Falmouth?".

Lei sorrise, sarcastica. "Sì, in persona. Scommetto che ora direte che avete sentito già parlare di me e immagino anche in quali termini".

L'uomo, fino a quel momento sprezzante, sembrò in imbarazzo e difficoltà. "Ha importanza?".

"Suppongo di no. Ma non mi avete ancora detto chi siete" – gli fece notare lei.

L'uomo sospirò, rendendosi conto che non poteva fare a meno di presentarsi. "Mi chiamo Ross Poldark e sono certo che anche voi avrete sentito già parlare di me in termini poco lusinghieri".

Demelza spalancò gli occhi, ecco chi era! E così era lui l'uomo su cui puntava il capofamiglia del Boscawen? Cosa si diceva...? Impossibile, uno spirito ribelle ed indomabile, uno che non conosce le buone maniere... Decisamente non erano solo voci, pensò ironicamente ma in fondo divertita da quello strano battibecco fra di loro. "Ha importanza, come vi descrivono?" - chiese, ripetendo quanto da lui detto poco prima.

Stranamente, Ross Poldark parve sorridere davanti alla sua irriverenza. "Assolutamente no!".

Demelza gli si avvicinò di alcuni passi. "In effetti sì, ho sentito parlare di voi. In realtà è un pò una moda pronunciare il vostro nome in questa casa, di questi tempi. Siete l'ossessione politica di Lord Falmouth".

Ross alzò la testa al cielo, guardando distrattamente le stelle. "Spero che questa moda sia passeggera e che Falmouth volga presto altrove le sue mire".

"Non credo che lo farà. E' testardo".

Ross allargò le braccia. "Io più di lui. Dicono che sia furbo come una volpe in politica, ma onestamente, scegliendo ME, sta dimostrandosi folle".

Demelza lo fissò, considerando che probabilmente aveva anche ragione e Falmouth doveva essere impazzito. Eppure qualcosa in lei le suggeriva che quell'uomo tanto fuori dagli schemi era unico e che sotto quell'apparenza di persona sgradevole e diretta, si nascondeva un personaggio dall'intelligenza acuta e singolare. "Falmouth non è folle. Ed è una brava persona".

"Ma io no!" - rispose lui, sicuro.

"Ne sembrate compiaciuto...".

Ross sorrise ancora. "Un pò".

Santo cielo, come rispondere a uno così?! Era un uomo davvero impossibile questo Ross Poldark! "Siete alla sua festa e Falmouth vi scoverà comunque, non gli sfuggirete rifugiandovi su questa balconata".

Ross le si avvicinò di alcuni passi, fino ad arrivare viso a viso. E da vicino, a Demelza sembrò ancora più selvaggio ed affascinante, tanto da sentirsi le guance andare a fuoco e lo stomaco gorgogliare.

"E voi? Da cosa vi nascondete, mia signora?".

Deglutì, santo cielo, improvvisamente sentì di andare a fuoco e il tono caldo della voce di quel tizio sembrò avere uno strano effetto su di lei, superiore persino a quello del vino. "Non sto scappando" – rispose, risentita come se fosse stata una bambina beccata con le mani nel barattolo di marmellata.

"Siete la padrona di casa" – la rimbeccò lui – "Il vostro posto è la dentro e non qua fuori a bere vino".

Lei riprese forza e coraggio, restituendogli lo strano sguardo di sfida che lui le aveva lanciato. "Vi ha mai detto nessuno che siete arrogante?".

"Mi hanno detto di peggio".

"Lo immagino" – ribadì lei, più divertita che risentita, da quella strana disputa.

Lui sorrise, di nuovo, forse divertito quanto lei.

E in quel momento la voce di Hugh raggiunse entrambi. "Tesoro, finalmente ti ho trovata. E ho trovato anche...?" - chiese, osservando il suo ospite.

Demelza si affrettò a presentare il nuovo venuto, un pò scossa dall'arrivo di suo marito che, si rendeva conto, in un certo senso aveva spezzato inopportunamente quella strana disputa che si stava divertendo a portare avanti. "Ross Poldark! L'uomo su cui punta tuo zio. Signor Poldark, vi presento mio marito Hugh Armitage".

Hugh, felice e all'oscuro dei sentimenti della moglie, porse la mano al nuovo arrivato. "Oh, finalmente ho il piacere di conoscervi. L'uomo che mio zio vorrebbe al suo fianco in Parlamento dev'essere una gran persona. Ero curioso di incontrarvi dopo aver tanto sentito parlare delle vostre gesta".

Ross le lanciò una breve occhiata che Demelza non seppe interpretare, poi tornò a parlare con Hugh. "L'uomo che Falmouth vorrebbe al seggio che dovrebbe spettare a VOI" – disse, rimarcandolo senza farsi problema. "L'uomo sbagliato, senza ombra di dubbio" – concluse.

Hugh rise. "Mio zio non sbaglia mai il cavallo su cui puntare. Io valgo poco, non sono adatto a Westminster, ma voi mi sembrate battagliero e promettente. E dicono grandi cose sulle vostre gesta".

Ross alzò il sopracciglio, incuriosito. "Vediamo! Che dicono? Ho rischiato il cappio più di una volta, fatto a botte e pugni nelle peggiori locande di Cornovaglia, sono pieno di debiti e pare di aver avuto anche qualche guaio con la guardia costiera per dei problemi di contrabbando" – concluse, ironicamente.

Hugh spalancò gli occhi e Demelza dovette trattenersi dall'esclamare un 'GIUDA' che avrebbero sentito fino a Illugan. Ma al contrario suo, suo marito sembrò riprendersi più in fretta da queste esternazioni. "In realtà, pare che siate una brava persona e un amico fidato per i vostri minatori, con cui lavorate fianco a fianco instancabilmente. Potreste fare grandi cose per loro a Londra".

Ross gli batté irrispettosamente la mano sul braccio. "Non conosco le buone maniere per chiedere ed ottenere con educazione, il mio problema è quello".

"Siete un filantropo" – insistette Hugh. "Con qualche piccolo accordo e della sana mediazione...".

Ross lo interruppe. "Non so mediare e non intendo farlo. Mi tengo le mie idee, i miei fallimenti e i miei eventuali successi".

Hugh, deciso a combattere almeno quella battaglia per suo zio, insistette. Osservò Demelza e poi Ross e poi ancora Demelza. E gli venne un'idea. "Anche mia moglie ha un animo caritatevole quanto voi, sapete?".

Demelza sussultò e lo guardò come se fosse impazzito. Che diavolo aveva in mente? "Hugh...".

Ma Hugh, fingendo di non sentirla, proseguì. "Sì, proprio stasera mi ha parlato di un progetto finalizzato ad aiutare i bimbi poveri di Truro. Vorrebbe costruire una scuola in città e sono sicuro che da politico, potreste gettarvi con noi in questa impresa che di certo ai vostri occhi, per la vostra gente, sarà gradita".

Ross osservò di nuovo Demelza, stavolta con meno arroganza e con più curiosità. "Una scuola? Che farete, feste di beneficenza in cui raccogliere fondi? Una lady di solito fa così...".

Demelza strinse i pugni, irritata da quella strana aria di superiorità che lui esternava e che svegliava in lei una forte voglia di competere che mai le era appartenuta. "Non ho bisogno di feste di beneficenza per raccogliere fondi, abbiamo abbastanza denaro per fare da soli".

Ross annuì. "Vero, e questo accrescerà la fama di Falmouth verso i suoi elettori. Siete scaltra, mia signora".

"Non lo faccio per questo!" - sbottò lei, irritata, maledicendosi per essere andata su quella balconata.

"Lo fate perché siete annoiata?" - insistette ancora lui, squadrandola come se non aspettasse altro che una sua risposta.

Lei sospirò, intraprendere una guerra di nervi non era nelle sue intenzioni e in fondo, che importava? Non doveva dimostrare nulla a quel Ross Poldark e l'unica cosa importante era dare un futuro a bambini che non lo avevano. "Lo faccio perché quei poveri innocenti possano avere una vita meno disperata di quella dei loro genitori. Se sapessero leggere e scrivere, forse potrebbero scegliere altro nella vita, che non sia il duro lavoro in miniera".

Ross rimase per un attimo in silenzio, poi annuì e per la prima volta usò un tono più gentile, come se nonostante tutto le avesse creduto. "Vi auguro che possiate riuscire in questo intento" – disse, avviandosi vero l'ingresso in sala.

Hugh lo richiamò. "La aiuterete?".

Ross scosse la testa. "Come vi ho detto, ho la mia miniera a cui pensare. E poi non vi siete accorto che vostra moglie è una donna che sa cavarsela da sola e che non ha bisogno di nessuno?" - disse, guardando prima lui e poi, intensamente, lei.

Hugh rimase senza parole e forse avrebbe voluto chiedere di più. Ma era Demelza che non si sentiva in grado di parlare e, si rese conto, si sentiva anche un pò strana. C'era stata una strana energia nell'aria, non del tutto piacevole a tratti, ma ora che tutto era tornato calmo e Ross Poldark se n'era andato, si accorse che avrebbe desiderato portare avanti quel battibecco ancora un pò. "Vuoi concedermi l'onore di un ballo?" - domandò al marito, per chiudere ogni discorso e portare i suoi pensieri altrove.

Hugh annuì e la accontentò, come sempre. Ma anche lui aveva percepito qualcosa di strano che, come sua moglie, non riuscì ad identificare.

Entrarono in sala, le cinse la vita e quando l'orchestra prese a suonare, diedero il via alle danze.


...


Nella carrozza che li riportava a Trenwith e Nampara, Verity chiacchierava allegramente dell'esito della festa. "E' stato così piacevole. E la padrona di casa, Lady Boscawen, è la dimostrazione vivente che non si dovrebbe mai credere alle voci su qualcuno prima di averlo conosciuto di persona. E' una ragazza talmente dolce e gentile...".

Elizabeth sventolò il suo ventaglio, irritata, mentre Francis che ne comprendeva gli umori, sbuffò.

"L'hanno addestrata bene ma si vede che è una campagnola. Quella pettinatura e quel vestito tanto semplici non si addicono a una lady che organizza in casa sua una festa del genere. Non trovate?".

Annoiato, Francis sbuffò di nuovo. "Io Elizabeth a dire il vero, come Verity, l'ho trovata deliziosa... Soprattutto in confronto a molte delle altezzose dame presenti...".

Elizabeth, a quelle allusioni, lo fulminò con lo sguardo e poi cercò l'attenzione di Ross. "E tu? Non dici nulla?".

Lui sospirò, appoggiandosi con la testa al finestrino. "Sono sfuggito agli agguati di Falmouth, giudico la serata un successo".

"Dipende dai punti di vista..." - borbottò sardonico Francis.

"E che ne dici del resto?" - insistette Elizabeth.

Il resto... Ross sapeva bene a cosa lei si riferisse ma non trovò le parole per risponderle. Ripensò a quel viso pulito, a quella strana disputa avuta sul balcone, a come dopo molto si fosse sentito vivo nel provocarla e nel provocare le sue reazioni, all'interesse che lei aveva suscitato in lui e che non riusciva a spiegarsi. E soprattutto pensò a quei lunghi, meravigliosi capelli rossi che sarebbe stato un delitto racchiudere in una qualche acconciatura ricercata. Non aveva mai visto capelli rossi tanto belli... Ecco, se proprio avesse dovuto dire qualcosa, quella era l'unica che gli veniva in mente.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Falmouth, deluso dal fatto che la sua cena non avesse sortito gli effetti sperati con Ross Poldark, era stato meditabondo e silenzioso per giorni. Ombroso, cupo ma comunque deciso a non arrendersi nel raggiungimento della sua meta visto che ancora le elezioni erano relativamente lontane e di tempo per recuperare ne aveva a sufficienza, si era aggirato a lungo per casa, giorno dopo giorno, meditabondo e perso nei suoi pensieri.

Demelza e Hugh gli avevano parlato del progetto della scuola di Truro il giorno dopo il ballo, durante il pranzo, e Falmouth senza quasi stare a sentirli aveva borbottato un sì su tutto, compreso l'impiego di Demelza come insegnante supportata da Hugh, e aveva ripreso a mangiare senza fare obiezioni.

Poi di notte doveva averci pensato e il mattino dopo erano giunte le prime rimostranze. Nonostante approvasse il progetto che avrebbe gettato sui Boscawen una buona luce, non era per niente d'accordo sull'impiego diretto dei suoi eredi. Che avrebbe pensato la gente? Che erano diventati improvvisamente poveri, tanto da aver bisogno di lavorare come le persone del popolo?

No, no e ancora no!

E solo dopo lunghe discussioni Falmouth aveva abdicato, dettando però regole precise: Demelza poteva recarsi alla scuola, come rappresentante dei Boscawen per controllare che tutto funzionasse al meglio, solo due volte a settimana. Avrebbe potuto assistere alle lezioni, rapportarsi ai bambini, anche dare una mano in piccole cose ma il ruolo d'insegnante doveva essere ricoperto da qualcun altro. E soprattutto il ruolo di Hugh nella scuola, a sostegno dell'opera finanziata dai Boscawen, doveva essere ancora più marginale. Una visita ogni tanto, magari due parole sulla poesia coi bambini in qualche lezione speciale, ma nulla più... Loro dovevano rimanere i padroni e controllori e altri dovevano, ufficialmente, svolgere il lavoro.

Demelza e Hugh dovettero accettare, la prima perché non aveva scelta e comunque avrebbe potuto partecipare attivamente alla vita della scuola due volte a settimana e il secondo perché di fatto, a parte il desiderio di far felice sua moglie, non aveva una così pressante voglia di portare a termine quel progetto che continuava a ritenere piuttosto inutile.

Nelle settimane seguenti, sbrigate le incombenze burocratiche, erano stati Demelza e Lord Falmouth a scegliere gli operai che avrebbero portato a termine la ristrutturazione della scuola. Hugh, che era tornato preda di violente emicrania, rimase più in disparte in quella fase e tutto ciò di cui veniva a conoscenza, era ciò che gli raccontava sua moglie.

Molto spesso al mattino presto Demelza, dopo colazione, usciva a cavallo con la scusa di controllare i lavori e si era anche spinta, ogni tanto, a lavorare con martello e assi, indicando agli operai come avrebbe voluto questo o quello. Era qualcosa che amava, il lavoro manuale la faceva sentire viva e soprattutto utile e quando vedeva qualcuno faticare, difficilmente riusciva a stare a guardare con le mani in tasca. Era qualcosa che era costretta a fare a casa, ma a Truro, quando ci si recava da sola, si sentiva più libera di essere se stessa e dentro al cantiere sarebbero stati pochi gli occhi indiscreti che potevano osservarla e poi tradirla con voci poco lusinghiere. Certo, c'erano gli operai, ma li aveva scelti lei e fra loro vigeva un clima cameratesco di supporto e segreti reciproci. Non poteva dire di lamentarsi della sua esitenza dopo il matrimonio, era bella la sua nuova vita, comoda. Ma decisamente troppo statica per la sua anima vivace e ogni tanto aveva bisogno di ricordare a se stessa chi fosse veramente Demelza Carne.

Di solito andava a dare un occhio al cantiere nel fine settimana, quando impegni, ospiti ed obblighi calavano e la casa era più tranquilla. Le domestiche erano più libere di seguire Hugh se non si sentiva bene, anche in sua assenza a suo marito non sarebbe mancato nulla e lei poteva recarsi a Truro senza fretta e in assoluta liberà.

Il quarto sabato mattina dall'inizio del lavori, quando gli operai avevano già carteggiato i muri, sistemato le assi dei pavimenti e iniziavano a lavorare con la calce e lo stucco, Lord Falmouth insistette per recarsi insieme a lei a Truro per controllare lo stato dell'opera e soprattutto perché aveva un appuntamento col suo banchiere.

Demelza, costretta dalla presenza di Falmouth, quella mattina usò la carrozza e quando giunsero a Truro, poco prima delle dieci, diede l'appuntamento al Lord direttamente al cantiere, una volta che avesse terminato il suo incontro in banca.

Col suo abito rosso, si diresse verso quella che sarebbe diventata una scuola. E appena lì, dopo aver salutato gli operai che ormai considerava amici, si nascose dietro a delle asssi, si tirò su le maniche e poi si legò i capelli in una coda di cavallo per essere comoda. Uno stile da campagnola più che da signora, ma essere una lady perfetta, se si dovevano compiere lavori manuali, era decisamente scomodo.

Aiutò a spostare alcune assi, controllò con gli operai i disegni, pulì alcune finestre e alla fine si divertì anche a passare della calce sulla parete. Lavorò un paio d'ore ma quando si accorse che era quasi mezzogiorno e Falmouth poteva arrivare da un momento all'altro, dovette darsi una scrollata dalla polvere, una sistemata e poi corse giù, sulla strada, sperando di non trovare già lì il lord.

Ma fu fortunata, la strada era ormai quasi deserta, tutti erano rientrati per il pranzo e lei aveva tempo di prendere fiato. Si appoggiò alla parete del fabbricato, lasciò che l'aria fresca e il sole le accarezzassero il viso e per un attimo provò pace e soddisfazione per quanto stava costruendo, anche se le precarie condizioni di Hugh nelle ultime settimane erano un'ombra che sempre incombeva su di lei.

Improvvisamente sentì avvicinarsi dei passi e lei si mise dritta, pensando che Falmouth ormai fosse arrivato.

Ma non era lui...

Demelza spalancò gli occhi quando vide di chi si trattava, ricordando la conversazione strana, sconvolgente ma anche divertente avuta con quel tizio quasi due mesi prima. Non ci aveva più pensato, si era imposta di non farlo perché ogni volta che il pensiero le cadeva lì, si sentiva strana e questo non le piaceva affatto. Ma trovarselo davanti così, a sorpresa, le fece ricordare ogni cosa si fossero detti, come si fosse sentita e le provocò un brivido lungo la schiena. "Ross Poldark?".

L'uomo, vestito con abiti piuttosto vecchi ma comunque abbastanza eleganti, la osservò come di solito, forse, si dovrebbe guardare all'apparizione di un fantasma. Era palese che nemmeno lui si aspettasse quell'incontro. "Lady Boscawen?". La squadrò dalla testa ai piedi, osservò poi l'edificio in ristrutturazione con sguardo attento e poi tornò a guardare lei con un sorriso beffardo sul viso. "Lo state facendo davvero, allora?".

Lei sostenne con sfida il suo sguardo altezzoso. "Ne dubitavate e volevate accertarvi che non scherzassi?".

Ross cercò con scarso successo di mascherare una risata. "Ah, non datevi tutte queste arie lady Boscawen, in realtà ero certo che i lavori sarebbero stati portati avanti a tutti i costi da quel volpone di Lord Falmouth che di certo non vorrà perdere questa opportunità di farsi vedere, in vista delle elezioni... Per quanto mi riguarda, sono in città per incontrare dei creditori della mia miniera, non certo per voi e per interesse nei vostri progetti. Ma mi fa piacere vedere che stanno procedendo, di certo sarà un'opportunità in più per i figli di coloro che ci crederanno e vorranno dargli la possibilità di studiare".

Il discorso fatto da Poldark era iniziato in modo irriverente ma il suo tono, nel finale, si era fatto più serio e distaccato. Demelza lo colse subito... "Non ne avete molta fiducia, vero?".

Lui scosse la testa. "Conoscete come ragionano i minatori e i poveri, suppongo. La pagnotta in tavola viene prima di ogni altra cosa. Non saranno molti i bambini che studieranno ma anche se saranno pochi, credo che per quei pochi valga la pena terminare quest'opera".

"Spero che abbia più successo di quanto ci aspettiamo" – asserì lei, pensierosa.

Ross tornò a guardarla con fare beffardo. "E voi? Una lady non si limita di solito a fornire denaro e a finanziare un'opera con feste di beneficenza?".

Demelza rise. "Beh faccio anche quello, ma oggi ho solo dato un'occhio che tutto andasse bene".

Ross le si avvicinò senza che lei potesse impedirle di farlo, allungò una mano e le sfiorò una guancia su cui era rimasto incrostato un filo di cemento. "E questo?" - chiese, levandoglielo con un dito.

Demelza avvampò e in un attimo pensò mille cose. Che era un maleducato, che era irrispettoso, che non conosceva affatto le buone maniere... Che la sua mano era così calda a differenza di quella di Hugh... Il suo tocco talmente veloce e leggero parve darle una scossa talmente forte da farla tremare dalla testa ai piedi e il suo cuore... Santo cielo, le martellava nel petto e se quel tizio se ne fosse accorto, sarebbe morta di vergogna. Di scatto indietreggiò. "Siete un villano, lo sapete?".

"Sì, ne sono consapevole" – rispose lui, stranamente assorto, guardandosi la mano con cui l'aveva sfiorata, apparentemente scosso quanto lei per quanto aveva fatto. "Ma... Ma vi ho fatto un favore, Falmouth avrebbe reagito in altro modo e vi ho salvata appena in tempo" – disse, indicando il fondo della strada da dove il lord, con passo veloce, stava infine giungendo.

Demelza fu presa dal panico. "Giuda!". Istintivamente diede una spinta a Ross verso il piccolo vicolo a fianco del cantiere, lo oltrepassò e si nascose dietro di lui. "Non muovetevi!".

"Perché?" - chiese Poldark, confuso. Ma poi capì...

Dietro di lui, celata alla vista, Demelza si sistemò le maniche del vestito, si scrollò di nuovo di dosso la polvere residua, si toccò il viso per controllare che non fosse ancora sporco e poi, soprattutto, sciolse i suoi lunghi capelli, acconciandoseli poi alla buona con le mani. La coda di cavallo era una cosa da bambine o da contadine, Falmouth non avrebbe approvato se l'avesse trovata così.

Ross rise, osservandola con la coda dell'occhio. "Oh, tornate ad essere donna?!".

"Che volete dire?".

"Che dimostravate si o no dodici anni, fino a due secondi fa".

Demelza lo oltrepassò di nuovo, tornando sulla via principale. Falmouth era ormai a soli cento passi, forse anche meno. "E' un complimento o cosa?".

"Nè un complimento, né altro. Un semplice dato di fatto..." - rispose lui, mettendosi a pensare però, contro la sua volontà, che con quella coda era quanto di più grazioso avesse visto negli ultimi tempi. Era una ragazza giovanissima, poteva avere al massimo vent'anni ma aveva in sé sia la grinta di una giovinetta quattordicenne, sia il fascino di una donna ormai fatta. Lo confondeva e quando la vedeva, anche se non era successo che un paio di volte, il suo stuzzicarla e provocarla non era che un modo goffo e forse infantile per non farle percepire come si sentisse. In realtà nemmeno sapeva cosa lo incuriosisse tanto di lei, non era decisamente il suo tipo, eppure era talmente unica nel suo genere che non riusciva a non colpire chiunque lei incontrasse. E, insistentemente, si chiese che ci facesse una persona così vitale come lei con un damerino come Hugh Armitage... "Comunque..." - le disse, riprendendo possesso delle sue facoltà – "ora mi dovete un favore".

Lei lo guardò storto. "Perché?".

Ross tornò a guardarle i capelli mentre, come due scolaretti sull'attenti, aspettavano Falmouth sul ciglio della strada. "La coda di cavallo" – bisbigliò sotto voce.

Demelza alzò gli occhi al cielo ma non rispose. Non fece in tempo...

Falmouth giunse davanti a loro, stranamente contento ed eccitato e il motivo non era certo la scuola. "Poldark! Che sorpresa! Non abbiamo più avuto vostre notizie dalla festa del mese scorso a casa mia...".

Ross alzò le spalle. "Non credevo di dovervi dare notizie. Ma come vedete, sto bene!".

Falmouth, col suo sguardo da volpe, si grattò il mento. "Lo vedo, lo vedo... Che vi porta quì?".

"Affari".

"Avete visto come viene su bene la nostra scuola?".

Ross annuì, ridendo sotto i baffi. L'unica che sembrava tenerci davvero era Lady Boscawen, per Falmouth quella scuola non era che un tentativo di accaparrarsi dei voti, ma decise di stare al gioco. "Lo vedo e la trovo una cosa davvero utile. Complimenti per l'idea".

Falmouth, tronfio d'orgoglio, osservò Demelza. "L'idea, devo ammettere, viene da questa graziosa lady".

"Mi compiaccio" – rispose Ross, con un leggero inchino verso di lei che Demelza colse, divertita, come molto beffardo verso Falmouth.

E decise di contrattaccare. "Devo un favore al signor Poldark!" - disse, fiera di aver trovato un modo per mettere Poldark al muro e ricacciargli indietro il suo sarcasmo, ripagandolo con la stessa moneta.

Falmouth si accigliò. "Un favore?".

Demelza sorrise, ammagliante. "Sì, diciamo che riguardo ai lavori alla scuola... mi ha evitato qualche guaio dandomi... una mano...".

Ross la osservò senza capire, ma consapevole di essere forse in trappola senza saperne il motivo. "Oh nulla di che! Si sta facendo tardi e credo di dover andare". Il suo istinto gridava che, se era furbo, doveva correre subito via di lì.

Ma Demelza finse di non sentirlo e fu più veloce. "Dovremmo invitare il signor Poldark a un pranzo da noi. Una cosa tranquilla, di famiglia, per ringraziarlo e magari per renderlo partecipe dei lavori della scuola".

Ross la fissò, pensando che in quel momento l'avrebbe volentieri sculacciata come si fa con le bambine dispettose. "Ahhh, io non ambisco a tanto e la scuola viene su benissimo solo con le vostre forze...".

"Ma io insisto, un debito di riconoscenza è un debito di riconoscenza..." - rispose la donna, sbattendo civettuosamente le palpebre.

Falmouth prese la palla al balzo, rendendosi conto che in Demelza aveva trovato un'ottima ed infallibile alleata. "Sono d'accordo, un bel pranzo fra noi! Vi aspetto sabato prossimo a mezzogiorno!" - disse con tono di ordine, col classico modo di fare di chi non accetta repliche. "Farò cucinare del montone condito con dell'ottimo miele! E patate al forno con pancetta! E per dolce, crema di mele e limoni con biscotti di zenzero. E per l'occasione apriremo una buona bottiglia di vino, annata 1784, anno d'oro per la produzione vinicola!".

Ross impallidì, preso alla sprovvista da quel fiume di parole. "Ecco...".

"Sarete puntuale, vero?".

"Lo sarà" – rispose Demelza al suo posto, lanciando uno sguardo di sfida a Ross.

Lui sospirò, vinto, rassegnato e vagamente desideroso di sculacciarla, di nuovo. Certo, se avesse voluto, con la sua migliore faccia tosta e i suoi peggiori modi di fare, avrebbe potuto dire di no. Ma questo sarebbe stato preso come una fuga da Lady Boscawen e lui non si sarebbe sottratto alla sfida che quella impertinente ragazzina gli aveva lanciato. "Puntualissimo!" - disse, sicuro, lanciando figurativamente il guanto della sfida.

Falmouth, tutto soddisfatto ed ignaro delle dinamiche fra i due, indietreggiò. "Ottimo, ottimo! Vado a chiamare il cocchiere e vengo a prenderti quì con la carrozza, mia cara. Il sole è troppo alto a quest'ora e camminare potrebbe stancarti".

"Certo!" - rispose lei, con finta innocenza.

"A sabato prossimo, signor Poldark" – rispose infine Falmouth prima di andarsene.

Quando fu abbastanza lontano, Ross si voltò verso di lei, indispettito. "Voi siete pessima, lo sapete?".

"Sì, ne sono consapevole. Ma vi dovevo un favore, no?".

Ross le si avvicinò, fronteggiandola. "Ora me ne dovrete DUE!".

"Me ne ricorderò".

"Farete bene a farlo!".

Lei rise, civettuola. "Oh, su! Un invito a pranzo non è una condanna al patibolo!".

"Con vostro zio che tenterà di portarmi senza sosta fra le maglie della politica?"

"Potete sempre dire di no! O nascondervi sul balcone, come avete fatto al ballo" – fece osservare lei, prendendolo in giro.

"Dubito di riuscire a farlo, in un informale pranzo di famiglia con pochi commensali".

Lei esibì un sorriso furbo. "E allora, temo, dovrete sfoderare tutte le buone maniere che avete appreso da piccolo. Per un paio d'ore, dovreste riuscirci, no?".

Ross stava per risponderle di sì, ma non ci riuscì. Sarebbe stata una palese balla! Nessuno era mai riuscito a farlo sembrare un damerino e le buone maniere erano qualcosa di assolutamente lontano da lui per la maggior parte del tempo. E quindi scoppiò a ridere. Di buon umore, come non gli succedeva da molto.

E anche lei rise.

E Ross, guardandola, si rese conto che quando rideva era ancora più bella di qualsiasi altro modo in cui l'avesse vista fino a quel momento. Per un attimo osservò il suo sguardo pulito, la risata allegra, i modi di fare così anticonvenzionali ed in fondo tanto simili ai suoi, si trovò ad immaginare il lavoro manuale fatto nel cantiere poco prima e si rese conto di apprezzarla, in qualche perverso modo. E che aveva voglia di pranzare con lei, contro ogni logica.

Era da quando era partito per l'America che non si sentiva tanto leggero...


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


La mattina non era iniziata nel migliore dei modi e lo stato d’animo di Demelza era nervoso ed agitato.

Ma il pensiero che fra poche ore sarebbe arrivato il loro ospite e che quel pranzo per Lord Falmouth significava molto, la costrinse a vestirsi, a sfoderare il suo migliore sorriso e ad affrontare la giornata in maniera costruttiva anziché distruttiva.

Ma rimaneva arrabbiata e mentre si vestiva, non erano infrequenti gli sguardi torvi che di tanto in tanto le sfuggivano verso suo marito.

Difficilmente lei e Hugh erano in disaccordo e ancor più rare erano state le liti fra loro, ma quella mattina qualcosa nell’atteggiamento di suo marito l’aveva indispettita oltre ogni misura. Da sempre Hugh si era dimostrato poco attratto dal lavoro di suo zio e il suo animo poetico mai si era sottomesso ed adattato a questioni politiche e finanziarie su cui basava la sua vita Lord Falmouth e che erano i fondamenti del potere stesso del casato dei Boscawen.

Falmouth aveva dovuto suo malgrado accettare il fatto che Hugh non avrebbe seguito le sue orme e con l’arrivo della malattia, aveva deposto definitivamente ogni speranza su di lui. Tutto ciò che gli chiedeva era però una costante presenza, quanto meno, ai pranzi con i suoi illustri ospiti in modo da dare risalto all’unità famigliare verso l’esterno.

Ma Hugh aveva sempre acconsentito mal volentieri a tutto questo e l’aggravarsi dei suoi mal di testa l’avevano tenuto isolato per un po’, cosa che forse non gli era dispiaciuta troppo.

Questo suo atteggiamento però aveva sempre indispettito Demelza che di certo diventava protettiva come una chioccia verso di lui quando stava davvero male e si sentiva di concedergli qualsiasi cosa, ma mal tollerava nei momenti di calma  in cui suo marito le sembrava spesso un bambino un po’ capriccioso. Era ben consapevole di quanto fossero fortunati, di quanto dovessero ringraziare Falmouth per il benessere in cui vivevano, di quanto Hugh dovesse essere grato alle ricchezze di famiglia per le ottime cure che riceveva e la irritava questo suo volersi sottrarre ai pochi obblighi che gli erano richiesti. Presenziare a un pranzo poco più che di famiglia era poca cosa, il minimo che potesse fare in un giorno in cui le sue condizioni di salute non destavano preoccupazioni e il suo atteggiamento di uomo che si avvia al patibolo avevano fatto arrabbiare Demelza che quella mattina era sbottata, richiamandolo ai suoi obblighi famigliari. Raramente succedeva e forse era la prima volta che non si era trattenuta nei toni e da quel momento Hugh era diventato taciturno e musone come un bambino.

Decise di non farsi abbindolare ed intenerire, però. Perché per quanto fosse vero che Hugh la accontentava sempre in ogni richiesta, era altrettanto vero che lo stesso faceva lei con lui. Ma qui non erano lei o lui i protagonisti della scena, qui c’erano gli interessi di Lord Falmouth e l’attività di famiglia da tutelare e visto quanto ricevevano dallo zio senza dargli nulla in cambio e considerato che suo marito stava bene, il minimo da fare era partecipare a un pranzo – visto che comunque a mezzogiorno dovevano mangiare – senza fare troppe scene. E poi in fondo, da quel poco che conosceva Ross Poldark, di certo non si sarebbe prolungato in cerimonie e in poco tempo se ne sarebbe andato senza troppi fronzoli.

Finì di vestirsi, legandosi in vita un abito verde non troppo ricercato ma elegante il giusto per un pranzo informale. “Hai finito o hai bisogno di aiuto con la camicia?” – chiese in tono piatto al marito, che stava finendo di vestirsi seduto sul bordo del letto.

Posso fare anche da solo”.

Bene”.

Hugh alzò lo sguardo su di lei. “Ti sei preparata in fretta oggi, sembri così eccitata per questo pranzo…”.

Il tono di voce vagamente accusatorio di Hugh non le piacque per niente e servì ad irritarla ulteriormente. “Non mi pare di essere eccitata”.

Hugh si alzò dal letto, oltrepassandola. “A me sembra di sì! Mi sarebbe piaciuto averti dalla mia parte, oggi. Ma evidentemente i tuoi desideri migrano altrove”.

Demelza, con un gesto stizzito, picchiò la spazzola sul ripiano della toeletta. “Sono dalla tua parte, sempre! E dalla parte della famiglia!”.

Se fossi stata dalla mia parte, non avresti organizzato questo pranzo con Ross Poldark!”.

Ho colto la palla al balzo per tuo zio, quando ne ho avuto l’occasione. A tavola, a tu per tu, di certo avranno modo di parlare e confrontarsi meglio che ad una festa piena di invitati”.

Hugh aprì la porta, sbuffò e poi uscì, sbattendola dietro di se. “Certo, lo hai fatto per mio zio…” – disse malignamente, con la sua voce che evaporava come un soffio lungo il corridoio.

Demelza scattò in piedi e la sua furia l’avrebbe di certo spinta ad inseguirlo nel corridoio per urlargli contro qualsiasi cosa gli venisse in mente per quell’atteggiamento insensato, ma quanto aveva appreso negli anni sulle norme di comportamento che una buona lady deve tenere, la frenarono il tempo necessario per riflettere e pensare. Hugh era un visionario? Era semplicemente annoiato o geloso? Oppure forse, davvero lei era particolarmente contenta per quel pranzo, tanto da irritare suo marito? Certo, Ross Poldark era un tipo anticonvenzionale con dei modi di fare talmente poco ortodossi da divertirla ed attrarla, ma a parte questo, che cosa poteva esserci d’altro? Decise che non c’era nulla, se non i capricci senza senso di Hugh che quel giorno aveva deciso di diventare l’uomo più antipatico di Cornovaglia.


Ross Poldark arrivò puntuale, cosa che in un certo senso stupì Demelza. Non le sembrava un tipo così affidabile, ma a quanto sembrava quel sabato si era votato alle buone maniere a differenza di quanto facesse Hugh.

La giornata, piuttosto calda e soleggiata, spinse Lord Falmouth a far apparecchiare la tavola che avevano in veranda in modo che potessero pranzare all’aria aperta, circondati dal profumo del rigoglioso giardino della tenuta.

Demelza si sedette accanto a Hugh, senza degnarlo di uno sguardo. Falmouth, che doveva essersi accorto della tensione nell’aria ma non si era pronunciato, dal lato opposto del tavolo assieme a Ross.

Le cameriere servirono le pietanze in un clima piuttosto rilassato nonostante tutto, e Falmouth prese il discorso alla lontana, chiedendo a Ross delle sue miniere e della sua famiglia.

Gustando la carne, Ross sospirò. “La mia famiglia sta bene, la mia miniera un po’ meno ma continuo ad avere, con mio cugino, qualche speranza in un futuro colpo di fortuna”.

Falmouth addentò un pezzo di montone. “Ci vuole fortuna e ci vogliono anche capitali e soci…”.

Demelza trattenne una risatina per quella non troppo velata allusione di Falmouth che Ross finse di ignorare.

Per ora, posso solo permettermi di sperare nella fortuna” – rispose infine Ross, sibillino.

E nella vostra testa dura” – asserì Falmouth, vago.

Ross decise di cambiare discorso per evitare di incamminarsi nel sentiero voluto da Falmouth, rivolgendosi a Demelza fin lì stranamente silenziosa ed arrendevole. “Mia cugina Verity vi saluta. E vi ringrazia, a quanto pare siete l’artefice della sua felicità”.

Demelza spalancò gli occhi. “Io?”.

Ross annuì. “Dal giorno del ballo, frequenta Andrew Blamey. E ne è felice, anche se mio cugino Francis inizialmente, ha avuto da ridire per via dei suoi trascorsi famigliari. Ma ora pare convinto anche lui, anche se le fa mille raccomandazioni come se fosse il padre di Verity e non il fratello”.

Torvo, Hugh addentò della carne. “Blamey è una brava persona e per voi, viste le circostanze, sarebbe una fortuna averlo nel clan di famiglia”.

Lo disse in tono un po’ saccente, cosa non da lui, che Demelza captò subito. Santo cielo, era insopportabile! “Mio marito voleva dire che… Blamey è una persona sicuramente valida che gode della sua massima fiducia. E che sarà una piacevole compagnia per Verity. Sono felice per lei e ditele che ricambio i suoi saluti”.

Ross si rese conto al volo del disagio di Demelza e di quanto fosse brava a coprire tensioni o eventuali contrasti col marito. C’era qualcosa di strano nell’aria, che non capiva ma che turbava la ragazza che di certo sembrava meno sbarazzina rispetto alla settimana prima, quando l’aveva incontrata al cantiere della scuola. Si chiese cosa la legasse davvero a suo marito, la natura del loro matrimonio e se fosse felice in quella realtà artefatta e apparentemente molto lontana dal suo modo di essere. “Porterò i vostri saluti a Verity” – disse infine, cercando di darle una mano a gestire il malumore del marito più che evidente.

"Vi ringrazio" – rispose Demelza, osservando di sbieco lo sguardo sempre più cupo di Hugh.

Finirono di mangiare piuttosto in fretta, con un Falmouth mattatore della conversazione. Demelza rimase silenziosa, così come Hugh, entrambi nervosi e poco inclini ad essere di compagnia.

Dopo il dolce Hugh chiese di andare a riposare, accusando un vago mal di testa, Falmouth rapì Ross nel suo studio con la scusa di mostrargli alcune vecchie mappe sulle miniere recuperate a un mercato di Londra e Demelza, forse felice di trovare nella solitudine un pò di pace e una cura al suo malumore, si rifugiò in giardino. Di solito quando Hugh stava male, lo seguiva in camera. Ma quel giorno non ne aveva voglia, non credeva fino in fondo al suo malessere e per una volta decise di essere egoista e di pensare a se stessa. Scese fra le sue rose, al massimo della loro fioritura, ne inspirò il profumo, osservò le siepi e la magnolia, i fiorellini di campo seminati nel prato e si inginocchiò infine a controllare lo stato delle sue primule di campagna che stavano sbocciando in mille colori diversi.

Il giardino, da sempre, le offriva svago e serenità e vi si perdeva per ore, senza rendersi conto del passare del tempo. Ma quel giorno non riuscì a calmarla del tutto. Si chiese cosa indisponesse tanto Hugh, perché di colpo avesse trovato motivo di essere geloso quando non lo era mai stato e soprattutto, se ne aveva motivo... Lei e Ross Poldark non si erano visti che due volte, di certo non lo aveva incoraggiato a nulla e tutto ciò che le sembrava di sentire era una simpatia istintiva – o forse voglia di sfida – verso una persona particolare ma con un carattere simile al suo. Certo, non poteva dire di trovare spiacevole la sua compagnia, nelle volte in cui si erano confrontati da soli lo aveva trovato divertente e dotato di un carisma non indifferente, ma a parte questo...? Il pranzo di quel giorno era stata un'idea che le era balenata in mente il sabato prima, in un incontro fortuito che l'aveva messa sulla strada giusta per aiutare Falmouth. Lo aveva invitato per aiutare il capostipite della famiglia, lo aveva fatto solo per questo! Giusto? Non era così? Non se lo era mai chiesta, era abbastanza certa delle sue intenzioni o meglio, lo era stata fino a quel mattino davanti alle velate accuse di Hugh che ci fosse altro. Forse c'era altro, una normale simpatia... Chi non trova simpatico qualcuno oltre a suo marito, dopo tutto?

Persa il quei pensieri, raccolse dei fiori da mettere in un vaso nella sua camera da letto, legandone i gambi con una fascina. Emanavano un profumo intenso e avrebbero alleggerito l'aria pesante di casa sua in quel giorno poco lieto.

Fece per tornare poi verso casa, rendendosi conto che forse erano passate due ore buone da quando era in giardino, quando vide Ross Poldark scortato da una domestica verso il cancello. "Ve ne state andando?" - gli chiese andandogli incontro, stranamente delusa di essere stata così tanto da sola. Insomma, una buona padrona di casa non dovrebbe farlo...

"Mi sono trattenuto fin troppo... Vostro zio mi ha illustrato prima delle mappe, poi i libri con l'albero genealogico di famiglia e infine i suoi piani politici per le prossime elezioni. Sapevo che ci sarebbe arrivato, ero pronto a controbattere e me la sono cavata dicendo che ci avrei pensato...".

Demelza sorrise, immaginando la scena. Fece cenno alla domestica di rientrare che avrebbe scortato lei l'ospite all'uscita e poi, una volta rimasti soli, si incamminarono verso il cancello a piccoli passi. "E lo farete?".

"Cosa?".

"Ci penserete a un'alleanza con Falmouth?".

"Non lo so! Ma dirlo mi sembrava una buona via di fuga!".

Demelza alzò gli occhi al cielo. "Lui pretenderà una risposta".

"Lo immagino..." - rispose Ross, vago, guardandosi attorno. "E' davvero un bellissimo giardino, questo" – esclamò, cambiando furbamente discorso.

Demelza arrossì, orgogliosa di quel complimento. Quel giardino era come un figlio per lei. "Vi ringrazio. Lo curo personalmente".

"Beh, complimenti".

"Voi avete un giardino?".

Ross scoppiò a ridere. "A Nampara? Una volta c'era, quando ero piccolo lo curava mia madre ed era brava quanto voi. Ma ora è incolto e pieno di erbacce".

Demelza si imbronciò. "Oh, è un peccato! Avreste dovuto curarlo in memoria di vostra madre".

Ross fischiettò, rivolto al vento. "Sono solo, scapolo, pieno di debiti e con una miniera da portare avanti. Vi sembra che possa mettermi a fare giardinaggio?".

"Potreste trovarvi una moglie che lo faccia. Alle donne piace" – propose lei, rendendosi conto che in effetti quello era un lavoro da donne.

Ross si accigliò. "Me lo consigliate?" - chiese, ironicamente, ripensando al clima pesante di poco prima a tavola.

Demelza stentò a mascherare un sorriso sarcastico. "Chiedetemelo un altro giorno...".

Ross parve incuriosito. "Lo immaginavo... Vostro marito... Oggi era...".

Lo bloccò. "Ecco, non stava molto bene stamattina, mal di testa" – mentì.

"Ne soffre spesso...".

Demelza non rispose, Hugh non avrebbe gradito quel loro discorso su di lui e in fondo non erano affari del signor Poldark. Giunsero al cancello e finalmente lo fronteggiò, viso a viso. "Buon rientro, signor Poldark. E pensate a quanto vi ha detto Falmouth".

"E se non lo facessi? Verreste voi a prendermi per le orecchie?" - le chiese, con quel tono di sfida che di tanto in tanto sembrava amare usare con lei.

Demelza, di nuovo, raccolse d'istinto la sfida. "Può darsi... Da Truro a Nampara, a cavallo, si fa veloce".

Ross non le rispose. Ridacchiò, accennò un saluto con la mano e poi montò a cavallo. "A presto allora, Lady Boscawen".

Demelza rimase ferma a guardarlo andare via. "A presto, Ross Poldark..." - disse in un soffio.

Rimase lì ferma, coi fiori in mano, come in tranche, alcuni minuti. Che le prendeva? Perché ogni volta le batteva così il cuore? E Hugh? Era di questo che Hugh aveva paura?

Quei pensieri le fecero ricordare i suoi doveri, che aveva un marito, che non poteva permettersi certe sensazioni e che doveva fare rientro in casa.

A passi veloci oltrepassò il giardino, salì al primo piano dove c'erano le stanze da letto ed entrò in camera. Hugh era lì, seduto alla scrivania invece che a letto, a scrivere e leggere alcune carte.

"Non avevi mal di testa?" - chiese, sistemando i fiori nel vaso.

"Mi è passato!" - rispose lui, stanco. "In realtà volevo scriverti una poesia per farmi perdonare per il mio comportamento di oggi".

Lei sospirò, andandogli vicino e mettendogli la mano sulla spalla. "Non ho bisogno di poesie ma di fiducia. Quella che sembri aver perso...".

"Ne ho motivo?" - chiese lui, guardandola.

Demelza strinse i pugni. "No".

Hugh sospirò. "Eppure, sembri tenerci così tanto a questa collaborazione di mio zio con Poldark. E pure mio zio sembra non pensare ad altro... Con me non avete insistito così".

Demelza gli si sedette accanto, accarezzandogli la guancia e capendo forse in parte il tormento che lo affliggeva. "Hugh, non ho mai insistito perché ho sempre saputo che non era quello che volevi. E anche tuo zio".

"Se mio zio mi avesse ritenuto valido, avrebbe insistito fino alla nausea con me e tu lo sai. Invece ha deposto subito le armi e ha guardato e cercato altrove".

Demelza sospirò, cercando le parole adatte a tranquillizzarlo ma anche quelle giuste per fargli comprendere che il suo era un atteggiamento sbagliato. "Da piccola, sai, c'erano tante cose che avrei voluto. Una bambola, ad esempio... Per una bambina ricca, una bambola è ben poca cosa ma per chi non ha quasi cibo è un sogno irrealizzabile. E così ho capito che non ci si può permettere tutto, che ognuno ha dei punti di forza e dei punti di debolezza e che è segno di maturità accettarlo. Tu non sei nato per la politica e per gli affari, sei nato per essere un artista e un poeta. Lo sai tu, lo so io e lo sa tuo zio. Ross Poldark forse ha la faccia tosta adatta a spuntarla a Westminster ma tu hai altre dote che lui non ha. Ognuno è ciò che è e non è essendo gelosi degli altri che ci si migliora. Io ad esempio non so essere una lady al pari delle altre gran dame che incontriamo alle feste, ma cerco di far del mio meglio in ciò che mi riesce e ne sono contenta".

Hugh abbassò lo sguardo. "Mi fai sembrare infantile...".

"Non lo sei. A parte oggi non lo sei mai stato" – rispose, in maniera dolce ma comunque risoluta. Quel giorno Hugh non si era comportato bene e non era giusto nasconderglielo.

L'uomo sospirò, alzandosi e avvicinandosi alla finestra. "Se n'è andato?".

"Chi?".

"Poldark?".

"Sì, poco fa. L'ho incrociato mentre ero in giardino".

"E che vi siete detti?".

"Nulla di che! Mi ha fatto i complimenti per piante e fiori. E io gli ho consigliato di trovarsi una moglie che curasse il suo di giardino".

Hugh scoppiò a ridere. "Sei sfacciata!".

Anche lei rise. "Forse un pò...".

"E..." - Hugh tentennò – "Ti farebbe piacere?".

"Cosa?".

"Che si sposasse?".

Demelza deglutì, presa alla sprovvista da quella domanda a cui non aveva pensato. Perché avrebbe dovuto dispiacergli? E perché pensarci non la lasciava del tutto indifferente? "No, perché dovrebbe?".

Hugh sorrise, avvicinandosi e accarezzandole il viso. "Scusa, hai ragione".

Lei abbassò lo sguardo. Anche Ross Poldark l'aveva sfiorata sulla guancia allo stesso modo solo sette giorni prima e a differenza di suo marito, la cui mano era spesso tiepida, aveva laciato una traccia di fuoco sulla sua pelle. "Quindi, stasera andremo a letto non arrabbiati, Hugh?".

"Spero di sì. E per quanto riguarda Poldark, dubito che seguirà il tuo consiglio sul matrimonio" – asserì suo marito con sicurezza.

"Perché?".

"Te la ricordi Elizabeth, la lady sposata con suo cugino?".

Demelza sentì un crampo allo stomaco nel ricordare quella sgradevole donna. "Sì, come scordarla?".

Hugh si affrettò a spiegare. "Prima di partire per la guerra anni fa, era la sposa promessa di Ross, dicono che lui vivesse per lei. Ma quando tornò, scoprì che Elizabeth si era fidanzata con Francis ed erano promessi sposi. Da allora vive come un monaco, credo che non abbia ancora superato lo scorno e la delusione".

Demelza spalancò gli occhi, non se lo aspettava e di certo gli sembravano due persone talmente mal assortite da considerare un colpo di fortuna per Ross non averla sposata. "Sì è innamorata di suo cugino?" - chiese, incredula. Francis era un uomo piacevole certo, ma Ross... Come poteva una donna che poteva scegliere, scegliere Francis?

Hugh sorrise, tornando alle sue carte. "Non credo si tratti d'amore, mia cara".

"E di cosa?".

"Lei ha scelto il cugino con la terra più ricca e la casa più lussuosa" – spiegò, con semplicità.

E Demelza, per la prima volta, pensando all'arroganza di Ross che forse nascondeva un grande dolore, provò una stretta al cuore per lui. Era un mondo feroce e complicato quello in cui entrambi vivevano, un mondo fatto di interessi ed apparenze che schiacciava chi era ritenuto inferiore e meno meritevole. E lui di certo ne era stato vittima, come lo era lei ogni volta che una dama come Elizabeth Poldark la incontrava a un ballo e col solo sguardo le ricordava quanto fosse inferiore a chiunque in quella stanza.


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Quando Ross arrivò a Trenwith, fu Verity ad accoglierlo.

Zia Agatha se ne stava in poltrona a fare i tarocchi, Elizabeth era seduta su una poltrona a cucire e in casa c'era un silenzio tranquillo.

"Scusate il disturbo, cercavo Francis, devo mostrargli alcune bozze del nuovo finanziamento chiesto a Pascoe e dobbiamo discutere insieme degli interessi".

Verity lo abbracciò. "Non disturbi affato, è molto che non ti fai vedere quì. Non ci incontriamo dal ballo dei Boscawen e sono quasi due mesi che è avvenuto".

Ross le sorrise, dandole un buffetto sulla guancia. "Due mesi intensi per te, da quanto si racconta in giro" – asserì malizioso e divertito. Era felice per lei e per la storia nascente col capitano Blamey ma Verity restava sempre la sua cuginetta preferita, quella che più stava agli scherzi e questo non sarebbe mai cambiato fra loro. Ed era così divertente farla arrossire...

Verity rispose dandogli una leggera spinta. "Sia benedetto quel ballo e tu che mi ci hai accompagnata. Anche se ti sei dato subito alla fuga e mi hai lasciata sola... Per fortuna ci ha pensato Lady Boscawen a me".

Ross le baciò la mano. "A proposito, mi hanno invitato a pranzo lo scorso sabato e per una serie complicata di eventi... sono stato costretto a presenziare. Lady Boscawen ti manda i suoi saluti".

Verity sorrise. "Oh, è così adorabile quella ragazza".

Ross pensò fra se e se che probabilmente aveva ragione, ma mai si sarebbe azzardato a dirlo ad alta voce. Però fu un pensiero veloce, interrotto dall'arrivo di Elizabeth.

"Ovviamente è stata educata e ammaestrata a dovere per esserlo".

Ross la fissò storto ed Elizabeth fu costretta a cambiare tono, avendo già constatato quanto lui non amasse quel genere di discorsi.

"Voleva essere un complimento, quella ragazza ha imparato in fretta il modo corretto di comportarsi" – si corresse. "La ammiro per questo. E comunque cugino, è un piacere che tu sia quì" – disse, col suo solito modo di fare mellifluo ed elegante, che spesso sapeva incantare i suoi interlocutori.

Ross si chinò a baciare anche la sua di mano, prima che la voce di Agatha, gracchiante, giungesse dal fondo della stanza a richiamarlo ai suoi doveri. "Nipote, il fascino antico della tua vecchia zia non ti attira più? Ti sei dimenticato di me? Da quanto non vieni a trovarmi? Se fossi un bambino, mi potrei accorgere di quanto cresci fra una visita e l'altra".

Ross sospirò, lanciò un'occhiata furtiva e d'intesa a Verity e poi andò da lei. "Ovviamente ti ho lasciata per ultima perché il meglio lo si deve lasciare alla fine. Mi spiace zia, ho avuto davvero poco tempo per passare" – le sussurrò, mettendole dolcemente una mano sulla spalla.

Agatha scosse la mano. "Sciocchezze, come può una miniera impegnare tutto il tuo tempo?".

Ross rise. "Oh, avrei un lungo elenco di cose che normalmente faccio, per spiegartelo".

Elizabeth si riavvicinò. "Francis, a proposito, è uscito. Ha promesso a Geoffrey Charles di portarlo a fare un giro in campagna in calesse e credo che torneranno verso cena. Vuoi fermarti a mangiare con noi?".

Il tono speranzoso della voce di Elizabeth lo tentò di accettare, ma si rese conto che forse questo avrebbe potuto dar fastidio a Francis. Il matrimonio di suo cugino con Elizabeth era passato da acque agitate e ora che sembrava navigare in un mare più tranquillo, non era il caso di rimescolare le carte. Era palese che lui trovasse piacevole la compagnia di Elizabeth ed era altrettanto palese che Elizabeth provasse lo stesso. C'era rimpianto nei loro sguardi, o almeno lui sperava di vederne negli occhi di lei, e consapevolezza di aver perso un amore importante e forse unico. "Devo arare il campo a sud con Jud, stasera. Mi spiace ma non posso fermarmi, vedrò Francis domani alla miniera e gli parlerò lì".

"Vai già?" - domandò Verity, delusa.

"Devo" – rispose, mettendosi il tricorno in testa. "Ma prometto che verrò più spesso" – concluse, strizzando l'occhio a zia Agatha che lo guardava torva.

"Ti accompagno al cancello allora" – propose Elizabeth, a sorpresa.

Una sorpresa che Ross accolse con favore. "Ti ringrazio".

Salutò sua zia e sua cugina e con Elizabeth raggiunse il giardino, godendo del tepore di quel'assolato pomeriggio primaverile. "Francis è davvero cambiato" – disse, passeggiando nel vialetto con lei a fianco.

"Sì, e questo è merito tuo".

"Mio?".

La donna annuì. "Dargli fiducia e includerlo come socio nella Wheal Grace è stato un grande gesto da parte tua, che ha decretato la rinascita di Francis come uomo e come padre".

Ross si sentì lusingato, forse più per la gratitudine dimostrata da Elizabeth che per il cambiamento avvenuto in Francis. "Al momento però, la Grace non è altro che un buco nel terreno che fagocita denaro".

"E se trovassi nuovi investitori? Lord Falmouth sarebbe ben felice di aprire il suo portafoglio per te" – tentò, ripercorrendo i desideri di Francis.

Ross ridacchiò. "A un bel prezzo, però".

Lei lo guardò civettuola ma con sguardo indagatore, come se volesse scoprire un qualcosa che la tormentava o quanto meno, incuriosiva. "Eppure, pare piacerti andare in quella casa. Hai persino accettato un invito a pranzo che di solito avresti evitato".

Ross arrossì, senza volerlo, ripensando all'incontro con Lady Boscawen. "In quella famiglia, diciamo che... ci sono persone molto persuasive".

"Lady Boscawen?" - domandò Elizabeth, indovinando, con voce nervosa e ora più stizzita.

Ross cambiò argomento, sorpreso da quanto l'intuito femminile difficilmente sbagliasse. "Cosa importa? Per ora, da quel fronte, non aspettarti nulla".

Anche Elizabeth capì che era meglio cambiare argomento, anche se quel modo di fare di Ross, in qualche modo, confermò un suo sordo sospetto che la indispettiva contro ogni logica verso Demelza Armitage. "Beh... Ma hai parlato di nuovi prestiti da parte di Pascoe, giusto?".

Ross sospirò. "Sì, ma non saranno prestiti risolutivi. Pascoe non può esporsi ulteriormente e io non posso aumentare ancora i miei debiti. Farò un nuovo finanziamento, di scarsa portata monetaria, con Henshawe che ha accettato di farci da garante, ma se la fortuna non gira, la Grace è destinata alla chiusura". Si fermò affranto e si voltò verso di lei, trovandola ancora una volta bellissima e perfetta. Non c'era creatura al mondo migliore di Elizabeth ai suoi occhi e per tutta la vita si sarebbe chiesto perché e come l'avesse persa. Tutta la vita l'avrebbe rimpianta, anche con rabbia forse, visto che Francis pareva non rendersi conto del valore della donna che aveva accanto come moglie... "Mi dispiace. Se la Grace fallisce, trascinerò anche te nel baratro. L'unica cosa che mi consola è che il tuo matrimonio ha tratto un qualche beneficio da questa fallimentare impresa".

Gli occhi scuri di Elizabeth lo fissarono, a pochi centimetri dal suo viso. In quel momento in lei c'era ben poco della lady dimessa e arrendevole e Ross intravide una strana determinazione che forse non aveva mai notato prima. "Davvero, ti consola, Ross?".

"Cosa?" - chiese, con fiato corto, perso nel suo viso come un adolescente alla prima cotta.

"Il miglioramento del mio matrimonio" – specificò lei.

Ross capì che non poteva mentire e che Elizabeth – e forse chiunque per quanto erano palesi – poteva leggergli senza problemi in viso, la vera natura dei suoi sentimenti. "E' ciò che dovrei provare" – disse, in un soffio.

Lei scosse il capo, in un modo studiato, sensuale ed elegante. Poi, con un gesto inaspettato, gli sfiorò la mano. "Chi lo sa, noi due, cosa dovremmo provare?".

Ross spalancò gli occhi. "Che vuoi dire?".

"Che eravamo promessi ed è da imputare alla mia inesperienza e al mio scarso carattere, la fine del nostro legame".

Ross divenne improvvisamente serio, ricordando fatti e discussioni con lei che erano stati particolarmente dolorosi. "Hai sposato Francis perché lo amavi. Me lo hai detto tu...".

Lei deglutì. "Ero così giovane e così innocente. Non sapevo appieno, cosa stessi facendo. E l'influenza di mia madre che insisteva che questo era il matrimonio giusto, hanno fatto il resto... Ma se tornassi indietro...".

Ross, col cuore che accelerava pericolosamente nel suo petto, le strinse il polso in maniera compulsiva. "Se tornassi indietro?" - chiese, mentre stupidamente la speranza tornava in lui anche se era troppo tardi.

"Se tornassi indietro, non farei quella scelta" – si risolse a dire lei, occhi negli occhi con lui.

Ross spalancò gli occhi mentre le gambe parevano cedergli. "Perché dici questo?".

Lei alzò le spalle. "Non credere che sia facile questa mia ammissione... Voglio bene a Francis ed ora il matrimonio con lui è piacevole e sereno. Ma non si vuole e pretende solo questo da un matrimonio, vero? Tu avresti potuto darmi serenità ma anche altro. Quell'altro che da l'amore vero e che Francis non può offrirmi. Una parte del mio cuore sarà sempre tua, Ross. Ora lo so. Così come so che una parte del tuo apparterrà per sempre a me".

Ross tremò, senza lasciare la presa sul suo polso. E così, provava anche lei ciò che provava lui? Doveva davvero crederle? Che stava cercando di dirgli, Elizabeth? E lui, ora che avrebbe dovuto fare? Sperare? O reprimere sul nascere quei sentimenti che stavano prepotentemente tornando, spinti dalla sapiente mano e dalle parole di Elizabeth. "Che cosa dovrei dirti, ora?".

Lei parve destarsi da quel momento di confidenza fra loro che poteva avere conseguenze gravissime, tornando immediatamente a recitare la parte della ragazza timida. Liberò la mano dalla sua stretta e si coprì il viso, come a voler celare un rossore che però Ross non aveva notato. "Oh, perdonami e dimentica ciò che ti ho appena detto".

"Come potrei?" - le domandò. Sarebbe stato impossibile dimenticare...

"Fallo per me" – lo implorò lei.

Per Elizabeth avrebbe scalato i monti più alti del mondo e le avrebbe regalato la luna, se lei glielo avesse chiesto. E quindi sì, non avrebbe dimenticato perché era impossibile, ma avrebbe finto di farlo. "Non ti negherei nulla, mia cara, non dopo quanto ci siamo detti".

"Resterà fra noi?" - chiese Elizabeth.

"Certo" – rispose, baciandole la mano.

Poi giunse al cancello dov'era legato il suo cavallo. Le lanciò una lunga occhiata, chiedendosi se Elizabeth si rendesse conto della pericolosità delle sue ammissioni e domandandosi perché avesse fatto quelle confessioni proprio ora, ma non seppe darsi risposta. Ora era solo quel viso e quella figura per lui perfetti, che riempivano la sua mente e il suo cuore. Ciò che gli aveva detto poteva essere un invito alla speranza, ma Ross sapeva di non potersela permettere e che non aveva nulla da offrirle. Elizabeth era e sempre sarebbe rimasta la moglie di Francis e questo era un fatto incontrovertibile. E questo lo riempiva di una strana amarezza e, anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, di rabbia verso Elizabeth. Rabbia, sì, perché era riuscito a riconquistare un pò di pace nell'animo e lei sembrava averla voluta deliberatamente distruggere. E non ne capiva il motivo...

Girò il cavallo e con il cuore in tumulto, lasciò Trenwith a spron battuto, chiedendosi se quelle parole racchiudevano davvero in se il bagliore pulito del vero amore o il gusto agro del fiele, che porta buio e dolore...


...


Demelza entrò nello studio di Falmouth con passo felpato. "Mi hanno detto che volevate parlarmi" – disse.

L'uomo, seduto alla sua scrivania, coperta da una pila di incartamenti, annuì. "Hugh riposa? Sta meglio?".

"Sì, si sta riprendendo. Il medico gli ha dato un forte calmante per la sua emicrania e ora dorme profondamente. Stamattina è stato davvero male, ma ora sembra sereno".

"Bene, bene... Allora puoi lasciarlo solo per un pò, puoi prendere il tuo cavallo ed uscire per fare una commissione per me" – rispose l'uomo. "Penserò io a predisporre la servitù per accudire Hugh, mentre sei via".

Demelza spalancò gli occhi. "Dove dovrei andare?".

Falmouth si avvicinò, consegnandole una lettera. "A Nampara, a consegnare questa. Sai dov'è?".

Demelza osservò la busta nelle sue mani, chiusa con un elegante sigillo in ceralacca. Nampara? Dove aveva già sentito questo nome? "Sì, credo di saperlo pressapoco. Ma di cosa si tratta?".

"Di una missiva importante e di vitale importanza per Ross Poldark. Vorrei che gliela consegnassi tu".

Nampara, Ross Poldark, certo! Demelza però, a parte aver compreso cosa gli ricordasse il nome di quella località, parve smarrita. "Perché io?" - chiese titubante, ricordando la discussione di pochi giorni prima con Hugh.

Falmouth, che non aveva mai amato troppo i giochi di parole, non girò attorno alla questione. "Perché pare che tu abbia un ascendente migliore del mio su di lui e che sia più propenso a dire sì a te che a me".

Demelza arrossì, senza capirne il motivo ma sentendosi comunque a disagio e stranamente in colpa. Falmouth non sembrava molto preoccupato della cosa e anzi, da vecchia volpe quale lui era, avrebbe sfruttato la sua persona fino in fondo se necessario, ma per lei non era così. Era la moglie di Hugh e trovare Ross Poldark una piacevole compagnia, era un sentimento che sentiva di non potersi permettere. Così come non poteva permettersi di pensare di essere contenta di dover andare a Nampara a portare quella lettera. Eppure lo era, sottilmente... "Non credo che mi direbbe di sì su tutto" – tentò di argomentare.

"Sarai un'ottima messaggera. Ho già fatto sellare il tuo cavallo, mettiti il tuo vestito da cavallerizza, vai da lui e non tornare finché non ti dirà sì".

Demelza prese la busta, agitandola davanti all'uomo. Nonostante tutto, c'era un fattore comico in quella loro conversazione. "Dovrà dirmi di sì a cosa?".

Falmouth tossicchiò, rendendosi conto che non le aveva spiegato la cosa più importante. "Lo vorrei al mio fianco alla prossima riunione della Banca di Cornovaglia. Così potremo parlare di elezioni, denaro ed eventualmente, prestiti e sovvenzioni per la sua miniera... Sìì persuasiva come lo sei stata a Truro la scorsa settimana".

Lei arrossì. "Ma...".

Falmouth non le diede tempo di rispondere. La spinse fuori dalla porta e poi, dopo un frettoloso saluto, si richiuse nel suo studio. "Sbrigati, si sta facendo tardi e tu hai una missione importante da portare a termine".

E Demelza si trovò sola, nel corridoio, con una lettera in mano, la mente che le gridava che non poteva andarci e il cuore che invece le suggeriva che non vedeva l'ora di prendere il cavallo.

Scelse i suggerimenti del cuore, che combaciavano anche con gli interessi di famiglia dopo tutto. E frettolosamente salì in camera a cambiarsi.



Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Il vento le scompigliava i capelli e il fragore del mare che si infrangeva contro gli scogli la riportava coi ricordi alla sua infanzia.

Correre sulla spiaggia a piedi nudi, cercare conchiglie o fare un bagno nelle giornate più calde, erano gli unici piaceri di quando era piccola, minuscoli intramezzi spensierati in una esistenza fin da subito durissima per lei.

Quelle scogliere selvagge, quelle terre incolte, le ciminiere delle miniere, erano in fondo il suo mondo, quel mondo che l'aveva vista nascere e crescere. Conosceva il modo di ragionare delle povere persone che vivevano in quelle terre, quanto fosse difficile sbarcare il lunario e mettere in tavola qualcosa da mangiare, il rumore dei topi che rosicchiano le assi delle povere case la notte impedendoti di dormire, lo stomaco perennemente vuoto, la durezza degli uomini che lavoravano in miniera e la vita grama delle loro mogli, sempre incinte, sempre votate al sacrificio e con ben poche gioie da vivere.

Eppure quel mondo, in un certo senso, le mancava...

Le mancavano i sorrisi genuini di chi, pur avendo poco o nulla, sapeva sempre farsi trovare pronto per dare una mano ai vicini di casa in difficoltà, le amicizie vere e sincere tanto rare nel mondo in cui era entrata a far parte e soprattutto, la semplice sensazione di essere al proprio posto, cosa che da quando era diventata una lady, era una chimera. Non che non ringraziasse ogni giorno Dio per la fortuna che aveva avuto incontrando Falmouth e Hugh, ma dentro di lei, da dopo il matrimonio, sempre era convissuta una vocina che le diceva che le cose non avrebbero dovuto andare così. Ignorava quella vocina, si impegnava giornalmente nell'adempiere al suo ruolo, eppure sapeva che quella voce c'era e lì rimaneva, in attesa di un suo passo falso per farsi sentire.

Mentre galoppava verso Nampara, superò alcune miniere e pure la Wheal Grace di Ross Poldark. Si fermò ad osservarla, nel via vai sonnecchioso degli ultimi minatori che la stavano lasciando dopo il turno giornaliero di lavoro.

Era una miniera piccola, ma molto promettente, diceva Falmouth. E sicuramente Ross Poldark, per tenerla in vita, si stava dannando l'anima. E al momento la fortuna non doveva essere dalla sua parte...

Demelza sospirò, pensando a quale atteggiamento tenere con lui. Non voleva mancare di rispetto a Hugh, sapeva che avrebbe avuto da ridire per quella visita fatta a Nampara a sua insaputa, e in fondo non era nemmeno certa che lui avesse torto. Trovava piacevole avere a che fare con quell'uomo ruvido, cresciuto con la stessa natura selvaggia di quel mare e quelle coste nel sangue e trovava affascinanti tratti del suo carattere che molti altri invece criticavano. Ma non poteva far trasparire questi suoi sentimenti, capiva che non era corretto e sapeva anche che il suo compito doveva essere semplicemente quello di ambasciatrice. Ogni emozione doveva essere messa in un angolo e possibilmente, mai tirata fuori.

Eppure, quando lui la stuzzicava, era impossibile resistergli e non capiva il perché...

Giuda, giuda, in che pasticcio si stava cacciando?!


...


Quando Ross aprì la porta, rimase stupito di trovarsi davanti la giovane moglie di Hugh Armitage. Lady Boscawen, coi suoi lunghi capelli rossi, vestita con un elegante completo da equitazione verde, era misteriosamente davanti a lui, alla porta di Nampara. Quel pomeriggio, dopo aver visto Elizabeth e Francis e dopo quanto gli aveva rivelato la donna che un tempo voleva in sposa, non aveva molta voglia di visite e il suo animo era tornato cupo ed inquieto, ma dovette ammettere a se stesso che in realtà che lei fosse lì, non gli dispiaceva affatto. Non l'aveva vista che qualche volta ma l'aveva colpito ogni volta in modo diverso. Era una donna gentile, semplice, per nulla civettuola e davvero diversa dalle voci non certo lusinghiere che circolavano su di lei. Sembrava emanare una strana luce ed una calda energia che non potevano attrarre, assieme al suo sorriso e ai suoi modi di fare amichevoli e così poco convenzionali, chiunque lei incontrasse. “Signora, non mi aspettavo una vostra visita” - disse, impacciato e piuttosto a disagio. Lei era perfetta ed elegante, lui vestito con pantaloni da lavoro e una semplice camicia bianca e logora.

Demelza parve in imbarazzo quanto lui. “Scusate il disturbo, in realtà sono solo di passaggio e devo consegnarvi una lettera di Lord Falmouth. Vi vorrebbe alla prossima riunione alla Banca di Cornovaglia per discutere con voi delle prossime elezioni”.

Ross alzò un sopracciglio. “Lord Falmouth non ha servitori che gli recapitino le missive?”.

Lei, stranamente, arrossì. “In realtà sì, ne ha molti. Ma in questo caso ha detto che io sarei stata più persuasiva di lui a convincervi. Gli ho detto che sbagliava e che sarei stata una pessima messaggera, ma lui difficilmente ama ammettere un errore ed è assolutamente sempre convinto di essere nel giusto”.

Davvero?”. Ross parve divertito da questa strana convinzione su Demelza del capostipite dei Boscawen. Falmouth doveva essere davvero impazzito se pensava che bastasse una giovane e bella donna a fargli cambiare idea sulla politica. Ma educatamente, le spalancò la porta e la fece entrare.

Demelza oltrepassò l'uscio con passo incerto e in un attimo si trovò nel salotto di Nampara. Porse la lettera a Ross con un gesto gentile e poi gli sorrise. “Ci andrete? Falmouth ci terrebbe molto”.

Ross la osservò curiosamente. “Non ci terrebbe di più ad avere vostro marito, mia signora?” - tentò di argomentare, curioso per l'esclusione di Hugh dai piani politici di suo zio. Non che quel giovane gli ispirasse chissà quale fiducia e sembrava anche piuttosto svogliato e dal carattere volubile come aveva dimostrato al pranzo, ma restava comunque l'erede legittimo di Falmouth.

Lei si rabbuiò. “Non si sente molto bene, ultimamente. Come voi avete visto, preferisce stare ai margini della vita politica che assorbe la famiglia”.

Oh, mi dispiace per vostro marito”. Improvvisamente Ross si sentì a disagio, chiedendosi se non fosse stato troppo impudente ed impiccione. Demelza aveva accennato, nei loro precedenti incontri, a qualche malessere di suo marito, ma chiedere ulteriori informazioni forse era sfacciato e lei non lo stava gradendo. “Spero nulla di grave”.

Lei non rispose, si limitò a guardare la casa e poi tornò a concentrarsi sulla lettera. “Ci andrete?”.

Ci penserò”.

Falmouth non accetta i no”.

E io non accetto le imposizioni” - le rispose, fermo. Poi decise che in realtà lei non c'entrava nulla con i tumulti del suo cuore a causa di Elizabeth e le pressioni politiche che gravavano su di lui. In realtà voleva solo vivere in pace, tranquillo, far funzionare la sua miniera e dare una vita decente ai suoi minatori, nulla di più. “Gradite del tè?” - chiese, preparandosi a chiamare Prudie.

No, vi ringrazio. Come vi ho detto, sono solo di passaggio e ho approfittato di questo viaggio per far ciò che amo di più, da sola, senza avere attorno valletti e servitori”.

Ross la guardò incuriosito, ancora una volta catturato dallo sguardo vivace e birichino di quella donna su cui di certo gravavano molte responsabilità ma che pareva aver mantenuto la freschezza di una ragazzina. “Cioè?”.

Cavalcare come un maschiaccio, libera, veloce, senza che nessuno tema che mi spezzi qualche osso. In fondo sono e resto una monella della Cornovaglia e di certo so che voi siete a conoscenza delle mie origini. Ne parlano tutti...”.

Ross si trovò ad arrossire, suo malgrado. Di lei si dicevano molte cose, persino Elizabeth gliel'aveva presentata, prima del ballo in cui si erano conosciuti, come una arrampicatrice sociale scaltra e calcolatrice che aveva sedotto un povero ed innocente giovane di buona famiglia, ma di fatto mai, avendola davanti a se, gli era apparsa sotto queste spoglie. “Beh, di cose ne dicono tante le persone. Anche di me e anche voi lo sapete benissimo”.

Lo so, infatti...” - rispose lei, divertita. “E da quel poco che vi conosco, alcune di quelle voci sono pure vere!”.

Cosa avete sentito di me?” - le chiese, curioso e anche divertito dalla sua faccia tosta. Quando era sola e lontana dai Boscawen, quando poteva essere se stessa, era molto diversa dalla donna controllata da rigide regole di etichetta. Ed era proprio quando poteva essere vera, che diventava ancora più piacevole ed ammagliante per chi la incontrava. Anche se, supponeva, lei ignorava del tutto questi suoi pregi e sbagliando, cercava di migliorarsi per assomigliare a persone che riteneva superiori. Se solo avesse capito quanto, quelle dame, avevano da imparare da lei...

Demelza non rispose, di nuovo, limitandosi a guardare la casa, forse rendendosi conto che era stata piuttosto sfacciata. “E' davvero grazioso, quì”.

Ross la fissò, divertito da quel suo tentativo di riportare la conversazione su toni più formali. “In confronto a casa vostra, Nampara deve sembrarvi una topaia”.

Sono nata ad Illugan e per i primi quattordici anni della mia vita ho vissuto con un padre ubriacone e sei fratelli, tutti in un'unica stanza. Casa vostra in confronto è una reggia e di fatto non sono abituata a giudicare i muri di una casa quanto piuttosto chi ci vive dentro”.

Ross le sorrise, era una piacevole compagnia e avrebbe volentieri passato delle ore a parlare con lei. Era strano ma in fondo non avevano visioni della vita tanto diverse. “Se questa casa vi sembra una reggia, la vostra allora dovrà apparirvi come un castello”.

Lei sospirò, vaga. “I castelli a volte sono fin troppo grandi quando cerchi qualcosa o qualcuno. Si tende spesso a sentirsi soli”.

Ross notò una nota di tristezza nei suoi occhi, solo un lampo di un attimo. Ma lo notò comunque. “Sono d'accordo” - disse solo.

Demelza fece un breve inchino. “Devo andare, si sta facendo tardi. Posso dire a Falmouth che accetterete?”.

Ross osservò la lettera e poi lei. E capì che non voleva che se ne andasse e che quella visita finisse tanto presto. In una giornata cupa, quella donna era stata l'unico raggio di sole. “A una condizione”.

Quale?”.

Dovrete battermi!”.

Battervi?”

Ross esibì la sua miglior faccia da canaglia. “Avete detto che cavalcate come un maschiaccio? Io faccio altrettanto... Voi avete il vostro cavallo, io il mio. Se arriverete prima di me al faro, allora accetterò l'invito di Falmouth. Sto andando contro tutti i miei principi donandovi questa opportunità che, se sarete furba, coglierete al volo”. Voleva essere sfacciato per far sentire libera lei di esserlo altrettanto, senza timore. Era divertente sfidarla, vederne le reazioni e godere della sua compagnia... Non se la sarebbe lasciata sfuggire, decise. Anche a costo di finire a Westminster. Non aveva idea del perché, probabilmente se ne sarebbe pentito prima di sera, però sentiva che non voleva che se ne andasse di già. Desiderava dimenticare Elizabeth e tutto ciò che gli aveva detto e che aveva riaperto vecchie ferite e Demelza pareva in grado di far tutto questo con la sua semplice presenza.

All'oscuro del suo flusso di pensieri, lei si mise le mani sui fianchi, divertita e anche un po' stupita da quella proposta. “Siete impudente, lo sapete vero?”.

Sì! E scommetto che è una delle voci che circolano su di me”.

E se rifiutassi?” - gli chiese, con aria di sfida.

Allora Falmouth avrebbe scelto un pessimo messaggero”.

Demelza lo fissò, con aria di sfida. “Come avete detto prima, una persona furba accetterebbe la vostra sfida... Prendete il vostro cavallo! Vi aspetto fuori” - esclamò infine, risoluta.

Ross ricambiò il suo sguardo. Uscì, seguito da lei, prese dalla stalla un magnifico cavallo nero e poi vi montò sopra mentre Demelza faceva lo stesso col suo. “Pronta? Credo di dover essere cavaliere e di dovervi concedere almeno un minuto di vantaggio” - disse, sprezzante.

Lei accettò la sfida. “Forse dovrei concedervelo io... Sono magnanima”.

Ross le si avvicinò. “Cosa vi fa credere che potreste vincere?”.

Non lo credo affatto. Ma se succedesse, voglio che sia senza l'aiuto di alcun vantaggio”.

Ross la ammirò per questo. “E allora, vediamo chi fra noi è il cavallerizzo migliore”.

Vediamo...”.

Ross strinse le redini. Non le avrebbe lasciato spazio e di certo non avrebbe frenato il suo cavallo. Lei voleva la guerra e una gara alla pari e questo avrebbe avuto. La richiesta di Falmouth a questo punto c'entrava poco, era la gara, era lei e il gusto della sfida ad attrarlo. E se lo avesse battuto – cosa di cui dubitava – significava che avrebbe perso contro una grande avversaria e non doveva crucciarsene. “Pronta?”.

Pronta”.

E partirono, al galoppo, alzando un mugolo di polvere sull'aia di Nampara. Si lasciarono dietro zolle d'erba, la brughiera, le strade sterrate fino a raggiungere le scogliere.

Alla pari, senza che nessun cavallo riuscisse a prevalere sull'altro.

Ross osservò la giovane donna accanto a lui, coi capelli rossi ormai sciolti e liberi nel vento. Santo cielo, era una cavallerizza grandiosa! C'era qualcosa di assolutamente selvaggio in lei, un fuoco che difficilmente aveva scorto nelle altre donne. Il suo fisico minuto sembrava perfetto in sella a un cavallo e il suo viso pulito, fresco e senza un filo di trucco la rendeva ancora più giovane e affascinante mentre cavalcava con la grazia di una giovane amazzone. Era una bella donna, di una bellezza particolare. Una bellezza che, finalmente capì, lo attraeva. Nessun uomo forse avrebbe potuto resistere a una donna che racchiudeva in se la grazia di una lady quando era necessario, con la natura selvaggia e libera che sembrava aver ereditato dalla terra in cui era nata. Che diavolo ci faceva una creatura come Lady Boscawen, sposata con quel poeta amorfo di Hugh Armitage? Come poteva minimamente un uomo così statico e sognatore, stare al passo di una donna così? Come poteva lei sentirsi completa con accanto un compagno del genere? Hugh Armitage poteva essere il sogno di una qualsiasi giovinetta nobile di buona famiglia, cresciuta con il solo scopo di un buon matrimonio di società, ma non era affatto adatto a una donna come Demelza. Santo cielo, non avevano nulla in comune! E perché ci stava pensando tanto? Non era la prima volta che faceva pensieri del genere su di lei ma ora ne capiva il motivo. Lo attraeva... Era attratto da lei, dal suo modo di fare schietto e ora che la osservava da vicino, anche da quel corpo minuto e perfetto. Non avrebbe mai pensato di sentire ancora qualcosa del genere per una donna che non era Elizabeth...

Elizabeth... Da quando Demelza aveva bussato alla sua porta, era riuscita a cancellare in lui il ricordo di quanto si erano detti a Trenwith poche ore prima. Che diavolo di potere aveva quella ragazza conosciuta da poco, per caso?

Approfittando dei suoi pensieri e della sua distrazione, la ragazza accelerò, staccandolo di netto nella loro gara.

Hei!”. Ross la osservò andare via, rendendosi conto che lo avrebbe stracciato se non si metteva a galoppare come sapeva fare di solito. Era decisamente una bravissima amazzone Demelza e galoppare con lei, a ridosso della scogliera, era qualcosa di inebriante ed eccitante. Forse avrebbe perso quella sfida, forse avrebbe dovuto sorbirsi Falmouth a una noiosa riunione alla banca di Cornovaglia, forse...

Beh, Ross decise che non gli importava.

Ma fu proprio in quel momento che Demelza, inaspettatamente e senza un apparente motivo, si fermò di scatto vicino ad alcuni massi proprio ad alcuni metri dal traguardo che avevano fissato.

Impossibilitato a fermare in tempo il suo cavallo, Ross la raggiunse e superò, finendo per vincere suo malgrado.

Ma quello passò in secondo piano...

Preoccupato, saltò giù dal cavallo e corse verso Demelza che aveva fatto altrettanto e ora se ne stava rannicchiata tenendo in mano qualcosa raccolto da terra. La raggiunse e si chinò davanti a lei. “Che cos'è successo?” - chiese preoccupato.

Demelza socchiuse le mani e ne mostrò il contenuto. “Ho visto lui e ho sentito che piangeva e non ho potuto proseguire. Aveva una zampetta incastrata fra le rocce...”.

Ross spalancò gli occhi. Accidenti a lei, gli era preso un colpo, aveva pensato che si fosse sentita male o si fosse ferita e invece si era fermata per... un gatto! “Avreste potuto farvi del male e cadere, a fermare il cavallo in quel modo brusco!”.

Demelza strinse il micino, un animaletto dal pelo rosso come i suoi capelli e dagli occhi azzurri, che poteva avere forse un mese di vita per quanto era minuscolo, sedendosi con la schiena contro le rocce. “Sono brava a non cadere da cavallo, non preoccupatevi. Lui aveva più bisogno di me”.

Ross sospirò, sedendosi accanto a lei nel prato deserto, con il mare alle loro spalle. Era da quando era ragazzino e giocava nei prati con Francis, che non si sedeva a ridosso delle scogliere. “Siete davvero una donna folle”.

Voi non vi sareste fermato se lo aveste visto?”.

Ross scosse la testa, le donne, le donne!!! Che creature strane!!! “Ovviamente non lo avrei fatto! Soprattutto in una gara! Vi avverto che per colpa di quel gatto, avete perso una sfida che era praticamente vostra!”.

Non importa. E' così piccolo e sembra solo. Chissà dov'è sua madre? E' magrissimo, credo sia da molto che non viene allattato e non mangia”.

Ross sfiorò la testolina del gatto. Era davvero magro e nel visino smunto, gli occhi azzurri donati dalla natura apparivano ancora di più. Se la madre era morta o lo aveva abbandonato, non avrebbe avuto speranze. “Credo sia meglio non chiedersi della madre. E non affezionarsi. Se è solo, tempo pochi giorni e morirà”.

Demelza lo strinse a se. “No! No se qualcuno se ne prenderà cura”.

La osservò e Ross capì subito dal suo sguardo cosa volesse. Santo cielo, la faccia tosta di quella donna non conosceva confini! “NO!”.

Vi prego!”.

No, voi lo avete trovato e voi ve lo portate a casa, se ci tenete! Vivete in una reggia!”.

Ma ho un cane, potrebbe non accettarlo”.

E allora lasciatelo qui dove l'avete trovato!”.

Demelza lo guardò con sguardo supplicante e in quel momento gli parve una ragazzina sul punto di piangere. E forse lo avrebbe anche fatto, le donne piangono e si commuovono sempre davanti ai cuccioli indifesi. “No...” - disse, un po' meno convinto di prima.

Vivete solo, vi farebbe compagnia” - insistette lei.

Sto bene da solo, grazie”.

Berrebbe solo un po' di latte e forse da grande, vi terrebbe lontani i topi”.

Ross si sentì osservato anche dal gatto, in quel momento. Santo cielo, aveva fatto comunella con quella dannata ragazza dai capelli rossi? “Se lo porto a casa, la mia serva lo fa finire in padella per la cena di stasera”.

Sono sicura che ci starete attento” - disse Demelza, mettendogli il micino in mano.

E Ross si trovò con quell'esserino in braccio. Che mossa sleale!!! Osservò il gattino e lo trovò in fondo piccolo e grazioso, uno di quegli esseri che fanno affezionare anche i duri uomini delle miniere. Non pesava nulla, ma aveva un viso vispo e vivace e sembrava scalpitante di trovare in lui un padrone. “Lady Boscawen, vi ha mai detto nessuno che siete una creatura pessima e capricciosa?”.

No, voi siete il primo...”.

Mi fa piacere...”.

Lo terrete?”.

Ross sospirò, era una guerra persa e lo sapeva benissimo. “Lo terrò! Trovategli almeno un nome, vorrei sapere cosa dovrò urlare quando inizierà a distruggere piatti e servizi posati sulle mensole”.

Lei sorrise e Ross capì perché non poteva dirgli di no. Era meravigliosa quando era contenta, adorabile. “Sun”.

Sun?”.

Oggi c'è un sole tanto bello! E' un nome perfetto per un gatto trovato in una giornata così” - spiegò lei.

Sun...”.

Gli darete del latte?”.

Ross sbuffò. “Certo, state tranquilla”.

Demelza rise, contenta. “Grazie!”.

Ross osservò il micino che si era accucciato fra le sue mani, addormentandosi come consapevole di essere finalmente al sicuro. “Aspettate a gioire troppo. Avete perso la nostra sfida, lo avete dimenticato?”.

Lei, come ricordandosi improvvisamente il motivo per cui era lì, impallidì. “Già, a quanto pare...”.

Ross si alzò in piedi, mettendosi il gatto nel taschino della sua camicia. Poi le porse la mano, aiutandola a fare altrettanto.

Lei si alzò di scatto e per questo inciampò, finendogli addosso. Arrossì, mentre le braccia di Ross, col micio fra loro, le cingevano la schiena. “Attenta”.

Scusate!” - sussurrò lei, col cuore in gola, sentendosi avvampare. Che braccia dannatamente forti aveva Ross Poldark... E tutti i suoi buoni propositi di mantenere le distanze presi durante la strada verso Nampara? Santo cielo, lui riusciva sempre a farli cadere e lei capì di essere nei guai. Era attratta da lui ed era stupido. Di certo Ross Poldark non poteva trovare attraente una ragazza venuta dal popolo e poi era sposata. C'era Hugh... E non aveva mai trovato Hugh attraente come Ross e questo era il guaio. Era bello suo marito, un giovane dal piacevole aspetto, ma era più un sentimento pacato, Ross Poldark e la sua figura parevano invece catturarla in una spirale da cui non riusciva ad uscire e che prendeva possesso di ogni fibra della sua razionalità e del suo corpo.

Ma dovette far violenza su se stessa e ristabilire le distanze. “Io... Forse dovrei tornare a casa e dire a Falmouth che non andrete”.

Ross, turbato da quel contatto, da quel calore che sembrava dare ristoro al suo cuore da troppo tempo arido, deglutì. Non voleva che quel pomeriggio finisse e ancora, si trovò a pensare che non voleva che lei se ne andasse. “No!”.

No cosa?” - chiese lei.

Dite a Falmouth che andrò alla riunione con lui”.

Ma ho perso la sfida”.

Ross sorrise, dolcemente. “Per un buon motivo, no? Lo avete detto voi” - disse, indicando il gattino nel suo taschino.

Ma ho perso lo stesso”.

Una gara che però era vostra” - ribadì lui. “Dite a Falmouth che si è scelto una buona messaggera”. Lo puntualizzò. Sperando che questo spingesse in futuro Falmouth a mandare ancora Demelza da lui. Era scorretto, verso Armitage e verso la stessa Demelza. Ma non poteva farne a meno, voleva ancora avere a che fare con lei. Da soli, lontano da tutto e tutti. Soprattutto da Hugh e, si rese conto, anche da Elizabeth. Si stava mettendo nei guai...

Di tutta risposta Demelza gli prese la mano, stringendogliela. Un gesto istintivo che la fece arrossire e lui se ne accorse, subito. Ma fece finta di nulla. “Grazie, signor Poldark”.

Grazie a voi! Oggi siete stata preziosa”.

Io?”.

Ross avrebbe potuto spiegargli di Elizabeth, di come poco prima lo avesse fatto sprofondare nell'oscurità e di come lei invece lo avesse riportato alla luce, ma si rese conto che così si sarebbe spinto troppo oltre e non era il caso. Quindi indicò il gatto. “Ho un nuovo amico, grazie a voi, no?”.

Demelza rise, accarezzando il gatto. “Sun! Gli darete il latte?”.

Gli darò il latte”.

E non lo farete mettere in padella dalla vostra serva?”.

Giurò che non lo mangerò in spezzatino stasera”.

Demelza rise, di gusto, salendo sul suo cavallo. “Allora posso andare tranquilla”.

Sì, potete farlo” - rispose lui, osservando la sua figura resa sfuocata dal riflesso del sole alle sue spalle. “A presto, lady Boscawen”.

A presto, Ross Poldark”.

Si guardarono a lungo negli occhi, come se fossero incatenati. Poi Demelza voltò il cavallo e corse via, velocemente.

Ross rimase a fissarla andare via finché l'orizzonte non la inghiottì. Poi, con il suo cavallo e con Sun, tornò a casa sentendosi in tranche e chiedendosi cosa volesse davvero fare, ora. In realtà non poteva fare niente ma si sentiva comunque di buon umore...

Quella sera sentì Prudie borbottare, Jud dire che un gatto da sfamare non era giusto, corretto e gentile, diede il latte a Sun e poi lo mise in una cesta con una coperta, accanto a lui nel letto.

E col cuore più leggero e sereno di quanto ne avrebbe avuto se avesse incontrato solo Elizabeth quel giorno, si addormentò sognando dei lunghi capelli rossi che si muovevano selvaggi nel vento mentre la loro proprietaria cavalcava a ridosso delle scogliere sul mare.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Credeva che si sarebbe annoiato ma in realtà l'incontro alla Banca di Cornovaglia con Falmouth, assieme ai maggiori azionisti e ai personaggi più di spicco dell'economia e della politica locale, era stato interessante. Molte cose e molti atteggiamenti che aveva visto e sentito non gli erano piaciuti, ma aveva anche apprezzato alcune delle idee proposte per migliorare i servizi sul territorio. Certo, dietro a quelle idee c'erano interessi personali fortissimi, ma Ross non poteva non ammettere a se stesso che comunque, se portate a termine, quelle proposte potevano davvero fare la differenza per tante povere persone del distretto. Un accesso più facile ai crediti, un maggiore controllo sugli interessi, la creazione di nuovi posti di lavoro su cui investire nascondevano di certo fini politici ed economici, ma una parte del guadagno sarebbe ricaduta anche su chi ne aveva più bisogno. La parte minima, ma Ross sapeva che poteva comunque fare la differenza nelle vite di tante famiglie...

Forse era questo l'equilibrio che doveva perseguire il bravo politico, imparare a rimanere in bilico su una corda senza cadere e senza sporgersi troppo o verso il lato del mero guadagno o verso il lato troppo populista. Ci voleva saggezza, pazienza, capacità di mediare – ed erano tutte cose che lui non possedeva – ma non poteva non ammettere a se stesso che era un mondo che, ora che l'aveva toccato, l'aveva affascinato.

Falmouth aveva anche parlato della scuola e cercato investimenti per portarla a termine il prima possibile. Puntava a qualcosa di impatto, a qualcosa che gli avrebbe attirato voti e di certo non aveva a cuore la sorte dei futuri studenti, ma quì Ross si riallacciò al pensiero di poco prima: non era importante il perché veniva fatta un'opera ma il risultato intrinseco. E se Falmouth avesse cercato investimenti e fondi per migliorare il progetto, di certo ci avrebbe guadagnato in prestigio e in forza politica. Ma quelli che ci avrebbero guadagnato di più, alla fine del gioco dei grandi e potenti, sarebbero stati i bambini che l'avrebbero frequentata.

Mentre tornavano verso la residenza di Falmouth in carrozza, la mente di Ross era tormentata da tutti quei pensieri.

Falmouth sembrava contento degli esiti dell'incontro che lo avevano visto protagonista di molte trattative e Ross, osservandolo, si chiese se dovesse imparare a rendersi umile per apprendere qualcosa da quella vecchia volpe che di certo sapeva come condurre le proprie battaglie e soprattutto, come vincerle.

Sentendosi osservato, Falmouth gli sorrise. "Appena arrivati a casa mia, vi mostrerò i progetti della scuola".

Ross annuì. Quel mattino si era proposto di andare alla residenza dei Boscawen per prendere Lord Falmouth e dargli un passaggio fino alla Banca e si era dichiarato interessato all'andamento dei lavori della scuola. Era vero, quel progetto gli piaceva ma soprattutto gli piaceva chi lo stava portando avanti. Aveva sperato di vedere Demelza quando era arrivato, ma era stato sfortunato. Era troppo presto, probabilmente lei ancora dormiva e la grande e lussuosa dimora dei Boscawen era ancora immersa nel silenzio.

Da quando avevano galoppato insieme, molte volte l'aveva pensata. Era così allegra, piena di vita, intraprendente e assolutamente imprevedibile nei suoi modi di fare... Ross non era un bambino e sapeva bene cosa fosse l'attrazione per una donna e capiva benissimo cosa provasse per lei e anche che in realtà non doveva sentirsi così. Demelza era una donna sposata e il suo animo pareva leale e sincero e di certo poco attratto da tradimenti o tresche ai danni del marito. E nemmeno lui era tipo da cercare di infilarsi nel letto di una donna sposata, soprattutto se provava ammirazione per lei... Ma non riusciva a non chiedersi come fosse baciare una donna così, quanta passione ci fosse in lei e quanto bello fosse il suo corpo...

E poi c'era Elizabeth... Che forse non era più il suo primo pensiero ma che di certo il suo cuore e la sua mente non avevano dimenticato, soprattutto dopo il colloquio avuto a Trenwith giorni prima. Quanto si erano detti era stato forte, aveva avuto l'effetto di un terremoto su di lui ma l'arrivo di Demelza era stato capace di mitigare il marasma che si era creato nella sua mente. E quell'effetto non era ancora passato. E così aveva deciso che avrebbe cercato di avere più contatti con lei, nel massimo rispetto della sua posizione, e che avrebbe cercato di trarne il meglio. Demelza lo faceva stare bene e stare bene era l'unica cosa di cui aveva bisogno per andare avanti e trovare uno scopo a tutto quello che faceva. Per questo aveva accettato di visionare i disegni della scuola in costruzione con Falmouth, impegnandosi a sponsorizzare con le famiglie dei suoi minatori l'opera e la sua utilità, in modo che molti bambini potessero studiare.

"Se riuscirete ad attirare abbastanza studenti, potremmo allargare l'opera" - continuò Falmouth.

"Sarebbe grandioso se riuscissimo ad aprire delle piccole scuole anche nelle comunità più sperdute della brughiera".

Falmouth annuì, mentre la carrozza faceva ingresso nei grandi giardini della sua casa. "Non troppo sperdute, però! Ci vuole visibilità per dare credibilità a questo genere di investimenti".

Ross sospirò. Dare-avere, era su questa logica che si muoveva Falmouth e lui doveva diventare un abile giocatore quanto lui, nelle trattative. "Ci mancano gli investitori, però! Abbiamo sentito tante belle parole ma di denaro donato, io non ne ho visto".

Falmouth sorrise, sornione. "Arriverà, so già come fare".

Ross non fece in tempo a rispondere. La carrozza si fermò e un valletto corse ad aprire loro lo sportellino, facendoli scendere.

Un cane bianco, dal pelo riccio e dall'aspetto poco regale, corse incontro al lord saltandogli sulle gambe festoso.

"Hei!" - si lamentò il lord, allontanandolo con una leggera spinta.

Ross rise. "Un vostro cane da caccia?".

"No, il cane della giovane Demelza. Selvaggio e assolutamente ineducato e senza speranza di miglioramento".

Ross osservò l'animale, ricordandosi che Demelza aveva detto di non poter tenere Sun a causa del suo cane che forse non sarebbe andato d'accordo con un gatto. Beh, ora lo aveva conosciuto e se il detto diceva 'Tale cane, tale padrone', in quel caso era assolutamente azzeccato. Selvaggio e vivace, come lei. E affettuoso... come probabilmente era Demelza...

Come materializzandosi dai suoi pensieri, la donna comparve da uno dei vialetti, chiamando l'animale che le corse incontro. Indossava un meraviglioso abito azzurro da passeggio, i suoi capelli le ricadevano ben pettinati sulle spalle ed era in compagnia del marito, che camminava dietro di lei di alcuni passi.

"Garrick!" - urlò la ragazza, bloccandosi poi stupita quando vide Ross assieme a Falmouth.

Lui salutò, togliendosi educatamente il tricorno dalla testa. "Lady Boscawen, Lord Armitage, buona giornata".

Hugh salutò educatamente, Demelza per un attimo arrossì impercettibilmente. Da quando era stata a casa sua, spesso si era fermata a ripensare a quel bellissimo pomeriggio trascorso con lui a cavallo, libera di galoppare con i capelli sciolti al vento, nella natura selvaggia della Cornovaglia che si specchia nel mare con i suoi prati, le sue scogliere e le sue spiagge. E soprattutto, si era chiesta spesso cosa lui facesse, in quei giorni. Si era sentita in colpa per questo, per quel battito accelerato del suo cuore ogni volta che le veniva in mente Ross, per il rossore che compariva sul suo viso e per quegli strani, vaghi ma forti sentimenti che era certa di non aver mai provato per Hugh. Trovava Ross Poldark affascinante, un pò rude, a volte esasperante nei modi di fare spicci ma decisamente attraente. Forse non faceva nulla di male, essere sposati non significava divenare ciechi verso il mondo e di certo tutte le donne e gli uomini incontravano, nel corso della loro vita, persone belle e piene di fascino. E se tutto si fermava all'ammirazione, non c'era nulla di male forse. Ma questo non le impediva comunque di sentirsi in colpa verso Hugh e si era ripromessa spessa di comportarsi da brava moglie, fallendo però ogni volta che il suo cuore le suggeriva che avrebbe voluto passare ancora del tempo con Ross Poldark. Forse sarebbe passata col tempo, dopo tutto era un uomo affascinante ma dotato di modi di fare spesso scortesi e scontrosi, probabilmente questa era una cosa passeggera normale e che capita a chi, come lei, incontra poche persone nuove nel corso della sua vita, forse Hugh sarebbe stato meglio e sarebbero ripartiti per Londra e tutto sarebbe diventato un ricordo o forse, alla fine, la scuola l'avrebbe distratta da tutti quei pensieri...

Tanti forse che però le crollarono davanti, come tutti i suoi buoni propositi, appena lo vide. "Signor Poldark, che sorpresa" – disse, tentando di mantenere un tono neutro.

Ross le andò incontro, felice. Era lì per rivederla e ci era riuscito! Anche se erano decisamente meno soli della volta precedente. "Buongiorno. Come state?".

"Bene! E' un piacere avervi ancora come nostro ospite".

Falmouth si mise fra loro, con un sorriso a trentadue denti. "Nipote, Demelza, Poldark ha accettato di sponsorizzare coi suoi uomini e le sue conoscenze, la nostra scuola. E di darmi supporto in qualche altro mio piccolo progetto qua e la...".

Hugh annuì, un pò a disagio. "E quindi mio zio è riuscito a persuadervi?" - più preoccupato che contento per questa novità che avrebbe portato più spesso di quanto avrebbe voluto quell'uomo a casa sua.

Ross osservò Demelza, intensamente. Uno sguardo fugace, veloce, solo loro che sfuggì agli altri astanti. "Solo per i progetti più meritevoli" – disse infine, tornando a parlare col giovane verso il quale, si rese conto, si sentì stranamente ostile. Come se essere il marito di quella giovane donna fosse una colpa... Santo cielo, era davvero geloso di Hugh Armitage? Era impazzito? Sì, forse... Ma non poteva farci nulla!

Demelza sorrise, dolcemente. "Davvero siete interessato al progetto della scuola?".

"Assolutamente! Ci ho pensato molto e per i figli dei miei minatori sarebbe più di una vaga speranza per il futuro".

"Vogliamo ampliare il progetto anche ad altre aree, se le cose andranno bene!" - aggiunse Falmouth, con ottimismo.

"Ma ci vorranno investitori" – fece notare Hugh, scettico.

Ma Falmouth lo stoppò, deciso. "Arriveranno! Ho deciso, tornando dalla banca, di indire in questa villa un grande ballo con tutte le persone della zona che contano. Compresi i dirigenti della Banca di Cornovaglia! Un ballo di beneficenza è il modo migliore da sempre, per trovare fondi!".

Demelza alzò un sopracciglio. "Quì stiamo diventando troppo festaioli rispetto alle nostre tradizioni" – esclamò, prendendo bonariamente in giro quel lupo solitario del lord.

Falmouth le posò una mano sulla spalla. "Volevi la scuola e avrai la scuola! Preparati ad essere la reginetta della festa".

Hugh guardò sua moglie con ammirazione e Ross ci scorse, in quello sguardo, quanto lui dipendesse da lei. Ne era indubbiamente innamorato, forse più dell'aspetto esteriore e dell'idea che della persona in se, ma di certo teneva molto a sua moglie e faceva di tutto per renderla felice. "Ne sarai all'altezza, mia cara".

Demelza, decisamente meno ottimista, annuì un pò timorosa. "Certo. Per la scuola... Verrete anche voi?" - chiese infine a Ross, come a voler trovare in lui un pò di coraggio per quel ballo che di certo doveva terrorizzarla come ogni altro evento mondano a cui doveva partecipare.

Ross fece finta di rammaricarsi ma in quel momento l'idea del ballo, benché contraria al suo essere, gli piaceva e gli dava l'opportunità di rivederla ancora. "Sono sacrifici che devo fare, per una buona causa. Anche se dovrò lasciare solo Sun per una sera" – concluse, strizzandole l'occhio.

A quelle parole, lei avvampò. E Hugh osservò entrambi, con Falmouth, in modo perplesso. "Sun?" - chiese il giovane.

Ross osservò Demelza e capì che forse l'aveva messa in difficoltà. La loro cavalcata solitaria, le risate, quel tempo strappato alle esigenze del casato che aveva permesso loro di trovare il gattino, di certo era qualcosa di inappropriato che non poteva essere raccontato alla sua famiglia. "Sun... Sì, il mio gatto! Quando Lady Boscawen è giunta a casa mia per portarmi il vostro invito, lo ha visto e se ne è innamorata".

Hugh rise, decisamente sollevato. "Oh, un gatto! Animali affascinanti".

Ross continuò nella sua menzogna. "Soprattutto agli occhi di una donna! Incredibile come le ragazze si emozionino e innamorino di quei piccoli ammassi di peli e pulci, non trovate?".

Hugh annuì. "Sì. Fa parte dell'animo romantico e delicato di una donna".

"Delicato, sì..." - mormorò Ross con sarcasmo, lanciando un'occhiata divertita a Demelza. Quella donna era tante cose ma di certo non era né delicata né bisognosa di essere vezzeggiata. Amaramente, si chiese quanto in realtà Hugh conoscesse sua moglie e si trovò dispiaciuto che non avesse davvero colto appieno le migliori caratteristiche della donna che aveva sposato.

Sollevato da quello scambio di battute, Hugh si rivolse allo zio. "Andiamo a prendere i progetti, sono nel mio studio. Potremmo darci un occhio col signor Poldark nel giardino".

"Ottima idea!" - rispose Falmouth al nipote.

Hugh sfiorò la mano di Demelza. "Mia cara, potresti far compagnia al signor Poldark per qualche minuto?".

"Certo" – rispose lei, col cuore che nuovamente le martellava nel petto.

A Ross non parve vero! Certo, Hugh ignorava i suoi sentimenti e i trascorsi con sua moglie, ma il suo primo pensiero fu che era un grandissimo idiota! E lui ne avrebbe approfittato...

Appena soli, più rilassati, Ross scoppiò a ridere. "Salvati all'ultimo, vero mia cara creatura delicata che ama i gattini?".

Lei scosse la testa. "Non dovreste prendervi gioco di mio marito!".

"Oh, non lo faccio affatto! Ma il nostro caro Sun ci stava mettendo nei guai e solo la mia proverbiale capacità di inventare balle sul momento ci ha salvati da un momento problematico. Problematico più per voi che per me...".

Demelza sospirò, rendendosi conto che aveva ragione. "Grazie".

"Sono molti i favori che mi dovete ormai!" - rispose lui, divertito, tornando a provocarla.

Lei rise, mettendosi una mano sulla fronte. "Giuda, siete pessimo!" - sbottò, chinandosi ad accarezzare il suo cane che era venuto a strisciare il viso contro la sua gonna. "Sun sta davvero bene?".

"Sì. Le tende di casa mia invece no, ma ce ne faremo tutti una ragione".

"Beve il latte?".

"Certo!".

"Gioca?".

"Sì".

"E la notte lo tenete al caldo?".

"In camera con me, in una cesta, avvolto da una coperta".

Demelza gli fece uno di quei sorrisi che lui trovava splendidi. "Grazie per prima. Mi avete davvero salvata da un momento che poteva diventare complicato".

Ross si sedette con lei, col cane appollaiato davanti ai loro piedi, su una panchina. "Me ne rendo conto. Ma in fondo non l'ho fatto per voi. Odio condividere le mie faccende con chi non c'entra affatto" – disse, con noncuranza.

Lei lo fissò incuriosta. "Che volete dire?".

"Che Sun è qualcosa che riguarda voi e me, non vostro marito. Non Falmouth! Quindi non è il caso di discuterne in loro presenza".

Il cuore di Demelza accelerò a quelle parole e parve donarle uno strano senso di piacere che non sapeva spiegarsi appieno. Sapeva solo che avere un qualcosa in comune con lui, un qualcosa solo loro, le pareva immensamente bello. Bello con Sun! "Già" – disse solo, trovandosi d'accordo con lui. "Ma forse..." - si bloccò, come comprendendo che probabilmente anche avere un segreto con Ross Poldark era sbagliato.

Ross si accigliò. "Ma, cosa?".

Demelza strinse le mani a pugno, capendo che per quanto piacevole, non potevano spingersi oltre e che avere un segreto come Sun era bello, ma tutto doveva fermarsi lì, senza ulteriori implicazioni. "Forse dovremmo... dovrei comportarmi meglio...".

"Che volete dire?".

"Non amo avere segreti con mio marito" – rispose, risoluta ma tesa. "E non credo di doverne avere con voi".

Ross capì il suo turbamento e per un attimo temette che lo volesse allontanare. "E' solo un piccolo gatto e voi non fate nulla di male".

Lei lo fissò, intensamente. "E allora perché mi sento come se non è così?".

Non seppe risponderle, anche lui sapeva che non era solo per il gatto e che lei aveva ragione... Entrambi lo sapevano e forse era pure sbagliato ignorarlo. "Io credo di non essermi mai comportato meglio di così da... da molto...". Anche questo era vero e di certo non si sarebbe mosso con altrettanta premura verso un'altra donna.

"Ne siete certo?" - chiese lei.

"Sì. E voi?".

"Io non ne sono così sicura".

Ross cercò di tranquillizzarla. "Io credo che l'idea della scuola sia una cosa buona. Che salvare Sun sia stato una cosa buona. Che accettare l'invito di Falmouth lo sia. E anche l'idea del ballo, anche se non lo amo particolarmente".

Demelza sussultò. "Verrete?".

"Non posso farne a meno" – sussurrò, riferendosi a tante altre cose che non riguardavano la scuola. Ma questo se ne guardò bene dal dirlo per non turbarla ulteriormente.

"Nemmeno io" – mormorò lei, vaga.

Ross le fece un sorrisetto maligno, cercando di stemperare la tensione. "Sarete la reginetta della festa! Immagino quanto siate deliziata per questa cosa...".

Lei rise. "Iniziate di nuovo a prendermi in giro?".

"Sì, è incredibilmente divertente farlo!" - le rispose.

Demelza decise di stare al gioco. "Voi sarete costretto a vestirvi da damerino".

Ross alzò le spalle. "Beh, saremo in due a soffrire, ci faremo compagnia!".

Compagnia... Beh, era una prospettiva in fondo non così catastrofica. "Compagnia, sì" – mormorò Demelza mentre Hugh e Falmouth tornavano coi progetti in mano, pronti a catturare Ross nel mondo dei Boscawen.




Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Falmouth non aveva badato a spese per quel ballo di beneficenza. Aveva ordinato pesce pregiato, carne di cervo, antipasti ricercati, ottimo vino francese, dolci di cioccolato e frutta e assunto un'orchestra che potesse allietare gli ospiti.

Le settimane di preparazione all'evento, di solito vissute da Demelza con paura e trepidazione, erano state diverse stavolta e qualcos'altro aveva occupato i suoi pensieri. Mentre si preparava per la serata, ripensandoci, si era data della stupida per averci creduto e ancora non si capacitava di come, ogni volta, l'amarezza riuscisse a sopraffarla.

Aveva avuto un ritardo di una settimana e per un attimo aveva sperato... Sapeva bene, i medici erano stati categorici in merito, che Hugh a causa della sua malattia non avrebbe potuto avere figli e che lei sarebbe stata condannata ad una vita senza le gioie della maternità, ma ogni volta che il ciclo non arrivava puntuale, la speranza nasceva in lei con prepotenza, combattendo ragione e raziocinio. E poi, ogni volta, la delusione era cocente e appena sola, si nascondeva da qualche parte a piangere come una ragazzina sciocca e sognatrice. Ma non poteva farci nulla e anche se da quel matrimonio aveva ricevuto una famiglia, affetto, ricchezza e tranquillità, avrebbe tanto desiderato, più di tutte queste cose, un bambino...

Per una settimana aveva mantenuto segreto e speranza, sognando che fosse vero e di dare la notizia a Hugh. Ma poi la speranza si era infranta, come sempre, e non c'era stato nulla da annunciare. Ma si era ripromessa di essere comunque contenta: suo marito stava bene in quel periodo, era sereno e non avrebbe detto nulla che potesse turbarlo... In fondo non sapeva nemmeno se Hugh desiderasse dei figli, non ne avevano mai parlato e sembrava appagato anche così della sua vita. E doveva quindi esserlo anche lei.

Osservò l'abito, stupendo, che avrebbe indossato quella sera, un vestito sbracciato con un corpetto stretto e una gonna che scendeva allargandosi dolcemente, fatto di uno strano tessuto lucido che, ad ogni movimento, pareva cambiare tonalità di colori. Un momento sembrava color avorio, l'altro dopo azzurro e l'altro dopo ancora, verde smeraldo... Era splendido e di certo un abito che in molti avrebbero ammirato. E conseguentemente, tutti avrebbero guardato lei.

La domestica la aiutò ad indossarlo e poi, dopo averle legato al collo una collana di diamanti, le raccolse i capelli in una crocchia, ornandola poi con una collana di rubini che la tenessero a bada come se fossero stati un nastro.

Demelza si guardò allo specchio, stentando a riconoscersi. Santo cielo, era davvero lei la donna riflessa? La donna truccata, elegante, coperta di gioielli era proprio la stessa ragazza che fino a pochi anni prima era stata una domestica in quella stessa casa?

"Signora, posso andare?" - domandò la cameriera, proprio nell'istante in cui Hugh entrava nella stanza, già vestito e pronto per la festa.

"Sì".

La donna uscì e suo marito le si avvicinò, mangiandola con gli occhi. "Sei meravigliosa, mia cara! Avrai gli occhi di tutti su di te, sarai la più ammirata".

"Che gioia..." - rispose lei, sarcastica. Hugh doveva avere qualche strano problema a capire che questo non le faceva affatto piacere...

Come intuendo i suoi pensieri, lui cercò di rassicurarla. "E' il sogno di ogni donna essere la più ammirata".

"Non il mio" – gli rispose, a tono. "Io vorrei solo mimetizzarmi con la tappezzeria".

Hugh rise e le sfiorò la vita, attirandola a se. "Ma potresti farti bastare che a me fa piacere? Sono così orgoglioso di pensare a come mi invidieranno tutti per averti in moglie. E resta il fatto che è per una buona causa".

Demelza annuì, ricordandosi della scuola e decidendo che valeva la pena quella serata di imbarazzo. "Non mi lascerai sola, vero?".

Hugh la baciò lievemente sulle labbra. "Mai! Non ti concederò a nessuno, per nessun ballo!".

Demelza rise. "Vuoi ballare? Tutta sera?".

"Certo!".

Le faceva piacere quel suo buon umore, lui che di solito era solitario e poco incline a balli e vita di società. E soprattutto, era felice di vederlo più attivo e desideroso di fare qualcosa. Era cambiato da qualche settimana a quella parte, sembrava come volerle dimostrare che era degno di lei e Demelza spesso si era chiesta se questo non fosse dovuto alla strana gelosia che aveva brevemente sentito verso Ross Poldark. Beh, qualunque cosa fosse, ne era contenta. Vedere Hugh così le scaldava il cuore e soprattutto faceva bene al suo matrimonio, allontanando forse certi strani fantasmi che sembravano minacciarlo e che si era ripromessa di tenere lontani. Anche se...

"Me lo prometti? Ballerai con me tutta sera?".

"Certo, amore mio. Ballerò con te, non avrò occhi che per te e sarò tuo appena rientreremo in questa stanza".

Demelza deglutì. La passione non era mai stata il punto forte del loro matrimonio e spesso si era avvicinata all'intimità con Hugh con una strana apprensione e con scarso desiderio. Ma non si era mai sottratta ai suoi doveri e vedere Hugh tanto energico, le rendeva l'animo più leggero e la faceva sentire più bendisposta. Sarebbero state una bella sera e una bella notte, ne era certa... "Aspettami giù, arrivo subito" – gli sussurrò, contro le sue labbra.

"Certo, amore mio".

Lo guardò uscire e poi, di soppiatto, aprì il cassetto della sua toeletta, estraendone un piccolo nastro dorato con legato un campanellino. Pensò a Sun, che Ross stava accudendo per lei. Aveva preparato quel campanellino dopo la delusione per la mancata gravidanza e anche se non avrebbe avuto occhi che per Hugh quella sera, lo avrebbe voluto dare a Ross come dono per il loro gattino.

Mise il nastrino col campanello in tasca, prese un profondo respiro e andò alla festa.

Hugh la aspettava all'imbocco delle scale, le prese la mano e scesero insieme, in un salone già gremito di ospiti.

Tutti si voltarono a guardarli e salutarli e lei lottò contro se stessa per non arrossire. Osservò quei volti conosciuti o sconosciuti e vi scorse Lord Coniston della Banca di Cornovaglia, Sir Bodrugan, Sir Penvenen, il maggiore Bloscher, la famiglia Godolphin, i Warleggan e i Poldark. E tanti altri a cui non sapeva dare un nome...

Rimase un pò a scambiare convenevoli coi loro ospiti assieme a Hugh, sperando di vedere Ross per allontanarsi un attimo prima dei balli per dargli il nastrino per Sun.

E finalmente lo vide, in un angolo della sala, solitario come sempre, con in mano un boccale di vino. Vicino a lui c'erano le sue cugine, Elizabeth e Verity, il capitano Henshawe e più lontano, alcuni della famiglia Warleggan.

Lo sguardo di Ross era cupo come sempre in quelle occasioni ma questo ormai non la contrariava più; capiva benissimo come doveva sentirsi in gabbia in quel momento e supportava la sua voglia di fuggire, magari a cavallo a ridosso della scogliera, proprio come desiderava lei.

Si chiese se andare da lui subito o aspettare che Hugh finisse di parlare con un lord suo amico, notò gli sguardi che di tanto in tanto Ross lanciava verso Elizabeth e tentennò, ma poi si fece coraggio, si disse che era per la scuola e gli andò incontro. "Vado a salutare i Poldark! Mi raggiungi?" - chiese a Hugh, intento a chiacchierare di poesie con un invitato.

Lui, preso dal discorso, distrattamente annuì. Poi fece per protestare, ma vedendo che c'era Verity vicino a Ross, alla fine le fece cenno di andare e che l'avrebbe raggiunta subito.

Demelza si avviò nella sala, fra gli ospiti, e quando giunse dai Poldark, si sentì lo sguardo acido di Elizabeth addosso.

"Oh, che abito splendido Lady Boscawen" – mormorò la donna, con una punta di invidia nel tono di voce.

Nonostante tutto, Demelza arrossì. "Vi ringrazio. Anche il vostro è davvero bello".

Elizabeth si morse il labbro. "E' stato riadattato per la serata ma è un vecchio modello. Come sapete, noi Poldark non navighiamo in buone acque al momento e non possiamo permetterci il capriccio di un vestito nuovo e diverso per ogni ballo".

Demelza colse al volo la frecciatina, ma non seppe rispondere. Non era mai pronta a rispondere a tono alle vere lady, quando le facevano osservazioni. "Mi dispiace".

Verity si intromise, notando l'imbarazzo di Demelza. "Mia cara, è un piacere rivederti".

Demelza la abbracciò, Verity era così diversa da Elizabeth e se un giorno fosse riuscita a diventare una specie di nobildonna, voleva essere come lei. "Anche il mio. Mi raccontano che le cose per te vadano benissimo".

Verity rise. "Sì e devo ringraziare unicamente te e tuo marito".

Demelza le strizzò l'occhio. "Ho visto il capitano Blamey arrivare poco fa. Se andate dalle parti del buffet, lo troverete in vostra attesa".

"Ohhh". Verity arrossì e poi si aggrappò al braccio di Elizabeth. "Mia cara, accompagnami. Sarebbe troppo audace se andassi da lui da sola".

Elizabeth fece per replicare, decisamente poco desiderosa di lasciare la sua posizione di guardia su Ross. Ma alla fine non trovò modo di obiettare e andò con Verity, lasciando strada libera a Demelza.

Ross, che era rimasto in muto silenzio in disparte, la osservò col bicchiere in mano. "Lady Boscawen..." - mormorò.

"Capitano Ross Poldark..." - rispose lei, avvicinandosi di alcuni passi. "Continuate ad essere un lupo solutario, vedo...".

"Ehhh, non mi smentisco mai. E poi non conosco quasi nessuno e i pochi presenti che conosco, non mi piacciono".

Che faccia tosta! Demelza si mise le mani sui fianchi, ormai divertita per come lui sfoggiava il suo caratteraccio. "Parlate anche di me?".

Ross sorrise, evitando di risponderle. Era bellissima, di una bellezza che gli faceva quasi male ed era davvero, come era nei desideri di Falmouth, la regina di quel ballo, la più ammirata e la meglio vestita. "Siete quasi irriconoscibile, stasera" – dovette ammettere.

"Lo devo prendere come un complimento?".

Ross scosse la testa, ridacchiando. Poi bevve un sorso di vino. "Ah, prendetelo per quello che è, un dato di fatto. Siete molto bella ed elegante, ma...".

"Ma?".

"Ma se devo essere sincero, vi ho preferita quel giorno a casa mia, a cavallo".

Demelza sorrise. Avrebbe voluto dirgli che era d'accordo con lui, che quello era stato un momento davvero piacevole e che lo preferiva a qualsiasi ballo, ma ovviamente non poteva farlo. "Mi preferivate spettinata e sporca di terra sul viso?".

Pensava che Ross avrebbe risposto con una battuta, ma fu stupita di vederlo farsi serio. "Sì" – disse solo.

E Demelza arrossì, imbarazzata, rendendosi conto che ancora una volta lui la sapeva confondere. "Avevamo trovato Sun, quel giorno".

"Sì".

Gli si avvicinò, prendendo dalla tasca il nastrino col campanello, imponendosi di ricordarsi del perché era andata da lui. "Questo l'ho fatto per il nostro micino. Glielo metterete al collo, quando tornate a casa?".

Ross osservò il nastrino, fatto con cura, con un grazioso fiocco e con quel campanello dorato che a Sun sarebbe stato benissimo. Era un oggetto semplice ma fatto col cuore, ogni particolare sembrava gridare a Ross quanto fosse gentile e semplice l'animo della donna che aveva davanti. E quanto la desiderava... "Glielo metterò! Ma non aspettatevi che vi ringrazi! E nemmeno io, quando di notte si metterà a far suonare questa campanella nel mio orecchio".

Demelza rise immaginando la scena, rendendosi conto che era la prima volta che si sentiva a suo agio in un ballo. E stranamente, non stava avvenendo con Hugh...

Ma poi si ricordò di suo marito, di quanto si erano promessi e capì che si era intrattenuta anche troppo. "Ora devo andare".

"Dove?" - le chiese, con quella voce calda che sapeva farle venire i brividi alla schiena. Dove, come se non ci fosse altro posto giusto per lei se non quello...

Il cuore di Demelza accelerò. "Da mio marito, desidera che balli con lui questa sera" – rispose, quasi a volersi giustificare. Giuda, non voleva andare via, voleva star lì in sua compagnia... Non voleva che quel ballo riservasse ad entrambi solo quel momento insieme, non voleva vederlo andarsene senza nessun battibecco e nessuna frase scherzosa fra loro, non voleva tornare in camera e lasciare che Hugh la facesse sua... Dov'erano i suoi buoni propositi ora, ora che ne aveva bisogno?

Santo cielo, era una donna orribile e stava diventando una moglie pessima! Doveva fuggire, subito! "Devo davvero andare, ora. Mio marito si starà chiedendo dove io sia".

"Capisco..." - rispose lui, con gli occhi cupi e scuri specchiati nei suoi. Rendendosi conto che, anche se odiava ballare, avrebbe volentieri danzato con lei quella sera e ancora più volentieri, l'avrebbe voluta strappare a Hugh.

Demelza lo fissò negli occhi e si rese conto che, anche se non ne capiva appieno i contenuti, quello sguardo fra loro pareva dirsi più di quanto lei volesse ammettere a se stessa, più di quanto lei potesse permettersi di pensare e provare. E che Ross capiva ogni cosa e col suo sguardo riflesso, le rispondeva senza bisogno di aprire bocca.

Fece un lieve inchino, gli voltò le spalle e andò dove doveva essere: fra le braccia di suo marito. Imponendosi di pensare solo a lui, di fingere se necessario. E di non farsi sopraffare da quei sentimenti che le facevano battere il cuore all'impazzata come non le era mai successo...


...


La fissò mentre ballava con suo marito, nel suo splendido abito che, come per magia, assumeva tonalità diverse ad ogni suo movimento. Aveva raccolto i suoi lunghi capelli rossi e li aveva ornati con una collana di rubini che comparivano e sparivano fra la sua chioma e Hugh, dai lineamenti delicati e giovani, era un perfetto principe azzurro. Erano una bellissima e giovane coppia e a un tratto, osservandoli, Ross si rese conto di nuovo di qualcosa che stavolta lo turbò: era geloso. Di lei, che ballava con lui e di lui che ballava con lei. Lo avrebbe preso a pugni in quel momento... E gli era già capitato di provare una strana gelosia verso di lei ma mai con quell'intensità, mai con quella ferocia che lo avrebbe spinto a scagliarsi contro il giovane rampollo dei Boscawen per staccarlo da lei a suon di pugni.

Santo cielo, stava decisamente impazzendo e il suo cervello stava muovendosi contro ogni logica e contro la realtà.

Era una follia ciò che provava. Demelza era la moglie di Hugh e suo marito la stava facendo ballare a un ricevimento e non c'era nulla di sbagliato in questo, eccetto i suoi sentimenti. La osservò ridere con lui, cingergli le spalle con le braccia, guardarsi in un modo complice che lui invece, forse, non aveva mai provato con nessuno e si sentì solo. E rabbioso. E idiota perché non aveva assolutamente diritto di sentirsi così nei confronti di una giovane donna vista solo poche volte e di un giovane che nei suoi confronti si era sempre dimostrato educato, gentile ed ospitale. Se Hugh avesse saputo che pensieri si stavano affollando nella sua testa in quel momento, ne sarebbe rimasto oltraggiato e colpito. E anche Demelza. Era sempre stata gentile e fra loro si era instaurato un rapporto scherzoso e cordiale ma di certo non lo aveva mai spinto a pensare che potessero andare oltre e nemmeno si era mai mostrata interessata a far sì che accadesse... Era suo il problema, una sua fantasia che non sapeva gestire e doveva imparare a farlo per il suo ruolo nella miniera, nella società, nel rapporto coi Boscawen e soprattutto, per lei... Si rese conto che mai avrebbe voluto ferirla e questo suo atteggiamento avrebbe potuto, in modo pesante.

Raggiunse una balconata per prendere aria, ne aveva decisamente bisogno. E a un tratto, mentre guardava nell'oscurità che dava sul giardino, i passi leggeri di Elizabeth lo raggiunsero alle spalle. Era strano, c'era anche lei con Francis quella sera e lui per la prima volta non l'aveva quasi notata.

La guardavi troppo insistentemente, Ross” - disse la donna, senza nemmeno salutarlo - “Lo hanno notato tutti e non è una buona cosa”.

Di che stai parlando?”.

Della piccola Boscawen. Ha stregato pure te oltre a quel giovane ed inesperto – e ricco – poeta?

Come ti ho detto, pare che le donne del popolo siano particolarmente abili in certe cose e tu non dovresti lasciarti incantare”.

Ross si trovò ad essere nuovamente irritato e non era la prima volta, con Elizabeth. Che voleva? Con che coraggio lei, proprio LEI, veniva a fargli la morale? Era gelosa? O infastidita? O semplicemente irritata perché non stava dando sfoggio delle buone maniere che un Poldark quale lei ormai era, doveva dimostrare? E se era gelosa e teneva a lui, perché non aveva fatto altre scelte al suo ritorno dall'America? Gli aveva fatto quella specie di confidenza che aveva pericolosamente riportato a galla vecchi sentimenti e vecchie ferite e col senno di poi, Ross aveva compreso che sarebbe stato meglio per tutti che lei fosse stata zitta. Ma aveva parlato, senza che lui ne capisse il fine e il motivo, era chiaro ad entrambi che non c'era via d'uscita allo stato attuale delle cose e che lei non dovesse pretendere nulla da lui. Giusto? Cosa voleva Elizabeth? Dedizione eterna? Affetto? O semplice sincerità? Non sapeva darsi una risposta e forse nemmeno la voleva, dopo tutto... Tutto ciò che desiderava era osservare la giovane, bellissima Lady Boscawen che, con la sua semplice presenza, sapeva rasserenare il suo animo inquieto e riportare luce dove Elizabeth aveva seminato buio. “E' un'ottima danzatrice, tutto quì”.

Da quanto ti interessa la Gavotta?”.

Da stasera”.

Elizabeth alzò le spalle. “L'hanno agghindata ed educata bene ma il suo modo di muoversi è ancora poco aggraziato, sia nella camminata che nel ballo. Una domestica è e rimarrà sempre una domestica e non trovo cosa ci sia di tanto speciale in lei”.

Ross la fissò, storto. Per quanti sforzi faceva Elizabeth, quella sera non le riusciva proprio di essere diplomatica nei confronti di Demelza verso la quale, era evidente, aveva provato da subito una istintiva antipatia. E di certo lo splendido abito e la magnificenza dei gioielli che indossava doverla averla ingelosita oltre misura. Quando si comportava così, Ross non poteva non chiedersi cosa ci trovasse di tanto speciale e soprattutto dove fosse finita la dolce e delicata fanciulla di cui si era innamorato prima di partire per l'America. Era stato il matrimonio a cambiarla? Francis? Quella situazione di povertà in cui si era ritrovata a vivere suo malgrado, piena di debiti e senza certezze per il futuro di suo figlio? A volte le difficoltà cambiano le persone ma avrebbe voluto credere che questo non sarebbe mai potuto accadere a un'anima pura come Elizabeth. “Una domestica? E' entrata nel casato dei Boscawen, Elizabeth... E ha un rango superiore al nostro...”. Avrebbe voluto aggiungere altro, cercare di rassicurarla, ma l'arrivo di Francis lo fece desistere.

Cugino, la tua tattica di fuga dai balli è invidiabile” - disse allegro, prima di posare uno scialle sulle spalle della moglie.

Ross sorrise amaramente. “In guerra si imparano molte cose...”.

L'espressione di Elizabeth si inclinò. “Trova affascinante quella piccola parvenue...” - disse, acida.

Francis finse di non accorgersi dell'energia nell'aria. Baciò la mano di sua moglie, la attirò a se e la condusse nella sala. “E io trovo affascinante te, mia cara. E desidero un ballo”.

Ross li guardò entrare e danzare. Francis ed Elizabeth, Hugh e Demelza... E tante altre coppie. Persino Verity aveva trovato in Blamey un compagno di ballo... L'unico solo era lui. Ma forse non per molto. Non ci sarebbe stata complicità, né risate né sentimenti. Ma il letto di Margareth Vosper lo avrebbe accolto come sempre, senza problemi.



Il ballo fu un successo e il progetto della scuola raccolse molte donazioni ma soprattutto, l'appoggio della Banca di Cornovaglia che aveva deciso di supportarla con prestiti agevolati.

Demelza era felice, ma quella sera il suo animo era inquieto e per la prima volta in vita sua, si sentì come se fosse stata nel posto sbagliato a vivere una vita sbagliata.

Hugh era stato stupendo, il suo abito era il più bello, il cibo ottimo e la festa era andata benissimo.

Eppure, qualcosa in lei stonava...

Ross Poldark era sparito nel nulla a un certo punto, non sapeva quando né il perché ma se n'era andato senza nemmeno salutarla...

E questo la feriva, assieme al rammarico per il poco tempo passato con lui. Dov'era andato? E perché se lo chiedeva mentre Hugh le toglieva l'abito di dosso, la baciava, la accarezzava e la faceva adagiare gentilmente sul letto.

Demelza si accorse solo marginalmente dei suoi baci e delle sue carezze e gli rispose in modo meccanico, col corpo. Ma la sua mente era lontana...

Hugh le sfiorò dolcemente le ginocchia spingendola ad aprire le gambe, si stese su di lei e la fece sua.

Ma Demelza non sentì molto, quasi nulla... Lo lasciò fare, rispose cercando di muoversi con lui ma nel suo cuore non c'era spazio che per l'amarezza verso qualcosa che nemmeno lei capiva. In quel momento il suo corpo adempiva al suo dovere di moglie ma la sua mente, il suo cuore...

Santo cielo, se Hugh avesse potuto leggerle dentro e vedere quanto erano lontani...

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Era stata una notte strana, insonne per tanti motivi e piena di strani sentimenti che si mischiavano fra loro in uno strano connubio: amarezza, nostalgia di qualcosa di indefinito, voglia di urlare non si sa cosa e sensi di colpa. Quelli c'erano, sempre, da qualche mese a quella parte...

Demelza si alzò di soppiatto dal letto e ancora nuda, raggiunse l'armadio per vestirmi, attenta a non svegliare Hugh. Avrebbe potuto rimanere a letto ed aspettare il suo risveglio, non aveva nulla da fare, ma era una cosa che raramente aveva fatto perché a differenza del marito, non riusciva a stare a letto fino a metà mattino. E poi, anche se era assolutamente folle anche solo pensarlo, c'era qualcosa che sentiva di dover fare. Qualcosa che NON DOVEVA fare, ma la razionalità quella mattina sembrava averla abbandonata e anche se sapeva che poi si sarebbe sentita in colpa e uno schifo, sapeva di dover andare lo stesso a Nampara. La strada la conosceva e anche se non aveva motivo di andarci, anche se era consapevole che non aveva il diritto di presentarsi a casa di Ross Poldark per pretendere una spiegazione circa la sua sparizione della sera prima e anche se questo avrebbe potuto portarle dei guai con suo marito se la cosa fosse stata scoperta, si rese conto che come motivazioni, quelle non avevano peso quella mattina.

Uscì presto, prese il cavallo e nessuno se ne stupì, né Hugh che si sarebbe svegliato molte ore dopo ed era abituato a vederla poco al mattino, né la servitù. Spesso usciva poco dopo l'alba, al galoppo, per godersi un pò di pace e solitudine prima di calarsi nei doveri quotidiani di Lady Boscawen e quindi a nessuno sembrò così strano.
Era irritata. Di Ross Poldark tutti dicevano che era una testa calda, che non conosceva né le regole né le buone maniere e che era spesso brusco e scostante ma non aveva mai avuto modo di scorgere nulla del genere in lui. Era ombroso, imprevedibile, a volte cupo ma con lei era sempre stato tutto sommato gentile. Non capiva e non comprendeva nemmeno perché le importasse tanto di un perfetto quasi-sconosciuto – perché in fondo tale era per lei - la cui unica motivazione di frequentazione era la fissazione sviluppata da Falmouth nei suoi confronti e l'improvviso interesse per le sorti della sua scuola...
Eppure stava andando da lui, a casa sua, per la seconda volta, dopo una notte passata a fare l'amore con suo marito. Senza avere la minima idea del perché lo stesse facendo e di cosa gli avrebbe detto, spinta ancora una volta da quegli strani e ambigui sentimenti che lui risvegliava in lei, assieme a una miriade di sensi di colpa a cui non sapeva far fronte.
Costeggiò la costiera frastagliata e sferzata dal vento del mattino. Era una giornata limpida e il mare pareva trasparente.
E improvvisamente frenò, notando il suo cavallo legato a uno steccato, completamente solo a ridosso della scogliera.

Scese con circospezione, legò a sua volta il cavallo e a carponi, si avvicinò per sbirciare.
Ross Poldark era di sotto, in una piccola spiaggia, in acqua e completamente nudo. Solo, forse desideroso di pace e silenzio come spesso accadeva a lei al mattino, nuotava nell'acqua gelida. I suoi muscoli si muovevano sinuosi ad ogni bracciata e il suo fisico sembrava scolpito come fosse una statua.
Quasi fosse ipnotizzata, scese da cavallo e si nascose fra gli arbusti ad osservarlo. Rapita dalla visione del suo corpo, dai muscoli tesi della schiena mentre nuotava, dal movimento dei capelli neri bagnati, si sentì arrossire mentre il suo respiro si faceva più accelerato. Stava facendo una cosa sbagliata per una donna sposata. Anche per una donna non sposata, a dire il vero... E non riusciva a staccarsi da quella visione, da quell'uomo il cui corpo sembrava composto unicamente di muscoli, vitalità, forza... E virilità, una virilità sfacciata che sapeva incatenare il suo sguardo...
Ross Poldark nuotò fino al largo ma ad un tratto si voltò, tornò verso la spiaggia, raggiunse la riva con alcune bracciate e poi, nudo come mamma l'aveva fatto e incurante di nascondere qualsiasi parte di se, uscì dall'acqua tirandosi indietro con le mani i capelli fradici che gli cadevano sul viso.

GIUDA!!!”.
Demelza avvampò e a dispetto del vento, ebbe ancora più caldo. Si voltò di scatto, si rannicchiò nell'erba a faccia in giù e tentò di nascondersi e soprattutto di calmarsi.
Che diavolo stava facendo? E soprattutto, che diavolo stava provando? La vista del corpo di Ross Poldark continuava a danzarle nella mente, ossessivamente. E non era più una ragazzina per non capire la natura di quel turbamento. Si trovò a pensare che ne era attratta, che avrebbe voluto avvicinarsi, allungare la mano e toccarlo e che non era mai successo con quella intensità nemmeno con Hugh...
Ne era attratta e lo era anche quella mattina, quando aveva preso il suo cavallo ed era giunta fin lì. Ne era attratta e non poteva sopportare che se ne fosse andato da casa sua senza dirle una parola...
Non poteva provare sentimenti del genere, non lo voleva affatto e doveva opporvisi con tutte le sue forze! Ora o mai più! E c'era solo un modo per farlo, aspettarlo a casa sua e nel ruolo di Lady Boscawen, fargli notare quanto fosse stato scortese!!!
...

Ross non era come suo padre che, dopo la morte di sua madre, si era gettato in ogni letto di donna disponibile nelle vicinanze.
Si sentiva sporco quella mattina, dopo la notte a pagamento con Margareth. Il sesso, per lui, non doveva essere un solo esercizio dettato dalla ricerca del piacere fisico quanto piuttosto, nei suoi desideri, unione di corpo e anima di due persone che si amano. Ma a lui non era stato dato quel privilegio vissuto, davanti ai suoi occhi, da tutti coloro che lo circondavano e sembravano ricordargli sempre quanto fosse solo.
Aveva nuotato a lungo nel mare, come faceva ogni volta che voleva ripulirsi da qualcosa. E una notte con una prostituta, per quanto abile, lo faceva sentire sporco. Così come l'aver lasciato poco elegantemente, come un ladro, la festa dai Boscawen. Ma non era riuscito a restare; L'amore giovanile, ideale e puro, era perso e mostrava spine che a una prima occhiata non aveva notato, l'altra donna che aveva catturato la sua attenzione era irraggiungibile e doveva lasciar perdere anche il più blando tentativo di avvicinarla, non era per lui e lei non lo aveva mai incoraggiato a sperare diversamente.
Si rivestì, imboccò il sentiero che portava a Nampara e poi raggiunse la porta di casa.
E a sorpresa, col suo cavallo e le redini fra le mani, lei riapparve avanti ai suoi occhi. Spalancò gli occhi e per un attimo temette di dimostrarsi sorpreso e di dare un'impressione troppo interessata. Deglutì, si avvicinò a piccoli passi e si fermò solo quando i loro cavalli furono muso a muso. “Lady Boscawen, a cosa devo l'onore della vostra visita?”.

Un refolo di vento le scostò i capelli, lasciati sciolti quella mattina. “Ero preoccupata” - sbottò lei, nervosa ma con un tono sarcastico. “Siete andato via alla chetichella senza salutare, dopo tutto...”.

La porta si aprì improvvisamente, spalancata da Prudie che doveva averli sentiti. “Signore...”.

Entra dentro!” - le ordinò.

Ma...”.

Entra dentro!”.

Prudie sbuffò, borbottando come un pentolone di fagioli. E poi ubbidì, sbattendo la porta dietro di lei.

Siete scortese con la vostra servitù” - osservò Demelza.

Siete venuta a farmi la morale? Avete fatto tutta questa strada solo per questo?” - le domandò, acidamente. Non aveva motivo di essere arrabbiato con lei ma lo era. Quando l'aveva vista ballare con Hugh, quando l'aveva vista con ogni attenzione rivolta a suo marito, era stato geloso e si era sentito come se lo avesse privato di qualcosa suo di diritto. Il giorno che avevano cavalcato insieme, lei aveva avuto ogni attenzione per lui e in un certo senso Ross si rese conto, aveva creduto, che ad ogni loro incontro sarebbe sempre stato così. Ma così non era, era logico che non lo fosse. Eppure anche se logico, questo lo irritava lo stesso. “La mia servitù non è affar vostro!”.

Ma...”.

Ma non mi avete detto ancora perché vi trovate qui? Altra missione di Falmouth?”.

Demelza arrossì. “No... Come vi ho detto, ho trovato scortese... o preoccupante... la vostra sparizione”.

Ross alzò le spalle, desideroso di provocarla per vederne le reazioni. “Lo sapete cosa dicono di me? Inaffidabile, incurante delle regole e dell'etichetta, imprevedibile...”.

Lei sostenne il suo sguardo. “E devo dire che le voci che circolano su di voi, vi si adattano benissimo”.

E' un complimento o una critica?” - chiese lui, ripetendole la domanda che lei gli aveva fatto solo poche ore prima al ballo.

Demelza captò il riferimento e parve capire il suo tentativo di provocarla. Ma era difficile rispondere a dovere, non ci riusciva appieno e la sua mente continuava a ricordare la sua figura nuda che emergeva dall'acqua. Stava letteralmente morendo dall'imbarazzo e nasconderlo, era quanto di più faticoso avesse mai fatto. “E' un dato di fatto” - rispose infine, imitando quanto dettole da Ross la sera prima.

A quella risposta, Ross non riuscì a trattenere un sorriso. “La vostra faccia tosta è incredibile”.

Non sono io ad essermene andata senza salutare chi vi ha invitato”.

Ross si appoggiò al muro. “Mio cugino non vi ha salutata quando si è congedato?”.

Beh, si...”.

E allora i Poldark hanno adempiuto al loro dovere!”.

Francis Poldark lo ha fatto, non voi!”.

Ross le si avvicinò, fino ad essere viso a viso. Era bellissima, quella bellezza semplice che l'aveva conquistato durante la galoppata di poche settimane prima, non la bellezza artefatta del ballo... “Che importanza ha?”.

Ne ha!”.

Perché?”.

Demelza si morse il labbro, a corto di parole. “Un... Un gentiluomo lo avrebbe fatto...”.

Non mi sono mai ritenuto un gentiluomo!”.

Demelza strinse i pugni, tesa. “E' una questione di educazione”.

Ross esibì un sorrisetto irriverente. “Educazione? Voi, VOI venite a fare la morale a me?”.

Demelza, colta sul vivo, arrossì. Che diavolo intendeva dire? “E quando mai sarei stata maleducata con voi?”.

Oh, non maleducata! Ma poco rispettosa delle regole, come me...”.

Quando lo avrei fatto?”.

Ross rise, mentre la tensione si stemperava in lui. “Ora!”. Non sapeva bene come, ma quel loro battibecco serio stava prendendo altre strade ben più ironiche...

Ora?”.

Ross le si avvicinò di nuovo. “E' sfacciato per una signora essere qui, a casa mia, esigendo spiegazioni per un comportamento avuto da un ospite al suo ballo. Sfacciato quanto il mio di comportamento, quando me ne sono andato senza concedervi la grazia di un saluto. Mia cara Lady Boscawen, temo che entrambi pecchiamo parecchio, in fatto di educazione”.

Demelza avvampò, rimase senza parole ma come lui, sentì la tensione stemperarsi in lei. E rise, di cuore, sentendosi stupida per essere arrivata fin lì ma infinitamente più leggera. “Siete davvero pessimo!”.

Lo so! Amo esserlo”.

Demelza cercò di riprendere possesso di un po' di contegno. Rise ancora qualche istante ma poi, dopo aver preso un profondo respiro, cercò di tornare seria. “Perché ve ne siete andato?” - domandò ancora, con meno enfasi, rendendosi conto che le interessava davvero.

Perché vi interessa tanto?”.

Non lo so” - ammise con sincerità.

Ross sospirò, accarezzando il manto del suo cavallo. Ripensò a come si fosse sentito solo e fuori posto la sera prima, tradito, senza quegli appigli e quella compagnia che invece sembravano aver trovato tutti. E anche se non era molto signorile dirlo, si sentì di essere sincero... A che scopo, non lo sapeva... Ma ancora una volta, voleva vedere la reazione di Demelza. “Diciamo che un uomo solo, a volte necessita di un certo tipo di compagnia...”.

Demelza si accigliò. “Compagnia? Non ne avevate a casa mia?”.

Non QUEL TIPO di compagnia...” - mormorò lui, con sguardo eloquente.

E Demelza avvampò di nuovo mentre di nuovo le tornava in mente il fisico nudo e statuario di quel grandissimo insolente. “Siete... Siete orribile!” - esclamò, comprendendo infine a cosa lui si riferisse.

Ma sincero!!!”.

Troppo sincero...”.

Ross allargò le braccia. “Ora capite? Non potevo trovare quel tipo di compagnia a casa vostra...”. Era vero, lo disse scherzosamente ma con una strana amarezza.

Ancora rossa in viso, Demelza volse lo sguardo altrove. “Sono una signora, vi ricordo”.

Una signora, sì! Sfacciata! E quando una donna lo è, deve accettare qualsiasi tipo di risposta! E in fondo, lady Boscawen, direi che non siete proprio il tipo da svenire per discorsi simili!”.

Demelza abbassò lo sguardo, indecisa se essere arrabbiata o meno per la sua sfacciataggine. Ross Poldark aveva passato la notte con una donna, così come lei l'aveva passata fra le braccia di suo marito. Tutto regolare, tutto normale, nulla da spiegare... Entrambi avevano passato quella notte nello stesso modo dopo tutto e nessuno doveva una spiegazione all'altro. Eppure c'era una strana amarezza in lei e tante, tantissime domande. Com'era Ross Poldark con una donna? Perché si sentiva di invidiare la prostituta che lo aveva accolto nel suo letto? Cosa si provava a toccare e sentire su di se quel corpo perfetto uscito dall'acqua? Giuda, era sposata ed era con Hugh, per sempre, che sarebbe stata. Mai aveva avuto un genere di pensieri così per un uomo e ora Ross Poldark, con la sua arroganza, la stava trasformando in una donna diversa che non le piaceva affatto.

Un leggero miagolio fece sussultare entrambi.

Il piccolo Sun, sgattaiolato fuori da una finestra lasciata aperta, corse fuori, lanciandosi contro Demelza.

Felice di vederlo, la donna si chinò e dolcemente, lo prese fra le mani. Era un po' cresciuto, più in carne e assolutamente felice e vivace. “Lo trattate bene, vedo...”.

Se prendo un impegno, poi lo porto a termine” - rispose Ross, rovistandosi nelle tasche dei pantaloni. Ne tirò fuori il nastrino col campanello che aveva fatto Demelza, lo osservò rendendosi conto che al mondo esistevano cose più belle e pulite di Margareth Vosper e infine si avvicinò alla donna. “Visto che siete qui, potete metterglielo voi” - propose gentilmente, la discussione fra loro ormai superata.

Ma Demelza scosse la testa. “Fatelo voi, ormai Sun è vostro”.

Nostro! Non sfuggite alle vostre responsabilità” - la rimbeccò lui.

E lei sorrise, rendendosi conto che, ancora una volta, lui era riuscito a calmare la tensione fra loro. Si chinò, accarezzò la testolina di Sun e gli mise il nastrino. “Ora sei ancora più grazioso” - sussurrò al gattino che, in tutta risposta, con la zampina tentava di sfiorare il campanello.

Ross si chinò accanto a lei. “Ora non dormirò davvero più, la notte. Lo farà suonare in continuazione”.

Beh, se Ross era stato sfacciato, poteva esserlo anche lei, no? “Dopo tutto, pare che la notte non amiate così tanto dormire, giusto?”.

E questa volta fu il trionfo per lei, perché fu Ross ad arrossire, preso in contropiede. “Siete una Lady, vi ricordo!”.

A cui avete appena raccontato la vostra notte in un bordello!” - gli fece notare.

Si guardarono e poi scoppiarono a ridere, di gusto. Come due vecchi commilitoni, o amici, o compagni d'arme che si trovano davanti a un fuoco dopo una notte di bagordi.

Ross la osservò e capì che davvero la preferiva così, semplice, senza orpelli, libera di esprimersi e scherzare come meglio le veniva. La guardò e si rese conto di avere l'onore di avere davanti la vera Demelza, non quella artefatta esibita dai Boscawen. E che riusciva ad essere così solo lontana da suo marito. Era affascinante, bellissima e selvaggia. E lo stava decisamente stregando senza rendersene conto. “Sapete, sto pensando...”.

A cosa?”.

Che era divertente litigare con voi, poco fa! Dev'essere un'esperienza grandiosa una vera lite con voi!”.

Demelza rise di nuovo, indecisa se la stesse prendendo in giro o meno. “Giuda, sperate di non scoprirlo mai! Potrei essere peggio di come immaginate”.

Oh, non faccio fatica a crederlo!”.

Demelza lasciò andare Sun perché giocasse nell'aia, mettendosi in piedi. Era rimasta fin troppo e sarebbe rimasta ancora, ma si stava facendo tardi e lei non avrebbe dovuto essere lì, con lui, a scherzare e a pensarlo con quel desiderio e quell'intensità incontrollabili. “Credo di dover andare, ora”.

Non vi fermate un attimo? Posso dire alla mia domestica di prepararvi del tè”.

No, è tardi e io non sarei dovuta venire, ne sono consapevole e vi chiedo scusa” - sussurrò, cercando di riacquistare dignità e padronanza di se.

A quelle parole, anche Ross tornò serio. “Sono io a dovervi chiedere scusa”.

Per cosa?”.

Per ieri sera...”.

Demelza abbassò lo sguardo. “Avevate altri programmi, no?”.

No, in realtà non ne aveva, non finché l'aveva vista e desiderata con tanta intensità da restarne turbato. Ma aveva senso dirlo? No... “In realtà, non fino a un certo punto della serata”.

Lo sguardo intenso di lui la fece sobbalzare e fu costretta ad indietreggiare. C'era qualcosa che i suoi occhi cercavano di dirle, qualcosa che avrebbe sconvolto il loro mondo, un qualcosa che li univa e accomunava nelle loro sensazioni ma entrambi sapevano che non potevano, che non avrebbero mai potuto... “Avrei voluto salutarvi, almeno...” - ammise però.

Mi dispiace, non credevo che vi sareste accorta della mia assenza”.

Ma invece l'ho notata subito”.

Eravate felice e contenta con vostro marito, come avete fatto?”.

Lei gli sfiorò la mano, un gesto istintivo di cui però non si pentì. Le loro dita si strinsero. “L'ho notato subito, invece”.

Si guardarono negli occhi, a lungo, come non riuscendo a distaccarsi l'uno dall'altra. Lei era lì per lui e a Ross questo scaldava il cuore. Lui era stato rabbioso ma ora era tornato gentile e questo scaldava il cuore in subbuglio di lei...

Ora devo andare” - sussurrò Demelza.

Ross annuì, anche se c'era qualcosa che voleva chiederle, prima di lasciarla tornare a casa sua. Ma lei lo precedette, esprimendo lo stesso pensiero. “Ross?”.

Cosa?”.

Considerarvi un semplice conoscente è... complicato... Lo sarà, da stamattina”.

Ne convengo”.

Posso considerarvi un amico? Sarebbe più facile”.

Ross sentì il suo cuore scaldarsi. “Certo, se vi fa piacere”.

Mi fa piacere”.

Lui osservò la sua mano, che teneva ancora stretta quella di lei, come se non volesse lasciarla. Quanto calore sapeva dargli quella semplice stretta. “Anche a me”.

Non si dissero altro e a fatica, Demelza sfilò la mano dalla sua. Prese il suo cavallo, ci montò e rossa in viso, partì al galoppo.

Ross restò ad osservarla mentre, aggraziata, spariva col suo cavallo. E quando tornò a casa, fu lo sguardo truce di Prudie a sostituire quello bellissimo di Demelza. “Che hai da guardarmi a quel modo?”.

Non mi piace, non è gentile, non è corretto e non è appropriato!” - sbottò la donna.

Cosa?”.

Che vi mettiate nei guai! Guai grossi come una botte di birra!”.

Quali guai?”.

La donna, che lo conosceva fin da quando era piccolo, lo guardò storto. “Guai dai lunghi capelli rossi...”.


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Erano stati giorni strani per Demelza, quelli trascorsi dopo la sua visita a Nampara.

Se n'era andata da quella casa col cuore leggero, semplicemente contenta senza volerne capire appieno il motivo, di quella promessa di amicizia che si erano scambiati, ma una volta tornata nella sua dimora, nelle sue stanze, da suo marito, il peso delle sue azioni di quella mattina si era schiantato su di lei e sulla sua coscienza. Che aveva fatto? Come aveva potuto lei, una donna sposata, andare a casa di un quasi-sconosciuto per chiedere i motivi del suo allontanamento da una festa? Con che coraggio gli aveva fatto la morale e si era arrabbiata con lui? Come aveva potuto parlare con tanta leggerezza della sua notte trascorsa in un bordello, come se fossero amici e complici da una vita? Cosa voleva, cosa pretendeva da Ross Poldark? Cos'era quella confidenza che gli aveva permesso? Come poteva farlo avvicinare tanto ed esserne poi sconvolta? Come aveva potuto osservarlo nudo, senza distogliere lo sguardo? Come aveva potuto... desiderarlo?

Da quel giorno aveva lottato come una leonessa contro se stessa, per mettere a tacere quei sentimenti. Non si era nemmeno più recata a Truro per controllare i lavori della scuola per il timore di incontrarlo...

Santo cielo, doveva tornare ad essere la fiera e contenta moglie di Hugh Armitage, doveva farlo, doveva! Suo marito non si meritava tutto questo, aveva scelto di sposarlo e un matrimonio è per sempre! Aveva giurato di amarlo e onorarlo e avrebbe voluto continuare a farlo, finché morte non l'avesse separata fra lui. Aveva promesso fedeltà e aveva un anello al dito che glielo ricordava incessantemente e quindi basta, doveva chiudere, doveva allontanarsi da Ross Poldark e da ciò che scatenava in lei quanto prima, non perché avesse fatto qualcosa di male ma perché avrebbe potuto farlo e se ne rendeva pienamente conto.

Da quel giorno si era messa a letto, adducendo un leggero malessere. Che in fondo aveva e le avvelenava il sangue e la mente, rendendola nervosa ed irascibile. Spesso era sbottata con Hugh quasi senza motivo e poi si era sentita in colpa. Era una situazione tanto strana, stava lottando contro se stessa sentendosi come privata di qualcosa di vitale e lo stava facendo per salvare il matrimonio con un uomo che certe volte non riusciva nemmeno a guardare in viso...

Voleva desiderare Hugh con la forza con cui sentiva di desiderare Ross Poldark e non ci riusciva! E questo la faceva impazzire! Voleva qualcosa, un miracolo o un dono dal cielo che la riportasse con mente e cuore solo da Hugh ma non sapeva cosa potesse essere e nemmeno come potesse accadere.

Quel pomeriggio, l'ennesimo passato fra le coperte, dopo una mattina in compagnia di Lord Falmouth che insisteva per chiamare un medico che la visitasse, si era chiusa in camera chiedendo di non essere disturbata.

Garrick l'aveva seguita e solo lui, il suo fedele amico, era stato ammesso al suo fianco, nel letto. Il suo cane era forse il meno bello del distretto, il meno nobile, il meno di razza, ma era un amico fedele come pochi potevano essere...

Stesa, con il cane stretto a se, pensò alla sua infanzia difficile e priva di ogni cosa, all'incontro con Falmouth e poi con Hugh... Hugh, la sua gentilezza, la sua dolcezza, le sue poesie, il suo corteggiamento...

Era tanto giovane allora, e talmente inesperta da essere confusa da tante attenzioni. Che le facevano piacere, la facevano star bene e la lusingavano, ma forse...

Demelza si rigirò nel letto, rendendosi conto che Ross Poldark le aveva insegnato qualcosa: frivolezze, corteggiamento e amor cortese erano importanti ma il rapporto fra uomo e donna era molto di più, quel molto di più che lei da ragazzina non conosceva e che stava scoprendo adesso, a causa di un uomo scostante e dai modi a volte rudi ma che sapeva farle venire la pelle d'oca solo con uno sguardo. Era Ross Poldark, suo malgrado, ad averle insegnato cosa significhi il desiderio per un uomo, non Hugh... L'intimità con Hugh le aveva sempre lasciato addosso un senso di insoddisfazione che l'aveva portata a sottovalutare il sesso e a ritenerlo un semplice obbligo matrimoniale, ma guardando Ross nudo in acqua, quel suo fisico così perfetto e muscoloso, le aveva fatto comprendere quanto fosse importante il desiderio, la comunione fra i corpi oltre che fra l'animo di due amanti e quanto ancora ci fosse in una unione, che lei non aveva ancora conosciuto.

E quindi?

Doveva sforzarsi di trovare con Hugh quel qualcosa che mancava e Ross le aveva mostrato? Oppure non era possibile perché con Hugh c'era qualcosa che li rendeva poco affini da quel punto di vista? Doveva rassegnarsi? O lottare per ravvivare il suo matrimonio?

Non che avesse molta scelta, era e rimaneva la moglie di Hugh e se con lui non poteva vivere certe emozioni e sensazioni, questo non la autorizzava a cercarle altrove. Forse la chiave era la rassegnazione e cercare il bello che poteva offrirle il suo matrimonio, senza ambire all'impossibile. Ross Poldark non era di certo un uomo perfetto dopo tutto e forse peccava in lati del carattere dove invece Hugh eccelleva... La perfezione non esiste, lo sapeva benissimo, ma...

"E se nella sua imperfezione, Ross Poldark fosse stato l'uomo giusto per me? Quello che non mi avrebbe fatto rimpiangere i lati negativi del suo carattere sopperendo con quelli positivi?... E se anche le sue imperfezioni mi attirassero?".

Questo si chiese, rigirandosi per l'ennesima volta fra le coperte con Garrick stretto a se.

Improvvisamente la porta si aprì e non fece in tempo a protestare, che suo marito era già in camera. "Hugh".

Suo marito, piuttosto pallido in volto, entrò e le si sedette accanto. "Stai meglio?".

Si sentì irritata e sapeva di non poterselo permettere anche perché quella era la stanza sua di suo marito e Hugh aveva ogni diritto di entrarci quando voleva. "Sì, meglio" – rispose poco convinta, sforzandosi di nascondere il suo disappunto.

Hugh le studiò attentamente il viso, le accarezzò una guancia e si fece più vicino. "Che ti sta succedendo, amore mio? Inizio ad essere preoccupato".

"Sono solo stanca" – tagliò corto.

"Non è da te esserlo!".

"Sono umana e come tutti, ho i miei periodi negativi. Passerà, come tutto passa" – mormorò, riferendosi a ben altro che al suo malessere. Odiava essere tanto brusca con Hugh ma tutto ciò che stava facendo era tentare di proteggere il suo matrimonio con lui e per farlo stava combattendo una tempesta dentro di se che le lasciava poche forze e decisamente poco buon umore.

"Eppure non è da te abbandonare un tuo progetto, soprattutto quello della scuola a cui tenevi tanto".

Demelza abbassò lo sguardo, per un attimo incerta su come rispondergli. La faccenda della scuola era un altro tarlo che la metteva di cattivo umore perché se era pur vero che non stava andando a Truro per paura di incontrare Ross Poldark, era altrettanto palese che qualcosa si era inclinato in lei, da quando nel progetto era subentrata la Banca di Cornovaglia. Aveva desiderato costruire una piccola e semplice scuola dove stare a contatto lei stessa coi bambini più bisognosi ma ora quel suo sogno stava diventando una gara fra azionisti in cerca di visibilità per fini politici e il progetto iniziale, piccolo, senza pretese ma fatto col cuore, era stato accantonato. Non era più la sua scuola, il suo sogno... Era diventato il progetto di altri e lei ben poco aveva da metterci il becco. "La scuola è ormai piena di ingegneri ed esperti, che ci dovrei andare a fare, io?".

Hugh sussultò davanti al suo tono secco, rendendosi conto appieno di quanto fosse di cattivo umore. La conosceva in fondo e sapeva bene che avrebbe desiderato ben altro per quella scuola. "Sapevi bene che se mio zio fosse subentrato nel progetto, sarebbe andata a finire così. Ma la cosa importante non è la scuola? Che importanza ha come verrà costruita, con quali soldi e con che progetto? La cosa importante è che dei bambini potranno studiare ed apprendere in un luogo a loro dedicato".

"Ne ha di importanza, per me! Diventerà una scuola per ragazzini ricchi o della classe media e i più bisognosi ne verranno esclusi! Falmouth mi ha detto che uno degli azionisti parlava di rette... Giuda, come potranno pagare delle rette le famiglie dei minatori?" - sbottò.

"Serviranno per coprire in parte i costi e il salario degli insegnanti".

"Io avrei voluto andarci gratis, a insegnare quel poco che so! Avrebbero imparato a leggere e scrivere, quanto meno, senza bisogno di sborsare denaro che molti non hanno".

"Demelza, ti stai agitando e questo potrebbe farti male".

Lo fissò, con la voglia di picchiarlo! Ed era la prima volta che le accadeva da quando lo conosceva e quel suo tagliare il discorso, ora che era giunto a un punto per lei di vitale importanza, la irritava ancora di più. Non era una stupida bambolina sempre in procinto di svenire, non era una ragazzetta da proteggere da ogni cosa o da guidare, era una donna intelligente e capace di pensare a se stessa! E in grado di combinare qualcosa di buono anche con le sue mani! E tutti sembravano volerglielo impedire!

Si gettò sul letto, comprendosi il viso col cuscino per non urlare mente Garrick, col musino, tentava di attirare la sua attenzione dandole dei colpetti. "Voglio dormire!" - disse infine, sperando di spingere Hugh ad andare altrove almeno per un pò. "Ti prometto che stasera scenderò per la cena".

Hugh non parve sollevato. "Demelza, guardami!" - le ordinò, spostando il cuscino dal suo viso.

"Che c'è?".

"Dimmi cosa c'è che ti tormenta e risolviamo la cosa! Non è solo per la scuola che sei tanto turbata e nervosa e non è da noi essere arrabbiati. Tu da alcuni mesi sei cambiata e io ho paura che...".

Hugh si bloccò, i suoi occhi divennero lucidi e Demelza si sentì morire. Odiava farlo star male, lui non lo meritava e lei si stava comportando in modo orribile anche se il fine era combattere per lui, per loro e per ciò in cui lei credeva e gli era precluso. E in quel momento si riaccese in lei quel senso di protezione che da sempre aveva provato per lui ogni volta che lo aveva visto debole o smarrito. Si sedette, tranquillizzò con una carezza Garrick e poi prese le mani di suo marito. "Hugh, tu non hai niente da temere" – disse, tentando di apparire rassicurante anche se capiva che forse, quella da rassicurare era lei.

"E io invece penso di sì".

Demelza impallidì perché sapeva che Hugh aveva ragione e che non era giusto trattarlo da stupido. "Un matrimonio non è sempre facile. Ma per quanto mi riguarda, è per sempre".

"Davvero? Cuore e anima?".

Demelza prese un profondo respiro. Sarebbe stato così, lo sarebbe dovuto essere per forza. "Lo sarà, cuore e anima...".

Hugh abbassò il viso, stringendole le mani ancora più forte. "Eppure, come potrebbe essere? In questi mesi, da quando...". Scosse la testa, come se dire quella frase, un nome, gli costasse una infinita fatica... E alla fine decise di non pronunciarlo, quel nome. "Ecco, una volta eri contenta di me. Ora sembra che tu desideri altro, sembri delusa e io non mi sento più abbastanza ai tuoi occhi. E forse non lo sono, non ho la prestanza fisica di altri uomini, il loro ardore, la loro forza di combattere, il loro slancio...". E ancora una volta, il riferimento ai sentimenti confusi della moglie per un altro era più che palese...

Era una conversazione difficile, molto. Demelza si rendeva perfettamente conto dei limiti di Hugh, li aveva colti e accettati quando aveva deciso di sposarlo, non gli erano mai pesati e di certo non pretendeva che lui diventasse ciò che non era, ma allo stesso tempo era complicato spiegare quanto lei stesse cambiando in quei mesi. La ragazzina che arrossiva per le poesie di suo marito era sparita forse per sempre e al suo posto c'era una giovane donna che si chiedeva cosa volesse, quale fosse il suo posto nel mondo e soprattutto, se stesse vivendo una esistenza adatta a lei. Non chiedeva molto, solo di essere libera di galoppare coi capelli al vento, di correre scalza sulla riva del mare, di fare una passeggiata senza guardie del corpo, di ridere forte se era contenta e di condividere tutto questo con qualcuno che la pensava come lei. Senza regole o almeno senza averne troppe, vivendo anche alla giornata senza sapere con esattezza cosa aspettarsi dal nuovo giorno, lottare per ottenere qualcosa con le proprie forze, senza aiuti... Chiedeva troppo? Forse sì, forse questo era troppo nel suo matrimonio perché sapeva di non poter condividere tutto questo con Hugh. Forse non si era mai nemmeno resa conto lei stessa di cosa desiderasse, fino all'incontro con Ross Poldark. Non era solo l'uomo che l'aveva colpita ma tutto ciò che lui rappresentava, quel mondo pieno di problemi, dove nulla era semplice e da dare per scontato, ma pieno di persone volenterose e soprattutto libere di agire senza etichette o preconcetti, capaci con le loro sole mani di costruirsi un futuro. "Hugh, non so che dirti. Io penso che ognuno debba essere sempre ciò che è e non cercare mai di imitare gli altri. Tu sei tu, ti ho sposato così e così mi sei piaciuto".

"Ma non sono più abbastanza, ora".

Ora... Intendeva – e Demelza lo aveva capito senza che Hugh lo nominasse – che si stava riferendo a ora che c'era Ross. E in fondo aveva ragione, Ross le aveva in un certo senso fatto vedere cosa c'era al di la del cancello della loro grande villa e del suo matrimonio e questo la attraeva. Ma era una donna sposata, aveva dei doveri e tutta l'intenzione di adempiervi senza deroghe. Aveva fatto una scelta, si era sposata e aveva fatto delle promesse ben precise, quando aveva detto sì. E indietro non si poteva tornare.

Lo accarezzò sulla guancia, lo baciò lievemente sulle labbra e poi gli sorrise. "Hugh, nella vita forse un giorno sarai tu ad essere scontento di me o di noi per qualche motivo ma anche allora, spero che mi amerai lo stesso. Questo è il matrimonio, lottare insieme anche quando le cose non sono del tutto rosee. Tu sei quì per me, ora, anche se sono di umore pessimo. E io farò lo stesso sempre, per te, anche quando l'umore nero sarà il tuo. Tutto passa, anche i momenti bui, se li si affronta insieme".

"E tu?" - le chiese lui, abbandonandosi al calore della sua mano ancora sul suo viso.

"E io, cosa?".

"Ciò che senti adesso, che ti fa stare così? Anche questo credi che passerà?".

Ancora una volta Hugh non aveva nominato Ross ma Demelza sapeva che era il perno nascosto di quel discorso. "Passerà, tutto passa".

"Sicura?".

"Sicura".

Lui le sorrise. "Eppure, vorrei esserne in qualche modo responsabile. Del cambiamento, intendo... Non voglio solo che ti passi, voglio che tu sia fiera di me".

Demelza spalancò gli occhi. "Hugh, io sono fiera di te e di ciò che sei: gentile, dolce, delicato e sempre attento".

"Ma non basta in un matrimonio, vero?".

"A noi è bastato, fin ora" – gli fece notare, tentennando però un pò.

E lo stesso Hugh non ne era più convinto. "Voglio fare di più, voglio fare qualcosa anche io! Da Boscawen, da uomo degno di questo nome! Per te, per mio zio...".

Demelza si accigliò. "Che vuoi dire?".

Hugh si staccò da lei, alzandosi dal letto. "Che non mi sono mai interessato di politica ed economia e forse dovrei farlo, visto che da questo dipende la nostra famiglia e il nostro benessere. Mio zio dovrà partire per Londra fra due mesi, a settembre. Con l'autunno, saranno molti gli impegni a Westminster e nella finanza a cui dovrà partecipare e per la prima volta voglio capirci di più, seguirlo ed imparare. Magari potrebbe anche piacermi e magari lui potrà vedere in me un degno erede, senza che debba cercarlo altrove".

Demelza sospirò, era molto scettica da quel punto di vista. Conosceva Hugh e sapeva che nulla di quello che avrebbe trovato a Londra lo avrebbe interessato e non voleva che facesse qualcosa per forza, non glielo avrebbe mai chiesto e non lo avrebbe mai preteso da lui. Ed inoltre ormai Falmouth aveva fatto la sua scelta e difficilmente avrebbe cambiato idea. "Hugh, tuo zio non si aspetta questo da te. E sai che vorrebbe...".

"Ross Poldark!?".

Demelza sussultò, quando Hugh finalmente pronunciò quel nome. Si rabbuiò, rendendosi conto che ora la conversazione si sarebbe indirizzata su strade pericolose. "Sai bene che quando si incaponisce...".

"Ma Ross Poldark non è interessato a LUI" – sbottò Hugh, come punto sul vivo, nervoso e sulla difensiva. No, Ross non era interessato a suo zio, Ross era interessato a sua moglie...

Lei sussultò, rendendosi perfettamente conto di cosa gli stesse passando per la testa e consapevole di non poterlo tranquillizzare ancora fino in fondo, da quel punto di vista. Ma Demelza non poteva nemmeno non obiettare perché consapevole che Falmouth non avrebbe comunque rinunciato ai suoi progetti sui Poldark e Hugh non doveva farsi illusioni in proposito. "Hugh, io e tuo zio ti amiamo, non devi dimostrarci nulla".

"Voglio dimostrare qualcosa a me stesso!".

Demelza si alzò dal letto, avvicinandosi a lui di alcuni passi. Gli cinse la vita, lo abbracciò e poi lo guardò negli occhi. "Se lo vuoi DAVVERO fare per te, allora sarò al tuo fianco".

"Davvero?".

"Davvero... Sono tua moglie e ti appoggerò sempre". Era vero, non aveva dubbi in proposito. Era difficile soffocare i sentimenti risvegliati in lei da Ross Poldark ma era la moglie di Hugh Armitage e se doveva scegliere, avrebbe scelto e appoggiato suo marito. In tutto, anche in questa strana lotta di Hugh per annebbiare la figura di Ross agli occhi Falmouth, del casato dei Boscawen. E ai suoi occhi... Questo risvegliava in lei tenerezza e affetto per suo marito, era stupendo che volesse lottare per lei ma non era certa che Hugh sarebbe riuscito nel suo intento, non era certa che avrebbe portato a termine i suoi propositi e nemmeno che Falmouth avrebbe cambiato idea. Hugh poteva andare incontro a una grande delusione soprattutto verso se stesso, ma se aveva scelto era comunque sbagliato volerlo difendere da ciò e dalle conseguenze. E lei era sua moglie, voleva esserlo al meglio e in quanto tale, doveva appoggiare suo marito.

Hugh parve rasserenarsi dalle sue parole. "Questo mi rende felice".

"Dubitavi del mio appoggio?".

"Credevo che forse ti sarebbe spiaciuto per... per il fatto che...".

Incespicò e Demelza tentò subito di rassicurarlo. "Temevi che mi spiacesse per Ross Poldark?".

"Sì" – ammise lui.

"Ross Poldark non vuole entrare in politica con tuo zio. Non credo di dispiacermi per lui, per Poldark il tuo gesto potrebbe essere una liberazione". In fondo non aveva dubbi sul fatto che fosse così...

Hugh le sorrise, poi la baciò sulle labbra. "Ce la farò?".

"Non lo so" – gli rispose, sincera – "Ma quando uno tenta con tutte le sue forze di fare qualcosa, indipendentemente dal risultato deve essere orgoglioso di se stesso".

"E tu, tu sei orgogliosa di me? Lo sarai?".

Demelza sorrise, dolcemente, notando con quanta trepidazione attendesse una sua risposta e il suo favore. In fondo era sempre stata orgogliosa di Hugh, aveva sempre provato per lui una infinita tenerezza e il suo sbandamento per Ross Poldark, più che colpa di suo marito, era da imputare a se stessa e su questo poteva tranquillizzarlo. "Lo sono sempre stata e sempre lo sarò".

Hugh la strinse a se, forte, come se non avesse bisogno che di lei. Poi osservò il letto. "Posso mettermi quì un pò con te e Garrick a riposare?".

"Se ti va...".

Hugh si avvicinò al letto, portandola con se mano nella mano. "E' che stamattina sono stato poco bene e anche se ora sto meglio, magari distendermi un pò...".

Demelza entrò subito in allarme. Giuda, era stata a letto a fare la bella addormentata mentre suo marito non stava bene?! E di nuovo si sentì in colpa e decisa a porre fine a ogni sentimento che la allontanava dal suo matrimonio e dai suoi doveri che forse, in quei giorni, aveva dimenticato in virtù di altri pensieri... "Cosa hai avuto? Ancora mal di testa?".

"In realtà, sono svenuto".

Le mancò il fiato. "Cosa?".

Vedendola andare in panico e desideroso di non fare altrettanto, Hugh decise di minimizzare. "In realtà è stata una cosa da poco, qualche istante. Forse non sono nemmeno svenuto, forse sono semplicemente inciampato e mi sono ritrovato a terra. A volte, con un libro in mano, quando cammino non bado a dove metto i piedi e...".

Ma Demelza, nonostante le sue parole, era già in allarme e in lei erano già ritornati prepotentemente quei sentimenti di protezione e tutela che da sempre nutriva per lui e che erano stati offuscati da Ross Poldark. Non poteva permettere che questo succedesse ancora! Mai più! "Voglio sentire un medico" – sentenziò.

"Non è necessario!".

"Lo è, invece!".

Hugh la strinse a se, facendola sedere sulle sue gambe. "Starò bene. In questi mesi caldi mi riposerò, mi prenderò cura di me stesso, seguirò le indicazioni mediche che già ho e per settembre, per Londra, sarò come nuovo".

Londra... Ora, se avesse obiettato dicendo che era meglio non andarci per via della sua salute malferma, Demelza sapeva che Hugh l'avrebbe presa nel modo sbagliato e che questo avrebbe riportato il fantasma di Ross fra loro. Ma di contro, non si sentiva tranquilla; Hugh non era mai svenuto, era molto pallido e ultimamente aveva il fiato notevolmente corto, senza contare le emicrania molto forti di cui era soggetto sempre più spesso. Il suo sesto senso le diceva che qualcosa non andava e che doveva stare allerta. "A Londra, ci penseremo a settembre. Sicuramente starai bene, ma in caso contrario, per il tuo bene, preferirei che restassimo quì".

"No, voglio andarci!" - disse lui, con un tono deciso di voce che raramente lei gli aveva sentito usare.

"Hugh, la tua salute...".

Lui la baciò sulle labbra per zittirla. "Sono solo inciampato, giuro".

Non ne era certa e di sicuro, quando mentiva, lei se ne accorgeva. Non stava bene ma a settembre mancavano due mesi e tutto sarebbe stato in divenire, nel bene o nel male. Avrebbero avuto modo di riparlarne, ma farlo ora era assolutamente inutile. Tutto quello che poteva fare era essere una buona moglie, prendersi cura di suo marito, stargli accanto e sostenerlo nelle sue scelte. E soprattutto, tenere Ross Poldark lontano dalla sua mente, dal suo cuore e dal suo matrimonio.

La scelta era fatta e non sarebbe tornata indietro! E tutto ciò che aveva provato per Ross Poldark sarebbe stato dimenticato, accantonato e mai più portato alla luce. Non lo avrebbe più cercato, non lo avrebbe più visto e le sarebbe passata... E sarebbe tornata ad essere la buona moglie che Hugh Armitage meritava di avere.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Sprofondato sul comodo sedile della sua carrozza che lo stava portando a Nampara, Lord Falmouth osservava di tanto in tanto il paesaggio brullo che scorreva davanti al suo finestrino. Immense distese di campi, qualche sparuto e povero villaggio, le ciminiere delle miniere che rappresentavano vita e speranza per la gente del posto, strade sterrate e soprattutto, nelle narici, il profumo di salsedine del mare le cui onde, in lontananza, si schiantavano contro le rocce con grossi tonfi udibili persino da lì.

Era una giornata ventosa e poco serena, quella. L'estate era stata clemente, aveva regalato giornate calde e poco ventose, serene e senza umidità ma ora l'avvicinarsi dell'autunno pareva voler ricordare a tutti quanto inclemente fosse il clima di quelle terre. Il tempo si era fatto nuvoloso, spesso la notte era piovuto e il freddo sembrava avanzare precocemente quell'anno, tanto che Falmouth aveva ordinato ai domestici già in più di una occasione, la sera, di accendere il camino in camera sua e nel salone principale.

Erano stati mesi strani quelli, per lui. La salute di suo nipote Hugh, da inizio luglio, era peggiorata sensibilmente e spesso era stato costretto a letto a causa di forti emicrania, febbri improvvise e strani tremori nervosi a cui i medici che lo avevano visitato, non avevano saputo dare né cura né risposta. Eppure, era iniziato proprio dal suo peggioramento il cambiamento di Hugh...

Due mesi prima lo aveva pregato di portarlo con se a Londra, di mostrargli il mondo della politica e della finanza, di insegnargli tutto ciò che sapeva. Falmouth non aveva idea del perché di quel cambiamento e conosceva anche abbastanza bene suo nipote per sapere che non avrebbe combinato nulla di buono perché di fatto, Londra e il suo mondo non era qualcosa di adatto a lui. Sarebbe stato un bravo poeta o letterato oppure anche un pittore, ma un uomo d'affari e a capo del potere dei Boscawen, mai. Però gli aveva fatto piacere, dopo una vita passata a disinteressarsi delle tradizioni di famiglia, questo suo voler tentare e Falmouth aveva deciso di lasciarglielo fare. In fondo un viaggio a Londra, dove farlo visitare da qualche altro medico, non avrebbe fatto male a nessuno. Avrebbero dimorato nella loro grande dimora di città, lui sarebbe stato vicino al potere e Hugh avrebbe potuto scoprire quel mondo e realizzare una volta per tutte che non faceva per lui... Insomma, tutto calcolato e tutti d'accordo, eccetto...

Falmouth si accigliò, mentre la carrozza sobbalzava sui sassi. Pensò a Demelza, la giovane ed intraprendente moglie di Hugh e di come, da brava moglie, lo avesse pregato di dare a Hugh quell'opportunità. Per poi però, nelle ultime settimane, tirarsi indietro quasi spaventata dall'idea di quel viaggio e di ciò che avrebbe potuto comportare alla salute di suo marito. Ma Falmouth, pur preoccupato per la salute di suo nipote, era stato irremovibile e aveva sentenziato che il trasferimento ci sarebbe stato, per tutti. Hugh era un uomo e un uomo va alla guerra anche se ferito o menomato, così aveva detto a Demelza, col tono di ordine a cui non si poteva controbattere. Lei lo aveva implorato di convincere suo marito a cambiare idea, lo aveva pregato di fare altrettano per il bene di Hugh ma era stato irremovibile. Suo nipote per la prima volta in vita sua voleva comportarsi da uomo responsabile, non era disposto a tirarsi indietro e lui, anche se non capiva il perché, di certo glielo avrebbe permesso. Era suo nipote dopo tutto e non poteva negargli quell'opportunità che di certo non era pericolosa, a conti fatti. A Hugh non si chiedeva tanto dopo tutto, si chiedeva solo un viaggio di un paio di giorni per spostarsi da una dimora di campagna a una di città e anche se Falmouth sapeva che di certo a Londra non avrebbe combinato un gran che, voleva per una volta dargli fiducia, non trattarlo da ragazzino e vedere di che pasta era fatto...

Questo lo stuzzicava e soprattutto, lo incuriosiva...

Una sfida, a tu per tu con l'altro candidato al ruolo agognato da Hugh: Ross Poldark. Nonostante i desideri di Hugh, Falmouth non era disposto a rinunciare a lui. Di certo non avrebbe detto a Poldark, testa calda e soprattutto orgogliosa, che sarebbe stata una specie di gara ai suoi occhi per vedere chi meritava di più di lavorare al suo fianco, Falmouth conosceva dopo tutto la risposta, ma voleva vedere quanto suo nipote valesse a confronto con lui.

Con questi pensieri stava andando a Nampara, dopo che per mesi e sicuramente per tutta l'estate, non si erano più avute notizie di lui. La prima volta, mesi prima, aveva mandato Demelza come ambasciatrice ma ora la posta in gioco era troppo grossa e doveva mettersi in gioco di persona per convincerlo. La partenza per Londra era vicina, c'era poco tempo e doveva trovare il modo di ingolosirlo dell'idea di andare nella capitale. Falmouth aveva però già elaborato un piano: si era informato delle sorti della Wheal Grace in quei mesi, aveva scoperto che navigava sempre più in cattive acque e che presto, per mancanza di fondi, avrebbe rischiato la chiusura con conseguente caduta sul lastrico di tutti coloro che ci avevano lavorato e investito. Falmouth conosceva il modo di pensare di Ross e sapeva bene quanto ci tenesse a quella miniera, non tanto per lui quanto per i suoi lavoranti. Che incentivo migliore poteva esserci di un prestito a tasso quasi nullo alla Banca di Londra, con un Boscawen a fare da garante? I debiti della Wheal Grance erano poca cosa per Falmouth ma saldarli era tutto ciò che Poldark desiderava. Gli avrebbe offerto la soluzione su un piatto d'argento, doveva solo accettare di fare un viaggetto a Londra con lui e la sua famiglia. Una volta la, sarebbe stato facile introdurlo nei suoi circoli e scatenarne la voglia di farne parte.

E con questi pensieri e un innato ottimismo, Falmouth tornò con impazienza a guardare dal finestrino della carrozza che lo stava portando a Nampara. Non c'era tempo da perdere, non avrebbe accettato alcun no e non sarebbe tornato indietro deluso. Di questo era certo e avrebbe sfruttato ogni risorsa in suo possesso per un sì.


...


Quella, fu una domenica pomeriggio molto noiosa per Ross. La Wheal Grace, si era deciso ormai da settimane, rimaneva chiusa il sabato e la domenica un pò per mancanza di denaro e carbone, un pò per far tirare il fiato ai minatori che vi lavoravano senza sosta e soprattutto, senza risultati. I soldi scarseggiavano ormai e la beffa finale era giunta nel momento in cui era stato trovato qualcosa che assomigliava a un ricco filone di stagno di qualità e non c'era più denaro per andare avanti negli scavi. Fallire a un passo da un traguardo ambito per causa di soldi, era la maledizione che da secoli affliggeva i membri della famiglia...

Seduto sul divano davanti al camino, in quel giorno che di estivo aveva ben poco, Ross si scaldava davanti al fuoco appena acceso da Jud. Quel calore era piacevole e pareva dare sollievo anche ai mille pensieri e alle mille preoccupazioni che attanagliavano il suo animo. Accanto a lui, Sun giocava con un gomitolo di lana bianca, rotolandosi nel vano tentativo di afferrarlo fra le zampette. Era cresciuto molto in quei mesi e aveva sviluppato un lungo pelo rosso tanto inusuale per i gatti randagi di quelle parti. Sembrava un piccolo leoncino più che un gatto e le fiamme del fuoco, riflesse sul suo pelo, gli conferivano un aspetto ancor più regale. Non aveva mai prestato molta attenzione alla bellezza degli animali ma doveva ammettere che Sun era davvero un esemplare di rara bellezza e spesso si era chiesto da dove venisse e cosa l'avesse portato fino alle scogliere a ridosso di Nampara. Inoltre spesso non era riuscito a non pensare al fatto che il suo aspetto rispecchiava terribilmente la persona che lo aveva trovato, sembravano fatti apposta per incontrarsi, quei due...

Sovrappensiero, Ross ripensò a Demelza. Erano più di due mesi che non la vedeva, dal giorno in cui era venuta a casa sua per rimproverarlo della sua fuga dal ballo a casa sua. Quel giorno si erano allontanati con una vaga promessa di amicizia e si aspettava, stupidamente, che si sarebbero visti spesso. Ma da allora la giovane moglie del tenente Armitage era come scomparsa dalla circolazione e di lei non aveva più visto l'ombra, né a Nampara, né a Truro. Gli sembrava strano che non avesse più partecipato ai lavori della scuola ma forse, credeva, l'aveva sopravvalutata. Le donne si lanciano spesso in cose che poi le stancano e le annoiano dopo poco e Demelza Armitage doveva essere una di quelle. Aveva ideato sicuramente con eccitazione e voglia di fare la scuola ma poi, come ogni donna capricciosa dell'alta società, doveva aver trovato altre cose con cui svagarsi e aveva abbandonato il progetto, lasciandolo ad altri. Forse aveva avuto cose più importanti da fare, apparteneva al casato dei Boscawen dopo tutto, forse era stata impegnata col marito, forse semplicemente era partita per una vacanza estiva da qualche parte...

Forse, forse...

Ross si trovava spesso a pensare a lei, con acidità e con la testardaggine di volerle trovare difetti atti a criticarla. E in fondo non ne trovava molti, falliva sempre e i difetti doveva crearseli nella sua mente delusa dal fatto che non si fosse più fatta vedere da lui. E da Sun, ovviamente...

Non era sciocco, sapeva che quei pensieri così apparentemente ostili nascondevano in realtà una gran voglia di vederla e godere della sua presenza, ma sapeva anche che ogni tipo di incontro fra loro sarebbe stato inappropriato. Come un'amicizia, del resto... Lo aveva capito lui e doveva averlo capito anche lei...

Allungò la mano ad accarezzare Sun che si era accoccolato sulle sue gambe e in quel momento Prudie fece irruzione nel salotto. "Signore, avete visite" – esclamò, decisamente poco felice della cosa.

"Visite?". Era stupito, non aspettava nessuno e aveva declinato l'invito di Zachy di andare a pescare.

Prudie non fece in tempo a rispondere che la figura delicata ed elegante di Elizabeth comparve dietro di lei. Indossava un completo di equitazione blu, aveva i capelli raccolti in una curata treccia e le sue guance erano arrossate a causa della galoppata. "Disturbo?" - chiese.

Ross si alzò di scatto dal divano, facendo balzare a terra anche il povero Sun. Ogni volta che la vedeva si eccitava come un ragazzetto e averla a Nampara, cosa piuttosto rara, era ancora considerato un privilegio da lui. "Certo che no" – balbettò, facendo segno a Prudie di andare a preparare del tè e dei biscotti per la loro ospite.

"Scusa l'irruzione ma ero a casa sola, mi annoiavo e ho deciso di uscire per una cavalcata. E il cavallo mi ha portata quì".

Ross le sorrise, indicandole il divano perché si mettesse comoda. "Non devi giustificarti, mi fa sempre piacere averti quì. Come stai? Come mai eri sola?".

Elizabeth si sedette elegantemente. "Francis ha portato Geoffrey Charles a raccogliere il grano coi nostri fittavoli, Verity è a Bodmin con il capitano Blamey, zia Agatha dorme e borbotta nel suo letto e io...".

Prudie arrivò col tè e, con espressione scocciata, lo diede alla sua ospite. "Serve altro?".

"No, grazie Prudie" – la fulminò Ross, esasperato dai suoi modi così poco accoglienti.

La donna uscì dalla stanza e lo sguardo di Elizabeth cadde su Sun che, col suo gomitolo, si era accocolato di nuovo ai piedi di Ross. "Da quando hai un gatto?".

"Da qualche mese".

Elizabeth ridacchiò. "Non ti facevo il tipo da tenere un animale domestico".

Ross osservò Sun, ricordando il modo fortuito in cui era stato trovato e il perché... per chi... avesse scelto di tenerlo. Ma non si sentiva propenso a raccontare tutto questo ad Elizabeth. "E' utile coi topi".

Elizabeth impallidì. "Ci sono topi a Nampara?" - chiese, osservandosi attorno guardinga.

"In una fattoria capita che ce ne siano, di tanto in tanto".

"Ma non hai paura che quel gatto, con tutto quel pelo, abbia delle pulci?".

Come sentendosi chiamato in causa, Sun soffiò verso l'ospite, dimostrandosi ancora più ostile di Prudie.

"I gatti, Elizabeth, sono gli animali più puliti che esistano".

"Ma quel pelo così rosso, così lungo... Che gatto strano che ti sei trovato, Ross!".

Sospirò, deciso a cambiare argomento, forse anche irritato da quei commenti su Sun, che considerava bellissimo. "Cosa ti porta quì? A parte la noia, intendo...".

Elizabeth si rigirò fra le mani la tazza di tè fumante, come indecisa se parlare o meno e soprattutto, su come dire ciò che la tormentava. "Tu sai che il denaro per me non è questione primaria, ma...".

Certo che lo sapeva, mai avrebbe potuto pensare a lei come a una donna veniale e non c'era nemmeno bisogno che Elizabeth lo specificasse. "Dimmi cosa ti tormenta".

Lei lo guardò negli occhi, profondamente. "Cosa mi tormenta? Tante cose, Ross. Ho un figlio e ovviamente il suo futuro mi preoccupa. Cosa avrà in eredità? Potrò permettermi di iscriverlo alle migliori scuole?".

Ross annuì, erano tutte preoccupazioni legittime per una madre amorevole come lei e non poterla confortare su questo, lo destabilizzava terribilmente. "Ti capisco e ti garantisco che nel mio piccolo, sarò sempre al fianco di tuo figlio per aiutarlo. Sono tempi duri per tutti e non se ne vede soluzione, ma se non ci diamo una mano fra noi, saranno ancora più duri".

Lei scosse la testa, esasperata. "La notte non ci dormo, Ross. Intendo, per la Wheal Grace...".

Ross sussultò, sentendosi mortalmente in colpa anche per quello. Francis aveva investito in quella miniera i suoi ultimi risparmi e questo aveva pesato enormemente sulla condizione economica della famiglia, soprattutto su una persona delicata come Elizabeth e sul piccolo Geoffrey Charles. La loro situazione, già enormemente compromessa a causa dei debiti di gioco e finanziari di Francis coi Warleggan , era ulteriormente peggiorata ed era consapevole che Elizabeth fosse terrorizzata di trovarsi senza nulla e senza nemmeno una casa nel caso questa fosse stata confiscata. Ross dubitava che sarebbe successo, sapeva quanto George Warleggan la adorasse e fosse perennemente pronto a vezzeggiarla, ma i problemi comunque rimanevano e di certo prima o poi avrebbero chiesto il conto.

Osservò Elizabeth ancora tanto bella e perfetta ai suoi occhi, quella donna che desiderava da quando aveva vent'anni e che aveva perso in modo forse superficiale e stupido, senza lottare appieno per lei. L'orgoglio, le ferite nell'animo che la guerra gli aveva lasciato come brucianti cicatrici, la sua situazione finanziaria disperata, gli avevano impedito di lottare per quella donna a cui, se avesse potuto, avrebbe dato anche la luna. Anche ora, per sempre! Anche se era la moglie di Francis, mai avrebbe smesso di lottare per il suo benessere e i fallimenti della Wheal Grace diventavano ancora più brucianti davanti a quanto erano costati a Elizabeth. Santo cielo, come poteva consolarla? Come poteva darle speranza? Come poteva trovare fondi sufficienti per andare avanti ancora un pò alla Wheal Grace? Il filone trovato da Henshawe sembrava così promettente e forse forse, se si fosse continuato a scavare, ciò che c'era in quel cunicolo avrebbe potuto cambiare le vite di tutti.

Non voleva la ricchezza per se, Ross. La voleva per lei perché una vita piena di agi era tutto ciò che Elizabeth meritava. Ma dove trovare nuovi fondi? La piccola banca di Pascoe si era già esposta fin troppo, condedendogli prestiti che fino a quel momento erano stati a fondo perduto, dei Warleggan non voleva nemmeno sentir parlare e Henshawe aveva già impegnato fin troppo denaro per chiedergliene ancora. E lui non aveva sul suo conto da Pascoe che venti ghinee, il minimo necessario per comprare cibo per se e i suoi servi. Ipotecare nuovamente Nampara? Lo aveva già fatto... "Vorrei poterti dare buone notizie ma al momento...". Si bloccò, con la voce tremante, cercando per lei una qualche consolazione che al momento non esisteva. "Quando la Wheal Grace chiuderà, dalla vendita dei macchinari ricaveremo un pò di denaro che ti darà respiro". Si odiava, santo cielo! Come aveva potuto permettere che Francis impegnasse tutto il denaro che gli rimaneva?

Elizabeth, pallida e amareggiata, abbassò il capo. Era evidente che non erano quelle le parole che aveva sperato di sentire da lui... "In fondo c'è chi sta peggio, no?".

"Sì, sicuramente...". Ross strinse i pugni, in preda alla frustrazione. "Ti sarai davvero pentita di aver sposato un Poldark".

La sua in fondo voleva essere una battuta amara a cui Elizabeth, si aspettava, avrebbe risposto con una nuova battuta. Ma la donna rimase in silenzio, osservando la sua tazza da tè. Un silenzio pieno di domande, per Ross. A cosa stava pensando? Stava davvero maledicendo il giorno in cui la sua strada aveva incrociato quella dei Poldark?

La donna si alzò dal divano, poggiando la tazza sul tavolo. "Si sta facendo tardi, forse dovrei rincasare. Il tempo sta peggiorando, a breve temo che pioverà e Geoffrey Charles e Francis saranno di ritorno fra poco e voglio che mi trovino a Trenwith al loro rientro".

"Certo". Fece per accompagnarla alla porta quando Prudie comparve di nuovo.

"Signore!".

"Che c'è ancora?".

"Avete un'altra visita" – sbottò nuovamente Prudie.

Ross spalancò gli occhi. E ora chi era? Ma non fece in tempo a formulare nessuna ipotesi che Lord Falmouth, elegante ed altero come sempre, comparve davanti a lui ed Elizabeth.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Falmouth non era una persona abituata ai convenevoli e Ross lo sapeva bene. Se era giunto di persona fino a Nampara, non era di certo per una visita di cortesia e anche se per tutta l'estate non si era fatto né vedere né sentire, era indubbio che non avesse distolto lo sguardo e le sue mira su di lui.

Ross prese un profondo respiro, osservò Elizabeth e decise che doveva cercare di dar sfoggio a tutte le sue buone maniere per non metterla in imbarazzo davanti a un ospite tanto importante. "Lord Falmouth, vi vedo in ottima forma e mi fa piacere vedervi. Volete accomodarvi?" - propose, indicandogli i divanetti davanti al camino.

Elizabeth abbozzò un sorriso ma Falmouth scosse la testa. "Non ho molto tempo per fermarmi, ero solo di passaggio e ho deciso di deviare quì".

"Perché mai?" - domandò Ross.

Falmouth fece un sorriso furbo, osservò distrattamente alcune mappe della Wheal Grace lasciate aperte sul tavolo e poi decise di giocare al gatto col topo proprio toccando le corde più care a Ross. "Diciamo che, usando termini a voi molto conosciuti... Se il rame non va dal minatore, il minatore va a cercare il rame dritto dritto nella tana dove si nasconde".

Ross incrociò le braccia, stupito da quel paragone e anche piuttosto divertito dal fatto che Falmouth lo avesse usato. Sano umorismo inglese, avrebbe detto suo padre... E quel Lord ne era certamente in possesso. "Bel paragone, complimenti. Scusate se non sono passato a salutarvi in questi mesi, ma sono stato molto occupato. Stavo giusto parlando con mia cugina delle sorti della miniera".

Falmouth fece un inchino ad Elizabeth, da perfetto gentiluomo. "Signora Poldark, è sempre un piacere vedervi. La vostra presenza ha illuminato i balli a casa mia e spero che sarete presto, di nuovo, nostra gradita ospite".

Ross capì subito l'intento di Falmouth di adularla per portarla dalla sua parte, ma Elizabeth no e si limitò ad arrossire garbatamente. "Siete fin troppo gentile con me".

Falmouth le si avvicinò, prendendole la mano e baciandola. "La gentilezza non è mai troppa quando si ha davanti una giovane e affascinante dama come voi".

Santo cielo, Falmouth cascamorto! Lo stava talmente stupendo il suo comportamento di quel pomeriggio, che Ross gli avrebbe volentieri accordato qualcuna delle richieste che sicuramente era venuto a fare. Ma prima di questo, il punto della questione era non scoppiare a ridergli in faccia, mettendo in imbarazzo Elizabeth che di certo era nata per essere adulata e trovava piacere nei complimenti. Complimenti che meritava, sempre!

E quindi Ross tossicchiò, cercando di mantenersi serio. "E allora, cosa vi porta quì a casa mia?".

"Affari, affari! Cos'altro mi spingerebbe a venire fino a un luogo così remoto?".

Ross ridacchiò. "Gli affari si fanno con chi ha la capacità e le risorse di far girare denaro, non coi proprietari di una miniera quasi fallita che non ha quasi più denaro per finanziare la sua attività".

Falmouth sorrise sotto i baffi, era lì che voleva arrivare e Ross gli stava spianando la strada senza nemmeno accorgersene. "Sono a conoscenza delle difficoltà della vostra miniera e me ne rammarico". Si voltò verso Elizabeth con aria grave. "Ovviamente immagino che anche per voi, mia signora, tutta la situazione deve essere fonte di grande preoccupazione".

Elizabeth annuì. "Lo è, infatti. Non per me, non particolarmente almeno. Ma il futuro così incerto di mio figlio...".

Falmouth annuì. Sapeva bene quanto una lady come Elizabeth fosse incapace di vivere in ristrettezze, ne aveva viste tante di damine ben educate nella sua vita disperarsi per semplici motivi veniali e sapeva anche quanto Ross Poldark le fosse affezionato, i loro trascorsi e quanto fosse disposto a far di tutto per lei, se le circostanze lo avessero reso necessario. Si era informato bene, sapeva che in passato erano stati promessi sposi e quanto ancora lui ne fosse affascinato e proprio per questo Elizabeth Poldark poteva diventare il suo asso nella manica per portare a compimento i suoi piani. "Il futuro dei figli è ciò che sempre angustia ogni madre. In certe situazioni, poi..." - mormorò, occhieggiando Ross che abbassò lo sguardo. "Vorrei rendermi utile, solo Dio sa quanto affetto abbia sviluppato verso vostro cugino e la sua grandissima faccia tosta".

Elizabeth sorrise garbatamente. "La vostra amicizia è preziosa per noi".

Ross sospirò, deciso a tagliare corto. Cosa voleva Falmouth era chiaro da molto e quanto detto da Elizabeth poco prima e il peso dei debiti lo avrebbero potuto spingere verso il bordo di un precipizio dal quale difficilmente salvarsi. Non voleva ciò che Falmouth aveva da offrirgli ma allo stesso tempo ciò che lui aveva era l'unica speranza che poteva donare al cuore in tumulto di Elizabeth. "Volete trascinarmi di nuovo a una lunga discussione alla banca di Cornovaglia? Sarei un pessimo creditore per loro. Sarei un debito e difficilmente porterei ricchezza".

"No, no!". Falmouth scosse la testa. "La Banca di Cornovaglia è piccola, piena di gente dalla mentalità campagnola e ristretta e di fatto, rispecchia la mentalità di queste terre. Ho bisogno della frizzante aria di città, di rumore, di strade caotiche e piene di carrozze e di persone con cui stringere affari veri!".

Ross spalancò gli occhi, seguito da Elizabeth. "Oh, state partendo?".

Falmouth annuì. "Londra! Santo cielo, come mi è mancata quella città! Oro, potere, re, Parlamento! La campagna di Cornovaglia è affascinante ma i miei occhi si sono stancati di vedere camini di miniere fumare e greggi di pecore che pascolano. Santo cielo, avete notato quanta erba cresce da queste parti, Poldark?! Sono un uomo d'affari, non un contadino cornish!".

"E allora, vi auguro un buon viaggio di ritorno nella capitale" – disse Elizabeth, con una nota di invidia nel tono di voce.

Falmouth, a quelle parole, adocchiò Ross. "Spero possiate augurare la stessa cosa anche a vostro cugino".

"Ma io non sto partendo" – fece notare Ross, guardingo. Ahia, il gioco si stava facendo pericoloso e il lord lo stava guidando con maestria. Che voleva dire?

Senza scomporsi, Falmouth alzò le spalle. "In realtà è per questo che sono venuto quì, per chiedervi di partire invece. Con me e la mia famiglia".

Ross sussultò. La sua famiglia... Demelza e Hugh... Demelza... Per un attimo quell'opportunità gli parve quasi un dolce invito ma poi guardò Elizabeth e si sentì come di tradirla. E poi ripensò a Demelza, scomparsa nel nulla in un attimo, sia dalla sua vita che dal progetto della scuola. Era davvero meritevole del suo desiderio di rivederla? "Non ho motivo di partire" – disse, non così convinto ed odiandosi per questo.

"Forse ne avete uno" – rispose Falmouth, occhieggiando Elizabeth.

"Quale?" - chiese la donna, incuriosita ma anche speranzosa che quella amicizia si traducesse in qualcosa di positivo per tutti loro.

Falmouth prese un profondo respiro. "So bene in quali difficoltà finanziarie vi trovate e so anche che mai come ora avreste bisogno di nuovi investitori che vi possano aiutare a far andare avanti la miniera. Pare siate a un passo dall'ottenere buoni risultati finalmente e sarebbe un peccato e una vera beffa chiudere ora, per mancanza di fondi. La Cornovaglia non è così competitiva a livello economico, le sue banche sono piccole e gli investitori non così ricchi da rischiare più volte in una impresa spesso fallimentare. Londra è diversa, le banche della capitale sono grandi e potenti e sicuramente non farebbero molte storie a concedervi un prestito che per loro è sicuramente poca cosa rispetto al giro di affari che conducono giornalmente".

Ross sapeva dove voleva arrivare Falmouth e anche se di certo il suo discorso corrispondeva al vero, accettare quel viaggio con lui lo avrebbe esposto ad altre tentazioni che quella vecchia volpe di certo gli avrebbe mostrato. Non voleva essere coinvolto nelle sue macchinazioni e non voleva diventare un lacché dei Boscawen... "Non vedo perché una banca, seppur potente, dovrebbe prestare denaro a un perfetto sconosciuto di provincia che non darebbe loro alcuna garanzia di ritorno del prestito. Resto comunque un soggetto a forte rischio di fallimento".

"E' vero! A meno che non troviate qualcuno che garantisca per voi".

Ross sorrise, freddamente. "Tipo un Boscawen?".

Falmouth annuì. "Per esempio ecco, noi Boscawen, io... ho molte amicizie nelle banche di Londra. Nessuno oserebbe negare un prestito a un mio protetto. Garantirei per voi senza indugio e la mia parola e il mio nome varrebbero più che mille ipoteche e mille cambiali che voi giurereste di firmare e pagare entro i termini".

"E se la mia miniera fallisse? Che ne sarebbe del vostro impegno a mio nome?" - chiese Ross, con aria di sfida.

Falmouth lo fissò serio, negli occhi. "Se anche fallisse, per me il denaro che a voi serve è poca cosa. E comunque non fallirete".

"Come fate a saperlo?".

"Ho fiuto per gli affari! E non mi ha mai tradito".

Ross ridacchiò. "Siete un serpente tentatore che sa muoversi bene nel giardino dell'Eden, Lord Falmouth. Ma io so bene che tutto ciò che voi così gentilmente mi offrite, avrà un prezzo. Un prezzo che non intendo pagare e mi pare di essere stato chiaro in merito!".

Falmouth non arretrò. "Sembrate spaventato da una collaborazione con me e non vi facevo codardo".

Punto sul vivo, Ross si morse il labbro. "Non sono codardo, so semplicemente fiutare i pericoli, anche quando sono nascosti da gentilezza apparentemente disinteressata".

"Non potete dire che ciò che vi offro non vi piacerà, se non lo avete prima provato!".

"Lo so e basta, che non mi piacerà!".

Falmouth sospirò, osservando il suo asso della manica, Elizabeth. "Diteglielo anche voi, signora! Con la testa dura non si va da nessuna parte e un viaggio a Londra e un impegno politico più pressante da parte sua potrà aiutare non solo la miniera e la gente che vi lavora ma anche l'economia delle vostre terre e soprattutto, della vostra famiglia".

"Ross" – lo implorò Elizabeth.

Ma Ross tentò di tenere duro. "Elizabeth, mia cara, è una questione di principio. E non posso perdere me stesso e tutto ciò in cui credo per del denaro".

Falmouth lo rimproverò con lo sguardo. "Non è un patto di sangue, è aprirsi a nuove opportunità! Mandereste sul lastrico tante famiglie, compresa la vostra, per una questione di puntiglio?".

Ross impallidì, Falmouth sapeva come portare avanti una trattativa mettendo con le spalle al muro il suo interlocutore e di certo avrebbe avuto molto da imparare da lui, se solo avesse desiderato farlo. "Ovviamente no".

"E allora partite!".

"E cosa dovrei fare in cambio? Il vostro lacché nei circoli buoni di Londra?".

Falmouth scosse nuovamente il capo. "No, mai avuto bisogno di lacché che mi scodinzolassero attorno come farebbe un cane. Ma di un buon collaboratore sì!".

"Un collaboratore con idee diverse dalle vostre! Voi ed io siamo incompatibili, Lord Falmouth! C'è chi mi definisce 'giacobino' e non ho mai avuto animo di contraddire questo nomigonolo!".

Falmout sorrise, da volpe astuta quel'era. "Io non voglio con me chi la pensa come me! Se volessi questo, me stesso mi basterebbe. Io voglio il contradditorio, voglio discutere ed eventualmente cambiare idea su qualcosa a cui magari guardo in maniera sbagliata. O convincere un altro a fare altrettanto. Mettermi in gioco sempre, è il risvolto della vita che più amo. E sono proprio le persone come voi che più stuzzicano il mio interesse".

Ross sorrise, in fondo non poteva dire di non apprezzarne il pensiero. "E questo vi fa onore".

"Partirete? Avete solo da guadagnarci".

"Ross..." - intervenne ancora Elizabeth, giungendo le mani come in preghiera.

La guardò, tanto bella, fragile, regale. Un tempo le avrebbe regalato la luna e anche ora, se ne avesse avuto l'opportunità. Un'opportunità che in effetti adesso aveva, dopo tutto. Non gli importava di fama e glora e tanto meno di banche e politica, voleva solo sentirsi a posto con la coscienza e sapere al sicuro, serena e senza preoccupazioni Elizabeth.

Vedendolo indugiare sulla figura della donna, Falmouth intervenne ancora per completare la sua opera di persuasione. "So che la sorte della vostra famglia e di questa donna vi è particolarmente a cuore e sarebbe davvero un peccato gettare voi e lei sul lastrico, a un passo dal successo, per una questione di principio. Non siete d'accordo, Poldark? Avete il futuro di vostra cugina e vostro nipote nelle vostre mani...".

Ross la osservò e capì che non poteva che chinare la testa. Per lei, solo per lei. Non era giusto provare certi sentimenti, soprattutto verso la stessa Elizabeth e Francis, ma era quello che sentiva. E sentiva anche la voglia di rivedere quell'altra donna, la donna che era entrata all'improvviso nella sua mente e stranamente non voleva sparire dai suoi pensieri. Quasi avesse sentito quei pensieri sulla sua salvatrice, Sun si avvicinò strisciando contro la sua gamba in cerca di un attimo di attenzione e una carezza. Ross distolse lo sguardo da Elizabeth, si chinò e lo prese in braccio, accarezzandolo sulla testolina. "E sia, partirò!" - disse infine, risoluto ma incerto nei suoi ultimi pensieri: chi lo motivava di più a partire? Elizabeth? O colei che aveva salvato quel gatto che, richiamando la sua attenzione, lo aveva costretto a distogliere lo sguardo da lei?

Con aria trionfante, Falmouth si rimise il cilindro sul capo. Osservò Elizabeth gongolante e poi il suo pupillo. "Ottima scelta! Preparate quanto prima le valigie, voglio essere nella capitale prima che il tempo si guasti del tutto e renda il viaggio un inferno!".

Ross annuì, rendendosi conto che accettare era comunque l'unica opzione che avesse. "Non voglio mancare comunque troppo a lungo da casa".

Falmouth sorrise. "Per il gatto? Non vi facevo tipo da avere un gatto!" - scherzò.

Ross sospirò, stringendo il micio. "E' una cosa che oggi mi hanno fatto notare spesso" – borbottò rivolgendosi ad Elizabeth. "Ma a conti fatti, sono felice di avere Sun con me e mi mancherà. E' un'ottima compagnia, parla poco e non fa proposte inappropriate" – concluse, lanciando quella frecciatina al Lord senza mezzi termini.

Falmouth rise, per nulla turbato o offeso. "Sun? Santo cielo, un nome del genere?! Sembra scelto dall'animo gentile di una donna più che da un rude uomo di miniera".

Ross non rispose. In effetti era così ma non era il caso di dirlo...

Falmouth si accomiatò, assieme ad Elizabeth che lasciò Nampara nello stesso momento. Ognuno aveva in fondo ottenuto qualcosa da quello strano pomeriggio: Falmouth il suo pupillo, Elizabeth una speranza e Ross...?

Con Sun vicino, si rimise sul divano accanto al camino. Era ormai quasi buio e il suo animo era in tumulto come il cielo fuori dalla finestra, che annunciava pioggia. Avrebbe forse salvato la miniera e il destino di tanti uomini, aveva tranquillizzato Elizabeth sul futuro e forse gli affari sarebbero stati finalmente profiqui. E lui? Era davvero felice? Non seppe darsi una risposta e di certo mai come in quel momento i suoi sentimenti gli parevano confusi ed incoerenti...


...


Era stanca, esausta da quell'estate difficile e pesante che aveva vissuto. Non era tanto la stanchezza fisica a tormentarla, quanto quella mentale. Non c'era mai stato riposo per la sua mente e anche quando era riuscita a dormire tutta la notte, i suoi sonni erano stati tormentati da incubi e preoccupazioni. Hugh era stato molto male e gli attacchi, sempre più frequenti, avevano scandito quei caldi mesi estivi, togliendole forza, vitalità e serenità. E ora che la partenza per Londra si avvicinava, era difficile non avere paura delle conseguenze che quel viaggio avrebbe avuto sul fisico provato del suo giovane marito. Avrebbe voluto rimanere in Cornovaglia, tenere Hugh al sicuro e tranquillo nella loro villa di campagna dove si sentiva abbastanza forte per proteggerlo anche dalla malattia, ma rimanere non era un'opzione che era nelle sue possibilità. Soprattutto Hugh non aveva voluto prenderla in considerazione. Falmouth non aveva mai insistito nelle ultime settimane e aveva lasciato la facoltà di scelta al nipote, limitandosi ad osservarlo con preoccupazione ma non prendendo mai le parti di Demelza nel volerlo convincere a desistere. Aveva scelto di trattare Hugh da adulto, con rispetto, mostrandosi aperto a ogni sua decisione. E anche se Demelza era felice che Falmouth avesse accordato quella fiducia a suo marito, era terrorizzata dalle conseguenze.

Era ormai quasi ora di cena e quella sera a tavola ci sarebbero stati solo lei e Falmouth. Hugh aveva ancora un forte mal di testa ed era a letto e lei, stancamente, osservò che la domestica avesse apparecchiato al meglio la tavola.

Il tempo era plumbeo, stava iniziando a piovere e Falmouth, uscito alla chetichella a cavallo senza dire dove andasse, sarebbe rientrato a breve.

Con fare stanco sistemò una piega della tovaglia, quando il lord arrivò alle sue spalle. "Tempo infame, dannata pioggia!" - sbottò l'uomo, togliendosi di dosso il mantello umido.

Demelza gli sorrise. "Volete scaldarvi un pò davanti al camino prima di cena?".

L'uomo si avvicinò al camino, annuendo. "Vorrei il sole, non il camino! Serve il sole quando un uomo raggiunge in una sola giornata i suoi più alti scopi!".

Demelza parve incuriosita. "Che volete dire?".

"Sai dove sono stato?".

"No, non ne avete fatto parola!".

"A Nampara, da Poldark!".

Demelza impallidì. Era da così tante settimane che la vita e le preoccupazioni le avevano impedito di pensare a lui. E anche se era ciò che voleva, risentire quel nome fece sussultare il suo cuore. "Cosa? Perché?" - chiese, con foga.

Falmouth sorrise con fare furbo. "Beh, ti risparmio i dettagli! Ma sappi che partirà con noi per Londra".

Demelza spalancò gli occhi e le sue mani tremarono. Già di suo sarebbe stato un viaggio complicato, ma così... "C... Cosa?". Con noi? Che intendeva Falmouth? Sulla stessa carrozza? Lei, Hugh e Ross?

Falmouth scoppiò in una grossa risata. "Affari, mia cara!".

"Come avete fatto a convincerlo?".

L'uomo si grattò il mento. "Usando la motivazione migliore che si possa trovare! Da sempre, dagli albori della storia!".

"Quale?".

"L'amore, mia cara... Davanti a questo sentimento, qualsiasi uomo cederebbe anche a un serpente nel giardino dell'Eden".

Demelza impallidì. Amore? Di che parlava? Sentì una strana fitta al cuore e capì che ciò di cui Falmouth parlava non le stava piacendo affatto. "Amore? Che intendete?".

"Elizabeth Poldark!" - rispose Falmouth con ovvietà, senza dare ulteriori spiegazioni.

Ma a Demelza non servivano. Per chi altri se non per lei, che tutti dicevano avesse amato più di ogni altra cosa e ancora rimpiangeva, avrebbe potuto accettare la proposta di Falmouth? C'era bisogno di altro per dimenticarlo? No e forse era meglio così! Sarebbe stata una motivazione perfetta per vivere il viaggio col miglior spirito possibile ed Elizabeth Poldark, per cui provava scarsa simpatia, finalmente le tornava utile per qualcosa. Doveva gioirne...

Eppure il suo cuore pareva farle male, in quel momento al pensiero di quanto Ross Poldark fosse disposto a fare per Elizabeth... E al dubbio su un altro aspetto che la riguardava più direttimanete: cosa pensava Ross Poldark di lei, dopo che senza spiegazioni era sparita dalla sua vita dopo una promessa di amicizia a cui non era stata fedele?

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Non era stata contenta di lasciare la Cornovaglia e partire.

Quella notte Hugh era stato di nuovo male, si era lamentato per ore per il fortissimo mal di testa e da qualche settimana anche la sua vista sembrava calare e peggiorare sempre più. Pallido, stanco, febbricitante, Hugh avrebbe dovuto rimanere a letto al caldo, a riposo, e non mettersi in viaggio verso Londra.

Ma lui era stato irremovibile e in questo suo atteggiamento tanto fiero e testardo, Demelza rivide il giovane di qualche anno prima che contro tutto e tutti, guidato solo da una gran testardaggine che si attivava per ciò che desiderava veramente, aveva combattuto per corteggiarla, amarla e sposarla. Hugh era solitamente una persona pacata, di poco carattere. Ma quando si metteva davvero in testa qualcosa, sarebbe andato a sbattere anche contro a una montagna pur di ottenerla.

Questo la inteneriva, ma la preoccupava a dismisura. Non era un medico ma era evidente a tutti quanto Hugh stesse deperendo e quanto incerto fosse il suo futuro. Un argomento toccato da pochi, nessuno aveva mai osato dirlo ad alta voce ma chiunque in quella villa aveva più di qualche perplessità circa un futuro lungo e radioso per l'erede del casato.

Si erano dovuti alzare presto, in una mattinata fredda, grigia e piovosa.

Demelza aveva finito di preparare i bagagli e poi, con Garrick, aveva vagato nei saloni della casa, osservandone tutti i particolari a lei cari. Gli affreschi, i vasi di fiori che aveva colto e con cui aveva abbellito tavoli e davanzali, il suo pianoforte, il suo amato giardino. Amava anche la loro casa di Londra, certo, più grande ed austera, ma il suo cuore rimaneva lì, nella casa di campagna dei Boscawen, nella terra dove era nata e cresciuta. Lasciarla, ogni volta, era un dolore per lei...

Lord Falmouth a un certo punto la chiamò, comparendo dal fondo di uno dei corridoi che portavano al salone principale e da lì al portone che dava sul giardino e sul grande viale principale. "Demelza, Ross Poldark è arrivato. Se hai finito di preparare le tue cose, siamo già tutti in carrozza ad aspettarti".

Demelza deglutì, il momento tanto atteso era arrivato e non sarebbe stato affatto semplice. Improvvisamente si sentì stanca, spaventata e assolutamente non pronta ad affrontare anche questo, anche lui...

Si guardò a uno degli specchi, prese un profondo respiro e si accorse di essere pallida e smunta. Non aveva la forza di fare nulla eppure doveva sforzarsi di essere forte. Per se stessa, per Hugh, per il suo matrimonio...

Sarebbe bastato stare in silenzio, concentrarsi su suo marito... Tutto il resto non doveva avere importanza! E così sarebbe andato tutto bene, ne era certa! Dopo tutto, mesi prima, aveva scelto di mettere le giuste distanze fra lei e quell'impertinente di Ross Poldark, ci era riuscita, non aveva pensato a lui per mesi e ora non si sarebbe fatta trovare impreparata alla sua presenza. A costo di mentire, di far del male a se stessa, avrebbe reso chiaro a Ross Poldar, col suo atteggiamento, quale fosse il suo posto. Aveva sbagliato ad avvicinarsi a lui, a prendersi quella confidenza che non le spettava di diritto, a cercare amicizia e... a cercarlo... Non avrebbe sbagliato più!

A quei pensieri sospirò, si mise il mantello e il cappello, entrambi di colore blu scuro come il suo umore che mai come in quel momento era stato fosco e cupo, accarezzò la testolina di Garrick e con lui affianco come un fedele cavalier servente, si affrettò ad uscire.


...


Le parve infinitamente diversa da come la ricordava, quando la vide salire sulla carrozza.

Quella mattina Ross si era alzato presto, quando era ancora buio, aveva dato da mangiare a Sun e poi, dopo averlo affidato alle cure di Jud e Prudie, si era diretto a cavallo verso la residenza dei Boscawen dove era atteso per la partenza.

Aveva portato con se solo poche cose, qualche abito di cambio e una spazzola, il tutto chiuso in una piccola borsa da viaggio che nulla era in confronto alla mole di bagagli legati alla carrozza che avrebbero portato con loro i Boscawen.

Con fare assente, quasi pentito della scelta di partire ma ormai consapevole di non potersi tirare indietro, Ross era salito sulla carrozza dove Lord Falmouth e Hugh Armitage lo aspettavano già e solo dieci minuti dopo era giunta Lady Boscawen, in compagnia del suo cane che avrebbe viaggiato con tutti loro. Quando erano insieme lei e quel piccolo randagio sembravano inseparabili.

Ross si accorse subito dell'atmosfera tesa nella carrozza e non se ne stupì affatto. Anche lui era nervoso per tanti motivi e solo Lord Falmouth pareva contento di partire e desideroso di chiacchierare mentre suo nipote e sua moglie, entrambi tesi e pallidi, parevano due statue per quanto erano immobili e silenziosi.

In realtà quell'atteggiamento in Hugh Armitage non lo stupiva molto, non aveva grande considerazione di lui e considerandolo di poco carattere e scarso livore, non si aspettava molto altro da lui. Ma era lei, lei a cui aveva pensato in modo altalenante nel bene e nel male, ossessivmente, per mesi, che lo destabilizzava. La ricordava con le guance rosse, il sorriso fiero, i capelli ribelli e liberi al vento, col sorriso sulle labbra allegro e genuino. Ora invece gli pareva un'estranea e l'impressione che gli fece non fu piacevole come al loro primo incontro. Sembrava dimagrita, era pallida e pareva infinitamente stanca. Il suo volto, fresco e giovane, pareva segnato da profonde preoccupazioni e di colpo invecchiato, incupito, senza la luminosità che contraddistingueva i suoi occhi. Si chiese se stesse male, che problemi la agitassero, che cosa stesse vivendo e se ci fosse qualche grave problema ad angustiarla. Era troppo diversa da come la ricordava e anche il suo modo di fare era cambiato. Appena lo aveva visto non aveva sorriso come suo solito ma si era limitata a un perfetto e formale inchino, aveva preso in braccio il suo cane e poi si era accomodata con lui in carrozza, accanto a Hugh. E poi non aveva detto più niente e aveva evitato di alzare lo sguardo su di lui, come se guardarlo in viso fosse stato il più grave peccato che avesse potuto commettere.

Eppure, mesi prima, non era stata proprio lei a proporre un rapporto di amicizia? Non era stata lei a venire a casa sua per chiedergli spiegazioni circa il suo comportamento alla sua festa? Non era stata lei a scherzare con lui circa la notte trascorsa in un bordello, come se fossero stati amici di vecchia data?

Ross la osservò e mentre Falmouth borbottava del maltempo e dei sobbalzi della carrozza e Hugh sonnecchiava senza aver aperto bocca, si sentì irritato. Certo, qualcosa angustiava di sicuro quella donna e ovviamente aveva avuto ben altro da fare che venire a Nampara a tener fede ai suoi propositi, però era irritato lo stesso. "Non vi ho più vista a Truro!" - disse infine, quasi come fosse una critica e non un commento.

Demelza, presa alla sprovvista, sussultò e alzò gli occhi su di lui. "Non avevo motivo di andarci" – rispose, in tono freddo e distante, dopo qualche secondo in cui pareva aver ponderato la risposta da dargli.

Falmouth si intromise nel discorso. "Non aveva motivo di andarci e aveva faccende più urgenti da sbrigare a casa".

"E la scuola?" - chiese Ross guardandola negli occhi e ignorando completamente Falmouth, come se su quella carrozza ci fossero solo loro due. Sentiva i suoi occhi andare a fuoco mentre la guardava, come se desiderasse che lei si sentisse sotto esame e rimproverata. Per la scuola, per essere sparita, per tutto...

Ma Demelza lo liquidò in pochi istanti. "Come ha detto Lord Falmouth, non c'era motivo di andare a Truro per me. Ormai la costruzione della scuola e la sua gestione sono in mano a persone molto più abili e competenti di quanto potrò mai essere io".

"E il vostro progetto?" - insistette Ross – "Vi ha già stancata e annoiata?".

"Può darsi" – rispose Demelza, sbrigativamente, rispondendo con occhi fiammanti alle sue occhiate cupe ed accusatorie.

Ross si sentì irritato, tanto da desiderare ferirla. Non tanto per quello che aveva risposto, la scuola di Truro e la vita di quella donna dopo tutto non erano affar suo, ma perché lei sembrava aver eretto barriere inespugnabili in cui lui non riusciva a fare breccia. E questo era frustrante!!! Era davvero una donna diversa da quella che ricordava e in quel momento si accorse che non gli piaceva per niente questa nuova, fredda ed eterea Lady Boscawen. "Beh, in fondo voi grandi lady siete famose per questo".

"Per cosa?" - chiese lei.

"Per annoiarvi subito di ogni cosa e passare ad altro, lasciando dietro di voi vuoto e macerie". Glielo disse e si chiese subito perché. Di certo le cose per la scuola non stavano affatto così e il progetto sarebbe stato completato a breve e non era certo Demelza ad aver lasciato dietro di se rovine e macerie nella sua vita. No, quella era stata Elizabeth dopo tutto. La stessa Elizabeth per cui stava compiendo quel viaggio, la stessa Elizabeth che ancora sembrava volergli promettere tanto sapendo di non poter dargli nulla, la stessa Elizabeth che ancora riusciva a ferire il suo cuore. Eppure ora era con Demelza che se la stava prendendo e anche se sapeva che non era giusto, non poteva farne a meno. Perché? Perché anche lei aveva ammiccato a promesse irrealizzabili? O perché lui aveva voluto credere a qualcosa di inesistente? E se era così, perché non essere arrabbiato solamente con se stesso?

Demelza parve per un attimo ferita da quel suo commento acido, ma non replicò. Fu suo marito, fino a quel momento addormentato e silenzioso, a rispondere per lei. "Demelza ha avuto molto da fare a casa, con me. Mi ritengo responsabile del suo allontanamento dal progetto e ne faccio ammenda" – concluse con tono leggero, prendendo la mano di sua moglie.

Demelza rispose alla stretta e lui si appoggiò alla sua spalla, tornando a sonnecchiare mentre la pioggia, sempre più violenta, si abbatteva sui finestrini irritando ancora di più Falmouth.

Viaggiarono nel più assoluto silenzio tutto il giorno, fermandosi solo per brevi pause per esigenze fisiche, arrivando all'ora di cena a poche decina di miglia da Londra.

Era ormai buio ma né Ross né Falmouth sembravano intenzionati a fermarsi per la notte. Erano troppo ansiosi di arrivare nella capitale, ognuno per motivi diversi ma ai loro occhi ugualmente urgenti: l'uomo più anziano voleva gettarsi nell'alta società e attorniarsi di suoi pari, convinto di avere ormai quasi in pugno Ross Poldark, quest'ultimo invece non vedeva l'ora di parlare col direttore della banca di Londra per ottenere un prestito per salvare la Wheal Grace che ormai sembrava destinata a chiusura e necessitava di fondi per poter esplorare, almeno ancora qualche mese, il nuovo e apparentemente ricco filone di stagno che era appena stato trovato. Mollare ora, per mancanza di fondi, sarebbe stato folle e anche per questo, oltre che per Elizabeth, aveva accettato quel viaggio, facendo buon viso a cattivo gioco. Forse sarebbe stato un buco nell'acqua ma poteva anche essere il primo passo che dimostrava ai Poldark che la fortuna stava iniziando a girare dalla loro parte. Lo doveva fare per i suoi minatori, per la sua famiglia e anche per il bene di di Geoffrey Charles, di Verity e zia Agatha che vivevano in ristrettezze a cui non erano adatte e preparate. Ross sapeva che Falmouth poteva fargli ottenere quel prestito, sapeva quanto fosse ritenuto potente dai vertici politici e finanziari della capitale e aveva dovuto, suo malgrado, inghiottire il suo orgoglio e dimostrarsi docile circa le mire politiche del lord. L'arte del compromesso, aveva dovuto imparare ed accettare, faceva parte del gioco e nessuno poteva sottrarsi a questa regola universale. Questo non avrebbe significato abbassare il capo ma quanto meno avrebbe dato a Falmouth il contentino di andare a sentirlo in qualche suo incontro politico. Era certo che glielo avrebbe chiesto in quei giorni nella capitale e il viso segnato dalla preoccupazione di Elizabeth lo avevano spinto ad accettare anche questo supplizio senza eccessivi ripensamenti. E poi c'era qualcosa, qualcuno che era curioso di rincontrare, dopo quei mesi di silenzio e lontananza...

Osservò di nuovo la giovane coppia seduta davanti a lui sulla carrozza, dopo che per ore, dopo la breve conversazione con Demelza, aveva cercato di ignorarli. Ma se ignorare Hugh era anche abbastanza semplice, lo stesso non poteva dirsi per Demelza la cui presenza, insistentemente, gli tormentava l'anima. Avrebbe voluto essere da solo con lei, lasciar da parte formalità e buone maniere e chiederle, urlarle perché? Perché del suo comportamento? Perché tanta freddezza e distanza? Perché lei e suo marito erano partiti assieme a loro? Falmouth, senza dilungarsi troppo in spiegazioni, gli aveva anticipato che anche Hugh e Demelza avrebbero fatto parte del viaggio, gli aveva annunciato l'improvviso desiderio del nipote di far parte del mondo della politica e della finanza e del suo desiderio di 'studiarlo' per verificare se ne avesse effettivamente le capacità e soprattutto la voglia. Era palese che Falmouth pensasse che all'origine di questo ci fosse un capriccio del suo viziato nipote ed era altrettanto chiaro che non avesse molta fiducia in lui in questioni di quel genere, ma era comunque giusto che desse a Hugh quella possibilità in quanto suo erede. Non che gli andasse una competizione o sentirsi sotto esame, ma se Hugh si fosse dimostrato migliore di quello che sembrava, lui avrebbe avuto solo da guadagnarci: Falmouth lo avrebbe lasciato in pace, non avrebbe più cercato di coinvolgerlo nella politica e lui ne avrebbe solo sfruttato le conoscenze alla Banca Centrale di Londra per ottenere il prestito che gli serviva, a interessi bassi. Ma Ross aveva grossi dubbi in merito a un eventuale successo di Hugh Armitage... Sembrava pallido, piuttosto delicato di salute, per nulla vigoroso e di certo non era interessato né da Westminster né dall'economia.

Hugh era stato silenzioso per buona parte del viaggio, così come Demelza che invece di solito aveva imparato a conoscere come allegra, solare e loquace. Certo, dopo la spiacevole conversazione di poco prima sulla scuola immaginava che lei non avesse piacere di chiacchierare con lui e sicuramente il ghiaccio fra di loro non sarebbe stato scalfito con tranquillità, però... Però accidenti, era bellissima come sempre, anche avvolta in quel mantello scuro che ne avvolgeva completamente la figura sinuosa, era bellissima anche così tesa e stanca. E anche distante, come suo marito del resto. Nemmeno loro si erano scambiati chissà quali parole e se non fosse stato per Falmouth che cercava di introdurlo ai suoi discorsi su lord, politica e affari, quel viaggio si sarebbe svolto nel più assoluto silenzio. Rimpiangeva di non essere solo con Demelza perché era assolutamente certo che senza i Boscawen accanto, avrebbe ritrovato la vivace ragazza che aveva cavalcato con lui a ridosso delle scogliere, coi capelli al vento e il sorriso sulle labbra... E i loro discorsi sarebbero stati ben diversi di quello avuto quella mattina.

Mi fa male la testa” - disse improvvisamente Hugh, rompendo il silenzio. “Non potremmo fermarci in qualche locanda per la notte?”.

Se non ci fermiamo, saremo a Londra per dopo mezzanotte” - lo rimbeccò Falmouth con lo stesso tono che di solito si usa con i bambini capricciosi. E Ross si trovò d'accordo con lui! Che razza di uomo adulto si sarebbe fatto fermare da una banale emicrania? Che razza di senza-spina-dorsale! Come poteva una donna vitale come Demelza essersi innamorata di uno così? Se lo chiese, con insistenza, con troppa insistenza forse, osservandola per carpire in lei uno stesso flusso di pensieri come spesso era successo da quando si erano conosciuti. Nemmeno Lady Boscawen di certo apprezzava i 'capricci' del suo viziato marito...

Ma Demelza lo stupì. Il volto della donna, già teso di suo, divenne quasi rabbioso. “Dovremmo fermarci!” - intimò a Falmouth, non degnando lui di uno sguardo, con un tono che non ammetteva repliche.

Ross spalancò gli occhi, questo da lei non se lo sarebbe aspettato. Credeva che ci avrebbe scherzato su, che avrebbe esortato con dolcezza il marito a tenere duro, che avrebbe cercato di mediare fra zio e nipote. E invece... Ma in fondo, di che si stupiva? Non era forse normale che una donna supportasse il marito? Non era forse così che faceva sempre Elizabeth con Francis?

Falmouth la osservò con aria di sfida. “Fermarci per poche ore di strada che ci distanziano dalla meta, sarebbe sciocco! Proseguiamo”.

Demelza cinse le spalle del marito con le braccia, stringendolo a se con fare protettivo e facendogli poggiare la testa sulla sua spalla. Hugh sembrava davvero sofferente... “Noi ci fermiamo! Voi proseguite pure”.

Ma...” - obiettò Falmouth.

Ma nulla” - rispose la donna, dimostrando un coraggio e una combattività che al marito mancavano - “Noi ci fermiamo!”. E con questo chiuse ogni discorso.


...


Hugh era stato male di stomaco appena messo piede in camera e a fatica era riuscita ad aiutarlo a cambiarsi e a metterlo a letto al caldo. Gli aveva preparato un calmante per aiutarlo con stomaco ed emicrania e poi, dopo che lui si era addormentato, aveva riposto i bagagli su una scrivania, aveva tirato le tende, acceso una candela per fare un pò di luce e aveva deciso di scendere nelle cucine della locanda per chiedere una tisana calda per calmarle i nervi.

Era sfinita, stanca, spossata e priva di ogni forza. Anche il più leggero alito di vento avrebbe potuto farla cadere e attorno a lei si muovevano emozioni e sentimenti forti come uragani.

Per fortuna Falmouth aveva ceduto e si erano fermati tutti alla prima locanda incontrata sulla strada, nulla di elegante, un posto per viandanti e viaggiatori occasionali, ma non potevano permettersi di essere schizzinosi. Tutti loro erano stanchi e Hugh non poteva proseguire oltre. Il suo fisico, già debilitato, stava pagando un conto fin troppo alto per quel viaggio fuori dalle sue capacità fisiche. E lei... lei anche non ce la faceva più, aveva bisogno di respirare, di un attimo di pace e di solitudine. Persino Garrick, che aveva cercato di seguirla fino alle cucine, era di troppo ed era stato lasciato a vegliare in camera su Hugh.

Era ormai molto tardi, la locanda era deserta e la cameriera si era offerta di portarle la tisana in camera, ma Demelza le aveva detto che l'avrebbe aspettata nel corridoio. Non voleva nessuno in camera, non voleva che qualcuno, entrando, svegliasse Hugh. E non aveva voglia di rientrare così presto...

Si era sciolta i capelli e con fare assente, in attesa, si era messa ad osservare la campagna fuori dalla locanda, avvolta nel silenzio e nel buio della notte. Non era stato un viaggio facile, la notte difficilmente avrebbe riposato con Hugh in quelle condizioni e tante, troppe cose l'avevano ferita quel giorno. Si sentiva una brutta persona, Ross Poldark era riuscito appieno a farla sentire tale, viziata e veniale, e in fondo aveva anche ragione. Per questioni sciocche, stupide e personali aveva lasciato il suo progetto della scuola ad altri e aveva permesso che l'idea originale venisse stravolta. Tutto per non vedere quell'uomo che invece il destino aveva rimesso per ore sulla sua carrozza e con cui avrebbe diviso lo spazio nella loro grande dimora londinese. Certo, Ross Poldark avrebbe dimorato negli alloggi riservati a Falmouth, ma di certo si sarebbero incontrati spesso e nonostante i suoi mille buoni propositi, era impossibile non provare quei sentimenti forti, inebrianti e complicati che sentiva da sempre per lui. Certo, sicuramente Poldark non aveva una buona opinione di lei, ma questo non la aiutava, non più. Faceva male vedere il biasimo nei suoi occhi e leggervi quel muto rimprovero sulle sue tante mancanze. Avrebbe voluto ridere con lui, cavalcare con lui, chiedergli di Sun, scherzare e sì, anche essergli amica. Solo Dio sapeva quanto ne avesse bisogno ed invece... Ed invece aveva dovuto essere Lady Boscawen! Ora e per sempre!

Sentì gli occhi pungerle ma dovette fermare le lacrime quando sentì dei passi dietro di lei. Si voltò pensando fosse la cameriera e impallidì quando vide che non si trattava affatto di lei, ma di...

Ross Poldark, vestito ancora con gli abiti da viaggio, era salito dalle scale che portavano al salone sottostante e all'uscita. I suoi capelli neri e selvaggi erano bagnati e pareva essere stato fuori, sotto la pioggia, a fare una passeggiata notturna.

Calò un attimo di silenzio pesante e sorpreso fra loro ed entrambi capirono che ora, a tu per tu e soli, era tutto diverso dal viaggio in carrozza. Erano solo loro, come a Nampara, come quando avevano trovato Sun.

"Non riuscite a dormire?" - chiese lei, consapevole che non poteva evitare di rivoglergli la parola.

Lui, ancora teso per la sorpresa di quell'incontro inaspettato a quell'ora, alzò le spalle. "Amo passeggiare sotto la pioggia, aiuta a pensare. E voi?".

"Sto aspettando che la domestica mi porti una tisana".

"Vostro marito? Dorme?".

"Sì".

Ross sorrise, sarcastico. "Come un bravo bambino messo a nanna presto per un pò di malessere passeggero?".

Era palese che Ross stesse cercando di irritarla e provocarla, ma su Hugh Demelza aveva ben poca voglia di scherzare. Era terrorizzata dalla sua malattia e sgomenta davanti alla possibilità di perderlo. "La salute di mio marito non è affar vostro".

Ross si irrigidì. "Un uomo non dovrebbe farsi fermare da un banale mal di testa, soprattutto quando si viaggia in gruppo".

Colta sul vivo ed irritata, lei mise subito in chiaro le cose. "Non è un banale mal di testa e voi eravate liberissimo di proseguire con Falmouth verso Londra".

Ross fece per risponderle ancora a tono, ma poi si bloccò. In quel momento Demelza gli parve tanto fragile che ebbe paura che si spezzasse e capì che forse c'erano cose che lui non sapeva e che era meglio cercare mezze misure più che attaccarla ingiustamente. "Beh, ormai siamo quì, giusto?" - disse infine, cambiando discorso.

Lei si voltò verso la finestra, incapace di guardarlo troppo a lungo e incapace di ammettere a se stessa che gli era mancata la sua voce. "Non avrei mai creduto che sareste partito e avreste accettato la proposta di Falmouth".

Ross sospirò. "Non ho molte altre opzioni per la mia miniera".

"E' per la miniera che siete partito? Falmouth ritiene che c'entrino i begli occhi di vostra cugina Elizabeth".

Ross parve sorpreso da quel discorso e dalla faccia tosta di Demelza nel dire quelle parole. Certo, era un lato del suo carattere che già conosceva, ma non credeva che lo avrebbe sfoderato in quel frangente, con quel gelo invalicabile fra loro. "Beh, una motivazione non esclude l'altra. E a mio avviso entrambe ne valgono lo sforzo".

Anche lei sentì il bisogno di rimproverarlo, come lui aveva fatto in carrozza per la scuola. "Elizabeth Poldark è sposata con vostro cugino, mi pare... E la ragione avrebbe dovuto suggerirvi che...".

La bloccò, prima che dicesse qualcosa che non voleva sentire. "A volte cuore e ragione agiscono e camminano su strade differenti. Ciò che la mente dice, il cuore non vuole accettare. E viceversa... Capite che intendo?". Glielo chiese, guardandola negli occhi e domandandosi se stesse davvero parlando di Elizabeth...

Demelza parve tremare a quelle parole, come se lei stessa fosse sotto esame, come se quella frase cozzasse con forza sulla sua coscienza così provata. Distolse lo sguardo da lui, strinse i pugni e si appoggiò al muro senza forza. "E chi ha ragione, di solito? Cuore o mente?".

"Non lo so" – rispose Ross, con sincerità.

"E nel dubbio, voi che strada scegliereste?".

Ross sorrise, amaramente. "Difficile capire cosa sia giusto fare. Perché spesso seguire la nostra mente e la nostra coscienza ci rende brave persone. Ma seguire il cuore è ciò che ci fa sentire vivi".

Lei restò in silenzio per un pò davanti a quelle parole e al loro significato. Era vero, in fondo poteva dire di non essere d'accordo? Non era forse questo che non la faceva sentire viva e in pace con se stessa? Non aveva chiuso a chiave il suo cuore per seguire la ragione? Non che avesse molte scelte e forse nemmeno desiderava averne, ma era tanto, troppo che non si sentiva pienamente, completamente felice. Si schiarì la voce, mentre le lacrime sembravano voler di nuovo far capolino a rigarle il viso. "Come sta Sun?" - chiese, cambiando argomento. Il loro gattino, chissà quanto era diventato grande...

Ross sorrise, in modo più gentile stavolta, trovando nel suo tono la dolcezza che aveva conosciuto tanti mesi prima. "Bene, è molto cresciuto".

"Lo avete lasciato coi vostri domestici? Siete sicuro che non finirà in pentola?".

Ross rise, stavolta di gusto. "Sicurissimo! O al mio ritorno saranno loro due a finire nel mio brodo e nel mio menù".

In quel momento arrivò la cameriera con la tisana e Demelza, dopo averla ringraziata e congedata, ne bevve un sorso. "Devo andare, ora" – sussurrò, quando furono rimasti soli.

Ross annuì, ma non era ancora pronto a lasciarla. "Scusate" – disse, quasi sotto voce.

"Per cosa?".

"Per prima, in carrozza. Non ho il diritto di giudicare nessuno".

Lei abbassò il capo. "No, infatti... Ma vedete, la mia vita non è così semplice come pensate e io... io...".

"Non dovete giustificarvi".

Gli occhi di lei divennero lucidi, ancora, e anche se sapeva di non doversi giustificare, voleva farlo lo stesso per riabilitarsi ai suoi occhi. "Avrei voluto seguire di più la scuola, davvero. Ma non ho potuto farlo e in questi mesi niente è stato facile per me".

"Posso aiutarvi?".

Demelza scosse la testa. Avrebbe voluto raccontargli cosa sentiva, piangere fra le sue braccia e farsi consolare da lui. Avrebbe voluto essere l'amica che quel giorno aveva promesso di essere, a Nampara. Avrebbe voluto sfogarsi, urlare, prendere a pugni il muro e cadere esausta dopo aver versato tutte le sue lacrime. Ma non poteva, non poteva davvero, non con lui. "No, non potete" – disse, in un soffio.

"State male?" - le chiese, ormai preoccupato dalle sue reazioni che dovevano nascondere qualcosa di grande.

"No, sto bene".

"Vostro marito vi tratta male?".

"Mio marito è il più gentile degli uomini".

"E allora?" - insistette, come se saperlo fosse tutto ciò che desiderava – "Cosa vi rende così...?".

Demelza sospirò, rabbrividì e poi si avviò verso la sua stanza. Non poteva star lì e non poteva dire oltre. O avrebbe detto qualcosa su di lui, su ciò che sentiva, su come il suo cuore tremasse ogni volta che lo aveva vicino. "Sono solo un pò stanca, domani starò meglio".

Ma Ross non parve crederci. "Perché ho come l'impressione che stiate mentendo?".

"Devo andare" – insistette lei, senza forze, ignorando la sua domanda.

Ross le si avvicinò, arrivando a fronteggiarla. Entrambi col cuore in gola, si guardarono senza riuscire a distogliere lo sguardo l'uno dall'altra. "Non dovevamo essere amici?" - le chiese, quasi disperato dal non poterla sfiorare, toccare, afferrare...

Lei parve triste a quella domanda. "Non possiamo, non del tutto...".

"Perché?" - insistette Ross.

Demelza scosse la testa. "Non possiamo e il perché lo sapete anche voi".

E poi scomparve nel corridoio, senza dargli nemmeno la buona notte o la possibilità di fermarla ancora.

Non possiamo...

Che voleva dire? Che la buona società non avrebbe accettato quel genere di rapporto? Che non lo avrebbe accettato suo marito? O che erano i loro cuori a non poter... saper... gestire un sentimento del genere?

C'era tanto di non detto in quelle poche parole che Demelza gli aveva rivolto, congedandosi. E per la prima volta da quando la conosceva, Ross Poldark ebbe la sicurezza che anche lei, come lui, avvertiva qualcosa di forte e devastante quando, per un motivo o l'altro, si trovavano assieme. E che gestirlo sarebbe stato complicato, troppo. E che Demelza non poteva seguire il cuore come spesso faceva lui e aveva scelto la strada della mente, più comoda, più tutelante. Ma era la strada giusta? Era quella che la faceva stare meglio? A giudicare dalla tristezza che traspariva da ogni sua parola o gesto, Ross ne aveva seri dubbi...

Eppure sapeva anche che non poteva fare altro...


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


Hugh stava male, male, malissimo. Come Demelza aveva immaginato, sarebbe stato meglio rimanere tranquilli in Cornovaglia invece che avventurarsi in un viaggio che aveva tolto al giovane le poche forze residue che gli rimanevano e come aveva immaginato, questi ne erano i tristi risultati.

A Londra, Hugh non si era mai alzato dal letto, preda di febbri altissime, di dolori alla testa e di un calo sempre più repentino della vista. A volte anche fare pochi passi in camera era un'impresa per lui, che finiva spesso per rovinare a terra dopo che le gambe avevano smesso di sorreggerlo stabilmente.

Demelza era esausta, il suo umore era nero e anche Falmouth pareva molto preoccupato e aveva mandato i migliori medici per farlo visitare, pur senza ottenere risultati.

Demelza e Hugh si erano ritirati nell'ala della casa dove si trovavano i loro appartamenti privati mentre Falmouth, con Ross Poldark, si era ritirato nei suoi dove ospitava il suo giovane pupillo nella migliore camera che aveva a disposizione.

Viste le precarie condizioni di Hugh, si era scelto di cenare ognuno nella propria ala del grande palazzo, lasciando da parte lunghi pranzi e cene nel salone comune che sarebbero durati troppo, togliendo tempo prezioso a tutti: Demelza doveva occuparsi di Hugh, Falmouth aveva mille impegni politici e di rappresentanza e Ross Poldark si era trovato suo malgrado a dovervi prendere parte, a volte.

Demelza sapeva che Ross era stato introdotto al direttore della Banca Cenrale di Londra e che Falmouth aveva garantito con lui affinché ricevesse un prestito vantaggioso ma non aveva idea di come fosse andata a finire la questione e di certo non si sognava di chiedere. Si era già avvicinata troppo a lui durante il viaggio, in quello strano sfogo che si era lasciata sfuggire alla locanda, e ora non poteva più permettersi di sbagliare o apparire debole davanti ai suoi occhi. E di certo anche Falmouth l'avrebbe guardata con sospetto se si fosse dimostrata troppo interessata.

Di certo il non vederlo praticamente mai la aiutava a tenerlo lontano anche se di fatto vivevano nella stessa casa. Ma per sua fortuna la dimora londinese dei Boscawen era uno dei più ampi palazzi della città ed ognuno alloggiava nei propri appartamenti privati, rendendo minimo il pericolo di vedersi. Questo le dava modo di riprendere fiato e occuparsi di Hugh amorevolmente, di parlare coi medici, di essere la brava moglie che da sempre desiderava diventare...

Dopo due settimane dal loro arrivo a Londra, Hugh non era migliorato molto e ogni suo proposito di seguire Falmouth nei suoi spostamenti era caduto. Costretto a letto senza forze, per lo meno grazie a un medico di prestigio che gli aveva prescritto degli oppiacei, riusciva a riposare. Dormiva quasi sempre e anche nei momenti di veglia, sembrava assente e poco lucido. Ma per Demelza vederlo senza dolori era già una gran cosa e quindi teneva duro e non si lamentava. Se Hugh riusciva a dormire, significava che aveva trovato il suo angolo di pace e se non poteva sperare nella guarigione di suo marito, tutto ciò che chiedeva era che almeno non soffrisse.

Quando Hugh dormiva, poteva affidarlo alle cure di qualche domestica fidata e cercava di distrarsi e ritrovare entusiasmo e forza in qualcosa che la facesse sentire viva. Poteva essere semplicemente starsene davanti al camino con Garrick, curare i fiori del davanzale, gestire le domestiche che si occupavano delle compere e dei pasti. E poi, uscire per prendere una breve boccata d'aria.

Da quando era arrivata a Londra, non si era ancora avventurata fuori dal palazzo e a causa di Hugh e del maltempo, il massimo che si era concessa era qualche breve passeggiata in giardino. Ma quel pomeriggio decise che poteva andare oltre. Anche se il cielo era plumbeo non pioveva e Hugh era curato e accudito al meglio, quindi...

Facendo attenzione a non far rumore, si mise un cappotto verde, si sistemò i capelli in una treccia e poi preparò dei pacchetti pieni di vestitini cuciti nei mesi passati in Cornovaglia. Li prese fra le braccia e si concesse un sorriso...

C'era un posto a Londra, un orfanotrofio vicino a casa loro, che andava spesso a visitare per portare viveri e generi di conforto ai suoi piccoli sfortunati ospiti. Demelza adorava i bambini e anche se non poteva averne, questo non l'aveva incattivita con la vita e guardava a loro sempre con un sorriso. E i piccoli, quando la vedevano, la accoglievano a braccia aperte, felici per la sua visita e curiosi dei doni che avrebbe portato loro. Erano piccoli senza nulla, come lo era stata lei un tempo, bambini che anche davanti a un piccolo dono insignificante sapevano gioire come se fossero stati incoronati re e regine d'Inghilterra... Li adorava, si divertiva con loro e spesso, quando si sentiva giù, era stato proprio quel posto difficile e dimenticato, dove regnava la povertà, a donarle un attimo di vera gioia e spensieratezza. Quel giorno, finalmente, poteva tornare a far loro visita. Con due borse piene di abitini e un'altra contenente biscotti allo zenzero, uscì per recarsi in quel luogo pieno di povertà ma anche di vita, dove sicuramente sarebbe stata accolta a braccia aperte. Hugh era accudito e al sicuro, Falmouth era chiuso nel suo studio a stilare un discorso per Westminster e tutto in casa pareva placido e tranquillo. Poteva uscire, almeno per un'oretta o due.

Percorse il sentiero che dal giardino portava alla strada, faticando un pò a portare quelle borse ma comunque a passo spedito. E al cancello per poco non si scontrò con Ross Poldark che, a sorpresa, stava rientrando con un giornale in mano.

Erano almeno tre giorni che non si inconcrociavano e quando era successo, era sempre stato presente Falmouth. Ora, per la prima volta dalla locanda, erano soli.

Demelza deglutì, maledicendo il caso che lo aveva fatto rientrare proprio in quel momento o aveva fatto uscire lei nel medesimo istante in cui lui varcava il cancello. Beh, indipendentemente da come stavano le cose, si sentì davvero vittima del fato, del destino e della sfortuna...

Ross la osservò brevemente, poi senza dire nulla le prese le borse di mano. "Avete bisogno di aiuto?".

"I... Io no, grazie".

Ross sorrise. "Dove state andando con tutti questi pacchetti?".

Demelza sospirò, aveva fretta e aveva imparato fin troppo presto che non era facile liberarsi di Ross Poldark, fisicamente e mentalmente. E quindi ora sarebbe stato un grosso problema uscire in fretta e sfuggire al suo sguardo indagatore. "Sto portando dei vestiti nuovi e dei dolcetti ai bambini di un orfanotrofio quì vicino che aiuto quando sono a Londra".

Ross osservò le borse, piene di abitini infantili, nastri, berretti, calze... Demelza doveva amare molto i bambini, come gli aveva ampiamente dimostrato anche in Cornovaglia con la scelta di aprire una scuola. "Volete che vi dia una mano a portare questi pacchetti a destinazione?".

Era gentile, pensò. Ma non era il caso... "No, no non preoccupatevi. Ce la faccio da sola e voi avete il vostro giornale da leggere. E fra poco pioverà e...".

Ross si accorse di quanto fosse impacciata e nervosa e in fondo, anche se bravo a dissimularlo, lo era anche lui un pò. Solo un pò però, non abbastanza per andare per la sua strada e lasciare che lei facesse lo stesso. "Tutte ottime ragioni per darvi una mano! Sono un gentiluomo, no?".

Demelza lo guardò in viso, chiedendosi se stesse prendendola in giro come faceva spesso. E poi, rise. Santo cielo, da quanto non rideva così, d'istinto, senza riuscire a frenarsi? "Da quando?".

Ross alzò le spalle. "Da mai, ma ogni tanto so fingere di esserlo. Su, fatemi strada".

Demelza, con le lacrime agli occhi dalle risate, si rese conto di quanto lui fosse riuscito a stemperare la tensione con poche e semplici parole. Lo apprezzò e si chiese come sapesse farlo con tanta facilità, la stessa facilità con cui spesso, con quello sguardo profondo e quegli occhi scuri, riusciva a farle battere il cuore come fosse impazzito... "Seguitemi allora" – disse sommessamente, preda di mille interrogativi, tornando a camminare a passo spedito. Non aveva voluto vederlo per mesi ma ora si rese conto che l'idea di una passeggiata con lui, anche se non a cavallo come in Cornovaglia, era qualcosa che di nascosto aveva sempre desiderato rifare e che in fondo non aveva voluto impedirgli di seguirla fin dal primo istante in cui l'aveva scorto al cancello. Certo, doveva apparire austera e stare sulle sue, ma in quel momento si sentì un pò felice dopo tanti giorni in cui era stata solo la tristezza la compagna delle sue giornate.

Ross parve soddisfatto del risultato. Mise il giornale nella tasca del suo mantello e poi la seguì, accondandosi senza problemi alla sua camminata.

"Vi pensavo in studio con Falmouth" – disse Demelza, senza apparente voglia di iniziare una discussione, ma consapevole che non sarebbe comunque riuscita a stare in silenzio.

"Oh, conosco ogni mensola e ogni libro del suo studio, ormai! Sapete che ordina i volumi sulle mensole per colore di copertina?".

Demelza rise ancora. "No, non me ne sono mai accorta".

Ross proseguì. "Comunque oggi ha delle faccende da sbrigare da solo e per ora, a parte la Banca di Londra, è riuscito solo a scarrozzarmi in un paio di riunioni politiche a Westminster".

Incuriosita, Demelza si decise di chiedere come stessero andando le cose. "La Banca vi concederà il prestito?".

Ross sospirò. "Pare di sì, Lord Falmouth è stato convincente. Voleva che mi concedessero un prestito di 5.000 ghinee ma ho detto che me ne bastano 2.000, per saldare i debiti e provare ad andare avanti ancora qualche mese con il carbone. Il tempo necessario per capire se la Wheal Grace sarà vincente oppure no. Non voglio indebitarmi oltre misura ed esporre Falmouth, che ha garantito per me, a rischi o problemi con la banca".

Demelza gli sorrise. "Vi auguro che vada tutto bene".

Ross la studiò in viso, osservando ancora una volta il suo pallore, anche se di umore sembrava decisamente migliorata rispetto al viaggio. "E voi? Falmouth fa tutto il misterioso, non dice nulla ma ho sentito comunque che vostro marito sta ancora male".

Demelza abbassò il capo, stringendo i pugni. "Mio marito è molto delicato e questo viaggio è stato davvero troppo per lui".

Ross si accorse di non sapere molto ma per come giudicava Hugh, iniziava a sospettare che esagerasse un pò per avere tutte le attenzioni su di se. Ovviamente poteva sbagliarsi, ma lo irritava il modo in cui pesava su sua moglie. Certo, non poteva dire nulla e poco si intendeva di matrimoni, ma marito e moglie non dovevano dividersi gioie e fardelli della vita? "Io credo... Credo che vostro marito sia giovane, nel pieno della vita e delle forze e che dovreste cercare di spronarlo ad usarle, quelle forze".

Demelza si oscurò in viso, un pò irritata per la saccenza di quell'affermazione. "Voi non potete sapere...".

Ross la bloccò, rendendosi conto di averla innervosita e di essere andato oltre il lecito a lui consentito. "Scusate, non voleto sembrare invadente e ovviamente non conosco vostro marito così bene dal giudicare. Spero si rimetta presto".

La donna sospirò, capendo appieno il suo tentativo di rimediare. E poi la stava aiutando in un modo così gentile che non se la sentì di porre fine subito alla leggerezza del suo umore riacquistata grazie a lui... "Lo spero anche io".

Accelerarono il passo, mentre il tempo prometteva sempre più minacciosamente pioggia. E alla fine si trovarono a correre come due sciocchi ragazzini, per evitare di inzupparsi sotto lo scroscio che, a pochi isolati dall'orfanotrofio, li aveva colti di sorpresa.

Quando giunsero, erano bagnati come pulcini, infreddoliti e piuttosto divertiti. Ross era riuscito a salvare i biscotti dalla pioggia nascondendoli sotto il suo mantello, ma i vestitini erano completamente inzuppati e quindi i piccoli a cui erano destinati, avrebbero dovuto aspettare un pò per indossarli.

La direttrice dell'istituto, un'anziana suora dal viso paffuto e gentile, accolse Demelza con un ampio sorriso. L'ultimo attimo di pace prima di essere investiti da un branco di monelli che, come un gregge impazzito, si accalcarono festosi attorno a Demelza, chiedendole doni e attenzione.

Bambini di ogni età, scalzi, vestiti di stracci, magri, piccoli senza nulla ma capaci di essere comunque contenti del poco che la vita offriva loro. Ross li osservò e capì che Demelza doveva davvero apparire come una piccola fata magica agli abitanti di quel posto... E lei sembrava trovarsi perfettamente a suo agio fra quel branco di vivaci monelli, come se si trovasse nel suo elemento naturale. Si sentì stranamente leggero e sereno in quell'orfanotrofio dove riusciva a sentirsi utile a qualcosa, un sentimento mai conosciuto dal suo arrivo a Londra.

Strizzò l'occhio a Demelza, rendendosi conto che era piacevole fare questo con lei. E l'aiutò a distribuire biscotti e abiti ai bambini, riconoscendo in loro le stesse espressioni buffe, a volte dure, a volte smarrite, a volte gioiose che vedeva nei figli dei suoi minatori. E guardando la giovane donna accanto a lui, gli venne un'idea folle, forse irrealizzabile ma che forse...


...


Fu un pomeriggio estenuante e tornando verso la grande dimora dei Boscawen, Ross si accorse di essere più stanco di una giornata passata a picconare in miniera. Santo cielo, quei bambini erano scatenati e Demelza lo aveva coinvolto in un sacco di giochi con loro. Non poteva dire di non essersi divertito, ma di certo non ci era abituato. Lavorava sempre, non era persona da lasciarsi andare a giochi sfrenati coi piccoli, viveva cercando di risolvere i mille problemi della sua vita e l'unico bambino con cui aveva a che fare era il piccolo e tranquillo Geoffrey Charles.

Che pomeriggio strano, stentava quasi a riconoscersi nell'uomo che aveva giocato con quei bambini.

Coi capelli e la treccia ormai disordinati, mentre camminavano nelle vie di Londra deserte a causa della pioggia, Ross la osservò.

Quando erano partiti dalla Cornovaglia, l'aveva trovata stanca, spenta, triste. E così era stata in quelle prime settimane, distante, assente e fredda nei modi di fare. Cortese, ma decisamente diversa dalla spumeggiante giovane donna che aveva conosciuto in Cornovaglia. Ma quel pomeriggio aveva decisamente ritrovato la vivace e impertinente monella con cui, in un pomeriggio di primavera, aveva trovato Sun e questo lo rendeva felice.

Sentendosi osservata, lei ricambiò lo sguardo. Le sue guance erano rosse e sembrava finalmente serena e contenta. "I bambini vi avranno sfinito, vero? Scommetto che non ci siete abituato".

Ross annuì. "Decisamente no! Infatti stavo giusto pensando che la miniera è un luogo più riposante. Voi invece sembrate fresca come una rosa, come se i bambini fossero il vosto mondo".

Lei sorrise dolcemente. "Mi piacciono molto".

Ross si accigliò e prima di riuscire a frenare la lingua, porse una domanda che di certo, se fosse stato meno irruento e più riflessivo, avrebbe evitato. Perché una domanda del genere andrebbe SEMPRE evitata, soprattutto quando si parla con una donna. "Eppure, non ne avete. Di figli, intendo. Da quanto siete sposata?".

Davanti a quella domanda così personale, il viso di Demelza si incupì come se quelle parole la avessero ferita nel profondo. E l'allegria scomparve dal suo viso in un istante, era il più grande rimpianto della sua vita, quello che Ross aveva appena toccato con le sue parole. "Da quasi tre anni".

Ross, sentendosi improvvisamente idiota ma consapevole di non poter tornare indietro, prese un profondo respiro. Peggiorando le cose, invece che migliorarle... "Tre anni e nessun bambino? Di solito...".

Demelza strinse i pugni, alzò lo sguardo su di lui e Ross si accorse che le labbra le tremavano. "Non sempre si può avere ciò che si desidera" - disse, tagliando nettamente il discorso.

Ross abbassò il viso, sentendosi in colpa per averla ferita. Che diavolo gli era saltato in mente di farle una domanda tanto personale? Che grandissimo ed insensibile idiota!!! E ora, cosa poteva fare per farsi perdonare? "Scusate, non volevo essere invadente. Comunque, se può consolarvi, in un certo senso, questo vi da la possibilità di avere tempo per regalare un sorriso a tanti bambini che di sorridere, han ben pochi motivi. C'è sempre un perché alle cose, penso...".

"Che volete dire?".

Ross si voltò nella direzione dell'orfanotrofio. "Quei bambini... La scuola di Truro. Idee vostre e vedendovi oggi, ora capisco finalmente cosa vi ha spinta a lanciarvi in quell'impresa".

Demelza sospirò. "La scuola di Truro doveva essere piccola, modesta, un qualcosa senza pretese dove chiunque, quando voleva e se poteva, trovava la porta aperta e poteva venire ad imparare qualcosa. Con l'intervento degli azionisti della banca di Cornovaglia, è diventata qualcosa di troppo serioso ed esclusivo. Ha ben poco da offrire ai piccoli più poveri. Sapete, avrei voluto aiutare ad insegnare, ma mi è stato vietato".

Ross spalancò gli occhi. "Perché?".

"Perché una lady non può, dicono... Non volevo fare chissà che, anche perché so davvero poco, ma mi sarebbe piaciuto aiutare quei piccoli almeno a leggere e scrivere. Questo almeno so farlo".

"Ne sono certo! Comunque...". Si interruppe un attimo, riflettendo sull'idea che gli era venuta poco prima. "Comunque, se vi va...". Voleva riabilitarsi ai suoi occhi per la triste uscita sui figli e sapeva che quello che aveva da proporle, benché inattuabile, l'avrebbe fatta felice.

"Cosa?".

"Se davvero poteste, mi piacerebbe che insegnaste alla mia miniera, ai figli dei miei minatori. Posso darvi il mio ufficio, potete farlo fuori, sul prato. Ogni tanto, quando vi va e se avete tempo. Volevate una scuola semplice e alla Wheal Grace sarebbe qualcosa di assolutamente semplice e primitivo. Ma apprezzato. Scommetto che molti dei bambini che lavorano per me in superficie, sarebbero studenti migliori di quello che sono stato io".

Gli occhi di Demelza brillarono, sarebbe stato così bello poterlo fare. Aiutare davvero chi ne aveva bisogno era tutto ciò che voleva e quella proposta era così allettante per la sua mente sempre pronta a fare, rendersi utile, imparare e scoprire. Anche se... "Mi piacerebbe... Ma come immaginate...".

Ross sospirò. "Lo so, non si può. Ma in futuro, chissà che non si riesca ad organizzare qualcosa...".

"Chissà... Anche se come insegnante, sarei pessima! Non vado oltre alla lettura e alla scrittura!". Era bello chiacchierare, parlare, sognare...

Ross rise. "Beh, immagino che Falmouth, quando Hugh ha deciso di sposarvi, abbia davvero insistito su questo punto del leggere e scrivere".

Il volto di Demelza si addolcì, ripensando ai primi bei momenti, pieni di dolcezza e aspettative, con suo marito. "In realtà quando mi sono sposata, sapevo già leggere e scrivere. Fu Hugh a insegnarmi, quando ci siamo conosciuti".

Ross si stupì che lei, di solito restia a parlare di se stessa, si stesse aprendo a quella conversazione. Forse non era nulla di che, non stavano parlando di segreti scabrosi ma di cose piuttosto banali, ma in tutto questo Ross scorse in Demelza una gran voglia di parlare, aprirsi, raccontarsi con qualcuno. La osservò e gli sembrò così sola nonostante il suo matrimonio... Come lui, come lui dannazione! Anche lui si sentiva così molto spesso da quando era tornato dalla guerra. "Davvero? E' piuttosto inusuale che un giovane rampollo di buona famiglia si adoperi ad insegnare a una domestica".

Demelza non si offese per quel commento, detto in tono leggero. Si sentiva stranamente bene in quel momento e parlare con Ross, PARLARE con qualcuno, era così dolce e la faceva sentire così bene, che non riuscì a frenare la lingua... "Hugh non è un damerino come pensate voi. A quattordici anni Falmouth lo mandò due anni in marina e si distinse con onore, da quel che raccontano. Lo incontrai al suo ritorno e quando ero in giardino a sistemare le aiuole, lo vedevo sempre seduto su una panchina, intento a leggere. Mi chiedevo spesso come fosse leggere qualcosa e lui deve averlo percepito. Iniziammo a parlare e lui si offrì di insegnarmi a leggere e scrivere quando avevo del tempo libero. Fu così che iniziammo a conoscerci e l'anno dopo mi chiese in moglie".

Ross avrebbe voluto chiederle mille cose ancora, ma capiva che non poteva andare oltre. Era già tanto che lei si fosse aperta così e anche se voleva sapere il perché di quel matrimonio, come si sentisse, com'era stato e tante altre cose, rimase zitto. Perché di fatto non era mai stato impiccione e non voleva iniziare ora ad esserlo e perché... Si rese conto che non riusciva a capirsi. Perché lei gli interessava tanto? Perché la prima domanda che voleva porle era se fosse stato un matrimonio d'amore? Era impazzito? Sospirò, decidendo che doveva accontentarsi...

E lei parve apprezzarlo. Stupita per aver raccontato a un uomo che le suscitava tante emozioni qualcosa di Hugh, la fece sentire a suo agio, una buona moglie e una buona... amica. Aveva reso giustizia ai pregi di Hugh, era stata onesta ma senza passare il limite ed era riuscita anche a passare un bel pomeriggio spensierato con Ross senza esserne turbata ma sentendosi a suo agio. E serena. E utile a tanti bambini, come dolcemente le aveva fatto notare lui... Lo guardò meglio e in quell'uomo ombroso e a voltre scontroso, non vide più solo il carattere arrogante e il fisico scolpito ed attraente che faceva il bagno nel mare... Vide un uomo onesto, buono di cuore, anche gentile nonostante la vita l'amesse messo a dura prova tante volte. Il suo cuore a quei pensieri prese a battere più forte ma era un batticuore diverso, non più impetuoso ma dolce, delicato, che sapeva scaldarle il cuore. "E' stato un bel pomeriggio" – disse infine, con sincerità.

"Anche per me" – rispose lui, col sorriso sulle labbra. "E' un segreto anche questo? Come Sun, intendo".

Demelza rise, divertita. "Giuda, mi state rendendo una pessima persona! Ma forse avete ragione, è una cosa fra...".

"Amici!" - la interruppe Ross. "Gli amici hanno i loro segreti che non condividono col mondo, giusto?".

Amici... Era stata lei a proporlo e ora non le sembrava così inattuabile esserlo. E ne era felice. "Sono d'accordo".

Giunsero a casa che ricominciava a piovere e ormai si stava facendo buio. Ross accompagnò Demelza al cancello e con grande sorpresa, vi trovarono Falmouth che, a passo svelto, stava rientrando da chissà dove.

L'anziano Lord li incrociò e si stupì di trovarli insieme. "Oh, buona sera. Poldark, non sapevo foste uscito" – commentò, guardingo.

Ross indicò all'uomo il giornale ancora nella sua tasca, spiegazzato e bagnato. "Ero uscito per prendere un quotidiano e ho incontrato Lady Boscawen che usciva per un evento di beneficenza. L'ho aiutata a portarlo a termine e ora stavamo rientrando per la cena".

Demelza dovette mettersi una mano davanti alle labbra per non ridere. 'Evento di beneficenza'... Santo cielo come era bravo a intortare le persone usando parole strane e ben congeniate! E che prontezza di spirito, lei non era altrettanto brava a trovare giustificazioni a questo o a quello, quando veniva colta in fallo a fare qualcosa. "Sono stata all'orfanotrofio" – aggiunse, quasi a volersi giustificare.

Falmouth alzò gli occhi al cielo. "Demelza, ancora? Devi organizzare feste di beneficenza se lo desideri, molte donne quì le fanno e adorano esserne le protagoniste, ma non ti si chiede di sporcarti le mani in quei posti malsani!".

"Preferisco controllare di persona che gli aiuti vadano a buon fine" – rispose lei, a tono.

Falmouth la osservò col suo sguardo da volpe, poi osservò Ross e decise che poteva prendere due piccioni con una fava e uscirne vincitore. Alzò la mano, indicando Demelza con l'indice. "Festa di beneficenza, sì! Lady Austwell ne organizza una per sabato prossimo! Io sono troppo anziano per andare a una festa organizzata fino a sera tardi ma tu no e devi rappresentarci!".

Demelza impallidì. "Ma io... Hugh sta male, non posso andarci da sola!".

Falmouth sorrise. "Oh, non andrai sola! Poldark verrà con te".

Entrambi i giovani spalancarono gli occhi e lo fissarono come fosse impazzito. "COSA?".

"Avete capito benissimo" – ribatté Falmouth – "Tu sei il mio pupillo e tu sei sposata con un mio erede ora impossibilitato alla vita di società. Rappresenterete la famiglia, tu Demelza mostrerai la generosità dei Boscawen in eventi di questa portata e tu Ross potrai fraternizzare con alcuni dei pezzi grossi della banca di Londra che saranno presenti, giusto per ottenere ancora di più la loro fiducia".

Ross avrebbe voluto dire di no, quei no secchi che lui sapeva pronunciare piuttosto bene e con convinzione. Era logico che Falmouth volesse lanciarlo nella mischia e farlo invischiare nella vita politica di Londra ed era altrettanto logico che stesse usando le passioni di Demelza per arrivare al suo scopo. Questo di solito non gli sarebbe piaciuto affatto ma a quell'uomo doveva molto e questo lo sapeva... E inoltre... Osservò Demelza... Erano amici, no? E non avrebbero saputo divertirsi anche a un evento barboso come una festa di beneficenza? Santo cielo, stava tanto bene con lei, perché rifiutare quell'offerta? Se proprio doveva sorbirsi l'alta società, tanto valeva farlo con lei invece che con Falmouth...

Demelza lo guardò in silenzio, come implorandolo di rifiutare. Ma non poteva farlo, nemmeno davanti a quel visino perfetto e limpido. SOPRATTUTTO per quel visino perfetto e limpido! Erano amici, ma Ross sapeva che non era perfettamente vero, dal suo punto di vista. C'era altro in lui, verso di lei. E sapeva anche che lo stesso era per Demelza. E se lei cercava di sfuggire a quel 'qualcosa', lui invece, testardamente, ci si voleva gettare a capofitto. "Accetto!" - disse infine, rendendo felice Falmouth ed estremamente disperata Demelza.

Era fatta e ora nessuno poteva più tornare indietro, né lui né lei!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


Era stato una carogna ad accettare, senza battere ciglio, di accompagnare lady Boscawen al ballo. Di fatto non aveva motivo di andarci e il debito di riconoscenza verso Falmouth di certo non lo avrebbe spinto a piegare il capo ma quando gli si era proposta quell'occasione, l'istinto lo aveva spinto ad accettare subito quella proposta che di solito avrebbe declinato senza mezze misure. Odiava ballare, odiava i nobili pomposi e ancora, odiava le cerimonie e lo sfarzo della capitale. E in quel ballo c'era tutto questo e di più, eppure...

Oh, era un dannato egoista ed era consapevole di esserlo! E Lady Boscawen avrebbe di certo gradito un'altra risposta a Falmouth da parte sua, era consapevole anche di questo fattore e lei glielo aveva rimarcato spesso da quel giorno, non a parole ma con sguardi di fuoco che gli aveva rivolto ogni volta che si erano incontrati. Certo, sapeva bene che lei voleva essere una brava moglie e capiva appieno quanto dovesse sentirsi a disagio dal dover andare a un ballo con lui e anche se Ross non capiva perché non riuscisse a frenare i suoi sentimenti verso quella strana ed inafferrabile ragazza, aveva capito già da un pò quanto vederla e godere della sua compagnia fosse un balsamo per un cuore e una mente come i suoi, perennemente in subbuglio e mai in pace.

Ma ormai era fatta e in fondo Lady Boscawen lo aveva incastrato già una volta appioppandogli Sun, quindi era inutile che facesse il broncio, ora toccava a lui dettare le regole del gioco. Inoltre era la rappresentante di un casato importante e se suo marito era fuori gioco a causa di una salute precaria, toccava a lei sostituirlo. Ora che ci pensava, doveva ringraziarlo, quella sua stramba amica! Le stava risparmiando di andare a quel ballo da sola, gli sarebbe stato di compagnia e insieme avevano anche già dimostrato di essere una coppia di buoni amici. Sì, pensò mentre si sistemava il colletto della camicia, Lady Boscawen non aveva motivo di essere adirata con lui e al contrario, avrebbe dovuto ringraziarlo per il suo buon cuore.

Osservandosi allo specchio, Ross ripensò a lei e a quelle ultime settimane a Londra. Era partito portandosi dietro il ricordo ossessivo di Elizabeth ma da quando era arrivato, era come stato catturato dal vortice della frenetica vita londinese, dai lord che Falmouth gli aveva presentato, dalla politica, dalla banca che gli avrebbe elargito un prestito e poi da lei, da Demelza. Lei più di tutto, lontana, irraggiungibile e in fondo quasi sconosciuta, era riuscita a scalzare meglio di tutto il resto il pensiero di Elizabeth. Non ci era riuscito Francis che l'aveva sposata, non ci erano riusciti i mille problemi finanziari che lo affliggevano da tanto e ci era riuscita una semplice donna che per caso si era trovata a fare la lady, una donna come tante forse... O forse no, non era una donna banale ma anzi, piuttosto unica nel suo genere, con un sorriso caldo, modi gentili e dei meravigliosi capelli rossi. Una lady che sapeva calcare come un maschio e non si vergognava di farlo, che voleva costruire una scuola per far felici dei bambini e non per mostrare al mondo la sua benevolenza e il potere del suo denaro, una donna che giocava seduta per terra con degli orfani in un sudicio orfanotrofio dove mancava tutto, una donna che aveva notato un gattino ferito e si era fermata per salvarlo, incurante del fatto che stavano facendo una gara e così facendo, avrebbe perso. Una donna all'apparenza fortunata e che sembrava avere tutto ma che nascondeva nello sguardo un velo di inspiegabile tristezza. Una donna piena di vita, sposata a un uomo che sembrava non averne affatto...

Deglutì. Era affascinato da lei, non poteva negarlo. Non dalla lady elegante che avrebbe incontrato di lì a poco ma dalla ragazza dai capelli scompigliati che galoppava nel vento della Cornovaglia e si sentiva a suo agio fra gli orfani o le piante del suo giardino.

Era strano, era affascinante eppure pareva non capirlo ed anzi, sembrava vergognarsi durante le occasioni pubbliche dove doveva presenziare. Forse a causa delle sue origini o del suo animo semplice, sembrava non rendersi conto di quanta nobiltà d'animo avesse e di quanto questa gli fosse invidiata dalle altre donne. Elizabeth compresa...

Improvvisamente, qualcuno bussò alla sua porta e quando aprì, a sorpresa comparve Lord Falmouth. L'uomo, in vestaglia da casa e pronto per passare l'ennesima serata davanti al camino con un libro in mano, studiò attentamente il suo abbigliamento. "Elegante il giusto, non pomposo ma di spicco. Ottimo, ottimo..." - commentò.

A Ross venne quasi da ridere, che Falmouth si intendesse di moda era l'ultima cosa che avrebbe immaginato. "Non amo apparire ma non amo nemmeno non essere abbigliato adeguatamente ad ogni situazione".

Falmouth annuì, passeggiò un pò per la stanza con fare assorto e poi si fermò, tornando a poggiare lo sguardo su di lui, indagatore. Era come se volesse dire qualcosa ma non riuscisse a trovare le parole adeguate per iniziare il discorso... Tossicchiò, come imbarazzato, e poi parlò e tirò fuori quello che aveva sulla punta della lingua. "So che è superfluo, ma devo ricordarvi che state andando a una festa con la moglie di mio nipote. Una Boscawen, anche se acquisita. Vorrei essere persuaso che non lo dimenticherete e che la tratterete con rispetto, come si deve a una vera signora. E che interpreterete al meglio il vostro ruolo di accompagnatore, senza andare oltre".

Ross si irrigidì. Era una paternale? Aveva intuito quanto fosse interessato a Demelza? O erano semplici raccomandazioni di rito? Di certo la cosa lo irritò, non era un ragazzino e non era sotto la tutela di Falmouth. E Demelza era una donna adulta, degna di fiducia e piuttosto ligia al suo dovere. In realtà era pure stupito dalle osservazioni di Falmouth. Pareva un uomo assorto completamente da politica e finanza ma evidentemente osservava tutto e aveva notato l'interesse reciproco che spesso traspariva dal suo rapporto con Demelza. Ross non ci vedeva nulla di male, per scelta erano diventati amici e anche se spesso si sentiva turbato dalla vicinanza di quella donna - anche oltre il lecito probabilmente consentito - mai si era posto la domanda se fosse giusto o sbagliato nei confronti dei Boscawen e di Hugh, questo trasporto verso di lei. Non che si fosse mai posto dubbi sulla moralità, nella sua vita aveva sempre seguito il suo istinto senza farsi troppe domande, però le osservazioni di Falmouth gli davano da pensare. "Se non siete certo del mio operato, potete sempre mandare vostro nipote Hugh al ballo" – disse, sibillino e un pò innervosito.

Falmouth scosse la testa. "Mio nipote non è fisicamente in grado e io non ho l'età per fare da accompagnatore a Demelza. Mi aspetto molto da voi Ross Poldark, così come molte delle persone presenti al ballo. Ci saranno i dirigenti della Banca di Londra che sono lì lì per firmare il vostro prestito, non dimenticatelo. Date buona impressione di voi e avrete quella firma nel giro di pochi giorni. E potrete tornare alla vostra miniera".

Ross si accigliò. "E io e voi? Non vorrete dirmi che non volete nulla in cambio per il vostro aiuto...? Mi rimanderete a casa così, con una stretta di mano?". Chiaro, diretto, non aveva mai amato i giri di parole e questo era il succo del discorso del suo viaggio a Londra. O no?

Falmouth sorrise lievemente. "Oh, vi ho mostrato i palazzi di potere e le bellezze di Westminster e dell'economia. Ora sembrerà che tutto questo non vi piaccia, ma sono certo che quando tornerete in Cornovaglia penserete a tutto questo con nostalgia e che sarete di idee decisamente più aperte al nostro prossimo incontro".

Sembrava sicuro di se Falmouth, e Ross si accorse che in questo erano uguali, chiari, diretti e spregiudicati allo stesso modo. "Ne sembrate certo. Mai nessuno vi ha stupito facendo l'opposto di quello che vi aspettavate?".

Falmouth, mani dietro la schiena, si voltò verso la porta. "No, mai" – sussurrò, sparendo nel corridoio con passo leggero, da gatto.


...

L'abito blu, elegante, dalla gonna larga e dal corpetto stretto, impreziosito con una collana di perle, le stava d'incanto. Ma come sempre, non riusciva né ad essere eccitata per il ballo, né ad essere contenta di quella serata. Si era sempre nascosta dietro a Hugh in quelle occasioni e la sua presenza l'aveva sempre fortificata e rassicurata, ma stasera sarebbe stata sola, avrebbe lasciato a casa un marito gravemente malato che desiderava accudire e sarebbe stata sola con Ross Poldark. Già, Poldark... Erano amici, ma di un tipo di amicizia pericolosamente vicina al limite con qualcos'altro che lei non poteva permettersi ed entrambi ne erano consapevoli. Era un miscuglio di sentimenti strani, Demelza: da un lato la paura, dall'altro i sensi di colpa, dall'altro ancora l'eccitazione di passare ancora del tempo con quell'uomo che sapeva regarle emozioni e gioia di vivere. Aveva tentato di allontanarlo dal suo cuore ma aveva fallito miseramente e si era arresa a quei sentimenti più forti di lei, incanalandoli in un rapporto di amicizia. Dannato, dannato Ross Poldark!!!

E con questo pensiero, uscì di casa dopo aver dato un bacio a Hugh, dopo averlo rassicurato che sarebbe tornata presto e che andare a quel ballo con Ross Poldark non era nei suoi piani ma opera di suo zio.

Hugh sembrava poco convinto ma ormai troppo debole e spossato per combattere e starle accanto, si era limitato ad annuire prima di sprofondare nuovamente nel sonno indotto dai medicinali.

Lo aveva affidato a una infermiera e poi era uscita, aveva percorso il vialetto di casa ed era salita sulla carrozza dove Ross Poldark l'aspettava già.

Lui l'accolse assolutamente privo di ogni imbarazzo, col suo peggiore sguardo da canaglia. "Buona sera, lady Boscawen".

Buona sera un corno! Stizzita, si sedette sul sedile di fronte a lui, incrociando le braccia al petto. "Sembrate fiero di questo risultato".

Ross annuì, per nulla intimorito dalle sue occhiatacce. "Oh, non fatela lunga! Ci ho pensato e in fondo dovreste ringraziarmi e non tenermi il muso".

Demelza spalancò gli occhi. "Ringraziarvi? Vi avrei ringraziato se aveste declinato l'invito di Falmouth!".

"E sareste andata a quel ballo da sola? Mi pare che questo genere di cose vi intimorisca, abbiamo stabilito di essere amici e un buon amico non abbandona in un momento di difficoltà... Quindi soffrirò accanto a voi, senza lasciarvi incustodita in quel covo di vipere spocchiose... Come dicevo prima, ringraziatemi senza troppi giri di parole".

Demelza sospirò, incredula davanti alla sua faccia tosta. Santo cielo, era un uomo impossibile, impossibile persino per sostenere una vera lite. Odiava e... apprezzava questo lato del suo carattere, la sua irriverenza, il suo mancato rispetto per ogni regola morale e accidenti, era proprio questo il guaio. Le piaceva qualcosa che doveva disprezzare e Ross Poldark, con la sua presenza, glielo ricordava ad ogni loro incontro. "Siete esasperante!"- sbottò.

"Ne sono consapevole".

"Non aspettatevi che balli con voi!".

"Non avevo intenzione di chiedervelo, odio il ballo".

Bene, ottimo, perfetto! Quanto meno su qualcosa erano d'accordo. Anche se la sua mente le diceva che in fondo le sarebbe anche piaciuto un ballo con lui. Ma poi si pentì di quel desiderio, come di molti altri. E il ricordo di Hugh, esanime su un letto che aspettava il suo ritorno senza possibilità di alzarsi e starle accanto, la riportò alla realtà, la SUA realtà. Era una moglie e voleva esserlo nel migliore dei modi. Hugh aveva fatto tanto per lei e forse la sua figura non era totalizzante e spiazzante come quella di Ross Poldark ma restava il fatto che era l'uomo che aveva scelto di sposare, che l'aveva sempre trattata con rispetto, dolcezza e fiducia e lei non avrebbe ricambiato tutto questo facendo la svenevole con un uomo arrogante e troppo sicuro di se stesso, senza peli sulla lingua e spesso fuori dalle righe e dagli schemi. Se fosse stata libera di scegliere, libera da legami, Ross Poldark l'avrebbe attratta come un'ape è attratta dal miele. Ma non lo era e tutto doveva finire lì. Si erano fatti una promessa d'amicizia e i momenti trascorsi insieme erano stati belli, pieni di risate, liberi da ogni costringimento o regola. Ma questo era tutto quello che si sarebbe concessa e le sarebbe dovuto bastare. Per sempre! "Perché?" - chiese solo.

Lui alzò gli occhi su di lei. "Perché, cosa?".

"Perché avete accettato di venire a questo ballo?".

Lui per un attimo rimase in silenzio, quasi in difficoltà, come a voler ponderare la risposta. "Ecco, credo che sia per affari... Vi parteciperanno i boss della banca di Londra che mi concederanno il prestito ed è il caso che mi faccia vedere in giro e faccia buona figura, no?".

Non ne sembrava molto convinto e Demelza se ne accorse subito che quella non era completamente la verità. Era strano, in fondo non poteva dire di conoscerlo bene ma in un certo senso sapeva leggergli pensieri ed anima. E capire quando era sincero o quando bleffava... "Solo per questo?".

"Solo per questo".

"Perché non vi credo?".

Ross allargò le braccia. "Che ne so? E' un problema vostro".

Lei lo fissò dritto negli occhi, il modo migliore per far vacillare i bugiardi. "Avrei potuto benissimo andarci da sola, al ballo. Mi intimoriscono queste cose ma in un modo o nell'altro ce l'avrei fatta. E voi avreste ottenuto comunque il prestito, anche senza presenziare. Lo so io, lo sapete voi e lo sa anche Falmouth che è uno dei massimi azionisti della Banca di Londra".

Ross fece per risponderle ma il suo sguardo fisso su di lui parve metterlo in soggezione, tanto da costringerlo a voltare il viso per fissare distrattamente il finestrino. "E' così orribile per voi venire a un ballo con me?".

Demelza sussultò, quella domanda non se l'aspettava. Credeva che avrebbe bleffato o se ne sarebbe uscito con qualche frase ad effetto e canzonatoria, ma così... "No, non lo è. Ma capite, avrei dovuto andarci con mio marito. E da quel che si dice di voi...".

Ross tornò a guardarla, incuriosito. "Cosa si dice di me?".

"Che a un ballo ci andreste volentieri con vostra cugina Elizabeth. Ci troviamo su questa carrozza insieme e avremmo dovuto essere su due carrozze distinte, accanto ad altre persone. Non vi sembra... stonato?".

Ross socchiuse brevemente gli occhi, ancora una volta colpito dalla mancanza di filtri in Demelza. Quando voleva andare al nocciolo di un discorso, non era una donna da girarci troppo attorno ma arrivava subito al punto. Anche lui era così ma di solito non trovava ostacoli dalla parte opposta e le persone restavano semplicemente basite e silenziose davanti ai suoi modi di fare e dire diretti e poco ortodossi. Ora era lui ad essere in difficoltà e dall'altra parte della barricata, con una donna che gli sapeva tenere testa e sapeva metterlo davanti a dei sentimenti che mai aveva avuto il coraggio di affrontare. Era vero, tante volte aveva sognato di vivere esperienze con Elizabeth, solo con Elizabeth! Ed era partito per lei, anche questo era innegabile. Eppure in quei giorni londinesi poche volte si era fermato a pensare a lei e di certo non era nei suoi pensieri quella sera, in quella carrozza, mentre osservava la semplice ma abbagliante bellezza di quella giovane donna dai lunghi capelli rossi. "Onestamente, mi sono sempre curato poco delle cose che si dicono di me e della mia vita privata. E' vero, spesso ho desiderato avere accanto una donna che non potrà più essere mia e a volte rimpiango scelte passate che si sono rivelate sbagliate e me l'hanno fatta perdere. Ma non stasera, non ora, non con voi".

Davanti a quelle parole, sincere quanto lo era stata lei, Demelza arrossì lievemente, trovandosi a sua volta in imbarazzo e a corto di parole. Il tono della sua voce, il timbro caldo e il modo in cui aveva pronunciato l'ultima parte del discorso, le avevano fatto attorcigliare le viscere. Santo cielo, come ci riusciva a farla sentire così? E che cosa intendeva con quelle parole? Avrebbe voluto chiederlo ma era anche certa che se lo avesse fatto, si sarebbero entrambi incamminati su un terreno viscido e scivoloso dal quale sarebbe stato difficile tornare indietro. "Non so cosa dire... Non so se sentirmi lusingata o meno. Riuscite a confondermi".

Ross sospirò. "Avete un difetto strano in una donna: vi sentite in colpa per cose inesistenti".

"Non mi sembrano così inesistenti" – obiettò lei. Ross Poldark aveva davvero un concetto strano e aperto dei doveri matrimoniali...

Captando il suo sconcerto e forse timoroso che volesse tornare indietro, Ross cercò di tranquillizzarla e di apparire meno spregiudicato, rendendosi conto che era andato troppo oltre e non era stata sua intenzione farlo. Di solito non era così chiaro nell'esprimere ciò che provava e ciò che aveva detto era davvero troppo da sentire, per una donna sposata... Falmouth non avrebbe amato certi discorsi usciti in quella carrozza e anche se di certo non lo faceva per compiacerlo, si sentì in dovere di tranquillizzare Demelza che sicuramente si trovava in una situazione ben diversa dalla sua. Aveva ragione, era una donna sposata che stava per andare a un ballo elegante di Londra con un uomo che non era suo marito ed era logico che questo la confondesse e agitasse e di fatto entrambi erano consapevoli della strana energia che si scatenava quando erano vicini. "Prendetela come una missione di guerra!" - disse allora, in tono leggero, cercando di stemperare la tensione.

Demelza spalancò gli occhi. "Cosa?".

Lui le sorrise. "Sì, in fondo è così, entrambi stiamo partecipando a una missione per conto di Lord Falmouth: voi dovete rappresentare il vostro casato e io devo dare prova di essere un creditore affidabile e meritevole delle raccomandazioni del vostro illustre capo famiglia".

Anche Demelza sorrise, messa così suonava decisamente meglio. E anche se sapeva che non era tutta la verità, apprezzò ancora una volta la capacità di Ross Poldark di salvare all'ultimo la situazione. "Mi piace! Ma vi avverto che sarò una compagna di missione imbranata ed impacciata. Odio i balli!".

"Anche io! Propongo di posizionarci vicino al buffet e di non muoverci da lì".

Demelza annuì, divertita dal tono giocoso della voce di lui. "Mi pare un'ottima idea. Ma se si avvicinasse qualcuno per fare conversazione?".

Ross stette al gioco. "Dipende! Se è qualcuno su cui devo far colpo, cercheremo di dire qualcosa di intelligente. Chiunque altro...".

"Chiunque altro?".

"Beh, quelli ininfluenti alla nostra causa sono inutili. Fingete uno svenimento, sarò ben felice di portarvi fuori dalla sala".

Demelza scoppiò definitivamente a ridere. Santo cielo, era completamente folle quell'uomo! Ma aveva una follia che le piaceva, che la inebriava e attraeva. E anche se cercava di combattere tutto questo, alla fine aveva capito che nella sua vita aveva anche bisogno di momenti così, che Hugh non poteva regalarle. Ross forse non era romantico come suo marito, ma aveva un modo di vivere la vita fuori dagli schemi, libero e sempre nuovo che, da quando lo aveva conosciuto, aveva scoperto uguale al suo. E questo faceva paura perché risvegliava in lei desideri che non avrebbe potuto inseguire e realizzare. Ma con Ross Poldark si sentiva viva, viva come non si era mai sentita con Hugh. Completa... Quando si era sposata era troppo giovane per capire appieno a cosa il suo cuore anelasse e quale fosse la sua vera indole, ma ora Ross Poldark glielo stava mostrando, appieno. Forse non avrebbe potuto realizzare i suoi sogni ma in un certo senso doveva ringraziare quel suo strano compagno di missione perché attraverso lui, aveva imparato a conoscere meglio se stessa.

E con quel pensiero, la carrozza si fermò. Erano arrivati a destinazione.



Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


Quando entrarono nell'elegante palazzo dove si sarebbe dovuta tenere la festa, Ross si pentì di aver accettato. Ovunque, ogni angolo di quella casa voleva esprimere ricchezza, opulenza, potere, sontuosità... Tutte cose che lui detestava, esibite senza pudore in un mondo dove i più non avevano nemmeno un tozzo di pane da mettere sul tavolo...

Lady Austwell e suo marito erano persone ben in vista a Londra, amici intimi di alcuni rappresentanti della famiglia reale, persone potenti e immensamente ricche a capo di diverse province a nord del paese e proprietari di diversi antichi castelli. Vantavano avi di tutto rispetto, eroi che avevano servito nei secoli la corona e si diceva di loro che ogni cosa che toccassero, diventava d'oro. Non avevano avuto figli e Lady Austwell si era gettata nell'organizzazione di sontuose feste di beneficenza che in cuor suo erano atte, più che alla carità, a farle dimenticare l'assenza di un erede e soprattutto le continue e rinomate scappatelle del marito nei letti di duchesse o contesse annoiate e spesso lasciate sole da mariti disattenti.

Percorrendo il lungo corridoio arricchito da un tappeto rosso di ottima fattura persiana, circondati da altri ospiti elegantissimi, Ross si chiese perché si continuassero ad organizzare feste tanto costose e sontuose col pretesto della beneficenza. Sarebbe bastato vendere uno solo dei quadri o un pezzo dell'elegante servizio di piatti e tazze che arredavano il tavolo per sfamare un'intera via di Londra. Ma ai ricchi e viziati piaceva così, farsi vedere compassionevoli e allo stesso tempo, con questo pretesto, mostrare la loro ricchezza e potenza ai propri pari. Si irrigidì, rendendosi conto che, anche se non conosceva quasi nessuno personalmente, li detestava tutti. Palloni gonfiati, tronfi, ingordi, viziati e pomposi nobili arredati con pizzi, seta, monili e gioielli che dovevano servire a celare il nulla della loro anima e del loro cuore.

Osservò Demelza accanto a lui, bellissima nel suo abito blu. L'acconciatura, coi capelli raccolti, le conferiva un'aria più adulta ed austera e il suo cipiglio esprimeva quanto si sentisse a disagio. Come lui del resto. "Che dite? Dobbiamo salutare o si fa finta di nulla?".

Demelza prese un profondo respiro a quella domanda. "Vorrei già da ora fingere uno svenimento e andarmene via...".

Ross mascherò un sorriso, adorava la strana ironia che a volte lei usava senza quasi accorgersene. Entrarono nel salone, immenso, pieno di candelabri che fungevano da lampadari, allietato da una orchestra e pieno di marmi, tavole imbandite ed ospiti elegantissimi che danzavano o chiacchieravano in sparuti gruppetti. "Sì, potreste fingere lo sveniment anche ora e io sarei più che felice di accompagnarvi fuori. Ma Falmouth non ne sarebbe altrettanto contento, temo...".

"Al diavolo! Giuda, poteva venirci lui se ci teneva tanto!".

Sbottò, da perfetta monella quale un tempo era stata e che avrebbe voluto conoscere, senza peli sulla lingua. In mezzo alla festa più elegante di Londra. Era più indomita di lui, in certi momenti, quando perdeva il controllo da perfetta lady che era dovuta diventare per forza e per amore di un matrimonio che ancora Ross non aveva ben identificato.

Ross si coprì la bocca con la mano per non scoppiare a ridere. In fondo, poteva dire di non divertirsi? In fondo non era venuto con lei per momenti del genere? "Non avete risposto alla mia domanda...".

"Quale?".

"Dobbiamo salutare? Come funziona fra voi ricconi?".

"La vostra non è per caso un'antica famiglia di 'ricconi'? Dovreste conoscere il galateo".

Ross scosse la testa, divertito, camminando fianco a fianco con lei. "Il galateo... Forse, quando lo hanno spiegato a scuola, ero assente per qualche motivo" – rispose, ridacchiando.

Demelza sospirò, esasperata e forse arresa al fatto che con lui non avrebbe potuto sostenere alcuna conversazione seria. "Se qualcuno vi saluta, voi rispondete. Se non vi rivolgono la parola, non fatelo per primo. Molti degli invitati a questa festa sono di rango molto elevato e coloro che appartengono a famiglie minori non possono rivolgere la parola per primi".

Ross ridacchiò ancora. "Oh che mondo e che regole difficili! Comunque meglio così, vi assicuro che non sto affatto morendo dalla voglia di parlare con queste persone".

"Nemmeno io, detesto questo genere di feste! Di solito ci andavo con Hugh, ma non molto spesso per fortuna... E in genere mi nascondevo dietro di lui e cercavo di passare inosservata...".

Un cameriere li raggiunse, con un vassoio pieno di calici ricolmi di ottimo vino bianco. Ross ne prese due, servendo poi galantemente Demelza. "Ho una buona schiena larga, potete nascondervi dietro di me se vi va. Oppure possiamo nasconderci entrambi sotto il tavolo, le tovaglie sono lunghe fino al pavimento, se saremo scaltri nessuno se ne accorgerà".

Demelza lo guardò storto. "State scherzando?".

"No affatto! Da piccolo lo facevo e funzionava sempre, quando mi trovavo in questo genere di situazioni".

Demelza sospirò, poi strinse i pugni e si guardò attorno come decisa a spezzare quel momento di tensione. Alcune persone che passavano la salutarono e lei rispose garbatamente, poi gli fece cenno di seguirla in un angolo della sala più appartato, dietro ai tavoli del buffet. "Quì possiamo guardare meglio!" - gli disse.

"Guardare cosa?" - chiese Ross.

"Gli ospiti, quelli importanti! Per voi, intendo... Non possiamo fare scena muta ma quanto meno possiamo limitarci a parlare con chi serve alla nostra causa".

Ross si accigliò. "Nostra?".

Come resasi conto dell'errore lessicale che la avvicinava a condividere qualcosa con lui, Demelza si corresse subito. "Intendevo... che... in fondo..." - balbettò.

Ross, divertito, le si fece più vicino. "Cosa?".

E lei arrossì. "Beh, abbiamo in un certo senso un obiettivo comune: io devo rappresentare la famiglia Boscawen coi più potenti e voi dovete impressionare favorevolmente gente potente che guida la banca di Londra. Come vedete, in un colpo solo, soddisferemmo le esigenze di tutti".

Ross si guardò attorno, deciso a non darle tregua, divertito dal rossore comparso sul suo viso. "E duchi e contesse? E principesse varie? Non dovreste parlare anche con loro?".

Demelza abbassò lo sguardo, in evidente imbarazzo e difficoltà. "Non stasera" – disse infine, per tagliare quel discorso che aveva portato Ross così pericolosamente vicino a lei.

"Perché?" - insistette Ross, avvicinando ulteriormente il suo viso a quello di lei.

Il cuore di Demelza batteva all'impazzata, come sempre succedeva quando lui era vicino. Era dannatamente attraente e la sua voce calda, quel suo 'perché' detto così vicino alle sue labbra... Santo cielo, che poteva pensare la gente che li vedeva? E lei, lei perché non si spostava e sembrava paralizzata dalla presenza di Ross? Deglutì, stringendo i pugni, imponendosi di riprendere possesso della situazione. "Avete chiesto un prestito alla principessa Margareth?".

Preso alla sprovvista, Ross spalancò gli occhi. "No!".

"Al principe Edward?".

"No".

"Alla Banca di Londra?".

"Sì".

Demelza allargò le braccia. "Vi siete risposto da solo".

Ross avrebbe voluto replicare ma alla fine sorrise. Era scaltra, intelligente e sapeva uscire da ogni situazione se voleva. Dimostrava una forza di volontà notevole, una buona dialettica e sapeva essere pungente ed ironica quanto e più di lui. "D'accordo, avete vinto! Quindi sono nelle vostre mani, che si fa?".

Demelza prese un profondo respiro e coraggio e poi indicò due uomini elegantemente vestiti che, seduti su un divanetto, parlavano fra loro disinteressandosi di tutto quello che li circondava. "Mister Smith e Mister Tornton della Banca di Londra, giusto? Li ho visti spesso in visita da Lord Falmouth".

Ross si voltò ad osservare i due uomini e immediatamente li riconobbe. Era con loro che aveva parlato, quando Falmouth lo aveva introdotto alla Banca di Londra e di certo erano persone che possedevano immense ricchezze da utilizzare a loro piacimento. Pensò alla Wheal Grace, ai suoi minatori, alle povere famiglie del distretto, a Francis, Geoffrey Charles, zia Agatha... Ed Elizabeth... Santo cielo, odiava dover chiedere a persone del genere un aiuto ma non poteva fare altro e il suo solo orgoglio non avrebbe né ripagato i debiti né fatto sopravvivere la sua miniera. Guardò Demelza e in quel momento si sentì di avere accanto un grosso aiuto, quasi fossero per davvero una squadra. E la cosa strana era che non gli era accaduto quando si era recato alla banca di Londra con Falmouth che di certo era ben più potente della splendida donna che aveva accanto. "Andiamo a salutare, allora".

Demelza annuì e poi, silenziosamente, lo seguì.

Raggiunsero i due uomini e Ross cercò di esibire il suo miglior sorriso. "Buona sera signori. E' un piacere rivedervi, anche se di certo non vi ricorderete di me".

I due uomini, interrotti nel loro discorso, alzarono gli occhi su di lui, quattro occhietti piccoli e sospettosi.

Per un attimo cadde un silenzio imabarazzato ma fu Demelza a spezzarlo, ormai decisa a portare a termine quella missione speciale. "E' un piacere vedere volti amici come voi, in assenza di mio marito mi sentivo un pò spersa ma scorgervi fra tutti, mi ha rincuorato".

I due, a differenza di quanto fatto con Ross, la riconobbero subito e si affrettarono ad alzarsi ed esibirsi in un inchino. "Lady Boscawen, buona serata a voi".

Demelza indicò Ross che, dallo sguardo, stava decisamente spazientendosi e questo non avrebbe portato a nulla di buono. "Credo che conosciate già il nostro amico di famiglia Ross Poldark. Lord Falmouth deve avervelo presentato alcune settimane fa".

Finalmente, i due parvero destarsi dall'amnesia. "Oh, ma certo! Perdonateci Poldark ma davvero, vediamo troppe persone e la nostra mente non sta al passo col ricordare i volti. E' un piacere vedervi a questa festa, state cercando di entrare nella vita dell'alta società?".

Ross fece per rispondere con tagliente ironia ma Demelza, riconosciuto il luccichio del suoi occhi che anticipava guai e parole poco consone alla situazione, lo fulminò con lo sguardo. E Ross cambiò rotta. "Non proprio, sono un tipo solitario. Ma ho accettato con piacere di accompagnare Lady Boscawen visto che suo marito non può presenziare alla serata".

Demelza sospirò, più rilassata. "Mio marito non sta molto bene e Falmouth...".

Mister Smith rise. "Oh, lo conosciamo quella canaglia! Odia tutto ciò che è vita sociale e divertimento".

"Già" – ammise Demelza – "Ma ultimamente sta migliorando".

Mister Tornton guardò Ross con interesse. "Dobbiamo ancora rispondere alla vostra domanda di prestito. Ci avete ben impressionato, sapete?".

"Davvero?" - chiese Ross, sospettoso.

Tornton annuì. "Sì, con l'influenza di Falmouth avreste potuto ottenere molto più denaro, lui come garante è una certezza. Eppure vi siete accontentato di chiedere una somma piccola, un nulla rispetto a quello che potevamo offrirvi...".

Ross allargò le braccia. "Non amo indebitarmi più di quanto sia necessario. Ho chiesto solo il denaro che mi serve per mandare avanti alcuni mesi la mia miniera e vedere se vale la pena tenerla in funzione".

Smith annuì. "Ah già, siete della Cornovaglia, terra di minatori".

Lo disse con una punta di disprezzo e altezzosità che a Ross non sfuggì. E nemmeno a Demelza. La donna captò nuovamente in Ross la sua parte ribelle e senza freni pronta ad esplodere e con un gesto gentile e nascosto gli sfiorò il braccio per indurlo a non cadere in nessuna provocazione. E parlò ancora, al suo posto. "La Cornovaglia dona minerale che rende vivibile la vita di molti inglesi" – disse, quasi a voler dare giustizia a quel mondo da cui proveniva anche lei, un mondo di cui mai si sarebbe vergognata.

Smith annuì. "Certo, certo! Nulla in contrario con questa affermazione! Ma è un mondo complicato e voi siete di famiglia antica e nobile, signor Poldark. Perché non abbracciare la vita di Londra e lasciarsi alle spalle la miniera? Con Falmouth come sostenitore, le porte di Westminster si spalancherebbero per voi".

Ross osservò Demelza come a voler trovare in lei la pace necessaria a rispondere a tono ma senza essere offensivo. Già due volte lo aveva salvato dal mostrare il peggio del suo carattere e in quel momento si rese davvero conto che era bello essere nella stessa squadra con lei che sapeva bilanciare senza fatica i lati più complicati del suo carattere. Odiava quei due palloni gonfiati ma aveva bisogno di loro ed inoltre non poteva mostrarsi scortese o avrebbe gettato fango sui Boscawen che comunque lo stavano aiutando. E avrebbe fatto morire di imbarazzo Demelza. E alla fine decise di essere franco, schietto ma educato. "Amo la mia terra e le sue tradizioni. E la gente con cui sono cresciuto. Se fare politica porta a migliorare la vita delle persone, io nel mio piccolo cerco di farlo con la mia miniera. Mio padre diceva che noi Poldark abbiamo il rame nel sangue e fin ora non posso smentirlo".

Smith rise, sguaiatamente, offrendo a Ross un bicchiere di vino portato da un servitore. "Rame nel sangue! E siete accompagnato a una donna che ha il colore del rame nei capelli! Bella casualità davvero!".

Ross e Demelza sussultarono, guardandosi negli occhi. La guardò, notando quel particolare a cui forse non aveva mai pensato e si accorse che era vero, aveva il rame, il colore della Cornovaglia nei capelli. Quei capelli bellissimi che si muovevano nel vento mentre galoppava, quei capelli che lo avevano stregato fin dal loro primo incontro. Sorrise, stavolta dolcemente, a lei e poi a loro, con l'animo stranamente più leggero. "Come vedete anche voi allora, non ho davvero scelta".

Tornton annuì. "Il vostro prestito è pronto e firmato sulle nostre scrivanie. Lunedì mattina avremmo voluto avvertire di questo Falmouth, ma fintanto che siete quì, ve lo diciamo direttamente. Prendete quei soldi, fateli fruttare e tornate alla vostra Cornovaglia, se è questo che desiderate! E ci auguriamo di rivedervi ancora da queste parti, oltre che per saldare il debito, anche per aprire un conto alla nostra banca coi soldi che la miniera vi frutterà, quando sarà attiva".

Ross sentì le gambe tremargli. Era vero, era una piccola cifra ma per lui significata tutto. Speranza, vita, un respiro dalla crisi... "Grazie" – disse solo, con riconoscenza. Anche se non sopportava quel mondo, quel mondo era l'unico a potergli tendere la mano e ormai lo aveva capito perfettamente. "Non lo dimenticherò".

I due uomini annuirono tronfi di soddisfazione, come se avessero appena compiuto un atto di carità verso un deleritto ma Ross lasciò perdere. In fondo era davvero senza speranza prima di quel viaggio e offendersi perché qualcuno glielo faceva notare non sarebbe stato intelligente. E di questo pensiero raggiunto a fatica, doveva ringraziare Demelza. Se non fosse stato per lei, avrebbe risposto sgarbatamente e a tono a quei due, li avrebbe presi a sberleffi, avrebbe mostrato il suo carattere arrogante e attaccabrighe e sarebbe tornato a casa con una condanna a morte scritta per la Wheal Grace. Era stata la sua spalla, un sostegno, un aiuto disinteressato e una presenza costante e vera che lo aveva fatto sentire parte di qualcosa e non più solo, a combattere coi demoni del mondo.

Demelza gli sorrise dolcemente. "Avete ottenuto il prestito e non li avete presi a pugni. E' un successo, no?".

Le sfiorò la mano, delicatamente, come desideroso solo di un contatto con lei. "Già".

Demelza rispose alla stretta. "E allora, presto tornerete a casa?" - chiese, con una punta di tristezza nella voce.

Quel pensiero spezzò il suo momento di gioia. Tornare a casa, sì, da lunedì avrebbe potuto farlo senza indugi. Lo aspettavano in tanti in Cornovaglia e tutti dipendevano da lui. Eppure ora che era lì, con lei, non voleva partire. Chissà quando l'avrebbe rivista... Chissà SE l'avrebbe rivista... "Non ora, non stasera" – le rispose, mentre il ballo e le persone attorno a loro perdevano consistenza e lui con Demelza, finivano in un mondo alternativo. Dove non c'era nessuno, solo loro due, coi loro occhi incatenati l'uno nell'altra. E anche se odiava ballare, d'istinto la prese per la vita, la avvicinò a lui e le sue narici furono inebriate del profumo della sua pelle liscia sotto le sue mani. "Ballate". Lo disse come fosse un ordine, non chiese, non ce n'era bisogno.

Lei tremò a quella stretta ma non si sottrasse, non cercò di scappare e neppure abbassò lo sguardo per l'imbarazzo. Anche per lei era impossibile smettere di guardarlo negli occhi e una forza, una forza irresistibile la spinse ad avvicinarsi ulteriormente a lui.

In quel momento per entrambi non esisteva nulla. Non Hugh, non Elizabeth, non i debiti, non Falmouth, non la Grace, non quella festa... C'erano solo loro a vivere un momento che entrambi nel cuore avevano desiderato silenziosamente a lungo, quasi con paura, cercando di sfuggire a quell'attrazione che, avevano capito, non potevano sconfiggere.

"Avevate detto di odiare il ballo" – sussurrò lei, col viso vicino a quello di lui.

"Lo odio, infatti...".

"E ora...?".

"Stasera è diverso" – le rispose, con voce calda. "E avete il rame nei capelli e trovo che davanti a questo non possa sottrarmi ai miei doveri e desideri".

"Non dovremmo" – sussurrò lei, sempre meno convinta, sempre meno propensa a tenerlo lontano. Desiderio... Santo cielo, cos'era se non quello? Che mai avrebbero potuto soddisfare ma che non potevano non provare...

Lui sorrise. "E' tutta la vita che faccio cose che non dovrei fare. E non mi sono mai pentito di nulla".

"Partirete?".

Ross annuì, mentre arrivavano al centro della sala da ballo, tenendola stretta a se. "Devo".

"Vi rivedrò?".

"Lo desiderate?" - chiese, sussurrando nel suo orecchio.

"Credo di sì".

La presa di Ross sulla sua vita si fece più forte. "E allora succederà".

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


I due giorni seguenti al ballo erano stati come sospesi, per Demelza.

Ogni attimo di quella serata continuava a scorrerle nella mente e negli occhi e niente riusciva a distrarla dai suoi pensieri e da tante domande che si affollavano dentro di lei senza trovare risposta. Domande che non avrebbe voluto farsi ma che era impossibile non fare affacciare ai propri pensieri... Cosa sarebbe successo se avesse conosciuto Ross Poldark prima di Lord Falmouth? Cosa sarebbe successo se non fosse stata sposata con Hugh? Come sarebbe andata a finire la serata, se fosse stata una donna libera?

Era stato bello, era stato strano... Eppure, nella stranezza, si era sentita al suo posto, al sicuro in un luogo che di solito le incuteva timore, aveva parlato con persone che di solito la terrorizzavano senza problemi e con spigliatezza ed era stata il viatico al successo di Ross con la Banca di Londra. Aveva danzato con lui e aveva sentito i loro corpi vicini, tanto vicini... E non le era sembrato abbastanza... Aveva guardato nei suoi occhi scuri e vi si era persa ma senza paura, aveva sentito le sue mani stringerle la vita e non se ne vergognava, aveva danzato con un uomo che non era suo marito e in quegli istanti aveva solo desiderato che quell'orchestra non smettesse mai di suonare per loro. Mai si era sentita così, non ad Illugan e poi, anche se la sua vita era diventata comoda, nemmeno dopo il suo incontro coi Boscawen. Incontrare Ross Poldark, conoscerlo, era stato come trovare quel vuoto che sentiva in se stessa e nella sua vita e che mai era riuscita pienamente a colmare nemmeno dopo il matrimonio con Hugh.

Ora ne era pienamente consapevole, era attratta da lui, tutto di quell'uomo sembrava avere l'effetto di una calamita su di lei: i suoi occhi, le sue mani, le sue labbra, il suo viso, il suo sguardo, il fisico asciutto e muscoloso...

Era una donna, conosceva se stessa e sapeva anche che esistevano tipi di sentimento simili anche se fino all'anno prima aveva creduto non facessero parte di lei. Ma ora che li provava, era così difficile rinunciarvi...

Eppure doveva! Non voleva diventare una di quelle donne che rimangono sposate per convenienza riempiendosi l'esistenza di amanti, non desiderava nulla del genere! Voleva solo essere una brava moglie, fedele, attenta, affettuosa. Forse Hugh non era l'uomo della sua vita, la sua perfetta anima gemella, ma era colui che aveva deciso di sposare e per quanto la riguardava, un matrimonio è per sempre.

Eppure, quanto era stato difficile non rivedere Ross dopo il ballo?

Per i due giorni successivi si era rintanata nella sua casa, accanto a Hugh. Suo marito stava fin troppo male per accorgersi appieno dei suoi turbamenti e lei aveva potuto prendersi cura di lui mentre dentro se stessa combatteva la più dura delle battaglie fra cuore e ragione...

Lei e Ross avevano danzato insieme in una specie di bolla magica ma finito il ballo, in preda a sentimenti tanto forti e sconvolgenti per entrambi, avevano capito che stavano andando troppo oltre e che ad un certo punto non sarebbero riusciti a fermarsi... Dopo aver ballato, era calato uno strano silenzio fra loro e nessuno dei due era riuscito a spezzarlo nemmeno con una battuta. In fondo forse nemmeno volevano interromperlo quel silenzio, l'unica barriera che avessero a difenderli dai sentimenti reciproci. Neanche Ross, di solito bravissimo in queste cose, era riuscito a smorzare la tensione fra loro e anche lui si era fatto silenzioso e cupo e in quei momenti Demelza si accorse che sapeva diventare un uomo davvero imperscrutabile, quando voleva.

L'aveva accompagnata a casa e nemmeno nel tragitto si erano scambiati chissà quali parole e lei aveva avuto così modo di rintanarsi nei suoi pensieri, chiedendosi al contempo cosa pensasse lui. Mentre ballavano si erano guardati con desiderio, passione, si era sentita bruciare e il pensiero le era corso a quel giorno in cui l'aveva visto nuotare completamente nudo nel mare. L'immagine di quel corpo perfetto le era tornata nitidamente negli occhi e non aveva potuto non chiedersi come fosse essere toccata da quel corpo, amata, come lui prendesse una donna, con che passione l'amasse...

Si era vergognata di quei pensieri ma li aveva anche accettati perché facevano ormai parte di lei. Li avrebbe tenuti a bada e un giorno sarebbe passato tutto ma in quei giorni poteva solo sentirsi fallibilmente umana, fatta di carne e sangue vivo...

Stava albeggiando e Demelza si avvicinò alla finestra, completamente vestita. Non si era cambiata dalla cena ed era rimasta a vegliare su Hugh che aveva la febbre alta ma non sarebbe riuscita a dormire comunque.

La sera prima aveva incrociato Falmouth con Ross che chiacchieravano in giardino e gli avevano comunicato che il giovane sarebbe partito all'alba, all'indomani. Ross si era dimostrato cortese, gentile, l'aveva salutata usando tutte le buone maniere che Falmouth adorava, ma i suoi occhi profondi fissi su di lei sembravano volerle dire molto di più.

Era una partenza difficile quella, per lei... Sapere che lui sarebbe partito e che non si sarebbero rivisti per chissà quanto, la esasperava terribilmente. Sapeva che sarebbe stato meglio così, che la lontananza le avrebbe facilitato ogni cosa, ma il suo cuore sanguinava all'idea che non sarebbero più stati nella stessa città e che tante miglia li avrebbero divisi...

Davanti a Falmouth aveva salutato cortesemente, ma avrebbe voluto un momento solo con lui prima della partenza. Voleva ringraziarlo per quanto aveva fatto per lei durante il ballo e all'orfanotrofio, per le risate che le aveva fatto fare nonostante i tanti problemi che la affliggevano e rinnovare la promessa di rivedersi presto. Non sapeva perché, non gli doveva nulla ma il suo cuore le suggeriva che invece gli doveva molto. Forse non avrebbe potuto avere mai nemmeno un attimo solo con lui ma di certo Ross Poldark le aveva insegnato più di chiunque altro qualcosa su se stessa.

Mentre osservava fuori dalla finestra, con Londra ancora immersa nel buio della notte, sentì Hugh lamentarsi nel letto e tornò alla sua realtà.

Si avvicinò lentamente a lui, dolcemente gli sfiorò il viso con una carezza e lui aprì gli occhi. "Per colpa mia stai passando la notte in bianco" – mormorò, con voce gentile ma impastata dalle medicine e dalla malattia.

Era così pallido e sofferente e ogni volta che lo guardava, a Demelza si stringeva il cuore. Era giovane, aveva una vita davanti, era nell'età del massimo vigore fisico e tutto questo gli era precluso. Amava Hugh, di un amore tenero e gentile, lo avrebbe amato sempre anche se in quel momento si sentiva divisa e confusa e mai lo avrebbe abbandonato. Sapeva qual'era il suo posto... "Quando starai di nuovo bene e sarò malata io, mi restituirai il favore" – gli sussurrò tentando di apparire ottimista, baciandolo sulla guancia con affetto.

Hugh la guardò come se si sforzasse di volerle credere e poi le strinse la mano. "Io non voglio che tu sia malata. Mai!".

Lo abbracciò. "Farò del mio meglio, allora".

Lui tossì, forte, contorcendosi come se questo gli provocasse dolori intensi. Demelza gli diede un pò d'acqua, gli sistemò il cuscino e poi gli sfiorò la fronte. "Prendi un pò di medicina, starai meglio".

"Mi fa sempre dormire, è come essere morto prima di esserlo per davvero" – si lamentò lui.

Demelza deglutì. Sapeva che in effetti lui aveva ragione e che la morfina gli toglieva, assieme al dolore, quel poco di energia che ancora aveva, ma era anche consapevole che era meglio vederlo dormire piuttosto che guardarlo impotente a contorcersi dal male. Un male sconosciuto, incurabile all'apparenza, che sembrava inghiottire pezzo per pezzo il suo corpo. "Prendine solo un pò, così potrai riposare".

Hugh tossì di nuovo e poi alla fine, sfinito, cedette. Bevve un pò della medicina che Demelza gli aveva preparato e poi si accasciò sul cuscino, sprofondando nuovamente in un pesante sonno.

Demelza rimase ferma ad osservarlo, pensando a tutto quello che l'aveva unita a lui da quando si erano conosciuti. Era diventata donna e moglie con lui, una lady, Hugh le aveva dato più di qualunque altra persona. Forse non quello che lei desiderava davvero, quello che la faceva sentire completa, ma l'aveva riempita di affetto, attenzioni, le aveva dato una casa e una famiglia e una posizione in società probabilmente troppo pesante per lei ma che le dava una sicurezza che poche donne potevano permettersi.

Quando fu addormentato, tornò alla finestra a guardare fuori, persa in quei pensieri sulla sua vita che solo in quegli attimi di silenzi e solitudine poteva permettersi.

Iniziò a piovere, lentamente, in un cielo che albeggiava ma che diventava via via più grigio. E in quel momento vide il maggiordomo uscire dall'ingresso principale, con in mano un baule da viaggio. E dietro di lui, coperto da un pesante mantello, Ross Poldark.

Il cuore di Demelza prese a battere forte, di nuovo, nel vederlo di schiena allontanarsi e avvicinarsi al cancello. Osservò Hugh e capì che doveva andare a salutarlo per essere in pace con se stessa oppure il ricordo di quel ballo e di quanto non si erano riusciti a dire dopo, l'avrebbe tormentata allontanandola ancora di più da suo marito.

Si avvicinò al letto, diede un leggero bacio sulle labbra a Hugh e poi, dopo essersi messa una mantella sulle spalle, uscì dalla stanza e scese verso la porta d'ingresso che portava ai giardini.

Percorse i vialetti minori per non essere vista, si appostò dietro una pianta per non incrociare il maggiordomo che rientrava dopo aver caricato sulla carrozza il bagaglio di Ross e poi, una volta che lo ebbe visto rientrare, corse fuori.

La pioggia era diventata battente, Londra era ancora deserta e il buio avrebbe celato ai pochi eventuali curiosi la sua identità.

Il cocchiere stava ancora sistemando le imbragature dei cavalli, Ross doveva essere il primo cliente della giornata e nessun altro sembrava presente alla scena. E quindi si avvicinò al portellino ancora aperto e Ross era lì, sprofondanto nelle poltrone, rannicchiato sotto al suo mantello.

Appena la vide, per un attimo lui parve stupito. Ma fu solo un attimo... Non le disse nulla, allungò solo la mano prendendo la sua e la aiutò a salire dentro, all'asciutto come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non chiese niente, né perché fosse lì, né cosa volesse fare. Era come se Ross Poldark sapesse che sarebbe arrivata e lo giudicasse normale...

E questo, per Demelza, era qualcosa che faceva paura. Come si comprendessero, come sapessero leggersi nella mente, come si capissero con un solo sguardo. Avrebbe dovuto essere così con Hugh ma stava succedendo con uno sconosciuto incontrato per caso a un ballo... "Non mi chiedete perché sono quì?" - domandò, sapendo quanto fosse pericoloso chiedere...

Lui sorrise. "Sarebbe stato più strano non vedervi" – le rispose, con voce calma, gentile, ma che nascondeva comunque una solida faccia tosta e tanta sicurezza in se stesso.

"Sembrate molto sicuro di voi..." - ribatté, con voce tremante, persa ancora in quello sguardo che pareva studiare ogni tratto del suo volto.

Ross annuì. "D'accordo, se davvero ci tenete... perché siete quì?".

Demelza arrossì, accidenti a lui! Non lo sapeva nemmeno lei ma sapeva che doveva esserci. "Volevo... salutarvi...".

"Lo avete già fatto ieri".

"Non come avrei voluto..." - ammise lei.

"Nemmeno io" – ammise lui a sua volta.

Demelza si torse le mani, seduta a tu per tu davanti a lui. Era nervosa, spaventata dai suoi stessi sentimenti ma consapevole di non poterli più ignorare. "E' stato bello il ballo... con voi... Non ero ancora riuscita a dirvelo e volevo farlo... DOVEVO farlo prima che partiste".

"Non era necessario...".

"Lo era per me! E' stato grazie a voi che mi sono sentita sicura e coraggiosa in una di quelle serate che in genere mi terrorizzano e volevo dirvelo, volevo ringraziarvi, volevo...".

Ross la interruppe, notando quanto fosse in difficoltà nell'esprimere i suoi pensieri. "Voi non avete bisogno di me, avete solo bisogno di ammettere a voi stessa che siete in gamba e perfettamente in grado di cavarvela da sola. Non avete certo necessità, come molte damine, di una guardia del corpo o un protettore. Non ho fatto davvero nulla di eccezionale, non dovete ringraziarmi".

Lei sorrise. "Non credo di essere forte come dite voi ma anche se lo fossi, è stato piacevole avervi al mio fianco".

"E per me è lo stesso e devo ammettere che senza di voi avrei combinato qualche disastro coi tizi della banca, vanificando tutto quello che Falmouth aveva fatto per me. Sono io a dovervi ringraziare, se la mia miniera potrà vivere qualche altro mese è grazie a voi e a come mi avete supportato. Io avrei preso a pugni quei due, se devo essere sincero".

Demelza ridacchiò, non faticava a credere che sarebbe finita così, Ross Poldark era un tizio fin troppo istintivo per pensare che sarebbe stato un cagnolino fedele e ubbidiente ai dettami di Falmouth. Ma anche se lo aveva guidato alla ragione per aiutarlo, non poteva dire di non essere affascinata da quel lato selvaggio di lui. "Nemmeno voi dovete ringraziarmi. E' stato un successo, siamo una buona squadra e alla fine ne abbiamo avuto la dimostrazione".

Ross annuì. "Dovremmo rifarlo, potremmo conquistare il mondo".

Le sarebbe piaciuto rifarlo, quelle erano parole che desiderava sentirsi dire e lui sembrava averlo capito, nel pronunciarle... "Io non dovrei essere quì, ora" – mormorò, con voce spezzata, comprendendo quanto fossero troppo vicini.

"Ma ci siete e per vostra volontà" - rispose lui, con gli occhi scuri fissi su di lei.

"Non potevo farne a meno" – ammise Demelza – "Volevo salutarvi come si deve perché ieri, con Falmouth, è stato come salutare un normale conoscente e da quel ballo non lo siete più".

Ross ci mise un attimo a rispondere, capendo che quanto provato da entrambi era stato troppo forte per essere ignorato. Erano stati una cosa sola durante quel ballo, qualcosa di forte, potente, qualcosa di passionale e unico. Rispetto, desiderio, bellezza e passione si erano fusi durante quella danza e i loro sguardi avevano lasciato trasparire più di quanto avrebbero mai permesso alla loro voce di dire. "No, immagino che sia complicato essere solo conoscenti. Ma in fondo abbiamo scelto di essere amici, no?".

"Sì...".

La mano di Ross si alzò lentamente, si poggiò sulla guancia di lei e in un gesto istintivo, prese ad accarezzarla piano, lasciando sul viso di Demelza una scia di fuoco. "Ci rivedremo?" - domandò, anche lui incerto, anche lui in fondo impaurito da quell'imminente distacco.

"Sarà complicato...".

"Ma troveremo il modo?".

Demelza annuì, spaventata e allo stesso tempo catturata dal suo sguardo, dal calore della sua mano poggiata sul suo viso, dalla sua presenza così totalizzante. "Lo troveremo, certo..." - sussurrò, poggiando la mano contro quella di Ross e incrociando le dita alle sue.

Rimasero così, per lunghi istanti che avrebbero voluto infiniti.

Fu il cocchiere a spezzare quel silenzio così carico di tensione ed emozioni e fu meglio così o Ross sentiva che in uno dei suoi gesti istintivi l'avrebbe baciata e che forse lei non lo avrebbe respinto.

"Possiamo partire, signore! I cavalli sono pronti e i suoi bagagli sono sistemati".

Le loro mani si separarono immediatamente e, come due ragazzini beccati con le mani nella marmellata, si allontanarono con un balzo.

Ross si schiarì la voce e poi si rivolse al cocchiere. "Sì, partiamo!".

L'uomo annuì, lanciò una breve occhiata indagatrice a Demelza e poi, col cappello celato sul viso, andò al suo posto di guida.

Demelza sorrise a Ross, ne osservò il viso per imprimersi ogni particolare nella mente e poi, come se fosse la cosa più difficile fatta nella sua vita, si costrinse ad andare.

"Demelza!" - la chiamò Ross mentre stava scendendo dalla carrozza.

"Sì?".

La guardò ancora con quello sguardo intenso che le faceva tremare le gambe. "Avete promesso, ricordatelo".

"Non lo dimenticherò" – rispose lei, decisa a tener fede a quella promessa.

Scese dalla carrozza, chiuse il portellino e rimase ferma sulla strada a guardarlo andare via.

In cuor suo avrebbe tenuto fede a quella promessa e anche se non poteva dargli più di qualche istante insieme per cavalcare, ridere, scherzare, non avrebbe mancato a quell'impegno. Ne aveva bisogno, di lui e di come la faceva sentire...

Demelza ancora non lo sapeva e nemmeno Ross. Ma il destino aveva in serbo per loro dure prove di lì a breve, prove che forse avrebbero costretto entrambi ad accantonare per un pò la realizzazione di quella promessa.


...


Fu un viaggio estenuante di due giorni, sotto la pioggia battente e diviso per lunghi tratti con compagni di viaggio decisamente poco simpatici: fuori Londra si era aggiunta sulla carrozza una vecchia vedova petulante che non stava zitta nemmeno un secondo, a una fermata intermedia era arrivata un'altra giovane donna con un bambino viziatissimo e capriccioso al suo seguito e infine, a completare il quadretto, era giunto anche un anziano prelato dallo sguardo severo e con l'inarrestabile voglia di fare sermoni.

Ross era giunto a Nampara stremato, confuso nei sentimenti, col raffreddore a causa dell'umidità della pioggia e della carrozza e con le tasche abbastanza piene di denaro per far andare avanti la Wheal Grace ancora qualche mese.

In fondo poteva dirsi contento, per il denaro e anche per aver potuto conoscere meglio Demelza... L'immagine e la voce di quella donna erano stati, nei suoi ricordi, dei piacevoli compagni di viaggio e da solo, a se stesso, aveva dovuto ammettere quanto stare in sua compagnia lo migliorasse e lo facesse stare bene. In modo diverso da Elizabeth... Ora che era tornato, il suo primo amore, assieme alle immagini delle miniere che si stagliavano all'orizzonte, tornava a farsi ossessivo, sovrapponendosi all'immagine della bellissima donna dai capelli rossi lasciata a Londra.

L'indomani sarebbe andato a Trenwith per informare Francis del prestito e dei piani per la miniera e l'avrebbe rivista... Santo cielo, come poteva pensare a due donne tanto diverse fra loro con quell'intensità? Erano sentimenti differenti quelli che provava, per l'una o l'altra. Elizabeth era il sogno infranto dell'adolescenza, perfetto, pulito, intoccabile, l'amore da fiaba e senza macchia che ognuno sogna di vivere. Demelza era il caso, l'imprevisto capitato per un capriccio del destino, era passione, desiderio e anche... cameratismo... Il tutto, unito a uno strano senso di completezza che non riusciva a spiegarsi, quando era con lei...

Aprì la porta, era quasi sera e in cuor suo pregò che Prudie avesse cucinato qualcosa, era affamato.

Quando entrò però, non c'era nulla di pronto. Trovò solo i suoi due servi seduti al tavolo, completamente spoglio, senza nemmeno del rhum ad allietarli, con una faccia da funerale che lo impietrì.

I due, appena lo videro, sussultarono. "Signor Ross, siete quì?".

Si tolse il mantello, lanciandolo sulla sedia. "E' casa mia, mi pare...".

"Sì..." - balbettò Jud.

Ross sbuffò, esasperato. Che avevano quei due??? "E allora, cos'è questa faccia da funerale che avete? Che sarei tornato e che i vostri giorni da soli, senza fare nulla, sarebbero finiti, lo sapevate, no?".

Jud scosse la testa. "Non è giusto, non è corretto, non è gentile...".

"COSA?" - sbottò Ross.

Prudie gli si avvicinò timorosa, con gli occhi che sembravano stranamente lucidi. "E' successa una cosa mentre eravate via, signor Ross. Dovete andare a Trenwith".

Ross si accigliò. "Cosa?".

"Un incidente" – rispose la donna.

Impallidì. "Che genere di incidente?".

Prudie deglutì, abbassò lo sguardo e prese a giocare nervosamente col suo grembiule sgualcito. "Alla miniera...".

"E?".

Jud intervenne con sguardo grave. "Il signor Francis è morto".

E Ross si sentì sprofodare nelle tenebre...

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo venti ***


Appena saputo da Jud e Prudie della morte di Francis, senza chiedere nulla in più e nonostante la stanchezza del viaggio, Ross era uscito come un pazzo da Nampara, era montato in sella e aveva galoppato disperatamente, col cuore a pezzi e la mente svuotata a causa dello shock fino alla casa del Capitano Henshawe. Doveva andare subito a Trenwith, sapeva anche questo, ma prima aveva bisogno di sapere dal suo uomo di massima fiducia cosa fosse successo, affrontare il dolore di Elizabeth completamente all'oscuro dei fatti era un'impresa troppo titanica persino per lui.

Mentre galoppava, mille pensieri incoerenti e tante domande cercavano di farsi strada nella sua testa: Cosa era successo? Che diavolo aveva combinato Francis? Perché era partito quando avrebbe potuto rimanere ed evitare quell'incubo? Perché la Wheal Grace sembrava maledetta e perché incaponirsi così tanto per tenerla aperta, al costo di mischiarsi persino coi signorotti di Londra? Perché sui Poldark sembrava regnare una maledizione? Perché Elizabeth e Geoffrey Charles dovevano vivere un lutto tanto devastante quando la vita della loro famiglia stava finalmente navigando in acque meno agitate? E lui, poteva evitare la tragedia? E gli altri, avrebbero potuto farlo?

Pensò a Francis e ai suoi ricchioli d'oro di quando era bambino, zia Agatha lo definiva un bambolotto e nel suo modo di essere non era un complimento quanto invece un rimarcare quanto quel nipote, nei modi e nell'aspetto, somigliasse a un giocattolo senza carattere più che all'erede di un antico casato.

Ross sapeva che non era così e che Francis, all'apparenza delicato e di scarso livore, nascondeva una intelligenza vivace e una strana ironia che sapeva venir fuori anche nei momenti apparentemente più drammatici... Erano stati legatissimi da piccoli e a lui e Verity erano collegati i ricordi più belli e calorosi della sua, per certi versi solitaria, infanzia... Trenwith era stata una casa, aveva rappresentato l'unità famigliare che a Nampara mancava dopo la morte di sua madre, ed ora... Ora pezzo dopo pezzo, quel mondo pieno di certezze e calore sembrava sgretolarsi davanti ai suoi occhi... Era stato arrabbiato con Francis, aveva tentato di odiarlo quando aveva appreso del fidanzamento con Elizabeth mentre lui era in guerra ma mai era riuscito davvero a detestare suo cugino. Avevano saputo ritrovarsi dopo lunghi momenti di tensione, ricostruire una impresa insieme, riaprire una miniera e ora che forse avevano i mezzi per andare avanti almeno un pò ed alimentare la speranza, ecco che il destino esigeva il suo conto...

Henshawe lo accolse mentre era fuori casa, seduto su una panca da solo, a fumare la sua pipa. L'uomo era lì, col viso teso e terreo, come ad attenderlo...

Ross quasi lo travolse con la sua foga e Henshawe non poté che allargare le braccia e frenarlo. "Non sapevo quando saresti tornato, ma sapevo che saresti venuto subito quì".

Ross sembrò per un attimo appoggiarsi a quell'uomo, uno dei suoi migliori amici, una persona saggia, giusta, una specie di fratello maggiore che mai aveva abbandonato il suo fianco anche nei momenti più difficili... "Che è successo?" - chiese con affanno, appoggiando il capo contro la spalla dell'uomo. "Jud e Prudie mi hanno raccontato di Francis e non ho capito nulla, sono uscito di corsa e sono venuto quì senza nemmeno accorgermene. Dimmi che ho capito male...".

Henshawe scosse la testa e con poche pacate parole, gli raccontò senza dettagli che aggiungessero dolore al dolore, che Francis qualche giorno prima, dopo il ritrovamento del pomeriggio di tracce di rame in alcune rocce portate in superficie da alcuni minatori, era tornato in miniera nel tardo pomeriggio, quando la maggior parte degli uomini stava andando a casa, per dare un'occhiata da solo. Era troppo emozionato da quel ritrovamento per andare a casa e troppo desideroso di far trovare a Ross, al suo ritorno da Londra, qualcosa di finalmente promettente.

Si era avventurato ai livelli inferiori da solo, senza avvertire nessuno, ed era scivolato al trentesimo livello, in un profondo ristagno d'acqua.

Ross strinse i pugni. "Non era mai riuscito ad imparare a nuotare...". Il cuore gli si strinse al pensiero di quella morte terribile, solitaria, alla paura che doveva aver provato Francis e alla sua disperazione quando doveva aver capito di non avere scampo... Che morte assurda, insensata, folle! Non lo meritava, anche se aveva commesso degli errori in passato, non meritava affatto di finire così...

Henshawe scosse la testa. "Da Trenwith mandarono a casa mia un servitore quando si fece buio, chiedendo notizie... Tornai in miniera con Zachy e altri due uomini, trovammo il suo cappotto nello studio e scendemmo sotto. Quando lo abbiamo trovato, era morto da un'ora abbondante... Mi dispiace, non sarebbe dovuto succedere".

Ross osservò Henshawe, provato, tremante, con gli occhi lucidi. Sapeva che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare quella tragedia e sapeva anche che non avrebbe potuto affidare la sua miniera, in sua assenza, in mani migliori. Non era colpa sua, non lo giudicava copevole e voleva che lo sapesse senza se o ma. "Non devi scusarti di nulla, nessun uomo ha il potere di sconfiggere un fato nemico e tu lei il miglior uomo che potessi mettere a capo della società in mia assenza. La verità è che la Grace si è dimostrata piena di promesse mal mantenute, un progetto stupito, dispendioso e disgraziato. Mi chiedo perché mi sia venuto in mente di aprirla quando persino mio padre, che aveva più esperienza di me, aveva rinunciato...".

Henshawe azzardò un sorriso consolatorio. "Volevi dare una speranza a questa gente".

"E che speranza ho dato? Lavoro che non produce ricchezza, delusioni, morte... La Grace è un'impresa maledetta e io ora...".

"Capitano, non dovete perdere la speranza".

Ross lo fissò, scettico. "Possiamo permetterci di averne ancora? Quel rame trovato che ha spinto Francis a scendere in miniera, era effettivamente rame? C'è qualcosa per cui vale la pena tentare e rischiare altre vite?".

Henshawe abbassò lo sguardo. "No, alla fine mi si stringe il cuore a pensare che quanto trovato era semplice roccia ossidata...".

Ross alzò lo sguardo al cielo, maledicendolo per la misera vita che molti conducevano sotto di lui. La dolcezza e le emozioni vissute a Londra diventavano ormai un pallido ricordo e la quotidianità della sua povera vita in una terra senza prospettive dove lui e tanti altri cercavano di vivere al meglio, ricomparve nella sua grigezza ai suoi occhi. Era Ross Poldark, proprietario fallito di una miniera maledetta, non un giovane e aspirante politico che avrebbe potuto cambiare il mondo e che si divideva fra i salotti del potere ed eleganti serate passate in feste prestigiose accanto a una donna nobile che apprezzava ma che non apparteneva certo a lui e al suo mondo. Era tutto inutile, tutto sarebbe sempre stato inutile e ogni suo sforzo sarebbe finito in tragedia...

Henshawe gli poggiò la mano sul gomito, in un gesto affettuoso. "Coraggio, ora vediamo tutto nero ma c'è sempre speranza".

Ross scosse la testa. "Non nel mio caso, io non credo di avere più alcuna speranza in nulla. Ho ottenuto un prestito a Londra, un prestito modesto che ci avrebbe permesso di continuare ancora un pò. Ma ora quel denaro voglio usarlo per risarcire Elizabeth della somma versata da Francis per aprire la Grace e il resto darlo a te e agli altri azionisti che hanno creduto a questa follia. Dopo di che, col mio lavoro in campagna, se riuscirò restituirò tutto alla Banca di Londra o partirò come soldato da qualche parte e salderò i miei debiti con un onesto stipendio".

Henshawe gli strinse ancora più forte il braccio. "Non essere frettoloso. Sei sconvolto, lo siamo tutti... Ma hai ancora una famiglia che tiene a te e ora più che mai a Trenwith hanno bisogno che tu ci sia. Sei il capofamiglia, adesso".

"Che dovrei fare?" - chiese Ross, smarrito.

"Trovo giusto che tu aiuti Miss Elizabeth dandole indietro quanto Francis impegnò nella Grace. Il resto del denaro tienilo tu, nessuno di noi che abbiamo creduto in quella miniera lo rivuole indietro e nessuno di noi vuole rinunciare a quello che era e resta un sogno. E il tuo futuro".

Ross sospirò. "Non riesco a pensare a nessun futuro...".

"Ma lo hai, lo hai ancora anche se ora ti sembra impossibile crederci".

Ross osservò il suo amico, un vero amico, uno di quelli rari che se incontri, allora sei un uomo fortunato. Non che si sentisse tale quella sera, ma guardando Henshawe per un attimo si sentì rinfrancato dalla sua presenza e dalle sue parole. "Ti ringrazio, sei un amico".

Henshawe gli strinse la mano. "E tu altrettanto! Ma ora, credo che tu abbia fretta di andare, giusto...?".

Ross annuì, c'era Trenwith ed Henshawe aveva ragione, adesso era l'uomo di famiglia e non poteva che correre da loro per salvare il poco rimasto. "Ci vediamo presto".

Henshawe annuì e poi, dopo averlo salutato, rimase ad osservarlo mentre a cavallo spariva nel buio della sera. Sarebbe stata una notte difficile per tutti...

Ross galoppò ancora come un folle e quando giunse a Trenwith ricominciava a piovere. Bussò come un forsennato e fu Verity in persona, vestita a lutto, ad aprirgli la porta. "Oh mio caro, sei tornato!" - mormorò, stringendosi a lui in un abbraccio che Ross corrispose senza esitazione. Povera piccola Verity, sempre gentile, affettuosa e presente per tutti... Lei, che ora iniziava ad assaggiare la vera felicità dell'amore, doveva di nuovo farsi da parte per rendere meno dura la quotidianità degli altri e sopperire all'assenza di Francis. Non poteva accettare che si immolasse per tutti, non toccava a lei farlo.

"Sono quì, sono quì" – le sussurrò stringendosi a lei in cerca di conforto.

Il piccolo Geoffrey Charles comparve dietro alla zia, coi suoi capelli biondi perfettamente pettinati. "Zio Ross" – disse disperatamente, aggrappandosi a lui come spesso aveva fatto con suo padre.

Ross lo prese in braccio, stringendolo a se. "Sono quì, tranquillo, sono tornato!" - gli sussurrò, ricordandosi che anche lui era stato un bambino che aveva perso un genitore e si era sentito sperso, spaventato e solo come sicuramente si sentiva anche Geoffrey Charles in quel momento.

"Ross!".

L'uomo mise in terra il bambino e guardò oltre. Elizabeth, provata, pallida, dimagrita e vestita di nero era comparsa dal corridoio con il passo felpato di un fantasma. Il suo cuore accelerò. "Elizabeth...". Lei, il suo sogno, il suo perfetto ed ideale amore era lì, con la morte nel cuore, straziata dal lutto, pallida, col viso spento e senza appigli a parte lui. La guardò e desiderò solo proteggerla da quel mondo che, con le sue insidie e tragedie, non avrebbe risparmiato una donna delicata e gentile come lei... Ora, come aveva detto Henshawe, era lui l'uomo di casa, l'uomo che avrebbe dovuto prendersi cura di tutti loro.

La strinse a se con forza e lei lo lasciò fare, come se non avesse bisogno d'altro. Ross affondò il viso fra i suoi capelli e la sentì singhiozzare, ma poi la donna si riprese e ritrovò subito il suo consueto contegno, mettendosi dritta e guardando suo figlio. Non poteva lasciarsi andare davanti a lui.

"Mamma, piangi?" - chiese Geoffrey Charles.

Lei scosse la testa. "No, no tranquillo, ero solo contenta di vedere che almeno lo zio Ross è tornato a casa sano e salvo".

Ross diede un buffetto sulla testa al bambino e poi lo affidò a Verity che lo portò in camera per tranquillizzarlo e leggergli una favola.

Rimasto solo con Elizabeth, Ross andò con lei nel salotto principale dove Agatha, seduta su una sedia a dondolo, sonnecchiava con le carte in mano. Anche lei sembrava provata e improvvisamente ulteriormente invecchiata...

Elizabeth le si avvicinò, posandole una coperta sulle gambe. "La morte di Francis è stata un duro colpo anche per lei, ha passato gli ultimi giorni a non aprire bocca e solo oggi ha accennato qualche parola a Geoffrey Charles. Ora si è addormentata, ne aveva davvero bisogno e credo che nulla riuscirà a svegliarla fino a domattina. Ed è meglio così".

Ross allungò la mano ad accarezzare la guancia della sua vecchia zia. "Ci ha visti nascere tutti e ne ha visti morire molti... Venuti dopo di lei, andati via prima di lei... Deve essere straziante".

La voce di Elizabeth tremò. "E' stato un inferno per tutti e vederti... vederti Ross... Oh, non sai che sollievo sia, sapere che almeno tu sei quì".

Ross la riaccolse fra le braccia, non aspettava altro e forse pure lei. "Siamo una famiglia, ne abbiamo passate tante, sopravviveremo anche a questo... Henshawe mi ha raccontato come è successo e io mi sento responsabile. Potrai mai perdonarmi, Elizabeth?".

Lei alzò il viso, stupita. "Tu? Perdonarti di cosa? Eri a Londra, come potresti essere responsabile?".

Ross sentì gli occhi pungere, ma si sforzo di mantenere la sua fermezza. "Se io non avessi avuto la testa dura di riaprire una miniera morta, Francis non mi avrebbe seguito in questa follia e sarebbe ancora quì con sua moglie e suo figlio. E invece l'ho coinvolto e adesso noi siamo quì. E lui no".

Elizabeth si asciugò il viso. "Ross, tu hai ridato a Francis speranza e fiducia in se stesso e sono sicura che mai si è pentito della scelta fatta...".

"Ma quella scelta gli è costata la vita e ora tu sei sola e Geoffrey Charles crescerà senza un padre!".

Lei deglutì. "Spero di non essere proprio sola e di poter contare su di te".

Le sfiorò la guancia. "Sempre e lo sai" – le sussurrò, ricordandosi quanto si erano detti prima della partenza e dei sentimenti che ancora li legavano. Ora più che mai...

Elizabeth sorrise lievemente. "Per me e Geoffrey Charles, per Agatha, per Verity, tu sei l'unico appiglio".

"Sono l'uomo della famiglia, l'unico adulto rimasto. E mi dedicherò a voi come potrò, da uomo, mettendo da parte stupidi sogni e stupide follie costate fin troppo a tante persone".

"Che vuoi dire?".

Ross allargò le braccia in segno di resa. "Che sono stanco di combattere e di incaponirmi dietro a sogni impossibili. Che non posso cambiare il mondo e ora l'ho capito... Che posso solo cercare di rendere migliore la vita delle persone a me più vicine e da oggi solo questo sarà il mio obiettivo".

Elizabeth si accigliò. "Cosa hai intenzione di fare?".

Le sorrise, tristemente. "Che col prestito ottenuto a Londra, ti ripagherò di quanto Francis investì nella Grace".

Elizabeth spalancò gli occhi. "Ross, ma quel denaro non serviva...?".

La bloccò. "Ciò per cui serviva, non ha più importanza. Se mi serviva una lezione per capire che devo smettere e che il mondo non va come voglio io, la morte di mio cugino lo è senz'altro. Non permetterò che la Grace si porti via altre vite e altro denaro e quei soldi servono a voi più che a me. Comprerò le quote che furono di Francis, sarò l'unico perseguibile per il fallimento dell'impresa, ti ridarò il denaro che ti serve e poi col resto, tenterò di ripagare qualche debito e gli investitori... E lavorerò la mia terra per ripagare il prestito...".

Elizabeth rimase senza parole, esterefatta. Poi gli si avvicinò, sfiorandogli il braccio. "Ross, era il tuo sogno".

"Era, hai detto bene".

"Non esistono altre strade? Francis non vorrebbe".

"Francis vorrebbe essere quì, con te e suo figlio, vorrebbe che io smettessi di fare l'idiota, vorrebbe saperti al sicuro e tranquilla, almeno economicamente... Seicento ghinee non sono un gran patrimonio, ma sono certo che per te in questo momento fanno la differenza, no?".

Elizabeth chinò il capo. "Onestamente, sì, ne fanno eccome".

"E allora li avrai, senza fare storie... Il capitale investito tornerà nelle tue mani, gli oneri della Grace, con la vendita delle quote a me non saranno più un tuo problema e potrai respirare, riprenderti e avere meno preoccupazioni per la testa. Stai già passando l'inferno e sono sicuro di voler almeno alleviare la tua sofferenza".

Elizabeth per un attimo tentennò e il suo volto si riempì di sensi di colpa difficilmente gestibili ma che Ross non riuscì ad interpretare. Lei non doveva sentirsi in colpa, era una vittima delle sue scelte scellerate e tutto quello che poteva fare, in virtù della parentela acquisita e dei sentimenti che li legavano, era accettare. Desiderava aiutarla, prendersi cura di lei e ora era l'unico che poteva farlo. L'unico, come avrebbe voluto essere da anni... Ed era ironico e orribile che per esserlo, fosse dovuto morire un uomo... Osservò quella donna così bella, fragile, indifesa... E ricordò tutto quello che lo aveva fatto innamorare di lei. Perfetta, pura, dolce, aggraziata. Era povero, non era all'altezza di una donna come Elizabeth ma avrebbe sputato sangue per prendersi cura di lei. Forse non come avrebbe voluto un tempo ma in modo diverso e forse più completo e profondo.

"Cosa devo dire?" - chiese Elizabeth, titubante.

"Solo di sì, che accetti".

"Devo farlo, soprattutto per mio figlio..." - cercò di giustificarsi lei.

"Per lui e per tutto quello che serve a te".

Elizabeth annuì, con una strana determinazione negli occhi. "Accetto".

"Brava". Ross la abbracciò, accarezzandole la schiena, perdendosi nel dolore comune che era di entrambi. Tutto sarebbe cambiato con la morte di Francis e a Ross non sembrava ancora vero che mai più lo avrebbe rivisto e che tutti i sogni, le speranze, i progetti, erano persi per sempre... Erano cresciuti insieme e Francis era sempre stato un passo indietro... Ora era andato avanti, in un modo crudele che lasciava chi rimasto senza fiato...

E con quel pensiero, ma col cuore più leggero per avere fra le mani i mezzi per fare qualcosa per Elizabeth, lasciò Trenwith e i suoi abitanti e nella notte si allontanò a spron battuto, cercando di trovare pace in quella galoppata solitaria fra le tenebre e la pioggia. Galoppò nella brughiera, a ridosso delle scogliere e quando raggiunse il cimitero di Sawle e la tomba appena posata di suo cugino, sprofondò nel terreno e finalmente urlò e pianse il suo dolore per un uomo che non avrebbe visto crescere suo figlio e non avrebbe visto realizzarsi nessuno dei suoi sogni. Un uomo diverso da lui, forse meno forte di carattere ma di certo più saggiò, più ironico nel suo modo di affrontare la vita e sicuramente più profondo nell'analizzare fatti e persone. Erano nati e cresciuti insieme e ora anche lui, come tanti altri, lo aveva lasciato solo, con un enorme fardello sulle spalle e mille sensi di colpa che mai avrebbero trovato davvero pace.

E poi, dopo aver urlato al cielo e contro il fato, preso a pugni la lapide e la terra, si rialzò e tonrò a casa. Non c'era più nulla da fare se non quello...

Nulla avrebbe potuto alleviare il suo dolore e trovò un minimo di pace solo al suo ritorno a Nampara, quando sul letto in camera vide Sun che dormiva tranquillamente fra le coperte.

Sun, sole... Sembrava calato per sempre sulla sua vita ma guardandolo, sentì come una carezza di calore accarezzargli la pelle. La prima sensazione non negativa di quella serata terribile... Il viso di Demelza gli danzò negli occhi e se ne stupì. In un momento del genere, come poteva pensare a lei quando invece a Londra non era riuscito a pensare affatto ad Elizabeth? Eppure Demelza era lì, come reale, accanto a lui, col suo sorriso gentile, il suo viso pulito e la sua energia. Ne avrebbe avuto bisogno un pò, in prestito...

Accarezzò il loro gatto, il loro segreto. Si chiese se sarebbe stata delusa dalla sua scelta di chiudere la Grace e di dare i soldi ottenuti col prestito a un membro della sua famiglia ma poi si decise che in fondo non erano affari di Lady Boscawen...

Eppure...

Eppure non riusciva a non pensare a lei e a come avrebbe preferito, in quel momento, essere a Londra a un altro ballo con lei. Un ballo, qualcosa che odiava profondamente ma che lei aveva reso piacevole. Sicuramente più delle tenebre che parevano aver inghiottito la sua vita, la sua miniera, la sua famiglia in Cornovaglia...


...


Dopo aver controllato che Geoffrey Charles dormisse, Elizabeth tornò nella sua stanza con in mente la voce di Ross, il calore del suo abbraccio, le sue parole e la sua proposta.

Seicento ghinee... Santo cielo, in quel momento non aveva denaro e riavere quei soldi sarebbe stato un grosso sollievo. Non aveva più soldi per mandare avanti la casa, per abiti nuovi, per suo figlio, per pagare la servitù, oltre al lutto aveva dovuto attendere ad incombenze domestiche che nemmeno conosceva e ora Ross le stava dando sollievo. Almeno per un pò... Seicento ghinee sarebbero finite presto e di certo non avrebbero risolto ogni problema, ma era sempre meglio che il nulla che la aveva inghiottita, senza possibilità di speranza. Ross non poteva fare molto per lei, non ne aveva i mezzi, ma quel poco che faceva e la sua devozione erano qualcosa che lei desiderava e non vi avrebbe rinunciato.

Anche se...

Odiò se stessa per un attimo, ma poi il suo istinto di sopravvivenza e la consapevolezza di non essere in grado di farcela da sola, la spinsero a 'perdonarsi' per aver accettato la missiva e l'invito giunto nel pomeriggio con essa. Era forse scorretto nei confronti di Ross, ma che doveva fare?

Aprì la scrivania della sua toeletta e ne estrasse la busta ricevuta poche ore prima.


"Mia cara Elizabeth, in questo momento di difficoltà e dolore, sappiate che potete sempre contare su di me. Aiutare voi e la vostra famiglia è quanto più desidero, come sapete anche voi da sempre mi considero un vostro caro e speciale amico e gli amici si vedono nel momento del bisogno. Non esitate a chiedermi, non aspetto che un vostro cenno...

Nel frattempo, se vi è gradito, sarei felice di avervi come ospite per un tè domenica pomeriggio. Nulla di particolare, solo un pomeriggio in compagnia per cercare di pensare ad altro e al futuro che di certo tornerà ad essere roseo.

Attendo la conferma al mio invito e caldamente vi saluto.

George Warleggan".


Elizabeth prese un profondo respiro. Sapeva che George e Ross erano nemici, che lui aveva fatto di tutto per ferire e distruggere anche Francis e che era un uomo pericoloso, ma con lei era sempre stato gentile e affettuoso e in quel momento aveva bisogno di tutti, di sapere Ross vicino e tutto per lei e dell'influenza e dei mezzi economici di George Warleggan.

Ross avrebbe capito...

Prese penna, calamaio e inchiostro. E scrisse che avrebbe accettato l'invito...


Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***


"Come sta?".

La voce di Falmouth la raggiunse mentre con aria assorta guardava fuori da una delle finestre del lungo corrodoio al primo piano, il suo giardino a cui l'inverno aveva spento i colori e che sembrava voler sparire sotto la leggera coltre di neve caduta nella notte. Mancava ancora un mese al Natale e nelle strade di Londra si iniziava a respirare l'atmosfera festosa e d'attesa che da sempre allietava quel freddo periodo dell'anno, una ricorrenza che lei amava e che sapeva di calore, famiglia, affetto, ma che quell'anno aveva un sapore particolarmente amaro.

Per Demelza c'era ben poco da festeggiare in quel momento e il suo cuore si era fatto opaco e spento, come il suo giardino. "Vorrei poter dire che sta meglio ma non è così".

Gli occhi di Falmouth si fecero lucidi. "Il mio maggiordomo personale mi ha informato della crisi di questa notte. Vorrei poter cercare un altro medico, sentire pareri diversi, tentare altre cure che magari...".

Demelza lo bloccò. Era troppo stanca e provata per avere la forza di consolarlo e dargli speranza e non se la sentiva di mentire circa le condizioni di Hugh, tanto chiare a tutti eccetto che a suo zio che sembrava rifiutare la triste verità. Hugh stava deperendo, i momenti di veglia erano ormai rari, non si alimentava più, il suo respiro si stava facendo via via più affannoso e lei sapeva... Lei sapeva che nessuno al mondo avrebbe più potuto fare qualcosa per salvarlo. La malattia di suo marito, tenuta a bada per anni, era riesplosa con violenza ed avanzava inarrestabile verso il suo prevedibile epilogo. E lei era spezzata, devastata e si sentiva impotente davanti alla sofferenza dell'uomo che l'aveva sposata, amata, riempita di attenzioni e le aveva donato un futuro. Sarebbe rimasta sola, in una grande e potente famiglia, senza la protezione gentile che Hugh le aveva accordato sempre, proteggendola dalle situazioni che le facevano tremare le gambe... Era un poeta, un uomo gentile e colto ed era giovane. E la vita gli veniva strappata dal corpo da un male oscuro che non conosceva pietà.

"Credo... Credo che sia inutile chiamare altri medici. Quelli che lo seguono sono i migliori di Londra".

Falmouth picchiò il pugno contro il muro e il suono riecheggiò nel corridoio. "I migliori saprebbero curarlo! Non si limiterebbero a scuotere la testa".

"A volte anche i migliori devono arrendersi" – rispose, con voce spezzata.

L'uomo fece per replicare ma poi si bloccò. Era troppo intelligente per fingere di non comprendere quanto fosse grave la situazione e quanto fosse inutile vedere realtà inesistenti... "E allora, che si fa?".

Demelza scosse la testa. "Si aspetta... E non lo si lascia solo, mai! Tutto quello che voglio fare, è essere al suo fianco". Era spaventoso per lei vederlo soffrire, vederlo avere crisi come quella avuta nella notte, vederlo sbiancare, tremare preda di convulsioni, urlare dal dolore e non poter fare niente. Niente!!!

Falmouth poggiò le mani sul davanzale della finestra, guardando fuori la neve che aveva ripreso a scendere. "Questo sarà un inverno tremendamente freddo e duro..." - sussurrò.

Demelza si voltò verso di lui accigliata, stranita da quell'affermazione. Ma poi capì... Conosceva quell'uomo da abbastanza tempo per capire che quando per lui il dolore diventava troppo lancinante, preferiva cambiare discorso e distaccarsi dai problemi che lo affliggevano. "Già... E' iniziato a nevicare presto e normalmente, questo mi farebbe piacere. Amo la neve e le serate passate davanti al camino assieme alle persone che amo".

"C'è abbastanza legna in camera? Il domestico ne ha portata a sufficenza?" - chiese Falmouth, ancora rintanato nella gestione delle faccende ordinarie per evitare i tumulti del cuore.

"Sì, abbastanza. Viene ogni giono a controllare che la cesta sia piena di ciocchi".

"Dovremmo assumere qualche infermiere per curare Hugh. Per te è tutto troppo pesante e hai bisogno di aiuto, anche se ti ostini a dire che ce la fai a fare tutto".

La donna sospirò, preparandosi a quell'ennesimo match. Falmouth era tornato alla realtà di Hugh e di nuovo aveva tirato fuori quella storia. Gli era grata per tutte le premure e preoccupazioni verso di lei, per l'aiuto che voleva darle, per la presenza anche se discreta, per il suo voler esserci anche se non era un uomo preparato a gestire di persona un malato. Ma lei era nata ad Illugan e lì ci si prendeva cura di persona delle persone malate, era la famiglia a fare cerchio attorno a un moribondo e non si assumevano estranei per farlo al proprio posto. Voleva prendersi cura di suo marito, fargli sentire la sua presenza e dargli le sue cure che un infermiere, per quanto bravo, non poteva assicurare. Era l'amore e l'affetto a fare la differenza e questo non poteva appartenere a un estraneo... "C'è già Miss Mipple ad aiutarmi".

"E' solo una domestica di cucina!".

"Ma mi è accanto ogni volta che ne ho bisogno e mi basta così".

Falmouth sbuffò. "Sei proprio una testarda donna della Cornovaglia, orgogliosa e incapace di stare ferma anche quando potresti avere tutto l'aiuto del mondo".

A dispetto di tutto, Demelza sorrise. "Beh, lo prendo come un complimento".

Falmouth la occhieggiò con aria di bonario rimprovero per quella battuta. "A proposito di Cornovaglia...".

"Sì?".

"Ho visto Lord Basset l'altro ieri, a Westminster. Mi ha portato delle notizie davvero tragiche da quei luoghi, tragiche, inaspettate e che mi costringeranno a modificare i miei piani e a rivedere le mie certezze...".

Demelza cercò di comprendere cosa intendesse dire ma alla fine si arrese. "Che è successo?".

Falmouth scostò leggermente la tenda, fissando un punto imprecisato del giardino innevato. "Questo è davvero un inverno duro e maledetto non solo per noi".

"Cosa volete dire?" - chiese. Ora iniziava davvero ad allarmarsi...

Falmouth sospirò. "Ti ricordi dei Poldark?".

Demelza sussultò. Da quando Ross era partito, nonostante il grande turbamento generato in lei dalla sua presenza, non era riuscita a pensare troppo spesso a lui. La malattia di Hugh aveva assorbito tutti i suoi pensieri e le sue energie e forse essere cuore e mente solo di suo marito era l'unico risvolto positivo alla malattia che glielo stava portando via. Non vedeva Ross da mesi, da quando era tornato a casa con il prestito ottenuto alla Banca di Londra e dopo non aveva osato chiedere di lui. Ma ora? Era successo qualcosa di grave? "Ross Poldark?" - azzardò – "Gli è successo qualcosa?". Lo chiese col cuore in gola e col terrore che qualche evento irreparabile gli fosse occorso dopo il suo rientro in Cornovaglia.

L'uomo scosse la testa. "No, non a lui personalmente. Ma in un certo senso, quanto accaduto lo tocca direttamente e rimette in discussione ogni sua scelta futura".

"Cosa è successo?" - chiese ancora, con voce rotta.

"Suo cugino Francis, lo ricordi?".

"Sì, era venuto ad alcuni dei balli che abbiamo tenuto a casa nostra in Cornovaglia. Assieme a sua sorella Verity e a sua moglie. Un uomo particolare, intelligente, ironico ma con occhi a volte velati di tristezza e malinconia".

Falmouth sorrise amaramente. "Sai osservare bene le persone... Di lui han sempre detto che era la pecora nera di casa, che non aveva carattere, che era un inetto, che avrebbe portato alla rovina la sua attività e la sua famiglia... Un confronto impietoso con il vigore di Ross Poldark".

Demelza deglutì. "Perché parlate al passato?".

Falmouth chinò il capo. "Ha avuto un incidente alla Wheal Grace mentre Ross Poldark era quì a Londra. Lo hanno trovato morto in un pozzo sotterraneo nel quale era scivolato. Non era mai riuscito ad imparare a nuotare".

"Giuda!!!" - urlò quasi, mettendosi le mani sul viso.

Falmouth la guardò storto. "Demelza, contegno!".

Lei arrossì, ma era troppo sconvolta per chiedere scusa e per pensare all'etichetta. Era incredibile pensare che la morte fosse arrivata così, a tradimento, e che avesse strappato alla vita un uomo che aveva ancora molto da dire e fare per dimostrare al mondo quanto valeva. Aveva visto Francis Poldark poche volte, non poteva dire di conoscerlo eppure lo aveva apprezzato e lo aveva trovato una persona squisita... A differenza di sua moglie, forse la causa della tristezza che a volte gli trafiggeva il viso"E... E ora?".

"E ora la Wheal Grace è chiusa, per quanto nessuno può dirlo. Basset mi ha detto che Poldark ha risarcito la vedova di Francis del denaro impegnato nell'apertura della miniera, ha acquistato le azioni del cugino defunto con parte dei soldi ottenuti quì e per il resto sta ripagando i suoi debiti con gli azionisti della zona. Credo abbia perso la volontà di continuare".

Demelza entrò in allarme. "E il prestito? Come farà a restituirlo?".

Falmouth sospirò. "Se sarà nei guai, interverrò in sua vece. E' il mio pupillo, garantirò per lui e farò in modo che non si cacci nei pasticci o che finisca nella prigione dei debitori. Ho ancora molte speranze su di lui".

"Non si farà comprare" – obiettò Demelza con sicurezza. Non poteva dire di conoscere bene Francis ma in cuor suo sentiva di conoscere piuttosto bene l'animo di Ross Poldark.

Falmouth la guardò con aria stupita per la sicurezza nel suo tono di voce. Fece per chiedere qualcosa ma poi parve volersi imporre il silenzio e quindi voltò il capo con fare pensieroso, tornando a guardare il giardino. "Ha un carattere che colpisce quell'uomo, vero?".

Demelza ci pensò alcuni istanti prima di rispondere. Non aveva fatto nulla di male fino a quel momento ma i suoi pensieri spesso erano andati oltre il lecito e aveva paura, vergogna per questa sua debolezza che di certo sarebbe stata poco tollerata dai Boscawen. "Ha un carattere forte e sembra uno che non accetta regole né costrizioni".

"Nemmeno dell'amichevole aiuto?" - la punzecchiò il lord.

"Non si tratta di amichevole aiuto, si tratta di aiutare aspettandosi qualcosa in cambio. Questo non è sbagliato, non negli affari. Ma è un aspetto della vita che Ross Poldark sembra odiare sopra ogni cosa e se è così che intendete avvicinarlo, siete destinato a fallire".

Falmouth parve nuovamente sorpreso per quanto appena udito e per la sua sicurezza. Demelza aveva già dimostrato di saperci fare con Ross Poldark e anche se la cosa in un certo senso lo indispettiva per molti motivi che non voleva nemmeno elencare a se stesso, dall'altro non poteva che fargli comodo questo feeling che si era creato fra i due. Certo, non era stupido, sapeva che un uomo come Ross Poldark poteva risultare estremamente attraente agli occhi di una giovane ragazza che da sempre aveva dovuto lottare con mille problemi, ma era altrettanto sicuro che Demelza fosse una persona onesta e che il matrimonio con Hugh non fosse assolutamente messo in discussione. "Che consigli di fare?".

Demelza scosse il capo, assorta, tornando a pensare alla insensata morte di Francis. "Un'amicizia discreta, un telegramma di condoglianze, nulla più. Lo apprezzerebbe più di qualsiasi altra cosa".

"Ha bisogno di denaro e fiducia nella sua impresa e nelle sue capacità, non di una amicizia discreta!" - sbottò l'uomo.

Demelza strinse i pugni, frustrata che non capisse. Che non VOLESSE capire... Perché sapeva che Falmouth non voleva pensare al lutto degli altri e a quanto fosse devastante viverlo perché pensarci, significava ammettere che presto sarebbe capitato anche a lui e tutto avrebbe perso senso. "Sta piangendo suo cugino, dubito che il resto possa interessargli".

Si voltò a guardarlo e a Falmouth mancarono le parole per ribattere.

E in quel momento, trafelata, arrivò la domestica che era stata lasciata al capezzale di Hugh. "Signore, signora".

Falmouth le si avvicinò. "Cos'hai, cos'è questa foga?".

La ragazza guardò con rammarico Demelza e poi, quasi intimorita nel dirlo, abbassò il viso mentre si decideva a parlare. "Il tenente Armitage sta avendo un'altra crisi e chiede della signora".

Il cuore di Demelza parve prima fermarsi e poi accelerare di colpo. Senza chiedere ulteriori spiegazioni corse verso le scale, a perdifiato, salì al piano di sopra maledicendosi per aver lasciato solo suo marito per mezz'ora e poi piombò nella stanza.

Hugh, sprofondanto sotto una pesante coperta, si dimenava dal dolore, tossiva sangue e sembrava percorso da un male oscuro che lo prendeva a morsi. Gli apparve ancora più delicato e fragile di quanto non fosse mai stato, tutta la loro vita insieme le scorse davanti agli occhi e capì che erano davvero alla fine. Nessuno lo aveva mai detto ad alta voce ma tutti sapevano, in cuor loro, che quel momento sarebbe arrivato.

Dietro di lei, sentì la presenza di Falmouth che l'aveva seguita. L'uomo, pallido e improvvisamente con sguardo smarrito e senza speranza, stava forse pensando alle stesse cose. La guardò e capì che era spaventata quanto lui e con un gesto affettuoso le diede una leggera spinta verso il letto.

Demelza annuì, capì che Hugh aveva bisogno di lei e che doveva essere forte e coraggiosa. Si avvicinò, si sedette accanto a lui e gli prese la mano. "Hugh...".

Lui, smettendo di agitarsi, aprì gli occhi a fatica. "Amore mio, dov'eri?".

Gli occhi di Demelza si inumidirono. "Mi sono allontanata un attimo perché avevo bisogno di fare un bagno e mi sono fermata a guardare il giardino mentre tornavo in camera".

Lui tentò di sedersi ma fallì, risprofondando fra i cuscini. "Ti aspettavo...".

"Perdonami, non mi allontanerò più. Dove hai male?".

"Alla testa... E la tosse, mi spacca i polmoni, non riesco a smettere".

"E le gambe e le braccia? Ti fanno ancora male anche loro?".

Hugh scosse la testa mentre anche Falmouth si avvicinava al letto. "No, non le sento nemmeno".

Demelza e Falmouth si guardarono negli occhi, spaventati. Era un bene? O un male? "Vuoi un pò di medicina?" - chiese la donna.

Ma Hugh, con un grande sforzo, si rifiutò con fermezza. "Basta, non voglio più quella droga! Se devo dormire, allora avrò tempo da morto per farlo! Ma finché respiro, voglio vederti!".

Demelza sentì gli occhi pungerle ma si impose di essere forte. In fondo lo sapeva anche lei, quelle medicine erano inutili... E quel poco tempo che restava loro, era quanto di più prezioso avessero e non andava sprecato. "Come vuoi".

"Almeno qualche goccia di cordiale" – suggerì Falmouth, cercando di mantenere ferma la voce.

"Zio, no" – rispose Hugh, con fermezza ma anche gentilezza. C'era sempre stato grande affetto verso suo zio, era stato un padre per lui e sapeva quanto soffrisse in quel momento e avrebbe fatto di tutto per dargli conforto. Ma sapeva che non era in suo potere farlo...

"E sia" – si arrese Falmouth.

Hugh sorrise, poi tornò a guardare Demelza. "Fa freddo, vero?".

"Sì, è inverno ormai. Fuori c'è la neve".

Gli occhi di Hugh parvero perdersi in ricordi lontani. Li chiuse e per un attimo parve persino smettere di respirare, ma poi li riaprì. "Amo la neve. Terrai le mie poesie? Ne ho scritte molte sulla neve".

"Le conserveremo insieme a quelle che scriverai quando starai meglio" – rispose lei, con voce rotta.

"Sì, certo".

Hugh guardò suo zio, cercando di riprendere un fiato sempre più flebile. "Mi sarebbe piaciuto che fossi più contento di me".

Falmouth gli sfiorò la mano. "Sono sempre stato contento di te".

"E la politica? Non mi è mai piaciuta e questo non è piaciuto a te".

Falmouth si sforzò di sorridere. "Ah, hai un animo troppo buono e gentile per i demoni che affollano Westminster. Meglio così, che te ne sia rimasto lontano. Sei rimasto umano, in questo modo...".

Hugh parve essergli grato per quelle parole che in un certo senso rimettevano pace nel suo animo tormentato dall'estate precedente in cui aveva cercato di diventare simile a Ross Poldark per piacere di più a lui e a sua moglie. "Grazie zio... Ti prenderai cura della mia Demelza?".

"E' mio dovere prendermi cura di tutti voi e continuerò a farlo".

Demelza intervenne. "Hugh, non ti sforzare" – gli intimò, incapace di ascoltare certi discorsi.

Lui parve non volerla sentire. Tossì di nuovo e il fiato tardò a tornare... Prese ad ansimare e ad agitarsi di nuovo come in cerca d'aria e Demelza gli tenne la mano, stretta. "Hugh, sono quì, tranquillo".

Lui la guardò ancora una volta, intensamente, con lo sguardo di qualcuno che guarda ciò che c'è di più bello al mondo. "Mi ami?".

Lei gli sorrise, baciandolo lievemente. "Certo, lo sai". Lo aveva sempre amato, di un amore tenero e gentile e questo sentimento lo avrebbe portato dentro di lei per sempre.

Hugh rispose alla stretta alla sua mano, lievemente, comprendendo la sincerità dei suoi sentimenti. "Sì, lo so...".

E poi chiuse gli occhi, reclinò il capo di lato e in un attimo, senza quasi che i presenti se ne accorgessero, smise di respirare.

In pace col mondo e con chi aveva più amato, Hugh Armitage lasciò la sua vita mortale in un freddo giorno di neve...

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ***


Nonostante la sua natura fosse votata all'ottimismo e alla perseveranza anche davanti alle più grosse difficoltà, Demelza pianse, pianse a lungo senza che nessuno riuscisse a fermare le sue lacrime, pianse il giovane che l'aveva resa donna e le aveva dato una famiglia, pianse il marito tenero e gentile che Hugh era stato, pianse per una vita che poteva ancora essere lunga ed intensa e che invece era stata recisa nel fiore degli anni, pianse per quella neve che lui amava e non avrebbe più visto, per i Natali che non avrebbe più festeggiato, per i disegni e le poesie che non avrebbe più composto, per i pranzi che non avrebbe più gustato, per quella sensazione piacevole che da l'aria fresca sul viso che non avrebbe più assaporato...

Furono mesi difficili per lei dove anche mangiare era un'impresa e si doveva costringere a farlo. Passò a letto lunghi giorni e lunghe notti a bagnare il cuscino con le sue lacrime, senza vedere nulla davanti a se e senza comprendere cosa ne sarebbe stato della sua vita, come se la morte di Hugh avesse tolto anche a lei ogni velleità e fiducia nel futuro.

Per Natale però si impose di mettere qualche addobbo nel salotto principale, non perché avesse voglia di festeggiare ma perché sapeva che Hugh lo avrebbe apprezzato. Amava il Natale...

Falmouth invece si era rimesso al lavoro subito. Instancabilmente, giorno e notte, come se quella fosse la sua unica via di fuga da quel dolore che non voleva affrontare fino in fondo.

Si erano visti poco dopo la morte di Hugh, lei chiusa nel suo dolore, lui alla ricerca di una via di fuga per sfuggirgli. La servitù, mandata da Falmouth per accertarsi che lei stesse bene e mangiasse, non smetteva di fare capolino nei suoi appartamenti per chiedere di cosa avesse bisogno, ma lei non aveva bisogno di niente. Tutto ciò che voleva era vedere Hugh in salute in giro per quelle stanze e un futuro ancora da scrivere per lui e lei, mentre ora si sentiva sola, in balia degli eventi, chiusa in una famiglia che certo, era la sua, ma in realtà era la famiglia di Hugh a cui non aveva nemmeno dato un erede. Falmouth le voleva bene, il matrimonio l'aveva legittimata ad entrare fra i Boscawen ma Demelza si chiedeva che senso avesse ora la sua presenza lì, per tutta la vita. Non era che una ragazza venuta dal nulla di Illugan, che se ne faceva adesso Falmouth di lei?

Aveva paura, non tanto per l'incertezza economica del suo futuro... Aveva iniziato a lavorare fin da quando era piccola e lo avrebbe fatto ancora senza problemi se necessario, non era questo a terrorizzarla quanto piuttosto l'allontanamento emotivo da lei delle persone che aveva imparato ad amare e considerare una famiglia... Ora che Hugh era morto, l'avrebbero ancora voluta fra loro o si sarebbe ritrovata completamente sola al mondo?

In fondo Falmouth con la morte di Hugh, spinto dal dolore si era allontanato da tutto e tutti e lei si sentiva spersa in quella casa in cui ufficialmente era una padrona ma dove di fatto iniziava a sentirsi ospite.

Ma il vero problema era un altro. Demelza sapeva, aveva sempre saputo che quello non era il mondo adatto a lei e che tutto ciò che l'aveva legata ai Boscawen era il matrimonio con Hugh. Ma ora, aveva ancora senso rimanere lì per sempre? Vegetando, usufruendo di ricchezze di una famiglia di cui faceva parte solo per acquisizione... Lei e Hugh non avevano avuto figli, non c'erano eredi da crescere e quindi, che senso aveva? Che senso AVREBBE AVUTO la sua vita? Avrebbe fatto la mantenuta usando il patrimonio di Hugh? Avrebbe pesato sulle – seppur floride – finanze dei Boscawen come un peso morto? Non voleva questo, non voleva affatto approfittare della gentilezza di una famiglia che l'aveva accolta nonostante le sue umili origini... Amava e rispettava troppo Lord Falmouth per scegliere la strada più facile.

Ma se si guardava attorno, ogni altra via le pareva sfumata, inconsistente, priva di sbocchi... Era spersa, senza il supporto di Hugh, senza nessuno a poterla sorreggere nel suo dolore e nel suo lutto. E nelle scelte che avrebbe dovuto fare...

E allora piangeva, si chiudeva in camera e la sua mente annullava tutto il resto finché, singhiozzando, non finiva per addormentarsi sfinita.

E fu così, per tutto quel lungo e freddissimo inverno. Tutto ciò che lei sapeva era che c'era un tempo per tutto: il tempo delle lacrime, quello del lutto, quello del dolore sordo e infine, dopo questo lungo percorso, uno spiraglio per ricominciare a guardare il mondo con occhi nuovi. E lei era all'inizio di questa lunga strada.


...


La Wheal Grace era stata chiusa per tutto l'inverno e la stagione, freddissima e ventosa quell'anno, era stata durissima per tutti gli abitanti del distretto. Poco denaro, poco cibo, poche speranze per un futuro migliore, epidemie di febbre, vento, pioggia e neve incessanti e un cielo perennemente plumbeo che non aiutava a risollevare gli animi.

Il mare era stato furioso per mesi, infrangendosi fragorosamente contro le coste per lunghe giornate e nottate e il fragore delle onde che si disintegravano sulle rocce, di notte, faceva sobbalzare chi viveva più vicino alla spiaggia.

Ross aveva trascorso quei mesi per lo più chiuso in casa, metitabondo nel suo studio. Henshawe e Zacky erano andati spesso a fargli visita e insieme avevano discusso di miniere, di nuove aperture, di un nuovo tentativo di usare i fondi ottenuti a Londra per cercare di salvare il salvabile e magari trovare qualche filone promettente ma Ross, nonostante il dolore per Francis fosse diventato da violento a sordo e strisciante, non si era mai convinto del tutto a voler riprovare. Era tutto così assurdo e senza senso, ora... Come poteva alimentare la sua speranza quando Francis non avrebbe più potuto farlo?

Certo, di notte e da solo, quando non riusciva a dormire, gli era capitato di sgattaiolare fino allo studio per guardare mappe di cunicoli e gallerie alla ricerca di qualche miracolosa idea che potesse risollevarlo da quel momento buio, ma alla fine si rimetteva a letto senza trovare la forza e il coraggio di ritentare.

Il maltempo lo aveva reso ancora più solitario ed eccetto Prudie e Jud e i suoi migliori amici, difficilmente usciva di casa per vedere altre persone.

Eccetto per un motivo, andare a Trenwith...

Lì c'era la sua famiglia, c'era zia Agatha, c'era Verity e poi anche Geoffrey Charles... Ed Elizabeth... Andare da loro, rendersi utile per loro, per LEI, ritrovare un senso di calore e famiglia erano un balsamo per il suo animo annebbiato e solitario.

Il capitano Blamey, ormai fidanzato ufficialmente con Verity, dopo la morte di Francis si era recato spesso a Trenwith per aiutare dove poteva, quando era a terra e non per mare, in lavori 'da uomo'. Dava una mano nella gestione del giardino e della servitù, controllava i libri paga dei camerieri, teneva pulite le canne fumarie del camino e con Ross si preoccupava di portare legna da bruciare per scaldarsi dai rigori dell'inverno. Agatha continuava a borbottare davanti alle sue carte, Geoffrey Charles lo aspettava sempre con impazienza ed Elizabeth... Oh, era così piacevole vedere il suo sollievo quando lo vedeva arrivare. Gli sorrideva in modo amabile, lo trattava come se fosse il suo salvatore e questo lo rendeva ancora fiero di se stesso e attenuava i sensi di colpa per la fine di Francis. Forse non era un buono a nulla e lei ogni volta sembrava volerglielo ricordare.

Averle restituito il denaro investito da Francis nella Wheal Grace aveva dato alla donna un attimo di respiro e una tranquillità economica che di certo non sarebbe durata per sempre e non le avrebbe permesso di nuotare nell'oro, ma quanto meno non avrebbe patito la povertà. Non era nata per questo e Ross era convinto che non meritasse nulla del genere.

La guardava di sottecchi e ogni volta, sempre più, le sembrava rimasta immutata. Era come allora, come l'angelo sedicenne che aveva conosciuto anni prima. Bella come allora e lui le era devoto, come allora... E questo sentimento, giorno dopo giorno, visita dopo visita, si accresceva sempre più...

In giro c'erano voci su di lei, Henshawe gli aveva raccontato di aver sentito, a Truro, pettegolezzi circa un suo avvicinamento a George Warleggan. Ma Ross non ci credeva, non ci avrebbe mai creduto! Elizabeth era troppo leale e giusta per una cosa del genere, non si sarebbe mai avvicinata a qualcuno che lo aveva quasi messo su una forca e che da anni cercava di distruggere i Poldark e inoltre... si sarebbe confidata con lui. Avevano parlato spesso in quei mesi e ogni volta l'aveva sentita più vicina. Non gli avrebbe taciuto una cosa simile!!! Lei non lo avrebbe fatto e lui non l'avrebbe offesa chiedendoglielo direttamente. Sarebbe stato come un atto di sfiducia verso di lei e Ross non aveva la benché minima intenzione di arrecarle un'offesa del genere. Tutto ciò che voleva era starle vicino, in qualsiasi modo lei avesse voluto... E man mano che passavano i giorni si illudeva e pensava che quanto da sempre, segretamente, aveva desiderato assieme a lei, stesse nuovamente diventando un sogno comune... E forse questo, assieme a poche altre cose, avrebbe potuto fargli riconsiderare di riaprire la miniera: dare speranza ai minatori, certo, i suoi più cari amici... Ma anche cercare un modo per sopravvivere e prendersi cura della sua famiglia. O di quella che avrebbe potuto esserlo...

Solo questo contava, solo questi pensieri lo spingevano ad alzarsi al mattino e tutto il resto sembrò cessare di esistere nei suoi pensieri in quell'inverno lungo e difficile.

Fu solo a febbraio che casualmente, durante una sua visita a Trenwith, Elizabeth lo riportò a una realtà alternativa che aveva accantonato nella sua mente fin dal ritorno da Londra.

Seduta davanti al camino nella speranza di scaldarsi le mani in un giorno freddo e ventoso Elizabeth, osservando il quadro commemorativo di Francis, si era fatta pensierosa. "Sai, ieri è venuta mia madre".

Ross, seduto nella sedia accanto a lei, non era riuscito ad evitare un ghigno irriverente. Il suo astio per la madre di Elizabeth non era mai stato un segreto e non riusciva a dissimulare nemmeno davanti alla donna. "Oh, per fortuna allora sono venuto oggi!".

Elizabeth sospirò. "Ross, sai che mia madre ha sempre agito per il mio bene e che non ha mai cercato di danneggiarti per antipatia".

"Mi stai dicendo che è stato il destino ad imporle di mantenere con me quel suo atteggiamento di... distacco e alterigia?".

Elizabeth voltò il viso verso il fuoco, evitando di rispondergli. In realtà sua madre era venuta spesso a Trewith per perorare un suo avvicinamento ai Warleggan e sapeva anche che altrettanto spesso si vedeva con George, ma questo era meglio che Ross non lo sapesse. Non avrebbe reagito bene ad un suo avvicinamento al suo acerrimo nemico e avrebbe reagito ancor peggio sapendo che dopo Natale, George le aveva chiesto, con un lungo giro di parole, di considerare un matrimonio con lui. E Ross non avrebbe digerito la sua risposta non negativa... Aveva solo chiesto tempo per pensare, per soppesare, per superare il lutto. Così aveva detto per prendere tempo perché in realtà non era ancora pronta a scegliere. O meglio, sapeva bene cosa voleva ma non era ancora pronta a quel passo... George le avrebbe garantito un futuro ricco e agiato, a lei e a suo figlio ma Ross era il suo sogno da ragazza e amava essere adulata da lui, vezzeggiata, coccolata. Se avesse detto subito sì a George, questo sarebbe finito, Ross non l'avrebbe presa bene e tutto sarebbe cessato fra loro. E la sua ammirazione si sarebbe trasformata in dispezzo ed Elizabeth questo non poteva sopportarlo... Ross non era l'uomo per lei, lo sapeva, non era qualcuno che potesse garantirle lo stile di vita per il quale era nata e lei non era disposta a vivere alla giornata nell'indigenza, ma... Ma era affascinante come George non sarebbe mai stato, era forte, bello, sfrontato... E questo le piaceva e lo voleva ancora per se. Tutto per se!

Ross, osservando quanto fosse pensierosa, azzardò una battuta. "Quando si parla di tua madre, finisce sempre con un clima gelido. Per il nostro bene, dovrebbe essere un argomento tabù, non trovi?".

Come destatasi dai suoi pensieri, Elizabeth annuì. "In realtà non volevo parlarti di lei ma delle notizie che mi ha portato".

"Quali notizie?".

"Del tuo benefattore, Lord Falmouth".

Ross spalancò gli occhi rendendosi conto che per tutti quei lunghi mesi Falmouth, Londra, la politica e tutto quello che lo avevano catturato erano come stati rimossi da ogni suo pensiero come se al mondo, per lui, non esistesse che Trenwith. "Oh... Sta bene?".

"Non lo hai più sentito via lettera?" - gli chiese Elizabeth, stupita.

"No e sono pessimo, lo ammetto! Devo rendere conto del prestito per cui ha intercesso per me a Londra e da quando ho saputo di Francis...".

Elizabeth deglutì, pensando al suo defunto marito e a quanto stava per succedere con George. Poi scosse la testa, accantonando per un altro momento quei pensieri. "Mia madre mi ha detto che l'altro ieri, mentre era a prendere il tè dalla baronessa Linley, ha sentito del lutto che lo ha colpito".

Ross sussultò mentre il pensiero di lunghi capelli rossi troppo a lungo dimenticati, improvvisamente tornava a tormentarlo. "Lutto? Chi..." - chiese, con terrore.

"Suo nipote Hugh. Lo ricordi? Lo abbiamo conosciuto al ballo che si era tenuto la scorsa primavera a casa loro".

Ross spalancò gli occhi. Hugh? Il marito di Demelza? Che non stesse bene di salute lo aveva capito, ma aveva sempre ipotizzato che si trattasse di malesseri ingigantiti dalla tempra debole e dal carattere viziato di un giovane cresciuto nella bambagia. E invece, a quanto sembrava... Ora capiva l'apprensione che spesso aveva visto negli occhi di Demelza e il modo in cui lei spesso sembrava volerlo proteggere... Si sentì meschino ad aver pensato male di lui e provò dolore nel pensare a lei e a quanto stesse soffrendo... Per mesi non aveva più pensato a Demelza e ora Elizabeth, quasi come un gioco del destino, l'aveva riportata, reale, nella sua mente. "Di cosa è morto?".

"Non si sa, pare che fosse malato da tempo e che le sue condizioni si siano aggravate dopo il viaggio a Londra con te lo scorso autunno".

Ross rimase attonito, in silenzio, ancora una volta stupito dalla crudeltà della vita che a volte da ma più spesso prende senza nemmeno chiedere...

Elizabeth si accigliò. "Sembri annientato! Non sapevo fossi diventato suo amico".

Ross scosse la testa. "In realtà no, eravamo troppo diversi di carattere per esserlo. Sto pensando a Falmouth e a sua moglie, immagino che per loro sia una tragedia immane".

Elizabeth alzò le spalle, stringendosi nello scialle. "Per Falmouth sicuramente, era il suo unico erede e aveva alte aspettative su di lui, anche se so che Hugh le ha disattese tutte. Per lei...".

La voce di Elizabeth si fece acida e Ross ricordò che Demelza non le era mai piaciuta e non riusciva a capire il perché. "Lei?".

La donna si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lui. "Ross, sei davvero buono e ingenuo. Lei era una sguattera e ora si trova ad ereditare la fortuna del marito. Dubito che abbia pianto di dolore, se non forse per salvare le apparenze... Si trova fra le mani una fortuna che non dividerà con nessuno, nemmeno con dei figli che non è riuscita a partorire. Unica erede... E' una donna furba, ha giocato bene le sue carte e le è andata bene".

Ross si trovò ad essere irritato da quelle parole che, se non fosse stata Elizabeth a pronunciarle, avrebbe giurato dettate da una insana invidia. "Dubito che le cose stiano così, LEI non è così. Capisco che tu possa giudicarla a questo modo visto da dove arriva e il suo passato, ma Lady Boscawen è una delle persone più gentili e generose che io abbia conosciuto".

Elizabeth si accigliò, indispettita. "Ross, non volevo offenderla ma solo essere realista. Comprendo che tu possa aver trovato piacevole la sua compagnia, è una donna che ha già dimostrato con Hugh Armitage di saper essere più che gradevole, ma vedi, non devi affezionarti troppo a persone così. E' nata nella miseria ed è normale che cerchi di sgomitare e di accaparrarsi tutto il possibile stringendo le amicizie giuste...".

"Non è così!" - ribadì lui. Anche se era Elizabeth a dirlo, non ci avrebbe mai creduto. La ricordò mentre rideva felice mentre cavalcava libera coi suoi lunghi capelli al vento, mentre aiutava gli operai nella costruzione della scuola di Truro, mentre giocava coi bambini dell'orfanotrofio a Londra e tutto ciò che sentiva era che era esattamente l'opposto di quanto Elizabeth pensava.

La donna si morse il labbro, decisamente scocciata da quell'atteggiamento protettivo di Ross verso una donna che non era lei. Poi decise di sfoderare la sua arma migliore, la gentilezza e la femminilità con cui da sempre sapeva ammaliarlo per riportarlo dalla sua parte. Gli accarezzò il viso, gentilmente, sorridendo. "Sai, come per mia madre, dovremmo evitare di parlare di lei per finire col discutere".

Ross la fissò di rimando, stavolta incapace di sorridere. "Sono d'accordo".

"Sei troppo buono" – insistette lei – "E questo a volte ti spinge a fare considerazioni sbagliate sulle persone. Non è un difetto, è un pregio essere buoni ma rende più esposti".

"Non sono stupido" – la ammonì. Quel discorso lo stava decisamente innervosendo.

"Non l'ho mai pensato! So solo che hai un gran cuore e io lo voglio proteggere".

Ross si alzò in piedi, stranito da tante, troppe cose: lo strano miscuglio di sentimenti che risvegliava in lui Elizabeth, quanto appreso da lei su Hugh, il pensiero di Demelza... "Devo andare!" - disse, desideroso solo di prendere aria.

"Non resti a cena?" - chiese lei, comprendendo che stavolta le sue moine non stavano funzionando del tutto e che forse lo aveva irritato più del necessario...

"No, sta per piovere e preferisco arrivare a Nampara prima che questo succeda!".

"Capisco" – rispose lei, suonando un campanellino affinché il maggiordomo arrivasse per scortare Ross fuori da Trenwith.

Lui la guardò, la salutò gentilmente come sempre ma poi, frettolosamente, irritato non sapeva nemmeno lui da cosa, si congedò.

Elizabeth rimase alla finestra ad osservarlo andare via a cavallo, cavalcando furiosamente. Avrebbe preferito che rimanesse a cena per riuscire a farsi 'perdonare' per i dicorsi circa Lady Boscawen che lo avevano irritato tanto, ma in fondo, forse, era meglio così. Ross avrebbe meditato e sarebbe arrivato a prendere le distanze da quella piccola arrampicatrice sociale, avrebbe avuto occhi ancora per lei e tutto sarebbe stato dimenticato in fretta. Non era ancora pronta a diventare la seconda, ai suoi occhi...

Anche se presto forse sarebbe successo, se non giocava bene le sue carte...

Tornò alla sua camera e si avvicinò al letto sopra il quale era posata una grande scatola di cartone. La aprì, fermandosi ad osservare il meraviglioso vestito color ghiaccio che conteneva, di seta, che George Warleggan le aveva fatto recapitare quella mattina. Sarebbe stata bellissima al ballo della Contessa Densten e lei e George, lì, sarebbero stati ammirati da tutti. E lei adorava essere ammirata, era nata per questo e in virtù di ciò non si sentiva in colpa ad agire come stava agendo!

Ross la adorava e avrebbe capito... E tutto sarebbe andato bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo ventitre ***


Quello che era seguito alla morte di Hugh, era stato un anno di 'non vita' per Demelza. Per lunghi mesi aveva vissuto sulla sua pelle un dolore sordo ma bruciante, aveva pianto ogni lacrima che avesse in corpo e raramente era uscita di casa, se non quando strettamente necessario o per far visita alla tomba del marito.

Certe volte le sembrava ancora impossibile che lui non ci fosse più e che ogni sua passione, ogni suo sogno, ogni sua speranza fosse morta con lui. Non avrebbe più scritto poesie o fatto disegni, non avrebbe più rivisto il mare che amava, non avrebbe più respirato accanto a lei nel letto, ogni notte, faendola sentire al sicuro dentro quel mondo che sentiva spesso tanto estraneo rispetto a lei.

Dopo un inverno freddo fuori e dentro il suo cuore, con Falmouth votato anima e corpo al lavoro e lei sempre più sola in una grande casa di cui era padrona senza sentirsi realmente tale, era giunta una primavera dapprima piovosa e poi, di colpo, precocemente calda.

E lì, a quel punto, con Garrick al suo fianco, aveva ripreso ad uscire non tanto per vezzo quanto perché cominciava ad odiare quel suo improduttivo immobilismo.

Per tutta l'estate, assieme al suo cagnolino, si era recata giornalmente all'orfanotrofio che seguiva quando si trovava nella capitale e giocando coi bambini, condividendo il loro mondo, rendendosi utile nel cucire loro vestiti e intagliare piccoli giocattoli in legno, aveva ripreso timidamente a sorridere e soprattutto a sentirsi utile a qualcosa. Garrick era sempre stato con lei ed ormai, dai piccoli, era considerato una star e un ospite gradito quanto la sua padrona.

Con quei bambini era un pò rinata e nonostante il dolore per la perdita di suo marito fosse ancora lacerante, aveva raggiunto l'obiettivo di non piangere più ogni volta che si coricava e di guardare ancora alla vita con ottimismo perché pur nel dolore per chi se n'era andato, era una sua certezza che chi era rimasto aveva il dovere di vivere.

A fine agosto, Falmouth aveva annunciato il loro ritorno in Cornovaglia.

Per tutto quell'anno, stranamente, Demelza non aveva sentito nostalgia per la sua casa di campagna di laggiù, nei pressi di Truro. Ed era un qualcosa di insolito per lei perché quella era la sua terra e la tenuta che avevano i Boscawen in quei luoghi non era così spaventosamente altera, elegante e sontuosa come quella di Londra, eppure... Eppure tornare laggiù senza Hugh, nei luoghi dove si erano conosciuti, era un passo che aveva continuato a rimandare. Sarebbe stato l'ufficiale inizio di una nuova fase della sua vita e non era ancora certa di essere pronta a incontrare le sue origini e a fare scelte che magari, con Hugh in vita, non avrebbe considerato...

Aveva mille possibilità davanti ed era l'unica detentrice del suo destino: poteva tornare ad Illugan e col denaro ricevuto in eredità, migliorare le condizioni del suo villaggio natale. Avrebbe potuto comprarsi una casa a Truro dove essere vicina ma comunque indipendente da Falmouth, avrebbe potuto fare mille cose che magari non le venivano ancora in mente ma una cosa su tutte avrebbe dovuto fare per prima: partecipare all'inaugurazione della scuola che aveva voluto aprire, quasi due anni prima, con l'aiuto di Hugh.

Era per questo che rientravano in Cornovaglia e Falmouth pareva scalpitante all'idea dell'inaugurazione di quella scuola che, si era scelto, era stata dedicata alla memoria di Hugh Armitage.

Demelza non aveva mosso obiezioni a quella scelta, le faceva piacere che il nome di suo marito, amante di arte e cultura, fosse associato a una scuola, l'unica nota stonata era che il progetto iniziale scelto insieme era stato stravolto con l'arrivo degli azionisti e di quanto sognato da lei e Hugh era rimasto ben poco.

Erano partiti da Londra in una giornata tiepida di fine agosto ed erano giunti in Cornovaglia, dopo una serie infinita di soste a causa del mal di schiena di Falmouth, dopo tre giorni.

I domestici avevano fatto trovare la casa in ordine, linda e pulita, il giardino era rigoglioso e curato e i vialetti erano stati puliti da foglie e petali che vi erano caduti.

Per Demelza, nonostante la paura e il timore iniziali di tornare, varcare quel cancello era stata una boccata d'aria fresca. Il suo mondo, il suo adorato giardino, la sua terra, i domestici con in bocca quell'accento cornish che a Londra le era mancato tanto, tutto lì le ricordava Hugh ma non in maniera angosciante. Era dolce pensarlo, in Cornovaglia. Lì si erano conosciuti, lì lui era stato felice e lì era stato bene, non c'erano ricordi negativi a ricondurla a lui come succedeva a Londra, lì si celebrava la bellezza di una vita, non il triste cammino verso la morte.

L'inaugurazione si era tenuta la seconda domenica di settembre, a pochi giorni dall'inizio della scuola che, inizialmente, avrebbe ospitato quindici studenti paganti e in un'aula a parte, cinque non paganti.

La giornata era stata ventosa ma serena e Demelza, per la prima volta in pubblico dopo la morte di Hugh, aveva scelto di indossare un abito blu scuro che non risultasse troppo frivolo. A casa indossava ancora il nero del lutto e anche a Londra, quando usciva, aveva fatto altrettanto ma in Cornovaglia, per quell'occasione, Falmouth le aveva imposto un colore diverso. Aveva scelto comunque un colore scuro, non se la sentiva ancora di mettere colori sbarazzini come era stato un tempo e le sembrava di mancare di rispetto a Hugh se lo avesse fatto.

L'inaugurazione era andata bene e vi aveva assistito una piccola folla di curiosi, alcuni bambini e ovviamente, le autorità cittadine che si erano profuse in pomposi discorsi sull'istruzione e sulla grandezza dell'opera.

Demelza aveva ascoltato in silenzio e a lei era stato dato l'onore di tagliare il nastro che inaugurava ufficialmente la scuola che avrebbe portato il nome di Hugh. Dopo di che era stata condotta, con Falmouth, all'interno dell'edificio per dare un'occhiata agli ambienti e agli arredamenti.

L'aula per gli studenti paganti era la più grande, i banchi erano stati costruiti con legno pregiato e levigato, gli spazi per ogni alunno erano agevoli, alle pareti c'erano appendiabiti e la cattedra dell'insegnate era grande e austera, esattamente come la lavagna. L'aula per i bambini non paganti era più piccola, arredata con un grande tavolo di seconda mano attorno al quale si sarebbero seduti gli studenti, al posto della cattedra l'insegnante si sarebbe seduto a capo-tavola e non c'erano né appendini né lavagna, a differenza dell'altra classe. Demelza, osservando la differenza fra i due ambienti, sospirò scoraggiata ma poi si consolò col pensiero che un'aula anche piccola, spoglia e senza pretese, con un bravo insegnate avrebbe potuto comunque dare tanto ai suoi piccoli allievi e di certo era ben più di quanto offerto a lei da piccola.

Sul retro era stato allestito un cortile ornato da grosse piante sotto le quali, all'ombra, avrebbero potuto riposarsi e giocare i bambini e in fondo anche se era ben lontana dall'idea originale, a Demelza la scuola piacque.

Dopo il giro, un breve banchetto fu offerto agli invitati e Demelza ebbe modo di conoscere le due maestre che si sarebbero occupate dei bambini, due giovani ragazze dallo spiccato accento cornish, dai lineamenti gentili e dai modi affabili che di certo avrebbero saputo rapportarsi al meglio ai loro piccoli allievi.

"Ho scelto io stesso le maestre" – le disse Falmouth mentre sorseggivano del Porto durante il ricevimento.

"Davvero?".

"Sì! I soci volevano assumere due anziani maestri dall'aspetto burbero e austero e fedeli all'uso della bacchetta ma ho messo l'ultima parola e ho scelto dei maestri col gusto con cui le avresti scelte tu. In fondo questa scuola è una idea tua e mi pare giusto che almeno in qualcosa, visto che poi il progetto è stato stravolto, tu abbia l'ultima parola. Anche Hugh avrebbe approvato".

Dopo molto che non succedeva, Demelza sorrise di gusto. E se non fosse stato disdicevole, lo avrebbe anche abbracciato. "Grazie. Anche a nome dei bambini che non assaggeranno la bacchetta sulle mani".

Falmouth annuì soddisfatto e il banchetto proseguì in modo piacevole fino al primo pomeriggio.

All'ora di andare a casa, Demelza chiese di restare a Truro per una passeggiata e dopo aver rassicurato Falmouth che sarebbe volentieri rincasata a casa a piedi con una passeggiata, aveva fatto un giro per le bancarelle del mercato, sempre animate da gente e rumori di ogni genere.

Aveva voglia di fare qualche passo all'aperto, di sentire il profumo nel mare nelle narici, l'odore della campagna e di viversi la sua terra, la Cornovaglia. Era strano ma in quell'anno di lutto a Londra, non si era resa conto di quanto le fosse mancata...

Col sole che le baciava il viso, si avvicinò incuriosita a un negozio di stoffe e quasi si scontrò con una cliente che usciva. "Oh, scusate".

La donna, elegantemente vestita con un abito di seta azzurro pastello e con le mani piene di pacchi e pacchettini, la squadrò dalla testa ai piedi con aria di supponenza. "Lady Boscawen?".

Demelza, stupita, la osservò meglio e si rese conto subito di averla già vista qualche volta. Lunghi capelli neri perfettamente pettinati, sguardo austero, figura elegante e movenze aggraziate, la perfezione di una statua di ghiaccio... "Elizabeth Poldark?".

La donna si esibì in un perfetto inchino. "E' un piacere incontrarvi dopo tanto, non sapevo foste tornata".

Demelza si voltò verso la scuola. "Siamo rientrati da Londra solo da pochi giorni per l'inaugurazione della scuola" – rispose, osservandola meglio e non trovandola affatto deperita per il lutto che l'aveva colpita. Anzi, sembrava radiosa... "Come state?" - chiese gentilmente, cercando di apparire cortese nonostante non le fosse mai piaciuta, fin dal primo sguardo che si erano scambiate quasi due anni prima. Era una bellissima e raffinata persona eppure Demelza, da sempre, aveva avuto l'impressione che tanta artefatta perfezione nascondesse un animo profondamente diverso, freddo e sprezzante di chi non ritenuto alla propria altezza.

"Bene, e voi?" - rispose Elizabeth. "Ho saputo del vostro lutto e me ne sono davvero dispiaciuta, Hugh Armitage era così una brava e promettente persona".

"E' vero".

"Le mie condoglianze, Lady Boscawen. Anche se in ritardo...".

Demelza annuì, ringraziandola. "Anche io ho sentito del vostro lutto e ne sono rimasta sconvolta. Francis era davvero una persona piena di vita, di inventiva e dal carattere socievole e gentile, per quel poco che l'ho conosciuto. Dev'essere stata davvero una perdita terribile per voi e vostro figlio, mi dispiace così tanto...".

Elizabeth si morse il labbro, come irritata da quelle parole. "Avete detto giusto, lo conoscevate poco e non era sempre così perfetto come sembrava. Ma sì, è stato una grave perdita" – concluse, tornando a recitare la parte della vedova affranta.

Demelza rimase basita da quella risposta e ancora una volta si chiese perché lei la vedesse tanto imperfetta quando il resto del mondo la considerava la grazia fatta persona. Era la donna amata da Ross Poldark, ora che ci pensava... Era da molto che lui non bussava nei suoi pensieri ma Elizabeth gliel'aveva fatto tornare in mente in modo prepotente. Ora era libera, chissà in che rapporti erano quei due...?

Per un attimo cadde un silenzio imabrazzato fra le due e fu Elizabeth a spezzarlo. "E voi, com'è la vita senza vostro marito?".

"Non felice" – rispose, con sincerità.

Elizabeth sorrise freddamente, tornando a guardarla con aria di superiorità. "Immagino però che una donna con le vostre risorse, abbia trovato già una qualche sorta di consolazione".

A Demelza non sfuggì, dietro a quel tono mellifluo e gentile, un velato tentativo di ridicolizzarla e giudicare il suo vissuto. Sicuramente ad Elizabeth una donna come lei, che veniva dal nulla e che si era sposata con un ricco ereditiero, non piaceva e la considerava una furba procacciatrice di dote, ma non aveva intenzione di cadere nel suo tranello. "E' difficile trovare consolazione alla morte un marito" – disse solo, pensando a quanto le mancasse Hugh. "E voi? Avete trovato una qualche consolazione?".

Proprio in quel momento, come si trattasse di un capriccioso gioco del destino, un uomo uscì dal negozio assieme a un bambino biondo e si mise a fianco di Elizabeth con in mano altri pacchetti. "Geoffrey Charles ha chiesto in dono un nuovo tricorno e ovviamente non ho potuto negare tale dono al mio figlioccio. Assieme ad altri doni per voi, mia cara...".

Elizabeth si irrigidì, come sentendosi in imbarazzo. Guardò Demelza, poi l'uomo al suo fianco e poi il bambino e infine ancora Demelza. A disagio, evitando di guardarla negli occhi, infine le presentò il suo accompagnatore. "Lady Boscawen, vi presento George Warleggan, un caro amico di famiglia e padrino di mio figlio Geoffrey Charles".

Demelza si accigliò e poi, incuriosita, osservò quell'uomo dal viso dalla forma aguzza ma di fatto ordinario, con un cipiglio arrogante sul volto e i lineamenti solo apparentemente delicati ma che parevano esprimere una certa durezza. Per un attimo si mise a pensare dove avesse già sentito quel nome e poi si ricordò che a volte Falmouth aveva parlato, come di popolani miracolosamente arricchiti e ormai potenti e senza scrupoli, della famiglia Warleggan. Discendevano da un fabbro e nel giro di poche generazioni avevano messo da parte un'immensa ricchezza che famiglie antiche e ben più blasonate potevano solo sognarsi, diventando un'autorità in campo minerario. A Falmouth i Warleggan non piacevano, diceva che erano persone prive di morale e che avevano portato con calcolo alla rovina illustri gentiluomini e vedendolo di persona, nemmeno a Demelza quell'uomo suscitava buone impressioni. Come Elizabeth, del resto, che pareva piuttosto vicina a quell'uomo dalle indubbie risorse e ricchezze, vestito pacchianamente e in modo pomposo, che la guardava con una malcelata supponenza pur senza conoscerla ma di certo, giudicandola. Il bambino invece era molto grazioso, un piccolo principe dai capelli lisci e biondi e dagli occhi chiari che a Demelza ricordava Francis. Gli sorrise, chinandosi per essere alla sua altezza. "Ciao piccolo, è un piacere conoscerti" – gli disse, prima di rivolgersi agli adulti. "Ed è un piacere conoscere anche voi, signor Warleggan".

L'uomo guardò Elizabeth e poi lei. "Lady Boscawen... Oh, la giovane moglie del compianto tenente Armitage. In passato si è parlato molto di voi e di come siate riuscita a sposare uno dei più ambiti rampolli della zona. Mi congratulo per la vostra proficua intraprendenza".

Demelza sorrise di rimando all'uomo, ancora una volta intenzionata a non darla vinta a nessuno. Erano uguali lui ed Elizabeth, osservandoli le sembrava di vedere le due metà di uno stesso specchio e di certo parevano perfettamente accoppiati. Giuda, non ne era certa ma vedendoli parevano piuttosto intimi ed intenti a giocare alla famigliola felice... "Non ne dubito... La gente spesso ha vite talmente tristi a cui pensare, che preferisce interessarsi degli affari degli altri. Mi auguro che il pensarmi sia stata una piacevole compagnia per loro".

L'uomo serrò la mascella a quella battuta ed Elizabeth divenne di ghiaccio e come punta sul vivo, arrossì facendo ridere suo figlio. Tossicchiò per rimettere al suo posto il bambino, poi riprese padronanza di se. "Lady Boscawen mi stava appunto raccontando del suo lutto e le stavo chiedendo se avesse già trovato una qualche consolazione".

E lì, Demelza la gelò su due piedi, con poche semplici parole che esprimevano appieno quanto avesse inquadrato bene la situazione. "Purtroppo per me e il mio lutto, non ho trovato consolazione. A differenza di voi, signora".

E di nuovo, a quelle parole, Elizabeth divenne rosso fuoco, George serrò ancora di più la mascella e il bambino osservò i due incuriosito, senza capire cosa stesse succedendo. Una strana guerra di nervi, silenziosa, si stava combattendo fra gli adulti al suo cospetto e Geoffrey Charles, pur avvertendola nell'aria, non ne poteva comprendere le motivazioni.

E a quel punto Demelza, forse per la prima volta da quando aveva sposato Hugh, non si sentì inferiore a nessuno e provò orgoglio per se stessa e per il coraggio e la forza che sembrava aver acquisito negli anni anche davanti a persone ben più facoltose di lei. Fece un breve, beffardo inchino, salutò con finta benevolenza e poi si allontanò prendendo la strada che portava fuori Truro, verso la campagna e poi il mare, sentendo sulla schiena gli occhi dei due.

Li lasciò inebetiti in mezzo alla via, con la faccia di due stolti che da carnefici si erano trovati nel ruolo di vittime.

E mentre si allontanava, Demelza sorrise al sole. Non aveva nulla di cui vergognarsi ma di certo la situazione la incuriosiva. Elizabeth Poldark di quanto si era avvicinata a George Warleggan? E questo a che guerra avrebbe portato? Non era stato forse Falmouth a dire quanta inimicizia corresse fra le due famiglie? E Ross Poldark, che non vedeva da un anno, come vedeva tutto questo?

Tante domande, forse un pò frivole, dopo un anno passato a piangere, tinsero di rosa la sua giornata per la prima volta dopo molto tempo. Non voleva essere pettegola e di certo non le interessava la figura di Elizabeth Poldark né la sua vita... Se non l'avesse importunata con la sua supponenza, se ne sarebbe stata alla larga ma invece aveva punzecchiato una forza sopita in lei di cui nemmeno sapeva l'esistenza e aveva ricevuto in mezzo alla strada una risposta data con la medesima moneta usata dalla stessa Elizabeth: colpire con mezze frasi solo apparentemente cortesi ma in realtà sibilline e striscianti come un serpente...

Si sentì vincitrice e solo un triste pensiero la sfiorò, mentre raggiungeva le scogliere che diradavano sul mare. "Povero Francis..." - sussurrò con sinerità, mentre la sua voce si perdeva nel vento.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ***


"C'è una lettera per voi".

Ross aprì gli occhi, si girò nel letto ancora mezzo assonnato e si trovò davanti il faccione imbronciato di Prudie. "Lettera? - chiese, senza entusiasmo, pensando si trattasse dell'ennesimo creditore che gli ricordava i suoi debiti.

Prudie sbuffò e gliela mise fra le mani. "Chiunque sia, dite a questa persona di mandare a un'ora più consona del mattino, la sua missiva! Non sono nemmeno le otto, non è giusto, non è corretto, non è gentile andare a casa di un cristiano così presto!" - concluse, ciabattando rumorosamente fino alla porta.

Ross sospirò, chiedendosi cosa ci trovasse suo padre di tanto speciale in Jud e Prudie, poi aprì la lettera incuriosito.

Riconobbe subito la calligrafia elegante e sussultò ricordandosi quanto, in quell'anno, avesse disatteso a molte promesse e molti impegni che si era impegnato a portare a termine. In fondo, dentro di lui, non si aspettava forse una missiva simile? Pensò a Londra, ai desideri di Falmouth su di lui, al prestito ottenuto che non aveva fatto fruttare e a quanto fosse incerta e fallimentare la sua esistenza in quel momento. Aveva lasciato la capitale dodici mesi prima pieno di aspettative e si ritrovava senza denaro, senza miniera e pieno di debiti che non sapeva come ripagare.


"Gentile Ross Poldark,

dopo un anno di silenzio da parte di entrambi per dei gravi lutti che hanno colpito la mia e la vostra famiglia, mi ritrovo a farmi vivo per comunicarvi il mio ritorno in Cornovaglia per l'inaugurazione della scuola di Truro voluta da mio nipote e sua moglie. Ho intenzione di fermarmi a lungo stavolta, anche perché le elezioni per i nuovi membri del Parlamento si avvicinano e sono sempre alla ricerca di un promettente candidato che rappresenti la Cornovaglia a Westminster.

Molti accadimenti sono avvenuti nelle vite di entrambi e sicuramente questo ci ha spinto ad accantonare faccende più terrene ma è ora di riprendere in mano la situazione. So che la vostra miniera è chiusa e che al momento non avete prospettive per il futuro e per questo vorrei incontrarvi per un confronto. Le mie conoscenze alla Banca di Londra mi spingono a rassicurarvi sul vostro debito e sul fatto che nessuna imminente pressione verrà fatta alla vostra persona, tuttavia vorrei sapere cosa avete in mente per il futuro, per la vostra attività e per la carriera politica che potrebbe risolvere molti dei vostri problemi economici, se deciderete di abbracciarla.

Vi aspetto per un brandy e una chiacchierata nella mia dimora domani, nel primo pomeriggio, attorno alle ore 15. Spero non abbiate altri impegni ma nel qual caso, fatemi sapere tramite un messaggero quando potrò avervi come gradito ospite a casa mia.

In attesa di una vostra risposta che spero affermativa, vi saluto cordialmente.

Lord Falmouth".


Ross lesse e rilesse diverse volte la lettera, cercando qualche scusa per declinare l'invito. Ma alla fine non ne trovò e si rese conto che non andare, equivaleva ad una fuga davanti alle sue responsabilità verso un uomo che aveva creduto in lui e che molto lo aveva aiutato, in termini monetari. Non poteva farlo, non poteva e non voleva dimostrarsi un codardo e quindi sarebbe andato da lui, gli avrebbe detto la pura e semplice verità: che non sapeva cosa fare con la Wheal Grace, che non aveva più denaro, che non sapeva come ripagare i debiti e infine avrebbe ascoltato le sue proposte e forse cercato in lui qualche soluzione. Odiava farsi guidare dagli altri e ancor più essere influenzato dalle idee altrui, ma con Falmouth era diverso. Quell'uomo credeva davvero in lui e i suoi consigli sarebbero stati dati nel più assoluto e disinteressato modo. E in fondo la carriera politica, forse, avrebbe potuto aiutare chi attorno a lui era in difficoltà, se l'avesse fatta nel giusto modo...

Nel suo cesto, Sun si stiracchiò, miagolando e facendo le fusa. Poi saltò sul letto, col suo lungo e fluente pelo rosso che coi raggi del sole che entravano dalle finestre, assumeva tonalità dorate. Ross lo accarezzò, ricordandosi del giorno in cui l'aveva... l'avevano trovato.

Santo cielo, da quanto non pensava all'artefice dell'arrivo di quel gatto? Per quanto non aveva pensato ad altro che alle sue disgrazie? E improvvisamente il pensiero di Demelza gli fece prendere definitivamente una decisione circa la risposta da dare a quell'invito.


...


Ross arrivò alla residenza dei Boscawen in anticipo, dopo una nottata insonne e una mattina passata a Trenwith in compagnia di zia Agatha e Geoffrey Charles. Elizabeth era uscita per una passeggiata a cavallo e Ross sospettava fortemente che George si fosse unito a lei. Circolavano molte voci in proposito alla strana vicinanza fra i due e Ross sapeva che lui si era fatto vicino ed insistente con lei, alla disperata ricerca di attenzioni che da sempre desiderava ricevere da Elizabeth e, anche se a malincuore, l'unica volta che avevano affrontato l'argomento, le aveva detto che George poteva essere un buon amico e che inimicarselo sarebbe stato stupido. Era detentore di un'ipoteca su Trenwith e di certo non avrebbe avanzato pretese finché avesse avuto il favore dell'amicizia di Elizabeth e Ross, che lo conosceva bene, questo lo sapeva perfettamente. Inoltre George era ricco, poteva alleviare con dei doni la condizione di ristrettezza in cui versavano Elizabeth e Geoffrey Charles e di certo lei, con grazia, aveva diritto di accettare dei regali ed era più che abile a far capire che più di questo non poteva concedere. La morte di Francis, crudele ed inaspettata, aveva cambiato di molto le abitudini di Elizabeth e l'avevano gravata di tante responsabilità e quindi Ross pensava che non ci fosse nulla di male se attraverso George, poteva permettersi qualche piccolo sfizio. D'altronde lui più che vicinanza e affetto non poteva darle e la chiusura della Wheal Grace e l'impiego di parte del capitale ottenuto a Londra per saldare dei debiti, lo rendevano il meno generoso degli amici. Che doveva fare? Rischiare e riaprire la miniera come a volte mente, cuore e sangue che gli scorreva nelle vene sembravano gridargli? Oppure chinare la testa ai desideri di Falmouth e mettersi in politica in modo da avere uno stipendio fisso e assicurato? Forse a Londra avrebbe potuto fare qualcosa di buono per tutti coloro che, in Cornovaglia, sarebbero rimasti senza lavoro a causa della chiusura della miniera, pensò senza convinzione...

La domestica lo introdusse nella casa, indicandogli la strada verso il salone principale dove avrebbe potuto attendere il Lord con in mano un bicchiere di buon vino.

Furono le note di un pianoforte e la voce melodiosa di una donna ad accoglierlo, al suo ingresso.

Di Falmouth non c'era l'ombra ma al pianoforte, vestita ancora a lutto per la perdita del marito, c'era lady Boscawen. Il suo cuore si fermò per un attimo vedendola... Era un anno che non la incontrava, un anno dove erano successe tantissime cose ad entrambi che li avevano resi persone diverse e anche se una volta erano stati un qualche tipo di amici, di certo ora erano di nuovo praticamente estranei. Difficilmente, in quel difficile anno, aveva pensato a lei e le mille preoccupazioni che avevano gravato sul suo capo lo avevano allontanato da ogni sensazione che quella donna aveva saputo risvegliare in lui... Eppure, ora, vedendola, le parve bellissima tanto da accelerargli i battiti del cuore. I suoi capelli erano raccolti in una treccia e quella pettinatura le dava un'aria ancora più giovane, nonostante il suo viso fosse segnato da stanchezza e tristezza. Concentrata, suonava una armoniosa melodia al pianoforte, pensierosa, assorta come se il mondo circostante non esistesse per lei in quel momento. E canticchiava, sotto voce, una melodia incomprensibile al suo orecchio troppo distante che però ne colse l'intonazione di voce, l'armonia e la bellezza del suono.

Rimase a guardarla in silenzio, assorto, rapito dalla visione di lei. Si chiese dove avesse imparato a suonare tanto bene, a cantare e se avesse scelto di prendere lezioni per compiacere suo marito. In fondo, anche a Ross avrebbe fatto piacere avere una moglie che cantava in quel modo, si accorse a pensare, mentre la ascoltava.

Quando la donna finì, avanzò verso di lei e Demelza sussultò, come destata da un sogno. E quando si accorse della sua presenza, arrossì come una bambina beccata con le mani nel barattolo di marmellata. “Da quanto tempo siete qui?” - chiese, quasi incredula che lui, dopo tanto tempo, fosse lì.

Ross le sorrise un po' impacciato. “Il tempo necessario... Siete molto brava al pianoforte”.

Lei arrossì ulteriormente, rendendosi conto che aveva davanti una persona che le aveva fatto vivere forti emozioni, una persona che però gli eventi della vita le avevano fatto in un certo senso dimenticare e che quell'anno di lontananza e le persone nuove che entrambi erano forse diventati, avevano messo un velo sullo strano cameratismo e amicizia costruiti insieme in più occasioni. “Oh, lo strimpello e nulla più...”.

E avete una bellissima voce” - aggiunse lui, come se non l'avesse sentita.

Demelza non rispose, imbarazzata. Poi si alzò dallo sgabello, pronta a fare la padrona di casa. “Cosa vi porta qui? La domestica vi ha già offerto qualcosa?” - chiese, in un modo molto formale che non le apparteneva. Non aveva mai ripensato a Ross e a un loro ipotetico nuovo incontro dopo la morte di Hugh e anche se c'era stata una promessa in tal senso, apparteneva a un'altra era. Ed ora si trovava ad essere impacciata nel rapportarsi a lui, chiedendosi silenziosamente quale fosse il miglior atteggiamento da utilizzare.

Sono qui per Falmouth, mi ha scritto, vuole vedermi e vista la mia situazione non posso essere troppo cocciuto nel rifiutare l'invito di chi mi ha molto aiutato. E per quanto riguarda la vostra domestica, mi ha accolto nel migliore dei modi”.

Lei sorrise impercettibilmente, anche se le sembrava strano che Falmouth non fosse a casa dopo aver invitato un ospite. “Bene... Però lui non è qui e non è da Falmouth fare aspettare un ospite”.

In realtà sono un po' in anticipo”.

Oh...” - rispose lei, a corto di parole e imbarazzata di trovarsi in quella situazione.

Ross se ne accorse e percepì a pelle il sottile ghiaccio fra loro. “E' molto che non ci vediamo...” - le disse, ricordandosi di quella promessa fatta a Londra di tornare a trovarlo a Nampara. Certo, non si aspettava che lo facesse e di certo dopo la morte di Hugh aveva avuto ben altri pensieri, ma in un certo senso gli avrebbe fatto piacere se lo avesse fatto. Ma questo si guardò bene dal dirlo.

Demelza annuì, triste. “E' vero, è molto e sono successe tante cose da allora. Ho saputo di vostro cugino quando ero a Londra. Mi è dispiaciuto così tanto per lui, era una brava persona, sembravate legati e avevate costruito un'attività insieme”.

E stavolta fu Ross a trovarsi in imbarazzo, come spesso gli accadeva quando qualcuno cercava di accarezzare i suoi sentimenti. “Destino, tragedia, chi può dirlo? Chi se ne va, ora riposa. Chi resta deve sopravvivere alla perdita e cercare nuove strade” - tagliò corto.

La donna capì quanto fosse restio a parlare dei suoi sentimenti. “Falmouth potrebbe indicarvi qualcuna di queste strade, sarebbe molto lieto di farlo”.

Ross scosse la testa, rendendosi conto di essere ormai alla deriva e di non poter permettersi di fare lo schizzinoso. “Lo spero”.

E' uscito stamattina presto per la caccia alla volpe ma tornerà quanto prima. Non è sua abitudine far aspettare i suoi ospiti”.

Si sedettero l'uno davanti all'altra davanti al camino, su due comodi divanetti in velluto. Ross la osservò e notò che era dimagrita e che la sua vitalità sembrava un po' sminuita dal lutto appena sofferto. “Come state?” - le chiese, cercando di spezzare il sottile muro che si era formato fra loro.

Come voi, suppongo... Si sopravvive a chi non c'è più e si cercano nuove strade per vivere nel ricordo di coloro che se ne sono andati”.

Ross scosse la testa, ricordando i suoi pensieri spesso severi e critici verso il marito di Demelza. “Sapete, inizialmente non avevo minimamente sospettato quanto Hugh fosse malato e lo ritenevo solo un ragazzino viziato. E forse, in merito a questo, ho giudicato con troppa severità anche voi”.

Lo immagino” - rispose lei, giocando con le mani col tessuto della sua gonna. Poi, forse a disagio e decisa a cambiare argomento, sollevò lo sguardo su di lui. “Cosa farete con la miniera?”.

E' stata chiusa dopo la morte di Francis”.

La riaprirete, prima o poi?”.

Credo di no... Non lo so...”.

E i vostri minatori?”.

Lui sospirò, sentendo ancora su di se il peso del fallimento. “E' ciò che non mi fa dormire la notte. Potrei accettare l'invito di Falmouth, andare a Londra e lottare perché abbiano una vita migliore. Ma questo costerebbe anni di lavoro alla camera e chi ha fame e non ha lavoro, non può aspettare tanto. Oppure forse chiederò un nuovo prestito e cercherò di rimettere in piedi la Wheal Grace, se non avrò altre soluzioni attuabili per rendere meno nero il mio futuro, visto che la miniera iniziava a fruttare”.

Demelza rimase in silenzio un po', pensierosa. Poi parlò e Ross, sentendola, si trovò a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto avere accanto una persona come lei, un supporto così e tanta pacata saggezza che a lui mancava il più delle volte, soprattutto quando vedeva tutto nero. Solo in quel momento si rese conto che in fondo, silenziosamente, le era mancata. “Se faceste entrambe le cose?”.

In che senso?”.

Politica a Londra e la miniera in Cornovaglia. Se accettaste l'invito di Falmouth di entrare in politica, lui sarebbe ben lieto di aiutarvi a rimettere in piedi la Wheal Grace e di farvi un nuovo prestito”.

Ross sul momento ridacchiò. “E mentre sono a Londra? Chi baderebbe alla miniera?”.

Non avete uomini di fiducia?”.

Si bloccò, pensieroso, ricordandosi di quanto Zachy e Henshawe fossero fidati e saggi nella gestione delle miniere, forse più di quanto lui sarebbe stato. “Sì... Ma resta il fatto che odio chiedere favori”.

Quando si ha l'acqua alla gola, non si può essere schizzinosi” - rispose lei. “E poi, non fareste di tutto per il bene delle famiglie del vostri minatori? Sono la figlia di un minatore, ricordate? So cosa vuol dire avere fame e vedere la propria famiglia vivere di stenti...”.

E' vero...”.

Demelza sorrise, un sorriso caldo che le illuminò il viso. “Siete una brava persona, Ross Poldark”.

E voi una brava pianista dotata di una splendida voce”.

E Demelza rise, divertita dalla sua insistenza su quell'argomento. “Vi intendete di musica?”.

Vi sembro il tipo?”.

No” - le rispose divertito, rendendosi conto che pian piano stavano prendendo di nuovo confidenza fra loro.

E in virtù di questo Ross si alzò dal divanetto, avvicinandosi e prendendole la mano, calda e liscia, nella sua. La baciò con galanteria, inspirò il suo profumo e capì che stranamente, quella donna in fondo poco conosciuta aveva ancora un forte ascendente su di lui. Perché era innegabile, quel benessere che provava ogni volta che era con lei era davvero difficile da ignorare. “Facciamo un patto!”.

Quale?” - chiese lei, arrossendo.

Ross esibì la sua migliore faccia da canaglia, rendendosi conto che averla incontrata aveva ancora una volta portato luce in quei momenti tanto bui. E anche lei sembrava divertita e meno pallida di quanto fosse stata poco prima e anzi, gli sembrava di scorgere un certo rossore sulle sue guance. “Io accetterò di candidarmi alle elezioni e di vendere la mia anima al diavolo, SE voi...”.

Demelza deglutì. “Se io?”.

Se voi mi promettete che prima o poi suonerete e canterete qualcosa per me. Solo per me”. Non amava la musica ma sentì di desiderarlo ardentemente.

Demelza rise e in quel momento gli sembrò la stessa vivace ragazza di sempre, non toccata dal lutto e dalle preoccupazioni. “Va bene, lo farò”.

La osservò ancora e si rese conto che valeva la pena vendere l'anima al diavolo pur di sentirla cantare, anche solo per una volta, per lui.

E fu proprio mentre la sua mente formulava quel pensiero, che Falmouth arrivò nel salone.


Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ***


Col suo completo da caccia, accaldato e rosso in viso, Lord Falmouth fece il suo ingresso nel salotto, esibendosi in un caldo sorriso verso Ross. "Oh, il mio gradito ospite finalmente si è palesato. Iniziavo a pensare di avervi solo immaginato".

Ross si alzò in piedi, stringendogli la mano. "E' stato un anno complicato per tutti e mi scuso per non essermi più fatto vivo dopo l'aiuto che mi avete gentilmente concesso. Come state Lord Falmouth? E' un piacere rivedervi".

Falmouth rispose al saluto con una vigorosa stretta di mano. "Come sto? Stanco, a volte meditabondo ma ancora desideroso di far sentire la mia voce al mondo tramite il Parlamento e i posti di potere locali. La vita è stata dura e spietata con la mia famiglia ma di certo il fato avverso non sarà in grado di abbattermi". Poi guardò Demelza, sorridendogli affabilmente. "Comunque vogliate scusarmi per il ritardo, spero che la mia gentile nipote acquisita vi abbia accolto nel migliore dei modi".

Ross guardò Demelza e poi annuì. "Sono stato accolto splendidamente".

"Ottimo". Falmouth osservò silenziosamente Demelza, pensieroso, ricordandosi di quanto il suo ascendente avesse fatto presa su Ross in passato e desideroso di sfruttarlo di nuovo per riprendere in mano i discorsi intavolati con il giovane Poldark un anno prima e lasciati in sospeso a causa di cause di forza maggiore.

Demelza fece per alzarsi dal divanetto per lasciarli soli quando Falmouth la fermò. "No cara, resta. E' un incontro informale e non c'è nulla di male se rimani quì con noi".

Sorpresa, Demelza spalancò gli occhi. Falmouth si era sempre dimostrato molto affettuoso con lei ma non aveva mai ritenuto necessario che una donna partecipasse alla sua attività politica e agli incontri d'affari con i suoi soci e se ora le chiedeva di restare, doveva esserci qualcosa sotto, lo conosceva troppo bene per pensare che volesse la sua compagnia in un momento del genere. "Cosa?".

Anche Ross ne parve sorpreso ma in fondo non poteva dire di esserne dispiaciuto.

Demelza si accigliò. "Io, ecco...".

Falmouth la invitò a risedersi con un gesto della mano a cui lei ubbidì parecchio perplessa e poi fece altrettanto con Ross, accomodandosi infine a sua volta su una poltrona. L'uomo accavallò le gambe, chiamò la cameriera perché portasse del brandy e poi sorrise sornione. "Ebbene, lasciamo da parte le formalità, non fanno per noi! Arriviamo al sodo Poldark! Credo immaginiate perché ho desiderato incontrarvi, vero?".

Ross annuì, sapendo bene di trovarsi in una posizione molto scomoda che non gli permetteva di agire liberamente. "Sì, suppongo vogliate parlare del prestito che mi avevate aiutato ad ottenere alla Banca di Londra. So che ho disatteso molte... tutte... le promesse che vi avevo fatto, ma...".

Demelza osservò Ross, sentendo a pelle la sua frustrazione e desiderosa di aiutarlo, anche se non sapeva come... E non sapeva nemmeno se avesse facoltà di parola in quell'incontro d'affari.

Falmouth, ignorando le occhiate della ragazza verso il loro ospite, scosse la testa. "Voglio parlare di questo sì e no... Un piccolo prestito certo, che avete ottenuto grazie a me ma su cui posso mettere io stesso una toppa se mi mostrerete di avere interessanti prospettive per il futuro che mi spingeranno ad investire ancora su di voi".

Ross lo guardò incerto, senza capire cosa volesse dire. Decise di essere sincero, sorridendo amaramente... "Prospettive future, io? Dallo scorso anno a Londra, sono cambiate molte cose Lord Falmouth. I continui fallimenti della Wheal Grace e la morte di mio cugino Francis hanno distrutto ogni mia speranza in quel progetto e ora ho un nerissimo futuro davanti a me, difficilmente colmabile con dei successi. Ho investito ogni speranza sulla Wheal Grace e cosa ho ottenuto? Un progetto maledetto che ha risucchiato denaro e vite preziose, in cui mi sono incaponito anche quando in molti mi sconsigliavano di farlo... Avevo promesso di usare quel denaro per sondare i cunicoli che sembravano promettenti ma dopo la morte di Francis ho gettato la spugna... Non credo nel fato e nel destino avverso ma in un certo senso è come se quell'incidente mi avesse sbattuto in faccia la realtà di quanto io sia stato folle a riaprire una miniera che il mio stesso padre chiuse perché senza speranze. La morte di Francis è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso... Sapete bene cosa si prova quando si perde una persona cara, il senso di impotenza che ti uccide, lo smarrimento di ogni speranza... Vostro nipote è morto di malattia, Francis è morto a causa mia e della mia supponenza di voler fare sempre a modo mio... Restituirò quel denaro alla Banca di Londra Lord Falmouth, appena avrò sistemato alcuni debiti col prestito ottenuto grazie a voi entrerò nell'esercito e con lo stipendio da soldato, cercherò di saldare ogni contro sospeso con voi".

Falmouth si accigliò, poi scoppiò a sorpresa in una fragorosa risata. "Esercito? Con il clima bellicoso che si respira in Europa, fareste davvero un gran brutto affare ad entrarci adesso, finireste in prima linea, orizzontale, in qualche terra nemica e addio pagamento dei debiti! Non siate sciocco e non siate infantile, avete una miniera che prometteva bene e anche se è capitata una disgrazia, non può che essere stato un caso! Un singolo fallimento non deve gettare un uomo nello sconforto o quell'uomo non è un uomo! Riaprite la Grace, la finanzierò io stesso saldando il debito alla Banca al vostro posto e poi vediamo come va! Riacquisite notorietà nella zona e poi cercate di sfruttare la vostra posizione al mio fianco, nei posti di potere che contano, dove un uomo come voi potrà fare la differenza! Anche per quelle tematiche sociali che vi stanno tanto a cuore e che difficilmente potreste seguire su un campo di battaglia" – concluse, ironicamente.

A quelle parole, Ross si sentì improvvisamente infantile. Falmouth era un uomo pratico a dispetto delle sue nobili origini, non era tipo da rimuginare e compiangersi e di certo non sopportava avere attorno gente che invece amasse farlo. E nemmeno a lui piaceva l'autocommiserazione ma si rese conto che in quell'anno era stata la sua unica compagna di vita. Però per quanto riguardava la Wheal Grace... "La miniera è senza speranza, quanto denaro ci dovrei buttare ancora dentro per ottenere pietre su pietre senza valore? Come posso pagare gli uomini che vi lavorano se non ottengo utili? Come posso chiedere a quei minatori di rischiare la propria vita scavando in una miniera in cui non ho potuto permettermi nemmeno di mettere delle assi che ne garantiscano la sicurezza da crolli? E' già morta una persona, non voglio altre vittime sulla coscienza".

Falmouth non si fece scoraggiare. "Cominciate a riaprirla, al dopo ci penseremo in seguito. Pensate che i vostri minatori, affamati di lavoro, stiano a sottilizzare sulle norme di sicurezza?".

Ross alzò le spalle. "Forse no, loro lavorerebbero a prescindere".

Falmouth lo incalzò. "Perché hanno fiducia in voi!".

"Ma questo non cambia le cose, la mia miniera è un posto pericoloso! Persino George Warleggan ha messo in sicurezza i cunicoli delle sue miniere ed è uno degli uomini più spregevoli che abbia mai conosciuto".

Falmouth sbuffò, alzandosi in piedi con il bicchiere di brandy in mano, passeggiando avanti e indietro pensieroso. Poi osservò Demelza e trovò improvvisamente il modo di girare la questione a suo favore, maledicendosi per non averci pensato prima. "Bisogna guardare il bicchiere mezzo pieno, Poldark! Come ha fatto Demelza che voleva un certo tipo di scuola a Truro, ne ha ottenuto un altro ma ha comunque sorriso alla bontà dell'opera finale. Non avete denaro per rendere la miniera efficente e sicura da subito ma potete riaprirla e finire le ricerche iniziate un anno fa da vostro cugino stesso! Vi ho dato quel denaro perché eravate convinto che la miniera nascondesse grandi ricchezze e ora che siete vicino a toccare con mano se ci siano davvero o no, che fate? Vi ritirate dalla partita perché qualcosa è girato storto? La vita è un rischio e il giocatore esperto sa che a volte va bene e a volte va male ma è consapevole che è il risultato finale che conta, non la strada per arrivarci. Se il vostro intuito sulla Grace si rivelerà esatto, sarà la vostra fortuna e la renderete pian piano il tipo di miniera che avete in mente, sicura ed efficente! Potrete farla amministrare da un uomo di fiducia, darvi alla politica, cercare di trovare soluzioni a problemi più grandi di quelli che vi affliggono ora e rendervi utile al paese".

Ross sorrise amaramente, di nuovo. "Sono delle parole molto belle Lord Falmouth e ne condivido il concetto di fondo, ma... Ma davvero non trovo un motivo valido, una utilità ad indebitarmi ancora con voi e riaprire la miniera. Non porterà nulla di buono...".

Falmouth osservò di nuovo Demelza, il suo asso nella manica. "Io credo di sì, se aveste nel pacchetto anche un piccolo incentivo...".

Ross si accigliò e Demelza, sentendosi osservata da Falmouth, si irrigidì ed entrò in allarme. Che aveva in mente?

Falmouth sorrise. "Scuola...".

"Scuola?" - chiese Ross.

"E Demelza" – concluse il lord.

La ragazza quasi saltò sul divano, divenne rossa in viso e guardò Falmouth come se fosse impazzito. "Cosa???".

Anche Ross, pur non essendo portato per natura a stupirsi troppo facilmente, guardò l'uomo come se fosse un folle. "Vi sentite bene?" - gli chiese con voce spezzata, osservando la ragazza accanto a lui e percependone l'imbarazzo.

Falmouth, tronfio in viso come uno che aveva scoperto l'acqua calda, passeggiò brevemente avanti e indietro davanti a loro. "Oh, mi sento benissimo e so che dopo che vi avrò spiegato, vi sentirete benissimo anche voi e vi sparirà dal viso quell'espressione stupida che avete in questo momento".

"Io non credo di voler sentire!" - borbottò Demelza, alzandosi in piedi stizzita. Non voleva sentire e non voleva nemmeno cercare di capire, qualsiasi cosa fosse, non le sarebbe piaciuta affatto... Aveva presenziato a quell'incontro suo malgrado ma non avrebbe fatto parte attiva della trattativa come una merce di scambio.

"Seduta!" - le ordinò Falmouth – "E rispondi a questa domanda".

Demelza si morse il labbro, sapendo di non poter disubbidire ma troppo arrabbiata per essere arrendevole. "Quale domanda?".

"Ti piace la scuola di Truro?".

"E' una scuola, farà ciò che ci si aspetta da una scuola...".

"Ti ho chiesto un'altra cosa e ti voglio sincera nella rispsota! Era la scuola che volevi tu?".

Demelza strinse i pugni per il nervoso. "No, non proprio..." - fu costretta ad ammettere.

"Cosa volevi?".

Lei sospirò. "Una stanza, un tavolo, dei bambini a cui nessuno ha mai pensato di insegnar nulla, qualche foglio di carta, dell'inchiostro, dei biscotti con cui fare insieme merenda...".

Falmouth annuì. "Lo avrai".

"Cosa?".

E a quel punto il lord si voltò verso Ross che, ancora più confuso, aveva assistito in silenzio al dibattito fra i due. "Lo avrà... Alla Wheal Grace".

Demelza spalancò gli occhi e Ross fece lo stesso. "Cosa avete detto?".

Falmouth annuì. "Volevate una buona motivazione per riaprire la miniera? Eccovela, ve la sto fornendo. Darete lavoro ai padri e alle madri e in superficie ai bambini più grandi e qualche giorno alla settimana darete a quei marmocchi anche una maestra che possa insegnare loro qualcosa. Verrà Demelza e anche se non è un'insegnante, quanto meno potrà insegnare a quei marmocchi a leggere e scrivere che è molto più di quello che potrebbero mai sperare".

"Io non...". Demelza provò a bloccarlo, provò a reagire ma quella proposta di Falmouth era talmente inaspettata e folle che si trovò solo a balbettare una timida protesta.

Ross la fissò intensamente e poi tornò con serietà a guardare Falmouth. "Perché tutto questo?".

Falmouth annuì. "Perché io devo guadagnare voti e unire il mio nome a una attività che accresca la mia popolarità e quale modo migliore di una miniera che però fornisca anche un contributo sociale alla popolazione locale? Voi avrete modo di fare del bene ad intere famiglie senza dover impegnare denaro, penserò io al debito con la Banca di Londra e vi fornirò il capitale necessario per completare gli scavi dove questi si erano dimostrati promettenti. Se avrete successo, accrescerete la vostra già grande popolarità e una volta ottenuto ciò, avrete una miniera che frutta con cui ripagare i debiti e un nome rispettabile da unire al mio alle prossime elezioni".

"Voi siete pazzo..." - rispose semplicemente, Ross.

"No, so guardare lontano e curare i miei interessi. Imparate a farlo anche voi, il tempo del lutto è finito ed è ora che tutti ci rimbocchiamo le maniche e torniamo in attività. Demelza!" - tuonò il lord.

Lei, ancora annichilita, lo fissò senza facoltà di rispondere.

Falmouth annuì. "Togliti quel nero, è passato un anno ed è ora di tornare attivi e forti nel mondo. Ai marmocchi il nero intristisce, rimettiti abiti colorati e preparati a portare a termine quel progetto che tanto volevi".

"E se io non fossi d'accordo?" - chiese lei, raccogliendo tutto il suo coraggio. Un conto era fare presenza con Hugh alla scuola di Truro, suo marito era colto ed istruito dopo tutto, ma da sola...? E poi come poteva Falmouth uscirsene così, con una proposta simile, senza averne discusso con lei?

Anche Ross si intromise, dicendo la sua. No, Falmouth giocava sporco, sapeva bene come ottenere ciò che desiderava dalle persone, ma nel suo caso quel che chiedeva era follia. "La Wheal Grace è morta! Non ha speranza, getterete il vostro denaro e io sarò ancora più in debito con voi! E non ho mai detto di voler accettare il vostro invito ad entrare in politica".

Il lord alzò le spalle. "Oh, lo farete, sapete che è quella la vostra strada! E per il denaro... Va bene, correrò il rischio di gettare qualche moneta, capita di fare investimenti sbagliati" – disse, con noncuranza.

"E non ho posto per una scuola, a prescindere".

Falmouth sorrise. "Avete un ufficio?".

"Sì, piccolo, angusto e spoglio".

"Ci state tutto il giorno?".

"No, di solito io scendo di persona a lavorare nei cunicoli".

"Bene, allora abbiamo risolto, durante l'ora di lavoro Demelza insegnerà lì due volte a settimana ai bambini dei vostri minatori, che in quelle giornate verranno dispensati dai lavori in superficie. E quando ci sarà il sole, potranno fare lezione all'aperto, nel prato, che è la più semplice e pura idea di scuola desiderata da Demelza".

"Voi siete folle" – disse Ross, di nuovo...

Falmouth però non si fece scoraggiare. "Volete fare qualcosa per la vostra gente? Volete smettere di compangervi? Volete ridar lustro alla vostra famiglia, compresi quelli che risiedono a Trenwith? Volete dimostrare ciò che valete? Volete dare una speranza ai bambini della vostra contea?".

"Ovvio che voglio, ma...".

Falmouth sorrise. "Ma nulla, tornate a casa, ritirate fuori le mappe della Wheal Grace, richiamate i vostri uomini più fidati e riaprite quella miniera quanto prima. Il resto verrà da se dopo che mi avrete accuratamente aggiornato sullo stato dei lavori di apertura".

Ross guardò Demelza, pallida in viso, fragile e sicuramente indispettita da quella situazione assurda. Però in fondo, pensò, Falmouth non aveva ragione? Tutti avrebbero ottenuto qualcosa, anche lei...

Falmouth non attese un'altra risposta, annuì in segno di saluto e poi si avviò alla porta, lasciando il suo ospite alle cure di Demelza. "Ho bisogno di un bagno caldo dopo la battuta di caccia di stamattina. Scusate se mi congedo di già ma la mia età mi costringe ad andare a lavarmi e mettermi abiti meno umidi e ho già detto tutto quello che dovevo dire, quindi la mia presenza è superflua. Mia nipote acquisita e vostra futura socia farà le mie veci. Nel frattempo aspetterò con impazienza i vostri prospetti". E così dicendo si congedò, lasciando i due da soli, imbarazzati ed increduli. Era il suo modo di fare, non chiedeva, metteva la gente all'angolo, comandava e nessuno poteva o riusciva a dirgli di no.

Ross osservò ancora Demelza, pallida, chiedendosi cosa avrebbe dovuto dirle. In realtà il modo di fare di Falmouth lo faceva sentire spaesato, ubriaco ma in fondo... finalmente... con una speranza? "Non siete obbligata...".

"Lo dite voi" – rispose lei, piccata.

"Potete dire di no, anche io posso farlo e non potrebbe obbligarci".

Lei si sedette, prendendo un lungo respiro. "Ancora non lo avete conosciuto bene? Io non posso dirgli di no e sicuramente troverà il modo di mettere voi nella medesima situazione".

Ross si risedette davanti a lei. "Sarebbe una cosa tanto terribile per voi?".

Lei gli sorrise, dolcemente. "No, certo. Mi farebbe piacere aiutare dei bambini che non hanno nulla, come non avevo nulla io... Ma non sono una maestra e non ho idea di come si faccia a diventarlo".

Ross le sorrise. "Siete brava coi bambini, mi ricordo di voi a Londra coi piccoli orfani di quel collegio... In fondo dovreste solo insegnare loro a scrivere il proprio nome e scribacchiare qualche frase e vi giudico più che abile per questo".

Lei lo osservò attentamente. "Quindi riaprirete la Wheal Grace?".

"Non ho molte altre prospettive nella vita e Falmouth ha ragione, il tempo del lutto e dell'autocommiserazione deve finire. E quella malandata miniera al momento è tutto quel che ho".

"Siamo poco più che estranei signor Poldark. Come potremmo dividere lo stesso spazio nella vostra miniera senza che io vi dia fastidio?".

Ross le sorrise. "Non eravamo quasi amici, un anno fa?".

"Un anno fa è molto tempo fa e io sono diversa da allora e lo è anche la mia vita... Non possiamo dire di conoscerci".

Ross annuì, capendo appieno cosa volesse dire. In effetti era vero, non si conoscevano quasi per niente eppure qualcosa di lei era entrato in lui e anche se per un anno era come evaporata dalla sua mente, dubitava fortemente che il suo cuore l'avesse dimenticata. Ed era certo che anche per Demelza fosse così. "Sarebbe grave conoscerci meglio? Quanto meno quando fallirò, avrò una spalla amica che mi sorreggerà".

A dispetto di tutto, Demelza rise e Ross la trovò bellissima. "Se dovete riaprire la vostra miniera, vi conviene pensare in positivo. E' un buon modo per iniziare".

Ross annuì. "Sì, avete ragione...".

Demelza si alzò in piedi, porgedogli la mano per invitarlo a fare altrettanto. "Come sta Sun?" - chiese, aprendo quella questione che gli stava tanto a cuore.

Ross si stupì che se ne ricordasse ancora e questo gli diede un'ulteriore prova di quanto l'animo di quella donna fosse sensibile e buono. "Oh, non l'avete dimenticato".

"Certo che no!".

"Sta bene, è cresciuto ed è un buon rimedio per i topi. Un cacciatore nato...".

"Potrò rivederlo?".

"Se sarete la maestra della Wheal Grace...".

Demelza rise, divertita. "Questa è una buona argomentazione per spingermi ad accettare".

Ross la osservò, quasi rapito dalla figura di lei. "Anche per me..." - sussurrò sotto voce, rendendosi conto che era una buona argomentazione per ricominciare anche per lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ***


"Cosa avete in mente?".

Infuriata, decisa a far valere il suo fiero carattere selvaggio più che le buone maniere, Demelza piombò nello studio di Lord Falmouth che, dopo il suo bagno caldo, si era accomodato in poltrona con una pipa e un giornale in mano.

L'anziano lord alzò gli occhi su di lei, ne studiò l'espressione furente e poi con calma e senza scomporsi, richiuse sulle sue gambe il giornale. "Una signora non urla e non sbraita" – le fece notare.

"Sono nata e cresciuta ad Illugan e per quanto io possa impegnarmi, non sarò mai una vera signora! Soprattutto nei momenti in cui sono arrabbiata!".

Falmouth sollevò un sopracciglio. "E perché di grazia, saresti arrabbiata?".

Per un attimo Demelza si sentì presa in giro ma poi ci ragionò su e comprese che forse lui non capiva davvero e non stava scherzando. Avevano caratteri e modi di vedere la vita differenti e soprattutto il modo di pensare era agli antipodi. "Non... Non mi avevate mai parlato di un'altra scuola alla Wheal Grace!".

"Non ci ho mai pensato, l'idea mi è venuta durante la discussione con Ross Poldark, quando ho capito che poteva essere la proposta a cui entrambi non avreste saputo dire di no!".

Demelza strinse i pugni della mano, imponendosi di essere accorta e ragionevole o come sempre, l'avrebbe avuta vinta lui. Era un uomo furbo e lo stava ampiamente dimostrando... "Avremmo dovuto parlarne, non ho mai detto di desiderare una cosa simile e non è detto che accetti".

Falmouth si accigliò. "Era ciò che volevi fare due anni fa, quando mi hai proposto l'apertura della scuola di Truro, andarci ogni tanto per fare qualche lezione di lettura ai bambini".

Demelza sospirò. Era passato così' tanto tempo da allora e molto era cambiato nella sua vita... "Con Hugh, avrei voluto farlo con lui accanto che di certo era in grado di insegnare qualcosa. Ma non da sola".

Falmouth si alzò dalla poltrona, si avvicinò alla finestra e mise le mani sopra il davanzale che dava sul cortile e sul giardino. "Hugh è morto, non può più farlo. Tu sì".

"Non ne sono in grado".

"Sai leggere e scrivere più che bene".

Demelza gli si avvicinò, con foga. "Non potete! Non potete disporre così, senza chiedere, della vita delle persone. Ross Poldark non voleva riaprire quella miniera e io non sono un'insegnante e giocare con le parole, giocare coi fatti e far vedere prospettive spesso irrealizzabili per costringere qualcuno a...".

Falmouth si voltò verso di lei terreo, la osservò e poi le si avvicinò fermando sul nascere le sue proteste. "Ciò che vedo io sono due persone giovani che dovrebbero avere la forza di spaccare il mondo e invece passano il loro tempo a compiangersi".

"Io non mi compiango, io piango mio marito ed è diverso!".

"E' morto da un anno e Hugh non si aspettava di certo che portassi per sempre il lutto".

Demelza scosse il capo. "Non me la sento...". Aveva detto a Ross Poldark, a caldo, che forse era una buona idea ma ora, ripensandoci, mille insicurezze e paure tornavano a galla. Non era in grado di insegnare, era stata un'analfabeta fino a pochi anni prima, GIUDA!!!

Falmouth però non si fece intenerire. "Questi sono capricci".

"Non sono una bambina!".

"E allora dimmi, Demelza, cos'hai di meglio da fare? E Ross Poldark? Cos'ha di meglio da fare? Vuol giocare al soldatino? Vuol stare a piangere attaccato alle sottane della vedova di suo cugino? O magari sarebbe meglio che si rimboccasse le maniche e tentasse di far funzionare l'azienda di famiglia?".

Demelza rimase senza parole per quel che aveva appena sentito e ancora una volta si rese conto che Falmouth sapeva, aveva la capacità, di far sentire tutti loro dei bambini capricciosi. "Ross Poldark non è uno che ama girarsi i pollici e ciò che lo ha bloccato è un motivo grave e valido".

"Non sufficiente per chiudere!".

"Sufficiente per lui"

"E tu? Hai deciso di non far più nulla della tua vita?" - chiese Falmouth.

"No e lo sapete".

L'uomo allargò le braccia. "E allora non c'è problema e noi stiamo discutendo per niente! La mia è una buona idea in cui nessuno avrà nulla da perdere, giusto? Quindi rischiamo e se andrà bene, avremo tutti da festeggiare".

Stanca, esausta per quella trattativa in cui sapeva dall'inizio di essere perdente, Demelza si sedette su una sedia. "Perché ci tenete tanto?".

"Perché ho bisogno di uomini fidati come Ross Poldark per la mia campagna politica. Abbiamo idee diverse ma lui è una persona pulita, ha carisma e a modo suo non guarda in faccia a niente e nessuno. Come me! Ha capacità che nemmeno immagina e una volta che lo avrà compreso, avrà... avrò... la strada spianata in molte delle cose che mi sono prefissato di fare e ottenere".

Demelza sorrise amaramente, comprendendo ciò che lui voleva dire e trovandosi anche d'accordo, se non che... "Ross Poldark non vuole entrare in politica. E non ama quel genere di potere".

"Ne è attratto ma non lo sa, il comando è dentro di lui. Ha messo in piedi dal nulla una miniera che pur con mille difficoltà, tentennando, funzionava. Dal nulla, con sudore, tanta faccia tosta e coraggio. Io ho bisogno di gente come lui e tu hai un forte ascendente su quell'uomo che sarebbe stupido che io non sfruttassi".

"Non voglio essere usata. E' una cosa... fastidiosa..." - balbettò lei, imbarazzata per quel commento. "E poi io e Ross Poldark siamo quasi sconosciuti, non abbiamo nulla in comune e dubito che dividere il poco spazio alla sua miniera gioverebbe ai buoni rapporti con questa famiglia".

Lo sguardo di Falmouth si addolcì e per un attimo divenne quasi paterno. Le si avvicinò e le parlò come si parla a una figlia... "Demelza, tu sei sola e un giorno ti potresti trovare ad amministrare tutto questo. E sei in gamba certo, ma non puoi farcela senza aiuto e io vorrei saperti prima o poi vicina a qualcuno di onesto che possa supportarti in tutto questo".

Demelza spalancò gli occhi, per un attimo tremò e le fu troppo chiaro ciò che velatamente lui stava cercando di dirle. E la rabbia montò in lei non tanto perché Ross Poldark fosse una cattiva persona ma piuttosto per quell'interferenza nella sua vita, nelle sue scelte e nel suo futuro. Era una donna libera di scegliere, decidere, combattere... Ed era indipendente e mai, MAI avrebbe permesso a qualcuno di scegliere qualcosa di così importante al posto suo. Se era per il patrimonio dei Boscawen che Falmouth era preoccupato, beh, glielo avrebbe lasciato volentieri intatto in cambio della sua libertà. Ma mai avrebbe accettato di essere venduta a un uomo e se qualcuno fosse arrivato, sarebbe stata lei a scegliere se aprirgli o meno la porta del suo cuore. Era consapevole che Falmouth si muoveva per il suo bene ma evidentemente non la conosceva ancora bene come pensava. "Questo genere di cose è di mia competenza e non vostra!" - disse, freddamente. "Sono grande abbastanza da poter scegliere da sola se e quando mi sentirò pronta ad avere qualcuno nella mia vita e anche se tramite il matrimonio con Hugh sono diventata una Boscawen, io resto sempre e comunque Demelza Carne di Illugan".

Falmouth sbuffò, aspettandosi quella reazione e pronto a fronteggiarla. "Non sto parlando di qualcosa di definitivo, di qualcosa... per sempre... che sia solo di scelta mia".

"Perfetto, anche perché non lo permetterei" – ribadì fermamente Demelza, mettendo definitivamente in chiaro la cosa in modo che in futuro non ci fossero più fraintendimenti.

L'uomo le sorrise di nuovo. "Lo so... tutto ciò che desidero al momento, è avere amici fidati. Che li abbiamo entrambi... E Ross Poldark è un uomo fidato su cui contare, in caso di necessità. Io sono forte, so difendermi da solo, ma tu...".

Demelza rispose al sorriso, rendendosi conto che in Falmouth forse, anche se non ne condivideva i modi, stava ritrovando tutte quelle premure che le erano mancate dal suo vero padre. "So difendermi quanto voi ma apprezzo la vostra preoccupazione nei miei confronti".

Falmouth annuì. "Sarai una buona insegnante e Poldark un buon proprietario di miniera e un buon politico".

"Speriamo" – rispose Demelza, prendendo un lungo respiro. Era consapevole di non poter rifiutare e che aveva già dato la sua parola a Ross Poldark e questo le faceva un pò paura, ma di contro era contenta di aver trovato il coraggio di affrontare Falmouth e parlargli apertamente, in modo che fra loro non ci fossero più fraintendimenti o omissioni.


...


Non sapeva bene perché ma quella notte non era riuscita a dormire ed aveva finito per alzarsi molto presto. Aveva aperto l'armadio per prendere un abito nero ma poi si era fermata e la sua mano ne aveva afferrato uno di colore verde che non metteva da... Beh, difficile ricordare da quanto avesse indossato colori non scuri, pensò malinconicamente. Poi si era vestita, era scesa a fare colazione e infine, come non succedeva da tanto, era uscita a cavallo per godersi appieno quella mattinata autunnale insolitamente serena e tiepida.

Si sentiva talmente strana per quanto successo il giorno prima, che le pareva come di essersi risvegliata dopo un lungo periodo di torpore... Da tanto non aveva un obiettivo davanti ma quanto concordato il giorno prima con Falmouth assieme a Ross Poldark, le faceva paura. Così come le parole che il lord le aveva rivolto quando erano rimasti soli, circa il suo futuro e su chi sarebbe stato meglio avere vicino...

Il futuro... Da quando era morto Hugh era diventato per lei un concetto quasi astratto, quasi che non la riguardasse più e di fatto aveva vegetato ma non vissuto. Non era stata utile a se stessa e a nessun altro in quell'anno ed eccetto che l'impegno per i bambini dell'orfanotrofio, non aveva fatto nulla. Niente di niente se non piangere e languire nella sua stanza. Falmouth in fondo aveva ragione, era ora di tornare attiva e anche se la proposta fatta di lavorare fianco a fianco di Ross Poldark la confondeva in un modo strano, non poteva dire di trovare malvagia quell'idea. Forse sarebbe stata la maestra peggiore del mondo e ben poco avrebbe potuto insegnare, ma lo avrebbe fatto col cuore e quel poco che poteva dare, lo avrebbe donato a bambini che ne avevano davvero bisogno.

Se fosse andata bene, la Wheal Grace sarebbe diventata a suo modo una miniera 'preziosa' per tanti motivi e forse anche Ross Poldark avrebbe ritrovato speranza nel futuro.

Sapere di averlo a fianco la impensieriva perché ricordava bene quanto, suo malgrado, ne fosse stata attratta alcuni anni prima. Rivederlo era stato strano, non poteva dire di aver provato subito i vecchi turbamenti perché certe sensazioni erano state assopite dal dolore della perdita di Hugh, però si era ritrovata contenta che fosse successo. Il loro incontro l'aveva colta di sorpresa, non aveva più pensato a lui da quando era partito da Londra eppure era strano, ma quel ghiaccio che si era creato fra loro si era sciolto quasi subito e aveva ritrovato in quell'uomo, già dopo poche parole, quella specie di strano cameratismo che glielo faceva apparire pericolosamente vicino ed affine. Le parole di Falmouth le danzarono in testa ma decise di ignorare certi pensieri. Non voleva, non cercava nulla del genere e voleva solo che quell'avventura si concretizzasse in qualcosa di positivo che desse speranza a tante persone, compresa lei. E ce l'avrebbe messa tutta!

Cullata da quei pensieri, quasi senza rendersene conto, giunse davanti alla Wheal Grace. Aveva galoppato a lungo costeggiando le scogliere con il vento fresco del primo mattino a sferzarle il viso ed era stato tonificante e piacevole. Si avvicinò allo strapiombo ed osservò il mare che si infrangeva contro gli scogli con forza, ammirandone il profondo colore blu. Il mare della Cornovaglia era il più bello del mondo, secondo lei e nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea...

Osservò il panorama chiedendosi cosa ci facesse lì e cosa cercasse e alla fine optò per avvicinarsi alla miniera per dare un'occhiata. In fondo non stava facendo nulla di male, sarebbe stato un luogo di lavoro per lei e dare una sbirciatina non era certo peccato... Certo, qualcuno avrebbe potuto farle notare che era una cosa che le signore non facevano e che ficcare il naso nella proprietà altrui era quanto meno sconveniente, ma chi mai avrebbe potuto vederla?

Era mattina presto, nessuno se ne sarebbe accorto o l'avrebbe saputo...

Scese da cavallo, legò l'animale a una staccionata e poi con passi circospetti si mise a gironzolare fra le varie baracche. Tutto era stato lasciato andare all'usura, si vedeva chiaramente che nessuno metteva più piede in quel posto da molto tempo e che ragnatele e topi la facevano da padroni, ma non ne ebbe paura. Era cresciuta in posti simili e per certi versi li considerava più famigliari della sua attuale casa. Anche se le assi scricchiolavano al suo passaggio e tutto sembrava lì lì per cadere, sorrise pensando a quanto si sentisse a suo agio lì.

Talmente a suo agio che non si accorse del cavallo che era arrivato alle sue spalle e del cavaliere che lo aveva condotto fin lì...

"Che ci fate quì?" - chiese la voce calda e in un certo senso conosciuta, di un uomo.

Demelza arrossì fino alla punta dei capelli, si voltò e poi restò di stucco, vergognandosi come una bambina beccata con le mani nella marmellata. Ross Poldark era lì, davanati a lei e di certo ora avrebbe voluto qualche spiegazione circa la sua presenza lì. "Ecco...".

Ross la squadrò per un attimo e ci mise qualche secondo a capire che era lei, in lontananza. Ma quando la riconobbe, spalancò gli occhi sorpreso. "Lady Boscawen?".

Lei si morse il labbro, imbarazzata. "Mi... Mi sono svegliata presto e sono uscita a cavallo ed ero curiosa di vedere dove lavorerò... cioè...". Arrossì ulteriormente, sentendosi sciocca ed impacciata come una poppante. "Non sono una persona che di solito ama curiosare, ma ero, ecco...". Tentò di giustificarsi e alla fine si sentì ancora più ridicola e le parole le morirono fra le labbra. Ok, aveva fatto qualcosa di stupido ed era giusto che ora ne affrontasse le conseguenze.

Ross si accorse del suo imbarazzo e alla fine invece di prenderla in giro come sempre faceva e come gli sarebbe stato facile fare in quella particolare occasione, le sorrise in modo gentile. "Non dovete darmi spiegazioni, questa terra è di tutti. Ma promettetemi di stare attenta quando venite da sola in posti del genere, le miniere sono posti insidiosi e pericolosi" – concluse, avvicinandosi a lei.

Demelza tirò un sospiro di sollievo per quelle parole gentili che spezzavano il suo imbarazzo. "Mio padre era un minatore, so come muovermi in ambienti del genere. E comunque, scusate l'intrusione".

Ross osservò la miniera. "Beh, quanto meno non sarò solo a riaprire la porta di questo posto maledetto. Visto che Lord Falmouth ci ha incastrati in questa cosa, ho pensato di tirarmi su le maniche e vedere il disgraziato stato in cui versa questo posto e da dove ricominciare".

"Beh, quindi in fondo Falmouth vi ha spinto a fare qualcosa che in fondo non vedevate l'ora di fare".

"Che volete dire?".

Demelza ridacchiò. "Siete mattiniero, che ci fareste quì a quest'ora se questa avventura non vi interessasse?".

Ross parve arrossire e si abbassò il tricorno sul viso, coprendosi parzialmente gli occhi. Colpito ed affondato... "Quello che ci fate voi suppongo, osservo questo posto e cerco di capire come possa esserci un futuro in quello che stiamo osservando. E chissà che non abbiate ragione... Io, voi, tutta la gente di questo posto ha la miniera nel sangue e la lontananza da essa è sempre qualcosa di doloroso".

Demelza annuì, trovandosi d'accordo su quella ammissione. "Quindi è come un ritorno a casa?".

"Potrebbe essere un doloroso ritorno, se le cose non andranno come pensa Lord Falmouth".

"Dovreste guardare alla cosa con più ottimismo" – lo rimbeccò.

"L'ottimismo non mi ha mai reso né ricco né fortunato".

"Neanche il piangersi addosso" – osservò Demelza, rispondendogli a tono.

Ross rise, a quelle parole. "A volte a parole, siete inquietantemente simile a Falmouth".

Demelza sbuffò. "Lo prenderò come un complimento".

Ross sorrise ancora, osservandola e notando che non vestiva di nero. E che il verde le stava d'incanto e si accompagnava benissimo ai suoi lunghi e bellissimi capelli rossi. "Mi fate compagnia?" - le chiese, avvicinandosi alla porta d'ingresso con un paio di chiavi in mano.

"Che volete fare?".

"Far prendere un pò d'aria a questi ambienti, dare una sistemata, osservare mappe e piantine e decidere da dove ricominciare a rovinarmi la vita di nuovo".

Demelza sorrise. "Vi farò compagnia con piacere".

Ross aprì la porta che cigolò nell'aprirsi. Una nuvola di polvere li investì ma si diradò subito, lasciando ai loro occhi un ambiente modesto, spoglio, piccolo ma a suo modo confortevole. "Questo è il mio ufficio e a quanto pare, un paio di giorni a settimana, sarà il vostro regno".

Demelza si guardò attorno, osservò ogni particolare della stanza che era arredata con un grosso tavolaccio di legno, una piccola scrivania in un angolo, un armadio con riposte penne, calamai e oggetti di uso comune della miniera e null'altro. Era un luogo angusto ma a suo modo lo trovò confortevole ed accogliente. "Non voglio recarvi disturbo e quando il tempo sarà bello come oggi, credo che resterò fuori coi bambini, nel prato. Che è il luogo che i piccoli preferiscono".

"In Cornovaglia i giorni di sole sono rari" – osservò lui.

"E io li sfrutterò tutti!" - rispose, sistemando alcuni fogli spaiati su una mensola.

Ross la osservò e poi, dopo aver preso alcune mappe che erano rimaste arrotolate ed impolverate sul tavolo, le aprì osservandole attentamente. "Ammiro la vostra forza di volontà e il vostro entusiasmo".

Lei si avvicinò al tavolo, osservando le mappe accanto a lui. "Abbiamo altra scelta se non quella di essere ottimisti? Tenere il muso costa infinita fatica".

Ross annuì. "Anche riaprire una miniera".

Incuriosita, Demelza guardò quei disegni di cunicoli e gallerie e anche se da molto non aveva fra le mani qualcosa del genere, si ricordò di aver già visto da piccola dei disegni simili, sul loro misero tavolo ad Illugan. "Riaprirete tutti i piani della galleria".

"No, non posso permettermelo e non voglio indebitarmi più di quanto io già non lo sia, con Falmouth. Aprirò solo quelli che sembravano promettenti quando Francis è morto e in questo modo, se qualcosa da trovare c'è, lo si raggiungerà col minimo costo e con pochi uomini. Darei volentieri lavoro ad ogni uomo di questo distretto ma non posso e questa miniera non da alcuna garanzia". E dicendo questo, Ross si tirò su le maniche e si tolse il gilet. "Per cominciare comunque, devo andare di sotto a dare un'occhiata. In questi cunicoli non ci viene nessuno da mesi e solo Dio sa se in questo tempo non ci sono stati crolli o altro. Voi che volete fare? Tornerete a casa?".

No, non voleva tornare, non ancora. Era da tanto con non si sentiva tanto viva ed eccitata e quel posto era come se fosse il suo ambiente naturale... "Posso venire giù con voi?".

Ross la guardò come se fosse impazzita. "Sotto, nella miniera?".

"Sì".

"Credo non sia il caso".

"Posso farlo!".

"Non credo!".

Piccata per il suo scetticismo, Demelza si mise le mani sui fianchi e lo sfidò con lo sguardo. "Posso farlo davvero, senza problemi".

Ross scosse la testa. "Siete una lady, le lady non scendono nelle miniere".

"Sono nata e cresciuta ad Illugan, fra le miniere. E quei cunicoli erano il luogo dove mi rifugiavo da piccola quando volevo stare sola o quando volevo giocare a nascondermi".

Ross la guardò storto. "E' pericoloso e pieno di polvere! E per quanto ne diciate, non siete più una bambinetta di Illugan ma l'erede di un nobile casato. Lady Boscawen, siate ragionevole".

Ad diavolo, gli avrebbe dimostrato che si sbagliava e siccome aveva già avuto abbastanza faccia tosta per quel giorno ad arrivare a sbirciare nella miniera, avrebbe dimostrato a Ross che poteva essere ancora più sfrontata di così. Molto spesso lui in passato l'aveva presa in giro e sfidata, ora lo avrebbe ripagato con la stessa moneta. Non aveva voglia di essere ragionevole, per niente! "Da dove si scende?".

"Da quella botola" – disse Ross avvicinandosi a lei per impedirle di fare qualsiasi passo. "E voi ve ne starete ben alla larg...".

Ahhh, pessimo errore, Ross parlava troppo ed agiva troppo lentamente. Con un gesto veloce, Demelza sgusciò via da lui, si avvicinò alla botola, la aprì e agile come un gatto prese le scale.

Imprecando e pensando ad ogni parolaccia che conosceva, Ross prese una lanterna e le corse dietro, chiedendosi cosa avesse fatto di male nella sua vita. Scese le scale, cercò di raggiungerla e quando le fu abbastanza vicino, la fulminò con lo sguardo nell'oscurità. "Demelza!!!".

Nel sentirsi chiamare a quel modo, lei si fermò ed alzò gli occhi su di lui, in bilico sulla scala. "Come mi avete chiamato?".

"Col vostro nome".

"E da quando vi rivolgete a me in modo così confidenziale?".

Ross alzò gli occhi al cielo, indeciso se afferrarla per i capelli o prenderla a sculacciate come si fa con i bambini disubbidienti. "Scusate se non ricordo tutti i vostri titoli mentre mi affanno ad impedirvi di sfracellarvi al suolo, LADY BOSCAWEN".

"Non cadrò!" - sbottò lei testardamente, riprendendo a scendere per arrivare ad una galleria del primo livello.

Ross la seguì, imprecando silenziosamente dentro se e quando la raggiunse, la fissò con aria di sfida e rimprovero. "Siete esasperante".

"Ma integra! Visto, non mi sono fatta nulla".

"Certo, per fortuna MIA! Siete davvero una donna testarda".

"Lo diceva anche mio marito".

Ross ci pensò su e per la prima volta provò simpatia e comprensione per Hugh Armitage. "Che cercavate quaggiù? A parte rocce e polvere, non c'è nulla".

Nella semi-oscurità, lei gli sorrise. "Me stessa, ciò che ero. Appartengo a questo mondo molto più di quanto sia mai appartenuta al casato Boscawen ed essere quì è come aver ritrovato una casa e uno scopo".

Lui sospirò, comprendendola e forse sentendola particolarmente affine a lui. "La miniera nel sangue, giusto?".

"Sì. Suppongo sia così per chiunque nasca vicino a queste scogliere".

Ross annuì anche se il suo sguardo esprimeva amarezza. "La miniera ha spesso portato malattia, lacrime, sangue e fallimenti".

Demelza gli si avvicinò fino a fronteggiarlo. "Ma niente e nessuno dice che anche per voi, stavolta, debba essere così".

"Ma nessuno mi garantisce il contrario".

"Non lo saprete mai finché non ci provate. Nemmeno io sono così convinta di saper fare l'insegnante e di certo mi sono arrabbiata con Falmouth per questa sua trovata ma in fondo, perché no? Abbiamo alternative migliori? Non credo... Tentiamo, falliremo magari, ma almeno non avremo rimpianti".

Ross le sorrise, adorava il suo ottimismo e come riuscisse a trasmettergli serenità con semplici parole. E con un gesto gentile la prese per mano. Era calda, affusolata, liscia...

Lei parve stranita da quel gesto e lo guardò con sguardo interrogativo.

Lui fugò subito ogni dubbio. "Se volete davvero dare un'occhiata quaggiù, statemi vicino e non allontanatevi. Faremo un breve giro insieme e io non rischierò di perdervi".

Demelza rispose alla stretta calda e forte di quella mano, sentendosi al sicuro. "Va bene".

"Vi avverto, vi riempirete di polvere".

"Farò un bagno nel mare e tornerò a casa completamente pulita" – rispose con noncuranza, ricordandosi improvvisamente di quando aveva visto Ross Poldark nudo che nuotava nell'oceano. Arrossì a quel pensiero e ringraziò l'oscurità che non rendeva visibile il colore delle sue guance. Che diavolo pensava? Lo osservò e al buio sembrava ancora più affascinante e forte, vigoroso... E sentì lo stomaco rivoltarsi dentro di lei che da tanto, troppo non era stata fra le braccia di qualcuno. Dannazione a Falmouth, pensò! Lui e tutti i suoi discorsi la stavano rendendo una pessima persona con pessimi pensieri!

All'oscuro di tutto, Ross rise. "Davvero lo fareste?".

"Cosa?".

"Un bagno nel mare".

Demelza rise con lui. "Sì, perché no?".

A quel sorriso, Ross sentì le viscere rivoltarsi dentro di lui e si rese conto che avrebbe volentieri fatto un bagno insieme a lei. O che, più maliziosamente, avrebbe amato osservarla di nascosto mentre lo faceva. Doveva avere un corpo meraviglioso da guardare...

Anche lui arrossì e anche lui ringraziò l'oscurità che gli celava il viso. Si schiarì a voce, strinse la presa sulla mano di lei e insieme si avviarono fra i cunicoli che per entrambi rappresentavano davvero l'inizio di un nuovo futuro.



Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo ventisette ***


La Wheal Grace riaprì ufficialmente il 10 ottobre, in una giornata ventosa e piuttosto fredda, ma serena. Una piccola e raccolta cerimonia a cui pareticaprono anche i due rappresentanti della famiglia Boscawen si tenne quel giorno, e poi tutto riprese lì, da dove si era fermato.

Come desiderato e concordato Ross si mise al lavoro solo con pochi, fidati uomini e si concentrò essenzialmente ai livelli che prima della chiusura si erano dimostrati più promettenti. Con lui c'erano Zachy Martin, il capitano Henshawe e pochi altri fedelissimi. Per il momento non voleva fare di più ma in molti speravano che quell'avventura avesse successo, che la Grace si dimostrasse un azzardo vincente e potesse poi offrire lavoro alle tante disperate famiglie della zona.

I giorni precedenti all'apertura furono carichi di tensione per Ross, mille ripensamenti, mille pensieri, mille "se" e mille "ma" tormentarono ogni istante della sua vita. A volte si sentiva folle, a volte si sentiva euforico, a volte sentiva di avere paura, altre volte gli sembrava di star per compiere il primo passo per riprendere in mano la sua vita, altre volte ancora si malediceva per aver dato retta a Falmouth...

Ma tutto si risolse appena si ritrovò fra quei cunicoli e quelle rocce che facevano parte di lui e dei fidati amici che si era portato dietro in quella che considerava comunque, ancora, una folle avventura. La miniera, il rame e l'oscurità facevano parte di loro, gli scorrevano nel sangue esattamente come il furore del mare e del vento di quelle terre che sapevano forgiare il carattere di ogni uomo che vi nasceva sopra. E se ne accorse – lo ricordò - quando riprese in mano il piccone e si rese conto di essere felice. Anche se non aveva trovato nulla e forse nulla ne sarebbe scaturito di buono, era felice... E quel posto gli era mancato. Santo cielo, non aveva mai osato nemmeno ammetterlo a se stesso!!!

L'apertura della Wheal Grace era stata poco pubblicizzata e solo sparuti fidatissimi amici sapevano che era rientrata in attività. Tutto questo silenzio era stato espressamente voluto da Ross che non voleva illudere la gente del posto che sperava di trovare lavoro perché in cuor suo sapeva che era estremamente probabile che tempo un mese, la miniera sarebbe stata richiusa. Persino con i suoi parenti di Trenwith era stato molto evasivo, alludendo semplicemente a un'esplorazione solitaria di qualche settimana coi suoi uomini migliori. Verity gli aveva fatto qualche vaga domanda, zia Agatha lo aveva studiato silenziosamente in viso a lungo senza chiedere nulla, Elizabeth non era sembrata particolarmente colpita dalla cosa e questo gli aveva decisamente facilitato le cose. Nessuno, soprattutto chi amava, doveva illudersi per quello che sicuramente sarebbe stato l'ennesimo fallimento e quindi andava bene così, che sapessero poco e nulla.

Demelza aveva iniziato la settimana successiva all'apertura alla Wheal Grace a lavorarvi come insegnante, ogni martedì e venerdì. Si alzava presto, si faceva aiutare dalle domestiche a fare torte, biscotti e focacce da portare ai bambini e ai lavoratori e poi a cavallo raggiungeva la miniera.

Sapeva che i minatori, gente poverissima che non è quasi mai in grado di imbandire una tavola, era refrattaria a mandare i propri figli a scuola anziché lavorare e quindi dubitava che quell'iniziativa sarebbe stata un successo, ma non le importava... Anche con un solo bambino, per quel bambino la scuola avrebbe potuto rappresentare una grande opportunità, anche se solo con la più improvvisata delle maestre.

I suoi timori si rivelarono fondati... Inizialmente furono pochissimi i bambini presenti alle sue lezioni: tre dei bambini di Zachy Martin, il fratellino di Rosina Hoblyn e il figlio e la figlia del capitano Henshawe che frequentavano già la scuola di Truro ma che non disdegnavano quelle lezioni campestri sicuramente più divertenti di quelle fatte nelle loro austere aule.

Quando il tempo era bello, Demelza si sedeva con loro nel prato ed insegnava a leggere e scrivere usando i sassi, i fili d'erba, aiutandoli con quei rurali mezzi a comporre segni, lettere, parole... Erano bambini adorabili, che poco avevano avuto dalla vita e che tanto le ricordavano la se stessa di pochi anni prima, gentili, educati, magri, denutriti e vestiti di stracci e... chiassosi. Come tutti i bambini del mondo erano vivaci e per questo preferiva, se il tempo era bello, passarlo all'aria aperta. Ross Poldark le aveva detto che poteva usare il suo studio ma preferiva non disturbarlo con schiamazzi e risate quando risaliva dalla miniera, stanco ed impolverato, per esaminare mappe e libri contabili.

Lui era sempre gentile con lei e nonostante le sue ritrosie iniziali, sembrava conento di aver riaperto la miniera. Non poteva dire di conoscerlo bene ma le pareva di scorgere una strana gioia nei suoi occhi, quando parlava del lavoro che aveva svolto nella giornata. Ross Poldark aveva la miniera nel sangue e si vedeva chiaramente...

Anche le altre persone che lavoravano con lui erano gentili. Alcuni erano impacciati e rudi nell'avere a che fare con lei, altri avevano modi garbati e a loro modo eleganti e Demelza si stupì di vedere persone tanto deliziose nel mondo duro dei minatori. Ricordava suo padre, spesso ubriaco, violento, ignorante e dedito al bere e ricordava anche come da piccola avesse immaginato che tutti gli uomini fossero come lui, che fossero la fatica, il sudore e l'oscurità ad inquinare l'animo di quegli uomini e che per nessuno di loro ci sarebbe stata redenzione... Ora aveva scoperto che non era così, che non tutti erano come suo padre e che anche fra i minatori esistevano brave persone e amici fidati. Ed era la più felice delle scoperte per lei...

Le piacevano tutti, soprattutto Zachy Martin. Era un uomo gentile, dai modi di fare semplici ma allo stesso tempo fini, le parlava con la pacatezza di un padre e Demelza si era trovata spesso a pensare a come sarebbe stata diversa la sua infanzia se fosse stata sua figlia...

Spesso si fermavano a chiacchierare prima che lei tornasse a casa e a volte si erano uniti a loro il capitano Poldark e il capitano Henshawe, anche se era raro vederli star fermi mentre lavoravano.

Dopo due settimane di lavoro furono trovati interessanti giacimenti di stagno e una piccola ma promettente vena di rame che aveva dato una spinta di ottimismo a tutti e soprattutto, aveva permesso a Ross di assumere altri uomini per esplorare nuovi livelli fin lì lasciati chiusi. Erano buone notizie e di certo avevano contribuito a migliorare l'umore di tutti, anche se di contro il desiderio di Ross di tenere segreta la riapertura della Grace naufragò e la notizia iniziò pian piano a passare con speranza di bocca in bocca...

Non passò che una settimana infatti, che una visitatrice inattesa arrivasse alla miniera, elegante ed altera, sul suo cavallo nero.

Demelza stava chiacchierando con Zachy prima di andare a casa e il vento le scompigliava continuamente i capelli. I suoi pochi allievi correvano ovunque facendo baccano e in una atmosfera allegra di fine giornata, tutti sembravano propensi all'ottimismo. Anche Ross, che si unì alla loro chiacchierata.

"Allora, potremmo sperare che qualcuno raggiunga l'università?" - chiese Zachy ridendo, osservando i suoi figli che si azzuffavano nell'erba. Sapeva bene che nessuno poteva permettersi niente di più che quelle semplici lezioni nel prato, ma in fondo sognare ed essere ottimisti era un qualcosa che non costava denaro e faceva bene all'animo.

Demelza ci pensò su. "Sarebbe bello se succedesse... Forse...".

"Forse?" - chiese Ross.

"Forse potrei chiedere a Lord Falmouth di istituire una borsa di studio per lo studente più meritevole, in modo da assicurargli dei veri studi superiori. Se qualcuno di loro ne ha le capacità, sarebbe davvero una grande opportunità e a Falmouth non costerebbe nulla".

Ross le sorrise, apprezzando come sapesse utilizzare con saggezza e senza supponenza per il bene degli altri, le grandi ricchezze di cui disponeva. Demelza aveva portato una ventata di allegria alla miniera e la sua presenza rendeva l'atmosfera meno pesante e più rilassata ed inoltre il cibo che portava era una grande manna per quei bambini spesso malnutriti e per gli operai. Anche se fosse stato un fallimento riaprire la miniera, Ross era contento di aver dato, almeno per un pò, tutto questo alle famiglie dei suoi minatori. "Lo fareste davvero?".

"Lo farei, certo! Sarebbe davvero un peccato non dare a uno studente dotato, la possibilità di esprimere il suo talento".

Zachy annuì. "Sarebbe grandioso" – sussurrò assorto, continuando a guardare i suoi figli.

Gli occhi di Demelza brillarono. "Sì può fare... Volendo, se il signor Poldark accettasse la candidatura alle prossime elezioni, Falmouth potrebbe concederne anche due o tre di borse di studio...".

Ross rise. "Questo è un ricatto e voi siete diabolica".

"Per una buona causa..." - rispose lei civettuola, guardandolo negli occhi e sorridendo.

Fu in quel momento che un rumore di zoccoli di cavallo interruppe quell'allegra compagnia...

Elizabeth Poldark si avvicinò loro, nel suo elegante completo da amazzone, coi capelli raccolti in una ordinata treccia, bellissima ed altera come sempre.

E Ross, che fino a quel momento era stato catturato dalla figura di Demelza, di colpo si trovò catapultato con tutta la sua attenzione su di lei. Era splendida e il suo cuore, santo cielo il suo cuore accelerava sempre i suoi battiti quando gli compariva davanti... Era il suo sogno, lo sarebbe sempre stato, un sogno perfetto come lo era lei. Lasciò Zachy e Demelza dietro di se, le si avvicinò e la aiutò a smontare da cavallo. "Elizabeth, che cosa ci fai quì?".

Lei, senza degnare nessuno di uno sguardo, lo salutò con un cenno del capo. "Ero curiosa, si sentono in giro voci strane sulla Wheal Grace e sembra proprio che la tua impresa non sia un semplice esplorare i cunicoli coi tuoi amici...".

Ross abbassò il viso, dispiaciuto di averle mentito ma comunque consapevole di averlo fatto per il suo bene. "Volevo evitarti inutili speranze".

La donna sorrise freddamente, lanciando un'occhiata ostile a Demelza e Zachy. Ma non disse nulla, li ignorò e con la sua consueta grazia, chiese a Ross di portarla nel suo ufficio per darle qualche spiegazione in più. Lui ovviamente acconsentì e come un cagnolino ubbidiente, la scortò dentro il suo ufficio.

Rimasti soli, Zachy fece un lungo sospiro. "Ahhh, voi donne e il vostro misterioso potere...".

"Quale potere?" - chiese Demelza, in un certo senso ferita per l'allontanamento di Ross dal loro discorso. Era stupido esserlo, non erano che soci in affari ed Elizabeth era una cugina e la donna che amava, eppure era ferita lo stesso che se ne fosse andato in quel modo, senza nemmeno un saluto...

Zachy ridacchiò. "Il potere che vi rende capaci di trasformarci in perfetti idioti con un semplice battito di ciglia".

Demelza sorrise amaramente. "Non ho questo potere".

"Oh, lo avete, il capitano Poldark si trasforma quando siete quì. Sembrate dargli... luce...".

Imbarazzata, Demelza scosse il capo. "Oh, dubito di avere tale potere. Ce l'ha la donna che è appena arrivata però, lei lo ha di certo".

"Sì, il capitano Poldark quando c'è lei diventa un cagnolino scodinzolante. Bisogna capirlo, visti i trascorsi... Eppure a volte gli darei una legnata in testa per levargli l'espressione da ebete che veste quando lei compare all'orizzonte".

Demelza si accigliò. Il commento di Zachy era sicuramente amichevole eppure vi scorse una sorta di risentimento verso Elizabeth e Demelza di certo ne comprendeva il motivo, visto l'atteggiamento supponente di Elizabeth verso il mondo dei minatori. "Era innamorato di lei, dicono, prima di partire per la guerra".

"Cose da giovani, che si dovrebbero superare. Lei ha fatto altre scelte...".

"Scelte che ora hanno perso consistenza" – fece notare Demelza, pensando con tristezza alla fine ingiusta di Francis.

Zachy si mise la giacca sulle spalle, preparandosi a tornare a casa. "Ma il passato non si cancella e le scelte fatte da quella donna dovrebbero far riflettere il nostro capitano prima che si metta nei guai. Si dice che la vedova sia pericolosamente vicina a George Warleggan e Ross è troppo cieco per capire la situazione. Oppure la ignora volutamente perché non vuole vedere, fa spesso così quando una situazione non gli è congeniale".

Demelza sussultò a quelle parole, ricordando quando aveva incontrato George Warleggan ed Elizabeth insieme, il giorno dell'inaugurazione della scuola di Truro. Gli erano sembrati molto intimi, in effetti... Ma non erano affari suoi e non era persona che amava i pettegolezzi e quindi decise che per rispetto a Ross Poldark, era giusto chiudere il discorso. "Non credo che siano cose di nostro interesse".

Zachy annuì. "Voglio bene a Ross, lo conosco fin da quando era ragazzo... Vorrei che evitasse di farsi del male".

Demelza annuì, avvicinandosi al suo cavallo e montandovi in sella. "E' adulto abbastanza per sapersela cavare. Sono certa che saprà fare le scelte giuste".

"Ve ne andate già? Senza salutarlo?" - chiese l'uomo.

"Non si ne accorgerà nemmeno che sono tornata a casa" – gli rispose, con una strana nota di amarezza nel tono di voce. Poi salutò Zachy e poi, con il vento ancora forte fra i capelli, galoppò verso casa. Aveva cercato di apparire distaccata con Zachy ma in un certo senso capì di sentirsi ferita per come Ross l'avesse 'dimenticata' appena Elizabeth era comparsa al suo cospetto. Non che ci fosse qualcosa di male in questo, sapeva bene cosa aveva unito i due e sapeva altrettanto bene che lui non l'aveva dimenticata e che invece lei non era che un'estranea che era momentaneamente al suo fianco per una questione di affari. Era un uomo complicato Ross Poldark, affascinante, indomito, intelligente e dall'animo romantico. Elizabeth invece... Dubitava che nutrisse verso di lui sentimenti altrettanto disinteressati e pieni di passione e in effetti non vedeva in lei che una donna disperatamente alla ricerca di un posto in società che di certo Ross non poteva darle... Eppure continuava a gravitargli attorno, alla ricerca del suo sguardo pieno di passione e venerazione, come se avesse bisogno, per brillare, di essere ammirata... O forse era semplicemente gelosa e in lei vedeva un male che non esisteva, chi poteva dirlo?

In cuor suo si augurò che Zachy gli rimanesse accanto in caso di bisogno. E che Ross fosse davvero un uomo avveduto e capace di evitare i guai e di capire quando un abbaglio non era che... un abbaglio...


...


Elizabeth si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, dopo averne scrollato la polvere che vi si era accumulata e Ross si accomodò davanti a lei. "E allora, a cosa devo l'onore della tua visita?".

Elizabeth, imbronciata e del tutto decisa a fargli capire il suo risentimento nell'essere stata tenuta all'oscuro della riapertura della Wheal Grace, picchiettò nervosamente col piede in terra. "Perché volevo chiederti due cose".

"Quali?".

"Perché non ti fidi di me! E perché non mi hai parlato dell'apertura della miniera".

Il tono di Elizabeth era duro e Ross se ne sentì ferito perché sentire dalla sua voce dei sospetti sul suo affetto e sulla fiducia che nutriva verso di lei, era un grave smacco per lui che da sempre cercava di prodigarsi in suo favore con ogni mezzo possibile. Sorrise amaramente, sperando che Elizabeth capisse il perché delle sue azioni. "Sei la persona di cui mi fido di più al mondo, credimi... E mi ferisce sapere che non ne sei convinta".

"Come posso esserne convinta? Mi hai nascosto una cosa così importante..." - si stizzì lei.

"Te lo avrei detto, a tempo debito, se fosse stato necessario. Non c'è nulla di definitivo nella riapertura della Grace, semplicemente Lord Falmouth ci ha dato i fondi necessari per terminare le esplorazioni dove era stato trovato lo stagno quando Francis era vivo, ma non c'è nulla di certo e non è detto che a breve la miniera richiuda. Fra un mese, potrebbe essere tutto terminato nell'ennesimo buco nell'acqua e io non volevo turbarti con false speranze. Non volevo turbare nessuno di voi, né te, né zia Agatha, né Verity...".

Forse quella spiegazione avrebbe potuto bastarle, ma Elizabeth si rese conto che non era così e che era comunque arrabbiata con lui. "E le cose come vanno?".

Ross alzò le spalle. "Stiamo trovando qualcosa di interessante ma è presto per brindare".

"E lei? Lei che ci fa quì?" - chiese Elizabeth in tono freddo, indicando l'uscio.

"Lei chi?".

"La vedova Boscawen. Il denaro di Falmouth ti lega in qualche modo a Demelza? L'ha mandata Falmouth per controllarti? E tu come hai potuto accettare una cosa simile? Non è da te diventare il cagnolino di qualcuno...".

C'era gelosia nel tono di voce di Elizabeth e Ross la scorse subito. Ma non seppe dire se gli facesse piacere o meno... Però a quel punto, chiarirsi era fondamentale. Le raccontò dell'incontro con Falmouth, delle sue proposte, dell'idea di dare una scuola ai figli dei minatori e del ruolo di Demelza in questo. Non c'era nulla di male e desiderava che Elizabeth lo sapesse e non se ne sentisse turbata.

La donna ascoltò in silenzio, attentamente, mantenendo il suo atteggiamento ostile. La rabbia verso Ross in fondo era un pò scemata ma odiava che Lady Boscawen gli gravitasse attorno perché era indubbio che Ross la ammirasse e non voleva dividere il suo piedistallo con qualcun'altra, soprattutto con la figlia arricchita e furba di un minatore. Inoltre Demelza l'aveva vista assieme a George in una passeggiata 'intima' a Truro e se si fosse lasciata scappare la cosa con Ross, lei sarebbe finita nei guai e ne sarebbe scoppiato un pandemonio. Era troppo presto per rendere ufficiale il suo legame con il ricco banchiere e doveva ancora capire come far digerire la cosa a Ross e quindi Demelza non poteva mettersi nel mezzo di quella situazione esplosiva. Avrebbe potuto negare, certo, ma il tarlo del dubbio si sarebbe insinuato in Ross ed estirparlo sarebbe diventato poi impossibile. Non si sentiva in colpa, era sempre stata una donna leale e dopo tutto anche lui aveva tenuto il segreto della riapertura della Grace con lei, quindi non c'era niente di male affinché pure lei avesse dei segreti suoi...

"Una scuola? Servirebbe davvero a questi bambini?" - chiese, cercando di fargli apparire quell'idea stupida.

Ma Ross annuì. "Sì, potrebbe essere qualcosa di inutile. Oppure la prima ed unica opportunità che questi bambini avranno per una vita migliore. E i Boscawen potrebbero avere i mezzi per garantire agli studenti più meritevoli dei buoni studi superiori".

Elizabeth per un attimo pensò a come rispondere senza apparire capricciosa o malfidente, poi optò per uno sfoggio caritatevole delle sue buone maniere. "E' sicuramente un'idea lodevole, ma Lady Boscawen è a sua volta la figlia di un minatore e non ha frequentato scuole che la rendano idonea ad insegnare".

"Sa leggere e scrivere e questo basta, ai bambini" – le fece notare Ross – "E suo marito era un letterato e un poeta e le ha insegnato molto durante il loro matrimonio".

Elizabeth scosse la testa. "Ross, era una domestica fino a qualche anno fa".

Ross sbuffò, decisamente a disagio. "Vorresti farlo tu al suo posto?".

Elizabeth avvampò a quella proposta che non capiva se fatta per una questione di fiducia o per provocazione. "Cosa?".

Anche Ross non capì il perché di quella richiesta ma continuò ostinatamente su quel discorso. "Vieni tu e insegna ciò che sai a questi bambini... Tu hai studiato dai migliori maestri della zona, no?". Era fiducia in lei? Le stava offrendo un posto al suo fianco? O la stava provocando? Non capiva davvero perché stesse dicendo tutto questo che, sapeva, essere oltremodo inappropriato nei confronti di una nobildonna come Elizabeth.

Lei, tesa, strinse la stoffa della sua gonna fra le mani. Come osava chiederle di abbassarsi così? E lei, in virtù di tanta arroganza da parte sua, che remore si faceva a preoccuparsi della sua reazione alla relazione con George? Ross pareva soggiogato da Lady Boscawen, lei sembrava averlo cambiato e c'era un modo, uno solo, per distoglierlo da ciò. E quel modo l'avrebbe usato presto e lui avrebbe ricordato chi era l'unica donna a cui doveva rispetto, ammirazione e fedeltà... "Ho molto da fare a Trenwith e lo sai... E devo seguire Geoffrey Charles negli studi" – rispose, stizzita.

"E allora la questione è chiusa" – disse Ross, concludendo quella spiacevole diatriba che lo vedeva fra due fuochi, senza sapere per chi parteggiare.

La aiutò a rialzarsi, baciandole con dolcezza la mano. "Elizabeth, sai che tutto quello che faccio è per il bene di tutti voi e che se qualcosa di buono uscirà da questa impresa, sarà a te che andrà".

"Dici davvero?" - chiese avvicinandosi, cercando di rendere calda la sua voce e avvicinando il viso al suo.

Ross per un attimo parve confuso da quella vicinanza di lei così inaspettata e da quel modo di fare suadente, si sentì avvampare e si rese conto di essere vittima di un desiderio fin troppo a lungo represso. "Davvero... E lo sai".

Le labbra di Elizabeth si avvicinarono alle sue, un solo assaggio di lei, anche piccolo, lo avrebbe fatto cadere ai suoi piedi e lei avrebbe potuto chiedergli tutto. Ma Zachy Martin li interruppe, entrando nello studio per prendere la sua giacca.

"Vado a casa capitano, è ora di cena".

Elizabeth si allontanò di scatto da Ross, rossa in viso, maledicendo silenziosante quel dannato minatore bifolco. Ross invece, come destato da uno stato di tranche, si schiarì la voce, cercando di calmare il suo cuore e il suo corpo che parevano non rispondere più alla sua mente. "C... Certo, ci vediamo domani" – disse, impacciato.

Elizabeth gli lanciò una lunga e ammiccante occhiata e decidendo di non concedergli altro per quel giorno, si congedò e poi sparì dietro la porta, riprendendo il suo cavallo e sparendo dietro l'orizzonte. Ross rimase a guardarla andare via, in silenzio, confuso da quanto stava per succedere e spaventato dall'idea delle conseguenze di tutto questo. Spaventato da cosa, poi? Non era la donna che desiderava da sempre? E ora che Francis era morto, non toccava forse a lui prendersene cura con amore?

Ancora una volta, Zachy lo interruppe. "Venite anche voi?".

"Non c'è più nessuno?" - chiese Ross.

"No, sono andati tutti via".

Come ricordandosene solo in quel momento e sentendosi in colpa per questo, Ross si guardò in giro. "E lady Boscawen?".

"Se n'è andata da un bel pò".

"Non l'ho nemmeno salutata".

"Avevate da fare" – borbottò Zachy, con tono di rimprovero.

L'uomo se ne andò e Ross rimase solo, con una strana sensazione di amarezza nel cuore mentre l'immagine di due donne, diversissime fra loro, lo costringevano a pensare seriamente a cosa davvero volesse dalla vita.


Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo ventotto ***


Decise di portare con se Sun, il giorno in cui Demelza sarebbe tornata alla miniera per la sua lezione. Ross sapeva che le avrebbe fatto piacere e in cuor suo sperava che questo avrebbe un pò sminuito il suo comportamento di pochi giorni prima quando, poco galantemente, era stato catturato dalla figura di Elizabeth ed era sparito senza nemmeno salutarla. Non che fosse una cosa grave, capitava spesso che emergenze o questioni di lavoro gli impedissero di congedarsi da coloro che lavoravano per lui, ma stavolta sapeva di aver sbagliato e forse tramite Sun, sperava di fare ammenda.

La giornata era soleggiata anche se fredda, i venti invernali soffiavano dal mare e sembravano voler congelare ogni cosa e Ross al suo arrivo alla Wheal Grace si stupì di sapere da Henshawe che Demelza era già arrivata e che, nonostante tutto, aveva deciso di portare i bambini in spiaggia per fare una lezione in riva al mare. Non che non fossero bambini temprati dalle intemperie e di certo Demelza non era una svenevole donnetta, ma decise comunque di andare a dare un occhio. Lasciò la miniera e scese da una stradina verso il mare, notando in lontananza delle minacciose nubi che sembravano far rotta verso di loro. Il tempo sarebbe cambiato anche fin troppo in fretta ricordando a tutti che era quasi inverno, pensò...

Quando arrivò, trovò i bambini seduti in cerchio attorno a Demelza, ognuno con un legnetto in mano che veniva usato per scrivere le lettere nella sabbia. Aveva strani metodi di insegnamento, i bambini erano spinti ad apprendere col gioco e anche se professori e insegnanti più blasonati di lei avrebbero storto il naso, sembrava piuttosto funzionante.

Sun miagolò e Demelza e i bambini si voltarono verso di lui, stupiti di trovarlo lì. Lei, con indosso un caldo cappotto blu e uno scialle di lana sulle spalle, gli sorrise. "Signor Poldark, buongiorno".

Ross, impacciato, intimamente la ringraziò per non avergli messo il muso al primo sguardo, facendolo sentire in colpa. Era comunque una lady, lo sapeva che le buone maniere le avrebbero impedito di mostrargli il suo disappunto per quanto successo pochi giorni prima e magari nemmeno ci pensava più, però Demelza era anche una donna nata nel popolo e molto spontanea nelle sue reazioni e non era così scontato che non fosse arrabbiata. "Buongiorno".

Demelza fece per dire qualcosa ma quando vide Sun, tutta la sua attenzione fu catturata da lui e dal suo fluente pelo rosso. Si alzò di scatto e come una bambina eccitata corse da lui, prendendolo in braccio e stringendolo a se. "Giuda... Sei così cresciuto e bello!" - esclamò, tenendolo saldamente fra le sue braccia. Poi, anche se Ross non lo meritava, lo guardò con gratitudine. "Grazie, è una sorpresa così bella... Non lo vedevo da...".

"Da quando lo abbiamo trovato" – la interruppe lui mentre i bambini le correvano attorno per accarezzarlo. Santo cielo, pensò, è così bello che esistano donne che sanno essere davvero felici per un semplice gatto.

"Posso prenderlo in braccio?" - chiese uno dei bimbi. "Io ho accarezzato solo i topini che corrono in casa nostra, mai un gatto!".

Demelza, gentilmente, si chinò per essere alla sua altezza e il piccolo, imitato poi dagli altri bambini, accarezzò la testolina di Sun che dapprima un pò intimorito, poi si stiracchiò godendosi quell'attimo di pace.

Demelza sorrise lasciando che i bambini più grandi lo prendessero in braccio e poi si avvicinò a Ross che, rimasto in disparte, era stato ad osservarli sorridendo. "A cosa devo questa sorpresa?".

Ross, con tutta la sincerità di cui era capace, alzò le spalle e la guardò negli occhi. "Sapevo che vi avrebbe fatto piacere e poi... temo di avere qualche cosa da farmi perdonare".

Lei abbassò lo sguardo, in imbarazzo e consapevole di cosa volesse dire, ma decisa a non fargli pesare nulla. "E volete comprare il mio perdono usando Sun?" - chiese, scherzosamente ma con una punta di divertita malizia.

E questo lo fece arrossire e non gli capitava mai, accidenti a lei! "Ci spero, sì".

A quella risposta tanto tipica di lui, Demelza rise. "Molto furbo...".

"Molto comodo, in effetti" – fu costretto ad ammettere.

Lei tornò seria mentre attorno a loro gli schiamazzi dei bambini rendevano frizzante l'atmosfera. "Non avete nulla da farvi perdonare".

Anche Ross divenne serio. "Io credo di sì. Mi spiace non avervi salutato, l'altro giorno...".

"Avevate da fare".

"Ma non avrei comunque dovuto comportarmi così".

Demelza sospirò, guarando distrattamente i bambini e il mare. "Lei è importante, per voi e questa miniera. E' la vedova di vostro cugino e suppongo abbia la priorità su tutto e tutti noi. Dico davvero, non avete obblighi e io avevo fretta di tornare a casa prima che facesse buio. Nemmeno io vi ho salutato e sono colpevole quanto voi".

Ross le fu sinceramente grato per quel modo di fare che di certo gli rendeva le cose semplici, ma qualcosa in lei gli suggeriva che comunque ci era rimasta male. "Penserete che sono un pessimo datore di lavoro...".

"Non mi permetterei mai...".

"Oh, basta fare la signora educata! Lo avete pensato, ammettetelo!".

Demelza ci pensò su, giocando distrattamente col piede nella sabbia. "Penso che non siano affari miei!".

Lui le si avvicinò, cautamente, un pò in difficoltà per il muro eretto dalla donna che di certo si stava imponendo di non lasciarsi andare. "Oh, ciò che faccio sono affari vostri! Vi ho fatto vedere luoghi nascosti che non mostro a chiunque...".

Lei rise. "Cosa?".

"La mia miniera! Vi ho permesso di esplorarla con me, non è una concessione che do molto spesso!" - le rispose, come se mostrandole la Grace le avesse fatto un immenso dono che al confronto, una collana di perle impallidiva... Aveva una gran faccia tosta, doveva ammetterlo! Ma Demelza non era un soggetto facile.

Demelza raccolse la sfida. "Oh, avanti! Avete solo mostrato a una collaboratrice il suo luogo di lavoro".

"I cunicoli?".

Demelza rise ancora. Era stata una bella esperienza essere la sotto, lontani dal mondo, lui e lei soli... Un mondo oscuro e forse spaventoso ma che faceva parte di loro e del loro essere. "E' una miniera, il posto di lavoro di chi ci lavora sono i cunicoli" – gli fece notare, con aria di sfida. "Non lo sapete?".

"Certo che lo so!".

"E allora è tutto a posto!" - tagliò corto lei, divertita.

Ross, col suo miglior sorriso da canaglia, contrattaccò. "Siete davvero una pessima collaboratrice".

"Potete permettervi di meglio?" – rispose lei, facendogli la linguaccia.

"E voi?" - chiese Ross, avvicinandosi ancora di un passo e facendola avvampare per quella strana intimità giocosa che si stava insinuando fra loro.

"Io cosa?".

"Voi potete permettervi di meglio?".

Demelza si mise le mani sui fianchi, decisa ad avere l'ultima parola. "Ovviamente no, dovremo quindi sopportarci! E se davvero volete saperlo...".

"Dite!".

Questa volta fu lei ad avvicinarsi. "In effetti, visto che ci tenete tanto a saperlo, siete un pessimo datore di lavoro".

Ross scoppiò a ridere, felice di aver rotto il ghiaccio e divertito per quella sua impertinenza che la faceva sembrare adorabile. Gli era mancato quel lato del suo carattere che sembrava andato perso con la morte di Hugh, si trovò a pensare... "Pessimo, forse sì. Eppure sono quì".

"Per far cosa?".

"Per accertarmi che voi e i vostri allievi non moriate di freddo".

"Siamo gente temprata al vento della Cornovaglia" – gli fece notare Demelza.

"Ma..." - Ross indicò il mare sul cui orrizzonte iniziavano ad addensarsi fosche nubi sempre più vicine e nere – "Temo che a breve pioverà e che quì fuori sarà troppo freddo anche per gente d'acciaio come i marmocchi di Cornovaglia".

"Marmocchi di Cornovaglia?" - sbottò Demelza. "E anche io apparterrei a questa categoria?".

"Certamente, non è quello che eravate fino a qualche anno fa? Una marmocchia...".

"E' un modo contorto per dirmi che sono molto giovane?".

Ross le strizzò l'occhio. "Siete giovanissima, mi sembra".

"Ho ventidue anni".

"Una signora non dovrebbe mai dire la sua vera età" – la rimbeccò Ross.

"A che servirebbe nasconderla? Diventerei più giovane?".

Ross si stiracchiò, osservando i bambini che tormetavano il povero Sun che sicuramente stava rimpiangendo i comodi cuscini e il camino di Nampara. "Non ne ho idea, a voi donne piace fare le misteriose su questa faccenda di quanto siete vecchie...".

Demelza rise di nuovo, andando a riprendere Sun per salvarlo dai bambini. "Sono una strana donna, lo avete detto voi stesso. E poi ventidue anni sono ancora pochi ma forse fra qualche anno inizierò pure io a diventare misteriosa su questa faccenda".

"Ne dubito" – le disse, insolitamente con gentilezza. Non ne aveva alcun dubbio, nemmeno con gli anni sarebbe diventata qualcosa di diverso dalla ragazza solare, aperta e sincera che era ora. "Comunque con me non avrete problemi, abbiamo esattamente dieci anni di differenza, sarò sempre un bel pezzo più vecchio di voi".

"Buono a sapersi" – gli rispose, stringendo Sun.

Decisamente di buon umore, Ross si avvicinò ai bambini. "E allora, piccoli scansafatiche, che state imparando?".

La piccola Sally Henshawe gli si avvicinò con un lungo legnetto in mano. "Lady Boscawen ci sta insegnando a scrivere i nostri nomi nella sabbia! E' divertente, sapete capitano? Invece delle penne e dell'inchiostro che costano tanto, coi legnetti si scrive lo stesso! Dove la sabbia è bagnata poi, si scrive ancora meglio".

"Oh, non ne dubito" – le rispose Ross, inginocchiandosi davanti a lei. "Sapreste scrivere nella sabbia il nome del mio gatto?".

"Come si chiama?" - chiese un altro bambino.

"Sun. Siete davvero fortunati, gli ho dato un nome corto, non farete fatica".

Demelza si inginocchiò e i bambini le si avvicinarono, con l'attenzione focalizzata su di lei. La donna, usando l'indice della mano destra, tracciò nella sabbia le lettere per scrivere il nome del gatto, ne spiegò il significato di ognuna ai bambini e poi li mandò in riva al mare per fare altrettanto.

Quando i piccoli si furono allontanati, rimase con Ross ad osservarli da debita distanza.

Lui la fissò, ammirato. Non si credeva una brava insegnante ma da quel poco che aveva visto, lo era eccome. E i bambini la adoravano ed ottenere il rispetto da quei piccoli monelli di strada non era poca cosa. "Siete davvero una stramba maestra. Ma in gamba...".

Demelza sussultò a quelle parole. Non c'era traccia di scherno in lui e il suo tono di voce sembrava quasi... dolce. "Vi ringrazio".

"Avreste un futuro come insegnante".

Demelza sospirò, stringendosi nello scialle. "Oh, non posso che insegnar loro poche cose, non ho mai frequentato scuole e poi, lo sapete pure voi, questa è una concessione che mi fa Lord Falmouth perché ha fini personali che persegue e che vi vedono protagonista, ma come vedova di Hugh e appartenente alla famiglia Boscawen, non posso lavorare".

"E vi dispiace?" - le chiese, notando il rammarico nel suo tono di voce.

Lo sguardo di Demelza si perse nel vuoto e la conversazione fra loro, da giocosa, divenne improvvisamente seria. "A volte sì... A volte mi sembra di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato".

Ross annuì, capiva cosa volesse dire. "Vi comprendo".

Demelza lo osservò attentamente, notando nei suoi occhi una grande malinconia. Spesso si era persa ad osservare quegli occhi scuri, enigmatici, che poco facevano trasparire i veri sentimenti del loro possessore, chiedendosi quali demoni lo tormentassero e cosa lo spingesse sempre a lottare e a cercare uno scopo da perseguire, senza riposo, senza risparmiarsi, pagando in prima persona un prezzo a volte spropositato. "Non fraintendetemi, capitano Poldark, ho sposato Hugh per scelta, senza essere forzata... E la mia vita è cambiata in meglio e tanto devo a lui e a Lord Falmouth. Eppure, a volte, mi pare di non essere diventata ciò che volevo, che la vita che avrei desiderato...". Si bloccò, ridendo forse di se stessa. "Giuda, non so nemmeno se da piccola avevo qualche tipo di aspettativa ma...".

Demelza si bloccò, non trovando le parole. Fu Ross a concludere la frase per lei, aiutandola a dire quel che non riusciva. "Ma sentite che vi manca qualcosa. Come manca a me".

Lei annuì, baciando la testolina di Sun che si era accoccolato sotto al suo scialle. "Beh, ciò che manca a voi forse non è così irraggiungibile... Ci vuole solo il coraggio per prenderlo".

Ross spalancò gli occhi, incapace di comprendere a cosa alludesse. "Cosa?".

Lei prese un profondo respiro, cercando il coraggio di concludere quel discorso che incautamente aveva iniziato. "La vedova di vostro cugino... Lo dicono in molti che averla persa è stato il vostro tormento in questi anni. Ora non potreste lottare per riaverla?". Lo disse e sapeva che era sbagliato e che non era né elegante né affar suo, ma fu incapace di stare zitta. Lo disse perché aveva visto quella donna assieme a un uomo che Ross Poldark detestava e se da quel legame di Elizabeth con George Warleggan fosse nato qualcosa di serio ed ufficiale, lui ne avrebbe sofferto infinitamente. E sentiva che non lo meritava.

Lui si incupì. "Sono cose di cui non amo parlare".

"Sicuramente non con me, certo".

"Ma avete intavolato voi questo discorso, lady Boscawen..." - le fece notare, mentre una leggera pioggerellina iniziava a cadere sulle loro teste. Ma non se ne accorsero quasi, così come i bambini che sulla riva giocavano incuranti di bagnarsi quei pochi e e logori vestiti che indossavano.

"Non avrei dovuto, scusate" – si giustificò Demelza.

Ross osservò il cielo e si trovò a pensare a cosa la gente dicesse di lui e a come si ergessero a giudici della sua vita, credendosi in grado di conoscerlo meglio di quanto lui conoscesse se stesso. Nemmeno lui sapeva cosa voleva esattamente e si rendeva conto che i sentimenti provati quando era giovane erano cambiati. Adorava Elizabeth, era la perfezione assoluta ai suoi occhi... Eppure, ora che si guardava attorno, vedeva altrettante cose belle che valeva la pena sfiorare, conoscere, avere. E non era poi così certo di cosa mancasse alla sua vita, cosa mancasse davvero. Il suo sogno giovanile, se lo avesse posseduto, avrebbe colmato quel vuoto che sentiva dentro di se? Oppure, appunto, era solo il sogno di un uomo che non voleva lasciar andare del tutto il ragazzo che era stato? "La verità, Lady Boscawen, è che non è tutto facile come dite voi".

"Cosa volete dire?".

"Che non sono così certo di cosa desidero".

Demelza sospirò. "E allora siamo simili...".

Ross le sorrise. "Forse per più cose di quelle che immaginiamo".

"Cioè?".

Ross le indicò la miniera. "In fondo, entrambi, stiamo cercando di farla funzionare".

"E' vero".

"E non abbiamo timore di un pò di vento e pioggia".

"Vero anche questo".

"E abbiamo il rame del sangue".

Demelza osservò i bambini. "Ognuno di noi lo ha...".

"Ed è una maledizione?" - chiese Ross.

"A volte, non sempre".

"Andiamo a vedere che hanno combinato i bambini?" - le propose.

Demelza accettò l'invito e insieme si avvicinarono ai piccoli, osservando quanto avevano scritto. Ross li prese in giro per i tratti ancora stentati e tremolanti, ma tutti erano riusciti a portare a termine il compito a loro assegnato.

Demelza si congratulò con loro, gli diede delle caramelle che si era portata come premio da casa e poi si riavviò con Ross verso la miniera. Fu quando erano a metà della salita che dalla spiaggia portava alla Wheal Grace che la terra tremò e un rumore sordo ed insidioso invase la costa.

Demelza tremò e guardò con terrore Ross. Conosceva quel tipo di tremore, quel rumore... Tutti lo conoscevano, in Cornovaglia."Capitano Poldark".

Ross, d'istinto, lanciò uno sguardo verso la Grace e si accorse che fumo, urla e un concitato via vai avevano preso il posto della sonnecchiosa tranquillità del mattino. E ancora d'istinto prese Demelza per mano e corse verso la miniera, coi bimbi alle loro calcagna.

Coperto di fumo e fango, Zachy Martin gli andò incontro, col terrore negli occhi. "Capitano! Capitanoooo".

Ross lo prese per le spalle, strattonandolo. "Che è successo?".

"C'è stato un crollo nella miniera al terzo livello, tre uomini sono ancora la sotto".

Un tuono sordo ma potente fece sussultare tutti quanti, come ricordando ad ognuno di loro che l'inferno poteva arrivare in terra anche senza preavviso. La pioggia prese a cadere forte e Ross si maledì per averci creduto e per aver spinto altri uomini a scendere in quei cunicoli che già si erano risucchiati la vita di Francis. Ma non era il momento di piangersi addosso, forse questa volta l'esito poteva essere diverso. Con Zachy corse verso la miniera, togliendosi di dosso il cappotto e lanciandolo per terra strada facendo.

Demelza gli corse dietro, raccogliendolo, poi prima che lui entrasse, lo raggiunse. "State attento" – lo implorò.

Con la disperazione negli occhi, Ross la spinse indietro. "State lontana, è pericoloso".

"Non me ne vado" – disse, decisa.

Lui annuì, grato. "Prendetevi cura dei bambini e teneteli lontani dai guai. Lì sotto ci sono i loro padri, vado a recuperarli. Voi cercate di confortarli e farli stare calmi".

"Lo farò".

Ross la guardò negli occhi, mentre la pioggia li bagnava entrambi senza pietà ma senza essere avvertita. "Lo so... Mi fido di voi".

E poi, detto questo, fu inghiottito con Zachy dall'oscurità di quei cunicoli fonte di tante speranze ma fautori di altrettante tragedie.

E Demelza ripensò a quanto si erano detti poco prima e a quanto costasse a tutti loro quella strana maledizione di avere il rame nel sangue, croce e delizia di tutti coloro che nascevano in quell'angolo remoto di Inghilterra. E pregò che Ross non dovesse pagare ancora una volta un prezzo troppo altro per il suo buon cuore.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo ventinove ***


Era strano come a volte la pioggia fosse la compagna prediletta dei momenti peggiori della vita di un uomo. Raccontata nei romanzi come portatrice di sventura, la pioggia difficilmente era legata a momenti felici dell'esistenza, nell'immaginario comune...

Ed era ancor più strano che fosse a questo che Ross pensasse, mentre scendeva disperatamente in quei cunicoli bui e pieni di polvere, alla ricerca degli uomini che vi erano rimasti intrappolati. Non era uomo da pensare alla filosofia, ma si trovò a pensare a quanto fosse strana la mente umana nei suoi percorsi nei momenti più disperati. Pensò alla pioggia, a suo padre che aveva aperto la Grace e le aveva dato il nome di sua madre, alle tante disgrazie della sua vita, alla sua infanzia per certi versi solitaria, alla speranza di rinascere assieme ad Elizabeth, alla disillusione, a Francis e alla sua morte, a come volesse lasciar perdere tutto e a come Falmouth gli avesse fatto cambiare idea. Ne era valsa la pensa? Rischiare, morire o trionfare valevano davvero la vita dei suoi minatori e la sua? Eppure quella terra e le sue miniere spesso sembravano emanare un'energia che attirava chi vi era nato ed era difficile rimanere lucidi e dire di no. E allora il pericolo diventava parte del gioco, un azzardo che si poteva tentare e ci si ributtava sotto, nel buio e nell'oscurità, consapevoli che era più facile fallire che trionfare e che qualcuno avrebbe potuto non rivedere più la luce del sole. Ma si scendeva lo stesso, ancora e ancora... Anche dopo aver detto di no si continuava a farlo ed era questa la maledizione degli abitanti di quelle terre... Aveva avuto senso accettare di riaprire, si chiese ancora Ross...? Non lo sapeva e sperava di non doverlo scoprire nuovamente a un prezzo troppo alto. Aveva paura ma si rendeva conto che non era il momento... Ora doveva scendere, scavare a mani nude, trovare i suoi uomini e riportarli su, dalle loro famiglie.

Zachy e Ned lo raggiunsero, sporchi di fango e acqua come lui, con la paura negli occhi e la determinazione nel cuore di salvare i tre dispersi. "Capitano".

Ross annuì, era tempo di agire senza rimuginare. Affrettarono il passo con il rischio di cadere, scesero scalette infide e scivolose, si addentrarono nell'oscurità più nera in un'aria sempre più irrespirabile e sfidarono la sorte, la miniera e quella roccia che poteva franare da un momento all'altro sulle loro teste.

Arrivarono fin dove l'acqua gelida arrivava alla loro vita o anche al collo, nuotarono sperando di battere il gelo legati l'uno all'altro da delle corde e infine, dopo vari calcinacci franati sulle loro teste, attenti a non far rumore per non creare nuovi crolli, li trovarono. Feriti, coperti di macerie e rocce ma vivi. I loro lamenti dolorosi erano il suono migliore che Ross avesse mai sentito.

Con la forza della disperazione li estrassero dai calcinacci, se li caricarono sulle spalle e iniziarono la loro salita infernale. Un nuovo crollo li colse alle spalle, spingendoli ad allungare il passo, facendo sentire su di loro il proprio alito di morte, nuove rocce franarono sulle loro teste e risalire la scala viscida con quegli uomini sulle spalle fu disumano.

Ma finalmente furono fuori, coperti di macerie e sangue. Vivi...

Appena Ross sentì la pioggia sferzante che gli bagnava il viso, si sentì quasi rinato nonostante i grandi sensi di colpa che provava per aver messo i suoi uomini in quella situazione di pericolo. Era colpa sua e non avrebbe cercato attenuanti a questo. Cosa dovevano aver provato quei giovani uomini mentre si trovavano la sotto, coperti di rocce? Quanta paura avevano sentito? Era la stessa paura provata da Francis prima di morire? Qualcuno era morto, qualcuno ci era andato vicino per colpa sua. E non poteva trovare scuse e il fatto che ce l'avesse messa tutta per rendere la Grace qualcosa di promettente, non alleggeriva le sue responsabilità. Aveva la miniera nel sangue, tutti quegli uomini erano colpiti dalla medesima maledizione ma il proprietario della Grace era lui e a lui solo spettava il compito di mandare a lavorare i suoi minatori in un posto sicuro. Cosa che, per mancanza di denaro da investire in travi che sorreggessero il soffitto dei cunicoli più traballanti, non era stata fatta.

Dwight Enys, un giovane medico che lo aiutava a curare quei poveri disperati senza chiedere alcunché, corse accanto a lui e ai feriti. Era stato Henshawe a chiamarlo correndo a casa sua mentre loro si trovavano di sotto e il giovane non aveva esitato a correre in soccorso di Ross, che aveva conosciuto anni prima durante la guerra in America e a cui lo legavano un profondo rispetto e una sincera amicizia.

Sam Clittford e Joe Jughes si ripresero quasi subito, terminando la loro brutta avventura con dei colpi di tosse secca e qualche ammaccatura qua e la. Adrian Keller invece aveva la gamba rotta e i polmoni pieni d'acqua e Dwight dovette dannarsi per salvarlo.

Ross, inginocchiato accanto a lui sotto la pioggia battente, con gli altri uomini attorno, osservò il volto bianco di quel giovane ragazzo che aveva solo diciott'anni e lavorava per mantenere la sua famiglia e sentì la morte su di lui, intenta a strapparlo da un'esistenza che forse poteva essere felice.

Dwight gli praticò il massaggio cardiaco e in quel momento arrivò anche Demelza, che aveva messo al riparo i bambini in ufficio, a dargli manforte.

Incurante della pioggia che le aveva completamente infradiciato i capelli e i vestiti, la ragazza si inginocchiò accanto al medico e senza che nessuno le dicesse nulla, prese il polso di Adrian fra le mani, alla ricerca di un battito.

"Respira?" - le chiese Dwight, che nemmeno la conosceva ma che a istinto sentiva di potersi fidare.

Demelza scosse la testa. Non sapeva molto di medicina ma da piccola era lei che si occupava dei malanni dei suoi fratelli e sapeva che il cuore poteva far sentire il suo battito anche nel polso. "No".

Ross la osservò, ammirato. Sembrava non sentire il freddo, l'umidità e la pioggia su di se... Ed era una lady abituata ad ogni comodità ormai da qualche anno eppure pareva aver mantenuto in se il fiero temperamento di monella nata all'ombra di una miniera. La guardò con insistenza e si sentì improvvisamente meno sperso con lei accanto... E silenziosamente ringraziò Dio, a cui non si rivolgeva quasi mai, per i suoi amici, per Dwight e per aver incontrato sulla sua strada Lady Boscawen.

Dwight riprese il massaggio cardiaco con vigore, alternandolo alla respirazione bocca a bocca. Aveva in se la passione per la medicina e sentiva fosse una sua missione aiutare con tutte le sue forze chiunque ne avesse bisogno. Non era interessato al denaro e alla ricchezza, non sarebbe mai diventato ricco, ma di certo sarebbe stato un medico molto amato da chiunque avesse incrociato la sua strada.

Improvvisamente Adrian emise un singhiozzo strozzato e poi prese a tossire acqua mista a sangue. Dwight tirò un sospiro di sollievo, Ross si sentì rinascere e baciato dalla fortuna nonostante tutto, Zachy aiutò il ragazzo a voltarsi di lato affinché potesse espellere tutta l'acqua che aveva nei polmoni e Demelza, incurante del freddo e della pioggia, si tolse il cappotto e lo mise addosso al ragazzo.

Adrian, ancora inebetito e confuso, ci si strinse dentro, alla ricerca di calore. Il cappotto era bagnato all'esterno ma era di ottima fattura e all'interno era caldo e morbido. Una dolce culla per le ossa congelate del ragazzo. "Che è successo?".

Henshawe sorrise mentre i bambini si affacciarono alla finestra dello studio incuriositi. "Succede che hai portato a casa la pellaccia, ragazzo".

Ross si inginocchiò, meno propenso a scherzare rispetto a Henshawe. "C'è stato un incidente e ne sei rimasto coinvolto. Un crollo... Ti farò accompagnare a casa e ti pagherò i giorni che ci metterai a riprenderti come se avessi lavorato. Mi dispiace, la colpa è mia. Spettava a me mettere delle travi nei cunicoli per rendere sicura la miniera".

Il ragazzo, nonostante tutto, scosse la testa. "Capitano, il costo di quelle travi avrebbe tolto risorse per assumere qualcuno di noi. Sappiamo i pericoli che corriamo quando scendiamo la sotto ma siamo disposti a correrli, abbiamo bisogno di lavorare e in fondo un giorno saremo tutti morti, è così importante il modo in cui questo avviene? Siete un ottimo padrone, mille volte migliore di un Warleggan e delle sue ottime travi".

Ross non rispose e anche se le parole di Adrian erano un balsamo per il suo animo tormentato, di certo non affievolivano le sue responsabilità.

Dwight gli tastò la fronte. "Sono d'accordo, ma ora basta parlare. Devi riposare...". Si alzò in piedi ed occhieggiò Zachy. "Accompagnalo a casa, dite alla famiglia di metterlo a letto e di dargli del brodo caldo. E poi riposo, a oltranza, finché non si sarà ripreso del tutto".

Zachy annuì e aiutato da Ned, sollevò il ragazzo. "Sarà fatto". E mestamente, anche se grati a Dio che nessuno ci avesse rimesso la vita, lo portarono via.

Ross rimase ad osservarli pensieroso. Era andata bene ma il prezzo da pagare poteva essere altissimo e non sapeva cosa fosse più opportuno: il sollievo per non aver perso nessuno o il rammarico per aver giocato d'azzardo, ancora una volta, con la vita dei suoi uomini?


...


Per quel giorno nessuno più lavorò. C'erano da decidere i passi successivi, fare delle perizie sulla natura del crollo, ci si doveva riprendere dallo spavento, cercare soluzioni e soprattutto serviva tempo perché gli animi di tutti ritrovassero la tranquillità necessaria per prendere decisioni importanti.

Continuò a piovere tutto il giorno e nel pomeriggio i bambini tornarono a casa. Anche Dwight, appurato che tutti stessero bene, se ne andò e così pure i pochi minatori rimasti che, dopo aver tolto un pò di macerie dai livelli superiori, avevano guadagnato la strada verso casa.

Solo Demelza rimase, incerta sul da farsi. Ross, cupo e taciturno, si era messo seduto sulla veranda fuori dall'ufficio ad osservare il vuoto, incurante della pioggia. La ragazza lo osservò preoccupata e nel frattempo rimase in ufficio a sistemare i fogli con gli scritti dei bambini e alcune carte lasciate in disordine da Ross. Lo tenne d'occhio, da lontano, rendendosi conto che i suoi migliori amici se n'erano andati lasciandolo solo e che lo conoscevano meglio di lei e avevano capito che era di questo che aveva bisogno... Forse avrebbe dovuto farlo anche lei ma non se la sentì.

Quando ormai era buio e la pioggia sembrava ancora più battente, spense la candela dell'ufficio e uscì da lui, sulla veranda. "Capitano Poldark, vi prenderete una polmonite se continuate a rimanere quì".

Ross, coi capelli neri appiccicati al viso e fradici, la osservò senza vederla realmente, rendendosi conto solo in quel momento che era rimasta. "Che importerebbe?".

Demelza capì che si sentiva in colpa ma non voleva che fosse così. Come Dwight Enys, Ross non era mai stato interessato al profitto ma era da sempre spinto dal desiderio di aiutare chi gli era più caro. "A tanta gente che crede in voi, signore".

"Se vi riferite alle parole di Adrian, era confuso, straparlava! Come potrei essere un buon padrone dopo quanto è successo?".

"Io non credo che Adrian straparlasse e anzi, sono certa che il suo pensiero fosse il pensiero di tutti quelli che oggi erano quì. Per la maggior parte dei proprietari di miniera, i minatori non sono che carne da macello da sacrificare in nome del profitto. Ma non per voi... Sono vostri amici, lavorate al loro fianco e dividete la vostra vita con loro... Hanno ragione, il rischio vale la candela. Meglio con voi, in questa piccola miniera che da poche garanzie, che schiavi di un uomo come George Warleggan. Potete fidarvi dell'opinione della figlia di un minatore di Illugan?".

Ross le sorrise, trovando pace in quelle parole. "Ve l'ha mai detto nessuno che avreste potuto diventare un buon avvocato? Sareste capace di difendere egregiamente pure il demonio".

Lei rise. "E' un complimento?".

"E' un dato di fatto, Lady Boscawen" – le rispose. E solo in quel momento si accorse che era rimasta senza cappotto, che i suoi capelli erano ancora umidi e che era tardi ed era rimasta lì, al suo fianco. Sentì il bisogno di proteggerla e scaldarla, sebbene sapesse che non ne aveva bisogno... E una grande ammirazione per lei. "Quella che si prenderà una polmonite sarete voi, siete rimasta senza cappotto".

Lei si guardò, come ricordandosi solo in quel momento di quel particolare. "Oh, non sono così delicata".

Ross si alzò in piedi, entrò in ufficio e ne uscì con una vecchia coperta di lana che teneva per le emergenze in un piccolo baule. Gliela poggiò sulle spalle e poi le sorrise gentilmente. "Non voglio di certo avere anche la vostra salute sulla mia coscienza. E nemmeno sentire i rimproveri di Falmouth nel caso vi venisse un raffreddore".

"Che il cielo ci aiuti, in quel caso!" – rise lei, dimostrando la sua simpatica ironia.

C'era qualcosa di speciale in lei, qualcosa che riusciva a rasserenare pure una giornata drammatica come quella appena vissuta. Lady Boscawen sapeva portare il sole anche nei giorni di pioggia ed era straordinario che non se ne rendesse conto e non se ne vantasse come ogni altra donna avrebbe fatto... E fu allora che pose la più indelicata delle domande, la più sfrontata... Ma non se ne pentì mai, né in quel momento né lo avrebbe fatto in futuro. "Come avete fatto a sposare un uomo come Hugh Armitage?".

Lei smise di ridere di colpo a quella domanda e lo guardò confusa, senza forse capire appieno il vero significato nascosto di quanto le aveva appena chiesto. "Volete dire... come ha fatto Hugh a voler sposare una donna come me?".

Ross scosse la testa. Era la più logica delle domande forse, quella che lei aveva formulato, la domanda che forse la maggior parte della gente si era fatta, ricamandoci su storie fantasiose e infiniti pettegolezzi... Ma non lui. "No, intendo proprio ciò che vi ho chiesto! Come può una donna solare e vivace come voi, aver sposato un uomo pacato e passivo sognatore come Hugh Armitage?".

Improvvisamente l'aria si fece pesante fra loro e Demelza comprese bene, dallo sguardo, che Ross era terribilmente serio stavolta. Avrebbe potuto offendersi, ricordargli che non erano affari suoi o chiedere perché gli interessasse ed invece si trovò a pensare a come rispondere... A lui e forse a se stessa e a quei dubbi sul suo matrimonio che mai aveva permesso di venire alla luce. "Ero una ragazzina inesperta. E lui un bravo ragazzo che mi adorava...".

"E voi lo adoravate?".

Demelza si strinse nella coperta. "Mi piaceva, sì... Per la prima volta qualcuno mi trovava bella e teneva a me e questo era così straordinario...".

"Non avete risposto alla mia domanda, però" – le fece notare Ross, con una strana insistenza.

Lei si accigliò, forse un pò irritata da quel pressing di domande che la mettevano in difficoltà. Avrebbe potuto sottrarsi facilmente a quella conversazione ma stranamente non lo fece, non del tutto almeno. "Hugh non vi è mai piaciuto, vero?".

"Penso che vivesse una vita vuota, priva di emozioni e aspettative. Aveva tutto, nulla per cui lottare e ogni cosa a portata di mano. Era viziato, forse, come lo sono tutti quelli appartenenti al suo rango. Non fraintendetemi, so bene che era una brava persona ma voi... voi non avete apparentemente nulla in comune con un uomo così e davvero, a guardarvi da fuori, mi sono spesso chiesto cosa vi abbia spinto a sposarlo".

Lo sguardo di Demelza si indurì. "Pensate che lo abbia fatto per i soldi?".

"No, di questo ne sono certo e non oserei mai nemmeno pensarlo". Non voleva che pensasse una cosa simile e sicuramente non voleva offenderla o che ci fossero fraintendimenti su una cosa che per lui era certezza.

La donna sospirò, appoggiandosi al muro. Sun, che era rimasto al caldo nello studio, la raggiunse e le fece delle fusa e lei lo prese in braccio, perdendosi in pensieri talmente potenti che le fecero quasi paura. Era la prima volta che qualcuno chiedeva così sfrontatamente di lei e Hugh e questo metteva a nudo i suoi pensieri più intimi ed era così strano che stesse succedendo con un uomo che – e ne era consapevole – la attraeva tanto. "Come vi dicevo, ero giovane. E quando l'ho conosciuto, ho voluto credere alle fiabe perché lui sembrava un principe e io non avrei mai potuto immaginare, da bambina, di potermi sentire una principessa. E Hugh un principe lo è stato in un certo senso, sempre gentile, attento, premuroso, non mi ha mai fatto mancare nulla".

Ross la bloccò, perché era evidente che..."Ma?". Perché le frasi che comprendevano un 'ma' si potevano avvertire a parecchie leghe di distanza.

Demelza fece un sorriso stanco ma consapevole di quanto il suo matrimonio fosse stato piacevole ma allo stesso tempo imperfetto, imprimendosi nella mente le cose belle di Hugh ma ammettendo anche che qualcosa di importante mancava al loro rapporto. "Non so, a volte ho pensato che tutto quello che si dice dell'amore, siano concetti sopravvalutati".

"Che volete dire?".

Scosse la testa. "Paragonano l'amore al fuoco, alla passione, a qualcosa di totalizzante e unico. Io non ho mai sentito nulla del genere ma solo un piacevole modo di vivere la quotidianità". Avrebbe potuto allargare il discorso al mondo intimo del matrimonio ma non era di certo il caso. Eppure anche lì, per lei, valeva lo stesso discorso. Faceva l'amore con Hugh perché era ciò che una moglie doveva fare, perché nonostante all'inizio sentisse dolore poi aveva imparato anche a provare piacere, ma non era...non era come lo raccontavano, non era nulla di tutto questo. A volte aveva pensato di essere sbagliata o che lo fosse Hugh o che semplicemente, gli altri mentivano.

Incurante dei suoi pensieri così confusi e disordinati Ross la guardò assorto, rendendosi conto che non era d'accordo con lei. "Quindi, pensate che l'amore sia una favoletta per bambini?".

"Sì, in fin dei conti".

"Non la penso così".

Demelza strinse forte Sun. "Non ne dubito, per voi è diverso e avete amato intensamente, a quanto dicono...".

Ross sospirò. "Ed è andata male e ne ho sofferto proprio perché è un qualcosa di totalizzante... Ma non parlavo di me, parlavo in generale. L'amore è quella cosa inebriante di cui tutti parlano ed esiste, bisogna solo trovare la persona giusta. O almeno credo...". In quel momento si sentì un pò idiota ad affermare con tanta certezza quei concetti, soprattutto davanti a una donna che era stata sposata alcuni anni e benché più giovane, di certo aveva più esperienza di lui. Ma in fondo non era forse vero che era dotato di una grande faccia tosta?

"Come fosse facile" – borbottò lei.

Ross la guardò intensamente, chiedendosi cosa dirle per farle cambiare idea. "Non avete mai pensato di aver semplicemente sposato l'uomo sbagliato?". Era la seconda cosa sfacciata che le diceva in quella giornata, ma non se ne pentì nemmeno questa volta. L'aveva sulla punta della lingua almeno da due anni...

Demelza impallidì. Nessuno le aveva mai detto la verità – e lei sapeva che era tale – con tanta brutalità. Aveva voluto bene a Hugh, tantissimo. Ma negli anni aveva capito che l'amore era altro ed era un sentimento che per quanto la riguardava, non apparteneva al suo matrimonio. "Può darsi, ma il passato non si può cancellare".

"Ma il futuro è tutto da costruire" – le disse.

"Anche il vostro, capitano Poldark".

Ross assunse un'espressione amara, rendendosi conto che si era atteggiato da maestro per quanto riguardava Demelza ma che non aveva certezza alcuna su di lui. Guardò quella miniera foriera di debiti e tragedie e la sua realtà, che per qualche istante aveva dimenticato, improvvisamente lo colpì con violenza. Il viso cianotico di Adrian e il ricordo di quanto vicino fosse andato alla morte, lo fecero sussultare. "Io ogni volta che ci provo, fallisco".

"Non è vero e lo sapete".

"E quello che è successo oggi, come lo definireste?".

Demelza lo vide tremare, i pugni stretti, il viso contratto e il dolore negli occhi. Se fino a poco prima era stato sfacciato e quasi arrogante, ora pareva smarrito e preda di grandi sensi di colpa. "Una disgrazia accaduta mentre tante persone di buona volontà cercavano di fare del loro meglio col poco che avevano a disposizione. E quando si cerca di fare del proprio meglio, non ci si deve mai pentire di nulla".

Ross alzò lo sguardo, disperato. Le si avvicinò e con un gesto veloce le prese le mani, costringendo Sun a saltare a terra. "E Adrian? Non dovrei essere pentito per quanto gli è successo?".

Demelza rispose alla sua stretta. "Adrian scenderebbe ancora anche domani, in quei cunicoli".

"Questo non alleggerisce le mie responsabilità".

Demelza gli sorrise e poi, con un gesto gentile, liberò dalla stretta di Ross la sua mano destra per accarezzargli la guancia. "Ma dovrebbe... Come vi hanno detto i vostri amici, non vorrebbero lavorare per nessun altro che non siate voi. E quindi, o loro sono folli oppure voi vi sottovalutate".

Ross sentì sul viso il calore di quella mano e provò l'istinto, tenuto a malapena a bada, di baciarla. Disperazione, stanchezza, paura e spossatezza non chiedevano altro che di disperdersi nel calore che emanava da quella strana ragazza. Non la baciò, non avrebbe potuto permettersi di fare nulla del genere ma per un attimo crollò contro di lei, facendola arretrare fino alla parete, affondò il viso nel suo collo, fra la coperta che le aveva dato, e poi rimasero lì, fermi, immobili, con in sottofondo il battito veloce dei loro cuori e il rumore della pioggia battente che non smetteva di cadere.

Demelza lo strinse a se, accarezzando i suoi ricci scuri, cercando di rincuorarlo con la stessa tenerezza usata spesso per calmare Hugh nei momenti peggiori. Ma Ross era diverso, non era come Hugh e viveva tutto più intensamente, sia le vittore, sia le sconfitte. Aveva un animo sempre in guerra contro se stesso e sentiva sulle sue spalle il peso del mondo ed era affascinante il suo modo di vivere, ma allo stesso tempo doveva essere così logorante per lui...

Ross rimase immobile per lunghi minuti, quasi in tranche, chiedendosi se mai nella vita si fosse trovato meglio di così. Poi si rese conto che non poteva approfittarne, che poteva apparire infantile e che si stava prendendo confidenze che non gli erano concesse. "Perdonatemi" – le disse, fra i capelli.

"Non avete nulla di cui chiedere scusa" – rispose lei che, al suo pari, si sentiva bene ad averlo così vicino. Ne era attratta, da tanto, di quell'uomo tanto sfrontato ma affascinante, del suo corpo statuario, del suo fisico asciutto e muscoloso che aveva visto di nascosto quasi due anni prima, scrutandolo mentre nuotava nel mare. Ma ora c'era altro, in lei, per lui... Era la sua anima tormentata e generosa ad attrarla, oltre a tutto il resto, le sue battaglie, il suo dolore da lenire, la sua passione in tutto ciò che faceva. Come avrebbe potuto gestire tutto questo?

Ross si tirò su, fronteggiandola viso a viso. "E' così tardi e fa freddo e voi dovreste essere a casa da un bel pò" – le sussurrò, sfiorandole una ciocca bagnata e rendendosi conto solo in quel momento che era ormai buio pesto.

"Sì, forse dovrei. Ma stare con Sun è stato così piacevole" – scherzò lei, per stemperare la tensione creatasi fra loro.

"Lo immagino".

Demelza si accovacciò ad accarezzare il gatto. "Domani sorgerà di nuovo il sole e tutto quello che ora vi appare cupo, lo vedrete sotto una luce nuova".

Ross osservò lei e poi la Grace. "Forse, grazie a voi, mi sembra meno cupo già ora, rispetto a quello che dovrebbe. Ho molto per cui ringraziarvi, stasera".

"Forse anche io" – gli rispose, rendendosi conto che le aveva dato un posto da insegnante, bambini a cui fare da maestra e soprattutto che, forse inconsapevolmente o forse volutamente, l'aveva costretta a parlare di cose talmente dolorose e private che mai aveva avuto il coraggio di esternare. E che questo le aveva fatto bene...

Ross le tese la mano. "Vi accompagno a casa".

Ma lei scosse la testa in segno di diniego. "No, ho davvero voglia di galoppare da sola, in silenzio".

"Insisto".

"No, per favore". Quasi lo implorò ma dopo quanto si erano detti, aveva tante cose a cui pensare e una vita intera da ricostruire dopo aver preso atto forse per la prima volta degli errori commessi in passato. Non era pentita di aver sposato Hugh, era stato a suo modo un matrimonio felice e per suo marito una ragione di vita, ma capiva che non era la strada che avrebbe dovuto intraprendere. Ma era stato giusto così perché ora aveva raggiunto una consapevolezza di se stessa che difficilmente avrebbe raggiunto se avesse fatto scelte differenti.

Ross parve capire il suo desiderio di intimità e solitudine e quindi, dopo averla condotta al cavallo e averla vista dare un bacio a Sun e montare in sella, la lasciò andare per la sua strada. Era una donna cornish forte, una galoppata notturna e un pò di pioggia non l'avrebbero scalfita e forse per lei era meglio così...

Dopo un'ultima occhiata alla sua maledetta miniera, mestamente tornò a casa, consapevole che la sorte e la vita lo avevano ancora messo alla prova col crollo di quella giornata e meno sicuro sul continuare o meno, ma consapevole che Lady Boscawen aveva ragione e che dopo una notte tanto orribile, al mattino con la luce tutto avrebbe assunto altre forme meno spaventose. Aveva solo bisogno di un bagno caldo, di una cena, di una buona dormita e di non pensare a nulla... O al massimo, di pensare a cosa avesse di tanto magico in se quella strana ragazza dai lunghi capelli rossi.

Prese Sun, montò sul suo cavallo e mestamente fece ritorno a Nampara.

Ma quando arrivò a casa, Prudie lo accolse con una lettera che lo avrebbe sconvolto più di quanto potesse sopportare in una giornata del genere.

"Chi la manda?" - chiese Ross, aprendo la busta.

"Arriva da Trenwith" – rispose la donna, quasi intimorita, mentre Jud spariva dietro a una porta borbottando.

Come rendendosi conto di una tempesta in arrivo, Sun anche Sun corse via su per le scale, rifugiandosi in camera.

Ross invece andò nel suo studio, si sedette sul divano e lesse.


"Caro Ross, non trovo e non troverò le parole più adatte per dirtelo, ma a questo punto devo e spero che capirai la mia scelta e non mi biasimerai.

Ho acconsentito a sposarmi con George Warleggan".


Ross non riuscì nemmeno a finire la lettera che con la sua grafia elegante, Elizabeth gli aveva inviato. Tutto divenne cupo, nero attorno a lui. E i sentimenti buoni e puliti respirati con Lady Boscawen sparirono, lasciando il posto a qualcosa di indefinito, rabbioso, cattivo ed incontrollabile... La miniera lo aveva tradito, di nuovo! E anche Elizabeth!

Con un balzo si alzò, superò Prudie che lo rincorse e si diresse verso le stalle, sotto la pioggia battente.

"Signore, dove andate?".

"A Trenwith!" - le rispose, scomparendo come spinto dalla più folle delle pazzie, nella notte.



Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo trenta ***


Il buio nella sua anima e la totale assenza di sentimenti eccezzion fatta per la rabbia, faceva un tutt'uno con l'oscurità di quella notte tempestosa.

Ross galoppò come impazzito verso Trenwith, spingendo il suo cavallo a una corsa al limite delle sue capacità, chiedendosi con il poco raziocinio che gli era rimasto, in cosa avesse sbagliato. A fidarsi di lei? A sperare, ancora, nonostante già una volta si fosse scottato con la medesima acqua bollente? O era rabbia verso se stesso e quanto era stato cieco? Oppere era rabbia verso Elizabeth o verso l'amicizia che la univa a George o che altro ancora?

Difficilmente la furia che aveva in corpo gli avrebbe fornito le risposte di cui necessitava e nemmeno sarebbe riuscito a capire il perchè di quella galoppata furiosa. Perché andava a Trenwith? A urlare e strepitare? Per cercare di capire? O per reclamare ciò che pensava fosse suo?

Era stata una giornata orribile in cui la morte aveva sfiorato di nuovo la sua miniera, in cui le poche certezze a cui si era aggrappato erano cadute di nuovo, con il solo calore delle parole amiche di una strana ragazza dai capelli rossi... E ora di nuovo, l'incubo dell'oscurità e delle promesse tradite lo colpivano, ancora e poi ancora. E la colpa era sua o della donna in cui aveva riposto ogni speranza?

Quando arrivò a Trenwith, tutto era ovviamente buio. La casa sembrava avvolta dal tepore del sonno e la pioggia che vi batteva contro incessantemente non sembrava scalpirne il silenzio opprimente.

Sceso da cavallo Ross si avventò sulla porta, batté con forza i palmi ma quando vide che nessuno arrivava ad aprire, corse sul retro della casa e si arrampicò sull'albero i cui rami poggiavano sul davanzale che dava sul corridoio del primo piano dove si trovavano le stanze da letto. Si stava comportando come un ladro ma la furia in lui gli impediva di fermarsi.

E così bagnato, infreddolito, furente, saltò sul davanzale, ruppe il vetro, introdusse la mano e aprì la finestra. E in un attimo fu dentro casa, alla ricerca di chissà che...

Quando fece per arrivare alla porta di Elizabeth per aprirla, buttarla giù a calci o chissà che, fu la donna ad anticiparlo, comparendo da dietro l'uscio in camicia da notte, coperta unicamente da una vestaglia di seta verde. Lo guardò ammutolita, osservò con orrore il vetro della finestra rotta e poi, come se non capisse il perché, porse la più ovvia delle domande. "Ross... Cosa ci fai quì?".

Furente le si avvicinò, si mise la mano in tasca e ne estrasse la lettera che gli aveva fatto recapitare a Nampara. Stropicciata, bagnata, strappata, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e Ross questa volta non aveva intenzione di assistere all'ennesima disfatta della sua vita in modo inerme. "Cosa ci faccio quì? Con che coraggio me lo chiedi, dopo questa?".

Elizabeth deglutì. "Ross, forse dovresti tornare domani e così potremo parlarne con calma davanti a una tazza di tè".

"Al diavolo il tè, ne parliamo ora, non domani, non dopodomani. ORA!" - disse, categorico, spingendola con forza dentro la camera e chiudendosi l'uscio alle loro spalle.

Elizabeth arretrò. "Ross, non dovresti essere quì".

Finse di non sentirla o forse non la sentì affatto. Al diavolo le buone maniere, al diavolo il cavallierato, al diavolo tutto. "Che significa questo?".

"Ne più ne meno ciò che vi è scritto. Francis è morto e tutto è ricaduto pesantemente sulle mie spalle. Sono sola, piena di debiti, con una madre da assistere, un figlio ancora piccolo e una grande casa da mandare avanti senza l'aiuto di nessuno. Non sono così forte da fare tutto da sola e ho bisogno della protezione di un uomo. E che qualcuno assieme a me pensi al futuro di mio figlio, rimasto senza nulla a causa dei debiti contratti da suo padre. Non capisci, col futuro di Jeoffrey Charles così incerto e la mia incapacità ad affrontare una vita da vedova solitaria...".

Ross la bloccò, furente, incapace di stare a sentire quella carrellata di ovvietà e bugie. "Io sono quì, io ci sono e ci sarei stato per ogni bisogno! Così come Verity e zia Agatha. Tu e il bambino non siete mai stati soli!".

Elizabeth scosse la testa tentando di apparire provata e poter stemperare la rabbia furiosa che vedeva in Ross. "Lo so e te ne sarò eternamente grata. Ma un marito è qualcosa di diverso, è una spalla costante su cui poggiarsi".

"George? Parli di George Warleggan? Il George Warleggan che ha tentato di farmi impiccare, che non sogna che di vedermi fallire e che ha rovinato la vita di Francis? Sarebbe LUI la spalla su cui vuoi poggiarti?".

"E' gentile con me" – si schernì Elizabeth.

Ross rise, isterico. "Gentile? George?".

"Sì! E si è preso cura di me da quando è morto Francis".

"Pura filantropia, suppongo! O sei tu che vuoi crederci e farmelo credere!".

"Mi ha riempita di attenzioni e premure, è l'uomo giusto che una donna nella mia situazione dovrebbe sposare...".

"Vuoi dire che il suo denaro si è preso cura di te". Oh, era meschino dirlo, ma non più del gioco fatto da Elizabeth alle sue spalle.

Elizabeth avvampò, furente a quell'affermazione. Come osava? "Ora mi stai offendendo!".

"Perché la cosa ti offende?".

"Perché non vuoi capire la mia posizione di donna e madre".

"Ti stai vendendo a lui!!!" - urlò Ross, avventandosi su di lei e prendendola per le braccia. "Da quando è iniziata? Da quanto mi menti sui rapporti con lui?".

"Lasciami, sei un bruto!" - tentò di divincolarsi lei.

"Rispondi!".

"Non ti ho mentito, non volevo turbarti!".

Ross rise di nuovo, fuori di se dalla rabbia. Santo cielo, l'aveva così amata e ora sentiva come di odiarla, come se nessun tradimento fosse mai stato così grande come il suo... L'aveva aspettata per anni, adorata... E lei non lo aveva mai preso in considerazione perché non poteva offrirle ciò che voleva. Non amore ma denaro e prestigio... "Turbarmi? Elizabeth, dimmi la verità, dimmi cosa vuoi e smettila di giocare a fare quella che si preoccupa per me. Cosa vuoi? COSA VUOI?!".

"Una famiglia e sicurezza".

"Denaro?".

"Mi offendi ancora! Non mi svendo per soldi, non sono una prostituta".

"Ma il tuo comportamento tradisce tali affermazioni, mia cara!".

Punta sul vivo, inorridita che qualcuno, che LUI osasse dire qualcosa del genere, Elizabeth alzò la mano e lo schiaffeggiò sulla guancia. "Sei orribile".

Ross, ancora più furioso, la spinse fino al bordo del letto. "Dimmi allora che lo ami".

"Lo amo, moltissimo".

"Non ti credo! Non ti credo perché dicesti la stessa cosa di Francis e poi ti sei rimangiata tutto, lo ricordi?".

Elizabeth, con le spalle al muro e spaventata per la piega che stavano prendendo le cose, cercò di riportarlo alla calma. "Voglio il tuo bene Ross, davvero. E forse questo matrimonio potrà sanare i tuoi contrasti con George".

Lui rise, divertito o forse ancora più furioso per come stava cercando di prenderlo in giro. "Dimmi che lo ami!" - le intimò, di nuovo, spingendola sul letto e stendendosi su di lei, viso a viso.

Lei si divincolò. "Vattene!".

"Dimmelo!!!" - urlò.

Ma lei tacque. E per Ross fu troppo. Si avventò su di lei, la baciò con passione sulle labbra, con quella passione rabbiosa ma inebriante che un amante sa riservare solo alla donna da sempre desiderata. Ma non c'era amore in lui, non c'era nulla di tutto questo ed improvvisamente davanti ai suoi occhi scomparve per sempre l'immagine della Elizabeth dolce ed angelica che aveva cullato nella sua mente, fino ad idealizzarla, per lunghi anni. Questa fu la consapevolezza definitiva mentre la costringeva ad accoglierlo fra le braccia. Non tenerezza, non dolcezza, non frasi d'amore e nessun futuro da costruire. Nei suoi gesti c'erano tante promesse infrante, un'adorazione andata in frantumi, un vuoto che ben poche cose avrebbero potuto colmare.

Elizabeth tentò ancora di divincolarsi dalla sua stretta ma Ross la baciò di nuovo e lei, forse capendo che non poteva fermarlo o forse inebriata da quel furore che mai aveva conosciuto e che in un uomo come lui poteva sembrare eccitante, rispose al bacio, con la stessa irosa passione. Un istante solo con un uomo di fuoco e acciaio prima di diventare la facoltosa moglie di George Warleggan. Sentiva di meritarselo, dopo tutto... E avrebbe fatto in modo che nessuno mai potesse sapre...

Ross la sentì gemere mentre le tirava su la camicia da notte e si insinuava fra le sue gambe e la sentì rispondere con passione ai suoi movimenti contro di lei. Senza troppe cerimonie le tolse la biancheria intima, si slacciò i pantaloni e senza alcun gesto di tenerezza la fece sua. E mentre il buio più profondo calava nel suo cuore e nella sua anima, si compì il destino infame di due amanti che poco e nulla si erano capiti nella vita e la cui corda che teneva legati i loro destini si era spezzata inesorabilmente.


...


L'alba, fredda ma serena dopo una giornata e una notte di pioggia, arrivò in fretta.

Ross, nella penombra della casa, con Elizabeth completamete nuda che dormiva accanto a lui placidamente, osservò come ipnotizzato l'opacità dei vetri completamente appannati. Non si poteva vedere nulla oltre ad essi e in un certo senso era così che si sentiva anche lui, disperso nella nebbia, dubbioso, incapace di comprendere le sue azioni e di capire cosa avrebbe dovuto fare adesso.

Si voltò ed osservò Elizabeth. Era sempre bella, ancor di più coi capelli sciolti e le gote arrossate e nel sonno pareva quasi angelica. Ma la patina che la ricopriva rendendola dorata ai suoi occhi era definitivamente caduta e ora, soprattutto ora, comprendeva che aveva sbagliato sempre tutto e che forse andava bene così, che Elizabeth sposasse George perché adatto a lei e che lui la lasciasse fare perché inadatta a lui. C'era stata passione quella notte, piacere fisico, ma tutto era finito in fretta, mestamente, lasciando solo freddezza e solitudine in lui. Qualsiasi cosa avesse sognato di trovare in Elizabeth, non l'aveva trovata. Cosa gli aveva lasciato dentro quella notte di lussuria e furore? Nulla, se non sensazioni di sporco... Si era comportato da animale, aveva lasciato agire i suoi più bassi istinti e ora non voleva che andarsene, voltare pagina, ricominciare in qualunque altro luogo che non fosse quello dove si trovava in quel momento.

Si alzò dal letto, con movimenti meccanici si rivestì e infine, prima di andarsene, con un gesto gentile e di addio che probabilmente le doveva dopo il modo in cui l'aveva presa, accarezzò la testa di Elizabeth. "Mi dispiace..." - sussurrò solo.

Si avvicinò alla porta, la aprì e solo in quell'istante la voce di Elizabeth lo raggiunse, assonnata. "Dove vai?".

Sussultò, mordendosi nervosamente il labbro. "Via...".

"Perché? E noi...? Io...?".

"Tu hai fatto le tue scelte, io le mie" – disse, senza quasi voltarsi, rendendosi conto che anche lui aveva scelto per davvero, quella notte. "E non dovrei essere quì, non avrei mai dovuto venire".

"Ma lo hai fatto" – gli fece notare lei, forse incapace di capire cosa fare adesso. Ciò che era successo rimetteva pericolosamente in gioco tutte le carte ed Elizabeth si trovò incerta sui suoi reali desideri. Mente, cuore e passione indicavano ognuna una via differente...

Ma Ross dissolse ogni suo dubbio. "Sì l'ho fatto, sono venuto quì e non avrei dovuto. Soprattutto non in questo modo. Mi dispiace... Ma una cosa l'ho capita, sai? Non posso contrastare l'inevitabile e non posso impedirti di portare a termine una tua buona decisione".

Elizabeth spalancò gli occhi. "George?".

Lui si voltò verso di lei, spossato, confuso ma deciso finalmente a voltare pagina. "Sarete felici, è una buona scelta dopo tutto e ora l'ho capito...".

"E stanotte? Noi?".

Ross annuì, prese un profondo respiro e cercò di cancellare ogni ricordo delle ultime ore. "Dimenticala, non è successo nulla che valga la pena ricordare. Io farò lo stesso". E così dicendo, uscì dalla camera da letto e la lasciò indietro. Nella stanza... Dalla sua vita...

Scese le scale, uscì dalla porta di servizio e riprese il suo povero cavallo che lasciato incustodito nel parco di Trenwith. Lo spornò a partire al galoppo e lo lasciò andare dove voleva, incapace di prendere una direzione. Non desiderava tornare a casa, non voleva andare alla miniera, era completamente sperso e privo di ogni appiglio. Voleva solo galoppare e sentire il vento freddo della Cornovaglia sul viso, nella speranza di svegliarsi e scoprire che si era trattato solo di un grande incubo.

Eppure, senza quasi rendersene conto, le sue mani sulle redini del cavallo presero il possesso dell'animale a un certo punto, guidandolo lontano, attraverso campi pieni di rugiada e pioggia.

E si fermò solo quando vide comparire la tenuta dei Boscawen davanti a se.

Cosa ci faceva lì? Perché aveva guidato il suo cavallo fino a quel luogo?

Le ultime ventiquattro ore scorsero davanti ai suoi occhi e si rese conto dell'unica luce che in quel lasso di tempo aveva illuminato la sua giornata: Demelza...

Pensò alle confidenze che si erano fatti, al suo sorriso, alle sue parole che avevano fatto apparire meno buio quanto successo in miniera e si rese conto che lei era capace di fare qualcosa di unico, sapeva risvegliare sentimenti positivi in lui, scacciando il nero che troppo spesso albergava nella sua mente. Se Elizabeth aveva risvegliato il peggio in lui, Demelza sapeva fare l'opposto e renderlo una persona migliore.

Fu in quel momento che la vide uscire di casa, a cavallo, vestita con un elegante completo da amazzone blu. Si ricordò che lei amava uscire spesso a cavallo da sola di mattina presto e realizzò che era lì davanti a casa sua senza un motivo preciso, di prima mattina. E che questo poteva apparire molto sconveniente e farlo sembrare pazzo, viste le condizioni in cui si trovava.

E infatti, Demelza lo notò subito, c'era silenzio e non c'erano che loro, sullo sterrato. Interdetta si avvicinò a cavallo, lo scrutò preoccupata e capì subito che era disperato e fuori di se, anche se non ne conosceva il motivo. "Capitano Poldark...".

Viso a viso, guardandola da vicino, si accorse che di prima mattina era ancora più bella e che il suo fascino era tutto lì, nella semplicità delle sue forme e del suo viso. E in quegli splendidi capelli rossi che in quel momento teneva legati in una lunga treccia. "Ecco..." - balbettò, a corto di parole.

"E' successo qualcosa ai bambini? Alla miniera?" - gli domandò preoccupata, entrando in allarme.

"No" – rispose, a monosillabi.

Confusa dalla sua presenzalì, lei tentennò. "Oggi non dovevamo vederci... Non dovevo venire in miniera...".

"Lo so. Ma non avete mantenuto una promessa" – disse, rendendosi conto che era completamente fuori di testa, confuso, che doveva sembrare ubriaco e che non aveva la minima idea di che diavolo stesse dicendo.

La serietà del suo volto la fece preoccupare. Demelza scese da cavallo, gli si avvicinò e con dolcezza mise le sue mani sopra quelle di lui, come a volergli infondere tranquillità. "Quale promessa?" - chiese in tono gentile, come se stesse parlando con uno dei suoi piccoli allievi.

"A Londra, lo scorso anno... Mi avete promesso una galoppata insieme... E che sareste venuta a trovare Sun a casa mia...". Santo cielo, che stava dicendo? Lady Boscawen probabilmente in quel momento doveva pensare che fosse ammattito e rincretinito del tutto.

Era fuori di se e Demelza lo capì. Non sapeva cosa fosse successo ma sentì che doveva proteggerlo e stargli vicino. "Avete ragione, mi dispiace di non essere mai più tornata a Nampara. Stamattina non posso venire a casa vostra ma vorrei tanto avervi come compagno mentre sono a cavallo".

"Davvero?".

Demelza sorrise e in lei non trovò tracce di menzogna o doppio gioco. "Davvero, a volte è così noioso andare a cavallo senza alcuna compagnia al mio fianco...". Montò a cavallo, gli si affiancò e annuì. "Sono una cavallerizza veloce al mattino, saprete starmi dietro?".

"Non vi perderò di vista" – le rispose, prima di partire con lei al galoppo, fianco a fianco.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo trentuno ***


"Questo è il posto dove sono nata".

Da un promontorio, fianco a fianco entrambi sul loro cavallo, Demelza e Ross osservarono la desolazione di Illugan, uno dei villaggi più poveri e disgraziati del distretto. Miseria e fame la facevano da padrone e vi si nasceva e moriva senza aver coltivato alcuna speranza per un futuro migliore.

Demelza non sapeva perché avesse galoppato fin lì dove non aveva mai volto tornare eppure, dopo aver visto comparire Ross davanti a casa sua in uno stato confusionale, rendendosi conto che qualcosa di grande era successo in lui e che qualunque cosa fosse, non sarebbe potuto tornare indietro, d'istinto aveva sentito il bisogno di guardare da lontano la sua porta semi-aperta sul passato. Forse per vedere dove era arrivata o forse perché aveva bisogno di chiuderla per sempre dietro di se. Erano simili in questo, lei e Ross in quel momento? O ognuno combatteva nella propria anima demoni differenti? Non lo sapeva eppure qualcosa in lei le suggeriva che in quel momento erano straordinariamente affini e che averlo come compagnia in quella galoppata solitamente solitaria le avrebbe fatto fare chiarezza su tante cose che in lei rimanevano irrisolte.

Dopo essere partiti a cavallo dalla dimora Boscawen, era stata Demelza a decidere il tragitto da percorrere e Ross l'aveva lasciata fare, senza dire nulla. C'era furore in lui e le lunghe occhiaie e i capelli spettinati gli conferivano un aspetto trasandato ma allo stesso tempo attraente. Era come se da lui, in lui, fuoriuscisse un'energia inarrestabile che non poteva che attrarla.

Fermo sul promontorio, Ross osservò quella donna vestita con quell'elegante abito da amazzone e poi le povere strade di Illugan. "Siete fra i pochi che hanno potuto mandare al diavolo questo posto dimenticato da Dio".

"Già..." - rispose lei, pensierosa.

"Dovreste essere fiera di voi stessa, per ciò che siete ora".

"Perché?".

Ross si stupì di quella domanda. Era stato taciturno fino a quel momento e durante la cavalcata aveva potuto ritrovare la calma per ragionare su se stesso e quanto era successo poche ore prima a Trenwith, ma non poteva giurare di essere ancora del tutto lucido per comprendere gli altri. "Come potete chiedermelo?".

Demelza scosse la testa. "Ciò che sono, non è avvenuto per merito mio. E' stata solo fortuna... Ho incontrato Lord Falmouth nel momento giusto e poi Hugh... E tutto è successo così, senza che io potessi far qualcosa per cambiare lo stato delle cose. Non ho meriti in questo, non mi sono impegnata, è successo e basta".

Ross non si trovò d'accordo. "Siete in gamba e Falmouth vi ha apprezzata da subito. E dopo di lui, suo nipote. Una sciocca e volgare paesana in cerca di un matrimonio conveniente non avrebbe sortito il medesimo effetto su di loro. Siete nel posto che vi compete perché coloro che ora sono la vostra famiglia hanno capito che era giusto che fosse così".

Lo sguardo di Demelza si fece amaro. "Non riesco a trovarmi d'accordo con voi e non credo di essere così diversa dalle altre. Se non avessi incontrato Falmouth...".

"Sì?".

Demelza ripensò alla sua infanzia e ai pochi ricordi che aveva conservato di sua madre. "Mio padre era sempre ubriaco e io ero la prima di tanti figli. Mia madre morì che ero piccola, lasciandomi una marea di fratellini ancor più piccoli di me di cui prendermi cura. La ricordo a malapena, so solo che era sempre stanca e incinta. Un bambino dopo l'altro, tutti gli anni, non credo di aver alcun ricordo di lei senza un pancione. Tanti bambini, pochi soldi, poco cibo e un marito sempre ubriaco. La mia casa era così, la sua vita era così e morì presto. Morì giovane come tante donne muoiono da queste parti, mettendo al mondo miriadi di bambini o per semplici malattie che però non hanno i soldi per curare. Io avrei fatto la sua vita e la sua fine se non avessi incontrato Falmouth. Dite che sono in gamba ma senza di lui non mi sarei mossa da Illugan e ora sarei la copia di mia madre...".

Ross si sentì stringere il cuore, rendendosi conto che dietro a quella donna così forte, particolare, intraprendente e in gamba si nascondevano un passato difficile e tante lotte per la sopravvivenza che aveva dovuto iniziare a combattere appena emesso il primo vagito. E lui? Lui cos'era in confronto a lei se non un ragazzino viziato che si era perso anni di vita dietro a un sogno romantico senza fondamento? Aveva dieci anni in più eppure si sentiva piccolo in confronto a lei che di fatto era poco più che una ragazzina. "Mi sarebbe piaciuto incontrarvi prima di Falmouth. Avrei forse potuto aiutarvi in qualche modo anche io".

A quelle parole, Demelza rise. "Cosa?".

Ross abbassò lo sguardo, impacciato, rendendosi conto che avrebbe amato sentirsi utile nell'aiutarla. "Oh, non avrei potuto offrirvi molto ma pace e un tetto sulla testa, sì".

"Siete una persona gentile che aiuta molte persone in difficoltà e di certo sarei stata contenta di essere al vostro servizio".

Ross sorrise amaramente, non si sentiva affatto una buona persona e di certo non in quella mattinata. Aveva agito come un folle, era entrato come un ladro nella sua casa di famiglia, aveva preso una donna con rudezza, contro la sua volontà ed era scappato subito dopo, senza alcun gesto di tenerezza verso di lei o promesse per il futuro. Era il peggior partito che un padre potesse desiderare per una figlia e Demelza si sbagliava a pensare tanto bene di lui. "Oh, non sono affatto così".

"In molti vi vedono così".

Ross tornò a guardarla, chiedendosi cosa pensasse di lui e dello strano comportamento di quella mattina. "Non vi siete chiesta cosa mi abbia spinto all'alba a casa vostra? E perché ho questo aspetto orribile?".

Demelza tentennò prima di rispondere. "Non credo siano affari miei".

"Ma ve lo siete chiesto?".

Lei arrossì. "Forse, ma non ve lo chiederò".

"In realtà se lo faceste, non sarei nemmeno così sicuro di sapervi rispondere. Eppure sarebbe vostro diritto, visto che sono comparso come un ladro davanti a casa vostra senza motivo".

Tentennò di nuovo, poi gli sorrise. "Mi sono preoccupata per voi, sembravate sconvolto... Ma non vi chiederei mai nulla di personale".

"Non siete curiosa?".

"No, credo sia saggio non esserlo".

Ross sospirò, rendendosi conto che aveva bisogno di parlarne in qualche modo e di avere un sostegno o parole amiche che lo aiutassero a comprendersi meglio. E lady Boscawen si era dimostrata brava in più di un'occasione in questo... "Stanotte ho fatto una cosa orribile" – disse di getto, come se non desiderasse altro che di alleggerirsi la coscienza.

Lei non lo fermò e in silenzio, aspettò che lui parlasse. Senza chiedere, senza giudicare, senza aprire bocca, comprendendo quanto lui sentisse il bisogno di confidarsi con qualcuno.

Ross proseguì. "Ho fatto una cosa orribile a qualcuno a cui tenevo molto. E ho capito di aver inseguito per anni delle fantasie che esistevano solo nella mia testa e ora non so perdonarmi per la mia stupidità. E per quanto accaduto...".

Demelza lo scrutò attentamente, rendendosi conto forse di quale fosse il fulcro del problema ma incapace di aiutarlo fattivamente. "Tutti sbagliamo, capitano Poldark. Quasi tutti non lo ammettono ma voi sì e questo fa di voi una brava persona".

"Una brava persona non si comporta come ho fatto io questa notte" – le rispose, amaramente.

"E' qualcosa di irreparabile?" - gli domandò.

"Forse no, da un certo punto di vista. Ma ho intrapreso una strada senza ritorno e nulla sarà più come prima".

Demelza sorrise. "Forse sarà meglio di prima".

Sussultò a quelle parole, cercando in esse un appiglio per ricominciare. Non aveva mai guardato alla faccenda da quella prospettiva... "Non mi chiedete cosa ho fatto di preciso?". Se lei poteva aiutarlo davvero, lei doveva sapere...

Demelza però scosse la testa. "Non voglio saperlo, in tutta onestà...".

"Perché?".

"Perché non è necessario".

Ross la guardò negli occhi, rendendosi conto che lei sapeva... Sapeva forse ancor meglio di come avrebbe capito se gli avesse raccontato per filo e per segno quella folle notte. E che erano inutili i giri di parole con lei perché Demelza aveva lo strano potere di leggergli nella mente senza che lui avesse bisogno di aprire bocca. Ma doveva parlarle con franchezza comunque e ora che aveva iniziato a farlo, sentiva di non potersi fermare. "Elizabeth si sposerà con George Warleggan e ieri sera, dopo quanto successo in miniera, appena l'ho saputo, ho perso la testa".

Demelza strinse le redini, in difficoltà. Aveva capito che Elizabeth c'entrava in tutto quello e sapeva anche che quella donna strava stringendo un rapporto intenso col nemico dei Poldark, ma aveva scelto da tempo di rimanerne fuori e ora che Ross gliene parlava, si trovava a un bivio...

Il suo silenzio fece comprendere a Ross che lei sapeva e che forse era l'unico idiota della Cornovaglia a non aver capito. O a non aver voluto vedere... "Lo sapevate? Del matrimonio, intendo...".

"Lo sospettavo... Si sono visti spesso in giro insieme e la gente ne ha chiacchierato molto".

"Credete che sia un idiota?".

Demelza sorrise, dolcemente. "No, credo semplicemente che a volte si preferisca non vedere la verità...".

Ross osservò l'orizzonte e poi Illugan, che nella sua miseria continuava a mostrargli quanta strada aveva fatto quella ragazza e quanta ne avrebbe dovuta fare lui. "Forse ieri mattina avevate ragione, l'amore è qualcosa di decisamente sopravvalutato".

Demelza lo interruppe. "Ma mi avevate detto che sbagliavo a pensarla così".

"Ora ho decisamente cambiato idea, lady Boscawen".

"Cosa? In un solo giorno?".

Ross ridacchiò sentendosi idiota, ma poi cercò di spiegarsi meglio. "L'ho amata così intensamente tanto che pensavo che fosse il sentimento più forte che avrei mai potuto provare ed invece si è rivelato una chimera. Nulla... Tante fantasie basate su un nulla a cui credevo solo io".

Demelza avvicinò il suo cavallo e una volta che gli fu fianco a fianco, gli sfiorò la mano con tenerezza. "Ieri avete detto una cosa molto saggia: è solo questione di trovare la persona giusta. Ed Elizabeth forse non lo era. Non è colpa dell'amore, a volte è semplicemente colpa delle persone".

Ross osservò la sua mano, coperta da quella delicata e gentile di quella donna. Una mano piccola ma che sembrava donargli infinito calore in una mattinata di gelo. Non aveva parlato molto eppure quelle poche frasi gli avevano ridato speranza e calore. "Siete saggia".

"Come lo siete stato voi ieri".

Ross scosse la testa. "Spesso sono tutt'altro che saggio, spesso sono irruento e nella vita finisco per mettermi in guai enormi. Sono un pessimo soggetto, sapete?".

"Non la penso così e ve l'ho detto prima".

"Eppure, se mi conosceste meglio...".

"Vi conosco quanto basta!" - gli rispose, sicura.

Era una donna decisa, una di quelle che non si perdono dietro a mille moine ma arrivano dirette al punto. "Prima mi avete raccontato di vostra madre...".

"Sì".

"Sapete, nemmeno io ricordo molto della mia. So solo che mio padre la amava molto, viveva per lei. E quando morì, io rimasi orfano e lui un vedovo inconsolabile. Si allontanò da tutto e io fui cresciuto dai miei due servi, cercando in mio padre tracce d'amore per me. Ma lui non c'era mai e io fui arrabbiato per molto tempo perché lo giudicavo irrispettoso e crudele... Ebbe molte donne dopo mia madre, una dopo l'altra... Nessuna gonnella era al sicuro quando lui era nei paraggi e io lo odiavo per questo. Non aveva freni, voleva solo portare a letto qualunque persona di sesso femminile incrociasse il suo cammino. Lo odiavo e pensavo a quanto questo facesse soffrire mia madre e fosse di offesa alla sua memoria. Pensavo che non l'avesse mai amata e che non avesse contato nulla per lui. Poi ho capito che lo faceva per riempire un vuoto. Cercava disperatamente ciò che aveva di prezioso con mia madre, cercava qualcosa che aveva perso e che mai avrebbe riavuto indietro. Quel qualcosa lo ha cercato per tutto il resto della sua vita senza mai ritrovarlo e così ho capito che era amore, quel suo comportamento. E disperazione per non avere più accanto colei che per lui era vita. E crescendo solo, sperai di trovare quell'amore che lui ha cercato fino al letto di morte, un amore come quello che lo aveva unito a mia madre. Credevo di averlo trovato in Elizabeth e invece attraverso di lei, ho compreso che ancora non ho capito nulla".

Le mani di Demelza si strinsero nelle sue, le loro dita si intrecciarono e lei lo guardò negli occhi. "Non è così. Siete stato sfortunato ma avete avuto un grande insegnamento dai vostri genitori e grazie a loro sapete come dev'essere il vero amore. Dovete solo cercarlo e non smettere finché non troverete colei che saprà riempire il vuoto che sentite. Colei che sarà ragione di vita come lo fu vostra madre per vostro padre. Colei senza la quale impazzireste. Non siete impazzito dopo essere tornato dalla guerra e aver perso Elizabeth perché promessa sposa a vostro cugino, quindi questo vi sia d'insegnamento. Se fosse stato vero amore, avreste mosso mari e monti per riaverla e lei con voi. Non è successo e quindi doveva andare così...".

"Siete saggia" – le ripeté. "Decisamente troppo per la vostra giovane età".

"So semplicemente ascoltare" – rispose Demelza.

"E' una grande dote, dicono. E io devo sembrarvi davvero patetico, stamattina".

Demelza rise. "No, non patetico. Spaesato, forse...".

"Vi siete mai sentita spaesata?".

Demelza sospirò. "Spesso, durante tutta la mia vita".

"E ora?".

"Ora sono quì, con voi, con un futuro davanti che non so bene come riempire. Credevo non ci sarebbe stato nulla dopo Hugh ma mi avete dato una scuola, dei bambini a cui insegnare, della buona compagnia nella mia cavalcata mattutina e la vostra fiducia... In fondo c'è sempre un futuro, quando il cuore batte".

Ross le sorrise, trovando pace nel guardarla e nell'ascoltarla. "Avete una buona filosofia di vita".

"Beh, dovreste averla anche voi! Anche il vostro cuore batte ancora e avete tanto per cui vivere! E una miniera da far funzionare!".

Ross strinse le redini, con vigore. "E una sfida a cavallo da vincere!" - esclamò, improvvisamente entusiasta per quel nuovo giorno che stava iniziando.

"Una sfida?" - chiese lei, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte.

"Con voi! Vediamo se riuscite ad arrivare a Nampara prima di me!".

"Cosa?".

"Sarete mia ospite per colazione! Avete ancora quella promessa da mantenere e Sun vi aspetta!".

Demelza rise, di gusto. "Ma non dovevo venire, oggi!".

Ma Ross non la ascoltava già più e dopo aver spronato il cavallo, era già lontano. E Demelza comprese che non aveva altro da fare che seguirlo. E che la cosa non le dispiaceva affatto.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo trentadue ***


Demelza fece scivolare le dita sui tasti del pianoforte, cercando di migliorarsi nel riprodurre suoni che somigliassero anche solo vagamente a una melodia. Era stato Hugh a mostrarle le bellezze della musica e a spronarla ad imparare e anche se lui diceva che vedeva in lei molto talento, in realtà si sentiva una strimpellatrice orribile che sicuramente rompeva i timpani dei poveri servi di casa sua. Ma suonare le dava pace e quindi lo faceva nei momenti in cui era sola e senza nulla da fare o quando fuori il tempo era troppo brutto per uscire.E da qualche settimana a quella parte, la pioggia e il vento l'avevano fatta da padroni, in quell'angolo di Cornovaglia.

L'ultimo giorno di sole che ricordava era stato strano ed era cominciato in un'alba lucente, quando aveva visto Ross Poldark, sconvolto e smarrito, vagare fuori casa sua in sella al suo cavallo nero, come in cerca di qualcosa, qualcuno da cui rifugiarsi, in fuga dai suoi demoni. Avevano parlato di cose difficili senza entrare nei particolari ma capendosi appieno, aveva intuito che qualcosa di grave era accaduto con la giovane vedona di Francis e che questo aveva dato una svolta alla vita del capitano e che ora lui cercava un nuovo se stesso e un futuro da costruire attorno alla sua persona. Demelza si era imposta di non interferire e di non dare giudizi e così quel giorno aveva ascoltato lo sfogo di un uomo ferito e smarrito, senza appigli, aveva cercato di fargli vedere quanto di bello la vita potesse ancora offrirgli, aveva omesso di dar voce ai suoi pensieri circa Elizabeth e poi erano stati di nuovo fianco a fianco in una lunga ed inebriante cavalcata che l'aveva riportata quasi due anni dopo a Nampara. Era stata una bella mattina, baciata dal sole e resa piacevole dalla reciproca compagnia, un modo come un altro per rendersi conto, assieme a lui, che il bello spesso spunta fuori all'improvviso senza che uno se lo aspetti.

Non avevano più parlato di quella giornata in cui forse erano entrati troppo in confidenza per i loro ruoli ma la loro strana amicizia si era saldata ancora di più e spesso avevano cercato la reciproca compagnia quando lei era stata in miniera per le lezioni ai bambini. Lui aveva un modo di guardare alla vita strano ma affascinante, cupo ma votato a combattere le ingiustizie, disincantato ma allo stesso tempo sognatore... Ne era affascinata...

Successivamente era venuta a sapere del matrimonio di Elizabeth con George, a lungo la coppia era stata la protagonista di chiacchiere di paese per lo sfarzo della cerimonia e poi come ogni cosa, era stata accantonata. Il capitano Poldark non aveva mai commentato il fatto e anche il suo carattere, di natura cupo, non era poi così cambiato e lei non aveva sollevato il discorso. Qualunque cosa fosse successa in quella notte fra lui ed Elizabeth, era rimasta fra loro due ed era stata in qualche modo risolta. Forse dolorosamente, ma forse necessariamente doveva andare così.

Finì di suonare una ballata medievale di cui adorava il ritmo e si apprestò a prendere un altro spartito per iniziare una nuova melodia quando Falmouth entrò come un forsennato nel salone, con la faccia più torva e scura del cielo che fuori dalla finestra, era buio e foriero di pioggia e tempesta.

"Dannazione!" - sbraitò l'uomo, lanciando le carte che teneva in mano sul tavolo.

Demelza si voltò e dallo sgabellino lo fissò accigliata. "Che succede?" - domandò, stupita di vedere Falmouth che perdeva il controllo.

Falmouth riprese le carte che aveva lanciato, le appallottolò nella mano e le strinse. "Quell'idiota di James Finjieng!".

"Oh, il vostro collaboratore di massima fiducia!".

Falmouth divenne rosso dalla rabbia. "Un vecchio ubriacone che ha bisogno persino di sua moglie che gli allacci i lacci delle scarpe perché non sa farlo da solo!".

Demelza si grattò la guancia, confusa. Sir James era un lord intelligente, acuto e anche se non più giovane, uno dei più fidati collaboratori di Falmouth. Spesso a Londra, con la moglie, era stato ospite da loro e per Falmouth era quasi un fratello. "Posso sapere cosa è successo?".

Falmouth sbuffò, sprofondando nella poltrona. "Ha ritardato di un giorno una importante notifica che gli avevo affidato e ora questo mi procurerà un sacco di guai con dei creditori che vantano diritti di proprietà su un terreno a cui sono interessato. Un disastro!".

Demelza tacque qualche istante, rendendosi conto che di affari non se ne inendeva molto e che mezza parola sbagliata avrebbe potuto far esplodere Falmouth come un vulcano. "E' grave? Può essere risolta questa... cosa?".

Il lord sbuffò. "Dovrò strisciare e implorare di soprassedere. E io ODIO chiedere!".

"Oh, quindi si può sistemare?" - cercò di tranquillizzarlo.

"Certo, ma dovrò partire per Londra domani stesso!" - sbottò l'uomo.

Demelza guardò fuori dalla finestra e si sentì preoccupata. Falmouth era appena uscito da una brutta influenza e un viaggio con quel tempo infausto non era molto consigliabile per un uomo ormai non più giovane. "Non può risolvero Sir James, questo guaio? Lo ha provocato lui, dopo tutto...".

"E' un idiota!".

"E' e resta un vostro amico. E un errore non può pregiudicare...".

Falmouth la bloccò, sapendo già cosa volesse dire e capendo che forse aveva anche ragione. E appunto per questo, non voleva sentire fino a che non avesse finito di maledire James con tutte le imprecazioni che conosceva. Poi sarebbe tornato suo amico, ma per ora era giusto che un uomo d'affari come lui maledicesse da lì all'infinito un collaboratore che era stato poco collaborativo... "Dice che era a letto malato! Si può? Uno per due linee di febbre, mi fa saltare un affare importante!".

Era in un certo senso comico e teatrale quel suo modo di fare e a Demelza venne da ridere, anche se si trattenne. "E' autunno, Sir James è anziano e in fondo molta gente resta a letto influenzata, in questa stagione".

"In quarant'anno che lo conosco, James non è MAI stato a letto quando c'è odore di affari e tu sei troppo buona a giustificarlo!" - la ammonì Falmouth – "E resta il fatto che per colpa sua dovrò correre a Londra e non ne ho voglia!".

Demelza si strinse nelle spalle, faceva freddo nonostante il camino acceso. "E' quasi dicembre, sarete indietro per Natale?".

Falmouth si incupì. "In realtà no. Se parto, resterò lì fino a gennaio. Su una cosa hai ragione, mia cara... Sono anziano e continuare a fare questi lunghi viaggi al freddo non mi fa bene... So che è triste lasciarti da sola a Natale ma come ben sai, dalla morte di Hugh non amo festeggiare nulla. E so che sei dello stesso avviso... Spero che la cosa non ti turbi e non ti intristisca... Ovviamente se riceverai inviti da qualcuno, sentiti libera di accettare, sei giovane e meriti svago e forse senza di me avrai più possibilità di uscita...".

Demelza si alzò dallo sgabello, sentendosi triste per la partenza di quello che era di fatto l'ultimo famigliare rimasto ma comprendendo appieno le sue ragioni. Da quando Hugh era morto, non si era più festeggiato nulla in quella casa e lei non ne aveva mai avuto voglia. Certo, un buon pranzo di Natale con Falmouth e la servitù sarebbe stato piacevole, ma comprendeva appieno che le circostanze lo impedivano... "Starò bene, state tranquillo. E fate pace con James" – disse dolcemente.

L'uomo le sorrise. "Vedi? Ho davvero bisogno di un nuovo e giovane braccio destro... Capisci perché ho messo gli occhi su Poldark? James mi cade a pezzi, è evidente...".

Demelza sussultò e si sentì in imbarazzo nel sentirlo pronunciare il nome del capitano Poldark, anche se non ne capiva il perché. "Sì, capisco...".

Falmouth fissò su di lei i suoi occhi indagatori. "Come vanno le cose alla miniera?".

"Si scava e si è trovato del buon quarzo".

"E lui? Si sta ammorbidendo circa la mia proposta? Le elezioni al distretto di Truro si avvicinano...".

Demelza gli strinse la mano, cercando di tranquillizzarlo. "Io credo che potrebbe fare molto per voi e per i suoi elettori. Credo che al vostro fianco litighereste come cane e gatto ma che fareste grandi cose... E credo che lui abbia una gran testa dura ma anche tanta intelligenza e coi suoi tempi, capirà che è giusto seguirvi in questa avventura".

Falmouth, serio, annuì. "Fedi di fare in modo di affrettarli, i suoi tempi...".

"Non posso impormi a lui".

Falmouth la osservò e poi fissò il fuoco, assorto in profondi pensieri. "Io credo di sì".

"Cosa?".

"Nulla, nulla... Volevo solo...".

"Cosa?".

"Suona per me, Demelza. Ho bisogno di rilassarmi...".

E capendo che forse era meglio non indagare circa quanto lui le aveva appena detto, lo accontentò.


...


E allora, oggi com'è andata? Il numero di allievi è aumentato”. Era adorabile coi bambini, paziente, materna, confortante e ferma nello spronarli ad imparare perché avessero un futuro migliore. E nonostante la ritrosia iniziale, sempre più minatori avevano permesso ai loro figli di avvicinarsi a lei e alla scuola, nonostante la considerassero una perdita di tempo. Era una vittoria di per se e anche se la Grace non avesse fruttato nulla, era comunque valsa la pena riaprirla. Per tanti motivi... L'arrivo di Lady Boscawen aveva arricchito la vita di quei bambini, dato nuovo smalto alla miniera, portato una ventata d'aria fresca e lui in un certo senso aveva trovato in lei, nella sua compagnia e nelle sue parole del conforto a uno dei periodo più bui della sua vita dove aveva sbagliato tanto, dove era arrivato ad odiarsi e aveva smarrito tutte le sue certezze e i suoi princìpi. Lei era lì, c'era stata per lui senza giudicare e senza chiedere mai nulla e anche se non avevano più parlato di quella lunga chiacchierata dopo la notte passata a Trenwith e quella galoppata liberatoria fianco a fianco, entrambi sapevano che da quel giorno il loro legame si era fatto più intimo, profondo e forte.

Avevano galoppato fino a Nampara liberi nel vento, avevano fatto colazione insieme accompagnati dalle occhiatacce di Jud e dai borbotii di Prudie e poi si erano salutati, dopo che lei aveva giocato a dovere con Sun nel salotto. Era stato strano vederla andare via e Ross per un attimo, guardandola accovacciata col gatto nel salotto, aveva provato la strana sensazione che lei appartenesse a quel posto e fosse un delitto che andasse via. Un attimo, un pensiero stupido probabilmente, ma talmente intenso da averlo lasciato stordito.

Da allora, tutto era continuato come sempre, settimana dopo settimana. Elizabeth si era sposata con George alla fine, senza che lui si strappasse i capelli per questo ma anzi, ringraziando quel matrimonio che lo toglieva d'impaccio dalle conseguenze di quanto aveva fatto, si era trasferita nella elegante casa di Truro di proprietà dei Warleggan con Geoffrey Charles e lui aveva potuto andare a far visita più spesso a zia Agatha e Verity senza l'incubo di incontrare lo sguardo corrucciato ed arrabbiato del suo primo amore che gli avrebbe ricordato per sempre quanto era stato pessimo in quella notte folle ma soprattutto infantile in quella sciocca illusione e venerazione per lei che lo aveva accompagnato negli anni. Le avrebbe voluto sempre bene come se ne vuole ad una amica, per lei nel bisogno ci sarebbe sempre stato ma in cuor suo sperava che col matrimonio con George, Elizabeth avrebbe trovato il suo posto tranquillo in quel mondo elegante dove si trovava bene e non era afflitta da nessun problema.

Lady Boscawen invece non aveva mai più chiesto nulla e come se niente fosse, aveva continuato il suo lavoro coi bambini nonostante ormai la stagione fosse fredda. Avevano concordato due giorni alla settimana e lei non era mai mancata, nemmeno pioggia, freddo e vento l'avevano fermata e quando il tempo era bello, aveva continuato ad organizzare lezioni all'aperto per evitare di invadere il suo studio.

Demelza si stiracchiò quando lo sentì arrivare. “Bene, sono così contenta che ci siano più bambini coinvolti in questa strana avventura... Come dicevo a voi e a Hugh quando era vivo, io non posso che insegnar loro a leggere e scrivere, non ho avuto una vera formazione eccetto ciò che mi ha insegnato mio marito, ma trovo così stimolante stare coi bambini che in fin dei conti credo che siano loro ad insegnare qualcosa a me”.

Ross le sorrise, sedendosi accanto a lei nell'erba. “Insegnar loro a leggere e scrivere è già una gran cosa e sicuramente offrirà loro l'opportunità di una vita più dignitosa di quella che può offrire una miniera. Per il resto, al diavolo matematica e filosofia o materie troppo complicate, quelle non danno da mangiare!”.

Anche Demelza rise. “Credo che siate stato un pessimo studente! E la matematica serve a far di conto se si ha una miniera” - lo rimbeccò.

Ross si stiracchiò, ricordando le sue 'imprese' scolastiche di ragazzino. “Sì, ero pessimo sul serio. Ma come vedete sono sopravvissuto e in fondo non me la cavo tanto male. E i conti li faccio fare a Zachy”.

Demelza lo fissò sorridendo, persa dal movimento dei suoi riccioli scuri che si muovevano nel vento. Avrebbe voluto chiedergli mille cose dopo quella galoppata insieme ma aveva scelto di non toccare più l'argomento e che a lei bastava l'idea che si era fatta del capitano Poldark. Fallibile, intraprendente, forse scapestrato ma di certo dal cuore d'oro... C'era in fondo altro da sapere di lui? “Mi piace venire quì” - si solo.

E a me piace che lo facciate. Solo una cosa non capisco, Lady Boscawen”.

Cosa?”.

Perché continuiamo a darci del voi?”. Era tornato ad essere sfrontato di tanto in tanto, come in quel momento, ma era troppo curioso di sentire la sua risposta ed era tanto che voleva chiederglielo. Ed in fondo era meglio così perché lo aveva capito anche lui che un atteggiamento troppo serioso avrebbe esposto entrambi a qualcosa che forse non doveva venire alla luce per il bene di tutti.

Lei rimase per un secondo ferma, attonita, colta di sorpresa da quella domanda che sicuramente non si aspettava. Poi però fece un sorriso malizioso e sfrontato quanto lo era stato lui. “Perché esistono le buone maniere?”.

Non mi sono mai piaciute le buone maniere, lady Boscawen” - la bloccò divertito.

Perché siete un gentiluomo?”.

Non lo sono”.

Perché Lord Falmouth non apprezzerebbe?”.

Non mi importa troppo del suo parere. Ma del vostro sì! Voi lo apprezzereste?”.

Demelza rise, si alzò, si scosse la gonna piena di fili d'erba e guardò il cielo azzurro. Cercava di apparire rilassata ma Ross sapeva che ci stava pensando seriamente e che le tante cose che si erano detti e avevano condiviso durante una notte terribile, li avevano avvicinati più di quanto non fossero pronti ad ammettere.

E allora? Non mi avete risposto”.

Non so cosa dirvi” - disse, civettuola.

Ditemi di sì e tagliamo la testa al toro”.

Lo fronteggiò. “Dare del tu a una persona sfrontata, potrebbe rivelarsi pericoloso”.

Ross sorrise, da canaglia, alzandosi in piedi per fronteggiarla viso a viso. “Lo so... Ma le cose pericolose non sono le più divertenti?”.

Demelza si allontanò di alcuni passi, divertita. “Credo che ci penserò. E che vi farò sapere!”.

Avete tempi di pensiero lunghi?”.

E voi, capitano?”.

Io?”.

Demelza, ricordando quanto detto da Falmouth prima della partenza, prese la palla al balzo e si fece intraprendente. “Avete detto che vi piacciono le cose pericolose... Quanto giudicate pericolosa la vostra presenza per Westminster?”.

Ross sorrise, accettando quella sfida che lei gli aveva lanciato. “Oh, molto pericolosa... Per Westminster, intendo, la mia presenza sarebbe deleteria. Non credo sopravviverebbe al mio passaggio ed è un peccato per un posto tanto antico”.

Westminster ha ospitato molte persone complicate. Potrebbe sopravvivere anche a voi...”.

E io? Potrei sopravvivere al suo fascino?”.

Avete detto che amate le cose complicate e pericolose, mi pare...”.

Ross rise, capendo dove stava il nocciolo della questione ma divertito per quel loro strano battibecco. “Falmouth è tornato alla carica e vi ha mandato in missione di nuovo?”.

Demelza sospirò, ripensando con tristezza a quel Natale che avrebbe trascorso da sola in quella grande casa. Da quando Hugh era morto, non c'era mai stata voglia di festeggiamenti in lei ma la prospettiva di un Natale in solitaria la spaventava, in un certo senso... “E' dovuto partire appunto per Londra e tornerà solo a gennaio”.

Oh, come mai?” - chiese Ross, accigliandosi.

Alcuni suoi collaboratori hanno sbagliato ad apporre alcune firme su dei documenti importanti ed è dovuto ripartire di fretta e furia. Tornerà solo dopo Natale, alla sua età non può affaticarsi troppo sottoponendosi di continuo a lunghi viaggi in carrozza. Gli servirebbe qualcuno al suo fianco come voi, capitano Poldark. Si fida e avere la sua fiducia è un onore che non dovete sottovalutare, la dona a ben poche persone”.

Ross tornò serio e fece un lungo sospiro. “Non la sottovaluto e ne vado fiero. Ma continuo a non sentirmi adatto a quel ruolo che lui ha in mente per me”.

Non potreste almeno provarci?” - azzardò lei.

Dovrei candidarmi alle elezioni del distretto al suo fianco e sperare di vincerle. Non è che le porte di Westminster si spalancano a chiunque con un semplice schiocco delle dita. E' un posto ambito e per raggiungerlo la lotta è serrata. Anche in questo angolo remoto di Inghilterra”.

Demelza sorrise, sentendosi nella posizione giusta per incoraggiarlo, notando quanto fosse vicino a cadere. “Provateci, almeno. Cosa avete da perdere?”.

Ross osservò quella donna e i suoi lunghi capelli rossi che si muovevano nel vento. La trovò bellissima e in un certo senso desiderò accontentarla anche se forse se ne sarebbe pentito più che presto. Sì, forse poteva anche provare a varcare le porte del Parlamento ma lo avrebbe fatto a modo suo. “A due condizioni”.

Demelza si accigliò. “Quali?”.

Le sorrise, da canaglia come sempre faceva quando trattava con lei. “Che considererete sul serio di darmi del tu e non più del voi. Non sono vecchio!”.

Demelza alzò gli occhi al cielo. “E sia, giuro che ci penserò”.

Ross proseguì, piantando i suoi occhi scuri in quelli verdi di lei, decisamente più serio in volto. Ora si giocava davvero tutta la partita. “E poi...”.

Poi?”.

Che verrete a pranzare a casa mia a Natale”.

Demelza per poco carambolò in terra a quella proposta inaspettata, folle e impertinente. Come lui, del resto. “Cosa?”.

Ross proseguì, sicuro nel suo discorso. Sarebbe stata a casa da sola a Natale e anche lui forse. Ma quest'anno non ne aveva voglia e in fondo una festa a Nampara, con quanti rimasti a Trenwith della sua famiglia e lei, che tanto aveva fatto per aiutare Verity con Blamey, sarebbe stata una cosa piacevole. Archiviata la folle notte con Elizabeth e il suo matrimonio con George, archiviata la nebbia che aveva covato a lungo nell'anima, ora Ross sentiva di aver voglia di vivere. “Sarete sola e in fondo credo sia triste non festeggiare il Natale”.

Demelza tremò a quelle parole che nascondevano tante verità. Eppure non poteva accettare, non così, non lei... “Dimenticate che forse non si ha voglia di festeggiare se si è appena perso un marito”.

Ross deglutì, a volte dimenticava che era esistito Hugh Armitage e che lei era stata la sua sposa. “E' passato più di un anno e avete pianto la sua perdita più che abbastanza. Entrambi abbiamo dovuto lasciarci alle spalle una parte importante del nostro passato e in fondo una piccola festa per festeggiare il Natale e il futuro ce la meritiamo tutti. Niente di lussuoso o impegnativo, solo un pranzo a casa mia assieme a mia zia Agatha, Verity col capitano Blamey e i miei servi. Non sareste contenta di rivedere Verity?”.

Demelza sorrise, sì le sarebbe piaciuto rincontrarla, da subito si erano piaciute e sapere che ci sarebbe stata anche lei cambiava un po' le carte in tavola e la rendeva meno ansiosa in merito a quella proposta. “Non sarebbe inappropriata la mia presenza?”.

Solo se voi la considerate tale. Per me non lo è”.

Devo pensarci” - gli rispose, sinceramente tentata.

Vi do tre secondi per farlo!” - le rispose, deciso a non darle tregua. “La mia candidatura dipende da voi e Falmouth vi adorerà per questo”.

Demelza sentì il vento scompigliarle i capelli e guardandosi attorno si accorse di quanto fosse bello quell'angolo di brughiera e di come avesse imparato a sentirlo suo, assieme alla gente che le era diventata famigliare e che lavorava in miniera. In fondo che male c'era? Doveva rimanere sola per sempre, senza regalarsi attimi di spensieratezza? Perché rifiutare un invito tanto gentile? Ross le stava tendendo una mano come forse aveva fatto lei quando era lui a brancolare nel buio e a parte Falmouth, c'era molto che la spingeva ad accettare. “Va bene, verrò”- disse, rendendosi conto che anche questo significava vivere nel ricordo di Hugh ma oltre a lui, pienamente padrona della sua vita. Faceva paura e forse non avrebbe dovuto accettare per mille ottimi motivi, ma decise che lo voleva e che poteva scegliere da sola senza sentirsi in colpa.

Ross sorrise. “Vi ringrazio, lady Boscawen”.

Mi chiamo Demelza”.

Lo so... E io Ross, lo sapete?”.

Lei sorrise. “Sì Ross, lo so”. Aveva ceduto, su tutta la linea. E non le dispiaceva affatto.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo trentatre ***


Per quella festa di Natale aveva scelto di indossare un abito verde stretto in vita da un nastro blu e con una gonna larga. Liscio, elegante ma senza fronzoli, l'ideale per una festa 'di famiglia' a Nampara.

Era stata nervosa all'idea di quell'invito, per molto si era chiesta cosa indossare, come comportarsi, come considerarsi all'interno di quella casa ma alla fine era stato Ross stesso a sciogliere ogni dubbio, dicendo che era una amica di famiglia e che come tale doveva sentirsi...

Pochi giorni prima della Vigilia aveva ricevuto la visita di Verity che appena saputo della sua presenza a Nampara l'aveva invitata a trascorrere, dopo la festa, la notte di Natale a Trenwith, rimasta tristemente vuota ormai, in modo da non dover affrontare un lungo viaggio notturno di rientro fino a casa. Aveva accettato e la dolcezza di Verity, le chiacchiere con lei e il suo entusiasmo ad averla a Nampara la notte di Natale l'avevano davvero fatta sentire una di famiglia... Non si erano viste molto in quegli anni ma era come se la loro amicizia si fosse cementata lo stesso ed era stata felice di sentire dalla voce di Verity di quanto il suo rapporto con Blamey fosse cresciuto e quanto vicini fossero al grande passo. Era felice per lei, Verity era sicuramente una delle persone più buone che avesse mai conosciuto e le augurava ogni bene...

Il pomeriggio della Vigilia di Natale si fece accompagnare a Nampara da un servitore, in carrozza, con il minimo indispensabile per passare la notte lontana da casa. Era una giornata fredda e nuvolosa e sembrava quasi voler annunciare neve e tempesta. Percorse il tragitto stretta in un caldo scialle di lana cercando ristoro nel coprimano e nel cappello che aveva addosso ma fu solo il camino acceso di Nampara che riuscì a darle calore. Quando arrivò trovò la tavola già apparecchiata e gli altri ospiti già arrivati.

Verity fu la prima che le andò incontro, abbracciandola. “Mia cara, benarrivata! E' un tale evento una festa a Nampara che, nonostante gli anni difficili appena trascorsi, sono emozionata come una bambina”.

Demelza le sorrise e lasciò che anche Blamey la salutasse con un baciamano. “Lady Boscawen, è un piacere rivedervi. Vi trovo splendidamente”.

Vi ringrazio. Anche per me è un piacere rivedervi”. Ricordava quando l'aveva conosciuto. Era stato uno dei migliori amici di Hugh e insieme lo avevano introdotto a Verity in quella festa di più di due anni prima a casa loro. Sembrava trascorso un secolo e tutto era cambiato, da allora...

Anche Ross comparve dalla cucina coi suoi due servi rimessi a nuovo con abiti puliti e capelli pettinati per l'occasione. La guardò e le strizzò l'occhio in un gesto di complicità che sfuggì a tutti gli altri e lei annuì. Avevano deciso, nonostante fra loro si dessero ormai del 'tu' in privato, che davanti agli altri sarebbe stato meglio mantenere un tono formale per evitare domande alle quali entrambi non avrebbero saputo rispondere e quindi tutti e due si calarono nella rispettosa parte del Capitano Poldark e Lady Boscawen. “Benarrivata, signora” - le disse solo, quasi scoppiando a ridere per quella strana recita che erano costretti a recitare. In fondo dell'amicizia non c'era da vergognarsi ma entrambi erano ben consapevoli di quanto sarebbe stata malvista e non capita da molti.

Demelza si esibì in un inchino. “Vi ringrazio del vostro invito, capitano”.

Ross per un attimo, in quel gesto, scorse qualcosa di talmente attraente che provò l'istinto di avvicinarsi e baciarla. C'era molto che aveva capito su se stesso in quei giorni e una cosa su tutte ormai gli era chiara: desiderava quella donna e difficilmente avrebbe potuto tenere a bada quel sentimento così istintivo troppo a lungo. Era bella, solare, sembrava portargli luce e scaldarlo con la sua sola presenza e quella sera, con i lunghi capelli rossi lasciati liberi sulla schiena e quell'abito dalle tonalità lucide, era quanto di più desiderabile esistesse al mondo. A volte, fugacemente, si era chiesto se lei provasse gli stessi sentimenti per lui ma la realtà era che spesso, guidato dal suo ego, era più su se stesso che si concentrava. Eppure avrebbe voluto carpirle qualcosa di più personale, indagare, sondare e magari tentare di esserle più vicino... Era giovane e ormai sola da molto, come avrebbe voluto continuare la sua vita? Con un matrimonio imposto da Falmouth? No, lei non lo avrebbe permesso... O da sola, come lo spirito libero che era? O vivere ancora l'amore per qualcuno? Certo, lui non era Hugh Armitage e ovviamente mai si sarebbe abbassato a un corteggiamento cortese come lei era stata abituata ed era anche consapevole di poterle offrire ben poco rispetto ai Boscawen ma la desiderava lo stesso, cocciutamente e disperatamente. Se fosse un bisogno fisico o del cuore o di entrambi non lo sapeva, ma ne era attratto e pienamente consapevole. Molto più di quanto fosse stato consapevole del suo antico desiderio per Elizabeth...

Zia Agatha, col suo bastone, comparve dal divano, annaspando e tossendo rumorosamente. “Chi è questa creatura? Com'è che non vengo mai presentata a nessuno?” - borbottò.

Demelza osservò Ross e lui si sbrigò a fare le dovute presentazioni. “Lady Boscawen, è con piacere che vi presento mia zia, decana dei Poldark, la signorina Agatha. Zia Agatha, vi presento Lady Boscawen”.

Agatha studiò la ragazza e col suo sguardo avvizzito sembrò cercare di carpirne ogni segreto. “Bella creatura, bella creatura... Da quando siamo in amicizia coi Boscawen, nipote?”.

Da quando finanziano la mia miniera...” - rispose Ross, in tono leggero e sarcastico. “E Lady Boscawen è una splendida rappresentante del casato”.

Poco convinta, la donna continuò. “E il marito?”.

E' morto da più di un anno, signora...” - rispose Demelza, togliendo gli altri dall'imbarazzo. Era una strana signora questa Agatha, diretta e senza peli sulla lingua, una perfetta capostipite della famiglia che dall'alto dei suoi molti anni si sentiva in diritto di dire ciò che voleva senza frenarsi. Non sapeva se apprezzarne o meno i modi ma di certo trovava affascinante la conversazione con lei. Una volta ne sarebbe stata intimorita ma adesso sentiva di essere diventata più forte e impermeabile ai giudizi altrui.

Oh, vedova...” - sbottò Agatha. “Uomini! Ti complicano la vita da vivi e poi anche da morti...”. Poi guardò Ross con sguardo malizioso. “E' una Boscawen ed è vedova. Hai capito, nipote?”.

Ross si sentì in imbarazzo, cosa che gli capitava di rado e solitamente quando era in compagnia di Agatha. “Ne sono consapevole, la conosco da molto...”.

Verity tossicchiò. “Sediamoci a tavola, sarà più comodo chiacchierare lì” - propose, sperando di spezzare quel momento imbarazzante.

Agatha annuì ma non si staccò da Demelza e si sedette accanto a lei, sempre più incuriosita. “Sai ragazza, qui mi si nasconde sempre tutto. Dicono che sono sorda, questa è la scusa! Ma io noto tutto e con le mie carte vedo tutto... Ti hanno mai letto le carte, ragazza?”.

No” - rise Demelza.

Vuoi che lo faccia?”.

Forse preferirei di no... Mi piace scoprire il mio futuro giorno per giorno”.

Agatha sospirò, affranta, mentre Blamey e Verity ridacchiavano. “Ragazza, dimmi, ti sembra giusto che venga tenuta all'oscuro sempre di tutto? Verity si sposa e l'ho scoperto solo tre giorni fa, quando provava l'abito...”.

Zia, non è vero!” - sbottò Verity - “Ti è stato detto sei mesi fa!”.

Ma Agatha non sentì o finse di non farlo. “E mio nipote? Come va il suo buco nella terra, porta rame? In famiglia va tutto male da anni, servirebbe un po' di fortuna... Tu porti fortuna? Porti rame? Sai che sono morti tutti, TUTTI i Poldark e Ross è l'ultimo... A parte Geoffrey Charles che ormai, povero piccolo, vive nella tana del lupo Warleggan. Tu sai che Ross è la nostra unica speranza? Elizabeth è andata via e ha spezzato cuori, ma ora mio nipote sa che deve andare avanti?”.

Il riferimento ad Elizabeth fece calare il gelo nella stanza e Demelza osservò Ross che la guardava, forse desideroso di porre fine a quella conversazione o forse curioso di vedere come lei se la sarebbe cavata. Prese un profondo respiro e alla fine si decise a parlare e a dire qualcosa che allontanasse da Ross i pensieri foschi. Non voleva che fosse cupo e capì che vederlo allegro la rendeva felice. “Il buco nella terra di vostro nipote arriverà a dare i suoi frutti, da Boscawen ne sono sicura, dicono che abbiamo fiuto negli affari. E se la Grace sarà fortunata, lo sarà anche la vostra famiglia. E... nevica!” - esclamò tagliando ogni altro discorso, alzandosi dal tavolo e avvicinandosi alla finestra, lontana da tutti e soprattutto da quei discorsi sconclusionati ma pericolosi di una vecchia signora. Elizabeth era ormai lontana e sì, aveva infranto molti cuori. Ma quello era il passato e sapeva che Ross voleva lasciarselo alle spalle per guardare al futuro. E nevicava ed era bellissimo che lo stesse facendo alla Vigilia e nessuno doveva perdersi quello spettacolo.

Verity le andò vicino, osservando i grandi fiocchi che venivano giù, danzando, che coloravano di bianco la campagna. La neve puliva sempre tutto, anche le conversazioni spinose... “Oh, è davvero un Natale magico. Che sia bello per tutti noi e che sia l'inizio di una grande tradizione insieme, da ripetere per tutti noi ogni anno”.

Demelza la abbracciò, apprezzando ancora una volta la dolcezza di Verity. “Che sia di buon auspicio per tutti”.

A noi, allora. Che sia un grande anno...” - disse Blamey, alzando il calice con Ross.

Agatha si calmò e Prudie iniziò a servire la cena. Crostone di manzo ripieno, patate, mostarda, uova di quaglia e pudding, il tutto condito da ottimo Porto. Ross si accorse che era piacevole avere accanto le persone che amava, che lì c'erano tutti quelli a cui teneva e che non sentiva la mancanza di nessuno... Il passato era davvero alle spalle e guardando Demelza ma anche Verity con Blamey, capì che erano già tutti proiettati al futuro. Parlarono dei pettegolezzi di Truro, delle avventure giovanili di Ross, Demelza raccontò delle strane usanze delle lady londinesi, Agatha si lamentò che per la prima volta in cent'anni non passava le feste a Trenwith e Sun passò la serata a farsi coccolare da tutte le signore presenti. A un certo punto Jud, ormai ubriaco, si mise a cantare una canzone da osteria che fece arrossire Verity e ridere di cuore Demelza che con quei servi, ricordava i vecchi tempi e le stradine dove era cresciuta.

A mezzanotte un gruppetto di bambini della classe di Demelza arrivò alla porta a portare dei doni a lei e a Ross e poi si esibirono in un canto natalizio per loro. Fu un momento magico e uno dei migliori natali per tutti. L'unico intoppo fu la neve, forte, incessante, gelida... Le strade divennero impraticabili nel giro di poche ore e anche tornare a Trenwith per passare la notte divenne un'utopia. La neve era magica ma rendeva difficili molte cose.

Ross a quel punto si guardò attorno e anche se la sua casa era piccola, decise che passare lì tutti insieme la notte, anche baraccati, sarebbe stato piacevole. Destinò la sua stanza da letto ad Agatha e Verity, fece sistemare due brandine per lui e Blamey nello studio e chiese a Prudie di preparare il letto a Demelza in quella che era stata la sua camera da ragazzo.

Demelza si sentì in imbarazzo ma fu ancora una volta Verity a tranquillizzarla. “Sarà perfetto svegliarci qui ancora tutti insieme e continuare a festeggiare domani!” - disse, mentre il tepore e la luce delle candele donava magia al salotto.

Demelza annuì, in fondo era d'accordo e capì che non voleva andare via. Verity si ritirò con l'anziana Agatha, Blamey aiutò Jud con le brandine e Demelza, mentre Prudie le preparava il letto, si propose di dare una mano a Ross a sistemare la tavola. Lui parve esserne divertito. “Lady Boscawen, dubito che sarebbe vostro compito farlo!” - disse ossequioso, continuando a tenere scherzosamente un dialogo formale con lei anche se ormai erano rimasti soli.

L'alternativa sarebbe farmi il letto e lo trovo più faticoso che sparecchiare” - gli rispose, da impertinente.

Lui la fissò divertito, provando ancora più forte l'attrazione per lei, perfetta come una lady e dolce e gentile come un fiore di primavera non ancora sbocciato. “Come vuoi...” - disse, dandole finalmente del tu e mettendosi a sparecchiare con lei.



Mezz'ora dopo la casa era sprofondata nel silenzio e anche il salotto e la tavola erano stati perfettamente rimessi in ordine. Ciabattando, Prudie era andata a letto con Jud e dalle altre stanze non proveniva alcun rumore. Era ormai tardi, molto tardi e tutti probabilmente stavano dormendo...

Fu Ross a spezzare il tranquillo silenzio che si era creato. “E i tuoi servi? Saranno preoccupati per questa tua assenza? Ne approfitteranno? Sono in pratica i padroni incontrastati della tua tenuta, per una notte e un giorno intero”.

Demelza si rese conto che le suonava ancora decisamente strano il fatto che lui le desse del ‘tu’ dopo una serata dove si erano dati del voi per salvare le apparenze ed evitare domande. Ma ora? Erano soli, la festa era finita e tutti dormivano, bloccati in quella casa da un’improvvisa nevicata che aveva impedito a lei e alle donne Poldark di raggiungere Trenwith per la notte, dove in teoria avrebbe dovuto essere ospitata. Si sentì nervosa, imbarazzata e incapace di fare o dire qualcosa che non risultasse sbagliato. Quando era con Ross spesso aveva temuto di sbagliare ed era una paura che mai l'aveva abbandonata del tutto. Anche adesso, soprattutto adesso! Lei e Ross Poldark avevano condiviso molte confidenze e forse più del lecito consentito ed ora era in casa sua come ospite e temeva di oltrepassare il normale limite della loro amicizia se non fosse stata attenta. Durante la festa era stato facile chiacchierare e ridere insieme ma quando loro erano soli a un certo punto subentrava sempre una strana tensione che spezzava la goliardia e accendeva altri sentimenti forse troppo prepotenti per essere tenuti a bada. “I miei servi sono persone affidabili”.

Ross rise. “Ne sei sicura?”.

Ovviamente... Perché ne dubiti?”.

Ross le si fece più vicino, facendola avvampare. Quella sera era particolarmente affascinante e il suo buon umore, tanto inusuale per lui, ne aveva fatto una particolare e brillante compagnia. Santo cielo, se non fosse che si sentiva tanto attratta da lui, sarebbe stato tutto molto più facile. Ma così non era e se ne sentiva stregata. Dal suo sguardo, dal suo magnetismo, da quegli occhi scuri tanto penetranti, dal suo fascino ribelle e selvaggio... Forse percependone i pensieri e proprio per questo, Ross si avvicinò ulteriormente. “Perché… Hai notato come sono Jud e Prudie? Loro non sono mai stati affidabili e da soli per due giorni, finirebbero per prosciugare la mia riserva di porto e di rum”.

Anche Demelza rise nonostante tutto, perché in effetti i due strambi servi di Ross Poldark non sembravano particolarmente affidabili anche se, in cuor suo, sentiva che erano due brave persone molto affezionate a lui. “Beh, credo che sappiano che se lo facessero, i miei servi avrebbero a che fare con l’ira di Falmouth che è meno magnanimo di te”.

Ross si sedette sul davanzale della finestra dove Demelza ancora osservava la neve. “A proposito, come vanno i suoi affari a Londra?” - chiese, per smorzare la tensione.

Bene, mi ha scritto che è tutto sistemato! Ed è energico e felice per quanto ha appreso dalla mia lettera!”.

Che gli hai scritto?”.

Che accetti la candidatura al seggio di Truro ovviamente!”.

Ross spalancò gli occhi, rendendosi conto di quanto lei sapesse essere sfrontata e lasciarlo senza parole, all’occorrenza. “Cosa? Lo hai fatto davvero? Hai osato...?”.

Demelza assunse un’aria impertinente. “Ho osato, sì!”.

Come hai potuto farlo?”.

Avevamo accordi che io ho rispettato!”.

Sei comunque una donna impertinente!”.

Ma in sostanza arrivo a concludere prima di voi maschi che tergiversate e rimuginate troppo sul da farsi!”.

Sì, era una donna impertinente e decisamente affascinante proprio per questo. Se lei avesse voluto, avrebbe potuto vendere ghiaccio al nord del mondo… “Falmouth troverebbe in te un’ottima alleata! Otterresti TUTTO in Parlamento!”.

Demelza sorrise, divertita. “Ma alle donne è proibito fare politica. Quindi dovrete sacrificarvi alla causa voi uomini”.

Ross sospirò, fingendosi affranto per la cosa. Anche se iniziava a considerare interessante quella sfida. In fondo amava lanciarsi in missioni disperate e incerte e cosa c’era di più incerto e infido di Westminster e delle serpi che lo popolavano? In realtà poco sapeva di come si muove un politico e di certo lo avrebbero ritenuto un rivoluzionario poco credibile e affidabile fra quelle mura, ma non era anche questo uno dei lati divertenti della situazione? “Resta comunque una piccola faccenda fra noi, una promessa che non hai ancora onorato”.

Sun, mentre il suo padrone parlava offrendo a Demelza l’ennesima sfida fra loro, saltò sul davanzale accanto al suo padrone.

Demelza lo accarezzò, catturata dalla bellezza del suo pelo. Era stato il re della serata e per tutta la cena se lo era contesa con Verity e zia Agatha che in quel pelo rosso vedeva presagi importanti per il futuro. “Quale grave mancanza avrei commesso?” – chiese, con impertinenza e divertimento.

Ross le indicò la spinetta. “Se non ricordo male avevi promesso di suonare qualcosa per me, un po’ di tempo fa”.

Demelza sussultò, ricordando quando avvenne. Non rivedeva Ross da oltre un anno, Hugh era morto ed era il loro primo incontro da quel lutto devastante. Arrivò alla tenuta su invito di Falmouth e lei, quando giunse nel salone, stava suonando… “I miei servi potrebbero spiegarti più che bene che per la salute delle tue orecchie, sarebbe consigliabile che io non lo facessi”.

Non mi sembrava che suonassi tanto male” – rispose lui, a tono e con fermezza ma comunque in modo caldo e dolce.


Gli occhi di Ross divennero fuoco specchiati nei suoi ed improvvisamente tutto divenne serio e l’aria elettrica. Succedeva sempre, quando parlavano di loro e del loro rapporto. Il momento degli scherzi e dei convenevoli era finito, lo sapeva lei, lo sapeva lui... “Ora?” – domandò lei, avvampando e sentendo in quella vicinanza a lui motivo di tensione a fior di pelle.

Ora, sì” – rispose ancora lui, avvicinandosi ulteriormente fino a sfiorarle la vita. Resisterle sembrava sempre più difficile e Ross si accorse che tutto attorno a loro aveva smesso di esistere. La voleva... Baciarla, portarla in un posto solo loro, spogliarla e fare l'amore con lei. Santo cielo, finalmente la sua mente lo aveva ammesso! Con quell'abito verde era splendida, senza lo era sicuramente di più!

Demelza non si sottrasse a quel contatto e a quella mano calda come il fuoco. Desideravano le stesse cose, senza avere il coraggio di dirselo.“Sveglieremo tutti”.

I miei servi sono ubriachi, la casa potrebbe andare a fuoco e non se ne accorgerebbero”.

Zia Agatha?”.

E’ decisamente sorda da qualche anno in qua”.

E Verity? E Blamey?”

Ross sospirò, in effetti loro avrebbero potuto sentire e non voleva. Se lei avesse suonato per lui, doveva essere solo per LUI. “Se non ora, quando?”.

Il viso di Ross si avvicinò al suo e Demelza sentì che le veniva la pelle d’oca. Aveva labbra carnose visto da vicino e in quel momento il suo viso esprimeva una sensualità che fino a quel momento era stato bravo a celare. Perché si stava facendo tanto vicino? Ne era consapevole? E lei, cosa voleva che lui facesse? “Ross…”.

Quando?”.

Presto… Verrò presto, quando saremo soli, a suonare per te” – gli rispose, in un soffio.

Cosa mi dai in pegno per questo genere di promessa?”.

Stava diventando tutto troppo caldo e lui era troppo vicino. Dallo scherzo erano scivolati, quasi senza accorgersene, in una specie di gioco di seduzione che forse nemmeno era stato preparato e a cui entrambi non erano abituati. Hugh non era stato così e Demelza si chiese cosa fare… Riportare tutto allo scherzo? Ma lo voleva davvero? “Una stretta di mano basterebbe?” – chiese.

A te basterebbe?” – rispose lui.

Demelza sospirò e non seppe nemmeno lei perché rispose a quel modo. “Per ora… PER ORA sì…”.

Ross capì che non poteva andare oltre e che forse lo desiderava ma era presto. Si allontanò lievemente da lei e le porse la mano. “PER ORA andrà bene anche per me” – disse stringendo la mano di lei, suggellando un patto che andava ben oltre una melodia suonata alla spinetta.





Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattro ***


Erano state delle festività natalizie serene e felici, diverse dal solito e cariche di emozioni forti che rendevano Demelza piena di domande e forse, anche aspettative. C’era molto turbamento in lei, un sentirsi mille cose indefinite senza capire bene quale strada intraprendere.

Era la vedova di Hugh Armitage, il ricordo del giovane marito morto e il dolore per la sua perdita avrebbero sempre fatto parte di lei eppure ora voleva tornare anche a vivere, ad emozionarsi, ad essere toccata ed essere amata di nuovo. Avere uno scopo, un compagno, una famiglia, tutte cose che credeva non avrebbero più fatto parte di lei, ora tornavano ad essere un desiderio prepotente… Dalle feste di fine anno molto era cambiato in lei e tanti sentimenti prima indefiniti erano diventati improvvisamente certezze non più celabili. Aveva desiderato essere baciata in una sera di Natale passata in maniera diversa con persone che aveva sentito quasi di famiglia, si era sentita una donna nuova e ora non sapeva se seguire il suo istinto e lasciarsi andare oppure se sentirsi in colpa verso Hugh…

Se Ross Poldark si fosse avvicinato troppo quando erano rimasti soli, se avesse tentato di baciarla come lei aveva desiderato, lo avrebbe lasciato fare? O lo avrebbe respinto per mantenere le distanze? Oppure, avrebbe potuto baciarlo lei per prima? Per un attimo era stata tentata ma poi aveva frenato questo istinto ritenendolo sconveniente e forse nemmeno ben accetto…

Viveva nella casa di Hugh, con la famiglia del suo defunto marito e stava iniziando a pensare a un altro uomo e desiderando di essere altrove… C’era fin troppo di cui sentirsi in colpa ma non poteva farne a meno di provare tutto questo.

Era bello andare alla Wheal Grace ad insegnare ai bambini ed era bello incontrare Ross e tutti coloro che gravitavano attorno a quella miniera. E quando doveva rientrare la sera, si sentiva come se abbandonasse un luogo a cui lei apparteneva…

Anche salutare Ross Poldark diventava difficile...

Era così, era sempre così, ogni giorno un pò di più…

Gennaio era stato un mese pessimo e freddo, violente tempeste di vento avevano flagellato la costa, neve e pioggia si erano susseguite incessantemente e anche Falmouth aveva dovuto posticipare il suo rientro da Londra. Era arrivato l’ultimo giorno di gennaio borbottando come un avventore di osteria, maledicendo il tempo e il cocchiere e qualsiasi cosa abbia avuto a che fare con lui durante il tragitto e dopo un bagno caldo e una cena frugale si era chiuso in camera ordinando un pediluvio bollente e un camino acceso per scaldarsi. Per due giorni era rimasto intrattabile e solo al terzo era tornato umano e in grado di tenere un comportamento quasi piacevole verso tutti gli occupanti della casa.

Demelza, che lo conosceva bene e ormai sapeva come prenderlo, si era tenuta distante e aveva aspettato che lui sbollisse il nervoso accumulato nelle settimane a Londra e durante il tortuoso viaggio di ritorno. Sapeva come fargli tornare il buon umore ma sapeva anche che le buone notizie dovevano essere affrontate al momento giusto con lui. Ross Poldark si sarebbe candidato, le elezioni erano vicine e quando si trattava di giocare in politica e in affari, Falmouth diventava felice come un bambino a cui regalavano dei dolcetti.

Quando il suo umore iniziò a migliorare, Falmouth iniziò a chiedere della miniera, di Poldark, di cosa-come-quando avesse accennato all’entrata in Parlamento, se avesse fatto menzione a qualche proposta politica e mille altre domande a cui Demelza non seppe rispondere. Le chiese anche come avesse fatto a convincerlo ma tacque su molte cose e forse lo fece anche perché non sapeva esattamente il motivo che lo avesse spinto a cambiare idea. Trovava molto improbabile che lo avesse fatto per uno scambio di battute e un gioco a rimpiattino fra loro e forse non aveva mai chiesto seriamente a Ross il perché, lo aveva semplicemente accettato perché lo riteneva giusto e anche lui di certo era arrivato alle medesime conclusioni. Per quanto riguardava il resto, ben poco immaginava delle idee politiche di Ross ma poteva immaginare che, pur senza aver ideato una vera e propria strategia, avrebbe lottato per aiutare gli ultimi fra gli ultimi, come dopo tutto faceva con la sua miniera.

A breve Falmouth iniziò a scalpitare per incontrarlo ma il freddo, il cattivo tempo e il reumatismo che in inverno non gli dava tregua, lo tennero a malincuore nella sua dimora in attesa di tempi migliori. A causa delle pioggie incessanti, anche Demelza dovette rallentare in quei primi mesi dell’anno, nel suo lavoro. Il freddo, il vento e la pioggia rendevano pericoloso per la salute uscire, soprattutto per i suoi piccoli allievi che non disponevano, come lei, di abiti caldi e carrozze accoglienti per andare e venire dalla miniera.

Le spiaceva non potersi muovere e anche se dopo la morte di Hugh era stata inerte e ferma a lungo, ora che aveva iniziato a vivere e a sentirsi di nuovo utile, si sentiva come una tigre in gabbia che aspetta con ansia l’arrivo della primavera per seguire il suo istinto il libertà.

Fu in un pomeriggio freddo di inizio febbraio, con un nevischio che ghiacciava le finestre, che Ross Poldark comparve improvvisamente alla porta della dimora dei Boscawen. Demelza non lo vedeva da dieci giorni, Falmouth non si aspettava una sua visita ed entrambi erano in salotto a tentare di far passare il tempo, l’uno leggendo i suoi giornali e l’altra giocando con Garrick, quando lui arrivò annunciato da una domestica.

In vestaglia da casa, davanti al camino, Falmouth spalancò gli occhi con sorpresa e anche Demelza, vestita con un semplice ma fine abito da casa color lavanda, fece altrettanto. “Ross?!” - esclamò senza riuscire a frenarsi dall’usare quell’atteggiamento confidenziale noto solo a loro due che di certo avrebbe generato curiosità in Falmouth.

Il lord infatti la osservò accigliato ma poi fece finta di nulla. Congedò la domestica, si alzò dalla sua poltrona e mentre Garrick si avvicinava al nuovo arrivato per annusarlo, lui fece altrettanto. “Poldark?! Che Dio vi fulmini, che ci fate quì con questo tempo infame? Se lo avessi saputo, vi avrei accolto in ben altro modo!”.

Ross si tolse il mantello, fradicio e congelato, consegnandolo al maggiordomo che era corso a porgli i suoi servigi. “Già, il tempo è pessimo, la neve non vuole smettere e io desideravo vedervi quanto prima”. Poi si fermò, sorridendo a Demelza. “Lady Boscawen, è molto che non ci si vede e alla miniera in molti sentono la vostra mancanza”. Lo disse in tono ossequioso, cercando di essere formale… Ma a Demelza non sfuggì il luccichio nei suoi occhi al termine della frase. Avvampò ma fece in modo che non fosse notato o tutti i tentativi di Ross di apparire formale sarebbero stati vani.

Falmouth parve incuriosito. “Come mai volevate vedermi?”.

Perché quando decido di imbarcarmi in qualcosa, voglio farlo al meglio” – rispose Ross, sicuro. “Ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare e visto che sono stato così folle da piegarmi al vostro altrettanto folle progetto, vediamo di mettere giù un piano di battaglia”.

Falmouth sorrise sotto i baffi. “Sarei venuto di persona da voi, appena il tempo fosse migliorato”.

Non amo aspettare e sono giovane, un pò di neve non mi fa male”.

Demelza sorrise, contenta. Per Falmouth era una vittoria, per Ross l’inizio di una avventura che lo avrebbe portato lontano.

Bene, bene” – disse Falmouth tornando alla sua poltrona davanti al camino, facendo segno a Ross di fare altrettanto – “Mi piace l’entusiasmo e l’intraprendenza. Adoro cacciare le mie prede ma amo anche vederle arrivare da me attirate dal mio carisma”.

Il lord scoppiò a ridere e Ross e Demelza si guardarono per un istante, in uno sguardo d’intesa che non aveva bisogno di parole. Era vero, era venuto per parlare con Falmouth perché una volta presa una decisione era un uomo che amava andare fino in fondo, ma era venuto anche per lei perché in quei dieci giorni senza vederla, non aveva potuto non ammettere a se stesso quanto le mancasse. Si era anche chiesto se per caso si stesse innamorando di lei e ancora non era riuscito a darsi una risposta. Ma sapeva che pian piano quella combattente e fiera ragazza dai capelli rossi si era insinuata in ogni fibra del suo essere ed aveva saputo arrivare a profondità del suo cuore e della sua anima che Elizabeth probabilmente non aveva mai nemmeno accarezzato. Erano simili eppure diversi, due specie di opposti che però insieme e vicini, si attraevano inesorabilmente. Sapeva di desiderarla e che ormai questo non era più solo un bisogno fisico, era averla attorno che arricchiva la sua vita e le sue giornate e il piacere della sua compagnia era un qualcosa a cui non avrebbe voluto rinunciare mai. Accettò l'invito di sedersi e si accomodò in poltrona, godendo del tepore del camino acceso. “Io frenerei l’entusiasmo, Lord Falmouth. Vi siete accaparrato il più ribelle dei soci, uno che non accetta compromessi e ama particolarmente dire di no. Uno che se crede in qualcosa, ci si butta a capofitto senza fermarsi fino a che non ha raggiunto l'obiettivo".

Falmouth si accarezzò i baffi, per nulla intimorito. "Perfetto, direi che siamo quasi gemelli".

Demelza prese fra le braccia Garrick, rendendosi conto che era ora di lasciarli soli. "Vado a chiedere a Dorothy di preparavi del brandy, sarà più piacevole azzuffarvi befendo del buon liquore".

Falmouth ridacchiò a quella battuta impertinente e lo stesso fece Ross. Si rese conto che gli avrebbe fatto piacere che lei rimanesse, ma capiva anche che ora era il dovere che doveva affrontare. Al piacere avrebbe pensato più tardi...


...


Parlarono due ore, fitto fitto, di politica ed economia. Ross si trovò a pensare, ascoltando Falmouth, che non avevano nulla in comune, che lui non avrebbe mai raggiunto il cinismo di quel lord e che probabilmente quella quella avventura sarebbe stata la più folle della sua vita. Però c'era una cosa che lo colpiva ed attirava ed era la capacità di Falmouth, con cui era in disaccordo su tutto, di raggirarlo con le parole, con lunghi discorsi e astuzia per portarlo a dargli ragione anche se non era affatto d'accordo con le sue idee. In questo era decisamente fenomenale, nessuno ci era mai riuscito! Esperienza, probabilmente. Ma anche grande acume e conoscenza del mondo e dell'animo umano... Non aveva davanti una persona in là con l'età e manovrabile ma un uomo intelligente ed astuto.

Di tanto in tanto nella stanza giungevano le risate di Demelza che giocava col suo cane nel suo salottino privato e a quel punto smetteva di ascoltare Falmouth per concentrarsi su di lei, sperando che il lord non se ne accorgesse.

A fine colloquio e dopo aver più o meno trovato accordi sulle strategie elettorali e sulle alleanze che Falmouth avrebbe stretto per ottenere voti e quando dopo tre bicchieri di Brandy erano entrambi un pò brilli, Falmouth prima di congedarlo lo guardò con occhio lucido ed indagatore. "Come ha fatto a convincervi?".

Ross sussultò, ormai quasi annoiato. "Cosa? Chi?".

"Demelza. Come è riuscita dove io ho fallito?".

Impudentemente, forse anche divertito dalla cosa e desideroso di stuzzicarlo come Falmouth aveva fatto con lui, Ross rispose senza giri di parole. "Fascino femminile, che a voi manca...".

Falmouth però non si scandalizzò affatto e scoppiò a ridere. "E' vero, è deliziosa. Mio nipote la adorava e anche io le sono molto affezionato. L'ho conosciuta che era una bambina e mi è cresciuta davanti agli occhi... Mi fido di Demelza e so che ha agito in mio nome nel massimo rispetto della famiglia".

"Lo ha fatto. E ha svolto un ottimo lavoro coi bambini della miniera".

"E vi ha convinto a lanciarvi in politica...".

Ross annuì. "In un certo senso, avete un'ottima alleata".

Falmouth sospirò, tornando serio. "E' giovane e in gamba. Ha una vita davanti e vorrei che la vivesse con persone alla sua altezza. Potrei anche darvi il permesso di corteggiarla, sapete?" - disse, sibillino.

Fu Ross, ancora una volta, ad essere preso in contropiede. Cosa che a lui non era riuscita con Falmouth poco prima... Tornò serio, come il suo interlocutore, rendendosi conto che per quanto lo ammirasse e conoscesse la sua influenza sulla vita di Demelza, per lui questo ultimo fattore non era ben accetto. E lo avrebbe messo in chiaro senza compromessi come in politica, subito. "Con tutto rispetto signore... Non ho bisogno del vostro permesso. E nemmeno Lady Boscawen".

Chiaro, limpido diretto. E a Falmouth piacque. "Ottimo... Quindi mi auguro, se ne avete l'intenzione, che non dormiate sugli allori... A volte le buone occasioni vanno afferrate senza pensarci troppo o ci verranno rubate da qualcun altro più veloce e furbo".

Ross per un attimo si chiese se si stesse riferendo alla sua antica passione per Elizabeth, alle voci che circolavano in giro e a quanto avesse lasciato correre per orgoglio appena tornato dalla guerra. Ma ora era un uomo diverso, più adulto, ancora testa calda ma deciso a farsi guidare anche dalla ragione e non solo dall'istinto. E determinato a non farsi fare la paternale da un lord anziano e decisamente scapolo. "So come funziona, grazie..." - commentò, laconico.

Calò un silenzio pesante per qualche attimo, poi Falmouth guardò fuori dalla finestra. Aveva ricominciato a nevicare fitto e ormai stava diventando buio. "Vi fermate per cena?" - chiese, cambiando del tutto argomento come desiderato da Ross.

"No, fa freddo e a breve sarà buio pesto. Devo passare dalla miniera sulla via del ritorno per controllare alcuni incartamenti e poi non desidero che andare a casa e fare un bagno caldo".

Falmouth allora si alzò dalla poltrona, stringendogli la mano. Stavano stringendo un patto politico azzardato, erano due persone profondamente diverse e si sarebbero azzuffate come cane e gatto ma di certo erano uniti da un particolare sostegno e rispetto reciproci. "Inizierò da domani a lavorare alle mie alleanze elettorali, in modo da portare ad entrambi il più alto numero di voti. Avrete molti amici a cui dire grazie, non dimenticatelo e lavorate al meglio. Per il resto, vi farò sapere...".

Ross prese un profondo respiro, ormai era in gioco e bisognava giocare anche con regole che non facevano per lui. "Lavorare al meglio è quanto desidero, anche se su quel 'al meglio' abbiamo visioni diverse. Aspetterò le vostre lettere, allora...".

Falmouth ridacchiò e poi prese un campanellino dal tavolo, facendolo suonare. Una domestica arrivò subito e l'uomo ordinò di chiamare Demelza. "Sono in vestaglia, mi perdonerete se non vi accompagno alla porta. Vi farò scortare dalla mia valente emissaria".

Ross mascherò un sorriso, quell'uomo era l'incarnazione delle macchinazioni. "Vi ringrazio del gentil pensiero".

Demelza arrivò pochi minuti dopo seguita da Garrick e Ross, dopo aver salutato Falmouth, si incamminò con lei verso l'uscita principale della dimora. Nella casa tutto era silenzio e l'atmosfera era ovattata e calda grazie alle candele accese e ai camini scoppiettanti che donavano tepore e luce agli ambienti, rendendoli confortevoli. "Dove sono tutti i domestici?" - chiese Ross.

"Le cuoche a quest'ora sono in cucina a preparare la cena, le domestiche hanno per lo più il pomeriggio di riposo e il maggiordomo è in giardino a sellarvi il cavallo e aprirvi il cancello. E' la mia ora del giorno preferita, adoro questo silenzio e questa pace".

"La vita di campagna..." - osservò Ross.

"Ce l'avete fatta a trovare un accordo?" - chiese Demelza, ormai dimentica dell'etichetta ora che erano soli.

Ross sbuffò. "Sì, in un certo modo - e non ho capito come - a parole quel dannato Falmouth mi ha fatto dire sì anche dove volevo dire no. Sentiti responsabile".

"Della tua futura e brillante carriera?" - scherzò lei.

Ross ci pensò su, la osservò e gli vennero in mente gli attimi vissuti insieme a Natale e le parole di poco prima di Falmouth. Era bella, intelligente, brillante e libera. E molti uomini avrebbero potuto volerla... "Sai, Demelza...".

"Cosa?".

"Potrei diventare uno scapolo molto ambito con questa faccenda della politica...".

"Dalle dame di Londra?".

Ross la fissò negli occhi intensamente, soggiogato dai suoi occhi verde smeraldo. "O da quelle di Cornovaglia..." - sussurrò, sibillino.

Demelza arrossì e lui le si fece più vicino. Erano in casa Boscawen, qualcuno avrebbe potuto passare e vederli ma a Ross non interessava. Le sfiorò la vita e la attirò a se e poi, serio, le parlò. "Hai mai pensato a una vita nuova? Che quella vecchia non ti basta più?".

Demelza si guardò attorno... "Ross...".

"Rispondi".

Lei tentennò. "A volte... molto spesso. Soprattutto ultimamente...".

Lui non si allontanò. "Non mi hai mai chiesto perché ho accettato questa cosa che non volevo assolutamente... Parlo della scelta di entrare in politica naturalmente".

"Non credo siano cose che mi riguardino".

Ross scosse la testa. "Ti riguardano più di quanto vuoi ammettere. Niente succede per caso, Demelza, né un incontro, né determinate parole, né determinate scelte".

Demelza abbassò lo sguardo, col cuore che le martellava in petto e le dita di Ross sulla sua vita che attraverso il vestito parevano trasmettere un calore infernale sulla sua pelle. "Lo credo anche io".

Ross sorrise. "Non sono un poeta, non amo intromissioni e non sono uno che ama girare attorno alle cose. Ma credo di sapere cosa voglio... E tu?".

"E' più complicato per me".

Lui la guardò ancora negli occhi e decise che le avrebbe dato un pò di tempo ancora... Poco tempo, però. Poi non sarebbe stato più capace di aspettare. La voleva e presto non si sarebbe più frenato dal dimostrarglielo. Ma per quel momento si limitò a poggiare le labbra sulla sua fronte in un dolce bacio, il primo e casto bacio fra loro, e poi si allontanò. "Ricordi Natale?".

Lei, stupita da quel gesto, impietrita, incapace di muoversi e desiderosa che restasse, che non se ne andasse, che fossero altrove, annuì. "Sì..." - disse, sentendo la sua fronte bruciare dove si erano poggiate le labbra di lui.

Ross aprì la porta. "Beh Demelza, quel 'per adesso' inizia a non bastarmi più". Poi uscì, chiuse la porta dietro di se e si tuffò nel freddo della neve e della sera. Andava a fuoco, come lei. Ma per lei avrebbe potuto aspettare ancora un pò. Solo un pò...

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo trentacinque ***


Da quando era stato a trovare Lord Falmouth a casa sua, tutto era diventato frenetico per Ross. La fitta corrispondenza col lord e una inaspettata buona sorte che aveva strizzato l'occhio alla Wheal Grace facendo intravedere l'inizio di una buona vena di rame, occupavano ogni momento della sua giornata.

I lavoratori alla sua miniera erano ancora pochi, i suoi fedelissimi, ma se le cose fossero continuate a girare per il verso giusto, presto avrebbe potuto aprire nuovi livelli ed assumere altro personale. Certo, avrebbe dovuto partire per Londra con Falmouth in caso di vittoria alle elezioni, ma si fidava ciecamente sia di Henshawe che di Zachy e a loro avrebbe lasciato in mano tutta la gestione in sua assenza. Conoscevano quella miniera come e meglio di lui e aveva piena fiducia in loro.

In quelle settimane di passaggio fra inverno e primi scampoli di primavera, la pioggia e il freddo avevano continuato a farla da padroni ma Demelza si era ripromessa di tornare con puntualità alla miniera, nonostante tutto. I bambini, a causa del freddo, del maltempo e dei malanni di stagione, erano calati ma lei aveva continuato a tenere anche per i pochi presenti le sue lezioni. E in mancanza di studenti, era diventata anche una presenza fissa nell'ufficio di Ross. Spesso finivano per trovarsi soli, quando il buio della sera avanzava, a sistemare carte e libri contabili e anche se a volte i motivi di conversazione erano pochi, erano i silenzi e gli sguardi fra loro a conversare al posto delle parole.

Demelza aveva pian piano sistemato i vecchi libri contabili, aveva archiviato in ordine cronologico le vecchie mappe disegnate da suo padre Joshua, lo aveva aiutato a tenere aggiornato il libro degli stipendi e la corrispondenza con la Banca di Pascoe e in poche settimane aveva donato a quell'ufficio angusto uno degli aspetti più ordinati che avesse avuto.

Inoltre, nelle discussioni sull'amministrazione della miniera, Demelza spesso era intervenuta offrendo idee e spunti interessanti che ne denotavano una grande intelligenza e un'ottima capacità di analisi. Henshawe era affascinato da lei e anche lui ormai non poteva non chiedersi se si stesse irrimediabilmente innamorando di quella ragazza capace di portar luce in ogni angolo buio del suo mondo. Era bella, intelligente, dinamica, gentile, dolce, simpatica. Non aveva difetti ai suoi occhi e forse sì, probabilmente ne aveva come tutti e qualche volta aveva dimostrato una impertinenza e un carattere combattivo fuori dal comune, ma non poteva non ammettere a se stesso che adorava anche questi lati del suo carattere. Sarebbe stata un'ottima amministratrice della Wheal Grace al pari di Zachy o Henshawe e di fatto probabilmente già lo era in quanto il denaro per tenere tutto aperto arrivava dalla sua famiglia. Ma questo Demelza non lo faceva mai pesare, sembrava non pensarci affatto e in quella miniera, accanto a lui, si comportava come una qualunque dei suoi dipendenti, dando consigli se richiesti o se ne sentiva la necessità ma mai ordini, cosa che nella sua posizione avrebbe potuto fare senza problemi.

"Dovresti diventare socia a tutti gli effetti" - le disse in un tardo pomeriggio nuvoloso, mentre si stavano preparando per andare a casa.

Demelza, seduta sull'unica panca della stanza, alzò lo sguardo. Aveva già indossato il mantello e vi si stava stringendo dentro per scaldarsi. Fuori rabbuiava e tutti erano già andati a casa, solo lei e Ross erano rimasti in superficie mentre Henshawe stava finendo, al primo livello, di controllare i progressi della giornata. "Potrei, sì... Ma poi dovrei comandarti a bacchetta e mi piace di più così, ficcanasare e sistemare il tuo disordine sentendosi borbottare perché tocco le tue cose".

Ross rise, ancora una volta divertito dalla sua insolenza. "Mi trovi disordinato?".

"Credo che tu sia l'uomo più disordinato del mondo".

Ross rise ancora, di gusto. "Lo dice anche Pascoe".

"Pascoe è un uomo saggio".

"E tu una ragazza impertinente".

Demelza ridacchiò fissandolo civettuola e poi si stiracchiò e infine, dopo aver riposto un libro contabile nel cassetto, si avvicinò alla finestra. "Sta diventando buio".

Ross le si avvicinò. "Dovresti iniziare ad avviarti verso casa, fra poco non si vedrà nulla".

Lei alzò le spalle. "E' il bello della sera".

"E' pericoloso. Forse dovrei accompagnarti".

Lo fronteggiò. "Giuda, non sono una bambina!".

"Beh, e io sono un galantuomo".

"Posso tornare da sola".

"Ma io ti accompagnerò lo stesso".

Demelza sbuffò, fingendosi dispiaciuta anche se non lo era affatto. Adorava stare con lui e trovava dolce quel suo modo del tutto particolare di prendersi cura di lei e proteggerla... Ma decisa a reggere la parte, stizzita tornò allo sgabello, sedendosi ed accavallando le gambe. Lo fissò con aria di sfida, incrociò le braccia ed attese.

Ross, sempre più divertito, le si parò davanti. "E allora?".

"Se devo avere una balia, allora aspetterò Henshawe prima di andare a casa. Non mi sembra bello andarmene senza salutarlo".

Le si sedette accanto, mettendosi a sua volta il mantello. "A minuti sarà quì. Mi chiedo perché ci metta tanto".

Demelza osservò la botola dalla quale sarebbe a breve riemerso il capitano Hehshawe. "Ned prima ha detto che hanno trovato una quantità di stagno notevole che sembra nasconderne un secondo giacimento ancora più grande. Dove c'è molto stagno, poi c'è il rame! E forse Henshawe sta verificando se tutto questo sia vero o l'ennesima falsa speranza".

Con un gesto gentile ma scherzoso, Ross alzò la mano a scompigliarle i capelli. Era vero, lei aveva ragione e in quella giornata più volte era arrivato vicino, quasi da toccarla, alla speranza che finalmente il traguardo fosse vicino. "Che piccolo minatore esperto che sei".

Demelza, arrossendo come sempre succedeva quando lui la sfiorava, con un gesto secco gli allontanò la mano. "Hei!".

"Che si mangia per cena a casa tua?" - le chiese improvvisamente Ross, cambiando argomento per farla ammattire.

"Che ti importa?".

"Ti accompagnerò a casa e sono affamato. Probabilissimo che Falmouth mi rapisca con la scusa della cena e dell'orario tardo, per parlare ancora di politica ed elezioni. Ho bisogno di sapere cosa prevede il menù per decidere se rimanere o se trovare una scusa mentre andiamo a casa tua".

Demelza sospirò, sistemandosi il ciuffo di capelli che lui aveva toccato. "Brodo di cappone, cappone con patate e sformato di mele".

"Ottimo, mangerò volentieri con voi allora".

Demelza rise, era davvero irrecuperabile. "Tu e le buone maniere non andrete mai d'accordo, temo".

"Sono affamato e le buone maniere non riempiono il mio stomaco" - le fece notare.

Si guardarono in faccia e risero, come spesso facevano anche senza un valido motivo. E in quel momento Henshawe spalancò la porta della botola e sbucò in superficie, coperto di polvere. "Ross, devi scendere a vedere".

Ross balzò in piedi. "Cosa?".

"Al primo livello! Scendi, Ned aveva ragione. Il primo filone si è spaccato e ne ha lasciato scoperto uno immenso subito dietro. Non è un'illusione stavolta, Ross!!!".

Spalancando gli occhi, Ross si sentì tremare. Se questo era vero... se fosse stato vero... tutto avrebbe avuto un senso: la morte di Francis non sarebbe stata vana, il sogno di successo di suo padre che sperava in una miniera che portava il nome dell'amata moglie si sarebbe avverato, lui avrebbe potuto ripagare i suoi debiti, dare lavoro, speranza, progettare un futuro, prendersi cura di zia Agatha e Trenwith e... Guardò Demelza... La speranza ora era a portata di mano e con questa forse, avrebbe avuto qualcosa da offrire a chi voleva vicino. "Sei sicuro?".

Henshawe salì dalla botola, picchiettandosi la camicia per togliersi la polvere di dosso. "Santo cielo, sì! Stanotte io non torno a casa, questa cosa non mi farebbe dormire! Corro al villaggio a chiamare gli altri, verranno in un baleno! Stanotte si piccona, amico mio! E all'alba si brinda! Credo che smetterò di essere astemio prima dell'alba" - disse, ridendo come fosse già ubriaco.

Trattenendo il fiato, Ross annuì senza quasi riuscire a parlare. "Corri, vai a chiamare tutti! C'è da lavorare, non c'è tempo per dormire!".

Henshawe annuì, salutò con un cenno del capo Demelza e poi di corsa sparì dalla porta.

Ross, ancora tramortito dalla notizia, fissò Demelza che, come lui, si sentiva tremare dall'emozione. Poi le prese il polso, l'attirò a se perché non avrebbe voluto condividere quel momento con nessun altro e d'istinto la spinse verso la botola. "Vieni, andiamo!".

Come fosse la cosa più naturale del mondo che un uomo invitasse una lady in un cunicolo di una miniera, Demelza annuì. "Certo". Non c'era più tempo per scherzare ed ora era semplicemente felice ed emozionata per lui. Se lo meritava, nessuno al mondo meritava quel successo più di Ross. Si fece guidare e scese con lui dalla scaletta.

Scesero dalle scale, ognuno con una lanterna in mano. Presto Henshawe sarebbe tornato con gli altri uomini e prima di allora, Ross voleva verificare con i suoi occhi che non si trattasse dell'ennesima illusione.

Camminarono per alcuni minuti in uno stretto cunicolo, ormai dimentichi sia della sera incombente, sia della cena. Ross, che precedeva Demelza, si voltò per accertarsi che stesse bene. Non aveva mai lasciato la sua mano ma ora, con più lucidità, comprendeva che potesse trovarsi in difficoltà in un ambiente del genere. "Stai bene? Hai paura?".

Lei sorrise. "Sono perfettamente a mio agio".

Ross sorrise di rimando, era davvero diversa da tutte le altre donne del mondo. "Se Henshawe ha ragione, entro domani potrei non solo ripagare Falmouth dei soldi che mi ha prestato ma sarei persino quasi ricco".

"E potrai vincere le elezioni con cuore più sereno" - rispose lei.

Ross si fermò a quelle parole, voltandosi verso la ragazza illuminandola con la lanterna. Strane ombre si muovevano sul viso di entrambi al suo chiarore ed era impossibile capire i sentimenti che li agitavano in quel momento. "Sei stata un'ottima consigliera per la miniera, in questi mesi. Saresti disposta ad esserlo anche in campo politico?".

La donna arrossì perché in quel momento lui era incredibilmente serio e non c'era traccia di scherno nel suo tono di voce. "Credo che in quel campo, il migliore sia Falmouth".

Ross le si avvicinò. "Credo che tu abbia più buon senso di lui. Ed è a te che lo sto chiedendo".

Demelza prese un profondo respiro. "Non so molto di politica, solo le cose che sento in casa quando Falmouth ha ospiti. Come te, non credo che Westminster sia un mondo disinteressato e volto unicamente al bene comune ma che ci siano sotto tanti interessi spesso inconciliabili con la vera missione che dovrebbe avere un politico. E quindi posso solo dirti questo... Se e quando vincerai... se vorrai davvero essere d'aiuto alle persone, ricordati che non potrai aiutare tutti. A volte vanno fatte delle scelte e la migliore che tu possa fare è rendere un posto migliore il tuo piccolo angolo di mondo. In qualche modo, se riuscirai a far questo, sarai fra i migliori che siederanno in Parlamento".

Colpito dalle sue parole che ancora una volta esprimevano una saggezza insolita per una ragazza tanto giovane, le sfiorò la guancia, una cosa che ultimamente faceva spesso quando erano soli. "Falmouth approverebbe questo consiglio?".

"Non credo. Ma hai chiesto il mio di parere, non il suo".

"E il tuo parere a mio vedere, è l'unico a cui mi affiderò. Litigherò con lui tutto il tempo a causa di questo".

Demelza rise a quella battuta, immaginandosi già la scena. Poi guardò avanti nel buio del cunicolo e tornò seria. "Su, andiamo a vedere cosa ha trovato Henshawe. Non sei curioso?".

"Hai ragione, andiamo!".

Ripresero a camminare e dopo una ventina di metri svoltarono a destra in una diramazione sotterranea. Ross sapeva che era quella la direzione da prendere perché dal lato sinistro non erano ancora riusciti a scalfire la dura roccia. Ma se il giacimento sulla destra si fosse dimostrato ricco come sembrava, lo avrebbero potuto raggiungere da lì senza fatica, sfruttando gli scavi dei minerali raccolti.

Quando giunsero alla fine del cunicolo che partiva dalla biforcazione, giunsero in un ambiente più grande. In lontananza si sentiva lo scorrere dell'acqua di un qualche ruscello sotterraneo e il freddo e l'umidità erano pungenti. Demelza si strinse nel mantello e Ross, sentendola tremare, le si avvicinò e per la prima volta la strinse a se, fra le sue braccia. "Hai ragione, quì si gela. Scusa se ti ho portata in questo posto tanto lugubre".

Lei, senza quasi pensare ma solo spinta dalla bella sensazione di sentirlo vicino, si rannicchiò appoggiando la testa alla sua spalla. "E' un onore essere quì".

Ross le accarezzò la schiena per scaldarla e poi alzò la lanterna per controllare le pareti. E rimase a bocca aperta...

Immense colate di rame e stagno di ottima qualità sbucavano da una infinità di punti della parete, rendendo palese l'immensità delle ricchezze nascoste fra quelle rocce. C'era tanto rame e tanto stagno da non poterlo nemmeno immaginare nel più roseo dei sogni. "Demelza, santo cielo..." - mormorò Ross, sentendosi tremare le gambe. Il suo sogno, il sogno di suo padre nato sotto il nome della donna amata, era finalmente realtà. Era vero, finalmente era tutto VERO!!!

Demelza scosse la testa, sbalordita. Non aveva mai visto nulla del genere. "Ce l'hai fatta" - mormorò solamente, senza riuscire a dire altro.

"Ce l'abbiamo fatta" - rispose lui, quasi incredulo. Era davvero a lui che stava succedendo? Dopo tante tragedie, tanti fallimenti, lacrime e perdite di vite, davvero stava succedendo a lui? Lui che era stato a un passo dal lasciar perdere tutto? Improvvisamente si sentì come se fosse ubriaco, come se avesse bevuto dieci barili di rum e avesse una sbronza allegra. Iniziò a ridere come impazzito e Demelza, contagiata, fece lo stesso. E poi fu un attimo e ogni reticenza, ogni barriera, ogni tentativo di mantenere le distanze fallì nell'euforia del momento.

Si rese conto che erano soli e smise di ridere, la strinse per la vita e la attirò a se. In un attimo sembrò che tutto sparisse... Il freddo, il buio, l'umidità della miniera, il loro passato e tutti quelli che vi erano gravitati attorno. La guardò in quegli occhi verdi e trasparenti, osservò ogni particolare del suo viso e la morbidezza delle sue labbra che anche senza trucco e rossetto, sembravano essere state create solo perché lui le baciasse. Si fissarono, improvvisamente troppo vicini per riacquistare padronanza di loro stessi e in un attimo tutto quello che era stato faticosamente tenuto celato nei loro sentimenti più profondi venne alla luce. Si chinò su di lei, in un bacio non più casto ma disperato, appassionato, quasi furioso sulle sue labbra. Per un istante, prima di capire che era arrivato in Paradiso, pensò che lei lo avrebbe schiaffeggiato, ma non accadde. La sentì tremare e allora le sfiorò il viso in una carezza che voleva anche essere una presa su di lei. E continuò a baciarla sulle labbra, in un bacio talmente lungo e passionale da far mancare il fiato ad entrambi. Spinto dalla passione, la fece indietreggiare fino alla parete perché non potesse sfuggire e lei si arrese a qualcosa che in fondo non aveva fatto altro che desiderare a lungo. Sapevano che dopo quel bacio tutto sarebbe cambiato e che quei sentimenti che entrambi avevano nascosto anche a loro stessi avrebbero dovuto essere affrontati, ma per il momento non era questo l'importante, l'importante era che entrambi in passato avevano pensato di aver amato e in quel bacio stavano scoprendo che invece del vero amore, quello totalizzante e unico, non sapevano nulla. Non fino a quel momento, almeno... Ed ora sapevano con certezza che tutto quello che era sempre stato certo e sicuro prima, ora non esisteva più.

Quando le loro labbra si staccarono per riprendere fiato, Ross appoggiò la fronte su quella di lei, accarezzandole la guancia. "Tu non hai idea di quanto io abbia desiderato questo, da quanto...".

Tremando ancora per le sensazioni del bacio, per quella passione di Ross e per quella con cui aveva risposto e che mai avrebbe pensato di possedere, Demelza si rannicchiò contro di lui in cerca di sicurezza. "Forse non avremmo dovuto...".

Ma Ross scosse la testa. "Non avremmo dovuto fingere tanto a lungo di non desiderarlo... Io non lo farò più".

Già, lui aveva ragione e tornare indetro ora sarebbe stato impossibile. Perché dopo quel primo bacio, non sarebbe mai più riuscita a non desiderarne altri. "Nemmeno io" - disse, prendendo lei questa volta l'iniziativa di baciarlo. L'amore, i baci, l'intimità erano qualcosa che con Hugh aveva sempre trovato un dovere. Ora invece un semplice bacio con Ross la faceva sentire una donna nuova che per la prima volta scopre come amore e desiderio siamo complementari e indissolubilmente legati, in un vero rapporto.

Si baciarono a lungo, in una oscurità che ora non era più soffocante. Ross sentì di desiderarla talmente tanto che anche lì, subito, avrebbe potuto chiederle di fare l'amore. Ed era abbastanza certo che non avrebbe avuto rifiuti... Ma non era giusto, non era il modo, non era l'ambiente adatto...

Improvvisamente sentirono delle voci scendere dalla scaletta e rossi in viso, si allontanarono.

Zachy sbucò per primo, seguito da Henshawe, Ned, dai fratelli Deniels e dagli altri fedelissimi. "Capitano!".

Ross osservò Demelza, impacciato per la situazione in cui si trovavano. "Scusate se vi ho fatti svegliare, ma...".

Zachy si mise a ridere. "Ho tutta l'eternità per dormire in una bara, capitano! Ma stanotte si scava, il rame non merita di aspettare quando ha così voglia di gettarsi fra le nostre braccia".

Quella battuta fece sorridere Ross. Il rame, la sua colorazione rossa... Ne era attorniato e aveva appena baciato una donna che ne portava il colore nei suoi capelli. Era davvero nel suo destino.

Demelza salutò i minatori, gentilmente, celando il suo imbarazzo. "Volevo scendere a dare un occhio col capitano Poldark ma ora dovrete lavorare e credo di essere di troppo. E' tardi, forse è ora che torni a casa".

Henshawe annuì, calandosi il cappello dalla testa. "Buona serata, lady Boscawen".

"Buona serata a tutti".

Ross le si avvicinò. "E' buio, l'accompagno a casa e poi torno da voi". Non poteva lasciarla andare, non così...

Ned ridacchiò ma non fece commenti, Henshawe e Zachy si scambiarono un'occhiata maliziosa e poi li salutarono, prendendo in mano i picconi per mettersi all'opera.

Ross e Demelza risalirono dalla scaletta e in silenzio, ora incapaci di parlarsi, raggiunsero i loro cavalli. Ma quando lei fece per montare in sella del suo, Ross la fermò. "No".

"No, cosa?".

"Ti porto sul mio di cavallo. Non abbiamo mai galoppato insieme".

Non era una richiesta, era quasi un ordine e lei fu felice di eseguirlo. Era strano ora, la fuori, sembravano quasi impacciati e incapaci di parlare e proseguire quanto iniziato sotto terra ma desideravano non spezzare il contatto fisico. Nessuno dei due...

Demelza montò in sella al nero cavallo di Ross e lui si sedette dietro di lei, prendendo poi fra le mani le redini del destriero di Demelza. Ross le cinse la vita con la mano e lei prese le redini per condurre il cavallo verso casa.

Non parlarono durante il tragitto, godendosi la bellezza della sera e del silenzio. E dei loro corpi così vicini che parevano emanare un calore quasi innaturale. Ross si sentiva andare a fuoco per il desiderio di lei e per la voglia di averla vicina costantemente, senza doverla riportare in una casa diversa dalla sua, Demelza pensava più o meno lo stesso e ricordava quando lo aveva visto nuotare nudo più di due anni prima, al desiderio istantaneo che quella vista aveva generato in lei e al fuoco che aveva provato dentro di se mentre la baciava, alla forza della stretta delle sue mani, al suo tocco... Lo desiderava, si desideravano...

Quando arrivarono a pochi metri dal cancello dei Boscawen, saltarono giù da cavallo e a quel punto Ross la fermò, la attirò a se e la baciò con passione di nuovo. "Voglio fare l'amore con te...". Lo disse, senza giri di parole, cosa che non aveva mai amato fare. Essere chiari e diretti era quanto di più naturale esistesse per lui e quel desiderio non era un qualcosa di malato come quello che lo aveva spinto verso Elizabeth ma un qualcosa di diverso. Aveva trovato una casa in lei, sentimenti veri, forti e unici, uno scopo, una amica, la vera passione e ora non voleva altro che fondersi in lei ed essere una cosa unica. Non era tanto il desiderio del piacere fisico a guidarlo, non solo. Desiderava sentirsi completo e sapeva che con lei, solo con lei poteva essere tale. Voleva amarla, con passione, assaporare ogni istante con lei e poi amarla ancora... Per sempre, probabilmente.

Lei non lo respinse ma sorrise, desiderando la stessa cosa. "Credo che per questa notte tu abbia già fin troppo da fare".

"Quando ti rivedrò?" - le chiese.

"Presto, presto...".

"Fa che sia così... Ti desidero davvero, forse da quando ti ho vista per la prima volta sul balcone di questa casa".

Demelza tremò ancora e per un attimo si chiese come sarebbe stato, che amanti potessero essere, se sarebbe rimasto deluso da lei, se... se... Faceva paura, era un salto nel buio ma era consapevole di volerlo fare e di non poter sfuggire al desiderio e al bisogno di stare insieme. "Quando... Quando manderai i tuoi domestici al mercato di Truro per compere?".

"Giovedì, fra due giorni".

"Quindi, non ci sarà nessuno a Nampara?".

"Solo Sun...".

Demelza sorrise, Sun non era un problema. "E allora giovedì avremo un posto dove fare l'amore, Ross...". Santo cielo, era incredibile che lo avesse detto senza vergognarsi o arrossire ma venne così naturale darsi quell'appuntamento che alla fine non se ne stupì. Era una donna nuova, che Ross aveva aiutato a sbocciare fin dal loro primo incontro. Gli si avvicinò ancora e lo baciò, poi con un sospiro voltò le spalle e corse col suo cavallo verso l'ingresso della casa. Giovedì sarebbe arrivato presto.


Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo trentasei ***


Erano stati due giorni strani quelli, sia per Ross che per Demelza. La gioia per la miniera li aveva spinti a lasciarsi andare a sentimenti repressi fin troppo a lungo ed era sfociata in baci appassionati e pieni di desiderio…

Era stato bello per entrambi scoprire che l’altro non aveva desiderio di respingerlo e che ciò che sentivano era corrisposto e non vedeva l’ora di venire alla luce. Si desiderano, trovavano meraviglioso lo stare insieme e condividere le cose importanti della loro vita e si erano arricchiti a vicenda, si erano trovati in un mondo spesso avaro di incontri e cose belle e ora non vedevano l’ora di stare di nuovo insieme, totalmente…

Si erano dati appuntamento per il giovedì, per un incontro carico di aspettative, emozioni e promesse. Ma in quei due giorni di attesa, a mente fredda, erano subentrate tante domande, tante ansie, tante normali paure che li riempivano di quesiti: Come sarebbe stato? Si sarebbero delusi a vicenda? Stavano correndo troppo? Erano davvero consapevoli delle ripercussioni di quel passo tanto importante? Come avrebbe travolto tutto questo il loro mondo e le persone a loro vicine?

A tutto questo pensava Demelza, mentre si avviava a cavallo a Nampara. Poteva dire senza ombra di dubbio di essere felice ma anche spaventata. Ross era una persona passionale, sapeva essere il più tenero degli uomini ma era anche decisamente imprevedibile. E se non gli fosse piaciuta? Era spaventata da questo aspetto, lei che mai si era sentita bella e all’altezza delle gran dame che aveva incontrato e conosciuto negli anni. Tutte raffinate, tutte sempre linde e austere, tutte istruite, meravigliose e piene di grazia mentre lei poteva essere anche diventata una gran lady ma restava pur sempre la figlia di un minatore di Illugan.

Percorrendo strade alternative lontane dalla Wheal Grace per non essere vista, Demelza giunse a Nampara poco prima delle dieci del mattino. Era una giornata umida, nuvolosa ma stranamente non molto ventosa e l’erba nei prati iniziava ad assumere una tonalità verde più accesa tipica della primavera.

A Nampara il camino fumava e questo in un certo senso la tranquillizzò. Bussò alla porta col cuore in gola e quando l’uscio si aprì, assieme a Ross comparve anche il piccolo Sun che, dopo aver fatto le fusa contro la sua gonna, scappò felice nell’aia.

Appena furono faccia a faccia si guardarono per un istante imbarazzati, senza capire bene cosa dire. Ross, con indosso dei pantaloni neri e una camicia bianca sbottonata sul collo e che lasciava intravedere il petto villoso, quella mattina sembrava ancora più attraente con la fine barba sul mento e sul viso lasciata crescere in quei due giorni.

Anche Ross rimase a fissarla, rapito dalla sua figura. Era seducente e bella persino nascosta dal mantello blu… I suoi capelli, rossi e selvaggi, erano sciolti e liberi di muoversi alla brezza del vento e i suoi occhi parevano ancora più limpidi e verdi del solito. Le sorrise impacciato, cosa strana per lui. “Benarrivata”.

Grazie”. Demelza prima di entrare si voltò a vedere dove fosse finito Sun, ma il gatto pareva sparito.

Ross captò la sua preoccupazione e le prese la mano conducendola in casa. “Tranquilla, adora rincorrere le galline nel pollaio, è il suo gioco preferito. Quando sarà stanco tornerà in casa passando dalla finestra del mio studio che lascio sempre socchiusa per lui”.

Demelza annuì. “Quindi saremo davvero soli?”.

Sì, ho spedito al mercato Jud e Prudie e ho pagato loro una stanza in una locanda dicendo che avevo bisogno che fossero lì anche domattina per la fiera del bestiame per comprarmi una decina di polli”.

Astuto” – rise lei, cercando di mascherare le sue paure. “Ma io non credo che potrò fermarmi oltre oggi… Ho lasciato detto che sarei stata fuori tutto il giorno a cavallo ma se questa sera non rientro, Falmouth invierà l’esercito a cercami”.

Ross sospirò, era vero, era tutto parecchio difficile. Cercarsi, darsi appuntamento, trovarsi, amarsi e poi doverla salutare… Odiò quella situazione, non era uno che amava le mezze misure e la voleva. Ora, sempre, tutta per se. Chiuse la porta, la spinse delicatamente contro l'uscio e la baciò... Santo cielo, era quasi impazzito in quei due giorni di attesa in cui non aveva potuto farlo...

Demelza si arrese subito a lui, spinta dal bisogno fisico di sentirlo vicino. Era come una droga, era come se lui rappresentasse una calamita contro la quale nulla poteva, per resistere. "Ross..." - sussurrò, fra un bacio e l'altro.

"Sì?".

"Che hai detto alla miniera?".

Lui la baciò di nuovo, non molto attento al discorso. "In merito?".

"Alla tua assenza di oggi".

Lasciò le sue labbra e le baciò dolcemente la punta del naso. "La miniera e gli scavi vanno alla grande, non hanno bisogno di me. Sono il capo, non devo giustificare la mia assenza".

Demelza poggiò la fronte contro quella di lui, confusa dalla sua presenza e dalle sue calde attenzioni. "Odio mentire, soprattutto alle persone che amo, e io invece ho dovuto farlo per venire quì".

"E allora non farlo!" - rispose lui, certo di quel che diceva.

"Come posso? Come potrebbe la gente capire...".

Le sfiorò la guancia con la sua mano calda e la condusse fino ad uno dei divani accanto al camino. "Demelza, non devi nessuna spiegazione a nessuno".

Lei parve sorpresa. "Non deve rimanere un segreto?".

Ross alzò le spalle. "No, non ne vedo il motivo. Sono affari nostri, siamo due persone adulte e libere e non dobbiamo giustificare niente a nessuno. Puoi benissimo dire che vieni quì e il perché ci vediamo, per quanto mi riguarda non ho alcun problema in proposito".

"E cosa penserebbero le persone a noi vicine? Non hai paura di uno scandalo?".

Ross rise. "Onestamente non mi è mai importato nulla dei giudizi degli altri. E non dovrebbe importare nemmeno a te".

Demelza sorrise timidamente, adorava quel suo essere sempre fuori dalle regole e in effetti la vedeva allo stesso modo, ma non erano soli, non vivevano in un mondo isolato e di certo la gente avrebbe giudicato, condannato e non perdonato un qualcosa di bello ma poco comprensibile al pensar comune. "Non mi importa ma una relazione clandestina fra noi potrebbe creare problemi a chi sta attorno a noi".

Ross la ribaciò, sul collo. "E allora non rendiamola clandestina ma facciamo che il mondo sappia, ne parli un pò e poi si stanchi di noi". Le si avvicinò, cincendole la vita e attirandola a se per baciarla ancora. Scoppiava di desiderio eppure captava in lei un tentennamento forse giustificato ma che non sapeva come scardinare.

Demelza lasciò che la baciasse ancora, perdendosi nella dolcezza delle sue labbra, cercando in lui il coraggio per dimenticare tutto il resto e lasciarsi andare. Ma Ross captò la sua titubanza e per un attimo rallentò la presa. C'era tanto di quel desiderio in lui che lì, subito, avrebbe potuto possederla con passione ma si rendeva conto che forse stava correndo e che se lei non era del tutto pronta, avrebbero bruciato in parte qualcosa di estremamente bello. "Demelza...".

Lei sospirò, sconfitta, rannicchiandosi fra le sue labbra. "Forse ci sarebbero ancora tante cose di cui parlare e forse dovremmo usare oggi per fare questo. E lo so, mi odierai e sarai deluso, ma...".

Le accarezzò i capelli, dolcemente, cercando di tranquillizzarla. "Faremo l'amore quando lo desidererai senza paura con la mia stessa intensità. Oggi, domani, fra un mese... Hai ragione, forse stiamo correndo e questo non può che farci male e rischiamo di rovinare quanto di bello è iniziato due sere fa nella miniera".

"Dici sul serio?" - chiese lei, stupita.

Ross annuì, si alzò e andò in cucina, tornando pochi minuti dopo con due tavolette di cioccolata. "Le ho comprate per i bambini della scuola ma in fondo mangiarle noi, davanti al camino, non sarà così grave nei loro confronti".

Lei prese la cioccolata, confusa. "Ross, desidero davvero fare l'amore con te, ma... E' tutto così veloce e fino a tre giorni fa non avrei immaginato nemmeno lontanamente che sarei stata quì, oggi, pronta a concedermi a te. Giuda, quasi non ci conosciamo".

"Non è vero, ci conosciamo da quasi tre anni" - la corresse lui. "E per quanto mi riguarda, sei fra le persone che meglio mi capiscono al mondo".

"Questo mi fa un pò paura, Ross...".

La strinse a se, dolcemente. "Ricordi? La prima prima volta che sei venuta quì avevi addosso uno stupendo abito da equitazione e credo di aver pensato dentro di me che eri straordinariamente attraente".

Demelza arrossì, stupita, ricordando quanto lei stessa, spiandolo, aveva trovato attraente Ross nudo che nuotava in mare. "Davvero? Eppure a quei tempi i tuoi pensieri erano per un'altra donna". Già... E lei a quei tempi era decisamente sposata.

Ross si accorse del suo imbarazzo e le sorrise. "Fu il giorno in cui trovammo Sun".

"E promisi che sarei tornata quì. Ho mantenuto la mia promessa".

Ross le indicò la spinetta. "Manca ancora una promessa da mantenere".

Demelza si stiracchiò, sentendosi rilassata da quella loro amichevole conversazione. "Potrei anche farlo più tardi. Ma ancora non capisco perché ci tieni tanto".

"Perché vorrei avere qualcosa da te che sia solo mio" - le rispose, senza traccia di scherzo nella voce che uscì incredibilmente calda.

Demelza lo guardò negli occhi. "Sono quì, per te. E ancora non capisco come tu possa essere interessato a me...".

Ross pensò per un istante a come rispondere a quella domanda e si rese conto che tante cose non gliele aveva dette, che in fondo pur entrando molto in confidenza, mai avevano parlato apertamente dei loro sentimenti e di quello che provavano l'uno per l'altra. E forse era questo che ancora mancava, una tappa necessaria per andare oltre. "Perché non dovresti piacermi?".

Demelza prese un profondo respiro, affrontando quella che forse era una sua paura sopita da sempre, da quando l'aveva conosciuto. "Come può un uomo che ha amato una donna perfetta come Elizabeth... Warleggan... essere interessato alla figlia di un minatore? Non ho la grazia e la leggiadria di Elizabeth, non conosco le buone maniere quanto lei e non ho nemmeno la sua istruzione".

"Credi che queste siano cose che mi interessano? O che abbiano valore ai miei occhi? Eppure, mi pareva che tu mi avessi conosciuto a sufficienza in questi anni...".

Lei sospirò, cercando di apparire quanto più sincera senza arrivare a dire qualcosa di sbagliato che potesse offenderlo. "Tu sei diverso dagli altri uomini Ross, ma se ti innamori di qualcosa di perfetto, potrai mai accontentarti poi di una seconda scelta?".

Le prese le mani nelle sue, stringendole, rendendosi conto che era una conversazione estremamente difficile e che lui nel fare grandi discorsi non era un granché. Ma ci avrebbe provato... "Tu non sei una seconda scelta e mai ho pensato che lo saresti stata! Elizabeth è forse apparentemente perfetta e sicuramente una donna bella e ammirabile. Avevo una opinione di lei alta e sicuramente ancora oggi provo affetto nei suoi confronti e spero possa essere felice di vivere la scelta che ha fatto, ma il punto è che... non era perfetta per me. E io non lo ero per lei. La perfezione Demelza non esiste, esistono però uomini e donne affini che se hanno la fortuna di trovarsi, allora sanno dare un senso vero e pieno alle loro vite. Non dovresti ritenerti peggiore o migliore di altri, sei semplicemente tu e a me piaci. Sei intelligente, forte, ironica, hai una lingua spesso tagliente che adoro, sai rispondermi a tono e non è cosa da tutti e sei bella, hai una bellezza particolare che ho visto in ben poche donne. E non devo essere l'unico che la pensa così, hai avuto un marito che ti adorava, giusto?".

Il cuore di Demelza, che con quelle parole aveva preso a martellare furiosamente nel petto, si riempì di gioia. Eppure era difficile credergli del tutto. "Hugh non aveva una buona vista ed era un sognatore che sapeva trovare il bello anche dove era difficile scorgerlo".

Ross sbuffò. "Sai, non è che lui mi stesse così simpatico, fondamentalmente fingevo di farmelo andare bene quando lo avevo davanti...".

"Che ti aveva fatto di male?" - gli chiese, stupita ma anche divertita per la faccia tosta dimostrata con quell'affermazione.

Ross sorrise da canaglia. "Ti aveva e io no. E la trovavo una grande ingiustizia".

"Era mio marito".

"Ma lo trovavo ingiusto lo stesso. Però il punto è un altro, aveva posato gli occhi su di te come ho fatto poi io. E quindi per questo non lo ritengo uno stupido. Non ti diceva mai che eri bella?".

Demelza sorrise dolcemente, ricordando il romanticismo di Hugh. "Lo faceva, spesso... Mi scriveva poesie, ballate, bigliettini...".

Ross la bloccò. "Beh, io non sono altrettanto romantico e dubito che riceverai da me qualcosa di simile e spero che tu non te lo aspetti perché rimarresti delusa. Sono solo un proprietario di miniera pieno di debiti, poco avvezzo a mostrare i propri sentimenti e amo vivere decisamente fuori dalle regole. Ti chiedi cosa possa piacermi di te e io di dico, tutto e non mancherò di dimostrartelo con tutta la passione che possiedo, è l'unico modo che conosco. Ma è anche per questo che allo stesso tempo mi chiedo cosa possa piacere a TE di me... Sei abituata a ben altro".

Fu lei a bloccarlo, stavolta, con un bacio. Non poté farne a meno perché era vero, Ross non era un uomo da discorsi romantici o da sentimentalismi e per lui doveva essere estremamente difficile aprirsi e raccontarsi a quel modo, eppure lo stava facendo e senza accorgersene, era estremamente romantico a modo suo. Non poteva non baciarlo, desiderarlo, amarlo... "Tutto, anche a me piace tutto di te e non cambierei nulla di ciò che sei" - disse, contro le sue labbra.

Ross ricambiò il bacio, stringendola a se. "Non posso offrirti quello che ti ha dato Hugh. Non sarai una lady, non ho una reggia da darti come casa e spesso sarai costretta a contare il denaro per arrivare a fine mese e razionare le spese".

"Credi che a me importi?".

Ross le accarezzò il viso. "No, come a me non importa da dove arrivi e quali sono le tue origini... Mi importa solo che sei quì e se è il confronto con Elizabeth che ti spaventa, lei fa parte del passato. E non la rimpiango ma ringrazio il cielo di aver capito, anche se in modi estremi, che era e sarebbe stata il mio più grande errore. E se l'ho capito, è stato grazie anche a te".

Demelza spalancò gli occhi. "Me?".

Annuì. "Mi hai insegnato che esiste altro, che l'amore è altro... Complicato, forse più terreno e di certo soggetto alla capacità di sapersi pian piano adattare un pò l'uno all'altro, amalgamando le rispettive diversità".

Il cuore di Demelza accelerò di nuovo. "E' la prima volta che usi la parola amore con me".

Ross ridacchiò. "Sì, forse avrei dovuto pronunciarla prima di chiederti di venire quì a fare l'amore con me. Ma come ben sai, odio l'etichetta e a volte faccio confusione con le buone maniere".

Risero, insieme, poi si baciarono ancora prima che Ross, prendendole il viso fra le mani, diventasse estremamente serio. "Demelza, vincerò le elezioni e il seggio a Westminster" - disse, improvvisamente.

Demelza sussultò. "Perché pensi a questo, ADESSO?".

"Perché voglio che tu stia quì, sempre! E per averti devo imparare a rispettare alcune regole. Non tutte ma almeno quelle che ti permetterebbero di avere meno problemi col resto del mondo".

Demelza sorrise dolcemente. "Ross, io non ho bisogno che tu sia un parlamentare per stare con te".

Lui sospirò, stringendola a se e accarezzandole la schiena. "Ma ne ho bisogno io".

"Perché?".

"Perché voglio avere qualcosa di buono da offrirti oltre a una miniera che ha iniziato ora a dare qualche speranza. Perché esiste Lord Falmouth e tu lo ami e se voglio che acconsenta alla nostra unione, devo avere qualcosa di solido da presentargli perché si fidi ad affidarti a me".

Lei ridacchiò. "Credo che Falmouth sponsorizzi la nostra unione da tempi non sospetti".

Ross scosse la testa. "Ma non ha importanza, non per me... Sono io che devo sentirmi pronto ad accoglierti del tutto nella mia vita, con quello che ne conseguirà. Oggi sei quì e fra un pò dovrai andartene e io non voglio che questo succeda troppo a lungo. Voglio che tu venga quì e che resti e che faccia di questa casa la tua, la nostra casa. E se voglio chiederti questo, quando sarà... voglio essere un uomo degno del ruolo che voglio ricoprire con te".

Si baciarono, dolcemente e lentamente. "Cosa stai cercando di dirmi, Ross?".

"Che voglio sposarti e che voglio farlo presto, avendo fra le mani la certezza di potermi prendere cura di te".

"Ti sposerei anche se perdessi le elezioni e Falmouth dicesse di no alla nostra unione".

"Lo so, ma so anche che allontanarti da lui ti farebbe soffrire. Per te è come un padre e io voglio che continui a far parte della tua vita. E se vincerò le elezioni, allora saremo una squadra. Che forse si scontrerà su politica ed economia ma sarà una famiglia, comunque".

Demelza si alzò dal divano, si avvicinò al camino e con naturalezza mise dentro un ciocco di legno. "La mia casa... Nampara... La riempirei di fiori! Giuda Ross, è così tetra senza un pò di colore!" - disse, contenta e finalmente allegra.

Ross scoppiò a ridere, alzandosi per darle una mano con la legna. "Ci vivono solo uomini quì, fin'ora!".

"E Prudie?" - sbottò Demelza, notando che lui aveva dimenticato la domestica.

Ross alzò le spalle. "Lei è più maschio di tutti!".

Risero ancora, di gusto, finché Sun sbucò dallo studio, col pelo tutto arruffato. Si avvicinò loro, li guardò chiedendosi forse perché stavano facendo tanto baccano per nulla, si strusciò contro le sedie e poi si accomodò davanti al camino.

Demelza lo prese in braccio, stringendolo a se. "Andrà d'accordo con Garrick?".

"Credo di sì" - rispose Ross, accarezzando il gatto. Poi osservò Demelza, notando che ora era più rilassata e a suo agio rispetto al suo arrivo. Era bella e quella giornata solo per loro andava bene anche così ed ora erano molto più vicini di quanto non sarebbero stati dopo un semplice momento di passione. Per quello ci sarebbe stato tempo e lui le aveva chiesto di sposarla senza nemmeno averlo preventivato e preparato per tempo... Santo cielo, che effetto esplosivo che aveva su di lui Demelza! E ne era felice, appieno! E non era per nulla pentito di quanto detto, delle promesse che si erano fatti e di quanto si erano confidati. Lei sarebbe stata la sua compagna, la sua migliore amica, sua moglie, la sua amante e soprattutto la custode della sua coscienza. E sapeva di essere in ottime mani con lei accanto... "Beh, direi che per i nostri piani di oggi... potremmo aspettare e goderci semplicemente il calore del camino, la cioccolata e qualche sana chiacchiera da soli... Che ne dici, amore mio?".

Amore mio... Era un suono così dolce detto dalla voce di Ross... Demelza si strinse a lui, gustando la dolcezza di quella proposta. "Direi che è la cosa giusta anche se spero che per il resto, non dovremo aspettare molto".

"Le elezioni sono vicine!".

"Già".

Ross mise una coperta rossa per terra, assieme ad alcuni cuscini. Vi si sedettero sopra, si rannicchiarono l'uno fra le braccia dell'altro e con Sun che dormicchiava al loro fianco, si lasciarono andare a una calda giornata di coccole e progetti per il futuro.

"Suonerai per me?" - chiese lui, col viso affondato fra i suoi capelli.

"Sì, lo farò quando sarai un parlamentare e io potrò restare quì, con te, senza dover andare via. Lo farò il giorno in cui faremo l'amore, prima di fare l'amore...".

Ross chiuse gli occhi, gustandosi la dolcezza di quella promessa. "Non vedo l'ora, amore mio...".

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo trentasette ***


Era proprio nei momenti in cui non era con lui, quando era a casa sua nella dimora dei Boscawen, che Demelza sentiva ancora più forte di essere innamorata di Ross... Gli mancava tutto, il suono della sua voce, il suo sguardo profondo che pareva esprimere un'animo tanto tormentato e ribelle quanto gentile e buono, il profumo della sua pelle, la morbidezza delle sue labbra...

Capitava spesso, mentre era sola in camera, di ritrovarsi quasi a soffrire fisicamente per la sua assenza e si rendeva conto che non voleva più vivere così troppo a lungo. Abbracciava Garrick alla ricerca di calore, sprofondava il viso fra i cuscini e sognava di quando avrebbero potuto stare insieme per sempre in quella che sarebbe stata la loro casa. Per molto aveva avuto paura di lasciare ciò che la legava al passato ma adesso si sentiva pronta ad affrontare il futuro e sapeva che non poteva essere lì, dove era vissuta fino a quel momento.

Era incredibile che Ross le avesse chiesto di sposarlo così, con foga e senza pensarci troppo ma in fondo, si rendeva conto, anche questo faceva parte del suo carattere spigoloso, sfuggente e poco avvezzo a girare attorno alle cose. Sarebbe stata di nuovo sposa e il suo nuovo marito era un uomo che risvegliava in lei sentimenti ed emozioni uniche, che di certo sapeva di non aver provato con Hugh. Non c'era risentimento o amarezza nel ricordare il suo primo matrimonio fatto di tenerezze e sicuramente di molta inesperienza e ingenuità, Demelza sapeva che Hugh aveva fatto del suo meglio con lei e lei con lui, ma ora sapeva anche che non erano destinati a una vita lunga e felice insieme. Ross era diverso, era fuoco sulla sua pelle, nel suo cuore, catturava ogni fibra del suo essere con la sola presenza e Hugh non era mai stato nulla di tutto questo ma semplicemente una calda, rassicurante e gentile figura al suo fianco...

Se Falmouth avesse capito quanto stava succedendo fra loro, di certo non lo dava a vedere. Demelza sapeva che era un uomo furbo a cui non sfuggiva nulla e sapeva anche che era riservato su molte cose che affrontava solo nel momento giusto e di necessità. Sicuramente aveva capito più di quanto desse a vedere e di certo, prima o poi, avrebbe detto la sua.

In questo clima di strana sospensione delle cose, il giorno delle elezioni giunse veloce. Ross e Falmouth si erano visti spesso per concordare - e litigare - alla ricerca di una strategia comune e il lord aveva ottenuto di essere lui stesso a presentarlo come nuovo candidato alla platea di elettori del seggio. La cosa che aveva più sorpreso entrambi era stata la candidatura, a sua volta, di George Warleggan che mai aveva nascosto le sue ambizioni ad una scalata sociale e di certo non si sarebbe lasciato sfuggire l'opportunità di gareggiare con lui e, nei suoi migliori sogni, di batterlo.

La figura di George in quella strana singolar tenzone fra i due, incuriosiva Ross circa l'esito delle elezioni. George era potente ben più di lui e di certo era temuto da chi, volente o nolente, si era trovato ad avere debiti o affari in sospeso con la banca Warleggan. Molti voti gli sarebbero piovuti, più per obbligo che per effettiva fiducia e Ross sapeva che il suo avversario avrebbe potuto vincere proprio grazie a questo. George non era un uomo a cui interessava il benessere altrui e proprio per questo non era assolutamente adatto a Westminster e alla politica. Ma era potente e più punti in alto, più questo ha un peso. Non c'era nulla di puro e semplice nel fare politica, non c'erano sentimenti genuini volti a migliorare le cose per la collettività, c'erano solo biechi interessi e una folle corsa al potere e George incarnava tutto questo perfettamente. E tutto ciò era invece quello che aveva sempre tenuto lontano Ross da politica e finanza... Ma ora ci si sarebbe dovuto scontrare, contando sull'appoggio di un uomo potente più di George, Lord Falmouth, che dalla sua aveva un nome aristocratico ed antico, l'esperienza di un politico formato, mille agganci atti ad ottenere voti e una spregiudicatezza unita ad intelligenza che a George mancava.

L'esito di quelle elezioni era quanto di più incerto potesse esistere.

Dal canto suo Demelza si era preparata per quell'evento cercando di carpire da Falmouth qualche nozione politica, materia che forse l'aveva sempre incuriosita pur senza che lei cercasse di imparare qualcosa. Era una donna, sapeva che quel mondo le era precluso ma era sempre stata dotata di una grande voglia di imparare ed ora che Ross si stava avvicinando a quell'avventura, voleva farne parte in qualche modo. Ross le aveva detto che guardava alla loro unione come alla formazione di una squadra e le piaceva quell'idea... Ma se voleva davvero essere utile, qualcosa doveva pur imparare... A cena certe volte sollevava domande con Falmouth su come si decidessero le cose in Parlamento, quali fossero gli argomenti più importanti, come lui scegliesse le cause in cui battersi e certe volte si era trovata in disaccordo con lui e la cena si era risolta in vivaci battibecchi. Eppure Falmouth non era irritato dalla sua curiosità ma anzi, ne sembrava divertito e l'idea di esserle da mentore non pareva dispiacergli troppo. In realtà si vedeva come maestro di vita anche di Ross ma Demelza dubitava che il suo giovane pupillo guardasse a lui in quei termini. Ma questo, lei si guardava bene dal dirlo...

Il giorno delle elezioni pretese di essere presente alla votazione. Picchiò i piedi, cosa inusuale per lei, insistette, disse che era una cosa di famiglia e voleva esserci e alla fine ottenne da Falmouth il permesso di andare a Truro con lui e Ross. Demelza non avrebbe mai voluto mancare a quell'appuntamento e sebbene nemmeno Ross fosse entusiasta della sua presenza perché odiava l'idea che lei lo vedesse perdere malamente, lei sentiva di dovergli essere vicino.

Era una giornata primaverile serena ma ventosa, quella. Vestiti di tutto punto, sulla carrozza, i due uomini erano chiusi in un insolito silenzio e Demelza, nel suo vestito verde, li osservava incuriosita, domandandosi quali fossero i loro pensieri. Ross sembrava il più teso e forse era normale che lo fosse, era la prima volta che si trovava in una situazione del genere e avrebbe preferito fossero soli per potergli stare accanto e alleggerire la situazione come solo loro sapevano fare, ma la presenza di Falmouth rendeva chiaro che questo non era possibile. Per il lord ogni elezione rappresentava un solenne momento di sfoggio del proprio potere e per lui non c'era spazio per altro che non fossero le votazioni. "Sarà divertente, forse!" - esclamò, improvvisamente stanca di quel silenzio.

Falmouth la occhieggiò con sguardo di rimprovero. "Cosa?".

Lei alzò le spalle. "Vedere perdere quel George Warleggan! Non sembra uno che prende troppo alla leggera le sconfitte".

Ross le sorrise, lanciandole uno sguardo di intesa e affetto. Voleva vincere, per lei e per sentirsi degno della sua mano ed era tutto ciò che lo aveva spinto ad aderire a quel folle progetto. "In effetti lui non prende bene nemmeno le vittorie, non prende bene nulla!" - scherzò.

Falmouth sbuffò, incapace di stare al gioco. "Vediamo di vincere e di non stare a guardare i nostri avversari".

Quando arrivarono al palazzo dove si sarebbero svolte le votazioni, era tutto un via vai di uomini elegantemente vestiti e incipriati, di donne altere e maestose al loro seguito e di una folla di curiosi venuta a dare un occhio a chi, in teoria, avrebbe portato avanti i loro diritti.

"Non sono l'unica donna, allora" - osservò Demelza.

Falmouth si guardò attorno, riconoscendo lady Dunsey, Lady Bodrugan e la moglie di Lord Basset. "Molti uomini di potere amano esibire le proprie dame a questi eventi. La considero una pratica sciocca e per questo non avrei voluto che venissi... E' un luogo noioso questo, per te e per tutte loro. E un grande uomo politico non deve cercare di ottenere favori esibendo la propria graziosa consorte".

Demelza guardò Ross e poi di nuovo Falmouth. "Non sono d'accordo" - osò rispondere, rendendosi conto che era diventata terribilmente coraggiosa ultimamente e che stare zitta quando non ra d'accordo su qualcosa, era diventato incredibilmente difficile. Fino a due anni prima, MAI avrebbe osato rispondere così a Lord Falmouth ma ora era diversa e sentiva di avere il diritto di far sentire la sua voce.

Il lord infatti ne parve stupito. "Cosa?".

Lei annuì, fiera di mantenere la sua posizione e spiegare il suo pensiero. "Forse quelle donne non sono quì per essere esibite ma perché interessate all'evento e alla vita dei loro cari. Abbiamo... Sappiamo avere un'opinione anche noi circa i fatti della vita".

Ross sorrise ancora, sempre più affascinato da lei e dalla sua sfacciataggine.

Falmouth invece sospirò, prendendola sottobraccio. "Tu sei interessata perché sei un'anima vivace ed intelligente. Cosa che non possiamo dire di quelle altre lady...".

Salvato all'ultimo in modo furbo e un pò scorretto verso il genere femminile, pensò Demelza... Falmouth era un maestro ad uscirne bene dalle conversazioni difficili e ancora una volta ne aveva dato dimostrazione.

Stava per rispondere quando una voce sgradevole giunse alle loro spalle.

"Ross Poldark! Allora è vero, saremo avversari!".

Tutti e tre si voltarono, trovandosi davanti il viso compiaciuto e sicuro di George Warleggan, a braccetto con la sua affascinante moglie Elizabeth, vestita con un elegante abito rosso e nero pieno di pizzi e merletti.

Ross si irrigidì e Demelza fece altrettanto. Mai, MAI si erano trovati faccia a faccia da quando... da quando era successo quel che era successo, con tutto quello che ne era conseguito.

La giovane moglie di Warleggan, non si scompose e con sguardo austero, si esibì in un perfetto inchino. "Buona giornata" - sussurrò freddamente, guardando Ross quasi con odio.

Demelza captò subito il suo astio e anche se non sapeva fino in fondo cosa fosse successo fra loro, si sentì gelare in preda ad una strana ansia.

Ross divenne ancora più cupo e con un saluto frettoloso, cercò di avviarsi verso l'ingresso della sala.

La voce di George lo raggiunse alle spalle. "Fuggite già?".

Ross si voltò, osservandolo con aria di sfida. "Odio i convenevoli che voi invece sembrate amare tanto".

Si allontanò e Falmouth e Demelza gli andarono dietro dopo un altro frettoloso saluto. Falmouth apprezzava il modo di fare tenuto da Ross che non aveva dato spazio a provocazioni infantili e Demelza era stata grata di essersi lasciata entrambi i Warleggan alle spalle.

Entrarono nel salone, faceva un caldo assurdo ed era già gremito di uomini e donne che confabulavano da loro. Demelza deglutì, sentendo su di se il peso di quanto stava per accadere. "Vinceremo?".

Falmouth sbuffò. "Mi hai mai visto perdere?".

Si misero sulla sinistra del salone dove molti dei supporter di Falmouth lo aspettavano già. Demelza riconobbe alcuni dei lord perché in passato visti a casa per delle cene di lavoro e Ross riconobbe fra quei volti quello del suo amico e banchiere Pascoe. In fondo non era così spaventoso essere lì, giusto?

Anche i Warleggan entrarono nel salone, mettendosi sulla destra assieme a un gruppo di sostenitori. E dopo di loro, entrò il giudice che avrebbe presieduto alle votazioni. Si sedette al centro della sala, prese in mano il suo martelletto e lo picchiò sul seggio. Le votazioni potevano avere inizio.

"Come funziona?" - chiese Demelza.

"Credo che sia giunto il momento che io e il rappresenante del seggio di Warleggan presentiamo ai votanti i nostri pupilli" - disse Falmouth, aggiustandosi il colletto della camicia ed avvicinandosi al seggio.

L'uomo si allontanò e Demelza e Ross lo videro salire sullo scranno, pronto all'ennesimo e convincente discorso. Era un maestro in questo.

Demelza si avvicinò a Ross e finalmente, apparentemente soli, gli sfiorò la mano per dargli coraggio e lui la strinse. Il gioco ora si faceva duro...

"Demelza, da oggi cambierà tutto" - le sussurrò Ross.

"Diventerai un temibilissimo parlamentare".

Ross lanciò un'occhiata al suo passato, alla impassibile Elizabeth a pochi metri da lui, intenta a supportare suo marito da brava moglie e poi a Demelza, il suo futuro, la scelta adulta e consapevole. Anche se non si trattava proprio di scelta ma della bellissima opportunità che la vita gli aveva donato facendogliela incontrare. Il passato era stato torbido e pieno di errori, il futuro con lei poteva essere roseo e tutto da costruire... "Non parlavo di questo, parlavo di noi. Se vinco, potrò chiederti in moglie senza dare l'impressione di essere un idiota squattrinato che punta alla mano di una vera lady".

Demelza ridacchiò, la tensione generata dalla presenza di Elizabeth ormai lontana. "Vera lady? La monella di Illugan?".

Ross, grato di averla vicina, le strinse ancora più forte la mano e la voce di Falmouth li costrinse al silenzio. Iniziava la vera battaglia.


...


Il discorso di Falmouth non fu molto lungo, non è che Ross vantasse un curriculum tanto esorbitante da sperticarsi in lodi sul suo passato e quindi si limitò a parlare della sua grande voglia di fare e lavorare, dell'affetto della gente che aveva a che fare con lui e delle nobili origini della famiglia Poldark che di certo erano un valore aggiunto alla sua persona. Omettendo i passati di giocatore d'azzardo di Ross, le risse, la bancarottta, i debiti e il carattere non sempre allineato al timor della legge, forse poteva spuntare qualche voto in più.

Il discorso di Cary Warleggan sul nipote George invece fu forbito e ricco di particolari circa la grande visione degli affari del giovane, il suo fiuto per le imprese vincenti, la fine intelligenza e la capacità di tutelare gli interessi di tutti i votanti.

Ross, ascoltandolo, sbuffò divertito. Sembrava quasi convincente il caro Cary e se avesse dovuto votare lui stesso, in un momento di follia avrebbe potuto credergli e dare il suo voto a George...

Finite le rispettive presentazioni, i votanti iniziarono a sfilare davanti a loro, uno ad uno, scandendo ad alta voce il nome del loro prescelto.

Il primo voto fu per Ross ma poi ne vennero cinque, tutti di seguito, per George Warleggan. E Demelza tremò... Poi votò Falmouth, scandendo bene il nome del suo pupillo mentre lanciava occhiatacce eloquenti ai presenti in sala. Demelza conosceva bene quello sguardo che senza parole ma in maniera eloquente, ordinava a qualcuno di assecondare i suoi desideri. Era così che a casa comandava a bacchetta la servitù senza mai alzare la voce, bastava lo sguardo giusto e tutti capivano i suoi bisogni senza che lui avesse bisogno di formularli.

E dopo quello sguardo, arrivò un voto a Ross, poi un altro e poi un altro ancora. Poi ne giunse uno per George e poi uno ancora per Ross. E in perfetto pareggio, ora aspettavano l'ultimo elettore nelle cui mani dipendeva il destino dei due uomini e del distretto.

Sir Donald Reegen sospiro, si guardò attorno smarrito e poi dopo essersi accorto che mille occhi erano puntati su di lui, si chinò a scrivere il nome: Ross Poldark.

Falmouth, che ovviamente se lo aspettava e non aveva in previsione un risultato diverso, sorrise sornione senza scomporsi troppo ma Ross, forse per la prima volta in vita sua, si sentì le gambe di gelatina e rischiò di rovinare al suolo. Santo cielo, per una sicura follia era appena diventato Parlamentare di Westmister e quegli uomini dovevano essere pazzi da legare!

Demelza lo guardò senza fiato, felice per lui, per loro, per la Cornovaglia che con Ross avrebbe potuto davvero presentare nei luoghi di potere i propri problemi e forse anche proporre soluzioni. E incurante di tutto e tutti, di ogni segreto celato, di ogni sentimento taciuto, gettò le braccia alle sue spalle e lo abbracciò con forza così, in mezzo a una folla che non aveva occhi che per loro e che sicuramente da quel gesto avrebbe avuto molto di cui parlare nei giorni a venire. Ma non le importava, non più...

E lui la ricambiò, stringendola a se e rendendosi conto che non gliene importava nulla di essere stato eletto ma era felice per ciò che questo avrebbe comportato. E che tutti gli occhi fissi su di lui, compresi quelli stupiti di Elizabeth e quelli rosso fuoco di George, non gli erano di nessun interesse. Che pensassero quel che volevano! Strinse a se la donna che amava, la donna con cui si sentiva pronto a condividere nel bene e nel male la sua vita. Ora avrebbe potuto offrirle una vita degna con un marito degno... Avrebbe fatto del suo meglio per lei e per tutti quelli che avevano dimostrato di avere fiducia in lui... In quell'abbraccio, strinse il suo futuro. "Amore mio..." - sussurrò appena, al suo orecchio.

"Hai vinto!".

"Così pare". Ross la lasciò andare e si guardò attorno, smarrito, spaesato, rendendosi conto forse solo in quel momento che quegli uomini, da lui, si aspettavano qualcosa per la fiducia riposta.

"Poldark, dovresti dire qualcosa... tipo un discorso..." - gli suggerì Falmouth.

Ross si schiarì la voce sentendosi in impaccio e vagamente idiota come quando, da piccolo, zia Agatha lo metteva in piedi sulla sedia accanto a Francis e Verity per la recita della poesia di Natale davanti a tutti i parenti.

George Warleggan decise di non volerlo sentire e con passo spedito uscì dalla sala con un'espressione che prometteva fuoco e fiamme. Elizabeth, dietro di lui, lo seguì e prima di andarsene, osservò con disappunto Ross, il SUO Ross che un tempo la venerava, che stringeva fra le braccia la figlia arricchita di un minatore di Illugan. Ma non disse nulla e fece quello che il dovere le imponeva: essere una buona moglie.

Sparì dietro al portone al seguito di George e Ross, guardandosi in giro e rendendosi conto che non poteva sfuggire a quel passaggio obbligato, pronunciò il suo primo, impacciato discorso. "Beh signori, non posso che ringraziarvi per la fiducia che mi avete accordato. Forse scegliermi è stata una mosse folle e sicuramente coraggiosa da parte vostra e questo dovevo dirvelo, so davvero poco di politica e ancor meno di Westminster, ma Lord Falmouth ha fiducia in me e se per qualche strano motivo pensa che io possa fare bene, allora il mondo è il luogo più strano dell'universo e io rappresento appieno questa sua stranezza".

Demelza si mise una mano sulla bocca per non ridere. Giuda, era il discorso politico più astruso che avesse mai sentito e probabilmente a Falmouth, nell'udirlo, era spuntato un nuovo capello bianco. Ma questo era Ross, lui era così e la cosa bella era proprio quanto fosse imprevedibile.

Lord Falmouth, tossicchiando, si avvicinò per bloccarlo prima che dicesse altre sciocchezze. "Vi ringrazio per la fiducia, miei lords! Non sarà mal riposta, ve lo assicuro" - tagliò corto.

Pascoe e gli altri, sorrisero bonariamente. Ross era giovane, pieno di energia e di idee e tutti erano convinti che avrebbe fatto bene e che sarebbe andato sempre a fondo delle cose.

Ross si voltò verso Falmouth, stringendogli la mano. "Suppongo che ora si debba festeggiare, giusto? Funziona così?".

"Credo che ora sia il momento di studiare come si fa un discorso!" - lo rimbeccò Falmouth. "Un bambino della scuola di Demelza avrebbe saputo fare di meglio, ne sono certo".

Ross sorrise, da canaglia. "Beh, potrò studiare la lezione dopo un buon bicchiere di vino!".

Ma il Lord scosse la testa. "Oh, io ho da mettere giù un lungo programma politico da portare a Londra, non ho tempo per certe frivolezze. Ma tu fa pure, PER OGGI! Festeggia con Demelza, in fondo mi pare di capire che sia l'unica compagnia che ti aggrada, giusto?".

Demelza arrossì, era ormai decisamente evidente per negare... Ross colse la palla al balzo, prendendola per mano prima che Falmouth cambiasse idea. "Ve la riporto dopo cena".

Falmouth lo occhieggiò. "Ricorda che è una Lady e che al momento non è ancora la signora Poldark! Intesi?".

Ross e Demelza si guardarono in viso e poi scoppiarono a ridere. In effetti, temevano, a breve molto si sarebbe avuto da discutere con lui e Falmouth non avrebbe lasciato cadere così il discorso.

"La porterò a cena in un ristorante di Truro e poi subito a casa. Sono un gentiluomo".

A Demelza questo aspetto faceva sorridere e anche se Ross ne stava uscendo da signore davanti a Falmouth, in effetti nessuno dei due aveva voglia di rispettare l'etichetta troppo a lungo. Ma per quella sera sarebbe andato bene un ristorante, tante chiacchiere, tanti discorsi, tanti progetti sul futuro. Il resto avevano scelto di viverlo senza fretta e andava bene così... Anche se Falmouth questo non lo sapeva.

Il lord se ne andò e una volta rimasti soli, Demelza prese Ross sotto braccio. "E allora, mio caro parlamentare, mi porti a mangiare qualcosa? Ho una fame da lupi".

"Agli ordini, mia lady" - le rispose, pieno di insolito entusiasmo.


...


Fu una serata piacevole fatta di buon cibo, tante parole, tanta complicità, tanti baci dati quando la lasciò davanti casa da bravo cavaliere.

Demelza si sentiva emozionata, presto sarebbero stati sempre insieme e nulla avrebbe potuto dividerli.

Entrò in casa che ormai era tutto buio e tutti dormivano e quando raggiunse la sua stanza, trovò una lettera indirizzata a lei sul letto. Doveva essere stata recapitata nel pomeriggio o in serata e una domestica l'aveva portata lì perché la vedesse.

Accigliata, Demelza prese la busta, la aprì e ne lesse il contenuto.


"Devo parlarti di cose personali e importanti che riguardano Ross Poldark che ritengo tu debba sapere. Ti aspetto al negozio di Miss Tappert a Truro venerdì mattina alle dieci.

Elizabeth Warleggan".

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo trentotto ***


Demelza era stata a lungo indecisa sul fatto di accettare o meno lo strano invito giunto per lettera da Elizabeth Warleggan. Che doveva dirle, in fondo? Non erano mai state né amiche né conoscenti occasionali, se non in un paio di cene, non aveva mai dimostrato particolare simpatia per lei ma tutt'alpiù un malcelato disprezzo e quindi ora... Ora cosa diavolo voleva da lei quella donna ricca e così altolocata che un tempo era stata nel cuore di Ross?
Per giorni aveva rimuginato silenziosamente sul da farsi, mentre Falmouth preparava il programma politico da portare a Londra, Ross si divideva fra Miniera, Nampara e la loro dimora per discutere con lui e vedere lei e a scuola continuava ad impegnare il suo tempo.
Cosa poteva dirle Elizabeth, circa Ross? Perché si sentiva in diritto o dovere di farle sapere qualcosa? Ross pareva essersela lasciata dolorosamente alle spalle, lei era sposata a un uomo ricco e potente e di certo poco incline a farle pensare ad altri uomini e Demelza... beh, che poteva entrarci Demelza in tutto questo?
Dopo lunghe elucubrazioni, anche se di certo non le doveva nulla e non aveva doveri verso di lei, Demelza decise però di accettare. Sarebbe andata, l'avrebbe ascoltata e se quello che aveva da dirle non le piaceva o interessava, avrebbe girato i tacchi e sarebbe tornata a casa senza pentimento alcuno. Non aveva voglia di farlo e il suo istinto le diceva di lasciar perdere ma era una Boscawen e non poteva rifiutare un invito senza motivo. E poi qualcosa dentro di lei le gridava che doveva perché sentiva di dover in qualche modo difendere Ross da qualcosa e... da lei. Dietro a quell'invito non poteva esserci nulla di buono.
Il venerdì mattina, assolato e quasi caldo tanto da voler sembrar gridare al mondo che la primavera era esplosa, arrivò in fretta. Uscì a cavallo per la sua solita passeggiata mattutina dicendo che sarebbe tornata più tardi del solito e senza dire dove andasse, si recò a Truro, dove era attesa.
Quando arrivò, Elizabeth Warleggan era già lì. Vestita con un elegante completo da amazzone color porpora, coi capelli raccolti in una perfetta treccia e il viso finemente truccato, la donna la aspettava davanti al negozio di Miss Tappert col suo cavallo, fingendo di guardare le vetrine della sarta.
Quando la vide arrivare, le andò incontro sfoderando uno strano quanto falso sorriso. "Lady Boscawen, mi fa piacere che abbiate voluto venire".
Demelza si morse il labbro, rendendosi conto ancora una volta che nulla le piaceva di quella donna e che ogni suo gesto, ogni sua frase, ogni sua parola apparentemente gentile pareva nascondere una totale freddezza ed assenza di sentimenti. Ma educatamente, rispose al saluto. "Non avevo motivo per rifutare il vosto gentile invito".
Elizabeth strinse le redini del cavallo, osservandola come si osserva un insetto. La donna accanto a Ross alle elezioni, la donna che lo aveva abbracciato, la donna che LUI aveva abbracciato... Una piccola ex-stracciona di Illugan, figlia di un minatore ubriacone, senza cultura ed educazione... Ed ora aveva un titolo nobiliare che lei poteva solo sognarsi, una famiglia antica e potente alle spalle che lei, nonostante il matrimonio con George, non avrebbe mai avuto, dimore facoltose a suo nome, denaro, potere e soprattutto l'ammirazione e la dedizione dell'uomo che una volta aveva promesso il mondo a lei, l'uomo che l'aveva venerata a lungo come una dea, l'uomo che l'aveva presa intimamente con forza e poi era sparito come si fa con una banale sgualtrina. Era arrabbiata, con quella piccola arrampicatrice sociale e con lui. E avrebbe oscurato quella loro felicità che aveva intravisto il giorno delle elezioni. Se lei era votata all'infelicità e a tanti compromessi, allora quei due dovevano seguire il suo destino... Fece cenno a Demelza di allontanarsi dal paese e incamminarsi verso la campagna in una zona più tranquilla e la ragazza la accontentò, senza battere ciglio. Giunte quasi in campagna, davanti alle ultime povere case di periferia, circondate da campi e piccoli gruppi di pecore che pascolavano, Elizabeth le rivolse finalmente di nuovo la parola. "Sapete, ho sentito di dovervi dire qualcosa... Che dobbiate sapere qualcosa".
Demelza rimase sulle sue. "In merito a cosa?".
"Ross Poldark" - rispose Elizabeth, scandendo quasi con odio quel nome. "Vi ho visti molto... affiatati e in particolare... amicizia... alle elezioni... E mi sento in dovere per questo, per pura solidarietà femminile, di dirvi qualcosa sul suo conto che forse non sapete".
Demelza sospirò, sentiva che la aspettava qualcosa di spiacevole ed era abbastanza sicura che fosse arrivato il momento di affrontarla. "So quanto mi serve sapere sul signor Poldark. E' un brav'uomo, sarà un grande politico ed è un instancabile lavoratore che da quando è stato eletto non ha quasi mai riposo e fa avanti indietro dalla miniera a casa mia e di Lord Falmouth per sistemare il loro programma politico". Era vero, per quanto Ross fosse stato titubante all'inizio, ora pareva volentoroso solo di voler far bene a Londra e a Westminster.
Gli occhi di Elizabeth si assottigliarono. "Siete sicura di sapere tutto?".
"Come vi ho detto, so tutto ciò che mi interessa sapere. Il resto non credo sia qualcosa che mi riguardi e che vi deve riguardare".
"Non volete ascoltare ciò che ho da dire?" - insistette Elizabeth.
"Non ne sono sicura".
"Eppure io credo che dovreste... Da donna a donna, mi sento in dovere di farvi sapere qualcosa che sicuramente ignorate e di mettervi in guardia sui pericoli che correte".
Demelza sorrise nervosamente. Avrebbe voluto imprecare ma non poteva, Falmouth e Hugh le avevano insegnato che non era signorile, avrebbe voluto mandarla al diavolo ma nemmeno questo era un comportamento da signora e quindi non le restava che dire no in modo aggraziato. "Non corro alcun rischio e di fatto non capisco perché vogliate parlarmi del signor Poldark".
Elizabeth si incupì e parve diventare nervosa. "Vi ho visti... molto vicini...".
Demelza alzò le spalle, decisa a non negare. Poteva forse essere un buon modo per liberarsi di lei. "Forse perché lo siamo".
La giovane Warleggan sussultò davanti a tanta faccia tosta. "Sapete che una volta Ross Poldark era innamorato di me?" - rispose allora, decisa a giocare a carte scoperte come lei.
Sì, lo sapeva ma non aveva voglia di parlarne. "Non credo siano cose di cui dovremmo discutere noi due. Riguardano la vita di Ross Poldark e la vostra e come avete detto, succedeva una volta... Mi piace pensare al futuro, non al passato e visto che ora siete sposata con George Warleggan, dovreste farlo anche voi".
"E' proprio per garantire il vostro futuro che sono quì, per aiutarvi" - rispose Elizabeth, risentita ma convinta a continuare il suo piano senza ripensamenti. In fondo non voleva mentirle ma dirle solo la verità su che uomo fosse Ross Poldark.
Ma Demelza non sembrava della stessa idea. "Credo di dover andare, ho degli impegni e non voglio fare tardi".
Le voltò le spalle ma la voce di Elizabeth le giuse lo stesso.
"Partì per tre anni senza farmi avere una lettera. Partì promettendomi un futuro insieme, amore eterno e una vita lunga e felice... E poi sparì pensando di tornare e di trovarmi alla finestra ad aspettarlo quando non si era degnato di farmi recapitare un messaggio nemmeno con un piccione".
Demelza si voltò lentamente verso di lei, decidendo di adempiere alla sua missione, difendere l'immagine del suo uomo. "Era giovane ed era in guerra, non stava giocando e forse non aveva la possibilità di scrivervi".
"Difendete un comportamento simile?".
"Lo capisco e non lo giudico...".
Elizabeth le si avvicinò, cupa in viso. "Ho sposato Francis, ho dovuto dargli il mio cuore e il mio affetto... Ed è stato un matrimonio infelice! E Ross era lì, a supportarmi ed adorarmi e dopo che sono rimasta vedova, credevo che la vita ci avesse donato una seconda opportunità. Ross è così bravo a fare promesse che poi non mantiene".
"Forse lo avete semplicemente frainteso" - rispose laconica, Demelza.
Elizabeth le si avvicinò ancora. "Ero piena di debiti, disperata e ho dovuto fare delle scelte per il bene mio e di mio figlio, quando ho avvertito che Ross si stava nuovamente staccando da me. Ma nemmeno questo andava bene, anche se le sue mancanze erano infinite! Ross si è introdotto in casa mia di notte, senza essere invitato, dopo che ha saputo del mio matrimonio con George Warleggan. E con violenza mi ha spinta sul letto e mi ha presa. Sembrava un animale che dispone a suo piacimento della sua vittima... Mi ha presa contro il mio volere quando ero ormai promessa ad un altro, mi ha presa con foga come si prendono le cortigiane delle locande e poi dopo aver fatto i suoi comodi è sparito, senza possibilità di appello, senza chiedere scusa, senza promesse, senza darmi possibilità alcuna di rispondere al torto subito".
Una lieve brezza tiepida fece oscillare i lunghi capelli di Demelza e lei rabbrividì anche se non faceva freddo. Spalancò gli occhi e per qualche istante non riuscì a dire nulla. Mille pensieri si affollarono disordinatamente nella sua mente... Ross, i suoi baci gentili ed appassionati, il suo sguardo a volte pieno di passione e sfuggente e a volte tenero e dolce, i suoi abbracci, i loro progetti per il futuro, la loro amicizia diventata amore... Come poteva un uomo dai così forti intenti morali aver fatto qualcosa di simile? Elizabeth non era una donna che le piaceva e forse stava deliberatamete cercando di allontanare da lei l'uomo che un tempo l'aveva venerata, ma poteva davvero mentire su qualcosa di così intimo e doloroso? E Ross, Ross davvero aveva fatto qualcosa del genere? Ricordò l'alba in cui lo aveva trovato davanti a casa sua, sconvolto, perso, in cerca di un sostegno per ritrovare una strada che pareva aver smarrito e quel giorno aveva capito che qualcosa di grave fosse successo nelle ore precedenti e che in qualche modo vi era coinvolta Elizabeth ma mai, MAI avrebbe creduto a qualcosa di simile.
Un altro pensiero si affacciò alla sua mente, più antico e bruciante nei suoi ricordi e sulla sua pelle... Anche suo padre, pur in maniera diversa, era stato un uomo violento che la picchiava con la cinghia sulla schiena per qualsiasi motivo ritenesse opportuno farlo... Sentì ancora più freddo perché da quella situazione era sfuggita, era riuscita a lasciarsela alle spalle e a crescere, dai Boscawen aveva trovato una famiglia e la pace e ora con Ross, se quello che diceva Elizabeth era vero, non avrebbe rischiato di ritrovarsi in una situazione del genere? "Perché mi dici questo?" - riuscì infine a chiedere, con un filo di voce.
Elizabeth, freddamente, alzò le spalle. "Solidarietà femminile, mi sentivo in dovere di metterti in guardia" - le rispose, gongolando nel vederla finalmente smarrita e meno sicura di se stessa.
Demelza rispose al suo sguardo, cercando di ritrovare fermezza. "Come posso credervi? Come posso condannare Ross senza aver sentito quanto ha da dire in merito? In fondo voi mi state raccontando qualcosa a cui lui in questo momento non può ribattere".
Elizabeth sbuffò. "Giustificate la violenza su una donna?".
"Ovviamente no! Ma non posso condannare una persona a cui tengo, semplicemente per dei pettegolezzi o per sentito dire".
Elizabeth si avvicinò al suo cavallo. "La vita è vostra, dopo tutto... Ma vi invito a riflettere su quanto vi ho detto".
"Perché? Perché Ross avrebbe fatto qualcosa del genere a una donna a cui teneva tanto?" - la bloccò Demelza, prima che montasse in sella.
Elizabeth si voltò. "Perché è un uomo diverso da quello che sembra, ha un'anima cupa e ama agire al di fuori delle regole e del civil vivere. Finché non lo si conosce bene, questo fa parte del suo fascino. Ma una volta che lo hai vicino e lo tocchi con mano, quel fuoco che lui pare emanare finisce con lo scottarti".
Demelza prese un profondo respiro e non trovò parole per ribattere perché in fondo era vero, il fascino di Ross derivava anche da quel suo lato ribelle e selvaggio che esibiva senza farsene problemi, ma mai si era dimostrato aggressivo o violento. Però era altrettanto vero che non poteva dire di conoscerlo del tutto e che fra loro non c'era mai stata una vera e propria intimità.
Elizabeth montò a cavallo, la salutò con un cenno del capo e poi partì al galoppo lasciandola sola coi suoi pensieri. "Ho già detto troppo, più di quello che mi potrei permettere. Mi auguro che il nostro colloquio resti privato fra noi, fra donna e donna".
Demelza annuì, sicuramente non ne avrebbe fatto motivo di pettegolezzo. "State tranquilla".
La guardò andar via a cavallo, veloce, sparendo dietro all'orizzonte infuocato del sole. Ma Demelza avvertiva in se il gelo e ancora una volta, come dopo la morte di Hugh, si sentì smarrita e spersa e senza una strada da seguire. Crederle? Tagliare i rapporti con Ross? Rischiare? O affrontarlo?
Una lacrima le scivolò sulla guancia, non tanto per Elizabeth ma per l'idea romantica che si era fatta di Ross... Forse quell'idea esisteva solo nella sua testa e non sarebbe mai corrisposta a realtà? Oppure doveva dare una possibilità a Ross, chiedere, esigere una spiegazione e per quanto doloroso, poi decidere se voleva rischiare o meno di iniziare una vita con lui?
Con un sospiro, montò a cavallo. I giorni successivi sarebbero stati pieni di pensieri e profonde meditazioni e non avrebbe voluto vedere nessuno. Nemmeno Ross, nemmeno i bambini, nemmeno la scuola... Per un pò aveva bisogno di estraniarsi dal mondo, pensare e poi da sola trovare la via giusta da seguire. Forse stava dando troppa importanza a una donna che di fatto non apprezzava, ma quanto le aveva detto era grave e di certo non andava sottovalutato con leggerezza.



Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Capitolo trentanove ***


Aveva detto di essere indisposta e per i giorni successivi era rimasta in camera sua a rimuginare sulle sue scelte, su Ross, su quanto dar credito ad Elizabeth, sul da farsi… Aveva mandato un messaggero alla Wheal Grace per avvertire della sua assenza a scuola, si era fatta servire pranzo e cena in camera e anche quando Ross era venuto per vedere Falmouth ed incontrarla, aveva preferito non uscire dalla stanza facendo finta di dormire.
In realtà a volte si sentiva sciocca, si stava comportando come una bambina che scappa dai problemi, ma finché non trovava il coraggio per affrontarli, preferiva rimanere rintanata in casa a cercare il coraggio di scoprire la verità. Era questo che temeva più di tutto, era scoprire di aver coltivato un sogno e che questo non era che una stupida illusione…
Dopo tre giorni però, stanca di quel suo stesso comportamento, si alzò dal letto, si vestì ed uscì. Le mancava l’aria, le mancava passeggiare in giardino con Garrick che, fedelmente, le era rimasto accanto senza protestare in quei giorni di profonde meditazioni, le mancava vedere la vita della casa, le chiacchiere di Falmouth, il calore del sole sul viso e sì… le mancava di vedere Ross. Lui le mancava, infinitamente. Era come vivere a metà senza vederlo e si era allontanata senza dargli il beneficio del dubbio, colpita solo dalle parole di una donna di cui non si fidava e che pareva spinta da motivazioni tutt’altro che amichevoli. In fondo, quando mai Elizabeth aveva voluto essere sua amica e confidente? Quando mai lei e George Warleggan avevano avuto una buona impressione di una ex sguattera? Perché stava credendo a lei senza sentire il parere di Ross?
Si mise un leggero mantello rosso sulle spalle, montò a cavallo e in un caldo pomeriggio primaverile partì verso la Wheal Grace. A dispetto di tutto si era comportata male verso Ross, era sparita senza dargli apparenti spiegazioni e anche verso i suoi bimbi alla miniera che la aspettavano con trepidazione, era stata scorretta.
Galoppando, col riflesso del sole calante in mare che donava strane colorazioni ai suoi lunghi capelli rossi, Demelza giunse alla Wheal Grace dove incontrò Henshawe che stava spiegando ad alcuni minatori il da farsi per l’indomani.
Appena la vide, il capitano le andò incontro con un ampio sorriso. “Lady Boscawen, mi fa piacere vedervi e sono felice di vedervi in forma. Ci siete mancata”.
Demelza gli sorrise, era sempre così piacevole parlare con lui. “E’ un piacere anche per me. Mi è mancato questo posto” – rispose, mentre un bimbetto che stava sistemando in esterno delle pietre correva ad abbracciarla.
Maestra, sei guarita!” – esclamò entusiasta il piccolo.
Lo accarezzò sulla testolina. “In forma e pronta a farti studiare! Come va, Jeremy? Hai imparato a scrivere il tuo nome?”.
Sì! E’ un bel nome il mio!”.
Si inginocchiò davanti a lui. “Lo so, se avessi un figlio mi piacerebbe chiamarlo come te!”.
Il bimbo parve emozionarsi davanti a quella prospettiva che lo faceva sentire importante. “Sì, sì!” – saltellò tutto felice prima di andare via di corsa verso i suoi amichetti.
Demelza si tirò su, tornado a parlare con Henshawe. “Ross è qui?”.
No. E’ stato qui fino a mezz’ora fa, poi è andato alla sua spiaggia ad Hendrawna per sistemare qualcosa nella sua barca con cui esce a pesca. Credo sia ancora lì”.
Grazie!”. Col cuore in gola, lasciata la Wheal Grace Demelza si avviò verso Nampara e verso quella spiaggia dove lei e Ross, conosciuti da poco, avevano galoppato insieme per la prima volta e vi avevano trovato il piccolo Sun. Sembravano passati secoli da allora… Lei era cambiata, era cambiata la sua vita ma Ross? Ross era lo stesso irriverente, affascinante ma gentile uomo di allora? O aveva lasciato che il buio pervadesse la sua anima?
Faceva caldo quel giorno di due anni e mezzo prima, proprio come in quel momento…
Lasciò il cavallo sulla scogliera a pascolare, quando giunse in prossimità di Nampara, poi discese la via che portava alla spiaggia, che sembrava conoscere come se non avesse fatto altro che percorrere quella strada da sempre, come se fosse sua, come se quello fosse il posto a cui era destinata…
Si tolse le scarpe quando i suoi piedi affondarono nella sabbia morbida e fresca e poi si guardò attorno, camminando lentamente sul bagnasciuga godendo dei tiepidi raggi del sole e del panorama. Il mare era calmo, la spiaggia silenziosa e deserta, era proprietà privata di Ross e nessuno ci si avventurava, se non invitato.
Camminò fino alle vicinanze della grotta dove sapeva che Ross teneva la sua barca, sapeva che adorava pescare e navigare lungo la costa ed era certa di trovarlo lì.
Quando lo vide, a petto nudo, coi pantaloni sollevati fino alle ginocchia, a riva che armeggiava con la barca, il suo cuore accelerò e si rese conto che le era mancato. I suoi riccioli neri si muovevano alla brezza marina, il suo fisico asciutto pareva scolpito e perfetto come nel giorno in cui l’aveva sbirciato nuotare e il suo viso era cupo, assorto e seducente come sempre…
Lo guardò e in lui vide il furore di un uomo che non si fermava nella lotta per i suoi ideali e nulla di quello che gli aveva detto Elizabeth gli parve vero. Si sentì stupida per aver dubitato, per non aver chiarito subito e per essersi allontanata per qualcosa di probabilmente futile.
Sentendosi osservato, Ross alzò lo sguardo e appena la vide rimase immobile, perplesso, quasi stupito. Solitamente la salutava con un sorriso e appena soli con un bacio e un abbraccio, ma non fece nulla del genere. Demelza lo conosceva abbastanza da capire che il suo comportamento lo aveva irritato e che aveva capito che lei stava sfuggendo da lui e da qualcosa e sicuramente per un carattere come quello di Ross, questo fuggire senza affrontare un problema doveva apparire insopportabile. Non era un uomo da mezze misure, era una persona tanto complicata quanto affascinante e Demelza sapeva che con lui sarebbe stata una vita a volte sul filo del rasoio, felice, appagante, piena, ma anche complicata e ricca di compromessi.
Dopo un lungo istante di silenzio, rimanendo fermo sul bagnasciuga con l'acqua che gli arrivava alle ginocchia, Ross si decise a parlare. "Sai, sei diventata talmente sfuggente che stavo iniziando a considerare l'idea di intrufolarmi in camera tua passando dalla finestra".
Era una battuta forse scherzosa atta a smorzare la tensione, ma Demelza rabbrividì collegandola alle parole di Elizabeth. "Lo fai spesso? Entrare nelle stanze di una signora dalla finestra?".
Serio, Ross la osservò in viso cercando di carpirne l'umore. "Solo se è necessario e ne vale la pena". Le si avvicinò di qualche passo, tirando la barca a riva perché non prendesse il largo. "Sei sparita e ti sei negata per giorni e non sapevo se stessi davvero male o se stessi cercando di evitarmi, anche se non ne comprendo il motivo".
La donna osservò il mare e poi si sistemò i capelli dopo che un refolo di vento glieli aveva scombinati. "Forse entrambe le cose, Ross...".
Vinto dalla voglia di sentirla vicina, nonostante avvertisse sulla pelle che c'era qualcosa che non andava, le si avvicinò e le accarezzò il viso. "Demelza, cosa c'è? E' successo qualcosa? Stai bene?".
Alzò gli occhi su di lui e sul suo viso lesse perplessità ma soprattutto preoccupazione. Si sentì in colpa perché benché Elizabeth l'avesse sopraffatta generando in lei mille pensieri, avrebbe dovuto subito parlarne con Ross invece che fuggire e chiudersi in camera come una ragazzina. "In realtà, non so nemmeno cosa dire, come iniziare, come spiegarmi...".
Lui le prese la mano, la costrinse a seguirlo e a ridosso delle rocce vicino all'imbocco della grotta, la invitò a sedersi nella sabbia accanto a lui. "Cosa c'è da spiegarmi? Demelza, tu mi fai impazzire in mille modi, alcuni piacevoli, in questi ultimi giorni meno piacevoli... Che è successo?".
Demelza prese un profondo respiro, cercò il coraggio di parlare e capì che non poteva evitarlo ora che era arrivata sin lì. "Chi sei davvero, Ross?".
Lui spalancò gli occhi. "Cosa?".
"Chi sei?" - ripeté la donna, stringendo i pugni delle mani. "Sei l'uomo gentile che combatte per i più deboli? Sei lo scavezzacollo che da giovane ha dovuto andare in guerra per evitare la forca? Sei un uomo romantico che ama l'amore o che lo pretende a qualunque costo?".
Ross rimase inebetito da quel discorso che non capiva, non appieno. Era vero, forse lui e Demelza ancora non si conoscevano del tutto ma credeva che lei si fidasse di lui, che lo amasse per com'era e che non serbasse dubbi sul suo conto. Invece non era così, almeno non più... "Sono tante cose, credo, la somma di tutto quello che ho affrontato nella vita fin quì. Non so dirti se sono o meno una brava persona, se sono affidabile fino in fondo e se passerò la vita ad evitare i guai come dovrebbe fare un bravo cittadino. Non so tenere la lingua a freno e a volte per questo mi caccio nei guai, non arretro nemmeno se la situazione diventa pericolosa se credo in ciò per cui lotto e spesso sono piuttosto incurante delle conseguenze... E in amore... Lo voglio, totalizzante, completo! Lo pretendo, sì, per me stesso pretendo un amore vero e non un amore convenzionale come succede spesso in tanti matrimoni combinati... Non voglio essere agli occhi del mondo una bella coppia assieme alla mia compagna, voglio esserlo in casa mia, con te".
Demelza lo guardò negli occhi, colpita da quelle parole e dal suo mettersi a nudo ma indecisa su come proseguire per affrontare la parte più difficile del discorso. Ross era così sensuale, romantico ed attraente, era bello sentirlo parlare dell'amore... Ma allo stesso tempo era anche deciso ed esigente nel rapporto con una donna. "E in questa tua idea dell'amore, tutto questo lo pretendi come una costrizione da parte di chi ami?".
"Da te?".
"Da me o da chiunque altra".
Ross scosse la testa. "Non per costrizione, certo che no, vorrei che nascesse dal cuore di entrambi e che sia un desiderio condiviso. Tutto questo lo vorrei costruire con te accanto, vorrei venisse naturale a te come a me. Ma non lo posso pretendere perché nel momento che lo facessi, allora tutto cadrebbe miseramente e non ci sarebbe più niente di bello e naturale fra noi".
Demelza si morse il labbro, arrabbiata verso se stessa e verso le parole di Elizabeth. Doveva scegliere se credere a Ross o a lei e in quel momento si sentiva spersa in mezzo a un oceano in tempesta. Le parole di Ross erano bellissime ma ancora non era arrivata al punto del problema, a quel suo passato che forse era stato meno limpido di quello che aveva pensato fino a quel momento. "Quella notte, quando sconvolto ti ho trovato a casa mia... La ricordi? Abbiamo galoppato a lungo insieme e tu mi hai detto che da quel momento avevi bisogno di un nuovo inizio".
Ross impallidì, ricordando bene quel giorno e quanto successo nelle ore precedenti. Una notte buia, follia, rabbia, desideri repressi esplosi nella maniera sbagliata e Demelza, lei, la luce in mezzo alle tenebre. "Sì, ricordo".
"Cosa ti sconvolgeva tanto? Qualcosa che era successo o qualcosa di te stesso?".
Ross si accigliò e per un attimo sentì un sordo terrore impossessarsi di lui. "Demelza, che è successo?" - chiese di nuovo, chiedendosi perché rivangasse proprio in quel momento quella giornata di cui non avevano più avuto bisogno di parlare.
Lei prese un profondo respiro e tutto il suo coraggio. "Ho visto Elizabeth e mi ha raccontato qualcosa che non avrei voluto sentire o conoscere".
Ross si fece cupo. "Cosa?".
Demelza alzò lo sguardo e Ross vide i suoi lunghi capelli muoversi al vento velandole gli occhi lucidi. "Cosa? Dimmelo tu...".
Lui abbassò lo sguardo, stringendo fra le mani un pugno di sabbia. Si chiese cosa avesse detto Elizabeth a Demelza, perché, il suo scopo, il senso di tutto questo e non trovò alcuna risposta. "Cosa vuoi sapere?" - chiese infine, con voce metallica.
"Solo questo, Ross... Faresti mai del male a una donna?".
Si sentì irritato, arrabbiato. Verso Demelza che però poteva aver tutte le ragioni per avere dubbi e soprattutto verso Elizabeth verso cui aveva avuto un comportamento deprecabile ma che era stato il risultato di un lungo percorso pieno di promesse mancate, ammiccamenti e nervi perennemente tesi che era sfociato in una notte di lussuria che però avevano vissuto entrambi attivamente. "No. E se hai parlato con Elizabeth, vorrei che mi dicessi cosa ti ha detto".
Demelza scosse la testa. "Elizabeth ora non è importante, non è di lei che mi preoccupo".
"Come posso spiegare qualcosa che non conosco appieno?".
"Puoi solo dirmi la verità su cosa è successo quella notte che poi al mattino ti ha portato, sconvolto, davanti a casa mia".
Ross sospirò, guardando il mare, il cielo e chiedendosi cosa fare e cosa dire. "Sai, credo sia sbagliato a prescindere che ti spieghi cosa mi ha legato a un'altra donna. Posso solo dirti che odio il comportamento che ho tenuto quella notte, odio aver permesso alla mia rabbia di aver avuto il sopravvento e odio il fatto di non aver compreso prima quanto fosse sbagliato il sogno di ragazzo a cui ancora credevo. Posso dirti che mi sono comportato da folle, in modo deprecabile in cui non mi riconosco... E posso dirti con altrettanta certezza che quanto è successo è stato il risultato di fatti, parole, cose dette e non dette sia da me che da Elizabeth che hanno esasperato la situazione fra noi. Posso anche dirti che nulla di quanto accaduto in quella stanza non era stato desiderato da entrambi, bramato... Era qualcosa che ci mancava e di cui eravamo stati privati e anche se ho forzato le cose inizialmente, ti assicuro che quanto accaduto, è successo per volere di entrambi. E posso anche dirti che dopo non mi sono sentito come con te, sereno e a posto col mondo come mi sento ogni volta che ti bacio, mi sono sentito vuoto, fuori posto e privo di ogni appiglio o desiderio di restare. Ho compreso che c'è sempre stato un motivo per cui non ho inseguito Elizabeth fino in fondo impedendole di sposare prima Francis e poi George e che il mio animo aveva compreso fin dall'inizio che quella non era la strada giusta per me. La mia strada è quella che mi ha portato a casa tua quella mattina, in cerca di luce dopo che avevo toccato con mano il buio. Elizabeth può essere arrabbiata con me per mille motivi e non le do torto, ma di certo sa benissimo cosa è successo fra noi e in che modalità. Ma su una cosa hai ragione, quì lei non c'entra e per me è una faccenda archiviata, siamo noi due a doverci confrontare". Le prese la mano, la strinse e intrecciò le dita con le sue. "Se mi chiedi se ti farei mai del male, ti risponderei di no, mai! Ma ne farei a chiunque tentasse di fartene...". Poi la lasciò, si alzò in piedi e fece qualche passo verso il mare, evitando di guardarla. "Ma queste sono solo parole, promesse e hai tutto il diritto di non credermi e di credere a quanto ti ha detto Elizabeth... L'amore in fondo è tutto quì, una questione di fiducia... O ce l'hai o non ce l'hai. Se ti fidi di me, allora tutto avrà senso, anche il nostro futuro. Se non ti fidi, forse anche tutta questa inutile conversazione non è che una sciocca perdita di tempo".
Demelza, senza fiato, rimase inebetita e ferma, seduta fra la sabbia. Osservò Ross, ripercorse mentalmente le sue parole e capì che in effetti tutto aveva senso, soprattutto l'ultima parte del suo discorso. Il fulcro stava tutto lì, nella fiducia, il collante vero di ogni rapporto. Doveva scegliere se fidarsi o non fidarsi di lui ma anche quì si rese conto che 'scegliere' sarebbe stato sbagliato. Non era una scelta, non doveva esserlo, la fiducia in lui doveva sentirla nel cuore e non era qualcosa che doveva imporsi perché se no davvero tutto sarebbe stato falso e forzato.
Osservò la schiena di Ross, i suoi capelli neri che si muovevano alla brezza e si rese conto che non avrebbe implorato, non avrebbe forzato ma avrebbe lasciato a lei la facoltà di decidere. Si chiese come sarebbe stato tornare a vivere senza di lui, senza averlo vicino, senza i sogni comuni di un futuro insieme e alla fine capì che non voleva privarsi di niente di tutto questo. Si era fidata istintivamente di Ross dall'inizio e anche se non era un Santo e di certo aveva commesso, come tutti, molti errori, mai era stato scorretto o poco sincero con lei. Anche in quel momento...
Si alzò quindi dalla sabbia, capendo che la scelta di cosa fare le apparteneva già da tanto e che non c'era bisogno di ulteriori ripensamenti. O ti fidi o non ti fidi e lei si fidava e gli avrebbe affidato la sua vita a occhi chiusi, lo avrebbe accettato nella buona e nella cattiva sorte coi suoi pregi e i suoi difetti e lui avrebbe fatto altrettanto...
Lo raggiunse, gli cinse la vita con le braccia e poggiò il viso contro la sua schiena nuda. Non disse nulla ma la mano di Ross che copriva le sue, poggiate sul suo petto, raccontava che aveva capito già la sua scelta... "Vuoi fare un giro in barca?" - le propose solo, osservando il mare placido.
"No" - rispose lei.
Lui si voltò e rapidamente la riprese fra le braccia, coprendole il viso e le labbra di baci. "Mi sei mancata" - sussurrò contro il suo viso.
Demelza rispose ai suoi baci in modo lento, passionale, cingendogli le spalle con le braccia. Crollarono nella sabbia, in quella spiaggia solo loro dove nessuno li avrebbe disturbati. "Ci sarà tempo per un giro in barca, ma non adesso" - sussurrò, sentendo forte l'esigenza di averlo, di sentirsi sua, di essere amata.
Ross le sciolse il nodo che le teneva legato il mantello rosso, lo fece cadere sulla sabbia e poi, senza smettere di baciarla, armeggiò col suo vestito per toglierglielo. Lei lo aiutò, sentendosi avvolgere da un fuoco mai provato e dal desiderio di essere amata da lui. Subito, senza aspettare un minuto di più. Non c'erano più dubbi, non c'erano più tentennamenti, non c'era più paura e nessuna necessità di aspettare.
Si stesero nella sabbia, con passione e delicatezza si accarezzarono togliendosi di dosso gli ultimi ingombranti vestiti che furono abbandonati fra la sabbia e capirono che era arrivato il momento di spezzare anche l'ultima barriera fra loro.
"Sei bellissima" - sussurrò Ross baciandole il seno, accarezzando ogni centimetro della sua pelle, sfiorando con le labbra ogni angolo del suo corpo.
Demelza chiuse gli occhi, rendendosi conto che davvero non conosceva nulla dell'amore, quello vero che, le raccontavano, ti fa dimenticare tutto il resto del mondo quando sei col tuo uomo. Rispose a Ross con passione, una passione che con Hugh pensava di non possedere e lasciò che lui la possedesse. Con passione, vigore, ma con la dolcezza del più tenero degli amanti. E per lunghi istanti dimenticarono il mondo e il mondo poté dimenticarsi di loro.

...

Il sole infuocato si stava gettando ormai nel mare, quando furono di nuovo in grado di parlare e di dire qualcosa di coerente. Una piacevole sensazione di calore ancora invadeva ogni fibra dei loro corpi e lì, abbracciati e nudi, coperti solo dal mantello rosso di Demelza, se ne stavano rannicchiati ad ascoltare il rumore del mare e il gracchiare dei gabbiani.
Ross le accarezzò la testa e i capelli che riposavano sul suo petto. "Stai bene?".
Demelza sorrise, ripensando a quei momenti di piacere sublime che aveva vissuto con lui fino a poco prima. "Mai stata meglio...".
"Già, anche io". Ross si guardò attorno, notando forse per la prima volta la bellezza di quella spiaggia che conosceva come le sue tasche fin da bambino ma che in quel momento gli appariva sotto una luce nuova. "Sai, credo che sarebbe bello...".
"Cosa?".
"Raccontare un giorno, ai nostri figli, che mamma e papà si sono amati per la prima volta su questa spiaggia".
Demelza alzò la testa di scatto, lo guardò cercando di capire se fosse serio e poi scoppiò a ridere. "Giuda, credo che se tu lo facessi, poi sarei costretta a picchiarti!".
Anche Ross rise. "Non sarebbe un racconto romantico?".
"Non pensarci nemmeno!" - lo ammonì lei.
Il sole stava iniziando a sparire e Ross si rese conto che si stava facendo tardi. "Devi... devi davvero tornare a casa?". Tutto avrebbe potuto sopportare ma non di separarsi da lei. Voleva solo tenerla stretta e amarla di nuovo finché avesse avuto forza.
Demelza sorrise dolcemente, prendendo una decisione definitiva. "Si, dovremmo. Torniamo a casa, casa nostra".
Ross spalancò gli occhi. "Intendi... Nampara?".
"Sì".
Le scompigliò i capelli, ammirato dal suo coraggio e decisamente d'accordo con lei. "Che penserà Falmouth? E la gente? Che dirà quando si saprà che Lady Boscawen è andata a vivere a casa di un giovane scapolo?".
Demelza ci pensò su, ma di tutto questo decise che non le importava, non più. In fondo odiava le convenzioni, proprio come Ross. "In effetti... Lady Boscawen a casa tua sarebbe inopportuno. Ma Demelza Carne ha tutto il diritto di scegliere per se stessa e io ho scelto. Torniamo a casa, Ross" - sussurrò, baciandolo di nuovo con passione.
"Sì, torniamo a casa, amore mio" - le rispose, sapendo già che da quel momento, lei non se ne sarebbe andata mai più.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Capitolo quaranta ***


Il mattino successivo si svegliarono in quella che, da quella notte in poi, sarebbe stata la loro camera da letto per il resto delle loro vite. Era una giornata uggiosa, grigia e ventosa ma il camino acceso, il calore del corpo nudo di Ross accanto a lei e le coperte che la riparavano dall'umidità fecero sentire Demelza al caldo e al sicuro.
Fu la prima a svegliarsi e attenta a non disturbare Ross che ancora dormiva accanto a lei, si stiracchiò osservando ogni particolare di quella stanza. Rispetto a quella che aveva diviso con Hugh era più semplice, spartana, ma aveva qualcosa di caldo e accogliente che la rendeva unica. Appena ci aveva messo piede aveva capito di essere al suo posto e che da lì non avrebbe voluto più andarsene.
Erano state così strane ed incredibili le ultime ventiquatt'ore, pensò... Aveva fatto per la prima volta l'amore con Ross sulla spiaggia, sperimentando qualcosa che non aveva mai provato prima ed ora si chiedeva perché avesse avuto tanta paura e la necessità di aspettare... Era stato grandioso, come se i loro corpi si conoscessero e appartenessero da sempre. La passione irrefrenabile che li aveva spinti ad amarsi senza reticenze o imbarazzi, così inusuale per essere la prima volta, un piacere fisico intenso che non credeva nemmeno esistesse e il desiderio che accadesse ancora e ancora, cosa che le era sconosciuta con Hugh dove viveva l'amore fisico come un obbligo, come un atto dovuto dal contratto di matrimonio ma senza una reale voglia di essere posseduta da lui. E invece, con Ross era stato tutto diverso, unico e si sentiva come se fosse stato lui a farla diventare donna e non Hugh, la prima notte del loro matrimonio.
Erano rientrati a Nampara quando ormai era buio, dopo ore passate a coccolarsi sulla spiaggia, a parlare, a baciarsi ed accarezzarsi. I due strambi domestici di Nampara l'avevano guardata con sospetto, avevano borbottato fra loro - non troppo a bassa voce - che era sbagliato, ma lei e Ross ne avevano riso, avevano finto di non sentirli e Prudie poi aveva cambiato umore quando si era proposta di aiutarla a cucinare e a sistemare. Poi erano andati a letto e anche se Demelza si sentiva quasi in obbligo di spiegare qualcosa ai due domestici circa la sua presenza lì, Ross le aveva detto che non doveva dire nulla e che Jud e Prudie dovevano prendere la cosa come un fatto inevitabile e semplicemente da accettare. E una volta soli in camera, erano di nuovo finiti l'uno fra le braccia dell'altra e avevano fatto l'amore ancora e poi ancora, addormentandosi sfiniti a un'ora molto tarda. Non aveva idea di come avrebbe potuto spiegare al mondo e a Falmouth tutto questo, ma non aveva voglia di pensarci. Come del resto Ross che pareva non porsi affatto il problema. Sembrava sereno, felice... E ogni nube occorsa fra loro era volata lontano...
Rigirandosi nel letto, si accorse di essere nuda. In effetti non aveva alcuna biancheria con se a parte gli abiti indossati il giorno prima, ma nonostante fosse inevitabile, si sentì stupidamente in imbarazzo. Non aveva mai considerato troppo bello il suo corpo e anche durante il suo matrimonio, dopo aver fatto l'amore, si era sempre rivestita subito, ma con Ross era stato diverso e si era addormentata senza porsi il problema. Ma ora, nonostante la giornata fosse uggiosa, la luce del giorno rendeva il suo corpo fin troppo visibile per i suoi gusti... "Giuda" - borbottò, osservando il soffitto.
Ross aprì un occhio, osservandola con sguardo divertito. La sua espressione era di assoluta serenità e pace col mondo intero e si sentiva di buon umore come non succedeva da... sempre? "Buongiorno mio leggiadro tesoro" - disse, scherzosamente.
Demelza avvampò, tirandosi su la coperta fino alle spalle. "Non ho una camicia da notte!" - disse solo, sbrigativamente.
"Lo so..." - rispose lui, ancora più divertito e decisamente meno turbato di lei.
Demelza lo fulminò con lo sguardo. "Mi presti una tua camicia?".
Le indicò l'armadio. "Va a prenderla...".
"Sono nuda!!!".
"Lo so..." - ripeté lui di nuovo, con un sorriso ancora più ampio.
"Ti prego, Ross!".
Lui si rigirò nelle coperte, mettendosi su un fianco con una mano sotto la guancia. "Perché dovrei andare a prendere una cosa che non ti serve?".
"Mi serve!".
"Non sono d'accordo!".
Demelza sospirò, esasperata. "Ross, alla luce del giorno una donna non è bella da vedere, nuda".
"Non sono d'accordo nemmeno su questo e lo ribadisco".
"Quindi non ci andrai?".
Ross scoppiò a ridere, prendendola fra le braccia. "Amore mio, ho fatto l'amore con te in spiaggia e diverse volte su questo letto. Mi spieghi cosa c'è di te che non ho visto nelle ultime ore?".
Demelza arrossì ancora di più davanti a quelle parole piuttosto spudorate benché piene di una certa dose di verità. "Non è una buona cosa, di giorno".
Lui di tutta risposta la baciò sulle labbra, tirandola con se sul cuscino. "Togliti di testa questa stupida idea".
"Ross!" - lo implorò.
La guardò negli occhi. "Stai bene? Solo questo conta!".
Ci pensò su e sì, stava bene e forse la camicia di Ross dopo tutto non le serviva. Stava bene come non era mai stata, realizzò... Per un attimo chiuse gli occhi e sulla sua pelle sentì ancora il calore del tocco e dei baci di Ross che le avevano infiammato la notte e desiderò solo unirsi nuovamente a lui. "Sì, mai stata meglio" - ammise. Poggiò la fronte contro quella di Ross e sospirò. "Oh, vorrei non dovermene mai andare da quì".
"Non dovrai farlo" - la rincuorò.
Lei sospirò. "Ci sono persone a cui dobbiamo spiegazioni".
"Lo faremo, ma non adesso. Ora voglio stare quì, godermi il momento, cercare di capire perché abbiamo aspettato tanto e poi, magari...". Si chinò su di lei, baciandola ancora avidamente. "Magari...".
"Cosa?".
La spinse delicatamente sul materasso, stendendosi su di lei. "Magari potremmo fare l'amore un'altra volta prima di fare colazione".
Demelza rise. "La trovo un'ottima idea".
Ross non se lo fece ripetere, il suo corpo nudo aderì a quello di lei e come se non desiderasse altro, iniziò di nuovo a baciarla e toccarla.
"Sei felice?" - chiese lei, contro le sue labbra, riuscendo a stento a controllare la sua voce e le sue emozioni.
Ross si bloccò per un attimo, quasi stupito. "Che domanda strana...".
"Cosa c'è di strano?".
"Che non me l'ha mai chiesto nessuno, Demelza...".
"Beh, non è una domanda poi così difficile".
Ross riprese a baciarla, muovendosi sopra di lei. "Sì, sono felice" - sussurrò prima di zittire ogni discorso per farla nuovamente sua.

...

Un'ora dopo se ne stavano mollemente una fra le braccia dell'altro, mollemente rannicchiati sotto le coperte. I lunghi capelli rossi di Demelza si fondevano coi ricci scuri di Ross formando strane tonalità sul cuscino e l'unico rumore della stanza era quello dell'orologio a pendolo che scandiva il passare del tempo.
"Dovremmo sposarci tipo presto... Tipo domani".
A quelle parole Demelza tirò su la testa di scatto, guardandolo in viso per vedere se fosse serio o meno. "Dubito che potremmo...".
"Ma dovremmo" - insistette lui - "Non sono molto bravo, temo, ad evitare eventi che fra nove mesi potrebbero dare adito a pettegolezzi".
Capendo a cosa alludeva e stupendosi di non averci pensato, Demelza sorrise dolcemente. Se con Hugh quella paura e quella speranza erano andate perse, in effetti ora tutto era diverso e dopo la notte passata non era così sicura che i timori di Ross fossero infondati. "Me ne sono accorta...".
"Di cosa?".
"Che non sai stare attento a QUELLO!".
"E non sei preoccupata?".
Demelza ci pensò su e decise... "No, succeda quel che succeda, credo che siano affari nostri".
Ross stava per rispondere quando un energico bussare alla porta fece sobbalzare entrambi. "Signore, SIGNOREEEE!!!".
Il vocione di Prudie invase la stanza e Ross d'istinto prese un cuscino, lanciandolo contro la porta da cui proveniva quel richiamo molesto. "Sei impazzita!? Chi ti da il permesso di venire a disturbarmi?".
Da dietro la porta, quasi spaventata, Prudie starnazzò. "C'è... c'è... E' arrivato...".
"Chi?" - le urlò Ross, con accanto una Demelza divertita, nonostante tutto.
"Il re... il president... il capo... il lord... Il padre o zio... della ragazza!".
Demelza sbiancò di colpo, si tirò ritta a sedere lasciando cadere le lenzuola che le celavano il corpo nudo e nel panico, come una bambina beccata con le mani nella marmellata, guardò Ross. "Giuda...".
"Giuda..." - ripeté lui - "Falmouth è nel nostro salotto!".
Demelza lo spinse giù dal letto, facendo poi altrettanto. Non si dissero nulla ma con movimenti goffi si rivestirono, si pettinarono, indossarono le loro scarpe e in un attimo riacquistarono la dignità per presentarsi a lui.
"Ross...".
Lui si voltò, le prese il viso e prima di aprire la porta per scendere, la baciò avidamente sulle labbra. "Siamo adulti, ricordatelo!".
"Sarà furioso!".
"Gli passerà! In fondo ieri sera abbiamo mandato tramite Jud un messaggio per avvertirlo che saresti rimasta quì e che ti avrei ospitato per la notte".
Demelza gli lanciò una occhiata scettica, poi con un sospiro si accodò a lui, scendendo le scale assieme. Avrebbe voluto condividere il suo ottimismo ma non ce la faceva, non ce la faceva proprio...
Quando giunsero in salotto trovarono Jud che borbottava, Prudie bianca come un cencio e Falmouth, vestito di tutto punto, seduto sul divanetto davanti al camino acceso, con in mano il suo bastone da passeggio.
Il lord squadrò i due, rimase in silenzio un istante e poi parlò. "Ebbene...".
Ross, da perfetta canaglia, prese dalla credenza una bottiglia di Porto. "Gradite del vino?".
Falmouth lo occhieggiò. "Gradirei delle spiegazioni e spiegarvi cosa si dovrebbe fare in questi casi".
Demelza prese coraggio, si avvicinò e pregò che non fosse deluso da lei. Amava Falmouth come un padre e si rendeva conto che per quanto desiderasse Ross vicino, gli aveva mancato di rispetto e non era giusto. "Mi dispiace, spesso mi trovo a seguire il mio istinto e ieri sera non avevo voglia di tornare a casa. Trovo la compagnia di Ross Poldark...".
Falmouth alzò la mano, bloccandola. "Demelza, non devi spiegarmi nulla che io già non abbia capito e non sappia. Sei giovane, lo è lui e insieme vi siete trovati bene da subito e come ben sai non disapprovo affatto un vostro rapporto. Ma non viviamo in un'isola deserta e io sono un parlamentare, come anche Ross ora, del resto. Ci sono regole da rispettare!".
Ross strinse i pugni, rendendosi conto che quell'uomo che di certo adorava Demelza, si stava intromettendo però in qualcosa di molto privato e lui per carattere questo non lo gradiva affatto. "Io e Demelza siamo adulti, liberi e so che è stata la moglie di vostro nipote ma lui è morto da molto e non credo che lei debba vivere perennemente nel lutto".
Falmouth lo stupì. "Sono d'accordo!".
"Cosa?" - chiese Ross, sbattendo le palpebre.
Il lord si alzò dal divano. "Sono d'accordo e Demelza ha pianto a sufficienza Hugh e gli ha dato tutte le attenzioni che meritava quando lui era in vita. E' vero, è giovane e deve vivere e mi auguro che lo farà seguendo, almeno un pò, le regole del civil senso del pudore. Voglio bene a Demelza come una figlia, voglio il meglio per lei e se ritiene che il suo meglio siate voi, io accetto questa sua scelta vigilando però su di lei come un uomo saggio di una certa età dovrebbe fare. Ci ho pensato molto al da farsi, sapete? Il fatto che lei sia quì possiamo giustificarlo in un modo che ho già ideato e che spenga quasi tutti i pettegolezzi, ma voi Ross dovrete andare a chiedere una licenza matrimoniale speciale e sposarvi subito!".
Demelza e Ross si guardarono in viso, forse troppo stupiti che tutto stesse andando così bene. "Come?".
Falmouth sbuffò. "Mettiamola così, non sono nato ieri e so bene come succede fra due giovani che si trovano ad essere attratti l'uno dall'altra. E diciamo anche che, ipoteticamente fra nove mesi, giustificare una nascita anticipata di pochi giorni può essere semplice, di un mese o due più complicato. Mi comprendete?".
Ross e Demelza arrossirono fino alla punta dei capelli ma il messaggio era chiaro e Falmouth era stato fin troppo esplicito. E d'altronde quel che diceva poteva benissimo essere vero.
Ross prese la palla al balzo. "Licenza speciale?".
Il lord annuì. "In pochi giorni sarete sposi, senza tutti quegli orpelli delle normali pubblicazioni di matrimonio. Dite al Reverendo che la chiedete col mio benestare".
Ross guardò Demelza e lei sorrise. In fondo se era desiderio di tutti, perché aspettare? "Sapete che forse è la prima volta che mi trovo perfettamente d'accordo con voi?".
Falmouth lo occhieggiò. "Aspettate, non ho finito".
"Che c'è?" - chiese Demelza, che era certa che tutto non potesse andare così bene...
Falmouth si risedette. "Ci vorrà comunque qualche giorno e se vogliamo giustificare la presenza di Demelza quì, mi ci fermerò pure io per salvare le apparenze".
Ross entrò in panico. "Cosa?".
"Semplice! Dirò che io e la mia giovane nipote acquisita saremo vostri ospiti per organizzare il matrimonio e il nostro piano politico da portare a Londra e che condivideremo la casa per lavorare meglio".
Prudie impallidì ancora di più. "Santissimo cielo maledetto...".
Falmouth la guardò, sbuffò e senza aspettare il benestare di Ross che per lui era del tutto ininfluente e scontato, iniziò ad impartirle ordini. "Mi prepari una buona stanza, mi fermerò un pò". Poi guardò Ross. "Che si mangia per pranzo?".
Quasi senza parole per la faccia tosta ancora maggiore della sua, Ross si schiarì la voce. "Polpettone e patate, credo...".
"Ottimo!" - rispose Falmouth. "E ora ho proprio bisogno di quel bicchiere di Porto".

...

Nel pomeriggio, mentre Ross era fuori per parlare con il Reverendo della Chiesetta di Sawle, Demelza si sedette accanto a Falmouth davanti al camino. Il pranzo era stato ottimo e il lord aveva parlato come sempre di politica, senza tornare più sul discorso di quanto successo e sul suo legame con Ross. Ma voleva essere chiara e sincera con lui e chiarire ogni eventuale malinteso perché di fatto ancora non avevano parlato e non si erano chiariti e la chiarezza era sempre stata una parte molto importante del loro rapporto. "Siete deluso da me?" - chiese, quasi con paura.
Falmouth, che stava leggendo un giornale, sospirò e dopo averlo ripiegato sulle sue gambe, le poggiò la mano sul braccio. "Dovrei esserlo?".
"Non lo so, forse sì".
Falmouth prese un profondo respiro. Erano soli, Jud era stato spedito alla dimora dei Boscawen per prendere gli abiti di Falmouth e Garrick, Prudie riposava, Ross non c'era e solo il piccolo Sun girava sonnecchioso per il salotto. "Vogliamo essere davvero sinceri, Demelza?".
"Sì".
Falmouth osservò il fuoco nel camino, assorto in profondi pensieri e riflessioni. "L'ho sempre saputo che Hugh non era l'uomo giusto per te. Ti conosco fin da quando eri una ragazzina e mio nipote ti adorava, per questo gli ho permesso di sposarti, avrei fatto di tutto per accontentarlo e rendergli meno gravosa la sua malattia. Ma non eravate adatti a stare insieme, eravate due anime troppo diverse per trovare pieno appagamento dal vostro matrimonio e so che lo hai capito benissimo pure tu. Ma sei stata un'ottima moglie per lui e hai reso felici i suoi ultimi anni di vita come io non sarei riuscito a fare e per questo ti ringrazio e ti ringrazierò sempre. Ma ora devi vivere come desideri e con l'uomo che davvero è giusto per te e che hai scelto... So che non deve essere stato facile per un animo fedele e onesto come il tuo e che hai lottato col ricordo di mio nipote per non cedere all'amore per Poldark, ma Hugh vorrebbe che tu fossi felice e lo voglio anche io. Quindi no, non sono deluso ma sollevato. Hai scelto la tua strada, un uomo che stimo e so per certo che è la strada giusta...".
Commossa per quelle parole e il loro significato, Demelza lo abbracciò come una figlia abbraccerebbe un padre. Perché in fondo Falmouth era l'unico vero padre che avesse mai avuto... "Io però voglio sempre che facciamo parte della stessa famiglia".
Falmouth sorrise, cercando di non far apparire la sua voce rotta dall'emozione e dalla commozione. "Abbiamo stretto un'alleanza politica e ora anche matrimoniale, coi Poldark! Una mossa da maestro degna dell'arte della mediazione dei Boscawen! Siamo e saremo ancora una famiglia, solo un pò più grande!".
"E se avrò dei figli, gli farete l'onore di essere il loro zio?".
Falmouth annuì. "Ovviamente! Qualcuno con un pò di sale in zucca dovrà pur esserci, nella vita di quelle povere creature!".
Demelza rise. "Credo di sì".
"E così sarà!" - rispose Falmouth, cingendole la vita con il braccio.





Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Capitolo quarantuno ***


"Oh Verity, non so davvero come ringraziarti per essere quì!".
Vestita con l'abito da sposa, a pochi minuti dalla cerimonia che l'avrebbe resa 'Miss Poldark', Demelza si torse le mani con nervosismo. Era felice ma si sentiva un pò ubriaca dallo scorrere veloce degli eventi dell'ultima settimana. Si era trasferita a Nampara, aveva fatto l'amore con Ross, Falmouth aveva preteso un matrimonio immediato e il suo futuro marito, dotato di notevole faccia tosta, era riuscito ad ottenere una licenza speciale che annullasse i canonici giorni delle pubblicazioni. Falmouth aveva poi sequestrato una povera sarta costringendola a cucirle in due giorni un abito da sposa, Verity e il capitano Blamey sarebbero stati i loro testimoni, Garrick e Sun avevano trovato un pacifico accordo di convivenza e adesso... E adesso non rimaneva che dire quel sì che desiderava con tutto il cuore, il cui momento di pronunciarlo stava avvicinandosi sempre più.
Verity finì di sistemarle la gonna e poi la guardò ammirata. Era un abito semplice, bianco e senza troppi fronzoli, merletti o fiocchetti pacchiani, un vestito fine, elegante, stretto in vita da un nastro verde che rifletteva il colore degli occhi della sposa. "Oh, non pensarci nemmeno a ringraziarmi! Sono io che devo ringraziare te per aver ridato una vita a mio cugino! Era come morto dentro e tu lo hai fatto rinascere".
"E lui ha fatto rinascere me" - ammise Demelza, con un sorriso dolce sul viso.
"Grazie a te, la famiglia Poldark ha di nuovo un futuro, Demelza, che credevamo di aver perso con la morte di Francis e il matrimonio di Elizabeth con George Warleggan che ha portato il piccolo Geoffrey Charles lontano da casa".
Demelza non commentò. In realtà non voleva più sentir parlare di Elizabeth e per quanto la riguardava, il fatto che ormai fosse lontana e non avesse accettato l'invito per le nozze mandato più per dovere che per piacere, non poteva che essere un bene per tutti. Ma comprendeva il pensiero di Verity e l'angoscia di saper suo nipote cresciuto lontano da Trenwith, da un uomo senza scrupoli come George Warleggan. Sapeva che anche Ross era in pena per Geoffrey Charles ma Elizabeth aveva fatto le sue scelte e tutti loro avevano dovuto sia subirle che accettarle. Ognuno avrebbe condotto la vita che si era scelto e nel giusto ordine delle cose, doveva andare così. Ma ora non voleva pensarci, ora voleva solo sposarsi e guardare al futuro, dimenticando il passato. Sarebbe stata una piccola cerimonia a cui sarebbe seguito un banchetto a Trenwith, come aveva insistito di fare zia Agatha, troppo anziana per muoversi e venire a festeggiare a Nampara. Ci sarebbero stati solo Falmouth, Jud e Prudie, Zachy, Henshawe, Dwight e i più fidati minatori e amici di Ross. E poi i servitori che le erano stati più vicini durante la sua vita a casa Boscawen, gente gentile che si era sempre presa cura di lei negli anni.
Verity finì di sistemarle l'abito. "Ross sarà estasiato!".
Demelza rise. "Ross odia le cerimonie!".
Anche Verity ridacchiò. "Per oggi sarà meglio che metta da parte il suo carattere da orso! Inoltre sarà meglio che ci faccia l'abitudine, ben presto dovrà presenziare a un'altra cerimonia!".
Demelza si accigliò ma dopo una breve meditazione, il suo viso si illuminò di gioia. Abbracciò Verity, forte, come avrebbe fatto con una sorella. "Tu e il capitano Blamey?".
Verity arrossì. "Sì, noi siamo andati più lentamente di voi ma vorremmo sposarci in prossimità del Natale, il prossimo inverno, fra circa sei mesi. E ti voglio al mio fianco come testimone e lo stesso vale per mio cugino! Da oggi saremo parenti e tu sei anche la più cara amica che ho!".
Gli occhi di Demelza divennero lucidi dalla commozione e dalla gioia per lei. Verity era fra le persone più buone che avesse mai conosciuto e se c'era qualcuno a cui augurava tanta gioia, di certo era lei. "Sono felice per te e sì, ci saremo, contaci!".
Verity si sedette sul letto. "Sai, continueremo ad essere vicini! Io ed Andrew non lasceremo Trenwith, abbiamo scelto di vivere lì con zia Agatha. Dopo tutto è la casa dei Poldark e io sono l'unica erede rimasta, è mio compito portare avanti tutto ciò che i nostri antenati ci hanno lasciato. Andrew è d'accordo e si sente più sicuro a sapermi lì con la mia famiglia vicino, quando sarà per mare. E grazie alla Grace che sta facendo fortuna e a Ross, i debiti lasciati da Francis sono stati saldati e ora possiamo guardare al futuro con ottimismo".
Demelza annuì, tante cose si erano sistemate in quei giorni frenetici. "Credo che sia una scelta perfetta per tutti! Sarai padrona della tua casa e noi saremo vicini per darti una mano!".
Verity arrossì. "Le nostre famiglie cresceranno insieme. Come successe a me e Francis con Ross quando eravamo bambini".
Un forte bussare alla porta interruppe le due. "DEMELZAAA!".
La voce tonante di Falmouth oltrepassò la barriera e Demelza sobbalzò. "Giuda...".
"Sei pronta? Far aspettare lo sposo va bene, ma non esageriamo!" - la rimbrottò l'uomo.
Verity rise. "Impaziente come tutti gli uomini!".
Demelza annuì, divertita. "E' terrorizzato da un ritardo che possa eventualmente metterlo in imbarazzo fra meno di nove mesi...".
Verity per un attimo la guardò senza capire ma quando comprese, divenne rossa come un peperone, abbassando lo sguardo imbarazzata. "Oh, sono certa che i suoi timori sono infondati e che tu e Ross siate stati fidanzati virtuosi".
Demelza si schiarì la voce. "Vorrei avere le tue certezze...".
"Potrebbe essere che...?" - chiese Verity, allarmata.
"Potrebbe essere, sì. Questo ti farebbe cambiare opinione su di me?" - chiese Demelza, improvvisamente spaventata dal perdere il consenso della cugina di Ross.
Verity, dopo alcuni istanti di silenzio, la abbracciò. "Assolutamente no, mia cara. Se ne sei contenta tu, allora va bene anche a me. E inoltre... conosco il carattere impetuoso ed impaziente di mio cugino".
"Beh, per fare certe cose si deve essere in due".
Verity le aggiustò di nuovo l'abito, con gesti un pò imbarazzati. "Ne saresti contenta? Perché alla fine è questo che conta, non le chiacchiere della gente".
"Sì" - rispose Demelza, con estrema sincerità. "E' il mio sogno più grande e spero che possa diventare realtà".
"Succederà, mia cara. O forse è anche già successo, chissà!". Verity la prese gentilmente sotto braccio, aprendo la porta prima che Falmouth la gettasse giù a calci. "E allora andiamo, hai da sposarti quanto prima".

...

Falmouth, che la teneva a braccetto come un padre, sembrava a suo modo commosso quando la portò all'altare dove Ross la aspettava già.
Demelza era radiosa, felice, si sentiva nel posto giusto in quella Chiesetta di Sawle, fra volti amici che ognuno a modo suo, erano e sarebbero stati parte della famiglia che avrebbe formato con Ross. Era così diverso dal sentimento di tensione e paura provato quando si era sposata con Hugh... Era una ragazzina allora, che si trovava in una situazione più grande di lei che non capiva appieno e che forse le era sfuggita di mano mentre ora era una donna, aveva scelto con cognizione di causa col cuore prima che con la mente e stava sposando un uomo che, come dicevano le storie romantiche, era di certo la sua anima gemella nel mondo. Non poteva che essere così! Ross Poldark le era entrato nel cuore e in ogni fibra del suo essere fin dal loro primo burrascoso incontro e la sua figura non era mai evaporata dalla sua mente per tutto quel tempo, nemmeno nei momenti più duri che l'avevano accompagnata in quegli ultimi anni, fino al coronamento del loro amore. Era stata una corsa a tappe lunga, piena di dolore ma anche di tenerezza e adesso era lì, davanti a Dio, a giurargli eterno amore. Non sarebbe più stata lady Boscawen e nemmeno Demelza Carne. Da quel momento in poi sarebbe stata Demelza Poldark, la signora Poldark... E già sentiva di adorare il suo nuovo nome.
Vestito con un elegante abito blu, coi capelli pettinati ed impettito, Ross davanti all'altare sembrava il più teso fra i due.
Demelza lo raggiunse, Falmouth la lasciò a lui e lei gli sorrise. "Ross, non dovresti dimenticarti di respirare" - gli bisbigliò divertita nel vederlo tanto teso, cosa inusuale per lui.
Lui sorrise, nervoso, riflettendo sul fatto che la sua futura moglie non perdeva la sua lingua lunga nemmeno a un passo dall'altare. Adorava la sua faccia tosta tanto inusuale in una donna, ne era da sempre affascinato e ancora una volta lei lo stava ammaliando coi suoi modi di fare. Era bellissima ed era sua... Per tutta la vita aveva sognato di sposare un'altra donna e ora scopriva che non voleva che ciò che possedeva in quel momento. Lei, con la sua sfacciataggine, la sua bellezza, la sua forza, la sua dolcezza, i suoi occhi verdi e i lunghi capelli rossi che lo stregavano come la prima volta che li aveva visti. "Me ne ricorderò, grazie mia cara" - disse, usando la medesima ironia.
Il prete richiamò la loro attenzione e dopo averla ottenuta, diede il via alla cerimonia. In sottofondo sentirono i singhiozzi di Verity, Zachy che continuava a soffiarsi il naso e Falmouth che nervosamente picchiettava il piede e ogni tanto si schiariva la voce come se avesse un raspino in gola che non voleva andarsene.
La cerimonia fu breve, a suo modo abbastanza banale ma Demelza si sentì la principessa di una favola. E quando il Reverendo Halse li dichiarò marito e moglie, momento che Ross aspettava con impazienza per fuggire da lì con lei, lui si chinò e la baciò con passione e sollievo, a lungo, finché sia Falmouth che il prete, tossicchiando, lo riportarono all'ordine.
"Non avevo ancora detto che potevate baciare la sposa..." - mormorò Halse, indispettito.
Ross, finalmente più rilassato per la fine della cerimonia, ridacchiò. "E' lo stesso, è lo stesso...".
Halse sospirò, rassegnato. "La comunità da il benvenuto alla nuova famiglia Poldark formata da Ross e dalla sua giovane moglie Demelza. Lunga vita agli sposi".
"Lunga vita agli sposi!" - replicarono gli astanti, dalle loro panche, pronti a festeggiare. E a loro si unirono, fuori dalla Chiesa, i bambini dei minatori a cui Demelza aveva fatto da maestra che, in un moto di gioia, lanciarono sulla sposa una infinità di fiori di ogni colore.

...

Verity e zia Agatha nel grande salone di Trenwith avevano allestito un grande banchetto degno di un re perché come aveva detto la quasi centenaria decana di famiglia, a Trenwith i festeggiamenti o si facevano in grande o non si dovevano fare affatto.
Sulla tavola c'erano ogni tipo di pietanza, di verdura, di carne o di pesce immaginabili. E i dolci abbondavano come il miele che scende dagli alveari in piena estate.
Falmouth, benché Demelza avesse desiderato una festa in piccolo, fece arrivare un'orchestra e alla fine ne venne fuori un matrimonio in grande stile che fece protrarre fino a sera tarda i festeggiamenti.
Zia Agatha aveva studiato tutto il giorno in silenzio la sposa e alla fine era giunta alla conclusione che, come il capitano Blamey, fosse ABBASTANZA all'altezza dei Poldark... Demelza e Andrew ne avevano riso, aveva modi di fare bizzarri ma che poteva permettersi, vista la sua età e l'affetto per lei che nutriva Ross.
Quando fu buio, Ross e Demelza chiesero di poter andare a casa da soli, a cavallo invece che in carrozza. Avevano goduto della compagnia di chi amavano ma ora volevano stare soli e anche un cocchiere sarebbe stato di troppo.
Falmouth aveva protestato ma poi, arresosi all'evidenza che non poteva imporre il suo volere, li aveva lasciati andare ricordando però a Ross i suoi impegni e l'imminente partenza per Londra. "Godetevi le nozze e al contempo lavorate sodo" - aveva intimato, prima che gli sposini montassero a cavallo. "Demelza, mi auguro che tu gli ricordi i suoi doveri".
"Certo, lo farò".
Quando furono abbastanza lontani, a ridosso delle scogliere che portavano verso Nampara, nel buio della notte si abbracciarono e scoppiarono a ridere. Era andata, il peggio era passato ed ora, quasi rendendosene conto solo in quell'istante, potevano godersi le nozze. Erano sposati!
"Da oggi in poi ti sentirai chiamare Signora Poldark! Credi di riuscire a farci l'abitudine?".
Demelza appoggiò la schiena contro il petto del marito, poi prese le redini del cavallo. "Credo che potrei, sì...".
"Hai perso il tuo status di lady, oggi...".
Demelza sorrise nell'oscurità. "Oh sì! E anche l'assicurazione a una vita tranquilla che, con un marito come te, dubito avrò mai!".
Lo disse scherzando, felice. E Ross la strinse a se. "Già, avresti potuto sposarti con un uomo sensato come Henshawe e invece...".
"E' già sposato e sua moglie è deliziosa! Restavi solo tu sul mercato!".
Ross rise ancora, cosa così insolita per lui. "Sei felice?" - chiese solo, alla fine.
Demelza si rannicchiò contro di lui. "Sì, decisamente felice!".
"Pentita?".
"Mai, mai Ross...".
Lui la baciò sulla nuca. "Nemmeno io, mai!".
Arrivarono a Nampara che era tutto buio. Jud e Prudie erano stati lasciati a bivaccare a Trenwith e di certo non avrebbero abbandonato tanto presto le bottiglie di brandy e quindi avevano tutta la casa per loro.
Ross le prese la mano e la condusse in camera loro dove entrambi trovarono la pace tanto desiderata. Lei si sedette sul letto e lui armeggiò alcuni minuti con la legna per accendere il camino. "E' stata una giornata intensa".
"Sì, succede sempre così quando ti sposi".
Ross sorrise vagamente. "Già, tu sei più esperta".
Lei alzò le spalle. "Sì e no! Il matrimonio con Hugh fu diverso, molto intimo. Ricordo solo che ero tesa e mi sentivo come... come se fossi finita in una cascata e l'acqua mi sballottasse ovunque".
"Eri poco più che una bambina".
Demelza annuì. "Avevo paura, sai? Non credo di essere stata molto consapevole di cosa significasse essere una moglie. Ricordo quella notte come qualcosa di strano, doloroso e necessario. Ma non bello, non come dovrebbe essere".
"Eri una bambina..." - ripeté lui che per un attimo trovò uno strano sentimento di protezione verso la ragazzina che era stata e il mondo in cui si era trovata catapultata. "Ora hai paura?".
Demelza scosse la testa. "Ora sono a casa, mi sento a casa!".
Ross lasciò il camino e si avvicinò a lei. Dolcemente le prese il viso fra le mani, la baciò e la costrinse ad alzarsi in piedi. "Questo abito è decisamente bello e ti sta bene ma è da quando eravamo in Chiesa che desidero togliertelo".
Demelza rise. "Buono a sapersi".
"Credo di aver intenzione di far l'amore con te tutta notte e di non farti dormire".
"Ottima idea! Ma ricordati che ogni tanto dovrai lavorare o Falmouth ti chiuderà in una cantina per riportarti ai tuoi doveri! E io ho i miei... Potrò continuare ad insegnare a scuola, vero?".
Ross le accarezzò i capelli. "Potrai fare ciò che vorrai anche se mi auguro che non ti ammazzi di lavoro al posto di Prudie. Tu sei la signora e lei la serva!".
"Ma io adoro cucinare".
"E io non ti impedirò di farlo! Ma non voglio che ti stanchi, soprattutto quando...". Le sfiorò il grembo, così liscio e piatto da sembrare ancora quello di una bimba... "Se e quando succederà, voglio che pensi soprattutto a nostro figlio".
"Lo farò... Ma perché arrivi, credo che sia un'ottima idea quella che hai avuto circa questa notte" - gli rispose, maliziosa e divertita.
"Mi fa piacere che tu la prenda così" - sussurrò, baciandola sul collo e prendendola in parola subito.
"Non sei emozionato, Ross?".
Lui alzò brevemente lo sguardo. "Non è la prima volta che facciamo l'amore" - le fece notare.
"Ma è la prima volta da sposati. Non dovrebbe essere diverso?".
Ross sorrise e poi tornò a baciarla sulle labbra. "Sì, in fondo è diverso" - mormorò prima di sciogliere il nastro che le stringeva la vita, spogliarla e adagiarla sul letto per farla ancora sua.

...

Nell'elegante dimora dei Warleggan a Truro, George raggiunse Elizabeth in camera. Era stata di cattivo umore e taciturna tutto il giorno ma si rifiutava di credere che fosse a causa del matrimonio di Poldark. Non poteva essere, ora Elizabeth era sua moglie e lui non avrebbe gradito alcun pensiero in proposito e questo lei lo sapeva.
"Alla fine la piccola figlia di minatori ha calato le sue pretese e si è sposata uno squattrinato!" - disse, cercando di sondare il terreno mentre si metteva a letto accanto a lei. "Dopo tutto i Boscawen non erano famiglia per quella donna".
Elizabeth, fingendo di non capire e attenta a non cadere in alcun tranello, trattenne a stento il nervosismo. "Di chi parli?".
"Di Ross Poldark e della sguattera! Il matrimonio era oggi... Certo, i Poldark sono una famiglia antica ma in rovina, ma per la fanciulla si tratta comunque di un matrimonio ancora una volta conveniente anche se meno del primo".
"La Grace pare essere in attivo e fonte di guadagni" - fece notare Elizabeth con astio, sapendo di toccare un nervo scoperto per George.
Lui si stizzì. "Guadagni temporanei, non credere che durerà. Ma lei ha finalmente perso il suo status di lady quanto meno e il mondo inizia di nuovo a girare con un senso. Sei d'accordo, mia cara?".
Elizabeth aspettò prima di rispondere perché mezza parola falsa le sarebbe costata una lunga discussione con George e per esperienza, sapeva che sarebbe stato meglio evitare. Era arrabbiata, sì! Con Ross e con Demelza perché alla fine avevano raggiunto qualcosa che lei non avrebbe mai avuto... Era stata usata, Ross le aveva imposto qualcosa di compromettente e poi non si era preso alcuna responsabilità e ora, ora... Ora era la moglie di George però e con lui doveva andare d'accordo e vivere serenamente la vita che si era scelta. "Sì, sono d'accordo" - rispose quindi, chiudendo ogni discussione con lui.


Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Capitolo quarantadue ***


I primi mesi di matrimonio furono appassionati, felici, frenetici. Dopo tre settimane dal loro sì, da signore e signora Poldark erano partiti per Londra con Lord Falmouth per partecipare alle sessioni estive del Parlamento dove Ross aveva scoperto, con piacevole sorpresa, che amava discutere, portare avanti le sue idee e cercare di abbattere le opposizioni che cercavano di opporsi al suo pensiero. Non l'avrebbe mai detto ma litigare a Westminster era qualcosa di decisamente elettrizzante e per nulla noioso per un carattere indomito come il suo.
Lui e Demelza avevano declinato l'invito di Falmouth di alloggiare alla dimora dei Boscawen e avevano scelto di andare a vivere in un piccolo alloggio in affitto in centro, a pochi passi da Westminster, un appartamento modesto ma elegante e decoroso e soprattutto, solo loro. Demelza voleva vivere il suo matrimonio senza ombre del passato ed era stata soprattutto lei a desiderare quell'alloggio al posto della comoda dimora dei Boscawen che però sarebbe stata il fulcro di tanti ricordi vissuti nel matrimonio con Hugh. Non era giusta, non sarebbe stato giusta né nei confronti di Hugh né nei confronti di Ross quella scelta e Falmouth alla fine aveva capito le sue motivazioni e le aveva accettate senza fare storie.
Demelza trovava divertente come Ross cercasse di minimizzare il suo ruolo in Parlamento e il divertimento che sperimentava nelle varie sedute e ora capiva perché Falmouth lo avesse voluto al suo fianco. Suo marito era appassionato, indomabile, mai arrendevole e la passione che metteva in tutto ciò che faceva di certo gli avrebbe fruttato qualche nemico a Westminster ma sicuramente anche parecchi amici attratti dal suo indiscutibile carisma.
La domenica pranzavano da Falmouth e dopo, nel pomeriggio, passavano ore a cavallo nella campagna fuori dalla capitale oppure passeggiavano in centro dove Demelza mostrava a Ross le bellezze di Londra che aveva imparato a conoscere negli anni.
Erano felici, entrambi... Il futuro sembrava finalmente roseo, il passato cancellato e accantonato ed ora potevano godere di nuove sfide a Londra e di una miniera attiva e florida in Cornovaglia.
A fine settembre tornarono a Nampara per delle incombenze burocratiche relative alla Wheal Grace, con la promessa di Falmouth di raggiungerli in tempo per il matrimonio di Verity e del Capitano Blamey e del Natale, per poi ripartire insieme verso Londra a gennaio.
Tornati a casa trovarono Nampara lucida e splendente, cosa che Ross non aveva dato affatto per scontata visto che era stata lasciata in mano a Jud e Prudie. Ma i servi si erano affezionati alla loro nuova padrona che era gentile e spesso lavorava al loro fianco e con Demelza avevano trovato una nuova dimensione in quella famiglia appena formata. E anche Ross, ora decisamente più sereno, era diventato un padrone più gestibile da servire, per due pigri come loro.
A casa Ross riprese come se niente fosse il suo lavoro in miniera, con la sola differenza che al mattino vi si recava più tardi e preferiva attardarsi a letto con sua moglie che poi lo raggiungeva per pranzo e quando faceva lezioni ai suoi piccoli allievi.
Fu verso la metà di ottobre che Demelza iniziò a sentirsi strana. Al mattino si svegliava con una leggera nausea che spariva solo mangiando del pane secco e in alcune occasioni aveva avvertito forti vertigini che l'avevano costretta ad appoggiarsi alla parete per non cadere a terra. Inizialmente preoccupata per quel malessere che mai aveva avvertito, fu solo dopo una settimana che realizzò che qualcosa che credeva le fosse negato, in realtà stava avvenendo...
Quando lo realizzò stava strigliando il suo cavallo e nel rendersene conto rimase senza fiato, con la mano sul ventre per lunghi minuti, seduta a terra nella paglia della stalla con accanto Garrick accovacciato sui suoi piedi...
Un bambino... Lei, proprio lei? Una speranza che con Hugh le era stata preclusa ma che con Ross stava diventando una realtà, con un pizzico di fortuna. Era sposata con un uomo che amava, da cui era unita da una passione bruciante che li spingeva ad amarsi notte dopo notte senza essere mai sazi l'uno dell'altra e quello stato di cose era la naturale conseguenza, eppure ancora non riusciva a crederci che forse stava accadendo per davvero. Sapeva che sarebbe potuto succedere ma aveva avuto da sempre il terrore di sperarci, di crederci... "Giuda, Garrick... " - sussurrò al cane che era stato suo compagno di giochi da bambina e che l'aveva vista crescere. Anche Sun sbucò dal fieno e forse rendendosi conto della sua agitazione, le andò vicino strofinandosi sulle sue gambe.
Calde lacrime di gioia e d'emozione presero a rigarle le guance e in breve si trovò a piangere come una bambina fra la paglia, abbracciata ai suoi animali. Ma non erano lacrime di disperazione, erano lacrime di gioia...
Rimase sola coi suoi cuccioli per un paio d'ore mentre in casa Jud e Prudie dormicchiavano sul tavolo e Ross era indaffarato in miniera. Alla fine, infreddolita ma rimessasi in sesto dall'agitazione, rientrò in cucina e con Garrick e Sun si mise davanti al camino acceso. L'inverno incalzava e iniziava a fare seriamente freddo...
La sua mente frenetica iniziò a pensare al da farsi. Era ottobre e il bambino, presumibilmente sarebbe nato a maggio. E lei e Ross sarebbero dovuti ripartire per Londra a gennaio ma a quel punto la sua gravidanza sarebbe stata avanzata e un viaggio lungo in carrozza sarebbe stato pericoloso nel suo stato. E Ross? Lui sarebbe stato felicissimo di quel figlio, già immaginava la sua faccia quando lo avrebbe saputo ma proprio per questo... E se avesse scelto di non partire più? E se avesse scelto di lasciare la politica per rimanere? E se avesse scelto di rescindere la sua alleanza con Falmouth?
Demelza scosse la testa, non voleva nulla di tutto questo perché Ross era fatto per la politica, amava quell'ambiente e lo trovava stimolante ed inoltre... chi meglio di lui avrebbe potuto far del bene per le nuove generazioni che stavano venendo al mondo? E lei, lei come doveva fare per convincerlo a partire, nonostante tutto? Sapeva di volerlo accanto in quel momento tanto speciale ma sapeva anche che certe cose andavano fatte a prescindere ed era pronta a stare anche da sola per un pò per un bene superiore. Ma come convincere Ross della stessa cosa?
Sospirando, accarezzò il mantello di Garrick e decise di rimuginarci sopra ancora qualche giorno per trovare le parole giuste da dire al marito... Da queste, dipendeva il futuro di Ross e della loro famiglia e il rapporto con Falmouth. "Sarà un nostro segreto, d'accordo?" - sussurrò al suo cane e al suo gatto che, sonnecchiosi, di certo non potevano capire a fondo le sue preoccupazioni. Si accarezzò il ventre, ancora, in quel momento. In fondo la cosa più importante era che lui o lei stesse bene e di questo era certa. Sarebbe stato tutto perfetto.

...

Nei giorni successivi Demelza rimase sulle sue, facendo finta di nulla. Ross era distratto ma entusiasta dalla scoperta di un nuovo filone di rame piuttosto ricco, i bambini della scuola venivano a fare lezione a Nampara ora che faceva freddo, Jud e Prudie sembravano più operosi del solito e Garrick e Sun continuavano ad andare quasi d'accordo...
Di tanto in tanto, da sola, Demelza si accarezzava il ventre ancora piatto e rimuginava su come dare la notizia a Ros e cercava di immaginare come sarebbe stato quel bambino, le sue somiglianze, il nome, tutto... La nausea però non le dava tregua e a volte era davvero difficile far finta di niente, soprattutto con Prudie che aveva preso a guardarla con sguardo interrogativo.
Una mattina, mentre erano sole in cucina ad impastare il pane e Jud era stato spedito al mercato, la serva la osservò di sottecchi, le tolse l'impasto dalle mani e lo picchiò con forza sul tavolo. "E allora ragazza, quando lo dirai?".
"Cosa?" - chiese Demelza, stupita da quella strana interruzione. Prudie era una domestica bizzarra e fannullona ma in quei primi mesi di matrimonio si era accorta di quanto tenesse a Ross, del suo ruolo in quella casa e di come conoscesse bene tutto ciò che vi avveniva. Lei e Jud erano lì fin da quando Ross era bambino, lo avevano cresciuto dopo che sua madre era morta e suo padre si era perso nel suo ricordo inseguendo amanti ed amori effimeri e anche se era pigra, poco istruita e di certo fuori dai comuni canoni in cui si doveva riflettere la figura di una brava domestica, amava quella casa e i suoi abitanti.
Prudie sbuffò. "Del marmocchio... E non negarlo, son nata ben prima di te!".
Demelza, presa in contropiede, entrò in allarme. Come aveva fatto a capirlo? Come diavolo ci era riuscita? Sembrava ubriaca la maggior parte del giorno, lei non si era fatta scappare nulla e invece... "Come lo hai capito?".
"Sei bianca come un cencio, al mattino non mangi, a volte stai male di stomaco. O sei malata o sei incinta... E visto che sei sposata col signor Ross e lui è un tipo piuttosto focoso, propendo per la seconda ipotesi...".
Arresasi all'evidenza, Demelza si sedette sulla sedia. "Non dire nulla, per ora".
"Perché?".
"Perché Ross ha molti impegni e non vorrei che questo... lo frenasse...".
Prudie scoppiò a ridere. "Ragazza, gli uomini si accorgono di poche cose a meno che non gliele sbatti sotto il naso ma ti assicuro che il signor Ross un pancione a un certo punto lo noterebbe. Persino Jud se ne accorgerebbe".
Demelza sospirò, sentendosi forse un pò ridicola. "Lo so, sto solo cercando il modo giusto per dirglielo senza che per questo debba rinunciare ai suoi impegni".
Prudie si sedette accanto a lei. "Non sei contenta?".
"Certo che lo sono, è sempre stato il mio sogno".
La domestica si guardò attorno, osservando le pareti, i mobili, le stoviglie e il mazzo di fiori che ornava il tavolo, meditando sul passato e riflettendo sul futuro di quella casa e di quella famiglia. "Sai, quando il signor Ross tornò dalla guerra, la casa era un disastro. Certo, era impensabile che io e Jud senza una guida portassimo avanti tutto il lavoro ma... ehm... a parte questo e quel pochetto di disordine che c'era... a parte la casa che era un pò da pulire, lui era solo. Suo padre era morto come sua madre e suo fratello, la ragazza che amava era promessa in sposa al cugino e il suo ritorno era stato preso, da gran parte dei parenti di Trenwith, come una scocciatura. Ora ci sei tu, siete diventati una famiglia e lui è contento. Non negargli la gioia di una notizia del genere, la merita dopo tutto. E anche tu, di vivere questo momento insieme a lui".
Demelza le sorrise, le prese le mani e gliele strinse. Prudie era spesso brusca, poco ortodossa nei modi ma a volte assumeva quel ruolo di madre che mancava a Nampara e di cui forse lei e Ross avevano ancora bisogno... "E i suoi impegni a Londra?".
"Oh, in qualche modo si farà!".
Sembrava tanto facile, detto da lei, riuscire a far incastrare tutto... "E quindi, cosa dovrei fare?".
La domestica le indicò la porta. "Vai alla miniera, portagli del pane caldo e diglielo! Sarà felice!".
Demelza sorrise. "E tu? Sei felice?".
Prudie alzò le spalle. "Oh, mi porterai un aumento di lavoro, ragazza! I marmocchi sono così impegnativi e amano così tanto strillare che impazzirò! Ma lo tollererò! E speriamo assomigli a te e non abbia il caratteraccio del padre".
Rise, di cuore a quella battuta. Poi prese il pane caldo, lo mise in un cesto e senza dire altro, si avviò alla miniera.

...

Quando giunse alla Wheal Grace, c'era un laborioso via-vai di minatori che andavano e venivano dalla miniera carichi di materiale.
Il giorno era ventoso e grigio, faceva freddo ma l'atmosfera sembrava felice e movimentata e il morale era alto fra i lavoratori.
Henshawe, assieme a Dwight, quando la vide la raggiunse con un ampio sorriso. "Signora Poldark, è sempre bello vedervi quì. Oggi non c'è scuola, cosa vi porta da queste parti?".
Gli mostrò il cesto col pane. "Ne sto cuocendo un pò, ve ne porterò altri nel pomeriggio. Oggi però volevo pranzare assieme a Ross in spiaggia".
Sentendo la sua voce, dall'ufficio, Ross fece capolino spuntando dalla finestra. "Demelza!".
Lo salutò con un cenno della mano. "Sbrigati, sono affamata! Ti va di fare due passi in spiaggia?".
Ross le sorrise e in un attimo fu da lei. "Sta per diluviare, che ti è saltato in mente?" - borbottò, prendendola per la vita e stringendola a se mentre Henshawe e Dwight si allontanavano ridendosela sotto i baffi per il modo in cui quel burbero cambiava quando sua moglie era nei paraggi.
Lei, biricchina, lo guardò divertita, chiedendosi che faccia avrebbe fatto quando glielo avrebbe detto... Stava per cambiare tutto, TUTTO nella loro vita e il racconto di Prudie, la sua solitudine, il dolore che doveva aver provato quando era tornato dalla guerra la rendevano ancora più desiderosa di renderlo felice. "Credi che una monella della Cornovaglia possa avere paura di un pò di pioggia o vento?".
Ross si finse rammaricato. "E io che pensavo di aver sposato una svenevole damina delicata...".
Scherzosamente, gli diede un buffetto sul petto. "Andiamo in spiaggia a fare due passi?". La spiaggia, dove avevano fatto l'amore per la prima volta e dove avrebbero compiuto i loro primi passi da famiglia. Non c'era posto migliore per dire a Ross che presto sarebbe diventato padre.
Ross la prese per mano. "Agli ordini, amore mio".
Si incamminarono verso il diradamento che portava alla spiaggia e una volta lì, fra le rocce, si trovarono un posto tranquillo e riparato dai venti dove sedersi. Demelza si accoccoltò accanto a suo marito, poggiandogli la testa sulla spalla.
Ross le cinse la vita con un braccio e con l'altro prese una pagnotta, addentandola di gusto. "Lo hai fatto tu, vero? Voglio dire, un pane del genere non può essere opera di Prudie...".
Demelza rise. "Mi ha aiutata...".
"Mi viene difficile crederlo..." - le rispose, vago. Poi frugò nelle sue tasche, togliendone un piccolo estratto di roccia proveniente dalla Wheal Grace. "Guarda!".
Demelza prese il frammento e lo analizzò con sguardo critico. "Wow, rame! E di ottima qualità!".
Ross annuì. "Esatto! Proviene dal filone appena scoperto e se tutto andrà come prevedo, a breve incrementerò non solo gli utili ma potrò anche assumere nuovi minatori per l'estrazione. E pensare che se non fosse per te, questa miniera ora sarebbe chiusa...".
Demelza lo abbracciò. "Oh, sono certa che prima o poi l'avresti riaperta comunque. Sei troppo testardo per lasciar perdere...".
"Ne sei certa?".
"Oh, ho imparato a conoscerti bene in questi mesi. In buona parte su questa spiaggia" - concluse, maliziosa.
Ripensando alla loro prima volta, Ross le sorrise dolcemente, baciandola sulla fronte. "E già...".
Demelza rispose al sorriso e capì che era giunto il momento e che sapeva come fare il suo annuncio. "Ricordi? Quel giorno dicesti che avresti raccontato ai nostri figli di noi due quì, di come ci siamo amati".
Ross rise. "Oh, hai minacciato di picchiarmi per questo!".
Lo osservò negli occhi, si avvicinò a lui e lo baciò sulle labbra. "Sai, credo che quest'estate in fondo, se ti concedessi il permesso, potresti anche farlo".
Ross spalancò gli occhi. "Cosa?".
"Raccontare a nostro figlio di noi...".
Quelle parole ebbero l'effetto di un terremoto e dopo di esse calò un lungo silenzio in cui Ross rimase immobile, quasi senza respirare e con una espressione da ebete sul viso. Ci vollero parecchi secondi prima che incamerasse l'informazione, la elaborasse e la facesse sua comprendendone la portata. "De... Demelza?".
"Sì Ross...".
Santo cielo, pensò Ross, sta succedendo davvero? E come avvenne per il loro primo bacio dopo la scoperta del rame nella miniera, Ross scoppiò a ridere e poi la baciò, appassionatamente, stringendola a se. "Ne sei sicura?".
"Sì, assolutamente. Da qualche giorno!".
Lui la abbracciò di nuovo, felice come forse non era mai stato. O come lo era stato solo da quando conosceva lei... Lei, che gli aveva ridato speranza, fiducia, vita... E che gli aveva insegnato cosa fosse davvero l'amore. La sua stella, la sua rivalsa verso un mondo che spesso nei suoi confronti si era dimostrato impietoso e cattivo. "Stai bene?" - le chiese, appoggiando la fronte sulla sua.
"Sì, a parte qualche nausea".
"Perché non me lo hai detto subito?".
"Non sapevo come dirtelo, come fare, come organizzare tutto coi tuoi impegni a Londra".
Ross si fece serio, comprendendo appieno l'origine delle sue ansie. "Non andrò a Londra senza di te. E non andrò a Londra lasciandoti quì da sola, incinta".
Demelza sospirò, ecco cosa temeva! "Ross...".
"Ross, niente!".
Gli accarezzò la guancia, percorrendo la sottile linea della sua cicatrice che lo rendeva ancora più affascinante. "Partirai a gennaio e potrai stare lì alcuni mesi con tranquillità. Non partorirò prima di maggio e per allora potrai tornare dopo aver fatto il tuo dovere. Sei un parlamentare e hai delle responsabilità e sono certa che Falmouth non avrà nulla in contrario se tornerai a tarda primavera, un pò prima del termine delle sessioni del primo semestre dell'anno. Un lungo viaggio a gennaio per me sarebbe sconsigliato ma tu devi andare".
"Non ti lascio sola!" - rispose, rendendosi conto che il discorso di Demelza era ragionevole ma non vi voleva sottostare. Al diavolo Westminster e il Parlamento!
Pacatamente, lei gli prese la mano. "Ross, invece lo farai. Per me e per tuo figlio soprattutto".
"In che senso?".
Demelza sorrise. "In Parlamento non si progetta il futuro? Non si cercano soluzioni per dare a tutti una vita migliore? Non si costruisce il mondo dove vivranno le nuove generazioni?".
"Beh, così dovrebbe essere..." - rispose Ross, incerto. "Ma per alcuni è solo un luogo ambito dove ottenere potere".
"Ma non per te, Ross. Tu ci credi, tu lotti perché il mondo sia un posto migliore e nostro figlio e i bambini che nasceranno, avranno bisogno di persone come te che combattano per il loro futuro".
Ross abbassò lo sguardo, sconfitto dalla logica di sua moglie. Essere padre non voleva dire soprattutto questo? E lui voleva essere padre, un padre migliore di quello che aveva avuto e di quello capitato in sorte a Demelza. E i genitori sanno anche sacrificarsi, per i figli... "Non voglio lasciarti sola".
Demelza gli strinse la mano che teneva fra le sue. "Non sarò sola, ci saranno Prudie, Jud, Verity, zia Agatha e il tuo amico Dwight. Avrò tutto ciò di cui ho bisogno mentre sarai via e starò bene. Giurò che filerà tutto liscio e che a maggio avrai un bambino forte e sano".
"Davvero credi che dovrei partire?" - domandò lui, ancora incerto e disperato dall'idea di separasi da lei.
"Lo credo".
La baciò dolcemente sulla labbra, sottostando alla logica e al desiderio di sua moglie. "Lo farò, allora. Per te e per lui o lei... Ma tornerò appena possibile, ben prima di maggio. Falmouth se ne farà una ragione".
"D'accordo". Demelza sorrise e lo abbracciò. "Sono felice, era il mio sogno e tu lo hai realizzato".
Ross sentì gli occhi pungergli e raramente gli era capitato di essere commosso. Ma dannazione, non si ricevevano tutti i giorni notizie del genere! "E tu hai realizzato molti dei miei" - sussurrò fra i suoi capelli.
Si baciarono, col mare che si infrangeva sugli scogli e un cielo plumbeo che però appariva carico di speranze per il futuro, con la mano di Ross poggiata protettivamente sul ventre ancora piatto della sua donna.
"Hai freddo?" - le chiese, mettendole il suo mantello sulle spalle.
"Non molto".
"Riguardati e non stancarti! Ora e soprattutto quando non ci sarò! Partirò perché tu me lo stai chiedendo ma devi a tua volta promettermi che ti prenderai cura di te stessa e non ti stancherai".
"Prometto! In fondo l'unica cosa che abbiamo da fare un pò impegnativa è...".
Capendo a cosa alludesse, Ross alzò gli occhi al cielo. "No ti prego, non rovinarmi questo momento ricordandomi del sarto!".
Demelza rise, allegra. "Amore mio, tua cugina si sposa fra poco più di un mese e non hai un abito adatto per l'occasione. Il signor Pickitt è un ottimo sarto e Falmouth si serve da lui da anni".
Ross allargò le braccia. "Questi abiti non vanno bene? O quelli che ho a casa?".
"Ross!" - lo rimbrottò. "Domani andremo dal sarto a costo di portartici con la forza e credo tu non possa avere scampo! E poi dovrò farmi fare un abito adatto pure io, forse fra un mese non avrò lo stesso fisico di ora".
Sbuffando, Ross la strinse a se di nuovo. "Sarai bellissima a prescindere".
"Grassa come Prudie?".
Ross rise. "Non fra un mese...".
Lo colpì scherzosamente sul petto. "E fra sei mesi?".
Ross rise di nuovo. "Forse fra sei mesi potresti chiederle in prestito i suoi abiti e ti andrebbero a pennello".
Risero, insieme, come spesso facevano quando scherzosamente chiacchieravano su quella spiaggia o a letto, a casa loro. Era il lato più bello del loro rapporto quello di scherzare, dell'ironia, del saper ridere insieme delle piccole cose e delle piccole schermaglie fra loro.
Il futuro era roseo, felice. E su quella spiaggia a breve avrebbe giocato un bambino o una bambina coi loro sguardi, colori, espressioni. La vita vinceva, sempre, come la speranza. E loro ne erano la dimostrazione vivente.



Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Capitolo quarantatre ***


"Oh Demelza, non so davvero come ringraziarti! Se non fossi quì, ora starei morendo d'ansia!" - esclamò Verity, vestita con il suo abito da sposa, davanti allo specchio, a pochi minuti dall'inizio della cerimonia che l'avrebbe resa la signora Blamey.
Nella sua camera da letto di Trenwith, circondata da stoffe, trine e merletti, Demelza le finì di accomodare il velo. Era deliziosa e il suo abito da sposa, semplice e senza eccessivi fronzoli, sembrava fatto apposta per esaltarne la figura gentile e i lineamenti particolari. "Oh, non dirlo nemmeno! Sono io a dover ringraziare te!" - esclamò, nel suo vestito color verde marino legato alto in vita e con una gonna morbida che correva lungo le sue gambe.
"Me? Di cosa dovresti ringraziarmi?" - chiese Verity, stupita.
Demelza si accarezzò il ventre che ormai stava diventando un pò più evidente. Da quando un mese prima aveva dato la notizia a Ross, era come se il suo bambino avesse preso la rincorsa per crescere in fretta e mostrarsi al mondo. "Di sposarti adesso e non fra due mesi in modo da potermi permettere di presenziare con forme ancora umane. In primavera sarei stata più simile a un orsa grassa che a una donna".
Verity rise. "Oh, sciocchina! Sei così bella e lo sarai fino a maggio".
"Sarò grassa".
"Sarai incinta, che è diverso. E Ross ti adora!". Verity osservò verso la porta chiusa che portava al corridoio e poi alle scale. "A proposito, sei riuscita a fargli indossare un perfetto e austero abito elegante! Come hai fatto? E' sempre stato restio a questo genere di cose, odia le convenzioni e odia i vestiti troppo elaborati".
Demelza sospirò. "Oh, è stata una lotta, non credere! Ma avevo dalla mia parte un'arma segreta e ha dovuto soccombere".
"Quale arma segreta?".
Demelza si accarezzò il ventre, poi fece un sorrisetto furbo. "A una donna incinta non si dice mai di no! E poi avevo preso appuntamento col sarto senza dirgli nulla e l'ho messo davanti al fatto compiuto. Ha borbottato per alcuni giorni ma poi quando lo ha trovato nel nostro salotto pronto a prendergli le misure, non ha potuto cacciarlo via. Ed inoltre gli ho ricordato che ti adora e che per te avrebbe dovuto fare questo ed altro e questa motivazione ha fiaccato ogni sua protesta residua".
Verity rise. "Lo hai davvero cambiato! Nessuno saprebbe ottenere gli stessi risultati con lui con tanta grazia ed eleganza".
Demelza le strizzò l'occhio. "Il matrimonio è fatto di compromessi! Lo imparerai a breve anche tu".
Quasi ricordandosi in quell'istante di quel 'piccolo particolare', che stava per sposarsi, Verity entrò di nuovo in agitazione e divenne rossa come un peperone. "Santo cielo, mi tremano le gambe!".
"Andrà bene".
La sposa sospirò. "Sì, Andrew è un uomo meraviglioso! Ma sarò all'altezza?".
"Lo sarai".
"E i suoi figli? Quelli nati dal suo primo matrimonio?".
"Ti adoreranno".
"Sicura?".
Demelza annuì, poi riprese a sistemarle il vestito. "Sicura, non si può non amarti alla follia".
Si guardarono negli occhi e poi Verity la abbracciò come si abbraccia una sorella o una migliore amica. "Saremo una grande famiglia da oggi in poi e sarà tutto bellissimo. Oggi il mio matrimonio, fra qualche settimane il Natale tutti insieme e poi un nuovo promettente anno pieno di belle novità. Vorrei solo che Francis fosse quì e sarebbe tutto perfetto".
Demelza la strinse a se, commossa. "C'è, sono certa che da qualche parte lui c'è ed è felice per te".
"Speriamo" - mormorò Verity con gli occhi lucidi. "E speriamo che la cerimonia sia bella e proceda senza intoppi. Ho così paura che Ross e George...".
L'espressione di Demelza si fece meno solare. George Warleggan ed Elizabeth avevano accettato l'invito alle nozze e sarebbero stati in Chiesa e al rinfresco ed in effetti aveva timore pure lei che qualche scintilla sarebbe potuta volare fra suo marito e il suo eterno nemico e rivale, ma soprattutto temeva la figura di Elizabeth che non vedeva da molto e il cui ultimo incontro era stato infido e per nulla piacevole. Ma era un giorno di festa e non avrebbe permesso a nulla e a nessuno di rovinare a Verity il momento più atteso della sua vita ed era certa che lei e Ross sarebbero stati all'altezza di questo proponimento. "Ross non ha motivo di attaccar briga con George e nemmeno di rivolgergli la parola. Si ignoreranno, semplicemente...".
"Speriamo" - disse Verity, prendendo un profondo respiro. "So che per voi la loro presenza è complicata, ma non potevo non invitarli.
"Non devi giustificarti, è il tuo giorno e devi avere accanto chi vuoi, senza pensare agli altri". Demelza le sorrise, cercando così di rassicurarla. I Warleggan partecipavano al matrimonio perché era un evento mondano che vedeva coinvolte due famiglie potenti e quindi di certo non avrebbero dato scandalo, ma visti i trascorsi e i sentimenti in gioco, sperava ardentemente che il passato non venisse a bussare alle loro menti troppo prepotentemente. Voleva solo serenità per gli sposi e per se stessa e suo marito e si auspicava che soprattutto Elizabeth desiderasse le stesse cose per l'affetto che l'aveva unita a Verity e per preservare la posizione sociale ed economica acquisita sposando un Warleggan.

...

La voce di Verity tremava mentre rispondeva alle domande di rito che il Reverendo Halse le porgeva e anche il Capitano Blamey, impettito nel suo elegante completo di capitano di vascello pareva parecchio emozionato ed impacciato nel tono di voce. I suoi figli, due ragazzi ormai quasi adulti, un maschio ed una femmina, stavano alla prima panca dietro gli sposi, lui con gli occhi lucidi e lei forse con l’espressione perplessa e spaventata di chi sa che dovrà affrontare grandi cambiamenti.
E tutti attorno, i vari parenti degli sposi e i più intimi amici di famiglia.
Con spocchia, George Warleggan aveva sgomitato per occupare i primi banchi anche se non era parente diretto di nessuno degli sposi ed ora, col suo elegante completo rosso porpora, accanto ad una elegantissima e glaciale Elizabeth vestita in blu, osservava con baldanza la cerimonia guardandosi in giro ogni tanto, di sottecchi, per controllare che qualcuno degli invitati lo osservasse con riverenza.
Seduto accanto a sua moglie nelle file centrali, apparentemente annoiato, Ross si allentò il colletto della camicia. “Mi sta strozzando” – borbottò, seduto fra Demelza e Lord Falmouth.
Ross, smettila!” – lo richiamò all’ordine Demelza – “Non sei un bambino”.
Ma mi strozza lo stesso! Quanto durerà?”.
Falmouth sospirò. “Tutto il giorno, se comprendiamo anche il banchetto a Trenwith. E il mio sarto fa ottime e comode camicie, per la cronaca”.
Vorrei essere del vostro stesso avviso” – mormorò Ross, non troppo a bassa voce.
Falmouth alzò gli occhi al cielo chiedendosi quanto ci avrebbe messo ad addomesticarlo e soprattutto, se ci fosse riuscito. Fare di Ross Poldark un lord o qualcosa di simile si stava rivelando la più grande sfida della sua vita… Osservò poi gli sposi che, impacciati, proseguivano nella loro cerimonia. “Comunque di questo passo, a furia di balbettìì, temo che sarà lunga. Ma le cose vanno come devono andare dopo tutto”.
In che senso?” – chiesero Ross e Demelza.
Nemmeno questa sposa è incinta oggi!”.
Ross ridacchiò. “Oh, il capitano Blamey è un signore e mia cugina una donna dedita alle regole e alle buone maniere”.
Falmouth scosse la testa. “Ma davanti all’amore a volte si perde il raziocinio” – commentò, guardando Demelza e Ross in modo eloquente. “Ma devo dire che anche voi vi siete comportati bene e vostro figlio nascerà quasi un anno dopo il sì mettendo a tacere sul nascere qualsiasi voce su un vostro EVENTUALE comportamento sconsiderato”.
Ross ridacchiò, pronto a sfidarlo in una singolar tenzone come spesso facevano su argomenti su cui non erano d’accordo. “In questo caso non si è trattato di bravura ma di fortuna”.
ROSS!!!” – lo richiamò Demelza, all’ordine, fulminandolo con lo sguardo completamente rossa in viso.
Falmouth non gli diede spago e fece finta di non capire quell’allusione. “L’importante è il risultato e mi sembra ottimo”.
Incurante di quel simpatico battibecco, Verity e Andrew Blamey dissero il loro sì e il Reverendo Halse li dichiarò marito e moglie.
Ross nella penombra della Chiesa sorrise. Era così felice per Verity e per la luce che il suo matrimonio e l’arrivo di Demelza avevano portato alla famiglia. Prese la mano di sua moglie e la strinse e Demelza ricambiò. “Sono emozionata per lei” – mormorò Demelza.
Ross la guardò. “Dopo tanto buio e disgrazie sai, stranamente mi sento ottimista per il futuro! Il nuovo anno porterà gioia come non se ne vedeva in famiglia da tanto”.
Demelza poggiò la testa sulla sua spalla mentre gli sposi uscivano di Chiesa. Sentiva su di se le occhiataccie di Elizabeth ma non le importava, quasi non le avvertiva e non avrebbe più permesso che la influenzassero. E nemmeno Ross che, a dirla tutta, non solo Elizabeth non l’aveva cercata con lo sguardo ma si era anche tenuto a distanza da qualsiasi tipo di battibecco con George. Era felice, quel giorno ne aveva pieno motivo.



Il banchetto di Trenwith, dove ogni portata era stata scelta appositamente da zia Agatha senza che nessuno avesse potuto metterci becco o approntare modifiche, fu luculliano. Torte di riso, faraone ripiene, piccioni, patate e verdure di stagione, ottimo vino, salse di ogni genere, frutta a volontà e una grande torta di crema e frutta invernale avevano lasciato gli ospiti a bocca aperta, tanto che Ross fu costretto ad ammettere che non aveva mai visto tanta ricchezza di cibo e Falmouth dovette dargli ragione. “Pensate Ross, tutto questo è grazie alla mia faccia tosta e alla mia insistenza”.
In che senso?”.
Il lord sorrise, sornione. “Pensate che disastro se non avessi insistito per farvi riaprire la miniera. Ora sareste sommerso di debiti, la Grace potrebbe giacere chiusa ed abbandonata e Demelza sarebbe ancora una solitaria vedova… E voi un solitario zitello”.
Non c’era che dire, Falmouth era dotato di uno strano senso dell’ironia e non aveva peli sulla lingua ed in questo erano simili! E Ross si rese conto che stava imparando ad apprezzare i loro poco ortodossi scambi di vedute ed anzi, a trovarli stimolanti. Gli piaceva quell’uomo che forse solo apparentemente era diverso da lui. Certo, di strada da fare per raggiungere il suo acume e la sua scaltrezza ne aveva molta da fare ma per la prima volta in vita sua – e non gli era successo nemmeno con suo padre – Ross percepì di avere accanto un maestro del saper vivere e da cui imparare. “Vi ho onorato del vostro aiuto facendomi vestire dal vostro diabolico sarto, non vi basta come ringraziamento?” – chiese, ironico.
Falmouth lo occhieggiò divertito, avvicinandosi al tavolo dei vini mentre tutto attorno a loro la festa si svolgeva in una allegra calca fatta di brindisi, chiacchiere e danze.
Demelza, che si era intrattenuta a parlare con Agatha, si avvicinò a Ross, prendendolo sotto braccio. “Tua zia vuole vederti ballare la gavotta!”.
Mia zia e il sarto vogliono vedermi morto!”.
Falmouth rise, lasciando gli sposi da soli per andare a chiacchierare con un ospite. “Il ballo… Tempo perso, a meno che non sia da viatico per intraprendere scambi politici. Ma fate pure…”.
Ross osservò Demelza con occhi da cucciolo. “Odio ballare!”.
Demelza rise. “Lo so, ho detto a tua zia che viste le mie condizioni, sarebbe meglio evitare”.
Ross la baciò sulle labbra. “Ti amo!”.
Lei gli accarezzò il mento. "Ma balleremo, prima o poi? Quando non sarò incinta magari...".
Ross sospirò, fingendosi affranto. "Anche se odio ballare, balleremo... Te lo prometto".
Si sorrisero ma una vocetta fastidiosa li raggiunse alle spalle e quando si voltarono, si trovarono faccia a faccia con Elizabeth e George Warleggan che li avevano seguiti fino all'angolo riparato della sala dove si erano rifugiati per stare tranquilli.
Demelza impallidì lievemente e d'istinto si portò la mano sul ventre come a voler proteggere il suo bambino, Ross serrò la mascella chiedendosi da quanto tempo li stessero osservando e come comportarsi in quella strana situazione che George avrebbe potuto evitare tranquillamente, se avesse voluto. Ma i Warleggan non erano persone che sapevano stare al loro posto ed erano portati alla ricerca dello scontro sempre e comunque e questo, unito al fatto che lui non era molto fortunato quando loro erano nei paraggi, lo portava con rassegnazione a raccogliere l'ennesima sfida anche se di suo, era preoccupato per la presenza di Elizabeth, per quanto successo fra loro e con Demelza e per come questo avrebbe influito su quel faccia a faccia.
"Ross..." - iniziò George - "Siete sfuggente oggi! Vi rintanate negli angoli bui della casa e questa è la dimora di famiglia, dovreste essere al centro della festa" - disse, sprezzante.
Ross, poggiando la mano sulla spalla di Demelza, esibì un grosso sorriso. "Il centro della festa è riservato agli sposi, io sono un semplice astante e non amo il baccano e la mondanità. A differenza vostra...".
George alzò il mento, indispettito, poi cambiò argomento. "So che la vostra miniera frutta rame e denaro. Dopo tanti fallimenti deve essere un sollievo per voi non dovervi più considerare povero. Certo, una sola miniera attiva è poca cosa, ma d'altronde bisogna accontentarsi se non si hanno mezzi per ambire a miglioramenti".
"Una sola miniera è sufficente a garantire a molti una vita dignitosa. Ed è un sollievo poter dare lavoro e poter pagare stipendi decorosi ai miei minatori. Per il resto, la povertà non mi ha mai fatto paura".
Elizabeth, di fianco a George, sorrise freddamente a Demelza fingendo che il loro precedente incontro non fosse mai avvenuto. "Oh mia cara, vi trovo molto diversa da come vi ricordavo. La vostra vita è davvero cambiata molto e vedo che avete proseguito spedita per raggiungere i vostri intenti" - disse, sibillina e ancora arrabbiata per non essere riuscita a separarla da Ross.
C'era rabbia nel tono di voce di Elizabeth, mascherata da tante buone maniere che però non incantavano Demelza. Quella donna aveva fatto molto male a Ross in passato e aveva cercato di distruggere la felicità che con lui, lei aveva ritrovato. Non glielo avrebbe più permesso. "E' stato un anno intenso fatto di scelte, lacrime, rinascita e gioia".
George la fissò con disprezzo. "Vedo che siete in attesa... In fondo voi donne nate dal popolo, si dice, fate meno fatica a rimanere incinta".
Ross, che si era ripromesso di non rovinare la festa di Verity, lo bloccò cercando di mantenere le buone maniere anche se il desiderio di prenderlo a pugni si stava facendo forte. "Per fortuna mia, è così! Siamo molto felici e ci aspettiamo le vostre felicitazioni, quando il mio erede sarà nato". Lo disse a George ma il suo sguardo si fermò brevemente anche su Elizabeth. Era un messaggio chiaro: aveva fatto le sue scelte, aveva sbagliato ma ora era esattamente dove voleva essere e in fondo, anche Elizabeth. Dovevano solo andare avanti, senza lotte e invidie reciproche, per le loro vite. Era ancora arrabbiato per quanto lei aveva detto a Demelza ma in fondo era stato proprio grazie a lei che il loro amore era sbocciato diventando completo, in un giorno magico di primavera, sulla loro spiaggia.
George deglutì, impacciato e irritato e sicuramente all'oscuro delle trame passate fra i suoi tre interlocutori. "Siete quindi esattamente dove vorreste essere?".
Ross strinse a se Demelza. "Esattamente, sì".
"La vita è fatta di scelte, George. E io e Ross abbiamo solo ed unicamente ciò che abbiamo desiderato e costruito con fatica e passione. Come voi, del resto..." - aggiunse Demelza.
"Scelte...?" - bisbigliò Elizabeth.
"Scelte" - rispose Ross, guardandola in viso e chiudendo ogni discorso residuo fra loro.
George prese con stizza la moglie sotto braccio, facendole segno di allontanarsi. "Mia cara, non abbiamo ancora salutato Sir Basset".
"E' vero" - rispose Elizabeth, salutando Ross e Demelza con un tirato inchino, desiderosa quanto il marito di andare via.
E quando i Warleggan furono a parecchi metri da loro, Demelza tirò un sospiro di sollievo. "Non lo hai preso a pugni, è un successo".
Lui le sorrise, stringendola a se. "Credo che i veri successi siano altri e oggi lo abbiamo ampiamente dimostrato. Il passato è passato, il futuro è frutto unicamente delle nostre scelte e del nostro impegno".
"Nessun rimpianto?" - chiese Demelza.
"No, non ne avrò mai!".
Scelte... Ognuno aveva fatto le sue e ora rimpiangerle non aveva senso. Demelza e Ross non avevano alcun desiderio e motivo di farlo, George aveva di fatto ottenuto tutto ciò che desiderava ed Elizabeth... Beh, forse lei non era mai stata capace di scegliere davvero e più che dal cuore, si era fatta guidare da motivi futili che ne avevano decretato l'infelicità e l'invidia per gli altri ma ora era troppo tardi per tornare indietro. Tutti loro avrebbero avuto la vita che si erano costruiti con le proprie mani e in quel momento Demelza pensò che l'unica cosa che voleva insegnare a suo figlio era credere in se stesso e lottare per ciò che voleva davvero senza accettare compromessi. Era l'unica ricetta per la felicità. "Ti amo" - disse a Ross, baciandolo lievemente sulle labbra.
"E io amo te! E lei..." - rispose lui, accarezzandola sulla pancia.
"Lei?".
"Lei, sono certo che sarà una lei! E che sarà la tua più grande rivale".
Demelza rise, contenta. Era felice, era nel posto giusto con la persona giusta. Il resto non importava più.








Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Capitolo quarantaquattro ***


Era stato un inverno molto umido, carico di pioggia, pieno di giornate cupe e raramente serene ma Demelza era certa che lo avrebbe ricordato come il più magico della sua vita. Il suo pancione cresceva col procedere della stagione, il suo piccolo scalciava vivace e lei tutto sommato, anche se si sentiva sempre più simile a Prudie, stava bene ed era in pace con se stessa e il mondo.
La partenza di Ross per Londra l'aveva rattristata ma si era ripromessa di essere forte e di aspettarlo tranquillamente a casa, sapendo che la lontananza era giustificata da un fine più grande e sicura che sarebbe tornato quanto prima per accogliere il loro primo figlio.
Aveva mantenuto le sue promesse ed era stata tranquilla a casa senza sforzarsi, durante l'assenza di suo marito, dedicandosi al cucito e al corredo per il bimbo, alla cucina, aveva preparato conserve con Prudie e certe volte, nelle giornate serene, aveva insegnato ai suoi piccoli allievi nel salotto di Nampara dove li accoglieva con una fetta di torta e del succo d'arancia, cosa indispensabile per la salute dei bambini in crescita, come le aveva detto Dwight che la seguiva da medico passo dopo passo.
Quando Ross era tornato, a metà aprile, il suo pancione era evidente e si sentiva più una orsa goffa che una donna. Aveva temuto che Ross non la trovasse più bella ma la prima notte insieme dopo mesi aveva fugato ogni suo dubbio facendole trovare col marito tenerezza, passione e amore. Con sorpresa aveva saputo da Ross che era stato un preoccupato Falmouth ad insistere perché tornasse a casa quanto prima ed ancora più sorprendente era stato scoprire che lo stesso lord aveva lasciato i lavori a Westminster per tornare in Cornovaglia col suo pupillo per essere nelle vicinanze quando il bimbo fosse nato. Si sentiva amata, molto. Da suo marito e anche da quello strano ed austero padre improvvisato che era diventato parte importante della famiglia che aveva creato prima con Hugh ed ora con Ross.
Aprile passò veloce e anche la prima parte di maggio.
Ross riprese subito a lavorare alla Grace anche se rincasava sempre sia per pranzo sia al pomeriggio presto, evitando di stare fuori troppe ore e quando era a casa ne approfittava per fare quei lavoretti di manutenzione di cui Nampara aveva bisogno da fin troppo tempo e che aveva sempre rimandato: aveva sistemato il tetto, aggiustato alcune assi sconnesse nella stalla e tagliato legna facendone scorta per tutto l'inverno successivo e anche l'estate, se fosse stata fresca, in modo che suo figlio potesse sempre stare al caldo. Poi, con i guadagni e il benessere che la Wheal Grace stava donando a lui e ai suoi lavoranti, aveva comprato nuove sedie e nuova mobilia, abbellito il salotto e aveva regalato una nuova spinetta a Demelza che amava suonare per rilassarsi. E lui amava ascoltarla mentre lo faceva... Spesso cantava per lui, la sera, una deliziosa canzone su una donna che si punge il dito con la spina di una rosa, una canzone inno all'amore che era dedicata solo a lui e che era diventata la colonna sonora del loro rapporto.
Fu nella notte fra il 24 e 25 maggio del 1788 che Demelza iniziò ad avvertire le prime eloquenti avvisaglie del travaglio.
Ross si svegliò immediatamente e nel panico fece persino fatica a vestirsi per andare a svegliare Jud e Prudie e poi correre a chiamare Dwight. E se non fosse stato per Demelza che si era infine alzata dal letto per aiutarlo, sarebbe uscito di casa in mutande e senza pantaloni...
Prudie, in camicia da notte, fu subito da lei e con ordini precisi mandò Jud di sotto a scaldare dell'acqua e a prendere dei panni puliti mentre Ross usciva a cavallo a chiamare Dwight.
Garrick e Sun, agitati per il trambusto, facevano avanti e indietro dal salotto alla camera da letto, facendo capolino insieme coi loro musetti, ma Demelza sentiva sempre più forti le contrazioni e non riusciva a dar loro retta.
Prudie le strinse la mano. "Sai ragazza, lo ricordo quando sei venuta quì la prima volta. Pensavo che avresti portato molti guai...".
Stringendo i denti, Demelza si sistemò meglio sul cuscino per cercare di calmare il dolore. "Oh, perfetto! E così è stato?".
La domestica rise. "Quella nei guai ora sembri tu!".
"Già" - mormorò Demelza, cercando i calmare le contrazioni con delle carezze sul pancione. "Ma sai, lo desideravo talmente tanto".
"Lo desideri anche adesso, col male che ti spacca in due?".
Nonostante tutto, Demelza sorrise. "Sì, anche adesso!".
Prudie le tamponò la fronte bagnata. "Per domattina sarà tutto finito e avremo in casa un nuovo piccolo ed urlante Poldark e un grande ed urlante Jud che griderà perché il piccolo Poldark gli spaccherà i timpani coi suoi strilli".
"O una piccola Poldark...".
Prudie alzò le spalle. "Chissà... Avete scelto un nome per il marmocchio?".
"Sì. Jeremy, se sarà maschio... O Julia Grace se sarà una bambina... Volevo dare come secondo nome quello dei genitori di Ross ma lui mi ha permesso di farlo solo per quello femminile. Non vuole rischiare, dice, di avere un nuovo Joshua in casa, che potrebbe diventare il nuovo seduttore del circondario come fu suo padre dopo che rimase vedovo".
Prudie ridacchiò. "Ricordo il signor Joshua e il signor Ross ha ragione. Meglio non rischiare".
Demelza la osservò incuriosita. "E Grace? Lei com'era?".
Prudie la accarezzò la guancia. "Un angelo. E il suo nome sarà di buon auspicio, in caso a nascere sia una femmina".
Demelza avrebbe voluto dire altro, ma una nuova forte contrazione la bloccò, facendola imprecare come quando, da bambina, viveva con suo padre. Beh, Prudie la prendeva sul ridere ma era decisamente contenta che Ross non fosse presente in quel momento...
Ma il sollievo di essere sole durò poco perché in quell'istante Dwight entrò nella stanza.

...

Julia Grace Poldark nacque alle sei del mattino, presentandosi al mondo con un sonoro pianto. Era una bambina 'in carne', così la definì Dwight quando la vide e coi suoi quasi quattro chili di peso, i radi capelli color miele tendenti al rosso, le manine strette a pugnetto e le guance piene, era uno splendore.
Calde lacrime presero a scendere dal viso di Demelza appena Dwight le mise la piccola sul petto e stringendola a se pensò a quanta strada avevano fatto lei e la sua bambina per arrivare fin lì, a quali miracolose casualità avessero portato a quel lieto evento, a quanto aveva pianto pensando che quella gioia a lei fosse preclusa e alla felicità unica che provava in quel momento. "E' sana?" - riuscì solo a chiedere, mentre la piccola le si attaccava al seno con estrema facilità, come se non avesse fatto che quello da sempre.
Dwight, asciugandosi le mani che aveva lavato in un catino e sistemandosi le maniche della camicia, le sorrise. "E' il ritratto della salute, una bambina perfetta, sana come un pesciolino, forte come un leone e con una voce potente come quella di un cantore di strada. Congratulazioni".
Demelza si chinò, orgogliosa, a baciare la testolina della piccola.
Dwight, dopo averle raccomandato qualche giorno di riposo, la lasciò sola e poi scese di sotto dove Ross, a furia di fare avanti e indietro, aveva fatto quasi un solco nel pavimento. "Complimenti, sei padre di una bambina".
Ross si sentì mancare e trattenne quasi il fiato. "Sta... Stanno bene?".
Dwight annuì, gli sfiorò il braccio e poi gli sorrise. "Sono più in forma di te, a giudicare da quanto sei pallido. Vuoi un cordiale o pensi di farcela a non svenire?".
Ross ridacchiò nervosamente. "Lasciamelo sul tavolo, credo che lo berrò dopo essere andato di sopra".
"E allora corri, ti stanno aspettando".
"Santo cielo, Dwight stavo impazzendo nell'attesa! Quanto diavolo ci hai messo a far nascere la mia bambina?".
Dwight sospirò, prendendo la sua borsa. "Il tempo necessario e a dire il vero Demelza è stata fin troppo veloce. Cosa che non sei tu, che invece che correre da lei stai quì come uno stoccafisso con me a dire stramberie. Sbrigati o troverai tua figlia grande abbastanza per fidanzarsi!".
Ross non se lo fece ripetere, oltrepassò Prudie che scendeva le scale con le lenzuola sporche quasi investendola, corse di sopra e appena vide Demelza seduta sul letto, con un fagottino fra le braccia, sentì il cuore esplodere di gioia come non mai. Coi suoi capelli sciolti, il viso arrossato e stanco ma perfetto, Demelza era il ritratto della salute e della felicità.
Appena lo vide, la donna si chinò sulla piccola. "Julia Grace, credo che sia ora che tu saluti tuo padre".
Ross, a piccoli passi, si avvicinò, sedendosi sul letto accanto a loro. Col cuore in gola guardò fra le coperte che proteggevano la sua bambina e appena la vide, sentì di essersene innamorato all'istante. E l'orgoglio, profondo, di chi ha costruito qualcosa di perfetto ed unico. Era semplicemente meravigliosa, splendida. E sua... "Julia Grace..." - disse piano, con la voce rotta dall'emozione.
Demelza sorrise dolcemente. "Dwight dice che è il ritratto della salute".
Ross prese la piccolina, stringendola delicatamente a se. "Lo vedo, è perfetta! Come siamo riusciti a fare qualcosa di così...".
Le parole si spezzarono nella gola di Ross e Demelza si rannicchiò contro di lui. "Dwight potrebbe spiegartelo in termini scientifici ma io preferisco che rimanga un mistero...".
"Cosa?".
"Come possa essere che un uomo e una donna facciano l'amore e dal nulla prenda vita tutto questo così, come per magia".
Ross annuì, Demelza aveva ragione. Era magia e nessuna spiegazione medica ne avrebbe scalpito il fascino e il mistero intrinseco che ogni nascita, ogni vita racchiude in se. "Stai bene?" - le chiese, solamente.
"Sto bene, sono solo un pò stanca".
"Devi riposare e stare a letto, promettimi che lo farai. Dwight si è molto raccomandato...".
"Lo farò, giuro".
Rimasero abbracciati per lunghi istanti, in un silenzio carico di emozione e serenità dove respirarono quei primi istanti da genitori. Fu Ross a spezzarlo, baciando teneramente le fronti di entrambe. "Lo ricordi? La prima volta che ci siamo incontrati?".
Demelza annuì. "Sì, pensavo fossi davvero un soggetto... strano...".
Ross sorrise. "Ti ho voluta da subito! Credo di aver desiderato baciarti per farti stare zitta persino lì, su quel balcone, con Hugh a pochi passi da te".
Lei rise. "Farmi stare zitta?".
"Eri così molesta e avevi una notevole sfacciataggine e lingua lunga. L'hai ancora, se devo essere onesto... E infatti ti bacio spesso proprio per questo!".
"Buono a sapersi! E comunque, per la cronaca, spero la abbia anche nostra figlia la lingua lunga! Il coraggio di dire sempre ciò che sente senza paura è la massima espressione di forza ed intelligenza".
Ross strinse la bambina. "Oh, la avrà di sicuro! E' una Poldark e noi non amiamo troppo il silenzio e le mezze misure".
Julia, fra le sue braccia, si stiracchiò tranquilla e poi li osservò incuriosita per quello strano chiacchiericcio di cui era protagonista indiscussa. "Sai" - disse Demelza - "E' così fortunata. Ha due genitori che la amano, uno zio che la adora e che già pensa al suo futuro meglio di noi...".
Ross alzò gli occhi al cielo, ricordando bene la stramba idea di Falmouth che tanto l'aveva fatto discutere con lui. "Odio che dia soldi per mia figlia e che a nostra insaputa le abbia aperto un conto alla Banca di Londra, informandoci solo a cose fatte!".
Demelza rise di nuovo. "Vuole essere parte integrante della costituzione della sua dote. Dice che con due genitori come noi, ci vuole uno con un pò di cervello che pensi al futuro dei nostri eredi. In fondo Ross, che c'è di male? Abbiamo scelto di essere una famiglia e lui sarà lo zio di Julia e questo è uno dei suoi modi per dimostrarle il suo affetto. Non è quello che fanno gli zii?".
Ross alzò le spalle. "Mio zio Charles non ha mai aperto alcun conto a mio nome".
"Ma Julia avrà uno zio diverso che vorrà prendersi cura di lei e dobbiamo considerarla una fortuna. La ama e lo sai anche tu! Non ha mai lasciato i lavori a Westminster in anticipo per nessuno, lo ha fatto solo per lei. Più amore c'è, meglio è. Giusto?".
Ross pensò a quelle semplici parole che spesso, dette da sua moglie, racchiudevano realtà ben più profonde che a lui sfuggivano nell'immediato. Era vero, non aveva forse imparato che l'amore segue tante strade, tante vie tortuose e ha mille modi di manifestarsi? Non era forse il periodo migliore della sua vita, con una famiglia tanto ampia e aperta al futuro? Non era bello prendersi cura l'uno dell'altro tutti insieme, come una squadra, ognun a proprio modo? Non era bello che sua figlia avesse attorno tante persone che pensavano a lei? "Hai ragione, più amore c'è, meglio è".
Garrick e Sun comparvero ancora dalla porta e questa volta Demelza li chiamò a se sul letto, per fargli conoscere Julia. E loro lo fecero, annusando il visino di quella placida e perfetta bambina e poi rannicchiandosi sulle coperte accanto a loro.
"Devono proprio stare quì?" - chiese Ross, borbottando.
"Più amore c'è, meglio è" - gli ricordò Demelza con ironia. "E siamo una grande famiglia dove c'è spazio per tutti".
Ross sospirò, prima di chinarsi su di lei e baciarla sulle labbra. 'Più amore c'è, meglio è'... Era abbastanza convinto che da quel momento in poi quello sarebbe diventato il mantra del suo futuro e la base di tutto quello che la vita avrebbe riservato a lui e alla sua famiglia. Il passato, con le sue ombre, era svanito, il futuro era a portata di mano e con amore, sarebbe stato roseo e felice per il resto delle loro esistenze.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3893861